BOLLETTINO -

SOCIETÀ UMBRA

DI STORIA PATRIA -

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VOLUME: I.

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DION. D' XLICARN. Artt. ROm. L 19.

PERUGIA
TIPOGRAFIA BONCOMPAGNI

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SOCIETÀ UMBRA DI STORIA PATRIA

« Di tutte le provincie italiane I' Umbria, forse, è la sola,
dove non sia una deputazione o una Società di Storia Patria.
Ció puó parere strano, quando si pensi alla importanza e
alla ricchezza dell Umbria, in fatto di memorie patrie. Ma,
d'ordinario, le società sorgono là dove manca o è debole la.
iniziativa individuale, e l Umbria, fortunatamente, ebbe, uno
dopo l’altro, più uomini, ognuno dei quali fece da solo per
una società ».

Con queste parole l' illustre prof. Monaci introducevasi
a parlare, in una delle più pregievoli riviste letterarie d'Italia,
delle pubblicazioni sulla storia perugina del Fabretti. E
bene a ragione si faceva a comparare l insigne scienziato al
Mariotti, al Cacciavillani, al Vermiglioli e al
Rossi, indicandolo come esempio novello di quello che può
fare da solo un uomo senza ricorrere a protezioni di mini-
stri o ad aiuti di sodalizi e di consorterie.

Ma il Fabretti non si appagava solamente di quel
l’opera che, dopo essersi valentemente esercitata nella ar-
cheologia, rifaceva, in questi ultimi anni, una parte del cam-
mino già da lui percorso in gioventù, riprendendo a pub-
blicare cronache e documenti di storia perugina:.egli che
conosceva quanta mésse di documenti e di memorie fosse
disseminata per l' Umbria e quanto profitterebbe raccoglierla,
desiderava che gli studiosi della regione facessero centro
nella sua Perugia per attendere, in fraterno consorzio, a
cotesto alto scopo. Quando, per iniziativa di tre valenti
4 L. FUMI

eruditi suoi concittadini, si fondava questa società storica,
può dirsi che si compiesse il voto più ardente degli ultimi
suoi anni, e proprio in quella che gliene perveniva l'an-
nunzio, come chi non avesse più altro da chiedere alla vita,
placidamente mancava, fra il compianto universale per una
fine sì dolorosa e subitanea.

E qui, sebbene per tale perdita inaspettata la società
siasi sentito cadere sotto il suo più forte sostegno, e dolo-
rando tanta iattura, non avesse come. rinfrancarsi; pure
avvisò che se, giusta la espressione del Monaci, egli da
solo « faceva per una società », lui scomparso, non potevasi
riempirne il vuoto, se non da una società che continuasse
nell’ opera scientifica da lui avviata.

In tanto fervore di studî storici che scalda gli ingegni
da un capo all'altro d'Italia, e infino nelle più piccole no-
stre contrade ha ridestato l amore delle ricerche e delle
pubblicazioni, l Umbria, collettivamente, non ha fin qui preso
parte attiva, se si tolga l’opera generosa e ben nutrita di
quei valenti che intrapresero la pubblicazione lodata, troppo
presto interrotta, dell « Archivio storico per le Marche e
per l Umbria ». E quantunque l’ « Archivio storico italiano »,
allorché era diretto dal Vieusseux, desse luogo, in quella
sua prima bellissima serie, a due volumi di eronache e do-
cumenti perugini, e di poi la R. Deputazione istituita per la
Toscana, per l Umbria e per le Marche,. accogliesse nella
sua raccolta di documenti per la storia italiana il « Codice
diplomatico della città di Orvieto e la Carta del popolo », e
da ultimo la R. Società romana abbia divulgato il « Regesto
di Farfa », tuttavia nessuno si vorrà persuadere che. una
regione, dove agli antichi Umbri si stringono e si fondono
insieme Tusci e Sabini, sia stata studiata e illustrata abba-
stanza da gareggiare nel movimento generale degli studi con
le altre, almeno, che le sono. piü vicine. Quindi, allorché
sorse | « Istituto storico italiano », come una nuova energia

volta « ad aiutare lo: studio sincrono delle manifestazioni

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SOCIETÀ UMBRA DI STORIA PATRIA )
della nostra vita su tutti i punti del nostro paese », non
poteva l’ Umbria trovarsi preparata a ricevere cotesto aiutò.
Quasi tutto qui restava a fare, perchè privi di una compagine
propria noi eravamo. Difatti, se scopo di quel massimo istituto
è « di ritornare con pazienti indagini sulle vestigia mura-
toriane e riprendere le edizioni degli scriptores historiae
patriae con mezzi più ampi e usando gli arredamenti e 1
soccorsi della odierna critica», l'opera di poche forze indivi
duali e indipendenti fra loro non può essere conducente ‘al
proposito. Chi poi ponga mente alla lacuna che il grande
Muratori lasciava senza colmare per molte città nostre,
riconoscerà non pure ragionevole, ma cosa naturale, la unione
delle forze disperse e conveniente il disciplinarle, perchè dai
varî rigagnoli sgorghi e fluisca una nuova fonte che dovrà
riversarsi a fecondare quel vasto campo che è il « R. Isti-
tuto storico ».

Di qui la opportunità di questa nostra associazione e
insieme il suo scopo, egregiamente inteso dalle persone culte
e studiose della provincia, che aderirono prontamente alla
iniziativa. La quale iniziativa, sorta a mezzo settembre di
quest'anno, è ormai condotta a dare un primo saggio. di
quella attività, che dovrà animare i nostri studî, con la pub-
blicazione del presente « Bollettino » ; dove,.a dir vero, ab-
biamo dovuto penare più a contenere. la materia, che non
darci pensiero di ricercarla. Epperó I Umbria non era tanto
rimasta incurante del suo patrimonio storico, quanto men
favorita dalla fortuna di metterne in luce i riposti tesori;
per modo che é bastato l annunzio di questa società, perché
si destassero nobili propositi, si scoprissero nuovi fonti e si
desse subito mano a illustrare, a ripristinare e ad emendare
la nostra storia. Questo è indizio di amore ben sentito della
conoscenza di noi stessi, il quale ravviva tosto come si levi
una occasione buona e propizia. Non si deve nemmeno pensare
che allignino spiriti fiacchi e leggieri che vogliano diffidare
dell’ opera nostra e sfatarla, o sgomenti delle difficoltà, vo-
6 L. FUMI

gliano ristarsene e mandarla a male. Una istituzione fondata
nel sentimento patriottico della popolazione, sorretta dal giu-
dizio de’ savi, commessa alla operosità degli studiosi, non
avrà timore che mala pianta laduggi, e non tarderà a con-
seguire qualeuno di quei nobili ideali cui aspira. Investigare
le-antiche origini e vagliarle al confronto della critica, rac-
cogliere le notizié per la bibliografia e accompagnarle con
giudizi succinti, presentare gli inventari ragionati degli ar-
chivi, studiare tutte le manifestazioni dei fenomeni della
vita, dall’ antico linguaggio alle produzioni e ai fatti della
vita religiosa, civile, politica e artistica, ecco il campo delle
esercitazioni e la palestra, in cui si proveranno i soci. Ho
già dato ai giovani sommarie indicazioni e pochi consigli che
mi sembrarono più acconci a rendere concorde, uniforme e
profittevole il lavoro comune; e con piacere ho veduto gli
avvisi subito ftruttificare. Qui basterà accennare che noi ri-
volgeremo le nostre prime cure agli statuti comunali ante-
riori al secolo XIV, poi alle collezioni dei capitoli o sotto-
missioni: perché come quelli sono tutto il corpo del diritto
pubblico interno, così queste contengono la somma del di-
ritto pubblico esterno, con che si venne di lunga mano pre:
parando l' orditura per l unità della patria. Al tempo stesso
lo studio rivolto sulle riforme e consulte dei pubblici Consi-
gli ci darà di tutto il periodo delle nostre libertà le vicende
ordinate, lasciandoci scoprirne le cause e pesare gli effetti.
Così la perizia degli studiosi, con sussidî scientifici esercitata
sulle fonti di natura politica, passerà a svolgersi più facil-
mente nelle carte di indole economica e di soggetto giuri-
dico e morale, e potrà dar gli elementi per una storia che
non se ne stia soltanto alla narrativa de’ fatti, di cui fu tea-
tro il nostro paese, ma penetri, investigando le consuetudini,
gli usi e le leggi, nelle antiche istituzioni sociali, tanto di-
verse da luogo a luogo, ma sempre bene applicate alle po-
polazioni, da rinsanguarsene esse più che intristirne ; da cre-

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scere prosperità di commerci e sviluppo di sapere e di arti
e provvidenze mirabili di carità.

Visitare palmo a palmo il nostro suolo, dove si adunano
tante bellezze di natura, coi suoi monti sempre verdi, con
la distesa dei suoi laghi, con la meraviglia delle sue cascate,
con le fertili coste e le valli amenissime, é meditare sulla
azione che esercitano quelle eterne bellezze sull’ uomo. È
egli dovuto, per avventura, ad un casuale ritrovo, che certi
uomini avessero qui a sortire i natali, l'uno dopo P altro
destinati a qualche cosa di universale? I confini entro i quali
si racchiudono piü specialmente i nostri studi sono compresi nel
medio evo: perció lasciamo stare Properzio e Tacito, Varrone
e Vespasiano, Claudio e Floriano, Cocceio Nerva e Sertorio e
molti altri tutti nati qui. Ma, e S. Benedetto che seppe im-
maginare la istituzione piü vasta e piü utile del medio evo,
e che facendo rifiorire l' agricoltura, ridonò la forza, la sa-
lute e la ricchezza, e diffondendo il lavoro della mente, di-
sperse la barbarie e la ignoranza dei secoli più rozzi; e S. .
Francesco che riamicò le classi armate e in lotta fra loro e
fondò le basi della vera democrazia, dandone egli stesso l'e-
sempio di fatto, più che un sistema; trionfatore, per l’amore,
della prepotenza, della forza, dell'odio; e Jacopone, ingenuo
e asceta, che imprime, pieno di ardore, un carattere nuovo
alla poesia; e Graziano da Carnaiola che divulga un nuovo.
giure con le Decretali, Bartolo e Baldo, innovatori della ese-
gesi del diritto; Braccio che restaura gli antichi ordini mi-
litari; Pietro Vannucci, che preceduto dall’ Oderisi, dal Nelli
e dal Bonfigli, avviò Raffaello, colla grazia ellenica, ai
trionfi dell'arte ; tutti questi e molti altri che riallacciano
l’ultimo anello del medio evo con Federico Cesi fondatore
dei Lincei, ardito restauratore delle scienze, quanto non a-
vranno assimilato delle condizioni naturali e sociali del luogo,
ove nacquero e vissero ?

Studi severi, di pacata indagine, di lenta ricostruzione
del passato, non improvvisate dissertazioni accademiche; non
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le) L. FUMI

superficiali e boriose esposizioni di soggettivismo, a svisare
caratteri, a denigrare e a falsare istituzioni e persone, si
conterranno nel « Bollettino » ; al quale pongono mano eletti
ingegni dell’ ateneo perugino, degli istituti di istruzione sparsi
nella provincia, di uomini colti di varie parti d'Italia e fuori;
dal cui aiuto l associazione spera e a ragione ripromettesi
di vantaggiarsi assal.

E se, più che vantaggio, bisogno dei nostri studî richieda
conseguire per l Umbria una Deputazione autonoma di Sto-
ria Patria, questo, per certo, dovrà, da una parte, appagare
gli studiosi, unicamente perchè si avrà modo di assicurare

una esistenza, che ha tutto il diritto di affermarsi, sia pure

in condizioni sempre modestissime; ma, d'altra parte, ne
dorrà sciogliere quel vincolo che congiunge ancora l'Umbria
alla Toscana, sebbene dopo che le Marche lo sciolsero (col-
l'Umbria veramente affini), sia. cessato il nesso storico; la
qual cosa non farà che l'affetto, onde siamo tutti animati
.fra noi, scemi o illanguidisca. E frattanto la Regia De-
putazione che siede in Firenze non respinga un saluto rive-
rente e cordiale, che esce spontaneo e verace dal cuore di
chi, ultimo fra i suoi soci, si trova non chiamato dal desio,
ma portato dal volere altrui ad assumere, per breve tempo,
nella nuova società, un posto che in verun modo gli spetta:
accolga i voti che egli fa alla meritata prosperità di quel no-
bile istituto, che è gloria e purissima gloria italiana, e gli
conceda di bene augurarsi dai mutui rapporti che sorgeranno
presto fra i due sodalizi, i quali resteranno sempre stretta-
mente uniti, negli stessi intendimenti e nello stesso lavoro,
in un cuore solo, per la patria comune dilettissima.

Il Presidente
L. FUMI.

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ATTI DRELA SOCIETA

Adunanza del 12 settembre 1894

Nella sala della Biblioteca Comunale il giorno 12 set-
tembre 1894, presenti i signori invitati di cui appresso, il
Conte Dott. Vincenzo Ansidei prende la parola per esporre

lo scopo della riunione, come. risulta dalla seguente circo-

lare:

« Nel ridestarsi e progredire degli studi storiei in
molte provincie d'Italia, la. nostra Umbria, ricchissima
di cronache e di statuti delle sue gloriose città, manca
tuttavia, e non vogliam dire: se con danno della sua re-
putazione, d’una propria associazione storica.

« È nostro intento di promuoverne la fondazione.

« Pochi anni or sono le Provincie delle Marche ot-
tennero dal Governo la separazione dalla R. Deputazione

, di Storia Patria sedente in Firenze, nonchè l’ assegno
a lei spettante e la facoltà di costituirsi in R. Deputa-
zione Storica. Non è lecito quindi dubitare che eguali
diritti saranno dal Governo concessi alla nostra Provin-
cia, la quale pur vanta preziose fonti per la storia d' Ita-
lia e copiose serie di documenti di lingua, di diritto,
di letteratura e d’arte per essere stata culla del ‘teatro
italiano, sede di una illustre scuola giuridica, madre di
“una illustre schiera di pittori, che costituisce una delle
più splendide glorie del genio italiano.

« Ond’ è, che fidenti preghiamo la S. V. affinchè vo-
glia intervenire all’adunanza indetta per sì nobile fine
a Perugia nella sala della Biblioteca Comunale il giorno
12 di settembre alle ore 10 antimeridiane.
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. 10 ATTI DELLA SOCIETÀ

« Così quel desiderio che è ora nell’ animo dei molti

studiosi e cultori della storia umbra, acquisterà dalla co-

munione delle idee quella forza ordinata e collettiva ne-

cessaria al conseguimento. di ogni diritto.

« LEOPOLDO TIBERI È

VINCENZO ANSIDEI
FRANCESCO GUARDABASSI ».

Quindi accenna come l'illustre nostro concittadino Se-
natore Fabretti da vario tempo incoraggi la istituzione di
una Società di storia Umbra, e non essendo potuto interve-
nire per ragioni di salute abbia, di buon grado, aderito all’ a-
dunanza: invia al medesimo un reverente saluto, e un saluto
pure dirige al Cav. Luigi Fumi che anch’ egli indisposto non
può prender parte in persona all’ adunanza: prega infine
il Conte G. B. Rossi Scotti a volere assumere la presidenza
della riunione.
Non avendo questi accettato, il Prof. G. Bellucci, al quale
fu pure offerta la presidenza, propone che questa rimang:
affidata al Comitato promotore. s
In seguito a tale proposta il Conte Ansidei prega il Prof. i
Guardabassi a voler presiedere all’ adunanza, e il Prof. Guar-
-dabassi accetta.
Funge da Segretario il Dott. Vincenzo Bartelli.
Fatto l appello degli invitati, risultano presenti i signori:

Cav. Dottor Gurpo PqwrriLJ, Deputato al Parlamento

Prof. FiLipPo SENSI

Prof. GiusEPPE MAZZATINTI

Prof. GruLio URBINI

Prof. Comm. Giuseppe BELLUCCI

Conte Comm. G. BamrIstA Rossr-ScoTTI

Prof. FRANCESCO GUARDABASSI

Canonico MicHELE FALOCI-PULIGNANI

Dott. ANNIBALE TENNERONI é
Prof. Cav. GroAcHIiNo NOVELLI |
Conte Cav. PAOoLANO MANASSREI

Prof. Lu1a1 LANZI
ADUNANZA DEL XII SETTEMBRE MDCCCXCIV 11

Conte Cav. ALESSANDRO ANSIDEI
Conte Dott. VINCENZO ANSIDEI ^
Prof. GIUSEPPHR. PIERGILI
Cav. GIUSEPPE BIANCONI
e Dott. LUIGI GIANNANTONI
Dott. VINCENZO BARTELLI
Prof. Cav. FRANCESCO MORETTI
Conte LEMMO Rossi-ScoTTI
Prof. CAIO SANTI
Prof. LEONE LEONELLI.

Mandano le loro adesioni oralmente i signori :
Prof. FRANCESCO INNAMORATI
Prof. LETO ALESSANDRI

Prof. RINALDO BLASI
Conte TOMMASO VALENTI.

bi dà lettura quindi di lettere e telesrammi di adesione
dei signori :
Cav. Uff. Luia1 FUMI
Mons. Are. Dott. MARZIO LUCIANO ROMITELLI

LA
T Conte PAOLO DI CAMPELLO

Prof. Cav. TORQUATO CUTURI

Ing. Cav. Colonnello CLAUDIO CHERUBINI
Ing. ALronso BRIZI

Prof. OSCAR SCALVANTI.

Si passa quindi alla lettura dello Statuto fatta dal Prof.
Tenneroni che insieme ai Proff. Sensi e Mazzatinti lo ha com-
pilato.

Il 1° articolo «è così concepito :

« È istituita una Società Umbra per la Storia Patria al
« fine di provvedere alla pubblicazione ed illustrazione di
« documenti riguardanti la storia civile, giuridica, militare,
« economica, letteraria ed artistica della Provincia di Perugia».

Dalla discussione di cui è oggetto questo articolo risulta
il vivo desiderio degli adunati che nell’ articolo stesso si ac-
cenni all intendimento di adoperarsi a che la Società sia dal
Governo riconosciuta quale Regia Deputazione di Storia Pa-
12 ATTI DELLA SOCIETA

tria per la Provincia dell’ Umbria; e ciò non per inconsülto
desiderio di separazione dalla Toscana, alla quale ci legano
tanti cari e gloriosi ricordi, ma solo nell’ intento di assicu-
‘are su solide basi la vita della nascente associazione e di
favorire, secondo il possibile, l'incremento degli studi storici
nella regione. Dichiarata chiusa la discussione, il Presidente,
cedendo alle insistenti premure degli intervenuti, fa dar let-
tura dell'articolo emendato che approvasi nei termini se-
guenti :

« E fondata una Società di Storia Patria con sede in
« Perugia, per provvedere alla pubblicazione ed illustrazione
« di documenti riguardanti la Provincia di Perugia e promuo-
« vere la istituzione autonoma della R. Deputazione Umbra
« per gli studi di Storia Patria ».

Il 2° articolo suona cosi:

« La Società si compone di soci collaboratori, aggregati,

A

corrispondenti, onorari.
« Sono collaboratori gli eruditi e cultori di studi storici, i

« quali si obbligano di cooperare alle pubblicazioni sociali e
« pagano il prezzo annuo del Bollettino} sono.aggregati quegli
« amatori dei buoni studi che pagano L. 12 all'anno ed hanno
« diritto ad un esemplare del Bollettino. Sono dichiarati be-
« nemeriti tutti coloro che acquistano una.o più azioni di
« L. 50 o concorrono notevolmente all'aumento del patrimonio
« sociale. Sarà loro conferito un diploma. di benemerenza e
« saranno loro inviati gli atti separati della Società. i

« Sono corrispondenti gli eruditi estranei alla Provincia
« che forniscono comunicati e scritti utili alle pubblicazioni
« che la Società si propone di intraprendere. Sono proclamati
« onorari dall assemblea generale su proposti di tre soci
« collaboratori i più insigni cultori delle disciplime storiche,
« i quali abbiano giovato o possano giovare particolarmente
« agli studî della regione Umbra ».

La discussione verte sulla quota da pagarsi dai soci col-
laboratori che taluni propongono sia fin d' ora fissata in L. 10.

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ADUNANZA DEL XII SETTEMBRE MDCCCXCIV 13

L'articolo 2° in seguito a tale proposta è cosi in parte
modificato: « Sono collaboratori gli eruditi o cultori di studi
« Storici, i quali si obbligano di cooperare alle pubblicazioni
« sociali, pagano L. 10 annue ed hanno il Bollettino della So-
« Cietà ».

I] Conte Vincenzo Ansidei comunica come il Cav. Luigi
Fumi abbia già acquistato un'azione da L. 50.

Vengono approvati senza discussione gli articoli 3°, 4,°
09505 (odo DES AR

Art. 9.0 — « La Società dovrà tenere un'adunanza ge-
« nerale ogni anno, e solo a questa é riservata la elezione
« e surrogazione degli ufficiali e dei soci, la nomina dei re-
« visori del consuntivo, l'approvazione del bilancio nonché
« quella dei Fonti di Storia Umbra.

« bu proposta motivata di almeno nove soci il Presi-
« dente puó convocare un'adunanza straordinaria ».

Aperta la discussione, il Conte Manassei, nella conside-
razione che i soci trovansi nelle varie città Umbre e non
nella sola Perugia e che nell'epoca della convocazione po-
trebbero da qualche incidente essere impediti di recarsi nel
capoluogo, propone che l'articolo si emendi in: questa ma-
niera:

« La Società dovrà tenere un'adunanza generale ogni
« anno, e solo a questa è riservata la elezione e surrogazione
« degli ufficiali e dei soci, le quali potranno esser fatte an-
« Che per lettera, ecc. ».

L'articolo così emendato viene approvato.

Art. 16.° — « La Società provvede alla stampa del suo

« Bollettino e dei Fonti di Storia Patria coi seguenti mezzi:
« a) contributo dei soci collaboratori ed aggregati;
« b) provento della vendita delle pubblicazioni sociali ».

Aperta la discussione, il Prof. Bellucci fa notare Che anche
gl' interessi del fondo di riserva potrebbero essere a tale SCOpo
adoperati, e propone il relativo emendamento dell’ articolo
nel modo seguente :
ATTI DELLA SOCIBTÀ

« a) contributo dei soci collaboratori ed aggregati ed

« interessi del fondo di riserva ».

Messo ai voti viene approvato.

A schiarimento del primo articolo se ne propone uno
transitorio del seguente tenore:

« Il presente Statuto potrà essere modificato soltanto al-
« lorché esaurite le pratiche che saranno subito intraprese
« presso il Regio Governo per convertire la Società in Regia
« Deputazione di Storia Patria, l' assemblea sarà convocata
« per concordare le modalità che potrebbero essere proposte
« dal Governo stesso ».

Con questo articolo rimane approvato tutto lo Statuto.

Si passa quindi alla elezione delle cariche e si elegge a
scrutatore il prof. Sensi.

Viene eletto per acclamazione il Sen. ARIODANTE FA-
BRETTI a Presidente onorario e si stabilisce d' inviargli il se-
guente telegramma:

« Società Umbra Storia Patria, sorta voto assemblea ge
« nerale eruditi Provincia, acclama Vossignoria Presidente
« onorario, orgogliosa inaugurare lavori auspice tanto nome ».

Si elegge quindi per acclamazione a Presidente effettivo
il Cav. Uff. LuIGI FUMI.

A votazione segreta è poi eletto a Vice-Presidente il Prof.
LEOPOLDO TIBERI.

Si viene quindi alla nomina di 4 Consiglieri; la votazione
segue per scrutinio segreto e rimangono eletti i signori:

Prof. FRANCESCO GUARDABASSI
Prof. GIUSEPPE MAZZATINTI
Prof. GIUSEPPE BELLUCCI
Prof. GEROLAMO DONATI.

Per acclamazione si eleggono a Segretario il Dott. Luigi
GIANNANTONI, e ad Economo il Conte Dott. VINCENZO ANSIDEI.

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ADUNANZA DEL XII SETTEMBRE MDCOOXCIV 15

Pure per acclamazione si elegge la Commissione pel
Bollettino nelle persone dei signori: ;
Comm. LUIGI FUMI, Presidente
Prof. FILIPPO SENSI \
Prof. GIUSEPPE MAZZATINTI |
Prof. Cav. ToRQUATO CUTURI QR PLA E
Canonico FALOCI PULIGNANI (UAE
Dott. ANNIBALE TENNERONI \

Prof. ANGELO BLASI |

Vengono acclamati soci onorari per le loro pubblicazioni
illustrative dell’ Umbria, i signori:

Comm. RUGGERO BoNGHI, Deputato al Parlamento

Prof. Comm. ALESSANDRO D’ ANCONA

Prof. Comm. ERNESTO MONACI

5. E. Comm. MARCO TABARRINI, Senatore del Regno,
Presidente della R. Deputazione di Storia Patria
per la Toscana e U Umbria e del R. Istituto sto-
rico italiano.

Comm. GIAN FRANCESCO GAMURRINI

Conte Cav. UGO BALZANI

Comm. ORESTE TOMMASINI -

P. Ab. don GIUSEPPE de’ Conti Cozza-LUZI

Cav. IGNAZIO GIORGI

Mons. ISIDORO CARINI.

L'adunanza viene tolta alle ore 13.

IL PRESIDENTE
FRANCESCO GUARDABASSI

Il Segretario
VINCENZO BARTELLI.
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DELLA

SOCIETÀ UMBRA DI STORIA PATRIA

Art. l. — E fondata una Società Umbra di Storia Patria,
con sede in Perugia, per provvedere alla pubblicazione. ed
illustrazione di documenti riguardanti la Provincia di Peru.

| gia e promuovere la istituzione autonoma della Regia Depu-

tazione Umbra per gli studi di storia patria.

Art. 2. — La Società si compone di soci: a) collabora
tori; 5) aggregati; c) benemeriti; d) corrispondenti; e) onorari.

Sono collaboratori gli eruditi o cultori di studi storici, i
quali si obbligano di cooperare alle pubblicazioni sociali,
pagano lire 10 annue ed hanno il Bollettino della Società; sono
aggregati quegli amatori dei buoni studî che pagano lire 12
all'anno; ed hanno diritto ad un esemplare del Bollettino.

Sono dichiarati benemeriti tutti coloro che acquistano
una o più azioni di lire 50 o concorrono notevolmente al-
l'aumento del patrimonio sociale. Sarà loro conferito un di-
ploma di benemerenza e saranno loro inviati gli atti della
Società.

Sono corrrispondenti gli eruditi estranei alla Provincia
che forniscono comunieati e scritti utili alle pubblicazioni
che la Società si propone di intraprendere.

Sono proclamati onorari dall'assemblea generale su pro-
posta di tre soci collaboratori i più insigni cultori delle di-

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STATUTO DELLA SOCIETA, 17

scipline storiche, i quali abbiano giovato o possano giovare
particolarmente agli studi della regione Umbra. ;

Art. 9. — Le somme elargite dai soci benemeriti co-
stituiscono un fondo di riserva e vengono depositate alla
Banca di Perugia.

Art. 4. — Il diploma di socio benemerito ed onorario è
firmato dal Presidente .e dal Segretario.

Art. 5. — La Società ha una Giunta esecutiva scelta fra
i soci collaboratori, composta del Presidente, del Vice-Presi-
dente, di quattro Consiglieri, del Segretario e dell Economo.
Tutti durano in carica un triennio e possono essere rieletti.

Art. 6. — Il Présidente, cura l' esatta osservanza dello
Statuto, convoca e presiede la Giunta e l' adunanza generale
dei soci, alla quale prenderanno parte i soci collaboratori ed
aggregati; questi ultimi con voto consultivo. :

Art. 7. — Il Segretario compila i processi verbali delle
adunanze generali e prende nota delle deliberazioni della
Giunta esecutiva. E responsabile del carteggio; fa la rela-
zione annuale dei lavori a nome della Giunta.

Art. 8. — L' Economo riscuote e custodisce le somme di
mano in mano ritirate dai soci e dagli enti morali; esegui-
sce i pagamenti sopra regolari mandati firmati dal Presi-
dente; prepara il bilancio; cura la” conservazione dei libri
ricevuti in dono o comprati, nonché il deposito delle pub- :
blieazioni sociali.

Art. 9. — La Società dovrà tenere un'adunanza ogni
auno, e solo à questa é riserbata la elezione e surrogazione
degli officiali e dei soci, le quali potranno essere fatte anche
per lettera, l approvazione deL bilancio, la nomina di due ©
revisori del consuntivo, nonché l approvazione dei Fonti di :
Storia Patria.

Su proposta motivata di-almeno nove soci il Presidente
può convocare un’ adunanza straordinaria.

Art. 10. — Ciascuna adunanza potrà comprendere varie
Sedute successive: sono valide in prima convocazione se vi

2
18 STATUTO DELLA SOCIETÀ

intervenga il terzo dei soci collaboratori iscritti, in seconda
qualunque sia il numero degl’ intervenuti.

Art. 11. — Le sedute della Società potranno anche te-
nersi in altre città della Provincia da designarsi dalla Giunta
esecutiva. :

Si avrà cura inoltre di indire periodicamente adunanze
straordinarie nelle città della Provincia, à fine di meglio co-
noscerne gli archivi ed i monumenti e promuovere la con-
servazione ed illustrazione di essi.

Art. 12. — La Società a raggiungere il suo scopo dà
opera a due serie di pubblicazioni, l'una periodica dal titolo
Bollettino della Società Umbra di. Storia Patria, Valtra di Fonti
di Storia Patria. *

Il Bollettino comprende gli atti della Società, memorie
originali, documenti illustrati, bibliografia storica Umbra,
recensioni e: notizie.

I Fonti danno la collezione degli statuti di particolare
importanza, gli atti diplomatici delle singole città e delle più
antiche abbazie, cronache e diari.

Art. 13. — Per tutto ció che concerne le pubblicazioni
della Società è nominata dall’ adunanza generale una Com-
missione speciale di sei soci .collaboratori e di un Presidente,
il quale dovrà eleggersi fra i componenti la Giunta ese-
cutiva.

Art. 14. — Ogni proposta di temi di studio o documenti
da pubblicare deve essere compendiata in iscritto e' ragio-
nata ne’ suoi punti principali.

Art. 15. — L'autore o editore di un lavoro ha diritto à
‘dato numero di esemplari o di estratti che determina la
Giunta esecutiva.

Art. 16. — La Società provvede alla stampa del suo Zol-
lettino e di Fonti di Storia Umbra, con i seguenti "mezzi :

a) Contributi dei soci collaboratori ed aggregati, ed
interessi del fondo di riserva;
b) Provento della vendita delle pubblicazioni sociali.

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STATUTO DELLA SOCIETÀ 19

Art. 17. — I titoli delle spese ordinarie, che puó avere

la Società, sono i seguenti: d» i
1.° Per la Giunta e suo officio.
2.° Per carteggio.
3.° Per stampa di lettere, avvisi, circolari e diplomi.
4.° Per trascrizione di documenti.
5.° Per pubblicazioni.
6.° Per indennità.

Articolo transitorio. — Il presente Statuto potrà essere
modificato soltanto allorchè esaurite le pratiche che saranno
subito intraprese presso il Regio Governo per convertire la
Società in Regia Deputazione di Storia Patria, l' assemblea
sarà convocata per. concordare le modalità che potrebbero
essere proposte dal Governo stesso.

CI
X
20) ELENCÓ DEI SOCI

ELENCO DEL SOCI

SOCI ONORARI.

LE Balzani conte cav. Ugo.

di Bonghi prof. comm. Ruggero, Deputato al Parlamento.
Cozza-Luzi (de’ conti) abate comm. don Giuseppe.

D’ Ancona prof. comm. Alessandro.

Gamurrini prof. comm. Gio. Francesco.

Giorgi dott. cav. Ignazio.

Monaci prof. comm. Ernesto.

Tabarrini comm. Marco, Senatore del Regno.
Tommasini prof. comm. Oreste.

SOCI BENEMERITI.

On. Municipio di Perugia.

On. Municipio di Citta di Castello.

On. Municipio di Gubbio.

On. Municipio di Orvieto.

Ansidei conte dott. cav. Alessandro.

Bracci (de’ conti) cav. Giuseppe, Deputato al Parlamento.
Danzetta barone comm. Niccola, Senatore del Regno.
Fumi comm: Luigi. .

Fani avv. Cesare, Deputato al Parlamento.

Franchetti barone Leopoldo, Deputato al Parlamento.
pi Ferrari comm. Bernardo Carlo, Prefetto della Provincia del-
H [' Umbria.

Lorenzini avv. comm. Augusto, Deputato al Parlamento.
D - Potenziani principe Giovanni, Senatore del Regno.

ie Pompilj dott. cav. uff. Guido, Deputato al Parlamento.

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+ BLENCO DEI SOCI 21
SOCI COLLABORATORI.

Fumi comm. Luigi, Presidente.

Tiberi prof. ing. Leopoldo, Vice-Presidente.
Dorati prof. dott. Girolamo \
Guardabassi prof. dott. Fano
Mazzatinti prof. dott. Giuseppe
Bellucci prof. comm. Giuseppe
Giannantoni prof. dott. Luigi, Segretario.
Ansidei conte dott. Vincenzo, Economo.

( Consiglieri.

Blasi prof. dott. Angelo.

Bellucci prof. dott. Alessandro.
Bianconi cav. Giuseppe.

Bocci ing. Icilio.

Brizi ing. Alfonso.

Cuturi prof. avv. cav. Torquato.
Di-Campello conte Paolo.

Eroli marchese cav. Giovanni.

Faina conte comm. Eugenio, Senatore del Regno.
Faloci-Pulignani can. don Michele.
Frenfanelli-Cibo conte Serafino.
Geraldini conte monsignor Belisario.
Gori cav. prof. Fabio.

Innamorati prof. avv. Francesco.
Leonelli prof. Leone.

Lanzi prof. Luigi.

Manassei conte cav. uff. Paolano.
Magherini-Graziani dott. cav. Giovanni.
Manzoni conte dott. Luigi.

Morandi prof. comm. Luigi.

Novelli prof. cav. Gioacchino.

Pagnotti prof. Francesco.

Rossi-Scotti conte comm. Gio. Battista.
Romitelli morisignor arcidiàcono dott. Marzio. .
Scalvanti prof. avv. Oscar.

Sensi prof. dott. Filippo.
" Le it

PLU ON or MET TE NNI M. ie PT VAL PER È. MITA x j ts 4 S Nod
xis s aita Mo Ta xus P i m, c e M SNL Lom "bes 7)

n2

3 3 ELENCO DMI SOCI.

Salvatori prof. Giulio.
Tenneroni prof. dott. Annibale.
Terrenzi prof. Giuseppe.

On. Municipio di Trevi.
Urbini prof. Giulio.

Valli nob. dott. Giannetto.

SOCI CORRISPONDENTI.

Anselmi Anselmo, Direttore della nuova rivista Misena.

Bacci prof. dott. Orazio, Direttore della Miscellanea Istorica
della Valdelsa.

Calisse prof. Carlo, Siena.

Capasso comm. Bartolomeo.

Cipolla conte prof. Carlo.

Claretta barone comm. Gaudenzio.

Crivellucci prof. Amedeo.

Dorez Leone della Biblioteca nazionale di Parigi.

Guiraud prof. Giovanni.

Lisini cav. Alessandro, Direttore dell Archivio di Stato di Siena.

Patetta prof. Federico.

Rodocanachi Emanuele.

Sabatier Paolo.

Santoni can. prof. Milziade, Direttore della Biblioteca Valen-
tiniana e comunale nella Università di Camerino.

Stefani comm. Federico.

Torossian P. Giovanni.

Venturi cav. Adolfo, Ispettore delle Gallerie presso il Mini-
stero della P. I.

Zannoni doll. prof. Giovanni.

Zdekauer prof. Lodovico.

SOCI AGGREGATI,

Alessandri prof. Leto.
Bini-Cima prof. Giovanni.

»

"s ELENCO DEI SOCI 23
L

Bartolini cav. uff. Luigi.
Brunelli mons. prof. Geremia.
Blasi prof. Rinaldo.

Brugnoli prof. Biordo.

Belleudi capitano Marcellino.
Bellachioma avv. don Virgilio.
Benvenuti ing. Vincenzo.
Bartelli avv. Vincenzo.

Benucci Domenico.

Calì prof. Carmelo.

Cherubini colonnello cav. Claudio.
Cipriani conle prof. G. Francesco.
Ceci dott. Getulio.

Cerretti prof. dott. priore Cesare.
Calderoni prof. cav. Giacomo.
Clementi Pietro.

On. Municipio di Città di Castello.
De Simone cav. Paolo.
Falcinelli-Antoniacci avv. Mariano.
Fangacci don Leonida.

Fanelli cav. Fanello.

Ferrini prof. Oreste.

Filippini prof. dott. Enrico.
Franci comm. Carlo.

Moretti prof. cav. Francesco.
Mancini ing. Riccardo.
Mancinelli cav. Augustale.
Mariani canonico don Rinaldo.
Natalini Paolo.

Orsini avv. prof. Antonio.

Pardi dott. prof. Giuseppe.
Patrizi marchese prof. Ugo.
Presenzini prof. Attilio.
Pizzichelli prof. Raffaele.
Rossi-Scotti conte dott. Luigi. »
Rossi-Scotti conte Lemmo.

Ravizza cav. Giuseppe.

On. Municipio di Rieti.
ELENCO DEI SOCI

24

Rosa Edilberto.

Straccali prof. cav. Alfredo.

Trabalza prof. dott. Ciro.

Tommasini-Mattiucci Pietro.

Tordi Domenico.
Verri colonnello cav. Antonio.
Valenti conte Tommaso.
Verga prof. dott. Ettore.
Zampi arch. cav. uff. Paolo.

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GLI STATUTI DELLA < COLLETTA >
DEL COMUNE D'ORVIETO

(SECOLO XIV)

Chi non è oggi persuaso che la vita di un popolo non consiste
soltanto nelle guerre e nelle rivoluzioni o cangiamenti di governo,
ma si estrinseca veramente nella costituzione politica, nell’ordina-
mento economico, nei costumi e nella religione, nella Scienza,
nell'arte e nella letteratura? Non si potrà dire di conoscere la
storia di una nazione se non prima di avere studiato compiutamente
ogni singolo elemento che la compone.

Ma cosi non la pensavano gli scrittori antichi limitatisi, gene-
ralmente, a narrare i mili, le leggende, le lotte esterne ed interne
ed i rivolgimenti delle città e degli stati; poco o punto badando
agli altri elementi politici, economici, scientifici ed artistici, 1 quali
pure grandemente contribuiscono à darci un'idea chiara ed ade-
guata delle condizioni di polenza e di civiltà degli antichi popoli;
perchè la ricchezza è uno dei più grandi fattori della civiltà uma-
na, come l’arte è la sua manifestazione più grande.

Aristotile, uno certamente dei più vasti ingegni della Grecia,
ebbe il vero concetto della storia politica, «abbracciando pure. le
costituzioni delle varie razze e città elleniche (1). Anche le sue
idee sopra la ricchezza (2) e la economia politica (3) sono: state

(1) Veggasi W. ONCKEN. — Die Stautslehre des Aristoteles. Leipzig, 1870 — 5;
II. NISSEN — Die Staatsschriften des Aristoteles (Rheinisches Museum, asc. 20) Bonn,
1822,

(2) I. G. GLASER — De Aristotelis doctrina de divitiis, Regimonti, 1850.

(3) B. HiLDEBRAND nel 1845 pubblicò soltanto la prima parte d? una dissertazione
intitolata: Xenophontis et Aristotelis de o2co0nomia, publica doctrinae illustrantur. La
seconda parte risguardante Aristotile non venne stampata.
26 G. PARDI

lodate da molti. Egli, infine, nell’opera da poco scoperta sopra la
costituzione degli Ateniesi ed a lui con sicurezza attribuita dai
migliori critici non appena fu ritrovata (1), oltre a darci un'idea ;
bastevolmente chiara delle varie ed intricate costituzioni politiche
di Atene, dà anche « notevolissimi cenni intorno alla amministra-
zione dei beni dello stato e alla contabilità relativa, che compiono
— non ostante parecchie lacune — assai opportunamente le no-
tizie che prima se ne avevano. E qui parimente si discerre dei

vari corpi che disimpegnavano le funzioni finanziarie: i dieci que-
stori, i dieci poleti, i dieci ricevitori, i dieci logisti o ragionieri,
i dieci cutini con venti avvocati » (2).

Aristotile fu, piuttosto, un filosofo; che uno storico, e quindi,
se egli ebbe per il primo una giusta idea della storia, quegli che
la mise quasi compiutamente in pratica è Polibio (8), il quale
studiò accuratamente ed imparzialmente 53 anni di storia romana,
vagliò il materiale raccolto rifiutandone la parte leggendaria, cercò
di rischiarare i fatti con la ricerca delle cause e conseguenze loro
e non trascurò di darci le maggiori notizie che potè sugli ordi-
namenti politici, militari ed anche economici di Roma (4).

La più parte degli altri storici greci e di quelli latini non
i i sono riusciti certamente a raggiungere, come Polibio, questo per-
um. feto ideale della narrazione storica, nemmeno Livio che dell'o-
; pera di Polibio si è avvantaggiato non poco (5).

Molto meno giunsero ad avvicinarcisi i primi cronisti italiani,

rozzi e semplici narratori di fatti interni delle città e di guerre

(1) E. PAIS, a proposito delP" A$zyatev mo)treto di Aristotile (Rivista di Filo-
logia e d? Istruzione Classica, anno XIX (1891), fase. 10-12; Aristoteles Schrift vom
di: Stoatswesen der Athener verdeutscht von G. Kaibel wnd A. Kiessling, Strassburg, 1801).
2 DE (2) ARISTOTILE. — La Costituzione degli Ateniesi pubblicata da C. FERRINI, Mi
AS lano 1891, intr. p. XXX. Degli ordinamenti economici ed amministrativi di Aiene si
parla nelP opera aristotelica, al 8 47 sgg.

(3) IuLIUS BELOCH, Griechische Geschichte, Strassburg 1893, intr. p. 16; dove, tra
ISS le altre cose, giustamente afferma che Polibio tra gli storici greci occupa incontra-
DLE stabilmente il primo posto. Ed il Beloch è certo uno dei più profondi studiosi di Po
libio.

(4) Veggansi ad es. le importanti notizie conservate da Polibio sul prezzo dei grani
negli Studi di Storia Antica del BELocH II, 88, raccolte da RAFFAELE CorsETTI nella
È dissertazione Sul prezzo dei grand nell'antichità classica. Veggasi inoltre il caldo elogio

jj che di Polibio fa il WEISSENBORN (Titi Livi, AD urbe condita libri, erkiari von W.
Weisserborn, Berlin 1885, intr. p. 34).
(5) WEISSENBORN, Op. cit. intr.

Muir MT. Pe Sestante LI MAS S DREI ROSIE I IC scia
tia alia Rit € COR NC CI MII t2 dI PL e RSSGE. PLL i s SNR NR ;

^ N92

GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 27

L

esterne. I nostri umanisti, se riuscirono falvolta a rivaleggiare
per la forma con i modelli latini, non ebbero il senso pratico e,
l'avvedutezza politica dei Romani. Dei nostri storici sommi, infine,
« il Macchiavelli non ebbe forse l'attitudine e l'abitudine storica;
e le sue Slorie fiorentine sono, per avventura, più tosto un gran
libro di dimostrazione e un'eloquente opera politica, che non una
storia vera, esatta, fedele, ordinata della città di Firenze ; chè anzi
e per la scelta critica e per la intierezza della esposizione, lasciano
a desiderare, e appariscono più che altro come la improvvisazione
di un grand'ingegno » (1). Il Guicciardini è certamente « il più
poderoso storico del Rinascimento » (2), ma, sebbene possieda molte
delle doti necessarie ad uno serittore di storie (3), nondimeno non:
accoppia in sé tulle le qualità necessarie a formare uno storico
perfetto, quale lo intendono i moderni.

Peroeché in questo secolo il metodo storico ha preso un in-
dirizzo in gran parle nuovo ; l'antropologia perla storia antichis-
sima, l'epigrafia, la numismatica, i monumenti artistici per la co-
noscenza del mondo classico, le cronache, gli statuti delle città,
delle arti, delle corporazioni religiose, delle gabelle per il medio
evo hanno allargato non poco i! materiale storico, laddove prima
non adoperavansi generalmente come fonti se non i monumenti
scritti e le tradizioni orali,

All'inglese Buckle balenava alla mente una grandiosa. storia
filosofica della civiltà (4), e molti nel nostro secolo hanno accen-
nato a porsi su questa via, più praticamente, non trascurando
nella storia di un popolo nessun elemento che ne costituisca la
civiltà, Ma sono state più parole che fatti, come dice un valente
critico moderno. Tuttavia non è mancato chi abbia veramente
mandato ad effetto questa non facile impresa, come recentemente
il Beloch nella citata Storia Greca, della quale così parla il Pais:

(1) G. CARDUCCI, Opere, Bologna 1839, I, 173. Veggasi sul Machiavelli il capola-
voro del VILLARI: Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, opera della quale é stata. fatta
di vecente una nuova edizione.

(2) CARDUCCI, Opere, loc. cit.

(3) A. CRIVELLUCCI, Del Governo popolare di Firenze e del suo riordinamento
secondo il Guicciardini, Pisa-1887, cap. X: Del metodo storico del Guicciardini.

(4) HENRy ‘THOMAS BUCKLE, History of the Civilisation in England, London 1858
e 1361 (due volumi) Cfr. a questo proposito il ViLLARI, Tommnaso Enrico Buckle e la
sua storia della civiltà, articolo pubblicato nella Nuova Antologia del 19 luglio 1883 e
riprodotto nei Saggi Critici, Firenze 1884, p. 221 — 71. 98 . G. PARDI

« Per storia di un popolo l'autore non intende solo i fatti este-
riori della politica: espone ed esamina anche l'attività della stirpe

greca sotto tutti gli aspetti; sia che parli dell'arte plastica come

della filosofia; sia della poesia e della storiografia, come delle con-
dizioni morali ed economiche; sia, infine, che ragioni dello svi-
luppo politico, come della creazione e dello svolgimento del pen-
siero religioso e scientifico.

Per vero dire, pià volte, in questo secolo la critica moderna
ha accennato a mettersi su questa via; il concetto della storia
della civiltà si è affacciato più volte nella' mente di qualche scrit-
tore moderno. Tuttavia, nel fatio, sono state piü parole che
altro » (1).

E nella storia, così intesa, occupa certamente un posto molto
ragguardevole l'esame delle condizioni economiche delle nazioni.
gli ordina-
menti economici sono parte principalissima dell’ istoria di un po-
polo; perchè sta in quelli il fondamento della ricchezza pubblica
e privata, onde proviene la maggiore o minore stabilità e potenza
di uno Stato » (2).

- Ed in questo secolo le condizioni economiche delle nazioni
furono pure esaminate il più diligentemente possibile.

Anche degli antichi popoli dell' Oriente è stata studiata la eco-

Infatti, come giustamente osserva Luciano Banchi, «

nomia politica (3). Intorno agli ordinamenti economici della Grecia
ed alle teorie finanziarie degli scrittori ellenici varie ricerclie erano
slate fatte anche prima del 1849 (4), anno nel quale il dotto pro-

(1). Giornale storico diretto da A. CRIVELLUCCI ed E. PAIS, anno 2,9 p. 525.

(2) Gli ordinamenti economici dei comuni toscani nel medio evo e segnatamente
del comune di Siena, per LUCIANO BANCHI, Siena 1878, p. 9 (Atti della Regia Accademia
dei Fisiocritici di Siena, p. 3, v. II, f. 1'.

Ed il CANESTRINI (L@ scienza e l'arte di Stato desunta dagli atti ufficiali della
repubblica, fiorentina e dei Medici, Firenze 1862, p. 3) si esprime à questo proposito
in tal modo:

« L' arte e la scienza di Stato si manifestano non solo negli ordinamenti politici
di un popolo, ma ben anche negli economici, e principalmente in quelli che risguar-
dano lo aumento della pubblica ricchezza, le leggi finanziarie, la forma, il carattere
e i modi delle imposizioni. Anzi la stessa varietà e perfezione delle forme e dei modi
d' imposta dimostrano il grado di civiltà a cui é pervenuta la nazione, le sue condi-
zioni politiche e la sapienza delle istituzioni finanziarie ».

(3) DU MESNIL-MARIGNY. Histoire de l'économie politique. des anciens: peuples de
VInde, de v Egypte, de la Judée et de la Gròce. Paris, 1872.

(4) Il Rau fino dal 1821 ayeva esaminate le dottrine economiche di Senofonte e
di Aristotile (Ansichten der Volkswirtschaft, Leipzig 1821). C. H. HAGEN, Observationes
oeconomico-politicae in Aeschinis Dialogwm, qui Eryoias inscribitur, Regiomonti

eigen do AED

— — TE * pones » SA S T % m" at Di *
GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 29

fessor G. Roscher di Lipsia confrontò i moderni sistemi di eco-
nomia con quelli dell’ antichità classica e notò l' importanza degli
storici greci, anche riguardo alla economia, e specialmente di Tu-
cidide, del quale disse, con evidente esagerazione, di avere ap-
preso più da lui che da qualunque scrittore moderno (1). Il Ro-
scher fu, in Europa, il vero iniziatore delle investigazioni intorno
alle fonti dottrinali economiche dell’antichità classica e dell’ evo
medio, con una serie di monografie erudite (2), poscia da esso
coordinate in molta parte nella tela di lavori più vasti e generali.
Altri valenti scrittori gli tennero dielro su questo terreno, quali
lo Stein (3) che indagó i primordii delle dottrine politiche, stati-
stiche ed economiche dei Greci prima di Platone ed Aristotile ;
ed altri non pochi, intorno ai quali, poiché sarebbe troppo lungo
a parlare di tutti, rimando agli eruditi studi del professor Luigi
Cossa (4). « Egli ha il merito, non solo di avere posto in onore, fra
noi, codeste importanti indagini, ma di averle promosse, non senza
frutto, con sollecitazioni, aiuti scientifici e premi » (5).

Non meno a lungo potrei parlare dei lavori intorno agli or-
dinamenti economici dei Romani, studiati principalmente nelle
opere del Mommsen, si nella Storia Romana che in ispeciali mo-
nografie, come ad esempio: « Geschichte des rómischen Mün-
zwesens » (6); ma reputo piü utile rimandare ad un lavoro rias-
suntivo recente su tale argomento, al 10° volume delle Antichità
Romane del Mommsen e Marquardt concernente appunto l'orga-
nizzazione finanziaria presso i Romani.

1822. REYNIER, De l'économie politique et rurale des Grecs, Paris 1825. F. FERRARA,.:
L' economia politica degli amtichi, Giornale di Statistica, Palermo 1836.

(1) W. RoscHER. Ueber das Verhalltniss der National óconomik sum klassischen
Althertum, Leipzig 1849.

(2) È degna di essere tra queste ricordata la Disputatio I de doctrina oeconomico-
politica apud Graecos primordiis, Lipsia 1866, nella quale illustrò i meriti economici
di Erodoto e Tucidide.

(3)L STEIN. Die Staatswirthschaftliche Theorie der Griechen vor Asistoteles und
Platon, nella Zeitschr. fiwr die ges. Staatswissenschaft del 1853,.p. 115 — 82.

(4) Di alcuni studi storici sulle teorie economiche dei Greci nei Saggi di Econo-
mia Politica, Milano 1873, p. 3 — 14; Guida allo studio dell Economia Politica, Mi-
lano 1878.

(5) G. TONIOLO. Discorso inaugurale degli studinetla Università di Pisa « intorno
ai caratteri ed alla efficacia delle dottrine economiche della Scolastica e del? Umane-
simo al tempo del Rinascimento in Toscana » (Annuario della Università di Pisa,
anno 1886 — 7).

(6) Berlino, 1800.
3 G. PARDI

Più interessante ancora che non l'economia politica dei Greci

e dei Romani è certamente quella degli stati italiani del medio
evo; poiché mentre « i pensatori anche più eminenli. dell'antica
Grecia e di Roma, tuttochè ci abbiano lasciato opere eccellenti
nella filosofia, nella letteratura e nell'arte, e monumenti. insigni
di sapienza civile, non seppero gettare neppure anche solo le prime
fondamenta della scienza dell’ordine sociale delle ricchezze » (1),
invece nell'evo medio, nelle repubbliche italiane della Toscana,
fiorenti di commerci e di ricchezze, si svilupparono gli ordina-
menti economici e giunsero quasi a perfezione.

Il Canestrini (2) lo dichiara apertamente: « I modi e le forme
che tanto ingegnosamente s'immaginarono e si praticarono nelle
repubbliche italiane, e specialmente nella fiorentina, per estendere
le imposizioni ed aumentarle, rilevano la grande sapienza nei
nostri statisti dal secolo XIII al XVI; i quali, rispetto agli ordi-
namenti economici e finanziari, non che ai politici, avanzano di
gran lunga gli altri governi e nazioni d'allora, ed uguagliano, si
può dire, se non sono superiori a quelli dei tempi moderni. Im-
perocchè, tutte le teoriche e le leggi finanziarie, in fatto d'im-
poste che si suecessero sino agli ultimi tempi, non sono, a un
dipresso, che ripetizioni di quanto le nostre repubbliche avevano
già praticato nei secoli decorsi: ed anzi, si può affermare che le
tradizioni italiane rispetto alla giustizia, alla eguaglianza e alla
proporzione delle imposte fondate sul principio .di libertà, e gua-

rentite da quello spirito democratico che informava nella repub-
blica fiorentina ogni provvedimento ed ogni istituzione finanziaria,
passarono dopo un lungo corso di secoli nelle costituzioni politiche
dei popoli inciviliti della occidentale Europa ».

La letteratura economica del medio evo, le dottrine econo-
miche degli Scolastici e degli Umanisti (3) sono state studiate pro-

(1) L: Cossa, Saggi: di Economia politica, p. 9.

(2) Op. cit., p. 4.

(3) Jon. Scnów. De litteratura, politica Medii Aevt, Vratislavite, 1838, H. R. FEU-
GUERAY, Essai sur les doctrines politiques de Saint Thomas d' Aquin, Paris 1857. W.
ROSCHER, Geschichte der National-Oekonomik in Deutschland, München 1874, vol. I.
p.1 — 23. Inoltre una memoria del RoscuEgm su Gabriele" Biel, detto P ultimo degli
Scolastici, trovasi negli Histor-philologisehe Berichte della R. Accademia delle Scienze
di Lipsia, anno 1861, p. 163 — 74. H. CONTZEN. Geschichte der wvolkwirthschafttchen
Literatur in Mittelaiter, Leipzig 1839. (Il CoNTZEN aveva. pure pubblicato un'opera

su Tommaso d'Aquino come economista, Lipsia 1861, ed una sul Petrarca nella, lette-

riferisce om EE MEI ig p iut. nr MP Mt aor m
i aa rmi E
GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 31

fondamente e messe a riscontro con quelle dei moderni ; ma pochi,
intanto, hanno pensato ad esaminare l’amministrazione delle im,
poste che rivela la sapienza pratica dei reggitori dei nostri co-
muni medioevali. « Gli ordinamenti economici sono parte princi-
palissima dell’istoria di un popolo; perchè sta in quelli il fonda-
mento della ricchezza pubblica e privata, onde proviene la mag-
giore o minore stabilità e potenza di uno stato. Perciò, meritano
studio al pari degli ordinamenti politici; imperocchè se da questi
derivasi la notizia dei diritti dei cittadini, dagli altri si acquista
la nozione dei doveri loro verso lo Stato: dal che nascono, tra
gli ordinamenti politici e gli economici, relazioni grandissime, e
forse non abbastanza studiate ed osservate fin qui. È dunque di
molta utilità l' investigare qual fu la sapienza amministratice dei
comuni italiani; con quali spedienti essi provvidero a quella dura
necessità di ogni governo che sono le imposte; e come, benchè
spesso impediti da imperfette dottrine economiche, seppero gravar
la mano sopra le ricchezze dei cittadini senza alienarne l animo
dall'amore alla libertà e -alla patria. La quale indagine tanto più
mi sembra meritevole d'essere raccomandata quanto la trascura-
rono storici ed eruditi di ogni tempo; di modo che si contano
come eccezioni coloro che scrivendo l'istoria dei nostri comuni,
non passarono con silenzio i modi e le forme delle imposizioni
pubbliche, e simigliantemente sono rarissimi quelli che ne fecero
subbietto speciale di studio » (4). i

E nel 1879, dieci anni dopo, ripeteva il Banchi le medesime
parole, aggiungendo che dalle stesse considerazioni era stato in-
vogliato a tornare sull'argomento, altra volta da lui trattato, degli
ordinamenti economici medioevali.

E recentemente il Crivellucci, per facere d'altri, scriveva:
« E noto quanto siano scarse e confuse le cognizioni che si pos-

ratura economica, Berlino 1864). JoURDAIN, Mémoire sur les commencements de V Eco-
nomie politique das les écoles du M. A. Paris 1874. V. CUSUMANO, Z7 Economia politica

nel Medio. Evo, Palermo 1874 ; Del Economia politica nel. Medio Evo, Studi storici,

jologna 1878. (Una memoria del Cusumano su Diomede Caraffa, economista italiano .

del sec. XV. nell Archivio giuridico diretto da F. SERAFINI, vol. VI, p. 481 — 95. To-
NIOLO; Op. cit. L. Cossa. Sulle teorie economiche del Medio Evo nei Saggi di Economia
politica cit. p. 15 — 38. G. RICCA-SALERNO, La storia delle dottrine finanziarie in
Italia, Roma 1831. T. FORNARI. Delle dottrine economiche nelle provincie napoletane
dal sec. 139 al 1727, Milano 1882.

(1) L. BANCHI, Op. cit., p. 9.
c
to

t. PARDI

seggono intorno all'amministrazione delle entrate, che oggi di-
ciamo finanza, dei nostri comuni del medio evo. Ciò dipende dalle
difficoltà intrinseche dell’ argomento, dalla ‘varietà e vastità della
materia e dalla scarsezza delle notizie che di tal genere s'incon-
(rano negli storiografi antichi, ma più di tutto da difetto di studi
condotti sulle fonti; le quali per vero, sarebbero tutt'altro che
scarse, ma aspeltano ancora nei nostri archivi comunali di essere
cereale, ordinate e messe a profitto » (1).

Ed invero, per quanto il Bianchini abbia ricercato l'ordinamento
economico del regno. di Napoli fin dal primo medio evo, il Ci-
brario quello dei comuni italiani, sopratutto piemontesi, il Cane-
strini l’organizzazione finanziaria del comune di Firenze ed il Ban-
chi quella di Siena ed altri valenti scrittori siensi dati a studiare
i modi dell’esazione delle imposte nell’età di mezzo (2); tuttavia
non possiamo dire di aver una conoscenza abbastanza profonda
di questa materia. Giacciono infatti inediti nei nostri archivi i co-
dici e i documenti che servirebbero meglio ad illustrare l'orga-
namento amministrativo e finanziario dei comuni medioevali; e,
quel che è peggio ancora, non sono sludiati da alcuno.

Per citare un esempio, gli antichi catasti comunali, libri nei
quali erano descritti i beni mobili e immobili e i proventi di cia-
scun cittadino, « sono perciò di capitale importanza per lo studio
degli ordinamenti finanziari dei nostri comuni » (3); oltre al darci
preziose indicazioni come i nomi dei quartieri o sestieri di una
città per farne la pianta topografica, le abitazioni, i possessi e
le ricchezze di persone e di famiglie storicamente interessanti, i
paesi soggetti al dominio di una città o di un comune, le misure
delle terre e la condizione loro (se coltivate o incolte, selva, prato,
orto, vigna, ecc.), onomastico delle persone di un luogo, il me-
sliere o la professione da esse esercitati, ecc. Tuttavia, per quanto

(1) Giornale storico diretto da A. CrIvELLUCCI ed E. PAIS, vol. IT, fasc. IV.

(2) Si confronti specialmente, a questo proposito, il lavoro del PAGNINI: Della
Decima e di varie altre gravezze imposte dal comune di Firenze, Lisbona e Lucca
1745; opera nella quale si contengono due notevoli scritti economici, dell? UzzaNo l'uno
(La Pratica della Mercatura) e di FRANCESCO BALDUCCI PEGOLOTTI l'altro (con lo stesso
titolo). Della décima hanno. parlato pure il CANESTRINI, il BANCHI, il CANTINI (Legista-
zione Toscana, Firenze 1800 — 7; I, XXIX e 51 — 8) ed altri, tra i quali recentemente
il MinurtoLI negli Atti dell’Accademia di scienze, lettere ed arte della citt di Lucca,
Lucca 18904.

(3) CRIVELLUCCI, loc. cit.

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GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 33

da tali antichi catasti si potessero ritrarre notizie d’ogni specie
per la storia dei comuni nostri, nessuno aveva mai rivolto l'animo,
a sludiarli fino al 1886, anno in cui l'egregio avvocato Raffaele
Foglietti pubblicava per il primo una memoria sul catasto di Ma-
cerata (1). Ed il suo esempio non. è stato se non recentemente
seguito dal professor Crivellucci per il catasto di Ascoli (2), del
quale tuttavia non ha dato se non la descrizione paleografica,
mostrando l'utilità che si potrebbe ritrarre da un attento esame

"dei nove grossi volumi del catasto ascolano.

Ma, per entrare una volta sul terreno che a noi interessa più
particolarmente di percorrere, nel sistema. delle imposizioni delle
comunità italiane nel medio evo, si debbono nettamente distinguere
le imposizioni dirette da quelle indirette; essendo le prime gene-
ralmente comuni, con differenze non grandi, alla. più parte delle
nostre terre, mentre le altre si differenziavano grandemente di
luogo in luogo per la diversità dei prodotti di queste, e per la
mancanza d'una, anzichè d’ un’altra produzione o mercanzia, per
la differente collocazione loro (o in luoghi montani, od in pianura,
o sulle rive del mare), per la differente ricchezza. Pertanto richie-
deva forse una maggiore intelligenza nei reggitori dei comuni
l'applicazione delle imposte indirette, dovendo questi studiarsi di
porre quei dazi e quelle gabelle ‘che facilitassero l’entrata nel ter-
ritorio dei minuscoli stati agli oggetti e alle merci ad essi neces-
sarie, non ostacolassero l'uscita delle produzioni di cui v' era grande
abbondanza e proibissero, al contrario, con leggi coercitive, l'espor-
tazione degli oggetti più necessari al vivere dei cittadini, affinchè
non si avessero a rinnovare di frequente casi di carestia.

Da ció la grande diversità di pesi e di misure, di gabelle e
di dazi, nelle repubbliche italiane.

« La moltiplieità de’ centri d'azione in breve tratto di paese
disseminati, non retti da un legame comune, ma da opposti inte-
ressi condotti a. nuocersi scambievolmente, è la qualità distintiva
del medio evo. Non v'era un potere, che, superiore d’autorità e
di forza ad ogni altro, comandasse la giustizia e la pubblica pace

(1) ZL Catasto di Macerata nell'anno 1268 (Opuscoli di storia del diritto, Macerata
1886, p. 231 sgg. :

(2) CRIVELLUGGI, L) antico omiasto di Ascoli, negli studi diretti da A. CRIVELLUCGI
ed. E. PAIS, anno 1894,

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34 ; G. PARDI

e la promovesse con regole uniformi. Ogni statuto comunale, ogni
inveslitura feudale era un contratto di pace, di niutua guarentigia ;
perciò ogni terra ed ogni feudo formava, per cosi dire, uno stato
da sé, il quale si reggeva con leggi diverse, o scritte negli sta-
tuti, o consueludinarie e con. diverse regole d'amministrazione.
V'era quindi impossibilità d'un generale sistema. L'utilità pub-
blica d'ogni terra finiva colla cerchia, in cui si comprendea la sua
franchezza. ll cittadino torinese non s'impacciava di ció che con-
venisse ai borghesi di Rivoli e di Moncalieri. L'affetto era alla
famiglia ed al municipio. Si comprendeva l’idea di borghesia,
non quella di nazionalità; e, dai frequenti contrasti in fuori, ogni
terra era così straniera alla terra vicina, come se ne fosse divisa
da monti e da mari, Da ciò avevano origine le cattive strade ab-
bandonate, appena fuori del territorio di ciascun comune, alla di-
secrezione ‘de’ confrontanti ; l’ infinita varietà delle misure e de' pesi;
le molteplici specie di moneta e | vario corso delle medesime;
le dogane che all’ entrar d’ogni terra e d'ogni castello facean siepe
al commercio » (4).

Così, con profonda conoscenza. delle condizioni del medio
evo, il Cibrario illustra le ragioni per le quali all'entrata d'ogni
città, d'ogni borgo, d'ogni castello, si dovean pagare dazi, i quali
non poteano fare a meno d’inceppare il commercio, che non prese
a svilupparsi grandemente se non quando si cominciò. a. toglier
di mezzo queste barriere doganali.

Ma il Cibrario, benchè grande conoscitore del medio evo e

delle sue condizioni, esagera, forse; non poco, quando, nell'esa-

minare le tasse sul commercio esterno ed interno, dice che la
scienza di amministrar bene le gabelle era affatto ignorata in
quel tempo (2). Ed egli, ciò dicendo, descrive forse con, fedeltà

(1) Lura1 CIBRARIO. Della economia politica, del Medio Evo. L. III, c. 1.0

(2) CIBRARIO, Op. cit., 1. HT, c. VII: « Tassa sul commercio esterno ed interno
ossia dogane e gabelle. Sulle strade principali non v'ayea quasi castellania né ponte che
non avesse la sua dogana col nome di pedaggio. Dal che ne seguiva che i mercatanti
incontrassero ad ogni passo nuovi impedimenti, e dovesser sopportare. nuove perdite
e di tempo e di danaro .. .... Non si faceva differenza tra le merci destinate al
traffico interno, e quelle destinate ad andar più lontano (transito). Confondeansi d'or-
dinario nel nome di pedaggio i dazii che ora chiamerebbonsi di consumo (octroi).

I-diritti d’uscita erano in minor numero. Riscoteansi per li prodotti indigeni che
si estraevano dal territorio; s'assoggettavano d'ordinario ad un dritto anche 1 pro-
dotti, dei quali era vietata estrazione, quando consentivasi per privilegio, come l'oro

L^ aL. CE GL. una
RN

GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 39

le gabelle del Piemonte da lui particolarmente studiate; ma le sue
parole non sono del tutto convenienti al sistema delle imposte in-,
dirette di una città come Orvieto, la quale conformò le proprie
gabelle a quelle di un grosso comune della Toscana, regione in cui
(son parole dello stesso Cibrario) « le dottrine economiche ebbero,
si può dire, la culla »: ad un sistema di imposizioni, nel quale sì
trovano separate le merci destinate al traffico interno del comune da
quelle che ci transitavano soltanto, ed in cui son dazi diversi, tal-
volta molto diversi, per le mercanzie fini e per quelle grossolane.

Ad ogni modo, sia pur che si avesse a confessare che l'or-
dinamento «di tali imposizioni indirette fosse infinitamente difettoso,
nondimeno la storia, la quale dev'essere non solo maestra degli
uomini, ma anche luce del vero, ha l'obbligo di far conoscere
quali erano i modi con i quali un tempo i nostri padri, adunati
in piccole e libere comunità, riscuotevano le imposte. Perciò, io
reputo di fare cosa non inutile pubblicando gli statuti delle gabelle
del comune d’Orvieto; perchè, per il grande numero degli stati
italiani di quel tempo e per la varietà degli ordinamenti econo-
mici loro, anche quelli di una terra, non molto vasta e potente,
portano un contributo non lieve alla storia. della organizzazione
finanziaria delle repubbliche italiane del medio evo.

Infine, quali e quanti ammaestramentli- si possano trarre da
uno statuto delle gabelle, spiega maestrevolmente Luciano Banchi,
nella introduzione al 2e volume degli statuti senesi (1), parlando
dello statuto della gabella senese:

ed il grano pen MUR
La gabella era diversa sec condo i "Tuoglit; nA ciò pini “cho da Hou signori, in di-
versi tempi, era stata introdotta 0 concordata co! mercatanti; che le cose soggette
alla gabella non erano colla stessa ragione distinte e gabellate ; confondendosi in un
luogo quello che altrove si separava, che non s'aveva riguardo al valore di ciascun
oggetto da gabellarsi, e che perciò essendo soggetti ad egual dazio tanto i panni gen-
tili che i grossi, ne derivava 1° incarimento degli ultimi con grave pregiudizio dei meno
ricchi: ehe tutti questi disordini uniti al troppo numero di pedaggi, formavano altret-
tanti impedimenti ben gravi al commercio, il quale non potendo da privati separata-
mente esercitarsi, esercitavasi qual vero monopolio dalle SERE di mercatanti di
Tuscana, di Lombardia, di Provenza e di Fiandra

In breve, l'arte di governar le gabelle in guisa che gittino bustints frutto: all e-
vario, senza offender troppo il commercio o per imposte soverchiamente gravi, o pel
modo di riscuoterle indugiatore ed oltraggioso, o per P inesatta distinzione delle cose
gabellate che lasci luogo ad arbitrio, arte non ben nota ai di nostri, dovea essere ed
era affatto ignorata à quei tempi ».
(1) Bologna, Romagnoli, 1871.
G. PARDI

« Non tutti 1 lettori chiameranno arido un documento che si
riferisce alla storia del commercio, dei costumi e della pubblica
economia di una città di molta importanza quale fu Siena in quel
tempo; e non mancherà, ne son certo, chi abbia a giudicarlo pre-
zioso. Aguzzando gli occhi dell'intelletto è facile discernere in
quello statuto tutta quanta la vita. domestica e civile di que’ nostri
arcavoli; vedervi la foggia delle loro vesti, la mobilia delle loro
case, i cibi della loro mensa, il corredo delle spose nei cofani di-
pinti e ferrati, ed-il quieto soggiorno della villa, necessario più
allora che oggi, dopo il faticoso ‘vivere della città. I tessuti di seta
e di lana non a caso son posti in principio dello statuto; chè è
ben noto quanta ricchezza accumulasse in Siena quella sorta di
commercio e quanto credito avessero que’ nostri. tessuti in Italia
e fuori. V'hanno altresì nuove testimonianze come fiorisse gran-
demente appresso di noi l’arte del tingere, necessarissima dove
le arti della seta e della lana erano principali, e dove già saliva
in riputazione quella del conciare pelli e cuoia, unica industria

che veramente sopravvivesse alle tante che un tempo fecero Siena

città rieca e popolosa. Nè mancano le armi a ricordarci le dissen-
sioni interne e le guerre co’ vicini: armi pe’ cavalieri e pe’ fanti,
come lance ferrate e corazze, cervelliere e balestre, spade e saet-
tamento, elmi e pavesi. Quanti libri ‘di storia non si scrissero
a’ nostri giorni, che insegnano meno di questo solo Statuto della

Gabella! ».

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La parola co/etía, dal latino colligere, raccogliere, significa
ció che si prende, si raccoglie da ciascuno. Cicerone (De oratore,
IT, 57), nella frase « collectam a conviva, Crasse, erigis » chiama
colletta quel tanto di danaro che pagava ciascun convitato nei
pranzi detti dai Greci épzvo; e dai Latini collatibum prandium ;
banchetti, ai quali tutti portavano il loro contributo denominato
in Grecia copBo) (1). j

(1) TERENZIO (nelP Andria, atto 10, scena la) trasportò in latino questa parola
nell’ identico significato: « Quid Pamphilus? coenavit, symbolam dedit ».
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GLI STA'TUTI DELLA « COLLETTA *? 31

Nell'antico linguaggio giuridico nostro fu chiamata colletta

la imposizione sopra le sostanze dei cittadini od estimo (1), che,

dal Rezasco è definito in tal modo: « Stima e descrizione delle
sostanze de’ cittadini per sottoporle a gravezza, e la gravezza
stessa » (2). In altri termini, per ritornare alla significazione eti-
mologica della parola, colletta è ciò che il governo fa pagare a
ciascun cittadino in proporzione dei beni che possiede (3).

Ma questo non è il significato, nel quale il vocabolo colletta
fu adoperato ad Orvieto, dove si usò invece di gabella, che viene
così definita dal Rezasco: « Quel tanto che si paga al Principe di
quel che si compra, si vende, si trasporta, si contratta, si eredita,
si guadagna o gode d’industrie, di cambi, di uffizi, di pigioni,
di noli, di censi, di locazioni, di paschi, d'interesse di danaro e
d'altro, o che si deve allo Stato per alcun servigio personale, e
simili: Dazio, Reva, Riva, Dogana, Tassa, Sega; oggi Imposizione
indiretta » (4).

(1) GIULIO REZASCO. Dizionario del linguaggio italiano storico ed amministrativo,
alla parola colletta.

(2) REZASCO, Spr cit., alla parola estimo. E nella bolla di Innocenzo III da Viterbo
del 1213 settembre 19, diretta ai Perugini, leggiamo: « Collecta vel muita non fiat nisi
pro quattuor causis, vid; pro servitio ecclesie Romane; populi Romani, Imperatoris
vel nuntii sui, et cum populus Peruginus moverit guerram de commni voluntate, et
cum debet fieri, fiat fideliter per parrocchiam vel capellam: ita tamen quod de una
quaque parrocchia duo eligantur qui, sacramento prestito, faciant collectam diligenter
nec excusen taliquem amicitia, consanguinitate vel alio dolo. Collecta, antem vel multa
non fiat, donec aliquid superest de Comunitate, et si Comunitas non sufficeret ad
salvum .equorum, tune fiat Collecta sive multa (THEINER. Codex diplomaticus dom.
temp S. Sedis, 1, pag. 44). :

(3) Anche in Sicilia, fino dal tempo dei Normanni, colletta fu usata in questo

senso. BIANCHINI, Della Storia delle finanze nel regno di Napoli, Palermo 1839, p. 42:

« Furono le cottette un tributo diretto che si esigeva su i beni stabili allodiali e
non feudali in qualsiasi luogo fossero posti. In sul cominciare del governo Normanno
il Re le richiedeva sempre in pubblica assemblea, e perció fu straordinario e non. or-
dinario tributo, in caso di bisogno; laonde in diverse occasioni segnatamente ne’ tempi
posteriori venne chiamato adiutorio, o aiuto, ed. ostendisie ancora, quasicché fosse
di mestieri per vespinger P inimico. Il primo Guglielmo lo ridusse quasi sempre a tassa
forzosa, e in ispezialità ne portarono il grave peso le terre di Puglia. Precedeva però
sempre P apprezzo (estimo) dei beni su’ quali voleasi infporre, ed in proporzione era
ripartito ».

Questa imposta, straordinaria sotto i Normanni, divenne ordinaria nella monar-
chia siciliana al tempo degli Svevi. « Racconta Fabio Giordano nella sua cronaca, che

avendo Federigo convocato parlamento nel castello Lucullano e fatti manifesti i bisogni

dello Stato, riuscì ad ottenere potersi le suddette sovvenzioni riscuotersi di anno in
anno secondo il valor dei fondi » (BIANCHINT, Op. cit., p. 78).

(4) REZASCO, Op. cit., alla parola gabella. Il BIANCHINI (p. 81 — 2) narra così Tl'o-
rigine delle gabelle nelle Due Sicilie; « Le gabelle voglionsi reputare come un altro
spediente di che si giovaron gli Svevi, segnatamente nella Città di Napoli, per intro-
o

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38 G. PARDI

Ed il curioso è che la parola gabella fu adoperata ad Orvieto
nel senso in cui fin da tempo antichissimo era stata usata la voce
colletta nella Liguria, nelle provincie napoletane e siciliane, e poi,
a poco a poco, per quasi tulta l’Italia. Ad esempio negli atti del
Consiglio delle Riformagioni dell’anno 1298 è ordinato che nessun
arlefice possa esser costretto a pagare gabella, se non per taglia
della sua arte e per le sue possessioni (1).

Ma non tuttavia che la voce gabella non si trovi talvolta, an-
che ad Orvieto nel comune significato. In una deliberazione delle
Riformagioni del 28 giugno 1317 sono ordinate certe disposizioni
ad faciendum solvi cabellam ab omnibus intrantibus et ab omni-
bus exeuntibus civitatem (2).

L'imposizione della colletta non cominciò ad Orvieto prima
del 1304. Innanzi. a questo anno si pagava soltanto la gabella
sulle possessioni od estimo, la quale era amministrata da un ca-
marlingo e da quattro notari. Nel 1295 camarlingo- della gabella
era frate Biagio ed i quattro notari si chiamavano ser Buccio di
Pietro di Biagio, Bartolomuccio di Nallo di Offreduccio, Masseo
domini Benvenuti e Pietro Ghezzi (8).

Come si imponesse e si esigesse la gabella è spiegato da vari
atti delle Riformagioni, nei quali si trova chiamata anche lira tale

eT. a : 3 MARC à
gravezza, perchè si metteva sui beni ragguagliati alla lira (4). In-

durre novelli dazi. La parola gabella . . . . adoperavasi per indicare il fitto de? tributi:
ma nella città di Napoli, cominciarono questi ad affittarsi separatamente sì che ven-
nero tenuti in luogo di particolari dazi. La qual cosa addivenne perché vastissima era
l’amministrazione, e però variava il sistema dell'esazione del dazio appellato dogana,
ch’estesissimo era, e di molti altri dazi i quali, come benanche di quello, riscuote-
vansi sopra vari oggetti. Alcuna volta fu conosciuto il bisogno di aumentarsi mag-
giormente il dazio dogana, in ispezialità su di quelle cose di che più di frequente
contrattavasi in Napoli. Or sì questi aumenti di dazio e sì que’ peculiari affitti di una
parte del dazio dogana, si tolsero per usanza a designare col proprio nome di Gd
belle. Così di fatti si legge del vino, che ebbe nelle sue contrattazioni un singolar me
todo di dazio; il quale derivava da quello appellato dogana : e de’ cavalli, che niun
diritto di fondaco pagavano Tendendosi nella città di Napoli e nel suo territorio, à
pro? del Governo, ma bensi la gabella del tre per cento sulla vendita >.

(1) Rif. ad an. e» 17.

(2) Rif. ad an. 1. III, c. 66 t.

(3) Rif. del 1296 (16 settembre), c. 55 t.

(41 Vedi REZASCO, Op. cit., alla parola libbra, e GIGLI, Vocabolario Cateriniano, p.
123. Rif. del 2 ottobre 1215, c. 01; del 2: dicembre 1304, c. 210 t.; del 29 marzo 1308,
c. 10; del 14 ottobre 1314 (libro rosso, c. 13 t.) ; del 16 febbraio e 10 settembre 1316
(l. I, e. 48 e 1. III, c. 13) ; del 18 marzo e dell 8 giugno 1317 (libro rosso c. 28 t. e Rif.
ad an. l. III, c. 45 t.) ecc. Nel consiglio delle Riformagioni del 24 dicembre 1304 fu pro

esa e enni an e’ ama}

* ia

GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 39

fatti il Malavolti (1) la definisce per « stima delle sostanze di cia-
scun cittadino, che soleva farsi ogni tanti anni, acciò che nei bi-
sogni della repubbliea potesson coloro che avean l'autorità pór
le gravezze....... proporzionate. alla stima o (per nominarla nel ter-
min proprio) alla Lira di ciascuno ».

Nel 1304 le strettezze dell'erario, persuasero gli Orvietani ad
istituire la colletta o gabella sull'entrata e uscita delle merci in
città, sulle compere, le vendite, i contratti, le eredità, le pen-
sioni, ecc.

L'anno antecedente erano state occupate dal comune alcune
terre. del Contado Aldobrandesco nella maremma toscana, una
parte del quale era stato ceduto già da tempo ad Orvieto dai Conti

posto il modo seguente di far la lira e venne accettato da 12 nobili, da 12° popolani
del popolo maggiore e da 12 del popolo minore: « quod eligantur duodecim homi-
nes, omnes pro qualibet regione Civitatis Urbisveteris et divisim pro ipsa regione, per
septem consules de septem artibus; qui duodecim dividantur in tres partes, silicet
quatuor pro qualibet muta et vice et quolibet quarterio seorsum, et divisim ab aliis
quatuor in palatio populi faciant libram totius regionis; et sic de quatuor in quatuor
fiat libra et postmodum dicte tres libre sterzentur et tertium de qualibet libra reduca-
tur insimul et illa sit libra ».

Jn altro'modo di far la liva fu adottato il 16 febbraio 1316. Si stabili che fossero
chiamati dai sette consoli delle arti maggiori 25 nobili e 25 popolari della maggiore
possidenza, i quali dovessero fare la loro lira nel consiglio generale, e poi altri 25 no-
bili e 25 popolari, e cosi di seguito per ordine fino a quelli che possedevano per una
somma di 500 lire. Poscia il capitano generale della guerra, il capitano del popolo ed
i Sette elezgessero un buon giudice forestiero e notari forestieri per fare l'inquisizione
contro tutti quelli che avevan fatto P allirato, punendoli nel caso che non stesse
bene.

Nel 1321 furono eletti due per quartiere per far la nuova lira ed allibrare i non
allibrati. (Rif. libro rosso, c. 71). Nello stesso anno 10 febbraio, era stato deciso che
le persone nullatenenti fossero allirate per 10 lire (Rif. ad an. l. I, c. 6). Nel 1323 fu
mandato à studiare gli ordinamenti di Siena e di Città di Castello sopra la lira e il
catasto per rinnovare tanto Pl una che l’altro (Rif. libro rosso, c. 891 e c. 91). Nel 1324
é rifatta la lira nello stesso modo che nel 1316 e sono deputati 16 popolani a emen-
darla (Rif. libro rosso, c. 104 I). Nel 1321 fu bandito a tutti quelli che non fossero al-
librati, si facessero inscrivere dagli ufficiali di ciò incaricati (Rif. ad an. l. I, e. 59).
Poiché molti erano renitenti al pagamento della gabella (allora di 5 e di 10 fiorini per
ogni mille nel 1329 fu ordinato che si mettessero i loro nomi in quattro cappelli,
quartiere per quartieve, e se ne estraesse uno da ogni cappello. Chi venisse estratto
aveva distrutto la casa o case (Rif. ad an. l. I, e. 54. Nel 1349, per far la lira del con-
tado, venne imposto che ogni comunanza eleggesse 6, o più o meno, buoni uomini, ai
quali si unissero due cittadini d’ Orvieto che possedessero beni in quella comunità
(Rif. ad an., c. 36 t.). Nel 1350 il consiglio delle Riformagioni, considerando che molti
per le loro astuzie e frodi, non erano allibrati; deliberò che entro un mese tutti do-
vessero assegnare i loro beni per iscritto, per vocaboli e confini e con istima giu-
ridica, e pagare 10 fiorini al migliaio sulla somma (Rif. ad an., c. 22 t.* :
La lira è istituzione e, in questo senso, vocabolo senese (BANCHI, op. cit., p. 13 sgg.)
(1) Istorie Senesi; l. II, p. II, c. 179 t,
40 G. PARDI

Aldobrandeschi medesimi. Conquistate così quelle terre e castelli,
vi posero nuovi castellani e sergenti, cioè 12 sergenti a Pianca-
stagnaio, 6 in Sorano, 8 in Cetona, 12 in Manciano, 6 in Marsi-
gliano, 6 in Retrocosti, 12 in Orbetello e 12 in Monte Acuto.
Di qui un accrescimento di spese.

S'aggiunga che erano appena al nuovo anno 1304, quando
il Contado Aldobrandesco fu invaso e- posto a ruba da Nello della
Pietra, il quale pretendeva di averci sopra dei diritti come marito
della contessa Margherita della famiglia Aldobrandesca. Perciò il
comune dovette inviare una cavallata contro di lui (1).

Per queste nuove spese adunque, il 26 marzo del 1304, il. Con-
siglio stabili di spedire ambaseiatori alle città di Siena e di Lucca
per istudiarvi l' ordinamento delle gabelle ed applicare poi in Or-
vieto quello delle due città che sembrasse migliore e piu utile (2).
Gli ambasciatori si recarono in ambedue i luoghi ed, avendo slu-
diato qua-e là il modo con cui si riscuotevano le gabelle ed il
dazio posto su ciascuna cosa, decisero di far adottare ad Orvieto
la gabella senese come più adatta alla loro città (3). E la ragione

di ciò è facile a capirsi.

(1) L. FUMI, Codice diplomatico della città d? Orvieto, p. 396.

(2) Rif. p. I, s. III, n. V, c. 132 r.

(3) Ivi, c. 138 t. Nel consiglio delle Riformagioni del 18 aprile 1304 Anastasio giu-
dice e vicario del capitano del popolo, Paolo degli Stabili, propone: « quod, cum pro exer-
citu faciendo in distructionem, punitionem et periculum domini Nelli, ut puniatur de
in exemplum ipsius et alio-

commissis per eum actionibus contra dictum comune, et
vigintimilium libra-

rum. sit necessaria pecunia comuni predicto in quantitatem
| et dicta pecunia in camera comunis non sit modo ad
exer itu faciendo, nisi mutuo ha
et tales creditores

rum denariorum curtoniensiun
presens et commode haberi non possit pro dicto
beatur et accipiatur per comune predictum a volentibus mutuare;
mutuare volentes dictam pecuniam dicto comuni pro cura, satisdatione et satisfactione
ipsorum velint obligatam habere cabellam, que venit et aportata est de
rum ad dictam civitatem urbevetanam secundum modum: et formam illius kabelle, ser-
vetur kabeilla et colligatur in civitate urbevetana predicta, et quod ipsi dietam kabel-
imationes et fideiussores pro satisfacienda eisdem

|civitate Sena

lam habeant obligatam et alias obl
creditoribus. pecunia memorata.
Ideo placeat vobis, ex auctoritate vestri offitii, ita et taliter ordinare et providere
et in consilio consulüm dicte civitatis proponere et facere ordinari et. provideri quod
kabella sit in civitate urbevetana predicta et esse debeat et servetur prout et sicut
est in civitate Senarum et servetur secundum modum et formam. diete kabelle civi-
tatis Senarum prout et sicut continetur in exemplo. dicte kabelle extracto et reducto
ad civitatem urbevetanam predictam, que kabella servetur et servari debeat et colligi
in dicta civitate urbevetana per quantitatem predictam dictarum vigintimilium- li-
brarum denariorum et merito et interesse et expensis faciendis in ea usque ad sati-

sfactionem quantitatis prefate, meriti et interesse et expensarum, et ‘plus colligi et

- durare non possit, sed ex nunc sit cassa, irrita et nullius valoris, et pro peeunia tota

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GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 41

Anzitutto Siena, città agricola come Orvieto e come questa
collocata sur un'altura, aveva maggior rassomiglianza con essa,
anche per la loro vicinanza, che non Lucca, città più che altro
industriale e distesa in mezzo ad una pianura. Ma la ragione
prineipale si era che Lucca, in quel tempo, applicava pochissimo
le imposte dirette; per la qual cosa, vi avevano una maggiore
importanza che altrove ed erano portati ad un più alto prezzo i
dazi, che in più modi :gravavano le merci ed il consumo. Infatti
lo statuto della Gabella Maggiore del 1551 (1) comincia appunto
col dire « infra le altre entrate del Comune di Lucca essere il
primo membro l'essatione delle Gabelle ».

Quantunque non sia sempre agevole l'istituire un confronto
fra il valore dei dazi lucchesi e orvietani, per la differenza di mi-
sure a cui venivano rapportati; tuttavia darò alcuni esempi, che
mostreranno chiaramente quanto fossero più grawi i dazi della ga-
bella lucchese, e quindi non adatti ad essere "applicati in una
città che, come Orvieto, aveva delle imposte dirette già abbastanza
rilevanti.

I panni fiorentini, pisani, pratesi e senesi pagavano ad Or-

I
vieto. 15 soldi a salma, secondo lo statuto delle gabelle del 1334 (2);
a Lucca invece lire 2 e soldi 8 a pezza; secondo lo statuto della
Gabella Maggiore del 1372 (3). E si noti che la pezza era molto

Ic

que colligatur de cabella predicta et quiequid ex ea kabella percipietur et habebitur,
totam debeat converti in satisfactionem debiti memorati, et in alios usus dicti comunis
et aliarum personarum converti et expendi non possit, sed tota dicta kabella et quic-
quid habebitur et colligetur ex ea sint et esse debeant precise pro satisfactione predicta
UNTLDUTIDe e SU TORT II RITA QE Et quod sit et esse debeat unus iudex forensis et
certi alii offitiales dicte civitatis super kabella predicta colligenda, exigenda et exe-
cutioni mandanda. Et electio dicti iudicis et offitialum predictorum fiat et fieri debeat
per septem consules dicte terre et creditores predictos simul cum eis, et sit in pro-
visione ipsorum de ipsorum et salario offitialium predictorum. Et quod nullus in quo-
cunque consilio debeat vel possit dieere, arengare, proponere vel consulere seu scri-
bere contra predicta vel aliquod predictorum, directe vel pro obliquo, vel contra aliquod
predictorum facere; et siquis contrafecerit, puniatur dominus qui proponeret et con-
trafaceret in quantitate mille librarum denariorum ceortonensium de suo salario sal-
yendarum, et notarius qui scriberet in quantitate V librarum denariorum curtonen-
sium, et quilibet alius aregantor et consultor et contrafaciens, in consilio. vel extra
consilium, directe vel per oblieum, in quantitate puniatur V librarum denariorum
curtonensium ».

(1) Mss. dell Archivio di Stato in Lucca.

(2) E il n. 2 di quelli stampati appresso. Vedasi il S XVIII.

(3) Mss. dell'archivio di Stato in Lucca: è il più antico codice delle gabelle di
questa città. Il dazio dei panni toscani è registrato a c. 2, 8 III.

"3
42 G. PARDI

-

minore che non la salma. Infatti nel citato statuto del 1334 (S XX)
si legge: Jtem de qualibet salma palioctorum et burdorum [si pa- -
ghi all'ingresso delle porte] — ZZ// soldi. Et si non esset salma,
pro qualibet petia — VI denari.

Lo zucchero de centenario ad pondus era tassalo ad Orvieto,
all'ingresso delle porte, 6 soldi (1); a Lucca lire 3 e soldi 12
per lo stesso peso (2).

Una libbra di pepe pagava a Orvieto 12 denari (3); a Lucca
6 soldi (4). Tutto infine era a Lucca soltoposto a gabella, fin la
baratteria, le carceri e le meretrici (9).

osta dentro la città, era residenza di un ufficio presieduto

La Gabella maggiore, I
da un capo col titolo di ufficiale maggiore « che oltre le incombenze della vasta con-

tàbilità, aveva curia o tribunale dove SÌ ]
delle differenze che agcadevano in materia di g:

Stato in Lucca, II, 36). Là si stanziavano direttamente le merci di valore: vi erano spe-
dite dalle porte.della città con polizze e aecompagnature. Alle porte riscuotevasi bensì
il dazio degli oggetti più usuali, ma se ne doveva render conto alla Gabella maggiore.

(1) St. del 34, 8 XXXIII.

(2) St. del 72, c. 10 t. e $ XVIII.

(3) St. del 34, 8 XXXIIII.

(4) St. del 72, c. 10 t. 8 XVIII.

(5) Quel che ci dà un’idea chiara del fruttato delle gabelle di Lucca e il
generale dei Proventi, mss. dell'Archivio di Stato di questa città. « La parola Provento
(come si legge nel citato Inventario, IR 21) fu usata nell amministrazione lucchese per
gabelle, tasse o imposte che si affittavano a privati

rocedeva. o sentenziava delle trasgressioni e
ibelle ». (Inventario del R. Archivio di

libro

indicare particolarmente quelle
mediante l'incanto pubblico; e dare
blica entrata ».

Dal « Liber generalis omnium proventuum e! introytuum h
singole dazie, riportero il prodotto di quelle che

a provento significò appunto aflittare una pub-

icane Camere»; che

sparge molta luce sul prodotto delle
possono riscontrarsi nella colletta d' Orvieto (II, 22-32).

Sigillo della Gabella; Maggiore, cioè tassa all'entrata e all’ uscita della città e del
manifatture d'oro e seta, fruttò nel 1334 « lire

comune delle merci fini, specialmente
uali valevano allora circa un fiorino d'oro ».

43,905. 17. 10. di piccoli, tre e mezzo delle q

Cassa generale di tutte le porte (merci grosse) lire 7,741. 9. 6. piccoli.

Gabella sul vino introdotto in città lire 16,829. 17. 5. piccoli.

Dogana del sale lire 35,581. 19. 11. piccoli.

Casse e ceppi di tütti gli Officiali lire 2,149. 11. 8. piccoli.

Gabelle minute non vendute e straordinarie lire 302. 18, |. piccoli.

Restituzioni dei Camarlinghi e altri Officiali (resti di cassa) lire 14,088. 14. 10.
piccoli.

Gabella sulla vendita del pane lire 6,283. 8. piccoli.

Provento dei macelli lire 13,030. 17. 1. piccoli.

Dazio sul vino venduto da osti e tavernieri (nel 1336, perché non si trova il pro-
dotto del '34) lire 38,423. 16. piccoli.

Gabella sull introduzione delle biade e farine (nel '96, per la stessa ragione) li-
ro 24,821. 5. piccoli.

Gabella sopra le doti, vendite, successioni, lire 43,114, 18. 8. piccoli.

Gabella sulle vettovaglie nei borghi e sobborghi lire 4,446. 12. |. piccoli.

Provento delle pensioni e livelli lire 2,170. 19. 3. piccoli.

12 Vti a WI 73 EE, X ANTT gr DIA
I I diete

nr DA GLI. STATUTI DELLA « COLLETTA »

Avendo adunque gli Orvietani, per tali ragioni, deciso di adot-
tare la gabella senese, l’applicarono la prima volta nel 1304 per
sopperire alle spese della cavallata contro Nello della Pietra.

Il primo statuto delle collette, che trovasi ad Orvieto e che è
attribuito al 1912, benchè io creda debba essere stato scritto in-
torno al 1304 o poco dopo, non ci serba notizia alcuna sul modo
come la colletta esigevasi: è soltanto un registro dei dazi che pa-
gavano alle porte le varie merci e gli oggetti sottoposti a gabella.
Ma ampie notizie rinvengonsi negli statuti del 1334 e ‘39, i quali
ci permettono di farci un’idea abbastanza chiara dell’ordinamento
della colletta.

Se ci sia stato, in Orvieto, un antico statuto delle collette,
fatto intorno al 1304, e di cui il codicillo n. 4 (attribuito, come
ho detto, al 1312) non sarebbe che un estratto della parte con-
cernente i dazi d'ingresso nella città e nel comune e d’uscita da
questi delle varie cose sottoposte a gabella, non è facile stabilire
con sicurezza. Certamente, qualora fosse esislito, è stato smarrito y
e per di più, per quanto mi consti, non se ne trova alcun cenno
in alti o documenti o del tempo o di tempo posteriore,

Può essere, perlanto, che dapprima gli..Orvietani siensi limi-
tati a porre la gabella sulle merci e su gli altri oggetti di consumo
all'entrata é all'uscita dalla città e dal comune (come si vede ap-
punto nel cod. n. 1), e che poscia gli ordinamenti della colletta
sieno venuli a poco a poco sviluppandosi e completandosi finchè
furono raccolti nello statuto del 1334.

Provento del vino venale nel distretto lire 4,835. 27. 4. piccoli.

Provento del pane e olio venali nel distretto lire 1,519. 7. 3. piccoli.

Provento delle bestie vendute in fiera lire 761. 5. 5. piccoli.

Dazio sul salario degli Officiali lire 949. 11. 5. piccoli.

Provento sulle misure e pesi lire 866. 19. 8. piccoli.

Provento dei molini lire 996. 1. 5. piccoli.

Provento degli usurai e ospitalieri lire 241. 13. 4. piccoli.

Provento dei pizzicaioli e dei triecoli lire 664. 11. 8.

Gabelle delle Vicarie (merci che passavano per le terre o vi entravano, se cite
di mura).

Vicaria di Camaiore lire 2,597. 13. 3. piccoli.

id. Massa Lunense lire 1,712. 11. 5. piccoli.

id. Darga lire 1,113. 13. 9. piccoli.

id. Coreglia lire 21. 11. — piccoli. (Nel '34 produsse così poco perché ce-
duta a Francesco Castracani da Giovanni di Boemia).

id. Castiglione lire 85. 11. 10. piccoli. (Anche questa nel '31 produsse poco

perché data con certi patti al marchese Spinetto Malaspina).

ut di

suit trenini aiuta

G. PARDI

Fra il 1304 ed il '34 troviamo nelle Riformagioni aleuni ac-
cenni che si riferiscono alla colletta. Ad esempio, nel 1912 il Con-
siglio, avendo scelto un console per arte e sedici savi, quattro
per quartiere, perchè studiassero i modi migliori di provvedere il
denaro per pagare gli ufficiali del comune, tra gli espedienti da
questi proposti elegge di vendere la macinaria (1) e di ribandire
i baroni contumaci del grano (2): due rudimentali imposizioni
della colletta, come si può facilmente capire. Inoltre, non bastando

questi provvedimenti, agli 8 di ottobre (3), il consiglio di un con-

sole per arte e dei sedici savi stabilisce di vendere il macello
della piazza del comune e il macello della piazza del popolo (4)
per un determinato tempo. :

Nel 1315, è ordinato che per ogni torsello (balla) di panni
francesi si paghi 40 soldi, per ogni soma di lana d' Inghilterra
20 soldi, di lana qualunque 15, e 5 soldi per ogni soma di cuoio
e di eanavaccio (5). Nel 1317 troviamo alcuni ordinamenti per
far pagare la gabella a chi entrasse ed uscisse di città (6). Nel 1318
vediamo registrati gli ordinamenta bladi (7). Nello stesso anno,

D

(1) REZAsCO, opera citata, alla parola macinatura: « Gabella della Macinatura.
Gabella di un tanto sopra ogni determinata misura di biada macinata e portata a ma-
cinare ». La repubblica fiorentina fin dal principio del sec. XIV aveva due di queste
Gabelle basate sugli stai della farina macinata. In altri luoghi si pagava non per la
farina ma per il grano prima che si portasse al molino. Altrove finalmente questa ga-
bella era pagata dai mugnai. « Fu sempre imposizione odiata da' popoli, e stimata
troppo gravosa e disonesta; di che eglino si vendicavano al solito caricandola di brutti
titoli, mentre poi la pagavano ».

(2) Rif. del 29 setttembre 1312, vol. X; c. 5 t.

(3) Ivi, ivi, c. 9. :

(4) Si allude probabilmente alla gabella del macello, posta sopra ogni bestia che
venisse macellata.

(5) Rif. del 4 aprile 1315, vol. XIV, c. 4.

(6) Rif. ad an. l. III, c. 66 t.

(7) Gli « ordinamenta bladi », registrati nelle Rif. del 9. marzo 1318 (Libro rosso,
c. 351), sono i seguenti :

Nessuno possa comprarne più di un quartengo per volta — ossia al giorno —
in piazza del comune o del popolo.

sa I venditori non possono rimetterlo in case, botteghe o chiese poste intorno alla
piazza. :

Coloro, a cui sia stato ordinato di portare il grano in piazza, debbano assegnarlo
al notaro od ufficiale posto o da porsi a guardia di detto grano dal comune d'Orvieto.

I portatori di grano in Orvieto, che fossero fuori della giurisdizione del comune,
nón paghino gabella.

e I panattieri non possano stare a vendere il pane dalla fontana di piazza del. eo-
mune in sopra verso 8. Andrea (chiesa sulla piazza del comune), « set stent et mo
rentur in platea domorum, jn quibus fuit casaturris Philippensium » (distrutta nel

"Oa GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 45

son deputati 200 buoni uomini a far la guardia delle porte, perchè
non venga defraudata l’entrata del comune (1). Nel 1321 si tro-
vano accenni alla gabella dei cavalli e a quella dei contratti. Fu or-
dinato ai 9 aprile che i forestieri pagassero all'entrare in eittà
una tassa per ogni cavallo che avessero seco, e che i notari do-
vessero assegnare i contratti stipulati; e se di questi non si pa-
gasse la gabella entro un mese, fossero considerati come nulli (2).

LA

89:

Quando, nel 1334, fu composto lo statuto della colletta (co-
dice n. 2), si puó dire che gli ordinamenti di questa fossero svi-
luppati e completati del tutto. Cercheremo, anzitutto, di farci
un'idea del modo con cui era governata. |

Presiedeva all' amministrazione della colletta un giudice, detto
. giudice della colletta. Il Rezasco (alla parola gabella, S CCVTI)
cosi definisce questo magistrato, chiamato comunemente giudice
della gabella: « Giudice della Camera e della Gabella, Giudice
de’ dazi e delle gabelle. Il primo Giudice del Podestà di Firenze,
posto a conoscere e terminare le questioni delle gabelle, giudicare

1313 dopo la vittoria dei guelfi sui ghibellini} dei Monaldeschi sui Filippeschi). Il ca-
marlingo del comune poi faccia fare un portico « in platea casaturris predicte ».

Il grano dei fibelli (ghibellini esiliati, a cui erano stati confiscati i beni) si venda,
non per pagare i debiti del comune, ma a minuto al popolo e il denaro che se ne ri-
cavi s' impieghi per comprar grano fuori del distretto. Il cavaliere del capitano del
popolo abbia potere di costringere e punire i disobbedienti a mostrare e a portar grano.

L'imposta del grano ai comuni e ai baroni si faccia in avvenire come « ante
brigam habitam inter guelfos et guibellinos Urbisveteris in anno domini 1313 de
mense agusti ».

I cittadini d'Orvieto sien tenuti a portare i loro generi di grano e legumi dentro
la città nel mese di Ottobre, salvo a ritenere il seme e l' occorrente per la vita loro,
della famiglia e dei figli, se abitassero fuori d' Orvieto.

(1) Rif. ad an. l. I, c. 66 t. — 69.

(2) Rif. an. l. I, c. 32: « Ad hoc ut introitus gabelle crescant et pecunia perve-
niat ad comune, quilibet forensis, qui non sit civis vel comitatentis Civitatis Urbis-
veteris vel distrietualis ipsius Civitatis, teneatur et debeat in introytu Civitatis vel
burgorum Urbisveteris solvere pro equo quolibet quem duceret et secum haberet pro
gabella qualibet viee XII denarii curtonenses. Item quod notarii Civitatis et comitatus
Urbisveteris teneantur et debeant assignare contractus, de quibus per formam. statuti
et ordinamenti gabelle solvi debet gabella comuni urbevetano, oflitiali gabelle et of-
fitio gabelle. Et. habeant dicti notarii et habere debeant de pecunia gabelle VI denarios
pro quolibet contractu quem assignabunt » ecc. Ma l'ordine che i contratti sien nulli,
se non ne fosse pagata la gabella entro un mese, « cum sit valde pericolosum et dam-
pnosum » fu tolto il 6 maggio 1321 (Rif. ad an. l. I, c. 60). MOLA O NALI SIE re pen:

46 (. PARDI

i Camarlinghi, ricevere le malleverie degli Ufficiali, il quale Uf-
fieio era esercitato in altri luoghi dal Console ed Ufficiale delle
gabelle e dal Maggior Ufficiale della gabella ; il secondo Ufficiale
della Lombardia, Giudice de’ piati camerali, a cui successe il Re-
ferendario. ». Ad Orvieto il giudice della colletta aveva una carica
molto somigliante a quella del giudice della camera di Firenze.

Nel cap. CCXXXIIII dello statuto del '34 si parla a lungo
dell’ elezione del giudice della colletta. ESso doveva essere eletto
dai Sette e dai Dodici (capi dello stato orvietano), due mesi in-
nanzi la fine dell'ufficio dell'antecessore di lui e venire nella
città, poiché era generalmente forestiere, tre giorni avanti d' en-
trare in carica. Aveva per principale mandato quello di far ese-
guire gli ordinamenti della colletta. Durava in.carica sei mesi.
Finito il suo ufficio, doveva trattenersi tre giorni con i suoi uf-
ficiali e familiari per.essere sottoposto a sindacato.

Nel cap. CLXXIII dello statuto del ’39 è determinato l’ ufficio.

di questo giudice, che era, oltre quello di fare eseguire gli ordi-
namenti della colletta, di far bandi e condanne, ed imporre pene
a chi li trasgredisse in quel modo e fino a quella somma che
meglio gli talentasse.

Aveva l'obbligo di esigere tutti i denari dovuti da qualunque
persona all’ ufficio della colletta ; e se si mostrava negligente o
fiacco in tali esazioni, era punito dai sindacatori con una multa
di 25 lire (St. del '34, $ XCC). Poteva procedere « per otam ac-
cusationis, denuntiationis et inquisitionis et per omnem viam et
modum quibus ei videbitur » contro coloro che trasgredissero le
leggi della colletta; e trovato il colpevole, doveva condannarlo e
punirlo, non ostante qualunque statuto od ordinamento che par-
lasse in contrario. E da’ suoi processi e giudizi nessuno poleva
appellarsi (St. del '34, S CCVII; St. del ’39, $ COXXIT).

Se alcuno era mandato a chiamare dal giudice della colletta
e non compariva nel termine assegnatogli, poleva venir molestato
con multe e gravami, venir bandito dal banditore del comune
dalle finestre della casa del giudice; e se neanche allora non
voleva comparire, poteva essere messo in carcere e aver distrutti
i beni e sequestratine i frutti (St. del '34, 8 CCVIII).

Se uno poi, fatto chiamare dale giudice, compariva, ma non
rispondeva alle domande di esso, questi poteva porlo alla tor-

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È
1

GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 41

tura e condannarlo e obbligarlo a pagare ció in cui era stato
condannato (St. del '34, 8 CCVIIIT). È

Tutti dovevano obbedire al giudice della colletta intorno al:
disbrigo del suo uffizio: se alcuno contravveniva a’ suoi ordini
era punito con pena doppia di quella che si soleva comunemente
infliggere per una data colpa. Se. poi nello statuto del comune
non fosse contemplato un qualsiasi delitto, il giudice poteva im-
porre la pena che voleva, come gli piacesse meglio. E non si
poteva ricorrere contro le sentenze di lui, né al podestà, né al
capitano, e se uno di costoro riceveva-un ricorso contro tali sen-
tenze, era condannato a pagare 100 lire ogni volta all ufficio
della colletta (St. del ’34, S CCIIII). Altrove è detto (S CCXIIT)
che quando la pena non fosse specificata, il giudice potesse pro-
cedere « de similibus ad similia ».

Una singola persona poteva esser condannata dal giudice
della colletta a pagare infino a 100 soldi, se non aveva obbedito
ai comandi di lui; una società od università fino a 100 lire (St.
del '34, S CCX).

Il giudice infine aveva l'obbligo di osservare come ogni altro
gli statuti del comune (St. del '89, $ CCXXVII); di ricevere
qualunque accusa gli fosse porta dagli accusatori segreti posti
dal comune sulla faccenda della colletta (St. del'39, S LXXXVIIID;
far bandire per la città ed il contado gli ordinamenti della col-
letta (St. del ‘39, 8 CCXVII; specialmente poi quelli del vino
(St. del ‘39, S LXXXV); provvedere, che il vino nel contado
fosse venduto (St. del 739, 8 CCXX); far riattare le porte, quando
ne avessero necessità, affinchè non fosse defraudata l' entrata
della colletta (St. del '34, 8 LXVIII), e finalmente esigere le ta-
glie imposte alle arti orvietane (St. del '94, $ CCXXXXII).

Il giudice della colletta, la amministrava legalmente, il ca-
merario della colletta ne era l' amministratore vero e proprio.

La parola camerario deriva da camera, detta così, secondo
il Rezasco, la « Stanza o Luogo, ove si custodivano i denari del
pubblico. essi : Cambora, Erario, Fisco, Tesoreria, Tesoro, De-
positeria ; in Siena, Biccherna; in Lucca e Venezia, Tarpea; in
Genova Sagrestia ». Sarebbe un « traslato che si crede trovato
dalla Curia Romana, solendo il Papa discorrere un tempo delle-
cose dell' erario con suoi prelati in camera sua ». Camerario era
48 G. PARDI

dunque l amministratore del danaro pubblico. Ce n'era uno per
provincia nella monarchia sicilianà sotto i Normanni (1). In No-

' vara chiamavasi così il custode delle pubbliche scritture od ar-

chivista (2). Più comunemente questo ufficiale appellavasi camar-
lingo (voce che ha la stessa etimologia di camerario) che è defi-
nilo. dal Rezasco: « Custode della Camera o del danaro. del
Comune ». In Orvieto pure c'era un camerario del comune, che
era l' amministratore del danaro pubblico, come il camerario della
colletta era l'amministratore del danaro che ricavavasi dai dazi
della colletta.

Come si legge nel S CCXXXVI dello St. del '34, dai Sette e
dai Dodici doveva essere eletto unus bonus et legalis et sufficiens
camerarius dicte collecte, il cui ufficio durasse sei mesi e non
più, e nelle mani del quale venissero tutti gli introiti e proventi
della colletta. Egli aveva per salario cinque lire di denari corto-
nesi per ogni mese.

‘ Ogni due mesi aveva l' obbligo di render ragione delle somme
ricevute in presenza del camerario del comune, del capitano del
popolo, dei Sette, di quattro buoni uomini da eleggersi uno per
quartiere e di due mercanti esperti di far conti. Doveva poi
consegnare al camerario del comune, quando a questo piacesse,
i denari ed i pegni pervenuti alle sue mani per ragione del suo
ufficio (St. del ‘34, S CLXXXII). Secondo lo statuto del '39
(S XXVIIII), non poleva spendere i proventi della colletta se non
era stabilite da un ordine del consiglio orvietano, eccettuate le
paghe agli ufficiali della colletta e altre spese necessarie per l’uf-
ficio, le quali egli era in arbitrio di fare senza autorizzazione del
consiglio delle Riformagioni.

E i

(1) BIANCHINI, Op. cit., p. 47 — 8: « De' Camerari uno ve n’ era in ciascuna pro-
vincia con facoltà amministrative e giudiziarie ad un tempo ». Vegliavano la esazione
delle imposte, potevano esigerle in quella maniera che loro piacesse od anche aflit-
tarle e commettevano tali esazioni ai balivi o balii. « Vegliavano del pari e rivedevano
i conti de' maestri questori della provincia, ch' erano esattori delle coHette, de’ maestri
BODTOLI 4 eSI e de’ massai guardiani e custodi di armenti e foreste del Re, e 80-
pratutto de’ debitori fiscali per locazioni perpetue o temporanee. Davan da ultimo il
salario a tutti glieofficiali, e alle persone alle quali era debito. Componevasi la sua
Corte di tre giudici ed un notaio ». Sopra tutti i camerari delle provincie stava il gran

"camerario, dal quale « dipendeva I' amministrazione della rendita e spesa dello Stato

ed in generale della pubblica economia ».
(2) Statuto. novarese, 1583, I, 15.

Tm. dea
“ea

GLI STATUTI DELLA «€ COLLETTA > 49

Non poteva ricever pegni, se questi non valessero almeno
tanto per quanto erano dati in pegno (St. del 34, 8 CLXXXI),
Aveva l'ordine di fare, tutti i sabati, del denaro della colletta,
venti soldi di elemosine: dieci all'opera del duomo, cinque alla
chiesa di S. Bernardo proteltore della parte guelfa della città, e
cinque a 40 poveri (St. del '34, $ CLXXXIIII).

Dopo il giudice ed il camerario o camarlingo, venivano gli
esecutori della colletta. Questi uffiziali, che si trovano pure nel-
l'ondinamento della gabella di Siena, provano chiaramente la de-
rivazione da questa della gabella orvietana. Infatti, il Rezasco si
esprime a questo proposito. in tal modo: « Esecutori della Ga-
bella. Magistrato senese, di cui si trova ricordo pure nel secolo
tredicesimo, ordinariamente di tre cittadini, qualche volta chiamati
Signori ed anche Soprastanti : il quale, secondo il suo titolo, ese-
guiva quanto era prescritto intorno alle gabelle di qualunque
specie si fossero, ed inquisiva gli accusati di frode per esse; po-
tendo eleggere tutti gli ufficiali della gabella tanto in città, quanto
in contado ».

Gli esecutori della colletta. di Orvieto, detti anche signori
(domini) e soprastanti (superstites), erano quattro, scelti dai Sette
e dai Dodici uno per quartiere della. città. Soltanto i popolani
potevano essere «esecutori della colletta, i nobili no; nè chi lo
fosse stato una. volta poteva venir rieletto prima di due anni.
Duravano in carica sei mesi. Avevano .il salario di un fiorino
d'oro al mese. Chi era eletto non poteva ricusare l'incarico e
non ne veniva esonerato se non pagando 10 lire cortonesi. Prima
di entrare in ufficio dovevan giurare di esercitarlo in buona fede
e senza frode alcuna e di rispettare gli ordinamenti della colletta
(St. del 734, S CCXXX.V).

Non erano tenuti andare all’ esercito (S CLXXXV), e pote-
vano portare tutte le armi da difesa e da offesa che piacesse loro
(S CCXXV). Tutti gli uomini della città e del contado dovevano
ubbidire loro, intorno, ben si capisce, alle cose del loro uffizio ;
non facendolo eran multati in 25 lire corionesi (S CCV). Chi li
offendesse era gravemente punito dal giudice della colletta
(S8 CCIIIT).

; Dovevano star di continuo ad esercitare il loro ufficio (S GGXXI),
pagar 6 denari di ogni lira del loro salario (S CCXXII) e final-
50 G. PARDI

,

mente farsi leggere una volta al mese gli ordinamenti della colletta
(S CCXXIII): il ehe naturalmente lascia presupporre che nella
maggior parte dei casi non sapessero leggere!

Addetti all’ ufficio della colletta erano pure dei notari, i quali
avevano varie incombenze. Anzitutto dovevano continuamente
andare in cerca degli artefici e di tutti quelli che dovevan pagare
qualcosa alla colletta o che avessero commessa qualche disobbe-
dienza o qualche frode e fare inquisizione su loro e riferirne al
giudice assieme ad un birro (St. del ’34, S CCXVIII). Dovevan
far giurare i soprastanti della colletta, al loro entrare in ufficio,
che ne avrebbero osservato lo statuto, registrare tutte le bestie
da macellare e la carne da vendersi (St. del ’34, S CVI-CVIII),
(St. del ‘39, S CXXXIII) e scrivere essi soli nei libri contenenti
i registri della colletta (St. del ’34, 8 CCXXXIIT).

Uno poi era incaricato di presiedere alle inquisizioni che si
facevano nella curia della colletta e doveva dimorare di continuo
ad esercitar quell' ufficio (S CCXXXII).

V'erano pure i collettori, o esattori dei dazi alle. porte, che
venivano eletti dai Sette e dai Dodici. Il salario era assegnato
loro dal giudice e dagli esecutori (St. del 734, S CCXXXVII).

Tutti i denari e i pegni che riscuotevano dovevan denun-
ciarli e consegnarli il giorno dopo averli ricevuti agli esecutori.
Questi- alla lor volta erano obbligati a fare ogni mese diligente
inquisizione per vedere se alcuno degli esattori defraudasse
la colletta e, se rinvenivano che alcuno avesse mancato, de-
nunziarlo al podestà. Esso poi comandava, che fosse imprigio-
nato e tenuto in carcere finchè non avesse pagato la pena di
100 lire cortonesi. Quei collettori poi che non denunziassero
il giorno dopo i proventi, erano multati di 100 soldi cortonesi
(St. del ’39, S XXXII). Non dovevano. lasciar uscire di città
nessuna mercanzia senza che chi la portava mostrasse loro
la polizza sigillata del giudice della colletta: ciò sotto pena di
100. soldi (St. del 34, 8 CXXVIIII). E di altri 100 soldi eran
multati se esigessero una gabella maggiore di quella stabilita
nello statuto (S8 CXXX).

Sono infine da ricordarsi gli scrittori della colletta, menzio-
nati al S CXXXV dello St. del '34.

Dipendevano dal giudice i banditori della colletta, il cui uf-

sir CH È)
GLI STATUTI DELLA « COLLETTA > 51
ficio era di citare i morosi al pagamento, imporre loro gravami
e far pignoramenti, secondo gli ordini che ricevevano dal giudice,
Potevano pure, anche senza un comando di questo, citare a com-
parir dinanzi ad esso quelli che trovassero mentre coniravveni-
vano agli ordinamenti (St. del '34, 8 CCXVI).

Quando qualche comunità o qualche nobile del. contado, non
pagava ciò che doveva.all' ufficio della colletta, il giudice mandava
contro loro dei soldati per costringerli a ciò. Nel '34 (S XCCIII)
andavano a spese dei nobili o delle comunità, nel 739 (S VIIII)
avevano 6 soldi al giorno se a cavallo, 3 se a piedi.

Curiosa era la proibizione di non mandarli di sabato, nè
nella vigilia della festa degli Apostoli, o della Pasqua, o di qual-
che giorno solenne.

Venivano eletti dal giudice della colletta unitamente ai. Sette
» ai Dodici gli ufficiali sopra le misure, i quali dovevano sigillare
le misure del vino, dell'olio, ecc. facendo pagare un tanto per
ogni misura che sigillav&no (St. del '84, S LXXXIII): e ciò al-
l'intento che non venisse defraudata la colletta, dovendosi pagare
un tanto di gabella per ogni misura di vino sdaZiata o da ven-
dersi.

Gli ufficiali sopra la. stima dei molini erano quattro buoni
uomini del popolo che erano eletti dai Setti e dai Dodici, uno per
quartiere, per stimare i mulini, dire quali erano affittati e quali
no, e quelli che non lo erano cercare di farli affittare ($ LXXVI).
Questo si faceva per la ragione che si pagava una data somma
sulle pensioni (pigioni) dei mulini.

Essendo stato stabilito dallo statuto del '34 (S CLXXXVITI)
che nessuno potesse, senza licenza del capitano, del podestà e
dei Sette, mandare la grascia (vino, olio, legumi, biade, ecc.) se
non verso la città di Orvieto; il giudice e gli esecutori della col-
letta potevano porre in vari luoghi del contado, ove meglio cre-
dessero, degli ufficiali detti custodi del divieto, affinché vigi-
lassero perché nessuno contravvenisse al divieto esposto sopra
(S GLXXXVIIIL. a

V’ erano poi gli ufficiali per correggere gli errori nel conta-
do, eletti dai Sette e dagli esecutori della colletta, nel mese di
gennaio, tre buoni uomini per ogni quartiere della città, affinchè
riparassero agli errori commessi nel ripartire le tasse nel .con- ran a drag

|

509 G. PARDI

tado, eum contingat multotiens pauperem. habentem magnan fa-
miliam plus solvere de taratione collecte quam divitem habentem
parvam familiam.

I custodi segreti sul vino erano eletti dal giudice e dagli ese-
cutori della colletta e invigilavano a che “contro gli ordinamenti
del yino non fosse commessa alcuna frode ($ CI).

Infine, tra gli addetti alla colletta, c'erano anche le spie, ac-
cusatores secreti et manifesti; che dovevano indicare al giudice
chi contravvenisse agli ordinamenti della colletta.

Avendo così osservato l'organamento amministrativo della
gabella orvietana, veniamo ad esaminarne le singole parti.

I. Gabella all’entrare e all’uscire delle merci dalle porte
della città, detta in alcuni castelli romani portonatico. Questo era
uno dei principali cespiti d’ entrata pet i comuni medioevali. Il
codice n. 1 delle collette orvietane parla soltanto de intrata col-
lecte apportas (sic) Civitatis Urbisveteris. Nel: codice n. 2 tale
gabella è esposta nei cap. XVIIII-XXII, XXV-VIII, XXXVI,
XL-III, XLVI, XLVIII, L, LVI-VIIII, LXII-LXX, CXXXVI-
VIHI. Nel codice n. 3 nei cap. XXXV-VII, XXXVIIII, XL,
CLXXI, CLXXXX, CCXXII. Il codice n. 4 infine non è se non
il dazio delle merci all'entrata delle porte ed all'uscita.

Confrontando il cod. n. 1 con quello n. 2 si vede facilmente

che nel 1384 i dazi d’entrata e d'uscita erano notevolmente dimi-
nuiti, sebbene alcuni pochi fossero rimasti gli stessi.
. . Ad esempio, riguardo alla colletta dei panni (n. 1, S II; n. 2,
S XVIIII), di ciascuna soma di mezzalana veronese si pagava,
nel '84, 3 soldi, mentre prima il dazio era di 10 s., di ciascuna
pezza di panni di stoppa, nel '34, 1 denaro corlonese, mentre
prima 12 denari.

Riguardo alla colletta della lana (n. 1, $ VIII; n. 2, 8 XXVI),
per ciascuna salma di lana nostrale si pagava, nel '34, 4 s. e
prima 8 s.; per una salma di lana sardegnuola 3 s. e prima 7.

Per i metalli lavorati (n. 4, $ XIII; n. 2, $ XXXIII), per
ciascun paio di fiaschi, di vasi, di stagni, ecc. si pagava, nel '34,
6-d. mentre prima 16; per ciascun bacino 6 d. mentre prima 18. USERS EGGS NREA mi sura;
I E DE uri

» PCIE Sic T
GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 58

Perché si vegga piü chiaramente la differenza, porró a ri-
scontro il $ XVI del n. 1 ed il S XXXVI del n.2, dal confronto
dei quali apparirà come nel '34 fossero minori i dazi d'entrata
della cacciagione e per di più fossero tolti via quelli d' uscita —
forse perché inutili —.



Per ciascuno cervo, porco, segnale . V s. | Inprimis de quolibet cervo ‘et porcho
| signals vaso E aie I:
Per ciascuno lepore, volpe . . . . III s. | Item de quolibet lepore et vulpe . . III d.
Per ciascuno bufalato over capriolo . III s. | Item de quolibet bofulacto et capriolo XII d.
Per ciascuno cappone, gallina, ana- Item de quolibet cappone, gallina, ana-
ire, germano, ocha over paparo, | tre, germano et ansere. . . . . ld.
all'entrata: o ese e eiu m ID.d. |
Eb exitazt i esto o eos CIS des]
Per ciascuno fasciano all'entrare . . III d. | Item de quolibet fasciano . . . ... Ill d.
Per ciascuno paru de. pollastri, piz- | Item dequolibet pari pollastrorum, pol-
zuni, starne, fulcarum, cercelorum | lastrarum, palumborum, pippionum,
et simili, allentratá. .. . .. . . III d. | starnarum, folcarum, cercellorum,
Bi albexitn^ uuu coe C TIT: dì | agegiarum et similium. ... . . III d.
Per ciascuno paru de turture et simili III d. | Item de quolibet pari turturum. . . Id.
Et all'exita. 0.0... 0... Hd |
Per ciascuni quactro turdi, merli, qual- | Item de singulis quattuor turdis, mer-
le, mortia et simili, all'entrata. . III d. | lis, qualis, mortitis et similibus . Id.
bt alex 200.0 45. 0 ovn LP de]
Per ciascuno mergone et simili, al- | Item de quolibet mergone et simili . JI d.
L'GDU PRU oa o rue os E E COSMMTTTTS d; |
Et all Bla S e crest SII d; |
Per ciascuna druga all'entrata. . . VI d. | Item de qualibet eruga. . . . . .II d.
|

Et de ciascuuo altro cello et cacciagione | ltem de aliis avibus solvatur de si-

all'entrata de simile ad simile. | mili ad similem.

Le gabelle d'entrata all'ingresso della città corrispondono
all' odierno dazio di consumo: Invece si sono perdute le gabelle per
l'uscita delle merci e delle vettovaglie, le quali avrebbero nociuto
allo sviluppo del commercio, mentre allora, specialmente in Orvieto,

città poco industriale, giovavano a non allontanare dalla città sopra-.

tutto le vettovaglie, affinchè non mancasse di che nutrirsi nel
tempo di carestia. E le carestie in quell'epoca non erano infre-
quenti davvero (1).

(1) CIBRARIO, op. cit., 1. III, e; II: « Fin: dai tempi: di Carlomagno provvedevasi
all' abbondanza dell annona con leggi coercitive, perché né allora v' era bastante lume
prete

VUE MOTORS

*

G.

PARDI

II. Un'altra tassa notevole della colletta orvietana riguar-
dava la vendita al minuto dei vari oggetti e corrispondeva ip
certo modo alla centesima rerum venalium dei Romani, istituita
da Augusto dopo le guerre civili (1), la quale tuttavia, secondo 1l
Cagnat (2), si sarebbe riferita non solo alla vendita delle mercanzie
e vettovaglie, ma anche ai contratti di compera. Il Mommsen
però (3) non è di questa opinione.

Questa tassa nel codice n. 2 è contemplata dal $ XXIII e
XXIIII (de venditione pannorum, de venditione bambascie et lane),
LXXXX e LXXXXIII (de vendittone vint), CVI e CVIH (de ven-
ditione carnium) e CXXXV (de venditione silve).

di sapienza civile per intendere che il commercio nemico d'ogni vincolo, quando si
abbandoni al suo natural impulso, piglia il livello più favorevole ai pubblici bisogni:
né forse con quelle basi di ordinamento sociale e con tanti discordi e ripugnanti in-
teressi sarebbe stato facile in questa materia usargli ottimi consigli ...........

. .Quando si temeva di qualche carestia s' ordinava il serramento del grano, ed era
proibito d'estrarlo sotto gravissime pene ». Infatti essendo stata in Piemonte, nel 1375,
una universal carestia, Bartolomeo di Chignin, luogotenente del conte di Savoia in
Piemonte, fece chiamare.a parlamento i deputati delle comunità e decretare da essi
i rimedii migliori per ovviare alle tristi condizioni del paese. Ed il primo rimedio, a
cui credettero bene ricorrere, fu il seguente: « che fosse proibita l' estrazione del grano
a pena di lire 10 per sestario, e della perdita del grano ».

Varie carestie in Firenze e fuori son ricordate da GIOVANNI VILLANI. Egli scrive
(Cronica, l. VII, c. LXXXVIII) che nel 1282 « fu grande caro d' ogni vittuaglia, e valse
lo staio del grano alla misura rasa soldi quattordici di soldi trentatré il fiorino d'oro,
che, computando la moneta e la misura, fu grandissimo caro ». All anno 1286 (1. VII,
c. XCI) egualmente scrive che « spezialmente del mese d' aprile e di maggio, fu grande
caro di vittuaglia in tutta Italia, e valse in Firenze lo staio del grano alla misura rasa
soldi diciotto.di soldi trentacinque il fiorino d'oro ».

Ed all'anno 1316 (1. IX, c. LXXX): « Nel detto anno 1316 grande pestilenzia di
fame e mortalità avvenne nelle parti di Germania ».

Grandi carestie furono pure a Firenze nell’ anno 1339 (1. XI, c..6), nel "40 (1. XI,
c. CXIV) e nel '46 (1. XII, c. LXXIII e LXXIII).

Anche nel regno di Napoli, fin dal tempo dei Normanni erano imposti forti dazi
di uscita sulle merci perché non mancassero al eonsumo pubblico. BIANCHINI, Op. Cit.,
p. 45; « Usavan tutti gli Stati in quel tempo vincolare V estrazione delle merci per
tenia che non mancassero al nazional consumo, il quale non era affatto vano, timore
se vuolsi por mente alla scarsezza dell’ industria e di produzione. Laonde non andaron
falliti i Normanni i quali gravarono di dazi le estrazioni delle merci indigene ». Ma
Ferdinando I di Aragona nel 1471, mentre perdurava ancora in Europa ad essere in-
ceppata l'uscita delle produzioni indigene, abolì tutti i dazi, nessuno eccettuato, sulla
estrazione delle merci: « volendo noi (come il re stesso scriveva nell’ editto del 20 gen-
naio 1471) metter fine a tanti inconvenienti, e provvedere di nostra spontanea volontà
non solo alla libertà di trafficare dei nostri cittadini, e degli stranieri, ma altresì a
far progredire il commercio e Ià proprietà del Regno » (BIANGHINI, Op. cit., p. 197).

(1) TACITO, A72. 1, 78.

(2) Etude historique sur les impots indirects chez les Romains jusqu) qua án
vasions des barbares. Paris, 1882; p. 227.

(3) HERMES, t. 12 (1887), p. 93, 98.

Malo: JO Cii n = sù spiriti = gta e cours. Eg
gcc mae SZ CO 3 u T . Vae X
nd È, Tu DEA S » "e. d * 5 -
GLI STATUTI DELLA « COLLETTA > 55

In questa tassa son comprese anche la gabella dei macelli e
quella del vino al minuto, corrispondente l una alla tassa omo-
nima del comune di Lucca e la seconda ad una del comune di
Firenze (!). Della macellazione delle carni nel contado si parla al
S CVII dello statuto del '34. Quanto alla gabella della vendita
del vino a minuto varie disposizioni sono esposte nei S LXXXVI
(dell'approvazione delle misure con cui si deve vendere il vino),
LXXXVIIII (tassa sulla raccolta del vino), LXXXX (colletta dei
vini scelti), LXXXXI (dazio.sul vino che sia portato fuori del
comune) e LXXXXIII-C.

III. Gabella dei molini. Altrove si è parlato di questa ga-
bella sulla macinatura del grano che, come dice il Rezasco, fu
sempre considerata dai popoli quale gravosa e disonesta come
quella che colpiva il principale alimento degli uomini. Le di-
sposizioni su questa tassa sono esposte nello statuto del '94 nei
$ XLV (della colletta sui molini di olive) e LXXIII (sulla farina
macinata). L'imposta era pagata dai mugnai, come a Firenze,
e perciò era ordinato ($ LXXVII) che tutti i sottoposti al co-
mune d’Orvieto si recassero a macinare ‘ai mulini, dai quali si
pagava la colletta al comune sopradetto. Altre disposizioni intorno
ai molini concernono l'affitto di essi, poichè era legge che si do-
vesse pagare una imposizione sulle pigioni di questi. Ma ciò rien-
tra nella gabella delle pensioni.

(1) G. VILLANI, Cronica, l. XI, c. XCIII. Quivi il cronista registra 1’ entrate e le
spese del comune di Firenze negli anni nei quali ebbe &uerra con Martino della Scala
(1336 — 8) « aecioech' é nostri discendenti (son sue parole) possano comprendere lo stato
ch' avea il nostro comune di Firenze in questi témpi, e come si forni la spesa della
detta guerra del Mastino, la quale voleva il mese più di venticinque mila fiorini d’oro
ch’ andavano a Vinezia ». Ecco un riassunto di ciò che riporta intorno alle gabelle
poiché Firenze « reggevasi in questi tempi per gabelie »:

Le gabelle delle porte produssero 90,200 fiorini d' oro.

La gabella del vino a minuto 58,300 f.

La gabella del sale 14,450 f.

La gabella sopra i prestatori e usurai 3,000 f.
ja gabella dei contratti 20,000 f. i
| gabella delle bestie e del macello della città 15,000.

L cabella del macello del contado 4,400 f.
ja gabella delle pigioni 4,150 f.

i gabella della farina e macinatura 4,250 f.

gabella dei cittadini che andavano fuori in signoria 3,500.

La gabella di segnare pesi, misure e paci e beni in pagamento 600 f.

La gabella delle pigioni del contado 200 f.

Tralasciamo le altre specie di gabelle che non trovano riscontro nella colletta
orvietana,
56 G. PARDI

IHI. Gabella dei cittadini orvietani che andavano in si-
gnoria fuori e dentro la giurisdizione di Orvieto.

Il comune di Firenze faceva pagare una lassa ai propri cit-
tadini che andavano fuori a qualche potesteria o simile ufficio,
basandola sulla paga che questi ricevevano. Invece, il comune
di Orvieto faceva pagare questa tassa non agli orvietani podestà
o capitani del popolo di altre città e terre, ma ai giudici e notari
che si recassero con i rettori di qualche luogo. Aveva, inoltre, im-
posto tale gabella a coloro che ottenevano l’ ufficio di podestà in
castelli dipendenti dal comune medesimo, come Moiana, Cetona,
Lugnano, Bolsena, S. Lorenzo, Grotte, Gradoli e Latera (Statuto
del '34, 8 I-VIII); ed ai notari dell'Abbazia di S. Salvatore, Ce-
tona, Sarliano, Chianciano, Moiana, Lugnano, Bolsena, S. Lo-
renzo, Grolte, Gradoli e Latera ($ XV). Nel '99 la tassa fu estesa
al castellano di Cetona (S CXXXVIII). Nel '39 pure fu imposto
che tale gabella fosse pagata prima di andare ad occupare l'uf-
ficio.

V. Gabella sugli impiegati del comune orvietano: Tutti co-
loro che ricevevano paga dal comune dovevano rilasciare un tanto
a lira per la colletta. Così il giudice di questa e il\camarlingo e
i collettori dei dazi e della lira (Statuto del '34, S XII), i sopra-
stanti ai castelli, alle ville, alle vie, alle fonti, ai ponti ed alle al-
tre opere (S XI), il camarlingo del comune, il console della curia
della giustizia, il viario o parlitore del comune, il sindaco eletto
a difenderne le cause, i conestabili dei soldati, 1 computisti del
comune ($ XIII), il notaro della curia maggiore, quello del ca-
marlingo, delle donazioni e della curia della giustizia, il giudice
e il notaro dei viari o partitori del comune e i notari infine, qui
etiguntur ad civilia in curia domini capitaneti (& XIII).

VI. Gabella dei ‘contratti. Qualunque persona della città o
dei borghi.o del contado che comprasse, vendesse, donasse o per-
mulasse qualche possesso, ufficio o rendita, doveva farne slen-
dere regolare atto da un nolaro d'Orvieto, non già da un notaro
che non fosse sottoposto alla giurisdizione del comune, sotto pena
di cento lire. Eran poi tenuti a pagare un determinato dazio sul
prezzo di vendita, di compera, ecc. Se non lo pagavano entro due
mesi, il contratto era considerato come nullo (S XVII). Perciò i
nolari orvielani, affinché la gabella non venisse in aleun modo
3 EE ——— pm Lelli
e er e ul ig TT ] f
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GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » DI

defraudata, avevano l’obbligo di denunziare i contratti di compera,
vendita, donazione o cambio e mostrarli agli ufficiali della colletta
ad ogni richiesta loro (S XVIII).

Ma, come osserva giustamente il Cibrario (l. III, c. 3), que-
sta. gabella non doveva certamente produrre molto, poiché non
essendovi « ‘quasi nissuno che avesse proprietà perfetta, ne se-
guiva che i contratti eran rari ».

VII. Gabella dei cottimi. I muratori che prendevan qualche
lavoro a cottimo dal comune o da qualche persona particolare,
erano obbligati a pagare 4 denari per ogni lira del prezzo pattuito
per l’opera, e non più tardi di 15 giorni dopo che avessero preso
il cottimo. E le persone che glielo davano, avevano il dovere di
denunciarlo sotto pena di 15 lire se non lo facessero ($ XLVII).

VIII. Gabella sulle pensioni e sui livelli. Qualunque per-
sona che ricevesse pensione de aliquo palatio, turri, cassero,
platea vel plateis, domo, claustro, capanna, loia vel andito, sive
de aliqua oinea vel vineis, terra vel terris, boscho, prato, lama,
canneto vel orto vel de alta quacunque re, doveva pagare 4 denari
sopra ogni 20 soldi cortonesi di pigione ad affitto (S LXXVIIIT).
Così, sopra ogni lira di livello pagavano alla colletta 4 denari
(S LXXX); e 6 denari a lira (calcolandone la pigione che frutta-
vano o potevano fruttare) per le terre che adacquassero col mezzo
dell’acqua che esce dalle rupi orvietane (S LXXXI).

IX. Gabella delle misure e dei pesi. Nel S LXXXIIII dello
slatuto del '34 è imposto che tutte le misure ed i pesi sieno falli
approvare e sigillare e dai legittimi approvatori eletti dai Sette e
dai Dodici unitamente al giudice della colletta; e che soltanto con
le misure ed i pesi approvati in tal modo si possa misurare e pe-
sare, e non con nessun altro, sotto pena di 20 soldi. Gli ufficiali
eletti dai Sette, dai Dodici e dal giudice della colletta, avevano
un determinato salario a stavano in carica tutto il mese di gen-
naio a sigillare i pesi e le misure de’ cittadini, facendo. pagare
un tanto ad essi per ciascuna misura o peso sigillati (S LXXXIII).
Questa gabella esisteva anche nella monarchia siciliana al tempo
degli Svevi (1).

(1) BIANGHINI, Op. cit. p. 81 « Diritti di pesi e misure. Federigo impose il diritto

di peso sulle merci che dal fondaco regio si estraevano, per accorrere cosi alle frodi che

o
58 G. PARDI

Era, inoltre, stabilito che qualunque oste o taverniere, .il
quale non tenesse qualche misura sigillata, pagasse di multa 40
soldi per ciascuna di queste ($ XCVI); e che colui, il quale por-
tasse il vino in barili non segnali col sigillo del comune; fosse
multato di 10 soldi.

X. Gabella sulle bestie. Le bestie pagavano dazio all'entrata
delle porte: una bestia bovina, da 18 mesi in su, 42 denari, da
18 in giù, 6 d.; un cavallo vendibile 5 d.; un mulo 2 d.; un a-
sino 12 d., ecc. (8 CXI). Potevano tultavia uscire a pascere e
‘rientrare senza pagar nessun dazio ($ CXII). Le bestie, con-
dotte in città non per vendersi, eran tassate variamente (8 CXII.
Delle bestie che si vendevano era prelevato, per la colletta, 2 de-
nari a lira sul prezzo (S CXIIII). Coloro che davano bestie a vet-
ture pagavano 20 soldi all'anno di gabella. Perció chi voleva dar
bestie a vetture doveva farsi iscrivere presso il notaro della col-
letta, sotto pena di 100 soldi se non lo faceva (8 CXVI). Chi, nella
città o nel contado, possedeva cavalle, mule o muli domati, era
obbligato a contribuire ogni anno all'ufficio della colletta 20 soldi
(S CXVII). Chi tenesse porci, pagava all'anno 20 soldi, se li fa-
ceva uscire per le piazze e le strade, 10 se li teneva nei sobborghi,
5 se nei sobborghi e non li facesse uscire dalla stalla per le vie
e le piazze ($ CXVIIII). Qualunque persona, que dedit vel dabit
deinceps vel que nunc habet in soccitam vel ad collaticam alicut
persone aliquas bestias, pagava per un bove 8 soldi, 6. per una
vacca o vilella, 6 per un bufalo, ecc. (8 CXX). I giumenti di ar-
mento eran tassati di 6 denari all'anno, una bufala o una vacca
di 4 d., ecc. (S CXXI). Delle bestie dei Garfagnini che eran mandate

a pascolare in Maremma l' imposta era di 2 soldi al cento (8 CX XII).
La gabella sul bestiame per Orvieto, comune agricolo e mon-
tuoso, era una delle più rilevanti.

XI. Gabella sugli usurai. l| Cibrario osserva giustamente
come, non essendo nel medio evo quasi nessuno che avesse pro-
prietà perfetta, per le prestanze di danaro si riseuolessero forti
interessi, il 10, il 20 ed anche il 80 ed il 40 per cento. Il Bian-

poteansi fare in danno del fisco dichiarandosi uri peso minore. Però venne stabilito
l'ufficio del pubblico peso o peso generale, siccome ancora il dicevano, dove si pesa-
vano le merci prima che fossero estratte e pagavansi grana cinque: venivan medesi-
mamente misurati gli oggetti il valor de' quali dipendeva dalla misura ». GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 59

chini (1), parlando della monarchia degli Svevi, dice che « uno dei
più rilevanti ostacoli all'incremento dell'industria era la scarsezza
del denaro. Sarebbe stata impossibile cosa (egli prosegue) agli
Svevi Sovrani di aumentarlo di un tratto; e mentre che essi si
studiavano di farlo rapidamente circolare, si avvennero in quello
stesso errore in cui eran caduti i predecessori loro, i quali per
malintesa pietà fecero leggi intorno all'usura. Federigo sanci il
divieto già fatto dal Sommo Pontefice, dichiarando | usura come
un delitto di pubblica accusa che punir si doveva con la pubbli-
cazione di tutti i beni del condannato; e per usura intendeasi il
piccolo ed il grande interesse. Nondimeno gli Ebrei furono eccet-
tuati dal divieto, perchè non eran soggetti alle leggi del Papa.
Non potevano però riscuotere interesse oltre il dieci per cento; il
che dimostra quanto per la scarsezza del numerario fosse alto
l'interesse che non poteva certamente scemare, come infatti non
iscemò per virtù di legge ».

Orvieto aveva dovuto ricorrere spesso agli Ebrei che, as-
sieme ai Lombardi, facevano il mestiere di prestare ad usura.
Avendo bisogno di 15,000 fiorini d'oro per liberarsi dall' interdetto
scagliato contro la città dalla Santa Sede li ottennero a prestito
da Ebrei di Roma, ma ‘facendo loro molte concessioni, tra cui
quelle della cittadinanza e dei diritti civili (2). Ma nel 1468, nel
Consiglio dell'11 aprile essendo intervenuto fra’ Bartolomeo da -
Colle, il quale facendo il quaresimale in Orvieto, aveva posto a
grande peccato il prender denari a prestito dagli Ebrei, fu deciso
di non far più esercitare loro l’usura e che, riguardo ai pegni
rimasti presso di essi, « provvedessero i Conservatori. e i quin-
diei del Consiglio segreto. In seno ai quali si elesse una commis-
sione di quattro nobili cittadini con incarico di trattare lo svincolo
dei pegni. Quindi, coll'incoraggiamento del Papa, fu creato un Monte
per i poveri, detto il Monte di Cristo, che fu il primo dei monti
di pietà » (3). Nonostante nel sec. XIV gli Ebrei esercitavano an-
cora liberamente l'usura in Orvieto, ma era stata imposta una

(1) Op. cit., 120.
(2) FUMI, Cod. dipl, p. 418 — 9.
(3) Ivi, p. 723.
; Pera SR va

60 i G. PARDI

gabella sugli imprestiti che facevano (S CXLVI-VIIII). Una simi-
gliante gabella era a Firenze (1), a Lucca (2) ed in varie città.
XII. Gabella sulle doti. Chi prendeva moglie pagava 2 da?
nari per ogni lira che ricevesse di dote, e 4 ne pagava chi rice-
vesse la restituzione della dote per la morte della donna.
XIII. Gabella sui testamenti. Chiunque ricevesse una ere-

dità era obbligato a contribuire alla colletta 4 d. per ogni lira.

Questa imposta non aveva luogo per i legati fatti a opere pie, a
società, a persone miserabili, a ospedali, a chiese, ad ecclesiastici,
ecc. (S CLII).

XIII. Gabella di coloro che esercitano qualche mestiere.
Gabella dei fornai (S CL V), dei panattieri ($ CLVI-VII), dei pastai
(S CLXVID, dei calcinai (S CLXVIID, dei servitori (S CLXX), dei
lavandai (S CLXXI) e degli scolari e fattori (S CLXXII).

XV. Gabella su coloro che possedevano stufe, volte, cantine,
cisterne, ponti e volte sulle strade, balconi e orticelle sulle vie,
portici, banchi, logge, tende, navi sul Tevere, ecc. ($ CLVIII-
CLXVI).

XVI. Taglie delle arti orvietane. Queste taglie delle arti
erano le imposizioni che ogni corporazione delle arti pagava an-
nualmente al camerario della colletta. Erano più o meno forti se-
condo gli introiti maggiori o minori della professione o mestiere
esercitato dalle singole corporazioni e secondo il numero delle
persone che le componevano.

I giudici, i notari ed i medici pagavano nel ‘39, di taglia; 25
lire (S CCXXXV).

I fabbri 60 lire nel ’39, mentre nel '34 ne pagavano 30
(8 CCXXXVIII). :

I sarti 50 lire.

I muratori e petraioli 40 lire.

l^ procaccianti 25 lire.

I pizzicagnoli 30 lire.

I funai 16 lire.

Gli albergatori 25 lire.

I barbieri 15 lire.

(1) VILLANI, loc. cit.
(2) Inventario, dell’ Archivio ‘di Lucca, loc. cit.

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e pa Tate carro NU me

GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 61

I macinai 20 lire.

| vetturali 15 lire.

Gli oliai e i saliai 15 lire,

Doveva pagare, tuttavia una imposizione anche chi non eser-
citava nessuna arte, da 5 a 40 soldi (S CCXXXVIIII dello statuto
del ’34). Cosi i pupilli, minori di 18 anni, ed i cittadini abitanti
nel contado (S CCXXXX-I).

8 4.

L'antico e valente direttore dell'archivio di Siena, Luciano
Barchi, pubblicando nel '71, il secondo volume degli statuti se-
nesi (1), v'inseriva pure uno statuto delle gabelle degli anni 1301-3,
porgendoci mezzo, in tal modo, di poter constatare la verità del
fatto ricordato negli atti del consiglio delle Riformagioni, che
cioè gli Orvietani nel 1304 uniformarono la loro colletta agli or-
dinamenti della gabella senese. È vero tuttavia che tale statuto,
semplice lista. dei dazi sulle merci da pagarsi al passaggio delle
porte, non ci rivela in quale maniera la gabella era diretta ed
amministrata; poichè gli Orvietani debbono aver mandato a stu-
diare la gabella di Siena piuttosto per imitarne l'organizzazione
amministrativa, che non per copiare addirittura i dazi imposti su i
vari oggetti che fossero introdotti in città o ne uscissero ; dovendo
questi venir più o meno modificati per la diversità di condizioni,
di prodotti e di bisogni delle due città. Per paragonare l'organa-
mento direttivo delle due gabelle, occorrerebbe avere sott'occhio
l'interessante statuto di quella senese, scritto latinamente nel 1273
e ricompilato nel 1298, nel quale la materia delle gabelle è trat-
tata molto diffusamente (2). Nondimeno, essendo certo — come

(1) Il primo volume era stato dato alle stampe nel 1863 da L. F. POLIDORI, pre-
decessore del Banchi, ed autore della Proposta degli Statuti scritti in volgare nei se-
coli XIII e XIIII, che si trovano nel R. Archivio di Stato in Siena, fatta alla R. Com-
missione dei testi di lingua nell’ Emilia dal Direttore di esso Archivio e socio di detta
Commissione (Bologna, 1861).

(2) Conservasi manoscritto tra gli Statuti dell’ archivio senese, segnato col nu-
mero 15. Comincia: :

« In nomine Domini, amen. Infrascripta sunt capitula et ordinamenta facta et
inventa per sapientes viros, quomodo et qualiter intrata sive cabella sic fiat et obser-
vetur in civitate et comitatu senense; tempore egregii viri domini Taddei comitis
Montis Feretri et Urbini, Dei gratia Senarum potestatis: que omnia et singula ordi-
52 G. PARDI

mi consta da informazioni assunte su tale statuto — che l'orga-
nizzazione delle due gabelle senese ed orvietana era a un dipresso
la stessa, è utile vedere in qual modo i saggi uomini di Orvieto
preposti ad istituire o correggere la colletta, non alterando gran-
demente i dazi della gabella senese, li abbiano modificati in modo
da adattarli meglio alle condizioni della loro città.

In Siena le arti della lana e della seta erano le principali. e
vi fioriva grandemente l’arte del tingere (1). È per questo che la
libbra della seta non lavorata pagava all'ingresso delle porte di
Siena quattro denari soltanto, come oggetto di prima necessità (2),
ed invece all'entrare in Orvieto pagava, come oggetto di lusso,
tre soldi (3). Anche il dazio delle lane era maggiore in quest ul-
{ima città che non a Siena, per quanto l’arte della lana avesse
anche in Orvieto non piecola importanza. Una soma di lana sar-
desca qui pagava sette soldi, a Siena un soldo e sei denari.
La soma dello stame filato nell'un luogo aveva il dazio di dieci
soldi, nell'altro di due.

Anche le mercanzie di lusso erano tassate maggiormente ad
Orvieto: una dozzina di bende o veletti di seta pagava due soldi
e a Siena cinque denari; una dozzina di ‘appelli di seta sei soldi
e a Siena tre; una pezza di zendado quattro soldi e a Siena
quattro ed otto denari.

Invece, una soma di fichi, pere, mele e ciliege pagava a Siena
dodici denari e ad Orvieto sei.

Il lino aveva lo stesso dazio, di due soldi a soma, tanto ad
Orvieto che a Siena: così la canapa. Anche il vino pagava presso
a poco lo stesso in queste due città. 1

Tuttavia, confrontando ambedue le gabelle, si riconosce facil-
mente come gli Orvietani, non avendo gli introiti di Siena, ciltà
molto più ricca e commerciante, avessero aumentato non poco,
il più delle volte raddoppiato, il dazio delle merci all'ingresso
delle porte. Ma ben presto lo dovettero abbassare, tanto che nello
statuto del 1334 lo troviamo notevolmente diminuito.

namenta et eapitula dieti sapientes ordinaverunt, firmaverunt et voluerunt quod sint
firma et rata ».

(1) BANCHI, Op. cit., intr. p. X.

(2, Ivi, p. 48.

(3) Statuti della colletta di Orvieto, codiee n, 1, SeXI,

€ GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 63

Nel codice statutario pubblicato dal Banchi seguono agli or-
dinamenti della gabella senese delle addizioni, in cui son conte-
nuti quelli delle gabelle di altre città compendiate, per utilità dei
pubblici ufficiali, dagli statuti di queste. Tra le molte addizioni,
il Banchi ha trascelto quelle concernenti le gabelle di Paganico,
terra della maremma senese, di Lucca e di Bologna, porgendo
così materia ad istituire utili confronti tra i dazi di varie città
nel medesimo tempo.

Riporta infine degli « ordinamenti sopra la kabella d' Orvieto »,
che io reputo utile riferire qui, perchè essendovi alquanto rinca-
rati i dazi comuni, dovrebbero essere speciali disposizioni di rap-
pressaglia contro Orvieto, forse per gli elevati dazi della gabella
di questa città, fatti nel tempo in cui ella e Siena erano in di-
scordia :

« Ordinamenti sopra la kabella d'Orvieto ».

« Questi sono certi Ordinamenti fatti et ordinati sopra la ka-
bella e passaggi, e' quagli debbono pagare gli uomini e le persone
de la città e del contado e del distretto d'Orbivieto, che venissero
a la città di Siena, o passassero per la detta città, o per lo con-
tado e distretto di Siena, co le infrascriple mercanzie, de le qua-
gli si debba pagare al comune di Siena, come di sotto si con-
tiene, cioè:

In prima, d'ogni soma o torsello di panni franceschi, per

cabella et per passaggio, XIJ soldi, VJ denari senesi.

Anco, di ciascuna soma di panni senesi e fiorentini, per ca-
bella_et passaggio, VIIJ soldi di denari senesi.

Anco, di ciascuna di mercie e [panni] romagnuoli, per cabella
e passaggio, V soldi, X denari senesi.

Anco, di ciascuna soma di panni vecchi, per cabella et pas-
saggio, VJ soldi, VIIJ denari senesi.

Anco, di ciaseuna soma di bambagie et di bambagini, per ca-
bella et passaggio, VJ soldi, VIIJ denari senesi.

Anco, di ciascuna soma di lana et di stame, per cabella et
passaggio, VJ soldi senesi.

Anco, di ciaseuna soma d'agnelline lavorate, per cabella et
passaggio, VIIIJ soldi, IIIJ denari senesi.
64 G. PARDI

Anco, di ciascuna soma di pelli agnelline crude, per cabella
et passaggio, V soldi, X denari senesi.

Anco, di ciaseuna soma d'oricello e di piombo e di stagno,
per cabella et passaggio, V soldi di [denari] senesi.

Anco, di ciascuna soma di roffie e de le erve conce, per ca-
bella et passaggio, V soldi di senesi.

Anco, di ciascuna soma di euoia crude e di guado per ca-
bella et passaggio, IIIJ soldi, IJ denari senesi.

Anco, di ciascuna soma di stamegna, per cabella et per pas-
saggio, VJ soldi di senesi.

Anco, di ciascuna soma d'allume, per passaggio el per ca-
bella, IIIJ soldi, IJ denari senesi.

Anco, di ciascuna soma di lino, per passaggio el per cabella,
V soldi, X denari senesi.

Anco, di ciascuna soma di speziarie di qualunque ragione,
per passaggio et cabella, VJ soldi di senesi.

Anco, di ciascuna soma di cera, per passaggio el per cabella,
V soldi, X denari senesi.

Anco, di ciascuna soma di carle, per passaggio et per cabella,
V soldi di senesi.

Anco, di ciascuna soma di funi e di canapi, per cabella et
passaggio, IlIJ soldi, VJ denari, senesi ».

Inoltre, alla fine del codice statutario pubblicato dal Banchi,
si trovano alcuni ricordi, inserilivi per comodo degli ufficiali
della gabella senese; ove si parla di talune particolarità che si
riscontrano: nelle gabelle di alcune terre, come S. Gemignano,
Poggibonsi, Massa e Perugia. Riguardo ad Orvieto si legge la
seguente nota :

« Orbetani tolgono a’ senesi de la soma de le merce e panni
vecchi, all'entrare e all'escire, VJ soldi, VJ denari senesi; ed anco
tollono suso e’ sei soldi e VJ denari, VIIJ soldi di cortonesi di
cabella ed anco VJ denari di polizia ».

8 5.

La più notevole pubblicazione intorno alle gabelle dei comuni
italiani è stata fatta da Sigismondo Malatesta con gli statuti delle
GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 65

gabelle di Roma promulgati nel 1398, mentre era senatore della
città Malatesta de’ Malatesti. E ciò non solo per aver egli diffuso
con la stampa la conoscenza dello statuto più antico delle gabelle
di una città di sì grande importanza come Roma, ma anche per
avervi premesse nolizie copiose e di molto interesse.

È infatti noto quanto fossero scarse le cognizioni intorno alla
Roma economica del medio evo. Gli scrittori di quel tempo avean
trascurato di farne menzione; Antonio Coppi si studiò, nel 1847,
di tracciare un quadro degli ordinamenti amministrativi della città
con un discorso sulle finanze di Roma (1), ma fu questo, più che
altro, un tentativo audace e che non produsse alcun frutto; il Pa-
pencordt ed il Gregorovius cercarono di mettere in luce l'econo-
mia politica di Roma nell’età di mezzo, ma, se riuscirono a porre
in chiaro alcune idee generali, « la maggior parte della storia
economica (così il Malatesta) rimase tuttora inesplorata e sco-
nosciuta ». i

Nel capitolo 2° della 1* parte dell’opera, l'autore dà alcuni
cenni sulle finanze di Roma dal secolo nono fino al ritorno dei

papi da Avignone. ;

Durante l'assenza loro, il comune si atteggiò a sovrano e
amministró, con propri officiali, le finanze della città. Nondimeno,
i papi non rinunciarono al privilegio d'introdurre dazi e usufruire
del reddito. Nel 1339, essendosi 1 Romani ribellati ai senatori
nominati dal pontefice, sperarono di poter formare un governo
democratico. Pertanto, come Orvieto aveva inviato ambasciatori
a Lucca ed a Siena per farvi studiare l'ordinamento delle gabelle
ed introdurle poscia nella loro città, cosi Roma chiese ai Fioren-
tini di inviare uomini esperti per impiantare i dazi all'uscire ed
all'entrar delle porte e.regolarne l’amministrazione. Donde si
scorge facilmente come la Toscana sia stata la terra ove si svol-
sero e giunsero a perfezione, quanlo lo permeltevano i tempi e
le condizioni della patria, le dottrine economiche.

Le gabelle di Roma furono adunque ordinate secondo il mo-
dello di quelle fiorentine; ma il Malatesta dubita che stessero al-
quanto in vigore, perchè Benedetto XII protestò contro tale in-

(1)rAtti dell’ Accademia romana di Archeologia, t. XMI, p. 107 — 27,
66 G. PARDI

troduzione di dazi falta senza il consenso della Santa Sede e li
revocò.

. Cola di Rienzo fu quegli che fece apertamente dichiarare come
i redditi delle imposte appartenessero al comune romano. Ed il tri-
buno introdusse, inoltre, delle sagge riforme nelle gabelle, cagio-
nando le querele di Clemente VI, che considerò questo fatto come
lesivo de’ suoi diritti sovrani. Per di più, avendo Cola, quando fu
la seconda volta a capo della città, aumentato il prezzo del sale
e imposta una nuova gabella sui generi di consumo, si attirò
l'odio del popolo e maturò la propria disgrazia.

Varie notizie intorno alle gabelle romane si rinvengono pure
negli antichi statuti della città (1) promulgati negli anni 1363 e
1369. Ivi è proibito a qualunque città, terra o castello del distretto
ed a qualunque barone d’imporre qualsiasi specie di pedaggio,
spettando il diritto di farlo ai governatori del comune: proibizione
più volte ripetuta per la difficoltà di farla osservare. Si vede inol-
tre da tali statuti come il comune romano cercasse di facilitare
l'importazione e di aggravare di forti dazi gli oggetti che venis-
sero esportali.

Sopratutto era favorita l'introduzione delle grascie nella città,
per impedire, come abbiamo innanzi osservato, il succedersi. fre-
quente delle carestie; ed era, invece, grandemente ostacolata l’espor-
tazione loro e proibita assolutamente quella del grano e dell'olio.
Quanto al bestiame, era vietata l'uscita dei porci e dei castrati dal
distretto di Roma. Le grascie, gli uccelli, i pesci e gli altri com-
mestibili si polevano vendere liberamente senza pagare alcun dazio.

Segue il Malstesta a parlare dell'organamento finanziario di
Roma, trattando dell’ ufficio del gabelliere maggiore, dell'ammi-
nistrazione delle. gabelle nei primi decennii del secolo XV, del-
l'ordinamento interno della dogana di terra in Roma verso la metà
del secolo stesso, e finalmente delle ulteriori vicende dell'ammini-
strazione delle gabelle sino agli statuti di Pio II e Sisto IV; ma,
non essendo le erudite parole di lui strettamente connesse all' ar-
gomento, che ci siam proposli di svolgere, veniamo senz'altro ad
esaminare lo statuto delle gabelle da lui pubblicato.

(1) Pubblicati da CamiLLo Re nel vol. I della Biblioteca dell Accademia storico-
giuridica di Roma. *

73 GLI STATUTI DELLA « COLLETTA »- * SRO

Si compone questo di 55 capitoli, assai brevi per la maggior
parte. Il primo contiene l'ordine di Malatesta de’ Malatesti di Ri-
minî, senatore di Roma, che le prescrizioni contenute nel codice
siéno osservate e rispettate da tutti. I capitoli II-XITH contengono
gli ordinamenti sul grano e sulla farina. Nessuno poteva portare
il grano a macinare senza bollettino, cioè senza la polizza del ca-
marlingo, né senza farlo prima pesare dai -pesatori del comune.
I mugnai dovevano riportare la farina entro. tre giorni dal tempo
in cui era stata fatta la polizza ricordata sopra; potevano ritenere
unum scorsum grani per ogni rubrio macinato: a Orvieto per pa-
gamento prendevano la ventesima parte del grano macinato. E:
mugnai, che vendessero il grano, dovevan pagare anch'essi la
gabella, e per di più, una tassa sul grano, di cui usufruivano nelle
case loro essi e le famiglie, ad rationem XII soldorum provisi-
norum pro qualibet bueca. I mugnai, che rubassero la farina, e-
rano puniti con una multa di cinque soldi di moneta provisina
per ogni scorzo di grano o di farina truffato. Erano obbligati a
far buona la farina, sotto pena di venticinque lire provisine. Non
potevano riportare di notte la farina od il grano post sonum cam-
pane paternostri que pulsatur in ecclesia sancte Marie de Ariceli;
nè era lecito loro di trasportarli da un luogo ad un altro senza
licenza del gabelliere.

Gli ordinamenti del vino sono contenuti nei capitoli XV-XX.
Non si poteva vendere il vino al minuto senza aver prima pagato
al gabelliere sei denari provisini per ogni lira del prezzo del vino
e senza essersi prima fatta rilasciare una polizza, che veniva af-
fissa al recipiente (1). Ai tavernieri non era lecito di tenere una
candela, la quale indicava che il vino era da vendere, se non sui
recipienti, ai quali era affissa la polizza del gabelliere. I compra-
tori e i venditori di vino all'ingrosso dovevan darne*avviso al
gabelliere e questi.ultimi pagar la gabella. Nessun poteva intro-
durre il vino in città senza pagar il dazio (2). -

(1) Ad Orvieto si pagava invece 12 denari cortonesi per ogni lira del prezzo del
vino e 2 denari, se la vendita era fatta all'ingrosso. Ad Orvieto pure v'era la disposi-
zione che non si potesse vendere il vino senza una polizza rilasciata da un officiale
della colletta (8 XCVIIII dello statuto del 34; De vino non vendendo ad minutum
absque apodiaa et sigillatione iudicis vet offitiatis collecte et de licentia, concedenda).
(2) Statuto del '34, 8 XC
Ra

68 ^ d Gi PARDI

Gli ordinamenti sul bestiame si leggono nei capitoli XXI-VII.
Qualunque persona vendesse bestie morte o macellate pagava otto
denari provisini di gabella per ogni lira del prezzo delle bestie (1).

Era assegnato un luogo, dove i macellari potevano comprare :
e vendere le bestie. Se le acquistavano da un abitante del distretto
di Roma, dovevan ritenersi sul prezzo i denari per pagar la ga-
bella all'ingresso della città e versarli nelle mani del gabelliere.
Chi vendesse o comprasse qualche bestia fuori del luogo stabilito
a ciò (extra campum Turchiani), o le barattasse anche nel di-
stretto, doveva notificar la cosa al gabelliere e pagar la gabella.

ll capitolo XXVIII contiene i dazi dei panni che s'introdu-
cevano in città (2).

Era imposta una lassa, sebbene assai piü leggera, sui panni
che si estraevan dalla città.

Nel capitolo XXX troviamo i dazi delle tele (3); nel XXXI
quelli dell'unto, della sciugna, delle carni salate, dei pesci freschi,
degli uccelli e degli animali selvatici; nel XXXII la gabella della
lana tosata; nel XXXIII del ferro lavorato e non lavorato; nel
XXXIIII delle spezierie e mercerie. Quesle ultime unitamente alle
grascie, al lino, ai pannilani e al canavaccio non si potevan
estrarre dalla città (cap. XXXV).

La gabella della mortella è esposta nel capitolo XXXVI, quella
dei cuoi nel XXXVII, delle mercanzie nel XXXVIII.

' Dovevan pagar gabella, come ad. Orvieto, quelli che vende-
vano, alienavano o donavano qualche fondo (cap. XXXVIII).

Del cacio romano si pagava dazio soltanto a venderlo a car-
rate, di quello forestiero anche a venderlo a minuto (cap. XXXX).

Chi conduceva mercanzie, spezierie e mercerie in città doveva »
notificarlo al gabelliere nel termine di un giorno (cap. XLI)

Nesstino, se interrogato dal gabelliere, poteva cambiare il
proprio nome o negare di darlo (cap. XLII). Non era lecito di i
porre in unas barca o in un legno aleuna mercanzia senza licenza
del gabelliere (XLIII). Non si poteva trasportar da luogo a luogo

do

(1) Ivi, 8 CVI. Ad Orvieto le bestie niacellate pagavano un dazio più o meno alto "v
secondo la loro qualità.
(2) Ivi, 8 XVIIII. Si può vedere facilmente quanio fossero maggiori i dazi sull in-
troduzione dei panni a Roma che ad Orvieto. i
3) Ivi, $ XXI. GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 69

un oggetto sottoposto a gabella (cap. XLIIII). Chi comprasse mer-
canzie da un barone forestiero o da un ecclesiastico, doveva rite-
nersi il danaro necessario per pagar la gabella (cap. LV). Gli osti
eran tenuti a denunciare al gabelliere gli ospiti loro, che condu-
cessero mercanzie alla città (cap. LVI). I mezzani pure dovevan
denunciargli le vendite fatte di cose sottoposte a gabella (capitolo
XLVII). Pagavano gabella anche i venditori di calce e quelli che
introducevano in città legnami lavorati (cap. LII e LIIII).

Gli altri rimanenti capitoli dello statuto riguardano l'ordina-
mento amministrativo della: gabella; ma non parlano se non del
gabelliere maggiore, il quale, come il giudice della colletta orvie-
tana, aveva la facoltà di procedere in qualunque modo. contro i
frodatori della gabella, farli arrestare, carcerarli, punirli e mul-
tarli. Poteva tenere quanti famigli volesse per fare eseguire i propri
ordini; e dalle sue sentenze non era lecito appellarsi.

Come si scorge adunque da quello che abbiamo riferito, per
quanto lo statuto delle*gabelle romane pubblicato dal Malatesta
sia interessantissimo, perchè riferentesi alla città d’Italia più,glo-
riosa e degna di essere illustrata storicamente, tuttavia non è
esposto in esso, compiutamente nè il sistema daziario nè l'orga-
namento amministrativo delle gabelle, come vedremo essere in-
vece fatto con minuzia*grandissima negli statuti della colletta or-
vietana, i quali, pertanto, gettano una luce insolita sugli ordina-
menti: economici dei comuni italiani del: medio evo.

"

8 6.

Come dagli antichi statuti della città eterna il Malatesta trasse
copiose notizie intorno alle gabelle romane, noi pure possiamo
meltere in luce maggiore gli ordinamenti economici d'Orvieto ri-
correndo alla Carta del popolo, quale la vediamo nella correzione
del 1328 (1), ed agli statuti politici della città, nella forma, in cui
furono compilati tra il 1574 ed il 1581 e messi a stampa in que-
st'ultimo anno (2). Ma, veramente, la Carta del popolo: non con-

(1) L. FUMI, Cod. dipl., p. 729 — 816.
(2) Statutorum — Civitatis Urbisveteris Volumen — Romae, apud heredes Antonii
Bladii — impressores camerales, 1881.
SUE]

0 G. PARDI

tiene se non pochissime disposizioni economiche, mentre di questa
>
materia è trattato diffusamente negli statuti: i quali, sebbene com-
ilati e stampati in tempo assai tardo, nondimeno serbano eli or-
b) ) Le»)
dini antichi intorno alle gabelle più o meno modificati.
o
Un libro intero, il sesto, parla- delle gabelle; ma alcuni ac-
> b] o pj

cenni a cose economiche trovansi pure negli altri libri. Ad esempio
tra gli uffici dei Conservatori della pace, suprema magistratura
della città in quel tempo; eravi pure.di impedire che non fosse e-
stratta alcuna specie di frumento dal territorio orvietano (1). La
rubrica 23» del libro primo parla della» elezione dei notari dei ca-
tasti, la 27» dell'ufficio del ponderatore della farina, la 32* del
cultore *e'del dispensatore del sale, la 34° dell’ assegnatore dell'as-
segna, ufficiale il quale, del mese d’ottobre, doveva andare attorno
per la campagna e notare quanto avesse raccolto ciascun contà-»
dino di grano, vino, ecc. ed ogni bestia che possedesse. Eravi poi
un cultore dell'assegna, incaricato di far pagare a tali contadini
due soldi per ogni salma di vino raccolta, sedici denari per salma
di grano, ecc. (2). I macellai dovevan giurare di vendere carni
buone (3), gli oliari di dare il giusto peso (4), i mugnai di non
prendere se non la ventesima parte della farina macinala (5), i
fornai di tener pulito il forno, cuocer bene il pane ed esercitare
legalmente l’arte loro, ecc. (6).

Ma veniamo ad esaminare il libro sesto, che tratta propria-

mente delle gabelle.

- Queste, ogni anno, erano poste all'asta dai Conservatori è

vendute al maggior offerente. Qualunque avvenimento accadesse,
che ne diminuisse l’entrate, cavalcate, guerre, grandine, gelo, di-
luvio, sterilità, carestia, etc., tutto era a rischio e pericolo dei
compratori (7).

Le rubriche II-XX (8) contengono i dazi di introduzione, di

(1) Ivi, p. 9: Teneantur etiam providere . . . . , quod non extrahatur aliquod
genus frumenti extra tenimentum ipsius Civitatis.

(2) Ivi, p. 61, rubrica XXXV.

(3) Ivi, p. 66, r. XL.

(4) Ivi, p. 68, r. XLIII.

(5) Ivi, ivi, r. XLIV.

(6) Ivi, p. 69, r. XLV.

(7) R. la, p. 262 — 5.

(8) P. 260 — 286.

Ld GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » T1

esportazione e passaggio degli oggetti spettanti alle arti dei mer-
canti, lanaioli, calzolai, merciai, fabbri, procaccianti, salumai, funai,
muratori, legnaiuoli, vasellai e tegolai, corbellai e pomaioli. Chiun-
que facesse contro gli ordinamenti della colletta portando in città
qualche mercanzia senza pagar gabella, da otto denari in su, do-
veva pagare 25 lire di multa e per di più 12 denari ogni denaro
che occorresse per isdaziare la merce. Chi scopriva il contrav-
ventore e lo denunciava aveva in ricompensa la terza parte della
multa, e la quarta parte l’officiale della colletta, se scopriva da
sè o per mezzo de’ suoi famigli, siffatti contravventori.

Ogni cittadino orvietano sì della città che dei borghi o del
contado, era obbligato ad obbedire al giudice della colletta ed agli

officiali e banditori di lui, sotto pena di 20 soldi per ciascheduna
volta. Se invece di un privato disobbediva una università, comu-
nità od arte era multata in 100 soldi.

Era punito gravemente chi facesse offesa al giudice, agli of-
ficiali ed agli esecutori della colletta (1).

Chi faceva alcuna cosa contro agli ordinamenti della gabella,
qualora lo confessasse, pagava un quarto meno della pena a cui
per avventura fosse stato condannato (2).

Interessanti sono le disposizioni intorno alla gabella delle carni
contenute nella rubrica 235.

L’officiale della colletta aveva potere di punire quelli che ma-
cellassero o vendessero carni malsane, e di farne inoltre restituire
il prezzo ai compratori. La pena era di 40 lire.

I macellai erano obbligati a pagare un tanto ogni bestia
che macellassero o vendessero al minuto; se poi la città, per
qualche circostanza, aveva bisogno d’ aiuti pecuniari, pagavano
il doppio del consueto.

Il giudice della colletta assegnava il prezzo a ciascuna specie
di carne e nessuna poteva essere venduta più di quanto egli aveva
stabilito.

| macellai dovevano vendere le carni senza finzioni e senza
frodi e non già una bestia per un’ altfa o la carne di un animale
maschio per quella di una femmina e viceversa. Perciò era or-

(1) Rubrica XXI, p. 284 — 6.
(2) Rubrica XXII, p. 286. > MR PRSE » -
B var È M EDS sd bre oa B ms
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"= aria aes » r
(2 G. PARDI

dinato che le carni delle bestie dell’ un genere fossero tenute in
un banco ed in un altro separato quelle delle bestie di differente
specie. Così dovevano essere poste sur un diverso banco le carni
di»animali morti e quelle di animali macellati.

Interessanti eziandio sono le disposizioni sulla gabella del
vino (1). Si pagava a ragione di quanto costava a foglielta: 12
soldi a salma, se la foglietta era venduta 6 denari; 16 soldi se ad
8 denari, ecc. Inoltre dovevano pure i venditori di vino a minuto
consegnare al compratore delle gabelle 6 soldi per ogni salma di
vino venduta, se questo era stato da essi comprato e non rac-
colto ne’ loro possessi. Ogni mese erano costretti a fare il com-
puto del vino venduto e versar la gabella nelle mani del com-
pratore. Il quale, alla sua volta, doveva ogni mese consegnare una
quota della somma pattuita al camerario del comune. Aveva egli
poi tempo sei mesi a riscuotere i crediti; trascorsi i quali, questi
passavano al comune ed il compratore della gabella non aveva
più diritto di esigerli. Inoltre, se non versava nel tempo stabilito
la quota della somma dovuta per la ‘compera della gabella del
vino, ‘aveva l'obbligo di pagare un quarto di più, di cui la metà
andava a beneficio dell’ opera del duomo.

Son degni di ricordo anche gli ordinamenti sul mercato delle
bestie, uno dei traffichi più importanti per gli Orvietani (2).
Qualunque cittadino che comprasse o vendesse qualsiasi. specie
di bestie, entro otto giorni, doveva far nota tale compera o ven-
dita al gabelliere della gabella del mercato; poichè tanto chi ven-
desse o comprasse come chi barattasse aveva l'obbligo di pagare
una determinata gabella. Così chi desse o ricevesse una bestia a
soccita, ma soltanto al tempo di far la divisione.

Seguono altre varie disposizioni, che sarebbe lungo riferire.
Se alcuno poi contravvennisse a tali ordinamenti, era punito; ed
il podestà e 1 suoi officiali erano obbligati a render giustizia som-
maria al gabelliere, dargli consiglio ed aiuto e procedere contro
i fraudatori della colletta prendendoli ed imprigionandoli.

Soltanto non si pagava alcuna gabella, nè comprando, nè
vendendo, nè barattando nè dividendo soccite, quando in Orvieto

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(1) Rubrica XXIII, p. 288 — 291.
(2) Rubrica XXV, p. 391 — 4.

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GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 13

vi erano fiere nel campo detto appunto della fiera. E giorni di
fiera erano i seguenti: la festa del Corpo di Cristo con otto giorni
precedenti ed otto seguenti, il giorno dell’ Assunzione di Maria
con quattro giorni innanzi e quattro dopo, il giorno di S. Brizio
con tre giorni prima e tre dipoi.

I capitoli che seguono risguardano l'ufficio del pesatore e del
misuratore del comune, le taglie delle arti, ecc. Sono notevoli gli
ordinamenti dei pesci alla rubrica XXXVII. Termina il libro con-
cernente le gabelle col ripetere la disposizione che i gabellieri
avevano tempo sei mesi a riscuolere i loro crediti, terminati i
quali, le somme non riscosse spettavano di buon dritto al Monte
di Pietà.

Sm

La storia della colletta del comune di Orvieto porge occasione
a fare alcune considerazioni, che noi brevemente riassumiamo.

Si capisce facilmente dall'opera magistrale del Cibrario quanto
le istituzioni finanziarie dei comuni medioevali del Piemonte fos-
sero imperfetti; gli ordinamenti economici del regno delle Due
Sicilie, come apprendiamo dal Bianchini, per quanto fino dal
tempo dei Normanni fossero egregiamente istituiti, non giunsero
tuttavia alla perfezione di quelli dei comuni toscani, come hanno
dimostrato il Canestrini per Firenze, il Banchi per Siena ed il
Bongi per Lucca: la Toscana è la patria della economia politica
italiana ed a Firenze deve ricorrere Roma per impiantar le ga-
belle, ed a Siena, per la slessa ragione, Orvieto.

Tale imposizione sui beni mobili non poteva non suscitare
l'odio del popolo: l'averla meglio ordinata ed accresciuta fu ca-
gione che a Roma Cola di Rienzo incorresse nel disfavore po-
polare.

Ad Orvieto le gabelle erano state imposte quando il comune
si lrovava in gravi ristrettezze per sostenere la guerra con Nello
Della Pietra; ed erano state impiantate con la promessa di toglierle
appena estinto il debito contratto per sostenere il decoro ed i di-
ritti della città. Ma quando gli Orvietani videro che non sarebbero
state tolte tanto a fretta, cominciarono a mormorare e finalmente
proruppero in aperta sedizione contro un gravame siffatto.

6
G. PARDI

Ermanno Monaldeschi, primo signore d’ Orvieto, per una

lunga guerra intrapresa allo scopo di riacquistare le terre della
marittima e per molte opere di pubblica utilità compiute, aveva |
cresciute, come Cola a Roma, le gabelle. Venuto egli a morte 1
nel 1337, i figli cercarono di fargli succedere nella signoria il :
fratello di lui, Tramo vescovo d'Orvieto. Allora il popolo, incitato 1

dal conte Petruccio di Montemarte e da altri nobili, si levò a

rumore gridando: morano i tiranni e mora la colletta (1). Donde

si vede che pari all'odio per i tiranni avevano quello contro lo |
H

gabelle. Infatti, profittando della favorevole occasione, il 23 marzo

1338, la moltitudine sollevata al grido di abbasso la colletta, pose
a ruba la casa ove abitava messer Andrea da Trevi giudice della i
medesima (2). : 1

Lo stesso giorno il consiglio delle Riformagioni, per impedire
mali peggiori, aboliva la colletta tra le acclamazioni del popolo (3). E.
Ma erano appena trascorsi quindici giorni che i reggitori del co-
mune rimettevano in vigore ció che, costretii, avevano abolito (4).

(1) Cronaca inedita degli qevenimenti in Orvieto e di altre parti d? Italia, dal-
l'anno 1333 all'anno 1400 di FRANCESCO MONTEMARTE conte di Corbara, corredata di
note storiche e d inediti documenti dal marchese FILIPPO ANTONIO GUALTERIO, Torino,
1846, I. 12.

(2) Questo si capisce dalle Riformagioni del 2 aprile 1338 (p. I, s. IIT, n; XLIV,
c. 42) « Item proposuit dictus capitaneus quod — cum sapiens vir dominus Andreas
Vannis de Trevio electus fuerit per urbevetanum comune seu per autenticum consilium
comunis eiusdem in iudicem et officialem collecte civitatis Urbisveteris pro tempore
SeX TüCHSIum. $92 2 25.50 et dictum offitium acceptaverit et, ipsum operari in-
ceperit et operatus fuerit a dictis kalendis [februarii] usque in diem vicesimum ter- d
tium mensis martii proxime elapsi, et ipsa die dicta collecta, ad rumorem populi nec :
non per reformationem autentici consilii civitatis iam dicte, fuerit revocata: et cassa
in totum, et ipso rumore dictus dominus Andreas fuerit massaritiis et rebus pluribus
spoliatus — et petierit et petat idem dominus Andreas cum summa instantia. sibi de
toto salario sibi pro dicto offitio et ratione dicti offitii promisso pro toto tempore sex
mensium predictorum satisfieri; asserens quod per eum non stat nec staret quin dic-
tum offitium operaretur, ac etiam de dampnis per eum receptis ratione rerum. sibi
ablatarum supradicta die qua collecta predicta sic extitit revocata — quid videtur et
placet dicto consilio providere et ordinare super satisfactione sibi domino Andrea fa-
cienda de salario supradicto et de dampnis predictis » ecc,

(3) Rif. n. XLIV, c. 14 t.: « Item [proposuit dietus dominus capitaneus] quod ;
collecta et salaria comunis Urbisveteris, nunc existentes et vigentes pro ipso comuni |
in civitate predicta, ex nunc sint cassa, vana; revocata, irrita et nullius efficacie vel va-
loris, ita quod in civitate ipsa non vigeant nec possint de cetero exiti ullo modo.

(4) Rif. n. XLIV, c. 62 t.: « Item anno domini et indictione predietis, die VIII
mensis aprelis, Convocato et congregato supradicto consilio dominorum Septem seu
quinque de dictis Septem et viginti sapientum virorum nobilium et popularium civi-
tatis Urbisveteris in sopradictis domibus sancte romane ecelesie in quibus predicti
domini Septem in dicta civitate morantur ad eorum offitium exercendum, ad sonum

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GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 15

L'atto con il quale fu ordinato che il giorno stesso si pagassero
di nuovo le gabelle e i pedaggi come si soleva far prima, ei porge
una nuova conferma di una usanza molto diffusa nelle repubbli-
che italiane del medio evo.

Le gabelle sono una dura necessità, contro la quale invano
si sono ribellati i popoli. Si è visto che Orvieto le impose per
sostenere una guerra e che Ermanno Monaldeschi le aggravó per

campane et requisitionem nuntiorum ut moris est, de mandato predictorum quinque
de dominis Septem, dictum consilium et consiliarii ipsius stantiaverunt, ordinaverunt
et deliberaverunt et firmaverunt, celebrato prius et misso inter ipsos consiliarios sol-
lempni scruptineo et scorto (sic) partito de bussolis ad palluctas, et obtento per. vi-
gintiduas palluctas repertas in bussola rubea de sic, non obstante una pallucta reperta
in bussola nigra de non in contrarium, Quod, «ad hoc ut pecunia veniat in comuni et
camera comunis Urbisveteris pro expensis necessario faciendis in comuni predicto,
Quod pedagium et alii fructus et introytus et proventus et qui colligi et exigi consue-
verunt temporibus retroactis, et quod Vannutius dictus Riccius, filius magistri Necti
calzolarii, sit et esse debeat collector et exactor predictorum pedagii, fructuum, introy-
tuum et proventuum — proventus et redditus supradictos, ut aliter colligere et exi-
gere consuevit —, Et quod ipse Vannutius teneatur apodixas facere omnibus et sin-
gulis hominibus et personis, qui et que aliquid solvant occasionibus predictis vel
aliqua ipsarum, sigillatas cera rubea in quibus contineantur res, merchantié et bestie
pro quibus et quarum occasione pecuniam receperit, et quantitates pecunie, et tales
apodixas mictere ad Janum Berardini campsorem, qui Janus teneatur et debeat ipsas
apodixas registrare in quodam libro et in eis, facta registratione, apponere sigillum,
suum seu cognolum de cera viridi, Et quod ipse Vannutius dictus Ritius mutuet et
mutuare teneatur comuni predicto seu camerario ipsius comunis pro ipso comuni
quinquaginta florenos de auro, quos quidem quinquaginta florenos predictus Vannu-
tius dictus aliter Ritius sibi possit et valeat, sine sui preiudicio et gravamine, reti-
nere de prima pecunia quam collegerit de pedagio et aliis introytibus et fructibus su-
pradictis, Et quod illis de civitate Anchone non possit nec debeat accipere ultra viginti
soldos denariorum pro salma, non possit eliàm accipere ullum aliquid in pecunia vel
re aliqua pro aliqua apodixa per eum fienda, ad penam centum soldorum pro qualibet
et qualibet vice, Et quod ipse Vannutius aliter dictus Ritius habeat et habere debeat
pro suo salario et labore offitii supradicti quolibet mense centum soldos denariorum
cortonensium seu perusinorum pernorum, quod salarium sibi possit et valeat de su-
pradicta pecunia colligenda per eum sive sui preiudicio retinere, Et supradictus Janus
habeat et habere debeat pro suo salario et labore dicti offitii quolibet mense quadra-
ginta soldos predicte monete, quod salarium memoratus Vannutius dictus Ritius eidem
Iano de suprascripta pecunia possit tenere et debeat dare et solvere omni effectu. Of-
fiiium quorum Vannutii et Iani duret et durare debeat usque quod ipse Vannutius di-
ctos quinquaginta florenos collegerit et exegerit cum effectu, ecc.

Item stantiaverunt, ordinaverunt ecc. quod Matheus Vitus dictus Matheus Val-
dorcie sit et esse debeat collector et exactor apud portam maiorem civitatis predicte pe-
dagii et aliorum fructuum, reddituum et proventuum exieendorum a forensibus sicut
consueverunt exigi temporibus retroactis, Et quod ipse Matheus habeat et habere
debeat pro suo salario et labore unius mensis venturi ab hodie in antea inchoandi,
quo morari debeat ad ipsam portam ad predicta facienda, tres libras denariorum cor-
tonensium, ecc.

Item stantiaverunt, ordinaverunt eec. quod Angelutius dictus Prinzadore sit col-
lector et exactor ad portam Pusterule ecc. et quod ipse Angelutius habeat et habere
debeat pro suo salario ecc. tres libras denariorum cortonensium.
16 G. PARDI

condurne a termine un'altra. Ma talvolta, non bastavano né le
imposte sulle proprietà immobili né su quelle mobili a far fronte
alle spese dei minuscoli stati italiani del medio evo. Allora si ri-
correva ad imprestiti o con usurai ebrei o lombardi o con i più
ricchi cittadini; talvolta si imponevano tali imprestiti, che si di-
cevano in tal caso prestazioni forzate. Ermanno Monaldeschi per
condurre a termine opere di utilità pubbliche e per sostenersi
contro i nemici esterni ed interni, e Benedetto della Vipera e Mat-
teo Orsini, per soddisfare le loro voglie e capricci, imposero ai
cittadini di tali. prestazioni forzale.

Ma come guarentire la restituzione dei danari presi a pre-
sito? Non rimaneva ai reggitori dei comuni altra via se non
quella, di porre nelle mani dei creditori l'uno o l'altro introito
dello stato fino all'estinzione completa del debito: a questo servi-
vano più specialmente le gabelle.

Genova, avendo nel 1148 guerra con i Saraceni di Spagna,
contrasse un debito con i Veneziani, assicurando ai mutuanti, per
malleveria dei denari sborsati, i proventi di alcune gabelle per
un determinato tempo. Un simiglianle impreslito fece Venezia
negli anni 1164 e 1207. Pisa nel 1315, avendo preso a prestito
dai cittadini 10,000 fiorini d'oro, obbligò ai creditori per la sicu-
rezza del rimborso le gabelle del comune, e nel 1317 le gabelle
della dogana del sale di Pisa e di Degazia.

Orvieto pure, come le altre città italiane di quel tempo, ricor-
reva agli stessi mezzi per guarentire i mutuanti. Si è visto come
nel 1394, quando istituì le gabelle, le obbligò ai creditori, in estin-
zione del debito contratto di 22,000 lire cortonesi. E con lo stesso
allo, con il quale, 8 aprile 1338, riponeva in vigore la colletta,
ordinava di prendere a prestito da un tal Vannuccio, sopranno-
minato Riccio, 50 fiorini d’oro e lo faceva collettore dei dazi delle
gabelle finché egli non si fosse ritenuta Ja somma mutuata,

Pertanto, come conclude in un suo pregevole studio sulle co-
stituzioni finanziarie medioevali il Morpurgo (1) « questi debiti appa-

riscono nella loro sostanza, siccome l' espressione di un'alta mora-

(1) E. MonPunco. Lu critica. storica e gli studi intorno alle istituzioni fimanziarie
principalmente nelle repubbliche italiane del medio evo. (Atti della R. Accademia dei
Licei, anno 275, 1876 — 7, p. IIIa, vol, I).

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GLI STATUTI, DELLA « COLLETTA » SICA:

lità politica, nella forma con cui si provvede al servizio degl’ in-
teressi ed alla loro estinzione; siccome ‘una prova luminosa di
molta perizia di governo. La compera, ossia la cessione della
gabella ai creditori dello Stato, è dappertutto, come osserva il
più accreditato storico della banca di S. Giorgio, uno dei mezzi
più ingegnosi e più abili che gli uomini: di Stato del medio evo
potessero escogitare per rispondere al debito sacro della. fede
pubbliea e per far collaborare il cittadino al miglioramento della
finanza dello Stato ».

Quando le gabelle non erano cedute ai creditori delle repub-
bliche, generalmente. venivano affittate. Nel Libro dei Proventi
del comune di Lucca si trovano varie notizie intorno a tale affitto
delle gabelle. Per Orvieto le rinveniamo nello statuto politico -del
1581, proprio nel primo capitolo del libro che vi si riferisce.

Le gabelle della città si dovevano vendere ogni anno. I Con-
servatori, quindici giorni prima che scadesse l'affitto dell’ anno
precedente, dovevano far bandire sulla piazza maggiore della cîttà
che chiunque volesse comprare la gabelle per l'anno susseguente
si recasse innanzi a loro nel palazzo del podestà e ponesse la
propria offerta in un bacile: il diritto di compera sarebbe stato
aggiudicato a. colui che offrisse di più. Promulgato questo bando,
i Conservatori sì recavano nel palazzo del podestà e, fatta suonare
tre volte la campana del popolo, si sedevano al tribunale della
sala grande. Ponevano allora all'asta le gabelle, assegnando loro
un determinato prezzo secondo le condizioni del tempo. Chi offriva
di più, poteva ritenere sulla somma superante la proposta dei Con-
servalori cinque soldi ogni fiorino. Il cancelliere del comune leg-
geva le offerte e le gabelle erano affittate a chi desse una somma
maggiore, Se più d’uno si trovava ad offrire il prezzo massimo,
o contraevano essi una società fra loro spartendosi il guadagno
o dovevan fare di nuovo la proposta. Quegli, a cui rimanevano
definitivamente, doveva dar subito per mallevadori uomini appar-
tenenti alle corporazioni delle arti, che possedessero il doppio del
prezzo stabilito per la compera di una o più gabelle. Era vietato '
assolutamente che un nobile, un soldato, un conte, un dottore o
uno dei principali abitanti della città, od alcuno che avesse qual-
che privilegio od immunità, servisse da mallevadore ai compra-
tori delle gabelle. Dei quali era a tutto rischio e pericolo qualun-
*

18 G. PARDI

que infortunio potesse succedere, come cavalcate, guerre, gelo,
grandine, ecc. Non potevano adunque a cagione di questi chiedere
alcuna diminuzione del prezzo delle gabelle.

Così non era, almeno: ne’ primi tempi, a Lucca, dove, avendo
dei soldati mercenari tedeschi guastate le campagne sul princi-
piare del sec. XIV, i compratori delle gabelle della vicaria di Ca-
maiore, i quali furono grandemente danneggiati, chiesero di es-
sere reintegrali de' danni sofferti e l'ottenero (1).

Ad Orvieto era costume di vendere le gabelle sin da quando
furono istituite. I capitoli COXXVI-XXX dello statuto della colletta
del 1334 riguardano appunto i compratori delle gabelle. Era stabilito
che ognuno di costoro tenesse dei libri originali ed autentici, si-
gillati col sigillo della colletta dagli esecutori di questa, nei quali
dovesse scrivere tutti i pagamenti fatti. E se alcuno di loro ricu-
sasse di far vedere a qualsiasi persona tali libri era punito con
la multa di cento soldi per ciascuna volta. Avevano l'obbligo di
fafe una polizza, scritta di proprio pugno, a chiunque pagasse la
colletta. Non potevano chiedere i residui delle gabelle (quello che
ad alcuno era rimasto da pagare) se non per mezzo di libri au-
tentici e nel luogo dove stavano il giudice e gli esecutori della
colletta. Erano finalmente condannati alla multa di dieci lire se
chiedevano un dazio già pagato.

Le gabelle dei comuni italiani furono anzitutto protezioniste
e per evitare carestie o si proibì assolutamente l'esportazione
delle grascie o si gravó di fortissimi dazi facilitandone invece l'in-
troduzione. Ad Orvieto, come si è visto nello statuto del 1581, era
vietato di portar grascie fuori del territorio della repubblica.

Anche nel 1334 non doveva esser lecito esportar le biade,
perchè nello statuto di quest’ anno (2) si parla soltanto del dazio
da pagarsi all'ingresso delle porte della città. 1l vino, perchè
probabilmente ve n’era abbondanza e perchè, essendo molto buono
e ricercato, produceva lauti guadagni per gli Orvietani, si poteva
estrarre; ma occorreva averne avuto licenza dal giudice della
colletta e pagare un dazio assai rilevante, poichè mentre una
soma di, vino era daziata, all’ ingresso delle porte, due denari, al-

(1) Si vegga il citato Libro dei Proventi, mss. dell'archivio di Stato in Lucca.
(2) S. LXXIII,

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»

XLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 79

l'uscire dal contado pagava quattro soldi, una somma ventiquattro
volte maggiore (1). A

Una delle costumanze più diffuse del medio evo era quella
di concedere esenzioni a persone speciali e ad enti morali, spe-
cialmente ad opere pie. In cima a tutti i pensieri degli Orvietani
è stato sempre l' innalzamento del loro magnifico duomo, per con-
correre alla costruzione del quale si affratellavano, dimentichi
d'ogni ira, guelfi e ghibellini, monaldeschi e filippeschi, beffati e
mercorini, nobili e plebei, uomini d’ogni specie e d’ogni condi-
zione. E quindi naturale che i reggilori del comune concedessero
esenzioni e privilegi all'opera di S. Maria. Erano infatti esenti da
ogni gabella le pietre portate in città per la costruzione della cat-
tedrale (2). Inoltre una parte di alcune delle multe imposte dal
comune a chi contravveniva alla colletta andavano a beneficio del-
l'opera del duomo (3).

Così nella storia d’Orvieto, sì politica che civile, finanziaria e
religiosa, si trova sempre qualche accenno a questa gemma me-
ravigliosa, che forma una delle glorie d’Italia, se tanto le vicende
procellose della politica quanto le astuzie della finanza si intrec-
ciano con la storia dell' arte.

I comuni medioevali solevano pure concedere siffatte esen-
zioni ai dottori dello studio (4) e ai forestieri, ad es., agli ebrei.
Questi veggonsi adoperati per banchieri ad Orvieto già nel se-
colo XII e con certi privilegi temporanei; per quattro anni nel
1297, per sette nel 1301 e così via di seguito, secondo l’ usanze
delle altre repubbliche italiane. Abbiamo già osservato come nel
1312 imprestassero al comune orvietano 15,000 fiorini d’oro. Ne
ottennero, in contracambio i seguenti privilegi: 1.» che essi ed i
loro eredi e qualunque ebreo nominato da loro di comune accordo
fossero riconosciuti per veri cittadini orvietani; 2.° che i debitori
loro fossero giudicati e condannati dal podestà o dal capitano del
popolo ; 3.° che tali debitori venissero imprigionati nelle carceri
del comune fino a quando non soddisfacessero il debito con-
tratto; 4.° che avessero facoltà di pignorare o prender possesso

(S DXXXXLS

(2) Statuto del '34, 8 XLVI.
(3) Statuto del 1581, 8 XXIII,
(4) FUMI, La Carta del popolo, pag. 781, 799,
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FONTE M: SIE UM. o Ia AE i ui
80 G. PARDÎ

dei beni di chi dovesse loro qualche somma; 5.° che non fosse

lecito costringerli a far mutui, quando non. vi consentissero libe-
ramente ; 6.° che nessun altro Ebreo potesse stare in Orvieto senza
il consenso dei medesimi; 7.° che potessero portar armi offensive
e difensive, ecc. ecc. (1). E vero che questi privilegi furono tolti
loro, ma altri Ebrei vennero nuovamente accolti ad Orvieto nel
1396, con privilegi grandissimi, tra i quali di andare immune da
ogni onere e servizio personale (2). S'aggiunga inoltre che lo sta-
tuto orvietano del sec. XIV, per permettere ai forestieri, sì cri-
sliani che ebrei, di venire a popolar la città, concedeva ai mede-
simi esenzione dai servigi pubblici ed immunità per vari anni.
Se un forestiero faceva domanda di ciò ai reggitori della città,
otteneva tali immunità, ma doveva giurare di star fermamente ad
Orvieto, il Cristiano per it Vangelo e V Ebreo PER LEGEM MoISE.
— .« Queste considerazioni e decreti sapienti (conclude appunto
sulle note dal Fumi comunicategli da Orvieto il Rezasco (3), fa-
cevano i nostri buoni antichi, quando d'economia politica non si
insegnava per le scuole e non si parlava. Ora che la s'insegna
e se ne fa pompa e strazio a buon mercato, ora credono in Francia
di medicare l'infermo aumento della loro popolazione nel 1886 ca-
lato da 108,229 anime a 5,560, chiudendo le porte a’ forestieri (4);
perchè i forestieri si contentano di lavorare di più e d’ esser pa-
gali meno ».

Con questa calzante conclusione del compianto Rezasco chiudo
anch'io la presente esposizione, dispensandomi dal dire di più, a
maggior conoscenza dell'argomento, la pubblicazione del testo della
CoLLETTA, che ad invito del presidente della Società Umbra,
ho avuto l'opportunità di studiare per il primo, lieto se chi mi se-
guiterà nell'esame di altri Statuti congeneri non riconoscesse af-
fatto inutile la cura che io ho speso intorno a questo bel codice
orvietano.

Orvieto, dicembre 1894.

G. PARDI.

(1) L. FUMI, Cod. Dipl., p. 418 — 9.

(2) G. REZASCO, Segno degli Ebrei, Genova, 1889, p. 88.
(3) Ivi, p. 89,

(4) L’ Economist Francais, 1 octob. 1887.

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GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 81

NOTA BIBLIOGRAFICA

Prima di por termine a queste studio reputo conveniente riferire la
lista delle pubblicazioni fatte, per il passato, di statuti delle gabelle
di.città o stati italiani, traendo per ciò le notizie dall’ erudita opera di
Luigi Manzoni (1).

Lo statuto delle gabelle di Alcamo del 1367 (Membrana Gabellarum
terrae Alcami anni praesentis VII indict. MCOCLXVII sub regia di-
ctione) è stato pubblicato dal prof. Vincenzo di Giovanni nell' opera in-
titolata Notizie storiche della città di Alcamo, Palermo 1816, p. 52-69 (2).
Lo statuto delle gabelle di Argenta del 1391 (Pacta datiorum et Gabel-
larum. Comunis Argente) trovasi, ancora inedito, nella biblioteca Mal-
vezzi De Medici (9).

Così è manoseritto ricordato da V. La Mantia nella Storia della le-
gislazione siciliana (t. II, p. 58) il Libru di la Segrezia di la Città di
Augusta che contiene appunto le tariffe delle gabelle (4).

I Capitoli del Datio, dell’ Imposta, delli Composti et Tassati della
guardia et Contado di Bologna furono stampati a Bologna nel 1552 (5).

Di Brescia furono pubblicati: Liber pactorum et daciorum Civitatis
Brixiae (Brescia, 1497); Liber pactorum. daciorum Brixiae (Venezia,
1552) (6); Liber Pactorum Daciorum inclytae civitatis Brixiae nec non
obligationum et ordinum, in quibus Daciarii ac Debitores Camere euisdem
Civitatis tenentur (Venezia, 1552) (1). "

Nell’ esemplare degli statuti di Cagli posseduto dal prof. Vanzolini
dopo ia e. 180 seguono sei carte che parlano:

Della Gabella e Pagamenti della Gabella del passaggio della città
di Cagli (8).

(1) L. MANZONI. Bibliografia statutaria e storica italiana, Bologna 1879-03.
(2) Op. cit., vol. I, p. 22, p. 87.

(3) Ivi, p. 96.

(4) Ivi, p. 101.

(5) Ivi, p. 114.

(6) Ivi, p. 122.

(7) Ivi, vol. I, p. 18, p. 79.

(8) Ivi, p. 2a, p. 129,
-—

que

oo
DO

G. PARDI

Capitoli delle Gabelle de’ Sali di Cattaro, Badua, Risano e Castel
Novo coi suoi territorii (senza luogo nè data di stampa) (1).

Capitoli e Tariffe parziali per li dazi di consumo della Fiscal Ca-
mera di Cr&ma, approvati dai rispettivi decreti dell’ Eccell. Senato 18
Marzo 1784 (senza luogo nè data di stampa).

Provigioni et dacii di Cremona (Cremona, 1590) (2); Capitoli tra 1a
R. Camera et li Datiarii della Gabella grossa di Cremona per gli anni
1700, 1701, 1702 (Milano, senza data) (3). j|

Tariffe et capitoli delle gabelle della città di Cuneo stati approvati
dall’ Ecc. Regia Camera dei Conti per forma di declaratoria delli 6
Maggio 1774 (Torino, senza l' anno della stampa) (4).

Capitoli della Gabella del Sale di Curzola e suo Territorio (Venezia,
senza data) (5).

Capitoli per la Generale deliberazione delle Gabelle unite del Sale
nella Dalmazia (Venezia 1737) (6); Terminazione regolativa in materia
d'ogli per le provincie dell’ Istria, Dalmazia ed. Albania ed isole suddite
del Levante (Venezia 1193) (1).

Annesso agli Statuti di Fano editi in questa città da Girolamo Son-
cino (manca l' anno della stampa) è il Tractatus gabellarum civitatis Fani
del 1508 (8).

Capitoli del dazio grande della foglietta di Feltre nel 1756;

Capitoli per il dazio del Sal di Feltre e suo Territorio (senz’anno
nè luogo di stampa) (9).

Al libro terzo degli antichi statuti della città di Ferrara seguono
delle provvigioni ordinate dai dodici sapienti di Ferrara l’anno 1457, tra
cui Provisiones et ordinamenta officii blandorum: et ad ipsum officium
spectantia et pertinentia : tam civitatis ferrarie; quam ipsius districtus (10).

Lo Statuto annonario del comune di Firenze del 1323 è pubblicato
nell’ Archivio storico italiano (tom. VII, p. 190 (11).

*. Gli Statuti pel regolamento dell’ Annona di Frascatitrovansi manoscritti
nella raccolta di statuti dell? Arch. di Stato in Roma, tom. 109, n. 9 (12).

c

(1) Op. cit., p. 156.
(2) Ivi, p. 1a, p. 156.
(3) Ivi, p. 2a, p. 182.
(4) Ivi, p. 183.
. (5) Ivi, p..184.
(6) Ivi, pag. 185.
(7) Ivi, p. 1a, p. 161.
(8) Ivi, p. 172.
(9) Ivi, p. 29, p. 193 — 4.
(10) Ivi, p. 12, p. 176.
(11) Ivi, p. 2a, p. 199.
(12) Ivi, p. 18, p.
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— RE SS Sa. a
GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » 83

r

I capitoli della gabella del grano di Gaeta del 1375 (Capitula novae
gabellae granorum sex per unciam facta in anno Domini M.° CCC.L XXV)
son contenuti, inediti ancora, in un mss. della Biblioteca Nazionale di
Napoli. Sono molto importanti perchè si può ritenere (cosi il Manzoni)
che fossero in vigore, oltre che in Gaeta, pur nelle altre città del Na-
poletano (1).

Di Lecce il barone Fr. Casotti pubblicò un codice di antichi statuti,
ai quali seguono i Datia composita et ordinata in civitate litij sub anno
domini Millesimo quadrigentesimo vigesimo (opuscoli di archeologia,
storia ed arti patrie, Firenze 1874). Tre città ed una moltitudine di
luoghi (come si legge alla p. CXX e sgg.) erano assoggettati agli stessi
dazi di Lecce (2).

Capitoli per le gabelle de'sali di Liesina e Lissa e sue giuresdi-
tioni (senza luogo né data di stampa (3).

I Capitoli della Dogana di Livorno del 1451 colle addizioni fino al
1564 son contenuti in un codice dell' Archivio di Stato in Firenze (4).

Di Lucca non sono stati pubblicati i due interessanti codici degli
statuti delle gabelle già da noi ricordati, l' uno del 1312. e l'altro del
1551, ma trovansi a stampa Li Statuti et Ordini della Dogana del Sale
(Lucca 1576) e gli Ordini sopra il pagamento delle Gabelle della Repub-
blica di Lucca (Lucca 1620) (5).

Capitoli della gabella del Sal dì Macarsca (senz’ anno nè luogo di
stampa) (6).

Ordine di quello che s° ha da pagare alle Gabelle di Mantova (Man-
tova 1635) (1).

Pandetta delle gabelle e dei dritti della curia di Messina edita da
Quintino Sella, Torino 1870 (8).

Negli antichi statuti di Milano stampati nel 1482, l'ultimo di no-
vembre, trovansi anche gli Statuta datiorum (9).

Negli statuti di Modena editi in questa città l' anno 1488, il sette
di Aprile, da Antonio Miscomini, sono pure le Provisiones et modi ge-

(1

(2) Ivi, p. 2a p. 225 — 6.
(3) Ivi, p. 230.

(4) Ivi, p. 233.

(5) Ivi, p. 1a, p. 243.

(6) Ivi, p. 2a, p. 248.

(7) Ivi, p. 1a, p. 253.

(S) Ivi, p. 264.

(9) Ivi, p. 266.
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84 G, PARDI

nerales reddituum et gabellarum civitatis Mutine (1). Nel 1575 furono
stampati a Modena gli Statuta saline et gabellarum (2).

Ordini e Capitoli per il Datio della Mercantia di Moncelese (Padova,
senza data) (3).

Tariffe delli pagamenti di tutti i dazii sull’ introduzione dell" uve e
dei vini in Padova (Padova, senza data; Tariffa di quanto si deve pagare
per il dazio della Nuova Macina della città e territorio di Padova (Pa-
dova, senza data) (4).

Capitoli e statuti per la riforma delle gabelle della R. Segrezia di
Palermo, dati dal Vicerè Nicolò Speciale, Venezia 1573; Deputazione di
nuove gabelle fondata nel pubblico Consiglio dell anno 1648, Palermo,
1716 (Una nuova edizione ne fu fatta nel 1740) (5).

Stratto e capitoli della dogana di Pistoia (Pistoia, 1719) (6).

Uno statuto della gabella del comune di Radicofani anteriore al
1397 è ancora inedito (7).

Statuta datiorum et gabellarum civitatis Regii (Reggio d' Emilia,
senza data).

Agli statuti di Riviera di Salò sono uniti i Pacta. Daciorum ; gli
Statuta, datiaria, Criminalia et civilia Comunitatis Riperiae lacus Baenaci
Bririensis: furono stampati in Venezia nel 1536; e vi furono fatté delle
addizioni pubblicate nella stessa città l'anno 1586 (8). Di Riviera di Salò
abbiamo pure i Capitoli e tariffe parziali pei Dazi di consumo della Fi-
scat. camera. di Salò approvati dal Decreto dell’ Ecc. Senato 21 Maggio
1785 (Venezia, 1785) (9).

Raccolta, Riformazione e Dichiarazione de’ Bandi, ordini e provi-
stoni in diversi tempi emanate sopra le Dogane Generali di Roma (Roma,
1738) (10).

Capitoli e tariffe generali per li dazii di consumo della fiscal camera
di Bergamo e delli luoghi di Romano e Martinengo approvati dall’ Eecel.
Senato (Venezia 1785) (11).

Di Rovigo abbiamo il Proclama e Capitoli del Dazio grande di Pietro

(1) Op. cit., p. 279 — 80.
(2) Ivi, p. 2a, p. 264.

(3) 1vi, p. 1a, p. 287.

(4) Ivi, p. 2a, p.300 — 1.
(3) Ivi, p. 315.

(6) Ivi, p. 1a, p. 381.

(7) Ivi, p. 23, p. 348.

(8) Ivi, p. 1a, p. 410.

(9) Ivi, p. 2a, p. 350.
(10) Ivi, p. 1a, p. 422.
(11) Ivi, p. 22, p. 354. GLI STATUTI DELLA « COLLETTA » ° 85
Loredan (Rovigo 1724) e dei capitoli sul dazio della macina editi in Ro-
vigo nel 1708 e nel 1740 (1).

Lorenzo Cardassi nell’ opera: Rutigliano in rapporto agli avveni-
menti più notevoli della provincia e del regno, riporta i capitoli di Ru-
tigliano del 1562 « sopra la gabella del quinto per le vettovaglie, legumi,
erbe, statoniche, erbaggi, amandorle et altre sorte di semente », nonchè
sopra « la gabella del vino musto nel 1563 », della grascia dello stesso
anno, della bambagia e dell’ olio nel 1570, sopra il dazio della carne in
quest’ anno, sulla gabella della farina, del forno, delle foglie e degli or-
taggi nel 1571 (2).

Il quarto libro degli Statuti di S. Gimignano del 1225 pubblicati
dal Pecori nella Storia della terra di S. Gimignano (Firenze 1853) con-
tiene anche i dazi comunali (3).

Annessi agli statuti di Sarzana pubblicati a Parma, da Antonio Vioto
nel 1529, c'è pure uno statuto delle gabelle (4).

Capitoli per il Dacio del Sal di Sebenico e sua giurisdizione, Vene-
zia 1690 (una seconda edizione ne fu fatta nel 1714) (5).

Di Spalatro abbiamo i capitoli delle gabelle de’ sali di Spalatro ed
altre città (Venezia 1707) e i capitoli dei dazi dipendenti dalla - camera
fiscale di Spalatro (6).

Sono molto interessanti e degni quindi di essere quanto prima dati
alle stampe gli "Statuti o Capitoli concernenti le Gabelle da pagarsi nel
porto di Talamone, dell’anno 1379, contenuti in un codice membranaceo
dell’ archivio di Siena (1). :

Ordini per la magnifica fiscal camera di Treviso concernenti il go-
verno de’ dazi, ecc. (Treviso 1686) (8).

Capitoli del Datio del sal di Udine, Aquileja, Cargna, Maran e di
tutta la Patria del Friuli, non compresa Gradi, Formali, ecc. (senz’anno
nè luogo di stampa) (9).

Infrascripta sunt Capitula. Gabelle 'Comunis Civitatis Velitrarum.
(Questi statuti della gabella di Velletri non hanno aleuna nota tipogra-
fica, ma furono stampati a Roma dal Dorino molto probabilmente nel

1) Op. cit., p. 357.
2) Ivi, p. 301.
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(4) Ivi p. 1a, p. 448.
(5) Ivi, p. 2a, p. 379.
(6) Ivi, p. 390.

(7). Ivi, p. 303.

(8) Ivi, p. 18, p. 501.
(9) Ivi, p. 2a, p. 407,
86 G. PARDI

1544). Capitoli della dogana di Velletri (Velletri 1646). Liber capitulorum
Gabelle communis inclytae civitatis velitrarum (Velletri, 1752) (1).

Di Vicenza abbiamo gli ordini stabiliti per la materia dei dazi (Vi-
cenza, senza data) e quelli stabiliti « in materia della camera fiscale e
dei dazi « (come sopra), nonché i capitoli per i dazi del sale di Vicenza
e del suo territorio (Venezia 1685 e 1736) (2).

Sono infine da ricordarsi i Capitoli delle Gabelle de’ Sali di Zara,
Cherzo, Osiro e Veglia (Venezia 1616) (3).

Altre notevoli pubblicazioni non ricordate dal Manzoni sono:

Informazioni di li cabelli raxuni et diritti di la Regia Secrecia di
Palermo, li quali si perdino, et di lo tutto si anichilano, ecc. (Archivio
storico siciliano, tom. I, Palermo 1873).

Capitoli delle Gabelle di Pontremoli del 24 febbraio 1531, Parma 1511.

Statuto della Gabella e dei Passaggi delle porte della città di Siena,
Bologna 1871.

Statuti delle Gabelle di Roma pubblicati da Sigismondo Malatesti,
Roma 1886 (vol. V della Biblioteca dell’ Accademia storico-giuridica).

(1) Op. cit., p. la, p. 527 — 8.
(2) Ivi, p. 2a, p. 433 e 435.
(3) Ivi, p. 442. 8T

GUBBIO DAL 1515 AL 1522

(da documenti inediti’ dell’ Archivio comunale di Gubbio)

« Spectabiles dilectissimi nostri. Subito a l' hauta de questa,
farete comandamento a tucte le gente d’arme che sono allogiate
in testo d' Eugubio che debiano montare a cavallo et venire ala
volta de Urbino. Et cusì medesimamente le fantarie dela città li
comandarite che debbiano venire con lo conte Gentile et in questo
usate solicitudine et prestezza. Bene valete. — Post scripta. Man-
darite ancho de rietro con dicti fanti victuaria per cinque di per
el bisogno loro et fate non manchi per niente ». Cosi Francesco
Maria « Dux Urbini et alme Urbis prefectus » scriveva agli « spe-
clabilibus dilectissimis nostris Confalenerio et Consulibus civitatis
Eugubii. » il 6 di ottobre del 1515. Si sa che cosa c'era di nuovo:
il Papa, rinfacciatagli l'uecisione del cardinale Alidosi (ed egli
avea soltoscritta con altri tre cardinali l'assoluzione, datagli da
Giulio IT, per tale accusa) e scomunicatolo, minacciava di cac-
ciarlo con le armi dagli stati ducali per investirne il nepote Lo-
renzo de’ Medici. Il Gonfaloniere, appena ricevuta quella lettera;
fece « bandire e comandare a ciaschuna persona, de qualunche
grado, stato o conditione se sia, acta ad portare arme, cioè dali
XIII anni per fino ali cinquanta, debbia subito publicato el pre-
sente bando venire et comparire in piazza cum tucte le loro arme
se relrovano havere et presentarsi denanti ali magnifici Gonfalo-
niere et Consuli et el conte Gentile Ubaldini; sotto la. pena dela
disgratia del prefato s. Duca: notificando che se farà diligente
inquisilione et resegna, et tucti quelli che seranno retrovati tardi
el contumaci seranno mandati in scriptis al prefato s. Duca. Et
el dicto bando se intenda tanto in la cità, quanto in li soi borghi.
88 G. MAZZATINTI

Die septima octobris eiusdem anni 1515 ». L'Ubaldini intanto
recavasi frettolosamente in Urbino « cum slipendiariüs eugubinis
equestribus »; ma presso alla città « sibi obviam venit caballarius
ducalis cum litteris de revertendo et suprasedendo donec aliquid
de novo numptiatum fuerit ». E il 12 un messo dueale, messer
Nicolò di Venturello, giunse a Gubbio e si presentò con gli or-
dini del suo signore al Gonfaloniere ed ai Consoli : il Duca lo rac-
comandava ad essi con questa lettera: « Viene ser Nicolò Ven-
turelli nostro citadino de qui cum comisione che ve habbia a fare
intendere alcune cose in nome nostro; li crederete in tutto quello
che vi eomecterà per parte nostra, non altramente che si ve lo
racomandassimo nui proprii. Forum Sempronii die 11 octobris
1515 ». Messer Nicolò « eoram dominis Gonfalonerio et. Consuli-
bus et magnifico viro comiti Gentili Ubaldino ex ducali commis-
sione sibi. facta dixil et exposuit qualiter impresentiarum mirum
in modum expedit ill. Principi nostro qualiter quam celerius fue-
rit possibile per rem publicam eugubinam mictantur omnes et sin-
gulos pedites ordinantie tam civitatis quam comitatus Eugubii ver-
sus Laqualaneum ac etiam celeri slipendiarii eugubini equestri
una eum victuariis per quinque aut sex diebus ad hobedientiam
prefati ill. Principis nostri, qum fiet res nimis grala prefato Prin-
cipi ». E nello stesso giorno giungeva alla Signoria un'altra let-
tera ducale, scritta da Fossombrone, con la quale raccomandavasi
« el proveder dele vietuarie per li fanti de tista ordinanza ». Con-
vocato, a di 13, il Consiglio generale e letta da Vittorio, cancel-
liere e notaio del Comune, la lettera del Duca, fu « nemine disere-
pante » deliberato « quod eligantur duo homines pro quolibet quar-

"terio idonei et sufficientes qui habeant providere ad omnia et sin-

gularia que fuerint necessaria et opportuna pro celeriori expedi-
lione tam peditum et equestrium slipendiariorum quam viclwarie
cum ampla auctoritate et potestate quam habet presens Consi-
lium ». Di ció che in questa seduta fu deciso di fare, la Signoria
inviò la relazione al Duca per mezzo di un Francesco d'Arcan-
gelo, il quale « filius hobedientie, advolavit ad Principem ». E
questi alla sua volta espresse ai Consoli il proprio contento pel
sollecito invio delle milizie e delle vettovaglie, scrivendo ecsi:
« Havemo visto quanto scrivite et etiam inteso quanto ne ha dieto
a bocha Francesco vostro mandato. Vi rispondemo che noi non

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GUBBIO DAL 1515 AL 1522 89

havemo may havuto altra oppinione et fede se non che in tucte
le cose che accadeno ve habbiate a portare da boni et fideli ser- :
vitori ; et como havemo dicto a dicto Francesco ve dicemo che
voi facciate provvisione de vietuaria più che sia possibile, et de
quello manchasse provedete de denaro, ché ne contentamo. E si
fusse nessuno de li che intorno a ciò non volesse fare el debito
suo, glielo farite fare senza rispecto alcuno, dandone poi adviso
chi sono. E intorno a ciò non mancharete de diligentia. Forum-
sempronii 18 octobris 1515 ».

Il 19 di ottobre il Gonfaloniere, constatata: la necessità di
« providere de aliqua reparalione seu fortificatione civitatis » e,
d’altra parte, essendo la comunità gravata di debiti « et eum non
haberet unde posset huiusmodi necessitati succurrere », fece
istanza al Duca « ut dignaretur eidem Comunitati. concedere ad
predieta facienda residuum impositionis institute et ordinate pro
peditibus ordinantie ». Il Duca assenü al suo desiderio « dum-
modo se habbia bona advertentia [quelle somme] non se buttino
via et che si spendano con diligentia per la reparatione della
terra ». A tali lavori, credo, riferiscesi la lettera dell’ 11 novem-
bre « nobili ac strenuo dilectissimo nostro Carulo de Gabriellis de
Eugubio. Carlo. Perchè messer Sebastiano Bonaventura. nostro
gentilhomo quale era lì per fare reparare testa terra li bisogna
stare qui otto o diece di per certe soi facende, volemo che in que-
slo mezzo voi slate con testi priori et solicitiate el fare lavorare
secondo per ordine de dicto messer Sebastiano hanno cominciato ;
el non essendo finito quel torrione et revelino dela porta d'Ugob-

«bio faretelo finire, et. conoscendo voi poterli fare qualche altra

cosa a benefitio de testa Comunità, non agravando peró de altra
graveza testi homeni, lo farete fare che l' haremo per ben facto ».

Camillo Orsini, Renzo di Ceri e Vitello Vitelli conducevano
l'esercito della Chiesa; quest’ultimo, oltrepassato l'Appennino,
moveva per la valle metaurense, mentre Giampaolo Baglioni da
Perugia minacciava l'invasione del territorio eugubino. « Noi
vedemo (scrisse il Duca da Pesaro alla Signoria di Gubbio il 27
maggio del 16) che ancora quelli hanno sempre malignato apresso
la Santità de nostro Signore contra di noi non desisteno dela im-
presa et hanno più forza loro che la iustitia, et vogliono tirare
inanti in ogni modo questo loro apetito ; per tanto non possendo

7
90 G. MAZZATINTI

noi resistere in tanti lochi, ce semo fermati cercare de difendere
Urbino et Pesaro, lochi più acti a difendersi che nesuno deli al-
tri. C' è parso per el debito del'amore vi portamo notificarvi el
nostro pensiere et desegno ad ciò per volere voi dimostrare la
vostra fede dela quale semo più che certi non caschasti in qual-
che desordine che fusse causa dela ruina vostra; qual cosa più
ce doleria che el danno nostro proprio, perchè speramo in Dio et
nella sua gloriosa matre queste cose baveranno bono el optimo
fine et cum più salisfaclione ce poterimo revedere essendo voi
salvi che desfacti ». Due giorni passarono e Giovan Paolo. Ba-
glioni, un: di quelli che, al dire del Duca, avea « più forza che
la iustitia », inviava a Gubbio con lettera di presentazione alla
Signoria (Perugia 29 maggio) un messer Costanzo perugino suo
ambasciatore, il quale al Gonfaloniere ed ai Consoli fece tale pro-
posta: « Cum sit quod ill. do. Io. Paulus Balleonus dominus
meus summopere dilexerit et habuerit cordi hanc vestram magnificam
Comunitatem, et cum ad presens recte percipiat, ni de proximo
provideatur, imminere maximum. periculum ipsi - civitati et comi-
tatui propler imminens bellum gerendum cum. ill. duce Urbini,
ideircho mictit me ad vestras dominationes exhortando eas ut ve-
lint redire ad dominium sancte rom. ecclesie quam citius fieri po-
test, offerendo se tantum operari cum Comissario D. N. si eius
votis annuerilis vos nullum damnum neque detrimentum esse pas-
suros neque suscepturos ab armigeris sue Sanctitatis ». I Consoli,
udita questa proposta, « monuerunt ipsum-ut rediret in mane ad
eos, quia volebant alloqui cives, el prout per eos fuerit conclusum
et deliberatum respondere prefato dom. Iohanni Paulo ». Convo-
cato il Consiglio generale a di ultimo di maggio, il. Gonfaloniere
« de licentia et voluntate suorum. collegarum in officio dixit: Ma-
gnifici ac prestanlissimi cives: Venit ad nos heri hora iam tarda
quidam dominus Constantius. perusinus cancellarius domini Iohan-
nis Pauli de Balleonibus de Perusio qui nobis lilteras in eius per-
‘sona confectas credentiales portavit: poslquam eius nomine hor-
latus fuit nos ut velimus redire ad sedem apostolicam, quod si a
nobis non fuerit execulioni mandatum ipse multum. veritus ne hec
civitas veniat in perditionem et ad manus gentium armigerarum
que sunt prope civitale et confinibus suis; ideircho placeat vobis
super hoc sanum et utile consilium exhibere, et quod conelusum

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GUBBIO DAL 1515 AL 1522 91

erit sequetur ». Un tal Barone di Girolamo di Ubaldino, priore
dello Spedale, fece. allora la proposta d'inviare ambasciatori al
Jaglioni per la presentazione degli omaggi e dei sensi di gratitu-
dine, pel sincero amore ch'egli portava alla città, dichiarando al-
tresì « quod sumus contenti redire ad s. romanam Ecclesiam et
sub regimine s. D. N. »; ed aggiunse che tale deliberazione fosse
tosto partecipata al Commissario apostolico « qui una cum sua
dominatione moratur Perusi ». Bernardino Gabrielli e ser Gio-
vanni di Paolo furono eletti ambasciatori al Baglioni ed al Commis-
sario; il quale « intellecta bona dispositione et mente huius civi-
tatis » scrisse al Gonfaloniere ed ai Consoli questa lettera : « Quia
per ambasciatores vestros audivimus bonum animum et disposi-
lionem. vesiram de dando et redeundo vos ad s. sedem apostoli-
cam, multum placuit nobis. Hortor vos ut velitis persistere in
bono proposito vestro et offero me nuntiare summo Pontifici bo-
nam vestram dispositionem ». I Consoli deposero nelle sue mani le
chiavi della città e il giuramento di essere « bonos ac fideles sub-
ditos s. matri Ecclesie ; quas claves dietus dominus Commissarius
aceptavit, posquam illas domino Gonfalonerio restituit. His pera-

elis

, magnificus dominus Johannes Vespucius florentinus alter Com-

missarius apostolicus una cum prefato ill. domino Io. Paolo ac

prefatis dominis Gonfalonerio et Consulibus dicte civitatis contu-

lit se in platea magna, et accepto vexillo Communitatis per pre-
fatum Gonfalonerium circumdederunt. plateam magnam predictam
vociferantes et. exclamantes Chiesa Chiesa. Postquam prefatus
Commissarius et Io. Paulus redierunt in curiam ». ll 6 di giu-
gno il Consiglio deliberò di coniar la nuova moneta, e il 9 di
redigere i « Capitula de hiis que a s. D. N. nomine civitatis sunt
petenda ». Ma sópra uno di tali capitoli fu discusso nella seduta
del 21; Antonio da Cantiano gonfaloniere cosi parló in questo
giorno ai membri del Consiglio: « Magnifici nobiles ae spectabi-
les consiliarii. Elapsis diebus proüt scitis cum fuerim acersitus a
rev. dom. Julio Vitellio Commissario apostolico ut peterem Urbi-
num pro nonnullis ad eum spectantibus et pro aliquibus informa-
tionibus, et cum postea multa colloquia et ratiocinia habita cum
sua rev. D. pro interesse huius civitatis, ipsa multum persuaderet
nobis quod proponerem vobis quod. deberemus petere a s. Dom.
Nostro Papa illustrem ac magnificum d. Lorenzinum de Medicis
POLISTIROLO I

92 G. MAZZATINTI

in dominum ac principem nostrum, cum sit quod dictus Lorenzi-
nus erit bonus princeps et bene se geret erga hanc Communita-
tem et bene tractabit cives omnes ». Barone di Girolamo d' Ubal-
dino, priore dello Spedale, rispose: « Si sua Sanctitas vult dare
nobis aliquem Prineipem, vel disponere aliquid supra nostro re-
gimine, faciat quiequid vult et. non erimus inobedientes ». Anche
messer Federico Gabrielli ripeté, su per giù, le stesse cose, con-
cludendo: « quiequid placet s. Domino nostro id fiat ». Fu dunque
deliberato « quod non debeat peli in dominum diclus magnificus
Lorenzinus; sed si summus Pontifex vult dare nobis aliquem do-
minum qui regat nos, quod Sanciitas sua facial prout eidem pla-
cel. Et nos paremus et erimus obedientes, prout semper fuimus
dominis nostris.». Quando Lorenzo de’ Medici stava per giungere
in Urbino, a di 7 di settembre (il pontefice lo avea dichiarato si-
gnore del ducato il 18 di agosto), il Consiglio deliberava: « fiat
honor et donum Principi nostro quantum sumptuosius fieri po-
test », ed eleggeva quattro cittadini per la scelta del presente e
per l'offerta degli omaggi a nome della città. Sette giorni appresso,
il Commissario pontificio scriveva al Gonfaloniere di Gubbio « si-
gnificando adventum principis nostri Laurentii de Medicis in statu
Ürbini-». Comunicata la lettera al Consiglio, furono per amba-
sciatori al nuovo signore eletti maestro Federico Pamfili, Fede-
rico Ondedei, Carlo d’ Ippolito e un tal Girolamo.

ll primo bando, che leggesi nelle Riformanze dell'archivio di
Gubbio, di « Messer Julio Vitello per parte del ill. et excellen-
tissimo Signore nostro Laurentio Medices duca de Urbino, pre-
fecto de Roma, signore de Pesero et Senegaglia, dela excelsa re-
publica florentina capitano generale », è del 22 ottobre e fu pro-
mulgato per evitare ai cittadini « di portare aleuna generatione
de arme prohibita: per la città de Eugubio et soi borghi el per li
castelli del suo contado et distrecto socto pena de dece ducati
d'oro e quattro tracti de corda* ». A di 6 di novembre fu eletto
« a rev. domino Julio Vitello viceduca: dignissimo. » Nicolò de’
Brancaleoni da Castello, giureconsulto e cavaliere, a Luogotenente,
il quale, dopo tre giorni, stabiliva la pena del pagamento di dieci
ducati da infliggersi ai bestemmiatori e di cinque ducati ai giuo-
calori « de dadi et carte vetate, cioè de dadi a chiamare et de
carte ad alzare ».
SRL

GUBBIO DAL 1515 AL 1522 03

Il duca, si sa, usurpatagli così la signoria, avea trovato ri-
fugio nella corte di Mantova; ma fin lassù i Medici lo minaccia-,
rono di assassinio e d’interdetti : al marchese scrisse il papa « ri-
solute lettere (così l'Ugolini) che gli negasse asilo come a sco-
municato ; e' il marchese, per fuggire le vendette del pontefice,
consigliò Francesco a nascondersi in Goito, donde qualche volta
andava celalamente per acqua in Mantova, entrando per la porta
del Soccorso, e di là in Corte vecchia dove abitavano la duchessa
Elisabetta, la moglie ed il figlio ». Fu allora ch'egli riprese sde-
gnosamente le armi e nel febbraio del 1517 discese in Romagna.
Il primo di questo mese, con sue lettere patenti, si presentò al
Consiglio di Gubbio il conte Gentile degli Ubaldini per proporre
d'inviare al duca « quam celerius fuerit possibile omnes et sin -
gulos armigeros et pedites eugubinos » forniti di vettovaglie per
quattro giorni. E al Consiglio, adunatosi il 3, così disse messer
Polidoro, Gonfaloniere di giustizia : « Scire debetis, preclarissimi
consiliarii, per nonnullos, contra tamen mentem .nostram et vo-
luntatem, nimis celeriter devenisse ad quamdam innovationem et
permutationem status istius civitatis fuisseque vociferatum et alta
voce exclamatum Z'eltro Feltro; propter quod ipsa Communitas
in maximis fortasse poterit versari periculis nisi cito opportunis
provideatis remediis. Velit igitur. vestrum quilibet. super. his sa-
num suum prestare consilium ». Messer Barone del fu Girolamo
d' Ubaldino, levatosi, disse che, avendo Nicolò Brancaleoni ab-
bandonata la carica di Luogotenente, appena avvenuto il tumulto,
a lui dovessero inviarsi ambasciatori. per invitarlo a tornare al
grado ond'era investito, e nel tempo stesso, se. paresse necessa-
rio, si mandassero ambasciatori al Baglioni a Perugia ed al Papa
per trattare « de remediis opportunis ne Communitas ista patiatur
ruinam ». Il Baglioni, ch'era allora a Sigillo diè ai legati di
Gubbio questa minacciosa risposta. « velle venire et intus civi-
latem ingredi sexcentis equestribus et mille pedestribus militibus
pro tutiori custodia; ceteri milites et soldati morarentur extra ».
Tanta minaccia fu comunicata al Consiglio il 5 di febbraio, in
quel giorno medesimo in cui messer Lando de’ Landi, ambascia-
tore ducale, tornava a Gubbio e dichiarava « de commissione ill,
domini Ducis Francisci Marie qualiter deberemus stare et perse-
verare forti et costanti animo in ea qua funeti sumus fidelitate erga
94 G. MAZZATINTI

prefatum Principem nostrum Franciscum Mariam Feltrium ; et
quod expellentur omnino illi seribe qui accesserunt ad hanc Com-
munitatem de commissione dominorum Ballionis et Commissarii
apostolici; et quod non permictatur aliquo pacto nec consentiatur
quod ipsi domini veniant ad lodiandum cum eorum militibus in
hac civitate ». Il Consiglio non seppe francamente deliberare ; da
un lato gli ambasciatori del Baglioni minacciavano la venuta di forte
armata per difendere la città dalla occupazione del Duca ; il Duca
dall’altro lato si esprimeva in quel modo animoso per bocca di
messer Lando e faceva animo ai timidi cittadini perchè a lui ri-
manessero fedeli ed in lui fidenti. « In huiusmodi ambiguitate su-
pervenit magnificus vir marchio Phoebus cum aliis ducalibus lit-
teris », le quali lette e nuove assicurazioni avule dal Duca e di
nuovo coraggio armati per virtù delle esortazioni del marchese, i
membri del Consiglio subito deliberarono che dalla città fossero
immediatamente espulsi i messi del Baglioni e che si giurasse di
serbare fedeltà a Francesco Maria duca. Ciò avveniva il 5 di aprile.
La patente ducale che il marchese Febo presentò, durante la se-
duta, al* Gonfaloniere, è questa: « Mandando noi el magnifico e
strenuo homo marchese Febo nostro gentilhomo ala cura et go-
verno della nostra cità d'Eugubio et a far tucte le provisioni che
seranno necessarie per la salute e sicurezza de quella et ad man-
tenerla ala devotione nostra, li concedemo piena speciale et gene-
rale auetorità de potere fare ordinare et disponere quanto noi pro-
prio potessimo si li fussimo presente. Per tanto per tenore et virtù
de questa nostra lettera patente comaridamo tanto al Gonf. e Con-
suli quanto al populo et particulare persone di essa ciltà el con-
tado che lo debbano honorare, observare et hobedire como farieno
la persona nostra propia sotto pena dela desgratia et indignatione
nostra... ».

Una deplorevole lacuna, che a questo punto s'incontra nel
vol. 39 delle Riformanze di Gubbio, m' interrompe il racconto fino
al 18 aprile del 19, quando Lorenzo de’ Medici morì ; soltanto vi
sono registrate le deliberazioni pel pagamento a Francesco Maria
di diecimila ducati d’oro, dei quali due mila gli si dovevano con-
segnar subito, mille in drappi dopo tre giorni, e il resto trascorsi
altri quindici giorni. Ma, quasi a colmare la così ampia lacuna,
esiste tra le pergamene dell'archivio eugubino um breve di Leone X

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95

GUBBIO DAL 1515 AL 1522

« Confalonerio et Consulibus populi civitatis Eugubii », scrilto
« ex oppido nostro Volsene Urbevetane diocesis » il 6 di ottobre
del ^17, e firmato dal cardinal Sadoleto. 11 Papa dichiara di aver
ricevuto gli ambasciatori eugubini, di aver accolto le assicurazioni
dell’affetto del popolo verso di lui, e di perdonare il male operato
alla cittadinanza (« peccati vestri »). Inviando nel ducato « dile-
clum filium nobilem virum Laurentium de Medicis nostram se-
cundam carnem, nepotem, vestrum Ducem iustum ac legitimum »,
esorta gli eugubini « paterno affectu consilioque ut memores huius
nostre benignitatis eiusque fidei quam nobis vos observaturos o-
slenditis, fideles et integros huie sancte sedi in omnibus obltem-
perantes prestare curelis, presertim cum Nos talem ducem vobis
prefecerimus qui propter quidem sanguinis coniunelionem sed multo
magis propter virlutem et iusticiam et humanitatem cum nobis ca-
rissimus et probatissimus est, tum vobis et huic reipublice vestre
futurus est salutaris. Cuius si vos dignos, ul credimus, prebue-
riis, conlinua erga vos clementie ac benignitatis officia. cogno-
scelis ».

Della morte del duca Lorenzo fu dato annunzio al Consiglio
di Gubbio « cum exibitione litterarum ill. domini Viceducis » il 6
maggio del 19, e si deliberò di eleggere due cilladini per ciascun
quartiere vigilanti « pro custodia totius civitatis et comitatus ne
aliqua scandala oriantur et fiant » e per mantenere « omni conatu ‘
civitatem ad libitum ac dominium. s. domini nostri Pape et s. rom.
ecclesie ». Poi fu promulgato il bando seguente: « Se fa coman-
damente a qualunche persona de qualuncha stato, grado o condi-
tione se sia, per parle del magnifico s. Locotenente, magnifici si-
gnori Consoli et magnifico s. Potestà et octo Deputati sopra la
preservatione et obedientia dela città, como ciascuno debbia vi-
vere pacificamente sotto l'ombra et obedientia de la Beatitudine
de N. S. nè di dire o operare in dicti o in facti in alcun modo
contra la presente obedientia di sua Santità sotto la pena dela
vita et confiscatione di tucti li soi beni et punitione dele persone
de figlioli a qualunche controvenisse in alcun modo ; notificando
commo la magnifica Comunità dela cità de Eugubio è stata ricer-
cha per parte della Santità di N. S. de dovere vivere sotto la sua
obedientia et protectione. El generale Consiglio de ditta cità ha
aceptato volere et durare in dieta obedientia el protectione, si
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96 G. MAZZATINTI

*

commo è iusto et conveniente. Per tanto ciaschuno de contrafa-
ciente se guardi dala mala ventura, che se ne farà acerbissirna
exequlione ». 11 12 dello stesso mese messer Bartolomeo Veterani da
Urbino, vice-cancelliere del cardinal Giovanni de’ Medici, presentó
alla Signoria di Gubbio questa lettera, scritta il 7 da Firenze:
« Magnifici viri amici nostri carissimi. Essendo piaciuto allo om-
nipotente Dio de chiamare a se la bona memoria del ill. signore
Duca vostro, commo ce rendemo*certi harete con summo dispia-
cere inteso, N. Signore, commo benignissimo patre, essendo el
predicto Ducato alla sede apostolica devoluto, ha deliberato ch’ el
magnifico Roberto Buschetto viceduca dela prefata bona memoria
succeda in nome de dicta sede a tale governo, como più ampla-
mente receverete per lo allegato breve de sua Santità, quale ne
ordina che lo prefato breve per un nostro mandato ve mandiamo
imponendoli alcune cose in nome di Sua B. Et cusì faciamo man-
dando lo aportatore dela presente M. Bartolomeo de’ Veterrani no-
stro familiare, al quale sarete contenti de prestare piena fede: et
de quello ne avisarete spectante al comodo et conservatione vo-
stra ce ingegnaremo cum ogni et bono officio cum N. S. respon-
dere ale petitione et iusti desideri vostri. Bene valete ». Ed ecco
il breve che ha la data del 5 maggio: « Credimus ad vos perla-
tum fuisse de obitu bone memorie Laurentii Medices qui ex fratre
germano defuneto nepos fuit et quem nos Urbini Pisauri et Se-
nogallie ac comitatus el distrietus eorum nec non vicariatus Mon-
davii in temporalibus. Vicarium feceramus constitueramus et de-
putaveramus, vosque tamquam bonos ac fideles eiusdem *vassal-
los ae subditos non multum minore dolore quam nos ipsos affe-
clos esse ob eius ipsius decessum, qui nos omni amore et cari-
tate. prosequebatur et in quo vos maximam spem quietis et iran-
quilli status nostri merito perseveratis. Quia tamen altissimo Deo
plaeuit ad se vocare, propler eius obitum Ducatus ipse ad Nos et
romanam ecclesiam est devolutus et donec vobis, quos tamquam
peculiares filios nostros.habere intendimus, de Gubernatore se-
cundum cor nostrum provideremus, pro nunc visum est nobis in-
ter alia curare ac providere, ut omnia que ad bonum regimen et
tranquillum statum nostrum pertinet, per nos minime omictantur
aut differentur ; et propterea considerantes qua prudentia iusticia
et integritate dilectus filius Roberlus Boschettus comes ac ducatus
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GUBBIO DAL 1515 AL 1522 i 97

Urbini Locumtenens hatenus se gesserit, ac sperantes quod non
minus laudabiliter in posterum se geret, ac omnia que ad pacem
et tranquillitatem nostram pertinent sollicite studioseque procura-
bit, per alias nostras litteras ei mandavimus, ut curam regimen et
administrationem temporalem civitatum et comitatus ac districtuum
eorum nec non vicariatus huiusmodi, alias per prefatum Lauren-
tium. ducem cum mero et misto sibi commissas, nostro et s. R. E.
nomine usque ad beneplacitum nostrum prosequatur, sicut faciebat
et facere solitus erat idem Laurentius, dum in humanis agebat.
Quia non ad curam regimen ac administrationem huiusmodi ge-
rendam imprimis necessaria et opportuna est subditorum reve-
rentia et obedientia, propterea vobis omnibus et singulis manda-
mus, quatenus dicto Ruberto in omnibus pareatis et obediatis, sicut
haetenus ei paruistis et obedivistis ac in omnibus ita vos geratis,
ut apud Nos merito possitis commendari ». Pare che il conte Ro-
berto riuscisse con la saviezza dell'opere e con dimostrazioni di
affetto verso la città a procacciarsene in breve tempo la benevo- |
lenza; tanto è vero che nel consiglio del 18 maggio fu deliberato:
« quod ill. Gubernatori elargiatur et donetur (Antonio da Cantiano
avea proposto un dono di « unum par taezonum de argento. cum
armis Comunitatis valoris XX ducatorum ») munus in argento
laborato valoris viginti duc. auri cum armis Comunis Eugubii et
ducatos quinque in comestibilibus » (1).

Verso la fine dell'anno furono, apportatori delle petizioni e
dei capitoli ch’ egli doveva approvare, inviati al papa Federico
Pamfili. medico e Andreolo di Angelo. d' Andreolo ; il testo delle

i

(1) Non così a Cagli. Il BriccHI negli Annali di Cagli (ms. esistente nell'archivio
Armanni, XVII, F. 24, fol. 264) racconta: « Non bastarono tante arti al papa per tirare
a se la benevolenza di tutti, perché alcuni pur troppo amanti del duca non potevano
accomodarsi di commutare il prezzo di tanto amore colla bassezza di poche promesse,
tanto che desideravano, anzi speravano ad ogni hora, di liberarsi dalla soggetione
del papa benché fino ad hora favoritissima, e ritornare a servire il duca benché non
senza qualche travaglio. Onde doi trenta giovini in circa, uniti con affetto non ben
pesato colla bilancia della ragione; capo dei quali era Sebastiano Paganucci, tutti di
£ran cuore e risoluti, ritiratisi nella chiesa di S. Antonio sopre l'altare fecero giu-
ramento di voler essere fedeli al duca e confederati fra loro a favore di quello, quai
sendo privati di ogni arma-fatto portar fuori dello stato da' ministri del papa, restate
solamente le scuri e di queste armati, in un giorno prefisso stabilirono d' occidere il
Viceduca di questa città che era il Buschetto: ma scopertà non so come la congiura,
alcuni si salvaro con la fuga et altri fur presi e strangolati, tra i quali fu Luca d'A-
ehille soldato animoso e forte: a Sebastiano capo della congiura fu spianata la casa »,
cesso rubino

G. MAZZATINTI

Gratiae eoncesse'a Leone decimo » fu da questi rimandato alla
Signoria di Gubbio nei primi giorni del 1520. 1l cancelliere del
Comune lo copiò nel vol. 41 delle Riformanze del Consiglio; ed
io qui lo riporto:

I. Beatissime pater. Dignetur V. S. ad humiles preces vestrae de-
votae comunitatis Eugubij elementissimas aures porrigere exponentis
quod eum nuper ad regimem eiusdem vestre sanctitatis sanctaeque sedis
apostolieae libenter redierit sub cuius umbra antiquis temporibus imme-
diate regi et gubernari eonsueverit cupiatque sancte quiete omnique cum
tranquillitate vivere et sub vestrarum alarum umbra frueri et quiescere
ilisque gratiis et privilegiis et immunitatibus gaudere quibus alij eiu-
sdem V. S. subditi ac fidelissimi gaudent ideoque genibus flexis eiusdem
V. S. devota fidelissimaque comunitas supplicans confugit petitque ut
eadem V. S. civitatem et comunitatem libenter recipiat faveat et benefi-
cis prosequatur eandemque curam et diligentiam ipsius suscipere eadem
S. V. dignetur sieut pastorem bonum decet curam habere de ovibus suis
et si placet infrascriptas indulgentias gratias et privilegia sub infrascriptis
annexis capitulis comprehensa et descripta ad vota eigsdem devotae co-
munitatis Eugubii supplicantis concedere tribuere et de benignitate apo-
stolica libentissime impartiri que sieut in preteritum itam etiam in fu-
turum non cessabit altissimo pro incolumitate et prosperitate eiusdem
V. S. preces effundere ut illam Deus omnipotens omni cum foelicitate ad
annos ultimae senectutis perducere dignetur.

Et primo devota eiusdem S. V. Civítas Eugubium genibus flexis
petit per dietam S. V. indulgeriut melius possit se confirmare circa
mores commodum formam et normam aliorium subditorum sancte ro-
mane Ecclesie dietae fidelissimae comunitati gratias privilegia solita filiis
et subditis 5. R. E. et confirmari eidem omnia castra seu oppida que
semper in preteritum dieta vestra civitas eugubina possedit et in pre-
sentiarum tenet...... — Placet S. D. pro illis quos hactenus possedit.

II. Item eadem vestra fidelissima comunitas petit ex gratia eiusdem
V. S. restitui sibi Castrum Pergule Castrum Frontonis et etiam montis
Siri quae antiquitus pertinuerunt ad civitatem predict: um. — Placet S
D. N. quod pro nune suprasedeatur.

III. Item petit per dictam S. V. eidem concedi et ex gratia indul-
geri quod Gonfalonierus et Consules pro tempore existentes possint et
eis liceat facere et creare consilium maioris numeri.... — Placet SS. do-
mino nostro cum presentia et consensu domini gubernatoris vel eius lo-
cumtenentis et Consilii civitatis Eugubii.

IV. Item etiam quia domini Gonfalonierus et Consules civitatis pre-
dictae temporibus retroaetis pro eorum mercede et salario habuerunt et
habere soliti sunt florenos quinquaginta monete marchie quolibet mense
et non ultra quae quantitas adeo modica magna cum difficultate suffi-

&*
GUBBIO DAL 1515 AL 1522 ; 99
ciebat et sufficit ad honorifice vivendum et supportandum onera et. ex-
pensas famulorum tubicinum et familiae quam ipsos pro conservanda
eorum dignitate et civitatis predictae retinere decet genibus flexis et de
gratia speciali petit dicta comunitas fidelissima per S. V. de opportuno
remedio provideri et dietum salarium augeri et si placet dupplicari ad
hoc ut civitas predieta possit se confirmare inter mores aliarum civita-
tum S. R. E. Ita ut de cetero habeant et consequantur Florenos centum
quolibet mense monete in Marchia currentis. — - Placet SS. Domino
nostro.

V. Item petit dicta vestra fidelissima civitas concedi et indulgeri quod
dieti domini Confalonierus et Consules una cum consilio habeant deinceps
facultatem et auctoritatem statuendi reformandi statuta ac reformationes
iam faetas et factas corrigendi tollendi et annullandi prout et sicut et
quando ipsis expediens et opportunum visum fuerit... — Placet SS. do-
mino cum presentia et consensu gubernatoris vel eius Locumtenentis et
sine preiudicio ecclesiastice libertatis et camere apostolice.

VI. Item pro parte vestre fidelissime comunitatis petitur a prefata ve-
stra S. ut placeat eidem concedere in locumtenentem unum Gubernato-
rem qui in dicta civitate continuam moram trahere debeat cum facultate
et auctoritate cognoscendi et terminandi secundas appellationum causas
cum assessore ad hoc eligendo per Confalonerim et Consilium ac Con-
sules.... — Placet SS. dia

VII. Item fidelissima comunitas de gratia et benignitate sedis apo-
stolice petit concedi et dari per eamdem S..V. eidem Confaloniero Consilio
et Consulibus pro tempore existentibus auctoritatem et facultatem eli-
gendi pretorem qui habeat residere in civitate predicta pro commoditate
opportuna eiusdem dando et concedendo etiam potestatem et facultatem
ipsum refirmandi si eis visum fuerit qui pretor confirmari debeat- per
gubernatorem in dicta civitate presidentem gratis et sine aliquo premio
et solutione alicuius taxae. — Placet SS. D. N. ut eligantur tres quorum
wnus confirmetur per breve.

VIII. Item.... placeat eidem S. V. concedere de cetero quod potestas
seu pretor pro eius salario et mercede habeat et habere debeat quolibet
mense a camera fiscali civitatis predicte ducatos viginti quinque et plus
ac minus prout eidem V. B.ni videbitur... — Placet SS. D. N. ui ha-
beat annuatim. florenos quingentos monete marchie.

IX. Item S. V. indulgere dignetur diete comunitati si concesserit
quod dietus dominus gubernator et iudex... habeant cognitionem cau-
sarum appellationum ne gubernator ipse locumve ipsius tenens iudex pre-
dietus intromittere se se possint circa cognitionem primarum causarum
preterquam in summariis que sine scriptis pro minori partium dispendio

terminari possint pro ut iuri et equitati maxime congruit. — Places.
X. Item dignetur S. V. indulgere ex speciali gratia eidem vestre

comumitati et populo quod prefatus gubernator teneatur et obligatus sit
de cetero tenere cancellarium scribam et notarium in dieta civitate oriun_
100 G. MAZZA'TINTI

dum et non forensem.... hoc tamen excepto quod pro litteris secretis et aliis
huiusmodi negociis secretis scribam forensem habere possit... — Placet.
XI. Item etiam cum in eadem civitate hactenus solvi consueverint
etiam infradescriptos per homines dictae civitatis et comitatus quedam
guardie seu custodie que solutio fuit et est adeo gravis et fastidium ge-
nerans in animo totius populi predicti quod ipsis nihil gratiosius posset
impartiri quam eas tollere et removere a dieta solutione prefatam comu-
nitatem et populum liberare Ideo eadem S..V. pro sua clementia et be-
nignitate dignetur prefata S. V. fidelissimum populum huius voti com-
potem reddere. — Placet SS. d. n. ad eius et ap.* sedis beneplacitum.

XII. Item prefata eiusdem S. V. comunitas fidelissima petit.... eidem
comunitati concedi ut de omnibus introitibus procedentibus et qui in fu-
turum procedere possent occasione officii damnorum datorum. civitatis
prediete dieta comunitas disponere possit quemadmodum camera ante:
disponebat.... — Placet SS. D. N. dummodo pecunie ex eo proveniende
exponantur in edificiis publicis dicte comunitatis.

XIII. Item.... dignetur eadem. S. V. tollere et removere ac etiam
annullare gabellam vini vulgariter dietam del vino à minuto que est
adeo gravis et generaliter odio et insupportabilis universo populo et
maxime ilis quibus imminet necessitas emendi vinum cum ipsa ga-
bella.... — Placet S.° D. N. quod. dicte gabelle diminuantur pro tertia
parte dummodo annuatim non minus quatringentorum florenorum | ano-
nete marchie ascendant.

XIIIT. Item ab eadem S. V. comunitas predicta fidelissima de sin-
gulari gratia petit et maxime intuitu dicti populi paupertatem, ipsam
exgravari occasione gabelle diete vulgariter le pollitie del macinato... —
Placet S.° D. N. quod annuatim diminuantur floreni trecentum qua-
draginta.

XV. Item petit prefate S. V. comunitas eugubina eidem concedi
per eandem V. B. omnes introitus provenientes et qui pervenire possunt
ex causis maleficiorunì..... -- Placet S. D. N. dummodo gratiae fiant
per gubernatorem. eorum prouti fiebant per duces de voluntate tamen di-
ctorum. supra in capitulo secto et pecunie exponantur de scientia et con-
silio gubernatoris.

XVI. Item eadem comunitas.... petit sibi confirmari elimosinas dari
solitas eeclesiis et locis piis civitatis prediete que. hactenus ascendunt ad
florenos septuaginta duos.... — J"/acet SS. D. N. de florenis ottuaginta
quattuor.

XVII. Item cum sit quod prefata comunitas cum suo districto et
territorio hon fuerit solita in preteritum solvere taxas equorum mortuo-
rum nec etiam taxas seu stantias pro vivis petit genibus flexis ab eadem
V. B. sibi gratiam impartiri a perpetua liberatione oneris predicti attento
loco sterili in quo civitas predicta sita est que ad radices alpium posita
propter frigora immensa qum immo pro maiori parte temporis patitur
penuria frumenti et egestate laborat... Placet SS.? D. N.

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GUBBIO DAL 1515 AL 1522 101

XVIII. Item dignetur S. V. concedere quod deinceps rustiei et di-
strictales diete civitatis non cogantur nec cogi debeant ad solutionem
aliquam pro paleis lignis et bladis nisi magna imminente necessitate et
in adventu generalis gubernatoris ad dictam civitatem et ibidem commo-
rantis ac etiam quod dietus locumtenens non possit exigere maiorem
quantitatem quam pro duobus focis et duobus equis. P/lacet^SS. D. N.

XVIIH. Item eidem V. S. placeat predicte comunitatis vestrae He
centiam et auctoritatem impartiri ut decetero in dicta civitate possit
cudi moneta aerea argentea et aurea secundum stilum ordinem et boni-
tatem zeche alme urbis et cum insignibus V. S.'set Romanorum. Ponti-
fieum. — Placet SS.? D. N. concordato prius cum zecherio alme urbis.

XX. Item civitas predicta possit solemnitatem et festivitatem Sancti
Ubaldi honorifice celebrare..... Dignetur eadem S. V. augere premium
quod solet per dietum populum curri ad equorum cursum. seu sagictari
attento quod in presentiarum et de preterito consuevit fieri satis vile ac
etiam placeat eidem intuitu religionis ex gratia et privilegio speciali
quod tempore festivitatis eiusdem.... in ecclesia S. Ubaldi perpetuam et
plenariam indulgentiam concedere et elargiri in modis et formis con-
suetis. — Placet SS. D. N. dummodo. dimidium introituum detur, fa-
brice principis apostolorum. de Urbe.

XXI. Item petit comunitas prefata sibi concedi quod in tali sole-
mnitate quolibet anno debeant refieri pennones tubarum per cameram
apostolicam.... — P/acet SS.° D. N.

XXII. Item quod omnes et singule condemnationes facete temporibus
dominorum preteritorum cuiuscumque qualitatis habeantur pro cassis et
irritis e& maxime stante combustione librorum. prout hactenus in civitate
predieta fieri solitum est Et quod omnes et singuli exules et banniti ac
etiam homicide possint reverti liberi et securi ad dictam civitatem... —
Placet SS. D. N. pro omnibus qui pacem habuerint et offensos concor-
daverint..... —.

XXIII. Item placeat eidem S. V. pro commoditate populi diete ei-
vitatis attento quod monasteria et conventus religiosorum in dicta civi-
tate et comunitate existentes quottidie excrescunt in divitiis emendo
inulta bona stabilia in destrietu civitatis eiusdem in damnum et enor-
mem preiudieium dicte civitatis et populi eiusdem facere et ordinare
quod deineeps conventus et monasteria predieta non possint neque. va-
leant emere aliqua bona stabilia in comitatu eiusdem et in ipsa civitate
sine expressa licentia comunitatis predictae.... — Placet SS. D. N.
quod non emant sine licentia gubernatoris et consilii pro tempore.

XXIIIT. Item... petit concedi ex speciali gracia capelle. seu sacello
existenti in palatio solite residentie D. Confalonerii et consilii diete ci-
vitatis unum vel plura beneficia... — Z'acet SS.° D. N.

XXV. Item pro parte diete comunitatis petitur per eadem V. S.
opportune provvideri et expresse prohiberi ne deinceps prefatus guber-
nator potestas et appellationum iudex possint aliquo quesito colore oc-
109 G. MAZZATINTI

casione sportularum accipere aliquam rerum sive pecuniarum quantitatem
tam pro causis ordinariis qua conmissariis et compromissariis... sed de-
beant stare contenti salariis et emolumentis sibi deputatis et- consuetis.
— Placet S. D. N.

XXVI. Item prefata comunitas petit a V. S. sibi confirmari antiquas
et laudabiles eonsuetudines hactenus observatas et maxime tempore nun-
dinarunr saneti Ubaldi et etiam de mense septembris ita quod duran-
tibus dietis temporibus ipsarum nundinarum quelibet persona possit ve-
nire ad ipsam civitatem ibidem stare et inde discedere tam. forenses
quam terrigena seu destrictuales securi et liberi valeant nec non vendere
et emere possint eorum res et animalia cuiuscumque generis exceptis
tamen rebellibus et bannitis oecasione malleficiorum. — Placet S. D. N.
quod servetur quod hactenus fuit servatum.

XXVII. Item retroactis temporibus occasione mortis dominorum
semper fuit consuetum comburi libros introituum et exituum seu debito-
rum gabellarum et camere fiscalis una cum alis libriis supra nominatis
propter quam combustionem multotiens evenit quod creditores camere
predicte perdiderunt eorum credita et debitores datiorum luerati fuerunt
dieta eorum debita ad quae personlvenda minime molestati fuerunt Et
similiter illi qui in manibus habuerunt dictis temporibus innovatium pre-
dictarum aliquid ad. eandem cameram pertinens illud sibi retinuerunt
iuxta illud quod solet diei quod propter mortem principum aliquid gau-
dent et lucrantur Et aliqui perdunt et contristantur et ut plurimum ita
solitum est fieri quamobrem prefata Vestra fidelissima comunitas ab ea-
dem Vestra Beatitudine instantissime petit quod si eontigerit reperiri ali-
quem in eivitate predicta qui aliquam rem vel pecuniam. ad cameram
pertinentem retinuisset et in manibus haberet non possent pervenisse
nisi ad manus personarum miserabilium quod dignetur eisdem personis
amore Dei ratione elemosine et etiam intuitu diete vestre. comunitatis
libere et munifice relaxare ac elareiri. — Placet S, D. dummodo camera
non habeat solvere creditores temporis preteriti et finiti die ultima mensis
1519 sicuti remittuntur debita.

XXVIII. Item quod introitus spectantes ad cameram fiscalem sol-
vantur et solvi debeant in camera predicte civitatis Eugubii et alibi peti
non possint. — P/acet S. D. N. dummodo camera apostolica habeat anmua-
lim sine aliquo onere ducatos mille ducentos ‘de camera et. si supererit
iud. plus diminuatur de gabellis ultra ratam penarum, malleficiorum.

XXVIII, Item... V. B. dignetur concedere ut omnes prelaturae et
beneficia quod et: quae in futurum vacare contigerit consistentes et con-
sistentia in civitate diocesi seu territorio predieto eugubino ubicunque
r'acaverint-eoncedantur et conferri debeant civibus habitantibus in dieta
civitate et destrietualibus eiusdem. — Placet S. D. N.

XXX. Item etiam cum sit quod salaria omnium officialum tam ci-
vitatis prediete quam comitatus fuerint et sint parva ae etiam minima di-
gnetur eadem D. V. illa augere et ad maiorem summam reducere prout
GUBBIO DAL 1515 AL 1522 103
V. B. videbitur et placebit quorum officialium nomina inferius scripta
apparent et ad quae salaria persolvenda camera civitatis predicte teneatur.
— Placet S. D. N. ut salaria sint prout infra. 3

XXXI. Item petit S. V. eadem comunitas ut eadem dignetur con-
firmare eidem comunitati quosdam suos introitus... — Place S. D. N.
servetur illud. quod hactenus servatum. fuit.

XXXII. Item ab eadem V. B. fidelis comunitas et admodum devota
instantissime petit sibi confirmari antiquam consuetudinem.... mittere
equos suos ad inpinguendum in quadam montanea dicta vulgariter la
montagna o vero el monte di Cagli... — Placet S. D. N.

XXXIII. Item etiam dignetur S. V. pro sua clementia et benigni-
tate confirmare in dicta civitate officium procuratoris fiscalis... — Placet
S E) INS

XXXIIII. Item prefata vestra comunitas supplicat eidem V. S. placeat
non obstantibus deputatione et acremento salarii particulariter faeto vel
faciendo officialibus diete civitatis et comitatus dieta comunitas sive con-
falonerius consules et consilium interveniente gubernatore seu locumte-
‘nente possit si eis visum fuerit dicta salaria minuere.... — Pacets:9-.
N. pro officis eorum civium tantum.

XXXV. Item quod pro officio regestri officiorum diete civitatis et
comitatus solvantur annuatim Domino Baldasari de Piscia et alteri in
dicto officio succedenti in principio cuiusdam semestris ducati triginta
quatuor auri et leones novem et hoc donec dictum officium obtinuerit. —
Placet S. D. N.

Omnia predicta sint nullius valoris nisi saltem per totum presentem
annum MDXX expediantur litterae apostolieae in forma cum insertione
presentium, — Placet S. D. N. et aliis in dicto officio succedentibus.

Seguono a questi capitoli il catalogo degli offici del comune
con i relativi stipendi semestrali, gli « Exitus et salaria solvenda
per cameram apostolicam eugubinam pro tempore incepto in KI.
septembris anni 1516 officialibus comunis Eugubii »; e finalmente
gli « Introytus Camerae Eugubinae parlieulares ». In fine, di
mano, forse, di Leone X, è scritto Placet.

Morto Leone X il 2 dicembre del ?21, il Gonfaloniere ed i
consoli di Gubbio convocarono il Consiglio per deliberare « quid
agendum pro quiete ac salute universali civitatis; nam multi sur-
gunt Comunitalem reducere ad devotionem dom. Franeisei Marie
hostri primi Ducis quem dicitur reddire in domum suam, sed ne-
sciunt quo iure: ceteri autem negant sed volunt expeclare oppor-
(unitatem ut iure maximo possimus moveri el causam nostram

iustificare. Inter quas opiniones animus ambiguus resedit. Placeat 104 Gi MAZZATINTI

igitur disponere quid agendum sit in predictis an redire ad pri-

mum verum dominum nostrum et nos ab ecelesia debellare, an
perseverare in devotione s. R. E. ». Questo consiglio fu tenuto
il 19 febbraio del 22. Che se, soggiungeva il Gonfaloniere nella

seduta del 21, « fiet rumor pro ill. domino Francisco Maria, mit-

tatur pro sua voluntate »; e perché correva la voce «

:he le solda-

tesche del Duca « quotidie vires acquirunt », il Gonfaloniere pro-
poneva d'inviare a lui « pro veritate habenda » messer Giovanni
Maria de Mastrichis. Questi torno il giorno appresso e, presenta-
.tosi nella sala del Consiglio, al Gonfaloniere » exhibuit litteras

suas (del Duca) eum eius solito victorioso sigillo san

as siquidem

et illesas, non viciatas neque in aliqua sui parte suspectas, sed
omni prorsus suspicione carentes ». Nel vol. 43 delle Riforme
quelle lettere non furono trascrilte; ma sappiamo che « quibus
litteris perlectis, habito maturo colloquio inter eos [consiliarios] et

sapientes ibi congregatos, omnibus discussis et mature conside-
'alis et maxime protestatione facta per Jo. Mariam: nomine preli-

bati dom. Ducis, atento quod eius imperium seniper

fuit. iustitia

clementia pielate et liberalitate insignitum, et denique quia semper

iugum suum suave el onus quippe leve semper inventum fuere,

supradieti. magnifici dom. Gonf. et Consules, annuente universo

civium celu ibi congregato, decreverunt. deliberaverunt et statue-

runt, habita et audita prius missa. solenni spiritus sancti. grati-

isque Deo redditis et ab eo a quo cuneta procedunt ausilio implo-

rato, universa civitas eugubina redeat ad pristinam

devotionem

prelibati ill. et ex. dom. Francisci Marie Urbini ducis ». Levata
Ja seduta, il Gonfaloniere, seguito dai Consiglieri e dal popolo, si
recó nella. Cattedrale, « maxima comitante caterva; ibique devote
missa audita et Deo sanctisque eius. humiliter invocatis, reversi
sunt maiore comitante caterva ad Palatium. Ubi consultum: fuit
debere vocari Franciscum Mariam in ducem et dominum, prout

erat, et pro eo civitatem. transcurrere et per Gonfalonerium de-
beri dare vexillum populo universo armato expeclanli se reducere

ad sanctissimam devotionem ill. dom. Francisci Marie

Urbini du-

cis. Idem dominus .Gonf., acceplo propris manibus vexillo. dictt

Comunis et descendendo ad infimum pergulum scalarum, prestanti
animo alque ilari fronte, hec ad devotissimum populum protulit. —

Prestantissimo populo: E giunto el tempo tanto desiato de spie-
GUBBIO DAL 1515 AL 1522 105

gare le victoriose insegne del nostro potentissimo duca Francesco
Maria, quale Dio exalti ali soi voti, quale è già per reintegrarse
nel suo stato e ritornato invieto et glorioso. Però confortamo cia-
scuno a confirmare nela sua divotione, el in tal segno correre la
città gridando Feltro Feltro Feltro, Francesco M.* duca viva.
sempre. — Et consignato vexillo, lata fuit civitas transcursa pro
eodem prestantissimo dom. Francisco Maria, Et regressi in pala-
tium, instante universo populo Civitatis et destrictus Eugubii, pre-
fatus Gonf. et Consules mandavere comburi omnes. et singulas
condemnationes ac libros mallefieiorum debitorum et imposilionum
hucusque impositarum ; qui quidem libri de finestris Palatii dicto-
rum dom. Gonf. et Consulum in platea magna combusti fuere ».
Nello stesso giorno il Consiglio deliberó « mittere oratorem ad ill.
et ex. dom. Franciseum Mariam Ducem pro fidelitate stipulanda
et notitia habenda quid facturi simus ; et deputavit egregium vi-
rum Bartholomeum Ondadeum ». Quasi contemporaneamente il
Duca mandó a Gubbio Giovan Battista Bonaventura, patrizio d'Ur-
bino, suo ambasciatore, che alla Signoria « exhibuit letteras pa-
lentes ».

Com’ è noto, la convenzione tra il Duca e i cardinali Fieschi,
di s. Eusebio ed Orsini fu firmata il 12 febbraio del '22; Adriano VI
giunse a Roma il 29 di agosto, e nella primavera dell'anno suc-
cessivo assolse il Duca dalla scomunica e lo restauró nell'avita si-
gnoria (1).

Forli, dicembre '94.
G. MAZZATINTI.

(1) I capitoli della convenzione furono pubblicati dal REPOSATI, Della secca di
Gubbio, II, 75, da una copia dell'archivio di Girolamo Gabrielli; ma quest" archivio
fu disperso, poche carte conservandosene tuttora nell'archivio di Vincenzo Armannt
nella biblioteca Sperelliana, sì che di tal documevto non s' ha più notizia, — Sul pe-
riodo storico che ho narrato, vedansi, oltre alle storie generali e locali, i documenti
pubblicati nell’ Archivio storico italico e il ms. 1476 della Trivulziana in cui sono
raccolti (provengono dalla famiglia Buondelmonti di Firenze) tre lettere e un salva-
condotto con la firma autografa del duca Lorenzo, dal 1515 al. '17, dieci letiere auto-
grafe di Goro Geri sull' impresa d' Urbino, e otto fra istruzioni e note su lo stesso
argomento: cfr. Catalogo dei codici mss. della Trivulziana compilato da GIULIO
PORRO, pag. 447.
DOCUMENTI ILLUSTRATI

NOTE DI VIAGGIO DI UN PRELATO FRANCESE IN. ITALIA

(IACQUES DE VITRY 1216)

L'importanza del documento seguente non isfuggirà ad alcuno.
Le tanto pittoresche indicazioni, che contiene, intorno alla ma-
niera di viaggiare nel medio-evo, basterebbero di per sè a ren-
derlo prezioso, ma la narrazione dello stato religioso dell’Italia
dà loro un valore veramente eccezionale.

Pochi papi vi sono di cui la storia sia stata più studiata e
sia meglio conosciuta, di quella d’ Innocenzo III; ma chi avrebbe
immaginato, che il cadavere di questo glorioso pontefice fosse stato
abbandonato e profanato ?

Questa lettera non solo ci offre il racconto di un testimone
oculare, per grado particolarmente autorevole, sulla morte d’ In-
nocenzo III e l’elezione del suo successore, ma costituisce la sor-
gente più antica e più importante sulla storia delle origini del mo-
vimento francescano. Mi si perdonerà, se io qui. confesso quanto
sia stato .lieto di trovarvi la splendida conferma di alcune idee
da me svolte, prima ancora che questa lettera conoscessi :

«eo "^
.

: 1.» Anzitulto essa prova con qual forza il tentativo di S. Fran-
cesco s'impose al mondo ecclesiastico e quanto i giudizi di una
erilica troppo prudente sarebbero qui fuori di luogo.

2.? Le prime assemblee dei Franceseani non avevano in
aleuna maniera il carattere di capitoli. che hanno assunto piu tardi.
Erano feste religiose, in cui i fratelli si ritrovavano e celebravano
delle agapi, la cui nota caratteristica era la gioia: ut simul in
domino gaudeant et epulantur.

3.° Le Clarisse non erano affatto un ordine contemplativo ;

erano suore ospitaliere, non ricevevano niente, ma vivevano del
NOTE DI VIAGGIO DI UN PRELATO FRANCESE IN IPALIA 107

lavoro delle loro mani: in diversis hospietis simul commorantur,
nichil accipiunt sed de labore manuum vivunt.

Mi si vorrà dire quello che già tante volte mi fu detto, che
tulo questo non poteva durare, che dopo il periodo del primo fer-
vore quelle abitudini dovevano cambiare. Io non lo credo affatto,
ma anche ammettendo questo, vorrà pure notarsi che il dovere di
uno slorico consiste puramente e semplicemente nel constatare
quello che è stato. Ed ecco alcune linee che dimostrano quanto
la creazione di S. Francesco fu in origine differente da quello
che divenne più tardi, dopo la morte del Santo.

Ma è inutile d’insistere, poichè tutti vorranno leggere e ri-
leggere quei passi così viventi, in cui i Genovesi, i Milanesi. ci
vengono descritti con un brio straordinario, così come la Corte
pontificia o la vita a bordo d'un battello in partenza per l'Oriente.

Come è noto, l’autore di questa lettera, nato a Vitry sulla
Senna, presso Parigi, fu curato d'Argenteuil (vicino a Parigi), poi
canonico d'Oignies (nella diocesi di Namur), consacrato vescovo a
Perugia, il 34 luglio 1216 (vedi qui appresso), partì per l’ Oriente
il mese di ottobre dell'anno stesso, assistette nel 1219 all'assedio
e alla presa di Damietta, dove rivide S. Francesco e ritornò in
Europa nel 1225. :

Gli eruditi dovranno consultare sulla sua vita oltre la. sor-
gente indicata nella Bibliografia U. Chevalier e il suo supple-
mento, Biblioteca della Scuola delle Carte, t. 38 (1877), p. 500-570,
un articolo del signor Paolo Meyer e la biografia messa in testa
alla Storia orientale (ed. di Douai 1597).

Sono note di lui fino ad oggi: 1.9? alcune lettere pubblicate da
D'AcuEnY, Spicilegium, t. VIII, p. 373 e seg., e Boncars, Gesta
Dei per Francos, t. 1, p. 1149; 2.9 Libri duo quorum prior orien-
talis, alter occidentalis Historiae nomine inscribitur, Duaci, 1597,
in 160; 3.» Vita S. Mariae Oigniacensis, apud A. SS. 28 giugno
(Junii, t. IV, p. 636-666); 4° si sono pubblicati ora in Inghil-
terra i suoi Zzempla, che sono una raccolta di racconti; gli uni
veri, gli altri immaginarii, riuniti per uso dei predicatori e desti-
nati ad essere incastrati nei sermoni. Non avendo alla mano la
mia biblioteca mi è impossibile di indicare quest'opera con la pre-

cisione che sarebbe desiderabile; 5.9 Sermones in epistolas et
“108 P. SABATIER

evangelia dominicalia totius. anni, Anversa, 1 vol. in 8°, 1575,
932 pagine.

Alcune parole sono necessarie sul testo della lettera seguente.
È stata copiata con una religiosa esattezza sopra il manoscritto
originale, che appartiene alla biblioteca di Gand, sotto il n. 554.
Io mi propongo di esaminare più tardi se questo manoscritto non
sia l'autografo stesso di Giacomo di Vitry. Questa lettera non è
affatto inedita; è stata pubblicata, sembra, fino dal 1847 dal si-
gnor marchese di S. Genois nel t. XXIII delle Nuove “Memorie
dell’Accademia di. Brusselles, p. 29-33. Disgraziatamente questa
raccolta è si poco diffusa, che è passata del tutto inavvertita. lo
ho invano cercato di trovarla nelle biblioteche di Firenze e di
Roma.

Il testo che segue riproduce adunque tutte le particolarità del-
l'originale, e non ho creduto dover portarvi alcuna modificazione,
anche nei passi in cui le correzioni da farsi sono evidenti: Vi sono
due o tre punti oscuri; ai lettori spetta di vedere come debbansi
interpretare.

Avendo spesso sofferto per l'assenza di versiculi nei docu-
menti, ho ‘creduto di dovere qui introdurre questa divisione allo
scopo di facilitare le ricerche,

Mi si permetterà di non deporre la penna senza indirizzare
i miei-augurii al Bollettino Storico dell' Umbria. Questa pubblica-
zione si trova affidata a troppo buone mani per non riescire splen-
didamente; ma io sono lieto di salutarla oggi e di predirle con
quale simpatia sarà seguita da per tutto fuori d’Italia, in tanti
paesi vicini o lontani per i quali PV Umbria rimane la terra clas-
sica dell'inspirazione religiosa e dell'arte intima e profonda, dellà
poesia vivenle e popolare.

Assisi, 18 decembre 1894.

P. SABATIER.
e

NOTE DI VIAGGIO DI UN PRELATO FRANCESE IN ITALIA 109

DOCUMENTO

1. Carissimis sibi in Christo Jacobus divina sustinente misericordia
Acconensis ecclesie minister humilis, eternam in Domino salutem. 2. Inter
varios dolores et labores continuos et frequenter mee peregrinationis mo-
lestias unicum est mihi remedium et singulare solatium frequens ami-
corum meorum memoria, quorum beneficio sustentatur spiritus meus, ne
corruat, quorum orationibus vegetatur anima mea, ne penitus deficiat.

' 9. Ex hac tamen medicinali memoria, cuius beneficio vulnera mea sa-
nantur, aliquando novum vulnus cordi meo infigitur. Crescente enim ve-
hementi afflietione dum rationis virtus opprimitur et debilitatur, cirea
notos et amieos meos mens mea adeo occupatur, ut fere omnia alia in
tedium convertantur; appetitus orationis, desiderium lectionis ex hac
frequenti afflietione frequenter in me evacuantur. 4. Hii autem dolores
quandoque in anima mea sopiuntur; unus autem est, qui me incessanter
affligit, sine intermissione stimulat et impungit, periculum videlicet ani-
marum regiminis dum defectus meos considero multiplices, et qualem
oporteat esse episcopum ex apostoli verbis animadverto. 5. Ait enim
(1 Tim. III, 2-7): Episcopum, esse irreprehensibilem, sobrium, pruden-
tem, ornatum, pudicum, hospitalem, doctorem, non vinolentum, non per-
cussorem, sed modestum, non litigiosum, non cupidum, sue domai bene
prepositum, filios habentem subditos cum omni castitate, non neophitum,
ne in superbiam elatus in iudicium: incidat diaboli. Oportet autem illum
testimonium habere ab hiis, qui foris sunt, ut non in opprobrium incidat et
in laqueum diaboli. 6. Si mea intecto, episcopus fatuus in solio. Mon-
struosa res est gradus summus et animus infirmus, sedes prima et vita
ima, lingua magniloqua et manus ociosa, sermo multus et nullus fructus,
vultus gravis et actus levis, ingens auctoritas et nutans stabilitas. 7. Hec
et hiis similia frequenter considerans penitus animus meus corrueret et
confunderetur, nisi orationibus vestris aliquantulum relevaretur. Domi-
nus autem, postquam a vobis reeessi, vinum et oleum frequenter vul-
neribus meis infudit (Lue: X, 34) aliquando adversitatibus et variis tri-
bulationibus me probando, aliquando consolationibus relevando. 8. Accidit
mihi, cum intrarem Longobardiam, quod diabolus arma mea, scilicet
libros meos, quibus ipsum expugnare decreveram, cum aliis rebus ad
expensas meas necessariis proiecit et subvertit in: fluvium vehementem

x
110 P. SABATIEIL

impetuosum et terribiliter profundum, qui ex resolutione nivis vehementer
et supra modum excreverat et pontes ac saxa secum (trahebat. 9. Unus
ex cophinis meis plenus libris inter undas fluminis ferebatur, alius in
quo matris mee, Marie de Oegnies, digitum reposueram, mulum meum
sustentabat, ne penitus mergeretur; 10. cum autem de mille vix unus
posset evadere, mulus meus cum cophino sanus ad ripam devenit; alius
autem cophinus, quibusdam arboribus retinentibus, postea mirabiliter
repertus est, et, quod mirabilius est, licet libri mei aliquantulum obscu-
'ati sint, ubique tamen legere possum. 11. Post hoc vero veni in civi-
tatem quandam Mediolanensem, scilicet, que fovea est hereticorum, ubi
per aliquot dies mansi et verbum Domini in aliquibus locis predicavi.
12. Vix autem invenitur in tota civitate, qui resistat hereticis, exceptis
quibusdam sanetis hominibus et religiosis mulieribus, qui a maliciosis et
secularibus hominibus patroni nuncupantur. 19. A summo autem ponti-
fice, a quo habent auctoritatem predicandi et resistendi hereticis (qui
etiam religionem confirmavit) Humiliati vocantur. 14. Hii sunt, qui omnia
pro Christo relinquentes in loeis diversis congregantur, de labore manum
suarum vivunt, verbum Dei frequenter predicant et libenter audiunt, in
fide perfecti et stabiles, in operibus efficaces. 15. Adeo autem huiusmodi
religio in episcopatu Mediolanensi multiplicata est quod .CL. congrega-
tiones eonventuales virorum ex una parte, mulierum ex altera, consti-
tuerunt, exceptis hiis, qui in domibus propriis remanserunt. 16.: Post
hoe veni in eivitatem quandam, que Perusium nuncupatur, in qua pa-
pam Innocentium inveni mortuum, sed necdum sepultum, quem de
nocte quidam furtive vestimentis preciosis, cum quibus indutus (1)
erat spoliaverunt. 17. Corpus autem eius fere nudum et fetidum in ecele-
sia reliquerunt. Ego autem ecclesiam intravi et oculta fide cognovi, quam
brevis sit et vana huius seculi fallax gloria. 18. Sequente autem die ele-
gerunt cardinales Honorium bonum senem et religiosum, simplicem valde
et benignum, qui fere omnia, que habere poterat, pauperibus erogaverat.
Ipse autem die dominica (24 Iul.) post electionem eius in summum pon-
tificem consecratus est. 19. Ego autem proxima sequente dominica epi-
scopalem suscepi conseerationem. Honorius autem papa satis familiariter
et benigne me suscepit, ita quod fere quocienscumque volui, ad eum. in-
gressum habui et inter alia ab ipso obtinui, quod tam in partibus orienta-
libus quam occidentalibus, ubicumque vellem verbum Dei predicarem au-

‘etoritate eius. 20. Obtinui preterea ab ipso et litteras cum executoribus

et protectionibus. Impetravi, ut liceret mulieribus religiosis non solum in
episcopatu Leodiensi, sed tam in regno quam in imperio in eadem domo
Simul manere et sese invicem mutuis exhortationibus ad bonum invitare.
Unde quia prelatis in regno Francie commissa fuerat crucesignatorum
defensio, noluit michi dare specialem potestatem, ut eos defendere va-
lerem. 22. Hoc autem fecit, ut dicitur, quorumdam consilio, qui ad le-

(1) Questa parola é dubbia,

&

OLEI EL
--

SERERE fi T NOTE DI VIAGGIO DI UN PRELATO FRANCESE IN ITALIA 111

gationem regni Francie haspirabant; ego vero, habito cum amicis et
Sociis meis consilio, nolui redire, nisi crucesignatos, qui fere ubique tal-
liis et aliis exactionibus opprimuntur, quorum etiam corpora passim in-
carcerantur, valerem defendere; 23. aliter enim verbum predicationis
non reciperent, sed magis in faciem meam conspuerent, Si eos, secun-
dum quod promissum est eis in predicationibus, protegere non valerem.
94. Preterea cum ad partes Francie venissem, hyems esset et statim in
xl? proxima iterum arripere iter me oporteret, unde parum possem pro-
ficere et multum oporteret me laborare, et quia ex labore continuo me
valde debilitatum sentiebam, perelegi aliquantum quiescere, ut labo-
rem exercitatius ultra mare valerem sustinere, 25. maxime quia multa
millia erucesignatorum iam transierunt, quos oportebit me consolare et
detinere, hominibus etiam episcopatus mei et aliis transmarinis, antequam
veniat multitudo, verbum Dei predicare proposui et ammonere et ex-
hortari, nec benigne recipiant peregrinos et a peccatis abstineant, ne alios
extraneos malo exemplo corrumpant. 26. Postquam enim multitudo
transfretaverit, circa eorum negocia ita oecupatus ero, quod Acconen-
sibus, qui mihi specialiter commisi sunt, nisi prius intendam, vix inten-
dere tune potero. 27. Cum autem aliquanto tempore fuissem in curia,
multa inveni spiritui meo contraria: adeo enim. eirca secularia et tempo-
ralia, circa reges et regna, circa lites et jurgia occupati erant, quod vix
de spiritualibus aliquid loqui permittebant, 28. unum tamen in partibus
ilis inveni solacium: multi enim utriusque sexus, divites et seculares,
omnibus pro Christo relictis seculum fugiebant, qui fratres minores vo-
cabantur. A domino papa et cardinalibus in magna reverentia habentur.
29. Hii autem circa temporalia nullatenus occupantur, sed fervente de-
siderio et vehemente studio singulis diebus laborant, ut animas, que pe-
reunt, a seculi vanitatibus retrahant et eas secum ducant. 90. Et iam
per gratiam Dei magnum fructum fecertint et multos- lucrati sunt, ut
qui audit dicat: veni et cortina cortinam trahat. Ipsi autem secundum
formam primitive ecelesie vivunt, de quibus scriptum est: multitudinis
credentium erat cor unum et anima una (Actor. IV. 32). 31. De die in-
trant civitates et villas, ut aliquos lucri faeiant, operam dantes. actione,
nocte vero revertuntur ad heremum vel loca solitaria vacantes contem-
platione. 32. Mulieres vero iuxta civitates in diversis hospiciis simul com-

, morantur, nihil aecipiunt, sed de labore manuum vivunt. Valde autem do-

lent et turbantur, quia a elericis et laicis plus, quam vellent, honorantur.
83. Homines autem illius religionis semel in anno eum multiplici lucro*
ad locum determinatum conveniunt, ut simul in domino gaudeant et
epulantur, et consilio. bonorum virorum suas faciunt et promulgant
institutiones sanctas et a domino papa confirmatas. 94. Post hoc. vero
per totum annum disperguntur per Lombardiam et Thuseiam et Apuliam
et Siciliam. Frater autem Nicholaus domini pape provincialis, vir san-
ctus et religiosus, relieta curia, nuper ad eos confugerat, sed quia valde
necessarius erat domino pape, revocatus est ab ipso. 35. Credo autem,
quod in opprobrium prelatorum, qui quasi canes sunt muti non-valentes »

"S. P. SABATIER

latrare, Dominus per huiusmodi simplices et pauperes homines multas
animas anfe finem mundi vult salvare. 36. Cum vero recessi a predieta
civitate, iter arripui versus Ianuam, que nobilis est civitas in confinio
Thuscie et. Lombardie et sita est super mare. 37. Cum autem per tres
dietas tantum a civitate distarem, inveni viam gravem et montuosam,

D

unde in quadam navicula cum sociis meis ingressus sum mare, utgad
civitatem Ianuensem, in qua portus est optimus, navigio devenirem.
38. Cum autem die et nocte inter fluctus maris navigaremus, frequenter
navicula nostra ex undarum impulsionibus fere usque ad submersionem
inclinabatur, ita quod impetus undarum navem nostram aliquociens in-
trabat. 39. Unum tamen remedium habebamus, quod linteamenta flu-
ctibus opponébamus. Postquam vero applicui Ianue, cives eiusdem ci-
vitatis, licet me benigne recepissent equos tamen meos, vellem nollem,
in obsidione cuiusdam castri secum duxerunt. 40. Hec est enim civitatis
consuetudo, quod, quum in exercitu vadunt, ubicunque equos reperiunt,
cujuscunque sint, secum ducunt, Mulieres autem in civitate remanserunt.
Ego vero interim feci quod potui, verbum vero Dei multis mulieribus
et paucis hominibus frequenter predicavi. 41. Multitudo autem mulierum
divitum et nobilium signum crucis recepit. Cives mihi equos abstulerunt,
et ego uxores eorum cruce signavi. Adeo vero ferventes et devote erant,
quod vix a summo mane.usque ad noctem permittebaut me quiescere,
vel ut aliquod verbum edificationis a me audirent, vel ut confessiones suas
facerent. 42. Postquam autem cives ab exercitu reversi sunt, equos meos
mihi reddiderunt et invenientes mulieres cum filiis signum crucis acce-
pisse, postquam verbum predicationis auderunt, signum crucis eum magno
fervore et desiderio receperunt. 43. Moram autem feci in civitate Januensi
per totum mensem Septembris et frequenter verbum predicationis domi-
nicis et festivis diebus populo civitatis predicavi; licet autem ydioma
illorum non novissem, multa*tamen millia hominum ad Dominum,
recepto signo crucis, conversa sunt. 44. Sunt autem homines illi potentes
et divites et strenui in armis et bellicosi, habentes copiam navium et ga-
learum optimarum, nautas habentes peritos, qui viam in mari noverunt
et in terram Sarracenorum pro mercimoniis frequenter perrexerunt.
Nec credo, quod sit aliqua civitas, que tantum poss:t iuvare ad succur-
sum Terre sanete. 45. Et quum tarde ab exercitu redierunt mense Octo-
bris cirea festum sancti Michaelis, mare cum sociis meis intravi commit-
tens me Deo et mari hyemali et fluctibus procellosis, sicut mos est illus
temporis. 46. Homines autem illius civitatis naves habent fortissimas et
magne quantitatis, unde tempore hyemali consueverunt transfretare, eo
quod tali tempore victualia in navi non facile corrumpuntur nee aqua
sicut-estivo tempore, in navi putrescit nec oportet eos pro defeetu ven-
torum et maris pigritia in mari diu commorari. 47. Conduxi autem na-
vem, que numquam mare transierat, recenter precio .iiij." millium li-
brarum,fabricatum, malus autem navis, ut audivi, quingentarum libra-
rum precio emptus fuerat. 48. Quinque loea mihi et^meis comparavi,
scilicet quartam partem castelli superioris, in qua manducarem et in

Deae ie te e

E
NOTE DI VIAGGIO DI UN PRELATO FRANCESE IN ITALIA 113

libris meis studerem et de die, nisi cum tempestas esset in mari manerem.
49. Conduxi aliam cameram in qua servi mei jacerent et cibum mihi
prepararent. Conduxi locum alium, in quo equi mei, quos transire feci,
reponerentur. 50. In sentina. vero navis vinum meum et biscoctum et
carnes et alia fere ad tres menses victui meo sufficientia collocare feci.
Navem autem sanus et incolumis cum sociis meis et rebus meis salvis
ingressus sum. 51. Vos autem instanter orate pro me et pro meis, ut
Deus perducat nos ad portum acconensis civitatis et inde ad portum
eterne beatitudinis !
LEGGENDA LATINA VERSIRICATA DEL SECOLO XI

ENJIORNO-A S CHIARA DI ASSISI (1)

Nella edizione di quella parte del Cod. assisano che con-
tiene la leggenda, correggo la lezione del testo dov’ è evi-
dentemente errata, respingendo in nota gli errori; indico con
asterischi le lacune e con puntini i luoghi divenuti illeggibili.

Rispetto all’ ortografia, è quasi inutile il dire che io nulla
sottraggo di ciò che possa interessare gli studiosi: nei casi
di forme diverse rappresentate da pressochè ugual numero
di esemplari, conservo le une e le altre nel testo — tolgo da
questo, ma conservo nelle note, quelle assai scarse che so-
stituisco con le corrispondenti più comuni — solo in un caso
o due evito la riproduzione di certi segni. Con ciò io non
ho inteso dare in tale scelta un valore assoluto al criterio
del numero, che pertanto ho voluto fosse appoggiato, per
quel che da me si poteva, da altre ragioni. Come espediente
grafico ho usato nel testo il carattere piegato solo per quelle
lettere o gruppi di lettere la cui sostituzione al segno di ab-
breviazione o al nesso mi permetteva ‘una scelta solo pro-
babile.

Di tutto dó ora conto brevemente.

(1) È il Cod. della Biblioteca già del S, Convento di S. Francesco, ora comunale
di Assisi, segnato col n. 338, e con tale segnatura deseritto nel catalogo del MAZZATINTI
[Znwentari dei mss. delle Biblioteche d'Italia, vol. VI], al quale rimando, per ora. In-
torno alla leggenda dice già il Rev. Mons. Cozza-Luzi in una memoria della quale è
data una recensione in questo stesso fascicolo del Bollettino. Io mi propongo di ritor-
nare suli'argomento del valore storico e letterario del nostro documento in uno studio
di cui le pagine che ora si pubblicano sono l’ultimo capitolo.

E
- a

E

LEGGENDA LATINA VERSIFICATA DEL SEC. XII 115

Il nostro testo é un frutto della cultura letteraria supe-
riore del tempo al quale appartiene; la parola latina quanto
a fonetica, morfologia e ortografia vi si deve pertanto rite-
nere foggiata secondo la tradizione della seuola; non di-
menticando tuttavia, sopratutto per l'ortografia, quanto di
relativo la tradizione abbia offerto, specialmente allora. Ma
per più sensi questa scrittura ci si mostra ancora immune
da quelle alterazioni fonetiche ed ortografiche che invalsero
poi nelle scritture latine per influenza del volgare o per altre
cause; il che è una ragione di più per esaminare con dili-
senza quelle che vi sono, in servizio di chi voglia deter-
minare il tempo e il luogo o i luoghi della loro fortuna po-
steriore.

Qualche fatto, come l'epentesi del p nel gruppo di
consonanti m è originariamente, piuttosto che una pura
grafia, un’ estensione organica, sia pure nella vita ormai ar-
tificiale e scolastica del latino, del bisogno che aveva già
dato al latino classico le forme dempsi e demptum, di rendere
cioè più facile il passaggio dalla pronunzia della labiale a
quella della dentale. I riscontri volgari anche più recenti

(antico francese domter, mod. dompter, etc.) sono un'altra
prova della vivacità di quella tendenza, e perciò le simili

grafie latine e volgari possono anche essere spiegate indi-
pendentemente le une dalle altre. Il p epentetico è conser-
vato nel testo. — Una tale grafia si ricollega, per ciò che ri-
guarda la nasale, al gruppo delle altre in cui la nasale pre-
cede una labiale originaria. In queste, com’ è noto, si ebbe,
in contrasto con l'uso volgare, l'erroneo allargarsi della
tendenza etimologica alla dissimilazione dai casi di com-
posizione ben chiara di particelle uscenti in » con voci co-
mincianti per labiale, abbastanza frequenti anche nel nostro
testo [impulit 162, inpletur 428, conpluit 494 (1), inbibit. 1120,

(1) Il con si parificava all'in, perché si credeva che fosse la forma primitiva di

cum, come in rispetto all’im avanti a labiale. Cfr. le giuste osservazioni di BONNET
M., Le lati de Grégoire de Tours} Paris, Hachette, 1890, p. 178. 116 F. SENSI

inmensa. 631, conmouit 159'| ad altri in cui lo scambio della
nasale non era spiegabile neppure per l'origine di essa. Di-
venuto, dunque, incerto l uso della nasale innanzi a labiale,
si potevano avere forme come perhempnis o pehenpnis 75
[ma perhennis 1389], per le quali o si tennero presenti quelle
in cui per una ragione o per l'altra si aveva il gruppo a2pn,
o si immaginó un m latino corrispondente al volgare om,
come in damnum etc. Nel nostro testo la scrizione mpm pre-
vale, sebbene di non molto, sull’altra npn; ed io ve le ho
conservate ambedue: e nei casi di abbreviazione ho sostituito
al segno abbreviativo la, salvo nelle voci presentatesi in
una grandissima maggioranza di casi certi con la nasal la-
biale. Mantengo pure l'z per m innanzi ad altre consonanti.
— Gli scambi vicendevoli fra # e d: velud 373, 796, 1630
etc., capud 305, 1484 etc., inquid 659, set costante lascio an-
ch'essi inalterati, sia pel loro intrinseco valore, sia per la
sicurezza con cui mi si presentano, salvo rare eccezioni,
nelle stesse forme. Altrettanto faccio naturalmente del 7i se-
guito da vocale, che trovo sempre ben conservato, anche
quando la regola medievale lo avrebbe sostituito con la pa-

latale (1). Solo una volta forse al copista scappò un pacien- ;

tia 1189; ma, quasi a compenso, abbiamo incontro le ana-
logie di permitiosa 531, pernitione 116, solatio 1298 etc., che
si salvano per la buona intenzione. — Le voci di origine
greca hanno regolarmente lI À dopo il #: thalamo 81, 688,
etherei 836, themata 1426 etc.; e non saprei risolvermi ad at-
tribuire al copista, e perciò a respingere in nota, le grafie
come prophanum 35, prephatio [Rubr. del III° Cap.], dovute
all'analogia di sophisma trophaeum [anche qui sophismata 245,
tropheis 1181], e fors' anche rafforzate dalla regola medievale
dell'aspirazione da porsi anche dopo il p (2), dovuta proba-
bilmente anch'essa alla stessa origine. La medesima regola

Ti

(1) THUROT, Notices et extraits de divers muamascrits latins gown ser vir à V hi
stoire des docrines grammaticales au moyen, áge, Paris 1868, p. 78.
(2) TnunOT, op. c., p. 142, r

4e
sce RISE T. Eu ccm AXES Da cose inn
=» 8 TORTE Lega non

LEGGENDA LATINA VERSIFICATA DEL SEC. XIII 111

Spiega i comunissimi michi e nichil, accanto ai quali nel no-
stro testo si conserva la buona ortografia di sepulcrum. 53,
sepulcro 1638 alterata così comunemente. Lascio pure l’ % in-
nanzi a vocale nelle forme notoriamente così scritte nel M. E.

(1). Nei casi in cui manca e dovrebbe esserci, seguo lo
stesso criterio, restituendo solo il segno dell’ aspirazione alle
forme che ne son prive di fronte ad una maggioranza di altre
corrispondenti che lo posseggono. — Conservo pure gli scambî
di 2 ed y, la cui diffusione nel M. E. rende impossibile nel
nostro caso una distizione fra scrittore e copista. — Tralascio
invece, senza notarlo in calce, lj posposto ad 2 sia finale
che interno, che si può dire anche qui quasi costante, e l'7
pel semplice 2 finale. Mantengo bensì il doppio ? al pronome
hi, cui lo assegnava l’uso medievale (2). E lo stesso faccio
della forma actor nel senso di autore così diffusa nel sec. XIII,
e che fin dal secolo precedente era accettata e giustificata
dalla teorica ortografica (3).

Ma accanto ai fenomeni che ci mostrano una tradizione
d'ortografia conforme alla classica o a quella della gram-
matica medievale, ne rinveniamo nella nostra scrittura al
tri che per la loro indole e per lo scarso numero ci pare
che debbano attribuirsi piuttosto ad imperizia del copista,
e peró siano da respingere in nota. Tali aleuni raddoppia-
menti, come suppremum 69, 437, 609, admmonet 249, conmedendi
o comm-456, ammiserat 1013, ammisisse 1658, alcuni dei quali
possono essere stati determinati da corrispondenze o analogie
volgari; e perfino un fferre (posset fferre 1149), che sar
anche una svista. Tali mi paiono anche i due s in marcesscere
529, posscit 140, Francissci 1313 (ma Francisci 1438), dovuti
forse all’ accomodarsi dell organo vocale della pronunzia
del s a quella del c; qualche cosa di simile (mutatis mutan-

l) THUROT, Op. C., pp. 533, 334.
2) THUROT, Op. C., pp. 139, 140.
3) THUROT, Op. C., pp. 103 n. 2, 526.

(
(
(
118 F. SENSI

dis) al fatto che determinava le grafie volgari perZla (perla) (1)
e anche, secondo me, partte etc. Sono pure in numero molto
minore, in confronto con le corrispondenti, le grafie 2gn per
ng, e la stessa forma è talvolta scritta alla seconda ma.
niera in maggiore o in ugual numero di casi che alla pri-
ma. La grafia ha la sua ragion d'essere in una pronun-
zia particolare del volgare (2) da supporre per ciò, nello
stesso territorio, anche pel latino; ma non mi parrebbe tut-
tavia prudente il trarne conseguenze circa la patria del co-
pista. E anche un altro fatto che potrebbe far pensare al-
l'ipotesi che questo sia da ascrivere al Settendrione d’Italia,
ossia lo scambio di s con se (5) non ci si presenta che in
pochi esempi: conscilii 221, discidium 1059. Altre traccie di
pronunzie volgari mi paiono il demostratur 1016, promta 1312,
sante 12. Il frangigenam 1519, messo in questa compagnia, ci
apparirà più probabilmente dovuto a pronunzia non dotta.
E così pure alcune inesattezze come bonitas per-tatis [0 summe
bonitas apex 470], o quiescas per-at 021, già corrette antica.
mente, ed altre che notiamo via via sembrano piuttosto do-
vute ad inesperienza che a fretta o a distrazione.

Ad illustrazione del testo son disposte due serie di note;
le une riguardanti la lezione, le altre, sottoposte alle prime,
con indicazioni di riscontri classici e con le corrispondenze
tra i passi del poema e la leggenda prosastica in esso ver-
sificata. Sarebbe inutile una riproduzione integrale della
prosa; potrà invece servire ad illustrazione dei nostri ap-
prezzamenti il confrontare l' ordine delle varie parti delle due
scritture e la citazione dei tratti della prosa riprodotti piu
fedelmente e quasi alla lettera nel verso. Avverto, tuttavia,
quando la redazione poetica si allontana dalla prosa piü che

(1) RAJNA, I- cantari. di Carduino; nella scelta di curiosità letterarie del Roma-
GNOLI, disp. 135 (1873), p. LXV.

(2) RAJNA, Op- G., p. LXVI. .

(3) MoNaar, Gesta di Federico I in Italia, nei « Fonti per la storia d? Italia » del-
l'Istituto storico italiano, che qui mi sia lecito citare a cagion d' onore; D XXIX,

i
+

X
d
T
LEGGENDA LATINA VERSIFICATA DEL SEC. XIII 119

per la sola forma, o quando appaia attinta a fonte diversa.
L'uno o l'altro genere di raffronti si intenda non più che
possibile allorchè il passo citato è preceduto dal cfr. Credo,
infine, mio obbligo avvertire, sebbene non pochi possano no-

tarlo da sé, che nella presente edizione io ho tenuto innanzi,
per ciò che era del caso, i bei modelli offertici dai « fonti »
dell'Istituto storico italiano.

Milano, gennaio ’95.

F. SENSI.
I, SENSI

Cap. I. — SANCTISSIMO AC BEATISSIMO PATRI DOMINO ALEXANDRO
PAPE.
[ c. $4t ]
Milis Alexander, bone pastor, papa beate, )
Pontifieum forma, primatum gloria, cleri
Exemplar populique sacer dux, plebis asylum,
Ecclesie princeps, lux mundi, maxime patrum;
o Tu dispensator celestis es atque minister
Summus, apostolici primi successor et heres;
Te primeuus Abel signat, Nóeque gubernans
Misticat, et magnus Abraam patriarcha figurat;
Te Moyes ductor, Aaron te pontificatu
10 Te Samuel censor depingit, teque potestas
Offitii summi Petrum notat, unctio Christum.
Accipe, sanete paler, opus hoc; incongrua uocum
Materie splendor redimat, preclara beali
Thematis obscuram donent splendescere formam.
15 Hec ‘umili depicta stilo tua gratia; queso,
Dignetur penetrare tue dulcedinis aures.
Nec, quia summa decent te summum, spernere debes
Infima; nec, quanquam magnus, calcare minora.
Non quid in oblatis sit quaeritur, immo ferentis
20 Pensatur uotum; que sunt abiecta colorat,
Vilia nobilitat affectus, paruaque magnis
Munera muneribus equal generosa uoluntas.

Cap. II. — VERBA acronis (1).

Principium metuit, operis fastigia mirans,
Mens rudis et sinplex, medium finemque uenturum.

7. Cod. primarus singnat 8. Cod. mangnus 12. Cod. sante 13. Tra
il p abbreviato e il clara v' è nel Cod. rasura per lo spazio di due lettere, probavil-
mente per corres. dello stesso copista 21. Cod. mangnis,

(1) Non si troverebbe, nel Pro- nel « meae parvitati », con cui lo sto-
logo alla legg. prosastica secondo rico adombra la sua modestia, Prol.
la redaz. pubb. negli Acta Sanct., 2, p. 775,
corrispondenza a questo Cap. se non
90

9o

50

C
en

LEGGENDA LATINA VERSIFICATA DEL SEC. XIII 121

Sol celat stellas; confundit nobile thema

Ingenii speculum. Quis fructus poscat amenos
Arbore de sterili, uel quis de marmore duro
Fluminis exquirat undas, de paupere mensa

Speret delitias? Etenim temeraria res est

Ut sermone carens, sensu mendicus in eius
Almificos actus spiret, lumenque nouelle

Lanpadis extollat metris, ubi musa Maronis

Sisteret, et queuis torperet lingua póete.

Languent ingenii uires, mens feda reatu

Offitium lingue frenat, censetque prophanum

Virginis ut sordens maculis insignia promat,
Incestus castam, pollutus sorde carentem :
Personet eloquio, scirpus de flore loquatur.

Sel quia conceptum mentis, quem. eulpa relegat,
Quod fluat in lucem feruens deuotio cogit,

Hoc opus aggredior, actorem luminis omnis

Inuoco, quod mentem celesti conpluat inbre,

Imbuat, illustret

xor]

uitiorum nube fugata ;

Adsit et huie studio lumen de lumine, patris
Splendor seu speeulum, sapientia forma figura,
Pingat opus pictor rerum; uitalia cordis
Spiritus accendat, sacro spiramine cuius
Frigida flammantur, mollescunt dura, rigantur
Arida. Sic fultus potero preconia clare
Virginis ad uotum metrico describere ludo;
Est ortus cuius clarus primeuaque clara,

Clara fides, clarus habitus, mores quoque clari,
Clarus odor fame, mors eius clara, sepulerum
Est clarum, clarusque cinis, miracula clara,
Spiritus est clarus clara regione locatus.

51-55. Si può confrontare col in ea clarissimam feminis lucernam

tratto

del Prol. 1, p. 754: « Su- ascendit; quam tu, Papa,

eet Su-

scitavit propterea pius Deus vir- per candelabrum ponens, ut luceat
ginem venerabilem Claram, atque ^| omnibus... ».
sen

—Á

122 F.. SENSI

Cap. III. — PREPHATIO SUPER LEGENDAM SANCTE CLARE UIRGINIS.

Istorie textum leuigo sub lege metrorum;
Unum prelibo, quod non figmenta póete [
Queram, seu ueterum faleras, ut sensus adulter
Vestiat istud opus, uel sermo sophista coloret

60 Materiam, que, luce sua uestita, requirit
Hereat ut gestis scriptor, dictumque reducat
Ad faciem ueri, uero det nubere uerbum;
Verborurn fuco non aures mulceat, immo
Imbuat attentas ueri dulcedine mentes.

65 : Non hominum plausus cupio laudesque requiro,
Ne michi subripiat fructum leuis aura laboris.
Mens humana loqui tentans de uirgine tanta
Sobria concipiat, non se deleget illud
Culmen supremum uel inuiolabile lumen

70 Quod mentem superat hominis, sensumque reuincit
Angelice lucis; sic mens uersetur in istis
Quod sit firma fides, uerbi prolatio sinplex ;
Quapropter leuiora ferens, potiora relinquo
Sensu conspicuis, contentus sinplice uerbo.

Cap. IV. — InciPIT LEGENDA; ET PRIMO QUAE FUIT NECESSITAS
NOUORUM ORDINUM (1).

79 Ingenite lucis splendor, genitura perhenpnis,
Principium de principio, sapientia cuius —,

In uarias causas discreuit semina rerum,

Humani generis lapsu permotus, in aluum

Virginis aduenit, carnem suscepit, utramque
56. Cod. leuigam con a destra il segno d? abbrev. dell’ us. 60. Cod. suppremum

(1) Corrisponde, pel concetto, al ^ cesco e di S. Chiara, e agli aiuti of-
principio del Prologo, in cui si ac- ^ ferti à quella da Dio.

cenna, con: parole però molto più (T. efr. Luer. I, 53-55; pel signif.
miti, allo stato della società ceri- dell’espress. « semina serum » usata 1

stiana, prima della venuta di S. Fran- spesso nel poema. Ovid. metam. I,
9,.419; Fasti, IV, 787, LEGGENDA LATINA VERSIFICATA DEL SEC. XII

80 Naturam copulans, diuini neumatis arte. ii Ri
Tamquam de thalamo sponsus celestis ab aluo
Virginis egrediens, fragilis sub carnis amictu,
Exiit in canpum; tandem cum principe mortis -
Conflingens sub fraude pia pius ipse redenptor

89 Hostis congressu miro commenta refellit,
Languores nostros pielosi sanguinis unda
Diluit in ligno pendens: ibi dazpna resoluit
Que. uetiti ligni gustus congessit in orbem.
Quam prius ecclesiam sub mortis agone redemit

90 Hane in apostolicis Christus fundauit alunpnis,

Per quos insonuit ueri doctrina per orbem,

Et mundi regna fidei substrata fuere.

Cuius pura seges, lolio erescente maligno,

Temporibus nostris emarcuit, ipsaque uirtus

Ul

Succubuit uitio ; putruit concreta reatu [c. 85 7] d
Ecclesie facies ; heresis, que senper id egit
Scinderet ut domini tunicam, non serpit, ut olim,
Nec latet in caueis; ueleres exuta latebras
Publieat errores et dogmata falsa tuetur.
100 Errauit populus, errauit et ipse sacerdos,
Errauere duces ; studium pastoris ouile
Deseruit, neglexit oues seruare luporum
Faucibus ; exponens doctorum lingua quieuit,
Ipsaque desipuit claustralis uita: quid ultra?
105 Excipiens nullum, clausit genus omne reatus. .
Sie creuere mala, sic friguit ignis amoris,
Quod ralis ecclesie, numerosis fluctibus acta,
Innumeris depressa malis, illisa procellis
Ingemuit, cordis suspiria traxit ab imo ; _ a
110 Nec rata iam sistens, pelago quasi mersa profundo, B
In solum Christum gemitus lacrimasque reduxit.
Cuius naufragio cupiens occurrere nauta
Celestis, lacrimasque suas detergere, binos

87. Cod. lingno 88. Cod. lingni 92. Cod. rengna

93-94 cfr. « marcescebat virilium operum fortitudo » Prol. 1, p. (54. 124

420

125

130

140

145

P.,, SENSI

Precones misit, quasi splendida sydera, quorum

Luce noua splendore nouo claresceret orbis ;

Pulsis errorum nebulis uitiisque recisis

Eloquii falce, fidei cultura uigeret.

Hos uelud.occiduas sub mundi uespere stellas

Edidit, accendens eterni luminis austu,

Vt mundi senium sub eorum luce nouetur.

Hii duo sub uario ritu, sub dispare ueste

Mundi labentis spreuerunt gaudia, Christi

Conformi uoto uestigia sacra secuti.

Vnus, transumens de nomine domini nomen, n
Preconum Christi speculum fuit adque uiator ;
Alter Franciscus qui, uili veste, minorem

Cunetis se prebens, dux extilit ipse minorum.
Paruulus in mille creuit tenuisque lapillus

In montem magnum, grándis de fonte pusillo
Processit fluuius uasto diffusus in orbe;

Irriguum euius animas rigat, adque salubris

Potu doctrine uitiorum conprimit estum.

Hie transire uidens fugientis gaudia mundi,

Atque uoluptates carnis cum carne perire,

Et, nisi per pugnam, nullam superesse coronam,
Bellum eum mundo.subiit, cum principe mundi
Mirum commisit fragili sub uase duellum.
Incentiua domans in mortis corpore, Christo
Commoriens, menbrisque suis pia stigmata portans,
Aerias acies et seui demonis iras

Spirituum furias ignitaque spicula triuit.

Non utens ferro nouus hic athleta nouellas
Armorum species fidei congessit in arcem.
Firma fides cordis et confidentia uerbi, |
In eruce pendentis Christi conpassio mira,

114. Cod. quaruni 142. Cod. nonus

114-120 cfr. « modernos patres... qui in tenebris ambulabant. Prol. 1,
luminaria orbis... in quibus me- . p. 154. — 190 cfr. Quadi veterata

ridianus fulgor mundo ad vespe- | mundi senecta urgente...» Prol. 15
ram consurrexit, ut lumen viderent,

p. 494.
LEGGENDA LATINA VERSIFICATÀ DEL SEC. XIII 125

Rerum contentus, carnis sopita uoluntas,
Excubie noctis, sinplex oratio mentis, i
Parca cibi potus assumplio, uerbera carnis,
Corda rudis nudique pedes, simul aspera uestis
190 Huius apostolici munimina et arma fuere.

In se flammatus diuini neumatis igne

Et de se prebens aliis exenpla, beati
Luminis est dietus ardens lucensque lucerna.
Preditus hiis donis alter fuit iste Iohannes.

155 Hic pugne nouitate calens feruensque sub armis
Militat ecelesie castris, cum prole tuetur
Catholice fidei muros, heresisque nephande :
Argutos stimulos confundit acumine ueri:

Hie splendore sue uite, dulcedine uerbi

160 Multos irradians pauit multosque retraxit
De mundi pelago, scelerumque uoragine mersos
Inpulit ad portum uenie, regnique beati
Participes fecit, quos mendicare sub isto
Tenpore perdocuit, et quos abiectio uite

165 Reddidit hic miseros, celo dedit esse beatos.

156. Il copista aveva scritto dopo il p abbreviato di pro un lole le cui prime due
lettere si trovano pwnteggiate.
UN LODO D'INNOGENZO III AI NARNESI

SPECIALMENTE PER LA TERRA DI STRONCONE

Quando presi a riordinare l'antico archivio di Stroncone,
rinvenni una preziosa membrana, adoperata per copertura di un
volume di atti civili, compiuti negli anni 4541 e 1542; ed ora mi
accingo a pubblicarne volentieri il contenuto, non solo perchè in-
leressa parecchi luoghi della nostra regione ed offre una prova di
più del carattere éminentemente politico di papa Innocenzo, ma
anche, e più specialmente, perchè può accogliersi come modesto
contributo alla storia dei Paterini nell’ Umbria, già cosi valente-
mente illustrata dal Fumi.

E siccome questo documento è, cronologicamente, il primo di
una breve serie di altri tre, parimenti inediti, che si riferiscono
alle guerre durate fra Narni e Stroncone nel secolo XIII, cosi
parvemi opportuno di far precedere il testo di esso da un rapido
riassunto dei fatti, quali sono narrati dai documenti suddetti.

Narni, Nequinum (secondo Plinio traente origine da nequitia),
fu città assai ardimentosa, che. prima resistette con grande eroi-
smo alla invasione romana (300 e 299 av. Cr.) (1), poscia dive-
nula sede di un castaldato imperiale, dopo avere appartenuto al
ducato romano, fu contrastata ai pontefici dai duchi di Spoleto.
Visse in continue lotte nei secoli posteriori, e per avidità di con-
quista, stretta lega con le vicine comunità, di cui è anco ricordo

(1) F. Liv. Il dec., lib. IX,
UN LODO D'INNOCENZO Ill 127

in atti fra essa, Rieti e Spoleto (1), non lasciò inviolato alcun con-
fine dei comuni vicini, specialmente in quel di Todi, Amelia e ,
Terni, rimasti fedeli alla Chiesa (2).

Sembra anzi che nel pontificato d' Innocenzo III, i Narnesi,
o maggiormente desiderosi d'ingrandire i loro possessi, o fatti
più arditi dai ghibellini e dai paterini che incominciavano a porre
salde radici nella contrada, facessero anche più frequenti gli au-
daci tentativi, invadendo furiosamente 1 borghi, i castelli e le città
vicine, malgrado l’atto di omaggio fatto al papa da Corrado duca
di Spoleto in Narni, e senza darsi alcun pensiero di quell’ alto
dominio che la Chiesa esercitava su queste terre sue tributarie,
per conferma. di Ottone IV dell’anno 1208 (8).

Infatti nel 1209 Innocenzo III fulmina contro di essi l'inter-
detto, perché in reprobum sensum dati e in profundum vitiorum
iam prolapsi, apprendano e provino quam gravis sit manus Ec-
clesie super eos qui Deum et ipsam indurato corde contemnunt (A).

Sebbene in questo documento non si faccia aperta menzione
di paterini, pure è chiaro che le parole del pontefice non pote-
vano esser provocate da sole invasioni territoriali, o da rapine o
devastazioni compiute a danno dei comuni finitimi, ma da que-
stioni che erano per la Chiesa di ben maggiore importanza.

Vedremo nell'atto d’Innocenzo III che io porgo ad esame,
come di paterini e di eretici a Narni già ve ne fossero parecchi;
poichè, tra le sanzioni di questo lodo, il papa impone la cacciata
di essi dalla città e la distruzione delle loro case. Da questo atto
ci risulta che i Narnesi avevano saccheggiato e distrutto Stron-

(1) SANSI, Docum. stor. ecc. P.I, p. 227; 233.

(2) Cfr. THEINER, Cod. dipl. dom. temp. s. Sedis, I, 42; e TERRENZI, Un periodo
di st. Narnese, 1894. :

(3) Fin dal principio del secolo XIII i Naàrnesi, attraversato l'intiero territorio
di ‘Terni, avean presa forte e secura dimora sulla vetta del Monte S. Angelo, presso
la Cascata delle Marmore, e di là tendevano ad impossessarsi di Papigno, castello ai
ternani direttamente soggetto; ;e quasi ciò fosse ancor poco, nel 1219 accampavano
diritti di possesso sulla basilica Valentiniana, alle porte della città; dimodoché lo stesso
Onorio HI personalmente intervenne, riconsegnò con pompa solenne la basilica ai ter-
nani, e delegò Pietro cardinale di S. Giorgio in Velabro.a reprimere P audacia de-
gl'invasori (Cfr. SILVESTRI, Riform., Lib. II).

Nel 1264 i Narnesi, per espandersi verso il mezzogiorno portano rapidamente le
armi contro Sangemini, che a gran pena li respinge (Cfr. mio opusc. Sangemini,
pag. 13).

(4) BALUTIUS, Epist. Innoc. IIJ — 1682, vol. 2; pag. 208,
128 L. LANZÌ

cone, Otricoli ed un villaggio presso Amelia; avevan derubati gli
abitanti di Foce, ed, incorsi nella scomunica, avevano allora mag-
giormente sollevata la ribellione e danneggiato il Vescovo e le
proprietà ecclesiastiche. A sgravarsi dalla terribile condanna, essi -
facilmente ebbero ricorso alla clemenza d’ Innocenzo ; il quale do-
vette innanzi ottenere da loro qualche atto di sottomissione, prima
di revocar la sentenza, poichè qui si accenna a cose falte da essi
tempore ezscomunicationis, come di tempo remoto, che forse risale
al 1209.

Egli impose pertanto a quei di Narni di ricostruire Stroncone,
tanto nelle mura, quanto nelle abitazioni, come prima era; di re-
integrare gli abitanti, sotto loro giuramento, di tutte le cose arse
o predale o andate disperse, e se nella stima si eccedesse, il papa
provvederebbe alla nomina di cittadini narnesi, per moderare le
esigenze dei danneggiati. Violenti obbligazioni pare che a questi
fossero estorte, per guisa che furono tutte annullate, salvo per
quei debiti che si provassero, per testimoni o per istrumento, ri-
sultare da mutui fatti de bursa propria e non già in fraudem. Si
prosciogliessero i mallevadori che fossero stati dati durante la pri-
gionia per la redenzione o per qualsiasi altra causa od indebita
esazione, e si restituissero i pegni. ll castello di Stroncone do-
veva ritornare in dominio della Chiesa, se non per quel tanto che
de gratia piacesse ad essa concedersi a vantaggio dei Narnesi:
libero lasciato ognuno che volesse tornare ad abitarlo e togliendo
Il bando corso che nessuno potesse andare a starvi senza spe-
ciale permesso. Si restituisse a Stroncone il privilegium rapitogli ;
con che forse devesi intendere il codice delle sue consuetudini o
de’ suoi statuti. Anche a favore di Otricoli il pontefice preserisse
di rimetterlo nella sua libertà, come godeva avanti la distruzione
del castello, rompendo le obbligazioni a cui era stato astretto C.
Volle l'abiura di quelle società contratte in tempo di scomunica,
e vietò di contrarne altre senza saputa e consenso del rettore

(1) Nell'ottobre del 1198, sotto il pontificato dello stesso Innocenzo, gli uomini
e il castello di Otricoli avean fatto atto di dedizione al Comune di Narni, « non vi nec
dolo ducti, sed propria et spontanea et mera.... voluntate ». |j strano che, raggiunto
lo scopo, dopo appena 17 anni, i Narnesi infierissero poi, sino alla distruzione del
luogo — (TERRENZI, op. cit., pag. 27 e segg. Cfr. SANSI, Storia del Comune di Spoleto,
I, pag. 43). : ;
UN LODO D’ INNOCENZO HI 129

della Tuscia. Rendessero il censo e i dovuti servigi, secondo le
antiche consuetudini, alla Chiesa Romana, e li lasciassero pagare
senza alcun impedimento nel vescovado di Narni. Restituissero
a chiese e persone della Sabina bestiame e cose predate dopo
l’ultima loro devastazione, tanto a titolo di rapina, quanto a titolo
di riscatto di prigioni sulla stima di alcuni bont viri designati :
per gl' incendi avrebbero, forse, provveduto in via di grazia, pia-
cendo loro cosi. A quanti eccessi si fossero lasciati andare lo
mostra il ricordo che qui fa il papa di Todini, Amerini, Ternani
e altri fedeli della Chiesa, che per ordine suo si adunarono con-
tro i Narnesi. Il papa non vuole che per quest fatti li abbiano
mai da offendere. Non vuole che dal Vescevo, dai chierici, dalle
chiese esigansi collette o dazi o servizi, senza ordine del Vescovo
stesso, cui non devesi gravare ingiustamente, ed a cui devesi re-
sliture tutto il tolto al tempo della scomunica. Proibito loro di
eleggere o ricevere reltore forestiero, senza speciale licenza pon-
tificia. Soddisfino a pieno, a stima di probz virt, gli Amerini di
un castello ultimamente arso e degli ultimi danni cagionati loro,
dopo la proibizione inferta ai Narnesi dal nunzio del conte. Jaco-
mo, consubrino del papa e rettore della Tuscia, e rendano tosto i
sette buoi rapiti nel castello di Foce. L'osservanza di queste pre-
serizioni sia posta nello statuto, e sia falta mantenere dal podestà
e dai consoli. Discaecino dalla città paterini ed altri eretici, ne
distruggano le case e mai più li riammettano. Per ammenda. di
spese si abbiano a buon mercato la imposizione di due mila lire
del Senato, da pagarsi alla Camera apostolica.

L’atto è fatto d'ordine del papa e del card. Stefano dei ss.
Apostoli, camerlengo del pontefice, sottoscritto da cinque testi-

P] nb

moni, e rogato da Nicola, serintarius S. R. E.

Che cotesto lodo pontificio, naturalmente, nelle trattazioni pre-
celenii intercedute fra il papa ed i Narnesi, fosse convenuto da
questi ultimi, e fosse poi da loro accettato e mandato ad effetto,
almeno in parte, lo dimostrano gli atti che seguirono, e di cui
daró qui un cenno fugacissimo.
issi risultano da due altre pergamene: l'una (cent. 56 Xx 15)
130 L. LANZI

contiene la copia di due atti: il primo è rogato in Perugia dal
notaio Simeone in data 8 maggio 1216, ed in esso Cencio di Bea-
trice, procuratore dei Narnesi, rinunzia alla comunità di Stron-

cone, e per essa a Giovanni di Stefano e ad Oderiso di Rapiz-

zone, tulli i debiti che la città di Narni avea creati a danno di
quel castello.

Il secondo atto, rogato dal notaro Cornabono il giorno 11 del
detto mese, reca la rinunzia medesima falta a vari delegati Stron-
conesi da Pietro di Stefano, giudice di Narni, e da Giovanni Lo-
pazzano, tesoriere della stessa città. Questa copia, compiuta da
un Andrea notaro, in data 7 marzo 1241, è autenticata da Malteo
di Berarduecio, da Bartolomeo e da un Andrea, notari, per or-
dine di ser Enrico giudice ordinario.

L'altra pergamena (cent. 41 54.61) scritta in bel carattere
bollatico da Giovanni figlio e cancelliere di Beraldo giudice di
Santa Romana Chiesa, sotto la data 13 maggio 1216, contiene al-
tra rinuncia che Pietro Annibaldi, cognato del papa, eletto po-
destà di Narni ed altri fanno di tutti i diritti che i Narnesi e-
ransi a danno di Stroncone arrogati. In rappresentanza di que-
sto castello, comparisce nuovamente Oderisio di Rapizzone.. L'atto
fu stipulato al cospetto di Stefano di Fossanova, cardinale della
basilica dei dodici Apostoli, ma non reca la indicazione del luogo.

Da ció appare chiaramente, e meglio ancora dal nome del
nuovo potestà, Pietro Annibaldi, che Narni aveva accettato il lodo
pontificio, sottoponendosi forzatamente alla Chiesa, dopo che Ot-
tone IV ebbe rinunziato, a prezzo del suo riconoscimento in re
dei Romani, ai diritti dell' impero sul ducato di Spoleto col famoso
atto di Neuss. Ma se il lodo suddetto e

gli atti successivi rive-
lano l'abilità d' Innocenzo III a ricostituire lo stato ecclesiastico,
favorendo i piccoli luoghi col sollevarli dal dominio dei maggiori
e restituirli nella loro libertà e usando mitezza col conquistatore,
la poca docilità dei comuni maggiori ad accettare il dominio pon-
üficio è attestata non pure dalla ribellione di Narni (che possiamo
far risalire al tempo in cui Ottone delineó i confini dello stato
della Chiesa, sulle traccie dei privilegi per lui citati di Lodovico
e degli altri imperatori) ma anche da quello che Narni, con Spo-
leto insieme, malgrado il lodo d'Innocenzo, operava quasi subito.
Di fatti, a distanza di qualche anno solamente, Narni rifiutò
191

UN LODO D' INNOCENZO. III

obbedienza al Papa, e Federico II fu costretto da questo a minac-
ciare le due città di metterle al bando dell' impero. Nel suo de- .
creto del 28 febbraio 1218 dolendosi de superbo spiritu et super-
stitiosa Spoletanorum ae Narniensium voluntate (1), pare accen-
ai mali stessi che già avevano funestato per l'innanzi quelle
le, cioè la rivolta civile e le agitazioni del pensiero. La lo-

nare
contra:
cuzione superstitiosa voluntate, mira chiaramente ai paterini, che
intendevano far causa comune coi ghibellini.

Ed ora veniamo al testo integrale del lodo (2).

LS
* *
1215, giugno 7.
In nomine domini — Anno dominice Incarnationis .m ccxv. anno

octavodecimo pontificatus domini Innocentii iij pape, Indictione iij mensis
Iunij die septima. Hee sunt capitula que nos Innocentius episcopus ser-
vus servorum dei preeipimus vobis Narniensibus sub debito prestiti sa-
nti et fideiussionis. 1. In primis ut rehedificetis vestris

cramenti seu iurame
Stroncone tam in muris quam in domibus sieut

expensis castrum de
fuit ante. 2. Item omnia mobilia que in combustione castri vel postea ab-
stulistis hominibus de Stroncone ad iuramentum eorum qui [abs]tulerunt
eis pretium vel res si apparent reddatis. 3. Omnia vero que per

res ipsas,
homines ammiserunt emendetis ad iuramentum

combustionem prefati
damna passorum. 4. Qui si forte in extimando modum excesserint, de man-
dato nostro eligentur aliqui de concivibus vestris: ad iuramentum eorum
extimatio restringatur. 5. Item debita quibus homines castri predicti ha-
ctenus molestastis penitus dimittatis, preter illa debita tantum que ve-
strum aliquis cuiquam illorum de bursa propria non in fraudem se mu-
tuasse probabit per idoneos testes aut per autenticum istrumentum; ita
tamen quod si probare poterit, sua sit tantum sorte contentus ; absolven-
tes omnes fideiussores eorum si quos vobis dederunt pro redentione vel
pro alia causa dum essent [in c|aptivitate vel etiam pro alia indebita
exaxione et restituentes pignora si qua pro hiis recepistis ab eis. 6. Item
castrum ipsum ecclesie omnis cum omnibus pertinentiis suis in demanio
eeclesie Roniane perpetuo remaneant, nisi quantum ecclesia de gratia

(1) TuEINER, Op. cit. I, 49.

(2) È una pergamena (54 x 30)
mancanti od abrasi furono sostituiti
di m. Ventura da Castelvecchio il giorno 11 novembre 1239 ed autenticata da Bene-
da Nicolò di Pietro di Pietro Egidi e da Nicolò di Egi-

mutila in più punti, in carattere bollatico. I punti
coll'aiuto di una copia fatta dal not. Bartolo

detto di Pietro di Gottofredo,
dio, notari.
132 È. LANZI

vobis duxerit concedendum. 7. Item instrumenta omnia que sive pro debi-
tis, sive pro aliis causis contra eos infecta fuerunt penitus irritetis. 8. Item
quicunque castrum ipsum habitare voluerit plena eum permittatis liber-
tate gaudere. 9. Et sicut generaliter. inhibistis ne aliquis ex eis castrum.
sine vestro speciali mandato ad habitandum intraret, sic a modo faciatis
publice nuntiari ut quilibet absolute ac libere revertatur habitaturus ibi-
dem. 10. Item privilegium quod abstulistis eisdem ipsis red[datis. 11. Ite]m
v[oljumus et precipimus, ut homines castri Otriculi, quod destruxistis, in
ea qua fuerat ante castri destructionem maneant libertate et ab eis sine
speciali nostro mandato nihil penitus exigatis, absolventes eos a sacra-
mento vel alia [obligation]e si qua vobis tenentur astricti. 12. Item societa-
tes quas excomunicationis tempore contraxistis, penitus abiuretis nec cum
aliquibus de cetero contrahatis sine nostra vel Rectoris Tuscie coscientia
et consensu. 13. Item censum et debita servitia, que Ro[mana Eecle]sia in
civitate vestra habere antiquitus consuevit, reddetis et que in episcopatu
Narniensi, non impediatis quominus libere persolvantur. 14. Item omnia a-
nimalia et ea que ecclesiis et hominibus Sabinie post ultimam devastatio-
nem vestram tam nomine prede quam pro re[dentione] captivorum ab- .
stulistis, iuxta estimationem bonorum virorum qui ad hoc deputati fuerint
reddatis, set [si apparet] reddatis res ipsas: de incendiis autem et aliis
dampnis expectabitis gratiam si quam vobis duxerimus faciendam. 15. Item
Tudertinos Amelinos Interapnenses et alios eeclesie Romane fideles qui de
mandato nostro vos offenderint propter hoc nullatemes offendatis. 16. [Item
omnia que epi|]scopo vestro et eeclesiis civitatis vestre excomunicationis
tempore abstulistis, iuxta bonorum vivorum extimationem, reddatis, nec
ipsum episcopum vel i[psas ecclesias] de cetero iniuste gravetis, nec ab
episcopo aut clericis vel ecclesiis collectas sive datas, exactiones vel alia
[servitia si]ne mandato episcopi exigere presumatis. 17. Item non eligetis
vobis de cetero nec recipietis aliquam personam extraneam in Rectorem
sine no[stra licentia speci]ali. 18. Item precipimus ut secundum extimatio-
nem proborum virorum ad plenum satisfaciatis Amelinos de castro quod
nuper incendistis et de dampnis aliis que intulistis eisdem post proibitio-
nem nuntii nobilis viri comitis Iacobi consobrini nostri R[ectoris Tuscie,
et| septem boves quos de castro quod dicitur Foce abstulitis sine dilatione
reddatis. 19. Item precipimus quod ponatur in costituto vestro ut consules,
potestas sive Rector, qui pro tempore fuerint in civitate vestra, iurent se
servaturos predicta pre[cepta et quousque] ea omnia fuerint executioni
mandata plene ac fideliter impleturos. 20. Item precipimus quod paterinos
et quoslibet alios hereticos de civitate vestra expellatis.et dextruatis do-
mos eorum nec ipsos scienter de cetero admittatis. 21. Item propter l[icet
contujmaciam vestram multe et magne expense sint facte, volentes tamen
vobiseum misericorditer agere, volumus et precipimus, ut Camere nostre
mm. librorum senatus solvatis. Hec autem precipimus, vobis, reservata
nobis potestate addendi et minuendi.

Testes huius rei hii sunt rogati.
pos
i iA

UN LODO D' INNOCENZO II 133

Magister Raynerius domini pape notarius testis.

Magister Benedietus testis.

Boetius domini Camerarij Capellanus testis.

xaynerius Bern[ardini] testis.

[Benedietus de] Fraetis testis et alij plures.

[Ego Nicolaus] saneté Romane ecelesie scriniarus c[unta] que supra
leguntur [de mandato] domini pape et domini Stephani basiliee duode-
cim apostolorum presbyteri Cardinalis et domini pape Camerarij [scripsi]
et complevi —.

Come si vede da questo documento, Narni aveva preso di
mira colle sue ostilità, sopra tutto, la grossa terra di Stroncone;
e da altri atti posteriori appare che non le deponesse mai, tutto-
chè ammonita dai papi, e Stroncone dai papi protetta.

E poichè se ne offre la opportunità, mi. piace, sulla fede di
documenti inediti, a complemento delle cose narrate, di dar noti-
zia del come terminassero le contese alla fine del secolo XIII.

Da cinque alti (contenuli in una sola pergamena di cent. 65
X. 76) di m. Bonaiuto del Casentino, notaro di quel cardinal
Matteo d’ Acquasparta, della cui vita rigorosa fa menzione 1’ Ali-
ghieri nel canto XII del Paradiso, apparisce come i Narnesi,
profittando della. sede vacante per la morle di Nicolò IV, eransi
nuovamente spinti alla espugnazione di Stroncone, avevano in-
cendiate le messi mature sui campi di Ruschio (1), avevano. ma-
nomesse le proprietà e le persone; e, cacciati i canonici dalla
chiesa di S. Antimo, vi avevano eretto un fortilizio. Gli abitanti
del castello, sgomentati per le inattese violenze, eransi rivolti per
soccorso ai Cardinali raccolti nella città di Rieti, i quali ben tosto
delegavano Matteo d’ Acquasparta a guidare sul luogo un forte
esercito abruzzese, capitanato da Rubeone Gallo di Subiaco.

Atterriti i Narnesi a tale notizia, inviarono ambasciatori a
chieder pace. 1l predetto cardinal Portuense. fece allora sosta in

(1) Il ch. conte Manassei, illustrando un privilegio di Benedetto III (Appena.
alla st. di Terni — Pisa, 1878, pagg. 590 e 593!, traduce ARuschwm per Ruscolo o
Colle Rosso. Anche ai dì nostri vive il vocabolo Aewschio là dove i monti di Stroncone
confinano con Greccio e con Moggio,
184 L. LANZI

Terni, e, come è narrato nella pergamena, innalzato il vessillo
della Chiesa sulla fronte del maggior tempio, ivi ricevelte i mes-

saggi ed ivi rese giustizia agli assediati (1).

Il primo degli atti compresi in questa membrana porta la

data del 16 luglio 1293 e reca la procura, con la quale il popolo
di Narni delega Nicolucia di ser Giovanni Todini a giurare ob-
bedienza al cardinal Portuense e ad invocare il perdono. per gli
eccessi commessi a danno di Stroncone.

Il secondo, datato col 17 luglio, contiene il giuramento reso
da Nicolucia al cospetto del cardinale d’ Acquasparta. nella catte-
drale di Terni.

Il terzo atto, stipulato nel seguente giorno, riferisce gli or-
dini impartiti dal cardinale predetto, primi fra i quali il reintegro
dei danni arrecati agli Stronconesi, la distruzione del fortilizio e
la riconsegna della chiesa di S. Antimo ai canonici ante vesperas ;
quindi la condizione da lui posta che il giuramento fosse ratificato
dal Comune di Narni, e che fossero da questo esibiti ventiquat-
tro fideiussori.

Il quarto atto rogato nello stesso giorno contiene la ratifica
del Comune, ed il quinto la obbligazione dei fideiussori.

E notevole il fatto che in questi atti i Narnesi si obbligano
a restarsi dalle offese e ad obbedire alla curia di Roma per tutto
il tempo che durerà la sede vacante, fino a tre mesi dopo la ele-
zione del futuro pontefice (2).

(1) Giacomo card. di s. Giorgio in Velabro lasciò una esatta narrazione di questo
fatto in un opuscolo sulla vita di Celestino V, riportato dal MuraroRI (Seript. rer.
italic. vol. 39, cap. 4, pag. 622 — « De .Fr. Matteo de Acquasparta, port. episc. misso
contra Narn. qui obsidebant castrum Stronconi »). :

(2) Le pretese dei Narnesi sulle loro conquiste non si acquetarono, infatti,
cosi presto né cosi facilmente. Onorio III li aveva cacciati dalla Basilica Valentiniana
nel 1219; il card. d'Acquasparta nel 1293 aveva loro ritolta la chiesa di s. Antimo,
sottoponendoli anche a pene gravissime: essi avevano solennemente giurato di rinun-
ciare ad ogni preteso diritto, ed intanto nello Statuto del Comune, un secolo dopo

(1371) ancora sancivano:
Lib. I. Cap. 20.

« Item statuimus quod dominus Vicarius dicte civitatis teneatur vineula iura-
menti requirere Dominum Episcopum Narnie, una cum dominis sex electis. dicte
civitatis, qui erunt per tempora, quod procurent omni modo quo melius fieri poterit
instituere in ecclesia S. Valentini in campo et in ecclesia S. Antimi clericos natos de
Narnia, quando. vacare contigerit prebendas in ipsis ecclesiis vel altera ipsarum ».

Lib. I. Cap. 211.

« Item statuimus quod dominus Vicarius teneatur dare auxilium et favorem ad
recuperandum possessiones et bona. ecclesie S. Valentini in Campo ecc. »,
x

UN LODO D' INNOCENZO III 13:

Questa copia, in bel carattere gotico, fu compiuta da Gerardo
dei Rastelli da Imola, il 26 agosto dell'anno stesso in Rieti, per
ordine del predetto Matteo di Acquasparta, cardinal di’ Porto e ^
vescovo di S. Rufino.

Tutte le pergamene anzidette interessano grandemente anche
per il numero delle persone notevoli che intervennero alla stipu-
lazione degli atti.

Terni, dicembre 1894.

L. LANZI.
= INVENTARI E REGESTI

I CODICI DELLE SOMMISSIONI

AL COMUNE DI PERUGIA

Nella prefazione al Codice diplomatico della Città di
Orvieto l'illustre nostro Presidente scriveva che « la princi-

pale attenzione del compilatore di una simile raccolta do-

veva essere rivolta a quella serie di copiarj che in ogni ar-
chivio per lo più ha uno dei primi luoghi, dove si conten-
gono i così detti Capitoli, ossia ai « libri jurium >, e quindi
egli accennava che in aleune città questi volumi sono detti
« libri margaritarum », quasi gemme fra tutti gli atti degli
archivi. Anche nell Archivio Perugino si custodiscono siffatti
documenti, l'importanza dei quali é stata sempre riconosciuta
da tutti coloro che si sono consacrati allo studio delle nostre
memorie cittadine.

Infatti il Pellini nella sua Storia di Perugia afferma che
ilibri delle Sommissioni sono fra le piü pregiate scritture
che si conservino nel nostro Archivio, e nel corso dell' opera
più e più volte li ricorda; il Mariotti ha fatto tesoro della
importantissima colleziene nel « Saggio di memorie istoriche
civili ed ecclesiastiche della città di Perugia e suo contado »
e specialmente nella seconda parte che contiene il catalogo
. dei nostri potestà, capitani del popolo, legati e governatori;
il Bartoli nella Storia della città di Perugia da lui seritta
sopra memorie raccolte e compilate da Luigi Belforti e ma-
lauguratamente rimasta incompleta, ha tenuto i libri delle
Sommissioni in così gran conto, da riferire per esteso alcuni

La ee a ie M t I CODICI DELLE SOMMISSIONI AL COMUNE DI PERUGIA 191

atti, che in quei volumi si leggono, e il Bonazzi, il più re-
cente storico della città nostra, anch'egli ha tratto dai pre-
ziosi codici i più sicuri elementi per dimostrare l' organizza-
zione e l’ incremento del nostro Comune. — E ancorchè noi
non possiamo rammentare qui tutti gli scrittori di cose Pe-
rugine, che dimostrano di avere avuto notizia delle Sommis-
sioni e di averne tratto vantaggio» per le opere loro, pure
crediamo non debba tacersi che degli interessanti documenti
si valsero’ il Bonaini, il Fabretti e il Polidori ad illustrare
sapientemente le cronache della città di Perugia da loro pub-
blicate nel Tomo XVI, serie 1°, dell Archivio Storico Ita-
liano.

I codici, ove i preziosi documenti sono raccolti, sono
quattro, l'uno dei quali è segnato con x} e gli altri tre con
le lettere 4, B e C, e dell'importanza che pure i nostri an-
tichi attribuivano agli atti, che ivi si veggono riuniti, è prova
anche il fatto che non' poche sottomissioni sono ripetute in
un volume medesimo o nei vari codici. — I documenti sono :
scritti senza alcun ordine, vuoi di materia, vuoi di tempo, e
noi; limitandoci adesso a disporre cronologicamente quelli
di ciascun volume, faremo seguire al modesto nostro lavoro
un indice, nel quale tutto il contenuto dei quattro-codici. si
presenti per modo al lettore che questi possa con maggiore
facilità rendersi conto del come nel volger degli anni Perugia
estese la sua influenza e i suoi domini. — Il che è impor-
tantissimo a sapersi, avuto riguardo, come scriveva il Bonaini
nella Prefazione alle Cronache nostre, che « in ció appunto
consiste grandissima parte della Istoria di Perugia; perocchè
non si tosto il Comune si aggrandi che volle recati alla pro-
pria obbedienza non i Cattani soltanto, che erano sparsi nei
dintornij ma le città medesime a lui circostanti ».

Del resto tale coordinazione è già stata compiuta da
un valente nostro collaboratore, il Canonico don Michele Fa:
loci Pulignani, che di questi Libri delle Sommissioni egregia-
mente ha discorso nell’ Archivio Storico per le Marche e per
10
138 ANSIDEI E GIANNANTONI

V Umbria. — Nelle considerazioni poste innanzi all’ elenco dei
documenti raecolti nei quattro volumi ricordati, il Faloci ac-
cenna all utilità di un più ampio studio sui documenti stessi.
L'importanza di questi, se da un lato ci incoraggiava a siffatto
lavoro, dall'altro ce ne dissuadeva nel timore di accingerci
a troppo ardua impresa, ma ogni nostra incertezza è stata
vinta, quando abbiamo potuto vedere ciò che in questo me-
desimo Bollettino scrive il Presidente della Società: « Noi rivol-
geremo, egli dice, le nostre prime cure agli, Statüti Comu-
nali anteriori al secolo XIV, poi alle collezioni dei Capitoli
o Sottomissioni; perchè come quelli sono tutto il corpo del
diritto pubblico interno, così queste contengono la somma
del diritto pubblico esterno, con che si venne di lunga mano
preparando l orditura per l’unità della patria ».

E come a queste nostre parole abbiamo dato principio,
riportando alcune considerazioni che l' egregio nostro Presi
dente premetteva ad una pubblicazione che tanto lo enora
e dalla quale abbiamo tratto tanti utili ammaestramenti, così
ci è grato avervi posto termine con altri giustissimi. riflessi
del chiarissimo comm. Fumi. Se tutti gli studiosi di Steria
nell Umbria devono essere riconoscenti a lui, che ha consa-
crato e consacra tutto sé stesso alla fondazione e allo svi-
luppo della Società Umbra di Storia Patria, molto più deve
essergli grato chi, al pari di noi, si onora di averlo a guida
e a consigliere (1).

Perugia, dicembre ’94.
V. ANSIDEI e L. GIANNANTONI,

(1) Si noti che nel regesto con la lettera C. s' indicherà la parola Comune, con
P. Perugia, ed il segno * si premetterà al nome del notaro che autenticò la copia
dell’ atto, CODICI DELLE SOMMISSIONI AL COMUNE DI PERUGIA 139

t

CODICE I° SEGNATO 83

DAL 1180, LUGLIO AL 1491, FEBBRAIO

Cod. memb. in foglio, leg. in assi coperte di cuoio, di cc. 136 num.
— Gli atti contenuti nel Cod. sono dei secoli XII, XIII e XV e la serit-
tura é-dei secoli XIII, XIV e XV. — Sono in bianco le ce. 39, 64, 80,
103, 104, 113 e 156.

Dalla numerazione risultano mancanti le ce. da 35 a 38 incluse e
le cc. 40, 128 e 129; queste ultime tre appariscono tagliate.

Manca l’ indice dei documenti contenuti nel volume, che, a quanto
sembra, non ha mai esistito.

Incipit :-< In Dei nomine. Ab incarnatione eius anno M. centesimo
octuagesimo ».

Explieit: « Et ego Gratiaboni imperiali auetoritate judex ordina-
rius et notarius et nunc notarius populi et artium civitatis perusine pre-
dictis interfui et ut supra legitur scripsi et publicavi ».

I. — 1180, Luglio. — Civitatis Castelli submissio, c. 1 r.

« Presidente donpno Alexandro papa sancte romane ecclesie,
victorissimo (sic) quoque Frederico imperatore regnante » i Con-
soli di Città di Castello col consenso del Vescovo e dei chierici e
di tutto il popolo della stessa città sottomettono questa a P. e ai
Consoli Perugini presenti e loro successori.

Le condizioni della sottomissione sono le seguenti:

1.» I Castellani saranno coi Perugini in perpetuo « ad facien-
dam pacem et guerram et hostem et parlamentum » e coi nemici
di P. non faranno pace o lregua senza il consenso dei Perugini
stessi.
140 ANSIDEI E GIANNANTONI

2° Qualora i Consoli Perugini richieggano in alcuna guerra
di aiuto Città di Castello, i Consoli Castellani li aiuteranno con
tutto il.C. a proprie spese.

3.9 I Castellani daranno parziale soccorso di. milizie ai Pe-
rugini a spese di questi quando ne sia lor fatta domanda; lo stesso
impegno assumono a volta loro i Perugini.

4.9 I Castellani ad ogni rinnovazione del loro consolato
giureranno obbedienza ai Consoli Perugini entro un mese da che
ne siano stati richiesti dai Perugini medesimi, ed il popolo Ca-
stellano farà il simile « in renovatione sui Comunis ».

9.9 I Consoli Perugini avranno diritto di intervenire « in re-
novatione consulum Castellane civitatis » quando lo vogliano.

6.».Nessun Perugino « dabit guidam aut silquaticum aut
passagium neque in civitate neque in comitatu ubi Civitas Castelli
habet vires ».

. ^"? I Consoli Perugini e i loro nunzi saranno mantenuti a
spese dei Castellani ogni volta che si rechino in Città di Castello
per un negozio delle due città.

E 8.» Se il C. di Castello « faciet aliquam acquisitionem de
aliquo castro, de quo usque modo non habuit datam sive coltam
vel hostem », darà la metà ai Consoli Perugini, i quali faranno
dal canto loro altrettanto nel contado Castellano.

Leggesi inoltre: « Nos perusini consules in omnibus his su-
prascriptis excipimus Ranerium marchionem ad nostram volun-
tatem » (1).

La pena cui i Castellani si sottopongono in caso di inadem-
pimento dei patti è di 1000 libbre di argento purissimo.

Test. — Ranuccio « de Girardino de Raymundo Petride »,
. Ranuccio « de Perusio », Oderisio « de Petro », Ranuccio « Blanci »,
Riccolo e Mussolo figli « quondam de Buccalata », Ralfo « de

(1) Di privilegi concessi ai Marchesi, così chiamati genericamente, fanno cenno
tanto il PELLINI (Dell? Historia di Perugia, Parte I, Lib. III, pag. 204) parlando. del di-
ploma accordato nel 1186 ai Perugini dall Imperatore Arrigo VI, quanto il BONAZZI,
che discorrendo del diploma medesimo manifesta l'opinione che questi Marchesi di-
scendano dal Marchese Ugo di ‘Toscana detto per antonomasia il Marchese.

.Da un documento in data 29 Maggio 1202 (Sommiss. D, c. 5 7.) si rileva che
Uguecione e Guido figli di Raniero possedevano Monte Gualandro, Castel Nuovo,
S.ta Maria di Pierle, Lisciano, Tisciano e Reschio. — L'Abbazia di Pierle è ricordata
a C. 23 r. del Cod, B citato.

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1 CODICI DELLE SOMMISSIONI AL COMUNE DI PERUGIA 141

Ugolino de Stanzia », Ugolino « de Vilano », Gualdino « de Ra-
ynaldo » ed Egidio « de Raynutio ».
Ildebrando not. — *Piero « Bonifatii » not. (1).

II. — 1183, Febbraio 28. — Submissio civitatis Eugubij cum
juramento firmata mille Eugubinorum et ultra, c.-2 r.

« Ad honorem Dei et domini imperatoris Archicancellarij cbri-
stiani et ducis » i Consoli Eugubini « consensu et voluntate epi-
scopi, clericorum ae totius populi » sottomettono la propria città
a P. alle stesse condizioni di cui nell'atto precedente.

La pena alla quale promettono di sottostare gli Eugubini
non osservando i riferiti patti è di 1000 libbre di argento pu-
rissimo.

Test. — Gualtierone « Capannarij », Baractero « Mathey », Te-
delgrado « Ranutij », Giovanni « Brandoli », Bernardino « Cor-
« danelli », Arestinello « Salomonis ».

All'atto. fa seguito un elenco di molti cittadini di Gubbio
che giurano sugli Evangeli « in perpetuum tenere et observare et
non contravenire preceptum et precepla quanta et qualia D. Pan-
dulfus de Sigura Romanorum Consul et Perusinorum Potestas (2)
eis facerel et tenere et observare omnia per singula capitula
que in compromisso continentur facio in D. Pandulfum ab Ugo-
lino S. Pauli potestate Eugubij et Stantiolo judice Comunis Eu-
gubij nomine ipsius Comunis cum nobilibus hominibus eiusdem
civitatis, videlicet. Ugolino Salvi, Guidone Baruncelli, Guillelmo
Carsidonij, Ranerio de Sarpi, Jacobo Albertini, Quitalite Judice,
Bonbarone Bebulei, Maurino Vicini, Bernardino Uguitionis pro
se el successoribus suis et pro omnibus hominibus dicte civitatis
Eugubij tam elerieis quam laycis et a Bonifatio Coppoli (3). Co-

(1) Altre copie di quest'atto si hanno a c. 41 r. di questo Cod. nonché a c. 49 t.
del Cod. A e a c. 60 r. del Cod. € Sommiss.

(2) V. il Saggio di memorie Istoriche Perugine del MarIOTTI, nel vol. II ove si
ha il catalogo dei Potestà, Capitani del popolo ete., a pag. 197. =

(3) Questo Bonifazio della illustre famiglia: Perugina dei Coppoli è più volte nei
Codici delle Sommissioni ricordato come Camerario. Il Camerariato era ufficio di
singolare importanza.
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ANSIDEI E GIANNANTONI

munis Perusij camerario actore et sindico a Potestate et populo
perusino publice constituto » (1).

II. — 1188, Decembre 3, presso l'Ospedale « de Fulti-
gnano » (2). — Submissio Castri Plebis, c. 114 r.

Il Conte Bernardino (3) con il consenso e l'approvazione dei
Consoli Clanello e Gualfreduccio « de Ubaldino », Girardino
« de Malabranca » ed altri sottopone il Castello della Pieve di
S. Gervasio ai Consoli di P. Raniero « De Capelle » Camerario, Gui-
duccio « de Rainaldo », Calfo « Ugolini Stantie », Girardino « de
Rainaldo Saneti Valentini », Ugo « Bonicomitis », Boninsegna
« Abbatis », Struffolo « de Rainaldo de pede Perusio », Andrea
« de Letulo », Arlotto « Medici », Bernardo « de Livaldo », Lupo
« Montanarij, Bertraimo « de Adelino », Rainaldo « de Rogu-
glio », Ugolino « Montanarij », Astuldo « de Bernardo de Teuzo »
e Gualfreduccio « Martinelli ».

Si ripete anche qui il solito patto, che cioè Castello della
Pieve sarà tenuto a far pace o guerra « contra omnes homines in
perpetuum excepto imperatore et suo serenissimo filio rege En-
rico el excepto Bernardino de Bulgarello comite et.eius heredibus ».

Si daranno inoltre in occasione della festa di S. Ercolano otto
libbre « bonorum inforciatorum lucensis monete »; parimente ogni
anno « tribus vicibus debent [homines prefati castri] per annum tres

" albergarias consulibus perusine civitatis dare et in unoquoque al-

bergo debent esse duodecim homines cum duodecim caballis ».
Se i Perugini imporranno che a qualche loro spedizione pren-

dano parte quelli di Castello della Pieve « per comunantiam »,

costoro si obbligano a venire « in exercitu perusino ad salarium
et ad expensas predictorum hominum Castri Plebis S. Gervasij »;

(1) L'atto é ripetuto a c. 42 r. m8, c. 50r. A e c, 6l r. C.

(2) L'ospedale di Fontignano è castello sulla via fra Perugia e Città della Pieve. —
V. BARTOLI, Storia della Città di Perugia, scritta sopra memorie raccolte e compilate
da L. BELFORTI, vol. I, pag. 258.

(3) Si ritiene che Bernardino sia della famiglia dei Conti di Marsciano. L'atto
si legge anche a.c. 15 r., A, c. 18 r., Be c. 12 r., C, delle Sommissioni. — Si vegga
anche il PELLINI (op. cit. parte I, lib. 30, pag. 206).

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*

i CODICI DELLE SOMMISSIONI AL COMUNE DI PERUGIA 143

che se la città di P. volesse che gli uomini di detto castello ven-
gano « in hostem perusine civitatis per divisim », i cavalieri e‘
fanti dovranno venire a spese del C. di P. e salariati da quei
di Castel della Pieve; ogni anno i nuovi Consoli della Pieve si
recheranno in P. per giurare l'osservanza dei precetti dei Consoli
Perugini; ogni sette anni tutti gli uomini della Pieve che abbiano
superato i quattordici anni saranno tenuti a rinnuovare il giura-
mento di fedeltà.

Tutti gli anni essi dovranno prestare i servizi di cui nel pre-
sente istrumento è fatta menzione « nisi evidénlissimus metus
superveniret eis ita quod nulla ratione facere possent prenominata
servitia »; in ogni modo peró appena cessato questo timore, le pre-
stazioni medesime dovranno effettuarsi ed in caso contrario il Conte
Bernardino sarà obbligato a fare tutto ciò che piacerà al conso-
lato Perugino « et si non esset consulatus quicquid episcopus pe-
rusinus sive archipresbiter. saneti Laurentij vel duo boni homi-
nes per portam perusine civitatis: voluerint precipere predicto co-
miti ».

La città di P. alla sua volta dovrà dare aiuto agli uomini di
Castello della Pieve contro tulti, eccettuato l'Imperatore, il suo fi-
glio Enrico ed i! Conte Bernardino e i suoi eredi. :

Inoltre gli nomini di detto Castello « in nullo tempore nullum
apostatum servitium per aliquod ingenium facere debent Urbeve-
tani Comunitati ».

Test. — Oddone « de Rolandino », Giovanni « de Mancino »,
Berardo « de Diruta », Pietro « de Malavoglia », Gennaro « de
Buiolo: », Abuiamonte « de Aporthulo », Guglielmo « de Agello »,
Guelfuccio « de Medico », Oddone « Convenzinis », Aringerio suo
fratello, etc.

Atto giudice del sacro palazzo not. — *Andrea not. (1).

(1) L'importanza di questo atto nel quale, mentre è più volte ricordato 1° Impe-
Patore, non si fa menzione del Pontefice, è segnalata anche dal BONAINI, a pag. XXXI
della prefazione alle cronache e storie inedite della città di Perugia. — V. Archivio
Storico Italiano, serie I, tom. XVI, parte I. ue suna: E -* n —c— dice
A ^ MOM ACER WU "XS A VT Ml
*
144 © ANSIDEI E 'GIANNANTONI

IV. — 1189, Febbraio 12. — Submissio castri filiorum. Uberti,
c. 115 t.

Il Marchese Ugolino dà e sottomette tutte le sue terre alla
città di P. dichiarandosi pronto a far pace e guérra, contro tutti,
eccettuato |’ Imperatore e il Re Enrico; consegna-inoltre allo
stesso C. di P. « Fractam filii Uberti ad pacem et guerram, ostem
ei parlamentum- et ad coltam et datam » come la predetta ciltà
fa per le altre parti del suo territorio, riservando per sé soltanto
la metà della colta di Fratta.

Si obbliga altresì a custodire e proteggere, per quanto potrà
i Perugini e le cose loro. La stessa protezione devono a lui i
Perugini.

| Consoli sono gli stessi che nell’atto precedente.

L'osservanza di questi patti è garantita dal march, Ugolino
sotto pena di 100 marche di argento.

Test. — Prudenzio Giudice « Urbiveti » (sic), Matteo Giudice
« de Terente », Alegretto « de Monesteulo », Andrea « de Sup-
polino de Turre », Rolandino « de Ara », Maestro Daniele, Gilio
de Papiano », etc.

Martino Giudice not. (4).

V. — 1202, Maggio 29. — Submissio Montis Gualandri,
3 De 3

Castri Novi, Sancte Marie de Perelle, Liscare, Tisciani,
- Reschi, c. 116 r.

Uguecione e Guido Marchesi figli « q. Ranerij Marchionis »
danno e sottomelttono a P. tutti i castelli, ville, borghi, uomini,
famiglie e terre che essi hanno nel contado e vescovato Perugino e
cioè; Monte Gualandro, Castel Nuovo, S.^ Maria « de Perelle »,

*

(1) Del presente atto di sommissione leggesi un sunto nello stesso PELLINI (Parte I,
lib. 30, pag. 208). Esso leggesi anche a c. 6 r. A e Bea c. 5 r. € Sommissioni.

Il documento è ricordato anche nelle notizie che sulla Fratta, ora Umbertide,
dà il MariorTI nelle sue Memorie dei castelli Perugini.

ug

di crd I CODICI DELLE SOMMISSIONI AL COMUNE DI PERUGIA 145

Liscaro, Tisciano e Reschio con le respettive cürie e seguendo
.il corso del Nicone, affluente del Tevere, dalla parte-di Reschio
fra le terre dei Marchesi e il contado di Castello.

La sottomissione è fatta ai Consoli di P. « Vilano Saraceni »,

« Perusio Mussi », Pietro « Bertraimi », Saraceno « Viveni », Maf-

a

feo « Azzonis », « Gergolo Guerrerie » Amideo « de Rosciano »,
Raniero « Goliane », « Dux Rogerij », Stefano « Monachi », Gio-
vanni « Aldrevandutij », Guglielmo « Agelli », Gualtiero « Merza-
dantis », Ser Gualfredo, Peronzio, Pietro « Gregorij » e Leone
Camerario.

E concessa al C. di P. la facoltà « exigendi coltam et datam

et recipiendi albergarias ».

I Marchesi si obbligano ‘a pagare in caso di inosservanza
1000 marche d'argento a titolo di penale e giurano sugli Evan-
geli di mantenere i patti. *

D. Giovanni Priore di Preggio investitore.

Test. — Giacomo « Janni Aldevrandi Beatricis », Casiolo « Gui-
docti », Balduino « Acaptapanis », Gargano « Bonegratie », cittadini
castellani, Bieco « de Monte Gualdo », Adenolfo « de Asisio »,
Ugolino « Magioli », Tudino « Orlandini », Boninsegna « Pauli »,
Capitone, Monaldo « Johannis » etc.

Bertraimo not. (1).

VI. — 1202, Dicembre, 12. — P., in casa di Brunaccio « Peri
hainutij Perusij » Civitatis Nucerij submissio, c. 117 r.

Monaldo « Loterij » Console di Nocera per sé e per gli altri
consoli e suecessori, presente e consenziente Ugolino. Vescovo
della stessa città, sottomette questa al C. di P. rappresentato dai
Consoli che son ricordali nell'atto precedente.

Promette di pagare annualmente nella festa di S. Ercolano 10
libbre « bonorum denariorum Lucensium » e di far guerra e pace,
a seconda delle forze e del grado della sua città, con tutti coloro

(1) Il documento é uguale a quello contenuto nel Cod. « B » e richiamato nella

No. 1, — V, anche i Codd. A à c. b t. e C à c. 4 t. e PELLINI, parte I, lib. 4o, pag. 224,
146 ANSIDEI E GIANNANTONI

con i quali P. ávrà pace o guerra, eccetluati gli uomini « de Ca-
stro Reali.».

Oltre a.ció ogni anno i Consoli o chiunque altro governerà
il C. giureranno l'osservanza dei precetti dei magistrati di P.;
quando questi facciano colletta generale per il contado di-=Bisda
estendano a quello di Nocera, e la metà della colletta fatta pel
contado di Nocera sarà percepita dal C..di P. e l’altra metà da
quello di Nocera « exceptis civibus omnibus civitatis Nucerij et
exceplis sesaginta mansis Canonice episcopatus. quos episcopus
voluerit excipere et exceptis militibus ».

Si obbligano pure i Nocerini a dare « hospitia et vitualia »
ai Consoli di P., quante volte questi dovranno recarsi a Nocera
« pro spetiali negolio Nucerine civitatis».

“Inoltre se i Consoli o il Vescovo .di Nocera avranno per il
C qualehe causa « in rganibus consulum perusinorum vel potestatis
aud rectoris » non daranno oltre diéci libbre di denari lucchesi
« pro decimo quantecunque quantitatis fuerit causa vel lis, minus
aulem secundum quantitalem cause ».

Il Console e Sindaco di Nocera Monaldo promette che i giu-
ramenti di fedeltà saranno ogni 10 anni rinnovati da tutti gli uo-
mini « qui sint in aetate XX annorum ».

La penale promessa dai Nocerini è di mille marche d'argento.

I Consoli di P. prendono dal canto loro Nocera sotto la loro
protezione e promettono di aiutare i Nocerini contro (ulli eccetto
che contro gli Eugubini. Si impegnano da ultimo a porre i rife-
riti patti « in constituto » e a confermarli « de consulatu in con-
sulatu ».

Test. — Rainuecio Senese Giudice del C. di P., Jacopo suo
figlio, Giovanni « Ranucine », il signor Bertraimo « Bonaventure »,
Martino « Dente » cittadini di Siena, Michele « Peri Mancini »
Andrea « Brunatij » e « Perusio Januarij » cittadini Perugini,
Raniero « Bartholi », e Giovanni cittadini di Nocera.

Jacopino not. (1).

(1) Anche per questò atto V, Codd. A c. 25 r., B c. 29 t. è PELLINI, parte T, lib. 4o
pag. 229. I CODICI DELLE SOMMISSIONI AL COMUNE DI PERUGIA 147

VII. — 1208, Luglio 25. — P., nella piazza del C. in pub-
blica adunanza. — Gualdi submissio ad Comitatum et
submissio Arcis Fee, c. 118. t.

Raniero « Alberti » Console di Gualdo insieme a Raniero
« Bernardi », Boncompagno (1) « Serrani », Rambaldo Simone
« Palavaci », « Orzone Stronelli », « Strano Rainaldo Alexandri »,
« Savere Joculatore », Giovanni « Altule », « Dontesalsi Girgui-
num », Piero « Aliocti » e « Pigolotto Simonis » danno ai Consoli
di P. Gerardo « Gislerij », Rainaldo, Bonconte, « Monaldo, Gilio,
Ugo, Blandideo, Bevignate, ianiero, Bonaccorso, Villano, Pe-
rusio, Crispolto, Gualfreduccio e Jacopo e ad Andrea Camerario
la rocca di Flea e sottomettono sè stessi e tutte le loro terre ed
uomini e famiglie « ad coltam et ostem et parlamentum » alle
stesse condizioni delle altre. parli del contado perugino, cedendo
« medietatem bannorum et folliarum et decimorum et de omnibus
causis » che si porteranno innanzi ai Consoli di Gualdo ; questi
nè con parole né con fatti concorreranno a che P. perda la detta
rocca, ed anzi con tutte le loro forze l'ajuteranno a conservarla.
La pena promessa dai Gualdesi è di trecento marche di argento
purissimo; P. poi prende sotto la sua custodia i Gualdesi e i
loro beni, promettendo di proteggerli nelle persone e negli averi
e di conservare il loro C. e consolato secondo le antiche loro con-
sueludini.

[ Consoli di Gualdo dovranno giurare obbedienza a quelli di
P. — Quando piacesse ai Gualdesi di trasferirsi in altra località
potranno farlo, ma con l'assenso del C. di P., che assume l'ob-
bligo di proteggerli anche nella loro nuova residenza. — I custodi
posti da P. a difesa della rocca di Flea dovranno giurare di difen-
dere i Gualdesi e le cose loro ; P. non cederà mai detta rocca ad
alcuno; se dovesse cederla a qualeheduno, la cederebbe a Gualdo
gratuitamente. I Consoli Perugini promettono che tutti i patti sa-
ranno posti « in coslituto » quando sarà rinnovato e che i loro
successori « ita observabunt et annualiter in eostituto apponent »;

(1) Per questo nome V. Sommiss. A, c. 194 1,
148 ANSIDEI E GIANNANTONI

giurano sul Vangelo la osservanza dei patti medesimi, « salvo in
hiis omnibus honere et preceto Domini Pape et Domini Senatoris
Alme Urbis Romane (1).

Test. — Piero « Pieri », Rustico « Rainaldi », Glotto « Mu-
naldi », Saraceno .« Viveni », Guiduccio « Rainaldi », Mancino
« Grassi », Raniero « Baruncij », Ugolino « Montanarij », Pieruc-
cio « Simeonis », Monaldo « Guastaferri » Rainuccio « Petrutij »,
il sig. Latino « Herri », il sig. Bevignale « Becarij Benedictoli »
Suppolino « Ugolini », Rainuccio « Bertraimi », Ugolino « Ma-
soli », Tommaso « Tignosi », Piero « Tudini » e Diviziano.

Bono not. — * Bernardo .not. (2).

VIII. — 1208, Settembre 5. — /nsularum et lacus submis-
$10, C. 120 r.

Gli abitanti delle Isole Maggiore e Minore ad onore del po-
testà di P., Pandolfo « de Secura » (3) giurano e promettono alla

città di P. e a tutti i suoi cittadini amici e sudditi di rinunciare

‘alle ragioni che potessero loro competere in seguito a ciò che da

essi o per essi avevano sino allora sofferto. — Promettono altresì
che non renderanno ai Perugini « malum meritum ».
Conserveranno e difenderanno il lago a disposizione dei Pe-
rugini; non daranno ajuto nè di opera nè di consiglio a chiunque.
voglia togliere il lago a P. e si opporranno sempre a che sia rie-
dificato Castiglione. Ogni anno essi e i loro eredi e successori
« a decem annis supra » confermeranno con giuramento le ob-
bligazioni assunte e giureranno di rispettare tutti i comandi del

(1) Questa eccezione é ripetuta anche nella Sommissione del castello di Montone
dell'8 Marzo 1216 che leggesi a c. 54, del Cod. B, delle Sommissioni. — V. a pagi-
na XXXVII la prefazione del BowNarNI alle cronache inedite della città di Perugia,
Tomo XVI, Serie 1a dell'Archivio Storico. Italiano.

(2) V. Sommiss. A, c. 194 r. e BartOLI, Storia dello città di Perugia, vol. I, pa-
gina 207, e BONAZZI, Storia di Perugia, vol. I, pagg. 258 e 259.

(3) Nel MARIOTTI, Catalogo dei Potestà etc., sotto gli anni 1209 e 1210. leggesi :
« D. Pandulphus de Suburra Romanorum consul et Perusinorum Potestas ». Il Ma-
RIOTTI trasse il nome-da un ms. ch' era in mano di Mons. della Corgna e che fu co-
piato da VINCENZO TRANQUILLI ; più volte Pandolfo « de Secura » è ricordato negli atti
delle Sommissioni, 1 CODICI DELLE SOMMISSIONI AL COMUNE DI PERUGIA 149

Potestà o dei Consoli Perugini:sChe se per caso P. perdesse il lago,
gl'isolani l'ajuteranno con ogni lor possa a ricuperarlo; essi ri-,
nunziano .a ogni accordo interceduto fra loro e i Perugini al tempo
in eui uscirono da Castiglione, volendo che quegli accordi « sem-
per habeantur pro inanis et infectis », salvo i precetti del Potestà
e dei successori suoi, ai quali concedono pieni poteri di togliere
o aggiungere alle cose stabilite.

Test. — Ugo « Marcovaldi », Raniero « Petrutij », Maestro
Matteo, Jacopo « Verdiane », Bernardo « rector laci » e Bernar-
dino « Bubulei ».

Benedetto cittadino di Sutri not. (1).

IX. — 1210, Febbraio 28. — P., nel palazzo del C. « in
generali consilio ». — Juramentum Perusinorum ‘ad
summum. Pontificem — Promissio Pape in civitatem
Derusi. 6. 109. T.

« In nomine Domini Amen, A. D. MCCX, Ind. XIII, exeunte
Februario in vigilia Sancti Herculani, ad honorem Dei et Ecclesie
Romane et utilitatem comunitatis Perusine civitatis, Perusini una
cum voluntate et autoritate D. Pandulfi de Subora ‘Romane Ur-
bis Perusij potestatis:(2) hoc modo juraverunt precetum. Domini
Pape Innocentii III Domino Stephano ipsius Apostolici Camerario
nuntio et legato (3) eius nomine recipienti pro defensione Sancti
Petri Romane Urbis, videlicet quod juraverunt precettum dieti
Apostoliei eiusque Catholicorum successorum bona fide sine fraude
obedire et observare ». A tale difesa i Perugini si obbligano sol- .

-

tanto entro determinati limiti, cioè da Perugia a Roma (4). Il Papa

(1) L'atto é ripetuto a c. 3 r. del Cod. A, a c. 2 t. del Cod. B delle Sommissioni,

nel quale ultimo però porta la data del 1209. — In tutti e tre i codici è erroneamente
notata la indizione XIII. — V. PELLINI, parte I, libro 4e, pag. 230, ove, parlando di

questa sottomissione, accenna anzichè alle isole Maggiore e Minore, alla Polvese.
(2) V. nota (3) a pag. 148.
(3) In ordine a questo legato del Papa V. MARIOTTI, Catalogo dei potestà etc., pa-
gina 104 sotto l'anno 1210.
(4) V. là ricordata prefazione del BONAINI, à pag. XXXV,
150 — -ANSIDEI E GIANNANTONI

dal canto suo ratificherà quanto inesuo nome conchiuda il legato
e, qualora sia per far pace con l’imperatore, comprenderà in que-
sta pace anche P. « et retinebit dictam civitatem Perusii ad se
ad fidelitatem. et honorem Romane Ecclesie et dicte civitatis ».
Parimente il Papa promette di conservare ai Perugini tutte le
loro consuetudini e tutii i loro diritti tanto « in electione consu-
lum seu potestatis quam in appellationibus, tam in hominitiis et
celeris aliis »; e se il Papa volesse ai Perugini imporre alcun che
contro questi patti, o pretendesse che essi militassero a. difesa
della Chiesa al di là di Roma, i Perugini non saranno tenuti ad
obbedienza (1).

Test. — Piero è de Pero Bombaronis », Uffreduzio « Ugui-
lionis », Raniero « de Capelle », Arlotto « Peruntij », Jacopo « Ver-
diane », Piero « Bernardi Fabri », Monaldo « Uguilionis » ed
altri.

Pietro giudice e not. (2).

X. — 1216, Marzo 8. — P. « in atrio ante 5. Herculanum ».
— Montonis submissio, c. 106 r.

Cardasanti e Bernardo « Jacobi » Consoli del castello di Mon-
tone sottomettono a. Giovanni Giudice Console dei Romani e Po-
testà dei Perugini (3) e a Gualfredo Camerario del C. di P. il
Castello di Montone « cum tota sua curte et cum omnibus suis
pertinentiis et omnibus hominibus existentibus in dicto castro ».
Promettono altresì di far guerra insieme al C. di P. contro chic-
chesia ma specialmente contro Città di Castello e Gubbio, non mai
peró contro l'Imperatore o il Re é 1 Marchesi, di fronte ai quali
porgeranno ajuto soltanto a mezzo di preghiere. Ogni volta che
la città di P. facesse o ordinasse « generalem coltam per civita-
tem perusinam et burgos », i Montonesi si obbligano a dare per
ciascuno dei loro focolari quanto pagherà ogni focolare perugino.

‘(1) V. la prefazione medesima a pag. XXXII.
(2) V. Sommiss. A, c. 40 r., BARTOLI, Storia di Perugia, vol. I, pag. 302, e CIATTI
Perugia Pontificia, libro: VHI, pag. 279.
(3) V. MARIOTTI, Catalogo dei Potestà, Capitani del popolo ete., pag. 196 e 197.
I CODICI DELLE SOMMISSIONI AL COMUNE DI PERUGIA 151

Tutti gli anni nella festa di S. Ercolano i Montonesi daranno in
servizio ed onore di P. « unum pallium vel unum cereum valen-
tem. C. solidos denariorum vel C. solidos denariorum » a scelta
del Potestà o dei Consoli di P. Quando ne sian richiesti rinno-
veranno tali patti con giuramento ogni 7 anni.

Tutto quanto è contenuto nel presente istromento rimanga
fermo in perpetuo salvi i diritti che su detto Castello hanno an-
che per consuetudine i Marchesi ed eccettuato il caso in cui l' ina-
dempimento dei patti si verifichi « metu imperatoris vel regis »;
in tal caso i Montonesi non intendono di sottostare alla penale
pattuita in 200 marche di argento, ma si impegnano ad osser-
vare i patti stessi « eorum metu cessante ». Il Potestà e il Ca-
merario di P. « de consensu et voluntate comunis Perusij et de
consilio consiliariorum tàm spetialium quam generalium » aecol-
gono il Castello di Montone e i suoi abitanti sotto la protezione
di P. e assumono l'obbligo di difenderli contro tutti fuorchè contro
il Papa, i Romani, l'Imperatore, il Re e i Marchesi, promettendo
però di giovarli presso questi per quanto sarà loro possibile a
mezzo di preghiere.

Nella rinnovazione dello Statuto Perugino il Potestà o i Con-
soli di P. dovranno porre l’obbligo dell’osservanza di questi patti;
| quali tutti dovranno essere mantenuti e al di là dei quali non
potrà P. esigere alcun che da Montone « salvo in hijs omnibus
preceptum atque precepta .D. mostri Pape et alme Urbis sena-
loris » (1).

Test. — Ugolino « Salomonis », Bonconte « Uguitionis »,
Glotto « Munaldi », Mainardo « Imperatoris », Rustico « Sara-
ceni », Rainaldo « Mariani » Bono not., « Dux Rogerij », Ven-
tura *« de*Nucerio », Bernardo « Uguitionis D. Benveniatis », elc.

Jacopino not. — *Jacopo « Boni » not. (2).

(1) Da queste parole trae il BonAINI (Prefaz. cit. pag. XXXVHI) la giusta conse-
guenza che in quei nostri maggiori non era spenta l'idea latina e che non devono
essere state a P. « così profonde come altrove le tracce lasciate dalla conquista dei
barbari ». Il BoNAINI che cita più volte questa sottomissione di Montone, richiamando
il Muzi (Memorie civili di Città di Castello), la rammenta sempre con la data del 1210.

(2) V. PELLINI, parte 1, libro 4e, pag. 238 e 239. — Il documento é ripetuto a c.
59 t, Cod. A, c. 54 r. Cod. B e c. 64 r, Cod. € delle Sommissioni.

——
152 ANSIDEI E GIANNANTÓNI

XI. — 1217, Agosto 8. — Nella piazza pubblica di P. — Com-
promissum, inter" Comune Perusij et Comune Eugubij,
UTER |

« Ad honorem Dei et beate Marie semper Virginis et beato-
rum Apostolorum Petri et Pauli et S. Romane Ecclesie et beato-
rum Martirum Laurentij et Herculani et beati Ubaldi et ad ho-
norem alme Urbis Senatus populique romani et Perusine Civi-
tatis.

Bonifacio « Coppoli » camerario della città di P., eletto Sin-
daco dal Polestà Pandolfo (1) da una parte e Ugolino « de Sancto
Paulo.» Potestà e Stanziolo Giudice di Gubbio dall'altra rimettono
allo stesso Pandolfo la soluzione di ogni*lite, discordia, guerra,
che antecedentemente avesse avuto luogo o potesse aver luogo in
avvenire fra le due città. Insieme al Potestà e al Giudice di Gub-
bio prendono parte all'atto Ugolino « Salimguerre », Guido « Ba-
Ja-
copo « Albertini », Guitalite Giudice, Bonbarone « de Bibulco »

runeelli », Guglielmo « Carsidonei », Raniero « de Serra »
b) [e] > )

H
Mancino « Vicini », Bernardino « Uguitionis » e Bontadoso « A-
delardi » cittadini di Gubbio. La penale è fissata nella somma di
mille libbre di oro purissimo e il C. di Gubbio vincola per l'osser-
vanza degli obblighi assunti « quiequid civitas Eugubij habet et
tenet a Savunda versus Perusium »

Test. — Rodolfino « de Serra »

, Bérardo « de Ascagnano »

Conte Bolgarello (2), Raniero « Berardini », Ugolino « Salomo-

>

nis », D. Armanno Cappellano del Papa e Rustico «* Raynaldi
Mariani », Piero « de Pero » e Gianni « de Cincio de Sasso Ro-
: )

mano ».
Deotesalvi not. — *Piero « Bonifatii » not. (9).
(1) Pandolfo « de Sigura », come può aversene certezza dall'atto che segue.

(2) Tutto fa credere che questo Conte Bolgarello sia figlio del Conte Bernardino
di Bolgarello già ricordato come uno della famiglia dei Conti di. Marsciano.

(3) Il documento si legge anche a e. 12 r. del Cód. ^, a c. 13 t. del Cod. B e a c. 9 t.
del Cod. C, delle Sommissioni. — A questo compromesso ha relazione il giuramento
degli Eugubini, di cui é cenno al N, IH.

Naz: Asa

DI

alga O 2$ 07 e coe » — meti:

I CODICI DELLE SOMMISSIONI AL COMUNE DI PERUGIA 153

XII. — 1217, Settembre 6. — Nella piazza del C. di -P. a
piedi del Campanile di S. Lorenzo e S. Ercolano. — Lau-
dum inter Comune Perusij et Comune Eugubij, c. 8 1.

Il Potestà Pandolfo « de Sigura » in virtù del compromesso
di cui sopra ordina che il Potestà di Gubbio e gli altri Eugubini
ricordati anche nel compromesso medesimo in termine di otto
giorni diano « in tenutam » al Camerario del C. di P. Bonifazio
Coppoli « Castrum Montis Episcopi et Castrum Agnane » (1) op-
pure radano al suolo le torri e le mura di detti castelli o diano
a P. in ostaggio Ugo « Orlandini », Murico « Stantioli », Bon-
tadoso, Brunello « de Brisciano », Jacopo « Alberti », Bonba-
rone « Bibulci », Tederico « Federici », Gabriele « Ermanni »,
Ruggero « Vicini », Rodolfino « Carbonis », Bonamancia « Lo- ,
teri} », Boncompagno « Barigiane », Onesto « Jacobi », Bonac-
corso « Alixandri », Gervasio, Bonaccorso « de Jamvilano »,
Guido « Baruncelli », Andrea « Trasmundi », Maestro Bianco, e
« Suppolino de Serra » (2). Se questi ostaggi saranno dati il Ca-
merario del C. di P. restituirà a scelta sua e del Consiglio di P.
duecento prigionieri di quelli detenuti dai Perugini.

Test. — Gianni « de Cincio », Romano, Guido « Putei », di
Siena, Cambio di Firenze, Luterio « de Casciocto », di Firenze,
Jartolo « de Stabile » di Orvieto, Monaldo « de Pero » di Ac-
quapendente, Bencivenne « De Benincasa » di Arezzo, Gualtiero
« Arigi » e Castellano « de Rincùrdato Fabro », il Conte Bul-
garello, Berardo « de Ascagnano », Andrea « de Portolis » e Ber-
nardo « de Rudulfino ede Serra ». i

Deotesalvi not. — *Piero « Bonifati] » not. (3).

(Continua).

(1) Attualmente Agnano e Monte Lovesco.

(2) Questi ostaggi appartenevano certo alle più illustri famiglie di Gubbio : ed
in vero alcuni di essi sono ricordati fra i nobili Eugubini dei quali è fatta menzione
nel Documento N. II.

(8) V. lo'stesso albto-a c. 40 T. m8; C. 13°r. A; cc. lot, Bre 105t- 0. —«Visanchée
BARTOLI, Op. cit., Vol. I, pag. 323 e seg. 3

Il
(53)

154

COMUNICATO

IL TESTO VOLGARE DELL'ÍITINERARIUM DI ALESSANDRO GERAL-

V DINI D' AMELIA.

A

Dell’ Ztinerarium ad Regiones sub aequinoctiali plaga con-
stitutas di Alessandro Geraldini, i cui capitoli XII-XVI formano
una delle più sincere e reputate narrazioni sincrone della scoperta

. del Nuovo mondo, non conoscevasi sino a ieri che il testo latino.

Fu edito a Roma, col plauso di 17 vati in 9 lingue diverse, da
Onofrio Geraldini per i tipi del Facciotti il 1681, e ne venivano
l'anno scorso rimessi alla luce i detti capitoli per cura di Gu-
glielmo Berchet nella monumentale « Aaccolta di Documenti e
Studj pubblicati dalla R. Commissione Colombiana ». E però pia-
cemi annunziar dapprima in questo Bullettino di storia umbra una
ignota redazione volgare dell’/tinerarium, scampato da lante pro-
celle, tot fluctibus erutum, cominciato nel grande oceano l'anno
1520 e finito di comporre due anni dopo in San Domingo (Haiti)
da un iHustre e generoso figlio dell’ Umbria in magnorum regum
aulis et legationibus diutissime versatus. Questi seguendo il nobile
esempio di suo fratello Antonio — morto nunzio in Spagna nel
1488 — conforlò in terra straniera della sus*amieizia e nella madre

lingua il grande compatriota, in allora povero e lacero, e, parte-

cipando poi alla famosa Giunta, ribatté vittoriosamente le obiezioni,

teologiche mosse all'audace impresa; tracciata pur-dalla carta del
Toscanelli (1), di guadagnare il levante per il ponente.

(1) Un tentativo di ricostruzione di questa importantissima carta, inviata da
Paolo Toscanelli ad Alfonso V re di Portogallo e a Cristoforo Colombo, trovasi nella
Parte V, vol, I, tav. X della encomiata Raccolta Colombiana.

E ETUR

a aio opi eue cien ie ei tL ni POI

COMUNICATO 155

Codesta redazione italiana, che mi venne testé offerta in esame,
è compresa in un cartaceo in f. p. di ec. 94 numerate original-
mente, scritto in bel corsivo italico per mano di un Pompeo Mon-
gallo da Lionessa nella seconda metà del XVI secolo, anzi, sé-

. condo una sua avvertenza a c. 86", parrebbe nel periodo fra gli

anni 1565-1578. Serba il prezioso volume, proveniente dalla li-
breria del conte Evelino Cilleni Nepis di Assisi, la sua antica
legatura in pergamena molle; sarà posto in vendita insieme ad
altre rarità bibliografiche qui in Roma dal libraio Ildebrando Rossi
nel prossimo decembre, ed auguriamoci venga in possesso di qual-
che intelligente amatore di glorie nazionali, che intenda subito a
pubblicarlo.

Le prime II carte contengono un indice alfabetico degli argo-
menti, la III è bianca ed alla IV si legge il titolo: Itinerario di
mons. Alessandro Geraldini..... Principia questo a c. 6* in modo
ben diverso dal noto testo latino. « Io Alessandro Geraldini d'Ame-
« lia ritrovandomi in Spagna alli servigi delli Serenissimi Re di
« Raona et Isabella Reina di Castiglia, fui dalla loro benignità
« eletto vescovo della Città di Sandomenico, non molti anni prima
« da' lor capitani edificata nell'isola Spagnola, al presente comu-
« nemente detta di San Domenico nell’indie occidentali nuova-
« mente venute alla notitia et sotto l'imperio de’ Christiani per
« inventione el virtà del Gloriosissimo Christoforo Colombo Ge-

«(Novese ecc. ».

Termina al verso della 85» carta coll’ interessantissimo brano
sulle nefande crudeltà usate dagli Spagnoli in quell’ isola.

« Aggiungo per l’ immortale dio che molti de’ nostri Spagnoli
« volendo far provare se le sue spade tagliavano bene, in un colpo
« lagliavano una gamba o un braccio di quei corpi ignudi. Ag-
« giungo anchora che, per minima cosa, volendo satisfare alla
« loro essecranda crudeltà toglievano i piccoli fanciulli dal grembo
« delle misere madri e con impeto li sbattevano sopra i sassi,
« el se le infelici madri esclamavano più di quello che essi vole-
« vano, le ammazzavano. Ne è da meravigliarsi per ciò che in
« questo paese, in quel primo tempo che fu trovato, si mandarono
« huomini, per furti, per latrocinii, per homicidij et altri dete-
« standi malefici], infami. Ve ne furono di quelli che mutilati delle
« orecchie et d’altri membri non ardivano nelle lor patrie com-
e mini sione li

90

A. TENNERONI

« parire in pubblico. In questo crudel modo, chiamo in testimonio
« l'elerno et immortale iddio, si estinsero nell'isola Spagnola
« oltre ad un millione d’ huomini ».

Lo scrittore del codice vi si dice educato in Amelia, ove potè
addivenir caldo ammiratore della nobilissima famiglia Geraldina,
e appartenente alla Milizia di Gesù Cristo; vi si palesa uomo
di non comune cultura, siccome appresso sarà facile intendere,
Avendo egli tradotto dal portoghese i capp. 49-53 d' una Zelazione
dell’ Etiopia del patriarca G. Bermudes, li volle, quale compimento
alle cose s(upende dell’ Etiopia narrate dal Geraldini, trascriver
(c. 86'-92°) qui subito dopo l’ Itinerario, cui credette utile altresì
premettere un’ avvertenza (c. 5"-6") in cui c' illumina sulla forma-
zione del presente testo volgare. « Venuti alle mie mani (egli dice)
« alcuni fogli di carte spezzate che senza forma .et ordine alcuno
« contenevano l' Itinerario di Mons. Alessandro Geraldini d'Amelia
« vescovo di S. Domenico, città deli’ Isola Spagnola edificata da
« Bartolomeo fratello di Cristoforo Colombo ritrovator del nuovo
« mondo, mi sono mosso a ridurli in forma alquanto ordinata
« il meglio che si è potuto per non lasciar perdere la cognizione
« di tanti paesi e di tante cose delle quali per lo addietro non si
« avea notitia aleuna et non meno per honor dell’ autore ecc. ».

Si sa invece che il suddetto Onofrio dichiarò nella dedica del-
l' Itinerarium al card. Francesco Barberini di averlo tratto da
pergamene dell’ autore: offero (monumenta) iam vetera in mem-
branis auctoris, nascoste in casa fra gli avanzi di fardelli in-
diani (1). E nel proemio al lettore poi aggiunse: « ateor
« equidem huic nostrae familiae Geraldinae in Civitate Amerina
« nusquam defuisse viros, qui haec (monumenta) eurassent, sed
« nullus est ausus domesticis laribus manus inijcere, ne cuipiam
« meorum gloriae fraus fieret ». i

Che per tanto egli riesca a contradirsi, parmi evidente: se
l'autografo, o il presunto autografo, era rimasto per lunghissimo
tempo, diutissime, sepolto in casa, donde anche il suo merito
presso il Cardinale di averlo rinvenuto e posto in luce, perchè
poi confessare al lettore che ai Geraldini non difettarono uomini

che l'avesser curato? Fra questi dobbiamo noi oggi annoverare

(1) « Quae inter Indicarum sarcinularum reliquias domi sepulta, delituere ».

m. un xli:

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-— qe MES Re 3 ;
COMUNICATO Hay

il Mongallo, la cui opera non si dovette certo da Onofrio igno-
rare, anche per la distanza di pochi anni fra loro, ed anzi, come
lascian supporre le riferite frasi, si preferì tacere a causa d'una
malintesa boria di famiglia.

Nel grande risveglio e svolgimento odierno di studj Colom-
biani, la critica non ha potuto sottoporre ad esame l'originale
dell’ /tinerarium, ignorandone l'esistenza. Su di esso però siamo
lieti oggi rifletta un po' di luce la presente ridusione in forma
alquanto ordinata, come il Mongallo si piaeque umilmente chia-
marla. Consta essa invero, non altrimenti che il: testo latino, di
XVI libri; ma oltre a cominciare in modo diverso e mancar della
dedica e delle invocazioni frequenti nei libri a Leone X, differisce
eziandio nolevolmente da quello per essere stata in genere com-
posta in modo più semplice: e compendioso, tanto da sembrare
molto fedele al primo getto dell’ autore, nonchè in quanto a frasi,
periodi e mon di rado ancora ad interi passi, ora in più ora in
meno, e sì nei libri dedicati all’ Etiopia che in quelli, ove si de-
scrivono i Caribt, l'isola Graziosa (cui Colombo così chiamò dal
nome della madre di Alessandro per attestargli il suo gratissimo
affetto) e l'isola Spagnola. I termini di un Comunicato non con-
sentono, nè del resto è necessario e sarebbe ormai anche super-
fluo al mio scopo, il produrre qui molti passi diversi in riscon-
tro; il volonteroso o l'interessato potrà di leggieri, in grazie al
loro numero, rinvenirli e raffrontarli come lavoro completo, al suo
giudizio sulle diverse questioni inerenti al testo.

E dunque la critica dinanzi ad una redazione diversa per
forma e spesso anche per contenuto, ordinata e trascritta circa
cinquant'anni prima che fosse pubblicata la latina, e derivante an-
ch'essa da documenti originali che non meno dell'altra hanno,
parmi, diritto alla sua considerazione. Onde sorgerebbero spon-
tanee le dimande: quale delle due rappresenti veramente la pri-
mitiva, e in che lingua questa.sia stata scritta, o latina o volgare
ovvero anche, forse spagnola? E qui converrà allora rifarsi indietro
nella via delle indagini per appurare almeno quando pervenne in
Amelia il ms: dell’Ilinerario, e se mai le membrane citate da
Onofrio, sieno tutta una cosa. coi fogli di carte spezzate giunte
alle mani del nostro Mongallo.

Ad un erudito volenteroso non sarebbe poi ingrato ed inutile

-
158 A. TENNERONI

condurre a termine un raffronto minuto e completo delle due re-
dazioni ed arrivare, mercè l’aiuto dei sicuri criterî linguistici, a
stabilire quali precisamente e quante relazioni fra esse inlerce-
dano. A me basta Vavere così additato un. testo sconosciuto del-
l'importante Ztinerario del Geraldini, veramente prezioso di au-
tentiche notizie (1).

Giova credere che, avendosene oggi una redazione in volgare,
diventi, almeno in Italia, assai più: nolo ed apprezzato, e specie
nell' Umbria, che, sola fra le regioni sorelle, per bocca di due il-
lustri suoi figli parlò in Spagna amicamente a Colombo e ne di-
fese e protesse l' immortale scoperta.

Roma, 27 ottobre 1594.

A. TENNERONI.

(1) Nel licenziare le bozze apprendo che fu venduto, il p. d. dicembre, al signor
Jeronimo Ferreira das Neves, brasiliano di Rio-do-Janeiro, dimorante a Lisbona.

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cita

b. 740 IET

ANALECTA UMBRA

Sul codice Barberiniano XLV, 130, quello stesso di cui l'Allaeci si
servì per la raccolta di rime edite a Napoli nel 166t, il prof. A. Ten-
neroni ha stampato (s. 1., 1893; per nozze Paparini-Balestra) due sonetti
di ser Marino Ceccoli da Perugia. Il primo, che ha la didascalia Duleis
oratio amoris aperientis in tempore veris, comincia: « Quando i fiorecte
fra le folglie tenere » ; il secondo, che è una Liquida exclamatio tem-
poris recedentis amoris, com. « A la dolce staxon ch’ei tordi arve-
gnono ». Siccome il Vermiglioli nulla disse di questo poeta, così il prof.
T. nota opportunamente ch’ egli disputò d'amore con messer Cino, e che
altri cinque sonetti suoi lezgonsi nello stesso ms.: due trattano Je de-
solatione urbis Perusie e De diversitate gentium civitatis Perusie; uno fu
scritto per « quel gran diluvio d’acqua che venne in Firenze e quasi in
tutta Toscana » nel 1333 e che Giovanni Villani descrisse nel lib. XI
delle cronache: due furono indirizzati a un T'iberutum. de Montemelino.
Facciamo voti perchè il prof. Ernesto Monaci pubblichi presto, come
vien promesso, e integralmente, il prezioso ms. che altre rime d' altri
poeti umbri ei ha tramandate.

È uscito alla luce il vol. IV ed ultimo dei Lamenti storici dei secoli
XIV, XV e XVI (Verona, Drucker, 1894) raccolti e ordinati a cura dei
dottori A. Medin e L. Frati. Nell’ indice eronologico dei Lamenti storici
italiani in verso, ch’ è in fine alla diligentissima raccolta, è notato: sotto
l'a. 1458. I/ pubblico, nel quale si contiene it Lamento di Perugia essendo
soggiogata di Lorenzo Spirito; trattasi, come gli editori avvertono, del
poemetto in ternari di cui dié la notizia ed un saggio il Vermiglioli e
il prof. A. Rossi pubblicò due capitoli nel 1877 per le nozze Rotelli-Se-
nesi: il resto del poemetto è inedito. A pag. 143 e segg. sono editi e il-
lustrati i due Lamenti di Pergola, 1445-46, composti da Gaugello di ser
Travaglino de’ Gaugelli di Gubbio.

x L’arciprete Luigi Luzi di Lugnano in Teverina ha pubblicato uno
scritto su Le Mura di Amelia (Amelia, tip. Petrignani), dove, presentata
la topografia antica, parla delle mura ciclopiche al lato occidentale della
città e opina che fossero fabbricate dai Pelasgi Enotri, « perchè essi ave-
vano in costume porre le pietre a filari orizzontali, mentre i Tessali, ancor
160 ANALECTA UMBRA
eglino famosi in quest’ arte, fabbricavano senza ordine con pietre a forme
irregolari ». Alla venuta degli Etruschi, Amelia, una delle trecento (?) città
-dell' Umbria da loro conquistate. (av. l'éra 1187), dovette ingrandire il
suo perimetro, ed allora sorse l'altra cinta da levaute a ponente, dove si
trova il loro modo di fabbricare. L'autore, notata la differenza delle
costruzioni, ne delinea tutte le traccie, di eui deplora che sempre più se
ne vada perdendo la conservazione. Il breve cenno è dato indipendente-
mente dagli altri scrittori, da Plinio al Girotti, che non citansi.

A Gubbio, per la festa di S. Ubaldo dello scorso settembre, il tipo-
grafo S. Romitelli pubblicò le Gesta gloriose del b. Ubaldo tradotte dalla
leggenda del b. Teobaldo suo successore (Gubbio, 1894; in 8, pp. 80). Il
testo latino è eontenuto in un fascicolo membranaceo del secolo XIII,
rilegato col vol. I delle Riformanze nell’ Archivio comunale di Gubbio ;
ed è appunto quello che il Reposati tradusse e illustrò con riechissime
note (Loreto, 1760). Non si capisce perchè l’ editore ne abbia stampata
la traduzione di mons. Ceccarelli, di cui è molto migliore quella dell’e-
ruditissimo Reposati, e non abbia riprodotte in appendice quelle preziose
Illustrazioni. Così, non ha reso alcun utile servigio agli studiosi. Sap-
piamo che del testo latino della leggenda sarà fatta prossimamente una
ristampa nella raccolta dei Rerum Germanicarum. Scriptores.

Le relazioni tra S. Francesco d'Assisi e la città di Foligno raceon-
tate da d. Michele Faloci Pulignani (Foligno, 1893; in 8, pp. 51) sono
molte e di partieolare valore storico: quelle finora dubbie o tuttavia di-
Scutibili sono confortate dall'a. con bella copia di testimonianze e di
congetture probabili. Sebbene sia affermato dal Jacobilli, e la sua asser-
zione sia tarda e senza prove, pure è credibile che un Alessandro da
Foligno sia stato il maestro del santo; se non a Foligno ebbe questi una
visione, qui però dovette spesso recarsi per cagion di commerci. di stoffe;
qui fondò verso il 1223 un monastero di suoi frati e poi un altro di mo-
nache; qui venne con frate Elia nel luglio o nell’ agosto del ’24, e il sa-
cerdote che apparve ad Elia e gli annunziò che fra due anni S. Fran-
cesco sarebbe morto fu il martire e vescovo S. Feliciano. E alla storia
del santo si ricollega pur quella di Egidio vescovo e di Napoleone da
Foligno, il ghibellino valoroso, e della b. Angela e quella dei discepoli
suoi Matteo, Martino, Ermanno e Leonardo, tutti da Foligno. Al ricordo
dei due miracoli del santo, operati tra il 1226 e il ’30, e narrati dal da Ce-
lano, l'a. aggiunge la notizia di alcuni folignati francescani del secolo
XII, « contributo modestissimo, egli dice, ma ottimo per la storia del-
l'ordine minoritico ».

La Hevue Historique nel suo numero 110 parla del Diario di ser
Tommaso dà Silvestro notaro, pubblicato dalla Accademia di Orvieto « La
Nuova Fenice » a eura del Fumi. Del 3° fascicolo ultimamente uscito
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ANALECTA UMBRA 161

la Revue dice: Sans doute, U intérét de ce journal me se saurait égaler
a celui des « Diarii» de Marino Sanudo ou de Burchard : Orvieto n’ avait
pas, d la fin du XV siécle, Ü importance de Venise et de Rome, et les
faits rapportés par les eroniqueurs ne pouvaient pas avoir la méme portée.
Il est certain que beaucoup de détails notés soigneusement par ser Tom-
maso n'ont qu’ un intérét. purement local; quelque fois méme sa chro-
nique n' est. qu' un obituaire; car elle mentionne avec le plus grind soin
les maladies, les dicis et les funsrailles. Cependant, toute locale qu’ elle est,
cette chronique n’ est pas d dedaigner pour U histoire; en la lisant, nous
saisissons sur le vif la vie quotidienne des Italiens de XV siicle. Nous
voyons vivre dans U intérieur de leurs demeures .et suriout sura.
place publique. les bourgeois d’ Orvieto, nous connaissons le prix des
denrées; nous sommes au courant des affaires; nous savons si la récolte a
ét bonne ow si elle a été enlevée avant l’ heure par. quelque intempérie
ou l'arrivée de quelque compagnie d'aventure. Quoique vives et se terminant
parfois par des COLTELLATE, elle ne decélent pas des moeurs aussi dé-
pravées que le DIARIO de Burchard; les mauvais citoyens d' Orvieto
valaient encore mieux que les Borgia. Riporta molti particolari attinenti
alla storia generale, che dimostrano la speciale importanza di questa pub-
blicazione, e conelude: En voilà assez pour prouver Uintérét de cette
pubblication : il sera certainement aceru lorsque, avec le dernier fascicule,
nous aurons le commentaire et la préface che nous promet U éditeur :
nous avons pour garanis les précieux ouvrages qui sont dejà sortis de la
plume de m. Luigi FUMI, Ze savant historien d' Orvieto et de sa cathédrale.

Gli Jarhesberichten der Geschicthswissenchaft di Berlino (S 44, ITI,
21) accennano al!' importanza del Diario di ser "Tommaso, specialmente
per le notizie relative alla calata di Carlo VIII; e all’ opera del Fumi,
Note storiche, dove si fa un compendio veramente bello. della storia di
Orvieto; e al discorso della signora Brunamonti su quel Duomo, dove Ze
parti singole della cattedrale sono state stupendamente descritte e ne è
spiegato il significato simbolico. Anche l' ultimo fascicolo del Nuovo Ar-
chivio Veneto (Venezia 1894, num. 18) nell’ articolo dell’ illustre conte
Cipolla: Pubblicazioni sulla storia medievale italiana, si parla della Bru-
namonti, del Fumi, del Batelli, del Cuturi, del Ticci, del Fabretti e del
Faloci-Pulignani scrittori umbri. Uno scritto del Kraus sulla Brunamonti
fu tradotto dal conte Vincenzo Ansidei e pubblicato sotto il titolo di
« Lirica Umbra » nella Rassegna Nazionale (Firenze, ag. 1894).

Per le nozze Cassin-D’Ancona furono pubblicate da G. Mazzatinti
le Costituzioni dei Disciplinati di S. Andrea di Perugia, in volgare, del
13 ‘4 (Forlì, 1893; in 8, pp. 16). Il codice che contiene le laude dei Di-
sciplinati di Perugia, sul quale è condotta questa stampa, fu descritto
dal prof. Ernesto Monaci negli Appunti per la storia del Teatro italiano;
il testo delle costituzioni fu copiato nei primi fogli del volume da una
mano della seconda metà del sec. XIV.
4

SRO eri
ü US :

ANALECTA UMBRA

Alla storia delle relazioni politiche fra varie città dell’ Umbria e la
Toscana attende uno de’ nostri collaboratori; intanto dà al racconto di
tali relazioni un buon contributo il prof. G. Mazzatinti illustrando con
documenti dell’ Archivio comunale di Gubbio un passo delle Cronache
di Giovanni Villani. Il luogo delle Cronache è quello in cui si narra il
dissidio tra florentini e pisani pel possesso di Lucca, dal 1341 al ’42; i
fiorentini allora ebbero validi aiuti da Gubbio e da Perugia, e Gubbio
mandò-ad essi milizie capitanate da Jacopo Gabrielli. I documenti por-
tano viva luce sul fatto dell’invio di quelle milizie, e particolarmente
sulla prigionia del Gabrielli e sul modo onde questi venne dagli eugu-
bini riscattato. Tali documenti sono pubblicati (Forlì, 1893; in 8, pp. 21)
per le nozze di Teresa Martini con il march. G. Benzoni.

Due sonetti di Lorenzo Spirito (Cortona, 1893; in 8, pp. 13) ha tratti
il prof. F. Ravagli dal cod. H, 64 della Comunale di Perugia e li ha
offerti agli sposi Suffo-Palchetti. Li precedono brevi cenni biografici del
poeta e la bibliografia delle sue rime pubblicate, quasi sempre in occasion
di nozze, dal 1842 in poi; vi sono comprese le due belle stampe nuziali
di due sonetti eseguite per cura del conte Vincenzo Ansidei e del prof.
G. Donati.nel 1899. Recentemente (Gennaio 1895) fu pubblicato per le
nozze Bertolini-Trevisanato il sonetto n.° LXXXXVIII dello stesso co-
dice.

La Bibliothèque des écoles francaises d' Athénes et de Rome ha pub-
blicato a cura del sig. G. Guiraud il I fasc. dei Registres d' Urbain IV
(1261-1264), Paris. Contiene il regesto di 252 bolle dal 5 Settembre 1961 al
4 giugno 1263. Delle quali in numero di 105 sono date da Orvieto, a co-
minciare dal 25 ottobre 1262 fino al 93 maggio 1263. 'Coneernono alla
regione umbra le seguenti: cioè del 6 marzo 1962 da Viterbo al Vescovo
di Narni per ammonire quel Comune che aveva oecupato la terra di San
Gemini (Porn. n. 18239): del 13 settembre detto anno da Montefiascone a
Giacomo di Guittone Bisenzo (dizione orvietana), perchè rompa il con-
tratto fatto coi toscanellesi di costruire un castello in quel di Quintemiamo
o di Montebello come contrario al diritto della Chiesa Romana (Porn. n.
18400): del 28 ottobre detto anno da Montefiascone al Vescovo di Terni
per conferire à Filippo già priore della chiesa di S. Erasmo la cappella
di S. Pietro in Montescoppo, ritenuto da Ofreduccio di Acquasparta ca-
nonico di Todi (PorrH. 18397): del 15 novembre da Orvieto al popolo
dell'isola Martana per proscioglierlo dalle obbligazioni fatte tanto al
comune d'Orvieto quanto a Giacomo e fratelli da Disenzo, figliuoli di
Guittone (PorrH. 18429): e del 23 gennaio 1963 contro il C.'di Spoleto
che aveva occupato la terra degli Arnolfi, spettante alla Chiesa Romana.
— Il signor Guiraud ha pure pubblicato nella stessa Bibliothéque des
Hegistres de Gregorio X (1272-1276) il I fascicolo con 290 bolle,: di cui
203 datate da Orvieto (1372 marzo 31-1978 giugno 20) e il II fascicolo
ira

ANALECTA UMBRA 163

che comprende 225 bolle di detto papa, di cui sono date da Orvieto due,
del 24 e 25 agosto 1272, e nove dal 13 aprile al 21 maggio 1973. Con le
bolle da Lione 4 settembre 1273 ordina al Card. Giovanni diatono di S.
Nicola in Carcere tulliano di procedere contro il conte Aldobrandino rosso
e di assegnare certo termine a Jacomo di Guittone (da Bisenzo) per tra-
sferirsi alle parti d' oltre mare a scontare la pena sua: con altra del 23
dicembre 1274 si dirige da Lione al Vescovo d'Orvieto suo vieario in
Roma, perché esamini Michele da Meleto proposto a Rettore dell'ospe-
dale di S. M. a S. Gallo di Firenze (PorrH. 20993). Lo stesso signor
Guiraud in un bellissimo discorso pronunziato alla distribuzione dei
premi del Liceo di Sens, intitolato « La France en Italie et a l'étranger »,
parla con grande affetto dell'Italia e delle memorie” francesi che essa
serba, e si mostra grato della buona accoglienza dai dotti italiani rice-
vuta specialmente a Viterbo, a Orvieto, a Narni, a Terni-e a Perugia.

Spigoliamo dall’ Inventario dei manoscritti della R. Biblioteca Uni-
versitaria di Pavia compilato dai ch. L. De Marchi e G. Bertolani (Mi-

lano, Hoepli, 1894). Il cod. 251 contiene un frammento della Fiorita che.

Armannino giudice dedicò a Bosone da Gubbio e scrisse, secondo quasi
tutti i mss., nel 1325; questo framm. invece porta l' anno 1335. Di Baldo
da Perugia sono scritture in tre mss. ; nel 23, nel 64 e nel 315; le Re-
portationes contenute in quest' ultimo ms. sono mutile in fine. Quattro
laude di Jacopone leggonsi nei fogli 106, 109, 110 e 111 del cod. 474;
trovansi nel Manuale eec..del Nannucci, I, 387, e nell’ ediz. del Tresatti
a pag. 306, 469, 616.

Tre giunte all’ utilissimo libro di Teodoro Gottlieb (Ueber mittelar-
terliche Bibliotheken; Lipsia, 1890) ha pubblicato il prof. G. Mazzatinti
(Forlì, 1894; in 8, pp. 13) per le nozze del dottore Enrico - Simonsfeld,
prof. nell’ Università di Monaco di Baviera e cultore tanto benemerito
degli studi storici italiani. I tre primi inventari di codici sono contenuti
in tre mss. della biblioteca di S. Francesco d’ Assisi; il quarto è nel ms.
Vaticano.9658 che il Gottlieb aveva semplicemente indicato. Crede l'edi-
tore che i codici di quest’ ultimo inventario fossero della stessa biblioteca
francescana; e così dovè credere anche il dotto tedesco, perchè tale in-
ventario ricordò dopo quello della biblioteca medesifha che fu compilato
nel 1381.

L' Inventario dei manoscritti della Biblioteca del convento di S. Fran-
cesco d’ Assisi a cura dei professori L. Alessandri e G. Mazzatinti è. com-
parso nel vol. IV degl’ Inveniari.dei manoscritti delle Biblioteche d' Italia
(Forlì, 1894; estr. di pp. 123 in 8). Precede un’ accurata storia della bi-
blioteca e de’ suoi antichi inventari. I mss. dell’antico fondo sono 702;
quelli che costituiscono il fondo moderno 244, I primi sono di altissimo va-
164 ANALECTA UMBRA

lore per la loro antichità, per i testi che contengono, e perla storia del-
l'ordine e della cultura nell’ Umbria, particolarmente nel medio evo.

*

Dei manoscritti della Biblioteca com. d' Imola, dei quali Romeo
dai 2 Galli ha stampato in uno splendido volume il catalogo illustrato (Ímola,
TUBE Galeati, 1894), due hanno importanza particolare per noi: il ms. 19 che v
Hr contiene i Consigli di Dionisius de Baugianis da.Perugia e del suo con-
| cittadino Mathews de Felicianis o, com’ è detto nella soscrizione, Matheus
i Phylitiani; e il ms. 131 in cui è compresa la legenda (« Apparuit
| ! gratia Dei etc. ») di S. Francesco d'Assisi. Tra gli autografi, che la
EE Biblioteca possiede, sono tre lettere dell'abate Ferdinando Passarini al-
à l'abate Antonio Ferri, scritte da Spello il 24 settembre, 1’ 8 ottobre e il
“DEE 10 dicembre del 1122; vi si tratta ampiamente della lapide ricordante
i 3 Properzio, ritrovata a Spello nel palazzo della principessa Pamfili. Il Galli
‘REST fa seguire a quello dei mss. il catalogo diligentissimo degl’ incunaboli
j della Biblioteca; notiamo i nn. 51 (i Fioretti di S. Francesco; Venezia,
HE P x 1480) e 105 (la Geografia di Strabone trad. in lat. da Guarino veronese

MES e Gregorio da Città di Castello; Venezia, 1480).
18 m E : L'Aecademia di conferenze storico-giuridiche nei suoi Studi e do-

PEE cumenti di storia e diritto (Roma, tip. Poliglotta, 1894, fasc. 19- 4?) pub-

| blica a cura del Fumi l’Inventario dei beni di Giovanni di Magnavia,

vescovo di @rvieto e vicario di Roma, interessantissimo documento del

1364 che rivela il ricco e sfarzoso appannaggio di uno dei prelati più
ragguardevoli del suo tempo in Italia. AI documento, di cui si contiene di
in questi doppi fascicoli la prima parte, precede una illustrazione dell’ e-
ditore, che dà sul Magnavia opportune e curiose notizie e riassume il

contenuto dell'inventario, coordinandone le materie.

Nella libreria dei marchesi Giberti di Orvieto, il Fumi ha scoperto
un codice del secolo XVI intitolato: Gesta Siciliae, e contenente il .Cro-
nicon siculum, il vri Sergii ed. altri documenti della storia dell'I-
talia meridionale, che il Com. De Blasiis e il Com. Capasso pubblicarono t
nei Monwmenti storici della Società napoletana di Storia patria e nel-
l'Archivio storico per le provincie napoletane. Il Fumi dopo avere an- j
notato il Pactum, sta per terminare la collazione del Cronicon coll'edi-
zione napoletana, che fu condotta sul codice Ottoboniano n.° 2940, e la
rimetterà quanto prima alla Società napoletana, la quale valuterà la im-
portanza delle continue varianti e il pregio del nuovo testo rinvenuto.

Il signor Luigi Lanzi ha pubblicato un opuscolo intitolato: Sange-
mini, ricordi d' arte e di storia (Spoleto, Tip. dell’ Umbria, 1894). Di let- è
tura interessante e piacevole, soddisfa non meno il letterato che lo sto-
rico, poichè con forma spigliata, facile e brillante (come si conveniva
ad un collaboratore dell’ « Umbria descritta ed illustrata ») si parla dei-
Y

ANALECTA UMBRA 165

2

l'antica. Carsulae, di Casvento, delle terre Arnolfesche, di cui Sange-
mini fu il centro, e si fa la storia di questo luogo in relazione alla S.
Sede, all’ impero, alle parti politiche delle vicine città, finehè venne alla
soggezione di Todi, recuperato poi da Gregorio XI alla Chiesa, da eui,
dopo molte e fortunose vicende, passò ai principi di Santacroce (1720).
Infine si accenna alle fabbriche e avanzi artistici dell’antico comune, ai
cenobi, alle chiese, al palazzo, edificio fra il XIL e il XIII secolo, ma guasto
dai barocchi, con una campana fusa nel-1318 a tempo del potestà Guido
Fadulfi romano, dal fonditore M. Stefano di Orvieto. Un capitolo parla
dell’acqua di Sangemini che rende il modesto luogo noto non solo iu
tutta Italia, ma in Svizzera, in Austria e in Germania.

Tra i Manoscritti della R. Biblioteca Riccardiana (vol. I, fase. 14;
Roma 1893-94), dei quali il dottore Salomone Morpurgo vien pubblicando
il catalogo, compilato con dottrina e diligenza veramente singolari, sono
alcuni da designarsi agli studiosi della nostra regione. Laude. di Jaco-
pone da Todi, col suo nome o adespote, trovansi nei mss. 1026, 1049,
1119, 1126.. Di Bosone da Gubbio è il sonetto «Io veggio un verme venir
di Liguria » nel ms. 1088, e il cap..sulla Div. Comm. nei mss. 1033,
1037, 1038, 1115. Due poesie di Bernardo da Perugia e di Benuccio da
Orvieto leggonsi nel ms. 1091. A ser Francesco da Orvieto è intitolata
nel ms. 1050 una canzone di Francesco da Barberino. I sonetti di « ser
Mucio » (Stramazzo) da Perugia.al Petrarca sono nei mss. 1103 e 1118;
tre canzoni di Bartolomeo da Castel della: Pieve nei mss. 1118 e 1129,
nei quali inoltre è ripetuta la canz. « O seconda Diana al nostro mondo »
di Sinibaldo da Perugia.

A proposito di poeti umbri. I dottori Carlo e Ludovico Frati hanno
recentemente compiuta la stampa della prima parte dell’ Indice delle carte
di Pietro Bilancioni, la quale comprende le rime che hanno una pater-
nità più o meno certa: nella seconda saranno registrate le rime anonime.
Da quella, intanto, giovi ricàvare (Bologna, 1893: estr. dal Propugna-
tore) di quali e quanti poeti umbri il Bilaneioni raccolse le poesie e ne
dió la biografia dei codici e delle stampe. Di Bartolomeo da Castel della
Pieve quattro canz., cinque son. e due capitoli. Di Benwccio da Orvieto
la canz. « Per monna Maurina da Chorbizi » già pubblicata dal Fumi.
Di Bosone da Gubbio seniore due son. e il cap. sulla Div. Comm.: del-
| iuniore tre son. e due madrigali. Di Francesco da Orvieto una canzone
che dal eod. Barberiniano XLV, 41 è attribuita a Francesco da Barberino.
Di Monaldo da Orvieto la canz. che. da qualche ms. è data al Petrarca
ed a Fazio degli Uberti. .Di Nicolò del Proposto da Perugia una canz.,
due madrigali, una frottola ed una caccia. Di Sinibaldo da Perugia tre
sanz. e un sonetto. Di Stramazzo da Perugia cinque sonetti. Di Tom.
masuccio da Foligno la profezia, »;

ipti

c9

di in Ane

CELA iini aal N Uhr eem oe
f.
166 ANALECTA UMBRA

Luca Signorelli ’s Illustrationen zu Dantes Divina Commedia. Zum
ersten Male herausg von Franz Xaver Kraus. — Di quest'opera che il-
lustra le pitture del Signorelli sopra la Divina Commedia- nel Duomo
di Orvieto parla a lungo il Frey (Deutsche Litteraturzeitung) e fa-
vorevolmente, non senza citare l'opera del Fumi « Il Duomo d' Orvieto
ei suoi restauri », della quale r
desimo prof. Frey, il Müntz nelle riviste francesi e più recentemente
il Grisar (Zeitschrift für cath. Fheologie. XIX, Jahrig 1895), passando in
rivista molte altre opere del Fumi, giudicate assai favorevolmente.

Ecco che cosa dice il Frey dell'opera del Kraus:

« Il più bell'ornamento nell' interno del duomo di Orvieto formano

agionarono nella stessa gazzetta il me-

i grandiosi affreschi sulla fine del mondo cristiano, che Luca Signorelli
ha dipinto sulle pareti della cappella nuova entro gli anni 1499 e 1505.
Tra queste rappresentazioni del giudizio universale, che colpiscono e
scuotono il riguardante con irresistibile potenza, si trovano dei meda-
glioni in mezzo ad una decorazione del Rinascimento, che appartengono
alle più splendide e felici creazioni della fantasia di un artista in questo
genere di dipinti; e nella loro mancanza di seopo per riguardo ali'in-
venzione e parimente nella loro refrigerante bellezza sí contrappongono
alla stringente predica delle rappresentazioni in alto.

In questi medaglioni il Signorelli, con l' aiuto di scolari e conoscenti,
ha dipinto "una schiera di teste caratteristiche e di rappresentazioni, tolte
così dalla letteratura fiorentina come dalla mitologia antica, e ciò con
inarrivabile finezza e magnificenza ad onta delle piccole dimensioni,

Il più grande interesse offrono le illustrazioni al Purgatorio di Dante
che hanno dovuto ammirare tutti i visitatori d'Orvieto e le ricerche
storico-artistiche intorno alle quali sono state condegnamente stimate già
da un pezzo. La più parte delle immagini sono pure state, e g'iusta-
mente, riconosciute come fotografie. Uno scrittore più antico, il Miintz,
ed uno più moderno, il Fumi (I duomo d' Orvieto, ud libro il quale
pare sia sfuggito al Kraus) si trovan d’accordo in questo. Il prof. Kraus
ora, in una pubblicazione piccola ma rieca di contenuto, dedicata alla
coppia granducale di Baden il 22 aprile 1892, presenta una riunione di
queste inimagini con un testo dichiarativo. Veramente queste immagini
dantesche, le quali sono uscite dalla stamperia artistica di C. Wallau
di Magonza, non ci rallegrano. La più parte, al contrario della cattiva
, conservazione dell’originale, son chiare e non potevano riuscir meglio,

Ma molte, ben conservate invece, hanno avuta con quel. sudicio
colorito gialloscuro, una riproduzione poco chiara e fanno «na impres-
sione eterogenea.

Potrebbe anche il lettore, che non ha confidenza con gli originali,
per sì poco precisa riproduzione, farsene meglio un’idea vedendo i me-
daglioni collocati in mezzo alle ornamentazioni e alle figure del giudizio
universale,

4 E fe cms — MS Dai re o a

Wc

ANALECTA UMBRA 161

Per tale scopo sarebbe stato desiderabile la riproduzione di un'in-
tera parete in piecole dimensioni.

Degne di lode e raffermate da esempi generali sono le ‘spiegazioni
del dotto teologo intorno alle immagini, spiegazioni con cui si puó chia-
rirne il senso. Le scene sono giustamente capite al contrario della dichia-
‘azione molteplicemente erronea datane fin qui; seguono brevi e com-
plete osservazioni sulla genesi, sullo stile, sull' opera e cosi di seguito;
le notizie letterarie concernenti i dipinti sono molto accurate, quali erano
da aspettare dal Kraus. Che Girolamo Genga da Urbino abbia aiutato
il Signorelli, appare plausibile. Un' attenta analisi di tutte le figure mo-
strerebbe gli aiuti di altre mani. Ma queste non significa niente. Il
Signorelli ha pensato e gettato giù queste composizioni: esse rimangono
sua proprietà così spirituale come artistica, anche se appaia che altri lo
abbia aiutato nella esecuzione ». i

Qui, a proposito della immagine di Dante che trovasi in questi me-
daglioni, il Frey entra in una lunga discussione concludendo dall’ osser-
vazione dei dipinti di Giotto a Firenze, che quello del Signorelli ha solo
una lontana somiglianza generale e che il Signorelli non mirava alla
fedeltà nel ritratto.

Il. prof. Giuseppe Pardi esordisce. egregiamente negli studi di eru-
dizione storica con una memoria letta nella tornata del 20 marzo 1894 e
pubblicata nel novembre di quest'anno fra gli atti della Accademia « La
Nuova Fenice » di Orvieto, dal titolo: I/ governo dei signori cinque in
Orvieto. Ala luce dei documenti egli discorre di quel governo (1313) che
preparó la signoria di Ermanno Monaldeschi in Orvieto. governo total-
mente aristocratico con prevalenza dei Monaldeschi in opposizione ai ghi-
bellini e a finale distruzione di quella parte e de' Filippeschi. « Dimostra
con quanta efficacia i cinque si adoperarono a rafforzare la parte guelfa,
stringendo lega con Perugia e poi con Assisi, Spoleto, Gubbio, Came-
rino, Foligno, Cagli, Sassoferrato, Spello; Bevagna, Montefalco, Bettona,
Gualdo Cattaneo e le terre di Normandia. In questo tempo dei Cinque,
Orvieto si mostrava potentissima, ricercata di aiuti da re Roberto contro
Pisa, da Firenze, dal principe di Taranto e dai Farnese: richiesta di ar-
bitraggio da Sanesi, da Chiusini, da Viterbesi e Farnese, dal Capitano
del Patrimonio eec. ». Così i Bollettino 5-6 dell’Accademia, Orvieto, 1894,
pag. 90. I cinque caddero, dopo la rotta di Montefiascone, il 14 dicembre
1315, per dare luogo all’ antico governo popolare dei sette ; e in memoria
di questa trasformazione fu nuovamente fusa la campana del popolo con
le impressioni degli interessantissimi sigilli delle arti, che si riproducono
in due tavole fototipiche, a pie' dell' opuscolo.

Le pitture italiane, esposte di recente nelle sale della New Gallery
di Regent Street, formano il soggetto di un bello studio di Costanza Jo-
celin Ffoulkes pubblicato col titolo: Le esposizioni d'arte italiana a Londra
168 ANALECTA UMBRA i
nell’ Archivio storico dell’ arte, fase. TII-IV del 1894; il cap. II è dedicato
a «Gli umbri e confinanti ». Tre opere vi sono di Bernardino di Mariotto

rc da Perugia; due delle quali furono assegnate alla scuola del Signorelli;
dell’ altra, in cui sono rappresentati i santi Lorenzo ed Andrea, trovasi
il riscontro nella- tavola num. 55 della galleria Morelli di Bergamo. « Il
Perugino (cosi l’a.) non ci si affaccia qui se non in modo assai debole ;
il Pinturicchio pure non è rappresentato, le madonne che si attribuiscono
a lui essendo opere di bottega ; il num. 115 però è una composizione
attraente per grazia e soavità di espressione ». Il num. 2 12, ch'è ana
predella, rappresentatavi la gita al Calvario, « serviva di complemento
alla pala d' altare che Raffaello probabilmente verso il 1507 ebbe ad ese.
guire per le monache di S. Antonio di Perugia » ; l'a, crede, e con ra-
gione, che debbasi, anziché a Raffaello, attribuire a un 8u0 garzone, ché
l'esecuzione n'é troppo scadente per poter essere a lui attribuita »: la
pala, com'é noto, fu posseduta da Francesco II di Napoli. Una sacra
famiglia, dipinto incompiuto, provenne dalla famiglia Gregori di Foligno
ed oggi è nella Galleria Northbrook di Londra; 6 stata finora assegnata
a frate Bartolomeo, « ina porta in realtà la spiccata impronta di un’ o-
pera di Perino » del Vaga, il discepolo di Raffaello.

Il ch. signor Giulio Urbini nella Miscellanea ‘di erudizione e belle
arti diretta dal prof. vavagli (Arezzo, 1894) descrive le opere d? arte di
Spello, cominciando dalle chiese suburbane: delle opere medesime 1° Ur-
bini tratta anche nel periodico di Firenze Arte e Storia diretto da G. Ca-
roeci.

agi ume

Sull' importanza artistica di Montone lesse un bel discorso il prof.
Angelo Lupattelli nell’ Accademia letteraria musicale dell’ 8 settembre i
1894 (Umbertide, stabilim. tip. Tiberino, 1894; in 9, pp. 17). I monu-
menti ehe ricordó e deserisse sono la rocca di Braccio, la chiesa di S.
Francesco, l'affresco di Bartolomeo Caporali, il Gonfalone dipinto da Be-
nedetto Bonfigli nel 1 182, un bancone per la civica magistratura eseenito

nel 1505, la tavola allogata al Perugino nel 1507 che ora è in Ascoli ;
Piceno, un’altra di Luca Signorelli, ora nella galleria Mancini di Città i
di Castello, ed una terza di Carlo e Vincenzo. Mossi. Poche traccie riman- m
gono dell'antica bellezza della Pieve. Gli altri pittori posteriori che la- |
vorarono in altre chiese sono il Damiani di G ubbio, Tommaso da Cortona, 5
Vittore Cirelli, il Calvart e Vincenzo Chialli da Città di Castello. 4

Tra i Disegni antichi e moderni posseduti dalla R. Galleria degli Uffizi
di Firenze, dei quali si dà l'Inventario nella raccolta degl'Indici e Cata
loghi che si pubblicano a eura del Ministero della P. I., parecchi sono d'ar-
tisti umbri o d’ interesse per la storia dell’arte nella nostra regione: giovi è
pertanto qui segnalarli. Baroccio Federico ; Studio per la Deposizione
dalla croce esistente nella Cattedrale di Perugia. Bonfigli Benedetto; due

Mtt

pen mms
ANALEOTA UMBRA 169
disegni. Il num. 333 della categ. I rappresenta Perugia assediata da To-
tila ed è lo studio per un affresco dell’ antica cappella del Palazzo comu-
nale. Danti Vincenzo; un disegno. Pietro Perugino; disegni, fra certi ed
attribuiti, num. 44. Pareechi soggetti sono dipinti nella Sala del Cambio.
Il num. 363 è lo studio per la Madonna della consolazione, ora nella
chiesa di S. Pietro martire di Perugia. Del soggetto rappresentato nel
num. 511 esistono due dipinti, cioè nell’ Annunziatella di Foligno e in
S. Agostino di Perugia: notisi che questo disegno è anche attribuito a
Lorenzo di Credi, perché una sua tavola in S. Domenico di Fiesole gli
corrisponde perfettamente. Il num. 416 rappresenta la testa di un gio-
vine che credesi il ritratto del Perugino stesso. Pinturicchio Bernardino;
disegni, fra certi e attribuiti num. 17. Dei molti disegni di Raffaello esi-
stenti nella Galleria degli Uffizi, alcuni, cioè i num. 410 e 504'della
categ. I, sono attribuiti al Perugino; quelli però che sono compresi sotto
il num. 410 debbono ascriversi a Giovanni Spagna, perché corrispondono
a un suo dipinto nella Galleria Nazionale di Londra (cfr. Burton, Cata-
logue of the pictures in the National Gallery, 1892, pag. 413). Al Peru-
gino fu attribuito l'altro disegno dal senatore Morelli. E di lui pure fu
creduto il disegno num. 403 della stessa categoria; ma per la rispondenza
che ha.con un quadro dello Spagna, ora nella Pinacoteca comunale di
Spoleto, a questi deve senza esitazione restituirsi.

Nel settembre scorso Gubbio commemorò con vari e belli festee'eia-
menti il quinto centenario dalla. costruzione del suo Palazzo dei Consoli ;
il discorso storico su questo insigne monumento fu letto dal prof. G.
Mazzatinti. La costruzione sua fu deliberata nel 1321 e fu cominciata nel
52; un mediocre pittore, Bernardino di Nanni dell’ Eugenia, rifece nel
1494 la pittura ch'è nella lunetta sopra la maggior porta d'ingresso.
Contemporaneamente a questo Palazzo furono costrutti gli altri due, de-
stinati alla residenza ufficiale privata del Podestà, che a quello sono con-
giunti per la piazza dai quattro grandi archi. A rifar la storia del Pa-
lazzo dei Consoli fu primo il march. F. Ranghiasci; dopo, su le orme
sue, trattarono fra gli altri lo stesso argomento il Mazzei per ragioni
tecniche, e per artistiche il Laspeyres. E siccome il Ranghiasci aveva as-
serito che ne fu il costruttore Matteo di Giovannello, detto Gattapone,
così essi, e quanti altri attinsero alla sua monografia, ripeterono la stessa
cosa. Ma a distruggere l’ affermazione del Ranghiasci sta la iscrizione
scolpita sull’ arco della porta grande, la quale dice che Struxit et immensis
hoc Angelus Urbsveterensis: il senso di tali parole non fu oscuro al Ran-
ghiasci, tanto è vero che le ristampò alterandole, mozzandole e dividendo
la parola mensis (sic !) dal nome Angelus con un punto fermo; tutto questo
perché l’ attribuzione dell’ opera al Gattapone non fosse contradetta e per
volere far credere che il nome di Angelo da Orvieto, indipendente dal
resto della iscrizione, è quello dello « searpellino che lavorò la porta me-
desima », L’ inganno è evidente, e vi caddero quanti, come si è detto,

12

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110 ANALECTA UMBRA

scrissero sul Palazzo, accettando con soverchia fiducia le sue conclusioni.
Dalle opere eseguite dal Gattapone in Gubbio e in Perugia dal 1311 al
73, ed enumerate e descritte dal Mazzatinti, resulta ch’ egli fu un archi-
tetto militare e, come disse il Boninsegni, « un grande maestro di far
casseri » che del Palazzo di Gubbio fu architetto, Angelo da Orvieto,
come del Palazzo comunale di Città di Castello, disse il Guardabassi nel-
lU Indice Guida dell' Umbria, e l' ha recentemente ripetuto il Magherini
Graziani nella Guida artistica commerciale della ferrovia Arezzo-Fossato,
pag. 16, 81; la iscrizione, che non si presta ad. alcuna ambigua inter-
pretazione, ci dà chiaro e netto il nome dell’ Orvietano; e fin dall’ 88 il
Mazzatinti, che tutti i documenti relativi alla storia del Palazzo pubblicò
nell Archivio stor. per le Marche e U Umbria, aveva distrutto 1’ ipotesi
del Ranghiasei e affermato con prove che il Gattapone altro non fece
che collaudare nel.1369 il Palatium novum. Potestatis. E pure malgrado
tutto ciò, si erede ancora e si stampa che il Gattapone costrusse quella
mole meravigliosa, d' Angelo da Orvieto non si fa e non si vuol fare
neppure il nome. Si capisce che a toglier di mezzo un. vecchio errore
occorra molto e valorosamente combatterlo; ma non si comprende come
nell’ errore si persista dinanzi alla piena luce dei documenti. E vedansi
su ciò le Memorie e Guida storica di Gubbio di O. Lucarelli, pag. 488 e sg.

Fratris Johannis de Parma sacrum Commertium beati Francisci
cum domina Paupertate, Città di Castello, Lapi, 1894. Il ch. E. Alvisi
dà il testo non mai pubblicato del Commercium paupertatis tratto da tre
codici (?). Ha per-riscontro quel che ne riporta ' Arbor, che Ubertino da
Casale fini di scrivere nel 1305. Ne è autore fra Giovanni da Parma,
stato Ministro generale dell'ordine dal 1247 al 1257, come così attestano
le mss. Chronicae generalium ministrorum: « Hie generalis frater Jo-
hannes quendam librum devotum composuit, quem intitulavit Commer-

° tium. paupertatis, in quo qualiter beatus Franciscus pàupertatem quesivit
et reperit et eam invitavit et desponsavit, quibusdam devotis parabolis
et enigmatibus declaravit ». i

Nella prima pubblicazione straordinaria della Società di Storia Pa-
tria negli Abruzzi leggesi una pregevole memoria di Carlo Pietropaoli
intitolata: I4 conclave di Perugia e U elezione di Celestino. Nell’ inte-
ressante scritto è riferita la deliberazione che il 7 settembre 1293 i Consoli
delle Arti di-Perugia presero « super adventu.dominorum Cardinalium et
curie Romane ad eivitatem Perusij et pro thesauro Ecclesie conducendo et
pro aliis expensis faciendis.pro reparatione domorum, fontium et viarum ».

- ^ . Li * * * .
E pervenuta al Comune di Perugia la pregevolissima Biblioteca ge-
nerosamente legata al Comune stesso dal benemerito senatore prof. Ario

dante Fabretti di chiara memoria. Confidiamo che della ricca raccolta
possano presto trarre profitto gli studiosi.

*

s C

ANALECTA «UMBRA 171

Il eh. Lisini ha scoperto come la bellissima torre del Campo di Siena,
volgarmente detta del Mangia, a fianco del palazzo della repubblica, at-
tribuita dai cronisti e scrittori senesi a m. Agostino di Giovanni nell'anno
1325, fu architettata e costruita da due perugini, Minuccio di Rinaldo e
Francesco suo fratello. Questi si impegnarono con la repubblica di co-
struire la torre a tutto loro rischio, forse, a quanto si può capire da al-
cuni indizi, a mediazione del celebre Ugolino di Vieri orafo, che per

JI

Orvieto aveva.lavorato i più belli e ricchi reliquiarî del tempo suo. I do-
cumenti addotti dal Lisini vanno dal 1339 al 1345: sono tolti dall’ Ar-
chivio detto di Biccherna, che egli-ha il merito di avere riparato e
ricomposto con rara perizia e diligente pazienza, e pubblicati nella Mi-
scellanea storica senese, An. II, nn. 9, 10. :

Il medesimo sig. Lisini ha pubblicato per nozze un opuscolo dal
seguente titolo: Copia di alcune firme autografe di personaggi illustri
ricavata da documenti originali dal R. Archivio di Stato in Siena, Siena,
1894. Notiamo la firma e il sigillo di Braccio da una lettera del 1? gen
naio 1424 e le firme di Isotta degli Atti moglie di Sigismondo
Malatesta signore di Rimini del 20 dicembre 1454.

Vi è pure indicata una lettera di Francesco di Giorgio Martini, ar-
chitetto militare, del 28 gennaio 1488, per informare i governatori della
repubblica di Siena di ciò che accadeva nell’ Umbria.

M.' Priori ha pubblicato una dissertazione diretta a provare che S.
Chiara di Assisi, la cui festa annuale si.fa dalla Chiesa il 22 di agosto,
morì il giorno 11 in ora mattutina, contro quanti assegnarono altro giorno
ed ora (L° Eco di S. Francesco, Sorrento, 30 novembre 1894).

Nel Bullettino della Società di Storia patria Anton Ludovicò Mura-
lori negli Abruzzi, VI, 12 (15 luglio 1894) il sig. Ludovisi tratta delle
memorie critico-storiche intorno al ducato di Spoleto.

Sulla nostra Badia di Farfa alla fine del secolo XIII discorre il
sig. Guiraud nell’ Archivio della R. Società Romana (Vol. XV), illustran-

“do due documenti del 1262 (Vaticano) e del 1278 (Arch. di Stato romano),

al qual tempo non giungono il Chronicon e il Regesto, e sa benissimo
rilevarne la importanza.

Antonii Geraldini amerini protonotari apostolici ae poetae laureati
specimen carminum. que Belisarius de Comitibus Gelardini urbanus an-

Listes nunc primum typis edenda curavit (Ameriae, 1893). Sono 95 odi.

di vario metro tolte dal eod. vatieano 3611 dedicate a Paolo II e a vari
'ardinali colla giunta di altri carmi del eod. vat. 6910, tutti di squisita
eleganza e di gusto oraziano composti da Antonio Geraldini, che fu le-

El
172 ANALEGTA UMBRA

gato di Innocenzo IV ad Elisabetta d’ Aragona, e che amico di Cristo-
a Colombo, rie fu efficacissimo protettore. L’ egregio editore, mons.
Belisario de’ conti Geraldini, dedicò l' opuscolo, preceduto da forbità pre-
fazione latina, a S. S. Leone XIII nel suo giubileo episcopale.

— Iena STE POI OLE NS ZII GUIA

La pubblicazione diretta dal ch. Prof. Francesco Guardabassi. —
IL) Umbria descritta ed illustrata — è giunta alla Dispensa 23°. Se ne
parlerà in seguito, ma frattanto annunziamo che nei fascicoli già pubbli-
cati trattasi di Assisi, Perugia, Terni, Stroncone, Calvi, Sangemini e Città

di Castello.
SPOGELIO DI PERIODICITX)

ARCHIVIO STORICO DELL' ARTE (Roma).

Fasc. 2. Recensioni dello studio su Le arti e le lettere alla corte dei
Trinci di d. Michele Faloci Pulignani: estr. dall’ Archivio storico per le
Marche e l’ Umbria, e anteriormente, ma in proporzioni minori, edito
nel Giornale stor. della lett. italiana.

Fase. 5-9. Fumi L., La facciata del Duomo d’ Orvieto. Memorie su
Lorenzo Maitani che ne fu l’architetto, e studio di due antichi disegni,
un de’ quali del Maitani stesso.

ARCHIVIO STORICO ITALIANO (Firenze).

Disp. 1. Gamurrini G. F., Le antiche cronache di Orvieto. Dal co-
dice Vaticano Urbinate 1738. La prima va dal 1194 al 1332 ; la seconda dal
13393 al 1410; « que sequntur sunt abstracta de Libro Statutorum Co-
munis Urbisveteris antiquo » dal 1668 al 1304.

Disp. 3. Recensione favorevole delle Memorie aggiunte alia storia
del Comune di Spoleto del barone A. Sansi; Foligno, 1886.

Disp. 4. Recensione delle Memorie e Guida storica di Gubbio di O.
Lucarelli. Si lamenta la mancanza dell' ordine e dell' unità nel disegno
generale del libro.

ARCHIVIO STORICO PER LE MARCHE E L'UunmiA (Foligno).

Arduini F., Inventario dell’ archivio comunale di Gubbio. Nelle tre
appendiei sono compresi l' Indice dei documenti del Libro rosso, le di-
dascalie dei sei libri dello Statuto confermato dal card. Albornoz e pub-
blicato nel 1371, e le leggi suntuarie estratte dallo Statuto medesimo. —
G. Mazzatinti, I card. Albornoz nell’ Umbria e nelle Marche. Da docu-
menti dell'arehivio comunale di Gubbio. — Fumi L., IZ Palazzo del po-
polo in Orvieto. Prima parte dell' ampia monografia: i capitoli fin qui
pubblieati sono; 1, Principi del comune di Orvieto: 2, Palazzi del Comune:

(*) Col fascicolo 15-16 del vol. IV. (a. 1889) cessò la pubblicazione dell Archivio
storico per le Marche e per V Umbria che aveva condotto lo spoglio dei periodici fino
a tutto il 1888. Per utilità degli studiosi della nostra regione si continua ora questo
spoglio dell’ anno successivo.
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14 SPOGLIO DI PERIODICI

3, Palazzo. del popolo: 4, Prime memorie del Palazzo: 5, Si esaminano
le memorie dei cronisti: 6, Del capitano del popolo e del suo ‘ufficio : 7,
Del Podestà nel Palazzo del popolo. — Faloci Pulignani M., Diario delle
cose di Foligno. Va dal 1791 al 1824; ma il volume che lo contiene ha
ricordi e memorie fino al 1864. I cronisti furono tutti della famiglia Rossi
di Foligno: la parte qui pubblicata è di Domenico fino al 1821, e di Gio-
ranni suo figlio dal 22 in poi. — Bellucci A., Inventario dell’ Archivio
comunale di Perugia. Serie degli Stututi municipali. Sono 16; il primo
é.del sec. XIII; gli altri dal sec. XIV al XVII. — Gabotto F., Tommaso
Cappellari da Rieti letterato del sec. XV. È il Tommaso Reatino che,
secondo il Bertoldi (Un poeta umbro del sec. XIV in questo Archivio,

‘fase. 13-14, pag. 49 e sgg.) visse nel sec. XIV e scrisse una canzone

per Giangaleazzo Visconti. « Da nuovi documenti (dice Gabotto) da me
raccolti risulta l' esistenza d' un solo Tommaso Reatino scrittore, vissuto
nel 1400; e le poesie del codice Riecardiano e in particolar modo la can-
zone « Piü volte laerimose rime ho sparte » sono dedicate a ben altra
persona che a Giovan Galeazzo », cioè a Filippo Maria Visconti. A ben
differente conclusione venne il Ghinzoni (in Archivio ‘storico lombardo,
fasc. del 31 marzo 1890), il quale stabili che Tommaso è della famiglia
Moroni. — Mancini R., Nuove scoperte di antichità in Orvieto.

Recensioni. — A. Buffetti, IZ dialetto e la etnografia di Città di Ca-
stello di B. Bianchi; Città di Castello, 1888. Favorevole. — Faloci Puli-
gnani M., I/ Castello di Campello di Paolo Campello; Spoleto, 1889.
Favorevole. — Mazzatinti G., Storia della pittura in Italia di I. A. Crowe
e G. B. Cavalcaselle, vol. IV; Firenze, 1887. Favorevole ‘riassunto del
capitolo che tratta dei pittori umbri e marchigiani. — Faloci Pulignani
M., Notizie e documenti sulla ceramica italiana di Raffaele Erculei. Fa-
vorevole. — Id., Cronaca dei vescovi di Todi: di Lorenzo Leonii; Todi
1889. Favorevole; con qualche appunto. — Id., Memorie e Guida sto-
rica di Gubbio di O. Lucarelli; Città di Castello, 1888. Se ne rilevano i
gravi difetti. — Id., La Patria di Properzio, studi di G. Urbini ; Torino,
1889. Sfavorevole.

Bullettino bibliografico. — Si prendono in esame i libri ed opuscoli
di L. Amoni, F. Aymar, A. Mancinelli, F. Novati, G. Chiarini, G. Don-
nini, G. Eroli, M. Faloci Pulignani, L. Fumi, T. Loccatelli Paolucci,
L. di S. Giuseppe, A. Lupattelli, G. Magherini Graziani, G. Mazzatinti,
A. Tenneroni.

Varietà e Notizie. — Mazzatiuti G., Relazione delle feste fatte a
Gubbio per la nascita del duca Francesco Maria II. Da una copia del
sec. XVII esistente nella biblioteca eugubina.

ARCHIVIO STORICO PER 'TRIESTE, L' ISTRIA E IL TRENTINO (Roma, Firenze).
Fase. 1. De Festi, Studenti trentini alle Università italiane. Notizie
.tolte da registri universitari di varie città e di Perugia.

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SPOGLIO DI PERIODICI 175

Arte E STORIA (Firenze).

N. 5. M. Santoni, Due pittori umbri sconosciuti. Sono Antonio Spa- ,
rapani da Norcia e il suo figlio Paolo che eseguirono nella seconda metà
del sec. XV una tavola ora esistente nella chiesa abbaziale di S. Paolo
nel castello 2 pde circondario di Camerino.

N. 24. ., Montefalco nell’ Umbria. La chiesa di S. Francesco.
Parlasi mm i famosi e de’ loro restauri.

ATTI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI (Roma).
Seduta del 17 marzo. D' Ancona A., Tradizioni carolingie in Italia.
Vi sono esposte le leggende, che tuttavia vivono nell’ Umbria secondo
le pubblicazioni del Monaci, del Mignini, del prof. G: Bellucci, dell’ Ac-
corimboni e del prof. A. Fabretti. L'a. ha ragione di affermare che
piena di reminiscenze leggendarie del cielo carolingio è 1° Umbria ».
Sedute del 17 maggio e 16 giugno. Un. bestiario moralizzato tratto
da un ms. del sec. XIV a cura del dott. G. Mazzatinti con note, osser-
vazioni ed appendici del socio Ernesto Monaci. I sonetti, onde si com-
pone i| Bestiario, sono 64. Il ms. è di provenienza eugubina ed eugubino
fu certo il copista; non peró deve, come pensa il prof. Monaci, affermarsi
che eugubino ne fu l' autore; ma umbro, o del confine dal lato d’ Arezzo.
Il testo appartiene alla seconda metà del sec. XIII.

ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI Torino (Torino).

Fasc. 1. Graf A., Un monte di Pilato in Italia. « I monti e il lago
di Norcia avevano riputazione diabolica e magica diffusa per tutta Italia.
Quivi ponevasi un antro della Sibilla; quivi ancora si raccolse la leg-
genda di Pilato ». E l'a. riferisce ciò che narrarono sul lago e sul monte
di Norcia il Bersuire, Gervasio di Tilbury, Fazio degli Uberti e il Capello
annotatore del poema, frate Bernardino Bonavoglia predicatore di Foligno,
Leandro Alberti, Paolo Merula ed altri. Ànche narra la leggenda. che
corre oggi fra il popolo norcino, ben diversa dall’ antica di cui s' è per-
duto il rieordo. Questa interessante Memoria é ristampata nel vol. II dei
Miti, leggende e superstizioni del medio evo dello stesso Professore; To-
rino, Loescher, 1893, pag. 143 e sgg.
BOLLETTINO DELLA SOCINTÀ DI STORIA PATRIA ANTON Lupovico Muna-

TORI NEGLI ABruzzi (Aquila).

Fasc. del luglio. Fabiani L., Trattati di pace tra Rieti, Città Du-
cale e Cantalice, dal 1348 al 1571.

CouRRIER DE L' Art (Parigi).
Fasc. 3. Bonnaflé E., Le musée Spitzer. V'è un grande piatto di
mastro Giorgio da Gubbio.

FANFULLA DELLA DOMENICA (Roma).
Num. 46. F. S., Le feste di Pasqua nell’ Umbria.
Ci.

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176 SPOGLIO DI PERIODICI

GAZETTE DES BEAUX ARTS (Parigi).

Fase. del 1? febbraio. Bode W., La Renaissance du Musée de Berlin.
Accanto alle opere di pittori marchigiani è fatta parola di alcune del
Pinturicchio e del Bonfigli.

GIORNALE STORICO DELLA LETTERATURA ITALIANA (Torino).

Costa E., I/ codice Parmense 1081. Ne è data la tavola e ne sono
pubblicati integralmente parecchi documenti. Di poeti umbri vi si tro-
vano una canzone di maestro F. da Foligno; un madrigale, una caccia,
una canzone ed una frottola di ser Nicolò del Proposto. — Novati F.,
Bartolomeo da Castel della Pieve. Espone, frutto di pazienti e feconde
ricerche, la storia delle sue vicende e de’ suoi scritti, e pubblica pa-
recchie sue lettere e le.sue rime inedite. Nella seconda appendice è data
la tavola di tutte le sue poesie con la indicazione dei codici che Je con-
tengono; ond'é che sappiamo che di Bartolomeo rimangono due capitoli,
otto canzoni e tre sonetti. La canzone politica « Benchè il cielo ha nel
tuo prato concluso » fu pubblicata da G. Mazzatinti per le nozze Solerti -
Saggini (Foligno, 1889); e il Novati tornò su quest’ argomento con una
nota (nel vol. XIII, pag. 454 dello stesso Giornale storico) e ne illustrò
il valore politico riferendola alla rivolta perugina degli anni 1368-70.

HisTORISCHES JARRBUCH (Monaco).
Vol. X, fase. 3 4. Fra le Novitütenschau si esamina la Cronaca dei
vescovi di Todi di L. Leonii, e la Lirica religiosa nell’ Umbria di Gi-

selda Chiarini.

Ir, ProPUGNATORE (Bologna).

G. Mazzatinti, Laudi dei Disciplinati di Gubbio. Da un codice già
del M., ora del barone Landau. V'é pure una notizia di una sacra rap-
presentazione eugubina del 1447. Le laude sono 13, alcune delle quali
erano edite nel Giornale di filologia romanza, num. 65; nell’ Arch. stor.
per te Marche e U Umbria, 1884; e nel Serto di olezzanti fiori a cura di
F. Zambrini, Imola, 1882.

MISCELLANEA FRANCESCANA (Foligno).

Anno IV, fasc. 1. Frati L., Due mss. Jacoponiani della Bibl. Univ,
di Bologna. Si dà la tavola delle laude. — Manzoni L., Studi sui Fio-
retti di S. Francesco. Bibliografia dei manoseritti. — P. Agostino da
Stroncone, L' Umbria serafica: continua nei fascicoli seo. — Recensione
dei Fioretti di S. Francesco a cura di L. Amoni; Roma, 1889, — Notizia
su I/ b. Bernardino da Feltre a Todi. — Giunta al Saggio bibliografico
sulla vita e gli scritti della b. Angela da Foligno. — Relazione di Pit-
ture francescane in Gubbio. Sono a chiaroseuro, della fine del sec. XIV;
esistevano forse in tutte le pareti dell’ elegante cortile interno del con-
vento di S. Francesco; I pochi avanzi che ne restano sono tenuti in nessun

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$POGLIO DI PERIODICI ATI

conto, sì che deperiscono sensibilmente con grave danno dell’arte e con
gravissima responsabilità di chi deve tutelarne la conservazione. È
Fase. 2. D' Alengon E, I{ più antico poema della vita di S. Fran-
cesco. Un frammento di questo poema, che fu pubblicato dal prof. Cri-
stofani sopra l' unico ms. della biblioteca di S. Francesco di Assisi, è
E contenuto nel cod. 8 della biblioteca di Versailles. — Rossi A., Fonda-
zione dei minori conventuali di Napoli. Memorie estratte dagli Annali
francescani del Ciatti che sono nell’ archivio di S. Francesco di Perugia.
— Mancini G., Laude francescane dei disciplinati di Cortona. Tre sono
in lode di S. Francesco: le tre appendici, in lode dello stesso e di S.

Chiara, sono tratte dal cod. Magliabechiano II, 1, 212. — Recensione
sfavorevole dell’ opuscolo La lirica religiosa nell’ Umbria di Giselda Chia-
E ON rini; Ascoli Piceno, 1888.
Fasc. 3. Manzoni L., Studi sui Fioretti di S. Francesco. Segue la
bibliografia dei mss. — Faloci Pulignani M.; J/ cantico del sole nel sec.
XV. Da un ms. della Franceschina. — Recensione dell'opuseolo Il 5.

Giovanni da Perugia e le sue reliquie in Terruel; Perugia, 1889.

Fasc. 4. I b. Enrico del terzo ordine di S. Francesco e it suo culto
in Perugia. È una nota inedita di Serafino Siepi che fu letterato peru-
gino. — L’ Autore della Franceschina. Da un passo del Memoriale del
monastero di Monteluce deducesi che « fu già composta da un rev. padre
chiamato fra Egidio da Perugia ».

Fase. 5. Faloci Pulignani M., Lauda di S. Francesco composta da
ser Cristofano di Gano Guidini da Siena. Da un ms. della Comunale di
Rieti. — Manzoni L., Studi sui Fioretti di S. Francesco. Bibliografia
delle edizioni del sec. XV e sg. — Faloci Pulignani M., Fra Cherubino
scrittore francescano del sec. XV. A proposito delle Regole della vita ma-
trimoniale, edite a Bologna nel 1888 e anteriormente, nel 1878, dallo
Zambrini, le quali, secondo l’ a., sono da attribuirsi, anziché a frate Che-
rubino da Siena, a frate Cherubino Capodiferro da Spoleto. — Per la
storia dei francescani in Perugia. È un documento del 1253. Saggi della
Franceschina. Fra gli altri è la Vita del b. Paoluccio Trinei. Dal cod.

PI

— ue,

| della Comunale di Perugia. — Mazzatinti G., S.. Bernardino da Siena
} a Gubbio. Memorie, e la lauda che il santo compose. — Donazione ai
i frati minori di Perugia del luogo del Monte nel 1276. Atto già pubbli-
1 cato da A. Rossi nel Giornale scientifico-agrario del 1865. 3
| Fasc. 6. Fontanieri A., Della chiesa di S. Lorenza in Vincis presso
ì Orvieto. Se ne rifa la storia. — Vita inedita di S. Francesco scritta nel -
i sec. XIV. Da un cod. della biblioteca di Chartres, segnalato negli Ana-
i lecta Bollandiana, vol. VIII, 1889. « Nulla di nuovo narra questa breve
E) redazione, ma non è forse inutile, attesa l' antichità sua ». — Recensione
i dell’ Histoire de S. Francois d? Assise di Leone Le Monnier ; Parigi, 1889.
I

NOTIZIE DEGLI SCAVI D’ ANTICHITÀ (Roma).
Relazione delle scoperte fatte in Orvieto, Ancarano (frazione del co-
mune di Norcia), in Amelia, a Perugia ed a Città di Castello,
118 SPOGLIO DI PERIODICI

"NUOYA ANTOLOGIA (Roma).

Fasc. 16 marzo. Recensione della edizione delle Cronache della città
di Perugia a cura di A. Fabretti; Torino, 1888. Favorevole.

Fasc. 1 settembre. Recensione del libro La patria di Properzio di
Giulio Urbini; Torino, 1889. Favorevole.

Nuova RiviSTA MISENA (Arcevia).

Num. 4. Anselmi A., A proposito della tavola dipinta dall’ ignoto
pittore perugino maestro Sebastiano di Ridolfo. È nell’ eremo di Monte-
rosso in quel di Sassoferrato; mutila ed « orribilmente malconcia ».

Num. 6, Gherghi R., Di un quadro di Simone e Gianfrancesco sda
Caldarola nella Pinacoteca di Spoleto. È del 1962, e'se ne dà la de-
serizione.

Num. 8. Rossi A., I7 cognome e le opere di maestro Ercole da Fermo.
Pittore che lavorò in Perugia. I documenti qui pubblicati sono tolti dal-
l'archivio di-S. Pietro di questa città.

Revue pU MoxpE LATIN (Parigi).

Fase. settembre-ottobre. Rodocanachi E., La vie et la conjuration
de Stefano Porcari. È storia narrata sui documenti già editi dagli ar-
chivi di Firenze, di Siena e di Orvieto.

Rivista DELLE BrsnioTECHE (Firenze).

, Fase. 18.19. Ottino G., La Biblioteca comunale di Narni. Se ne tesse
la storia e si dà conto del nuovo riordinamento: in fine è 1’ inventario
di 24 mss. da aggiungersi a quel ms. unico di cui il Mazzatinti diè I in-
dicazione, comunicatagli dall’ Eroli, nel fasc. 1 degl’ Inventari dei mss.
delle biblioteche d'Italia; Torino, Loescher, 1887. Questo articolo è ri-
prodotto nel vol. III di Alcune prose e versi del march. G. Eroli, Assisi,
1890, pag. 5l e segg. con note che lo confutano : 1° Eroli rispose con una
lettera al prof. Ottino, pubblicata nella Rivista medesima del 1890 e poi
nel vol. cit. di Alcune prose, ecc.

"

RIVISTA STORICA ITALIANA (Torino).

Fasc. 2. Recensione delle Memorie e Guida storica di Gubbio di 0. .
Lucarelli. Con molti appunti.

Fasc. 3. Recensione del libro La patria di Properzio di G. Urbini;
. Torino, 1889. Favorevole. Per l’ Urbini è Spello la patria del poeta.

SITZUNGSBERICHTE DER PHILOS-PHILOL. UND. HISTOR. CLASSE DER AKAD.
DER WISSENSCHAFT (Monaco).
Vol. II, disp. 1. Franz von Reber, Luciano da Laurana. Prova che
costruì anche il palazzo ducale di Gubbio.
SPOGLIO DI PERIODICI | 179

THE ÀMERICAN JOURNAL OF ARCHEOLOGY ‘AND OF THE HISTORY OF FINE
AnTS (Boston).
Tra le notizie archeologiche sono ricordati gli scavi eseguiti in varie
città italiane, in Orvieto e in Amelia.

ANNUNZI DI PROSSIME PUBBLICAZIONI

z^4 Il signor Angelo Lupattelli di Perugia, R. Ispettore coa-
diutore per gli scavi e monumenti, ha diramato una circolare di associa-
zione alla sua opera: « Storia della pittura in Perugia e delle arti ad
essa affini dal risorgimento in Italia sino ai giorni nostri ». — Il prezzo
del volume è di lire 3, da pagarsi all'atto di consegna.

x^. Ilsignor Giulio Urbini di Spello, R. Ispettore dei monumenti,
sta per pubblicare il suo lavoro, di cui ha già dato parecchi. saggi nei
giornali, «.le opere d' arte di Spello, con introduzione storica. o. appen-
dice bibliografica ». :

xx Il cav. Giovanni Magherini-Graziani di Città di Ca-
x stello, fra qualche mese, pubblicherà il II. volume della sua importan-
i tissima « Storia di Città di Castello » e un grande lavoro sull” « Arte
a Città di Castello ».

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RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

MICHELE FALOCI PULIGNANI. — Le memorie dei SS. apostoli Pietro. e
Paolo nel villaggio di Cancelli e le or igini del Cristianesimo nel ter-
ritorio di Foligno. — Foligno, 1894, pp. XII — 221.

Michele Faloci Pulignani pubblicò fin dall’ ‘82 alcune notizie in-
torno alla « chiesa dei santi apostoli Pietro e Paolo nel villaggio di
Cancelli presso Foligno » (1); ma non essendo riuscito (egli stesso mo-
destamente lo confessa) a giungere a quelle conclusioni che ‘molti desi-
deravano, per la grande penuria dei documenti e delle testimonianze,
ritorna ora su DE argomento, indottovi da assidue ricerche, che Tano
meglio rischiarato l' intricato soggetto, e da felici scoperte fattesi a Can-
celli. Si estende pure a trattare delle origini del Cristianesimo nel ter-
ritorio di Foligno, sembrando a lui i due temi logicamente connessi.

È tradizioné notissima che in Foligno il Cristianesimo sia stato pre-
dicato dagli stessi apostoli Pietro e Paolo: tradizione del resto non af-
fatto inverosimile per la non molta distanza di Foligno da Roma e la

sua posizione in vicinanza dell’ antica via Flaminia. Ed il villaggio pic-

colo e povero di Cancelli, paese montano ad oriente di tale città, si dice
Visitato da que’ primi apostoli e Sopra di esso « si riannodano tutte le
tradizioni locali sulle origini apostoliche della Chiesa di Foligno » (2).
Molti scrittori hanno parlato di questo argomento: per il primo vi
accennò un gesuita spagnuolo, il padre Martino del Rio, nel 1598; poscia
ne trattò diffusamente 1’ Ughelli nel 1644, dicendo che la luce evange-
lica splendette su Foligno per opera dell apostolo Paolo e che questi,
mentre diffondeva nell' Umbria la parola divina, concesse a una famiglia
di Cancelli ed ai successori loro il privilegio di guarire le sciatiche. Con-
fermò le parole dell’ Ughelli il sacerdote folignate Lodovico Jacobilli
nelle Vite dei Vescovi della città di Foligno, opera ancora inedita scritta
poco dopo-il 1643, e nel ’46 affermò in un Discorso della città di Fo-
ligno, che questa fu una delle prime nell’ Umbria ad abbracciare la fede
di Cristo, l’anno '57 dell’ èra volgare, per opera dei discepoli dell’ apo-

(1) Foligno, Sgariglia, 1882, p. 94,
(2) P. 2.

or part per RE RTA
RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

stolo Pietro santi Brizio e Crispolto. Parlarono ancora di tale: pia tradi-

zione umbra molti scrittori, riferendola alcuni a S. Paolo, altri a S. Pie-.

tro, altri infine ai due apostoli nello stesso tempo. S

Uno dei primi quesiti che si propone il chiarissimo autore è di ve-
dere quanta veridicità ci sia in ciò che si narra di S. Crispoldo, il quale
sarebbe stato discepolo di S. Pietro e vescovo di Foligno ed avrebbe
quindi, in tal caso, una relazione non piccola con la tradizione religiosa
di Cancelli. A questo proposito il Faloci Pulignani dopo aver premesso
che si parlò per la prima volta di S. Crispoldo in un tempo, « nel quale
era usanza di accrescere il più che fosse possibile il numero dei Santi,
dei Vescovi, degli uomini illustri di ciascuna città, cercandosi piuttosto
di moltiplicar le persone, che il lavorar con critica, cercandosi per e-
sempio di avere una serie di Vescovi ricca di nomi, e remotissima nel-
l'origine, anzichè certa e criticamente determinata»; viene a dimostrar
chiaramente, con profondità di dottrina ed acume critico, che la vera
epoca di S. Crispoldo non è il primo secolo, bensì il terzo ed il principio
del quarto, e che quindi egli non ha che veder nulla col passaggio di
S. Pietro e S. Paolo per Foligno e Cancelli.

S. Crispoldo avrebbe eretto, fin dal '58, la chiesa di S. Maria In-
fraportas di Foligno; ma nessun Mi ans certo vi ha, il quale com-
provi questa notizia. Tuttavia l'esame di essa chiesa, fatto con artistica
competenza dal chiarissimo autore, permette di ritenere che essa esi-
stesse certamente nel mille e che fosse probabilmente alquanto anteriore
al sec. X.

In una cappella di S. Maria Infraportas, detta la cappella dell’ As-
sunta, è fama che abbiano,celebrato i santi apostoli Pietro e Paolo. Ciò
è attestato da una iscrizione posta sopra la porta, nella quale si asse-
risce inoltre che quell’ edificio era una volta un tempio di Diana e che
fu consacrato al culto divino da S. Crispoldo. Ma il Faloci Pulignani,
esaminando la costruzione della cappella, dimostra che non è certamente
dell’epoca romana, sibbene del primo medioevo. Ad ogni modo, un affresco
dell’epoca susseguente a Giotto, in cui è rappresentato Oristo tra gli
apostoli Pietro e Paolo, un dipinto attribuito dallo scrittore al sec. XV,
nel quale è raffigurata Maria tra i medesimi santi, due. busti in.legno
di questi provano chiaramente e come sia abbastanza antico il culto
dei due primi apostoli nella cappella dell’ Assunta.

Un'altra chiesa, la cui fondazione è stata erroneamente attribuita
al sec. I, ed a S. Crispoldo, è S. Pietro in Pusterna di Foligno! Ad ogni
modo è notevole perchè porta il nome del principe degli apostoli, come
conserva il ricordo del compagno S. Paolo; un piccolo edificio innalzato
fuori di Foligno e chiamato il miglio di S. Paolo, perchè costrutto in
onore di questo, sorge alla distanza di un miglio romano dalla città. Il
Faloci Pulignani ha raccolte parecchie ed accurate notizie intorno a
questi due edifici religiosi.

In quella? parte del territorio di Foligno, che chiamasi la Valto-

p *

189. RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

pina perché irrigata dal fiume Topino, é tradizione che abbia predicato
S.Paolo. Ivi infatti sorge un piccolo gruppo di case detto appunto Santo
Paolo e v'era una volta una chiesa denominata Santi Pauli de Sancto
Polo, come si legge in documenti del 1914, 1261 e 1993. « Sembra dunque
innegabile (conclude qui, forse un poco azzardatamente, il Faloci Puli-
gnani) una relazione speciale fra 1’ apostolo S. Paolo e queste popola-
zioni, e sebbene questa relazione venga ricordata assai tardi, non sap- ta
piamo quale difficoltà possa sorgere per negare un fatto che ha tutte le e
apparenze della probabilità ».
Anche nel vieino territorio di Camerino, nell'eremo di S. Angelo
De-Profolio, si conserva la tradizione. che vi sien passati gli apostoli
Pietro e Paolo. Ora quest'eremo è abbastanza vicino a Cancelli.
E veniamo finalmente a parlare di questo paese così interessante per
il nostro argomento che si può considerare come il nodo della quistione.
Una delle prove addotte a dimostrare la venuta dei primi apostoli ea
a Cancelli è un grande sigillo metallico, di forma circolare, nella parte
superiore del quale veggonsi i due mezzi busti dei santi Pietro e Paolo.
Il sigillo è antico, anteriore certo al 1400, ma non ha che far nulla con
Cancelli. Vi si legge infatti intorno:
S. (sigillum) CURIE PRESIDATUS. ABBACTIA FARFENSIS,
Apparteneva pertanto alla curia del Presidato di Farfa, una giuri-
sdizione temporale che gli abati farfensi ebbero un tempo nel Piceno, e
serviva ai rettori pontificii della Marca quando il Presidato farfense Spet-
tava alla S. Sede. up
Lasciando pertanto da parte questo argomento, la cui validità é stata
contestata in tal modo, il Faloci Pulignani viene a dimostrare che Can-
celli già esisteva nel sec. XIII e che era abitato pure nei sec. XIV e
XV. Traendo quindi occasione da alcuni oggetti scopertisi casualmente
in quel villaggio, prova l’ antichità di questo e come vi dovesse dimo-.
rare un tempo una primitiva popolazione italica. Infatti cinque idoletti
di bronzo ritrovati lassù e vari rottami di vasi e alquante monete risal-
gono certo ad una grande antichità. Per di più una statua di bronzo,
oggetto di puro lusso, serba traccia di una qualche agiatezza dei remoti
| abitatori di quel paesello sepolto tra i monti. Conclude pertanto il Fa-
loci Pulignani: « Si sono scoperté notevoli reliquie di antichità di una 3
popolazione ricca e dimenticata, proprio in quel luogo dove la tradizione E
che queste antichità mai aveva conosciute; raccontava che si fossero re-
cati a predicare i Santi Principi degli Apostoli. Dunque la tradizione
riceve dai monumenti splendida conferma » (1).

(1) Non parliamo degli ultimi capitoli dell'opera, poiché, mentre completano la
storia dl Cancelli, non hanno che vedere con la tradizione che vi predicasse S. Pietro
o S. Paolo. Risguardano essi la chiesa di Cancelli, la famiglia di Cancelli e le gua-
rigioni prodigiose dei sec. XVII, XVIII e XIX. Queste ultime potrebbero esser cre-
dute come una conferma della tradizione, di cui ci occupiamo. Ma il f*aloci Pulignari
RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE 183

La dissertazione dell'erudito scrittore umbro, di eui abbiamo ripor-
tato il succo, sebbene alquanto prolissa, è condotta molto bene, con pro- '
fondità e dottrina. Anzitutto egli ha sgombrato il terreno di tutte le ar-
gomentazioni errate che fin qui si adducevano: l’episcopato di S. Crispoldo,
il grande sigillo metallieo di Cancelli, ecc. Ha egli poscia addotte prove
novelle e più efficaci della veridicità della tradizione; la universalità di
questa nell’ Umbria ed i monumenti che l'attestano, Ia antichità e veri-
simile agiatezza della popolazione che ha abitato ùn tempo Cancelli.

Quanto alla generalità della tradizione nei paesi umbri non è certo
una prova sufficiente per affidarcisi ciecamente, perchè anche di altre tra-
dizioni universalmente diffuse in una regione od in un paese, si è dimo-
strato luminosamente la falsità (1). Per di più questa diffusione della
tradizione spiegherebbe come siasi spinta anche a Cancelli. È perciò che
il chiaro autore cerca addurre una ragione di maggior importanza, che serva
a spiegare come mai uno dei principi degli apostoli sia salito a predi-
care la fede nuova fin lassù, ad un villaggio ora così povero e poco po
polato. Ma questa ragione, la più. grande agiatezza e forse estensione
del paese, si riferisce a tempi più antichi di quelli in cui vissero i prin-
eipi degli apostoli e non dimostrano per niente che all'epoca logo Can-
celli fosse più popolato e più ricco che non ora. Ed infatti, se in paese
rieco e'popolato si fosse recato uno di loro e, oltre a diffondervi il eri-
Stianesimo, avesse concesso agli abitanti di questo il segnalato privilegio
di guarire una specie di malattie, come mai gli abitatori di un. paese
siffatto non gli avrebbero innalzato mai neanche una modesta cappella?
Ciò significa che il paese nel primo secolo di Cristo, se fosse vera la
tradizione, sarebbe stato povero e poco popolato come nel tempo moderno.

Noi pertanto, lodando Paeume, la dottrina e l'amore agli studi del
Faloci Pulignani, che lo spingono a portar la luce sopra di -ogni argo-
mento che imprende a trattare, ci permettiamo tuttavia, per questa
volta, di dubitare assai che le prove da lui addotte valgano a dimostrare
la predicazione di S. Pietro o di S. Paolo nel villaggio di Cancelli.

G. PARDI.

*
avverte che « il fatto delle guarigioni prodigiose, vero o falso che sia, è una cosa
ben distinta dall'altro fatto del passaggio e della predicazione apostolica in Foligno
e nel suo territorio ». Pertanto « queste guarigioni potrebbero essere assolutamente
incontrovertibili, e pure quel fatto istorico potrebbe essere una leggenda non con-
fortata di prove »,

(1) Si aggiunga che, delle tradizioni apostoliche umbre, anche valenti scrittori
di cose di questa regione hanno dubitato. Si vegga ad es G. MAGHERINI-GRAZIANI,
Storia di Città di Castello. Ivi, Lapi, 1888-90,
t t

- 184 RECENSIONI BIBLIOGRAFIOHE
KónTE GusTAw. — Ueber eine altgriechisce Statuette der Aphrodite aus

der Necropole von Volsinii (Orvieto) Berlin, 1893. (Sopra una
statuetta greca di Afrodite della necropoli di Volsinio (Orvieto) per

Gustavo KORTE).

Questa statuetta fu rinvenuta sulla fine dell’ ottobre 1884 negli seavi
diretti dall ing. Riccardo Mancini al sud delle colline orvietane in un
possesso del cav. Felici, che ha preso il nome di Caunicella dalle piante
di canna, le quali ivi si- trovano. Nel novembre dello stesso anno il Kórte
ebbe occasione di visitare questo luogo. Per gli incitamenti di lui si riveló
la notevole abilità dell' ing. Mancini, così meritevole per la scoperta della
necropoli di Orvieto, nella escavazione di ampie tombe, il eui valore il
segretariato dell’ istituto archeologico tedesco in Roma prese l’ inearico
di ricercare nel miglior modo possibile. A questo scopo fu inviato il Kórte
ad Orvieto nel decembre dell’ 84 e nel gennaio dell’ 85. Dei risultati
degli scavi parlò egli nelle sedute dell’ istituto medesimo del 30 gennaio
e del 6 febbraio 1885. La pubblicazione da lui fatta su tale argomento
nel Bollettino dell’ istituto (a. 1885, s. 20 f.) doveva essere ampliata negli
Annali e Monumenti dello stesso istituto; ma nel numero di febbraio
delle Notizie degli scavi del 1885, il Gamurrini dette una riproduzione
ed una illustrazione dei materiali rinvenuti. Tuttavia, non condividendo
le conclusioni del dotto Italiano, il Kórte ritornò sull’ argomento con
questa memoria risguardante la statua della Venere di Cannicella, cui
egli considera come il perno principale per dimostrare la esistenza di un
luogo dedicato al culto nella necropoli volsiniense.

Premesso questo, il Kórte descrive con minuzia di particolari e pro-
fondità di dottrina il luogo nel quale la statuetta fu ritrovata; una ter-
razza larga 10 metri nel pendio meridionale della collina, 440. metri
distante dalla parete della roccia tufacea, su cui sorge Orvieto. Esamina
poscia gli oggetti ivi estratti fuori dal suolo:

I) Bronzi: monete, figurette di bronzo (tre piccole figure maschili
ed una statuetta di Ercole);

II) Terrecotte: terrecotte architettoniche (una Gorgone, quattro teste
femminili, tre teste di Sileno, una di Pane giovinetto), /rammenti di
statuette (di cui una testa femminile è notevole per la antichità e finezza
del lavoro ed un dorso di Ercole mostrasi pieno di movimento e di vita),
ed altri oggetti di terracotta, quali un phallus e numerosi cocci di vasi
di fabbricazione locale.

Riguardando questi materiali il Gamurrini congetturó appartenes-
sero ad un edifizio a. forma di cappella. Il Kórte invece opina sieno la più
parte doni votivi e che nel punto, ove essi vennero sea rati, vi fosse un
luogo dedicato al culto, un sacro recinto scoperto, quale doveva essere
nella necropoli di Capua. E certo tale opinione è, secondo il mio debole
parere, più accettabile dell’ altra, apparendo realmente come doni votivi RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE 185

quasi tutti gli oggetti rinvenuti. Ma la prova più convincente della af-
fermazione del Kórte si .è la stessa immagine del culto, la statuetta
della Venere di Cannicella. La quale non è italiana, ma greca, non at-
tica, nó peloponnesiaca, bensì, molto probabilmente, di marmo delle isole.
Il materiale, anzitutto, fa supporre ciò; inoltre tutte le caratteristiche
dell’ opera statuaria indieano chiaramente appartenere essa all'arte ar-
caica greca. Conforta il Kórte di molteplici prove la sua opinione, con-
frontandola eon altre numerose statue dei musei tedeschi. Avendo per-
tanto coneluso essere stato indubbiamente un luogo di culto della neero-
poli volsiniense la terrazza di Cannicella ed averci conservata la immagine
sacra, a eui ivi prestavasi culto, la statuetta di Afrodite appartenente al
tempo arcaico dell'arte greca, si domanda come mai sia pervenuta ad
Orvieto, e congettura possa essere stata presa come bottino in una spe-
dizione militare in una delle colonie ioniche dell’ Italia inferiore o della
Sicilia.

Ho dato un riassunto di questa eruditissima memoria del Kórte per
invogliare altri a tradurla per intero, essendo essa una delle. più inte-
ressanti pubblicazioni concernenti la necropoli volsiniense. E stampata
in un'opera offerta da lui e da due suoi antichi compagni di studi al
loro grande maestro (Archeotogische Studien ihre Lehrer H. Brunn dar-
gebracht, Berlin 1893).

G. PARDI.

Cozza Luzi GrusgPPE. — Chiara di Assisi secondo alcune nuove scoperte
e documenti, Roma, 1895.

L'A. si è prefisso con questo suo studio di mettere meglio in luce
lo spirito di povertà di Santa Chiara, provandone la meravigliosa co-
stanza a sostenere quel supremo principio della regola francescana. Seb-
bene paresse a molti ragionevole, e agli stessi papi tollerabile, che la ri-
gidezza della regola dovesse mitigarsi, almeno, per le suore; tanto che
per la costituzione pontificia del 2 giugno 1246, per l’altra del 6 agosto
1247, queste ebbero facoltà di possedere; pure Chiara sostenne il princi-
pio con tutte le forze, e lo sostenne infino agli ultimi momenti di sua vita.
Morente, ebbe il conforto di ricevere la bolla di conferma della regola (9
agosto 1253) da essa desiderata e invocata lungamente, e di riceverla dalle
mani stesse di Innocenzo IV. Il p. ab. Cozza-Luzi ha preso ad esaminare
l'importante documento; e premessavi una serie di fatti che riassumono
gli intendimenti della pia fondatrice delle Damianite, e che chiariscono,
al confronto delle memorie e dei documenti studiati con ampia dottrina, molti
particolari che accompagnarono il nuovo atto pontificio, riprodusse questo
nel suo testo in fototipia e vi lesse aleune parole, fuori del corpo del-
l'atto, ehe egli non tardó a ravvisare come scritte di mano del Papa
stesso. Infatti, osservando attentamente nell'estremo margine sinistro in
alto della pergamena, si può leggere anche chiaramente, in piccoli e

13
è permane T bs 1 B g

186 RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

svaniti caratteri, ravvivati dagli acidi, queste parole: Ad instar fiat
S. (cioè l'iniziale del nome battesimale del papa: Synibaldus).

Si direbbe, a spiegazione di cotesto autografo, che la moribonda
non si appagasse della bolla di per sè, senza vedervi anche una sanzione
speciale del pontefice; e dopo tante istanze fatte, e dopo tante promesse
ricevute, atteso quasi un anno quel privilegio, non dovesse sembrarle
così pieno e autentico se, oltre al suggello, non recasse uno scritto del
papa. E il papa la contentò; e non solo scrisse le parole ora citate, ma
cedendo; forse, a nuove e maggiori istanze, aggiunse a più chiarezza: Ex
causis manifestis michi et protectori fiat ad instar. —
Con tale scoperta si spiegano le frasi che, torturando i biografi, sinora furono
indeeifrabili nelle antiche memorie. Queste (dice il Cozza) inesattamente
narrano che il papa scrisse il primo articolo delle regole approvate. La cosa
non fu così; ma sibbene egli scrisse un’ approvazione generica e singo-
larissima sopra la bolla stessa di conferma. La scoperta quindi prende
per sè un valore affatto singolare non solo nella storia delle Clarisse, ma
eziandio nella paleografia e diplomatica pontificia e nell’ archeologia. —
Ma non è questa solamente tutta la scrittura scoperta dal valente capo
della Vaticana. Nel rovescio della pergamena, sopra un lato della piega-
tura, si ha in caratteri coevi: Bulla confirmationis regu le san-
ete Clare per dominum Innocentium IIII. Hane dieta
Clara tetigit et obsculata est pro devotione pluribus et
pluribus vicibus. Dalle quali parole egli giustamente trae la con-
ferma di quanto nei capitoli precedenti aveva asserito contro alcuni serit-
tori, — come, cioè, fin dalla morte della Santa, la regola delle suore
era a lei e non ad altri attribuita, e come tale fu così confermata
da Innocenzo che fu il IV e non il III, ed inoltre ehe quel documento
in pergamena era l'originale della conferma.

L’opuscolo è condotto con chiara e ornata esposizione sull’ esame

]

critico delle fonti, e in specie della vita versificata che in questo

stesso 1° numero del. Bullettino comincia a pubblicarsi, differente da
un'altra versificata dovuta ad un’ antica rimatrice anonima che pubblicò
il Monaci fin dal 1882, poco rilevante alla storia, e dove Innocenzo è -
‘scambiato con Alessandro IV (Leggenda di Santa Chiara verseggiata, ecc.,
Imola, 1882), al Cozza, come sembra, sconosciuta. Giuste osservazioni
il dotto scrittore rivolge, fra gli altri, al Cristofani e al Sabatier che at-

"tribuisce ad Innocenzo III il fatto del IV e pone l’altro anacronismo di

S. Francesco mediatore per la bolla 9 agosto 1253. pm
Rosso MamBRrINO. — L’ Assedio di Firenze. Poema in ottava rima di-

chiarato con note storiche, critiche e biografiche da Antonio Do-
menico Pierrugues. — Firenze, G. Pellás, 1894; pag. 439.

Questo poema in nove canti, i cui esemplari della stampa perugina
(1530) e della veneta (1531) erano da tempo diventati d'una rarità ecces- RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE 187

siva, composto dall'autore al suon dei tamburi e delle trombe marziali,
mentre prendeva parte alla strenua difesa di Firenze sotto le armi di,

Malatesta Baglioni, citato dal Varchi quale fonte per le sue storie — il
che lo scusa agli occhi nostri dello stile disadorno — ben meritava le

molte e intelligenti cure che vi ha speso intorno per illustrarlo degna-
mente l'egregio signor Pierrugues. La presente ristampa, che ci si offre
in veste abbastanza elegante, fu da lui condotta sulla edizione prima
fatta in Perugia per Girolamo Cartolari alli 3 di dicembre 1530. Vi sono
riprodotte l' impresa del Baglioni, due artistiche xilografie figuranti bat-
taglie. V'ha inoltre, assai opportunamente riferito da. pag. XIII-XLXL,
il pregevole discorso su le varie opere del Roseo dettato. dall’ erudito ue
Fabrianese Romualdo Canavari e stampato per nozze nel 1855; nè man-
cano copiose ed accurate note storiche ad ogni canto e-infine un ricco
indice di nomi e delle cose. notabili, mercè cui scorriamo rapidamente
anche i nomi di molti. prodi capitani perugini, spoletini, todini, castel-
lani, orvietani e ternani, i quali parteciparono al famoso assedio. Onde,
a formarsi un’idea giusta del valore letterario e a consultar volentieri
l’opera maggiore del Mambrino, cui l’ Ademollo, con troppa enfasi nè
minor disdegno, volle chiamar 1’ Omero del Malatesta, non sarebbe a

desiderare che un glossario —, corredo critico oggi pressochè indispen-
sabile a simili lavori — il quale ponga bene in rilievo gli elementi pret-

tamente marchigiani introdottisi nella lingua letteraria del poema. Così
pure sarébbe stato bene che il diligente editore, a parte anche un desi
derabile cenno sulle possibili trasformazioni in dialetto veneto subite dal
poema nella 2* edizione, avesse speso parole per dirci se e quanto do-
vette lui espungere dalla stampa perugina per apprestarci questa terza
edizione che noi salutiamo con vero piacere.

ADT.

Elenco dei Capitani e degli Uomini d'arme appartenenti agli
Stati della Chiesa che militarono con Malatesta Baglioni al
servizio della Repubblica di Firenze mella guerra det 1529-1530
incorsi nelle pene sancite da Papa Clemente VII e dal medesimo
graziati in. virtù dell’ art. X della Capitolazione di Firenze. Docu-
mento esistente nella Biblioteca Comunale di Perugia, pubblicato per SI
cura di ANT. DOM. PIERRUGUES. — Firenze, Giuseppe LE
Pellas, 1893 ; pagg. 23. fus

Come giunta al suo pregiato lavoro sopra Francesco Ferruccio e la
guerra di Firenze (Firenze, Pellas, 1889) l'erudito signor A. D. Pier-
rugues pubblicava in elegante opuscolino quest'importante documento
di storia umbra, rinvenuto dall'egregio e gentilissimo conte Vincenzo
Ansidei, bibliotecario della ‘Comunale di Perugia, in una busta di carte
e documenti, onde si valse l'areheologo e storico umbro G. B. Vermi-
glioli per la sua nota difesa di Malatesta IV Baglioni. I combattenti vi 188 RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

sono segnalati nell’ ordine e coi nomi e cognomi in cui li nominò Mala-
testa istesso dinanzi al rev. signor Troglio di Euliste Baglioni e a Ga-
leotto di Mariotto degli Oddi. Notiamo fra essi: E/ Capitan Paulo. Ge-
militto, El Capitan Jacobo Tabussi, El Capitan Pacchiarino de Spoleti;
El Capitan Ridolfo da Sisi; Pietro e Andrea da Urvieto; Corta Luca
da Gobbio; El Capitano Aniballe Signorelli, El Capitano Prospero da
Corgne, Ceccho de Carlo Gratiani, Ottaviano de Vincenzo del Pavese da
Peroscia; Mariano da Deruta; Marcho e Antonio da Marsciano; El Ca-
pitano Signore Haniballe de Todi, Benvenuto de Parisse, Grifone alias
Cione de Bartolomeo de Todi; Bonacorso de Forzio da Massa de Todi;
El capitano Nicolò da Forlì, Pietro Pavolo suo luogotenente, Baptista Pal-
magano alfiero, eec.

Ci auguriamo che di simili documenti, sotto diversi aspetti interes-
santi la nostra Umbria, ci accada sovente in seguito il dare qui un cenno
ai lettori.
NECROLOGIO

ARIODANTE FABRETTI

Nei varî tentativi fatti dagli studiosi dell’ Umbria, con
l'intendimento di stabilire, anche in questa regione ricchissima
di memorie, una ‘Società che le investigasse, raccogliesse e
mettesse in luce, il pensiero di tutti, sempre e natural-
mente, ricorreva ad un nostro diletto Concittadino, la cui in-
telligenza e dottrina e altissima reputazione, pari alla bontà
somma dell'animo, davano conforto a bene sperare di un'im-
presa, di cui egli fosse auspice e guida.
190 i. TIBERI

Ed infatti, appena fu costituito il nucleo della Società
Umbra di Storia Patria, Ariodante Fabretti (la cui per-
dita è oggi un vero lutto per la patria e per la scienza) ne
venne con unanime consenso acclamato Presidente onora-
rio. Ma, ahimè, solo qualche giorno dipoi l'illustre archeo-
logo Umbro cessava di vivere in Torino, destando universale
compianto in tutta Italia, e più che altrove in questa Pro-
vincia e particolarmente in Perugia, che egli aveva tanto
illustrata con le sue opere e con l’autorità del suo nome.

Noi che.lo avevamo sperato compagno e maestro in que:
ste pubblicazioni, non avremmo mai immaginato, che il primo
fascicolo del nostro « Bollettino » dovesse contenere, anzichè
un suo lavoro, il suo necrologio!

Di lui diremo oggi brevemente e con animo ancor com-
mosso. d'ammirazione e di cordoglio, accennando soltanto alle
sue-opere e lasciando ad altro periodico di parlare del F a-
bretti, come patriotta.

Nacque egli in Perugia il 1° d'ottobre del 1816 da G i u-
seppe Fabretti ed Assunta Corsi, e visse da bam-

bino qualche tempo in Deruta, patria di suo padre, pol à '

Perugia, dove applicò di buon’ ora e con molto ardore la
mente agli studi, quando fiorivano all’ Ateneo Perugino il
Vermiglioli nell'Archeologia, il Pu rgotti e il Bruschi
nelle Scienze naturali.

Malgrado la sua inclinazione alle lettere, per compia-
cere il padre, il quale voleva avviarlo ad una disciplina, che
desse meno incerti, meno tardi e meno scarsi guadagni di
quella letteraria, intraprese gli studi veterinari, che terminò
all Università di Bologna, frequentandone le scuole negli
anni 1839-40 e 1840-41. Tanto in Perugia, quanto in Bologna
fu studiosissimo, come è attestato dai suoi compagni e coe-
tanel.

Tornato da Bologna in patria, anzichè esercitare Vetd-
rinaria, diedesi con ardore erandissimo alle ricerche storiche,
frutto delle quali furono le Biografie dei. Capitani Venturieri MEER

NECROLOGIA DI ARIODANTE FABRETTI 191

dell' Umbria. Quest’ opera, che si cominciò a pubblicare nel
1844 a Montepulciano a causa della censura pontificia, che
volevane togliere o modificare alcuni brani, diede al Fa-
bretti una solida fama in tutta Italia.

Intanto fu discepolo del Vermiglioli dal 1846 al 1848,
nel quale anno successe al Maestro nella cattedra di Ar
cheologia della Università perugina.

In questo tempo i rivolgimenti politiei lo attrassero vi-
vamente e gli diedero un posto eminente tra i patriotti del-
l Umbria onde fu eletto deputato alla Costituente romana, della
quale fu uno dei segretari ed anche uno degli ultimi superstiti.

Caduta la repubblica. romana, esuló prima a Firenze,
dove strinse amicizia col. Vieusseux e collaboró col Bo-
naini e col Polidori all Archivio storico italiano. Nel 1852
fu costretto ad esulare anche dalla Toscana e a rifugiarsi in
Torino, dove col profondo sapere, con l'integrità austera della
vita e con la gentilezza dell’ animo.e dei modi si guadagnò
l'affetto e la stima di quanti lo conobbero.

Visse tuttavia durante alcuni anni mercé lo scarso e incerto
profitto di lezioni private, molte ore della notte passando
a lavorare al suo « Corpus inscriptionum. italicarum >», opera
monumentale, che lo fece conoscere e ammirare anche. ol-
tralpe, e che, come ebbe a dire il prof. Ermanno Fer-
rero, aspetta tuttora un successore. Quest’ opera fu comin-
ciata a stampare nel 1858, in Torino, dalla Stamperia Reale
e in quel medesimo anno fu il Fabretti nominato assi-
stente al Museo di antichità in Torino.

Nel novembre dell’ anno seguente ebbe la nomina di pro-
fessore di Storia letteraria e di Eloquenza all’ Università di
Modena e quella di Vice-bibliotecario della Nazionale; ma non
assunse questi due uffici, poichè nel febbraio del 1860 venne
nominato professore di Antiche lingue italiche e di Dialetto-
logia alla Università di Bologna, in quell’ Ateneo stesso, dove
circa vent'anni prima aveva compiuto gli studi di Veteri-

narla.

-
L.

TIBERI

Sei mesi dopo fu chiamato a insegnare Archeologia a]-
| Università di Torino, e nel 1872 ebbe pure la carica di
Direttore del Museo d'antichità, e questi uffici tenne con
sommo onore e grande diligenza, fino al giorno della sua
morte, che fu il 15 settembre 1894.

Con lui disparve una delle più care e venerate figure
della patria nostra, uno di quegli uomini dei quali é difficile
il dire, se la modestia superasse il talento, se questo fosse
maggiore del buon volere e se tutte queste preziose doti
dell'animo non restassero vinte da una bontà immensa e da
una fermezza tanto incrollabile nelle proprie opinioni, quanto
delle altrui tollerante.

Tali virtü lo resero a tutti carissimo; la modestia lo
faceva ammirabile mentre la fermezza gli consentiva di vin-
cere grandi difficoltà, e di salire dall umile condizione po-
polana, in cui era nato, fino a raggiungere alti onori ed
agiatezza e lo teneva immoto nelle sue idee fondamen-
tali, anche quando la mutabilità poteva essere, se non giu-
stificata, difesa da molti e autorevoli esempî; la tolleranza
poi, questa virtù degli animi elevati, lo rendeva equanime
nei giudizi, dignitoso nel linguaggio e Io collocava al di sopra
delle meschinità invide e rissose degli uomini. :

La vita del Fabretti, del resto, poco nota, perchè la
süa grande riservatezza lo faceva parlare di sè raramente,
si riassume pressoché tutta nei suoi studi e nelle sue pub-
blicazioni ; delle principali di queste diamo in appendice
un elenco, che costituiscono il glorioso stato di servizio di
questo veterano degli studi storici e archeologici.

Quantunque egli non li cercasse, gli onori gli giunsero,
forse un poco tardi, come ricompensa, ma sempre a tempo
come riconoscimento del suo valore, nè apparvero mai ad
alcuno superiori ai meriti suoi. Fu eletto deputato nella XIII
Legislatura (1876) e fu nominato Senatore nel 1889.

Ebbe pure la nomina di Socio Corrispondente dell’ Isti-
tuto di Francia, e quella di Membro dell’Accademia delle e SE Mc See ESL T EET IS Ld" cod cy aps sat
NECROLOGIA DI ARIODANTE FABRETTI 193

Scienze di Torino, di cui tenne la presidenza dall’’83 all’ '86.
Fu pure creato Cavaliere del Merito Civile di Savoia, per '
tacere di altre moltissime onorificenze.

Il più bell'elogio di lui ne sembra quello detto da Arturo
Graf, Rettore dell' Università di Torino, quando, parlando
innanzi alla sua salma, concluse: Ha vissuto da saggio in
tempi di grande corruzione!

Ecco l'elenco delle principali pubblicazioni di Ariodante Fa-
bretti :

Biografie dei Capitani Venturieri deW Umbria. — 5 vol., Montepulciano, 1842-46.
Cronache e Storie inedite della città di Perugia dal 1150 al 1540 (a cura di Fr. B 0-
naini, Ariodante Fabretti, F. L. Polidori). — 2 voL, Firenze, 1850-51.

Nota storica intorno all'origine dei Monti di Pietà in Italia. — Torino, 1871.

Corpus inscriptionum. italicarum antiquioris aevi. — 1 vol. 40 grande, Torino, 1867,

Primo e secondo supplemento alla Raccolta delle antichissime iscrizioni italiche, con
l'aggiunta di osservazioni paleografiche e grammaticali (nelle Memorie del Ac-
cademia delle Scienze di Torino).

Di alcune iscrizioni etrusche scoperte in Perugia sul finire del 1852. — Torino, 1853,
dal giornale JI Cimento. $

Sopra due iscrizioni etrusche, che si conservano negli Stati Sardi, lI una in Genova,

l’altra in Torino. — Torino, 1855, dalla Rivista Contemporanea.

Di una iscrizione etrusca scoperta nel territorio di Volterra. — Torino, 1856, dal-
l'Archivio Storico Italiano. è
Sopra un’ antica iscrizione scoperta nel Veronese. — Torino, 1864 (negli Atti dell’ Ac-

cademia delle Scienze di Torino).

Sopra un? iscrizione Osca con caratteri greci graffita in due elmi scoperta nella Lu-
cania. — Torino, 1864 (negli Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino).

Frammento d? iscrizioni etrusche scoperte a Nizza. — Torino, 1872 (negli Atti del A c-
cademia delle Scienze di Torino).

Swnto di grammatica Osco-Sannitica nell’Enciclopedia Popolare di Torino.

Nota sopra sei laminette di bronzo letterate antiche della Lucania. — Bologna (dalle
Memorie della Società di Storia Patria nell'Emilia).

Dei nomi personali presso i popoli dell’Italia antica. — Torino, 1872 (nelle Memorie
dell’Accademia delle Scienze).

Analogia delle antiche lingue italiche con la greca, ia latina e coi dialetti viventi. —
Firenze, 1866.

Lettera d’argomento archeologico, nel Bollettino dell’Istituto Archeologico. — "Torino;
1871.

It Museo d'Antichità di Torino. Notizie. — Torino, 1872 — Raccolta numismatica del
R. Musco di Antichità di Torino. Monete Consolari. — Torino, 1876,

Mosaico d’Acqui. — Torino, 1878.
EL TT IS E ER

194 L. TIBERI

Elogio funebre del conte Connestabile. — Perugia, 1878.

Gli Scavi di Carrà. — Torino, 1879.

Di una moneta d’oro attribuita ai Volsiniesi. — Torino, 1879.

Degli Studi Archeologici in Piemonte. — Discorso letto per 1° inaugurazione dell’anno
accademico 1880-81 nella R. Università di Torino, ivi, 1881.

Della città d? industria detta prima Bodincomago e dei suoi monumenti. — Torino,
1881.

Necropoli della Cascinetta, nella Provincia di Novara. — Torino, 1885.

Di alcune iscrizioni piemontesi edite ed inedite. — Torino, 1885.

Commemorazione di Giuseppe Garibaldi fatta nella R. Università di Torino il 14 giu-
eno 1882.

Atti della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino (1883-86).

Il Cupido di Michelangelo nel Museo di Antichità di Torino, 1883.

Documenti di storia perugina, 29 vol., Torino, 1887-1892, ivi.

La Prostituzione in Perugia nei secoli XIV, XV e XVI. Documenti. —. Torino, coi
tipi privati dell’ editore, 1890. *

Cronache della città di Perugia, vol. lo (1308-1438), vol. 20 (1393-1561), vol. 30 (1502-1579),
Torino, 1887-1890, ivi.

Perugia, dicembre ‘94.

L. TIBERI.
RC CU etti d TU VERE Lao RERSdRE. e. )

GIAN-BATTISTA DE-ROSSI

Se a tutti é difficile e grave lo scrivere di Gian-Battista
‘De-Rossi, mancato alla scienza e all’ Italia il 20 settembre,
a me poi si rende inoltre doloroso ripensando alla dolce ami-
cizia, onde egli mi onorava. Congiungevansi in lui somma-
mente la virtù e la dottrina, e cosi risaltavano da non po-
tersi distinguere quale delle due si fosse maggiore. E mentre
si rispecchiava nella sua persona la romana dignità, era
questa temperata da tale urbanità e piacevolezza, che seco
lui conversando si destavano e reverenza ed affetto. Laonde
in tutta la vita sua niuna voce osò levarsigli contro, tranne
che dapprima incontrò qualche ostacolo e qualche incredulo
alle sue asserzioni, ma ben si può dire che quindi innanzi
avesse un corso tranquillo di studî e di opere seguito da
giuste lodi e meritati onori.

Roma fu la patria sua: Roma che nel sorgere di questo
secolo perdeva il principe degli archeologi dell' età e dell'arte
classica, Ennio Quirino Visconti, ed ora nel suo tramontare
piange in Gian-Battista De-Rossi il principe, anzi fondatore
dell' archeologia cristiana. Ma se al primo dischiuse la via il
Winckelmann, che instaurò per l'arte antica gl’ incerti studi ;
niuno validamente precedette o soccorse a questi, che sicuro
s'inoltró nel nuovo e vasto campo segnato da lui stesso.
Quindi mi apparisce egli veramente più ammirabile, poichè il
giovinetto Ennio Quirino ebbe a maestro l'erudito suo padre,
e continuo incitamento pure ad onorati uffici nei musei va-

Z
196 G. F. GAMURRINI

®

ticani e capitolini, che si formavano e si disponevano, e nelle

‘grandi ed inattese scoperte, e nel favore'dei principi, e della

città stessa, e degli studi di allora. E poi quanto lusinga ed
esalta la venusta forma dell’ arte ellenica, e la maestà della
romana? e non si alimenta in Roma quel sacro fuoco dalla
vista dei rilievi, delle statue, degli archi, e delle superbe ro-
vine, tutte piene di ricordi, nei quali si attesta la storia, e
quanto triste, la vicenda del mondo ? A questa scuola crebbe
Ennio Quirino, e nutrito dei classici studî volgendo gli occhi
olimpici sulle opere antiche, acquistarono desse per lui e vita
e senso, e direi ancora la favella. Nondimeno a lui non toccò
in sorte, che alcuno seguisse le sue orme, non solo in Roma
ma nell Italia nostra: e a tanta iattura non vi è stato finora
riparo, ben-veggsendo che l'arte antica si coltiva con mag-
eiore studio piü dagli stranieri, che dai nostri. Ora quale piü
grande e singolare figura si mostra a chi ben vi pensi il De-
Rossi! poiché molto giova il confronto fra questi due grandi,
come apprendiamo noi a fare dagli antichi scrittori. Solenne
era l'argomento, che gli si presentava dinanzi, e lo moveva
alla ricerca. Come avvenne, che in Roma, nella sede dell im-
pero, nel centro del culto pagano sottentró l'umile cristia-
nesimo, e giunse a trionfarvi, e ad inalzare la servile ed
aborrita croce sull ara del Giove Capitolino ?

Conveniva indagare quale vita, quali riti, quale condi-

«zione innanzi alla legge tenessero i cristiani dei primi secoli,

e quali i luoghi di convegno, e quali i più sacri e venerati.
Erano fino allora le cristiane antichità, cospicuo fondamento
di religione e di storia, mal ricercate e peggio definite, e
molto scarsi i riscontri nè mai-abbastanza fedeli della sacra
tradizione coi monumenti. Nelle parti principali tenevano una
oscurità simile alle loro catacombe, le quali quasi da per
tutto erano abbandonate, o depredate, o guaste, o rinterrate:
incerto il sito di varie basiliche, ignote le cripte un tempo
celebri dei martiri, e perfino le tombe dei primi pontefici: i
monumenti qua e là dispersi, le epigrafi spezzate, e i fram-

AR

-—

a NECROLOGIA DI GIAN-BATTISTA DE-ROSSI 197

menti in lontane parti e per diversi usi adoperati, e il più
e il meglio distrutto o nascosto fra le rovine o in sotterranei
impenetrabili. Che più? lo stesso zelo religioso di ricercare
e possedere le ossa dei santi martiri fu precipua cagione di
barbarie e di devastazione. Da che si vegga da quali e quanti
impedimenti era ingombro il terreno, e quanti poi il De-Rossi
ne incontrò dei maggiori; eppure non solo vi si accinse, ma
li superò colla costanza, e l'ingegno, e la dottrina. L'amore
del vero e la religiosa pietà gli diedero la forza, e gli furono
di guida.

Per le sue investigazioni debole luce si traeva dalla
storia e dai monumenti, chè quella piena di dubbie leggende,
questi espressi con arte omai stanca e deperita. Era neces-
sario penetrare nei sotterranei laberinti fra i morti e le mi-
sere reliquie della morte, esplorare, interrogare, vivervi e
meditarvi lungamente. Fra le altre difficoltà si pensi quanto
vi corra dal contemplare alla piena luce del giorno le gaie e
vive forme delle figure greche e romane, sia che posino negli
splendidi musei, dove sembra che le grazie ripetano i carmi
ora di Omero ora di Virgilio, sia nei palagi e nelle ville dei
principi, e sia ancora fra lé.superbe rovine; quanto, dico, da
quel contemplare al discendere e dimorare in quell'aria grave,
nelle spaurite ombre delle catacombe, e tra le infrante reliquie,
dove ti pare di udire l’ eco lontana degli spasimi dei martiri e
delle angosciose preghiere, e delle funebri nenie. Sicuramente
se la celeste luce della fede nella resurrezione in Cristo
non ti accompagna, o non vi entri, o se una vana o dotta
curiosità oltre ti sospinge, non tardi a sentirne l’ orrore, e
rifuggi, e ti basta aver veduto una volta.

È merito precipuo del De-Rossi l’avere esposto il metodo

.d'investigazione e d'illustrazione, valendosi di ogni elemento

e sussidio storico, topografico e monumentale, e in tal modo
divulgarlo da potersi seguire da qualsiasi culto e diligente
osservatore. Per lui è sorta e omai vige e fiorirà la scienza,
e insieme la scuola delle antichità cristiane non solo in Roma, 198 F. G. GAMURRINI

ma in tutto il mondo, laddove ne' primi secoli si udi e si
accolse la parola evangelica. Onde non è meraviglia, se il
nome di Gian-Battista De-Rossi risuoni di alta fama, in ogni
parte si rammemori, e grande siasi destata l' ammirazione,
ora poi che ha lasciato la terra: quantunque abbia quaggiù
colti allori e ricevuto quel premio di universale plauso e di
venerazione, che a quasi miuno illustre mortale fu dato di
conseguire.

La grandezza di Roma conferi non poco alla sua, si può
dire, come la causa all'effetto. Io tengo per fermo, che il ben-
nato ingegno nei piccoli luoghi s'isterilisca, nei grandi si fe-
condi ed acquisti continuo vigore: nè vi può essere città che
ralga quanto Roma a favorirlo, specialmente nella storia,
nella religione, e nell’ arte, quindi nelle discipline che vi
si attengono, per essere quella un libro dove sono scritte e
si leggono le più gloriose e le più pietose pagine dell'umano
consorzio: e non sarebbe ardito affermare che Roma è stata
spesso la bilancia, dove la divina provvidenza ha pesato i
destini del mondo.

Gian-Battista De-Rossi nato in Roma nel 1822 da rispet-
tabile famiglia è vissuto 72 anni di una vita sempre studiosa
e benefica. Onde molte opere compose di maggior o miifor
mole, e che tutte rivelano il suo metodo e il suo sapere, ed
intese a dichiarare o le antichità, o la storia, o l’arte pa
gana e cristiana, ora in elegante stile latino, ora in italiano
semplice e chiaro, è sempre di buona lega. Si possono con-
tare più di cinquant anni di operosità scientifica, nei quali
oltre quaranta di continue pubblicazioni, siano riunite in opere,
siano inserite in periodici italiani e stranieri. E non è tanto
il numero delle centinaia di scritti, quanto la geniale inve-
stigazione e la svariata dottrina che vi dominano. E perchè
conviene che tocchi almeno dei principali, su di cui posa il
suo monumento immortale, dirò in prima delle iscrizioni cri-
stiane di Roma, che si diede a raccogliere fino da giovinetto.
E senza posa molti anni ricercó e copiò quante ne esiste- NECROLOGIA DI GIAN-BATTISTA DE-ROSSI 152109

vano ne’ luoghi loro, ovvero sparse, perfino i più minuti
frammenti, e quante da altri copiate specialmente dal dottis-
simo suo precursore Gaetano Marini, la cui magna farrag-
gine egli ordinò nella vaticana biblioteca. E cosi perlustrando
le opere, siano stampate che manoscritte, e collazionando le
copie cogli originali rimasti, condusse tanto innanzi l' impresa
da: poterla annunziare come pronta per la stampa fino dal
1848, ma che poi per inopinate vicende fu ritardata d' assai.

E per dare un saggio di quanto fosse lo zelo suo nelle ri-
cerche, narreró un fatto, che due volte ho udito da lui. Giunto
a Venezia trovó nella biblioteca di S. Marco la raccolta epi-
grafica compilata da Pietro Sabino verso la fine del quattro-
cento, da lui fino allora invano desiderata. Postosi a stu-
diarla e copiarla venne l'ora di chiudere la biblioteca; im-
petró di rimanere, e nel farsi sera acceso il lume prosegui:
passò tutta la notte, e non se ne accorse: solo nel mattino
seguente cominció a sentirsi un certo languore ed avvedersi
del lungo tempo trascorso. E qui a me pare che la natura
stessa. fosse indulgente, anzi ossequiente all' amore e all in-
gegno di lui, da far tacere per oltre una giornata la stan-
chezza, la fame ed il sonno. Onde è ben giusta quella vec-
chia sentenza /abor omnia vincit, e l'altra di Dante:

che seggendo in piuma
In fama non si vien né sotto coltre.

Or con i favorevoli auspicî del Pontefice Pio Nono, che
egli giustamente appelló novello Damaso, per avere resti-
tuito in Roma il culto dei martiri, diede alla luce il primo
volume delle Znseriptiones Christianae urbis Romae septimo
saeculo antiquiores, nel quale si comprendono solo quelle con
data cronologica. Dottissimi ne sono i prolegomeni esposti
con aurea latinità, dove si agitano e si dichiarano assai diffi-
cili questioni dell’ epoche, dei cicli, delle date consolari, e
dei diversi computi degli antichi cristiani. Il secondo volume
200 G. F. GAMURRINI

stette più di venti anni-a comparire, dove svolge e conferma
lapparato critico della sua grande compilazione, traendo il
principio dalle raccolte antichissime dei secoli ottavo e nono,
e che quali avanzi di maggiori ci sono pervenute, e venendo
al risorgere del classicismo, col fare a noi rivivere sopra
gli altri l'anconitano Ciriaco, e così discendendo ai tempi
nostri. Qui più che in altra opera si manifesta l estensione
delle ricerche, e l’acume nel discernere e valutare. Dopo
questa meravigliosa preparazione, il raccolto materiale do-
veva vedere la luce, e diviso secondo il concetto primo, che
forse non varió, in tre parti: la; prima che contenesse le
iscrizioni spettanti alla disciplina, e ai riti dei cristiani; la
seconda alla cronologia, alla storia, e varia erudizione; e la
terza gli epitaffi semplici sepolerali. Ma, o sia che altri la-
vori da lui stimati più utili lo distraessero da quell’ intento,
o sia che la ferma speranza di aver tempo a conseguirlo lo
facesse «indugiare, sventura volle, che improvvisa lo assa-
lisse la malattia, e dopo un anno lo rapisse la morte. Egli
ha bensi provveduto, che tanto lavoro sia tratto innanzi e
condotto a fine dal suo dilettissimo prof. Giuseppe Gatti,
della ‘cui perizia epigrafica aveva lo stesso De-Rossi e tutti
ne hanno grandissima stima.

Nel ricercare le provenienze delle epigrafi, si avvide
quanto giovar potesse lo studio topografico e divenire cagione

ci

di mirabili scoperte. Valendosi degli antichi itinerari, e di
altre indicazioni anteriori al mille, tentò felicemente la rico
struzione topografica di Roma sotterranea cristiana. Opera
questa prodotta dà esplorazioni ben dirette, e che precipua-
mente Costitui la sua fama, e sollevò a scienza certa la eri-
stiana archeologia. Fra le altre prove delle sue osservazioni
sapienti, e quanto bene -prevedesse, che presso al bivio delle
vie Appia ed Ardeatina vi sarebbe stato il cimitero di-S. Cal-
listo con i sepolcri storici più celebri e venerati, e quelli in
specie dei papi del secolo quarto, lo mostrarono le succes-
sive scoperte favorite dal pontefice, che gli diedero piena
NECROLOGIA DI GIAN-BATTISTA DE-ROSSI 201

ragione, dichiarate quindi da lui nei tre grandi volumi in
folio della Roma sotterranea; ne’ quali è copiosamente dif-
fusa e l’ erudizione ecclesiastica, e la critica, e non solo l'a-
cuta indagine ma spesso vi si ammira la divinazione. A ren-
dere poi in ogni parte questa opera perfetta si aggiunse il
dotto Michele Stefano suo fratello, che nella geologia valen-' -
tissimo, e geometra industre, riusci a rilevare le piante con
le altimetrie e le sezioni dei laberinti cimiteriali; la quale
ardua intrapresa da lui ampiamente dichiarata, molto giovò
ad intendere le antichità e il successivo svolgimento ‘loro,
corrispondente alla diffusione del cristianesimo in Roma. At-
tendeva in quest ultimo tempo, il De-Rossi, a scriverne il
quarto volume (sebbene quell’ opera sia nei limiti prescritti
compiuta) sempre del gruppo prossimo agli illustrati, di cui erano
in pronto le tavole, e insieme aveva fra mano altri cospicui
lavori. Ora non solo per la epigrafia ma ancora per i cimi-
teri di Roma cristiana ha egli indicato la via di rinvenire, e
il modo d' illustrare: e poichè ne rimane vastissimo il campo,

anzi da fare il più, chi potrà mai proseguire la gloriosa-im-
presa? Dico il più e chi sa di quanto valore, ma di certo
grandissimo, sia per i molti cimiteri suburbani, che fanno
capo alle antiche vie, come si apprende dallitenerario Sa-
liburgense e da altre fonti. La prosecuzione delle ricerche,
aiutate dalla pietà e dalla scienza, e la loro illustrazione,
potrebbero essere un lodevolissimo compito o della Pontificia
Accademia di Archeologia, o del Collegium Cultorum Martyrum,
a cui meritamente presiede il dotto mons. A. De Waal, che
ha fondato e dirige in Roma la Revista per le antichità cri-
stiane e la storia della chiesa.

Il metodo esposto da Gian-Battista De-Rossi per dichia-
rare i cimiteri di Roma deve servire di norma a chi imprende
simili studî, giacchè molti di quelli sussistono in Italia, dai
quali scaturirà certamente la verace storia della chiesa pri-
mitiva, cioè quando e come il cristianesimo vi si diffuse. Op-

14

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202 i G. F. GAMURRINI

portuno si presenta il recente libro del ch. M. Armellini (1)
per far abbastanza conoscere, quanto vi sia ancora da esplo-
rare, avendo fatto egli la rassegna e una breve descrizione
degli antichi cimiteri delle varie regioni d’ Italia, dopo essersi
in prima trattenuto dottamente su quelli di Roma. Come in
varie opere sue, rivolte tutte ad illustrare le antichità cri-
stiane e le chiese di Roma, in questa pure mostrasi degno
di molte lodi; ed è perciò, che non mancando in lui la de-

bita diligenza, mi ha prodotto meraviglia, che laddove tratta

dei cimiteri cristiani della Toscana abbia del tutto tralasciato
quello celebre di S. Felicita di Firenze, che 6 stato soggetto
a monsignor Foggini eal Manni di erudite dissertazioni,
molto più poi che oggi le sue numerose epigrafi latine si
veggono riprodotte colla solita cura dal Bormann, e le gre-
che dal Kaibel.

Nè si può dire quanto sia debitrice al De-Rossi la storia
dell arte cristiana dei primi tempi a presso che tutto il medio
evo. Poichè nelle sue opere ora essa vi riflette ora vi domina,

e viene trattata poi di proposito nei mosaici delle chiese di
Roma. Ed è opportuno qui ricordare che con maggiore ar- |
dimento e con più vasto disegno abbracciò fra noi tutta l'arte
cristiana dei primi secoli il ch. p. Raffaele Garrucci
dando alla luce ampi volumi ricchi di dottrina e di monu.
menti, e dove sono dichiarati i riti ed i simboli: di che l'Italia
se ne dovrebbe tenere assai onorata, ma per sventura nostra
tali nobili lavori ottengono, più che da noi, nei paesi stra-
nieri maggior grido e migliore fortuna.

Bene é dato affermare che il De-Rossi, oltre che f tu vi-
vissimo lume della cristiana archeologia, ebbe conoscenza pro
fonda della pagana, nella quale ha scritto varie dissertazioni,
di cui la prima che si lesse sopra un' iscrizione a Nicomaco

(1) « Gli antichi cimiteri cristiani di Roma e d' Italia ». Roma 1893, 89, pp. 780. Il
libro é così dedicato al De-Rossi; « Ioanni Baptistae De Rossi omaigenae antiquitatis
perserutatori incomparabili rei archeologicae christiane instauratori magistro aman-
tissimo Marianus Armellini ». E. RR CA TT od BEN
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NECROLOGIA DI GIAN-BATTISTA DE-ROSSI 203

Flaviano fece subito grande rumore e lo collocò tra i maestri
della latina epigrafia, allato al celebre Bartolomeo Borghesi
allora vivente. Avanzò egli poi la conoscenza della topografia
di Roma antica, dichiarando la prima forma Urbis, e com-
piendo quindi un aureo trattato sulle piante prospettiche di
Roma fino a quelle amplissime del secolo decimosesto. Si
piacque poi in varî articoli determinare alcuni punti topo-
grafici, sia col riconoscerli nel sito, sia collo stabilirli per
mezzo di storici documenti. . :

Per rendere più accessibile e direi divulgare la cultura
della cristiana archeologia, ne fondava il Periodico, che, co-
minciato nel 1863, scrisse sempre tutto di sua mano, e lo se-
guitò amorosamente fino al tempo ultimo della vita. Assom-
mano a più che trecento le dissertazioni e gli articoli inse-
ritivi, e che producono svariato numero di monumenti, o ne
danno la notizia, e risolvono o toccano questioni di sacra
archeologia; ma naturalmente la loro maggior parte è dedicata
a Roma e alle altre regioni d’Italia. Fra queste parmi che
siano da lui predilette l’ Umbria e la Sabina, incluse nella
provincia di Perugia, il cui Bw/lettino storico ora sorge con
buoni e favorevoli auspicî. Onde mi parrebbe opportuno
che qualche erudito specialmente ecclesiastico si volgesse ad
illustrare questa essenzialissima parte storica, tenendo per
guida e facendo tesoro di quello che è sparso nel Bullettino
del De-Rossi. Ogni città ben potrebbe avere il suo buon cul
tore, poichè ognuna serba tradizioni sacre antichissime, sia
nella venerazione dei primi suoi martiri, sia nella distribu-
zione delle pievi, sia nei documenti medioevali, sia nell'arte,
sia infine nei felici ritrovamenti, che addivengono eccellente
motivo d'indagine e di studio.

Fino a qui ho parlato dell’erudito, e solo nei sommi capi,
chè troppo avrei a dire; essendo egli argomento assai vasto,
come ben lo mostrano le biografie, che si hanno di lui scritte
da italiani e stranieri. E di quanto amore allo studio -fosse
acceso fino all’ estremo della vita, si vide anche allora, che

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204 G. F. GAMURRINI

caduco ed infermo raccolse le fragili forze per ordinare ed
annotare il Martirologio Geronimiano, e compilare schede ed
appunti per le piü dilette opere sue. Egli non solo insegnava
colla penna, ma ancora con la parola, la quale da lui fluiva
faconda e chiara, e piena di dignità e insieme di grazia. Ben
disse un dotto francese; che mentre gli antichi ammaestra-
vano alle quiete ombre degli alberi, o sotto i portici, ed
ora i nostri nelle sale o nei musei, il De-Rossi teneva la
sua scuola e diffondeva la sua dottrina nelle tenebre delle
catacombe, dove una frequente schiera desiderosa di udirlo
si accoglieva in una di quelle edicole sotterranee, ch'egli
sapeva rischiarare di luce nuova colla vivace e dotta
favella. E come si racconta, che uno attratto dalla fama
di Tito Livio sen venne per vederlo dalla Spagna a
Roma, similmente e più di una volta si sono mossi da lontani
paesi per vedere ed onorare il De-Rossi: sia quando nel
1882, compiuto ch' ebbe il suo sessantesimo anno, si concorse
da ogni parte del mondo civile a festeggiarlo: e quando ben
maggiori testimonianze di riverenza e di ammirazione si rin-
novarono all'anno suo settantesimo, dai dotti, dagli istituti
ed università, dagli stati, e dai sovrani senza differenza po-
litica e religiosa. Ben mi sta presente quella festa per la
inaugurazione del suo busto alla basilica Callistiana, allorché
la cara sua immagine fu ornata di corone di alloro, e le sue
lodi e i suoi meriti si celebravano in varie lingue, e si pre-
sentavano novelle e magnifiche onoranze. Sebbene commosso
nell'esser circondato da tanta gloria, e dagli auguri i più fe-
licei ed affettuosi, il suo aspetto si presentava prospero e pro-
mettente. Quindi la notizia del male che poco dopo egli so-
pravvenne e lo colpi, perturbó tutti, come inopinata, e per-
ché ben se ne comprese la gravità; e pur troppo inesora-
bilmente quello progredendo dopo un anno e mezzo lo ha
condotto al sepolcro. ;

Era il 26 agosto, quando andai a visitarlo a Castel Gan-
dolfo, e lo vidi e lo abbracciai per l'ultima volta. Dimorava
RR VC MIRA sage ZEAS e: m ee

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NECROLOGIA DI GIAN-BATTISTA DE-ROSSI : 205

nella villa pontificia, la quale a modo di castello torreggia
sul lago di Albano, deliziosa residenza estiva, offertagli da
S. S. Leone a refrigerio della sua salute. Appoggiato da
uno venne incontro a me trascinandosi, per avere perduto
del tutto la sua parte destra. Ci sedemmo sulla terrazza, che
imminente sul lago ne offriva tutta la vista: declinava il
giorno, e si riflettevano sull' onda tranquilla e bruna le cir-
costanti colline, che intorno vagamente lo chiudono. Egli mi
. disse abbattuto, che non serbava speranza alcuna, e più gli
doleva di non poter lavorare. Stava a lui di fronte la sua
esimia ed amata donna, la contessa Costanza, che per con-
fortarlo, si rendeva a sè superiore, celando l’interna tristezza.
Poi venne l’amico suo il prof. Giuseppe Gatti, poi il march.
Ferraioli ed altri, e la conversazione fu varia, alla quale il
De-Rossi prendeva parte, con mente lucida e colla solita
forte memoria, che fino all'ultimo tenne. Quando mi distaccai,
e lo baciai, e ci dicemmo addio, il cuore mi si strinse, e do-
lorosamente andava pensando che mai piü avrei riveduto
un si caro e virtuoso amico, onore di Roma, lume della scienza,
e propugnacolo della fede, cittadino benefico, di costanti pro-.
positi, sommo nella onestà e nella dignità della vita.
Arezzo, dicembre ‘94.

G. EF. GAMURRINI. ———-————

ISIDORO GARINI

Come il Fabretti e il De Rossi hanno lasciato di sé
memoria desideratissima e largo compianto, la subita fine
del Carini, avvenuta in florida età, addolora non meno eli
amici e eli studiosi, perché pone termine ad una attività che
fu assai feconda di bene. Scrivo mentre il suo cenere è an-
cora caldo, e coll'animo commosso dal ricordo di una delle
più amabili nature che io mi abbia conosciute, rivestita delle
più splendide virtù ed esercitata nelle più assidue fatiche.

Nato in Palermo da distinta famiglia nel 1843, crebbe nel
Collegio dei Gesuiti in quella scuola che si mantenne devota
alle tradizioni del. classicismo. Egli nell' elogio al Ferrigno,
Suo condiscepolo, la ricordava cor amore, come quella che
era intenta « più all artistica osservazione del pensiero,
che allanalisi della parola ». Le tendenze nuove, per le
quali, con altri metodi e con altri modi, l'Italia. si faceva,
nelle lettere, imitatrice della Germania, le ripudiava; ma am-
mirava il metodo delle investigazioni scientifiche nel campo
della storia che, dopo l'esempio del Muratori in Italia,

il Pertz continuò in Alemagna. Allievo di Salvatore

Cusa nella scuola di paleografia della Università di Pa-
lermo, immaginò, nel ’73, « di stringere come in un fascio.
i lavori di tutta la scuola », e fondò col barone Raffaele
Starabba I' « Archivio Storico Siciliano » prendendo per suo
fine tutto ciò che riguardasse lo studio della storia patria
nel suo significato più ampio; ma più specialmente nelle isti-
tuzioni del medio evo. Esortava a studiare il medio evo Ts de Te ven T e i = soliti eb
A ee ae ng

NECROLOGIA DI ISIDORO CARINI 207

« nei privilegi delle città che furono la vera costituzione po-
litica d'allora; nella distinzione degli statuti personali, nelle »
differenze delle franchigie, a riparo delle quali l’uomo indi-
viduo, al pari delle corporazioni, si schermiva dai soprusi;
in quel senso tenace del diritto, per. cui anche la monarchia,
sebbene indiscussa nel suo principio, era tutt'altro che as-
soluta, e finalmente in quegli animi sì grandemente com-
mossi ai sensi religiosi e su i quali tanta influenza ebbero
la Chiesa e il Papato ». Quando il pontefice Leone XIII,
imitando Gregorio Magno, il quale aperse l'adito allo
« Scrinium Ecclesie, », fattosi a promuovere le ricerche sto-
riche pubblicava la bolla « Saepenumero » e apriva libé-
ralmente gli archivi della S. Sede agli studiosi, lo nominò
sotto-archivista apostolico e consultore della commissione
cardinalizia per gli studi storici, e lo chiamò a fondare la
scuola di paleografia in Vaticano. E il Carini, valente esti-
matore ed interprete di tutti gli atti antichi sì pubblici che
privati, inaugurando nel '85 la nuova scuola, la divideva in
tre corsi: paleografia e critica diplomatica; paleografia e di-
plomatica pontificie; critica storica applicata al pontificato. In-
segnava come « i diplomi ci fanno seguire lo, svolgimento
della proprietà e della agricoltura e porgono inattesa luce
alla storia del commercio, all’ economia politica, all’ etnogra-
fia, al diritto, alla filologia, alla topografia delle città, alla
archeologia del medio evo; le carte stesse di materia con-
trattuale chiariscono la legislazione di quei secoli e la storia
del diritto romano durante un’ età che ebbe tanta e cosìf-
fatta varietà di leggi; e le formule diverse degli atti antichi
ci fan penetrare, anche meglio de’ testi legislativi, ne' costumi
giuridici d’ allora ». Gli appunti che pubblicava di questi
corsi rivelano: la profonda conoscenza della materia e l’abi-
lità di esporla con chiarezza e precisione scientifica. La pra-
tica poi dei monumenti, delle carte e dei tempi cui si rife-
riscono davagli tanta facilità di scrivere da abbracciare ogni
ramo dellerudizione più severa senza riuscire pesante o
208 L. FUMI

stucchevole. Mandato in Spagna dal comm. Silvestri soprin-
tendente agli archivi siciliani per intraprendere ricerche in
rapporto alla storia d'Italia in generale e a quella di Sicilia
in particolare, rovistó un gran numero di archivi e di bi-
blioteche e pubblicó una relazione voluminosa di tutte le

riechezze ivi contenute, incitando gli studiosi della storia

d'Italia a mettersi per questa via, nuova non meno che fe-
conda di risultati. Destinato alla Biblioteca Vaticana, essendo
Bibliotecario il cardinale Capecelatro, e il padre abate
Cozza-Luzi Vice-bibliotecario, ne dettó la storia e curó
la continuazione degli inventarî e la stampa dei cataloghi.
Iniziò la pubblicazione dello « Spicilegio Vaticano di docu-
menti inediti e rari estratti dagli archivi e dalla biblioteca
della sede apostolica »; divulgò un buon numero di opuscoli,
disse moltissimi discorsi, molti improvvisando; immaginò un
grandioso lavoro sull « Arcadia », di cui non è riuscito a
pubblicare che il primo volume, e di questi giorni, per or-
dine del Papa, invitato a redigere una « vista di scienze
ecclesiastiche », ne diffondeva il Programma (che è Y ul
timo suo scritto), dal quale traggo i criteri per la parte sto-
rica. « Il periodico vuol essere anzitutto d’ indole critica. Ac-
cetterà volentieri qualsivoglia risultato positivo, nella ricerca
scientifica, purchè veramente tale; e senza escludere del
tutto la polemica e l’apologetica, tratterà le questioni, non

tanto co’ ragionamenti, quanto co’ documenti alla mano; chè

i ragionamenti non sorretti da questi, e, molto più, se ma-
neggiati con ingegno e dottrina, paion talora convertire il
nero in bianco, il quadrato in rotondo, sfumando spesso come
nebbia all’ apparire della nuda verità. Invece i documenti,
se genuini, se certi e incontrastabili, non c'ingannano mai
e sono assolutamente necessari, affinchè la storia risponda a
tutte le inchieste, dilegui tutti i dubbi, soddisfi tutte le esi-
genze. Senza di essi non si può parlare di storia, come
senza i materiali non si può parlare di fabbrica. Però si ponga
mente: i documenti bisogna saperli usare, coll’ aiuto delle di”

*
POS rat E

NECROLOGIA DI ISIDORO CARINI 209

scipline ausiliari alla storia medesima, e perciò della paleo-
grafia che li interpreta, della filologia che li dichiara, della ,
cronografia che li data, della bibliografia che ne fa conoscere
la letteratura, e sopratutto della critica che ne stabilisce l'au-
DI tenticità, la lezione, il senso; il valore. Le fonti storiche dun-
| que: sempre risalire alle fonti: ecco il nostro proposito; non
contentarci mai di opere di seconda mano, ché la scienza !
storica non mantiene attivamente le condizioni della sua pro-
sperità se non per la investigazione, scoperta, pubblicazione
e critica delle fonti. Quel che bisogna cercare con tutti gli
sforzi è la verità storica, la sola verità, riflesso anch’ essa
della verità eterna; cercarla nella pluralità delle testimo-
nianze coeve, recando nel loro esame non già quel metodo
soggettivo, che invece di studiare l'oggetto in sè, vi applica
idée personali; non già quel metodo comodo, o maniera di
scrivere ad probandum, che mutila o sopprime i documenti,
se mai non gradiscano, bensi un ingegno docile ed aperto, un
j animo retto e sincero, libero della libertà necessaria al pro-
| gresso della scienza, ma che non perde mai d’occhio gli inse-
enamenti della Chiesa. In altri termini, l' interesse apologetico
non deve guidare mai le ricerche, si uscir fuori spontanea da
queste, condotte con intiera e perfetta lealtà. » Basta questo
brano del Programma per definire il Carini sacerdote e-il
Carini scienziato; e per gli uomini saggi e temperati, valu-
‘tarne, coi meriti letterari, l' animo equilibrato, mentre fra gli
uomini di poca fede e pusillanimi, fra le-nature passionate,
sembrerà a chi un romantico, a chi un rivoluzionario. Ma à
quelli che ci vedevano un pericolo in questo metodo che
tenta di escludere il preconcetto di scuola o il dommatismo
storico, egli rispondeva: « Fu Dio che disse agli Assiri e
ai Caldei: Uscite di sotto le rovine e rendete testimonianza
alla verità calunniata; disse agli Egizi: Risuscitate dal fondo
de’ vostri sepolcri, e rendete alla luce del sole i papiri sotter-
rati con voi, affinchè depongano in favore de' miei libri santi ».
Quindi il Carini verrà annoverato fra i. più attivi e L. FUMI

più caldi scrittori cattolici della letteratura storica contem-
poranea in Italia, dopo la morte del Balan, come in Ger-
mania Jansen, Pastor, Grupp, Grisar, Wurm e gli
altri che non seguono i principî del Ranke. Come carattere,
egli non può essere misurato alla stregua di tanti abi-
tuati a vedere colla vista offuscata dalle passioni di parte o
dell’ interesse. Intelletto elevato, faceva astrazione dalle con-
tingenze del momento, e rettamente composto a temperanza,
non torse mai dalla moderazione, perchè ebbe sempre. da-
vanti a sé il fine diretto del bene e del vero. Per esso ci fu
sempre qualche cosa di più alto dei nomi di parte; religione
e umanità; fede e patria, le due grandi idealità che unite e
conciliate insieme formano il convincimento morale, rendono
facili i doveri privati e pubblici, dànno la forza agli stati e
suscitano gli eroi dove prima non erano, spesso, che uomini

calcolatori. Perciò eratificatosi il Pontefice, e ad esso tanto
vicino, potè anco sedere, riverito e ascoltato, nei consigli
dell’ Istituto storico italiano, accanto al Tabarrini e-al
Crispi, al Cantü e al Villari, a Bonghi e a Lam-
pertico, a Carducci e a Minsci al Belgrano, al
Carutti, al Mariotti, al Calvi, al bina al Vischi.
Un altro ecclesiastico che lo somigliava molto nello spirito,
morto poco tempo prima, era il p. Denza, el uno e l'altro
lasciano una eredità di esempi dignitosi, di opere utili, di
documenti salutari. Ambedue collocati in Vaticano, coltivando
nobilmente gli studi e seguendone i moderni progressi, li
seppero elevare a quel fine, per cui il sapere acquieta e ri-
conforta gli animi, e gli uomini di ogni ordine gli amarono
vivi e li piangono morti.

Un altro concetto del 00 , espresso in varî suoi scritti,
in fatto di metodo storico, è quello che si debba ormai sin-
tetizzare, più che curare l' analisi, più che specializzare. E, in
parte, si può dire che avesse ragione; perchè la storia della
Chiesa innalzata sulle vere sue basi dal Baronio, conti-
nuata dal Rainaldi, giovata dagli scritti del Hurter e
NEGROLOGIA DI ISIDORO CARINI

in parte degli stessi protestanti Kock e Voigt, Bur-
ckhardt,GregoroviuseCreighton, sussidiata daJaffè
e dal Potthast, è stata cresciuta di materiali ricchissimi
in questi ultimi anni dall Hergenroether per i regesti
di Leone X, dal Tosti per la serie dei papi avignonesi, dal
Pressutti per i regesti di Onorio, dallZcole de France per
i regesti di ben dieci pontefici, e finalmente per le pubbli-

cazioni dell’ Accademia di conferenze storico-giuridiche. « Ma
quante miniere ancora intatte nell’ Archivio: e nella Biblio-
teca della sede apostolica! quanti altri archivi anche in Roma
giacciono tuttavia inosservati, quante polverose carte tuttora
sepolte, quante catacombe inesplorate..! » Eil Carini stesso
che lo dice, e non a torto, poiché si sa per prova come re- ,
stino chiusi alle domande degli studiosi, anche ecclesiastici,
l'Archivio Concistoriale, l' Archivio Lateranense, gli Archivi
della Inquisizione, della Propaganda, della Cappella sistina,
della Segreteria dei brevi e la Biblioteca di 5S. Pietro, per
non:dire di archivi e biblioteche ricchissime di molti prin-
cipi romani inaccessibili affatto. Quindi non ci sembrerebbe
abbastanza convinto quando, in questi ultimi giorni, dettando
il citato Programma,.si faceva a dire: « L'ora sembra omai
giunta per la scienza storica di fermarsi alquanto nelle sue
ricerche, per cominciare a rifare, la mercè di una completa
comprensione del passato, di una sintesi nuova ed efficace,
la vita religiosa, morale, intellettuale e civile del genere
umano; e così ristabilire l' unione, voluta turbare, del natu-
rale col soprannaturale, della civiltà colla religione, dello
Stato con la Chiesa ». Ma leggendo gli altri scritti di mons.
Carini, si vede veramente che il suo unico, il suo grande
ideale era appunto questa comprensione completa della vita
antica, perchè convinto che le radici del presente stiano in
fondo al-passato, e nella relazione del presente col passato
j germi dell'avvenire. Impaziente di raggiungere la méta,
egli voleva la sosta, quando noi, invece, ora ci rifacciamo
daccapo; e si deliziava al bel miraggio del suo potente ideale; STIA) n X TM

pie nn

212 L. FUMI

« Vedere (egli scriveva nel '91 in un opuscolo intitolato:
Dell’ utilità che la teologia può trarre dall’ epigràfia), vedere in
seguito a lungo e pertinace lavoro, sorgere all’ occhio inte-
riore della mente la visione di cose che il sole non rischiara
più da tanti secoli, non vi paiono queste le gioie, i trionfi
veri della scienza storica? » Con queste parole, che ricevono
lume da quelle qui sopra riferite e che furono le ultime da
lui consegnate alla stampa, la figura dell'illustre Isidoro
Carini si delinea nettissima: mente filosofica, cuore palpitante
di sacerdote altrettanto dotto, quanto immacolato e pio, a cui
sorridevano continuo le aspirazioni disinteressate e generose
verso la patria, scorta dal raggio della Fede, fatta grande e
prospera dall'aecordare i due grandi poteri sociali; come
quando l'Italia « vide la libertà de’ comuni, le creazioni
di S. Benedetto e di S. Francesco, le due somme di S. Tom-
maso, le tre cantiche dell’ Alighieri, e Venezia potente come
ora l'Inghilterra, e Genova emularne la erandezza, e Amalfi
e Pisa fiorire per commerci, come Bologna per lo studio
delle leggi, e Salerno per: quéllo della medicina ». Valga
l'esempio di Isidoro Carini d'incitamento e stimolo per
il sacerdozio italiano ad egregie e virtuose cose; e viva
sempre in tutti il culto dell’uomo semplice, modesto e
gentile, di memoria cara e benedetta per la Religione e per
la Patria.

Orvieto, 28 gennaio '95.

L. Fumi.
218

Bullettino. dell’ Istituto Storico Italiano; Fascicoli 1.- 18 — Sommario
del Fascicolo 13. — Adunanze plenarie del 17 e 18 Dicembre 1892.
— Di un compendio sconosciuto della « Cronica » di Giovanni Vil-
lani, per A. TENNERONI. — Studi e ricerche per l'edizione dei Ca-
pitolari antichissimi delle Arti Veneziane (1219-1330), per G. Mox-
TICOLO. — Tre corredi milanesi del quattrocento illustrati, per C.
MERKEL.

Archivio Storico Italiano (Serie V, - Tomo XIV - Disp. 4* del 1894). —
Documenti e Memorie. — Diario Fiorentino di Bartolomeo di. Mi-
chele del Corazza. Anni 1405-1438. (G. O. Corazzini) — Miscellanea
diplomatica Cremonese (secoli X-XII) — (F. NovatI) .—. Aneddoti
e varietà. — A proposito dell’ anno della nascita di Can Grande della
Scala (G. SanvEMINIJ — Nuovi documenti su Giovanni da Empoli
(A. GroRGETTI). — Alessandro Tesauro e due sonetti in lode di
Carlo Emanuele I.° (G. SANzsI). — Corrispondenze. — Rassegna Bi-
bliografica. — Notizie.

Archivio Storico per le provincie napoletane. Anno XIX, Fascicoli 3° e 4°.
— Sommario del: Fascicolo 4.? — NuNZIANTE E. I primi anni di Fer-
dinando d' Aragona e l'invasione di Giovanni d' Angió. — MARE-
sca B. — Il Cavaliere Antonio Micheroux nella reazione napoletana
dell’ anno 1799. — SALINAS A. — Sigillo greco di un Mansone pa-
trizio e doge di Amalfi. — RuBino À. — Anno 1656. — Peste eru-
dele in Napoli. — RaApoaNA M. — Di una vetusta Icona di Cristo
crocefisso. — D. — Una inedita cronachetta degli Sforza. — PER-
cop E. — Nuovi documenti sugli scrittori e gli artisti dei tempi
Aragonesi.

Rivista di Storia, Arte, Archeologia della Provincia di Alessandria. —
Anno III. — Fascicoli 7° e 89, — Sommario del Fascicolo 8°; Parte I,
STUDI. — Casale Monferrato) — Documenti storici del Monferrato
(IV-V) G. GrorceLIi (Casale Monferrato) — Le monete del Mon- È
ferrato all'anno 1600 ed il loro valore — CornuaLIO De SIMONI (Bi-
stagno). -— L' Assedio di Bistagno nell’ anno 1615 descritto dal dott.
Alessandro Areasio — VirtoRIO ScATI — Memorie e notizie, — Biblio-
Mb ad pcc vderapdogs n triste nere

iioii iP RUP

PERIODICI

IN CAMBIO O IN DONO

grafia della Provincia. — Parte 2.* Documenti. — Seguito dei docu-
menti dell' Archivio di S. M. di Castello — F. GASPAROLO.

Bulletin de la Société d' Histoire Vaudoise n. 1-11. — Sommario del
fasc. 11. — Histoire — Storia dei signori di Luserna, parte I*,
Medio Evo (P. Rrvorre). — Quelques notes historiques sur le fran-
cais et l' italien comme langues parlées chez les Vaudois du Piemont.
(J. IALLA). — Bibliographie. — Nécrologie. — Bibliothéque et Ar-
chives.

Miscellanea francescana di storia,.di lettere, di arti diretta dal sac. Don
Michele Faloci Pulignani. — Volume VI, Fasc. I, Foligno 1865
gennaio-febbraio) — 1. Don MicugnLE FALOCI PULIGNANI — S. Fran-
cesco d'Assisi e la città di Foligno. — 2. PrgrRo SGULMERO. —
La b. Michelina da Pesaro in un antico fresco di Verona. — 3. Dott.
FRANCESCO Novarr. — L'Anticerberus di fra Bongiovanni da Cavriana

analizzato ed illustrato — 4. P. EpoaRrDo D'ALENGON. — Sul più an-
tico poema della vita di S. Francesco. — 5. Il Monte di pietà di
Arcevia — 6. Bibliografia francescana.

Bullettino della Società dantesca Italiana. — Serie I? (numeri 1-12) —
Nuova serie (Vol. I, Fasc. 1-12 e Vol. II.— Fasc. 1-2) — Sommario
dei fascicoli 1 e 2, Vol. II. — M. BamBr: G. A. Scartazzini, Dan-
tologia. — F. PELLEGRINI: L. Filomusi Guelfi, Qua e là per la Di-
vina Commedia. — Annunzi bibliografici.

Accademia — La Nuova Fenice in Orvieto. — Rapporto delle tornate del
biennio 1892-94. — Bollettino n. 5-6, Anni 5°6.° — Diario di Ser

Tommaso di Silvestro notaro con note di Luigi Fumi, Fase. III. Dal
1503. al 1507.

R.^. Deputazione di Storia Patria per le Marche. — Decreti d’istituzione
e Statuto della Deputazione stessa (Ancona, Stabilimento tipografico
del Commercio, 1894).

Commentari dell’ Ateneo di Brescia per © anno 1894 (Brescia, Stab.
tipo-litografico F. Apollonio, 1894).

ZDEKAUER L. — Statutum Potestatis Comunis Pistorit anni MOCLXXXXVI
nune primum edidit Ludovicus Zdekauer. Praecedit de Statutis Pi-
Storiensibus saeculi XIII dissertatio — (Mediolani, apud Ulricum
Hoepli — MDCCCLXXXVIIT).

ZDEKAUER L. — Breve et ordinamenta populi Pistorii anni MCOLXXXIITI
nune primum edidit Ludovicus Zdekauer. — Praecedit de ordina-
mentis populi Pistoriensis saeculi XIII dissertatio (Mediolani, apud
Ulricum Hoepli — MDCCCXCI).

CripoLLa CarLo. — Ricerche sull’ antica Biblioteca- del monastero della
Novalesa (Torino, Carlo Clausen, 1894).

Hensií& W. — I Baffi di Alcibiade. — Sopra l’ espressione dei movimenti

della respirazione nell’arte antica. — Sopra un tipo di Narcisso ante-
n

OMAGGIO DI PUBBLICAZIONI 215

riore al tempo ellenistico. — Sopra un oggetto di bronzo trovato in
una tomba chiusina (Estratti dai Rendiconti della Reale Accademia
dei Lincei — Roma 1892-93).

EuGeNIO Casanova. — L’ astrologia e la consegna del bastone al capi-
tano generale della Repubblica Fiorentina (Estratto dall’ Archivio
Storico Italiano — Firenze, Tip. Cellini e C. 1891).

ErToRE VERGA. — Delle concessioni fatte da Massimiliano Sforza alla
città di Milano (11 luglio 1515) (Estratto dall’ Archivio Storico Lom-
bardo — Milano, Tip. Fratelli Rivara, 1894).
siti

ier ii iii ALMA
CONSIDERAZIONI

SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI | e

8 1. Quando si leggono i fasti della Repubblica Perugina desta
meraviglia il pensare, che di essi non sia stato tenuto conto ade-
guato nelle narrazioni istoriche e nelle opere di filosofia della
storia, di cui fu ricco il secolo XVI in Italia. Eppure, sia per i
liberi ordinamenti che Perugia per tempo seppe darsi, sia per la.
prudenza politica di cui dié saggio nelle piü fortunose vicende
della patria, questa antica e gloriosa città aveva ben diritto di es-
sere annoverata fra le repubbliche, che più lungamente e glorio-
samente conservarono la libertà.

La ragione di questo fatto si deve trovare nella scarsa diffu- i
sione delle istorie perugine, talehé di Perugia seppero i grandi
storici e i sommi politici. quel tanto, che trovarono nelle istorie
di altre vicine città, come ad es. in quelle del Villani e del Guic-
ciardini. Eppure non pochi savi di questa repubblica tennero me-
moria delle sue storiche vicende; nè scarso fu il numero di co-
loro, che scrissero delle gesta di questo popolo, così amante di
libertà e così industre ricercatore dei modi di conservarla e di
accrescerla. E fra questi ne piace ricordare, oltre i cronisti dei
quali parleremo in appresso, il Pellini, il Mariotti, il Bartoli, il
Bini, il Vermiglioli, il Conestabile, il Bonazzi, il Fabretti, il Bo-
naini, il Polidori e va dicendo. i

A noi sta in mente, che se per tempo la istoria di Perugia
fosse stata nota, i politici italiani ne avrebbero fatto oggetto di
gravi considerazioni intorno all'ordinamento degli stati popolari,
e i giuristi. si sarebbero volentieri intrattenuti nell'esame degli
15 218 O, SCALVANTI
*
Statuti di Perugia, che hanno di frequente una nota di vera ori-

ginalità.

Ora volendo noi a proposito di questi Statuti rendere di pub-
blica ragione alcune nostre considerazioni, ci sembra opportuno
premettere, che se la critica ha reso più profittevole lo studio
della storia facendo sì che la narrazione dei fatti politici proceda
di pari passo coll'esegesi delle Fonti, essa ha reso un ben se-
gnalato servizio alla Storta del Diritto, perchè le fonti sono
nella massima parte documenti di carattere giuridico. E bene sta,
che per conoscere la vita dei popoli e la sostanza dei loro ordi-
namenti, si abbia ricorso alle fonti del diritto, imperocchè è in-
dubitabile che ogni generazione colloca nel sacro deposito delle
leggi quanto di più prezioso e di più fecondo custodisce la co-
scienza pubblica del tempo. Una facoltà, non appena si collega
alle ragioni della finalità umana, vuoi nel campo della religione,
vuoi in quello della pubblica economia o del diritto politico o del
costume, vien sentita dalla coscienza degli uomini come una fa-
coltà giuridica, che non può essere contraddetta, e o prima o poi
trova nelle leggi la sua legale sistemazione.

Per non discostarci dalla istoria del diritto, noi vediamo che
l'epoca feudale, la quale appartiene al periodo medio della gene-
rale storia giuridica, ha scarse fonti di legislazione (1), giacchè
il Liber Feudorum, come è noto, non appartiene a quest'epoca,
ma a quella comunale (2).

(1) A. 889 leggi di Re Guido; a. 898 leggi di Re Lamberto; a. 967, 969, 071, .996 e
998-leggi dei tre Imperatori Ottoni; a. 1019, 1022 leggi di Enrico II; a. 1037 e 1038 leggi di
Corrado il Salico; e a. 1049, 1054 e 1056 leggi di Enrico III (Vedi in PERTZ Leg. I, 554, 558,
568, 565 e II 32, 37, 38, 561, 564, 38, 40, 41, 44). E non é molta la importanza di queste leggi.
Quelle di Guido non son dirette che da un ministero di pace, e basta gettar gli occhi
su quei documenti per comprendere la efferatezza dei governi feudali. Le leggi di Ot-
tone II riguardano le investiture dei feudi; e quelle di Ottone III e in specie la legge
che comincia colle parole: Quotidie contra leges agitur, ci dimostra a qual segno fosse
pervenuto il disordine feudale. Le costituzioni di Enrico I hanno valore soltanto in
materia di successione legittima. e di indegnità a succedere; e unica e importante
é la legge di Lotario II (riferita anco nei Libri dei Feudi) circa il divieto di alienare
i beni feudali. E questo o poco piü.é il materiale di legislazione nel periodo dei feudi.
Il resto è dato dai diplomi e carte di concessione, che avevano l' impronta di disposi-
zioni patrimoniali d' indole giuridico-privata, piuttosto che il carattere di atti politici.

(2) Indipendentemente dalle notizie che si hanno circa la compilazione dei libri
dei Feudi basta il loro contenuto per dimostrarci che quella collezione non appar-
tiene alla vera epoca feudale, ma é piuttosto l' epilogo di essa. E basta leggere il
Tit. XXXIII del Lib.:29, ove dicesi che se tra valvassori nasce disputa deve essere defi-
nita coram panibus cwriue, ma, si soggiunge che ciò: Mediolani non tenetur. Eviden-

DIREI NAGAI MILZA SE

FILE,

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SG pM DAT DS eU INE CE E cugpe cm aas

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 219

E intanto nella stessa pace di Coslanza si riscontrano le
Consuetudini antiche delle città governate a Comune; lo che è :
chiaro indizio che, durante l'epoca feudale, andò formandosi quel
ricco patrimonio di ordini giuridici, che trovò poi le sue formule
nei Costituti dell'uso e negli Statuti municipali. Fu questo uno dei
fenomeni più importanti della istoria medio-evale. Le città distac-
catesi dai contadi, e vólte, per spontaneo moto di civile progresso,
alle arti e ai mestieri, non poterono governarsi nel nuovo indi-
rizzo a tipo industriale (come direbbe Spencer) colle leggi barba-
riche, col gius canonico e con quanto era di noto allora della ro-
mana legislazione, e vennero perciò attingendo alla viva fonte
del Diritto, che è la consuetudine, le norme giuridiche più acconcie
a regolare i rapporti, che la nuova civiltà faceva sorgere (1). Se
è vero adunque per ogni popolo che esso depone nelle leggi la
miglior parte di sè, tanto più vero è per i popoli che nei secoli
andati si ressero a libertà repubblicana. Come per la loro esistenza
politica i popoli del Medio-Evo, lasciati in balia di sè, trovarono

temente questa eccezione non può essere stata creata che dopo la Pace di Costanza
(1183), perché quando Corrado il Salico venne in Italia (a. 1037-1039) ed ebbe quella fiera
contesa con Eriberto pubblicò un decreto, pel quale i vassalli non potevano venire
spogliati del feudo senza un giudizio dei loro pari. Quindi la eccezione che si legge
nel Libro dei Fewdi appartiene ad epoca posteriore, e cioè come noi crediamo, al pe-
riodo iniziato dalla Pace col Barbarossa. Vedansi inoltre il Tit. XXXIX Lib. II De alie-
natione paterni feudi, V altro (L. II) De prohibita, feudi alienatione, il Tit. XLVII sulle
cause per le quali si può essere privati della proprietà del feudo, e in particolar modo

- ji Tit. LIII, ove parlandosi della pace e del giuramento di fedeltà all’ imperatore, si fa

menzione non pure dei marchiones, comites, valvassores ecc., ma anche, omnium to-
eorum rectores, cum omnibus locorum primatibus et plebeiis ecc. Lo che dimostra
che a quei di era già intervenuta la Pace di Costanza, che aveva dato ai Comuni
governati appunto da quei rectores la esistenza giuridica a cui aspiravano.

(1) Abbiamo infatti nel Proemio del Constitutum usus di Pisa, che i Pisani à
multis retro temporibus erano vissuti secondo la legge romana; che avevano ritenuto
alcune disposizioni degli editti Longobardi — et propter conversationem diversarum
gentium per diversas partes mundi, suas consuetudines non scriptas habere meruint.
— Ed é evidente che à cotesta consuetudine, alla quale non senza un qualche segno di
orgoglio si riferisce il Proemio, si ebbe ricorso per attingere alle vive fonti dell’ e-
quità. E di vero parlando dei giudici della consuetudine, che presiedevano alla Curio
«sus distinta dalla Curia legis cosi si esprime: « ut ex equitate pro salute iustitie et
honore et salvamento civitatis, tam civibus quam advenis et peregrinis, et omnibus
universaliter in consuetudinibus previderent. — E altrove si riscontrano queste pa-
role: Unde pisani, qui omnibus aliis civibus justitiam et equitatem observare cupie-
runt ecc. Ma chi vuole un esempio evidente della originalità delle disposizioni giu-
ridiche, che scaturirono dalle consuetudini deve leggere quell’ insigne documento,
che è lo Statuto o Consuetudini milanesi del 1216, ove con ammirabile-esattezza di
linguaggio giuridico si pongono nuovi fondamenti di diritto in conformità col genio
industriale di quel popolo, e in armonia colla particolare industria che da esso si
220 O, SCALVANTI

modo di organizzare una particolar forma di governo (1), cosi,
per mezzo di consuetudini, costruirono un edificio giuridico che ri-
specchiava le loro tendenze, l'indirizzo della loro civiltà, le aspi-
razioni loro, talché è impossibile conoscere quei popoli davvicino
e comprenderli senza studiare le loro leggi. |

8 2. Le fonti adunque, alle quali deve attingere lo studioso per
avere compiula nolizia dei tempi, sono principalmente le fonti del
diritto. Né mai conoscemmo magistero più alto e più efficace di
questo, e cioé di congiungere alla narrazione delle vicende storiche
l'esame diligente delle leggi. Usando tal metodo, non è a dire
come tanti errati giudizi della storia politica vadano correg-
gendosi, e come la storia, nel perdere il lirismo delle sue nar-
razioni, acquisti quella serenità e quella calma, che occorre per
fare giusto giudizio delle umane vicende. Che mai di più biasi-
mato e oltraggiato del Consiglio dei X della Veneta repubblica ?
Eppure, se invece di leggere la storia coll'animo in fiamme per
le passionate apostrofi dei drammi e melodrammi si medita su
quell'istituto con mente tranquilla, noi dobbiamo persuaderci, che
la storia per essere un teatro di verità, deve disdegnare appunto
le forme teatrali. E il magistero, a cui ci riferiamo, è, secondo
noi, alto magistero di educazione. Dalle scuole di storia giuridica
possono e debbono i giovani ricavare il frutto di ampie ed utili
notizie sullo svolgimento del diritto attraverso i popoli e i tempi;
ma il primo e più insigne vantaggio che possono e debbono ri-
trarne è di farsi un abito sereno nel giudicare dei fatti umani.
Ció fa bene alla ragione, perché ne impedisce i deviamenli; e fa
bene al euore, perché ne caccia i pregiudizi, gli odi, i rancori,
che in politica sono quello stesso che in religione le superstiziose
credenze.

esercitava. L'impronta democratica della nuova consociazione ricercava la libera.
commercialità dei beni, ed. ecco lo statuto, che sapientemente modifica 1 istitu-
zione del retratto gentilizio ereditata dal gius longobardo. E nuove e originali dispo-
sizioni si dettano sulla prescrizione, sulle servità, sugli acquedotti, sulla vendita, sul-
l’azione redibitoria, sul libello cotonico e sui modi di chiedere in giudizio la res ti
bellaria, e su molti altri contratti, quali, ad es. il mutuo. Più esempi si potrebbero ri-
cavare, circa l'importanza della consuetudine come elemento organico del nuovo di-
ritto, dagli Statuti perugini, ma basti il cenno, perché di quelli avremo occasione di
parlare in seguito. i

(1) PERTILE — Storia, del D. ital, — Vol, II, pag. 21.
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 221

S 3. Con questi intendimenti noi ci accingiamo a pubblicare al-
cune nostre considerazioni sui Libri degli Statuti perugini. A fianco
dei ricordi storici il lettore troverà gl’istituti e le leggi, e dalla com-
binazione loro ci auguriamo possa scaturire una sufficiente notizia
sui pregi e difetti, che la repubblica perugina ebbe ne’ suoi prin-
cipi, nel periodo del suo splendore e nell'éra del suo decadi-

mento (1).
Le considerazioni, cui possono dar luogo i Perugini Statuti

(1) È certo che fino dal 1201 Perugia aveva uno Statuto. E se ne ha la prova nel
Documento della lega fatta coi Folignati in quell' anno. Esso trovasi tra gli atti del-
l| Archivio Municipale, e vi si legge: « Et Consules vero qui utraque civitate pro tem-
pore fuerint in costituto civitatis iurabunt hanc societatem servare inlesam ».

Dopo un tale documento non sarebbe mestieri di altre prove per dimostrare
l'antichità degli statuti perugini. Pure avvertiremo col Bonanni (Pref. al Vol. XVI del-
l Archivio storico italiano) che le traccie incontrate nel Documento del 1201 si riscon-
trano più evidenti nell’ atto di sommissione dei Montonesi del 1210, ove è detto: Et
cum zenovabitur Constitutum in civitate Perusie ecc. — e nella lettera di Innocenzo
III :-del 1215 datata da Viterbo nella quale si dice che le tasse devono essere deli-
berate secundum constitutum civitatis.... E altrove « Precipimus etiam ‘ut de ce-
tero nulla singularis constitutio*fiat nisi in generali consilio civitatis nisi per eos qui
electi fuerint in contione de comuni voluntate ad constitutum faciendum. E così lo sta-
tuto in Pergamena tuttora esistente del 1279 (e che siamo dolentissimi di non aver
potuto consultare perché si trovava presso l' illustre Ariodante Fabretti) non é che
una riforma di precedenti statuti; ed esso pure fu riformato nel 1305. Ne venne poi or-
dinato il volgarizzamento nel 1322 che si promulgò nel 1342 (Fabretti, Doc. di Storia
perugina, pag. 1 — Torino 1887). Nel 1366 fu riformato in special modo il Libro T. Ciò
si legge in PELLINI (Hist., Lib. I, pag. 1015) ma nessun cronista ne fa cenno. Gli originali
furono pressoché tutti perduti nella sollevazione popolare del 1380, quando per la fuga
dell’ Abate di Mommaggiore, Legato del Papa, il popolo volle mostrare l'ira sua gua-
stando pubbliche scritture, onde fu ordinato che degli Statuti si facessero d' allora in
poi 5 copie, una per la Cancelleria, una per gli Archivi della città e tre per la Camera
dei Massari, i quali dovevano distribuirle al Capitano, Podestà e almaggiore Sindaco
giudice di giustizia (Vedi Pellini, Vol. I, pag. 1240). Nel seguito di questo scritto ci
accadrà di tener-nota delle successive riformazioni, sulle quali cade qui una generale
osservazione, e cioé che nell edizione a stampa del 1526 si trovano distinte le dispo-
sizioni dei secoli XIV e XV da quelle inseritevi nel secolo XVI sotto forma di Addi-
ctiones. Il testo, secondo il parer mio, raccoglie solo le norme statutarie promulgate
fino al 1400 o poco oltre. Alla rub. 290, f.o 89, si parla infatti di una disposizione ema-
nata durante il pontificato di Bonifacio IX (a. 1389-1404). Nella rub. 326 pubblicata per
reprimere le spese abusive, si dice che tale disposizione fu introdotta nel 1400; lo stesso
s' incontra nella rub. 334 — « Decernimus ut omnia etsingula statuta i» presenti de-
scripta volumine ea maxime que tangunt officium conservatorum sumant principium
atque vires in proximis kal: mensis Aprilis MCCCO ». — Altro riscontro si ha nella
rub. 450, ove si parla degli anni 1384 e 1390 come di data assai recente. Le addizioni
contengono poi delle modificazioni introdotte per rescritti pontifici (rub. 292, f.o 89) o
anco per i decreti dei Magistrati, e di queste se ne possono vedere aleune'al termine
del Lib. I. La pubblicazione, cui ci riferiamo, consta di quattro libri, il primo con-
tiene gli ordini dei Magistrati perugini, il secondo la civile legislazione, il terzo le
materie criminali, e il quarto le disposizioni edilizie e quelle relative al lago Tra-
simeno,
299 O. SCALVANTI

in specie il I Libro, che contiene — Magistratuum ordines et
auctoritatem — sono così varie, che stimiamo assai difficile im-
presa disporle secondo un certo ordine, che ne renda facile e non
infruttuosa la lettura: la quale osservazione si può estendere a
tutte le legislazioni dei comuni italiani. La struttura di essi è cosi
complicata, la loro vita si conduce in mezzo a si strane e fortunose
vicende, il genio democratico ha dovuto assumere tanti e vari
aspetti, che fin dapprincipio si desta nell'animo dello studioso una
folla di dubbi e di difficoltà. Nondimeno a noi pare che per ordine
logico di idee debba anzitutto conoscersi in brevi tratti con quali
tendenze Perugia incominciasse la sua vita politica al momento
in cui andavano coslituendosi in Italia i reggimenti comunali;
quale via scelse, e se di impulso spontaneo, per darsi un as-
selto politico, che fosse il meno possibile minacciato dalle tristi
vicende di quelle età. E dopo aver verificato ciò, sarà prezioso
elemento di giudizio, l'esaminare se l'indirizzo politico che prese
Perugia fosse del tutto conforme allo spirito dei cittadini, e se
nessuna grandiosa idea balenasse loro per contemperare la libertà
interna colla sicurezza esterna dello stato. Nè sarà inutile ve-
dere dipoi le ragioni, per le quali Perugia perseverò nella via in-
trapresa, e come attraverso difficoltà innumerevoli riuscisse a man-
tenere incolumi i diritti della podestà civile di fronte all’ autorità
dei papi, di che si hanno preziosi documenti anche alla vigilia
del gran disastro, che doveva terminare colla vera soggezione
di Perugia ai romani pontefici. L’occasione di queste indagini,
che a noi sembrano avere non pure importanza locale ma generale
nella storia delle democrazie italiane, vien data dal periodo isto-
rico, che va dall'anno 727 dell’ èra volgare al 1539; ma a noi
sembra, che cessata in quell'epoca la libertà politica sotto il pon-
tificato di Paolo III, sia ancora da esaminare per quali mezzi e
con quali sottili provvedimenti Perugia riuscisse, dopo le ricon-
‘ quistate magistrature al tempo di Papa. Giulio III, a salvare una
parte della sua autonomia amministrativa. Se non che di questo
periodo di vera soggezione politica non è il caso di trattare in
questa prima parte del nostro lavoro, e volentieri ne parleremo
dopo che avremo attraversato il ciclo splendido della potenza
della repubblica perugina, che, secondo il nostro modesto avviso,
ha termine col celebre Consiglio paulino dell'anno 1535.
.
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI

S 4. A questa prima parte del nostro lavoro, ne seguirà una
seconda colla trattazione dell'Ordinamento dei Pubblici poteri che
è contenuto nel Libro I degli: Statuti. E se non ci verrà meno
la benevolenza dei lettori, volentieri daremo in luce alcuni nostri
studi o considerazioni anco sul secondo, terzo e quarto Libro
degli Statuti, ossia sul diritto privato, sul diritto criminale e sulla
legislazione edilizia.

Premesso ciò, a noi sembra di poter repartire così la materia
della Prima Parte del nostro studio.

1.° Del genio democratico dei perugini.

2.0 Dello spirito religioso, che informò la loro democrazia.

3.» Della idea politica che presiedette alla organizzazione
della loro repubblica.

4.9 Dei rapporti giuridico-politici fra la Repubblica perugina

e la Chiesa.
GAPO-T.
Del genio democratico dei perugini.

$ 5. Al tempo della repubblica romana i perugini cercarono di
mantenere con essa ottime relazioni, ed è memoria di aiuti non
lievi dati alle perdenti schiere dei Romani disfalte da Annibale
al Trasimeno. Fin da quell’età travagliata Perugia si fece esempio
di memorabili eroismi; e quando Ottaviano volle abbandonare la
città al sacco delle sue soldatesche, pur rispettando le vite dei cit-
tadini invitati ad uscire, quei prodi preferirono vedere la loro
amata città preda del fuoco anzichè abbandonarla all’ implacabile
nemico. Il sangue di Cestio, che appicca le, fiamme alla propria
casa per primo, e trafittosi con un pugnale si getta nella vora-
gine ardente, è buon seme di libertà, che in breve dovrà dare i
suoi frutti (1). Simili eroismi ci danno modo di conoscere la tem-
pra di un popolo; nè farà quindi meraviglia, che con inestimabile

[A

(1) Avendo Ottaviano ordinato che i Perugini uscissero dalla città e che essa ve-
nisse saccheggiata, Cestio, detto il Macedonico, mise fuoco alla sua casa, e laceratosi
il petto con un pugnale si gettò nelle fiamme. I cittadini allora fecero a gara nel pro-
pagare il grande incendio, da cui è fama si sottraesse il solo tempio di Vulcano e la
statua di Giunone (PELLINI, Hist:, Vol., I, pag. 82).
M

LARA ES HEC DOSES E D E

2924 . Ò. SCALVANTI

ardore, i perugini sì dessero in breve tratto a riedificare la loro
città. Ma poichè in quel periodo di tempo scarse sono le notizie e
da buone fonti non accertate, noi verremo all'anno 477 dell’ èra vol-
gare, ove abbiamo un indizio della cresciuta potenza di Perugia e
delle tendenze subito manifestate dai cittadini nell'abbracciare quella
parte politica, che più era conforme alle loro aspirazioni. In quel-
l'anno infatti i perugini esultarono per essere sottratti al giogo
de’ Goti, e posti sotto la protezione dell’ Impero. E l'indizio della
potenza di Perugia non è solo nel fatto, che Belisario appena giunto
in Italia volle occuparla, ma anco nel fatto che Vitige e Totila,
stimando grave danno la perdita di questa città, intesero a riac-
quistarne il dominio non pure colle armi ma coll’ astuzia. Invano
si cercò di corrompere la fede di Cipriano, che comandava il pre-
sidio di Perugia per Belisario; egli non piegò. E nemmeno quando
Cipriano fu ucciso da un soldato, che Totila riuscì ad attirare nella
congiura, i perugini sì infiacchirono; ma anzi, fatto animo, dichia-
rarono voler difender la patria sino agli estremi, ed è nota la
pagina eroica di Perugia, che resiste per 7 anni all'assedio di
cui la einge il Re Totila. E qui è mestieri osservare che l'a-
vere così saldamente abbracciato l’alleanza coll’ Impero contro
i Goti è segno della tendenza, che già i perugini manifestavano,
di voler entrare in ottimi rapporti colla Chiesa romana. Si sa
infatti che i pontefici inclinavano per l’ impero di -Costantino-
poli; e in specie, durante la dominazione dei Goti, allorchè
giunse in Italia Belisario, il clero e gl'italiani stettero per lui.
Silverio Pontefice, che è ritenuto favorevole ai Goti, vien de-
posto, e a lui succede Vigilio di parte imperiale (1). Ma un ri-
scontro più efficace di questa tendenza si raccoglie dal seguente
fatto. Quando Perugia dopo 7 anni di assedio dovette soccombere,
si ha da S. Gregorio Magno (2), che il Capitano dell’esercito goto
serisse a Totila, che cosa si sarebbe dovuto fare del Vescovo Er-
colano e del popolo. Ciò è assai significativo perchè dimostra come
la persona del vescovo godesse di una grande preminenza, ed è
facile ed ovvio supporre, che in quei terribili frangenti i perugini si
.Siringessero attorno all’ uomo venerato, onde organizzare e per-

(1) TAMASSIA — Longobardi, franchi e Chiesa Romana — Parte I, Cap. I.
(2) Opera omnia — Tom. Il,

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CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI | 225
sistere nella difesa contro i barbari. Totila rispose -sì uccidesse
prima il vescovo nella più barbara maniera, e i cittadini si pas- , È
sassero a fil di spada. Duro il martirio inflitto all’eroico sacerdote, ^
il quale cadeva vittima del suo amore per il popolo e per la fede
abbracciata. Il vescovo così duramente provato ebbe tosto dai Pe-
rugini quel eulto, che dura anc'oggi (1), e sebbene egli fosse
della lontana Siria, pure puó dirsi essere slato un marlire
della libertà in. Perugia, perocche, riferendoci ai tempi, il resistere
con ogni forza al giogo dei barbari, e farsi scudo coniro di loro
della eroce di Cristo, significasse immolarsi alla causa della li-
bertà (2).
$ 6. Tanto valore dei perugini dovette accrescere la loro auto-
rità, ed è per questo che nel 546, secondo ci afferma Procopio nelle
sue istorie, Perugia aveva il primato tra le città di Toscana (8).
E fra la Sede Apostolica e i perugini erano già eccellenti rap-
porti; tanto è vero che S. Gregorio ebbe a sollecitare i cittadini
di Perugia, affinchè :volessero dare un successore al martire S.
Ercolano. In questi tempi la elezione del vescovo apparteneva al
clero ed al popolo (4), e noi vediamo che i perugini attesero io-
sto alla nomina del successore, che fu il vescovo Giovanni. La i
tendenza poi nei perugini di darsi preferibilmente all’ Impero andò ^
meglio manifestandosi ai tempi di Narsete. Abbiamo detto più so-
pra che, occupata da Belisario Perugia, Totila cercò impadronirsene :
facendo uccidere Cipriano, che capitanava le soldatesche impe-
riali. Sembra che del complotto per l'assassinio-di Cipriano fosse
Vlifio, ufficiale goto, il quale, dopo la dedizione di Perugia, fu
posto a capo del suo governo insieme a Melidio. Venuto Narsete

in Italia, i perugini seppero trarre dalla loro Melidio, e vincere JE H
la resistenza di Vlifio, che si opponeva al riacquisto di Perugia
per parte dell’ Impero, sospettando che il partito imperiale avrebbe
preso le sue vendette sapendolo congiurato ‘ai. suoi danni al
tempo di Cipriano. Questo partito prevalse, e Perugia rinnovò
la sua devozione all’ Impero. Durante la spedizione di Narsete in

(1) PELLINI — Hist., Vol. I, pag. 108.
(2) Questo S. Ercolano non è da SORA col primo vescovo di Perugia dello

stesso nome, che mori nell’ anno 97 delP E. V. (V edi CIATTI — Hist., 1638.
(3) ProcoPIo — Hist., Lib. III.
(4) PELLINI — Op. citata Vol, I, pag. 109.
296 Ò. SCALVANTI

Italia, la città accrebbe la propria potenza, continuò a vivere in
libertà, secondo le sue antiche consuetudini, ampliò le sue mura,
allargò il contado e riordinò molte castella e ville (1).

Così Perugia teneva dall’ Impero, perchè le lasciava il go-
verno di sè, ed era associato alla Chiesa contro i barbari infe-
deli. Ciò avveniva nell'anno 568 dell'éra volgare. La supremazia
imperiale permetteva a Perugia di vivere e prosperare in pace;
ma fu periodo di breve durata; imperocchè, richiamato Narsete a
Costantinopoli, l'Italia fu invasa dai Longobardi, che, ariani di
fede e avversi quindi alla Curia Romana, dovevano ispirare ai pe-
rugini una profonda avversione.

Rispetto alla dominazione Longobarda in Italia, è stato av-
vertito dagli storici del diritto, che essa si distinse per un'alter-
nativa di parti politiche, e cioè il partito cattolico e il partito,
che l’egregio nostro amico prof. Tamassia dice potersi chiamare,
con moderna frase, partito nazionale (2). Il partito cattolico viene
instaurato col matrimonio di Autari con Teodolinda figlia di Ga-
ribaldo, e cioè dopo 19 anni che i Longobardi sono discesi in
Italia; e a Perugia trovasi stabilito il dominio longobardo ap-
punto nel 589, ossia un anno prima che mancasse di vita il Re
Autari, sposo della pia e cattolica Teodolinda. Ma per quanto il
regno che succedette a quello di Autari, fosse anche più impron-
tato di spirito cattolico, e Agilulfo, secondo marito della celebre
regina, fosse inchinevole al cattolicesimo e sotto di lui avve-
nissero molte conversioni a quel culto, pure la stessa diffidenza
che il popolo longobardo ispirava al Pontefice, la ispirava anco
ai Perugini, per modo che la parte imperiale era presso di
loro così potente da indurre il Duca Mauriccione longobardo a
parteggiare per l' Esarca di Ravenna (3). Il qual fatto rinnovossi
più tardi, essendo Duca di Perugia Agatone; giacchè, secondo la
testimonianza di Paolo Diacono, egli era condottiero dei Romani,
anzichè dei Longobardi. Giò ne conforta vie più nella idea che per
l'ambiente, in cui. i duchi longobardi dovevano esercitare il loro
dominio, erano facilmente indotti a parteggiare per l'Impero, come
alleato della Chiesa Romana.

(1) PELLINI — ZMist., pag. 112.
(2) Op. cit. Parte I, Cap. III.
(3) PELLINI — Hist., Vol. I. pag. 115, 118.

TIR ream i PORSI

fe = 1

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 291

S 7. Per tal modo Perugia segui le sorti del Papato in quelle
prime e aspre contese coi Goti, coi Longobardi e coll Impero; e
quindi, sotto il pontificato di Gregorio II, la città strinse una al-
leanza colla Chiesa. Ricordisi, che in questo tempo imperava sul
popolo Longobardo Liutprando, che regnò quasi per lo spazio di
30 anni, intraprendendo coi Papi una lotta che finì per provocare
l'intervento in Italia dei principes Francorum. Una ragione di
più, perchè i perugini, nulla potendo oramai sperare dall’ infiac-
chita potenza imperiale, e non volendo parteggiare pei longobardi
avversi alla Curia Romana, si dessero in protezione alla Chiesa.
Nel quale indirizzo quanto e per quali ragioni persistessero ve-
dremo in appresso. I perugini ebbero tosto ad esperimentare i
vantaggi della loro soggezione al papa; infatti, eletto Rachi a Re dei
longobardi, egli mosse le armi per conquistare le città dei Ducati,
e pose assedio a Perugia. Ma papa Zaccaria venne da Roma al
campo del Re Longobardo, e così strenuamente difese la causa
degli assediati, che Rachi se ne tornò a Pavia. I perugini, che
nell’autorità del pontefice riconoscevano la loro salvezza dal giogo
longobardo, contro il quale avevano lunghi anni lottato mercè l'al-
leanza coll’Impero, ognor più si confermarono nel sistema di
prestare ossequio alla Chiesa e vivere in ottime relazioni con lei.

S8 8. Restaurato l Impero di occidente per opera di Carlo Magno,
la condizione del pontefice andó cosi migliorando da permettere
che le città, venuto nella sua protezione, raggiungessero un
alto grado di prosperità. Ed è per questo che volgendo il secolo X
noi troviamo, al dire degli storici, stabilito in Perugia un governo
autonomo. È infatti dal cadere del secolo X che si ritiene avere
avuto Perugia il governo dei consoli. Il Sigonio (1) e altri scrit-
tori con lui sono di parere, che con Ottone I avesse principio il
governo consolare nelle città d' Italia ; ma è certo che ció, che egli
ascrive all'effieacia di rescritti e concessioni imperiali, era effetto
dei tempi e delle mutate condizioni di civiltà. Piuttosto è da af-
fermare, che Perugia dovelte avere in quel tempo governo di li-
bertà, imperocché gli accordi col Papa non avevano carallere di

(1) SiconIo; Lib. VIII — PELLINI, Vol, I, Lib. HI, pag. 149.
9298 O: SCALVANTI

vere sottomissioni, ma di semplice vincolo di aecomandigia (1).
Nè crediamo che questa parola sia adoperata con significato im-
proprio, perchè, come il vincolo di accomandigia era compatibile
colla libertà del vassallo, così il vincolo di fedeltà, con cui si uni-
vano i governi autonomi d'Italia o all’ Impero o alla Chiesa la-
sciava sussislere l'intero godimento della libertà interna e gran
parte ancora della libertà esterna. Né é poi strano che con tal
vincolo si obbligassero intere città (2). D'altronde la ragione di
questo legame é da trovare senza dubbio nel bisogno, tutto pro-
prio di quei tempi, di cercare protezione presso chi godesse di
un'alta autorità; e coteste stesse ragioni consigliavano non solo
gl'individui ma anche i popoli a darsi in aecomandigia a un prin-
cipe o al pontefice, secondo che pareva maggiore l'autorità del-
l'uno o dell’ altro.

Evidentemente i perugini scelsero di accomendarsi alla Chiesa
romana; ma se noi pensiamo che ciò avvenne nella prima metà
del secolo VIII, non è poca meraviglia osservare chè nel volgere
del secolo X in Perugia non fosse stabilito il governo dei Vescovi.
Un cenno di alta autorità goduta dal vescovo in Perugia lo ab-
biamo ai tempi di S. Ercolano ; ma ció, mentre é conforme allo
spirito religioso di quel popolo, non spiega nè è sufficiente indizio
che anche Perugia, come tante altre città della penisola, abbia
trovato nel governo temporale dei vescovi il principio del suo de-
mocratico reggimento. Eppure nel secolo IX e nel X dovunque
vi furono concessioni di governo e di ampie giurisdizioni a favore
dei vescovi; e son note quelle di Guido, Berengario, Rodolfo, Ot-
tone III, Corrado IV, Enrico III, Enrico IV (3). Or, dato il vin-
colo di aecomandigia che legava Perugia alla Sede Apostolica,
era ben facile che qui, come altrove, il governo si impersonasse

(1) Era quel vincolo, in virtù del quale il vassallo, prestato omaggio al signore con
cerimonia solenne, si poneva sotto la protezione di lui dandogli in cambio i servigi,
che erano compatibili colla sua qualità di uomo libero (PEnT, Vol. I, pag. 168). Tanto
più poi può usarsi il titolo di accomandigia per significare i rapporti di Perugia colla
Chiesa, quanto che Perugia stessa faceva una distinzione fra terre a lei sottomesse e
terre accomendate. — Quum offlcium dom: Prior: artium civitatis Perusie sit prin-
cipale caput regimimis civitatis predicte, nec non terrarum omnium civitatum suo-
missarum et submittendarwm ac etiam recomendatarum civitate prefate ecc. — Stat.
Perug., Rub. 72).

(2) MARGULEO, l. 24 — PERTZ, I. 504.

(3) HEGEL — Storia della. Cost. dei municipi italiani — Cap. IV.

EX
NE ——

e]

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 229
nel vescovo, molto più che in quel tempo fra le altre conces-
sioni fatte a dignitari ecclesiastici per parte dei pontefici, si trova
quella di Gregorio V del 998, con cui fu data all'arcivescovo di
Ravenna l investitura della giurisdizione, del monetaggio, delle
gabelle, del mercato, delle porte e della spiaggia di Ravenna,
colla contea di Comacchio, con tutti i possedimenti delle chiese

“di Montefeltro e di Cervia e colla città di Cesena (1).

Noi non vogliamo avventurarci nella spiegazione di questo
fatto; esso è a sufficienza dimostrato dall’ intera istoria di Peru-
gia. Se Perugia avesse avuto nei primordi della sua libertà il go-
verno vescovile, che ebbero tante altre città d'Italia, essa non
avrebbe sopravvissuto alla loro rovina. E non diciamo questo per
porre in dubbio il sommo vantaggio, che ritrassero le nascenti de-
mocrazie italiane dall’ autorità temporale dei vescovi, ma per il
maggiore grado di fierezza e di indipendenza che la città di Pe-
rugia dimostrò nella sua organizzazione a Repubblica. Il governo
vescovile fu un’ epoca di transizione; perchè il grande principio

- della separazione delle due podestà una volta proferito dal mar-

tire del Golgota non poteva non essere operativo di effetti; e
quindi se nelle condizioni anormali in cui versava il feudalesimo
fü ventura che i vescovi ollenessero in molte città l'ufficio di
governanti, era del pari evidente che in questo magistero politico
gli ecclesiastici trovavansi a disagio, e o prima o poi lo avreb-
bero dovuto abbandonare. Nè dicasi che le città, vinti gli ostacoli
che alle giovani democrazie sollevavano i resti della nobiltà feu-
dale, amarono sbarazzarsi di quell’autorità che pure le aveva aiu-
tate nella lotta contro i nobili; perchè questo sarebbe errore so-
lennissimo, non potendosi trovare segno di contesa e di lotta tra
popolo e vescovo anche dopo che sì vennero costituendo i popolari
reggimenti dei consoli e dei podestà. Le democrazie, tenute al
battesimo della libertà dai vescovi, anche quando assunsero di-
rettamente il governo della pubblica cosa, restarono col poter ve-
scovile in tale‘accordo che non si potrebbe concepirlo maggiore
e più intimo. È al vescovo che si fa capo in ogni grave contro-

(1) UGHELLI — Tomo II, pag. 353. È memoria poi di governi vescovili in Arezzo e
in altri luoghi della toscana ampliati mediante concessioni di. terre appartenenti al
distretto di Perugia: e ciò per opera di Carlo Magno (CIATTI — Hist., Lib. VII)
230 . O. SCALVANTI

versia; ed è il vescovo che si pone alla testa dei popoli per ot-
tenere dall’ Impero le guarentigie necessarie ad affrancarli dall’ o-
diato potere dei signori. E chi non ricorda l’efficace intromissione
del vescovo di Savona presso l' Imperatore, dal quale ottiene nel
1014 che si metta un freno alle angarie dei marchesi, obbligan-
doli a rispettare i secolari diritti di caccia e di pesca e il divieto
di edificare castelli sulle loro terre? E quando è lo stesso ve-
scovo, che rimette nelle mani de’ magistrati popolari le insegne
del potere, come non tornano alla memoria la celebre Proovi-
sione del vescovo Olderigo di Brescia, che le ingiurie del tempo
non ei hanno involato, e i ricorsi che al legato imperiale fece il
vescovo di Pistoja nel 1221 (1)?

Quelle democrazie, che sorgono con intenli di civiltà nuova,
non si separano mai dal vescovo, che rimane il natural protettore
delle città, di guisa che lo stato è confessionista, e i nuclei so-
ciali, che ne formano il sostanziale elemento, come le corpora-
zioni di arti e mestieri, sono a tipo religioso (2).

$ 9. Ma nondimeno in Perugia, secondo il nostro avviso, non si
ebbe mai il governo dei vescovi, e ció rivela uno spirito essen-
zialmente e profondamente democratico, che, date le condizioni
della città, doveva conservarle per lungo tempo quel patrimonio
di libertà, che per altre repubbliche fu presto perduto (2). E che
Perugia non avesse il governo dei vescovi simile a quello che
ebbero tante altre città della penisola a noi appare evidente, non
già per prove negative ma per riscontri posittct.

Infatti nelle istorie noi troviamo ricordi, i quali ei dicono la

(1) Ficker — Doc. 291.

(2) Vedi Ao VANNUGGI — I primi tempi della libertà fiorentina. VILLARI — La re-
pubblica fiorentina ai tempi di Dante. — PERTILE — Storia del diritto, Vol. II, pag. 185.

(8) Per contrario si hanno esempi di politica influenza dei vescoviin altre città
dell Umbria. Citiamo FP esempio di Nocera, che fece la sua sommissione a. Perugia
nel 1202. Al quale atto non solo intervenne Monaldo Loterio console di Nocera, ma vi fu
presente e consenziente anche Ugolino vescovo di quella città. Lo stesso avveniva per
la sommissione di Gubbio del 1183, il cui atto incomincia nel seguente modo. — Ad ono-
rem Dei et domini imperatoris archicancellarij christiani et ducis, consensu et volun-
tate episcopi, clericorum ac totius populi ecc. Si può consultare ancora la sommis-
sione di Città di Castello del 1180, in cui si trova che i consoli devennero a cotesto
atto col consenso dei vescovi, chiérici e di tutto il popolo. Questi tre atti di sommis-
sione si leggono nel Bollettino della, Society. Umbra di Storia patria (Vol. I, pag. 139,
141. e 145) accuratamente riprodotti in-estratto e annotati dagli egregi Ansidei e Gian-
nantoni dell’ Archivio perugino, i

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CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 231

parte che ebbero i vescovi nelle pubbliche faccende perugine, ma
non ve n’ è uno che ci riconduca alla mente il concetto di un vero
potere temporale per parte dell’autorità ecclesiastica. Si trova, ad
es., che quando a’ tempi di Ottone il Grande Perugia ebbe colle
altre città insigni privilegi, essa dovette, in ossequio alla vo-
lontà imperiale e in omaggio al rapporto di protezione che la u-
niva ai Pontefici, prestare loro un giuramento di fedeltà, e che
in mancanza di Legati o Governatori apostolici, tal giuramento
fu prestato nelle mani del vescovo (1). Ma ciò avveniva nel 972
quando, per molti e gravi riscontri, Perugia reggevasi di già a Co-
mune per mezzo di 5 Consoli, uno per ogni rione della città, e
sotto l'impero di tre Consigli, uno generale, uno ristretto e uno
di credenza (2). E se ci si opponesse che il vescovo teneva le
veci dei Consoli assenti per ragioni di guerra (8), noi risponde-
remmo che questa è una prova di più, se pur ne fosse mestieri,
della osservanza e della considerazione in che si aveva la catte-
dra vescovile. E a tale esempio noi spontaneamente ne aggiun-
giamo un altro, ed è quello del diploma che nel secolo XIV Carlo
IV imperatore dirigeva ad Andrea Bontempi vescovo di Perugia.
Ma ciò non è indizio che nelle mani del vescovo si trovasse
parte alcuna dell’ autorità pubblica, tanto è vero che la Bolla d'oro
dello stesso Imperatore, riguardante la cassazione di alcune sen-
tenze, è diretta ai Magnifici Priori e al Popolo di Perugia. L'in-
iervento, del resto così raro, del vescovo negli affari pubblici
della città esprime soltanto la venerazione, iu cui era tenuto 1l
magistero sacerdotale, e ciò è in perfetta armonia non solo collo
spirito dei tempi, ma anco colle particolari tendenze del popolo
Perugino. Così, mentre noi vediamo da un lato formarsi leggi
improntate del più puro laicismo, dall'altro troviamo che talvolta
ad ecclesiastici si affidavano importanti e delicati uffici; ma di ciò
diremo in appresso.

$ 10. E che la esclusione del governo de’ vescovi si dovesse a
un alto concetto della podestà civile, si desume dal fatto, che i Pe-
rugini tal governo non ebbero, sebbene dapprincipio il popolo par-

1) PELLINI — Hist., Vol. I, pag. 149.
2) PELLINI — Ibidem.
3) MARIOTTI — Saggio di storia perugina, pag. 419.
E

"bis us

232 O. SCALVANTI

tecipasse alla elezione dei vescovi, i quali per lo più erano pe-
rugini (1). Dunque la elezione era a base democratica, e 1’ eletto
doveva necessariamente essere il pater civitatis (2), l’amico del
popolo, il suo naturale protettore.. Ma se ciò venne assicurando-
gli una legittima influenza sulla città, non gli. permise mai di as-
sumerne il governo (3). E il costume di prender parte alla elezione
dei vescovi deve esser durato assai nel popolo perugino, giacchè
i cronisti fino al cadere del secolo XIII, parlando della elezione
dei vescovi, non accennano che a ciò fosse deputato il solo Ca-
pitolo di S. Lorenzo (4). Per contrario si trova nel 1330 che i
canonici e Capitolo di S. Lorenzo, a cui stava l’ elezione, elessero
vescovo M. Ugolino da Gubbio (5). Ma più chiaramente si esprime
il cronista Mariano Del Moro (6): —-« In quest anno morì il Ve-
scovo di Perugia, detto monsignor Francesco da Lucca, dell' or-
dine di S. Domenico; per la cui morte il Capitolo di S. Lorenzo
a cui stava in quel tempo eleggere, elesse per Vescovo di Pe-
rugia monsignor Golino da Gubbio ». —

Adunque le osservazioni fatte dai cronisti sembrano indicare,
che il metodo dell’ elezione affidata al solo Capitolo, era stato re-
centemente introdotto.

Però se, ad onta della base democratica dell'elezione popolare
durata tanti anni, 1 Perugini non investirono il vescovo del governo
della città, è certo che lo circondarono di grande ossequio, e nel
giorno della presa di possesso dell’ Episcopato solevano, per mezzo
della rappresentanza comunale, offrirgli splendidi doni. Intanto dalle

(1) Il Pellini, sebbene a torto sostenga, come vedremo in appresso, che il vescovo
eletto nel 1330 non fosse Ugolino da Gubbio ma Ugolino dei Vibi, pure fa questa op-
portuna considerazione sulla verosimiglianza dell’ elezione di un perugino. « E ciò
é anco più verosimile, che fosse il Vibi eletto Vescovo di Perugia che un da Ogobbio
da' canonici, massime di questa città » (Vol. I, pag. 511). Egli é vero che queste pa-
role possono essere state ispirate allo storico dalle differenze che spesso insorgevano
fra Gubbio e Perugia, ma non cessano per questo di essere assai significati ve, perché
esprimono un certo accordo fra il capitolo e la cittadinanza per la scelta dei vescovi,

(2) Cosi si chiamava il vescovo fino dal tempo della dominazione greca (Vedi
HEGEL, Op. cit., pag. 96).

(3) « Morto S. Ercolano, i perugini non elessero per aleuni anni altro vescovo, ma

. S. Gregorio li esortò (perciocché in quei tempi la elettione de’ Vescovi era nel clero e

nel popolo) a doverne far tosto la elettione » (PELLINI, Vol. I, pag. 109).
(4) Vedi Armati dell’ Oddi; anno 1291, essendo eletto vescovo Bulgaro.

(5) Memorie di Perugia dell" anonimo, edite da FABRETTI — 1887, pag. 20, e- Cr0-

naca del GRAZIANI (pag. 105).
(6) Cronaca edita dal FABRETTI, 1887, pag. 8l,

CISA ep IR RACER
rr

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 233

cronache si rileva, che il vescovo era eletto dal Capitolo della
Cattedrale; veniva poi consacrato e quindi confermato dal Ponte-
fice (1). Ed è poi da notare che del privilegio dell'elezione del vescovo
per parte dei canonici i perugini tennero assai conto, per modo
che quando alla elezione di Ugolino di Gubbio, Vinciolo Novello
propugnó in consiglio il partito di mandare lettere al Papa, per-
ché nominasse invece frate Alessandro minorita, Oddo degli Oddi
dimostrò, non essere ben fatto togliere autorità all’ elezione dei
canonici (2). Onde nacque grave tumulto, che ebbe termine col-
l’ esilio di coloro che lo avevano promosso; però prevalse il par-
tito, che non si mandassero lettere al Papa, quasi riferendosi a
lui per la elezione del vescovo.

Le quali considerazioni ci portano a ritenere, che i perugini
non solo si mostrarono alieni dal concedere ai vescovi un go-

(1) Il GRAZIANI nella sua Cronaca (pag. 105) é caduto in un equivoco: egli narra
che il veseovo Ugolino da Gubbio fu eletto nel novembre del 1330; nel 25 aprile 1331
entro in ufficio, nel 19 maggio venne consacrato, e el Comuno nostro glie fece apre-
sentare wna coppa de argento con 200 fiorini, e ce fo fatta grande allegrezza e

gioco. — Ci narra poi che nel giugno ser Ugolino, vescovo, arvenne da Roma et era.

stato confermato vescovo dal Papa. Ora non é possibile che il Comune festeggiasse
con pubblica solennità la elezione del vescovo prima che egli avesse ricevuta la
conferma del Papa. L'equivoco è sorto perché il personaggio che tornò in Perugia,
confermato dal Papa dopo che il nuovo vescovo era già stato oggetto di pubbliche
feste, fu Ugolino Montebiano eletto dai perugini Abate di S. Pietro. (Vedi Cro-
nache dell'anonimo, in Fabretti 1887, pag. 21, e Cronache dell Oddi, pag. 66). Anzi
loddi é anche più esplicito e segna la data del 16 giugno 1331 come quella del ritorno
di Don Ugolino da Montebiano — el quale fu eletto pel nostro Signore papa Giovanni
XXII abate di S. Pietro in Perugia. — Anche qui vi é l'inesattezza che al Papa spettasse
la nomina dell’ Abate, mentre da altri cronisti sappiamo che spettava al popolo pe-
rugino; ma in sostanza il Graziani ha equivocato ponendo sotto la data del 16 giugno il
ritorno del vescovo. Il Pellini poi cade in errore quando sostiene che fu eletto vescovo
Ugolino da Montebiano. Se egli avesse ben consultato le cronache avrebbe visto, che
fu eletto vescovo nel 1330 Ugolino da Gubbio, Abate di S. Pietro (Ann. degli Oddi,
pag. 65) e appunto perché si eleggeva cotesto prelato a vescovo, si faceva luogo alla
elezione del nuovo Abate; lo che avvenne nell’ anno successivo, quando fu a quell' in-
signe Abbazia preposto Ugolino di Montebiano. Ed é tanto vero che a vescovo di Pe-
rugia venisse assunto l' Abate di S. Pietro, che quando cessò di vivere (e fu nel 1337),
il suo corpo venne sepolto nella Chiesa dell’ Abbazia. Oltre a ciò il Graziani stesso, che
pure cadde nell’ equivoco scrivendo che fu vescovo di Perugia il Montebiano, nella

' cronaca dell’ anno 1336 dice che.— mori il vescovo di Perugia Ugolino da Agobbio

(pag.'119); e lo stesso afferma l' annalista Oddi (pag. 67). L' argomento. che il Pellini
reca per dimostrare la inverosimiglianza che Ugolino di Gubbio fosse creato vescovo
dal capitolo, de' canonici perugizinon ha fondamento; perché, essendo egli Abate di
S. Pietro era stato innalzato a tal dignità dai perugini, e quindi era come loro con-
cittadino. Morto Ugolino, il capitolo elesse vescovo Francesco di messer Grazia, ar-
ciprete di S. Lorenzo (Az. dell' Oppt, pag. 67). i

(2) PELLINI, Vol. I, pag. 511 e 512 — A7». dell'ODDI, pag. 65, Cr07. GRAZIANI, pa-
gina 104,

16
994 - O. SCALVANTI

verno lemporale nella loro città, ma sia colla elezione diretta nei
primi tempi, sia coll’ accogliere quella che veniva fatta dal clero
composto di loro concittadini, operarono in guisa che il vescovado
non intraleiásse mai le loro pubbliche faecende. E di vero nelle
più aspre lotte col Papato non è memoria che i vescovi abbiano
parteggiato per Roma, come non è memoria che nelle molte ri-
forme dello stato abbiano i perugini, sull’ esempio di altri popoli
alleati, dato incarico al vescovo di presiedere alle giunte di stato
per operare tali riforme (1).

$ 11. Coerenti al principio della laicità del potere civile, non am-
misero gli ecclesiastici al disimpegno di pubbliche funzioni. Laonde
troviamo che la qualità di ministro del culto era incompatibile
anche coll’ esercizio di quegli offici civili, che più sembravano
acconci al ministero sacerdotale, come ad es. le ambascerie (2).
Nè contro queste conclusioni possono addursi i fatti di pubblici
incarichi affidati agli ecclesiastici in certe occasioni; imperocchè
ciò avvenisse o per giustificata eccezione o per la qualità della
materia, che attesa l'indole dei tempi, richiedeva l'intervento
della Chiesa. E ben vero che il vescovo o il suo vicario interveni-
vano nel governo dell’ ospedale (3); ma anzitutto tale presenza
non era necessaria (4), e in secondo luogo l' ingerenza degli eccle-
siastici nella rappresentanza o vigilanza sulle Opere Pie era già
acquisita al diritto pubblico interno degli stati fino dai tempi di

0

(1) Come avvenne in Firenze nel 1343, quando cacciato il duca di Atene il Par-
lamento diede balìa al vescovo e a 14 cittadini di riformare lo stato (VILLANI, XII, 17;
PERTILE, Vol. II).

(2) Stat. per. Lib. 1, rub. 95, foglio 42 — Non tamen possint (Priores) mittere ali-
quem ambasciatorem qui non sit laicus expensis communis Perusie vel expensis ali-
cuius vel alio quoquo modo sub pena, ecc.

(3) La iscrizione nella matricola per la elezione dei componenti l'Amministrazione
dell'ospedale facevasi cum, presentia et consensw vicarii domini episcopi una cum visita-
toribus (Rub. 152, Lib. I, Stat.) — Si vero reperiretur aliquem ex prioribus quiequam de
predictis hospitalis bonis mobilibus et immobilibus aut juribus fraudasse aut subtraxisse
vel extrahi fecisse . . .. teneatur wicarius diocesani, et quilibet officialis communis
Perusie, qui super addictus fuerit, ad petitionem priorum et visitatorum et maioris
partis ipsorum inquirere contra talem fraudatorem, ecc. (Rub. 157 Stat., Lib. I).

(4) Rispetto all'elezione dei due Priori dell'ospedale lo statuto disponeva: Et
congregata adunantia.dicte fraternitatis in numero sufficienti tune priores vel unus
altero mortuo, una cum vicario domini episcopi sz presens erit et cum illis visitatoribus
qui interfuerint vocare debeant aperte ecc. (Rub. 152 Stat., Lib. I). Dal qual testo si
rileva che la presenza del vicario non era necessaria, e forse, come noi erediamo, egli
veniva invitato solo nel caso, in cui mancasse uno dei priori cessati.
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 235

Carlo Magno, e continuò a sussistere fino al secolo XVI quando
venne disciplinata e concretata nelle severe formule del Concilio
Tridentino (1). E se noi confrontiamo la ingerenza del clero nella
amministrazione delle Opere Pie in Perugia, con quella che ebbe
altrove, dobbiamo persuaderci che la base del governo fu sempre
essenzialmente laica. Veggasi, per citarne un esempio, in qual
proporzione entravano i chierici nella elezione delle cariche degli
ospedali (2).

8 12. Altri uffici vennero pure conferiti ad ecclesiastici ma per
breve tempo e con limitato mandato. Così nel 1810, crescendo le dif-
ficoltà interne ed esterne, i Priori pensarono di incaricare quattro
frati della Penitenza di andaré per le città di Lombardia, Toscana
e Marca a prendere notizie degli uomini più degni, che si sareb-
bero potuti elevare all’ ufficio di Podestà (3). Si trova inoltre nel
1313 che la borsa per la elezione dei Priori veniva custodita nella
sacrestia di S. Francesco sotto la cura dei frati della Penitenza ;
il quale ufficio però, consigliato, come ognun vede, dal desiderio

(1) Per non allegare che i Capitolari di Carlo Magno più espliciti, ricordiamo i
seguenti — Cap. di Aquisgrana a. 789 Cap. XLVI, Conc. Gang. Can. 7. — Si quis obla-
tiones fructuum Ecclesiae debitas voluerit extra Ecclesiam accipere, vel dare preter
conscientiam Episcopi, et non magis cum consilio ejus cui hec sunt credita de his agen-
dum putaverit, anathema sit. — Cap. di Francoforte del 794, Cap. XLVI. De oblationibus
que in Ecclesia vel in usus pauperum conferuntur, canonica observetur norma, et non
ab aliis dispensentur nisi cui Episcopws ordinaverit. — E al Cap. XXXVIII — De
puellis, que a parentibus private fuerint, sub Episcoporum. previdentia gravioribus
foeminis commendentur, sicut canonica docet auctoritas. — Cap. di Aquisgrana Cap.
XXI — Ut Comites, vel Vicarii, seu Iudices, aut Centenarii, sub mala occasione, vel
ingenio res pauperum non emant, nec vi tollant; sed quisquis hoe comparare voluerit,
in publico placito coram. Episcopo hoc faciat. — Altri testi, i quali dimostrano il pre-
valere delle leggi canoniche in materia di pubblica beneficenza, sono il Cap. di Aqui-
sgrana dell’anno 803 Cap. I, il Cap. dell’ 819 Cap. I e IIT e il Cap. Wormatiense del-
l° 829 Gap. V, il Cap. CXV del Lib. I del Cap. dell’ 827 e i Capp. XXI e XXXII del Lib. II,
e altri passi innumerevoli. Il Concilio di Trento poi nella Sess. XXII, Cap. VII, dà al-
l' ecclesiastica autorità la facoltà di soprintendere e verificare, giusta le prescrizioni
del Cap. XX, se le Opere Pie sono saviamente governate — etiam si predictorum. lo-
corum cura ad laicos pertineat, atque eadem pia loca exemptionis privilegio sint mu-
nita — (Vedi BARBOSA, Collec. Doct., Venezia 1709, pag. 125 e segg.; DE Luca, Threat, Lib.
XV, parte 22; AMosTAZO — De causis piis, Lib. I, Cap. XIV, pag. 106 e segg. Consulta
inoltre gli Statuti Municipali).

(2) Queste proporzioni erano di 50 laici su 20 chierici nell'assemblea generale,
di dae laici e 7 chierico nel consiglio ristretto, che doveva coi Priori proporre alcuni
nomi di eligendi, e di tre laici su due chierici nella proposta che si faceva all assem-
blea. La nomina dei chierici a Priori era permessa. — Clerici, wt permittitur, per
electi per priores eec. — (Stat. Lib. I, rub. 152).

(3) PELLINI — ZHist., Vol. I, pag. 360.
ira are EE eri rit.

236 i E: O. SCALVANTI

di sottrarre all'imperversare dei partiti ció che poleva essere
oggetto di maneggi e di brogli, venne ben presto affidato ad un
officiale laico (1). E pure memoria nelle cronache del tempo,
che nel 1313 gli stessi frati (che per essere dell’ ordine di S. Fran-
cesco erano oggetto di stima speciale presso i perugini) vennero
incaricati di rivedere i pubblici registri delle imposte. Era voce
che, per partigiane vedute, nel compilare il Catasto si fossero
commesse delle ingiustizie, e si cercò toglierle via coll’ intervento
di religiosi affatto estranei alle contenzioni politiche. Nel quale
ufficio, a quanto sembra, i frati della Penitenza portarono così
grande equanimità, che lo stesso incarico fu loro dato da altri mu-
nicipi, fra i quali Montone. Poco dî poi alcuni religiosi dello stesso
ordine furono invitati a compilare il Libro Rosso, ossia il libro
dei nobili, ma questo ed altrettali uffici non solo non hanno al-

-eun carattere di stabilità, ma nemmeno sono accompagnati dalla

facoltà di decretare in modo assoluto (2). Infatti si trova che con-
dotta a termine dai frati la compilazione del Libro Rosso (seb-
bene a ciò fossero veri officiali deputati) per ordine del Giudice
degli appelli e delle nullità, vi furono cancellati i nomi di due
della famiglia Celloli, di che si fece verbale inserito nello stesso

"Libro, e disteso dal giudice ordinario e notaro del Comune di

Perugia (3). A non tener conto di ciò che si legge in un’ Addictio
dello statuto perugino sull'intervento del legato o vice-legato
pontificio alla elezione dei professori dell’ Ateneo, perchè tale di-

sposizione evidentemente appartiene ad epoca molto posteriore (4), .

noi possiamo affermare che Perugia nei suoi inizi di libertà e nel

‘meriggio del suo splendore, assai meno di tanti altri comuni

d'Italia, fu disposta ad ammeltere gli ecclesiastici all’ esercizio

(1) PELUINI — Vol. I, pag. 399. Si osservi che in Perugia gli ecclesiastici mai
attesero alla riforma statutaria, mentre cio avvenne nel 1233 in Padova, Feltre, Belluno,
Vicenza ed altre città, per opera di Fra Giovanni minorita e di altri religiosi (SGLOPIS
— Vol. I, Cap. IV ;

(2) Questo libro fu dato alle fiamme nel 1799; ma ne restò un esemplare, che é
quello pubblicato dal FABRETTI nel volume dei Documenti — Torino 1887.

(3; Ego Andreas magistri Mancie . . . imperiali auctoritate ordinarius iudex de
licentia, consensu presentia et voluntate religiosorum fratrum (seguono i nomi) ofi-
ciatium comunis Perusi in dicto Armario deputatorwm, obedientium precepto. D. Lu-
chesini judicis appellationum ecc. .... nomina et prenonima predictorum. Celloli
Berthutii et Azzoli sui filii de dicto libro ;-. . aboleo tollo ecc. (Pag. 109).

(4) Stat. per., Lib. I, Rub. 210, f.o 71, ;

TE Pap
"

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI PRI

di uffici temporali, e la distinzione fra le due podestà civile e re-

ligiosa fu costantemente il pernio della sua organizzazione politica
e amministrativa. Tanto è vero questo, che persino nei capitoli
del Consiglio Paolino approvati da Paolo III si trova stabilita
l'esclusione dei chierici (1). .

S 13. E la ragione principale di ciò non fu, come tra poco ve-
dremo, il poco fervente spirito religioso, ma il genio essenzialmente
democratico dei cittadini (2). Vedete infatti in quali rapporti di ami-
cizia Perugia si mantenne sempre col Comune romano, in specie
quando il suo governo poggiava sulla parte popolare. Laonde non
a torto si è scritto, che se la discussa origine romana del comune
medioevale potesse esser vera, lo sarebbe per i comuni, che, come
quello di Perugia, si videro fin dai loro principi legati col comune
di Roma, già divenuta sede dei Pontefici cristiani. Ma checchesia
della controversa questione, sovrabbondano le prove della sim-
patia che Perugia dimostrò per il comune dell’ alma mater. Fino
dal secolo XII se ne trovano traccie negli atti pubblici. Nel se-
colo XIII poi uno. dei più chiari documenti è la iscrizione in
pietra, che si legge tuttora nella facciata laterale di S. Lorenzo
volta verso la piazza. Essa fu posta a commemorare che — tolum
debitum communis Perusii de tempore transacto est ab ipso com-
muni plene satisfactum — avvenimento meritevole anch'oggi di
essere scolpito in marmo se i nostri comuni, al pari di quello
perugino del 1234, potessero tramandare ai posteri la lieta novella
del pagamento dei loro debiti. Ma in quella iscrizione è detto an-
cora che — nec colta, nec data, nec mistum fiat, ponatur, nec
detur in civitate perusina, nec in ejus suburbüs, nisi quatuor de
causis tantum; scilicet, pro facto domini pape et imperatoris,
et romanorum, vel pro generali guerra quam haberet communis

(1)« Se ordina adonque, che il numero del predicto Consiglio sia de seicento
citadini originarii de essa Città, cioè che almanco tra loro e suoi antecessori siano
stati cittadini anni trenta, layci et non clerici o constituiti in sacris, né beneficiati de
beneficii ecclesiastici ecc. » — (Reg. e Doc. Vol. II, Cronache di Perugia in Arch. Stor.
Ital.).

(2) Per non riuscire infiniti nelle citazioni osserveremo che tanto era chiaro
presso i perugini il concetto della vera sovranità nazionale, che gli attributi sostanziali
di essa sovranità risiedevano nella grande assemblea o parlamento generale; esempio,
il diritto di grazia (Consulta Stat. perug., Lib. I, Rub. 186).
288 O. SCALVANTI

Perustit propter se ecc. (1). Inoltre quando nel 1229 Perugia fece
degli accordi con Cagli, stipulati a mezzo del Podestà, si leggono
nella intitolazione dell’ Atto queste espressioni — Ad honorem
Dei et Ecclesie Romane et Comunis alme urbis —. Più tardi,
cioè nel 1227, quando si strinse lega fra le città di Perugia, Fo-
ligno, Todi, Gubbio e Spoleto si trova che esse si obbligarono a
recipfoco aiuto in caso di guerra, eccetto che tal guerra fosse
o contro la chiesa o contro la città di Roma. Nel 1242 poi Pe-
rugia invia ambasciatori al Comune romano, e il Senatore di Roma
promette, che non si sarebbe mai fatto pace, tregua o convenzione
alcuna con l'Imperatore Federico e i ministri suoi, che non vi fosse
compresa la Città di Perugia e i suoi cittadini (2).

Ma quando maggiormente rifulse l' amicizia e la venerazione
per il Comune romano, fu nell’occasione in cui sorse in quella città
il Tribunato di Cola di Rienzi. Quell’inatteso movimento contro i
nobili, e il costituirsi di un governo schiettamente democratico
poleva non riuscire gradito al Pontefice, allora residente ad Avi-
gnone; e di vero, sebbene il Rienzi appena assunto il potere. si

desse cura di invitare il Pontefice a recarsi a Roma, e a lui an-
dasse insieme al Petrarca come ambasciatore della restaurata re-
pubblica, pure a nulla riuscì. E questo perchè una così improv-
visa mutazione di cose, non poteva non destare gravi sospetti
al papa Clemente VI, il quale infatti non si mosse di Francia.
Ad onta di ciò Perugia manifestò nel modo più vivo la sua sod-
disfazione per questo avvenimento. Nè Cola, ben conoscendo il
genio popolare dei Perugini, mise tempo in mezzo per onorarli,

e appena entrato in uffieio mandó solenne ambasceria a Perugia
— per il che fu fatta allegrezza pubblica (3) — Di subito convocato

(1) BoNAINI — Prefaz. alle Cronache e Storia perug., pag. XXXIV, È però da av-
vertire che se la iscrizione dice — item hoc est capitulum factum perpetue a com-
muni perusii, scilicet quod nec colta ecc. — essa non fa che riferire nel 1234 ciò
che alcuni anni prima era stato concordato col Pontefice Innocenzo HI, il quale nel-
l'epistola ai Perugini del 1215 così si esprime — Collecta non fiat nisi pro quattuor causis,
videlicet pro servitio ecclesie romane, populi romani, imperatoris vel nuntii sui et
cum populus perusinus moyeret guerram de comuni voluntate (Lib. Sommis. Lett.
A pag-57). Evidentemente sono le stesse formule riferite nella iscrizione.

(2) E il PELLINI giustamente nota — dal quale atto si vede quanto questa Città
habbia sempre osservato non solo i Pontefici e la Romana Chiesa, ma etiandio l'alma
Città di Roma, et quanto quel nobilissimo Senato SORU avuto anche in considera-
tione i Perugini — (Vol. I, pag. 255).

(3) Mem. storiche di Mariano Del Moro, ed. FABRETTI, 1887, pag. 97.

IMRE AI IA I ETA
E

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 239

il Consiglio venne deliberato mandare ambasciatori a Gola, i quali
partiti con centocinquanta cavalieri, furono con grandi feste accolti,
e il Tribuno volle che il Capo dell’ambasceria, Nicolò Armanni,
gli cingesse la spada all'atto in cui il popolo lo proclamava ca-
valiere (1). Altre dimostrazioni insigni furono fatte ai perugini in
quell'occasione (2), nè poco dopo mancarono motivi perchè si
continuassero le attestazioni di amicizia suggerite da comuni in-
teressi di libertà (3). E larghe, amplissime furono le lodi, che i
cronisti e gli storici perugini fecero al Tribuno, col quale parve
fosse rinata l'antica maestà della Repubblica romana.
Concludiamo, che questi rapporti col Comune di Roma, la
mancanza di governo vescovile, le scarse funzioni affidate agli
ecclesiastici, e la stessa antichità dei suoi ordinamenti dimostrano
che Perugia ebbe predilezione costante per il reggimento popolare.
S 14. E qui ci sembra opportuno richiamare alcune considera-
zioni del grande da Sassoferrato, che divenuto civis perusinus,
come egli stesso si chiama, visse e insegnò in Perugia nel secolo
XIV, e fu magna pars nelle vicende dell’antica e gloriosa Re-
pubblica. Nessuno più del Bartolo e per l'insigne dottrina e per
l'ingegno e la esperienza di pubblici uffici poteva essere al caso
di formulare qualche teorica, che fosse, direm così, la conferma
e il suggello dello spirito pubblico e del sentimento dei perugini.
È perciò che riteniamo utile lo studio delle sue opere congiunto
all'esame delle vicende politiche e delle leggi di Perugia (4). Egli

(1) Così il Pellini, ed è nel vero. Il Graziani invece narra che fu cinta la spada
a Nicolò degli Armanni: ma é certo per equivoco fra il nome del perugino ambascia-
tore e quello del Tribuno. Fu eletto, scrive il Pellini, M. Nicolò degli Armanni, che
gli cingesse la spada (ossia a Cola di Rienzi) in quel giorno che non solo fu fatto ca-
valiere, ma era pubblicamente comparso in Campidoglio per ricevere le sei corone
(Vol. I; pag. 879). Il qual fatto dimostra 1° onore grandissimo in cui era tenuto il po-
polo perugino presso il Tribuno e la Repubblica romana.

(2) Come, ad esempio, la cerimonia dell’anello con cui i dieci ambasciatori furono,
al dir dei cronisti, sposati dal Tribuno in segno di alleanza; e il donativo del ricco e
allegorico stendardo, che fu portato a Perugia e ivi tenuto con grande onore. — Vuolsi

che Cola nel consegnarlo ai messi di Perugia dicesse loro — Portate questo per parte

mia al comune di Perugia in segno di fratellanza et amore — (Oro. GRAZIANI, pag. 145,
è PELLINI, Vol. I, pag. 879).

(3) Vedi nei cronisti e in specie in GRAZIANI (Cron., pag. 146) notizia delle lettere
spedite da Cola di Rienzi per annunciare a Perugia le sorti della repubblica da lui
fondata. :

(4) Le idee politiche del Bartolo furono da lui svolte non pure in piü luoghi
delle sue opere di gius romano, ma anco e piü nei Trattati, specialmente in quelli del
240 O. SCALVANTI

nel De regimine civitatis (S 6) si propone l' indagine sul melior
modus regendi; e dimostra che uno studio siffatto interessa i
giuristi, come quelli che son spesso chiamati a consulto sulla ri-
forma delle città. Egli dice poi che glimperi sono di tre sorta;
la prima si compone degli stati che sono in primo gradu magni-
tudinis; la seconda è degli stati che sono in secundo gradu; e la
terza comprende quelli che sono nel grado più eccelso di gran-
dezza ; e per grandezza egli intende significare l'ampiezza de-
gli stati. Dice che alla maxima civitas ossia al più vasto im-
pero conviene il principato; agl’ imperi men vasti la forma aristo-
cratica, e ai più piccoli, ossia quelli che sono in primo gradu
magnitudinis spetta la forma popolare, e il grande pensatore ad-
duce buone ragioni a sostegno della sua teorica. Ma quel che è
sommamente notevole è lo spirito democratico, col quale ra-
giona di queste tre forme di pubblico regime. Anche parlando
del principato egli è sinceramente democratico (1). Ammette che
la podestà al monarca venga mediate aut immediate a Deo ; ma
con l’usata sottigliezza osserva che questa derivazione divina si
ha anco e più colla forma elettiva che colla ereditaria, perchè il Re
è scelto ab electoribus, inspirante Deo. E applicando agli elettori
ciò che sta scritto pei Re, il cui spirito è nelle mani di Dio, sog-
giunge — Cor enim eligentium in manu Dei est, et ubi voluerit,
inclinabit illud —. Così conciliato il principio elettivo colla deri-
vazione dell’autorità da Dio, si affretta. alla conclusione, della
quale sembra fiero e orgoglioso. — Et ex eo nota, quod regimen
quod est per electionem est magis divinum quam illud quod est
per successionem (S 23). Gli stessi intendimenti democratici si
mostrano nell'apprezzare il governo aristocratico conveniente alle
Città che si trovano in secundo gradu magnitudinis (2). Queste

— De regimine civitatis, De Tyrannia, De Guelphis Gebellinis, De jurisditione e De
represaliis. E noi terremo parola di questi Trattati quante volte ce ne sarà data occa-
sione dalle cose espresse nel testo. :

(1) Tertio videndum est de gente vel populo maxime qui est in tertio gradu
magnitudinis; hoc autem fere posset contingere in civitate una per se sed si esset
civitas quae multum aliis civitatibus et provinciis dominaretur, huic genti bonum est
regi per unum. S 22.

(2) Secundo est videndum de gente seu populo majori et in secundo gradu ma-
gnitudinis; tune istis non expedit regi per unum regem, per rationes supra di-
ctas; nec expedit regi per multitudinem; esset enim valde difficile et.periculosum tantam
multitudinem congregari. s 20,
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 941

Città debbono reggersi per paucos, hoc est per divites et bonos
homines. E qui cita due esempi, che fanno fede della sua pe-
netrazione, e cioè Venezia e Firenze, la prima retta veramente
a forma aristocratica, la seconda a forma popolare (1). Infatti nel
tempo, in cui Bartolo scriveva questo trattato, e fu dopo il 1355,
Firenze, cacciato il Duca il Atene, e per poco tornata in fiore la
parte dei nobili, erasi abbandonata al popolare governo, il quale
in breve tempo e cioè nel 1378 giunse al suo apogeo col reggi-
mento dei Ciompi. Il Bartolo disapprovava per Firenze cotesta
forma di governo, preferendole una forma che si avvicinasse a
quella della Repubblica veneta; e in ciò dava indizio di alto av-
vedimento politico. Infatti due secoli dopo, il sommo Giannotti
nel proporre la riforma della fiorentina repubblica, volle fosse
di un regime assai temperato. Ma il Bartolo non vuole essere fra-
inteso, e che per governo di pochi s’ intenda un governo ristretto ;
e ama spiegare il suo pensiero sempre democratico in questa
forma — Nam licet dicantur regi per paucos, dico quod pauci
sunt respectu multitudinis civitatum, sed multi, quia per illos regi
multitudo non dedignatur —. Però la profonda ed intima soddisfa-
zione dell'animo suo esprime nel parlare delle città, che trovansie
nel primo grado, e alle quali conviene il regimen ad popolum.
Esamina i pregi di questa forma di pubblico reggimento, e con
orgoglio allega l'esempio di Perugia — Hoc etiam experimur in
civitate Perusiae, quae isto iure regitur in pace, et unitate crescit
et floret —. E per ciò che si riferisce alla pace non sappiamo se
il grande giurista potesse dirlo, quando da poco la sua cara patria
si era trovata in serii disordini per la congiura de’ Vincioli nel
1351, per le lotte accanite tra Guelfi e Ghibellini, e per i com-
plotti dei fuorusciti del 1353. Ad ogni modo egli afferma — quod
magis Dei quam hominum regimen est — e con cura ci informa
di averne parlato in Pisa (essendo ambasciatore della Repubblica
perugina) coll’Imperatore Carlo IV, e che — hune regendi mo-
dum dietus lllus. Imperator, cum apud eum essem, maxime com-

-

(1) Né poco onore é da fare al Bartolo de' suoi pensieri politici, imperocché, oc-
cupatissimo negli studi della ragion civile, non aveva modo di coltivare la mente nelle
severe discipline del pubblico diritto, di cui non conobbe che pochi autori all'infuori
di Egidio Colonna. Infatti quanto egli cita di Aristotele, a noi sembra: dimostri non
essere egli risalito spesso alla fonte, ma averlo tratto dalle opere di altri scrittori,
rJ

242 O, SCALVANTI

mendavit —. Ecco in qual modo il Bartolo, di spirito democratico,
‘apprezzava le varie forme di governo, e pregiava altamente quella

della sua Perugia.

Il lettore vorrà scusarci di questa digressione, ma ci è parso
che l'autorità del Bartolo, il quale attingeva i suoi giudizi allo
spirito democratico ed agli ordini della sua città, avesse molto
valore per conchiudere su tutto quello, che ci ha occupato nel

primo Capitolo del nostro lavoro.
CAPO II.
Dello spirito religioso dei perugini.

S 19. Uno dei fattori del perugino governo lo abbiamo veduto,

e cioè il fattore politico, derivante dalle aspirazioni e tendenze

del nostro popolo, e abbiamo veduto che questo fattore politico
presenta il carattere di schietta democrazia. Vediamo ora del fat-
lore psicologico, e in specie del sentimento religioso, per verifi-
care quanta parte dello spirito popolare questo sentimento occu-
4pava, e se esso era in tal guisa percepito da rendere oscuro e
oscillante il concetto della distinzione delle due podestà civile e
religiosa.

Noi possiamo a questo proposito anticipare una considera-
zione, ed è che nessun popolo ebbe più del perugino il senso
della distinzione fra i due poteri. Vedremo a suo tempo come ab-
bia uguagliato in ciò la stessa Repubblica veneta, che pure e
giustamente i politici nostri citarono sempre a modello in questa
maleria.

I perugini compresero, sentirono, vollero la separazione delle
due autorità; ma per il loro spirito profondamente e attivamente
religioso cercarono manienersi in eccellenti rapporti colla podestà
ecclesiastica.

S 16. Che religioso fosse lo spirito dei perugini, le istorie e le
leggi ampiamente dimostrano, e tale spirito si conserva nei secoli
XIII, XIV, XV e XVI, oggetto del nostro studio. Anzitutto è da
notare il culto fervoroso che essi ebbero per S. Ercolano, il cui
martirio segnava, del resto, una nota patrioltica, una data me-
morabile per la liberlà di Perugia così accanilamente e invano
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 243

difesa. Per cui nella festa del Santo si celebravano molti atti di
indole politica, quali, ad esempio, le recognizioni signorili delle ,
città soltomesse, che in quel giorno solenne inviavano i palli
d’oro al santo patrono della città (1). Era in giorni di festività
che si liberava un numero di carcerati; e tali scarcerazioni, si
legge negli Statuti, si facevano amore Dei, e purchè non si trat-
tasse di gravi reati, tra i quali noveravasi la maledizione o la be-
stemmia scagliata contro Dio e la Vergine (2). Così pure era vie-
tato di lavorare dalla vigilia della festa di S. Ercolano sino a tre -
giorni dopo contro pena di X libbre di danari. E chi avesse de-
nunziato i contravventori conseguiva medietatem banni (3). Anco
nelle materie criminali, che piü si stimavano gravi (come ad es. il
danno dato) si avevano giorni di festività, nei quali non si poteva
procedere (4). Ed erano frequenti le occasioni, in cui il Comune
deliberava di sovvenire i conventi (5). Né fa quindi meraviglia
che i perugini di gran cuore si unissero agli altri popoli per con-
durre la guerra contro i Turchi nel 1344, nè che in ogni occa-
sione si dessero a fare le più ampie proteste di venerazione re-
ligiosa. Così lo statuto descrive lungamente e con certa enfasi
retorica le feste chiesastiche, e discute delle precedenze da os-
servarsi nelle processioni, delle luminarie ed altre cerimonie ap-
partenenti al culto esterno (6). Le stesse Corporazioni di arti e
mestieri, organo principalissimo di governo, erano penetrate di
questo spirito religioso. Lo che si rileva non solo dalla intitola-

(1) Tale cerimonia fu per la prima volta con inusitata solennità compiuta nel
1374 (PELLINI, Storia, Vol. I, pag. 407).

(2) Stat. Rub. 187. — Si scarceravano 5 prigionieri nel Venerdì Santo, 2 nella
festività del Natale, 2 nella festa di S. Ercolano, 2 pel Corpus Domini e 2 donne per
ciascuna delle feste della Vergine. — « Salvo quod nullus vel nulla condemnatus vel
condemnata, detentus vel detenta in:carcere pro homicidio, percussione in facie cum
signo cicatrice, membro debilitato, pace facta, robbaria strate publice, et. falsitate et
prodictione et sodomia et pro maledictione et vlasfematione Dei et Beate Virginis
Marie, possint occasione predicta de carcere relaxari ».

(3) Stat. per., Rub. 92.

(4) Possit etiam dictus major sindicus et officialis cognoscere procedere et diffinire
de'quolibet damno diebus feriatis et non feriatis, et, etiam solemnibus ad honorem
Dei, et etiam diebus veneris, et possit inquirere et procedere tempore supradicto: de
quolibet damno dato exceptis diebus Pascalibus, Dominicis et festivitatibus sancte
Marie de mense Martii et Augusti et festivitatibus sanctorum Herculani, Laurentii et
Constantii (Stat. per., Rub. 22, Vol. I). x

(5) Vedi fra gli altri esempi quello addotto dagli Stat. per., Lib. 1, Rub. 307,
(6) Lib. 1, Rub. 92, 93. \
244 O. SCALVANTI

zione degli atti (1), ma altresi da molte delle loro. disposizioni,
come ad es. l'obbligo imposto agli artefici di fare osservare ai
discepoli le festività (2). Ma negli stessi fini umanitarî, che le
Corporazioni si proponevano non é da vedere la diretta influenza
dei principi del cristianesimo (3)?

E si comprende che questa osservanza del culto doveva
riflettersi anco sulla legislazione del popolo perugino, trasci-
nandolo talvolta. all’ intolleranza, che però non raggiunse mai
quel grado di ferocia che si osserva in altri statuti. Pur tuttavia
nello stesso giuramento del Podestà, che si legge nello Statuto
del 1279, e che si trova riprodotto con poche varianti nelle più
recenti collezioni, occorre una espressione che è frutto di intolle-
ranza religiosa (4), e che riguarda gli eretici, i quali debbono
essere espulsi e i loro beni confiscati. Se non che un’ osservazione
subito corre alla mente, ed è, che se il potere civile si armava

di questi fulmini contro gli eretici, ciò significa che la podestà

religiosa non possedeva il braccio secolare per punirli. E relati-
vamente ai tempi e alle particolari condizioni di Perugia non è
senza importanza notarlo (5).

(1) Vedi Matricola Arte delli Spadari in FAB., Doc., pag. 32; della quale ecco il
principio. — Im nomine Patris et Filii et Spiritus, amen. Ad honorem ét reverentiam
omnipotentis Dei et gloriose virginis Marie matris eius et beatorum Apostolorum Petri
et Pauli et gloriosorum martyrum Laurentii, Herculani atque Constantii ecc. — Vedi
anche la Rub. — Qualiter honoretur. -- Per le Corporazioni di arti in genere e per il loro
spirito religioso, vedi PERTILE, Storia del diritto it., Vol. II. E memoria poi di arti, le quali

‘ elessero il Pontefice a Capitano con facoltà di deputare altra persona, come in Orvieto,
ove fu eletto a Capitano Bonifacio VIII.

(2) Arte degli Spadari. — Quilibet dicte artis teneatur custodire et custodiet et
custodiri faciat a suis discipulis omnes et singulas festivitates beate Marie Virginis
et beatorum apostolorum et Evangelistorum et Pascatum ecc. — (Vedi per le Arti di
altre città d'Italia, PERTILE, II, pag. 194).

(3) Nello statuto Bresciano per gli Scarpellini si legge: Cap. 12. Ancora. fo prexo
per salute dele anime de tutti nui del’ arte et de? nostri defunti fradelli, che ogni mese
el se debia far dir una messa; et cadaun sia tegnudo de vegnir et pagar soldi 1 per
ciascun, acio se possi sovegnir i poveri del nostro mestier. — Lo Statuto dei pittori
di Cremona (1470) ordinava — quod nemo presumat facere et vendere picturas inho-
nestas. Lo stesso conteneva lo statuto di Siena (Archivio stor. ital., 1860, 1, 90).

(4) Stat. perug., Rub 3, Vol. I — Hereticos contra fidem catholicam errantes
nisi parati fuerint ad fidem redire de civitate et comitatu expellemus et cuneta eorum
bona communi Perusie publicabimus. (Vedi anche lo Stat. del 1279 in FAB., Doc. I).

(5) Vedi per le leggi riguardanti gli Ebrei Doc. FABRETTI, Vol. II, pag. 98. —
Queste leggi furono dapprincipio durissime, ma il loro rigore venne mitigandosi in
appresso, non già per spirito di tolleranza, ma pel bisogno che aveva il Comune di
attingere di sovente alle ricchezze degli Ebrei. Fu allora che si concedettero loro dei

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CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 245

Influi poi questo spirito religioso nel fare introdurre alcune
leggi, fra le quali le leggi per la repressione della bestemmia,
del lusso (1), del mal costume di turbare le cerimonie sacre (2)

e va dicendo. La storia di Perugia inoltre ci narra, che grande
era l'autorità degli uomini di santa vita per migliorare i costumi
dei cittadini; e n'è esempio solennissimo l'effetto che ebbe la

privilegi insigni, come quello della cittadinanza (a. 1381), perché spesso si aveva loro
ricorso o per i bisogni della guerra (a. 1384 e 1416) o per sopperire alle paghe delle
milizie assoldate (a. 1386) o per mantenere l’abbondanza delle vettovaglie (a. 1389) ecc.
Nel 1462 furono revocate le concessioni fatte agli Ebrei con deliberazione del 4 aprile
che pronunciò — Capitulorum et concessionum hebreorum cassatio — sotto 1° impulso
delle prediche di Fra Michele da Milano, che aveva fulminato Iudeorum pravas U-
suras. È curioso però che i perugini contraessero poi cogli Ebrei un prestito di due

. mila fiorini — per la speditione della pia e santa opera tanto dal popolo desiderata

del Monte di Pietà — e che ad ottenere il la obsta pontificio andasse, con altri, am-
basciatore al Papa un abbate perugino (Az. Decem., 1462, carte 39, 46, 50). Del resto
questa dei Monti di Pietà fu istituzione opportuna, e se degenerarono presto, secondo
la frase usata dai Domenicani, in Montes impietatis, ciò non deve attribuirsi ai primi
istitutori dell’ Ordine francescano e molto meno al Cattolicismo, come ha mostrato di
credere un moderno economista. Chè se é vero, che nella protestante Inghilterra son
sorte le prime Associazioni Cooperative nel bel mezzo del secolo XIX, è pur vero che
i semi di queste Associazioni si ebbero col Cattolicismo mercé le Corporazioni di arti
e mestieri, e che ad ogni modo é argomento di orgoglio pei cattolici 1° aver fondato
quattro secoli prima i Monti di Pietà, senza dei quali i miseri si sarebbero trovati a
mal partito nellé urgenti loro necessità. Per vedere le umane ed eque disposizioni dei
Monti di Pietà, leggansi i Capitoli del più antico di essi che è il Monte di Pietà peru-
gino, nel nostro scritto — I! Mons pietatis di Perugia — 1892.

(1) Le leggi suntuarie furono dapprincipio di straordinario rigore, e leggendo gli
Statuti (Rub. 27, Lib. I), si scorge a primo aspetto la influenza. della Chiesa; in un pe-
riodo successivo divennero piü miti, forse perché, come nota lo Statuto — hominum
vanitas nulla lege potest coherceri —.

(2) È curiosa assai la Rub. 39 degli Statuti per., vol. I — Item statuimus quod
in aliqua Ecclesia vel claustro . . .. nullus juvenis etatis a XV annis usqué ad XL
possit residentiam facere seu ad vaghegiandum permanere . . . et ubi non esset platea
seu claustrum stare non possit ad predieta in aliqua via prope ecclesiam ad. decem
passus... +. dummodo non stent in parte Ecclesie in qua stant mulieres ecc. — Un
saggio della influenza della Chiesa nelle leggi può vedersi nella Rub. 86 del Lib. III
degli statuti, circa la seduzione e il ratto di una monaca, e la Rub. 87 sull'ingiurie
ad una donna, che si rechi ad indulgentias. Nemmeno può sfuggire all’ attenzione
dello studioso il linguaggio adoperato dal legisla'ore per reprimere usurariam Pravi-
tatem, que fontem charitatis desiccat, il qual vizio deve essere combattuto non solo
per gli umani, ma anco pei divini precetti. L'impronta di queste leggi ricorda quella
dei Capitolari di Carlo Magno; e come il savio principe nel Cap. di Aquisgrana del-
1° 802 al s 27 inculca il dovere dell? ospitalità allegando le parole di Cristo — qui su-
scepit umum parvulum propter me, me suscipit; e poco oltre comminando le pene per
gli omicidi, esce in queste parole — Homicidia, pro quibus multitudo perit. populi
christiani, vetare manmdamus, quia ipse Dominus odia et inimicitias suis fidelibus con-
tradiait, multo agis homicidia —, così lo Stat. per. a reprimere l' usura pone in
fronte alla legge queste parole — scriptum. est quod non habitat in tabernaculo dei
qui pecunias mutuat ad usuras, e conchiude — Jdeo saluti animartmn providere cu-
pientes hac Deo amabili sancimus — (Lib. II, Rub, 215).
246 O. SCALVANTI

predicazione di fra. Bernardino da Siena, che fu in Perugia nel

1425. Egli fulminò colla sua eloquenza il lusso soverchio delle

gentildonne, e i cronisti ci narrano — che piacque tanto il suo
dire, che le donne in termine di 15 giorni gli mandarono li balzi
a S. Francesco, e gl’ uomini li tavolieri, dadi e carte ; e nel mese
di ottobre fece abrugiare ogni cosa in piazza fra la fonte e il ve-
scovado — (1). E tale fu la venerazione per quel frate, che i
Priori fecero un bando per comandare, che al momento delle
prediche di lui, stessero le botteghe chiuse nè alcun lavoro si fa-
cesse, e che nessuno potesse esser preso o imprigionato (2). Altro
esempio simile si ebbe nel 1462, quando per la predicazione di
fra Michele da Milano contro l usura fu istituito il Monte di
pietà (3). Ed è sempre per l’operoso spirito di religione, che,
come ci narrano i cronisti, i Perugini furono così solleciti del de-
coro dei templi, talché il vescovo non falliva mai allo scopo quando
adunava intorno a sè i cittadini per tale bisogna (4).

L'influenza del sentimento religioso è poi evidentissima nella
beneficenza pubblica, per la qual cosa stimiamo che opera di quel
sentimento sia stata la ricchezza de’ nostri istituti di carità (5).

S 17. Ma non poteva però questo spirito religioso aver degene-
rato in fanatismo, che spenge ogni rettitudine di senso morale e
patriottico, e che è frutto di ignoranza e di superstizione? Per fare
un equo giudizio di ciò bisogna anzitutto riferirsi ai tempi, e al-
lora non ci meraviglierà il fatto del Santo anello, involato a quei
di Siena, e che nondimeno i perugini vollero ritenere, mentre il
debito loro consisteva semplicemente nel restituirlo a chi era stato
Jurato, come ben dicono i cronisti (6). Ma fatta ragione dei tempi

(1) Cronache de E pag. 6.

(2) Idem, pag.

(3) Vedi il csi n dal titolo — Il Mons pietatis di Perugia con eie
notizia sul Monte di Gubbio — Perugia 1892.

(4) Cronaca de? VEGHI, pag. 6.

(5) Stat. per., Rub. 373, Libro I. — In primis cum omne donum perfectum de
sursum sit descendens.a patre luminum, sicque ipse solus salvet. et protegat statum
pacificum civitatis et commune et populum perusinum, ut reverentia sieut congruit,
habeatur presenti cap. duximus statuendum ut in perpetuum in fesio decolationis
glorios. mart. Herc. fiat annua elimosina ecc. — I Priori davano pure in quel giorno
un pranzo a 33 poveri della città.

(6) L'anello, che s tiene essere stato della beata Vergine Mar id, dice il VEGHI,
fu portato in Perugia da un frate di S. Francesco nel 1473, che Jo aveva involato dalla
chiesa di S. Mustiola in quel di Siena.

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CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 247

noi possiamo scoprire un’ altra nota psicologica del carattere dei
perugini, quella cioè di avere avuto della religione un concetto
alto, sereno, profondo. E si avrebbe agio di dimostrarlo citando
fatti di incredulità verso delle veggenti, che si spacciavano per
ispirate e sante, ed altri ancora, che stanno a dimostrare la se-
rielà di quei sentimenti (1).

Intanto osserviamo, che non sono poche le leggi, le quali
mirano a contenere entro certi limiti il lustro delle pubbliche ce-
rimonie (2). Ma altre leggi sono vie maggiormente degne di nota,
come quelle che esprimono le qualità di un popolo civile. Gravi
spese si incontravano per le esequie funebri, e molti non lodevoli
costumi si erano in tali occasioni introdotti. Il provvido legisla-
tore pon mano a savie disposizioni; e vieta, ad esempio, che il
corteggio funebre sia composto di un numero eccessivo di sacer-
doti, proibisce i elamori, gli urli che in quelle contingenze si le-
vavano, e i banchetti mostruosi che si facevano (3). Collb stesso
intendimento di tenere alto il prestigio delle religiose solennità
si vieta di tripudiare ne’ giorni di festa (4). Ora il saggio che ab-

(1) Cronaca del MATARAZZO, pag. 5 e 6. E il fatto di suor Colomba che nel 1488, per

quanto transisse liberamente e parlasse e predisse (sic) e revelasse le cose molto coperte,
‘non già per questo ogni homo ce aveva fede; e li frati de l'ordine di S. Francesco in

questa avevano poca fede. — Ma altri di questi fatti e di questi giudizi si incontrano
nelle cronache del tempo. E non ci sembra poi strano Paffermare, che al retto spirito
di religione molto dovesse contribuire 1’ ordine del serafico santo d' Assisi, così vene-
rato nell? Umbria e cosi degno di tanta venerazione.

(2) Volumus et ordinamus quod omnes artifices qui debent accedere cum eorum
artibus cum luminariis ad ecclesiam beati Herculani, accedant in vigilia dicte festivi-
tatis... Et quia irrefrenata voluntas viventium. semper desiderat in festivitatibus
residere in grave damnum et preiudicium ipsorum et reipublice perusine, et ad obvian-
dum et parcendum immoderatis sumptibus et expensis ecc. (Rub. 92, Stat. per. Lib. 1).

(3) Stat. perug., Rub. 45, Lib. I. — Quia scriptum est quod afflicto afflictio non ad-
datur, et consanguinei mortuorum morte ipsorum non modicum aftliguntur ne alio expen-
sarum immoderatarum et inutilium opprimantur; ordinamus quod pro nullo corpore
mortuorum quod contingerit ad modo sepelliri apud ecclesiam ecc. quisquis aüdeat vel
presumat vocare invitare aliquem alium de alia religione vel ordine alterius nisi tan-
tum illos apud quorum ecclesiam corpus debet tumulari; nee etiam aliquem alium
clerieum secularem nisi esset clericus sue parochie cum uno sotio tantum. — Successi-
vamente lo. statuto proibisce gli strani clamori, che si facevano nelle esequie (Rub.
47); vieta le.radunate dinanzi alle case dei morti, e per radunata s'intende raccolta
di oltre 10 persone; e vieta poi il lusso delle vesti da lutto — sumptus immode-
ratos evitare volentes — (Rub. 49). E pure proibito a estranei banchettare. nelle case
dei morti (Rub. 52).

(4) Stat. perug., Rub. 92, Vol. I — Statuimus ordinamus quod decetero nulla so-
cietas vel aliquis alius possit nec debeat tripudiare seu festum facere pro festivitate
sancti Herculani ecc. — E ciò

anche — ob obviandum et parcendum immoderatis

—————————— P

DC Rd
248 O. SCALVANTI

- biamo dato di questa legislazione dimostra chiaramente che lo

spirito religioso dei perugini non viziavano cieco fanalismo o igno-
rante superstizione; ma anzi si manteneva serio, sereno come si
addice a popolo civile. Le conseguenze di ciò le vedremo subito
nel savio equilibrio della coscienza pubblica, che pure inchinevole
all'osservanza del culto, sapeva apprezzare ciò che è prerogativa
del solo magistero civile.

S 18. Voi potete agli esempi di religiosità da noi addotti aggiun- I
gerne altri infiniti, ma vi troverete sempre dinanzi a questo feno-
meno esprimente la legge d’ equilibrio, di cui ho accennato; il
fenomeno cioè della sicura percezione di quello che è dovuto al
ministero sacerdotale e di ciò che è appartenenza di ufficio civile.
I punti di contatto sono frequenti, e perciò facile è il valicare
oltre i confini; ma ciò non avviene presso il popolo di Perugia.
Il comune, è ben vero, manda i suoi ufficiali alle religiose -ceri-
monie ; perchè secondo il concetto suo lo stato doveva essere con-
fessionista ed avere una fede propria; ma non per questo si con-
fondono le cerimonie civili colle religiose. Certi uffici di pietà, di
protezione, di aiuto parevano convenire meglio ai sacerdoti che
ai laici; ma poichè non erano di essenza loro alti religiosi, così
noi li vediamo altribuiti a funzionari civili. Sarà la parola infuo- ;
cata di un ecclesiastico, che indurrà il magistrato a creare un'isti-
tuzione di carattere umanitario ; ma l' istituzione sarà opera del
magistrato civile, e in Perugia non si confonderà il sentimento
che può avere ispirato un provvedimento colla podestà di formu-
larlo e di deliberarlo, che appartiene intera al magistrato. E valga
il vero. :

Quale maggiore cerimonia della consegna dei Gonfaloni? E
noto come i Gonfalonieri in Perugia costituissero un ufficio im-

portante, avessero sigilli colle proprie insegne e fossero i capi
delle 15 regioni della città. Sotto il loro vessillo, in caso di tu-
multo, dovevano raccogliersi 1 cittadini. Ebbene, i cronisti e lo
statuto ci narrano distesamente la solenne cerimonia, colla quale Y
si consegnavano questi vessilli ai Gonfalonieri e che era di tale

sumptibus et expensis. — Nella Rub. 165, Stat. Lib. I, si indica il modo e la spesa delle 1
luminarie che si facevano nella festa degli Innocenti per gli Ospedali della città. — (Vedi |
anche la Rub. 92, ove si regola la costituzione delle Società rionali per onorare la

‘festa di S. Ercolano),
der -

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 249

importanza che — illo die quo dantur gonfalones nemo pro de-
lietis privatis possit capi post primum sonum campane que pulsa-
tur pro goufaloneriis congregandis el per totum illum diem (1). —
Essa aveva luogo sulle gradinate della Chiesa di S. Lorenzo, ma
non è traccia di intervento da parte dell'autorità religiosa; era dun-
que una cerimonia strettamente civile (2).

E che più rispondente al ministero sacerdotale, che eser-
citare uffici di pietà, di protezione, di aiuto? Eppure mentre ab-
biam visto che si sceglievano giorni di festa per la liberazione dei
carcerati, lo statuto ci dice, che a ciò erano deputati due laici (3).

Ed è ai Priori, che debbono dirigere i cittadini le doglianze
per sofferte ingiustizie, ed è a loro che lo statuto affida il magi-
stero di pace per sedare le discordie fra i vari officiali della città;
a loro in certi casi e in generale alla grande assemblea appar-
tiene il diritto di grazia (4). Che più? Mentre nelle Opere Pie, come
vedemmo, si ammetteva il concorso dei religiosi, pure il Comune
teneva gelosamente a sè la direzione di quegl’importanti istituti.
È notevole a questo proposito l'associazione delle due idee, cioè
l’idea religiosa e l’idea civile, rispetto al governo di un ospedale.
Si prescrivono delle luminarie nella festa degl’ Innocenti, e si dice

(1) Stat. perug. Lib. I, Rub. 474. :

(2) Pronunziava, dice lo Statuto, una Xonorabilis diceria uno dei Priori; poi i
vecchi gonfalonieri facevano la consegna dei vessilli. — Deinde dicti D. priores
vel unus ex eis singulatim recepto sacramento cum osculo pacis qui bene et legaliter
et recto zelu suum officium facient, debeant tradere et assignare gonfaloneriis novis
ecc. (Rub. 474 Stat. Lib. I).

(3) Stat. perug. Lib. i, Rub. 187. In esso si dispone che dai priori (7 almeno in
concordia) e dai camerari (30 presenti e 20 per lo meno in concordia) si eleggano due
buoni uomini di 6 mesi in 6 mesi e un Notaro che li assista, i quali. — habeant po-
testatem et bailiam ad excarcerandum captivos dé carceribus comunis —' secondo
il numero e le condizioni espresse altrove.

(4 Erano assegnati il lunedì e venerdi di ciascuna settimana dalla mattina fino
a sera per ricevere — petitiones volentium ab eis aliquod juridicum petere et petitiones
in scriptis recipiant — (Stat. perug. Lib. I). — Teneantur priores reconciliare ad pacem,
et concordiam reducere dominum potestatem et capitaneum et alios officiales comunis
perusie si (quod absit) occurrerint discordie inter eos, et etiam inter artes et artifices
— (Stat. perug. Lib. I. — I Priori, ove un colpevole avesse riparato interamente al
fallo, potevano graziarlo in tutta od in parte della pena (Stat. perug. eod. loc.). Però
questo diritto di grazia doveva intendersi accordato per pene lievi, perché tale diritto
spettava per statuto al Consiglio generale — Potestas nec capitaneus possit exhibere
de carcere, nec etiam rebannire aliquem qui esset condemnatus et exbasnitus nec de
libris communis aliquem facere cancellari qui esset, positus in banno pro furto, homi-
cidio, robaria, incendio seu aliquo maleficio nisi provisum fuerit per adunantiam ge-
neralem populi perusini.

17
50 O. SCADVANTI

— Itaque cera et facule costus et valoris predicti dicto hospilali
offerantur ad honorem et laudem Dei et beate Virginis, et in
signum et commemorationem quod dietum hospitale sit sub pro-
tectione et defensione communis Perusie, nequis contra ipsum quie-
quid imposterum audeat attentare (Rub. 165, St. per. lib. 1). —
Non si pone dunque l'Opera Pia sotto l'usbergo dell'autorità re-
ligiosa, perchè quella civile è forte abbastanza e cosciente di sé
e de'suoi diritti per esercitare la sua tutela sull'istituto. Anche
il Monte Pio, sebbene alla sua costituzione dessero motivo le pre-
diche di fra Michele da Milano contro le usure degli Ebrei, pure
fu opera del Magistrato, mentre in altre. città, come Assisi, vi
ebbero parte diretta ed officiale degli ecclesiastici (1).

S 19. Ma qual prova migliore dello spirito illuminato dei pe-
rugini, che la fondazione e l’incremento che seppero dare alla
loro Università, che Alberigo Gentile poneva insieme agli Studi
di Bologna e di Padova chiamandoli — £ria lumina orbis ter-
rae? (2). Sorta nel volgere del secolo XI (3), nel XIII è oggetto
di deliberazioni, tuttora esistenti, del comune di Perugia, e sui
primi del XIV è già così fiorente, che Papi e Imperatori le ac-
cordano insigni privilegi. Fu lo Studio di Perugia uno de’ primi
fari di civiltà, che irradiò fuori della nostra patria una gran luce
di scienza, non solo nelle discipline giuridiche, ma anco in quelle
della medicina, della matematica e delle lettere. E tale fu l’affetto
che ebbero i perugini per il loro Studio, che non cessarono mai di
procurarne l'ingrandimento e il decoro. Già fin dal 1276 si -deli-
berava di mandare messi nelle vicine e remote città perchè -vi
diffondessero la fama di quel centro di studi. E noi potremmo
dimostrare coi Trattati politici alla mano, che anco ne’ più gravi
frangenti della patria, fra i Capitoli di pace o di alleanza ve n'era
sempre uno, che riguardava l'integrità dello Studio (4). Ma noi

(1) Fra Fortunato Coppoli e fra Barnaba Manassei fecero i Capitoli e nominarono
perfino i primi massari e tesorieri (It Mons pietatis di Perugia, 1892).

(2) De jure belli, Lib. I, cap: IIT.

(3) È Mastro ANGELO da Camerino, che nel Libro — De regimine reservativo @
peste — afferma che lo Studio di Perugia esisteva fino dal 1063.

(4) Vedi i Capitoli delP aecordo per la signoria del Duca di Milano nel 1400, ove
si legge che il Principe obbligavasi à mantenere lo Studio assegnandogli 2000 fiorini
allanno. Lo stesso patto si incontra nel trattato colla Chiesa del 1403, e in quello col

LÁ uif 7

Na” a”

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 951

non abbiamo duopo di riferirei a cotali documenti, chè basta leg-
gere lo statuto per convincersi della importanza che i perugini.
annettevano al loro Ateneo. Prendasi lo statuto del 1905 volga-
rizzato nel 1322, e si veda come il Potestà nel suo giuramento
promettesse solennemente « lo Studio de la città de Peroscia man-
tenere e accrescere per possa, e gl'ordinamenti sopre lo Studio
facte overo ei qualgle se feronno oservare e mantenere » (1).
E nelle pubbliche cerimonie troviamo che, fatto il primo luogo al
clero, imperocchè fossero cerimonie religiose, si ponevano, tosto
il dominus rector Scolarium et. Universitatis et doctores studii
perusini cum universitate scholarium dicti studit, e dopo di essi
venivano il Podestà, il Capitano del popolo, i Priori, e quindi
le arti (2). E di quali e insigni privilegi non fecero oggetto il loro
Ateneo e chi vi era ascritto! I perugini, che tennero così alto il
concetto della ezezlitas o cittadinanza, disposero, che chi aveva
insegnato in qualche scienza o facoltà per 15 anni di continuo si
dovesse parificare ai cittadini originari (3). Ed ora si esonera
con provvido consiglio l'Ateneo dalle imposte, ora si accordano
privilegi agli scolari e ai professori (4), ora si provvede all’ ordi-

Re Ladislao del 1408 (Vedi PELLINI, pag. 118, 138 e 168 del Vol. II).'Un riservo per la
conservazione dello Studio si trova anche nei Cap. con Urbano VI del1379 (Vedi Leg.
in Vol. XVI, Arch. Stor. ital., pag. 627).

(1) Questa parte della formula del giuramento contenuto nello Statuto ‘del 1305
e probabilmente anche in quello del 1279 (che siamo stati dolentissimi di non poter
consultare, attese le ragioni espresse nella Nota al $ 3) é indizio, che la Università esi-
steva giuridicamente assai prima della Bolla di Clemente V del 1307, Secondo noi dunque .
ha torto il BONAINI (Pref., pag. LXXXVI) quando mostra di ritenere che lo Studio
non avesse esistenza regolare fino al secolo XIV; perché noi vediamo che lo. Statuto
del:1305, e fors' anco quelli stati prima, parlano degli ordinamenti dello Studio. E se
al cominciare del secolo XIV la conservazione dell’ Ateneo premeva ai ‘Perugini per
modo da farne oggetto del giuramento del Podestà, e da collocarla quasi nel principio
della formula generale e subito dopo aver parlato della pace wnitade e buono stato
del-comune, noi logicamente dobbiamo ritenere che lo Studio fosse sorto e con leggi
ordinato assai più innanzi dello stesso anno 1279, poiché nello spazio di quattro lustri
esso non avrebbe potuto pervenire a così alto grado di rinomanza. Nelle successive
riformagioni la formula relativa allo Studio fu scrupolosamente conservata — Stat.
perug. Lib. Ij Rub. 3 — Et studium in civitate Perusie manutenere et augumeritare
pro posse: et ordinamenta super studio faeta vel que fient observare et manutenere —.

(2) Stat. perug. Lib. I, Rub. 92. « 5
(3) Qui... . probarent docuisse in aliqua scientia vel facultate per spacium XV
annorum continue .. .. sint et esse debeant ex nune cives originarii perusini. (Stat.

perug. Rub. 139, Lib. I).
(4) Stat. perug. Rub. 176 — Ad decorem Studi perusini et securitatem doctorum et
quorumcunique scolarium intendentes; et quum juri sit consonum duximus statuendum
252 O. SCALVANTI

namento dello Studio, e si stabilisce che i professori possano es-
sere inviati nelle ambascerie (1), ed ora a conseguire il più grande
incremento dell'istituto gli si concede un'ampia autonomia, ed ora
infine si conferisce ai professori, ai sapientibus juris, l ufficio di
consulenti di stato (2).

E noi saremmo ben lieti di poter riferire qui per intero
le disposizioni dello statuto su questa materia, ma in parte la
lunghezza del testo e in parte il bisogno che avremo di allegarlo
in altra parte di questi nostri studî, ci inducono a tralasciarne
.per ora la fedele riproduzione (3).

Ma il fin qui detto basterà a farci comprendere, come, recan-
dosi nel 1355 un'ambasceria a Carlo IV in Pisa, i perugini otte-
nessero anche dall’ Imperatore due Bolle in protezione della loro
Università (4). Anzi, dopo avere esaminato quei diplomi, ci siamo
formati la persuasione, che quella speciale ambasceria, oltre il
fine di rendere ossequio all’ Imperatore, ebbe quello di otte-
nere per l'Ateneo di Perugia i privilegi, che ad altre Univer-

quod nullus doctor vel scolaris qui venisset ad legendum in aliqua scientia vel facul-
tate vel ad studendum . . .. possit vel debeat in civitate vel comitatu Perusie vel ejus
territorio vel districtu pro aliquibus represaliis seu licentiis concessis vel concedendis
imposterum in dicta civitate ad alicuius instantiam contra aliquam communitatem
corpus collegium vel universitatem quovis jure causa modo seu forma. vel quovis ar-
bitrio. concesse sint seu in futurum concedantur; nec aliqua arestatio, detentio noxia

fieri directe vel indirecte predictorum vel alicuius eorum occasione vel causa seu de-

pendentia per aliquem officialem vel rectorem seu magistratum communis Perusie
presentem vel futurum. Et si secus fieret ipso jure sit nullum — Vedi per i privilegi
della. esenzione dalle imposte — Stat. perug. Lib. I, Rub. 323.

(1) Rub. 211, 212, 213. Stat. perug. Lib. I.

(2) Stat. perug., Rub. 75, Lib. I.

(3) Basterà che di questa notevole rubrica (Stat. perug., Rub. 210), diamo il
principio — Quoniam per generale studium quod ab antiquo viguit et viget in inclita
perusina civitate, de universo orbe tam doctores scientia et fama preclari, quam etiam
scholares ad dietum studium confluerunt, et multi et infiniti scholares viri eminentis
scientie effecti sunt, et doctoralibus insignis insigniti per quos veftorwit scientia, vi-
gwit justitia per quam reguntur et gubernantur regna provincie et civitates, statuimus
ecce. — L'ordinamento consisté nel creare l' ufficio dei sapienti, che con ampia libertà
provvedevano al mantenimento e incremento dell’ Ateneo. A guarentire poi agl' inse-
gnanti il pagamento dei loro assegni, il Comune cedeva ai nuovi amministratori della.
Università certi introiti e proventi. — Qui introitus sic deputandi non possint quovis
modo directe vel indirecte tazi vel mutari, suspendi vel removeri .... Etdieti sa-
pientes sint et esse intelligantur speciales sindici communis Perusie ad obligandum
dietum comune et eius bona et ad deputandum et assignandum dicta salaria dictis do-
ctoribus et medicis.

(4) Il Bartolo parla delle Bolle imperiali in favore dello. Studio nel Trattato sulle
Costituzioni di Enrico avo di Carlo IV,
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 253

sità erano stati concessi. Nella quale opinione ci conferma —
1.9 il testo dei diplomi — 2.° il fatto, che il Bartolo era a capo
dell'ambasceria — 3.° la gelosa custodia in cui tennero i peru-
gini le Bolle imperiali. E infatti una di esse non è che la cassa-
zione dei processi fatti per ragion politica e l'affermazione dei
diritti di Perugia sopra alcune terre e castella, cosa importante senza
dubbio ma non così da richiedere per sè sola i segni di venerazione,
che Perugia decretò all'opera dell’ Imperatore. L'altra Bolla tratta
della facoltà di conferire l’autorità ai notari, e innova le leggi
sulla legittimazione dei figli naturali. E qui ci sembra non lon-

- tano dal vero, che il Bartolo stesso suggerisse all'Imperatore e

stendesse per lui il diploma, imperocchè i termini in cui è redatto
ricordino gli studî dell’insigne giurista ed abbiano un linguaggio,
che rivela la fonte vera di quel provvedimento (1). Rimangono
gli altri due diplomi concernenti la Università, ossia il. conferi-
mento delle lauree e altri privilegi, e la esenzione degli scolari e .
dei professori dalle gabelle, ecc. È certo che questi favori si ot-
tennero da Carlo IV per la mediazione del grande giurista, che
in giovine età aveva posto mano e quasi condotto a termine un
lavoro gigantesco, avendo per fine non solo la gloria del nome
suo, ma anco l'utile dell’ Ateneo in cui era docente. Infatti è sem-
pre per l'Ateneo che egli scrive nell'anno innanzi di andare amba-
sciatore a Pisa; e ha. voluto che di ciò resti memoria ne’ suoi

libri (2), e che si sappia avere egli disteso il trattato — De re-
presaliis — per l'utilità dell'insegnamento.

(1 L'Imperatore dopo avere tracciato i casi e i modi della legittimazione, cosi
conchiude — non obstantibus quibuscumque positis sub titulo. Cod: de naturalibus li-
beris, et in Autentico quibus modis naturales efficiantur sui, et quibus modis naturales
efficiantur legitimi, et quibuscumque aliis juribus communibus singularibus et mw-
nicipalibus, etiam si expressam de hiis vel eorum aliqua necessarie foret; quibus
omnibus et singulis quo ad premissa ex certa scientia derogamus (Vedi BELFORTI, pa-
gina 172, Vol. II).

(2) Infatti al principio del trattato, De represaliis, si trovano queste parole — « Ego
itaque Bart. a Saxof. civis perusinus, minimus legum Doctor, cum speculationibus
ad jus civile spectantibus, operam dans ad communem utilitatem, et maxime wtilis
studio Perusino, super istam materiam libellum compositi, quem correctioni cuiusli-
bet melius veritatem intuentis suppono, mihi enim satis est quod hic libellus aliis, quos
Deus sui gratia sublimi manu, ingenio et altius investigandi materiam tribuat, ipsum
itaque libellum ordine infrascripto transcriptum niversitati predicte tradidi anno
Domini a nativitate 1354, die penul. mensis. febb. ». — E cioè un anno prima
che egli prendesse parte all'ambasceria in Toscana. Del suo affetto allo studio di Pe-
rugia e dello scrivere che faceva per utilità dei discepoli il Bartolo parla anco mel
Trut.sulle cost.di Enrico, ove dice che quello scritto fece — ad studentium utilitatem —.
9254 O. SCALVANTI

E tra le cause, per le quali le Bolle di Carlo IV vennero cu-
stodite con tanta cura, sì da racchiuderle in una cassa di piombo,
collocata nel muro al di sopra della porta del Palazzo dei Priori,
e da apporvi una lapide commemorativa, fu certo anche quella
di conservare nel modo più solenne e più sicuro i diplomi che
si riferivano al patrio Ateneo (1). Tanto che quando nel 1378
gli ambasciatori perugini furono a Sarzana per trattare la pace
con Papa Urbano VI, ed egli chiese di vedere le Bolle di Carlo IV,
queste furono estratte dalla cassa di piombo e inviate in copia ai
messi della repubblica (2).

Ora rappresentiamoci un popolo, che dal secolo Xl e
senza dubbio dal secolo XII pregia cosi altamente gli studi, e poi
giudichiamo se la coscienza pubbliea non dovette essere presso
quei cittadini così illuminata da contenere il loro spirito religioso
entro quell’ordine di pratiche esterne e di aspirazioni, che per
nulla turbassero lo svolgersi dei principi di un’operosa, feconda
libertà.

E così, mentre i perugini nel 1376 si applaudivano e si
felicitavano della partenza dell'Abbate di Mommaggiore e della
recuperata libertà, e stabilivano pubbliche feste annuali per com-
memorarne la ricorrenza (8), pochi giorni dopo e cioè mentre an-
cora festeggiavasi la liberazione di Perugia, i Priori e Camer-
lenghi con deliberazione del 13 gennaio deeretavano: — In primis
cum pro honore civitatis Perusie et civium Perusinorum eiusdem
civitatis sit necesse providere quod Major ecclesia, et domus
S. Laurentii de Perusia, que per inimicos italice regionis incepta
fuit discarchari durante regimine ecclesie romane, solepniter

(1) La iscrizione in marmo, che si legge anc'oggi é così concepita — Carolus
Imperator Perusini status amator — Has gratias dono egit, quas Lapis ipsa tegit — Delle
4 Bolle originali di Carlo IV ne rimangono 3 sole; è scomparsa la Bolla d'oro, quella
relativa alla cassazione dei processi, ecc;, e che é conservata in copia. Il BARTOLO
parla, della Bolla d'oro nel Trattato sulle Costituzioni dell'imperatore Enrico. —
Anche il PELLINI (Vol. I, pag, 951 e segg.) dice — che giunto Carlo IV a Pisa gli
si mandarono altri ambasciatori per avere dei privilegi per lo Studio assai decaduto.
-— Certo non vuolsi negare, che anco altre concessioni imperiali stessero a cuore dei
perugini, e in specie quelle riguardanti i castelli di Montecchio, Castiglione Aretino,
Lucignano, Fojano e Monte S. Savino, ma é del pari indubitabile ehe. uno dei prin-
eipali scopi di quell'ambasceria fu P incremento dello Studio.

(3) Non sappiamo se fossero nuovamente riposte in quelluogo, ma é certo che
anc'oggi si vedono le traccie dell’ apertura, che si dovette fare per estrarne la cassa.
(3) PELLINI, Vol. I, pag, 1153, 1163.
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 255

reactetur, ecc. (1) — Presso a poco avveniva il medesimo quando
nel 1393 i popolani ebbero vittoria sui nobili, la quale suonava
sconfitta per il Papa. Anche allora si decretarono feste pubbliche in
perpetuo, ma e il modo di commemorare quel fatto e il linguaggio
adoperato dai Magistrati rivela una volta di più il puro e sereno
spirito religioso dei tempi (2).

Ma una prova anche più manifesta del sentimento pubblico
assai illuminato dei perugini ce la danno i loro cronisti, i quali
pur mostrandosi cattolici ferventissimi non risparmiano parole di
sdegno e di biasimo ai ministri della Chiesa per: il loro pessimo
governo. Questa distinzione fra il sentimento religioso e la libertà,
che non patisce offese, noi la troviamo nei più antichi cronisti ad
ogni piè sospinto (3). Vedasi, ad es. il racconto che fa il cronista
anonimo della sollevazione avvenuta nel 1370 contro i ministri
del papa — « Al nome di Dio e della sua madre Maria, del beato
S. Ercolano, San Lorenzo e S. Gostanzo, li quali liberarono il po-
pulo di Perugia e trasserlo di schiavitudine dalle mani dei male-
detti pastori della Chiesa. Del detto anno alli 7 del vittorioso mese
di decembre, per operazione e virtù divina, il santo populo di Pe-
rugia, un venerdì maltina, tutto in comune, piccoli e grandi, gen-
tiluomini e popolari, avendo dimenticato ogni ingiuria e discordia,
e ridotti tutti ad un volere, pace e concordia, baciando l’uno ini-
mico l’altro, andarono in piazza gridando — Viva il popolo e

(1) Il documento, che è negli Annali decemvirali allude ai vandalismi delle bande
inglesi, che erano ai soldi del Papa. Che poi questa deliberazione avesse luogo pochi
giorni dopo il fatto della riconquistata libertà, si rileva da ciò, che la partenza del-
Il Abbate di Mommaggiore avvenne, siccome narrano concordemente i cronisti, nel
lo gennaio 1376, e la deliberazione del magistrato è del 13 successivo.

(2) Ann., Decem., 1393, f. 128 — Domini Priores volentes ea que divinum. cul-
tum respiciunt celeriter expedire, ob reverentiam Verginis gloriose Matris domini no-
stri Jesu Cripsti, ut conservare dignetur statwm popularem Perusii in tranquillitate
pacifica et felici, declaraverunt quod solepnitas et Iuminaria fiant et fieri possint et de-
beant anno quolibet in festa S. Marie de mense septembris in perpetuum —. Si de-
liberò pure che nel giorno della riportata vittoria si dessero elemosime ai poveri della
città per 500 libre di danari.

(3) Il cronista anonimo (vedi Fas., Vol. I, pag. 207) ci descrive con vera compun-
zione certe feste religiose, ma al tempo stesso si arma di furore contro gli oppressori
della patria, e invoca da Dio che siano severamente puniti. Il popolo stesso fu udito
ben di sovente gridare : viva la Chiesa e morte ai ministri del Papa. Così la religione
non attutiva i sentimenti patriottici, nè questi facevan velo alla coscienza schietta-
mente religiosa.

SAIL FAI IA ILS ae MIA

renne
256 O. SCALVANTI

muoia l Abbate e li pastori della Chiesa » — (1). E venendo ai
più recenti cronisti, Teseo Alfani, ragionando della recuperata
libertà nel 1527, approva che i perugini abbiano profittato delle
condizioni non buone del Papato, ed esclama: — « Preghiamo
Dio sia in buon punto, et essendo il meglio della nostra città
si abbia le cose sue antiche e le solite sue entrate » — (2).
Ma chi più di Marcantonio Bontempi fu profondamente reli-
gioso? Sebbene avesse non comune cultura, e per ciò venisse
chiamato a importanti uffici anche fuori della sua città, pure
adopera spesso un linguaggio da farlo parer bigotto. Ma udi-
telo quando ne’ suoi Aicordi ci fa menzione della guerra del
sale e dell’interdetto fulminato da Paolo 1II! — Oggidì, egli scrive,
non ci è uomo vivo in questa città, che si ricordi che mai più
questa città fosse interdetta, se non a tempo di questo papa; il
quale vuole da questa città quello che è impossibile e contra tutte
le ragioni del mondo; e per questo speramo in Cristo, che ct
aiuterà ». E accennando alla prossima guerra col Pontefice così
si esprime — Dio ci aiuti per sua ‘misericordia, perchè le forze
della città sono debolissime a comparazione di quelle del papa;
pure speriamo nella divina Maestà, che ci abbia d' aiutare — (3).

8 20. Ma in quell' occasione avvenne un altro fatto molto signifi-
cativo. Il Papa, contro gli accordi stabiliti, chiedeva ai perugini ciò
che era solenne ingiustizia. Ebbene, il popolo volle rispondere a
tali pretese, non solo raddoppiando di fervore nelle sue preghiere
al Dio della giustizia, ma affidando a lui, con uno slancio di fede
disperata, le sorti della città (4). Perugia era interdetta, e il clero

(1) Supp. Cronaca del GRAZIANI, pag. 221. Eguale linguaggio trovasi usato in
altre cronache (FABRETTI, Vol. I, pag. 199).

(2) Cronaca, pag. 318 e 319.

(3) Ricordi del BONTEMPI, pag. 377 e 388. i

(4) A di 8 aprile (1540) fu fatta una processione di tutte le fraternite della città ;
li religiosi non e? intervennero, per essere la città interdetta; la quale processione si
mosse da S. Domenico, e venne in piazza, con li Signori priori e grandissimo popolo.
Dove, sopra la porta di S. Lorenzo, ci era un Crocefisso, al quale fatta, per il Can-
celliere, una bella orazione, gli furono date e donate le chiavi della città, e supplicata
sua divina Maestà, che le accettasse e pigliasse la cura e difensione della città (.i-
cordi del BONTEMPI, pag. 378). — Il Frolliere poi ci narra che le confraternite di cit-
tadini, di molta divozione et intenti al culto divino . .. faceveno orasione a Dio per
salute e liberazione de la loro abbandonata città, supplicandolo, che gli liberasse da
Y' ingiusta ira del Pontefice, e che gli conservasse nelle loro giuste et antiche ragione.
SIR AIA

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 251

doveva aslenersi dal fare qualunque dimostrazione contraria al
volere del Pontefice, e quindi non intervenne alle'solenni proces-
sioni delle confraternite. Ma i cittadini fecero a meno del clero,
e all'ingiusto furore di Paolo III contrapposero il simbolo.della
giustizia (1). 5

In ciò i perugini imitarono Firenze; ma in modo più serio,
perchè vollero implorare la protezione divina, senza trascorrere
nella follia di creare Ae di Perugia Gesù Cristo, e Regina la Ver-
gine. La regia autorità spiaceva ai democratici perugini anche se
si traltava di conferirla a Gesù. E giacchè siamo ‘a parlare di
questo periodo di decadenza, non sarà inutile considerare, che anche
in esso il genio democratico dei perugini guidato dal loro senti-
mento religioso seppe dar segno di attività. E ne abbiamo la
prova eloquente nella istituzione del Sodalizio dt S. Martino,
che risale al 1574, e che venne promossa dai perugini per esor-
tazione del padre Servita Damiano Biffo fiorentino (2). Ora, per
quanto lo spirito religioso avesse la sua parte nella fondazione
della benemerita Opera Pia, pure il genio democratico le diè forma
popolare e laica, la quale dura anch'oggi sia per il modo di for-
mazione dell’ Assemblea dei Fratelli in numero di 400, sia per
l'ufficio dei Visitatori dei beni e dei Visitatori rionali, che ri-
cordano consimili uffici delle più antiche istituzioni ospitaliere di
Perugia.

E ora concludiamo: — il popolo perugino ha spirito religioso
non viziato da folle superstizione, ma illuminato da sufficiente cul-
tura; ha genio democratico; ha grande attività nelle opere della
pace e della guerra; ha giusta percezione di ciò che è dovuto
aglinteressi spirituali e agl'interessi temporali; ha infine uno
squisito senso di opportunità, che quasi sempre lo guida al meglio.

(Racconto del Frolliere, pag. 450). — Lo stesso storico ci dice, che l' immagine del.

Crocifisso, che tuttora si vede sulla porta del Duomo vi fu ‘in quell’ occasione collo-
cata (Vedi anche SIEPI, Descrizione di Perugia). :

(1) I fiorentini nel 1527 trovandosi sopraffatti dalle sciagure crearono Re di Fi-
renze Gesù Cristo, onde l'iscrizione che leggesi sulla porta principale del Palazzo
Vecchio — Christo Regi suo domino Dominantium Deo summo opt. max. liberatori
Mariaeque virgini Reginae dicavit. an. dom. MDXXVII. S. P. Q. F —.

(2) Vedi Prefaz. storica allo Statuto della Compagnia laicale di S. Martino —
Tip. Santucci 1870.
0.

SCALVANTI

CAPO III.

Idea politica che presiedette alla organizzazione
délla repubblica perugina.

$ 21. Ed ora che ci siamo apparecchiati, e che conosciamo bene
lo stato della coscienza pubblica in Perugia, ossia l'elemento po-
litico e l'elemento psicologico che informava il carattere, le ten-
denze e le abitudini dei perugini, vediamo, come attraverso le vi-
cissitudini italiche, Perugia sapesse darsi una organizzazione po-
litica capace di durar lungamente.

Come vedemmo ($ 7), Perugia fino dall'anno 727 dell'éra volgare
aveva stretto una certa alleanza colla Chiesa; e nel 972, secondo
affermano gli storici, essa aveva già il governo consolare, lo che
sla a signifieare che la supremazia dei Pontefici non aveva per
nulla impedito o ritardato il consolidarsi di un'organizzazione po-
litica, frutto del genio democratico dei perugini. ;

Ma mentre Perugia godeva della sua libertà, e andava
malurandosi a' gloriosi destini, che attendono le democrazie pa-
cifiche a tipo industriale, l'Italia ebbe cagione di temere l'ul-
tima rovina per le armi di Federigo Barbarossa. Il Pellini ci narra
che Perugia nell’anno 1165 si diede a’ ministri imperiali, ma ciò
è un errore, che teniamo assaissimo a rettificare e; imperocchè non
appena leggemmo cotesta data, ci parve strano un atto di osse-
quio di Perugia verso il Barbarossa. Infatti fino dal 1164 gli abi-
tant di Verona, Vicenza, Padova e Treviso discacciavano i mi-
nistri imperiali, avendo alleati i Veneziani e il papa Alessandro III,
e già Federigo aveva patito le prime sconfitte dalla Lega Vero-
nese. A dir lutto in breve, è col 1164 che incomincia la reazione
contro l'Imperatore per parte delle città alleate, che deve ripor-
tare a Legnano il più cospicuo dei trionfi, che a quei giorni po-
lesse avere la civiltà sulla barbarie. Dall'anno memorando della
Lega Veronese si rialzano le speranze di tutta Italia; un soffio di
patriottismo aduna i comuni intorno all' altare della libertà, e l'eroica
difesa di Ancona contro le armi dell’arcivescovo di Magonza
luogotenente di Federigo preludia alla insigne vittoria di Le-
gnano.
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI

Or come mai i Perugini avrebbero deliberato di fare os-
sequio all’ Imperatore proprio nel momento in cui la Chiesa gli
si era schierata contro a viso aperto, e gl'interessi imperiali vol-
gevano alla peggio? In verità non sarebbe credibile. E difatti
leggendo le memorie istoriche di Perugia abbiamo trovalo che
non nel 1165, ma nel 1162 la città fece omaggio al vittorioso
guerriero. Allora noi comprendiamo l'atto dei perugini verso il
trionfante Imperatore. In quell’anno infatti Barbarossa aveva preso
Milano; il Papa era in Genova combattuto in mille incertezze;
la caduta della città Lombarda, come serive il Muratori, aveva
sparso il terrore per tutta Italia, e ognuno tremava al nome
del Barbarossa. Si sapeva dell'animo feroce di lui, erano nella
mente di tutti le dolorose memorie degl’incendi di Rosate, Tre-
cate, Asti e Chieri, della lunga ma inutile resistenza di Tortona;
si sapeva, che il Barbarossa era tal uomo da mancare a' patti,
talehé dopo avere promesso ai Milanesi, che doveva civitatem inte-
gram et cives cum rebus suis permanere illaesos — aveva decretato
la distruzione dell’inclita città; si sapeva che della occorsagli vit-
toria Federigo I menava vanto con incredibile ostentazione, per
modo da intitolarne gli atti stessi che emanava (1); si sapeva,
che atterrite dalla fortuna delle armi imperiali, Brescia, Piacen-
za, Ferrara, Como avevano dovuto sottomettersi, ricevendo dal-
l'Imperatore i podestà. di sua elezione; e si sapeva infine, che
alle poche città fedeli, come Parma e Lodi, egli aveva consentito
di continuare nel governo dei propri consoli. Tutto ciò conosce-
vano i Perugini, e quindi cercarono di fare un atto di ossequio
all’ Imperatore.

A noi sembra poi che l'atto di sottomissione dovesse avve-
nire quando l'Imperatore recossi a Bologna, non quando l’ eletto
arcivescovo di Colonia, Rinardo, fu inviato da lui in Lombardia, .
Romagna, Marca di Verona e Toscana per assodare, come scri-
vono gli storici, tutte le città e principi nell'ossequio verso del-
|, Imperatore.

(1) Nel diploma del privilegio concesso ai Genovesi da Federigo I nel 1162 si trova
questa intestazione — Datum Papiae apud sanctum Salvatorem in palatio Imperatoris
post destructionem Mediolani, et deditionem Brixiae et Placentiae V junii, anno do-
minicae Incarnationis MCLXII Indie. X (Murat, Annali — Venezia 1833 — Vol. 37,
pag. 243).
O. SCALVANTI

E la prova che nel 1162 e non dopo avvenisse l’atto di
sottomissione si rileva dal diploma, col quale in quello stesso anno
Federigo I fece suo vicario in Perugia Lodovico Baglione, duca
di Svevia. Il Bonaini dice che questo documento è certamente sup-
posto, ma tale giudizio non è da ottime ragioni confortato. An-
zilutto il Bartoli dice di averlo trovato in una raccolta di Mss.,
e una copia nel 7ransumptus bullarium Papalium et Imperia-
lium (1). Il Pellini poi, così accurato nelle citazioni dei docu-
menti, assevera di averlo visto nell’ originale in forma di Bolla
Imperiale co’ suoi sigilli (2).

La ragione del dubbio sull’esistenza di questo diploma noi
la comprendiamo. Si può ritenere infatti, che cotesto asserto pri-
vilegio siasi fatto valere dalla famiglia Baglioni per pretendere in
più occasioni al dominio della città. Ma questo sospetto non può
infirmare l'autenticità di un documento, che ci viene attestato da
gravi.scrittori. D'altronde se, come non è dubbio, nel seguito del-
l'Imperatore era Lodovico Baglione, qual meraviglia che egli chie-
desse ed oltenesse da Federigo il vicariato di Perugia? (8) In quei
tempi il Barbarossa mandava appunto nelle città soltomesse un
podestà imperiale, Milano ebbe il vescovo di Liegi, Brescia Mar-
quardo di Grumbac, Piacenza Aginolfo, e va dicendo. E naturale
quindi che a Perugia inviasse il duca di Svevia, che si vuole di
schiatta perugina (4). Ad ogni modo la sottomissione di Perugia
al Barbarossa fu un atto di politica necessità; e si comprende

‘che il diploma del 1162 (e la data, come vedemmo, ha uno spe-

ciale significato) non potesse essere largo di promesse nè con-
forme a quello spirito di libertà, che qui al pari che nelle pa-

triotliche città lombarde, accendeva i cuori dei cittadini. Con

(1) BanTOLI, Vol. I, pag. 235 e 236.
(2) PELLINI, Hist., Vol. I, pag. 193.
(3) L'Imperatore nel suo diploma ricorda i meriti del Baglioni verso i suoi pre-
decessori e verso di lui; ed é perciò che lo crea suo Vicario in Perugia — Imperiali
munificentia creamus et deputamus te perpetuum Vicarium sacri Imperii in civitate
perusina, et in omni ejus destrictu cum omnibus honoribus et oneribus, quos et quae
juxta convalet et solet concedere, statuentes et firmiter praecipientes ut nulla persona
cujusvis conditionis dignitatis et preheminentiae impedire audeat hanc tuam admini-
strationem, et te impedire vel molestare praesumat ecc. (BARTOLI, Vol. I, pag. 235-230).
(4) Dico che si vuole di schiatta perugina, perché, a dir vero, nessuna prova di-
retta abbiamo, che quel Lodovico Baglione, duca di Svevia, parente di Federico, fosse
veramente della casa Baglioni di Perugia; o non piuttosto fosse un tedesco, il cui co-
gnome rassomigliasse a quello della nobile famiglia perugina.
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 261

cotesto diploma si fondava in Perugia il Vicariato imperiale, che,
secondo i ‘disegni del vittorioso imperatore, doveva estendersi a
tutta l'Italia.

Ma quattro anni dopo la tracotanza del Barbarossa veniva
fiaccata dallo sforzo supremo delle città alleate, e dopo la lregua
di Venezia, nel 1183 veniva segnata la pace di Costanza, alla
quale intervenne l' Imperatore e il figlio Enrico Romanorum Rex.
E fu da questo Enrico che Perugia ottenne un diploma, che ci è
stato conservato. Esso è del 7 agosto 1186, ossia tre anni dopo
la pace. Ognuno intende che diverso linguaggio ormai doveva
adoperare l'Impero verso le città italiane; ma a noi preme stabi-
lire, che di fronte ai perugini furono assai migliorate le stesse
condizioni della pace di Costanza (1). Infatti, mentre per i Capi-

(1) Dovendo fare dei raffronti fra questo diploma e altri importanti documenti,
di cui diremo in appresso, qui lo trascriviamo nelle sue parti più rilevanti — « In
nomine Sancte et individue Trinitatis, Henricus Sextus Divina favente clementia Ro-
manorum Rex Augustus Regie celsitudinis ecc.... Sane hoc intuitu certam habentes
fiduciam devotos et fideles nostres cives perusinos se semper imposterum exibituros
mandatis nostris obnoxios. Cum super hoc firmam prestiterint juramenti cautionem.
Notum facimus universis Regni fidelibus qui impresenti degunt etate. Vel imposte-
rum successione futuri sunt quod nos regie serenitatis benignitate Perusine Civitati
et Civibus perusinis concedimus liberam. consulum. electionem. Et presentes consules
dignitate consulatus investimus. Quam investituram imperpetuum ipsis volumus suf-
ficere. Item concedimus eis regie majestatis Auctoritate totum comitatum Perusinum
exceptis domibus et possessionibus, quas-habent Marchiones et Monasterium Sancti
Salvatoris, et filii Hogolini, et Nobiles de Deruta et Bernardinus Bulgarellus et here-
des ipsorum. In quibus quinque domibus sine ditrictibus; nihil juris perusinis relin-
quitur. Salvo eo quod si aliquis civis perusinus vel aliqua Ecclesia perusina infra
ambitum eorumdem domorum aliquid possidet jure proprietatis vel pignoratitio vel
libellario vel jure feudi. Item quiete teneat sicut eisdem etiam perusinis civibus con-
cedimus quicumque in aliis Episcopatibus habent jure proprietatis vel alio modo
juste. Ut ea sine omni molestia possideant. Versa vice quaque concedimus. et statui-
mus ut si aliquis de quinque domibus predictis habent possessionem aliquam in ci-
vitate vel in coherentiis civitatis, respondeant civitati de bonis illis sic ut alii cives.
Ad hec eisdem civibus perusinis Regie celsitudinis contradimus adque benefitii no-
mine perpetuo concedimus ,omnem jurisdictionem tam in Civitate quam in ea por-
tione comitatus quam ipsis relinquimus. Salvo, jure appellationum que fiunt de
rebus valentibus viginti quinque libras imperialium vel amplius insuper. (Segue il
patto riferentesi alla donazione dei beni della contessa Matilde, ecc.). Sancimus etiam
et firmamus ut sint immunes a prestatione imperialis fodri ab albergaris que cum
exercitu fieri solent. Sed si contingat nos vel aliquem nostrum successorem Imperato-
rem sive Regem vel Legatum imperatorie sive Regie Majestatis, cum exercitu in co-
mitatu perugino: hospitari vel transitum facere; eum consilio consulwm. Perusine
civitatis id. fieri statuimus. Item volumus et presenti pagina sanctione precipimus ....
nec idem perusini societatem aliquam vel coiurationem cum aliqua persona vel ci-
vitate vel Communi facient contra serenissimum patrem nostrum Federicum Impe-
ratorem Augustum vel nostram excellentiam. — AU atto furono presenti i Consoli
della Repubblica perugina.

-
262 O. SCALVANTI

toli della pace era fissato, che i consoli dovessero costituirsi dal
nunzio imperiale o dal vescovo, ove era tale consuetudine per lo
innanzi, e che la investitura dell’imperium dovesse essere loro
fatta per cinque anni, da rinnovarsi ad ogni quinquennio (1); nel
diploma di Arrigo VI la concessione è assai più ampia, e, os-
servato il patto della fedeltà, è .data con titolo irrevocabile. —
« Notum facimus universitatis Regni fidelibus qui impresenti de-
gunt etate, vel in posterum successione futuri sunt quod nos regie
serenitatis benignitate Perusine Civitati et perusinis civibus con-
cedimus liberam consulum. electionem. Et presentes consules digni-
tale consulatus investimus. Quam. incestituram imperpetuum ipsis
volumus sufficere » — (2). Inoltre, mentre per la pace di Costanza
le città erano obbligale a prestare il fodro regale all’ Imperatore
che si recasse nei loro territori, ad apprestargli le vie, i ponti,
ed a vettovagliare l’esercito (3), nel diploma perugino si trova
scritto. — « Sancimus etiam et firmamus ut sint immunes a pre-
stalione imperialis fodri et ab albergaris que cum exercitu fieri
solent. Sed si contingat. nos vel aliquem nostrum successorem
Imperatorem sive Regem vel Legatum imperatorie sive Regie
Maiestatis cum exercitu in comitatu perusino hospitari vel tran-
situm facere, cum consilio consulum perusine civitatis id fieri
statuimus » —.

S 22. Se non che, sulla scorta del Muratori e di altri storici, si
potrà fare un obbietto, e cioè che le condizioni espresse nella pace
di Costanza vennero poi mitigandosi dallo stesso Imperatore, tal-

(1) In civitate illa in qua episcopus per privilegium Imperatoris, vel regis comi-
tatum habet, si consules per ipsum episcopum consulatum recipere solent ab ipso
recipiant, ... ... alioqui unaquaeque civitas a nobis consulatum recipiat. Consequen-
ter vero in singulis civitatibus consules constituentur a nuncio nostro, qui sit in ci-
vitate vel episcopatu et investitura recipiant; et hoc usque ad quinquennium, finito
quinquennio unaquaeque civitas a nobis recipiat, et intra quinquennium a nuncio no-
stro; sicut dictum est, nisi in Lombardia fuerimus ; tunc enim a nobis recipiet. (Lib.
De pace Constantiae). ;

(2) Lib. delle Somvmis., lettera A, pag. 35 e 36.

(3) Nobis autem intrantibus Lombardiam fodrum consuetum et regale, que so-
lent et debent prestabunt, et vias.et pontes bona fide et sine fraudé et sufficienter
reficient : in eundo et redeundo mercatum sufficiens nobis et nostris euntibus et re-
deuntibus bona (ide et fine fraude prestabunt — Lib. De pace Constantiae. — L'unico
luogo, in cui il diploma di Enrico VI riferisce le testuali parole della Pace di Co-
stanza, è là dove si parla delle appellazioni nelle cause del valore di lire 25 imperiali
o più, i quali appelli sono riservati all’ Imperatore o ai suoi delegati,
e M sei PE CETTE ge” x ——

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 265

chè furon molte le città che ottennero in seguito la libera elezione
dei consoli (1). Ma anzitutto è da osservare, che questo può
dirsi solo per la scelta dei consoli, non già per la loro investi-
tura; eppoi lo stesso Muratori ha giustamente considerato, che in
generale le città non comparse alla pace di Costanza ebbero as-
sai più dure condizioni; e cita, ad es., Siena, che appunto nel
tempo in cui fu emanato il diploma per Perugia, ebbe anch' essa
un rescritto Imperiale, con cui, fra le altre condizioni, si stabi-
liva quella di un annuo tributo al Re (2). D'altronde colpisce la
esenzione a favor di Perugia pel pagamento del fodro, e tanto
più il fatto, che circa il passaggio dell’imperatore o re e degli eser-
citi dal territorio perugino, si dovesse andare d'intesa. col .eon-
siglio dei Consoli. Dunque se è vero quello che il Muratori afferma
circa le più gravi condizioni che l’ Impero faceva alle città non,
comprese nella pace del 1183, noi dobbiamo argomentare che gli
specialissimi privilegi ed esenzioni concesse a Perugia e che su-
peravano di gran lunga quelle fatte alle città lombarde, da altre
cagioni derivarono.

E queste ragioni si riassumono nell’ interesse che aveva
l' Impero di tener ferma, con ampie concessioni, Perugia, per ce-
mentare la sua alleanza col Comune di Roma contro il Pontefice.
Questo punto merita di essere alquanto esaminato.

Certo, dopo tutto ciò che si è osservato nel Capo meda
non si spiega l'alleanza coll’ Impero per parle di Perugia, cosi
devota alla Chiesa romana. O non è noto, che appunto nel 1186
Federigo I aveva ordinato al figlio di andare alla volta di Roma
per maggiormente angustiare il pontefice, colla speranza di ri-
durlo ai suoi voleri? E non sono conosciuti forse i dissapori in-
sorti fra il Papa e l Imperatore, per modo che Urbano II non
volle incoronare il figlio di lui Enrico, e chi lo fece in vece sua
(e fu Gotifredo patriarca. di Aquileja) uomo, narra il Muratori,
arditissimo e persona assai mondana, fu con gli altri vescovi as-
sislenli alla cerimonia, sospeso dai divini uffizi? O eome mai la

(1) Murat. Az, Vol. 38, pag. 113, e Antich. ital. Diss. 50.

(2) Servire etiam debent jam dicti senenses domino regi de pecunia sua in qua-
tuor millibus librarum et domine quoque regine sexcentas libras dabunt, et. Curie,
quadragintas. — (MumaTm. Antich. ital. Diss, 50),
264 O. SCALVANTI

prudente Perugia si indusse a favorire l’ Impero, e i suoi consoli
si trovarono presso Enrico VI, quando emanò il diploma, su cui
ci intratteniamo ?

Questa domanda corre spontanea alla mente ; ma se noi in-
daghiamo le istorie possiamo facilmente rispondervi.

Anzitutto Perugia mirava all’ ampliamento del suo dominio,
e quindi ragioni di opportunità dovevano indurla a tenere dal-
l’imperatore, che si mostrava disposto a concederle tutti i beni
posseduti dalla contessa Matilde sul territorio perugino. Infatti il
diploma di Enrico VI contiene questa concessione (1). Ora si sa
che fra le querele di Papa Urbano contro il Barbarossa vi. era
anche questa; che egli spogliasse la Santa Sede dei beni a lei
donati dalla pia contessa. E perciò se da un lato potevano ina-
sprirsi i rapporti fra la Chiesa e Perugia, dall'altro è evidente
che Perugia nella fattale cessione de’ beni posseduti dalla con-
tessa Malilde, trovava causa di ingrandimento, e col consueto
senso di opportunità che sempre.li distinse, i perugini si allennero
al partito di favorire chi più si mostrava proclive a soddisfare ai
loro desideri (2).

(1) Omnia bona que Comitissa Mathildis habuit in civitate perusina vel in preta-
xata parte comitatus ipsius in feudo in perpetuum tenenda concedimus (Lib. Sommis.,
Lett. A, pag* 35).

(2) Sembra avere il Bartolo foggiato una teorica acconcia a giustificare i muta-
menti di parte, che valessero a spiegare aleuni fatti memorandi della istoria perugina.
Non già che egli tali giustificazioni facesse senza averne dei motivi plausibili, ma é
certo che egli vi spese attorno molto del suo acume sottile. — Ne giudichi il lettore.
— Nemo potest mutare partialitatem et affectionem, nulla extrinsecus accedente
causa. Et quia ad mutationem affectionis seu voluntatis, causa debeat supervenire,
probatur naturaliter. Nam cum obiectum voluntatis sit bonum seu existens vel ap-
parens, ideo quis adhaeret uni parti, quia illud videtur sibi bonum. Et sic cum vo-
luntatem mutat oportet sit aliquid, propter quod ab illa voluntate recedat et alteri
adhaeret. Inde moti sunt legumlatores dicentes, nemo potest sibi causam possessio-
nis mutare, nullo estrinsecus superveniente. Causae autem mutationis, quas com-
muniter videmus, sunt inimicitiae supervenientes cum aliquo potentiore se in affe-
ctione illa, vel si ei obvenit haereditas vel magnum lucrum quodammodo habere non
potest nisi illam. partem dimittat vel alteri adhaereat, vel si novà affinitate cum ad-
versa parte iwngatwur (S 18 Trac. De Guelphis, ecc.). — Con queste parole sembra quasi
che il Bartolo abbia voluto giustificare la Repubblica perugina di essersi accostata
ad Enrico VI pel magnum lucrum dei beni della contessa Matilde. Certo egli ebbe in
animo di porre una teoria, la quale permettesse a quando a quando di tenere anche
la parte dell' Impero, e certo in quel tempo aveva la persuazione che Carlo IV potesse
mettere un termine alle fiere discordie italiche. Difatti il sommo: giurista, repubbli-
cano convinto, senza queste speranze non si sarebbe indotto a fare ostentazione della.
sua. fedeltà al monarea = cui, egli dice, debito fidelitatis adstringor, quia me suorum
consiliariorum et domesticorum numero aggregavit, (Tratt. sopra le Cost. di Enrico)

POR IAA REI LI SPETTA
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 265

Ma per quanto gravi sieno questi motivi di opportunità, pure
non sarebbero sufficienti a spiegare l’ attaccamento della libera
città di Perugia verso l'Impero, se altra ragione non soccorresse.
Fu già osservato quali rapporti di reciproca simpatia intercedessero
fra Perugia e il comune di Roma. Or bene, noi sappiamo che
Enrico VI, proprio nel 1186, strinse alleanza col comune romano,
e si spiega quindi come fosse con lui la città di Perugia e co-
m'egli fosse disposto a larghe concessioni con chi era della ro-
mana repubblica secolare e fido alleato.

S8 26. Ma poco stante i rapporti fra l Impero e il Papato si fecero
migliori, e Innocenzo III, dopo la morte di Enrico VI (a. 1197)
ebbe la tutela del figlio di lui, Federigo II. Fu allora che i Pe-
rugini entrarono in più intime relazioni col Papato mettendosi
sotto la diretta protezione della Chiesa.

Se non che a questo punto devesi rigorosamente verificare :

1.» Se le relazioni colla Chiesa ricevettero formale assetto
al tempo di Innocenzo III, ossivvero al tempo di Innocenzo IV.

2.9 Se le concessioni pontificie erano più ampie o più ri-
strette di quelle contenute nel diploma di Enrico VI.

Noi rifuggiamo dalle dispute, che altra ragione d' essere non
hanno che quella di sfoggiare una più o meno recondita erudi-
zione; e quindi se teniamo a verificare l' epoca degli accordi in-
tefceduli fra il Papa e il Comune dopo la supremazia imperiale
di Federigo I e di Enrico VI, gli è perchè la crediamo una di-
sputa sostanziale. E di vero il pontificato di Innocenzo III ebbe
fine col 1216; e quello di Innocenzo IV ebbe principio col 1243
e termine col 1254. Or se ritenessimo che l’ accordo fra la Chiesa
e Perugia avvenisse intorno alla metà del secolo XIIT, noi non
lroveremmo più spiegazione a certi atti del Comune perugino. Il
documento pertanto, che si riferisce alla protezione pontificia sulla
città nostra, è una Bolla, senza data dell’anno, che si conserva
in copia nell’ Archivio Comunale di Perugia (1). Il Pellini. però
ci dice che alcuni pensano fosse un provvedimento di Innocenzo
IV. A togliere ogni dubbiezza bastano poche considerazioni.

a) Anzitutto sembra assai naturale che Innocenzo III,

(1) Lib. delle Sommis., lettera: A, pag. 36 ter. e 37.
e
è metre ut lia etr hn 0 = = —
debet im tim IUe AP e hm rt E n m ERE —

266 O. SCALVANTI

uomo di gran mente e tutore del giovine principe, fosse il primo
a regolare i rapporti fra la Chiesa e la Repubblica perugina. .

b) In secondo luogo, nella intestazione della Bolla suddetta
non si fa menzione alcuna del Priore delle Arti, mentre questo
ufficio esisteva nel 4259, ed è verosimile che vi fosse già al
tempo di Innocenzo IV, mentre non esisteva per nulla ai tempi
di Innocenzo III.

c) In terzo luogo, è dimostrato che tra Innocenzo III e Pe-
rugia intervennero altri trattati nel 1210, essendo Podestà Pan-
dolfo De Subora (1); e vi è poi la lettera dello stesso Papa del
1215, la quale forzatamente ci induce a ritenere, che fossero stati
fatti accordi anche prima fra le due podestà.

d) In ultimo, se noi esaminiamo bene la Bolla nel Libro
delle sommissioni, troviamo che in margine vi sono delle anno-
tazioni con'cordanti che ‘essa è di Innocenzo III (2).

$ 23. La seconda indagine consiste nel verificare se le concessioni
di Papa Innocenzo III fossero più larghe o più ristrette di quelle
di Enrico VI. Se noi leggiamo la Bolla pontificia (3) ci accorgiamo

(1) Lib. delle Sommis., lettera A, pag. 40 rect. e ter.

(2) A carte 36, ove trovasi la Bolla, l'annotazione in margine così si esprime —
De jurisdictione data communi Perusii per Apostolicam sedem in receptione ipsius
civitatis sub protectione apostolica — e a carte 37 — Hic brevis est.... Innocentii #II.

(3) Innocentius Episcopus servus servorum Dei, dilectis filiis. Potestati et Populo
perusino salutem et apostolicam benedictionem.

Apostolica sedes que disponente domino cunctorum fidelium, mater et ma-
gistra speciales filios ampliori consueverit gratia-honorare, ut eos ad devotionem
suam ferventer accendat, et ad obsequium suum diligenter invitet; nos ergo qui mi-
seratione divina huie sancte sedi licet immeriti precedimus devotioni et fidei, quam
ergo Matrem et dominam vestram sacrosanctam Romanam Ecclesiam geritis, atten-
dentes, vestris precibus inclinata, quos inter alios fideles nostros speciali charitate di-
ligimus, civitatem, et quoad jus et proprietatem ipsius pertinere dignoscitur, eam per-
tinentiis suis et nune habitis et in antea legitime acquirends, sub Beati Petri et no-
stra protetione suscipimus, et presentis seripti patrocinio communimus, eam vero
nunquam alienabimus, sed semper ad manus nostras curabimus retinere. Consulatum
autem cum jurisdictione sua, vobis, auctoritate Apostolica, confirmamus ;. conceden-
tes ut iis, qui sunt ipsius jurisdictioni subiecti, liberum sit ad Potestatem vel Consu-
les, qui pro tempore fuerint, legitime appellare ; consuetudines vestras antiquas quo-
que, et novas rationabiles et communiter observatas, duximus approbandas, salva in
omnibus Apostolice, Sedis auctoritate, pariter et justitie, et Ecclesiasticorum omni
moda libertate: nulli ergo hominum liceat hane. paginam, nostre protectionis, con-
firraationis et concessionis infringere, vel ausu temerario contraire, si quis autem hoe
attentare presumpserit, indignationis Onnip. Dei et Beatorum Petri et Pauli Aposto-
licorum se noverit incursum. Datum Tuderti sexto nonas Octobris Pontificatus Nostri
Anno Primo. — Dal che si deduce che l'atto fu del 1198, primo anno del’ pontificato
di Innocenzo III.

*-
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 267

subito che queste concessioni erano al paragone delle altre assai
più ampie. Infatti, mentre per il diploma di Enrico VI la facoltà
dell'appello veniva riservata all’ Imperatore e Re, nella Bolla pa-
pale tal facoltà è data al potestà e ai consoli; qui pro tempore
fuerint. E anco nel 1210 il Papa, per mezzo del nunzio, in altro atto
solenne conserva ai Perugini tutte le consuetudini nuove e anti-
che, generali e speciali — tam in electione Consulum seu Pote-
slatis, quam in appellationibus etc. (1). Il Bonaini pure ha notato,
che nella Bolla di Innocenzo III non si trova sillaba che stia a
menomare quella compiuta autonomia, onde già il Comune gran-
deggiava da tempo ormai antico (2); ma ciò per nulla si accorda
con quanto asserisce poco sopra, e cioè che i/ Papa non si ri-
mase dall’ affermare, che Perugia era una proprietà della Chiesa.
Se non che l'illustre storico, secondo il parer nostro, è caduto
in errore, perchè nella Bolla non si parla davvero nè in modo
aperto nè occulto del dominio della. Chiesa. La parola proprietas
occorre nel testo, ma in altro manifesto significato « . . . et quoad
jus et proprietatem ipsius (ossia della città di Perugia) pertinere
dignoscitur, cum pertinentiis suis et nunc habitis et in antea le-
gitime acquirentis, sub beati Petri et nostra profectione susci-
pimus, et presentis scripti patrocinio communimus, eam vero
nunquam alienabimus, sed semper ad manus nostras curabimus
retinere ». — Ed è da queste ultime parole che il Bonaini inferi-
sce essersi data Perugia in proprietà alla Chiesa; perché egli
riferisce la parola eam a civitatem, mentre noi crediamo più con-
forme al retto senso del documento, che si riferisca a protectionem,
ossia al diritto di alla preminenza. Sarebbe strano infatti che in
un documento, nel quale si riconosce pienissima autonomia di go-
verno alla città di Perugia, si dicesse poi che essa è proprietà della
Chiesa, e che il Papa si obbliga a non venderla ad alcuno. Ciò,
«oltre che strano, sarebbe assurdo. Inoltre nel documento del 1210
il nunzio di Innocenzo III promette — quod si D. Papa venerit ad
pacem eum Imperatore seu composuerit, civitatem Perusii ponet
in pace cum Imperatore, et ita faciet quod retinebit dictam civita-
tem Perusii ad. se, ad fidelitatem et honorem. Rom. Ecclesie. —

(1) Lib. delle Sommis., Cart. 40 rect. e ter.
(2) BONAINI — Prefas., pag. XXXII. 268 O. SCALVANTI

Evidentemente anche qui non si fa che concretare l'esercizio
del diritto di alta protezione; e la frase retinere ad se, che po-
trebbe corroborare la interpetrazione del Bonaini, è subito cor-
retta dalle parole — ad fidelitatem. E nella nota in margine
del documento, come abbiam visto, si legge — De jurisdictione
data communi Perusii per Apostolicam sedem in receptione ipsius
civitatis sub protectione apostolica —e di dominio non si parla,
nè si poteva assolutamente parlare.

Del resto se papa Innocenzo avesse voluto esprimere il
concetto del dominio della Chiesa avrebbe usato, ci sembra, quelle
medesime espressioni che si incontrano in altri documenti dello
stesso Pontefice. Infatti nel Lodo pei Narnesi del 1215 così
dice — Item castrum ipsum ecclesie omnis cum omnibus per-
tinentiis suis zn demanto ecclesie Romane perpetuo remaneant,
nisi quantum ecclesia de gratia vobis duxerit concedendum — (1).

$ 24. Si trattava adunque di.un rapporto di accomandigia, di pro-

(1) Vedi il Lodo di Innocenzo III nel Bollet. di Storia patria del" Umbria
(Vol. I, pag. 131 e 132) preceduto da una dotta illustrazione dell’ egregio Lanzi. Il PEL-
LINI mostra credere che questo del 1198 non fosse il primo e regolare trattato fra i
Perugini e il Papa; ma a noi pare che dal documento pontificio resulti tutto l'opposto.
In esso non vi é che una lontana allusione ai buoni rapporti sempre interceduti fra
la Chiesa e Perugia dove si dice — Mater et magistra (la Chiesa) speciales filios am-
pliori consuevit gratia honorare —. Ma ricorrono poi queste altre espressioni — ut eos
ad devotionem suam ferventer accendat, et ad obsequium suum diligenter invitet —
dalle quali si scorge che altri atti non erano passati per dare ùn assetto giuridica-
mente determinato ai rapporti fra il popolo di Perugia e il Papato. E se ciò non fosse
come il documento non avrebbe detto, che si rinnovava la protezione. della Chiesa?
Infatti quando nel 1210 lo stesso Innocenzo III fa nuove convenzioni coi perugini, il
linguaggio adoperato richiama gli atti precedenti. E se nella Bolla occorre la frase
— Consulatum autem cum. jurisdictione vobis, auctoritate. Apostolica confirmamus —
ciò deve intendersi con riferimento al diploma di Enrico VI. Infatti il testo viene a
dire — noi confermiamo, mediante Pl apostolica autorità, a voi il consolato con la sua

giurisdizione (e ciò trovavasi nel diploma imperiale, e non occorreva quindi che la.con- .

ferma pontificia); e si aggiunge — concedentes ut iis, qui sunt ipsius jurisdictioni su-
biecti liberum sit legitime appellari ad Potestatem, ecc. — Ja quale condizione mancava
nel diploma di Enrico VI, di guisa che mentre conermavasi ciò che PImperatore
aveva concesso, si concedeva poi un nuovo privilegio. Ma altro efficace riscontro si ha
in un documento di poco anteriore all'epoca di cui parliamo, e cioé del 1188. Infatti
nella sommissione di Castel della Pieve a Perugia si pattuisce, che Castello sarà tenuto
a far pace o guerra — contra omnes homines in perpetuum (i quali guerreggiassero
contro Perugia) excepto imperatore et suo serenissimo filio rege Henrico. — Se alla
sua volta Perugia avesse fatto atto di sommissione alla Chiesa, é egli possibile. che
non se ne facesse menzione alcuna? (Vedi Boll. di Storia Umbra — Vol. I, fasc. I,
pag. 142).- È

ape 432 AA dI Si

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 269

tezione, di preminenza; e assai limitata, imperocchè l'obbligo di
servire con le armi la Chiesa non si estendeva al di là di Roma (1).

Ora pensiamo quanto questo vincolo dovesse riuscire con-
forme al genio democratico e allo spirito religioso dei cittadini.
ll Papa era stato larghissimo di concessioni, e da lui certo
non si polevano temere a quei giorni le vessazioni arrecate ai li-
beri comuni o dall'Imperatore o dai nobili che lo circondavano.

Quindi fu adottato il sistema della alleanza e della devozione
alla Chiesa, nel quale Perugia seppe persistere non pure per il
carattere religioso dei cittadini, ma anco per ragioni di sapiente
opportunità.

8 25. Ma qual'era in sostanza l’idea politica, che presiedette al-
l’organizzazione del perugino governo, e che doveva trovar la sua
forma nel guelfismo, cui Perugia restò così lungamente fedele?
Vediamolo. A noi pare evidentissimo, che menire le repubbliche
sorte tra il XII e XIII secolo erano amantissime di /iberta, per-
chè solo nella libertà trovavano le condizioni acconcie allo sviluppo
del nuovo incivilimento, che da loro germogliava; non potevano pre-
giare altrettanto il principio della indipendenza. Anzi quanto mag-
giore era il desiderio di mantenere incolumi i loro ordinamenti
di libertà, e quindi più vivo il bisogno di difenderli, e tanto più
non potevano accogliere il concetto della indipendenza, come noi
lo comprendiamo (2).

La indipendenza ricerca forza ; e sebbene quei nuclei di nuova
civiltà fossero dotati di grande energia, pure le loro condizioni
di sicurezza esterna non erano prospere, perchè sempre minac-
ciati o da vicine città o da papi o da imperatori. Non occorreva

(1) Vedi documenti degli accordi fra il Nunzio Stefano e il Podestà Pandolfo De
Subora, ove occorre la frase, che l' impegno di soccorrere la Chiesa doveva sussistere
— a civitate Perusii infra usque ad urbem romanorum — (Lib. delle Sommis., lett. A.,
cart. 40 rect.) :

(2) Quest idea brilla di luce vivissima nella Dichiarazione fatta dai Capi della
Lega Lombarda alla presenza di Papa Alessandro nella Chiesa di Ferrara l'anno 1177,
'e che Romualdo Salernitano, cronista del tempo, ci ha conservato (Chronicon — R.
F. S. tomo 7). Andavano facendosi in quel tempo i negoziati per la pace di Costanza;
e i popoli vittoriosi si appagano di queste condizioni. — Noi vogliamo soddisfare a
tutti gli obblighi, cui secondo le antiche usanze è tenuta l' Italia verso l'Imperatore ;
noi non gli ricusiamo le vecchie giustizie. Ma giammai non consentiremo a spogliarci
della nostra libertà . .. . e non la perderemo se non colla vita, perchè ci e più cara
la morte colla libertà, che non la vita accompagnata da serviti.
9

10 O. SCALVANTI

quindi un profondo senso politico per comprendere, che le città
abbandonate a sè stesse senza un'alta autorità che valesse a pro-
teggerle, non potevano scampare all'immane ruina de’ loro liberi
ordinamenti. E questa loro libertà amavano con ardore, e perchè
l’amavano volevano conservarla. Ma a ciò non bastando il valore
dei cittadini, fu mestieri cercare un sostegno, un'egida, una pro-
tezione in qualche autorità, che esercitasse una ragguardevole
influenza nelle vicende politiche dell’Italia. Ed a questo pensarono
i Guelfi confidando nei Papi, e i Ghibellini cercando l'alto pa-
trocinio degl’ Imperatori. Poteva esservi altra via di uscita? Vi
era, e fu tentata, massime per opera dei Perugini, il cui pensiero
politico a noi sembra fosse quello di stabilire una forte federa-
zione di Comuni, la quale, senza cessare l’ ossequio alla Chiesa,
avrebbe saputo imporsi nel nome della libertà e alla Chiesa e al-
Impero o a qualsiasi tiranno che avesse voluto insignorirsene.
Di queste leghe fra le città di Toscana, in cui comprendevasi
gran parte dell’ Umbria, o fra le città umbre, molte ne furono ten-
tate o per opera o coll' aecordo dei perugini (1), ma tornarono vane
perchè o non volute dai papi o insidiate da un male, che usciva
dalla stessa eccellenza politica dei popolari ordinamenti. Essi
avevano introdotto la libertà nel reggimento’ dello Stato; ma la
stessa base democratica, su cui si erigevano i nuovi edifici politici,
non era salda, perchè continuamente in balìa delle passioni di parte,
le quali sconvolgono sempre le repubbliche, che non sono effetto di
lenta evoluzione, ma che vengono determinate da improvvisi mu-
tamenti di stati. o, come meglio si direbbe, da cataclismi politici.
Le democrazie medio-evali furono di questa sorta ; esse esprime-
vano il primo abbozzo di governo, dopo che l’ epoca feudale nella
sua consistente anarchia aveva fuso insieme i resti dell'anlica

(1) Perugia tentò più volte di farsi centro, non solo di una lega fra le città Um-
bre, ma anco di un alto dominio. E fu nel volgere del secolo XIV, che tali tentativi
ebbero luogo; se non che il Papa cercò sempre avversarli. Si trova infatti che quando
nel 1325 i perugini ebbero ricuperato alla Chiesa Spoleto, il Papa approvò gli omaggi,
che questa città si obblicava a prestare a Perugia, ma nella lettera dell'8 maggio
1325, volle che nella presentazione dei donativi da farsi ogni anno ai Perugini nel
giorno di S. Ercolano, dovesse il Sindaco di Spoleto fare la protesta, che questi si
davano per una mera riconoscenza, e non mai per verun giuridico diritto, che aves-
sero i Perugini sulla città di Spoleto (Arch. della pergamene Cass., VI, n. 02). Ma di ciò
dovremo parlare lungamente nel testo, \
Dinamo Da

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 211

romanità co' principi del cristianesimo e gli elementi barbariei.
Sorsero, perché i popoli hanno bisogno di governo, e non potendo
essere saviamente governati da forze meglio disciplinate, dovet-
tero governarsi da sè. Troppo si chiedeva all’ energia di un po-

- polo; che nello stesso tratto creasse il tipo di una nuova civiltà,

costituisse per via di consuetudini le sue leggi, incarnasse nel-
I’ ordinamento pubblico e nei costumi il prodotto dell’'amalgama
feudale, e desse prova di sapere attendere a così vasto e com-
plesso lavorio in mezzo a pericoli esterni di ogni maniera. Il pe-
riodo di rivoluzione, inaugurato dal cristianesimo e che, secondo
noi, dura anc'oggi, era allora al suo apogeo. Gli atomi dispersi
nell’oscura notte del feudalesimo andavano ricomponendosi attorno
al principio di libertà; ma altro è sentire la bontà di un principio,
e altro è aver le forze per applicarlo, svolgerlo e difenderlo da
tutti i traviamenti. Insomma le democrazie medio-evali non erano
figlie del passato, da lui scaturite per lenta, organica evoluzione.
Creatrici di forme di governo, di leggi, di industrie, di commerci,
davano l'aspelto di organismi, la cui operosità precoce, accelerata
rendeva deboli e facilmente mortali. Vedete, come quello stesso
popolo che ha tanta fede nella libertà e crede potersi governare
da sè coll’ opera de’ suoi cittadini, viva poi in continue diffidenze,

‘ammassi leggi su leggi, ordinamenti sopra ordinamenti per gua-

DO
rentirsi contro la nequizia degli uomini. Non par che dica a sè
stesso: io debbo governarmi così, ma per mia sventura non posso
fidarmi di alcuno? E non è questa per fermo quella libertà or-
ganica, che sa di potere ciò che vuole, che è paga di sè, in sé
fidente e nell'ottimo costume pubblico e privato dei cittadini. Se
noi facessimo l'istoria colle etichette (1) dei grandi uomini, ci sfug-
girebbero anche qui i veri fenomeni della vita delle nostre demo-
crazie; e ci spiegheremmo le discordie interne col prevalere or
dei Nobili o de’ Raspanti, or dei Bianchi o dei Neri, or dei

(1) Ci piace usare questa parola in tal senso adoperata da un illustre pensatore
moderno, Leone Tolstoi. Egli, seguendo i principi della odierna critica storica, nel suo
stupendo lavoro — La guerra e la pace — si é accinto a dimostrare la potente effi-
cacia delle moltitudini di fronte agl’individui che sembrano dominarle, mentre ne
sono invece dominati. — « I pretesi grandi uomini, egli scrive, non sono che le eti-
cliette della storia; danno il loro nome agli avvenimenti senza neppure avere, come le
etichette, il menomo legame col fatto medesimo. Ogni loro atto è legato a priori col
cammino generale della storia e della umanità ». (Vol. III, pag. 29).
919 O. SCALVANTÍ

Guelfi o de’ Ghibellini. Ma perché vi furono coteste parti poli-
tiche, e perchè ora prevalse l'una, ora prevalse l'altra? AI di-
sotto degli avvenimenti, di cui un uomo o una famiglia può essere
stato causa occasionale, vi è la corrente che ha trascinato un po-

polo, una città, un regno piuttosto in quella che in questa dire-:

zione. E la causa che trasse alle tirannidi le democrazie medio-
evali, pià che nelle occasioni offerte dall' ambizione di un Principe
o di un Papa, si deve cercare nella corrente che trascinó la li-
bertà a divenire licenza, per non essere pronte e disciplinate le
forze che dovevano resistere a quella corsa sfrenata. E queste
forze mancarono, perchè la precocità di quei primi germi di una
civiltà nuova, operanti in mille oggetti, impediva che essi fossero
bene equilibrati, e avessero gli elementi di moderazione, senza
dei quali non v' ha possibilità di duratura potenza. Ognun sa che
l equilibrio delle funzioni non esiste negli organismi troppo gio-
vani o deboli; le democrazie erano l'effetto del primo fiat di li-
bertà, dopo un secolare servaggio, e invano noi spereremmo di
trovarle sapientemente equilibrate. Quindi la facile licenza e la
facile oppressione, tenuta sempre pronta dalla indistruttibile mal-
vagità degli ambiziosi.

Ora se queste cause erano sufficienti a: destare nel seno di
ogni città quelle lotte partigiane così esiziali all' ottimo reggimento
di uno stato, tanto più dovevano rendere frustranei i tentativi di
una larga, forte e temuta confederazione dei comuni. Ond'é che
noi vediamo le leghe, non appena iniziate, essere disciolte per gare
di vicinanza, per rivalità e gelosia di grandezza.

S 26. Pertanto, nel tempestoso periodo che attraversiamo, le de-
mocrazie sentivano di esser sole contro potenti nemici, ed è ben
naturale pensassero a scegliersi un aiuto. Di qui ebbero origine
certamente le due grandi fazioni de'Guelfi e dei Ghibellini. Il
Perlile, dopo avere narrato da quali dissensioni fossero angu-
stiate le città, osserva che esse erano oltremodo accresciute dalle
parti de Guelfi e dei Ghibellini, a cui facevan capo le fazioni in-
terne dei comuni. Ma le sette de’ Guelfi e dei Ghibellini non co-
stitutoano partitt che mirassero a dare il potere ad una data
classe sociale, o che st combattessero per poter attuare libera-
mente questa o quella idea di governo, ma si risoluevano in un
vago favoreggiare i| papa o l’imperatore, senza che si, sapesse

SRIRNTIEA ALTO
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vada ARIA

GONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI E2OTA

nemmeno d'onde prendessero il nome (1). E del nome poco a
noi rileva; la sostanza però di quelle, che a torto si dicono seífe ,
(perchè furono veri partiti) a ognuno può essere manifesta sol che
si pensi:

1:9 Che, sebbene non riuscissero a toglier via le anteriori
discordie e talvolta contribuissero a renderle più profonde, pure
è un fatto che i popoli col parteggiare o per l’impero o per il
papa ebbero in mira di cattivarsi appoggio di un'alta autorità
anche al fine di veder cessate le lotte interne.

9.0 Che se i due partiti guelfo e ghibellino non miravano
a dare il potere ad una data classe sociale, e nemmeno si com-
battevano per poter attuare liberamente o questa o quella idea di
governo, ciò era conforme al concetto politico comune ad entrambi.
Perché tanto i Guelfi nel parteggiare pel Papa, quanto i Ghi-
bellini nel cattivarsi l'appoggio dell'Imperatore aborrivano dal-
l'idea di soltomettersi o all' uno o all'altro. Volevano salva la loro
libertà e il loro ordinamento interno, e cercavano combinare
queste loro esigenze col concetto di un alto dominio o dell’ Impe-
ratore o del Papa, che valesse a difendere la loro sicurezza esterna
e a tener quieli all'interno i liberi comuni. Dante Alighieri a
questo appunto intese nel De Monarchia, nel qual libro, a ragion
fu detto, che il sommo poeta aveva vagheggiato la municipalizza-
zione dell'umanità, combinando il godimento delle libertà interne
colla benefica influenza di un forte centro unitario. I Guelfi. poi
tanto più potevano sperare nella realizzazione di questo programma,
in quanto l'autorilà, cui si appoggiavano, se era naturalmente
elevata e tale da aver ragione anco di fronte ai.più potenti prin-
cipi della terra, non mostrava le attitudini necessarie all'esercizio
di un temporale governo, di guisa che il suo dominio doveva di
necessità estrinsecarsi in una forma di protettorato. Il Bartolo esa-
gera certo dicendo che i Guelfi — quasi zelatores fidet, interpre-
lantur. confidentes orationibus et in divinis, mentre i Ghibellini
erano confidentes in fortitudine (2). — E l’esagerazione sta in ciò,

(1) PERTILE — Op. cit., Vol. IT.

(2) Trac. De Guelphis et Gebelinis, 8 1 e 2. È notevole la coincidenza non solo
ne’ concetti, ma anco nelle espressioni, fra il passo del Bartolo circa 1’ origine e il
modo di essere delle due parti politiche e la Rub. 473 del Lib. I, degli Statuti perugini.
Anche qui si dice che i due partiti si vennero costituendo per affectionem, e che i guelfi
914 O. SCALVANTI

che non si diveniva Guelfi per solo spirito religioso, ma anco per
un profondo concetto politico, come si diveniva Ghibellini senza
che per questo si rinunziasse al fervore per la religione; in so-
stanza però il Bartolo ha bene adombrato, se non espresso, la
diversità del pensiero politico, che induceva i Guelfi a credere più
efficace l' autorità quasi interamente morale della Chiesa, e i Ghi-
bellini a ritenere più decisiva l' influenza di un forte impero civile.

S 27. Ora, in parte per il loro spirito religt0s0, in parte per il loro
genio democratico i perugini cercarono con ogni studio l'amicizia
e la protezione della Chiesa. L'impero civile, per mezzo dei Lon-
gobardi e per mezzo di Federigo I, non pareva trovasse altra in-
carnazione pratica del suo protettorato, che col rimettere il governo
della città nelle mani di un despota. E ben vero che con Enrico
VI queste vedute eransi fatte più miti; ma ciò che egli era di-
sposto a concedere, veniva di gran lunga superato dalle franchi-
gie di Innocenzo III, l'opera del quale non s'arresta alla Bolla
del 1198, ma prosegue attivissima fino al 1215, in cui contribuì
ad un rafforzamento degli ordini di libertà, eccitando Perugia a
non imporre nuovi tributi senza deliberazione del Consiglio ge-
nerale (1). D'altronde in quei tempi, nei quali andò radicandosi

così furono detti — quasi zelatores fidei et fidem gerentes. Et sicut gebellus interpre-
tatur locus fortitudinis; ita gebelli interpretantur confidentes in fortitudine tempo-
rati militum et armorum; et sicut ghelfa interpretatur os loquens (e cosi pure si
esprime il Bartolo) ita ghelfi interpretantur confidentes rationibus et divinis ». È ben
vero che tanto 1o Statuto che il Bartolo nell'assegnare l' origine delle due fazioni si
riferiscono à opinioni anteriormente espresse, ma la coincidenza delle espressioni ci fa
credere, che dallo Statuto Bartolo apprendesse cotali opinioni. Infatti il Capitano di
Parte guelfa fu introdotto nel 1266, e il testo da noi riferito appartiene appunto
alla rubrica, che tratta di cotesto ufficio. Dunque vi é plausibile ragione per ritenere
che quel testo sia d'assai anteriore all’ epoca del Bartolo. Una differenza vi é nella
dizione ed è questa, che mentre lo Statuto dice che i Guelfi erano — confidentes ratio-
nibus et divinis — il Bartolo dice che — interpretantur confidentes orationibus et in
divinis.

(1) Lib. delle Sommis., lett. A, pag. 57, e BARTOLI, pag. 310. — Ciò era ben naturale ;
difatti nella storia giuridica si trova che anche quando l'autorità dei Parlamenti o Con-
sigli generali venne a diminuire, non si tolse loro la facoltà di sancire i tributi. (Vedi
PERTILE — Storia del diritto italiano — Vol. I, pag. 275, e Vol. II, part. I, pag. 344 e
segg.). Relativamente agli Stati, sui quali esercitava la Chiesa una più o meno diretta
ingerenza si riscontra che Urbano IV nel 1367 scrive al Rettore della Marea anconi-
tana — Cum, sicut audivimus, in generali parlam. prelatorum, nobilium et. comuni-
tatum provincie march. ancon. cujus prees regimini nuper in civitate Maceratensi
celebrato, concorditer et consulto deliberatum extiterit et firmatum, quod impositio
et exatio tam tallie generalis in prefata et aliis eccl. rom. provinciis imposite diutius
et exacte, quam subsidior, et onerum quorumcummque dicte provincie in iui arbitrio
et potestate remaneant, prout de n. procederet voluntate. — E il Papa ne ordina la esa-
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 275
nell’animo dei perugini il concetto politico del guelfismo, bisogna
riconoscere : |

1.9 Che l'intervento dei Papi non sconvolgeva gli ordini
di libertà che ab antiquo i perugini si erano dali; ma aveva di
mira il quieto vivere della città, e n° è esempio; l'intervento di
Innocenzo III nel 1214 per sedare il tumulto sorto in Perugia,
e quello di Gregorio IX, che nel 1225 tenta comporre e per mezzo
di legati e in persona i dissidi insorti fra Cavalieri e Pedoni.

9.0 Che l'alleanza colla Chiesa non sempre nuoceva ai Pe-
rugini di fronte all’ Impero; chè anzi di frequente «era occasione
perchè gl’ imperatori li gratificassero. Per non discostarci dai
tempi che formano oggetto particolare del nostro studio, ricorderemo
la Bolla di Guglielmo imperatore del 1215, colla quale si donano
terre a Perugia in riconoscenza della fedeltà serbata alla Chiesa.

8.9 Che Perugia, mentre giovavasi del Papa per avere un'alta
protezione, e mentre coll’ alleanza della Chiesa non le era tolto di
mantenere a quando a quando rapporti di amicizia coll’ Impero,
cercava bilanciare le sue forze con quelle dei possibili avversari
mediante una lega, che andò costituendo nei primi del secolo XIII
fra le Umbre ciltà.

Data l'indole dei tempi, il capolavoro di un governo libero non
poleva essere che questo ; sacrificare alla libertà la piena indi-
pendenza, cercare un protettorato che quella libertà si impegnasse
solennemente a rispettare, e dare opera alla costituzione di una
lega che servisse a difendere le città nel caso che o il protettorato
venisse a mancare o accennasse a trasformarsi in una signo-
ria. E Perugia ebbe fin dapprincipio, e cercò con ogni potere di
svolgere questo concetto politico, togliendo a. base il guelfismo,
ma sempre pronta a combattere contro chiunque volesse sacrifi-
care il patrimonio delle sue libertà.

zione (THEINER, II, 430). — E nel 1405 si vede che — in generali provincia ecc. Patrimonii
duc. Spoletani, Sabinensis ac terrarum specialium commissionum parlamento in civit.
Tudertina celebrato, caritativum subsidium ordinatum ecc. — Fra i patti d'Ascoli che
torna sotto la S. Sede per opera di Albornoz v'é — per legatum. seu rectorem non
ponetur aliqua gabella dativa, posta, vel prestantia . . . contra voluntatem Comunis,
reservatis illis dativis que ponerentur in generali Parlamento Marchie (THEINER,
II, 321). — Vedi anche — ScLoPIS — Degli Stati generali ecc., 1852. — BOLLATI —
Atti e documenti delle antiche assemblee. — DAL Pozzo — Saggio sulle antiche assem-
blee nazionali di Savoia, 1829. — MoNcrroRE — Parlamenti generali in Sicilia, 1749, ecc. O. SCALVANTI

S 28. Ad attuare questo programma occorreva però, che lo spirito
religioso fosse illuminato, e noi dimostrammo che così era ; perchè
altrimenti la fedeltà alla Chiesa avrebbe facilmente degenerato in
un ossequio tutto personale e fanatico verso i suoi ministri. Per
contrario i perugini, senza discostarsi mai dalla Chiesa, come
centro delle loro tendenze religiose e politiche, seppero a quando
a quando profiltare anche dell’ Impero; e se udiamo il Bartolo,
dobbiam ‘credere, che assai più del protettorato della Chiesa, i
perugini avrebbero amato quello di un Impero colla Chiesa alleata,
come fu l' impero di Costantinopoli, o quel d' occidente con Carlo
Magno e alcuni de’ suoi successori. ll disegno politico era allora
compiuto, perchè le città italiane avrebbero potuto prosperare sotto
l'usbergo di una doppia autorità, quella morale della Chiesa e
quella temporale dell’ Impero (1). E, secondo l'insigne giurista,
fu proprio colla prostrazione del romano impero, che venne man-
cando ai popoli l'alto — dominium in temporalibus —.

Dalle quali considerazioni risulta, che per i perugini, come
per altri popoli italiani, il tenere le parti della Chiesa non fu
opera di setta, ma di vero partito politico. Già il Bartolo aveva
osservato che i nomi de’ Guelfi e dei Ghibellini significavano af-
fectiones hominum (2). E noi aggiungiamo, che la profonda af-
fezione alle libertà interne con un modesto orizzonte di influenza po-

(1) BaRTOLO — Trac. De represaliis — Represaliarum materia nec frequens nec
quotidiana erat tempore quo in statu debito Romanum vigebat imperium ; ad ipsum
enim tanquam ad summum Monarcham habebatur regressus, et ideo hanc materiam
legum Doctores et antiqui juris interpretes minime pertractaverunt. Postea vero peccata
nostra meruerunt quod Romanum imperium prostratum jaceret, et Reges et Principes
ac etiam civitates maxime in Italia, saltem de facto in temporalibus dominium non
agnoscerent, propter quod de iniustitiis ad superiorem non poterat haberi regressus,
coeperunt represaliae frequentari, et sic effecta est frequens et quotidiana materia. —
Questo concetto é chiaramente espresso anche nella Rub. 473 dello Statuto, Lib. T, là
dove si dice che i Ghibellini confidavano in fortitudini temporali militum et armo-
rum, ei Guelti i» rationibus.

(2) BanTOLO — Trac. De Guelphis, ecc. — Dico, si plures sunt unius affectionis,
vel si quis adhaeret uni affectioni, non propter bonum publicum, sed propter pro-
priam utilitatem vel ut alios opprimat, istud est simpliciter illicitum, et sic hoc invi-
cem convenerint, esset punibile, quasi contrahentes societatem in poena innocentium
(86). Che se poi — est una pars in civitate tendens principaliter ad. bonum publi-
cum, ut civitas recte et quiete gubernetur, nec tamen posset adversariis resistere, nisi
sub ano partialitatis nomine, et tunc puto talem affectionem et partialitatem commu-
niter esset licitam. Sicut enim ad tuitionem rerum licet congregare amicos, ita multo
magis ad. tuitionem publicam (S 8). xi

RE

E cou. CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 277

litica guidava preferibilmente al guelfismo; e con tale intendimento
il parteggiare era lecito, non era opera di settari (1). Certo una ,
città, la quale avesse potuto fare a meno è dell’una parte e del-
l’altra, avrebbe fallo bene à seguir l'esempio di Treviso, dove
era dato il bando ai ciltadini se si chiamavano guelfi o ghibellini,
o l'esempio di Belluno dove tale divieto fu imposto dalla Repub-
bliea Veneta. Ma Venezia poleva e doveva per le sue peculiari
condizioni politiche e per l'ordinamento della sua potente aristo-
crazia, fare a meno di questi partiti; mentre le altre città d'Ita-
lia non potevano, come si esprime il Bartolo, resistere ai loro
nemici nisi sub uno partialitatis nomine.

Solo, come abbiamo più sopra accennato, quante volte l'utile
pubblico lo ricercava, i perugini eran destri a profittare anco
della benignità dell’impero, e ciò si vide a’ tempi di Carlo IV (2).

Concludiamo: che il concetto politico generale, che presiedette
alla organizzazione della repubblica perugina, fu di combinare il
principio democratico di libertà col protettorato della Chiesa; e
il concetto politico particolare fu quello di organizzare una Con-
federazione di città sotto quel protettorato. —

8 29. Su quest’ultimo concetto politico vogliamo indugiare al-
quanto, perchè ci sembra degno di essere attentamente studiato.

Anzitutto è da osservare, che le terre dell’ Umbria e molte
della Toscana attratte dalla fama di quel popolo cosi prudente e

(1) Anche in questo punto dell'opera del BarroLo vi è coincidenza collo Statuto,
il quale pure alla Rub. 473, Lib. I, parla dell’affectio, che da antico tenne unita la città
di Perugia alla parte Guelfa.

(2) E notevole nel BARTOLO la sottile teoria dei Guelfi e Ghibellini di origine o di
convinzione. Egli costruisce una teorica fondata su ragioni di giustizia e di equità per
combattere il sistema dello Statuto pisano (e poteva aggiungere, di altri moltissimi)
perla quale teorica un ghibellino di origine non deve per questo esser colpito dalle leggi
restrittive della sua città emanate in odio o in sospetto dei Ghibellini. Egli biasima il
costume di compilare degli elenchi di coloro, qui tatis affectionis esse dicuntur ; quod
tamen odiosum. et contra aequitatem, est (816, Trac. De Guelphis, ecc.). — Il BARTOLO
pero.non é qui punto imparziale ; e mentre fulmina lo Statuto pisano per le sue leggi
restrittive contro i Guelfi, dimentica che anche in Perugia tali leggi erano state fatte
nel 1316 e nel 1326 contro i Ghibellini, e i discendenti dai Ghibellini, e che tal qualità
poteva essere provata col mezzo di 6 testimoni (Vedi Cronaca GRAZIANI). — In altri
luoghi con una forse eccessiva sottigliezza legale dimostra che si può essere Guelfi
in una città Guelfa facendo l'utile di lei, mentre si è nati Ghibellini, e tali siamo nella
città nostra. Lunga poi e abilissima è la parte del trattato, ove studia per quali cause
si può mutare affectionem. partialitatis, ma. questo passo fu da noi per intero già
riferito al S 25.
278 0. SCALVANTI

così illuminalo cercarono più volte di rimettere nelle sue mani
il protettorato de’ loro comuni e la. scelta de'loro officiali. Così
nel 1180 si sottomette a Perugia Città di Castello, nel 1188 Gub-
bio, nel 1189 Castel della Pieve, nel 1189 il Marchese Ugolino
Del Monte (1), nel 1200 Nocera e Sarteano; poi nel 1202 Foligno
stringe lega coi perugini, Nocera, Monte Gualandro, Castel Nuovo,
Santa Maria « de Perelle » ed altri luoghi si danno all'alta si-
gnoria di Perugia; nel 1208 Gualdo, Castel Fossato, Valfabbrica,
e l’ Isola Polvese ricorrono del pari sotto la protezione dei peru-
gini. Poco slante a loro si riunisce il Castel di Val Marcola per
opera di Gualtieri di Ranuccio di Malguardo (1216), e la terra di
Montone; e Perugia nel prendere queste terre in accomandigia
cerca stringere più fortemente i vincoli di una lega Guelfa, che
al tempo stesso non destasse sospetti negl’ imperatori (2). Nel 1218
Cagli, molestata dai popoli vicini, si dà a Perugia, accettando la
condizione che non si faccia. guerra nè contro il Pontefice, nè
contro l'Impero, né contro il Popolo romano; in seguito la Re-
pubblica riesce a concludere una lega potente fra Todi, Foligno,
Gubbio e Spoleto; nel 1250 ritorna in sua protezione Caste] della
Pieve. Poco dopo Perugia puó aggiungere al suo dominio anche
le terre dei signori di Poggio di Manente (a. 1258). I Papi am-
mirando allora l'opera unitaria di Perugia la. favoriscono colla
cessione di Gubbio, cui si riferisce il Breve di Alessandro IV

del 1258. Più tardi nel 1289 Spello domanda la protezione dei pe--

rugini; e il loro esempio è seguito da Sassoferrato nel 1297, da
Cannaja nel 1290, da Gualdo di Nocera nel 1298. Le castella’ e
ville di Assisi si uniscono alla repubblica perugina nel 1819 con
miti condizioni; lo stesso fa Cerreto, ottenendo pe’ suoi abitanti
la civilitas perusina con la condizione di un annuo censo. In se-
guito Sarteano, Montepulciano e Chiusi invocano da Perugia la
nomina dei loro Podestà (a. 1355). Ed è grandissimo poi il numero
dei perugini, che furono chiamati nelle più cospicue città d’Italia a
rivestire cotesto altissimo ufficio.

Se non che le tristi vicende di Perugia verso la fine del se-

(1) Vedi Bollettino di Storia Patria per V Umbria — Vol. I, fasc. T.
(2) Infatti negli Atti riguardanti le leghe o sommissioni vi è sempre la formula,
che non si debba muover guerra né al Papa, né all'Impero.

M MÀ M Á— ÁÀ CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 219

colo XIV le tolsero di proseguire questa grandiosa opera di con-
È centramento politico; e fu sventura, perchè la costituzione di
1 una forle repubblica nel centro d' Italia avrebbe giovato assaissimo
| alla pace, e forse, a suo tempo, impedito il consolidarsi della si-
gnoria di Carlo V, che fu il peggior malanno della nostra patria
| e la causa del suo lungo servaggio.
P Ma. non appena Perugia ebbe nel 1378, concluso la pace
: con Papa Urbano, e si poté credere che fosse pace durevole, le
città tornarono spontaneamente nella obbedienza di lei; e così la
vediamo ampliare il dominio con Castel della Piscina (a. 1379),
con Bevagna (a. 1318), che cerca aiuti in Perugia per porre mano
alle sue fortificazioni. Nello stesso mentre i Marchesi Del Monte, ,
i Varani di Camerino (a. 1379), Spoleto (a. 1380), Orvieto (a. 1381)
e Montecchi (a. 1382) o sollecitano di entrare in lega con Perugia,
o si danno alla sua protezione. E quale avvedimento politico e
i nei perugini di quel tempo! Essi accettano le sommissioni, ma
non dimenticano, che il porro unum et necessarium è quello di
vivere in buoni accordi colla Chiesa, e perciò negli atti di som-

-

E missione o nei capitoli delle alleanze ricorre sempre l'obbligo
| imposto alle città sottomesse ‘o recomendate di non altentare
L alle convenzioni intercedute fra Perugia e il Papa nel 1378.

SE , Il Pellini, sebbene così parco nei giudizi, narrati gli ac-

cordi fra Perugia e Orvieto del 1381, così giustamente si esprime :
— « Da ciò si può conoscere di quanta autorità fossero i peru-
gini, e quanto dai loro vicini fosse stimata la loro amicizia e
protezione; e dall'altra parte si può comprendere, quali fossero

a lì trattamenti, che essi facevano ai loro amici e confederati; poi-
chè gli alletlavano ad esporsi volontari ad una amorevole sog- | “al

gelione; prerogativa che sicome rende amabili, ammirabili quei
che la tengono, così fa che vivano in pacifica quiete le città, le
provincie, i regni e le monarchie, e che i popoli godano di quel
frutto del buon governo, che solo può mantenere in piedi gli stati
e in unione il mondo tutto » (1).

; E il diligente storico ha ragione. Perugia seppe veramenle
attrarre le vicine città nell’orbita della sua politica; ma le sarebbe

(1) Hist., Vol. I, pag. 1271.

LÀ O. SCALVANTI

venuto fatto, se non avesse avuto riputazione di libertà e
gezza?

$ 30. Aggiungasi che altissimo e continuo fu il magistero di pace,
che la Repubblica esercitò. E impossibile raccogliere in breve
anco i principali casi, in cui ella fu invitata a spendere la sua au-
torità per la conservazione della pace; ma pure non possiamo
rinunziare a ricordarne alcuni. Nel 1266 i Todini eccitati dal Papa
a ricorrere al suo arbitrato in certe loro contese con alcune terre
vicine, non muovono passo senza aver prima interpellato la Re-
pubblica e averle chiesto degli ambasciatori da inviare a Roma.
L'anno di poi, essendosi in un tumulto avvenuto in Città di
Castello uccisi alcuni perugini, i Castellani inviano tosto am-
basciatori a Perugia per scusarsi del falto e chiederne am-
menda. Al quale contegno non si assomiglia quello di alcuni
Stati moderni di qua e di là dall'oceano, e dove gl' italiani si
uccidono, magari col barbaro sistema del linciaggio, senza che
si muovano delle ambascerie per sedare le vertenze. Nello stesso
anno gli Aretini rimettono alla saggezza di un arbitro pe-
rugino, che fu Gualduccio di Giacomo degli Oddi, la risolu-
zione di una loro controversia colla Répubblica (a. 1267), la
quale nel 1273 siede arbitra per comporre alcune differenze fre
il Duca di Spoleto e i cittadini. E mentre nel 1276 i perugini
si affaticano a sedare le discordie fra Nocera e Foligno, fra Foli-
gno e Montefalco, fra i signori di Chiusciano e gli abitanti di
Rocca S. Lucia, mandano a Todi per comporre le vertenze sorte
fra vari ordini di cittadini, ed entrano mediatori in una grave
disputa fra i signori di Camerino e i Folignati. Più tardi il loro
ministero di pace è invocato per le fazioni dei Monaldeschi. e
Filippeschi in Orvieto (a. 1282); e udita la voce di dissensioni
interne a Todi, ad Arezzo e Narni, vi mandano ambasciatori per-
ché le compongano (a. 1287). Perfino i milanesi, giusta quanto ci
narra il Corio, al tempo di Otto. Visconti (a. 1287) chiesero, vo-
lessero i Consigli perugini eleggere un Podestà per Milano. E a
chi paresse strano che quella potente repubblica rimettesse la
scelta di un suo Podestà ai Consigli perugini noi risponderemmo,
che la verità di questò fatto è accertata non solo dalla parola
degli storici milanesi, ma anco da ciò, che, sull’esempio di Mi-
lano, altri popoli praticarono a breve distanza di tempo. E alle-

z

OLEI Es.
VLAN A sie

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 281 :

gheremo il fatto dei cittadini di Todi, che nello stesso anno 1987
chiedono al Consiglio perugino di eleggere il loro Capitano. Né
deve far meraviglia, dopo il già detto, che nel 1988 i consoli
della Repubblica fossero eletti arbitri per le cortese fra Orvieto
e Todi e il Castello di Monte Marte, e che i perugini venissero
ricercati per rimetter pace fra Todi e Narni (a. 1290); il qual
fatto si rinnova per molti popoli dell’ Umbria nel 1298. Notevole
è la espressione contenuta nel documento, col quale i Todini chie-
sero nel 1293 l'intervento di Perugia nelle loro discordie. — « Quare
affeetuose rogant, quod prudenter, ac sine mora, per commune
Perusii, qui Medicus verus est, hec plaga valeat liberari » (4).

Che più? Gli Anconitani nel 1311 chiedono ambasciatori a Pe-
rugia per comporre le loro vertenze col Marchese della Marca;
e nello stesso anno, per opera della Repubblica; si conclude
la pace fra Città di Castello e Federigo Conte di Montefeltro, fra
! Duchi di Spoleto, fra le fazioni de’ Guelfi e Ghibellini in Monte-
faleo e più tardi nel 1320 in Spoleto, e fra Nocera e Castel della
Pieve. Ed ora la Repubblica invia ambasciatori a Chiusi, ove le
sommosse popolari minacciano la quiete pubblica; ora, sebbene
abbia da sostenere una guerra contro Assisi, protegge Cortona
contro le pretese del Conte Azzo di Sarteano (2), e si adopera
efficacemente per metter termine alle contese, sorte in Orvieto per
causa de’ Monaldeschi. Più tardi la vediamo per ben due volte
mediatrice fra il Conte di Montefeltro e Galeotto Malatesta di Ri-
mini (a. 1381); e nell'anno stesso fra il Vescovo di Gubbio e
il signor di Fabriano, e perfino mandare ambascerie a Firenze
per procurare vi cessassero i disordini interni. Due anni dopo
Perugia attende a far pace onorevole con Città di Castello, raffer-
ma la lega coi Marchesi Del Monte, riceve in protezione Mon-
tecchi, castello del territorio di Assisi, ed è chiamata ad. eserci-
tare un ministero di concordia in Castel della Pieve (a. 1988). E fu
sventura che come riusciva in questo ministero di pace presso gli
altri popoli, altrettanto non riuscisse ad esercitarlo con efficacia
per sedare le sue discordie interne.

(1) PELLINI. — Op. cit., pag. 312.
(2) E il PELLINI nota — Ciò fece per provedere et mantenere insieme la dignità
e reputazione della Patria, che era come madre e protettrice di tutte le città e terre

di queste parti (Hist., pag. 456, Vol, I). 19
282 i O. SCALVANTI

E quali prove più luminose della considerazione, in che erano
tenuti i perugini, del contegno, che con loro usarono un Lodovico
di Ungheria (1), un Fra Moriale (2) e i Reali di. Napoli (3) e i
Visconti di Milano e la Repubblica Veneta (4), e va dicendo?
Del resto Perugia meritava: la stima e la considerazione delle
repubbliche e dei principi, perchè potente e fida nelle alleanze.
Vedasi infatti com'essa mantiene i capitoli della lega nel 1326 verso
Castel della Pieve, nel 1327 verso Arezzo, nel 1350 verso i Fio-
renlini. Anche quando le discordie interne non le avrebbero con-
sentito di correre in difesa delle terre datesi alla sua protezione,
ella non badava a sacrifici per compiere il proprio dovere.

$ 31. E dopo ciò, domandiamoci se Perugia possedeva le con-
dizioni per attuare il concetto politico di una forte federazione di
repubbliche nel centro d’Italia. Chi può dubitarne? Ella aveva
potenza e senno; la potenza che deriva non solo dal valore delle
armi, ma, come avrebbe detto il Guicciardini, dalla prontezza det
danari, e dall'autorità conquistata nelle scienze e nelle arti; e il
senno, che le derivava dalla tempra degli abitanti, dalla cultura
e dalla lunga esperienza delle politiche faccende. E ciò è ampia-
mente dimostrato dal fatto delle numerose sommissioni, che fecero
spontaneamente tante città e terre a Perugia; la quale adunque
possedeva i primi e sostanziali elementi per dirigere l’opera uni-
taria tra le repubbliche a lei vicine. E non fa quindi meraviglia se
la liberazione di Perugia avvenuta nel 1372 fu oggetto di pubbliche
feste dovunque, nella vicina Firenze, come nella remota Milano.

(1) Vedi le lettere del Re Lodovico al Magistrato di Perugia, nelle quali narra
l'acquisto del reame di Napoli compiuto dopo 80 giorni dalla sua partenza di Unghe-
ria, e avverte i Perugini di aver licenziato il famoso capitano Guarnieri con giura-
mento che non avrebbe preso soldo dai nemici del Re, de’ Fiorentini, dei Perugini e
dei Senesi.

(2) Fra Moriale, strenuo capitano, dopo le sue vittorie venne a Perugia e do-
mandò tre ambasciatori per inviarli al Re di Napoli onde accordarsi con lui (PELLINI
— Hist., Vol. I, pag. 946). |

- (3) La regina Margherita vedova di Carlo Re di Napoli e madre di Ladislao, in-
viava a Perugia ambasciatori per annunziare il matrimonio del figlio. con la princi-
pessa. Costanza.

(4) A non parlare dei prestiti, che fece più volte Venezia a Perugia e dei quali
dovremo trattare in seguito, veggansi nell’Arch, delle pergamene le lettere dei Dogi
al Magistrato, ora per annunziare la loro esaltazione al trono, ora per partecipare i
fatti più memorandi di quella repubblica, come avvenne nel 1381, quando Venezia
concluse la pace con Genova, e nel: 1380 quando riacquistò Chioggia.
RAS ig EIS

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 283

- 8 32. Oltre a ciò, ella non solo non intendeva a isolarsi dai grandi
centri politici, ma coll’unione alla Chiesa cercava di mettersi in
condizione da imprimere energia al movimento unitario da lei
vagheggiato. E poichè'un tale disegno ebbero tutte le tirannidi,
giova considerare che Perugia non esercitò mai tirannie; e volle
che la federazione delle repubbliche si facesse. tenendo a base
dell’edificio politico la libertà. Difendere la libertà comune, ecco
il fine che essa si proponeva, e non già quello di immolare Ja li-
bertà altrui alla propria grandezza. Date queste condizioni, e ri-
flettuto che al raggiungimento di cosi alto scopo Perugia spiegava
un'allività, un'energia e direi un entusiasmo inestimabile, noi
dobbiamo concludere, che se non riusci a consolidare questo di-
segno, non fu colpa sua, ma dei soverchi ostacoli, che da ogni
parte insorgevano, e che a poco a poco la trassero all ultima ro-
vina. Ma fu lunga e non ingloriosa la lotta, talehè non è punto
vero quello che lo Selopis diceva, aver gl'italiani conquistato la
libertà, ma essersi presto stancati di difenderla (1). — È questa
un’avventata sentenza, perchè, se è vero che il regno della libertà
turbarono le guerre intestine, i malumori di parte, è pure indubita-
bile, che i comuni difesero sempre i loro liberi ordinamenti, quando
col senno de’ loro uomini di stato, quando col sangue dei citta-
dini. Se lo Sclopis ricorda con entusiasmo il giuramento del Gru-
tli del 7 novembre 1307, e leva a cielo i Farst, i Stauffacher
e i Melchthal, che ebbero ragione della tirannide de'baglivi im-
periali, noi ben sentiamo di partecipare al suo entusiasmo; ma
non si meíta in dubbio l'epopea grandiosa dei comuni italiei e
la loro tragica fine. Ben altri nemici ebbero coteste gloriose re-
pubbliche, ben altri allettamenti guidarono su questo suolo incan-
tato gli stranieri dominatori. I Comuni colla loro grandezza me-
desima, colle loro arti fiorenti, colle opere monumentali che eres-
sero, colle scienze che coltivarono, vennero fabbricando la loro
rovina; imperciocchè quanto più bella rendevano quest Italia,
bellissima per sorriso di natura e di cielo, e tanto maggiore era
il morso dell'appetito di dominarla nei potenti signori di Europa.

Pertanto il complesso di ragioni psicologiche, storiche, politiche,
che indusse la Repubblica perugina ad abbracciare il guelfismo, il

(1) Storia delia legislazione, Vol. I, cap. IV.

-
984 O. SCALVANTI

quale svolgevasi in mezzo ad un popolo di intelletto colto e di
animo prudente, doveva contribuire a mantenerla lungamente
nello scelto indirizzo. Ed è questo che dà una nota caratteristica
all'istoria perugina, e appresta larga materia di studio al pensa-
tore che volga la mente all'esame degli statuti di questa città.

$ 33. Storicamente la persistenza dei Perugini nel tenere le
parti del Papa, pure al Papa ribellandosi quante volte venisse da
lui minacciata o manomessa la libertà e la giustizia, si dimostra
in brevi cenni.

Da poco si erano i Perugini accordati con Papa Inno-
cenzo III circa le franchigie della loro libertà, che venne Fede-
rigo II a sconvolgere la quiete d’Italia. La potenza sua distolse
molte città dal rimanere fedeli al Pontefice; e così il grande edi-
ficio della Lega stabilita fra Perugia e le più forti città dell’ Um-
bria venne a sfasciarsi, e al Papa restarono solo poche città tra
le quali Perugia. Essa si mantenne fedele al guelfismo, e l'Im-
peratore se ne vendicò togliendole Castiglione del Lago (1). Ciò
avveniva nel 1228. Ma non appena nel 1234 Federigo II di ritorno
da Gerusalemme passò dall'Umbria devastandola, Perugia, Spo-
leto e Orvieto si occuparono tosto di rimettere la parte guelfa in
Todi e Foligno. E quando tre anni dopo, e cioè nel 1237, Perugia,
Todi, Foligno, Gubbio e Spoleto di nuovo si collegarono in un'al-
leanza offensiva e difensiva, si trovarono concordi nello stabilire,
che si dovesse fare eccezione solo nel caso, in cui da taluna delle
città alleate volesse farsi guerra o alla Chiesa o alla Città di
Roma. Dell'Impero non se ne parla «più, poiché in quel tempo
Federigo stava misurando le sue forze colla seconda lega Lom-
barda protetta dal Papa, contro il quale l'imperatore determinó
di rompere le ostilità. Una nuova lega più estesa si compose
nel 1258, e lega Guelfa fu detta. Vi parteciparono Perugia, Mi-
lano, Parma, Bologna, Firenze, Lucca, Faenza, Orvieto, Orte,
Spoleto, Toscanella e Narni, avendo a fronte la lega Ghibellina
di Genova, Pisa, Ferrara, Siena, Arezzo, Foligno, Todi, Viterbo
e Amelia (2). E fu pochi anni dopo che Perugia ebbe un nuovo
officiale, il Capitano di parte Guelfa, introdotto, come vogliono

(1) PELLINI — Hist., Vol. I, pag. 245.
(2) Id., pag. 260,
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 285

alcuni storici, nel 1266, (1). Alta affermazione di guelfismo fecero
poi i perugini, statuendo che Guelfi dovessero essere i Priori e i
Camerlenghi, e che nessun cittadino potesse ricevere cariche in
cillà rette da Ghibellini (2). Ma della persistenza dei perugini
nell'alleanza colla Chiesa. bastino questi pochi cenni, perocchè
avremo occasione di parlarne anche in appresso.

GAPOSPVS
Dei rapporti politico-giuridici tra Perugia e la Chiesa.

S 34. Fra i rapporti giuridico-politici, che intercedeltero fra
Perugia ela Chiesa sono senza dubbio compresi quelli gzurisdisto-
nali, e quindi dovremmo trattarne insieme agli altri. Mala materia
delle giurisdizioni e in Perugia, e direm quasi in tutti gli altri
Comuni d’Italia, ha tale importanza da non potersi confondere
col trattato generale dei rapporli giuridico-politici. Quindi è che
ci sembra miglior partito farne oggetto di studio in una speciale
Sezione di questo Capitolo. Il quale perciò. resta distinto in due

(1) Stat. perug., Lib. I, Rub. 473. « Cum Perusina civitas antiquitus ghelfa fuerit
et ghelfam partem per affectionem servaverit foverit et tutata fuerit, et singulis an-
nis Capitaneus partis ghelfe in generali publicatione officiorum dicte civitatis publi-
catus fuerit, ne publicatio predicta irrita videatur congruum visum fuit inserere unde
pars ghelfa et gebellina emersere. .... Qui (capitaneus) in exigentibus partis ghelfe
negociis ad dictam partem tutandum et conservandum insurgeret et caput et dux .
omnium civium esset, ad quem omnes confluerent. Qui in quolibet generali consilio
dicte civitatis interveniebat, aderat colationibus et symposiis domin. prior. et camer.
et quolibet generali luminari unam faculam cere ponderis trium librarum habebat et
liram auream ghelfam partem indicantem super berretum portabat». — La reverenza
poi dei perugini é attestata in questa Rubrica anche dal passo, in cui si dice che Pe-
rugia deve esser guelfa — ut ab antiquo nobilissimoque Perusinorum sanguine non
degeneret. — E che questa Rubrica si trovasse nello Statuto prima della metà del
secolo XIV crediamo averlo dimostrato nella nota al 8 26.

(2) Di questa legge non parlano le Cronache del GRAZIANI e. dell'ANONIMO, né gli
Annali dell Oppri — (Vol. I, Archivio Storico Italiano e Memorie. Storiche, edite da
FABRETTI, 1887). — Invece la Cronaca del Graziani all'anno 1326 narra, che in quel
tempo (essendo feroci contese fra Guelfi e Ghibellini) fu sancito, che nessun discen-
dente da Ghibellini potesse avere ufficio alcuno né accettarlo; e a provare che si fosse
discesi da Ghibellini bastavano 6 testimoni di pubblica voce e fama. Ora come si spiega
il silenzio delle Cronache e degli Annali sull interdizione del 1316 riferita dal PEL-
LINI? Equivoco non può esistere, perché lo stesso PeLLINI ha fatto cenno all'anno 1316
della interdizione fulminata contro i Ghibellini. Piuttosto é da credere che la legge del
1326 fosse ‘un’ estensione di quella del 1316, e come allora la interdizione colpiva i
soli Ghibellini, fu poi estesa anco ai discendenti, e venne determinato il modo di
provare cotesta qualità, 986 O. SCALVANTI

sezioni: 1.8 Delle varie forme della supremazia della Chiesa;
2.a Della giurisdizione.

SEZIONE l.
Delle varie forme della supremazia della Chiesa.

8 35. In questa Sezione noi dovremo esaminare anzitutto il
concetto del Protettorato della Chiesa, e quindi le sue trasfor-
mazioni. Perciò utile si chiarisce subito una partizione della in-
tricata materia in vari periodi, che stabiliscano i gradi di tali
mutamenti. Noi abbiamo dimorato molto incerti su. ciò; chè in
una storia e per vicende politiche e per successione di pubblici
ordinamenti svariatissima, è malagevole assai creare delle parti-
zioni che corrispondano alla realtà. Pure, dopo avervi molto me-
ditato, ci è parso che la storia delle varie forme della supremazia
ecclesiastica in Perugia, potesse dividersi in questi periodi: — Pe-
riodo I. Del protettorato della Chiesa (Dal pontificato di Inno-
cenzo III, fino al trattato del 1370). — Periodo Il. Dell’ alto .do-

- minio della Chiesa (Dal trattato del 1370 a quello del 1992 con
Bonifacio IX). — Periodo III. Della lotta per la Signoria della
Chiesa (Dal trattato del 1392 al pontificato di Paolo III). — Pe-
riodo IV. Della Signoria della Chiesa.

Il periodo III abbiamo volentieri intitolato — Della lotta per
la Signoria della Chiesa — perchè in verità il tratto dal 1393 al
1535 non è che una alternativa di oppressioni e di riconquistate
libertà. I perugini hanno perduto una parte di autonomia, ma la
loro repubblica esiste e tratta col Papa come da potenza a potenza,
e dètta condizioni nello stesso atto che si sottomette alla Chiesa.
Il periodo meno eroico, se vogliamo, malgrado i grandi capitani
che.lo illustrarono, ma certo più luminoso e forse più utile a
studiarsi per verificare con quanto senno, coraggio e tenacità di
volere i perugini difesero fino agli estremi la loro libertà.

Periono I. — Del protettorato della Chiesa (anni 1198-1370).

8 36. Abbiamo visto che per la mente dei perugini non doveva
spettare ‘alla Chiesa che il protettorato, in cui comprendevasi
una missione di pace. Ognuno intende che nei rapporti fra Pe-
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI

rugia e il Papato dovè generalmente constatarsi una duplice ten-
denza; per parte della Repubblica, a conservare entro i suoi limiti
l'ufficio del Protettorato; e per parte della Chiesa, la tendenza ad
esagerarne le funzioni per guisa da farlo tralignare in una vera
e propria signoria. i

Certo anche il rapporto di accomandigia traeva seco la ne-
cessità che i capi della Repubblica dovessero anzitutto guarentire
la libertà ecclesiastica, e quindi giurare ossequio alla Santa Sede.
E su ciò è da fare una considerazione, secondo il nostro mo-
desto avviso, importantissima.

Se noi prendiamo ad esaminare la formula di giuramento
del Podestà pubblicata dal Fabretti (1), e che con molta probabi-
lità & integralmente quella dello statuto del 1279 e dei precedenti;
e se consultiamo anche l’altra contenuta negli statuti editi nel se-
colo XVI (2), restiamo sorpresi di non veder fatta alcuna allu-
sione al giurameuto di fedeltà verso la Chiesa. Forse che tal giu-
ramento non prestavasi? Ciò sarebbe inverosimile, se anco non
fosse pienamente smentito dal documento da noi rintracciato nel-
l'Archivio municipale, e che ha particolare importanza essendo
dei primi del secolo XIII. Abbiamo riscontrato infatti che nel 1236,
ai dì 5 di dicembre, il Podestà di Perugia prestò giuramento ad
Alatrino suddiacono e cappellano di Papa Gregorio IX, nel quale
si obbligò di serbare intatti i diritti del patrimonio di S. Pietro
in Toscana e nell’Umbria, e mantenerli nella devozione e fedeltà
alla S. Chiesa — salvis communis Perusii et universitatis. privi-
legiis, consuetudinibus, juribus, usibus, jurisdictionibus, libertate;
lenulis personibus omnibus et singulis que quos et quas commune
Perusii et universitas eiusdem hactenus habuit et nune habet (3) —.

Dunque un giuramento di fedeltà si esigeva, e ciò era

‘conforme-al carattere di profettorato, che si dava alla supremazia

della Chiesa. Ma non è senza lieve importanza, che bisogna os-
servare la ragione per la quale di tal giuramento non è parola
negli staluti. A senso nostro, ciò conferma nel modo più evidente

(1) Documenti — Ed. nel 1887.
(2) Stat. perug. — Lib. I, Rub. 3.
(

3) Lib. delle Sommis., Lett. A. — Fra gli atti di giuramento non si può anno-

verare quello del 28 febb. 1210, perché esso è contenuto in un atto di speciali Conyen-
zioni fra Perugia e Innocenzo III,

-
288 0. SCALVANTI

che i perugini tennero a dare al protettorato della Chiesa un ca-
rattere, che nulla potesse turbare la loro politica libertà ; insomma
era come un patto internazionale, un'alleanza, né faceva parte
del diritto pubblico interno dello stato. Con questo non vuolsi ne-
gare, che da Innocenzo III in poi, i Papi non abbiano inteso a
quando a quando di rendere effettivo il loro dominio sulla città ;
e molti esempi di ció abbiamo incontrato nelle nostre Fonti (1).
Ma il pià delle volte il linguaggio dei pontefici durante questo
primo periodo del Protettorato è umile, remissivo. Ed ora esor-
tano il magistrato a restituire alcune case agli ecclesiastici (2); ora
pregano perchè certi beni di monasteri non sieno compresi nello
statuto formato dal Consiglio generale, mediante il quale*gli stessi
terreni rimanevano incorporati al Comune (3), o domandano*aiuto
per causa di guerra (4), o fanno istanza ai perugini perchè si
interpongano per la grazia di un condannato (5), o cercano di per-
suadere il Magistrato a prendere qualche espediente, perché la
progettata costruzione di fortezze non pregiudichi alla libertà della
Chiesa, e non oscuri la fedeltà dei perugini verso di lei (6). E le
dichiarazioni per parte dei Papi di non voler imporre a Perugia
verun giogo di schiavitù, ma di volere anzi favorirla con ogni
sorta di grazie e di privilegi, sono esplicite, eloquenti, efficaci (7).

E se un primo segno di indebita ingerenza negli affari in-
terni volesse ravvisarsi nei Brevi di Clemente IV del 1266, noi
risponderemmo che essi furono emanati in nome del rispetto do-

— (1) Gregorio IX nel 12 marzo 1230 conferma alcune sentenze emanate dai giudici
perugini; Innocenzo IV con sua Bolla dell'8 febbraio 1250 approva alcune vendite di
territori fatte a Perugia; Alessandro IV con Balla del 14 marzo 1259 approva le con-

cordie avvenute fra.le città Umbre; Innocenzo IV. con Bolla del 14 aprile 1253 concede.
‘facoltà di dare tutori, curatori, emancipare, ecc,; Giovanni XXII ed altri pontefici

prima e dopo di lui si ingeriscono nel governo dello Studio e va dicendo. (Vedi Bolle
originali e il Zegesto di esse, che si conserva nel ricco Archivio di Perugia). -

(2) Bolla di Alessandro IV del 28 novembre 1257.

(3) Bolla.di Alessandro IV del 1» maggio 1258.

(4) Bolla di Alessandro IV, 13 gennaio 1259.

(5) Bolla di Alessandro IV, 11 agosto 1259.

(6) Bolla di Clemente VI, del 30 marzo 1349. Vedi anche le Bolle di Bonifacio IX
del 18 ottobre 1392 e dell'8 decembre 1399, nella prima delle quali chiede ai perugini

.di interporsi per la liberaziohe di un suo fratello, e nella seconda li prega affinché

facciano grazia all'Abate Guidalotti di S; Pietro, capo della congiura in cui fu ucciso
Biordo ‘Michelotti.
(7) Citiamo, ad es., la Bolla di Innocenzo VI del 21 gennaio 1354,
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO" LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 289

vuto alle cose pertinenti alla Chiesa. E difatti non è a meravi-
gliarsi, se avendo i perugini violato le ingiunzioni pontificie abbat-
tendo un muro vicino alla Cattedrale, e per questo essendo incorsi
nell’ira. del Papa, che scagliò un interdetto, inviarono amba-
sciatori a Viterbo per chiedere ammenda del loro fallo. Fin qui

le pretese pontificie erano assai giustificate, come fino ad un certo

segno può comprendersi che la Chiesa; la quale godeva quasi
dovunque di larghe immunità per il suo clero, tanto più le vo-
lesse rispettate in Perugia, e perciò inviasse nel 1266 un Auditore
di Rota in questa città con potere di togliere via gli aggravi che»,
fossero stati imposti al clero. Ma non appena questi. confini
richiesti dal concetto della libertà ecclesiastica erano varcati, noi
troveremo dal secolo XIII al secolo XVI i perugini risoluti a
respingere ogni invasione 0 eccesso di potere. Vediamoli nel 1277,
quando il Papa manda loro a chiedere una quantità di pesce del
Lago per il banchetto del giovedì Santo. Lieve è la cagione,
se vuolsi, ma poichè nella richiesta può ascondersi la preten-
sione di un vero dominio, i perugini entrano tosto in sospetto, si
aduna il Consiglio di Credenza o dei Savi. Questo collegio trova
gravissimo il decidere, e chiede sia interpellato il Consiglio
dei 500, il quale alla sua volta manifesta l’avviso, che si debba
convocare il generale Consiglio (1). E la deliberazione è, che il
pesce venga inviato, ma con dichiarazione esplicita che si manda
come cosa della città, non d' altri (2).

S 37. Il protettorato della Chiesa sembrava potersi legittimamente
affermare quante volte Perugia si avventurasse in una guerra. E

(1) I Consigli in quel tempo érano quattro — il Consiglio speciale, il più ristretto,
detto dei Savi della Credenza, eletto dal Podestà o dai Consoli — il Consiglio dei Ret-
tori delle arti, in ogni importante bisogna chiamato a dare il suo avviso — il Cozsi-
glio dei 500 uomini d’arte, istituito nel 1266 — e il Consiglio generale, che era il vero
Parlamento o arringo. »

(2) Saviamente nota il PELLINI — « In che si deve avvertire non solo la. gelosia
della libertà in questo popolo, ma anche la diligenza de' Consigli e con quanta ma-
turità i fatti pubblici si risolvessero » (Vol. I, pag. 292). E notisi clie non era quella
la prima volta che i Papi chiedevano il pesce del lago, perché ho trovato che anche
nel 1259 Alessandro IV lo richiese per la vigilia di Pasqua, Urbano IV nel 1261 pel
Natale e Clemente IV nel 1268 pel giovedi Santo. (Vedi le lettere di questi Pontefici
nel Regesto dei documenti dell'Archivio comunale). Da ciò risulta che quando Gio-
vanni XXI richiese questo tributo, si ebbe ragione particolare di credere, che con ciò
volesse affermare il suo dominio su Perugia.
ORRORE DEDE

290 , "4 O. SOALVANTI

ciò riconobbero i perugini, ma con l'usata prudenza e circospe-
zione seppero tenere nei debiti confini anche questo legittimo eser-
cizio della protezione pontificia. Quando nel 1289 essi ebbero una
contesa coi Folignati, il Papa scrisse lettere per interporre la sua
mediazione. Non si ribellarono i perugini, e fatto Consiglio, man-
darono 24 ambaseiatori ai messi del Papa per esporre le loro ra-
gioni. I messi risposero ehe, avrebbero trattato direttamente col
Consiglio, che finalmente si adunò per udire la volontà del Pon-
tefice, il quale chiedeva che la contesa fosse decisa dai suoi am-

» basciatori. Il Consiglio consentì I’ arbitraggio, ma (ed ecco come

i perugini seppero mantenere il protettorato papale entro i limiti)
conosciuto il responso degli arbitri, non lo accolse e decretò la
guerra (1).

E la gelosta di libertà (che così giustamente chiamavala lo
storico Pellini) si rivela ad ogni piè sospinto nelle istorie, ed
anco per le più lievi cagioni. Ad es. quando nel 1308 era a Chiusi
il cardinale Napoleone Orsino, i perugini, guelfi sempre, gli
mandarono ambasciatori per pregarlo a recarsi in Perugia, non
però come Legato Apostolico; e il Pellini aggiunge « non volendo
essi con la sua venuta pregiudicasse punto alla loro libertà » (2).
E si comprende come Clemente V nel 1310 non si sognasse pure
di imporre, ma pregasse solo i perugini a non far lega colle terre
del Ducato di Spoleto; e si comprende come nel 1346 per essersi
sparsa la voce che il Papa aveva detto agli ambasciatori perugini
in Avignone, che Perugia era immediatamente soggetta alla Chiesa,
poco manco non nascessero gravi tumulti (3). La sola voce che
il Papa avesse proferito delle parole contrarie allo stato della li-
bertà perugina, produceva lutto nazionale (4). Questo avveniva

&

(1) Le conseguenze di questo fatto, meglio che dalle istorie si raccolgono diret-
tamente dalle Fonti, e in specie dalle Bolle pontificie. Ne abbiano viste tre importan-
tissime, colle quali il Papa, al termine della guerra, cerca soddisfare ai Folignati
senza nuocere gran fatto ai Perugini.

(2) Stor. — Vol. I, pag. 351.

(3) Udita quella voce, si fece consiglio generale ove fu ordinato che nessuna
bottega si aprisse finché non si trovava il colpevole, che aveva fatto tale dichiara-
zione. Sembra però che gli ambasciatori fossero trovati innocenti. — Per il quale atto,
scrive il PELLINI, si vede che il popolo non solo non voleva in quei tempi essere im:
mediatamente subietto alla Chiesa, ma non poteva pur sentire d’ esserne tenuto. —
(Ibid., pag. 570).

(4) Vedi nota precedente. 3

1
ge

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 291

nel 1346, e quella grande fierezza e quei sospetti non erano in-
giustificati, imperciocchè i Papi volgessero in mente di render
Perugia tributaria della Chiesa. Lasciamo che l' ingenuo cronista,
notando i fatti del 1368, dica — che Papa Urbano non osó mai mo-
lestarci per privarne di questa felice libertà che noi godevamo (1) —
perché in quello stesso anno fu proprio Urbano V che alleandosi
coi fuorusciti tentò sottomettere Perugia, onde la guerra che nel-
l'anno di poi si accese fra il Papa e i perugini, alleato di questi
ultimi il Visconti di Milano (2). Nè valsero le esortazioni dei
fiorentini, i quali desideravano che Perugia facesse pace colla
Chiesa, a distogliere i perugini da questa guerra (3). Im tutto
quel tempo l’ alterezza dei perugini parve sino soverchia ; difatti
quando l'ambasceria, inviata al Papa per trattare della pace colla
mediazione del Re di Aragona, tornò vana, non son pochi gli
storici che lo attribuirono all’ alterigia degli ambasciatori della
repubblica (4). Ma la ragione unica* era questa, che Perugia
cercava una pace onorata per la conservazione della sua libertà,
e il Papa al contrario imponeva dure condizioni per le quali
il protettorato della Chiesa andava trasformandosi in una si-
gnoria. Così non portò effetto nemmeno l'altra ambasceria, di cui
fece parte l’ illustre giurista Baldo degli Ubaldi (5). Il pericolo per
la libertà è così grave, che ormai perfino i più animosi dispe-
rano di salvarla. E qui veramente si chiude il ciclo glorioso
della repubblica perugina, senza che per questo non dobbiamo
ammirare il tatto politico, di cui i cittadini diedero saggio con-
servando più che potevano delle antiche franchigie.

Pgnuiopo II. — Dell’ alto dominio della Chiesa
(1370 e 1392).

8 88. Travagliata da interne discordie, circondata da potenti
nemici, Perugia dovette scegliere fra la distruzione di sè stessa e

(1) Cronache del GRAZIANI, pag. 209.

(2) Quando fu scoperto in Perugia il complotto dei Nobili alleati del Papa, molti
ne furono uccisi, molti esiliati; di qui la indignazione del Pontefice. I perugini rispo-
sero dapprima umilmente, ma quando seppero che il loro legato per poco non erà
stato tráttenuto prigioniero dal Papa, si aecinsero alla guerra.

(3) PxLLINI — Vol. I, pag. 1048, 1051 e 1053.

(4) Id. — Vol. I, pag. 1066.

(5) Id. — Vol. I, pag. 1077.

*
299 Ò SCALVANTI

un accordo col Papa, che salvasse gran parte di libertà. Il pro-
tettorato finiva, e affacciavasi sull’ orizzonte politico della nostra
repubblica un altro concetto, quello dell’ alto dominio della Chiesa.
Infatti nella pace conclusa il 23 novembre 1370 in Bologna, Pe-
rugia riconobbe signore e padrone il pontefice. — La santa Chiesa
in perpetuo e il Papa in vita sua costituisse 1 signori priori di
Perugia suoi vicarti (1). I perugini si obbligassero a pagare ogni
anno alla Chiesa 3,000 fiorini d'oro. La generale adunanza e
consiglio ordinario del popolo perugino e cento altri uomini par-
ticolari della città da eleggersi per i Commissari pontifici, dovessero
giurare fedeltà al Papa. La repubblica rompesse ogni lega; tornas-
sero 1 fuorusciti; al legato del papa si dessero le chiavi della città. —
Perugia diveniva così un Vicariato della Chiesa. Nelle tristi con-
dizioni del tempo parve un segnalato trionfo, onde le pubbliche
allegrezze che furono fatte in Perugia (2) non ci debbono mera-
vigliare, anche perchè al fine tatto politico dei perugini non po-
teva sfuggire che quella condizione di sudditanza facilmente si
sarebbe potuta togliere. Del resto il concetto del Vicariato era
antico in Italia; e ad esso avevano fatto ricorso gl’ imperatori
come ad uno spediente, onde far rispettare il nome imperiale e
, rendersi ligi i più potenti signori, che venivano per ciò creati
Vicari. Sembra anzi, al dire dello Sclopis, che il vicariato fosse
conosciuto in Italia fino dai tempi della contessa Matilde, trovan-
dosi nelle memorie di quell'età fatto cenno dell’ investitura del
vicariato del regno Ligure, dall’ imperatore Enrico V conceduto
a quella principessa. Gli uffici precipui del vicariato erano; re-

(1) Il concetto del Vicariato fu salutare, perché se no poteva intendersi spenta
la libertà perugina. Infatti nelle Convenzioni del 1379, a confessione dei perugini stessi,
che in occasione della contesa con Paolo III ne scrivevano a Cosimo dei Medici, si
era riconosciuta — la Ciptà de Peroscia esser pertenuta et pertenersi a S. S. e ala
chiesa Romana, in quanto a tre cose sole ; cioé protectione, iurisdictione et governo
— (Reg. Arch. Stor. Ital., pag. 627). — Vedremo in seguito quanto, anche dopo tale
trattato, i perugini lottassero per conservare incolunie la loro giurisdizione e il loro
governo. È certo pero che, fatta la cessione della sovranità, in virtù della retrocessione
per mezzo del Vicariato, le sorti di Perugia venivano ad essere sufficientemente tute-
late. Come del resto interpretassero i perugini il concetto del Vicariato si rileva dal
fatto, che nel 1388 (quando già cotal forma di reggimento era stata accolta) si di-
scusse in pubblico consiglio se doveva richiedersi anche ad Urbano VI, prima di en-
trare in Perugia, Che non attentasse alle politiche libertà della Repubblica. (Vedi nota
als 41). ,

(2) Vedi PELLINI — Vol. I, pag. 1084 e le Cronache già citate.

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CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI

cuperare i diritti imperiali, e conservare un buono e pacifico
stato nelle terre comprese nel vicariato, e muover guerra ai
ribelli dell'impero. Presso a poco il vicariato concesso dalla
Chiesa portava alle medesime conseguenze, e cioè che la Città
dovesse difendere i diritti del Papa, conservarsi in stato di tran-
quillità, e combattere contro coloro che alla Chiesa si ribella-
vano. Ma pure questo vicariato si distingue dall'altro in un
punto sostanzialissimo di diritto. Se noi consultiamo le istorie, si
vede che una forma benigna di vicariato (e perciò recata ad
esempio dagli scrittori) fu quella che Enrico VII-stabilì in Pa-
dova col diploma emanato dal campo di Brescia nel 1811; e gli
storici notano, che con essa il vicariato venne riducendosi quasi
a magistrato popolare. Il Comune ogni sei mesi proponeva all’ Im-
peratore quattro individui, fra cui egli sceglieva quello, che doveva
tenere l'autorità di vicario e rettore di quel territorio. Ora nella
pace conclusa nel 1370 fra la Chiesa e i perugini non si trova
costituito l'obbligo di sottoporre alla scelta del Papa i ovicart. I
priori sono di diritto i vicari della Chiesa in Perugia, la quale
concessione è da tenersi in gran conto, giacchè la storia non pre-
senta molti casi consimili, se ne togliamo la concessione fatta agli
anziani di Pisa da Carlo IV nel 1355, e 1 vieariati del Milanese,
di Mantova e di Savoia (1).

8 39 Ma intanto una grave preoccupazione leneva di mal animo
i perugini, ed era appunto l’ incertezza del Capitolo riguardante la
costituzione del Vicariato, la quale sembrava rimessa all' arbitrio
del Papa in vita sua. I perugini non vollero accettare quel Ca-
pitolo, ma, intervenuta la morte. del Pontefice, il Cardinale che
aveva trattato la pace in Bologna, pur dando ragione alla Città,
dichiarò scaduti i suoi poteri e quindi esser mestieri rivolgersi al
successore Gregorio XI. Perugia spedì subito un’ambasceria, ma
il Papa non volle emettere dichiarazioni, e inviò lettere al Cardi-
nal Burgense in Todi, perchè mandasse tosto un Legato a Perugia
per imporre obbedienza ai cittadini. Questi si ribellano, ma poi
il Consiglio, in odio ai Raspanti, delibera d’ invitare il Cardinal
Burgense in Perugia. per attendere alla riforma del governo

(1) Cons. ScLoPIS. — Vol. II, cap. IT,

L

x
——

294 O, SCALVANTI

secondo il Breve del Papa. Ciò avviene però sotto l’ impero di cit-
tadine discordie, che avevano gettato la città nel massimo di-
sordine.

Il Cardinale giunge, e con astuzia antica ma sempre efficace,
dona al popolo, angustiato dalla carestia, molte vettovaglie. In-
tanto manda il vescovo di Sessa a prender possesso dei luoghi
posseduti dai perugini, elegge vicario di Perugia «il conte Ugolino
della Corbara e licenzia il Capitano del popolo. Il conte fa subito
‘bandi in proprio nome (23 maggio 1371) per impedire si tengano
armi; poi il Cardinale fa costruire delle rocche, muta i castellani,
sopprime il Podestà e gli altri officiali di giustizia sostituendoli
con tre suoi Auditori, due sacerdoti e un laico; e volge in mente
di far costruire una fortezza, che occupi tutta la sommità di
Porta Sole.

I perugini protestano e inviano inutilmente ambasciatori. al
Papa, che elegge Gomesio Albornoz governatore di Perugia nelle
cose delle armi. Il Burgense parte, e lo sostituisce il Cardinale
di Gerusalemme (1). Fu poi legato Geraldo, abate di Montemag-
giore, il quale e pel mal animo dei Perugini verso qualsivoglia
tentativo di oppressione e per le sue prepotenze fu causa dello

E

scoppio della pubblica indignazione, e nel gennaio del 1376 fuggì

da Perugia (2).

8 40. Così la Repubblica riconquistava la perduta libertà; ed è
per la brevità del tempo, in cui il Pontefice ebbe il dominio diretto
della città, che noi non ne abbiamo tenuto conto per incominciare
col 1871 il periodo della signoria papale. Tale fu veramente negli
anni che corsero dal 1371 81.1376, ma la recuperata libertà di
Perugia entro il breve lasso di 5 anni, ci impedisce di conside-
rare quell’ avvenimento, come il principio di un nuovo periodo
storico nei rapporti giuridico-politici fra la Repubblica e la Chiesa
Romana. Tale poi era a quei dì l' importanza di Perugia, che del

(1) Gli atti emanati dai cardinali Burgense e Filippo di Cabassole, patriarca di
Gerusalemme, si trovano nella raccolta del BeLrortI. I più importanti del Cardinale di
Gerusalemme furono provvedimenti annonari, indispensabili per la grande carestia, e
provvedimenti per la proibizione di giuochi, che erano stimolo a violenze tra citta-
dini, e per la persecuzione dei rei.

(2) Vedi la narrazione di questi fatti in PELLINI — Vol. I, pag. 1141, 1147, e €ro-
nache del GRAZIANI, pag. 222 e segg.

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de res DO -— por o - — bons
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E os

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI — 299
suo trionfo sulla Chiesa se ne fecero feste perfino in Firenze e in
Milano; e il Magistrato nello stesso anno della fuga del Legato
ordinò che annualmente si commemorasse il fausto avvenimento,
e che in tale occasione si sospendesse il rigore delle leggi sun-
tuarie relative agli abbigliamenti muliebri (1).

Poco stante il Papa volle trattar della pace colla mediazione
del Duca di Baviera; e i perugini, pel loro guelfismo, dichiara-,
rono esser pronti; ma nel tempo stesso guidati dal loro genio
democratico pretesero che tal pace non violasse alcuna delle loro
libertà. Il Papa invece esigeva un tributo annuo, tribunali presieduti
da suoi ministri, alta giurisdizione negli appelli, ecc., e ad otte-
nere questi intenti andava egli congiurando coi nobili non pure in
Perugia, ma anche in Assisi. | perugini, avendo alleata Firen-
ze (2), rifiutarono coteste gravi condizioni e deliberarono di soste-
nere la guerra.

Pur troppo la resistenza della parte popolare contro | tenla-
tivi del Papa non sortì l' effetto desiderato, ma ciò fu effetto delle
maledette discordie interne, perché se nel 1378 i Nobili, per 'óp-
primere i Raspanti, non avessero congiurato ai danni della li-
bertà, Perugia aveva tali elementi di vita, di potenza e di credito
da vincere qualsiasi pericolo che venisse dal di fuori. Queste
pessime condizioni interne non resero possibile ai perugini di
tornare senz altro all'antico concetto politico del Protettorato,
e tutti i loro sforzi si diressero allo scopo di accettare l' alto do-
minio della Chiesa con quei patti, che fossero acconci a salvare
la libertà della repubblica. I Papi, sebbene decisi ad accrescere
il loro impero su Perugia, pure, vista l'energia dei cittadini, pie-
garono la fronte, e, Urbano VI nel 1378 inviò al Magistrato un
Breve, che in verità fa dimenticare tutto il periodo fortunoso dal
1371 al 1376. È un documento, che di per sè solo basterebbe a
dimostrare l'alta riputazione di politica sapienza e di coraggio,
che la repubblica godeva nella stessa Corte Pontificia. Il Papa si
dirige ai cittadini, deplora che la pace non si sia potuta con-

(1) PELLINI — Stor., Vol. T,-pag. 1163, 1164.
(2) È memoria di un Ranieri de’ Peruzzi, ambasciatore fiorentino in Perugia,
che nel Consiglio generale? disse molte cose contro il Pontefice, mostrando che da lui
era avvenuto che la pace non si fosse conchiusa,
9

-

96 O. SCALVANTI

cludere, e commette alla diserezione loro di trovare viam, modum
et formam. reconciliationis ac pacis (1). Leggendo quel documento
sembra quasi di essere tornati ai tempi del Protettorato. La
Chiesa non chiede altro, che le sia prestato honorem, iustitiam
et debitam reverentiam. Ma ormai il concetto dell' alto dominio
era entrato nelle menti dei pontefici, e a questo concetto non po-
teva rispondere l’ antica idea di libertà, sibbene quella più modesta
del vicariato sussistente coi liberi ordinamenti del popolo.

Era su queste basi che doveva discutersi della pace, e per-
ciò nel trattato del 1378 si trova che Perugia accetta di essere
governo vicariale della Chiesa. Ma, fatta ragione di quest alto
dominio dei Papi, i perugini tracciano un programma di ampia
libertà interna, che si può riassumere brevemente così — resli-

. tuzione dei beni a chi fossero stati conquistati per eccessi nella

ribellione alla Chiesa — governo autonomo per 100 anni — libera
creazione di magistrati e riscossione di tutte le rendite a profilto
del comune — aboliti gli emolumenti regali al Papa —. punito
l'ufficiale «della Chiesa che osasse portare le armi contro la Re-
pubblica — annullate le concessioni di terre fatte dal Papa — re-
stituiti ai religiosi i beni loro tolti durante la guerra — pagamento
di 3,000 fiorini all’anno‘alla Chiesa — libertà a Perugia di far le-
ghe con altri popoli, i quali sebbene alleati del Papa, non si do-
vranno intender ribelli pel caso difendessero Perugia contro le
armi pontificie.
8:41. L'alto dominio è affermato col titolo di Vicariato e col
pagamento del censo annuo; ma d'altra parte quanta larghezza di
concessioni ottiene il tatto politico dei perugini! Basti meditare
sull’ ultimo capitolo della pace. — E ultimamente, che questa pace
non si intenda rotta se non quando alcuna delle parti muova

(1) Ecco il documento — « Urbanus Episcopus, servus servorum Dei, dilectis fi-
liis populo civitatis nostre Perusii salutem et apostolicam benedietionem. Attenden-
tes quod propter diversas malitias et astutias Satane reconciliatio nostra et pax et
concordia inter Romanam Ecclesiam et vos diutius tractata nondum potuit ad efle-
ctum perduci, ac sperantes plurimum de vestra prudentia et discretione, et quod
honorem nostrum et iustitiam et debitam reverentiam dicte Ecclesie matris, ac. Do-
mine vestre servare et custodire studebitis, decrevimus vestre discrectioni committere,
ut viam, modum et formam reconciliationis ac pacis et,concordie reformande iwata
capitula ordinata et per vos ordinanda, studeatis efficaciter invenire, servando ta-
men honorem nostrum aec iustitiam et debitam. reverentiam ecclesie suprad, Datum
Rome; ecc. », (Vedi Bolla orig. nell’*Arch. com, di Perugia).

* .
vot s pete TUN DS UU - E c lan

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 297

guerra apertamente all'altra o vada macchinando qualche trattato
contro alcuna delle terre o fortezze dell'altra parte o tenti di oc-

‘cuparle in qualche modo per sè o per altrui, ma. però che il trat-

tato sia ridotto talmente in chiaro, che non vi sia cosa in con-
trario. — E non basta; chè in tutti gli altri casi di sospetti sì
debbono eleggere due arbitri, uno del numero dei Cardinali ad
elezione del Pontefice, e l'altro a beneplacito dei Priori di Pe-
rugia, i quali sieno tenuti a giudicare se il sospetto è ragione-
vole o no, e di deliberarlo fra un mese; e se gli arbitri non si
accordino, sia di ciò terzo arbitro la Repubblica di Venezia, con
pena di 50,000 fiorini d’oro a qualunque delle parti rompesse la
pace (1). — Togliamo il titolo di Vicariato, e poi veggasi se colla
pace del 1378 non parevano tornati i giorni di Innocenzo III. Per-
fino un doppio arbitraggio doveva regolare le contese fra le parti,
e quale arbitraggio! Quello della temuta e sapiente Repubblica
Veneta.

A completare il disegno della recuperata libertà sotto l'alto

dominio della Chiesa nello stesso anno 1378 fu pubblicata una.

legge, in virtù della quale nessun Cardinale poteva passare o ri-
manere nei territori della Repubblica senza licenza dei Priori e
dei Camerlenghi (2). Ed altra legge fu pure emanata, con cui
proibivasi a un cittadino di andare al governo di altra città, e
avere potesteria, castellananza o tesoreria dai ministri ecclesiastici
senza licenza dei Priori, Camerlenghi e del Consiglio opportuno (8).
Pareva che i perugini non ad altro mirassero che ad asserra-
gliarsi con leggi severe contro nuove invasioni del governo pon-
tificio.

S 42. Date le condizioni dei tempi, la pace del 1378 appariva
essere un capolavoro di civile sapienza. Con essa la fortuna di
Perugia improvvisamente risorse, e noi vediamo nell’anno stesso

(1) PELLINI — Vol. I, pag. 1242.

(2) Id., pag. 1243. Vi è memoria di un Cardinale, che volendo entrare in città
mentre ferveva la lotta colla Chiesa, dovette. promettere nelle mani del cancelliere
del Comune, che in nulla attenterebbe alle libertà cittadine. E fu discusso perfino
nel 1388 in pubblico Consiglio se una simile dichiarazione doveva richiedersi a Ur-
bano VI prima che entrasse in Perugia (MARIOTTI — Saggio, ecc., pag. 486).

(3) Così dicevasi il Consiglio dove intervenivano almeno 8 artefici per ciascuna
arte grossa e 4 per ogni arte piccola, e dove il partito doveva esser vinto a scrutinio
segreto per le due parti.

20
Pagg:

cv serena

298 O. SCALVANTI

della pace 0 poco dopo moltissime terre dell’ Umbria darsi in pro-
lezione dei perugini, o farli mediatori nelle loro contese, o costi-
tuire con essi alleanze. E i perugini si affannano nel predicare '
la pace, nel comporre le vertenze ora tra Città di Castello e i
marchesi del Monte, ora tra il conte Antonio da Montefeltro e
Galeazzo Malatesta di Rimini, ora tra il Vescovo di Gubbio e il
Signore di Fabriano e va dicendo. Essi comprendono che pace
e unione è mestieri possedere per trionfare degli ostacoli piuttosto
remossi che vinti; ed è per l’alta rinomanza della Repubblica, ac-
cresciuta dalle ottime condizioni della pace, che nel 1380 conven-
gono in Perugia ambascerie da Firenze, da Bologna, da Pisa, da
Lucca, da Siena per trattare di comuni interessi. Ma se i peru-
gini eran lieti, non erano altrettanto sicuri. Al loro senno politico
non poteva sfuggire, che quel contegno umile remissivo di Ur-
bano VI era poco conforme al suo carattere rigido e allero. Quindi
la sua benevolenza poteva essere stata effetto di circostanze tran-
sitorie. Egli era salito al soglio pontificale nel 1978 in mezzo a

‘gravi difficoltà; e perciò nello stesso anno della sua esaltazione

aveva stimato opportuno riconciliarsi a qualsiasi patto colla potente
Repubblica. In quell’anno incominciava lo scisma di occidente,
un antipapa eragli stato sollevato contro dai cardinali francesi
convocati in Anagni, quindi egli poteva essere stimolato a cercare
ogni via ed ogni aiuto, che lo rafforzasse sul trono. Ma trascorsi
i primi momenti del pericolo, quale sarebbe stata la mente del
Papa? Avrebbe egli tenuto fede alla pace giurata ?

Intanto.i perugini, che stavano sull’ avviso, poterono com-
prendere che il Papa aveva propositi assai minacciosi; e un po’
per le loro tendenze all’ ossequio verso la Chiesa e un po' per
la loro così finà prudenza politica pensarono di vincerne l’animo
facendolo venire a Perugia (1). E gli mandarono ambasciatori per
invitarlo, ma a condizione che la sua venuta fosse con sicurezza,

(1) L'invito a Urbano VI di recarsi in Perugia fu un atto di politica prudenza,
ma anche di non lieve audacia, Nessun male produsse la venuta del Papa, e perciò
anche in questo atto i perugini non furono inferiori alla loro riputazione di saggezza.
Il pericolo esisteva certo, talché il Papa nulla volle dire agli ambasciatori che si re-
carono.ad invitario ; ma il mezzo scelto per guadagnarne la stima fu ottimo. Altret-
tanto non pensavano gli ambasciatori di Firenze, che appunto nel 1387 trovavansi in
Perugia. Essi dissuasero i perugini dall'attenersi a quella linea di condotta; ma ogni
tentativo fu vano. (PELLINI — Stor., pag. 1949, 1357 e 1358).
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 299

che non si sarebbe alterato nessun ordine nè il governo della
città. Il Papa nulla volle promettere, ma recatosi in Perugia (a.
1388) intervenne al generale Consiglio, e con sorpresa di molti
che stavano in grande sospetto, dichiarò che teneva fermi i capi-
toli della pace; che mai aveva pensato a modificarli, ed anzi per
meglio giovare alla città era venuto in persona.

$ 48. Perugia non paga delle concessioni di Urbano VI, non
appena gli succedette Bonifacio IX cercò di ottenere, che egli pure
venisse ad abitar Perugia; che confermasse tutti i capitoli della
pace conclusa col predecessore, e togliesse il censo che si pagava
alla Camera Apostolica. Chiedevasi poi una più ampia giurisdi-
zione e cioè che si estendesse il Vicariato. — Gli ambasciatori
dovranno, narrano gli storici, far. reverenza al Papa col baciar
del piede, e poi domandargli tutte queste concessioni e altre più che
per brevità tralasciamo. — E chi sa non avessero tutto ottenuto,
se proprio in quel tempo non si fossero rinfocolate le ire tra No-
bili e Raspanti. Tutto era stato sperimentato per sedar le discor-
die, perfino il mezzo di eleggere all’ufficio della guerra e della
pace cinque cittadini, di cui due fossero nobili e tre popolani. Ma
invano; le discordie continuavano, e non v' ha dubbio che i no-
bili favorivano il dominio papale per potere all'ombra delle Sante
Chiavi esercitare in Perugia una vera dittatura, sì come avvenne.
Il fatto è, che scoraggiati i perugini dal continuo ripetersi dei
disordini, fecero accordi coll’arcivescovo Torpiense, Commissario
del Papa su queste basi: — Che al Papa si sarebbero date tutte
le terre a condizione che venisse ad abitare in Perugia, la quale
condizione era sine qua non, di maniera che se il Papa non fosse
venuto a Perugia doveva intendersi risoluto ogni accordo: — Che
le gabelle si riscuotessero dai ministri del Papa: — Che gli sta-
tuti del tempo di Gregorio XI avessero sempre valore, e soltanto
pel tempo in cui il Papa abitava in Perugia avesse egli a cono-
scere le prime e le seconde cause: — Che al Papa si assegnas-
sero tutti i palazzi, quello compreso dei Priori. Nel caso il Papa
partisse e stesse lontano oltre un anno, l’accordo veniva a ces-
sare, e Perugia rimanéva Vicariato della Chiesa in quella forma,
che le fù concessa da Urbano VI. — Ciò accadeva fra l’agosto e il
settembre del 1392. i
Ora, sia pure che l'aecordo fosse temporaneo, e che in caso
Mere n menti aliii ata aride rici ar tni get

TIUS EAR IM n.

da farsi. Ed alla esitazione del Papa rispondeva la diffidenza dei

300 O, SCALVANTI : à

di risoluzione dovesse reintegrarsi il Vicariato, è pure indubita- |
bile che con pubblico documento si ammetteva in Perugia il diretto |
governo papale. Il concetto del protettorato, che in questo se- |
condo periodo si è trasformato in alto dominio, al cominciare del |
terzo periodo accenna a divenir principato. Perugia, stretta da do-
lorose necessità, si era lasciata vincer la mano, e ormai la sua
libertà entrava a combattere corpo a corpo colle pretese di asso-
luta signoria, che la Curia ad ogni poco vantava e sosteneva.

PEniopo III. — Della lotta per la Signoria della Chiesa.
(1398 - 1535).

8 44. Lo stesso accordo fatto con Bonifacio IX rivela la estrema
diffidenza dei perugini; ma non andò guari che si videro i primi
segni di una lotta decisiva fra le due podestà. Non appena il
conte Ghinolfo, Governatore per il Papa, ebbe emanato, nel 1392,
un bando per la revisione di certe cause giudiziarie, i perugini

protestarono e ottennero dal Papa che revocasse l'ufficio al conte,
cui succedette Domenico da Viterbo. Dal canto del Papa pure si
osserva una lal quale esitazione nell'affermare la propria podestà,

ET ias AN

di guisa che volendo provvedere alla quiete della città, riehiede ai 3
Magistrati che si nominino qualtro o cinque cittadini di buona i
condizione e pratici, che si aecordino con lui per deliberare sul |

perugini, che elessero sibbene i consiglieri, ma per il breve tempo
di 2 mesi e colla proibizione espressa, che non potessero in al-
cun modo porre alcuna sorta di gravezza al popolo. Il Papa poi
diffidava talmente della propria influenza sull'animo dei perugini, :
che volendo trattare della pace tra nobili e popolani, mando il
vescovo di Fermo a Firenze per richiedere ambasciatori, confi-
dando i perugini, scrivono gli storici, più in ogni minimo fio-

rentino che in lui, ossia nel Papa. Vennero gli ambasciatori da :
Firenze, e i perugini li elessero arbitri, e fu solo per volontà di E
loro che finalmente tale arbitrato venne affidato al pontefice. Il :
provvedimento di far rientrare i fuorusciti fu fatale pei Nobili, di
cui morì il capo, Pandolfo Baglioni, mentre la parte dei Raspanti,
guidata da Biordo Michelotti, trionfava. Ma se il governo dei no-
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 301

bili, durato 9 anni, non aveva lasciato di sè buon ricordo (1), non fu
senza grave pericolo della libertà che risorse la parte dei Raspanti.
I Nobili esercitarono la dittatura solto l*egida del Papa (2), ma
coi Raspanti si inaugurò l'éra delle signorie: meno colpa degli
uomini che degli eventi. È infatti dai primi del secolo XIV che
quasi dovunque si fondano le tirannie; i D' Este a Ferrara, i Bo-
naccorsi e quindi i Gonzaga a Mantova, gli Scaligeri a Verona,
i Da Polenta in Ravenna, i Da Camino in Treviso, Feltre e Bel-
luno, i Visconti in Milano; Pisa, la rieca e potente repubblica nel
1315 è signoreggiata da Uguccione della Faggiola, poi nell’anno
1344 da Giovanni Agnello, e, proprio nel iempo che noi studiamo
(1392); da Giacomo d’Appiano che la vendette ai Visconti. Padova
così simigliante a Perugia nella fierezza delle sue libere istilu-
zioni e nel rigoglio dei suoi studi, dopo 15 anni di eroica resi-

-

stenza, dovè piegare la fronte al signor di Verona; ciò verso la.

*

metà del secolo XIV. Lucca è prima nella signoria di Uguccione,
poi del Castracani, e se ottiene nuovamente la libertà, egli è per-
chè la compra con 300 mila fiorini da Carlo IV. Genova, la su-
perba, finisce col darsi al Re di Francia. Firenze aeclama signore
il Duca d'Atene, e recuperata la libertà, ha il governo dei Ciompi,

che prepara il sorgere della potenza dei Medici. E tutto questo

avveniva in Italia innanzi che i primi germi di signoria inco-
minciassero a spuntare in Perugia. La qual cosa è notevole, e
si deve in grandissima parte al genio schiettamente e profonda-
mente democratico dei perugini. Se dunque Pandolfo Baglioni

(1) Gli storici e i cronisti prendendo nota della vittoria dei Raspanti, con cui
venne a cessare il governo dei Nobili, rilevano quanto esso riuscisse infesto alla città
— Cronac. GRAZIANI, pag. 259 — « Il reggimento dei gentiluomini era durato anni 9
e mesi 3, cioè dal 1384 fino al 1393 sempre gridando — Mwuoiano i Raspanti — nel
qual tempo regnarono in questa. povera città inganni, rapine, omicidi, assassina-
menti, latrocini, violenze, sacrilegio-e licenza d'ogni male ». — Diciamo pure che in
questo giudizio sia molta esagerazione ; pure è dimostrato, che con tale governo era
difficile si potesse oggimai pregiare il regime di libertà, e si spiega quindi come l'o-
pera sapientemente iniziata nel 1370 e condotta fino al 1378, fosse poi interrotta da
questo sgoverno dei Nobili.

(2) « Il Papa era divenuto tutto loro, e per quanto egli avesse il titolo di signore
della città, in sostanza i carico del governo era tutto appresso di loro e non si fa-
ceva se non quanto da essi si consigliava ». (PELLINI, Vol. II, pag. 46). — E che ve-
ramente fossero intervenuti accordi fra il Papa e il partito dei Nobili si rileva dalle
premure, che Bonifacio IX fece nel 1393 perché ad essi fosse concessa la pace. (PEL-
LINI, Vol. IT, pag. 51).
302 O. SCALVANTI

potè celatamente esercitare una larga autorità in Perugia, e Biordo
Michelotti, sebbene di parte popolare, si atteggiò a signore della
Città, non c'è da stupirsene; ed è piuttosto da rilevare, che as-
sai tardi in Perugia nacquero questi pericoli di signoria.

E che-il Michelotti dominasse in Perugia non v'è dubbio al-
cuno. Biordo, dicono gli storici, fu la suprema autorità, talchè
pareva quasi in lui solo il maneggio e governo della città collo-
cato. ll piedistallo della signoria gli venne innalzato dal po-
polo per la vittoria riportata sui nobili. Il popolo lo creò Cava-
liere; gli fu assegnata in dono pubblico una casa, intorno. alla
quale si deliberò di spendere fino a 4,000 fiorini d'oro, e gli fu
eretta una statua in bronzo, che i furori di, parte hanno distrutto.
Di più ebbe il titolo di Capitano generale con un assegno di 1,000
fiorini d’oro al mese. Non era questo un largo e sicuro piedistallo
per l'assoluta signoria ? (1).

E degli ampi poteri di Biordo nella Repubblica ci piace
citare anche questo esempio. Nel 1379 Biordo richiese i ma-
gistrati affinché volessero decretare a suo favore la restitu-
zione dei beni, che gli erano stati tolti da Francesco di Magio;
e i Priori e Camerlenghi deliberarono di accogliere la domanda
del Michelotti — hoc tamen expresse declarato et reservato,
quod prefatus Biordus non possit nec valeat aliquod de dictis bo-
nis et juribus dictorum filiorum Dom. Francisci concedere nec
dare alicui civi vel comitatensi civitatis Perusii, nec alicui alii.
Et quod dictus Biordus solvat et solvere debeat de dictis bonis
datas. et. collectas tam impositas quam imponendas per Co-
mune Perusii eo modo et forma. prout antea solvere consuetum
pro dietis bonis et rebus, non obstante quod dictus Biordus

(1) Biordo Michelotti, sebbene creato Capitano generale di Perugia, fu lungo
tempo assente, e nel 1394 lo troviamo Capitano dei fiorentini. Pure durante le sue as-
senze, Perugia si governava col suo consiglio e colla sua autorità, sia che fosse
esercitata dai Priori, o da qualche.personaggio, che, con modo insolito, veniva ri-
vestito di straordinari poteri, come fu quel Gostanzuolo di Mattiolo di Porta Sole, che
nel 1393 esercitò una vera dittatura. Il PELLINI se ne meraviglia, perché ritiene aver
Biordo solo la massima autorità in Perugia; ma, a senso nostro, non é il caso di me-
ravigliarsi, imperocché nulla di più facile che quel. Gostanzuolo fosse né più né meno
che un rappresentante del Michelotti, un suo vicario nel governo di Perugia. Non può
sfuggire inoltre, che nei Comitati di Balia, che avevano ampie facoltà, figurano sem-
pre alcuni della famiglia Michelotti. (PELLiNr, Vol. II, pag. 56).

Lat — e

IN TI E

n Eus si Ie

GONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI

gaudeat privilegio immunitatis, et solvere non teneatur ali
quod in comuni, non obstantibus quibuscumque in contrarium 045
quentibus — (1). Dalla quale deliberazione resulta; 1.» Che Biordo
Michelotti godeva: della esenzione dalle imposte; 2.» Che seb-
bene nella deliberazione dei Priori e Camerari si dica, che i figli
di messer Francesco erano cives iniqui, i quali — multa dapna
fecerunt in terris ipsius et spelialiter occupando terram Porcha-
rie —, pure l avere sottoposto i beni che tornavano a Biordo
al pagamento. delle collette, dimostra che gli stessi Priori e Ca-
merlenghi non erano profondamente convinti delle ragioni del
Michelotti, e cedevano piuttosto alla aulorità di lui, che alle se-
rene considerazioni di giuslizia (2). Le stesse leltere del Miche-
lotti riferite nella deliberazione hanno il tono di comando- (3).

A simili attestazioni rispose Biordo coll usare costumi e modi
principeschi. Già nel 1397 egli si comincia a intitolare Conte di
Castel della Pieve e di Valdichiana (4), e quando in quello stesso
anno si uniin matrimonio con Giovanna figlia di Bertoldo Orsino,
signor di Soana, è incredibile a dirsi la cortigianeria che spiega-
rono i perugini nelle feste pubbliche che si fecero, e il contegno
regale che assunse il Michelotti (5). Fu una vera corte, come

(1) Questo prezioso documento abbiamo rintracciato negli An. decem., anno
1397, f. 87.

(2) La deliberazione non venne adottata all’ unanimità, perché su 53 intervenuti
si ebbero cinque voti contrari.

(3) Litere continentes quod filii Dom. Francisci Dom. Magie cives iniqui peru-
sini multa dapna fecerunt ecc. . . . . quod. placeret Dietis Dom. Prior. et Cam. quod
bona ipsorum essent eidem predictis dapnis per ipsos illatis data et adjudicata (Aw.
decem., loc. cit.).

(4) PELLINI, Vol. II, pag. 88 — e Ann. decem. del 1397, f. 87.

(5) Vedi la narrazione delle pubbliche feste nei cronisti del tempo e negli storici.
che Biordo stesso fece ordinare feste e trionfi grandi; —
he ogni famiglia del contado facesse un presente, et poi
llo facesse il suo presente, che furono paglia, biada,
legne, grano, vino, polli, vitelli, castrati, uova, cacio, eec. — Senonché il Cronista dopo
aver detto che ciò fu ordinato da Biordo, mostrasi pentito di tale affermazione, certo
assai esagerata, e così si corregge. — Tutto ciò fu fatto sponte, e non per comanda-
mento che fusse lor fatto da Biordo e dalla Comunità di Perugia, volendo le genti di-
mosirare la grande affezione che avevano a Biordo. — E sta bene, ma intanto é Biordo
(e lo dice il Cronista stesso) che fa pubblico bando per avere alle sue nozze i fuoru-
sciti; poi invita i principali signori d* Italia, talché ai simposi intervennero amba-
sciatori di Venezia, di Firenze, delle terre dell Umbria ; e a guardia della sua persona
dispone che accorrano dalle sue terre molti uomini d'arme. (Cronac. GRAZIANI, Swpp.,
pag. 200.e segg.) — E vedasi la narrazione del corteggio e del convito ; ove é detto
che la tavola di Biordo era piu eminente delle altre ; e fu narrato, scrive l]' ingenuo

Alcuno dei cronisti assevera,
e primieramente fu ordinato c
che ogni comunità, villa e caste
304 O. SCALVANTI

scrivono i cronisti, anzi la.più bella che mai si vedesse in To-
scana. Oh come questi splendori regali del matrimonio di Biordo
assomigliano al regal battesimo del bastardo di Giovan Paolo Ba-
glioni nel 1514! (1). L’animo de' due capi del. perugino governo
potè esser diverso, ma sete di signoria fu certo in entrambi.

S 45. E qui ci attendiamo dal cortese lettore una domanda. —
Com’ è che i perugini, così profondamente democratici, poterono
soffrire che Biordo si desse l'aria di Signore circondandosi di armati
suoi e ravvolgendosi in un fasto principesco? I Perugini che di
fronte al Papa erano cosi circospetti, come lasciaronsi vincere la
mano da un uomo, che per quanto benemerito della patria, pure
aveva in animo di imitare la nascente fortuna dei Medici, e
farsi signore della sua città? Se il genio democratico era freno
al manifestarsi di un cieco guelfismo, come non riuscì ad infre-
nare alla sua volta le voglie ambiziose dell’ illustre Raspante ? —
La risposta è facile; anzitutto in Italia, e in specie nella vicina
Firenze, andava consolidandosi l'outorità di uomini ricchi e bene-
meriti e di parte popolana; in secondo luogo il popolo in Pe-
rugia era senza dubbio affezionato al nome dei Michelotti e a Biordo
in specie. Ma poi erede forse il lettore che anche dinanzi al fasto
regale di Biordo, ai suoi titoli nobiliari, alla sua straordinaria
polenza, il genio democralico dei Perugini non abbia avuto occa-
sione di affermarsi? Crede forse che in mezzo al bagliore dei dop-
pieri, allo scintillio delle gemme, agli onori ricevuti da Biordo, il
popolo abbia perduto la coscienza della sua libertà? No, certa-
mente.

E qui non alludiamo alla tragica morte di Biordo, prima

cronista, che in Toscana non si trovò mai la più bella corte. Le donne tutte si erano
adwnate in casa di Biordo, et erano una compagnia reale (Ivi, pag. 262). — Mariano del
Moro racconta che le feste costarono diecimila fiorini; e ricchi donativi portarono
anche gli ambasciatori: quelli di Venezia un dono del valore di 200 fiorini d'oro:
quello di Firenze un pallio di scarlatto e un cavallo bardato riccamente; quello di
Città di Castello un altro pallio e un cavallo; lo stesso Castel della Pieve, Orvieto,
Todi ecc. (Cronac. GRAZIANI, pag. 262, 63 Supp.); il Comune di Perugia una tavola
fornita d'argento del valore di 2,000 fiorini d'oro: insomma, secondo il cronista Del Moro,
in quella occasione Biordo ebbe più di 20,000 fiorini, È notevole poi che perfino i dot-
tori dell'Ateneo, così medici che legisti, deliberarono di cedere i loro stipendi per le
feste a Biordo Michelotti, dichiarando, che tali provvisioni le avrebbero volentieri ri-
cevute in altro tempo.

(1) Cronac. di TESEO ALFANI, pag. 270.

te he ci ne:
con Mpa MM

nio

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 309

perchè l'assassinio politico non è il mezzo che deve tenere un
popolo civile per disfarsi di un despota; secondariamente perchè
la uccisione di Biordo, a tradimento, fu opera di pochi congiu-
rali, i quali gridarono alto alle plebi — noi abbiamo morto il ti-
ranno — (1), mentre lo scopo del loro bieco disegno non era la
libertà di Perugia, sibbene l'invidia e il personale interesse. Ma
a ben altro vogliamo riferirci per dimostrare che il sentimento

-

democratico dei perugini fu di ostacolo all’ assoluta signoria del
Michelotti. Noi abbiamo tra i documenti storici che si riferiscono
alla potenza di Biordo un’ apparente contradizione. Si è detto che
fino dal 1397 Biordo si chiamò Conte di Castel della Pieve; ma
egli da tempo anteriore (a. 1393) aveva ottenuto negli accordi col
Papa e Perugia un altro titolo, quello di Vicario per le terre di
Rocca Contrada, Gualdo di Nocera, Orvieto e Montefiascone (2).
Quanto con ciò si danneggiasse la integrità della Repubblica pe-
rugina non è mestieri dire. Ma Perugia fu essa data in Vicariato a di
Biordo? Il Beato Antonino nelle sue istorie dice di sì (3), e lo stesso
afferma il Cronista (4); ma il Pellini sta per la negativa, e i do-
cumenti pubblici confortano quest'ultima opinione, giacchè Biordo
vi vien sempre appellato Conte di Castel della Pieve (5), né è ve-
rosimile gli si negasse il titolo di signore o di^ Vicario, se esso
gli apparteneva. Puó soltanto levarsi il dubbio che sin là non
abbia voluto spingersi la concessione papale; ma se Biordo a-
vesse trovato nel popolo incondizionato appoggio alle sue mire
ambiziose, o avrebbe ottenuto dal.Papa quanto chiedeva, o da per
sè si sarebbe investito di tal titolo, molto più che egli fu col Papa
in continue discordie. La pace formata nel 1393 fu rotta nell'anno
appresso; il Papa cercó congiurare con Filippo Del F'resco per ri-

(1) Mem. di Perugia, Vol. I, pag. 57.

(2) Tale accordo fu fatto per mezzo del card. legato Pileo arcivesc. Tuscolano,
Con esso si volle che la Chiesa rendesse alla città tutte le terre occupate; che a
Biordo si dessero per due anni 10,000 fiorini d’oro all’ anno, e 6,000 per tutta la vita ;
di più il Vicariato su quelle terre, con la conferma di tutte le grazie e privilegi fatti
dalla città di Perugia al padre, fratelli e figliuoli. PELLINI, Vol IL pag. 55). È

(3).Cap- HT, tit. 22; S: :

(4) Mem. Storic., Vol. T, pag. 54.

(5) Ann. decem., 1397, f. 87. — Item cum pro parte Magnifici et dilecti civis nostri
Biordi de Michilottis, Comiti (sic) Castri plebis, fuerint mag. Dom. et Cam. artium
civitatis Perusii quam plures lictere destinate ecc, 306 Ò. SCALVANTÌ

mettere in onore la fazione dei nobili; e nel 1894 il legato ponti-
ficio dovette uscire da Perugia. Quali altri ostacoli poteva avere
Biordo per insignorirsi della Città, se questo disegno avesse tro-
vato docile e remissivo il sentimento dei cittadini? Non era dunque,
secondo la espressione del Bartolo, un tiranno jure nè per oim
et metum creatum (1), ma un maggiorente, la cui autorità a poco
a poco sarebbe divenuta così grande da riassumere in sè tutta
l’azione politica della Repubblica.

$ 46. Intanto, tranne nel periodo della fiera contesa con Biordo,
il papato, dopo la partenza di Bonifacio IX in seguito ai moti po-
polari, tenne in Perugia i suoi legati, e veramente non mancano
anco negli atti pubblici segni di soggezione del Comune alla sedia
pontificia. Basterebbe a provarlo la intitolazione di molti docu-
menti (2). E nello stesso periodo della maggior potenza di Biordo
i papi continuano ad emanare Bolle e Brevi in specie per re-
golare le sorti dei fuorusciti; però questi atti pontificî son sem-
pre diretti ai Priori (3). Quando poi nel 1400 i perugini infestati
dalle armi del Pontefice (che, morto Biordo, aveva sibbene fatto
occupare le città date a lui in Vicariato, ma non Perugia) si die-
dero alla protezione e governo di Gian Galeazzo Visconti, il Papa
con Bolla del 7
trattato, minacciando di toglier loro il privilegio del Vicariato

gennaio acerbamente li rimproverò di questo

e la libera amministrazione della città (4). Senonchè Gian Ga-
leazzo trovavasi a mal partito per la inimicizia col Papa, e
dovette quindi abbandonare il governo di Perugia tre anni dopo
il trattato. È notevole però la leltera che egli scrisse in tale oc-
casione al Magistrato, e che attesta in qual concetto fosse tenuta
Perugia anche da quel potentissimo signore. In essa lettera egli
dice, come a malincuore debba lasciare il governo della città, ma
aggiunge che Perugia è lasciata libera — Perusium in suam liber-
tatem relinquit — (5). Restituita alla sua libertà, Perugia entrò

(1) BARTOLO — Trac. De Tyramnia, Ss 3 es 16
(2) Atti decem., 1393 — Die Jovis VIIII dicti Mensis Ianuari 1393 Consilio Dom.
Priorum et Cam. Artium Civit. Perusii de mandato venerabilis D. Karoli de Brancaciis
Comitis Campane Vicarii generalis Civitatis Perusii pro Sancta Romana Ecclesia ad
sonum campane ecc.
(3) Vedi BEELFORTI — Vol. II, p. 22, pag. 44 e 55.
(4) BELFORTI — Vol. II, pag. 114.
(5) Vedi la lettera di Gian Galeazzo in PELLINI + ;Stor., Vol. II, pag. 137.

Tw
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 307

in trattative col Pontefice, e nello stesso anno 1408 fu firmato
l'accordo (1); pel quale Perugia si diede al dominio del Papa
con molte guarentigie di libero governo (2). Succeduto al ponte-
fice Bonifacio IX, Innocenzo VII, questi confermó la pace conclusa
coll’antecessore (3). I Legati pontifiei vieppiu affermarono la loro
ingerenza nelle pubbliche faccende, profittando del mal seme delle
cittadine discordie, che minacciavano ad ogni momento la signoria
de’ più ambiziosi e potenti, fra i quali il forte capitano Braccio da
Montone. E fu per questo conlinuo pericolo di vedersi signoreg-
giata da’ suoi cittadini, come avvertono gli storici, che Perugia
nel 1408 si diede a Re Ladislao -coll’accordo firmato nel 19 di
giugno in Roma, e dove se la libertà riceve grave iattura, molte
pure sono le disposizioni, dalle quali si apprende qual fierissima
lotta occupasse l'animo dei cittadini nel dover chiedere l'aiuto
straniero perchè la città non andasse in rovina. Ladislao promise
rispettare lo Studio, cui dovevano assegnarsi 2,000 fiorini l’anno
da spendersi secondo la forma degli statuti; promise di non in-
trodurre gravezza nuova; dispose che la città avesse i magistrati,
i quali dovevano però deliberare assieme col Vicerè; che alla ele-
zione degli uffici si provvedesse secondo gli Statuti; che nessuna
alienazione si facesse del territorio perugino, ecc. (4). Ma la po-
tenza di Braccio era ormai a tal segno cresciuta, che la sua si-
gnoria non pure su Perugia ma su molte altre terre nel 1416 fu
stabilita, e confermata dal Pontefice col trattato del 1420, pel quale
Braccio e i suoi discendenti ebbero governo proprio in Perugia,
Assisi, Cannaia, Spello, Gualdo e Todi, e in altre terre ebbero
l'ufficio di Luogotenenti della Chiesa. La libertà era spenta, alla.
repubblica succedeva ‘il principato, ma questo tornava all’ antica
forma del Protettorato della Chiesa, in quanto che nel trattato è
esplicitamente detto che Perugia deve continuare nella fedeltà e
ossequio di Santa Chiesa. Nel 1424 Braccio fu ucciso, e accla-
mato signor di Perugia suo figlio Oddo. Ma il fremito di libertà,

(1) BELFORTI — Vol. II, pag. 182.

(2) Vedi PELLINI — Vol. II, pag. 139 — Nella pace é notevole il Cap. nel quale
si stabilisce ehe deve essere conservato lo Studio perugino.

(3) BELFORTI — Vol. II, pag. 190. :

(4) PELLINI — Vol. IT, pag. 168.
O. SCALVANTI

che non aveva mai cessato di agitare gli animi dei cittadini, in
tal guisa ebbe a manifestarsi, che Oddo stesso comprese essere
la sua signoria in pericolo, e consegnate le rocche e le chiavi delle
ciltà a’ Priori, rinunziò al potere (1). La signoria di Braccio erasi
stabilita per oim et per metum, e Perugia anelava, non appena
morto l'illustre condottiero, di riprender la sua libertà contempe-
randola col dominio della Chiesa, ma non più nel modo che ab-
biamo visto in questo periodo, sibbene in quello di una vera si-
gnoria. Infatti dalla morte di Braccio i Governatori del Papa
estendono la loro ingerenza negli affari della Repubblica. Pur tut-
tavia qualche costume di libero governo continua ; e di vero un
anno dopo la morte di Braccio si trova che i Priori rappresentano
lo Stato perugino negli accordi con altri Stati (2) senza intervento
del governatore pontificio. E quando un tale intervento si verifica,
sembra, che i rapporti fra l'autorità papale e il Comune sieno
profondamente cordiali. N° è documento prezioso il Decreto che
revoca la condanna all’ esilio di Isacco Beccuti per rispelto agli
Sforza (3). I Priori dopo avere esaminato le lettere dello Sforza
si recano dal Governatore, il quale risponde — quod si eis videtur
complaceant eidem Michelecto (che aveva scritto la lettera a nome
del Conte Francesco Sforza) de hiis per eum narratis in dicta li-
tera, sed nichilominus ipsi Dom: Priores habeant colloquium cum
aliquibus civibus. — Anche questo documento è del 1425, e a noi
è piaciuto accennarlo per dimostrare che colla morte di Braccio
i rapporti fra Perugia e la Chiesa erano tornati assai buoni. E a

(1) La forma di tirannide esercitata da Braccio era stata quasi un secolo prima
illustrata dal BARTOLO — « Jurisdictio debet transferri voluntarie, et si per metum
fiat; non valet ipso jure . . . . Nunc autem videndum est qualiter violentia, vel metus
inferatur in populum? Respondeo; si exercitus fiat contra civitatem sine consensu
Superiorum, vel si cum gente forensi pugnando expugnavit civitatem. Sed si cum
hominibus ejusdem civitatis facto rumore, et seditione se faciat eligi in dominum
tune plus dubitationis habet, quia major pars videtur hoc facere, quae major pars
esse videtur ex eo quo obtinet. Sed dicendum est hoc casu contingere quem non esse
tyrannum manifestum ex defectu tituli, sed propter vim et metum esse creatum. Et
si cum modica gente quis occupat fortilitia civitatis alicujus, quibus occupatis, justus
timor cadit in populum ». (Tract. De Tyrannia, 815) — E che veramente la città si
desse a Braccio per vim et metum, dopo la disfatta di Carlo Malatesta, apparisce chia-
ramente dalle storie (PELLINI — Vol. IT, pag. 225).

(2) Vedi accordi fra il Comune di Perugia e il Duca di Urbino (Ann. decem.,
anno 1425, f. S5 e segg. — e FABRETTI, Doc., pag. 189%

(3) Doc. FABRETTI, pag. 198,

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CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 309

quel documento puó aggiungersi la Bolla del 9 gennaio 1424 di
Martino V, colla quale si dà incarico ad Anlonio vescovo di Porto,
vicario di Perugia, di accordarsi coi Priori e Camerlenghi per ciò
che si riferiva alle imposte e dazi. Il documento è ispirato da sen-
timenti di grande benevolenza e di rispetto per l'autonomia della
Repubblica; ed è questa la Bolla che per i perugini costituiva un
vero concordato colla S. Sede in materia di imposte, e che, vio-
lata da Paolo III, diè luogo alla disastrosa guerra del sale.

8 47. In meno di un secolo Perugia aveva sperimentato ben cin-
que signorie; quelle larvate di Pandolfo Baglioni e di Biordo Miche-
lotti, e quelle giuridicamente riconosciute del Visconti, del Re La-
dislao e di Braccio. Oltre a queste, essa aveva dovuto a quando
a quando soggiacere alla signoria dei pontefici, che l’alto dominio
loro intendevano a trasformare in principato assoluto.

Era arduo, per non dire impossibile, ottenere che la Chiesa
tornasse ormai al concetto non solo del protettorato, ma anco a
quello di un eminente dominio sulla città. Quindi la ingerenza dei
Governatori pontifici si fa sempre maggiore, ma poichè il rap-
porto di sudditanza è mal definito, continue sono le rappresaglie
fra l'antico sentimento di libertà e il nuovo regime. A provare le
mutate condizioni del governo perugino basterà il documento re-
lativo-alla elezione dei Capitani del contado e alle norme statu-
tarie riferentisi al loro ufficio. Il documento è del 1428 (1), e da
esso si rileva che i Priori cum licentia loro concessa dal gover-
natore apostolico di Perugia elessero i Capitani, e nello Statuto
alla rub. 8 si legge il giuramento che essi dovevano prestare allo
stesso legato (2). E dunque la prima volta che nello Statuto pe-

(1 Ann. decem., anni 1428-29, f. 30, 36 — Doc., FABRETTI, pag. 172 e segg.

(2) « Item che ciaschuno dei dieti capetanei subito che serà electo e publicato al
dicto offitio e inante che vada ad exercitallo sia tenuto e degghia giurare in le mano
del rev. signiore lo Legato, governatore overo altro commissario del santiximo n. sS.
Papa overo a chi alcuno dei predicte commectesse biene soliccitamente e lialmente
exercitare el suo offitio e tucte le cose a lui comesse per forma dei soprascripti e in-
frascripti presenti statuti e ordinamenti ad honore stato e exaltatione de la sacrosancta
R. Ecclesia del sanctiximo in Cripsto patre e s. n. messer Martino per la divina pro-
videntia papa quinto, e degli altre somme pontefice successore e del Rev. signiore
Legato governatore, overo altro comessario nella cità de Peroscia, staente per la San-

-

cta romana ecclesia, e anche a mantenimento, accrescimento e exaltatione del pre- .

sente pacifico e tranquillo stato de la cità de Peroscia. E quando advenisse nella cità
de Peroscia non se trovasse alcuno dei predicte, simile giuramento deggbia dare nelle
mano dei predicte signore Priore, retinente per la sancta R. E. e per lo sommo Pon-
tifice che serà per li tempe » (Doc. FABRETTI, pag. 137).
310 i Ò. SCALVANTI

rugino (perocchè questo dei Capitani del contado formasse parte
integrante del generale Statuto) si trova espresso un giuramento
da farsi nelle mani dei ministri del Papa, e perciò lo abbiamo
particolamente nolato. Un resto del concetto della Vicarìa si ri-
scontra anche in questo documento, laddove lo statuto dà incarico

. al Priori di ricevere. il giuramento dei Capitani per conto del go-
vernatore o di altro commissario di Santa Chiesa; ma pure, inve-

sligando gli atti pubblici del tempo si trova, che il governatore
permetteva, sotto la sua vigilanza, l'esercizio dell'antica libertà,
la quale ormai non era rimessa che alla quotidiana benevolenza del
pontefice e de'suoi legati. Infatti la stessa facoltà ‘statutaria, seb-
ben rilasciata alla repubblica, era sottoposta alla approvazione del
Pontefice, di guisa che anco‘nel 1483 si trovano conferme di Sta-
tuti per mezzo di Bolle pontificie (1). Aggiungasi che nelle cose
più rilevanti, com’ era l'irrogare la pena del confine, richiedevasi
l’autorità del legato (2).

Bisogna riconoscere però che nel volgere ‘del secolo XV i
magistrali spiegarono una grande attività, senza che per parte
del Pontefice si aceennasse a voler menomare l'autonomia del go-
verno. Talvolta i legati dispongono di cose che erano-un giorno di
attribuzione esclusivamente comunale; ma per lo più sollecitano,
confermano, ratificano quello che i magistrati debbono deliberare
o hanno deliberato. Fu verso la fine del secolo XV, che la sovra-
nità jure già stabilita, divenne di fatto, e allora si impegnò una
lotta terribile, or latefite ora aperta, fra la Repubblica e il Papa,
che doveva poi costituire Ja rovina della libertà. Nel 1475 narrano
i cronisti di aperte ribellioni agli ufficiali del governatore (3); e

quando nel 1483 il Papa richiese la decima degli offizi e la quarta

delle patenti, si tenne consiglio, e fu diffinito che per niente si
pagasse (4). Fu detto che gli Statuti dovevano essere confermati
dal Papa; ma tale conferma li rendeva legge inviolabile per tutti

(1) €ronac. De Veghi, FABRETTI — Vol. II) pag. 52.
(2) Narra il De. Veghi, (Cronac., pag. 60) — Addi.24 gennaro 1489 li Magnifici
signori Priori ottennero dall Ill. Legato, che si confinassero gb infrascritti ecc,

(3) Cronac. De Veghi, FABRETTI — Vol. II, pag. 50,
(4) Cronac. De Veghi, pag. 52,

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CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI oL

e per lo stesso Pontefice, di modo che i governatori dovevano nei
loro decreti riferirsi agli Statuti (1).

Nè meno è da notare il contegno che tennero i perugini verso
Pio II nel 1462, quando fecero opposizione perchè non fossero
ammesse all’offizio del Bollettino due persone; elette da lui: Il
Papa col suo Breve del 25 aprile di quell'anno si dolse vivamente
di ciò, ma i perugini non cedettero. E quando agli ambasciatori
di Perugia parve che il pontefice li avesse ricevuti assai fredda-
mente, essi ne riferirono al magistrato, e questi chiese al Papa
delle spiegazioni, che egli diede per lettera, dichiarando —. nee

unquam paterna erga eos charitas in nobis imminuta est — (2).

$ 48. E a dimostrare vie meglio il grado di resistenza che Peru-
gia seppe fare alla signoria della Chiesa, varrà notare, che anco
sul finire del secolo X.V, i potentati di Europa riconoscevano la
sovranità del magistrato cittadino di Perugia, talchè i Dogi di Ve-
nezia ed i principi si dirigono sempre — magnificis dominis prio-
ribus civitatis Perusii — (3). Inoltre il magistrato concludeva |
trattati di alleanza. colle vicine città, anche malgrado la. volontà
del Papa; ed infatti quando Sisto IV notificò al magistrato di Pe-
rugia, che, attesi i cattivi portamenti di Lorenzo dei Medici verso
la S. Sede, era sua volontà, che dai perugini si abolisse. qua-
lunque lega fatta coi fiorentini (4), i perugini insorsero contro il
Papa, e allora Sisto IV, sebbene di malavoglia, ratificó l'al-
leanza (5). Ma mentre i perugini cercavano destreggiarsi coi papi
e coi loro governatori, ebbero a supportare una nuova signoria,
quella di Niccolò Piccinino, che nell'anno 1440 pose mano al rior-
dinamento del governo in Perugia. Non tutti i perugini furono
d’avviso se gli dovesse dare così grande autorità, perchè teme-
vano far cosa spiacevole al Papa; ma il popolo, sempre facile a
suggestionarsi dinanzi agli eroi della guerra, indusse i più cauti e

(1) (Bandi, Lib: 1, c. 3) — Il Luogotenente Geronimo vescovo di Fossombrone
emana nel 1484 ai di 20 di settembre un divieto ai cittadini di tener donne nel bor-
dello e-cost dice — siano sottoposti in omnibus et per omnia come:li altri rebelli, se-
condo la forma de li statute ecc. — Altri esempi in FABRETTI (Doc. ed. nel 1887).

(2) Vedi il nostro lavoro sul Mons pietatis di Perugia — Anno 1892, pag. 30.

(3) Arch. delle pergamene nella biblioteca di Perugia. Lettere dei dogi Cristoforo
Mauro e Nicolò Marcello degli anni 1462 e 1473.

(4) Breve in pergamena: n. 396.

(5) Breve del 21 luglio 1478, pergamena n, 397,
319 Ò. SCALVANTI

prudenti a tacere, e il Piccinino fu ricevuto come signore di Pe-
rugia. Più tardi, cioè negli ultimi del secolo XV e nei primi del
XVI vi fu l’altra signoria se non di diritto, certamente di fatto,
di Giovan Paolo Baglioni (1). V'é chi ha impugnato l'esistenza
di questa signoria, ma a torto; imperocchè basti leggere le istorie
e le cronache per convincersi di quanto asseriamo noi. Intanto
si riscontra, che negli stessi Annali Decemvirali dell'anno 1492,
nella pagina ove si trovano i nomi dei Priori, vi è sempre lo
stemma dei Baglioni; nè ciò si sarebbe fatto se in Giovan Paolo
non si fosse riconosciuta l'alta autorità della Repubblica (2). *

8 49. Ma ad onta che nel breve spazio di poco più di un secolo
colle signorie di Pandolfo Baglioni, di Biordo Michelotti, del Vi-
sconti, del Re Ladislao, di Braccio, del Piccinino e di Giovan Paolo;
Perugia avesse dovuto accostumarsi all’ impero di un solo, pure
bene accorgendosi, che le minaccie più serie venivano dal papato,
e che le altre signorie si erano subite per forza o timore o nel
pericolo di mali più gravi e poco avevano attecchito, la lotta si
diresse fierissima contro la Chiesa non per spirito contrario a lei,
ma per gelosia di libertà, molto più che in quel tempo l'ingerenza
pontificia andava vie maggiormente estendendosi e in specie a
favore della parte dei Nobili (3). Ogni occasione era buona, e basti
citare il fatto della elezione del Rettore dell’ Università nel 1541,
avvenuta contro il parere del Governatore, e che diede luogo a
pubbliche dimostrazioni contro di lui. E se ciò prova il vivo
attaccamento che i perugini ebbero sempre per il loro Ateneo, è

(1) Cronac. di TESEO ALFANI, pag. 249 e segg.

(2) Questa osservazione ci è stata suggerita dall'egregio conte Vincenzo Ansidei,
bibliotecario della Comunale, il quale ci mostrò i volumi degli Amzati, ove apparisce
questo segno evidente della signoria del Baglioni. E di ciò teniamo a rendergli grazie.
Abbiamo pertanto notato, che nel 1492 si trova lo stemma de’ Baglioni nella prima
pagina in alto, o solo, o alla sinistra dello stemma pontificio, mentre a destra è il
Grifo. In altra pagina lo stemma Baglioni è in cima alla pergamena, mentre quello
del Capo dei Priori è nel fondo a sinistra, e cioè al termine del fregio posto ad orna-
mento della pagina. Inoltre si trova che nella elezione dei Dodici del Buon governo,
istituiti nel 1516, Giovan Paolo e Gentile Baglioni erano eletti — indifferenter pro
omuibus portis — (Reg. in Arch. Storic. ital., pag. 599).

(3) Narra P'ALFANI (Cronac.,pag. 274 e 75) — che nell’ anno 1516 in vigore di un
breve di N. S. letto dal Rev. cardinale S. Vitale legato nella. sacristia di S. Lorenzo,
furono pubblicati li Dieci uomini dell'Arbitrio (seguono i nomi) con dichiarazione che
Giovan Paolo e Gentile Baglioni siezo sopra tutti gli altri e che loro due abbino U a-
torità da tutti gli altri. A molti, aggiunge il cronista, cio zo» piacque.

& TEST) sor
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI. STATUTI PERUGINI 313

efficace riscontro per giudicare ancora con quale energia in ogni
occasione essi insorgevano per la tutela della loro libertà (1).
Quindi i perugini spiavano il momento opportuno per ribel-
larsi al giogo della Chiesa, e nel 1527, vedendo che la fortuna del
papa oscuravasi, si fece consiglio e si deliberò di riprendere colla
forza tutte le botteghe sotto il palazzo del Podestà « che già fu-
rono della Comunità et al presente erano del cardinale Armel-

lino ». — Preghiamo Dio, aggiunge il cronista, sia in buon punto,

et essendo il meglio della nostra città, si abbia le cose sue anti-
che e le solite sue entrate (2) —.

S 50. Se noi volessimo pertanto riassumere in brevi tratti il si-
stema giuridico-politico invalso nel periodo dal 1425 al 1545, po-
tremmo dire, che anche allora rimasero mal definite le attribuzioni
del Comune in confronto di quelle, che possedevano i governatori,
legati e vice-legati del Papa. E infatti sopra una medesima ma-
teria si trovano emanati provvedimenti delle due autorità. Ora è
il sovernatore, che di sua iniziativa forma un Bando, che è poi
pubblicato dai Priori della Città; ed ora è il Consiglio dei Priori
e Camerlenghi che delibera, e il Governatore pontificio che con-
ferma. Citeremo ad es. la legislazione per quella che oggi si
chiama Polizia dei costumi. È il Comune che vende la gabella
del bordello; è per un’ ordinanza dei Priori che si obbligano le

(1) Ecco in qual modo narra il fatto TESEO ALFANI — Ricordo come ben 50 anni
passati e più, essendo stato lo studio di Perugia senza rettore, per la qual causa fra .
gli studenti erano nate discordie molte et inconvenienze, di comune concordia di tutti
li scolari, e per l’aiuto (notisi bene!) dei M. S. Priori e Cam. contro la volontà del R.
cardinale d' Urbino legato di Perugia, questo di 18 febbraio, e fu di martedì, a ore
20 in circa nella sata di sotto del palazzo del Podestà del Comune, con universale
concordia di tutti, con gran festa, fu creato Rettore M. Ranaldo del paese di Aquila,
uomo ricco e dotto ; il quale da tutto lo studio, primae nel palazzo del:Legato, poi
in S. Lorenzo e dipoi nel palazzo dei signori Priori fu portato, e per tutta la città
con gran festa d'ogni persona rallegrato .....\A dì 24 detto M. Ranaldo predetto fe
a piedi la Piazza la collazione, dove era uno steccato amplo con li seggi; e vi furono
gli signori Priori, molti gentiluomini, tutti li dottori e molta gente; e fu cosa assai
bela. La notte antecedente furono attaccati dei scritti da ogni. parte della porta del
palazzo dei signori Priori, di tal tenore — Servatis civibus, restaurato gimnasio, sat
egimus — la qual cosa resa nota al Legato, per essere fatta contro la sua volontà, gli
dispiacque assai: e di mezzo giorno infuriato, mandò il barigello con un suo came-
rata a farla lacerare, che dié incarico assai a sua signoria reverendissima. La medesima +
notte per tutti i luoghi pubblici, nelli muri furono scritti V. R. R. M. che fu inter-
pretato da ciascuno — Viva Ranaldo Rettore Magnifico (Pag. 255) —. Oh come si as-
somigliano nel corso dei tempo le generose astuzie dei popoli !

(2) ALFANI — Cronac., pag. 318 e 19. -
314 O. SCALVANTI

meretrici ad abitare in un luogo designato (1), o si costringono i
proprietari di quei bordelli à non esigere una pensione maggiore
di quella dal pubblieo atto fissata (2), le quali deliberazioni del Co-
mune vengono confermate dal Governatore (3). Ora invece i decreti
del Governalore sono sottoposti al Magistrato per la loro promulga-
zione e pubblicazione (4). E più di ogni altro documento può per-
suaderci della imperfetta delimitazione delle due podestà, il computo
delle spese fatte dal Comune di Perugia per conto del Papa Eu-
genio IV, e che dimostra con quanta cura minuziosa e con quanta
diligenza tenevansi i conti fra il Comune e la Curia romana (5).
E poiché resulta che la Curia trovavasi spesso in debito col Co-
mune per aver ricevuto più di quello che le spettava, non è irra-
gionevole supporre, che anche da ciò derivasse quella tolleranza,
che la Chiesa spesso adoperò col Comune perugino, sebbene l’a-
nimo di lei fosse volto costantemente allo scopo di dominare in

modo assoluto la città.

Prriono IV. — Della signoria della Chiesa.

$ 51. Se non che i tempi si facevano più minacciosi non solo per
Perugia ma per tutta la penisola. Già Carlo V aveva posto il piede
in Italia per spengere gli ultimi bagliori di libertà. Perugia, a sua
difesa, accolse un presidio delle armi della Lega contro lo stra-
niero. Al Papa ciò spiacque, e diè ordine si licenziassero le milizie.
I perugini, anche qui persistendo nel loro guelfismo, dichiararono
esser pronti a rinviare il presidio a condizione che il Papa guaren-
tisse la città dalle armi imperiali. Il Pontefice sequestró l'ambascia-

(1) Ama. decem., anno 1436, f. 5, e anno 1492, f. 109.
- (2) Ann. decem., anno 1452, f. 158.

(3) Ann. decem., anno 1452, f. 235 — Vi si trova il provvedimento deliberato dalla
Magistratura comunale, e in fine questa annotazione — manu propria ipsius r. d. p.
Gubernatoris, videlicet ; Approbamus et confirmamus supradictam legem; ut petitur;
et mandamus eam ab omnibus officialibus observari, et executioni mandari: P. Epi-
scopus Brixiensis gubernator ecc.

(4) Doc., FABRETTI — Ed. 1887, pag. 68.

(5) Doc., FABRETTI — Ed. 1887, pag. 19 e segg. — Da questo documento importan-
tissimo, perché vi si rileva il modo di scritturazione del tempo e come si compilavano
i conti dei tesorieri, resulta che al 1444 ta Curia Romana era in debito verso il. Co-
mune di fiorini 88,802.00.6, mentre il suo credito ascendeva a fiorini 88,000. Dunque»
come dicono i revisori (così chiamati nel documento da noi esaminato), il papa doveva
pagare fiorini 892.60.6.

2 pe OPUS UTE ETT EET ipo

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI

315

tore, e Malatesta, comandante della Lega, tenne prigione il Vice-
legato vescovo di Veroli e messere Alfano tesoriere del Papa. La
lotta si impegna accanita, e i cronisti, pur riconoscendo il mal go-
verno della Chiesa (1), si mostrano preoccupati delle conseguenze
di questa lotta, che credono esiziale alla patria (2). Questo stato
di contesa non poteva favorire certo un accordo stabile fra la
Chiesa e il Comune; questi intendeva valersi de’ suoi antichi pri-
vilegi; talehé-si trovano anche nel volgere del secolo XVI molti
atti importanti della vita politica compiuti nomine comunitatis (8),
ed è sempre in nome della comunità, che anco nel 1513 si man-
dano ambasciatori al duca di Urbino, al duca di Ferrara, al mar-
chese di Mantova. D'altro lato il Pontefice, pur permettendo che
la Città si governasse cogli ordini antichi, voleva di quando in
quando dar segno della sua signoria. Questo stato di cose era atto
a stancare anco la pazienza dei migliori ; perchè sebben generosa
e magnanima sia la lotta per la libertà, pure ove non produca
che danni e rovine, a lungo essa si rende insopportabile. Ed ecco
perché i cronisti, ad ogni mutare di Legato, sperano che sia mi-
gliore di eoloro che lo hanno preceduto e liberi la città dalle ma-
ledette discordie (4). Le quali più che le mire ambiziose dei Papi
noequero alla Repubblica, perché se nel periodo di lotta che noi
abbiamo brevemente descritto, gli animi dei cittadini fossero stati
concordi, poteva il Comune a poco a poco riconquistare le antiche
franchigie. Per contrario, mentre la signoria papale faceva il po-
polo malcontento, erano peró moltissimi che la presenza del le-

(1) Il Box TEMPI (Ricordi, pag. 351) narra i tumulti dei Baldeschi contro i bargelli
del Legato, avvenuti nel 1533; e aggiunge — questo solo viene per il mal governo di
questi nostri superiori presenti; e se di questa cosa non se ne fa dimostrazione, que-
sta città é rovinata, et oggidi sta peggio che stesse mai. Dio ci ajuti —.

(2) Il BONTEMPI, dopo aver narrato la contesa tra il Papa e i perugini per il pre-
sidio della Lega, fa questa esclamazione, che sembra una profezia — Dio ci ajuti, che
questa cosa non sia la rovina di questa città (Pag. 351) —.

(3) Vedi Cronac. di ALFANI, pag. 265, 268 e 273.

(4) Il BonrEMPI riferendo in che stato si trovava Perugia e il contado, e allu-
dendo all'arrivo del Vice-legato vescovo Trivulzi, così dice —.Dio ci doni grazia che
la città e il contado si riposi; che Dio sa quanto ha patito; massime quelli castelli
che sono stati saccheggiati, come sono Castiglion del Lago e Mongiovino, che. sono
stati saccheggiati da questi del signor Braccio — e qui, perduta la consueta pazienza
e carità cristiana, vinto dallo sdegno prosegue — che Dio gli sprofondi una parte e
Valtra, che sono la rovina di questa povera città. (Ricordi, pag. 359) —. Vedi anche
il grave giudizio che sulle discordie cittadine dà il MATARAZZO nella sua Cronaca
(Arch. Storic. Ital., Vol. II, pag. 143). 316. i O. SCALVANTI

gato e dello stesso Pontefice ormai desideravano come guarenti-
gia di ordine e di giustizia. Non appena però il dominio papale
diventava effettivo, e si vedevano ad uno ad uno distruggere gli
antichi privilegi, l'indignazione prendeva il disopra, e la contesa
diveniva così aspra da far temere da un momento all’altro qualche
rovina irreparabile per la travagliata Città. I Papi intanto erano
decisi ad uscire dalla incertezza della. loro posizione politica, e
nell'anno 1535 compirono atti non pure di signoria; ma di dispo-
tismo. Uno, che altamente dispiaeque, fu l'occupazione del pa-
lazzo dei Priori (1). Fu come geltar paglia sul. fuoco; il popolo
si abbandona ai tumulti, e chiede che il Papa osservi gli statuti
e che si aduni il Consiglio dei 500. Al popolo si uniscono i Priori
e recatisi dal Vice-legato, questi risponde che senza licenza del
Papa non puó consentire la convocazione del Consiglio. Ma di
fronte a nuovi e minacciosi tumulti il Vice-legato permette si
aduni. E nella Chiesa di S. Lorenzo coll’ iniervento del popolo si
completa il Consiglio, di cui molti membri mancavano, non es-
‘sendo più stato riunito dal 1527. Il 12 febbraio fu letta all’ as-
semblea la lettera colla quale il Legato raccomandava al Papa di
confermare il Consiglio. Ottenuto ciò, il popolo fé sapere al Le-

‘*gato, che se ne stesse tranquillo in palazzo; ma egli, adducendo che

usciva per andarsene a sollazzo fino a S. Pietro, fuggì (2).
. Fu questo l’ultimo bagliore di indipendenza simile al guizzo
della lampada, che è prossima a estinguersi.

S 92. Il papa Paolo III, dapprima, sotto l'influenza dei ga-
gliardi moti dei perugini, approvò si costituisse un Consiglio di 600
cittadini e ne sancì i Capitoli; ma dopo pochi mesi significò al
Comune che il minor Consiglio doveva essere eletto da lui o dai
suoi ministri, la quale cosa, dicono i cronisti, non piacque al
Consiglio. Invano si mandano ambasciatori; il Papa tien fermo e
vuole che il Consiglio non possa convocarsi senza sua espressa
licenza, dappoichè volgeva in mente di riformarlo. Ma, prescin-
dendo da tutto ciò che fece Paolo III venendo in persona a Pe-
rugia per la riforma dei Consigli, e arrestandoci all’esame dei

(1) BoNTEMPI — ‘Ricordi, pag. 360.
(2) E andossene con Dio, con poco suo onore, a mio giudizio; pure, Dio ci ajuti
per sua misericordia (BONTEMPI — Ricordi, pag. 361).

- ^
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI

Capitoli da lui approvati, in-essi è da vedere la total distruzione
delle antiche franchigie, 1l Consiglio dei 600 infatti nel pubblico '
documento che contiene i suoi Capitoli, è detto Consiglio paulino
de la ecclesiastica libertà perusina (specie di ignominioso bistic-
cio d'idee fra loro ripugnanti); e si aggiunge — che questo per
indulgentia de la santità de nostro signore papa Paolo ILI fu or-
dinato e da poi da quello per l'autorità apostolica confirmato — (1).
Questo Consiglio, cui si dava il nome di Consiglio. paolino,
doveva sostituire la generale adunanza stabilita negli statuti (2),
e prestare fedeltà e obbedienza ala Santa Séde, Poco monta
che anche ridotta in questa condizione di sudditanza Perugia dia
sempre sentore di vita (3); ella farà tra breve le sue ultime prove
di resistenza nella guerra del sale, e ciò che Giulio III vorrà
concederle, non sarà che il pallido riflesso dell’ antica gloria e
dell’ antica libertà. Pure nella stessa guerra avuta con Paolo III,
Perugia dimostrò di voler combaltere per causa giusta e pel man-
tenimento dei patti concordati colla S. Sede (4). Intanto al Ma-

(1) Reg. e Doc., Arch. Storie. ital., Vol. II, pag. 617.

(2) E da notare però, che il Consiglio della generale adunanza non era il mas-
simo collegio, giacché questo è negli statuti chiamato — sommo arringo o parla-
mento — (Stat. perug., Lib. I, Rub. 225 e 226). ;

(3) Si trova.negli Ann. decem. sotto la data del 1537, aprile 10, una viva, lunga
e dettagliata rimostranza fatta al Pontefice contro l'amministrazione del Legato.

(4 Vedi FnoLLIERE — La guerra del sale (Arch. Storic. ital., l.c. — Vol. II,
pag. 405) e BoNTEMPI (Cronac. pag. 377). — Gli storici e i cronisti sono d' accordo nel

segnalare l'ingiustizia di Paolo HI per aver voluto accrescere la gabella del sale —
« L'altissimo Dio, scrive BoNTEMPI, ci ajuti per sua misericordia, e non guardi alli no-
stri peccati, ma alla grande ingiustizia che il Papa fa a questa povera città e a tutte
le altre terre della Chiesa ». — Però in altro luogo de’ suoi accuratissimi Ricordi il
BONTEMPI accenna anco alla colpa di alcuni suoi concittadini, che non vollero deve-
nire a possibili accordi col Pontefice. — « Et ancora si andarono con Dio moltissimi
cittadini e massime li venticinque deputati, li quali hanno rovinato questa città e le
loro case, per non avere mai voluto si ragionasse l'accordo del sale, quando era tempo
di ragionarne et accordare, senza alcun danno della città; ma perché loro non si fi-
davano del Papa, hanno voluto che con loro rovimi tutta la città. Dio li punischi
come meritano ». — Dio li avrà forte puniti per altri peccati, non certo per. quello
di essersi poco o nulla fidati di Paolo III. Però il BowTEMPI, nell accusare i peru-
gini di soverchia ostinazione, non ha torto ; perché la vertenza sulla gabella del sale
forse poteva Comporsi mercé gli uffici del cardinale Del Monte (che fu poi Giu-
lio III). Egli infatti nella sua lettera ai Priori del 15 maggio 1540 dice: — Bastevi di
sapere, che si vorrete ricognoscervi facendo l'obedientia, come de sopra se dice, pur
che siate a tempo, per quel che se avesse a trattare poi, qui avete un Cardinal vostro
cittadino et. allevato con voi, et il quale non manco desidera la salute vostra che
la sua propria — (Reg. e Doc., Arch. Storic. ital., Vol. II, pag. 625). Come poi il car-
dinale Del Monte si appellasse perugino rilevasi dagli storici. Egli naeque a Roma,
ma venne in Perugia allo Studio (onde a buon diritto scriveva essere stato allevato
tra i perugini), ed ebbe in seguito la cittadinanza perugina (Vedi PELLINI, CRISPOLTI e . 818 O. SCALVANTI

gistrato dei Priori delle arti, nel 1540 Paolo III sostituiva i de-
cemviri, col nome di « @onservatores ecclesiasticae obedientiae
civitatis Perusiae » (1). Perita la sostanza della libertà, periva
anche il nome. Pure l'ambascia dei perugini per tutto il tratto
di tempo che va dal 1540 al 1553, epoca in eui Giulio III restauró
i magistrati comunali, fu tale e tanta che di quel periodo ango-
scioso contarono i giorni, come fa il condannato al carcere; e
si veggono i cronisti informarci, che Perugia restò senza i suol
magistrati anni 12, mesi 10 e giorni 28 (2). Quanto è significa-
tiva questa minuta enumerazione del tempo trascorso nel più duro
servaggio! Ma se con Giulio III tornò un tollerabile governo, la
libertà non poteva col nome dei magistrati tornare.

Or quale distanza dalla Bolla pontificia di Innocenzo III,
ossia dal protettorato della Chiesa, al Decreto di Paolo HI, che
stabilisce i Decemviri della ecclesiastica obbedienza, ossia, la si-
gnoria assoluta! Quanto cammino in tre secoli e mezzo di vita |
E che strana cointidenza nella caduta delle due potenti alleate,
Firenze e Perugia! Firenze nel 1530 cade sotto il giogo dei Medici;
la segue dappresso Perugia, che nel 1540 vede consolidarsi il
dominio della Chiesa. Amiche tanli anni, vissute in comunanza di
aspirazioni, di idee, di ordini di governo e nelle arti sorelle,
caddero insieme. E certo però che se noi rimontiamo ai primordi

Bonazzi ÎMelle opere altrove citate). E di vero il cardinale Del Monte si rese illustre
per le sue benefiche azioni e per la dottrina addimostrata nel presiedere, insieme al
Polo, il Concilio di Trento. Però cinta la tiara pontificia, come osserva il RUORBACHER
(Stor. Univ. della Chiesa — Vol. VIII, Lib. 85), non giustificò le grandi speranze, che
aveva fatto concepire di sè durante il cardinalato. Pure di Perugia si ricordò con af-
fetto; e quell'aecordo che essa non aveva potuto o voluto fare con Paolo III, egli seppe

conchiuderlo restituendo i magistrati alla città. E certo però che la ingiustizia del.

Papa era manifesta, giacché gli accordi presi con Martino V nel 1424 e con Eugenio IV
nel 1431 portavano, che Perugia potesse provvedersi di sale dove voleva, e che se in-
tendeva fornirlo lo stato pontificio doveva venderlo a denari X la libra. Or questi patti
erano stati osservati anche ai tempi di Clemente VII antecessore del Farnese, e quindi
i perugini a buon diritto si dolevano che Paolo III non rispettasse le convenzioni
fatte, confermate e osservate dai predecessori. Il proposito di resistere nei perugini
fu talmente gagliardo, che nella lettera al duca Cosimo escono in questi termini: —
« Per il che la misera Ciptà, visto non potere portare un tal peso, si ellege prima la
morte et ultima rovina, che consentire »'— (Reg. e Doc. in Arch. St. ital., pag. 628). Que-
sta frase ricorda quella del celebre Plucito Istriano, nel quale i popoli espongono à
Carlo Magno le vessazioni del Conte, e implorando aiuto dicono: — Si nobis suecurrit
D. Carolus Imp. possumus evadere, sin autem melius est nobis mori quam vivere.
— (CARLI, Az. ital., App. 1 e Cod. Dipl. istriano).

(1) Vedi FROLLIERE, pag. 450.

(2) Vedi le Cronache del tempo; in specie il BONTEMPI, pag. 398,
PR di m E

je reco. = M — M ——
t ol d RT ux NUM e

CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 319

della Repubblica perugina fin dove la istoria puó farcene conoscere
gli ordinamenti, e cioè al 972, si hanno in mezzo a varie vicende
per Perugia Augusta circa 600 anni di libero governo o di lotta,
spesso non infeconda, per la libertà. La qual sorte non toccò alla
maggior parle delle repubbliche italiane.
SEZIONE II.
Della giurisdizione.

S 53. Nell' esaminare quali facoltà giurisdizionali il potere ci-
vile si fosse riservato di fronte alla Chiesa, noi avremo la piü
chiara, evidente, luminosa dimostrazione del concetto organico,
che ebbero i perugini circa i rapporti tra lo stato e il polere sa-
cerdotale. Vedemmo qua e là, in più luoghi della nostra tratta-
zione, che il Comune affermava spesso la sua esclusiva compe-
tenza nelle materie, a cui l'autorità della Chiesa o de'suoi ministri
si sarebbe più legittimamente estesa, come ad es. nella istituzione,
o riforma e governo di Ospedali, di Monti di Pietà, ecc. (1). Ed
anche quando l’ ingerenza degli ecclesiastici fu ammessa, noi ab-
biamo constatato con quanta cautela ciò si facesse.

E inutile spender parole per dimostrare che il bisogno della
giustizia è quello che più intimamente si avverte da un popolo
civile, poichè senza giustizia non vi è libertà.

Perciò i perugini, che della libertà erano amantissimi, dove-
vano altamente pregiare la giustizia, e riconoscere, che la jurts-
dictio è il primo attributo della sovranità. Soffrire invasione di
potere in questo campo della attività dello Stato era intollerabile
per un popolo, che voleva una libertà feconda, progressiva, be-
nefica. E di vero, quando noi vediamo nella istoria degli ultimi
carolingi,.coi quali si preparano gli elementi giuridici del feuda-
lesimo (2), il potere civile, che concede immunità nel campo giu-

(1) Il Pontefice rispetto all’ Ospedale della Misericordia non fece altro. che con-
fermarne gli statuti. Vedi Bolla del 20 luglio 1469 di Paolo II; e pel Monte di Pietà,

vedi il Breve dello stesso Papa del di 11 ottobre 1467 — (SCALVANTI — Il Mons pietatis. *

di Perugia, pag. 37).

(® Carlo Magno seppe contenere in certi limiti la concessione del potere giudi-
ziario, ma, una volta aperta la via, era ben naturale che si andasse fino in fondo. E cosi i
Cap. del 779 e delP 803 del grande monarca trassero seco quelli di Lotario dell’ 843,
quelli di Lodovico II dell' 872 e quello di Carlo il Grosso delP 883. per Ravenna, col
quale il potere civile abdica la più alta delle sue attribuzioni sovrane a beneficio della
nascente feudalità,

-
320 O. SCALVANTI

risdizionale, diciamo subito, che lo Stato ha perduto la coscienza
dei suoi essenziali uffici, è, lo diremo con frase odierna, incosciente.
Laddove invece, come in Perugia e in altri Comuni italici, noi tro-
viamo che la podestà civile mantiene a sè le facoltà giurisdizionali,
diciamo che veramente col sorgere dei Comuni uno dei caratteri
più spiccati del feudalesimo venne a cessare, e i nuovi governi si
costituirono colla coscienza delle loro prerogative di sovranità.

E se consultiamo gli statuti ci accorgiamo subito, chele cure più
sollecite si ebbero per ordinare l' amministrazione della giustizia.

$ 54. Così la giustizia doveva essere accessibile a tutti (1); pub-

blici i giudizi, e quando tale guarentigia di pubblicità doveva es- È

sere limitata, a ciò provvedevano gli Statuti (2). Lo che significa,
che, presso quel popolo, la pubblicità dei dibattimenti faceva parte
dell’organismo politico-giuridico dello stato, com’ è al presente (3).
E se è vero, che anco nello Statuto perugino molto e forse troppo
si trova applicato il rito sommario, pel quale i giudici Cono=cono
— de plano sine strepitu et figura iudicii, et iudiciorum solemni*
tatibus non servatis — è altrettanto vero che contro tali giudizi
davansi rimedi efficaci (4); ed è vero ancora che talvolta la som-
marietà veniva introdotta per cagioni molto razionali, come, ad es.,
per i dibattiti riguardanti le Opere Pie (5). Talora poi, a maggior
guarentigia di giustizia, vollero si potessero portare i giudizi ad una
terza istanza (6). Utili provvedimenti fecero allo scopo di evi-

(1) Stat. perug., Rub. 4, Lib. I. Si dispone che il Podestà e il Capitano sono te-

‘nuti — jus reddere et stare de mane et de sero secundum pulsationem campane or-

dinate ad sonandum pro jure reddendo et facere debeant stare hostia, aperta tempore
quo jus redditur —. Vedi anche la Rub. 8 del Lib. I; nella quale si ordina a tre fun-
zionari di rimanere in giorni determinati sotto la volta di S. Ercolano a ricevere le
lagnanze dei cittadini.

(2) La restrizione alle forme solenni del giudizio si faceva in certe cause agitan-
tesi dinanzi ai Consoli delle arti (Stat. perug., Lib. I, Rub. 81).

(3) Statuto del Re Carlo Alberto, art. 72.

(4) Stat. perug., Lib. I, Rub. 81.

(5) Stat: perug., Lib. I, Rub. 166. «Item quia hospitale: sepe ab iniquis et cavillo-
sis hominibus longevis gene fatigatur et gravissimis expensis et dannis aflligitur:..
ideo necesse est perversitatibus et dolositatibus nefandorum hominum providere ; 223
propter ordinamus et reformamus quod in qualibet lite (ossia tanto nel caso che I" O-
pera pia rivestisse Ja qualità di attrice o quella di convenuta) iudex qui supratlite vel
causa cognoscet debeat procedere . . . summarie, et sine strepitu et fi2ura iudicii ecc. ».

(0)« Si vero dicta prima sententia rescissa seu reprobata fuisset per sententiam
latam supra dicto recursu, tunc, et eo casu ille qui obtinuit in prima sententia lata
per dietos consules vel auditores vel camerarios possit recurrere ad dominos priores
artium » (Rub. 81, Stat. perug., Lib. I).

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CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI . 321

tare le liti (1), e di disciplinare l’uso delle rappresaglie (2). E
poichè il popolo perugino amava insieme la libertà e la giustizia, »
tradusse nelle sue leggi il principio, che il diritto moderno ha for-
mulato colle parole — facile l' arresto, difficile la detenzione — (8).
Nè mancano documenti per dimostrare, come si avesse cura :di
non confondere in un solo carcere i condannati per reati diversi
(4). Non v'è dubbio che talora gli Statuti appariscono di una
estrema severità, ma, ben studiate le fonti, si rileva che il rigore
delle leggi era giustificato e quasi sempre temperato da equi prov-
vedimenti. A prova dell'austerità di alcuni giudizi può addursi la
procedura dei sindacati contro i pubblici ufficiali (5), e la man-
canza di appello nelle cause criminali. Se non che la procedura
fulminea che si adoperava nel sindacato era richiesta dal bisogno,
che i pubblici ufficiali si sentissero propter iram et propter conscien-
tiam indotti a rispettare la libertà e la giustizia; e la legge sulla
inappellabilità di molte sentenze penali fu introdotta sotto I° im-
pero di cause gravi e transitorie (6). E non faccia meraviglia poi
che la Repubblica perugina avesse anch'essa l' istituto dei denun-

(1) Stat. perug., Lib. 1, Rub. 170.

(2) Per concedere le rappresaglie occorre anzitutto che il credito sia confessato.
Un collegio di 5 buoni uomini esamina la domanda e istruisce il processo. La rap-
presaglia però non può essere concessa che « de presentia, consensu et voluntate
consulorum mercatorum, auditorum cambii et camerariorum artis lane » ecc. (Vedi
tutta la Rub. 171, Stat. perug., Lib. I). Le Rub. 172, 177 e 178 (importantissime perché
riguardanti la prescrizione nelle rappresaglie) e 467 contengono altre savie disposi-
zioni sulla materia.

(3) «Si potestas et capitaneus vel alius officialis fecerit aliquem immitti in carcerem
communis causa alicuius maleficii, inquisitum vel accusatum, vel diffamatum vel alia
de causa debeant incontinenti, postquam eum immiserint, inquirere de fama et culpa
ipsius intra unum mensem. postquam in carcerem communis missus erit; et si eum
invenerint culpabilem contra eum procedant de jwre; si autem non invenerint eum
culpabilem intra dictum unum mensem de carcere exhibere et exhibi facere teneantur ;
quod si non fecerint de suo salario CC. lib. den. pene nomine quilibet eorum com-
muni solvere teneatur » (Stat. perug., Lib I, Rub. 185).

(4) Stat. perug., Rub. 186, Lib. I, nella quale si dispone per la costruzione di tre
carceri distinte.

(5) Stat. perug., Lib. I, Rub. 14.

(6) E basta leggere la Rub. 17 del Lib.I per esserne persuasi. Si vuole reprimere
severamente, perché la pena riesca più esemplare, ut pwnitiones sortiantur effectum,
et omnibus auferatur occasio et animus delinquendi. Il sistema a quei di non poteva
essere che quello di terrorizzare. Del.resto con questa legge si derogava a precedenti
disposizioni, che ammettevano l'appello anche in materia criminale, ela Rub. 17 dice
infatti « quo ad causas civiles non intelligatur aliquatenus derogatwm ». Vedi a mag-
giore chiarezza anche la Rub. 19 dello stesso Lib. I.
899 O. SCALVANTI

zianti segreti, imperocchè anzi seppe organizzarlo in guisa da
essere vantaggioso alla giustizia senza soverchio pericolo della
libertà. I denunzianti sono cittadini scelti a tale ufficio, a cui non
possono rinunziare, ma essi sono sconosciuti al pubblico, non alla
autorità; e quindi la loro non è veramente una denunzia se-
greta (1).

Questi cenni abbiamo voluto dare perchè si vegga quale
studio i perugini posero nel dettar leggi intorno alla giurisdizione
della podestà civile, la quale perciò non vollero mai limitata.

Una. volta sola, ai tempi dell' aito dominio della Chiesa, i pe-
rugini comportarono la cessione della loro podestà giurisdizionale
al Papa Bonifaeio IX. Ma se noi osserviamo bene, vedremo che
tal cessione era e doveva essere temporanea, e cioé limitata al
tempo, in cui il Pontefice si fosse trovato in Perugia, potendo al-
lora conoscere delle prime e seconde cause (2). Questa disposizione
del resto fu fatta sotto l'impero di cagioni politiche (volgendo al-
lora, e cioè nel 1392, non prospere le sorti della repubblica); ma
veggasi con qual cautela fu al Papa delegata una parte della giu-
risdizione, talehé sembra quei savi uomini avere avuto presenti
le teorie del loro insigne giurista, da poco estinto (3).

Certo la stessa cagione che avevano i perugini di far valere
la loro podestà giurisdizionale di fronte alla Chiesa, che esercitava
il protettorato o l'alto dominio sulla città, doveva indurre i papi
a lottare per l’acquisto di tale giurisdizione. La quale, costituendo
il primo attributo di sovranità tanto doveva essere strenuamente

(1) Prestato il giuramento, i 50 denunzianti ricevono dall’ ufficiale un nome o
parola di riconoscimento, la quale essi debbono scrivere nella scheda di denunzia, che
vanno a deporre in un cippo, colla indicazione precisa del nome del delinquente. La
parola di riconoscimento si dà per questa ragione — « Et ne in dicto cippo per alium
quam per predictos custodes aliquis valeat incippari, et ut sciatur qui per dictos cu-
stodes extiterunt incippati, ut dictus officialis teneatur dare unum nomen, ecc. » (Rub.
64, Lib. I).

(2) PELLINI — Op. cit., pag. 35 e 30.

(3) Il BAnTOLO, con intendimenti di libertà, ha scritto anco della: Giurisdizione
ne' suoi Trattati speciali. Egli non ammette delegazioni generali del merum et
mixtum imperium, nel quale è contenuto il concetto generico di jwrisdictio (8 34). E
quando al 86 si domanda — «an Papa possit iurisdictionem vindicare? » — risponde
« Et dixerunt quidam quod 707, quia iurisdictio est quoddam genus, sed aliquid in
genere vendicari non potest ff. de rei vend. l. si rem in princ. ergo ecc. Item alia ra-
tione, quia jurisdietio est quoddam ius corporale, in iure enim consistentia incorpo-
ralia sunt... ergo vindicare non potest cum ea vindicentur quae possidentur . . .
sed incorporalia non possidentur ». :

Bione SD ds
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 323

difesa dai perugini, quanto costantemente ambita dai papi. E una
qualche ingerenza si nota fino dal secolo XIII. Esiste, tra molte,
una Bolla importantissima di Gregorio 1X, del 12 marzo 1230,
nella quale si confermano alcune sentenze emanale dai giudici
della città. Si trova inoltre che nel 13 giugno 1255 Alessandro IV
avoca,a sè la decisione di una controversia fra il Comune di Pe-
rugia e il Priore di S. Fiorenzo; ed altra Bolla dello stesso Pon-
tefice in data 12 decembre 1257 contiene la risoluzione di alcuni
ricorsi avanzati alla S. Sede contro sentenze emanate dai magi-
strati di Perugia. Altri esempi di ricorsi al Pontefice si hanno ai
tempi di Clemente IV (4).

$ 55. Tutto ciò è ben naturale, in specie se si rifletta che di ogni
attributo giurisdizionale quello che ha l’impronta più spiccata di
sovranità è il potere di rendere sentenze in grado di ultimo ap-
pello. E per ciò che gl’ imperatori furono ostinatissimi su tale pro-
posito, ed è per ciò che i papi stessi lottarono per ridurre nelle
loro mani questa efficace mansione di sovranità. Lo Sclopis ha
osservato giustamente, che mentre il miztum et merum imperium
godevano anche i Comuni soggetti allo scettro di un principe, i soli
liberi godevano della facoltà di sentenziare in ultima istanza (2).

Perla qualcosa si nota costantemente, che la imperfetta delimi-
tazione delle due competenze in Perugia deriva assai più dalle
frequenti contese tra i due poteri circa questo attributo di sovra-
nità e în genere sull'esercizio delle rispettive giurisdizioni, che
dalla mancanza di criterì giuridici. Infatti la materia giurisdizio-
nale, oltre essere definita dai sacri canoni, aveva formato oggetto
di speciali provvedimenti pontifici,*e tra gli altri di quello ema-
nato nel 30 decembre 1348 dal Cardinale di S. Marco, e in cui
si riassumono i principi della giurisdizione ecclesiastica (3). Da

(1) Vedi Bolla delP 8 giugno di quell'anno.
(2) ScLoPIS — Stor. della leg., Vol. I, Cap. IV.

. (3) Vedi l'originale nell'Archivio di Perugia, e il sunto nel Regesto delle Bolle e
Brevi pontifici sotto l'anno 1348. Vero é che contro-la stessa giurisdizione ecclesiastica,
anche quando era ammessa, si adottavano provvedimenti affinché non riuscisse per-
niciosa alla retta amministrazione della giustizia ordinaria; e n' é documento solen-
nissimo lo Statuto perugino, di cui ci limitiamo a riferire questo. passo: « Volumus
quod si aliquis habet vel habebit aliquod jus cessum contra aliquem civem vel comi-
tatensem vel districtualem civitatis Perusie ab aliqua persona religiosa vel loco reli-
gioso seu ecclesiastico seu clerico, qui vel que non possit conveniri in curia seculari

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DA O. SCALVANTI

tutto l’insieme dei documenti per altro viené a resultare, che la
Chiesa, per avere la città fedele alla parte guelfa, venne lar-
gheggiando di concessioni anco per ciò che si riferiva ai poteri
giurisdizionali (1). Ond’ è che spesso i Papi, piuttosto che impar-
tire ordini, esortano e pregano il magistralo ad uniformarsi alle loro
volontà. E così vedesi Giovanni XXII esortare i perugini a non
opporsi alla esecuzione della giustizia contro gli spoletini ribelli;
o dolersi che i perugini vogliano usurpare la giurisdizione in Spo-
leto (2).

$ 56. Ora, conoscendo il carattere dei perugini, è molto facile
comprendere, quanto fossero gelosi della loro giurisdizione, e
come bene spesso lotlassero e vincessero per sottoporre ai tribu-
nali ordinari gli ecclesiastici colpevoli di qualche reato (3).

Fino dal 1268 (4) il Papa scrive al Podestà per narrargli
che l' Abate e Monaci di S. Pietro sono ricorsi a lui, e gli hanno
esposto, che il Capitano del Popolo faceva ogni sforzo per solto-
porre alla sua giurisdizione l'Oblato di detto monastero residente
a Casalina, luogo soggetto, dice il Papa, alla giurisdizione tempo-
rale dell’ Abate. Quindi rileva che questo fatto è apertamente con-
trario alla ecclesiastica libertà, e pel caso si rinnovino consimili
tentativi minaccia scagliare le censure. :

Dunque i perugini non solo volevano rispeitata la propria
giurisdizione,^ma si sludiavano di ampliarla invadendo la sfera

Li

perusina vek aliquo forense, ILLA CESSIO NON VALEAT nec de ipso jure cesso audiatur
in curia perusina, risi ille qui habuerit, jus cessum promittat et satisdet ei contra
quem jus cessum haberet, quod ille jus cedens stabit et respondebit seu stare et re-
spondere faciet de jure in curia perusina ei contra quem jus cessum haberet in causa
reconyentionis et pro expensis. Et ille cessionarius et fidejussor promittant condemna-
tionem et judicatum solvere, et aliter de cessione non. awdiatwr in aliqua curia pe-
rusina et «ec dicta, cessio valeat » (Stat. perug., Lib. IT, Rub. 4). -E evidente che la va-
lidità della cessione fatta da un chierico a un secolare contro un terzo dipende dalla
garanzia, che il cessionario faccia al debitore ceduto, che il cedente risponderà da-
vanti alla curia in via reconvernzionale.e per la cessione e per le spese. Altrimenti la
cessione stessa é dichiarata suia. (Vedi inoltre la Rub. 5 del Lib. II).

(1) Vedi la Bolla di Martino IV del 27 febbraio 1281.

(2) Vedi le Bolle del giugno 1323 e 18 giugno 1324.

(3) Il BarroLo ha disputato sul caso del laico, che commesso un delitto, si fac-
cia chierico. Egli adotta la soluzione che spectat cognitio illius delioti, al judicem. se-
culaaem, de cujus foro erat tempore perpetrati criminis (Trac. De iwrisd., S 7). Però
sta in fatto che più volte la giurisdizione ordinaria si estese anche ai chierici.

(1) Vedi Bolla.di Clemente IV del 26 ottobre di quell’anno (£egesto Bolle e Brevi,
nell'Archivio di Perugia).
CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 320

della giurisdizione temporale ecclesiastica, la quale perciò fu da loro,
come da ogni altro popolo di quel tempo, piuttosto subìta che ri-
conosciuta. :

Inoltre il fatto avvenuto nel 1310 dimostra una volta di piu
e in modo luminoso, come quel popolo avesse chiaro e distinto il
concetto della reverenza dovuta alla Chiesa e quello della incolu-
mità delle prerogative spettanti al potere civile. E così, mentre
poco prima il Magistrato aveva dato incarico a quattro frati della
Penitenza di designare i più degni all’ufficio di Podestà, che
godeva del merum et mixtum imperium, pochi giorni dopo quello
stesso magistrato loltava con pertinacia e coraggio per applicare
il suo imperium & un sacerdote, che si era reso reo di delitto
comune. SE
]l caso fu grave e da potersi rassomigliare a quello che si
verificò in Venezia sui primi del seicento, quando la Repubblica
rifiutò di consegnare al tribunale ecclesiastico due sacerdoti de-
linquenti, e Paolo V scagliò l' interdetto. Un fatto simile era av-
venuto nel 1310 a Perugia. Il Podestà aveva fatto arrestare un
canonico imputato di grave delitto, ed ‘il Vicario lo richiese so-
stenendo che doveva essere deferito alla Corte Episcopale. Ma il
Magistrato tenne fermo sostenendo il contrario; di guisa che il
Vicario ebbe ricorso alle armi spirituali non solo contro il PodeStà

e il Capitano, ma contro il Magistrato. — Il che, dicono gli sto-
rici, fu di grande alterazione al popolo, et ne furono mandate
le appellationi alla Corte di Avignone (1). — Disgrazialamente nè

le storie, nè le cronache ci hanno potuto informare dell’ esito di
quell’ appellazione; ma se dobbiamo argomentare dai fatti avve-
nuti di poi, v'è motivo di credere che le istanze dei perugini
venissero accolte. Nella quale opinione ci conferma il riscontro, che
abbiamo fatto nell’ Archivio delle pergamene, dove nessuna Bolla
o Breve pontificio s' incontra sotto l'anno 1310, che contenga rimo-
stranze o provvedimenti relativi al fatto narrato dai eronisti e dagli
slorici. Segno evidente, che questo punto giurisdizionale fu compo-
sto con soddisfazione dei perugini. Inoltre nel 1430, quando fra i
congiurali contro Perugia nel fatto di Monte Fontegiano del Lago,

(1) PELLINI — Vol. I, pag. 360,

-
326 O. SCALVANTI

fu scoperto e arrestato un frate, il Governatore lo richiese; ma, con-
vocati i Consigli; fu deciso di processarlo e condannarlo. La sentenza

di morte venne eseguita, e il cronista Graziani scrive (1): — Et
fu nel dì de Pasqua Epifania, et questo fu scritto a Roma al
Papa per monsignore e gli cittadini, e non fu altro —. Quel non

fu altro vale un tesoro, perché dimostra come non sempre il
magistrato civile credeva di essere tenuto a riconoscere la giuri-
sdizione ecclesiastica.

Lo stesso era avvenuto per | Abate Guidalotti nel 1399,
quando venne condannato per la congiura contro Biordo Miche-
lotti, di che il Papa Bonifacio IX ebbe a /agnarsi coi perugini (2).
Nel 1475 poi si narra che furono condannati un prete ed un
frate, e posti in una gabbia, che fu collocata, dice il De Veghi,
— doppo il palazzo del Podestà verso la casa di Pier Francesco
di Gelomia —-(8). In quel tempo la giurisdizione ecclesiastica cercò
di far valere i suoi privilegi; ma pare che in ciò non riuscisse,
perchè si legge che nel 1488 — messer Stefano nostro can-
celliero portò da Roma una Bolla del Papa, che rifermava tutti
li statuti, e che ogni causa si dovesse mandare a/li banchi ordi-
nari — (4).

$ 57. Anche un altro fatto abbiamo, per dimostrare come i peru-
giti lottassero per estendere la giurisdizione civile agli eccle-
siastici; e questo fatto si verificò nel 1326. Esso è sfuggito al
dottissimo Pellini ed anche al Graziani e all'Oddi, ma ne fa ri-
cordo un altro cronista (5) in questi termini: — « Avendo voluto
i perugini gastigare e correggere alcuni chierici, furono scomu-
nicati; ma essendosi accordati col Vescovo, questi revocò la sco-
munica » —. Oltre a ciò narrano gli storici che nel 1399, essen-
dovi nel Capitolo di S. Lorenzo alcuni canonici, che troppo li-
cenziosamente vivevano, il magistrato ordinò, che dagli officiali
della città non si pagassero loro nè danari, nè si dessero pallii
e cera; e si incorporassero nei beni del Comune alcuni fondi,

(1) Cronac., pag. 339.

(2) Vedi Lettera 20 giugno 1399 — Archivio delle pergamene.

(3) Cronac. De Veghi, pag. 50. ;

(4) Cronac. De Veghi, pag. 52. La Bolla, a cui allude il Cronista, non trovasi né
tra i documenti originali, né nel Regesto delle Bolle, né nel Bollario di Sisto IV.

(5) Memorie di Perugia edite da FABRETTI, Vol, I, pag. 19,

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CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI

che prima si affittavano da quei canonici a loro profitto (1).
Era poi severamente proibito a chicchessia di ingerirsi nelle
cose degli Ospedali; e se il colpevole era un chierico doveva su-
bire la scomunica e la perdita del benefizio (2). Pena consimile
si trova comminata al chierico, che rifiuti l'ufficio di Priore negli
Ospedali (3).

8 58. Talora poi il Comune affermava la propria ingerenza negli
affari degli ecclesiastici, come n'è cenno nello Statuto, là dove
dispone, che il chierico, il quale vuole ordinarsi prete negli Ospedali,
deve cedere ad essi i suoi beni (4). Quando poi urgevano i bi-
sogni del pubblico erario, il Comune si riteneva nel diritto di non
rispettare l'esenzione dai tributi, che era una delle forme di im-
munità di cui godevano i sacerdoti, e questi assoggettava al pa-
gamento delle imposte (5). Ed ora noi vediamo il Comune di-
chiararsi solo arbitro nel prescrivere l'ordinamento di pubblici
istituti, or lo vediamo sollecito di conservare al popolo la elezione
del Priore dell' importante Abbazia di S. Pietro, ed ora riservarsi

(1) PELLINI — Vol. II, pag. 112.

(2) È singolare che una tal pena si trovi nel Corpo delle leggi civili, ossia negli Sta-
tuti — « Et si clericus est, sit ipso jure anathematizzatus, et omni beneficio et honore
ecclesiastico privatus et propterea indignus et inhabilis reputatus » — (Stat. perug.,
Lib. I, Rub. 161). — Anche la Chiesa talvolta ha dettato disposizioni per limitare le
facoltà o gli abusi de' suoi ministri. Ricordiamo la Bolla di Giovanni XXII, colla quale
proibisce al Vescovo di riscuotere la 4a dei legati, che si fanno a favore dei poveri,
quando non sia detto espressamente che tali legati son fatti a favore del Vescovo. —
(Vedi Bolla 19 gennaio 1321).

(3) « Si autem clericus fuerit, ipso facto sententiam excommunicationis incurrat,
et omni beneficio quod baberet, sit ipso iure privatus » — Stat. perug., Lib. I, Rub. 152.

(4).« Item quod nullus in dicto hospitali nec ad titulum dicti hospitalis possit pre-
sentari nec promoveri ad ordines clericatus nisi primo se et sua bona offerat hospi-
tali predicto et promittat obedientam et reverentiam secundum formam juris » ecc.
— Stat. perug., Lib. I, Rub. 150.

(5) Ciò avvenne nel 1329, quando a causa delle gravi spese di guerra Perugia
volle imitare i fiorentini e assoggettare il clero alle imposte. Cio spiacque al Vescovo,
il quale allegò che senza il consenso del Papa, tali imposte non potevano essere estese
al clero: dopo tale protesta il Vescovo sospese gli uffizi divini. Allora i perugini com-
posero alla meglio la questione col Vescovo (PELLINI, Vol. I, pag. 509). Il modo. col
quale la grave vertenza venne composta lo abbiamo da una Bolla di Giovanni XXII
del 2 novembre 1331. Secondo la nostra opinione, la legge non può essere stata del
1329, ma del 1330 0 1331, perocché non comprendiamo come i perugini sieno stati lun-
gamente colpiti da interdetto senza comporsi col Papa. Ad ogni modo, la Bolla pon-
tificia é del 1331, e con essa si dispone che il Vescovo tolga l'interdetto, e si ordina
che a lui si consegnino tutti i proventi riscossi dal clero; e che poi il Vescovo li re-
stituisca al Comune per i bisogni della città. Bisogna convenire che i perugini giun-
sero ad una sistemazione molto vantaggiosa al loro Comune. Non era dunque, come
dice il PELLINI, una composizione alla meglio.
328 O. SCALVANTI

il gius patronato dei conventi (1). Si comprende, che come non
si tollerava l'ingerenza del clero nelle faccende civili, così si proi-
biva ai laici di ingerirsi in ciò che era di appartenenza dell'au-
torità eeclesiástica (2). Ma quando trattavasi della libertà della
Repubblica, allora, a tutela dei diritti intangibili della podestà ci-
vile, il Magistrato trovava legittimo di inquisire anche la condotta
degli stessi Legati pontifici. Laonde ne resta la memoria della
elezione avvenuta nel 1966 dei tre dell’ Arbitrio, col mandato di
vigilare i disegni non solo dei nemici aperti, ma dello stesso Le-
gato pontificio, del quale si sospettava favorisse gl’ inglesi, e li
persuadesse a venire a’ danni di Perugia (3). Nessuna eccezione
poi troviamo nell’ istituto della espropriazione per causa di pub-
blica utilità, che riguardi i conventi o altre proprietà della Chie-
sa (4); nè eccezione alcuna nelle leggi riguardanti i processi civili
e criminali.

$ 59. Ma il fatto più eloquente, e che perciò abbiamo riservato
alla fine del nostro ragionamento, è quello che ci accingiamo a nar-
rare. Nel 1318 dovevano essere mandati a morte tre cittadini di
vil condizione e rei di più omicidi. Letta loro la condanna pub-
blicamente sulle scale del palazzo del Podestà, essi levarono la
voce gridando che volevano appellarsi al cardinale Burgense, le-
gato pontificio. Egli, saputa la cosa, mandò i suoi ministri a proi-
bire (così gli storici) al Capitano di far giustizia; ma — « il po-
polo, parendogli, come veramente era, cosa nuova e non solita d
farsi in Perugia, con molte grida fece istanza a' Ministri deila
giustizia, che senz’ altro li delinquenti fossero mandati allé for-
che » —. E il Pellini aggiunge: — « Di che abbiamo voluto far
memoria, perchè, come dicono questi scrittori nostri, questa fu la

(1) Citiamo, ad es. il fatto della cessione di aleuni stabili a S. Domenico per eri-
gervi la Chiesa e il Monastero. Ciò avvenne nel 1233, e nel Libro delle Sommissioni
(Lett. A, pag. 65) si legge, che si concede — « totum terrenum eum domibus in eo po-
sitis, quod ipse potestas nomine dicti comunis comperavit a Matheo Egidii villani et
Rubeo et Guillelmo quondam. perusii villani ad construendam ecclesiam et domos or-

dinis ipsorum fratrum, reservando jus patronatus ipsius ecclesie comuni perusii su-

pradicio ».

(2) PELLINI, pag. 461, Vol. I. Egli ricorda che nel 1322 fu fatta una legge, per la
quale niun laico poteva ingerirsi nelle distribuzioni, che si facevano dai chierici nelle
Chiese.

(3) Id,, Vol. I pag. 1017.

(4) Stat. perug., Lib. I, Rub. 16,

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CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRÓ DEGLI STATUTI PERUGINI 329

prima appellatione che fosse tentata di mettere a pruova da' Mi-
nistri del Papa; ma il popolo, che in ciò usava non piecola dili-
genza, volle che d’ allora in poi i prigioni si recassero alle for-
che a guisa di cavalli imbrigliati, perchè non potessero appellare
al Legato » (1) —.

Il fatto è degnissimo di nota, perchè non si tratta qui del
giudizio di un pubblico ufficiale o di un dotto, ma del popolo;
noi tocchiamo, per così dire, il cuore di questo popolo, ne sen-
tiamo i battiti e possiamo più rettamente giudicare della dire-
zione de’ suoi sentimenti. E al fatto del. 1918 fa degno riscontro
la legge del 1391, che incarna cotesto medesimo senlimento, ossia
il sentimento di tenere alta, inviolata la giurisdizione del potere ci-
vile. In quell’anno infatti fu pubblicata una legge col divieto di procu-
rare dalla Corte di Roma o d'altrove appellazioni o intbizioni di
veruna sorte, nè in cause civili nè im criminali sotto gravissime
pene (2). Ed ecco come attraverso i tempi il costante sentimento
di libertà produce gli stessi fenomeni, perchè non è il modo di
sentire di pochi ma. dell’ universale. E questo di impedire gli
appelli al Papa, se fu ‘cagione di contesa nel 1818, fu motivo più
tardi di altra vertenza, sulla quale ci .piace intrattenerci al
quanto peril singolare carattere del documento, da cui l'abbiamo
ricavata.

S 60. Siamo al 1458 nel periodo della lotta per la signoria della
Chiesa, prossimi all’ epoca, in cui, per opera principalmente di
Sisto IV, di Innocenzo VIII e di Alessandro VI (8), si andarono
preparando i tempi dell’ assoluto dominio dei Papi. Pure i perugini
hanno ancora tanta energia di carattere, tanta generosa aspirazione
di libertà da ritenersi piuttosto che soggetti, alleati della Chiesa, e
nel pieno diritto di trattare con lei da potenza a potenza. Si
agitava una grave materia giurisdizionale, perchè i perugini non

(1) PELLINI, Vol. I, pag. 1089.

(2) A aosta legge dié luogo un Notaro, che aveva in una causa civile ottenuto
dalla Corte di Roma una inibitoria; e poiché, osserva lo storico, parve dai magistrati,
che ciò fosse in diminuzione della loro libertà, ordinarono a quel tale, che se fra un
mese 207, derogava Per sè stesso o non renunziava a quella inibizione, oltre la per-
dita della lite, cadesse anco in pena di 500 lib. di danari (PELLINI, Vol. II, pag. 17).
(3) Vedi i numerosi atti di questi Pontefici nel Zegesto più volte citato, e dai
quali è dato rilevare come la Chiesa andasse sempre più estendendo la sua autorità
in Perugia. 1
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O. SCALVANTI

volevano assolutamente che dalle sentenze de’ loro magistrati vi
fosse richiamo alla Santa Sede. Gli ambasciatori sì presentano a
Pio II, e chiedono si respinga ogni proposta di tale alta giuri-
sdizione. E il Papa scrivendo al Magistrato perugino .(1) osserva
che non si possono fare a Perugia condizioni diverse di quelle
dettate per altre città soggette alla Chiesa ; e ad ogni mododi-
spone non potersi appellare a Roma senza il suo espresso con-
senso, e quindi riserva unicamente all’ autorità sua lo ammet-
tere o no tali appellazioni, quali non ammetterà mai se non vi
concorrerà una necessità o un utile impellente. Tutto ciò al mezzo
del secolo XV ha un grande significato; ma più notevole è la
chiusa del documento papale. — « Unum maxime non admirari non
possumus, quod Oratores vestri ad Dom. venientes non suppli-
canlium nec graliam querentium modo, sed quasi pacta et conven-
liones nobiscum inituri sibi a vobis mandatum esse dixerint >».
— E si comprende; il Papa dal suo punto di vista doveva me-
ravigliarsi dell'audacia dei perugini, che chiedevano pacta et
conventiones, perchè parlava da monarca; ma i perugini, che
parlavano da uomini liberi, non erano audaci nel chiedere coteste
convenzioni, non potendo entrare nell'animo loro l'idea, che,
disputandosi di così grave bisogna interessante le prerogative
dello Stato, dovessero assumer l'aria e il contegno di supplicanti.
Essi contendevano per il diritto, e sentivano nel cuore che quel
diritto era loro dovuto ; il Papa invece da altro sentimento era
dominato, e parlava di graziose concessioni. Evidentemente se
prima si erano poco intesi, ora non s’ intendevano più. Pio II tiene
a chiudere la sua Epistola con questo altero linguaggio. — « Scitis
enim quod a nobis tribuuntur gralie.. ..., verum quo intelligatis,
nos liberaliter ac benigne et simpliciter acturos, ecc. » (2). Dunque
non affermazioni o rivendicazioni di diritti, ma umili preghiere,
a cui avrebbe risposto la benevolenza del Principe. La liberalità
del Papa poneva un termine alla libertà perugina. E Paolo II co-

(1) Bolla del 14 novembre 1458 da noi consultata nell’ originale,

(2) Questo avveniva ai tempi di Pio II. Immaginiamo che cosa dovesse avvenire
ai tempi di Paolo HI Farnese, quando volle imporre l'aumento sulla gabella del sale.
Anche allora i perugini obbiettarono patti e condizioni, e il Papa chiedeva invece —
obedientia, non conditionata ma libera, et pura — (Vedi Lett. Card. Del Monte del 15
maggio 1540 — Arch. Mediceo e FABRETTI Reg. e Doc., Vol. II, pag. 624).

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CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 381

ronò i propositi dell’ antecessore coi numerosi atti di conferma e
approvazione di tutti gli statuti, matricole, ecc., opera nella quale
fu seguìto e superato da Sisto IV (1).

8 G1. Un tratto poi di sottile prudenza adoperata dai perugini
per salvare dalle rovine della loro grandezza qualche guarentigia di
libertà, si raccoglie dalla istituzione. del collegio dei dottori, i
quali dovevano decidere in grado di appello dalle sentenze degli
ufficiali pontifici. — « Statuimus et ordinamus quod a sententiis
ferendis per vicelegatos, gubernatores vel eorum commissarios
quocumque nomine censeantur usque ad summam centum duca-
torum et ab inde infra appellari possit et recursus haberi ad col-
legium doctorum, vel alium cui visum fuerit sanctitati sue in ci-
vitate Perusie » — (2). Certo è questo il linguaggio della mag-
giore sottomissione ai voleri del Papa; ma al tempo stesso ci
manifesta con quale accanimento si difendesse palmo a palmo il
terreno dell’ antica sovranità. Infatti quella facoltà di appellare al
collegio dei dottori costituiva una guarentigia ragguardevole per
l'amministrazione della giustizia, in quanto i dottori fossero pe-
rugini (3).

CONCLUSIONE.

8 62. Dalle cose esposte in questa Prima Parte delle nostre
Considerazioni sul Libro I degli Statuti perugini, ci sembra possa
raccogliersi, che Perugia ebbe anch’ essa una operosa democrazia.
E se è vero quello che afferma il Gibbon, che sotto la protezione
delle leggi di eguaglianza i lavori delle industrie e delle arti si
rianimarono a grado a grado, e il genio invincibile della libertà
vinse gli sforzi dei più potenti nemici (4), questo è da ripe-
tere certamente per Perugia, Ja quale, mentre costituivasi a li
bero e popolar reggimento, e lottava con fierezza e coraggio contro

(1) Vedi Bolla di Paolo II del 20 luglio 1469, e le molte Bolle di Sisto IV, fra le
quali degnissima di particolare attenzione quella del 15 febbraio 1472.

(2) Stat. perug., Lib. IV, Rub. Ut a sententiis ecc.

(3) Lo stesso Statuto nomina i primi, che costituirono questo collegio, e furono :
Mariotto de' Boncambi, Vincenzo degli Ercolani, Enea degli Ubaldi e Paolo Salvuzio.
(4) Gispon — Della decadenza e fine dell’ Imp. rom., Vol IV, Cap. I.

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O. SCALVANTI

ogni sorta di tirannia, vide le sue arti e i suoi commerci fiorire,
e la fama del suo Studio diffondersi per l'Europa intera. Essa
non mancò dunque alla missione restauratrice ed innovatrice, che
i fati assegnarono alle democrazie medioevali. Dovevano esse ini-
ziare una civiltà nuova, creare nuovi organismi politici e ammi-
nistrativi, far sorgere un’ arte che fosse schiettamente italiana,
emancipare i popoli dalle legislazioni barbariche; e Perugia at-
lese a tulti questi svariati oggetti di vita politica e sociale. Qui
come altrove fu nobile gara per dare impulso alle industrie col
mezzo delle Corporazioni di arti e mestieri; qui si pensarono e si
applicarono ordinamenti pubblici atti ad assicurare la libertà ne-
cessaria all'esplicazione del nuovo incivilimento ; qui con prudente
amministrazione si andarono formando e migliorando incessante
mente le leggi per la tutela dei privati e dei loro beni, per l'i-
giene, per i lavori edilizi, per l'annona ; qui fu viva partecipazione
alla memorabile impresa del Rinascimento delle arti belle; qui
infine risorsero gli studi fecondi del Diritto Romano, che diedero
a Perugia e al suo Ateneo una gloria mondiale.

$ 63. Ma per conseguire così grande intento occorreva uno
spirito profondamente democratico e bene equilibrato ed il godi-
mento della libertà, sui quali due punti, che furono oggelto del
nostro studio, così ci sembra da conchiudere:

1.9 Fu già notato che le tendenze al regimen ad populum
si manifestarono ai primordi dell'ordinamento politico di Perugia,
dopo la caduta dell' impero romano; e che questo genio democra-
tico andò contemperandosi e rafforzandosi pel sentimento religioso
spoglio di pregiudizi e di superslizione. Nè poteva essere altri-
menti presso un popolo illuminato cultore delle scienze e invaghito
del magistero delle arii a tal segno da irradiare di una luce po-
tente l'Italia intiera. E a questo savio equilibrio della coscienza
pubblica è dovuto, se la istoria di Perugia può essere tolta a mo-
dello in più occasioni nell’ardua, gravissima controversia dei rap-
porti fra il potere civile e il maestrato sacro, rispetto alla quale
non temiamo agguagliare il Comune perugino alla stessa Repub-
blica veneta. Mentre poi questo popolo rivelò tempra gentile nelle
manifestazioni dell’arte sua, seppe schivare le mollezze, cui spesso
trascina la raffinata civiltà, e ciò si dovette al carattere gagliardo,
serio, meditativo dei perugini, che come non piegò ai colpi della con-

c CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI 333

traria fortuna, così si mantenne saldo anco nel maggiore ingen-
tilimento dei costumi e delle arti. E su ciò insistiamo, perchè ve- '
ramente il costume privato si conservò in Perugia austero per
molto tempo, e ne fanno fede le leggi, che in seguito dovremo
prendere in esame.

2.9 Con queste doti d’ ingegno e d'animo i perugini pole-
rono avere per la.libertà un culto che non fosse bugiarda rappre-
sentazione di affetti non sentiti. E un’ampia, assoluta libertà va-

gheggiarono, per modo che anche quando, per la tristizia dei
tempi, più non poterono pretendere al riconoscimento delle antiche
franchigie, pure cercarono farle valere sollevando l'indignazione
della Curia romana.

Se non che, imperiose ragioni vietavano .che i popoli di quel-
l'età potessero conservare i. loro liberi ordinamenti e in quelli
prosperare, senza porsi sotto l’ alta protezione di qualche potente.
La combinazione fra la Zbertà, che era nel cuore di tutti, e l'au-
torità che era mestieri riconoscere in altri, si mostrava difficile
assai. Occorreva un lavorio paziente per distinguere ciò che si
poteva accordare all’ alto patrocinio della Chiesa senza scompagi-
nare la libertà interna ed esterna della Repubblica; occorreva in-
somma aver chiaro il concetto circa gli attributi essenziali della so-

vranità. E se noi ripensiamo a quanto esponemmo circa la Repub- |
blica perugina nel primo e piü glorioso periodo della sua gran- |
dezza, ci apparirà manifesto, che essa custodi gelosamente tutte le
prerogative della sovranità, come il diritto di pace e di guerra,
quello di inalzare fortezze, creare tribunali, eleggere i propri con- 1
sigli e i magistrati, stabilire regolamenti e compilare statuti per |
il governo della pubblica cosa, introdurre e repartire le imposte. :
Molte delle quali prerogative Perugia seppe conservarsi anche nei
periodi susseguenti fino all'assoluta signoria della Chiesa.
8 64. Ma pur nel soggiacere all’alta autorità di un principe, i

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perugini dimostrarono grande avvedimento politico. Fra le due cor-
renti di protettorato, che guidavano le genti di: Europa, scelsero 2i
quella che ritennero, e non a torto, più favorevole al pacifico . ,
godimento della libertà, ossia la parte guelfa. E verissimo, che
non solo a Perugia, ma in altre parti della penisola l'alta prote-
zione di un principe lasciava sussistere i liberi ordinamenti delle
cillà; e n'è esempio il Piemonte, dove i sudditi del principe po-
394 O. SCALVAN'TÍ

tevano colla approvazione di lui far leggi e statuti per uso proprio,
serbare intatte le loro costumanze antiche; e dove il Consiglio
del Comune ebbe balia di eleggere i magistrati (1). Ma noi ab-
biamo visto che le franchigie concesse dai Papi furono di gran
lunga maggiori delle franchigie largite ai perugini da Imperatori,
per quanto fossero interessati all'alleanza colla potente. Repub-
blica.

E sebbene Perugia minacciata dai Pontefici dovesse ricono-
scere di poi il dominio della Chiesa, costituendo un Vicariato alla
dipendenza dei Papi, noi dobbiamo vedere in ciò una novella prova
della saggezza di questo popolo. Fu notato infatti che il Vicariato
non era in Italia considerato come condizione di vera dipendenza
politica, Il Vicariato, introdotto dall’ Impero piuttosto come riserve
di diritti, che come esercizio di autorità, venne anche più largamente
applicato dalla Chiesa a beneficio delle città soggette, le quali con-
tinuavano a governarsi con ampia autonomia. E tale e tanta fu
la consuetudine di libertà nelle terre sottomesse al Papa; e così
fortemente radicó in esse il principio dell'autonomia comunale, che
attraverso i secoli esso dà segno di vita anche quando per i po-
litici infortuni doveva essere spento (2).

Ebbero adunque ragione i Guelfi in generale e i Perugini in
particolare di rimanere in quella via, per la quale fin dapprincipio
avevano posto il piede; e quante volte anche potenti alleati vollero
dissuaderli da entrare in nuovi accordi colla Chiesa, essi non ac-

(1) Stat. civit. Taurin, pag. 393, Ediz. dello ScLoPIS, compilati nell'anno 1360 per
ordine di Amedeo VI conte di Savoia. Su questo proposito nota lo ScroPIS: — « Non si
pensava allora a tutte quelle sottiglienze di reggimento amministrative, a cui si pon
mente oggidi. Lasciavasi muovere spedito nella sua sfera naturale il municipio; né si
confondeva sempre l' amministrazione col regno. Lo spirito di libertà aveva spaziato
per tutte le città dell’ Italia superiore all’ epoca della Lega Lombarda, e dappertutto
aveva lasciato traccia di sé, che dopo non erasi cancellata neppure per le succedute
mutazioni politiche.» (Stor. della leg., Vol. II, Cap. IV).

(2) Si allude qui al Manifesto, che nella rivolta di Rimini del 1841 fu pubblicato
per chiedere al Pontefice il governo laico ed altre riforme. I patriotti che posero mano
a quella rivendicazione di libertà, memori delle franchigie municipali, e consapevoli
del valore che hanno, si fecero a domandarle arditamente al Papa. Gran parte infatti
di quel documento 'si intrattiene sulla libera elezione dei consigli municipali, e sulla
necessità di inperniare su di essi la costituzione del supremo Consiglio di Stato, che
doveva risiedere a Roma. Il quale concetto trovasi encomiato nel Proemio dello Sta-
tuto conferito ai popoli pontifici da Pio IX nel 1848, nel quale è notevole il passo
ove si dice — « Ebbero in antico i nostri Comuni il privilegio di governarsi ciascuno
con leggi scelte da loro medesimi sotto l'autorità del principe, ecc. » —.

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CONSIDERAZIONI SUL PRIMO LIBRO DEGLI STATUTI PERUGINI

cettarono esortazioni e consigli, e rimasero fedeli alla loro poli-
tica, nella quale seppero destreggiarsi con sì oculata prudenza da
rivolgere a loro pro ciò che pareva a tutta prima essere pernicioso
alla integrità della loro patria. E par veramente che in questo
popolo fosse una sapienza che si direbbe d'istinto, la quale va-
leva più d’ogni altra trovata da sottilissimi ingegni; vogliamo
dire, quel sapersi giovare di alcune occasioni in modo, che esse
tornassero più profitievoli alla Repubblica di quello. che per sè
stesse non sarebbero state: Questa finissima arte politica si scorge
nei rapporti coll’ Impero e colla Chiesa, come fu ampiamente ve-
duto nei Capitoli che precedono; e meglio si scorgerà in seguito
quando dovremo esaminare tutto il movimento della vita politica di
questa antica e gloriosa Repubblica. Onde non c’è bisogno di
leggere a qual tempo appartengano le esortazioni ai Decemviri
perugini di Giovanni Alessi poste in fronte al Quarto Libro degli
Statuti, perocchè la citazione che ivi si fa dei precetti del divino
Platone, ci dimostra abbastanza che siamo pervenuti all’ éra del
decadimento (1). Non certo le fantasie platoniane, per quanto su-
blimi, si vennero applicando in Perugia nel bel tempo della sua
grandezza, ma i savi e pratici insegnamenti di Aristotele, di cui
furon seguaci i grandi politici del secolo XIV.

E gli effetti del buon indirizzo politico, sussidiato dalla for-
tezza del carattere e dalla elevata cultura, si videro nella lunga
durata delle pubbliche libertà. Il genio democratico poi e la ge-
losia del governo autonomo sono fino a noi pervenute; chè non è
alcuno che non vegga essere anc’ oggi i perugini amantissimi di
conservare insieme alle glorie dell’ arte loro, la maggior possi-
bile autonomia dei loro fiorenti istituti.

Perugia, aprile ‘95.
O. SCALVANTI.

(1) « Agite ergo, Patres Conscripti, rempublicam vestram amplectamini, defen-
dite, fovete . . . hane excolite veneramini ; hane totis viribus summa ope cura solli-
citudine ct. diligentia divini Platonis servantes precepta ad regendum. gubernandum-
que capessite ecc. (Stat. perug., Lib. IV, Exhortatio).

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DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO

dal principio delle libertà comunali all amo 1500

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; I] costituirsi del Comune italiano — questo fiore bello, rigo-
glioso e selvaggio della nostra storia politica, sbocciato sul finir
della notte fosca del primo medioevo ad annunciar che la pri-

E mavera stava per tornar sulla terra squallida per la mestizia in-
vernale — segna l'alba di un'età nuova; nella quale la gloriosa

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? memoria del municipio romano risorge nel dominio costituito dalla
spada dei barbari sulle rovine di Roma ed in cui gl’ Italiani affer-
mano la: prima volta la loro esistenza come popolo, i loro diritti in

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faccia all'impero, ricostruzione artificiale e poco duratura di quello
grande dei Latini. L'epoca dei Comuni fa sviluppare le arti, le
industrie, i commerci ed inizia il primato intellettuale dell’ Italia
sul mondo: le ire municipali, da cui fu cagionato l'esilio di Dante,
suscitano nel sommo poeta l’idea della Divina Commedia.

3 Al formarsi dei nostri Comuni concorsero tre fattori princi-
P pali della storia dell' Europa medioevale: il feudalismo germanico,
i l'impero e la Chiesa.

Le invasioni germaniche rinsanguarono i nostri connazionali
degenerati dai forti avi per la corruzione e l’infiacchimento del-
l'età imperiale romana. L'uomo tedesco ci è descritto da Tacito
come dotato di uno spirito generoso di indipendenza personale.
« La sua attività è isolata come la sua famiglia, come la sua abi-
tazione nella sua comunità . . . . . Non leggi, ma. consuetudini
lo stringono ad una comunità, e questa non si aggrega ad altre
23 338 G. PARDI

a formare un popolo, se non provvisoriamente » (1). E tale ca-
rallere dev'essere stato in parte trasfuso, nel mescolarsi delle
razze, ai popoli italiani, perocchè diventa una delle caratteristiche
dei loro Comuni: i quali tuttavia, benché sorti da un siffatto prin-
cipio, che abbattè l'impero due volte vigorosamente ricostruito da:
Carlomagno e da Ottone primo, svolsero meravigliosamente un
principio quasi contrapposto nelle associazioni delle arti schiudenti
la via a più larghi ideali di sociabilità umana. Ed è questo stesso
carattere di indipendenza, che agevola la riscossa dei vinti, l'af-
fermazione dei loro diritti in faccia ai vincitori. Il feudatario ger-
manico ama i castelli forti e solitari, che offrono una indipendente
sicurezza, e lascia il soggiorno delle città al popolo dei vinti.
Questi pertanto, trovandosi separati anche di territorio dai domi-
natori, hanno agio di afforzare il proprio carattere e le proprie isti-
tuzioni, finchè adunati col tempo intorno al gonfalone comunale an-
dranno all’assalto dei castelli, rivinceranno i vincitori d’una volla,
li costringeranno a venire in città e, con leggi crudeli, li terranno
lontani dal potere: gli antichi padroni saranno ridotti ad avere
minori diritti civili del più meschino dei loro soggetti d’un tempo!

Ma, perchè questo potesse avvenire, era necessario che si
trovassero a lottare insieme due grandi autorità come l' impero e
la Chiesa, l'una fondata sulla forza delle armi e l'altra sulla po-
tenza dello spirito. Profittando di questa lotta gigantesca, le città
italiane strappano privilegi ad ambedue le autorità, tanto che alla
fine ottengono di emanciparsi dalla supremazia vescovile e di po-
tersi eleggere da sè i propri magistrati. Così nasce il Comune
nello sfasciamento del potere imperiale, nell'indebolirsi di quello.
spirituale per essersi voluto innalzare di troppo.

I vescovi aiutano i cittadini a liberarsi sempre più dall'auto-
rità dei conti, discendenti dagli antichi feudatari germanici; ed è
sotto il loro patrocinio che le città italiane, non molestate dagli
imperatori lontani, nè dai papi intenti a grandi ideali di domina-
zione universale e costretti a difendersi dagli stessi Romani ri-
bellantisi, prolette dai vescovi potenti dalle violenze dei conti, pos-
sono ordinarsi meglio con la costituzione municipale, consistente

(1) Storia dei Comuni italiani dalle origini al 1313 per F. LANZARA, I; 14. SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 339

in una assemblea generale, in un consiglio minore ed in una au-
torità giudiziaria ed esecutiva rappresentata prima dai consoli e
poscia dai potestà.

Rinvigoriti da questo ordinamento, che stringeva in un fascio
saldo tutte le forze cittadine, i Comuni abbattono anche l’autorità
vescovile: Milano non accetta nè il vescovo eletto dal papa nè quello
eletto dall'imperatore; ma se ne crea uno da sè, il quale non ha
più per tal modo diritti di supremazia sopra i cittadini, bensì, direi
‘ quasi, doveri di riconoscenza verso di loro. Il Comune, che ha
respinto le armi degli imperatori tedeschi, s' afferma con la forza
propria indipendente da ogni autorità.

I primi magistrati delle libertà comunali sono i consoli. Si è
forse esagerato alquanto riportando la loro istituzione ad un tempo
troppo remoto, come, ad esempio, all’anno 900 per Roma ed al
959 per Verona. Quanto ad Orvieto il Manente, uno storico non
molto attendibile ma certo di feconda immaginazione, comincia la
lista dei consoli qualche secolo innanzi che questi realmente esi-
stessero, poichè i primi, che troviamo ricordati in documenti au-
tentici, sono del 1157. Così quanto a Lucca: mentre alcuni storici

-

lucchesi affermano che questa città avesse ordinamento comunale .

subito dopo la concessione di Ottone il Grande, ed altri fin dal
1075 (1), non si trovano al eontrario ricordi di consoli cittadini
vivente Matilde di Toscana (2). :

ll Villani, dopo aver narrato che l'impero venne a mano dei
Tedeschi, aggiunge: « In questi tempi la nostra città di Firenze
cominciò ad avere stato e potenza per le revoluzioni de’ detti impera-
tori; e per le dissenzioni che talora ebbono col Papa e colla Chiesa,
molte mutazioni e parti ebbe nella nostra città di Firenze » (3).
Così argutamente un semplice cronista del primo Trecento co-
glieva le cagioni del sorgere del proprio Comune. Seguita egli
poscia a narrare che i Fiorentini « feciono leggi e statuti comuni

(1) CIANELLI, Mem. Doc. St. Luc., I, 185.

(2) « Fu infatti la morte della Gran Contessa che dette l'ultimo tracollo alla potenza
de’ Duchi e de’ Marchesi di Toscana; ed i pochi eletti dipoi, disprezzati e combattuti,
si risolvettero di vendere alle città, per così dire, a contanti e alla spicciolata, una
autorità che oramai non era temuta né obbedita, dopodiché poté sorgere in quelle il
reggimento elettivo e popolare » (Iv. Arch. Luc., TI, 294);

(3) Gio: VILLANI, Cronica, l. IV, c. 3.
340 G. PARDI

vivendo ad una signoria di due consoli cittadini e col consiglio
del senato, ciò era di cento uomini i migliori della città, come
era l’ usanza data da’ Romani e Fiorentini ». Ecco dunque la
prima forma di costituzione comunale: un consiglio di cento sa-
pienti uomini, o senato, e due consoli, i quali « rendevano ra-
gione e facevano giustizia » (1). S'aggiunga inoltre l' assemblea
popolare, costituita da tutti i cittadini, e si avrà l'immagine dei
* Comuni italiani nel loro ordinamento primitivo.

Il numero dei consoli fu vario nelle diverse città, spingendosi
generalmente da due a dodici: variò pure nelle stesse città in
epoche differenti. Così mentre a Firenze dapprima erano due, fu-
rono quattro quando la città venne divisa in quartieri e sei al-
lorchè si spartì in sestieri. Non duravano in carica lo stesso
tempo in ogni terra, ma in alcune due mesi, in altre sei, in altre
finalmente un anno intero.

Le franchigie comunali e l’autorità cittadina dei consoli veni-
vano riconosciute dall’ imperatore nella pace di Costanza del 1183;
nella quale erà stabilito, per opera delle città lombarde strette in
lega potente e vittoriosa, che i Comuni avessero magistrati loro
propri e che i consoli, prima di entrare in carica, ricevessero
gratuita investitura dall’ imperatore medesimo o da un suo nunzio:
nelle città, dove l' investitura fosse di solito accordata dal vescovo,
rivestito dell' autorità di conte, durasse tale uso per cinque anni
ancora. In tal modo. va scomparendo a poco a poco l'autorità epi-
scopale. Cosi l'impero non conserva della piena ed illimitata si-
gnoria di un tempo se non un'ombra.

Ma tale riconoscimento delle autonomie municipali doveva dar
luogo ad un cangiamento nella costituzione comunale. I consoli,
che avevan rette le nascenti repubbliche nel tempo glorioso della
lotta per l'indipendenza, cominciarono a poco a poco a restrin-
gersi da dodici, o da sei, o da quattro, ad uno solo. E questi
prese in aleune città, ad Orvieto per esempio, il nome di rettore.
E naturale pertanto che, a cagione delle lotte sorgenti nel seno

(1) VILLANI; l. V, c. 32 : « Quelli Consoli al modo di Roma tutto guidavano e gover-
navano la città, e rendeano ragione, e facevano giustizia : e durava illoro uffizio uno
anno. E erano quattro consoli mentre che.la città fu a quartieri, per ciascuna porta
uno; e poi furono sei quando la città si parti a sesti ».
SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 341

dei minuscoli stati per le divisioni delle parti e gli odi delle fa-
miglie, cominciassero a temere i ciltadini che il magistrato inve-
stito dell'autorità consolare volesse appoggiare o l'una o l'altra
fazione. Pensarono pertanto di mutare il reggimento del Comune
e fu loro ovvio il farló perchè avevano già un altro magistrato,
il quale, per essere generalmente forestiero, non dava sospelto
di favorire con la propria autorità questa o quella parte cittadina.
Espone molto bene le cagioni di tale mutamento Giovanni Vil-
lani (1): « Ma poi cresciuta la città e di genti e di vizi, e fa-
ceansi più malifieii, si accordarono per il meglio del Comune, ac-
ciocchè i cittadini non avessono si fatto incarico di signoria, né
per prieghi, né per lema, o per diservigio, o per altra cagione
non mancasse la giustizia, si ordinaro di chiamare uno genule
uomo di altra città, che fosse loro podestà per uno anno, e ren-
desse le ragioni civili con suoi collaterali e giudici, e facesse l'e-
secuzione delle condannagioni e giustizie corporali ».

Gli imperatori germanici, per mantenere la loro potenza nelle
città italiane, vi mandavano a governarle dei podestà (2). Quando
l'Italia rivendicossi a libertà, concessero a queste città di eleg-
gere da sé i propri magistrati, e quindi lasciarono al loro arbitrio
il nominare o no un podestà (3), imponendolo soltanto a quelle
nemiche (4). I Comuni, sospettando, come si è visto, non favo-
rissero i consoli le fazioni cittadine, sostituirono ad essi i podestà,
eletti dapprima nell’ alta Italia ed introdotti ben presto negli or-
dinamenti delle altre regioni sulla fine del secolo duodecimo o sul
principiare del seguente. A Roma questo ufficiale unico, posto in
luogo dei consoli si chiamò senatore; « e come il podestà a’ con-
soli, così sottentrò il senatore al senato » (5).

Nei primi anni il podestà si avvicendò con i consoli. Infatti
i nepoti degli antichi feudatari, che si eran fatti popolari ed avevan

(1) L::V,.c. 32. Amno 1202. :
(2) « Iudiciaria quoque. Potestas occurit in antiquis Chartis, eoque nomine Co-
mites, Vice comites ceterique. iustitiam Populi ministrantes designabantur » (MuRa-
TORI, Ant. It. M. E., dissert. XVIII). z
(3) MORENA. Rer. Laud. nei R. I. S., IV, 1109.
(4) MORENA, loc. cit.; Sire RAOUL; De rebus gesti Federici, R. I. S., VI, 1190; SI-
CARDUS, Chon. R. I. S., VII, 600; ROMUALDUS, Chr0%. R. I. S., VII, 204.
(5) BALBO, Somm. della St. d’It., Firenze, 1856, p. 136.
849 G. PARDI

aiutate le moltitudini nell’ opera della riscossa, costituivano nel
principiar dei Comuni una specie di aristocrazia, dalla quale erano
generalmente tolti i consoli. Ed essi mal si acconciavano ad ab-
bandonare il reggimento, mentre il popolo, dal canto suo, mal si
adattava d'un tratto alla rigidità de’ nuovi* ordinamenti (1). . Per
questa ragione in alcune repubbliche fu contemperato il nuovo
con l’antico sistema di governo (2). Ma nella più parte delle terre
italiane il podestà si sostituì ben presto, e per sempre, ai consoli.
Tuttavia i nobili privati del potere lottarono in alcune città per
abbattere il nuovo reggitore: Pietro Parenzo, primo podestà di
Orvieto, fu ucciso, ed a Lucca i potenti signori di Porcari truci-
davano nel 1209 Guido da Pirovano (8).

L’ elezione del podestà rispondeva alle stesse norme di quelle
dei consoli (4). Lo nominavano in molti luoghi, come a Genova (9),
il consiglio maggiore, poscia i principali magistrati delle città ; ai
piccoli Comuni erano mandati dai grandi. Eccettuati pochissimi
esempi, ed in poche città, ed in taluni tempi soltanto, i podestà
dovevano essere forestieri affinchè fossero alieni dalle fazioni
cittadine. Infatti ad Orvieto non troviamo, almeno sino alla fine
delle libertà comunali nel 1354, alcun podestà non forestiero.
Soltanto, se a caso la persona designata per tale ufficio tardasse
a venire, erano nominati due Orvietani, di fazioni nemiche, a farne
le veci, quali Ugolino Lupicini ed Ermanno Monaldeschi nel 1314.
Anche a Lucca, nel 1222, furono eletti due podestà dalle case ri-
vali dei Montemagno e dei Porcaresi; ma avendo fatto, pare, cal-
tiva prova, dal 1228 si costumò chiamarli sempre forestieri (6).
Generalmente il. podestà doveva avere trent'anni ed esser nobile,
perocchè rappresentava il potere dei nobili discendenti degli an-
tichi feudatari, come più tardi il capitano di popolo rappresentò
quello della borghesia e degli artigiani.

Prima di entrare in ufficio giurava di esercitarlo bene e le-

(1) REZzAsCO, Dizion. del ling. it. st. cd amm. alla voce podestà.

(2) St. Parmae, ivi, 1856, p. 6; Gio: VILLANI, Cron. l. V, c. 32; GIULINI, Mem.
AMil., IIT, 390.

(3) Inv. Arch. Luc., II, 306.

(4) CARLINI, De pace Constantie, p. 12.

(5) OTTOBONUS SGRIBA; Ann. Gen., anno 1194,

(6) Inv. Arch. Luc., II, 306, SERIB DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECO. 343

galmente dinanzi al popolo adunato; ad Orvieto stando a cavallo
e ponendo le mani sugli evangeli, altrove sul volume degli statuti
come a Piacenza (1). Doveva rimanere a sindacato e, se aveva eser-
citato male la propria carica, era ritenuto finchè non pagasse la
multa inflittagli. Talvolta questa superava la sua possibilità ed in
tal caso veniva ucciso. Al contrario il podestà benemerito era lar-
gamente regalato o fatto cavaliere: gli si concedeva ancora di in-
quartare nel proprio scudo le armi della città.

Nei primi tempi aveva in mano tutta la cosa pubblica: era
uomo di legge e di spada e -personificava l'intero ordinamento
comunale con ogni elemento vecchio e nuovo, nobilesco e popo-
lare. Radunava parlamenti e consigli, nei quali egli stesso se-
deva e votava, avendo in alcuni luoghi doppio voto, e ne ese-
guiva le deliberazioni ; pronunciava le sentenze e puniva i col-
pevoli; eapitanava le milizie cittadine, intimava la guerra, faceva
la pace; guidava cavaleate anche senza il consenso del consiglio
maggiore nelle necessità subitanee; udiva ambasciatori, batteva
monete, imponeva balzelli e li riscuoteva.

Una carica cosi importante, cosi elevata e nobile e di tanta
autorità, doveva naturalmente svolgere i primi germi delle signorie
italiane, come dimostrano la prevalenza che in varie citià del-
l'Italia superiore ebbero fin dai primi tempi gli Estensi, i Salin-
guerra, i Romano. Questo fatto era agevolato dal trovarsi a di-
simpegnare l'ufficio della podesteria ed eziandio, ma molto più
di rado, quello della capitania, persone appartenenti alle famiglie
più ragguardevoli e potenti del tempo, come si può veder facil-
mente scorrendo anche la lista dei reggitori d' Orvieto.

I primi podestà di Orvieto furono romani. Innocenzo III, uno
dei più grandi pontefici, ben conobbe, appena consacrato, come
sotto i suoi deboli antecessori il potere temporale di S. Pietro
fosse andato quasi interamente distrutto. Pertanto primo cómpito
suo fu « di ristorare nelle più prossime attenenze la signoria
della Chiesa » (2). Orvieto nell' allargare il contado aveva occupato
delle terre su cui questa vantava diritti. Innocenzo HI lanciò
l’ interdetto sopra la città, allora invasa dall’ eresia paterina.

(1) Stat. Placentiae, Parmae, 1860, I, 4.
(2) GREGOROVIUS, St. di Roma nel Medioevo, |. IX, c. I, 8 2.

-
944 G. PARDI

Il popolo orvietano ricorse a quello di Roma, chiedendo
loro un uomo che possedesse tanta energia da estirpare il male
eretico in Orvieto e tanta grazia avesse appresso. il pontefice da
riamicarlo con la città. Vi fu mandato nel 1199, quasi come le-
gato del papa, Pietro Parenzo nobile romano.

E quanto la nobiltà romana d’allora fosse energica lo dimostra,
come osserva giustamente il Gregoriovius, il fatto che nella prima
metà del secolo XIII trovansi molti Romani podestà in città fo-
restiere. « Queste (la più parte avevano stretto alleanza difensiva
con Roma) chiedevano spesso con ‘solenni ambascerie al popolo
romano che loro desse un reggitore. Alla serie di cotai podestà
romani, che in tutti i documenti si denotano superbamente col
nome di Consules Romanorum, danno ormai inizio Stefano Car-
sullo nell’anno 1191 e Giovanni Capocci nel 1199 entrambi a Pe-
rugia » (1). In questo stesso anno Parenzo era eletto podestà di
Orvieto e dimostrò davvero una fermezza non comune nel com-
battere l’ eresia paterina, talchè per l'energia della repressione
fece nascere una congiura e fu ucciso (2).

Nel 1200, 1201, 1202, 1203, 1209 ed anche, secondo il Gre-
gorovius, nel 1218 era podestà d'Orvieto Parenzo di Parenzo, che
lo fu pure nel 1215 di Foligno (3), nel 1216 di Perugia e nel 1220 di
Lucca (4). Nel 1219 venne nominato senatore di Roma (5) e tornò
ad esserlo nel 1225 (6).

Un altro dei Parenzo, Andrea di Giovanni, era podestà in Or-

(1) GrEGOROVIUS, op. e loc. cit.

. (2) Il nome « Parentius » compare la prima volta nel 1148 fra i senatori. Su Pie-

tro Parenzo veggansi : RAYNALD, anno 1199, n. 22; Acta Sanctorum al giorno 21 mag-

gio; ANTON STEFANO CARTARI, Istoria antica latina del martirio di S. Pietro di Pa-

rensio, Orvieto, 1662; GUALTERIO, Cronaca di Francesco di Montemarte, I, 212; FUMI,

I Paterini in Orvieto in Arch. St. Ital., V. III, f. XXII, Cod. Dip. e Note storiche e bio-
grafiche.

(3) TAGOBILLI, Discorso di Foligno, p. 59; Historia Fulginatis nei R. I. S., p. 899.

(4) Inv. Arch. Luc., II, 308.

(5) Monum. Germ. Hist., IV, 241.

(6) RicCARDO DA S. GERMANO all'anno 1225. Parenzo di Parenzo fu alquanto dis-
simile dal suo congiunto Pietro di Parenzo. Lo nota il GnEGOROVIUS (l. IX, c. III, S 4)
con le seguenti parole: « Sebbene questo romano contasse fra i congiunti: suoi un
martire, egli era ad ogni modo nemico mortale del clero. Già come podestà di Lucca
aveva assoggettato i preti a balzelli o gli aveva discacciati, e per conseguenza aveva
tratto sul suo capo l'anatema d — Papa ».
SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 345

vieto nel 1319 e nel 1234-5: il figlio suo Andrea nel 1347 e Pietro
di Parenzo nel 1251.

Appartenente ad un'altra nobile famiglia romana era Gio-
vanni del Giudice, podestà d’Orvieto negli anni 1209 (?), secondo
il Gregorovius, 1216-7, 1226-7, di Firenze nel '34, di Perugia
nel ‘40. Nel 1239 fu eletto senatore di Roma. « Esordì egli nel
suo governo usando di grande energia contro i ghibellini e ne
distrusse le torri: così più d’un bel monumento dell’antichità
e, pare, anche una parte del palazzo dei Cesari, andarono di-
strutti » (1).

Di un’altra illustre famiglia romana, dei Cenci, fu podestà di
Orvieto Roffredo di Giovanni nel 1220. Giovanni Cenci Malabranea
lo troviamo podestà d'Orvieto nel 1269.e di Lucca nel 1280 (2).

Le due potentissime stirpi romane dei Colonna e degli Orsini
ebbero membri delle loro famiglie per podestà. d' Orvieto. Ma la
prima non ve ne mandó che uno solo, non potendo certamente i
Colonna, i quali tanto osteggiarono i pontefici, stare a reggi-
mento nella guelfissima Orvieto. Al contrario molti reggitori di
questa città appartennero ai figli d'Orso (3), che dettero in
questo tempo un pontefice alla Chiesa, Giovanni Gaetano Orsini,
che assunse il nome di Niccolò III (4). Bertoldo dei figli d' Orso,
senatore di Roma nel 1288-9, era podestà di Viterbo nel 1259-60,
e lo fu d'Orvieto nel 1278, Orso di Viterbo nel 1277-8 e di Orvieto
nel 1280, Gentile podestà e capitano di quest’ultima nel 1289-90,
podestà nel 1301. Aveva sostenuta la medesima carica a Todi nel
1986, a Firenze nel 1288-9 (5). Fu capitano di guerra dei Fiorentini,
nella spedizione contro Pisa nel 1292 (6), dei Perugini nel 1310 (7)
e nel 1811 (8). Era stato senatore di Roma nel 1280 assieme a
Pietro Conti. Ai 10 di marzo del seguente anno, cessando dall'uf-
ficio senatorio, furono nominati elettori. Crearono essi senatore a

(1 GnEGOROVIUS, Op. cit., l. IX, c. V, 8 1.
(2) Inv. Arch. Lwc., Il, 309.
(3) Sugli Orsini vedasi MuRATORI, Ant. It. M. E., III, 786; GAMURRINI, Famiglie
nobili toscane ed umbre, Firenze 1671, t. II: GREGOROVIUS, l. IX, c. T, 8 4.
(4) GnEGOROVIUS, l. X, c. II, 8 3.
(5) GIO: VILLANI; VII, 150.
(6) Ivi, VII, 154.
(7) Brevi Anni: di Per., p. 61: Diario del GRAZIANI, p. 72 (Arch. St. It., n. XVI).
(8) Diario del GRAZIANI, p. 76. È

L]
346 G. PARDI

vita dell'eterna città papa Martino IV ed, ambasciatori del popolo
romano, vennero ad Orvieto e ginocchioni presentarono al ponte-
fice la pergamena contenente la elezione di lui a senatore (1).
Più volte fu capitano di popolo e di guerra Poncello Orsini e si
rese signore d'Orvieto il figlio di lui Matteo.

Un altro senatore romano (2), Oddone di Pietro di Gregorio, si
trova podestà ad Orvieto nel 1224. Vi fu pure ad esercitare tale
uffieio nel, 1239-40, Pietro Annibaldi, uno dei capi della fazione
pontificia al tempo di Innocenzo III, poi suo siniscalco e più tardi
rettore di Cori. Il papa lo chiamò sororius, cognato, oppure figlio
di sorella. Egli, quando era senatore di Roma l'anno 1230, aveva

promulgato un celebre editto contro gli eretici (3). Fu di nuovo.

senatore nel 1261 (4).

Altra illustre famiglia romana è quella dei Savelli che dette
col cardinale Cencio un pontefice alla Chiesa, succeduto ad Inno-
cenzo III col nome di Onorio III. Onorio IV apparteneva pure a
questa schiatta nobile e potente (5). Dei Savelli furono podestà
d'Orvieto nel 1275 e '76 Giovanni senatore di Roma nel 1261. (6),
e Pandolfo, il quale negli anni 1279 e 1295 (7) domino la città
eterna con l'autorità senatoria, mentre il fratello la signoreggiava
con quella spirituale e temporale ad un tempo dei successori di
S. Pietro.

La vicina e potente città di Perugia è largamente rappresen-
tata nella serie dei podestà e capitani di popolo d'Orvieto. Fu
capitano, dall’ agosto del 1328 al gennaio del '24; e poscia podestà
. quell’Oddo degli Oddi, il quale era stato mandato nel 1315 a Fi-
lippo di Taranto a capo di una schiera di cavalieri perugini (8).

Prese parte alla battaglia di Montecatini (9) ed a quella di Alto-

(1) GREGOROVIUS, 1, X, c. IV, 8 4. Fu di nuovo senatore nel 1300 ; Ivi, 1. X, VI, 8 1.

(2) Fu senatore di Roma nel 1238 : 'GREGOROVIUS, 1. IX.

(3) Sugli Anibaldi vedasi GREGOROVIUS, l. IX, c. IV, 8 1 nota. Su Pietro lo stesso
GREGOROVIUS e RayNaLD all’ arno 1231,

(4) GREGOROVIUS, l. X, c. T, S 1.

(5) Sui Savelli vedansi PANVINIO, De gente. Sabella, mss. della Biblioteca Casa-
natense; RATTI, Storia della famiglia sforzesca, t. II; GREGOROVIUS, l. IX e X.

(6) GREGOROVIUS, l. X, c. I, 8 1.

(7) Ivi; 1l. X, c. 1,8 3, e c. V, S 4.

(8) Brevi annali della città di Perugia dal 1194 al 1352, scritti verosimilmente
da uno della famiglia degli Oddi (Arch. St. It., t. XVI, p. 62).

(89) Cronaca della. città di Perugia dal 1309 al 1491 nota col nome di Diario del
GRAZIANI (Arch. St. It., n. XVI, p. 86.).
ZI TIE SIE NIE

SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC, 347

pascio, nella quale il lucchese Castruccio fece prigionieri alcuni
dei cavalieri da lui comandati (1). Nel 1327 portò l'aiuto di 200
cavalli al marchese della Marca (2). Nel 1230 si fece a Perugia
un grande rumore, nel quale ebbe parte notevole Oddo degli Oddi,
che fu perciò mandato a confine dai camarlinghi ‘e dai priori
delle arti (3). Venne ucciso l anno seguente per le rivalità can-
giatesi in odio profondo tra gli Oddi da ‘una parte ed i Baglioni
ed anche i Vencioli dall’ altra (4). Oddo fu un valoroso capitano
ed una delle persone più insigni della sua famiglia. Era stato
podestà di Viterbo nel 1286, di Todi nel 1291, ecc.

Dei Baglioni, l’altra famiglia che occupa tanta parte della
storia di Perugia, l’ eterna rivale degli Oddi, furono a reggere
Orvieto un Prizzivalle nel 1318 come capitano di popolo, e nel
1330 e "34 Bicello di Gualfreduccio e Baglione di Novello come
podestà e capitani ad un tempo. Bicello Baglioni nel 1328 era stato
mandato con una schiera perugina in soccorso di Orvieto e della
Chiesa (9). Dei Vencioli troviamo nella serie dei reggitori di
Orvieto tre figli di quel Venciolo di Venciolo stato podestà di As-
sisi nel 1322 e di Spoleto nel 1324, inviato nel 1326 con 300 ca-
valli in aiuto del duca di Calabria. Il figlio Cecchino, che prese
parte alla uccisione di Oddo degli Oddi e venne condannato ad
una multa pecuniaria, fu podestà e capitano di Orvieto nel 1346 ed
era stato podestà di Castiglione nel 1345 (6). Fu anche valente
capitano: guidò i Perugini, che nel 19347 cavalcarono al soldo del
re d’Ungheria (7). Lo decapitarono nel 1351 assieme al fratello
Lodovico, perchè assieme a Giovanni di Cantuccio dei Gabrielli,
signore di Gubbio, aveva tramato contro i guelfi di Perugia (8).

(1) GRAZIANI, Diario, p. 91.

(2) Ivi, p. 92.

(3) Il rumore era nato perché Venciolo di Novello dei Vencioli, nel consiglio
adunato nel palazzo del podestà, aveva domandato che le lettere che andavano al papa
dal vescovato fossero sigillate. Si opponeva a questo Oddo appoggiato da molti popo-
lani. « Se contrapuse de modo che non se podde ottenere che ditte lettere se doves-
sero sigillare ». Di qui una grande contesa tra le due parti (Diario del GRAZIANI, p. 104).

(4) Fu ucciso da due dei Baglioni e da Cecchino di messer Venciolo. Eccetto que-
st' ultimo, gli uecisori furono cacciati in bando (ivi, p. 105).

(5) Brevi ann. di Per., p. 64 e 65.

(6) Diario del GRAZIANI, p. 137.

(7) Ivi, p. 144.

(8) Ivi, p. 154. Il fatto quivi narrato trovasi meglio e più chiaramente esposto
nel cronista eugubino (MURATORI, A. I. S., XXI, 926).
348 G. PARDI

e

Un Ceccolino dei Michelotti, altra notabile famiglia perugina,
fu reggitore di Orvieto nel 1351-2. Ma uno dei più famosi tra i
Michelotti, il capitano Biordo, quegli per la cui opera 1 nobili fu-
rono cacciati da Perugia nel 1393 (1), per il qual fatto egli ebbe
onori straordinari (2) s'insignoriva di Orvieto nel 1395. Nel
'07 fu capitano generale a Firenze. Tornato nel novembre fece
fare grandi feste per prender moglie (3). L'anno dopo veniva uc-
ciso con grande dolore dei Perugini a lui affezionati per aver fatto
trionfare la parte democratica.

Un altro e più famoso capitano perugino, Braccio da Mon-
tone, le cui gesta son troppo note, fu signore di Orvieto dal
1416 al ^19.

Bologna ha per primo rappresentante, nella serie del reggi-
tori d' Orvieto, Tommaso della famiglia dei Caccianemici ricordata
da Dante, sì numerosa e potente che, essendo tra di loro in di-
scordia nel 1219, il consiglio di Bologna, dubitando si fosse per
ispargere molto sangue, « elesse Francesco de' Preti et France-
sco de’ Argellati huomini di valore, et giudicati atti a simili. ne-
gotii, et anco congionti di parentela con essi Caccianemici, accioc-
chè trattassero di pacificarli insieme » (4).

Tommaso Caceianemici fu podestà d'Orvieto nel 1222, nel ‘46
e, secondo il Ghirardacci, anche nel 45 (5). Nel 1239, facendosi
pace delle frequenti discordie tra Bologna e Modena, giurarono
vari rappresentanti delle due città che per l'avvenire si sarebbero
rimesse all'arbitrio di Parma, se per avventura dovesse nascere
tra esse qualche controversia. Fra i rappresentanti di Bologna
era pure Tommaso Caccianemiei (6).

Era aneora tra questi Ramberto de' Ghisleri (7) podestà di
Orvieto nel 1243. Nel '61, essendo stato ‘posto in ceppi Castellano

(1) Diario del GRAZIANI, p. 259.

(2) Fra gli altri onori gli venne eretta una statua insigne per isculture ed orma-
menti (Annali decemvirati di Perugia all'anno 1398, c. 30).

(3) In questa occasione Venezia, Firenze, Città di Castello, Todi, Orvieto, Assisi,
Nocera, Trevi, Spello, Gualdo, Castel della Pieve e tutte le ville e i castelli di Perugia
mandarono ambasciatori e doni. Le feste furono splendide.

(4) GHIRARDACCI, Della Historia di Bologna, ivi, 1605, T, 603.

(5) Op. cit., I, 166. ;

(6) Ivi, I, 178.

(7) Ivi, ivi.
SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECO. 349

di Andalò senatore di Roma, i Bolognesi fecero prigioni tutti. i
Romani chierici e laici che si trovavano in città. Il pontefice la
interdisse. Fu allora spedito a Roma come ambasciatore Ram-
berto Ghisleri con altri tre notabili cittadini (1). Nel 1280, per le
lotte tra i Lambertazzi e i Geremei, Bertoldo Orsini conte di Ro-
magna e nepote di Niccolò III citò a comparire innanzi a sè, per
punire i colpevoli degli eccessi commessi, varie persone delle due

-

fazioni, tra le quali Ramberto.
Fu podestà ad Orvieto nel 1260, e a Modena nel 1254 e nel
"10, un Filippo della famiglia bolognese degli Asinelli rinomata per
le sue inimicizie con gli Scannabecchi e il cui nome è raccoman-
dato ancora ad una torre famosa edificata intorno al 1109 (2).
Nel 1280 era fra i sapienti convocati da Bertoldo Orsini per giu-
dicare delle controversie tra i Lambertazzi e i Geremei (8).
Ad altre due ragguardevoli famiglie bologuesi appartennero
‘Gerardo dei Galluzzi podestà di Orvieto nel 1295 e Lamberto dei
Paci capitano di popolo nel 1300. .
Di Firenze vediamo tra gli altri podestà d'Orvieto, nel 1299,
il famoso Corso Donati, del quale Dino Compagni fa questo vi-
vente ritralto: « Uno cavaliere della somiglianza di Catilina ro-
mano, ma più crudele di lui, gentile di sangue, bello del corpo,
piacevole parlatore, adorno di belli costumi, sottile d'ingegno, con
l animo sempre intento a mal fare..... molto avere guadagnò e in
grand’ altezza salì. Costui fu messer Corso Donati, che per sua
superbia fu chiamato il barone, chè quando passava per la terra
| molti gridavano: Viva il barone; e parea la terra sua. La vana-
gloria il guidava, e molli servigi facea » (4).

Troviamo pure come podestà più d’uno dei Frescobaldi: quando,
nel 1409, fu rinnovata in Orvieto la podesteria, il primo elettovi . Ni
è Tommaso di Leonardo Frescobaldi.

Di S. Miniato, terra in quel di Firenze, fu podestà nel 1298 d

AS

(1) GHTRARDACCI, I, 201.

(2) Ivi, I, 59.

(3) Ivi, 1, 251.

(4) Dino COMPAGNI, Cron. Fior., Milano 1873, p. 72. 350 È. PARDI

e nel 1305 quel Barone de’ Mangiadori, che insegnò ai Fiorentini
a vincere la battaglia di Campaldino (4).

Di Massa troviamo rappresentanti della famiglia dei marchesi
di questa terra e di quei Todini che furono dei più potenti ma-
gnati della maremma senese. Erano di grande facoltà non sol-
tanto per dominî ma anche per traffici, tanto che i Pisani, per il
grandissimo commercio fatto da. ‘essi nella loro città, ne ricavavano
più di 1,500 fiorini d'oro all’ anno di gabella (2).

Di Anagni troviamo più volte podestà lo stesso Bonifacio VILI
ed altri della famiglia Gaetani, tra cui il nepote di lui, Benedetto
figlio di Pietro conte di Caserta (3).

Di Volterra fu podestà d’ Orvieto quell’ Ottaviano dei Belforti,
il quale nel 1840 si fece signore della sua città (4).

Di Gubbio nella lista dei podestà orvietani leggiamo moltis-
simi nomi della famiglia dei Gabrielli, che se ne insignorì (5).

E tra gli altri, quel Cante dei Gabrielli, che fu podestà di Fi-:

renze più volte (6) e condannò l’ Alighieri all’ esilio e fu capitano
di guerra dei Fiorentini all’ assedio di Pistoia (7).

E così potrei seguitare a dire di illustri cittadini di altre terre,
se non temessi di tediare il lettore: basteranno gli esempi ad-
dotti a dimostrare quanto fosse in onore la carica di podestà,

(1) Dino COMPAGNI, p. 30: Prima che s'ingaggiasse la battaglia di Campaldino,
«messer Barone de' Mangiadori da S. Miniato, franco ed esperto cavaliere in fatti d'arme,
raunati gli uomini d'arme, disse loro : Signori, le guerre di Toscana soleansi vincere
per ben assalire e non duravano, e pochi uomini vi moriano ché. non era in wso
U ucciderti. Ora è mutato modo, vinconsi per stare ben fermi: il perchè io vi consi-
glio che voi siate forte e lasciategli assalire ».

(2) NERI DI DONATO, Cron. San. R. I. S. XV, 139, nota del BENVOGLIENTI.

(3) Sui Gaetani vedasi GREGOROVIUS, l. X, c. VI, S 1. :

(4) G10 : VILLANI, XI, 116 ; CEGINA, Notizie istoriche della città di Volterra, p. 192-8.

(5) MATTEO VILLANI, Cron., I, 81-2; Diario del GRAZIANI, p. 156.

(6) DINO COMPAGNI, p. 72. A Firenze entrarono i nuovi priori il 10 novembre 1301
e, dopo sei giorni « elessono per podestà messer Cante Gabbriele d'Agobbio : il quale
riparò a molti-mali e. a molte accuse fatte e molte ne consentì ».

(7) I Fiorentini nel 1304 assediavan Pistoia capitanati dal duca Roberto di Cala-
bria, figliolo primogenito del re Carlo. Clemente V, pregatone dal cardinale Niccola
da Prato, comandò al duca e ai Fiorentini levassero l'assedio. Il primo obbedì e si
partì. I Fiorentiui rimasero « e elessono per capitano Cante de' Gabrielli d'Agobbio,
il quale niuna piatà avea de’ cittadini di Pistoia ». Ai prigionieri della città assediata
venivan mozzati i piedi ed in tale stato eran posti appié delle mura acciocché i pa-
renti li vedessero. Dino ComPAGNI, indignato di questa barbarie esclama. (p, 104):
« Molto migliore condizione ebbe Soddoma e Gomorra e 1’ altre terre che profonda-
rono in un punto, e morirono gli uomini, che non ebbono i Pistolesi morendo in cosi
aspre pene »,
SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 351

tanto che non disdegnavano esercitarla le più nobili e ricche per-
sone, e come anche Orvieto possa vantare tra i suoi reggitori '
nomi famosi nella storia.

SH:

Verso la metà del sécolo XIII successe un notevole cambia-
mento nei reggimenti comunali. Gli storici fiorentini narrano am-
piamente, per riguardo alla città loro, questa trasformazione av-
venuta l'anno 1250. cs

Il conflitto fra i discendenti dei feudatari germanici e la no-
biltà cittadina, le origini del quale sono state dai cronisti attri-
buite alla contesa dei. Buondelmonti con gli Amedei, si era. fatto
sempre più aspro: la borghesia sembrava aver perduta ogni im-
portanza e tener dietro soltanto a questa lotta fra gli antichi
avversari e gli antichi ausiliari del popolo conquistante le fran-

chigie comunali. I nomi di guelfi e ghibellini, significanti non piü
fazioni parteggiatrici per la Chiesa o per l' impero, bensi famiglie
che si odiavano l’ una con l'altra, ambiziosi che volevano conten-
dersi il primato, fra poco la signoria, nelle varie ciltà, continua-
vano ancora a tener divisi gli animi degli avi. nostri. In quel
tempo a Firenze i guelfi erano stati cacciati; ma, rianimati dai
disastri dell’imperatore e dalla vittoria dei Bolognesi a Fossalta,
avean ripreso vigorosamente le offese. « Chi doveva però soffe-
rire tutti i danni dell’ esterna guerra, era il popolo, il quale ve-
deva chiuse per essa le vie, interrotte le comunicazioni, impediti
i commerci » (1).

S'aggiunga inoltre che i ghibellini dominatori opprimevano
il popolo di gravezze, lire ed imposte insopportabili (2). Per que-
ste ragioni i buoni uomini della città « levarono la signoria alla
podestà ch’ allora era in Firenze e tutti gli uficiali. rimossono. E
ciò fatto, sanza contrasto se ordinarono e feciono popolo con certi
nuovi ordini e statuti e elesseno capitano di popolo messer Uberto
da Lucca; e fu il primo capitano di Firenze; e feciono dodici an-

(1) F. LANZARA, Op. cit., p. 488.
(2) GIO: VILLANI, VI, 39.
3592: G. PARDI

ziani di popolo, i quali guidavano il popolo e consigliavano il detto
capitano » (1).

Questa rivoluzione, successa presso a poco nello stesso tempo
(ad Orvieto nel 1251) in quasi tutti 1i Comuni italiani, segna la
rivendicazione dei diritti popolari contro i nobili, i quali nel primo
Comune l'avevano fatta da padroni traendosi dietro; col prestigio
del nome e con le ricchezze, le moltitudini e guidandole a quelle
guerre, che loro tornavano di giovamento. Ma d’ora innanzi essi

.non potranno più imporsi, poichè è stato creato un nuovo magi-

strato, che ha l’incarico di tenere alti i ‘diritti del popolo e di
abbassare le pretese dei nobili, infrenando per di più il potere del
podestà, ufficiale essenzialmente nobilesco nella sua istituzione e
molto propenso a spalleggiare i magnati.

Il capitano di popolo è il rappresentante del periodo più bello
e glorioso delle libertà comunali ; ma dura poco la sua potenza
perchè le repubbliche italiane, non molto più di mezzo secolo
dopo, intorno al 1313, vanno trasformandosi in signorie e muore
con esse il nome del difensore dei diritti popolari. Il quale non
ha più che far nulla con le tirannidi, mentre il podestà vive an-
cora, ed a lungo, come amministratore ed ‘esecutore della giu-
stizia.

‘Generalmente ogni Comune ne ebbe uno solo, ma talvolta
anche due come Pisa (2) e Genova (3): dodici S. Gemignano (4).
Doveva essere della stessa età del podestà, di nobile lignaggio,
generalmente forestiero. Ma quest’ultima qualità non era dovun-
que richiesta così assolutamente come per l' altro magistrato. Non
fu sempre forestiero in Genova; Siena dopo il 1355 cominciò ad
averlo cittadino (5). Orvieto, mentre non ebbe mai un podestà
non forestiero, assunse alla carica di capitano di popolo più d’un
Orvietano: Ugolino della Greca nel 1256, Domenico Toncella nel
57, Cittadino dei. Monaldeschi nel ’59-60, Matteo Toncella nel 61,
Ugolino della Greca di nuovo nel ‘64, Bonconte di Monaldo Mo-

(1) VILLANI, loc. cit. z

(2) Breviar. Pis. Hist. nei R. I. S., vol. VI, all'anno 1364.

(3) OBER. STANCON, Ann. Gen. all'anno 1270.

(4) G. TARGIONI-TOZZETTI, Viaggi in diverse parti della Toscana, Firenze 1768-79,
VIII, 188. i

(5) NERI DI DONATO, Cron. Sen., 149.
SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 353

naldeschi nel '65, Oderico de’ Filippeschi nel ‘66, Monaldo di Ra-
nieri di Stefano nel '68, Neri della Greca nell’ '80-1 e nell’ '84,
Monaldo di Ciarfaglia Monaldeschi nell’ ’83, Ermanno Monalde-
schi nell’ ‘84, Faffuecio de’ Medici nell’ '85, Ranieri di Zaccaria
nel 1316. Nel 1822, da maggio a luglio, esercitarono la capitania
Bonuccio di Pietro Monaldeschi e Ugolino di Farolfo di Monte-
marte. Ma veramente si può dire che soltanto nei primi tempi
ebbero gli Orvietani dei capitani cittadini, poichè dopo il 1285 non
troviamo che una eccezione, Ranieri di Zaccaria.

La elezione di lui fu un fatto straordinario avvenuto per le
seguenti ragioni. Dopo la cacciata dei Filippeschi nel 1343, si era
costituito un governo aristocratico, il governo dei signori Cinque,
che aveva abolito il capitano di popolo. Ma allorquando questi
nuovi reggitori ebbero condotto gli Orvietani ad una tremenda
sconfitta nel 1316, sotto Montefiascone, il popolo tumultuando ri-
chiese gli ordinamenti antichi; e poichè non v'era in quel mo-

mento chi incaricare dell'ufficio di capitano, ne fu investito Neri
; >

di Zaccaria, ragguardevole e sapiente personaggio, stato già po-
destà di Firenze. Quanto a Bonuecio Monaldeschi ed a Farolfo
Montemarte, essi ressero temporaneamente la capitania finchè
non venne il nuovo capitano, essendo dovuto partire improvvisa-
mente il vecchio.

Anzi col tempo fu tanto rigorosamente vietato in. Orvieto che
si eleggesse un capitano cittadino, da proibire persino con. pene
severe il dire che tale magistrato non era forestiero. Questo fa-
rebbe in.certo modo capire come i capitani cittadini debbano aver
fatto in Orvieto cattiva prova, quale fecero a Lucca 1i podestà non
forestieri.

L’autorità dei capitani di popolo andò sempre crescendo a sca-

‘pito di quella dei podestà, a quel modo. che il potere di questi

era aumentato nei primi tempi fino a soppiantare essi completamente
i consoli. Poichè non si volle d’un tratto privare interamente i
nobili del governo, ma far mista la repubblica, furon divisi i ma-
neggi tra i due officiali; ma il capitano cominciò a primeggiar
sempre più sovra il podestà, a cui fu tolta col tempo ogni incom-
benza politica, restringendo il suo ufficio ad amministrare e far
eséguir la giustizia. Tuttavia molti delitti, specialmente di carat-
tere politico, venivano giudicati dal capitano. La Carta del popolo
24
354. G. PARDI

di Orvieto, una specie degli Ordinamenti di giustizia del Comune
di Firenze, riforma della costituzione in senso vie più democra-
tico, dichiara molto precisamente gli uffici del capitano nel tempo
in eui il popolo aveva preso di gran lunga il sopravvento su i
nobili.

L'elezione dei capitani si faceva nel seguente modo. Ognuno
di essi, quattro mesi prima di cessar dalla carica, doveva con-
vocare il consiglio dei sette consoli delle arti maggiori e dei qua-
ranta buoni uomini popolari. Quivi si stabiliva di qual provincia
e lerra dovesse essere e si ordinava il salario di lui e la fami-
glia che avesse a portare con sé. Si decretava nello stesso tempo
che egli fosse cavaliere, non minore di 26 anni, di terra lontana
.40 miglia, che durasse in ufficio non più di sei mesi, che fosse
obbligato a stare al sindacato per otto giorni, che si tenesse con-
tento del salario datogli e non potesse chiedere di più (1).

Egli presiedeva di regola il consiglio dei Sette e dei Quaranta
e proponeva alle deliberazioni del medesimo ciò che credesse più
utile per il bene ed il pacifico stato della città (2). Come. convo-
catore e presidente di tale consiglio doveva farne bandire la riu-
nione per il giorno seguente Ja sera ultima del mese, in cui i Sette
uscivan di carica. In questo consiglio venivano eletti i successori
loro; ed il capitano doveva essere presente a tale elezione. Aveva
inoltre l' obbligo di invigilare acciocchè siffatta nomina fosse fatta
legalmente. Non poteva infatti essere dei Sette o dei Quaranta chi
non possedesse per 200 lire cortonesi di beni immobili, non fosse
della città o del contado, e non esercitasse un’ arte ed una sola (3).
Doveva finalmente ogni anno, del mese di settembre, adunare
il consiglio del popolo per fare la correzione della Carta (4).

Precipua cura del capitano doveva essere il governo e la di-
fesa delle corporazioni delle arti, nucleo principale e forza delle
repubbliche democratiche. Ogni anno, nei mesi di gennaio, feb-
braio e marzo, si faceva portar le matricole di queste associazioni

(1) Carta del popolo (nel Cod. Dipl. della città d? Orvieto, edito da LuIGI FUMI),
S'VIII.
(2) Ivi, S VI.
(3) Ivi, SII e III.
(4) Ivi, S XLVI.
305

SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC.

artigiane, esaminava se le persone iscrillevi esercitassero real-
mente l'arte, cassava e puniva i contravventori (1). I consoli
avevan l'obbligo di registrare nelle matricole tutti i giurati delle
arti a petizione loro: qualora non lo facessero, il capitano li pu-
niva (2).

Affinché tra le arti regnasse sempre l' unione e la concordia,
egli doveva obbligarle a fare società fra loro nel primo mese
della capitania. Poiché non era lecito appellarsi dalle sentenze
dei consoli delle arti, era punito da lui chiunque lo facesse (3).
Essendo infine consuetudine che le arti portassero ogni anno
certi ceri per la festa della madonna d'agosto, il capitano era
tenuto ad osservare, la vigilia della festa, che questi ceri fossero
nel numero e nella maniera voluti (4).

Per tutte queste ragioni s'intitolava difensore delle arti e
degli artefici. Si chiamava pure difensore del popolo, perchè
aveva l’incarico di proteggerlo dalle prepotenze dei nobili. Se
qualche cittadino soffrisse oltraggio, sopruso o derubamento da un
barone o da una comunità, il capitano aveva l'obbligo di assisterlo.
Mandava per il barone o presso la comunità e costringeva quello o
questa a riparare il mal fatto ed a restituire il mal tolto (5). Era
il protettore dei poveri e dei deboli: doveva mantenere e difendere
i beni dell’ ospedale dei poveri di S. Maria (6) ed invigilare a che
fossero rispettate le doti delle donne maritate (7).

Nei rumori e nelle sollevazioni guidava le moltitudini adunate
dal suono della campana squillante dall'alto del palazzo del po-
polo. Quando questa suonava a martello, tutti gli artigiani dove-
vano correre a lui (8) In tempo di rumore i nobili non potevano
accorrere ai palazzi (9), nè i ghibellini trarre. a] rumore (10), nè
i Sette o gli artigiani accedere alle case degli ottimati (11).

(1) Carta del popolo, S LXXXV.
(2) Ivi, S XXI.

(3) Ivi, 8 XLII.

(4) Ivi, 8 XOIV.

(5) Ivi, S XXXIV.

(6) Ivi, S LI.

(7) Ivi, S LXII.

(8) Ivi, S CVII.

(9) Ivi, 8 CX.

(10) Ivi, 8 CVII.

(11) Ivi, 8 CVIII e CVIIII.

-
G. PARDI

Per la sicurezza e conservazione della città il capitano do-
veva imporre che tra gli uomini delle arti vi fossero mille armati
ben provvisti’ d’ armi e munizioni e dichiarava quali dovessero
essere queste persone; ed esse avean l'obbligo di provvedersi
delle armi indicate nel tempo prescritto dal capitano (4).

Questi, oltre le faccende relative alla difesa del popolo, alla
protezione delle arti, alle armi ed alla pace della città, aveva una
curia con propri giudici, che sentenziavano di alcuni delitti. Tale
miscela di attribuzioni tra il podestà ed il capitano dovevano na-
turalmente far nascere dei conflitti assai frequenti tra questo e
quello. Perciò con un capitolo dello statuto. il Comune di Lucca
cercò riparare ad un inconveniente siffatto, ordinando che il po-
destà e il capitano non s'impacciassero nelle faccende l'uno del-
l’altro: (2). Gli Orvietani delimitarono chiaramente gli uffici di
ambedue nella Carta del popolo.

Anzitutto il solo capitano poteva giudicare dei delitti politici.
Eran puniti da lui i consoli, che non intervenissero al consiglio
in cui si eleggevano i Selle (3), questi se entrassero in una ta-
verna o accedessero alle case dei nobili (4), chi ricettasse ban-
diti (5), ecc. Gli altri casi, nei quali poteva amministrar la giu-
stizia, sono contemplati dal seguente capitolo della Carta: « Possa
egli giudicare delle violenze, delle frodi e degli inganni, delle
quistioni delle vedove e dei pupilli, delle cause mosse dal Comune
d’ Orvieto contro i baroni ed i nobili de! contado e del»distretto,
degli alimenti lasciati zn eetremis, del giuoco della zara, dei ne-
gozi dei tavernieri della città e dei borghi » (6). In siffatti, casi
era giudice il capitano di popolo :. ed è naturale. Perocché come
difensore del Comune e del popolo aveva diritto di punire i no-
bili ed i baroni, che facessero contro il Comune od un popolano
violenze, frodi, ruberie, ecc. ; come difensore dei deboli, e quindi
delle vedove e dei pupilli, si occupava delle cause mosse da essi;

) Carta del popolo, 8 LXI.

2) St. Luc., nella riforma del 1308, III, 135.
3) Caria del popolo, S LXXXIV.

4) Ivi, S CI.

5) Ivi, 8 DXXIX:
)
SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 391

come custode della pace invigilava sul giuoco della zara e sulle

taverne, affinché non avessero a nascere risse e tumulli.

Inoltre come difensore e protettore dei poveri prendevasi cura

delle opere pie, dei lasciti fatti all'opera della chiesa. maggiore

ed alle altre chiese, sui quali lasciti egli ed uno de'suoi giudiei
avevano piena balia ed arbitrio. Infine come difensore del popolo
s'intrometteva pure nei processi fatti dal podestà contro qualsiasi

popolano e doveva convenire, assieme ad un suo giudice, col
giudiee dei malefizi della curia del podestà, per sentire i testi-
moni in discolpa dell’ accusato: se non facesse ciò, non aveva

aleun valore la sentenza pronunciata contro uno del popolo (1).

In tutti gli altri casi non si poteva. intromettere nei processi

del podestà, né questi negli atti del capitano. Spettavano a lui
altre varie attribuzioni, come l' uffizio della grascia (2), uffizio di
pubblica utilità, perocchè da questo dipendeva .che vi fosse ab-
bondanza degli elementi di prima necessità per la vita dei citta-

dini e non succedessero quindi ‘carestie. Sindacava i camarlinghi

del Comune, i collettori dei dazi, i sovrastanti ai ponti, alle fonti

alle vie e tutti coloro a cui venisse in mano danaro pubblico (3).
Aveva cura di estirpare i lenoni ed i corruttori della curia della
giustizia (4). Aveva la custodia degli atti pubblici, che faceva de-
positare nella chiesa di S. Giovanni, archivio del Comune in quel
tempo (5). Innanzi a lui si procedeva alla elezione. dei castellani e

podestà di Cetona e, contravvenendo questi alle !

eggi, erano da esso

puniti (6). Definiva le quistioni che nascessero tra Cetona e Chiu-
si (7), affinchè dalle controversie tra queste due grosse terre
suddite ad Orvieto, non avesse la medesima a soffrir danno. I
castellani dei castelli del contado aldobrandesco erano tenuti ad
assegnare il loro sergente al capitano e farli approvare da lui (8).

1)

2) Ivi;
) Ivi,
) Ivi,
5) Ivi,
(6) Ivi;
(7) Ivi,
(8) Ivi,

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(è)

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Carta del popolo, ivi.

S XXVII.
S XVI.

S XVII.

S XXX.

S XXXIII.
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8 CIV,

Se doveva farsi una nuova moneta, la provisione di ciò spettava
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358 G. PARDÍ

ad esso ed ai Sette (1). Nella festa di S. Chiara del mese d'ago-
slo, come rappresentante del popolo si recava ad udire la messa
nella chiesa della beata Vergine assieme ai consoli delle arti e ai
consiglieri del consiglio maggiore (2).

Per rendere più grande il potere del capitano, era stabilito
che tutti della città e del contado obbedissero a'suoi comandi (3)
e che non si potesse cospirare contro di lui (4).

Anche nella lista dei capitani di popolo d'Orvieto troviamo,
sebbene in minor numero che in quella dei podestà, dei nomi fa-
mosi nella storia dei Comuni italiani, specialmente le stesse per-
sone che avevano esercitato, od esercitavano nello stesso tempo,
la podesteria: Rufino della nobile famiglia milanese dei Mandello
(della quale furono podestà di Firenze Otto nel 1218 e Rubaconte
nel ’37) (5), podestà di Orvieto nel 1250 e capitano l'anno seguente;
uno dei Galluzzi di Bologna nel 1269; Uguccione dei Fettalasina
egualmente bolognese nel '72; Giovanni di Guido Pepoli, altra no-
bile e potente famiglia di Bologna, nel '76; il fiorentino Bindo
de’ Cerchi nell’ ’86; Bertoldo Orsini podestà e capitano nell’ ’87;
Gentile Orsini podestà e capitano nell’ '88-9; Ubaldo della fami-
glia lucchese degli Antelminelli, da cui uscì il famoso Castruccio,
podestà nel '95-6; il romano Giovanni Arcioni nel ‘97; un altro
degli Antelminelli nel ?98; uno dei Frescobaldi fiorentini (appar-
tenenti come i Cerchi alla nobiltà nuova di Firenze) nel '99 ; Gio-
vanni Savelli romano podestà e capitano nel 1309-10 ; il valoroso

Ugolino segnore della vicina terra d’ Alviano (stato più volte po-

destà di Todi) nel 43 ; Cante de’ Gabrielli eugubino podestà e capi-
tano nel 14-5 ; Poncello Orsini capitano soltanto nel 16-7 e nel ’21-2,;
uno dei Baglioni di Perugia nel 18; il perugino Oddo degli Oddi
nel 23-4; uno della potente famiglia dei Varano da Camerino, insi-
gnoritisi poscia di questa città, nel 25-6; i senesi Ponzio e Pietro
de’ Saraceni nel '29 e nel ’31-2; Cantuccio dei Gabrielli, divenuto
signore di Gubbio, nel 733; il fiorentino Iacopo de’ Bardi nel ‘34;

(1) Carta del popolo, 8 CXXV.
(2) Ivi, S XXXVI.

(3): Ivi, 8 XIII.

(4) Ivi, S XVIII,

(5) GIO: VILLANI, V, 42 e VI, 26,

VAI ARI UT MATES RESTER IUBE Ea: SERIE DEI SUPRÉMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 359

Carlo di Monteapone dei marchesi di Massa nel ’37-3; Ottaviano
dei Belforti, fattosi poscia tiranno di Volterra, nel '38-9; Matteo
Orsini, spadroneggiante Orvieto per tre anni dal '41 al’43; Vito
degli Scotti di Roma nel ’48; Bernardo di Lago, rettore del Pa-
trimonio, podestà e capitano nel ‘44 e capitano soltanto nel '45;
Cecchino dei Vencioli da Perugia nel '46.

Ma nessuno dei Parenzi e dei Colonna di Roma, nessuno dei
Gaetani di Anagni compare tra i capitani di popolo; Bertoldo e
Gentile Orsini e Giovanni Savelli e Cante dei Gabrielli esercitano
la capitania, ma essendo nello stesso tempo podestà. Il che fa
capire come, nonostante fosse stata indebolita col tempo l’ auto-
rità del podestà, questa continuasse tuttavia ad essere più ono-
revole che non quella di capitano di popolo. Andava ancora in-
nanzi a lui nelle pubbliche cerimonie ed è sempre nominato prima
d’esso negli statuti e negli atti del tempo. Continuò ad essere il
presidente dell'ordine degli ottimati, come il capitano era il pro-
tettore e la guida del popolo. Quest ultimo anzi lasciò per defe-
renza, in alcune terre, che il podestà intervenisse negli atti più
gravi della politica, come ad esempio nelle relazioni con i prin-
cipali esteri. Anche i gonfalonieri di giustizia, divenuti la prima
magistratura delle repubbliche, tardarono molto a torgli l'onore
della precedenza, a Firenze fino al 1453 (1); « tanto poteva an-
cora la fama e l’immagine dell’Impero, da cui egli traeva la sua
origine » (2).

Dai nomi di podestà e capitani di popolo riportati innanzi si
potranno capire facilmente, per la disposizione data loro ed i raf-
fronti fattivi, due cose:

1.° quanto si ripetano spesso nelle liste dei reggitori di una
città i nomi delle stesse famiglie;

2.0 come questi stessi nomi si ritrovino pure tra i reggitori
degli altri Comuni italici.

Donde si può trarre con sicurezza la conclusione che le ca-
riche di podestà e capitano erano generalmente esercitate dalle
medesime famiglie: dai Parenzi, dai Colonna, dagli Orsini, dai
Savelli di Roma; dai della Branca, dai Gabrielli e dai Guelfoni

(1) Ammirato, Ist. Fior., l. XXII.
(2) REZzAsCO, Diz. del ling. it st. e amm. alla voce podestà.

-
360 | G. PARDÍ

di Gubbio; dai Rossi e dai signori da Correggio di Parma; dai
Galluzzi e dagli Asinelli di Bologna, dai Gonfalonieri di Brescia,
dagli Antelminelli di Lucca ecc. Cosi dagli Estensi, dai Salinguerra,
dai Romano nell'alta Italia, dall' esempio dei. quali si può facil-
mente argomentare quanto facile sia stato il trapasso dalle cariche
di podestà e capitano al dominio signorile, come dall' età dei Co-
muni si giunge naturalmente ed in breve, per la degenerazione
di tutte le umane istituzioni, all'epoca delle signorie.

Orvieto veramente, nel periodo dei piccoli domini, non ebbe,
come altre città, una famiglia la quale costantemente la signo-
reggiasse. Ermanno Monaldeschi, i figli ed i nepoti di lui, Matteo
Orsini, Benedetto della Vipera ed il Prefetto di Vico giunsero per
qualehe tempo alla suprema autorità, Tuttavia Orvieto si mantenne
libera pià a lungo di molte altre terre e solo dopo piü che venti
anni, da che si fa cominciare l’epoca delle piccole signorie ita-
liane (1913), cadeva nelle mani di Ermanno Monaldeschi. Ma al
principio dell'età dei vasti domini veniva incorporata anch'essa
in uno di questi, nello stato pontificio, l'anno 1354.

Egidio Albornoz, la mente poderosa ed il braccio di ferro, che
restaurarono il vacillante impero dei papi, riceveva in quell’anno
la signoria di Orvieto dal Prefetto di Vico arresosi a lui ginoc-
chioni e vi aboliva i nomi gloriosi dei podestà e dei capitani di
popolo, sostituendo a loro i vicari pontifici. A proposito dei quali
così il Gregorovius (1) si esprime: « I tiranni che [l'Albornoz] as-
soggettò non si rese egli nemici provocandone le vendette, ma
ne fece altrettanti servitori della Chiesa, creandoneli Vicari. Co-
tale titolo di vicario o custos agevolava, per vero dire, la depre-
dazione dei beni ecclesiastici, poichè v'erano dei signori, i quali
se ne impadronivano, e tosto dopo facevansi nominare governa-
tori per conto del Pàpa: di tal guisa si frastagliava lo stato in
cento vicariali, ma d'altronde era pur questo l'unico modo di te-
ner ferma l'autorità della santa Sede ».

E fu un vieariato anche Orvieto, ma non quale lo descrive
il Gregorovius. Perocchè l'Albornoz non vi lasciò per vicario il
Prefetto di Vico (che fino a quel momento n'era stato signore)

(1):0p: cità L XII: c; 1. 9:2,
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SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI-DI ORVIETO, ECC. 361

come fece in altre città del Patrimonio; bensi vi mandó con questo
titolo uomini di legge e di spada, i quali amministrassero la giu- '
slizia ed esigessero le imposte per conto della santa Sede.

Il rettore del Patrimonio li nominava vicari; essi giuravano
di esercitare bene e legalmente il loro uffizio come il podestà ed
il capitano, dei quali si può dire congiungessero in una le auto-
rità, ritenendo tuttavia più del primo che del secondo per essere
loro precipuo compito l'amministrazione della giustizia. La prote-
zione delle arti. la difesa del popolo, degli orfani e dei pupilli, il
capitanare le moltitudini accorrenti al suono della campana del
popolo erano cose solo compatibili con le libertà comunali e con
queste dovevan morire.

I vicari pontifici durarono dal 1354 al ’90. Scossa per breve
tempo la signoria della Chiesa, si elessero di nuovo per sette
anni dei capitani, larve degli antichi capi popolari. Morto Biordo
Michelotti, Orvieto ritornava un'altra volta sotto il dominio dei
papi, che vi mandarono ancora dei vicari dal 1398 al 1408 e rie-
vocarono finalmente nel 1409 il nome dell’antico podestà imperiale
cessato in Orvieto dopo sessantrè anni.

Quali incombenze dovesse disbrigare in questo tempo il po-
destà è spiegato dagli Statuti di Orvieto pubblicati nel secolo XVI (1).

L'elezione di lui, durevole soltanto per sei mesi, si faceva
nel modo seguente. I Conservatori della pace, supremi reggitori
dello Stato, nel primo consiglio adunato da essi dopo l’arrivo

di un nuovo podestà, dovevano fare la proposta per il succes-

sore di lui. Se alcuno dei Conservatori o dei consiglieri aveva
notizia di un uomo giusto, prudente ed atto ad esercitare una
tal carica, lo nominava. Si estraeva una terna delle persone
indicate dai membri del maggior consiglio, purchè ognuno di questi
fosse cavaliere o conte o dottore, di città distante almeno trenta
miglia da Orvieto, eccettuate Roma e tutte le terre della Romagna.
Questa terna era trasmessa al pontefice che confermava uno dei
tre eletti nella carica di podestà. Gli si inviavano allora amba-
sciatori a notificargli l'elezione ed i capitoli risguardanti il suo
ufficio. Doveva infatti esser devoto alla Chiesa ed al Comune or-

(1) Statutorum. Civitatis Urbisveteris volumen, Romae, apud heredes Antonii
Bladii, 1581.
362 ERG PARDÌ

vietano, presentarsi ai Conservatori tre giorni prima che partisse
il suo antecessore, regalare due crateri d’argento; portare con sè
un dottore di legge, un socio che rendesse ragione nelle cause
civili sotto a dieci lire, tre notari, due donzelli, dieci famigli o
birri; osservare gli statuti, stare a sindacato, rilasciare del suo
salario venti lire ai sindacatori, una targa ed una balestra al
Comune, un pallio di seta alla chiesa di santa Maria; giurare di
difendere i beni dell’ episcopato e delle opere pie, di non prendere
da alcuna persona danari all’ infuori del salario dovutogli, di non
vendere od alienare cose appartenenti al Comune, di estirpare gli
eretici dalle terre di sua giurisdizione, di intervenire a tutti i
consigli se non fosse personalmente impedito, di non mangiare o
bere con aleun Orvietano del contado o del distretto, di fare le
cose con giuslizia, ecc. Non poteva condurre la moglie od altra
donna nel palazzo di sua abitazione, né costringere alcun cittadino
a portargli legna o ad altro gravame. Doveva sedere a render
giustizia con un giudice e col socio nei giorni di martedì e di
giovedì, avendo piena balìa su tutte le cause civili e criminali, e
Bo 2 potendo punire chiunque non obbedisse ad ordini dati da lui nel-
"iue Md l'amministrazione della giustizia. Il render ragione pertanto e il

rrTTTI{CIA

ostie patatine

fare eseguir le sentenze ed il presiedere ai consigli erano i prin-
cipali cómpiti del podestà (1). Aveva inoltre il dovere di invigilare
affinchè in città si vendessero buone carni e ad un prezzo mode-
rato (2) e pane ben cotto (3) e che tutti gli artigiani esercitassero
legalmente il loro ufficio (4) e che fossero osservate le convenzioni
fatte tra padroni e servi. Doveva pure prendersi cura della net-
so tezza pubblica ed aiutare gli esecutori delle gabelle perchè nes-
d suno contravvenisse agli ordinamenti di queste (5). |

$ III.

L'ultimo congresso storico italiano adunato a Genova, pren-
deva, nella seduta del 26 settembre 1892, la seguente delibera-
zione :

(1) Op. cit., S III ?
(2) Ivi, 8 XL.
(3) Ivi, 8 XLV.
(4) Ivi, S XL-L.
(9) Ivi, S LXXX.
A7

SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 363

« Considerando che, nel medio-evo, in Italia, concorsero
grandemente a formare la vita pubblica non soltanto Ja Chiesa e
l'Impero, ma anche i Comuni e le Repubbliche; che all'età nostra
in particolare si moltiplicarono gli studi critici ed estesi intorno
i regesti pontifici ed imperiali; e che, pure si desidera di cono-
scere ancor piü addentro la storia della vita comunale di quell'e-
poca :

« Il Congresso, addita, come uno dei mezzi ad ottenere l'in-
tento, la compilazione delle serie intere, per quanto è possibile, di
coloro che furono al regime delle città libere ».-

Si rivolgeva pertanto all’ Istituto Storico Italiano affinchè as-
sumesse la direzione generale del lavoro, ed esprimeva il deside-
rio che, per agevolare l' impresa, fossero assegnati alcuni limiti,
vale a dire che l’opera proposta consistesse « nel pubblicare, con-
forme i documenti, le serie cronologiche dei primari officiali pub-

bliei delle città libere, dogi per Venezia, consoli, podestà, dogi e -

governatori di varie Signorie per Genova, consoli, podestà, capi-

tani del popolo, gonfalonieri, ecc. per gli altri Comuni, dalle ori-

gini di cotali istituzioni sino al termine del secolo XV » (1).
Altri ha compilata la serie dei reggitori di qualche città (2):

(1) Atti della Società ligure di storia patria, vol. XXVI, Genova 1893, p. 172.

(2) Molti storici, antichi per rispetto a noi, come il Manente per Orvieto, lo fa-
cobilli per Foligno, il padre Bussi per Viterbo, il Ghirardacci per Bologna, ecc. hanno
posto nelle loro istorie la serie dei consoli, podestà e capitani di popolo; ma non
sempre lo hanno fatto con veracità ed. esattezza cronologica. Più coscienziosa è la
Raccolta de? Consoli, Podestà e Capitani di guerra e Governatori, che sono stati in
diversi tempi nella città di Todi, fatta, da OTTAVIANO CICCOLINI (Todi, 1802). Nel 20 vo-
lume del Saggio di memorie storiche civili ed ecclesiastiche della città di Perugia, opera
postuma di A. MARIOTTI, stampata a Perugia nel 1806, si ha un copioso catalogo dei
« Potestà, Capitani del popolo, Legati, Vicelegati e Governatori della città di Perugia ».
Con dottrina e severità di metodo storico il padre CIANELLI fece la serie dei Podestà
di Lucca (Mem. e Doc. di St. Luc., II, 513 e segg.); ma, essendo riuscita imperfetta
per non aver egli veduti alcuni documenti ritrovati poi, fu rifatta nel bellissimo Izwen-
tario dell'Archivio di Stato in Lucca da SALVATORE BoNGI, il quale y° aggiunse pure
la lista dei capitani di popolo. Molto bene dal CranINI furono raccolte tutte le più
ampie notizie sopra i podestà di Sassuolo e riprodotti anche gli stemmi di ciascuno
di essi (Giornale araldico-genealogico-diplomatico pubblicato per cura della R. Acca-
demia ‘Araldica Italiana, anno VI-VIII). Recentemente il SIaGNORELLI compilaya con va-
lentia e pazienza grandissima la serie dei podestà di Viterbo (Studi e Docum. di Sto-
ria e Diritto, anno XV, fasc. 30 e 4o, Roma 1894). Quella dei podestà di Lodi é stata
pure pubblicata assai di recente nell'Arch. Stor. per la città e comuni del. circon-
dario di Lodi, VII, 1-3, 4-6, 7-9, 10-12; VIII, 1-2. Nel vol. X dei Docum, di St. It. pub-
blicati a cura della R. Deputazione di Storia patria per Ja Toscana e l° Umbria (Firenze,
Cellini, 1895) è data la serie degli ufficiali del Comune di Firenze fino all’ anno 1250,
et certe

TT ET
premier

364 G. PARDÎ

io ho voluto farlo per Orvieto. Ma a che, dirà alcuno, impazzare
a rintracciare ne’ documenti i nomi dei consoli, dei podestà, dei
capitani di popolo, ecc. una volta che gli storici orvietani, il Ma-
nente (1) ad esempio, li riportano tutti ? |

Se noi potessimo sempre prestar fede ai cronisti ed agli sto-
rici antichi. delle città nostre, sarebbe inutile ci affaccendassimo
con faticose ricerche negli archivi pubblici e privati. In qual modo :
cervellotico abbia poi il Manente compilata la lista dei reggitori
di Orvieto si scorgerà facilmente da quanto siamo per dire.

Lasciando stare che egli comincia a riportare i nomi dei con-
soli fin dal 975, mentre molto più tardi debbono essere cominciati
in Orvieto; osserveremo, come notò il Fumi, che non furono
sempre due, ma in maggiore o minor numero, secondo i tempi, e
che i consoli da noi rinvenuti nei documenti non corrispondono
affatto a quelli attribuiti dalla fantasia del Manente agli anni 1157,
1168, 1170, ecc. e che finalmente egli non seppe nulla di quel solo
console, il quale, con il titolo di rettore governando la città, segna
prossimo il trapasso dall’autorità di più consoli a quella di un
magistrato unico, quale fu poi il podestà.

Egli ricorda, invece, giustamente la venuta di Pietro Parenzo
ad Orvieto nel 1199; ma lo chiama rettore e non podestà. Al se-
guente anno riporta la notizia che « fu nel consiglio generale or-
dinato al governo della città per amministrare la giustizia di eleg-
gere un Podestà et un Capitano per un anno ». Sappiamo al con-
(rario come non si eleggessero in Orvieto capitani di popolo fino
all'anno.1251: I nomi quindi di tutti quelli riportati da lui dal
1200 al 1251 sono inventati. Il Manente crede inoltre vi sia stato
ogni anno un solo podestà e capitano, mentre furono generalmente
due, durando in earica sei mesi soltanto. Sbaglia inoltre spes-
sissimo nel ricordare i capitani di popolo, qualche volta nel rife-
rire i nomi dei podestà, dei quali interrompe la lista all' anno 1340,
cento venti anni prima che cessassero di essere eletti ad ammi-
nistrar la giustizia in Orvieto.

Lo stesso, presso a poco, potremmo ripetere per il Monal-

(1) MANEN'TE, Historie nelle quali si raccontano i fatti successi dal 970 al 1563,
Venezia 1561 e 1567.
— — MÀ

SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. . 360

deschi-(1), il quale pure fa cominciare la serie dei capitani di po-
polo dal 1200, erra spesso nel riferire i nomi di questi e dei po- :
destà, e cessa dal citarli all'anno 1340, dicendo che « per l'avve-
nire non se ne trova distesa mentione; atteso che per le partia-
lità de" Monaldeschi, et lor seguaci, non si tenne troppo conto di
questi officij, et alcuna volta non erano eletti, o avevano poca au-
torità. ».

Tuttavia talora il Monaldeschi, attingendo a più copiose e

veritiere fonti che non il Manente, ci ha, sebbene rarissimamente,
giovato citando qualche podestà o capitano non:rammentato nei
documenti. Al contrario dei due storici sopra ricordati (2) la
Chronica Urbevetana edita dal Gamurrini riporta con grande fe-
deltà i nomi dei podestà e capitani di Orvieto; soltanto sbaglia
per i primi tempi mettendo in luogo dei podestà uno dei consoli
eletti a reggere la repubblica nell'anno corrispondente. Perlanto,
laddove ci manchino i documenti, noi faremo tesoro della serie
dei supremi magistrati di Orvieto data dalla CAronica, ponendo
nondimeno tra parentesi quadra, come non certi del tutto, i nomi
presi da essa.
" "La Cronaca di Francesco da Montemarte (3) non ricorda se
non molto raramente i podestà ed i capitani di popolo; ma: nelle
note erudite appostevi dal Gualterio, dietro la scorta dei docu-
menti dell’archivio del Comune orvietano, ne troviamo rammentali
alcuni.

Noi pertanto, servendoci delle carte conservate in questo ar-
chivio egregiamente riordinato dal dotto Luigi Fumi, del Codice .
Diplomatico del medesimo, della sua ‘monografia sul Palazzo del
popolo in parte inedita, talvolta della CAronica Urbevetana e della
Cronaca del Montemarte annotata dal Gualterio, raramente del
Monaldeschi, mai del Manente, abbiamo intrappreso, con lunghe e
faticose ricerche, a meltere assieme la serie dei podestà, dei capi-
tani di popolo, dei vicari pontifici, dei gonfalonieri di giustizia e
dei signori di Orvieto sino al principio del secolo XVI. Abbiamo
inoltre raggruppati, attorno ai supremi reggitori del Comune, i fatti

(1) Commentari Historici di MONALDO MONALDESGHI, Venezia 1584.
(2) Arch. st. it., serie V, t. III.
(3) GUALTERIO, Cronaca. di Orvieto di Francesco di Montemarte, Torino 1846,
G. PARDI

importanti del tempo loro, specialmente quelli, a cui essi presero
qualche parte notevole. Cosicchè avremmo anche potuto intitolare
questo lavoro: breve riassunto degli avvenimenti d’ Orvieto dal
principio delle libertà comunali fin presso al cominciar dell’éra
moderma.

Ci valgano in parte a scusare gli errori — che gli studiosi
per avventura troveranno -in questo scritto — il grande amore
per gli studi medioevali, dal quale siamo stati spinti a tentare
un'impresa forse temeraria, ed il buon volere e la costanza di-
mostrati in siffatte indagini faticose e pazienti.

—_@_

Nr m A

Con l'anno 1295 noi abbiamo per la storia di Orvieto una copiosa
e sicura fonte di notizie negli atti delle Riformagioni, dove rinveniamo
i nomi dei podestà, capitani di popolo e vicari. pontifici. Poiché i capi-
tani ed i vicari presiedevano ai consigli, noi possiamo giunger a conoscere
talvolta il mese ed anche il giorno preciso, in cui entrarono in carica
tali magistrati. Cessando pertanto di esprimere poco precisamente il tem po
dell’ ufficio loro col solo anno della carica, dal 1295 in poi noteremo
anche il mese e,- potendo, il giorno in eui vennero a reggimento o ne
partirono. Ci dispensiamo quindi di citare la fonte donde è stata tratta
la notizia, volendo significare che l'abbiamo attinta dalle Riformanze
del consiglio orvietano dell’ anno, mese e giorno corrispondente. Non
possiamo far lo stesso per i podestà, i cui nomi, nei primi tempi, sono
qualche volta, e solo casualmente, citati nelle Riformagioni. Non diamo
pertanto notizia se non dell’ anno in cui furono in ufficio, e dobbiamo ci-
tare il passo delle Riformanze o dei documenti che comprovano il nostro
asserto. Ma, cessati i capitani di popolo ed i vicari pontifici, spetta ai
podestà a convocare e presiedere i consigli del Comune; ed in questi ul-
timi tempi noi possiamo indicare il tempo della loro carica con precisione
maggiore. Quando ciò avvenga, ci dispensiamo pure dal citare le Rifor-
magioni dell’ anno, mese e giorno corrispondente.

Questo metodo, se non può evitare una certa disuguaglianza tra le
notizie sovra i podestà e quelle concernenti i capitani di popolo ed i vicari,
ci sembra tuttavia conferisca ad una grande esattezza di particolari.
i LASA MILE

judi i

Lj

SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 367

Consoli, Rettori e Podestà d'Orvieto fino all'anno 1251.

1157. Wilelmus Iohannis Lupi ) ;
Petrus Alberici O:
1168. Arloctus
Ranerius Berardini |
Ranaldus Ildribandini
Matheus |
Petrus de Vasci /

1170. Rubertus

consules (2).

Gualnalducius ( È
: » consules (3).
Mazolus |
Dominicus J
1171. Willelmus orvetane civitatis rector (4).
1172. Arloctus Y
Ranerius Bernardini Diaconus SEL
Sigibotns \ consules (5)..
Pepo Ildribrandini /

1171. Pepo vector (6).

(1 MunaTORI, Ant. Ital., l. IX, p. 685, e FUMI, Cod. Dipl. della città d? Orvieto,
p. 26. Questi due consoli furono rappresentanti del Comune orvietano per la celebre
convenzione tra il medesimo e papa Adriano IV, che segna il punto più rilevante della
storia del Comune antico. Nell'anno 1157 Orvieto giurò fedeltà al pontefice « secondo la
consuetudine delle altre città del Papa ». Questo giuramento doveva essere rinnovato
da tutti i consoli nuovi, i quali, appena eletti, ordinavano al popolo di mantenere e
osservare la fedeltà promessa al pontefice. Si rinnovava pure ad ogni cangiamento di
papa. Nelle cavalcate e spedizioni fatte da, questo, il Comune. d' Orvieto prestavagli
aiuto per il territorio compreso tra Titignano e Sutri. Prometteva inoltre sicurezza
a quei successori di Pietro, che volessero per avventura venire in Orvieto, ed a tutte
le persone che vi si recassero in loro compagnia.

(2) DELLA VALLE, Storia del duomo d’ Orvieto, p. 3, e FUMI, op. cit., p. 27. Quest'ul-
timo, dal non esser nominato il vescovo nel documento ricordante i consoli, che é la
sottomissione del conte di Montorio al Comune di Orvieto, reputa si possa ritenere che
da quel tempo la città si sottraesse a qualunque autorità vescovile in tutto ciò che
non concernesse chiese o cose sacre.

(3) IL FUMI, p. 27, riporta il documento, ove son nominati questi consoli : docu-
"mento interessantissimo perché sanziona il potere dei consoli e del popolo. Quando
infatti i consoli dovessero deliberare di alcun che riferentesi a cose sacre avevan
duopo della ammonizione del vescovo, ma nello stesso tempo anche della acclama-
zione del popolo. Né i vescovi né i consoli futuri ebbero potere di revocare quello che
era stato deliberato da essi consoli e dal popolo.

(4) FUMI, p. 28-9. Il titolo di rettore assunto dal reggitore del Comune prelude
al venturo podestà. Era indifferente che tali governatori della repubblica fossero più
consoli od un rettore, sebbene i primi avessero generalmente la somma delle cose
nella città. i ;

(5) FUMI, p. 31-2. In questo tempo sembra che il vescovo eserciti ancora qualche
autorità pure in cose non sacre, poiché é lui che, assieme ai consoli ed al popolo, con-
cede al conte Ranieri il castello di Parrano.

(6) Chronicon Altinate ad, am.

Acus o CHIUSA et
368 G. PARDI

1181. Pepo vector (1).

1199. Petrus Parentius potestas (2).

1200. [Serafinus de Ficullis].

1200-3. Parentius potestas (3).

1203. Rustichellus Ildribanduccii
Ranaldus Bibulci consules (4).
Oddo Rollandini (

1204. Guidonseius potestas (5).

1906. [Guido Ranuti de Urbeveteri].

1207. [Tebaldus de Prefecto].

1208. [Rainerius].

1209. [Dnus Parenza de Roma].

1210. Ioannes Nericonis )
Bernardinus Diaconi

1211. Pepo Ranaldi, consul (t).

consules (6).

(1) FUMI, p. 34.

(2) Acta Sanctorum, 21. Maii. Sulla fine del secolo XII Orvieto, la quale nell’ al-
largare il contado aveva occupato terre su cui vantava diritti la Santa Sede, si trovò
di contro al papato e cominciò a favorirne gli avversari. Innocenzo III lancio l' inter-
detto sulla città. La setta paterina cominciò a scorrazzarvi liberamente e mancò poco
non rovesciasse il governo. In questi frangenti il popolo orvietano ricorse a quello
romano, chiedendo ad esso un uomo che sapesse abbattere la fazione eretica e che
fosse nelle buone grazie del pontefice tanto da riamicarlo ad Orvieto. Fu mandato a
regger la città, come podestà e quasi come legato del papa, Pietro della nobile fami-
glia romana dei Parenzi. Venne egli in Orvieto nel febbraio del. 1199. Cominciò col-
l' abolire le feste carnevalesche, che finivano quasi sempre con iscene di sangue. Ciò
disgustò molti; le torri e i palazzi dei nobili erano pieni di agitatori: egli li fece but-
tar giù. Si preparò una congiura contro di lui, di cui erano capi i signori di Bisenzo.
Ai 21 di maggio, di notte, é preso e trascinato fuori del palazzo e viene ucciso con
un colpo di martello, che gli spacca il eranio. Così finiva miseramente il primo pode-
stà di Orvieto, che la Chiesa ha collocato tra i santi. La sua storia é stata immorta-
lata dall’arte di Luca Signorelli nelle pitture della cappella della madonna nel duomo
orvietano. Pietro Parenzo fu podestà d’ Orvieto dal principio del febbraio al 21 mag-
gio 1199. : ;

(3) Fuwr, p. 49. Sulla fine del 1200 troviamo un altro podestà della famiglia Pa-
renzi. Probabilmente ve ne fu uno di mezzo tra il suo parente e lui. Egli riceve dal
vescovo di Chiusi la sottomissione di questa città e del castello di Monte Luculo.
‘ Sul principio del 1203 (FUMI, p. 53) é ancora in carica.

(4) Nel 1203 doveva esserci vacanza dell'ufficio di podestà, perché in un atto del
3 giugno 1203 (FUMI, p. 53) son ricordati questi soli consoli e non il podestà, mentre
poi nel 1304 troviamo anche il podestà ricordato assieme ai consoli (FUMI, p. 54).

(5) FUMI, p. 55: Guidonscio, detto anche Guiniscio, riceve, il 30 aprile 1304, la sot-

tomissione del castello di Lugnano. La Chronica Urbevetana lo chiama forse in forma
meno errata, « dominus Guinisius de Senis ». Ma lo attribuisce al 1305.

(6) Non ci doveva essere podestà nel settembre del 1210, poiché ad un compro-
messo fatto in questo tempo fra Todi, Amelia e Orvieto prendono parte questi due
consoli e il podestà di Todi, ma non quello orvietano. La Chronica Urbevetana fa di
uno di questi consoli il podestà, dicendo all'anno 1210: Johannes. Nericone de Urb.
[potestas].

(7) FUMI, p. 59.
369

SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC.

1211. Petrus de Munaldo !
Pepo Ranaldi
1919. Christophanus Pepoli de Nigro
Oddo Grechi [Greche]
Guido Prudentii
1913. Guido Prudentii
Oddo de Greco
Guilielmus Ildribanducci
1913. Rustichellus Ildribandini
Francus Bernardini
Henrieus Bartolomei
Massuccius' Brectoldi (Arch.
com. d'Orv. Pergamena
del 27 sett. 1213).
Prima del 1918. Ranerius Cocte, potestas (4).
1914. Henricus, consul (5).
1914. [Pepo Prudentii de Urbeveteri].
1915. [Fortiguerra Affuealasche de Urbeveteri].
1915. Ugulinus Marescocte \
Forteguerra Rollandini
Ermannus Peponis de Podio ? consules (6).
Ranerius Stephani Barote
Forteguerra Fogalascie
Prima del 1216. Parentius potestas (1).
1916-8. Iohannes Iudieis consul romanus et potestas Urbisveteris (8).
1918. [Masupius de Urbeveteri] (9).
1919. Andreas Iohannis Parentii (10).

consules (1).

consules (2).

consules (3).

— ma ___ —. —- —

| eonsules.

(1) Uscivan di carica al principio del 1212; dunque dovevan esser consoli per il
1211 (Fuuwr, p. 63).
| (2) Ivi, p. 62, 65.
i (3) Ivi, p. 65. ie
| ' (4) Ivi, p. 66. MEM
| (5) Ivi, p. 68-9 : P
| (6) Ivi, p. 69 e 71. Sr
| (7) Ivi, p. 79.

(8) Giovanni di Roma è ricordato la prima volta come: podestà d' Orvieto nei ca-
pitoli tra questa città e la vicina Soana, fatti il 22 giugno 1216 (FUMI, p. 72). Viene po- i
scia nominato nelle convenzioni del conte Aldobrandino con il Comune (ivi, p. 73), RA
dalle quali si apprende che in quel tempo era indifferentemente Orvieto governata da un su
podestà o da più consoli; perocché vi è detto come tali convenzioni. dovessero venir
giurate ogni anno innanzi al podestà, ai consoli, o a chi per essi. Prese parte anche
alla divisione del Contado aldobrandesco, e nel 1218 si trovava ancora in carica.

(9) Marsupio di Orvieto doveva realmente essere, non giù podestà, ma console
nel 1918. Lo troviamo ancora ricordato come console nell'aprile del 1219.

(10) FUMI, op. cit., p. 84-8. Egli ricevette, nel febbraio 1220, lire duegento per suo
j salario.
370 G. PARDI

1990-1. Petrus Munaldi

Oddo Grece N

È consules (1).
Ranerius (1)

Fascia /
1920 giugno — 1222 marzo. Roffredus Iohannis Cencii romanus,. pote-
stas (2).

1222 «aprile — 1224 aprile. Thomas Cazanimici de Bononia, potestas (3).

1994 maggio — 1225 aprile. Oddo Petri Gregorii, potestas (4).

1225 maggio — 1226 aprile. Andrioctus consul Romanorum, pote-
stas (5). i

1926 maggio — 1227 aprile. Iohannes Iudicis romanus, potestas (6).

1227 maggio — 1238. Iohannes Petri Grassi de Bononia, potestas (17).

1298-9. Meliorellus Catelani de Florentia, potestas (8).
1229-30. Adimarus Catelani de Florentia, potestas (9).
1230-1. Iohannes Iudicis de Roma, potestas (10).
1931. [Radinerius Rustiei de Florentia] potestas.

1232. [Raynaldus Migliorelli de Florentia] potestas.

(1) FUMI, op. cit., p. 89.

(2) Ivi, p. 89-09. La prima volta vien nominato in un atto del 12 giugno 1220 e
l’ultima in uno del febbraio 1222. Ma dev'esser durato in carica fino ad aprile. Agli
8 di maggio si stà trattando per pagargli il residuo del suo salario. Quello di un. po-
destà straniero era di 600 lire. Roffredo ne aveva già avute 300; quindi non gli rima-
neva da averne se non 300; L'atto più importante della podesteria di Roffredo è la
lega strettasi, il 27 ottobre 1221, tra le due città di Orvieto e di Siena.

(3) FUMI, p. 98-111. Al suo tempo furon fatti nuovi capitoli tra il Comune ed i
.conti Aldobrandeschi, si sottomisero ad Orvieto i signori di Castel Giove ed i consoli
di Acquapendente giurarono di salvare e rispettare le persone e i luoghi venerabili
del distretto di Orvieto, obbligandosi,in caso contrario, all'ammenda dei danni. Fu
riconfermato per un: altro anno, dopo essergli stato pagato il suo salario di 600 lire.

(4) Cod. Dipl., p. 111. i

(5) Ivi, p. 1124. Egli riceve il giuramento di fedeltà dei conti di Volmarzio.

(6). Ivi, p. 116.

(7) Ivi, p. 115.

(8) Ivi, p. 120. Al suo tempo avvenne un fatto alquanto notevole, al quale egli
probabilmente, per esser fiorentiuo, contribui non poco. Siena ed Orvieto erano state
fino a quel tempo in pace ed in alleanza. Tutto ad un tratto, essendo scoppiata la
guerra tra Firenze e Siena per il castello di Montepulciano agognato da ambedue
queste città, Orvieto si collega contro Siena con Montepulciano e Firenze. Io reputo

‘pertanto che possa aver spinto gli Orvietani a questo anche il podestà fiorentino. In-

teressanti sono le convenzioni tra Firenze ed Orvieto per la guerra di Montepulciano
(FUMI, Cod. Dipl., p. 122).

(9) Im un fatto di guerra contro i Senesi, il podestà Adimaro fu ucciso sul prin-
cipiare del 1230. Allora i fratelli di lui richiesero al Comune il salario del morto po-
destà ed un indennizzo per le cose perdute o restate in Orvieto. È degno di nota que-
sto documento perché ivi son ricordati tutti gli oggetti che uno, andando a.podeste-
ria, portava seco (FUMI, p. 125). :

(10) Fowr, p. 131. Chiusi, la quale si era sottomessa da un pezzo ad Orvieto, aveva
poscia, al tempo della guerra di Montepulciano, stretta alleanza con Siena; ma il 9
decembre 1230 il vescovo di Chiusi fece una nuova sottomissione al podestà di Orvieto,
« Iohannes Iudicis ». Lo troviamo poi nel 1234 podestà di Firenze.
consules (1).

SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 371

1233. [Abate Radulphi de Florentia] potestas.

1234-5. Andreas Iohannis Parentii romanus, potestas (1).

1935. Gaitanus Salvi de Florentia, potestas (2).

1936-1. Roggerinus Salvi de Florentia, potestas (3).

1931-8. Albertus Struscius de Cremona, potestas (4).

-1238-9. Petrus Gregorii Paure consul Romanorum, potestas (9).

1939-40. Petrus Anibaldi consul Romanorum, potestas (6).

1940. [Ciptadinus Urbevetani] potestas.

1941. [Bonconte Munaldi] potestas.

1941. Ranerius Guidonis
Boneonte Munaldi
Henricus Bartholomei
Provenzanus Lupicini

1949. [Sinibaldus Ranuci de Bechariis] potestas.

1943. Rambertus de Gisleriis de Bononia, potestas (8).

1944. [Iacobus de Ponte de Roma] potestas.

1945. Petrus de Sancto Alberto, potestas (9).

1946. Tomasinus Cazanimici de Bononia, potestas (10).

1947. Andreas Andree Iohannis Parentii de Roma, potestas (11).

1948. Iacobus Petri Octaviani de Roma, potestas (12).

1949. Pandolfus Tebaldi de Roma, potestas (13).

1950, Rufinus de Mandello de Mediolano, potestas (14).

(1) FUMI, p. 140-3. Al suo tempo furon fatti dei capitoli di lega tra Firenze e Or-
vieto da un lato e Pepo visconte di Campiglia dall'altro. Ma Gregorio IX volle met-
ter pacé tra Siena e Firenze, intimando altrimenti la scomunica. Perciò i Senesi, Fio-
rentini ed Orvietani fecero un compromesso per la pàce. In questo tempo Buonconte
di Montefeltro, per avergli il Comune d' Orvieto rimandati liberi alcuni prigioni, gli

promise fedeltà giurandola al podestà Andrea Parenzi.

(2) Ivi, p.

144 e seg.

(3) Ivi, p. 152 e seg. Correggasi la Chr. Urb. pubblicata dal GAMURRINI che pone
1226 invece di 1236, e che sotto quell’anno è citata dal Fuwr (Volsiniensim, XXXVII,

p. 6, Orvieto, Tosini, 1892).

(4) Ivi, p.
(5) Ivi, p.
(6) Ivi, p.
(7) Ivi, p.
(8) Ivi, p.

(9): Ivi, p.
(10) Ivi, p.
(11) Ivi, p.

(12) Ivi, p.

154.
TO
160-6.
170.
I71-2.
172.
178.
173-7.
180-1.

(13) Nel Cod. Dipl. è detto Pandolfus Tedaldo: meglio forse Tebaldi come nella

Chr. Urb.

(14) Ivi, p.

184.
G.

PARDI

Podestà e Capitani d'Orvieto dall'anno 1251 al 1354.

Podestà, Capitani,

1251. Petrus Parentii Romanus (1). 1251. Rufinus de Mandello de Me-
1252. Rollandus Rusticelli lucen- diolano (2).
sis (3).
1253. [Neapoleon Mattei Rossi].
1954. [Philippus de Baffatis lom-
bardus].
1255. Willelmus Rangoni de Mu-
tina. — Cod. Dipl., p. 206.
1256. Florus Girardi de Mediolano. 1256. Florus Girardi de Mediolano.
«_«— Ivi, p. 208. — Cod Dipl., p. 208.
1256. Tebaldus [Petri Octaviani de. 1956. Ugulinus Grece urbevetanus:
Roma] (4). — Ivi, p. 209.
1257. Catalanus dni Guidonis dne . 1257. [Dominicus Toncelle] (5).
Hostie de Bononia (6).
1258. Guido de Corregio de Parma.
— Cod. Dipl., p. 228.
1259-60. Guido de Robertis de Re- 1959-60. Cittadinus Bertrami (de

gio. — Ivi, p. 224. Monaldensibus).— Cod. Dipl.
. 925-1.

(1) Pietro Parenzo ricevette il nuovo giuramento di sottomissione della città di
Acquapendente; al suo tempo fu stretta una lega tra i Comuni di Perugia, Orvieto,
Narni, Spoleto e Assisi (Fuwr, Cod. Dipl., p. 180-96). i

(2) Rufino di Mandello, uscito di podesteria, iniziò la serie dei capitani orvietani, uf-
ficio principale dei quali era di condurre gli eserciti alla guerra. La prima guerricciuola,
a cui prese parte Rufino fu fatta per il riacquisto delle terre di Val di Lago. Manfredi,
vicario della Marittima, restituì allora il castello di Pitigliano ad Orvieto, con i patti
di esser presi egli ed i castellani di Sorano, Sovana, Selvena e Samprognano sotto la
protezione del Comune e di esser considerati come cittadini orvietani (FumI, p. 185).
Secondo la Chr. Urb. Rufino, « qui prodictiose lucratus fuerat a dno Manfredo duo
millia librarum », fu condannato a pagare 800 lire. Lo stesso anno, ribellatasi un’ al-
tra volta Acquapendente, gli Orvietani vi rientrarono e portarono via la campana di
S. Vittoria.

(3) Ivi, p. 201. Nella Chr. Urb. é denominato Orlandus Rustichelli.

(4) L'anno 1256, il 27 di agosto, fu fatta società tra Perugia e Orvieto, per la
quale dovevano aiutarsi scambievolmente in caso di guerra, non far lega con altre
città senza il mutuo consenso, e porre negli statuti di ambedue i Comuni l'osservanza
dei patti riferiti. Giurarono di mantener ciò per Orvieto il podestà Tebaldo ed il capi-
tano Ugolino (FUMI, p. 209).

(5) La Chr. Urb. dà la notizia, a p. 10, che Domenico Toncelle fu cacciato di
piazza e ferito da Arto di Petrirano. A p. 17 invece leggiamo che questo capitano di
popolo fu percosso in piazza, ma non si sa da chi.

(6) A questo podestà si sottomisero i signori di Bisenzo (poi così tremendi ne-
mici degli Orvietani), di Castel Pero ed il Comune di Valentano (FUMI, p. 210-6).

e SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC.

Podestà. Capitani.

1260. Philippus dni Alberti Asinelli

de Bononia. — Ivi, p. 226.
1261. Bonaventura Cardinali roma- . 1261. Matheus Toncella. — Ivi,
nus. — Archivio Senese, Let- p. 232.

tere ad an.
1262. Iacobinus. Rubeus de Par- 12962. Petrus Berardini Juliani. —

ma (1). Ivi, p. 233.
1963. Bonifatius de Canossa. — Ar- ‘ 1263. Munaldus Rainerii Stephani.
‘ ch. com. d' Orvieto, Libro — Arch. com. d'Orv. Libro
delle Donazioni. delle Don.

1964. Berardinus olim dni Petri Ru- 1264, Ugulinus Grece. — Lib. Don.
bei de Mutina. — Cod. Dipl.,

p. 240.
1964. Ioannes Iudex (2).
1965. Inardus Ugulini (3). — Ar- 1265. Lambertinus de Bovarellis de
ch. di Siena. Lett. di Carlo Bononia (4).

d'Angió ad an.
1965. Iacobus Tepuli. — Cod. Dip., 1265. Bonconte dni Monaldi. —

p. 244. Lib. Don.
1265-6. Simon dni Rainerii Guido- 1266. Odericus de Filippensibus. —
nis. — Lib. Don. Arch. di Siena, Calef. Ass.
ad. an.

(1) Innanzi al podestà Iacobino ed‘al capitano Pietro di Bernardino i signori di
Bisenzo promisero, il 10 giugno 1262, di tener l'isola Martana per il Comune di Or-
vieto, di consegnargliela quando a questo piacesse; di far pace e guerra secondo l'or-

dine del Comune suddetto, di non ricettare nell’isola nessun bandito o persona al-

cuna contro volontà di quello, di costringerne gli abitanti a ratificare e rispettare
tali patti (FUMI, Cod. Dipl., p. 234).

(2) Nel 1264 Nicolao signore di Bisenzo uccise il capitano. del Patrimonio. Per
questo fatto il podestà d'Orvieto, Bernardino di Pietro Rosso, lo fece decapitare. Po-
scia gli Orvietani inviarono un esercito ad assediare il castello di Bisenzo; i signori
di questo si arresero col patto di aver salva la vita. Cosi narra la Chr. Urb. aggiun-
gendo: « capitaneus fuit dominus Ildribandinus ». Ma queste parole significano certo
che questo Ildebrandino fu capitano dell'esercito mandato contro Bisenzo ; altrimenti
sarebbe errata, poiché dal Fumi (Cod. Dipl., p. 240) apprendiamo che nel 1264 era ca-
pitano di popolo Giovanni Giudice.

(3) La Chr. Urb. riporta all'anno 1265 che fu podestà Isnardo di Ugolino 3n Pro-
venza, soldato del re Carlo. Essendo nel marzo andato l'esercito orvietano in servizio
dei conti di Pitigliano e Santafiora, prese Grosseto. Sopraggiunsero i Senesi con grande
quantità di soldati e sconfissero gli Orvietani facendo prigionieri il podestà Isnardo
e 26 soldati. Fu quegli liberato poco dopo per essersi fatta pace a Viterbo tra Orvie-
tani e Senesi. Questo fatto deve probabilmente attribuirsi al 1265.

(4) Vedendo che in questo anno vi sono due capitani ed il secondo è un orvie-
tano, un. Monaldeschi, si potrebbe dubitare fosse stato anch'egli fatto prigioniero dai
Senesi a Grosseto, ma ciò non fu, perchè lo troviamo ancora capitano ai 6 di aprile
(Cod. Dipl., p. 244-7).
G. PARDÌ

Podestà. Capitani.

1266. Ubaldus — Lib. Don.
1267. [Philippus de Asinellis de Bo- 1267. Paulus de Reate. — Arch.

nonia]. Notar.
1268. Girardinus Longus de Vene- 1268. Munaldus Rainerii Stephani,
tia (1). [de Monaldensibus]. — Cod.

Dip., p. 260.
Bot 1269. Iohannes Cencii Malabrance 1269. Guido Cleri de Gallutiis (2).
b Ps romanus. — Cod. Diîp., p.
uin 294-300.
1270. Henrieus de Terzago de Me-
diolano. — Ivi, p. 299-304.
1971. Iacobus Rubei. — Arch. No- 1271. Iacobus Rubei. — Arch. Not.
tar. d' Orvieto. ;
1272. Petrus Confalonierus. -- Lib. 1912. Uguccio de Fettalasina de

Don. Bononia. — Arch. di Bologna
e SavioLi, Ann. Bot. III, I,
462.

1252. Iacobus Confalonerius (3). —
Arch. Notar.

1213-4. Iohannes Columna de Ro-
ma (4).

(1) Ferveva in quel tempo in Orvieto l'eresia paterina (FUMI, I Paterini im Or-
vieto, Arhc. St. ital., s. III, t. XXII). Nel Cod. Dipl. son riportate molte sentenze del-
| Inquisitore contro questi eretici. Venivano pubblicate sulla piazza di S. Francesco,
in presenza de’ rei e del podestà d'Orvieto, che era nel 1268 Girardino Lungo da Ve-
nezia (Cod. Dipl., p. 259-87). Ma questi non cominciò a compiere il proprio ufficio in
Orvieto prima del 3 aprile. Fino a quel tempo furono vicari di lui i signori Benve-
nuto ed Umbaldo; giudici del podestà passato, Filippo degli Asinelli (CAw. Urb., p. 19).

(2) Al tempo di questo capitano Orvieto si trovò a parecchie cavalcate e batta-
glie, alle.quali egli deve aver preso parte. Anzitutto gli Orvietani cavalcarono contro
dern Bolsena e distrussero case e devastarono vigne e campi. seminati. Soldati di Viterbo;
rer Toscanella, Perugia, del Patrimonio, ecc. fecero un'incursione nel territorio del Co-
ES mune e produssero molti danni specialmente a Porano ed a Sugano. Nel mese di set-
tembre poi gli Orvietani andarono contro il castello di S. Lorenzo (presso Bolsena) e
devastarono alcune vigne (Chr. Urb., p. 20).

(3).31 22 di aprile vi fu in Orvieto una grande lotta tra guelfi e ghibellini. Cer-
tuni della famiglia dei Filippeschi uccisero tre Monaldeschi e poscia, usciti di città,
non vollero obbedire al podestà. Questi allora condanno i Filippeschi ad una gros-
sissima multa pecuniaria e fece diroccare i palazzi e la casatorre loro. Dopo di che
si allontanò da Orvieto, forse perché non stimava potervi più stare sicuro (Cw. Urv., )
p. 20).

(4) Giovanni Colonna ridusse la condanna inflitta ai Filippeschi, purché questi
obbedissero ai suoi comandi. E molti si sottomissero e pagarono la multa posta loro
per l'uccisione dei Monaldeschi (Cod. Dipl., p. 305-12).
ni

SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, BCC. 375

Podestà. Capitani.

1275. Iohannes Savelli romanus. —
Archivio dei Podestà d' Or-
vieto e Cod. Dipl., p. 309.

1276. Pandulfus Savelli romanus. | 1216. Iohannes Guidi Pepoli de Bo-
— MOoNALDESCHI, Comm., nonia, — MONALD., Comm.
p. 54. p. 94.

1911. Rainaldus Leonis de Roma (1).

— Cod. Dip., p. 817.
1278. Bertuldus de filiis Ursi de

Roma. — Ivi, p. 520.

1279. Petrus Stephani Raynerii de 1279-1280 agosto. [Berardinus de
Roma. — Ivi, p. 321. Marciano].

1280. Stephanus de filiis Stephani 1280 22 agosto — 1281. Nerius dni
de Roma. — Ivi, 322. Ugulini de Greca (2).

(1) Intorno a questo Rinaldo, che il Manente; anzi che attribuire ai Leoni di Roma,
riferì ai Bovi di Bologna, gabbando uno della famiglia Bovi del secolo XVIII, il quale
non dubito di erigere un ritratto con epigrafe marmorea al celebre supposto antenato
potestà orvietano, vedi lo scritto critico del Fumi nell'Archivio Storico per te Marche
e l'Umbria, a. III, fasc. IX e X, p. 192.

(2) Ranieri di Ugolino della Greca, famiglia tra le principali della città, é una
figura delle più belle ed ardite di cittadini orvietani. Guelfo dapprima, perché il sen-
timento guelfo era molto radicato in Orvieto, si fece ghibellino per fierezza di senti-
mento patrio e tentò la riscossa del partito oppresso. Nel 1280 si fece eleggere capi-
tano, ai 22 di agosto, secondo la Chr. Urb. (Ivi, p. 22. GUALTERIO, La Cronaca di Fran-
cesco di Montemarte, II, 218; FuMI, Orvieto, Note storiche e biografiche, p. 133-40). Per
soddisfare ad un bisogno sentito dal popolo e per renderselo favorevole, spianò una
piazza per accogliervelo in parlamento, gettando giù. varie case, tra cui parte della
sua medesima. E la nuova piazza chiamò piazza del popolo. Non pago, v' innalzò dal
lato di settentrione un meraviglioso palazzo destinato per dimora del ‘capitano del
popolo. E quella piazza e questo palazzo sono stati da secoli spettatori delle piü im-
portanti scene politiche, delle glorie e delle vergogne della città. Dico anche vergogne
perché, ad es., vi si scannarono due innocenti fanciulli figli del nemico Guittuccio di
Bisenzo. Ed anche in quell'anno vi fu lotta col signore di Bisenzo, Tancredi. Questi,
]'8del gennaio 1281, entrò in Bisenzo coll’ aiuto dei Viterbesi e ne cacciò il fratello
Giacomo postovi dagli Orvietani, dicendo che non intendeva restituire il castello né
al Comune d'Orvieto né a Dio stesso. Vi fu spedito subito un esercito, il quale assediò
Bisenzo e ne fece prigioniero Tancredi, che, portato nella città, venne ucciso sulla
piazza del popolo dalla moltitudine prima ancora che scendesse da cavallo.

In quell'anno, ai 18 di marzo, Martino IV fu eletto papa a Viterbo e.venne subito
ad Orvieto, dove fu consacrato il giorno 22. Egli, francese di nascita, tenne una poli-
tica tutta francese. Quivi lo raggiunse Carlo d’Angiò,re di Sicilia. La città era piena
di Francesi che la spadroneggiavano. Nato un conflitto tra seguaci del re ed Orvietani,
tutti i cittadini si levarono.in armi gridando: morte ai Francesi! Il re ed il papa
mandarono a chiamare Neri della Greca: egli si dette per malato, desiderando che i
Francesi avesser la peggio e se ne partissero scornati. In tal modo di guelfo si dichia-
rava ghibellino. L’anno dopo succedevano i vespri siciliani. I ghibellini cercavano di
far novità in varie parti della penisola. Nel 1284 Neri della Greca, fattosi eleggere ca-
pitano per la seconda o terza volta, secondando questi moti, tenta la riscossa dei ghi-
G. PARDÎ

Podestà. . Capitani.

1280. Ursus de filiis Ursi de Roma,

— Ivi, ivi.

1281. Rainaldus de Riva. — Arch.
del Pod. Invent. ad an.

1282. Nardus Gorganuccii (de co-
mitibus de Montemarano). —
Lib. Don. gennaio 22 — de-
cembre.

1283. Jaeobuecius (de sancto Mi-
niato ?) — MANNI, Sig. XI, 25.

1281? Pepo Petri. — Cod. Dip.,
p. 324.

1283. Monaldus Cerfaglie. — Ivi,
p. 328 e Riformagioni, a. 1295,
decembre 15.

1984. Goffredus de Casate de Me- 1284. Nerius de Greca. — Cod.
diolano (1). Dip., p. 326.

1284. Ermannus dni Cittadini de

Monaldensibus. — MANNI.
] Sig. XI, 15.

1285. Simon dni Ranerii Guidonis. 1285. Faffutius de Medicis. — Cod.
‘— Arch. Pod. Dip., p. 332.

1985. Ugulinus de Alviano (2).

1285. Rainaldus dni Petri Gani. —
Arch. Pod.

1985-6. Monaldus de Andrea [de
Ardiccionibus]. — Cod. Dip.,
p. 336.

1286. Bindus de Cerchis de Flo-
rentia (3).

1286. Rainaldus de Bostolis de A-
retio. — Cod. Dipl., p. 336.

bellini e Ja cacciata dei guelfi. Papa Martino IV, non sentendosi sicuro e per odio
contro il capitano del popolo, fugge a Montefiascone (MARTINI, Cw. in PERTZ, I, XXII).
Rimasto più libero di agire, Neri cerca di far elesgere un podestà ghibellino, il conte
d’Anguillara. Vi riesce. Malcontenti i guelfi, capitanati da Monaldo Monaldeschi, vo-
gliono adunare un'altra volta il consiglio per eleggere: un nuovo podestà; ne nasce
una rissa. Ma i ghibellini, partito accresciutosi da poco, erano inferiori di forze;
quindi, piuttosto che cedere le armi ‘uscirono di città e si ritirarono in Val di Chiana.
I guelfi proclamavano allora capitano, il’ 21 di ottobre, Ermanno di Cittadino Monal-
deschi, che richiamò generosamente in Orvieto i ‘guelfi e Neri della Greca.

(1) Il 7 agosto 1284, Ranieri di Ugolino, signore di Vitozzo, sottopose «a Goffredo
da Casale podestà e a Neri della Greca capitano di popolo il castello di Vitozzo con
tutto il distretto, col patto di far guerra e pace a piacimento del Comune di Orvieto,
tenerne per amici gli amici e viceversa, non toglier pedaggi agli Orvietani, difenderli
contro tutti, ecc. (Cod. Dipl., p. 329).

(2) Per il mese di gennaio, secondo la CA. Urb., furono podestà di Orvieto Si-
mone di Ranieri di Guido e Rinaldo di Petrignano. A febbraio entrò in carica Ugo-
lino di Alviano. Egli ricevette la sottomissione dei conti Aldobrandeschi, con i capi-
toli riportati a p. 332 del Cod. Dipl.

(3) Cod. :Dipl., p. 337. Bindo de' Cerchi, già stato capitano di Orvieto per un anno,
col salario di tremila lire cortonesi, rilascia quietanza, il I8 marzo 1287, di essere stato
pagato di quanto avanzava dalComune. Egli fu capitano dal marzo del 1286 al marzo

JA

x
SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 3Ti

Podestà. Capitani.

1987. Bertoldus Ursinus de Roma. 1287. Bertoldus (Ursinus de Roma).
— Lib. Don..c. 16. — Arch. Pod. Atti ad an.

1287. Simon dni Ranieri Guidonis.

— Fumi, Stat. Chianc, p. 94.

1988-9. Gentilis (Ursinus de Roma). 1288-9. Gentilis (Ursinus de Roma).

— Cod. Dip., p. 391. — Arch. Pod. Atti ad an.
1989 luglio — 1290 [Rolladinus de . 1289 luglio — 1290. [Rollandinus
Lucea]. de Lucca].

1991. Atenulfus de Mattia (de Gai- 1291. [Atenulfus de Mattia].
tanis) de Anania. — Lib. Don. 1
1999. Florius dni Corradi de Ca- 1299. [Florius dni Corradi].
steleto de Mediolano — Arch.
com. d'Orvieto, Catasto ad
an T5 (D:
1293. Pinus de Vernaccis de Cre- 1293. Pinus de Vernaccis de Cre-

mona (2). mona. — Cod. Dipl., p. 340.
1294. Celle de Bustolitis de Spo- 1994. Orlandus de Veglio [de Luca].
i leto (3). — Cod. Dipi., p. 940.
1995. Gerardus de Gallutiis de Bo- 1295. Ubaldus de Interminellis de
nonia (4). Luca (5).

del 1287, In quel tempo furono fatte le paci tra le famiglie nemiche ; ma duraron poco.

e si riéominciò una briga, continuata per 20 giorni, in cui successero rubamenti, ab-
bruciamenti e distruzioni di. case. I ghibellini sconfissero i guelfi. Perciò il capitano
Bindo, per timore dei ghibellini, dovette fuggire dal palazzo del popolo. Ma giunsero
ambasciatori perugini e fiorentini, che ristabilirono la concordia tra le due parti
(Chr. Urb., p. 22. Questa briga è ricordata anche nelle Rif.).

(1) Secondo la CA. Urb. nell’anno 1291, fino al principio dell’aprile 1292, sarebbe
stato podestà e capitano d’ Orvieto papa Niccolò IV e per il pontefice avrebbe eserci-
tato i due uffici, Florio di Milano. Sotto lui, al principio del 1292, fu compiuto il più
antico catasto orvietano, del quale ci proponiamo di parlare a lungo in un’altra me-
moria.

(2) A questo podestà Orsello Orsini promette, anche a nome della: moglie Mar-
gherita, di mantenere sempre incorrotta la fedeltà, di tenere le proprie terre da parte
del Comune d'Orvieto, di fare quanto é contenuto nei trattati fatti con questo intorno
al Contado aldobrandesco, ecc. (Cod. Dipl., p. 340).

(3) Celle, o Cello, da Spoleto ed il capitano Orlandino del Veglio concordano i
patti seguenti con Giacomo di Stefano di Mancino, sindaco e procuratore degli uo-
mini di Bolsena: 1.9 che il podestà di Bolsena sia eletto tra gli Orvietani; 2.9 che quei
di Bolsena non sien tenuti a pagare ad Orvieto lira o colletta, se non quando siano
imvoste anche ai cittadini orvietani ; 3.0 che Orvieto difenderà e proteggerà quei di
Bolsena; 4.0:che questi possano portar grascie sul territorio orvietano senza pagar
pedaggi; 5.9 che le cause civili e criminali tra Bolsenesi e forestieri sien definite dal
podestà d'Orvieto, ecc. (Cod. Dipl., p. 342).

(4) Questó podestà, assieme al capitano, fa una recognizione dei diritti del Co-
mune sulla terra Guiniccesca, appartenente al conte Orsello Orsini (Cod. Dipl., p. 346).

(5) Ubaldino degli Interminelli é ricordato nella c. 2a del. vol. I delle Rif. Uscì
di carica il 31 decembre, Due giorni innanzi il consiglio delle Riformagioni delibera
G. PARDÌÎ

Podestà. Capitani.

1296. Simon Engelfredi de Padua. 1296. [Ubaldus de Interminellis].
— Rif., a. 1995, c. 47-9.

1296. Petrus de Pagano. — Cod. 1296 luglio — decembre. [Ioannis
Dipl., p. 341. Bonis de Urbe] (1).

1996. [Blando de Anania].
Prima del 1297. Landone de Colle-
medio (?) — Rif. n. II, c. 3.
1297 gennaio — luglio: Barto de 1297. Ioannes Arzonius de Roma.

Frescubaldis de Florentia. — — Rif. ad an. c. 16.
Iuf. nm -IP:c.-20; hr -Urb:;
p. 26.
1297. Petrus de Grumelis de Ber- 1297 maggio 28 — 1298 maggio.
gamo. — Rif. n. III, c. 133. Iulianus de Gaitanis de Bri-
xia (2).

1298. Baro de Mangiadoribus de
Sancto Miniato (3).
1298. Ugulinus Novellus de Russis 1298 giugno — decembre. Iohan-
de Parma (4). nes de Interminellis de Luca.
— Cod. Dipl., p. 310.
1299. Cursus de Donatis de Flo- 1299. Frescus de Frescobaldis. de

rentia. — Lib. Don. Florentia. — Lib. Don.
1300. Bertoldus de Sancto Minia- 1300 gennaio — maggio. Lamber-
to (5). tus de Pacibus de Bononia.

« quod dnus Gese iudex cabelle » ponga a sindacato, a cominciare dal 10 gennaio, il
capitano Ubaldo con tutti.i suoi famigliari (Rif. n. I, adunanza del 20 decembre 1295).

: (1) Sarebbe stato eletto. capitano papa Bonifacio VIII: per lui resse la capitania,
secondo la Chr. Urb., questo Iohannes Bonis. Non è improbabile, perché, aggiunge
la cronaca, il papa concesse tre privilegi al Comune di Orvieto, dando di nuovo ad
esso il possesso delle terre di Val di Lago e di Acquapendente. E questo realmente
successe, come si può vedere dal Cod. Dipl. all'anno 1296.

(2) Il 28 di marzo, nel consiglio delle Riformagioni, fu proposto « quod capita-
neus futurus populi Urbisveteris sit et esse debeat sanctissimus pater dnus noster
Bonifatius papa octavus, vel ille cui commiserit dnus papa, a die XXVIII mensis maii
proxime venturi usque ad diem XXVIII novembris proxime subsequentis; et ipsum
nominaverunt et elegerunt in capitaneum populi predicti pro predicto tempore cum
salario mille quingentarum librarum ». Bonifacio VIII vi mandò Giuliano dei Gaetani,
che fu riconfermato e durò un secondo semestre (Vedi Rif. n. II, c. 15 t. e segg.).

(3) Prende possesso delle terre di Val di Lago concesse di nuovo al Comune da
Bonifacio VIII (Cod. Dipl., p. 364).

(4) Si sottomisero al suo tempo i signori di Baschi. Il 20 decembre egli delega
Ventura di Bonavita, notaro orvietano, a riceverne la sottomissione (Cod. Dipl., p. 372).

(5) Bertoldo di S. Miniato fu, secondo la C. Urb., a reggere la podesteria d' Or-
vieto per Bonifacio VIII, che era stato eletto podestà.
SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC.

Potestà. Capitani.

1300 giugno — novembre. Ranal-
dus de Montorio de Narnia(1).
1300. Iohannes Vocelli Vite de Ana- . 1300 decembre — 1301 giugno. E-

nia (2). gidius de Arcionibus de Ro-
ma (3).
1301. Gentilis dni Bertuldi de filiis 1301 giugno (4) — 1302 maggio.
Ursi de Roma. — Arch. Pod. Mannus dni Corradi de la
Rif. ad an. c. 145. Brancha de Eugubio (5).

1801. Gentilis de Pasanellis de Rea-
te. — Cod. Dipl., p. 381.
1801. Bonifacius VIII. — Rif. ad

an. c. 118.
1309. Petrus Iacobi de Firmo. — 1302 giugno — novembre. Lapus
THEINER, Cod. Dipl., I, 366. ‘ Conforti de Pistorio.

1302. decembre — 1303 maggio.
Piccardus de Spoleto.

1303. Binus dni Petri [de Gabrieli- 1308 giugno — novembre. Mala- '

bus| de Eugubio. — Rif. ad testas dni Manentis de Spo-
an. c. 95 ; Cod. Dipl., p. 401. leto.

(1) Entrò in carica il 13 di giugno. Nelle Riformagioni dell’ anno 1300;..c. 93, è
riportato il giuramento di lui: « Nobilis miles dnus Raynaldus de Montorio ante quam
de equo descenderet, veniens ad civitatem Urbisveteris ad capitanie offitium exercen-
dum ab hodie in antea usque ad kalendas decembris proxime venturas, delato, con-
putato et narrato sibi sacramento per me Restaurum notarum dnorum Septem, iura-
vit corporaliter ad sancta evangelia, tacto libro, omni fraude, dolo et aliquo extrin-
seco intellectu remotis, offitium capitanie civitatis et populi Urbisveteris facere et
exercere personaliter et non per subsütutum usque ad dictum tempus secundum for-
mam carte populi, et ipsam cartam populi in qualibet parte sui prout iacet observare
et attendere et non contravenire et non permittere quod per aliquem contra fiat, et
ubi carta populi non loquitur secundum formam statuti comunis Urbisveteris, ubi
predicta statuta non locuntur, secundum ius comune et secundum formam ordina-
menti populi ». i

(2) Al tempo di Giovanni Vocelli e di Egidio Arcioni fu fatta la pace con Todi,
per opera di Bonifacio VIII.

(3) Entrò in carica il 10 decembre 1300 (Rif. ad an. c. 135). Doveva durare in uf-
ficio fino al 1o di giugno: « Dnus Gilius Arcionus de Urbe, ante quam de equo descen-
deret, veniens ad civitatem Urbisveteris a (sic) capitanie offitium exercendnm ab hodie
in antea usque ad kalendas Iunii proxime venturas ». Cessò di essere capitano il 28
giugno (Rif. ad an. c. 161). .

(4) Rif. n: IV, c. 51.

(5) Fu vicario di Bonifacio VIII eletto capitano (Rif. ad an. c. 180). Venne ricon-
fermato, poiché durò in carica più di sei mesi.
380 G. PARDI

Podestà. Capitani,

1303. Fortebrachius de Guinizellis 1303 decembre-1304 novembre. Pa-

de Pistorio (1). ulus deStabilibus de Reate (2).
1304. Ugulinus de Rubeis (3). — 1304 decembre — 1305. Ugulinus
Rif. ad. an. €. 165. de Tornaquincis (4).

1304. Ugulinus de Tornaquincis. —
Cod. Dipl., p. 408.

1305. Baro de Sancto Miniato (5).

1306. [Bisazzonus de Pignano de

Marcha].
1306. [Dnus Zeffus de Albertis de
Florentia].
1306. Karolus [de Ursino]. — Arch. 1306 Lippus dni Baronis (6).
Pod.
1306 agosto — novembre. Johan-
nes de Asisio (7).
1306 decembre —. 1307 maggio.
Brunamonte de Eugubio (8).
1907. Bisaccius de Appignano. — 1307 giugno — novembre. Bernar-
Arch. Pod. dus Cattaneus de Fano. —

(1) Bonifacio VITI fu eletto un'altra'volta podestà da luglio a decembre del 1303
(Rif. ad an. c. 24). Egli mandò in sua vece questo Fortebraccio dei Guinicelli di Pistoia,
confidando (com' egli dice in una lettera agli Orvietani) nella legalità e nell'avvedu-
tezza di hui, « et sperantes quod ea que sibi committimus studeat laudabiliter exer-
cere » (Cod. .Dipl., p. 387).

(2) Entro in carica ai 4 di decembre del 1304 (Rif. ad «n. c. 90). Fu riconfermato:
infatti restò capitano un anno intero. Lasciò l'ufficio il 28 novembre (Rif. ad az. c. 208).

(3) Era morto Bonifacio VIII e gli era succeduto Benedetto XI. Secondo la Car.
Urb. sarebbe stato eletto questo papa podestà d? Orvieto da gennaio a luglio ed in suo
nome avrebbe esercitata la podesteria Ugolino dei Rossi. Al suo tempo cominciò la
guerra con Nello della Pietra per cagione del Contado aldobrandesco, finita con la
sottomissione di Nello.

(4) Venne ad Orvieto il 1o decembre (Rif. ad an. c. 211).

(5) Al suo tempo si sottomisero i signori di Castellonchio (Cod. Dipl., p. 403), e
fu preso Monte Vitozzo, in cui si era racchiuso Fazio da Scettiano. Fatto prigioniero
con alquanti compagni, fu por tato ad Orvieto e decapitato per ordine del podestà.

(6) In un atto del 25 giugno 1306 si legge quanto appresso:

« Item [nos septem consules de septem artibus] stantiamus et ordinamus quod
quilibet potestas et capitaneus, per octo dies ante finem sui offitii, teneatur et debeat,
videlicet potestas in generali consilio populi, consignare omnes libros actor um, sen-
tentiarum et scripturarum sui offitii; qui sigillentur in sacco et portentur ad sanctum
Ioannem [la chiesa di S. Giovanni ove si teneva l'archivio], et. postea consignentur
cuilibet successori predictorum, ne propterea dicti dni obmittant quin omnia faciant
quilibet eorum et sue curie et offitiales eorum, que fuerint circa eorum offitium in
omnibus facienda » (Rif. n. VIII, c. 5).

(7) :EdE, n. VI 6..5
(D) T yis OST:
SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC.

Potestà» Capitani.

1307. Angelus de Reate. — Arch. “Arch. d'Orv. Perg. dell'8
Pod. settembre 1307.

1807. [Aecorimbonus de Tolentino]. 1307 decembre — 1208. maggio.

Thomas de Racanato.

1308. Bartholomeus de Uffagna. — 1308. giugno — novembre. Vagi-
Arch. di Montepulciano, Cap. noctius de Asisio.
144.

1308. Bradonus [de Saxoferrato]. 1308 decembre — 1309 novembre.

Tebaldus de Montelupone (1).
— Arch. d'Orv. Perg. del 16
settembre 1309.

1309. Guido [dni Berardi] de Asi- 1309 decembre — 13, 10 maggio.

sio (2). Johannes de Sabellis de Ro-
1309. Brandalisius (4). ma (3).
1809-10. Iohannes de Sabellis de 1310 giugno — novembre. Jaco-
Roma. bus de Rubeis de Florentia.
1310. Philippus de Marchionibus de 1310 decembre — 1311 maggio.
Massa. Gottofredus dni Rossi de la
'Tosa.

1310. Gualterius Primerani de Ar-
dinghellis. — Arch. d'Orv.
i Perg. del 9 agosto e del 10
settembre 1310.
Fillippus Rossi de Gabrieli- | 1811 giugno — 1312 maggio. Pel-
bus de Eugubio. legrinus de Civitate Castelli.
1911. Pellegrinus de Civitate Ca-
stelli. — Arch. Pod.
1311. Petrus dni Corradi de la Bran-
cha. — Arch. d'Orv, Perg.
del 10 agosto 1311.

1311

(1) Riconfermato.

(2) AI tempo di questo podestà, Pietro signore di Vico e prefetto del Patrimonio,

fece una cavalcata contro il Contado aldobrandesco, portando via pecore; bovi, bufali

ed altri animali. Fece poscia prigionieri gli ambasciatori orvietani che andavano a

Roma. Udita la qual cosa, il Comune di Roma ordinò al prefetto del Patrimonio di con-

durre con sè a Roma questi ambasciatori. Orvieto aveva frattanto preparato un eser-

cito numeroso per muovere contro Pietro di Vico. Ma il capitano del Patrimonio pro-

mise, a nome del Prefetto, di fare emenda delle ingiurie fatte al Comune di Orvieto è

f di restituire gli animali predati. Infatti Pietro di Vico, avendo timore a venire ad Or-
vieto, si recò presso Bolsena e quivi fece una completa restituzione.

(3; Vicario del Savelli, non essendo questi potuto venire, fu Iacobus de Pierleo-

nibus de Urbe.
(4) Questo podestà è chiamato, nella Chr. Urb., Blandalisius de Affuma,
G. PARDI

Podestà. Capitani.

1312. Rainerius dni Sai de Gabrie- 1312 giugno — novembre. Piglia-
libus de Eugubio. — Arch. terra de Montelupone.
d'Orv. Perg. del 10 agosto

1312.

1312-89. Maeteus dni Bonifatii de Ci- 1312 decembre — 1313 maggio.
vitella. — Arch. d'Orv. Perg. Rossellus q. Rossi de Civitate
del 18 febbraio 1313. Castelli.

1313. Rossellinus de Rossellis de Ci- 1313 giugno — agosto. Catullus

vitate Castelli. de Monteecolo (1).
1313. Thomas Potestas. — Arch. 1313 agosto — febbraio 1314 (?)
d'Orv. Perg. dell’ 11 agosto Ugulinus de Alviano (2).
1313.
1313. Petrus Rainuccii Peponis co-
mitis (de Farneto) rector et de-
fensor. — (Doc. del 30 agosto
1313 in MONALDESCHI, Comm.
c.- 15.
1314. [Ugulinus Lupicini et Man- 1314 gennaio — febbraio. [Ugolinus
nus dni Corradi]. Lupicini et Mannus dni Cor-
radi].
1314, Catenaccius de Anania (3), 1314 marzo — agosto (?) Catenac-
cius de Anania,

(1) Il 16 di agosto si ingaggiò in Orvieto una fiera battaglia tra i Monaldeschi,
capi della parte guelfa, ed i Filippeschi, capi della ghibellina. Questi ultimi caccia-
rono via dal palazzo del popolo il capitano. Il giorno dopo, rinnovatasi la zuffa, i ghi-
bellini furono vinti e fuggirono dalla città. Dev’ essere certamente accaduto che, per
cagione di quei sanguinosi avvenimenti, Catullo di Monteccolo abbandonasse Orvieto.
Difatti il giorno 29 dello stesso mese troviamo già un nuovo capitano, Ugolino di Al-
viano (Cfr. G. PARDI, Il Governo dei signori Cinque in Orvieto. Ivi, Tosini, 1894, p. 10-4).
Si noti poi che agli 11 di agosto Carlo o Catullo di Monteccolo era sempre capitano
di popolo (Arch. d'Orv. Perg. dell’ 11 agosto 1313).

(2) Non si sa. precisamente in qual mese cessasse dalla capitania Ugolino di
Alviano. Forse ciò avvenne anche prima del febbraio 1314; poiché successe in quel
tempo un restringimento della costituzione, essendo stato incaricato il podestà di com-
piere anche le funzioni di capitano (G. PARDI, op. cit., p. 11). Anzi secondo la C7.
Urb. egli sarebbe partito da Orvieto alla fine del decembre 1313, poiché al principio del
seguente anno sarebbero stati eletti a reggere là podesteria (ed anche quindi l'ufficio
di capitano riunitovi in quel tempo) Ugolino di Lupicino e Manno di Corrado Monal-
deschi.

(3) Dal podestà di quest’ anno e dei seguenti si scorge facilmente come vi fosse

‘ stato in Orvieto, (poiché vediamo riuniti costantemente gli uffici di podestà e capitano)
un restringimento della libera costituzione, fatto per esiliare i ribelli ghibellini, per
abbatterne le case e le torri, per confiscarne i beni, per compiere insomma 1° esterminio
del partito ghibellino effettuato ormai con la forza delle armi (G. PARDI, op. cit., p. 11).

Catenaccio di Anania era vicario di Benedetto Gaetani, come si ricava da un docu-
SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 388

Podestà, Capitani.

1314. Pagnonus de Cimis de Cin- 1314 settembre (?) — ottobre. Pa-
gulo. — Rif. n. XIII bis, c. 5. gnonus de Cimis de Cingulo.

— Rif. n. XII bis., c. 5.
1314. Cante de Gabrielibus de Eu- 1314 novembre — 1315 aprile. Can-

gubio (1). te de Gabrielibus de Eu-
gubio.
1315. Nallus de Guelfonibus de Eu- 1315 maggio e ottobre — Nallus
gubio. — Rif. ad an. maggio de Guelfonibus de Eugubio.
— ottobre. :
1315-6. Philippus de Massa de Eu- 1315 novembre — decembre. Phi-
gubio (3). lippus de Massa de Eugubio.
1316 gennaio e marzo — Rayne-
rius dni Zaecarie de Urbeve-
teri (3). È

1316 aprile — 1317 marzo. Pon-
cellus de filiis Ursi de Urbe.
1317. Meliardus q. dni Philippi de 1317 aprile — settembre. Namo-

Esculo. — Arch. d'Orv. Perg. ratus q. dni Philippi de E-
del 24 novembre 1311, Cod. seculo. — Arch. d'Orv. Perg.
Dip., p. 441, Rif. ad. an. del 24 novembre 1317, Cod.

Dip., p. 441.
1317. Raynerius dni Rudolphide Pe- 1317. ottobre — 1318 marzo. Ray-
rusio. — Cod. Dipl., p. 443, nerius dni Rudolphi de Pe-
Rif. n. XVI, e. 88. rusio.

mento riportato a p. 28 dell op. cit.: « Convocato et coadunato consilio dnorum
Quinque ad statum pacificum Civitatis et Comunis Urbisveteris prepositi et aliorum
vigintiquatuor sapientum virorum ad eorum consilium vocatoruni, de voluntate et
mandato nobilis viri dni Catenaccii de Anania. potestatis et capitanei dicte. Civitatis
per magnificum virum dnum Benedictum Gaytanum comitem dei gratia palatinum ».

(1) Arch. d' Orv. Perg. del 26 gennaio 1315, Cod. Dipl., p. 422, e Rif. ad an. Cante
dei Gabrielli essendo nel 1302 podestà di Firenze, aveva, ai 27 di gennaio, condannato
Dante. per la. prima volta all’ esilio.

(2) Cod. Dipl., p. 431, PARDI, Op. cit., p. 30. Al tempo di Filippo della Massa gli
Orvietani mandarono un esercito in soccorso dei guelfi di Montefiascone, ed ebbero
una tremenda sconfitta da quei di Viterbo e di Corneto, dal prefetto del Patrimonio, dai
conte d' Anguillara e di Santafiora, dai nobili di Baschi e di Bisenzo e dai ghibellini
esuli da Orvieto. Per la qual cosa in Orvieto il popolo chiese gli antichi ordinamenti,
abbatté il governo dei Cinque, e disgiunse un'altra volta l'ufficio del capitano da
quello del podestà.

(3) Il primo capitano che troviamo, dopo la disgiunzione dell’ ufficio di podestà
e capitano, è un Orvietano, Ranieri di Zaccaria. Questi ha affidato il suo nome alla
storia per aver condannato Dante per la terza volta all'esilio, essendo podestà di Fi-
renze nel 1315. ‘Nell’ arch. di Firenze si conservano gli atti di questo podestà),
Potestà. Capitani.
1318. Petrus Foresis de Pistorio (1), 1318 aprile. —. ottobre. Prizzi-
valle de Baglionibus de Pe-
rusio.

1918 novembre — 1319 aprile. Bo-
nifatius dni Offreduccii de
Giaconibus de Perusio.

1319. Raynaldus dni Santi de Pe- 1319 maggio — ottobre. Fumus
rusio. — Arch. d' Orv. Perg. de Bustolis de Aretio.
del 13 maggio 1319.

1319. Nicola de Aquila. — Arch. 1319 novembre — 1320. aprile.
d'Orv. Perg. del 13 agosto Thomas de Bevagna.

Rif.1319; n. XIX, 6..4b.
1320. Bernardus de la Cervia de
Perusio. :—. Arch. ‘Pod. Atti

ad an.
1320. [Iacobus de Tarano] (2). 1320 maggio — luglio. Octavia-
nus de la Brancha de Eugu-
bio (3).
1320. [Bernardus de Cogno vicarius 1320 agosto — 1321 gennaio. Cor-
regis Ruberti] (4). radus dni Petri dela Brancha
de Eugubio.
1321, Ranuccius de Senis [o de Ser- 1321 febbraio — 1322 aprile. Pon-
ra ?]. — Arch. Pod. Rif, . celus Ursinus (5).

n. XXII, 1. 25, c. 12.

(1) In quest'anno era stato nominato podestà il re Roberto di Napoli (Rif.
n. XVI, c. 83 Ch. Urb., p. 34). Per lui resse la podesteria Pietro Forese di Pistoia
(Rif. ad an. l. VII, c. 35).

(2) Per i mesi di gennaio e febbraio esercitò un giudice l'ufficio di podestà (Rif.
n. XIX, c. 68 t. 69). Può esser forse questo, Iacobus de Tarano ricordato nella Cw.
Urb. Ma il 2. di marzo fu presa la decisione che fosse nominato podestà « quis de mi-
litibus electis et nominatis in licteris dni Regis Roberti ». Appare quindi da questo
passo delle Riformagioni (n. XIX, c. 40 t.) che il re Roberto di Napoli doveva essere
stato nominato podestà e che egli aveva designato tre persone per esercitare tale officio.

(3) Morì durante la capitania, come si apprende dalla c. 68 r. del n. XIX delle Rif.

(4) L'eletto dev'essere stato appunto. Bernardo di Cogno. Lo troviamo infatti ri-
cordato come podestà, d’Orvieto a c. 84, sebbene egli non avesse ancora, agli 8 di aprile,
cominciato ad esercitar la sua carica, essendo occupato in molti negozi nella terra di
Gualdo.

(5) Poncello Orsini, come si è visto, era molto. simpatico al popolo orvietano,
perché dopo essere stato nel 1316 capitano di guerra, fu poscia per più anni capitano
di popolo e venne anche richiamato nel 1320. Disgraziatamente i benefici fatti da lui
agli Orvietani e la riconoscenza acquistata da parte di questi furono dovuti porre in
dimenticanza per le malvagie opere di Matteo, figlio di Poncello, che s? insignori della
città e la resse tirannicamente. Quantunque Poncello non compisse l'anno della ca-
pitania, tuttavia gli fu pagato il salario per intero (Rif. n. XXIII, c. 129 t.).
SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 389

Podestà, : Capitani,

1322, Pandulfus Comes de Anguil- 1322 maggio — luglio, Bonuccius

lara. — Rif. n, XX, 1. 2.? c. 51, dui Petri de Monaldensibus
n. XXI, c. 24. et Ugulinus dni Pharolphi de

Montemarte urbevetani (1).
1322. Ugulinus de Alviano. — Rif. 1322 agosto — 1323 gennaio. To-

RO BE 0754s dinus de Aquila.

Prima del 1323. Eetolus dni Gani 1323 febbraio — luglio. Corradus
de Actavianis de Pistorio (2). de Trincis de Fulgineo.
1322-3. Iohannes de Massa. — Rif. 1328 agosto — 1394 gennaio. Oddo

n. XXII; e. (9:t. de Oddis di Perusio.

1323. Nichola Protacti de Aquila (3).
1323 decembre — 1324 gennaio 1
— Deus dni Rainaldi de Se-
nis (4).
1324. Oddo de Oddis de Perusio. — . 1324 febbraio — luglio. Ugulinus
Rif XXILD-L 29,:0,)9L dni Guelfi de’ Guelfutiis de
Civitate Castelli.
1324. Franciscus Berardi de Esculo. 1324 agosto — 1325 febbraio. Gual-
— Rif. n. XXIII, c. 138. tieroctus dni Nalli de Mar-
chionibus de Monticulo.

(1) Essendo stato costretto a partire improvvisamente il 2 di maggio, rimasta
così la città senza capitano, furono scelti a farne le veci i due Orvietani Bonuccio di
Pietro. Monaldeschi e Ugolino di Farolfo di Montemarte (Rif. n. XXI, c. 53 r.). Dura-
rono in earica fino alle calende di agosto, benché fossero stati incaricati di compiere
l'ufficio di podestà soltanto sino al principio di luglio.

La saggezza del consiglio delle Riformagioni si riconosce da una tale elezione.
Le due famiglie dei Monaldeschi e dei Montemarte, dopo la decadenza dei Filippeschi,
erano rimasti le principali della città e si trovavano quindi in lotta tra loro per la
supremazia. Difatti nel 12330 Bicello dei Baglioni, capitano di popolo, per pacificare
le due famiglie, univà in matrimonio Giovanni di Cecco di Farolfo di Montemarte con
Francesca di Giovanni di Ugolino Monaldeschi. A ricordo dell’ avvenimento venivano
fatte dipingere storie allusive nel palazzo del popolo (Rif. 1300, giugno 5). Pertanto il
consiglio delle Riformagioni, chiamando a reggere una della supreme cariche della
repubblica due nemici, che si sarebbero impediti l'un l’altro ogni abuso di potere,
trovò il mezzo giusto perché nessuno dei due profittasse dell’ ufficio confidatogli per
ingrandirsi di troppo e signoreggiare la città.

(2) A c. 5 t. del n. XXII delle Rif. troviamo un’ ambasceria del Comune di Fi-
renze a quello di Orvieto per pregarlo a cassare « omnes et singulas condempnatio-
nes et sententias condempnationis latas et datas contra nobilem virum dnum Ectho-
]um dni Gani de Actavianis de Pistorio olim potestatem civitatis Urbisveteris ».

(3) I famigliari del podestà. Niccola da Aquila uccissero Andrea di Gialachino
Monaldeschi. Perciò il 15 decembre si stabilisce che un giudice con due notari ed otto
berrovieri eserciti l'uffieio di podestà fino al primo del gennaio 1324 ed abbia facoltà
di condannare tutte le persone che avessero preso parte al malefizio ricordato (Rif.
DE XXII, 1. 20.6.71).

(4) Il giudice eletto: a fare da podestà fu Deo di Rinaldo da Siena (Ivi, c. 73).

26
G. PARDI

Podestà. Capitani,

1325. Rainerius de Buondelmonti- 1325 marzo — agosto. Bartolomeus

bus de Florentia. — Rif. de Maezeptis de Burgo Saneti
mero XXIII, l. 29, c. (1 t. Sepuleri.

1325. Iacobus de Gabrielibus de 1325 settembre — 1396 febbraio.
Eugubio (1). . Rudulfus dni Iohannis de Va-

rano de Camerino.
1395. Mutius dni Cantis de Gabrie-
libus de Eugubio.

1326. Chistophanus de Gualfredibus 1326 marzo — agosto. Iohannes
de Cortona. — Arch. d'Orv. de Doris de Morontis de San-
Perg. dell' 8 maggio 1326 (2). eto Geminiano.
1326, Tribaldus de Baronis. — Arch. . 1326 settembre — 1327 febbraio.
Pod. è. Iohannes dni Francisci de Tre-
1326. Iohannes dni Francisci de - viso.
Trevio. — Rif. n. XXVI, c. 2.
1321. Aloysius de Actis de Sasso- | 1327 marzo — agosto. Rogierius
ferrato comite de Valiano. — Contis de Morontis de Sancto
Cod. Dipl., p. 461. Geminiano.
: 321-1328 gennaio 13. Iohannesdni 1327 settembre — 1398 febbraio.
EN Aceti de Bectonio. — Arch. Blaxius de Tornaquincis de
d’Orv. Perg. del 12 agosto Florentia. — Arch. d'Orv.
1321 e..del. 9 gennaio 1328, Perg. del 2 gennaio 1328.

Cod. Dipl., p. 471, Rif. n.
MOVE: TS 19 01;

1328. Testa de Tornaquincis de Flo- 1328 marzo — agosto. Franciscus
rentia. — ‘Rif. n. XXVIII, dni Bernardi de Esculo. —
15719796. 510; Arch. d'Orv. Perg. del 10
i gennaio 1328.

1328. Raynerius dni Gualfredutii de 1328 settembre — 1329 febbraio.
Perusio. — Rif. n. XXVIII, Albertinus dni Pauli de Ful-
12200) .- gineo.

(1) Giacomo di Cante dei Gabrielli venne in Orvieto e prestò giuramento il 18 di
luglio (Rif. n. XXIV, I. 20, c. 65 t.). Non avendo potuto terminare il proprio ufficio,
lasciò in Orvieto come podestà, per ultimare il tempo della sua carica, il fratello Muzio.

(2) Nel consiglio delle Riformagioni del 20 aprile (Rif. n. XXV, 1. 20, c. 41 t.) il
capitano propone di concedere al podestà Cristofano da Cortona una licenza di 12
giorni per recarsi a Montepulciano « cum filii dni Guillelmi da Montepulitiano nuper
intendant ad honorem militie ».

(3) Ranieri de’ Baglioni uscì di carica il 14 di gennaio (Rif. n. XXIX; c.) A1 19
di febbraio non era ancora stato eletto il nuovo podestà. Perciò si delibera di affidare
al capitano del popolo, Albertino di Foligno, la nomina di due giudici, che reggano la
podesteria fino all’ arrivo del podestà nuovo (Rif. n. XXIX, c. 22 t.). Non essendo an-
cora, giunto ai 10 di marzo (ivi, c. 57), si ordina al capitano di eseguire le sentenze del
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SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 381

Podestà Capitani.

1399. Corradus dni Petri dela Bran- 1329 marzo — agosto. Pontius de

ca de Eugubio (1). Saracenis de Senis.

1329-30. Petrus deSaneto Germano. 1329 settembre — 1330 febbraio.
— Cod. Dipl., p. 453. Lellus dni Guilelmi de As-

sisio.

1330. Bicellus q. Gualfreduccii de 1330 marzo — giugno. Bicellus

Baglionibus de Perusio. — q. Gualfreduecii de Baglioni-
Cod. Dipl., p. 473 (2). bus de Perusio.

1330-1. Baglione dni Novelli de Ba- 1330 luglio — agosto. Baglione
glionibus de Perusio (?). dni Novelli de Baglionibus de

i Perusio.

1330 settembre — 1331 febbraio.
| Pannocchia de Volterris.
1331. Iohannes dni Aceti de Becto- 1331 marzo — settembre. Nicco-

nio. — Rif. n. XXXIII, c. 11. laus de Bollandis de Cingulo.

1331 ottobre — 1332 aprile. Pe-

trus de Saracenis de Senis (3).

1339. Ricciardus dni Padulis deEscu- 1332 maggio — 1333 aprile. Pau-
lo. -- Rif. n. XX XII, c.24, t. (4). lus de Calbulo.

podestà passato. Ai 27 di marzo é nominato quello nuovo, Corrado della Branca, seb-
bene egli in quel giorno non fosse ancora venuto ad Orvieto (ivi, c. 62).

(1) Corrado della Branca dev’ essere stato podestà d’ Orvieto dall’ aprile all’ otto-
bre del 1329, Pietro di S. Germano dall'ottobre del 1329 alla fine del marzo 1330. Nel-
l'aprile, come apprendiamo dal Cod. Dip., entrò: in carica Bicello dei Baglioni. Stette
per lui nel palazzo del Comune, ad esercitare l' ufficio dei malefizi, Giovanni giudice
da Perugia, fino alle calende di luglio.

(2) Perugia, amica di Orvieto in quel tempo, aveva interesse che in questa città
regnasse la pace. Essendovi pertanto sorte delle gravi discordie nel 1330, i priori pe-
rugini mandarono ambasciatori per sedarle e vi riuscirono (Cod. Dipl., p. 452). In
questo modo poterono profittare dell’ amicizia degli Orvietani, uniti con i quali vinsero
Spoleto e domarono Città di Castello. Per rassodare meglio la pace fecero in modo
che gli Orvietani eleggessero capitano di popolo il perugino Bicello Baglioni, che po-
scia fü anche nominato podestà. La inimicizia maggiore era in Orvieto tra i conti di
Montemarte ed i Monaldeschi. Bicello il 5 giugno, in piazza del popolo li fece rappa-
cificare, come ripose in concordia anche altre famiglie orvietane, che nutrivano odio
l'una contro l' altra. Per meglio cementare la pace tra i Monaldeschi ed il Monte-
marte uni in matrimonio un giovane di questa casa con una giovane della casa ne-
mica. Per questi fatti il 24 di giugno fu creato cavaliere, cingendogli la spada Ugolino di
Lupicino come rappresentante del Comune, dal quale gli furono donati 1200 fiorini d'oro.

(3) Pietro dei Saraceni venne nominato capitano generale della guerra (Rif. ad
ani. Fu mandato anche come ambasciatore al capitano del Patrimonio, à chiedergli
che si interponesse presso il Comune di Todi, affinché inducesse i signori di Baschi
a non molestare più la terra di Lugnano. Poco dopo infatti Coluccio signore di Baschi
prometteva di non invadere quella terra e di non offenderne alcun abitante, collegio
od università (Cod. Dipl., p. 475).

(4). Prestò giuramento di esercitare bene e legalmente la podesteria l'ultimo di
gennaio del 1332. L'ultimo di luglio fu riconfermato, come si capisce dall’ elezione di
G. PARDÎ

Podestà. Capitani.

1333. Iohannes de Montecalvo de 1333 maggio — ottobre. Cantuc-
Esculo (1). cius dni Bini de Gabrielibus

de Eugubio.

1333. Franciscus dni Parisciani de 1333 novembre — 1334 aprile.
Esculo (2). |» Antonius de Gallutiis de Bo-
nonia (3). — Arch. d'Orv.
Perg. del 17 e 23 marzo 1334.

1334 maggio (?)—Iacobus dni Gui-
di de Bardis de Florentia (5).

1334. Karolus de Monteapone de
Massa (4).

un giudice e di un notaro per sindacare gli ufficiali di lui, poiché, se anche ij podestà
veniva riconfermato, doveva tuttavia provvedersi di nuovi ufficiali (Rif. n. XXXIII, c. 202).

(1) H giorno 7 di gennaio (Rif. n. XXXIV, c. 10) maestro Ugolino propone in
consiglio di eleggere podestà uno della provincia della Marca e della città di Esculo,
Giovanni di Montecalvo. Il giorno 21 gli si spedisce come ambasciatori, per invitarlo
ad accettar la nomina, Nuecio di Guido e Raffaello di Bartolomeo (Ivi, c. 36).

(2)Entro in ufficio ai 9 di agosto. Doveva condur 6 notari. Gli si concede di
portarne 4 soltanto (Ivi, c. 68 t.). Uscì di carica il 9 di febbraio (Rif. n. XXXV, c. 25 t.).

(3) Al tempo di Antonio Galluzzi successe in Orvieto un fatto notevolissimo. La
famiglia de’ Monaldeschi, capi dei guelfi rimasti padroni d' Orvieto dopo la cacciata dei
ghibellini, erasi scissa in più fazioni tutte ambiziose di signoreggiare la patria. Allora
contrastavansene il dominio Napoleuccio di Pietro Novello ed Ermanno di Corrado.
Questi, più astuto, trasse dalla sua Bonconte di Ugolino, un altro de’ più potenti Mo-
naldeschi e, unite le forze, riuscirono così .ad uccidere Napoleuccio il 20 aprile 1334.
Il capitano del popolo fu costretto dalla potenza dei Monaldeschi ad assolverne gli
uccisori (GUALTERIO, Cronaca di Francesco di Montemarte, II, 14, Rif. dell'aprile 1334).

(4) Il 19 marzo 1333 furono imbussolati 20 nomi, di questi se ne estrassero 4. Il
lo riuscì Raynaldus de Staffulo, il 20 Carolus de’ Monteapone de Massa, il 30 Fidismi-
nus de Camerino, il 4o Rodulfus de Camerino. Il 1» rinunciò ed allora fu podestà d'Or-
vieto. il 20,.Carlo di Monteapone (Rif. n. XXXV, c. 69):.Il 13 settembre fu nominato
capitano generale dell’ esercito da mandarsi sopra Orbetello e le altre terre del Con-
tado ildebrandesco (Rif. n. XXXVII, c. 5 t.). Lasciò un vicario ad adempiere il suo
ufficio in Orvieto (Ivi, c. 9 t.). Lo riconfermarono come podestà per sei altri mesi a
cominciare dal 15 novembre 1334 (Ivi, c. 12 t.). Ma probabilmente non. stette in carica
tutto questo tempo. :

(5) Il giorno 9 maggio subentrava nell'ufficio di capitano Giacomo de' Bardi.
Egli, prestato appena il giuramento, aduna il consiglio ad istigazione dei partigiani
del potere del popolo e delle libertà comunali, per tentar di salvare la repubblica
moribonda e fa condannare all’ esilio. i Monaldeschi, alcuni di quelli della Greca e
tutti i Ghibellini rientrati iu città nel 1330, nella pace fatta per opera di Bicello Ba-
glioni. Ma i Monaldeschi, chiesti ed ottenuti rinforzi dal rettore del Patrimonio, adu-
navano tumultuariamente i consiglieri, abolivano le leggi risguardanti il consiglio
popolare e ne facevano creare un altro segreto composto di 12 persone ligie ai Mo-
naldeschi. Invitarono ad intervenire ai consigli dei Dodici il capitano del popolo; ma
questi non volle andarvi per colpire di nullità gli atti di tale consiglio segreto. Nel
quale fu data piena balia ad Ermanno di Corrado e ad Ugolino di Buonconte. Pertanto
Giacomo de' Bardi, non soffrendo tanta audacia dei Monaldeschi, dopo 12 giorni che
esercitava l'ufficio di capitano, credette bene di lasciarlo e tornarsene a Firenze, ri-
cevendo per soldo, in accomodamento, 350 fiorini d'oro (Rif. del 9, 16, 17, 19 e 20
maggio 1334).
mite RO o

SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC.

Podestà. Capitani.

1334 giugno — decembre. Iohan-
nes dni Guidi de Asisio.

1385. Dnus Nicola dni Namorati de 1335 gennaio — gennaio. Alber-
Esculo. — Rif. n. XXXVIII, . tinus dni Pauli de Fulgineo.
c. 42, t. 664. .

1335. Franciscus de Nursia. — Rif. 1335 luglio — decembre. Fran-
n. XXXVIII, c. 64. ciscus dni Bernardi de Asisio.

1336. Beraldus de Narnia (1). 1336 gennaio — giugno. Ange-

lus dni Petri de Interamne.
1336 luglio — 1337. Offreduccius
de Fulgineo.
1336 luglio — 1337. Hermannus
dni Corradi de Monaldensibus
Veoillifer iustitie (2).

1387. Paulus de Interamna. — Rif. 13937 novembre -— 1338 aprile.
dd: ane CL. Karolus de Monteapone de
Marehionibus de Massa.
1338. Karolus dni Federici de Mon- ‘1338 maggio — ottobre. Franci-
teapone de. Marchionibus de secus dni Brunamontis de Eu-
Massa (3). gubio.
1838-9. Guidoecius Oddi de Castro 1338 novembre — 1339 aprile. Octa-
Montonis (4). vianus dni Belfortis de Bel-
fortibus de Volterris.
1339. Andreas de Passano de Ful- 1339 giugno — decembre. Pepo
gineo (5). — Rif. n. XLIX, de Frescobaldis de Florentia.
Cisl. i

(1) Durò in ufficio da giugno a decembre (Rif. n. XLI, c. 23).

(2) Fino dal 1334 si afferma la signoria di Ermanno Monaldeschi su Orvieto. Tut-
tavia egli, sapendo quanto fosse pericoloso prendere il nome di signore, non volle
fino al 1336 assumere alcun titolo speciale: in questo anno si fece eleggere gonfalo-
niere. Ma la somma delle cose cittadine fino dal maggio 1334 era nelle sue mani. Hanno
quindi pochissima importanza i capitani di questo tempo. Troppo lungo sarebbe il nar-
rare gli atti della signoria di Ermanno, uomo intelligente, accorto, operoso ed ener-
gico, che dette vita e potenza nuova alla patria sua. (G. PARDI; Ermanno Monaldeschi
signore d' Orvieto negli Studi e documenti di storia e diritto della Accademia storico-
giuridico di Roma, a. 1395).

(2) Il 19 marzo era stato nominato podestà Nicolaus dni Georgii de Esculo (Rif.
n. XLVII, c. 11). Ma forse questi ricusò, poiché troviamo invece Carlo di Monteapone
(Rif. n. XLII, c. 32), che il 19 settembre fu eletto capitano generale della guerra. Può
essere forse che Niccola di Esculo non durasse in carica se non pochissimo tempo.

(4) La quaderna dei futuri podestà era la seguente: 1.0 Guiduccius Oddi de Mon-
tone, 2.0 Bocca de Pistorio, 3.0 Andreas de Pisauro, 4.0 Philippus de Guazzaloris de Prato
(Rif. n. XIII, e. 63). Accettò il primo.

'(5) Poco dopo che Andrea da Passano fu giunto in Orvieto, l' 8 di maggio, venne
deliberato che il podestà potesse giudicare nelle cause criminali fino all’ arrivo del
nuovo capitano (Rif. ad an.).
1339.

1340.

19341.

1341.

Podestà.

Ceecus Oddonis de Mon-
tone (1).

Pepo de Frescobaldis de Flo-
rentia (2). — Rif. n. LI, 1. 2°,

Cody E

Grimoaldus de Bonfiglis de
Ancona, od Otto de Fresco-
baldis de Florentia, o Fran-
ciscus dni Vannis de Mala-
voltis de Senis. — GUuALTE-
RIO, Op. cit., II, 67.
Angelus de Reate.
Pod. e Rif. ad an.
5 ottobre (3).

— Arch.
del 3 e

G. PARDI

Capitani.

1340 gennaio — giugno. Nicolaus
dni Petri de la Brancha de
Eugubio.

1340 luglio (?) — Dinus dni Dini de
Cinigiano.

1341 luglio — 1343 aprile. Ma-

theus Ursinus de Roma (4).

(1) Per l'elezione del podestà e capitano vennero imbussolati, il 16 di ottobre,
varî nomi. Riuscì eletto nella prima carica Cecco da Montone e nella seconda Niccola
della Branca.

(2) Pepo Frescobaldi, che terminava il proprio ufficio il 30 maggio, fu riconfer-
mato dai signori Dodici per i mesi di giugno e luglio (Rif. del 22 e 28 maggio), stante
la rinuncia dell’ eletto Pannocchia da Volterra. Non si trova nelle Rif. chi coprisse la
carica dall’agosto al febbraio dell'anno seguente; ma il GUALTERIO Opina fosse rimasto
ancora podestà il Frescobaldi (Op. cit., IT, 59).

(3) Il GuaLTERIO (IT, 67) pensa che Andrea dei Donateschi di Rieti morisse prima
di compiere l'ufficio od entrasse in discordia con l'Orsini. Il fatto sta che il 28 ottobre
(Rif. ada.) venivano assoluti i Sette per non avere eletto il podestà. Sembra perciò
che dalla fine di ottobre al marzo del seguente anno vacasse la podesteria. « Ciò si
operava certamente dall’ Orsini per rinforzare la sua autorità e diminuire quella
del Comune, privandolo de’ suoi legittimi magistrati ».

(4) L’anno innanzi avean dominata la città Ugolino Monaldeschi e Francesco di
Montemarte : ora si concentra il potere nelle mani di Matteo Orsini. Imparentato que-
sti con i Monaldeschi della Vipera, per avere Ugolino di Bonconte sposata una Vio-
lante di Niccola Orsini (er. It. Seript., t. XII, p. 538), fu per di più nominato capi-
tano di popolo ed investito di poteri straordinari dal 19 marzo al 19 settembre e poscia

“confermato e riconfermato nell'ufficio di capitano. Mentre Ermanno Monaldeschi aveva
rispettate le forme esteriori del Comune, l'Orsini abolì il consiglio dei Dodici, adunò
‘rarissimamente eli altri consigli, dispose arbitrariamente dell’ erario. esaurendolo ed
indebitando il Comune. Disfaitosi di Ugolino Monaldeschi ed isolato il Montemarte,
accumunò gli ambiziosi disegni con Benedetto della Vipera, favorendo il di lui innal-
zamento e preparando un terzo e-feroce signore ad Orvieto. Fece nominare capitano
di popolo il capitano del Patrimonio e riconfermarlo più volte. L'Orsini, Benedetto e
Bernardo di Lago rafforzavano l'uno con l'aiuto dell'altro il proprio potere; tanto che
alla fine Matteo proclamò la tirannia di Benedetto della Vipera (Rif. 1345, aprile 12).

Ma ai 6 d'agosto veniva ucciso da Leonardo di messer Simone.
1343

1342.
1342-3... Jueeius

1343.

1344.

1345.

1345.

1345.

1345.

1846.

1346.

(Rif. 12 luglio e 17 agosto)
si partì e gli succedette Guccio dei Brancaleoni (Rif. del 4 e 5 ottobre). L° Orsini,
molto contento di lui, gli dava la cittadinanza orvietana (Rif. del 21 gennaio) e lo ri-
confermava in carica per due mesi (Rif. del 28 febbraio). Ma ciò avendo generato mal-
contento, fu pagato e rimandato.
(2) Non piacendo all’ Orsini, venne rinviato a Siena, sotto pretesto di un' assenza
temporanea: egli non tornò più.

| chiamando alla capitania il Salimbeni.

SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. .391

Podestà.

Cecchus de Fortebraccis de
Montone (1).

Brancaleonis de
Monteleone.

Recche de Reate. — Rif. ad
an. 9 di maggio.

-4. Todinus de Ancona. — Rif.

ad. an. 29 di agosto.
Bernardus de Lacu. — Rif.
ad an. 15 marzo.

Moeata de Piccolhominibus
de Senis (2).

Nerius de Montemelino (4).
— Rif. ad an. 10 maggio.
Iacobus Novellus de Monte-
pulitiano. — Rif. ad an. 18
agosto, 6 e 16 settembre.
Cione dni Mini de Senis. —
Rif. ad an. 20 settembre.

Franciscus dni Bernardi de
Esculo. — Rif: ad am. 5
marzo.

Ceechinus dni Vencioli de Pe-
rusio. — Rif. ad an. 18 ot-
tobre.

1343

1345

1346

1346

Capitani.

maggio (?) — Recche de Reate.

giugno — novembre. Vitus
de Scoctis de Roma.
decembre . — 1345 agosto.

Bernardus de Lacu.
settembre — 1346 febbraio.
Angelinus dni Salimbenis de
Salimbenis de Senis (3).

marzo — maggio. Bernardus
de Lacu (5).

maggio 95 — giugno. Fran-
ciscus dni Bernardi de Esculo.

(1) La quaderna estratta dal bussolo il 18 di gennaio fu questa: 1.0 Cecco da
Montone, 2.0 Guido da Montone, 3.9 Pietro di Gubbio, 4.0 Guecio di Brancaleone dei
Brancaleoni. Il 25 febbraio fu nominato podestà quest'ultimo per il seguente semestre.
Essendovi degli indugi, l' Orsini, non permettendo vacasse tale importante carica, con-
cedeva al proprio vicario Giovanni Sassi di Gualdo ed al giudice Giovanni Filacciano
di definire tutte le quistioni civili (Rif. del 14 gennaio). Dopo vari
Cecco da Montone venne in Orvieto. Compiuto l'uffieio suo

(3) Non terminò, nemmeno questi, il tempo della podesteria.

(4) Leonardo di Simone era. ghibellino. Tentò far risorgere il proprio partito
Il quale cercò di unire Leonardo con Bene-
detto. Ma inimicatisi essi di nuovo, il Monaldeschi, con l' aiuto di Bernardo di Lago,
si disfece di Leonardo e costrinse il Salimbeni àlla fuga. Veniva allora eletto di nuovo
capitano il rettore del Patrimonio (Rif. 1346, marzo 7).

(5) Ebbe per vicario Neri di Montemelino (Rif. 1346, aprile 7).

giorni di assenza

re Tir i aeria ty tn pe e Are E ao,

mL AGRO
G. PARDI

Podestà. Capitani.

1316 luglio — decembre. Cecchi-

nus dni Vencioli de Perusio.
1347. Comes Guido de Soana de fi
liis Ursi de Urbe Rector., Gu-
bernator, Protector, et Def'en-

sor (1).

1347. Andreas Vannis de Meva-
nia (9).

1347. Guinizellus de Monte Orgiale. 1347 luglio — decembre. Guini-
— Rif, n. LXX. 1. 10. zelus de Monte Orgiale (3).

(1) Nel consiglio delle Riformagioni del 24 settembre 1346, fu stabilito che fosse
eletto Guido Orsini rettore, governatore, protettore e difensore d'Orvieto, essendovi
molte cose da provvedere e riformare riguardo allo stato, al regime, alla custodia;
alla protezione e all’ ordinamento della città e del contado, a far guerra e a contrar
pace. Egli ebbe il potere di nominare e togliere podestà, capitani, sindaci, esecutori,
ufficiali e rettori d' ogni specie e far guerra e pace con chi volesse, ed ebbe l’auto-
rità avuta fin allora dal consiglio generale del Comune. Guido Orsini aveva sposato
la contessa Anastasia. di Monforte, figlia di quel Guido di Monforte ricordato da
DANTE (Inferno, XII) e condella tessa Margherita degli Aldobrandeschi, da cui ereditò
la contea di Soana e Piligliano. Egli, il più temuto barone del vicinato, era imparen-
tato. .con i Monaldeschi della Cervara perché Berardo di Ermanno aveva in isposa
una sua figlia. ‘Perciò i Cervareschi, affine di maggioreggiare. con il:suo appoggio,
gli fecero conferire l'autorità ricordata. La sua balia fece bene ad Orvieto avendo-
gli procacciata la pace, col rettore del Patrimonio, col prefetto di Vico e col po-
tente Monaldeschi Benedetto di Bonconte. Egli prestò giuramento il 1o gennaio 1347
(Rif. n. LXV, c. 2) assieme al suo. vicario, Benamatus de. Prato, ai due notari e
ai donzelli e famigli di questo. Aveva tre fiorini d'oro al giorno per suo salario
(Ivi, c. 49). Imprestò 2,500 fiorini d’oro al Comune e gli dette per 500 fiorini di erano
(Ivi; e. 85 t.). Il 17 di decembre fu riconfermato per un anno, in attestato di gratitu-
dine, nella carica di governatore, protettore e difensore della città (Ivi, c. 89). Ma es-
sendosi partito da Orvieto, secondo il Montemarte per timore della pestilenzia che co-
minciò a infierire sul principio del 1348, venne a morte di lì a poco. Al tempo, in cui
egli resse Orvieto, primeggiarono i Cervareschi. Un tentativo fatto da Benedetto di
Bonconte per insignorirsi della città fu represso e venne investito il podestà di uno
straordinario potere per punire coloro i quali, « spiritu dyabolico ynspirati », vole-
vano consegnar la città in mano di Benedetto.

(2) Non fu veramente podestà, ma venne incaricato di farne l' ufficio per il mese
di gennaio. Il giorno 9 giura assieme a 5 notari e ad 11 famigli (Rif. n. LXV, c. 5). Il
2 febbraio é riconfermato in ufficio sino all'arrivo del podestà (Ivi, c. 8).

(3) Il 1o luglio (Rif. n. LXV, 1. 29, c..18) il conte Guido, considerando la legalità,
la probità e la fermezza e le cose lodevolmente operate da Guinicello del conte Taddeo
di Monte Orgiale nella podesteria da lui esercitata per sei mesi; e considerando inol-
tre che era allora vacante « offitium vicariatus capitanei populi », vi destina il me-
desimo Guinicello. Questo significa che rappresentava egli od il suo vicario, Benamato
da Prato, il capitano di popolo e che si eleggeva soltanto uno il quale ne facesse le
veci, Si capisce quindi per quale ragione non vi fosse alcun capitano nel primo se-
mestre del 1347, :
SERIE. DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC, 998

Podestà. Capitani,

1347. Nardus Contuli de Perusio (1).
1348. Nardus Contuli de Perusio. 1348 gennaio — giugno. Nardus
Contuli de Perusio.
1348. Guinieellus dni Vencioli de 1348 giugno — ottobre. Leggerus
Perusio. — Arch, Pod. dni Andriocti de Perusio (2).
1948 novembre — 1349 aprile. Fran-
ciseus dni Vencioli de Pe-

rusio.
1349. Ludovieus dni Vencioli de Pe-
rusio. — Rif. n. LXVII, e. 51.
1349. Iohannes dni Thomae de Ar- 1249 aprile 29 — ottobre. Theus

mannis de Perusio. — Rif. de Michiloctis de Perusio.
nm LXIIE: e. 9k

1950. Franeiseus dni Henriei de Ar-

mannis de Perusio. — Arch.
Pod.
1350-1. Franciscus de Montone. — 1350-1. Franciscus de Montone (?)

Tut ns DXX, 15:25:06.:20(5). — Cod..Dipl., p. 523.

1351 aprile —. settembre. Vaca
la eapitania del popolo.

1351 settembre 20 — 1352 febbraio.
Ceecolinus de Michiloctis de
Perusio (4).

(1) Giura di esercitare bene e senza inganni l'ufficio di podestà e capitano il 14
gennaio 1348 (Rif. ad an. c. 2 t.). Con lui comincia la signoria dei Perugini su Or-
vieto terminata nel marzo del 1351, nel qual tempo Benedetto di Bonconte fece ucci-
dere a tradimento i capi dei Cervareschi, Monaldo di Ermanno e Monaldo di Berardo,
ed assunse egli e Petruccio dei Monaldeschi del Cane la signoria della città.

(2) Gli fu concesso una straordinaria balia per riformare la città (Rif. ad an.,
c. 35) Il n. LXV delle Rif. contiene le riforme introdotte. In quel tempo Orvieto fu
governata da priori come Perugia.

(3) Peri rivolgimenti successi il podestà (e forse anche capitano), Francesco da Mon-
tone, si parti da Orvieto e ricusò di terminare il proprio ufficio. Benedetto e Petruccio si
riaccordarono con Perugia riaffermando la maggioria di questa su Orvieto (Cod. Dipi.,
p. 327). Poi guastatosi con i Perugini, li caeciava da Orvieto; intendendosf con Gio-
vanni Visconti arcivescovo di Milano nemicissimo di quelli. Moriva poco dopo Bene-
detto e.rimanevano al potere;il suo nipote Bonconte di Ugolino e Petruccio del Cane.

(4) Per gli avvenimenti del marzo 1851, sebbene Ceccolino dei Michelotti fosse
eletto capitano di popolo fino dall'aprile (Rif. ad an., c. 27), nondimeno Perugia non
lo mando ad Orvieto fino alla stipulazione di un compromesso tra le due città, nel
quale anzi fu imposto come capitano questo Ceccolino dei Michelotti. (Cod. Dipl.,
p. 322). Egli venne in Orvieto e prestò giuramento il 20 settembre 1351 (Rif. n. LXX,
c., 169).

27
394 | G. PARDI

1352. Tanuccius de Ubaldinis potestas et capitaneus (1).

1351-3. Iohannes de Vico Dominus generalis (2).

1354. Egidius Albornoz Vicarius generalis in terris Italie, Liberator
Comunis et populi urbevetani et Dominus generalis (3).

Vicari pontifici d'Orvieto dall'anno 1354 al 1390.

1364. Iohannes de Raffiacanibus de Florentia.
1354-1355 febbraio. Albertaccius de Ricasolis (4).

(1) I Perugini erano stati cacciati da Orvieto da. Benedetto di Buonconte di in-
tesa con Giovanni Visconti arcivescovo di Milano. Questi pertanto fu nominato signore
della città, ed il suo vicario, Tanuccio degli Ubaldini, fu eletto, il 24 di aprile, capi-
tano e podestà (Rif. ad an., 1. 1, c. 117). Ma non potendo egli tenere saldamente il do-
minio della città, lo cedette a Giovanni di Vico, o, per meglio dire, glielo. vendette
per denaro. ;

(2) « Entrato il prefetto in Orvieto del mese d’agosto cercò di far la pace come
tutti havevan fatto per star signori. Rimise dentro i figli di messer Armanno e di mes-
ser Berardo e di Pepo » (MONTEMARTE, Cronac., p. 27).

(3) In. quel tempo, per la lontananza dei pontefici da Roma, le città dello stato
della Chiesa obbedivano a dei signori, nessuno dei quali, alcuno solé nominalmente,
riconosceva l’autorità del papa. Ad Orvieto, Viterbo, Civitàvecchia, Terni, ece. signo-
reggiavano i prefetti da Vico. Innocenzo VI inviò in Italia Egidio Albornoz a restau-
rare il dominio pontificio. Questi, passando per Firenze ai primi di ottobre del 1353,
otteneva da questo Comune 150:cavalli in aiuto (MATTEO VILLANI, IV; 9). Venne poscia
a Montefiascone (MONTEMARTE, p. 27). Allora tutti, i gentiluomini e popolani guelfi
d'Orvieto uscirono di città e si ribellarono al Prefetto. Il quale, stretto d'ogni intorno
dalle armi del rettore del Patrimonio e del cardinale spagnuolo si rendeva ginoc-
chione a questo nel novembre del 1353. Tuttavia continuò ancora a governare per al-
cun tempo la città per mezzo del figlio Francesco, finché il 24 giugno 1354 Albornoz
assunse il titolo di liberatore e signore generale del popolo e del Comune d' Orvieto.
Così cadeva la libertà orvietana e questa città, dopo il periodo delle franchigie comu-
nali, passando per mezzo a quello delle. signorie, veniva a incorporarsi nello stato
pontificio, in uno di quei grandi domini in cui le piccole signorie italiane andavano
tramutandosi. L'Albornoz abolì la carica di capitano del popolo, ricordo dei bei tempi
dei Comuni italici, e nominò invece dei vicari. Comincia pertanto per Orvieto una se-
rie di nuovi ufficiali, che, succedendo nel potere ai capitani, avevano, come quelli,
l'ufficio di convocare i consigli. I vicari amministrarono pure la giustizia sostituen-
dosi ai podestà, ma questi col tempo furono rieletti.

(4) Fu durante. il vicariato di Albertaccio dei Ricasoli che il consiglio generale
e speciale del Comune d’ Orvieto, adunato da lui, deliberò, il 24 giugno 1354, di no-
minare rettori e governatori della città Innocenzo VI ed il suo legato in. Italia Egi-
dio Alborifoz, di dare ad essi il pieno dominio su tutti i negozi del Comune e l'autorità
di eleggere ufficiali, fissare stipendiari, porre dazi, fare ed annullar sentenze; rifare e di-
struggere statuti, spendere il denaro dello stato, ecc..Ma questo finché vivessero Egidio
Albornoz ed Innocenzo VI: dopo la morte loro « ipsa civitas eiusque comitatus. etc.
cum suis bonis et rebus omnibus ac iuribus, iurisdictionibus et honoribus universis
in debita et solita remaneant libertate ». Questo fu approvato dietro proposta di Cec-
chino di.Teo (Cod. Dip., p. 537). Il 10 settembre l''Albornoz, dopo avere assunto la si-
gnoria della città, aboliva con un decreto tutte le leglie fatte dagli Orvietani innanzi
la resa (GUALTERIO, II, 315).



—Ó MÀ ro

———

SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 395

1955 marzo — settembre. Andreas dni Philippi de Passano de Fulgi-
neo (1).
1855 ottobre — 1356 settembre. Iohannes de Raffiacanibus de Florentia.

1360 aprile — decembre. Georgius dni Fidismini de Camerino.
1362 giugno — novembre. Masinus de Cimis de Cingulo.

1362 novembre 21 — 1363 maggio. Ricciardinus de Loiano.
1363 giugno — decembre. Thomas de Todinis de Ancona.

1364 gennaio 12 — luglio. Elioctus de Valle.

1364 luglio 26 — 1365 gennaio. Angelus de Tornaquincis de Florentia.
1365 febbraio — 1366 aprile. Franciscus de Barbiano.

1366 maggio — novembre. Meliore de Guadagnis de Florentia.

11366 decembre — 1367 maggio. lohannes dni Ranaldi de Giustinianis

de Florentia.
1367 giugno — 1368 aprile (?) Paulus Argenti de comitibus de Campello (2).
1368 maggio — 1369 marzo. Petrus de Plano de Guardia.
1369 aprile — ottobre. Guilelmus Saceasappa da Genua.
1869 novembre — 1370 ottobre. Philippus de Bastariis de Florentia (3).

(1) AI tempo di Andrea di Passano, il 14 maggio 1355, Orvieto concluse una lega
col Comune di Viterbo (Rif. ad an., 1. 39, c. 44 t.). Questa lega fu fatta per mantenere
là pace e la tranquillità in ambedue le città e far briga e guerra contro i nemici e ribelli
loro e contro tutti quelli, « qui male facerent et male facta pararent in dictis civitati-
bus... volentes sibi assumere nomen crudelissimum tirampnorum ».

(2) Quando il consiglio delle Riformagioni aveva dato ad Egidio Albornoz il do-
minio della città con il titolo di liberatore del Comune e.signore generale, aveva in-
teso che alla sua morte ed a quella di Innocenzo VI la città dovesse ritornare alla
libertà primitiva. E Pl'Albornoz l’aveva promesso, essendo costume dei novelli si-
gnori di largheggiare di promesse, salvo poi a non attenerne alcuna., Allorché
adunque, l'anno 1367, l'Albornoz venne a morte, il dominio pontificio era stato già così
saldamente stabilito sulla città, che il consiglio delle Riformagioni non poté far altro
se non riconfermare la signoria della Chiesa. Adunatosi pertanto, il 25 agosto 1367, per
comando del vicàrio pontificio Paolo dei conti di Campello di Spoleto, decideva per
il buono e pacifico stato della città di mandare ambasciatori al Papa per risottomet-
tergli Orvieto. Ed il vicario ed i Sette eleggevano per ambasciatori Ugolino di Mon-
temarte, Benedetto di Ermanno della Cervara, Petruccio di Pepo del Gane, Bonconte
di Ugolino della Vipera assieme ad altri, tra cui Tommaso Mazzocchi e Pietro Mara-
bottini (GuALTERIO, II, 323). Questi, recatisi a Roma, accordarono al pontefice la si-
enoria della città, chiedendogli tuttavia di essere emancipati dal rettore del Patri-
monio e di potersi reggere con istatuti propri. Quanto alla prima domanda ebbero
risposta favorevole per il momento e promessa per l'avvenire di averne la concessione
per sémpre. Ma riguardo alla seconda fu risposto che ciò sarebbe stato permesso, ma
prima dovevano esser riveduti tali statuti (Rif. ad an., c. 82 t.). Con una bolla poi di
Urbano V-dell 8 decembre 1308 fu effettivamente sottratta Orvieto al dominio del ret-
tore del Patrimonio (Cod. dipl., p. 549). .

(3) Il 10 luglio 1370 il legato pontificio, « Petrus Cardinalis Bituricensis », chie-
deva da Montefiascone aiuti ad Orvieto per andare contro Perugia, imponendo, qua-
lora non fosse obbedito, la pena di mille marche d'argento. La libertà orvietana era
ormai finita da parecchi anni! E ai 18. di agosto Urbano V imponeva che tutti i de-
nari delle composizioni ché venissero fatte con banditi e condannati dal Comune fos-
sero impiegati per la costruzione della rocca orvietana (Rif. ad an., c. 102 e 103). Il

30 ottobre dello stesso anno il vicario pontificio Filippo dei Bastari riceveva la rinno-

vazione della sottomissione del Comune di Sarteano (Rif. ad az., C. 59).
396 | G. PARDI

1370. novembre — 1871 aprile. Ludovicus de Pontanis de Spoleto.

1371 maggio — ottobre. Cola dni Francisci de Scala de Ancona.

1371 novembre — 1372 aprile. Alamannus dni Francisci de Salviatis
de Florentia.

1372. maggio — novembre. Scolaius de Cavalcantibus de Florentia.

1312. decembre — (?) Iacobus de Aguséllis de Cesena.

1315 ottobre — marzo. Symon dni Angeli de Costis (1).

1376 aprile. Vaca il vicariato.

1376 maggio — 18377 maggio. Ninalbertus dni Raynaldi de Carotiis de
Tuderto.

1377 giugno — decembre. Thomas de Alviano, locumtenens.

1318 gennaio — agosto. Razzante de Todinis de Massa, vicarius.

1318 settembre — 1379 marzo. Thomas de Alviano, Zocumtenens.

1319. aprile — novembre. Sozzius de Bandinellis dei Senis, vicarius.

1379 decembre — 1380 aprile. Ludovicus de Monteflascone, vicarius.

1380 maggio — 1381 marzo. Princeps Rainaldus de Ursinis rector, An-
gelus de Cesis, vicarius.

1381 aprile. Cola Berardi de Sancto Sebastiano generalis, locumtenens
[Raynaldi de Ursinis].

(1 Adunatosi il 20 novembre 1375 il consiglio generale del Comune d' Orvieto,
« de mandato nobilis viri Symonis dni Angeli de Costis pro sancta romana Ecclesia
vicarii civitatis urbevetane », deliberò, considerando le novità successe a "Todi e la
ribellione di Viterbo dalla Chiesa, di giurare sull'evangelio, in presenza del vescovo
della città, di essere « firmi, costantes, hobedientes et devoti sine aliqua macula ad
conservandum dictum statum et ad manutenendum honorem, protegendum et defen-
dendum honorem, statum et magnificentiam Ecclesie romane in civitate predicta, et
non attentare opere vel consilio, dicto vel facto quoquo modo contra dictum statum,
seu contra statum, honorem et venerationem dicte Ecclesie ». Approvata questa pro-
posta, il vicario, i Sette e tutti i consiglieri giurarono quanto sopra toccando l'evan-
gelio con le mani (Rif. ad. an., c. 54 t.). In. tal modo Orvieto riconfermava solenne-
mente la sua sottomissione incondizionata alla Chiesa, in un tempo in cui sarebbe
stato facile per essa riacquistare la libertà. Urbano V da Avignone era tornato a Ro-
ma, ma, essendogli morto quel valente campione che fu il cardinale Albornoz, tornò
ad Avignone nel 1370. Qualche anno dopo i Fiorentini, adirati contro il legato ponti-
ficio di Bologna, cui accusavano di avere tentato di far loro ribellare Prato, alleatisi
coni Visconti, formarono una grossa lega contro il papa. Vi prese parte anche la re-
gina Giovanna di Napoli nel 1375. Insorsero allora le città dello stato della Chiesa, tra
eui la vicina Viterbo. Orvieto, per quanto Firenze le facesse proposta di entrar nella
lega, essendo allora signoreggiata dal conte Ugolino di Montemarte e dai Monalde-
schi del Cane ligi al papato, non volle acconsentirvi e decretò invece di giurare
nuovamente obbedienza al pontefice. I Monaldeschi del Cervo parteggianti contro di
questo molestavano gli avversari. Perciò Gregorio XI, dopo avere esortato gli Orvie-
tani alla fedeltà (Cod. Dipl, p.550-9) mandava in aiuto loro Biagio d'Arezzo con
vari armigeri (ivi, p. 559). Nel 1354 fu fatta tregua tra le due parti, con l assenso di
Gregorio XI, che trovavasi allora a Corneto (ivi, p. 561). Questo papa, in ricompensa
della fedeltà degli Orvietani alla sua causa, li assolveva dà ogni debito con la Camera
apostolica (ivi, p. 561). Concesse inoltre singolari indulgenze per il Corpo di Cristo,
confermò i privilegi di Bonifacio VIII sulle terre di Val di Lago, e finalmente dette
alla città quello dello Studio generale (ivi, p. 364-8).

MM AD aL

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SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 397

1381 maggio. Franciscus Bandini de Saxoferrato, /ocwmtenens [Ray-
naldi de Ursinis]. i

13981 giugno — luglio. Gualterius dni Cionis. de Campofellonio, vi-'
carius (1).

(1)La formula del giuramento dei vicari cominciava in tal modo (Rif. n. CI,
1. 30, c. 14: « Adventus vester, dne vicarie, vestrique offitii principium, medium et fi-
nis sint et esse possint ad honorem, laudem et reverentiam omnipotentis dei et beate
Marie virginis, gloriose matris eius, beatorum apostolorum Petri et Pauli ac totius
confexionis sancti Bernardi et gloriose virginis sancte Lucie et non minus gloriosi
martiris sancti Petri de Parenza spetialium protectorum, defensorum et gubernato-
rum Comunis et populi civitatis prefate, ac totius celestis curie, ad honorem et reve-
rentiam sacrosancte romane Ecclesie matris nostre, ac magnifici principis dni Raynaldi
de Ursinis comitis Tallacotii pro sancta romana Ecclesia patrimoni beati Petri in Tu-
scia, civitatis urbevetane nunc rectoris et capitanei generalis, et magnifici viri Cole
Jerardi de Sancto Sebastiano eiusdem dni rectoris generalis locumtenentis, ad honorem
et exaltationem dnorum Septem urbevetano populo presidentium pro eodem dno pre-
sentium et futurorum, pacem, statum- pacificum et tranquillum eiusdem civitatis, co-
mitatus quam ipsius fortie et. districtus, ad honorem honorabilis offitii vestri, dne vi-
carie, et totius vestre sotietatis, ad mortem, confuxionem et distructionem quovis modo
contrarium actentantium. Et deus velit sic esse. :

« Vos, nobilis vir Gualterius dni Cionis de Campofellonio, qui estis electus, no-
minatus et assumptus in vicarium civitatis urbevetane eiusque comitatus fortie et
districtus pro sancta romana Ecclesia et magnifico principe dno Raynaldo rectori pre-
dicto, pro sex mensibus positis inter inchoandum et finiendum ».

Il vicario, come si apprende dalla formula del giuramento presentato a Gual-
tiero di Cione di Campofellonio, doveva giurare quanto segue : :

1. Di esser fedele al beato Pietro, alla santa Chiesa romana ed al rettore del
Patrimonio. ©. ,

2.0 Di non dire né fare alcuna cosa in pregiudizio e danno del rettore del Pa-
trimonio né de' suoi ufficiali, familiari, sudditi e seguaci. i

3.0 Di non intervenire, senza licenza e. consenso del rettore sopradetto, in al-
cun luogo, « ubi tractaretur quod aliquis imperator, rex, dux, princeps, baro seu
quis alius nobilis vel potens aut collegium vel universitas cuiuscunque status vel
conditionis existat eligatur, nominetur, diffiniatur vel deputetur' in dnum rectorem
maiorem, potestatem, capitaneum, vicarium, bariscellum, confalonerium, defensorem
vel alio quocunque nomine vel quesito colore dicte civitatis Urbisveteris et eius co-
mitatus et districtus ».

4.0 Di tenere, durante tutto il semestre, un giudice, « unum sotium militem », .

due notari, due donzelli, dieci familiari e due cavalli, contentandosi del salario sta-
bilito.

5.0 Di prestar aiuto e consiglio contro gli eretici e fare quello di eui verrà
richiesto.

6.0 Di risiedere col giudice, « cum sotio milite », con i notari e con gli altri
officiali « ad solita bancha », nel tempo e nelle ore stabiliti e adatti, a render giusti-
zia a chiunque la chieda, secondo gli Statuti e gli ordinamenti dei capitoli della Carta
del popolo e delle Riformagioni ; osservando gli Statuti, dove questi parlino, e cosi la
Carta del popolo, e dove nen parlino né gli Statuti né la Carta, ricorrendo alle Ri-
formagioni, e nei casi nei quali non si dica nulla neanche in queste, amministrando
la giustizia secondo il diritto comune, come pure secondo le buone consuetudini della
città.

7.0 Di non permettere che sieno violati i diritti delle chiese, delle vedove, de-
gli orfani, dei pupilli, dei poveri e di qualunque altra persona della città e del contado.

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398 G, PARDÎ

1931 luglio 17 — 1382 gennaio. Franciscus de Puppio, vicarius (1).

1382 febbraio — luglio. Iacobus de Pasqualibus, vicarius.

1382 agosto — luglio 1383. Bariscianus de Bariscianis de Perusio, vi-
carius.

1383 agosto — novembre. Andreas de Interampna, locumtenens [Ray-
naldi de Ursinis] — Petrus Paulus de Monteflascone, vice-regens. —
Rip. n. CI, 1883 10 ottobre.

1888 novembre 24 — maggio. Raynaldus de Cascia, vicarius (2).

8.0 Di osservare, aumentare e difendere i diritti del vescovato orvietano, della
chiesa di S. Maria, dell'ospedale di S. Maria della Stella e degli altri luoghi della città
e.del contado.

9.0 Di dare, quando gli fosser richiesti consigli, quelli che genuinamente cre-
desse più utili e più opportuni per il bene della città.

10.0 Di mantenere, proteggere e difendere, contro tutti, i diritti di giurisdizione
della città di Orvieto.

11.0 Di far pervenire integralmente le decime e l’avere del Comune nelle mani
del camarlingo generale.

12.0 Di stare al sindacato con tuttii suoi famigliari e render ragione di quanto
avesse operato durante l'ufficio di vicario.

13.» Di far tutte le cose spettanti alla sua carica con buona fede e senza frode,
senza favore od odio verso alcuno. « Et sic dictus vicarius iuravit ad sancta dei e-
vangelia » (Rif. n. CI, l. 39, c. 15).

(1) I Monaldeschi delle quattro famiglie del Cervo, del Cane, della. Vipera e del-
l'Aquila si erano.da qualche tempo divisi in due fazioni; i Muffati, cioè i Monalde-
schi del Cervo; ed i Mercorini, cioé i Monaldeschi del Cané e della Vipera. Quelli del-
l'Aquila. si erano sempre tenuti di fuori delle lotte intestine, essendo più amanti
della libertà della patria, mentre le altre famiglie non avevano inteso se non a si-
gnoreggiarla ed avvilirla. Il 20 maggio 1380 Berardo Monaldeschi aveva inaugurato il
governo dei Muffati, i quali stettero contro la Chiesa, mentre per questa si schieravano i
Mercorini. Berardo, con mercenari bretoni, fece distruggere il quartiere di Postierla
e perire più di 3000 persone. Appoggiavano i Muffati 1° antipapa Clemente VII e la
regina di Napoli, la quale nel gennaio del 1382 mandò in loro aiuto Bernardo della
Sala con 200 lance (GUALTERIO, II, 353).

(2) Fu nominato vicario di Orvieto il 6 novembre con la seguente lettera:

« Lictera commissionis officii vicariatus dni Raynaldi de Cassia. Raynaldus de
« Ursinis, comes Talliacotii, provinciarum -patrimonî beati Petri in Tuscia et spoletani
« ducatus neque non civitatis tudertine, urbevetane etc. pro sancta romana Ecclesia
et dno nostro papa rector et capitaneus generàlis, nobili et sapienti viro dno Ray-
naldo dni Mathei de Cassia salutem et sincere dilectionis affectum.

« Tue fidelitatis et devotionis constantiam, quam ad romanam Ecclesiam no-
stramque personam semper sinceris affectibus habuisti, ac virtutis et circunspe-
ctionis industriam, quam ab experto in te vigere conspeximus actendentes, sperantes
etiam quod que tibi commictenda duxerimus solita tua fidelitatis solertia et studio
sollicitudinis exequeris, te in vicarium nostre civitatis urbevetane, cuius cura pré-
cipua ut in ea vigeat equitatis et iustitie cultus sollicitat, potissimum mentem no-
stram, pro.sex mensibus prossime futuris incipiendis a die tui ingressus ad dictum
offitium exercendum, cum uno .socio milite, tribus notariis et decem. famulis atque
duobus equis pro te in dicto offitio retinendis, et cum salario quatringentorum vi-
ginti florenorum auri tibi per camerarium dicte civitatis statutis temporibus sol-
vendorum, et cum aliis emolumentis honoribus, et oneribus consuetis facimus con-
suetum et tenore presentium deputamus, dantes et concedentes tibi plenam harum
sic facultatem dicti vicariatus offitium exercendi et omnia et singula faciendi, ge-

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SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 399

1984 giugno — 1385 maggio. Iacobus de Montereali, locumtenens [Ray-
naldi de Ursinis|.

1385 maggio 95 — 1386 febbraio. Antonius dni Adulfi de Aversa, vica-'
vius (1).

1386 febbraio 19 — ottobre. Symon de Planciano de Spoleto, vicarius (2).

1386 ottobre 18 — 1337 ottobre. Iohannes de Albertis de Florentia, vica-
vius (3).

1987 novembre — 1388 aprile. Alexius de Daldovinettis de Florentia,
vicarius.

1988 maggio 18 — ottobre. Iacobus de Monteregali, locumtenens. — An-
tonius de Viterbio, vice-vicarius (4).

1388 novembre 11 — 1389 marzo. Angelus de Aquila, vicarius.

1989 aprile 3 — settembre. Paulus de Pallantibus de Aretio, vicarius (5).

« rendi et administrandi que ad dictum offitium pertinent et pertinere noscuntur tam
« de consuetudine quam de iure, mandantes quoque universis et singulis officialibus,
« hominibus et personis ac camerario civitatis prefate quatenus te ad dicti vicariatus
« offitium benigne recipiant et admittant tuisque iustis monitis et mandatis tanque
« nobis pareant éfficaciter et intendant, ac de tuo salario antedicto congruis tempo-
« ribus tibi satesfaciant integre cum effectu. Tu quoque dictum vicariatus offitium
« sic prudenter sicque solerter tuo laudabili more studeas exercere etc.

« Datum Spoleti in palatio episcopali nostre residentie consuete, sub anno do-
« mini millesimo CCC. LXXXIII. tempore dni Clementis divina providentia pape VII
« et die VI mensis novembris sexte indictionis.

^

« Raynaldus ».

(1) Al tempo di questo vieario, il 13 giugno: 1385, fu fatta una tregua fra i Muf-
fati‘ed i Mercorini. Vi assistévano « Franciscus de Puppio » canonico orvietano luo-
gotenente di Rinaldo Orsini rettore del Patrimonio, dél ducato spoletino e di Orvieto
per P antipapa Clemente VII e « Bernardinus de Serris », luogotenente di Bernardo
della Sala rappresentante di papa Urbano VI (Cod. Dipl., p. 583).

(2) Ai 24 di aprile del 1386 Simone di Planciano fu nominato luogotenente gene-
rale di Rinaldo Orsini (Rif. n. CIIT, 1. 20, c. 54).

(3) Il 10 aprile del 1386 Rinaldo Orsini con una lettera. da. Corneto, lo ricon-
fermò come Vicario, ed il giorno 18 egli prestò di nuovo giuramento con tutti i
suoi ufficiali (Rif. ad an., c. 81 t, ed 82). Quando, ebbe terminato P ufficio. suo, per
essersi portato in questo molto bene ed aver mantenuta la pace nella città, fu fatta
la proposta di un grosso dono per ricompensare e ringraziare questo saggio vicario.
Ma trovandosi in cattive condizioni l' erario orvietano, si delibera che, invece di un
regalo in danari, « donetur arma Comunis predicti [urbevetani], cum dominii libertate
portandi ea alte, basse, in capitulo, pace, briga, iustitia vel dominio et in quolibet alio
loco ubi necesse fuerit honorifice reportare, ad hoc ut continue de Comuni nostro se
valeat laudare ».

(4) Essendo vacante l' ufficio del vicariato fu concesso ad Antonio di Viterbo
giudice della colletta orvietana.

(5) Il 27 settembre 1389 il cardinale di Ravenna, legato dell’ antipapa Clemente
VII, infeudava la città d' Orvieto a Corrado e Luca Monaldeschi del Cervo, capi della
parte Muffata (Cod. Dipl., p. 585). Ma continuando incessanti le lotte tra le due. fa-
zioni avverse, papa Bonifacio IX, successo ad Urbano VI, tentò di pacificarle. E final-
mente la pace fu conclusa a Benano-il 13 novembre del 1390 (Rif. ad an., c. 20 t.).
E avanti di partirsi da questo castello, i capi delle due parti riformarono il reggimento
della città, abolendo i signori Sette, che duravano ormai quasi fino dal principio delle
libertà comunali ed istituendo un magistrato nuovo composto di quattro cittadini,

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G. PARDÎ

1389 settembre 30 — 1390 maggio. Iacobus de Monteregali, /ocum-
tenens.

1390 giugno 1 — novembre. Allibrandus Guictutii de Interampne, vi-
carius.

Capitani d'Orvieto dal 1390 al 1398.

1890 agosto — 1391 agosto. Samuel dni Iohannis de Stanghis de Cre-
mona, capitaneus et generalis rector (1).

1391 agosto 24 — 1392 febbraio. Ser Paneratius Lutii ( 3 fes (9

Ser Iustus Masey ( 4C C egenues (2.

1392 marzo — luglio. Laurentius Philippi de Machiavellis de Flo-

, rentia, capitaneus (3).

. due per ciascuna fazione, chiamati i Conservatori della pace. 11 16 novembre poi fu
dato pieno arbitrio a Francesco di Montemarte da un lato ed a Corrado e Luca Mo-
naldeschi dall'altro, affinché la pace venisse completamente conchiusa.

Con tale cangiamento sostanziale nel reggimento di Orvieto questa si liberò dal
dominio pontificio e non vi furono quindi piü vicari. La città, governata per un anno
da Francesco di Montemarte, da Corrado e Luca Monaldeschi e dai Conservatori della
pace, elesse un capitano e rettore generale nella persona di Samuele degli Stanghi di
Cremona. Questo nuovo ufficiale riuniva in sé la carica di podestà antico ed in parte
del capitano e si sostituiva ai vicari pontifici. Infatti é presso a poco uguale la for-
mula del giuramento loro e quella del giuramento di questa nuova specie di capitani,
da non confondersi affatto con gli antichi capitani del popolo.

(1) Fu riconfermato in ufficio il 18 febbraio 1391 (Rif. n. CVIII, c. 19 t.). Lo stesso
giorno prestò di nuovo giuramento (ivi, c. 22).

(2) Vacando l’ufficio di capitano furono eletti dei vicereggenti.

(3) Gli Orvietani lo richiesero di nuovo per capitano, ma pare egli non. volesse
venire. Fu eletto allora uno dei suoi ufficiali, Bartolommeo di Colle di Valdelsa. Po-
scia, partitosi anche questi, si nominarono degli esecutori della città e dei bargelli
per amministrare la giustizia. Donde si vede che il capitano non aveva in questo tempo
se non l’ufficio di rendere giustizia.

Continuavano frattanto le lotte fra i Mercorini ed i Muffati. Per impedire le
quali, i Conservatori della pace decretarono, il 12 gennaio 1395, di rimetterne l'arbitrio
a Biordo dei Michelotti perugino, grande capitano de’ suoi tempi. Ed il 25 settembre
questi si faceva nominare signore della città. Dopo pochi giorni si partiva di qui, ma
prima rieleggeva un capitano e suo luogotenente nella persona di Filippo dei Maga-
lotti di Firenze (Cod. Dipl., p. 594). Nei capitoli presentati a Biordo dai Conservatori
della pace alcuni riguardavano il capitano. Credo perciò utile di riportarli :

« 2.0 Ancho che il salario del proximo futuro Capitanio, come altra volta gra-
« tiosamente segnasterio, sia mille fiorini cum li offitiali, familgli et cavalgli descripti
« nel Capitolo già de ciò tractante se contiene, et più domandare non possa per qua-
« lunque ragione, sotto qualunqua titolo venisse.

« R[isposta di Biordo]. El segnore é contento ch' el presente Capitanio et Luo-
« cotenente et quello succederà ad esso haggia mille fiorini per ciaschuno d' essi, et
« sì como nel capitolo se contene più domandare non possà.

« 8.0 Ancho che veruno Capitanio, quali per gli tempi seranno per la vostra
« Signoria deputati en questa vostra cità, forniti li sey mesi, non se possa se non de
« piacere della vostra magnificentia al dicto offitio refermare, perché speramo che
« questa vostra cità et contado ne serà più perfectamente recta.

« .R. El signore é contento sia como nel capitolo se contene, et se li. Conser-

« vatori, o vero alcuno altro cittadino el contrario proponessero, arrengassero o vero

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SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 401

1392 agosto 22 — 1393 febbraio. Bartholomeus de Colle Valdelse, cap?
taneus.

1393 marzo — 1395 settembre 28. Vaca la capitania.

1395 settembre 95 — 1398. Biordus de Micheloctis gubernator et de-
fensor, tribunus et dominus generalis (1).

13950 settembre 98. — decembre 30. Filippus de Magaloctis de Flo-
rentia, capitaneus et locumtenens dni Biordi de Micheloctis.

1396 gennaio. Berardus de Cerchis de Florentia, vice-locwmtenens dni
Filippi de Magaloctis.

1396 gennaio 30 — decembre 1. Andreas Guidarelli de Perusio, /ocum-
tenens et capitaneus (2).

« consentissero, per ciaschuno et ciaschuna volta encorrà ne la pena di cinquanta fio-
« rini, la quale de facto scotere se possa et degga.

« 12.0 Anche che la electione del Capitanio se mandi per questo vostro Comuno
« capitulata ad qualunqua serà de piacere et commandamento della vostra magnifi-
« centia.

« R. El signore è contento se faccia como nel capitolo ».

Pertanto questo capitano doveva essere eletto da Biordo stesso, aveva, di paga
mille fiorini e durava in carica sei mesi e non più. Non poteva venire riconfermato
come gli antichi capitani di popolo, ma nello stesso modo di questi era obbligato a
fare la mostra (s 70 dei capitoli), a stare al sindacato (8 11) e ad osservare gli statuti,
le Riformagioni, ecc. (S 20, Cod. Dipl, p. 595-7). :

(1) A Biordo Michelotti aveva principiato a sorridere la fortuna quando, richie-
sto d'aiuto dai conti di Montemarte contro i Baglioni, prese Città della Pieve. Fran-
cesco di Montemarte lo lasciò crescere in potenza per affidarglî le cose d' Orvieto e

signoreggiare in suo nome. Ed abbiamo visto come egli ottenesse infatti il dominio

d'Orvieto, dove venuto con 400 cavalli fu gridato signore. Narra il Montemarte (p. 84)
come egli, essendo stato fatto signore di Todi e poscia d'Orvieto, cominciò una briga
con la Chiesa e con Ugolino dei Trinci da Foligno. Nel '96 fu fatta la pace. Secondo
il Sozomeno (S. R. I. it., l. XVI) Biordo avrebbe ritenuto Todi ed Orvieto pagando
un annuo tributo alla Chiesa; ma il Montemarte smentisce di cosa. Nel 1398 fu
ricominciata la guerra tra il pontefice e Biordo. Ma l’abate di S. Pietro di Perugia
con due fratelli recatisi una mattina a trovarlo in casa e, Sentendo che era solo con
un servo, l'uccisero. Alcuni hanno asserito che il papa avesse qualche parte in que-
sta uccisione : il Montemarte non accenna nemmeno a tal voce.

(2) Nelle Rif. del 10 settembre 1396 é riportata una lettera di Biordo Michelotti,
in forma dialettale perugina, con la quale chiede aiuti alla città d' Orvieto. È diretta
al suo luogotenente ed ai Conservatori:

« Egregie frater et amici carissimi. Ho expectato fini ad qui questa compagna,
« quale se dice venire a mei dampni. De po cotale proposito sia voluto venire meco in
« amicitia (1 chè non vedendo la decta compagna de tanta possanza che dovesseno
« veresibilmente persistere ello: proposito de volere offendere questi nostri terreni, me
« dava intendere, considerato 1’ utile che alloro podia seguire, de none offenderme, pui
« fussero facili et volontarii, anco.dexiderosi della amicitia mea, et per questo non
« me so' curato fare provisione de provare cun loro, enantipassando li eventi delle
« rectorie, essere dubii che me remanissero amici, che seguire cun loro quello che
« la ventura ce volesse dare: e infine, vedendosi non so per che pensiero perseverare
« in lo proposito de volere offenderme, ho deliberato, se pure vorronno quisti terreni
« inimichevelmente entrare, alla defesa et pace de quagli omne mio sentimento aspira,
« provare mia ventura cun Loro et cun lo buono braccio delle giente quagle Io ha-
« vero vedere, se a quello che honesto tractato et dexiderio mio, per non saggio con-
« silglio di chi regge quella compagna, non s° è potuto optenere, ferro et forza gli

^

licia S0 ^
402 i G. PARDI

1396 decembre 2 — 1397 novembre 30. Maeteus Petri de Gratianis
de Perusio, capitaneus (1).
1397. decembre 1 — 1398 febbraio. Iacobus de Picciolis de Perusio, ca-
pitaneus.

Vicari pontifici di Orvieto dal 1398 al 1408.

1398 marzo — 1404 settembre. Iohannellus Tomacellus, dominus (2).

1398 aprile 25 — novembre. Bellebonus.de Panicis de Viterbio, vi-
carius.

1398 novem. 13 — 1399 mag. Iacobus de Actonibus de Nursia, vicarius.
Blaxius de Viterbio
Iacobus de Silvestrinis de Nursia

1399 maggio 13 — novembre. Petrucius de Camporeali de Interampne,
vicarius i

1399 novembre 18 — 1400 aprile. Guelfus de Pugliensibus de Prato, vi-
carius.

| locumtenentes vicarii.

« potesse Inducere. Et ad questo intendo rechedere li miei, la salute delli quali de-
« pende la mia. Et per tanto essendo voi de quilli ay quagli grandemente aspecta
« el'dexiderare tranquillità alla patria, conservatione dello stato mio, pregove che re-
« chedendo io ad si utile opera el vostro subsidio, provediate poterme mandare quanta
« brigata ve serà possibile, lassando nientedimeno quella Città et Contado utilemente
« fornita per sufliciente guardia, et advisarmi de quanto poria fare mentione per voy
« se mandasse » (Rif. n. CXIV, 1. 20, c. 23).
(1) Era stato nominato luogotenente e capitano fin dal 31 ottobre, con unma let-
tera di Biordo Michelotti (ivi, c. 40) ed. accetto l'ufficio con la seguente lettera (ivi,
c. 35) diretta ai Conservatori della pace:
« Magnifice signuri et honorivigli como patre, haggio recevuta la electione
« facta de me della Capitananza d' Orvieto per lo Magnifico et potente signor mio, Biordo
« dei Michilocti et ad me presentata per messer Bartolomeo de ser provano [Plebano]
« vestro ambaxidore, la quale Electione, chiamato prima el nome del nostro segnore
« dio, accepto secondo la forma d' essa electione et dei Capitoli in essa se contiengono,
« sempre reservato el più el meno el giognere, el arrivare come piacerà al vostro et
« mio Magnifico segnor Biordo predicto. Sopra le parte tocchate ad me per lo vostro
« predicto ambaxidore ne conferiscerò cum lo predicto nostro segnore et operarocce
« giusta mio podere, secondo el vostro predicto Ambaxidore ve referiscerà. Sempre
« disposto ad ogni vostro piacere. Dato a peroscia, di XXIII d'octobre, IIII Indictione.
« El vostro. Mactheo de Pietro da peroscia, ecc. ». i
(2) Bonifacio IX, con una Bolla del 22 gennaio 1398, nominava suo fratello Gio-
vanni Tomacello Rettore'e Capitano generale del Patrimonio e del ducato spoletino
(Cod. Dipl., p. 597). Poi faceva in modo che venisse chiamato per signore d' Orvieto
(Rif. n. CXV, c. 10 t.). Avevano i Muffati preveduto come fosse necessario tornare
sotto la Chiesa. Prima tuttavia.di consegnare il dominio della città a Giovanni Toma-
cello, gli chiesero di non porre gravezze su Orvieto per dieci anni ed altre cose piü
o meno giuste, trà cui quella di fare vescovo di Orvieto frate Mattia degli Avveduti
vescovo di Bagnorea, uomo dappoco ed ignorante, secondo il cronista Francesco di
Montemarte. Ed il Tomacello, pur di avere Orvieto nelle sue mani, promise quanto
gli fu domandato. Egli venne ad Orvieto, ma non vi si trattenne che poco. Fu quindi
nominato di nuovo un vicario pontificio, Bellobuono dei Panici di Viterbo.

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SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, Ecc. 403

1400 maggio — decembre. Verrocchius dni Georgii de Panalfinis de
Orto, vicarius.

1401 gennaio — giugno. Meulus de comitibus de Ponte Curvo, vica-'
vius (1).

1401 luglio — decembre 31. Petrus de Campello de Spoleto, vicarius (2).

1409 gennaio 1 — decembre. Catheldinus de Boncompagnis de Visso
comes Macerete, vicarius.

1408 gennaio 1 — giugno. lohannes de Montepulitiano, vicarius.

1404 luglio 1 — decembre. Teverutius de Leonibus de Tuderto, vicarius.

1404 gennaio 1. Alessius de Ballovinectis de Florentia, vicarius.

1404 luglio 1 — decembre. Caroccius dni Fortunati de Carociis de

'Tuderto, vicarius (9). :
1405 gennaio 1 — giugno. Iacobellus Tutii de Normandis, vicarius (4.
1405 luglio 1 — novembre. Pace de Bazzano de Aquila, vicarius (5).
1405 decembre 8 — 1406 giugno. Recche de Capponibus de Florentia,
vicarius. — Recche de Interampne, vicarii locumtenens (Riconfer-
mato in ufficio due volte, Rif. n. CXVI, e. 424 t.)

(1) Meutus de comitibus de Ponte: Curvo aveva i seguenti ufficiali: due giudici
cioè; Alovisius de Flisco de Ianua e Iohamnes Salonis de Rocha Sicca; due soldati,
Riccardus magistri Angeli de Cerperamo e Honofrius Andree de Visso; cinque notari
cioè, ser Franciscus ser. Tadei de. Tuderto notarius estraordinariorum, ser Bartho-
lomeus Menici de' Viterbio notarius mallefitiorum, ser Petruspaulus Bartholomei de
Viterbio notarius similiter mallefitiorum, ser Gaspar ser Andree de Tuderto notarius
dampnorum datorum, ser Nicolaus Ramundi de Sancta rictoria notarius custodie.
Aveva finalmente quattro donzelli, un conestabile con diciassette fanti e cinque ca-
valli (Rif?n. CXVI, c..5 ti).

(2) Gli ufficiali, i famigli e i soldati di questo vicario sono indicati a c. 53 t. del
n. CXVI delle Rif. e ‘a €. 54 è riportata la lettera, con la quale Giovannello Tomacello
nomina Pietro di Campello vicario di Orvieto.

(3) Era morto in quel tempo Bonifacio IX e gli (era succeduto Innocenzo VIT.
Questi, con un Breve del 17 ottobre 1404, annunziava agli Orvietani la sua assunzione
al soglio pontificio (Rif. n. CXVI, c. 270 t.) e con un altro del 27 dello stesso mese li
avvisava di mandare, come suo luogotenente, à governare Perugia, Todi, Orvieto. ed
Assisi, Iacobello Gaetani (Rif. n. CXVI, c. 213). Cosi, dal dominio del fratello del papa
defunto, Orvieto passava sotto quello di un favorito del pontefice succedutogli.

Crescevano intanto di potenza Corrado e Luca di Berardo. Monaldeschi del
Cervo, ottenendo in quell’ anno 1404 il castello di Onano in vicariato perpetuo (Bolla
di Bonifacio VIIII del 16 febbraio) ela conferma del possesso di. Civitella d' Agliano
dato loro da Giovannello Tomacello (Bolla di Innocenzo VII del 15 decembre).

(4) I conti di Corbara, Ugolino e Francesco; nonché il loro padre Petruccio, avevano
servita sempre gloriosamente e fedelmente la Chiesa. Pertanto verso di loro e verso
i figli di Francesco (Ranuccio, Rodolfo, Ugolino e Carlo) rivolsero i papi la loro bene-
volenza. Innocenzo VII eon una Bolla del 19 ottobre confermò loro il possesso del ca-
stello di Salci e con altra del 5 novembre li esentò dal pagamento delle gravezze e
degli oneri sul castello. Dice loro in quest’ ultima: « Magne devotionis sinceritas ac
inconcusse fidelitatis constantia, quas ad nos et romanam geritis Ecclesiam, preme-
rentur ut vos specialibus favoribus et gratiis prosequamur (Rif. n. CXVI, c. 307).

(5) Era stato fatto in quel tempo governatore e rettore di Todi e di Orvieto un
nepote di Innocenzo VII, Franciscus de Melioratis. Un altro della stessa famiglia,
Gentile de Melioratis fu con una Bolla del 3 novembre eletto rettore generale di Or-
vieto (Rif. n. CXVI, c. 343).
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404 ^ G. PARDÎ

1407 luglio — ottobre. Franciscus dni Baldi de Ubaldis de Perusio, vi-

carius.

1407 novembre — 1408 gennaio. Iohannes de Panciatichis de Pistorio,
vicarius.

1408 febbraio — luglio. Mastinus de Rubectis de Burgo, vicarius.

1408 agosto — decembre. Mactheus de Amandola, vice-vicarius (1).
Podestà d'Orvieto dall'anno 1409 al 1462.

1409 febbraio 11 — settembre. Thomas. Leonardi de Frescobaldis de
Florentia, potestas (2).

1409 settembre 25 — 1410 decembre. Petrus de Angelis de Bononia po-
testas (3).

(1)In questo tempo era signore generale di Orvieto un altro nepote di papa
Innocenzo VII, Marco Corrario. Egli lamentasi con frequenti lettere che gli Orvietani
non vogliono pagare le tasse di sussidio per là guerra intrapresa dal papa contro i
Colonnesi. Ne riprodurremo una (Rif. n. CXVIII, c. 174 i):

« Nobilibus et egregiis viris Conservatoribus civitatis Urbisveteris Paulus Co-
« rario nepos dni nostri. pape, capitaneus etc. Viri nobiles et egregii, più fiate ho
« scripto et richiesti voglate pagare le terzarie del subsidio a voy poste per le paghe
«nostre, et i nostri compagni. Et di tucto fino a qui n’ avete facto beffe. Di che ci
« duole et rinchresce. Et più ci deate materia avervi ad fare rincrescimento n° è (2)
« malenconia alcuna. Et per tanto per le presente ve dichiaramo et facemo ‘advisati
« che, essendo stimulati da li nostri compagni di pagamenti et non avendo onde so-
« venirli, li avemo data licentia vi cavalchino. E però vi guardiate et date modo di
« pagare che, stando pure indirati (? si terranno altri modi. In Acquasparte XXV
« Augusti ».

E per questo adunque che Paolo Orsini, prima di attaccar battaglia con i Co-
lonnesi, scaramucciò nel territorio di Orvieto. Ci son frequenti lettere dei Conserva-
tori che dolgonsi dei danni recati dalle bande dell’ Orsini nei dintorni della città
(Cod. Dipl., p. 614).

(2) In quell’ anno 1408 papa Gregorio XII pensò di eleggere dei podestà anziché
dei vicari per governare Orvieto. Questo annunciava con una Bolla del 9 ottobre 1404.

(3) Tommaso Frescobaldi proposto al pontefice dai Conservatori d' Orvieto come
podestà della città loro, era stato nominato in tale ufficio con un Breve di Gregorio XII
dei 24 ottobre 1308 ed una Bolla di tre giorni innanzi. Gli Orvietani mandarono a lui
ambasciatori ed il 31 ottobre i Conservatori della pace gli inviarono una lettera pre-
gandolo ad accettare 1° ufficio conferitogli (Rif. n. CXVIII, c. 205 t.). Rispondeva, ai 7
di novembre, il padre di Tommaso, Leonardo Frescobaldi, il quale « memorans de fra-
ternitate et antica bona amicitia olim habita inter vestram comunitatem et nos et
omnes de domo mea », accetta a nome del figlio la carica di podestà. d° Orvieto (Rif.
n. CXVIII, c. 219). Una lettera era stata pure scritta «da Tommaso Frescolbaldi mede-
simo in data del 4 novembre, ma non giunse ai Conservatori prima del giorno 13
(iyi; c. 221).

Era in quel tempo, come si é visto, rettore d'Orvieto Marco Corrario. Nel Cod.
Dipl., (p. 615) è riportato un salvacondotto del re Ladislao a favore delle terre della
Chiesa governate da lui. Pertanto i Conservatori, inviando ad esso ambasciatori il 20
novembre, gli chiedevano tra le altre cose « quod futuri potestates, electi, eligendi et
transmictendi per dominum nostrum papam, et quilibet ipsorum, habeant liberam ad-
ministrationem dicti offitii secundum formam statutorum dicte civitatis urbevetane et a
Fasi abe

ANALE RESI

SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 405

1412 ottobre 13. Rieciardus de Alodoiis de Imola, potestas (1).
1418 novembre — 1414 aprile: Herrieus de Laversano de Neapoli, po-

testas. ;
1414 maggio — luglio. Ladislaus rex Hungarie, Ierusalem et Sicilie,

singularis dominus civitatis Urbisveteris (2).

nemine possint impediri » (Rif. n. CXVIIT, c. 225). Al tempo di questo governatore
son lamentati nel consiglio delle Riformagioni i danni, le oppressioni, le offese, i gra-
vami enormi sofferti dalla città, la quale si trovava per tali cagioni ridotta all’ estrema
penuria. Per di più non avendo come pagare nuove tasse impostegli si era disgustata
il Corrario (ivi, c. 277 sgg.).

In tali difficili circostanze cominciava ad esercitare l'ufficio di podestà Tom-
maso Frescobaldi e giurava, l' 11 febbraio del 1309, di fare quanto segue:

« 1.0 Che ogni suo atto sarebbe a lode ed onore di Dio, della Vergine, dei santi
« ecc., specialmente dei protettori della città S. Bernardo e S. Lucia, di Gregorio XII,
« ad esaltazione dei Conservatori e del Comune orvietano.

« 2.0 Che da quel momento in poi si manterrebbe sempre fedele adla Chiesa, al
« papa, al Comune ed al popolo orvietano.

« 3.0 Che non interverrebbe ad alcun consiglio, ove si trattasse di danneggiare
« il papa e i suoi legati ed ufficiali nelle persone e nelle cose.

« 4.0 Che non interverrebbe ad alcun consiglio, ove si trattasse di turbare la
« pace della città, di farle perdere i suoi legittimi diritti, di abbattere il consiglio ge-
« nerale della medesima, di privarla della libertà, ecc.

« 5.0 Che non prenderebbe parte ad alcun convegno o trattato, in. cui si par-
«lasse di dare il dominio di Orvieto a qualsiasi imperatore, re, principe, conte o ba-
« rone, ed a qualsiasi Comune, collegio od università.

« 6.0 Che terrebbe sempre, durante il tempo della sua podesteria, tutti gli uf
« ficiali, donzelli, fanti e cavalli convenuti e risiederebbe sempre in città, non assen-
« tandosi se non quando ne avesse licenza dal pontefice o dai Conservatori o dal Co-
« mune d' Orvieto.

« 7.9 Che risiederebbe con i suoi officiali e notari al solito banco, nei giorni e
« nell ore consuete, a rendere giustizia.

« 8.0 Che difenderébbe i diritti delle chiese, delle. persone, delle vedove, degli
« orfani, ecc.

« 9.0 Che difenderebbe i diritti ed i privilegi del Comune.

« 10.0 Che farebbe pervenire intatti nelle mani del camerlengo del Comune i
« proventi della città.

« 11.9 Che, richiesto di consiglio, darebbe senza inganno quello che reputasse
« più utile alla città.

. ..« 12.9 Che farebbe quelle credenze le quali, sia temporanee che perpetue, gli

« venissero imposte dai Conservatori. i

« 13.9 Che sarebbe contento del salario assegnatogli, farebbe le mostre degli
« ufficiali e starebbe a sindacato.

« 14.9 Che farebbe astenere i suoi ufficiali e famigli da ogni atto disonesto.

« 15.0 Che, sotto pretesto o per cagione dell’ ufficio suo, non chiederebbe, 0 fa-
« rebbe chiedere le rappresaglie del Comune di Firenze contro quello di Orvieto.

« 16.0 Che osserverebbe gli statuti; gli ordinamenti, le deliberazioni del consiglio ^
« delle Riformagioni ».

(1) Fu riconfermato in ufficio con una lettera di Baldassare Cossa delegato e vi-
cario generale della Santa Sede e riconfermato poi altra volta. Nel gennaio 1310 Ber-
nardus Martini de Coronis de Trevio fu suo luogotenente. j

(2) Giovan Galeazzo Visconti avea vagheggiato l'ambizioso disegno di fondare uno
stato. comprendente tutta P Italia. Il sogno da lui caldeggiato ed interrotto dalla
morte sorrise pure alla mente giovanile ed ardita del re Ladislao di Napoli, che prese

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+G. PARDI

1414 maggio 24 — agosto. Thomas de Carrafis de Neapoli, potestas.

1414 agosto — 1415 marzo. Iohanna secunda regina Hungarie, Ieru-
salem et Sicilie, domina civitatis Urbisveteris (1).

1414 settembre — 1415 marzo. Sfortia de Attendolis comes Cotignole
in civitate urbevetana gubernator(2)— Petrinus de Salimbenis de
Senis, Zocumtenens Sfortie de Attendolis.

1414 settembre — 1415 febbraio 16. Nellus Fatii de Sticciano de Senis
potestas.

1415 febbraio 16 — marzo 3. Paulus Barnabey de Tuderto, vice-po-
testas (3).

per motto : awt Caesar aut nihil. Profittando dello scisma, da cui la Chiesa era tra-
vagliata, occupò Roma e parte delle terre del Patrimonio. Si rivolse anche contro gli
Orvietani, che opposero una forte resistenza alle armi di lui. Il papa Giovanni XXIII
promise loro*aiuti con un Breve del 27 giugno 1413 (Cod. .Dipl., p. 618). Non ‘essendo
in grado di mandarne, si era rivolto a Firenze perché soccorresse lui ele città del Pa-
irimonio. Ai.18 di giugno i Conservatori scrivevano ai Priori fiorentini supplicandoli
di inviare soccorsi (ivi, p. 620). Rinnovavano la preghiera ai 27 dello stesso mese (ivi,
p. 621). Altre lettere al papa, ai Fiorentini ed ai Senesi espongono le tristi condizioni
della città e del contado cavalcato e messo a ruba dalle genti del re e chiedono sol-
lecitamente aiuto. Avevano frattanto. concluso una tregua col capitano Tartaglia di
Savello luogotenente regio. Giungevano finalmente, sulla fine di luglio, Francesco
Orsini, Giorgio Teutonico. ed Antonello della Mirandola con fanti e cavalli a difesa
della città (ivi, p. 633). Francesco Orsini resistette gagliardamente, ma non aveva forze
bastevoli. Porano, castello vicinissimo alla città, fu occupato dai nemici, Sugano preso
e dato alla fiamme, altre terre e castelli vennero posti a ruba e a fuoco. Paolo Orsini
era aspettato da un momento all’ altro a difender la città ma non venne. In. queste
disperate condizioni della città il re Ladislao, ai 25 di aprile del 141 I, esortava gli Orvie-
tani a ridursi alla. sua obbedienza (ivi, p. 614). Ma Pietro di s. Angelo legato aposto-
lico vietava ai Conservatori di inviar nunzi al re (ivi, ivi). Tuttavia non potendo gli Or-
vietani resistere di più si sottomisero a lui. Era in questo tempo podestà di Orvieto Ric-
cardo degli Alidosi da Imola; doveva essere entrato in ufficio verso la fine del 1412,
poiché nel maggio del^13 venne confermato nella. carica già da lui esercitata per sei
mesi (Rif. n. CXXII, c. 8). A lui successe Enrico di Laversano di Napoli, dopo il quale la
nomina del podestà passò dal papà a re Ladislao fatto signore della città. Vennero
mandati ambasciatori a lui per intendersi con esso sulla elezione del podestà. Fu con-
venuto che i Conservatori della pace avrebbero eletto sei nobili uomini, i nomi dei
quali dovevano essere immediatamente notificati.al re, Tra questi, egli confermò nel-
l'ufficio di podestà Tommaso Caraffa di Napoli (Rif. n. CXXIII, c. 4 t. e 5 t.).

(1) Successa a Ladislao Giovanna II, questa pretese pure ed ebbe il dominio di
Orvieto. Sforza degli Attendoli conte di Cotignola ne fu investito per essa.e da lei ven-
nero in questo tempo confermati i podestà.

(2) Così narra il MANENTE (l. IV, p. 16) là chiamata del celebre capitano ad as-
sumere la signoria della città: « Nel detto anno sapendosi in Orvieto la morte del re
Ladislao, molti delli cittadini di parte Malcorina, senza saputa della nobiità, misero in
Orvieto il.conte Sforza, come Signore per invidia e vendetta de Beffati, acciò non
fussero da. piü di loro, nel governo della città ». Lo Sforza ne prese possesso in nome
di Giovanna (Cod. Dipl., p. 661).

(3) Paolo Bernabei di Todi era stato giudice collaterale del podestà Nello ‘da
Sticciano : sembra sia stato molto stimato dagli Orvietani, perché prendeva parte ai
loro consigli e fu rominato. vice-podestà fino' all’ arrivo del successore di Nello da
Sticciano.

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SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 407

1415 marzo 4 — maggio 3. Petrus Cole de Esculo, bariscellus (1).
4415 marzo 91. Iacobus saneti Eustachi cardinalis apostoliee Sedis le-
gatus, civitatis urbevetane dominus et benefactor.

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1415 .aprile 7 — giugno. Iohannes de Manentibus de Spoleto, /ocum-
tenens.

1415 maggio 4 — ottobre 25. Iohannes dni Massii Marchisani de Urbe,
potestas.

1415 giugno 17 — 1416 maggio. lacobus dni Francisci de Archipre-

sbiteris de Perusio, locumtenens.

1415 novembre 4 — 1416 aprile 21. Octogerius Nicolay de Montema-
rano, potestas.

1416 maggio — ottobre. Angelus dni Francisci de Ubaldis de Perusio,

potestas.

1416 giugno 11 — 1419. Braceius de Fortebracciis de Perusio comes
Montonii, civitatis urbevetane def'ensor (2).

1416 giugno — ottobre. Rogerius comes de Antignalla, locumtenens.

1416 ottobre 17 — novembre 6. Agnelus dni. Francisci de Ubaldis de
Perusio, locumtenens (3).

(1) Invece del podestà fu in questo tempo eletto un bargello (Rif. n. CXXIII,
c. 118 t.), al quale venne data facoltà di giudicare anche nelle cause civili (ivi, c. 119).
Presiedette anche ai consigli sostituendo in tutto e per tutto il podestà (ivi, c. 120).
Nel consiglio del 21 marzo 1315, presieduto da Pietro di Cola da Esculo, fu stabilito
di consegnare la città al cardinale di Sant' Eustachio riponendola sotto il dominio
della Chiesa. La ragione di questo fatto sarebbe stato il tirannico governo di Tommaso

Caraffa, il quale, secondo lo storico. Manente, venne dallo Sforza confermato come
reggitore di Orvieto e vicario per il re e la regina, e riconfermato poscia in questo.
ufficio da Giovanna II. Quantunque non si trovi prova di ciò nei documenti del-

l'archivio orvietano, tuttavia crediamo si possa prestar fede al Manente, fonte abba-
stanza attendibile per gli avvenimenti di questo tempo; pure non giureremmo sulla
verità ed esattezza delle parole di lui. Continua egli a narrare che diede bando a tutti
i Perugini,Senesi e Fiorentini abitanti in Orvieto, tolse le armi e munizioni ai Con-
servatori, fece saccheggiare il castello di S. Lorenzo e abbruciare le case dei signori

di Alviano e dei conti di Pitigliano, perseguitò molti di parte .Beffata e discacciò Cor-
rado, Luca e Monaldo Monaldeschi, Monaldo di San Casciano, i conti di Marsciano,
ecc. Perciò Corrado con molti de’ suoi partigiani, aiutato dal capitano Francesco di
Bagnacavallo stipendiato dai Fiorentini, entrò in città e discacciò il Caraffa. I Merco-
rini, spaventati di ciò, non videro partito migliore di quello di tornare in grembo
della Chiesa (Rif. n. CXXIII, c. 120 t.). Fu allora eletto un nuovo. podestà, approvato
dal legato della Santa Sede (ivi, c. 139).

(2) 1.9 giugno 1416 (non: nel 1417, come afferma il Manente) nel consiglio gene-
rale del Comune di Orvieto fu deliberato — « cum scisma inveteratum in Ecclesia dei
adeo invaluerit, quod. nec per concilium pisanum, nec per concilium constantiense
adhuc potuit extirpari, propter quod persecutores Ecclesie bona, civitates et terras
invadere ét arripere et miserabiliter distruere, et quas quisque potest particulas ra-
pit, lacerat et consumat, in tantum quod ipsa civitas urbevetana iam quasi est omni
eius potentia destituta et nisi strenuus et fidelis et celeriter succurrat, eadem civitas
funditus consumetur » — fu deliberato di nominare difensore della città per la Chiesa
il celebre capitano perugino Braccio da Montone. Venne in Orvieto ai 12 giugno e
pacifico i Mercorini ed i Muffati- (Cod. Dipl., p. 668-9)

(3) Con una lettera di Braccio da Montone del 3 settembre 1416 era stato nomi-
nato luogotenente Cinello Alfani di Perugia (Cod. Dipl., p. 669); ma sia che questi
TERZEZZZIO: ums
= mE Ur

G. PARDI

1416 novembre 7 — 1417 aprile. Agnelus dni Franeisei de Ubaldis de
Perusio, potestas.
1416 novembre. Rogerius Comes de Antignalla, locumtenens.
1416 decembre 6 — 1417. Cinellus Alfani de Perusio, Zocumtenens.
1417 maggio 4 — ottobre. Franciscus ser Viviani Nerii de Vivianis de
Florentia, potestas.
.1417 Novembre — 1418 aprile. Fioravante de Oddonibus de Perusio,
potestas (1). :
1419 maggio 19 — 1420 maggio. Raynaldus dni Santis de Perusio (2).
1420 aprile — 1421 aprile. Iohannes de Coningher baro de Castrignano
eivitatis urbevetane gubernator pro sancta romana Ecclesia (3).

1420. giugno — novembre. Stephanus de Branchis, vice-potestas (4).
1420 novembre 25 —.1491 aprile. Lucas dni Angeli de Maneinis de

Visso, vice-potestas (5).
1421 aprile 25 — maggio 12. Stephanus de Branchis de Eugubio, vice-
potestas. (6).

non fosse ancora potuto venire, dovendosi partire Ruggero di Antignalla, lasciò per
luogotenente il.podestà Angelo Ubaldi (Rif. n. CXXIIII, c. 64, t.), il quale veniva poco
dopo riconfermato da Braccio nell’ ufficio di podestà (ivi, c. 70). A c. 80 é registrato
quanto dovevan pagare alcuni luoghi e castelli del contado orvietano per soddisfare
il salario del podestà. L' ufficio e la paga del quale erano stati alquanto mutati per
ordine di Braccio (Cod. Dipl., p. 669).

(1) Questo. podestà fu più volte riconfermato da Braccio da Montone, che in lui
riponeva molta fiducia. Quando Fioravante si parti da Orvieto il capitano perugino
pregò i Conservatori a donargli l'arma, della città come già l'avevan donata. al pre-
decessore di lui Antonio da Montacuto (Rif. n. CXXVI, c. 55 t.). Il che fu fatto.

(2) Riconfermato.

(3) Profittando dello scisma, che travagliava la Chiesa, Braccio da Montone erasi
insignorito di varie città dell’ Umbria, tra cui di Orvieto. Oddone Colonna, il quale salì
sul soglio pontificio col:nome. di Martino V, pose fine allo scisma ed intese a ripristi-
nare il dominio ecclesiastico. Troppo lungo sarebbe il narrare gli. avvenimenti degli
anni in cui il Fortebracci fu signore di Orvieto: avvenimenti nei quali campeggiano
i nomi dei due più grandi capitani italiani di quel tempo, Sforza Attendolo ed il Forte-
bracci medesimo. Questi, dopo aver molto operato contro la Chiesa, essendo perfino
riuscito a farsi nominare Difensore di Roma, nel 1319 fece pace con Martino V e cedette
alle preghiere di questo papa, tutto intento nel riallargare lo stato della Chiesa, ren-
dendogli Orvieto. Il pontefice, dopo aver mandato Niccola de? Medici a rimettere la
pace nella città (Cod. Dipl., p. 676), inviò a prenderne possesso Francesco « de Pazzol-
passis » di Bologna vice-rettore del Patrimonio. Elesse quindi un governatore, . Gio-
vanni « de Coningher », nelle cui mani giurarono fédeltà gli Orvietani ai 27 aprile del
1420 (ivi, ivi). La pace di Braccio con Martino V costò ad essi 800 fiorini d' oro all'anno,
quanto dovettero pagare per la condotta del capitano perugino agli stipendi del papa.

(4) Rif. n. CXXVIII, c. 5. :

(5b) Sembra sia successo un. cambiamento nella elezione dei podestà,i quali assu-
mono il nome di vice-podestà è non importa più che sian nobili, ma semplicemente
dottori in legge (Rif. n. CXXVIII, c. 98 in fine).

(6) Il cambiamento dei podestà in vice-podestà era avvenuto perché, essendovi
un governatore, non v' era bisogno di un podestà. Ma quando Giovanni Coningher
sta per cessare dalla carica di governatore, il papa vi manda di nuovo un podestà
(Rif. n. CXXVIII, c. 151 t.):
^

SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 409

1491 maggio 13 — 1422 giugno. Agapitus de Columna civitatis Urbisve-
teris locumtenens pro saneta romana Ecclesia et potestas.

1491 maggio 13 — 1422 giugno, Iacobus Bertuldi de Narnea, vice-'

potestas.

1499 luglio 1 — 4423, febbraio. Iohannes Georgius de Tibertis de
Monteleone, potestas.

1423 marzo 1 — novembre. Andreas Benedicti de Advocatis de Ty-
bure, potestas.

1493. decembre — 1424. Cecchinus de Campellis, potestas.

1494 settembre — 1495 maggio. Salvatus de Genazano, potestas.

1495 giugno 1 — decembre. Paulinus de Feis de Aretio, potestas.

1496 gennaio 1 — giugno. Andreas Petri de Babuco; potestas.

1496 luglio 8 — 1497 gennaio. Ambrosius de Serra de Ianua, potestas.

1491 febbraio 1 — luglio. Aloysius de Actis de Saxoferrato comes
Valiani, potestas.
1491. agosto 10 — 1498 gennaio. Petrus Iacobus de Catenatiis de

Narnea, potestas.
1498 febbraio — luglio. Linus de Roccha de Esculo, potestas.
1498 agosto 1 — 1429 gennaio. Leonus de Ansaltis de Offida, potestas.
1499 febbraio — luglio. Urbanus Iohanelli de Orlandis de Senis, potestas.
1499 agosto — 1430 gennaio. Iohannes Philippi de Guerreriis de Monte
saneti Petri, potestas.
1430 febbraio — agosto. Rentius de Surdis de Urbe, potestas (1).

« Martinus papa V. Dilecti filii, salutem et apostolicam benedictionem. Quia
« dilectus filius nobilis vir Iohannes Conigher domicellus neapolitanus est in fine eius
« offitii, volumus quod dilectus filius Stephanus de Eugubio Iudex Patrimonii ibi of-
« fitium exerceat potestatis, donec regimini illius nostre civitatis aliter duxerimus
« providendum. Datum Rome apud sanctum Petrum sub anulo piscatoris, die XXI
« aprilis, pontificatus nostri anno quarto ».

Stefano da Gubbio, essendo giudice del Patrimonio, non potette stare a lungo
ad Orvieto, ove era venuto soltanto per obbedienza al papa; il quale, già avendo ma-
turata l’idea di cambiare il reggimento della città, la mandò ad effetto deputando a
governarla un suo luogotenente, un podestà ed un vice-podestà.

Ma poco dopo si torna di nuovo al sistema primitivo di un solo podestà, che
amministra la giustizia e presiede ai consigli. Orvieto non ebbe più un luogotenente
proprio come Perugia, ma ve ne fu per alcun tempo uno comune ad Orvieto ed a Todi
(tudertine atque urbevetane civitatis locumtenens pro sancta romana Ecclesia). :

(1) Di questo podestà si ha un fatto inaudito negli annali orvietani: venne uc-
ciso dal popolo infuriato contro di lui. Forse era troppo rigido amministratore della
giustizia ; forse con la fierezza altera, propria dei nobili romani, si disgustò gli Or-
vietani, i quali, dopo la morte di lui, decretarono non potesse nessun Romano essere
eletto podestà od esercitare altra carica in Orvieto. Infatti il cronista ser MATTEO DI Ca-
TALUGCIO (la cui Cronaca fu pubblicata dal Fumi, Foligno 1886) narra come Renzo dei
Sordi fosse ucciso il 24 agosto sopra il tetto del palazzo del popolo, sua consueta abita-
zione, e poscia gettato nella piazza, « propter eius malum regimen et propter eius pravita-
tem ». Seguita ser Matteo dicendo: « Et hoc fecerunt villani et barbari dicte Civitatis
elevando caput in dicta Civitate, quod fuit mirabile signum et 1nirabilis presumptio
dictorum barbarorum et rusticorum ». NICCOLO DELLA TUSCIA, cronista viterbese, (la.
cui Cronaca venne edita dal Ciampi, Firenze, 1872) dice che in questo anno 1430 Or-

28
410 G. PARDI

1430 ottobre — 1431 aprile. Iohannes de Kuffredutiis de Firmo comes
Motisclari, potestas.

1431. Fulehus de Burgo saneti Sepulcri, potestas.

14382. Antonius Tancredi de Tancredis de Montelupone, potestas.

1432 novembre 1 — 1433 aprile. Victor de Rangonibus de Mutina, po-

3 testas.

1433 maggio 1 — ottobre. Petrus Stephani de Aezolinis de Firmo, po-
testas. i

1433 novembre 1 — 1434 agosto. lohannes de Monte Durante de In-
terampne, potestas.

1434 settembre — 1335. Iacobus de Salvestrinis de Nursia, potestas.

1435. Albertus de Albertis de Florentia Perusii atque Urbisveteris gu-
bernator (1). :

1436 giugno. Nicolaus Tinutii de Florentia, commissarius et vice-
potestas.

1436. Stephanus Porcarius, gubernator et potestas (2).

1436. Alexander de Perusio, vicarius et vice-potestas.

1437 gennaio 6 — giugno. Iannottus de Normisinis, potestas.

1491-8. Petrus de Ramponibus de Florentia, gubernator (3).

vieto tumultuò per il mal governo del papa: può essere quindi che le molte imposi-
zioni contribuissero a ciò. Il Fumi (Cronaca di Ser Matteo di Cataluccio, p. 14) attri-
buisce una delle cagioni di tale avvenimento al potere straordinario concesso al po-
destà per punire gli uomini di Monteleone, i quali lo avevano assalito ed inseguito
per ucciderlo, essendo egli andato nella loro terra per eseguire una sentenza. Ma
questo fatto, successo nel 1429, non ha che vedere con Renzo Sordi, eletto podestà di
Orvieto nel 1430 al principio di febbraio. Piuttosto, come nota poi anche il Fuwr stesso,
una ragione dell’ uccisione si può trovare nel malcontento generato per un’ opera
pubblica intrapresa male, la costruzione di un ponte sotto Bardano dato a restaurare
ad un architetto napoletano, Coluccio della Cava. Il lavoro, che costò moltissimo,

. (oltre ai danari pubblici anche quelli di una eredità di Francesco di Martino Iacobelli)

fu riconosciuto difettoso e fece nascere mormorii. La presero col podestà; venne que-
sti ucciso; l'architetto fu sospeso; furono annullate tutte le sentenze pronunciate, ecc.
Giovanni da Rieti mandato dal pontefice come commissario (Cod. Dipl., p. 683) riuscì
.a rimettere le cose in calma.

(1) Essendo successi dei disordiui in Orvieto, nel marzo di quest’ anno, il papa
confidò la cura della città all'Alberti governatore di Perugia. Invece pertanto di ve-
nire eletto un podestà fu nominato un vice-podestà nella persona di Nicola di Tinuc-
cio da Firenze.

(2) Sulla fine del 1435 successero altri disordini; Pietro Paolo ed il fratello Gen-
tile Monaldeschi, con genti d'armi del conte Francesco da Cotignola, devastarono di-
verse terre del contado ed offendevano i cittadini orvietani. Perció il papa mandó come
rettore e podestà Stefano Porcari con un Breve del 16 novembre 1435 (Cronac. di Matt.
di Cat., p. 205 Cod. Dipl., p. 702. Sul governo di Stefano Porcari veggasi il bel lavoro
del Fumi, Studi e documenti di Storia e Diritto, anno IV, 1883). Il Porcari governo,

. col favore dei Melcorini, fino al gennaio del 1436. Terminata la carica, il patriarca

Vitelleschi legato della Santa Sede gli commise la riforma dello stato, che venne
mandata ad effetto ai 27 dello stesso mese. Il Porcari fu ringraziato e regalato nel
partire per il suo saggio reggimento.

(3) Verso la metà dell'anno 1437 Antonio di Berardo Monaldeschi, capo dei Muffati,
s'impadronì di Orvieto. Ma l'11 settembre fu discacciato e i Melcorini riportarono

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SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 411

1481-8. Galeoctus de Micheloctis de Perusio, vicarius.

1431-8. Petrus de Petronibus de Nepe, vice-potestas (1).

1439 marzo 11 — ottobre. Laurentius de Castaldensibus de Montealto,
vice-potestas.

1439 novembre 1 — 1440 marzo. Blaxius de Cardulis de Narnia, vice-
potestas (2).

1440. marzo 10 agosto. Gentilis de Cardulis de Narnia, vice-potestas.

1440 settembre — 1441 febbraio. Berardus de. Bancaronibus de Spo-
leto, vice-potestas (3).

1441 marzo 10 — agosto. Stephanus de Papia, vice-potestas.

1441. settembre — 1442 aprile. Palinus de Tignosinis de Viterbio, vice-
potestas.

1442 luglio 12 — 1443 febbraio. Galeoctus Antonii de Narnia, bari-
scellus (4).

1443. marzo 20. Guilielmus ser Antonii de Castro saneti Martini, bari-
scellus.

1443 giugno 12-20. Ludovieus Carredoni de Perusio, gubernator (5).

1443. giugno 21 — 1444 marzo. Franciscus de Scalamontibus de An-
cona, gubernator et potestas (6).

in alto Gentile Monaldeschi, che da qualche anno tiranneggiava Orvieto e che la ti-
ranneggiò per parecchio tempo ancora (NICCOLÒ DELLA TUCCIA, Op. cit, p. 161, Mo-
NALDESCHI, Comm. Hist., p. 132; MATT. DI CAT., p. 20). In questi frangenti vi fu man-
dato di nuovo un governatore, il quale lasciò, dovendo partire, un. vicario. Ammini-
strava la giustizia un vice-podestà (Rif. n. CXXXIX, L T, c. 24).

(1) Rif. loc. cit., c. 27. Ai 14 di aprile (ivi, c. 41) si deliberò di donargli, per il
suo buon ufficio, una bandiera ed una targa con le armi del Comune. Ebbe di salario,
per 6 mesi, 480 fiorini. Ai 19 aprile fu riconfermato in ufficio (ivi, c. 42). Prestò di nuovo
giuramento il 1o di luglio (ivi, c. 42 bis).

(2) Riconfermato ai 26.di febbraio (Rif. n. OXXXIX, c. 175 t.).

(3) Rif. loc. cit;, c. 210 t:

(4) In questo tempo, signoreggiando la città Gentile Monaldeschi, non si elesse
alcun potestà; ma nel luglio fu nominato un bargello ad amministrar la giustizia.

(5) Il 12 giugno 1443 fu riposta la città sotto la signoria della. Chiesa. Ne rice-
vette la dedizione Niccolò Piccinino, capitano generale di papa Eugenio IV e luogo-
tenente del re d' Aragona. Egli nominò governatore provvisorio d'Orvieto Lodovico
Carredoni di Perugia (Rif. n. CXX.XIX, c. 368-9). Il governatore nuovo venne pochi
giorni dopo. Al Carredoni furono assegnati di paga due ducati al giorno (Rif. loc. cit.,
c. 370). ;

(6) Gli Orvietani forse per economia, forse per suggerimento di Gentile Monal-
deschi spadroneggiante.meglio Orvieto senza l'incomodo di un podestà, facevano am-
ministrar la giustizia da un bargello. Ma il legato apostolico, con una lettera dell'8
di ottobre, annuncio ai Conservatori che, trovandosi egli a Rieti e non ricordandosi
delP arbitrio concesso agli Orvietani di eleggersi da sé un podestà (proponevano una
terna, dalla quale il Legato apostolico sceglieva il podestà: concessione fatta il 21 feb-
braio 1439), aveva nominato a quest ufficio un tale Matteo dei Perotti. Pregava per-
tanto a mandargli la elezione nel consueto modo (Rif. ad. CXXXIX, c. 381). Il. che fu.
fatto ai 8 di novembre (ivi, 384). Ma sembra che il Perotti non accettasse la nomina.
Esercitò pertanto la carica di podestà il governatore medesimo, come si capisce dalle
seguenti parole (ivi, c. 514): « Spectabilis et generosus vir Franciscus Scalamonte. de
Ancona miles et doctor, dudum potestas et gubernator civitatis urbevetane », ecc.
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G. PARDI

aprile 5 — 1445 marzo, Iacobus Cesarinus de Urbe, potestas.
aprile 7 — novembre. Franciscus Gactula de Gaieta, potestas.
decembre — 1447 maggio. Eustasius Gripti Arpini comes, guder-
nator et potestas.

decembre — 1447 maggio. Senensis de Bonaquistis de Asisio,
vice-potestas.

maggio 25 — luglio. Eustasius Gripti, gubernator.

maggio 25 — 1448 febbraio. Iohannes de Zuccantibus de Amelia,
potestas.

luglio — 1448 ottobre. Episcopus Aquilanus, gubernator (1).
marzo 5 — agosto. Laurentius de Terrentiis de Pisauro, potestas.
agosto 25 — settembre. Pandeius de Bartolis de Perusio, vicé-po-
testas.

ottobre 16 — 1449 giugno. Paris de Potestatibus de Esculo, po-
testas.

ottobre 30 — 1449. Valerianus de Mutis de Urbe, gubernator.
luglio 1 — decembre. Petrus de Petronibus de Nepe, potestas.

1450-1454. Episcopus Aquilanus, gubernator.

1450
1450

1451

1453
1453

gennaio — giugno. Iohannes de Guidonibus, potestas.

luglio 1 — 1451 marzo: Rodulfus Iacobi de Fugnanis de Mutina,
potestas.

aprile 22 — 1354 decembre. Lodoyicus de Turre de Mediolano, po-
testas.

gennaio — giugno. Aloysius de Benignis de Fabriano, potestas.
giugno 18 — 1454. Franciscus de Soderinis comes florentinus, po-
testas.

1455-1456 aprile 27 — Antonius de Albertonibus de Urbe, gubernator et

1455.
1456.
1456
1456

1456
1457
1458.
1458

potestas.

Angelus de Sutrio, vice-potestas.

Michael de Florenzolis de Sutrio, potestas.

aprile 31 — novembre. Anibal de Stephanischis de Urbe, gubernator.
novembre 1 — 1457 ottobre. Baptista de Gerardinis de Amelia,
potestas.

decembre — 1457 ottobre. Lupus Conchiellos, gubernator.
novembre 2 — 1458 aprile. Valerius de Montefalco, potestas.
Leonardus de Nobilibus de Spoleto, gubernator.

maggio 1 — 1459 aprile. Riechus de Ricchis de Amelia, potestas.

1459-1460 aprile. Philipus de Martorellis comes spoletanus, gubernator.

1459
1459

1460

(1) Rif. n. CXXXIX, c. 636.

maggio 1 — ottobre. Petrus de Chitanis de Cesis, potestas.
novembre 1 — 1460 aprile. Raffael de Gatteschis de Viterbio, po-
testas.

maggio — 1461 maggio. Franciscus Lutius comes senensis, guber-
nator.
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SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, Ecc. 418

1460 maggio — ottobre. Iacobus de Narnelis de Viterbio, potestas.
1460 novembre 1 — 1461 aprile. Petrus dni Mactei de Perusio, potestas.
1461 maggio 1 — ottobre. Ludovieus de Matelica, potestas.
1461 giugno — 1461 giugno. Bindus de Senis, gubernator.

1461 novembre 1 — 1462 aprile. Ghinus de Gazzaria de Senis, potestas.
1462 maggio 1 — ottobre. Rubertus de Severinis de Calabria, potestas (1).

Reggitori d'Orvieto dall'anno 1462 al 1500.

1462 agosto — 1463 luglio. Iohannes Episcopus placentinus, guber-
nator (2). :

1463 agosto — 1464 luglio. Iacobus de Piccolhominibus de Senis, gu-
bernator.

1464 agosto. Antonius Episeopus eugubinus, gubernator.

1465 febbraio 10 — novembre. Armileus Terentius pisaurensis, potestas.

1465 decembre — 1466 maggio. Iacobus Brondut Pisanus, potestas.

1466. Valerius de Cardarinis de Ianua Episcopus savonensis, gubernator.

1466 giugno 7 — 1461 maggio. Franciscus de Ubaldis de Perusio, po-

testas.
1467-1471 giugno. V. Episcopus albinganensis, gubernator.
1467 giugno 7 — decembre. Iohannes Baptista de Peroctis de Inte-

rampna, potestas.
1467 gennaio 1 — decembre. Iohannes Baptista de Pacificis de Aquila,
potestas.

(1) L'anno 1462, papa Pio II concesse agli Orvietani di non eleggere per alcun

tempo il podestà, essendo essi in grandi strettezze finanziarie.
« Pius papa II. Dilecti filii, salutem et apostolicam benedictionem. Cum. scia-
« mus illam comunitatem civitatis nostre urbevetane propter guerras et turbulentias
superiorum temporum et alias occurrentias, graves subiisse impensas proptereaque
in non parvis versare angustiis; nos, volentes paterna caritate eam sublevare, volu-
mus et per presentes decernimus ut, finito offitio presentis potestatis, dicta civitas
pro semestri ac ultra ad beneplacitum nostrum potestatem recipere non teneatur,
et salarium, quod ipsi potestati dare deberet, in sublevationem necessitatum pre-
dicte civitatis et Communis eiusdem convertatur, proviso tamen quod civitas ipsa
cirea administrationem iustitie detrimentum non patiatur, non obstante concessio-
nibus de dicta podesteria quibusvis factis, quas per presentes pro. dicto semestri
et ad beneplacitum nostrum suspendimus, ceterisque contrariis quibuscunque. Da-
tum Rome apud sanctum Petrum, sub anulo piscatoris, die XVIII februarii
MCCCCLXII pontificatus nostri anno quarto » (Arch. Dipl. d'Orv.).
. Tale concessione fu confermata da altri Brevi papali, del 19 agosto 1402, del 14
marzo 1463 e del lo febbraio 1464 (Arch. Dipl. d'Orv.). -

(2) Al tempo di questo governatore successe in Orvieto un fatto notevolissimo: l’i-
stituzione di uno de’ primi Monti di pietà, avvenuta per le esortazioni di frate Bartolomeo
da Colle, che si trovava quivi a predicar la quaresima. Avendo egli esortato i citta-
dini a non prendere più a prestito danaro dagli Ebrei, mettendo ciò a grandissimo
peccato, il consiglio del Comune 1° 11 aprile 1463, deliberò che perilfuturo gli Ebrei

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‘ non potessero più esercitare l' usura e che fosse fondato il Monte di Cristo (L. LUZI,
‘Il primo Monte di Pietà, Orvieto, 1868 e FUMI, Cod. Dipl., ad an.).
414
1469

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1472.

G. PARDÎ
gennaio 1 — decembre. Petrus de comitibus de Turri de Fulgineo,
potestas.
gennaio 1 — giugno. Marcus de Ceretanis de Interamne, potestas.
luglio 1 — decembre. Petrus Laurentius de Cortona, potestas.
gennaio 1 — giugno. Camillus Rossi de Parma, potestas.
luglio 1 — 1472 febbraio. Iacobus de Passarinis de Nursia, potestas.
luglio 5 — 1472 aprile. Bartholomeus de Sicchis, gubernator.

Laurentius Archiepiscopus spoletanus Patrimonii Rector, Urbisve-
teris, Vetralle etc., gubernator.

1472-1478. Laurentius Iustinus de Castello Urbisveteris, gubernator.

1412
1412

marzo — agosto. Valerius de Trevio, gubernatoris locumtenens.
ottobre — 1474 decembre. Achilles Marescottus de Calvis, /ocwm-
tenens.

1472-1473 aprile. Bonefatius, potestas.

1413

maggio — decembre (?). Mateus de Bonactis de Mantua, potestas.

1414-1418. Franciscus Brennus de Sancto Severino, locumtenens.

1474 gennaio — decembre. Hannibal de Alexandrinis, potestas.

1415 gennaio — decembre. Bertus de comitibus de Turri de Fulgineo,
potestas.

1416 gennaio — decembre. Hieronimus de Baldolis de Fulgineo comes
palatinus, potestas.

1477 gennaio — decembre. Baronimus de Eugubio, potestas.

1418. Filianus de Orellis de Spoleto, potestas.

1419-1484. Bartholemeus Episcopus ferrariensis, gubernator.

1419 gennaio — agosto. lacobus de Calistris de Monteflascone, Zocum-

tenens.

1479 marzo — agosto. Riechus de Ricchis de Amelia, potestas.

1479 settembre — 1480 decembre. Sancte Restitutus de Caprarola, /o-
cumtenens.

1479 settembre 3 — 1480 febbraio. Iacobus de Ricchis de Amelia, po-
testas.

1480 marzo 3 — settembre. Andreas Antonii Nicolai de Senis, potestas.

1480 ottobre 1. Andreas Antonii Nicolai de Senis, vice-potestas.

1481-2. Maneroctus de Macerata, locumtenens.

1483-1484 giugno. Matthiolus de . . .. . Zucumtenens.

1484 luglio — ottobre. Sanete Restitutus de Caprarola, locumtenens.

1484 ottobre 31 — 1485 ottobre. Speligatus de Senis, locumtenens.

1485 febbraio 22 — 1486 marzo. Tiberius de Fumis de Montepolitiano,
potestas.

1485 novembre — 1494. Baptista Sabellus protonotarius apostolicus,
gubernator et castellanus.

1486. Iohannes de Montelupone, locumtenens.

1486 marzo 23 — 1481 luglio. Franciscus Philippini, potestas.

1481. Tiberius de Fumis de Montepolitiano, locumtenens.

1488. Laurentius Pippus prothonotarius apostolicus, Jocumtenens.

1487 agosto 93 — 1488. Tyberius de Fumis de Montepolitiano, potestas.

PUEBLA ME

dr
SERIE DEI SUPREMI MAGISTRATI E REGGITORI DI ORVIETO, ECC. 415

1489. Pascutius de Nardulinis, /ocumtenens.

1489-1490. Simon de Fumaiolis, potestas.

1490. Petrus de Corradis, locumtenens. . ;

1490-1492. Antonius Episcopus Balneoregii, locumtenens.

1491 gennaio — giugno. Pirnesus Philiani de Spoleto, potestas.

1491 luglio — 1492 giugno. Franciscus Giraldinus de Amelia, potestas:

1492 luglio — 1493 giugno. Pirnesus Philiani de Spoleto, potestas.

1493-1494 agosto. F. Rosa episcopus Terracine, locumtenens.

1493 luglio 23 -— 1494 giugno. Thomas de Aldobrandis de Florentia,
potestas.

1494 settembre — 1495 maggio. Paris de Grassis de Bononia, guber-
nator. ;

1494-1495 maggio. Augustinus Carellus, locumtenens.

1494 maggio 31 — 1495. Iohannes Episcopus interammensis, gubernator.

1494 maggio 31 — 1495 decembre. Bener Crespa hispanus, locumtenens.

1494 luglio — 1496 gennaio. Alexander Baptista Venciolus eivis pe-
rusinus, potestas.

1495 decembre 31 — 1496 luglio. Iohannes Lupi prothonotarius apo-
stolicus, locumtenens.

1496-1498. Cesar Borgia, gubernator (1).

1496 gennaio 24 — 1497 gennaio. Laurentius de Bulgarellis de Aman-
dula, potestas.

1496 agosto — 1497 febbraio. Benet Crespa hispanus /ocwmienens et
castellanus (2).

1497 gennaio 24 — 1498 aprile. Vannes, potestas.

1497 marzo 3 — ottobre. Arnaldus de sancta Cecilia, locumtenens.
1497 ottobre — 1498 aprile. Thomas Episcopus cursulensis, locumtenens.
1498 maggio 1 — 1499 settembre. Cristoforus de Piccolhominibus de

Senis, potestas.
1498 maggio — 1499. L. Lautus eques et doctor, locumtenens.
1498 decembre 21 - - 1499 settembre. Karolus Bucconius Episcopus ve-
stanus, locumtenens.
1499. Cesar Borgia Urbisveteris, perpetuus administrator.
1499. settembre 18. Ludovicus de Grassis de Mantua, gubernator (3).
1499 ottobre 17. Fabius Agathiduis de Spoleto, potestas.

Orvieto, febbraio '95.

G. PARDI.

(1) V. gli atti del governo del Borgia nell’ opera: FUMI, Alessandro VI e il Va-
lentino in Orvieto, Siena, 1878.

(2) V. op. cit.

(3) V. a proposito di questo governatore il FuMI, Diario di ser Tommaso di Sil-
vestro, Orvieto, 1891.
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417

COMUNICATI

IL CODICE MAGLIABECHIANO DELLA STORIA DI S. CHIARA

LETTERA A LUIGI FUMI,

Poiché voi, mio carissimo, sembraste compiacervi con tanta
benevolenza del lavoretto che io avea tra mani in Bolsena sopra
alcune memorie di S. Chiara di Assisi (1) e dipoi voleste darne
pubblico ed amichevole giudizio (2), io non debbo tacere come
pure mi aiutaste in condurre a termine l’ esame di un documento.
Egli è questo un manoscritto che vedemmo insieme, venutomi
dalla Magliabechiana di Firenze; il quale, sebbene non iscono-
sciuto agli scrittori delle memorie di S. Chiara, pure non era stato,
a quel che pare, osservato con accuratezza; giacchè un'attenta
disamina avrebbe potuto farne cavare quel vantaggio critico. che
ini sembra ben interessante nell’ argomento. Ed invero, alcune
cose notabili andrebbero messe sotto giudizio, e fatti i necessari
confronti con i sicuri documenti, sceverarne non poche delle no-
tizie date, come che appoggiate a deboli o men ragionevoli argo-
menti, e prendere ad esame i diversi racconti e le testimonianze,
sulle quali si affermano.

Per verità, nelle osservazioni su quel codice incominciate in-
sieme, io non ebbi l'animo di tracciare un esame critico; ma,
naturalmente, dovetti un po’ considerare il documento per farmi
una qualche idea del suo storico valore. Alcuni punti di questo
esame esposi a voi in amicizia, e-così guadagnarne a cavare

(1) Fu pubblicato col titolo — S. Chiara di Assisi secondo alcune nuove scoperte e
documenti — Roma, tip. Sociale, 1895.
(2) Bollettino della Società Umbra, Vol. I, p. 185.
418 . &. COZZA-LUZI

buone conclusioni col vostro giudizio ; ma voi, di rimando, m'im-

pegnate a metterne in scritto le osservazioni fatte e darvene.

brevemente conto. Al certo, io ripugnava non avendo ora tra
mano il codice, ma soltanto degli abbondanti appunti che ne cavai
nello studiarlo, e non mi pareva assolutamente bene poterli, cosi
quali erano, a vol indirizzare. Tuttavia, cedo alle insistenze vo-
stre; e questi messi insieme un po’ alla meglio, ve li sottopongo
non a giudizio, ma sibbene a correzione, incominciando subito a
dir delle note esterne del manoscritto.

La Biblioteca Magliabechiana di Firenze possiede quel piccolo
volume cartaceo che ha per segnatura la classe XXXVIII e il
n. 185. Voi pure mi dicevate che dal carattere sembra scritto nel se-
colo XVI. Conserva l'esterna copertura in pergamena che sembra
esser la sua veste primitiva. Nel dorso di questa si veggono vestigia
del titolo scritto per lo lungo ed insieme note varie di catalogo.
Tra le altre cose, come meglio diremo, ci mostra il nome della
posseditrice in quell' epoca.

Nell'interno poi un foglio di risguardo ha diverse note di
catalogo. Una è così: n. 285..Poco sopra: D.° 735 e le parole:
Questo libro è d'Aless.? di Tom.s0 Strozzi donatoli già dal
Cap."? Aless.r? Guidotti suo avolo, quale Dio abbia in gloria.
Poco sotto con matita è segnato: AXXVZ// da Cellino (1).

Nell' ultimo foglio poi, ossia nel 150, evvi un'altra memoria più
antica, la quale fu aggiunta nello spazio della carta lasciato dallo
scrittore del mss., e cosi si collega alla memoria più recente già
riferita e vi si dice: vus Ma.ria S.to francescho e s.'*^ Chiara |
questo libro e della francescha | del sig. Cap.no Al.dro guidotti |
Francescha guidotti manuss prop | in Finis versi | libro spi-
tuale.

Il nome della posseditrice è pure sulla fodera in pergamena,

come accennammo, potendovisi ancor leggere i residui delle pa-
role: Questo libro... del... beata vergine santa chjara... fran-
cescha.

Ora non sarà difficile a voi trovare notizie dell’ Alessandro
Strozzi e dell'avolo capitano Alessandro Guidotti e della sua

(1) Così taluni scrissero il nome del biografo Tommaso da Celano che qui volle
indiearsi come autore del libro. Vedi il detto nostro opuscolo, pag. 22.
COMUNICATI 419

Francesca e determinar meglio questo punto estrinseco per la
storia del manoscritto (1). Mentre passiamo ad altro, avvertiamo
che nel testo a fol. 126 si accenna che, oltre i fogli 150, vi fosse
scritta altra cosa che ora più non si ha (2), seppure non voglia
pensarsi che questo mss. sia una copia non intiera di altro esem-
plare in cui è quella notizia.

Dopo queste estrinseche notizie veniamo alle osservazioni in-
terne del manoscritto, il quale al foglio 1 ha queste parole:
n. 255 Incomincia el prologo sopra la leggenda della serafica
vergine santa chiara.

Questo prologo, altrove non veduto, mi sembra uno dei più
interessanti documenti per la ricostituzione critica delle memorie
storiche di S. Chiara. Da quanto abbiamo sotto occhio, appari-
sce la natura dello scritto, del suo valore, del dettato volgare ori-
ginario e dello scopo di raccogliere da varie fonti storiche quelle
notizie della santa che più avrebbero interessato e piaciuto alle
Clarisse e forse, più che ad altre, a quelle del primigenio mona-
stero di Monticelli a Firenze. Egli è questo un vero documento

(1) Il Lira (Famiglie celebri italiane, Vol. XV, tav. XV) dice che Alessandro Strozzi
nacque nel 1583, fu « laureato all’ Università di Pisa nel 1605, fatto canonico della Me-
« tropolitana nel 1607 e come uomo assai versato fu incaricato dell’ uditorato della
nunziatura di Toscana, posto che coprì per quasi 20 anni. Nel 1609 fu eletto console
dell’ Accademia fiorentina. Nel 1622 fu scelto tra canonici a fare il panegirico di
S. Filippo Neri nell’ occasione in cui solennemente si ricevette lo stendardo del Santo
nella Metropolitana. — Nel 1626 Urbano VIII che era molto affezionato alla sua casa
lo nominò vescovo di ‘Adria nel regno di Napoli, e nel 1632 vescovo dis. Miniato in
Toscana, ove nel 1638 celebrò un sinodo. Morì nel 1648, 24 agosto con opinione di
pastor vigilante, pio e giusto. Il suo panegirico fu pubblicato nel1751in Venezia dal
Remondini nelle Prose Fiorentine ».

Di Tommaso (1548-1612) e di Francesca del Capitano Alessandro Guidotti il LrrTA
nella stessa tavola non dà notizie. i

Dagli spogli genealogici nell’ Archivio di Stato in Firenze si ha: « Alessandro di
« Tommaso di Simone Strozzi matricolato perl’ arte della lana 1605. Nascita 1583. Papa
« Paolo gli conferisce un canonicato in S. Maria del Fiore 1607. Compra coni fratelli
« un pezzo di Bosco in Valdarno 1611 ».

Di Alessandro di Niccolò Guidotti Capitano si ha la data del testamento che è
1500 e il nome della moglie che è nominata nel Testamento: Cammilla di Bernardo
de’ Bardi.

Queste notizie sono dovute alla dottrina e alla. gentilezza. dell’ egregio Prefetto
della R. Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, al quale sieno rese le più ampie
grazie.

(2) Difatti alla detta pagina si legge che a Chiara suora Agnese di Ascesi disse
che dicessi orazione delle cinque piaghe del signore, la quale oratione d consola
tione delle sue divote figliole in fine di questa leggenda porremo.

A ^ & AR A^ ^

^.
4920. G. COZZA-LUZI

‘eritico che parla meglio da sè che non con altre frasi che gli si
possono porre a cornice. Ecco in qual modo dopo il citato titolo
si dice nel prologo pag. 1:

La vita et leggenda della serafica vergine s. Chiara madre overo
prima lapide, o fondatrice dello ordine delle povere donne di santo Da-

miano; fu primo descritta dal R.do messer Bartolommeo vescovo di Spo-

leto (1), il quale per comandamento del beat.mo Innocentio Papa Quarto
insieme con m." Leonardo arcidiacono di Spoleto, et m.r Iacobo arciprete
di Trevi, et gli frati san.mi cioè frate Leone et frate Angelo da Rieti
compagni di santo Fran.co, et frate Marco frate minore et ser Martino no-
taio personalmente andò al monastero di Santo Damiano, et con giura-
mento astrinse a dire la verità alquante suore di antichità et santità
famose, di quello che sapevano circa la vita et conversione et conversa-
tione, et miracoli di questa vergine Clara. Le quali cose intese diligen-
temente esaminate et fedelmente inscritte per il publico notaio al so-
prad. sommo pontefice furono destinate. Così altre cose notabili furono da
alcuni frati inscritte di essa Beata. Ma solvendo il debito della humana
natura el prelibato Innocentio Quarto, fu assunto al papato m.r Rainaldo
cardinale et protettore dell’ ordine. El quale, poi che al catalogo delle
sante vergini hebbe questa santissima ascritta, comandò al santo frate
Tomma da Celano, già compagno et discepolo di santo Francesco, el
quale ancora per comandamento di papa Gregorio .9. haveva scritta la
prima leggenda di esso beato padre Fran.co, che ancora scrivesse questa
della preclara memoria vergine Clara. El quale, come vero figliuolo della
obbedienza, deserisse con elegante et ordinato stile la leggenda di essa
Beata Clara, non inserendo pero ogni cosa, che nella leggenda, overo
processo di m.r Bartolommeo vescovo di Spoleto si conteneva. Onde a
consolatione delle dilette et devotissime figliuole di questa nostra gloriosa
madre beata Clara descriverremo in questa vulgare la vita d'essa Beata,
scritta per el sopradetto frate Tomma con alcune altre cose degne di me-
moria, eavate dalle eronache dell'ordine inserendo ancora quelle relitte
dal Vescovo di Spoleto, cioe del suo processo. Et in prima porremo la
epistola di frate Tomma mandata al sommo Pontefice Aless. quarto. El
tenor della quale è questo cioe: (2)

(1) Si disputò qual fosse il nome del vescovo di Spoleto, a cui Innocenzo IV di-
resse la lettera di commissione pe’ processi della. santità di Chiara; ora é manifesto
fosse il Bartolomeo da altri pur sospettato.

2) Vedi il Surio — Vitae Sanctorum —,il CueER nei Comment: prev. 4 Ag. ACT.
BOLLAND — il SABATIER nella Vie de s. Frangois ed altri. i

n
COMUNICATI 421

Prima di procedere a riferire la indicata lettera di Tommaso
al papa Alessandro IV, noteremo che questo pure è un altro do-
cumento critico di grande interesse, e tanto più prezioso, perchè
tronca le ambagi delle molte discussioni sull’ autore della nota
leggenda di S. Chiara.

Fa maraviglia che i dotti trattatisti di quella leggenda non
ne avesser neppure un sentore come scritta da lui. Eziandio è
maraviglia che il testo originale latino, col quale dovea esser ac-
compagnata la leggenda presentata al pontefice, non si trovi per
lo più nei vecchi manoscritti: e se taluno ha il testo della let-
tera (1), non ha però l'indirizzo di fr. Tommaso al Papa, come
lo troviamo in volgare nel mss. Magliabechiano. Inoltre confron-
tando quel che si conserva del testo latino presso il Cuper con
questo, troviamo quel testo un poco più ampliato e diffuso, con-
servando però di quello la sostanza; il che farebbe pensare che
abbiasi a trovare l'intero testo latino più prolisso. Ciò forse fa-
rebbe credere che il testo volgarizzato sia stato ‘amplificato anche
in altre parti della leggenda. È giuoco forza pertanto contentarsi
per ora di questa versione italiana qual è; ed i raccoglitori delle
memorie della santa che veggono questo volgarizzamento falto
per le sue Clarisse, sono avvisati a voler spingere le loro ricerche
oltre il codice Magliabechiano. Ecco pertanto il tenore della lettera
indicata e diretta

al Santissimo in xeo Padre signore mio per divina providentia della
sacrosanta Romana Ecclesia sommo Pontefice Aless.o quarto frate Tomana
da Celano con votiva subiettione si raccommanda con gli devoti baci degli
beati piedi (2). Essendo el mondo pervenuto nella ultima etade et gia appro-
pinquandosi alla sua consumatione et fine : lo splendido lume et chiara
verita della fede cristiana era molto oscurata et diventata piena di ca-
ligine, et la salutifera et florida via degli buoni costumi la quale el
sommo Maestro xpro Iesu Benedetto, et gli santi Apostoli con dottrina et
esempi efficacemente havevano commendata, essendo reputata horribile et

(1) Il CuPER l..c. riferisce il testo da antico codice.

(2) Queste prime parole furon riferite dal p. Bonaventura Gargiulo da Sorrento,
ora vescovo, nella sua bella monografia — La gloriosa S. Chiara, 1894, pag. 119 not.,
ove però il codice non è abbastanza indicato. Si confronti coll’ indirizzo che lo stesso
scrittore Tom. Celanese fa della vita di S. Francesco al papa Gregorio IX, e special
mente nel mss. di Parigi 3817 di cui parla la Miscell. Franc., t. V, p. 32.
499 d. COZZA-LUZI

aspra era gia quasi al tutto abbandonata, et el vigore et fortezza delle
buone et vertuose opere era mancata, et per tal modo indebolita che
in essa estremita degli tempi concorreva et abbondava molto la abbomina-
tione degli immondi, et fetenti vitii, quando il misericordioso Dio ama-
tore degli huomini del secreto della sua pieta, raguardando la humana
generatione essere in tanto pericolo, con viscerosa pieta, et compassione
soccorse à esso mondo che periva con un nuovo, et insolito adiutorio,
cioe suscitando alcuni ordini et modi di vivere allui piacente, per li
quali la santa fede di xpo ha ricevuto sostentamento et fortezza, et gli
inveterati costumi virtuosa norma et laudabile disciplina. Et pero gli mo-
derni santi Padri cogli loro veri seguacj si possono dire esser stati lucerne
clarissime et splendidi luminari del tenebroso mondo, fedeli siudicatori
della diritta via, perfetti maestri della verita nelli quali si cognosce per-
fettamente essere verificata et adempita quella profetia del profeta Esaia
che dice — che gli populi gli quali andavano nelle tenebre della ignorantia
et delli peccati viddono el grande lume della splendida dottrina. Et per-
che la horrenda profondita, et el loto della fetida carnalita et lascivia
continuamente absorbiva et inghiottiva innumerabile. multitudine di
huomini et di donne. Et sicome Dio provide à gli huomini per il pa-
triarca Fran.co così alle donne dette per norma et regola la nobilissima
et gloriosa vergine Clara — la quale tu beatiss. Papa meritamente hai su-
blimato, et posta sopra il candelliere della militante Ecclesia, havendola
scritta al catalogo degli Santi, constringendoti a cio le innumerabili sue
virtù et miracoli. Cognosciamo te. beatiss. Papa et amiamo come caro
Padre, et fervido zelatore et sollecito protettore di questi duoi ordini
santissimi, te abbracciamo come singulare refugio et securissimo porto. te
humilmente veneriamo come pietoso signore et amabile patrone et de-
fensore, cognoscendo chiaramente che per tal modo con provida cura tu
reggi et governi la fluttuante nave di santo Pietro, cioe la universale
Ecclesia, che non ti scordi pero della piccola navicella, cioe della povera
et santa congregatione. SON

Piaeque a vostra beatitudine et santita non solamente una volta,
ma piu volte impormi che io investigando diligentemente di sapere et
intendere gli acti et modi singulari, et la mirabile vita di saneta Chiara
non guardando alla mia insuffieienza, et parvita — et raccogliendo tutto in-
sieme formassi et componessi la sua leggenda. la quale opera se non
fussi stata la somma autorita pontificale, alla quale per nessuno: modo è
lecito contradire, non harei presunto di fare tale opera — cognoscendo essere
sopra la mia rudita et grossezza, et eccedere sopra modo le mie piccole
forze et debile ingegno, pure desideroso di obbedire raccolsimi in me me-
desimo et reputando non essere cosa sicura procedere a questa opera per

E 22

To * me
eni

er

COMUNICATI 493.

le informatione, le quali trovavo defettuose, mi disposi di havere di que-
ste colloquio con gli compagni di s.0 Fran.co — et col venerabile collegiò
delle sante vergine compagne di essa beatiss. Clara. non senza amaritu-
dine ripensando nella presuntione di quelli, li quali hanno tessute et
ordinate le historie de santi, senza averli veduti, o almeno udito da
quelli habbino veduto gli loro atti et gesti eccellenti et singulari. Et
havendo. io havuto piena informatione della santa et laudabile vita,
della gloriosa vergine Clara da gli compagni di santo Fran.co et dal
saero collegio delle suore, mi disposi di procedere all'opera, et col timor
del Signore adempiere quello che dal sommo Pontefice m'era stato imposto,
et comandato - et. perche comunemente la brevita a tutti à piacere et grata,
delle molte cose raccogliendone poche, con pieno et facile stile et simplice
ordine mi sono sforzato di scriverle, schifando volontariamente el parlar
curioso, et confuso per non offendere la purissima devotione delle per-

‘sone semplici et senza lettere - Studinsi adunque gli huomini di segui-

tare gli nuovi discepoli dello incarnato verbo xPo Iesù benedetto. Et le
donne habbino per loro conduttrice et capitanea alla beata vita la glo-
riosa vergine saneta Chiara, la quale fu perfetta imitatrice della ver-
gine Maria.

A te dunque padre santiss.0 per solita benignita et compassione.
piacciati approbare quelle cose che in questa opera giudicherai essere
senza difetto. appresso del quale è data da Dio autorita di poter le cose
ragionevole approbare et le superflue: rimuovere. quelle che fussino di-
minuite supplire et le false correggere et emendare. al quale conceda
prosperita, valore et vita mox et in eternum esso nostro Iesu xPo Bene-
detto, el quale col Padre et con lo Spirito santo vive et regna in secula
seculorum. Amen.

Dopo riferiti questi documenti resta assodato che lo serit-
tore della leggenda di Chiara si fu il Celanese: e non giova più
oltre spinger le conclusioni negative per altri scriltori presunti.
Di più resta fissata l'epoca del medesimo scritto, cioè all’ incirca
poco dopo l’anno 1255, in cui Alessandro elevò Chiara agli onori
degli altari. A ciò determinare può anche giovare il conoscere
l'anno della morte di fra Tommaso, che a quell'epoca dovea esser
ben avanzato.

Dalle parole della lettera risulta come egli si giovasse degli
atti processuali fatti dai commissari del.pontefice (1) e di una

(1) Il diploma pontificio originale di commissione al vescovo di Spoleto (senza
indicarne il nome) per i processi, che certamente ebbe in mano fr. Tommaso (il quale
ce ne dié i nomi) si conserva ancora presso le Clarisse di Assisi. Benché ve ne sian
494 G. COZZA-LUZI

speciale relazione fatta dal vescovo Bartolomeo al pontefice che
nel principio del nostro documento lo stesso Celanese appella La
vita... primo descritta dal. Rev. messer Bartolommeo vescovo...
seppur non fosser cose unite. Forse taluno può pensare che
dal tacere degli atti e dei documenti e dal descrivere le sue ri-
cerche sembrerebbe che queste sue ricerche storiche fosser fatte |
da se stesso individualmente. presso le suore e gli antichi frati.

Inoltre a ciò persuadere pare che si aggiunga il suo rigoroso

copie eziandio a stampa (Bull. Fr., I, p. 684 ed altrove), pure; ad illustrazione. del
nuovo documento, giova qui riferirlo più esattamente: è del 1253, ottobre 18:

Innocentius Epws servus servorum Dei: epo Spoletano salutem et aplicam bene-
dictionem.

Gloriosus Dominus in sanctis suis; qui facit mirabilia magna, solus, fideles suos |
quos ad superne premia glorie ac celestis beatitudinis bravium eligit, post. cursum
et transitum huius vite multimoda et miranda signorum ostensione declarat, ut per
signa et prodigia et talium tamtorwmmque testimonia mirabilium que unius in trinitate et
trium in wnitate Dei tantum possiuilia, swnt potentie intellecta, quasi virtus conspi- 1
ciatur altissimi, et reverentius adorentur magnum, et amirabile nomen eius in terris yd x»
cuius Manet in evum. imperium. tonatque maiestas mirifice in eacelsis.

Hiis wtique desiderabilibus illecta premis, sincete memorie Clara abbatissa Pau-
perum inclusarum monialium Sancti Damiani Asisinatis, attendens illud. propneti-
cum: audi fiia, et vide et inclina awrem tuam, et obliviscere Populum tuum et domum
patris tui, quia Rex tuam, speciem concupivit, caducis et transitoriis terga, dedit, seque È
ad anteriora convertens omnino posteriora oblita pronum et promptum. suum à.
prebuit auditum, oraculo, non fuit in mora prosequendi celeriter quod delectabat aas-
dire. Moxque abnegans se suosque ei sua, Christum pawperem, regem regum adama-
vit in sponsum, adolescentula tamm. regalis; seque ipsi in humilitatis spiritu, mente et
corpore totaliter devovens, hec duo precipue bona pro dote quasi: spopondit eidem,
pawpertatis donum votumque castimonie virginalis. Sicque innota est virgo pudica de-
sideratis virginis sponsi ampieribus et de intemerate virginitatis thalamo ammiranda
cwnctis fecunda . castaque roles prodiit, que sub sancte sue conversationis odore,
ac amore salutaris admodun professionis Deo afftuenter ut plantatio celestis fructifi-
cat per cuncta fere mundi climata dilatata. Heo inquam. sponsa dum hic vixit mor-
tua quidem mundo, sic altissimo placuit affectibus effectibusque virtutum. et satuta-
rium studiis operum, quod postquam feliciter obiit quin potius abiit de hoc seculo pia |
remunerationis-omnium bonorum dignatio que sue habundantia pietatis et merita |

\

supplicum excedit et vota, pro sui exaltationis nominis quod est gloriosum in secula,
claris ipsius Clare meritis interpellantibus, apud eum magna prestare fertwr petentibus
beneficia, multaque per ca eiwsque interventw in terris, et varia miracula operari. i

Cum igitur dignum, debitumque nimis existat ut illa quam: divina clementia |
dicitur, venerabilem. suis fidelibus exhibere per gratiarum huiusmodi munera. et mi- |
raculosa insignia percolenda, in militanti Ecclesia honoretwr, fraternitati tue per |
Apostolica scripta mandamus quatenus de vita conversione et conversatione ipsius |
ac de. predictis. miraculis corumque circumstantiis wniversis inquiras, secundum ‘in-
terrogatoria que sub bulla nostra tibi mittimus vinterclusa, diligenter. et sollicite veri- '
tatem. Et que super premissis inveneris, fideliter, publica manu conscripta sub. tuo j
sigillo nobis studeas destinare. Ut cuius anima stola immortalitatis iv, celis letari iam i
creditur ; dignis hic laudibus cam devota iustorum concio prosequatur.

Datum Laterani XV. Kal. novembris Pontificatus nostri anno wndecimo.

Lo scrittore della bolla si firma Ger p.

I III 7 ae Cae

- È —_ ———

COMUNICATI

criterio critico o per le memorie storiche da attingersi da nessun
altra fonte che da scrittori che fossero testimoni oculari od au-
riculari, secondo l' antico costume. Egli però descrisse il criterio:
non licuisse aniquitus historiam texere nisi iis qui vidissent
aut a videntibus accepissent (4).

Ben altri eriteri ebbe lo serittore volgare (2) raccogliendo da

‘ diversi fonti e non già alla sola relazione del vescovo spoletino e

commissari destinata ad Innocenzo VI.

Questa relazione, come udimmo, era in forma autentica. per
mano del notaro fatta al tempo d’ Innocenzo IV. Sopra siffatta
relazione o vita, e dopo assunte altre notizie, fu scritta la leggenda
del Celanese per il pontefice Alessandro, nella quale non fu posto
tutto quello che i commissari avean notato, e molto meno quello
che fu lasciato scritto circa la santa in altre memorie ed altri
scritti dei frati.

Estendendo pertanto le sue ricerche ed accettando altre fonti
ove attingere, lo scrittore volgare del manoscritto Magliabechiano
ha tessuto quasi una nuova istoria, ove molto ha inserito del
nuovo e non tutto forse ha introdotto dalle prime fonti.

Se egli avesse avuto avanti i suoi occhi gli atti processuali
e non soltanto indicazioni iniziali e vaghe, dovremmo attenderci
da lui molto di piü, e di più preciso del suo scritto.

E ciò diciamo con tanto maggior fondamento, in quanto che
pensiamo che con tali documenti alla mano non sarebbe caduto in
diverse ‘inesattezze storiche o cronologiche, che sembrano manife-
ste anche senza troppo sottilmente esaminare in aleuni punti la
critica (3).

Sinora non potemmo dal fuggitivo esame del manoscritto for-
marci un'idea precisa dell’epoca dello scrittore (4). Ricorderete voi,

(1) Lo appelliamo così perché non pare che il suo testo fosse stato originalmente
latino.

(2) Vedi la parte latina riferita dal CuPER l. c. .

(3) Lasciamo di portar in mezzo i tratti del manoscritto che. esaminammo, non
sembrandoci di giovamento alla storia, mentre siam lieti di accertare T autore della
leggenda di S. Chiara.

(4) Avendo fatto leggere il piecolo lavoretto al ch. P. Ilario, come persona com-
petente per gli studi critici sopra S. Chiara e il suo tempo, si é ricevuta la seguente
lettera:

Monseigneur,

En vous reiettant votre savante dissertation sur le Ms. de la bibliothéque Ma-

gliabechiana de Florence, je ne puis m'enmpécher de vous exprimer ma satisfaction

29

x
anne
RIZZI

426 : G. COZZA-LUZI

caro amico, che appena svolgendolo, trovammo sulla fine dirsi
che aleuni prodigi accadevano da 130 anni dopo che il velo di
S. Chiara si conservava a Firenze nel monastero di Monticelli.
Allora ci balenó il pensiero che in ció fosse indicata l'epoca dello
scritto e ad un tal tempo di distanza dopo la morte di Chiara. Que-
sto ci avrebbe indicato lo scorcio del secolo XIV ossia 1253 + 150
=.an. 1383, e sarebbe questa una data preziosa. Ma rileggendo
il contesto troviamo che quel brano è tolto di peso dal libro C o n-
formitates di fr. Bartolomeo Pisano, e quindi non giova alla
crilica se non ad affermare che il raccoglitore era posteriore a
quell’anno notato in cifre rotonde, e che quella si è l'epoca del
Pisano.

Sospingendo ancora oltre le osservazioni critiche e parlando
del testo italiano, sembra a me come sembrò a voi, che il modo
di serivere era di oltre un secolo ancora posteriore, ossia del se-
colo XVI. |

Sembra inoltre che l'autore si trovasse alla cura od alla co-
noscenza delle suore di Firenze, e che si dovesse ricercare fra
gli scrittori di circa quell' epoca antecedente ad Alessandro Gui-
dotti; e probabilmente egli fu uno dei frati minori.

Ben volentieri qui ci fermiamo, lasciando che altri del luogo
proseguano le loro indagini sul documento da noi posto in vista
non senza qualche utilità storica, mentre facciamo voti che si tro-
vino i documenti processuali colla relazione del vescovo Bartolo-
meo di Spoleto, donde si avrebbero le fonti più accertate.

Intanto voi, amico carissimo, accogliete coll’ usata bontà que-
sti appunti, qualunque essi siansi, e fatene quell'uso e governo
che credete, essendo più cosa vostra che non dello. scrivente.

Vaticano, 15 marzo '95.
G. Cozza-Luzi.

en méme temps que ma reconnaissance. Je góute fort vos obsevations sur ce Ms. de
la legende de S.te Claire; et je me réjouis en particulier de la découverte de l'auteur
de cette légende. Thomas de Célano est. donc le 1er biographe de S.te Claire aussi
bien que de S. Francois: et j'oserais presque ajouter, et encore de S. Antoine de Pa-
doue:; ce qu'on prouverait facilement par la comparaison de la légende de S. Antoine,
découverte et publiée il y a quelques années. Je prie S. Antoine de nous obtenir le
temps de faire cette derniére démonstration pour enrichir davantage votre beau tra-
vail. Agréez, Monseigneur, les profonds respects de votre humble et dévoué. Hilaire de
Paris. D. C. : È
4 mars 1895 — Collége $. Isidore, Rome.

v
wr

COMUNICATI

PERUGIA E TODI NELLA SCOPERTA DELL'AMERICA

Al On. Sig. Prof. Gustavo Dott. UzieLLI

v

Firenze.

Amico Carissimo,

Ho letto da tempo con molto piacere il tuo articolo pubbli-
cato nel fascicolo X della « Nuova Antologia » dell’anno XXVIII
e che hai intitolato 1 Alba della scoperta dell’ America.

Non facile lodatore, permetti che: mi rallegri teco e del ra-
gionare opportuno, e delle conclusioni importanti che ne induci.
Ho sempre pensato sino da giovinetto che per nascere i funghi
conviene vi sia, oltre il clima, un germe qualsiasi nella terra che
dia questo frutto. Così ho sempre dedotto sull'idea della scoperta
dell’ America.

Quando mi occupavo di studî, cosa che non posso più fare al
presente come desidererei, nelle ricerche sul prete Gianni, nell’ illu-

‘ strazione della sfera del Danti accennai a questo dubbio.

Il tuo lavoro è prova che io non era nel falso, e le conse-
guenze che deduci dal ritrovo di Todi presso il letto del Cusano,
sono non solo opportune e felici, ma mi sorride il pensiero che
la scoperta di nuovi documenti le provi vere e reali. E a pro-
posito di funghi, come tu tenti provare che l’idea dell'America
fece capolino in quella casetta ed ebbe la sua conferma presso il
letto di un dottissimo moribondo, così io ho sempre sostenuto che
in Italia, in quel torno d'anni, la possibile esistenza di terre ignote
ad occidente era argomento che si dibatteva dagli scienziati, come ECC RI ose CAEN a A

So

498 L. MANZONI

io diseuteva col signor De Lollis in un colloquio avuto à Roma con
esso assai prima che tu stampassi il tuo articolo. Non devi creder

che il Vespucci sia saltato fuori un gran viaggiatore e desideroso
di nuove scoperte come un fungo.
Il Vespucci aveva in famiglia chi gli ribadiva continuamente ?

giorno per giorno l'idea della possibilità della scoperta di nuove
terre oltre quelle designate da Colombo.

A Firenze non era solo il Toscanelli a studiare la questione:
vi erano per lo meno i due zii del Vespucci, tra cui dottissimo
era quel Giorgio Vespucci preposto della cattedrale fiorentina, il
Berlingheri, ecc.

E che la questione dell’ America in Firenze fosse tema d’ at-
tualità, come oggi si dice, lo provano le opere manoscritte e quelle

stampate dei dotti dimoranti in quella città, o altrove in quegli
. ultimi anni del 1400. i

Il Lilio Zaccaria netsuo Breviarum Orbis (Firenze, 1493) scritto |

|

1

prima del 1464, accenna a quel possibile fatto, e tutti gli scrittori
di quel torno nelle opere loro inedite pubblicate posteriormente
accennano a terre ignole da scoprirsi ad occidente ed a mezzo-
cM giorno: in tutti si sente la febbre di novità. E noto che il libro del
E Lilli è dedicato ad un Bosi veronese, rettore del convento dei ca
canonici regolari presso Fiesole, dove dimoravano, o meglio sta- |
vano rinchiusi il Poliziano e Pico della Mirandola perchè puzza-
vano di protestantismo. |
Ora puoi figurarti se io sono tutto nell'ordine delle tue idee
e se sono convinto, convintissimo che da quanto tu hai pensato
e scritto ne verranno delle conseguenze oltre ogni dire impor-
tanti !
Non sarebbe strano il supporre che il Giraldini, vescovo d'A- i
melia, spedito nunzio in Spagna, venisse prescelto per essere piü
d'ogni altro edotto della questione per la vicinanza della città,
sede del suo vescovato, al sito ove fu l'alba della scoperta del-
l'America e polesse potentemente sostenere e difendere l'idea
di Colombo al congresso di Salamanca. Adesso si spiega come a .
Perugia fosse un focolare di questi studi, ed il Toscanelli tornando
da Todi a Firenze avesse potuto ammirare il grande ingegno del
Danti, istruirlo della questione, ed ammirato del suo vastissimo e
potentissimo sapere per cui fu detto Dante, potesse seco lui ra-
COMUNICATI 429

gionare dell'argomento, discutere sulle sue induzioni astronomiche
e geografiche per scriverne poscia all'amico Martinez, con cui
anni prima aveva tanto trattato se quel canonico ulieponensis
è il dotto Sivigliano.

E come spiegare diversamente la presenza di questi due sa-
pienti presso il letto del più dotto principe della Chiesa cattolica,
l’amico più caro di Pio II? A taluni queste notizie sembreranno
congetture ardite, ed altri le giudicheranno sogni di esaltata im-
maginazione. Nè io mi spavento di. tali giudizi, ripensando che
un tempo non si sapeva chi fosse il Toscanelli, come si diceva
che Colombo era uno zotico marinaro.

Oggi i documenti provano evidentemente quanto fossero er-
ronei tali giudizi, ed io mi auguro che quest’ Umbria, tacciata di
sonnacchiosa da un erudito straniero con soverchia facilità, possa
fornire i documenti che provino l'esattezza dei fatli annunciati,
come non passerà molto tempo che altri ne potrà metter fuori
ignoti ai più per la storia letteraria della Germania.

Vedi adunque quale importanza ha la tua scoperta, scoperta
che io proseguirò con affelto, se gli affari mi lascieranno un poco
di agio per attendere agli studi. Intanto posso dirti che. il Danti
e sua figlia cominciarono gli studî sulla sfera del Sacro Bosco fino
dal 1467 e se non prima. Posso dirti che assieme all’ astrolabio

‘ Vincenzo Danti costrusse una sfera armillare che tuttora esiste.

Posso dirti che di questa famiglia e di Alfano, Alfani, di cui ho
trovato le tavole astronomiche, ho già in pronto una serie di do-
cumenti sino ad ora sconosciuti (1). .

Più cose vorrei scriverti, mio caro amico, ma non ne ho agio,
e gli ameni studî dovranno presto cedere il luogo ad occupazioni
agricole; il sole si è fatto brillante e caldo, e mi chiama alla cam-
pagna a sopraintendere alle cure che ad essa si debbono. Abbiti
adunque questa mia lettera, scritta sino dal gennaio scorso, e che
ha dormicchiato sul mio scrittoio, perchè distratto da cure ben
diverse da quelle che si danno agli studî, e tu nel molto tuo sa-
pere falle buon viso, guidato da quella antica amicizia, che formò

(1) Siamo lieti di annunziare la pubblicazione di questi studî del valente nostro

socio conte Luigi Manzoni in uno dei prossimi numeri del Bollettino.
È N. d. Red.
L. MANZONI

tra noi comunanza di studi e d'intendimenti, e che sebbene sbal-
zato a destra e a sinistra d’ Italia, non venne mai meno in tanto
. volger d'anni.

Sta sano e seguita a voler bene all'amico tuo antico

Perugia, 24 maggio 1894.
L. MANZONI.
m

PRI

431

ANALECTA UMBRA

Nel vol. II della Statistica delle Biblioteche (Roma, 1894) compilata
e pubblicata per cura del Ministero di Agricoltura, Ind. e Comm., sono
comprese le notizie delle biblioteche di Assisi, Foligno (Comunale), Gub-
bio, Perugia (Comunale e di s. Pietro), Rieti, Spoleto e Terni. Notiamo
che con soverchia fiducia si sono qui inserite le notizie comunicate, non
sappiamo se dai bibliotecari o dai sindaci, al Ministero. A Gubbio, p. e.,
è detto ch’ esiste tra i mss. della Sperelliana la « Storia di cose notabili
e recondite » (proprio cosi!) del Cantinelli, e la « Rerum mundi histo-
ria » (proprio cosi!) dell’ Armannino: del Greffolino non v'ó la « Storia
di Gubbio », ma una brevissima cronaca e di limitatissimo valore. Meglio
sarebbe stato rimandare all’ Inventario che ne fu pubblicato dal nostro
valentissimo Mazzatinti negli Inventari dei mss. delle bibl. d'Italia, vol. I.

E uscito il fasc. 4 del vol. I, del Catalogo de I Manoscritti della
R. Bibl. Riccardiana compilato dal dott. S. Morpurgo (cfr. questo Bollet-
tino, I, 165). Il ms. 1186 contiene una predica di fr. Vincenzo da Narni,
detta in s. Maria Novella il 4 marzo del 1492; e due di fr. Battista da
Montefalco; dette, non sappiamo in quale anno, in s. Croce di Firenze.
Nel ms. 1195 sono le « Laudes symiae Iohannis Spoletani. » ‘Tra le rime
del ms. 1251 leggonsi la ballata « Udite matta pazzia » e il sirventese
« La giustizia m' invita a torre la spada » di Iacopone da Todi.

In appendice a tre eruditissimi studi sugli Scrittori cortigiani del
Montefeltro (Roma, tipogr. dell’ Accad. dei Lincei, 1894) del prof. Giov.
Zannoni nostro Socio corrisp., leggesi la nota « de la sua famiglia che
teneva » il duca Federico. Tra i Conti di sua corte è notato « Iulio Ce-
sare da la staffa da Peroscia », « Pompeo delli Oddi da Peroscia » e
Federico Bandi di Petroia: tra i gentiluomini, Bartolomeo da Norcia,
Bonifazio d’ Orvieto, e Pierpaolo e Berardino di messer Francesco Ga-
brielli di Gubbio : tra gli uditori e consiglieri, « M. Leonardo Dolce de
Lottis de Spoleto » : tra i maestri del Duca in gramatica, logica e filo-
sofia è « maestro Lazaro Racanelli da Ugobio » che fu poi vescova

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ANALECTA UMBRA

d’ Urbino: tra gli ambasciatori, un Federico da Gubbio residente a Mi-
lano; tra « li seudieri che servivano a tavola» è Guidone del Dolce di
Gubbio: tra i paggi Federico di Gubbio, detto Margante, Federico di
Antonio di Carlo e Traverso di Gubbio: tra « li putti che cantavono »
Giacomo di Gubbio e Bernardino d' Antonio Santiechia pure di Gubbio ;
tra gli staffieri, Berardino e Michelangelo da Gubbio, e un Fiorino da
Perugia : finalmente, tra « quelli che haveano la cura del s. Guidu-
baldo quando era pieholino » un « Paulo da Ugobio ».

Nel recente volume di Nuove Rassegne (Livorno, 1895) l’ illustre cri-
tico prof. Francesco Torraea con genialità e dottrina veramente cospicue
tratta, fra i tanti argomenti di storia e letteratura, degli studi. del pro-
fessore A. D'Ancona sulle Tradizioni carolingie in Italia, e del prof. P.
Raina sui Contributi alla storia dell’ epopea e del. romanzo medievale;
pubblicati negli Atti dell’Accad. dei Lincei e nel vol. XVIII della Ro-
mania. Naturalmente tocca pure varî punti di quegli studî che si rife-
riscono alle tradizioni cavalleresche nell’ Umbria, riassumendole e, dove
occorreva, opportunamente facendo correzioni ed aggiunte. Il Raina
aveva notato che la presenza di nomi dell’ epopea carolingia negli anti-
chi documenti indica il divulgarsi dell’ epopea medesima. nelle regioni
d'Italia; e non manca di notare, per es., un Margante frà i reggitori
di Foligno del 1289. Utilissima impresa sarebbe di raccogliere dalle carte
inesplorate degli archivi nostri altri nomi della epopea; della quale, così,
. confermerebbesi nell’ Umbria la propagazione e la popolarità. Chi vorrà
por mano a un simile paziente lavoro, sappia che nel Libro Rosso del
Comune di Gubbio appare tra i consiglieri del 1237 un Vivianus e in
un atto del 1217 un Abrunamons. Negli Annali Decemvirali di Perugia
è fatto il nome di un Bonusaccursus Viviani del 1489 ; di un Aguramons
Rainutius Keice (è probabilmente, secondo il Raina, il Kex della corte
di ‘Artù, che nelle carte è detto talvolta Chesio) del 1901; di un Marsi-
lius del 1202 e di uno Spinellus del 1252. Trale carte dell'archivio della
Cattedrale di Gubbio trovasi un Baliganus del 1958 e Bareganus nel
1205: Margaritus nel 1264 e 1279; parecchi Viviani dal 1151. in poi ;
tre Sibilie nel 1112, 1929 e 1926 ; Aston dius (Estorolo o Estore?) nel 1113 ;
due T'urpini nel 1919 e 1930 ; un Marsilius nel 1228; dae TO
nel 1231 e 1243; un Agolante nel 1932. Anche e’ è da spigolare tra i
documenti stampati degli archivi nostri : per es., i nomi di Viviano, A-
guramons, Ieizo, Danese, eec. ricorrono nei Diplomi e carte diplom. dal
‘secolo XII in poi pubblicati dal barone A. Sansi nei Documenti storici
ined. in sussidio allo studio delle memorie umbre (Foligno, Sgariglia,
1879) e nel Codice Diplomatico di Orvieto dal Fumi (Firenze, 1884).

n Tit
ANALECTA UMBRA 433

Per iniziativa ed a spese del Comune di Siena fu nel 1893 pubbli-
cato un saggio d'un ampio lavoro su le Origini dello studio senese; ha,
continuato le ricerche storiche su tale argomento il prof. L. Zdekauer e
ne ha recentemente formato un ottimo libro col titolo Lo studio di Siena
nel Risorgimento (Milano, Hoepli, 1894). Di molti umbri, lettori e’ stu-
denti, qui s' ha ricordo. Nel 1323 Pietro da Gubbio era « sotius Rectoris
seolarium ultramontanorum, sindieus et procurator universitatis scolarium
Studii » : lettore « in loicha et in filosofia » dal 1338 al 39 fu Matteo di
maestro Agnolo da Orvieto e in iure ecclesiastico Paolo di Petruccio dei
Gabrielli di Gubbio nel 1366 ; dal 1408 al 30 furono lettori in diritto ci-
vile Onofrio da Perugia, Luca pure da Perugia, Renedetto Barzi e Sal-
lustio del fu Guglielmo dal Montemorcino. Nel 1418 conseguirono il di-
ploma in utroque iure Angelo di Andrea Bernardini di Perugia e in di-
ritto canonico Valentino Angelelli di Narni. Dal 1432 al 95 furono stu-
denti Antonio di Luca da Spoleto, Marino da Spoleto, Andrea de Gui-
donibus da Perugia, Girolamo di maestro Iacopo da Città di Castello,
Paolo Ondedei da Gubbio, Bartolomeo di Iacopo da Gualdo, Moscato de
Benedicto da Spoleto, Paolo d’ Antonio di Benedetto da Gubbio, Gio-
vanni da Todi, Cristoforo di Nicola da Città di Castello, Gianfrancesco
da Spoleto, Giovanni Antonio da Spoleto ‘e Giambattista di ser Pietran-
gelo pur da Spoleto.

D’ altri umbri lettori in Ferrara ricaviamo nomi e notizie dalla mo-
nografia dell'avv. G. Secco Suardo su Lo studio di Ferrara a tutto il
sec. XV (in Atti della Deputaz. prov. di st. patria di Ferrara; vol. VI,
1894): cioè di un Bandino Leopardi da Foligno, ricordato in due diplomi
del 1419 e 1427; di Diotisalvi da Foligno, di cui è menzione in due al-
tri diplomi del 1442 e 1444; di Muziolo da -Perugia, 1444; d' Angelo
Ubaldi da Perugia, 1462-64; di Benedetto Barzi, 1455-59; di Filippo
Franchi da Perugia, 1466-70, già dal 56 al 66 lettore nello studio di
Padova.

Della Biblioteca Comunale di Perugia, di cui il catalogo dei mss.
si va pubblicando dal prof. A. Bellucci nella raccolta degl’ Inventari dei
mss. delle Biblioteche d’ Italia a cura di G. Mazzatinti, 6 detto breve-
mente nella prefazione al libro di Tommaso Guglielmo Allen, Notes on
Greek mss. in italian Libraries (London, David Nutt), estr. dalla Clas-
sical Review, 1889-90. Lo stesso autore nell’ a, X, 1893, del Centralblatt
fur Bibliothekswesen, pag. 470-476, dié utili notizie su The Greek mss.
of Perugia; e nell’ a. XI, 1894, pag. 405 e sg., tornò su lo stesso argo-
mento W. Weinberger, Zu den griechischen Handschriften von Perugia,
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cao:

494 ANALBCIA UMBRA

Nel fasc. 73 del Giornale storico della letteratura italiana il prof. Il-
debrando della Giovanna ha pubblicato un diffuso e accuratissimo studio
su s. Francesco giullare e le « Laudes Creaturarum »: le sue conclu-
sioni son queste: « Si sa che s. Francesco ha composto una lauda delle
creature come pure ne ha composto una intorno alla virtü ed altre a
Maria; se poi la lauda delle creature fosse dettata in volgare, se in versi
o in prosa assonanzata, non si sa; si ha quindi ragione di dubitare che
il cantico volgare attribuito a s. Francesco non sia veramente opera sua:
in ogni modo la eritica oculata, ben lungi dal considerarlo come il piü
antico esempio di poesia religiosa popolare scritta in volgare, deve pru-
dentemente collocarlo tra i.documenti di dubbia autenticità, siccome fat-
tura anteriore alla compilazione dello speculum. perfectionis, che è forse
dei primi del trecento, ma posteriore, almeno nella forma in cui ci è
stato tramandato, alle più antiche leggende del Santo, e forse apparte-
nente alla fine del dugento ».

Il sig. E. Nunziante continua nell'Archivio storico per le prov. Na-
poletane la pubblicazione d'un'ampia monografia su I primi anni di Fer-
dinando d’ Aragona e l’ invasione di Giovanni d’ Angiò. Nel fase. 4 del
1894 leggonsi i capp. 8 e 9. che trattano La politica verso il Piccinino

dalla resa di Assisi alla pace con Sigismondo Malatesta.

Dal vol. IV della Collezione Edelweiss contenente il catalogo del Mu-
seo e della Galleria Borghese, compilato con somma cura dal prof. Adolfo
Venturi nostro socio corrispondente, deduciamo utilissime notizie per la
storia dell’arte nell’ Umbria. — Num. 24. Il giudizio di Paride di Ago-
stino Tassi perugino. È opera fatta a gran furia. — Num. 998. Una
santa monaca, tavola già attribuita al Mazzolino, « ma evidentemente
è di un debole seguace del Perugino. Pei toni biancastri, per la povertà
delle forme di stucco, ricorda Sinibaldo Ibi ». — Num. 344. Una batta-
glia di Francesco Allegrini da Gubbio. — Num. 367. La Vergine col
bambino, della scuola del Perugino: « molte copie simili [di questa ta-
vola] si trovano in parecchie gallerie e tutte vanno sotto il nome di Gio-
vanni Spagna e di Eusebio da s. Giorgio. — Num. 375. La Deposizione,
tavola di scuola umbra. È una predella d’altare : « così fiacca ne’ drap-
peggiamenti, nel modellato delle teste, da non lasciare ammettere 1' an-
tica attribuzione del quadro al Perugino. — Num. 377. Cristo in croce
coi ss. Cristoforo e Girolamo, tavola di Forenzo di Lorenzo perugino.

Il prof. Venturi che minutamente descrive e molto loda quest'opera, af-

ferma ch’ è di perfetta conservazione ed à « singolarissima per estrema
finezza ». L'attribuzione a Fiorenzo è del Venturi. Il Morelli la die’ al
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|

ANALECTA UMBRA 43b

Pinturiechio accettando il giudizio del Vermiglioli ; ma questi « parla

di un quadro d’ altre e maggiori proporzioni ». — Num. 386. S. Seba-
stiano, copia antica da Pietro Perugino, la quale presenta differenze col-

l'esemplare ch' è nella galleria Sciarra. — Num. 394. S. Sebastiano, ta-
vola peruginesca; « opera materiale assai e debole di disegno ». —
Num. 395. Gesü alla colonna, tavola che portó il nome di Andrea di As-
sisi ; il Venturi l'assegna alla scuola perugina. — Num. 397. Ritratto
attribuito all’ Holbein, al Perugino e a Raffaello. Il Morelli suppose che
sia il ritratto del Perugino; il Minghetti del Pinturicchio: ma non così
pare al Venturi che reputa « l'opera possa aggiudicarsi al Pinturicchio
per la forza del carattere e anche per l’intonazione della testa ». —
Num. 399. Ritratto già supposto di Raffaello che il Morelli attribuì a
Domenico Alfani ed altri a Timoteo Viti e al Ghirlandaio: il Venturi
lo dice di scuola perugina. — Num. 401. La Vergine col bambino, scuola
di Pietro Perugino. — Num. 402. La Maddalena ; antica imitazione del
dipinto n. 42 della galleria Pitti ch’ è di Pietro Perugino. — Num. 486.
Supposto ritratto di Alessandro. Braccesi, copia dal Perugino, anzi sua
« torbida copia »: secondo il Venturi non è il ritratto del Braccesi.

D’ una monografia diligentissima su Marco Palmezzano e le sue
opere del prof. Egidio Calzini s' è pubblicata l' ultima parte nel fase. 6,
a. VII, dell’ Arch. stor. dell’ arte. L’ a. non ha dimenticato di notare la
tavola, rappresentante Gesù che porta la croce ed eseguita dal pittore
forlivese nel 1535, che ancora conservasi nel palazzo Ranghiasci Bran-
caleoni di Gubbio. Segnaliamo ancora la riproduzione fototipica del di-
pinto del Palmezzano, ora nella Galleria degli Uffizi, il quale, perchè è
« di carattere profondamente umbro, si attribuì un tempo al Perugino.
Infatti vi si appalesano molti caratteri di questa scuola ».

Tra i sigilli acquistati di recente e collocati nel R. Museo Nazionale
di Firenze, è quello « Servorum Recomparatorum de Eugubio » ; quello
di Vanne di Nero, con uno stemma (partito con tre rose a colori con-
trarianti) forse dei Manentoli di Trevi; e quello di ser « Nini Masuli
de Spello » portante un uccello entro un ornamento quadrilobo. Rica-
viamo tali notizie dallo splendido vol. Le Gallerie Nazionali italiane
(Roma, 1894) pubblicato dal nostro socio corrisp. prof. Adolfo Venturi.

Sulla fontana di Perugia, opera mirabile, compiuta nel 1278, di
Nicola da Pisa e di Giovanni suo figlio, è una importante notizia di
Marcello Reymond nel fasc. VI dell’ Arch. storico dell’arte. Con essi
collaborò, come ricavasi da « documenti recentemente scoperti », Arnolfo
= EET de Sr sdutigg gere mE ie
NEP; dre RC Yer, ROSE

| 486- ANALECTA UMBRA

di Cambio. Studiati accuratamente i lavori dei due Pisani, l' autore è pro-

clive a credere che i cinquanta bassorilievi che decorano il bacino infe-
riore possano « appartenere ad un periodo d'arte più recente che le
statuette ; e se è più logico di attribuire le statuette a Nicola, sefnbra
piü verosimile d'attribuire i bassorilievi a Giovanni da Pisa o ad Ar-
nolfo di Cambio ». Il gruppo di bronzo è indiscutibilmente di maestro
Rosso da Perugia; tanto è vero che vi è inciso il suo nome. Delle leg-
gende delle statue e dei bassorilievi è dato dall’ a. il catalogo con brevi
enunciazioni illustrative.

. Un eretico umbro, Bartolomeo Bartoccio. — Gli storici, che s' oceu-
parono degli eretici d' Italia per nulla studiarono le vicende di Barto-
lomeo Bartoccio, nato a Città di Castello nella prima metà del secolo :
XVI ed abbrueiato in Roma per eresia nel 1569. Il solo Macerie gli de-
diea poche righe piene di inesattezze, o peggio, che furono poi copiate
n in librieeini di propaganda evangelica (THoMAs MaccRIE, Storia del pro-
gresso e dell’ estinzione della riforma in Italia nel secolo XVI. Trad.
dall inglese, Parigi, 1835). |

REPERI ORUM III I

Peraltro dagli Archivi di Roma, Genova e Ginevra s’ è potuto rica- i
E vare tanto che basti per conoscere appieno le credenze del Bartoccio e Ji
per capire le ragioni che lo condussero al rogo (M. Rosr, La riforma i
religiosa in Liguria e U eretico umbro Bartolomeo Bartoccio. Atti della
S.L. di S. P., vol. XXIV, cap. 2, Genova, 1894).

Egli abbandonata la patria per seguire le-dottrine calviniste, fin dal
1555 s’ era stabilito a Ginevra, dove prese moglie e visse parecchio tempo
tranquillo esercitando come tanti altri esuli italiani la mercatura, fino

o e

a che non se ne tornò in Italia, per ragione di commercio, disse lui coi
suoi amici, per diffondere l' eresia dissero i suoi accusatori. Fu in Sici-
lia e a Napoli, passó da Roma, e.il 20 ottobre 1567 giunse a Genova,
dove, a richiesta del S, Ufficio, venne incarcerato dalla Repubblica, che
promise di mandarlo subito a Roma. Però il Senato di Ginevra serisse
tosto lettere ai Genovesi pregandoli di liberare il Bartoccio. I governa-
tori di Berna aderendo alla domanda dei loro confederati fecero altret-
tanto unendo. alle preghiere in pro del prigioniero anche la minaccia
di rappresaglie contro i cittadini genovesi che per affari si recavano
nella Svizzera. È

. In questo tempo un certo numero di eretici pullulavano in Liguria
e la Repubblica era sempre disposta a grande servitù contro di loro o
fossero cittadini genovesi o stranieri; ma nel caso del Bartoccio, pur t
convenendo ch' egli meritasse ogni più grave punizione, faceva osser- :
vare al Pontefice che consegnandolo alla S. Inquisizione Romana. si sa-
n ren ri

ANALEGTA UMBRA 491

rebbero esposti i Genovesi che andavano fra gli Svizzeri alle vendette

« di quei barbari ». Inutile: il Papa volle a Roma il Bartoecio, che:

sottoposto al processo fu condannato al rogo, come reo di eresia. E per-
severando in questo, il 25 maggio 1569 « fu mandato al fuoco », seb-
bene la Repubblica sollecitata dai Governi di Ginevra e di Roma, si
adoperasse perchè almeno gli si risparmiasse la vita. Lunghe, intralciate
trattative si fecero riguardo al Bartoccio. Basti dire ch’ egli fu arrestato
il 20 ottobre 1567, consegnato all’ Inquisizione G. R. il 29 gennaio 1568
ed abbruciato il 25 maggio 1569. E tutto questo tempo durò la corri-
spondenza della Repubblica di Genova colla Curia Romana che accusava
il Bartoccio, e colle città di Genova e di Berna che lo difendevano,
Questa corrispondenza si è studiata specie nel R. Archivio di Stato in
Genova traendone materia sufficiente a serivere un capitolo che non sem-
bra privo d'importanza per la storia della Riforma in Italia e che è
certo utilissimo a conoscere il contegno, che la Repubblica di Genova
usava tenere: verso l’ eresia.

La R. Deputazione per gli stud? di storia patria per la Toscana €
V Umbria ha pubblicato il vol. X dei suoi Documenti di Storia italiana,
col titolo: Documenti dell'antica costituzione del Comune di Firenze per
cura di Pietro Santini socio corrispondente della R. Deputazione (Firenze,
presso G. Vieusseux coi. tipi Cellini; 1895, in 4°, pp. LXXIV-744). La
bella e dotta pubblicazione attesa con; impazienza dagli studiosi è una
fonte ricchissima per la storia dei diritti giurisdizionali e delle relazioni
politiche esteriori del Comune di Firenze, e l'egregio compilatore della
raccolta ha diligentemente curata la edizione, che fa precedere dal ca-
talogo degli Ufficiali del Comune di Firenze fino all'anno 1250. L’opera di
cui si dà ragione in una sobria introduzione consta di tre parti : 1.° Capitoli
del Comune di Firenze dall’ anno 1138 all'anno 1250 ; 2.° Atti di giuri.
sdizione e procedura civile dall'anno 1272 all'anno 1250; 3.° Miscellanea
diplomatica dall'anno 1172 all'anno 1250. Seguono tre appendici : 1.° E-
stratti dal BoZlettone (cioè uno spoglio dell’Archivio arcivescovile) ;
9.9 Atti relativi alle Società delle torri; 3.° Estratti della matricola del-
l’arte della Seta. Lo spazio non potendo permetterci un lungo esame del
volume, del quale però si manifesta la importanza per il solo titolo ge-
nerale di esso, ci contentiamo di additare ai nostri studiosi le memorie
che si riferiscono alla regione Umbra. Innanzi a tutto vediamo un trat-
‘tato commerciale fra il Comune di Perugia e quello di Firenze (1218,
marzo 21), interceduto nel palazzo del Comune di Perugia alla presenza
di alcuni fiorentini, fra il console de’ mercanti dell’ una città anche a
nome di essa, e i consoli de’ mercanti, dell’ arte della lana e de’ mer-

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438 : ANALECTA UMBRA

canti di Porta S. M. anche per il Comune di Firenze. Viene regolato il
pedaggio da pagarsi a Perugia dai Fiorentini « pro avere detento et
ablato a Vinciguerra Bacialerii », e viceversa a Firenze dai Perugini,
Un atto con cui Napoleone « Rainaldi comitis Monaldi » e Mazzico da
Bevagna e altri dell' Umbria fanno quietanza al Comune di Firenze
(1908, febbraio 2), fatto nel borgo del castello di Deruta, interessa par-
ticolarmente varie persone della nostra regione, che furono nell’ esercito
dei Fiorentini contro i Senesi. Sotto le date del 1229 settembre 10 e 1935
luglio 4 sono riprodotti due atti contenenti l'uno una società e concordia
fra Firenze e Orvieto contro i Senesi e l’ altro la conferma di detta so-
cietà, già pubblicati dal Fumi, insieme a molti altri documenti concer-
nenti la stessa materia, parte in intiero e parte in transunto nel Codice
Diplomatico della città di Orvieto, che forma il vol. VIII della stessa R.
Deputazione. Col trattato del 16 aprile 1232 il Comune di Firenze contrae
col Comune di Città di Castello, rappresentato da Bonsignore giudice,
una concordia per togliere di mezzo le rappresaglie. Il volume racchiude
in sè una fonte abbondante per la storia delle istituzioni medioevali in
genere, e specialmente notevole è la ricchezza e importanza dei docu-
menti relativi agli eretici, anche per la parte che vi ebbe quel Ruggero
dei Cavalcanti che esercitò più tardi il suo ufficio di inquisitore nelle
parti dell’ Umbria e del Patrimonio di S. Pietro. Sarebbe molto deside-
rabile che questo volume fosse seguito da altri che continuassero la serie
di atti congeneri nello svolgimento della vita fiorentina.

Nella Miscellanea storica senese (an. III, n. 1-2) il ch. Lisini trat-
tando di una nuova zecca dei conti Aldobrandeschi, pubblica una mo-
neta di lega fatta coniare dal conte Aldobrandino detto i] conte Rosso,
‘come rilevasi dalla leggenda. Nel diritto della moneta leggesi -- Comes.
RunzUv' e nel mezzo vedesi la croce com’ è in tutti gli altri denari provi-
sini. Nel rovescio : + Sawor.' PETR', in mezzo il protome del Santo con
-aureola in capo e una grande chiave nella mano destra. Questa moneta fu
battuta in Sovana, residenza del conte, perchè il santo ivi effigiato è
il patrono di quell’ antica città. Ne inferisce che la moneta Aldobrande-
sca, di cui primo parlò il Vermiglioli nostro nelle sue memorie Della
zecca e delle monete perugine, e che poi il Milanesi illustrò nel primo vo-
lume del periodico di Numismatica e Sfragistica, non fu fatta coniare
dal conte Aldobrandino VII da Pitigliano, bensì da Aldobrandino suo

nipote detto da S. Fiora, nato da Bonifazio suo fieliuolo, e detto conte
9 Pe] 3

Rosso (per distinguerlo dall’ omonimo di S. Fiora) che risiedette sem-
pre in Sovana fino al 1284; e conclude essere questa stata coniata nel

i tto

IE ZIO III
iniziali Sar T

annie 7 E

——— epe

ANALBCTA UMBRA 439

feudo di S. Fiora dal cugino dell’ altro Aldobrandino intorno al mede-
simo tempo, cioè alla metà del secolo XIII.

Per nozze Felici-Salvatori il Fumi in un elegantissimo elzeviro col
titolo Giacomo III d'Inghilterra sposo novello in Orvieto (Marsili, 1895),
pubblicava nell'aprile la relazione della gita di questi da Montefiascone
in Orvieto il 21 ottobre del 1719, facendola precedere da una prefazione,
dove si danno le notizie di lui dopo la battaglia di Glenshil per tentare
di recuperare il.trono degli Stuart e del suo matrimonio colla Clemen-
tina Sobiescki. — Il contrammiraglio marchese Enrico Gualterio gentil
mente ci scrive in proposito di questa pubblicazione e ci fa sapere di
conservare i ritratti della famiglia Stuart che in quell’ epoca furono in-
viati come ricordo al cardinale Filippo Antonio-e che rimasero nella sala
d'entrata della villa del Corniolo. Le copie di questi ritratti sono al Bri-
tish Museum a Londra, e furono dovuti prendere dagli originali esistenti
in casa Gualterio, previo consenso del marchese Filippo Antonio, man-
cando alla collezione dei sovrani d' Inghilterra.

Il medesimo Fumi ha mandato in luce il IV fascicolo del Diario di
ser Tommaso di Silvestro notaro. Comprende le memorie dal 1507 al
1510 (pagg. 577-768). Fra la varietà delle solite notizie locali, interes-
santi per i costumi e le tradizioni del tempo, si parla del giubileo di
Giulio II, della lega contro i Veneziani e dei fatti della guerra e della

. pace che seguì fra Venezia e il papa, di Bartolomeo d’ Alviano, del conte

Nicola da Pitigliano, ecc. ecc.

LI) Inventario dei beni di Giovanni di Magnavia, vescovo di Orvieto
e vicario di Roma, a cura del Fumi ha la eontinuazione e fine negli
Studi e Documenti di Storia e Diritto (An. XVI, fasc. 1°, gennaio-marzo
995). Nello stesso fascicolo comincia una memoria pregevolissima compi-
lata su documenti dal Pardi col titolo: La signoria di Ermanno Mo-

naldeschi in Orvieto.

Nella Rivista delle Biblioteche e degli Archivi di Guido Biagi (An.
VI, n. 1-2) è stata riprodotta per intiero la mostra circolare ai soci del
8 ottobre 1894 sul materiale storico.

Il dott. Bartolomeo Nogara in una pubblicazione che è stata in-
serita nell’Annuario dell’Accademia Scientifico-Letteraria di Milano (anno
1894-95) e che ha meritato al suo autore il premio Lattes, ha dato alle
440 ANALEOTA UMBRA

stampe 17 iscrizioni etrusche del Museo Archeologico di Perugia che egli
ritiene inedite, i

Il dott. Enrico Filippini ha pubblicato nella Rivista delle Biblioteche
(anno V, vol. V, numeri 53-60) lo spoglio delle stampe musicali profane
che si conservano nella Comunale di Fabriano. — La più antica di tali
stampe è del 1565 e la più recente del 1611. s

Nel periodico Erudizione e Belle Arti diretto dal prof. Francesco
Ravagli, il signor Ancillotti dà notizia delle due pitture ritrovate nel re-
staurare la faeciata dell'Ospedale civile di Perugia.

L/ Accademia Properziana del Subasio in Assisi nel decorso aprile
die’ alla luce il 1° numero de’ suoi Atti. — In questo fascicolo è un in-
teressante articolo del Presidente dell’Accademia stessa Ing. A. Brizi
sulla Loggia dei Maestri Comacini in Assisi e si dà con parole cor-
tesi annuncio della costituzione della Società nostra, a fondare la quale
hanno efficacemente cooperato molti egregi membri dell’Accademia Pro-

perziana.

Per le nozze Tatiechi-Meniconi Bracceschi il prof. Giuseppe Bellucci
cogli eleganti tipi della. Tipografia Umbra stampò un opuscolo sugli
« Usi Nuziali dell’ Umbria », nel quale il chiaro autore dà notizie
interessanti sulla consuetudine che i nostri contadini hanno di donare
alle loro belle conocchie e fuseruole ; sulle prime si vedono impressi or-
namenti più o meno rozzi, aventi però un significato simbolico, e sulle
seconde è scritto il nome delle dame amate: tanto alcune delle fuseruole
quanto taluni degli ornamenti sono riprodotti a fianco della dotta illu-
strazione, e questa ha termine con un ‘elenco di iscrizioni impresse in fu-
seruole di terra cotta smaltata (secoli XIV-XVII) rinvenute presso Perugia.

L'On. Guido Pompilj nel decorso marzo tenne nella sala Ginori
a Firenze una conferenza sulla Repubblica Partenopea del 1799. —. An-
che il prof. Oscar Scalvanti il 22 aprile lesse al Circolo Filologico di Fi-
renze sull’Eredità del secolo XIX.

Ai due egregi uomini, che sono lustro della nostra Società e che fu-
rono ammirati dai loro ascoltatori per la dottrina profonda e la parola
calda e brillante le nostre sincere congratulazioni.

Il nostro collega ed amico prof. Filippo Sensi discorre sulla Passe-
gna Bibliogr. della Letteratura italiana (anno IIT) della recente pubbli-
gup ae -—

ANALECTA UMBRA 441

cazione, da noi già annunziata nel 1° fasc. del Bollettino del p. ab.
Cozza-Luzi sopra S, Chiara, e fa alcune osservazioni molto proprie sulla.
ipotesi da questi sostenuta per identificare la bolla di Innocenzo con le
narrazioni dell’ « Antica vita » e del « Liber Conformitatum ».

L'esimia scrittrice contessa E. Caetani Lovatelli ha recentemente
illustrato in una dotta memoria, presentata all'Accademia de’ Lincei,
una piccola larva convivale in bronzo, rinvenuta fin dal 1875 in Perugia,
nello scavare le fondazioni dell’Albergo Brufani, ed esistente fin d'allora
nella collezione Bellucci.

Codesta larva ha stretto rapporto con l'esemplare consimile, però in
argento, rinvenuto in Pompei ed ora nel Museo nazionale di Napoli.
Entrambe richiamano alla mente la vivace descrizione tramandataci da
Petronio (Satyr. XXXIV) dell'opulenta cena del borioso 'Trimalcione, il

‘quale facendo ad un tratto comparire in sulla mensa una piccola. larv:

argentea e movendola mediante catenelle, invitava i commensali non che
a considerare di quanto poco momento fosse l'uomo, ma eziando a fruire
dei beni della vita, finchè l’età ed i fati lo concedevano.

Larve convivali metalliche in uso nel tempo antico sono rarissime, e
conseguentemente l’ esemplare rinvenuto in Perugia aggiunge all’ im-
portanza archeologica, che ha sempre un monumento figurato, il pregio
particolare della rarità.

Negli Atti della Società di Archeologia e Belle Arti per la provincia
di Torino (vol. V, fasc. 6, pag. 409, Torino, 1894) è inserita una notizia
del compianto prof. A, Fabretti intitolata: Iscrizioni romane di Gubbio
e di Terni nel Museo di Torino. Fin dal 1884 furono acquistati dal r.
Museo di Antichità di Torino aleuni monumenti romani che avevano ap-
partenuto! alla collezione del marchese Ranghiasci di Gubbio e che per
compera eran passati in proprietà del signor Giunio Guardabassi di Peru-
gia. Tra i varî marmi, figurati e scritti, trovasi una piccola ara votiva
e una fistula di piombo, delle quali si riportano le iscrizioni. Si parla
anche di un sigillo di bronzo di un fabbricante di stoviglie, acquistato
dal Fabretti in Terni, con incisione e col nome Publius Lepidius Euty-
chus.

Nel Charitas, numero unico di Città della Pieve or ora pubblicato

a beneficio dei danneggiati dal terremoto Calabro-Siculo, si contengono

scritti interessanti ai nostri studi di F. Casini su Bartolomeo di Castel

della Pieve; di A. Verri, Storia naturale di Valdichiana, lavoro vera-

mente splendido del dotto umbro accademico dei Lincei ; di P. can. Scac-
.90
449 i ANALECTA UMBRA

cia su Pietro Perugino ; di O. Gobbani sul Sacco di Castel della, Pieve
nel 1527, e sulle Condizioni fisiche del territorio pievese. Non parliamo
dei lavori letterari anch' essi pregevoli, ma ricordiamo il nome di quel
valente e laborioso Paolo De Simone, che come ogni giorno si rende
sempre più benemerito di Città della Pieve, così qui per la parte che
ha avuto in questa compilazione, la quale è anche un modello di esecu-
zione tipografica del bravo signor Melosio, ha destato 1’ ammirazione e il
plauso di tutti.

Il Centenario del Tasso è stato solennizzato anche a Perugia e il
chiarissimo Prof. Francesco Guardabassi nella domenica 19 maggio nel-
l'Aula Magna dell'Ateneo Perugino ha degnamente parlato dell immortale
poeta innanzi a numeroso ed elettissimo uditorio, che gli fu largo di
plauso meritato.

Il Dott. Prof. C. Rinaudo. ha pubblicato nella Rivista Storica Ita-
liana, (vol. XI, anno 1894, fascicolo 4°) una bella commemorazione di A-
riodante Fabretti.
eg

SPOGLIO DI PERIODICI (1890)

ARCHIVIO STORICO DELL'ARTE (Roma).

Fase. 1-2. Baldoria N., Monumenti artistici in’ s. Geminiano. De-
scrive il dipinto a guazzo, già esistente nella chiesa di Monte Oliveto,
ed ora nel palazzo del Comune. « Il Rumohr (Ital. Forschungen, III,
45) lo attribuì al senese Pacchiarotto ; il Gaye (Carteggio, eec., IT, 434)
al Pinturicchio ; e tutti i critici convengono in quest'ultima attribuzione.
A me sembra un bel lavoro eseguito nell’ arte del Pinturicchio da uno
esercitato più nella miniatura che nella grande pittura. Ad ogni modo,
se fosse del maestro, dovrebbe giudicarsi come una delle opere giovanili
e non dell’età matura, quando già il Pinturicchio aveva allargato il suo
stile e resolo più convenzionale, allontanandosi da quella ingenua sem-
plicità che nell’opera descritta abbiamo incontrato ». — Sordini G., An-
nibale de’ Lippi architetto della Madonna di Loreto presso Spoleto. Se
ne cominciò la. costruzione nel 1572. Il documento che qui si pubblica
sta a provare che architetto della chiesa fu il Lippi, figlio di Nanni di
Baccio Bigio scultore fiorentino, che il Vasari ricorda nella vita di Fran-
cesco Salviati.

Fase. 5-6. Gnoli Domenico, Le opere di Mino da Fiesole în Roma.
Accennando a lavori di Mino in Perugia, è messo innanzi il dubbio che

. M ^ . . . . ' * H
il dossale di s. Pietro non sia stato da lui eseguito in quella città: il Va-

sari asserisce che Mino « mandó una tavola di marmo a messer Baglio-
ni ». « Nulla esclude (pensa lo Gnoli) che l'opera di Mino sia stata ese-
guita in altro anno, probabilmente di non poco anteriore, a giudicarne
dalla fattura ». — Bode G., Un maestro anonimo dell'antica scuola lom-
barda (il pseudo Boccaccino). « Tra le pitture che l'Accademia di Vene-
zia comperò dalla galleria Manfrin, uno dei quadri grandi è una La-
vanda dei piedi di Cristo che fu acquistato sotto il nome di Pietro Pe-
rugino ». Se bene la data del 1500 non si opponga a tale attribuzione,
pure il Bode dichiara che « basta dare al quadro una sola -occhiata per
persuaderci ch'esso non appartiene né al Perugino, nè ad un artista della
SPOGLIO DI PERIODICI

sua scuola », È invece, se non del Boccaccino, di uno della scuola lom-
barda.

Fasc. 7-8. Thode Henry, Pitture di maestri italiani nelle gallerie mi-
nori di Germania. a) La Kunsthalle di Karlsruhe. Il quadro 404 è at-
tribuito a Pier della Francesca, ma. potrebbe anche credersene umbro
l'autore: il Thode, limitandosi a richiamare su quest'opera d'arte l'at-
tenzione degli studiosi, non osa « dare su di essa un giudizio defini-
tivo ». Però, secondo lui, non è da pensare (se bene a prima giunta
sembri. possibile l'attribuzione) a Benedetto Bonfigli. — Due pezzi di gon-
falone, già della chiesa di s. Gregorio d'Assisi, sono di Nicolò di Libera-
tore da Foligno : Hoc opus (vi si legge) Nicolai Fulginatis MOCCCL X VILI.
— I due quadri 406 e 407 sono, se non di Fiorenzo, d'uno de’ suoi imi-

tatori. — Il num. 405 ch’ è del «terzo fra i pittori umbri » non ci ri-
guarda; ché il Palmezzano, il quale ne fu l'autore e fu scolare di Marco
ii, non è umbro: ma di Forli! — Il num. 419 è d'autore perugino

che « conserva ancora le reminiscenze del Pinturicchio ed è un debole
artista contemporaneo. dell’Alfani ». Sbagliò il compilatore del catalogo
attribuendo. quella tavola a un pittore che seguì la maniera di Fiorenzo.
— b) La Pinacoteca di Darmstadt. Il num. 513, la Vergine benedicente,
« mostra stretta relazione con Fiorenzo di Lorenzo ».

Fasc. 9-10. Frizzoni G., I Museo Borromeo in Milano. V? è descritta
e riprodotta in fototipia la Salita al calvario del Pinturicchio che l'esegul
in età provetta: nel cartellino lesgesi: « Questa opera è di mano del Pin-
turiechio da Perugia MCCCCCXIII ».

Fasc. 11-12. Documenti tratti dall’archivio notarile di Umbertide sul
Pinturicchio: sono relativi alla sua tavola, già nella chiesa. dello spe-
dale di Umbertide, poi emigrata a Parigi, ed ora nella galleria. Vaticana.
Collaborò eon lui Giambattista Caporali. I tre documenti sono del 1505.

ARCHIVIO STORICO ITALIANO (Firenze).

Disp. 1. Recensione del raro'opuscolo.di A. Fabretti La vendita della *

Gabella delle some grosse e del pedaggio fatta dal Comune di Perugia
nel 1379 e 1391; Torino, 1888.

Disp.. 2. Nella Rassegna. dei lavori tedeschi sulla storia. dell’arte ita-
liana è tenuto conto: dello. splendido. libro del Thode Franz von Assisi;
di Cimabue und Rom dello Strygowski (notevole la parte di tal lavoro
che si riferisce alle opere di Cimabue di Assisi); di uno studio del Frey
su Cimabue in Iahrbuch der k. preussischen Kunstsammiluno gen, iu. cui
sono esaminati gli affreschi in s. Francesco di Assisi.

Disp. 5. Recensione con appunti di G. Papaleoni del vol. IZ castello
di Campello del conte P. Campello; Roma, 1889.
E

SPOGLIO DÍ PERIODICI 44b

Disp. 6. Recensione di F. Tocco di Nuove pubblicazioni del p. Franz
Ehrle sul movimento francescano nel sec. XIV: fra queste è notevolis-
sima la prima in cui sono estratti di un processo contro i ghibellini di
Todi e d' Amelia e alcuni frati minori seguaci di Ludovico il Bavaro e
dell'antipapa Pietro Corvario. Importante per noi anche l’ultima; Die Spi-
ritualen, ihre Verhaltniss zum Franciscanerorden und zu den Fraticellen.

ARCHIVIO STORICO LOMBARDO (Milano).

Fase. 1. Ghinzoni P., Ultime vicende di Tomaso. Moroni da Rieti
letterato umbro del sec. XV: cfr. questo Bollettino, I, 174; e La Biblio-
teca delle Scuole italiane del 1892 dove sono pubblicati da F. Gabotto
Altri documenti su Tommaso Moroni da Rieti.

ARTE E STORIA (Firenze). pu
Bianconi G., Intorno un dipinto esistente in s. Maria Maggiore di
Bettona attribuito allo Spagna..— Caffi M., Un quadro rubato. Di Ni-

.coló di Liberatore, detto 1’ Alunno, con la data del 1487: fu venduto.

ATTI DELLA R. ACCADEMIA DEI Lincri (Roma).
Num. 12. Gamurrini F., Di un ripostiglio di monete di aes grave
scoperto presso Montefalco nell’ Umbria.

ATTI DELL’ ACCADEMIA « LA NUOVA FENICH » (Orvieto).

Rendiconti delle tornate del 1888-89 nelle quali, per ciò che riguarda
la storia della regione nostra, trattarono: il socio Cardella della Necro-
poli di Orvieto e,d' una cisterna etrusca ivi scoperta; il socio Mancini
di antichità ivi ritrovate e sulle quali stampò una diligente memoria nel-
l’ Arch. stor. per le Marche e U Umbria, IV, 663; il socio Cerretti del
dialetto di Orvieto; il socio Zampi dei restauri al tetto del. Duomo; il
socio Tosini della chiesa di s. Rocco recentemente restaurata; il socio
Fumi del coro della Cattedrale e del Palazzo dei Papi, detto Soliano,
oggi dell’ opera del: Duomo; il socio Fontanieri dell’ affresco rappresen-
tante s. Sebastiano, nel palazzo municipale (se ne dà la fototipia); il
socio Zampi del Palazzo del Popolo; il socio Fontanieri deila chiesa di
s. Lorenzo in Vineis, fuori le mura; il socio Baglioni della geologia
orvietana; il socio Fantella della topografia orvietana; il socio Orsini
della evoluzione storica del pegno e del Monte di Pietà orvietano.

BrBLIOTÉQUE DE L'ÉCOLE DES CHARTES (Parigi).
Fasc. 6. Recensione dell’ Atto di fondazione d'un Monte di Pietà a
Rieti nel 1489, edito dal prof. A. Bellucci: favorevole,
mne I

E DIEA Pp cirea I A

446 SPOGLIO Di PERIODIOI

BoLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOGRAFICA ITALIANA (Roma).

Fase. di giugno. Uzielli G., Su ritratti di Paolo dal Pozzo Tosca-
nelli. Vi sono notizie di parecchi umanisti e particolarmente su Girolamo
Tifernate.

BULLETTIN CRITIQUE (Parigi).
Num. 4. Le Monnier L., Histoire de s. Francois d' Assise: recen-
sione favorevole. +

COMPTE-RENDU DES SÉANCES DE L' ACADÉMIE DES INSCRIPTIONS (Parigi).
Fasc. luglio-agosto. Saglio, Liste de divers monuments antiques où
paraissent figures de chats domestiques. Vi si.tien conto de’ monumenti
d' Orvieto.
CORRESPONDENZ-BLATTE FüR DEN DEUTSCHEN MALERBUND.
Fase. 17. Freskomalerei des Pinturicchio in der Libreria des Doms
von Siena.

FANFULLA DELLA DOMENICA (Roma).

Num. 40. Nencioni E., s. Francesco e la chiesa d' Assisi. — Salva-
dori G., s. Francesco. Bell’ articolo, scritto particolarmente sul libro del
Gebhart L’ Italie mystique, Paris, 1890.

INGEGNERIA CIVILE E LE ARTI INDUSTRIALI (Milano).
Vol. XV. Zampi P., Notizia sui lavori di restauro eseguiti per la
copertura del Duomo di Orvieto.

L'Anr (Parigi).

Fasc. 18. Mereu H., Le Dóm d'Orvieto. Studio leggiero con illustra-
zioni, di cui i primi quattro capitoli furono qui pubblicati nel 1888. Con-
tinua nel fasc, successivo. — Forlì A., Un fr esque de l’ église inférieure
d' Assise. È quello di scuola senese ce trovasi sotto la Crocifissione della
crociera. sinistra.

LA RASSEGNA NAZIONALE (Firenze).
Num. del 16 agosto. Riva Sanseverino. F., I/ castello di Campello.
A proposito del vol. del conte Paolo di Campello.

MISCELLANEA FRANCESCANA (Foligno).
Fasc. 1. Novati F., Sull'autore del più antico poema della vita di
8, Francesco: congetture e riflessioni. « Frate Enrico da Pisa ed il Mae-
SPOGLIO DI PERIODICI 447

stro Enrico, al quale dobbiamo il più antico poema sulla vita di s. Franc.,
debbono molto probabilmente venir considerati come una sola e mede-
sima persona ». Per maestro Enrico veggasi cotesta Miscell., vol. IV,
pag. 33 e sg.; efr. questo Bollettino I, 107. — P. Agostino da Stron-
cone, L’ Umbria Serafica: continua nei fascicoli segg.

Fasc. 2. Lanzi L., I4 convento di S. Martino presso Terni. Notizie
storiche alle quali è aggiunta la descrizione d’un dipinto di fr. P. Piazza
rappresentante il Giudizio.

Fasc. 3. D' Alencon p. E., Sul più antico poema della vita dis. Fran-
cesco. Sul cod. 8 della bibl. di Versailles si pubblicano il prologo e le
varianti del poema (continua). — Mazzatinti G. s. Francesco d' Assisi e
Federico Spadalunga da Gubbio. — Lanzi L., IL p. Agostino da Stron-
cone min. osservante.

Fase. 4. Filippini E., Mucio da Perugia e la sua profezia. Comincia
« Io ho ymaginato nella mente », ed è qui stampata sopra un ms. della
Naz. di Napoli.

Fasc. 5. Faloci Pulignani M., Un quadro francescano: cioè la Ma-
donna di Foligno dipinta da Raffaello per commissione di Sigismondo de
Comitibus di Foligno. Si rifà con larghezza e ‘con tutta diligenza la
storia delle sue vicende fino al 1816, fino a quando fu collocato « a ri-
splendere, fulgida stella fra centinaia di astri nella Pinacoteca Vaticana ».
— Tra le Notizie è pubblicato il testo di una bolla di Gregorio IX, ri-
trovata nell' Arch. areiv. di Spoleto e riguardante il monastero di Sas-
sovivo: manca nel Potthast, Regesta Pontificum.

Fasc. 6. Bibliografia del vol. Cristoforo Colombo e fr. Bernardino
Monticastri da Todi di P. Alvi: codesto frate avrebbe accompagnato
Colombo in America. Sfavorevole. Cenni bibliogr. di opuscoli di G. Fra-
tini su le Aelazioni di S. Francesco con Gubbio, e di A. Lupattelli su
La chiesa di S. Francesco e gli affreschi del sec. XIV della cappella Pa-
radisi in Terni.

NOTIZIE DEGLI SCAVI D'ANTICHITÀ (Roma).

Relazioni di scavi in Orvieto; di mosaici scoperti a Spoleto; di un
frammento d' iscrizione a un imperatore in Terni; d’un’urna etrusca a
Perugia; di scoperte di tombe e suppellettili funebri a Foligno, a s. Gio-
vanni Profiamma, a s. Eraclio, a Cancelli, a Colfiorito, a Belfiore e a s.
Sebastiano; di sepoleri in Foligno e Sugano ; di tombe dei secoli III-IT
a. C. a Bardano, a s. Egidio, a Castiglione in Teverina e a Spoleto.

Nuova HivisTA MISENA (Arcevia).
Num. 8. Rossi A., IZ pittore pesarese Giannantonio Pandolfi a Pe-
448 SPOGLIO DI PERIODÌGI

rugia. Nuovi documenti. Sono ricordi e contratti di pitture da lui ese-
guite in Perugia dal 1573 al 1581.

Num. 11. Anselmi A., Il palazzo ducale di Gubbio. Lamentatane la
deplorevole condizione, riportasi un articolo della Riforma in risposta a
un altro della Perseveranza, in cui si dichiarano le cure del Governo
per quell’ insigne monumento.

NEUES ARCHIV DER GESELLSCHAFT FÜR ALTERE DEUTSCHE (ESCHICT-
FORSCHUNG (Hannover).
Fase. 3. Sackur E., Zu den Legenden des Franz von Assise: buon
contributo allo studio delle leggende su s. Francesco.

POoLYBIBLION (Parigi).

Num. 2. Recensioni della Hist. de s. Francois d'Assise del Le Mon-
nier, e della Vita di s. Chiara della Croce abbadessa del monastero di
s. Croce di Montefalco nel Umbria di L. Tardi.

REVUE DES QUESTIONS HISTORIQUES (Parigi).
Fasc. 96. Allard P., s. Francois d' Assise et la féodalité: a proposito
della Histoire de s. F. del Le Monnier.

RIVISTA CRITICA DELLA LETTERATURA ITALIANA (Roma-Firenze).

Num. 1. Recensione del Bestiario moralizzato tratto da un ms. eu-
gubino del sec. XIV da G. Mazzatinti con note e osservazioni del prof.
Ernesto Monaci; Roma, tip. dell’ Accad. dei Lincei: efr. questo Bollettino,
I, 115. E notato che « questo Bestiario presenta segni manifesti di po-
polarità e si allontana spesso da quell’ andamento un po’ dottrinale che
sogliono avere in Italia e fuori consimili opere ».

RIVISTA STORICA ITALIANA (Torino).

Fasc. 2. Recensione di G. Mazzatinti del vol. I della Storia di Città
di Castello di G. Magherini Graziani. Favorevole.

Fasc. 3. Recensione di P. Schupfer del Regesto di Farfa di Gregorio
da Catino, vol. IV: è un diligentissimo studio. su la natura dei docu-
menti contenutivi.

STUDI E DOCUMENTI DI STORIA E DiRrTTO (Roma).
Fumi L., Statuti e regesti dell’ Opera s. Maria di Orvieto.

THE AMERICAN JOUNAL OF ARCHAEOLOGY AND THE HISTORY OP 'THE ARTS
FINE (Boston). i
Fasc. 1-2. Scoperte archeologiche in Orvieto.

—-—_——6-4 fo +
449

RECENSIONE BIBLIOGRAFICA

GiusEPPE TERRENZI. — Un periodo di storia narnese all’ epoca dei Co-
muni illustrato dai suoi più vetusti documenti, Narni, 1894.

Per la lotta tra il papato e l’ impero, le città italiane cominciarono
a rivendicarsi a libertà e, come simbolo delle nuove franchigie, resta-
rono le forme della madre Roma chiamando consoli i loro supremi ma-
gistrati e dando al. popolo i poteri sovrani di far pace e guerra, pro-
mulgare statuti, ecc. In tal modo costituivansi i Comuni, che emanci-
parono le nostre terre dalla supremazia degli imperatori e dei pontefici.
. «E Narni, quando Pasquale II, nel 1112, riebbe questa città dall’ im-
peratore Enrico V, ricusò di sottoporsi all’ obbedienza della Chiesa, vi-
gorosamente mantenendo le libertà acquistate.

Dopo aver rievocato così i principî del Comune narnese, il Terrenzi
viene, in questa accurata monografia, ad indicarci gli allargamenti di
esso nel contado circonvicino. Perocchè dapprima i Comuni italici si tro-
varono ristretti alle città racchiuse tra i castelli di potenti feudatari; ma,
a poco a poco, la cerchia del loro dominio si allarga e i ponti levatoi
dei castelli si abbassano innanzi alle armi ed ai gonfaloni comunali, e
le grosse borgate piegano il capo alla supremazia delle prossime città,
talvolta costrette, talvolta per ispontanee dedizioni.

Una di queste sottomissioni volontarie fu fatta, nel 1144, sotto il pon-
tificato di Celestino II, dal conte Transarico assieme ai figli Carlo e Gio-
vanni: i quali sottoposero al dominio del popolo maggiore e minore di
Narni tutte le loro possessioni dal ponte delle Marmore sino al territorio
narnese con i.castelli di Miranda e del Lago, con le terre annesse. Ed
in questa dedizione è ricordo di un'altra fatta l'anno innanzi al Comune
di Narni da Perticara, Collescipoli e Castel dell’ Isola.

In questo modo la forte e belligera Narni veniva ad allargare il
contado feudale, cireondando quasi l'aborrita rivale Terni, della quale
vedeva giü nel piano sorgere le torri e le case.

Nell’ anno 1194, Bartolomeo, figlio del fu Giovanni signore di Mi-
randa, ratifieava i patti conelusi dai Narnesi con l'avo e con il padre suo.

Tra la dedizione del conte Transarico e la ratifica del signore di Mi-
randa successero varie vicende, la eui narrazione. il Terrenzi intreccia
alla storia del Comune narnese. -

Mentre Arnaldo da Brescia restaurava in Roma le forme repubbli-
cane, Eugenio IV, non sentendosi bastevolmente sicuro nell'eterna città,
450 RECENSIONE BIBLIOGRAFICA

si conduceva al monastero di Farfa, ove fu consacrato, e di qui moveva
alla volta di Narni, « che, per la sua postura e per la sua importanza,
poteva offrire un sicuro asilo al pontefice. Quivi ricevette una deputa-
zione di vescovi, venuti per decidere talune contese, e, pregato dai Nar-
nesi, consacrava con grande solennità 1’ oratorio di San Giovenale, in-
sieme alla sua chiesa orientale ed occidentale » (p. 10).

Ed il pontefice Adriano IV si rifugiava anch’egli a Narni, nel 1156,
dopochè, fatto ardere Arnaldo da Brescia e cinta la corona imperiale a
Federico Barbarossa, questi fu tornato in Germania ed egli si accorse
di essere troppo mal visto dai Romani, ai quali aveva tolta la libertà.

E nel 1168 scendeva in Italia Cristiano arcivescovo di Magonza, che
venne a rintuzzare l’ardire dei Ternani e dei Narnesi di essersi ribellati
all'imperatore. Dopo aver distrutta Terni, si rivolse contro Narni e
« l’assaltò con grande impeto ruinandone le mura, saccheggiandone le
case e impadronendosi della rocca (a. 1174) che tenne sino al 1176, epoca
in cui Federico, abbisognando di aiuto, chiamava a raccolta i tedeschi
sui campi lombardi, ove poco appresso, il 29 maggio, si combatteva la
più gloriosa battaglia che registri la nostra storia » (p. 13).

Il Barbarossa, sconfitto a Legnano, rivalicava le Alpi dopo aver
nominato Corrado di Svevia duca di Spoleto. Ma Innocenzo III, salito
sul soglio papale l'anno 1198, intimava tosto a Corrado di lasciare la
potenza ducale e di recarsi a Narni a rassegnare la signoria nelle mani
dei suoi rappresentanti. Il che avvenne nel marzo dello stesso anno. Ed
il pontefice scieglieva Narni per questo atto, osserva li Terrenzi, per
ammonire i Narnesi, « che sapeva ambiziosi, aggressivi, insofferenti
di qualunque freno » (p. 15). Essi infatti, desiderosi di nuove conquiste,
avevano assoggettati Rocca Carlea e San Gemini e volevano sottomet-
tere i forti castelli di Stroncone e di Otricoli, per poter più facilmente
volgersi contro gli odiati Ternani. E di Otricoli riuscirono ad imposses-
sarsi e ne rovinarono le mura. Innocenzo III ingiungeva loro di abban-
donare la terra: osavano disobbedire i Narnesi ed, incorsi nella scomu-
nica, dovevano, fremendo, obbedire, riedificare le mura diroccate e pa-
gare una multa di 1000 lire.

Ma Otricoli, per quanto difesa e protetta dai pontefici, non stava
sicura dalle incursioni dei fieri Narnesi. Pertanto faceva a questi dedi-
zione del suo territorio, preferendo averli amici piuttosto che nemici.

E delle sottomissioni di Miranda, di Castel del Lago e di Otricoli
il Terrenzi riporta i documenti che sono i più antichi conservati nell’ar-
chivio narnense e scampati alla distruzione di molta parte delle memo-
rie storiche di questa città avvenuta per il sacco dei Borboni.

G. PARDI,

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451

NECROLOGIO

CESARE CANTÙ

Sarebbe una ommissione imperdonabile il tacere ed an-
che il dare un semplice accenno di Cesare Cantù nel no-
stro « Bollettino della Società Umbra di storia patria », dopo
che sappiamo che il grande storico italiano ebbe per questa
nostra Società una deferenza tutta speciale, se non altro, nella
persona del nostro egregio Presidente.

Più: con la morte di Cesare Cantù si è spenta, pos-
siamo dire, la più grande figura di storico che abbia illu-
strato l'Italia e, si può pure affermare, l’ Europa nel secolo
che sta per finire. Basta il nome di Cesare Cantù ad il-
lustrare la terra in cui nacque ed il suolo che gli diede la
luce. Cesare Cantù fu uno di quegli uomini all’ età no-
stra, che possiamo dire assolutamente unico per la vastità
dell’ istruzione che egli ebbe e per la universalità delle cose
a cui si dedicò e per essere stato per ciò uno di quei pochi,
col Manzoni, col Verdi, collo Stoppani, ecc., che
ancora in questa seconda metà di secolo, dalla feconda e ge-
nerosa terra lombarda, abbia ricacciato in gola allo straniero
che l'Italia à ferra de’ morti !

Il Cantù fu ad un tempo educatore, letterato, storico
e politico; quattro note che non troviamo forse unite in nes-
suno degli ultimi grandi italiani.

Brivio, la deliziosa terra che si protende sulle rive del- .
l Adda all ombra dei colli briantéi e di fronte alle brulle
prealpi che da Lecco discendono con lenta curva abbrac-
ciando le pittoresche valli orobie, fu la culla. modesta del
452 G. BRUNELLI

grande uomo che si è ora spento serenamente carico d'anni
e di gloria.

Cantù vi nacque il 5 dicembre 1804: la sua famiglia
apparteneva ad una classe di gente onorata, che vantò forse
una lunga storia di nobili antenati, ma che le avversità della
fortuna avevano ridotto a un umile stato. Come avviene di
solito in queste famiglie che anche ora si sogliono chiamare
dallo stampo antico, Cesare, il primogenito di dieci figliuoli,
venne da fanciullo avviato alla carriera ecclesiastica; ma
ne portò per pochi anni la veste.

Uscito dal seminario continuò gli studi classici e a 18
anni insegnava già belle lettere nel ginnasio di Sondrio: fin
d'allora cominciava a porgere alla famiglia quell’ aiuto che
più tardi ne divenne l'unico sostegno.

Non aveva che 22 anni quando suo padre mori; ed egli
solo dovette addossarsi il peso della numerosa fratellanza :
pure seppe tanto fare colla sua instancabile attività, che
malgrado la scarsità dei mezzi ognuno dei suoi fratelli poté
essere avviato per una buona carriera.

Incominció cosi di buon ora a mostrarsi educatore esperto
e teneramente amoroso, specie al fratello Luigi, poi sacer-
dote, nella cui prima Messa stampò il noto Inno alla Croce,
tutto profumato dell'alito manzoniano, dietro .al quale il Cantù
corse seguace appassionato ed accorto.

| Se educazione è esercizio continuo delle umane potenze
rivolte al nostro proprio perfezionamento e al bene intellet-
tuale e morale del nostro simile, niun dubbio che Cesare
Cantù meriti il titolo di educatore per eccellenza. |

Egli fu edueatore in tutte le sue opere storiche e lette-
rarie, poiché in tutto egli tendeva al miglioramento morale
dei suoi simili.

Ma se vogliamo considerarlo più propriamente quando
istruisce e scrive per i fanciulli, per gli operai, e anche per i
militari, egli ci si rappresenta allora come uno de' piü cari
amici dell'età prima, e nessuno dimenticherà mai il nome di

ee.

Am
red

A

NECROLOGIA DI CESARE CANTÙ 458

quel Cesare Cantü che suona alle nostre orecchie e scende
soave al nostro cuore, insieme co’ più dolci nomi dell’ in-
fanzia, con quelli cioè de’ nostri nonni, de’ diletti autori dei
nostri giorni, del maestro e della maestra elementare, e del
buon Parroco che nella sua Pieve ci fece cristiani e ci educò
religiosi e cittadini coll’ etica del Catechismo.

Alla sua penna dobbiamo infatti una bella collezione di
libri educativi e popolari, quali il Carl Ambrogio da Motevecchia,
il Galantuomo, il Buon fanciullo, il Buon senso e buon cuore,
il Portafoglio dell’ Operaio, cui può aggiungersi. per somi-
glianza d’ intenti il romanzo storico Margherita Pusterla, ove
è esuberante la forza del sentimento e del colorito.

Cesare Cantù anche da vecchio non dimenticava
mai i bambini, e, come il Redentore, ripeteva: « Sinite par-
vulos venire ad me ». Nelle ricorrenze del suo onomastico e
del suo natalizio ringiovaniva tutto quando dintorno a Lui
si conducevano bambini e bambine che gli recavano fiori
e gli recitavano brani de’ suoi, libri educativi e delle sue
poesie.

Ce lo dice egli stesso: « Quale soddisfazione per noi
« d'aver fatto leggere tanto e di materie importanti ! quale
« compenso l’ udire echeggiate le idee nostre da tanti, saliti
« ben più alto di noi, ma traverso noi! quale trionfo il ve-
« dere la verità imporporare persino i nugoloni accavallati
« onde offuscarla ! »

Oh, quanto è soave il ricordo di Cesare Cantù come
educatore. Ci sembra di ritornar fanciulli, a quei di beati
quando col Carl Ambrogio da Montevecchia sotto il braccio, re
duci da scuola, ingenui ci trastullavamo nei prati e face-
vam lieta corona a qualche buon vecchio del vicinato che
assomigliavamo al nostro Carl’ Ambrogio !

A lode di Cesare Cantù considerato quale educa-
tore, ci si permetta di riportare le belle e delicate. parole
dette sul feretro di Lui da Luisa Anzoletti:

« La penna rese glorioso Cesare Cantù nella sua
G, BRUNELLI

patria e nel mondo; ma due cose sarebbero bastate per farlo
amare da tutti coloro che egli ebbe famigliari; la sua tene-
rezza verso i fanciulli, e il culto in lui perenne di quella
- poesia che la natura ha espresso nei fiori.

« I fanciulli ebbero le prime cure della sua mente, e
per la scuola egli scrisse i primi libri. I fiori furono gli amici
della: sua solitudine, l ameno spettacolo che a lui ricreava
nelle lunghe fatiche la intenta pupilla.

« Fanciulli e fiori dettero la risposta consolante della
vita alla sovrana domanda di affetto, che Egli ebbe comune
cogli uomini di gran mente e di gran cuore.

« Per l'erta che questo infaticabile esploratore della età
solitario ascendeva, essi furono l'incanto luminoso del bello,
la soavità della speranza, la rinnovazione benefica dello spirito.

« Oh, egli non ebbe bisogno di nessuno artifizio per com-
muovere coi suoi scritti le piccole anime, poichè nell’ amarle
seppe tanto bene comprenderle!

« Quante volte, mentre le ultime lunghe malattie lo co-
stringevano a dura inazione, il longevo atleta del lavoro, che
per tre quarti di secolo non tollerò riposo, contemplando
sull’ affannosa coltre il fiore che una mano gentile vi depo:
neva, scordò la età mesta e la inesorabile rovina dell’uomo,
e ritrovò al di là degli anni, al di là delle lotte, i miti ri-
cordi della infanzia cresciuta al riso dei campi, ove attinse
vigoria di pensiero, liberi sensi, e quella benevolenza verso
gli umili, che si tradusse nei suoi libri in sana educazione
del popolo.

« Quante volte nell’ antica, modesta dimora, in quello
studio stipato di volumi, il raccoglimento del Savio cedette
il campo alla festosa allegria fanciullesca, e il pensiero del
grande vegliardo si trastullò coll’ innocenza dei bamboli !

« Ora in quelle stanze memorande non torneranno più
i bimbi a farti corona, non risplenderanno più i volti giova-
nili intorno al tuo volto meditabondo, o Maestro, o Amico
venerato! E il raggio di sole, scendendo nell’ angolo verdeg-
eo

NECROLOGIA DI CESARE CANTÙ 455

giante che ti fu caro, non avviverà più per i tuoi occhi de-
siosi le gemme e le corolle primaverili!

« Ma un altro dei tuoi lunghi voli ora si compie. Fan-
ciulli e fiori ti accompagnarono nel regno della pace, che in
Dio tu sperasti. E qui séi giunto, quale un giorno lontano
sospiravi nel verso: Tra cuori conformi... in calma operosa
trascorrer sereno; e qui, come pregavi, dormi confortato dal:
pianto dei buoni :

TO

« Nel suol che i tranquilli tuoi padri coprì.

« Ma noi che ti amavamo, quando vedremo la prima-
vera adornar di rose un cespuglio, o il sole imporporar le
nubi al tramonto, o un riso di pargoletto irradiarci l' anima,
noi ricorderemo come tutti questi vaghi aspetti ringiovani-
vano la tua laboriosa vecchiezza, e come negli anni estremi
del tuo pellegrinaggio, quando per l' uomo affralito il mondo
non è che indifferenza e sconforto, tu serbavi ancor vivo il
sentimento delle cose belle, ancor ti parlava al cuore la con-
solatrice poesia della natura, e ancora tu annodasti alla can-
dida fede dell’ infanzia le speranze che fioriscono vicino alla
tomba ».

Cesare Cantù, come letterato e romanziere, si uni
alla valorosa schiera che già contava i nomi del Pellico, del
Grossi, del Torti ed altri ancora, con un poemetto in ottava
rima A/giso o La lega lombarda, che, malgrado le pecche
giovanili, è di buona fattura e può star a paro con i poe-
metti famosi del Grossi.

Quindi pubblicò 7/ febbraio del 1831, dove canta le speranze
e i disinganni della patria; indi seriveva quale commento ai
Promessi Sposi Y opuscolo: La Lombardia nel secolo XVII. Per-
ciò cadde in sospetto della polizia austriaca. Un vile l’accusò;
la sua casa fu perquisita l' 11 novembre 1833, ed egli con
dotto in carcere e ivi trattenuto fino al 14 ottobre dell’anno
seguente. Negatogli l' occorrente per lo studio, col fumo delle
candele si fece inchiostro, cogli stuzzicadenti penne, e su

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456 ^d. BRUNELLI

carta straccia incominció a scrivere il romanzo Margherita
Pusterla.

Sicuramente il libro che più di tutti gli procurò il bat-
tesimo della scuola romantica e valse ad. affermare la sua
fama che già cominciava ad espandersi, come quella di un |
valente storico e di uno scrittore indefesso,fu la Margherita
Pusterla, appassionato romanzo composto nelle carceri di
Santa Margherita e che porta nella vivacità dello stile l'im-
pronta dei sentimenti che in quell' epoca lo dovevano agitare.
Fatto evidentemente col metodo dell’ autore di /vanhoe e poco
dopo chei Promessi Sposi avevano fatto meravigliare Y Italia,
il romanzo di Cantù non può certamente pretendere di egua-
gliare le opere dei maestri, e il gusto letterario moderno vi
troverebbe parecchie mende: ma non è men vero che la
dolorosa storia di Margherita per la squisita pittura dell’ a-
more; della sofferenza, della rassegnazione commoverà sem-

pre gli animi: esso è divenuto uno fra i libri più popolari

del Cantù e non v'é alcuno che non ricordi le prime im-
pressioni giovanili di quella lettura. 9

Di fronte alla malsana efflorescenza dei romanzi del
Guerrazzi che inondavano allora il paese con le truci storie
di disperazioni e di bestemmie, la Margherita Pusterla fu sa-
lutata da tutti i buoni con entusiasmo, perché in essa si im-
parava non a maledire, ma a sperare e ad amare la reli
gione, la famiglia e la patria.

Venne il '48. Caduto nuovamente in sospetto alla polizia,
egli dovette fuggire in Piemonte; ma dopo le cinque giornate

tornò a Milano e diresse il giornale La guardia nazionale.

Dal ’49 al ’59 visse ritirato, occupato tutto negli studi,
e pubblicando opere varie, fra cui l' Ezzelino da Romano, la
Storia della letteratura latina, la Letteratura italiana per via
d’esempi, un’ Antologia militare.

E qui bisogna ancora spiegare quali opere di Cesare |
Cantù si possano considerare appartenenti alla sua attività
di letterato. Che se si volessero considerare come letterarie
NECROLOGIA DI CESARE CANTÙ 491 .

le sole opere che per la materia e per lo scopo non escono

da un tal campo, non sappiamo se alcuna opera del Cantu si |

potrebbe ascrivere a questa categoria: perché anche il poema
giovanile sulle Crociate risente profondamente gli studi sto-
rici del suo autore. Se invece alla parola « letterario » si
voglia dare un significato piü esteso, vi possiamo compren-
dere anche le opere popolari di indole educativa, lo studio
su Parini e il suo secolo, le sue storie della Letteratura Ita-
liana, Latina e Greca, e gli accenni, contenuti specialmente
nelle appendici della sua Storia Universale, alle letterature
orientali, all’ epigrafia, ecc. Ma in tutte queste opere l’ele-
mento letterario è misto con altri elementi religiosi, educa-
tivi e storici, compatibili, a parer nostro; nelle opere pura-
mente letterarie solo quando vi siano senza troppo palesarsi,
senza. prendere il primo posto: il che qui non è. Nelle opere
popolari il Cantù dimentica la sua meravigliosa erudizione,
cerca di farsi semplice e piccino, e vi riesce; ma più che
un letterato, egli vi appare un buono e saggio padre di fa-
miglia che non si occupa d’ altro che di informare a sensi di
bontà, di generosità e di rettitudine l' animo de’ suoi figli, e
vi si rileva un uomo nuovo, quali le altre opere non ci ave-
vano mostrato, buono, sereno e modesto. Ma se questo merito
è invidiabile e lo raccomanda alla riconoscenza dei buoni,
non basta a farne un letterato: nè egli in tali opere volle
esserlo, mirando più al cuore che alla mente, e, più che
alla mente, e, più che colla mente, col cuore scrivendo. Il
barbarismo poi nella lingua e nei costrutti è patente a tutti.

La palestra vera dove spicca gigante il Nostro è senza
fallo la Storia. Egli è il nostro Erodoto, il nostro Livio, se
non forse maggiore, sotto un certo aspetto, di questi, quando lo
si consideri nell’ universalità del cómpito. Nessuno fino a lui
concepì una Storia Universale.

A buon conto egli è a Cesare Cantù che la civiltà
deve la più cospicua opera letteraria che sia venuta alla luce

ù 31

SI
458 G. BRUNELLI

nel secolo decimonono; ed è ad un altro immortale scrittore,
anch’ esso italiano, Alessandro Manzoni, che va debi-
trice l'Italia del suo Cesare Cantù, come deve il Cantù
alla coraggiosa intraprendenza di Giuseppe Pomba il
grandioso concetto dell’ opera, che dovea rivelare quel genio
nascosto, e porlo a splendere sul candelabro del mondo.

È infatti Giuseppe Pomba che primo ebbe I intui-
zione dell’ utile che avrebbe arrecato alle scienze e alle let-
tere una Enciclopedia italiana storica da ‘contrapporre alla
francese, del secolo scorso, di scienze, arti e mestieri, coll im-

menso divario che correrebbe — a parte la sanità delle
idee — nel valore letterario e scientifico, tra un’ accozzaglia

di scritti di cento penne diverse, e uno scritto integro ed uno,
concepito in tutta la sua vastità da una mente sola, e coor-
dinato in tutte le sue parti a raggiungere un solo e medesimo
intento.

Ad incarnare il grandioso concetto aveva pensato il
Pomba che solo potesse essere capace Alessandro Man-
zoni e glie ne fece parola; ma al Manzoni la fretta
del lavoro nella provetta sua età fece in qualche modo
paura, e lo indusse à modestamente schermirsene. Per altro,
soggiunse, v'é in Italia chi per ogni parte sarebbe pari al-
l'altezza della vostra nobile idea. Egli è Cesare Cantù.
Andate ad abboccarvi con lui. — E il Pomba vi andò.
Cantù correva allora appena il quinto lustro dell’ età sua,
ma era pieno di attività e di ingegno; era insomma Cesare
Cantù, e questo astro nascente non era sfuggito all'occhio
perspicace di quel grande italiano. E l' esito dimostrò se fos-
sero giusti gli apprezzamenti del primo romanziere morale
italiano.

Sicuramente nessuno a quei di poteva meglio del nostro
intuire i criterî storici e sobbarcarsi ad un’opera così immane.

Il Cantù inoltre, anche a proposito degli studî analitici
e regionali, cui si è proposta la nostra — Società Umbra di
Storia Patria — bene scrisse con la seguente nota:

4
» — Mo

4)

NECOROLOGIA DI CESARE CANTÙ 459

« Oggi che meglio s' intende il lento, serio, laborioso la-
voro della storia, si è convinti che il passato non è solo tran-,
sitorio, ma è causa immanente del presente e in questo si
rivela; e specialmente nel perpetuo trasformarsi, dalla vita
rigogliosa e feconda dei secoli di mezzo abbiamo ad impa-
rare anche piü che dai greci e romani ; e mi si compatisca la
compiacenza di non essere stato l’ultimo ad eccitare fra noi
e indirizzare a quel campo le ricerche. Ci beffino pure que-
gli ambiziosi che sprezzano la micrologia della storia, quasi
non siane questa vantaggiata come la storia naturale e la
fisiologia dal microscopio. Se vorremo levar la storia fuori
delle sparute generalità che la svisarono e della curiosità
che la infrivoli; sbarazzarla dalla fraseologia e dal dogma-
tismo per ridurla alla sincerità; sviarla dalle reggie per af-
fratellarla alle plebi, al popolo, alle famiglie, bisognerà la ri-
chiamiamo alla critica dei fatti, al colorito, al carattere, alla
diligenza delle particolarità, all'intrepida verità. Cosi senza
denigrazioni né esaltamenti, conosceremo noi stessi e ci fa-
remo conoscere quali siamo, anziché aspettare di vederci,
in istorie e illustrazioni forestiere, contrafatti come le fiso-
nomie da certi specchi di superficie disuguale » (Gli Archivi
e la storia per C. Cantù; Rivista universale, fasc. d' aprile
1813).

Di Cesare Cantù politico dirò breve. Certo in questo
campo ci par di dir vero, se lo giudichiamo uomo all’ ame-
ricana, cioè che amò l'indipendenza assoluta del suo paese; ma
nelle varie forme di governare fu un vero lombardo alla
mediovale; fu un neoguelfo, rispecchiante la lega, la. confe-
derazione del Balbo sotto 1’ alta egida del Papato; fu col
Dandolo anzitutto cattolico ed italiano.

Per l’ ingegno, per le opere, per il patriottismo Cesare
Cantù avrebbe potuto diventare, non solo deputato, ma se-
natore, ministro della pubblica istruzione, presidente di tutte
le più alte e grasse commissioni de’ consigli dello Stato. Ag-
460 G. BRUNELLI

giungeremo che avrebbe anche desiderato che di lui si fa-
cesse maggior conto da’ suoi compatrioti: ma la sua coscienza
di storico e il rispetto alla propria canizie attutirono nel suo
petto ogni men degno sentimento; ed egli tirò avanti per la
sua strada, contentandosi di lavorare nel suo Archivio di Mi-
lano, in mezzo alla quasi indifferenza del pubblico, che non
volle far di lui nemmeno un consigliere provinciale nè co-
munale. |

Al Cantù è toccata la sorte de’ grandi uomini. Si può
ripetere di lui con Properzio:

Maius ab exequiis nomen in ora venit,

La sua fama già grande e mondiale quando era vivo,
ora si eternerà universalmente, e la paterna gratitudine di
tutta l'Italia è incominciata,

Cesare Cantù, dopo l'11 marzo 1895, in cui mori
all’età di anni 91, incominciò a vivere della vita dei grandi,
come di Agricola scrisse Tacito: manet mansurusque est
in animis hominum, in aeternitate temporum, fama rerum.

Non tra i bronzi ed i marmi, non tra i fregi dell'arte e
la vanità dei simboli, non tra la fredda pompa di mausoleo
superbo nel Famedio di Milano; ma laggiù nel povero cam-
posanto dell ignorato villaggio, fra i cespi di erba fiorita e ru-
giadosa, fra i salici ed i cipressi mormoranti alla brezza degli
ubertosi campi lombardi, Cesare Cantù volle che la sua
salma riposasse nell'ultima requie, sotto la Croce, al pio suono
delle memori campane di Brivio.

Umile nella sua gloria, egli compose, vivente, l'epitaf-
fio che ai posteri deve ricordare il suo tumolo: « Cesare
Cantù studiando la storia imparò il nulla delle umane gran-
dezze! » E come se queste parole commoventi e sublimi nella
loro semplicità, parole che sono di ammaestramento all'or-

goglio di tanti, parole che alla filosofia d'un antico savio di

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——— M -

—- 0—
O

NECROLOGIA DI CESARE CANTÙ - 461

Grecia uniscono la modestia di un vero cristiano, non ba-
stassero, egli limita il tempo delle sue disposizioni testamen-
tarie per l avvenire a dieci anni, perchè, aggiunge ancora,
dopo dieci anni chi si ricorderà più di me?

Così luomo che tutta la lunga e travagliata esistenza
logorò nello studio, che scrisse profondendo 1’ alta dottrina,
il retto sentire, la poetica fantasia, l'affetto religioso, i vasti
ideali, i virtuosi pensieri in volumi che da soli formano una
biblioteca educativa, storica, geniale, filosofica, sì da inspirare
nei suoi lettori l'amore a Dio, alla patria, alla famiglia, non
si affida alla speranza dell’ immortalità nella fama e nel culto
di quei che verranno, ma esclama con rassegnazione e dolce
melanconia nella tarda sera della sua laboriosa giornata:
« Morto, sarò dimenticato! »

Ah! che dici tu mai?.. Non vi ha morte, non vi ha
oblio per chi è pari a te, o Cesare Cantù!

Attraverso lo spazio ed il tempo tu vivi ne’ tuoi ammi.
ratori, che riconoscono in te un vasto ingegno, un cuor no-
bilissimo, un carattere integro, un animo leale ed intemera-
to; tu vivi alla patria che ti venera e ti ama; vivi alle
lettere che hai dotato de' tuoi capolavori; vivi-alla religione
che in te dimostra come essa bene si accordi collo zelo
dei civili progressi... E se alcuni sconsigliati astiano la tua
gloria in odio della tua fede; se l'invidia, il livore armano
contro di te l’ ignoranza delle turbe e I insania dei politicastri,
che importa ?.. Il ronzio di costoro non può offendere chi
ha riempiuto il mondo del suo nome.

Al serto d’ alloro, che. t' intrecciarono le concezioni del
tuo genio, tu sapesti unire la fulgida aureola di quella Fede
ch’ è principio e fine d' ogni umana grandezza, onde lodan-
doti si loda Iddio che ti elesse fra le corruttele e le co-
dardie per ‘dare novella prova della sua grazia. |

Cesare Cantù! Filosofo, educatore, storico, poeta,
cattolico, tu non devi morire!

Forza è che tu resti ‘all’ Italia, forza è che tu resti nella

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CELATO A INTESI orit o
462 G. BRUNELLL

coscienza del popolo fra le piü belle, fra le piü care figure
del nostro passato, perché le tue opere sono un insegna-
mento perenne, la tua memoria un culto, il tuo nome una
gloria !

Perugia, aprile 1895.

G. BRUNELLI.

.

M . . Li * . LI

E universale l' ammirazione per l’ operosità di Cesare Cantù, e
basta dare uno sguardo all’ elenco di opere scritte ch’ egli lascia, per
restarne ancor più meravigliati.

Opere storiche: Storia della città e della diocesi di Como, Como,
1829; Rivoluzione della Valtellina nel secolo XVIII, Como, Ostinelli, 1831;
Sulla storia lombarda nel secolo XVII (commento ai Promessi sposi), Mi-
lano, 1832; Storia Universale, Torino, 1838-46; Processo originale degli
untori nella peste 1630, Milano, 1839; Storia degli ultimi tempi, Torino,
1848; Storia di cento anni (1750-1850), Firenze, 1851; Ezelino da Ro-
mano, Torino, 1852; L’ abate Parini e la Lombardia nel secolo passato,
Milano, 1854; Storia degli italiani, Torino, 1854; Gli eretici d' Italia,
Torino, 1865-66; I principe Eugenio, Milano, 1865; Vite parallele di
Mirabeau e Washington, Milano, 1867; Alcuni italiani contemporanei de-
lineati, Milano, 1868; Della indipendenza italiana, Torino, 1872; Gti ul-
timi trent’ anni, Torino 1879.

Opere letterarie, critiche, ecc.: A/giso 0 La Lega lombarda, Como,
1828; Inni, Milano, 1836; Alessandro Manzoni, reminiscenze, Milano,
1832; I crociati a Venezia (nella strenna l’ Iride), Milano, 1833; Isotta,
Firenze, 1834; La Madonna d’ Imbevera, Milano, 1835; Lo scomunicato
(nel Raccoglitore), Milano, 1835; Margherita Pusterla, Milano, 1838; Sei
novelle (per nozze Alfieri-Pedrabissi), Milano, 1841 ; Lord Byron, Milano,
1833; Di Victor Hugo e del rqmanticismo in Francia, Milano, 1833;
Chateaubriand (nel Raccoglitore), Milano, 1835; Della letteratura ita-
liana, Torino, 1845; Vincenzo Monti, Torino, 1861; Tommaso Grossi,
Torino, 1862; Storia della letteratura greca, Firenze, 1863; Storia della
letteratura latina, Firenze, 1864; Sul origine della lingua italiana, Na-
poli, 1865; Storia della letteratura italiana, Firenze, 1865; Monti e l’ età
che fu sua, Milano, 1879. — Sedici novelle, fra le quali aleune di quelle
citate furono riunite in un volume, col titolo: Novelle Lombarde, dall’ e-
ditore Carrara (Milano, 1868); e cinque di queste dal Sonzogno sotto il
titolo di Novelle brianzuole (Milano, 1883).
NECROLOGIA DI CESARE CANTÙ 463

Opere educative: Carl Ambrogio da Montevecchia, Milano, 1836; Il
buon fanciullo, Milano, 1837; Il giovinetto drizzato alla bontà, al sapere
e all’ industria, Milano, 1837; Il Galantuomo, libro di morale popolare,
Milano, 1837; Fior di memoria, Milano, 1846; La libertà d’ insegna-
mento è un diritto secondo ragione?, Milano, 1865; Buon senso e buon
cuore, Milano, 1870: Portafoglio d'un operaio, Milano, 1871; Attenzione!
riflessi di un popolano, Milano, 1876; Manuale di storia italiana, Mi-
lano, 1879.

Opere varie, traduzioni: Guida del lago di Como ed alle strade di
Stelvio e Spluga, Como, 1831; Le glorie delle Belle Arti esposte nel pa-
lazzo di Brera nell’anno 1835, Milano, 1835; Lombardia pittoresca, Mi-
lano, 1836 ; Le casse di risparmio e di previdenza (nel Raccoglitore), Mi-
lano; 1837; Milano e il suo territorio, Milano, 1844; Beccaria e il Di-
ritto penale, Firenze, 1862; Rimembranze d’un viaggio in Oriente di A.
Lamartine, Milano, 1835 ; Storia della caduta dell'Impero Romano di
Sismondo dei Sismondi, Capolago, 1836, e molte altre minori.

A tutte queste opere sono da aggiungersi numerosissime recensioni,
articoli critici e biografici, piccole novelle, lettere a uomini illustri, a
giornali, a privati, e l'indefesso quanto illuminato lavoro come sovrain-
tendente dell’Archivio di Stato.

L’ ultimo libro.

In questi ultimi anni Cantù stava scrivendo un romanzo di cui
egli sarebbe stato il protagonista. Si diffonde molto il racconto sugli av-
venimenti che precedettero la rivoluzione italiana e narra della sua vita
letteraria.

*
sati PY TOTALE re CO eee eee
T ALIA LES mire Re LIO o MEC ET

464 L. FUMÍ

GAETANO MILANESI

Marco Tabarrini, nel 1867, parlando di Carlo Mi-
lanesi osservava, come al Bonaini a cui è dovuta la
istituzione, così grandiosa e bene ordinata in servigio delle
scienze storiche, dell Archivio di Stato in Firenze, spetti la
lode che a lui sembrava essere la maggiore « di avere scelto
al governo delle diverse sezioni uomini versati negli studî
della storia e di molta cultura di lettere, quel meglio in-
somma che poteva dare la Toscana ». Fra questi uomini erano
Carlo e Gaetano Milanesi, il Guasti, il Polidori,
il Tanfani-Centofanti, il Bongi e il Banchi. E di
Gaetano Milanesi senese non si può dir niente di meno
di quello che si dicesse degli egregi compagni che lo hanno
preceduto nella seconda vita; e molte di quelle cose che
scrisse il Tabarrini di Carlo si attagliano al fratello
Gaetano, avendo essi in comune studi e uffici, come nu-
triti allo stesso calore di affetti e sentimenti: ambedue ri-
cercatori indefessi di biblioteche e di archivi, solerti ad il-
lustrare documenti storici, versati nelle lettere e scrittori ele-
ganti ed accurati. Insieme posero mano all’ edizione delle
vite del Vasari, dove ebbero compagni anche Carlo Pini
e il p. Marchese, e dove il nostro Gaetano ebbe a pro-
cacciarsi il merito maggiore, come quello a cui bastó la vita
e l'ingegno di condurre una nuova edizione dal 1818 al 1885.
Per lui la storia delle arti è stata rifatta e messa a nuovo:
le vite degli artisti illustrate e compiute, la cronologia cor-
retta, la verità ristabilita. Opera di grande difficoltà, che
egli iniziò fin dal 1860, rifacendosi da alcune vite di artefici

TTT
ta

Na n ede

NDCROLOGIA DI GADTANO MILANESI 465

fiorentini ». Se il buon volere, accompagnato dalla maggiore |
diligenza possibile, vagliono qual cosa in cosiffatti studi e.
ricerche (egli diceva), io mi confido di poter riuscire, me-
diante l'aiuto dei documenti per me raccolti, a togliere non
poca della molta incertezza e confusione di tempi e di fatti
che si riscontra nelle vite predette.... affinché coloro che un
giorno piglieranno il nobilissimo assunto di dettare la storia
generale. delle arti italiane, abbiano da queste cumulate fa-
tiche nostre una guida piü sicura nella loro via ed una piü
fedele testimonianza delle cose .che scriveranno ». In so-
stanza, come altri ricostruiva col metodo critico la storia
civile degli stati italiani (ed egli era uno dei primi an-
che in questa), così primissimo egli si metteva a ricom-
porre la storia artistica sull’ esame dei documenti confron-
tati colle tradizioni e coi giudizi personali degli scrittori,
bene spesso strani e avventati. Quanto giovasse coi suoi studî
l| Umbria in particolar modo, è noto non solo per le anno-
tazioni e i commentari al Vasari e pel Giornale storico degli
Archivi toscani, ma sopratutto per la raccolta dei Documenti
per la storia dell’arte senese edita in Siena dal 1854 al '56
in tre volumi. « Gran parte della storia delle arti nostre
(egli scriveva) è nella fabrica del Duomo di Orvieto, dove,
fin da’ principî di quel magnifico tempio, gli artefici senesi
ebbero per lunghi anni il primato; copiai perciò dall’ archivio
della Fabrica, annuente cortesemente l' operaio a quel tempo
nob. Leandro Mazzocchi ed aiutato dai miei amici avv.
Scipione Borghesi, Giovanni Palmieri e marchese
Filippo Antonio Gualterio, tutte le memorie che face-
rano al proposito mio ». Dal quale lavoro come trasse profitto il
Luzi ascrivere la storia di quel Duomo, così venne occasione
di rifare tutta da capo la illustrazione più tardi, quando con più
agio di tempo e per la perizia dell’architetto Zampi e per
la intelligenza e costanza del Presidente dell opera Carlo
Franci, i restauri del monumento furono intrapresi sulla
scorta delle indicazioni originali di tutte le arti tracciate nel-
466 p. FUMI

l'Archivio dell' Opera stessa. Fu egli amico e cortese aiutatore
di tutti gli studiosi della nostra regione, e molto a lungo con-
servò familiarità e scambio di rapporti con Adamo Rossi, al
quale spetta un gran merito per la illustrazione della storia
delle arti Umbre, instancabile raccoglitore quale fu di me-
morie e documenti. Erudito, storico, letterato, Gaetano
Milanesi si è guadagnato una reputazione mondiale, con le
sue pubblicazioni nell’ Archivio Storico Italiano, nella Biblio-
teca Nazionale del Le Monnier, nella Nuova Collana di
scrittori italiani, nelle due edizioni delle Vite del Vasari, e
coi moltissimi scritti sparsi; e tutti i principali eruditi del
nostro tempo, così italiani come stranieri, che ebbero sovente
ricorso a lui molto utilmente, lamentano la sua morte, av-
venuta di 85 anni il 10 marzo di quest’ anno; resa più do-
lorosa al ricordo delle singolari virtù dell’ uomo, pio, buono,
leale, modestissimo, sicchè di lui può ripetersi: Operatus est
bonum et rectum et verum in universa cultura ....

7

Orvieto, 7 maggio 1895.

L. Fumi.
no ir;

467

NICCOLA DANZETTA

La sera del 26 marzo 1895 cessava di vivere in Perugia,
sua città nativa, il barone Niccola Danzetta senatore
del Regno; la morte fu per lui una liberazione, chè da oltre
22 anni implacabile malore lo tormentava. Ma questa idea
non valse ad alleviare il cordoglio della derelitta consorte,
dei figli e dei congiunti, non potè render meno amara tanta
perdita ai Perugini che proseguivano il barone Danzetta
di affettuosa venerazione. Non è dato qui ricordare, per l'in-
dole del periodico, le doti elettissime dello estinto: egli fu
di quei patrizi, che dai natali illustri traggono incitamento
ad ornare l animo di virtù, l intelletto di sapere e a com-
piere atti generosi, ma non si consacrò alle storiche disci-
pline per modo che lo si possa in questo Bollettino segnalare.
La varia cultura da lui acquistata negli studî giovanili per
altro fece sì che il Danzetta, ancorchè non fosse uno
scienziato o un artista, tenne ognora in alto pregio le scienze
e le arti e con ogni suo potere le favori; non v'ha infatti
in Perugia istituzione avente per iscopo il progresso delle
une e delle altre, che non lo ricordi con gratitudine fra i
suoi fondatori e patrocinatori. E questa medesima Società
Umbra di Storia patria oggi si duole di aver perduto in lui,
che della storia del suo tempo tiene sì gran parte, uno dei
suoi soci benemeriti.

Perugia, maggio 1895.
V. ANSIDEI.
arena

amc praga

468

Bullettino dell’ Istituto Storico Italiano; Fascicoli 14° e 15° — Sommario
del Fascicolo 14 — I. Fonti di Landolfo seniore, per L. A. FEgm-

RAI. — « Monumenta Novaliciensia vetustiora », relazione al Presi-
dente del R. Istituto Storico di C. CrpoLLa. — Per una raccolta

di « Monumenta mediolanensia antiquissima. » relazione al Vice-
presidente della Società Storica Lombarda di L. A. FerRrAI. — Sulla
cronologia delle opere dei dettatori Bolognesi da Buoncompagno a
Bene di Lucca per A. GAUDENZI. — Necrologia. — Sommario del
Fascicolo 15 — Il castello di Quart nella Valle d' Aosta secondo un
inventario inedito del 1557, per C. MERKEL. — Un secondo testo
dell’ « Assedio d' Ancona » di Buoncompagno, per A. GAUDENZI. —
Necrologia.

Archivio Storico Italiano (Dispensa 1* del 1895). — Memorie e Docu-
menti. — La spedizione di Sebastiano Caboto al Rio della Plata,
CarLo ERRERA. — Un episodio della vita di Piero: Strozzi, Lurai
STAFFETTI. — Due libri d'amore sconosciuti, S. Bongi. — Archivi
e Biblioteche — Archivio di Stato in Lucca — Acquisti del 1894. —
Aneddoti e varietà — Dell’ età in cui poteva cominciarsi 1’ esercizio
del notariato in Firenze nei secoli XIV-XVI, U. MARCHESINI. —
Note italiane sulla storia di Francia. — V. Lettere di Luigi d’ Or-
léans (Luigi XII), L. G. PErnrssmR. — Rassegna bibliografica. —
Neerologie. — Notizie.

Archivio Storico Lombardo, Giornale della Società Storica Lombarda
(Serie III, Vol. III, Anno XXII, Fascicolo 1°). — Sommario. — Me-
morie. — Parole lette dinanzi al feretro di Cesare Cantù, F. CALVI. —
La popolazione agricola della Lombardia nell’età barbarica, G. SrgE-

GNI. — Nota all' itinerario della prima spedizione italiana di Carlo IV
di Lussemburgo (1354-1355), Gracinto Romano. — Un cronista fio-

rentino del quattrocento alla Corte Milanese, L. FrATI. — Alcuni do-
cumenti sul S. Officio in Lombardia nei secoli XVI e XVII, A. BAT-
TISTELLA. — Il « Floridante » di Bernardo Tasso, F. FoFFANO. —
Un tipografo a Milano nel 1469, E. Morta. — Storia ed arte. — Il
Castello di Bellusco presso Vimercate, D. San’ AmBrogio. — Il
Santuario di Maria Vergine delle Grazie presso Mantova, G. B. IN-
TRA. — Bibliografia. — Bollettino di Bibliografia Storica Lombarda,
— Atti della Società Storica Lombarda.

pert
HR

PERIODICI IN CAMBIO O IN DONO -- OMAGGIO DI PUBBLICAZIONI 469

Rivista di Storia, Arte, Archeologia della Provincia di Alessandria. —

(Anno IV, Fasciscolo 9°) — Sommario; Parte I — Studi (Casale
Monferrato). Giorgio Alberini pittore, FRANCESCO NEGRI. — Studi
(Casale Monferrato). — Di Bartolomeo Baronino architetto, GIOVANNI
Minina — Memorie e notizie. — Parte II. — Documenti — Docu-
menti ed estratti di documenti per la Storia di Gavi, CORNELIO
DE SIMONI.

Studi e Documenti di Storia e Diritto. — Pubblicazione periodica del-

VAccademia di conferenze storico-giuridiche (Anno XVI, Fasci-
colo 1°) — Sommario I. « Pietro Pescatore » ‘ossia della vera inter-
pretazione di Paradiso XXI, 121-123, DorT. G. MercatI. — II. L’in-
ventario dei beni di Giovanni di Magnavia vescovo di Orvieto e vi-
cario di Roma. (Cont. e fine), Cav. L. Fuwr. — HI. La signoria di
Ermanno Monaldeschi in Orvieto, Dorr. G. ParpI. — IV. Spese e
donativi pel Comune di Roma nel secolo XVI, F. CERASOLI. — V.
Alcuni documenti sul Comune di Montelibretti e sui passaggio dalla
casa Orsini alla casa Barberini, CAv. Pror. E. CELANI.

Bollettino della Società Africana d' Italia — (Anno XIII, Fascicolo 11-

12 e Anno XIV, Fasciscolo 1-2). — Sommario del Fascicolo 1-2. —
La Società africana d'Italia per le vittorie di Coatit e Senafè — Pel
R. Istituto Orientale di Napoli .— Lo stato indipendente del Congo
e la Colonia italiana, E. Vira. — La 15* traversata dell’ Africa,
G. Buonomo. — Le traversate dell’Africa — I fini della nostra po-
litica Africana, A. DI SAN GruLIANO. — La madreperla edi tessuti
di cotone nella Colonia Eritrea. — Cronaca Africana. — Necrologia.

Bollettino della Società di Storia Patria Anton Ludovico Antinori negli

Abruzzi (Anno VII, Puntata XIII) — Sommario. Svolgimento
della Società di Storia Patria negli Abruzzi da’ 5 settembre 1888 a’
2 agosto 1894 — G. DRAGONETTI, Benemerenze civili di Pier Ce-
lestino verso gli Abruzzi — E. Casrr, Conferenza sui monumenti
della città. e de’ dintorni dell’ Aquila — Comm. G. RivERA, Sto-
ria de’ Contadi di Amiterno e Forcona fino al secolo XIII — Dott.
I. Lupovisi, La venuta della Regina Giovanna I d’Aragona nel-

l’ Aquila degli Abruzzi — Pror. Moscampr, Programma d'una
Storia degli Abruzzi dall'anno 476 fino a’ nostri giorni. — Rassegna
Bibliografica. — Cenni bibliografici. — Corrispondenze e notizie va-
rie. — Atti ufficiali della Società di Storia Patria.

La Favilla (Anno XVIII, Fascicoli 9° e 10°). — Sommario. — Almansor -

— Tragedia di E. HmriNE tradotta in versi italiani dal Comm. C. Ca-
STELLINI. — Note d'arte, G. URBINI.

Rivista delle Biblioteche e degli Archivi (Anno VI, Numeri 1 e 2, Vol. VI)

— Sommario. -- Sopra la necessità e i mezzi di migliorare la qua-
lità della carta e dell’ inchiostro ad uso degli uffici - pubblici, E.
LoEviNSON. — Cenni critici sul Codice H, II, 3 della Biblioteca della

Badia di Grottaferrata e sulla Histoire des intrigues galantes de la
Reine Christine de Suéde, C. Binpr. — Aneddoti Danteschi, T.
PERIODICI IN CAMBIO O IN DONO -- OMAGGIO DI PURBLICAZIONI

Casini. — Per Isidoro Carini, G. B, — Rivista Bibliografica, —
Notizie.

Nuova Rivista Misena (Anno VIII, Numeri 1-2). — Sommario. — (Gli

affreschi di C. Maccari nella Cupola della Basilica di Loreto, G.
CANTALAMESSA. — Un'opinione poco nota intorno al luogo della così
detta battaglia di Tagina, B. FhLICIANGELI. — L’ orologio mecca-
nico della torre comunale di Civitanova costruito nel secolo XV da
un artefice marchigiano, P. GrANNIZZI. —- Di uno stendardo di M.
Antonio di Domenico Orlandi di Firenze e di una tavola di suo fi-
glio Nicolò in Ancona, A. ALmPPI. — Necrologia. — Varietà e noe
tizie.

Erudizione e Belle Arti- Miscellanea (Anno II, Fascicolo VIII). — Som-

mario. — T. VENuTI, Una variante Dantesca che ha per motivo
Cluny. — G. Bacci, L'antica cappella dei musici di S. Giovanni
e di Palazzo Pitti. — C. Arria, Capitoli faceti di Braccio del
Bianco. — G. FeLIice PicHi, Una questione vecchia, ma sempre
nuova. — C. ArLia, Note filologiche. — F. RAVAGLI, Sonetto di An-
tonio Cristofani sulla Storia di Guida dipinta nelle Logge Vaticane.
L. A. GANDINI, Neerologia.

Archivio Storico per le provincie Napoletane pubblicato a cura. della So-

cietà di Storia Patria (Anno XX, Fascicolo 1°). — BAnoNz N., I Quin-
ternioni feudali (Notizie Archivistiche). — ScHipa M., La migrazione
del nome « Calabria ». — MASTROJANNI O., Sommario degli atti
della Cancelleria di Carlo VIII a Napoli (continua). — GUERRIERI
G., Un diploma del primo Goffredo conte di Lecce. — CeRrASOLI F.,
Urbano V e Giovanna I di Napoli (Documenti inediti dell'Archivio
segreto Vaticano, 1362-1310) (continua). — SoGLIANO A., Miscellanea
epigrafica napoletana. — Contributo alla Storia e topografia antica
di Napoli (continua). — Rassegna Bibliografica. — Notizie ed indi-
cazioni bibliografiche. — Inaugurazione delle nuove sale della biblio-
teca Cuomo. — Assemblea ordinaria dei soci.

Accademia — La Nuova Fenice in Orvieto. — Diario di Ser Tommaso

di Silvestro notaro con note di Lurar Fumi. — Fascicolo IV — Dal
1507 al 1510.

R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. — G. BELTRAME, Il

tempio del Santo Sepolcro in Gerusalemme. — B. Brugi, Gli stu-
denti tedeschi e la S. Inquisizione a Padova nella seconda metà del
secolo XVI. — C. CASTELLANI, La novella di Ruggero I Re di
Sicilia e di Puglia sulle successioni ridotta alla sua lezione volgariz-
zata ed annotata. — A. Favaro, Amici e corrispondenti di Ga-
lileo Galilei. — I Margherita Sarrocchi. — A. Favaro, Nuovi
contributi alla Storia del Processo di Galileo. — A. GLorIA, Dove
Galileo in Padova abitò e fece le immortali scoperte. — C. A. Lzvi,
Il lituo d'avorio del vescovo Buono Balbi di Torcello, Opera del
secolo XIII testé venuta alla luce. — E. TEZa4. La Società Diblic:
d' Inghilterra nel MDCCCXIV (Venezia, Tip. Ferrari, 1894-95).

db. sicci
I

PERIODICI IN CAMBIO O IN DONO -- OMAGGIO DI PUBBLICAZIONI 471

Miscellanea Storia Senese (Anno III, Numeri 1-4). — Sommario del n. 4.
— P. Mixucci DeL Rosso, La giovinezza del Principe D. Mattias
de’ Medici in Siena — Documenti. — A. V. BANDI, Rocca d'Orcia,
provvedimenti in favore dell'Agricoltura. — Notizie. — Bibliografia.
— Curzio Mazzi, Cose Senesi in Codici Ashburnhamiani.

La Critica. Rivista settimanale di arte (Anno I e II, numero 20). —
Sommario. — Modernità, Leo FERGUS.

CrpoLLa C. — Pubblicazioni sulla storia medioevale italiana (1893) —
Venezia, Tip. Visentini, 1894.

CLaRETTA G. — Una ricognizione dell'Archivio del Cenobio d’ Oulx nel
1607 e il cartario Uleienze — Torino, C. Clausen, 1895.

Ringraziamo à Giornali e le Riviste, non che tutti gli eru-
diti e uomini colti, così italiani come esteri, che hanno avuto tante
buone parole per incoraggiare l'opera mostra, accogliendo con
giudizio benevolo e lusinghiero il primo numero del ‘nostro Bol-
lettino.

———c——Á»-$-«m——— ——
VITTORIA COLONNA IN ORVIETO

DURANTESLA GUERRA: DEL SALE

La tassa sul sale imposta dal papa Paolo III, nel 1540, riuscì
delle più odiose, perchè colpiva, in un anno di grande careslia (1),
specialmente il popolo minuto, al quale facevan già carico tanti
altri pesi; ed anche perchè, chiesta per servire alla difesa della
cattolica fede minacciata dagli eretici e dai Turchi, si ritenne fin
da principio dovesse, in gran parte, fare le spese della splendida
corte dei Farnesi (2); onde fu accolta con malanimo in tutto
lo stato della Chiesa. Ravenna tumultuó, ma prestò si sottomise.
Perugia, richiamato di Toscana Rodolfo figlio di Malatesta Ba-
glioni (3), del quale il Papa aveva indarno tentato di guadagnar
l'animo restituendo i beni paterni a Monaldesea dei Monaldeschi
d'Orvieto sua madre (4), si levó in armi per difendere, come di-
ceva, | privilegi ottenuti in maleria del sale da Eugenio EV
Martino V (5), ma si buscó dapprima l'interdetto (6), e poscia

(1) PABRETTI ARIODANTE, Cronache della ‘Città di Perugia, Torino, 1588, Vol..II,
pag. 124. — PELLINI, Historia di Perugia, parte III, manoscritto nella Bibl. Nazionale
di Firenze: IV, 2, 255, pag. 025.

(2) Archivio Storico Italiano, Tomo XVI, parte II, Firenze, 1851, pag. 406. — SEGNI
Storie Fiorentine, Milano, 1834, pag. 12). — MALTEMPI, Trattato delle notabili avversità
i uri occorse, com alcune: historie de’ suoi tempi, in Orvieto, per Baldo Salviani
MDLXXXV, pag. 18 e segg., rarissimo libretto che contiene interessanti notizie or-
vietane e sulla guerra del sale,

(3) Arch. St. Ît. cit., pag. 378. — FABRETTI, Cronache cit., IT, 128 e 190 — III, 14

e 102 — IV, 248. — PELLINI, Op. cit.,, pag. 631.

(4) FABRETTI, Cronache cit., IV, pag. 249. e Vita e fatti darme di Malatesta Ba-
glioni, Perugia, Fumi, 1846, pag. 212. — VERMIGLIOLI, La Vita ee imprese militari
di Malatesta IV Baglioni, Perugia, Bartelli, 1839, pag. 144.

(2) Arch. St. It. cit., pag. 627. — PELLINI, Op. cit., pag. 626.

(6) FABRETTI, Cronache. cit., II, 189. — III, 101. — IV, 244. — PELLINI, Op. cit., pa-

gina 027.
32
474 D. TORDI

si vide venir sopra un esercito di quasi diecimila uomini guidato
da Pier Luigi Farnese in persona, che disertò tutto intorno le
belle contrade. Il 5 di giugno 1540 la città affranta dalla fame si
arrese a discrezione (1), molti de’ suoi migliori cittadini esularono
o furono banditi, per più anni fu spogliala de’ suoi privilegi e
palì che sulle distrutte case dei Baglioni sorgesse a suo freno quella
fortezza Paolina (2), che fino a’ giorni nostri ha fatto testimonio
della fermezza dei propositi di papa Farnese.

Ascanio Colonna avrebbe dovuto far pro della dura lezione
toccata a Perugia e sottomettere i suoi feudi alla tassa sul sale,
cedendo così anche ai consigli di prudenza che gli venivano da
varie parti e specialmente dall'imperatore Carlo V e da sua so-
rella Vittoria Colonna marchesa di Pescara, la quale trovandosi
in Roma a contatto della corte pontificia, era in grado di cono-
scere gli umori del Papa e le aspirazioni di lui poco benevole
per la sua casa.

' Paolo III aveva altra tempra d'uomo di quella di Clemente VII
e, se anche non l’avesse avuta, il passato doveva ammaestrarlo.
Veniva da nobile prosapia orvietana che aveva preso parle attiva
e cospicua nelle vicende bellicose della patria. Le tradizioni. do-
mestiche ebbero non poca influenza sulla energia del suo carat-
tere, che la tarda età di ormai 73 anni non aveva punto affievo-
lito. Calmo e previdente nel prendere. decisioni, ma fermo nel-
l'eseguirle. Non possedeva lo spirito battagliero ed irrequieto di
Giulio II, ma non men di lui intese ad assicurare alla ‘Chiesa il

pacifico e reale possesso del suo stato. Egli riguardava i baroni

(1) Arch. di St. di Firenze — Carte Cervini — Cod. II., Lettera 11. — Lettera del

Cardinal Farnese al Card. di Nicastro legato in Francia: ..... « le cose di Perugia,

« Dio laudato, hanno pigliato sexto, essendosi quella Terra alli V di questo data to-
« talmente a discretione di S. S. con aprir le porte al s.or Duca mio padre, con farlo
« entrare con tutta quella gente che volse, scacciandone fora le gente forestiere, et
« uscendosene Ridolfo, et tutti gli altri capi, et autori della rebellione, et chiedendo
« la/Terra perdono de li errori, con deponere et portar tutte le armi al Duca, et con
« fare tutti gli alti segni di vera deditione ».

(2) FABRETTI, Cron. cit., II, 193.— III, 20, 103. — PELLINI, Op. cit.; p. 636. — ADRIANI
G. B. Istorie de’ suoi tempi, Milano, 1834, p. 277. — La fortezza Paolina fu opera di
Maestro Antonio da Sangallo. Nel Liber Mandatorum Cameratium. degli" anni 1540-41,
chesi conserva nel R. Archivio di Stato in Roma si leggono i relativi mandati
di pagamento. Il Sangallo in questi ultimi anni abitava spesso in Orvieto ove aveva
aperto casa, donatagli dalla Comunità. Liber Reformationum Mag. Cóis et populi
Civitatis Urbis Veteris, an. 1534 c. 526, an. 1540 c. 688.

— MÀ
Le —

VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC.. 415
romani, e specialmente i Colonnesi, « come stecchi sugli occhi » (1),
perché da molto tempo, colle loro prepotenze e colle loro armate
lotte domestiche, costituivano tale un pericolo per la tranquillità
dello stato della Chiesa, da lasciar temere che si. rinnovassero
da un giorno all’altro i tristi tempi del sacco del Vaticano e di
quello più spaventoso di Roma intiera, dei quali i Colonnesi fu-
rono attori e fautori principali (2). Cercava quindi occasione di
abbassarli, anche per aver modo di mettere in istato onorevole,
come n’aveva sfrenata ambizione, il figlio Pier Luigi Farnese e
i suoi nepoli, per cui tanto si maneggiò.

Una prima ragione di disgusto fra Ascanio Colonna e i Far-
nesi ebbe origine dal fatto che Pier Luigi negli anni scorsi aveva
favorito personalmente il rapimento di Livia Colonna, compiuto a
scopo di matrimonio da Marzio Colonna contro la volontà di
Ascanio che, come erede fidecommissario di Marcantonio I Co-
lonna, padre della fanciulla, doveva dotarla (3). Povera fanciulla,

cui più tardi non valsero a scampare dall' arma assassina di Pom-

peo Colonna, suo genero, nè la meravigliosa bellezza, nè le rare
doti della mente e del cuore per cui fu tanto pianta (4). Ella parve,
fin dalla giovinezza, votata alla cupidigia de’ suoi! Ascanio: che
era dominato da quella avarizia che gli faceva procrastinare per-
sino la convenevole sistemazione de’ propri figli (5), arse d’ira
per la intromissione del figlio del Papa nelle sue faccende dome-
stiche, e, quando poi fu bandita la tassa sul sale, invece di ac-
cettarla subito per non dar filo da torcere a chi altro non voleva,
vantando i privilegi di Martino V (6) e la protezione dell’ Impe-
ratore e de’ suoi agenti in Italia, si rifiutò di prendere il sale
dall’appaltatore pontificio.

(1) SEGNI, op. cit., pag. 129.

(2) SEGNI, ivi.

(3) ADRIANI, Op. cit., pag. 280 — TORDI D., Logo ed anno della nascita: di Vittoria
Colonna, pag. 20 (Estratto dal Giornale storico della Letteratura Italiana, "Torino,
Loescher, 1892, Vol. XIX, pag. 1).

(4) BERTOLOTTI A., La prigionia di Ascanio Colonna, Modena, 1883, pag. 32. —
CONTILE L., Delle Lettere, Pavia, Bartoli, 1564, Vol. I, c. 49. — Rime di diversi eccel-
lenti autori, in vita, e in morte dell’ IU. signora Livia Colonna, Roma, Antonio

. Barré, 1555.

(5) TORDI D. — Supplemento al Carteggio di Vittoria Colonna, Torino, Loescher,
1892; pag. 42 e 120.

(6) COPPI A. — Memorie Colonnesi, Roma, Salviucci, 1855, 8.42, pag. 174.
476 Di TORDI

Il Papa avrebbe voluto procedere subito contro di lui, ma era
già impegnato nella lotta con Perugia, una delle più. importanti
città pontificie, cui premeva ridurre tosto all'obbedienza per taci-
tare i malumori delle altre, e quindi credette opportuno, per allora,
far le viste di non preoccuparsi di ciò che avveniva sulle porte
di Roma. Favorirono. pure per molti mesi questa condotta’ tol-
lerante di Paolo III verso Ascanio le trattalive che, nel frattempo,
Vittoria Colonna aveva intrapreso col Papa stesso, intese a con-
eludere un matrimonio tra suo nepote Fabrizio Colonna, primo-
genito di Ascanio, con Vittoria di Pier Luigi Farnese, nepote
del Papa. Fautore di tali trattative era anche 1l cardinale .Ales-
sandro Farnese (1), fratello della giovane, del cui consiglio molto
si giovava Paolo III; ma poichè questi aspirava piuttosto a collocar
la nepote in una delle prime corti d' Europa, in Francia od in Ba-
, viera, in Portogallo od in Polonia, senza contare le corti principali
d’Italia, Toscana, Savoia ed Urbino; colle quali pendevano anche
trattative (2), ed Ascanio dal. canto suo attraversava le. pratiche
aperte dalla sorella, ostinandosi a non volere assegnare conve-
niente stato al figlio Fabrizio, fu smesso finalmente il pensiero

di collocare la Vittoria Farnese in casa Colonna. E fu male per

(1) Arch. di St. di Firenze — Carte Cervini — cit. Cod. I, 1. 76, c. 8. — Lettera del
Card. Farnese a Paolo III in data di Gantes, X d' aprile 1540: «...... Li (tre) partiti oltra-
« montani per mia sorella a me piacciono meno ehe non fa quel con casa Colonna,
« però se à V. Santità pare ch'io parli di alcuno di essi a S. Maestà, le piaccia scri-
« vermi distintamente di quale, perché lo farò con ogni diligentia . ... . ».

(2) TORDI, Supplemento at Carteggio di V. C. cit., pag. 43e 44. — Arch. di St. di
Firenze — Carte Cervini — cit. Cod. I, lett. 40, trattative. per Mons. Vandomo: let-
tera 64, pel principe d'Orange, Vandomo e Loreno: Cod. II, Ll. 4, per Vandomo,
Orange e Baviera; ]l. 14, car. 27, in questa lettera (Vedi Appendice I) meglio che in
ogni altra appare il mercato che si faceva di quella povera giovane ormai di « età ma-
tura », la quale fini poi parecchi anni dopo per sposare il vedovo duca d' Urbino Gui-
dobaldo II, come ben si apprende dalla seguente lettera che Bernardino Maffei scrisse al
Card. di S. Croce, Marcello Cervini, legato al Concilio: « R.mo padrone et signor mio.
« Questa sarà solo per baciarla mano a V.S. R.ma et darli nuova come hoggi, dio laudato,
«sé concluso il parentado tra la signora. Vittoria et il signor Duca d'Urbino con
« 60 mila scudi di dote di denari contanti quali sborscia N. S; et per 20 mila
« di più tra gioie, oro et argento s' é obbligato il Cardinale nostro (Farnese, c. 167) in
« modo che la dote é di 80 mila scudi. Li 60 mila scudi s' hanno da pagar in doi vol-
« te cioé la metà quando si congiungono insieme et l'altra metà fra sei mesi: con
«e speranze del Cardinalato per il fratello ecc. Né havendo altro che dir, resto ba
« ciando humilmente la mano di V. S. R.ma, il p». di Giugno, 1547.

« Obligaàtiss.0 servo B. Maffei ».
« Il Vescovo di Fano é stato procurator et n° ha havuto 1° honor insieme col Car-
dinale Salviati » (Cervini, II, c. 127).

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VITTORIA COLONNA IN ORVIETÓ, ECC. 417

questa casa; perocchè il Papa, che in quel mezzo aveva debellato
Perugia, volle ormai che Ascanio, senza più tergiversare, pren-
desse il sale, al prezzo aumentato, dall’ appaltatore pontificio;
Ascanio, manco a dirlo, si rifiutò; e perchè alcuni suoi. vassalli
riottosi all’ordine pontificio furono carcerati, egli si volse alle rap-
presaglie e fece una scorreria sulle terre di Jacopo Zambeccari
appaltatore della gabella del sale, e gli predò trenta vacche ed
altri capi di bestiame (1).

Ciò diede buon giuoco al Papa che. il 25 febbraio 1541 gli
mandò a Marino un Breve di citazione a comparire personal-
mente (2). Ascanio, pur protestandosi fedel vassallo della Chiesa,
non obbedì, e si diede anzi a far la massa de’ soldati ne’ suoi
feudi. I] Papa allora ordinò a Pier Luigi di muovere contro il Co-
lonna. Di questa guerra ingloriosa, in cui si videro combattere
nelle parti avverse persone delle stesse casale, e che fini nel breve
giro di tre mesi colla perdita, per parte di Ascanio, di tutti i feudi
che possedeva nello stato ecclesiastico, fu commissario generale
del campo monsignor Giovanni Guidiccioni, il quale nel suo car-
teggio ci ha lasciato minuta notizia di ogni fazione e, si direbbe,

quasi il giornale di questa seconda guerra del sale (3).

(1) FERRERO e MilLLER — Carteggio di Vittoria Colonna, Torino. Loescher, 1892,
pag. 218, lett. CXXIX — ADRIANI, 0p. cit., pag. 280. — Guazzo M.. Historie, Venezia, Gio -

lito, 1546 c. 313 e segg. — Nel Liber Mandatorum Cameralium (Arch. di St. di Roma)
ann. 1540-41 a c. 263 e 264. si legge un Decreto del Card. Camerario Guid' Ascanio
Sforza, col quale si ordina ai Doganieri della Salaria di Roma di pagare al Mag. Ja-
cobo Zambeccari « duc. auri de Camera tresmille ad rationem Juliorum X pro quo-
« libet duc. pro restauro damnorum. pass. tempore belli inter S. R. E. et Ascanium

« Columnam a militibus utriusque exercitus. — Dat. Romae in Cam.ra Ap.ca die VIII
« Augusti 1541 — Visa Io. Gaddus Cam.re Ap.ce D. — Bald. de piscia — Jo. della Casa.

« Jul. Gonzaga ».

(2) Carteggio di Vitt. Col. cit., pag. 215. Di tale Breve ne procurammo primi la
pubblicazione sui Codici n. 7975, c. 108 e 109, della Biblioteca Vaticana, e n. 24 dei
Processi Criminali del AR. Arch. di St. di Roma, anno 1539-11, c. 5. — Nel Liber Man-
datorum Cameraltium eit., ann. 1510-41, c. 227, troviamo la seguente nota: « Scudi 70
« à m. Ferrante Balaneo per la fatiga sua di sollecitare et fare soscrivere la Bolla di
« aumento — scudi 25 alU abbreviatore;— scudi 2) al Motta (Bernardino, uno dei due
« scrittori seereti del Papa, l altro era Ieronino Dandino) per la scrittura di detta Bolla
« — altri scudi 15 per la registratura alli Notari di Camera. — È firmata dal Card. Ca-
« merario Guid' Ascanio Sforza in data 14 marzo 1541 ».

(3) BINI TEL. — Lettere inedite di mons. Giovanni Guidiccioni, Lucca, Giusti, 1855,

a pag. 174 e segg. — MiNUTOLI C, — Opere di Mons. Giovanni Guidiccioni, Firenze,
Barbera, 1867, Vol. II, pag-371 e segg. — Noto.che segretario del Guidiccioni durarite

la guerra contro Ascanio era l'elegante scrittore Messer Dionigi Atanagi da Cagli, al
quale sarà spesso toccato il carico del carteggio del suo padrone. Cfr. TurRGHI F, —
Delle lettere facete e piacevoli di diversi, Vinegia, Salicato, 1621, Vol. II, pag. 294.
478 D. TORDI

II.

Orvieto non prese parte alla ribellione promossa dalla tassa
sul sale. Le stava troppo a cuore di mantenersi nelle. grazie
di Paolo III, cui riguardava con orgoglio come il più illustre

de’ suoi cittadini, e del quale aveva avuto spesso occasione di espe-

rimentare la benevolenza. Il Papa, che prima di ascendere al trono
pontificio era stato arciprete del magnifico duomo d' Orvieto, aveva
poi spesso visitato la ciltà che amava come patria de’ suoi ante-
nali, ne aveva promosso il rinnovamento edilizio (1), spendendovi
all'uopo il ricavo delle maggiori tasse, che perciò apparivano agli
orvietani più sopportabili, e l'aveva ricolma di favori e di privi-
legi. Pensarono perciò gli orvietani, che lo ‘conoscevano da

vicino, che molto più avrebbero potuto cavar da lui coi buoni e

pacifici uffici, che colla violenza, alla quale peraltro non manca-
rono incentivi. Allorché fu stabilito l'aumento della tassa sul sale,
che raggiungeva tre quattrini per libbra (2), gli orvietani avevano
oratore a Roma. un loro valente giureconsulto, Nicolao Monalde-
schi. In data 7 marzo 1540 decisero di scrivergli che vedesse
di ottenere una diminuzione di prezzo sul sale o sul decretato
aumento o quanto meno una dilazione di tempo nell’ applicazione
della nuova tassa. Anche Tradito Marabottini, appaltatore della
gabella del sale in Orvieto, essendosi recato a Roma per trattare
sulla causa de’ grani, si adoperò perchè fosse mitigato il prezzo
del sale, fonte per lui di molti dispiaceri, perocché non mancavano
privati cittadini e massime la povera gente che procurassero il
sale per via di contrabbando, per il che egli doveva giornalmente

far procedere à molte carcerazioni (3). Pare peraltro che le

(1) FuMI LUIGI — La prima entrata del Pontefice Paolo III in Orvieto, Orvieto,
Tosini, 1892, pag. 5 — Riform. Orv., ann. 154%, c. 678, 689, 683; al 209 di settembre si
riadattava « operis et fabrice episcopatus vetus vulgariter nuncupatus il palazzone »
col ricavo della tassa sul sale ed inoltre si provvedeva al palco d'oro. (soffitto) « in
Ecclesia S. Marie de Stella iuxta mentem S. S.tis » spendendovi « scutà ducenta ex
pecuniis exigendis de augumento salis ».

.(2) FABRETTI, Cronache cit., III, 18 — Arch. St. It. cit., T. XVI, p. II, pag. 370. —
PELLINI, Op. cit., pag. 626 — Arch. St. Orvietano, Riform. ad ann. 1540 addi 7
c. 153: « aumentum trium quatrenorum pro qualibet libra ».

(3) Riform. Orv. ad ann. 1540, c. 153, 231, 641, 607. — Ecco l'assegno preventivo
del sale da distribuirsi sul territorio Orvietano nel 1541. — Riform. Orv. ad ann.

"marzo,
VITTORIA: COLONNA IN ORVIETO, ECC. 479

pratiche del Monaldeschi e del Maraboltini non approdassero à
buon porto, Si chiedeva la diminuzione della tassa, ma essendo
questa generale, non poteva concedersi, perchè l'eccezione sa-
rebbe stata invocata da altri; in quanto al prezzo «del sale pen-
sasse l'appallatore a. ribassarlo. Ma il Marabottini dimostrava
che non poteva venderlo a meno di sette quattrini, dovendone
versare ire alla Camera apostolica; onde per sottrarsi al crescente
malumore del popolo minuto, che in lui. solo vedeva l' oppressore,
chiese di recedere l'appalto (1). Le lunghe trattative che segui-
rono a questa sua domanda rimasero in tronco per la venuta del
Papa in Orvieto nel settembre del ^40, nel qual tempo la tassa
sul sale si rese meno dura, perché insieme a quella sull'uva e
sul vino, servi a far le spese della corte pontificia (2), e rispar-
miò agli orvietani il peso inevitabile di altre imposizioni; ma par-
tito che fu il Papa, la pratica della cessione dell' appalto fu ripresa
e dal Consiglio dei XII. passó a quello Generale e da questo a
quello ripetutamente, Si consullarono due dottori in legge per co-

noscere se il Maraboltini potesse rinunziare l'appalto che già gli

c. 205: Dispensatio. salis, anni M. D. XXXXI. Orvieto rubia 100 — Civitella Agliani 20
— Castiglione 13 !/o — Sermognano 3 — Lubriano 12 — Porano 8 — Sucano 10 — Torre
S. Severo 3 — Torre Alfina 8 !/ — Castel Viscardo 2 !/ — Monte Rubiaglio 1 1/9 —
Jlenano 5 — Allerona 10 — Fabro 3 !/o — Ficulle 17 — Monteleone 14 !/; — Montegab-
bione 9 !/; — Parrano 11 !/5 — Corbara 10 — Ripalbella 0 2/3. —. Collelongo 6 — Ro-
tacastello 4 t/a — S. Venanzio 2 !/; — Palazzo Bovarino 1 — Civitella Manni 3; in
tutto rubia 280 2/5.

(1) Riform. Orv., anno 1540, c. 240, 242 e 703.

(2) Paolo III venne in Orvieto con molti Cardinali e prelati nel settembre del
1540 e vi si trattenne circa otto giorni. Quando giunse in Viterbo gli orvietani.man-
darono a visitarlo dal Capitano Gerolamo Benincasa. — Per far le spese della venuta,
non bastando il ricavo della tassa sul sale, ne fu imposta una straordinaria, d' un
quattrino per ogni soma d'uva e di due per ogni soma di vino da vendere, che
fruttò trecento fiorini. A ricevere ed assistere il Papa e la corte furono depu-
tati 16 nobili cittadini, cioé: Lorenzo e Nicolao Monaldeschi, Gabriello Bianchelli, il
capitano Benincasa, Giulio Duranti, Stefano Tarugi, Marco e Arrigo Alberici, Pandolfo
Vaschiense, Bernardino Lattanzi, Giannotto Simoncelli, Tradito Marabottini, Cesare
Magalotti, Francesco Avviamonzi ed Alessandro e Camillo Saracinelli. Per rappresen-
tave al Papa i bisogni della città furono specialmente destinati il giorno 11 settembre
tre oratori: Nicolao Monaldeschi, Alessandro Saracinell e Bernardino Lattanzi. Il Papa
ricevette in Orvieto ambasciatori di molte città; la Cronaca di Francesco Baldeschi ci
serba memoria di quelli perugini: « Alli 13 settembre monsig. de la Barba andò a
Urvieto, dove era il Papa, et andaro seco li ambasciatori de la città ». Paolo III trattò
in Orvieto vari affari importanti ; ci resta memoria di una Bolla che vi firmò in data
13 settembre, — Cf. Bullarium a Gregorio sept. usque ad S. D. N. Sixtum quintum,
Romae, Blado, 1586, pag. 393, n. XXII. — Riform. Orv., 1540, c. 243, 664, 667.
480 : D. TORDI

durava da due anni e si compieva col terzo. I consulenti non si
pronunziarono e se ne rimisero al Consiglio generale, il quale al-
fine decise di procedere ad un nuovo appalto della. gabella del
sale e dei sussidi per un triennio a cominciare dal 1° novem-
bre 1540 (1). L'asta aperta alla candela ed. alla: migliore condi-
zione ed oblazione andò deserta, perchè si voleva che il sale non
si vendesse più di sei quattrini la libbra; ma finalmente ricono-
sciute giuste le primitive ragioni del Marabottini, e. riportato. jl
prezzo del sale ad un massimo di selte quattrini per libbra, l'ap-
palto fu riconfermato al Marabottini stesso (2). Per regolarne il
buon andamento e l'esecuzione furono nominati a sopraintendervi
aleuni nobili cittadini, ma ció nonostante le difficoltà dell'appalta-
tore non scemarono, tanto .per l'esazione della gabella, quanto
pel crescere del contrabbando, e le carcerazioni fatte sui frodatori
giunsero al punto che si dovette nominare anche un moderatore
di esse (3); laonde il Marabottini stanco nuovamente di tante
provvisioni, il 18 febbraio 1541

, ricominciò le pratiche per cedere

l'appallo; ma questa volta andarono ancor più per le lunghe.

Ci siamo indugiati su questi particolari per provare che se
ad Orvieto non vi fu ribellione, non mancò il malumore per la
tassa sul sale. I perugini, che ciò conobbero, tentarono fin. dal
principio della sommossa di aver dalla loro gli orvietani e di far
causa comune con essi nella guerra che intraprendevano alacre-
mente contro il Papa. Scrissero all'uopo due leltere, sotto le date
del 12 marzo e del 3 aprile 1540 (4), le quali furono lette dagli
orvietani nel Consiglio secreto del 5 aprile, cui fu presente il
nuovo governatore Brunamonte de’ Rossi di Assisi (5). Seduta
stante, su proposta di Nicolao Monaldeschi, fu decretato, a pieni

voti, di rispondere ai perugini col mettere uomini e munizioni «a

(1) Riform. Orv., 1540, c. 677, 680 e 692.

(2) Rif. cit.,. c..699, 703, 747.

(3) Riform. Orv., anno 1541, c. 735. Moderatore delle carcerazioni fatte « quottidie
ad instantiam Traditi Marabottini » fu Domenico Rubei.

(4) Vedi Appendice II.

(5) Vedi Appendice III. Alla squisita. gentilezza dei signori assisiati Leto. Ales-
sandri e Priore Tommaso Loccatelli Paolucci dobbiamo la maggior parte delle notizie
sul governatore de Rossi. VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 481

guardia dei castelli della. Montagna esistenti presso i confini di
Perugia, e, sopra consiglio del Governatore, di trasmettere le
dette lettere al. Papa in segno della loro devozione. Ed essendo
stati informati dalla comunità di Monteleone che Rodolfo Baglioni
aveva falto ritorno a Perugia e si apparecchiava a combattere
contro il Papa, gli orvietani, il 18 maggio, su proposta dello stesso
Monaldeschi, stabilirono di porre anche un Commissario a custodia
di ciascuno dei predetti castelli, specialmente a Monteleone, Monte
Gabbione, Rotecastello, San Vito, Collelungo, Ripalvella e S. Ve-
nanzo (1).

Queste disposizioni furono tanto piü significative, perché pro-
poste da un Monaldeschi stretto parente di Rodolfo Baglioni, che
fu l'anima della guerra del sale a Perugia, e tolsero a questa città
ogni speranza di aver quella volta per alleata nella lotta che in-
traprendeva col Papa la contermine Orvieto.

IH.

Non risulta. se anche Ascanio Colonna si rivolgesse per aiuti
ad Orvieto, come vediamo che fece, ma indarno, col duca di Fi-

renze (2): c'è però da credere che, se pur ne avesse avuto il

pensiero, avrebbe dovuto deporlo dopo la prova negativa delle
pratiche. fatte dai perugini. Anche il Colonna, come il Baglioni,

era imparentato da molto tempo coi Monaldeschi (3) ed aveva

(1) Riform. Orv., 1540, c. 134, 178, 202.

(2) Arch. di St. di Firenze - Cod. Mediceo, n. 346, c. 90. - « Ill:mo et Ecc.mo. S.or —
«V. Ecc.tia saperà che il papa ha mossa guerra contro di me per lo aumento del sale
« indebitamente imposto allo stato mio, et per altre cose iniuste che voleva dà me
« contra il servitio di Dio, et contra la Iustitia, et per questo, et per esser io chi sono,
« etiam contra il servitio de sua Maestà; però confidato in la virtù di V. Ecc.tia et in
« l'amicitia vera che hò con lei, et per tutti li sopradetti respetti, la prego mi voglia
« dar quello aiuto che potrà, che de tutto li restarò tanto obligato quanto po pensar.

« Da Marini li 2 di marzo del 1511.

« S.re di V. S. Ill.ma « Asc. Col. ».
(fuori) « AV Hlmo et Ecc.mo Sig.re :

«Il Signor Duca de Firenze ».

Questa lettera pervenne al Duca il 10 di marzo, ma sembra che sortisse tutt'altro
effetto che quello voluto, perché vediamo che in data 22 maggio seguente ben 500 fio-
rentini stavano all' assedio di Paliano nelle file degli ecclesiastici (GUIDIGGIONI, Op. cit.
pag. 433).

(3) FUMI LUIGI -- Codice dipiomatico della città d? Orvieto - Firenze, Vieusseux, 1884,
pag. 679, Due nepoti di Martino V passarono in casa Monaldeschi, donna Tradita che
489 D. TORDI

‘perciò delle aderenze in Orvieto; ma la sua contesa col Papa era
sorta sotto cattivi auspici, e se in lui facevano velo alla cono-
scenza della sua situazione la invelerata avarizia e l'odio perso-
nale contro i Farnesi che rinfocolavano i dissensi della sua fa-
miglia, favorendo le pretese d'Isabella- Colonna principessa di
Sulmona (1) e gliene suscilavano contro de’ nuovi, obbligandolo a
dotare Livia Colonna, gli orvietani conoscevano però l' isolamento,
nel quale egli si sarebbe trovato qualora avesse voluto resistere
al Papa, e come vana sarebbe stata la sua fiducia di ottenere
‘aiuti da Carlo V, che aveva già dimostrato apertamente l'animo
suo e l'interesse di mantenersi in oltima relazione con Paolo III,
aecordando la mano di sua figlia Margherita d’ Austria, giovane
vedova di Alessandro de’ Medici, ad Ottavio figlio di Pier Luigi
Farnese (2).

Ad Ascanio quindi occorrevano consigli di moderazione; e
questi gli vennero da molte persone amiche, ma specialmente da
sua sorella Vittoria Colonna, vedova marchesa di Pescara, quella
gentildonna d’ingegno perspicace e di senno maturo, alla quale
lo stesso Paolo III, quantunque avversario della sua famiglia,
non si peritó di chiedere una volta il più alto ed il più arrischiato
dei consigli, quello cioè della designazione del suo successore al
pontificato (3).

Quando cominciarono i primi malumori per la tassa sul sale,
nel ’40,. Vittoria Colonna trovavasi a Roma in attesa di recarsi
in Lombardia, e più precisamente a Ferrara (4), per incontrarvi

la sua geniale amica Margherita d'Angouléme, regina di Navarra,

sposò Achille di Buzio-e donna Aurelia che ebbe in marito Paolo Pietro di Corrado
anch’ esso dei Monaldeschi d'Orvieto: — Cf. MoNALDESGHI M. — Comentari historici, Ve-
netia, Ziletti, 1584, 1. XIV, c. 130, e CECCARELLI A. Historia di Casa Monaldesca, Ascoli,
degl’ Angeli, 1580, pag. 118.

(1) Per la vertenza di Ascanio Colonna con Isabella figlia di Vespasiano Colonna,
principessa di Sulmona vedasi l'Arch. di St. di Firenze - Carte Cervini. - filza XXI, II,
c. 9, doc. 59, e specialmente la pubblicazione di GIusEPPE PICCIONI, Capo Amministratore

di Casa Colonna — Lettere inedite di Vitt. Col. M.na, di Pescara, Roma, Barbéra, 1875, —

pag. 41, doc. XIV riportato nel Carteggio di V. C., ed. cit., pag. 283, l; CLXVI.

(2) MURATORI, Az»4li d’ Italia, Milano, Ubicini, 1838, Vol. IV, pag. 378, 379. —
AFFÓ IRENEO, Vita di Pierluigi Farnese, Milano, 1821, pag. 34 (Vedi Appendice XIV).
(3) LUZIO ALESS.,. Vittoria Colonna nella Rivista Mantovana, 1885, pag. 49.

(4) Carteggio di Vitt. Col. cit., pag. 229, lett. CXXXVIII.

atu Mire
A VITTORIA. COLONNA IN ORVIETO, ECC. 483

che voleva conoscerla di persona. Si conoscevano ‘già per fama
le due signore, fin da quando nel 1525 i rispettivi mariti s'incon-
trarono in quella famosa battaglia dí:Pavia, in cui da un lato il
marchese di Pescara, Ferrante Francesco D'Avalos, s'immortaló
colle onorate ferite e col contribuire principalmente alla cattura
di re Francesco I, fratello di Margherita; mentre dall'altro lato
il marito di lei, Carlo d'Alencon, colla sua condotta irresoluta, fu
la causa non ultima della sanguinosa disfatta de’ Francesi. Il con-
tegno delle due matrone fu in tale congiuntura stoicamente am-
mirabile: Vittoria, rallegrandosi col: marito, ne frenò l'ambizione,
consigliandolo a rifiulare l'offertagli corona del regno di Napoli pur
di serbarsi fedele all’ Imperatore (1) ; Margherita non risparmio alla
ignavia del marito suo i più acerbi rimproveri, ed è fama che
egli ne morisse tosto di crepacuore (2).

L'amicizia fra Vittoria e Margherita, sebbene militanti in op-

| posto campo politico, trovò quindi buon fondamento nella reciproca
stima ed ammirazione spirituale e si fece sempre più stretta per
la mediazione della duchessa di Ferrara, Renata di Francia, cu-
gina di Margherita, dalla Colonna visitata a lungo due anni ad-
dietro (3). La notizia che Vittoria si disponeva a recarsi ‘ad
9 incontrar Margherita in Lombardia ci è data da una lettera ine-
dita. di Paolo Giovio diretta a Cosimo de’ Medici, ed è di non poca
importanza, perchè senza di essa seguiterebbero a restare incom-
prese le lettere scambiatesi in proposito fra quelle illustri matrone,
che il carteggio della Colonna ci conserva almeno in parte (4).
Ma il viaggio non ebbe luogo altrimenti: Margherita era troppo
preoccupala dalle trattative intavolate, contro la sua volontà, da

re Francesco, suo fratello, per dare al duca di Cleves, la mano
) ) 3

(1) GrovIio PaoLO, Vita del signor Don Ferrando Davolo Marchese di Pescara,
in Vinegia, de' Rossi, 1557, l. VII, c. 131 e 139.

(2) GENIN F;, Lettres de Murguerite d? Angouléme, Paris, Renouard, 1841, pag. 13.

(3) LUZIO A., Rivista Mantovana cit., pag. 32. — FONTANA BARTOLOMMEO, Docu-
menti Vaticani di Vittoria Colonna march. di Pescara per la Difesa dei Cappuccini,
Roma, 1886, pag. 13 e segg. — Idem., Nuovi documenti Vat. sulla fede e sulla pietà
di V. C., Roma, 1888 (Estr. Arch. R. Società Romana di Storia Patria, Vol. X) doc. IX

» e X, pag. 32 e 34, — Idem., Renata di Francia Duchessa di Ferrara, Roma, For-

zani, 1893, Vol. II, pag. 80 e segg. e 130.

(4) Carteggio di Vittoria Colonna, ed. cit., 1. CXII, pag. 185; CXIX, pag, 200;.CXX,
pag. 202, e CLXVII, pag. 289. (Vedi Appendice IV). :
484 D. TORDI

di Giovanna unica figliuoletta di lei (1). E. Vittoria, dal. canto
suo, mentre sentiva il dovere di. assistere da vicino il fratello
Ascanio, che già aveva cominciato, contro ogni suo interesse, a
mettersi in urto col Papa, voleva evitare che il suo avvicinamento
alla corte di Francia non desse ombra all'imperatore Carlo V,
da cui ella stessa, e non senza ragione, si ripromelteva aiuti per
la casa sua nella ormai quasi inevitabile lotta col Papa; ed inoltre
non volle assentarsi da Roma per non raffreddare la pratica del
matrimonio del suo nepote colla nepote del: Papa, nella quale ella
vedeva l'unica tavola di salvezza per Ascanio. Vittoria, quindi,
pur non rinunziando al proposito d'un futuro viaggio, si limitò
per allora ad inviare alla regina di Navarra un libretto di sue
Rime spirituali (2), e a coltivarne l'amicizia con una frequente
corrispondenza epistolare, e mercè i buoni uffici degli amici suoi
Luigi Alamanni e Pier Paolo Vergerio vescovo di Capo d'Istria,
i quali verso la metà del 1540 si recarono alla corte di Francia
al seguito del Cardinal d'Este (3).

Ma, come si disse, la pratica del matrimonio tanto desiderato
da Vittoria presto falli per la mala volontà di Ascanio e la poca
inclinazione del Papa verso casa Colonna (4), alla quale forse
non giovó, perocchè Paolo III, avendo nel frattempo ridotto all’ ob-
bedienza Perugia, potè meglio investire con tutte le sue forze
Ascanio.

Si armò, dunque, d’ambe le parti. Pier Luigi assoldò molti
svizzeri e fece venir da Perugia i fanti tedeschi; tenne per sè
il comando generale della guerra, e affidò quello della fanteria ad
Alessandro Vitelli e quello della cavalleria a Giovan Battista Sa-

velli (5); ebbe pure sotto i suoi ordini Alessandro Tomassoni

(1) GÉNIN F., Lettres de Marguerite d^ Angouléme cit.) pag. 07. — BRANTÒME,
Oewvres complétes, Tome IV, Dames ilustres, Paris, Foucault, 1823, pag. 220 e segg.

(2) CAMPORIG., Vittoria Colonna cit., pag. 15 e 26 e segg. — REUMONT A., Vittoria
Colonna, Torino, Loescher, 1883, pag. 169 e 170 — Carteggio di V. C. cit., pag. 203 e segg.
— FONTANA B., Renata di Francia cit., pag. 129 e segg.

(3) Carteggio di V. C. cit., pag. 189, 194 e 199.

(4) Arch. di St. di Firenze — Carte Cervini — Cod. II, lett, 14, c. 27. (Vedi Ap-
pendice I).

(5) Il Cardinale Farnese, certo d'ordine del Papa, nel luglio del 1540 per mezzo
del Giovio aveva cercato di affidare la condotta. delle armi pontificie a Stefano Co-
lonna, reputato capitano, ma inutilmente. — Cf. Giovio, Lettere volgari, Venetia,
Sessa, 1560; c. 80 — I « patti et i Capitoli » stabiliti fra Alessandro Vitelli ed il Duca di
VIIPORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 485

da Terni, mastro del campo, e Nicola Orsini, Paolo Vitelli, Mar-
zio Colonna, Bin Mancino Signorelli, Sforza Monaldeschi della
Cervara e non pochi altri onorati capitani. Ascanio fece la
massa de’ soldati ne’ suoi feudi tanto nello stato della Chiesa,
quanto in quelli del regno di Napoli, coi quali presidiò Marino,
rocca di Papa, Monte Compatri, Paliano, Scurcola, Morolo, Ge-
nazzano, Anticoli, Ardea, Piglio, Ciciliano ed altre terre minori (1).

Mentre si facevano tali preparativi di guerra, Vittoria se ne
stava in Roma moderatrice fra Je due parti, colle quali si destreg-
giava a gran fatica. Ella non dissimulava le sue apprensioni. Ve-
deva che il Papa non soltanto si muoveva a punire un ribelle,
ma a spodestarlo: conosceva le pratiche del matrimonio con Fran-
cia, che più delle altre correvano spedite per la. preferenza che
dava loro il Papa, quantunque in fine non sortissero buon effetto,
e sentiva che da esse poteva venirne una spinta di più per af-
frettare gli avvenimenti disgraziati della sua famiglia; perchè
Francia aveva grande interesse di vedere abbattuta quella casa
Colonna che nello stato ecclesiastico e nel regno di Napoli rap-
presentava efficacemente l'avversa parte imperiale. Perciò Vit-
toria ne scriveva ad Ascanio ai primi di marzo del 41: « Io credo
« che presto si scopriranno cose di Francia, per donde se vedrà
« che il motivo di Sua Santità non è per voi solo: per donde,
« temo molto che non riusciranno partiti ma inganni...... Mal se
« pò intendere questo Papa; però considerate bene con gralia di
« Dio che tutto sia con servizio di Sua Maestà, et non si curi
« d'altro solo per servilio di Dio et escusar danni, con honore
« però...... Perchè Francia havrà detto: comenza; innanzi che
« V. S. rispondesse con le,vaeche alla presa de’ vassalli, el Papa
« levò il governo di Campagna a Santiago, et fece. molti motivi
« intorno et al regno di Napoli » (2). Vittoria conosceva che
ormai la salute di Ascanio poteva consistere solo nell'appoggio
dell’ Imperatore, che non doveva mancare, perchè la. casa sua

aveva resi troppo grandi servigi alla parte di Spagna per non

Castro si leggono in Liber Mandatorum Cameratium, ann. 1540-41, che è nell Arch. di
Stato di Roma, c. 194. Nello stesso libro si tiene memoria delle spese incorttrate per
l’esercito pontificio, c. 190, 209, 219, 226, 223, 230, 238, 242, 254, 255, 201.

(1) Guazzo M., Historie cit., pag. 313 e segg. T

(2) Carteggio di V. C. cit., pag. 214 e 217.
486 D. TORDI

meritare di essere così alla leggiera abbandonata in tanto fran-
gente. Soltanto ella temeva le abituali intemperanze del linguaggio

di Ascanio, e quindi lo consigliava di continuo a scrivere e a dir

buone parole agli agenti imperiali (1); ella poi s'incaricava di
tenere informato l'Imperatore della piega che prendevano le cose
e delle mene francesi; gli rappresentava che non tratlavasi in
questa vertenza del Papa contro Ascanio, ma di Francia contro
Spagna, e che ne andava del decoro e dell’interesse di questa a
lasciar sopraffare, senza aiuti, un tanto fedel vassallo qual era
Ascanio. Venne nuova che il matrimonio di Vittoria Farnese
col Duca d'Aumale fosse concluso. Vittoria l'apprese con molto
cordoglio, perché ne temeva gravi conseguenze per la sua casa
e non mancò di seriverne a Carlo V (2). Ma la notizia poi si
chiari falsa.

Frattanto, per mezzo dell’ambasciator Cesareo, il marchese
d'Aguilar, Vittoria trattava col Papa un accomodamento. 1] Mar-
chese proponeva al Papa di togliere in pegno Marino e Nemi e
di dare ad Ascanio Castro o Nepi a sua scelta; Paolo III invece
voleva Rocca di Papa, la chiave della difesa dei feudi Colonnesi (3).
Vittoria conveniva nell’offerta dell'ambasciatore, ma di Rocca di
Papa, per quanto possibile, avrebbe voluto non sentirne parlare ;
riconosceva in tale condizione la rovina dello stato colonnese, ed
anche di ciò ne informò l'Imperatore (4). Ascanio ripeteva che
per amor della pace, alla quale questi faceva appello, si sarebbe
piegato all'uno o all'aliro partito, purché a buone condizioni:
erano parole; egli era il meno disposto a cedere. In questa pra-
tica la sola che trattasse in buona fede era Vittoria Colonna ; pe-
rocchè il Papa voleva una guerra di conquista e lasciava correre
le trattative di pace sol perché gli offrivano l'opportunità di ap-
parecchiarvisi; l'Imperatore, malgrado le sue buone espressioni
verso Ascanio, era inclinalo a favorire il Papa divenuto suo pa-
rente, e mostrava desiderare che si deponessero le armi sol perchè
.ne potevano seguire torbidi nel regno dt Napoli, ove i Colonnesi

(1) Carteggio di V. C. cit., pag. 217, 220, 221 e 224.
(2) Ivi, pag. 218.

(3)1vi, pag. 219.

(4) Ivi, pag. 222. si

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VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 487

possedevano molti feudi: Ascanio poi ‘era ribelle a tutte le forme

di convenienza; tirava a guadagnar tempo, ma di sottomissione
non aveva dato alcun segno vero; scontentava colla sua burbanza
i ministri di Cesare e non sapeva maneggiarsi verso il Papa, al
quale avrebbe potuto legarsi col matrimonio di suo figlio. A
Vittoria rimaneva tutto l'enorme carico della triplice pratica : sfa-
tare le mire coperte del Papa e mettere in luce i suoi amori con
Francia; far comprendere all'Imperatore quanto egli fosse tenuto
a difender casa Colonna, rabbonire i ministri cesarei stanchi or-
mai della ostinazione della corte di Roma e delle improntitudini
di Ascanio che vedevano avviarsi a sicura rovina.

Ma il 7 di marzo 1541 le trattative per l'accordo furono rotte,
perchè il Pontefice, al quale ora si offriva Rocca di Papa, voleva
che senz'altro. fosse consegnata nelle mani di suo figlio Pier Luigi,
e che Castro o Nepi fosse invece custodita non già da Ascanio,
ma dall'ambasciatore cesareo. La diversità del trattamento sco-
priva meglio le oceulte intenzioni: gli eventi quindi precipi-
lavano. È

Già oltre cinquemila fanti stavano radunati in Roma pronti
ad entrare in campo pel Papa (1). I parenti di Ascanio si dispo-
nevano ad aiutarlo, meno Marzio Colonna, che per l’odio che gli
portava, aveva preso servizio sotto il Farnese. « L’ Arcivescovo
« (Francesco) Colonna (così scriveva Vittoria al fratello) dice che
« non solo haverete ogni servitio dall'abbadia (di Subiaco), ma
« verria in persona, et che ve raccomanda li suoi bestiami et suoi
« vassalli et che é vostro, vogliate o non, et che Camillo (Colonna)
« servirà coll'anima et. col corpo » (2). — L’ambasciatore fece
un altro sforzo per indurre Ascanio a piegarsi alla richiesta del
Papa ed evitare la guerra. Andò a parlare a Vittoria. Ecco come
ella ne riferisce il colloquio al fratello:

« Havendo già ‘escluso ogni cosa, è venuto il S.or Marchese
« a parlarmi con collera escusandosi che non pò più: et mi ha
« mostrata lettera di Sua Maestà freschissima, che gli dice faccia
« ogni opera per tenere il Papa contento, e che lui vede che li

1) Carteggio di V. C. cit., pag. 221.
2) Ivi, pag. 219 e 220.

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488 D. TORDI

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ha data sua figlia, e che non pò mostrarsi in conto alcuno
contro loro, finchè l'Imperatore non commanda altro; che lui
ha intertenuta la gente che non sia pagala fino. in domatlina ;
che per ultimo scriva à V. S. che il suo parer è, et che cel
commanderà in seriptis da parte di Sua Maestà, che dia Rocca
di Papa al duca di Castro con fede che dica lui all' Imperatore
tornarvela. Et che lui replicò et'recluse che dessero o Nepe o
Castro a vostra electione de queste due al S.or Marchese, finchè
enlregasseno Rocca. de Papa a V. S. Intendete bene: lor
dar Nepe o Castro al Marchese, noi Rocca de Papa al Duca
senza homini nostri né loro: et che. non volendo noi questo,
non se ne parli piü. Or, Signor, ve prego per amor di Dio,

non ve ne movete a furia, conservative al S.or Marchese, ma-

xime per lo advisar a Sua Maestà. Se. non lo volete far, ri-

spondete cortesemente che diano Nepe o Castro al detto S.or
Marchese, et voi Rocca de Papa al detto S.or Marchese: o se
vogliono che in nome sino del Duca che metta li homini el S.or
Marchese che loro non lo faranno et voi restarete bene; et sel
faranno, non è nè male nè desonore dare ogni cosa al.S.or Mar-
chese.in nome di Sua Maestà. Per amor di Dio, considerate
bene che mo è l'ultima resolutione. Vedete: quanti affanni et
periculi sono, et Dio per sua bontà ve inspiri. Respondete su-
bito et scrivete a Sua Maestà, chè è mal mandar là una posta
senza vostra lettera: et la copia dell'ultima vostra. resolutione
mandarò allo Imperatore. Da Roma ogi, martedì.

« El Marchese crede più alla fede del Duca, che se fosse
quella di Dio. Li tempi sono così. Da me li fu resposto come
conviene; me disse: ve commando da parte de Sua Maestà
che scriviate così, per che ho stentato come un cane et non se
pò più; et come la gente è tulta pagata, non ce è remedio. Si
che, Signor, di gratia, scriva dolcemente et. in bon modo, chè
a lui pare offerir assai pigliando Castro o Nepe. Et advisateme,
quando vanno le poste a Napoli, dove più in là di Marini se
haveria a indirizzar le vostre. Di gratia, honori molto il Mar-
chese nello scrivere et in mostrarli fede. Da: Roma, ogi mar-

tedi a XX hore. Venga la resposta sta sera » (1).

(1) Carteggio di V. C. cit, pag. 222 e segg.
«X — -—_-

VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 489

E la risposta venne, ma come era da prevedere, colla riso-
luzione definitiva di Ascanio di accettare piuttosto le conseguenze
della guerra :

« Ill.ma Signora sorella honorandissima. Vista l'alteration
« deli partiti per la lettera de V. S. non ostante che sian stati
« offerti da Valenzuola, ministro de la Maestà Cesarea, respondo
« che io attenderò a difenderme et offendere, secondo per defen-
« derse la ragion dela guerra permette, da questa mattina in la.

« Suplico V. S. non se voglia intromettere più a questi partiti,

2%


LE

perché la resolvo adesso, per sempre..... » (1).

Il marchese d'Aguilar, che n'ebbe comunicazione da Vittoria,
tentò con Ascanio un'ultima prova e promise di recarsi in per-
sona a Marino a trattare lo scambio dei pegni (2); ma fu tutto
indarno. Ascanio, che non aveva fede nel Duca di Castro, restò
fermo nella sua decisione e soltanto richiese « una sospensione
« d'arme per tre mesi assicurata dal Marchese in nome dell' Im-
« peralore, con reslitutione Zinc inde de quanto se troverà dete-
« nuto in poter de le parti ». Ciò che, allo stato delle cose e
degli animi, non poteva assolutamente avere effetto.

IV.

Il giorno 17 marzo 1541 smontava alla porta del monastero
di San Paolo d'Orvieto (3) una matrona dalla statura piuttosto
alta, dai lineamenti fini e regolari, sui quali leggevansi, più che
le traceie de' suoi 49 anni, quelle di una grande melanconia spi-
rituale. Era sempre una bella signora, dalla fronte maestosa e
venerabile, dagli occhi non molto grandi, ma vivi e sereni che
riflettevano la bontà dell'animo suo. I capelli, non più d'oro (4),

(1) Carteggio di V. C. cit., pag. 224.

(2) Ivi, pag. 220.

(3) BOTTINI TOMASO DA LuGCA, Memorie dell'origine e progressi del Monastero delle
Monache di S. Paolo d’ Orvieto dei ordine di S. Domenico, in Orvieto, per Rinaldo
Ruuli, 1631, pag. 85.

(4) GALEAZZO DI TARSIA, Rime, Napoli, 1758:

« Le trecce d' or, che in gli alti giri
« Non é ch'unqua pareggi o sole o stella ».
— ed. Padova, Comino, 1738, pag. 169:
« Le altere luci e belle
«...9e Crespi crin d’oro ».
33

LA RITRARRE i ri irre e E E
490 D. TORDI

sparivano quasi sotto un negro velo crespo che, segno di lutto
incancellabile, non aveva smesso da quasi un quarto di secolo.
Era Vittoria Colonna, vedova marchesa di Pescara, che veniva
a chiedere ai miti recessi del cenobio quella pace che prima vi
aveva trovato la. dolce amica di Caterina da Siena (1). L'ac-
compagnavano due ancelle, madonna Prudenza di Palma d'Ar-
pino, sua fida cameriera, e Chiara. di Nobilione da Sorrento, e
due familiari, fra i quali certo non sarà mancato Jacobo del fu
Andrea da Siena, suo maestro di casa (2).

Fin dal giorno 9 marzo Pier Luigi Farnese aveva fatto ese-
guire le paghe ai soldati e il giorno 15 diede l'ordine -di avan-
zare (3) verso Marino, Rocca di Papa e Monlecompatri. Vit-
toria si trattenne a Roma finchè conobbe che ormai le pratiche
per un accomodamento sarebbero tornate inutili. S'accorse anche
‘che la sua presenza destava sospetti, perchè a nessuno faceva
mistero del favore che ella dava alla causa di suo fratello, che
era, finalmente, quella della. sua casa, e dell'aver dato il per-
messo ai sudditi de' suoi feudi, specialmente di Monte S. Giovanni
Campano (4), Aquino, Palazzolo e Pesco Costanzo. di recarsi a
servire sotto -le insegne colonnesi (5). Ella deplorava che. le
cose si fossero spinte a tal punto; ne accagionava, è vero, le vecchie
colpe de’ suoi e la cattiva disposizione del fratello, ma riconosceva
pure che il Papa non si era dato alcun pensiero di stornare dallo

stato della Chiesa una guerra, la quale avrebbe scandalizzato la

pag. 172: « Né chioma d’oro più, né ardenti soli ».
pag. 174: « con chiome d'or lucide e terse ».

Dante, col sito et forma dell’ Inferno tratta dalla istessa descrittione del Poeta,
Vinegia, nelle case d' Aldo et d^ Andrea di Asola, 1515, nella dedica alla Colonna è detto:
« la vostra bionda testa ».

VISCONTI, Rime di V. C. cit., pag. XLI e XLII della Vita.
(1) Suor Daniella da Orvieto. Cf. Lettere di S. Caterina da Siena con proemio e

note di NICCOLÒ ToMMasEO, Firenze, Barbera, 1860, Vol. II, pag. 10, l. LXIV, pag. 22,

L LXV; III p. 187, 1. CCXIII; IV, pag. 200, 1. COCXVI.
(2) Miscellanea di Storia Italiana, Tomo X. Torino, 1870, pag. 270. Carteggio di
V..C..cit., pag. 230 e 333. — Arch. di St. di Roma — Carte del Monastero di S. Silvestro

in Capite, Cqd. n. 104, A, 2, 17. — Istromenti diversi dal 1524 al 1503, c. 46, 55 e 812.

(3) BEccADELLI, Monumenti di Vuria Letteratura, II, pag. 131. Lettera di Mons.
Dandino Nunzio presso Francesco I al Card. Contarini a Ratisbona, da Bles a 25 di
marzo 1541: «Il Pero parti di Roma alli 15 all'alba, nel qual giorno dovevano uscire
7 mila fanti e 500 cavalli per la volta di Marino ».

(4) Vedi Appendice V.

(5) GUIDICCIONI, Opere cit., pag. 373 e 374.

— gp — ea VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 491

cristianità e dato certamente buona ragione ai nemici ullramon-
tani di denunziare le mire temporali della corte di Roma (1)5 ed
anzi, colla ostinata richiesta di Rocca di Papa, Paolo III aveva
chiaramente mostrato il suo disegno di volere in ogni modo fiac-
cala quella potenza colonnese, all’innalzamento della quale aveva
tanto contribuito un altro grande pontefice, Martino V.

Vittoria non volle recarsi ne’ suoi feudi per non assistere allo
strazio de’ sudditi e nemmeno nel regno di Napoli, ove, dal prin-
cipio delle ostilità, si era rifugiata la sua cognata, la bellissima
Giovanna d' Aragoná, coi figli, perchè non voleva allontanarsi troppo
da Roma, per aver modo di riallacciare le trattative di pace, qualora
fosse stato possibile. Preferì di ritirarsi in Orvieto, nella città pa-
pale per eccellenza, e vi si recò col beneplacito dello stesso car-
dinal Farnese, ormai rassegnata agli eventi che si andavano ma-
turando per la casa sua.

Sembra che l'arrivo di Vittoria in Orvieto avvenisse in modo

improvviso; perocchè, contro quanto si costumava in simili casi,

soltanto due giorni dopo si pensò a farle omaggio. Il 19 marzo

fu congregato in udienza segreta, d’ordine dei Conservatori della
Pace, il Consiglio dei XII, in presenza del governatore Bruna-
monte de’ Rossi, e fu stabilito a pieni voti che in considerazione

della autorità e qualità della persona, molto grata al. Papa ed al

cardinal Farnese, i signori Conservatori ed altri nobili cittadini:

visiterebbero la Marchesa per offrirle la loro servitù e presentarle
un dono in cose commestibili della valuta di dieci fiorini; ciò che
fu fatto. Dalla nota delle spese sappiamo anzi in che cosa consi-
stesse il dono, cioè in quattro paia di capponi, quattordici libbre
e mezzo di confetti e marzapani e trenta libbre di pesce (2).

Vittoria in quel ritiro non: cessò di occuparsi delle vicende

della sua famiglia, nè di collivare la estesa corrispondenza epi-.

stolare cogli amici, nè i suoi studi prediletti di poesia e' di re-

ligione.

(1) Arch. di St. di Firenze — Carte Cervini — Cod. I, lett. 95 del Card. Farnese
al Papa, da Gantes l'8 maggio 1540; riferisce un colloquio avuto co! Re de' Romani
e fra l altro dice: « Voleva (P Imperatore) con quel zelo et osservanza che porta a
« V. Santità advertirla che ogni moto de arme in questi tempi darria el biasmo et
« danno alle cose che si trattano della religione per la parte nostra et però ricordava
« che quello si poteva far quietamente.non si facesse con strepito ».

(2) Riformagioni Orvietane, anno 1541, c. 642 e 764. (Vedi Appendice VI).
499 : D. TORDI

Nella corte pontificia aveva lasciato molti. amici che s'inte-
ressavano benevolmente della piega che prendevano le sue cose
e ne la ragguagliavano. Era assente invero il cardinal Gaspare
Contarini, allora Legato a Ratisbona (1), ed il cardinal lacobo
Sadoleto che risiedeva alla sua sede vescovile di Carpentras, ma
benchè lontani non cessavano di chiedere nuove di lei (2). Il car-
dinal Pietro Bembo si trovava sempre nel palazzo colonnese dei
SS. Apostoli, abitazione procuratagli da Vittoria, la quale ben altri
favori gli aveva prodigato e non ultimo. certo la sua valida coo-
perazione affinché. fosse insignito della porpora cardinalizia (3).
Aveva lasciato in Roma il cardinal d' Inghilterra, Reginaldo Polo,
il quale ne aveva assunto la direzione spirituale in luogo di fra
Bernardino Ochino da Siena, che già faceva nascere dei dubbi
sulla ortodossia della sua fede (4). Eravi anche il cardinal. Mar-
cello Cervini, ottimo consigliere di lei (5). Non vi mancava Carlo
Gualteruzzi da Fano, tanto versato nelle buone lettere, quanto
pratico nel disbrigo delle faccende della curia pontificia, sollecito
agente della Colonna, al seguito della quale aveva messo la sua
figliuola Innocenza, che poi tolse il velo nel monastero di S. Sil-
vestro in Capite di Roma, preferita dimora di Vittoria dopo la
morte del marito (6). E lungo sarebbe rammentare tutti gli amici
della Colonna che allora risiedevano in Roma e dai quali poteva
ripromettersi conforli e consigli. C'era Vettor Soranzo, vescovo
di Bergamo, che fu poi uno de’ suoi esecutori testamentari (7);

(1) REUMONT A., V. C. cit., pag. 214. — BECCADELLI, Mon. di Varia Lett., Vol. II,
pag. 127: ;

(2) SADOLETI F., Epistolae, Romae, Salomonius, 1704, Tom. III, pag. 254 e 257.

(3) BEMBO P., Opere, Venezia, Hertzhauser, 1729, Tom. JII, pag. 299. — Carteggio
di V-C. cit., pag. 171, 173.

(4) REUMONT, cit., pag. 214, 218 e 222,

(5) SADOLETI, Ep. cit., III, pag. 257. — REUMONT, pag. 178, 240, 256 e 288.

(6) GUALTERUZZI CARLO, Lettere inedite, Pesaro, Nobili, 1884, Vita. — DELLA CASA
GIOV., Lettere a Carlo Gualteruzzi, Imola, 1824, pag. 16. — VIRGILI ANT., Francesco
Berni, Firenze, Le Monnier, 1881, pag. 478, 479; 490. — VISCONTI P. E., Le Rime di Vi. C.
con la vita della medesima, Roma, Salviucci, 1840, pag. CXXII. — REUMONT, op. cit.,
pag. 211 — S. BoNAVENTURA, Vita e costumi di S. Francesco, tradoita in. lingua vol-
gare, aggiuntavi la regola del ters? Ordine, Venezia, per Michele Tramezzino, 1557, de-
dicato a Suor Innocenza Gualteruzzi. — Catalogo della Libreria Capponi, Roma, Ber-
nabò e Lazzarini, 1747, pag. 77.

(7) BECCADELLI L.,.Mon., Tom. I, p. II, pag. 207. — In un prossimo studio pubbli-
cheremo il testamento di Vittoria Colonna che abbiamo trascritto sul documento ori
ginale con firma autografa.

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VITTORIA COLONNA.IN ORVIETO, ECC. 493

c'era monsignor Claudio Tolomei (1), suo grande ammiratore, nella
casa del quale si radunava l'aecademia della Virtü ; un' accolta ‘di
geniali amici della Colonna, fra i quali primeggiavano Luca Contile
da Cetona, Annibal Caro (2), Giuseppe Cincio medico e filosofo (3),
Marc' Antonio Flaminio, allora al seguito del Cardinal Bembo, e suo
coadiutore nella riforma degli statuti di San Girolamo degli Schia-
voni (4). Anche il Molza, al quale Vittoria dovette forse il suo
perfezionamento letterario, faceva parte di questa accademia e la
frequentava non di rado quando il male, che da tre anni lo tra-
vagliava, permettevagli di metter il piede fuori del palazzo di
S. Giorgio (5). Ma mi par sufficiente rammentare .per tutti gli
altri amici della Colonna che in quel mezzo trovavansi in Roma,
il divino Michelangelo Buonarroti, il quale sebbene s' affrettasse a
compiere le sublimi terribilità del suo giudizio universale, non
mancó di confortare spesso la sua grande amica, nella dimora di
Orvieto, con frequenti lettere, cui ella fece amorevole ricambio (6).

Frattanto il cardinal Farnese, sotto colore di farla ossequiare
dal Governatore d’ Orvieto, non mancava di spiarne i rapporti e le
azioni. Temeva che da'suoi avveduti eonsigli dovessero nascere osta-
coli alla sollecita realizzazione del sogno dei Farnesi, il completo ab-
battimento della potenza di casa Colonna nello stato della Chiesa.

(1) CoNTILE, Lettere cit., Vol. I, c. 19. — TOLOMEI Cr., Lettere, Vinegia, Giolito,
1547, c. 54 e 58. — TonnI C., Suppl. al Carteggio di V. C., Torino, Loescher, 1892, pag. 37.

(2) CONTILE, Lettere cit., Vol. I, c. 19. Lettere di diversi, Vinegia, Giolito, 1559,
pag. 127. — CARO A., Lettere familiari, Venezia, Remondini, 1751, Vol. T, pag. 103 e 231.

(3).CoNTILE, Lettere cit., I, c. 19 e 51. — TOLOMEI, Lett. cit., I, 54 e 58. — REU-
MONT, Op. cit., pag. 251.

(4) CONTILE, Lettere cit., I, 19. — Flaminio M. A. Aleune Lettere e Biografia, To-

"rino, 1853. Gli Statuti di cui qui é menzione recano il titolo: Statuta, Confraternitas

Hospitalis - S. Hieronymi Illiricorum an. 1541 reformate per Cardinalem. Petrum Bem-
bum sententiam [ferentem ex delegatione sub Paulo III... Ne abbiamo ‘una copia
tratta da un esemplare in pergamena del 1746: porta la data del 22 maggio 1541 e la
firma del Flaminio.

(5) CARO A., Lettere Familiari, cit., Vol. I, pag. 103. — Morza F. M. — Poesie cola
vita dell’ Ant. scritta da P. A. Serassi, Milano, Classici It., 1808, pag. 86 e 87. QUADRIO,
St. e ragione d'ogni poesia, Bologna, Pisarri, 1739, Vol. I, p. 96.

(0) BUONARROTI MICHELANGELO, Lettere, Firenze, Le Monnier, 1875, pag. 272. Let-
tera.a.Liornardo di Buonarroto, di Roma 7 di marzo 1551: « Messer Giovanfrancesco
(Fattucci) mi richiese circa un mese fa di qualche cosa.di quelle della Marchesa di
Pescara, se io n' avevo. Io ò un libretto in carta pecora che la mi donò circa dieci
anni sono, nel quale è cento tre sonetti, senza quegli che mi mandò poi da Viterbo
in carta bambagina, che son quaranta; i quali feci legare nel medesimo libretto e in
quel tempo li prestai a molte persone, in modo che per tutto ci sono in stampa. O poi
494 D. TORDI

Il primo di aprile 1541 il governatore De Rossi prineipia il
suo carteggio informativo al Cardinale. Accenna al ritiro della
Colonna in S. Paolo, ai suoi familiari ed alla vita santa ed onesta
che menava (1). Il giorno 9 riferisce di aver saputo cautamente
dal vescovo d’ Orvieto, Vincenzo Durante fiorentino, al quale Vit-
toria molto si confidava, come otto giorni fa ella:era stata visi-
tata da un messo del cardinal Federigo Fregoso vescovo di Gub-
bio, cugino di lei, mandato a ragguagliarla della cattiva piega
che prendeva la guerra (2). Infatti i pontificii avevano già preso
Montecompatri, difeso da Luzio Savelli, e ridotto: all’ obbedienza
Scurcola, Morolo, Genazzano ed Anticoli (3). Fin dal 26 marzo
il campo papale dalla Mola di Valmontone si era condotto sotto
Paliano che aveva cinto d'assedio da più bande. yRocca di Papa
ancor resisteva, ma non avrebbe durato a lungo. Vittoria si giovò
di quel messo per scongiurare Ascanio a trovare una via d’ acco-
modamento col Papa prima che le cose fossero rovinate del tutlo;
e pare che quella volta, tardivamente, ei non fosse sordo, perocchè
per lettere del giorno 5 aprile mandate al campo pontificio si di-
chiarava pronto a sottomettersi col prender l’ esilio, dare in ostag-
gio il figlio Fabrizio e pagare il sale: e per un momento parve
che la vertenza fosse per acconciarsi (4).

Nella medesima lettera del 9 aprile il Governatore informava
il cardinal Farnese essere giunto in quel giorno al monastero di
S. Paolo messer Bernardino de Lassis da Loreto, inviato da Gio-
vanna d'Aragona duchéssa di Tagliacozzo e dalla principessa di
Francavilla, Costanza d' Avalos. Veniva da Ischia ed aveva te-
nuto la via di Napoli e Roma. Quello che recasse non fu subito
palese al Governatore, ma si seppe poi che per suo mezzo Vittoria
aveva ricevuto due lettere di Carlo V ed una del marchese del
Vasto, Alfonso d'Avalos. Le lettere dell’ Imperatore scritte da Ra-
tisbona erano in risposta a quelle da Vittoria serittegli avanti di

molte lettere che.la mi scrivea da Orvieto e da Viterbo. Ecco ciò ch'io è della Mar-
chesa ». — GOTTI A., Vita di Mich. Buonarroti cit., T; 265.

(1) Vedi appendice VII.

(2) CAMPORI GIUS., Vittoria Colonna (Estr. dagli Atti e Mem. della, Dep. di St.
Patria de Emilia, nuova serie, Vol. III, Modena, Vincenzi, 1878), pag. 98. — .BoNaI
SALVATORE, Annali di Gabriel Giolito de’ Ferrari, Vol. I, pag. 34 e 50. — UGOLINI F.,
"Storia, dei Conti e Duchi d? Urbino, Firenze, 1859, Vol. IT, pag. 28. (Vedi Appendice VIII).

(3) GUIDIGGIONI, Op. cit., II, pag. 377, 379 e 383.

(4) Ivi, pag. 400.

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VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 495

partir da Roma (1). Nella prima, del 17. marzo, Carlo confessa
di riconoscere i servigi prestatigli in ogni tempo da casa Colonna,
rimprovera ad Ascanio di non avere ascoltato i consigli datigli
per mezzo del suo ambasciatore, e dice che tuttavia ordina a questo
di far nuove pratiche perché la vertenza si risolva in via ami-
chevole e si sospendano le armi. Eccita. quindi Vittoria a far
valere presso il fratello tutta la sua influenza per ridurlo a più
miti consigli pel bene e conservazione della sua casa. Nella
seconda, del 26 marzo, accenna ad altre diligenze da lui ordinate
all'ambaseiatore per conseguire la pacificazione degli animi (2).
E non sembra fossero soltanto parole allora quelle dell’ Imperatore,
perocchè vediamo che il di 9 aprile il marchese d' Aguilar mandó
il suo segretario Conciano a parlare ad Ascanio che già da qual-
che giorno erasi ritirato da Paliano, allà cui custodia aveva la-
sciato il cugino Fabio Colonna con un migliaio di uomini e molti
capitani di qualche conto (3). Anche il viceré di Napoli, don
Pedro di Toledo, invió allo stesso effelto ad Ascanio il segretario
Jernardino Martirano (4). — La lettera del marchese del Vasto
esortava Vittoria a star di buon animo, perché Sua Maestà aveva
scritto ad Ascanio che facesse tutto quello che ragionevolmente il
Papa avesse addimandato, affin di togliere a Sua Santità ogni oc-
casione di tener l'armi in mano, colle quali avrebbe potuto poi
sconvolgere l'Italia, intraprendendo altre imprese contro Siena 0
Firenze e persino contro Milano, come gli se ne attribuiva l'in-
tenzione.

Anche Giovanna d’ Aragona non mancò d’inlerporre le sue
calde ed umili preghiere presso il Papa, sia per lettera che perla
viva voce del vescovo d’Ischia, da lei espressamente spedito a pe-
rorar la sua causa (5).Le lacerava il cuore, oltrechè il danno della

sua casa, lo strazio de’ sudditi. Ed invero non mancavano i fanti

(1) Vedi Appendice IX.

(2) Carteggio di V. C., pag. 227 e 228.

(3) GuiDIGCIONI, IT, 393. — GUAZZO, Historie, pag. 315.

(4) GUIDICCIONI, Op. cit., pag. 425. — GREGORIO Rosso, Ist. delle cose di Napoli,
Napoli, Gravier, 1770, pag. 79. — QuADRIO, Della Storia e della ragione di ogni poesia,
Milano, Agnelli, Vol. II, l. I, pag. 267; Vol. IV, 1. I, pag.. 151. — ADRIANI, Op. cit.,
pag. 232.

(5) Arch. St. Ital., Nuova serie, Tomo V, p. II, Firenze, Vieusseux, 1857, pag. 143,
144 e 145. — REUMONT, V. C. cit., pag. 209, 210 e 307. Il Vescovo d' Ischia era Filippo
Gerri pistoiese che fu poi traslato alla Chiesa d' Assisi.
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496 D. TORDI

dell’indisciplinato esercito papale di commettere giornalmente,
anche fuori delle fazioni di guerra, ogni sorta di prepotenze e di
assassini, massime nelle terre che andavano arrendendosi, tanto
che il Guidiccioni stesso invocò ripetutamente che fossero aumen-
tati i cavalli del bargello di Campagna che era incaricato di re-
primere simili eccessi (1).

Ma tanti. buoni uffici sortirono contrario effetto. Il Papa,
imbaldanzito dei conseguìti successi, voleva che Ascanio si arren-
desse a discrezione per assicurarsi in tutto da nuove sorprese. —
Riarse quindi la guerra più intensamente. I] Piglio e Val-
montone si arresero. Anche Rocca di Papa, alla quale non pote-
rono giungere i sussidi di uomini e munizioni che le inviò Ascanio,
perchè rotti e predati per via, cadde ben tosto nelle mani degli
ecclesiastici che ne ruinarono le mura e le fortificazioni. Marzio
Colonna era incaricato della presa di Ardea, ma gli Ardeati scon-
giurarono ogni danno col darsi direttamente al Pontefice (2).
Marzio allora si recò sotto Paliano ove andavasi concentrando
tutta la guerra (3). Chi intanto opponeva molta resistenza ai pon-
tificii era il castello di Ciciliano; ivi nell’assalto del 17 aprile eb-
bero parecchi morti e non pochi feriti, fra i quali un giovane di
grande espettazione e valore, Luca fratello di Sforza Monaldeschi
della Cervara, che non sopravvisse (4). Ciciliano si arrese final-
mente a discrezione il 13 di maggio (5).

Anche Paliano, cinto oramai d’assedio da quattro bande, co-
minciava ad avere gran penuria di munizioni e di vettovaglie.
Già dai primi di marzo, Fabio Colonna, Federico da Marino e
Salvatore Corso s'erano ritirati nella rocca, ed in pagamento ai
soldati, in mancanza di denari, avevano distribuito loro i drappi
di Ascanio che valevano molte migliaia di scudi e gli argenti
che non ne valevano meno di seicento (6). Fabio li tratteneva
inoltre con buone parole, lasciando loro sperare che Ascanio non

(1) GUIDICCIONI, Op. cit., IT, 383 e 384.
(2) Ivi, pag. 391.
(3) Vedi Appendice X.

(4) Guazzo M., Hist. cit., pag. 315. — GUIDICCIONI, Op. Cit., II, 412. — MANENTE CI-
PRIANO, Hist., Vinegia, Giolito, 1566, 1. II, pag. 269. — CECCARELLI ALF., Hist. di Casa
Monald. cit., pag. 182. — MONALDESCHI M., Comentari cit., c. 171.

(5) GUIDICCIONI, Op. cit., pag. 420 — Guazzo, Hist. cit., c. 310.

(6) Gum., II, pag. 423, 425. — Guazzo, c. 328.

sc VITTORIA COLONNA IN ORVIETO; ECC. 491 .

sarebbe mancato all'obbligo suo di aiutarli. Si era ormai agli
estremi. I fanti colonnesi tumultuavano ; alcuni uscivano alla spic-
ciolata; quei che rimasero, non vedendo giunger le paghe, riten-
nero per sè la terra ed elessero 25 di loro a presiederla ed a ten-
tare l'accordo. cogli assedianti. Mandarono per ciò due Capitani
al duca di Castro coi capitoli della resa (1); ma furono respinti,
perchè il Duca voleva la resa a discrezione.

Intanto, Vittoria riceveva notizie sempre peggiori dei pro-
gressi della guerra. Il 28 aprile il cardinal Fregoso le inviò di
nuovo un palafreniere con lettere sue e del cardinal. Polo. Ella
s'era forse accorta d'essere vigilata e quindi il Governatore,
questa volta, non sembra riuscisse a carpirne il contenuto (2). .

Ascanio, in questo mezzo, fece l' ultimo tentativo per rialzare
le sue sorti: smesso il pensiero di una diversione su Roma, dalla
Campagna, ove trovavasi, spinse 400 uomini a dare aiuto agli asse-
diati. Ma per via predati alcuni bestiami ad Alatri ed occupato
Guarcino, che trovarono abbandonato, furono poscia ributtati dal-
l'assalto di Aguto, e, per avervi perduto i capi, facilmente rotti e
dispersi da tre compagnie di cavalli guidate da Giovan Battista
Savelli. Di questa vittoria fu ostentata grande allegrezza (3) nei
campi sotto Paliano, con far mostra agli assediati delle in-
segne tolte e dei prigioni, ciò che molto contribuì ad affievolirne
gli animi.

Fabio Colonna, ritenendo ormai inutile ogni resistenza, chiese
al Farnese un salvacondotto per sè ed alcuni servitori di Ascanio,
ed ottenutolo, uscì dalla terra, la quale subito si arrese, salvo la
cittadella e la rocca che furono tenute ancora da Federico di Ma-
rino e Salvatore Corso (4).

Della presa di Paliano fu subito mandata nuova ad Orvieto, ed
il governatore De Rossi asserisce, scrivendo al Cardinal Farnese,
« che ne fu presa universalmente gran consolatione », ma non
troviamo che, come usavasi in simili congiunture, se ne facessero
dimostrazioni pubbliche. Il Governatore si diè pure premura di

(1) GurD., II, 423.

(2) Vedi Appendice XI.

(3) GurD., II, 427.

(4) GuID., II, 428. — GUAZZO, Hist., C. 316. — Mon. di Varia Lett. cit., IT, 147.
498 D. TORDI

darne parte a Vittoria, la quale risposegli assai seccamente: « La
« roba va e viene, purché sian salve le persone » (1). Ella, in-
fatti, aveva assistito a ben altre spogliazioni di casa sua; ricor-
dava quella non meno ruinosa di Alessandro Vl, e sapeva che Bo-
nifacio VIII ed Eugenio IV non tentarono meno a danno della
sua famiglia, la quale si era sempre rialzata a nuovo splendore.

ll giorno 21 maggio il duca di Castro, sebbene sofferente in
salute, si decise ad entrare in Paliano e a battere la cittadella e
la rocca ridotte ormai sotto gli ordini del capitano Corso, che ne
aveva lolto il governo al timido . Federigo da Marino. Il Corso
non mancava di far danni nel sottostante campo nemico, e col-
l'artiglieria uccideva ogni giorno parecchi assedianti. (2); ma fi-
nalmente questi, avendo guaste le mura della cittadella con mine
e batterie, le diedero la scalata e la presero, non senza vigorosa
resistenza dei soldati colonnesi che si ridussero nella. rocca.
Ma come avrebbe potuto questa sostenersi, difesa com’ era, sol-
tanto da 70 fanti, mentre gli ecclesiastici sommavano ad 8 mila ?
Si fecero quindi parlamenti fra le parti, ed infine la mattina del
26 maggio il castellano ne consegnò le chiavi ad Alessandro Vi-
telli e a Gio: Battista Savelli ed uscì con tutti gli uomini di parte
colonnese, che furono lasciati andar salvi a piacimento (8).

Nei giorni appresso caddero nelle mani dei pontificii Falva-
terra e gli altri castelli di Ascanio (4), e così la potenza dei Co-
lonna nello stato della Chiesa rimase infranta, nè Vittoria, per
quanto poi s'adoperasse, potè mai vederla ripristinala in vita

sua (9).

(1) Vedi Appendice XII.

(2. GUID., II, 433.

(8) REUMONT, V. C. cit., pag. 208.

(4) GuIn., II, 432 e 437.

(5) Vedi Appendice XIII. — FABRETTI A., Mem. di Perugia dell’ anno 1540 al 1545
«di FRANCESCO; BALDESGHI, pag. 20: « il signor Ascanio Colonna haveva perso quaranta-
due terreni murati, quale erano di entrata quarantaquattromila scudi l'anno ».

ar VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 499

M. i

« Donna nobil vegg' io dal mondo errante
Lontana, et chiusa in solitario albergo ;
Tutta accesa d’ amor lasciarsi a tergo,
Quanto non piace al caro eterno amante ;

Et per alzarsi al ciel, fermar le piante
Sovra d' un aspro monte .... » (1).

Con questi versi ispirati dalla impareggiabile eloquenza di
fra Bernardino Ochino (2), non ancor « fuor dell’ Arca che salva
et assecura » (3), Vittoria Colunna intese invero di adombrare
la Maddalena nel suo ritiro di Provenza (4), ma riuscì anche a
darci una viva dipintura di sè stessa nell’alpestre dimora di
Orvieto.

La scelta del monastero di S. Paolo forse non fu subordinata
a quella della città, perocchè la fama della vita innocente che vi
si conduceva, suonava alta nelle due provincie romana e toscana
e ad esso traevano non poche nobili dame per sfuggire ai tram-
busti del secolo. Il monastero sorto nel 1221 per opera dei Benedet-
tini di S. Paolo di Roma, fu da Benedétto XI passato alla regola di
S. Domenico nel 1303, ad istanza di fra Pietro Bonaguida orvie-
tano, allora visitatore dei conventi di Toscana. Fu primissimo
ad accendersi dello spirito di riforma sollevato da Girolamo Savo-
narola e serbò lungamente l’ardore della religiosa osservanza. Onde
è che dalle sue monache erano bene spesso prescelte le riforma-
trici e le fondatrici di altri monasteri, come avvenne per quelli
delle Convertite di Roma, di S. Tommaso di Perugia, di S. Agnese
di Montepulciano e per quello di S. Caterina di Viterbo, ove fra
poco doveva ritirarsi la nostra Vittoria. I nomi di Brigida de’ Ma-
netti, di Caterina Pollidori, di Serafina Bottifango, di Domenica Ta-

(1) Lezione del codice Casanatense, 26, D. VI, 38, a carte 135 verso.

(2) Conso RINALDO, Dichiaratione fatta sopra la seconda parte delle Rime della
Divina Vittoria Colonna Marchesana di Pescara, Bologna, Phaelli, 1543, carte Kii verso-

(3) Carteggio di Vittoria Colonna cit., pag. 257.

(4) Prediche del Reverendo Padre Frate Bernardino Occhino Senese, Generale
dell’ Ordine di frati Capuzzini, predicate nella inclita Città di Vinezia del MDXXXIX,
In Vinegia, Bindoni e Pansini, 1541, carte 66 recto, — Conso R., Dichiarazione, loco cit»
500 D. TORDI

rugi, di Angelica Arciti, di Dorotea Marabollini e di altre suore
di S. Paolo d'Orvieto sono scritti nell'albo d'oro dei fasti Dome-
nicani (1).

La sübita decisione di Vittoria di recarsi in. Orvieto, al primo
muover d'armi, deve quindi aver trovato ragione piü che nella
scelta della città, in cui forse ella non aveva messo mai piede (2),
in quella della santa conversazione. delle suore di S. Paolo, la
quale innalzar doveva il suo spirito e farle sopportare le gravi
sventure che colpirono la sua famiglia. Ella stessa ne scrisse
piena di entusiasmo al cardinal Polo, che cosi ne riferiva al car-
dinal Contarini da Roma 1'11 aprile '41, dopo d'averlo informato
di quanto la marchesa di Pescara s'era invano adoperata per ri-
durre il fratello a piegarsi allé pretese del Pontefice, a scanso di
maggior rovina:

i6. « Itaque Orvielum se recepit, ibique in coenobium Mo-
nacharum se abdidit, quarum institutis et conversatione, ut postea
ad me scripsit, ita delectatur, ut cum tol angelis se versari exi-
stimet, qui nullum fere sermonem admittunt, nisi de Deo, et eius
per Christum in nostrum genus beneficiis: quibuscum, nunc magna
animi pace, et quiete se frui scribit. O felices animas quibus haec
cognoscere cura est! » (3).

Vittoria lodò pure la sua nuova dimora scrivendo in data
di « Orvielo, in S. Paulo a di XXVIII de maggio » ad Ercole II
d'Este duca di Ferrara: .... « Sono in un santo loco, et per es-
ser de sua Santità, gratissimo » (4). Non troviamo che espressioni

(1) FONTANA VINCENTIUS MARIA, De Romana Provinciam Ord. Praedicatorum,

Romae, Tinassi, 1670, pag. 234e 236 e segg. — UGHELLUS FERD., Italia Sacra, Romae,
Mascardi, 1653, Tomo V, col. 1550. — LUBIN AUGUSTINO, Abbatiarwum. Italiae brevis no-
titia, Romae, Komarek, 1693, 8 VII, pag. 429. — PICCOLOMINI ADAMI TOMMASO, Guida

di Orvieto, Siena, 1883, pag. 237.

(2) Vedi Appendice XV.

(3) POLUS REGINALDUS, Epistolarum, Brixiae, Rizzardi, 1748, par. III, pag. 17, let-
tera VIII, e Addenda pag. 85. — La surriferita lettera é in risposta a quella dal Con-
tarini scritta al Polo da Ratisbona addi 6 aprile '41 e nella quale fra l altro gli diceva:
« Audio Marchionissam nostram profectam ex Urbe Orvietum, ut vitaret turbationes
domesticas; plurimum doleo quod eius frater, alioquin prudens, sua sponte se conje-
cerit in has turbas ». (Ivi, pag. 19). — Anche da altre lettere del Contarini contenute
nel Codice Vaticano n. 5967 e specialmente da quelle in data di Bologna 12 febbraio
e di Ratisbona 14 marzo del '41 si rileva l' affettuosa sollecitudine di quel dotto pre-
lato per la nostra Colonna (c. 245 e 246), Carteggio di Vitt. Col.: cit., pag. 230, nota n. 2.

(4) Carteggio di Vitt. Col. cit., pag. 230.
VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 501

migliori ripetesse mai pei monasteri in cui visse in seguito, per
quello cioè di S. Caterina di Viterbo (1), nonostante che vi fosse
confortata dalla quotidiana conversazione de’ suoi amici, del car-
dinal Polo, del Flaminio, del Carnesecchi, di Luigi Priuli, di Vet-
tor Soranzo e di tanti altri (2), e neanche per quello di S. Anna
de’ Falegnami di Roma, in cui trascorse gli ultimi anni di sua
vita allietata dalle frequenti visite di Michelangelo, che l'aveva
lolta a maestra nella via della virtù, onde egli potè ben dirle:

« Porgo la carta bianca
Ai vostri sacri inchiostri,
Ove per voi nel mio dubbiar si scriva
Come quest’ alma d’ ogni luce priv:
Possa non traviar dietro il desio
Negli ultimi suoi passi, ond' ella cade ;
Per voi si scriva, voi che '1 viver mio
Volgeste al ciel per le più belle strade » (3).

Vittoria fra le mura di S. Paolo ritrovò la sacra scintilla poe-
tica, per cui le fu dato rivolgersi al Papa, che attendeva alla ro-
vina della sua casa, con quella sublime apostrofe, nella. quale
pone a stridente contrasto della iattura presente le glorie e le be-
nemerenze de' suoi antenati, cui avevano reso omaggio dal Pe-
lrarca in poi i piu illuminati spiriti, ed evoca alla mente dello
sdegnato pontefice i santi doveri fraterni che impone la comunanza
della patria :

Veggio rilucer sol di armate squadre
I miei sì larghi campi, ed odo il canto
Rivolto in grido e ’1 dolce riso in pianto
Là 've io prima toccai l' antica madre.
Deh mostrate con l’ opre alte e leggiadre
Le voglie umili, o pastor saggio e santo!
Vestite il sacro glorioso manto,
Come buon successor del primo padre !

(1) Cart. cit., pag. 307 e.339.
(2) Ivi, pag. 381 e segg.

(3) BUONARROTI M., Rime, Firenze, Giunti, 1623, pag. 70. — CONDIVI A., Storia di
Michelangelo Buonarroti, Roma, Menicanti, 1853, pag. 90 e segg. — GRIMM ERM., Mi-

chelangeto, Milano, Manini, pag. 254 e segg.
502 J De TORDI

Semo, se '] vero in voi non copre o adombra
Lo sdegno, pur di quei più antichi vostri,
Figli, e da^ buoni per lungo uso amati !
Sotto un sol eielo, entro un sol grembo nati
Sono e nudriti insieme alla dolce ombra i
D' una sola città gli avoli nostri ! (1). ?

E poiché vede che le sue parole senza il presidio divino non
varranno a vincere « l'ardore dell'ira umana » che investe il
Papa, né il suo « indegno amore... del mortal caduco onore »,
tanto infesto al benessere ed all'interesse della religione, cosi
si esprime: È

Prego il Padre divin, che tanta fiamma
Mandi del foco suo nel vostro core,
"adre nostro terren, che dell’ ardore
Dell’ ira umana in voi non resti dramma.
Non mai da fier leone inerme damma |
Fuggi, come da voi l' indegno amore
Fuggirà del mortal caduco onore,
Se di quel di là su !' alma s' infiamma.
Vedransi allor venir gli armenti lieti
Al santo grembo, caldo della face è
Che ’1 gran lume del ciel gli accese in terra.
"loriose reti

o
e

Cosi le sacre
Saran già colme; con la verga in pace

Si rese il mondo e non con ]' arme in guerra (2).

Nè ella si dispera quando s'accorge che Paolo III è ormai
sordo ad ogni sua più calda e giusta prece, poichè nell’ intensa
meditazione delle cose celesti trova la rassegnazione, la quiete e
perfino il contento dell’animo :

Se l’ imperio terren con mano armata
Batte la mia colonna entro e d'intorno,
La notte in foco e in chiara nube il giorno,

Veggio quella celeste alta e beata,

(1) Rime di Vittoria Colonna, Roma, Salviucci, 1840, pag. 300, son. CXL.
(2) Ivi, pag. 301, son. CXLI. —— À

* ie 2 E ert "- 7 s, VR vt
VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 503

Sua mercé, con la mente: onde portata
Sono in parte talor, che se in me torno
Dal natural amor, che fa soggiorno
Dentr' al mio cor, ben spesso richiamata,
Mi par per lungo spazio e queto e puro
Quanto discerno e quanto sento caro.
Non so se l' alma per suo ben vanegeia,
O pur se '1 largo mio Signor, che avaro
Di fuor si mostra al tempo freddo oscuro,
Dentro più dell’ usato arde e lampeggia (1).

Noi crediamo che a questo transitorio periodo di relativa
tranquillità debba riferirsi la mirabile lirica del Colonna sul Trionfo
della Croce (2). Lo spirito del Savonarola che vi aleggia dentro
è lo stesso che nudriva la conversazione delle suore di S. Paolo,
è lo stesso che inspirava ‘al divino Michelangelo, in mezzo alle
sue prodigiose concezioni, l’affettuosa tenerezza e l'ammirazione per
Vittoria. Ben è vero che la visione di che essa ci tramanda la
memoria va riportata al settimo anno dalla morte del marchese
di Pescara (3), che Viltoria lanto pianse, a quell’anno 1532 che,
da lei intieramente trascorso sulle incantale rive dell'isola d' I-
schia, segna il confine fra le apologetiche rime pel suo bel sole
terreno e la nuova e più vera e più sentita poesia, la quale to-
gliendo a fondamento i misleri della religione e cantando il più
radioso sole celeste, Cristo redentore (4), assorge a tali altezze
forse per lo innanzi mai più raggiunte. Ma di quella mistica vi-

sione il Trionfo non esprime che la riminiscenza e Vittoria tiene

(1) Rime di Vittoria Colonna cit., pag. 299, son. CXXXIX.
(2) Ivi, pag. 369, Capitolo.
(3) Ivi, pag. 369: « Poiché ’1 mio sol d' eterni raggi cinto
Nel bel cerchio di latte fe' ritorno
Dalla propria virtute alzato e spinto,
« Già sette volte aveva girato intorno
I segni, ove ne fa cangiar stagione,
Chi porta seco in ogni parte il giorno....:».
(4) Ivi, pag. 161: « I santi chiodi ormai sian le mie penne
E puro inchiostro il prezioso sangue;
Purgata carta il sacro corpo esangue,
Sì ch'io scriva mel cor quel ch’ ei sostenne.
« Chiamar qui.non convien Parnaso 0 Delo:
Ché ad altra acqua s' aspira, ad altro monte
504. D. TORDI

a fissarne la data sol perchè le ricorda l'avvento di un'éra di
maggiore alacrità spirituale. E che il Trionfo sia stato dettato in
Orvieto lo desumiamo principalmente dal fatto che prima del 1541
esso non fu conosciuto dai molti ammiratori della Colonna e dagli
avidi raccoglitori delle: sue rime (1), e soltanto a state inoltrata di
quell’anno Rinaldo Corso, il futuro vescovo di Strongoli, potè ar-
ricchirlo di chiose sagaci per sottoporlo alla: geniale considera-
zione d'una illustre amica di Vittoria, Veronica Gambara signora
di Correggio (2); mentre quando poi fu generalmente conosciuto
prese posto d’onore nelle edizioni delle rime della nostra poetessa.

Questa induzione trova conforto anche nel contesto dal Capi-
tolo. Come nella visione di fra Girolamo (3) qui abbiamo il mi-
stico carro

ch’ a tondo

Il ciel, la terra, il mar cinger parea

Col suo chiaro splendor vago e giocondo ;
Sovra l’ Imperador del cielo avea,

Quel che scese fra noi per noi scampare
. Del servir grave e della morte rea.
E come molti empir l' invidie avare

De' beni altrui, superbi trionfando,

Vil voglie d' un ingordo empio regnare;
Costui vinse e donò '| suo regno, quando

In sacrificio sè medesmo diede,

*

Col puro sangue il nostro error lavando (4).

(1) II Trionfo si legge per la prima volta nelle seguenti rarissime edizioni. —
Rime | De la Diva Vetto | ria Colòna de pescara inclita. Mar | ehesana, Nouamente
agiontoui | X XIII. Sonetti spirituali, et | le sue stanze, et vno triom | pho de ‘ta croce
di Chri|sto non più stam- | pato con la sua | tavola. | In fine: Stampati in Venetia
per Giovanni Andrea Va-| vassore detto Guadagnino, et Florio Fratello | ne gli anni
del Signore. M. D. XLII. | Adi. XVIII. Zenaro — Rime Della Diva | Vettoria Colonna De |
pescara inclita, Marchesana | Novamente Aggiuntovi | XXIIII. Soneti spirituali, et le
sue stanze, | et uno triumpho de la croce di Christo nò|più stampato con ‘la sua
tavola. || In fine: Stampata in Venetia | per Comin de Trino ad instantia de | Nicolo d'A-
ristotile, detto Zoppi- | no. Nel anno del Signor | M. D. XLII | —.

(2) Conso R., Dichiaratione cit.

(3) VILLARI PASQUALE, Storia di Girolamo Savonarola e de’ suoi tempi, Firenze,
Le Monnier, 1861, vol. II, pag. 64.

(4) Rime di Vittoria Colonna cit., pag. 373 e segg.
VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 505

*

L'allusione alla sete di potenza terrena di Paolo III non
potrebbe in queste strofe essere più evidente, e Vittoria l'adoperó
in molte altre rime di quel tempo, dettate coll’ animo esasperato
per lo strazio che si faceva di casa sua.

VI

Ma le sublimi speculazioni spirituali non distaccarono Vitto-
ria dalla affettuosa e benefica corrispondenza de’ suoi amici e
dalla cura de’ suoi sudditi, pensosa, com'era, più d’ altrui che di
se stessa.

Sul principio di giugno del '41, mentre da un lato le giun-
gevano le ultime notizie dell'annientamento della casa sua nello
stato della: Chiesa, dall’altro veniva informata d’una immensa scia-
gura che aveva colpito il suo grande amico il cardinal d' Inghil-
terra, Reginaldo Polo. Questo illustre prelato viveva profugo dalla
patria per sfuggire alla persecuzione di Efirico VIII, suo. non
lontano parente, del quale pubblicamente disapprovava il seguito
divorzio da Caterina d'Aragona e l'incestuoso matrimonio - col-
l'Anna Bolena, causa determinante dello scisma inglese. È noto
quanto quel monarca si adoperasse per togliere di vita questo già
suo favorito, il cui nome onorato e il grado che aveva acquistato
presso il Papa erano per lui acerba rampogna. Più volte armo la
mano di prezzolati sicari per torlo di mezzo; ma il Polo. dovette
la sua salvezza alla lontananza dall’ Inghilterra, nella quale non
mise piede finchè visse Enrico, ed all'amorosa vigilanza de’ suoi
tanti amici, fra i quali, e non ultima, va contata Vittoria (1). Ma
non così potè scampare alla vendetta feroce la madre di lui, la
veneranda contessa Margherita di Salisbury, ultimo rampollo del
sangue reale de’ Plantageneti, rimasta nella sua patria. Di animo
invitto, incrollabile nella fede degli avi, la. Contessa professava
senza maschera tutta la sua avversione per l'indegno modo di
procedere del suo Re che oramai era giunto al quarto matrimonio,
né si sarebbe arrestato. A nulla valendo presso di lei gli adesca-
menti, Enrico passó dalle minaccie alla prigionia, al patibolo. I

(1) Carteggio di V. C. cit., pag. 253, 803 e 306. — CANTÙ C. Il cardinale Giovanni
Morone in Mem. del R. Ist. lombardo di Scienze e Lettere, vol. X, 1867, pag. 19.

34
506 D. TORDI
*$

supposti capi d’accusa che le facevan carico erano di avere in-
dottoi suoi di pendenti a non leggere la nuova traduzione della bib-
bia, di aver ricevuto bolle da Roma, e recato in seno la figura
delle cinque Piaghe, pretesa insegna dei ribelli. La sentenza di
morte che la colpi coinvolse puranche i suoi figli, Arrigo signore
di Montauto e il Cardinale ed altri nobili parenti. Il Cardinale
restò salvo in contumacia. E davvero raccapricciante il racconto
della scena del supplizio della Contessa, che ebbe luogo il 28
maggio 1541. Ella, sebbene soverchiasse già i 70 anni di età,
aveva l'animo baldo come una delle prime eroine del cristiane-
simo. Allorchè il carnefice le comandò d'inchinare il capo sul
ceppo: « No, rispose, la mia testa non piegherassi mai alla ti-
rannide, essa é monda di tradimento, e se voi volete averla, do-
vele guadagnarvela come potete ». A queste fiere parole il boia
le ammenó un violento colpo di scure, il quale falli l' intento, ma
non cosi che non facesse orrendo scempio di lei. La sventurata,
sopraffatta dal dolore, co’ suoi lunghi capelli bianchi ondeggianti
sul petto e sugli omeri, si die’ a correre intorno al palco inse-
guita dal boia, il quale non riuscì a spiccarle il capo se non dopo
replicati colpi di scure. La scena selvaggia inorridì gli stessi pro-
testanti (1).

Vittoria alla nuova di così orrenda carneficina, piena di do-
lore scrisse subito una lunga ed affettuosa lettera consolatoria al
figlio della gloriosa martire, al cardinal Polo. ll tempo ci ha di-
strutto quella bella pagina che avrebbe rivelato viemmeglio il de-
licato sentire della Colonna, ma abbiamo tuttora la risposta che
il Cardinale le fece, e la elevatezza dell'argomento e delle idee ci
dicono abbastanza che quelle anime generose attingevano conforto
e fermezza oltre i confini di questo cielo materiale (2)

(1) DAVANZATI BERNARDO, Scisma d? Inghilterra, Milano, Classici, 1807, pag. 23,

77'e 78. — COBBET GUGLIELMO, Storia della riforma protestante in Inghilterra ed in
Irlanda, Lucca, Baroni, 1826, 1. IV, pag. 124. — GREGOROVIUS FERDINANDO, Storia della

città di Roma, Venezia, Antonelli, 1876, Vol. VIII, pag. 429 e 729. — ROHRBACHER, Sto-
rio Universale della Chiesa Cattolica, Torino, Marietti, 1884, Vol. XII, pag. 432, 458 e

459. — Monumenti di varia lett. cit., Vol. II, Vita del cardinal Reginaldo Polo, pa-
gine 293, 296 e 297. — REUMONT, V. C. cit., pag. 228, 257 e 315. — Carteggio di V. C.

Cit., pag. 128, 141, 142 e 231. — MoRPURGO ALESS., Vittoria Colonna, cenni storici e
letterari, Trieste, Caprin, 1888, pag. 46.
(2) Carteggio di V. C., pag. 231, 1. CXXXIX.
pr

VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 507

E notevole che le pratiche, che dovevano avere si triste epi-
logo, colle quali Enrico VII sollecitò invano il consenso del Papa
al divorzio da Caterina d'Aragona, ebbero principio precisamente
in Orvieto, sullo scorcio del 1527 e al cominciare dell'anno se-
guente, ove si trovava appunto Clemente VII scampato all’ asse-
dio di Castel S. Angelo, e vi ricevette prima il Knight e poi Gar-
diner e Fox ambasciatori di Enrico, che tutt'ora s'appellava Di-
fensor fidei (1).

Ma i buoni uffieii di Vittoria non si limitavano agli amici:
ne godevano anche i sudditi de' suoi feudi napoletani. Sebbene
le sue condizioni economiche fossero state rese difficili dagli aiuti
prodigati al fratello e dalla perdita delle rendite di tutto lo stato
colonnese posto sul territorio ecclesiastico, nelle quali aveva parte,
pure non mancò di aiutarli al possibile, memore dei sacrifici da
essi compiuli per sostenere la sua causa. Vorremmo qui ricordare
quant' ella. fece per tutti, ma ci limitiamo a segnalare un solo atto
benefico, perchè fu compiuto in Orvieto il 18 giugno '41, quello
della graluita cessione. cioè, di un diruto fortilizio alla comunità
di Pesco Costanzo (2).

La propensione di Vittoria per la riforma della Chiesa e dei
costumi era nola fin da quando ebbe principio il convegno del-
l'Oratorio del Divino Amore in Roma, e quello del Valdes in Na-
poli, ai quali non pare che fosse estranea (23); fin da quando
colle sue rime melteva in evidenza che la rete di Sau Pietro era
« d'alga e di fango omai si carca ».

€ ...... Che se qualche onda
Di fuor l' assale o intorno la circonda,
Potria spezzarsi, e a rischio andar la barca » (4):

(1) GREGOROVIUS, Op. cit., Vol. VIII, 729, State papers, VII, King Henry, VII,
p. V, 27, 63.

(2) TorpI D., Swppl. cit., pag. 64 e 77.

(3) PIAZZA BART., Delle Opere Pie di Roma, ivi, Cesaretti e Paribeni, 1698, Vol. I,

pag. 475. — LuziOo A., Vitt. Col., nella Rivista St. Mantovana cit.,pag. 28. — REUMONT,
V. C., cit. pag. 139 e segg. — Masr ERNESTO, Studi e ritratti, Bologna, Zanichelli,

1881, pag. 48 e 49.
(4) Rime di V. C. cit., pag. 297, son. CXXXVII. Leggansi pure gli altri sonetti
bellissimi ispirati dal desiderio di riforma, ivi, da pag. 293 a 298.
508 D. TORDI

era nota fin da quando con tanta abnegazione e calore, insieme
a Caterina Cibo duchessa di Camerino, propugnò la riforma degli
Ordini religiosi, esplicata nella contrastata istituzione di quello
dei Cappuccini, che doveva assorbire i più ferventi soggetti degli
altri e destare un salutare spirito di emulazione (1).

Non pochi illustri scrittori che dividevano le stesse idee e
sentivano il bisogno di epurazione nell'ambito della Chiesa le in-
dirizzarono i loro scritti. Già prima del 1533 Pierio Valeriano le
aveva dedicato il libro XXII de’ /7ieroglyphica, nel quale pone
la Tortora gemebonda e solitaria ad. esempio della. vedova cri-
stiana, ispirandosi sull’aureo libro di Girolamo Savonarola Della
Vita viduale (2). Nel novembre del ’36 il cardinal Contarini le
indirizzò l'epistola sul Libero Arbitrio, argomento allora di tante
controversie (3). Il 1° maggio '40 Adamo Fumano, allora. al se-
guito dell'esemplare vescovo di Verona, Giovan Matteo Giberti,
alie cui regole di disciplina ecclesiastica si altenne San Carlo Bor-
romeo, le dedicò la traduzione latina delle opere di San Basilio .
Moralia, Ascetica magna, Ascetica parva, che rievocar dovevano
gl'insegnamenti della primitiva vita spirituale cristiana (4). Anche
lo Speroni non tardò ad indirizzarle la sua lunga epistola che è
detta della Vita solitaria, ma è una sagace disquisizione dei pro-
blemi filosofici che più appassionavano il suo tempo ed allo studio
dei quali Vittoria spendeva volonterosa la maggiore attività del
suo spirito (5). Mentre ella si trovava in Orvieto il cardinal Con-
tarini pubblicò la sua epistola sulla Justificatione ex fide et ope-

(1) BOVERIO ZACCARIA, Annali de’ Frati Minori Cappuccini, Venetia, Giunti, 1643,

Tom. I, pag. 199, 238, 275 ed altrove. — FONTANA B., Documenti Vat. di V. C., per
Lee] ì ? ) 2

la difesa de" Cappuccini, Roma, 1886. — CAMPORI G., V. C. cit.;, pag. 10, 12. — LUZIO,

Op. cit., pag. 27 e segg. — TorpI D., Jl monumento di Marino, nella Nuova Rassegna,

1893, n. 23, pag. 745.

(2) TORDI D., Suppl. cit., pag. 29 e segg. — VILLARI PASQUALE, La storia di Gi-
rolamo Savonarola cit., Vol. I, pag. 107.

(3) ToRDI, Suppl. cit., pag. 47.

(4) Ivi, pag. 70, GUALTERIO FIL:, Corrispondenza segreta di Gian Matteo Giberto,
Torino, Fontana, 1845, pag. XXVII.

(9) SPERONI SPERONE, Opere tratte da ms. originali, Venezia, Occhi, 1740, Tom. IIT,
pag. 311 e segg. — Ci ripromettiamo pubblicare questa epistola, sfuggita alle edizioni
del Carteggio di V. C. sulla lezione d' un codice, malauguratamente visto in commer-
cio, che era quello stesso descritto dal MrrrARELLI I. B., Bibliotheca codicum manu-
scriptorum monasterii S. Michaelis. Venetiarum prope Murianum, Venetiis, 1779, col.
1069: « Lettera alla signora Vittoria Colonna colendissima Marchesana di Pescara. —
Ext. in cod. 876 ». — Lo Speroni sembra avesse consuetudine di corrispondenza episto-
lare colla Colonna (Cf. Opere cit., Tom. V, pag. 6, 1. 11).
VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 509

ribus, tema favorito e pericoloso del momento. Il cardinal Bembo
che primo la ricevette si affrettò a farne pervenire copia a Vit-
toria, come a quella che poteva giudicare appieno la profondità
della dottrina ed insieme la efficace. semplicità delle argomenta-
zioni del comune amico (1).

Il giorno 3 luglio giunse nuova in Orvieto della prossima ve-
nula dei cardinali d’Inghilterra e Fregoso. Essi recavansi a vi-
sitar Vittoria. La città si dispose a riceverli degnamente e ad of-
frir loro il solito ensentum (2). Ma il cardinal Polo, forse. per
isfuggire alle insidie dei sicari del suo Re, che mai lo perdevano
di vista, soprassedette. Venne però da Roma il cardinal Fregoso,
appena rimesso da una grave malattia sofferta (3) e ricevette
l'omaggio della città. Egli informò la Marchesa del corso che
avevan preso le cose della sua famiglia, delle speranze che re-
stavano per l'avvenire, di quanto egli si adoprerebbe in suo pro
nel prossimo convegno che il Papa si disponeva a tenere coll’im-
peratore Carlo V a Lucca (4). Ma purtroppo quello fu l'ultimo
viaggio che il F'regoso compiesse, perocchè accomiatatosi da Vit-
toria e giunto appena alla sua chiesa di Gubbio, si giacque in

letto nuovamente ammalato e-il eiorno 22 luglio '41 finì la sua
c o

(1) Mon. di Varia Lett. cit., pag. 150 e 177. — ToRDI D., Suppl. cit., pag. 47.

(2) Riformagioni Orvietane, Die IIl Iulii 1541, c. 797. « Convocato et congregato
Consilio duodecim sapientum Civium.... It. proponitur adventus R.morum Fregosij et
Inghilterre qui de proximo affuturi ad hanc n.ram Civitatem si placet eisdem facere

ensenium secundum antiquam consuetudinem » — e che si spenda — « in illis rebus
pro ut videbitur et placebit usque ad summam decem florenos pro quolibet R.mo ».
Messa a partito la proposta fu vinta, « quattuor fabis albis non obstantibus ». — A

c. 802 si rileva che venne solo il cardinal Fregoso, e fu fatta bulletta della spesa ifi-
contrata dietro partito preso, con sei fave bianche del no.

(3) Mon. di Varia Lett. cit., II, p. 131, Lett. di Girolamo Dandino al Contarini,
da Bles 25 luglio 1541: « I] Pero (corriere) parti di Roma il 15 all alba..... et non vi
lasciò altro di novo salvo che il. cardinale Fregoso stava male a morte »: pag. 183,
Lett. del Bembo al Contarini, di Roma alli 13 di luglio 1541: « Monsig. R.mo Fregoso
si parti per Ogebbio ».

(4) MAZZAROSA ANT., Opere, Lucca, Giusti, 1842, Tom. IV, l. VII, pag. 80. — DEL
CARLO TORELLO, Studi Storici Lwochesi, Lucca, tip. del Serchio, 1886, pag. 34. Occorre
qui correggere un errore materiale nel quale sono incorsi pressoché tutti gli editori
degli Armati d Italia di Lopovico MURATORI. Vi si dice che il « pontefice si mosse da
Roma (per Lucca) nel dì 27 di settembre » e poi che « arrivò nel dì 8 di settembre...
a Lucca. » La prima data evidentemente dovrebbe esser corretta in 27 agosto. Infatti
vediamo che sotto la data. del 26 agosto gli orvietani destinarono oratori al Papa, per
sollecitarne la venuta nella loro città, Nicolao Monaldeschi e Alessandro Saracinelli,
e il giorno 29 stabilirono i capitoli da esporre ai piedi del pontefice (Rif. Orv., anno
1541, c. 800, 808, 816 e 817).
510 : D. TORDI

1

fortunosa vita (1). E da credere quanto la Colonna ne restasse
addolorata, poichè le veniva a mancare in lui un così valido e
disinteressato appoggio. Piena di angoscia ne scrisse in data del
1° agosto a Eleonora Gonzaga Della Rovere duchessa d' Urbino,
prossima parente sua e del defunto, e la confortò col pensiero
della morte santa da lui fatta, arra della « gloria e vera pace »
conseguìta. Nè mancò di far di lui onorevole menzione nelle sue
rime e di ricordare insieme l’amicizia che lo strinse al cardinal
Polo, i legami del sangue e quanto « a ben far la spinse » (2).

La corte di Roma intanto stava per muovere alla volta. di
Lucca, ed a Vittoria, tanto più ora che le mancava il Fregoso,
premeva di abboccarsi co’ suoi amici che riannodare e perorar
dovevano la reintegrazione della sua casa presso i due sovrani (3).
Lo avrebbe fatto volentieri da Orvieto, ove il Papa doveva pas-
sare (4), ma non tutta la corte seguirebbe quel cammino, onde
ella decise di prender Ja via di Roma e vi pervenne certamente
prima del 9 di agosto (5).

Quanto dispiacevole le riuscisse il. distacco dal monastero di

San Paolo, nel quale, come ebbe a scrivere il Bembo al Contarini,

(1) BONGI SALV., Annali di Gabriel Giolito cit., Vol. I, pag. 34, 50. — FOLIETAE
UBERTI, Clarorum ligurum elogia, Romae, Bladus, 1573, pag. 169, 170 e 171. — SADO-

LETUS IACOBUS, De obitum optimi ac praestantissimi Cardinalis Faederici Fregosij,
Homilia, Lugduni, Gryphium, 1541. — Idem., Opera, Veronae, Tumernani, 1788, Tom. III,
pag. 14. — CAMPORI, V. C. cit., pag. 38, e REUMONT, V. C. cit., pag. 218, pongono er-
roneamente la data della morte del card. Fregoso al 13 luglio. Nel vescovato di Gubbio
gli successe il Bembo (€f. Mon. di Varia Lett., IT, pag. 204).

(2) Vedi Appendice XV. — ViscowTI, Rime di V. C.cit.,pag. 357 e 358, i sonetti
CXCVII e CXCVIII sono in lode del defunto cardinal Fregoso.

(3) REUMONT, V. C. cit., pag. 214: « Quando il Papa e l' Imperatore s'incontra-
« rono a Lucca nel settembre di quest'anno (1541), l' ultimo fece sforzi in favore della
« famiglia (Colonna) cosi crudamente colpita. Cercò d'indurre.Paolo HI a viconse-
« gnare Paliano a Marcantonio » (leggi Fabrizio: Marcantonio aveva appena 6 anni
essendo nato a Civita Lavinia il 26 febbraio 1585) « figlio di Ascanio e a concedergli
« la mano della figlia di Pierluigi, Vittoria Farnese. Il Papa non si lasciò smuovere,
« né volle saperne di alcun accomodamento, prima che non gli fossero state risarcite
« le spese di guerra. Così l'affare rimase sospeso ».

(4) Vedi nota n. 4, pag. 509.

(5) Leggasi la bella lettera colla quale Luca Contile, da Roma a IX di agosto
MDXLI, pieno di ammirazione per Vittoria, rende ragguaglio al Conte Ettore di Car-
pegna di una visita fattale. La sapiente conversazione della Colonna, il fascino che
esercitava sopra i suoi ascoltatori, l'interesse che prendeva alle cose della religione, alle
vicende della sua famiglia, il doloroso presentimento che ella aveva della prossima
defezione dell’ Ochino, non potrebbero meglio essere rappresentati. (CowTILE, Delle
lettere cit., Vol. I, c. 23 verso e segg).

———————

—— q-—
——T

VITTORIA COLONNA IN ORVIETO; ECC. 511

« stava bene e viveva lieta nelle orationi et contemplationi sue » (1),
è facile argomentarlo dal fatto che malgrado che le vicissitudini
della vita non le permettessero di piü ritornarvi, come sarebbe
slato suo vivo desiderio, ella ne serbó grato ricordo sino alla
fine de’ suoi giorni, ed in quello supremo in cui testò, sei anni
dopo, non dimenticò le buone suore di S. Paolo alle quali legò
la somma, per allora cospicua, di cento scudi (2). E che ella fosse
veramente consolata dalla vita trascorsa nel cenobio orvietano, ce
lo dice anche la scelta che poi fece di quello « mediocre » di
S. Caterina di Viterbo, sol perché essendo stato fondato dalle do-
menicane di S. Paolo ritrovar vi dovea la stessa regola di vita
spirituale (3).

Vittoria da Orvieto mosse verso Roma per la via di Bagnorea.
Da questa città, in cui si soffermò, scrisse il 4 di agosto. al car-
dinal Farnese per ringraziarló della memoria che serbava di lei,
delle attenzioni ricevute in suo nome in Orvieto, e gli raccomandó
la sua causa (4). Il cardinal Polo che trovavasi a villeggiare a
Capranica, in quel di Sutri, venne a visitarla insieme a Carlo
Gualteruzzi ed alla sua geniale brigata (5). A Bagnorea si scam-
biarono corlesie e consigli, ed il Polo trovó tanto elevato l'animo

di Vittoria Colonna, nonostante le gravi afflizioni patite, che gli

(1) Mon. di Varia .Lett., cit., IT, 177.

(2) Parcella del testamento di V. C.: « Item reliquit et legavit secutos mille ad
Iulios decem pro scuto quatuor monasteriis in quibus ipsa ill.a d.na testatrix stetit et
inhabitavit vid. Monasterio sante Anne scutos tricentos: monasterio santi Silvestrii
scutos tricentos: monasterio. sante Catherine de Viterbio secutos tricentos: ?nonasterio
santi Pauli de Orvieto scutos centum, (Protocollo Piroti, ann. 1547-48, c. 34 retto).

(3) Carteggio di V. C. cit., pag. 271.

(4) PAAR GRAF LUDWIG. — Katalog von Autographen. — Berlin, Albert Cohn, 1893,
n. 1799: Lettre aut. signée au cardinal Farnese; Bagnoreia, 4 de agosto, 2 pag. in fol.
adresse et cachet. Fu comperata all'asta dal sig. W. Ev. Benjamin di New York, dalla
cui cortesia ci ripromettiamo una copia. Nella stessa vendita al n. 1800 vi era un'altra
lettera inedita della Colonna indiritta a Cola Iacobacci, originata dalla vertenza per un
cavallo: fu acquistata dal sig. C. F. Gunther di Chicago, al quale pure esprimiamo il
desiderio di averne copia per un nuovo supplemento al carteggio di Vittoria.

(5) Pel Card. Polo a Capranica vedasi Mon. di Varia Lett. cit., JI, 147. — GUAL-
TERUZZI CARLO, Lettere inedite, Pesaro, Nobili 1834, pag. 39. Lettera al Cardinal Bembo
a Roma in data « Di Roma, idest Capranica, l'ultimo di luglio 1541 »: « ...... Domat-
tina c'invieremo verso la signora Marchesa dove non lascìerò di far le salutazioni di
VS LRev. S.»
512 D. TORDI

parve veder suscitato in lei il forte animo dell’eroica sua ma-
dre (1).

Firenze, 4 di agosto 1895.

D. Torpi.

(1) PoLus REGINALDUS, Epistolarum cit., parte IIT, car. 75, epistola XLIII, scritta
dal cardinal Polo al card. San Marcello da Capranica: « Non possum vero hic preter-
mittere, quin adscribam, quod cum superioribus diebus Illustriss. Marchionissam Pi-
scariae, in qua Deus videtur matris erga me spiritum suscitasse loco illius, quam a
me sustulit, Bagnareae viserem, quam mihi prompte familiares quidam Reverendis.
D. V. et hospitium eius nomine praebuerunt, et omni genere officii mihi inservire se
paratos ostenderunt, adeo ut in hac parte etiam ab humanitate Rev. D. V. me multum
consolatum agnoscam ». — Cf. REUMONT, V. C. cit., pag. 229.

Ci piace qui di far menzione di un raro libretto stampato in Orvieto nel 1625,
nel quale vien fatta figurare come interlocutrice Vittoria/Colonna « Dama di Parnaso ».
Il titolo é il seguente:

Il Maritaggio delle Muse — Poema Drammatico di Gio. GIACOMO RICCIO, dove in
capriccioso intrecciamento sono Interlocutori con le Nove Muse i migliori Poeti To-
scani, e Latini, Heroici, Lirici, Pastorali, Faceti, nel metro, e nello stile più da loro
usato — AU’ Illustriss. et Eccellentiss. sig. D. Giulio Cesare Colonna Duca di Bassa-
nello — In Orvieto, Per Michel’ Angelo: Fei et Rinaldo Ruuli, M.DO, XXV. — B se-
guito dall’Annuntio delle Muse, Epitalamio di Gio. Giacomo Ricci, ivi.
-— o.

VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 513.

ASPRE ND EC

(V. Nota n. 2, pag. 476). 1540, giugno 27.

(Archivio di Stato di Firenze. — Carte Cervini, Cod. II, car. 27, let-
tera 14, del Cardinal Farnese al Card. di Nicastro, Marcello Cervini,
legato in Germania, ricevuta a Brugges il 12 luglio 1540).

..... Restami advertire V. S. R.ma che per essersi a questi di havuto
qualche ragionamento tra Noi, et recordato a N. S.re che il collocare
di Vittoria hormai non saria da indugiar più per esser della età matura,
che è, et havendosi, Dio grazia, molti partiti per le mani, parve al S.or
Marchese, che ne deve haver sentito qualche cosa, farne motto a S. S.tà,
dicendo che per Roma (intendi Pasquino!) si diceva che Vittoria era
maritata. Al che N. S.re rispose convenientemente che non era cosa al-
cuna, si come non è. Et perchè ne potria scrivere di là qualche cosa,
sarà ben che V. S. R.ma con bona occasione et con mostrare a S. M.tà
che di tutte le cose nostre se li ha sempre da dar conto ecc. et così in
forma di comunieatione amorevole, dirli che per esser il tempo assai
maturo et da non tardar più in maritar questa nostra sorella se ci era
pensato, et se ci pensava tuttavia, et che oltre al partito del Duca di
Braganza, il quale ha mandato qui homo a posta per questo, et mostro
desiderarlo molto, et cosi questo del S.or Ascanio Colonna, al quale per
la vita sua, et per la natura de la quale é, non si era dato orecchie piü
che tanto. Il Car.al Lenoncourt come creatura di S. S.tà et come per-
sona che molto desidera servire al Duea del Loreno, et alli Fratelli, suoi
Signori, haveva proposto il fig.lo primogenito del Duca di Guisa, et
l'Amb.re di Francia, se ben come da se, et nescimus quo spiritu ductus,
havea parlato da altra parte del fig.lo del dicto Duca di Loreno Mar-
chese de Ponto, et pur primogenito, mostrando ch’ el partito di Vandomo
514 D. TORDI

offerto di prima da S. M.tà Chr.ma fin alla visita di Nizza, come V. S.
R.ma sa, et sa anche la M.tà Ces.a, havesse qualche impedimento per
le cagioni, che si sanno ecc. Il che tutto si era ascoltato, ma fin qui
ogni cosa era integra. Ben si può soggiungere, che per el desiderio, che
S. S.tà tiene più che mai di conservarsi bon mezzo per poter procurare
sempre la pace tra S. M.tà et il Re Chris.mo et hora tanto più quanto
che per la recidiva pareva, che bisogno ne fusse maggiore, pensava di
postponere qualche interesse, et contentezza nostra particolare per sati-
sfare al pub.co con collocar Vittoria più tosto da quest’ altra banda, cioè
di Francia, et par che si satisfacci assai di quel Duca di Loreno per non
accrescere più la sospitione dal canto di Francia, tanto più essendo quel
Duca neutrale, et Principe grato all'una parte, et all'altra. Pure V. S.
R.ma ha da dir sempre che tutto sta integro, come sta con effetto, et
che nel medesimo termine, che è, se ne dà conto a S. M.tà, la qual però
ha da veder che noi non desideriamo altro che il collocare di questa fi-
gliola presto, si come io mi ricordo che mo fa l'anno dissi di bocca a
S. M.tà in Toledo, quando si parló del figlio del Duca di Savoia, et so-
pratutto V. S. R.ma ha da advertire di non si obligare ne astregnere :
cosa alcuna, et con questo facendo fine a lei humilmente mi raccomando.
Da Roma a XXVII di Giugno M.D.XL.

Humill.mo Servitore
Il Card. Farnese.

(fuori) Al R.mo S.or mio oss.mo Mons. Il Car.le de Nicastro leg.to.

II.
(V. Nota n. 4, pag. 480). 1540, marzo 12.
(Archivio Storico del Comune di Orvieto, cart. 169 — Hiformagioni,
anno 1540).

(A tergo)
Mag.cis Dnis Conservatoribus Urbevetano popolo presiden.
tamquam . fratribus.
(Intus vero).

Mag.ci Dni Nri tamquam Fratres.

Sospectando che sua Beatitudine non commecta Ex.ne contra Noi per
non poter sopportare questo gravissimo peso del sale già minaceiatene


2 7 d A 2 PE. E FRA : »2 am ^g y i $
VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. | 515

per un Breve, ne parso, a nostra sodisfatione, non perché punto diffi-
diamo del buon animo di V. M. S.rie, per la mutua et antica nostra be-
nivolentia dargliene di ció notitia, parimente ricercandole per riguardo
massime de represaglie, a voler perseverare in quella dolce et amorevole
vicinità, che in questo caso elle desiderarebbeno da Noi, alle quale non
siamo per mancare mai in affettuoso atto et pronto officio di gratitudine,
cossì con tutto il cuore ne proferiamo. Che dio felicemente le prosperi.
Perusiae Xij Martii MDXL.
Tamquam fratres Priores Artium et
XXV Defensores Augustae Perusiae

'

locus T sigilli. Marius Podianus.

1540, aprile 3.
sar. 170. (A tergo)
Mag.cis ec Excelsis Dni tamquam Fratribus
Dnis Conservatoribus Pacis Urbevetano populo presiden.
(Intus vero) Mag.ci Dni tamquam fratres ecc.

Essendo la nostra Città resoluta et fermamente deliberata prima sop-
portare ogni estremo supplitio che descendere all’impie voglie et iniuste
domande che sì universalmente i popoli aggravano, per tanto Vi facemo
intendere che havendo sentito che dal medesimo gravamento siate op-
pressi, o almeno in breve tempo et spatio per incorrere in tale oppres-
sione, facemo V. M. S.rie per la presente sicure che volendo anchora
voi resistere alle Tiranniche voglie, se si incominciasse a dannificare ne
i vostri termini et confini, ricercandoni, siamo apparecchiati tutti de un
volere a soccorrervi et con voi la medesima fortuna impartire per quanto
si estenderanno et. potranno stenderse le nostre forze, a comodo et
servitio de V. S..M. Alle quale ne offerimo et arricomandiamo, et Dio
le conserve et prosperite. Perusiae ex nostro palatio publico Die III A-
prilis M.D.XL.

Tamquam fratres Priores Artium et

XXV Defensores Iustitie Augustae Perusiae.

loeus T sigilli.

I Perugini si rivolsero per aiuti ed alleanza anche ad altre città. IRE-
NEO Arrò nella Vita di Pierluigi Farnese, Milano, Giusti, 1821, a pag. 36
riporta quest’ ultima lettera come indiritta ai Priori della città di Spoleto,
ed a pag. 37 ne pubblica un’ altra in data 15 aprile 1540 rivolta ai Se-
nesi affinchè « si degneno agratiarne di buona quantità de i loro sali ».
suoi er

; 516 D. TORDI

III,
(V. Nota n. 5, pag. 4801.

Il giorno 10 marzo 1540, in luogo di Niccolò Tolosano, andò Gover-
natore in Orvieto BRUNAMONTE DE’ Rossi DI Assisi nominato con Breve
pontificio. Per suo locotenente condusse « D. Iohis Andree de Martellis
de Asisio I. V. D. (Riform. d’Orv., 1541, car. 784). Deve essersi subito
molto adoperato in vantaggio della città, se poco più di un mese dopo
nel Consiglio generale della Comunità e balia del 25 aprile fu con

voto unanime, su proposta di Alessandro Saracinelli e. Gabriele Bian-
chelli, consiglieri e giureconsulti, creato ed eletto Cittadino e Nobile or-
vietano per sè e i suoi figli e discendenti legittimi con godimento degli

o

x

onori, privilegi, immunità, prerogative, offici e dignità spettanti ai cit-
tadini nobili nati ed allevati in Orvieto, e gli fu concesso di aggiun-
gere al proprio stemma I' « Aquila alba cum Rastrello in Rubeo Clipeo
existens, una ex insignibus nostri Comunis » (Aiform. d' Orv., 1540,
ear. 188).

La famiglia dei Rossi, Signori del Castello della Rocca nel terri-
torio di Assisi, era antichissima, giacchè un « Brietus Rubeus » è nominato
in un documento del 1088 esistente nell’ Archivio della Cattedrale di
S. Rufino d' Assisi. L'antico autore della Storia della indulgenza del
Perdono, conosciuto col nome di P. Francesco Bartoli, era un « Franciscus
Bartoli Rubeo » di questa famiglia. Un Antonio Rossi fu Podestà di Fo-
ligno nel 1446, e Giudice delle Cause civili nello stesso Comune. Ma ve-
nendo a Ser Brunamonte, trovasi che era figlio di Evangelista Rossi
e di Guidolina Contuzi Della Genga: infatti in un istrumento in data
18 febbraio 1505, esistente nella Cancelleria Vescovile di Assisi, si legge:
« D. Guidolina Contutii de Genga uxor olim ser Evangelistae de Rubeis
de Assisio uti tutrix et curatrix Bonaventurae ser Brunamontis, Hie-
ronymi, Nicolai et Francisci filiorum suorum et dicti Evangelistae. cum
praesentia Bernardini et Christiani filiorum Iuliani de Rubeis locavit... ».
Anche ser Evangelista fu uomo di qualche valore, giacchè dalla sua città
fu mandato oratore a Sisto IV in Foligno nel 1416 e fu castellano di
Terracina nel 1492 e della Rocca di Sassoferrato nel 1494. .

Brunamonte sposò ai 7 settembre 1522 Galizia de Nepis, come si ri-
leva da un atto esistente nell’ Archivio pubblico di Assisi, sotto quella
data, con questo titolo: « Matrimonium Magnificae Dominae Galitiae
sororis magnificorum Gaydonis et Octaviani filiorum D. Galeotti De Nepis
cum D. Brunamonte Evangelistae de Rubeis, rogitu Simonis Paulutii ».

Se gli onori ricevuti dal De Rossi in Orvieto significano che vi con-

tava degli amici, dal suo carteggio apprendiamo che non gli mancavano

I]
VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. DIT

degli avversari. Già dal 9 aprile (appendice VIII) egli raccoglieva la
voce « publice che viene un altro Governatore et uno Commissario ad
sindicarmi et molte altre cose ». Il Commissario non pare venisse,
ma il nuovo Governatore non tardò oltre la fine della guerra del Sale.
Il 9 giugno 1541 Paolo III creò nuovo Governatore e castellano di Or-
vieto Francesco Valori patrizio fiorentino che giunse il giorno 20 ed
esibì ai Conservatori il Breve di nomina colla firma del secretario Blosio
eletto di Fuligno, ed una lettera di raccomandazione del Card. Farnese
del seguente tenore :

« Mag.ci Viri Amici Car.mi Mandando N. S. per vostro Governatore
M. Francesco Valori exibitor della presente come. vedreti per il Breve
ch'egli porta seco, ha voluto S. S.tà che oltra al testimonio di detto Breve
io vi dica et vi esorti con questa per sua parte a riceverlo prontamente
all’ offitio et prestarli tutta quella obedienza che si conviene. Et inoltre
trattarlo nel resto secondo meritano le buone virtü et qualità sue et
come é solito vostro di fare alli ministri di S. Beatitudine. Et a voi.ci
offeriamo di continuo. Da Roma alli 18 di giugno MDXLI. — V.ro Car.
Farnese ».

Ai 21 di giugno il De Rossi cominciò a far le consegne della Rocca
(form. Orv., 1541, car. 1188 e 1195) e, nota il Cristofani sulle Rifor-
magioni di Assisi, che ebbero termine il 25 dello stesso mese.

Il De Rossi per allora si ritirò in patria e vi rimase a lungo. Ve-
diamo che essendo egli ascritto tra i fratelli delle S. Stimate di quella
città, con deliberazione del 29 maggio 1544, come si legge negli atti di
quella Confraternita, fu scelto insieme ad altri confratelli per ordinare
e provvedere un' elemosina a favore del Capitolo Generale di S. Francesco.

Alla fine del. gennaio. 1564 lo troviamo di nuovo Governatore ad
Ascoli, mandatovi da Pio IV, ma non vi trovò miglior fortuna che ad
Orvieto, perocchè essendo quella città in sedizione, egli dovè entrarvi
scortato da soldatesche, ed in una fazione che ebbe luogo ai 27 di marzo,
di Venerdì santo, all’ Acquasanta, rischiò di essere ucciso. — L'Ab. An-
tonio Mannucci nel suo? Saggio delle Cose Ascolane, Teramo, 1766, pa-
gina CCCXCIV, dice che egli era « rosso anche di pelo » e soggiunge
che all’ Acquasanta « mostrò quel pelo rosso.la gran bravura di far in-
cendiare con poca pietà tutto quel misero luogo ». Perciò gridavasi alla
disperata in Ascoli: « Lenitivi e non caustici, bianco non rosso ». Quel
malumore fece il suo effetto; sullo scorcio di maggio il De Rossi fu so-
stituito dal nuovo governatore Lancellotto Lancellotti patrizio romano,
e d’ allora in poi non fu più adoperato dalla Curia pontificia. — Egli
stesso se ne lamenta col Card. Farnese con questa. lettera che si con-
serva nell’ Archivio di Stato di Parma:
TN [t EE ‘
rms ira o ci - - = A

518 D. TORDI

« Ill.mo et R.mo Mons.re Padrone et Benefattore mio Colendiss.mo.

« Non mi dole tanto il vedermi già tanti anni non solo messo al libro
de li scordati, ma de li reprobati offieiali de la Sede Apostolica, quanto
mi crucia et tormenta il non sapere imaginare la causa per la quale mi
vedo oggi privo de la bona grazia di V. S. Ill.ma et R.ma, essendo
certo in la conscentia mia non solo non havere mai hauto animo di
dispiacerli né di disservirla in cosa alcuna, ma si bene di adorarla conie
unico Benefattore mio; ché quando ciò non fusse son certo che si come
39 anni col favore et aiuto suo in sei Pontificati proximi passati io son
stato operato di continuo da tutti, cusì anche sarei stato operato in questo,
sì come da principio fu speranza mia ferma. Imperò considerando il
tutto procedere da la Providentia di Dio per lo meglio, conforman-
domi con la voluntà sua mi sforzaró supportare questa desdetta con
pacientia più che poteró, restandoli però eternamente quello obbligato
servitore che li son stato sempre, con fervente desiderio di servirla
sempre. Et non essendo questa per altro, in sua bona grazia humilmente
mi raccomando, supplicandola che voglia havere per raccomandato M. Fran-
cesco Jasone mio nipote carnale che sarà lo exibitore di questa, doctore
ben docto et da bene et esercitato in più officii.

«.Da Asisi, li III di Gennaro del LXX.
« Di V..S. Ill. et R.ma
« Obbligatissimo servitore
« Brunamonte Rossi de Assise ».

(A tergo:)
« Allo Ill.mo et R.mo Mons.re Padrone et Benefattore
« mio Colendissimo Mons.re Cardinale Farnese. — Roma ».

Non sappiamo l'anno preciso della morte di Brunamonte; nella
chiesa di S. Francesco di Assisi si vede ancort una lapide in pietra
rossa con questa semplice iscrizione: « Ossa Dni Brunamontis de Itubeis
u. i. d. hic requiescunt ».

Dei discendenti del De Rossi notiamo il figlio Pietro che fu Com-
missario e Collaterale generale delle milizie della Chiesa, come si legge
nel libro delle Riformagioni di Assisi in data 22 agosto 1555. — Anche
un suo nepote Pietro di Francesco, fu, con diploma del 18 maggio 1575,
ascritto, insieme ad un altro parente Pier Luigi, al patriziato ed all'or-
dine senatorio di Roma.
dr

VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 519

IV;

* (V. Nota n. 4, pag.: 483). 1 1540, marzo 3.

(fuori) AII' Ill.mo et Ex.mo S.re el S.or Duca Cosmo S.r mio oss.mo.

223057 Noi qua ad Milano pensavamo di soggiornare sub umbra bici-
pitis Aquilae, ma ce venuto nova da Roma come la Regina di Navarra
desidera conoscere, et abboccarsi con la nostra divina Marchesa di Pe-
Scara in Milano, ove presto sua Serenità pensa avante il fugir delle
rose moschette ritrovarsi, il che non puotrebe essere in vigore della tre-
gua veechia, ma per mutatione et trasmutatione di tante belle et grosse
aquile in smilzi galli. Ne é di pensar che una sorella del Christianissimo
qual mangia spesso con Madama di Tempes, secretaria del sigillo regio,
non sapia il che, come et quando. È ben vero, chel S.r Duca di Savoya
qual si sta in val d' Agosta sperando alla spagnola d'esser promosso al
Regno di Navarra e ducato di Borbone, quello pro filio et questo pro
se tantum ad vitam, trema di paura di restare in asciuto, poi che troppo
in longa va questa ventrata della ineredibil concordia et chi la desidera
non crede, et si erederia si tuti li grandi credessero in Christo da dovero
et non in forma simulationis per dare ad intendere il dritto et far il
rovescio et il torto....

Dal Museo III di Marzo 1540,

di V. Ex.tia Aeterno S.re el Vescovo Jovio.

V.
(Vedi Nota n. 4. pag. 490).

Il Castello di Monte San Giovanni Campano era stato da papa Mar-
tino V assegnato in parte ad Antonio Colonna Principe di Salerno, figlio
di suo fratello Lorenzo, ma tolto poi ai Colonnesi dal Re di Spagna fu
da questi donato nel 1440 ad Innico D'Avalos marito di Antonietta
d'Aquino, i cui discendenti lo possedettero fino al 20 maggio 1595, nel
qual giorno Clemente VIII lo acquistò per la Rev. Camera Apostolica
insieme ai casali de’ Colli ed alla rocca di Strangolagalli al prezzo di
160 mila ducati. — Nel giorno 22 aprile 1537 troviamo Vittoria Colonna
che di lassù scriveva al Cardinal di Mantova, Ercole Gonzaga, ed al
Cardinal di S. Croce, Marcello Cervini, che fu poi papa Marcello II, ma
nessun documento edito ci diceva finora che ella ne fosse stata signora
e vi avesse esercitato i diritti feudali di mero e misto impero. Due let-
1

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d
^
a
1
È
um. |
I

590 D. TORDI

tere autentiche della stessa Colonna che in questi giorni abbiamo potuto
copiare per gentile consenso del possessore, sig. Prof. Viviano Guastalla,
e che diamo qui appresso ben volentieri, perché inedite ed autografe
nella chiusa e nella firma, ei hanno ció confermato. Eccole:

I) (fuori) « Alli Mag.ci Erario, Conestavole
« et Unj.tà del Monte san Jonni (suggello a cera)
« Fideli dilecti ete. d

« Viri Mag.ci nob. char.mi. Mandamo m. Gasparro Capitano nostro
de Sancto pre. in q.sta nostra Terra del Monte per essere Doctore ad
proveder ad quel bisognar cirea la giustitia et signanter per le cose no-
stre del affitto ne dicemo che non obstante che ci sia altro officiale nostro
volemo che se li done obedientia et favore come alla persona nostra
propria et con questa li damo auctorità che possa recognoscer tucte cause
con quella auctorità che noi medesmo tenemo non fando altrimente per
quanto havete chare le gratie nostra et bene valete. — Da Gen(azzano)
XViiij de luglio 1535.

« non lassate farli intender

el vero » « la Marchesa de Peseara ».

II) « Mag.co m. Simone auditor nostro. Quantunche habbiate conde-
mnato la Università del Monte san Joanni in mille ducati per disobe-
dientia de non haver facte le mura, serrate le porte et faete le guardie
et altre disobedientie secondo il processo, pure non ne molestarite detta
Università, ne particular persona de essa senza novo ordine nostro. Et
medesmamente non molestarite m. Petro Antonio de Celestinis per non
esser comparso a dar le pregiarie li domandavate, atteso che venne a
trovar noi in Roma. Cosi anche decimo de Laduano suo genero il qual
andò a parlarli alle Taverne de Anagne o, altrove che tal è nostra vo-
luntà et non fate il contrario. — Arpini Xiij Aprilis 1537. È

« dico fin al ritorno nostro »
(suggello a secco) « La M.sa de pes.ra »

Il suggello a secco è in tutto simile a quello riprodotto dall’ illustre
Prof. Bartolomeo Capasso nella sua erudita opera: I/ Palazzo di Fabrizio
Colonna a Mezzocannone, Trani, Vecchi, 1894, pag. 63 ; reca in doppia
partita le armi D' Avalos-Colonna, e la leggenda: Victoria Col. March.
Pisc. Da una lettera in data « Di Napoli a Xij di Maggio 1577 », da Isa-
bella Gonzaga moglie del Marchese di Pescara Francesco Ferdinando

D'Avalos indiritta alla Università del Monte S. Giovanni, rileviamo che
SI 2
VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 521
questa signora in quell'epoca era « Duchessa » di quella terra. — A

lei Rinaldo Corso da Correggio dedicò la sua esposizione di Tutte le
Rime della Illustriss. et eccellentiss. Signora Vittoria Colonna ecc. Ve-
nezia, Sessa, 1558.

Of. Carteggio di Vittoria Colonna, Torino, Loescher, 1892, seconda
ediz., pag. 140. Monografia di Monte S. Giovanni Campano, Frosinone,
Stracca, 1891, pag. 44, 45 e 56. — Coppi, Memorie Colonnesi, Roma,
Salviueci, 1855, pag. 177; GuIccIARDINI, Storia d'Italia, Napoli, 1861,
Vol. I, pag. 77; Giovio, Storie del suo tempo, Vinegia, Cesano, 1554,
car. 66 v.; Passaro, Giornali, Napoli, Altobelli, 1785, sotto la data
10 febbraio 1495.

(V. Nota n. 2, pag. 491). 1541, marzo 19.
(Archivio Storico del Comune di Orvieto — Rif., 1539-1551).

car. 764.

Die XIX martii 1541 'sapientum Civium convocato et congregato
de commissione et ordine mag.corum D. Cons.rum Pacis in audentia se-
creta eorum palatii cum presentia et autoritate Mag.ci D. Gubernatoris.
In quo fuit propositum ex quo accessit in hac Civitatem Ill.ma et Ex.ma
Marchesia de Pescaria et cum sit eiusdem auctoritas et qualitatis et adeo
grata S.mo D. N. et R.mo et Ill.mo de Farnesio, si placet eidem facere
aliquam elargitionem et ensenium et quomodo et qualiter et si videtur
fore visitandam per mag.cos D. Cons.res. Super qua proposita etc.

Clariss.mus I. V. Doc. Dnus Ant.s Palmerius unus ex dieto consilio
surgens factaque solita divini nominis invocatione detecto capite dixit et
consuluit quod mag.ci D. Conservatores auctoritate presentis consilii de-
beant exponere usque ad summam decem florenorum in ensenio faciendo
prefate-Illme et Ex.me Dne Marchesie in rebus commestibilibus secundum
deliberationem predictorum mag.corum Dnorum Conservatorum de pe-
cuniis comunitatis ublibus exhistentibus. Quod consilium, misso partito,
vietum fuit una eum consilio reddito per D. Valerianum Aviamontium,
pro ut infra videlicet :

Clariss.mus I. V. Doc. D. Valeriamus Aviamontius alter etc. surgens
pedibus et implorato divino presidio dixit et consuluit, confirmando et

approbando consilium: D. Ant.i Palmerii, quod Mag.ci D. Conservatores

una cum aliquibus civibus debeant visitare S. Ex.mam D. et eidem of-

ferre possibilia per comunitatem nostram et ipsius Cives. Quod consilium
35
ema ein n in e en fee oc e a

522 D. TORDI

reddito partito de mandato et ordine predictorum Mag.corum D. Cons.rum
ac cum presentia et decreto mag.ci D. Gubernatoris vietum fuit una cum
Consilio reddito per supradictum D. Ant.m Palmerium sexdecim fabis
nigris del si, nulla alba.

car. 642.

Die prima Aprilis 1541 Brunamontes (de Rubeis de Asisio V. I. Doc.
Urbisvet. Guber.). — Conservatores etc.

Iohan Frane.° Cartario et Gabriello de Pierrosato depositarii de grani

della nostra comunità et del retratto dessi reterreti a presso de voi et

nelle vostre mano et mettereti a vostra uscita l’infrascripta summa de
denari per voi per nostro ordine et commissione spesi et pagati per l'in-
frascripte occurrentie della nostra comunità et per autorità del conseglio
di dodici ciò, è, fiorini dieci sborciate per l'infrascripte cose per presen-
tare la Ill.a S.ra di Pescara :

Et prima per quattro para di capponi Iulii ventiquattro cioè fl. 4 —
ll. 4. R —.

Et per confetti et marzapani libre quattordici et mezo et scatole in
tutto Iulii diciotto et mezzo — fl. 3 — 3 II. R. 10.

Et piü per Pesci libre trenta Iulii setti et mezo fl. 1 Q. 2 R. 90,

Cf. Carteggio di Vittoria Col. cit., pag. 230, n." 9.

VII.
(V. Nota n. 1, pag. 494). 1541, aprile 1.
(Archivio di Stato in Parma — Carteggio Farnesiano) *

R.mo et Ill.mo S.re et Padrone mio osser.mo,

Non sono manchato continuo né mancharò di visitar la S.ra Marches:
di Pescara, con quella maggior gratitudine che fia possibile, in nome
di V. S. R.ma, la quale tanto in parlare, quanto nelle altre attione sue
se dimostra tanto divota et affettionata di N. S.re et di V. S. R.ma et
Ill.ma quanto dir si possa. Sua Ece.tia si è reserrata nel monasterio di

* Le lettere del Brunamonte De Rossi, che qui riportiamo, furono tratte a nostra
preghiera dalle Carte Farnesiane di Parma dall’ illustre e venerando Direttore di quel.
l'Archivio di Stato, AMADIO RONCHINI, del quale rimpiangiamo sempre la perdita.
VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 52€

San Paolo, sola con doie serve, et doi servitori tien di fuora che gli
provedano di quanto gli fa mistiero, et vive con quella religione, che
sogliono viver le persone di santa et honesta vita, et molto dimostra es-
serli aecetto che io la visiti per parte di V. S. R.ma et Ill.ma, come faccio
con quelle gratitudine che si convengano. *

Mi ricordo un'altra volta haver detto a V. S. R.ma et Ill.ma che
questi Orvetani ogni volta che vogliano ingarbugliar una causa, o stra-
tiare una povera persona, cognoscendo che la giustitia non gli aita, per
ogni minima causa rícorrono in Camera e per lettre e per commissione,
et mi fanno inibire et levarmi la causa di mano, di maniera che ogni
giorno son ale mane con le parte, perché dico non volere obedire a
dette lettre nó commissione, secondo che Quella mi ordinó. Et perché
vedano che non posso mostrarne autorità nè commissione, si dogliano:
onde supplieo V. S. R.ma et Ill.ma esser contenta serivermene doie pa-
role parendoli, et ordinarmi come mi ho da governar con queste lettre et
commissione di la Camera che ogn' hora mi se presentano, et mi levano
le cause di mano, tanto le eriminale, quanto le civile, e miste.

Non son mancato usar diligentis, et investigar per trovar de le robbe
de S.or Ferrante. Conclusive io non trovo altre robbe che quelle de le
quale ne scrissi per l'altra mia a V. S. R.ma, et Ill.ma, a la- quale di
continuo humilmente mi raccomando.

Da Orvieto, il di p* di Aprili del XLI.

Di V. S. R.ma et Ill.ma
S.re Brunamonte de' Rossi de Asise, Governatore de Orvieto.

(A tergo)
Al R.mo et Ill.mo S.re el S.re Card.le Farnese,
Padrone et Benefattore oss.mo.

VIII.
(V. Nota n. 2, pag. 494). 1541, aprile 9.

(Archivio di Stato in Parma — Carteggio Farnesiano).
R.mo et Ill.mo Signore et Patron mio oss.mo,

Visto quanto V. S. R.ma et Ill.ma per la sua delli VIII dello in-
stante mi scrive eirca. la S.ra Marchesa di Pescara, non mancando di
exeguire e satisfare al dexiderio di Quella; brevibus, trovo et intendo
‘autamente dal Vescovo di Orvieto che sono circa VIII giorni che qui
circ ee rao ion dara Pe CL LS

T t e ARGINE

594 D. TORDI

é stato uno personaggio agente, secretario, o cameriere del R.mo de Fre-
cosi, et ha parlato con dieta Signora Marchesa, et fermatosi et alloggiato
una sera con li servitori de dicta S.ra, et ha menato solo un altro ca-
vallo con esso; et mi dice il Vescovo che è venuto solo per ragguagliare
S. Ex.tia delle cose della guerra.

Havendo hauto questo ragguaglio andando io in Rocca et passando
inante al monasterio di Saneto Paulo, dove sta dicta S.ra, ho trovato
uno gentilhomo con la spada et spironi in piedi che alhora era arrivato,
et parlava alle grate con la prefata S.ra; et dimandatolo eon dextrezza
sotto scusa essere bramoso intendere qualche nova chi il fusse et donde
venisse, mi ha risposto che si chiama M. Berardino de Lassis, da Loreto,
et che viene da Napoli et da Roma mandato dalla S.ra: Duchessa di Ta-
gliacozzo et dalla S.ra Principessa de Hyschia ad S. Ex.tia; et ho visto io
quando li ha dato et messo per la ruota uno guluppo alto in forma di
doie seatole una sopra l'altra inguluppato et cuscito in certo panno di
lino. Quello che si sia stato io non so, perché non si vedeva, et la mise
per la rota subito che io fui arrivato li. [nsieme con quello. gentilhomo
era uno altro, credo suo servitore: il gentilhomo è di statura grande,
barba copiosa, et meza canuta o piü. Altro io non posso intendere che
vi sia stato ad parlarli, dico persona notabile: pur non mancarò di in-
vestigare; questo ho facto immediate di poi che ho riceuta la di V. S.
R.ma et Ill.ma,

Per lo advenir non mancarò di usare ogni diligentia et di stare
advertito quanto potrò di intendere et sapere tucti che verranno ad par-
lare ad S. Ex.tia, dico persone notabile, et del tucto ne daró adviso
subito.

Haria piacere assai, quando fusse possibile, et con bona gratia di
V. S. R.ma, li ordinasse alla posta di Montefiascone et successive di
mano in mano che mandandoli io lettere di simile importantia le piglias-
sino et non le recusassino ad causa che venissero piü presto et non fusse
necessitato mandare Corrieri a piedi, como hora faccio.

Mentre staterò qui non mancarò usare ogni diligentia che si con-
viene ad uno fedele servitore verso il suo Signore, benché penso havere
ad stare poco: attento che qui è venuto una nova, et dicise publice che
viene un altro governatore et uno Comissario ad sindicarmi, et molte
altre cose, et mi rinerescie perché non vorria mi se smaccasse lo officio
con queste nove, mentre che vi sto. Del resto penso essere stato uno
homo da bene: et spero che V. S. R.ma et Ill.ma, sotto la cui protectione
è favore sono sempre vixo et vivo, non mi lassarà opprimere dal super-
chio favore di M. Stefano Tarugi. Et parendo ad quella che io venga
in persona ad Roma ad iustificare le actioni mie, non mancaró venir

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VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 525
subito. Et li bascio humilmente la mano et ricomando. — Di Orvieto,
ali VIIII di Aprile, alle doie hore di nocte, del 41.
E]
Di V. S. R.ma et Ill.ma
Humile S.re Brunamonte de' Rossi, Governatore
di Orvieto.
(A tergo)
Al R.mo et Ill.mo S.re Cardinale Farnese
Patrone et Benefactore mio oss.mo.
Subbito Subbito.
TX.
(V. Nota n. 1, pag. 495), 1541, aprile 20.
(Archivio di Stato in Parma — Carteggio Farnesiano).

:.mo et Ill.mo S.re et Patrone mio Oss.mo.

Per un'altra mia rispondendo alla di V. S. R.ma et Ill.ma li detti
adviso delli due persone notabile haveveno parlato alla S.ra Marchesa di
Pescara et venute a posta: et per non mancare ad quello debito et of-
fieio che mi se conviene per satisfare a pieno, in tueto quello che posso,
alla mente di S. S.tà et di V. S. Re.ma et Ill.ma, li do adviso che par-
lando io con il Vescovo di Orvieto alli giorni proximi ho carpito che la
prefata S.ra Marchesa, quale dimostra molto confidar in S. S. R.da li
ha monstre doie lettere, una riceuta dalla Cesarea Maestà dello Impera-
dore et l'altra del Marchese del Guasto: et che in la dello Imperador
si contineva in substantia exortando S. Ex.tia che stesse di buoga voglia,
perché havendo S. Maestà seripto al S.ore Ascanio che facesse tucto che
S. B.ne havesse voluto, et a S. S.tà raecomandato il S.re Ascanio, spe-
'ava che le cose se termineriano in bene, et ehe le arme si sospende-
riano, imperhó che S. Ex.tia considerasse che S. Maestà non posseva
mancare alla casa di S. Ex.tia.

In la del S.or. Marchese del Guasto in substantia si contineva che
S. Ex.tia stesse pure di buona voglia, perché sperava che la guerra fra
il Papa e il S.re Ascanio presto terminarebbe, attento che S. Maestà
haveva scripto al S.re Ascanio che facesse tutto quello che ragionevol-
mente N. S.re li havesse addimandato. Et questo S. Maestà lo faceva
per togliere ogni occasione ad S. S.tà di havere ad tenere le arme in
mano, perché non li piaceva et non voleva che S. B.ne tenesse così le
IA ON n rd

SOR LE A I

526 D. TORDI

arme in Italia o stesse armato. Questo è la substantia delle doie lettere.
Io non l'ho viste; ma tanto mi ha dicto il prefato Mons. di Orvieto,
che l'ha viste: mi è parso non mancar darne adviso ad causa che si in
alcun modo viene a proposito, non si perda occasion >; sin autem transeat.
Et con questo humilmente li bascio la manò et raccomando.
Da Orvieto, alli XX di Aprile del 41.

Altra persona di conto io non ho possnto presentir che sia stata ad
parlare ad S. Ex.tia da indi in qua che se parti M. Berardo Dalloreto
mandato dalla S.ra Duchessa di Tagliacozzo et dalla Principessa de
Hyschia, del quale scripsi in l’altra mia. La prefata S.ra Marchesa se-
condo io posso comprehendere, dimostra molto confidare in Mons.or de
Orvieto: et S. S. R.da conferiscie voluntier con me: però quando con-
sideri si habbi ad venire ad altri particulari sia contenta advisarmi che
non mancaró di quello officio, che al fidele S.re et homo da bene si con-
viene.

Et di nuovo humilmente me li raccomando.

Di V. S. R.ma et Ill.ma
Minimo servo Brunamonte de Rossi

2 Governatore d'Orvieto.

(A tergo)
Al R.mo et Ill.mo S.re et Patron mio il Cardinale Farnese
Benefattore Oss.mo.

DIG
(V. Nota I, gP28. 496). 1541, aprile 21.

, (Archivio di Stato di Firenze, Carte d' Urbino, cod. 266, lett. n. 616).

(fuori) All’Ill.ma et Ecc.ma Madama d' Urbino

mia signora et patrona osser.ma

Ill.ma. et. Ecc.m& S:ra......... Il S.re Ascanio ha perduto tutte le terre
sue di Campagna quali sono in potere del Papa, eccetto Palleano, et
Castro et hora il Campo si trova atorno Palleano, che puote essere di
numero di otto mila fanti, et di cinquecento cavalli, Capo il Duca di
Castro col suo Bailo Aless.ro Vitello, dove è anco il S.re Martio Colonna
et non s'intende che vi sia altro homo di riputatione. In Palleano sono

mille fanti, Capo loro un S.re Fabio della Torre, molto giovane, et un

MM 9— M niente

RO Mi È, SUIT 7 dEmA ae : Di

VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 527

ap.no Zingaro d’ Arpina di poco creddito. La batteria è alla muraglia
già et dentro si pate molto d’acqua, et si bene quello loco sia estimato
molto forte, nondimeno per il bono ordine che si vede di fore et il mal
ch’ è dentro, si tiene per certo che tra diece giorni o per un modo 0
per un altro si perderà. Il S.re Ascanio era in Palleano, et quindece
giorni sono, ch’ Egli si retirò in Abruzzo ad un suo loco chiamato le
Celle, et lì se dice che in massa gente, et che fino a questa hora ha in
essere tre mila fanti, et che si aspetta il S.or Don Antonio (D’ Aragona;
con molti gentili homini et fanti, il che però non si erede dagl' homini
savii, et che fatta la massa passarà in Campagna alla volta di Tivoli
per divertire la guerra in quella banda. Il S.re Fabritio suo primogenito
è passato de qui alla via di Napoli assai privatamente per mendicare
da sua Madre o da altri qualche aiuto, ma per tutte queste bande, è
fatto un divieto regio che di regno non possino uscire né arme né per-
sone. Et per mia oppenione il S.or Ascanio ha proceduto et procede senza
ragione aleuna. Et seco non ha né capo né consigliere che sia bono fin
a questa hora, et quei tanti suoi denari sono risoluti nella sua argentaria
che si batte hora, et in sette mila scudi ch'egli ha preso d' una vendita
d'un suo castello. Et di quello suo figliolo si ragiona che non sia per
fare vergogna a suo Padre né di valore né di consiglio. — Del resto
potrà l'Eéc.tia vostra me fare discorso a modo, et parendole avisarmi
di che modo mi debba governare colloro in caso che capitassero qui, o
che volessero qualche comodità et servitio da questi sudditi, che facil-
mente potrebbe essere si per la vicinanza d'Abruzzo, come anco di
Campagna et del luogo dove si fa la guerra, et con questo humilmente
le baso le mani. Di Sora alli 21 d'Aprile del '41.
Di V.ra Eec.tia
Bon Vassallo et Ser.re

Antonio Scyro.

XI.

«V. Nota n. 2, pag. 497). 1541, aprile 29.

(Archivio di Stato in Parma — Carteggio Farnesiano).
R.mo et Ill.mo S.re et patrone mio oss.mo,

Questa sera per fare intendere ad V. S. R.ma et Ill.ma che hieri,
che fu il XXVIII di aprile, uno parafreniere del R.mo Cardinale Fre-
goso venne qui dalla S.ra Marchesa di Pescara mandato dal prefato
R.mo con lettere di S. S. R.ma et del R.mo d'Inghilterra secondo ho
528 D. TORDI

inteso, del R.mo Fregoso so certo, la continentia. delle lettere non ho an-
cora possuto intendere. Non mancarò usarvi diligentia, et possendo ha-
verne notitia non mancaró di quello officio che devo, quando consideri
che sia di qualche poco momento, et advisaró subito.

Da che parti M. Berardo, del quale scripsi per l'altra mia, non ho
saputo che da la prefata Marchesa vi sia venuta aleun'altra persona di
conto per parlare a S. Ex.tia. Si nissuno verrà, tengo ordine di saperlo,
et subito adviseró: et non havendo per hora altro degnio d’ adviso, hu-
milmente li bascio la mano et raccomando.

Da Orvieto, 29 d’ aprile del 41.

Di V. S. R.ma et Ill.ma
Minimo S.re Brunamonte de' Rossi de- Assise,

Governatore di Orvieto.

(A tergo)
Al R.mo et Ill.mo S.re il Cardinale
"arnese Patrone et Benefattore Oss.mo.

XII.
(V. Nota n. 1, pag. 498). 1541, maggio 14.
(Archivio di Stato in Parma — Carteggio Farnesiano).

R.mo et Ill.mo S.re et Padrone mio osser.mo,

Hoggi che siamo a li XIIII de l' instanti si parte da la S.ra Mar-
chesa di Pescara un gentilhomo spagnolo chiamato Don Diego Mandrigal
mandato dal S.or Marchese del Guasto, governatore di certe terre di
S. Ecc.tia, secondo che si puote intendere, qual si è fermato qui in Or-
vieto una sera, et è stato a parlamento con la prefata S.ra Marchesa.

De la presa di Palliano, qual subito feci a sapere e divulgar per
tutto, se ne è presa universalmente gran consolatione, e Dio facci che
de la Rocca anchor siegua il medesmo, nè manchai farne anchor parte :
la S.ra Marchesa, qual resposi: la robba va e viene, purchó sian salve
le persone. Et per hora non mi occorrendo altro, a V. S. R.ma et Ill.ma
humilmente mi raccomando.

Da Orvieto, el di XIIII di Maggio del XLI.

Di V. S. R.ma et Ill.ma
Humile servo: Brunamonte de' Rossi de Assise,

(Governatore di Orvieto.

eosdem

-—
M

VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 929

(A tergo)
Al R.mo et Ill.mo et Patron mio -
el Cardinale Farnese Benefattore osser.mo.

XIII.

(V. Nota, n. 5, pag. 498).

Questi brani di lettere di Hieronimo Tiranno alla Duchessa di Ur-
bino faranno meglio conoscere che Vittoria non smise, anche dopo la
rovina di Ascanio, di procurare il ripristinaniento dello Stato Colonnese
mediante il matrimonio di Fabrizio, suo nepote, colla Vittoria Farnese.

Archivio di Stato di Firenze, Carte d? Urbino, Filza n. 266, n. 540.
Di Roma alli XII di luglio del XLIIII.

..... « io mi vo ogni di più chiarendo, che la inclinatione che s'in-
tendeva il Papa mostrare all' assetto delle due famiglie (Farnese e Co-
lonna) non é con altro che parole. — Et nel resto poi appartenesi al-
l’effetto le cose stanosi nelli termini di prima. Et così anco m’ha. con-
fermato la S.ra. Marchesa di Pescara ».

n.:544 — Di Roma il di 7 di marzo del XLV.

« Non ho potuto fin qui fare l’imbasciata di V. Ex.a a Mons.r R.mo
Salviati per esser sua S. R.ma tutta questa settimana stata fuora di Roma
a spasso, dalla quale però avanti che partissi intesi che questi S.ri Far-
nesi attendevano alla conclusione della Parentela con il mezo della
S.ra Marchesa di Pescara essendosene retirato il S.r Oratore Cesareo. Et
fermatosi a fare instautia per la restitutione sola delli Stati. Et chel
R.mo Farnese havea hauto a dir che ad ogni mo’ questa pratica del
parentado harebbe luoco. Et cosi quasi si erede per che il Papa vedendo
la concordia delli Prineipi et il non troppo buono animo loro verso Sua
S.tà vorrà venirsi levando d'addosso delle inimicitie, massimamente do-
mestiche et intestine, che sarebbono atte con gl’ aiutie che havessero di
fuora a dargli di molti travagli ».

n. 546 — Di Roma il XXViij di marzo del XLV.
Intendo' che la Marchesa di Pescara venne in quella alteratione

A

della venuta nel Regno del S.re Ascanio, perciò ch’ essendo ella entrata
mezo appresso sua S.tà per farlo reintegrare et havutone assai buone
parole, su le quali faceva gran fondamento parevale che con questo ve-
nire si fusse di nuovo difficultata, essendo chel Papa volesse mostrare
di far tutte le cose sue per libera volontà, et non per alcuno timore.
nre

530 D. TORDI

Ma peró io intendo chel S.re Oratore Cesareo non lo biasmó miga, ne
che per questo la reintegratione venisse ad esser piü o meno difficile,
perché il punto non stava qui ».

' Questa volta il Tiranno si aechetó alle apparenze. Vittoria aveva
ella stessa consigliato Ascanio che « si accostasse in Abruzzo » perché
in quei « giorni Sua S.tà è stata non troppo sana » — e occorreva star
pronti « per ogni cosa che puó intervenire ». Cf. nel Carteggio di V. C.
la lett. CLXXVI, pag. 314, la quale riceverà la data certa da quest' ul-
timo brano riportato.

XIV.
(V. Nota n. 2, pag. 482).

Molti Orvietani presero parte alla guerra contro Ascanio a favore del
Papa. Vi vediamo infatti il « Mag.co Dno Sfortie Monaldesco » colla sua
« Comitive quadraginta Equitum », che si distinse sotto Sambuci e Ca-
stro; suo fratello Luca Monaldeschi che mori valorosamente nell’ as-
salto dato a Ciciliano. Polidoro Polidori fabbricava polvere e salnitro per
la Camera Apostolica. Era il Capitano « Mag.co D. Hieronimo Benincasa
Arcis S.ti Angeli Alme Urbis nec non aliorum quorumcunque S. R. E.
fortilitiorum revisori » con provvisione di 35 ducati al mese. Lo Stefano
Tarugi, di cui si duole il Governatore Brunamonte de Rossi (Appen-
dice VIII), aveva la custodia dei Cavalli leggieri del Papa con provvi-
sione di duc. 25 al mese; notiamo che morì non più tardi del 2 ago-
sto 1541. Anche Vincenzo Tarugi era al servizio di Paolo III con prov-
visione di dueati 12 e mezzo.

Cfr. Liber Mandatorum Cam. lium cit., anni 1540-41, car. 196, 240,
anni 1540-43, car. 15, anni 1540-43-48, car. 9, 36, 40, anni 1541-43, car. 2.

Il Commissario Generale dell’ Esercito Pontificio si rivolse anche agli
Orvietani per ottenere facilitazioni nell’ acquisto e trasporto di vettovaglie
e munizioni. Ciò resulta dalla seguente lettera conservata nelle Zifor-
magioni Orvietane, anno 1541, car. 756:

« Die X martii 1541 comparuit coram mag.cis D. Conservatoribus Do-
minus Antonius Scarlattinus et eisdem presentavit et exhibuit quasdam
patentes literas infrascriptis tenoris:

« Giovanni Riccio da Montepulciano Commissario generale dell’Eser-
cito di N. S.re et S.ta Sede Apostolica.

« Essendo necessario provedere a’ bisogni del felicissimo essercito della
S.tà di N. S. et S.ta Sede Ap.ca ordinamo et deputiamo m. Antonio Scar-

lattino mostrator della presente a provedere per uso del Artigliaria del
ot I À e

VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 591

prefato essereito con autorità di poter commandar a tutti i luoghi del stato
ecclesiastico dove gli converrà capitare ehe per il prezzo honesto et con-
veniente gli provedano di vetture, vettovaglie et de ogni altra cosa ne-
cessaria per accumulare et condurre securamente dette polvere dove farà
bisogno. Per tanto commandiamo a tutte le comunità, università, et par-
ticular persone delle Città, Terre, castella ed altri luoghi come di sopra,
Governadori et officiali di esse che non altrimente debbiano obedire in
questo caso-al detto Comissario che farian alla propria persona nostra.
Ne manchino di quanto ordinerà loro per quanto stimano la gratia di
S. B.ne et sotto le altre pene reservate al nostro arbitrio. In qua fidem
etc. Dato in Roma adi X di marzo M.D.XLI.
« Gio. Riecio Commis.rio Generale.
loeus t sigilli.
« Iacomo Marmitta Sec.rio ».

Il Marmitta estensore della presente è un pregiato poeta di quei
tempi che fini compagno di S. Filippo Neri. Ecco il titolo delle sue
composizioni a stampa: Rime di M. Giacomo Marmitta Parmeggiano,
Appresso di Seth Viotto, M.D.LXIIII.

XV.
(V. Nota n. 2, pag. 500).

Il principale biografo delia Colonna, Alfredo Reumont, asserisce ri-
petutamente che ella andò ad Orvieto anche nel 1532 e reca in prova
di ciò una lettera che Vittoria avrebbe indiritto da quella città alla du-
chessa d’ Urbino, in data 1° agosto di quell’ anno, per condolersi della
morte del cardinal Pompeo Colonna vicerè di Napoli. Noi crediamo di
potere senz’ altro smentire tale asserto dovuto unicamente ad una data,

noo
1532,

malamente apposta di recente sulla lettera autografa colla quale
Vittoria si conduole colla suddetta duchessa per la morte però del cardi-
nal Fregoso. Il primo editore di tale lettera, G. Enrico Saltini, sebbene
molto diligente, non evitò quello scoglio, ed anzi, poiché dal contesto non
rilevavasi per quale illustre morto V. si eondolesse, egli, ritenendo buona
la data apocrifa, lo escogitò nella persona del card. Colonna (Cf. Rime e
Lettere di V. C., Firenze, Barbéra, 1860, pag. 391 e 454). II Reumont che
lavorava lontano dal materiale dell'Archivio di Stato di Firenze, ove
quella lettera ha sede fra le carte d' Urbino, abboecó senza piü all'amo.

È evidente che' il cardinal Colonna essendo morto a Napoli il 28
giugno 1532 per aver « mangiato molti fichi primatieci » (Giovio, Vita
del card. Pompeo Colonna, Fiorenza, Torrentino, 1551, p. 455) avrebbero
532 D. TORDI

dovuto sembrar tardive le condoglianze della Colonna portate, come si
faceva, al 1? agosto. Anche il tenore della lettera doveva rendere avver-
titi dell'equivoco. Il Saltini stesso dubitó e Reumont ebbe a notare: « Ci
meravigliamo di leggere tali espressioni rispetto ad un uomo, la cui me-
moria, anche lasciando in disparte la burrascosa sua gioventü ed il con-
tegno poco confacente alla vita ecclesiastica, ricevette una vera macchia
dagli avvenimenti degli anni 1526 e 1527... » (p. 132, op. cit.). Né mal
s'appose. Vittoria non poteva aver dimenticato quegli avvenimenti, dei
quali ella tanto si adoperò ad attenuare le triste conseguenze, offrendo
in garanzia il suo Stato per la liberazione dei prelati presi per « statichi »
dagli imperiali. E quanto poco fossé amato e stimato Pompeo lo provó pur
troppo la stessa Vittoria, che dovette sostenere le spese delle misere esequie
che gli vennero fatte, non trovandosi in tutta Napoli, dove fino allora
il Cardinale l'aveva fatta da padrone, nemmeno un cane che volesse pa-
garle, non che farle migliori. Messer Francesco Castagna agente della
duchessa di Camerino così ne serisse da Napoli alla sua signora il 6 lu-
glio 1532 ;

« Al R.mo et Ill.mo S. Car.le bo: me: si ferono domenica l'esequie
che il lunedi si dovevano, di tal sorte misere et vituperose che non solo
per tanto personaggio fatte, ma per un vilissimo poltronotario (sic) ha-
vriano meritato et biasmo et vergogna » (Arch. di St. di Firenze, Carte
d' Urbino, filza CCLXVI, lett. 74).

Ma portando la data della lettera, come si deve, al 1? agosto 1541
e attribuendo il movente di essa alla recente morte del cardinal Fregoso,
anche il suo dettato ci darà ragione della rettifica. Infatti V. poteva
chiamar nostro il Fregoso, perchè nato da Gentile di Montefeltro, sorella
di Agnesina madre della Colonna, era stretto parente tanto suo che della
duchessa d' Urbino, poteva sperare nella salvezza dell'anima di lui, per-
ché molto si era adoperato per la riforma ecclesiastica ed aveva gover-
nato da vero pastore la. sua chiesa, cosi che il Bembo che gli succedette
nel vescovato eugubino altro non desiderava che « di poterlo governare
« bene et non diversamente da quello, et modo et pietà, con che il resse
« quel santo signore, il quale certo ne ha portato seco via mezza l’ a-
« nima » (Mon. di Varia Lett. cit., II, 169, 185, 204). Il compianto per
la morte del Fregoso fu generale e perfino l' illustre cardinal Sadoleto nella

, sua lontana Carpentras lesse quella apologetica omelia in onore di lui

che abbiamo citato più innanzi.

Né maggior fatica faremo a stabilire che V, passò tutto l’anno 1532
nell’isola. d'Ischia accanto alla virtuosa Costanza d’ Avalos principessa
di Francavilla. Il carteggio di V. è là a provarlo, e le lettere di lei da-
tate da Ischia nel '32 vanno dal febbraio al novembre. Ma una prova


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VITTORIA COLONNA IN ORVIETO, ECC. 555

più diretta la troviamo in un sonetto dalla Colonna dettato appunto in
Ischia in quell’ anno 1532, che fu il settimo dalla morte del marito. Ci
atteniamo alla lezione del codice .Casanatense: D. VI, 38 car., 111 verso:
« Sperai che ’1 tempo i caldi alti desiri
Temprasse alquanto, o da mortale affanno
Fosse il cor vinto si, che ’1 settimo anno
Non s’udisser sì lunge i miei sospiri.
Ma perché il mal s' avanzi, o perché giri
Senza intervallo il sole, anchor non fanno
Più vile il core o men gravoso il danno:
Che ?1 mio duol sprezza ’1 tempo et io i martiri.
D'arder sempre piangendo non mi doglio:
Forse havrò di fedele il titol vero,
Caro a me sovr'ogn' altro eterno honore.
Non muteró la fé, né questo scoglio
CI? al mio sol piacque: ove fornire spero,

Come le dolci giù, quest amare hore ».

(Cf. Visconti, Rime di V. C., pag. 115, son. CXV).

Vittoria quindi nel 1532 non solo trovavasi in Ischia, ma aveva
L animo deliberato di restarvi per tutta la vita. Purtroppo però le vi-
cende di casa sua la costrinsero poco dopo ad uscirne.

Ecco la lettera oggetto di questa disquisizione riportata alla sua
lezione genuina (Arch. di St. di Fir., Carte d' Urbino, Filza 266, lett. 126):

« Ill.ma. et Ex.ma S.ra mia,

« Io so lo amor et R.tia grandis.ma che la felice memoria del car-
dinal n.ro portava a V. S. et peró vedo la sua pena non diferir da quella
che io sento che è grandis.ma: solo dovemo alegrarce della sua gloria
et vera pace antivista da lui et dal S.or ottimo n.ro per mille experien-
tie, visioni, fede et gratie fattolo sicuro. A V. S. baso le mano, sempre
desiderosiss.ma servirla, pregandola me racomandi al mio m. Pietro,
et sella S.ra Costanza serrà tornata a V. S., melli recomandi molto et
facciali dar o mandar la alligata. — Da Orvieto adi primo de agosto.

« Al servitio de V. S. Ill.ma et Ex.ma
la M.sa de pes.ra ».

(fuori:).« Al Ill.ma et Ex.ma S.ra
mia Madama de Urbino ».

!
SIMEOTTO ORSINI

E GLI ORSINI DI CASTEL S. ANGELO

$ 1. — Una lettera di Simeotto Orsini.

Nel settembre del 1893 mi fermai per brev ora in Orvieto,
ricercando in quell'archivio municipale, se per avventura vi si tro-
vasse qualche memoria interno a. Niccolò III papa, sul pontificato
del quale avevo cominciato una serie di studi, od intorno agli Or-
sini suoi parenti. I pochi documenti che colà sono intorno a questi
mi furono gentilmente comunicati dall’ egregio prefetto dell'archi-
vio, commendatore Fumi. Essi mi danno ora occasione di pubbli-
care (e sono lieto che sia in questo periodico, diretto dal mede-
simo chiarissimo uomo) alcune notizie genealogiche, che da varie
parti raccolsi intorno alla famiglia Orsini.

Uno è la seguente lettera di Simeotto Orsini al Comune di
Orvieto :

« Magnifici tamquam fratres carissimi.

« Accepimus litteras vestras credentie et eximium iuvenem Benedi-
ctum Petri meum nepotem dilectum, meum atque vestrum ambasiatorem
diligenter audivimus nobis sagaciter esponentem et frequenter queque
per vos sibi mandata, qui quamvis ad vos rediet de nostra intentione
plenarie informatus hiis presentibus clarificamus mentem quoque et ani-
mum nostros, dicentes rationem quod iustum est petito et honestum.
Iamdiu in temporibus retroactis guerram cum Domino nostro, Romano
populo et Prefecto et multis cireumstantibus longinquis et propinquis me-
lioribus nobis habuimus ; simile non petierunt quod petitis, sed potius
scripturis et sigillis nostris fisi fuerunt, et hiis promissa eis, Dei gratia,
bene observavimus hueusque, de nobis nemine conquerente quod contra
promissa eisdem aliquid innovaremus et sic intendimus ducere vitam
596 F. SAVIO

nostram usque in diem extremum. Nihilominus si contentamini hiis no-
stris scripturis et sigillis nobiscum treguam potiri, ut nos contentamur,
bene quidem, alioquin non intendimus. Datum in Rocha S. Petri, VII
Aug. Insuper si bene recordamur fuimus in liga cum comune Florentie
ac etiam fuimus ad faciendum cum comune Perusino et fidem de nobis
mutuis scripturis et sigillis meis habuerunt, et bene observavimus eis
promissa et numquam de nobis fuerunt conquesta.nec in aliquo contra-
venimus. Datum ut supra.
« Simeoctus de Ursinis ete. »

Lascieremo ai cultori di storia locale orvietana la ricerca del

tempo in cui fu scritta e dell'occasione per la quale fu scritta la ,
riferita lettera. Dai dati intrinseci si ricava ch'essa fu scritta dopo
una guerra o controversia esistita tra Orvieto e Simeotto, e quando
già costui si trovava d'aver a suo carico una lunga serie d'im- E
prese guerresche contro il Papa, contro il Popolo Romano, contro
il Prefetto e molti dei signori o Comuni circostanti, vicini e lon- |
tani, e dopo essere stato in lega con Firenze e con Perugia.
Noi ci fermeremo di preferenza a discorrere della sua fami-
glia, e di aleune memorie che lo riguardano personalmente.

$ 2. — Gli antenati di Simeotto Orsini. j

Lo stipite della famiglia di Simeotto fu Orso, uno dei figli
di Gentile. Orso, per parte di suo padre, era nipote di Niccolò III
papa. Egli fu podestà di Viterbo, rettore del Patrimonio di S. Pietro |
al tempo dello zio Pontefice e ‘poi di nuovo sotto Bonifacio VIII |
nel 1301. Mori forse nel 1304.

Da Giacoma sua moglie ebbe due figli maschi, Napoleone detto |
per abbreviazione Poncello e Bertoldo (1). Quest' ultimo fu cano-

(1) 1320. « D. Bertuldus q. Ursi de filiis Ursi Prior S. Nicolai de Baro fecit testa |
« mentum et heredem instituit Magn. Virum Petrum Ursinum nepotem suum fil. fratris i
« sui Poncelli, sepulturam sibi elegit in Cappella S. Angeli sita in ecclesia et Basilica
« S. Petri, in qua cappella fieri mandavit sepulerum simile sepulero quod fieri fecit
pro dna Iacoba Matre sua.
« Legavit L. 1,000 Basilice S. Petri pro missa quotidiana mortuorum dicenda in d.a
« ecclesia pro anima sua et pro anima patrui sui Dni Matthei Cardinal. Dni Ursi Patris
« sui, Matris sue etc. Petrus Vaiani de Urbe Not. rogat. ». (Codice XXXIII, 29 della
Barberiniana, pag. 28).

^
SIMEOTTO ORSINI, ECC. 591

nico di S. Pietro a Roma (1), priore di S. Nicola di Bari ed in
ultimo arcivescovo di Napoli dal 1322 al 1325. Ebbe pure una
figlia, di nome Costanza, che poi fu moglie di un conte di An-
guillara (2).

Napoleone sposó Agnese figlia del Marchese di Monferrato ;
egli viveva ancora nel 1396 ed era già morto nel 1337.

Dal suo testamento in. data 1335, dicembre 4, che conservasi
nell'archivio della basilica vaticana in copia autentica del 1360
in eirca, ricavansi varie nolizie sulla sua famiglia.

Fu padre di sei figli maschi, dei quali allora vivevano Orso,
Francesco, Giovanni, Matteo e Bertoldo. Il primogenito Pietro
nel 1330 ai 3 agosto fu creato dal re Roberto suo Vicario in Roma
insieme con Giacomo di Napoleone Orsini (8): nel 1332, luglio 28,
il medesimo re lo nominò siniscaleo regio in Piemonte (4).

Non molto appresso, forse nel 1334, Pietro, che allora era
podestà di Amelia, morì; come risulta da un atto di re Roberto
in data 12 ottobre del 1334. Con questo Roberto nominò suo vi-
cario in Roma Matteo Orsini, in luogo di suo padre Napoleone,
che il re aveva nominato poco prima, insieme con Annibaldo di
Niccolò Annibaldi, ma che sotto l'impressione del dolore per la
morle del figlio Pietro, aveva rinunziato a.quella carica (5).

Orso: di costui si hanno parecchie memorie. Nel 1351 il Te-
soriere pontificio del Patrimonio di S. Pietro paga 1 nunzi man-
dali dal rettore Giordano Orsini ad Orso in Orte, pregandolo di

(1) In una bolla di Bonifacio VIII dei 16 marzo 1301 é inserito un atto col quale
il Capitolo di S. Pietro si obbliga alla celebrazione di varie messe per detto Papa. Tra
i canonici ivi sottoscritti vi è Bertoldus de filiis Ursi acolytus (Bullarium Vaticanum,
I, 232). Nel 1303, febbraio 23, Nobilis vir dom. Ursus de fiis Ursi, frater Rev. in C.
P. Dni Matthei S. Marie in Porticu diaconi cardinalis, vende a. Bonifazio VIII il ca-
sale delle Tre Colonne, che poi Bonifacio regalò alla Basilica di S. Pietro; la vendita
à fatta presentibus...... dno Bertoldo nepote dicti dni Cardinalis (Bull. Vat., Y, 236).

(2) « Anno Domini MCCCXXX, mensis Septembris die V, XIV indict. Obiit
bone memorie domina Constantia, nata domini Ursi maioris de filiis Ursi, comitissa
Angwillarie, que pro anima sua reliquit nostre basilice plures domos:cum macello et
furno, et terraticum duarum domorwm, scilicet quas tenent heredes Francisci Io-
hannis Raynutii et Lelli Damiani in Ponte... Item supradicta domina reliquit su-
pradicte basilice tres cortinas magnas siricatas, et voluit et mandavit quod appen-
dantur in dicta, basilica annuatim in festo Corporis Christi » (Necrologio Vaticano,
pag. 124). 3

(3) MINIERI Riccio, Genealogia di Carlo II d' Angiò, in Archivio Storico napoletano
del 1882, pag. 681.

(4) Ib.

(5) Archivio Storico napoletano, 1883, pag. 13. ;

36

Een cia al ERIN Sia a at
538 F. SAVIO

aiuto contro i Prefetti di Vico (1). Nel 1852 fu mandato altro nunzio
ad Orso in Soriano (2). Nel 1354 fece omaggio al Papa pei Ca-
stelli di Soriano, Atligliano, Chia e Cerqueta (3). Nel 1356. Orso
di Napoleone voleva far guerra a Pietro e Lodovico dei Prefetti (4).

Orso fu canonico di S. Pietro. Non sappiamo quando otte-
nesse questo benefizio; probabilmente, secondo il perverso an-
dazzo di quei tempi, egli ebbe la nomina regolare e percepiva. le
rendite del canonicato senz'essere negli ordini sacri, nè curarsi
d'aver costumi convenienti allo stato ecclesiastico. Il fatto è che
egli ebbe dei figli, un solo dei quali ci è noto, per nome Simeotto
oppure anche Szmmiotto.

Sappiamo di pià che Orso menava vita da avventuriero, come
tant altri signorotti del suo tempo, e che non temè di ribellarsi
armata mano alla Chiesa. Da un breve di Urbano V a lui diretto
il di 4 settembre del 1364 apprendiamo che egli aveva fatto occu-
pare ostilmente e gettare il fuoco nel borgo di S. Leonardo, posto
nel distretto di Roma ed appartenente all'ospedale di S. Spirito in
Sassia (5).

Ritorneremo tra poco a discorrere di lui, parlando dei do-
mini di questo ramo della famiglia Orsini.

Giovanni: fu anch'egli come Orso suo fratello, canonico di
S. Pietro, ma probabilmente al par di lui non ebbe gli ordini sa-
cri, né adempiè gli obblighi della vita chiericale. Ebbe vari figli,
dei quali ci è noto soltanto Troilo. L'ultima sua memoria nola è
dell'agosto 1354 (6). Egli era già morto il di 7 agosto del 1364 (7).

Francesco: nel 1346 era notaio pontificio. Della sua morte
parla Cola da Rienzi in una lettera, attribuendola a divino ca-

(1) TugINER, Cod. dipl., II, 373.

(2) Ib., 377.

(3) Melanges d? Areheologie et d? Histoire, 1887, pag. 159.

(4) THEINER, Op. cit., pag. 380.

(5) « Burgum S. Leonardi in districtus Urbis consistens et ad Hospitale nostrum
« S. Spiritus in Saxia pertinens » (Regesti di Urbano V, tomo 246, fol. CCOVIIT). Il
Papa lo esorta a riparare i danni fatti.

(6) Allorché Cola da Rienzi nel 1354 fece uccidere fra Moriale, Giovanni di Castel
S. Angelo occupò una parte dei beni dell'ueciso:

« De la moneta de Fra Moreale hebbe lo Tribuno gran parte; tutta no, perché
« Missere Ioanni de Castiello ne hebbe la majure parte ». Vita di Cola in MunaTOR
Antiq. Ital., III, 535. PAPENCORDT, Cola di Rienzo, 293.
(7) V. infra, pag. 542, nota 2.

I
vr

SIMÉOTTO ORSINI, ECC. 2099

stigo per aver congiurato contro di lui, insieme con Nicola o Cola,
suo nepote, figlio di Matteo. La lettera è in data del 15 agosto 1350
e dice così: i ,

« Item cum diebus peregrinationis. mee incidissem in forciam quon-
dam domini Francisci domini de Ursinis Notarii domini Pape, quem
ut opinor vos novistis in Curia hominem videlicet floride iuventutis et
stature etiam preeminentis, qui illis diebus etiam Romam accesserat, ipse
me invitum Pape presentare curabat, sed Nicolaus Ursinus nepos eius
pejori duetus consilio me Domino Reynaldo de Ursinis capitali. emulo
meo pro oblato pretio vendere disponebat. Monui itaque eos, ut discussa
consciencia viderent, quid facerent adversus hominem non nocentem,
sed cum indurato animo uterque votum suum complere citius festinaret,
non puto absque Divino judicio, non tamen meis demeritis, sed Divinis
auxiliis evenisse, ut in festo Beati Michaelis Archangeli, et in ipso eorum
Castro Sancti Angeli, in quo Michael apparuit post pestem inguinariam
Gregorio, ut est scriptum, ambo predicti patronus (sic, in luogo di pa-
truus) et nepos simul et semel morte subitanea decesserint voce etiam
non emissa. Ipse autem Dominus Reynaldus, qui me emere properabat,
illis eisdem diebus in manus Ioannis Gayetani emuli sui incidit, a quo
in quodam puteo positus per tempus usque ad adventum presentis Le-
gati non potuit liberari, soluto tamen pro redemptione sua pretio satis
majori, quam illud, quod pro mee persone exterminio offerebat » (1).

Matteo: nel 1334 fu vicario a Roma pel re Roberto.

Nel 1338 fu contemporaneamente senatore di Roma e podestà
d' Orvieto. Nel 1342 fu capitano del Popolo in Orvieto, ed ivi cadde
ucciso nel 1345 (2).

(1) PAPENCORDT, pag. LX; Epistolario di Cola da Rienzo, pag. 170. Siccome in
una cronaca romana e contemporanea é detto che tra i nobili incarcerati da Cola nel
1347 vi fu pure Cola Orzino Signor dello Castello Sant? Agnilo (in Epist. di Cola da Rienzo,
pag. 61), il predetto fatto si dovrebbe collocare o al 29 settembre del 1348 oppure al
29 settembre del 1349. Alle parole suddette nella stessa cronaca seguono quest’ altre:
ritenne lo conte Bertoldo signore di Vicovaro de li Orsini. Qui dev’ esservi una
lacuna, poiché dal testo latino della lettera di Cola (pag. 61) si sa che egli arrestò. co-
mitem Bertoldum, Iordanum et Ursum domini Iacobi de filiis Ursi. Di questi, il
primo apparteneva alla discendenza di Gentile, come si vede eziandio dal titolo di
Conte, che in questi tempi viene sempre dato ai membri di quel ramo. I due ultimi
erano figli di Giacomo della discendenza di Vicovaro e di Campo di Fiore. Lo scrit-
tore italiano saltò i nomi: di Giordano e di Orso, che erano nella lettera latina di Cola,
ed arbitrariamente suppose che il Conte Bertoldo fosse della discendenza degli Orsini
di Vicovaro.

(2) FUMI, Cod. dipl. d? Orvieto, pagine 502-512. Nel 1337, novembre 23, indizione VI,

D
540 F. SAVIO

Ebbe un figlio di nome Cola o Nicola, il quale si vendicò
barbaramente dell’ uccisore di suo padre. Egli morì il 29 settem-
bre del 1348 o del 1349, come si vede dalla lettera di Cola da

Rienzi, che abbiamo riferita.

Da lui nacque una figlia di nome Violante, la quale nel 1336

sposò Benedetto Bonconte d’ Orvieto (Moraldeschi).
Bertoldo: secondo il Litta, egli fece testamento nel 1344 (1).
Sua figlia Paola sposò Pandolfo Malatesta (2).
Essa viveva ancora nel 1364: morì nel 1372, come si ricava
da una lettera del Petrarca al vedovo marito (3).

$ 3. — Domini del ramo degli Orsini
. detti di Castel S. Angelo.

Del possedimento che di Castel S. Angelo in Roma e di So-
riano presso Viterbo ebbe questo ramo degli Orsini, già ho par-
lato alquanto nella mia trattazione sopra Niccolò III (4).

Qui pubblico aleuni documenti che riguardano questi due pos-
sessi. Uno di essi, la Bolla colla quale Innocenzo IV nel 1244
prende sotto la protezione apostolica i beni e domini del mona-
stero di S. Lorenzo in Campo Verano, nominando tra essi il ca-
stello Soriano. Questo dai monaci di S. Lorenzo fu poi dato in
feudo ad Orso Orsini ed a' suoi discendenti.

Dopo Orso, il dominio di Soriano passó a Napoleone o Pon-

Matteo e Bertoldo, milites, domini castelli S. Angeli, etiam nomine Iohannis et Fran-
cisci, loro fratelli germani, affittano una casa con orto in portica S. Petri, in proprie-
tate ipsorum dominorum et dicti Castelli, domine Iacove, filie quondam Nicolascie,
xor Lippi de portica S. Petri.

Così in una carta dell’archivio di S. Spirito, indicata dal Galletti nel codice va-
ticano 7997.

(1) Il LrrrA ha riguardo agli Orsini molte notizie minute, che da vari riscontri
ho trovato vere, ma non si sa la fonte, dov'egli attingesse. Notisi però che insieme
alle vere ha pure molte notizie errate, e così ha molte confusioni e ripetizione di
persone nelle geneologie. Di Bertoldo dice, che fece testamento il 17 marzo 1344, la-
sciando eredi i suoi fratelli Orso, Giovanni, Francesco, e Matteo, e che parla ivi di Na-
poleone suo padre, di Orso suo avo e di Bertoldo arcivescovo suo zio.

(2) Questo matrimonio venne fatto dopo il di 11 settembre del 1362, nel quale
il Petrarca scrisse una lettera a Pandolfo, dandogli consiglio sul prendere moglie:
Lettere di Francesco Petrarca, ediz. Fracassetti, IV, 412.

(3) Ib., I, 141; la lettera é in data del 4 gennaio 1373.

(4) Nel periodico La Civiltà Cattolica, fascicolo 3e sabato di settembre e 30 sa-
bato di ottobre 1894,
Ra read ; - :
, d S M TE T ER x a P

SIMEOTTO ORSINI, ECC. 541

cello suo figlio. Questi, nel testamento del 1335, divise la sua ere-
dità in due porzioni. Nella prima. pose il Castel S. Angelo, colla
parle ch'egli aveva di Isola di Ponte Veneno; nell'altra Soriano,
il castello di Bulzignano ed i castellari di Fratta e di Cornienta
vecchia (1).

Da quanto diremo si vede che la porzione contenente Soriano
passó ad Orso e fors'anche in parte a Giovanni ed a Bertoldo.
Orso che ad ogni modo si.considerava, se non come l'unico, al-
mneno come il principale possessore di Soriano, nel 1354 trattò
di farne cessione alla S. Sede, come risulta da un breve di Inno-
cenzo VI al cardinale d'Albornoz in data del di 8 settembre di
quell’anno. Ivi il Papa commette all’ Albornoz di riferirgli quanto
potesse valere Soriano, con qual diritto Orso lo tenesse e quali
ragioni vi accampasse Giovanni fratello di Orso (2).

Per allora la cessione non ebbe luogo; ma, passati alcuni anni,
Orso ritornò all'antico pensiero e l'esegui, siccome ce lo indicano
parecchi documenti. Pare, che, oltre il bisogno di denaro, a ciò lo
inducesse la considerazione che con lui finiva la terza generazione,
fino alla quale si estendeva l’investitura data ad Orso suo avolo
dal monastero di' S. Lorenzo. :

Inoltre, sembra che Napoleone suo padre avesse disposto nel
suo lestamentòo che, mancando i suoi figli ed eredi legittimi, il Ca-
stel S. Angelo ed altri suoi beni passassero alla Chiesa. Di tal
disposizione parla Urbano V in una lettera scritta il.di 23 settem-
bre 1363 a Giacomo de Mutis, al quale egli già aveva affidato

vari affari da trattarsi in Italia, ed. allora gli diede quello d’informarsi

(1) « Ursum, Iohannem, Franciscum, Mattheum et Bertullum filios . nostros
« universales nostros heredes instituimus atque facimus, hoc videlicet modo: quod
« de bonis nostris fiant due partes. In unà quarum poni volumus res et bona infrascrita,
« videlicet castrum 8. Angeli eum omni jurisdictione et iuribus ad ipsum. castrum per-
« tinentibus, videlicet domibus, vineis, pensionibus et reditibus consuetis et adtributis
« de consuetudine dicto castro. Item portionem quam habemus in castro Insule Pontis
« Veneni etc. Cum iurisdictione etc. In altera vero portione volumus poni arcem et
« castrum Suriani ete. castrum Bulzinani et castellare Fracte et castellare Cornente
« Veteri cum omni jurisdictione, iuribus et pertinentiis ipsorum ete. ». Gli Etc. si tro-
vano cosi nella copia autentica del testamento che si conserva nellarch. della Ba-
silica di S. Pietro.

(2) Il breve fu veduto da Gaetano Marini, che ne indica la sostanza nelle sue
Memorie Storiche della terra di Soriano, che si ritrovano nel Codice Vaticano 9114;
ivi, pag. 244.
549 F. SAVIO

intorno al testamento del suddetto Napoleone, con tutte le facoltà
necessarie a far valere i diritti della S. Sede, mostrandosi tuttavia
assal benigno e liberale coi figli dei due suddetti Orsini, Orso
e Giovanni (1).

Da altra lettera, scritta dal medesimo Papa al cardinale d'AI-
bornoz il 7 agosto 1364 apprendiamo che Paola Orsini, figlia di
Bertoldo e nipote di Orso, come pure suo marito Pandolfo Mala-
testa di Rimini, avendo sentito che Orso voleva. vendere il Ca-
stel S. Angelo, Soriano ed altri beni, facevano opposizione, van-
tando essi dei diritti sui medesimi (2).

Da altre lettere poi una di Urbano V nel di 9. luglio 1366,
ed una di Gregorio XI ai 26 marzo 1373 si viene a sapere, che
Orso tra il 1364 ed il 1366 vendette Soriano ai rappresentanti del
Papa, non palesando come la proprietà di esso speltasse ai monaci
di S. Lorenzo, che quesli si richiamarono al Papa per quella
vendita, e che il Papa, pure rilenendosi Soriano, siccome rocca
munitissima ed utile alla sicurezza dello stato, assegnó ai monaci

(1) « Ad audienciam nostri apostolatus fide digna relatione pervenit quod quondam
« Neapoleo de f. Ursi, miles Romanus, dnus castri S. Angeli de Urbe, dum ageret in
« humanis, disponens de suis bonis suam ultimam voluntatem, filios suos legitimos
« et naturales quos tune habebat, sibi heredes universales instituit et reliquit, eisque
« sine filiis legitimis et naturalibus ex ipsis natis decedentibus, eeclesiam romanam
« substituit, prout in testamento huiusmodi dicitur plenius contineri. Cum autem
« Sicut dno. placuit omnes filii et nepotes legitimi et naturales testatoris eiusdem ex-
« cepto dilecto filio Urso de dictis fil. U., nati testatoris eiusdem, canonico basilice
« principis apostolorum, dicantur viam universe carnis ingressi, et de morte dicti Ursi,
« proter epidemiam, que viget in illis partibus, merito dubitetur », perciò incarica il
Muti di provvedere a ricuperare i diritti della Chiesa dandogli facoltà di far conven-
zioni, componimenti ecc. come crederà. — (Reg. Urbano V, n. 245, fol. COLXII, b. IX
Kal Octob. Anno Primo ossia 23 settembre 1363),

Con altra lettera gli dà facoltà di legittimare « dilectos filios nobiles viros omnes
« et singulos natos dilecti filii Ursi, ac quondam Iohannis"de f. U. fratrum, canoni-
« corum Basilice principis apostolorum ».

Con altra del Idus Oct. al card. Albornoz (fol. COLXXIV 0) dice che manda il Muti
per trattar con Orso dell'eredità di Napoleone che, dopo costui, deve venire alla
Chiesa. Gli ordina di far vedere al Muti il testamento di Napoleone.

(2) « Exhibita nobis pro parte dilecti filii nobilis viri Pandulphi de. Malatestis
« militis Ariminensis et dilecte in X. filie nobilis mulieris Paule de filiis Ursi eius
« uxoris peticio continebat, quod licet S. Angeli de Urbe et Sauriani Castra et non-
« nulla alia bona immobilia in diocesi Ortana consistentia ad ipsam Paulam iusto ti-
« tulo pertineant, tamen dilectus fil. Ursus Neapoleonis de dictis filiis Ursi, Canonicus
« Basilice Principis Apostolorum de Urbe, Castra et bona huiusmodi detinet indebite
« occupata, eaque, ut dicitur, vendere seu alienare procurat in dicte Paule et sui viri
« non modicum detrimentum ». Gli commette di sentenziare in quell’affare, (Regesti
di Urb. V., tomo 253, fog. 137 b, n. 453).
SIMEOTTO ORSINI, ECC. 049

tante terre nel Patrimonio di S. Pietro, che equivalessero alla
rendita di Soriano (1).
Quando Urbano V scriveva la suddetta lettera del 9 luglio 1366,

"Orso era ancora vivo; ma non molto appresso egli passò di questa

vita, poichè dal documento, che pubblichiamo, risulta che nel set-
tembre del 1369 non piü con Orso, ma con Simeotto, e con altri
fieli e nipoti di Orso già defunto, due commissari pontifici fecero
una convenzione definitiva intorno alle controversie nate per la
vendila di Soriano.

Per mezzo di questa convenzione, i| Papa cedelte a favore
di Simeotto tulti i diritti che la Chiesa aveva sopra 1 castelli di
Mugnano, di Rocca S. Pietro, di Corchiano, di Chia e di Cotta-
nello, contro un censo annuo e sotto aleune condizioni, le quali
furono diverse secondo i diritti che variamente la Chiesa accam-
pava sopra ciascuno dei castelli suddetti. Inoltre Simeotto e ses-
santa de’ suoi seguaci venivano assolti dalle censure ecclesia-
stiche (2).

Quanto al Castel S. Angelo noi sappiamo sol questo, che gli
Orsini lo perdettero tra il 1364 ed il 1367. Nell'agosto del 1364
esso apparteneva ancora ad Orso, come vedesi dalla lettera di Ur-
bano V, già da noi riferita. Nel 1367 poi sappiamo ch'era stato
occupato dal popolo romano, il quale quel medesimo anno mandò
suoi ambasciatori al papa Urbano V in Corneto, dov'era giunto
da Avignone per offrirgli il pieno dominio della città, e le chiavi
del Castel S. Angelo (3). Ciò fu il 15 giugno del 1367.

Come avvenisse tale occupazione per parte del popolo Romano,
se alla morte di Orso e per impedire che i figli di costui se ne
impadronissero, se dopo una vendita o cessione fatta da Orso o
dai figli suoi al Papa e per impedire che alcun’ altra famiglia ne
diventasse padrona, oppure se per diritti che il popolo vi accam-

)asse, non sappiamo.
3

(1) Le due lettere sono riferite integralmente nella Civiltà Cattolica del 39 sa-
bato di settembre 1894, pag, 677.

(2) Vedi infra documento II.

(3) « Veneruntque ad eum solemnes Nuntii Romanorum pro eorum parte sibi
« plenum dominium Urbis offerentes, ac claves Castri Sancti Angeli, per ipsos prius
« detenti, secum deferentes ». (Così la Vita prima di Urbano V presso MURATORI, RR.
JI. S, III parte 28, 618).
— A: aree

L'RSS TO

544 F. SAVIO

Una cessione fatta da Orso o da’ suoi figli non ci sembra
improbabile, poiché nella convenzione, da noi riferita, del 1369, i
commissari pontifiei promettono di lasciare a Simeotto tulte le case
ch'egli od 1 suoi avevano in Trastevere, eccelto quello che era
tenuto dalla Camera Apostolica (1), ossia, per. quanto ci sembra,
le case dipendenti dal Castel S. Angelo, eccetto il medesimo Ca-
stel S. Angelo, che già era in mano della medesima Camera.

Checchè ne sia, dal 1367 in poi questa fortezza rimase sem-
pre nel diretto potere dei Papi, né mai piü gli Orsini ne ebbero
il dominio, sebbene non manchino documenti, eziandio dei secoli
posteriori, nei quali alcuni di essi parlano del Castel S. Angelo,
come se ancora loro appartenesse (2).

Abbiamo detto di sopra che differenti erano ‘i diritti della
Chiesa su ciascuno dei vari castelli nominati nella convenzione
del 1369. In vero Mugnano già fin dal 1267 apparisce in. domi-
nio degli Orsini (3).

Quanto a Cottanello, da un atto, che vidi indicato in. un co-
dice cartaceo (di secoli recenti) dell'archivio vaticano, sembre-
rebbe che il primo ad averne dominio fosse Orso nel 1283, per
dedizione degli abitanti (4).

Chia nel 1301, dicembre 8, fu data da Bonifazio. VIII a Gua-
stapane del fu Porcario, per compensarlo della perdita di Soriano,
ch'era stato tolto a lui ed a'suoi fratelli 23 anni innanzi. Ma
morto che fu. Guastapane, i suoi eredi chiesero ed ottennero
nel 1320 da Clemente V di vender Chia a Napoleone figlio di Orso
suddetto (5).

(1) « Omnia iura et bona que idem dom. Ursus habebat in certis possessionibus.
« et domibus sitis in civitate Urbis ultra pontes. tyberis, et que Camera R. E. non
« possidet, excepfis bonis venditis et concessis per ipsum dom. Ursum Ecc. prelibate »,

(2) V. infra, pag. 548 nota (2).

(3) Nel 30 giugno 1267 Napoleone di Matteo Rosso diede al card. Giovanni suo
fratello (il futuro Niccolò III) il castello di Mugnano, presenti e consenzienti Rainaldo
e Matteo altri suoi fratelli e Bertoldo ed Orso‘snoi nipoti (Pergamena dell’arch. della
basilica vaticana, cap. 61, fasc. 225).

(4) « Universitas et homines Castri Cottanelli fecerunt eorum. procuratorem To-
« hannem Guidonis ad eligendum. Ursum de f; Ursi et suos heredes. et successores in
« perpetum in Dnos dicti castri Cottanelli eiusque jurisdictionis districtus et territorii,
« eum pactis et, conditionibus appositis in Instrumento procure rogato Ioanne Ioannis
« Mingrande Notario die 13 oct, 1283 cuius copia est inserta in lib. Signat lit. V. Ca-
« meral. Contel., fol. 451 ». (Cosi nel codice intitolato Collectanea ad Ursinos, YII, 89;
y. S9, pag. 30).

(5 Il breve di Bonifacio é riferito per intero, e gli altri atti indicati dal PINZI,
Storia, di Viterbo, II, 378.

comm
SIMEOTTO ORSINI, ECC. | 545

Al par di Mugnano, i figli e nipoti di Matteo Rosso di Gian-
gaetano Orsini fin dal 1267 possedevano i castelli di Aliano e
di Foglia in Sabina, e in tutto o in parte quelli di Nettuno, Ma-
rino, Formello e Galera. Tutti questi castelli vennero allora ce-
duti da' suoi fratelli e nipoti al card. Giovanni che fu poi papa
Niccoló III (1), forse affinché questi potesse, come comune arbitro,
spartirli meglio tra loro, quando si dovesse procedere ad una
divisione.

Marino era stato di un ramo dei Frangipani. Giovanni, ultimo
discendente di questo ramo, circa l'anno 1252 lo lasció per ere-

dità ai poveri ed ai due monasteri di San Saba e di Grottaferrata,

nominando per suo esecutore testamentario il card. Giovanni
Orsini.

Contro siffatta disposizione insorse Saracena vedova del de-
funto (e forse nipote del medesimo cardinale) e cominció un litigio
che durò per 12 anni. Da due atti relativi a questa lile. appren-
diamo: che il Frangipani aveva lasciati dietro a sè un figlio ed
una figlia di nome Filippa, i quali entrambi morirono impuberi;
che Saracena, divenuta vedova, passò a seconde nozze con Gio-
vanni de’ Conti Poli, già allora padre di Niccolò e di Pietro; che
per la sua ostinazione nella medesima lite fu scomunicata da‘ Inno-
cenzo IV, finchè nel 1262 chiese al Cardinale che le ottenesse Pas-
soluzione della scomunica (2), e nel 1264, dopo dodici anni di litigio,

si accordò pienamente con lui (3).

(1) Nella donazione di Aliano del 30 giugno 1267 si dice: « quod castrum. posi-
tum est in Tuscia » (Archivio della basilica vaticana, cap. 61, fasc. 225).

(2) Carta del 1262, giugno 13. In presenza dei testi « Magistri Iordanis Cantoris Car-
notensis, Michaelis de Tolosa Archidiaconi Broliensis in Eccla Agennensi, Ioannis de
Gallhano dni PP. cappellanorum, fratrum Bartholomei ministri in Provincia Romana,
Guizardini ordinis Frat, Minorum, Laurencii Perusinorum et Hugonis (manca wa
parola) priorum (0 prioris) fratrum predicatorum. Magistri Bernardi de Lictera Ca-
nonici Ambianensis, Dominici Canonici Valentini, Domini Petri Rectoris S. Georgii
Tiburtini, Goffridi de Aquila et Landulfi clerici de Aquila, Magistri Petri de Vicovario
Dui Pape scriptoris Iudicis Maximi de Urbe, Leonardi Iacobi Rubei (marca) una
parola). Saracena dichiara d'essere stata scomunicata^dal papa Innocenzo IV e do-
« manda al Cardinale d'essere assolta, il che questi concede sotto certe condizioni ».

(3) Concordia tra Gio. Gaet. card. da una parte e Saracena vedova di Gio: Fran-
cipani e Nicolò e Pietro figli del fu Giovanni di Polo Conte. (Ivi, cap. 63, fasc. 391, 1264,
giugno 12. — Questi non erano figli di Saracena.

Il Cardinale considerando che già da dodici anni si protrae l'esecuzione del te-
stamento, qnis duodecim. iam protractum, d' accordo con fra Tommaso vescovo di
Siena, lasciato. esecutore del. testamento di Gio. Frangipane col card. suddetto con-

A

A

^
A

A

A

A
— ra

546 F. SAVIO

Dopo che ebbe finita ogni controversia, il cardinal Giovanni,
volendo ripartire tra i poveri ed i monasteri l'eredità del Fran-
gipani, pensò non esservi altro miglior mezzo che di vendere
Marino, e lo vendette il dì 2 gennaio 1266 a suo nipote il car-
dinale Matteo Rosso Orsini per la somma di tredicimila libbre
di provisini (1).

Il Coppi ha pubblicato l'atto, con cui i monaci di San Saba
delegarono uno di loro, per ricevere dal cardinale Giovanni Gaetano
la somma di 5,400 libbre di provisini del Senato, che era la por-
zione spettante al loro monastero (2).

Marino passò di poi ai discendenti di Rinaldo, uno dei fra-
telli di Niccolò TII papa.

Quanto a Nettuno, dal testamento di Gian Gaetano appren-
diamo ch'esso era stato conceduto agli Orsini per decreto del po-
polo romano dal Senatore Giácomo di Oddone di Francone, che
fu senatore nel 1220 (3).

Dopo questa non abbiamo trovato altra menzione di Nettuno,
come appartenente agli Orsini.

Di Galeria gli Orsini possedevano la 48 parte, la quale sembra
che nella divisione passasse ai figli di Gentile, cioè a Bertoldo e
ad Orso, ai quali ne venne data investitura dai monaci di S. Saba
il 1276, maggio 11 (4).

cede a Saracena 2,500 lib. di provisini. Ai due fratelli Poli 1,700 libre di provisini col
patto che lascino libero Marino. L'atto si compì in Orvieto, i? domibus. Simonis Ra-
Aerii Urbevetani, in quibus morabatur predictus dns Cardinalis.

(1) TOMASSETTI, La Via Latina, pag. 104.

(2; Atti della Pontificia Accademia d? Archeologia, tomo XV, pag. 246. L'atto è
in data 2 gennaio 1267. i

(3) Stabilisce ivi ciò che si deve fare di quelle mille libbre di provisini: « pro
« quibus in dotem pro Gema. filia quondam Oddonis de Monticello quondam sponsa
« Mathei filii mei pro ipso Matheo a Iacobo. Oddonis Franconis tune senatore urbis
« de voluntate populi romani privilegium super Neptunum recepimus, compellentur
« heredes dne Oddoline quond, uxoris dicti Oddonis de Monticello et heredes quondam
« Gregorii Malabrance et heredes Oddonis de Monticello et. cognoscatur inde ratio et
« cognita inde ratione cuicumque de iure debebunt dari precipio ». (Archivio Orsini,
II, A, 1, 20), Secondo il VITALE, I, 82, Giacomo di Oddone di Francone fu senatore nel 1220.

(4) 1276 maggio 11, Andrea (o Abbate o Vicario Generale; il titolo non c'é più) e
tutti i monaci di S. Saba locamus et concedimus e nominano due procuratori per dar
l'investitura... Vobis nobilibus viris dnis... dno Brectudo: pro te et dno Urso fratre tuo...
« Et vobis dnis Raiynaldo et Mathee de filiis Ursi anche pei loro. figli ecc. tres vide
« licet partes castri Rocce et, Burgi Galerie cum tribus partibus totius tenimenti ipsi
« adiudicati eaos (mancano tre o quattro parole) facta olim inter dominum Ryccar-
SIMEOTTO ORSINI, ECC. D4T

Il ramo degli Orsini, di cui ragioniamo, ed al quale appar-
tenne Simeotto, possedette ancora la metà di Attigliano (1), Poggio
Sommavilla, Foglia e Vacone (2).

< dum de Galeria ex parte una et nepotes suos consortes ex altera facta integrali di-
« visione in quatuor (partes? lacuna di una o due parole) pro indiviso cum alia
« quarta parte dni Guidonis filii quondam Iohannis Guidonis de Galeria »-/ monaci ec-
cettuano le chiese « et specialiter ecclesias S. Silvestri et S. Petri que sunt site in
« Burgo dicti-Castri Galerie (et) ecclesia S.. Marie de Celsano . . .. et excepto uno
« feudo non meliore nec peiore de dictis tribus quartis » ed eccettuata una casa che
determinano. Promettono che se gli Orsini verranno in potestà della quarta parte (di
Guido) essi l'approveranno. Tutto ciò per 150 libre di buoni prov. del Senato ed una
pensione di un denaro pavese. à

« Pro eo quod solvistis pro vobis et dicto dno Urso ...... centum quinqua-
« ginta librarum bonorum proveniens. senatus quam pecuniam nos recepisse confite-
*mur....... et pro eo quod omni anno in festo sancti Andree nostro monasterio
« solvetis et solvere promittitis nomine pensionis pro unaquaque domo de ipso burgo
« que in vestris partibus consistit unum denarium papiense et septem solidos et di-
midium provisiensium pro extimatione trium partium unius verris et unius sextarii
« olei que pro Rocca dare debetis nostro Monast. secundum formam veteris locationis.
« Item pro unoquoque;aquimolo que in vestris partibus habueritis:solvetis nostro mo-
« nast. duo modia, unum videlicet grani et unum de misto (sic. Quando autem eligetur
« archipresbiter vel S. Andree vel S. Nicolai de castro predicto per vos et alium con-
« sortem vestrum servetur ille modus et illa forma dispositionis quod dictum (0 con-
« dictum) tradita extitit a dno Eugenio pp. tertio et ab eius curia Episcoporum, Car-
« dinalium et Diaconorum. Que dispositio seu forma apparet sub anno dominice in-
« carnationis millesimo. quinquagesimo, Anno septimo Pontificatus eiusdem Pontificis,
« Indictione XV mensis Ianuarii die XX. In quibus electionibus nulla vobis et ipsi
« dno Urso incumbat necessitas populum requirendi ». Cosi nella pergamena originale
tra le carte di S. Spirito nell’ archivio di Stato in Roma.

(1) 1301. « Nobilis vir D. Andreas Mannalusii de Tuderto Miles et familiaris dni
« Bonifatii Pape vendidit Basilice S. Petri de. Urbe medietatem Turris, Rocche, Cas-
« sari, Castri, Territorii et pertinentiarum Attiliani posti in Diocesi Ameliensi, prope
« Ripam fluminis Tiberis cum mero et mixto imperio nondum divisa ab alia medie-
« tate que tenetur per nobilem Virum D. Ursum de f. U. militem nunc Rectorem
« Patrimonii b. Petri in Tuscia et insuper vendidit et concessit sine defensione omne
« ius, si quod in alia medietate sibi et suis heredibus ex concessione seu donatione
« praefati S. Pontificis competit vel competere potest et hoc fecit pro pretio, fl. 5196.

1360. « Magn. vir. D. Ursus quond. mag. Viri D. Napoleonis de f. U. canone Ba-
« silice S. Petri misit et reduxit in corporalem possessionem (manca forse medietatis)
« Castri Attigliani Basilicam 8. Petri, que medictatis iuncta erat pro indiviso cum
« alia medietate heredum. d. q. D. Napoleonis.

1393. « Forgia Menici Colutie de castro Vassani Ortan. Diec., qui diu tenuit et
« possedit cum suis filiis consanguineis, benivolis et amicis Castrum Nicolai eiusque
« territorium et districtum vulgariter nuncupatum castrum S. Petri Amel. Dioces.
« posituna inter tenimentum Castri Penne, Civitatis Amelie, Civitatis Ortone et alios
« suos fines pertinentia pleno iure ad Basil. S. Petri, restituit predictum Castrum Ba-
« silice, cum conditione quod omnia bona per dictum Forgiam et suos habita et recepta.
« in d.° Castro et eius territorio et districtu, que olim fuerunt viri Magnif. Giffredi
« Simiotti de Ursinis, qui diu indebite et tirampnice tenuit occupata Castrum et ter-
« ritoria predicta in dampnum et preiudicium pred. Basilice prout sepissime querelam.
exposuit coram S. Pontificibus ete. sint dicti Forgie et aliorum ». (Codice barberi-
niano XXXIIT, 20 contenente copia di parecchi atti conservati nell' archivio della ba-
silica di S. Pietro).

(2) Nel Registro del card. d. Albornoz; scritto nel 1364, ma sopra documenti più

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Non avendo noi in animo di fare una storia ordinata di tutti
i possedimenti di questa famiglia (1), ma solo di pubblicare in
pro degli studiosi varie notizie, che ci venne fatto raccogliere,
finiremo col dar qui in nota un sunto del testamento di Pier An-
gelo del 1476 ed una divisione di beni tra Ulisse e Giov. Corrado
del 1502, donde vedesi quali fossero i feudi o domini di questo
ramo degli Orsini (2).

: F. SAVIO.

antichi, leggesi a pag. 171: « Castrum Coptanelli tenetur per haeredes domini Napoleonis:
« militis de f. Ursi et, non obedit Ecclesiae ». — « Castrum Podii Sumevillae. Castrum
« Folie. Castrum Baconi sunt domini Napoleonis militis de filiis Ursi ». (Mélanges. de
Archéologie et d? Histoire, 1887, pag. 70).

(1) Nel 1401, maggio 26, Nicola dell'Anguillara nomina un arbitro per decidere
le questioni insorte fra lui da una parte e Cola, Giovanni e Bertoldo Orsini figli del
cavalier ”
famiglie de Normandis e de Alberteschis (Archivio storico romano del 1887, vol. X,
pag. 251).

Nel 1423, aprile 26, Bertoldo di Troilo Orsini, come erede di Cola e cessionario di
Giovanni suo fratello nomina. dei procuratori per ricevere dagli eredi degli Anguillara
e degli Alberteschi quanto gli spetta in Castiglione ed altrove, secondo l'arbitrato del
cardinale Giovanni vescovo di Albano e di Poncello Orsini zio del Cardinale, ed a ri-
cevere quietanza a favore delle comunità di Foglia, Pompegio e Gravignano (Id., pa-
gina 252).

1422. « Magnif. vir Bertuldus dni Troili de Ursinis et Rev. P. dnus D. Ioan-
« nes dni Troili de Ursinis canonicus S. Ant. Viennensis vendunt medietatem Castri
« Civitelle quod totum castrum est inhabitatum, positum extra portam Castelli et.
« partibus Transtiberis pro pretio fl. 1,000 R.mo Dno. Card. Ioanni Vivariensi Ostiensi
« Epo et Vice Cancellario. à

1422. « R.mus D. loanni. Card. predict. donat predict. medietatem Basilice. S.
« Petri » (Codice barberiniano, XXXIII, 29).

(2) Nel testamento di Pier Angelo, in data 1476, marzo 29, rogato Egidio Mica-
ronio notaio, che trovasi riportato in un sunto nel cod. dell'archivio vaticano col ti-
tolo Collectanea, ad Ursinos, già citato sopra.

DTUcroilo pel possesso di Castiglione e di altri castelli e beni provenienti dalle

A quel tempo uno dei figli del testatore, di. nome Troilo, era già morto. Egli
lasciò erede il figlio superstite Pier Francesco in tutti i suoi castelli, terre, rocche ecc.,
nominatamente « in Castro Ursino; alias Collestati, et castro Montis S. Marie alias
« della Torre dioc. spolet. castro Follie, castro Gabiniani dioc. Sabinensis, castro Montis
« Pompei, castro Montis Nigri, castro Tance in Camponesca et in dioeces. Sabin. pre-
dicta, castro diruto Montis (lacuna di una parola) in dicta dioeces., castro Montis S.

*

« Iohannis de Camponesca in dioec. Reatina, castro Case Prote in dioec. Sabinen., castro
« Collislongi in dioec. Sabin., medietatem castri Montisleonis, medietates castri Turri-
« celle in dioec. Reatina, castri Ornarij, castro diruto Iulianelli dioec. Sabinen., castro
« Collis piccoli pro tribus partibus, dioec. Reatine, castro diruto Rocche Salcis Prote
« Belle dioe. Reatine, castro Baigarette dioces. Reatine cum omnibus et singulis for-
« talitiis, Rocchis, edificiis, possessionibus, juribus, jurisdictionibus, et cum. Vassalis
« ac omnibus bonis mobilibus ac mero et misto imperio, domibus Urbis, cum omni-
« bus juribus et actionibus, que et quos habet et habere (potest?) dietus Testator in
« Castro S. Angeli de Urbe, et in omnibus et quibusque locis.

« Divisio inter Ulixem filium legitimum et naturalem ex testamento Matthei de
Mugnano ex uno et Ioannem Corradum filium legitimum et naturalem Hieronymi

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SIMEOTTO ORSINI, ECC.

DOCUMENTI

I. — 1244, maggio 7. Arch. comunale di Soriano al Cimino.
Innocenzo IV prende sotto la protezione apostolica il mona-
stero di S. Lorenzo in Campo Verano e le sue possessioni.

1 Imnocentius episeopus servus servorum Dei dilectis filiis Raydo. Ab-
bati Monasterii S. Laurentii foris muros eiusque fratribus, tam pre-
sentibus quam futuris regularem vitam profexis in perpetuum. In
sede beati Petri licet immeriti residentes et commissam nobis eius

5 naviculam gubernantes ex iniuneto nobis a Deo apostolatus officio
universis infra ipsam existentibus et illis precipue qui nobis propius
et speeialius adherere ac in eiusdem navicule corpore pretiosissimum
thesaurum custodire noseuntur, propensiori tenemur caritatis studio
providere. Quare, dileeti in Domino filii, qui beatissimorum pro-

10 thomartyris Stephani et archilevite Laurentii gloriosissima : corpora
custoditis, et qui ipsorum sanctitate et reverentia plura debetis a nobis
percipere beneficia, honorandi habundantius et favorabilius confo-
vendi, saeratissimum Monasterium vestrum, in quo predicti Christi
Venerabiles Martyres celebri memoria requiescunt, ad eius et pro-

15 prietatem Apostolice sedis iure pertinens speciali, ad exemplar felicis
recordationis Honorii et Gregorii romanorum Pontificum. predeces-

filii legitimi et naturalis pro alia dimidia ex testamento dicti quond. Matthei ex
parte altera, die 19 aprilis 1502. Ulixi castrum Mugnani cum toto et integro suo te-
nimento seu territorio et districtus ipsius castri Mugnani, et cum eo castrum Cot-
tanelli cum iurisdictione, potestate et dominio uniuscuiusque casiri.

« Iohanni Corrado castrum Polimarti et castrum Chie cum tenimento et terri-
torio ipsorum castrorum, cum toto territorio, iurisditione et dominio Collis Casalis
et residuo territorii seu tenimenti Montis Casalis.

« Quam divisionem ratificaverunt die 20 aprilis eiusdem anni 1592, rogitu Io-
hannis Egidii de Vassano, judicis ordinarii et notarii terrae Mugnani ».

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F. SAVIO

sorum nostrorum sub beati Petri et nostra protectione suscipimus et
presentis seripti privilegio ‘communimur. In primis siquidem sta-
tuentes ut ordo monasticus, qui secundum Deum et beati Benedicti
regulam in eodem loco institutus esse dignoscitur, perpetuis ibidem
temporibus inviolabiliter observetur. Preterea quascunque posses-
siones, quecumque bona predietum monasterium in presentiarum
rationabiliter possidet aut in futurum concessione Pontificum, lar-
gitione Regum vel principum, oblatione fidelium seu aliis iustis
modis, prestante Domino, potest adipisei, firma semper et illibata
eidem Monasterio perseverent. In quibus hee propriis duximus
vocabulis exprimenda: Locum ipsum in quo prefatum Monaste-
rium situm est cum omnibus pertinentiis suis. Ante. portam dieti
Monasterii Vallem, que dicitur agger Veranus, et Vallem de Ploppis
Montem da Pilellis eum pertinentiis suis. Montem incantatum cum
pertinentiis suis. Vallem S. Genesii cum pertinentiis suis. Feu-
dum quod vocatur Baeculi cum pertinentiis suis. Montem S. Ypo-
liti eum valle de Scennariis et vineis ad turrem Castellum. Casalem
quod dicitur Pelaianum. Turrem pontis Mammii cum monumento et
canapinaetaliis pertinentiissuis. ‘Turrem de Cervaria cum molendino
et valle de Meletulo et aliis pertinentiis suis. Feudum Senecini situm
ad pontem de Nono. Casale de Grifi cum gripta et aliis pertinentiis
suis, Villam que dicitur Poteranum cum ecclesia S. Angeli et Villam
de Archione. Casale Magulianum, fundum Buccones. In Civi-
tate Tiburtina Ecclesiam S. Benedieti eum cappellis suis intus et
de foris et aliis pertinentiis earumdem. Vesta cum. plagis S. Be-
nedieti. In territorio Civitatis Castellane. S. Marie de Fuse-
niano, S. Georgii et S. Egidii ecclesiis cum specu S. Famiani et
possessiones quas habetis in castro Paterni. Castrum Seriani. Ca-
strum Bulgimiani, Ecclesiam S. Marie de Luco, S. Euticii et S. An-
dree Ecclesias cum omnibus pertinentiis earumdem. In territorio
Sutrino Ecclesiam S. Benedicti cum Burgo iuxta se, terris, vineis,
molendinis et aliis pertinentiis suis et Ecclesiam S, Marei positam
iuxta stratam ipsius Civitatis. Ecclesiam S. Leonardi de Ronciglione
cum vineis, terris et aliis pertinentiis suis. In castro Capralice, do-
mos, terras et vineas in pertinentiis earumdem. In castro Juliani
Ecclesiam S. Herasmi et ecclesiam S. Marie cum molendinis et per-
tinentiis suis. Feudum Pratalie. Oratorium S. Victoris iuxta ca-
strum predictum cum pertinenti's suis. Castrum Petronille cum
Ecclesia S. Marie infra ipsum castrum, et oratorium S. Angeli cum
omnibus tenimentis suis intus et de foris. In castro Aritie Eccle-
siam S. Cesilie. Curtem unam et domos alias cum pertinentiis
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SIMEOTTO ORSINI, ECC. 551
suis nec non quatuor molendina posita in rivo de campo. Fundum
qui dicitur duo piscine. Fundum Montis Iovis et Tunnie Apuliane.
Fundum Leonis. Dimidium castri S. Angeli, Montis Lauri et Sil-
ram de Pinzina eum medietate totius tenimenti dieti Castri. In
tenimento Columpne Ecclesiam S. Agathe cum suis pertinentiis. In

territorio Ripe Ecclesiam S. Stephani cum hospitali suo et molendi-
nis, Ecclesiam S. Bartholomei. de Lanzano, cum pertinentiis suis.
Castrum Cripte pensilis et Ecclesiam S. Marie et Ecclesiam S. Petri
cum pertinentiis suis. + Fundum Vuinerii et Casamartis et Eccle-
siam S. Ipoliti cum pertinentiis suis. In diocesi Nicovierie (1)
Ecclesiam S. Nicolai de Chivisa. Infra Urbem Ecclesiam S. Viti in
Campo cum vineis, ortis et aliis pertinentiis suis. Iuxta muros
Urbis in loco quod dieitur Camartis vineas cum omnibus pertinentiis
earumdem. ^X Castrum civitatis Novine cum duabus Ecclesiis, videlicet
S. Marie et S. Andree et earum pertinentiis et casalia et alia que
habetis a (2) P[rato] [c]astellerii usque ad Formellum puczum et fossa-
tum de Mola rupta et ab ipso fossato usque in spinaretam de Iohanne
Niro et per fluvium ipsius spinareti usque in piseinam presbiteri Bo-
nifatii et usque in Sieeliecam et a Sieclieca usque ad piscinam Bi-
furia et ab ipsa piscina usque ad pedem Insule Lombardorum (?) et
ab ipsa Insula usque in colipnellam affissam non longe a Sicelicca.
Ad hec libertates et immunitates eiusdem Monasterii a predecesso-
ribus nostris indultas, rationabiles quoque consuetudines actenus ob-
servatas auetoritate apostolica confirmamus. Statuimus insuper ut
prefatum monasterium nulli prorsus in aliquo nisi Romano tantum
Pontifiei sit subiectum, nec ibi aliquis preter eum qualemcumque
jurisdietionem exerceat aut aliquam vendicet potestatem. Abbati
vero ipsius venerabilis loei presentis privilegii auctoritate concedimus,
ut ad honorem et laudem Altissimi cum mitra et anulo missarum
solempnia pro ipsorum Sanetorum reverentia celebret sanctitatis.

Cum autem predietum monasterium speciale membrum Apostolice
Sedis et propria Romani Pontificis sedes existat, statuimus et sanci-
mus, ut sieut contra Romanam Ecelesiam nonnisi centinaria currit
prescriptio, ita quoque prefato Monasterio minoris temporis prescri-
ptio non obsistat. Consecrationes autem altarium et ordinationes
Monachorum, qui.ad saeros sunt ordines promovendi, a quocunque
maluerint Abbas et Monachi eiusdem Cenobii, catholico dumtaxat
Episcopo, apostolica freti auctoritate suscipiant, quas sine difficul-

(1) Parola difficile a leggersi.
(2) Dopo il P mancano tre o quattro lettere, forse (rato c),

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F. SAVIO

tate et pravitate preeipimus exhiberi. Minores autem Ordines Mo-
nachis suis idem Abbas, dummodo sit presbiter, de nostra poterit
indulgentia, cum necesse fuerit, exhibere. Cui etiam indumenta,
que ad usum altaris in eodem Monasterio fuerint necessaria, nec non
et astantem clerum et populum benedicendi concedimus potestatem.
Interdicimus quoque presenti decreto, ut nullus omnino sine speciali
mandato Romani Pontificis in Abbatem et Monachos eiusdem Ceno-
bii, ubicumque morantur, suspensionis vel excomunicationis sen-
tentiam promulgare, vel eos ad Synodum vocare presumat, sed
neque clericos a parentibus oblatos in illis Ecclesiis permanentes, in
quibus non ad Episcopos sed ad ipsum Abbatem istitutio et desti-
tutio ac correctio dignoscitur pertinere. Quod si quisque in eos
huiusmodi sententias promulgaret, illas decernimus irritas et ina-
nes. Obeunte vero eiusdem loci Abbate, nullus ibi qualibet sur-
reptionis astutia seu. violentia preponatur, nisi quem fratres communi
consensu vel fratrum pars maior consilii sanioris, secundum. Dei
timorem et beati Benedicti regulam, de ipsa congregatione, si tamen
in ea per examinationem Romani Pontificis reperiatur ydoneus, duxerit
eligendum. Si vero, quod absit, in eodem Monasterio non possit qui-
sque ydoneus reperiri, tunc Romanus Pontifex de alia congregatione
prefato Monasterio personam ydoneam preficiat in Abbatem. Li-
ceat quoque Abbati et Conventui Monasterii memorati fratrum suo-
rum testimoniis in propriis causis uti, sive civilem sive criminalem
contineant questionem, ne pro defectu testium ius eorum valeat de-
perire. Clericos etiam sive laycos liberos et absolutos é seculo
fugientes licite ad conversionem recipiant, et eos absque aliqua con-
tradietione retineant (?). Cum autem generale interdictum terre
fuerit, licita sit eisdem ubieumque manentibus, exclusis excomuni-
catis et interdictis, suppressa voce, non pulsatis campanis, divina
officia celebrare. Sepulturam quoque ipsius loci liberam esse de-
cernimus, ut eorum devotioni et extreme voluntati, qui se illie se-
peliri deliberaverint, nisi forte excomunicati vel interdieti sint, vel
publici usurarii, nullus obsistat, salva tamen iustitia illarum eccle-
siarum, a quibus assumpta fuerint corpora mortuorum. Decerni-
mus ergo, ut nulli omnino hominum liceat prefatum Monasterium te-
mere perturbare aut eius possessiones auferre vel ablatas retinere, mi-
nuere, seu quibuslibet vexationibus fatigare, sed omnia integra con-
serventur eorum, pro quorum gubernatione ac substentatione con-
cessa sunt usibus omnimodis profutura, salva sedis Apostolice
auctoritate, ac in parochialibus Ecclesiis dyocesanorum Episcoporum
iustitia conservata, illis exceptis, in quibus plenum jus idem Mo-
SIMEOTTO ORSINI, ECC. 008

nasterium hactenus dignoscitur habuisse. Si qua igitur in futurum

ecclesiastica secularisve persona hanc nostre constitutionis paginam

sciens, contra eam temere venire temptaverit, secundo tertiove com-

140 monita, nec reatum suum congrua satisfactione correxerit, potesta-

tis honorisque sui careat dignitate, reamque se divino judicio existere

de perpetrata iniquitate et a sacratissimo corpore ac Sanguine Dei

et domini Redemptoris nostri Jhesu Christi aliena fiat atque in ex-

tremo examine districte subiaceat ultioni. Cunctis autem eidem

145 loco sua jura servantibus sit pax domini nostri Jhesu Christi, qua-

tenus et hic fruetum bone actionis percipiant et apud districtum ju-
dicem premia eterne pacis inveniant. Amen. Amen. Amen.

t (L. S.) Ego Innocentius Catholice Ecclesie Episcopus. Bene

valete.

150 t Ego Stephanus + Ego Raynaldus host. Ego Raynerius S.
S. Marie Transtib. et vellet. Epus ss. Marie in Cosmedin
tit. Calixti presbi- | Ego fr. Jacobus Pe- diac. card. ss.
ter card. sub. nestrinus epus ss. 1 Ego Otto S. Nicolai

in Carcere Tulian.
dyac. card. sub.
‘ Ego RiccardusS.An-
geli dyac. card. ss.
Datum Laterani per manus fratris Jacobi de ordine predicatorum
S. R. Ecclesie Vicecancellarii, tertio nonas Maii, Indict. II? in-

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160 earnationis dominice ‘anno millesimo ducentesimo quatragesimo
quarto, pontificatus vero domini Innocentii pp. quarti anno primo (1).

II. — 1369, settembre 22 (?). Arch. Vatic. Reg. Urbani IV, t. 259, c. 102.

La Chiesa Romana cede a Simeotto Orsini 1 castelli di Mu-
gnano, Rocca S. Pietro, Corchiano e Chia.

1 Ad futuram rei memoriam. Hiis que sedandis scandalis et re-
movendis periculis presertim subditorum romane ecclesie provide
faeta sunt libenter robur adiicimus apostolice firmitatis. ‘Sane oblata
nobis pro parte dilectorum filiorum nobilium virorum, Nycolai de
Ursinis Comitis Nolani Rectoris et Angeli Tavernini militis Viter-

0 biensis Thesaurarii provincie Patrimonii B. Petri in Tuscia peticio

(1) Di questo documento si ha il transunto, scritto da Andrea di Maestro Niccolò
del Poggio di S. Lorenzo nel 1360, ind. XIV al tempo di Innocenzo VI il 31 novembre
« in palatio Curie Capitolii ». E autenticato da cinque altri notai.

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F. SAVIO

continebat, quod ipsi nuper habentes in hac parte per litteras no-
stras plenariam facultatem, quedam pacta et conventiones cum di-
leeto filio nobili viro Simeotto q. Ursi de Ursinis domicello Romano
tune rebelli R. E. nostro et Ecclesie prefate nomine fecerunt, que ad
obviandum seandalis et periculis subditorum dicte Ecclesie et pro ipsius
Ecelesie statu utilia reputamus, deindeque de nostro speciali mandato
eidem Comiti faeto oraculo vive vocis, quoddam capitulum dietorum
paetorum correxerunt et reformarunt. Quare nobis humiliter sup-
plicarunt quod eisdem conventionibus et pactis, ac correctioni et re-
formationi contentis in duobus instrumentis publicis, manu dilecti
filii Johannis Aymerici de Parma publici apostolica et imperiali au-
etoritate notarii conscriptis et signo ipsius conficto signatis, quorum
tenores presentibus inseri fecimus, robur nostre confirmationis adii-
cere dignaremur. Nos igitur huiusmodi supplicationibus imper-
cientes assensum, pacta, conventiones, correctionem et reformationem
eadem et omnia in dictis instrumentis contenta, sine preiudicio iuris
alieni, rata habentes et grata, illa auctoritate apostolica ex certa
scientia confirmamus et presentis scripti patrocinio communimur, ac
oa volumus et decernimus habere perpetuam roboris firmitatem.
Tenor autem dieti instrumenti paetorum talis est.

In nomine Domini, amen. Anno eiusdem a nativitate millesimo
tercentesimo sexagesimo nono, indictione septima pontificatus San-
etissimi in Christo patris et domini nostri domini Urbani divina pro-
videntia pp. V. et die tertia decima mensis augusti.

I detti Commissari attendentes quod pro parte dicti Simiotti co-
ram ipsis expositum extitit quod tempore quo per R. E. habitum fuit
Castrum Surianum, quod per dictum d. Ursum pacifice tenebatur et
de jure per nonnullos offitiales dicte Ecclesie provisum fuit ipsi d. Urso
patri dieti Simiotti et dieto Simiotto quod consideratis gratis servitiis
faetis R. E. per ipsum d. Ursum et predecessores suos ita et taliter
operaretur.per ipsos offitiales penes d. nostrum Papam quod Saneti-
tas sua ipsum Simiottum suosque fratres et filios haberet efficaciter
commendatos, danno al predetto Simeotto figlio del fu Orso. de Ur-
sinis per sè e suoi discendenti di legittimo matrimonio omnia et sin-
gula jura que Sanctitas ipsa vel R. Ecclesia habent in Castris et Rocchis
Mugnani siti in provincia dieti Patrimonii iuxta flumen Tyberis
et territoria castrorum Polimartii, Rocche b. Petri et Vassani, ac
xocche S. Petri site in ipsa provincia iuxta territoria et. teni-
menta castrorum Mugnani, Polimartii, Chie predictorum et Collis
Casalis, et Corelani positi in eadem provincia iuxta territoria Ci-
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SIMEOTTO ORSINI, ECC. | 955

vitatis. Castellane, Castrorumque Gallesii, Fabrice, Castiglionis et ter-
ritorium Abbatie Fallari.... cum annuo censu unius. floreni auri per
ipsum Simiottum vel ipsius heredes et successores perpetuo solvendo
Camere provincie dicti Patrimonii in festo apostolorum Petri et Pauli
de mense Junii. Voluerunt tamen et ordinaverunt dicti dd. Com-
missarii quod ipse Simiottus sive heredes et successores sui tenean-
tur et debeant venire et comparere legitime in exercitibus, cavalcatis
et parlamentis ipsius E. ad petitionem, voluntatem et requisitionem
officialium prefate Ecclesie super hoc habentium legitimam potestatem
pro castro Chie predicte, ut est. moris: pro castro vero Mugnani etiam
venire et comparere in dictis exercitibus, cavalcatis et parlamentis
debeant si et in quantum secundum iura et regesta Camere tenean-
tur, aliter non. Gi concedono ancora tutti i diritti della Chiesa sul
castello e rocca di Chia posto iuxta tenimenta castrorum Mugnani,
Vassani, Rocche S. Petri, Suriani et Collis Casalis, col? annuo censo
di 40 soldi papalini: cos) pure à diritti, si qua idem d. Ursus ha-
bebat in Castro Coptanelli sito in provineia Comitatus Sabine iuxta
territoria eastrorum Montisasule, Castiglioni, Montiscabini et Vac-
choni. Assolvono Simeotto e suoi fratelli e socii da ogni pena incorsa
(segue una lista di seguaci di Simeotto stati già condannati). Item
cum pro parte dicti Simiotti asseratur quod vir magnificus d. Ber-
tuldus d. Neapoleonis de Ursinis legavit et concessit domine Paule
ipsius d. Bertoldi filie pro eius dote sexmilia quingentos florenos in
medietate castri Antiglani, et pro dietis octomillibus flor. ipse d. Ber-
tuldus ipsi d. Paule obligavit dictam medietatem, et ipsa d. Paula
per publiea documenta, iura que habebat in dicta medietate... dede-
rit et concesserit ipsi Simiotto... et interea Thomassius Ugolinuecii de
dominis de Alviano dictam medietatem tenet et possidet, è Commissari
aderiscono alla preghiera di Simeotto, promettendo di dargli un giudice
che pronunzi sommariamente in quella causa. Cosi pure gli promet-
tono che lo:stesso o altro giudice nello ‘stesso modo pronunzi in hiis
que habet agere (!) cum d. Troiolo d. Iohannis de Ursinis, e delegano
perció sapientem virum d. Thomam d. Henrici de Baratis de. Par-
ma. Gli concedono tutti i diritti e beni que idem d. Ursus habebat
in certis possessionibus et domibus sitis in Civitate Urbis ultra pontes
Tyberis et que Camera R. Eeclesie non possidet, exceptis bonis venditis
et concessis per ipsum d. Ursum Ecclesie prelibitate. £ Simeotto giura ;
e quindi promette anche di non procurare che alcun imperatore,
duca, conte, marchese ecc. sia fatto podestà in alcuna città 0 luogo
dello stato pontificio. Nello stesso giorno Nicola Raynucci procuratore
dei Commissari immette Simeotto in possesso della Rocca di S. Pie-
556 F. SAVIO

tro, e, ai 29 agosto, in possesso dei castelli di Chia e di Mugnano.
Segue l’ istrumento di correzione e confermazione in data dei 6. set-
tembre dello stesso anno. La correzione riguarda qualche. particola-

95 rità dell’ assoluzione di Simeotto e suoi seguaci, ed è fatta in Vi-
terbo in contrata S. Simionis in domo Tucii Quirichelle residentie dicti
d. Thesaurarii.

Datum Viterbii X kal. septembris (1) pontifieatus nostri anno
septimo.

(1) Quest è la data della bolla: ma forse si deve leggere octobris, poiché lo
istromento di correzione, riportato nella bolla, é del 6 settembre.

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DOCUMENTI ILLUSTRATI

DUE PACI FRA TERNI E NARNI
negoziate da Brancaleone di Andalò, senatore di Roma, e da Sciarra Colonna (^)

[ANNI 1258 E 1314]

Le due città di Narni e di Terni sono state, sin dal primo
medioevo, acerrime rivali. E mentre ora la seconda, per la sua
collocazione in un piano fertile ed irrigato copiosamente dal fiume
Nera, ha acquistata una grande fioridezza, e la prima invece va
isterilendo per la mancanza di commerci e d’ industrie; nel me-
dioevo era tutl’ altra cosa. Perocchè la civiltà moderna ha can-
giata non poco la sorte delle città, facendo talora delle più po-
tenti le più meschine e, viceversa, delle più disgraziate le più
fiorenti.

Narni, posta sur un'alta e scoscesa collina, munita salda-
mente dalla natura e dalle braccia degli uomini, poteva impune-
mente sfidare le ire dei nemici. Terni al contrario, benchè forti-
ficata tutt'intorno di numerose torri, non essendo difesa dalle
barriere naturali delle montagne, non era in grado di opporre una
resistenza molto gagliarda agli assalti della città rivale.

I Narnesi, vedendo dall’ alto delle loro case e delle torri di-
stese giù nella pianura le abitazioni dei Ternani, sentivano na-
scere di continuo il desiderio di estendervi la propria signoria.

(1) Mi sono servito massimamente, per questa monografia, di documenti degli
archivi di Terni e di Narni. Ho consultato pure le opere seguenti:
F. ANGELONI, Storia di Terni, ed. di Pisa, Nistri, 1878. — G. EROLI, Miscellanea--

storica narnese, Narni, Tipografia del Gattamelata, 1858. — A. SANSI, Storia del Co-
mune di Spoleto, parte Ia, Foligno, Sgariglia, 1879. — A. TERRENZI, Un. periodo di
storia narnese all’ epoca, dei Comuni, Narni, Petrignani, 1894. — L. FuMI, Codice di-
plomatico della città d’ Orvieto, Firenze, Cellini, 1884. — F. GREGOROVIUS, Storia

della città Qi Roma nel medio evo (trad, di R. MANZATO), vol. V, Venezia, Antonelli, 1874.
-.558 G. PARDI

Non era questa tuttavia impresa molto agevole per l'amore pa-
trio e la vigorìa, rafforzata dall'odio contro i vicini, degli abi-
tanti di Terni. Quei di Narni pertanto intesero anzitutto, con una
grande forza espansiva, ad allargare il loro contado e ad impa-
dronirsi delle terre e dei castelli circonvicini, per poter piombare
poi sicuramente sull’odiata rivale.

Dopo poco tempo da quando i Narnesi avevano affermate le
libertà comunali (anno 1112), ricusando di sottomettersi alla si-
gnoria della Chiesa, alla quale la città era stata ceduta da Enrico V,
ingrandirono notevolmente il loro dominio.

Nel 1143 si impadronirono di Collescipoli (posto a breve di-
stanza dalle mura ternane), di Perticara e di Castel dell’ Isola.
L’anno seguente il conte Transarico sottometteva a Narni le sue
possessioni dal ponte delle Marmore al territorio narnese con le
fortezze di Miranda e del Lago. Alquanto dopo prendevano i
Narnesi possesso di san Gemini e di Rocca Carlea, terra que-
sU ultima assai vicina a Terni.

Non rimaneva loro se non il dominio dei forti castelli di
Otricoli: e di Stroncone per circondare da ogni lato la rivale città
e costringerla alla, resa. Trovarono gagliarda resistenza, ma
Otricoli cadde nelle loro mani ed ebbe diroccate le mura. Il pon-
tefice ordinò ad essi di abbandonar la conquista; non fu ob-
bedito. Allora Innocenzo III inviò contro i Narnesi un forte eser-
cito, che ne pose a ruba il territorio (anno 1198). Furono pertanto
costretti a sottomettersi, a lasciare il possesso di Otricoli, a rie-
dificarne le mura ed a pagare un’ ammenda di 1,000 lire. Tuttavia
Otricoli, per quanto protetto dal papa, non si sentiva sicuro dalle
irruzioni dei potenti vicini e preferì quindi venire a buoni patti
di guerra con loro, facendo una spontanea dedizione del castello
e del suo territorio nell’ ottobre del 1198.

Contro Stroncone pure fecero guerra i Narnesi, non volendo
questo assoggettarsi, e ne distrussero le mura. Innocenzo III
lanciò. su di loro la scomunica e li costrinse a ricostruire il ca-
stello; ma finalmente anch'esso venne nelle loro mani. Infatti
nel 1261, come appare da una pergamena dell’ archivio di Narni
in data 7 giugno di quest’ anno, i Narnesi ordinarono a quei di
Stroncone, di Otricoli, di san Gemini, ecc. di inviare soldati da
mandarsi in servigio degli Spoletini.

m e

DUE PACI FRA TERNI E NARNI, ECC. , 559

In tal modo, avendo Narni circondata Terni di una forte
cerchia di castelli, rivolse contro di lei vigorosamente le armi
per sottomelterla. T

Terni, come già abbiamo accennato, anche per la sua posi-
zione, era molto meno potente della vicina città. Una prova ne è
il fatto che intorno al 595, a quanto narra lo. storico. ternano
Francesco Angeloni, la sede episcopale di Terni fu appoggiata a
quella di Narni, e la prima città non ebbe per vario tempo aleun
vescovo, ma stelte spesso sotto quello di Spoleto e talvolta sotto
quello di Narni.

Delle antiche lotte tra Terni e Narni, nei primi tempi delle
libertà comunali, non serbano ricordo gli storiei delle due città,
l'Angeloni e l' Eroli. Dovettero nondimeno essere accanite e feroci.

L'anno 1214 la guerra scoppiò a cagione di Otricoli e. di
Stroncone. Narra il Sansi che il pontefice (Innocenzo III) si adoprò
affinchè Terni prendesse le difese dei deboli contro il forte. Terni
si collegò con Todi (con cui ebbe sempre relazioni amichevoli,
come appare da numerosi documenti dell’archivio todino e ternano)
e con Amelia. Anche Foligno si unì poco dopo con queste città
(arehivio ternano, pergamena dell 8 aprile 1215). Narni. allora
trasse dalla sua Spoleto e divampò nell’ Umbria una guerra ge-
nerale, essendosi i Reatini alleati con gli Spoletini il 28 giugno
del 1216. 1

Dopo varie vicende di una guerra accanita, non rintracciate
nè dall’ Angeloni, nè dall’ Eroli, nè dal Sansi, quetarono le cose
per l'intervento di Innocenzo III. Ma, morto questo pontefice, si
riaccese la discordia fra Terni e Narni « per una controversia —
lo racconta il Sansi — intorno alla porta del ponte sul fiume
Nera, dove anche oggidì vedesi sotto Narni un ponte munito di
una torre nel mezzo ». Dalla parte di Terni stavano Todi, Amelia
e Foligno, da quella dei Narnesi Spoleto con le terre da lei di-
pendenti. Pose fine alla guerra Onorio III con un Breve, con il
quale imponeva ai Todini, ai Ternani e loro ausiliari ed ai Nar-
nesi, Sangeminesi ed alleati loro di fare buona e schietta pace.
Ordinava inoltre ai Narnesi ed agli Spoletini di non molestare
Terni, ed a quei di san Gemini di non impedire il passaggio ai
Todini, ogni qual volta volessero recarsi a soccorrere i Ternani
(Breve del 6 febbraio 1218).
eret ome Ri. Bate

560 G. PARDI

Ma nuova cagione di discordie sorgeva nello stesso anno.
Onorio III, venuto a Terni il 5 ottobre, ripristinava il vescovato
ternano e vi aggiungeva la pieve di san Valentino, ed il Legato
pontificio imponeva ai Narnesi di desistere dai loro pretesi diritti
su questa (archivio ternano; pergamena del 5 ottobre 1219). I Nar-
nesì, prepotenti per natura, non vollero sopportare ciò. Quindi la
guerra si fece sempre più aspra, tanto che, il pontefice nel 1220
incarieò Pandolfo Savelli di adoperarsi a porvi fine. Il Savelli,
adunati a Bevagna i podestà delle singole terre e città, impose
loro di venire in Orvieto a pacificare le cose alla presenza del
pontefice. La pace fu falta tra i luoghi belligeranti. Anche Todi
ed Orvieto componevano in quell’anno le loro discordie.

La tranquillità, arrecata a Terni dalla benevola. protezione
pontificia, non dev'essere stata turbata per qualche tempo, poichè
vediamo che i Ternani ingrandiscono, frattanto; ‘il loro contado,
avendo ricevuto, per ispontanea cessione dei signori di Arrone, il
castello di Papigno nel 1220, ed avendo incorporato nel loro ter-
ritorio quello di Perticara nel 1244 (archivio ternano, pergamene
del 12 marzo 1220 e del 14 decembre 1244).

La prima volta, in cui troviamo accenni della guerra riaccesa
fra Terni e Narni, è nel 1253. Infatti Innocenzo IV spedisce un
Breve in data del 9 giugno di quest’ anno (pergamena dell’ archi-
vio narnese), nel quale tratta della riedificazione del castello di
Perticara « et aliorum castrorum civitatis Narnie destruetorum a
rebellibus ». Se Perticara era stata incorporata dai Ternani nel
1244 e nel 1253 apparteneva ai Narnesi, questo non deve essere
avvenuto senza qualche fatto d'arme. Certamente poi la lotta
ferveva accanita tra le due città rivali nel 1254, quando Alessan-
dro IV, con un Breve del 17 luglio (archivio ternano), ordinò al
Rettore del ducato spoletino di costringere quei di Narni a desi-
stere dalla guerra contro Terni.

Ma le inimicizie restarono ancora accese. Alessandro IV nel
1256 ordinava ai Narnesi di cessare dall’ edificare un castello nel
luogo di Perticara, come provano due Bolle dell’ archivio ternano
in dala del 18 marzo, l’una diretta al podestà, al consiglio ed al
popolo di Narni e l'altra al Rettore del ducato spolelino, affinchè
facesse eseguire siffatta ingiunzione. Contribuiva a far crescere
in questo tempo l' arroganza dei Narnesi la guerra tra Todi ed DUE PACI FRA TERNI E NARNI, ECC. 561

Orvielo a cagione del castello di Montemarte. Gli Orvietani erano
stati rotti dai Todini, Amerini, Folignati e Ternani nel 4254; ma
finalmente la pace era stata firmata, arbitro il Comune di Perugia,
il 4 giugno 1257. Ad onta di questa pace, gli Orvietani manda-
vano nello stesso anno cento cavalli in aiuto dei Narnesi, in lotta
con Terni, alleata e suddita di Todi.

Gli storici non ricordano quale fossero gli eventi della guerra
divampante fra Terni e Narni in quel tempo; ma certo è che, a
comporre le cose, furono eletti arbitri il Comune di Roma ed il
senatore Brancaleone di Andalò.

Ciò mostra forse che il Comune di Roma conservava ancora
parte di quella maestà, di. cui. gli antichi circondarono il nome
della capitale del mondo.

Brancaleone di Andalò, cittadino bolognese, è una delle figure
più belle, fiere e magnanime di. senatore romano.

L’anno 1252, il popolo di Roma, angariato dai nobili, decise
dopo una rivoluzione di affidare l’ autorità senatoria, divisa sino
a quel tempo, ad una sola persona, la quale governasse con sag-
gezza la città ed infrenasse la tracotanza nobilesca. Si rivolse
perciò a Bologna, che propose per senatore Brancaleone di An-
daló, conte di Casalecchio, uomo giusto, rigido e profondo nel
diritto. Brancaleone accettò l'incarico, ma per poter governare
con maggior sicurezza e vigorìa, volle che l'ufficio senatorio gli
fosse affidato per tre anni, non per soli sei mesi, e chiese ‘che
gli venissero consegnati in ostaggi alcuni nobili giovani. I Ro-
mani acconsentirono e Brancaleone assunse oltre al titolo di se-
natore, corrispondente a un dipresso a quello del podestà delle
altre repubbliche italiane, anche il titolo di.capitano di popolo,
magistrato sorto due anni innanzi a Firenze e a Perugia ed in-
caricato di proteggere il popolo dalle angherie dei nobili.

Brancaleone combattè vigorosamente, con buoni risultati, i
baroni romani e qualcuno ne fece anche appiccare. Rese sicure
le vie, rafforzò il potere del’ popolo adunato nelle corporazioni
delle arti ed intese ad acquistare la signoria suprema sul Lazio,
tentando invano di impadronirsi di Terracina, ma riuscendo ad
562 G. PARDI

impossessarsi di Tivoli. In tal modo il Comune di Roma riacqui-
slava, per il saggio e poderoso governo di Brancaleone, nuova
gloria e potenza.

E naturale adunque che a questo ricorressero Terni e Narni
eleggendolo arbitro delle loro contese, in quel tempo nel quale era
assorto a novella grandezza ed aveva a capo un uomo giusto e
conoscitore del diritto e divenuto famoso per tutta Italia dopochè,
liberato dalla prigionia, era stato di nuovo eletto senatore (anno
1252) ed aveva fatte smantellare le torri nobilesche, « rocche le-
vale ad oppressione del popolo, carceri dei debitori, caverne di
turpi violenze ». Così le chiama il Gregorovius. Pertanto, con un
atto rogato il 1° aprile 1258, Marco Rapezzi, sindaco e procuratore
del Comune di Narni, e Giovanni di Guido di Macabeo, sindaco
e procuratore di quello di Terni, fecero arbitri di tutte le contro-
versie agitatesi fra le due città Brancaleone di Andalò senatore
romano, il Comune di Roma, e Pietro di Riccardo de’ Bianchi e
Iacobo di Pietro di Giovanni ambasciatori del senatore e del Co-
mune ricordati. In ispecial modo gli arbitri dovevan decidere
delle seguenti questioni :

1.° Delle famiglie di Perticara, di Rocca Carlea, di Castel
dell’ Isola e di Collescipoli, terre appartenenti al vescovato e di-
stretto di Narni, le quali famiglie i Ternani avevano accolto sul
loro territorio e che i Narnesi ridomandavano.

2.9 Delle forme scavate dai Ternani e che i Narnesi vole-
vano fossero ricolmate.

3.9 Della torre Alla Luce costruita dai Ternani « in aspectu
et facie Narnie » e che i Narnesi quindi volevan distrutta.

4.9 Di certi danari dovuti dal Comune di Terni e da spe-
ciali persone della città al Comune di Narni e ad alcuni cittadini
di questa.

5.9 Della pretesa dei Narnesi che i Ternani non ricevessero
più alcun suddito loro nel territorio di Terni.

3 6.» Delle terre di Perticara e Rocca Carlea e della chiesa
di san Valentino, che i Narnesi volevano per loro assolutamente,
senza riconoscere alcun diritto dei Ternani su di esse.

7.9 Del ponte costruito da quei di Narni sopra la Nera
verso il castel di Perticara, cioè dal castel di Papigno a san
Giovanni in campo.,
DUE PACI FRA TERNI E NARNI, ECC. 563

8.» Delle fortificazioni fatte dai Ternani tra Papigno e san
Giovanni in campo, mentre non le potevano fare per la pace con-
clusa con Narni e rogata da ser Crescenzio giudice e notaro di
Terni.

9.° Del castello di Perticara, fabbricato e fortificato dai Nar-
nesi sul territorio dei Ternani e che perciò questi chiedono sia
loro restituito.

10.» Dei danni arrecati dal Comune di Narni a quello. di
Terni.

11.» Dei cittadini di Terni abitanti sul territorio di Narni,
i quali avevan promesso di essere continuamente abitatori della
città o contado dei Ternani. Questi domandano adunque che sien
costretti a mantener la promessa. Intorno alle quali controversie
i due sindaci dei Comuni avversi promettono ‘di stare a quel lodo,
che faranno il senatore ed il Comune di Roma, o di per sè o per
mezzo degli ambasciatori menzionati sopra.

Il 18 aprile 1258. Pietro di Riccardo dei Bianchi e lacobo di
Pietro di Giovanni, ambasciatori del Comune di Roma e del se-
natore Brancaleone, avendone ricevuto incarico dai sindaci di
Terni e di. Narni, e per una deliberazione del consiglio generale
e speciale di Roma, pronunciano il seguente lodo, ordinando che
chiunque debba stare al loro giudizio sotto pena di 4,000 marche
d' argento :

1.9 Il sindaco del Comune di Terni restituisca a quello del
Comune di Narni le persone abitanti un tempo in Perticara, Ca-
stel dell’ Isola, Collescipoli e Rocca Carlea.

2.9 I Ternani distruggano la torre Alla Luce.

3.° Riempiano le forme scavate intorno alla chiesa di san
Valentino.

4.0 Reslituiscano tale chiesa al Comune di Narni.

9.9 Questo renda a quel di Terni o a cittadini ternani quanto
deve loro.

6.0 Le due città si mantengano quind' innanzi in pace.

Siffatto lodo può sembrare forse un poco troppo favorevole a
Narni, poichè a questa è concessa la chiesa di san Valentino,
donata a Terni da Onorio III, e da lei è data piena ragione delle
pretese su Perticara. Inoltre mentre i Ternani son costretti a re-
stituire le famiglie un tempo abitanti sul territorio di Narni, i
564 G. PARDI

Narnesi non vengono obbligati a far lo stesso delle persone abi-
tanti un tempo sul territorio di Terni.

Se noi avessimo tutti gli atti allegati dall’ una e dall’ altra
parte a difesa delle proprie ragioni, troveremmo forse giustissimo il
giudizio pronunciato dai rappresentanti di Brancaleone di Andalò
e del Comune di Roma; ma così può sembrare ad alcuno che il
Comune romano ed i suoi rappresentanti abbiano favorito i loro

antichi amici, i Narnesi, con i quali Roma aveva stretta una lega

nel 1242.

Pare perciò non stessero quieti del tutto i Ternani, ma la
cosa,fosse portata innanzi a Brancaleone, eletto capitano di po-
polo di Terni, ufficio che reggeva per mezzo di un vicario (atto
del 21 aprile 1258).

Per concludere intorno a questa pace, due documenti dell’ar-
chivio narnese in data del 1° decembre fanno conoscere come i
Narnesi concedessero a sei famiglie, anticamente loro suddite,
di rimanere a Terni, e delle altre fosse loro promessa la restitu-
zione dal sindaco e procuratore del Comune ternano, Paolo di Gio-
vanni di Gregorio.

DE

Dal 1285 al 1514 l'Angeloni ed il Sansi. non ricordano al-
cuna guerra avvenuta tra Terni e Narni. Tuttavia non e possibile
sia trascorso sì gran tempo senza che tra le due città sia sorta
qualche controversia. Ad esempio, nel 1277, il rettore generale
del Patrimonio ordinò ai Narnesi di far demolire la torre, da essi
cominciata ad edificare sulla sommità del monte delle Marmore.
E, ad onta-che egli appoggiasse il comando dato con l’esercito
di quei di Rieli, i Ternani dovettero ricorrere al pontefice, affinchè
confermasse la sentenza del rettore del Patrimonio ed obbligasse
i Narnesi a non fare altro tentativo sul monte delle Marmore
(archivio ternano, due pergamene del 10 agosto 1277 ed una senza
data, ma probabilmente dello stesso anno).

Ad ogni modo nel 1814 la guerra ferveva accanita tra Terni
e Narni, e la pace tra le due città fu fatta specialmente per l'in-
tromissione di Sciarra Colonna.

Il 29 luglio 1314, riunitisi sul territorio di Terni, nel luogo



LY

LEICA Lag e PER MS fs DUE PACI FRA TERNI E NARNI, ECC. - 565

detto Mentone, i sindaci di Rieti, Terni, Stroncone e Narni (poichè
Rieti fino dal 1277 — come prova una pergamena dell'archivio
ternano in data del 24 novembre di quest'anno — erasi stretta
in alleanza con Terni) conclusero una tregua di cinque anni a
nome delle rispettive comunità. I capitoli di questa pace furono
i seguenti:

1.0 Si reslituiscano i prigionieri da una parte e dall'altra,
senza alcun prezzo di riscatto.

2.9 Il monte di S. Angelo (presso le Marmore) e la rocca
edificatavi appartengano assolutamente al Comune di Terni; e
nessun uomo di Narni o di Miranda possa accedervi e molto
meno farvi qualche lavoro.

3.9 Se alcuno di Miranda ha qualche possesso nel piano
delle Marmore, al di qua o al di là della forma fatta scavare dai
Ternani, possa lavorarvi liberamente; ma la detta forma debba
rimanere nello stato in cui si trova.

4.9 I Narnesi possano lavorare.i terreni che hanno in quel
di Terni e raccoglierne i frutti; e lo stesso facciano i Ternani
per riguardo ai terreni che hanno su quel di Narni.

5.9 Gli abitanti di Stroncone e di Miranda possano recarsi
a Rieti, a Terni e a Narni senza alcun impedimento e lavorare
le terre da essi possedute in queste comunità.

6.° I fuorusciti narnesi possano rientrare nella loro città,
« secundum quod ordinatum est inter Sciarram de Columpna et
dnum Ofreducium » (Offreduccio era forse il podestà di Narni).

7.9 Durante la tregua, al ponte delle Marmore non si pa-
ghi alcun pedaggio nè da una parte nè dall’altra.

8.° In questa tregua sien compresi tutti i cittadini di Terni,
Narni, Rieti e Stroncone.

9.° La terra di Miranda con il castello rimanga al Comune
di Narni e nessun Reatino, Ternano o Stronconino vi possa en-
trare. Abbiano tuttavia permesso di sfruttare i possessi, che per
avventura conservino su quel di Miranda.

10.» Nessun Narnese abbia facoltà di entrare nel territorio
di Stroncone senza la volontà dei Comuni di Rieti e di Stroncone
medesimo.

11.» Sia concesso a quei di Miranda di rifare il molino,
che hanno alle falde del monte delle Marmore. Lo stesso facciano
566 G. PARDI

liberamente 1 Ternani per riguardo ad un loro molino posto si-
milmente alle falde del monte delle Marmore, e possano sfruttarlo
tanto essi quanto il Comune di Papigno (terra suddita a Terni e
situata in quei paraggi).

12.» I Reatini abbiano facoltà di lavorare le terre, che a
caso possiedano sul territorio narnese.

Questa tregua di cinque anni, che si mutò forse in una vera
e propria pace, non turbata per vario tempo, fu conclusa, come
abbiamo osservato, specialmente per l'intervento del famoso
Sciarra Colonna.

La famiglia Colonna, dice il Gregorovius, « aveva espiato la
fede ghibellina dimostrata al tempo di Federico 11 ....... con
avvilimento sofferto durante il periodo di restaurazione della si-
gnoria pontificia: fu solamente sulla fine del. secolo decimoterzo
che di nuovo emerse come potentissima delle famiglie di Roma,
per poi prendere il primo luogo nella città e ‘tenerlo per secoli ».
Nicolò Ill aveva per il primo restituito il favore ai Colonna per
contrapporli agli Annibaldi, e Nicolò IV aveva continuato ad innal-
zare questa celebre stirpe.

Li osteggiò grandemente Bonifacio VIII, che fulminò con-
tr'essi la scomunica e bandì una crociata finita con la presa del
loro forte castello di Palestrina. Ma si pentì forse di avere offeso
i Colonna quando il fiero Sciarra entrava in Anagni con Guglielmo
Nogaret, facendo soffrire al pontefice il famoso oltraggio.

Dopo la morte di Bonifacio VIII crebbe vie più la potenza di
quella famiglia, e Sciarra fu due volte senatore di Roma. Come
mai egli prese parte, intervenendo personalmente, alla tregua fra
Terni e Narni? Ciò si spiega per mezzo delle buone relazioni, che
passavano allora e passarono anche nei tempi posteriori, fra i
Ternani ed i Colonna, e che debbono essere cominciate nei primi
anni del secolo XIV.

Infatti i successori di Bonifacio VIII, contrariamente a lui,
protessero 1 Colonna. Ora, poichè Terni era slata quasi sempre
fedele ai pontefici e della protezione di questi si era valsa per
schermirsi contro i fieri Narnesi, è naturale divenisse amica an-
che ai Colonnesi, che le furono benevoli intercessori presso i papi.

Della devozione di Terni alla potente casa romana ci serbano
numerose prove l'Angeloni e gli atti delle Riformanze del Comune
DUE PACI FRA TERNI E NARNI, ECC. 561

lernano. Quegli, anzi (p. 240), si esprime a questo proposito in tal
modo: « Già si è veduto essere stata in quei tempi la città di
Terni assai congiunta di affezione con i signori della casa Colonna
e che vicendevoli officii di confidenza insieme passavano ».

Nel 1498 Fabrizio e Prospero Colonna richiedevano i Ternani
di danari, offrendosi « del continuo a tutti i.loro. piaceri paratis-
simi eon le robbe e le proprie persone ».

I] 9 gennaio 1522 Ascanio Colonna domanda aiuto a quei di
Terni, sperando che non mancheranno d’inviarglierlo « se lo pa-
trocinio et affettione de la bona memoria del signor nostro Padre
e di tutta Casa mia vi è stato per aleun tempo commodo et utile ».

Ai 23 dello stesso mese il cardinal Pompeo chiede il soccorso:
di 200 nomini da mandarsi il più celermente possibile. Il consi-
glio della città delibera di investire otto persone dell'autorità di
trar denari da qualunque introito del Comune, di impegnarlo o di -
venderlo od anche, se fosse necessario, di mettere qualche nuova
imposta, per poter degnamente ottemperare al desiderio di quelli
di casa Colonna (1). :

La devozione di Terni ai Colonna era stata cagionala dai nu-
merosi benefizi ottenuti da questa famiglia.

Nel 1314 abbiamo visto Sciarra far concludere una tregua
vantaggiosa a Terni. Quando questa città volle ottenere qualche
grazia dai pontefici ebbe spesso come potenti intercessori per lei
i-Colonnesi. Nel decembre del 1494 Giovanna di Reieux conce-
deva ai Ternani, perchè amici di questa famiglia, importanti pri-
vilegi. Nel 1513 Marcantonio Colonna veniva a porre la pace fra
Terni e Rieti. Infine molti cittadini di quella città furono ai ser-

(1) Arch. di Terni, Rif. n. 513, c. 6 t. « Nobilis vir Franciscus de Zaffinis, unus. ex
dictis consiliariis, dixit et consuluit quod, auctoritate presentis Consilii arenghe, eli-
gantur quatuor cives et quatuor banderarii more solito eligendi: qui habeant aucto-
ritatem, quantam habet presens arenga, qui habeant eligere tot homines quot eis
videbuntur pro dicta impresa; et qui habeant auctoritatem precipere hominibus mic-
tendis et etiam imponere penas et facere exigi; et habeant auctoritatem, quantam habet
presens arengha, extraendi pecunias ex quocunque introitu Comunis et vendere et
alienare et concedere omnes introitus et bona ipsius comunitatis; et, si opus esset,
etiam. possint imponere dativam. pro sufficientia pro tali re. et impresa; et quod re-
scribatur grate illustrissimo, dno Ascanio et quod etiam notificetur oratoribus nostris
Rome ».

Poco dopo (5 febbraio) Pompeo Colonna era nominato governatore di Terni. Ne-
gli atti delle Riformanze del 1522 si conservano molte lettere di lui,
568 G. PARDI

vigi.dei Colonna e divennero luogotenenti loro, quali Perotto da
Terni, Accursio Simonetli, Sertorio Pacifici, capitano del principe
Fabrizio, e Marcantonio Simonetti, nominato da Ascanio, duca di
Tagliacozzo, governatore generale de’ suoi stali.

Ho voluto studiare su documenti inediti la pace del 1258 fra
Terni e Narni e la tregua del 1314; perchè ad esse prendono
parte due uomini celebri nelle vicende turbolente del Comune di
Roma: uno dei più saggi, vigorosi e potenti senalori dell’ eterna
città, Brancaleone di Andalò, e Sciarra Colonna, il fiero nemico di
Bonifacio VIII.

Orvieto, luglio '95.

PARDI.
: ER Sasa MIT a ite mt AL Psa X aw — 3
fiiv: * pi 3
DUE PACI FRA TERNI E NARNI, ECC. 25 D09

DOCUMENTI

Ni I. 1258 aprile 1.
1 In nomine dni, amen. Anno dni MCCLVIIT, tempore dni Alexandri

)ape quarti, indietione prima, die kalendarum aprilis. Dnus Marcho
! 9 9

tapezzi syndicus, actor et procurator Comunis Narnie, ut publico ap-

parét instromento scripto manu Oddonis Tornaboni notarii civitatis
5 Narnie ibidem viso et lecto, nomine et vice Comunis Narnie et pro
ipso Comuni ex una parte, et dnus Iohannes Guidi Machabei syn-
dieus, actor et procurator Comunis Interampne; sicut apparet instro-
mento seripto manu Anastasii lohannis notarii infrascripti de Inte-
rampne, nomine et vice ipsius Comunis Interampne et pro ipso Comuni
‘I 10 ex parte altera, promiserunt et conpromiserunt in dnum. Branca-
leonem de Antalò senatorem Rome et in Comune Rome et in dnum
Petrum Riccardi de Blancis et dnum Iacobum dni Petri de Ylperinis
ambaxiatores eiusdem dni Senatoris et Comunis Rome, et pro ipso
dno senatori et Comuni Rome recipientes, de omnibus litibus et que-
15 stionibus et scretiis et guerra, que sunt vel esse possunt inter Comune
Narnie ex una parte et Comune Interampne ex parte altera quocunque
modo et eausa tamquam in arbitrios et arbitrationes et amicabiles
conpositiones ab eisdem Comunibus et eorum syndicis comuniter
electos.
20 Et speciali nomine et occasione familiarum castri Perticarie, Rocce
Carlei, castri Insule et castri Collis Scipionis episcopatus et districtus

Narnie; quos Interampnenses receptaruut in eorum terram et terri-

torium et quas Comune Narnie et Narnienses repetunt cum omnibus

iuribus et condietionibus ad ipsos spectantibus. Item nomine et occa-

95 sione formarum sine fovearum vel cavarum quas dieti Interampnenses

) fecerunt et quas Narnienses destrui et repleri petunt. Item nomine

et occasione turris, seu edificii quod vulgariter vocatur Lucce, quam
Interampnenses eonstruxerunt in aspectu et facie Narnie et quam

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AURA ECRIRE i RW. x : "Y
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40.

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G. PARDI

Narnienses petunt destrui et guastari. Item nomine et occasione de-
nariorum sive debitorum quos et que Comune Interampne et speciales
persone dicte terre tenentur dare et Comuni Narnie et specialibus
personis dicte terre et districtus et episcopatus sui. Item nomine et
occasione eius de quo Comune Narnie et Narnienses a Comuni Inte-
rampne et Interampnensibus sibi caveri petunt, ut de cetero Co-
mune Interampne et Interampnenses non recipiant aliquam familiam
civitatis et districtus Narnie, nisi aliquem exbannitum seu exbannien-
dum de civitate Narnie et eius districtus, in Interampnam et eius
distrietum. Et nomine et occasione tenimentorum terrarum Rocce
Carlei et Perticarie et ecclesie sancti Valentini, que Narnienses di-
cunt et contendunt pro eis remaneant libera et absoluta. Item nomine
et occasione pontis et edificii facti in ponte, que et quod Interamp-
nenses predicti construxerunt et edificarunt vel edificari fecerunt in
Narico flumine sive super Naricum flumen ab illa parte versus Per-
ticariam et castrorum Oollisscipionis, videlicet a castro Papingne
usque ad sanctum Iohannem in campum. Et nomine et occasione
omnium eorum que Interampnenses fecerunt, construxerunt, edifica-
runt vel ordinarunt super dicto flumine, a dicto flumine citra versus
Perticariam infra dictos fines, scilicet: a castro Papingne usque in
sanetum Iohannem in.campum, que facere, construere et hedificare
non potuerunt neque debuerunt secundum formam paeis et proposi-
tionis facte quondam inter Comune Narnie et Comune Interampne
et secundum sollempnem promissionem: et obligationem, quam Inte-
ramnenses fecerunt et iuraverunt Narnie, sicut patet publice in in-
stromento seripto manu Crescentii iudicis et notarii interampnensis
infra civitatem Interampne; et propterea Narnienses intendunt et
procurant quod predieta omnia destruhantur, et quod forma et tenor
prefate. pacis et conpositionis et dicti publici instromenti et omnium
aliorum instromentorum publicorum, que Comune Narnie habet ad-
versus Comune Interampne, que introducentur suo loco et. tempore
Comuni Narnie et Narniensibus, inviolabiliter et secundum diminu-
tionem servent, salvo iure pecunie centum librarum auri, quam In-
terampnenses solvere. promiserunt. Item nomine et occasione omnium
eorum que Comune Narnie et Narnienses petere possent adversus
Comune Interampne et Interámpnenses secundum formam. et tenorem
instromentorum, que Comune Narnie habet adversus Interampnam
et que suo loco et tempore producentur. Et nomine et occasione
quarumcunque aliarum rerum vel faetorum vel petitionum ex pre-

dietis causis vel aliis quibuscunque forma et modo Comune Narnie

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N.

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DUE PACI FRA TERNI E NARNI, ECC. DII

et Narnienses petere vel dicere vellent vel possent adversus Comune
Interampne et Interampnenses. :

Et spetiali nomine et occasione turris, cassari seu edificii Perticarie,
quod Comune Narnie fecit vel fieri fecit seu edificatum tenet in ter-
reno seu solo Comunis Interampne, vel specialium [personarum] ipsius,
post prohibitionem seu denuntiationem factam per iactum lapillorum,
quod petit syndicus Interampne destrui et sibi restitui. Item oc-
'asione iniuriarum illatarum et dampnorum datorum a Comuni
Narnie et. Narniensibus Comuni Interampne et Interampnensibus,
que petit syndieus Interampne emendari vel’ intere prestari ete.
que suo loco et.tempore extimabuntur. Item et occasione homi-
num habitantium Narnie et comitatu Narnie, qui promiserunt esse
perpetuo cives et habitatores Comunis Interampne et fuerunt cives
et habitatores predicti Comunis Interampne, quos petit svndicus Co-
munis Interampne cogi ad ipsam promissionem observandam. Item
nomine et occasione quarumeunque aliarum rerum vel factorum vel
petitionum que ex predictis causis vel aliis quibuscunque ex qua-
cunque causa et forma, condictione et modo Comune Interampne
vel Interampnenses petere vel dicere vellent adversus Comune Nar-
nie vel Narnienses.

Promietentes dieti syndici ad invicem et alter alteri nomine sui
Jomunis etc. stare ac hobedire omni laudo et arbitrio et arbitra-
mento quod predictus dnus senator et Comune Rome per se vel per
supradietos ambaxiatores eorum vel per quoslibet alios prout eis
placuerit et voluerint, laudaverint seu arbitrati fuerint ete.

II. 1258 aprile 18.

Essendo questa pergamena molto malandata, mi accontenterò

riassumerne il contenuto:

Ad onore di dio eec. e di Brancaleone illustre senatore di Roma.
A noi Pietro di Riccardo dei Bianchi e Iacobo di Pietro di Giovanni,
ambasciatori del senatore Brancaleone e del Comune romano, fu data
facoltà, dal sindaco e dal Comune di Terni da un lato e dal sindaco
e dal Comune di Narni dall’ altro di trattare delle liti, discordie ecc.
che vertono tra le due città. Inoltre è stata a noi concessa, « per
reformationem Consilii specialis et generalis diete alme Urbis [Rome|

»
e per incarico dei rappresentanti dei due Comuni, di pronunciare un
lodo od arbitrato su queste liti e discordie, a nome del senatore Bran-

caleone e del Comune di Roma. Noi pertanto ordiniamo.che chiunque
5(2

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15

G. PARDI

debba stare al seguente nostro giudizio sotto pena di 4,000 marche
d' argento.

1.? Il sindaco del Comune di Terni restituisea a quello del Co-
mune di Narni « omnes et singulos homines et familias et massa-
ritias, qui et que habitarunt in castro Perticarie », come pure gli
uomini e le eose appartenuti un tempo al Castel dell'Isola, al ea-
stello di Colle Scipione e a Rocca Carlea, liberando le suddette per-
sone da ogni promessa fatta al Comune di Terni, eccetto quelle le
quali da dieci od otto anni abitassero nella città o distretto ternano.

2." Distruggano i Ternani la torre chiamata Ala Luce edificata
al tempo della guerra tra i due Comuni.

5.° Facciano riempire le forme scavate intorno alla chiesa di
S. Valentino dalla parte di sopra e di sotto.

4.° Rimettano la chiesa di S. Valentino al Comune di Narni.

5." Riempano la forma che, passando per Cassarello, porta l'acqua
al fiume Nera.

6." I Narnesi rendano al Comune di Terni e alle. singole per-
sone di questo quanto é loro dovuto dal Comune narnese e dalle sin-
gole persone di esso, come appare da istrumenti pubblici.

(.° Le due città non facciano guerra, ma si mantengano in pa-
cifico ed amichevole stato.

III. 1258 aprile 21.

In nomine dni, amen. Anno dni MCCLVIII, tempore dni Alexandri

pape quarti, indietione prima, die X exeuntis aprilis. Congregato

Consilio spetiali et generali Interampne et ipsi Consilio aditis, more -

solito, voce preconum, ad sonum campane et tube, in palatio dni
pape, totum ipsum Consilium, nullo contradicente, una cum Sepo-
liuzzio Vicario principis senatorum, Brancaleonis comitis Antalonis ca-

pitanei Interampne, fecerunt, constituerunt, creaverunt et ordinaverunt

Paulum Iohannis Boni presentem et suscipientem syndicum, actorem

et procuratorem Comunis Interampne ad omnes lites, causas, que-
stionesque presentes et futuras quas Comune Interampne habet vel
habere sperat eum Comuni Narnie; et eius persona legitima et spe-
tiali ad causas et lites — quas dictum Comune Interampne habet
vel habere sperat, aut in futurum habebit occasione cuiusdam arbitrii
seu laudi (si laudum vel arbitrium dici potest) lati et dati pro dicto
Comuni Narnie contra dietum Comune Interampne per dnum Pie-
rum Riccardi et Iacobum Petri Iohannis Ilperini — et generali
ad omnes causas, lites et questiones quas dictum Comune Inte-
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N.

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=

DUE PACI FRA TERNI E NARNI, ECC. i 519

rampne nune habet, vel habere sperat aut in futurum habebit cum
Comuni Narnie antediete et cum qualibet alia persona et loco,
tam in curia sanctissimi senatus et nobilis viri dni Brancaleonis,
dei gratia alme Urbis illustris senatoris, quam in omni et alia
curia et coram quolibet alio iudice vel auditore, ad agendum, pro-
cedendum, respondendum, excipiendum, litigandum et defendendum
et etiam ad integram restitutionem procedendum, si expedierit vel
necesse fuerit vel oceurrerit, tam in preteritis quam futuris, et ad
omnia et singula facienda que in predietis causis, rebus et negotiis
necesse fuerint vel expedierint faciendum: ita quod quiequid et omne
pro dietis et eorum occasione per dictum syndicum factum fuerit et
actum predietum Consilium et dietus Vicarius pro dieto Comuni
Interampne ratum et firmum habere promiserunt sub obligatione bo- .
norum Comunis Interamne. Actum in dicto palatio prope dno Mactheo
Berarduzzii ete.

IV, 1258 maggio I.

In nomine dni, amen. Anno dni MCCLVIII tempore -dni Alexan-
dri pape quarti, indictione prima, die kalendarum madii. Congregato
Consilio spetiali et generali Interampne, more solito, voce preconum et
tube et ad sonum campane, totum ipsum Consilium, nullo contra-
dicente, una eum dno Lupicino capitaneo et rectore civitatis predicte,
et ipse capitaneus insimul eum ipso Consilio, fecerunt, constituerunt
et ereaverunt Paulum Ioannis Boni, licet absentem, eorum et dicti
couslii syndicum, actorem et procuratorem nomine Comunis eiusdem
super litibus, causis, questionibus et discordiis, que vertuntur vel
verti possunt inter Comune Interampne ex una parte et Comune Narnie
ex altera, et spetiali super laudis seu arbitramentis et arbitratibus
inter Comunia antedieta factis saltem de facto vel alio quocunque
modo per Petrum Riccardi et Iacobum Petri Iohannis Ilperini, tam in
curia magnifici viri dni Brancaleonis, dei gratia alme Urbis. illustris
senatoris et coram eo, quam eum quolibet alio auditore vel iudice
ete. etc.

V. 1258 decembre. 1.

In nomine, dni amen. Hoc est exemplum cuiusdam instrumenti
publici seripti manu Oddonis Tornamboni notarii, cuius. tenor cum

die et consule talis est.
DIA G. PARDI

In Christi nomine, anno eiusdem natitavis MCCLVIII pontificatus
Alexandri pape quarti et tempore dominatus dni Petri de Vico nar-
9 niensis potestatis, mense decembris die kalendarum indictione II, in
presentia mei Oddonis Tornamboni notarii et testium subscriptorum
ad hee vocatorum et rogatorum dnus Phylippus venerabilis pater epi-
scopus interampnensis et Paulus Iohannis Gregorii syndicus eiusdem
civitatis Comunis interampnensis ex una parte et Petrus de Vico nar-
10 niensis potestas et Nicolaus Romany syndicus eiusdem Comunis Nar-
nie ex altera parte, de ipsorum plena et bona. voluntate aeceptaverunt
et in eis sunt contenti pro parte qualibet et quilibet pro sua parte quod
subscripti homines seu familie VI tantum possint remanere apud
Interamnem ad habitandum secundum formam arbitrii pronuneiati
. 15 inter dieta Comunia et promissionis de novo facte, videlicet medietas
filiorum laycorum Ioannis Mannassei, Petrus Filippi, Andreonus Massei
Henriei, Petrinianus Somei Castalli, Somaronus Nicole Leonardi, Nico-
leeta Petri Lei, que vocatur Malitia. Acta sunt hec in plano sancti Va-
lentini et Collis Lazzarelli. Nos Ufredutius de Miranda, Bertuldus dni
20 Bertuldi, Nicolaus Rainaldi Leonis, Marcho Rapezzi, Guido Bartholo-
mei, Ioannes Cardarelli, Berallus Rainaldi Oddonis, Paulus Ioannis
xainaldi et Rainaldus Andree Rubuoni de Reate huius rei rogati
testés sumus.
Ego Oddo Tornamboni etc.

La copia di quesl’atto- fu redatta dal notaro Arcangelo di
maestro Giovanni, a pelizione del sindaco del Comune di Narni
« Iannutius Guidi », per decreto ed autorità del potestà Giacomo
« de Civitellis » e del giudice del popolo Alessandro di Bevagna
e dei giudici ordinari Giovanni Bartolomeo Rusticelli e Francesco

di Guittone nel 1283, decembre 4.

N. VI. 1258 decembre 1.
1 In nomine dni, amen. Hoc est ete.

In Christi nomine, anno eiusdem. nativitatis MCCLVIII pontificatu
dni Alexandri pape quarti et tempore dominatus dni Petri de Vico
narniensis potestatis, mense decembris die kalendarum indictione II.
In presentia mei Oddonis Tornamboni notarii et testium subscripto-

9 rum ad hec specialiter vocatorum et rogatorum et aliorum virorum

——— - & —

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N
AN.

DUE PACI FRA TERNI-E NARNI, ECC. DI:

quam plurium. Magister Paulus Iohannis Gregorii de. Interampne
syndicus Comunis interampnensis factus, constitütus, creatus et ordi-
natus per instrumentum publicum manu Nicolai Note notarii de In-
terampne scriptum, representans sua propria bona voluntate, nomine
et vice ipsius Comunis interampnensis et pro ipso Comuni, promisit Ni-
colao Romani seyndico Comunis narniensis faeto, creato et ordinato per
istrumentum manu Oddonis Tornamboni notarií scriptum representanti
nomine et vice dieti Comunis narniensis et pro Comuni recipienti
reddere et restituere eidem scyndico narniensi omnes et singulos
homines et familias et massaritias, qui et que habitaverunt in Castro
Pertiearie et inde fuerunt et de Castro Insule et de Castro Collissci-
pionis et de Rocca Carlei et de aliis locis comitatus et districtus nar-
niensis, quos Comune Interampne recepit ad habitandum in Inte-
rampne a XVIII annis ante preteritis, vel qui illue iverunt ad ha-
bitandum, et si non restitueret et redderet vel si ipse familie et homines
non redirent, promisit idem scyndicus Interampne dicto seyndico
Narnie se facturum et curaturum ita quod Interampne et Comune
interampnense licentiabit et exbandiet eas decivitate et districtu Inte-
rampne et eos et eas de cetero non receptabit nec dabit auxilium,
consilium et favorem neque iuvamentum contra Comune Narnie et
Narnienses et ipsas ab ipsis Narniensibus et Comune Narniensium
et contra eas aliquo tempore non defendent, tenendo eos pro exban-
ditis, exceptis hiis familiis vel hominibus qui et que possint rema-
nere in Interampne et qui et que servire de hiis possint, que habent
in comitatu et districtu Narnie, Comuni. Narnie, ut alii comitatenses
dieto Comuni Narnie serviunt, et quod eorum tenimenta et possessiones
que et quas habent in comitatu et distrietu Narnie, sint sub iurisdi-
ctione Comunis Narnie et Narniensum. Idem seyndicus interampnensis
pro ipso Comuni Interampne dieto seyndico Narnie pro dicto Comuni
recipienti omnia et singula actendere et observare promisit et in nullo
contra facere aliquo tempore vel. venire sub pena quatuor millium
marcharum boni et puri argenti, quam penam in s'gulis capitulis
supradictis si contra fecerit vel venerit dicto seyndico Narnie solvere
promisit et dare et, ea soluta vel non, predicta omnia et singula
perpetuo sint rata et firma. Quod scribere rogatus in palatio inter
rivum saneti Valentini et Collem Lazzarelli. Nos Ufredutiuis de Mi-
randa. ete. ete. (Come nel precedente istrumento).

VII. 1314 luglio 29.

| In nomine dni, amen, Anno dni M.? CCC.? quartodecimo, indic-
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MÀ À——MT t À M ———À

G. PARDI

tione duodecima, apostolica Sede pastore vacante per mortem dni
Clementis pape quinti, die vicesimonona mensis iulii. Hoc quidem
tempore dnus Raynaldus de Malglano de Reate scindieus et procu-
rator Consilii et populi. reatini scindieario et procuratorio nomine
dieti Comunis Reate, ut constat manu Iacobi Nicole de Reate notarii,
Franciscus Iohannutii de Interampne scindicus et procurator pote-
statis, Consilii et Comunis civitatis Interampne scindicario et procu-
ratorio nomine dieti Comunis Interampne, ut constat manu Leonardi
Naldi de Orto notarii, et Iohannes Iacobutii Ranmictini de Stron-
chono scindicus et procurator universitatis et procuratorio nomine
dieti eastri, ut constat manu Angeli Petri Rubenis de Stronchono
notarii ex una parte, et dnus Bartolus prioris de Narnia scindicus
et procurator potestatis, capitanei, Consilii et Comunis civitatis
Narnie, ut constat pubblico instromento manu lohannis de Narnia
notarii ex altera parte, bonis eorum voluntatibus comuniter et inter
se et ad invicem fecerunt et innigerunt (sic) treguam, super guerra
habita inter eos, pro quinque annis proxime venturis duraturam
cum observatione articulorum infrascriptorum. Quam treguam et
quos articulos et in eis contenta promiserunt predicte partes et
scindici ad invicem inter se et una pars alteri stipulationi sollempni
hine ad dictum tempus etc. observare.

Quorum articulorum tenor talis est.

Imprimis quod tregua fiat inter dicta Comunia pro quinque annis
proxime venturis.

Item quod captivi hine inde ex utraque parte relaxentur libere
at absolute et restituantur plene et libere pristine libertati sine aliqua
pecunia vel rei datione et sine aliquo alio onere. Item quod mons
sancti Angeli et Rocha edificata in ipso monte prout pendet dictus
mons usque in planum remaneant liberi et absoluti Comuni Inte-
rampne tregua durante predieta, nullus Narniensis vel Mirandensis
neque alius comitatensis Comunis Narnie accedat ad ipsum montem
neque ipso monte utatur neque in ipso monte aliquod laboritium
faeiat sine voluntates Comunis Interampne.

Item quod si homines de Miranda in plano Marmorum habent
aliquas- possessiones ultra vel citra formam factam per Comune In-
terampne in ipso plano possint laborare ipsas ut ante, et dieta forma
in:suo robore permanente et statu, tregua predicta durante.

Item, quod Narnienses et eorum comitatini possint laborare terras
eorum quas habent in territorio interampnensi et fructus ex eis per-
cipere sicut faciebant ante tempus presentis brige incepte, excepto

quam in monte saneti Angeli, ut superius est expressum. Et versa 60

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80

DUE PACI FRA TERNI E NARNI, ECC. 5t

vice Interampnenses et eorum comitatini possint laborare terras
eorum quas habent in territorio narniensi et euis comitatu et .dio-
cesi, durante tregua predicta, et fructus percipere.

Item quod homines et mulieres de Stronchonio possint et eis liceat
ire et redire Reate, Narniam et ad Interampnam per eorum distri-
ctum et comitatum et alibi undecunque libere. et secure cum rebus
eorum, cum: salmis et sine salmis absque novo et inusitato pedagio
vel malatolta; sed transeant cum pedagio solvendo, prout colligi
pedagium consuevit ante tempus presentis brige. Et quod terras et
possessiones eorum ubicunque habent possint eas laborare et fructus
percipere, tregua predicta duranté. Et versa vice illud idem intelliga-
tur de hominibus de Miranda quod possint ire Reate, Narniam et ad
Interampnem per eorum districtum et alibi undecumque et terras labo-
rare libere ad secure excepto quam in monte sancti Angeli, ut supra
est expressum de ipso monte.

Item quod exititii narnienses reintrent et recipiantur in civitatem
Narnie secundum quod ordinatum est inter Sciarram de Columpna
et dnum Ofreducium.

Item quod in. ponte Marmorum et eius occasione nullum pedagium
accipiatur, dieta tregua durante, ab aliqua parte.

Item quod in dieta tregua veniant omnes cives interampnenses,
reatini et stronchonini, ita tamen quod per hoe capitulum et verba
in eo contenta non intelligatur aliqua tregua facta inter spe-
tiales personas civitatis Narnie et spetiales personas civitatis Reate,
Interampne et Stronchoni nec intelligatur tregua rupta si spetiales
persone aliquam offensam fecerint contra spetialem personam.

Item quod castrum et rocha Mirande cum territorio et tenuta
eius, tregua durante predicta, remaneant Comuni Narnie libera et
absoluta, et quod nullus Reatinus, Interampnensis vel Stronconinus
intrent castrum et Rocham Mirande, vel circa menia dicti castri ‘
Mirande sine voluntate Comunis Narnie, salvo quod Reatini, Inte-
‘ampnenses et Stronchonini possint et eis liceat uti et frui posses-
sionibus quas habent in tenuta castri Mirande et eas alienare quatenus
eis de iure liceat et licebat ante tempus mote bri[g]e presentis. Et
quod per hoc capitulum vel aliqua alia verba spetialia vel gene-
ralia super vel infra posita non preiudicetur vel aliquod preiudicium
fiat vel [veniat?] capitulo quod loquitur de rocha et: monte saneti
Angeli et de forma nova faeta per Comune Interampne in plano
Marmorum et de pedagio predietis (sic). Et salvo quod ille vel illi
cives interampnenses possint ire ad dictum castrum. ad petendum
et consequendum, coram rectore, qui pro tempore fuerit in ipso
en
-L
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G. PARDI

castro. Et versa vice nullus eivis narniensis comitatinusque possit in-
trare castrum Stronchoni sine voluntate Comunis Reate et Comunis
Stronchoni, nisi causa prosequendi iura eorum coram rectore, qui
pro tempore fuerit in dicto castro. Et vice versa nullus de Stron-
chono possit entrare aliquod castrum seu rocham de comitatu civi-
tatis Narnie, sine voluntate Comunis Narnie. Liceat tamen civibus
et comitatensibus narniensibus laborare et fruetare terras eorum
quas habent in territorio et tenuta dicti castri Stronchoni.

Item quod liceat hominibus de Miranda reparare et reficere molen-
dinum et formam molendini situm in pede Marmorum et eo uti sieut
aetenus habuerunt; et simili modo liceat Comuni Interampne repa-
rare reliquum molendinum et formam molendini situm in pede Mar-
morum et eo uti ipsi Interampnenses vel Comune Papinee.

Item quod liceat civibus Reatinis laborare et fructare terras, si

quas habent in territorio narniensi.

Actum in territorio Interampne, in vocabolo Mentoni in campo Io-
hannutii Anmandati, presentibus magnifico viro Sciarra de Colum-
pna, dno Oedone de Palonmario, dno Casaleta de Frabiano potes-
tate civitatis Interampne, dno 'Thomasso de Secenario de Reate,
dno Anestasio Andree de Interampne, Iohanne dni Thomassi de
Reate, dno Iohanne Paradisi, dno Paulo Petri dni Iohannis de In-
terampne, dno Bertullo Iacobi, dno Fustino dni Iohannis, dno Petro
Marginate de Narnia, Benedicto Legule. et Mizzano Ocdonis de
Stronchono et dno Egidio de sancto Genmino et Angelicto Fidancie

de Reate et aliis pluribus testibus ad predicta vocatis et rogatis.
Ego Petrutius Thomassoni de Interampna imperiali auctoritate

notarius predictis omnibus et singulis interfui et rogatus fui. sic

scribere, seripsi et publicavi.

LL Ó——J»X«—————

mendo demam ce —À x de epe Roe Va

219

RELAZIONI DI AMELIA

CON IL COMUNE DI ROMA ED | NOBILI ROMANI

Amelia, cittadella bellissima per posizione pittoresca e sel-
vaggia, attorno a cui valloncelli ben coltivati e fecondi e popolati
di olivi sorridono tra la cupezza dei fitti boschi di elci, cittadella
notevole per la sua antichità, comprovataci dagli avanzi famosi di
mura umbre ed etrusche, è rimasta quasi tagliata fuori dalla
vita moderna d’Italia per la sua lontananza dalla ferrovia. Ed è
restata perciò estranea anche al movimento scientifico, al risveglio,
sopratutto, degli studi storici, i quali cercano d' illustrare ogni più
nascosto angolo di terra, che abbia un passato non indegno di
essere conosciuto.

Quantunque Amelia possegga un archivio abbastanza ricco,
dal quale si potrebbe ricostruire la storia della città dalla seconda
mélà del secolo XIII fino ai nostri giorni, mentre il periodo più
antico è sufficientemente rischiarato da numerose iscrizioni e da
avanzi archeologici grandiosi; quantunque essa vanti uomini il-
lustri, quali, nell'epoca romana, Sesto Roscio Amerino e, sul
principiar dell'epoca moderna, Angelo ed Alessandro Geraldini
confortatori e sostenitori di Cristoforo Colombo in Ispagna : tuttavia
non v'è quasi città, delle cui vicende si sappia tanto poco. Le
pergamene dell'archivio amerino, accatastate le une sull'altre alla
rinfusa, sono in parte corrose dall'umidità o guaste per l' incuria.

Tra le vicende medioevali di Amelia non son prive di inte-
resse le sue relazioni con Roma.

ll Gregorovius, il quale dà pur tante e preziose notizie su
moltissime città umbre, non. parla di questa se non accidental-
mente in una nota (l. XI, S 1), dicendo come « le Memorie di
me e

H

80 G. PARDI

et

Todi (mscr.) di LucaLBeRTO PeTTI informino che i Romani nel
di 1e agosto 1507 sottomisero Amelia ».

E questa sollomissione (la quale veramente non so se sia
proprio avvenuta il 1° di agosto del 1307, ma che vari indizi fanno

precisamente risalire ai primi anni del secolo XIV) ci è compro-

vata da un documento dell’ archivio amerino, copia dell’ originale
smarritosi fatta nella seconda metà del Trecento. Disgraziatamente
quest'atto abbastanza degno di essere conosciuto manca della data
ed è alquanto scorretto (doc. n. lI).

Per mezzo di esso il popolo di Amelia dà la: signoria piena
ed assoluta della ‘città al sacro popolo romano. Affinchè poi a
questo dominio non sieno d'impedimento i reggitori del Comune,
specialmente i podestà, conferisce l’ autorità di nominarli al se-
nato ed al popolo romano, facendo rinunciare il podestà ed il ca-
pitano d’ allora, messer Ugolino (forse della famiglia d’ Alviano)
e messer Carlo, alle loro respettive cariche.

I podestà amerini adunque dovevano essere eletti dal Comune
romano prima del tempo di entrare in carica e venire in Amelia
tre giorni innanzi, duravano in ufficio sei mesi con il salario di
700 lire cortonesi ed erano tenuti ad amministrar la giustizia, a
rispeltare gli statuti e a render ragione del loro. operato, ecc.

Il Comune di Roma, in contracambio della sottomissione piena
ed illimitata della città di Amelia, doveva difenderne ed aiutarne
gli abitanti e perdonare a quelli che gli si erano per | innanzi
ribellati, cassando i processi fatti contro di loro. In questo per-
dono dovevano essere compresi anche alcuni dei signori della vi-
cina terra d’ Alviano, i quali probabilmente avevano prestato man
forte agli Amerini, nella ribellione qui casualmente ricordata,
contro il popolo. romano.

Nell' archivio del Comune di Amelia si trova copia di una
deliberazione presa dal popolo di Roma il 390 maggio 1387 sul
Campidoglio (doc. n. II); nella quale esso stabilisce di perdo-
nare ai nobili, alle comunità, ai castelli, alle terre ecc. ribel-
latisi e condannati dalla curia capitolina. Non si capirebbe perchè

questo atto dovesse rinvenirsi ad Amelia, se gli Amerini pure non

fossero stati tra i ribelli. Ma la ribellione accennata nel primo
documento dev'essere di gran lunga anteriore e risalire ai primi
anni del secolo XIV..

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RELAZIONI DI AMELIA, ECC. 581

Pare, del resto, non fossero infrequenti queste ribellioni degli
Amerini ai Romani, come ci attesta una pergamena. del 4 lu-
glio 1321 (doc. n. III). Dalla quale apprendiamo che Anni-
baldo Annibaldi e Riccardo Orsini, a nome del senato di Roma;
perdonano a quei di Amelia gli eccessi commessi e condonano
loro la multa, che avrebbero dovuto pagare alla. Camera dell’ e-
terna città.

Il dominio dei Romani su Amelia, cominciato intorno al 1307,
se non prima, dev essere durato a lungo. Perciò vi debbono es- .
sere slate tra quelli e questa frequenti relazioni, delle quali tro-
viamo scarse traccie nelle pergamene dell’archivo amerino e negli
atti delle Riformanze. Nel 1° volume di queste (anni 1326-30)
leggesi una deliberazione del 22 luglio 1327, per la quale si sta-
bilisce di mandare 200 lire cortonesi alla curia romana « ad re-
colligendas quasdam scripluras factas in servitium antedicti Co-
munis [Amelie] ». 1! 15 aprile 1328 si delibera di inviare un'am-
basciata a Roma. Ed il giorno 25 dello stesso mese s'incarica
un lale di Narni di portare 1,906 lire cortonesi alla curia romana.

Tra gli aiuti prestati dal Comune di Roma a quello di Amelia,

è ricordato l'appoggio datogli per tener sottomesso il forte ca-
stello di Porchiano, posto sur un colle a pochi chilometri. dalla
città, di. fronte a Lugnano. Di questo è accennato nel documento
n. I. Ma la cosa è dichiarata meglio in una pergamena del 1318
(non si legge il mese ed il giorno perchè la pergamena è cor-
rosa), nella quale son contenuti 1 capitoli tra Amelia e Porchiano.

Fanno forse capire le relazioni tra Roma' e gli Amerini le
formule stesse dei notari loro, i quali si firmano sempre: « Ego ..... .
alme Urbis prefecti auctoritate notarius ».

Dovendo, come si è visto, nominare il Comune di Roma i
podestà di Amelia, vi mandava quasi sempre dei nobili romani.
Nel 1313 vi troviamo ad esercitare tal carica « Guido Pandulphi
de Urbe » (arch. d’Am., perg. del 1313, febbraio 5). Nel 1314
(perg. del 1314, ottobre 28) è podestà amerino « lohannes Pan-
taleonis de Urbe ». Nel 1316 lo fu « Petrus Nicolay Petruccioli de
Urbe ». Al suo tempo venne fatta una divisione di beni tra i fra-
telli Ildebrandino; Riccardo e Annibaldo, figli di Giacomo di Ric-
cardo degli Annibaldi di Roma. L’atto pubblico ne fu rogato il

28 aprile 1316 nella sala del palazzo del Comune di Amelia, dal
582 G. PARDI

notaro amerino Donadeo dei Buzacelli « mandato et auctoritate
sapientis et discreti viri Petri Nicolay Petruccioli de Urbe hono-
rabilis potestatis civitatis Amelie ». A Ildebrandino fu assegnata,
per sua parte, il castel di Canale, a Riecardo e ad Annibaldo il
castel di Lacoscelli e la Rocca delle Cave — « castrum Laco-
scelli et Rocca de Cavis diocesis prenestine » —, oltre alla casa
che avevano in Roma.

Nel 1324 ‘era podestà di Amelia « Stephanus de Toseplis de
Urbe » (perg. del 1324, aprile 11) ; nel 1325 « Iordanus dni Mac-
thie Riccardi de Urbe » (perg. del 1325, settembre 3, 4 e 5) ; nel
1327 « Egidius lannis Macthei de Urbe » (Rif. del 1327, aprile 15).
« lacquintellus Pantaleonis de Urbe » resse pure la podesteria
amerina, ma non si sa in che anno, perché la pergamena ricor-
dante il suo nome è tutta corrosa (MCCC ..... sellembre 19).

Anche nel secolo XV trovansi i seguenti nomi di persone
romane tra le carte del Comune amerino, secondo notizie favori-
temi dal colto signor Edimberto Rosa:

Anno 1437. Paulus Nutii Velli civis romanus, potesías.

1
1458. Dominicus Christophori, civis romanus, potestas.
» 1453. Petrus Nardi Simeonis de Urbe, potestas.
1457. lacobus de Scuttis de Urbe, potestas.
1464. Colasantus de Scuttis de Urbe, potestas.
» 1470. Paulus de Scuttis de Urbe, potestas.
» 1478. Iacobus de Vellis de Urbe, potestas.
» . 1493. Ciriacus de Ciamponibus romanus, potesías.

» . 1496. Troilus de Sabellis, dux amerini erercitus.

Fra i nobili romani, con i quali Amelia ebbe relazioni ami-
chevoli, vediamo 1 Colonna.

Nel 1318 fu difensore, o capitano, di Amelia. « [nobilis] vir
Iacobus dictus Schiatta de Columpna » (perg. del 1318 molto cor-
rosa, lalehé non vi si legge il mese ed il giorno).

Il 2 febbraio 1326 il Consiglio del Comune di Amelia delibera
che venga eletto « magnificus vir Stephanus de Columpna in guar-
dianum et defensorem civitatis Amelie » (Rif. n. 1). Egli doveva
esercitare tale-ufficio per mezzo di un buon giudice — che non
fosse romano, nè della provincia di Roma, nè di terra vicina ad

Amelia — unito ad un buon notaro, eec. Il giudice, a cui il Co-

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RELAZIONI DI AMELIA; ECC. 983

lonna ‘affidò questa carica, fu Martino da Velletri « guardianus
per magnificum virum Stephanum de Columpna: ». L' 11 gennaio
1327 il podestà, « Jacobus Lamentani de Urbe », propone nel
Consiglio degli Anziani e degli uomini della maggior lira di Amelia,
« quid placet providere et deliberare super ambaxiata exposita in sala
Consilii per ambaxiatores populi romani, occasione milittie cele-
brande de magnificis viris Poncello [de filiis Ursi] et Stephano de
Columpna ; et si placet quod eisdem viris provideatur pro dicta mi-

.littia usque in quantitatem L florenorum de auro, secundum provi-

sionem et deliberationem Consilii populi » (Proposta accettata).

Nelle Riformanze del 3 agosto 1329 si fa menzione di aiuti
chiesti da Stefano Colonna al Comune di Amelia. Vien quindi pro-
posto in Consiglio « quid placet dicto. Consilio providere super
litteris missis pro parte dni Stephani de Columpna super auxilio
faciendo: eidem ». Si delibera di dare incarico agli Anziani di
provvedere quanto stimino più opportuno per questo soccorso da
mandarsi al Colonna.

E potrei continuare ancora a citar relazioni di Amelia con 1
Colonnesi, e specialmente con Stefano.

Ma la famiglia romana, che con gli Amerini ebbe più stretti
rapporti, fu quella degli Orsini. Ed è naturale, perocchè essi pos-
sedevano terre e castelli in luoghi vicini al territorio amerino,
o nella stessa diocesi di Amelia.

Non ne era molto distante il castel della Torre, nel quale,
nel palazzo di abitazione di Carlo Orsini da questo medesimo e da
Francesco Orsini, tutori di Pietropaolo degli Andrei (figlio: del
conte di Troia), per incarico avutone dalla regina Giovanna, fu fatto
il resoconto delle spese occorse per il loro pupillo. Era presente,
come testimone, Francesco degli Zuccanti di Amelia ; e questa cir-
costanza ci spiega come mai si trova una copia di tale atto nel-
l'archivio amerino (doc. n. IV, perg. del 1423, luglio 25).

Il paese di Attigliano, la stazione più vicina ad Amelia della
ferrovia Firenze-Roma, appartenne anticamente agli Orsini. Lo
prova, tra gli altri, un atto del 1364, febbraio 1, da me casual-
mente rinvenuto ad Attigliano stesso, per mezzo del quale Orso
di Napoleone Orsini vende a Tommaso di Ugolinuccio di Alviano
la metà del castello e della rocca di questa terra (doc. n. V).

La vendita fu. fatta nel castello di Mugnano, appartenente an-
—— AMETS

D84 G. PARDI

ch'esso agli Orsini. I quali vantarono pure diritti sul castel di
Mimoia della diocesi amerina (doc. n. VI), possedeltero forse
Lugnano, a pochi chilometri. da Amelia, molto probabilmente
la terra chiamata la Penna (ove ancora vedesi l'arme della fami-
glia Orsini), e sicuramente poi il castel di S. Pietro: E tanto la
Penna che S. Pietro non distano se non poche miglia da Amelia.
Avendo adunque gli Orsini siffalti possessi in luoghi propinqui a
questa città, non farà meraviglia che essi vi avessero frequenti
ed amichevoli relazioni e che nell’archivio amerino si rinvengano
varî documenti che li risguardano.

Al resoconto delle spese fatte da Francesco Orsini.con i beni
del pupillo Pierpaolo degli Andrei era presente, come vedemmo,
un Amerino, ed un altro serve da testimone alla vendita ricordata
di metà del castel di Attigliano, rogata a Mugnano da un notaro
di Amelia.

Abbiamo già accennata la deliberazione presa dal Consiglio di
questa ciltà di spendere 50 fiorini d’oro per onorare Poncello Or-
sini e Stefano Colonna. Quegli vien nominato prima del Colonna
ed è chiamato semplicemente Poncello come persona ben nota.

In fine.di un documento del 1329, settembre 25, si leggono al-
cune parole, che indicano forse le relazioni degli Orsini con Ame-
lia: « Seriptum per me Aniballum Jacobi Ionathe notarium pala-
tinüm super. appellationibus et aliis extraordinariis causis deputa-
tum, de mandato dni Pauli iudicis supradicti, sub anno dni mil-
lesimo CCCXXVIIII, pontifieatus dni Iohannis XXII pape, tem-
pore nobilium virorum Bertuldi dni Romani de filiis Ursi pala-
tini comitis et Bertuldi Poncelli dni Macther de filtis Ursi det
gratia regiorum in Urbe vicariorum ».

Vari degli Orsini debbono essere stati podestà d'Amelia. Lo
fu nel 1334 Pietro Orsini, come risulta da un atto del re Roberto
del 12 ottobre di quest' anno.

Abbiamo parlato del castello di Porchiano, che spesso ribel-
lavasi ad Amelia ‘e voleva scuolerne il giogo. Nel 1364 (perg.
dell’arch. d'Am. in data del 27 novembre) Nicola Orsini, capi-
tano generale del Patrimonio, ordina ai Porchianesi di pagare al
Comune di Amelia certa somma di fiorini dovutagli. E nel lodo
tra Amelia e Porchiano (perg. del 7 luglio 1371) gli Amerini fanno
valere i loro diritti; « consideratis compromisso, confirmatione et
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SERRE Eros STO 3 5

RELAZIONI DI AMELIA, ECC. 585

sindicatibus supradictis, et licentia et auctoritate nobis concessa et
attributa per magnificum principem dnum Nicolam de Ursinis ».

Queste le poche tracce, che ho potute rinvenire,. delle fre-
quenti e svariate relazioni, che debbono esser passate tra Amelia
ed il Comune di Roma, nonché tra Amelia ed i baroni romani,

specialmente gli Orsini.
G. PARDI.

DOCUMENTI

I. [Senza data].

Capitoli tra il Comune d' Amelia e quello di Roma.

Hee est copia capitulorum pactorum, habitorum- et factorum inter
sacrum populum romanum ex parte una et Comune, syndieum et homines
civitatis Amelie ex parte altera, quorum pactorum tenor talis est.

1 In nomine dni, populus et syndicus civitatis Amelie dedit potestatem
diete civitatis in perpetuum populo senatuique romano liberam, abso-
lutam absque iugo capitaneatus dicte civitatis vel defensoris seu re-
ctoris vel cuiuscunque alterius officialis quocunque nomine censeatur
vel censeri possit, per cuius officium, potestariam seu officium po-
testarie vel potestatis dominii vel quomodoquolibet impediri, [sic:
forse manca un possint] ita quod semper in perpetuo dicta potestaria
libera remaneat et sit senatus et populi romani. Et quod dnus Ugoli-
nus et dnus Karolus et quelibet alia persona ex nunc renumptient
10 et remietant potestariam, difensoriam, capitaniam vel rectoriam, seu
quocunque aliter nomine censeatur, habeant perpetuam vel ad tem-
pus in regimine diete civitatis.

hel!

Item quod potestas diete civitatis, pro parte sacri romani populi,

detur et eligatur ante initium dicti offitii, ut se officialibus et aliis
15 valeat premunire. Cuius offieium duret pro sex mensibus, quibus
elapsis quo supra, modo electus per sex alios menses mictatur ad re-
gimen dicte civitatis et adventus eius sit in dieta civitate per tres
dies ante offitii sui initium et finem alterius. Sit quoque dictus pote-
stas equis rebus in veniendo ad dictam civitatem et officium omni
suo periculo et fortuna procedemus [sic: dovrebbe dire secundum]
statuta dicte civitatis, et etiam in morando, stando et redeundo in

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586 : G. PARDI

30

40

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50

60

dicta civitate et officio cum omnibus officialibus et familiaribus et
equis dicto durante officio continuum moraturos (sic); dum tamen, si
in servitium dicte civitatis et omnes equos et res alias amiserit, iu-
sta extimationem habitam ei emenda fiat.

Item quod quilibet potestas in fine sui offitii teneatur redere (sic)
rationem administrationis sui offitii, secundum formam statutorum diete
civitatis et cum satisdatione debendorum.

Item quod quilibet potestas, qui electus fuerit et missus ad dictum
offitium, debeat servare statuta et ordinamenta per Reformationes ci-
vitatis iam diete facta, et non facere contraria non minuentia, non
ledentia in aliquo mandatis factis et promissis per dictum Comune
Amelie dicto romano populo, et non minuentia nec ledentia in aliquo
offieium potestatis, et quod debeat dietum suum offieium exercere
modo predicto, Antianos populi civitatis Amelie manutenere secundum
formam dietorum statutorum, que non sunt vel esse possint in con-
trarium offieii potestatis predicti vel ipsuis officium quomodoquolibet
impediri.

Item quod quilibet potestas mictendus ad regimen dicte civitatis
pro suo salario et suorum officialium habeat de pecunia dicte civitatis
Amelie salarium. consuetum contentum in statutis dicte civitatis sin-
gulis sex mensibus DCC libras cortonensium minutorum, salvo quod
primus potestas qui venerit habeat pro suo salario et suorum officia-
lium pro sex mensibus mille libras cortonensium minutorum.

Item quod romano populo placeat et dignetur Comune Amelie
et singulares personas eivitatis et districtus. eiusdem defendere et iu-
vare ab omni persona et loco, collegio et universitate de iure ut pla-
cuerit romano populo.

Item quod diffidationes et processus facto scontra Comune Amelie
et singulares personas civitatis eiusdem occasione rebellionis tollantur
et cassentur et reafidentur de omnibus factis tempore presentium
dnorum senatorum, inter quos intelligatur Ufreducius Ugolini de
Alviano et Ugolinus filius eius, Ufreducius dni Ufreducii de Alviano,
ita quod ipsi simili modo reafidentur.

Item quod potestas seu alter quilibet rector civitatis Amelie qui
preest, et syndieus Comunis diete civitatis cum 4 bonis hominibus
veniat ad Urbem cum corregiis singula (sic) cum debita reverentia
ad pedes dnorum senatorum romani populi, ita tamen quod tute et
cum securitate rerum et personarum possint venire, stare et redire
vel ubicunque placuerit populo romano et dnis senatoribus, et iura-
bunt mandata dnorum senatorum et romani populi super capitulis
supradictis et infrascriptis.
80

85

90

95

RELAZIONI DI AMELIA, ECC. 581.

Item quod restituatur Porclanensibus omnia eorum bona immo-
bilia et pro dampnis inlatis in castro Porclani et eorum rebus mobi-
libus restituatur illam quantitatem (sic) pecunie ut ordinatum et stabi-
litum erit per dnos arbitros eligendos unum pro parte Comunis predicti
Amelie et alterum pro parte dnorum Porclanensium. Et si dicti ar-
bitri non essent in concordia, tertius eligatur per dnos senatores et
Consilium Urbis, et quod dietis Porclanensibus liceat hedificare ca-
strum Porelani in loco ubi erat quando destructum fuit.

Item quod, ob reverentiam predictorum, mictere teneantur an-
nuatim sex iocatores cestare (?), qui portent vexilla romani populi.

Item quod Comune et homines civitatis Amelie faciant et facere
teneantur exercitum generale a flumen (sic) Orti citra versus. civi-
tatem Amelie et a dicto flumine ultra exercitum particulare seeundum
facultatem eorum per XX miliaria computando a dicta civitate Amelie,

quotiens mandabitur dieto Comuni Amelie per romanum populum

vel duos senatores qui pro tempore erunt.

Item quod teneatur reaffidare et remictere in civitate Amelie om-
nes extrinsecos dicte terre eiusque districtus cum vera et firma pace,
habitis ydoneis cautionibus, curis et refutationibus hine inde pro
pace servanda perpetua secundum formam et mandatum, modum et de
personis, quas dni senatores mandare voluerint ac etiam disponere.

Item dare nobili viro Angelo de sancto Alberto tantum salarium
quod habere debebat pro officio sue potestarie secundum formam sta-
torum Amelie ac si integraliter servivisse (sic).

Item quod potestas mietendus ad regimen dicte civitatis puniat
et punire possit omnes et spetiales personas, que deliquissent seu de-
liquisse invenirentur tempore nobilis viri Angeli de sancto Alberto,
nunc potestatis diete civitatis, de omnibus excessibus et delictis per
eos conmissis in civitate predicta secundum formam statutorum dicte
terre et quod pene applicentur Comuni Amelie. ;

Item faeere quod populum (sic) dicte civitatis [ezigat] quemdam
syndicum bonum et legalem ordinatum ad promictendum predicta
omnia et singula, et curam et cautelam faciendam de predictis sub
quaeunque promissione et obbligatione contignerit (sic) ipsum Comune
et homines obligari romano populo, syndico Urbis nomine Comunis
et populi.

Deliberazione presa dal popolo romano.

« In nomine dni, amen. Congregato et coadunato magnifico et excelso
populo romano in scàlis et ante scalas et [in] platea palatii Capitolii
588 G. PARDI

ad sonum campane et vocem preconum, ut est consuetum, pro omnibus
infrascriptis exequendis », si delibera « remictendi, paciscendi, capi-
tulandi et indulgendi omnibus et singulis baronibus, nobililibus, civi-
tatibus, comunitatibus, castris, terris, villis, oppodiis [sic; forse op-

[1i

pidis] et spetialibus personis tam romanis quam forensibus diffidatis,
condempnatis, sententiatis per Curiam Capitolii civile vel criminale».
Si approvano inoltre « omnia et singula paeta, capitula, conventiones
et promissiones facte, firmate et inite et faciende, firmande et iniende
10 per sacrum romanum populum . . . . . . et Comunia, universitates,
homines et personas dictarum civitatum castellane, Vetralle, Temi-
gniani, Craparole et Vallerani ex alia parte ».
« Actum Rome, in palatio Capitolii, in dicto publico parlamento et
coram ipso populo, sub anno dni millesimo COCLXXXVII, indictione
15 X pontificatus dni Urbani pape sexti, mense maii die XXX ».

III. 1321, luglio 4.
Reconcilatio et absolutio a nonnullis excessibus.

1 In nomine dni. Nos Anibaldus dni Riccardi dni Machie de Anibaldis
et Riecardus dni Forabrachie (?) de filiis Ursi dei gratia regii in Urbe
vicarii decreto et auctoritate sacri senatus reaffidamus et in pacem
vobis reducimus Comune, syndicum et homines civitatis Amelie, et
Lucium et Ceecum fratres de dicta civitate, quantum ad cameram

5 Urbis pertinet etc.

Non si sa quale delitto contro il Comune di Roma avesse commesso
quello di Amelia; ma il fatto sta che era stato condannato a pagare
800 fiorini d'oro. Dalla quale condanna è assolto con il presente atto.

IV. 1428, luglio 25.

Resoconto delle spese fatte con le rendite dei beni di Pietropaolo degli
Andrei, pupillo di Francesco e Carlo Orsini.

1 « Magnifico viro ac dno Karulo de Ursinis balio et tutore persone
et bonorum magnifici pupilli Petripauli de Andreis filii et heredis
quondam magnifici viri dni Perretti de Andreis comitis Troye . . . ..
ex una parte, et nobili viro Gasparre. Claudii da Strofanis procu-
'atore et procuratorio nomine magnifici. viri. et dni Francisci de

© Ursinis . ....... ex parte altera, asseruerunt partes ipse coram

— —9

10

15

E

un

e

10

RELAZIONI DI AMELIA, ECC. 589

nobis »: che, morta « dna Margarita » tutrice del nominato Pie-
tropaolo degli Andrei, affinchè non venissero dilapidate le sostanze
di lui, Giovanna, regina di Ungheria, di Sicilia e di Gerusalemme,
aveva nominato, per lettera, Francesco Orsini balio e tutore di Pie-
tropaolo. Ma non potendo Francesco, occupato in altre cure, ammini-
strare i beni del pupillo, si scusó appresso la regina, la quale gli so-
stituì allora nella tutoria Carlo Orsini. Questi, alla sua volta, « volens
facere utilitatem eidem pupillo et non valens personaliter administra-
tioni terrarum, rerum et bonorum dicti pupilli interesse », delegò
all'amministrazione di questi beni e terre il nobile e. probo uomo
Luigi di Minorbino ecc. ecc.

Si danno in questo documento le ragioni delle spese fatte, degli
introiti dei beni del pupillo. Alcune sono curiose ed interessanti. Mi
riserbo di pubblicare l'atto tutto intero in altra occasione, non avendo
qui aleuna relazione con il nostro argomento.

« Actum in castro Turris sabinensis diocesis in palatio propie
habitationis dieti magnifiei.dni Karuli . . . . presentibus supradictis
reverendis in Christo patribus et dnis Mandulfo de Alviano Sedis
apostolice prothonotarius etc. nee non egregio iurisperito viro Mactheo
dni Spinelli de Vigiliis, nobili viro Francisco Zuecantis de Amelia
ete. testibus ad predieta omnia et singula habitis, vocatis spetialiter
et rogatis.

1364, febbraio 1.
Vendita di metà della rocca e del castello di Attigliano.

In nomine dni, amen. Anno dni MCCCLXIIII, indictione secunda,
tempore dni Urbani pape quinti, mense februarii die primo. Pateat
evidenter presens instrumentum publicum inspecturis qualiter magni-
ficus et venerabilis princeps dnus Ursus natus quondam dni Neapoleonis
de filiis Ursi de dnis de Castello de Urbe, titulo venditionis, iure perpetuo
etin perpetuum dedit, vendidit et tradidit per se suosque heredes et
suecessores nobili viro Tomasso quondam U golinucci de Alviano ibidem
presenti, recipienti et stipulanti pro se et Corrado eius filio ipsorumque
heredibus et successoribus, liberam et absolutam medietatem arcis et
castri Atiglani cum medietate terrarum, tenimenti et iurium et iuris-
dictionum etc. pro pretio triummilium septingentorum quinquaginta flo-
renorum boni et puri auri et iusti ponderis, quod pretium dictus ven-
ditor fuit confessus et contentus habuisse et recepisse a dieto em-
590 G. PARDI

VI. 1914, ottobre 23..

ptore ete. Actà fuerunt hee omnia in castro Mungnani provincie Pa-
trimonii, in camera dicti dni Ursi etc.

Protesta di Mannello di Simone e fratelli contro la pretesa cessione del

1

ect

10

15

castel di Mimoia, fatta da Cecco e Lello « Falconcelli » a. Bertoldo
- Orsini. ;

In nomine dni, amen. Anno dni millesimo CCCXIIIT, indietione XIII,
Ecclesia romana pastore vacante per mortem dni Clementis pape V,
mensis octubris die XXIII. Coram vobis nobili viro dno Iohanne Pan-
taleonis honorabili potestate civitatis Amelie, dno Viviano dni Macthei
et dno Angelo de Velletro iudicibus vestris et civítatis predicte, Man-
nellus Simonis pro se et fratribus suis cum instantia protestatur quod
vos, dne potestas et iudices, per vos nec aliquos officiales vestros
audiatis Ceecum Faleoncelli de Mimoia, Lellum eius fratrem nec ali-
quem alium eorum vel alicuius ipsorum predictorum ad aliquid pre-
dicendum vel probandum quod sit contra iurisdictionem et lexionem
Comunis Amelie, contra formam statutorum Comunis et populi civi-
tatis Amelie, maxime ad predictionem et probationem, quam facere
intendunt ipsi vel alter ipsorum, quod Ceccus Falconcelli vendidit
vel aliter alienavit et permutavit, ut dicitur, dno Brectuldo de filiis
Ursi omnia bona sua, iura et actiones, que habet vel habuit in castro
Mimoie et eius territorio et districtu, cum ipsum castrum et eius ter-
ritorium sit de iurisdictione civitatis Amelie et ad ipsam civitatem
pertineat pleno et; et ipsum instrumentum, si factum est, cassari
et ynritari faciatur, cum ipsa alienatio et permutatio fuerit faeta per
adpodium et in fraudem Comunis Amelie et in ipsius Comunis et
specialium personarum preiudicium et gravamen maxime dicti Man-
nelli et fratrum eius et fideiussorum, maxime cum dictus dnus Gen-
tilis et dnus Romanus non sint de iurisdictione ipsius civitatis Ame-
lie ete.

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ALCUNE NOTIZIE
SUI RAPPORTI FRA ROMA E PERUGIA NEL SECOLO XIII

Nella fiera lotta che si combattè fra l' Impero e il Papato, Pe-
rugia fu quasi costantemente fedele al secondo, che in Italia nel-
l'epoca in cui sorsero e grandeggiarono i Comuni era il difensore
delle libertà cittadine, il sostenitore della idea.latina e nazionale.
Ognun sa che tale contrasto raggiunse uno straordinario grado
di forza mentre occupò il trono imperiale Federico II, durante il
pontificato d' Innocenzo III, Onorio III, Gregorio IX, Innocenzo
IV. — Non sarà, crediamo, discaro ai lettori di questo periodico
laver notizia di alcuno dei documenti, che provano quale fu il
contegno di Perugia nella lotta che durante molti anni del secolo
XIII la suprema autorità religiosa sostenne contro la somma au-
torità civile: fra questi documenti stimiamo interessantissimo il
giuramento che il Potestà di Perugia Marcovaldo prestò in Todi il
5 decembre 1236 innanzi ad Alatrino suddiacono e cappellano di
Gregorio IX. E tanto maggiore apparisce l'importanza della condotta
della nostra città a chi rifletta che fra le sue mura in quegli anni
si rifugiarono spesso i Pontefici, e che specialmente Gregorio IX
diresse molto spesso da Perugia la guerra contro il potente Fe-
derico. — Morto nel 1241 Gregorio IX, successe a lui nel me-
desimo anno il vecchio e malfermo Celestino IV, che fu Papa per
soli sedici giorni: trascorsi questi, la Chiesa restó priva del suo
Capo sino al 25 giugno 1243, e siffatta circostanza avrebbe ac-
cresciuto a dismisura la potenza di Federico e annientato il par-
tito guelfo in Italia; ma il senatore « Matheus Rubeus » della
famiglia degli Orsini « da prode e religioso uomo (riferisco le pa-
role del Gregorovius) sali sulla breccia che i cardinali vilmente
avevano diserlala, e con prudenza e con coraggio difese la città
592 V. ANSIDDI
e servi la causa della Chiesa » (1). — Fu egli che il 12 marzo 1242

nella Chiesa di S. Maria sul Campidoglio conchiuse la famosa
lega con Perugia, con Narni e con altre città guelfe, lega offen-
siva e difensiva contro l’imperatore, col quale, finché fosse stato
in guerra con la Chiesa, i Comuni collegati si obbligarono a non
far pace separatamente l'uno dall'altro. — Riporteremmo qui il
trattato di alleanza, che si conserva anche nell'antico archivio del
Comune di Perugia (2), ma ce ne distoglie la considerazione che
esso fu già pubblicato e dottamente commentato dal Card. Giu-
seppe Garampi (3), dal Narducci (4), dal March. Giovanni E-
roli (5) ed anche dal nostro Bartoli (6). — Rifletteremo soltanto
che non pochi dei Romani che firmarono il trattato o erano stati
negli anni aniecedenti Potestà a Perugia o eran legali di paren-
tela con personaggi che tale ufficio vi avevan ricoperto ; certo, il
fatto che così spesso Romani appartenenti alle più illustri fami-
glie erano Potestà nella città nostra sarà stato ad un tempo con-
seguenza e causa dei nostri ottimi rapporti con la eterna città (7).
Ricorderemo particolarmente Oddone di Pietro di Gregorio, che
fu nostro Potestà nel 1230 e nel 1238, e che in questo se-
condo anno nella guerra contro gli Aretini, fautori dei Marchesi
di Valiano di parte imperiale, tanto si segnaló da indurre il Pon-
tefice a sostenerne presso il popolo Romano la elezione a sena-
tore di Roma (8). Ed infatti nel nostro Archivio si conserva un
documento del 21 agosto 1238 (9), da cui risulta che « Oddo Petri
Gregorij alme Urbis illustris senator » e potestà dei Perugini co-
stituisce il figlio Pietro suo vicario « ad portandum et exercen-
dum regimen et guidamentum perusinorum vice loco et nomine
sui et ad servandum et faciendum omnia et singula capitula que
in ipso constituto continentur et omnia alia que ipse dominus Oddo
facere tenebatur in ipso et pro ipso regimine civitatis predicte ».

(1) Storia della città di Roma nel Medio Evo, Vol. V, pag. 248.

(2) Cod. Sommissioni C, c. 31t e 32r,

(3) Memorie ecclesiastiche appartenenti all’ Istoria e al culto della B. Chiara di
Rimini, Roma, MDCCLV.

(4) La lega romana con Perugia e con Narni contro Federico II, Narni, 1862.

(5) Miscellanee Narnesi.

(6) Storia di Perugia, Vol. I, pag. 388.

(7) Vedi MaRIOTTI, Catalogo dei Potest. di Perugia, passim.

(8) CIATTI, Perugia Pontificia, pag. 328.

(9) Cod. Sommissioni A, c. 138r.

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ALCUNE NOTIZIE, ECC. 593

La lega di Perugia con Roma fu la conseguenza della politica
seguìta dai perugini costantemente: sin da molti anni precedenti
di fronte a Roma e al Papato. — Ed invero (a tacere di molti
altri ricordi) nella sommissione di Cagli del 12 agosto 1218 (1)
il Sindaco e procuratore di quella città Bartelo « Bernardoli » si
obbliga a difendere e soccorrere con armi ed armati i cittadini
Romani e Perugini e i loro territori. Pressochè tutti i patti di al-
leanza conchiusi da Perugia con altre città e gli atti di sommis-
sione di comuni, terre e castelli a Perugia cominciano con la for-
mula « Ad honorem Dei et Ecclesie romane et Comunis alme Ur-
bis », o con altre parole, esprimenti sempre però il medesimo
concelto di deferenza somma da parte di Perugia alla città di
Roma. I] quale concetto ha la sua conferma nella « pietra di giu-
stizia » che il Potestà di Perugia Ramberto « de Ghisileriis » nel-
l'anno 1234 fece apporre sulla facciata del Duomo, e nella quale
tuttora si legge che « nec colta, nec data, nec mistum fiat, po-
natur nec detur in civitate perusina, nec in eius suburbiis nisi
quator de causis tantum, scilicet pro facto domini Pape et Impe-
ratoris et Romanorum vel pro generali guerra quam habéret Co-
munis Perusij propter se ». — E notisi che anche nella pace con-
chiusa fra 1 nobili e popolani Perugini, per l' intervento del Car-
dinale dei SS. Apostoli camerlengo del Papa Innocenzo III e di
Bobone « Oddonis Bobonis » Console dei Romani e Potestà dei
Perugini, pace confermata con bolla dello stesso Pontefice da Vi-
terbo il 19 settembre 1214, è detto: « Collecla vel muttita non
fiat nisi pro quattuor causis, videlicet pro servitio. Ecclesie ro-
mane, Populi Romani, Imperatoris vel nuntij sui et cum populus
perusinus moveret guerram de comuni voluntate » (2). E nella
lega che il 16 novembre 1237 Perugia stipuló con Todi, Spoleto,
Gubbio e Foligno, la città nostra, concorde in ciò con le prime
due, volle non esser tenuta ad osservare i patti dell'alleanza con-
tro la Chiesa e contro Roma, laddove Foligno e Gubbio fecero
eccezione per la prima e non per la seconda (3). Del resto che
Todi fosse così strettamente collegata a Perugia non è a far me-

1) Cod. Somnmissioni --, c. 108t.
2) Cod. Sommissioni A, c. 97r. V. THEINER, Cod. diplom. dom. temp. S. Sedis, I, 44.
(3) Cod. Sommissioni A, c. 122r. e Contratti AA, n. 13.

(
(
594 V. ANSIDEI

raviglia, se riflettesi che nel 1235 i Perugini collegati agli Spole-
tini ed Orvietani vi avevan rimesso la parte ecclesiastica, che ne
era stata cacciata da Federico. E fu in Todi che il 5 decembre
1236 si compiè quell’ atto importantissimo per le relazioni fra la
S. Sede e Perugia, al quale abbiamo in principio accennato. Mar-
covaldo Potestà e Sindaco del Comune di Perugia, che a capo di
ottocento cavalieri scortava Gregorio IX recantesi dalla città nostra
a. Roma, giurò in nome del Comune stesso, presente Alatrino
suddiacono e cappellano del Papa, di difendere e mantenere con
ogni suo potere il patrimonio di S. Pietro in Toscana e il ducato
Spoletano nella soggezione spirituale e temporale della Chiesa,
salvi però tutti i diritti e la libertà del Comune di Perugia. Ecco
il documento che a questo atto solenne si riferisce (1):

« In nom. Domini Am. Anno nativitatis eiusdem MCCXXXVI Ind.
nona die quinta introeunte mense Decembris tempore dni Gregorij pape
noni. Hic est tenor juramenti ad quod potestas sive sindicus comunis
Perusij jurat eoram Domino Alatrino domini pape subdiacono et Ca-
pellano..— Ad honorem Dei omnipotentis et Filii et Spiritus Santi, Beate
Marie Virginis et beatorum Apostolorum Petri et Pauli omniumque San-
. etorum, ad honorem quoque Sanete Romane Ecclesie ac Domini Pape Ego
M. (2) potestas Syndicus seu procurator Comunis et universitatis Perusij,
eiusdem Civitatis Comunis vel Universitatis nomine ac mandato juro et
bona fide sine frande observare promitto quod adiutor ero et defensor
pro posse meo ad retinendum conservandum manutenendum et defen-
dendum patrimonium Beati Petri in Tuscia et ducatum Spoletanum in
devotione subiectione ac fidelitate Sancte Romane Ecclesie ac domini
Pape spiritualiter et temporaliter, et. conservandum et retinendum pa-
cem ac tranquillitatem dictorum patrimonij et dueatus, fidelitate ac man-
datis Dni Pape semper salvis, et salvis Comuni Perusij et universitati
privilegiis cortibus juribus usibus, jurisdictionibus, libertate, tenutis, pos-
sessionibus omnibus et singulis que quos et quas Comune Perusii et uni-
versitas eiusdem actenus habuit et nunc habet. Sic me Deus adiuvet et
hee Sancta Dei Evangelia. — Hec acta sunt in Palatio Comunis Tu-
derti coram dno Rainerio Orlandi Ursi, Rainerio notario de Cortonio,
dno Johanne de Fracta, dno Johanne archipresbiteri perusinis et domino
Mareovaldo nepote supradicte potestatis testibus rogatis.

(1) Cod. Sommissioni B, c. 53t.
(2) Marcovaldo Lucchese. Vedi MARIOTTI, op. cit., pag. 203.

7
"4

ALCUNE NOTIZIE, ECC. 595
Ego Simon imperialis aule notariüs supradictis omnibus interfui et

ut supra legitur verbo et mandato supradicti domini Alatrini scripsi et
in hane publicam formam redegi ».

Lo abbiamo riprodotto testualmente, perché ci sembra che
esso insieme alla bolla d'Innocenzo II data a Todi il 2 ottobre
1198 (1) e al giuramento di fedeltà: prestato dal popolo Perugino
allo stesso Pontefice il 28 febbraio 1210 (2) provi luminosamente
che Perugia -negli anni, dei quali'ci occupiamo, fu bensì ‘quasi
sempre strettamente legata ai Pontefici, ma lo fu, come afferma
anche il P. Ciatti (3), con vincoli « di confederazione, non di som-
missione ». :

Né spenderemo le nostre povere parole a dimostrare un as-
serto, la verità del quale è valorosamente sostenuta da tutti gli
storici nostri, dal Pellini al Bonazzi. Tanto meno poi crediamo di
dovere su tale argomento intrattenerci, poichè nel II fascicolo di
questo Bollettino l'egregio professore Scalvanti ne ha fatto og-
gello de' suoi dotti studi, dimostrando « che il concetto politico
generale, che presiedette alla organizzazione della repubblica pe-
rugina, fu di combinare il principio democratico di libertà col
protettorato della Chiesa ; e il concetto politico particolare fu quello
di organizzare una confederazione. di città sotto quel protetto-
rato » (4).

Diremo solo che ci è piaciuto riferire questo atto, sia perchè

esso ci pare il più interessante dei documenti che illustrano il
periodo di tempo, che di poco precedette la lega di Perugia con
Roma del 12 marzo 1242 (ed infatti il Gregorovius (5) lo cita in-
sieme alla ricordata federazione Guelfa del 16 novembre 1237 (6)
fra Spoleto, Perugia, Todi, Gubbio e Foligno a riprova della sua
affermazione che Firenze, Orvieto, Viterbo, Assisi e Perugia, con-
tinuo asilo dei Papi a questa età, prestarono loro inapprezzabili
servigi), sia perchè ad onta di tale importanza il Pellini, di solito

(1) Cod. Sommissioni A, c. 30t.

(2) Cod. Sommissioni +, c. 1057,

(3) Op. cit., 1. VIII,- pag. 279.

(4) Considerazioni sul primo libro degli Statuti perugini.

(5) Op. cit., Vol. V, pag. 211.

(6) È questa la data, che:si legge nei documenti dell’ Archivio di.Perugia e non
il 19 ottobre 1237, come si ha nel Gregorovius.
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596 V. ANSIDEI

diligentissimo indagatore del nostro archivio, nemmeno fa cenno
del giuramento di Marcovaldo, e il Ciatti, 11 Bartoli che pure ri-
porta per esteso molti atti, e il Bonazzi di questo cosi solenne
dànno solamente un ricordo. Il professore Scalvanti poi nel suo
lavoro sugli Statuti ne pone si in evidenza tutto il grande inte-
resse, ma ne riferisce solamente un brano. — Per tali considera-
zioni slimiamo di non aver fatto cosa sgradita ai lettori del Bol-
lettino, pubblicando l'intero documento.

Ma anche negli anni posteriori a quello, in cui da Perugia
fu conclusa la lega con Roma e Narni, la città nostra rimase fe-
dele a parte guelfa; è notevole il mandato che l' 8 agosto 1247
fu dal Consiglio generale e speciale del Comune di Perugia con-
ferito al potestà Zanerico « de Riva » affinchè egli, o direttamente
o a mezzo di altri, tratti « domestice et segrete cum inimicis ee-
clesie qui detinentur sub dominio imperatoris Federici, ad hoc ut
redeant ad mandatum romane ecclesie et comunis Perusij et fiant
amici ». — Tale mandato ebbe da parte dello stesso Consiglio
piena conferma l'8 settembre 1248, e in questo giorno il Potestà
Zanerico creò Sindaco e procuratore suo e del Comune Jacopo
« Boni » perugino « ad faciendum et ordinandum societatem et
societales et ad faciendum pacta, promissiones et obligationes »
con città, castelli e persone « ad hoc ut de inimicis fiant amici,
et subditi Frederici imperatoris revertantur ad mandata romane
ecclesie et comunis Perusij vel ad amicitiam et mandatum comu-
nis Perusij ». In alcuni patti interceduti il 20 gennaio 1249 fra il
Comune di Perugia e Fortebraccio da Montone leggonsi le se-
guenli parole: « Et hoc eliam acto expressim quod si dictus For-
tebrachius et alij sui amici de sua parte expellerentur de dieta
terra Montoni potentia Federici imperaloris vel propter potentiam
alterius partis terre Montoni, que eos depelleret, quod Comune
Perusij manutenebit ipsum Fortebrachium et suos. amicos el se-
quaces et receptabit et eis alimenta prestabit secundum facultatem
poderis Comunis Perusij » (1).

Nelle storie perugine é memorando il tradimento di Raniero
e di Andrea dei Montemelini, che ai danni della patria loro con-
giuravano coi fautori di parte imperiale, ma sono altresì. memo-

(1) Contratti AA, n. 22.

ur

eg p eee E I remettre

ALCUNE NOTIZIE, ECC. 591

rande la punizione inflitta ai traditori, la distruzione del loro ca-
stello di Monte Gualandro a furia di popolo, la violazione ‘del
sepolero del padre loro Andrea di Giacomo, che pure di Perugia
aveva ben meritato. Tanto eccesso è senza dubbio a. deplorarsi,
ma è in qualche guisa spiegabile per la fierezza dei tempi. Non
dimentichiamo che lo stesso Pontefice Innocenzo IV con bolla in-
dirizzata da Lione al Potestà e al Consiglio di Perugia il 9 feb-
braio 1251 confermava il bando e la confisca dei beni (1) di Ra-
niero ed Andrea, volendo « tanti criminis pestem funditus cum
auctoribus extirpare » (2). Ma se Perugia « non potè mai, come
dice il Muratori (3), indursi a chinare il capo all'imperatore »,
non poche delle città a noi vicine a lui si diedero, e fra queste è
da noverarsi Foligno: Perugia fu irritatissima che la città già sua
alleata avesse abbracciato la parte dell'impero, e in molti docu-
menti del nostro archivio si ha traccia di tale sdegno; in un atto
del 13 febbraio 1251 (4) i Folignati son detti « Dei et Ecclesie
el Comunis Perusij proditores ». Questi dolorosi ricordi di lotte
fraterne rendono più caro il vincolo che oggi lega tutte le italiane
città. I Pontefici eran grati a Perugia per l'aiuto che essa loro
prestava, e di questa riconoscenza si ha prova in molte conces-
sioni e non pochi privilegi che i Papi accordarono alla città no-
stra. Innocenzo IV reduce in ltalia fece lunga permanenza in Pe-
rugia e in una bolla data da questa città il 3 ottobre 1252 e di-
retta al vescovo Perugino solennemente affermò che Perugia
aveva sostenuto dolori e fatiche « pro fidei puritate atque devo-

(1)Questi beni erano « in Montegualandro et in Montalerio et in Valiano ». V.
Consilia, variorum. annorum, saec. XII, c. 5t e 6r. i

(2) Bolle e Brevi A, n. 5. — A riprova del guelfismo de’ nostri avi e della barbara
fierezza con cui essi manifestavano e difendevano i loro politici e religiosi convinci-
menti, ed anche a eonferma che pur le nostre mura accoglievano fautori delle idee
ghibelline, ricordiamo una deliberazione adottata a favore di Re Carlo d'Angiò e
contro Corradino nel Consiglio generale e speciale del nostro Comune il 20 decem-
bre 1269, per la quale era stabilito quanto appresso: «Quicumque fecérit cantionem
contra regem Karolum vel dixerit vel cantaverit solvat pro qualibet vice C libras den.
vel aliquam iniuram contra eum dixerit, et si non posset solvere dictam. penam am-
putetur ei lingua secundum quod amputari debet nitenzantibus pro Churradino ex
forma Statuti. Et hoc banniatur quolibet mense per civitatem et burgos ». V. Annales
variorum annuorum, c. 310 r.

(3) Annali d? Italia ad an.

(4) Cod. Sommissioni <|, €. 84r.

Siete pitti I DOO a IR
598 V. ANSIDBI

tionis sinceritate servanda erga romanam ecclesiam matrem
suam » (1).

L'ossequio peró alla Chiesa si accompagnava nei Perugini
ad un ardente amore di libertà, e benché Perugia fosse guelfa,
come scrive il Bartoli (2), « nei nervi, nel sangue, nelle midolle »,
pure quell'ossequio non fu mai servile; molti documenti stanno
a far fede di ció, ma noi ci limiteremo a ricordare due bolle di
Alessandro IV l'una del 15 maggio e l'altra del 15 luglio 1258 (3),
nelle quali il Pontefice si lamenta che i perugini siensi dichiarati
nemici del suo nepote Annibaldo rettore della Marca Anconitana
e prestino aiuto ai cittadini di Fermo ribelli alla Chiesa e nemici
di Annibaldo stesso; nella prima bolla il Papa dopo avere ram-
mentalo i benefiei della Sede Apostolica a vantaggio dei Perugini,

continua: « Set vos, quod dolentes referimus, quasi beneficiorum

predicte sedis obliti, quibusdam tenebrosis indevotionis operibus.
vestri nominis obscurare nitimini claritatem », ed infine esclama :
« Sunt ne ista fidelium opera? Sunt ne ista devotionis exempla
que civitatibus aliis exhibetis? Sunt ne hec que pro tot perceptis
beneficiis rependitis Ecclesie merita? Ubi est illa antiqua devotio,
quam ad nos et Ecclesiam consueveratis habere? Ubi est solita
circumspectio ? Ubi est illa famosa vestra fidelitas que per omnes
fines Italie, quin immo per: universos quasi orbis terminos re-
sonabat? ». Ad onta però di qualche temporaneo dissidio che di-
mostra .essere stato potente negli avi nostri lo spirito. d'indipen-
denza anche di fronte a quella autorità, per la quale. professa-
vano particolarissimo ossequio, questo si mantenne costante per
lungo volger di anni (4); ‘esso durò finchè i perugini vi riconob-

(1) Contratti AA, n. 22.

(2) Op. cit., l. III, pag. 413.

(3) Bolle e Brevi ^, n. 19 e 26. Del'fatto che l'ossequio ai Pontefici non impe-
diva ai Perugini di sostenere e difendere i diritti del potere civile potrebbero addursi
molte prove. Il 24 gennaio 1256, ad esempio, nel Consiglio speciale e generale dei ret-
tori delle arti e dei XX. eletti per ogni porta si discusse di mandare ambasciatori al
Papa per ottenere « quod clerici debeant respondere in curia Perussij sicut in Statuto.
continetur » (V. Consilia variorum annorum, saec. XIII, Cc. 82t,

(4) Infatti lo stesso Alessandro IV 1' 11 gennaio 1259, mentre domandava aiuto ai
Perugini contro Manfredi principe di Taranto, che aveva invaso la Marca Anconitana,
lodava il valore e la fedeltà di Perugia con queste parole: « Ex hac etiam civitate in-
cliti semper athlete, robusti pugiles, et electi propugnatores ipsius Ecclesie prodierunt,
qui fide fulgentes, ferventes, devotione, ac experientia precipui ad preliandum prelia.
Domini contra ipsius persecutores Ecclesie sub diversitate temporum se intrepidis
animis accinxerunt ». — (Bolle e Brevi A, n. 22).

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ALCUNE NOTIZIE, ECC. 599

bero la piü potente difesa di quella libertà, che sempre fu loro

tanto cara e che espressamente vollero tutelata anche nel giu-

ramento del Potestà Marcovaldo, e finchè vi scórsero il più sicuro
presidio delle tradizioni laline e vi riscontrarono il modo mi-
gliore di prestare omaggio all’alma Roma da loro venerata qual
madre (1).

Perugia, giugno 1895.
V. ANSIDEI.

(1) La lega fra Orvieto e Perugia del 27 agosto 1256 incomincia cosi: « Ad ho-
norem Dei omnipotentis..... et ad honorem matris nostre alme Urbis » (Cod. Sommis-
sioni C, c. 21r). Nello Statuto Perugino del 1279 a c. 47* si ha la rubrica: « Qualiter
puniantur inventi in tradimento Comunis Perusij et Romane Ecclesie et loquentes
cum inimicis eorum et civitatis Rome ».

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COMUNICATI

ARTISTI ROMANI IN RIETI
NEGLI ANNI 1488, 1464 E 1511

Nelle mie numerose gite per la Provincia Umbra ho investi-

gato se nell'età di mezzo frequenti e strette fossero le relazioni

tra queste contrade e Roma. Per la vicinanza, per motivi politici
e religiosi, per la prolungata dimora de’ Papi fra le turrite mura
di Orvieto e di Perugia, pei feudi posseduti, specialmente in Sa-
bina, dal patriziato romano, pei vescovi, podestà e capitani del
popolo inviati da Roma alle diverse città, le comunicazioni col
mezzo delle vie consolari, Salaria e Flaminia, doveano essere fa-
cili e quotidiane. Negli archivi ho riscontrato vari patti di al-
leanza e di aderenza tra la metropoli e le città principali dell’ Um-
bria. In quelli di Todi e di Tarano si leggono due lettere di Cola
di Rienzo, dalle quali si arguisce che fin dal secolo XIV le città
ed anche i castelli di questa provincia, mandando. rappresentanti
alle feste del buono stato, riconoscevano Roma per capitale d’Italia.

Nè le relazioni artistiche doveano essere poche o di minore
importanza. Nella pittoresca badia di Sassovivo nel territorio di
Foligno, a Spoleto ed in Rieti ho ammirato gli stupendì lavori
de’ marmorarî romani. Ed a conferma di quanto ho asserito, nel
presente! articolo descriverò tre opere d’arte, esistenti in Rieti,
dovute ad un architetto e a due pittori di Roma, i quali fiorirono
sul fine dell' evo medio e sul principio dell’ età moderna.

Poco prima di entrare nella Porta Romana, la Via Salaria
traversa il fiume Zurano sopra un ponte che ha un’apparenza
tale di solidità e di grandezza da farlo parere anche all’ occhio
sperimentato dell’ archeologo Bunsen (1) opera degli antichi ro-
mani, mentre è stato edificato soltanto nel secolo XV !

(1) Annali di Corrisp. Archeot., 1834, vol. VI.
40
602 F. GORI

Questo ponte misura in lunghezza m. 30.95, e m. 4.46 in
larghezza, con parapetti di m. 0.43. In mezzo del. parapetto destro
si eleva circa tre metri dal suolo una specie di stela in massi di
pietra bianca, sormontata dal triregno su chiavi inerociate e collo
stemma de’ Borgia (1), nel cui campo spazia un bue. A destra di
quest'arma vi è quella del Preside Orlandi, romano, ed a sini-
stra l’altra della città (2). Al disotto leggesi l' iscrizione seguente:

X CALISTI - PONT - MAX .
MVNERE - BENEDICTI +. DE -
ORLANDIS - DE - VRBE - REATI
NAE - CIVITATIS - MAGNIFICI - PRAE
SIDISCVRA - ET. P. REATINI - OPE
RA - HIC - VIAE - ROMANAE - PONS
QVADRIMESTRI - FABREFACTVS .
EST- M. CCCC - LV - VALE - VIATOR

So

Scendendo nella ripa del fiume, si vede che il ponte è com-
posto di massi quadrilateri, in gran parte bugnati, con tre archi
a tutto sesto, aventi circa 6 metri di luce. Gli archi sono rinforzati
nel lato sinistro da due piloni semicircolari, sul primo de’ quali
nella faccia di 3 massi è scolpita l'iscrizione a grandi lettere ro-
mane:

ANTONIVS - PETRI - IOANNIS
DE . VRBE.- PONTIS - FABREFAT (sic)
OR - EXIMIVS-. M. CCCC.- LV y

Sotto gli archi emergono dall'acqua 4 mensolette per ogni lato.
Passando poi ad osservare il lato destro del ponte, si scorge
l'arco di mezzo sostenuto da due piloni aguzzi per tagliare ed ar-

(1) Nel Zegesto delle Pergamene dell Archivio Comunale di Rieti che va pubbli-
cando coi tipi del Trinchi il prof. Alessandro Bellucci, a pag. 41, al n. 167 ed al 29
aprile 1455, citasi un Breve di Calisto III, col quale si affida il supremo regime della città
a due officiali superiori, cioó al Governatore ed al Podestà.

(2) Lo stemma di Rieti rappresenta un cavaliere a. cui una donna presenta la
bandiera. Probabilmente nella donna é simboleggiata la dea Rea, fondatrice (secondo
la Mitologia) della città a cui diede il suo nome.

D ARTISTI ROMANI IN RIETÍ 603

restare l’ impeto della corrente che nelle grandi inondazioni, come
l'ultima del 1898, riusci a portar via i leggeri parapetti, ma niun
danno arrecò alle altre parti del massiccio edifizio.

Questo monumento ci offre uno de’ primi esempi dell’abbandono
dell’ arco ogivale e del ritorno al puro stile dell’ architettura ro-
mana. Sembra impossibile che sia stato costruito in un quadri-
mestre!

Riguardo al cognome dell’architetto, se fosse cioè un Anto-
nio Petri di Giovanni da Roma ovvero un Antonio di Pier Gio-
vanni da Roma, lo lascio decidere dai lettori.

Sorge il detto ponte a vista di Rieti e di un cerchio di pit-
toreschi monti, il più alto de’ quali, il Terminillo, è quasi sem-
pre coperto’ di nevi.

Guardando a destra dalla parte del Terminillo, si scorge di-
gradare un'amena collina su cui è situato l'ex convento di S. An-
tonio del Monte, nel quale furono trovati nascosti molti codici con
miniature, riscontrati dal ch. prof. E. Monaci nel 1891.

Oltre questi codici, il convento possedeva tre tavole rettango-
lari a tempera che formavano probabilmente un trittico.

Nella tavola maggiore, alta m. 1.82, larga m. 0.82, è dipinto
in fondo d'oro un magnifico trono con architrave a sesto rotondo
e con due bracci sporgenti su cui ardono due candelabri. Sul
trono assidesi la Vergine, dal soave sembiante, vestita di broc-
cato, e ricoperta dal capo alle piante con manto azzurro, in atto
di porgere la mammella sinistra al Bambino che nudo si erge
diritto sulle ginocchia di lei. Appiè del trono si stende un tappeto
a fiorami, e sta da un lato genuflesso un vago paggio dai capelli
biondi e ricci e con un farselto di colore violaceo con cingolo e
pieghe del colletto rosse.

Al di sotto del quadro leggesi così il nome di Antonio da
Roma che lo dipinse nel 1464 :

ANTONIVS DE ROMA DEPINXIT 1464

Le altre due tavole minori sono ora racchiuse in cornici di
colore nero, aveano tutte il fondo d’oro, e sono lunghe m. 1.74,
e larghe m. 0.62. Una rappresenta sopra un dirupo S. Francesco
che riceve le stimmate nei piedi nudi, nelle mani e nel costato,
604 F. GORI

e fissa lo sguardo verso il punto del cielo donde presso un An-
gelo gli vengono lanciate le ferite con puntuti dardi da mano in-
visibile.

L’altra tavola raffigura in piedi S. Antonio di Padova col
giglio nella destra e con un libro nella sinistra.

Le figure di queste due tavole nello stile non discordano da
quelle della tavola maggiore ; ma se in origine formavano un trit-
tico, fa d'uopo ritenere che le tavole minori siano state alquanto
accorciate per chiuderle nelle cornici.

Allorché per ordine de' regi Commissari le tre tavole furono
tolte dal convento, si dovette adoprare la forza contro alcuni frati
che lo ritenevano in affitto dal Municipio. Ed io credo che i mede-
simi si sarebbero fatti fare a pezzi se avessero preveduto che poco
dopo uno stupido muralore si sarebbe servito di due delle dette
tavole per mescolare la calce, come si rileva dalle scrostature

esistenti specialmente nel manto della Vergine, nella faccia del .

Bambino e nel fondo d'oro presso la figura di S. Antonio! A v-
vertito però il Municipio del pregio de’ quadri medesimi, li ha
fatti riporre nella Pinacoteca a S. Agostino, dove si ammirano ai
numeri 6, 13 e 19.

Nella stessa Pinacoteca al numero 9 è slato trasferito un
altro trittico, il quale rimaneva nel refettorio del monastero di
S. Chiara, occupato ora in parte dal regio liceo M. T. Varrone,
da me presieduto.

La pittura è distribuita in tre parti.

Nella lunetta superiore su fondo celeste apparisce la mezza
figura del Padre Eterno in atto di benedire in mezzo alle altre
due mezze figure de’ ss. Francesco d'Assisi ed Antonio di Pa-
dova.

La fascia della cornice sottoposta colle parole :

RESVRREXI SICVT DIXI ALLE (luia)

allude alla scena rappresentata nella parte centrale, dove il Salva-
lore, involto nella sindone, benedicendo colla destra ed imbran-
dendo. colla sinistra l'asta della croce vittoriosa, irradiato di viva
luce, spicca il volo dal sepolero scoperchiato. Intorno al sepolero
si destano di soprassallo dal sonno e spaventati balzano in piedi

mri +

ARTISTI ROMANI IN RIETI 605

sei guerrieri. Ad uno di essi che si era messo a traverso della
tomba per essere sicuro che non fuggisse il Messia, è caduto
l'elmo dal capo, e sulle spalle gli si sparpagliano i lunghi capelli :
la delusione poi della sua giovanile baldanza è espressa nel gran-
chio dipinto sullo scudo giacente vicino al coperchio sepolcrale.
Nel paesaggio si osservano da una parte tre cavalieri che si al-
lontanano, e dall’altra il Calvario.

Le due tavole laterali del trittico sono coperte dalle figure in
piedi e intere de’ martiri Stefano e Lorenzo, e nella base conser-
vano il nome del pittore Marco Antonio: di maestro Antonazzo,
romano (1), coll'anno 1511 :

MARCVS - ANToivs - MAGRI - ANTONATII
ROMANVS - DEPINXIT - M - D - XI

Gli scomparti del centro sono divisi da pilastrini con arabe-
schi e capitelli dorati.

Nella parte inferiore schieransi in una sola fila cinque gra-
ziosi quadretti divisi da pilastrini dorati.

Nel primo i Giudei portano nell'orto di Getsemani i soldati
a catturare e legare Cristo. Le tenebre della notte sono rischia-
fate da una fiaccola appesa ad un'asta.

E dipinto nel secondo il Pretorio, dove alla presenza di Pi-
lato e del sommo sacerdote Caifasso (a cui ha sfigurato la faccia
il fanatismo di un devoto!) è sottoposto Gesù alle battiture di due
manigoldi.

La crocifissione di Cristo é rappresentata nel terzo. Sono bene
espressi lo slancio appassionato della Maria che si avvinghia alla
croce, il pentimento del buon ladrone che rivolge la testa verso
Gesü per chiedergli perdono, mentre il cattivo ladrone subisce
disperato la sua sorte.

Il cadavere di Gesù nel quarto riposa in grembo alla Madre
addolorata, tutta vestita di gramaglie. Lo. circondano l’ apostolo
Pietro, le due Marie e Giuseppe d’Arimatea. :

(1) Su maestro Antonazzo si consulti la monografia del compianto collega
A. Bertolotti nel mio Archivio Storico Archeologico e Letterario della Città e Provincia
di Roma; vol. V, fase, I, e l'Archivio Storico del Arte diretto da D. Gnoli,

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606 F. GORÌ

Lo stesso Giuseppe e le tre Marie nell'ultimo quadretto tra-
sportano ed accompagnano il cadavere del Redentore all'aperto se-
polero.

Osservando attentamente i dipinti dell'Antonio da Roma (1464)
e di Marcantonio di maestro Antonazzo, si conosce che appar-
tengono tutti alla medesima Scuola Romana, la quale ha molta
rassomiglianza colla Scuola Umbra. Tale rassomiglianza si spiega
col frequente contatto che aveano tra loro gli artisti delle due
provincie, e colle opere che ad invito de’ Papi fecero in Vaticano
il Pinturicchio ed il Perugino.

Rieti, giugno 1895.

FABIO GORI.
ME CC NEMINEM NE RENE TN. EI t EE"

601

SILVESTRO BALDOLI DA FOLIGNO

SENATORE DI ROMA

Il Pompili-Olivieri, fra i Senatori Romani del secolo XV, no-
mina Silvestro Baldoli da Foligno (1), ma di esso reca poco piü
del semplice nome. Il Forcella, fra le iscrizioni Capitoline, una
ne pubblicò del 1496, dove questo Senatore è chiamato Silvestro
Aidoli, corruzione evidente di Silvestro Baldoli (2). Merita quindi
questo nome breve commento e giusta rettifica.

Nel 1618 Lodovico Iacobilli scrisse di lui: « Silvestro Baldoli
da Foligno, celebre Dottor di legge, compose l’anno 1470 un
trattato de Patientia conservato nel Convento di S. Francesco di
Nocera. Fu l'anno 1492 Podestà di Fiorenza. L'anno 1495 fu
da P. Alessandro 69 creato Senatore di Roma a X settembre.
Anco del 1480 fu Auditore del Card. di Monte reale, ete. » (3).
Nel 1658, tenendo conto di altre indagini, aggiunse o corresse,
che Podestà di Firenze fu l'anno 1491, e di nuovo il 1500 (4).

Ma il Iacobilli è testimonio troppo tardo, ed è indispensabile
produrre documenti contemporanei.

Nel 1474 il celebre Campano Vescovo Aprutino, cosi seriveva
di Silvestro Baldoli al Cardinale di Pavia:

Campanus. Cardinali Papiensi S.

Dominum Silvestrum Baldolum Fulginatem amicissimum
meum. mira incesserat cupiditas tibi famulandi. Confirmaui semper
consilium eius: est eodem proposito nunc quoque. Mea sententia
indignus est qui reiiciatur : moribus et praesentia grauis: fa-

(1) JT Senato Romano, Roma, 1840, p. 306.

(2) Iscrisioni delle Chiese ed attri edificî di Roma, Roma, 1869, vol. I, p. 30, n. 27.
(3) Biblioteca del Seminario di Foligno, Cod. As IT, 5, fol. 211.

(4) Bibliotheca Umbriae, Fulginiae, 1658, vol. I, fol. 253.

lla
608 M. FALOCI-PULIGNANI

cundus eloquit: mansuetudine gratus: litteratura hac nostra plus
quam mediocri: juris plus habens reconditi quam aperti proferat :
uocationem expectat in dies. Veniet non ingratus : etiam si de-
sint coetera quia a me commendatus. Iterum uale » iii - Ianua-
rit - M. cccc. Lxxim (1).

Del valore del Baldoli come poeta ho. prodotto altrove i do-
cumenti, pubblicando inediti carmi latini, di soggetto classico, fatti
dipingere nel palazzo papale di Foligno (2). Del valore del Bal-
doli come giureconsulto, oltre l' ufficio di Podestà in Firenze, fa
fede l'uffieio di Senatore di Roma a tempo di Papa Alessandro VI.
Eccone le prove.

Nell'Archivio domestico di casa Baldoli in Foligno, verso la
metà del secolo XVII fu letta la nomina di Alessandro VI con
la data del 30 giugno, che qui inserisco integralmente:

Dilecto Filio Nobili Viro Silvestro Baldulo Ciui Fulginati
Alme Urbis Senatori.

Alexander P. P. VI.
Dilecte Fili salutem et Apostolicam benedictionem.

Cum hactenus ea prudentia fide et integritate. gesseris Offi-
cium Senatus Almae Urbis Nostrae . . . . . (3) nuabis in melius
te in eodem. officio pro semestri inchoando, imediate post finitum
tempus tibi alias per nos concessum . . . . (4) cum honoribus et
oneribus consuetis, tenore praesentium refirmamus et quatenus
opus sit denuo deputamus, conírariis non obstantibus quibuscum-
que. Datum Romae die ultima Iunii M. cccc. Lxxxxv. Pontificatus
Nostri Anno quarto (5).

Come risulta chiaro da questo documento, il Baldoli era già
Senatore di Roma quando ebbe questo incarico, e siccome nella
Bolla del 80 giugno 1495 si parla di semestre non terminato, e di
semestre nuovo da succedere senza interruzione al primo, si può
conchiudere che esso questo delicato ufficio abbia esercitato nel
primo e nel secondo semestre, cioè per l' intero anno 1495.

(1) CAMPANI, Opera, Roma, 1495, lib. VIII, epist. 34, fol. 64.

(2) Le arti e le lettere alla Corte dei Trinci, Foligno, 1888, pag. 25 e seg,
(3) Lacuna nel manoscritto.

(4) Lacuna come.sopra.

(5) Biblioteca del Seminario di Foligno, Cod. 8, VI, 8, fol. 514,
SILVESTRO BALDOLI DA FULIGNO 609

Lodovico Iacobilli negli Annali dell’Umbria ricordò i nomi
dei suoi Giudici collaterali, i quali furono M. Antonio Rustici da
Terni per il primo semestre e M. Brancaccio Brancaleoni per il
‘secondo semestre (1).

Si può affermare con sicurezza che questo officio abbia adem-
pito con soddisfazione del Pontefice e del Popolo Romano. Lo
.stesso archivio di casa Baldoli conservava un secondo diploma
di Papa Alessandro VI a favore del nostro Silvestro, con il quale
veniva autorizzato a far processi a tutti, senza riserve, ed anche
senza la consueta procedura, purchè agisse con scienza e co-
scienza. Questo diploma non fu trascritto integralmente, ma solo
in un sunto che qui riproduco come si trova :

Dilecto. filio Silvestro Baldulo V..I. Doctori Equit fulgina-
ten. Almae Urbis Nostrae Senatori Alexander P. P. VI. etc.
concedit facultatem ut pro delictis quibuscumque cuiuscumque
praeminentiae vel nobilitatis seu gradus existant possit eius
arbitrio procedere, eos multare poenas et alterando et minuendo
penas absque aliquo processu, seu termino observato, etiam de
facto prout sua conscientia dictaverit, et veritate comperta etc,
et ezcommunicautt conírafacientes etc.

Datum Romae apud Sanctum Petrum sub Annulo Piscatoris
die X septembris 1495 Pontif. An. 4.0

È B. Floridus (2).

Una volta, nel palazzo del Campidoglio, si leggeva in pietra
la seguente iscrizione incisa in suo onore dopo che ebbe termi-

nato l’ officio :

SILVESTER BALDOLVS EQVES ET IVRISCONSVLTVS FULGINAS
ALEX . VI: PONT : MAX - BENEFICIO
ROMANUS SENATOR AN - P. C - MCCCCXCVI (3)

(1) Biblioteca del Seminario, Cod. A, V, 6, fol. 408,
(2) Biblioteca detta, Codice citato, ibidem.
(3) Biblioteca detta, Codice A, V, 6, fol. 408. Il FoRcELLA pubblica questa iscrizione
togliendola da un manoscritto nella forma che segue :
SILVESTER AIDOLUS EQUES AG JURIS CONSULTUS FULGINAS
ALEXANDRI VI PoN'T. MAX, BENEFICIO ROMANU SENATU
i M.,CCCCLXXXXVI

i ttt If A097 Re
CE

610 M. FALOCI-PULIGNANI

Il tenore di questa iscrizione fa conoscere le benemerenze del
Baldoli e la gratitudine dei Romani per il Pontefice che scelse a
loro così degno magistrato. Sul principio del secolo XVII la in-

segna del Baldoli come Senatore di Roma si conservava nel Duomo‘

di Foligno (1), ma oggi non vi esiste più,

Foligno; luglio 1895. :

N M. FALOCI-PULIGNANI.

(1) Biblioteca del Seminario, Cod. A, II, 5, fol. 211.
611

CURIOSITÀ

| COLONNA CONTRO ROMA D- PAPA RUGENIO IV. NEL 1481

(Da dispacci nell’ archivio del Comune di Orvieto)

Gli storici incolpano Eugenio IV di avere con troppa violenza
affrontato i Colonnesi appena salito al pontificato; ma egli era
l’uomo che si sente sicuro di sè e prescelto dall’ alto a riparare
agli errori del suo predecessore per quello che riguardava i gen-
tili suoi, innalzati ad un grado straordinario di potenza e di ric-
chezza. Gli stessi segni precursori della elezione di Eugenio in-
fervoravano l’opera sua, tanto che alcuni lo accagionavano di dar
fede a indovini; nè le predizioni di S. Francesca Romana, di im-
minenti pericoli sulla città di Roma (1), potevano a meno di in-
fiammarlo. Troppo si era ecceduto perchè il forte ed austero ere-
mitano, la cui santa figura ci viene ritratta al vivo da Vespa-
siano Bisticci (2), a riformare la Chiesa fosse meno risoluto del
conclave stesso, onde era riuscito eletto, conclave noto nella storia
per la celebre, ma vana, capitolazione elettorale che rinnovava la
corte romana « nel capo e nelle membra ». Contro i Colonna de-
ponevano molti; e che di meno. poteva fare un papa di instituire
un giudizio? Il cardinale Prospero, il principe di Salerno e il conte
di Celano dovevano alla Chiesa ben più che i castelli e le ville
usurpate, quando le loro mani si erano distese fino su quei tesori
che la pietà dei fedeli aveva raccolti per somministrare la spesa
ai Greci di venire al concilio a trattare la unione delle chiese e
per muover guerra ai turchi. Il palazzo apostolico era stato sac-
cheggiato dei suoi valori; predati i gioielli e le gemme del pon-
tificato. Eugenio non era così rimesso di coscienza da lasciarsi
placare coi donativi, laddove si trattava di restituzioni. E se a

(1) Vita di S. Francesca Romana, lib. I, cap. 19.
(2) Riprodotto in Pastor, Storia dei papi, 1, IL

PROTRAE ES DAR VP ESTERA NER. 2 Ti
A O OE iis

-

619 L. FUMI

tale intimo, il cardinale Prospero Colonna fugge da Roma, arma
| vassalli, medita una rivolta della città, ordisce una congiura,
come incolpare il papa di soverchio rigore? I più fieri nemici del
pontificato furono bene spesso gli stessi suoi figli infelloniti dal-
l'ambizione, ingrati ai favori ottenuti, ciechi per avidità di do-
minio e per la sete delle sconfinate ricchezze.

Del tentativo di occupare Roma e della resistenza armata
dei Colonna danno avviso i dispacci qui appresso riferiti. Il primo
è dello stesso nepote del papa, Francesco Condolmario, Vice-camer-
lengo. E scritto da Roma il giorno dopo l’assalto, del quale il
Raynald dà erroneamente la data del 22 aprile (1). Dice il
Condolmario che Antonio Colonna sotto colore di trattare la pace
riuscì con inganno a occupare la porta Appia. La notte di poi
introdusse alcuni suoi armigeri in Roma per la stessa porta, oc-
cupò certi luoghi inferiori della città e fece ogni sforzo per dar
dentro nel rione Colonna, dove credeva trovare molti suoi fedeli
pronti a seguirlo. Stefano Colonna, capo di quelle soldatesche, si
spinse fino alle sue case, ma alla fine per forza di popolo, di ba-
roni e signori delle Marche e di feudatari della Chiesa i suoi rima-
sero vinti, presi e fugati. Dà il numero de’ prigioni infino a 500.

1431, aprile 24. Rif. CXXXIV, c. 48.

Nobiles efe. Noverit nobilitas vestra quod heri die XXIII presentis
mensis Antonius de Columna princeps Salernitanus sub colore et spetie
tractationis pacis, portam Appiam Urbis proditorie cepit. Nocte autem se-
quenti nonnullas gentium suarum armigerarum copia in Urbem per eamdem
portam induxit, nonnullasque Urbis partes extremas oecupavit, omnique
industria laboravit ut in Regionem Columne, ubi se fideles eidem multos
existimavit partesque suas secuturos invenire. Et cum Stefanus de Co-
lumna, qui precipuus earum gentium conductor erat, ad domum suam
usque pervenisset, demum fidelitatis populi romani et baronum nec non
aliquorum dominorum Marchie et feudatorum romane Ecclesie virtute
detenti expugnati atque fugati sunt. Capti autem sunt predictorum ho-
stium circiter quingenti atque omnipotentis Dei gratia ac beatorum apo-

(1) RAYNALD, XV, 120,
a ir

ren

È 2 x erre ce OR x TIT rigo
pe è orn, i "hs 28 » dé s i cd vit. zü- # 3 *
CURIOSITÀ 613

stolorum Petri et Pauli victoria gloriose acquisita est. Speramusque eiu-
sdem onnipotentis Dei gratia in dies secundiora provenire debere. :
Dat. Rome die XXIII aprilis 1431.
F. CONDOLMARIO
Apostolice Sedis Prothonotarius
S. D. N. Pp.e Vicecam. etc.

Il secondo avviso viene da Viterbo: è scritto ai 26 aprile dal
Rettore del Patrimonio di San Pietro, Bartolommeo di Altopascio.
Si può capire che l'informazione sua non provenisse dalla mede-
sima fonte del Vice-camerlengo. La notizia non è partecipata nella
medesima forma della precedente lettera: e dice che in compagnia
del principe di Salerno vennero il di 24 Ruggero Gaetani e An-
drea de’ Serri. Si credevano avere dalla loro il popolo romano;
venuti alle mani colla gente della Chiesa, finirono col fuggire,
perdendo cento cavalli e molti fanti.

1431, aprile 26. Rif. LXXXIV, c. 48.

Magnifici e/c. Heri habui nova certa de Roma qualiter. XIIII pre-
sentis mensis princeps Salernitanus, Rugerius de Gaetanis et Andreas de
Serris intraverunt Romam, putantes cum subsidio romanorum subvertere
statum Ecclesie et S. D. N. pape. Tandem, disponente clementia autoris
Sedis Apostolice et providentia ipsius vicarii, recepto conflictu a gentibus
Zcelesie, arripientes turpiter fugam, expulsi sunt de Urbe cum perdi-
tione ultra centum equitum armigerorum et multorum peditum. Igitur
letamini in domino et confidatis in potentia redemptoris, qui indubitanter
dabit prosperitatem Ecclesie et vicario sancto suo domino nostro. Sitis-
tamen sollieiti ad bonam custodiam, donec per S. suam habundantissime
in brevi providebitur ne vos invadant lupi rapaces. Parat. etc.

Dat. Viterbii die XXVI Aprilis 1431.
Vester B. de Altopassu
Rector Patrimonii.

Il bollettario del 29 aprile di detto anno ha queste partite che
si riferiscono all'avvenimento e lo illustrano :

Uni nuntio destinato per d. Bartholomeum de Altopassu rectorem Pa-
trimonii ad advisandum quod deberemus nos cavere a gentibus princi-
pis Salernitani tamquam ab inimicis Ecclesie — lib, duas.
Pi a errore:

614 L. FUMI

Item Frescadanze nuntio destinato Viterbium ad prefatum dominum
Rectorem cum licteris — lib. duas.

Item Porcellutio Caballario destinato per Comitatum Urbisveteris ad
advisandum Comitatenses ut deberent se custodire a dietis gentibus
principis — lib. quatuor pro duobus diebus, quibus stetit cum equo suo.

Item nuntio misso per prefatum d. rectorem ad significandum bona
nova de conflietu principis — lib. unam.

Item pro tribus petittis oley et pagnonibus ad faciendum gaudium
de dicto conflietu — libras duas.

Item Bartholomeo de Collelongo caballario destinato ab alia parte
Comitatus Urbisveteris ad advisandum ut se deberent homines custodire
a gentibus dieti principis — lib. quatuor (Rif. CX XXIV).

Qui ad accrescere la curiosità delle persone erudite giove-
rebbe assai far seguitare ai due avvisi orvietani i due dispacci
reatini dell'Archivio Gonzaga di Mantova, del 7 e del 12 di luglio
relativi alla successiva congiura dei Colonnesi contro la persona
di Eugenio IV. I] chiarissimo professore Pastor nel primo volume
della sua opera, la Storia dei Papi, ha promesso di pubblicarli
(1) e quindi in attesa che egli compia l'opera e attenga la
promessa, noi modestamente gli offriamo la continuazione delle
nostre ricerche, col seguente dispaccio del Rettore del Patrimonio
spedito da Viterbo agli 11 luglio.

Basti ricordare, ad intelligenza, che sventata la congiura di
prendere Castel S. Angelo, avere il papa morto o cacciato insieme
agli Orsini, « arse (dice il Gregorovius) la guerra in tutto il
Lazio » (2). Jacopo Caldora spedito dalla regina di Napoli a capo
di soldatesche; Niccolò da Tolentino accorso per ordine de’ vene-
ziani e de’ fiorentini. Ma il primo, corrotto per denaro, tradiva.
Meglio serviva l’altro, accompagnato, come ha il nostro dispaccio,
dal conte Dolce, dal Gattamelata e dal figliuolo del conte di Ce-
lano. Visi aggiungeva poi Menicuccio dell'Aquila. Intanto la guerra
combattuta nel Lazio si estendeva nel Patrimonio e penetrava
nell' Umbria. Sappiamo da Niccolò della Tuccia che il principe
di Salerno, oltre alle terre di là da Roma, teneva Soriano, Mu-
gnano, Chia, Nepi, Orte, Amelia, Narni, S. Lorenzo e Castel

(1) PASTOR, I, II, n. 1, parla di dispacci di Francesco de Cattabenis e Matteo de
Corradis da Rieti.
(2) Storia di Roma nel medio evo, VII, XIII.

__ «o:


MSS PAGS d DECO e

CURIOSITÀ 615

d'Araldo. Orlando da Genazzano e Jacopo Colonna si rinchiusero in
Porano, in vista di Orvieto. Il papa fece conquistare dagli Orvie-
tani S. Lorenzo che si rese alla fine di maggio, come si apprende
dai registri di spese del Comune. Dalle varie provvisioni che pér
questo si fecero a fine di difendere il territorio e guardare la
città, si comprende che il contraccolpo di questa guerra doveva
sentirsi fino ad Orvieto, dove, giungevano frequenti gli avvisi del
passo di soldatesche e dove vigilantissima era la custodia alle
velette e senza posa la spedizione dei cavallari per spiare le mi-
lizie.

I] Rettore del Patrimonio dunque comunicava le nuove avute
dalla Curia romana: come fra otto giorni passerebbero 2000 ca-
valli. Fa presentire prossima la pace con Antonio Colonna, seb-
bene egli non ci creda. La regina di Napoli tosto come aveva
saputo del tradimento di Caldora avere fatto prendere il figliuolo
di lui: il gran conestabile allestiva. cavalli e fanti in. soccorso
della Chiesa.

1431, luglio 11. ‘ \Rif. LXXXIV, c. 252.
Magnifici etc. ......... Adviso V. M. de novis, quas habeo de Curia.

Nicolaus de Tolentino cum Comité Dulce, Gactamelata et filio Contis Ce-
lani eum duobus milibus equitum ad mandata S. D. N. infra octo dies
credo transibunt per territorium vestrum. Igitur provideatis cito quod
non damnificent planum vestrum. Item concordia strictissime tractatur
cum Anthonio de Columna olim Salernitano: multi credunt quod con-
cludetur. Ego vero minimum, propter difficiles varietates. et differentias.

Regina Neapolis statim cum sensit prodimentum Iacobutii Caldoro fecit .

‘api filium suum, et magnus Connestabilis facit apparatum cum equiti-
bus et peditibus, ut mittant in suceursum domini nostri contra inimicos
Ecclesie. Si aliud sensero advisabo M. V. Parat. efe. In Monteflascone
die XI Julii 1431.

B. de Altopassu Rector Patrimonii.

Anche senza questi nuovi soccorsi, i Colonna sarebbero stati
spacciali; ma Eugenio IV, pago di averli arrivati con ripetuti
colpi, trattata la restituzione dei castelli e la recupera di gran
parte del tesoro, volle la pace, la quale fu conchiusa il 22 set-
tembre e festeggiala anche in Orvieto e nei luoghi dell’ Umbria.

ACA db aEL 0 cesi er: KA.
616 L. FUMI

Ugo degli Albizi, tesoriere del Patrimonio, consentì la spesa
di dieci fiorini per celebrare la festa \con libazioni, confetti, lumi-
narie e donativi (1).

[1431] ottobre, 6. Rif. CXXXIV, c. 682.
Egregie vir et amice carissime salutem...... Havemo havute lettere

da li S. Conservatori che per ‘fare festa de la pace et vittoria obtenta
per la S. de nostro S. li concedamo possino spendere fiorini dieci. Et
perché ce pare cosa congrua et degna li divoti de saneta Ecelesia et de
la S.tà de nostro S. se possono ralegrare et fare segno de tanta victoria
siamo contento li decti dieci fiorini a..... per la decta festa possono ex-
pendere......

: Viterbii VI octobris VIII Ind.

Ugho Albizi de Florentia Patrimonii etc. Thesaur.
(A tergo)
Prudenti viro Iohanni Francisci
cancellario Urbevetano amico carissimo.

Finalmente, ci pare utile riunire qui le nolizie ordinate del
movimento militare e dei fatti intervenuti infino alla conclusione
della pace.

1431, maggio 2. super transmissione centum peditum pro ponendo
castra contra castrum Saneti Laurentii secundum requisitionem factam
per d. Rectorem P. pro statu E. et d. N., C.i Urb.no

— super provvisione velettarum et caballariorum euntium ad scopertam,
ne gentes inimice invadant improvise territorium Urbev. — eligantur XII
cives... ponatur bannimentum et si quis vellet habere stipendium vadat
ad Cancellarium et quod conducantur usque ad centum vel quinquaginta
seeundum quod possunt reperiri et firmentur pro quatuor vel quinque
diebus cum stipendio pro quolibet stipendiario 20 sol. singula die — et
similiter provid. de caballariis et velettis prout esse potens et mugge. —

— mag. 17. electi ad faciendum scopertas versus Cervarium et Mon-
temflasconem pro pretio et salario septem flor. —

— mag. 28. Velettis deputatis ad scopertam versus Alfinam.

(1) Cronache e statuti della città di Viterbo per IGNAZIO CIAMPI, nel vol. V. dei
documenti di storia italiana a cura della R. Deputazione di storia patria per le pro-
vincié della Toscana e dell’ Umbria, pag. 118.
©

tea Mt dini dii o_o

CURIOSITÀ 611

— mag. 29. pro uno numptio misso in Comitatum ad eaballarios pro
sciendo nova de comitiva que transiverat. i

— pro numptio qui venit cum lieteris d. Rectoris Patrimonii ad

signifieandum quod gentes inimice transiverant.

— pro uno numptio misso Vulseni pro factis concordie S. Laurentii. .

— giugno 24.
Pro uno numptio misso ad castra Montisleonis,
Montiscabionis et Saneti Casciani pro factis Scetonii . lib. ij
It. pro uno numptio misso per Ceechum de Ba-
schio ad dd. Conservatores ad significandum quod
gentes armigere debebant predare ... .:. . . > 7
It. pro uno numptio misso ad comitem Ugolinum
oecasione gentium armorum quas habet quod non de-
beret offendere in preiudicium Civitatis Urbisveteris > j, sol 2
— giugno 29.
Pro:uno misso destinato per Cechum de Bastio
qui notificavit quod gentes armigere debebant pertran-
sire per. terltorum-UrbIsvelenS -. 19 10. 2 15. 02-249 2 0022
Pro duabus salmis vini destinatis Menicuccio de
Aquila capitaneo gentium armorum... . . . . . » XV) >» »
It. pro duobus sachis pani destinatis dieto Meni-
CUCHO oq LUE Li UM e) ut
— sett. 29.
Pro festo pacis.
Petro Thomassactii mercatori pro octo brachiis scear-
lactini largiti nuntio qui apportavit novam de pace
ad radioném decem Jib. ;den?pro/cahna — vo i QD *
It. pro suctura eioppe dieti panni armis depietis
in en'eU sQocUs. DIO JpsO-hunCLlO . X 6 3 Lo i et rA 1. o»
It. Girardo familiari d. Conservatorum pro duabus
tortiis ponderis sex lib. emptis per ipsum in sero quando
Vvemp:dierus:numpisuss sis Su eS P EQ ENNIUS IUIS ij) » wcviij
— ott. 10.
Girardo famulo dd. Conservatorum et expenditori
pro duabus salmis vini emptis per ipsum a Nicolao
Faxioli ad rationem decem lib. den. pro qualibet salma
pro festo fiendo de pace noviter facta vigore et occa-
sione lictere trasmisse per Thesaurarium .. . ... ..» XL». è»
It. pro quindecim libris confectionum acceptis a
Iohanne Maethei aromatario ad rationem triginta sol.
pro qualibet libra-pro dieto festo fiendo .. . . . . » ari) » »

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619

ANALECTA UMBRA

In questo Bollettino, I, 111, fu notato che il dott. I. Ludovisi ha
trattato delle memorie storico-critiche intorno al Ducato di Spoleto nel-
l'a. VI, puntata 12 del Bwllettino della Società di Storia Patria A. L.
Muratori. Or bene, sia opportuno segnalare le conclusioni a cui l' a. è
pervenuto. Circa il 577 il ducato cadde sotto il dominio de’ Longobardi e
ne fu primo duca Faroaldo, quel medesimo che perdé la vita combat-
tendo contro l'esarca. Dagli altri duchi successivi sono da escludersi
Grimoaldo del 640, Teudolapio secondo del 659, quel Romano che il Mu-
ratori eredé successore e figlio a Guinigi nell’ 800, ed Eccideo. Suppone
successe nell’ 822. Guido, come finora si asserì, non fu figlio o fratello
di Lamberto II, ma suo semplice consanguineo. Dopo il secolo XII, cioè
dall’ ultimo e legittimo duca Corrado di Liitzelhard, Spoleto fu retta da
Governatori. Il dott. Ludovisi, corretti così alcuni errori del Muratori e
del Campello, ci dà sicuri elementi per ricostituire con critica la serie dei
duchi spoletini (*).

Nel doppio fascicolo aprile-settembre 1895 degli Studi e documenti
di storia e diritto il Pardi pone fine alla sua bella memoria su La signoria
di Ermanno Monaldeschi in Orvieto, corredandola di XIX documenti.
L'egregio autore dimostra come fosse un fatto naturale delle lotte in-
terne la signoria di Ermanno e come riuscisse una provvidenza il suo
governo, che avrebbe dati frutti anche piü maturi se fosse durata meno
brevemente. — Nello stesso fascicolo il Fumi, servendosi di documenti
dell'archivio Piecolomini di Orvieto, tratta della peste di Napoli del 1656

(*) & proposito di storia spoletina giovi far menzione del volume di F. Tenckhoff
sulla « Lotta degli Svevi per la Marca d'Ancona e il Ducato di Spoleto » (Der Kampf
der Hohenstaufen um die Mark Ancona und das Herzogthum Spoleto von der swei-
ten Excommunication Friedrichs II bis sum. Tode Koradins. — Paderborn, 1894).
620 ANALECTA UMBRA

secondo il carteggio inedito della Nunziatura pontificia, rilevando noti-
zie che condannano il governo spagnolo incurante e colpevole in. quel
terribile frangente, e mettendo in luce i giudizi della Nunziatura, e i

meriti del Nunzio mons. Giulio Spinola di Genova.

Giovanni Sforza nella dispensa II dell'Archivio storico italiano di
quest'anno discorre di Alfonso. Ceccarelli da Bevagna per la relazione
che egli ebbe con Alberico Cybo Malaspina principe di Massa, e dimo-
stra che se il celebre falsario riuscì à gabbare il principe colle sue goffe
imposture, tuttavia non lo aveva ‘fatto troppo persuaso della fede da
darglisi, il che accennò anche il Tiraboschi a lode di quel principe. OI-
tre a lettere inedite del Ceccarelli, l'egregio cav. Sforza riporta la fiaba
della scoperta da quello fatta-in Todi di una. vecchia cassa contenente
molti libri e contratti ed altre scritture e diplomi in pergamena, che poi
il Cybo si fece inviare in parte; come sono quel di Ottone I e la bolla
di Onorio II sottoscritta da Uldaricus Cybo genuensis presbiter. cardi-
nalis tit. SS. Joannis et Pauli, che si trovano anche adesso nell'Archivio
di Stato in Massa. Del Ceccarelli hanno parlato, fra gli altri, per ciò
che concerne anche ]' Umbria il Labruzzi e il Fumi, e lo Sforza cita i
più recenti, Ottenthal, Nachworth e Riegl, Alfonso Ceccarelli und seine
Fülschungen von Kaiserkunden, in Mittheilungen des Instituts für. Oe-

sterreichische Geschichtsforschung, XV, fase. II del 1894.

Chi vorrà un giorno discorrere di Giovanni .Musefilo e della sua dot- -

trina troverà nel recente libro del dott. G. Cannavale Lo studio di Na-
poli nel rinascimento (Torino, Clausen, 1895: efr. pure Origlia, Storia
dello Studio di Napoli, II, 3) opportune notizie sul. suo insegnamento
nello Studio napoletano. Qui fu lettore di poetica e retorica dal 1507 al-
l’anno successivo, e da questo al 12 dió lezioni sulle tragedie di Seneca.
Mori certo nel 12, ché il 30 giugno di quest'anno fu pagata al figlio
Giovanni Alfonso l'ultima parte del suo stipendio. Com’ é noto, il Mu-
sefilo è eugubino, e ne’ privilegi concessigli è sempre detto « magnifi-
cus et eloquens vir eugubinus bonarum artium studiis clarus regius di-
lectus ». Della sua presenza a Napoli abbiamo conferma negli Atti della
Cancelleria di Carlo VIII (Archivio di Stato di Napoli, Reg. esecuto-
riale num. 10, fol. 2 e seg.) di cui il dott. E. 0. Mastroianni ha comin-
ciato a pubblicare il sommario nell’ Archivio stor. per le prov. napole-

tane, fase. I del 1895, pag. 54.

Nel vol. VI, fasc. III delle Memorie di un architetto (Torino, Ca-
milla e Bertolero, 1895) il prof. R. Percossi riproduce. l’incisione del

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ANALECTA UMBRA j 621

monumento a mons. Angelo Geraldini nella. chiesa di s. Francesco di
Amelia. ;

Nella storia della Certosa di Pavia che 1’ architetto Luca Beltrami
ha ora rifatta e così riccamente illustrata. (Milano, Hoepli) più volte ri-
corrono i nomi dei due grandi maestri perugini, di Galeazzo Alessi e d!
Pietro Vannueci. Il primo che aveva eretto in Milano il palazzo Marino
e la fronte della chiesa di s. Maria presso s. Celso, « ebbe a dare i di-
segni per le guglie sui contrafforti dei fianchi della chiesa e per il sar-
cofago. di G. Galeazzo Visconti; a lui si possono anche attribuire le de-
corazioni in stucco della chiusura del coro e le pile per l’acqua santa >.
Gli avanzi di quei pinnacoli dei fianchi, che l'Amadeo aveva eseguiti
e quegli rifece nel 1560, oggi custodisconsi nella sala del Museo. Con
la cooperazione di Martino Bossi egli lavorò alla chiusura marmorea del
coro e « nella parete verso l’abside utilizzò vari bassorilievi del sec. XV ».
Di verso il 1560 è il suo disegno dell’urna su cui giace distesa la figura
del Conte di Virtù. — A far le « picture per devotione et ornamento
della chiesa » era stato scelto con maestro Filippo fiorentino il Vannucci
« pictori prestanti et optimi nel mestero »: così in una lettera di Lodo-
vico il. Moro del 1499. L’ancona che. il Perugino dipinse era di sei scom-
parti: quando i Certosini furono soppressi, « assegnata dapprima all’Ace-
cademia di Brera nel 1784, fu invece venduta, in parte, alla famiglia
Melzi nel.1786 per passare poi più tardi, nel 1856, nella Galleria Nazio-
nale di Londra » a cui, come si sa, fu venduta per centomila lire. Oggi
ne rimane uno scomparto solo, ed è nella cappella (la seconda a sinistra)
di s. Michele Arcangelo : « i tre scomparti inferiori vennero sostituiti
da copie che erano state nel 1586 ; mentre nei due superiori si colloca-
rono due frammenti di una pala del Borgognone ».

Annunziamo con piacere la imminente pubblicazione d'una memoria
del prof. Giulio Calzini sul Palazzo ducale di Gubbio. Escluso ogni dub-
bio intorno all’ architetto, che fu Luciano da Lovrana, mercè i molti e
sottili confronti tra questo e il Palazzo di Urbino, il C. constata la so-
stanziale differenza che corre tra le sculture dellé due splendide costru-
zioni. La scarsa abilità artistica, dimostrata dagli scultori nelle opere
del palazzo di Gubbio, dimostra che questo non può essere stato innal-
zato prima di quello di Urbino, nè è da supporre che dall’una all’ altra
città passassero i medesimi artisti: gl’ intagli del palazzo urbinate sono
di troppo superiori per merito di esecuzione a quelli di Gubbio, dove
certamente non lasciò traccia di sè il grande maestro Ambrogio Barocei

Bia Rm

La
622 ANALECTA UMBRA

di Milano. Non dunque deve eredersi che nel-1472 Guidubaldo vedesse
la luce nell’attuale palazzo eugubino: nacque, è vero, a Gubbio e molto
probabilmente nell’antico palazzo ducale, che poi Federico volle ampliato
e abbellito sui disegni dell’ architetto Luciano. Cosi non è credibile che
la costruzione del palazzo di Gubbio sia posteriore a quella dell’urbinate
e che all’una ed all'altra abbiano lavorato gli artisti medesimi. Il C. di-
mostrerà che i due palazzi sorsero contemporaneamente ; se non l’epoc:
precisa, ne darà almeno la data approssimativa. Il suo lavoro storico-
artistico si basa sui confronti, particolarmente dei due cortili e dei par-
ticolari delle meravigliose sculture; molte fototipie saranno intercalate
nel testo. C' è da compiacersi perché il prof. C. sia pervenuto a resul-
tati nuovi, studiando quel monumento bellissimo con fine sentimento d’arte
e con severo rigore di critica; ma c'è anche da sentirsi stringere il
cuore pensando che intanto quel palazzo minaccia di cadere da ogni
lato, ed è ingombro di rovine di tetti caduti, di vólte sfiancate, di pa-
vimenti sfondati. Quanta vergogna !

Delle Canzoni storiche del sec. XV, che Umberto Congedo ha or:
pubblicate per nozze Crivellucci-Brunst (Lecce, 1895), soltanto la seconda
ha per noi particolare interesse. Dice opportunamente 1’ editore :. « È
scritta contro Braccio da Montone. I grandi disegni di costui, la tenacia
e la.costanza con cui si accingeva a metterli in pratica, il suo meravi-
glioso valore e il suo stesso portamento bello ed altero resero amato dal
popolo il nome di Braecio: questi nelle poesie popolari fu celebrato,
mentre fu oggetto di vituperii e di invettive acerbe per una parte dei
poeti auliei. Siecome in questa poesia il conte d' Urbino é chiamato fi-
gliuolo di Firenze ed egli fu eletto cittadino fiorentino nel 1422, cosi la
canzone fu certo composta in un tempo posteriore a quest’ anno. Ma
Braccio mori nel 1424; dunque la canzone, nella quale si spera in una
prossima caduta di Braccio, fu scritta tra il 1422 e il 24. La canzone
poi accenna alla malaugurata spedizione di Gubbio fatta da Braccio da
Montone, come si rileva dalla vita serittane dal Campano, monis jam-
nuariis del 1423: si può quindi affermare che la canzone sia stata pro-
prio composta in quest'anno, probabilmente per compiacere al papa. In
essa dalla cattiva riuscita della spedizione si traggono gli auspicii della
prossima caduta di Braccio ; e l'autore se ne consola, lo dice, irrepabil-
mente perduto se Firenze e il Duca d’.Urbino non lo aiutano, ed enu:
mera anche le malvagità del celebre capitano. Questa poesia, molto scars:
di valore letterario, 6 per altro di qualche importanza per la notizia dei
fatti del tempo e pel giudizio che l'autore ne dà ». Peccato che per.la

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ANALECTA UMBRA. 623

Storia dell'assedio di Gubbio nel 1419 e nell'anno successivo e per quella
delle relazioni fra Braccio e Cecciolo di Giovanni Gabrielli (esclusi, s'in-
tende, la Cronaca, cosi detta, del Berni, la Vita del Campano e ció che
ne scrisse il Reposati, Della Zecca di Gubbio, I, 134 e seg.) manchino
documenti nei libri delle Riforme di Gubbio, e manchi particolarmente
il volume dal 1417 al 19. C' è però nel volume dal 1420 al 22 (num. 20,
fol. 8) un Decreto del Duca di Urbino « contra illos qui aliquid quoquo
modo tentarent contra statum nostrum ». Il conte Guidantonio concede
« plenum liberum et absolutum arbitrium Potestati nostro Eugubii et
eius Vicario inquirendi procedendi et condepnandi et puniendi summarie
et de plano, sine strepitu et figura iuditii prout eis melius et abilius
placebit et libuerit expedire contra quaseumque personas que ause fuerunt
sunt et erunt atentare ordinare et notificare aliquid quod sit contra sta-
tum nostrum et sancte Rom. Ecclesie et prelibati domini nostri Pape et
nostrorum complicum et sequatium ; volentes per hoc presens decretum
quod quidquid fecerit habeatur ratum et firmum. Ita quod sindicari non
possint de eo et spetialiter de illo quod fecerint contra Ciecolum et Ga-
brielem [de Gabriellis] et omnes illos qui.fuerunt cum eis et cum Brac-
cio de Montono ad turbandum pacificum statum civitatis Eugubii et eius
comitatus ». La canzone comincia « Ora è venuto il tempo, ora è il de-
stino »; é di Anselmo da Firenze: il signor Congedo l'ha pubblicata
sul cod. 122 Laurenziano della ss. Annunziata.

Nell'ultimo numero della Miscellanea d'erudizione e belle arti, diretta
dal prof. F. Ravagli, il prof. Angelo Lupattelli ha inserita una lettera

sopra Un quadro di Luca Signorelli esistente in Umbertide. La tavola

(fu ordinata nel 1516 e collocata al suo luogo l’anno dopo, come rile-
vasi da documenti dell'Archivio de’ Disciplinati, ora della fraternita di
s. Croce) rappresenta la Deposizione dalla croce. L'ancona oggi non è in-
teramente originale; sostituitavi nel sec. XVII « una gran mostra. d’al-
tare », ne rimangono soltanto due pilastri e la predella, dipintevi aleune
storie e scrittavi la legenda « Lucas Signorellus de Cortona pietor pin-
gebat ». Molte sono le figure che compongono il quadro, di cui il fondo
« presenta severe linee di paesi, nelle quali, seguendo il suo costume,
il pittore in piccole figure ci ricorda i fatti che precedettero e seguirono
la Deposizione ; così sulla sinistra veggonsi i condannati appesi al sup-
plizio, e a destra la salma del Redentore condotta alla tomba ». Le cin-
que storie che ammiransi nei tre scompartimenti della predella sono,

come il prof. L. le descrive, le seguenti: 1.8 — Un episodio della disfatta

di Massenzio : l'accampamento di Costantino occupa la destra del Tevere
È ,
624 ANALECTA UMBRA

e presso la via fra i suoi capi e le insegne di Roma l’imperatore assiste
al guado della sua cavalleria che insegue il fuggente: nemico. — 2.% Il
discoprimento della croce in presenza dell'imperatrice Elena e del ve-
scovo Maccario. — 3.* La miracolosa risurrezione di un giovinotto al
contatto del santo legno. — 4.* S. Elena inginoechiata innanzi a una
grossa trave che attraversa un fiume, e dietro ad essa il seguito delle sue
dame ed un cavallo bardato. — 5.* L' ingresso solenne della santa reliquia
in Gerusalemme : a sinistra vedesi la porta della città con persone ge-
nuflesse sul davanti, con torchietti in mano; da destra a sinistra pro-
cessionalmente avanza il corteo, e reca la croce quel giovanetto che re-
suscitò per averla toccata ; viene quindi il vescovo Maccario seguito da
cavalieri ». Di questa tavola, per la quale il prof. L. fa voti perchè sia
con maggior cura tenuta, sì che meglio sia ammirata e stimata, avea
dato un breve cenno il Milanesi, annotatore delle (Vite di Giorgio Va-
sari (Firenze, Sansoni, III, 703); ma nel descriverla ebbe sott’ occhio
l’Indice-Guida del Guardabassi. Le storie della predella furono dal Crowe
e dal Cavalcaselle eredute esistenti nella galleria di Allenburgh : il Ro-
sini dió nella Tavola 65 della sua Storia della pittura Y incisione sol-
tanto del dipinto centrale. — Nelle note il prof. L. indica altri capola-
vori e oggetti d'arte che ammiransi in Umbertide: un frammento della
maravigliosa tavola del Pinturicchio, rappresentante la Incoronazione
della Vergine ; la cripta della piccola chiesa di s. Erasmo che può essere
del secolo XI; le due chiese di s. Maria della Reggia e di s. Maria che
sono del sec. XVI. In questa, all’ esterno, è dipinta una lunetta da at-
tribuirsi, se non al Pinturicchio, ad uno della sua scuola; e v' è pure
un quadro del Magi allievo del Barocci. In s. Francesco è un dipinto
del Pomarancio colla leggenda « Nicolaus Circignanus de Pomaran-
cio pingebat », col nome del committente e l'a. 1577. Un quadro del
Flori e sculture. pregevoli sono in s. Bernardino, dov’ è anche la statua
del santo scolpita nel sec. XVI da un seguace della: maniera del Vec-
chietta.

Balneoregensia ab anno MCCL ad annum MCCCLXXVII ex ta-
bulario urbevetano tum diplomatum tum reformationum ab Aloysio Fu-
mio deprompta et in regesti formam breviter redacta. Per nozze Petran-
geli-Malibert (orvietano lo sposo e bagnorese la sposa) il Fumi ha pub-
blicato un saggio di regesti orvietani di cose bagnoresi. Dopo la dedica,
una lettera-prefazione accenna brevemente allo scopo della pubblicazione,
che è di ridestare le ricerche affatto, fin qui, trascurate nella storia me-
dievale della patria del grande Bonaventura, e dice: Nunc demum, quo-

rn

— da

=;

ANALECTA UMBRA : 625

miam. in historiam, quae antea negligebatur, temporis illius quod aerum
medium vocant, fere omnium mentes conversae sunt, et quidam. singu-
laris ardor animos pervasit curiosius eam. exquirendi, non dubito quin
unum aut alterum, ex solertibus ingeniis, quorum numquam indiguit
Balneoregium, huic studiorum generi operam sit daturum, et cum manu
scripta volumina, cum . chartulas quascumque aliaque id genus monu-
menta undique colligendo, summam. diligentiam. adhibiturum, ut memo-
rabilia e tenebris eruantur et aliquo commentario illustrentur etc. ete.

Le relazioni fra Bagnorea e Orvieto dapprima pacifiche e di mutua
alleanza (1250), continuarono tali fino a tutto il see. XIII e l'azione delle
due eittà fu comune nelle lotte contro Montefiascone. Comineiarono ad
essere turbate nei primi del 1503, quando una mano di gente, orvietani
la maggior parte, fu'sopra alla città di Bagnorea e poco mancò non la
occupasse. Alla fine di quell' anno stesso, il Comune di Bagnorea dava
lo sfratto a Conte di Ugolino Monaldeschi di Orvieto che esercitava su
quel Comune l’ ufficio di podestà, donde hanno principio le rappresaglie
fra i due luoghi. Il governo ‘guelfo dei Cinque d’ Orvieto ebbe cura di
rifermare l’ amicizia con Bagnorea dopo la rotta degli orvietani a Mon-
tefiascone e ne rafforzò la guardia, deputandovi il famoso Ermanno Mo-
naldeschi il 29 dicembre 1316, particolarità sfuggita alla diligenza del
prof. Pardi nel suo lavoro: La signoria di Ermanno. Monaldeschi in Or-
vieto (Roma, 1895). Bagnorea fu pure sostenuta dal partito guelfo orvie-
tano contro i bastardi del Prefetto di Roma e del Bisenzo, e allorchè
venne a mano de’ ghibellini, salvo la rocca tenuta forte da Berardo Mo-
naldeschi (1322), fu dalle armi orvietane recuperata. In Bagnorea poi si
confermò la pace con Viterbo sulla fine di quell’anno. A partire dal 1363
ebbero principio le divergenze fra i due Comuni per cagione di confini,
proseguite sempre fino a scoppiare in. violenze gravi sotto gli occhi stessi
del pontefice Pio II che corse pericolo di patirne egli stesso qualche
brutto effetto, allorchè da Orvieto si recava verso Bagnorea, come narra
il Fumi in altro scritto: La pace di Pio II ecc. Con questo scritto nu-
ziale sembra al Fumi potersi dáre un saggio di regesti orvietani, dove
non si fa che riprodurre le notizie con le stesse parole dell' atto, Spo-
gliato. delle sole formule più comuni e non necessarie alla piena cono-
scenza del doeumento. E senza dubbio i tesori racchiusi nei nostri ar-
chivi in specie nelle Riformanze dell’ Umbria, non. saranno mai bene
presentati se non sotto questa rigorosissima forma che equivale alla ri-
produzione degli originali stessi e nella stessa loro lingua, conservando
le medesime parole dell’ atto.

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626 i ANALECTA UMBRA

Il conte avv. Wenceslao Valentini in una pubblicazione di occasione
ha esposto in vari specchi I patrimonio di Fisimbo e Filidio Marabot-
tini nobili orvietani (Orvieto, Tosini, 1895) e ha parlato acconciamente
della storica casata dei Marabottini e di quel marchese Filidio che fu,
forse, il letterato più illustre di Orvieto, per lo meno nel secolo XVII.
L'a. si é servito di seritture inedite, delle quali giova sperare che si
varrà per discorrere in seguito con .ampiezza anche maggiore del gra-

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dito soggetto. Non sappiano se in questa diligente pubblicazione abbia
maggiore importanza la memoria preliminare, accuratissima e ornata, o
i quadri e le tabelle che traeciano la qualità, la quantità e il valore pa-
trimoniale di uno dei più ricchi signori orvietani del magnifico seicento.
Certo è che la pubblicazione è singolare di per sè e gli amatori della
logismografia la troveranno interessante e curiosa, come utile gli eruditi.

Nel prossimo fascicolo (II dell’anno III) della « Miscellanea Storica

della Valdelsa » sarà pubblicato un articolo del prop. dott. Ugo Nomi-
Venerosi-Pesciolini sopra un quadro di Bernardino Betti da Perugia detto
il Pinturicchio.

La libreria editrice Galli di C. Chiesa e F. Guindani (Milano 1895)
ha dato alla luce molti sonetti ed altre. poesie in dialetto perugino del

ei

prof. Ruggero Torelli di ch. mem. I sonetti sono preceduti da una vita
dell'autore e da alcuni appunti sulla Fonetica e Morfologia Perugina,
dettati dal valente ed egregio nepote dell’autore medesimo, dott. Ettore
Verga, nostro socio aggregato. I pregevoli versi del Torelli, hanno già
ed acquisteranno sempre più col volger degli anni anche un interesse
storico.

Nel numero 2 degli Atti dell’ Accademia Properziana del Subasio in
Assisi leggesi un interessante articolo del prof. Leone Leonelli su Fran-
cesco Antonio Frondini, il benemerito erudito assisano, del quale 1’ illu-
stre Bormann nel volume XI del Corpus inscriptionum. latinarum ebbe
a scrivere: « Auetor epigraphieus Asisinas longe praestantissimus, quo-
cum inter auetores omnes municipales pauci digni sunt qui comparentur,
est Franeiseus Antonius Frondini ». Lo stesso numero contiene una let-
tera di Pietro Metastasio data da Vienna V 11 settembre 1769 e indirizzata

al signor Rinaldo Sbaraglini. Il pregevole autografo fu donato all’ Acca-
demia Properziana dal prof. Leto Alessandri.

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£^ Il ch. prof. Oscar Scalvanti della Università di Perugia
ha rinvenuto in un archivio privato un nuovo esemplare della « Cronaca
perugina » che va sotto.il nome del ‘Graziani. La scoperta è del più
grande interesse non solo per Perugia e per l' Umbria, ma per gli studi
generali, poiché fortunatamente questo esemplare è il più integro fra
tutti gli altri e completa l'edizione degli eruditi Fabretti, Bonaini
e Polidori nell’ Archivio Storico Italiano. Il prof. Scalvanti ne pre-
parerà la edizione, e intanto ne dà conto alla nostra Società con uno

scritto che vedrà luce nel nostro Bollettino di gennaio '96.

«x Un'altra rilevante scoperta è stata fatta dal Fumi, che in un
archivio di Orvieto come già rinvenne il « Chronicon sicula » con al-
tre scritture, di cui si ha un solo esemplare in un Ottoboniano della Va-
ticana, così ora ha ritrovato il codice contenente la « Legatione in Francia
del cardinale Pietro Aldobrandino » per la questione di Saluzzo tra En-
rico IV re di Francia e Carlo Emanuele duca di Savoia, e il trattato di
Lione. Questo codice che manca nell’ archivio Vaticano, per quante ri-
cerche vi abbia praticate ad istanza del chiarissimo signor Manfroni
l'egregio padre cassinese don Gregorio Palmieri primo custode di
quell’ archivio segreto, sarebbe l’unico oggi conosciuto di quella impor-
tante scrittura che servi al Bentivoglio per le sue « Memorie » come
prima era servita al Tortora per la storia universale di Francia. Il Fumi
ha riferito della scoperta al presidente della R. Deputazione di storia
patria per le antiche Provincie e la Lombardia, e va preparando l’ edi-
zione.

xx Mentre attendiamo a licenziare il presente Bollettino, viene ul-
timata la stampa dell’opera del chiarissimo G. Magherini- Graziani
« L'arte a Città di Castello ». Non è questa una sterile compilazione,
fatta in fretta a scopo di lucro, ma un’opera grandiosa condotta con
molto intelletto d'amore e con vera coscienza di esperto conoscitore delle
cose d'arte e delle memorie antiche dal cav. uff. Giovanni Maghe-
rini-Graziani, socio ordinario della R. Deputazione di storia patria
e vice-ispettore dei monumenti a Città di Castello. Il quale non contento
rm trt trm

628 ANNUNZI DI PROSSIME PUBBLICAZIONI

di ricercare, senza risparmio di tempo e fatiche, documenti e. notizie
negli archivi. e nelle biblioteche, e di studiare da sè gli edifici, le pit-
ture, le sculture e gli oggetti tutti degni d'essere illustrati, affinché la
difficile impresa non difettasse di sicurezza nella erudizione e di sano
giudizio nella critica, volle altresì render l'opera sua veramente monu-
mentale con lo splendore dell'edizione, corrispondente alla importanza
grandissima e fino ad oggi poco avvertita che Città di Castello ebbe
nella gloria dell arte italiana, specialmente nel periodo maraviglioso
della rinascenza. Se l'autore che dette prova del suo sapere in. altre
opere, massime nel primo volume della « Storia di Città di Castello »,
giudieata favorevolmente dai dotti, che ne attendono con vivo desiderio
il prossimo compimento, sia riuscito nel suo proposito altamente lode-
vole, lo diranno gli intelligenti e gli eruditi appena avranno veduto
questo lavoro che sarà invidiato anche dai maggiori centri artistici
d’Italia. i

L’opera stampata su carta di gran lusso dall’ editore S. Lapi di
Città di Castello in soli 300. esemplari numerati, di cui 100 già sotto-
scritti, non sarà posta in commercio. Si comporrà di un volume di circa
400 pagine con 45 tavole fuori testo, numerose incisioni iutercalate e di
un atlante di 60 tavole in. cromo, eliotipia, intaglio e fotocromolitografia,
delle quali aleune a colori e oro. Queste tavole riprodotte da speciali fo-
tografie isocromatiche fatte dai fratelli Alinari e da disegni eseguiti
nella maggior- parte con grandissima diligenza dall' artista Carlo Kor-
nas, sono tirate su cartoni d' impasto finissimo fabbricati appositamente,
del formato 0,64 per 0,48; e contenute in una ricca ed elegante cartella.

Eeco i titoli dei XXIV capitoli: Architettura — Duomo, Chiesa di
S. Francesco, Chiesa di S. Domenico, Chiesa di S. M. Maggiore, Palazzo
del Comune, Palazzo del Governo, già del Potestà, Palazzo Vitelli in
piazza, Palazzo Vitelli alla Cannoniera, Palazzo Vitelli a S. Egidio, Pa-

lazzo Vitelli a S. Giacomo, Palazzo Bufalini, Castello di S. Giustino. —

Scultura — Opere dei. Della Robbia. — Pittura — Luca Signorelli,
Raffaello (stendardo), Raffaello (il crocifisso), Raffaello (lo sposalizio),
Raffaello (il S. Nicola da Tolentino). — Maiolica castellana — Lavori
d’intaglio e di tarsia — Oreficeria.

49 r.
hei MEC SRM a PL SA "E Tue
CURAE TACEAM SO CEU S NU

rers

629
I)
RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE
ParpI GiUsEPPE. — Archivi Comunali Umbri, fasc. I; Archivio Comu-
nale antico di Assisi. — Perugia, Boncompagni, 1895, in 8°, di pa-

gine 36.

A proposito. dell’ottimo libro del Langlois e dello Stein Les Archi
ves de l histoire de France il dott. E. Casanova ultimamente scriveva:
: Se ci fosse lecito formulare un voto, ei augureremmo che presto per
l’Italia nostra un volonteroso erudito si sottoponesse a ugual fatica, la
quale ridonderebbe ad onore suo nonchè a quello della patria e alla mas-
sima utilità e al progresso della scienza ». Ed altri ripeteva: « Sarebbe
desiderabile che da noi si facesse altrettanto per la parte che si riferisce
alla storia d'Italia, perchè questo è l’unico modo per far proseguire

franche e sicure le ricerche storiche ». C'é chi pensa e lavora già ad

un'opera simile, alla quale intanto dà un contributo veramente ottimo
il dottor G. Pardi, descrivendo le earte dell’antico archivio del Comune
di Assisi e proponendosi di pubblicar quanto prima gli inventari degli
archivi di Terni e di Narni. Giustissimo e lodevole il suo scopo: quello
di giovare agli studiosi che in codeste sue pubblicazioni avranno « una
guida sicura per dirigere le loro indagini sopra le vicende, le istituzioni
e i costumi dei loro antenati ». Ma non di tutte le carte di ciascun ar-
chivio egli dà notizia; ed ha ragione: « poichè l'interesse storico delle
città umbre è sopratutto nel tempo delle libertà comunali e diminuisce,
per talune, poco dopo la metà del secolo XIV, quando, perduta l’auto-
nomia, vennero incorporate in più vasto dominio; non ho creduto dover

portare la lista delle pergamene di taluni archivi al, di qua della metà
appunto del secolo XIV ». L’ archivio di Assisi è ricco di 509 perga-

mene dal 1198 a quasi tutto il secolo scorso, di statuti (quello del Co-
mune è del 1469 e d’altre età quelli delle arti), di volumi di Danni dati
che cominciano dal 1434, d'atti civili e criminali de’ Podestà e Gover-

no)

natori che principiano da quest'anno, di Riformanze dal 1337, d’ atti di

NN >
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titti Mie refe al. it

630 RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

congregazioni dai primordi del secolo XV, di registri di cittadinanze e
diplomi di dignità dal 1367, d’ istromenti dal 1208, di dative dal 1232,
di sentenze e sindacazioni ed atti del Monte di pietà dal secolo XIV,
di catasti de’ quali i primi sono del secolo XV. All’archivio è pure an-
nesso quello del Castello di Tor d’ Andrea in 14 volumi. Di tanto ricca
suppellettile storica il dott. Pardi dà l'indice, e i documenti più antichi
« quando già non fossero stati resi di pubblica ragione » pubblica per
intero: degli altri dà il contenuto fedelissimo. I documenti integralmente
riprodotti sono: la copia di una bolla di Innocenzo III, 26 maggio 1198
(quella che il Pflugk-Harttung nell’ Iter Italicum, Stuttgart, 1883, pag. 3,
aveva indicata così: « Die iilteste Papstbulle von Innocenz III », e
dev’esser quella di cui a pagina 740 è fatto ricordo con la data non
giusta < vom 28 maii 1198 »); un diploma di Filippo II imperatore,
29 luglio 1205; una bolla di Gregorio IX, 3 settembre 1937; tre bolle
di Innocenzo IV, 18 novembre e 11 decembre 1251; e una bolla di Ono-
rio IV, 11 novembre 1285. Mi si permetta di notare che la bolla di Gre-
gorio IX, non era inedita; catalogata dal Potthast nei egesta Pontifi-
cum, numero 10442 della 2* edizione, l'avea già pubblicata il "Theiner
nel Codex diplomaticus sanctae Sedis, I, 109, pag. 188. Però mi affretto
a soggiungere che il P. l'ha prodotta intera, sanando anche la imper-
fetta lezione del testo; il Theiner n'avea mutilati i due ultimi periodi ;
ma il Theiner dà auctoritate presentium non presenti. Piacemi anche
segnalare una bolla (pag. 17) di Clemente IV del 13 febbraio 1265: si
sa che Clemente fu eleito il 5 di febbraio, né il Potthast ricorda sue
bolle prima del giorno 22; peró non devesi dimenticare che il nuovo
papa « noluit ire ad accipiendum papatum, nisi prius visitaret ecclesiam
$. Francisei de Assisio », come dice Salimbene. E certo in tale circo-
stanza confermò al Comune di Assisi i privilegi de’ suoi predecessori,
« scilicet ut nemo Asisinus et diocesanus ad iudicium compelli possit
extra urbem et diocesim asisinatem ».

E, come vedesi, la stessa concessione fatta da Nicolò IV il 12 marzo
del 1289 di cui il Pardi cita due esemplari, uno con questa data (segn. 4,
15) ed uno del 12 marzo 1290 (segn. 4, 18). Al dott. Pardi per tale la-
voro, ch'egli chiama « opera modestissima e senza pretese », spetta
l'affettuosa rieonoscenza degli studiosi della nostra regione, a lui non
umbro, ma di questa « innamorato com' essi e delle sue bellezze natu-
rali ed artistiche e. del suo patrimonio tradizionale e storico »
e ZIA

RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE 631

Narrazione del terribile assedio e della resa di Famagosta nell’ anno 1571,
da un ms. del cap. Angelo Gatto da Orvieto pubblicato dal sac. 'Po-
licarpo Catizzani, Orvieto, Tosini, 1895, in 4°, di pagine 125.

Angelo Gatto da Orvieto, capitano al soldo della repubblica di Ve-
nezia, sotto Astorre Baglioni, generale delle armi di Cipro; prese parte
ralorosamente alla difesa di Famagosta, e dopo la capitolazione della
piazza, scampato alla morte inflitta per brutto tradimento al Tiepolo, al
Baglioni e al Bragadino, andò schiavo a Costantinopoli e di là a Galata
fu rinchiuso nella torre del Marnero. Ivi serisse le memorie sue, comin-
ciando dal 3 ottobre 1569 e terminando col 19 novembre 1573. Dividesi
la narrazione in tre parti: la prima tratta degli apparecchi per la difesa
di Famagosta; la seconda degli avvenimenti dell’ assedio e come dopo i
sette formidabili assalti la città si rese a patti, e come ne seguì 1’ in-
fame scempio, la terza della schiavitù dei superstiti all’ eccidio, trasci-
nati nelle carceri del Marnero. La narrazione dedicata ad Adriano Ba-
glioni, fratello all'infelice Astorre, è tutta del più vivo interesse e va a
prender posto accanto alla nota relazione di Nestorre Martinengo, uno
dei campioni di Famagosta, sfuggito prodigiosamente all’ eccidio. L'espo-
sizione dei fatti è particolareggiata, condotta giorno per giorno; e fedele,
sebbene scritta col solo aiuto della memoria e fra le strette della prigio-
nia. Dà il riassunto di tutta la guerra, con le cifre statistiche. I turchi
in tutti 204,300: morti sotto Famagosta in numero di 80,000. Degli ita-
liani 3,700 (oltre a 4,300 fra Greci e Albanesi) morirono, d’ infermità 600,
ammazzati 2,400. A guerra finita, rimasero vivi 700 italiani, de’ quali
38 capitani fatti schiavi. Appartenenti all’ Umbria morirono, il conte Ra-
nuccio Montemarte da Corbara orvietano, colonnello di 500 fanti, Giro-
lamo de’ Gabrielli di Gubbio, capitano di artiglieria, i capitani Ludovico
degli Atti da Todi, Mignagne da Perugia, sergente maggiore, Scipione
Algherigi da Città di Castello, Bartolommeo de’ Raffaelli da Gubbio,
Francesco Strano di Orvieto tagliato a pezzi a sangue freddo nel tradi-
mento seguito dentro di Mustafà. Rimasero feriti: l'orvietano conte Farolfo
Montemarte di T'itignano e i capitani Soldatello Galeazzi di Gubbio, Angelo
Gatto. Prigionieri: lo stesso Angelo Gatto, il conte Farolfo ridetto, e i ca-
pitani Galeazzi di Gubbio, Galgani di Città di Castello, Antonmaria Santi
da Gubbio e Orazio della Camilla ed Ercole ambedue perugini. Orribile
è la narrazione del nostro condotto schiavo: ...... « per cibo sette oncie
di biscotto il giorno,.muffato, infetto, carico di vermi, con acqua marcia
mezzo salmastra, e per companatico ci davano il remo in mano, facen-
doci vogar il giorno et la notte, trattandoci peggio di quello che si faria
a’ vituperosi e degni di mille forche, et eravamo ridotti in termine che
——— FASI LOTO E . . > “ NE E
a - ani CE — tica Nic. NER

592 RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

portavamo invidia ai morti. Dove non ha avuto il potere contro di noi
cannonate, mine, archebuggiate e quanto i nemici operorno, mentre
s’ opponevano le vite nostre alle grandi batterie, l'ha avuto le miserie
et la schiavitù con molti strati; et de sorte l'effiggie nostre erano tra-
sfigurate, che la madre non conosceva il suo figliuolo, nè fratello il fra-
tello, nè l’amico l’amico, et eravamo tutti rasi, non de rasoro, ma di
pugni e pelature de barba, et in modo ne haveano pisto il volto, che
ne haveano fatto come palloni a vento, et di giorno in giorno, molti per
non poter sopportare l’ insolite fatiche e fame, abbandonorno questo tra-
vagliato mondo. Il peggio si era il veder le mischine zitelle: in presentia
del padre et della madre, ne facevano notomia, facendole star scoperte,
hor dall una et hor dall' altra parte, a guisa d' uno specchio, con grande
disonestà ogni giorno satiando le inique voglie loro. Il medesimo face-
vano de' fanciulli maschi, cosa vituperosa e brutta, come è .solito, alla
turchesca, et che per honestà le taccio; et se qualche padre.o madre si

fosse mosso, vinto dalla pietà, per abbracciare il figliolo o figliola, over

supplicarli che havessero. pietà a poveri figlioli, i cani sdegnati et insa-

tiabili del sangue et dell' honor nostro, gli davano in risposta bastonate

senza fine ». I prigioni della torre del Marnero erano una cinquantina:
con catene al collo e alle mani essi sopportavano con eroismo calamità
e disagi incredibili. La sciagurata comitiva erasi creata una piccola. di-
rezione composta di cinque capitani tratti a sorte mese per mese .....
« per il governo dell’ infelici miserie ».

Uno statuto s’' erano fatto di trenta rubriche, dove si parlava di di-
giuni e di carità fra loro. Vi si raecomandava la preghiera, e alle. ore
stabilite, la recita del vespro e compieta, la sera.i sette salmi e le litanie
tutti uniti. Proibita la bestemmia, sotto pena di cinque aspri (ogni aspro
la sessantesima parte di uno zecchino) da ritenersi. per ogni volta sullo
zecchino che toccava ad ogruno per le spese di ogni mese. Ai 4 maggio
1572 partì dalla torre il Marchese di Roncofreddo in compagnia di An-
ton Maria Santi da Gubbio per procurare la liberazione degli infelici
prigionieri che passarono ancora qualche anno in speranza. Il ms. che
contiene la narrazione dell'orvietano Gatto, acquistato dall on. Bracci,
fa parte della collezione bibliografica che va amorosamente raccogliendo
questo benemerito e colto cittadino, e il rev. Catizzani pubblicandolo ha
ben ragione di crederlo interessantissimo per la storia di quella guerra,

decifrando più di qualehe punto dagli storici controverso e. colmandone

varie lacune.
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Wo CC e n ir AA ons PSR Leid) md d LL

RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE | 633

Documenti inediti sulla storia. della Reggenza di Maria Cristina duchessa
di Savoia per Lorenzo Franceschini, Roma, 1895, in 4°, di
pag. 60-XXXVIII,

Ha dato motivo a questa pubblicazione la scoperta fatta nell’ archi-
vio Comunale di Cascia (Umbria) di un documento concernente la reg-
genza di Maria Cristina duchessa di Savoia e che il Comune-ha donato
a re Umberto negli sponsali di Emanuel Filiberto con Elena* d'Orleans,
Insieme a molti altri documenti non conosciuti e di non minore impor-
tanza, dall’on. deputato Franceschini di Cascia raccolti nella Vaticana,
nella Barberiniana e a Montecassino, l’egregio uomo ha composto un li-
bro assai ben pensato e ben ordinato che meritò dall’ illustre barone
Manno di essere chiamato « una memoria preziosa per rischiarare parti
notevoli tuttora oscure od incerte sulle fortunose vicende della Reggenza
di Madama Reale di Savoia » e di essere dedicato alla novella coppia
principesca dei duchi di Aosta. In quelle fortunose vicende « non di al-
tro trattavasi (come dice il Denina) che di mettere il Piemonte sotto il
dominio di Spagna o di Franeia, anziché decidere a chi spettasse la reg-
genza, o agli zii o alla madre del duca fanciullo », secondo anche l'ap-
prezzamento di papa Urbano VIII. A lui pertanto il cardinal Maurizio
di Savoia rivolse una memoria, seritta facilmente nello scorcio del 1638
o dei. primi del seguente che fu appunto il documento di Cascia, non
conosciuto nè citato da veruno degli storici.... « Alli. poveri popoli af
fatto oppressi da gravissime impositioni, e patimenti continui della guerra,
non é rimasta altra speranza che nella S.tà V. ... Sono già ridotti à stato
che se la pietà della S.tà V. non ci soccorre, presto resteranno lacri-
mevole spettacolo della. Cristianità ...... ». Ma, in sostanza, si chiedeva
che il principe Maurizio card. di Savoia venisse aggiunto nella reggenza
di Cristina e nella tutela dell’ infante Carlo Emanuele. Da memorie della
Vaticana risulta che erano i ministri Spagnuoli coloro che istillavano
nell'animo dei principi Maurizio e Tommaso la pretesa della tutela e reg-
genza del ducato, per renderlo antemurale allo stato di Milano ... e si
adoperarono che il Cardinale partisse da Roma et il Principe Tomasso
dalla Fiandra, assicurandoli che i popoli più volontieri avrebbero visto
loro nel Governo che ‘la Francese, promettendo di assisterli coll’ esercito,
e quando fosse bisognato, adoprarsi la forza. La pace che fortunatamente
seguì fra i principi fu opera specialmente di Urbano e dei suoi Nunzi che
con tutta lealtà e premura eseguirono le di lui istruzioni. « Se qui non
si stipulava la pace si era a termini che li sig.ri Francesi pensavano di
farsi padroni del residuo di questo ducato, di pigliare tutta la Savoia e
mandare Madama in Francia a dire la corona »; cosi scriveva il Nunzio

42

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634. RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

con la nota lettera riportata dallo Selopis del 6 agosto 1642: e i docu-
menti pubblicati dal Franceschini lo confermano pienamente, Perciò il
papa scriveva al Nunzio a Torino a dover dissuadere quella Ser.ma Du-
chessa di consegnar piazze a' Francesi, come vanno demandando (doc.
XXIII). Né tralasciava di proteggerla dagli Spagnuoli, e li minacciava
a dover desistere dall’ invatione del Piemonte (XXIV).

A rettificare certi passionati giudizi sulla nunziatura pontificia, e a
conoscere la parte sincera e fedele che esercitò, basta accennare alcuni
dispacci .... Se bene l’estintione della guerra civile non porta conseguenza
certa di terminatione dell’ esterna fra li Francesi et Spagnuoli, non di
meno la compositione dell’una dà speranza di quella dell’altra (XLVII):
..+ (Si è collocato in sicuro questa casa Ser,ma che stava sull'orlo del
precipitio con danno comune di tutta l’Italia chè da seicento anni in quà
l’ha provata suo propugnacolo contro li popoli esterni. Si sono richiamati
li SS.ri Francesi alli termini del pudore e della modestia ... (XLIX).
Nel mio ritorno ritrovai la Sig.ra Duchessa ‘in Cuneo tutta allegra; giu-
bilante et festosa, parendogli, doppo havere superato quasi tutti li mali
di pena, d'essere giunta al throno di gloria, mentre si è veduti alli suoi
piedi genuflessi li due suoi cognati, ch'erano suoi inimici acerrimi, assi-
curata la sua Regenza et riunito tutto il Ducato al figlio che s' era. ri-
dotto ad una punta d'ago (LVI).

Così si rettificano i giudizi che alcuni storici espressero sull’ opera
dei Nunzi non solo inutile, ma dannosa alla conciliazione, sul nessun
conto che veniva fatto delle pratiche del Ceechinelli, sull’ avversione :
Madama del Nunzio di Torino e via via. Invece ora si dimostra chiaro
come Urbano VIII si travagliasse di continuo per il bene della casa di
Savoia, e come i suoi Nunzi non cessassero mai di adoprarsi con tutta
la sollecitudinè, possibile a far cessare la guerra ed indurre i principi e
reggente ad un amichevole camponimento in riguardo particolare delli
tempi e comandamenti di Sua Beatitudine, come quegli che desidera la
pace e la concordia e per la quale ha impiegato tutto se stesso (lettera
del Nunzio Cecchinelli diretta il 2 ottobre 1641 al card, Barberino).

Per la giunta di questi nuovi documenti è lecito sperare coll’on. de-
putato Franceschini che facendosi tanta maggior luce sulle persone e
sulle cose di quei tempi, saranno emendati su di essi tanti apprezza-
menti nè corretti, nè esatti, e forniti nuovi e più sicuri elementi a chi
vorrà istituire ulteriori studi non solo su quell’epoca, ma anche sulle re-
lazioni politiche e diplomatiche fra la Santa Sede e la Dinastia Sabauda,
potendo ciò essere fecondo sotto tutti i rapporti, ed a meglio ristabilire
l'armonia fra la Chiesa e lo Stato, dappoichè i governi, come gli uomini,
si stimano (come saggiamente osservava lo Selopis) per quel che sanno

rn
RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

635

l'uno dell'altro. Cosieché si conclude, dopo una serie di assennate osser-
vazioni, seguite da una perfetta rettitudine di giudizi nelle biografie dei
due principi Sabaudi e di Urbano VIII, non solo con scagionare da im-
meritate accuse il pontificato, Maria Cristina e i principi Maurizio e
Tommaso, ma con dimostrare sempre meglio come lo studio del passato
conduca e rafforzi i popoli alU armonia ed alla fraterna concordia (pa-
gina 45)... nonchè a diradare il velo che tuttora ricopre in gran parte i
fasti di quest'alma città di Roma che fu e sarà sempre, come la grande e
vera maestra del diritto, così l’antesignana di ogni ben inteso miglio-
ramento sociale e civile (pag. 43).

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PREIODICI TN. CAMBIO 0 IN DONO — OMAGGIO DI PUBBLICAZIONI

Archivio Storico Italiano (Dispensa 2^ del 1895). — Memorie e docu-
menti. — ‘L° abolizione dell’ ordine dei Templari (a proposito di
una recente pubblicazione), GAETANO SALVEMINI. — La morte di
Onorato Lasearis conte di Tenda, Giroramo' Rossi. — Il falsario
Alfonso Ciccarelli e Alberico Cybo Malaspina Principe di Massa,
GIOVANNI SFORZA. — Archivi e Biblioteche. — Notizie su altri Ar-
chivi della Romagna Toscana, DEMETRIO Manzi. — Aneddoti e Va-
rietà. — Mercato, Scritta e Denaro di Dio, C. PaAorr. — Fonditori
fiorentini ai servigi della Repubblica di Ragusa, C. pe FABRICZY. —
Una lettera inedita di Francesco Guicciardini, A. Rossi. — Felice
Griffini (cenni biografici e bibliografici), G. Brapego. — Corrispon
denze, — Rassegna bibliografica. — Notizie.

Archivio Storico Lombardo giornale della Società Storica Lombarda (Se-
rie III, Fascicolo 6°, Anno XXII) — Memorie. — Agnello Ravennate
e il Pontificale Ambrosiano, L. A. FERRAI. — Del monaco cisterciese
Don Ermete Bonomi e delle sue opere, A. RATTI. — La Congregazione
del Ducato o l' amministrazione dell’ antica provincia di Milano, E.
VgRGA. — Storia ed arte. — L' Università dei pittori milanesi nel
1481 con altri documenti d'arte del quattroeento, E. MorrA. — La
palazzina annessa al castello di Mantova e i supposti dipinti del
Correggio, S. DAvARI. — Archeologia. — Relazione sulle antichità
entrate nel Museo patrio di Archeologia in Milano. — Bibliografia.
— Bollettino di bibliografia Storica Lombarda. — Atti della Società
Storica Lombarda.

Rivista di Storia, Arte, Archeologia della provincia di Alessandria.
(Anno IV, Fascicolo 10?) — Parte I* — Studi (Casale Monferrato).
Documenti storici del Monferrato. (VI) Memorie di Camilla Faa con-
tessina di Bruno e marchesa di Mombaruzzo (1622), GrusEPPE Gion-
CELLI. — Studi (Casale Monferrato), Dott. Bartolomeo Baronino ar-
chitetto, GIOVANNI MiNINA. — Memorie e notizie. — Bibliografia della
Provincia — Parte II — Documenti — Statuti di Mombaruzzo, F. GA-
SPAROLO. — Indice del Moriondo, FebELE SAVIO,

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PERIODICI IN CAMBIO 0 IN DONO -- OMAGGIO DI PUBBLICAZIONI . 637

di e documenti di Storia e Diritto — Pubblicazione periodica dell’ Ac-
cademia di conferenze storico-giuridiche (Anno XVI, Fascicoli 2° e 8°).
— Il salariato libero e la concorrenza servile in Atene, A. MAURI.
— La peste di Napoli del 1656 secondo il carteggio inedito della
Nunziatura pontificia, L. Fumi. — La signoria di Ermanno Monal-
deschi in Orvieto (Cont. e fine), -G. PARDI. — Le fonti per la storia
dell’imperatore Trajano, L. CANTARELLI. — Abbatiarum Italiae bre-
vis notitia (Appendice del Card. Passionei all’ opera del P. Lubin),
E. CgLANr. — Le casse di risparmio e la loro liquidazione, F. CoR-
TELLI. — Note bibliografiche. — Pubblicazioni periodiche ricevute
dall’ Accademia.

Miscellanea Storica della Valdelsa (Anno III, Fascicolo 1°) — Atti della

Bol

R.

Atti

LT I SEMI sacos ARCI DIL SOSIA die PNE LR

Società storica della Valdelsa — A. NERI, Castello e Badia di Poggio

. . LI Li E >. .
Marturi presso Poggibonsi. — G. Carocci, Opere d'arte e ricordi
storici di Certaldo. — C. Mazzi, Inventario dello Spedale di S. Maria
della Scala in Poggibonsi. — Varietà e aneddoti. — Comunicazioni

e quesiti.

lettino della Società di Storia Patria Anton Ludovico Antinori negli
Abruzzi (Anno VII, Puntata XIV). — I fraticelli. o poveri eremiti
di Celestino, secondo i nuovi documenti, F. Tocco. — Storia delle
diocesi d' Amiterno e di Forcona nelle loro relazioni coll’ origine del-
l’ Aquila, I. Lupovisi. — Cenni topografici e storici di Comarda nei
Vestini, V. MoscarDI. — Il Pandosio di Andrea Argoli, V. FABRIS,
— Rassegna bibliografica. — Corrispondenze e notizie varie. — Atti
ufficiali della Società di Storia Patria negli Abruzzi, B. CIFANI.

Accademia dei Rozzi. — Bullettino Senese di Storia Patria (Anno II,
Fascicolo 1° e 2°). — Memorie originali. — Della vita e degli scritti di
Giovanni Colombini di Siena, G. PARDI. — Dei recenti studi geolo-
gici e paleontologici sul territorio Senese, V. SIMONELLI. — Varietà.
— Archivi. — Appunti e notizie. — Rassegna bibliografica. — Atti
della Commissione di Storia Patria. — Necrologie.

della Società Ligure di Storia Patria (Volume XXIV, Fascicolo 2°).
— Lnon G. PhLIssITR, Documents pour l’ histoire de l'établissement
de la domination francaise à Génes (1498-1500). — M. Rosi, La ri-
forma religiosa in Liguria e l'eretico umbro Bartolomeo Bartoccio.
Ricerche storiche condotte dall'apparire dell'eresia in Liguria nella
prima metà del secolo XVI all'anno 1569. — G. BERTOLOTTO,
« Genua » Poemetto di Giovanni Maria.Cattaneo, con introduzione e
appendice storica (Volume XXV, Fascicolo II). — Il Barro, di Paolo
Foglietti, commedia del secolo XVI, pubblicata con note ed illustra-
zioni, per M. Rosi. — Una Poesia storica edita dal socio A. NERI,
= nz as
Lore =ne sentii Pa ORE

6359. PERIODICI IN CAMBIO 0 IN DONO -- OMAGGIO DI PURBLICAZIONI

Società Storica per la provincia e antica diocesi di Como — Raccolta Sto-
rica (Vol. II e Disp. I del Vol. IIT). — Atti della visita pastorale
diocesana di F. Feliciano Ninguarda vescovo di Como (1589-1593)
ordinati e annotati dal Sac. Dott. S. MonTI.

IH. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria per le antiche Provincie
e la Lombardia — Miscellanea di Storia italiana (Terza Serie, Tomo I
e ID). — Sommario del Tomo I. — F. S. PROvANA DI COLLEGNO; No-
tizie e documenti d’alcune certose del Piemonte. — G. STRICKLAND,
Ricerche storiche sopra il B. Bonifacio di Savoja, arcivescovo di
Cantorbery, 1207-1270. — Sommario del Tomo II. — C. DELL'Ac-
QUA, In memoria del Comm. P. Carlo Magenta. — A. Bazzoni, Uno
storiografo Cesareo del secolo XVIII arrestato nei pressi di Vienna:

studio postumo. — P. Awar pr S. Fruppo, Della schiavitù e del
servaggio in Sardegna: Indagini e studi. — F. GaBoTTO, L'età del

Conte Verde in Piemonte secondo nuovi documenti (1350-1383). —
D. CaruTTI, Della famiglia di G. Pugnani. Ricerche seguite da una
avvertenza intorno alla Marchesa di Spigno. — G. Rossi, Maria
Luigia Gabriella di Savoja sposa di Filippo V re di Spagna in Nizza
nel settembre 1701: Memoria e documenti.

R. Accademia dei Lincei. — Atti — Rendiconto dell’ adunanza solenne
del 9 giugno 1895. — Rendiconti — Classe di scienze morali, sto-

riche e filologiche (Serie V, Vol. IV, Fascicoli 19-59).

Atti e memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le provincie
di Romagna (Serie III, Vol. XII e Fascicoli 1°3° del Vol. XIII). —
G. MAZZATINTI, Il principato di Pino III Ordelaffi secondo un fram-
mento inedito della cronaca forlivese di Leone Cobelli. — U. Dar-
LARI, Un’ antica eostumanza bolognese (Festa di San Bartolomeo o
della Porchetta). — G. G. BaGLI, Contributo agli studi di biblio-

grafia storica romagnola. — A. Ga'Trr, Sant'Elena di Sacerno, — C.

MALAGOLA, segretario, Atti della Deputazione.

It. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. — Memorie — Classe di let-
tere e scienze storiche e morali (Vol. XX, XI della Serie III, Fasci-
colo 1°). — Enia LarTES, Studi metrici intorno all'iserizione etrusca
della Mummia. — Rendiconti (Serie II, Vol. XXVIII, Fascicoli 1*-15*).

Miscellanea Storica Senese (Anno III, Numeri 5, 6 e 7). — Sommario
del Num. 7. — G. E. SaurINnI, Bianca Cappello in Siena. — Docu-
menti. — E. CasANOVA, Documenti inediti sull'assedio di. Siena. —
Notizie. — (Ls), La pittura di Porta Romana. — Bibliografia. —
C. Mazzi, Cose senesi in Codici Ashburnhamiani.

Accademia Dafnica di Scienze Lettere ed Arti in Acireale. — Atti e Ren-
dieonti (Vol. IT, Anno 1894).

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PERIODICI IN CAMBIO O IN DONO — OMAGGIO DI PUBBLICAZIONI 639

Rivista di Storia antica e scienze affini diretta dal Dott. Giacomo Tro-
PEA (Anno I, Fascicolo 1^). :

Bollettino della Società Africana 'd' Italia (Anno XIV, Fascicoli 37-69).

Nuova rivista Misena, periodico marchigiano di Erudizione storico-arti-
stica di letteratura diretto dal Prof. AxsELMO ANsELMI (Anno VIII,
numeri 5-6).

FH. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed. Arti. — F. CrpoLLa, Il Gerione
di Dante. — Horatianam quaestiunculam scripsit PETRUS ERCOLE.

La Favilla, rivista del Umbria e delle Marche diretta da Leororpo Tr-
BERI (Anno XVIII, Fascicoli 11°-12°).

Erudizione e Belle Arti, miscellanea diretta dal Prof. FRANCESCO RAVAGLI .
(Anno II, Fascicolo 9°).

Bollettino della Società Dantesca Italiana, rassegna critica degli studi
Danteschi, diretta da M. BARBI (Vol. II, Fascicolo 8°).

Archivio Storico per le provincie napoletane (Anno XX, Fascicolo II). —
CERASOLI F., Urbano V? e Giovanna I* di Napoli (documenti inediti
dell’ Archivio segreto Vaticano, 1362-1370). — Nunziante E., I primi
anni di Ferdinando d'Aragona e l'invasione di Giovanni d’ Angiò.
— MASTROIANNI O., Sommario degli atti della Cancelleria di Carlo
VIII a Napoli. — PERCOoPO E., Nuovi documenti su gli scrittori e
gli artisti dei tempi aragonesi. — Aneddoti di storia napoletana.

CLAnETTA G. — Società di Archeologia e Belle Arti: per la provincia di
Torino. — Commemorazione funebre dei soci A. FaBRETTI, C. F.
BiscARRA, E. BrancHETTI, G. D. Dr-Rossi del Vice-Presidente G.:
CLARETTA nell’adunanza 17 novembre 1894. — Torino, Paravia e C.,

1895.
CLARETTA G. — Les dispositions testamentaires de: Charles de Montbel
Comte de Frosasque. — Chambéry, Ménard, 1895.
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Gli ultimi fogli del presente fascicolo erano
già tirati quando ci pervenne la dolorosa notizia
della sventura toccata al nostro egregio Presidente
con la perdita del suo dilettissimo figlio VINCENZINO.
AI comm. Fumi porgiamo le condoglianze nostre
più vive e sincere, anche in nome di tutti i compo-
nenti la società nostra.

La Redazione.
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TANOLA DIE NOMI DI PRRSONE E DI LUOGK

AGOSTINO (p.) “da Stroncone,
176, 441.

ALDOBRANDINO rosso, 163.

ALLARD.P., 448.

ALLEN T. G., 483.

ALVI P., 447.

ALvist E. 100.

AÁMELIA; 159, 519.

ANGELO da Orvieto, 169, 170.

— Gatto da Orvieto, 631.

ANSELMI A., 118, 448.

ANSIDEI V. — I Codici delle
Sommissioni al comune di Pe-

rugia, 156. -— Nicola Danzetta,
467. — Alcune notizie sui rap-

porti fra Roma e Perugia nel
secolo XIII, 591,
ARCHIVIO Storico Italiano, 4.
— Storico per le Marche e per Um-
bria, 4.
ARDUINI F., 173.
ARMANNINO giudice, 163.
ARNOLFI (terra degli), 162.
ASSIST, 629.

BAGNOREA, 624.

BALDO da Perugia, 163.

BALDOLI Silvestro da Foligno
senatore di Roma, v. Faloci-
Pulignani.

JALDORIA N., 443,

BANGIANIS(De) Dionisio da Pe-
rugia, 168.

BAROCCIO F., 168.

BARTOLOMMEO da Castel della
Pieve, 165.

BELLUCCI A.; 174, 445.

— Gi, 440.

BELTRAMI L., 621.

BeNUCCIO da Orvieto, 165.

BERNARDO da Perugia, 165.

BERNARDINO da Perugia, v.
Pinturicchio.

-- di Mariotto da Perugia, 168.

— di Nanni dell'Eugenia pittore,
169.

BERTOLANI G., 163.

3ETTI B., v. Pinturicchio.

BIANCONI G., 445.

BILANCIONI P., 165.

BisENZO (da) G., 162, 163.

Bone G., 443.

Bone W., 176.

BONFIGLI B., 168.

JONNAFLIE E., 105.

Bosone da Gubbio, 163, 165.

BraccIo da Montone, 622.

3 RANCALEONE di Andalò, v.

Pardi.

BRIZIA., 440.

BRUNELLI G., v. Cantù.

BUFFETTIA., 104.
644 TAVOLA DE’ NOMI DI

CAETANLLOVATELLI E., 441.

CArrI N., 445.

QALZINI E., 435, 621.

CANTÙ C., necrologia di Brunelli

G., 451.

CARINI I., necrologia di Fumi L.,
206.

CASINI T., 441.

CASTEL DELLA PrEvE, 142.

CASTELNUOVO, 144.

CATIZZANI P., narrazione del
terribile assedio e della resa di
Famagosta nell'anno 1571, da
un ms. del capitano Angelo
Gatto da Orvieto, recensione di
Li Pao;

SCHCCARDLLI À,, 620.

CECCOLI Sér M., 159.

CELESTINO, v. papa, 110.

CHIALLI V., 168.

CHIARA (8.) di Assisi, v. Sensi, 171.

CHIARINI G., 116.

CITTÀDICASTELLO;139, 627.

COLONNA SCIARRA; Y. Pardi,
DDT.

— VITTORIA, v. Tordi, 403.

CowGEDO M., 622.

«Costa E., 116.

Cozza-Luzi G., Chiara di As-
sisi, secondo alcune nuove sco-
perte e documenti, recensione
di L. F., 185. Il Codice Magliabe-
chiano della storia di S. Chiara,
lettera a Luigi Fumi, 417.

D'ALENGON E. 177, 447.

DAMIANI pittore di Gubbio, 168.

D'ANCONA AÀ., 175.

DaANTI V., 169.

DANZET'T A N., necrologia di An-
sidei V., 461.

De FESTI, 174.

De MaRCHI L. e Bertolani G.,
165.

DEPUTAZIONE (r.) di storia pa-

err ve ra E SETS

PERSONE E DI LUOGHI

tria per la Toscana, le Marche e
l' Umbria, 48.
Dm Rossi G. B., 195.

EuGENIO IV, papa, 611.

FABIANI L., 115,

FABRETTI A., 8, 110, 189, 441,
442.

FALOCI-PULIGNANI M., 160,
173, 114, 107. Le memorie dei
ss. App. Pietro e Paolo nel
villaggio di Cancelli e le origini
del Cristianesimo. nel territorio
di Foligno, recensione di Pardi
G., 180, 447. Silvestro Baldoli da
Foligno sénatore di Roma, 607.

FARFA (badia di), 171.

FELICIANIS (de) M., 164.

FILIPPINI E., 440.

FrnLm5EA, 147.

FoLIGNO, 160, v. aloci- Puli-
gnani.

FONTANIBRI A., 177.

FORLÌ A., 446.

FRANCESCO (S.) d'Assisi, 106,
160, 164.

— (ser) da Orvieto, 165.

FRANCESCHINI L., Documenti
inediti sulla. storia della reg-
genza di Maria Cristina duchessa
di Savoia, recensione di L. F.,
6985 i

FRATTA, 144.

FRONDINI E. A., 626.

Fumi L., Società Umbra di storia
patria, 3, 160, 161,164, 165, 166,
173. v. Cozza-Luzi, 185. Necro-
logia di Isidoro Carini, 206, 439,
448, 464. I Colonna contro Roma
ed Eugenio IV nel 1431, 611,
619, 625, 627, 631, 633.

EnATIOG.e.L. 100.

— L. 159, 126.

FRE, 100.

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SFARERACRE 9m 7 gm ^ -— :
LiT gta P 5t. - d E i,
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TAVOLA DE’ NOMI DI PERSONE E DI LUOGHI 645

FRIZZONIG., 444.

GABOTTO F., 174.

GABRIELLI I., 162.

GALLI R.,104.

GAMURRINI G. F., 173. Necro-
logia di Giambattista De-Rossi,
195, 445.

GAUGELLI G., 159.

GERALDINI Á., v. Tenneroni,
154.

— B., 171.

GHERGHI R., 178.

G HINZONI P., 445.

GIANNANTONI L., 136.

GIOVANNA (della), 7, 434.

GNOLI D., 443.

GOBBANTO., 442.

GorRI F., Artisti romani in Rieti
negli anni 1455, 1464, e 1511,
601.

GRAFA., 175.

GREGORIO da Città di Castello,
164.

— X, papa, 162.

GUALDO; 147.

GUARDABASSI F., 172, 442.

GuBBIO, v. Mazzatinti 87, 141,
152, 158, 160, 162, 169.

GUIRAUD G., 162,. 171.

JACOPONE da Todi, 163, 165.

JACQUES de Vitrey, v.' Saba-
tier.

INNOCENZO III papa, v. Lanzi,
126, 149.

JOCELIN Ffoulkes C., 167.

IsoLa Maggiore e Minore, 148.

IsTITUTO Storico Italiano, 4.

KòrTtE G. — Ueber eine alt-
griechisce Statuette der Aphro-
dite aus der Necropole von Vol-
sinii, recensione di G. Pardi, 184.

KnaAvus F., 166. |

LANZI L. — Un lodo d'Inno-
cenzo III ai Narnesi special-
mente per. la terra di Stroncone,
126, 164, 447.

LEMONNIER L., 446.

LEONELLI L., 626.

LEONII L. 176.

LISCARO, 144.

LIisINI-A., 171, 438.

LORENZO di Credi, 169..

LubovVISII., 171, 619.

LUPATTELLI Á., 168, 179, 693.

Luzi L., 159.

MAGHERINI-GRAZIANI G.,
448, 119, 627.

MAGNAVIA (di) G., 164.

MAMBRINO Roseo. — L'assedio di
Firenze, reéensione di A. Ten-
neroni, 186.

MANCINI R., 174.

— G.; 177.

MANZONI L. 176, 107. — Peru-
gia e Todi nella scoperta dell’A-
meriea, 427.

MARABOTTINI Fis. e Fil.,:626.

MARTANA, isola, 162.

MAZZATINTI G. — Gubbio dal
1515 al 1522, 87, 161, 162, 163,
174, 176, 177, 447, 448, 629.

MEDIN A. e FRATI L., 119.

MrERZEU H., 446.

MILANESI G., necrologia, di L.
Fumi, 464.

MiNUCOIO e FRANCESCO di
Rinaldo da Perugia architetti,
171.

MoNaACI E.,3,4, 105,448.

‘MonaALDO da Orvieto, 165.

MONTEGUALANDRO, 144.

MONTONE, 150, 168.

MoRPURGO.S., 165, 431.

Mossi C. e V., 168.

Mucio (ser) Stramazzo da Peru-
gia, 165.
646 TAVOLA DE’ NOMI DI

MUSEFILO G., 620.

NARNI, 162, 557.
NENGIONI E., 446.

Nriccor oO del Proposto, 165.
NOCERA, 145.

NOGARA B., 439.

NovaTi F., 116, 446.
NUNZIANTE E., 434.

ORSINI Simeotto e gli Orsini di
Castel sant’ Angelo, v. Sa-
vio.

OnvriETO, v. Pardi, 162, 164,
v. Fumi, v. Tordi, 626.

OrtrtINO G., 178.

PAPALEONI G., 444.

PARDI G., Gli statuti della Col-
letta del Comune di Orvieto, 25,
167. v. Faloci, v. Kórte. — Se-
rie dei supremi magistrati e reg-
gitori di Orvieto dal principio
delle libertà comunali all' anno

1500, 531. — Due paci fra Terni
e Narni negoziate da Kod
leone di Andaló senatore di Ro-
ma e da Seiarra Colonna (1258,
1514), 557. — Relazioni di Amé-
lia con il comune di Roma ed
i nobili romani, 519, 619, 625.
— Archivi Comunali Umbri fa-
scicolo 1; Archivio Comunale
antico. di Assisi, recensione di
G. M., 629.

PERCOSSI R., 620.

PERELLA m M. di), 144.

PERUGIA, 136, 153, 159, 161, 162,
591.

PERUGINO PrEsTRO (Vannuc-
ci), 168, 169.

PIERRUGUES A. D., Elenco dei
capitani e degli uomini d’ arme
appartenenti agli stati della
Chiesa che militarono con Ma

PERSONE E DI LUOGHI

latesta Baglioni, recensione di
A. Tenneroni, 187.
PIBTROPAOLI G., 170.
PINTURICCHIO(Bernardino Bet-
ti da Perugia), 168, 169, 626.
POMPILI G., 440.
PRIORI A.; 1l.
PROPERZIO, 164.

RAVAGLI F., 162, 440.

REBER F., 178.

RESCHIO, 144.

v\EYMOND M., 435.

RIETI, v. Gori.

RINAUD oO. C., 442,

RIVA SANSEVERINO, F., 446.
RODOCANACHI E., 178.
RomA, 519, 591, 611.
ROMITELLIS., 160.
Rosi M., 436
Rossi A., 177, 178, 447.

,

SABATIER P., note di un viag-
, gio di un prelato francese in

Italia (Jacques de Vitry, 1216),
106.

SAOKUR E,, 448.

SaGLIO, 446.

SALVADORI G., 446,

SANGEMINI, 162, 164.

SANTINI P., 497.

SANTONI M., 175.

SAvIO F., Simeotto Orsini e gli
Orsini di Castel S. Angelo, 335.

S.C AOCIA.P.,. 441,

SCALVANTI O., Considerazioni

sul primo libro degli statuti pe-

rugini, 217, 440, 627.
SOHUPTER P., 448.
SECCO SUA D o G., 433.
SENSI F., Leggenda latina versi-
ficata intorno a S. Chiara d’As-
sisi, 114, 440.
SIEPIS., 107.
SIGNORELLI L., 166, 168, 693,



to— ‘TAVOLA DE’ NOMI DI

SINIBALDO da Perugia, 165.

SORDINI G., 443.

SOCIETÀ (r. Romana di storia
patria, 4.

— Umbra di storia patria, sua co-
stituzione, 9-19; soci, 20-24; sta-
tuto, 16-19.

SPELLO, 168.

SPIRITO L., 159, 169.

SPOLETO, 162, 171, 619.

STRONCONE, 126.

TARDI L., 448.

TENCKHOFF F., 619.

TENNERONI A. — Il testo vol-
gare dell’ Itinerarium di Ales-
sandro Geraldini d'Amelia, 154,
159, v. Mambrino Roseo, v. Pier-
rugues.

TERNI, 162, DDT.

TERRENZIG. — Un periodo di
storia narnese all’ epoca dei co-
muni illustrato dai suoi più ve-
tusti documenti, recensione di
G. Pardi, 449,

THopkr H., 444,

CREATE UA I da

PERSONE E DI LUOGHI 647

TiBERI L. — Necrologia di A-
riodante Fabretti, 189.

TrscriAN o, 144.

Tocco F., 445.

TOMMASO (ser.) di Silvestro, 160,
439.

TOMMASUCCIO da Foligno, 165.

TORDI D. — Vittoria Colonna in
Orvieto durante la guerra del
sale, 473.

TORELLITR., 626.

TORRACA F., 432.

UBALDO (s.) da Gubbio, 160.
URBANO IV, papa, 162.
ÜRBINI G., 158, 179.
UziELLIG., 446.

VALENTINI W., 626.
VENTURI A.,; 434, 435.
VERGA E. 6906.
VERRI A., 441.

ZAMPIP., 446.
ZANNONI G., 491.
ZDEKAUER L., 433.
———] e
-

o

Società Umbra di Storia Patria (L. FUMI) . . . . . .,
Atti della Societa.

Adunanza del 12.settembre 1894... =. Sag — 72 59 xs
Statuto della Società Umbra di Storia Patria. . .

Biencosde61:80015::5 o e WU A DM ID ab II
Memorie.

Gli statuti della « Colletta » «del Comune d'Orvieto (se-
COLDENIVO: (GT PARULI Qo un cV a
Gubbio dal 1515 al 1522, da documenti inediti dell' Archivio
comunale di;Gubbio (G.-MAZZATINTI) . — 29.15
Considerazioni sul primo libro degli statuti perugini (0. ScAL-
VANTI: OI E NA E
Serie dei supremi magistrati e reggitori di Orvieto dal prin-
cipio delle libertà comunali all'anno 1500 (G. PARDI) ..
Vittoria Colonna in Orvieto durante la guerra del sale
(DEXLORDI SHIA Rows un i NL S INCUN LU
Simeotto Orsini e gli Orsini di Castel S. Angelo (F. SAVIO) .

Documenti illustrati.

Note di viaggio di un prelato francese in Italia, Tacques
desVitry, J916 (BP. SABATIBR) coni. go ene
Leggenda latina versificata del secolo XIII intorno a S. Chiara
di AsSSISIs I SBNSI RARO
Un lodo d'Innocenzo III ai narnesi specialmente per la terr:
di Stroncone CL MANZO) i
Due paci fra Terni e Narni negoziate da Brancaleone di An-
dalò, senatore di Roma, e da Sciarra Colonna [anni 1258
e 19L4]: (GG PARDI NUUS UU Da a a
telazioni di Amelia con il Comune di Roma ed i nobili

POMBENT (OL DARDI SS D a a MN

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Wanna] PR co Ci Dv EUN e E: x

649

105

114
650 INDICE DEL PRIMO VOLUME

Aleune notizie sui rapporti fra Roma e Perugia nel secolo XIII
OVSGANSIDEI VU RS QC LS PE REUS

Inventari e regesti.

I codici delle sommissioni al Comune di Perugia (V. ANSIDEI
e L. GIANNANTONI) .

Comunicati.

Il testo volgare dell’ Itinerarium di Alessandro Geral-
dini di Amelia (A. TENNERONI). De Ur M E

Il eodiee Magliabechiano della storia di S. Chiara, lettera a
Luigi Fumi (G. Cozza-LUuzr) ARS LIRE REI

Perugia e ‘Todi nella scoperta dell’ America, all’ onorevole
signor prof. Gustavo dott. Uzielli (L. MANZONI).

Artisti romani in Rieti negli anni 1455, 1464 e 1511 (FABIO
GORI) . RIE O SUIS CENTER BRA)

Silvestro Baldoli da Foligno senatore di Roma (M. FArocr-Pt-
LIGNANI) .

Curiosità.

I Colonna contro Roma e papa Eugenio IV nel 1431 (da di-
spacci dell’ archivio del Comune di Orvieto) (L. Fuwt)

AnalectasUmbra;<«— Gra ea pagine: 159
* 9

Bpselodiperodie. e 5 5 nr n PR »
Annunzi di prossime pubblicazioni .

Recensioni bibliografiche.

MicHeLE FALOCI-PULIGNANI. — Le memorie de’ SS. Apostoli
Pietro e Paolo nel villaggio di Cancelli e le origini del
cristianesimo nel territorio di Foligno (G. PARDI) .

KonrE Gustav. — Ueber eine altgriechisce Statuette der
Aphrodite aus der. Necropole von Volsinii (Orvieto)
(G. PARDI)... SIRE OR IE OLA

Cozza-Luzi Giuseppe. — Chiara di Assisi secondo alcune
nuove scoperte e documenti, Roma, 1895, (L. F.) . .

Pag.

Pag.

591

136

154

180

184

185
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INDICE DEL PRIMO VOLUME

Rospo MamBRINO. -- L'Assedio di Firenze. Poema in ottava
rima dichiarato con note storiche, critiche e biografiche
da Antonio Domenico Pierrugues, Firenze, G. Pellas, 1894,
(ATEO) ERE UT NE Eq e REI
Elenco dei capitani e degli uomini d’arme appartenenti agli
Stati della Chiesa che militarono con Malatesta Baglioni
al servizio della repubblica di Firenze nella guerra del
1529-1550 incorsi nelle pene sancite da papa Clemente VII
e dal medesimo graziati in virtù dell'articolo X della ca-
pitolazione di Firenze, documento esistente nella Biblio-
teca comunale di Perugia, pubblicato per cura di Anto-
nio Domenico Pierrugues, Firenze, G. Pellas, pag. 23,
(ACTION C UN M I E
GiUsEPPE TERRENZI. — Un periodo di storia narnese al-
l'epoea dei comuni illustrato dai suoi più vetusti docu-
menti; Narn: 894, (G5 PARDIM US Ens uL DUAE
ParDI GiUSEPPE. — Archivi comunali umbri, fase. 1; Ar-
chivio comunale antico di Assisi, Perugia, Boncompagni,
18950, n :8?cdi pagme:96; (Gz Mo
Narrazione del terribile assedio e della. resa di Famagosta
nell'anno 1571 da un manoseritto del cap. Angelo Gatto
da Orvieto pubblicato. dal sacerdote Policarpo Catizzani,
Orvieto, Tosini,-1895, in 4? di pagine:125, (L. F.). . .
Documenti inediti sulla storia della Reggenza di Maria Cri-
stina duchessa di Savoia per Lorenzo Franceschini, Roma,
1895, in 4° di pagine 60 — xxxvun (L. FE). . . .-.

Necrologio.

Ariodante, Fabretti (Li TIBERI). Rea 1 vx
Gian Battista De Rossi (G. F. GAMURRINI) ... . ......
Fsidoro-Carmb (b. EUMD) ON Ou RS SR uet ER EIS OA
Cesaro:Cantu (GS; DRUNELLLI) IN
Gaetano Milanest (Ds BUM) V oer RR
Niécola DanzeWa (V SANSIDEL) 0.0.0 2409. Qo uc S

Periodici in cambio o in dono . . . . . . - Pagine 213,

Omaggio'dr pubblicazionb. s x oo » 214,
Tavola de' nomi di persone e di luoghi. . . . »
Correzionlsoo 5 80 HI eur LOS UI. »

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471, 639
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CORREZIONI

N. B. — Non si notano i piccoli errori o sviste tipografiche di facile
correzione.

Errata Corrige

Pag. 173, lin. 13 dal 1668 al 1304 dal 1148 al 1334.
» 449, 2 restarono le forme restaurarono le forme.
613, 17 xm: presentis mensis xxmmn presentis mensis.
616, 10 fiorini a...... ‘fiorini alias.
29 potens et mugge expediens et necesse.
1 quod aerum quod aevum.
8 non sappiano non sappiamo.

30 Francesco Strano — Francesco Stracco.

31 dentro di Mustafà — dentro il padiglione di Mustafà.