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ANNo III.

FascicoLo I.

BOLLE ETTINO E

DI

STORIA PATRIA -

PER L’UMBRIA

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VOLUME III.

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DION. D' ALICARN. Ant. Rom. I, 19.

PERUGIA
UNIONE TIPOGRAFICA COOPERATIVA
. (GIÀ DITTA BONCOMPAGNI)

1897
NERIO MOSCOLT.

DA CITTÀ DI CASTELLO

ANTICO RIMATORE SCONOSCIUTO

————99M———— .

Il nome di Nerio Moscoli è rimasto ignoto agli studiosi
della letteratura italiana (1).

Poeta lirico vissuto tra la fine del XIII e il principio
del XIV secolo, non é certamente uno di quelli che abbiano
diritto ad un posto molto elevato nel Parnasso italiano, ma
non é nemmeno uno degli ultimi, ed ha caratteristiche pro-
prie che meritano di essere segnalate.

Centundici sonetti, due canzoni e una ballata, ecco i
componimenti che del Moscoli sono giunti sino a noi.

Passare in rivista i più importanti di essi ; determinare, per
quanto sarà possibile, il tempo in cui furono scritti; indicare
i rapporti che hanno con la poesia di altri rimatori; ren-
derci ragione delle condizioni di tempo e di luogo nelle quali
l’arte di lui si produsse, e della forma onde egli rivestì i suoi
concetti; questi sono i punti che ci proponiamo di trattare,
per poi tentare di farci una idea possibilmente adeguata della
personalità letteraria di Nerio Moscoli.

Il suo Canzoniere ci è conservato nell'unico codice Bar-
berino XLV-130 (2).

(1) Questo Studio fu da me intrapreso per consiglio del prof. ERNESTO MONACI
e da lui mi fu comunicata anche una copia di tutto il ‘codice qui preso in esame.
Glie ne rendo, pubblicamente, quelle maggiori grazie che so e posso.

(2) Sono lieto di annunciare agli studiosi che il Codice vedrà la luce nel pros-
simo fascicolo del nostro Bollettino a cura del mio venerato maestro professore Er-
nesto Monaci e del mio carissimo amico prof. Annibale Tenneroni; laonde se ne om-

mette la descrizione.
1
an

LXV ILLE

9 f P. TOMMASINI MATTIUCCI

In esso si leggono, oltre le rime del Moscoli, trenta so-
netti di Cecco Nuccoli (1), ventisei sonetti, un'epistola latina
e due canzoni di Marino Ceccoli (2), dodici sonetti di Gillio
Lelli (3), sei di Manfredino (4) sei di Ridolfo (5), quattro di
Cueco- domini Gualfredutij (6) due di Bandino (7), due
di Bosone da Gubbio (8), due di Pietro di messer Angelo,

(1) Sul Nuccoli vedi a pag. 135 di questo scritto.

(2) Sul Ceccoli vedi a pag. 83. — A c. 131 del codice si legge: « Hic incipiunt.
cantilene extense et multa allia | dicta varia et diversa per diversos poteas inventa. |
Primo incipit dulcis invitatio ad amorem ad scolas | retorichas magistri Rodulfi de
Pedemontis trasmissa | per d. M. Cecholi . ... »; era. c. 132: « Dulcis invitatio ad amo-
rem vulgari sermone | facta per D. M. Ceccholi de Perusio | ».

(3) Per Gillio Lelli vedi a pag. 74 di questo scritto.

(4) Di Manfredino non é rimasta alcuna memoria nei documenti perugini a me
noti. Soltanto un Baldino de Marfredino è ricordato come uno dei tre ambasciatori
che il Comune di Perugia diede nel 1354 a Fra Monreale. (Cfr. GRAZIANI, Cronaca.
cit., pag. 173).

(5) Che sia il magister Rodolfus de Pedemontis, di cui è memoria nella invitatio-
del Ceccoli? 3

(6) Cucco di messer Gualfreduccio appartenne alla nobile e potente famiglia dei
Baglioni. Nel 1320 fu podestà del Comune di Perugia in Assisi, dove venne dai Ghibel-
lini vittoriosi imprigionato (Supplemento 1° alla Cronaca del GRAZIANI, pag. 88); e nel
1329, in compagnia di Filippuccio Baglioni, di lui fratello, Tinto Michelotti, Agnolello
del Riccio, Andruccio de Gocciolo, Pellolo de Labo, Ser Ranaldo de Nino, tutte de
Peroscia, fu tra i duecento cavalieri che il Comune perugino mandò il 30 luglio in
aiuto del legato di Lombardia (GRAZIANI, Cronaca cit., pag. 103). Come figli di Cucco
sono ricordati Colaccio e Pellino che nel 1361, accusati di voler turbare e subvertire
lo stato popolare, sono banditi (GRAZIANI, Op. cit., pag. 191); e al primo dei due fu
nel 1363 mozzo il capo insieme ad altri tredici fuorusciti (Op. cit., pag. 194); mentre
il secondo è ancora in vita nel 1389 (Op. cit., pag. 236). Secondo quanto si può desu-
mere dal Graziani, si avrebbe il seguente specchietto genealogico :

GUALFREDUCCIO BAGLIONI
|

| [ | |
Uccio Filippuccio Becello Balione Cucco
(pag. 105) (pag. 106) (pag. 93, 99 ag:106, 187) (pag. 88, 103)
pag ; p I
Ren E ESI
Oddone Guelferio Galiocto Ruberto
Mo 209, 238) (pag. 203) (pag. 106)
|
Colatio o Pellino
Colaccio (pag. 191)

) ANT. (pag. 106, 191)
(7) Vedi pag. 76 di questo scritto.

(8) Son. XXXIX del cod. Barberino: « Doi lume son di novo spente al mondo »
(porta la notazione « dominus Bosone de Eugubio de morte Dantis » e fu edito dal-
l’ALLACCI, P. A.,112); | e son. CLXXVI: « Spirito santo di vera profetia ». Questo é
indirizzato a Pietro da Perugia, che gli risponde con un altro: « Addio non fu giamay
tanto soggiecto », ^ inedito, mentre quello di Bosone si legge in ALLAGCI, P. A., 113.
NERIO MOSCOLI ; 3

due di Gino da Pistoia (1), uno di Marfagnone, di: Paolo
Giancoschi, di Cola di Alessandro (2), di Simone da Pierile (3),
di Manuello (4), di Attaviano (5), di Cione (6), di Puccia-
rello (7), di Cionello (8), di Ugolino da Fano, di Giraldello,
di Lambertino, di Borscia da Perugia, di Trebaldino (9), e
alcuni adespoti. Di più, da carte 121 a 130 si leggono di-
ciotto sonetti di Dante (10) e uno del Cavalcanti (11); da
c. 133 a 135 un componimento di Fazio degli Uberti (12), cui
tiene dietro, da c. 135 a 140, un poemetto di Bosone. da
Gubbio (13), e un altro in terza rima di un « Dominicus
scolaris studens Perussio » da c. 140 a 147, e un altro an-:
cora, sembra dello stesso Dominicus, fino a c. 165, nel
quale trattasi delle condizioni di Perugia e dell Umbria; da

165 a 167 sei cantilene extense per Antonium de Feraria;
da c. 171 a 188 | c vari componimenti poetici, tra i ‘quali

(1) Son. XVI del cod. Barb.: « Io so sì vago della bella luce », e son. XXVI:
« Per che non fuor da me gli occhie dispente ». Il secondo manca all'edizione del
Ciampi e a quella Bindi e Fanfani. Qualcuno P ha attribuito al Cavalcanti (cf. l'ediz.
dell'Ara0ne, pag. 50). Rispetto alla parola finale del verso, un plurale in e, pro-
prio del volgare perugino, si noti che le altre rime sono date da sente (22 pres. ind.)
tormente, dolente, dispénte (plurali), che si possono agevolmente ripor (Ape alla forma
toscana, che dovett'essere alterata dal copista perugino.

(2) Vedi pag. 136 di questo scritto.

(3) Ibid., pag. 82.

(4) Ibid., pag. 77 e segg.

(5) Ibid., pag. 94 e segg.

(6) Ibid., pag. 93.

(7) Ibid., pag. 91.

(8) Ibid., pag. 99.

(9) Di Trebaldino nessuna notizia nelle memorie perugine à me note; e cosi di-
casi di Pietro di m. Angelo, Marfagnone, Paolo Giancoschi, Ugolino da Fano, Giral-
dello, Lambertino e Borscia da Perugia. — Un Tribaldino di Manfredino è bandito da
Perugia nel 1331 (GRAZIANI, Cron. cit., pag. 191).

(10) Son. I, ball. I, son. II, ball. II, son. IV, VI-XIIT, XVI-XVIII, stanza (DA. 114)
e són. XXIII dell'ediz. cit.

(11) « Vedesti al mio parere ongne valore ».

(12) « O tu che leggie | e sai decreto e leggie » |.

(13) Porta la leggenda « C. d. Bosone de eugubio tractans de discordia orta | in-
ter cristianos et turchios », e questo n'é l'incipit: « Spirito santo che dal ciel de-
scendi », i

(14) Da e. 168 a 170 si leggono le due canzoni del Moscoli.
4 ; P. TOMMASINI MATTIUCCI

uno dello stesso Antonio da Ferrara alla Vergine Maria; da.
c. 189 a 192 altri sette sonetti di Dante (1) E da c. 193 a
196 un atto di vendita di armi e cavalli, rogato il 27 aprile
del 1347 in « civitate Perussi in porta Sancti Angeli et pa-
rochia Sancti Donati in domo gaicoli [?] et filliorum ».

Riguardo al tempo e al luogo in cui il codice fu scritto,
par non dubbio che sia da pensare a Perugia, e tutto induce
a credere che non si possa andare al di là del 1347.

Tacendo dei poeti universalmente noti, quali Dante, il
Cavalcanti, Cino e Bosone, noteremo che degli altri soltanto
lALLACCI diede alcuni saggi (2) nella sua raccolta di Poeti
Antichi, e precisamente di Cecco Nuccoli (3), di Gillio Lelli,
di Cucco, di Cionello, di Cione, di. Cola, di Bandino e di
Attaviano. Marino Ceccoli, Ugolino da Fano, Marfagnone,
Manfredino, Paolo Giancoschi, Simone da Pierile, Manuello,
Pucciarello (4) e Trebaldino sono soltanto registrati nell’ /n-
dice; mentre per Nerio ‘Moscoli ed altri non fece neppur
questo. E ció é tanto piü singolare rispetto a Nerio che,
non foss'altro per il numero delle sue poesie, egli tiene nel
codice il primo posto.

Da parte nostra ci chiameremo abbastanza fortunati se
ci verrà fatto di riparare a questa non troppo giustifica-
bile dimenticanza.

Nel Canzoniere del Moscoli il téma preferito è l'Amore,
come motivo poetico e come espressione sincera dell'animo.

La prima volta ch'apparve al nostro poeta,

Vestito era de bianco, e fanciul molto
Senblava, e li cavéli a oro luciente.

(1) Son. XX1V-XXVII, XXIX-XXXI.

(2) In tutto cinquantadue, sui duecento e più del codice Barberino.

(3) L’ALLACCcI ne dà quarantuno, e gli undici in più, che non sono nel Barbe-
rino, deve averli tratti da codici Vaticani. 9:

(4) È scritto Puccerello.
NERIO MOSCOLI us
La seconda, terza e quarta volta

Magiure e poco de piü longa etate

. . se mostró contro el bianco e l'oro
D'um bello acur ch’ avistava . . d'oro;
E de verde (1) tenea per su' honestate,
For che la testa, on' altra cosa envolta.

Oltre che in verde, in bianco e in azzurro, si mostró
ricoperto d'un drappo roseo, che porta éntier fra le soi braccie,

sempre
Guardando intorno ch’ alcun no y dia grappo,
e così splendido e ricco, che :

«4 ^. niun tartaresco
Paregiar lo porria ... . . . (2).

In questa visione d'Amore si ha un mero e vieto mo-
tivo poetico; ma si passa poi a una rappresentazione figu-

(1) S. BETTI (Postille alla D. C., in Coll. di op. dant., n.0 2. Lapi, 1893), al verso
« Donna m'apparve sotto verde manto » nota: « La veste verde era anche segno d'a-
more secondo gli antichi usi cavallereschi. Onde ne’ Reali di Francia, lib. II, cap. 5,
si dice: La madre allora gli donò un'armatura perfetta e buona, ed ella medesima
gli mise una sopravveste verde, la quale significa giovane innamorato ». DelPAlighieri
cfr. anche i versi (Sest. I) :

« Io U ho veduta giù vestita a verde
Si fatta, cl ella, avrebbe messo in pietra
J EY Aq LYoy RAUS AS E
(2) DANTE, Inf. XVII, 16-17:
« Con più color sommesse e soprapposte
Non fer mai in drappo Tartari nè Turchi »;

Boccaccio, Dec., Giorn. VII, nov. X: «... un suo farsetto . .. di più colori,
che mai drappi fossero tartareschi o indiani ».

La personificazione dell' Amore fu comune ai poeti dei primi due secoli. Ricorderò
per tutti il Cavalcanti, presso cui è un arcier presto siriano, acconcio sol per ucci-
dere altrui, e lAlighieri, che trasse fuori le sue prime rime colla nota visione;
osservando però che, più comune nei primi seguaci della nuova scuola fiorentina,
come in.Lapo Gianni e in Dino Frescobaldi, si fa meno frequente a mano a mano che
ci avviciniamo a Dante (Cfr. BARTOLI, St. d. Lett. it., IV, 3 e segg.). E, come nota il
MoRPURGO (Le rime di P. Tedaldi, Firenze, Libr. Dante, 1885, pag. 26 e 57); dovette ben
presto venire a noia ai poeti stessi: ché ne ridono POrcagna verso la fine del tre-
cento, e il Pistoia nel secolo seguente.
NET Sm Ro CER SE vios yen

6 i . P. TOMMASINI MATTIUCCI

rata che non procede più dal mondo pagano, attraverso

trite reminiscenze di scuola, ma salta fuori dalla vita reale. -

L'avaro che consuma gl'occhi sulle monete, e il cane che
giace sulla paglia, la quale rabbiosamente difende, sebbene
per sé non la voglia, ci presentano l'immagine dell'Amore
che, abbandonate le sembianze e le caratteristiche di un Dio,
pure rimanendo figura, riveste qualità terrene e umane:

Quale colui ch'è del suo aver tenace,

Lo quale avar s’appella, ben lo saie,

Che a se non pro ne face, anc à sol guaie,
Né de donarne altrui ponto li piace:

E come el can che ne la palglia giace,
Che per se no la vol, né vol giamaie

Ch’ altre ne tocche, e s’alcum ve se faie,
Mostra ei dente con son che li spiace,

Tal fa costui

verso gli amanti, dei quali tutti il Moscoli distingue tre
ordini:

E quey che 1 mirano variano in tre fede.

Quelli che s'appagano del poco; quelli che vivono sem-
pre fra la speranza e il timore; e quelli che disperano d'ot-
tener mai nulla:

Aleuno espera quel ben che y concede,
Contento come chi pilglia e non pilglia.
L'altro l'ingiengno e la mente asuttilglia,
E sua salute or crede, ora non crede.
L'altro despera si che teme e ffugie

Mirar con gl'occhie gli occhie ennamorate ;
Ma poco val che 1 cor pur se li struggie,
Nel quale è si formata sua beltate,

Che più propria non fu may semelglianca;
E così cher mercé for de speranca.

Quale delle tre fedi segue il nostro poeta? Or l'una or
l’altra, tutte.
NERIO MOSCOLI 7

Come e perchè ciò avvenga, egli stesso in gran parte
ne chiarisce, mostrandoci prima il nascere del suo amore;
e quindi, per mezzo a un graduale procedere, il formarsi e
lo svolgersi di quello:

Prima vostra beltà, giovane donna,

Donó delleeto ai mey occhie guardando (1);
Poi, vostro bel piacer inmaginando,

Fermó mia mente a volerve per donna;
.Ma poi me parve che vo', altera donna,

Ve degnate enchinar verso me amando,
Amor se venne in me moltiplicando,

Si ch'io son vostro sol, non d'altra donna.

Peró a nulla gli giova il professarsi servo di lei; ché,
mentre

Nel prineipio . . fo si chiara e bella,
C'ongne dileeto avea quant’ ella honore,

dipoi

Crudele e dispietata se mostr' ella.

Ma perché rimproverarle la sua crudeltà, dal momento
che egli ne gode e ne mena vanto ?

Alegrecca me vene ond’io più dolglio,

E so contento asay ciò soferire,

Ch'io volglio ancie per ley ch’ amo languire
E che d'altrui pietà, da ley orgoglio.

A cotesto sentimento, che tradisce il desiderio della
lotta e discopre una punta di vanagloria, seguirà presto il

(1) G. CAVALCANTI, Son. II:
« Li mie’ foll’occhi che prima guardaro
vostra figura piena di valore
fur quei che di voi, donna, m'accusaro
nel fero loco ove ten corte amore ».
8 P. TOMMASINI MATTIUCCI

timore di non esser corrisposto, la noia dell attendere, lo
sconforto, la fine d'ogni speranza. E c'è da credere che in
quell’ espressione, che non è sola, e più recise, più crude
ne vedremo inanzi, si ritrovi un po’ la favola del sondwm
matura est. Chè prega, sempre prega con anima ripiena di
calore e di passione :

Contra me site diamante perfecto

Con più dureca che null’ altra petra
E volete 1 contrar de ciò che 'npetra
Meo cor che da voi solo ama dellecto.

Più spesso un senso di paura vince il desiderio d'amore;
chè timido si mostra il nostro poeta:

Io son colui che temo e moro amando,
E non lo ardisco dir for che rimando (1).

Ma non si creda che questa timidezza abbia sempre la
sua ragione nella mancanza di coraggio, chè, al contrario,
è spesse volte artificio per mezzo del quale spera d' indurre
la sua donna a più miti pensieri:

Ond' io ve chero con pietà perdono

S'io fo senblante che d'amor non vengna,
Ch' io porto senpre nel eor vostra insengna,
E se sol penso de voi ladonqu' io sono,
Perciò de trarme a retro fo senblante
Credendo poder melgl passare enante.

Inoltre, perché « é piü da gradire »

E de magiur vertute e laude è dengno
A li mondani ed a Dio più benengno

(1) DANTE, Conv., IV, 2: « saper si conviene che rima si può doppiamente con-
siderare, cioé largamente e strettamente. Strettamente, s' intende per quella concor-
danza che nell'ultima e penultima sillaba far si suole : largamente, s° intende per tutto
quello parlare che con numeri e tempo regolato in rimate consonanze cade ». Purg.,
XXIV, 49-50: « Ma di s! io veggio qui colui che fuore. Trasse le nuove rime... . ».
PETRARCA, L1: « Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono ».

" NERIO MOSCOLI 9

E..'n pregio magiure deve salire
Quel don che 1 pover vergognoxo mire
Che quel ch' en dimandar non prende esdengno ;

versi che ricordano molto da vicino questi d'un anonimo
trecentista (1):

Ma ben sapete, più è grazioso

E più assai lodato da la giente

Lo don ch’ è fatto al pover vergongnoso,
C' a quel che 1 chere affacciatamente.

Né ha durato poco in questo stato:

. voi savete ben che vergongnando
Me son non piciol tenpo queto stato.

Però, per quanto abbia voluto nascondersi, a lei non
può essere sfuggito il suo soffrire, perchè lei vede, sa e sente
tanto, tuttor ch' egli copra il suo desio.

Varie, adunque, le cagioni del suo ritegno: la speranza
di poter meglio passare inanzi; il timore di spiacerle; la
buona fama di lei; e il dubbio che, dichiarandole amore,
non lo giudichi bastante. A chi ben guardi, si rivela tutto
un sistema di tattica amorosa, che il nostro poeta ha fatto
suo. E la preoccupazione che froppo o poco mostri la fiamma
del chiaro foco 6 tale, che infine, rivolto ad Amore, a lui
chiede se viva a suo volere,

Perch'io son fermo, singnor mio, retrarme
Al tuo volere oltr al poder ch' io tengno.

Quanti infingimenti, quante astuzie; e come dura, fati-
cosa è l erta del colle che mena ad Amore!

Al solo guardare l oggetto dei suoi sospiri, il nostro
poeta trema e quasi vien meno: |

(1) Le antiche rime volg. secondo la les. del cod. Vat. 3793.

PE EEA

n on ii ge >

iù IMRE LISA E

sii cioe E
10 s P. TOMMASINI MATTIUCCI

Per ciò che stando en la vostra presentia
E mirando l piacer ch’ en voi resplende,
Tanto dexio nel cor dentro s' aciende,
Ch'io perdo alor de parlar la potentia ;

versi che ci fanno venire a mente quelli di Dante:

E cosi smorto, e d'ogni valor voto,
Vegno a vedervi credendo guarire :
E s’io levo gli occhi per guardare,
Nel cor mi si comincia uno tremoto,
Che fa da polsi l' anima partire (1),

.e questo del Cavalcanti :

l’anima sento per lo cor tremare (2).

Nè può vincere questo sentimento di paura infantile,
dappoichè la donna sua è cotanto bella e dagl occhi suoi
emanano raggi di cotanto splendore, da abbagliare la vista
di chiunque la miri:

Sastre per certo demostra

Che devina virtù gratia li preste,

Qual tanto honora l’umanità nostra,

Che de la luce del ciel propria mente
Mecte raggi nel cor de chi i tien mente.

E gli sembra impossibile che non si pieghi mai a più
miti pensieri :

Com eser poi che dentro al vostro core
Superbia, crudeltà se trove ed ira,

Ligiadra donna, che qual fiso mira

Vede nelgl' oglie vostre el vero amore ? (3).

(1) Son. IX. Cfr. anche quest'altri versi, a tutti noti: « Tanto gentile e tanto one-
sta pare — La donna mia quand'ella altrui salita, ^ Ch'ogni lingua divien tremando
muta E gli occhi non ardiscon di guardare »; e il cap. XIV della Vita Nuova.

(2) Canz. II.

(3) UBERTINO GIOVANNI DEL BIANCO D'AREZZO, in Vat. 3793, ediz. cit., V, n. 803:
« Volesse Dio, crudel mia donna e fella, | C'avete da merzé lo cor diviso, Che
NERIO MOSCOLL 11 RU "i

Sarebbe pago anche d’ un solo sguardo, d'un solo sor-
riso; ma invano il chiede; tanto che l’anima sua

VE sconsolata
Per lo camin sen va.

, i
PES mL Ls.

Saggiamente gli antichi figurarono Amore come un fan-
ciullo e cieco; chè, invero, non sono da questo dissimili
coloro che soggiacciono a una forte passione amorosa. Nè
il nostro poeta è da più. Ora piange, ora ride; un momento
si lagna della durezza della sua donna, un momento ne loda
la severità, fino a goderne. Or ora ne ha lamentato la su-
perbia e la crudeltà, e subito dopo

init

get ni

No me piace ciercar nè trovar volglio

Che troppo vaccio faccia el mio desire,

Se prima la mia fé con più martire

Non pruova, e puoy li ne prenda cordolglio. i

È
1

Gran bontà degl’ amanti antichi! verrebbe fatto di escla-
mare, leggendo questi versi. Però, altro è la scappata d'un
momento, o il teorizzare, e altro il desiderio dell’ amoroso
piacere. Così che, quasi pentito d’ avere espresso il suo pen-
siero troppo francamente, lascia da parte l’ espressioni troppo
rudi e sonanti quasi disfida, per sottomettersi con umili
preghiere :

Ma pur pietate te prenderà, amore,

Sì che nella infortuna io non desmago,
Ancie prendo conforto enmaginando

La sua beltate e la gram gentillegga
Che fan tuttor piacer sua bellegga.

E tanto en gratia, singnor, te dimando,
Solo che volta alcuna li recorde

De me, come per ley morte me morde.

quanto siete buona foste bella — E rispondesevi a lo cor lo viso». CECCO ANGIOLIERI
(St. d. Crit. e St. lett. d. A. D'ANCONA, pag. 161): «Or s' tu fossi pietosa, come bella ».
CHIARO DAVANZATI: « . . ladov' è bieltate e piacimento, presgio ed onore e modo
di savere, ben dé merzé trovarvi umile talento ».
12 P. TOMMASINI MATTIUCCI

Ma anche se non troverà mercó,. trarrà conforto nel
sapersi virtuoso e saggio, pensando come il valor de verti,
che contra de vitij contende, da lei non vada giammai disgiunto;
della qual cosa. è. sommamente lieto, dovendo la donna,
prima d’ ogni altra cosa, essere onesta :

Ciercando qual vertute in giovenecca
Sia più presiata per li antichi saggi,
Trovo ch’ è honestà, de li cui raggi
Resplende e adorna la vostra belleca.

Questa virtù deve stimare sopra ogni altra il perfetto
amatore; nè merita fede colui il quale mostri di non curarla
abbastanza:

. 8° aleum nel contrario volere
Sentir possé per voy en alcun modo,
Non è tocato da l' amor ch’ io lodo.

E se per avventura ci sarà alcuno così ardito da tenerla
in non cale, nulla di meglio che mortificarlo con un rifiuto:

. . se aleun dimanda cosa endengna,
Cortese mente per voi se desdica. >

Il poeta alla sua volta si’ rallegra coll’ amata, perchè
gli ha suscitato nell’ anima un affetto che I' indirizza al bene:

Ond'io, rengratiando voi, me lodo
Che sentit’ò per voi quello là ’ndio tengno
Quest'alegrecca nel cor per qual: godo.

Ma la virtù non è nemica dell'amore e della pietà, molto
più verso un « perfecto e puro amor » quale è il suo. Vizio,
adunque, è il cadere nell’eccesso opposto, come v'è caduta
la donna sua, contro la quale esce di nuovo in lamentevoli
preghiere e in parole di fuoco: NERIO MOSCOLI | > 2 13

Conicoli solean mangani e pungna (1)
Valere a debellare onne fortecca ;

Ma posto sono a tal ehe poco appreca
Ciascun de questi, e tucto y repungna.
Onde 1 poder dal voler mio s'alungna
Tanto che 1 cor desperando si spegga

Tutto suo engengno, e per la grand'aspreca
Già quasi semimorto più non pungna.

Quanta efficacia, quanta vivezza in questi otto versi, i
primi dall intonazione severa, quasi minacciosa; gli altri miti
e dimessi; e che io non esiterei di chiamare artisticamente
perfetti, in ispecie l'ultimo, che esprime mirabilmente la
sfiducia di chi ha combattuto invano, la prostrazione del
vinto.

Si rialza però, e come per il Cavalcanti, per Dante, per
Cino un sorriso e uno sguardo valgono a mitigare ogni loro
affanno, la speranza ridona a Nerio la forza e l'ardire:

. Se favoregiato me sent'io,
Donna, da voi, prendo tanta forteca
Che metto e non calere-onne duregga;

ed allora non si dole più

NORD dep del dolgloxo lago
Nel qual s'anega quaxe el debel core;

né abbandona la speranza « deletevele », come nave che,
solcata l’acqua in tempesta, al porto riposa dolcemente dei
corsi pericoli:

Onde sto in tucto el velocie mio lengno
E acto ad ogne camin che dexire.

(1) CONTRASTO DI CIELO DAL CAMO (Crest. it. d. pr. sec., 108): « En paura non
metermi di.nullo manganiello ». B. LATINI, Tes. 3, 9: « Fornisconsi di pietre e di
manganie di saette e d'ogni fornimento ch'a guerra appartiene ». LA CRUSCA: «antico
strumento da guerra, da tirare e scagliare ».
14 i « P. TOMMASINI MATTIUCCI

Coy veli al vento e coy reme passando
Ongne fortuna ch'é mar corocciato,.
Gli ancore poi nel dolce pian fermando ;

versi che ci fanno ripensare al vascello, nel quale Dante
avrebbe voluto navigare insieme a Guido e a Lapo, e ivi
« ragionar sempre d'amore » (1).
Finalmente sembra che trovi pietà; ma è la cosa d'un
momento; ed allora, disperato, esclama:

O doloroso cadiménto amaro
' Che de più sovran loco e più ligiadro
Nel più basso me trovo e nel men caro.

Che rimane al povero innamorato? Morire:

. contento seria de star nel foco,

- + . per natura el poder nol deffende.

« E si capisce: altro è parlar di morte, altro è mo-
rire; e tutti gl’innamorati, gli scialacquatori, i libertini, i
giocatori, i femminieri, che sono tante varietà della gran
razza dei disperati, un giorno almeno nella lor vita fan pro-
posito di finirla a un tratto; e poi manca loro la forza, o
la buona congiuntura, o il ramo d'albero che li sostenga, se

(1) BERNART DE VENTADORN (BARTSCH, Chrest. prov., 63): « Tan n'aten bon'espe-
ransa ves que pauc m'aonda, qu'atressi sui en balansa cum la naus en
l'onda. del maltrag quem dezenansa no sai on m'esconda : tota noit me vir'em
lansa de sobre l'esponda ». G. DA LENTINO (Crest. it. d. pr.sec., 53): « Lo vostro
amore ke m'ave, in mare tempestoso é sj como lo nave ca la fortuna gitta
ongni pesante . E canpane per gietto ^ di loco perilglioso ». PIER DELLA VIGNA
(Op. cit., 56): « Com omo ch' é in mare ed à spene di gire e quando vede lo tempo
ed ello spanna, e giamai la' speranza no lo 'nganna ». Cf. anche i v. 27-29 d'unà
Canz. di RUGGERONE DI PALERMO (Op. cit., 77). G. GUINICELLI (Le rime d. poeti volo-
gnesi . . . I. 13-24): « Nave, ch'escé di porto ^ con vento dolze e piano, fra mar
giunge in altura; po’ ven lo tempo torto, tempesta e grande affano li adduce
la ventura; allor si sforza molto ^ como possa scampare . che non, perisca in
mare: così l'amor m'ha colto e di bon loco tolto e messo al tempestare ».
DANTE, Son. II. (Ediz. cit.); G. CAVALCANTI, Son, XXVI (Ediz. cit.).
NERIO MOSCOLI polo

non hanno paura del peccato e dell'inferno » (1). Molto piü
il pensiero della morte doveva far paura al nostro poeta,
che non era né un libertino, né un femminiero, ma un'anima
onesta. Abbandona perciò questo triste proponimento, e con-
vinto che vano è il pregare, si piega a più miti consigli.

Dopo aver ricorso ad ogni mezzo che gli suggeriva e
gli consentiva amore, senza trovare quella grazia e quella
mercede che in principio sperava di ottenere, finisce con
una preghiera, di doventar bon mastro perfecto per foggiarsi
una donna a suo piacimento. Saggio pensiero, che avrebbe
potuto risparmiargli tante preghiere e tanti affanni:

To chero d’eser bom mastro perfecto

Per fare intalglio a mio modo de petra.
Null’altra cosa lo mio core inpetra

Che farne una dongella a suo dellecto (2).
Longecta la faria, de bello aspecto,
Come chere quel dexio che non s'aretra,
Nel vixo alegra, né seria may tetra,
Pietosa quanto che con l'alma affecto.
Così contento me staria poi io,

Ciò possedendo che per la mia fede
Sovra tutte sormonta el voler mio.
Sentiria el bem del mio sommo dexio
Lo qual nel mego de me tutto sede (3).

Siffatto è il tipo ideale che il Moscoli ama accarezzare
nella sua mente; tipo che non guadagna punto in preci
sione e determinatezza di contorni se lo si. confronti con

(1) A. D'ANCONA, Cecco Angiolieri da Siena, in STUDI DI CR. E ST. LETT. Bologna,
Zanichelli, 1880; pag. 172.

(2) GIACOMO DA LENTINO (Crest. it. d. pr. sec., 43): « Avendo gran disio di-
pinsi una pintura, bella, voi somigliante ».

(3) ll D'ANcONA (Op. cit., pag. 185) prendendo motivo. dal noto sonetto dell'An-
giolieri « S'io fossi fuoco, arderei lo mondo », nota che il téma del voler esser e del
voler potere « è stato trattato in varia guisa da quasi tutti i poeti . . . cominciando
da Anacreonte » fino al Goethe, all’ Heine e ai canti popolari. Anche Cino ce n’ ha lasciato
un bell'esempio col sonetto « Se conceduto mi fosse da Giove», nel quale esprime
il desiderio che la donna sua si cangi in bella faggia, intorno a cui egli si farebbe
edera. *

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16 | P. TOMMASINI MATTIUCCI

quello di altri poeti. Egli desidera: una donzella Zuaga, di
bello aspetto, allegra; e alta, bella, avenente ce Y aveva già
descritta il Guinicelli (1). js

Ma ben diversa è la donna del Canzoniere, giacchè
hanno concorso a formarla più elementi, che si possono ri-
durre a due principali: l’espressione sincera d’ affetto e le
reminiscenze di scuola.

Nel processo psicologico della passione d'amore la bel-
lezza della donna dona diletto agl'occhi del poeta innamo-
rato e si rivela in quelli di lei:

Dentro dai suoi bell’occhie amor se vede
e?

agi qual fiso mira

Vede nelgl'oglie vostre el vero amore.

Questo come si trasforma, e quale ne è la via? Dagli
occhi al core:

Dentro per gli occhi mey passò nel core

Lo vago lume de la chiara stella,
Passandome per gl’occhie dentro al core,
Acese . . . la mente d'amore.

Lo stesso concetto ritroviamo. espresso dai trovatori del
vecchio e del nuovo stile (2).

(1) « Tegnol di foll'enpres'a lo ver dire ».. In MAZZEO RICCO DA MESSINA, con-
temporaneo di Guittone, si legge «...alta e gaia ed avenente ». Accennerò appena

a cosa notissima; come, cioé, negli antichi rimatori manchi quasi sempre la. descri-
zione delle fattezze femminili, e tanto piü in quelli. della nuova scuola florentina, che
nei predanteschi. Gran cosa se alcuno nomina i capelli biondi. pim c auro fino;
e di tanti poeti che lodano gli occhi, nei quali la bellezza ornata splende, gran ventura
se uno ci fa sapere di quale colore essi siano. Veggasi, per tutti, il famoso so-
netto del Cavalcanti: « Avete "n vo li fior e la verdura ».

(2) La complicità passiva degli occhi rispetto al cuore, accenno alla genesi del-
l’amor platonico, notiamo già in Sordello. Cfr. CESARE DE LOLLIS, Vita e poesie di
Sordello di Goito. Halle, Niemeyer, 1896; pag. 80 e 182. NERIO MOSCOLI 17

Così il Notaio risponde a un dubbio del Mostacci:

elgl'ogli en prima genera l'amore

e 1 core che di co è concipitore,
ymacina e place quel desio;
e questo amore regna fra la zente (1).

Loi E TUE

^ reise Nae m

Filippo da Messina, contemporaneo di Guittone:

Ai, sire ideo, con forte fu lo punto
che gli occhi tuoi, madonna, i’ sguardai, lasso! (2)

SER ci

Procedendo, s'arriva al Guinicelli :

ciò furo li belli occhi pien d’amore
che me feriro al cor d' uno disio (3)

9
i

Di sì forte valor lo colpo venne,
che gli occhi nol ritenner di neente,
ma passò dentr al cor che lo sostenne (4).

Dall’uno si passa all'altro Guido:

Per gli occhi venne la battaglia in pria (5)

Voi che per li occhi mi passaste al core (6);

finchè si giunge al duce della nuova scuola:

Degli occhi suoi, come ch'ella gli muova,
Escono spiriti d’amore infiammati,

(1) E. MONACI, Crest., 6). Altrove, Op. cit. 54, anche più chiaramente: Amore
« passa per gli occhi e lo core diparte ».

Ediz. cit., son. X.
Ediz. cit., son. VIII.
18. 4. P. TOMMASINI MATTIUCCI

Che fieron gli occhi a qual che allor gli guati,
E passan sì che 1 cor ciascun ritrova (1).

Adunque, è sempre lo stesso motivo poetico, che dal
Notaro Giacomo va fino all’ Alighieri; e da questo, con SINO (2);
fino al Petrarca (3).

Ma se l'amore, muovendo dagli occhi, Si posa nel cuore,
trova la sua sede principale nell'anma, cui spesso va unita
la mente. i

Quest'ultima, essendo cagione effettiva del corpo (4), si
ricollega, per così dire, agli occhi, perchè nella faccia si ri-
duce in atto, e in due luoghi di quella più specialmente,
cioè negli occhi e nel dolce riso, che ne esprimono la po-
tenza (5); è la ragione (6) e va congiunta colla « nobiltà
della potenzia ultima », partecipando « della divina natura
a guisa di sempiterna, intelligenza » (7). E la mente non è
altro che parte, fine e preziosissima parte, dell'anima (8),
mentre il cuore è l'appetito (9).

Cioè, l’attività erotica ha principio negli occhi (10), si

(1) Ediz. cit., canz. IT, 51-54. Cfr. canz. XIII, 17-23.e. Conv. II, 10; III, 8, dove, con
similitudine ch'egli dice bella e che a noi oggi non par tale, chiama gli occhi, insie-
me alla bocca, i balconi della donna.

(2) Ediz. BINpI e FANFANI, son. X: « Per gli occhi venne la battaglia in pria »;
son. XXXVIII: « Nel tempo, che de’ suoi occhi mosse Lo spirito possente e pien
d’ardore, | Che passò sì, che 1 cor percosse ».

(3) Son. III: « Ed aperta la via per gli occhi al core ». Né si fermò al Petrarca.
Invero nel Cortegiano si legge che la bellezza « piacevolmente. tira a sé gli occhi
umani, e per quelli penetrando s' imprime nell'anima ».

(4) DANTE, Conv., III, 6.

(5) DANTE, Conw., IIl, 8.

(6) DANTE; V. N., XXXIX.

(7) DANTE, Conv., III, 2

(8) Conv. Ill, 2. E ivi: Nell'anima sono più virtù, la scientifica, la ragionativa
ovvero consigliativa, e la inventiva e giudicativa. « E tutte queste nobilissime virtù,
e l’altre che sono in quella ‘eccellente potenzia [cioè l'anima], si chiama insieme con
questo vocabolo, del quale si volea sapere che fosse, cioè MENTE; per che è manifesto

che per mente s'intende quest’ultima e LOU parte dell'anima ».

(9) Vi NS, XIX. 6

(10) V. N., XXXIX: « E che degno sia di chiamare l'appetito cuore, e la ragione
anima, assai è manifesto a coloro, a cui mi piace che ciò sia aperto ».

Inh n NERIO MOSCOLI 19

riflette nel cuore, in cui desta il sentimento, ragiona nella
mente, e trova il centro di ogni affezione nell'anima. E di
questa dottrina, della quale si ha .il primo accenno nel Gui-
nicelli (1), sono pieni i poeti del dolce stil. nuovo, special-
mente Guido Cavalcanti (2), Dante (3) e Cino da Pistoia (4).

Allo stesso modo il nostro poeta fa sapere alla sua
donna:

rione come s’acese
Ne la mente 1 disio, qual conven cresca
Tanto, che l'alma del cor fugiend'esca ;

dipoi la prega, gionte ambo le mani,
Per la pietà de quel cor ch'é senc'alma,
di non volere ch'egli
. . mora . . eol core e con la mente,

finché le domanda conforto

ORO, onde sofrire .
Poscia la mente e l’alma sbigotita,
Sì che non faccia del cor departita.

Un'altra dottrina erotico-filosofica si trova accennata nel
Moscoli, cioè quella degli spiriti o spiritelli, i quali, menzio-
nati appena nei primi seguaci della nuova scuola fiorentina,
dànno origine nel Cavalcanti a tutto un sistema di rappre-
sentare e descrivere il sentimento dell'amore (5) finché di-

(1) « Dolente, lasso, già non m'assecuro », cit. dall’ERcOLE, pag. 285.
(2) Ediz. cit., son. X, XI, XII, XIII.
3) V. N., XXXIX e passim.
4)

(
(
(5

5) P. ERCOLE, Op. cit., pag. 131 e segg. Chi volesse conoscere

l’origine prima di
questi spiriti, e il passaggio che essi fecero dagli Egiziani

ai Greci, e da questi agli
scolastici e ai poeti del nuovo stile, può consultare utilmente il bello Studio di Giulio
Salvadori sulla Poesia Giovanile e la Canzone d'Amore di G. Cav

alcanti (Roma, Soc.
D. Alighieri, 1895), a pag. 63 e SCgg.

TZ E NT ETE
|
\

259) *
vengono, a poco per volta, più che altro, una forma del
linguaggio poetico (1). Da essi, considerati come principio
vitale, deriva ogni atto d'amore; e spiriti sono lo sguardo e
il riso della donna amata, il pallore che deriva dallo sgo-
mento, il dolore, la noia. Ma il nostro poeta ricorre ad essi
una volta sola; e proprio in un componimento dove più
l’arte sua si afferma libera,dall influsso e dalla tradizione di
scuola; però non vi ragiona su, non li chiama in aiuto del-
l’analisi del sentimento: ma li nomina quasi per caso e sol-
tanto per introdurli a dialogizzare coll’ Amore (2).

I poeti del nuovo stile, come avevano tolto, in parte
dalla scuola del Notaro, e poi da Bologna, di dove par che
tucto | senno vegna (3), il problema filosofico, avevano anche
ereditato dai provenzali, sia pure indirettamente, le norme o,

(1) A..D'ANGONA, V. N., pag. 104.
(2 Ecco i versi di Nerio:

«... amor che nel cor me demora,
Chiascuno spiritello @ sé racolse

E de lo ardire e del fugir se dolse.

Poi reposato alquanto, a lor se volse,
Dicendo: andate, chè bem puote ancora
De voi mercede aver chi v'enamora ».

Si può istituire un raffronto, quantunque imitazione non mi pare doverci rico-
noscere, coi versi 9-14 del son. XIII del Cavalcanti. Del resto, basta prendere in esame
i sonetti di Guido, specialmente il XX, per vedere quanto il Moscoli si tenga lontano
da questa maniera di considerare l’essenza dell'amore: cioé dallo spiritismo.

In quanto ai confronti cogli altri poeti, vedi, per Dino FRESCOBALDI e LAPO
GIANNI, coi quali gli spiriti fan:.o la loro prima apparizione, la St. d. Lett. it. di
A. BARTOLI, IV, 5, 11 e 12, e il Manuale di V. NANNUCCI, I, 248; per lALIGHIERI i
son. VII e IX, la canz. II, la st. I e i S XI, XIX e della V. N.; per il CAVALCANTI i
son. I, VI, VII, XIII, XVI, XVII, XVIII e XX; e per Cino gli esempi citati dal D'An-
cona a pag. 106 della V. N. Cfr. anche, del Boccacctro, La Fiammetta, in Op. min. di
G. B. (Sonzogno, 1879; pag. 76) questo passo: «'.. . perciocché gli piacevoli suoni
ascoltando, i» me ogni tramortito spiritello l’amore facevano risuscitare »; e un
altro dell’Ameto (ediz. di Parmà, 1802, pag. 77). « S' incontrano continuamente anche
nelle rime di Lorenzo il Magnifico » (F. FLAMINI, Studi di St. lett. it. e stran. Livorno,
Giusti, 1895; pag. 63). Inoltre, sugli spiriti, « personificazione di ciò che nella filosofia
peripatetica, quale veniva esposta da TowMÁáso D'AQUINO, si chiamava modo di vita »,
vedi le due lunghe e dotte note del D'Ancona a pagg. 2) e 104 della cit. ediz. della V. N.

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(3) BONAGIUNTA DA Lucca, in un son. di corrispondenza col Guinicelli. NERIO MOSCOLI 91

per meglio dire, le leggi d'amore (1) le quali ogni perfetto
seguace era in obbligo di osservare; come, ad esempio,
questa: « Qui non celat amare non potest » (2) Nuda for-
mola, che ritroviamo diluita in più versi di un nsegnamento
d'anonimo trecentista :

« D'una cosa ti voglio somonire :
d’altrui amore non ti fare conosciente,
ched'é gran villananza formentire ;

e stu vai e stai con altra giente

e tu vedi tua donna venire,

guardati di non fare nullo sembiante
ond'ella possa venire in bassanza ;

e questo é vero, ed é fina ciertanza
ch'ella te ne vorà majore amore ».

Ma ció che in principio fu semplice norma d'amore, in
seguito, coll'abito di tutto sottoporre alla speculazione filoso-
fica, diventa motivo dottrinale; e questa trasformazione tro-
viamo nel Canzoniere del' Nostro. Invero, mentre il da Len-
tino espone alla donna la cosa semplicemente qual è, egli
trova modo di teorizzarci sopra, considerando il fatto sotto
moltepliei aspetti. Si ha, per tal modo, il passaggio dal con-
cetto fisiologico al filosofico (3).

(1) Servendomi di questa espressione, non intendo dimenticare che le Leys d/A-
mors furono un trattato di poetica, essendo l'Amore divenuto presso i provenzali
sinonimo di poesia.

(2) M. RAvNOUARD, De Cours d’Amor, in Choix des pocsies originales des Trou-
badours. Paris, Didot, 1817, II, CV-CVI.

(3) Giacomo. da Lentino sente il bisogno di rivelare alla sua donna com'egli na-
sconda amore (Crest., 43):

« non so se lo savete com io v'amo a bon core;
Ka son si vergognoso
k^eo pur vi guardo ascoso € non vi mostro amore »;

così altrove (0p. cit., 45): i
«.. lungiamente amando

non vi volsi mai dire

Com'era vostro amante

e lealmente amava,

e però ceo dottava

non vi facea sembiante ».
22 P. TOMMASINI MATTIUCCI

Però; o che il celare amore non fosse sempre facile ad

p ottenere nella, vita reale, o che i poeti si compiacessero nel

: loro mondo ideale di siffatto infingimento, SIE nuda legge
Si passò presto all’artificio :

El me bixongna mostrà lo contraro

De ciò ch'io tengno dentro dal mio core cl
Ch'ey me conven fugir vostro valore

E far parvente ché me semble amaro,

Ma "n verità ched io 1 tengno piü caro.

Dal tenere ascoso amore all'ostentare indifferenza, il
passaggio era facile e breve. Piü artificioso e complesso do-
veva essere amare una donna, e fingere d'amarne un'altra.

Ma: pur la novetà che l'alma sente,

Quando per ben covrire amor rafrena
Volgiendo passo de la via che y mena,

Non porria inmaginare alcuna mente

Che non provato e reprovato.l’agia (1);

E qual più 1 prova n'é talor men sagia (2).

Questi versi sono l'espressione di un motivo poetico,
ovvero la rappresentazione di un fatto che ha riscontro nella
realtà? Si deve dedurne ché Nerio amasse una donna, e ne
cantasse un'altra, come, à credergli, ci obbligherebbe la no-
vità che l'alma sente nel raffrenare amore, novità che non
puó immaginare aleuna mente « che non provato e repro-
vato l'agia » ? Ovvero dobbiamo particolarmente riconoscervi

Si noti anche come qui si abbia a che fare, più che con un canone dell'attività,
erotica, con un'effetto d'amóre: vale a dire colla timidità, sentimento che fu comune
a tutti i rimatori dei primi due secoli. Ma di ciò diremo in seguito.

, I Moscoli, invece, rare volte sente il bisogno di rivelare alla donna il fatto in
in sé e l'artificio, che ne é la conseguenza, l'uno e l'altro a lei ben noti ; ma glie ne
palesa le ragioni, sulle quali in più e più sonetti s'intrattiene a discutere.

(1) G. CAVALCANTI, canz. I: « imaginar non pote om che nol prova ».

(2) Altrove: « De, non ve senble, madonna, el contraro, Per alcum simel
ched el se convene MORE più sengne e sol l'um tener bene Perché denance al

' ver si' alchum riparo ».
NERIO MOSCOLI a

una mera reminiscenza della « gentile donna di molto pia-
cevole aspetto » che « per alquanti anni e mesi » fu a
Dante « ischermo della veritade » ? (1) È ben difficile il darne
una risposta sicura.

Inoltre, ogni seguace d’Amore deve osservare la giusta
misura; a ciò ne riporta il Moscoli con questi versi:

. ve piaccia per Dio poner mente
E tener meco nel cortexegiare
Si che fallo non sia nel vostro usare.

Vedremo più oltre come ciò si colleghi alle dottrine sco-
lastiche intorno alla perfezione, che ha sede nel mezzo.

Un'altra legge d'amore, alla quale davasi la più grande
importanza, era il fenersà dentro all’ amorosa voglia.

Piccarda a Dante, che la richiedeva se le anime del
Paradiso desiderassero più alto loco, rispose la loro volontà
quietare virtà di carità, che faceva volere sol quel ch’ avevano,
e il modo com'erano di soglia im soglia a tutto il regno piacere

« Com’ allo re, che in suo voler ne invoglia » (2).

Allarghiamo ancora un poco questa dottrina, su cui
poggia tutto il sistema beatifico della terza cantica, e ne
avremo il vero principio sul quale il Cristianesimo si reg-
ge (3). Dalla divinità. poetica del Paradiso trasportiamola nel
mondo della scolastica, e ne avremo questa proposizione :
« Lo più nobile piacere e quello che scritto è fine di tutti
gli altri si è contentarsi; e questo si è essere beato » (4).

(1) DANTE, V. N., V, VI, VII, XII. I] D'Ancona (ediz. eit. d. V. N., pag, 44) ricorda
che fu comunissimo anche ài provenzali « di fingere di amare e celebrare ne' versi
altra donna da quella che si aveva in cuore: e ne abbondano le testimonianze nelle
vite de’ trovatori ».

(2) Parad., III, 64-87.

(3) N. TomMASsEO, La prima sfera, in Comm. alla D. C.

(4) DANTE, Conv., II, 8.
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24 P. TOMMASINI MATTIUCCI

Facciamo ancora un passo, fino a giungere nel regno del.
l’amore, e un canone de’ Provenzali ne dirà: « verus amans
nihil beatum credit, nisi quod cogitat amanti placere » (1).

Si ha, dunque, lo stesso concetto, che sotto varie forme
va dal principio cristiano alla dottrina scolastica; da questo
alla descrizione del regno divino, e infine alle leggi d'amore;
concetto che il popolo ha ripescato di fra i dotti, per for-
marne uno de’ suoi proverbi: Chi si contenta gode (2).

E dall uno e dall’ altro campo, cioè dal poetico e dal
filosofico, il Moscoli mostra avere attinto nel placido quietarsi
ai voleri dell'amata. Comincerà coll’ assicurarla di tener
sempre a duce il volere di lei:

. io non posso nè voime partire
Dal tuo volere . . . ;

Alegrezza me vene ond'io più dolglio
E so contento asay ciò soferire,

finchè le dirà chiaramente :

Nè me fuoron de ciò (3) may pene amare,
Ma dolcissime e care

Perché son volontare

E dellecto me dà per voi penare.

Onde ciò che me ven da cotal loco,
Enmaginando el vostro alto valore,
Prendo gratia d’ amore

Per vago molto e dellectevel gioco.

(1) RAyNoUARD, Op. cit. ^ Amerigo di Peguilhan (Testi ant. prov., pag. 60) ha
dei versi che ci riportano a questo canone trovadorico. Amore « .. de dos cors

fai un, tan gen los lia; per qu'om non den ad amor contradir, pus tan gen sap
comensar e finir ». i

(2) In questo proverbio si è aggiunto dipoi anche l'elemento ironico, che non credo
avesse in principio.

(3) Cioé dall’amore.
NERIO MOSCOLI 25

Ma egli, dall’ esposizione individuale di un fatto cotanto
semplice, troverà modo di salire alle ignote cause del fatto
stesso, e ci darà dei versi che, mostrando in Nerio una
mente speculativa, per poco non parranno un trattato morale:

Colui che socto a singnoria se trova

Non po seguir del tutto el suo volere

Ma spesso li convem l’ altrui piacere
Antiponer al suo, sey noce o giova.

E donqua ciascum sua mente mova

A quel volere et a quel desvolere

Che vole o che desvole chi l' à 'm podere,
E dillecto nel cor d' onnum li piova.

El non se puó servir contra de core
Perfecta mente may che tal servitio
Convem che tengna d' uno o d' altro vitio,
E chi mal serve non ben sente amore.
Serva donqua chi vole, e con dellecto
Porte 1 martir qual chere eser perfecto.

Posto che ai seguaci d' Amore non è lecito conoscere

altro volere che quello dell’ amata, ben si addirà loro il,

nome di servi. E tali si professano Giacomo da Lentino (1),
Guittone (2) il Cavalcanti (3) e Dante (4).

Allo stesso modo il Moscoli si compiace dell' ubbidienza
cieca, della dedizione completa di se stesso. Parlando alla
donna, dichiarasi servo di lei:

Son vostro servo né ad altrui viol darme ;

e, non contento di questo, le ripete più e più volte:
Voi servir. solo è 1 voler mio ;

finché :

Sol per servir te viver m' engiengno.

1) E. MONACI, Crest., pagg. 40, 54, 73.

o». us pag. 169.

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(1) I
(2)
(3) S
(4)

Canz. I e X.

ee e on

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96 i P. TOMMASINI MATTIUCCI

L'umile devozione, il servire, ci riconducono al regno
cavalleresco dei provenzali e al loro mondo poetico. E, sia
che il nostro poeta le traesse direttamente di là, o che a
lui fossero venute per il tramite della vecchia scuola, altre
e numerose reminiscenze troviamo nello sfogliare il suo
Canzoniere (1).

L'amante, a causa dell inferiorità in cui si trova di
fronte a Madonna, dev'essere timido e umile:

Che chi ben ama prega asay temente, '
pres Y ,
E che qual prega molto ardita mente
‘ Non ten nel cor ciò ch’ ey vol far parere;

versi che sembrano una traduzione letterale da .Arnaut di
Maruelh :

Que mielhs ama selh que prega temen,
Que no fai selh, que. prega ardidamen (2).

Il perfetto amatore deve saper soffrire né lamentarsene,
perché la mercede, o presto o tardi, non potrà mancargili.
Così il nostro poeta:

. io volglio . . per ley ch’ amo languire
E .. d'altrui pietà, da ley orgolglio, :

come in Gaucelm Faidit :
* E platz mi mais per leis pena durar
Que de nulh' autr' aver tot mon talen (3);

(1) Fu già notato da altri come l'umiltà, l'ossequio, la devozione sia nota comune
anche alla nostra lirica, dal Cavaleanti al Petrarca, e uno dei legami fra la: poesia tro-
vadorica e l'italidna. Cfr. L. CASTELLANI, Di alcuni precedenti della lirica amorosa di
F. Petrarca, in Scritti pubbl. da N. ANGELETTI, Città di Castello, Lapi, 1889. Invece che
dal Cavalcanti, come fa il Castellani, a me sembra si sarebbe potuto prender le mosse
da Giacomo da Lentino.

(2). A. GASPARY, La: Scuola, poet. sic., pag.'50.

(3) Op. cit., pag. 50. RUGGERONE DA PaLERMO (Crest. del MONACI, 77): « chi vole

amor.di donna viva a spene, contesi in gran gioia tutte le pene ». i NERIO MOSCOLI 91

motivo poetico che fu comune anche ai rimatori del vecchio
stile. (1). j
Del resto, lieve è tale abnegazione, chè

. may gran bellecca.
Non durò contra d'amor la. fortegga ;

riflessione che all’ animo ‘abbattuto del poeta è di non poco
sollievo :

Per questo modo ancor prendo conforto,
Ch’ enteso ò dir che chi ben serve atende
Bon guiderdone avere e bel conforto,

Poi che 1 servir in bon luoco se stende;

versi che ricordano assai da vicino quest’ altri del Maruelh :

Auzid ai dir, per quem sui conortatz,
Que, qui ben sier, bon gazardon aten,
Ab quel servirs sia en luec jauzen (2).

Conforto e speranza in Jacopo Mostacci (3), in Gallo da
Pisa (4), in Brunetto Latini (5), assumono una forma senten-
ziosa in Dante col notissimo verso

Amor ch' a nullo amato amar perdona (6).

(1) Questo concetto che, come nota il De Lollis, è una modificazione dell'altro
più antico, secondo il quale l’amore doveva essere, oltre quello che è in natura, fonte
d’ogni bene e virtù, informa le canzoni erotiche di Sordello:

« Qu’ eu no voill ges nul fruit asaborav,
Per que lo dolz me tornes en amar » (XXI).
: C. DE LOLLIS, Vita e poesie di S. di G., pagg. 77-79 e 180. Cfr. anche A. GASPARY,
La Scuola, ecc., pag. 50. ;
(2) GasPARY, Op. cit., pag. 55. BEATRICE, COMTESSE DE DIE (BARTSCH, C7tr. Drov.,
pag. 72): Kis
« Meraveill me cum vostre cors s'orgoilla, i
f amics, vas me, per qu'ai rason quem doilla ».
E. MONACI, Crest., pag..59.

3)
1) Op. cit. à :
)
)

(
(
(5

)

Op. cit.
(6) Inf., V, 103.

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i
Tt" Pene? ICI:

98 P. TOMMASINI MATTIUCCI

‘ Partendo dalle astrazioni generali per venire al senti-
mento individuale, il nostro poeta si maraviglia che una
donna quale la sua, cotanto leggiadra e virtuosa, sia anche
superba e crudele: -

Com eser poi che dentro al vostro core
Superbia, crudeltà se trove ed ira,
Ligiadra donna, che qual fiso mira
vede nelgl oglie vostre el vero amore ?

versi che hanno più di un punto di contatto, con questi di
Gaucelm Faidit :

Meravilh me, pus ab mi dons es tan
Pretz e valors, plazers e digz cortes,
Com pot esser, que noi sia merces ;

Em meravilh de lieis, on es honors,
Sens e beutatz, que ja noi sia amors (1).

Ma il Moscoli ha qualche cosa di più della semplice
maraviglia. A questa fanno seguito subito dopo il biasimo
e la minaccia profetica, che

. . vendeeta é presa

*

De quel là dove non 6 stata ofesa ;

e altrove espone più francamente questo concetto: -

La crudel morte . . .

Sol per doi modi grava el martir mio:
L'um per la fim del mio dolce dexio,

E laltro per la colpa in la qual sede
Chi ciò comette, che noy val mercede (2).

_ (1) GASPARY;* Op. cit., pag. 72.

(2) Questo concetto non si trova presso i provenzali, né presso i seguaci del
vecchio e del nuovo stile, se non in RusrIco FILIPPI, che sta a cavaliere fra l'uno e
l'altro: i

« qualunque bono sengnore a suo servente,
ch'ellui à Messa tutta sud intenzone,
non de’ sofrire che moja di nejente,
ché li sarà de grande rimprensione ».
NERIO MOSCOLI 29

Un altro motivo poetico, comunissimo ai provenzali, ra-
ramente accennato nel veechio stile (1) e che s'incontra
assai spesso, ma alquanto trasformato, nel nuovo, è quello
della morte, come necessità inevitabile di un lungo soffrire,

o come aspirazione di anime tristi e sofferenti.

Nerio considera il fatto oggettivamente ; cioè come epi-
sodio, l'ultimo, di una lunga storia d'amore; e sia che si
rivolga alla donna, o ne ragioni dentro se stesso, la morte
si presenta non invocata, anzi temuta. In ció il nostro poeta
rimane attaccato alla tradizione trovadorica, senza parteci-
pare, se non appena una volta (2), alla maniera della nuove

ou e DN

scuola.
In lui é paura:

ESSA... erre iau. niti M

PORC) tanto me fiede

Temere e dexiare en ciascun canto,

Ch’ io me sent’ amantar de mort’ el manto
Se non conforto alcun pér voi me riede,

come in Arnaut Daniel:
. eu m' esfortz de far e dir plazers
a mains per lei qui m'a virat bas d' aut,
don tem morir si l' afans nom asoma (3) ;

è preghiera :

Saver devete ch’ el po durar poco
En tal cor vita . . . (4),

Più ampiamente è svolto da un altro poeta perugino, da Marino Ceccoli, che ne
fa argomento per uno dei suoi sonetti :
« Se caso deverà che per te mora,
Come tal volta chi ofende s'wsa,
Ramenterome al singnor nostro ancora,
E converaten gire a far tua scusa DI
Perché si concio m'averai alora ».
1) Gracomo DA LENTINO, in Crest. it. d. pr. sec., pag. 52.
2) Son. LVII del cod. Barb. i
3) K. BARTSCH, Op. cit., pag. 136.
1) DANTE, Canz. I:
« Se dir voleste, dolce mia speranza
Di dare indugio a quel ch’ io vi domando,
Sacciate che Vattender più non Posso. ».

(
(
(
(
30 ie |J. P. TOMMASINI MATTIUCCI
come in Cercalmont :

^1 +. + ben pot ma domna saber
qu’ eu morrai si ganrem tira (1);
è scongiuro :
Poy che fortuna m'é contraria tanto
Quanto vedere aperto, amor mio caro,
Convem ch'io mora nel martiro amaro
Ch' essa m' à apparecchiato en ciascun canto,

. Se non ve prende pietà del mio pianto
Nel qual gl’ oechie mey triste se bangnaro,

come in Bertolomeu Zorzi:

-.. cum malautes grevatz

quier lai socors don pot esser estortz,

vos clam merce per dieu et per pietatz
que de la mort estorser mi dejatz (9).

Pertanto bene si avverte come nel Moscoli l' invocazione
alla morte sia sempre un mezzo artificioso per ottener pietà,
mentre nei poeti del dolce stil nuovo la donna scompare
. quasi del tutto per cedere il luogo alla morte, che prende
figura di persona viva e parlante (3).

Questi i punti di contatto, e alcuni mi saranno sfuggiti,

che il Moscoli ha coi rimatori della: Provenza (4). Altri, di

(1) BARTsCH, Op. cit., pag. 48.
(2) Op. cit., pag. 278. :
-—-—(3) Vedi il son» XVIII del CAVALCANTI e la lunga nota che vi fa l'ERCOLE (0p. cit.,
pag. 299). j
(4) Accenno ad alcuni altri pochi, non tralasciando di notare ancora una volta che
molte reminiscenze, invece che direttamente dalla Provenza, Nerio può averle tratte
dai poeti del vecchio, e alcune anche da quelli del nuovo stile.
Il volto mostra abbastanza lo stato interno:
«... Cognoscer podete bem mio stato
Per la vista de fuor, la qual demostra
Come lo cor, la mente e Valm’è vostra »; NERIO MOSCOLI i SI

carattere più generale, sull' amore e sulla donna, ne vedremo
fra poco. Ma se il nostro poeta spesso ricorda quelli, non è
mai un imitatore servile. Difatti, nel suo Canzoniere cerche-
resti invano la rigidità del tecnicismo, l'ornamento. esterno;*
l affettazione e l' artificio ; come i giochi di parole, che de-
rivano da analogia di suono, non di significato (1); i para-
eoni.tratti dalla tradizione classica e dai racconti cavallere-
schi (2); allo stesso modo che, riguardo alla forma, manca
la replicacio (3); e i provenzalismi di lingua sono rarissimi

e tutti già entrati nel linguaggio anteriore d'imitazione. Nè,

il Moscoli dovette sentire il bisogno, tranne forse poche volte,
di ricorrere direttamente alla Provenza, giacchè in Italia

AIMERIC DE PEGULHAN (GASPARY, Op. Cit., pag. 59):
«...€70 simpla semblansa
Podetz saber mon fin cor ses duptansa,
E vos, sius platz, prendetz n’esgardamen ».

L'immagine della sua donna sta fissa nell'intelletto, come la scorgesse nello

specchio:
<«... Mia mente s'alegra en lo ntellecto
Nel qual voi vede così propria mente;
Com nello specchio, se chi cie pon mente »;

AIMERIC DE BELENOI (Op. cit., pag. 66):

«...mon cor nves miralhs de sa faisso ».

Cifr. anche C. DE LoLLIS, Vita e Poesie di Sordello di Goito, pag. 280.

L'incertezza e la speranza dell'amante, raffigurate nel nocchiero, che passa sopra
il mar corocciato, ci ricordano, come ho già notato, alcuni versi di BERNART DE VEN-
TADORN (BanTsctt, Op. cit., pag. 63); ma ce ne ricordano anche altri di Giacomo da
Lentino, di Ruggerone da Palermo, del Guinicelli e di Dante; il che ci rende sempre
più difficile decidere se e quale di questi rimatoriil nostro poeta avesse dinanzi. Né
starò a moltiplicare gli esempi, perché non si finirebbe più.

(1) Non dico che manchino del tutto, come non mancano anche nei poeti mag-
giori. Invero, troveremo nel Moscoli: « se may Uamo d'amor »; « vertù splende nel
vostro splendore »; « sor tutte val vostro valore » ; « ma più me dol che quel non se
ne dole | Del mio dolor »; me sent'amantar de morte el manto »;1o bel piager de
voi piager m'aduce »; e pochissimi altri.

(2) II Moscoli talvolta, secondo l'esempio di altri poeti, irae alcuni confronti dal-
l'arte guerresca (Son. cit.: « Conicoli solean; mangani e pungna »); ma due volte sole
dal mondo dei cavalieri: « Si come barda el core e come sprona Ney fianchi amor
de qual ten singnoragio E come senca freno onne viagio Cavalca a quella ensen-
gna ch'ey par bona ...»;e:« Io non so se la giostra è comenciata Ma bem se
dice che m'é dato el guanto ». à

(3) Cfr. a pag. 55 della Crest. del MoNACI: « Lo viso e son diviso da lo viso ».

ueque ES LM

"
DEAL... atei iia. s diia Mae
939 3 P. TOMMASINI MATTIUCCI

s'era formato da tempo, per mezzo della vecchia scuola, un
convenzionalismo di espressioni poetiche e fingevasi di dare
importanza, se non nella vita reale, certo nella vita artistic:
.ed erotica, a un complesso di regole di etichetta sociale e
di buone maniere, che traevano la loro origine dal mondo
brillante e poetico della courtoisie e della gentillesse (1). L'im-
portazione dell’ arte trovadorica la troviamo compiuta di già
nella scuola del Notaro; ma in questa scopriamo anche un
altro elemento, voglio dire l'elemento filosofico, che ebbe poi
tanta parte nel Guinicelli. Oltre le riminiscenze provenzali
e l'indirizzo filosofico, la lirica predantesca aveva manifestato
anche un'altra tendenza; cioè al moralizzare continuo, e
su ogni manifestazione della vita interiore ed esteriore.
Tale tendenza ritroviamo nel nostro poeta, che di questa
maniera si compiace fin troppo; tanto che in un componi-
mento d'amore trovi sovente un concetto morale, una sen-
‘tenza, un proverbio, financo un sillogismo.

Ha ragione di lamentarsi del suo stato; ed eccolo pro-
rompere in amari rimproveri contro gli amici, preludendo
ai canti sugli amici della borsa, tanto famosi nel secolo de-
cimoquinto (2):

(1) G. PARIS, La litt. frame. au moyen age. Paris, Hachette, 1888; pag. 18).

(2) F. FLAMINI, La Lirica toscana del Rinascimento ant. ai tempi del Magnifico.
Torino, Loescher, 1891; pag. 18.

Il téma dell'amicizia dovette ai poeti esser comune, perché ereditato dai classici
latini e passato nei trattati dei padri e dei dottori della Chiesa, il cui flore si ritrova
negli Amnmnaestramenti degli antichi. « Né di rado, osserva il Flamini, t'accade d' in-
contrare ne' mss. del quattrocento (segno non dubbio della popolarità dell'argomento)
i nomi degli amici perfetti tra varie note di materia retorica e mitologica ». E si ha
memoria di una gara poetica sull'amicizia; la quale, ideata dall'Alberti e da Piero di
Cosimo de’ Medici, ebbe luogo in S. Maria del Fiore il 22 ottobre 1441.

Ma su ciò, che del resto esce fuori del nostro argomento, vedi il bel libro del
Flamini, da pag. 3 a pag. 55.

Lo stesso téma dell'amicizia é svolto anche in due sonetti di Pr&rRO DE? FAYTI-
NELLI, poeta lucchese del secolo XIV (Rime ... pubbl. da LEONE DEL PRETE. Bologna,

Romagnoli, 1874. Son. XVIII e XIX); e alcuni versi d'uno di essi (XIX) ci ricordano quelli
di Nerio: « Amico alcun non é che altrui soccorra, Sia quanto vuole in caso di

periglio ; Se gli vien meno il San Giovanni e 1 Giglio Rimane come un basto
Senza borra ». — Non mi sfugge che proprio il XIX, stando ai codici, non si può at-

tribuire con tutta certezza al Faytinelli; m'attengo però all'opinione del suo editore. NERIO MOSCOLI 33

Nel prosperevel tenpo amice molte
Quel se retrova che nel sommo sede; .
Ma quel cui la fortuna abacte o lede
Sol se retrova el piü de le volte.

Vuol dare un'idea alla sua donna del martirio che lo
tormenta; ed eccolo assomigliarsi a

. colui che per soverchio affanno
Non noia sente nè tormento alcuno
Nè sa nè poi dolerse, onde niuno
De sua pena s'acorgie o de suo danno ;

e nel pregarla che si muova a compassione di lui, non trov:
di meglio che farle un lungo ragionamento sull' umiltà :

. . . nobeltà e richeca

Quant’ è magiure e più fa sè parere

Più vole en sè d’ umilitade avere

E più longiar da sè sempre asprega,

Perciò che argolglio el bon pregio despreca
De chi nol sa bem contro tenere.

Vere e proprie sentenze sono queste ; sulla fama :

. è la bona fama cosa bella
E.. val via più ch' altro tesaro ;

sulla fortuna:

O fallace ventura, quand’ hom crede
Sovra te fermo star, subitto volte;

sulla giustizia e sulla pietà:

SERI doy vertute
Che senpre ensieme son care tenute ;
sulla vanagloria :

. . quey che troppo altier volando vanno
Espesse volte al più basso se tranno;

03
34 ; P. TOMMASINI MATTIUCCI

sul dover salvare le apparenze :

. . en publico falir te sia molt' ordo

+ . Se non casto, cauto almeno esser dia
Ciascuno en operar senno o follia.

Detti morali, che per lo più sono introdotti come esor-
dio e come termine di confronto in sonetti il cui tèma è
lamore (1).

In un componimento erotico, col quale si rivolge all’ a-
mata, il linguaggio filosofico tiene il luogo dell’ espressione
semplice e sincera d’ affetto, con quanto EUAdARNO per la
vera poesia il senta ognuno :

Quel ch'io, no ardesco de far col visibele
Cierta ve faccia colui che 1 conduce (2)
Che tante volte enance a voi adduce

Lo inviso de me quant’ è possibile

E che nelgl’ occhie mey alcun risibele (3)
Non may apparve da poi vostra luce

Da lor partì ch’ ella mente traluce

Per quella enmagen che ven eccorretibele
Onde così come giamay nel core

Prese vostra beltà singnoril loco

Ora per lo penser sel tene amore.

Né sirà may quel cotal penser poco,

Ma tanto durerà quanto mia vita
Seguendo l’ alma ennella sua partita.

Scolastico nelle quartine, nelle terzine si riaffaccia il
convenzionalismo poetico del vecchio stile; e ciò t accade

(1) Questo medesimo fatto riscontriamo talvolta anche nei provenzali; come in

Peire Raimon, Aimeric de Pegulhan, Richart de Berbezilh, Bertolomeu Zorzi. — Cfr.
K. BARTSCH, Op. cit., pagg. 87, 161, 167, 275
(2) Amore.

(3) « ... che é ridere, se non una corruscazione della dilettazione dell'anima,
cioé un lume apparente di fuori secondo che sta dentro? » DANTE, Conv., IIT, 8. NERIO MOSCOLI: : 39

^

di notare piü volte. Tanto che, insieme à un inno laudativo
della bellezza, a una protesta d'amore e di fedeltà, trovi
talvolta un ragionamento sull’ anima, che rassembra una pa-
‘afrasi poetica di Aristotile (1); e tal altra, abbandonato
sulla terra l' Amore dagli strali accorti, sei trasportato per
la volta celeste, nella quale un mostro ti riempie di mara-
viglia, e in un fempo in cui

. » «+ la luce tanto esmonta

Che molto li soperchia oscuritate
Quel ehe ten le doi teste entosicate
E la eoda retorta in su la ponta.

Passa quindi a teorizzare sulla morte habundevele e sul
tempo absente, e poi sulla vita, che è debole sì,

+ .'. . che la mente la vencie ligiermente.

Fino à qui abbiamo veduto il nostro poeta legato alla
vecchia scuola; ma, per poco che lo guardiamo ancora, lo
sorprenderemo a bruciare incenso al nuovo stile:

S'el te dellecta saver dir per rima
Ballatelle, eancone over sonecte,

Elgl'é bexongno ch'en tutto somecte
L'alma col core e la mente tua en prima
A quel singnore amor, che con sua lima
Schiarisse, enbianca, aguca gl'entellecte
Col gram dexio che dentro esso ve mette,
Lo qual è de vertù principal cima.
Ch'ey fa quel servo che gli è ben sogiecto,
De cortexia e de piacere adorno,

Tanto ch’en ciò non may prende defecto.
Cosi luy ciengie dey soy ragi intorno,

(1) Son, CXLI del cod. Barb.

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MES ae oL.

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dile e iiia ^ rale ae n

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a I — ET.
36 P. TOMMASINI MATTIUCCI

Poi de parlar gl'ensengna quello stile
Ch'é tenuto tra gli altre el più gentile (1).

La dedizione da parte di Nerio non poteva essere piü
completa. Chi non riconoscerebbe in questo sonetto il dialogo
‘fra Dante e Bonagiunta? (2) E il sommetter l'alma col core e
la mente ad amore che cosa può voler dire, se non « andar
significando a quel modo ch’ ei detta dentro? » Di più, ne-
gl intelletti così Zimati, schiariti, aguzzati chi non ritrove-
rebbe il nodo che ritenne il Notaro, Guittone e Bonagiunta

ii 7
la noe va

rj

« Di qua dal dolce stil nuovo ch’ i’ odo » ?

Tuttavia, sebbene in questi versi la dichiarazione di pas-
saggio alla nuova scuola fiorentina sia cosi recisa, così espli-
cita, da parer quasi ostentazione, se, oltre a ció che si rife-
risce all'arte, indaghiamo gli effetti d'amore in essi espressi, li
vediamo, non divenuti per anco elemento psicologico, rimanere
nella vita esteriore; e il desio continuare ad essere un pro-
fumo di cortesia e d'eleganza, non già una passione che sce-
glie il suo domicilio per entro al cuore (2). Ma anche se in
questo sonetto, col quale il poeta sembra abbia voluto tra-
mandare la sua professione di fede artistica, ritroviamo an-
cora il linguaggio convenzionale della vecchia scuola, per
mezzo di molti e molti altri entriamo in pieno stil nuovo. |

Alla contemplazione oggettiva della bellezza sensibile
tiene dietro la rappresentazione psicologica dei vari effetti

(1) La stessa proprietà d'amore ritroviamo accennata in un noto sonetto di Pie-

raccio Tedaldi (0p. cit., pag. 57):
«...Sse chi dice sarà d'amor punto

dirà più efficace il suo parere ».

Cfr. anche G. CARDUCCI, Le Rime di Cino, ecc., pag. 62.

(2) Dirò più oltre come non creda che il sonetto del Moscoli sia stato vera-
mente ispirato dai versi 49-57 del XXIV del Purgatorio; ma invece dalla canzone XVI.

(3) Alcune di queste ultime parole mi furono suggerite dal Tomas colla sua
opera, non so se più dotta o geniale, intorno a Francesco da Barberino, pag. 55.
NERIO MOSCOLI 3

che l'amore produce nell'animo. L'arte si rinnovella, e gli
stessi fatti prendono un'intonazione che non è più quella di
prima. Così, se il celare amore fu in principio una ficelle,
dipoi un pretesto a sottilizzare, diventa infine l'espressione
di un fatto che ha la radice in uno stato particolare del
cuore, e se ne analizzano le conseguenze:

Emaginando, polcella laudata,

Qual contra voglia mia far me convene,
Non se poriam contar le grave pene
Che sent’el cor con la mente affanata.
E se saveste quanto sconsolata ;
Per lo camin sen và, come chi vene
Volta per voi, che d'altrui noi sovene,
Vedendose longiare ongne fiata,

So certo che pietà ch'è nel cor vostro
Faria volger la bocca e gl'oechi cari

A consolar glie mey penseri amari.

In questi versi non un ricordo della vecchia scuola;
niente di artificioso e di falso. Il poeta non va più in cerca
affannosamente del motivo, ma s' abbandona a se stesso; e
appunto per questo, riesce semplice e naturale.

Così, mentre presso i più antichi rimatori di Provenza
e d'Italia là vista della donna incute riverenza e ammira-
zione devota, al nostro poeta accende la mente, e per il desio
d'amore endecia l'alma. Il rispetto, l'ossequio diventano timi-
dità, tremito, paura; e quantunque questi sentimenti paiano
tra loro simili, l'uno trae la sua origine dall inferiorità in
cui si trova l'amante di fronte a Madonna, e l'altro da una
disposizione particolare dellanimo; l'uno proviene dal di
fuori, da una circostanza di fatto; l'altro dall' interiore, cioé
dalla natura ingenua, paurosa, quasi infantile del poeta. Na-
tura, la quale fu comune ai trovatori del dolce stil nuovo,
che di £remiti hanno, come il Moscoli, cosparse le loro liriche:

Per eió ehe stando en la vostra presentia
E mirando l piacer ch'en voi resplende,
98 P. TOMMASINI MATTIUCCI
Tanto dexio nel cor dentro s'aciende,
Ch'io perdo alor de parlar la potentia (1).

Dalla glorificazione della bellezza si passa al vagheg-
giare affannoso d'un ideale di perfezione e di bontà. Alla
vista è sostituita la mente, la quale è accesa di tanto amore,
che il suo immaginare è solo della donna; e sempre cerca il
suo simile, senza trovarlo (2). Né il mirarla sempre, cosa la
quale tanto gli piace,

,Ch'ell'anemo dexio altro non sede
E dilleeto ciascum, fuor quel, li spiace,

presenta agl’occhi suoi scolpita e delineata la figura di lei,
ma la vede formata nel cuore

. . + + per l'alto enmaginar che face
Sua mente . . . . :

Onde li corporali (3) occhie dellecto

Àn tal de voi quando veder ve ponno,
Ch'aleun deffecto alora non onno.

E mia mente s'alegra en lo ntellecto

Nel qual voi vede cosi propria mente,
Com nello specchio, se chi cie pon mente.

Nell’analizzare i sentimenti che l'amore non corrisposto
suscita nell'animo, abbandona tutto il vecchio materiale poe-
tico, per esprimere ció che sente veramente:

Io ó nel core de me stesso pietate
Temendo forte che 1 valor non menta

(1) DANTE, Son. IX: V.N., II; G. CAVALCANTI, Canz. II. Questo sentimento dai
provenziali era già stato elevato a canone d'amore, come si legge nel RAYNOUARD, Op.
e loc. cit., n. 16: « In repentina coamantis visione cor tremescit ».

(2) «...1lsuo simel cerco e no EP invegno ».

(3) Cfr., per il significato di corporale, DANTE, Inf. XXIV, 70-71; Purg. XXXIII, NERIO MOSCOLI 39

AA poder sofferir tanto, che venta

Sia gioveneca per piü longa etate
Vedendo che li cresse crudeltate,

E humeltà v'é si del tutto espenta,
Ch'io sento l'alma che quase s'aventa
Del corpo fuor per la grand'anxietate.
Ond' io stando cosi oribel mente,

Sol per tema de morte me lamento
Che non sento vivendo altro tormento,
E poi me trovo con tanto pavento,

E si desbegotita la mia mente,

Che io non so ’n qual parte se consente.

O che aecenni al tempo nel quale la sua donna fu a
lui cortese e benigna:

Ligiadra donna col bel vixo chiaro
Fratel filgluolo e singnor dolce molto
Pietosa me chiamaste,

o s'intrattenga nel suo contrario:

. la vita del cor se consuma
pasciendo amor de se come faciul mamma,

fa sempre uso di parole e di frasi, le quali non risentono
più affatto lo sforzo.

E nei rapporti coll’amata abbandona ogni riguardo offi-
cioso, che la tradizionale cortesia imponeva, ogni ammira-
zione più che terrena; e dà libero sfogo all'animo suo:

Tu sovra tutte ligiadretta e strega,

Che sorbe el cor de qual fiso te mira,
Non dài dellecto ad altrui, ma grand’ ira
A ciaschedun che del ttio amor se lega.
Più non pate dolor quel che se sega
Che sente quel che 1 tuo amor martira,
Onde l'anema mia forte sospira

Vedendo che per te dal cor se slega.
=== = = = - —

== ==

rm

40 P. TOMMASINI MATTIUCCI

Libertà di linguaggio e di pensiero, vigoria e finezza
d'espressione; ecco le doti del poeta originale. E tale si
mostra il Moscoli.

Nessuno ha meglio e piü brevemente di lui descritto
lavvicinarsi e il sopraggiungere della morte:

Io sento morte che m'abracca e morde;

verso che trova degno riscontro in due altri, coi quali vuole
rappresentare il suo stato disperato:

+ + + . io sento l’alma che quase s'aventa
Del corpo fuor per la grand'anxietate (1).

Descriva il momento presente:

. . molte volte la bella humeltate
T'à facto inyito che per ley te guide,
E tu alcuna volta glie soride

E mostre de voler la su' amistate,
Ma poi retorni en magiur podestate
De quella erudel . . . che m'ancide;

torni con la mente a un lontano ricordo:

Lor ch'io porsi la mano en ver le rose
Meschiate dey color che piacion piü,
Voi solevaste el vixo alquanto su
Mirandome coi vostr'oechie sdegnoxe.
Onde devener glie mey vergongnoxe
Chinando el guardo loro a terra giu,
E la mia lengua muta alora fu

En domandar mercé de quelle cose,

(1) G. CAVALCANTI: « L'anima sento per lo cor tremare »; DANTE : Son. IX; Cino:
« .. . l'anima ne va di fuor fuggendo »; Cecco NuccoLi (Son. CCXIII del cod. Barb.,
236 in ALLACCI P. A.): « io sento l'alma che lascia le polpe Fredde per dolglia, on-
d’io le man mi mordo ». Non fa mestieri di rilevare che il Moscoli s'avvicina al Nuc-
coli, dal quale tuttavia é superato per crudezza d'espressione. Cfr. anche questi
versi di Rustico DI FILIPPO (Vat. 3793, ediz. cit., V, n.0 822): « E spesse volte si forte
sospiro, Che par che 1 cor dal corpo mi schianti ». PN

NERIO MOSCOLI 41
o mostri lo scoramento dell'animo:
Poy non leggete, a que per me se scrive?

ci presenta sempre viva e reale l'immagine di se stesso. E
l’uomo che entra in azione; che vive, che sente; che si agita,
ama e soffre. |

L'individuo si afferma, e l'opera prende consistenza ar-
tistica. L'amore acquista tutta lapparenza di verità, e la
donna si muove in un campo proprio e ben delineato.

Giunti a questo punto, abbiamo ragione di chiedere:
Messer Nerio, che intendi tu per Amore? Il fremito dei
sensi; o un sospiro etereo, impalpabile, che, sorto nell'anima
tua, nell'anima tua vive e rimane? Il desiderio intellettuale,
che tende a una donna virtuosa e leggiadra, e su lei si posa;
e personifichi in lui la purificazione e la perfezione di te
stesso ?

« L'amour, ce sentiment mystérieux qui nous fait con-
centrer nos pensées, nos désirs, notre vie tout entiére sur
un seul objet, a presque toujours pour résultat d'élever
l'àme et en méme temps de doubler la puissance de ses
facultés. C'est un ferment énergique pour le bien. Afin de
se rapprocher de l'objet aimé, afin de lui plaire, de s'en
montrer digne l homme devient capable des plus grands
efforts. Plus sa passion est sincére, plus celle qui en est
l'objet se divinise à ses yeux, et plus lui-méme s'efforce
d'atteindre à la. perfection » (1). Era perciò naturale, osserva
il Thomas, che i trovatori arrivassero a esprimere questa
idea; tuttavia « les premiers troubadours sont encore trop
prés de la nature pour le penser e le dire sérieusement ».
Al contrario gli ultimi rappresentanti della poesia occitanicz
« ont pris trés sérieusement le change,. et, ayant une fois
làché la proie pour l'ombre, ils ne sont acharnés à faire de
cette ombre une réalité ». Questa concezione, la quale non

(1) A. THomas, F. da Barberinò, pag. 52 e segg.

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49 MS | P. TOMMASINI MATTIUCCI

vede più nell’Amore se non la passione del bene e la pratica
della virtù, si trova « relevée par un parfum de courtoisie et
d’élégance » in Italia, « plus affinée, plus éthérée, en quelque
sort, au contact des idées platoniciennes de l'école de Bolo-
gne ». Per Nerio l'Amore continua ad essere la personifica-
zione del bene. Lo dice chiaramente:

. l'amor ch'io lodo
Fa vertute amare e i vitij storna.

Ma non basta. Ció, anche prestando fede alla sincerità di
queste parole, era in quel tempo connaturato cosi nelle rime
d'amore, che non poteva venire in mente a nessuno un affetto,
il quale avesse per iscopo la soddisfazione brutale dei sensi.
Appena Cecco Angiolieri, il poeta più originale del secolo
decimoterzo, ci ha lasciato in se stesso un tipo di amante
carnale; ma anch'egli, quantunque desideri essere in braccio
a.colei, cui ha dato e cuore e corpo, considera l'Amore come
fonte di perfezione (1). V'erano per i poeti delle linee trac-
ciate, dalle quali non si sentiva né il bisogno né la forza di
allontanarsi, tanto sembravano fissate su canoni certi e im-
mutabili. Ma chi era agitato da una passione vera, un tempo
si trovava inconsciamente a levar grida contro la soverchia
onestà e la fredda virtù, cui cominciava ad anteporre l'u-
miltà e la cortesia. Di qui il contrasto fra il motivo poetico
e il. momento reale; contrasto che si scorge cotanto vivo e
frequente nell'opera di Nerio, da far di lui come due persone
distinte. Loda nella sua donna l opera di virtà, nella quale
s'estende ogni suo atto con degna bellezza, si compiace di lan-
quire per lei, né vuol che troppo vaccio faccia el suo desire;
ma dipoi le dimanda umilmente che per mercè nel cor suo entri
pietà e che non le rincresca di volgere verso di lui il suo
pensier cortese, finchè le scaglia addosso acerbe parole:

(1) A. D'ANCONA, St. di Crit. e St. lett., pag. 157. NERIO MOSCOLI ; 49. :

Contra me site diamante perfecto
Con più durega che null'altra petra

Ben è lontan da quel che par l’aspecto
Vostro benigno umile, e ben s'aretra
Da lume d'umeltade e tenla tetra
Caligine de superbia in grande affecto.

Il contrasto che abbiamo notato rispetto all'amore si
riflette necessariamente anche nella donna dal poeta cantata ;
così che di questa ancora si hanno, come due concezioni, la
donna tipica e la donna individuale.

La prima non è punto diversa da quella degl’altri poeti.
Onesta, leggiadra, umile, pietosa, cortese, la vaghezza le splende
ornata nei begl'occhi, l’angelico parlare prende, avvince chiun-
que la miri; nel suo portamento si disprezza ogni vizio, perchè
a niuno intende; è piena di valore e di onore. È il fiore,
dentro dai cui rami si posa, com se convene, quel piacere

Che desia nobel mente e gentil core;
e la stella, e

. sor tutte avanca
De beltà, de piacer e de lianga
E de vertù ciascuna è filglia e porto.

E come Beatrice è l’angiola giovanissima venuta di cielo
in terra per miracol mostrare, Nerio crede la figura dell'a-
mata esser propriamente

Del ciel venut’ angellica verace

2. . per certo demostra

Che devina virtù gratia li preste

Qual tanto onora l’umanità nostra,

Che de la.luce del ciel propria mente
Mecte raggi nel cor de chi j tien mente.

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“44 s i P. TOMMASINI MATTIUCCI

\

Ma la differenza fra Beatrice e la donna del Moscoli sta
in ciò, che quella a grado a grado si trasfigura, finché di-
viene « simbolo animato in cui si uniscono e congiungono
intimamente la donna e la personificazione », mentre questa,
anche se qualche volta assume caratteri divini, rimane sem-
pre un essere terreno, col quale il poeta s’ intrattiene da
pari a pari. Cosi, mentre nell'Alighieri si ha la visione della
donna gloriosa della sua mente, della beatitudo, e Amore si-
gnoreggia l'anima sua, tosto che questa si fu a lui disposata e
prende tanta sicurtade e tanta signoria, per Za virtà che gli dava
la sua immaginazione, in Nerio è la vista della beltà e il bel
piacere, che da lei spera, quello che ferma la sua mente a
volerla per donna. E di fronte agl'altri poeti del dolce stil
nuovo, il Moscoli ci appare spesse volte più disinvolto, più
franco, più libero. Chi, fra essi, s è arrischiato di dare il
nome di strega all’amata, e in un componimento nel quale,
scevro affatto da stizza e da ira, si diverte a celiare, a ri-
dere? Chi di ricorrere ai comicoli, ai mangani, alle pugna? e
chi, fra essi, si è a quella avvicinato cosi, da dirle, con tutto
il disprezzo dei più comuni riguardi poetici: a che vi scrivo,
se non mi leggete? (1) |

Ma chi fu l'ispiratrice del Moscoli? e fu veramente un
essere reale? j i

Tutti coloro che ne’ primi secoli trovarono d'amore, si
compiacquero di tenere la donna della loro mente così lon-
tana dagl’occhi de’ profani, che ben di rado a noi riesce di
scorgerne le linee e di fissarne i contorni. Ma pur tentiamo
di sollevare alquanto quel velo, del quale il nostro poeta
volle ricoprirla. .

Provata già da tempo (2) la realtà umana delle donne

(1) In un altro sonetto, per esprimere il timore che vane riusciranno le sue pre-
ghiere alla donna, ricorre a un detto. proverbiale:
« Sovra de cio temo cappare in ArAO ».
(2) Cfr., per l'identità: 3
1. R. RENIER, Lo Vita-Nuova e la Fiammetta. Torino, Loescher, 1879. 2. A. NERIO MOSCOLI ; 45

del dolce stil nuovo, credo fuori luogo il ripetere qui, per Nerio,
i vari argomenti di indole generale; e mi limiteró pertanto
a notare come alcune circostanze di fatto ci mostrino anche
nella donna del Moscoli un essere accarezzato nella sua
mente, ma vissuto nel mondo reale.

Vari e frequenti ricorrono gli accenni all età dell’ amata;
e, se vogliam credergli, Nerio fu a lei per lunga pezza fedele,
ché l accompagna dagli anni della puerizia ai più perfetti :

Gli acte ligiadre con dengn' onestate
Dei qual ve sete adorno, amor mio caro,
Àn lo piagier de voy facto più chiaro
Che d’ alcun’ altra en puerile etate.
Onde molto ve prego che guardiate,

Mo che dal dolce se scierne l' amaro,
Che non ve piacia de vertù el contraro,
Ma ciò seguite ch’ en voi sete usate,

Sì che la fama che doncella honora

Non torne arrietro per vostro deffecto,
Ma vengna montando d'ora inn ora (1)
Con se convem guardando al vostro aspecto,
Nel qual ongne vertù propria se vede;
Ond’ io ve miro con devota fede.

In un sonetto, il primo del Canzoniere, si maraviglia
che la bellezza e la virtù di lei, ancor giovanissima, siano
pervenute a così alto grado e prevede che ben maggiori
risplenderanno nell’ età matura : :

BARTOLI, St. d. lett. it. IV e V. Firenze, Sansoni, 1881. 3. RENIER, Il tipo estetico.

della donna nel medio evo. Ancona, Morelli, 1885.

Per la realtà cfr.: 1. A. D'ANCONA, La Vita Nuova. Pisa, 1884. 2. F. D'OVI-

DIO, La Vita Nuova di D. ed una recente edizione di essa, in Nuova Antologia,
15 marzo 1884. 3. A. BORGOGNONI, LG prgn IO e lamore nell'antica
lirica it., in Nuova Antologia, 16 ottobre 1885. . F. TORRACA, Donne reali e donne
ideati, prima in Rassegna ‘it. 1885; poi in: Discussioni e Ricerche Letterarie. is
Vigo, 1888. 5. A. D'ANCONA, Beatrice (Opusc. per nozze). Pisa, 1889. 9. I: DEL
LUNGO, Beatrice nella vita, e nella poesia del. sec. XIII; prima in. Nuova ssa
giugno 1890; poi Milano, Hoepli, 1801.
(1) DANTE, Inf. XV, 81: «.. . ad ora ad ora ».

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46 —.— P. TOMMASINI MATTIUCCI

Me fé, eonsiderando vostra etate,
Inmaginar che ne la piü perfecta

Vera beatitudine voie aspecta.

Però quel prego in cui v'è libertate,

Che de bono in milglior voy guide e guarde
E 1 salutevel fin quanto puó tarde.

Altra volta ricorda il passato:

Se giovenecta ve vesti onestate,

El qual vistir devete tener caro,
Pereió che ve facea el vixo chiaro

Più ch' a null’ altra de la vostra etate,
Non se convem che del tutto guardiate
Gustar lo dolce perdendo l’ amaro,

Ch’ en verità me par gran contraro
Odiar ciò che d' amar sete usate.

E ci fu un tempo; per quanto fugace, nel quale gli riu.
sci indifferente il portamento superbo della donna, perchè aveva
ottenuto l' amore d' una giovinetta, che a lui era prodiga di
sorrisi e di favori. Di più, in un sonetto scritto nel luglio,
|. prega l amata di essergli cortese anche in questo mese; ed
è certo che, a meno di non riconoscerci una particolare si-
tuazione di fatto, apparirebbe alquanto strana l’ invocazione
del mese come motivo d' amore (1).

Adunque é fuori di dubbio che la donna del Moscoli non
si può confondere in un ideale unico ed astratto. Ma non ci.
è dato scoprirne più addentro l esser suo perché, se tutti i
poeti amarono di nascondere l oggetto dei loro pensieri, bi-
sogna dire che Nerio li superò tutti nel comune contegno di
amante prudente.

(1) L' invocazione a un dato mese non credo possa andar confusa con quella, di
carattere più generale, della bella stagione, che fu motivo obbligatorio dei trovatori
più antichi; giacché questo diede poi origine a una reazione che, cominciata con
Rambaut d'Orange, e aperta e insistente con i trovatori del periodo classico, divenne
tradizionale, ‘e per la trafila dei trovatori del Secolo XIII (Sordello, Falquet de Ro-
mans, ecc.) arrivò fino nella lirica italiana. C. DE LoLLIS, Vita e Poesie di Sordello
di Goito, pag. 83. NERIO MOSCOLI : 4T

E che ció sia vero, valga il dire che nel suo Canzoniere
manca anche il piü lieve accenno, da cui si possa indovi-
nare il nome dell amata, alla quale si rivolge sempre col-
l appellativo di Madonna, di Amor mio caro (1) di Polcella
laudata, e più spesso di Ligiadra donna mia. In quattro
sonetti (2) la chiama il fiore; e, sebbene essi sembrino
formar parte da sè, devono certamente riferirsi alla stessa
donna. Ma per mezzo di due altri (3) si viene a sapere
che il poeta, stanco delle continue ripulse da parte di quella,
cui dà il nome di altera, aveva riposto il suo affetto nella
fedele, leale e gaia giovinetta ; e che non badava ai dardi
che Amore gli gettava colla destra mano, giacchè colla sini-
stra, con quell’ altra ond’ è L cor prosimano, gli getta rose, fiori
ed altre gioie (4).

Così vediamo due donne ispirare la Musa del Moscoli;
l| una, benchè individuale e moventesi in un campo proprio,
foggiata spesso sulla falsariga comune ; l'altra, creazione tutta
di Nerio, vezzosa, arrendevole e che vale a romper la mo-
notonia della donna superba e onesta.

(1) Son. CXXXII del cod. Barb.: « Gli acte ligiadre con dengn'onestate Dei qual
ve sete adorno, amor mio caro »; son. CXXXV:« Ma pur pietate te prenderà, amore » ;
son. CXXXVI: « Io non volgl dir de più, dolce mi amore ». Cfr. DANTE, son. III : « Pian-
gete amanti, poiché piange Amore »; CAVALCANTI, Son. XIX: « Amore et monna La-
gia e Guido ed io ». Il CARDUCCI, V. N. ediz. cit., pag. 165, chiama questo modo di
simboleggiare la donna « una imagine tutta bella, tutta nuova, tutta nel gusto ita-
liano » Cfr. anche l' ERCOLE, ediz. cit. del Cavalcanti, pag. 301.

(2) XLVI, XLVII, LXXIV, LCVI del cod. Barb. Nel primo si leggono questi due
versi: « Ben é valor sopra valor posente Quel che demora nel francesco fiore ».
Che s'alluda colla parola francesco (francese), alla patria della donna? Intanto però
manca alcun altro accenno che a ciò credere conforti.

(3) CXLV, CXLVI del cod. Barb.

(4) Son. CXLV. Un'immagine d'Amore, identica a questa del Moscoli, ritroviamo
in Francesco da Barberino. Così il THOMAS, 0p. cit., pag. 75: « De la main droite il
lance des dars; de la gauche, des roses. Sa monture est un cheval sans mors et sans
bride, et c'est ce cheval, — symbole de l'amant, — qui porte le carquois et le bou-
quet de roses où l'Amour puise à pleines mains. Le dards symbolisent les peines; les
roses, le joies d'Amour ». Il Thomas aggiunge che « cette fantaisie de Barberino » ha
goduto d'una certa rinomanza, perché si trova riprodotta in molti manoscritti, e il
Boccaccio l’ ha citata nella Genealogia Deorum. Ma questa fantaisie fu proprio im:
maginata dal Barberino?

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48 |... P. TOMMASINI MATTIUCCI

Nella prima riconosci la dama, nella seconda la gio-
vane e gaia donna del popolo. di

Così è: il nostro poeta, mentre da una ‘parte non riesce
a dimenticare il tipo femminile della generazione che l'aveva
preceduto, la donna altera che tiene in distretta il cuore;
né quella contemporanea, la donna angelicata, che a lui
sì rivela per l'alto immaginar che fa sua mente; dall’ altra
parte, buttato a mare ogni convenzionalismo poetico, dà luogo
alla rappresentazione di un essere che vive e si muove
in un campo così lontano dalle astrazioni, come vicino al
poeta che lo vide e l amò.

Pertanto, nella lirica erotica di Nerio si mostrano più
elementi, i quali egli non è riuscito a fondere in un tutto
armonico. E questa incertezza, mentre lo tiene avvinto alla
tradizione provenzale, più che non si riscontri in alcun altro
del suo tempo, lo palesa anche entusiasta di quel movimento
poetico che, lui vivente, s' era andato iniziando. Ma ció è
naturale, per poco che si pensi quanto sia difficile a una
nuova generazione. poetica dimenticare quelle che 1 hanno
preceduta (1); e, d' altro lato, qual fascino dovesse esercitare
la nuova scuola fiorentina.

Per quanto ovvio cotesto fatto, altrettanto degno di at-
tento esame è l’altro, che il nostro poeta si mostri chiara-
mente e ripetutamente imitatore di Dante. E perchè appare
tale in circostanze di tempo che, mentre valgono a darci
lume intorno alla elaborazione artistica di Nerio, si riconnet-
tono alla questione, non ancora risoluta, del tempo in cui
la Divina Commedia si divulgò, non sarà male che ne di-
scorriamo un po’ minutamente.

Le imitazioni da Dante, che s' incontrano nel Canzoniere
del Nostro, si possono dividere in due gruppi: quelle tratte

(1) A. Tomas, Op. cit., pag. 92: « . . . lá nouvelle génération poétique ne peut
pas oublier les générations qui l'ont précédée et dont elle reste, bon gré mal gré,
l’ héritiére ». NERIO MOSCOLI 49

dalle liriche e quelle tratte dalla Commedia. Anzitutto fer-
miamoci su due sonetti, legati fra loro e per il vincolo della
forma (1)e per il contenuto. Sono indirizzati a un collega in
rima, e dalla solennità grave, quasi timida, alla quale sono
informati, si puó dedurre ch'egli fosse di bella fama. Infatti
il Moscoli, nel dar le ragioni che lo muovono a seguirne le
orme, pone il valor di virtà, che in lui discende e che agrada
novella etate, aspetto che gli luce prudente e giusto, e il
verso tenperato e forte; espressioni che si ritrovano tutte
nella canzone sedicesima di Dante; cioè in quella, notissima,
sulla Nobiltà. In essa dice le lodi del valore

Per lo qual veramente è l’ uom gentile,
ovvero il valor di virtute

. che fa l’ uom felice
In sua operazione . . .

e dà salute, che si ritrov:
. in donne ed in età novella.

E come il verso del poeta si palesa a Nerio temperato
e forte, così per Dante l'anima è, nella giovanezza, tenperata
e forte.
Inoltre, i versi del primo:
Altro pensier nel cor non se reduce

Che voler come voi el bianco e 1 perso (2),

(1) Corona a rime obbligate. Son. CXX e CXXI del cod. Barb. Parendomi cosa
utile che il lettore abbia sott'occhio, fin da ora, i due sonetti, li trascrivo in APPEN-
DICE, n.0 I,

(2) « Il perso è un colore misto di purpureo e di nero, ma vince il nero, e da
lui si denomina ». (DANTE, Conv., IV, 20). Questa parola si trova spesso ripetuta in
Dante (Canz. XVI e XIX ; Inf., V, 189, VII, 103; Purg., IX,97). A me sembra che anche

nel verso (Parad., III, 12) « Non si profonde che i fondi sien persi » si debba. senz'al-

tro intendere oscuri, non già perduti, come credono la maggior parte dei commenta-
tori; invero, Dante non usa mai perso col significato di perduto. Altri esempi li ab-
biamo in Gillio Lelli (ALLACCI, P. A. 355): « La dolorosa e scura più che persa », e nel
volgarizz. di Boezio (ediz. MILANESI, pag. 62): « Quando la notte sopra la terra è
persa ». Cfr. BLANC, Voc. dantesco, alla parola perso.
50 P. TOMMASINI MATTIUCCI
ricordano quest’ altri della stessa canzone decimasesta :

Dunque verrà, come dal nero il perso,
Ciascheduna virtute da costei.

Dopo quanto abbiamo notato, a me sembra non sia arri-
schiato l'affermare che il Moscoli inviò sue rime all Alighieri ;
nelle quali, per mostrargli visibilmente la sua ammirazione,
ebbe cura d'incastrare varie espressioni tolte da una delle sue
liriche principali. E da che fu tratto il Moscoli a prescegliere
appunto questa? Dobbiamo riconoscerci una preferenza in-
dividuale, determinata da un particolare criterio artistico,
ovvero una ragione di fatto? La risposta non par dubbia,
quando. si pensi che Dante, come dice il Gaspary (1) pre-
giava molto, anzi forse più di tutte le altre, o per 1o meno
tenne come le piü caratteristiche della sua Musa le tre can-
zoni, nelle quali aveva resa la poesia la maestra della virtù (2).
Né é privo d' importanza il ricordare che, delle tre canzoni,
quella sulla Nobiltà segna il punto di partenza dalle dolci
rime d'amore, alle lodi del valore, per lo qual veramente è
l’uom gentile (3).

E il Moscoli, conobbe egli il divino poeta, o a lui s'in-
dirizzò come a maestro e duce? La vicinanza di Perugia
con Firenze e la loro identità d'interessi non l'escludereb-
bero; ma d'altra parte è noto che i poeti del tempo furono
spesso in corrispondenza fra loro anche quando si conosce-
vano solo per fama. In ogni modo questo par certo; che
Nerio dovette tenere Dante in gran conto e conoscerne assai
bene le rime (4).

(1) St. d. Lett. it., I, 221.

(2) Non sarà superfluo il notare anche che da tutti si ritiene sia stata scritta
prima del 1300. 1

(3) « Le dolci rime d’amor ch’ io solia.» — « Poscia ch'amor del tutto m' ha la-
sciato » — « Doglia mi reca nello core ardire ».

(4) Che la Divina Commedia fosse a Perugia molto letta durante il sec. XIV ci è
testimoniato da un documento del 1379, nel quale vediamo tassata l'introduzione in
città del livero de Dante, in mezzo alla « lana d’ Inghilterra », all’ « ainelina », ai
NERIO MOSCOLI : DI

Ma affrettiamoci a vedere le altre imitazioni dantesche ;
prima quelle del Canzoniere, poi quelle della Commedia.
I versi:

. . amor che nel cor me demora,
Ciascuno spiritello a sé racolse

E de lo ardir e del fugir se dolse.

Poi reposato alquanto, a lor se volse
Dicendo: andate, ché ben puote ancora
De voi mercede aver chi v' enamora. (1)

ricordano questo passo della Vita Nuova: « E quando ella
[Beatrice] fosse alquanto propinqua al salutare, uno spirito
d'amore, distruggendo tutti gli altri spiriti sensitivi, pingea
fuori li deboletti spiriti del viso, e dicea loro: Andate ad
onorare la donna vostra —; ed egli rimanea nel loco
loro » (2). Uno di quei giuochi di parole, tanto comuni ai
primi poeti, lo troviamo ripetuto nel Moscoli e in Dante.

Questi :

Come l’avaro seguitando avere;
quegli:

Quale colui ch'é del suo aver tenace
Lo quale avar s'appella . . . . (3).

A proposito dell inferiorità di fronte all'amata, leggiamo
in Dante:

Quand'io penso un gentil desio, ch'è nato
‘Del gran desio ch’io porto,

« liute e quitarre », e in mezzo ai « livera de leggie, messale, breviarie, bibbia » ecc.
(A. Rossi, Saggi cit.). L'importanza di questo fatto fu già rilevata nel Giorn. st. d.
Lett. it., II, 216. E lo stesso prof. A. Rossi fece in altro luogo (Giorn. scient. agr. lett.
art. di Perugia cd umbra provincia, a. 1865, disp. 12) conoscere come il culto di
Dante in Perugia fosse ancora vivissimo sullo scorcio del secolo XV.

(1) Son. LIX del. cod. Barb.

(2) V. N.,. XI.

(3) Canz. XVIII.

ir ei EU MUNI

utei eu ilia. s rti ait e —

i
M
i
jt
Lio)

P. TOMMASINI MATTIUCCI

Ch'a ben far tira tutto il mio potere,
Parmi esser di mercede oltra pagato,
Ed anche più ch’a torto

Mi par di servidor nome tenere (1);

e nel Moscoli :

... . . qual nel piacier de voi consente
D'ongne viltate el voler suo divide,

Ond'io rengratiando voi me lodo

Che sentit! ò per voi quello la 'ndio tengno
Questa legrecca nel cor per qual godo,

Si ch'io son fermo tuctor non dengno
D'esserve sempre servo . . . . (2).

Cosi, Dante:

Se dir voleste, dolce mia speranza,
Di dare indugio a quel ch'io vi domando,
Sacciate che l'attender più non posso (3),

Nerio:

Saver devete ch'el po durar poco

En tal cor vita . . . . (4);
Dante:

. sol per voi servir la vita bramo (5),

Nerio:

du Orio ses DOMINI LA

Sol per poder voi, mia donna, servire (6);
Dante:

..... questo è quello ond’io prendo cordoglio,

Che alla voglia il poder non terrà fede (7),

(1) Canz. XIII.

)
(2) Son. LXXXVIII del cod. Barb.
(3) Canz. I.

(4) Son. LVII del cod. Barb.

(5) Canz. I.

(6) Son. LXX. del cod. Barb.

(7) Canz. XIII.
S MOSCOLI - 53
"Nerio:
....eontento seria de star nel foco,
Ma per natura el poder nol deffende (1);
Dante:

Pietà faria men bello il suo bel volto (2),
Nerio:

. . pietate
Farà men bella la vostra beltate (3).

Oltre queste imitazioni parziali, le quali appaiono, al
meno alcune, cercate. e volute, avvene un'altra, per cosi dire,
complessa e tratta da una serie particolare di liriche ; intendo
dire dalle rime pietrose (4). Sono queste quattro» canzoni (9)
dal tono brusco, realistico (6), che rivelano un sentimento
sensuale, e in cui si gioca colla parola. pietra, spesso ripetuta,
e sotto la quale si nasconde’ sempre la stessa donna, che non

(1) Son. LVII del cod. Bard.

(2) Canz. VIII.

(3) Son. CXXVI del cod. Barb.

(4) Cfr. G. Canpuccr, Delle rime di D. A., prima in D. e il suo secolo, Firenze,
Cellini, 1865, pag. 715-59; poi, con aggiunte, in Studi lett., Livorno, Vigo, 1876 e 1830;
e, infine, in Opere, Bologna, Zanichelli, 1893, VIIL n.01. V. IMBRIANI, Sulle Canzoni

pietrose di D., prima in Propugnatore, XV, 1882, e poi in Studi danteschi, Firenze, San-

soni, 1891, pag. 427-528. Zeitschrifi fin rom. Phil., VII, 176, cit. dal Gaspary.
A. GASPARY, St. d. lett. it., Torino, Loescher, 1887; I, 230-33, 454. S. DE CHIARA,

La Pietra di D. ela Donna Gentile, nell’Alighieri, a. III, vol. III; e a parte: Venezia,
Olschki, 1892. )

(5) « Così nel mio parlar voglio esser aspro » — « Al poco giorno, ed al gran
cerchio d’ombra » — « Amor, tu vedi ben che questa donna » — « Io son venuto al
punto della rota ». La seconda è. una sestina, e la terza fu chiamata, ma a torto,
sestina doppia. Al gruppetto di queste rime, come le chiama I Imbriani, da alcuni
si aggiungono altri sei componimenti: « Amor mi mena tal fiata all'ombra » — « E,
non é legno diesì forti nocchi » — « Gran nobiltà mi par vedere all'ombra » — « Io son
sì vago della bella luce » — « Nulla mi parrà mai più crudel cosa » — « Io maledico
il di ch'io vidi in prima »; — ma dai piü son ritenuti apocrifi. Oltre questi, fu attri-
buito a Dante anche un altro sonetto « Deh, piangi meco, tu, dogliosa pietra »! ma è
certamente apocrifo. Cfr., per la storia di questo e degli altri, lo Studio già cit. del-
l'IMBKIANI, pag. 445-55; e, per le rime autentiche, pag. 450-70.

(6) A. GasPARY, Op. cit., pag. 232.

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dee I,

eget gn iia. Mii a n
54 P. TOMMASINI MATTIUCCI

, è Beatrice (1). Anche i sonetti di Nerio, nei quali si gioca,
allo stesso modo che in quelli di Dante, colla parola pietra,
formano parte da sè e per la forma, che è data da una
corona di sette sonetti a parole-rime (2), e per il contenuto,

che è d'amore. Di tutti, il più importante storicamente è il.

primo, giacchè in esso si legge che il poeta, mentre scriveva,
era lontano dalloggetto amato e si trovava, suo. malgrado,
in luogo ove toccava villania oscura e tetra. Del resto, come
‘è suo costume, Nerio non aggiungé verbo che valga a darci
lume su quest'altro amore. Ha parole di dolore, d'ira, di

sconforto, di speranza; e questi sentimenti si avvicendano

così fra loro, che non se ne può trarre alcun nesso crono-
logico. Il frasario su per giü é il solito; ma dietro di esso
si scopre un affetto potente che occupa lanimo del poeta; e
quantunque egli in fine si lasci andare ad uno dei comuni
voler essere (3), mostra in fondo di relegare ció tra gli arti-
fici, e continua a protestare che prima morrà, se in lei non
è mercede. In tal modo, che però non presenta nulla di ori-
ginale, finisce questo nuovo episodio della vita erotica di
Nerio.

Un'altra donna, adunque, siamo riusciti a distinguere
nelle liriche di lui, formando cosi il numero di tre; la donna
leggiadra, la giovinetta e la pietra; amore lungo e complesso
il primo, gaio e quasi di fuggevole distrazione il secondo,
potente, benché brevissimo, il terzo. Ciò senza dubbio è no-
tevole, che Nerio, per un affetto il quale ha tutti i caratteri
della realtà, si sia servito di un motivo preso a prestito. Nè

: (1) Non sto quia ripetere tutto quello che é stato scritto sulla identificazione di
questo amore; ma rimando alle opere citate. E, lasciando fra le anticaglie la Madonna
Piera degli Scrovegni, diro solo che, mentre non mi sembra doversi accettare l'opinione
dell’ Imbriani che, desumendolo dall'episodio di Francesca, riconosce nella pietra la
cognata di Dante, Piera di Donato Brunacci, ne lascia più persuasi l'ipotesi del De
‘ Chiara, il quale crede che la donna gentile (donna reale) sia « la stessa che il poeta
cantò così passionatamente nelle canzoni pietrose » (0p. cit., pag. 19).

(2) Son. LXXVIII-LXXXIV del eod. Barb. Vedili in APPENDICE, n.0 II.

(3) « Io chero d'eser bom mastro perfecto ».
CFT

NERIO MOSCOLI 55

dall’Alighieri ha tolto soltanto l'immagine, continuamente
ripetuta, della pietra, ma anche la forma artificiosa (1); e

due versi di Nerio ne ricordano assai da vicino due altri di

Dante (2). Ma a che pro andar cercando raffronti parziali,
quando si può recisamente affermare che i sonetti dell'uno
non sarebbero nati, se le canzoni dell'altro non fossero esi-
stite? Esempio unico di imitazione dalle rime pietrose di

Dante (3), e tanto più degno d'esame, in quanto ci è dato:

da un poeta che sa inalzarsi a un'arte propria e che anche
a questi sonetti, pure togliendo a imitare strettamente tutto
ciò che concerne la forma esteriore, sa imprimere un’ im-
pronta individuale.

Passiamo ora a vedere il secondo gruppo delle imita-
zioni dantesche, cioè quelle della Commedia.

Il notissimo verso, col quale Dante ha voluto giustifi-
care la colpa dei due cognati infelici,

Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
si ritrova non molto diverso in Nerio:
. esser amato amando è ben perfecto (4)

(1) Non intendo con questo di dire che il Moscoli si sia servito degli stessi schemi
metrici di Dante; ché anzi sono diversi. Ma come questi fece uso, nelle rime pietrose,
di forme metriche. quali per la prima volta introdotte dalla Provenza in Italia (« Al
poco giorno . . .») e quali da lui inventate (« Amor tu vedi ben . . . »), così il Mo-
scoli si compiacque, assai più che altrove, di una forma artificiosa.

(2) DANTE, Canz. X: « . ... per lo tempo caldo e per lo freddo Mi fa sem-
bianti pur com’una donna, Che fosse fatta d'una bella pietra Per man di quel,
che me’ intagliasse in pietra »; NERIO, son. LXXXIV: « Io chero d'eser bon mastro
perfecto Per fare intalglio a mio modo de petra ».

(3) Però i sonetti di Nerio e i molti a torto attribuiti a Dante, ci fanno pensare
a una diffusione piuttosto larga delle rime pietrose. Anche un altro dei PoETI PERU-
GINI, Marfagnone (son. XXXIV del cod. Bardi), ha questi versi che forse ricordano i
pietrosi: « Convem ch'io dica come più che petra Durecca tien che morte non per-
dona >».

(4) Son. LIII del cod. Barb.

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56, P. TOMMASINI MATTIUCCI

Come colui che non è amato amando (1).
I versi dell'ottavo canto dell’ Inferno:

Corda non pinse mai da sé saetta,
Che si corresse via, per l'aer, snella

sono ripetuti, con piccola differenza, in un sonetto di Nerio:

Corda da sé non may pense quadrello
Racto cosi come quel se detese
Verso di me... . (2).

Un altro passo dell'Inferno, e precisamente del canto
terzo, ci ricorda il Moscoli in un componimento indirizzato
à un podestà di nome Bacchetto. Sembra che a questo
poco o nulla premesse del suo ufficio e fosse in quella di
rifiutarlo. Da ció prende motivo il poeta per dirgli che a
lui « non si conviene la via del vicario »,

Perché tra l'uno e l'altro è grande invaro;

e lo esorta à « tener caro il suo onore »,

Ché mal se legie de quey che lassaro
Li grandi offitij per la lor vi/tate;

(1) Son. LI del cod. Barb. Un altro dei PoETI PERUGINI, Manfredino (son. XXXV),

ha questi due versi :
« E cio dimostra il bel decto di Dante,
Clvad ongne amante amor dona sua face ». x

Il sonetto di MANFREDINO, da cui son tolti questi versi, è in risposta a quello
sopra citato di MARFAGNONE. Così il ricordo dei versi pietrosi sembra prendere mag-
gior consistenza.

(2) Son. LXXXV del cod. Barb.

Cfr. Canz. V di Dante: « Distendi l'arco tuo sì, che non esca Pinta per corda
la saetta fore, Che per passare il core messa v’ hai ».
NERIO MOSCOLI ; DI

a non « abbassare la sua altezza » e a non « giocare del
pari con lo sogiecto »

Ché familiarità nduce despecto (1).

Nessun dubbio che per vicario si debba intendere il vi
cario di Cristo, e appunto Celestino V
« Che fece per viltate il gran rifiuto » (2).

3^4

Che imitazione da Dante ci sia non v'é chi non lo vegga;

ma disparere potrà nascere sul tempo in cui il sonetto del

Moscoli fu scritto. A me sembra che il ricorrere all'esempio
di Pier da Morone, come ad un fatto avvenuto di fresco e
di cui rimanga viva e potente la memoria, ci dia diritto a
conchiudere che la composizione del sonetto va riportata
intorno al tempo che pontificó Bonifazio VIII; ovvero non
al di là del 1303. Potrà ció contradire, o essere contradetto

dall'opinione comune intorno al tempo in cui la Divina Com- .

media divenne nota? Certo che si; ma questa è la. vera?
Molti ne hanno fatto argomento de’ loro scritti; e principali

fra essi il Carducci (3), il Del Lungo (4) il Gaspary (5), il
Bartoli (6). Il primo afferma che « molta parte della Com-

media era già conosciuta » prima della morte del poeta (7):

(1) Son. CXV del cod. Barb. Vedilo in APPENDICE, n.0 III.

Per quante ricerche abbia fatte nei documenti perugini del tempo, non m'é riu-
scito di trovare questo nome, sebbene il Pellini e il Mariotti diano, quasi per ogni
anno e semestre, i nomi dei podestà durante i secoli decimoterzo e decimoquarto.
Che Bacchetto non sia un podestà perugino? Io sarei quasi tratto a crederlo.

(2 Non tengo alcun conto dell’opinione del GorEscuEL (JaArb. der deutschen
Dante — Gesellschaft, T, 103-117), che volle sans bonnes raisons, come dice il Thomas
(Op. cit ,15, n.0 1), combattere la tradizione, che « voit dans les vers de Dante une allusion
à l'abdication de Célestin V ».

(3) Della, varia fortuna di D., in Studi cit., n.o 2.

(4) Dino Compagni e la sua Cronica, I, 692-73. Delesilio di D., Firenze, Le
Monnier, 1881, pag. 36-45. 1 1 /

(5) st. d. Lett it., Torino, Loescher, 1887; I, 257, 258, 403.

(6) St. d. Lett. it., Firenze, Sansoniy 1889; VI, parte II, cap. V.

(7) Si fonda sulla nota corrispondenza con Giovanni del Virgilio, sul sonetto di
Cino, ora riconosciuto apocrifo (BARTOLI, IV, 56, n.9 136), e sulla tradizione delle donne
veronesi, del fabbro e dell'asinaio. Rispetto a questa, é senza dubbio giustissimo che
la tradizione poggia quasi sempre su un fondamento di verità.

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COS v res : P. TOMMASINI MATTIUCCI

ma, invero, ne dà prove un po’ insufficienti. Il Del Lungo, che
« Dante è morto senza pubblicare il poema; e . .. neanco
sono ammissibili le pubblicazioni di questa o quella parte di
esso, da molti credute e volute provare » (1), e che prima del
1310 o 1312 non erano note se non le liriche (2). Il Gaspary,
che « l'Inferno e il Purgatorio erano noti al pubblico, in
tutto o in parte, già lui vivente »; ma poi in un' aggiunta
all'edizione italiana propende a credere il contrario (3). Il
Bartoli negza fede a ogni argomento in favore della pronta
divulgazione del. Poema, e crede col Foscolo che durante la
vita del poeta poco o niente se ne conoscesse (4).

A tirar le somme, si trova uno che afferma, ma non
prova abbastanza (5); uno che afferma e nega nello stesso

tempo; e due che negano recisamente. Io non mi fermerò
per nulla sugli argomenti degli uni e degli altri, giacché ne
trarrebbero fuori del.nostro cammino; ma lascerò dire bre-

- (1) Dino, ecc., I, 692.

(2) Dell’esilio . .., pag. 38.

- Nella prima delle sue opere il Del Lungo rimette a nuovo e rinforza gli argo-
menti del Foscolo (Discorso sul testo del poema di D.) e nella seconda ne aggiunge
altri, che a me sembrano risentire alquanto il soggettivismo dell'autore. Cosi le pa-
role di Dante: « Dirvi chi io sia saria parlare indarno, Ché I nome mio ancor molto
non suona » non mi pare abbiano quel significato che il Del Lungo attribuisce loro;
ma piuttosto indichino aver Dante acquistato di già fama, e solo nascondere la spe-
ranza e la fiducia di una maggiore. E questa mia interpetrazione potrei avvalorare
con altre espressioni tolte dalle opere di Dante. i

(3) Storia cit., pag. 453.

Si ferma più specialmente sulla testimonianza di Francesco da Barberino, il
quale parla della Commedia, come di opera nota, nel commentario ai Documenti d'a -
more, la composizione del quale, secondo il Thomas (Op. cit.; pag. 68) non va al di
là del 1318. Ma il Gaspary dice che ciò lo porta piuttosto a credere che il Barberino
« lavorasse al suo commentario ancora nel 1321 ». Con tutto il rispetto per l'illustre
critico, a me pare che egli, nel cambiare le premesse di questa ipotesi, si lasciasse
trarre da una opinione troppo soggettiva.

(4 Combatte l'allusione tratta dall'egloga di Giovanni del Virgilio; la testimo-
nianza del Barberino, cui nega valore, perché crede quelle parole posteriori al 1318;
'e altre di minor conto. : j

(5) Non voglio già negare il merito grande che il Carducci ha anche in questa
importante questione della storia letteraria italiana; specialmente avuto riguardo al
tempo in cui scrisse.
NERIO MOSCOLI 59

vemente alla cronologia. Il Moscoli, come vedremo fra poco,
ha vari sonetti scritti senza dubbio prima del 1321; uno nel
1300 e più di uno fra il 1313 e il 1316; e nel 1847 era
morto da tempo (1). Di piü si noti una cosa, che a me sem-
bra di capitale importanza. Nerio trae le sue imitazioni dal-
l Inferno soltanto, e dai primi canti di esso; cioé il terzo, il
quinto e l'ottavo; e non lo fa invece anche quando il ricordo
della Commedia doveva presentarglisi subito dinanzi (2). Che
vuol dir ciò? Se egli avesse conosciuto il seguito dell’ Inferno,
o il Purgatorio, per non dire il Paradiso, perché non ci ha
lasciato nessuna imitazione da essi, neppur una, mentre lo
ha fatto più di una volta per i primi canti della prima can-
tica? (5). Vi è forse qualche ragione in questa preferenza?
Io non saprei trovarla. Adunque, à me pare si possa seria-
mente dubitare che la divulgazione della Commedia sia stata
davvero quella cosa subitanea, quasi improvvisa, avvenuta
all'atto della morte del poeta, come generalmente si crede (4).

(1) Dicendo che il Moscoli ha vari sonetti scritti sicuramente prima del 1321, e
che nel 1347 era già morto, ne viene.da sé che l'attività poetica di lui si svolse anche
prima di quel tempo. E certo che i sonetti in. cui troviamo le imitazioni dantesche,
non saranno stati scritti tutti, proprio tutti, negli ultimi anni della sua vita.

(2) Son. LXXXVII del cod. Barb. e Parad. XVIII. V. a pag. 65 di questo scritto.

(3) Ma si dirà. E il lontano accenno al dolce stil nuovo, che abbiamo piu sopra
notato? Non é forse tratto dal ventiquattresinio del Purgatorio, dal noto dialogo con
Bonagiunta? Io credo di no. Invero, i versi del Moscoli:.«... de parlar gl’ensegna
quello stile Ch'é tenuto tra gli altre el più gientile » ricordano quest'altri della can-

zone XVI di Dante: « Diporrò giù lo mio soave stile, Ch'i'ho tenuto nel trattar
d'amore, E dirò del valore — Per lo qual veramente é l'uom gentile »; né, per giu-
stificare l'altra espressione di Nerio: « S'el te dellecta saver dir per rima... .....
DESC UAT, Elgl' é bexongno ch'en tutto somecte L'alma col core ela mente tua en
prima A quel singnor amor ..... », é necessario giungere fino ai versi di Dante,

che racchiudono l'espressione della differenza fra il vecchio e il nuovo stile.

(4) Che si debba tornare a prestare un po' di fede al Boccaccio? Io penso che in
questa, come in qualche altra questione che concerne la nostra storia letteraria, la
critica moderna abbia voluto andar tropp'oltre. Invero, perché non credere al rac-
conto di.lui? « Egli era suo costume, qualora sei o otto o più o meno canti fatti n'a-
vea, quelli, prima che aleuno altro gli vedesse, donde ch'egli fosse, mandare a messer
Cane: della. Scala, il quale egli oltra a ogni altro uomo' aveva in reverenzia; e poi che
d lui eran veduti, ne facea copia a chi la ne voleva » (Vita di D. scr. da G. B., testo
crit. con intr. e note di F. MAcRÌ-LEONE, Firenze, Sansoni, 1888; cap. XIV). Che non si
debba prestar cieca fiducia al Boccaccio in quelle circostanze che valgono a glorifi-

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60 i P. TOMMASINI MATTIUCCI

Resoci conto anche di quest'ultimo fattore della lirica
di Nerio, facciamoci a considerare quei componimenti che
hanno un soggetto morale, storico, politico.

Abbiamo veduto testé come il nostro poeta in vari com-
ponimenti d'amore prendesse motivo a moralizzare, sicchè
quelli divenissero erotico-morali. In alcuni altri l elemento
scolastico s'impone appieno cosi, da avere brevi trattati
poetici sull'onestà, sulla prodigalità, sull'età dell'uomo e sul
numero tre e nove.

Per mostrare quanto l'onestà sia superiore ad ogni altra
virtù, il che si po veder con poca chiosa, mentre non si po-
trebbe contare in picciol decto

Quanto vertü ciascuna è gratiosa (1),

ricorre a un vero e proprio sillogismo, di cui queste sono
le due proposizioni :

. . honestà é d'onore stato altero,
Honore è cosa per se dexiata ;

delle quali la conseguenza e, che sovra tutte le virti honesta
posa.
Nel biasimare il vizio della prodigalità, così la definisce :

E prodigalità troppa largecca (2);
E troppo cortexia più magiurmente
Che via più l'om che 1 suo aver s'aprecca ;

care la memoria di Dante, é naturale; ma qual fine possono nascondere le parole ora
. citate? E sarebbe stato possibile di affermare cosa non vera, non dico ne' suoi partico-
lari, alla distanza di non molti anni dalla morte del poeta, circa quaranta, quando
molti contemporanei dovevano ancora sopravvivere ?

Non intendo con questo d aver risoluto l'ardua e importanté questione; ma, spe-
rando di approfondire largomento, ho voluto intanto sottoporre all'attenzione degli
studiosi aleuni dubbi e alcuni dati di fatto.

(1) Grazioso, per grato, piacevole, in DANTE, Parad., IIT, 40.

(2) Larghezza, per liberalità, in DANTE, Purg., XX, 31.

LI NERIO MOSCOLI 61

e insieme ne biasima gli effetti:

. al suo gran fallo de vertü pon nome
E cieca quase ongn'om ch’entra su hospitio,
Onde convem che la fim del iuditio
Quel che mal tenne e poi non vidde tome
En loco là dove 1 porta tal some
Che giamay non vien meno el lor defitio ;

effetti che riassume in un verso solo, semplice ed efficace:
. . chi 1 suo sperde vergongna e mendica.

La liberalità, come ogni virtù, ha due nemici .collate-
rali, cioè vizii, uno in troppo e un altro in poco. Questi sono
i mezzi intra quelli, e nascono tutti da un principio, cioè
dall'abito della nostra buona elezione; onde generalmente si
può dire di tutte, che sieno abito elettivo consistente nel
mezzo (1). Così il Moscoli prova che il mezz

. +. + sovra onn’altro luogo el più degn’ è

o Ghe
. vertù sol nel mecc’ è.

A meglio provarlo, ricorre all’ esposizione degl’ ordini
angelici, à
. come pone
Beato Dionisio en suo tractato (2).

(1) DANTE, Conv., IV, 17.

(2) Si deve intendere l’AREOPAGITA, e, per il suo trattato, il DE CAELESTI HIERAR-
CHIA. Bisogna dire però che Nerio non avesse ben presente l'opera di Dionisio, giac-
ché questi divide gli ordini celesti in: I. Seraphin, Cherubin, Throni; II. Domina-
tiones, Virtutes, Potestates: III. Principatus, Archangeli, Angeli (« Divini Dionysii
Areopagitae Caelestis hierarchia. In civ. Venet. p. I. tacuinum de Tridino, MCCCCCII »,
€. XXIII v). Anche Dante nel XVIII del Paradiso dà luogo alla stessa rappresenta-
zione celeste, ma non s'allontana punto da Dionisio. Né si può pensare che Nerio ab-
bia fatto tale trasposizione per dare, secondo le dottrine dell’ommne trinum, un posto

più nobile alle virti;; ché il far primi i Cherubini, i quali in Dionisio sono secondi, .

non trova altra spiegazione se non in una svista. E ciò forse può confermare anche il
dubbio che il Moscoli non conobbe il Paradiso.

E e E

53
|

armani nte us o: cri inlet Mq
P. TOMMASINI MATTIUCCI
Li divide in nove, che son partiti in tre parti, cioè :
Cherubin, serafin la prima et trone,

Ne la seconda si è principato
Con podestate e dominatione.

Vertute ne la terga ch’ hanno a lato
Arcangioli et angioli . . ..

In un altro sonetto passa in rivista le tre prime età
dell'uomo: l'infanzia, la puerizia, che dice irresponsabili nei
loro atti, e l'adolescenza, di cui dà l'etimologia:

Né quella prima etate de la infantia

Né la seconda, pueritia, receve

Color de laude né blasmar se deve,

Peró che non perfecta é loro stantia.

Ma quando ne la terca aleum se lantia,
Adolescente è poi chiamato en breve,

Cioè che ad dolum. et scientiam leve

Prender se po e tener l'on per sua mantia (1).

I componimenti storici e politici si possono dividere in due
gruppi, formati da quattro sonetti l'uno, e da cinque l'altro
quelli di cui ci è dato fissare il tempo nel quale furono
scritti, e quelli di cui ció non é possibile. Dei secondi, uno
ha per oggetto la vita riprovevole di un monaco che,
sotto il manto dell'i ipocrisia, commetteva ogni sorta di ec-
cessi.

Non si riesce a scoprire chi fosse questo frate, ch'egli
chiama affamato, insaziabil lupo, che :

. encesto non cura né de strupo (2)
Per poder devorar ciò che li è grato;

(1) Cfr. la Canz. XVI di Dante, e Conv., IV, 27. L'Alighieri parte la umana vita
in quattro età: adolescenza, cioè accrescimento di vita; Oro cioè età che può
giovare cioé perfezione dare; senettute; senio.

Nel Conciliato d'Amore, « Poemetto allegorico-amoroso del sec. XIV... pubbl.
da V. TURRI » (Roma, Loescher, 1888) si legge: « La prima etade si é puerile che non
se ne fa conto de’ suoi fatti. La seconda si è rozza età per poco uso ».

(2) DANTE, IAf., VII, 12: « Fe la vendetta del superbo strupo ». NERIO MOSCOLI 63
ma dovett'essere in alto grado, giacchè

Escie del suo pallacco con tristicia,
Socto la qual tanta pronteca tene
Ch’ en tra la giente a depredar sen vene.

E, particolare curioso,

Glie cavrecte e gn'ainel ch'àn men malitia,
Quey sol dellecta de soddur tal frate,
Non molto eura de mangiar lor mate.

In questi versi il poeta prende la sferza in mano e mena
colpi aspri e forti, facendosi vindice della moralità offesa.
Ed è davvero singolare che in un tempo, in cui gli ordini
religiosi dovevano ancora risentire del puro ascetismo :cri-
stiano, in una città poco lungi dalla patria del serafico Fran-
cesco e da quella del beato Jacopone, si aggirasse un mo-
naco rotto ad ogni vizio di lussuria, e che in pari tempo
sorgesse franco e minaccioso un poeta a svelarne le brutture.

Ecco un altro aspetto della lirica. di Nerio. Il mondo
boccaccesco fa la sua prima apparizione; e uno spirito li-
bero e indipendente piega l' arte propria a ritrarre la vita
che lo circonda.

In un altro sonetto il Moscoli ci offre un saggio di poesia
narrativa, che procede facile, piana e disinvolta. Allude al-
l'assassinio d'una bella donna, compiuto dal padre e dai
fratelli (1):

Questi sopra crudeli rabiosi cani

La bella donna giovene stracciaro

E ganbe e braccia suoi tutte speccaro ;
Amor paterno e fraterno obliaro.

(1) Manca di questo fatto qualunque accenno nelle cronache perugine. Il GRA-
ZIANI (Op. cit., pag. 136 e seg.) all'anno 1345 ci ha lasciato ricordo d'un orribile fatto
di sangue, che mosse a sdegno tutti i cittadini; l'uccisione di uno Stefano Sabbato
giudeo e della moglie. Ma a questa non possono alludere i due sonetti del Moscoli, e
per il fatto e per il tempo.

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Edi e ok.

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P. TOMMASINI MATTIUCCI

A tanta defandezza il poeta insorge e grida vendetta :

Podestà, capitanio, o car singnore,

Se giustitia o pietà ney core amate,

De quelle mano crudele e sellerate

Vendetta faite tal che ve sia honore.

Chè no è cellato el superbo furore -

Ch’ ebbe ucidendo la filgluola el pate

Col consentir de quelglie essagurate

Cui non sovenne del fraterno amore.

Tal crudeltà non may fecer comani

Nè saracin giuderi o mal xpiani.

La podestà non sirà tanto ardito

Che prend a vendicar così gran fallo
Perchè de piccioli se retrova en fallo?
El capitan per aleum parentado
Lasserà 1 facto andar, ma vergongnoxo
Sira de ciò ch’ è de bem far volglioso.

O che la giustizia punitiva tardasse, o che l’immanità
del fatto movesse a grande sdegno l animo del poeta, lo
vediamo di nuovo adoperarsi perchè il superbo furore non
vada impunito.

Di poco valore il secondo dei due sonetti, è invece con-
dotto finamente il primo. Il momento del delitto vi è ritratto
con tale precisione di particolari, da renderlo presente ai
nostri occhi; e la preghiera ch’ erompe subitanea, e colla
quale il poeta si volge ai magistrati cittadini, sembra co-
mando e minaccia insieme.

Il timore che il Capitano del Popolo lasciasse il fatto
per alcun parentado, e che il Podestà non prendesse ardire
a vendicar sì gran fallo, ci mostra come Nerio non avesse
grande fiducia nella giustizia e nella pietà degli uomini.
Questo dubbio lo fa altra volta uscire in una invocazione
alla Beata "Maddalena (1):

della Chiesa a Maria Maddalena era in Perugia considerato come festivo, ed era proi-

E (1) Come si legge nei patri Statuti (IM, 98 v. e 29 r.),il giorno dedicato nei fasti
\ bito di lavorare, sotto pena di quaranta denari. NERIO MOSCOLI : 65

Beata Madalena, per lo acceso

Corale amor de la divina gratia

Qual te fe abandonar ey van solatia

E ney celistiali lo core inteso,

Te prego per coley, qual non paleso
Piü nel parlar, ché ne fuor faeti stratia,
Che te piaccia operar sì che li spatia
Passen più breve e con più picciol peso.

Sebbene abbia tutta l' apparenza d'un sonetto religioso,
non ho esitato a collocarlo fra gli storici e politici, perché
a me sembra che sotto la preghiera s'intravveda una dop-

‘pia rappresentazione di fatto; l una oggettiva e riferentesi

alla dimora del poeta, dalla quale ogni pietà era sbandita ; e
l’altra, soggettiva, che ci rende l'immagine dell animo di
lui, stanco e anelante al termine della vita; desiderio rac-
chiuso nella preghiera, che gli spazi passim più brevi e con
minor peso. Nè il poeta vi è condotto da una condizione par-
ticolare dell’ o individuale, ma sibbene dalle vicende fortu-
nose del luogo nel quale egli vive. E: appunto per questo
riconosciamo nel sonetto un elemento storico.

"Primo fra i componimenti politici, dei quali possiamo
fissare con qualche precisione il tempo in cui furono scritti,
ci si presenta un sonetto rivolto a un uomo di Chiesa, a noi
rimasto ignoto, il quale andava profetizzando il giudizio di-
vino. E pare si possa anche determinarne l anno, desumen-
dolo dai seguenti versi, in cui Nerio, rivolto al profeta, lo
prega

A non voler simigliarse a Giuda

Che ancise se stesso, onde perdono

Non truova e mer pur che lo nferno el chiuda (1):
Quinciaddassesse giorne in quanti vono

Gle tener pellegrine e nocte quante

Reposen la fatiga ch’ ey fa sante.

(1) Inf., III, 41: « Né lo profondo inferno gli riceve ».

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EPIS dai E.

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E CNN RE
P. TOMMASINI MATTIUCCI

A quale pellegrinaggio si alluderà ? Certo ad uno con-
temporaneo (1) numerosissimo e cui dovevano concorrere da
lontani paesi, perchè Giuda meritasse d’ esser tenuto fuori
dell’ Inferno tanti giorni per quanti pellegrini varno e per
quante notti riposano della fatica che li fa santi. Alluderà
all’ esercito molto e all'anno del Giubileo, durante il quale
« chi da un’ eminenza della città avesse mirato quella grande
scena, guardando da tutti i versi, da nord, da est, da sud,
da ovest, avrebbe visto tanta caterva di gente da parergli
che fossero popoli interi migranti e vegnenti per le vie ro-
mane antiche » (2)? Io credo di sì, perché tutto sembra. al-
ludere ad un fatto straordinario, quale non sarebbero dav-
vero i pellegrinaggi che sovente si compievano verso qualche
lontano luogo, e tanto meno verso qualcheduna delle città
vicine; e, d'altro lato, se volessimo riportarci al secondo

Giubileo, dovremmo andare fino al 1350, cioè a quello ban-

dito da Clemente. VI; al quale il nostro poeta non può di
certo alludere. Laonde a me sembra di potere affermare che
il sonetto del Moscoli deve essere stato scritto circa il
1300 (3). :

«Gli altri quattro sonetti di questa serie sembrano for-
mar parte da sé, e per la persona cui sono indirizzati, e per
il tempo nel quale furono scritti. A conoscer quella e a de-
terminar questo, nella difficoltà d'interpetrazione che. pre-

‘ sentano, ove si considerino indipendentemente l'uno dall'altro,

ci aiuta il primo di essi:

#

(1) Lo dicono chiaramente i verbi voro e reposen.

(2) F. GREGOROVIUS, St. d. città di Roma; V, 634. E G. VILLANI (Cron., VIII,
36), che ne fu spettatore: « Fu la più memorabile cosa che mai si vedesse, che al
continuo in tutto l'anno durante; avea in Roma oltre al popolo romano, duecentomila :
pellegrini, senza quelli che erano per gli cammini andando e tornando ». Né va di-
menticata la breve e mirabile descrizione che ce n' ha lasciata Dante nel canto de-
cimottavo dell’ Inferno. : : :

(3) La « Bolla di giubileo » fu da papa Bonifazio promulgata il 22 febbraio 1390;
ma già fin dal Natale dell'anno innanzi s'eran viste nella città eterna grandi turbe di
romei.
NERIO MOSCOLI 61

De ver sacciate, meser Ugoccione,

Che s'io me fosse acorto al comenciare
Che per: eseriverv io do honore amare,
L'utel (1) perdesse a torto od a ragione,
Non seria scripto per me quel sermone.
Però ve piaccia volerlo obliare,

Ch’ io son pentuto de tal dimandare

E tutto fuor de quella oppinione,

Perch’ io m' aveggio mo. che gamba corta
Non se convem ch' alto scalone ascienda,
Onde mia scuxa per voi se conprenda.

Adunque, in questo sonetto si ha da fare con un Uguc-
cione, e con un uomo di gran conto. Ció viene attestato dal
titolo di messere e dai versi

E PO IEEE gamba corta
Non se convem ch’ alto scalone ascienda.

Nessun dubbio che qui si parli di Uguccione della Fag-
giuola; e mi pare si abbia anche tanto in mano da circo-
scrivere gli anni nei quali il sonetto fu scritto. Uguccione
venne eletto podestà e signore di Pisa nel 1313 (2), e ne fu
'acciato nel 1316 (3); e giacchè in esso si allude al tempo
della maggior potenza di lui, la data del sonetto si deve ri-
portare a quel periodo di tempo che va dal 1313 al 1316.
L'accenno ad un sermone, dal Moscoli inviato al tiranno di
Pisa (4), e del quale però a noi nulla è rimasto, ci mostra
come il nostro poeta prendesse viva parte alle sue vicende;
e se in quello, per quanto imperfettamente ci è dato di ri-
levare, si era spinto fino a dargli consigli, e nel sonetto a
chiedergliene scusa, cogli altri tre si limita a magnificarne

(1) Ms. Lutel.

(2) .G. VILLANI, (020%.;:IX; 58;

(3) Op. cit., IX, 78. Ctr. anche P. Vigo, U. d. F. podestà di Pisa e di Lucca. Li-
vorno, Vigo, 1882.

(4) G. VILLANI, Op. e loc. cit.: « Questi fu grande tiranno che pérsegui tanto i
Fiorentini e’ Lucchesi ».

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68: P. TOMMASINI MATTIUCCI

le gesta. Una volta gli ricorda il giorno che dai Pisani
chiamato a reggere là città loro:

Ligiadra, dritta, bella e verde rama
Del vostro ceppo ve fo posto en mano
El giorno primo che 1 popolo pigano
Aveste a regier come ragione ama ;

un'altra gli esprime intera la sua fiducia:

: Ligiadro, adorno e gientil cavalero

Ch Prudente, giusto, forte e tenperato;
D'ongne vertù mortal si bene armato,
Che vitio non ve fé torcier sentiero,
EE Voi sol site colui per qual io spero
ED. Lo populo redurse a buono stato,

Ché de voler comun sete pregiato ;

e infine intravvede la grandezza e la prosperità del popolo
pisano :

Mostrato avete come amor de mamma
Portate a vostra bella e cara filglia,

Ché da lato ciascuno é gram grapilglia (1).
Molte seram che la chiameron damma,

Si che benedir poi vostra grandecca

E vostro altero stato, el qual se vede
Montar senpre in honore et in rechecca (2).

(1) Allude alle guerre di Pisa contro i Lucchesi e i Fiorentini ?
(2) L'accenno all'aitero stato, che si vede montar sempre in onore ed in ric-
chezza, a me sembra debba far pensare senz'altro ad Uguccione; ché, invero, questa
espressione mal s'addirebbe ad un podestà qualunque eletto per il breve periodo di
i sei mesi. E, del resto, le seguenti parole di Giovanni Villani (Op. cit., IX, 88 hanno
TS tutta l'apparenza d'un vero e proprio commento agli ultimi versi di Nerio: « Questo
fu il guiderdone che lo 'ngrato popolo di Pisa rendé a Uguccione da Faggiuola, che
gli avea vendicati di tante vergogne » e racquistate loro tutte loro castella e dignità,
e rimessigli nel maggiore stato, e più temuti da’ loro vicini che città d'Italia ». Dei
componimenti di poeti contemporanei che hanno per soggetto l'imprese di Uguccione NERIO MOSCOLI 69

Oltre questi, di cui abbiamo ora tenuto parola, ci sono
rimasti altri componimenti, cui puó convenire l' appellativo
di storici, non per il soggetto, ma per le persone alle quali
sono indirizzati; intendo dire le corrispondenze o tenzoni (1).

Hanno queste un'importanza notevole, perché valgono
a farci conoscere le relazioni che Nerio ebbe coi poeti con-
temporanei e perché in esse si compendia, per dir cosi, tutta
quanta la materia poetica del Canzoniere; l’amore, la scola-
stica e il sentimento individuale. i

E a seconda che vi distinguiamo l'uno o Il altro dei tre
elementi, possiamo dividerle in amorose, scolastiche e per-
sonali.

Tre appartengono alla prima serie; ma in una soltanto
ci è rimasto il sonetto di risposta (2). E, di più, nella prima
manca anche il nome del poeta che riceve il sonetto d'invio.
Però ne è abbastanza chiaro il soggetto, espresso in questi
versi:

Io me lamento d'amor che ne I' arco
À messa la sua gram vertute e 'ncontra
De, me la prova e de sua fé son carco.

si potrebbe formare come un ciclo a sé. Vanno ricordati, fra gli altri, MARINO CEC-
GOLI (cod. Barb. XLV-139), FOLGORE DA S. GEMIGNANO (Son. XXIII dell'ediz. NAVONE,
Bologna, Romagnoli, 1889), PietRO DE' FAYTINELLI (ediz. DEL PRETE, Bologna, Roma-
gnoli, 1874). Cfr. anche E. GERUNZI, P. de’ F. detto Mugnone e il moto di Ug. d. F. in
Tosc.; in Propugnatore, XVII, 6 (a. 1884). Dei sei sonetti del Faytinelli su Uguccione,
in uno (VII) si hanno questi versi:
« Veder mi par già quel da la Faggiuola
Re di Toscana: io dico d? Uguccione »
che ricordano gli altri di Nerio, già citati:
« . +. vostro altero stato . . . se vede
Montar senpre in honore et in rechecca ».
Cfr. anche Fazio DEGLI UBERTI, Dittamondo, I, 30; AE Pucci, Centiloquio,
XLIX, L e LI.
(1) Per la storia delle tenzoni vedi : P. ERCOLE, G. Cavalcanti, ediz. cit., p. 55-101;
e A. GASPARY, La Scuola poet. sic , ediz. cit., pag. 124-28. Ma, per ciò che riguarda le
origini, vanno consultati con discrezione, massime il secondo.
(2 Le tenzoni, come vedremo in seguito, erano costituite dalla proposta, 0 sO-
netto d'invio, e dalla risposta, cui bene spesso seguiva la replica.

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P. TOMMASINI MATTIUCCI

Or me demostra perchè ciò m' encontra,
Amico karo, e se volesse aytarme,
Seria leve de morte canparme.

E il vecchio motivo dell' Amore arcitenens, che va saet-
tando cogli strali accorti il cuore del poeta. Perdura la rap-
presentazione oggettiva, e l'elemento individuale si affaccia
appena in questi versi: |

El me saiecta e par ch'onni stral porte
Eserito che nesun faccia racolta (1)
Per fine a tanto che l'anima sciolta
Da lui se parta piangendo per morte.

L'altra corrispondenza, della quale ci rimane soltanto
la proposta, è con un messer Bandino. Il sonetto è alquanto
oscuro, e per l'argomento e perché una macchia nel codice
ne rese buona parte quasi illeggibile. Però, a bene intenderlo,
i giova un'altra tenzone che Bandino ebbe con un Gillio Lelli,
"2 e che ci è conservata nel codice Barberino (2). Quegli, alla
preghiera che per suo mezzo abbia

Cosa da lei (3) che . . done dillecto,

(1) Si fermi, cessi. Questa espressione si trova anche in Jacopone da Todi.

(2) Furono editi dall'ALLacci, P. A., 63, 352, 7), 35). — Di Gillio Lelli il codice
Barberino ci ha conservato dodici sonetti, la maggior parte amorosi, e due umori-
‘ stici (ALLACCI, P. A. 349 e 354); editi tutti dall'ALLAccr. — Di questo poeta non ho tro-
vato traccie nelle memorie di Perugia. Ma un « BARTOLELLUS LELLI » é nel 1316 fra
i Savi dello Studio (Giorn. d'Erudiz., IV, 159); un « Peruzzolus Lelli » é Console dei
mercanti nel 1351 (0p. cit, V,.316); un « Marinus quondam Lelli » è Syndicus a -Pe-
rugia nel 1351 (Op. cit., V, 366); un « dominus Andreas Martini Lelli » é chiamato,
prima del 1354, lettore, allo Studio, del Sesto e delle Clementine (Op. cit., V, 308); « Fran-
ciscus Lelli portae Solis » é o/ficiale e sapiente super Studio nel 1386 (Op. cit., VI, 310);
un « Ser Joannes Puczioli Lelli p. S. Angeli et parochiae S. Mariae de Viridario » è
nominato in un istromento del 1395 (VERMIGLIOLI, Della zecca, ecc., pag. 36). — No-
tero infine che questo nome é sempre vivo in Sabina, per esempio a Rieti, dove
esiste tuttora una-famiglia Lelli.
(3) Dall'amata. NERIO MOSCOLI

ottiene per risposta:

Chi d'amor porta al cor verace scudo

Dei seguir suo voler, s'io ben proveggio, |
Parlar cortese e honesto vagheggio

E sperar contentando el tempo dudo.

Bandino, forse prendendo motivo dall'ultimo verso, re-
plica che

Non rende acepto respessata luna,
Né fa salire in ben pur lungo aspecto;

ma il Lelli non si dà per vinto e continua a sostenere che

Non dà dilleeto subitta fortuna

Chi vol da lui subitto privileggio
Nego che sia d'amor perfecto drudo (1).

— Se messer Bandino s'acquietasse o no all'opinione del
suo contradittore noi non sappiamo; cert'é che non ci sono
rimaste di lui altre repliche.

A quanto pare, Nerio seguiva il parere di lui:

‘ * Vostra relligione altera molto
Ne l'abito d'amor, messer Bandino,
Me fa de nuovo piacer suo camino,
Sì che penser ciascuno altro m' è tolto ;

. io sono en quella ferma oppinione
Ch'é dolee amor de fructo e l'altro amaro.
En vostra fede son, ma la ragione
Saver dexio per fermarme nel bene
Nel quale ho posta già tucta mia spene.

(1) Cfr. G. Boccacct, dal Proemio al Filostrato (Epist. alla Fiammetta), in Lett.
ed. e ined. trad. e comm. con nuovi doc. da F. CORAZZINI. Firenze, Sansoni, 1877;
pag. 9-10.

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Il dire Nerio che Zwn frutto è dolce e l'altro amaro, a
me sembra ci dia buona ragione per credere che il sonetto
di lui vada congiunto con quelli di Gillio e di Bandino, e
che per luno e l’altro frutto si debba intendere l'ottenere
presto o tardi-il soddisfacimento degl'amorosi desideri (1).

Chi fu messer Bandino? s

Un « dominus Bandinus domini Tebaldi (2) rector sco-
larium », perugino (3), viene eletto il 25 ottobre 1308, in-
sieme ad altri ventiquattro savi, per decidere sull'elezione
di un professore di Canonica (4); lo stesso « dominus Ban-
dinus magistri Tebaldi », « doctor legum », fu chiamato il
10 settembre 1326 dai Priori delle Arti in Perugia a dare il
suo giudizio insieme: ad altri dottori in legge (5) e a dieci
giudici (6). Nel 1342 lo troviamo fra i /ettori perugini dello
Studio ammessi al pagamento del salario (7). Nel 1347, il
6 maggio, un « meser Bandino », giudice di Perugia, viene
inviato a Foligno per conferire cogli ambasciatori del re
d' Ungheria (8). Dopo quest'anno non se ne trova fatta più
oltre menzione. |

L'appellativo di messere e la religione altera molto mi

(1 Con Bandino consentono due altri poeti del tempo, Bonagiunta Urbiciani
(Rime di G. Cavalcanti, ediz. cit., pag. 355) e Pieraccio Tedaldi (Le rime, libr. Dante,
pag. 76).

(2) Forse è il « magister Thebaldus domini Guidonis, olim de Aretio ...civis pe-
rusinus » e dottore « Medicinalis scientie » (Giorn. d? Erudis., IV, 125, 155, 157, V, 59).

(3) Che fosse perugino l'apprendiamo da una rubrica dello Stat. perug. pubbli-
cato il 15 settembre 1342 (Giorn. d? Erudis., V, 181).

(4) Giorn. d? Erudiz., IV, 61.

(5) Osbertus, Riccobardus, Leonardus de urbe.

(6) Giorn. d? Erudiz., V, 120 e seg.

(7) Mesere Bandino de maestro Tebaldo, mesere Andreia de mesere Raniere, me-
sere Ofreducio demesere Pietro, mesere Hermanno de Cionolo. — Giorn. d’Erudiz., V,
180-84. Per BANDINO, vedi l'APPENDICE, n.9 IV. ;

(8) « 1347. — Adi 6 de maggio nel dicto millesimo vennero in Peroscia gli inba-
sciatori del re de Ongarya, gli quali dimandarono che per lo comuno de Peroscia se
mandassero imbasciatori a Foligno a conferire con gli principali imbasciatori del re
de Ongarya, li quale erano fermate in Fuligno; onde che per lo nostro coiununo ce fu
mandato meser Alixandro e meser Bandino iudici de Peroscia ». GRAZIANI, Cron. cit.,
pag. 143,

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NONE RIA SIA
CRUNEIHEST TOMBE NA e NERIO MOSCOLI ; 219

pare ci diano bastante motivo per credere che il Bandino
del Moscoli. sia il doctor legum, di cui ci è rimasto ricordo (1);
e perché negli Statuti Perugini del 1342 (2) è. detto che i
lettori cittadini non debbano durante la loro ferma « alcuno
ofitio né ambasciada recevere overo avere se non renonze-
: ronno à la ragione a se competente », viene da pensare che
i il nostro Bandino nel 1547 o non fosse più lettore allo Stu-
dio, o avesse rinunciato al salario a lui dovuto. Dottore, giu-
dice e poeta, amava, secondo il costume del tempo, intrec-
ciare le gravi cure della Legge e dello Stato alle discussioni
erotiche e scolastiche.

E d'amore vediamo il Moscoli tenzonare di nuovo con
un Manuello (3). Questi finge di rivolgersi ad una donna, cui
domanda dove abbia rubato la bellezza che ha nel volto (4),
e dove abbia legato Amore, che ad alcuni promette pene e
ad altri gioie. Nerio in sua vece risponde che nessuna

‘ donna può mostrare giammai rubato piacere, che la bellezza

è naturale, non forzata, e che Amore dà ai non degni dolore,
noia e pena, mentre dona infinito bene a'suoi perfetti seguaci.
Vecchie e noiose dottrine d’amore, distinzioni scolastiche,
oscurità di linguaggio; ecco le caratteristiche dell'uno e del-
l’altro sonetto. Ma se per riguardo allarte avrebbero meri-
tato di andar perduti, giova per un altro rispetto che siano
giunti fino a noi. Invero, tutto ci porta a credere che Manu-
ello vada identificato con quell’ Emmanuele giudeo che ai

(1) E inutile ricordare che il titolo di messere si dava sempre ai giudici e ai
dottori; come quello di sere ai notari.
(2) Giorn. d' Erudis., V, 183. :
(3) Manuello manda il sonetto d'invio che, al pari di quello di Nerio, é inedito.
Jm Sono a parole-rime.
z : (4) Sennuccio del Bene chiama l'amata sottil furatrice, e sottil. ladra Dino Fre-
scobaldi; e di grida « al ladro » suonerà la nostra lirica d'amore, dai tempi del dolce
stil nuovo fino al magnifico Lorenzo. Cfr. F. FLAMINI, St. di St. Lett. Livorno, Giusti;
1895; pag. 13.

an) itn e ii ii

uit IR nu

14 | 2002 P. TOMMASINI MATTIUCCI

suoi tempi godé di una certa fama; poeta ebraico e rimatore
volgare della prima metà del secolo XIV (1).
L'Allacei lo chiamò Maniello Zudeo da Gubbio; ma un

- equivoco lo trasse in errore (2).

Il Carducci (3) ci dice che fu in relazione con Cino,
che gl'indirizzó dei sonetti, e che fu alla Corte di Ravenna,

dove compose dei versi amorosi, inediti, e dove deve aver

conosciuto l'Alighieri. E autore di un poema ebraico, Mecha-

berot, in cui, a imitazione di Dante, descrive lInferno e

il Paradiso, e in questo « assegna splendidissima sede a un
amico suo ch'ei chiama Daniele e che dichiara luomo piü
sapiente del secolo ». In Daniele il Geiger ha creduto di
ravvisare Dante; e il Carducci crede abbia dato nel segno,
perché di quel secolo non si conosce un israelita, cui si
confaccia l'encomio di Emmanuele, e perché è conservata
nel nome ebraico la prima sillaba del toscano (4).

Il Del Balzo (5) aggiunge altre e copiose notizie, tolte

dagli scritti dello Steinschneider, del Vilheimer e dello Shol-
man, che hanno trattato di Emmanuele come poeta ebraico.
Lo dicono nato fra il 1262, il 1265 o il 1272, e morto circa

(1) Un « meser Manuello de gli marchese de Massa del contado de Fermo » fu

- podestà a Siena nel 1335 e a Perugia nel 1336 (GRAZIANI, Cron. cit., pag. 115). Però

nessun indizio che questi fosse anche poeta.

(2) P. A. — Dovette equivocare con Bosone da Gubbio, il quale indirizzo appunto
a Emmanuele il noto sonetto sulla morte di Dante. Del resto, si limita a citarne il
nome nell’ Indice. È i si

(3) Della varia fortuna di D. — Le fonti del Carducci sono uno scritto del
Di ANCONA, in Riv. it. di scienze, lett. ed arti, colle effemeridi d. pubbl. istrus. sc IV;
n. 120, 5 genn. 1863: e un volume del GEIGER. Io non sono MM à vedere né l'uno
né l'altro.

(4) Quest'opinione, secondo che dice il Del Balzo (Poesie di mille autori intorno
a Dante Alighieri, Roma, Forzani, 1889; I) è stata, sulla fede dello Steinschneider,
contradetta Il canto del Mechaberot, quello in cui s'è voluto riconoscere un'allu-
sione a Dante, fu pubblicato in ebraico dal Del Balzo (I; 493-565); e, tradotto dal Sep-
pilli, nel vol. II della stessa opera, pag. 5-54.

(5) Op. e loc. cit. — Il Del Balzo, pag. 315, n.0 4, dice che l'Allacci fa Emma-
nuele nativo di Gubbio, perché nella raccolta Barberina il primo dei suoi sonetti porta,
scritto Manuel Zudeo da Gubbio. Ma se anche il Del Balzo allude al XLV-139, qual con-
fusione!

T

VERE SARRI
NERIO MOSCOLI 15

il 1330; e tutti concordemente lo fanno romano; ci dàuno
persino il nome del padre e della madre, nè ignorano le con-
dizioni di sua famiglia. Parlano di lui con « forma enfatica,
quasi iperbolica », il che ci dà « un'idea dell'entusiasmo che
desta la lettura delle sue poesie tra i cultori delle lingue
orientali » (1). Entusiasmo che, ad essere sinceri, non pro-
viamo punto nel leggere i suoi componimenti in volgare.
Nel codice Casanatense d. V. 5 (2) si legge un sonetto di
Cino a Bosone sulla morte di Dante, e la risposta di lui; ma
son ritenuti apocrifi da un pezzo (3); vi si legge anche (4) la
corrispondenza fra Bosone ed Emmanuele, e un altro so-
netto (5), in cui dà la definizione d'Amore e ne enumera le
più minute particolarità (6). Il signor Modona trovò in un
codice bolognese (7) un componimento poetico intitolato JBi-
sbiglio, in cui si trovano « modi di dire e perfino immagini
che molto s'avvicinano a quelle usate da Dante, specialmente
nella prima cantica » (8). Questo stesso Bisbiglio si ritrova,
colla leggenda « Bisbidis de Manoello Giudeo a Magnificen-
tia di Messer Cane de la Scala », nel codice Casanatense (9),

(1) Op. cit., pag. 315-16.

(2) c. 89 v. e 90 v. Il codice Casanatense è stato edito, insieme al Vaticano 3214»
dal mio amico e compagno di studi dott. Mario Pelaez (Colles. di Op. ined. 0 rari;
Bologna, Romagnoli, 1895).

^ (3) CanpUGci, Op. cit.

Ofr. G. MAzzATINTI, Bosone da Gubbio, in Studj di Filologia romanza, I, 329-33.
Il Mazzatinti fin da allora, cioè dal 1884, annunziava uno Studio del Zenatti su Emma-
' nuele; ma ancora lo si attende invano. Né sarebbe lavoro inutile. Cfr. anche P. Ga-
ROFALO, Lett. e Filos., Opuscoli, Napoli, Ferrante, 1872; pag. 39-46.

(4) c. 123 r. e v.

(5) c. 124 r.

(6) La seconda terzina ne é alquanto caratteristica :

Amor fa quello di che più mi doglio,
Che non s'attene a cosa ch'io li mostri
Ma sempre mi sa dir pur: così voglio.

(7) 1239 dell'Universitaria di Bologna Lo pubblicò nel Vessillo israelitico di Casal
Monferrato, a. 1835, punt. XII.

Cfr. E. LAMMA, It codice di rime antiche di G. G. Amadei, in Giorn. St. d. Lett.
it., XX, 16) e 161.

(S DEL BALZO, Op. e loc. cit.

' (9) Da c. I2 v. a 126 v.

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uc EM me iila s i ttt n

LR NT C
76 P. TOMMASINI MATTIUCCI

di dove lo ripubblicò il Mazzoni. Ma, o che io erro, non me-
ritava tanti onori (1).

Per conchiudere, quattro sono i componimenti che per
ora possiamo ascrivere a Emmanuele; il sonetto sull' Amore
e i due di corrispondenza con Bosone e con Nerio, e il Bisbi-
dis. E che nel Manoello del Moscoli si debba riconoscere il
poeta giudeo, ci conforta il vedere come nel codice Barbe-
rino si legga il sonetto di Bosone sulla morte di Dante; e
sì in questo, come in quello d'invio a Nerio e negli altri a
lui attribuiti, la grafia del nome sia sempre la stessa: Manu-
ello e Manoello, mentre quella di Emmanuele fu certamente
rimodernata, non so se per la prima volta dal D'Ancona.

. Nelle tenzoni che abbiamo chiamato erotiche, il soggetto
è dato da un dubbio che il poeta ha sulla dottrina d'amore,
e di quello chiede la soluzione a qualche collega in arte.
Pensiero piü grave agita altra volta la mente di Nerio, e lo ob-
bliga a formularne un quesito in un sonetto programma (2):

El non par ch'abia libro arbitrio alcuno
Poder montar a gloria ternale,

E simel mente nel contrario male

Non par che possa descender ciascuno.

Eccoci davanti a una disputa scientifico-scolastica (3).

(1) Descrive minutissimamente la Corte di Verona. Vi si leggono parole come
queste: yiach, pedach, duduf, quest'ultima ripetuta la bellezza di sei volte di seguito.

(2) Non bado a ripetere quanto i sonetti-prozramma fossero comuni ai poeti dei
primi due secoli. Basti, per tutti, quello notissimo dell'Alighieri: « A ciascun’ alma
presa e gentil core ».

(3) Errerebbe chi reputasse la discussione sul libero arbitrio frutto dello spirito
scientifico del secolo nostro. Tutto il libro V del De Consolatione philosophiae di Boezio
è dedicato alla discussione del libero arbitrio ; e vi si legge che « nihil sceleratius
excogitari potest, cum ex providentia rerum omnis ordo ducatur, nihilque consiliis
liceat humanis, sit, ut vitia quaeque nostra ad bonorum omnium referantur aucto-
rem »; al che la Filosofia risponde che vecchia inchiesta e lamentanza à questa della.
Providenza, e giù molto disputata da Cicerone, quando la Divinazione distinse, ma
da nessuno ancora diligentemente e fermamente spedita. Bernardo di Chiaravalle
(sec. XIII) ne scrisse un trattato, che fu volgarizzato nel sec. XIV (Scelta di Cr. lett.
ined. 0 rare. Bologna, Romagnoli, 1866, disp. LXV), e di cui questa è la somma:
NERIO MOSCOLI TT

Due poeti risposero al quesito del Moscoli; Simone da
Pierile e Marino Ceccoli.

Quegli, dopo aver protestato che il suo conoscere e
troppo disuguale all'alta dimanda, perchè al tutto de saver
degiuno, soggiunge

Rn RO —Y x

. ch'animale es
E hom de pieno arbitrio, e scende o sale :
Per volglia non coacta ciascheduno.

E come Marco Lombardo a Dante, che ne lo avea ri-
chiesto, fa riflettere che se ogni cosa movesse di necessità dal

Diete ciii ritas C

cielo,
ER ZR fora distrutto
Libero arbitrio, e non fora giustizia
Per ben, letizia, o per mal aver !utto (1),

DSL... obe ci E.

-— SS)

cosi il da Pierile non si perita di dire che,

....Se non fosse ciò, non averia merto

Aleum de bem né pena de follia
E 1 giusto scieler serebe inesperto,

Quod est infandum . . . .3

e come Virgilio ammonisce il discepolo, avido di conoscere,
che il cielo inizia sì i nostri primi movimenti, ma non tutti
e che se il Zibero volere nelle prime battaglie dura fatica col
cielo, infine la vince su tutto, perché

Innata v'é la virtü che consiglia,

E dell'assenso de' tener la soglia (2),

« ... quella cosa che non è conosciuta libera di sé come le puó essere imputato bene
o vero male? . . . [ma] di questo vantaggio di dignità . . . adornò e dotò il creatore
singularmente la creatura razionale, che come elli era di sua ragione, e l'esser buono
era per sua medesima volontà, non necessità . . . ». E due secoli piü tardi (1377) Co-
luccio Salutati ne fece argomento di un suo carme latino (Epist., I, 281-88; e, Epi-
stola al Zambeccari, II, 231; e 318, n. 2); e di un dialogo il Valla nel sec. XV (F. FLA-
MINI, in Giorn. st. d. lett. it., XX, 453).

(1) Purg., XVI, 66-96.

(2) Purg., XVIII, 43-75. Cfr. anche son. XXXIII. NS
18 . È P. TOMMASINI MATTIUCCI

così Marino Ceccoli@risponde che la presenza di Dio non

impedisce all'uomo di reggersi secondo la propria volontà:

La presentia de quel ch'è terco et uno,
Perchè proveggia l’ordene fatale,

No impedisce arbitrio spander l’ale
Sovra l proprio dexio de ciascuno

e che
El pre:saper non giudica che sia
Come destina, ma com’è suo merto
Receve chi via pilglia bona o ria.

Le argomentazioni dei suoi contradittori sembra non
convincessero appieno il nostro poeta, e replicò ad ambedue:
tuttavia amò meglio di passare ad altra materia, convinto

Che questa sol per fé posse vedere (1),
di più lasciando

- + + . la contesa ormay per ria
Ché quey che troppo altier volando vanno
Espesse volte al più basso se tranno.

E col darsi in braccio alla Fede operò da saggio, chè
ben care pagò Cecco d'Ascoli le sue ereticali dottrine in-
torno a questo stesso argomento (2).

Poco o nulla sappiamo di Simone da Pierile. L'unica
notizia, che su di lui c'offra un po’ di luce è il sonetto pro-
posta di Nerio, nel quale porta il nome di Zectore. È fuori
di dubbio, adunque, che egli professasse pubblicamente qualche
disciplina, e si può esser quasi certi di non andare errati af-

(1) CECCO D’ASCOLI, Acerba, V, 1: «. > senza fe’ del ben non si fa acquisto ».

(2) Accusato di magia e di giudicare nelle azioni umane secondo la disposizione
e operazione ‘de’ corpi celesti, togliendo così al tutto il libero arbitrio, fu arso vivo
insieme ai suoi libri, cioé la SPERA, pieno d'eresie e d’inganni, e un altro in volgare,
nominato VACERBA. : :

F. PALERMO, I Manoscritti Palatini di Firenze. Firenze, 1858-69, vol. IIT, 1860,
pag. 220 e segg. — Cfr. anche G. VILLANI, Cron., X, 40.
|
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||
i

NERIO MOSCOLI : 9

fermando che fosse dottore in legge (1)..Ma dove, e quando?
Manca nellalbo dei lettori dello Studio Perugino, il che
pare escludere che a questo appartenesse. Peró dovette go-
dere di grande rinomanza, ché Nerio fa a lui dimanda non
tanto per la sua :

Volontà quietar, ma per qui c'ànno
Simel penser ney cori e quete stanno ;

e, ottenuta risposta al primo dubbio, lo scongiura a non pri-
varlo del suo sapere: i

E più vagheca d’odir più rauno
Da voi, ragionevele animale,

desideroso d'andare

. come quey vanno
Che seguitando altrui lo milglior fanno.

Né questa dovett'essere l'unica volta che il Moscoli e
il da Pierile stettero in corrispondenza fra loro, dal momento
che quegli si rammaricava d'essere stato gran tempo degiuno

Del pasto amato che no è disoguale

1

A quel ch’ i'* enmagiuava .

Più fortunati siamo rispetto a Marino Ceccoli.

Fonti principali, si può dire uniche, sono le sue rime e
un'epistola di Coluccio Salutati (2). Il primo sonetto che di.
lui si legge nel codice Barberino (3), porta la notazione

(1) Fra gli ambasciatori dal Comune perugino mandati il 26 luglio 1347 ad ono-
rare Cola di Rienzi, figura, per porta S. Susanna, Filippo de Oddo da Pierle. GRA-
ZIANI, pag. 144.

(2) Epist. di C. SALUTATI, @ cura di F. NOVATI, in Fonti p. la St. d’Italia, Roma,

; 1891, n. 15; I, 8.

(3) I componimenti poetici di Marino Ceccoli, ad eccezione di due, che furono
pubblicati nel 1893 da A. TENNERONI in un opuscolo per nozze, sono inediti. L'ALLAGCI
(P. A.) si limitò a darne il nome nell Izdice.
a 3 .P. TOMMASINI MATTIUCCI

le Ser Marinus Ceccholi de Perussio », e Marino Cecholi de
|Perusio » la lettera di Coluccio.

Adunque, sulla patria nessun dubbio; n di Perugia. Il
codice Barberino ci ha tramandato una prosa, un'epistola latina
e ventisei sonetti (1), di cui dodici amorosi, otto filosofico-sco-
lastici e personali, e sei storici (2). Lo troviamo in corri
spondenza con Ugolino da Fano, con Gillio Lelli e Cecco
Nuccoli (3), e con Cino da Pistoia (4). Ha un sonetto su Neri
ed Uguccione della Faggiuola (5), uno sul diluvio fiorentino
del 1333 (6), e altri sui Pietramala, signori d'Arezzo ; e perchè
.in uno di questi ultimi si legge andar essi a lent? passi per

(1) H Novati (0p. cit., pag. 76, n. 1) è incorso in una lieve svista attribuendo al
Ceccoli, dal codice Barberino, ventisette sonetti; svista causata con ogni probabilità
“ dal son. XXIV che non è di Marino, quantunque. stia fra quelli di lui, cui, al con-
trario, é indirizzato. Ciò si rileva dal v, 2: « Ser Marin mio . ..» e dall’ et della no-
tazione, « Et scribit ei sonitum rimis equivocis ut infra patet », che ci dice come il
sonetto dovesse far seguito ad un altro, omesso dall'amanuense. Sembra dal verso 1,
« De lascia ormay le contadine sale », che il Ceccoli allora dimorasse nel contado, e
che pochi andassero esenti dai suoi pizzichi e dai suoi sarcasmi: « E perché con lo
tuo sapido sale Nium non trovo contra chui non pungni Io dico con la lingua
non con pungni ». E, di più, appare che fosse di già ben noto per le sue dottrine
che qui vanno intese forse per quelle d'Amore: « E le doctrine tuoi le quali io servo

Ne la mia mente, non estian si sole Da te factor de lor, cui sempre servo ». —
Il NovatI poteva anche aggiungere gli altri tre componimenti che stanno a c. 131,
132 e 133. A

(2) Nel cod. CCCCXXIII della Palatina, di mano del secolo XVIII, si trovano
riportati alcuni componimenti poetici di Marino Ceccoli (F. PALERMO, I mss. palatini
di Firenze, II, 152).

(3) È una tenzone di argomento politico, sui Tarlati di Arezzo. Il sonetto di pro-
© posta è di Marino, ed ha questa notazione: « Ser Marinus Ceccholi tractans de statu
illorum | de Petramala ». I due di risposta sono editi in ALLACCI (P. A.), 219 e 347.

(4) Il sonetto di proposta é di Cino, « Io so sì vago de la bella luce », e porta
la leggenda: « C. dominus de Pistorio ad S. Marinum, | narrans vagaciones amoris
et pro | prietates illorum qui filo amoris li | gati sunt, ponens hoc in seipso. | ». Fu
edito nella Vita e Poesie di Mess. Cino da P. per S. CIAMPI, C'apurro, 1813 ; ma da
altro ms. (Cfr. A. Bartoli, St. d. lett. it., IV, n. 53) Il sonetto del Ceccoli, inedito, ha
la notazione : « Responsio ser Marini ad predicta l.ponens potentias amoris et ludum
ipsius. | ».

(5) « Ser Marinus Ceccholi tractans de statu aretino ».

(6) « Ser Marinus exclamans ad Iovem contra diluvij florentini ». Cfr. MANSI,
Cronichette, ediz. Silvestri; G. VILLANI, Cron., XI, I-IV i G. TIRABOSCHI, St. d. lett. it.,
Modena, 1775 ; V, 17; S. MORPURGO, Dieci sonetti storici fiorentini. Firenze, Carnesec-
chi, 1893; e un serventese di ANTONIO PuccI, Giorn. st. d. lett. it., XXII, 402.
NERIO MOSCOLI Nr 81

trovare un luogo sicuro dove riposare i loro spiriti lassi, nè
aver muro nè fosso, nè poggio, nè ombra, che di loro s? faccia
albergo, viene da pensare che la composizione del sonetto
vada riportata intorno all'anno 1308, nel quale anno appunto
i Tarlati furono, insieme ai Secchi, cacciati da Arezzo; dove
riposero piede di li a poco (1).

Il Ceccoli fu accusato de vitio sodomie; ma, oltre la di-
fesa che di lui fece un Ugolino, poeta contemporaneo (2),
intese di scolparsene egli stesso coll’ indirizzare a. costui
un'epistola latina, nella quale si duole di tale calunnia, peg-
giore della morte, « quoniam quilibet morti nascitur, non ta-
men iniurie » (3); e un sonetto, in cui dà colpa di ogni infeli-
cità umana al non seguire quel verace amor che regge il
cielo, amore che in noi diviene saturnio gielo.

Nel 1366, il 19 di settembre, lo troviamo a Firenze de-
putato del Comune di Perugia con Tanio Falcucci per /a lega
italiana contro le compagnie di ventura (4). L’epistola del Sa-
lutati porta la data di Roma, 2 gennaio 1569, con. questa

| leegenda: « Preclarissimi eloquii viro domino Marino Cecholi

colo)

de Perusio iurisperito musarumque familiari egregio, amico

karissimo ». In essa Coluccio lo prega, a nome anche di
Francesco Bruni, a volergli procurare « Perusini cancella-

‘ riatus officium » (5); il che dimostra come Marino godesse di

grande autorità in patria. Due passi dell’epistola di Coluccio

(1) G. VILLANI, Cron., VIII, 99; DINO COMPAGNI, Cron.; II, 326.

(2) È inedito, e porta questa notazione: « Dominus Ugolinus quando dictus ser
| Marinus fuit incepatus de vitio sodomie | excusans quod de predictis | non erat cul-
pabilis. |» — L’ALLACCI (P. A.) nomina Ugolino nell'7zdice.

(3) Contro i sodomiti si leggono pene severissime negli Statuti di Perugia. Del
resto dice benissimo il Bartoli (St. d. lett. it., VI, p. 22, pag. 55-65) col Blanc, che il
« vizio di sodomia era così comune nel secolo XIII, da nom sentirsi per esso quel ri-
brezzo che ne sentiamo noi oggi ».

(4) Doc. per servire alla st. d. milizia it. dal XIII sec. al XVI raccolti negli ar-
chivi di. Toscana e preceduti da un discorso di G. CANESTRINI, in Arch. st. it., XV,
91, cit. anche dal NovatI, Op. e loc. cit.

(5) Allora il Salutati, cioó sei anni prima d'essere assunto al cancellierato del
comune di Firenze, si trovava a Roma presso il Bruni, segretario pontificio.

6

Eget ii ^ ri Mansi e n

uere E LU

ui AER RS -
82 P. TOMMASINI MATTIUCCI

sono assai notevoli; uno, dal quale s'apprende come il Cec-
coli fosse a mano a mano salito in alto onore: « iandiu,
postquam tue virtutis lumen illuxerat, et, volitante fama,
segnius quam res tanta merebatur, tui noticiam, imo tuorum
meritorum habui, te avidis complexum lacertis imis in sen-
sibus collocaram »; e l'altro in cui gli dà lode di mante-
nersi fedele alle vere tradizioni dello scrivere: « nimis etate
nostra eloquentie studia negliguntur et iam reges et principes
non latine, sed gallice vel suis vulgaribus scribunt ....
quapropter cum aliquem audio ad huiusmodi studia animum
applieuisse, fama delector et illum virum, etiam alias inco-
gnitum, admiror et diligo. tu autem quantum in illa profe-
ceris tibimet es conscius et ceteris iudicandi copiam multis
rerum documentis exhibuisti . . . . vidi dictamen stilumque
tuum, in quo non modernorum lubricatione iocaris, non religio-
sorum rythmica sonoritate orationem instruis, sed solido illo
prisco more dicendi contentus, nil fucatum et maiore quam
deceat apparatu comptum profers . . .. ». Dopo il 1369 non
ci resta di lui altra memoria.

Le notizie che su Marino ci offre l' epistola del Salutati
contradicono a quelle che si ricavano dalle rime di lui? Io
credo che nella vita artistica e letteraria del Ceccoli vadano
distinti due periodi: uno dell età giovanile, cui appartengono,
più che altro, le rime, e amorose e scolastiche e storiche (1);
l’altro dell'età matura, alla quale ci riporta l'epistola di Co-
luccio, insieme alle lodi che gli tributa come a cultore del-
l'eloquenza e a seguace fedele delle vere tradizioni del det-
tare (2). Invero, sebbene nella epistola colucciana Marino venga
appellato. anche musarum familiaris egregius, è chiaro che

(1) Dividendo la sua attività artistica in due periodi, il poetico e il classico, si può
giustificare l'affermazione (Giorn. St. d. lett. it., XXI, 482), altrimenti erronea, che
il POETA MARINO CECCOLI FIORI NELLA PRIMA METÀ DEL SECOLO XIV.

(2) Anche ammettendo che il vizio sodomitico non'fosse infamante come al giorno
d'oggi, si pub immaginare un giudice, su cui poco inanzi fosse caduto tale sospetto?
Indizio questo che Marino Ceccoli era passato per mezzo a una radicale lustrazione.
T EM

NERIO MOSCOLI i 83

la fama di lui volitabat, più che come poeta, quale. giure-

consulto e latinista (1). Inoltre, il sonetto, la cui composizione.

va riportata intorno al 1508, e l’altro non più in là del 1316,
e il trovarlo in corrispondenza con Cino da Pistoia, morto
tra il 1536 e il 1337, e con Nerio Moscoli; il fatto d' esser
giudice nel 1366 e ancora in vita nel 1569, ci danno ragione

bastante per affermare che Marino Ceccoli visse assai lun- /

gamente (2).

Queste le poche notizie che su di lui m'é stato possi-
bile di rintracciare ; notizie che non volli intorbidare col
troppo, falso e confuso che su Marino hanno scritto il Cre-
scimbeni, il Quadrio e il Vermiglioli. Basti il dire che di
Marino Ceccoli si era giunti a fare un Ceccolino Miche-
lotti (3).

Un altro lato notevolissimo della lirica di Nerio ci di-
Scoprono i sonetti di corrispondenza personali. In essi non

(1) Non credo che ciò si possa spiegare col fatto che il Salutati, « padre del ri-
sorgimento » (F. NOVATI, Epist. di C. S., in Bull. del Ist. st. it., n. 4), doveva, per
le sue tendenze eminentemente classiche, trascurar la produzione volgare del Ceccoli
e fermarsi a dargli lode soltanto per il latino eloquio e la SCOLASTICA DISCIPLINA ; giac-
ché sta l'altro fatto, che il Ceccoli aveva dato di già, come si legge nella lettera di
Coluccio, copiosi esempi della sua eloquenza: VIDI DICTAMEN STILUMQUE TUUM...
Ma del Ceccoli latinista non c' è rimasto nulla; laonde non sappiamo se veramente
meritasse le lodi a lui prodigate, o per avventura fossero simili a quelle che lo stesso
Salutati aveva profuse a un altro poeta umbro, a Bartolomeo da Castel della Pieve
(Cfr. lo scritto del NovaATI su Bartolomeo, in Giorn. St. d. lett. it., XIT, 190).

(2) Che Marino fosse in tarda età quando Coluccio gl’ indirizzo la sua epistola,
lo provano anche la fama che de’ suoi meriti s'era divulgata assai più lentamente di
quello che res tan'a avesse meritato ; e la stima che di lui aveva concepito da lungo
tempo.

(3) Il VERMIGLIOLI (Biogr. d. Scr. Perug., ll, 193) conosce un « PERUGINO CEC-
COLINO, vecchio rimatore probabilmente del sec. XIII o XIV ». Dice che il Quadrio

eil Crescimbeni lo crederono della « nobile famig.iia perugina dei Michelotti, di cui

fu propriamente quel nome, che noi troviamo in, detta famiglia anche nel 1403,
ed un Ceccolino con altri di essa fu ricordato eziandio da Pio II ne’ suoi commen-
tari ». Di più, crede errata la dizione Marini Cecco, che si leggeva in un zibaldone
ms. del P. Affò da servire per la storia dei Poeti italiani e conservato nella Biblioteca
Ducale di Parma. Ma per poco che scorriamo i documenti perugini del secolo XIV,
ci avvediamo subito che il nome di Cecco, Ceccolo, Ceccoli e Ceccolino furono comu-
nissimi. Di un « Ceccholo di Bernardolo da S. Valentino, di porta, santo Angelo, e della
parroffia di S. M. del Versaio, nobile et de schiattà nobile nato » é fatta memoria in

ue oil x. jt — Pa *

= - —— ———À —
diesen ni rid Mii ge b

— AUR 1 LAI :
84 P. TOMMASINI MATTIUCCI

vedi né punto né poco la preoccupazione del modello da
imitare; e il poeta, appunto per questo, che non è costretto
a muoversi in un campo dove egli si senta piccino, e l'in-
flusso di quelli che 1 hanno preceduto lo guidi e lo muova
anche contro sua voglia ; appunto per ció trae da se stesso
tutta quanta. l' ispirazione; e anche la forma non risente più
di quel convenzionalismo che aveva assoggettato l'arte all'ar-
tificio. Argomento e forma divengono strettamente indivi-
duali. Peró, come alcune allusioni a circostanze particolari
del momento riescono oscure, così di molte parole possiamo
a stento intendere il significato. Ma ne siamo largamente
compensati dal fatto che l uno e l'altra presentano una

maggiore indipendenza e varietà, che, rispetto all’ argomento,

vanno dal rimprovero, dal consiglio chiesto e concesso, dal
riso, dallo scherzo all’ ingiuria, alla minaccia, alla satira
mordace e velenosa.

Ma anche in questi sonetti di carattere così personale,
il Moscoli o non sa, o non puó o non vuole dimenticar del
tutto l' Amore: |

un documento del 1335 (Saggi d. volg. perug., II); un « Timoteus Ceccholi Andreae
de Perussio, sindicus communis Perusij » é ricordato nel 1348 (Giorn. d’Erudiz., V,

188); un « MARTINO DE CECOLO DE PORTA S. P. » è notario dell'atto di pace conchiuso :

nel 1353 fra Perugia, Firenze e gl'aderenti, e l'arcivescovo di Milano (GRAZIANI, Op. cit,
I, 168); un « Matheo Ceccoli de Perussio » presenzia il testamento disteso da Bartolo di
Sassoferrato il 14 maggio 1356 (Giorn. d’Erudiz., VI, 49); mentre nello stesso testa-
mento troviamo nominato un « Andrutio Ceccoli de Zampeleriis » da cui Bartolo aveva
comperato una terra, posta « in tenimentis ville s. Cipriani de Boneggio comitatus
Perusij » e quale Bartolo lascia alla moglie Pellina ; un « Ceccolo di Sinibaldo Benin-
casa » viene mandato. nel 1369 dai Perugini a trattar la pace con Urbano V (St. e Doc.
di St. e Dir. Roma, tip. d. Pace, 1880, pag. 10); un « Agabetucius Ceccoli » olim de-
capitatus a Perugia, é ricordato in un documento del 24 settembre. 1370. (St. e Doc.
cit.); un «Niccolò di. Cecco da. Perugia » troviamo a Firenze nel 1377 (Libro delle
apert. del tamburo di N. DI C. DA P., in NOVATI, Epist. di C. Salutati, II, 3, n. 1);
figli di un Ceccolino troviamo, in una memoria del 16 gennaio 1385, banditi e perse-
guitati dal Comune (Saggi d. volg. perug., XII); e, infine, un « Pellinus Ceccholi Nutii
portae Eburneae et parochiae S. Stefani » é fideiussore dei patti stipulati fra il Co-
mune di Perugia e Filippo di Pellolo cambista fiorentino. Almeno quest’ultimo docu-
mento, pubblicato dal Vermiglioli stesso tredici anni «prima (Della Zecca e d. mon.
perug., Perugia, 1816; APPENDICE, n. XII), lo doveva fare avvertito che in Perugia
era esistita realmente una famiglia Ceccoli, indipendente da quella dei ‘Michelotti.
NERIO MOSCOLI 85

Gram meravelglia me fey quando entese
Che t'eri facto coprir d' una sella,
Volendo el ver saver de tal novella

Che dolor grave dentro al te mese.

Poi mantenente me venne palese

D' Aristotel ancor, che se novella

Che si lo strense amor con sua fiamella,
Che 1 simele conselglio per lui prese.
Donqua se 1 gram phylosofo (1) fo 1 primo,
E tu, per seguitar lui, secondaste,

Non te ne de blasmar cui tanto amaste.
Ma quando bem lo ver recierco e miro,
Diverso è 1 caso e diversa ragione,

Sì ch’ io non lodo la tua oppinione.

Abbiamo veduto come il Moscoli passasse dalla figura
pagana e tradizionale dell Amore ad un'immagine tratta
dalla vita reale; e come, rispetto alla sua natura e alla sua
efficacia, lo considerasse sempre come fonte di virtù; ed ora
ne fa oggetto di scherzo, appena velato da un parlare grave
e sentenzioso. Che intenda poi per il caso e per l'opinione
di colui che si fa a riprendere, non sappiamo (2).

Dal rimprovero calmo e cortese, in un altro sonetto si
passa alla noncuranza e al disprezzo. Sembra che un tale,
di cui Nerio non ci ha lasciato il nome, avesse preso a re-
darguirlo e a motteggiarlo; e il nostro poeta, senza perdersi
d’ animo, ma bonariamente satireggiando, così gli risponde :

De toy parole non curo niente,
Ance me piace poi me vol blasmare,
Per ciò che 1 blasmo tuo loda me pare ;

e l’ assicura che ben saprà trarsi d'impaecio, ché ha impa-

(1) Questa espressione ha riscontro nell'altra di Dante: « il maestro di color che
sanno » (IAf., IV, 131), e nel Convito Aristotele è sempre chiamato antonomasticamente

« il filosofo ».
(2) Né si può congetturare a chi il sonetto sia indirizzato.

eS. pesi — DS

olestie n iiia. ^ ridi a

— SIRO RA
86 P. TOMMASINI MATTIUCCI

; rato a ben conoscerlo e a non temere il suo motegiar fello ; e
finisce col dirgli:

Or po tu bem veder ch'io me n' acorse,
E non me parlar più de !' asenello

Nè del destrier, ch’ el voler tuo non torse
Giamai da mul; tu vey se 1 modo è bello.

In quest’ ultimi versi è forse racchiusa un’ ingiuria, uno
scherzo velenoso e grossolano; ma a noi non è dato di co-
glierne appieno il significato.

Del pari oscuro ci riesce un altro sonetto, indirizzato
ad uno, che chiama Giuda, e il cui intelletto era non sano.

Un poeta, di nome Cionello, su cui non ci è rimasta
alcuna notizia, invia a Nerio un sonetto, col quale si lamenta
del suo dir disonesto, avendolo udito parlar per le sue rime, e
protesta di non voler che con sue penne « ricce più scrime ». Il
Moscoli non se n’ adonta, anzi trova la cosa ragionevole e
naturale:

Tanto mi piacque el tuo parlar modesto,
Che seguitando le rime tuoi gime.
Ma puo’ ti par ch’ el giardin tuo decime
E che tal modo sia troppo foresto,
Giamay non prenderò tuoi rime in presto
Da puoi che tu così care le stime;

e, non ostante le rudi parole di lui, seguita ad onorarlo:

En verità lo tuo dir tucto salle
E monta che lo ’ntender si tolle
A quei che vanno per le scure valle.

In questi due sonetti dobbiamo riconoscerci una di quelle
censure poetiche, che furono comuni ai primi rimatori; e
Nerio puó esser paragonato a Cino da Pistoia, accusato dal
NERIO MOSCOLI 8T

Cavalcanti d' esser vil ladro (1); con questa differenza però che,
mentre Cino a Guido disdegnosamente risponde non esser
leggiadro alcun de’ suoi motti, Nerio ammira e loda i versi
del suo competitore.

Altra volta é richiesto di consiglio:

O tu che navigando vai esto fiume

E desnodando gli aspere ligame

Colla suctilità che d'esso schiume,

D' esta vostr' aeq' a la mia engorda fame
Doname um poca, per cui veder lume
La mente possa vissa per ley grame;

né egli lo ricusa:

. teco parlando a tanto esgorgo,
Che con dellecto porteria sul tergo
Onne graveca, si al tuo voler m' ergo
E per piacerte de novo resorgo.

Ma non s' arriva a capire a che i due poeti alludano.

Poco maggior luce ci dànno quest’ altri versi di Nerio:
Ben cierchay già le prime del volume
El qual con grande estudio me par ch’ ame
E coven tuo dellecto in ciò consume.
Se dricto e con vertù per le soi lame
Te guideray, bem cie se trova acume *
De qual se vegion de molte reame.

Questo par certo: dev’ essere una disputa, una confidenza
letteraria. Altro non si può dire; nè del poeta, che troviamo
a mandare il sonetto d’ invio, si conosce qualche cosa di più
che il nome (2).

1) Rime di CINO DA PISTOIA, ecc., a cura di G. CARDUCCI, pag. 8. — Cfr. P. ER-
9 , , 5
COLE, Op. cit., pag. 90 e seg.

(2) PUCCIARELLO. — Nessuna memoria si trova di lui nei documenti perugini dei

primi due secoli. Soltanto nel sec. XV troviamo una Felice Pucciarelli, moglie a Bar-
88 P. TOMMASINI MATTIUCCI

Contese letterarie e poetiche, reciproche confidenze e
rabbuffi; scambievoli scherzi e motteggi; parole di biasimo e
di scusa, di lode e di ira; ecco la materia e i caratteri
delle corrispondenze personali di Nerio. Però, anche là dove
l'argomento e il rozzo dire avrebbero dovuto trarlo ad
espressioni mordaci e caustiche, si mantiene calmo e soste-
nuto. Ma ogni cosa ha un limite; e perchè nelle tenzoni il
poeta che riceveva il sonetto d’ invio, era quasi in obbligo,
Secondo il costume del tempo, di rispondere, oltre che colle
stesse rime e talvolta colle stesse parole finali del verso,
con un altro sonetto che da quello prendesse 1 intonazione
in tutto e per tutto, vediamo anche il Moscoli ora giocar di
frizzi e d'arguzie coi suoi competitori, ora voler superarli
con detti aspri e insolenti.

‘ Un uomo d' arme, un condottiero di nome Cione, con:
parole strane e inusitate imprende a narrare le sue avven-
ture guerresche:

Da poco ch'io-foy ne la cità del Tronto (1),
Amico Nere, io fece del catelano

Falsecto estrecto, fece de butarano
Piaetine gienovese tucte a ponto,
Sentendome 1 marchese da lo sconto;

E mantenente si se fé lontano

Dubitando venir meco a le mano,

Onde in onore e grandeca sormonto.

‘Ma sempre grato pur che miser ida

E mantenente so su nel morello,

Passo Pungnano e so presso ad Offida (2);
Enbraccio el scudo, allacciom el capello,
E tutte gle nemice ce desfida.

Alora erido: sona tanburello.



tolomeo Rainaldi notaro (VERMIGLIOLI, Biogr. perug., I, 370). E il cognome Pucci esiste
tuttora a Perugia. — Nei Poeti del Primo Secolo , ecc. (VALERIANI e LAM PREDI), II, 218,
si legge un sonetto di un Pucciarello da Firenze, vissuto circa il 1269. Ma nulla può
farcelo identificare col nostro Pucciarello.

(1) Ascoli-Piceno, che è bagnata dal fiume Tronto.

(2) Offida é una piccola città a nord-est di Ascoli-Piceno. — Pugnano dev'essere
a quella. vicino.
NERIO MOSCOLI 89

Il soggetto s' intende bene; Cione s'era recato a com-
battere nel territorio di Ascoli, passando Pugnano e Offida.
Ma che voglian dire e il catelano (1) e il falsecto e il butarano
e i piactini genovesi e il marchese da lo sconto non arrivo
a comprendere. Questo però è certo; Cione amava di scher-
zare, tanto che Nerio gli dice di tenerlo

OCCUR NIVEA più savio che non crida
El vostro motegiar, ch’ el seria fello.

L’ uno motteggiava, e l'altro non era da meno:

Bem ve mostra fornito el vostro conto
Sol de quell’ arme che me pare strano
Che ve dellecte ma tener en mano.
Dardo over lancia ben credo voi pronto,
E del falsecto. se poi far lo sconto.

Non ve bixongna pagar l'ancontano (2)
Ché quel che voi portaste eva ben sano,
Tuttor chel se mostrasse de fuor onto.

Di nuovo; che vorran dire il fa/secto, lo sconto, e ciò
ch'era ben sano? Cione in fine del suo racconto dice d'esser
salito sopra un morello, di dove ha gridato: sona, tanbu-
rello; e Nerio sembra ne prenda motivo per ricordargli un
antico uso che, se non ho male interpetrato, ci dovrebbe ri-
portare a quello, allora tanto comune, di cui già vedemmo
incolpato il Ceccoli, e di cui messer Brunetto piange gli eterni
danni :

Caval. non credo che senpre sia quello,

Ma in qual prima ven montate suso,
Se non cangiato avete l’ antico uso.

Di Cione non si hanno notizie sincrone; ma dev’ essere: |

certamente quel Cione Baglioni, che viene citato come poeta |

(1) Per catelano va forse intesa una specie di panno allora in uso.
(2) L'ancontano era una moneta.

her rer A URINE

diete ci ri Mei ge — .

— SR RIAL.
90 P. TOMMASINI MATTIUCCI

contemporaneo di Dante (1). E se é davvero di Dante da
Maiano il noto sonetto « Provvedi, saggio, ad esta visione »,
lo troveremmo tra coloro che a lui risposero, cioé tra Chiaro
Davanzati, Guido Orlandi, Salvino Doni, Ricco da Varlunga
e Dante Alighieri (2). Il sonetto di corrispondenza con Nerio
fu edito dall’ Allacci (3), ma sfuggi al Crescimbeni (4) che,
ripubblicando quello in risposta al da Maiano, avvertiva non
esser di lui giunto a noi altro componimento all infuori di
questo. Né il Vermiglioli (5) fu in grado di aggiungere al-
cun’ altra notizia. Di modo che rimaniamo all’ oscuro quasi
del tutto (6).

Uomo d'arme e poeta, maneggia la spada e la lira colla
- stessa franchezza; spensierato monta il destriero, pronto alla
pugna, e scherza e ride in versi. Umore franco e gioviale
che si trasfonde nell’ amico Nerio, il quale volentieri lo segue,
né da lui si fa vincere. Così che nori lo- riconosci più; una
volta moralizzante e sperdentesi fra le speculazioni e il
dottrinarismo filosofico e scolastico; ora si rivela poeta bur-
lesco.

Nè il Moscoli ha meno pronte la minaccia e la risposta
insolente, allorchè si vede aggredito. Un Attaviano lo punge,
lo morde, lo deride, l’ insulta; ed egli lo ripaga di eguale
moneta.

Ma prima vediamo chi fu quest'Attaviano.

Premesso che Attaviano è una variante comune di Otta-
viano (1), vediamo se ci è rimasta memoria di qualche poeta

(1) A. D'ANCONA, Vita Nuova, pag. 37.

(2) Sonetti e Canzoni di diversi antichi autori toscani. Firenze, Giunta, 1527;
€..142 v.

(3) P. A., 284.

(4) Comentarj, MI, lib. I, pag. 65.

(5) Biog. perug., I, 82.

(6) Non mi venne-mai fatto d'incontrare il suo nome nei documenti perugini
dei secoli XIII e XIV. Notiamo, tuttavia, che due rimatori apparterrebbero alla fami-
glia Baglioni: Cucco di Gualfreduccio e Cione; ambedue poeti e soldati.

(7) Che sia il vero, il Cardinale Ubaldini è Attaviano nel COMPAGNI, II, 30; e Ot-
. taviano nel VILLANI, VIII, 86.
NERIO MOSCOLI RODE

che porti questo nome (1). Allorché Dante e Cecco Angio-
lieri giunsero al limite ultimo della loro acerba e nota ten-
zone, « il bizzarro spirito senese » non ebbe piü risposta,
forse per giusto sdegno suscitato nel suo avversario; ma egli
rispose, in nome di Dante, un Guelfo Taviani fiorentino, esti-
matore e forse amico dell'esule; e il suo sonetto fu per la
prima volta pubblicato dal Cappelli in un opuscolo per nozze,
e poi dal D'Ancona (2). Il Bartoli (3), riportandosi alla rac-
colta poetica di Faustino Tasso, ci mostra il Taviani in cor-
rispondenza con Cino da Pistoia, alquale, al pari di Dante
e di Gherarduccio Garisendi, fa rimprovero di usare false
carte ad amore (4); ed aggiunge che questo Guelfo Taviani
dovett'essere un pistoiese, perché il Ciampi diceva esistere
in Pistoia, ancora al suo tempo, un ramo degli Ughi- T'aviani-
Franchini, discendente da quegli Ughi, cui appartenne la
moglie di Cino. Vediamo se si ritrova questo nome nelle me-
morie perugine. Il Graziani (5), all'anno 1330, nomina un
« Meser Heto de gli Ottaviane de Pistoia » come podestà di
Perugia per sei mesi, cioó dal primo di gennaio al primo
di luglio, mentre per il secondo semestre fu podestà un « me-
ser Gilio de gli Foscarane da Bologna ». Riguardo al nome
di meser Heto, il Fabretti (6) avverte che nelle carte del
tempo è detto nobilis et potens miles Netta de Ottavianis. de
Pistorio ((), mentre in un antico manoscritto citato dal Ma-

(1) Credo non sia da pensare affatto a quell'Ottaviano o Attaviano degli Ubal-
dini, che il CRESCIMBENI (Comm., III, 1. I, 65) fa morto nel 1272; se pure non sarà lo
stesso poeta, cui il nome degli Ubaldini sia stato dato senza fondata ragione. Anche
il NANNUCCI, Man., I, 352, ne dà un sonetto.

(2) Studj di Crit. e St. lett., pag. 138, n. 1. — Il sonetto si legge, con qualche
variante, anche nel cod. Casanatense d. V. 5, a c. CXXII r.; e a c. CXXII v. si legge
la corrispondenza fra Dante e l'Angiolieri.

(3) St. d. Lett., IV, 96.

(4) Si leggono anche nel cod. 1289 dell’ Universitaria di Bologna. Cfr. Giorn. St.
d. Lett. it., XX, 160.

(5) Cronaca cit., pag. 103.

(6) Pag. 103, n. 2, del GRAZIANI. M

(7) Con tutta probabilità lo ha affermato sulla fede del MaRIOTTI, Saggio di mem.
ist. perug., I, 250, che ha « Nobilis et potens Miles Dominus Netta, de Ottavianis de
Pistorio Pers. Potest. Cosi lo chiama il libro pubblico variorum ann. segn. D. fol. 147 ».
P. TOMMASINI MATTIUCCI

riotti, dominus Lizotus de Ottavianis. Il Pellini (1) poi lo
chiama Geto degli Ottaviani. E subito dopo il Fabretti, il Bo-
naini (2) dice che « senza dubbio » deve essere « Ettore
detto Ettolo di Tano dei Taviani, spesso ricordato dagli scrit-
tori pistoiesi », eletto, cioè, « nel 1320 dal Comune come ar-
bitro per definire alcune questioni coi conti Alberti, per
dipendenza di alcune castella », di parte cancelliera, uno degli
otto « piü arditi e potenti » esclusi dal novero degli esuli
tornati in patria, mediatore il re Roberto; e infine, nel
1329, quando Firenze sottomise Pistoia, cittadino fiorentino
« cogli onori tutti conceduti a Giovanni Panciatichi » (3).
Difficile é il raccapezzarsi fra tanti nomi diversi; cinque,
se non erro; ma tuttavia io credo. che siano forme grafiche
di un solo; e che la vera sia quella di Ettore Ottaviani (4).
Ad affermare ciò ci conforta il trovare « Ectolus domini
Gani de Actavianis de Pistorio » podestà di Orvieto fra il
1322 e il 1323, e il sapere che il Comune fiorentino scrisse

DIS

nel 1323 (5) a quello di Orvieto per ottenere che fossero cas-

sate « omnes et singulas condempnationes et sententias con-

dempnationis latas et datas contra nobilem virum dnum
Ectholum dni Gani de Actavianis de Pistorio olim potesta-
tem civitatis Urbisveteris » (6).

Riguardo poi allappellativo di fiorentino, che non so
donde il D'Ancona o il Cappelli l'abbiano tratto (7), è facile
che gli sia rimasto per le condizioni in cui si trovò con Fi-
renze. E col suo concittadino Cino ebbe modo di trovarsi

(1) Op. cit., 1, 510. .

(2) Pag. 103, n. 2, del GRAZIANI.

(3) Cfr. SALVI, Storia di Pistoia, Tom. I, pagg. 340, 353, 394, cit. dal Bonaini.

(4) Hetto. ed Hettolo sono forme corrispondenti di. Hector ed Hectoris.

. (5) Debbo la notizia precisa dell'anno alla cortesia del bravo dott. G. Pardi.

(6) G. PARDI, Serie dei supremi magistrati e reggitori di Orvieto dal principio
delle libertà comunali all'anno 1500, in Boll. della Soc. Umbra, I, 385.

(7) Il nome di Attaviano fu comune, del resto, anche a Firenze. Lo puoi vedere
ricordato molte volte nei documenti fiorentini del sec. XIII e XIV pubblicati da I. DEL
Lungo (Dino Compagni, ecc., I, 30; Dell'esitio di Dante, pagg. 133 e 136); e di Manno
Attaviani è memoria nella Cronaca di Dino, II, 26; come di un Gallina Attaviani,
fiorentino, nella nov. 153 di FRANCO SACCHETTI.

DR pe EP


NERIO MOSCOLI : 93

insieme, prima a Pistoia, perché quivi troviamo Cino giudice
nel 1307, dopo il qual anno sembra andasse in esilio volon-
tario; e l Ottaviani divenne fuoruscito nel 1323. Dipoi la loro
relazione si sarà rinnovata a Perugia, dove troviamo Cino
dottore allo Studio dal 1326 al 1333, e 1 Ottaviani podestà
nel 1330; e si badi che, sebbene esso ci appaia ghibellino,
potè essere chiamato alla suprema carica cittadina in un Co-
mune guelfo, quale Perugia, perchè appunto l’anno inanzi,
cioè nel 1329, era stata conchiusa in Firenze, colla presa di
Pistoia, la pace tra i Guelfi e i Ghibellini; e l Ottaviani, in
forza di questa, era divenuto cittadino fiorentino.

Il poeta pistoiese ci presenta un'immagine di Nerio, che
non potrebbe essere nè più laida nè più ributtante :

Espaventachio mostra el tristo volto

E Igl’occhie de la gatta ch'ày si guagge
E 1 corto naso che serba doy magge
Dentro de le toy frogie,

ed ha la bocca

. reffessa e tutor bolle
Sì che pare um caldaio male schiumato.

Però il Moscoli non si spaventa e dice di non temere
nè lingua né bastone:

No me po spaventar, ch'io son pur volto
Verso de te come germane (1) a guagge,
Sì ch'io non temo parole nè magge.

Se non che la lurida sua immagine, che l’ Ottaviani gli
ha posto così sfacciatamente dinanzi, lo tira a rintracciarne
le ragioni e a profetizzargli che, ove non cessi, male glie ne
incorrerà :

(1) Animali aquatici del genere delle anitre selvatiche.

BAGLIO APRITE

Fletes rei ii e

ii

NE

dE. UR RR
94 P. TOMMASINI MATTIUCCI

.. tu m'ày el eapel si renversato
Peró ch'io sono stato alquanto folle .
E de malvagio voler enpacciato ;

ma pure,

. se andar cherendo me fay lesta,
Lo blasmo è tuo s' io fo quel che t’encresca (1).

Qui si afferma di nuovo e piü decisamente la poesia
burlesca e satirica; e la leggiadria spiritosa, il motteggio
volgare, le asprezze vigorose e lo scherzo grossolano, che
caratterizzano i sonetti di Cione, dell'Ottaviani e di Nerio,
avvicinano l'arte di questi poeti a quell’originalità -spensie-
rata e fantastica, che diede vita alla poesia umoristica.

Per tal modo il Moscoli s'asside in mezzo ai due secoli ;
IE XIIE: e 1bSXTV:

Dall'oggettivismo convenzionale della vecchia scuola passa
con pari disinvoltura alla speculazione filosofica e moraliz-
zante; dal raggio platonico e spiritualista della bellezza al
sentimento individuale; dalla rappresentazione del mondo in-
tellettivo alla pittura della vita civile. Cosi che vediamo due
elementi in ispecial modo contendersi il campo nell'arte di
Nerio: il passato e l'avvenire. Non dimentica l'uno, che alla
Chiesa e alla Scuola fa capo, né rimane indifferente di fronte
al movimento di vita novella che sorgeva insieme alle libertà
comunali. E l'opera del nostro poeta, che non rimane chiuso
entro se stesso, doveva necessariamente risentire di questo
contrasto; tanto che non diresti il Canzoniere opera di un
solo. Nel mentre leva a cielo l’amore, fonte di virtù, e idea-
lizza la donna in un tipo astratto di severità e d’onestà, e
a lei di frequente intona il domine non sum dignus, passa a
indagarne e a discuterne il quale e il quia. Il contegno ul-
traumano di lei non lo sodisfa più, e alterna lamenti e scherzi.

(1) Nerio e l'Attaviani sembrano prenunziare gl'irosi cortigiani poeti del se-
colo XV.
NERIO MOSCOLI 95

Aspro e talvolta ruvido negli uni, gaio e gioviale negli altri.
Parla e scrive all'amata; ma quando s'avvede che è come
il zappare in Arno, non si sgomenta, nè glie ne dispiace.
Dà un addio a quella, strega che sorbe il suo cuore, e
passa a nuovi amori, pei quali non va piü in cerca di
schermi gentili, ma a lei li palesa, accarezzandoli; e se ne
vanta. Pertanto Nerio introduce un nuovo elemento nell'a-
more; lo scherzo, che lo trae a narrare in versi, spensierati
e giocondi, i casi della sua vita. L'amore e la dottrina di
esso passano in seconda linea, per far posto all individuo,
che ama e ride. Né, quando torna a soggiacere alla tradi-
zione, rappresentata dalla mania teorizzante, assottiglia l in-
gegno in scienza cosi, che questa soffochi del tutto il sentimento;
e quasi mai s'avverte l'influsso della seconda scuola predan-
tesca, della quale, benché a lui vicinissima, non ha mai il
fare contorto e oscuro, o la continua e prosaica aridità. La
morale vi sta come un avvertimento fugace, un motto; ma
non sottilizza, non predica.

Nerio, prima di esser poeta, è uomo. Canta le gesta del
grande Podestà di Pisa; lamenta le fazioni cittadine, le uc-
cisioni, gli esili, e ne invoca la fine con accento di mestizia
e di stanchezza; mira l immense turbe di romei; ricorda
l'ombra di Celestino V; smaschera, morde e sferza un mo-
naco che, ipocrita e rotto ad ogni vizio, precede la serie
ghiotta e carnale dei Fra Rinaldi e dei Frati Alberti; si
commuove per un efferato delitto, e ne invoca pronta e se-
vera giustizia. Discute con Bandino sulla natura d'amore;
col da Pierile e col Ceccoli sul libero arbitrio;: nel mentre
dà l etimologia di adolescenza e dei mesi, e scambia inso-
lenze coll' Ottaviani e con Cione.

Pertanto, se da un lato ricorda Giacomo da Lentino e la
sua scuola, dall’ altro ricorda I' Alighieri e il dolce stil nuovo, e
si riannoda anche ai poeti politici e agli umoristici. Ma non si
può confondere con nessuno di questi. Se agli ultimi si av-
vicina per il piglio franco e disinvolto, e più per la rappre-
96 P. TOMMASINI MATTIUCCI

sentazione immediata della vita quotidiana, non ne possiede
che raramente quell’ intonazione realistica che li distingue.
Imita Dante, ma nei suoi componimenti non si avverte lo

sforzo di uno che tenti di assimilarsi l' arte del suo modello,

e non ha quasi mai il fare solenne e ultraumano di lui. Né
rimane legato al vecchio stile cosi, che, nel leggere le sue

rime, non s'avverta subito d'aver che fare con un intelletto

più libero e più moderno (1).

Il Canzoniere dà luogo a tutte le manifestazioni della
vita, l'interiore e l'esteriore; non é il frutto di una deter-
minata scuola, ma il prodotto di un ingegno vigoroso e ori-
ginale, che tutte abbraccia e plasma secondo un ideale poe-
tico a lui proprio.

In ogni opera d'arte due elementi concorrono in ispe-
cial modo a formarla; la natura particolare dell’ individuo
e i casi della sua vita, e insieme le condizioni del luogo,
dove quella venne alla luce.

Ma per ciò che riguarda la vita del nostro poeta dob-
biamo confessare di saperne poco o nulla.

Inanzi tutto, vorremo noi credere Nerio cosi deforme, quale
l’ Ottaviani lo dipinse? Aveva egli davvero occhi di gatta, bocca
grande, naso corto e largo ? Speriamo, pensando alla donna e
alla giovinetta, che il vivace pistoiese abbia esagerato.

Rispetto alla patria nessun dubbio, poiché la notazione
che precede il primo dei suoi sonetti lo dice di Città di Ca-
stello: « hinc incipiunt multa dicta clara et bona que | fue-
runt dicta per Nerium Muscoli, qui olim | fuit de Civitate
Castelli | » (2). E Castellano si chiama da se stesso in un
altro di quelli:

(1) Si noti come egli usò: due volte soltanto della canzone, la forma .alta e so-
lenne della lirica, e quasi sempre del sonetto che, insieme alla ballata, veniva consi-
derato come forma inferiore. Invero questi, come notò il Gaspary (St. d. Lett. it.),
spesso si muovono più liberamente e prendono un carattere più moderno.

2) Il codice ha Muscoli e Moscoli, con preferenza per la seconda forma. Io ho
adottato questa, anche perché la prima ha tutta l'apparenza di una affettazione lati-
neggiante.
NERIO MOSCOLI 91

Lor (1) ehe non poco sentiste del Giuda
Mantenente s' acorse el Castellano.

Ma, non ostante molte e ripetute ricerche da me com-
piute nell'Archivio pubblico di Città di Castello, non mi venne
mai fatto d'incontrare il suo nome. Né ci deve recare gran
maraviglia, quando si pensi che egli dovette viver lontano dalla
patria, e precisamente a Perugia (2). Ce lo attestano la lingua
delle sue liriche e il trovarlo in relazione con Bandino, col'
Ceccoli e con Cione, perugini, e coll’ Ottaviani, che fu a Peru-
gia. Più singolare riesce il non vederlo mai ricordato nei molti
documenti perugini che dei primi due secoli furono editi (3).
Intanto peró possiamo affermare che egli fiori tra la fine del
XIII eil principio del XIV secolo. Invero, lo abbiamo visto
comporre un sonetto in occasione del primo Giubileo, e un
altro durante il pontificato di Bonifazio VIII. Inoltre ci riman-
gono i sonetti indirizzati a Uguccione della Faggiuola e da ri-
portarsi a quel periodo di tempo che corre dal 1515 al 1316.
E perché in uno di questi ultimi si fa parola di un sermone, col
quale sembra gli dia consiglio, e perchè l’arte vi si sente di già
formata, bisogna credere che il Moscoli, quando li scrisse,
fosse in età matura. Di più lo vedemmo indirizzare un so-
netto a messer Bandino, rettore degli scolari nel 1308; e con
ogni probabilità due altri all’ Alighieri, morto nel 1521; stare
à tenzone con Emmanuele Giudeo, morto circa il 1330; con
Ettore Ottaviani, podestà di Perugia nel 1330 e in corrispon-
denza, oltre che con Cino, con Cecco Angiolieri. Né va di-
menticato un altro particolare : nell’ ultima carta del codice

(1) Allora.

. (2) Del resto le carte dell'Archivio pubblico di Castello sono nella maggior parte
Bolle papali; e gli Armati, nei quali spesso ricorrono i nomi-dei principali cittadini,
cominciano soltanto dal 1337, troppo tardi per noi. E gli Annali anteriori a que-
stanno dove e come finirono ? È ignoto. i

(3) Gran parte dell'Archivio perugino andò disperso. Tuttavia il prof. Adamo
Rossi ne pubblicò molti documenti ; altri il Vermiglioli. E sebbene si leggano mol-
tissimi nomi di cittadini perugini nella Historia del Pellini, quello del Moscoli non vi
8' ihcontra mai. i

7
98 . P. TOMMASINI MATTIUCCI

Barberino si legge un atto, scritto contemporaneamente alla.

parte principale di esso, e che porta la data del 1347; e
perché nella notazione alle poesie del Moscoli si legge qui
olim fuit, si può affermare che nel 1347 egli era già morto (1).

Che fosse uomo dotto e stimato, tutto porta a crederlo.
Ci è attestato dai versi di Pucciarello, coi quali a lui, che
va disnodando gli aspri legami, chiede un po’ dî lume che
gli rischiari la mente; e dal trovarlo in corrispondenza coi
più noti rimatori del tempo (2). E tanto più ci persuaderemo
di ciò, per poco si pensi che i poeti dei primi due secoli
erano quasi sempre uomini di legge, o preposti ai pubblici
negozi; tanto che vediamo cantare l amore, e discuterlo, i
dottori degli Studi, i podestà, i giudici, i notari (3).

Però il Moscoli non dovette ricoprire nessuna di queste
cariche, giacchè nelle notazioni alle sue poesie non gli sono
mai dati i titoli di sere, messere e dominus, che si solevano
dare ai notari, ai giudici e ai dottori, mentre lo hanno sem-
pre Marino Ceccoli, Ugolino, Cino da Pistoia, Cecco Nuccoli,
| Bandino, Bosone, Simone da Pierile ed altri dei Poeti Perugini.
Ma ciò si spiega agevolmente se si rifletta alle opinioni indivi
duali del poeta e alle condizioni interne del Comune peru-
gino, che nell’ Umbria era il centro del guelfismo, come Fi-
renze nella Toscana.

Anzitutto bisogna non dimenticare i sonetti indirizzati

(1) Olim sta a significare talvolta il luogo d'origine di uno che sia da lungo
tempo lungi dalla patria, e talvolta serve ad indicare che una data persona é già morta.
Così di Tebaldo, dottore di medicina a Perugia, si legge « magister Thebaldus olim
de Aretio (Giorn. d? Erudiz. cit., IV, 125), e di un Valeriano perugino, « Valerianus
olim magistri Egidii » (Op. cit., VI, 305). Ma io credo che nel caso nostro, tenuto conto
delle altre circostanze, non sia da pensare alla patria del poeta.

(2) Intendo dire dei Perugini; e cioé Bandino, rettore degli scolari, dottore in
legge e ambasciatore del Comune; Simone da Pierile, dottore; Marino Ceccoli, am-
basciatore del Comune, giureconsulto e latinista; l'Ottaviani, Emmanuele e altri.

(3) Notaro nel 1313 della funebre ‘cerimonia che sembrò Patto della fine dei Cer-
: chi, fu « un gentile poeta, un rimatore del dolce stil nuovo, un amico di giovinezza
di Dante, Ser Lapo Gianni ». I. DEL LUNGO, Dante ne’ tempi di Dante, pag. 53.
Cfr. anche F. Novarr, Nuovi Studi su Albertino Mussato, in Giorn. st. d. lett. it.,
VI, 188, 191.

mm

N

PEURS ARI ATA E

SISP AEREI FA uem s RI i

NERIO MOSCONI 99

a Uguccione della Faggiuola, duce, dopo la morte di Enri-
co VII, del partito ghibellino in Italia. Di più, Nerio ci ha
lasciato in alcuni versi la sua professione di fede politica :

Tutor ch'aprile ab aperio sia decto (1),
Perché s'apre la terra, e folglie e fiore
D'ess' e delgli arbosel se mostren fore,
Donando al mondo piacevol dellecto,
E magio sia per li magiur ellecto (2),
E dai più giovem giungno prenda honore,
Lulglio è quel mese che lo enperadore
Volse del suo fim nome eser perfecto ;
Onde ve piaccia voler che £a mese,
Denominato da sì gram singnore,

Suo bem non perda de vostro vallore.

Si può esser certi che un guelfo, parlando all impera-
tore, non avrebbe giammai adoperato siffatta espressione; e
c'è da credere che nel ricordo di Celestino V, del quale
mal si legge per avere vilmente lasciato i grandi offizi, si
debba riconoscere, oltre la reminiscenza dantesca, un’espres-
sione ‘personale di risentimento contro colui che fu la prima
causa della potenza di Bonifazio VIII, acerrimo odiatore dei
Bianchi.

Quando si ponga mente alle parole di Nerio e a Perugia
guelfa, e si sappia come nel 1315 un podestà non vi fu ac-

(1) TnuowaAs WmnrianT, Early Mysteries and other latin poems (London, R. Smith,
1849) Carminum resonantium specimen, VI, 7-8:
« fert Aprilis Aperil
: nomen ab officio » ;

e in nota: « So in the Imago Mundi, we are told : « Dicitur etiam April, eo quod ape-
riat terram in flores ». BONVESIN DA RIVA (T'ractato dei mesi, Romagnoli, 1872, pag. 13):
« Per ziò ò nome Aprile

khe avro gran beleza ».
Ofr. in Giorn. st. d. lett. it., XXVIII, 444-45, una pregevole nota bibliografica sui do-
dici mesi dell’anno.
(2) L’ABATE DI Trvorr (in Crest. it. d. MONACI, 62): .
« magio infra li mesi è 1 più alorito,
per dolzi fiori che spande egli è 1 più fino ».

ASTA... I i pt

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|

P: Aer
De

100 : P. TOMMASINI MATTIUCCI

cettato e non venne all'officio perchè fu scoperto ghibellino (1);
e che nel 1326 « si fece un ordine che nessuno disceso
/da/ Ghibellini potesse avere officio alcuno nè accettarlo sotto

| "Pax 9 ^v pi D ? ( D
{gravi pene » (2), apparirà meno strana l'assenza nelle me-

morie perugine di ogni notizia che riguardi il nostro poeta.

Il meglio che a lui convenisse in un luogo e in mezzo
a una società che non dovevano essergli molto. favorevoli,
era di starsene lontano dalla vita pubblica; e pare che in
realtà così facesse :

Tu cierche l’alte rocche, et io nel borgo
Paciffico e quieto senpre albergo (3).

Per il borgo si dovrà intendere la parte bassa della città,
forse Borgo San Pietro, in contrapposizione alla alta, dove

(1) P. PELLINI, Historia, I, 413, cit. dal MarIOTTI, Saggio, ecc., I, 247. Il nome di
questo podestà era Maggino de’ Maggi da Brescia. Brancaleone degli Andalò nel 1252
fu eletto, benché ghibellino, podestà a Roma, guelfa, e per tre anni; ma quella città
si trovava allora in condizioni eccezionali. Cfr. GREGOROVIUS, St. di Roma, V, 324. —
Del resto non è nuovo il caso anche di dottori in legge esclusi dai pubblici uffici.
Basti ricordare Francesco da Barberino, a riguardo del quale il Thomas (0p. cit.,
pag. 31) nota che « le gouvernement de la république florentine était aux mains d'une
aristocratie de familles patriciennes au milieu desquelles il était difficile de faire bré-
che; leur influence se mesurait à leur nom, et ce nom méme à l'ancienneté de leur
établissement à Florence; un modeste homme de loi, comme Barberino, venu tout ré-
cemment d'un village du contado, n'avait rien à espérer de ce cóté. Ubaldini a voulu
voir une autre cause à cette exclusion de Francesco des charges publiques; non seu-
lement à cause de ses ancétres il était suspect de gRhibellinismo, mais il se serait com-
promis lui-méme gravement en écrivant à l'empereur Henri VII, au moment où celui-ci
était déjà un ennemi déclaré des Florentis ». Né piü né meno che il Moscoli, venuto
a Perugia da Città di Castello, e che diresse vari sonetti a Uguccione, capo dei Ghi-
bellini dopo la morte di Enrico VII, cui pare avesse indirizzato suoi scritti il Barbe-
rino. Allo stesso modo Francesco Sassetti, fratello di Filippo e che nel 1600 dettò le
notizie di sua famiglia, scrisse « non essere da maravigliarsi se non si trova che nei
tempi antichi la famiglia Sassetti non sia stata adoperata o nominata nelle cose del
pubblico governo » perché « in quelli tempi antichi e sediziosi era stata di Parte Ghi-
bellina, e per questo, come é da credere, sospetta alla Guelfa che del continuo in
questa città era superiore ». Cfr. l'edizione del SAssETTI, curata dal MAncUccr, Firenze ;
cit. da I. DEL LuNGO, Dino, ecc., I, 700. t

(2) Supplemento I al GRAZIANI, Op. cit., pag. 92, dove si legge anche: « Per pro-
,var ch'uno fosse disceso da’ Ghibellini, bastavano sei testimoni di pubblica voce e
fama ». ; i

(3) Son. CLVII del cod. Barb.

FITTE niet NERIO MOSCOLI 101

avevano loro stanza il podestà, i priori, il capitano del po-
polo e dove la vita cittadina si esplicava maggiormente;
ovvero si dovrà pensare a un.luogo qualunque del contado ?
A me pare si debba propendere per la prima delle due
ipotesi.

Ma abbiamo veduto come il nostro poeta si mostrasse
stanco della vita, tanto da volgersi alla Beata Maddalena,
perchè gli spazi passassero più brevi e con più picciol peso.
Dall’ altra parte le memorie perugine del tempo gli danno
piena ragione. « Quotidie increbescit rumor...; multis ex
partibus magna nobis displicentia nuntiatur vos adhuc in
confinando proposito perdurare ....; nolite esse in exitium
vestrae Reipublicae timidi, vel mimium. furiosi » scriveva ai
Perugini messer Livio Coluccio di Pier Salutati nel 1367 (1).
Molti, prima d’ esser citati dinanzi al podestà e quindi posti
in bando e pubblicamente condannati, preferivano di esulare.
Ce lo dice chiaramente un documento del 1385, nel quale
alcuni commissari, eletti sopra l' unione dei cittadini, r2cordaro

ai priori e ai camerlenghi che la giustizia « sia resuscitata

e rebandita perciò che fine al presente dì è stata morta e
sbandita . ....; Che de cose passate non se ragione più, e
che qui /in Perugia] non se chiame né biancho nè nero, ma

solo doie parte sieno nominate, l' una el popolo e la comu-

nità de quista cità sia una parte, e l' altra sia ei ribelglie e
tradetore de quisto comuno ....; /e che] se miuna persona
se fosse partito per lo sospecto e vuole tornare e essere con
noie, che se voglia recevere e abracciare e dare ordene che
con scegurtà se possano unire » (2).

(1) La cito dell'edizione di Giuseppe RIGAccIO, Firenze, 1742 (tom. IT, ep. XLV),
perché manca a’ primi due volumi editi dal NovaTti; né ho modo di verificare se sia
compresa nel terzo, testé uscito alla luce.

(2) Saggi del volgare cit., num. XII. — Un « Betto di Biagio di, Porta Santo
Angelo », venuto a mancare il « populare stato », esce di Perugia per « tema de la
vita » e và « per lo mondo diversamente e lungamente peregrinando » ; e nel 1398, il
25 d'aprile, si raccomanda ai Priori e ai Camerlenghi affinché non sia costretto « per
gle spedagle per lo mondo andare mendicando ». 0p. cit., num. XVI.


4

iii SO CIR

SI iii i

E Ap
P. TOMMASINI MATTIUCCI

Con ogni probabilità il Moscoli dovett' essere fra quelli.
Infatti in un luogo del suo Canzoniere, dove lamenta la
sfrenata libidine dell insaziabile lupo, dice d’ essersi cacciato a
dimorare di qua da Cantalupo. È questo un piccolo paese
della Sabina; e stando a ciò che dice il nostro poeta, egli si
ritirò colà a vita più tranquilla e più sicura di quella che
a lui fosse dato di condurre nel basso borgo di Perugia.

Laonde questo par di potere affermare; che Nerio non
partecipò ai pubblici uffici, o perchè, sospetto di favorire la
fazione ghibellina, ne fosse a bella posta tenuto lontano, o
perché amasse meglio di condurre un'esistenza pacifica e
quieta, fino ad esulare volontariamente in un remoto vil-
laggio (1). |

Ma per intender meglio quello che fosse la vita citta-
dina a Perugia nel tempo che quivi visse il nostro poeta e
per renderci maggiormente ragione di tutti eli elementi che
concorsero a formare l'arte di lui, diamo un rapido sguardo
alla storia privata e. politica di quel potente Comune durante
i secoli XIII e XIV. | |

Vediamo assai per tempo la poesia italiana allontanarsi
dall’ ideale cavalleresco, e alla maniera poetica di Francia,
cosi di quella in lingua d’ 07 come di quella in lingua d' oc,
.Sostituirne una propria : l’ ideale mistico, compenetrato e fuso

coll’ ideale amoroso (2). :

Cosi, appena nascente, strozzata nella sua originalità da
un'arte perfetta e dilagatasi nella nostra penisola per mezzo
dei giullari, dei trovieri e dei trovadori d' oltr' alpe (3), riac-
quista un' impronta nazionale, ed ha origine la nuova scuola
fiorentina, rinforzata dal movimento dotto che partiva da
Bologna. E il movimento religioso, che tanto doveva influire

(1) Forse il Moscoli scrisse alcuni dei suoi componimenti in esilio, tra i quali i

sonetti indirizzati a Uguccione. i
(2) G. PARIS, Romania, XIT, 522; cit. dal Gaspary, St. d. Le t.. 425.

(3) E. MONACI, Gli Italiani in Francia durante il medio evo. Roma, Tip. del-

l'Accademia dei Lincei, 1895, pag. 14.

4

re EE NERIO MOSCOLI 103

sul popolo e sull'arte sua, donde venue? Dall’ Umbria, e
precisamente da Perugia.

« Nel 1258 un vecchio eremita, frate Raniero Fasani,
abbandonato lo speco ove da anni dimorava, apparve im-
provvisamente in Perugia. Volgevano allora per tutta Italia
giorni torbidissimi. Le discordie cittadine, le fazioni dei Ghi-
bellini e dei Guelfi, gl’ interdetti e le scomuniche dei papi,
le rappresaglie di parte imperiale, le immanità dei nobili, i
contagi e la fame tenevano fortemente agitate le plebi e
spargevano negli spiriti arcane paure. La commozione s' ac-
crebbe in Perugia per la voce di quel solitario che dicevasi
mandato dal cielo a svelare misteriose visioni e prenunziare
alle genti tremendi flagelli » (1). Quell umile frate, oscuro
fino a pochi giorni inanzi, commosse sifattamente il popolo
colla parola e coll’ esempio, che una turba di uomini, di
donne e di fanciulli lo seguì litaniando e flagellandosi. E da
Perugia s’ allontanarono centeni, milleni decem milia quoque
per tutta la penisola. Cosi ebbero origine le prime Compa-
gnie di Battuti, i quali andavano cantando ad alta voce
« inni alla croce che sventolava trionfante sui gonfaloni,
guida dei loro pellegrinaggi » (2).

, In Perugia, adunque, sullo scorcio del secolo XIII la
corrente religiosa trovò la sua espressione nella /ugubre can-
zone dei penitenti, nelle laude, le quali coll' andare del tempo,
quasi ad agire più efficacemente sui sensi, di liriche che
erano, divennero drammatiche (3). Ed è naturale che lin-
flusso di questo commovimento si facesse sentire tanto più
potente nelle città che più erano vicine e che, infatti, die-

(1) E. MONACI, Appunti per la Storia del teatro it., in Rivista di filologia ro-
manza, I, 250. Cfr. anche F; GREGOROVIUS, St. d. Città di Roma, V, 375-18 ; G. MAZZA-
TINTI, La lezenda de Fra Rainero Faxano, in Boll. d. Società Umbra, a. II, fasci-
coli II-III, pag. 561-63.

(2) E. MONACI, Op. cit., pag. 251.

(3) E. MONACI, Aneddoti per la Storia lett. dei Laudesi, dei Disciplinati e dei
Bianchi nel medio evo, in Rend. d. R. Acc. d. Linc., vol, I, fasc. 2, febbraio 1892.

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- 104 : P. TOMMASINI MATTIUCCI

dero, alla religione e all' arte S. Francesco d'Assisi, Jacopone
da Todi, Tomassuccio da Foligno; trovatori di Cristo, giullari
di Dio che, assorti in celestiali vaneggiamenti, in paradisia-
che estasi dell' animo, per le città e le campagne andavano
cantando inni d'amore verso Dio; poetico contrasto alle
turbolenti fazioni che agitavano i Comuni italiani.

Per tal modo vediamo il sentimento religioso dar vita
a una forma dell'arte.

Ma Perugia fu un centro importante, oltre che di mani-
festazione religiosa, anche di vitalità politica.

Antichissima colonia. di Roma, continuava ad onorar
questa (anche divenuta pontificia) con pia religione di figlia
verso illustre madre e signora. Né il corso dei secoli, . che
tutto trasforma, aveva potuto. cancellare la sacra tradizione di
quella reverenza; tantoché nei documenti di diritto pubblico
e nei più antichi Statuti la «vediamo prestare omaggio ai di-
ritti del popolo romano, oltre a quelli del Papa; e all’ invoca-
zione dei Santi e. del Pontefice tener subito dietro quella
dell’alma mater Roma (1). Tradizione che dovette rimaner
viva anche durante il secolo XIV, se nel 1347, il 3 di agosto,
Cola di Rienzo, ai legati del Comune perugino, venuti a
Roma a prestare omaggio insieme ai rappresentanti di altre

città, donò il vessillo dell’imperatore Costantino, quasi a si-

gnificare il vincolo che fra Roma e Perugia esisteva, e se,
« designans syndico, eum desponsavit quodam annulo ef
dixit: vivat memoria Constantini et Perusini » (2). Questo
vincolo di origine fece si che i primi suoi podestà fossero
tutti, o quasi, romani (3). Così nel 1191 Stefano Carzullo,

(1) GREGOROVIUS, Storia della Città di Roma, V, 155-50.

(2) Cola di Rienzo, nel conferire uno stendardo a ciascun Comune rappresentato
in Roma, diede a quello di Perugia « stentale felicis memorie imperatoris Constantini »
(Epist , ediz. GABRIELLI, Roma, 1890, epist. XVI); nel quale era dipinta, come si legge

nel Chron. Estense (MURATORI, Rer., XV, 441, cit. dal Gabrielli), « unam Aquilam al- '

bam in Campo rubeo cum Orbe sub pedibus eius . . . ».

(3) Il VILLARI (I primi due secoli della Storia di Firenze. Sansoni, 1803, I, 141 e
152) avverte ehe nel 1200 in Firenze il podestà era di già un forestiero; ma che il primo,
vero e proprio, l'ebbe nel 1207 con Gualfredotto Grasselli da Milano.

b

ati
NERIO MOSCOLI 105

uno dei consules romanorum (1); nel 1199 quel Giovanni Ca-
pocci che fu per lungo tempo capo energico e temuto della
fazione democratica in Roma (2); nel 1209, 1210 e 1217 quel
Pandolfo della Suburra che, Senatore, resse con ferma mano
le parti del Papa contro il popolo nell’alma città (3); e nel
1216 quel Parenzo Parenzi che tre anni dipoi, essendo a capo
del Comune romano, invitò Federico II ad entrare a Roma
per coronarsi imperatore (4).

Sede prediletta di molti papi fin dalla prima metà del

secolo XIII (5), nel 1228 ospita, come già Innocenzo e Ono-

rio III nel 1216, Gregorio IX, che ivi, in quell’anno, cano-
nizza a santo Francesco d'Assisi; e di nuovo lo accoglie
nel 1235, fuggito da Roma insieme a tutti i cardinali per
timore della fazione popolare; ma invano le vengono da lui
richiesti aiuti contro l’alma mater (6); nel 1251 Innocenzo IV
che, tornato di Francia, non si fida d’entrare in Roma (1);
e da Perugia, il 3 agosto dell'anno dipoi, egli offre a Riccardo
d'Inghilterra la corona del reame di Sicilia; nel 1264 Ur-
bano IV, nel 1273. Gregorio X, nel 1284 Martino IV, che vi
muore: nel 1304 Benedetto XI che, mortovi anch'esso, viene
sepolto in S.. Domenico. Nel 1216 vede il conclave di Ono-

(1) GREGOROVIUS, V, 31.

(2) Op. cit., V, 31, 39, 109.

(3) Op. citi, V, 52, 97.

(4) Op. cit., V, 143. Questo scritto era già condotto a termine, quando nel primo
volume del Bollettino umbro videro la luce il pregevole Studio del prof. O SCALVANTI :
«Considerazioni sul primo libro degli Statuti Perugini »; e le Notizie, davvero pre-
ziose, del conte V. Ansidei « sui rapporti fra Roma e Perugia nel secolo XIII ». A
queste due monografie rimando volontieri chi amasse di conoscere meglio e compiu-
tamente in quale relazione con Roma e colla Chiesa si trovasse il Comune di

Perugia durante i secoli di mezzo. :

(5) Asilo preferito dei Papi durante i secoli XIII e XIV furono Orvieto, Viterbo,
Assisi e Perugia; ma più specialmente quest ultima.

(6) Op. cit., V, 193 e seg. — Ciò non contrasta col giuramento che fece nell’anno
dipoi il Syndicus perugino di difendere il Patrimonio di S. Pietro in Toscana e il Du-
cato di Spoleto. Cfr. Op. cit., V, 211, n. 1.

(7) Op. cit., V, 311.

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106 P. TOMMASINI MATTIUCCI

rio III, nel 1294 quello di Celestino V, nel 1305 quello, cele-
bre nella storia, di Clemente V (1).

Nel 1198 presta reverenza per la prima volta al papa (2);
ma poco dopo anela a liberarsi anche da questo vincolo, e
il Rettore pontificio a stento, nel 1220, la conserva fedele (3).
Nel 1221 fa per la prima volta omaggio a Innocenzo III
ehe, in cambio di ció, le conferma il suo Statuto Municipale.
Intanto peró, prima che in altre città, s'erano a Perugia
« formati dei sodalizi armati, con rettori e consoli alla testa,
che tentavano di costituire un reggimento democratico. La
fazione popolare promulgava Statuti contro la libertà del
clero, cui assoggettava a tributo, e combatteva contro i no-
bili e i cavalieri, irritata della non equa ripartizione delle
imposte. Giovanni Colonna, cardinale di Santa Prassede, man-
‘dato dal papa a Perugia con facoltà straordinarie, s' intromise
fra i partiti, e finalmente di.suo arbitrio soppresse le ASSo-
ciazioni delle maestranze nella loro forma politica; il suo
| decreto fu nell’anno 1223 confermato da Onorio » (4). Nel
1229 presta il suo aiuto a Siena contro Firenze (5); nel 1236
. promette di difendere per conto della Chiesa il patrimonium
b. Petri in Tuscia et ducatum spoletanum; nel 1242, il 12
marzo, si allea contro l imperatore Federico II per difendere
Roma (6); nel 1251, il 17 di aprile, le sono confermati da re
Guglielmo, in Lione, i diritti su Castiglion Chiusino e Città

(1) G. VILLANI, Cron., VIII, 80. Cfr. E. BoUTARIC, La France sous Philippe le Bel,
liv. V., chap. II; A. REUMONT, Arch. st. it., XI, disp. I; cit. da I. DEL LUNGO, in Cron.
di Dino, II, 301, n. 2.

(2) Tuttavia ebbe salva la giurisdizione cittadina e l'elezione dei consoli. Cfr. P.
PELLINI, Historia di Perugia, I, 220; A. MARIOTTI, Saggio di memorie istoriche ed ec-
clesiastiche della città di Perugia, Perugia, Baduel, 1806, T, 62; GREGOROVIUS, Op. Cit,
V, 35. ij^

(3) A questo proposito tuttavia si noti che se la signoria dei papi fu in Roma,
come vuole il GREGOROVIUS, Op. c't., V, 30, nulla più che un titolo di autorità, a
maggior ragione ciò dovrà dirsi di Perugia.

(4) GREGOROVIUS, Op. cit., V, 154.

(5) G. VILLANI; Cron., VI, 6.

(6) GREGOROVIUS, V, 248-49.

RE VARIA It SS

e a a o” e$ n

NERIO MOSCOLI È 107

della Pieve (1); nel 1253 viene ammonita dai Romani di non
dar più a lungo ricovero al papa, giacchè lo volevano in
Roma (2); nel 1258, il 28 dicembre, riceve in cessione da
papa Alessandro IV la contea di Gubbio; e pochi giorni dopo,
l’undici gennaio del 1259, ne riceve lettere imploranti: soccorso
contro Manfredi; nel 1265, il 22 di febbraio, assiste nel duomo
alla consacrazione di papa Clemente IV, di fresco venuto di
Francia (3); e l’anno dipoi ospita entro le sue mura i messi
di Carlo d'Anjou, che recavano lettere al papa, annunziatrici
della vittoria comune riportata a Benevento sopra l' infelice
Manfredi; per festeggiar la quale ode le campane della città
suonare a distesa (4). Nel 1281 invia cento cavalieri, sotto
il comando di messer Giacomo del Giachine da Perugia, con-
tro Guido da Montefeltro ribelle della Chiesa, e dipoi altri
cento sotto Ugolino da Castiglione (5). Nel 1294 entrano in
Perugia il re di Napoli e il re d’ Ungheria, che vengono
fatti alloggiare in S. Domenico, e le loro Corti e i sol
dati in Borgo S. Pietro e S. Savino (6); nel 1297 papa Bo-
nifazio manda a Perugia il vescovo di Cagli con un breve,
per domandare aiuto contro i Colonnesi, e viene a lui con-
cesso in cento cavalli, guidati da Ciuccio Montesperelli (7);
nel 1301 ne manda altri duecento 2» servizio di Carlo di
Valois (8) Tre anni dopo ospita entro le sue mura il po-
tente messer Corso Donati insieme con altri dodici capo-
rali de’ reggenti il Comune fiorentino, citati da papa Bene-
detto XI a render ragione dell'oltraggio fatto dai capi di

(1) Op. cit., V, 310, n. 1.

(2) OD. cit., V, 310.

(3) Op. cit., V, 408.

(4) Op. cit., V, 446. Cfr. G. VILLANI, C70N., VII, 9.

(5) G. VILLANI, Cron., VII, 80.

(6) P. PELLINI, Hist. d. P., I, 314, cit. dal MaRIOTTI, Saggio di mem. I, 226
(7) A. MARIOTTI, Op. cit., I, 229.

8) Dino Compagni, II, 9: « Vennono i Lucchesi, dicendo che veniano a onorare



omo

il signore; i Perugini con CC. cavalli ». Cfr. Brevi Annali di Perugia dal 1194 al 1352,
in Arch. st. it., s. I, t. XVI; I, 5; cit. anche da I. DEL LuNGO, II, pag. 257, n. 8.

— NES.

Eb, RERUM

Foie ttem i "rin e

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108 P. TOMMASINI MATTIUCCI

parte nera al Cardinal da P 'ato, paciaro in Firenze. per
Benedetto (1). Nel 1310 va contro Spoleto, dove i Guelfi erano
stati cacciati dai Ghibellini imbaldanziti per la calata di
Arrigo VII, e li rimette in città (2). Nello stesso anno ha
saccheggiato e incendiato il contado dalle soldatesche di Ar-
rigo VII (3); dopo il qual fatto forse, o poco prima, assolda
Gentile degli Orsini da Roma con duemila fiorini di salario.
Diviene poi alleata di Firenze contro Uguccione della Fag-
giuola (4). Nel 1320 la vediamo combattere e vincere i Ghi-
bellini di Assisi (5); nel 1324 prendere di nuovo Spoleto dopo
un lungo assedio (6); nel 1327 far pace con Città di Castello,
che era sotto la signoria dei Tarlati d'Arezzo (7); e nello
stesso anno assoldare Ricciardo Inglese per muovere contro
Castel della Pieve, Nel 1335 ha per cinque di guasto e «rso
il contado dagli Aretini, i quali « furono infine alle forche di
Perugia presso alla città per due miglia; e per diligione

de’ Perugini v'impiecaro de’ Perugini presi colla eatta o vero
: (©) [eo] [w]

muscia [rete] “al lato, colle lasche del lago infilzate pendenti
dal braghiere degl’impiccati »; e subito dopo il Comune pe-

(1), D. COMPAGNI, Cron., IIT, 9. Cfr. anche Bolla del 23 maggio in RAYNALDO.

(2) G. VILLANI, Cron., IX, 6; 38.

(3)« De Tuderto intravimus Comitatum Perusinum. Nec recordor, me unum
solum Citramontanum vidisse, cui placeret illa via, non compatientes Perusinis, quos
una cum Bononiensibus supra modum odiunt propterea ea, quae fecerunt contra Im-
peratorem . . . . Dominus Impérator....in multislocis illum Comitatum destruxit,

et multa damna bonorum temporalium eis intulit. Non credo, quod aliquis fuerit ibi .

mortuus, quia omnes fugerunt, exceptis illis de Marchano [Marsciano], qui omnes
sunt inventi, quia primi, et omnes per ignem destructi et per spolium ». Relatio de iti-
nere italico Henrici VII imp. ab anno MCCC X usque ad annum MCCCXIII ad Cle-
mentem Y Papam, auctore NICOLAO EPISCOPO BOTRONTINENsI ; in Aer. It. Scr., IX, 923,
B e C; e, semplice ristampa, in BOHMER, Fontes rer. Germ. :

; (4) G. VILLANI, Cron., IX, 71. j

(5) Op. cit., IX, 104.

(6) Op. cit., IX, 207, 244.

(7) Op. cit., X, 51 « .. . si fece acordo da Perugini alla Città di Castello, rima-
gnendo la signoria di Castello a’ Tarlati d'Arezzo e a’ figliuoli di Tano degli Ubaldini,
che n'erano signori, e alla parte ghibellina, rimettendo nella città certi usciti guelfi
e parte rimanendo a’ confini... E ciò feciono i Perugini-perch? erano molto affannati
della detta guerra, e per la venuta del Bavaro male potuti aiutare da' Fiorentini e
dagli altri Toscani ».

—O— T
NERIO MOSCOLI . 109

rugino, molto aontato, non come gente sbigottita e sconfitta,
prende al soldo Orlando di Luchom, già marescalco del re
Giovanni di Boemia, con mille cavalieri tedeschi (1); e toglie.
per forza Arezzo ai Pietramala; guerra che si rinnova l'anno
dipoi e finisce nell'aprile del 1337 colla pace fra i Tarlati e
Perugia, a pié del Campanile di S. Lorenzo, che vede sotto
di sé i sindaci di Firenze, di Arezzo e di Perugia baciarsi
in bocca, come pegno di amicizia vera e durevole (2).

Né meno frequenti delle guerre colle città vicine erano
i commovimenti interni, tra nobili e popolani. Dell'un partito
erano a capo i Vencioli e gli Oddi, dell'altro i Baglioni (3);
collisioni di famiglie, inimicizie di parte che seco portavano
continuamente zuffe, uccisioni, esili (4. E mi pare che i due
documenti addietro citati ci rispecchino abbastanza fedel-
mente le condizioni interne del Comune perugino nella prima
metà del secolo XIV. La giustizia morta e sbandita, i priori
e i camerlenghi usurpatori talvolta degli uffici propri al po-
destà e al capitano del popolo; i cittadini proscritti in gran
numero, o fuggiti per tema della vita: tutto ci mostra come
il Comune guelfo di Perugia stesse alla pari con quello di
Firenze e cogl'altri molti d'Italia nelle condanne e nelle
proscrizioni (5).

(1) Op. cit., XI, 28. Erano detti « i cavalieri della colomba, peroeché s'erano ri-
dotti alla badia della Colomba in Lombardia ».

(2) Op. cit., XI, 25, 48, 59-61.

(3) Le rivalità fra gli Oddi e i Baglioni possono paragonarsi, anche nelle conse-
guenze, a quelle dei Cerchi e dei Donati in Firenze.

(4) Le memorie del tempo sono piene di fatti che si riferiscono all’ infierire delle
fazioni in Perugia. Particolare, notevole n° è l'aver ricorso, per impedire il troppo
rapido propagarsi dei tumulti, alle catene di ferro, che si posero da prima alle porte
della città, poi nelle vie, e infine nelle piazze. Vedi APPENDICE; n.0 V.

(5) II Boccaccio così descrive in un' epistola le condizioni interne del Comune
fiorentino: « Verum nescio utrum dicam ducamur, an trahamur a fatis an potius
volentes obviam eamus exitio! nil boni, nil justi, nil fidei, nil consilii livor edax, at-
que habendi cupiditas saeva nostro liquere Senatui reliquisque ». Ediz. CORAZZINI,
pag. 40. Vedi anche la vigorosa invettiva di GUITTONE D'AREZZO: « Infatuati miseri
Fiorentini! .. » e la Canzone per la battaglia di Monteaperti : « Ai lasso, or é sta-
gion de dolor tanto ». E. MoNAcI, Crest. it., 175-79 e 180-82.
V rr

110 P. TOMMASINI MATTIUCCI

Ma i Perugini, benché dediti alle armi e sempre in
mezzo a intestine discordie, erano inchinevoli ai piaceri e
ai sollazzi, pronti al motteggio e al viver libero e giocondo.

Inanzi tutto si noti come gli stessi ufficiali del Comune,
sebbene guelfi, non amassero troppo l’ ingerenza papale,
tanto che fin dal 1296 un capitano del popolo, Rolandino
Pozzali, invano venne fatto segno all’ ira di Bonifazio, perche
male se gessit contra clericos. Sebbene gli fosse intimato dal
papa, per mezzo del vescovo di Perugia, di comparire inanzi
al trono pontificio, il Generale Consiglio risolvette di non ab-
bandonare la difesa del preteso colpevole (1).

Dello spirito scherzoso e talvolta aspramente motteggia-
tore dei Perugini ci fa fede una curiosa memoria, nella quale
‘sì dice che essi nel 1282, scomunicati da papa Martino IV
per essere andati contro Foligno, città della Chiesa (2), fe-
cero una specie di rappresentazione figurata della Corte
Papale in forma di fantocci di paglia: « fecerunt sibi Pa-
pam et Cardinales de paleis, et traxerunt eos per totam ci-
vitatem opprobriose, et traxerunt eos ad quemdam montem,
et in cacumine montis combusserunt similiter dicendo: iste
est talis Cardinalis, et iste est talis » (3). In un documento

(1) A. ManiorTI, Saggio di mem. cit., I, 228. Per le controversie fra il Comune
e il Clero in Firenze, vedi le ampie e particolareggiate notizie che ne dà il DEL Lungo
al capo 39 del vol. 10, parte 1a, del suo Dino Compagni.

(2) ..:.. Perusini fecerunt exercitum contra Folignum, Papa Martino eisdem -
prohibente, quod non facerent; propter quam caussam gravi excommunicatione eos
punivit; sed non destiterunt a proposito, quousque fuerunt ipsius Civitatis muri de-
structi. Inde redierunt posteà ad mandata Martini Papae, et se pro delicto redeme-
runt magna summa pecuniarum. Reconciliatis igitur sibi Perusinis, vadit illuc, et
cum magno honore ab illis suscipitur anno Domini MCCLXXXII ». PTOLOMAEI LUCEN-
SiS ord. praed. ep. postea, Torcellami Hist. Eccl. a nat. C. w. a. ann. c. MCOCXII;
in Rer it. scr., XI, 1187, C.

(3) Memoriale Pot. Reg., Gest. iis temp. a. 4154 usque ad a. 1990. Auct. ANO-
NIMO REGIENSE......; in Rer. it. scr., VIII, 1151, E. Il passo da me riferito si. trova
cit. anche a pag. LXV della prefaz. del BonaINI alle Cronache di Perugia (Arch. St.
cit.); ma cosi sconciato, da non cavarsene più senso alcuno. È del pari errata la data
‘del 1297, ché Martino IV mori a Perugia nel 1285, il 24 marzo,narrasi per una indige-
stione di anguille del lago di Bolsena. — Il GREGOROVIUS (Op. cit., V, 564, n. 1, 508) lo fa
morto il 28 marzo 1285. Cfr. G. VILLANI, Cron., VII, 106.
NERIO MOSCOLI 111

del 15 settembre 1343 si legge come le donne, nell'andare

alle perdonanze, dovessero spesso soggiacere, in chiesa e
fuori, ad essere baciate, abbracciate, pizzicate e fatte cadere

in terra, finché si senti il bisogno d'includere una rubrica .

negli Statuti del. Comune per rimediare à questo sconcio (1).

Gli stessi monasteri non andavano esenti dagli attentati
di libidine; e pare che le seduzioni, i rapimenti di monache
fossero frequenti, giacchè è rimasta memoria di pene che
andavano dalle cinquecento libbre di denari per chiunque
« seduxerit aliquam religiosam manentem in aliquo mona-
.Sterio et de monasterio extraxerit » o « actentaverit ponendo
scalas ad fenestras vel murum monasterii. vel hostium fran-
gendo vel aperiendo » alle mille, « si quis per vim aliquam

(1) « Conciosiacosa he.... [siano fatte] molte engiurie e contumelie, detracta-
tione, violentie e offese ale femmene, cusi citadine, contadine e districtuale co etian-
dio che forestiere ad essa perdonanza andante e andare volente, cusi en la dicta
chiesa come de fuore dela dicta chiesa, e enn andando stando e retornando en molte
mode se facciano, toccando cioé desonestamente, basciando, stregnendo, abracecando,
pizecando, gle pangne de capo levando, esse femene cadere facendo ad essa chiesa
andante, e d'essa partentese, overo ad essa scontrando e non permectendo esse alla
dieta perdonanza andare, e d’essa-partire liberamente, statuimo che quignunque
le predicte cose overo alcuna dele predicte cose commecterà overo farà, sia punito
per la podestà overo capetanio en cinquecento libre de denare peroscine piccioglie,
da dare e pagare al masaio del comuno de peroscia per esso comuno recevente . .
Ma se parole disoneste overo engiuriose ad esse femene dirà, sia punito en cento
libre de denare ». Soggi d. volg. per. cit., n. III. Ma sembra ehe, non ostante questa
grida, si continuasse nel mal vezzo. Invero, troviamo ripetuta la stessa rubrica nella
redazione latina degli STrATUTI, vol. I, r. 39: vol. III, r. 78 e 87, alla volgare posteriore
di molti. e molti anni. In quella anzi si legge di più, che nel tempo delle indulgenze
« nullus iuvenis etatis a. XV. annis supra usque ad. XL. possit residentiam facere seu
ad vaghegiandum » nella Chiesa o nel chiostro, donde doveva subito uscire appena
fatta l'oblazione, e starne lungi « decem passus » ; né poteva trattenersi durante l'uf-
ficio divino « in parte ecclesie in qua stant mulieres » sotto pena di dieci libbre di
danaro per ogni volta. — Per chi fosse vago di raffronti storici, noto come a Napoli
il re Roberto punisse colla morte chi in quella città baciasse una donna; come piü
tardi il viceré de Rivera ciò estendesse, colla Prammatica de osculantibus mulieres,
a tutto il regno (Opusc. danteschi, Lapi, 1894; VIII, pag. 58); e come a Roma nel
secolo scorso fosse in vigore un bando dal titolo: Bagio in publico a donna honesta,
« pel quale il reo di questo delitto cadeva nella pena della galera in perpetuo, da
estendersi a quella della vita e della confiscasione dei beni, ad arbitrio di Sua Emi-
| nenza » (C. CONTI, Un po’ di Roma. nel sec. passato. Roma, Forzani, 1802; pag. 33).
Cfr. anche G. LuMBROSO, Mem. it. d. buon tempo antico. Torino, Loescher, 1889;
pag. 232-39.

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de monasterio rapuerit » (1). Né fuor di luogo 6 il ricordare
quel Pietruccio da Perugia, che abbatte e spezza l’immagine
di Cristo, a pagamento delle promesse per denari che un prete
gli avea carpiti (2). Un'altra memoria del tempo (1359) ci
dice che le meretrici in Perugia erano abbastanza numerose
e così poco ossequenti alla legge, da farne, una gabella a
parte, la quale, come tutte le altre, trovava i suoi compara-
tore (3). Nè in minor numero erano quelle male femmine
che « suo facto vel opere » trascinavano al vizio le donne
oneste; e, scoperte, venivano portate in giro « capite tonso
s... per totam civitatem et burgos perusie » e pubblica-
mente bastonate, se pure non erano bollate e non veniva
loro tagliato un orecchio (4). E c' è da credere che il popolo,
follegeiando e ridendo, con quel savio discernimento che
spesso lo: distingue, le circondasse di scherni e di schia-
mazzi. A quelle facevano onorevole compagnia le concubine,
le quali erano del pari fustigate pubblicamente e messe « ad
confinia per tres annos extra civitatem et comitatum peru-
sie » (5). E negli Statuti troviamo spesso ripetute le pene
contra vitium sodomiticum,.le quali, da una multa di duecento

(1) Stat. Perus., vol. HI, r. 86. Cfr. G. P. MOLMENTI, La Storia di Venezia nella
vita privata. Torino, Roux, 1885; pag. 396 e segg.

(2) F. SACCHETTI, Novelle, CXXXIV. — Questo fatto sembra accadesse nei primi
del trecento.

(3) « Inprima che niuna meretrice forestiera la quale el corpo suo averà desposto
a carnale cupidità per cagione de recevere guadagno, né alcuna piubeca meretrice
dela cità overo contado de Peroscia, la quale piubbecho e palese a onne persona in-
diferentemente cometesse el corpo suo per quisto guadagno fare e recevere, possa
‘ stare et habitare o demorare ella cità borghe o soborghe de peroscia se no solamente
ello luogo dicto mala cucina elle case poste ello dicto luocho sotto pena de XXV li-
bre de denare, la quale pena el Capetanio el Podestà e ciaschuno altro oftitiale dela
cità de Peroscia defacto tollere possa. » (Saggi d. volg. cit., n. VI: « Contratto della
vendita della gabella del postribolo . . . »). — Il FABRETTI pubblicò nel 1885, in una
- edizione di soli ventiquattro esemplari,coi suoi tipi privati, vari documenti sulla pro-
stituzione in Perugia nei secoli XIV, XV e XVI; e nel 1890, sempre ‘cogli stessi tipi,
ne mise fuori, in maggior numero d'esemplari, una seconda edizione accresciuta. A.
me non fu dato di vedere né l'una né l'altra.

(4) Stat. Perus., III, r. 88.

(5) Op. cit., III, r. 83. Cfr. L. ZDEKAUER, La vita privata dei Senesi nel dugento.
Siena, Lazzeri, 1896, pag. 21.

yUUEMUUURIN RT Ux
NERIO MOSCOLI 113

libbre di danaro, andavano fino alla pena della crema-
zione (1).

Quanto i Perugini si dilettassero in giuochi e in sollazzi,
talvolta singolari, ci fa fede il sapere come nel 1335, sotto
le porte della vinta Arezzo, facessero correre il palio a un
gran numero di meretrici colle vesti alzate fino alla cintura,
e le portassero poi a Perugia, tutte vestite di rosso, sopr:
cavalli, e col palio in mano, quasi trofei di vittoria (2).

Un giuoco detto la sassaiola ed eretto quasi ad istitu-
zione, a ginnastica guerresca, si usò in Perugia fin da tempo
remotissimo (3); e sembra venisse fatto nell'epoca che corre
dal primo maggio a mezzo giugno (4) Rassomigliava una
finta battaglia fatta con sassi, finchè venne permesso solo
« cum nive vel herbis vel pomis non offendibilibus » (5).
Vi prendevano parte talvolta fin due mila cittadini; vec-
chi, giovani, fanciulli; e spesso ci morivano più persone (6).

(1) Op. cit., TII, r. 18 e 214.

(2) « Adi 12 de novembre nel dicto millesimo le gente del comuno de Peroscia
puse campo et oste al domo de la cità de Arezzo, et dettero la bataglia alla terra:
anco ce fecero currere el palio denante a la porta de Arezzo dale p... alzate fina
alla-cintura-. .. .. Adi 17 de novembre nel dicto millesimo . . ... revennero le
p...,le quale avevano corso el palio ad Arezzo, et vennero tutte vestite de roscio,
esse e gli cavalli loro; et recaro el dicto pallio ». Così il GRAZIANI, Op. cit., pag. 113.
— Agli Aretini non dovette sembrar cosa nuova il pallio corso sotto le loro mura.
Basti ricordare quello de' Fiorentini, tredici giorni dopo la battaglia di Campaldino
(G. VILLANI, Cron., VII, 132), anche se col Del Lungo (Dante ne’ tempi di Dante, pag. 167)
non vogliamo che a questa usanza alludano i versi 4-12 del ventiduesimo dell’ In-
ferno, « Corridor vidi per la terra vostra, ovAretini:/. +: ».

(3) L. BoNazzi, St. di Perugia dalle origini al 1860. Perugia, V. Santucci, 1875,
II, 564-07.

(4) Stat. Perus., III, r. 124.

| (5) Op. cit., III, r. 124, additio. — Questi pubblici esercizi, che servivano nello
stesso tempo di sollazzo e di addestramento alle armi, furono nel medio evo comuni a
quasi tutte le città italiane. Cfr. P. G. MOLMENTI, La Storia di Venezia nella vita
privata, cap. V.

(0) « ... nullus audeat vel presumat portare tempore praelii de campo bacta-
lie in ipso campo seu supra murum vel alibi ubi dictum praelium contigeret fieri
aliquam plumbaiolam vel mazzam ferratam vel ferream vel metalli sub pena. C. libr.
den. pro quolibet contrafaciente ; possint tantum portare mazzam ligneam targiam
tabolatium pavesem gambarolos et bracciaiolam bastonem vel tacconem gamberias
barbutam cum maglis elmum clausum et omnia arma consueta portari ad dictum

praelium », Op. cit., III, r. 124, à
114 P. TOMMASINI MATTIUCCI

. Vi presiedeva la Compagnia del Sasso; e « pare altresì
che questa Compagnia, oltre al giuoco d'infilzare coll'asta
un anello sospeso galoppando a cavallo (Aastiludentes amulo),
‘ne eseguisse maestrevolmente altri molti, poichè troviamo
negli Statuti che essa riceveva sei fiorini e ventisette lib-
bre di denari per celebrare i giuochi (pro ludis celebrandis)
nel di della festa di S. Ercolano, mentre aveva soltanto una
libbra di denari una Compagnia minore per i giuochi della
festa di Monteluce » (1).

Cosi ci rimane memoria di sollazzi privati e di giuochi
pubblici. Di questi ci dà un'altra testimonianza il Graziani,
‘ quando ci parla di giostre che il Rettore dello Studio do-
veva fare al tempo della sua elezione; e a causa di queste
spese si crede che gli Statuti del Comune a lui fissassero
nel 1366 un salario di « viginti quinque florenos auri » (2.)
Ne gli « scolares perusini studii » si mostravano da meno
del loro Rettore; ché si ha memoria nel Maturanzio di fre-
quenti e variati giuochi che essi facevano negli orti di Brac-
cio Baglioni in Porta S. Pietro (3).

(1) Bovázzr, Op. e loc. cit. — Nella Cron. del GRAZIANI si ha ricordo di zuffe
avvenute tra la Compagnia del Sasso ed.altre : « Adi 24 de febraio [1389] f-ce briga
la compagnya del Ceruglio con la compagnia del Sasso e dei Grifonceglie lì al pozzo
di P. S. Agnolo, dove che ce fu ferito a morte uno garzone de P. S. Pietro; per (anto
che ogni homo se credette che la città gisse tutta a rumore, Et adi 25 de febraio le
ditte compagnye vennero in piazza; onde che li magnifici signori Priori molto se
operavano per far lo' fare la pace. In questo venne la compagnya de Grifone verso
quella del Sasso, gridando: — Amaza amaza ! ma usciero da canto una matta [turba]
de becarini de quelli del Sasso, quali comenzaro a gettare li sassi, et. p.i misero
mano a le spade e alle bergamasche : in gram quantità, con grandissimi strida, an-
darono verso quelli del Cerugiio, de modo che li cacciaro dalla piazza » (pag. 233).

Il FABRETTI, iu una nota allo stesso Graziani, pag. 139, n. 1, dice che « il. Co-
mune soleva spendere ogni anno 150 libre di denari per la caccia del toro e pel
giuoco dei sassi »; e che questa usanza aboli nel 1426 il governatore Pier Donato, a
istigazione di Fra Bernardino, erogando quella somma in tanta cera ‘per la festa di
S. Ercolano.

(2) « Adì 2 di giuzno [1437] se fece una giostra in piazza: la spesa la fece il
rectore nuovamente eletto de io studio, chiamato meser Giapeco da Spolete; e quello
che aveva l'onore della giostra guadagnava braccia otto de velluto azurro figurato,
e braccia diece de rosato ». Cron. d, GRAZIANI, pag. 419.

(3) G. B. VERMIGLIOLI, Bibl. st.-perug. Il Rossi, Giorn. d, Erudiz., IV, 324-25,
pubblicò due documenti del 1323, in uno dei quali si parla di aste servite per la
NERIO MOSCOLI 115

Ma le feste più splendide, più sontuose che si vedessero
, in Perugia, erano quelle che il Comune dava a sue spese,
specialmente in onore di qualche ospite potente.

Nel 1326, all'ultimo di giugno, « venne in Perugia mes-
ser Carlo duca di Calavria con molta gente; gli donò il co.
muno di Perugia una coppa entro DC fiorini, a la moglie
una coppa entro CCL fiorini, et a messer Filippo despoto di
Romania una coppa entro CC fiorini . . . . Fu giuocato a
onore della sua venuta: LXXV giuocatori ebbero dalla. Ca-
mera del Comuno et per ciascuno di loro fiorini quattro » (1).

Nel 1393, per la pace fra i Raspanti e i nobili, fu « fatta

una gran festa, massime delle donne, le quali andarono bal-

lando per la città di porta in porta. La qual festa. duró
molti giorni » (2) Per la venuta della moglie di messer
Giannello, fratello di Bonifazio IX e signore di Perugia,
« tutti li priori e camerlenghi e tutte le donne da bene
ballando e sollazzando andarono con lei sino al palazzo. del
Podestà dove stava messer Giannello » (3).

Ma una descrizione particolareggiata e minuta di pub-
bliche feste ci è data da un cronista anonimo, le cui parole
meritano di essere riportate integralmente: « Entrò /la sposa
di Biordo Michelotti] per le due porte con un vestimento
d'or tirato con molte gioie in testa: davanti a lei andavano
tre paia di cofani et sei donzelle con loro vestimenti di
drappo, per servigio di detta madonna. . .. Ella portava in

festa del dottorato degli scolari, e nell'altro di un astiludio celebrato ad onore di
uno spagnolo dottorato in Canonica.

(1) GRAZIANI, Cron. cit., a, 1320.

(2) Suppl. IV al GRAZIANI, pag. 257. — Nelle Mem. di P., ed. dal FABRETTI, I,

50, si legge : « del mese de giugnio [1313] fu fatta la pace tra' Raspanti e gentil’ huo-
. mini in Deruta, per mezanità del Papa... Il primo di lugiio, et alcuni scrivono il
secondo, rientrarono gli usciti in grandissimo numero ».

(3) Suppl. V al GRAZIANI, pag. 257. — Un anonimo, le cui Mem, di P. dalla.
1352.«l 1898 si trovano nel vol, I delle Cron. ed. dal FABRETTI, Torino, 1887, ac-
cenna alle feste fatte per la venuta di Bonifazio IX: « i Priori e Camerlenghi si ve-
Stirono di scarlatto e ballarono per tutta la città. Si fece gran festa per lo contado
ancora » (pag. 49).

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116 P. TOMMASINI MATTIUCCI

capo una ghirlanda di sparaci: venivano con esso lei a cavallo
messer Chiavello, signor di Fabriano, gl’ imbasciatori di Ve-
nezia e di Fiorenza. Tutte le gentil donne onorate le si fe-
«cero incontro ballando, vestite a porta per porta secondo la
sua divisa, et quelle che non erano atte a ballare: andavano
dietro. La comunità di Perugia, perché si facesse più bella
festa, donò ad ogni compagnia diece fiorini d’oro. Innanti
ci era una gran moltitudine di trombe, le quali sonavano
di maniera ch’ invitavano ciascuno a far festa: la quale fu
tale che fu fatto un bando che durante detta festa non si
aprisse bottega alcuna; che fu per lo spazio degli otto giorni

detti di sopra. Fu fatta la mensa per li signori di S. Lorenzo

nella sala papale, et intorno a detta sala vi erano collocate
assaissime tavole, et eravi il luogo a posta per le torcie.
La tavola di Biordo era in capo a detta taola più eminente
dell'altre. . . . Alle quali tavole furono per ciascheduna fiata

| posti trecento taglieri. . . . . Oltra questo ci furono moltis-

sime donne che si vestirono della divisa di Biordo; et tutte
quasi fecero tre vesti per ciascuna, et andavano ballando
per la piazza. Il mercordi si giostró una barbuta con larmi
del Comune dietro, cioè il Grifone. . . . . et giostrar di con-
tinuo fino a notte; onde fu duopo adoprarci le torcie. . . .
Fu una festa solenne » (1).

Di ricco e splendido seguito amavano circondarsi i magi-
strati perugini nell'uscire di palagio: « Erano quattro tavolac-

(1) Cron. d; città d. P. ed. da A. FABRETTI, I, 54-46, — Il passo ora citato ne riporta
al 1397; e il MATARAZZO (Arch. st. it., loc. cit. pag. 105-12), descrivendoci minutamente
le feste davvero sontuose per l' ingresso in Perugia nel 1500 di una figlia di Giovauni
Colonna e di Giustina Orsini, andata sposa ad Astorre Baglioni, ci mostra come il
lusso dei gentiluomini perugini andasse sempre crescendo : « Era el magnifico meser.
Astorre tutto vistito a oro dal capo in sino ai piede. .... et aveva una ricchissima
collana de oro massiccio ... quale li aveva donata la signoria de Venezia. Et anco
sua donna aveva tutti suoi vestimenti d'oro, cum maniche de seta brustate de ric-

chissime perne ; et similmente la testa aveva tutta coperta de perle... ..... , La è

sposa fu messa'in uno letto ricchissimo, nel quale, tra l'altre cose, era uno panno
de sopra fatto a liste d'oro e de seta vermeglia; e tutte quelle liste de seta eran ful-
cite e brustate a ricchissime perle ». i
-—

NERIO MOSCOLI AI Bri

cini, l' uffizio de’ quali era andare innanzi a li signori Priori
usciendo di palazzo, portando un rotellino piccolo in mano
in forma di brocchiere, tutto depinto, col grifone in esso. Sei
trombettieri, ciascuno col suo cavallo... (1); nei giorni so-
lenni sempre andaveno avanti il magistrato, con .. sei trombe
d'argento .... (2). Et ancora, d'ogni tempo et in ogni di, a
ora di pranzo e di cena del magistrato, sonaveno due volte
& le fenestre del palazzo verso la piazza; una innanzi e l'al-

"tra dipoi levate le mense. E con esse si sonaveno i naccarini

da un naccarino; i quali erano di rame stagnato, a guisa
d'un mezzo guscio d'ovo vacuo, insieme congiunti, coperti
di sopra con carta pecora ben tirata; ne la quale battendo
con bacchette di legno, rimbombava il suono a guisa di.
tamburo, che faceva quasi tenore al suono de le trombe;
con li suoi pennoni d'ermesino rosso, con l'insegna del: gri-
fone, tanto a le trombe quanto ai naccari (3). Vi: staveno
ancora, quattro sonatori di pifari, et un sonatore di trombone;
i quali similmente sonaveno a le fenestre del palazzo doppo
i trombetti, tanto la mattina, quanto la sera; e ne l'andare
fuora il magistrato i di solenni, medesimamente andaveno
sonando avanti il magistrato .... Teneveno ancora un car-
tarino, e si eleggeva un buono e dotto musico, e sonatore
di diversi istrumenti » (4).

Chi erano i cantarini, e quale ufficio avevano? « Erano

costoro uomini dotati di una quanto men generale, tanto più

(1) «... omnes teneant eques continue eorum rischo et fortuna . . . ; et ipsi
eques signati esse debeant ad signum tube ». St. Perws., I, r. 183.

(2) Così parla dei trombettieri, o banditori fiorentini, Jo Statuto del Podestà
del 1324 (I. DEL LunGo, Dell’esiliv di Dante, pag. 90): « ... bannitores debeant ha-
bere tubas argenteas, et lubare semel ante quam banniatur' . .. ; et ipsas tubas ipsi
bannitores habeant et habere debeant de ipsorum proprio ». 3

(3) Tauto i trombettieri quanto il naccarino avevano ciascuno cinque fiorini
d'oro al mese, « si ronzinum retinuerint; et si ronzinum non retinuerint, ad rationem
trium ílorenorum ». Stat. Perus., I, r. 494,

(4) La guerra del sale ossia racconto della guerra sostenuta dai Perug.
contro Paolo III nel 1540 tratto dalle mem. ined. di G. DI FROLLIERE ed. p. cura
di F. BONAINI con (A. di X, FABRETTI e F, POLIDORI; in Arch, st. it. cit., pag. 451-53.
[oe

118 E |P. TOMMASINI MATTIUCCI

pregiata attitudine al suono degli strumenti, al canto melo-
dico, e alla improvvisazione .e recitazione pratica; e che di
queste virtù loro servivansi a ricreare i grandi e sollazzare
il popolo » (1). : ;

A Perugia i canterini, eletti dopo pluribus colloquiis fra
i magistrati, misso et posito diligenti partito, e retribuiti col
denaro pubblico, avevano l'ufficio di rallegrare cantilenis et
pulsationibus 'animo dei Priori e dei Camerlenghi abbattuto

4nultis melanconicis cogitationibus. Per trovarne, il Comune

mandava dei corrieri apposta a Siena, Arezzo, Città di Ca-
stello, Cesena, e il più frequentemente a Firenze, « che do-
veva esserne, per cosi dire, la cava piü ricca e pregiata ».
Dovevano essi seguire i Priori, quando uscivano da Palazzo,
e accompagnarli sempre nelle solenni funzioni, cantando e
sonando. Vestivano coi colori e coll’assisa del pubblico; e
mentre nei primi tempi ci si mostrano ricreatori unicamente
dei Signori, in seguito cominciarono a cantare in piazza, di-
venendo cosi l'ufficio loro « quasi una scuola di buon costume

.e di amena coltura, dai provvidi magistrati aperta all’ intera

cittadinanza » (2).

Dallalto del Palazzo comunale lo splendore e il fasto si
riflettevano a colori non meno smaglianti nel popolo, del cui
lusso, talvolta smodato, ci sono rimaste copiose testimonianze.

Fra queste, importantissimi sono gli Statuti Suntuarij della

(1) A. D'ANCONA, I Canterini del antico Comune di Perugia, in Var. st. e
lett. Milano, Treves, 1883, serie I, pag. 43. — Per le fonti di questo geniale Studio
vedi A. Rossi, Mem. di mus..civ. in Perugia nei sec. XIV e XV, in Giorn. d’ Erud.
Art., IT.

(2) A. D'ANCONA, Op. cit., pag. 49. — Uno Studio sui canterini, pregevole per
ricchezza di particolari e di notizie nuove, é quello di F. NovaTI nel fasc. 55, a. X,
del Giorn. st. d. lett. it. — Cfr. anche, per i canta in panca fiorentini, l'opera de]
FLAMINI, La Lirica Toscana, pag. 151 e segz.; e lo scritto del Canpuccr, Musica e
Poesia del s-c. XIV, in St. lett. cit. — Sembra che coll' andar del tempo l'uso del
cantare in parca divenisse cos: spregevole; invero, in CAMMELLI — 1440-1502 —
(Rime ed. e ined. . .. Livorno, Vizo, 1884). di un pessimo giudice si legge: « Ma
perché chiaram»nte omai comprendo — Cauetu s* impresa da chi canta in banca ».

——M—
NERIO MOSCOLI ^: 119

prima metà del secolo XIV (1): « nulla femmena ardesca
overo presuma portare né recare en capo overo ghirlanda,
arlegature overo entrecciature d'oro overo d'argento overo
de margarite [perle] overo pietre pretiose » eccettuate « le ,
scagiale [cinture] d'oro overo d'argento ... a-tanto che non
passe la somma per comune stima trenta libre de denare » (2);

ed erano del pari proibiti, a schifare le spese inutile, « pietra
pretiosa, cristallo, vetrio, ambra, smalto de quagnunque spetia,
forma overo materia overo de seta ». Fu anche posto un freno
ai vestire con vari colori: « che nessuno possa vestire overo
vestementa de nuovo fare se non d'uno panno de lana tanto
d'uno colore overo de doje al piü a tanto chi de doje pan-
ene de diverse colore vestementa farà per lo tempo che deje
venire fare non degga né possa se non tramezato per lato
sì che tanto sia d'uno quanto de l'altro a mesura » (93). E
venne del pari vietato che le donne uscissero scollacciate ;
usanza divenuta, forse, scandalosa: « nulla femmena de la
cità overo del contado overo destrecto de peroscia. overo
d'altronde ardisca overo presuma portare en dosso né fare
fare panno alcuno scollato da la forcella de la gola en
giù » (4); né furono più permessi gli strascici, che talvolta

passavano in lunghezza i due piedi: « né alcuna gonella

(1) « Due St. suntuarij circa il vestire degli vomini e delle donne ord. prima
dell'a. 1322 dal Com. di P., tratti da un testo it. a penna e pubbl, nelle fawstis- di
sime nozze dei nob. s. R. Pucci-Boncamby e C. Orsucci. Perugia, Baduel, 1821 ».
Poi in G. B. VERMIGLIOLI, Opuscoli, Perugia, Baduel, 1826 : vol. III, pag. 15 29.

(2) DANTE, Parad., XV, 100-3: « Non avea catenella, non corona, Non donne
contigiate, non cintura, Che fosse a veder più che la persona ». Cfr. L. T. BEL-
GRANO, Della vita privata dei Genovesi, 22 ediz. Genova, tip. Sordo-muti, 1875, pag. 245.

(3) Cfr. L. ZDEKAUER, LA vita, ecc, pag. 43. à

(4) DANTE, Purg., XXIII, 98-102 : « Tempo futuro m'é già nel cospetto, Cui non
sarà quest'ora molto antica, Nel qual sarà in pergamo interdetto Alle sfacciate
donne fiorentine L'andar mostrando con le poppe il petto ». F. SACCHETTI,
nov, 178: « Chi fu a vedere già le donne col capezzale tanto aperto che mostravano
più giu che le ditelle! e poi dierono uno salto, e feciono il collaretto infino agli
orecchi . . . ». Cfr. G. P. MOLMENTI, La Storia di V., pag. 261.
120 : P; TOMMASINI MATTIUCCI

‘traginare ‘possa » (1) E c'è da credere che le donne
perugine, simili a quelle di Firenze (2), comparissero in
pubblico col viso dipinto, se nel secolo XV dovette inter-
venire il governatore Maurizio Cibo con un decreto con-
tro « nonnulle mulieres hebree », le quali, « maligno
spiritu instigate », s'appressavano « ad domos Christiano-
rum ad vendendum aquas, striscium et alia diversa genera
medicaminum » che le donne adoperavano « ad depingendum
seu depulerandum faciem » (3). Né paghi del lusso di cui si
circondavano da vivi, i Perugini usavano di adornare i morti
« non tamquam ad sepulerum debitum, sed tamquam ad
nuptias et convivia », finché venne stabilito per legge che
non venissero ricoperti se non « de una tunica... valoris
duorum florenorum auri » e che le femmine dovessero avere
soltanto « velosellos in capite », e « masculi caputeum » (4).

(1) G. VILLANI, Cron., X, 153, parla di consimili ordinamenti fatti dal Comune
di Firenze, sembra nel 1330, e nota che « quasi tutte le città di Toscana e molte altre
d'Italia mandarono a Firenze per esempio de’ detti ordini, e confermargli neile loro
. città ». Io credo di poter affermare che Perugia fosse tra queste. Un parziale riscontro
delle parole del Villani coi passi citati degli Statuti perugini torrà ogni dubbio:
«...fatti... certi ordini molto forti, che niuna donna non potesse portare nulla
corona né ghirlanda né d'oro né d'ariento né di perle. . . . .. , né nullo vestimento
intagliato né dipinto con niuna figura, se non fosse tessuto, né nullo addogato né
traverso se non semplice partita di due colori. ..... , né niuna pietra preziosa, né
. eziandio ismalto né vetro, ...... e che nulla donna potesse portare panni lunghi
dietro più di due braccia, né iscollato di più di braccia uno e quarto il capezzale ».

Sembra però, a quanto narra il Sacchetti (nov. 137), che le donne fiorentine tro- '
vassero modo di non ottemperare per nulla a cotesti editti. Il Boccaccio (Corbac-

cio, pag. 278-79 delle Opere min., Sonzogno 1879) lasciò scritto a questo riguardo:
«... alle fogge nuove, alle leggiadre non usate, anzi lascive, e alle disdicevoli
pompe si danno; e a niuna pare essere bella, né ragguardevole, se uon tanto. quanto
ella ne' modi, nelle smancerie e ne’ portamenti somigliano le piuviche meretrici, le
quali tanti nuovi abiti, né disonesti possono nella città arrecare, che loro tolti non
sieno da quelle, che gli stolti mariti credono esser pudiche ». Cfr., del SACCHETTI, an-
che la nov. 178; C. SALUTATI, Epist., I. 1. III, 12; L. ZDEKAUER, La vita, ecc., pag. 43;
e P. VILLARI, N. Machiavelli, Hoepli, 1895, II, 261.

(2) DANTE, Parad., XV, 114, — Cîr. anche un sonetto di CECCO ANGIOLIERI, in
D'ANCONA, St. di Cr. ecc., pag. 131.

(3 Giorn. di Erudiz. Art., I, 311-12.

(4) Stat. Perws., I, r. 44. Da questo divieto andavano esenti i soldati, i dot-
tori; i giudici e i medici « quia scientiati et milites debent merito alios in honoribus

REGES DUET
NERIO MOSCOLI 1291

Nella gabella del 1379 (1) troviamo nominate le « borscie de
seta parigine grande con oro », la « grana de Romania, de
Provenza, de Spania », la « lana d' Inghilterra », la « pellic-
ciaria Francescha », la « porpora Veneziana » e altre sup-
pellettili che ci fanno testimonianza di un lusso non comune.
e di una g rande ricchezza.

Ma il popolo perugino, quanto la magnificenza e lo splen-
dore, i giuochi e le giostre, i sollazzi e i motteggi, altret-
tanto amava le manifestazioni dell'arte.

Nel 1275 lo vediamo dar mano a costruire quella fonte
che tuttora s'ammira in Piazza S. Lorenzo, su disegno di Fra
Bevignate da Perugia e arricchita con pregevoli sculture di
Nicola e di Giovanni Pisano (2), di quel Giovanni che fu
autore del fonte battesimale e del pulpito a Pistoia, del Cam-
posanto e del Duomo di Pisa; e con altre di Arnolfo di Lapo (3),
autore del sepolcro del Cardinale de Braye in S. Domenico
d'Orvieto e del tabernacolo a S. Paolo di Roma (4). Nei primi
anni del secolo XIV inalza, forse su disegno di Fra Bevi-
.gnate, il Palazzo Pubblico, magnifico monumento, che tuttora

fa fede della potenza e dell’arte perugina nel medio evo (5);
a chiesa di S. Lorenzo, sull’ architettura forse stesso
la cl ]is-I , sull'architettura forse dello ste

Bevignate; il tempio di S. Ercolano su disegno di Giovanni

superare ». Cfr. P. G. MOLMENTI, La Storia di V., pag. 225 e seg. ; e L. ZDEKAUER)
La vita, ecc., pag. 69.

(1) Saggi d. volg. cit., num. VIII.

(2) G. B. VERMIGLIOLI, Le sculture di Nicc. e Giov. da Pisa e Arnolfo Fior., che
ornano la fontana maggiore di Perugia diss. ed inc. da S, Massari. Perugia,
1834; in fol. con 80 tav. in rame. — Non mi fu dato vedere quest'opera, e ne traggo
notizia da un catalogo dell'Olschki di Venezia, XXII, 1890, nel quale é detto che è di-
venuta assai rara e non trovasi citata in niuna bibliografia. — Negli Statuti di Pe-
rugia, I, r. 549, é fatta menzione di o/ficiales speciali, che dovevano aver cura della
fonte; e perciò venivano loro date ogni anno « tres corbes grani », Cfr. Boll. d. Soc.
umbra, I, 435. |

(3) Il vero nome é Arnolfo di Cambio di Val d^Elsa.

(4) G. B. CAVALCASELLE e F, A. CROWE, St. d. pittura in It. dul sec. II ài sec.
XVI. Firenze, Le-Monnier, 1875,

(5) Sul Palazzo del Comune scrisse ^. Rossr una breve monografia, che a me
non é stato dato di vedere.
P. TOMMASINI MATTIUCCI

Pisano, o di Fra Bevignate (1) Fra il 1302 e il 1311 Gio-
vanni Pisano scolpisce il sepolcro eretto a Benedetto XI nella
Chiesa di S. Domenico (2); nel 1319 è data la cittadinanza
a un « Meo di Guido da Siena » pittore; nel 1322 un « Lello
di Elemosina », perugino, dipinge il nuovo Palazzo dei Priori.
Una memoria del 1323 ci dice come già nel secolo XIV vi
fosse in fiore l'arte del minio (3); e nel 1325 dal: Comune
vien fatto un pagamento a un « Giovanni di Elemosina »,
forse fratello di Lello, « pro quadam figura Virginis Marie
cum filio per eum facta in Palatio Judicum Gabellae » (4).

E che i Perugini, nel momento stesso che piü attende-
vano alle guerre, amassero i prodotti dell'arte, ce lo mostra
il portar seco ch'essi facevano dalle città vinte ció che per
avventura vi trovassero d'artistico. Cosi, nel 1335, parecchie
sculture in marmo passarono dal Duomo di Arezzo alla Chiesa
di S. Lorenzo (D); e, circa vent'anni dopo, le pietre delle
mura di Bettona servirono per terminare la fabbrica del Pa-
lazzo dei Priori (6).

Né meno delle arti belle amavano le dotte.

Nel 1219 troviamo ascritto « in matricula notariorum,
quae primum Bononiae conferta est . . . Raynerium Perusi-
num » (7) che, distinguendola prima dalla rettorica e poi dal

(1) A dipingerlo fu chiamato Bonamico, che schervì gl'impazienti Perugini con
quel bel modo che racconta FRANco SaccHETTI nella nov. 169. — Cfr. anche G. Va-
SARI, Vite, ediz. di Trieste, pag. 117,

(2) Vedine la descriz. nell'opera cit. del CAVALCASELLE, I, 229, — In S. Dome-
nico dipinse anche. Buonamico. Vedi G. VAsARI, Vite, ediz. di Trieste, pag.126 e seg.

(3) Giorn. d’Erudiz. Art., II, 350

(4) A. MARIOTTI, Lett. pittoriche-perug. Perugia, Dalle stampe Baduelliane, 1788.
Lett. II, :

(5) Il GRAZIANI, Cron., pag. 113: « . . . fuoro recate molte immagine de pietra,
o volemo dire de marmo, le quale fuoro trovate nel dicto domo [di Arezzo] ; le quale
immagine de pietra le recaro gli buove su giie carre, et erano veslite gli buove e
glie carre de panno roscio ; et ditte imagine, venute che fuoro nella città de Pero-
scia, fuoro poste denante dal muro de la chiesa de san Lorenzo verso la piazza ».

(6) Nel 1352. — A. Rossr, in nota al carme di L, TIBERI, Jl Palazzo del Popolo
in Perugia; in Alba Nigra, Bologna, 1881.

(7) FATTORINI, De claris arch. bon, profess., I, 422, Cfr. anche F. BUONAMICI,
Di un ms, antico di recente trovato sull'arte del notaro, di RANIERI PERUGINO, in

GTI MA IER

a p, A:
NERIO MOSCOLI SETA

diritto, inizió l'arte notaria; autore, inoltre, d'un trattato sul-
l’arte notarile (1), di una Somma sui contratti (2) e d'un
commento sulla Poetica d'Orazio (3). Alla Corte di Napoli
troviamo quel Paolo Perugino che scrisse un lungo commento.
alle Satire di Persio (4), e che il Boccaccio chiamò « erudi-
tissimo conoscitore e ricercatore indefesso d’ogni sorta di
libri » (5).

Ma Perugia deve allo Studio, od Università, sorta, come
altre in Italia, di fronte ai chiostri quale educatrice dello
spirito laico (6), l'essere stata un centro di coltura e di dot-
trina.

« Appena si crederebbe che fra tanto romore d'armi e
d'armati, e fra tante esterne e domestiche guerre da cui era
allor travagliata l Italia, potessero i professori insegnar dalle
cattedre tranquillamente al tempo medesimo che sotto le -
mura, e talvolta ancor nelle piazze e nelle vie della città,
combattevasi con furore. Ma lo spirito di partito dominava
allora ogni cosa; e quella medesima rivalità che rivolgeva
lun contro l'altro i principi e i popoli, faceali gareggiare tra

Arch. Giur., I, 191.90; — F. NOVATI, La Giov. di C. Salutati. Torino, Loescher, 1888;
pag. 49, n. 3.

(1 Vedilo pubblicato dal GAUDENZI, Scr. anecdota antiquiss. gloss., nel 20 vol.,
pag. 25-73, della Bibl. jur. m. ae., col tit.: « RAINERII DE PERUSIO, Ars, notaria e trib.
cod, mss. odhuc ign. prim. ed A. Gaudentius », — Un volgarizzamento dell'arte
notaria, ritenuto non posteriore al 1228, pubblicò il MoNacr nell'Arch. paleogr. it.,-
I, fasc. VII. Cfr. anche, del GAUDENZI, I suoni, le forme e le parole dell'odierno dia-
letto d. citt, di Bologna, e Sulla cronologia delle opere dei dettatori bolognesi da
Buoncompagno a Bene di Lucca, in Bull. dell’Ist. st. it., n. 14, pagg. 104, 121, 139.

(2) Ancora inedita. Cfr. lo scritto cit. del GAUDENZI, Sulla Cronologia, ecc.,
pag. 121, n. 2.

(3) G. B. VERMIGLIOLI, Biogr. st. perug., II, 212-15.

(4) Fu trovato dal Novati nel 1884, Cfr. Giorn. st. d. lett. it , IV, 332.

(5) Genealogia degli Dei, XV; in MUSSAFIA, Difese d’un illustre, Vienna, 1861:
ripubbl. in Ant. d. n. Cr. lett. mod. di L. MORANDI. C. di Castello, Lapi, 1890, pag. 337.
Cfr. F. MacnRi-LEONE, 71 2ibaldonme boccaccesco d. Magliabechiana, in Giorn, st. d.
lett. it., X, 7, 33; e Boll. d. Soc. umbra, II, 565.

(6) E. MoNACI, Il Barbarossa e Arnaldo da Brescia, in Arch. d. Soc. rom, di
Storia patria, I, 464,
194 P. TOMMASINI MATTIUCCI

loro nel procacciarsi tutti quei mezzi onde le lor città dive-
nissero sopra l'altre famose e grandi » (1).

per l'origine dello Studio i documenti ci riportano al 1266.

Il 15 settembre di quell' anno il Consiglio Maggiore de-

.libera di.mandare corrieri « pro facto studii expensis com-

munis undique per civitates et loca convenientia » (2); nel

1916, il 21 di settembre, vien fatto invito « per terras cir-

chumstantes perusio » ad « omnes scolares volentes venire

ad audiendum .... doctorem Legum » (3); invito che viene
ripetuto il 23 settembre per un lettore di Grammatica, di
.Logica e di altre arti, « cum quidam maister velit studere
[insegnare] in civitate Perusii in gramatica, loica et aliis
artibus » (4); e nel 1277 per un maestro di Fisica, il primo
lettore nella facoltà di medicina, « ad honorem, utilitatem et
commodum comunis Perusii » (5). Nel 1306, agli ultimi di
giugno, affinché « sepius inchoata principia laudabile medium
optimunque finem recipiant », e perché « sine copia docto-
rum et magistrorum studium esse non potest », i Priori delle
Arti « una cum sapientibus quos secum habuerunt . ....
auctoritate et potestate eis concessa a consilio populi » sta-
biliscono che « sit studium continuum ........ et.esse de-
beant continue ad legendum iiij doctores in iure civili, duo
doctores in iure canonico, unus magister in logicalibus et
unus magister in gramaticalibus »; e stabiliscono anche
di chiedere a papa Clemente che « privilegia studii genera-
lis.... concedantur in iure Canonico et Civili et in qualibet
alia facultate » (6). E l'ottengono con bolla dell'otto settem-

(1) G. TIRABOSCHI, St. d. lett. it. Milano, tip. dei Classici, MDCCCXXIII, vol. V, 71.

(2) A. ROSSI, Doc. p. la st. delU Univ. di Perugia con Valbo dei profess. ad
ogni quarto di sec., in Giorn. d’Erudiz. Art., IV, V e VI; e a parte IV, 26. — Il
Rossi giustamente osserva che il tenore della riformanza, così semplice e come di
cosa ordinaria, e il mese stesso in che fu fatta, ne ammoniscono esser questa una
delle volte in cui furono avviati i principi dello Studio, ma non la prima.

(3) Op. cit., IV, 27.

(4) Op. cit., IV; 27.

(2) Op. cit., TV, 28.

(6) Op. cit., IV, 27 e 28,

XCTI WE WERT
NER:O MOSCOLI i 125

bre 1307, perché « ex Civitate [ Perusii] producantur viri
docti qui in orbe terrarum velut splendor fulgeant firmamenti
et tanquam stelle in perpetuas eternitates » (1).

Quanto stesse a cuore ai magistrati perugini che nello
Studio leggessero gl'uomini piü dotti, lo prova la lunga e tal-
volta aspra vertenza che Perugia ebbe con Bologna per Ja-
copo Belviso, dottore di legge. Questi, bolognese, abbando-
nata la patria perché, sebbene di famiglia ghibellina, sembr:

amasse seguir la parte guelfa (2), andó a Perugià prima del

1308; nel qual anno i Priori e i Savi stabiliscono di curare
« omni modo via et cautela » (3) che non lasci lo Studio;
mentre, l'anno stesso, mandano a Bologna, per consiglio di
lui, solenpnes ambariatores affinché, amore et gratia comunis
perusij et populi, « dignetur licentiam dare et concedere eidem
domino Jacobo doctori standi et morandi in civitate Perusij
ad legendum scolaribus studentibus in Perusio prout ipse te-
netur » (4); ma il Comune di Bologna tien duro, e l’anno
dipoi manda al Belviso lettere, colle quali gli viene intimato
di tornare in patria « omni cessante temporis intervallo » ;
e se non lo farà « infra. X. dies post presentationem pre-
sentium [terarum] ....... , omni excusatione cessante, pro
proditore et studij turbatore » lo bandiranno « cum tota fa-
milia » e stenderanno al suolo ogni suo avere (5). Ma a sua
volta il Comune perugino delibera che non si badi a queste
minaccie e che il Belviso non sia fatto partire. Inviti, pre-
ghiere, minaccie, ripulse, che durano dal 1308 al 1311, nel
qual anno vediamo il Belviso a Bologna. Tornò poi a Peru-

9929

gia, e quindi in patria, dove morì. Dipoi, dal 1326 al 1333,

(1) Op. cit., IV, 50. Sebbene la bolla porti la data del 1307, il privilegio, recato
di Francia da Aghinello di Ristoro, non fu presentato - al Comune perugino prima
della fine del febbraio 1309,

(2) V. BINI, Mem. ist. d. Per, Univ. . . . Perugia, 1816; pag. 63.

(3) Giorn. d? Erud., IV, 57.

(4). Op. cit., IV, 59.

(5) Op. cit., IV, 88.

—===t
: 126 P. TOMMASINI MATTIUCCI

tenne il posto già occupato dal Belviso, Cino da Pistoia (1),
che nel 1326, il 29 novembre e il 6 dicembre, viene chia-
mato dal Comune a decidere, insieme a Recupero da S. Mi-
niato (2), a Paolo de Aczaris (3), a Riecobardo Tettalassini (4)
e a Leonardo da Roma, su questioni municipali (5); mentre
più addietro l'abbiamo veduto discutere d'amore con un poeta

perugino, con Marino Ceccoli. E negli anni seguenti furono |

chiamati a Perugia i più celebri dottori in diritto canonico
e in diritto civile. Primeggia sopra tutti Bartolo da Sassofer-
rato (6). j

Inoltre, lo Studio, benché dipendesse dai magistrati mu-
nicipali, era, si puó dire, autonomo. Il Rettore aveva il di-
ritto di giudicare quelle colpe degli scolari, nelle quali « arma
non intervenerint »; poteva requisire la forza pubblica ed
aveva autorità pari ai più alti ufficiali. Né da meno ‘ra il
lustro esteriore del grado; invero, alla sua elezione tutti i

‘dottori. e gli scolari dovevano accompagnarlo a casa, al suono

di trombe e di nacchere (7); ed esso stesso, come ho notato
inanzi, aveva l obbligo di dar pubblici divertimenti. D'altro
lato, era concessa ai giovani una grande libertà; libertà che
talvolta dovette trasmodare, se fu creduto necessario eleggere
alcuni Savi, i quali curassero che da essi non venisse turbata

[I

(1) L. CHIAPPELLI, Vita eopere giur. di Cino da Pistoia. Pistoia, 1881; e Giorn.
d'Erud., N.

(2) Lettore di Diritto Canonico.

(3) Bolognese e lettore delle Decretali. Il vero nome dovett'essere Paulus de
Liacaris, come si legge in uno statuto dello Studio bolognese, che fu pubblicato dal
GAUDENZI nel Bull. dell’Ist. st. it., n. 6, pag. 130.

(4) Bolognese e dottore di Diritto Canonico.

. (5) Giorn. &Erudiz., V, 121-23.

(6) Lo Studio perugino rimase celebre in Diritto Canonico anche durante il se-
colo XV ; ché vediamo un Jacopo della stirpe reale di Spagna, poi cardinale, eleg-
gerlo a sede dei propri studi. VEsPASIANO DA BISTICCI, Vite di uomini ill..d. sec, XV.
Firenze, Barbera, 1859; pag. 153. i :

(7) G. PADELLETTI, Doc. ined. per servire alla storia d. Univ. it., in Arch.
Giur., VI e segg.
NERIO MOSCOLI 127

la publica quiete (1). E poco fa abbiamo visto come, in mezzo
alle Decretali, al Diritto Canonico e al Civile, alla Logica e
alla Filosofia, si dilettassero in giuochi ed in sollazzi, che il
più spesso tenevano negli orti dei Baglioni; nè forse andre-
mo molto lungi dal vero affermando che facessero parte di
quella lieta e spensierata brigata che andava pizecando, abra-
cecando e basciando le femmene che si recavano alle perdo-
nanze ; se pur non vogliam credere che anch'essi s'attentas-
sero a scalar le mura dei monasteri, e quivi s'intrattenes-
sero in vietati e impudichi colloqui colle traviate spose di
Cristo (2).

Ma il Comune aveva sommamente a cuore che essi ac-
corressero a Perugia in gran numero; e da ciò molti privilegi.

Nelle pubbliche processioni e luminarie il « dominus
rector scolarium et universitatis et doctores studij perusini
cum universitate scolarium » tenevano il primo posto subito
dopo il Clero, inanzi anche al Capitano del Popolo e ai Priori
delle Arti (3). Nel 1504 un certo Boscolo di Arezzo viene
esentato dalle pubbliche prestanze, perchè solito, anzi tenuto
a dar denari a mutuo agli scolari; e ciò « pro honore ....
comunis et studio conservando » (4); nel 1306 viene stabilito
che « studentes eorumque familie habeant civium immuni-
tates et pro civibus habeantur »; e « si scolares. venientes
ad studium ... vel recedentes... et earum familie deroba-
rentur in Civitate vel Comitatu vel districtu Perusij, omnia
eis dapna illata Comune perusij faciat emendari » (5); e,
nel 1319, sono esentati dalle tasse « studio conservando et

(1) V. BINI, Op. cit., pag. 20. — Cfr. anche DENIFLE, Die Entstehung der Uni-
versitaten des Mittelalters bis 1400. Berlin, 1885, pag. 334-52. Le sue fonti sono il
Bini, il Padelletti e il Rossi ; laonde non dà nulla di nuovo; né il BINI è sempre si-
curo, mentre è sempre prolisso, fino a stancare. Una storia vera della perugina Uni-
versità diede il Rossi coi molti documenti pubblicati nel Gior2. cit.

(2) Stat. Perus., loc. cit.

(3) Op. cit., I, r. 92,

(4) Giorn, d" Erudis., IV, 52.

(5). Op. cit., IV, 53 50.

galeis citrina n^

doe SR

ss
|
19.66 P. TOMMASINI MATTIUCCI

augendo » (1). E, purchè si potesse, era sempre appagato il
desiderio d’ avere un maestro a preferenza d'un altro. In-

fatti, nel 1310 è invitato a leggere un « Ranerius Andru-.

tij de monte vibiano », « de cuius lectura scolares conten-
tantur » (2); e nel 1311 il Belviso viene richiamato, perché
«-hoc petunt.scholares cum istantia » (5).

Cotesti privilegi e un ambiente ricco, vivace, cólto ci
spiegano abbastanza l'accorrere numeroso (4) degli scolari
‘a Perugia, da tutte le parti del mondo; da Firenze, da Roma,
da Bologna (5), da.Savona, dalla Lombardia, dalla Spagna,
dalla Germania e fin dalla lontana Inghilterra (6).

Di vita ricca, potente, rigogliosa e dotta godé adunque
Perugia nei secoli XIII e XIV.

Corte papale, conclavi, frequenti visite di imperatori, di
re e di altri potenti; turbe di Disciplinati, inni religiosi, pro-
feti, processioni; guerre continue, popoli sommessi, ricchi
palii portati dalle città vicine in omaggio (1); fazioni turbo-
lente, stragi civili, uccisioni, esili, proscrizioni, fieri ludi ; Po-

zig

(1) Op. cit., IV, 190.

(2) Op. cit., IV, 90.

(3) Op. cit., IV, 91 e seg.

(4) Del 1339, 25 ottobre, esiste la matricola dei professori e degli scolari fore-
stieri ; dodici quelli la maggior parte bolognesi, e centodiciannove questi; ma il
Rossi, che la pubblicò (Giorn. d'Erudiz., V, 175-80), notò giustamente: « La sotto-
scrizione del notaro é in fondo della carta, nel cui retto, a metà della seconda co-
lonna, termina il ruolo. Ciò, a parer mio, indica che restavano ancora altri nomi da
scriversi; e mi conferma in questa credenza lo scarso numero degli scolari di me-
dicina, e la mancanza assoluta di quelli di filosofia e di logica ».

(5) II PADELLETTI (0p. cit., in Arch. Giur., VIII, 135 e segg.) istituisce dei con-
fronti assai notevoli fra lo Studio bolognese e il perugino, e dice che « basta una
superficiale comparazione [degli Statuti d'entrambi].... per accorgersi, che non
solo i bolognesi furono presi a modello, ma interi capitoli ne furono estratti e co-
piati letteralmente... ........ » e aggiunge come si prescrivesse « in tutte le leggi
municipali, che allo Studio [peruwgino] si riferiscono, . . . di seguire lo stile dell'u-
niversità bolognese ».

(6) Giorn. d?Erwdiz., V, 175-80. :

| (7) P. PELLINI, Hist., I, 000-7. — Nel giorno sacro a S. Ercolano, dalle città e
dalle terre soggette venivano offerti dei tagli di seta, detti bravii. Cfr. Giorn. d'Eru-
diz., I, 334.
RET UMTOMISSTRGSETWI SEMIS TS NOE TU DC TES NIA e
VÀUIGY ys via SISI La Li Ro SAVINI

NERIO MOSCOLI i 129

destà, Sindaci, Capitani del Popolo, sfolgoranti d’oro e di

velluti, seguiti da cantatori, da musici, da trombetti, da nac-
carini, da uomini d'arme; Priori, Consoli dell’ Arte e del
Cambio (1), Savi, Rettore, dottori in legge, in medicina, in
logica, in fisica; sollazzevoli e romorosi scolari; tornei, giostre,
splendidi banchetti, giuochi, balli per le vie e per le piazze;
liete e motteggevoli brigate: tutto vide svolgersi ed agitarsi
fra le sua mura il potente Comune perugino. E in mezzo à
questo turbinio vivido e sfolgorante si rivelano tre correnti
diverse, le quali muovono rispettivamente dai tre principali
fattori di quella civiltà, cioè dal Palazzo Comunale, .dai so-
dalizi dei Disciplinati e dall Università; tre correnti che
dovettero tutte trovare la loro espressione nella letteratura
locale.

S. Francesco d' Assisi, Jacopone da Todi, Tomassuccio da
Foligno ci hanno lasciato un' immagine fedele della vita reli-
eiosa e delle sue aspirazioni. Allo stesso modo la civile, forte
nelle sue guerre, aspra nelle sue fazioni; ricca nei suoi costumi
e nel suo lusso; dotta nel suo studio; gaia nei suoi giuochi e
nei suoi sollazzi, dovette necessariamente produrre un'arte
propria. Trascurata e mal nota fin qui, ci è data a conoscere
da quel gruppo di poeti le cui rime stanno nella raccolta
Barberina. Dottrine d'amore e morali; discussioni filosofiche
e scolastiche; argomenti storici e politici; in una parola
tutto ciò che commove e agita la vita di un popolo colto e
potente. Ser Marino Ceccoli (2) vi discuterà sulle quattro

(1) I Consoli del Cambio avevano per loro ufficio principale di curare tutto ciò
che concernesse la zecca, e imprimere, nell'udienza dell'arte loro, il suggello sulle
monete d'oro di cui si volesse assicurato il valore. Nel secolo XIV cominciarono a
chiamarsi Avditores, Cfr. BONAINI, prefaz. alla Cron. del GRAZIANI, pag. XLVII; e
anche B. DAVANZATI, Notizia de" Cambi, in Opere. Firenze, Le Monnier, 1853, pag. 428-
29, — Una storia artistica del Cambio di Perugia fu scritta dal MARCHESI (Prato,
Alberghetti, 1854) e meglio dal Rossr (Giorn. d’Erudiz., III, 3-32).

(2) Dopo Nerio Moscoli, Marino Ceccoli e Cecco Nuccoli sono i due poeti più
notevoli dei PERUGINI. I] Ceccoli supera d'assai il Moscoli nel fare franco e disin-

volto; tanto che alcuni dei suoi versi si potrebbero paragonare a quelli di un poeta /

moderno; ad esempio questi :
9

^

Mr or Ee PLA NR

Lal irte È

diem iii. ordin ge m
130 P. TOMMASINI MATTIUCCI

virtù cardinali e sulle due passioni dell anima (1), e, insieme
al da Pierile e a Nerio Moscoli, sul libero arbitrio, nel men-
tre conforterà l’amico Guidone per la morte della moglie (2)
ed esorterà Monte a non monacarsi (3); vi darà pregevoli
notizie sullo stato di Perugia e dei suoi abitanti; vi parlerà
del celebre diluvio fiorentino del 1333; dei signori di Pie-
tramala, di Neri ed Uguccione della Faggiuola, di Arezzo

«.... 0r fa, anema mia,
Fal, pregotene, fallo ....»;

«....10 non porri
Giù viver senca te, ch? a te me trai. » (son. VII)

Ha comune coll'Angiolieri un desiderio d'amore :

« E volontier morria suglie toy braccie » (son. XI);

e così parla del vecchio Iddio, fonte di virtù e di perfezione:

« Per lui soferto ò io briga e travalglio,
Per lui perduto n? 0 Apollo e Minerve.
Ma io farò una f... € dirò: chastra.

Tu se colui che tucta gente scastra,
Tw se colti pro quo perduntur astra. » (son. XXV).

Altra volta trae !'ispirazione dalla natura, e in maniera originale:

« Ciaschedun de fugire a le meriggie,
Quando l chalor del sol la terra fende,
E fuor con glie villan solacco prende,
Churendo per le piaggie e per le rive;
E le cichaglie cantan per Volive, » (son, XI);

« A la dolce stazxon ch'ei torde arvengnono
E dietro i vola glie sparvier seguendogli
Enfra le verde selve remetendolgli. » (son. XV).
(1) « Ser Marinus de quattuor virtutibus et duobus passionibus anime et | ipsa-
rum potentiis ». :
(2) « Ser Marinus ad dominum Guidonem, confortando | eum de morte uxoris ».
(3) « Ser Marinus ad Montem, confortans eum | quod se non monacheret ». È
un sonetto poliglotta o, a dir meglio, semiletterato, in cui, cioé, ricorrono versi ita-
jiani e latini. Nelle quartine sono latini i versi 4, 5, 8 e 10; e nelle terzine il primo
© l'ultimo della seconda :
« Ergo pro deo sistat, sistat durus,
E vertù de forteca stia sì francha -
Quod viam vite non sit traslaturus ».
Né questo sonetto è il solo.
NERIO MOSCOLI 13

e del gram. pastore (1); Cecco Nuccoli (2) ricorderà i Disci-
plinati (3), si mostrerà lieto della caduta di quei da Pietra-
mala (4), rievocherà l ira di Bonifazio ottavo (5); ma più
specialmente si rivelerà poeta burlesco e umoristico, tale
da competere con Cecco Angiolieri, del quale talvolta ap-
pare imitatore (6); un Lambertino vi discuterà sulla For-

(1) « S. Marinus Ceccholi traclans de statu aritino ».
(2) La notazione che precede il primo dei suoi sonetti (XXIX del cod. Barb.)
ha: « Ser Cecchus Nuccholi de Perussio ». Nuccholi dev'essere una forma grafica di
Nicoli, Nicola. Un Benvegnate Nicholi è Console delle Arti a Perugla nel 1296
(Giorn, d? Erudiz.,IV, 29); e un Az drucio Nuccoli è ricorliato in un documento del
1370, in cui si parla « de restitutione bonorum Agabetucii Ceccoli et Andrucii Nuc-
coli olim decapitatorum per Comune Perusii fienda, heredibus ipsorum ». (La ri-
bellione di Perugia ... narrata da P. BALLAN, in Studj e Doc. di St. e Dir. Roma,
tip. d. Pace, 1880).
(3) ALLACCI, P. A., 218:
« Ma perche melglio perdonar mi posse
Dove e quando tu vol tucto m? alide,
Flagiella la mia carne e i nerbe e 1 gU osse ».
(4) ALLACCI, P. A., 245:
« Mostransi chiaro per divin giuditio
Giù quei da pietra mala condannate
Ei qual dell’altu rota son chinate
E giu deposte d’ongne loro offitio.
.. Per tractato di pace volere
Credevan su montare a far gram festa
E nel lor primo stato remanere » [1332 ?].
(5 ALLACCI, P. A., 227:
« Rabbia mi morde cori magiur icca
Che quella che conquise Bonifatio ».
(6) ALLACCI, P. A.,.224:
« Sio potesse saper chi fu l villano,
Che prese tanto ardir per quel ch’ io oda
Cha monna Raggia mia trasse la choda,
Fariel gratar con ambedue le mano »;
e, ALLACCI; P. A., 235:
« Facto ti se, Giovangne, contadino
E mane e sere man gie coi bevolche .
E fai cappare e meter forme e solche
E bee acceto adaquato per fim vino
E frasche vai moggcando col falcino ;
Con trista conpangnia ti leve e colche ».
In un altro sonetto, ALLACCI, P. A , 234, alcuni versi ricordano Cecco Angiolieri
e i suoi vizi: d

MEC e remate S ctm

Sini iii riii
152 : P. TOMMASINI MATTIUCCI

tuna (1); Cola di Alessandro vi parlerà di Spoleto daudone, ri-
euardo ai costumi, un curioso particolare (2); Gillio Lelli e
messer Bandino staranno fra loro a tenzone sull'ottenere amore.
| Per tal modo la produzione poetica dell'Umbria esce
| da quei confini ristretti fino ad ora noti, e si ricollega, nella
elaborazione artistica del tempo, alla toscana. Accanto alla
lirica religiosa si afferma contemporaneamente la profana:
erotica e moralizzante, politica e umoristica. Rappresentanti
notevoli, fra molti, ne sono Nerio Moscoli da Città di Ca-
.stello, Cecco Nuccoli e Marino Ceccoli da. Perugia.

Nell’analizzare il Canzoniere del Moscoli abbiamo cercato
d'indagare il rapporto nel quale si trova coi poeti che hanno
con lui qualche analogia; e insieme di renderci ragione
delle condizioni di tempo e di luogo.

«...twin prosa el cianprolino e 1 dado
A la taverna colle borse ceppe,
Et io in essa m’artrovo de rado »;
ed altri sembrano appartenere a un canto popolare:
« El mi rincresscie sì lo star di fuore
Dai mura di coley congni bem mostra,
Ch’ io con Tristan ne prendiria la giostra,
Sol per veder gli ochiuccie ner cho more
Di quel furel che và ’nvolato el core
E tienlosi in presion dentro ai suoi chiostra ».
(1) ALLACCI, P. A., 400: « Lambertinus d. Francisci tractans de fortuna ».
(2) « Amicho, sappie Uwso di Spolete
E la qudl vita ine si può trare,
E do convience chastità servare
.E Varte frequentar de sodomite.
Femine chomune ne sono sbandite
Nè nulla vi si trova per denare ».
È una tenzone fra Cola e il Nuccoli. Il primo dei due sonetti fu edito dall'Ar-
LACCI, P. A., 288; il secondo, mancante dei terzetti, é inedito, e porta la notazione

« S, Cecchus R. ». — Un « Cola de meser Alisandro ..fu mandato per lo comuno.

de Peroscia » podestà al castello di Lucignano, in quel d'Arezzo; e nel 1244, ]'otto
di settembre, fu mandato con gente soldata a impadronirsi di Castiglione Aretino,
(GRAZIANI, Op. cit., pagg. 117 e 134). Nelle Cronache della città di Perugia ed. da
A. FABRETTI, I, 80, si fa andare Cola di messer Alessandro a Lucignano nel 1336.

Nel 1376 troviamo un « Iacopo di Cola da Porta S. Pietro » tra gli offiziali e i sa-
pienti per lo Studio ; e nello stesso anno, nel medesimo ufficio, un « Niccolò di Cola
di Porta S. Pietro » (Giorn. d?Erudiz., VI, 288 e seg.).

ranieri

ce e ÀÀMÀ M
TET at mee

IPM NEM

NERIO MOSCOLI

Rimane ora che portiamo il nostro esame sulla poetica
e sulla lingua. Potremo così più compiutamente e con mag-
gior precisione fissare i caratteri che lo distinguono dagli
altri poeti, e determinare il posto che a lui spetta nella
produzione letteraria italiana. ;

Nel sonetto col quale, mentre pareva volesse traman-
dare la sua professione artistica, intese di dar le norme «&
saver dir per rima (1), il Moscoli ricorda, dei generi poetici,

la ballata, la canzone e il sonetto; e non a caso, perchè la .

varietà metrica del Canzoniere a questi si restringe; nella

. proporzione di uno la ballata, di due la canzone e di cento-

dieci il sonetto; cui si deve aggiungere un componimento
dalla forma un po' incerta.

Quest'ultimo ha le rime disposte secondo l'ordine A B
DbRA, € 6:00; C'e, CO; A B b A, (2. Può: esser «questo: 1o
schema di un sonetto? Cosi domanda a se stesso il Biadene,
il quale nota subito dopo che, per ammetterlo, « conver-
rebbe dire che le due volte sono inchiuse tra i due piedi »;
e, « parendo stranissima l'idea d'inchiudere le volte tra i
piedi », non esita a ritenerlo una ballata, in cui i primi
quattro versi costituirebbero la ripresa, gli otto seguenti le
due mutazioni, e gli ultimi quattro la volta. Però al Biadene
stesso non isfugge che un tale schema di mutazioni non
trova riscontro nelle ballate dei due primi secoli, pur non
essendo « teoricamente impossibile »; e che il primo verso
della volta dovrebbe allacciare per la rima coll'ultimo delle
mutazioni, pur non essendo anche questo teoricamente ne-
cessario, e non mancandone « neppure esempi ». Ma questo
componimento, cosa di cui il Biadene mostra non tener

conto, senza però essergli sfuggita, si trova in mezzo a tutti .
sonetti e non porta alcuna didascalia metrica, mentre non

(1) Son. LXIII già cit. :
s « S? el te dellecta saver dir per rima
Ballatelle, changone over sonecte ».
(2) CXXIII del cod. Barb. Fu edito dal BIADENE, Op. cit., pag. 64, n. 1.

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134 ; P. TOMMASINI MATTIUCCI

é cosi della ballata, la quale trovasi del pari fra tutti so-
netti (1); né manca alle due canzoni.

Lo stesso dicasi del trovarsi la sigla V notata due volte
di fronte alle terzine, appunto come in tutti gli altri sonetti.
Da ciò sembra doversi conchiudere che in questo componi-
mento, invece che una ballata, si debba riconoscere un
sonetto; e appunto uno di quelli dalla forma èbrida, aventi,
cioè, i piedi di sonetto semplice e le volte di sonetto dop-
pio (2).

Ma perchè il nostro esame sulla Poetica del Moscoli è
vólto, più che altro, a conoscere quali peculiarità metriche
ne presenti, è d'uopo considerare i vari modi di composi-
zione del sonetto, come di quella forma che quasi unica il
poeta adoperò.

‘Prima di passare ai sonetti semplici (3), fermiamoci sui
caudati (4), che nel Canzoniere sono in numero di tre. Due
hanno una coda formata da una sola coppia di versi rimanti
fra loro indipendentemente dai terzetti (5); e l'altro una coda
di sei versi, la quale deve riportarsi a una di tre, replicata,
e in cui il primo verso è sciolto, e gli altri due rimano fra
loro (6), e non già ad una doppia di tre versi, ché in que-

(1) Il Biadene cade in una lezgiera svista dicendo che questa baliata succede
al componimento di cui ci occupiamo, dopo dieci sonetti; mentre gli succede dopo
quindici.

(2) Uguale, cioé, nei piedi, a uno di Alessio Donati, collo schema ABbA, ABbA;
e nelle volte a uno di Panuccio del Bagno, collo schema CddC, CddC. Non mi na-
scondo però la difficoltà delle quartine a rime incrociate, delle quali il Moscoli ci
ha lasciato un altro esempio solo; e delle volte incluse tra i piedi.

. (8) Per sonetti semptici intendo col Biadene non quelli soltanto che hanno le
quartine rimate ABAB, ABAB, come l' intendevano Francesco da Barberino e Antonio

da Tempo, ma quelli che, composti di quattordici endecasillabi, hanno le rime sol- .

tanto alla fine del verso, e quelle della prima parte diverse da quelle della seconda.

(4) La coda non si trova nei sonetti più antichi. Cominciò ad essere adoperata,
ora di tutti endecasillabi ora di settenari e di endecasillabi uniti insieme, sul finire
del secolo XIII e divenne frequente durante il XIV, massime nei sonetti famigliari,
Dante e il Petrarca non l'usarono mai ; il Cavalcanti una volta sola.

(5) È detta coda semplice. ;

(6) I1 più antico sonetto che abbia questa forma di coda, è di PANUCCIO DEL BA-
GNO. I pochi altri esempi puoi vedere in BIADENE, Op. cit , pag. 71.


ROTTA

NERIO MOSCOLI 155

sta il primo, il secondo e il terzo verso della prima coppia
rimano successivamente col primo, col secondo e col terzo
della seconda coppia; mentre nel sonetto del Moscoli le
rime della prima sono indipendenti da quelle della seconda;
sono cioè, disposte secondo l'ordine C Erbe
Nulla vi è da osservare sulla prima forma, che fu co-
mune ai poeti del trecento. Al contrario, l’altra si trova
usata assai meno frequentemente; se non che i POETI PE-
RUGINI ne lasciarono ventuno esempi (1). Questo primo fatto
ci scopre di già una preferenza da parte di quelli, e da
parte di Nerio un ulteriore svolgimento d'una forma che

rimane propria a lui soltanto.

Se ne togli i tre caudati, tutti gli altri sonetti del Can-
zoniere sono semplici (2).

Facciamoci a esaminare. prima le quartine, poi i ter-
zetti.

Rispetto alle prime, bisogna notare che due sono gli
ordini regolari di esse, cioè A B A B, AB A B, o a rime
incatenate, e ABBA, ABBA, o a rime ncrociate. Quale dei
due piü antico? Per un rapido sguardo che si dia ai sonetti
dei secoli XIII e XIV, si scorge subito essere piü antico il
primo. Men facile del determinare la priorità dei due schemi,
è il fissare quando il secondo si cominciò ad usare, mentre
si sa che divenne predominante, normale, conswetus, quia
eius forma magis frequentatur et ut plurimum utitur (3), nel
decimoquarto secolo. Il Biadene scrive esser « certo che
la lotta fra i due schemi s'impegnó nell'ultimo ventennio

del secolo XIII »; e che Dante, Guido e Cino, questo in spe-

(1) 11.BIADENE, Op. cit., pag. 71, dice quindici; ma a.me pare si debbano ag-
giungere anche i sonetti di CEcco NuccoLI, che, per essere stati editi dall'Allacci,
non cessano di appartenere al gruppo de' PogTI PERUGINI. — Lo stesso dicasi per
Cucco DI GUALFREDUCCIO,

(2) Sono, cioè, in numero di centosette.

(3) ANTONIO DA TEMPO, Delle rime volgari, a cura di G. GRION. Bologna, Roma-
gnoli, 1869, pag. 73.

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"EIL. de.
136 ; P. TOMMASINI MATTIUCCI

cial modo, stanno decisamente per lo schema a rime incero-

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ciate (1). Di piü, il Petrarca, su.517 sonetti, ne ha dieci
soltanto colle rime disposte A B A B, A B A B (2), mentre
lo hanno tutti i sonetti di Giacomo da Lentino (3), e. tutti,
eccetto uno, quelli di Guittone (4).

Nerio Moscoli non rimane fedele all’antico; tanto vero
Che, su centodieci sonetti, due soli hanno lo schema ABAB,
ABAB; cioè quello che il Biadene crede una ballata, e il so-
netto di risposta a Emmanuele Giudeo. Ma perchè nelle ten-
zoni, come vedremo tra poco, divenne un tempo predomi-
nante l’uso di porre nel sonetto di risposta le rime uguali a
quello d'invio, e perchè l’altro sonetto ha una forma spe-
ciale, possiamo affermare che Nerio ebbe una assoluta pre-
ferenza per lo schema a rime incatenate.

Come è noto, il sonetto ebbe una varietà metrica molto
maggiore nei terzetti, che nelle quartine. Il Moscoli ne pre-
senta sette ordini diversi, ovvero CDC, DEE in trentasette
sonetti; CDD, CCE in trentadue; CDD, DCC in diciotto ; CDC,
CDD in dieci; CDC, DCD in dieci; CDD, CDD in uno; e
CDC, DCC in uno; due ordini a tre rime, in sessantanove
sonetti, e cinque a due, in quaranta.

Allo stesso modo che per le quartine, vediamo quali
schemi di terzine sieno i più antichi; e poi se e quanto il
nostro poeta l'abbia adoperati. Dei venticinque sonetti di Gia-

(1) Si basa anche su Bonagiunta Urbiciani, Cecco Angiolieri e Ser Onesto, che
hanno speciale preferenza per lo schema più antico; e su Guido Orlandi e Noffa Bo-
naguida, clie stanno incerti fra l'uno e l'altro.

(2) Num. ‘I, 36, 51, 90, 135; II, 12, 13, 39, 42, 43, 50. — Per gli schemi metrici del

Petrarca puoi vedere un bello scritto del CASTELLANI, ediz. curata da N. ANGELETTI ;
Lapi, 1889.

(3) In Raccolta di VALERIANI e LAMPREDI, I, 290-319. Vi sono citati due so-
netti, il 300 e il 309, collo schema ABBA, ABBA; ma sono apocrifi.

(4) Rime. Firenze, Morandi, 1823. — In questa edizione, su 237 sonetti, nove, -

n. 172, 211-217, 239, hanno Jo schema ABBA, ABBA; ma otto sono apocrifi, cioè i n. 211-

217 e il 239. | Contiene 239 sonetti, ma due sono ripetuti. ' Però, i certi di Guittone, à

sono 214. Cfr. BIADENE, Op. cit., pag. 204-0; e GAsPARY, La Sc. poet. sic., pag. 107
n. 1, il quale dà.205 sonetti come sicuri,

Tomo

——MEÁ
IE) E PNE rm m Hc e

NERIO MOSCOLI 191

como da. Lentino (1), quattordici hanno lo schema CDE, CDE,
e undici CDC, DCD. Degli otto che formano le due tenzoni
fra il Mostacci, Pier della Vigna e il Notaro Giacomo, e fra
questo e l'Abate di Tivoli (2), sei hanno CDE, CDE, e due
CDC, DCD; e il Guinicelli ne ha nove col primo schema e
cinque col secondo. Da ciò sembra si dovrebbe dedurre che
lo schema originario fosse quello a tre rime; ma il Biadene
fa osservare che nei tre canzonieri Laur-red. IX . 63, Palat.
418 e Vat. 3793 due terzi hanno lo schema a tre rime, e un
terzo quello a due; che Guittone ha il primo in centoqua-
'anta sonetti, e il secondo in circa quaranta; e che non é
possibile si passasse dai terzetti di tre rime a quelli di due,
perché « la terza rima deve essere stata introdotta affine di
rendere meglio sensibile all'occhio e all'orecchio la divisione
della seconda parte del sonetto in due terzetti, e anche per
rompere la monotonia cagionata dall'essere le rime incate-
nate dal principio alla fine del componimento »; e a prova
di queste ultime parole porta il fatto che, quando nel se-
colo XIV divennero normali i quadernari a rime incrociate,
divennero, invece, normali i terzetti a rime incatenate. A
questo però si potrà sempre obiettare che i primi sonetti a
noi noti, cioè quelli di Giacomo da Lentino e quelli delle due
tenzoni testè citate, hanno in prevalenza lo schema CDE,

. ODE; e che alla monotonia i poeti non dovettero badar poi

tanto, dal momento che divennero così comuni le rime al-
mezzo, e i sonetti a rima continua, senza parlare di altre com-
binazioni di metro e di parola, che certo non davano ai com-
ponimenti poetici nè maggiore agilità nè maggiore varietà.
Tuttavia accettiamo pure la conclusione del Biadene, che sia
originario lo schema a due rime, sebbene anche l'altro gareggi

con esso in antichità; e ci basti ripetere che il primo divenne

(1) In Raccolta di VALERIANI e LAMPREDI, I, 290-319, — In questa gli sono at-
tribuiti trenta sonetti, ma cinque sono apocrifi,
(2) E. MONACI, Crest. it., 59 63.

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138 : P. TOMMASINI MATTIUCCI

normale nel secolo XIV. E quali altri furono maggiormente
adoperati durante questo secolo? Di quelli su due rime;
CDC, CDC; e CDD, DCC; di quelli su tre, CDE, EDC; e
CDE, DCE. |

Ho accennato più sopra agli schemi che s'incontrano
nelle terzine dei sonetti del. Moscoli; vediamoli ora un po’
più da vicino, cominciando da quelli su due rime. 3

Quello che il Biadene chiama originario s'incontra nel
Moscoli dieci volte, delle quali, cinque è in sonetti di risposta;
e ciò dà bastante ragione per affermare che quest'ordine di
rime non fu dal nostro poeta prediletto. In altri dieci sonetti
ha lo schema CDC, CDD; e quando si pensi che di dieci,
sette appartengono a una corona con rime obbligate, sarà noto
come anche questo schema fosse dal nostro poeta raramente
adoperato. Più di frequente le rime si trovano disposte se-
condo l'ordine CDD, DCC (1). Sorvolando sugli altri due,
CDD, CDD; e CDD, DCC, che, come ho detto, s' incontrano
nel Canzoniere una sola volta ciascuno, vediamo in quale
relazione sta il Moscoli, rispetto ai terzetti di due rime, coi
poeti dei primi due secoli.

Anzi tutto é degno di nota che egli, contro le norme piü
comuni nel secolo XIV, abbia raramente adoperato gli schemi
a due rime; e abbia appena conosciuto quello che si disse
originario. Mostra invece di preferire alquanto l'ordine di
rime CDC, CDD, di cui, oltre i dieci di Nerio, ci rimangono
tre soli esempi; uno del Cavalcanti e due di Antonio da Fer-
rara. Riguardo poi allo schema CDD, DCC, lo troviamo ado-
perato nove volte da Dante, undici da Cino, dodici da Gio-
vanni Quirini e da Antonio da Tempo (2) una dal Calval-

canti (3), una dal Barberino, una da ser. Onesto, ventidue

(1) In diciotto sonetti.
(2) S. MoRPURGO, Rime inedite. — Il Biadene le cita sotto il nome di POETI
VENETI. SR, i

(3) Son. X: « L'anima mia vilment' é sbigotita ». Bisogna notare però che il
Riccard. 1118 ha in fronte a questo sonetto: « di non so cui » (BARTOLI, St., IV, 50);

-— mM

NERIO MOSCOLI : 139

dai Poeti Perugini e da pochi altri. Peró se badiamo che, dei
nove sonetti di Dante, otto sono per lo meno incerti (1), e
che il numero di quelli di Cino è tratto dall'edizione Bindi
e Fanfani, non molto sicura, che ne rimane? I dodici del
Quirini e di Antonio da Tempo, che con ogni probabilità
sono posteriori a quelli del Moscoli; i ventidue dei Poeti Pe-
rugini, dei quali diciotto di Nerio, e qualche esempio isolato.
Laonde, se non si puó affermare che questa forma metrica
fu propria piü specialmente al nostro poeta, é certo ch'egli
ce n'ha lasciato il maggior numero d'esempi. Ma ció che at-
tira in singolar modo la nostra attenzione é il fatto, che egli
di tutti gli ordini di rime predilige quelli che hanno i due
versi finali delle terzine a rima baciata (2). Invero, di qua-
ranta sonetti in cui quelle sono disposte su due rime, tren-
tuno obbediscono a questa legge.

E questa peculiarità si ritrova anche nei terzetti a tre
rime: i quali, come vedemmo più sopra, sono costituiti tutti
secondo gl'ordini CDC, DEE, e CDD, CEE. Il Biadene nota
che sui versi finali a rima baciata deve avere influito la
strofa artistica, che appunto in tal modo tendeva a chiudere.
Inoltre aggiunge che mancano esempi di cosi fatta maniera
di terzetti prima del secolo XIV, e che di essa fece uso
esclusivamente Fazio degli Uberti. Non fa bisogno di dimo-
strare l'inesattezza dell una e dell'altra affermazione, per
poco si pensi che l' attività poetica del Moscoli si svolse tra
la fine del XIII e il principio del XIV secolo, e che egli fu
sicuramente anteriore all’ Uberti (3).

e il TRISSINO, (Arte Poetica) e il CARDUCCI (Rime di Cino, 1862) lo dànno a Cino, men-
tre l'ERCOLE (0p. cit., pag. 214 e seg) lo crede del Cavalcanti.

(1) Son, V, XXII, XXXVI, XLIII, XLIV, XLVI, XLVII, XLIX. Il certo di Dante
è il XXXV : « Chi guarderà giammai senza paura ».

(2) L' hanno in ambedue le terzine gli schemi, CDD, DCC, diciotto volte; CDD,
CDD, una; e CDD, CEE, trentadue; e nella seconda soltanto gli schemi CDC, DCC,
una ; CDD, CEE, trentasette.

(3) Per non parlare di altri, anche il sonetto che dicemmo scritto nel 1300, ha
lo sehema CDC, DEE.
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140. P. TOMMASINI MATTIUCCI

L/altro fatto degno di nota, rispetto alle terzine su tre
rime, è che il Moscoli, in mezzo alla grande varietà che ne
presentano i primi due secoli, si sia limitato a due forme
sole, e specialissime; tanto che non ci ha lasciato nessun
esempio di versi rimati secondo l' ordine più antico (CDE,
CDE), né degli altri due che ebbero maggior fortuna nel
secolo. XIV, cioè CDE, DEC; e CDE, DCE.

Pertanto tutto ci porta a concludere che il Moscoli tende
ad allontanarsi dai poeti maggiori. Invero, né il Guinicelli,
né il Cavalcanti, né Dante, né Cino mostrano di aver cono-
sciuto lo schema CDC, DEE, che, oltre i trentasette di Nerio,
si ritrova in aleuni sonetti di Fazio degli Uberti, in altri di
Niccolò de’ Rossi e in trentadue dei Poeti Perugini (1).

E l’altro schema che rima secondo l ordine CDD,
CEE?

Fu usato una volta da Pucciarello, cinque da Fazio de-

‘gli Uberti, una da Antonio da Ferrara, e quarantacinque

volte dai Poeti Perugini, delle quali trentadue da Nerio (2).

Se pensiamo che l’ Uberti e Antonio da Ferrara sono
posteriori al Moscoli e che Pucciarello rientra con ogni pro-
babilità nel ciclo dei Poeti Perugini (3), bisogna credere che
questi due schemi a tre rime (CDC, DEE; e CDD, CEE)
siano stati usati per la prima volta dai Perugini. E perché
il Moscoli, rispetto al tempo e per il numero dei suoi com-
ponimenti ci appare superiore a tutti loro, viene da pensare
che a lui spetti il merito d' avere introdotto queste due nuove

(1) BIADENE, 0p. cit., pag. 40, — Riguardo ai POETI PERUGINI, il Biadene ne dà
loro sessantaquattro, a cui n' ho aggiunti tre di Cecco Nuccoli e due di Cucco di

Gualfreduccio, perugini del pari; e quali il Biadene, invece che dalla raccolta Barbe- :

rina, cita dall'ALLACGI. Cosi si forma un totale di sessantanove, da cui, togliendo i
trentasette di Nerio, si ha il numero di trentadue.
(2) Oltre che in quelli del Moscoli, si trova nel sonetto di Cola di Alessandro,
in uno di Cecco Nuccoli, e in sei di tenzone tra Ridolfo e Manfredino. :
(3) Lo abbiamo veduto in corrispondenza con Nerio; ma il sonetto che di lui si
legge nel cod. Barb.,.n. CLVI, ha lo schema ABBA, ABBA ; CDC, DCD. — Il sonetto
dallo schema ABBA, ABBA; CDD, CEE é in VALERIANI, pag. 218,

NITRO
Cm eT.

NERIO MOSCOLI 141

forme di terzetti. In ogni modo è certo che Nerio dimentica
gli schemi più comuni, per dar luogo ad altri speciali, di-
sposti nel piü dei casi su tre rime, e che obbediscono alla
legge dei due versi finali a rima baciata (1).

Veduti gli schemi metrici, portiamo la nostra attenzione
su due generi poetici; la tenzone, cioè, e la corona.

La tenzone è una corrispondenza poetica di due o più
sonetti, fra due o più poeti; ed è formata di due parti, la
proposta, o sonetto d' invio, e la risposta, alla quale spesso
tien dietro la replica (2). A. seconda poi che le rime della
risposta sono differenti da quelle della proposta, o uguali, o
date dalle stesse parole, prende il nome di tenzone a rime
libere, a rime obbligate, e a parole-rime. Questa differenza
ci dà il modo di fissare due periodi diversi, non costituendo
quella a parole-rime un periodo ben distinto, ma piuttosto
un passo ulteriore, un perfezionamento nella cercata com-
plicatezza del congegno metrico. Il primo si puó fissare sul
nome di Giacomo da Lentino (3), e il secondo va da Guitto-
ne (4) fino al Cavalcanti, a Dante; a Cino, al Petrarca. Ma
l| uso delle parole-rime si può circoscrivere al periodo guit-
toniano (5).

(1) Questa legge lo ha tiranneggiato per modo, che anche in un sonetto di rispo-
sta, in quello a Cione, fa uso di uno schema diverso da quello di proposta. Ovvero,
il sonetto di Cione ha 1o schema ABBA, ABBA ; CDC, DCD ; e quello di Nerio, ABBA,
ABBA ; CDC, DEE.

(2) Deve distinguersi dal contrasto, specie di corrispondenza fittizia, in cui con-
‘trastano il poeta e l'amata, o anche cose inanimate.

(3) I due esempi più antichi di tenzone che ci siano rimasti, sono quelli tra il
Mostacci, Pier della Vigna e Giacomo da Lentino (abab, abab; cde, cde); e tra questo
e l’Abate di Tivoli (abab, ababj or cde, ded, ora cde, cde). — Cfr. E. MonACI, Cre-
stomazia it., 59 60; Da Bologna a Palermo, prima in Nuova Antologia, 1884, poi
in Antologia d. n. Crit. lett. mod. di L. MORANDI, pag. 230 e segg.

(4) Può dirsi anche guwittoniano, perché Guittone fu in corrispondenza con.mo)-
tissimi poeti. Del resto le sue tenzoni sono alcune libere, altre a rime obbligate, ed
altre a parole-rime. |

(5) Questo fatto si collega coll'altro più generale, che « il tecnicismo della poe-
sia provenzale [e la rima scura] prende maggior voga e sviluppo in Italia soltanto
con Guittone e con la sua scuola », E. MONACI, Da Bologna a Palermo, pag. 242, n. 3.
P. TOMMASINI MATTIUCCI

Del Moscoli sono giunte fino a noi sei tenzoni (1). Una
sola è costituita da più di due sonetti (2), ed è l'unica nella
quale egli sia in relazione con più di un rimatore (3).

I due sonetti di corrispondenza fra Cione e il nostro
poeta (4) hanno schema diverso (5) e rime obbligate, eccetto
che nei due versi finali della seconda terzina. Hanno, invece,
schema uguale a rime obbligate le tenzoni con Pucciarello (6)
e Cionello (7); e schema uguale a parole-rime quelle con
Emmanuele Giudeo (8) e coll’ Ottaviani (9); eccetto che in
questa seconda il sonetto di risposta finisce con una coda a
rima baciata, assonante, che manca a quello di proposta; di
più, in questa il primo verso della seconda quartina ha có/fto,
cui molto fa da parolarima nella risposta, e a renserato-pac-
ciato della prima terzina corrisponde renversato enpacciato (10).

(1) I sonetti di corrispondenza sono in numero maggiore, ma mi limito a no-
tare quelle soltanto che sono giunte fino a noi complete, cioè colla proposta e colla
risposta.

(2) Quella col da Pierile e col Ceccoli sul libero arbitrio.

(3) Le tenzoni tra più di due poeti avevano luogo quando uno di essi inviava
un sonetto, ch'era detto programma, a più di un poeta contemporaneamente, e da
più di uno ne riceva risposta.

(4) Son. CLIV e CLV del cod. Barb. »

(9) ABBA, ABBA; CDC, DCD la proposta di Cione, e ABBA, ABBA; CDC, DEE la
risposta-di Nerio.

(6) La proposta, inedita, è di Pucciarello ; ed hanno lo schema ABBA, ABBA; |
CDC, DCD. |

(7) ABBA, ABBA ; CDC, DCD. Il sonetto d' invio è di Cionello e fu edito dal-
l’ALLAGCI, P. A., 285. |

(8 La proposta, inedita, è di Emmanuele. Hanno lo schema ABAB, ABAB ; CDC,
DCD. Sono a parole-rime, ma nel primo verso della seconda terzina promecte del |
sonetto d'invio rima nell'altro con permecte.

(9) 11 sonetto d' invio è .dell’Ottaviani; ed hanno le rime disposte secondo l'or-
dine ABBA, ABBA ; CDC, DCD,

(10) Non é raro il caso che i sonetti di tenzone abbiano alcune rime date dalla
stessa parola, e alcune no; che anzi si riscontra in ciò una grande libertà. Si ha esem-
pio di sonetti colia parola-rima, o nel primo verso soltanto della prima quartina, come
in Chiaro Davanzati e Monte, Vat., 3793, n. 633 e 634, in Ischiatta di messer Albizo
e Monte, Vat. 3793, n. 646 e 647; o nei primi due, come in Monte e Chiaro Davanzati, )
Vat. 3793, n. 763 e 769, con ordine pero invertito, diventando A nel sonetto di Chiaro
. quello che è B nel sonetto di Monte; e allo stesso modo che si hanno esempi di
parole-rime nel primo o nei primi due versi soltanto della prima quartina; cosi

———
"
NERIO MOSCOLI 143

Hanno schema uguale e rime obbligate il sonetto programma
di Nerio e le due risposte di Simone da Pierile e di Marino
Ceccoli, e schema uguale e parole-rime le due repliche di
Nerio (1).

Adunque il nostro poeta mostra di prediligere lo schema
uguale a parole-rime, che ha in quattro sonetti di risposta,
di fronte a tre con rime obbligate.

Ora, quando si pensi che il Cavalcanti (2), Cino (3) e il
Petrarca (4) usarono quasi sempre di rispondere colle stesse
rime (5), mai però con parole-rime; e quando si pensi anche
a quello che scrisse il da Tempo (6), non doversi, cioè, porre
« jn responsione illa verba rithimata id est dictiones rithi-
morum, quae sunt in sonetto vel rithimo mittentis », sarà
facile di persuaderci che il risponder colle stesse parole do-

veva essere caduto in disuso di già nella prima metà del,

si ha esempio di parole-rime in tutti i versi, eccetto che nel terzo dei due terzetti,
come in Rustico di Filippo e Monte, Vat. 3793, n. 929 e 930; o in alcuni versi soltanto
come in Vercellino e Dino Frescobaldi, Chig. L. VIII, 305, ediz. MONACI e MOLTENI,
n. 367 e 368, e in Monte e Lapo dei Rosso, Vat. 3793, n. 912 e 913; o in quasi tutti,
come in un contrasto di Bonagiunta Urbiciani (Vat. 3703, n. 783 e 784. — Quest? ul-
timo nell'ediz. D'ANCONA e COMPARETTI porta il nome di tenzone, ma a torto, perché
sono due sonetti dello stesso Bonagiunta) e nella tenzone di Nerio:

(1) Cioé, la proposta di Nerio ha lo schema ABBA, ABBA; CDC, DEE; ABBA,
ABBA; CDC, DEE, FF la risposta del da Pierile, e ABBA, ABBA, CDC, DEE, FF la
replica di Nerio; ABBA, ABBA ; CDC, DEE la risposta del Ceccoli, e ABBA, ABBA;
CDC, DEE la replica di Nerio.

(2) Vedi l'ediz. ERCOLE, pag. 330-46.

(3) Delle corrispondenze fra Cino da Pistoia e Onesto da Bologna (cod. Chig.
L. VIII. 305, ediz. cit., n. 280-87, 288-89, 290 91, 294-95, 296-97, 316-17) composte tutte di
due sonetti ciascuna, sei hanno schema uguale con rime obbligate, e due lo schema
diverso; e di queste, una a rime libere, 294-05, ABBA, ABBA; CDC, CDC, e ABAB,
ABAB; CDE, CDE, e una arime obbligate, 316-17, ABBA, ABBA; CDC, CDC, e ABBA,
ABBA; DC, DCD.

-(4) Il Petrarca serbò sempre l'uso del tempo di rispondere per le stesse rime.
— Cfr. G. Canpvccr, Rime di F. P., Saggio, ecc. Livorno, Vigo, 1876, pag. 3, dissertaz.

(5) Fa eccezione anche la risposta del Cavalcanti, « S' io fossi quello che d'amor
fu degno », a Dante, « Guido, vorrei che tu e Lapo ed io ». Hanno ambedue lo stesso
schema: abba, abba; cde, edc; ma le rime libere. Il FRATICELLI, CQ712., pag. 74»
sembra non credere assolutamente certo che il son. di Guido fosse in risposta a quello
di Dante. Per sicuro lo dà l'ERGOLE, pag. ?17 e seg.

(6) 11 da Tempo scriveva così nel 1333.

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. 144 DU P. TOMMASINI MATTIUCCI i j

secolo XIV. Laonde si puó affermare che il Moscoli, rispetto
a questa particolare forma poetica, non si scosta dalla ma-
niera guittoniana.

Ma passiamo, alla corona (1).

Nel Canzoniere del Nostro sono rimaste in numero di
tre (2), delle quali, due sono formate di tre sonetti ciascuna,
aventi uno schema diverso (3) e rime libere; e l’altra schema
uguale e rime obbligate (4). La terza poi, costituita da sette
sonetti (5), ha lo stesso ordine di rime (6), date dalla stessa pa-
rola in tutti (7). Il Biadene (8) notava, la corona del Petrarca (9)
esser l'unica ad avere le rime obbligate; ma a questa si de-
vono aggiungere le due del Moscoli, il quale inoltre ne ha
una con parole-rime. Questo fatto, unito ai versi finali a rima
baciata, alle parole-rime nella tenzone e all'assenza completa:
delle forme di terzetti più in uso nella prima metà del secolo
decimoquarto, ci mostra ancora una volta come il nostro
poeta prediliga le forme complicate, e ci riporta ad un pe-
riodo anteriore alla nuova scuola fiorentina; e precisamente
al guittoniano, nel quale l’oscurità del pensiero andava di
pari passo colla complicatezza della forma. metrica (10).

Ciò pare ci dia un altro argomento per affermare che

(1) La corona é una serie continuata di sonetti, senza numero definito, andando
da tre, come quella del Petrarca, a quaranta e più, come quella del Cavalcanti; e il
soggetto ne è vario, ora morale, come in Guittone; ora politico e personale, come in
Nerio e nel Sacchetti; ora amoroso, come in Nerio e nel Petrarca.

(2) E forse sono in numero anche maggiore, Sembrano costituire corona i due
sonetti che dicemmo indirizzati a Dante, e quelli su Uguccione della Faggiuola.

(3) Il primo ABBA, ABBA ; CDC, DCD, e il secondo e il terzo. ABBA, ABBA;
CDC, DEE.

(4) ABBA, ABBA ; CDC, DEE.

(5) Cioé di quei sonetti che chiameremo wpietrosi. Son. LXXVIII-LXXXIV del
cod. Barb. :

(6) ABBA, ABBA i CDC, CDD.

(7) A è data sempre da perfecto, dellecto, aspecto, affecto; B da petra, inpetra,
aretra, tetra ; C da io, mio, desio ; D da fede, sede, mercede.

(8) Op. cit., pag. 123.

(9) P. I, son. XXVI-XXVIII.

(10) Tuttavia non bisogna dimenticare che il Moscoli, fra i due schemi di quartine
dà assoluta preferenza a quello con le rime disposte secondo l'ordine ABBA, ABBA.
NERIO MOSCOLI 145

l’attività poetica del Moscoli si svolse nell'ultimo quarto del
«secolo XIII e nei primi anni del XIV.

Resoci conto anche della forma poetica, portiamo la no-
stra attenzione sulla lingua.

Nerio Moscoli dettò i suoi versi nello stesso volgare che
adoperarono gli altri rimatori in mezzo ai quali l'abbiamo
trovato. Quel volgare non era propriamente quello di Città
di Castello, ma il perugino; il quale diversificava abbastanza
dall'altro, come puó vedere chiunque esamini il bello studio
di Bianco Bianchi sul dialetto di Città di Castello (1). Come
Si spiegó ció?

La prima congettura che si affaccia alla mente è che
un copista perugino abbia fatto scomparire dalle poesie del
Moscoli tutto quello che nel suo linguaggio aveva maggior
sapore locale. Ma un attento esame delle rime ci rassicura
subito contro questa ipotesi (2).

.La spiegazione si deve dunque cercarla altrove, e credo

‘non sarà difficile il trovarla, se prima si porrà mente a qual-

che altra considerazione.
Nella evoluzione della parola romana abbiamo un mo-

mento in cui tutti i vernacoli che ne erano derivati, non

appena comincino a passare dalla tradizione orale alla scritta,
tendono a ripulirsi e quasi a reintegrarsi secondo un tipo
unico, a tutti presente, che é il latino.

Questo fanno pure i vernacoli toscani, non escluso quello

(1) « Il dialetto e la etnografia di Città di Castello, con raffronti e considerazioni
storiche. Memoria di B. P. Città di Castello, S. Lapi, 1888 ».

Gli studiosi, mentre piangono la perdita, avvenuta nello scorso novembre, del
dotto filologo, sono grati all'erudito cav. G. Magherini-Graziani, che, concepito il
pensiero della Memoria, al Bianchi lo propose come téma.

(2) Innanzi tutto bisogna escludere una alterazione avvenuta lentamente, giac-
ché il codice Barberino, come ebbi a notare, fu scritto quasi contemporaneamente
al tempo in cui visse il Moscoli. Inoltre il passaggio dal vernacolo castellano al dia-
letto perugino urterebbe assai spesso contro la misura del verso e contro la rima.

Del resto a queste alterazioni di copisti, dopo le osservazioni del Monaci, Da
Bologna & Palermo, nessuno presta più tanta fede come per l'addietro.

10

Uode o S. da

Tu

dle tem s tiii rdi

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Di

»
14
146 - P. TOMMASINI MATTIUCCI

di Firenze. E da quel primo moto della coltura sorgono i
dialetti letterari, i quali rappresentano quasi direi la somma
di ció che i vernacoli delle singole provincie hanno di co-
mune, omesse le piü spiccate peculiarità locali di ciascuno
e aggiunto quanto di più la coltura permetteva di attingere
dal latino direttamente. Cosi i molti e molti parlari italiani,
sotto la penna degli scrittori si vennero a mano a mano as-
-&imilando e confondendo in pochi dialetti letterari quante
erano le provincie d'Italia; e allorchè segui la prevalenza
definitiva del fiorentino, questo non trovó piü dinanzi a sé

centinaia di vernacoli da vincere, tutti più o meno differenti

da esso e divergenti fra di loro, ma trovó appena una die-
cina di dialetti nei quali la coltura molto aveva di già livel-
lato, molto accomunato col fiorentino medesimo, ad esso na-
turalmente ravvicinati dal vagheggiar tutti quell' istesso tipo
latino che anche il toscano vagheggiava e che il dialetto di
Firenze meglio degli altri dialetti era pervenuto a riflettere
in sé. « Ognuno, per dirla col professore Salvioni, cercava di
lisciare, di ripulire il proprio dialetto in modo che si venisse
accostando a quel tipo (cioè al latino, come s'à detto). L'uomo
dell'Alta Italia che a casa sua adoperava canti o cantao per
cantato, cantà per cantare; quello della bassa Italia, che di-
ceva granne per grande, dvoto per alto, nobilitarono queste
loro forme riducendole ai tipi latini cantato, cantare, alto,
grande; ma una felice combinazione voleva che tali for-
me, e così innumerevoli altre, fossero anche della parlata
toscana. Onde l'efficacia di questa dovette manifestarsi dap-
prima in ciò solo che essa offriva all’ Italia vivo e reale quel
tipo di favella, che era nell’idea d’ogni italiano colto » (1).

Ciò premesso, non abbisogneranno, credo, altre parole
per ispiegare come nella lirica del Moscoli troviamo il dia-

(1) Giornale storico d. letteratura it,, XVI, 378-79.— Cfr. anche ASCOLI, Arch.
glott., I, 307-12, VIII, 125; MussAFIA, Mon, antichi di dialetti it., pag. 1195 E. Mo-
NACI, Da Bologna a Palermo, pagg. 239 e 242, ag i

T M eem

NERIO MOSCOLI 141

letto letterario di Perugia e non sentiamo più alcuna delle
peculiarità del vernacolo nativo del poeta, cioè di Città di
Castello. E in questo medesimo fatto, che abbiamo cercato di
definire e di spiegare, si potrà misurare anche il grado d’im-
portanza che par si debba riconoscere al Moscoli nella storia
letteraria della sua patria. Egli, infatti, fu uno dei primi e
più notevoli rappresentanti della letteratura della sua provin-
cia, e la parte che cosi prese nello elevare a coltura artistica
il volgare dell'Umbria sembra che gli dia diritto abbastanza
‘a non essere dimenticato nel novero di quegli scrittori, pei

quali fu spianata la via alla successiva unificazione della lin- , /

gua nazionale.

PIETRO TOMMASINI MATTIUCCI.

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I.

Son. CXX — CXXI del cod. Barb. [Indirizzati a Dante ?]

Lo bel piager de voi piager m'aduee .
De seguitar la vostra rima e verso
E de non esser mo né may diverso
Dal voler vostro, ma tenerlo a duce. 4
Altro pensier nel cor non se reduce
Che voler come voi el bianco e 1 perso :
E tener quello amico e quello averso [
Ch'averà 1 gran piagier ch'en voi reluce, 8 È
Perché 1 vostro voler me par contende
Contra de vitij e sol prende dillecto
Del valor de vertù ch’en voi desciende.
Honestà mostra in voi suo ben perfecto, i 12
La qual vertù novella etate agrada

Più che null’altra ch’en torno li vada.
LI

Fraterno e puro amor sol me conduce
Ne lo abito vostro esser converso
Perché polito me parete e terso, 3
Si che vertù ciascuna in voi traluce. 4
Prudente e giusto el vostro aspecto luce,

Forte e tenperato el vostro verso,
E ciascum vitio per voi soctomerso
Sì che dillecto a mal no ve sodduce. 8 —————

NERIO MOSCOLI

Vostr'intelleeto che nel ver s'estende
Ornate de ragion che é bene ellecto,
Per lo qual fermo studio sol s'aprende.
Del qual me par che prendiate dellecto,
Onde ve piacia che per voy se vada
Infine al fim per la deritta strada

9. ms. vostro.

TE

Son. LXXVIII — L XXXIV del cod. Barb;

(SonETTI PieTROSI)

Comme nel core è nel dexio perfecto
Lo sommo alto valor de quella petra
Da qual non gratia più mia mente inpetra,
Conducto a tal che non spero dellecto.
Sendo luntam dal suo ligiadro aspecto,
Da bem parlar la mia lengua s’aretra
Tocando villania oscura e tetra,
Per qual non viver ma morire affecto.
Ma pur da questo me guarderò io,
Ch'en questa rima d'amorosa fede
Non sirà posto el'vilanegiar mio.
E 1 parlar ch’agirò com el desio
Ch'ennel loco d'amore odio se sede
E peccato mortale ov’ è mercede.

I

S'el vostro intalglio sor tutti perfecto
In marmo fosse o vero en altra petra,
De quel ch’ enaneie a voi per me s' enpetra
Averia preso già qualche dellecto |
E de pietà vestito el vostro aspecto
Da qual null'altra vertute se retra;
Ma dentro è pien de l'aspra dura e tetra
Crudeltà per me solo in grande affecto.

149

12

12
150 . .P. TOMMASINI MATTIUCCI © pe

. E questo è quelo de que più me dolgl’io,
Perchè lassate l’amorosa fede
Sol per mio danno e per contrario mio.
Ma io pur credo fornir mio dexio i 12
Per la gram fé d’amor ch’en cor me sede,
E che sofrendo se trova mercede.

III.

Per ch'io tengno nel cor dexio perfecto
D'eserve servo, pretiosa petra,
Né piü de gratia là mia mente inpetra,
Ma de ció prenderia sommo dellecto. 4
Lo vostro humile e gratioso aspecto 4
Da le soy belle vertute se retra
E prende la dureca oscura e tetra
Per qual non viver ma morir affecto, 8
Se ’n breve tenpo pietà non veg’ io
Farne tornare a sua dricta fede
Come chier quel voler ch'é nel cor mio.
Non m'é rimaso alcuno altro dexio, 12
Ma morte e vita en la vostra man sede,
Ond'io ve chero per pietà mercede.

Dy

Come ciascuno annello è più perfecto
Quanto s'adorna de più fina petra,
Così 1 mio cor che cotal gratia impetra
Non porria d'altro may prender dellecto. 4
Voi sete quella petra el cui aspecto È
Mirar mia mente già may non se aretra
Si ch'onne luce al ver li parea tetra
For che 1 vostro splendor qual solo affecto. 8
Onde con verità posso dire io
Che ferma tengno en ver de voi mia fede
E che voi servir solo è 1 voler mio. :
Donqua ve piaccia che 1 sommo dexio, 12
Nel qual mio cor, la mente e l’alma sede,
.Prenda lo chato [?| fim vostra mercede.
; : ; NERIO MOSCOLI 151

m.

We =: =

ES -
da Bá

m

Oltra poder con estudio perfecto
Me son provato de star come petra
" : E fugir quel dexio qual solo inpetra
Meo eor che d'altro non prende dellecto. È 4
Ma vano è tal labor, chè 1 vostro aspecto
Da la mia mente già may no se aretra
Sì che da voi pietate o morte tetra,

Qual più ve piace, coralmente affecto ; 8

al

» :
SEO ET

T
E um

Y.

Che ’n verità se per voi me mor' io,

De questo ó pura e fermissima fede,

Che sirà in ver de cielo el camin mio.

[ Ma pur pietà da voi prima dexio 12
Per toler la durega ch'en voy sede

E non pecato agiate ma mercede.

ato E = s cde aiii di

A

9. Ms. moro.

VIE.

Contra me site diamante perfecto
Con più dureca che null'altra petra
) : E volete 1 contrar de ciò che 'npetra
È Meo cor che da voi solo ama dellecto. 4
Ben è lontan da quel che par l’aspecto
Vostro, benigno, umile, e ben s’aretra
Da lume d’umeltate e tenla tetra
Caligine de superbia in grande affecto, 9

Sì che languendo apresar me veg” io

La erudel morte, quale in pura fede

Sol per doi modi grava el martir mio;

L'um per la fim del mio dolce dexio, 12
E l’altro per la colpa in la qual sede
Chi ciò comette, che noy val mercede.

VII.

EC Io chero d'eser bom mastro perfecto
Per fare intalglio a mio modo de petra.
Null'altra cosa lo mio core inpetra
Che farne una dongella a suo dellecto. 4
152 : P. TOMMASINI MATTIUCCI ; ,

Longecta la faria, de bello aspecto
. Come chiér quel dexio che non s'aretra,
Nel vixo alegra, né seria may tetra,

Pietosa quanto che con l'alma affecto. 8

Cosi contento me staria poi io

Ció possedendo che per la mia fede è
.Sovra tutte sormonta al voler mio;

Sentiria el bem del mio sommo dexio, 12

ha Lo qual nel mego de me tutto sede;
Ma pria morrò s’en ley non è mercede.

II.
Son. CXV del cod. Barb.

A BACCHETTO.

L'onorevol Baechetto podestate
Non se convem ne la via del vicaro,
Perchè tra l'uno e l'altro è grande invaro; |
Se giudece o conpangno in veritate. 4 |
Onde ve piaccia d’amar libertate

| Tenendo senpre lo vostro honor caro, /

È Ché mal se legie de quey che lassaro

Li grandi offitij. per la lor viltate. 8

Donqua non abassate la vostra ltegga

Né giocate de par con lo sogiecto,

Ché familiarità nduce despecto.

Sullimate la mente e lo ntellecto S19

Con se rechere a la gram gentilecca

La qual tenete, e che 1 contrar desperga.

9. ms. altecca ll. ms. induce 14. disprezza.

IV.

L’Allacci pubblicò nei Poet; Antichi i due sonetti che di Bandino si
leggono nel codice Barberino ; e nelle notizie che precedono la sua Rac-
colta, di lui così scrive: « Bandino fu Padovano, della cui autorità se
ne serve Dante nel libro della volgare eloquenza » (1). Dopo di lui il )

(i) P. A., Napoli, 1661, pag. 13.

1
——P
UP

NERIO MOSCOLI 15951

Crescimbeni (1) ripetó la stessa cosa, e il Quadrio (2) riportò la forma
grafica di Bandino a quella di Brandino, dicendo che il Brandino da Pa-
dova doveva essere lo stesso che Bandino d'Arezzo, e che forse prese nome
da ambedue le città, perché nato nell'una, e nell'altra stato come lettore
allo Studio; ma di questa sua affermazione non portó alcuna prova, per
il che fu dal Tiraboschi rimproverato. Ultimo venne il Tiraboschi stesso,
il quale, meno facile ad affermare, si domandó se Bandino e Brandino
non potessero per avventura esser « due diversi poeti » (3).

Fonte del Crescimbeni e del Quadrio dovette essere l'Allacci ; ma
questi, come giunse all'affermazione che Bandino era di Padova? e che
vuol dire la doppia forma grafica di Bandino e Brandino ?

L’Allacci, riportandosi all'autorità dell'Alighieri e della Volgare Elo-
quenza, volle senza dubbio alludere al seguente passo di essa: « Veneti
quoque nec sese investigati vulgaris honore dignatur; et si quis eorum
errore confisus, vanitaret in hoc, recordetur si unquam dixit, Per Ze
plage de Dio, tu non veras. Inter quos omnes unum vidimus nitentem
divertere a materno et ad curiale vulgare intendere, videlicet Iidebran-
dinum paduanum » (4).

A chi legge queste parole del trattato dantesco parrà strano che l' Al-
lacci da Ildebrandino sia passato a Bandino; ma sparirà ogni maravi-
glia quando si pensi che egli non poteva avere dinanzi agli occhi che
due sole redazioni della Eloquenza: la volgare del Trissino, che vide la
luce nel 1529 (5), e la originale latina di Jacopo Corbinelli, edita a
Parigi nel 1577 dal codice di Grenoble e col sussidio della infida ver-
sione trissiniana (6); e che, tanto nell'uno quanto nell’altre, l' Zdebran-
dino si era cambiato in Brandino; nella qual forma rimase fino all'edi-
zione del 1729 di Scipione Maffei (7). i

Assodato questo fatto e pensando di quanto più gravi errori si siano
resi spesso colpevoli i primi storici della nostra letteratura, non faranno
bisogno, io credo, altre parole per dimostrare come da un semplice er-

(1) II, p. 2a, pag. 25.

(2) II, 162.

(3) IV, 321.

(4) « Il Trattato De vulgari Eloquentia per cura di PIo RAJNA », Firenze, S. Le
Monnier, 1896, I, 14.

(5) Op. cit., pag. LI.

(6) Vedi l’Introduzione alla recentissima edizione della De v. E. a cura di
P. R., che fa vivamente desiderare di avere dall’ illustre uomo altre pubblicazioni
dantesche di si alto valore. Pag. XLIX e segg., LXIX e LXXXIV.

(7) Op. cit., pag. XCIX e 81, n. 2.
7154 P. TOMMASINI MATTIUCCI

rore grafico d' un amanuense si passasse poi, coll'Allaeci, e da lui col
Crescimbeni e col Quadrio, ad uno maggiore.
Adunque bene s'era apposto il Tiraboschi sospettando che Brandino
e Bandino fossero due poeti diversi (1).
Ecco, io spero, corretto un altro errore nella nostra storia letteraria.
. Ma, prima di lasciar definitivamente messer Bandino, ci sia permesso ,
di liberarci da un dubbio. i; |
Ripensando ai sonetti d'amore che Guittone indirizzò a un Ban-
dino (2), il quale il Gaspary disse d'Arezzo (3), e ripensando anche che il
nostro Bandino era figlio d'un Tebaldo, oriundo d'Arezzo (4), era sorto
in noi il sospetto che i due Bandini potessero identificarsi in uno solo ;
molto più che il Quadrio lo fece di quella città. i
Ma riflettendo d’altro lato che i tre sonetti di Guittone apparten-
gono alla sua prima maniera, che cioè non possono essere stati scritti
dopo il 1266 (5), e che il nostro Bandino era ancora in vita nel 1347,
tale sospetto si mostrò del tutto infondato.
Così due Bandini riconosciamo tra i rimatori dei primi due secoli ;
l’uno da Arezzo e contemporaneo di Guittone; l'altro da Perugia e con-
temporaneo di Nerio Moscoli, di Cino da Pistoia, di Dante Alighieri.

V.

Come abbiamo notato a pagina 113, n. 4, il Comune perugino, per
impedire che i turbolenti e faziosi cittadini si riunissero in un sol luogo, |
pose le catene, che lontanamente preludono alle moderne barricate, li
prima alle porte della città (« nel [1327] fuoro messe le catene alle porte
della città de Peroscia, cioè a le porte de gli borghe » GRAZIANI, Op.
cit., pag. 95), poi nelle vie (« 1328. Adi 17 di febraio si cominciaro ad
incatenare li borghi » Brevi Ann. di P., pag. 64), e in ultimo nelle
piazze (« Adi 2 di maggio [1328] s'incatenó la piazza del Comuno » Op.
cit., pag. 65).

Questo espediente fu comune anche a Venezia (P. G. MOLMENTI,
La St. di V., pag. 133) e a Firenze. Nel Sacchetti, invero, si legge (nov. .
CXXXII): « Le guardie che erano in piazza pigliarono l’arme, e vanno

ut

(1) Il Tiraboschi dovette trovare un buon sussidio per la sua congettura nell'edi-
zione del Maffei, che aveva già riportato Brandino a Ildebrandino.

(2) Son. LI, LIII e LIV.

(3) St. d. Lett. it., I, 67, 76, e 77.
(4) Vedi a pag. 76 di questo scritto.
(5) Cfr. E. Mowacr, Crest. it., 168. LEA ES QULA rtr n

NERIO MOSCOLI 155

alle bocche della via della piazza, mettendo le catene, gridando: Al-
l'arme, all’arme..... Ogni gente, sentendo la campana, usciva fuori
armata ..., e venendo in piazza, trovarono le guardie a difendere le
catene ... ». E nei versi del Purgatorio (XXXI, 25-21) :

« Quai fosse attraversate, o quai catene
'Trovasti, perché del passare innanzi
Dovessiti così spogliar la spene? »:

a me sembra si debba riconoscerci, senz'altro, un'allusione a cotale usanza.

Le guardie intente a difender le catene, e di cui dà appena un cenno
il Saechetti, sono ricordate con minuti particolari in un documento del
1337, che traggo dall'Archivio comunale di Città di Castello; né sarà
inutile il riportarlo integralmente, giacché vale a gettare un po' piü di
luce su una notevole costumanza medioevale.

«... ut catene quae posite sunt in Civitate Castelli pro fortitudine
et tutiori custodia Civitatis horis debitis firmentur et aperiantur et ut
nullus in firmando vel aperiendo predictas catenas magis quam alius
agravetur, per dominos priores populi... primo super hijs cum Consi-
lio. XVI . bonorum virorum populi diligenti deliberatione Et demum
inter ipsos dominos priores populi et predietum Consilium . XVI. bono-
rum virorum populi secundum formam Statutorum premisso et faeto so-

.lepni et secreto scruptinio et obtento partito ad pixides et palloetas (1)

Eorum offitij auctoritate et vigore et omni modo et iure quibus melius
fieri potuit provisum ordinatum et stantiatum fuit que Omnes et singuli
Capitanei Capitantiarum diete Civitatis possiut et eis liceat ac teneantur
et debeant ex debito eorum offitij ad instantiam et petitionem offitij do-
minorum priorum populi Jnsacchare et mictere ex hominibus eorum Ca-
pitantie.. unusquisque Capitaneus de hominibus sue Capitantie pro se
in quadam sacchetta unum hominem.de qualibet et pro qualibet domo
sue capitantie in cedulis in quibus scripta sint nomina et prenomina
eorum . Et .. ex predieti sacchettis ad instantiam et petinionem domi-
norum priorum populi extrahantur et extrhai debeant illi qui debeant
predictas catenas firmare et aperire . Et . . illi qui per predictos Capi-

. taneos extrhaeti fuerint de predictis sacchettis teneantur et debeant pre-.

dietas catenas aperire et firmare, sive unam Catenam pro quolibet ipso-
rum ex catenis sue Capitantie que et domui magis sit propinqua et apta

(1) Si durò poco tempo ancora a votare con pissidi e pallottole; che nel 18 gen-
naio 1337 si stabili di farlo per mezzo di « fabas nigras et albas », perché « plures
fraudes et malitie in dando et recipiendo palloctas comictantur ». Annali, c. 24 v.
156 P. TOMMASINI MATTIUCCI

per tempus trium mensium et eis elaves predictarum catenarum assi-
gnentur et dentur pro Comuni predicto . Et. . illi qui recusarent dicta-
rum catenarum claves recipere et catenas aperire et firmare cogi possint
et debeant ‘ad recipiendum predictas claves et catenas aperiendum et
firmandum horis debitis per dominos potestatem et capitaneum ad in-
stantiam et petitionem dictorum Capitaneorum Capitantiarum et cuiuslibet
ipsorum hoc tamen proviso et facto que si ex predictis sacchettis vel
earum aliqua exhierit aliquis qui iam clavem alicuius catene habuit
vel ex hijs qui alicuius catene clavem ad presens habuit remicti debeat
in predietam sacchettam donec omnes alij qui ipsarum clavium aliquam
non habuit... exantur. » ANNALI, a. 1337, 13 gennaio, c. 20 v. — La

delibera è sottoscritta da Angelo di Andrea da Firenze, Cancellarius
del Comune di Città di Castello.
NERIO MOSCOLI 151

BIBLIOGRAFIA.

Copice BarBERINO. XLV-130. [Ogni volta che cito i Poeti Pe-
RUGINI intendo riportarmi a questo codice].

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NERIO MOSCOLI 159

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RINALDO ORSINI DI TAGLIACOZZO

SIGNORE D'ORVIETO

E

GLI ORSINI DI TAGLIACOZZO, DI LICENZA E DI CAMPODIFIORE

S 1. — Una lettera di Giovanni Orsini.

Nell'Archivio comunale di Orvieto trovasi la seguente lettera :

« Magnif. fratres carissimi. Hec civitas Spolet., ut credo iam
ad vestram devenisse notitiam, expulsis iis qui fuerunt causa re-
bellionis eiusdem, Deo gratias, recuperata est et reducta ad obe-
dientam per virtutes et opera proborum et legalium civium dicte
civitatis, amicorum et servitorum recolende memorie dni. Rai-
naldi. Ego nuper urbem hanc operaturus ad posse ut facta ipsius
civitatis, Deo previo, reformatur in bonum. Johannes, mediantibus
opibus illustrissimi dni. nostri dni. Regis Lodovici, spero quod
debeat liberari. Et quia cerlus sum quod sicut vobis displicuit
omnis nostra adversitas, ita debeatis prosperitate letari, duxi hec
ad gaudium intimanda etc. (sie nell'originale). Si qua per me pro
statu vestro agenda sunt, scribite confidenter. Datum in cassero
Spoletano XIII septemb.

« Joannes Lelli de Ursinis ete. ».

A tergo: « Magnificis viris dominis septem Urbevetano po-

pulo presidenlibus fratribus et amicis carissimis ».
ll
F. SAVIO:

La lettera non ha indicazione dell'anno; ma non è difficile
‘supplire alla sua mancanza per mezzo delle notizie, che si tro-
vano nella lettera stessa. Il suo indirizzo ai Sette indica essere
la lettera anteriore al 13 novembre del 1390, quando fu tolto per
sempre da Orvieto il governo dei Sette (1).

Il fatto poi della ripresa di Spoleto, compiuta dai partigiani
di Rinaldo, congiunto al ricordo della morte di lui, non lascia
dubbio che qui si tratta degli avvenimenti accaduti in quel mede-
simo anno 1390. Quindi la data intiera della lettera è il 13 set-
tembre 1390. 3 SES

Rinaldo, del quale ivi si parla, è Rinaldo Orsini conte di Ta-
gliacozzo. Egli dal 1390 in maggio fino alla sua morte fu signore,
(rector) di Orvieto. 11 17 settembre del 1378 Urbano VI lo creó
rettore del Patrimonio di S. Pietro (2); ma poi si voltó all'anti-
papa, Clemente VII, forse tratto da suo fratello Giacomo cardinale
di S. Giorgio, che fu uno dei cardinali, i quali parteciparono alla
formazione dello scisma occidentale. Clemente VII lo lasció rettore
del Patrimonio di S. Pietro, della qual carica si trova investito dal
1383 in avanti (3). Nel 1383 si potè impadronire di Spoleto, eccetto
della rocca, la quale gli si arrese nel seguente 1384. Nel 1387 occupó
anche Narni. Finalmente nell'aprile del 1390, essendo con Gio-
vanni suo fratello venuto alla città dell'Aquila, forse per occu-
parla, ivi fu trucidato.

La sua morte diede occasione ad un altro Orsini, il cardinale
Tomaso di Manoppello (e non già di Monopoli, come scrive il
Sansi), ch'era legato del papa Bonifazio IX, di -venire a Spoleto
e di occupare la città, eccetto la rocca, la qual rimase ai parti-
giani di Rinaldo. Nondimeno, regolandosi troppo il cardinale, cosi
scrive il Sansi, secondo i consigli di alcuni cittadini più amanti
del proprio vantaggio che del pubblico, il popolo se ne disgustó.
Onde gli esuli, guelfi e ghibellini, insieme si unirono e nel di 7 set-

(1) Bull. della Società umbra di st. patria, anno I (1895), pag. 399.

(2) MoNTEMARTE, Cronaca inedita, di Orvieto, vol. I; pag. 47. Nel vol. IT, pag. 339,
si riporta il breve di Urbano che dà notizia agli Orvietani di quella creazione.
(3) Bullettino cit., loc. cit., 396, 398.

TYCDG E SIIT z3
RINALDO ORSINI DI TAGLIACOZZO 163
tembre facendo impeto nella città riuscirono ad impadronirsene
ed a scacciarne il Legato (1).
Quest'é la ricuperazione di Spoleto, della quale discorre la

nostra lettera. Da essa apprendiamo esser falsa la notizia che tro-

vasi data da alcuni (2), che Giovanni Orsini fratello di Rinaldo
fosse ucciso con lui all'Aquila; egli era ancor vivo il 13 settembre.

Quanto al Ludovico, ivi ricordato, egli è Luigi II d'Angio,
che cogli aiuti dell'Antipapa cercava d'insignorirsi del regno di
Napoli. Egli era giunto poco prima, cioé il di 14 agosto, in Na-
poli, e, come vedesi dalla lettera di Giovanni, tutti i partigiani
dell'Antipapa nutrivano grandi speranze ch'egli tra breve ne fa-
rebbe trionfare la causa.

Or ci rimane a ricercare donde venissero i conti di Taglia-
cozzo e chi fosse il Giovanni Orsini scrittore della lettera.

S 2. — Origine dei Conti di Tagliacozzo.
Il Litta, seguito tra gli altri anche dal Reumont, diede per

slipite dei Conti di Tagliacozzo Napoleone figlio di Matteo Rosso
e fratello di Niccolò III. Indi a costui fece succedere Giacomo, al

‘ quale assegnò per figli Napoleone marito dell'erede di: Taglia-

cozzo, poi Angelo canonico di Liegi e (secondo lui) vescovo di
Montecassino nel 1362, morto nel 1866, Leandro, Orso canonico di
Lincoln, Poncello che nel 1324 stava alla corte di Napoli, Fran-
cesco stipite delle linee di Campodifiore e di Licenza, e Forte-
braccio.

Al suddetto Napoleone di Tagliacozzo assegnò per figli Pan-
taleone, Giacomo, Matteo ; ed a Giacomo i figli Rinaldo cardinale,
Angelo, Orso testante nel 1360, Giovanni nel 1353 vescovo di Pa-
dova, morto nel 1359, e Francesco stipite dei duchi di Bracciano
e di Gravina.

(1) SANSI, Storia del Comune di Spoleto dal secolo XII al XVII. Foligno, Sga-
riglia, 1879, parte I, pag. 259 e seg.

(2) Pietro Minerbetti nelle Accessiones al MURATORI, R. I. S., vol. II, 204, dice che
fu ucciso con un suo figlio.
F. SAVIO
Eeco la sua tavola:

NAPOLEONE di MATTEO ROSSO
1243. 1259. 1267.

Giacomo
1235 podestà di Todi; 1263
|

|
Poncello

|
Napoleone

I
Fortebraccio

| |
Audalo Leandro Orso Francesco
canonico . 1324 sposa stipite della
di Lincoln alla corte. Isabella di lineadiCam-
: di Napoli Tagliacozzo podifiore
È |
Pantaleone Giacomo Matteo
1271
podestà di Todi
|
pal [ .
Rinaldo Angelo Orso Giovannni Francesco
cardinale 1360 testa vescovo stipite dei duchi
1360 di Padova di Bracciano
e di
Gravina

Tutta questa genealogia contiene dei gravi errori e delle
grandi confusioni di persone e di fatti, i quali appariranno da
sé evidenti coll'esposizione che ora faremo di un'altra genealogia,
tutta appoggiata sopra certi ed indubitabili documenti.

Questi ci danno per primo stipite dei rami suddetti di Vico-
varo, Licenza, Campodifiore, Tagliacozzo, non già Napoleone figlio
di Matteo Rosso, ma Napoleone fratello di Matteo Rosso, figli
entrambi di Gian Gaetano.

Nella divisione di beni fattasi tra questi due fratelli, a Na-
poleone, come si vede dai documenti risguardanti o lui od i suoi
discendenti, scaddero Vicovaro, Cantalupo, Bardella, Ampiglione,
Bovatano e le case che gli Orsini avevano in Roma a Campodi-
fiore. Nel 1247 v'è un breve di Innocenzo IV, col quale esorta
labate di Subiaco a rinnovargli l'investitura di Bovatano ed Am-
piglione (1). Nel 1252, gennaio 29, il medesimo Napoleone comprò
da certo Paolo Forraca per 300 libbre di provisini una torre con
ruine e venti casalini in Castel S. Angelo (ora Castel Madama)
presso Vicovaro, Ampiglione e Bovatano (2).

Ebbe tre figli, Francesco, che fu card. diacono di S. Lucia

(1) Archivio Orsini, II, A, I, 28.
(2) Ib., II, A; I, 32.

SR NIRE PRIAREN ARIDI

pax RINALDO ORSINI DI TAGLIACOZZO

in Selce (1), Giacomo e Matteo Orso. Essi sono ricordati in un

atto del 1270, ottobre 20, col quale Giacomo Cornuta vende una .

casa in Tivoli per 150 libbre di provisini a « Tomassio, fami-
liari dni Francisci dni Nepoleonis Johannis Gaetani de filiis Ursi
recipienti nomine et pro parte dni Jacobi Nepoleonis et domini
Matthaei Ursi et eorum heredum » (2). AA

Sebbene da quest’atto non apparisca se Napoleone fosse già
morto, mancandovi la parola quondam, tuttavia è a ritenersi che sì,
poichè da questo tempo non trovasi più verun atto di lui, mentre
abbondano quelli dei tre suddetti suoi figli, che li dimostrano as-
soluti padroni ed amministratori dei fondi e beni paterni. Tra essi
deve porsi la concessione che fecero a Vicovaro degli Statuti nel
1272 (8).

In un accordo che fecero Giacomo e Matteo Orso intorno ai
loro beni, il di 4 maggio del 1275, son nominati i tre figli di Giaco-
mo, i quali erano Napoleone, Fortebraccio e Francesco, ed i figli
di Matteo Orso, cioè Orso, Giacomo, Napoleone (o Napoleoncello,
o Poncello), Tebaldo e Giovanni (4).

In altro documento dello stesso giorno sono nominate anche le
mogli di vari di costoro, cioè Elena moglie di Giacomo, Francesca
figlia di Niecoló del Conte moglie di Napoleone, Golizia moglie
di Fortebraccio, Z'/ppa moglie di Francesco, Oddolina, defunta
prima moglie di Matteo Orso, Terranana o Terandana sua se-
conda moglie, e Francesca moglie di Orso (5).

Giacomo era già morto il dì 20 marzo del 1278, poichè in atto
di questo giorno, compiuto dai tre suoi figli e dal fratello Matteo
Orso è detto quondam (6). Di lui racconta Saba Malaspina che
al tempo della lotta tra Manfredi e Carlo d'Angió, egli era con-

(1) Francesco alla morte di Bonifacio VIII è detto da Ferreto Franciscus de
Campo Florido, R. I. S., IX, 1011.

(2) Arch. Orsini.

(3) Archivio Storico Romano del 1891, XIV, 9.

(4) Arch. Orsini, II, A, II, 3.

(5B): Ib, IT; A, Il; 5.

(6) Ib., II, A, II, 10.

E ICPEINTDEM

pr ict Ra

E

RU aS

Dp n ere 166 SE : F. SAVIO

siderato come il capo dei Ghibellini di Roma e pel suo ghibelli-
nismo era stato scacciato dalla città. Posto alla testa di alcune
milizie tedesche, dategli da Manfredi, sconfisse presso Tivoli un
capitano di Carlo d’Angiò (1). Di poi, altempo di Corradino e del
senatore Enrico di Castiglia (1268), aveva: formata in Roma come
una fortezza in Campodifiori dove stavano le sue case (2). Suo
figlio Napoleone accompagnò Corradino nel regno (3).

I figli di Matteo Orso sono pure indicati nel suo testamento;
fatto addì 12 gennaio del 1279. Ivi lascia suoi eredi « Ursum, Ja-
cobum, Nepoleonem, Thebalducium, et Johannem filios meos primi
mei matrimonii et Johannem filium meum secundi mei matri-
monit. et ventrem uroris meae Terandanae » (4).

. II dì 5 gennaio 1288, in Vicovaro, per atto del notaio Rainero
di Matteo Attone di Foligno; Napoleone, del fu Giacomo di Na-
poleone, rinunzia in favore di suo fratello Francesco ogni diritto
sul castello di Licenza, posseduto dal loro zio Francesco, ed ogni
diritto sul feudo di Saccomuro. In compenso Francesco cede a
Napoleone le terre di Civitella.

Se insorga qualche contesa si rimetteranno all'arbitrato di
Fortebraccio, loro comune fratello (5).

Il dì 11 luglio 1288, per atto di Giustino di Giustino, Gia-
como di Rubiano del fu Ottaviano, marito di Perna, come pro-
curatore di Fortebraccio Orsini suo cognato, cede a Napoleone e
Francesco del fu Giacomo il castello di Poggio Ruino, confinante
coi territori di Roccagiovine, Sponga e Santo Polo. Giacomo ne
riceve mille marche d’argento (6). Un’altra figlia di Giacomo fu
Giovanna, che sposò Niccolò degli Annibaldi, e morì nel 1327,
come vedesi dalla sua iscrizione sepolcrale (7).

(1) Saba Malasp., lib. IIT, cap. IV, in DEL RE, Scritt. sincron. napoletani, II, 247 z.

vedi anche pag. 274.
(2) Ib., pag. 299.
(3) ‘Ib., pag. 275.
(4) Arch. Orsini, loc. cit.
(5) Ib., II, A, II, 23.
(6) Ib., II, A, II.
(7) FORCELLA, Iscriz. delle Chiese di Roma, VIII, 18.

— : Q dati
RINALDO ORSINI DI TAGLIACOZZO | ^ 161.

I documenti che abbiamo riferiti ci permettono di formare la
seguente tavola:

NAPOLEONE di GIAN GAETANO

vivo 1252, già -- 1270

|
Matteo Orso
cardinale già | sp. a) Oddolina
+ 1312 1278 b) Terranana
sp.Elena * testa 1279
|

Francesco Giacomo

| | | | I
a) Orso © a)Giacomo a)Napoleone a) Tebaldo a) Giovanna b) Giovanni
sp. Fran-

| cesca
|
Napoleone vivo Fortebraccio Francesco Perna Giovanna
1291 già -|- 1294 sp. Golizia. sp. Filippa sp. Giacomo 41-1320
sp. a) Risabella f..di Mattia stipite di Rubiano sp. Niccolò
. di Tagliacozzo Annibaldi della linea di viva 1288 degli Annibaldi
b) Francesca LICENZA
f. di Niccolò
Conti
viva 1275
$ 3. — I Conti di Tagliacozzo.

Venendo ora ai varì rami degli Orsini provenuti da Napoleone
fratello di Matteo Rosso, e zio paterno di Niccolò III, comincierò
a dire degli Orsini di Tagliacozzo. Il primo di questo ramo fu
‘Napoleone di Giacomo di Napoleone, il quale procurò ai suoi di-
scendenti la contea di Tagliacozzo, collo sposare Risabella figlia
ed erede di Bartolomeo di Tagliacozzo e di Maria d'Aquino. Ri-
sabella morendo lasciò la contea di Tagliacozzo a suo marito Na-
poleone, come consta dal suo testamento, in data 9 marzo 1270 (1).

Napoleone divenuto vedovo sposò Francesca figlia di Niccolò
de Comite o Conti, colla quale viveva nel 1275.

Napoleone era ancora vivo nel 1291 e morì prima del 1294,
poichè nel giorno 12 settembre di quell’anno, stando Carlo II in

(1) 1270 marzo 9 « Risabella wxor nobilis viri dhi Nepoleonis domi Iacobi Ne-
poleonis de filiis Ursi....virum suum eumdem, instituit sibi heredem in parte sua
competenti sibi in castro Taliacotii et cuncta eiusdem, terre et in castro Marani spe-
ctanti sibi rationabiliter iure nobilis viri dài Bartholomei de Taliacotio olim, patris
eiusdem dhe ... Item legavit dhe Marie de Aquino matri sue . . + fructus . . . Ca-
stri Marani . « . toto tempore vite sue », dopo la quale ritorni a Napoleone. « Item
volo quod breviarium meum det dictus vir meus S. Marie de Minerva ». Rogato Mat-
teo di Attone di Foligno. Arch. Orsini, II, A, II, 46.
168 | ; È i | F. SAVIO

Aquila dov'era venuto per corteggiare il nuovo papa Celestino V,
diede investitura della metà del castello di Tagliacozzo a Giacomo
figlio di lui (1). Nel diploma si legge che il castello di di
cozzo. era pervenuto alle regie mani ex causis ratimabulibus,
che l'investilura venne dala per interposizione del card. dd
leone (Orsini) di S. Adriano (2).

“Nel medesimo anno, ai 23 novembre, con atto del notaio Giu-
stino di Giustino, i Manetti vendono per 950 fiorini d'oro un pa-
lazzo nella regione Caccabariorum a Fortebraccio dni Jacobi Ne-
poleon.; ad Orso dni Francisci dni Jacobi Nepoleonis, pro se,
Leone et Johanne germanis fratribus suis, ed a Giacomo dni Ne-
poleonis dni Jacobi Nepoleonis pro se, Nicolao et Brazzo germa-
nis fratribus suis (3).

Questi ultimi sono i tre figli maschi di Nüpoleope che abbia-
mo indicato come stipite dei conli o signori di Tagliacozzo. Il se-
condo di loro, cioé Niccoló, sembra che fosse avviato alla carriera
ecclesiastica, e di lui credo si debba intendere un breve di Boni-
facio VIII, in data 31 dicembre 1303, col quale si concede a
Nicolao di Napoleone di far tenere da un vicario idoneo il suo
arcidiaconato di Fanenna nella chiesa di Liegi (4). Forse perché
ecclesiastico non trovasi nominato in una divisione di alcuni beni
che fecero tra loro vari Orsini nel di 22 ottobre del 1300. lvi, in
presenza del card. Francesco, Fortebraccio di Giacomo di Napo-
leone, Orso e Giovanni di Francesco, Giacomo di Napoleone (di
ped eee) pro se ipso ac Brachia fratre suo ... pro quo pro-
misit ... quod consentiet, et quod contra ipsa ratione minoris
etatis seu quavis alia non veniet ez parte una. Et Ursus, The-
baldus et Johannes dni Matthei Ursi ez parte altera, consentiente
ipso dno Cardinali eorum patruo, stabilirono che castrum de
Arzolis quod olim emit prefatus dnus Cardinalis ab Andrea
de Arzulis et castrum Ruvianelli spettino eisdem dno Fortis-
brachie, Urso et Johanni dni Francisci et Jacobo et Brachia

(1) Non sarebbe quindi improbabile ch'egli sia quell'Orsini che fu eletto senatore
il 10 aprile 1293 e.che mori un mese dopo ; dopo la qual morte nacquero tali discordie
tra il popolo, che per sei mesi non si elessero altri senatori. GREGOROVIUS, V, 586, 587.
(2) Arch. Orsini, II, A, II, 42. Anche il GREGOROVIUS cita quest'investitura, VII, 14.
(3) Ib., II, A, II, 40.
(4) Registres de Bonif. VIII, pag. 944.
RINALDO ORSINI DI TAGLIACOZZO

fratri suo, e che castrum Rivifrigidi, castrum Lacus, arcem et
montem, S. Elye et castrum seu castellare Turrite spettino ad
Orso, Teobaldo e Giovanni di Matteo. Di più essendo Giacomo di
Napoleone e Giovanni di Matteo minori di 25 anni giurarono di
non contravvenire mai a quell’accordo sotto pretesto della minore
età (1). I castelli di Rivofreddo, Lago, Ruvianello e Monté S. Elia
già appartenenti ai Colonnesi, allora ribelli, erano stati dati agli
Orsini da Bonifacio VIII con bolla dell' 14 settembre di quell'an-
no 1800 (2).

Il detto Niccolò è ancora nominato in un atto del 1314, giugno 2,
col quale Giovanni Boccamazza, in qualità di arbitro e consaguineo
comune, procede ad una divisione di beni tra alcuni Orsini. Egli
assegna a Giacoma moglie di Giovanni del fu Francesco Licenza,
e Saccomuro, e vuole che i diritti sul castello di Poggio Rusci ed
i castelli di Arsoli e Vicovaro stiano indivisi tra Orso e Giovarini
suddetti di Francesco da una parte, e Niccolò, Giacomo e Braccio
del fu Napoleone (3). Il medesimo arbitro, il di 12 marzo del 1313,
confermò a Giovanni del fu Francesco i castelli di Licenza e Sac-
comuro, aggiungendovi alcuni diritti sopra Poggio Rucei e Vico-
varo, esclusi i diritti comuni a Niccolò, Giacomo e Brachia del fu
Napoleone (4). Del suddetto Niccolò non si fa. più menzione nei
seguenti due atti del 1316, relativi a questioni pei suddetti ed altri
possedimenti ; quindi si può supporre ch’egli già fosse morto.

Nel primo, in data 7 gennaio, Teobaldo di Pietro di Giovanni
Cinzio da sentenza arbitrale tra Giacomo e Fortebraccio figli del
fu Napoleone da una parte e Giacomo figlio di Orso di Francesco,
canonico cameracense in suo nome ed in nome della sua chiesa,
col consenso di Orso suo padre. Stabilisce che quel tenimento di
Vicovaro quod est commune pro indiviso inter dictos dominum
Jacobum et Brachium ex parte una et dictum dominum Jaco-
bum dni Ursi ex parte altera, de quo modo est quaestio seu
litigium inter dictos dominum Iacobum dni Ursi seu dictum dnm
Ursum patrem suum ex una parte et dnm. Johannem domini

(1) Arch. Orsini, TI, A, III, 1.
(2) Ivi, n. 2, la bolla incomincia: « Ittwm erga filios Romana mater Ecclesia ».
3) Ivi, n. 13. Uno dei testi è « do Blasio rectore S. Petri de Vicovaro ».

(3)
(4) Ivi, n. 17.
170 và, F. SAVIO
Francisci ex altera remaneat in commune pro indiviso inter ipssa :
paries in eo statu et conditione in quo est (1).

Nell'altro, del giorno 11 dicembre 1316, Giovanni di Fran-
cesco protesta alla presenza di Giacomo di Napoleone.contro certa
divisione di beni in Vicovaro, che volevano fare il predetto Gia-
como con Braccio suo fratello da una parte ed Orso di Francesco
dall'altra (2). | :

"L'ultima menzione, che abbiam trovata di Brachio o Zra-
chia è in una pergamena dell'archivio Orsini colla data 1333,
seltembre 29. Essa è poco leggibile; ma vi si discerne abba-
stanza che trattasi di una cessione o vendita di beni fatta da Brac-
«cio ad Orso, canonico di Lincoln, suo nipote, figlio di Giacomo (3).

I suddetti fratelli Giacomo, Niccolò e Braccio ebbero anche
due sorelle, le quali erano ancora nubili nel 1304, quando le ri-
cordò nel suo testamento il card. Francesco Orsini.

Quanto a Giacomo, evvi l'alto d'investitura col quale il re Ro-
berto di Napoli, addi 25 luglio del 1329, diede la metà di Taglia-
cozzo ad Orso figlio di lui, nonostante ch'egli sia chierico. lvi
sì dice che la detta metà, non avendo Giacomo prestato il suo
servizio feudale, era devoluta alla Curia; il re la conserva a Gia-
como, e non potendo questi per la vecchiezza prestare il servizio
militare, ne investe il suddetto Orso. Che se Orso morrà senza
figli legittimi, oppure sia promosso ai sacri ordini, gli succedano
i suoi fratelli Angelo e Giovanni (4). Oltre questi tre, Giacomo
ebbe ancora un figlio, cioè Rinaldo, che fu cardinale e morì nel
1374. Lo vedremo ricordato nel.suo testamento dal fratello Orso.

$ 4. — Segue dei Conti di Tagliacozzo.

Di Giacomo l’ultima memoria, da noi trovata, è del 18330,
quando egli sarebbe stato senatore, o meglio vicario del re Ro-
berto in Roma (5) insieme con Pietro di Napoleone del ramo di
Castel S: Angelo. Dipoi vengono gli atti relativi ad Orso suo figlio.

(1) Arch. Orsini, II, A, TIT, 24.
2)- ID, 15; 22;

3) Ib.; II; A, IVy n. 9.

4) Ib., IT, A, III, 61.

5) PFLUGK-HARTTUNG, Iter.

omai

A
RINALDO ORSINI DI TÀGLIACOZZO

Nel 1338, ottobre 22, stando in Vicovaro, Orso comprò alcuni
beni da Pietro del fu Riccardo Frangipani (1).

Nel 1346, essendo già morto suo padre (2), abbandonato ogni

pensiero di vita ecclesiastica, sposò Isabella Savelli, dalla quale
ebbe tre figli maschi, Rainaldo, Giacomo, e Giovanni; e due figlie,
Maria e Caterina.

Nel 1351, maggio 12, Ottaviano di Rocca e Cola del fu Andrea
Boccamazzi gli vendettero la metà del castello di Roccagiovine
col consenso di Duraguerra abate del monastero di S. Sebastiano
in Roma (8).

Nel 1359, agosto 16, Orso tanto in suo nome che de’ suoi
fratelli Rainaldo cardinale e Angelo preposto Tongrense, e de’ suoi
figli Rainaldo, Giacomo e Giovanni compromette in Orso e Rai-
naldo Orsini una controversia con Matteuccio Orsini, suo fratello
Giacomo e gli eredi del fu Giovanni altro suo fratello. Ivi sono
nominali Lella moglie di Matteuccio, specialmente per la metà di
Vicovaro, la quale era stata tolta a Matteuccio (4), e Giordano
Orsini fideiussore di Orso. L’atto si compì in Marino (5).

Finalmente, il di 27 giugno del 1360, Orso fece il suo testa-
mento, chiamando eredi i tre suoi figli maschi, e lasciando alle due
figlie legittime Maria e Caterina 3,000 fiorini d'oro ed un regalo
a Colasta sua figlia naturale. Mette i suoi figli- (che non avevano
ancora 25 anni) sotto la protezione dei propri fratelli Rainaldo
card. di S. Adriano ed Angelo, che egli chiama venerab. virum,

(1) Petrus ft. quondam Ricardi Fraiapanis ex dominis castri Cisternae vende
ad Urso Jacobi Napoleonis de f. Ursi la quarta parte castri Cisternae ...cum Rocca,
turri, Cassaro, et quartam, postem castri et Rocche Tiberie, et medietatem Castellanie
sew Casalis Gripta de Noctulis, et quartam partem palatii magni et domorum jun-
etarmwm Colliseo et prope Collisewm. Actum Vicovarie. GREGOROVIUs, VI, dall’ Arch.
Caetani, TII, 21.

(2) In una lettera presso THEINER, III, 167, egli é detto Orso del fu Giacomo di
Napoleone. ; :

(3) Arch. Orsini, II, A, V, 12.

(4) Forse gli fu tolto in seguito ad un bando pronunciato quel medesimo anno
1359, marzo 9, da Raimondo dei Tolomei di Siena, senatore di Roma, il quale condannò
a morte detto Matteuccio di Francesco di Campo di Fiori ed altri per aver ucciso Gio-
vanni di Berardo e due altri nel castello di Scarpa, ed ordinò che-i rei fossero assaliti
nel castello di Vicovaro. Arch. Orsini, II, A, V, 30.

(5) Ib., 29.

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T2 : — RF. SAVIO -

segno del suo essere ecclesiaslico (1). Egli mori quell'anno stesso
o al principio del seguente, poichè, il dì 29 aprile del 1361, Isabella
Savelli, dicendosi vedova di Orso conte di Tagliacozzo, comprò
a nome dei suoi figli il castello di Celle in Abbruzzo dall'ordine
Gerosolimitano (2).

Nel 1362 la regina Giovanna concedette ai figli di Orso l'in-
vestitura di Tagliacozzo ed altri beni (3).

Siccome, nel suddetto testamento, Orso non fa menzione del
terzo suo fratello Giovanni, è probabile che costui fosse già morto.

Ecco ora l’albero di questi Orsini, quale risulta dai documenti
citati:

NAPOLEONE
|
|
Giacomo Niccolò del Conte Fortebraccio due figlie
nel 1300 era minore 1996. Nel 1303 o Braccio nubili
di 25 anni arcidiacono a Liegi. 1296, 1313, 1316, nel 1304
senat. di Roma 1330 1311 1333
già -- 1346
|
| i &l | exo
Orso Rainaldo Angelo Giovanni
prima canonico cardinale preposto 1329
di Lincoln: poi nel di S. Adriano di Tongres già -| 1360
1316 sp. Isabella | 1329, 1360
Savelli
-- 1360 o 1361
I
to se] nM È |. |
Rainaldo Giacomo Giovanni Maria Caterina Colasta
signore ‘4 1379 card. di | -| 1390 1360 1360 1360
di Orvieto S. Giorgio in
-- 1390 Velabro, creato

all' Aquila da Urbano V.

I] Pflugk- Harttung dice che nel 1318 un Francesco Orsini di
Giacomo di Napoleone era cancelliere della città. Se la notizia è
vera, non potendo egli essere il Francesco fratello di Napoleone
stipite dei Tagliacozzo, poichè questi mori nel 1290, bisogna dire
che sia un fratello di Orso, morto nel 1360. Dovette peró morir
presto, poiché mai non se ne parla nei documenti.

Da Giovanni, f. di Orso, nacque Giacomo, al quale nel 1409
addì 25 agosto il re Luigi II d'Angió concedette Alba in feudo.
Egli mori, a quanto pare, prima del 1415, poiché in quest'anno

(1) Arch. Orsini, Il, A, V, 33.
(2) Ib., n.58,
(3) Ib., n. 44.
RINALDO ORSINI DI TAGLIACOZZO

ai 6 giugno Giovanna II confermó la contea di Tagliacozzo a
Giovanni Antonio Orsini (1).

Giovanni Antonio ebbe un fratello di nome Rinaldo. Nel 1435
Eugenio IV diede ad entrambi il vicariato delle terre di Monte
Gentile e Castelarcione (2). Giovanni Antonio mori nel 1464 la-
sciando solo una figlia di nome Maria, moglie di Diofebo di Everso
dell'Anguillara. Rinaldo era già morto il 13 luglio del 1450.

Erede di questa famiglia dei Conti di Tagliacozzo fu Paola
sorella di Gianantonio e di Rinaldo, la quale portó l'eredità a suo
marito Carlo della discendenza degli Orsini di Monterotondo.

GIOVANNI 4- 1390

Giacomo 1431

|

Giovanni Rinaldo Paola

Antonio “| 1450 sp. Carlo Orsini

| 1464 della linea

| di Monterotondo
Maria
sp. Diofebo
dell'Anguillara
S 9. — Discendenza di Fortebraccio Orsini.

Il secondo fratello di Napoleone, che abbiam detto essere
stato lo stipite dei Tagliacozzo, era Fortebraccio.

Dai documenti, che ora riferiremo intorno ai suoi discen-
denti non risulta che essi portassero un titolo parlicolare di si-
gnoria. Ebbero, è vero, il possesso di Vicovaro, ma questo sembra
essere stato un possedimento comune a tutti gli Orsini provenuti
da Napoleone di Gian Gaetano.

Nel 1248 Fortebraccio si sposò con Golizia figlia di Mattia
del fu Annibaldi e sorella di quel Riccardo Annibaldi, che nel
1281 a Viterbo fece o lasciò assalire i cardinali raccolti in con-
clave. Ai 26 gennaio di quell’anno Giacomo diede a Mattia ipo-
teca sui suoi beni « pro Golitia filia sua futura urore Forte-
bracci filii mei » (3).

(1) GREGOROVIUS, VII, 14.
(2) Mie note dall'Arch. Vaticano.
(3) Arch. Orsini, II, A, II, 30.

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Ai 4 maggio del 1275 si ha una sentenza arbitrale pronun-
ziata da Pietro di Giovanni di Cinzio tra Giacomo di Napoleone
coi suoi figli Napoleone, Fortebraccio e Francesco da una parte e
Matteo Orso coi suoi figli Orso e Giacomo dall'altra. Dalla sen-
tenza apparisce che il card. Francesco aveva fatto un compromesso
coi suoi fratelli riservandosi l’usufrutto di certi possessi, e special-
mente Licenza. Giacomo ebbe Castel S. Angelo (ora Castel Ma-
dama), Licenza e Civitella col patto che « faciat dictus dnus Jacobus
quod dna Helena uxor sua et dna Francesca uxor dni Nepoleonis
cum consensu et auctoritate dni Nicolai Comitis patris eius et
dna Golitia uzor dicti dni Fortebracchie et dna Filippa uxor
Francisci, nurus ipsius dni Jacobi . .. . consentiant ». Lo stesso
deve fare Matteo Orso, che Ursus et Jacobus et Johanna filii sui

reuncient ad ogni pretesa e non muovono difficoltà. occasione
dotis dne Oddoline quondam maíris eorum e che Poncellus et
Thebalduccius filii sui et olim dicte uxoris sue statim quod per-
venient ad etatem XIIII annorum daranno il loro consenso, e
che dna Terrapnana umor sua et dna Francisca nurus eius et
ucor dni Ursi filii sui anch'esse consentano. Si decide che
Matteo Orso « habeat et pro sua parte teneat castrum Burdelle,
castrum Cantalupi et Villam de Opico ... et reliquam partem
terrarum Ampollonii a parte montium versus Sanctam Siloulam
et Roccam de 'Silice (1). |

Nel 1278, marzo 8, Matteo Orso ed i tre fratelli Napoleone,
Fortebraccio e Francesco figli del fu Giacomo di Napoleone con-
cedono un'enfiteusi con atto del notaio Giustino di Giustino (2).

Il 7 novembre del 1290 Nicoló IV concedette a Riccardo « nato

nobilis viri Fortibrachiae Jacobi Nepoleonis de f. Ursi » e ad

.« Egidie nate nobilis viri Nepoleonis Angeli Malabranche Can-
cellarit Urbis » dispensa per matrimonio (3).

Nel 1294, gennaio 17, Fortebraccio di Giac. di Napoleone
compra dei beni in Tivoli (4).

Nel 1304 il card. Francesco Orsini, fra le altre sue disposi-

(1) Arch. Orsini, II, A, II, 4.
(2) Ib., 10.
(3) Ib., 32.
(4) Ib., 33.
RINALDO ORSINI DI TAGLIACOZZO

zioni testamentarie, lasció erede Fortebraccio, e fece un legato
domine Perne vidue filie dicti dni Fortibrachie (1).

Nel 1307, maggio 1, gli abitanti di Ampiglione costituiscono
un procuratore per far la pace con quei di Castel S. Angelo (ora
Castel Madama) e si dice nell'atto che Castel S. Angelo appar-
tiene a Fortebraccio (2).

Nel 1314 Fortebraccio era già morto, poichè in un atto di
quell’anno il conte Alberico di Cunio dichiara d’aver ricevuto dal
procuratore dni Rizzardi quondam dni Fortibraci de f. Ursi de
Urbe pro domina Johana eius nepte et filia quond. nobilis viri
Jacobi de Freiapanis desponsata . . . . et coniuge futura Alberichi
fili dicti. domini Comitis Albrici una somma di denaro, la cui
specificazione nella carta non è più leggibile (3).

Nel 1316, novembre 16, Riccardo di Fortebraccio era sena-
tore, e come tale cedette un censo dovuto al Comune di Roma dal
Comune di Tivoli (4).

Nel 1317, in gennaio, Riccardo, insieme con suo fratello Pon-
cello, comprò delle case nel rione Regola per 100 fiorini d’oro (5).

Nel 1320 Riccardo e Giovanna moglie del fu Alberghetto
figlio del conte Alberico di Cunio istituiscono un procuratore
per ricevere da costui la dote della suddetta Giovanna (6).

Nel 1321, agosto 1, Giovanni XXII concede a Paolo ed a
Francesca figli di Poncello di Fortebraecio di poter sposare chi
sia loro parente in 4" grado di consanguinità (7).

Per la concessione di Ampiglione e Bovatano fatta a vari Or-
sini ed a Riccardo, vedi sopra.

Nel di 22 luglio del 1321 il re Roberto di Napoli, aderendo
alle preghiere del popolo romano, proroga ai due suoi vicarii nel
senatorato, Annibaldo degli Annibaldi e Riccardo di Fortebraccio,
la durata della loro carica (8).

(1) Arch. Orsini, II, A, III, 8.
(2) Ib., n. 12.
(3) Ib., n. 19.
(4) Ib.,

(5) Ib., Hm Altre case comprarono ancora nello stesso mese, ivi sl e 32.
: (6) Ib., n. 41.

(7) Ib., n. 43.

-(8) Ib., n. 45.

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Nel 1322, aprile 8, Perna figlia di Fortebraccio uzor quon-
dam magnif. viri Jacobi dni Gregori Frajapan. ex dnis Castri
Cisterne fa testamento. Lascia eredi le sue figlie dnam Johannam .
et dnam Sophiam; lega tre fiorini d'oro Ecclesie Sanctorum Qua-
draginta martyrum de Urbe de Colliseo. Lascia « Bello filio
Riccarduccii Petri de Annibaldis nepoti suo centum florenos auri »;
a Margherita sua sorella moglie dai Johannis Cinthit de Parrione
10 fiorini d'oro. Lascia esecutori del suo testamento « Zeceren-
dum virum fratrem. Matheum epum Crusinum et dnm. Riccar-
dum dni Fortebrachie fratres carnales suos, quibus ambobus
reliquit L libras, quas eidem testatrici dare tenebantur ez te-.
stamento quond. patris eorum » (1).

Delle sposalizie contratte nel 1323 tra Francesca di Poncello
Orsini ed Orso figlio di Andrea di Campodifiore abbiam detto.
Sopra.

Un'altra memoria del suddetto Poncello di Fortebraccio si
trova nel 1327, gennaio 11, in un atto, col quale un certo Ni-
cola di Giov. Burdone di Tivoli gli loca l'opera sua come so-
marerius per un anno, contro il compenso di 16 libre di buoni
provisini, e vestito, mantello, vestiario per la famiglia e cibo e
bevanda come si usa ai conduttori di bestie (2).

Nel 1332, aprile 29, Riccafdo di Fortebraccio compró dei beni
in Tivoli (3).

Nel 1352, nov. 5, Buzio di Romano di Bonaventura promette
di sposare Margherita del fu Poncello di Fortebraccio e dichiara
di aver ricevulo da Golizia madre di Margherita vedova di Pon-
cello, 300 fiorini d'oro (4). Questo medesimo Buzio, ai 7 marzo
del 1356, fece testamento, col quale lasciò ai suoi figli Cerveteri,
Giuliano, Sasso, Castello a mare e Torricella (5).

Il 1° settembre del 1356, Mabilia figlia del fu Giovanni Savelli
e vedova di Paolo Orsini fa testamento e lascia eredi dei suoi beni
in Castel S. Angelo (Castel Madama), di cui era signora, le sue fi-
glie Golena moglie di Laino Orsini e Perna monaca in Panisperna

(1) Arch. Orsini, loc. cit., n
(2) Ib., n. 58.

(3):1D5 TL A,-IV,-ni7;

(4) Ib., n. 14.
(5) Ib., n. 25.
RINALDO ORSINI DI TAGLIACOZZO TU

fa pure un legato per l'anima di Alena sua figlia defunta. Dichiara
inoltre di volere quod testamenta et ultime voluntates quond. dni
Riccardi, dni Fortibracci, dne Egidie uxoris eius et Paoli olim
viri mei statim post mortem meam. esecutioni mandentur (1).

Dai documenti fin qui recati resulterebbe che la discendenza
di Fortebraccio alla terza generazione si spense con donne, poi-
chè dei tre figli maschi che ebbe; Matteo si rese frate francescano
e fu vescovo prima di Imola poi di Chiusi (2), Poncello ebbe solo
Paolo il quale non lasció dietro a sé che figlie, e Riccardo non

apparisce aver avuto famiglia.

Secondo i suddetti documenti l’albero di questo ramo sarebbe

il seguente:

FORTEBRACCIO

vivo 1307
già 4 1314
sp. Golizia

figlia di Mattia Annibaldi

Riccardo Poncello Matteo
1316, 1320, 1321 vivo 1329 francescano
vic. regio, già 4 1332 vesc. di Imola

1335 senatore Sp. Golizia
già + 1356 viva nel 1352
sp. Egidia |

|

|
Paolo già -- 1356 Francesca
nel 1346

1302-1317
vesc. di Chiusi
1317-1322

Margherita

nel 1323 sp. Bucio
Sp. Mabilia sp. Orso di di Romano
Savelli del Andrea Orsini di Bonaventura

fu Giovanni di Campodifiore nel 1352
viva 1356

Golena Perna

|
Margherita Perna
viva 1322 nel 1304
sp. Giovanni già vedova di
di Cinzio Giacomo
di Parione di Gregorio
Frangipani
testa 1322
|
Giovanna Sofia
nel 1314 viva

Sp. Alberghetti nel 1322
f. di Alberico
conte di Cunio
già vedova
nel 1320
viva nel 1322

S 6. — Gli Orsini di Licenza.

Francesco, terzo figlio di Giacomo di Napoleone, fu lo slipite
dei signori di Licenza. Egli cadde ucciso nel 1290 in una fazione
dei Romani contro i Viterbesi. Dai documenti addotti dal Pinzi,
ricavasi che sua madre chiamavasi Alena o Elena, e che al mo-
mento della sua morte era vedovo coi seguenti figli: Orsello, Leo-
nello, Giannuccio, Perina, Carizia, Agnesuccia e Filippuccia. I

(1) Arch. Orsini, loc. cit., n. 22.

(2) Iscrizione sepolcrale a Ripagrande nella chiesa di S. Francesco riportata dal-
l’UGHELLI, III, 640. Ivi l'UGutELLI dice rettamente ch' era fratello di Napoleone, ma al

nome di Napoleone aggiunge erroneamente cardinale.

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feudi da lui posseduti erano la quarta parte del castello di Vico-
varo, il castello di Saecomuro ed il castello di Licenza (1), più
cerle case in Roma. Di queste abbiamo parlato sopra (2). Pei:
castelli di Licenza e di Saecomuro vedasi l'atto del 1288 riferito
sopra (3) e per altri atti riguardanti i figli di Francesco, ivi pa-
gine 168 e 169, come pure certi alti del 1316 riguardanti parti-
colarmente Giovanni (4).

Nel 1298, maggio 9, « Nobilis vir Ursus natus olim dni Fran-
cisci dni Jacobi Nepoleonis de f. Ursi obbliga Nobili viro dno
Petro Stephani Raynerii pro se et recipienti vice et nomine no-
bilis mulieris domine Francisce filie quond. nobilis viri dni Bo-
naventure de Cardinali uxoris dicti Ursi .... tertiam et inte-
gram partem suam. castri superioris Vicovarii » (9).

Nel 1307, marzo 25, Orso di Francesco pronunzia sentenza
arbitrale tra gli uomini del castello di Saracinesco appartenente
a Giovanni vescovo di Tuscolo e gli uomini del castello di S. Polo
che appartiene al monastero di S. Paolo di Roma (6).

Giovanni del fu Francesco concede gli statuti a Saccomuro
nel 1311, settembre 26 (7).

Tralasciando altri atti che lo riguardano, e che già abbiamo
‘ citati, noteremo ancora una dichiarazione fatta nel 1330, agosto DI
da Giovanni Boccamazza arbitro intorno ad una vendita fatta da
Giovanni di Francesco in Saccomuro (8). Egli era già morto nel
1362, ed ebbe un figlio omonimo come vedesi dall’atto del 1362,
agosto 2, che citiamo infra (9). Quest'ultimo, a nome di sua mo-
glie Bucia figlia del fu Nucciarello de Pontibus, nel dì 15 gennaio
del 1365 vendette ai fratelli Rinaldo e Giovanni Orsini di Ta-
gliacozzo metà del castello di Pireto in Abbruzzo per 3300 fio
rini d’oro (10).

(1) Storia di Viterbo, II, 457.
(2) Pag. 166.
(3) Ib.,
(4) Pag. 170.

. (5) Arch. Orsini, II, A, II, 49.
(6) Ib.; II, A, III, 11.
(7) Ib., 4.

(8) I], A, IV; 1.

(9) Pag. 183.

(10) Arch. Orsini, II, A, V, 55.
RINALDO ORSINI DI TAGLIACOZZO 119

Quanto ad Orsello sappiamo che ebbe un figlio di nome Gia-
como, il quale nel 1316 era canonico di Cambrai (1); ma igno-
riamo se avesse altri figli.

Leonello, secondogenito di Francesco di Giacomo, fu eccle-
siaslico e già era morto il di 6 giugno del 1304, perché in que-
sto giorno Bonifacio VIII diede ad un cappellano del cardinale
Francesco Orsini l'arcidiaconato di Besangon vacante per la morte
del suddetto Leone di Francesco (2).

FRANCESCO 4- 1290
sp. Filippa viva nel 1275
già morta nel 1290

| | |
Orso Leone Giovanni Perina Carizia Agnese Filippa

1316, 1318 ecclesiastico nel 1300 1290 1290 1290 1290
sposa già | 1304 era minore
Francesca di 25 anni;

rel 1311 ha Licenza
e Saccomuro,

vive 1330
già + 1362
Giacomo sp. Giacoma
canonico
di Cambrai |
nel 1316 Giovanni

nel 1365 è detto
Giovanni di Licenza,
sp. Bucia de’ Ponti
viva nel 1365

$ 7. — Gli Orsini di Campodifiore.

Lo scrittore della lettera da noi riportata si sottoscrive Gio-
vanni di Lello Orsini.

Un Lello Orsini, Lellus de filiis Ursi, intervenne il dì 10
maggio del 1357 come testimonio ad una convenzione tra il Co-
mune di Teramo e Covello Gallo di Napoli, capitano di Teramo (3).
Di più, dice il Litta che il Boccaccio in una sua novella fa men-
zione di un Lello di Campodifiore (4).

Per scoprire la famiglia dei due suddetti Orsini ci è d’uopo

(1) Registres de Bonif. VIII.

(2) Ib.

(3) SAVINI, Il Comune Teramano nella sua vita intima e pubblica. Roma, For-
zani, 1895, pag. 530. Ivi è riferito tutto l'accordo.

(4) Decamerone, giornata 5a, nov. 2.a

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comporre l'albero genealogico del ramo degli Orsini, che si chiamò
di Campodifiore. i

Lo stipite primo di questo ramo fu Matteo Orso, che fece te-
stamento nel 1379 e mori poco dopo. Egli ebbe per figli Orso,
Giacomo, Napoleone o Poncello, Tebaldo e Giovanni.

Due di costoro, Giacomo e Napoleone, appariscono essere stati
ecclesiastici. Giacomo nel 1295 era tesoriere di Salamanca, nel
1304 era arcidiacono di Sens e gli vennero date da Bonifacio VHI
due dispense (1). Nel 1306, ai 6 marzo, nominó un suo procura-
tore per trattare certi interessi coi Comuni di Orvieto e di Orbe-
tello; e si intitola arcidiacono di Sens e cappellano pontificio (2).

Napoleone o Poncello nel 1275 non aveva ancora 14 anni di
età. Nel 1804 era arcidiacono di Maiorca (3). Nel 1320 era no-
taio del Papa (4).

Degli altri due figli di Matteo Orso, cioè Tebaldo e Giovanni,
non sappiamo se ebbero figli maschi; sappiamo solamente che
ebbero delle figlie. Tebaldo ne, ebbe due, le quali nel 1304 erano
ancora nubili. Una di esse chiamavasi Francesca, e nel 1311 ot-
tenne da Clemente V dispensa per sposare un suo parente. Gio-
vanni ebbe tre figlie, anch'esse nubili nel 1304.

Nel 1290 gli Orsini, provenuti da Napoleone di Gian Gaetano,
per mezzo dei suoi figli Giacomo e Matteo Orso, e capi di fami-
glia (cioè toltine gli ecclesiastici e le donne) erano sei, tre figli
di Giacomo e tre di Matteo Orso. Quindi è che alla morte di Fran-
cesco, uno dei figli di Giacomo, si trova ch'egli possedeva. sez-
tam partem domorum positarum in Campo de Flore, cui ab uno
latere est Thever, ab alio Ecclesia S. Marie Cripte Pinte, ab
altero est Platea Campi de Flore; sextam partem trium par-
tium domorum Turris Pretondate et domorum de Campanartis in
Arenula, Sancto Angelo et in aliis loeis (5). Donde si conferma
che nella divisione fatta nella prima metà del secolo XIII tra
Matteo Rosso e Napoleone, figli di Gian Gaetano, al secondo

(1) Registres de Bonif., VIII.

(2) FUMI, Cod. diplom., pag. 404 (nota 54).
(3) Les registres de Bon. VIII.

(4) Infra pag. seguente.

(5) PINZI, Storia di Viterbo, II, 497.
RINALDO ORSINI DI TAGLIACOZZO 181

erano toccate le case poste presso il teatro di Pompeo e Campo-
difiore, come già ho arguito altrove da un testo di Saba Mala-
spina e da altri documenti. i

Dai possedimenti che avevano a Campodifiore, i discendenti
di Napoleone di Gian Gaetano e specialmente quelli derivati da
Matteo Orso suo secondogenito si denominarono Orsini di Cam-
podifiore. Così è nominato Tebaldo, figlio di costui, in occasione
della lotta che arse a Roma tra i partigiani di Enrico VII di
Lussemburgo, ed i suoi nemici, tra i quali era Tebaldo (1). Così
altri di questa famiglia nei documenti che ci avverrà di citare.

Orso, primogenito di Matteo Orso, fu podestà di Rimini
nel 1290 (2), podestà di Corneto nel 1300 (3). Egli era già morto
nel 1304, allorchè dopo il marzo di quell’anno, il card. Francesco
fece il suo testamento, nel quale lasciò un legato fratri Matheo
filio quond. dii Ursi dni Mathei, ordinis praedicatorum (4). Questi
fu in seguito vescovo di Girgenti, nel 1327, poi arcivescovo di Si-
ponto, ed infine cardinale del titolo dei SS. Giov. e Paolo. Mori
nel 1340.

Un altro figlio di Orso fu Andrea, che nel 1321 fu eletto
capitano generale a Roma (5). Nel 1327 fu podestà di Narni (6).
Nel 1337 fu deputato da Benedetto XII al governo di Roma. (7).
Nel 1346 era signore di Vetralla. Nel 1320, aprile 12, « Nobiles
mulieres dna Francisca dui Francisci dni Ursi de f. Ursi et
dna Goutosa uxor Poncelli fratris dicti dài Franetsei concedono
ed accettano la vendita facta nobilibus viris dio Riccardo For-
tiibrachis de f. Ursi et Poncello eius fratri per nobilem virum
dim Andream di Ursi per se et vice et nomine diit Neapoleonis
dni pp. notarii et dnrum Jacobi et Johannis fratrum ipsorum,
e Giovanni Ainaldi notaio procurat, dii Francisci et Poncellt
fratris ipsius, vendita di un corso d'aequa (8), che anima il molino

(1) RAINALDI, ad an. 1312, n. XXIII.

(2) Storia di Rimini.

(3) CALISSE, I Prefetti di Vico, in Archivio Storico Romano, vol. X, 54.
(4) Arch. Orsini.

(5) VITALE, 226.

(6) PFLUGK-HARTTUNG, Op. cit.

(7) Cod. vat. 80142 del Siti sui Conti Tuscolani, pag. 69.

(8) Arch. Orsini, II, A, III,

SAU ERE C
189 F. SAVIO

di Riccardo e di Poncello. Credo le parole fratrum ipsorum
che si trovano nella pergamena contengano forse uno sbaglio, .
e che ivi si tratti di tre dei figli di Matteo Orso, cioè Napoleone,
Giacomo e Giovanni. Tebaldo, altro figlio di Matteo Orso, che qui
non è nominato, era ancor vivo, perchè al 1» agosto del 1321
papa Giovanni XXII scrisse a Riccardo di Fortebraccio vicario
in Roma per re Roberto, come pure a Napoleone fratello di lui,
a Tebaldo di Matteo ed agli eredi del fu Orso, rinnovando loro
l'investitura dei castelli d'Ampiglione e di Bovatano, dipendenti.
da Subiaco (1).

Nel 1323, novembre 11, per atto del notaio Stefano Maffaroni,
in domo dhorum Riccardi et Poncelli dài Fortibraehie fratrum,
presentibus Jacobo Catellini, Paulo Maffaroni « Nobilis vir dnus
‘Andreas dni Ursi de Campo Flor. cum consensu dne Mabilie
uzoris sue .... pro se et Urso filio suo obligavit et pignus
posuit Poncello dni Fortibrachie de f. Ursi presenti et recipienti
pro se et nomine et vice dne Francisce filie sue honeste puelle et

uxoris future in Dei nomine dicti Ursi filii sut videlicet seztam

partem. medictatis castri Vicobarii, medictatem tertie partis ca-
strorum Cantalupi, Burdelle, Ampollon., Ville de Obaco, Belmontis
et omnium bonorum et accasamentorum ipsorum, quos habent in
regione Arenule et SS. Laurentii et Damasi, filii dicti domini
Ursi ». Il medesimo Andrea dichiara d'aver ricevuto da Poncello
novem centinaria florenorum. boni et puri auri et recti pon-
deris (2).

In occasione della venuta e della partenza da questa città di
Ludovico il Bovaro, il Papa, addi 7 marzo 1328 scrisse a vari
Romani, lodandoli della loro fedeltà, e tra essi ai seguenti:

Bertholdo quondam Poncelli Matthei (della linea di Monte-
rotondo), Jacobo Napoleonis (di Tagliacozzo), Ricardo Fortisbra-
chii (di Vicovaro), Andree de f. U. de Campo Flor. Eodem die
nobil. viris Francisco militi et Poncello germanis de f. Ursi de
Campo Florum (3).

(1) Arch. Orsini, loc. cit. 43.
(2) Ib., II, A, III, 51.
(3) Vatikanischen Akten in der Zeit Ludwigs des Bayern, pag. 363.
RINALDO ORSINI DI TAGLIACOZZO 183

Nel 1329, marzo 18, in Ampollone « Nobiles et potentes virt
dii Franciscus de S. Alberto, a nome suo e di una sua chiesa o
prebenda, Angelus et lohannes de S. Alberto filit quond. dni
Laurentii (Giovanni non ha ancora 25 anni) vendono magnifico
viro diio Francisco dii Ursi de f. Ursi de Campo floris un teni-
mento in Ciciliano per 40 fiorini d'oro (1).

Nel 1346, agosto 21, Orso e Giovanni figli del fu Napoleone
e Nicola figlio del fu Matteo di Napoleone (della linea di Castel
S. Angelo) vendettero ad Andrea di Campodifiore il tenimento di
Ponte Veneno (2).

1l 12 giugno del 1348 Andrea del fu Orso fece il suo testa-
mento « in Arpacasa in domibus ipsius dni Andree » col quale
lasciò eredi Ursum, dum Benedictum, diim Poncellum et Latinum
et dim Simonettam filios suos li matrimonii et Vanotiam filiam
suam, 9! matrimonii, et ventrem Ocilende uxoris sue sí pregnans
esset » (3). Simonetta era moglie di un Colonna.

Vannozza sposó di poi Ludovico del fu Manfredi dei Prefetti
che diede ipoteca sui suoi beni per la dote della sposa il 20 lu-
glio del 1349 (4). Per questo matrimonio Clemente VI aveva già
dato dispensa dai gradi di parentela fin dal 1345, settembre 30 (5).

Quanto a Francesco, fratello di Andrea, dai documenti ap-
prendiamo ch'egli ebbe per figli Giacomo, Matteuccio e Giovanni.
Tutti e tre sono nominati nell’atto del 1359, agosto 16, che ab-
biamo nominato sopra (6). Ivi Giovanni figura come già morto.
Di Giacomo sappiamo di più che fece testamento nel 1363 (7).

Poncello ebbe certamente un figlio di nome Giovanni, sopran-
nominato schiavo. Nel 1362, agosto 2, nel castello di Licenza « Zo-
hannes quondam dni Johannis f. Ursi (della linea di Licenza)
rimelle magnifico viro Latino dii Andree vice et nomine magni-
fici viri Johannis Poncelli dicti Sclavi de f. Ursi fratris coniun-
cte persone dicti Johannis et suorum successorum tutti i diritti

2
Ib., 9.

(5) CALISSE in Archivio Storico Romuno, X, 71.
(0) Vedi 8 4.

(7) GREGOROVIUS, V, 508.
184 OPE. SAVIO;

che ha sulla somma dei 47 fiorini residui dei cento, a cui dictus
Johannes una cum Mathutio dii Francisci de f. Ursi tenetur (1).

Giovanni era ancora vivo il 1364, ottobre 3, allorchè con atto
scritto in Belmonte nominò un procuratore per certi suoi diritti
in Ampiglione (2).

Di Matteuccio o Mattuzio già abbiam recate varie mémorie.

Tra i documenti che riguardano questo ramo degli Orsini no-
tiamo ancora l'atto dell'anno 1360, col quale Orso di Andrea cede
a suo fratello Latino i diritti che aveva verso il Doge e popolo di
Genova, ai quali avea dovuto pagare 1000 fiorini d'oro per ri-
scatto d'essere stato preso prigioniero: ma poi aveva convenuto
con loro che gli pagassero un tanto per tutte le merci, che con-
ducevano a Roma (3).

Nella Chiesa della Minerva trovansi le seguenti iscrizioni ri-
ferite dal Forcella:

-- HIC REQUESCIT D., DE URSINIS CAMPI
FLORIS QUI OBIIT ANO D. MCCC. I SEPTEBRIS
CUIUS ANIMA REQUIESCAT IN PACE (4)

Costui dev'essere un qualche nipote abiatico di Matteo Orso:

HIC REQUIESCIT DNA JOHA MAG.CI VIRI DNI FRAN

CISCI DNI URSI DE FILIIS URSI DE CAMPO FLORE ET

FILIA ANGELI SATI ALBERTI CUIUS ANIMA REQUIE
SCAT IN PACE. AMEN. ANNO DNI MCCCXXXVII. (5)

Ivi è ancora la seguente:

VEN. MEM. FF. LATINI ET MATTHEI URSINORUM ORD. PRED.
S. R. E. CARDINALIUM.

Il card. Latino è il celebre Latino Malabranca nipote di Nic-
colò III, l’altro è il figlio di Orso di Campodifiore.

(1) Arch. Orsini, II, A, V, 45.

(2) Ib., 53.

(3) Ib., n. 34.

(4) Vol. I, n. 1556. i i i
(5) Ib., 1560.
RINALDO ORSINI DI TAGLIACOZZO

Presentiamo ora nel seguente albero la serie di tutta la di-
scendenza degli Orsini di Campodifiore, cominciando da Orso figlio
di Matteo Orso:

ORSO vivo 1300
già + 1304
sp. Francesca

Ù | |
s Matteo Andrea Francesco er
3 domenicano testa 1348 338 sposa
I T 1340 già | 1356 già -- 1345 Gottosa.
vescovo di sp. a) Mabilia Sp. a) Francesca
Girgenti viva 1323 viva 1320
arciv. di b) Ocilenda b) Giovanna 4- 1337
Sagunto che fa testam. f. di Angelo
cardinale 1356 di S. Alberto '

Giacomo Matteuccio Giovanni

sì 1359 vivo 1364 già | 1359
testa 1363 à

| | |
a) dria a) Benedetto «) Poncello a) Latino a) Simonetta b) Vanozia
vivo 1363 1348 1369 can. 1362, 1372 sp. un sp. Lodovico
già | 1369 di S. Pietro già -}- 1394 Colonna dei Prefetti
sp. a) nel 1323 1378-94 col quale vive
Francesca cardinale nel 1356
f. di Poncello di S. Clemente
Orsini > : LIZIZIIII RET
di Vicovaro Angelo Gio-
b) Orsina o Lello vanni

vivo 1357 detto
già -| 1363 Schiavo
| ? 1364
Giovanni
vivo 1390

S 8. — Lello e Giovanni Orsini.

Veniamo ora a cercare donde provenissero Giovanni scrittore
della lettera e Lello suo padre. Quanto a quest'ultimo, supponen-
dolo identico insieme con Lello di Campodifiore del. Boccaccio
avrebbe torto il Litta a farlo derivare da Francesco figlio di Gia-
| JA. eomo. Il nome di Orsini di Campodifiore venne dato unicamente
ai discendenti di Matteo Rosso fratello secondogenito di Giacomo,
perciò tra essi devesi ricercare il nostro Lello. -

Nell’albero genealogico da me or ora composto sulla scorta
i dei documenti ho messo dubitativamente Lello e Giovanni, perchè
: non ho trovato alcun documento che mi desse il modo di collo-
carli con sicurezza al loro posto.

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186 . i F. SAVIO

Premetto che il nome Lello è certamente un’abbreviazione ;
quantunque non sia così facile determinare il nome primitivo che
fu abbreviato. Potrebbe essere abbreviazione di Paolo, di Angelo, di
Niccolò o Nicola o di qualunque altro nome terminante in /o o la.
Potrebbe essere altresì abbreviazione di un nome già accorciato.
Così per es. da Ceccolo, nome abbreviato da Cecco o Francesco
‘si potrebbe fare Ceccolello. Tuttavia sembra che, almeno nell'uso
comune, Lello non fosse abbreviazione di Cecco o Ceccolo, perchè
in un documento del 1347 si trovano due fratelli uno dei quali è
chiamato Cecco e l’altro Lello. Se Lello volesse significare Fran-
‘cesco si avrebbero qui due fratelli a cui sarebbe stato dato il nome
del medesimo Santo, il che non sembra probabile. Inclino quindi
a credere che nel caso nostro Lello possa essere un’abbrevia-
zione di Angelo, ed in questa preferenza due argomenti mi con-
fermano, fino a miglior prova contraria. i

V'é un documento del 1363, gennaio 29, col quale i monaci
cisterciesi di S. Maria della Vittoria stabiliscono certi suffragi per
l'anima del defunto Angeluecio di Poncello (1). Qui non si dice
di qual Poncello si tratti, e potrebbe trattarsi tanto di Poncello
figlio di Fortebraccio dei signori di Vicovaro, quanto di Poncello
fratello di Andrea di Campodifiore. |

Il Lello del quale parla il Boccaccio è detto Lello di Campo-
difiore e che questi era signore di un castello dalla parte di Ti-
voli e capo di casa. Al tempo in cui egli suppone avvenuto il fatto
cioè poco anteriormente al 1348, non sembra improbabile che An-
gelo del suddetto documento fosse figlio di Poncello di Campodi-
fiore e fratello primogenito di Giovanni sopranominato lo Schiavo.
Da questo Angelo o Lello sarebbe venuto il Giovanni Orsini che
serisse nel 1390 al Comune di Orvieto la lettera che abbiamo ri-
ferita.

S 9. — Aggiunte varie.
Sopra, alla fine del $ 5, ho detto che Paola, ultima del ramo
primitivo di Tagliacozzo, portò l'eredità ed il titolo a Carlo Orsini

della linea di Monterotondo.

(1) Arch. Orsini, II, A, V, 49.
RINALDO ORSINI DI TAGLIACOZZO
N

Questi fu lo stipite dei duchi di Bracciano ed era secondo-
genito di Francesco, stipite dei duchi di Gravina. Ebbe ancora
due fratelli, cioè Orsino e Giordano. Giordano fu arcivescovo di Na-
poli nel 1400, indi cardinale nel 1405. A Francesco, Carlo ed
Orsino, il dì 1° settembre del 1419, Martino V conferì il vicariato
di Bracciano (1).

Che Francesco appartenesse alla linea di Monterotondo si
deduce dal fatto, ch' egli ebbe in feudo Torri e Selci, già appar-
tenuti a quel ramo. Era figlio di Giovanni vivente nel 1392 e
1402 (2), poichè in una carta Poncello (fratello del suddetto Gio-
vanni) è detto zio del cardinal Giordano (8).

Francesco, oltre Torri e Selci, ebbe ancora Scandriglia, Nerola,
Ponticelli, Montemaggiore e Montelibretti. Nel 1485 Eugenio IV
gli concedette di mettere una nuova gabella o pedagio sopra uno
dei suddetti castelli, gli perdonó 80 fiorini, che doveva pagare
pei castelli di Torri e di Selci e lo costituì Prefetto di Roma (4).

Come dice Lodrisio Crivelli nella vita dello Sforza (5), Ser Gianni
Caracciolo diè in isposa a Francesco Orsini la vedova di Peretto
d’ Ivrea colla dote di Canosa, Diliceto e S. Agata. ^

Peretto d'Ivrea fu celebre capitano di ventura ed ebbe il
titolo di conte di Troia. Il Tenivelli, che ne parla, accenna all'opi-
nione, secondo la quale egli sarebbe morto in Roma, mentre altri
lo dicono morto in Napoli nel 1416 (6). Il Litta lo dice morto nel
1417 (7). Certo non protrasse la vita oltre quest'anno 1416, poiché
in esso la regina Giovanna dispose della contea di Troia in favore
dello Sforza (8). CR

1l suddetto Tenivelli cita alcuni scrittori che vollero legare a
Peretto d’ Ivrea la famiglia genovese dei marchesi Invrea, la
quale, secondo altri, sarebbe derivata dalla famiglia antica epo-

(1) GREGOROVIUS, VII, 14.

(2) Bollettino della Società Umbra di Storia Patria, vol. II, pag. 106.

(3) Archivio Storico Romano, X, 252. — Ivi il nome del cardinale fu erronea-
e stampato Giovanni in luogo di Giordano.

(4) Mie note dall'Archivio Vaticano.

(5) R. I. S., XIX, 001.

(0) Biografia, Piemontese, decade terza. Torino, 1787, pag. 106.

ment

(7) Idem, ibidem.
(8 MURATORI, Az. d'Ital., ad ann.

nine ai a,

2 E]

ma PT

e.
188 ' UB. SAVIO

rediese dei Soleri (1). Ora da un documento, citato dal Pardi (2),
in data del 25 luglio 1423, rilevasi che Peretto era della famiglia
De Andreis, famiglia anch'essa antica d'Ivrea, della quale dice il
Casalis, che un ramo della medesima si stabili in Sicilia (3). La
moglie di Peretto chiamavasi Margarita ed alla morte di suo
marito fu tutrice di suo figlio Pietropaolo, finché, morta essa
pure, la regina Giovanna II costituì tutore Francesco Orsini, indi,
essendosene questi scusato, suo fratello Carlo. Nel suddetto do-
cumento si rende conto dell'amministrazione.

A compimento del mio articolo sugli Orsini di Soriano e Ca-
stel S. Angelo che pubblicai nel Bollettino della Società Storica
Umbra, anno I, pag. 539, do qui in appendice il loro albero ge-
nealogico. ;

Nel 1535 signori di Castel S. Pietro, Gallese, Corchiano e
Turritato eranoifratelli Antonio, Francesco detto Cecco, ed Ilario.

F. SAVIO.

ee

(1) SORAGLIA, Memorie Storiche sulla Chiesa d’Ivrea. Ivrea, Tomatis, 1881, pag. 20.
(2) Bollettino della Società Umbra di Storia Patria, anno I, fasc. 30, pag. 588. ‘
(3) Dizionario storico-geografico degli Stati Sardi, VIII, 661.

SE DEDE HERES
RINALDO ORSINI DI TAGLIACOZZO

Orsini di Soriano e Castel S. Angelo.

ORSO
vivo 1303 febbraio 23

,rettore del Patrimonio di S. Pietro
signore di Soriano e Castel S. Angelo

| | |
Napoleone Bertoldo ' Costanza sedere
(o Poncello) 1303 can. di S. Pietro contessa sposa
testa 1935 dic. 5 1316 testa ed è priore dell’ An- Sciarra
vivo: 1336 di S. Niccolò di Bari guillara Colonna
giò -| 1337 1322-25 arciv. '
sp. Aguese di Napoli
di Monferrato
TM ESSEN | | |
Pietro Orso Giovanni Francesco Matteo Bertoldo
1330 vic. a Roma -- tra 9 luglio -| tra 1354 1337 1324 vicario 1337
per re Roberto 136 e 1363 | 1349 a Roma
1332 siniscalco ^ e sett. 1369. 1338 senatore Paola
regioin Piemonte ^ Nel 1356 | 1345 T 1372
T tra 1333 fa omaggio | dopo il 1362
e 133: al Papa per | sp. Pandolfo
S. p. Soriano, Atti- Cola Malatesta
gliano, Chia T 1349 di Rimini
e Cerqueta
Violante
nel 1336
Troilo Eleno sp. Benedetto
1369 già + Bonconte
| 374 improle di Orvieto
Simeotto Matteo altri | 1401
nel 1375 signore di figli |
sig. di Orte Mugnano | |
nel 1345 Cola Giovanni Bertoldo
Giffrrido | 1401 vivo 1401 1401
già + Ulisse già 4 nel 1423 1429
nel1393, fatto morire 1423 canonico signore

fu signore da MartinoV
di Castel nel 1424
S. Pietro
Matteo
sp. Agnese
dell’An-
guillara

Ulisse nel 1502 Gerolamo
sig. di Mugnano sp. Ludovica

Cottanello di Alviano
e 1/9 di Monte |
Jasoli Giov. Corrado

nel 1502
signore di
Bomarzo, Chia
e 1/9 di Monte
Casoli
vivo 1507
forse 1535

sp. Bernardina

s. p. diS. Antonio
di Vienne

|
Troilo

di Foglia

Pietro Angelo
testa 1476
signore
di Foglia

Pier Francesco

già -- 1486

pr
A
S nomi asd

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191 -

INVENTARI E REGESTI

I CODICI DELLE SOMMISSIONI

AL COMUNE DI PERUGIA

(Continuazione del Codice 1o segnato ra — Vedi Volume II, pag. 131-146).

XXX. — 1257, Ottobre 10, nella casa del sig. Bernardo
« Benencase » Priore. — Emptio Comunis Perusii de turri
Case Castalde et domorum et certarum petiarum terre, c. 85 t.

Guido « domini Munaldi Supolini » emancipato dal padre suo,
per sé e suoi eredi, per lo stesso suo padre e.per il suo fratello
Uguccionello vende « jure proprio in perpetuum et per alodium »
a Tagliabove « Bendefende » sindaco e procuratore del Gt dr P.
una torre posta nel Castello di Casacastalda (1), due case con

(1) « Castello situato in un alto, o, come scrive Leone Alberti, in aspro monte....
sul confine del territorio di P. dalla parte di levante ». V. BELFORTI-MARIOTTI, Me-
morie dei Castelli Perugini.

Per quanto riguarda la storia di detto castello dalle pergamene che conservansi
nell'Archivio Decemvirale del C. di P. togliamo le seguenti notizie :

« In nomine Christi amen. A nativitate Domini sunt anni M CC XVII tempore
Honorij PP. [III], XIII die intrante mensis Novembris....Nosquidem....Rainerius
et Petrus de Serra . ... vendimus, tradimus et PE vobis doin Suppolino
et domino Rainaldo de Serra vestrisque heredibus in perpetuum idem omne quod ha-
bemus in toto castro Casacastalde eiusque curte et in hominibus et omne quod habe-
mus in plebe Casacastalde et in hominibus plebis, — etc. — .... Benevenias Petri
not. "Bovicellus judex et not. (Contratti AA, n. 6). :

Il 27 ottobre 1222 « Donnus Moricus plebanus plebis Casacastalde » pronunzia
un lodo a comporre una vertenza fra il Vescovo di Nocera e Suppolino ed i suoi figli,
nobili di Casacastalda — « Petebat namque dominus Episcopus plebem Casacastalde
cum hominibus et possessionibus ipsorum pacifice et quiete possidere. . Ex ad-
verso namque dicebant predicti nobiles viri quedam usuaria debere ES tam in

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‘'ANSIDEI E GIANNANTONI

piazze presso la stessa torre ed altre case e terreni posti in dette
perlinenze. Vende altresì. due appezzamenti di terra vineata
« infra ripas seu fossata. Confines unius ab uno via et ab alio
fossatum et ab alio res olim Cotenatij ubi sunt site domus; confi-
nes alterius ab uno via et ab alio res olim dicti Cotenatij et ab
alio Burgus Castri ». La cessione comprende anche varie altre
terre e case in gran parte situate nelle stesse pertinenze.

Guido consegna inoltre unitamente alle terre « suos homines
et manentes » (1). Di questi uomini è fatta cessione « cum omnibus
et singulis eorum et uniuscuiusque ipsorum feudis et homagijs
‘et tenimentis ». Si cede in ultimo tutto ciò che esso Guido o altri

per lui possiede in Casacastalda « a ripis: intus salvis manuali-

bus (2) et proprietatibus aliis quas ipse habet extra ripas ipsius
castri ».

Il prezzo di vendita é stabilito in 1050 libbre « bonorum de-
nariorum minutorum in bonis florenis puri et legalis argenti flo-
reno quolibet pro XII denariis minutis computato », e la penale
da pagarsi dal venditore che obbliga tutti i suoi beni è di 500
marche di argento.

Il sig. Monaldo « quondam domini Bonifatii de Coppolis » (3)
e il signor Avultrone « Uguitionis Guidónis Jannis » prendono
parte al contratto come fideiussori solidali dei venditori e si sotto-
meltono in caso di inosservanza alla stessa pena di 500 marche.

Test. — I sigg. Ranuccio « de Agello », Filippo e Bonaven-

ipsa plebe quam in hominibus. — Tiverius not. *Bovicellus judex et not. (Contratti AA,
11257)

Inoltre da una Bolla di Papa Alessandro IV data da Viterbo il 10 decembre 1257
e diretta « dilectis filiis Potestati Consilio et Communi Perusino » si rileva che pen-
dendo una controversia circa il castello « de Casagastaldo » fra il Priore e il Con.
vento del Monastero di S. Maria di Valfabbrica da una parte e Monaldo di Suppolino
dall'altra, questi aveva. venduto « post litem contestatam » al C. di P.il detto castello.
Con la citata Bolla il Pontefice proibisce al C. di pagare il relativo prezzo « antequam
huiusmodi quaestio finaliter sopiatur ». (Bolle e Brevi A, n. 13).

(1) MANENTES, « inquilini, coloni; sed proprie MANENTES sunt qui in solo alieno
manent, in villis, quibus nec liberis suis invito domino licet recedere ». — DUCANGE,
Glossarium.

(2) MANUALIA, « pecora seu animalia mansueta, quae, ut loquitur Varro », lib. II
de re rust., cap. 7, « ad manus accedere consueverunt ». —, DUCANGE, Op. cit.

(3) È probabile che questo Monaldo Coppoli sia figlio di quel Bonifacio, di cui
è fatto ricordo nel doc. n. II (V. Bollettino, a. I, fasc, 19, pag. 141).
CORR
nen

I CODICI DELLE SOMMISSIONI AL COMUNE DI PERUGIA 193

tura « Alberti » Giudici, Bonagura « Berardutij » Giovanni « Cla-
velli », Giovanni « Adelasie » e Maffeo « Pasquarelli ».
Brocardo not. (1).

XXXI. — 1258, Maggio 2. — P., nel palazzo del C. — Ca-
stri de Portulis submissio, c. 89 r.

Niecoluccio « domini Andree de Portolis » sottomette e con-
segna a Gallo « Hirinbello » da Milano, Capitano del popolo di
P. (2) tutto il Castello « de Portulis » e il suo distretto ponendolo
sotto la giurisdizione e protezione del C. medesimo (3).

Sono ricordate anche le famiglie comprese nell'atto di ces-
sione, e segue questo elenco di nomi dei capi delle famiglie stesse:
Lorenzo « Erculani », Angelo « Lorentij », Bonafede « Bernardi »,
Giovanni « Cangij », Curengolo « Johannis », Giovannello « Jon-
toli », Bernardo « Salvoli », Benvenuto « Bernardoli », Giovanni
« Simeonis », Angelo « Luterij », Vita « Luterij », Vinciolo « Be-
neveniatis », « Conpangolo de Gallato » e Marco « Atri ».

Il Sindaco promette a Niccoluccio di restituirgli la giurisdizione

il distretto del castello (salva la permuta di terre fatta fra le
parti contraenti) « expleta: guerra inter Perusinos et Eugubi-
nos » (4); con questi i primi non avrebbero mai fatto pace in
modo da non mantenere sotto la loro protezione il delto castello.
Ciascuna delle parti contraenti si obbliga dal canto suo all'osser-
vanza dei patti « sub pena mille marcharum argenti ».

Test. — I sigg. Orlando « Guidonis Bovis » Polestà di

(1) V. Sommissioni A c. 117 r. e Contratti AA, n. 4l.

. (2) V. MARIOTTI, Catalogo dei Potest ecc., pag. 210, ove è ricordato « D. Gallus
Orimbellus de Mediolano ».

(3) « Castello sul confine del territorio perugino, prossimo a quello di Gubbio
e.precisamente vicino a Pietra Melina ». V. BELFORTI-MARIOTTI; Mem. cit.

È però a notarsi che il BELFORTI non deve avere avuto notizia di questo nostro
documento; se gli fosse stato noto non avrebbe riferito come cosa dubbia quanto in-
vece il PELLINI giustamente afferma in ordine alla sommissione del Castello avvenuta
nel 1258 (PELLINI, p. I, pag.. 266).

(4) Cfr. per notizie intorno a questa guerra il BARTOLI, St. di P., pag. 470, ed il
PELLINI, Op. cit., p. I, pag. 264.

13

SE) sia. ia m

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ANSIDEI E GIANNANTONI.

P. (1), Jacopo Giudice del detto Potestà, Pietro « Portunario »
e Dilio notaro, il signor Talascio « domini Ugolini. », Oderisio ©
« Bartholomei Rainaldi Coppoli. », Libriotto « Bonaventure »,
Uguccione « Jacobi » giudice, Giacomino « Bonajunte Menazati »
ed altri. :

Niecola « Rustici » not. (2).

| XXXII. — 1258, Maggio 2. — P. nel palazzo del C. — Com-
mutatio facia de terreno existenti juxta Portulas, c. 90 r.

Niccoluccio « olim domini Andree de Portolis » permuta « in
: perpetuum et per alodium » con il C. di P. rappresentato dal
Capitano del popolo Gallo « Horinbello » alcune terre presso il suo
castello, delle quali sono ricordati i confini. Le terre cedute da
Niccoluccio sono precisamente « in pertinentiis de Portolis infra
fines infrascriptos, silicet sicud miclit via sive strata que venit de
Eugubio et mictit ante castrum de Portolis per viam que vadit ad
Murlum et mictit in Resenam et ab alio Resena et ab alio ter-
mini sive difinitiones que sunt inter eum et castrum Castilionis
" Aldrovandi el mictit in Resenam, salvis et reservatis dicto Nico-
lutio castro de Portolis a fossis intus et burgo dicti castri et
domo de aiali ubi est dicta domus et salvo jure pasagij dicli ca-
stri ipsi Nicolutio ».

Delle terre date in cambio dal C. di P. i confini non sono
notati, affermandosi solo che Niccoluccio fa detta permuta « pro
illis terris de Comune Perusij positis in colle quas ipse dominus
Capitaneus et antiani populi perusini assignaverunt eidem Nicolu-
tio ». Niccoluccio si obbliga alla rifazione di tutti i danni e al
pagamento di 1000 libbre « denariorum » in caso di inosservanza
del contratto.

Test. — Il sig. Talascio « domini Ugolini », Oderisio « Bar-
tholomei », Jacopino « Bonajunte », il sig. Orlando « .Guidonis Bo-

(1) V. MARIOTTI, op. cit., dove a pag. 210 è ricordato, come Potestà « Orlandus
alias Odoardus de Guidabuibus alias de Guidisciolibus de Parma ».
(2) V. Sommissioni A, c. 75 r., C, c. 37 r. e Contratti AA, n. 43.
I CODICI DELLE SOMMISSIONI AL COMUNE DI PERUGIA 195

vis » Potestà di P., il sig. Jacopo giudice del Potestà e Pietro
« Portunario » not. dello stesso Potestà.
Niecola « Rustici » not. (1).

XXXIII. — 1258, Maggio 27. — P. « in domo domini Capi-
tanei que fuit olim Angelocti ». — Submissio Rocche Ap-
pennini, c. 93 t.

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Ranaldo « domini Gilij Gualterij de Rocha Apinini » per sé e
per il suo fratello Bonifazio, e Zonolo « domini Ranerij Perij per
sé e suoi eredi, sottomettono a Gallo « Horinbello » capitano del

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popolo e sindaco del C. di P. la Rocca di Appennino « cum suis ,
pertinentiis et districtu ».

Il sindaco di P. alla sua volta promette anche a nome e con

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l'intervento di Guidalotto giudice, di Giacomino « Bonajunte »,

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Gianni « Nicole », Rigone « Tagliabovis », Bevignate « Philippi »
e Bongiovanni « Peri Bonizi » anziani del C. di P. di tenere il detto
castello « sub protectione et defensione comunis Perusij » e di
proteggerlo dalle ingiurie di chicchesia. Se i detti Ranaldo e Zo-
nolo e loro eredi dovessero risentir danni da alcuna guerra com-
battuta nell’ interesse del C. di P. questo si impegna ad inden-
nizzarli « ita quod ipsi et eorum familie commode et concedenter
vivere valeant ».

Il C. di P. si obbliga a conchiudere gli stessi patti con quei
consorti di Zonolo e Ranaldo che avessero voluto fare una simile
sottomissione. I detti Zonolo e Ranaldo promettono la piena os-
servanza dei patti « sub pena mille marcharum argenti ».

Test. — I sigg. Guido Marchese « de monte Megiano » (2)

(1) V. Contratti AA, n. 42.

(2) Nel Codice « Atti del Consiglio Maggiore » dal 1259 al 1416 sotto la data del
20 marzo 1260 è ricordato questo Guido: « Congregato consillio speciali et toto altero
consillio majori civitatis Perusij. . . . + dominus Thomaxius de Gorzano Perusinorum
) Potestas proposuit et consilium requisivit auditis hiis que dicta fuerunt per dominum
GUIDONEM. MARCHIONEM DE MONTE MizANO qualiter banniti Communis Aretij et alij
eius inimici intraverunt et per vim ceperunt castrum Montis S. Marie, quid placet
eis et qualiter volunt in ipso negotio esse procedendum ».

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196: — ANSIDEI E GIANNANTONI

Ugolino Conte « de Cocorano » (1) e Benvenuto « Bonjohannis
Tedeske » e Giliuccio « domini Benvenuti », Zonolo « domini
Ugolini Boncontis » e Strufuecio (2).

XXXIV. — 1258, Settembre 28. — « In domo predicta ».
Consensus suprascripti instrumenti, c. 94 r.

Bonifazio, fratello « dicti Rainaldi domini Gilij » si obbliga di
fronte al capitano Gallo sopra ricordato di osservare tutti i patti
stabiliti nell'atto precedente e a sua volta il Sindaco di P. as-
sume verso di lui gli stessi impegni che avea preso di fronte à
Ranaldo. Aderisce poi Zaccaria « domini Petri consors, dicte Ro-
che » che per sé e per suo fratello Corrado accetta la sotto-
missione fatta da Ranaldo e Bonifazio e conchiude col Sindaco gli
stessi patti.

Test. — I sigg. Stefano « Spaglagrani de Podio Manentis »,
Jacopo « de Calli » Giudice, « Benvenisse notario », Uguccione
« Jacobi », Bongiovanni « Bernardi », Rigone « Crescij » Uguc-
cione « Donoli » e Capruccio « Baregiani ».

‘Niccola « Rustici » not. (3).

XXXV. — 1258, Luglio 6. — P. nel Palazzo del C. — Sub-
missio Podij Manentis, c. 95 r..

I] signor Stefano « domini Spagliagrani de Podio Manen-
tis » (4) per sé e a nome anche di suo fratello signor Rainaldo
soltomette e consegna a Gallo « Horimbello » Capitano del popolo

(1) Lo stesso Ugolino pochi giorni innanzi (7 maggio) aveva sottomesso al C. di
P. i Castelli di Coccorano, della Piscina, di Petroja, Colle alto e S. Stefano degli Ar-
celli. (V. Sommissioni C, c. 33 r., PELLINI, op. cit., p. I, pag. 264, e BELFORTI-MARIOTTI,
Mem. cit.

(2) V. Sommissioni A, c. 76 t. e C, c. 34 t.; Contratti AA, n. 44, e BARTOLI, Op. cit.,
pag. 476.

(3) V. Sommissioni A, c. 77 r. e C, c. 35 r. ela pergamena già citata (Contratti
AA, n. 44).

(4) « Castello detto ancora il Poggio de' Signorelli, come si nota nella carta Co-
ronelliana, ora diruto, il quale restava nella Teverina tra Ponte Nuovo e Rosciano ».
V. BELFORTI-MaRIOTTI, Mem. cit., nelle quali però i ricordi più antichi su Poggio
Manente risalgono al 1377.
191

I CODICI DELLE SOMMISSIONI AL COMUNE DI PERUGIA

e Sindaco del C. di P. la sua parte del castello di Poggio Manente
e quella di suo fratello alle solite condizioni; fra queste condizioni
sono degne di nota quella per la quale P. si obbliga a difendere

il detto castello specialmente dagli Eugubini, coi quali P. era in

guerra, l’altra che, finita la guerra, P. avrebbe restituito questa
parte del castello, conservandola però sempre sotto la sua prote-
zione, ed infine la terza che agli Eugubini non sarebbesi mai per-
messo di occupare queste terre.

Test. — I signori Jacopo « Preitis » e Angelo « Bonajunte »,
Bongiovanni « Peri Bonizi », Rigone « Tagliabovis », il sig. Gilio
« domini Simonis », Benvenuto «. Nicole » e il sig. Gualfredo
« domini Johannis Petruti] ».

Niccola « Rustici » not. (1).

XXXVI. — 1259, maggio 28. — P. nel Palazzo del C. —
Sindicatus Comunis Perusij ad recipiendum Comune Callij,
Q. «110: t.

Il Consiglio speciale e maggiore della città di P. insieme a
Rainaldo « da Brunforte » Potestà (2) crea ed elegge Angelo « Bo-
najunte » sindaco e procuratore del C. di P. a ricevere quello di
Cagli ed il suo distretto sotto la protezione di P., a stipulare
i patti relativi e a prometter la pena di 1000 marche d'argento
in caso d'inosservanza dei patti medesimi, nonchè a vincolare
alla stessa osservanza i beni del C. di P. Lo stesso sindaco è
autorizzato ad accettare le reciproche obbligazioni da parte del C.
di Cagli.

Test. — lI sigg. Armandino e Guidalotto giudici, Armando « Su-
polini », Jacopo « Coppoli », Oderisio priore del popolo (3), Paolo
« domini Octinelli » giudice ed altri.

Bonagiunta « de Sancto Angelo » not. (4).

(1) V. Sommissioni A, c. 74 t. e C, c. 34 r.

: (3) V. MARIOTTI, Catalogo ecc., pag. 211.

(8)

cc. 73 e 74), e non è « Udonsius » come leggesi nel ricordato Catalogo del Mariotti.
(4) V. Sommis. A, c. 108 r. e Contratti AA, n. 52. i

c. 23 r. del Codice « Sommis. C. » si ha il « sindicatus Comunis Callij ad se

Questo Oderisio è della famiglia dei Coppoli (V. Codice A delle Sommissioni, .

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198 ANSIDEI E GIANNANTONI

XXXVII. — 1259, maggio 28. — P. nel Palazzo del C. —
Capitula et pacta cum Comuni Callij, c. 111 r.

I Sindaci del C. di P. e di quello di Cagli a nome delle re-
spettive città si obbligano all'osservanza dei seguenti patti :

1.» Il Sindaco del C. di P. dichiara di ricevere sotto la pro-
tezione del C. stesso Cagli con il suo distretto e con la sua
giurisdizione assumendo l'obbligo di difendere questa ciltà contro
ognuno eccetto che contro il Papa e l’Imperatore, i loro nunzi
e alleati e contro il C. di Castello. ;

2.0 Promette che nella città di P. o nel suo contado o vesco-
valo non sarà fatto obbligo agli uomini di Cagli e del suo distretto
di pagare « pedagium, vidam, maltolettam »;

3.9 Fa quietanza al Sindaco di Cagli di tutto ciò che questo
C. doveva a P. per tutto il tempo passato « occasione quatuor mar-
charum argenti » (1); i

4.9 Dichiara nulli tutti gli altri capitoli contenuti nell'atto
di sommissione del 30 maggio 1219;

5.° Il C. di Cagli a sua volta farà pace e guerra « ad pre-
ceptum et voluntatem potestatis et capitanei comunis Perusii » ec-
cetto che contro il C. di Urbino, nonchè contro il Papa, !' Impe-
ratore e i loro nunzi e fautori « et [contra] quemlibet dominato-
rem provintiam aliquam in totum vel in partem de jure vel de
facto »;

6.9 In quanto al pagamento delle imposte e alla difesa
delle persone e dei beni sono stabilite convenzioni di perfelta re-
ciprocanza.

7.9 Per l'ajuto dei Cagliesi ai Perugini contro gli Eugu-
bini e nel territorio di Nocera « a montibus Apenini versus mar-

submictendum Comuni Perusij ». Cfr. pure PELLINI, Op. cit., p. I, pag. 266, BARTOLI,
Op. cit., pag. 486 e documento XVI (Bollettino, a. II, fasc. I, pag. 133).

Ci sembra opportuno il ricordare cheil BARTOLI accennando a questa sottomis-
sione afferma che « P. si mosse alla guerra contro a.Gubbio anco per sostenere e
tutelare il C. di Cagli ». —

(1) Si allude al tributo che nella Sommissione del 30 maggio 1219 (Doc. XVI)
Cagli si era obbligata a pagare a P. in ogni anno per la festa di S. Ercolano.

CONSECT
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I CODICI DELLE SOMMISSIONI AL COMUNE DI PERUGIA 199

chan », e per l'invio di milizie al di fuori di questi confini sono
rinnovati i patti della sottomissione del 1219;

8.» Ogni anno per la festa di S. Ercolano Cagli ‘manderà
un pallio « et faciet ipsum deferri in asia a porta infra civita-
tem Perusii usque ad Ecclesiam sancti Herculani », nella. quale
sarà fatta consegna del pallio ai magistrati Perugini;

9.9 Finalmente il Sindaco di Cagli promette che il Consi-
glio, il C. e tutti gli uomini di quella città e distretto maggiori
dei 14 anni giureranno la perpetua osservanza di tutti i patti, di
cui sopra, a pena di mille marche di puro argento.

Test. — Maestro Niccola « Nicole » not.., Rigo not., Rai-
naldo « Raspulij » not., Matteo « Phiniguerre » not., i sigg.
Bartolomeo « Bononsenia », e Tagliabove « Bendefendi », Ra-
niero « Gentilis Stopazoli » ed altri. ;

Bonagiunta « de Sancto Angelo » not. (1).

XXXVIII. — 1259, Giugno 19. — In P. nel Palazzo del C.
— Sindicatus Comunis Perusij ad compromictendum cum
comuni Eugubij, c. 10 r.

Nel Consiglio speciale e generale « centum vocatorum per
portam, rectorum artium et baylitorum sotietatis civitatis peru-
sine » il Potestà Ranaldo « de Brunforte », il Capitano del popolo
Stefano « de Leccacorvis » (2), il Priore delle arti Oderisio « de
Coppolis » e tutti gli altri « in eodem consilio consistentes » eleg-
gono Guidalollo giudice presente ed accettante a sindaco e pro-
curatore del C. di P. per dare a Città di Castello amplissimo man-
dato di comporre qualunque controversia che fosse sorta o po-
tesse sorgere fra P. e Gubbio « occasione guerre inter dictas
civitales ».

Test. — I sigg. Filippo, e Armandino giudici del C. di P. e
del Potestà, i sigg. Gentile, Bonagiunta e Matteo not. del Potestà,

(1) V. Codice A, c. 108 t. e Contratti AA, n. 51.
(2) V. MARIOTTI, Catalogo ecc. pag. 211. Ivi è ricordato, traendo la notizia da
questo stesso documento, il « Capitaneus Stephanus Levacorvi » e si soggiunge che
« altrove, cioè nel libro di Sommissione A, fol. 71, é chiamato Stephanus de Lecca-
corvis ». Però il nome è appunto questo anche nel presente documento.

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i sigg. Ermanno. « domini Suppolini » (1), Senso « domini. Tan-
credi Glucti » e Gualfreduccio domini Jacobi cavalieri, il sig. Boi
naparte giudice, Lucardo not. ed altri..

Bonagura not. *Piero.« Bonifatij » not. (2). '

XXXIX. — 1259, Giugno 19. — Gubbio, Palazzo del C. —
Sindicatus Comunis Eugubij ad compromictendum cum Co-
muni Perusij, c. ll r.

« Congregato consilio generali et speciali Comunis et populi
civitatis Eugubij, capitaneorum artium et consulum mercatorum »,

essendo Potestà « Grimaldo de Pirino », il Capitano del popolo

« dominus Ugolinus de Sexo et universum consilium » eleggono .

« Tiverium domini Ugonis » Sindaco per dare a Città di Castello
lo stesso mandato affidatole dai perugini.

Test. — I sigg. Benincasa « Bentevogli », Bonsignore « ju-
dex populi », Cotenato « Pauli », Acerbo « Salinguerre », Oddone
« Leonardi », Pietruccio « Bonacursi » ed altri. :

Iacopo « Actonis » not. *Pietro « Bonifatij » not. (3).

XL. — 1259, Giugno 21. — Città di Castello, Chiesa di S.
Florido. — Sindicatus Comunis Castelli ad acceptandum, et
ad recipiendum compromissum. inter Comune Perusij et
Comune Eugubij, c. 12 r.

Il Potestà e il Capitano del popolo di Città di Castello « Bol-
garutius domini Ranerij Bulgarelli (4) e « dominus Blancus Peri
Tudini » ambedue di P. « congregato consilio speciali et generali
consulum artium et eorum consiliariorum », nominano Sindaco e
procuratore « Tiberium quondam domini Ranaldi de Valcellis »
ad aeceltare per parte di Città di Castello dai due Sindaci di P.

(1) Della famiglia Ermanni o Della Staffa.
(2) V. questo stesso Codice 9s c. 51 r, Codice C, c. 42 r, e Contratti n. 9 Appendice.
(3) V. in questo medesimo codice rk c. 52 t.

(4) Cfr. doc. XXV, dove é ricordato un Bolgaruccio di Bernardino di Bulgarello.

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I CODICI DELLE SOMMISSIONI AL COMUNE DI PERUGIA

e Gubbio il mandato di comporre tutte le liti e questioni già ver-
tenti o che potessero sorgere fra le stesse due città, nonché fra i
loro privati cittadini « specialiter occasione guerre et discordie
olim habite inter predictas civitates Perusij et Eugubij et earum
sequaces et que nunc est ».

Test. — I sigg. Ugolino e Albergetto giudici, Bonagrazia e
Gilio, notari, Orlandino e Uguccione cavalieri del Potestà Bulga-
ruccio, il sig. Ugo giudice del Capitano del popolo ed altri.

Longavita not. *Piero « Bonifati] » not. (1).

XLI. — 1259, giugno 21. — Nel contado di P., nella chiesa
del Monastero di S. Maria di Val di Ponte. — Compro-

missum inter Comune Perusij et Comune Eugubij, c. 12 t.

I sindaci di P. e di Gubbio, dei quali risulta la nomina dagli
atti che precedono, conferiscono all’arbitro nominato da Città di
PRAE come al documento XL, amplissime facoltà di comporre
« de omnibus el super omnibus litibus, guerris, controversiis, que-
ibis discordiis et disceptationibus verlentibus, extantibus et
que verli possent de quibuscumque rebus et de omnibus offensis,
injuriis et danpnis datis et rebus ablatis inter Comune civitatis
Perusij et Comune civitalis Eugubij..... occasione guerre inter
dictas civitates Perusij et Eugubij habile et vertentis ». P. e Gub-
bio si obbligano a pagare in caso di inosservanza di ció che l'ar-
bitro crederà di stabilire la pena di 10000 marche di puro argento.
Test. « D. Ercolano abate del Monastero di S. Maria di Val
di Ponte, D. Maffeo camerlengo, D. Averardo monaco dello stesso
Monastero » e i sigg. « Falacasa e Andrea giudici eugubini »,
Ugo « Mathey », giudice perugino, Ugo « Ranaldi » di Col d'al-
bero, Giovanni « Donati », Concio « Calendoli », Fiorenzuccio
« Plantanelli », Contuceio « domini Cancellerij », « Carlevare
not. », Uguecione domini Tiberij, Barocolo « domini Ranerij »,
Donato domini Ugolini, Ugolino « Bonalbergi » e vari altri.
Longavita not. *Piero « Bonifatij » not. (2).

(1) V. lo stesso Cod. 9g a c. 53 t. Cod. A, c. 99 t. e Cod. C, c. 43 r.
(2) V. questo stesso Cod. +H c. 54 t., Cod. A, c. 91 t. e Cod. O, c. 44 r.

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XLII. — 1259, Giugno 27. — Presso la porta del Castello
di Fossato. — Castri Fossati consignatio apud Comune
Castelli depositarij inter Comune Perusij et Comune Eu-
gubij pro observando laudum ferendum, c. 14 t.

« Tiberius Ugonis » Sindaco di Gubbio consegna al Sindaco
di Città di Castello, affidandogliene le chiavi, il borgo, il cassaro,
le torri di Fossato (1). Tale consegna é fatta « pro securitale pa-
cis el laudi servandi ».
Test. — I sigg. Giovanni « Donati », Concio « Calendoli »,
Maragazino « baylitor », Donato « domini Ugolini Donati », Beri-
zolo e Giovanni V HM », Cambio « Bonaiunete », Mar-
tino « domini Bonaiuncte », Bonagura « Roberti », Giovanni.« Ra-

nuti} », Giovanni « Bernardi », Accurrolo « Ranutij », Paolino

Rizalsolvi », Bevegnate « Johannis », Buecarello « Actoli », Ben-
tevoglio « Adiutoli » e il sig. Paolo « Collaltoli ».
Longavita not. *Piero « Bonifatij » not. (2).

XLII. — 1259, Luglio 14. — Città di Castello, Chiesa di S.
Florido. — Laudum. latum inter Comune Perusij et Co:
mune Eugubij, c. 15 r.

Tiberius domini Rainaldi de Valcellis » Sindaco di Città di
Castello dichiara ‘di aver ricevuto le petizioni avanzate dai due Sin-
daci di P. e di Gubbio, e quesle. pelizioni-sono riportate nel do-
cumento.

Perito PERUsINORUM. — Guidalotto Sindaco del. C. di P.
propone che sieno contro Gubbio decise dall'arbitro le questioni

(1) Per la vendita di questo castello fatta al C. di Guhbio dai Conti di Marsciano

il 17 marzo 1251, V. il nostro Bollettino, vol. II, pag. 14l. Nelle Memorie dei: castelli
perugini BELFORTI-MARIOTTI richiamate pure nella nota 2a al documento XXV leggesi
ancora: « I gubbini divennero padroni di Fossato posto sulla via Flaminia tra Gualdo
e Sigillo. venduto loro per 4000 libbre di denari da Raniero e Bernardino Bulgarelli
Conti di Marsciano, con sommo dispiacere dei perugini, i quali mal volentieri rimira-
vano .... l'ingrandimento del territorio di Gubbio; né mai quietaronsi sinché non se
lo videro tornato nelle loro mani e nel distretto del loro terfitorio, come é tuttora ».
(2) V. nello stesso Cod. rg a c. 56 t. altra copia, ove manca la firma del notaio
autenticante Piero « Bonifatij ».

UDOTTUMUMET
I CODICI DELLE SOMMISSIONI AL COMUNE DI PERUGIA .

seguenti s senza alcuna dilazione che potrebbe « trahere periculum
et odium generale, » : :

1.» Si lamenta della oceupazione e detenzione da parte degli
Eugubini del Castello di Fossalo ;

2.» Gli Eugubini medesimi contro i palti stabiliti fra le due
città, « hedifficaverunt et hedifficatum detinuerunt et habent ca-
strum Castilionis Aldebrandi » (1);

3.» Mentre il Contado di Gubbio spettante per diritto alla
Chiesa Romana era stato ceduto al C. di P. per un tempo deter-
minato dal Papa « de consilio fratrum suorum » insieme ai redditi
e proventi del contado stesso, il C. di Gubbio malgrado le premure
fatte dal Papa e la scomunica continuó a tenere e tiene occupata
la maggior parte di questo contado negando di renderla, ciò che
ha dato occasione alla guerra (2): le ostilità hanno avuto per con-

(1) In rapporto alla violazione dei patti qui lamentata dai Perugini si ha nelle
stesse Sommissioni (Cod. A, c. 114 r. e Cod. C, c. 67 r.) un Breve del Pontefice Inno-
cenzo IV diretto da Lione al Cardinale Legato P.« sancti Georgij ad velum aureum »
in data 9 febbraio 1251. «..... Dilectorum filiorum Potestatis et Consilij e& Comunis peru-
sini nobis et sedi apostolice devotorum precibus benignius annuentes discreptioni tue
IO mandamus, quatenus castrum Castilionis Ildebrandi quod Eugubinos contra con-
ventionem habitam et firmatam inter ipsos et eosdem Eugubinos asserunt constru-
xisse, sicud irrationabiliter noscitur esse constructum, facias, ut res poposcerit, de-

moliri.

Il Cardinale Legato, a cui é diretto il Breve, é Pietro Capocci, Cardinal diacono .

di S. Giorgio in Velabro (V. MoRoNI, Dizionario di erudizione storico- ecclesiastica,
vol. VIII, pag. 01). — Detto cardinale é anche ricordato nell'opera ms. di G. BELFORTI,
Serie de? Legati, Vice-legati e Governatori di P. (tom. I, pagg. 50e51);ivi si legge:

WP CES M [I Perugini] per mezzo di un loro ambasciatore a Lione impetrarono
nel tempo stesso da Innocenzo IV tre Brevi, col primo de’ quali confermò il bando
contro Ranieri Montemelini, col secondo il possesso di Val di Marcola nel Gubbino e
col terzo ordinò al Cardinale Pietro Capocci, Legato-in Italia, di far sì che dai Gub-
bini fosse demolito il forte di Castiglione Ildebrando fabbricato contro le convenzioni
stabilite coi Perugini ». :

(2) Nel citato Cod. C (c. 68 r.) si ha un Breve di Alessandro IV dato da Viterbo
il 27 decembre 1257 diretto ad Uberto « de Cocanato » Cappellano del Papa, con il
quale é allo stesso Uberto annunciata la concessione del contado eugubino al C. di P.
per 5 anni « non obstantibus concessione que de comitatu eodem dilectus filius ma-
gister Johannes . . . . . rector ducatus spoletani potestati et Comuni eugubino motu
fecit proprie voluntatis . . . + + seu quibuscumque licteris vel indulgentiis sedis apo-
stolice quibuscumque personis . . . .- concessis ».

Altro Breve dello stesso Pontefice leggesi nel Cod. A (c. 114 t.) col quale si co-
munica al Rettore della Marca anconetana l’ invio a P. del Cappellano Uberto « de
Cocanato » con l'incarico di immettere il C. di P. nel possesso del contado e di in-

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seguenza che il C. di P. ha risentito molteplici danni e che i conti
di Coccorano, Nicoluccio « de Portolis » i signori di Poggio Ma-
mente (1) di Carpiano, di Santa Cristina, di Colcello, Venzolo
« domini Abrunamontis » ed altri sono stati pur essi gravemente
danneggiati dal C. di Gubbio perchè « mandatum super premis-
sis appostolicum adimplerunt »;

4.° Gli Eugubini hanno riedificato e detengono in offesa
agli antichi patti il Castello di Monte del Vescovo e quello di
Agnana (2);

5.9 Gli Eugubini si sono per parecchi anni sottratti all’ob-
bligo che per antiche convenzioni avevano di seguire così in pace
come in guerra le sorti del C. di P. e di inviare il loro Potestà
al principio del suo ufficio per prestare giuramento di obbedienza
al: Polestà e al C. di P. ;

6.» Gli stessi Eugubini mossero ostilità alla città di Cagli
che era sotto la protezione di P. « ad certum annuum comuni
Perusij persolvendum » (3), assediarono il castello di spettanza
dei Cagliesi chiamato « Mons Episcopalis » e lo distrussero fa-
cendo prigioniere le famiglie che vi dimoravano e trasportandole
nel Colle della Pergola ;

79? Il C. di Gubbio avea danneggiato nelle cose e nelle
persone quello di Sassoferrato che era tributario del C. di P. ed
era da questo protetto e difeso;

8.9 Aveva preso e distrutto il castello di Dollio che il C.

giungere agli Eugubini « quod comitatum et alia supradicta eidem comuni perusino
sine difficultate restituant et ea ipsos pacifice possidere permittant, non obstante con-
cessione de hiis eis facta per dilectum filium Johannem electum Anagninum ducatus
spoletani rectorem ». È

Sono poi degne di speciale menzione le parole seguenti: « Quo circa discre-
ptioni tue per apostolica scripta mandamus quatinus comuni perusino et magistro
predictis in hiis assistas presidio oportuno, quotiens fueris requisitus, populum com-
misse tibi Marchie in eorum auxilium si opus fuerit adducendo ».

Il documento porta la data del 23 decembre 1257.

(1) Per questi tre castelli veggansi le citate Memorie BELFORTI-MARIOTTI, e per
la Sommissione a P. dei castelli delle Portule e Poggio Manente, si consultino respet-
tivamente i documenti XXXI e XXXV. , ;

(2) Cfr. documento XII « Laudum inter Comune Perusij et Comune Eugubij ».

(3) Sin dal 1219 Cagli si sottomise a P. (V. documento XVI); tale Sottomissione
fu confermata anche nel 1259, come dai documenti XXXVI e XXXVII.
I CODICI DELLE SOMMISSIONI AL COMUNE DI PERUGIA 205

di P. aveva edificato nel distretto di. Sassoferrato e dove erano
parecchi nobili perugini ; i

9.° Aveva occupato e riteneva « SRI ‘Chere, villam Si-
gilli, villam Sancte Crucis de Culiano, villam Vallis ficuum, vil-
lam Collis, villam Saneti Apolenaris, villam Colbasciani, villam
Sancti Petri », castello e ville spettanti al C. di Gualdo protetto
e difeso da quel di P. (1);

10.» Si era impadronito della Rocca di Appennino spettante
di pieno diritto al C. di P. « ex datione et concessione nobilium
eiusdem Roche antiquitus et de novo facta » e l'aveva munita
« sergentibus adque rebus »;

11.» Infine mentre si trattava la pace fra P. e Gubbio dai
signori Giovanni « Donati » e Concio, nobili inviati come amba-
sciatori da Città di Castello, gli Eugubini ed i seguaci loro in
onta al C. di P. e a quello di Castello avevano, nel giorno stesso
in cui dall'una e dall'altra parte erasi proceduto alla nomina
dei Sindaci, fatto una scorreria nel contado di P. nei beni del
Monastero di S. Salvatore di Monte Acuto (2), derubando quei
contadini perugini di grande quantità ed ogni genere di bestiame.

A riparazione delle offese ricevute il C. di P. domanda:
1.» La restituzione del castello di Fossato con tutti gli abi-

tanti, tutte le terre e tutti gli accessori, coi frutti pendenti, non-

ché con quelli percetti da sette. anni indietro; |
2.» La distruzione del castello di Castiglione Aldobrando e
l'obbligazione di Gubbio a non ricostruirlo mai;

3.9 La restituzione di tutto il contado eoHüosdo dal Papa al.

C. di P. « eum fructibus et proventibus inde perceptis et habitis et
qui haberi et percipi potuerint a tempore dicte concessionis citra »;

4.9 L'obbligo imposto al C. di Gubbio di rendere ai Conti
di Coccorano e agli altri già nominati, che avevano parteggiato
per P. i loro uomini e vassalli, che eransi durante la guerra re-
cati ad abitare nella città o nel contado di Gubbio. « sive liberta-

(1) V. documenti VII, 2» luglio 1208 e XXIII, 1 febbraio 1251 — (Ape IODE
di Gualdo a P.).

(2) Per notizie su questa Abbazia de' Monaci camaldolesi, V. BELFORTI-MARIOTTI,
op. cit.
DISEASE

206 |» ANSIDEI E GIANNANTONI

tem receperint a Comuni Eugubij sive non, libertate prestita nunc
predictis non obstante »;

9.9 Il ioni ai detti nobili nonchè a tulti i fautori del
C. di P. dei danni arrecati loro da Gubbio, e la remissione ai
Conti di Coccorano della pena di seicento libbre, che gli Eugubini
avevano loro imposta;

6.° Gli stessi Conti di Coccorano recuperino la sesta parte
del castello di Glomescio ed essi medesimi nonchè gli altri nobili
e fautori del C. di P. riacquistino il libero possesso di tutte le
‘loro proprietà situate nella città e nel contado di Gubbio « ita
quod ad nihil pro PESUIGHS EL E in perpetuum Comuni Eugubij
IBS »; ;

3 restituito a P. il castello « Vallis Marcole » con
tutte P sue perlinenze (1);

8.9 Sieno rasi al suolo i castelli di: Monte del Vescovo e di
Agnana edificati da Gubbio contro le convenzioni stipulate con P. ;

9.» Sia indennizzato il C. di P. di tutti i danni occasionati
dalla guerra e di tutte le spese sostenute per la medesima, spese

è € danni computati in cento mila marche di argento, buono e puro;
: 10.» Sia ricostruito e reso al C. di Cagli il castello « Montis
Episcopalis » ;

11.» Gli Eugubini rifacciano a P. tutte le spese e i. danni
da questa sostenuti « occasione guerre ab eis mote et facte homi-
nibus de Saxoferrato et occasione destructionis ab eis facte de
Castro Dollij

12.» Rendano al C. di P. Gualdo, « Castrum Ghere » e le
ville « Sigilli, Sancte Crucis de Culliano, Vallis ficuum, Collis,
Sancti Apolenaris, Colbasciani et Sancti Petri »;

19.» Restituiscano inoltre al C. di P. la Rocca di Appennino.

14.» Sia reso dagli Eugubini il bestiame da loro preso nei
possedimenti del monastero di S. Salvatore di Monte Acuto ;

19.» Il Potestà di Gubbio si rechi nel principio della sua po-
testeria a P. per giurare « in platea comunis et ad pedem cam-

|

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(1) Fin dal 1236 il Pontefice Gregorio IX imponeva agli Eugubini la restituzione
di detto castello ai Perugini o alla Chiesa. — V. Cod. A; C. I61 r. — Inoltre a c. 67 r. dello
stesso Codice in data del 26 agosto 1237 sono riportati i patti coi quali Gubbio si ob-
bligava di fronte a P. a distruggere il castello medesimo.
I CODICI DELLE SOMMISSIONI AL: COMUNE DI PERUGIA 207

panilis majoris ecclesie » obbedienza al C. e al Podestà di P.
conforme i patti dell'antica. pace e concordia ;

16.» Da ultimo il Sindaco di P. chiede « specialiter et pre-
cipue » che il C. di Gubbio risarcisca i Conti di Coccorano e Nic-
coluccio «de Portulis » del danno arrecato alle case da loro pos-
sedute in Gubbio e a tutte le loro masserizie rapite e distrutte
durante la guerra che questo C. ebbe con P.

PETITIO Comunis EueuBis. — Tiberio « domini Ugonis » Sin-
daco del C. di Gubbio espone dal canto suo quanto appresso:
1." Il C. di P. fu il primo a muover guerra a quello di
Gubbio ; inoltre P. considera come suoi protetti i Conti di Cocco-
rano (1) e gli altri nobili già menzionati, de' quali detiene i ca-
stelli, e ciò è contro i patti interceduti fra le due città, essendo
i detti nobili cittadini di Gubbio e sottoposti alla sua giurisdizione :
domanda quindi che il C. di P. sia condannato « ad restitutio-
nem possessionis vel quasi ipsorum castrorum et nobilium ;
2.9 Il C. di Città di Castello restituisca a Gubbio Castiglione
Aldobrando e Fossato. |
3.? Inoltre per « dominum Munaldum Suppolini » cittadino dt
Gubbio si presenta al Sindaco di Città di Castello la domanda del
pagamento da parte del C. di P. di mille e cinquanta libbre « dena-
.riorum minutorum in bonis florenis puri argenti et legalis ad ra-
tionem XII denariorum pro floreno », somma che Tagliabove
Bendefende Sindaco e procuratore del C. di P. aveva promesso
a Guido figlio del detto Monaldo, come prezzo del castello di Ca-
sacastalda venduto al C. di P. dal ricordato Guido. Essendo tra-
scorso il termine del pagamento, Monaldo chiede anche la penale
consistente nel doppio della somma, e la rifazione dei danni.

SENTENTIA ET LAUDUM. — Il lodo comincia con le seguenti pa-
role: « Unde in Dei nomine pro bono pacis et vere concordie ex
vigore dieli compromissi in me facti pro Comuni et Consilio Ca-
stelli a partibus. nominalis sub pena decem milium. marcharum

(1) Dalle Memorie BELFORTI-MAnIOTTI risulta che questo castello fin dai tempi
più remoti appartenne alla famiglia Bigazzini di Perugia.
208 Je ANSIDEI E GIANNANTONI

argenti in eodem compromisso apposila et contenta . . ..... Sis
sic inter dominom Guidaloctum syndicum comunis Perusij et
ipsom comune ex una parte et dictom Dominom Tiberium domini
Ugonis syndicum comunis Eugubii et ipsom Comune ex parte altera -
laudo, arbitror, precipio et amicabiliter diffiniendo et arbitrando

pronunlio, videlicet quod inter dictas civitates et homines ipsa-
rum et earum sequaces firma pax et concordia et securitas sit ».

Ad ottenere questo intento l'arbitro stabilisce:

1.9 Il castello di Fossato con tutte le sue pertinenze « et
cum juribus et cum condicionibus eiusdem castri » dovrà rima-
nere al C. di P.;

2.9 II forte di Castiglione Ildebrando si dovrà radere al
suolo immediatamente a spese del C. di P. e con l'obbligo da
parte del C. di Gubbio di non più riedificare nel medesimo luogo
aleuna rocea o fortezza ;

3.? I signori di Coccorano e gli altri nobili « quos Comune
Perusij sub sua prolectione recepit cum tota eorum terra et cum
eorum castris et villis » sieno rimessi nella loro primitiva condi-
zione ed il C. di Gubbio restituisca loro « eorum homines et va-
sallos », cedendo altresi a favore del C. di P. « jura et actiones
que et quas ipsom comune habet et habere videtur seu posset
adversus eos »j

4.9 Tutto il resto del contado eugubino appartenente alla
Chiesa Romana rimanga al C. di Gubbio finché non sia trascorso
il tempo della concessione del contado stesso fatta a P. con l'ob-
bligo in questa città di pagare alla Chiesa un'annua correspon-
sione; e per i redditi annuali la metà del canone di 200 libbre
« senensium minutorum » dovrà pagarsi da Gubbio al C. di P.
€ l’altra metà rimarrà a prestarsi alla Chiesa direttamente dal C.
stesso di P. In ogni modo, trascorso il termine della concessione
di dette terre, gli Eugubini saranno tenuti a restituirle « ut Co-
mune Perusii ex forma privilegij et concessionis predicte ecclesie
Romane reddere et restituere tenetur ; !

9.9 I nobili di Rocca di Appennino Zonolo « domini Ra-
nerij », Zaccaria « domini Petri » e Corradino « domini Petri » i
quali furono alleati fedeli de' Perugini, possano liberamente far
ritorno alla loro rocca riacquistando tutti i loro diritti e posse-
dimenti ;
Tr

I CODICI DELLE SOMMISSIONI AL COMUNE DI PERUGIA 209

6.» Il C. di P. dal canto suo sarà tenuto a dare a Guido e
in sua vece a Monaldo di Suppolino suo padre mille e cinquanta
libbre « denariorum minutorum » entro due anni, somma che P.
ha l'obbligo di pagare per l'acquisto di Casacastalda ;

7.9 Delle ingiurie ed offese reciprocamente arrecate si am-
mette la compensazione e se ne fa piena « finitio, quetatio et re-
missio ». m

Il lodo finisce con la dichiarazione che la parte la quale non
rispetti completamente i patti nel lodo stesso stabiliti debba pa-
gare alla parte osservante la pena della quale é parola nel com-
promesso.

Il detto lodo fu letto e pubblicato in Città di Castello dall'ar- .
bitro Tiberio « domini Ranaldi de Valcellis in consilio generali
de voluntate, licentia et expressa parabola consilii generalis et
specialis consulum artium eorumque consiliariorum in ecclesia
sancli Floridi ad sonum tube et voce preconum more solito con-
gregali ».

Erano presenti i due Sindaci di P. e di Gubbio e assistevano
insieme a molli altri come testimoni Rainaldo di Brunforte Pote-
stà e Oderisio dei Coppoli Priore delle arti della città di P.

Longavita not. *Piero « Bonifati] » not. (1).

(Continua ).

(1) V. c. 25 r. dello stesso Cod. r& e c. 81 r. del Cod. A, ove è ripetuto il mede-
simo atto. Del documento si ha un riassunto anche nella Storia di P. del BARTOLI, il
quale ne riporta pure testualmente la fine.

»«
lat mi
COMUNICATO

Lex perpetua quod Rectores Universitatis studii perusini
sint cives originarii huius civitatis. (Annali decemvirali,
1468, c. 44 L.).

Item eum studium in hac nostra civitate sit de principalibus mem-
bris eiusdem et propter ipsum studium maximum semper honoris et
comodi susceperit incrementum et civitas ipsa magnificatur et ab anti-
cho usque ad hec tempora per universas mundi partes fuerit et sit no-
minata, reputata et exaltata, et immo magis ipsum studium et scolarium
universitas decoratur et bene gubernatur quanto magis eidem studio et
universitati presunt rectores digni boneque extimationis, ideo cupientes
ut ad eiusdem rectoratus officium animentur et excitentur scolares stu-
dentes bone condictionis et reputationis et ut ex eodem officio ultra alias
prerogativas aliquid perpetui muneris et liberalitatis ab eadem civitate
consequantur, re ipsa proposita die precedenti inter M. D. P. et matura
deliberatione prehabita exhibitisque consiliis et facto et misso partito inter
eos ad bussolam et fabas albas et nigras secundum formam statutorum
et.ordinamentorum comunis Perusij et solempniter obtento per omnes
decem mietentes et restituentes eorum fabas albas del sic in bussola eo-
rum nulla nigra in contrarium reperta et hodie inter dictos dominos ca-
merarios numero XL proposita exhibitisque consiliis et facto misso ac
posito partito inter eos ad bussolam et fabas albas et nigras secundum
formam statutorum et. ordinamentorum comunis perusij et solempniter
obtento per triginta quinque eorum mictentes et restituentes in bussola
eorum fabas albas del sie non obstantibus quinque nigris in contrarium
repertis ex omnibus arbitriis, auctoritatibus, potestatibus et bayliis eisdem
magnificis dominis Prioribus et Camerariis conjunctim vel divisim per
formam quorumeumque statutorum et ordinamentorum Comunis perusij
concessis et atributis et omni meliori modo, via, jure et forma quibus
magis et melius potuerunt, statuerunt, ordinaverunt et decreverunt hanc
legem perpetuo valituram.
212 L. GIANNANTONI

Quod quieumque de cetero fuerit ellectus ad dictum rectoratus

offieium in alma universitate huius nostri incliti et celeberrimi studij
perusini ex tune et eo ipso quod assumpserit caputeum in signum con-
firmate sue dignitatis administrationisque eiusdem secundum morem
actenus consuetum habeatur, reputetur et tractetur pro cive eiusdem
civitatis in omnibus et per omnia non solum durante tempore dieti sui

officij sed etiam post dictum finitum officium in perpetuum et sua vita.

durante quod ad honores, dignitates, beneficia, et quecumque alia co-
moda civibus perusinis convenientia et competentia in omnibus et per
omnia ac si de dicta civitate esset oriundus salvo et reservato quo ad
offitia cum salarijs civibus perusinis solvi convenientia et etiam quo ad
honores et comoda collegij doctorum et notariorum (?) dicte civitatis in
quibus non intendimus per hanc legem aliquid innovare statutis, ordina-
mentis, reformationibus, legibus et aliis quibuseumque in contrarium fa-
cientibus non obstantibus.

A tutti coloro che hanno a cuore la vita e lo incremento del-
l' Università di Perugia, in cui si riassume del resto la parte più
splendida della storia del nostro paese, riuscirà, io credo, gradita
la pubblicazione di questo breve documento, il quale sta se non
altro ad attestare quante assidue ed affelluose cure prodigassero
allo Studio i nostri gloriosi antenati anche durante il secolo XV.

« Lungi dal venir meno (così scrive il Bini nelle sue « Me-
morie istoriche della Università ») nei petti dei Perugini al sor-
gere del secolo XV quello zelo ardentissimo che dichiarato ave-
vano eglino per lo passato a promuovere i prosperosi progressi
del loro pubblico studio; sembra che con tanto più di premura
e di caldo impegno si studiassero alla sua più lieta conservazione,
quanto più ricchi miravano e più ubertosi quei frutti, che in esso
vi erano già germogliati ».

Quantunque io non osi in modo assoluto garantire che tale
documento sia veramente inedito, tuttavia dalle indagini fatte nelle
opere dei più noti scrittori che si occuparono di cose attinenti alla
storia di Perugia, mi parrebbe che ciò possa ritenersi assai pro-
babile.

Il Bini (op. cit.) parla di privilegi, di esenzioni e di grazie
concesse anche in questo secolo a professori e a studenti, ma
tace di questo beneficio accordato al Rettore.

Il Padelletti poi (« Contributo alla storia dello Studio di Pe-
COMUNICATO . 213

rugia nei secoli XIV e XV ») mentre ci dice ad es. (pag. 33)
che la nomina e la giurisdizione del supremo ufficiale dell’ Uni-
versità è quello che ci offrono di più interessante i nostri Statuti,
ed oltre a ciò che l'AMPLISSIMA PorEsTAS del Rettore perugino, al
quale e docenti e potestà dovevano prestar giuramento, è sor-
prendente e molto più ampia di quella che il corrispondente ca-
pitolo degli Statuti bolognesi attribuiva a quel Rettore, non fa
menzione affatto, fra tanti diritti di cui godeva il Rettore stesso,
di quello concernente lo jus civitatis.

Notisi inoltre che a pag. 15 della medesima opera ricorda
cotesto diritto di cittadinanza concesso tanto ai professori che agli
studenti durante il tempo della loro dimora come una consuetu-
dine di tutte le città del. medio evo.

Senza far menzione dei molti e segnalati privilegi, al godi-
mento dei quali erano ammessi gli studenti, citerò solo due altri
passi degli Annali decemvirali, in cui alludesi appunto al diritto
di cittadinanza accordato ai lettori dello Studio.

e... + +. Convocato et congregato majori consilio civitatis . . . .
constituerunt, ordinaverunt . . . . . . nuntios speciales ad eligendum et
conducengum pro comuni perusij probos et famosos doctores . . . . ..

et ad promictendum predictis doctoribus et lectoribus. quod ERUNT ET
HABEBUNTUR ET TRACTABUNTUR TANQUAM VERI CIVES PERUSINI IN CIVI-
LIBUS: ET CRIMINALIBUS ET PRO OMNI GAUDEBUNT BENEFICIO CIVIUM CIVI-
TATIS PERUSIJ. (Ann., 1322, c. 106 t.).

L’identico privilegio è ripetuto negli Annali del 1325 (c. 110 r.)
ove leggesi:

» «+ + + + + + ET AD PROMICTENDUM EISDEM DOTTORIBUS ET CUILIBET
EORUM PRO SE ET EORUM FAMILIIS BENEFITIA, PRIVILEGIA CIVIUM PERU-
SINORUM PRO EO TEMPORE QUO STETERINT IN DICTA CIVITATE, etc.

Quantunque, come a prima vista puó scorgersi, il diritto di

‘ cittadinanza conferito al Rettore sia molto più ampio ed esteso di

quello che si soleva dare agl'insegnanti, nondimeno potrebbe,
a mio avviso, recare qualche sorpresa il vederlo concesso così
tardi, relativamente; ma tale apparente anomalia si spiega, mi
pare, benissimo, considerando che se è vero da un lato che fin
dal sec. XIV la nostra Università cominciò ad apparire prospera

Lud» An
iD I4 S i L. GIANNANTONI

e rigogliosa, dall’altro è vero eziandio che l’officio del Rettore,
come istituzione vera e propria, assunse una importanza conside-
revole solo molto più tardi. i

Fin dalla prima metà del sec. XIV ci è purtroppo ricordato
il rector studij perusini, ma le sue funzioni sono ancora limita-
tissime e non potrebbe affermarsi sul serio che la presenza di
questo nuovo officiale contribuisca in qualche maniera a togliere
dalle mani dei Magistrati e dei Savj la supremazia per tutte le
funzioni relative al governo e alla sorveglianza dello Studio, in
ispecie per quanto attiene al più delicato degl'incarichi, a quello
cioè della nomina dei lettori.

È soltanto in seguito alla compilazione degli Statuti che al
Rettore vien conferita quell’amplissima potestas a cui allude il Pa-
delletti; è soltanto allora che il Rettore acquista una giurisdizione
nel vero senso della parola ed un insieme di attribuzioni e di poteri
tali da farci credere che in esso si riassuma oramai nonchè la
suprema, l’unica autorità.

LUIGI GIANNANTONI.
215

ANALECTA UMBRA

Il canonico Giuseppe Elisei nella sua Illustrazione storico-critica
della Chiesa dei pellegrini, monumento d’arte in Assisi (Assisi, tip. Me-
tastasio, 1896, di pag. 341), emenda le inesattezze, in che incorsero.il Cri-
stofani, il Guardabassi, il Francesconi, ed altri parlando di questo gioiello
di arte sacra, a cominciare dalla stessa descrizione dei soggetti rappre-
sentati nelle pitture. Lo studio dell’egregio scrittore porta alle seguenti
conclusioni: la porta nel lunettone interno decorata dal Mazzastris reca
il verbo eterno fra gli Angioli e da essi adorato, e non il Dio Padre
nella parete dell’altare; la promessa del Salvatore uscita dal Paradiso
terrestre, figurata nella rondinella: il promesso riparatore che doveva
nascere dalla tribù di Giuda, simboleggiato in un leoncino uscito dalla
casa posta in lontananza: segue l’annunziazione della Vergine l’adora-
zione del bambino Gesù, tutto di Matteo da Gubbio (1468). Le pareti
laterali recano miracoli di S. Antonio Abate e di S. Giacomo di Galizia,
del Mazzastris. Il vòlto, dipinto forse dallo stesso, con S. Leone III papa,
S. Isidoro arcivescovo di Siviglia, S. Agostino e S. Bonaventura. La
fronte rappresenta Cristo in gloria, via, verità e vita, attribuita a Matteo
ridetto. Il dotto autore al lume della critica ecclesiastica ha ravvisato
un'unità di concetti in tutta la decorazione, che sembra molto a proposito.

In occasione del Congresso Eucaristico tenuto nello scorso settembre
in Orvieto, il Fumi ha pubblicato a cura del Danesi in Roma un libro
intitolato: IZ Santuario del SS. Corporale nel Duomo di Orvieto, descri-
zione e illustrazione storica e artistica (Roma, Danesi editore, 1896, di
pag. 117). Diamo il sommario del libro: I. Introduzione storica. 1. Mani-

cheismo in Orvieto: primi eretici. — 2. Agitazione religiosa e politica. —
3. Missione del podestà Pietro Parenzo, romano. — 4. Il motivo della

fede. — 5. Punizione degli eretici. — 6. Nuovi commovimenti. — 7. L’In-
quisizione. — 8. La discesa di Corradino di Svevia e nuove repressioni

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916 ANALECTA UMBRA

della Inquisizione. — 9. Il miracolo di Bolsena. — 10. La fondazione del
Duomo di Orvieto. — II. La macchina per it SS. Corporale. 1. La fac-
ciata del Duomo e la macchina per il SS. Corporale. — 2. Lorenzo Mai-

tani e Ugolino di Neri. — 3. Il Tabernacolo di S. Savino. — 4. Descri-
zione della macchina del SS. Corporale. — III. La cappella del SS. Cor-
porale. 1. Costruzione della santa cappella. — 2. Descrizione generale. —
3. Ugolino d’Ilario e la scuola senese. — 4. Affreschi della parete de-
stra. — 5. Prima crociera. — 6. Seconda crociera. — 7. Parete sinistra. —

8. Pareti di tribuna: affreschi a cornu evangelii. — 9. Affreschi della .

centrale. — 10. A cornu aepistolae, storiette del miracolo. — 11. I restauri.
— 12. Finestre. — 13. Grata di ferro. — IV. Il tabernacolo in marmo
per il SS. Corporale. 1. Descrizione del tabernacolo. — 2. Notizie sto-
riche. — 3. Statue, monumenti, iscrizioni (con 17 fototipie).

Estratti dal periodico Studi e documenti di storia e diritto, (an. XVII-
1896), il Fumi stesso pubblicò due articoli, l'uno dal titolo: I/ Duomo
di Orvieto e il simbolismo cristiano (con 4 gr. fototipie), e l’altro: Ur-
bano IV e il sole Eucaristico (con 2 gr. fototipie).

Sempre per la detta circostanza si è pubblicato in Orvieto (Tip. To-
sini), in 12 fascicoli, un Bollettino Eucaristico adorno di varie jncisioni,
diretto dallo stesso. Varî articoli interessano anche l’erudizione locale.

Del SS. Corporale rifanno la storia in libretti a parte il Moretti, il
Prutti e il Cruciani.

Il Pardi ha pubblicato una Guida di Orvieto (Tosini, 1896) assai
ben fatta.

Nei mesi di settembre e ottobre si è potuta ammirare in Orvieto
una interessante Esposizione di metalli e paramenti sacri; riuscita splen-
didamente come collezione archeologica artistica. Presidente di essa
fu il Presidente di questa nostra R. Deputazione, segretario il socio
cav. architetto Zampi Paolo, che ebbe il merito della buona ed estetica
distribuzione degli oggetti raccolti in una sala monumentale vastissima
e imponente, la sala di Bonifacio VIII nel Soliano. Il prof. Grisar, assai
benemerito di questa Esposizione, « nell'Accademia di Archeologia cri-
stiana » il 13 dicembre, dopo averne dato un cenno generale e sul fiorire
dell’arte medievale in Italia, di cui 1’ Esposizione offrì una splendida
testimonianza, ne illustrò diversi oggetti più importanti, mostrandone
le fotografie. Così parlò in modo speciale della culla di bronzo con i
monogrammi di Cristo appartenente alla collezione del comm. Augusto
Castellani in Roma, delle pissidi antiche di avorio, di Bobbio, di Pesaro,
delle scatolette di legno per il sacro viatico, di Lugnano, coll’ iscrizione
del « magister Joani me fecit » del secolo XII, della colombina eucari-
*

ANALECTA UMBRA 911

stica di Frassinoro, delle Acquamanilia, da. forma di bestie. di Borgo
S. Donnino e di Viterbo, e del celebre omophorion di Grottaferrata ; del
quale ultimo rivendicò l’età assegnatagli dal Farabulini e da altri serit-
tori contro l’asserzione opposta di un dotto moderno archeologo. Lo
stesso presentó una tavoletta di bronzo con la scena della creazione in
rilievo che venne fuori nel mercato antiquario di Roma, ed esposta, per
curiosità, in Orvieto. Con criterî interni ed esterni mostrò che essa non
appartiene poi all'antichità, nó al medio evo, ma è un falso prodotto
dei tipi. moderni.

Anche Mons. Wilpert parló delle bellissime riproduzioni in fotografie
eolorate esposte nella Mostra cristiana, rappresentanti preziosi affreschi
dommatici che adornano le stanze del cimitero di Callisto, facendo nuove
osservazioni in proposito. Sulla celebre pittura del pesce con il canestro
di pani che trovasi nelle cosi dette cripte di Lucina, osservó che il
pesce non sorregge il canestro, come eredevasi, ma che sta dietro di
esso e non nuota nell’acqua, ma è posato sul terreno tinto in verde.
Confermò che nell'interno del canestro è rappresentato un vaso vitreo
contenente del vino di colore rosso. Dedusse da ció che il significato
fondamentale eucaristico di quel gruppo rimane lo stesso: ma che deve
ritenersi come un ricordo della moltiplicazione dei pani e dei pesci,
uno de’ più antichi tipi della Eucaristia.

Nel « Nuovo Bullettino di archeologia cristiana » (dicembre 1896)
e nel « Rómische Quartalschrift » (1896, n. 4) discorre nuovamente della
Mostra Orvietana il p. Grisar nell' interesse unicamente dell' Archeologia.
Ed anche le Civiltà Cattolica (vol. VIII della s. XVI, pagg. 18, 463).

Emilio Bertaux nell' Archivio Storico dell'arte la studia sotto l'aspetto
artistico e ne illustra specialmente la scuola senese e umbra.

La Gazette des Beaux Arts (XVI, 3° periodo) reca un articolo di
A. Pératé. su L Exposition d'arte religieux à Orvieto. Sono special-
mente illustrati cimelî di Città di Castello, Orvieto e Gualdo Tadino.

Della cattedrale del card. Vescovo della Sabina tratta il Grisar
(Civ. Catt., vol. III del 1896). Rammenta che distrutta Cures per le
scorrerie dei Longobardi alla fine del sec. VI, e Nomentam. pure di-
strutta per le devastazioni de’ Saraceni al volgere del X che erano le
antiche sedi vescovili della Sabina, venne affidato alla sede di Forum

novum il governo spirituale dell'intera Sabina. Col titolo di Cardinali -

cominciano ad apparire i vescovi suburbicari della Sabina nel secolo XI.
Dell’antico Fornuovo rimane solamente la vetusta chiesa intitolata S.
Maria di Vescovio, dalla quale la sede episcopale fu trasferita a Ma-
gliano sotto i pontificati di Alessandro VI e di Leone X. Cotesta chiesa

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218 ; ANALECTA UMBRA

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di Vescovio prende il G. a studiare, fissandone l'origine al secolo XII.
Monumenti più antichi essa conserva. Un sarcofago, di cui ricostruisce
la iscrizione, già pubblicata monca ed imperfetta, e attribuita da lui al
secolo IIT. Un altro sarcofago, di cui ha molti dubbi, lo Stevenson attri-
buisce a tempi anche più antichi del secolo III. Frammenti di un altro
sarcofago certamente cristiano e di arte alquanto migliorata trovò, nella
collezione del Card. Camuccini di Torri, di provenienza, facilmente, di
Vescovio, del III o IV secolo, e una iscrizione romana in onore di Gor-
diano imperatore, che reca la parola Foronovani, la quale accerta l'esi-
stenza, una volta oppugnata, del municipio di Forum novum in cotesto
luogo, e proviene dal monastero che un tempo trovavasi nelle vicinanze
di Vescovio. Studiando la cripta, propende ad escluderne l’antichità, e
oscilla a crederla fra il secolo IX e il XII. Le pitture anteriori al pe-
riodo giottesco meritano di essere scoperte dall’ intonaco che sconcia-
mente le riveste. Termina con una nota (assai favorevole) intorno agli
atti delle SS. Perpetua e Felicita pubblicati nei due testi greco e la-
tino da P. Franchi de’ Cavalieri (Passio SS. Perpetuae et Felicitatis,
Rom, Spithóver; Freiburg, Herder, 1896. — ZHómische Quartalschrift,
«V Supplementheft). 1

Una conferenza del P. ab. Cozza-Luzi all' « Accademia di Archeo-
logia Cristiana » in Roma del 13 dicembre 1896, ha nuovamente trattato
delle antichità scoperte nella chiesa di Argentella in Sabina. Egli peró
aveva lasciato insoluto ancora il problema della età di alcuni dipinti
ivi esistenti che taluno aveva attribuiti al secolo ottavo. Presentó in
questa adunanza una bellissima riproduzione di quei dipinti, eseguita
con molta perizia dal pittore Monti. Il quadro rappresenta un condottiero
di esercito che si avanza e che poi si vede caduto in terra innanzi ad
un sacerdote che esce da una chiesa con l'ostia sacra fra le mani. Dal
confronto di questo soggetto con altro identico dal Fumi indicato per
la prima volta nelle pareti della Cappella del Corporale nel Duomo di
Orvieto, ne dedusse che il fatto ivi espresso è quello di San Bernardo
quando si fece incontro a Guglielmo d'Aquitania, persecutore scismatico
del papa Innocenzo II e dei vescovi cattolici e poi riuscì a convertirlo.
Conchiuse, pertanto, che quelle pitture devono attribuirsi ad epoca po-
steriore a S. Bernardo, e forse a poco prima del secolo XV.

Il nostro egregio collaboratore signor Domenico Tordi, domiciliato
in Firenze, possedeva due grandi casse di mss. provenienti dalla nobile
casa perugina dei marchesi Coppoli, e non volendo che andassero di-
spersi, li ha donati al R. Archivio di Stato fiorentino. I Coppoli furono

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"ANALECTA UMBRA 219

patrizi perugini e fiorentini: ebbero uomini d'arme, di chiesa, di lettere,
cospicui; imparentati con le più nobili casate di Perugia e coi Portinari
di Firenze. Ebbero larghe possessioni nel perugino e nel senese; a Fi-
renze palazzi e ville. Era ben ragionevole che le carte di quella fami-
glia non dovessero sperdersi in tutto. Molte, la. maggior parte, furono
vendute per cartaccia e andarono al macero. Il Direttore dell’ Archivio
fiorentino valutando l’importanza del dono per la storia. della Toscana
e delle regioni vicine, faceva pervenire al benemerito. signor Tordi i
ringraziamenti del Governo.

Il prof. P. F. Corradi di Trevi in una memoria del Tamarelli
pubblicata dall’ Accademia dei Lincei (serie 5. Memorie della CI. di se.
fis. mat. e nat., vol. II, sed. 1° marzo 1896) sui Terremoti di Spoleto
nell’anno 1896, dà un catalogo dei terremoti storici nella valle umbra.
Comincia dall'anno 217 av. C. Prosegue con le memorie del 365 d. C.,
446 e 801 sul ricordo fattone dal conte Bernardino Campello e dal Lanzi
nelle loro storie, e così via via. Cita il Muratori, il Villani, il Rossi-
Scotti, le cronache del Graziani, il Natalucci, il Mercalli, il Rutili- Gen-
tili, il Moroni, il Turchi, il p. Secchi, il Perry, ecc. Giunge fino al 1895.
« Se negli archivi comunali delle varie città dell’ Umbria sarà da dili-
genti ricercatori estesa l’indagine...., potrà raccogliersi un buon cumulo
di dati positivi, in particolare per gli ultimi secoli e per la parte del
secolo presente che precedette alla fondazione degli Istituti, i quali

raccolgono ed ordinano le notizie sismiche delle varie regioni italiane ». ‘

« Una nota del conte C. Cipolla alla Aceademia dei Lincei (Nuove
notizie sugli eretici veronesi, 1273-1310) dimostra la forza veramente
grande raggiunta dal patarenismo nella seconda metà del XIII secolo.
Riporta un documento inedito di Niccolò IV ignoto al Potthast e al
Langlois, che è la nomina di fra.Bonagiunta da Mantova ad inquisitore
nella Marca Trivigiana. Il pontefice lo raccomandò al capitano (Alberto
della Scala) e al Comune di Verona con una epistola datata da Orvieto,
11 agosto 1291 (da una copia presso S. Fermo maggiore in Verona). Si
citano altri atti di Niccolò IV datati da Orvieto (5 maggio, 12 settembre
e 5 ottobre 1291).

De La Patria (Geografia dell" Italia; 'Torino, Unione tipogr. edi-
trice) sono state di recente pubblicate aleune dispense del volume dedi-
cato all' Umbria. Di Gubbio é narrata, come delle altre città e terre
nostre, la storia civile e sono descritti i monumenti piü cospicui. Io
prendo in esame soltanto ció che riguarda questa città, lasciando ad

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220 vd ANALECTA UMBRA.

altri piena libertà di giudizio sulla veridicità delle notizie intorno agli
altri luoghi della nostra regione. E dico subito che sulla storia di Gub-
bio e sugli splendidi monumenti che la rendono ammirevole, mai fu-
rono detti errori più grandi e dati giudizi più pazzi e fatte asserzioni
più infondate e inverosimili. Quelle pagine, anzi, sono tutte un errore.

‘I cenni storici della città sotto il regno di Odoacre e il dominio
dei Goti, quando « Gubbio subì la sorte delle altre città italiane »,
l'assedio e l'espugnazione per opera «.d'un. generale di Totila », la rie-
dificazione « mercè i soccorsi ottenuti da Narsete », la sua soggezione
agli esarchi, la dimora che per un giorno vi fece Carlomagno reduce
da Roma nell’ 800, la sua distruzione per mano degli Ungari e la ri-
costruzione « sull’area attuale » per l’attività « degli stessi cittadini »,
son tutto un racconto fantastico, immaginato da non so.quale storico

eugubino del secolo XVII e del seguente. Quel che c'è di vero — ed
è ben poco — nella storia della città negli anni successivi è ripetizione

fedele di quanto scrisse nella Gwida il Lucarelli che alla sua volta
ripetè fedelmente il racconto del Reposati nella Zecca. Del palazzo dei
“ Consoli è attribuito il disegno al Gattapone, malgrado l’ iserizione (che
razza di verso è il penultimo dell’ istrizione stessa che qui si riporta?)
su l'areo della porta maggiore, che ne dice chiaramente architetto An-
gelo da Orvieto. Ed è proprio vero che Guido di Palmeruccio si obbligò
nel 1342 « di dipingere la sala superiore » dello stesso palazzo?: di-
pinse, invece, la figura della Vergine con quelle di vari santi sulla lu-
netta. della stessa porta maggiore, il qual dipinto, malridotto dall’ incuria
e dal tempo, fu rifatto nel 1495 da Bernardino di Nanni dell’ Eugenia.
Nel pianterreno del Palazzo conservasi l' Archivio notarile; ma da ben
più antica data del 1437 s’ inizia la serie dei numerosi protocolli. Anche
del Palazzo Pretorio, secondo l’estensore di queste disgraziate notizie,
. fu architetto il Gattapone, al « genio » del quale « i cronisti (io non
ne conosco uno solo!) attribuiscono tanto 1’ Acquedotto, quanto il Bot-
taccione » che fu « costruito nel secolo XII o, secondo altri, nel sécolo
XIV »!! E con questa disinvoltura da mentecatto si afferma che tra i
codici della Biblioteca esiste la Storia di Gubbio del Greffolino, ch’ è
invece un brevissimo frammento di cronaca adespota; che delle famose
tavole il Brial fu l'ultimo editore; che nella stessa sala, ove quelle si
costudiscono, è riposto l' Archivio segreto con « le importantissime per-
gamene relative alla storia eugubina »! Amena l’asserzione che della
chiesa di S. Francesco fu architetto un frate Bevignate; che in S. Ma-
ria Nuova « gli avanzi di freschi che veggonsi sull'edicola [ma si legge
piuttosto nelle altre pareti della chiesa e non in quella dell'edicola in
cui il Nelli eseguì l’affresco notissimo] sono attribuiti da alcuni a4 Lo-

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ANALECTA UMBRA «221

renzetti e da altri al Palmerucci » (ci vuol ricchezza di fantasia a ima-
ginare i? Lorenzetti nell'atto di operare in una chiesa di Gubbio); che
« il Coro [di S. Pietro; ma leggasi l’ultima cappella a destra] è ornato
di varie interessanti pitture [è una sola] dovute al pennello di Raffael-
lino del Colle » ; che la chiesa dei Bianchi « pare fosse fabbricata nel
1313 (è invece dei Battuti e per conseguenza costrutta dal 1260 al 70);
che « gli stalli del coro di S. Martino sono del XVI secolo e gl’ intarsi
del secolo XV » ; che del palazzo ducale fu « architetto Francesco di
Giorgio da Siena, autore anche del palazzo d’ Urbino »; che le « belle
sculture in pietra » nell' ingresso del palazzo dei conti Della Porta sono
« del secolo XIV » (sono invece dei primi del 500); che « al piano ter-
reno » del palazzo Pamphili « è da osservarsi un soffitto del secolo XV »
(che non c'è; ma c’è, in mattonelle di rilievo bellissimo, in una ca-

mera ad uso di cucina in un de’ piani superiori); che il palazzo dei

conti Beni, modello di costruzione del 400, é di buona (cosi, sempli-
cemente) architettura « tranne il portone deturpato nel XV secolo »
(ma dicasi, per lo meno, secolo XVIII). Ho colto i piü bei fiori di
tanto pazzi giudizi; e potrei, a voler continuare, non tacere che Gubbio
ebbe cittadini di fama come « Armanno Armanni autore della Fiorita »,

che del resto è. Armannino giudice da Bologna; guerrieri come Bosone:

Raffaelli (con la relativa storiella della sua amicizia con Dante); pittori
come il Nelli « discepolo » (incredibile!) di Guido Palmerucci. Eh, via;
un po’ più di rispetto alla verità storica, al buon senso ed anche alla
moralità; per ciò che non è morale il vender lucciole per lanterne ad
abbonati d’ un’opera che pel suo vasto programma non dovrebbe essere
tra poco tempo rifatta perchè insufficiente e, quel ch'è peggio, non
vera. G. M.

Tra i manoscritti che nel secolo XV costituirono la ricchissima
Biblioteca dei Re d’ Aragona in Napoli, ora illustrati da G. Mazzatinti
(Rocca San Casciano, Cappelli, 1897), erano i seguenti che riguardano
la storia e gli scrittori della nostra regione. Num. 12 (ms. lat. 6938
della Nazionale di Parigi): Gentilis de Fulgineo, Expositio libri III Ca-
nonis Avicennae (sec. XV). — Num. 13 (ivi, ms. lat. 6941): Eiusdem Con-
silia (sec. XV). — Num. 32 (ivi, ms. lat. 5832): Vite di Plutarco tra-
dotte da Antonio da Todi (sec. XV). Son. pure nel num. 29 (ivi, ms. lat.
5897). — Num. 79 (ivi, ms. lat. 4514): Una Repetitio di Baldo da Peru-
gia. Altre sono nei num. 196 e 144 (ivi, ms. lat. 4590, 4501). — Num. 256
(ivi, ms, ital. 97): Dieei eapitoli dei Fioretti e la relazione della. visita
di Nicoló V alla tomba di S. Francesco d'Assisi. Questa, pubblicatavi
da G. Mazzatinti, leggesi in Miscell. Francescana, I, 17 e segg. —

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9996. C ANALECTA UMBRA
Num. 622 (cod. 3 della Imperiale di Vienna): Geografia di Strabone
tradotta da Gregorio di Città di Castello (sec. XV).

Il prof. G. Mazzatinti ha diffusa una circolare che dà il piano d’un
suo nuovo lavoro e ne annunzia di prossima pubblicazione il fase. I.
Accogliendo i voti che fecero gli studiosi in Italia all’apparir dell’ottimo
libro « Les Archives de l’ histoire de France », che, cioè, altrettanto fosse
fatto da noi, egli ha raccolto materiale copiosissimo per una vasta opera
d’egual titolo: Gli Archivi della Storia d'Italia. Tutti gli Archivi, pub-
blici e privati, d’ogni Comune del Regno vi saranno illustrati: il più delle
volte ne saranno dati sommariamente gl’inventari. Naturalmente egli
terrà conto di ciò che sui pregievoli documenti di parecchi Archivi fu
detto dal Blume, dal Bethmann, dal Pflugk-Hartung e da altri. Il piano
dell'opera é questo: « Volendo indicare le fonti della Storia d'Italia negli
Archivi nostri (altri penserà a ricercare negli Archivi e nelle Biblioteche
fuori d'Italia), io daró notizia di quanto contengono quelli. di Stato, dei
Comuni, delle Congregazioni di Carità, degli Atti notarili (de’ protocolli
d'ogni Archivio daró l'indice cronologico fino a tutto il secolo XV), degli
Uffici, delle Chiese, delle Parrocchie, ‘di qualunque Istituto, di qualunque
Sodalizio, di qualunque privato; di tutti, in somma, gli Archivi, nessuno
escluso. Inoltre, biblioteca per biblioteca, dichiareró quali carte vi si con-
servano che dovrebbero trovar posto tra quelle d'Archivio. E non fisseró
un limite di tempo oltre il quale non debbano andare le notizie o gl’ in-
ventari ch io produrró d'ogni Archivio: tutto ció che in esso sarà custo-
dito, sia pur di storia contemporanea, indicheró, anche perché l'opera
mia giovi e sia di guida efficace a chi studi la storia del nostro Risorgi-
mento. Ciascun Archivio, oltre alla notizia delle carte che lo costitui-
scono, sarà illustrato da un cenno storico e da opportune indicazioni. bi-
bliografiche, relative specialmente ai documenti che sugli originali del-
l'Archivio stesso furono pubblicati: così lo studioso, oltre a conoscere la
natura e il valore di quelle carte, saprà quali siano edite e, senza ricor-
rere alla fonte, in quali opere a stampa deve ricercarle ».

Il prof. G. Mazzatinti pel nostro mezzo si raccomanda affinchè dagli
studiosi della nostra Provincia gli siano comunicati Inventari d'Archivi
o notizie che li illustrino. Nel fasc. I che uscirà in luce nel prossimo
marzo sarà dato conto fra gli altri degli Archivi di Gubbio e di Spello:
è pronta già per la stampa la illustrazione di quelli di Nocera, Gualdo
Tadino, Foligno, Montone, Città di Castello, Bevagna, Deruta, Bettona,
ecc. Dell'opera sarà ogni anno pubblicato un vol. in sei fascicoli: ogni
fasc., di pag. 80 in 8°, costerà lire 1,25. Gli abbonamenti si ricevono

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ANALECTA UMBRA 223

dallo stesso prof. (R. Liceo, For), o dall’editore cav. Licinio Cappelli,
Rocca S. Casciano.

A commemorare il 50"° anniversario della Società di Mutua Bene-
ficenza in Città di Castello il dott. P. Tommasini Mattiucci ha pubbli-
cato in opuscolo il discorso da lui detto nell’agosto scorso su la Società
stessa e il suo fondatore (Lapi; pp. 20). Questi fu il Rigueci che mori
nel 1847. Più che la sua biografia c’ interessano le notizie su le corpo-
razioni d'arti e mestieri che nel medio evo (eran 19 in tutte) fiorirono
in C. di C., da quella dei tintori, cioè dal 1242 durante la Potesteria di
Aldobrandino di Guido Cacciaconti, a quella dei calzolari che visse fino

alla prima metà del secolo scorso.

Del Palazzo Soliano o de’ Papi in Orvieto ha trattato con fine sen-
timento d’arte e con particolare cognizione della storia cittadina il nostro
Presidente comm. L. Fumi nell' Archivio storico dell’arte (2* serie, a. II,
fasc. 4°). Stabilito il fatto, male asserito o contradetto dai cronisti locali,
che cioè « si deve all’iniziativa, all' impulso e al concorso di papa Boni-
facio VIII l’erezione della mole Soliana » (e a stabilirlo l'A. ha ram-
mentate « le vicende storiche del Comune che gli furono occasione »),

l’A. colla scorta dei documenti narra la storia della fabbrica superba,

che « riepiloga la storia civile del libero Comune nel sec. XIII e s'im-
pronta della’ storia dei papi che di frequente riparano dentro le forti
mura dell’antica città », dall’origine sua ai recenti e savi restauri di
Paolo Zampi architetto. I quali non solo furono suggeriti all’artista
valente da raffronti, da ricerche e da familiarità con altri monumenti
medioevali, ma, particolarmente per la merlatura, dall’affresco del se-
colo XIV nella cappella del Corporale, dove il palazzo è riprodotto
« merlato e con fascia ». La mole magnifica, dice il ch. A., conservata
così e reintegrata, « dà occasione a riflettere ch’ è l’unico esempio rima-
sto in Orvieto di architettura gotico-italiana del periodo dal due al tre-
cento. Mentre abbondano gli esempi dello stile lombardo in molte fab-
briche sparse qua e là, ma sopratutto nella badia di S. Severo e nel
palazzo del Popolo, il Soliano non ha altri esempi più prossimi di raf-
fronto che nell’unica trifora del palazzo pontificio-episcopale attribuito
al tempo di Urbano IV ». Vera meraviglia dell’arte, « sorta al tempo
stesso che la mole del meraviglioso Duomo sorgeva dalle sue basi » : e
quella col « suo carattere, severo e massiccio, quasi una rocca, col color
lionato delle sue vecchie mura, fa bel contrasto al monumento gaio
e sereno, tutto sfolgorante d'oro e di colori, della cattedrale. Da un
lato campeggia la quieta e trionfante armonia del sentimento religioso;

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924 ANALECTA UMBRA

dall'altro risalta la forte natura dei tempi, piena di lotte e di peri-
coli ».

Tre note eruditissime col titolo di Saggi dalle Tavole Iguvine
(Saggi veramente, ché l'A. prepara su quest'insigene monumento un
lavoro che offrirà resultati e spiegazioni nuove) ha pubblicato il profes-

sore Carlo Moratti nel num. 2-4, a. II, del Bollettino di filologia classica.

Col primo illustra il sacrificio altilaneo (Tavole I e VI); col secondo il
Collegio Atiedio e le sue votazioni; col terzo il Templum di Iguvio
(Tav. VI) — A canto a questi opportunamente ricordiamo i Saggi Ita-
tici di Carlo Pascal (in Rivista di filol. class., II, fasc. 3°, pag. 289 e sge.),
ne’ quali, naturalmente, si fa spesso ricorso all'umbro delle Tavole
Eugubine.

Filippo Alberti, che naeque nel 1548 in Umbertide, fu poeta notis-
simo e stimato nell' Umbria e fuori, e in corrispondenza con Torquato
Tasso: scrisse anche elogi di vari illustri perugini e un volume, oggi
perduto, di memorie storiche di Perugia. Coadiutore del Cancelliere del
Comune perugino nel 1573, fu assunto nell'officio di Cancelliere dello
stesso Comune nell’ 87. Mori nel 1612. Di lui, pubblicando un suo sonetto
« Alla nave di Colombo », ha illustrata con molto garbo e dottrina la
vita il conte Vincenzo Ansidei (Nozze Ferrari-Roberti; giugno, 1896.
Perugia, Unione Tipografica Cooperativa).

Tra I Manoscritti della R. Bibl. Riccardiana, de’ quali la illustra-
zione è giunta per le cure del dott. S. Morpurgo, al fase. 6° del vol I,
segnaliamo un volgarizzamento della Scala di Gio. Climaco fatto da
frate Gentile da Foligno, sec. XV (num. 1351); la vita di S. Francesco
in volgare, sec. XIV (num. 1354); una lauda di Iacopone (Udite matta
pazzia: num. 1382); altri due volgarizzamenti della vita di S. France-
Sco, sec. XIV e sg. (num. 1398, 1424); una miscellanea francescana,
sec. XVI (num. 1407); la regola di frate Cherubino da Spoleto in volgare,
sec. XV (num. 1411); estratti dai Fioretti, sec. XV (num. 1412); la
lauda « Quando ti allegri homo d'altura », e la visione di frate Antonio
da Rieti, sec. XV (num. 1431).

Nel Catalogo dei mss. della Bibl. di Perugia (in Inventari dei mss.
delle Dibl. d' Italia a cura di G. Mazzatinti, vol. V) il prof. A. Bellucci
registra al num. 28 (F. 62) un cod. dal titolo « Ars scribendi epistolas »,
di cui nel corpo del proemio il nome dell'autore è designato cosi: Gau-
fridus Anglicus. Or bene, l'Ars del prezioso cod. perugino del sec. XIII
ANALECTA UMBRA. 9295

ha offerto al ch. prof. Langlois argomento a una nota su Gaufrido o,
per dir meglio, sui due Gaufridi che ci son noti, il De Vinosalvo e il
De Cumeselz che fu contemporaneo d'Alfonso X di Spagna. Codesta nota
erudita leggesi nel vol 35, parte 2^, delle Notices et extraits dess mss.
de la Bibl. Nationale, Parigi, 1896.

Ai glottologi umbri che studiano il dialetto perugino sarà stata
molto aecetta la pubblicazione dei Sonetti ed altre poesie di Ruggero To-
relli, eurata e corredata della vita dell'A. e di appunti sulla fonetica e
morfologia dal dott. E. Verga (Milano, 1895). Utili a loro ed oppor-
tunissime saranno ora le correzioni e le giunte che il prof. C. Sal-
vioni ha fatte allo studio del Verga nel Giorn. stor. della lett. ital.,
XVIII, 205 e sgg. Ma sul perugino veggasi l'Arch. glottol., II, 446; e
sul dialetto della città una uota del prof. D'Ovidio nello stesso ArcA.,
IX, (8.

Pubblieatosi ora il vol. II delle Lettere inedite e sparse di V. Monti
a eura di A. Bertoldi e G. Mazzatinti (Torino, Roux, pp. 495) giovi
notare che a due suoi amici della nostra regione sono dirette alcune
lettere, o di loro è fatto ricordo in esse e nelle note illustrative. Basti
l'indicazione del volume e della pagina. Pel conte Reginaldo Ansidei vedi
il vol. I, pagg. 207, 208. Per Francesco Torti (di cui sono stampate le
lettere su gli autografi che si conservano a Bevagna) vedi il vol. I
pagg. 147, 148, 186, 192, 210, 212, 217, 218, 241; e vol. II, pagg. 383,
391, 4593.

1

*

Un bello studio di geografia politica è L’ Zitat pontifical aprés le
grand Schisme che Giovanni Guiraud presentó come tesi per conseguire
il dottorato alla Facoltà di Lettere di Parigi (Paris, Thorin, 1895). A
noi particolarmente riferisconsi i cap. I, VI e VII del lib. III, ne’ quali
trattasi della Sabina, della famiglia di S. Eustachio e dei Savelli, del-
l'abbazia di Farfa, di Magliano, di Rieti, d'Orvieto e de' Monaldeschi,
della Terra Arnulforum, di Narni e Terni; tutto il lib. IV che com-
prende l’ Umbria, e la prima parte del cap. I del lib. V, in cui narrasi
del ducato d’ Urbino e delle città umbre che a questo furono soggette.
È studio diligentissimo, pel quale l’A. ha fatte ricerche negli archivi
dello Stato pontificio e ne ha tratti, e qui pubblicati, documenti inediti
(v. ad es., a pag. 154: ma qui correggi Perdii in Prodii, e Montesionis
in Monteiovis: pag. 159 e sg., 179, ecc.), particolarmente da quelli d'Or-
vieto, Terni, Narni, Perugia ed Assisi. Molti altri di singolare impor-
tanza furono dedotti dall'Archivio Vaticano. |

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996 |J ANALECTA UMBRA

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Nel volume del Gruyer che splendidamente illustra La peinture au
cháteau de Chantilly del duca d'Aumale (Paris, Plon, 1896) è riprodotta
e descritta una delle tante Madonne del Perugino, esemplare bellissimo
a rappresentare la scuola umbra in quella Pinacoteca magnifica. La
Vergine col bambino sulle ginocchia è seduta in trono, ed ha, in piedi
ed ai lati, S. Pietro e S. Girolamo col leone accovacciato. Codesta ripro-

x

duzione fototipica è pur nell’ Emporium, vol. IV, num. 24, pag. 453.

Nel num. 14, a. XV, dell'Arte e Storia il prof. E. Calzini, pren-
dendo în rassegna gli oggetti d’arte che costituiscono la Pinacoteca

del conte Matteucci-Guarini di Forli, mette in particolar rilievo una

tavola (num. 6), rappresentativi la Vergine che adora il bambino, S. Giu-
seppe e il piccolo S. Giovanni, opera d’ignoto umbro del sec. XV.

Il 20 settembre scorso fu inaugurata nella Sperelliana di Gubbio
la biblioteca che al Comune lasciarono Pietro e -Oderigi Lucarelli, te-
stimonianza amplissima della loro cultura e dell’affetto alla città che
illustrarono. I volumi a stampa son più di 7 mila, e tra questi ne son
moltissimi di storia eugubina e di rare edizioni del secolo XVI. Qui
particolarmente gradito riuscirà il ricordo dei manoscritti di storia lo-
cale, ond’era ricca la biblioteca Lucarelli e che ora accrescono la col-
lezione bellissima di memorie storiche raccolte da Vincenzo Armanni e
formanti l' Archivio che da lui prende il nome: cioè bandi ducali, atti
di fraternite, notizie di castelli, genealogie di famiglie storiche; le
cronache di Girolamo Orsaioli e di Giacomo Armanni ; estratti dai libri
delle Riforme; regesti degl’ istromenti dell’ Archivio notarile; inven-
tari d'antichi Archivi, oggi scomparsi, ecc. D'una parte di questi mss.
quand'erano ancora nella Biblioteca Lucarelli, fu dato l'inventario da
G. Mazzatinti nel vol. I de’ suoi Inventari dei mss. delle bibl. d' Italia.
Più del padre fu lavoratore fecondo il figliuolo, Oderigi, che pubblicò,
frutto di molti studi e di buone ricerche, la Guida storica di Gubbio
nel 1888. Pietro, a’ suoi tempi e tra gli studiosi di storia e letteratura
umbra amici suoi, ebbe nome e valore di erudito e di scrittore casti-
gato: cooperò nel 1840 alla fondazione dell’Imparziale, periodico di scienze,

lettere ed arti che pubblicavasi a Faenza, e nel 1843 diè vita al giornale.

di Estetica cristiana, a cui collaborarono il Fabretti, il Borghesi, il
Gualandi, Amico Ricci, il Vermiglioli e tanti altri di eletta e soda cul-
turà. Gli Eugubini, superbi del dono di così ricca biblioteca e memori
delle virtù loro come cittadini e studiosi, vollero che tutti e due fossero
commemorati con dignità e riverenza, e nella libreria fondata dall’ Ar-
manni fosse posta una lapide in ricordo loro solenne e di Teresa Luca-

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ANALECTA UMBRA : 227

relli che al Comune affidò, severa esecutrice della volontà del suo padre
e fratello, la biblioteca di famiglia.

Chi non ricorda quel passo di Giorgio Vasari nella vita di Baldas-
sarre Peruzzi, che dice, che a lui fu data a dipingere la cappella di
S. Onofrio di Roma « la quale condusse a fresco con molta bella maniera
e con molta bella grazia »? E pure, dopo che Filippo Titi pubblicò
nel secolo scorso la « Descrizione delle piiture di Roma », quelle vere
parole del Vasari furono dimenticate ed ebbe trionfo il giudizio del
Titi che quelle pitture attribuì al Pinturicchio. Ora Federico Hermanin,
ragionando (in Arch. stor. dell'arte, a. II, fase. 5°, pag. 321) di Alcune
pitture giovanili del Peruzzi, dimostra che codesti affreschi di S. Onofrio
sono opera di artista giovine, il quale non avendo ancora una tecnica

A

sicura, ma essendo ammiratore di « opere di grandi maestri diversi fra
loro, segue ora questi, ora quegli, non sapendo per.chi decidersi ».
Non dimentichiamo che il Peruzzi è allievo del Pinturicchio, col quale,
anzi, lavorò, nella libreria del Duomo di Siena. « Non abbandonò (dice
l’A.) del tutto l’antica maniera di scuola, ma la ravvisò col nuovo
studio; e noi, osservando le opere del Peruzzi, vediamo in esse l’arte
perferzionarsi gradatamente, farsi sempre più tenui i caratteri pinturic-
chieschi e rinforzarsi quelli derivati dal Sodoma, coi quali a poco a
poco il Senese arriverà ad entrare fra i seguaci di Raffaello, non ab-
bandonando però mai del tutto la buona scuola del Pinturicchio ». Il
Morelli (JCunstkritische Studien; Die Galerie zu Berlin e Die Galerien

Borghese und Doria in Rom) andò più oltre: il Peruzzi, secondo lui,

dipinse in S. Onofrio « sotto l'influenza e la direzione del Pinturic-
chio », anzi « probabilmente da schizzi del Pinturicchio ». L' Hermanin
invece dimostra che il giovine pittore « benchè sempre ancora seguace
del suo maestro umbro, vagheggiò però già Giov. Ant. Bazzi ». Col
minuto esame di quelli affreschi l'A. mette in rilievo il carattere pin-
turicchiesco e le particolarità comuni al maestro.

D'un affresco ignoto di Tiberio d'Assisi dà notizia U. Oietti nello
stesso Archivio (a. II, serie II, fase. luglio-agosto), scoperto nel luglio
scorso nella chiesa di Castel Ritardi in quel di Spoleto. Un quadro
rappresenta l'Eterno entro una elissi, circondato da nove serafini:. que-
sta figura e gli angeli « mostrano una somiglianza precisa coll’affresco
di Tiberio ch’ è in S. Fortunato sotto Montefalco, nella cappella del
Chiostro ». In altri tre quadri sono rappresentati S. Silvestro « tutto
ridipinto, forse in due volte », santa Caterina (riconoscibile a pena per
causa dell'umidità che l’ha danneggiata), ed un angelo a cui s'accom-

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998 ANALECTA UMBRA

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pagna un bambino. Quest'ultimo quadro è ben conservato, e quella.

‘dell’angelo è delle migliori figure di Tiberio. L'A. crede che « tutta la
volta sia fatta precisamente sui cartoni dell’altra cappelletta a S. For-
tunato » ; e siccome codesti affreschi hanno la data del 1512, così per
via di confronti accurati potrebbe stabilirsi la precisa età delle pitture
ora scoperte. 1

Nello stesso Archivio, a proposito Di una tavoletta di Luca Signo-
relli della. Pinacoteca di Brera, P. Fontana ha occasione di stabilir
confronti fra questo dipinto (è segn. col num. 11 e fu detto di scuola
toscana) e quelli del medesimo artista nel Duomo d' Orvieto, e di ricor-
dare la predella della Tavola di Umbertide e la tavola ch’ è a Città di
Castello (efr. Giorn. Arcadico, secondo semestre del 1826, pag. 217).

Una compiuta e splendidamente illustrata monografia su Le opere
d’arte di Spello vien pubblicando il prof. Giulio Urbini nell’ Archivio cit.
(a. II, fasc. 5°). Precede una bella sintesi storica della città dalle origini
sue, e segue, data la notizia de' monumenti romani, la descrizione della
chiesa di S. Maria Maggiore e delle opere artistiche, le quali lo.rendono
ammirevole. Diligentissima quella della cappella del Pinturicchio e della
tribuna di Rocco da Vicenza. Illustrano il testo parecchie riproduzioni
fototipiche d’opere del Pinturicchio, del pulpito di Simone da Campione,
della tribuna e del pavimento di maiolica, della Pietà del Perugino,
della .croce capitolare cesellata e smaltata, capolavoro di Paolo Vanni
perugino (1398), e d'un affresco da attribuirsi al Pinturicchio, come
giudicano il Morelli e il Crowe, anzichè, come altri volle, allo Spagna.
Sia sufficiente per ora questo semplice annunzio, chè di codesta mono-
grafia ci occuperemo espressamente quando sarà pubblicata per intero.

È uscito alla luce il vol. II delle GaZlerie Nazionali italiane (Ro-
ma, 1896) in cui son raccolte notizie di parecchie cospicue Gallerie e
vien dato alla luce tra i documenti storico-artistici il « Catalogo delle
opere d'arte nelle Marche e nell’ Umbria » compilato dal 1861 al 1862 da
G. B. Cavalcaselle e.G. Morelli. A codesti due illustri Quintino Sella,
Ministro allora della P. I., affidó tale cómpito: « compilare una nota
particolareggiata di tutti gli oggetti d’arte, qualunque fossero, esistenti
nelle chiese e presso gli enti religiosi soppressi », col savio intendimento
di prevenirne e impedirne vendite e dispersioni. « Dopo tanti auni che
il catalogo fu composto, molte tra .le cose descritte subirono vicende,
alterazioni, trasponimenti » ; ed ecco perchè soü poste in nota « quelle
indicazioni che valgono a dare modernità e utilità pratica alle notizie ».

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ANALECTA UMBRA 229

O non era meglio, allora, compilar di nuovo e con maggior diligenza il
catalogo fondendo con armonica unità le vecchie notizie e le nuove, a
quelle togliendo il carattere di relazione ufficiale? A ogni modo, gradi-
tissimo, così com’è, sarà agli studiosi dell’arte nostra codesto catalogo .
che comprende le opere d’arte di Rieti, Narni, Amelia, Terni, Spoleto,
Trevi, Foligno, Spello, Nocera, Gualdo, Gubbio, Perugia, Città di Castello,
Todi, Deruta, Assisi, Bastia, Orvieto, Città della Pieve, Panicale, Mon-
teleone d’ Orvieto. — Giovi pur ricordare che nel Museo Naz. di Firenze,
tra i 28 nuovi sigilli che hanno arricchita la collezione (num. 2465-93),
trovasi ora quello di Lando Becchi, podestà di Firenze nel 1371; è del
sec. XIV e porta l'arme suo (becco rampante con una spada tra le
zampe: cfr., ma correggendolo, il passo della Guida di Gubbio di O. Lu-
carelli, relativo al Becchi, pag. 230). — Nella Galleria Naz. di Roma
tra i dipinti che provengono dal Monte di Pietà sono rappresentati
Nicolò Alunno e la scuola perugina: di questa v' è un’ancona d’altare,
opera « d’uno scolare accurato, ma scialbo e freddo, del Perugino »:
dell'Alunno v’ è « una tela con divisioni in archi, imitante i polittici
delle cornici ad intaglio e dorate ». Il quadretto, rappresentante la Ver-
gine col bambino e santi, « richiama Lorenzo da S. Severino e il suo
quadro della National Gallery, piuttosto che l’ Alunno cui fu ascritto il
ipinto ».

À
derico Barbarossa o di Federico II 6 apparsa una pregevole nota del
prof. G. Pardi nel vol. XVII degli Studi e Documenti di storia e di-
ritto. La certezza della occupazione e distruzione della cittadella d' Ame-
lia, come narra la tradizione popolare, è data da una bolla di Alessandro
IV che qui pubblica il P., il quale col sussidio degli scrittori sineroni
discute se il fatto avvenne per opera del primo o del secondo Federico.
riustissima la conclusione: l'avvenimento successe al tempo di Fede-
rico II nel luglio del 1241, o tra la fine del '48 e il principio del '45.
La bolla citata fu tratta dall’ Archivio comunale di Amelia che lo stesso
professore ha testè riordinato.

Su. La presa e l’ incendio di Amelia per opera delle milizie di Fe-

Dal Catalogue des reproductions inaltérables au charbon delle pit-
ture che conservansi nei Musei d' Europa (Paris- Dornach - New York,
1895) ricaviamo, per comodo degli studiosi dell'arte nostra, le indica-
zioni delle opere che dalla Casa Braun sono state con ‘ammirevole
perfezione riprodotte. Della Galleria r. di Dresda: tavola di scuola pe-
rugina (S. Frane. d'Assisi); ritratto di giovane del Pinturicchio. Della
Accad. di belle Arti di Firenze: sei dipinti del Perugino. Altri quattro
930 ANALECTA UMBRA

DI

della Galleria Pitti, e tre di quella degli Uffizi. Una sua tavola e una
terra cotta di Mastro Giorgio del Museo Stidel di Francofort sul Meno.
Della Galleria Naz. di Londra: un trittico dell'Alunno ; uno di Fiorenzo
di Lorenzo; nove tavole del Perugino; e sei del Pinturicchio. Del
Museo del Louvre: una tavola di Orazio Alfani, una del Pinturicchio,
sette del Perugino. Una di Fiorenzo e del Perugino nella Galleria Bor-
ghese; un’altra del Vannucci nella Galleria Sciarra; un’altra del Pin-
turicchio nella Pinacoteca Vaticana; i suoi freschi nella cappella Sistina

e la tavola in S. Onofrio. Gli affreschi del Perugino nel Palazzo Vati- -

cano, e la sua tavola (identica a quella del palazzo Pitti: la Vergine
col bambino) nella Galleria del Principe di Liechtenstein di Vienna.

Su /a. Miniatura in Bologna dal XIII al XVIII secolo il conte
F. Malaguzzi Valeri ha raccolto memorie e documenti in tanta copia
da poter ritessere la storia di quella scuola feconda che fu tra le più
cospicue d’ Italia. Per la biografia di Oderigi di Guido, oltre alle no-
tizie già note, produce un documento inedito col quale si afferma la
sua permanenza in Bologna nel 1269. E v'era ancora nel ’'71, come de-
ducesi dal documento che fu pubblicato dal prof. A. Rossi nel Giorn.
d'erud. art., e, più esattamente, dal dott. U. Dallari nel vol. III dei
Rotuli dello Studio bolognese (Bologna, 1891, pag. IV e sg.). Un Si-
mone di Bartolomeo da Bologna miniatore, che fiorì nel secolo XIII,
lavorò forse a Città di Castello, dove i canonici della Cattedrale gli ac-
cordarono gratuitamente una casa (cfr. le Memorie del Muzi, I, 134).
« D'importanza speciale per disegno e colorito » è, secondo l’A., il co-
dice degli Statuti de’ Battuti di Bologna del 1337, che contiene la vita
di Raniero Fasani da Perugia edita in questo Bol. Tra i miniatori che
operarono in Bol. nel sec. XV, l’A. ricorda il notaio Nello di Nicoluccio
da Perugia, di cui leggesi il nome accanto a un ricco fregio con stemma
sul vol. 23 (1404-5) degli Atti Giudiziari dell’ Arch. di Stato di Bol.
Codesto artista non è ricordato tra quelli che il Mariotti trovò nella
Matricola de'miniatori di Perugia e il Rossi pubblicò nel citato Giorn.,
II, 305 e sgg. Il bello studio del conte Malaguzzi è inserito nell’ Arch.
stor. ital., disp. 4* dell’anno scorso.

Spigolature francescane. Nella Revue historique del nov.-dic. 1896
il Sabatier con uno studio critico Sur Za concession de l'indulgence de
ta Portiuncole, si corregge di ciò che aveva asserito, tanto più che in
seguito a nuove indagini ha constatata l’autenticità delle testimonianze.
Ora lA. rifà di queste la serie eronologica. Sono di Benedetto d'Arezzo,
di frate Leone, di frate Oddone d’Acquasparta, di Pietro Zalfani, di Pier-

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—7
ANALECTA UMBRA 231

giovanni Olivi, di Giov. dell'Alvernia, d' Ubertino da Casale, del b. Fran-
cesco da Fabriano, di frate Teobaldo vescovo d'Assisi e d'altri che 1° A.
raccoglie in un terzo gruppo.

D'un'opera come la Vita di S. Francesco dello stesso A., avidamente

letta, ristampata, tradotta in russo, in polacco, in danese e svedese,
tanto discussa e ammirata, scritta con vero garbo e sentimento d’arte
e vasta dottrina, perchè non salutar con piacere la traduzione in italiano ?

L'han fatta, ma con uno scopo, i professori C. Ghidiglia e C. Pontani.
,« Per dare (essi hanno avvertito) al lavoro quel carattere di popolarità

a éui abbiamo mirato, sopprimemmo a bella posta tutto quanto il dotto
studio sui fonti della storia francescana e tutti quei passi e quelle note
che contenevano pure discussioni e apprezzamenti critici, la cui omis-
sione ritenemmo non avrebbe per nulla menomata la chiara intelligenza
del racconto ». Non è qui il caso di discutere se, cosi facendo, essi hanno
bene o male operato: basti si dica che la traduzione è ottima, cioè disin-
volta, in lingua castigata, fedele anche nella gentilezza dell’arte con cui
l’opera è condotta. Su l'ediz. francese questa versione s'avvantaggia pel
cap. XII e per l'appendice ch’ è relativa al primo luogo abitato dai mi-
nori, a Rivotorto e all’ospedale dei lebbrosi di Assisi. Il volume, che in
così nitida veste fu stampato nella tipografia dell’Unione Tipografica Coo-
perativa di Perugia (in 8°, pp. XX.XI-319) ha in fronte l’effigie del Santo
dipinta da Cimabue, riproduzione fototipica d’un disegno, egregiamente
fatto, da un artista valente.

Nel fase. marzo-aprile 1896 della Miscell. francescana è un ampio
studio e una bella raccolta di documenti sul b. Paoluccio Trinci di Fo-
ligno a cura di d. M. Faloci-Pulignani : ricco il regesto dei documenti che
sono nel conv. di S. Damiano presso Assisi, dal 1313 al '91. — Nel fasc.
successivo il p. Grisar tratta de La benedizione di S. Franc. a frate
Leone che il Kraus aveva creduto scritta in minuscolo italiano dei
sec. XVI e XVI (Theologische Liter., 1895, pag. 404). E invece, secondo
il p. G., del sec. XIII, e gli hanno data ragione i giudizi autorevoli del
Wattenbach, dello Dziatzko e di G. Meyer (Theol. cit., pag. 627). Pre-
sentate le fotografie della membrana alla Société nationale des Anti-
quaires de France, il Berger ha espresso lo stesso parere dei tre paleo-
grafi tedeschi. Giustissima, inoltre, la spiegazione del significato del
cranio, su cui s'innalza la £au, col qual segno si chiude il testo della

benedizione: naturalmente, pel cranio s'intenda il Calvario. E son parec- -

chi gli esempi del costume di rappresentar la croce in quel modo, i
quali però « sono assai rari nell’età dopo il see. XIII ». — Anche dello

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932 ANALECTA UMBRA

stesso Faloci vi son giunte alla Vita di Pietro Crisci, che edificò la chiesa.
di S. Maria di Montegranaro e fu terziario. Deducesi così dalla descri-

zione che l’ab. Olivieri fece delle pitture a contorni rossi su fondo.

bianco, le quali erano nella stessa chiesa (Mem. di S. Maria, ecc. ; Pe-
saro, 1777, pag. 7 e sg.).

Nel vol. III dell’Epistolario di Coluccio Salutati a cura di F. NOvATI

sono due lettere del S. dirette da Firenze al giovane poeta Perugino
Tommaso di Ser Rigo; il N. argomenta che la prima di esse sia del
13 maggio 1395 e la seconda del 24 gennaio 1398. Nello stesso vol. si
legge poi un’altra lettera scritta da Coluccio al padre di Tommaso, Ser
Rigo di Domenico Rigoli da Perugia, il 13 luglio 1400, lettera di con-
doglianza per la morte di Tommaso stesso: questi morì non ancora.
venticinquenne il 1° giugno 1400, e tale notizia il N. trae da un elogio
di Tommaso seritto da un anonimo (cod. Barberiniano, VIII, 32). Di
questo elogio e della lettera del S. a Ser Rigo non potè valersi il Ver-
miglioli nella sua Biogr. d. scrittori perugini.

Nel vol. II degli Statuti delle*Società del Popolo di Bologna a cura
di A. GAUDENZI si leggono a pag. 421 gli Statuti della Società dei Bat-
tuti dell’anno MCCLX, che egli ha trovato in un cod. di pertinenza del-
l Ospedale della Vita presso l'Amministrazione degli Ospedali di Bo-
logna. È probabile che questi Statuti sieno opera di quel Fra Rainero
Faxano, di cui il prof. G. Mazzatinti pubblicò la leggenda in questo
Bollettino (vol. II, pag. 561).

Nella Miscellanea di Erudizione e Belle Arti diretta dal prof. F. Ra-
vagli (a. III, fase. II) si accenna alla necessità di restauri agli splen-
didi affreschi dello Zuccari rappresentanti le gesta di Ascanio della Cor-
nia, ed esistenti nel palazzo del Comune di Castiglion del Lago, già dei
Marchesi della Cornia.

Il nostro socio signor Giustiniano Degli Azzi Vitelleschi ha testé
dato alla luce, Unione Tipografica Cooperativa (Perugia), un saggio sto-
rico su « I Capitani del Contado nel Comune di Perugia ». Lo studio,
di cui ci occuperemo in un prossimo fascicolo, è preceduto da una let-
tera del nostro collaboratore prof. Oscar Scalvanti.

L'illustre signor Saverio da Cunha Bibliotecario della Nazionale
di Lisbona ha pubblicato le bellissime strofè di Luigi de Camoens di-
rette ad una schiava indiana chiamata Barbara. Al testo portoghese,

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ANALECTA UMBRA 238

cui precede un dotto studio sul grande poeta, seguono traduzioni delle
Strofe medesime in moltissimi linguaggi e dialetti, dovute ad. eminenti
letterati e raccolte con diligenza ed amore insuperabili dal Bibliotecario
di Lisbona: la splendida edizione di soli 300 esemplari si ha per le
cure del dott. Antonio Augusto de Carvalho Monteiro. Noi segnaliamo
la pubblicazione anche perché a pag. 503 del ricco volume, i versi del
Camoens si leggono benissimo tradotti in dialetto perugino dal com-
pianto prof. Ruggero Torelli.

Dall'egregio prof. Ciro TRABALZA abbiamo ricevuto in dono il suo
libro: Della vita e delle opere di Francesco Torti di Bevagna. Del pre-
gevole volume preceduto da una lettera di Luiar MoRANDI discorrere-
mo ampiamente nel prossimo fascicolo.

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NECROLOGIO

GIUSEPPE TERRENZI

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L'Umbria ha perduto di recente un figlio illustre. Giu-
seppe Terrenzi.morto in Narni sua patria, il 1? settembre
decorso, dopo una malattia lunghissima e dolorosa, che ne
aveva straziato metà della vita.

Giuseppe Terrenzi era nato il 26 novembre 1855 e
quanto mostró fino dalla adolescenza ingegno svegliato, tanto
parve da principio avverso allo studio ed indocile.

Rinchiuso nel Seminario vescovile narnese, ne dovette
uscire poco dopo, perché i suoi maestri disperavano di vin-
cere l' animo ribelle del giovanetto, che alla naturale viva-
cità, aggiungeva una palese propensione verso le idee liberali.

Frequentò quindi il corso liceale in Spoleto e l’ Univer-
sità in Perugia dove, per aver cambiato natura, con grande
e rapido profitto si diede allo studio della Chimica, guada-
gnandosi la stima dei suoi chiari professori Purgotti e
Bellucci.

. Nell’ Università romana, dove si trasferì da quella di
. Perugia, conseguì con plauso la laura di Dottore in Chimica
e Farmacia nel 1879. 2

Il Terrenzi avea divisato di darsi all’ insegnamento, ma
la grave malattia, la tisi, che lo assali poco dopo il vente-
simo anno, lo costrinse invece a ritirarsi nella sua patria ad
esercitarvi la professione di chimico-farmacista. ^

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Per questo egli non si arrestó nei suoi diletti studi, ed
anzi, quanto a lui lo consentirono il luogo disadatto, le oc-
cupazioni professionali ed il fiero malore, in quelli si fece
più profondo, pubblicando pregevolissimi scritti di Geolo-
gia, Paleontologia, Botanica, Geologia, Mineralogia ed in ul-
timo anche di Storia.

In queste scienze fece sovente utili scoperte; come quelle
di alcuni aculei o placche di un riccio di mare rinvenuti
nei detriti dei terreni narnesi, ed appartenenti al lias medio
dell’ epoca giurassica, éra mesozoica, specie Cidaris, e che
il prof. Parone di Pavia volle intitolati. dallo scopritore :
Cidaris Terrentii.

E così rinvenne, per la prima volta in Italia parassita
dell’ uomo, una specie di acaro: Argas reflerus. — Nella
biblioteca narnese, che con grande amore egli aveva rior-
dinato, ebbe anche ventura di ritrovare preziosi manoscritti

del sec. XIII e li pubblicò accompagnandoli con una critica -

diligente.

Divenuto membro delle più importanti riviste scientifiche,
ebbe l insigne onore della traduzione di varî suoi scritti,
che gli fruttarono la lode e la considerazione di parecchi dotti
stranieri, quale il professor Torres dell’ Università di Bar-
cellona, che lo invitò anche a collaborare nella rivista da
lui diretta.

Troppo presto e troppo dolorosamente fu troncata la sua
esistenza, ché egli certamente di maggior contributo avrebbe
, arricchito la scienza, nella quale: « Vago di apprendere —
egli dice in una prefazione — e di osservare la natura. nelle
varie e molteplici manifestazioni, non ebbi predilezioni spe-

ciali. La pianta mi faceva ricercare l animale, l’animale il”

fossile, il fossile la roccia, e in quel continuo ed affannoso as-
sorgere di desiderî, mi sentii naturalista, ed amai la scienza
con fede di credente, con culto di poeta ».

G. VALLI.
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9. —

281
SCRITTI DI GIUSEPPE TERRENZI ©
Erasmo Gattamelata — Sua vita e suoi monumenti illustrati

dal marchese G. Eroli. — Pubblicata in Perugia nel 1876 dalla
Gazzetta dell’ Umbria.

Ammoniti e belemniti trovati nelle vicinanze di Narni. — Pub-
blicata dalla Rivista Scientifica Industriale di Firenze, nel feb-
braio 1880.

Fossili pliocenici delle sabbie gialle, trovati nelle vicinanze

narnese delle Vigne, Schifanoia e Montoro. — Nella stessa
Rivista, marzo 1880. — Questo scritto dette luogo ad una rela-

zione del prof. Torres di Barcellona.

Il lias superiore nel versante orientale della catena montuosa,
— Nella stessa Rivista, giugno 1880. — Inserito negli Atti del-
/ Accademia dei Lincei; riprodotto nella Rivista Internazionale di
Scienze e nell’ Annuario Scientifico (1880).

Sui dintorni di S. Vito nel narnese. — Nella stessa Rivista,
aprile 1881. — Inserito negli Atti dell’ Accademia dei Lincei.

Sui d'intorni di Grottamare. — Nella stessa Rivista, luglio
1881 e Narni, Tip. Umbro-Sabina, 1881.

Carlo Darwin. — Nell’ Unione Liberale di Terni, maggio e giu-
gno 1882.

Il passaggio di Venere sul disco solare. — Unione Liberale,
settembre 1883 e Terni, Tip. Bossi, 1883.
Luce crepuscolare. — Unione Liberale, marzo 1884.

Fossili trovati nel calcare liassico della catena montuosa nar-
nese. — Rivista Scientifica Industriale. Firenze, maggio 1884.

I molluschi, gli echinodermi, i coralli, i protisti, considerati
quali fattori geologici del nostro pianeta. — Rieti, Trinchi, 1885.
Sopra un lembo del lias superiore rinvenuto nella montagna
di Santacroce in Narni. — Nel Bollettino della Società geologica
italiana, anno V, 1886.

Il Pliocene nei dintorni di Narni. — Nello stesso Bollettino, 1886.

(1) Il March. G. Eroli pubblicò già alcuni cenni biografici su Giuseppe Terrenzi
ed un primo elenco degli scritti nell'opera: Altwne prose e versi, vol. II, Assisi, 1887,
pag. 219 e/segg.

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238. SCRITTI DI GIUSEPPE TERRENZI "d

^ ..44. — Il Castor fiber (Lin.) trovato fossile al Colle dell'oro presso
— Terni. — Rivista Scientifica Industriale, luglio 1888.
15. — Nuovi fossili di Grottamare. — Nella stessa Rivista, 1889.

16. — Sui fori lasciati dai litodomi pliocenici nel calcare Jiassico di
; Borgheria. — Nella stessa Rivista, marzo 1889.
17. — Sopra una zanna elefantina scoperta nelle sabbie gialle di Ca-
martana (Narni). — Nella stessa Rivista, aprile 1889.
18. — I fenomeni di Carso, osservato sui monti di Narni. — Nella
Rivista Italiana di Scienze Naturali. Siena, aprile 1889.
19. — Il mare pliocenico nell'interno della conca di Terni. — Nella

Rivista Scientifica Industriale, marzo 1889.
20. — Molluschi terrestri e d’acqua dolce trovati nelle vicinanze di
Narni.— Nella stessa Rivista, ottobre 1889, e Firenze, S. Landi, 1889.

91. — L'inventore del sismografo a pendolo. — Nel Bollettino del
Vulcanismo, anno XIV, fasc. 1-7.

29. — Contribuzione allo studio della flora narnese. — Terni, Alte-
rocca, 1890.

93. — Contribuzione alla bibliografia umbra. — Terni, Alterocca, 1890.

24. — L'aerolito di Collescipoli. — Nella Rivista Italiana di Scienze

Naturali. Siena, 1890. — Riprodotto dal Bud/ettino dell’ Imp. e
Reale Istituto Geologico di Vienna, 1880.
25. — Notizie intorno agli aeroliti caduti nelUUmbria. — Rivista Scien-

tifica Industriale, ottobre, 1891. )
26. — Il fiume Nera ed i suoi pesci. — Nella Rivista di Scienze Natu- ' s
rali. Siena, aprile 1892.
91. — Apparizione della Thicodroma muraria sulle mura di Narni. j
— Nella Rivista Scientifica Industriale. Firenze, luglio 1882.
28. — Sopra un acaro (argas reflecus) trovato per Ja prima volta in
Italia parassita dell'uomo. — Nella Rivista di Scienze Naturali.
Siena, giugno 1894.
29. — AD antiquo. — Narni, settembre 1894.
30. — Un periodo di storia narnese illustrata dai suoi più vetusti
documenti. — Narni, Petrignani, 1894.
81. — La ferriera di Stifone ed i minerali di ferro trovati sulle mon-
tagne di Narni. — Nel Bollettino del Naturalista, Siena, 1895.
32. — Il comune di Narni durante il sec. XIII. — Parte I. — Terni, |
Alterocca, 1895.
33. — Il comune di Narni durante il sec. XIII — Parte II. — Terni,

Alterocca, 1896. \
34. — L'antico archivio comunale di Narni. — Terni, Alterocca, 1896.

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239

NOTIZIE

ASTRI .DELLAcSQQIBEbIT

Adunanza del 29 settembre 1896

Nell ultima adunanza generale della Società Umbra di

Storia Patria tenuta a di 29 settembre 1896 in Orvieto, in
una delle sale annesse al teatro gentilmente concessa da quel
Municipio, furono presentati all’ ordine del giorno i seguenti

oggetti :

[1i

. Relazione del Presidente sui lavori della Società ;
. Redazione del Bollettino ;
. Rapporto dei Sindacatori sul conto consuntivo del primo anno sociale

1894-95 ;

. Resoconto dell' Economo sull'andamento finanziario della Società du-

rante il 1896 ;

. Presentazione del biluncio preventivo per Vanno 1897 ;
. Comunicazioni varie.

Presidenza del comm. LUIGI FUMI.

‘Presenti i soci:

ALESSANDRI prof. LETO

ANSIDEI conte dott. VINCENZO

CERRETTI pr. CESARE

DONATI prof. dott. GIROLAMO
FALCINELLI-ANTONIACCI avv. prof. MARIANO
FALOCI-PULIGNANI mons. canonico MICHELE
FrcAnELLI FiLipPo sindaco di Collescipoli
ATTI DELLA SOCIETÀ

FRANCI comm. CARLO .

Fuwr comm. LUIGI
GAMURRINI prof. comm. Gro. FRANCESCO
LANZI prof. LUIGI

MANASSEI conte cav. uff. PAOLANO
ManCcINI ing. RICCARDO

MAVARELLI ing. CESARE

MoRETTI parr. ALCESTE

PONTANI prof. COSTANTINO
RoMITELLI mons. arcid. dott. MARZIO
TENNERONI prof. ANNIBALE
TommasinI MATTIUCCI dott. PIETRO
URBINI prof. GIULIO

VALENTI conte dott. Tommaso.

Assistevano all’adunanza per invito della presidenza il cav. PIETRO
PETRANGELI sindaco di Orvieto, il cav. RoBERTO Cassano sotto-prefetto
di Orvieto, l'avv. MARIO GADDI assessore del municipio di Orvieto, il
prof. ALESSANDRO PAGLIARI direttore del giornale cittadino, e le gentili
signore nobil donna BIANCA FUMI e contessa MARIA VALENTI.

Si diè quindi comunicazione di lettere e telegrammi con
cui giustificavano la loro assenza i soci:

Il cav.

BARBIELLINI-AMIDEI march. ALESSANDRO
BELLUCCI comm. prof. GIUSEPPE

CAMPELLO DELLA SPINA conte PAOLO

FAINA conte EuGENIO senatore del Regno
FANI avv. CESARE deputato al Parlamento
INNAMORATI prof. avv. FRANCESCO

MIKELLI comm. VINCENZO intendente di finanza dell' Umbria
PomPILJ cav. Guipo deputato al Parlamento
RoTELLI can. don ANASTASIO

SANSI barone OLIVIERO

TIBERI prof. LEOPOLDO

TorDI DOMENICO.

Cassano dichiarò di aver l incarico di rappre-

sentare il R. Prefetto comm. Ferrari, che non potè lasciare
Perugia per la presenza in quella città dei Ministri Branca
e Luzzatti, e il conte Vincenzo Ansidei riferi che il Sindaco

e ape
TU rie SRI Pra Dia TRA

ADUNANZA DEL XXIX SETTEMBRE MDCCCXCVI 941

di Perugia cav. Rocchi pregava fosse scusata la sua assenza,

dipendente dalle stesse cause.

Furono giustificate le assenze del prof. Giuseppe Mazza-
tinti, del prof. Angelo Lupattelli, del conte cav. Alessandro
Ansidei e del Segretario della Società prof. dott. Luigi Gian-
nantoni.

Per la mancanza di quest’ ultimo il Presidente invitó
l'Economo a farne le veci.

‘Lo stesso Presidente poi pregò il Sindaco di Orvieto

cav. Petrangeli a voler assumere la presidenza onoraria della

riunione, e alla proposta del comm. Fumi fecero plauso tutti
gl’intervenuti, lieti di offrire per tal modo alla Città di Or-
vieto e al suo primo rappresentante una testimonianza. del
loro omaggio e del loro animo grato per la cortese ospitalità.
Il Sindaco di Orvieto accettò, ringraziando, là presidenza
onoraria e pronunciò il seguente discorso:

A voi, egregi signori, ospiti illustri, io porto il sa-
luto della nostra città che vuole testimoniarvi il suo gra-
dimento per l’onore che avete voluto accordarle.

Le Nazioni, per mantenere il nome loro grande e
ovunque rispettato, hanno bisogno non solo di forti e va-

.lorosi soldati, ma eziandio di menti elevate e colte, am-
maestrate a savi e retti principî di libertà che principal-
mente dal buono studio della storia si apprendono.

È quindi nobile ed altamente patriottico lo scopo che
vi siete prefissi, perchè, eternando le pagine gloriose della
nostra storia, voi rendete giustizia ai tempi trascorsi, am-
maestramento alle generazioni future, segnalato servigio
alla patria. :

Siate dunque tra noi i benvenuti, e se le deboli forze

della nostra città non ci permettono di potervi addimostrare *

il nostro gradimento, come si converrebbe a persone a voi
pari, vi sia egualmente grato il modesto, ma .cordialis-
simo omaggio che Orvieto per mio mezzo vi offre.

Le parole dell'egregio Sindaco furono accolte dal plauso
unanime degli adunati.
Sorse poi a parlare il Presidente comm. Fumi. Egli si
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949: Nera ATTI DELLA SOCIETÀ

‘compiacque che la prima adunanza regionale, fuori della sede

della Società, si facesse in Orvieto, la città che prima, entrò
a far parte della nuova provincia Umbra, la città che dette
i natali al march. F. A. Gualterio primo Prefetto dell’ Um-
bria, storico italiano e patrio erudito. Ringraziò il Sindaco
della accoglienza onorevole, e con un saluto a lui, alla città
e alla memoria del march. Gualterio prese a parlare dei la-
vori sociali compiuti nell’anno 1896.

Cominciando dalla serie dei fonti storici, accennó al £e-
gesto Perugino, pel quale s'intrapresero gli spogli degli atti
del Cod. « Consilia variorum annorum saeculi XIII » e del
Cod. L, che contiene le Riformanze dal 1? maggio 1276 al
29 aprile: 1211.

Dello Statuto perugino piü antico fu eseguita la trascri-
zione fino alla Rubrica « Qualiter procedatur super opere

.aqueductus montis Pazani » che trovasi a carte 26 del Codice..

Dello Statuto volgare la copia fu condotta dal principio
fino al libro quarto, rub. 10*, carte 208, e a compierla man-
cano solamente poche carte del quarto libro.

Dié conto della pubblicazione del Bollettino e passò in
rassegna le memorie, i documenti e i comunicati che si con-
tengono nei fascicoli della .2* annata. Accennò ai vantaggi
che la Società ha potuto rendere agli studi in questo secondo
anno di vita; annoverò specialmente fra essi la scoperta che
il prof. Scalvanti ha eseguito di un esemplare ms. di una
più completa Cronaca del Graziani. — Parlò di nuovi e si-
curi vantaggi che si potranno ricavare in avvenire, se gli
studi sieno condotti con metodo scientifico, sul quale fornì
‘opportune dichiarazioni.

Raccomandò ai soci di porre mano senz’ altro indugio
alla Bibliografia Umbra, della quale intendeva presentare i
primi contributi nella tornata autunnale che si terrà in Spo-
leto. E qui si scusò con i colleghi Spoletini se anche in que-
stanno non eransi potuti adunare i soci nella loro città. La
circostanza speciale di una Esposizione di arte sacra antica

PIATTA ATA AIA.

E E nie — AN D 1



ADUNANZA DEL XXIX SETTEMBRE MDCCCXCVI ; 245

che interessava tutta l Umbria a recarsi in Orvieto, le faci-
litazioni ferroviarie accordate agli accorrenti alla medesima,
consigliarono la Presidenza ad ottenere dal Consiglio diret-
tivo che l'adunanza fosse fatta in Orvieto; ed egli come Pre-
sidente dell’ Esposizione se ne mostrò loro grato e li prevenne
che avrebbero trovato un compenso nella duplice importanza
storica ed artistica di essa. Riepilogata brevemente una ras-
segna dei principali oggetti esposti che più interessano la
storia delle arti, e accennato agli insegnamenti che un arti-
sta potrebbe ricavare dallo studio di essi per la pratica, ter-
minò richiamandosi alle sublimi ispirazioni del Duomo di
Orvieto. Aggiunse in fine che la Esposizione di arte sacra
sarebbe illustrata ai soci dalla dotta parola del comm. Ga-
murrini.

Dopo le parole del Presidente, unanimemente: approvate
dagl' intervenuti, sorse il comm. Gamurrini che ringrazió della
fiducia in lui posta e si scusò di non potere trattare come
si converrebbe l’accennato argomento, avuto riguardo soprat-
tutto al brevissimo tempo in cui gli è stato concesso di stu-
diarlo.

Quindi il prof. Luigi Lanzi annunció la perdita dolorosa

del socio dott. Giuseppe Terrenzi e ne commemorò le elet-:

tissime virtü con il seguente discorso:

L'ultimo giorno del passato agosto, si spegneva in
Narni la vita del socio dott. Giuseppe Terrenzi.

Consaeró la sua giovinezza agli studi classici prima,
a quelli delle scienze naturali poi, e nella Università di
Roma, nel 1819, conseguiva a pieni voti la laurea in
chimica e farmacia.

Mentre era intento ad un esperimento, vuolsi che una
forte aspirazione di eloro ne offendegse i polmoni, e da
quel giorno il morbo fatale che dovea trarlo al sepolero
imprese a demolire lentamente l'organismo di lui.

Serisse di geologia, di astronomia, di botanica, di bi-
bliografia e di storia municipale, pubblicando articoli ed
opuseoli che gli valsero la estimazione di notissimi scien-

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ATTI DELLA SOCIETÀ

ziati italiani e stranieri. Riordinó con cura e discernimento
: la biblioteca comunale di Narni, ed in questi ultimi tempi
des volse specialmente il suo studio ad illustrare importanti
È documenti rinvenuti nell’archivio di quel Comune.

Assuntomi l’incarico di riveder le bozze. di stampa
per alleviare a lui una parte del lavoro materiale, egli
frequentemente mi pregava di sollecitarne dall'editore il
disbrigo, giacchè ormai veramente sentiva d’esser giunto
agli estremi, e dubitava che i suoi opuscoli avrebber vista
la luce quando egli l’avrebbe perduta per sempre! — E
mentre così mi scriveva, e sentiva che gli restava ancora
un filo di forze, preparava la seconda parte del suo studio :
« Il comune di Narni nel secolo XIII ». — E siccome
la morte tardava ancora a raggiungerlo, dava opera ad
una nota preziosa su « L'antico archivio comunale » di
quella città.

Con questa pubblicazione, tocchi appena 41 anni, si
chiudeva per sempre la sua vita, raro esempio di attività
e di fortezza.

La città di Narni ha perduto nel Terrenzi uno dei
migliori suoi figli; noi un amico affezionato e carissimo ;
e questa R. Deputazione uno degli illustratori più ge-
niali, più acuti e più valenti della nostra provincia.

Il Presidente si associò ai sentimenti di cordoglio espressi
dal prof. Lanzi e l'adunanza deliberò che la commemora-
zione fosse stampata nel Bollettino e che alla famiglia del-
l’estinto fossero espressi i sensi della più viva e profonda
condoglianza.

Si passò quindi a discutere della redazione del Bollettino.

Il Presidente dichiarò di non poter più continuare, at-
tese le molteplici e gravi sue occupazioni, a dirigere anche
nella seconda serie delle pubblicazioni sociali, il Bollettino,
e pregò l’assemblea di volerlo esonerare da un tale incarico.

Il prof. Tenneroni e mons. Faloci-Pulignani rivolsero al
Presidente calda preghiera affinchè desistesse da tale divisa-
mento, affermandosi sicuri d'interpetrare in tal guisa l'animo
di tutti i colleghi. (E

Il Presidente, mentre ringraziava i soci Tenneroni e Fa-
loci-Pulignani e gli altri colleghi della fiducia che in lui ri-

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ADUNANZA DEL XXIX SETTEMBRE MDCCCXOVI 245

pongono, si disse dolente di dovere opporre un rifiuto al de-
siderio dell'assemblea.

Udite altre dichiarazioni in proposito fatte dal conte An-
sidei, si deliberò, con voto unanime, di affidare l incarico
della direzione del Bollettino al consigliere della Società e
membro della redazione del Bollettino stesso, prof. Giuseppe
Mazzatinti.

Si dié poi lettura del bilancio consuntivo della Società
dal giorno della sua fondazione (12 settembre 1894) al 51
decembre 1895 e si comunicó la relazione sindacatoria.

In base a questo rapporto i coadunati approvarono una-
nimi il consuntivo presentato.

A questo punto il Presidente si disse ben lieto di an-
nunciare all assemblea la Sovrana elargizione di lire 500
fatta alla Società, e lesse la lettera onorifica ed esortatrice
agli studi colla quale 3. M. il Re si piacque accompagnarla:

« Roma, li 27 febbraio 1896.

« Ho avuto l'onore di rassegnare a S. M. il Re, in ade-
sione al desiderio da V. S. espressomi, il 1? volume dei
Bollettini che cotesta Società ha pubblicato iniziando i
suoi lavori e le sue ricerche storiche, e coll’occasione ho
pure rappresentato alla M. S. il voto che V. S. in nome
dei consociati esprimeva di ottenere dalla Sovrana muni-
ficenza un atto di benevolo incoraggiamento all'opera
della nuova Associazione.

« L'atto di devota reverenza che codesto Sodalizio ha
voluto compiere offrendo alla Sovrana attenzione il primo
saggio delle sue pubblicazioni è tornato sommamente ac-
cetto alla Maestà Sua che molto tiene in onore le alte e
severe discipline, cui cotesto Sodalizio intende dedicare la
propria diligente e studiosa operosità per la ricostruzione
della storia civile ed artistica di cotesta nobile contrada.

« L'Augusto Sovrano in segno del suo gradimento, e
nel desiderio di cooperare alla vitalità e all’ incremento
della Associazione, mi ordinava pertanto di porre a dispo-
sizione di essa la somma di lire cinquecento, ed io, bene
onorato di compiere il Sovrano volere, ‘nel darle il lieto
annuncio, mi fo pregio farle tenere qui unita la somma
ATTI DELLA SOCIETÀ

del Sovrano contributo, rendendomi interprete presso la
S. V. e gli onorevoli di lei colleghi degli alti sensi di
benevolenza e di estimazione che l'Augusto Sovrano si
compiaceva manifestare verso la spettabile Società da
V. S. degnamente presieduta.

« Con preghiera di rimandarmi firmato l'unito modulo
di quietanza, riceva, Ill.mo signor Presidente, gli atti
della mia maggiore osservanza,

« || Reggente il Ministero della Real Casa

« Tenente Generale

« PONZIO VAGLIA ».

Tutti i convenuti si alzarono e ringraziarono.

Il conte Vincenzo Ansidei passò poi a riferire sull’ an-
damento finanziario della Società durante il 1896. Nel por
termine alle sue parole, l'Ansidei si disse certo di esprimere
i sentimenti di tutti gli adunati, portando un saluto al com-
mendatore Luigi Fumi, al Presidente illustre della Società,
che mente e cuore consacra -al bene e all’ incremento di
questo istituto, e confermandogli i sensi della stima affettuosa
e devota, della quale i soci lo proseguono e lo proseguiranno
sempre. — L’Ansidei chiese inoltre gli fosse consentito di
farsi interpetre dei convenuti nella simpatica città di Or-
vieto e di porgere un altro saluto rispettoso e cordiale al-
l'onorevole Rappresentante di Orvieto, un saluto esprimente
la più viva gratitudine per l'accoglienza squisitamente cor-
tese, che Orvieto volle fare ai componenti la Società Umbra
di Storia Patria.

L'adunanza, prendendo atto del rapporto dell’ Economo,
approvò il preventivo della Società per il 1897 nei termini
enunciati.

Il Presidente propose poi che dalla categoria dei soci
aggregati passassero a quella dei collaboratori i signori

BeENUCCI DOMENICO
TorDI DOMENICO,

—— E

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ADUNANZA DEL XXIX SETTEMBRE MDCCCXCVI 941

\

che quindi soci aggregati fossero nominati i signori

ALFIERI prof. VITTORIO
BRIGANTI dott. FRANCESCO
BrIzI dott. Gro. BATTISTA
ConBUCCI avv. VITTORIO i
DeGLI Azzi VITELLESCHI GIUSTINIANO
FABRI-STELLUTI conte prof. FRANCESCO
FinLiPPI avv. ALESSANDRO
FRATELLINI avv. comm. SALVATORE

. MoniNI ApoLFo
OrgTTI UGo
RANIERI conte dott. EMANUELE
RANIERI DI SORBELLO march. dott. RUGGERO
Ricci dott. prof. RAFFAELLO
SorDpINI cav. GIUSEPPE

e a soci corrispondenti fossero eletti i signori

GrIsAR padre AnMANNO della I. R. Università di Innsbruk e
PéRATE ANDREA addetto ai Musei nazionali di Versailles.

Furono accettate ad unanimità le proposte del Presidente,
il quale da ultimo si disse lieto di potere annunciare come
con R. Decreto in data 27 febbraio 1896 fosse stata costi-
tuita la R. Deputazione Umbra di Storia Patria. Questo

annuncio fu salutato dagli applausi di tutti gl’ intervenuti.

Dopo di che l adunanza si sciolse.

Terminata l'adunanza, il Presidente comm. Fumi invitò
i signori che si trovavano riuniti nelle sale del teatro a pas-
sare in quelle del suo palazzo, e là fu servito un sontuoso
rinfresco, e tutti furono oggetto delle cortesie più squisite da
parte del comm. Fumi e della nobile sua Signora; durante
quel graditissimo convegno giunsero, accolti festosamente, il

signor conte Paolo Campello della Spina e la di lui Signora,

che non avevano potuto, per la perduta coincidenza ferro-
viaria, assistere all’adunanza.

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ATTI DELLA SOCIETÀ

Dal palazzo Fumi, la geniale comitiva si recò a visitare
i monumenti, di cui è ricca Orvieto, e in modo speciale quel
miracolo dell’arte e della fede che è il Duomo; non è a dire
quanto fosse per ognuno interessante quel giro artistico fatto
sotto la dotta guida del comm. Fumi, pel quale i tesori di
arte orvietani non hanno più alcun segreto.

Dopo il Duomo si visitò il Museo Etrusco del senatore
conte Eugenio Faina, e quindi si passò al Palazzo dei Papi
testè restaurato con intelligentissimo amore, dove erano rac-
colti da tutta Italia oggetti sacri inestimabili per la loro im-
portanza storica, religiosa ed artistica, ed anche per il loro
effettivo valore.

In quella immensa sala, innanzi ad un elettissimo udi-
torio, fra cui notavansi le LL. EE. Rev.me i vescovi di Or-
‘vieto e di Amelia, il signor cav. Cassano sotto-prefetto di
Orvieto, il conte comm. Vespignani presidente onorario del-
l Esposizione, il cav. arch. Paolo Zampi segretario della me-
desima, e il comm. Carlo Franci presidente dell' Opera del
Duomo, il comm. Gamurrini con ispirato discorso segnaló

ZEUSETWNV NOMINA

MOSTRA

nO

all'ammirazione degli ascoltatori i principali oggetti della
mostra meravigliosa, ed evocando i ricordi che si collegano
al luogo in cui egli parlava, tratteggiò varî importanti mo-
menti della storia italiana.

TUTTA lU D AS ti 7 =

La conferenza del comm. Gamurrini fu spesso interrotta
e accolta in fine da fragorosi, unanimi applausi, che rivela-
rono come tutti quanti trovavansi nella sala del Palazzo So-
liano avessero ascoltato con infinita compiacenza la elegante
e vibrata parola dell’oratore.
Prima di uscire dalla sala furono distribuite ai presenti al-
cune monografie storiche illustrate, di recente edite dal Fumi,
fra le quali quella del Palazzo Soliano o de’ Papi in Orvieto.
La sera poi il Municipio invitò a splendido banchetto i
componenti la Società Umbra di Storia Patria.

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ADUNANZA DEL XXIX SETTEMBRE MDCCCXCVI 249

La festa fu più gradita per la presenza delle signore:

Nobil Donna Branca FUMI

Contessa DI CAMPELLO DELLA SPINA
Contessa VALENTI

Contessa VESPIGNANI

Contessa PICCOLOMINI.

Ai brindisi primo parlò il prof. Annibale Tenneroni; egli,
anche per incarico avuto dai colleghi, ringraziò il Sindaco e
i cittadini di Orvieto, i quali con la loro accoglienza resero
anche più solenne l'adunanza della Società Umbra. di Storia
Patria; gli tenne dietro il conte Vincenzo Ansidei e salutò il
cav. Giulietti che era Sindaco di Orvieto quando la Società
sorse e che con ogni suo potere la favorì; presentò quindi le at-
testazioni della riconoscenza più sentita al Consiglio provin-
ciale dell Umbria che di nuovo aveva dato prova di bene-
vola fiducia nelle sorti della Società confermando il sussidio
annuo di lire cinquecento, e portò un reverente saluto al comm.
Giacomo Bracci, presidente del Consiglio stesso, e, per fortu-
nato caso, padre dell’on. deputato Giuseppe Bracci che insieme
agli altri deputati umbri, tanto efficacemente avea contri-
buito a che fosse costituita la R. Deputazione Umbra di Sto-
ria Patria. Rivolse il pensiero devoto e grato al senatore Eu-
genio Faina e ai deputati Bracci, Fani e Pompilj dicendosi
dolente di non vederli nel lieto convegno, e da ultimo porse
gli omaggi suoi e de’ colleghi al cav. Cassano rappresentante
il Governo, facendo voti perchè questo sempre più protegga
la nascente istituzione.

La più cordiale allegria regnò sempre nella simpatica
riunione che valse a stringere e a rannodare vincoli cari fra
le varie città Umbre e fra i cultori dei medesimi studi, che
di quelle città fanno rivivere le gloriose memorie.

La giornata del 29 settembre 1896 è per noi un caris-
simo ricordo a cui è unito il nome di Orvieto ospitale e

gentile.
————$————
sb a atii Nr 0 ep - ho

R. Istituto Storico Italiano. — Fonti per la Storia d'Italia. — Statuti,
secoli XIII-XIV. (I eapitolari delle Arti Veneziane sottoposte alla
Giustizia e poi alla Giustizia vecchia dalle origini al MCCCXXX a
cura di Grovanni MontIcoLO, Vol. I con tavole. — Statuti delle So-
cietà del popolo di Bologna a cura di AUGUSTO GAUDENZI, Vol. II.
Società delle arti). — Epistolari, secoli XIV-XV. (Epistolario di Co-
luccio Salutati a cura di Francesco Novam, Vol. III). — Scrittori,

i secolo VI. (La guerra gotica di PROCOPIO DI CESAREA, testo greco

emendato sui manoscritti con traduzione italiana a cura di DoME-

sa

se:

s
x

x1c0 ComparettI, Vol. II).
Archivio Storico Italiano (Dispensa 4^ del 1896). — Memorie e documenti.
— Nuovi documenti sulla guerra e l' acquisto di Pisa (1404-1406),
| IpA MasetTI Bencini. — La miniatura in Bologna dal XIII al XVIII

secolo, FRANCESCO MALAGUZZI VALERI. — Un ricevimento regio al
principio del settecento (Filippo V a Genova), MicHgLe Rosi. —
Archivi, Biblioteche e Musei. — Aneddoti e varietà. — Corrispon-
denze. — Rassegna bibliografica. — Notizie.

Archivio Storico Lombardo (Serie III, Fascicolo 12°). — Memorie. —

Contributi alla Storia della ricostituzione del Ducato Milanese sotto
Filippo Maria Visconti (1402-1421), G. Romano. — Storia ed arte
— Sull’origine dell’arte longobarda, P. FONTANA. — San Pietro al
monte di Civate — Il corpo di S. Calocero, P. M. MAGISTRETTI.
— Una breve corsa artistica fra le grangie o possessioni agricole
| della Certosa di Pavia, D. Sant'AmBROGIO. — Relazione annuale
dell’ Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti in Lom-
bardia, G. MORETTI.
EXINIEIEN A7TEA |

LAE ELE SOTA RITA STILI PETE

252 PERIODICI IN CAMBIO O IN DONO -- OMAGGIO DI PUBBLICAZIONI

Archivio Storico per le provincie Napoletane (Fascicolo 4° del 1896). —
Clemente VI e Giovanna I di Napoli (Documenti inediti dell’ Ar-
chivio Vaticano, 1343-1352), F. CERAsOLI. — Un ministro napo-
letano del secolo XVIII (Domenico Caracciolo), M. ScHIPA. — Dia-
loghi e Cartelli del 1547, X. — Don Trojano Odazi, la prima vit-
tima del processo politico del 1794 in Napoli,

Archivio della R. Società Romana di Storia Patria (Fascicoli 3°-4° del

1896). — L' Archivio storicò del Comune di Viterbo, P. SAVIGNONI.
— Della campagna romana, G. TowaAssETTI. — Le immagini sim-

boliche e gli stemmi di Roma, V. CaPoBIANCHI. — Varietà. — Breve
inedito di Giulio [I per la rivendicazione del regno di Francia ad
Enrieo VIII d'Inghilterra.

Nuovo Archivio Veneto (Tomo XII, Parte 2* del 1896). — Un erudito e
folklorista veronese (Ettore Scipione Maffei), G. BrapeGo. — Il dia-
rio della guerra di Chioggia e la cronaca di Galeazzo Gatari, V. LAz-
ZARINI.

-R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. — Memorie. — Classe di let-
tere, scienze storiche e morali (Vol. XX-XXI della Serie III, Fasci-
colo 4°). 5 L'opuseolo « De insulis nuper.inventis » del Messinese
Nicolò Seillacio confrontato con le altre relazioni del secondo viaggio
di Cristoforo Colombo in America, C. MERKEL. — Rendiconti (Se-
rie I Vol. XXIX, Fascicoli 16° a 20° — Vol. XXX, Fascicoli 1° e 2°).

KR. Accademia delle Scienze di Torino. — Memorie. — (Serie II, To-
mo XLVI, Anno MDCCCXCVI). — Classe di scienze morali, storiche
e filologiche. — Saggi d’indici sistematici illustrati con note per lo
studio dell’espressione metaforica di concetti psicologici nella lingua
greca antica, D. Pezzi. — Federico Herbart e la sua dottrina pe-
dagogica, G. ALLIEVO. — Origini del Comune di Biella, L. ScHIA-
PARELLI. — Atti (Vol. XXXI, Dispense 12* a 15^, 1895-96).

R. Accademia dei Lincei. — Classe di scienze morali, storiche e filologiche.
— Rendiconti (Serie V, Vol. V, Fascicoli 6° e 10").

Ji. Deputazione di Storia Patria per le provincie delle Marche. — Atti
e memorie — (Vol. I e II). — Sommario del Vol. II. — S. Claudio
al Chienti con appendice, G. Rossi. — Bibliografia storica marchi-
giana (Ascoli Piceno), G. GABRIELLI. — Fonti per la storia delle
Marche. — Statuti anconitani del mare, del terzenale e della dogana
e patti con diverse nazioni a cura di C. CIAVARINI, Vol. I.

Atti e memorie della Società Siciliana per la Storia. Patria (Anno XXI,

Fascicoli 1° e 2°) — Paolo Caggio prosatore siciliano del secolo XVI,

L. NATOLI. — Di Pietro Ruzulone, pittore palermitano dei secoli

XV e XVI, G. Dr Marzo.
PERIODICI IN CAMBIO O IN DONO -- OMAGGIO DI PUBBLICAZIONI 253

R. Accademia dei Rozzi — Bollettino Senese di Storia Patria (Anno III,

Fascicoli 2°, 3° e 4°). — Memorie originali — I manoscritti milanesi
delle satire latine di Q. Settano, D. Bassi. — La casa di M.° Bar-
tolo di Tura, C. Mazzi. — Montauto di Maremma, C. CALISSE. —
I sepolcri degli scolari tedeschi in Siena, A. LuscHin. — La « Charta
Libertatis » e gli Statuti della Rocca di Tintinnano, L. ZDEKAUER.

Bollettino della Società di Storia Patria « Anton Lodovico Antinori »

negli Abruzzi (Anno IX, Puntata XVII). — Topografia della Regione
Vestina, I. Lupovisi. — L'organismo interno di un Comune Abruz-
zese nel trecento, L. SorrICcHIO. — La questione della reintegra-
zione del dominio dell'Aquila sulle castella del contado, L. PALA-
TINI. — Le terme acquasantane, E. peL Re. — Rassegna critica di
pubblicazioni storiche Celestine uscite nel 1896, V. MoSsCARDI.

Studi e documenti di Storia e Diritto (Anno XVII, Fascicolo 4°). — Sul

concetto della exceptionis defensio, E. CARUSI. — Frammenti del
libro XII della geografia di Strabone scoperti in membrane palin-
seste della Biblioteca vaticana, G. Cozza-Luzi. — Gli Annibaldi in
Roma nel secolo XIII, F. SAvio. — La presa e l' incendio di Ame-
lia per opera delle milizie di Federico Barbarossa 0 di Federico II,
G. PARDI.

Atti della Società di Archeologia e di Belle Arti per la provincia di To-

rino (Vol. VII, Fascicolo 1°). — La casa medievale di via Gia-
como Leopardi in Torino, R. BRAvDA. — Iscrizioni romane inedite
del Canavese, G. DE JORDANIS. — Augusta Bagiennorum, G. As-
SANDRIA E G. VACCHETTA. — Nuove iscrizioni romane del Piemonte
inedite, G. AssANDRIA. — Iscrizioni di Chignolo Verbano, E. FER-
RERO.

Bcole francaise de Rome. — Mélanges d'archéologie et d’ histoire (A. XVI,

Fasc. 5°), Etudes sur l’organisation municipalle du haut empire, J.

TOUrAIN. — Description du manuscrit de Plaute « B », F. Nouaa-
nET. — Le sac de Rome (1527) — Rélation inélite de J. Cave or-

léannais, L. DonEZ. — Chronique archéologique africaine, S. GSELL.

Rivista di Storia, Arte, Archeologia della provincia di Alessandria (An-

no V, Fascicolo 15°). — Studi. — Memorie storiche sul Comune di
Occimiano — Il libro degli Statuti, C. Novarese. — L'Abazia di
S. Marziano di Tortona nel periodo medievale, F. Savio. — Docu-
menti. — Indice del « Moriondo », F. Savio. — L'archivio di S. Ma-
ria di Castello, F. GASPAROLO.

R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. — La propaganda della

pace e la conferenza interparlamentare, E. CASTELLANI. — Di una
data importante nella storia della epopea franco - veneta, V. CRE-

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254 PERIODICI IN CAMBIO O IN DONO -- OMAGGIO DI PUBBLICAZIONI

SCINI. — Della prima forma che ebbero le pie fondazioni cristiane

nel diritto romano, B. Bnuar. — Un cosmografo del quattrocento
imitatore di Dante, B. MorsoLin. — Amici e corrispondenti di Ga-
lileo Galilei (II: Ottavio Pisani) A. FavaRO. — Pietro Bembo,

bibliotecario della libreria di S. Marco in Venezia (1530-1543) —
Ragguagli storiei desunti da documenti editi ed inediti, C. CASTEL-
LANI —T sigilli della Università di Padova dal 1992 al 1797 —
Nota con documenti, A. GLORIA. — Amici e corrispondenti di Ga-
lileo Galilei (III: Girolamo Maganati), A. FAvARo. — Di una re-
cente opera su Papiniano e delle odierne tendenze nella storia della
giurisprudenza romana, B. BruGI. — De duobus Catonis et Festi
locis ad Henricum Coechia, P. Encore. — Le parole conte (Note-
rella dantesca), F. CrroLLAa. — Della vita e delle opere di Giuseppe
De Leva, B. MorsoLin. — I due orologi meravigliosi inventati da
Jacopo e Giovanni Bondi (nota documentata), A. GLORIA. — Nel se-
condo centenario di Giovanni Battista Tiepolo, P. MOLMENTI. —
Studî sul dialetto veneziano, D. RICCOBONI.

Rivista delle Biblioteche e degli Archivi (Anno VII, Vol. VII, Fasci-

coli 1° e 4°). — Il codice Mediceo-palatino 234 della R. Biblioteca
Mediceo- Laurenziana, 0. Bacci. — Il codice « Angelucci » ora
Laur — Ashburnhamiano del Canzoniere di Giusto de’ Conti, E. Ro-
STAGNO. — Di antichi manoscritti dell’ Abbazia di S. Galgano, C.
Mazzi. — Notizia bibliografica Petrarchesca, A. MoscHeTTI. — Il
libro d' Augubio. Contributo alla Storia degli antichi canzonieri ita-
liani, T. CASINI. — Lettere inedite di L. A. Muratori ad A. Zeno e
di questo a lui, G. B. — Delle Biblioteche dalla loro origine fino
all'età di Augusto, Lro S. OLSCHKI.

Accademia di Scienze, Lettere e Arti degli Zelanti e PP. dello Studio.

di Acireale. — Atti e rendiconti (Nuova serie, Vol. VII, 1895-96).

Bollettino della Società dantesca Italiana (Vol. IV, Fascicolo 3°).
Bollettino della Società africana d? Italia (Anno XV, Fascicoli 4°, 5° e 6°).
Bollettino storico - bibliografico subalpino, diretto da F. GAaBOTTO (Anno T,

numeri 4? e 5°).

Nuova rivista Misena, diretta dal prof. A. AnsELMI (Anno IX, numeri 39,

49, 5° e 69).

Miscellanea storica Senese (Anno IV, numeri 9° e 10°).
Erudizione e belle arti, miscellanea diretta dal prof. F. RAvAGLI (Anno

III, Fascicoli 1° e 4°).

La Favilla, Rivista del Umbria e delle Marche, diretta dal prof. L. Tr-

BERI (Anno XIX, Fascicoli 7°, 8° e 9"),
PERIODICI IN CAMBIO O IN DONO -- OMAGGIO DI PUBBLICAZIONI 255

La Civiltà Cattolica, (Serie XVI, Vol. VI, Quaderno 1104, Vol. VII,
Quaderni 1105 a 1109, Vol. VIII, Quaderni 1111 a 1116).

Rivista Calabro- Sicula di Storia e Letteratura, diretta dal prof. R. V.
ScArrIDI (Anno I, Fascicolo 1?). i;

Bulletin de la Société d’ Histoire Vaudoise (n. 13).

Analecta Bollandiana (Tomo XV, Fascicolo 4°).

Amicizia G. — Città di Castello nel 1893.

CECI G. — I podestà ed i giudici del popolo e i capitani di Terni no-
minati nelle carte medievali dell'Archivio Tuderte di S. Fortunato.
— Due quartine del notaio Damiano q. Venturella CEDE — Pubbli-
cazioni per nozze Antonini-Marcantoni.

CLARETTA G. — Trattato seguito nel 1665 fra il Duca Carlo Emanuele II
di Savoia ed il Duca della Mirandola Alessandro II Pico per la col-
tivazione di miniere. — Di alcune vicende domestiche dello storio-
grafo di Savoia Luca Assarino.

ComanI F. E. — Breve storia del medio evo ad uso delle scuole secon-
darie (Due volumi).

DreeLI Azzi VrrELLESOHI G. — I Capitani del Contado nel Comune di
Perugia.

LANCIARINI V. — Tiferno Mataurense e Provincia di Massa Trabaria

(Fascicoli 1° e 3°).

Lisini A. — ERN Gregorio XII e i Senesi.

RavaGLi F. — Il Cortona (Domenico Cecchi). — Pubblicazione per nozze
F'uriosi- Fabbri.

SANTONI M. — Nocelleto, il trittico di Santa Maria e l' ospizio dei po-
veri. — Affresco del secolo XV in Castel S. Angelo di Visso. — Sta-
tuta comunis et populi civitatis Vissi antiqui et fidelis jussa vel di-
sposita ante. an. MCDLXI.

TRABALZA C. — Della vita e delle opere di Francesco Torti di Bevagna
con una lettera di L. MORANDI.

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ERETICI E RIBELLI NELL' UMBRIA

dal 1320 al 1330

studiati su documenti inediti dell’ Archivio segreto Vaticano

Una questione antica, quanto la nuova libertà bandita in
nome dello spirito da Gioacchino, il calabrese « di spirito
profetico dotato » (Dante, Par. XII, 140), fu risollevata nei
primi del secolo XIV; la questione, tutta di carattere sociale,
sulla povertà evangelica. Insinuata per gli scritti di Pietro
d’ Oliva, aveva trovato, dopo la condanna del concilio di
Vienna, la via di propalarsi durante la lunga vacanza della

Sede per la morte di Clemente V. I Beghini la predicarono

da per tutto, e a Marsiglia incontravano, per essa, volen-
tieri anche la morte, ascendendo impassibili su i roghi. In.
segnavano che G. C. e gli apostoli non avevano posseduto
cosa alcuna per diritto di proprietà o di dominio, né in
particolare, nè in comune. Sostenuta cotesta dottrina in modo
assoluto e con la insistenza di un precetto dai frati minori,
ebbe contrarii i domenicani. L'opinione pubblica fu per i
minori, a giudicare dal seguito che essa si tirò dietro. Dante,
per cui « Francesco e povertà » furono due « amanti »,
dietro a' quali « la gente poverella crebbe » (Par. XI, 94),
facilmente sarebbe stato per i minori; mentre ai domeni-
cani rimproverava il « peculio di nuova vivanda fatto ghiotto »
(ivi, 124), assomigliandoli alle « pecore » che deviando dai
loro pascoli, « tornano all'ovil di latte vote » (ivi, 129). Ma

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‘258 L. FUMI

posta così come precettiva, fu ritenuta per ereticale da co-
storo. Non valse agli altri lo schermirsene, trincerandosi
dietro la decretale « Exiit qui seminat » (1) per la quale
Onorio III aveva insegnata meritoria e santa la rinuncia dei

beni fatta per amor-di Dio. Fra Berengario, francescano, e

frate Giovanni, de' Predicatori, si bisticciarono in dispute,
cui il papa si credette porre un termine, rimettendosene al
parere di Ubertino da Casale. Questi, con le sue sottigliezze,
non contentò alcuno. Il papa, spinto dai domenicani, revocò
la decretale di Onorio per il pretesto che dava, con la sua
interpetrazione troppo letterale, a prolungare la contesa. Al-
lora si levò su fra Michele di Cesena, ministro generale dei
Minori, e convocò a Perugia il Capitolo generale, dove so-
stenne e difese la decretale di Onorio, contro la nuova co-
stituzione pontificia « Quia nonnunquam » (2).

Rispondendo a tutti i bisticci scolastici degli avversari,
pareva che s'ispirasse direttamente ai caldi affetti del padre
e maestro, che:

« ai frati suoi, sì come a giuste rede,
raccomandò la donna sua più cara,
e comandò che l’ amassero a fede ».
(Dante, Par. XI, 112-114).

Ma quel Capitolo di Perugia parve un fatto audace, un sol-
levarsi dello spirito di. libertà contro i decreti pontifici. Il

(1) Le parole di Onorio sono le seguenti:... « Quod abdicatio proprietatis hu-
jusmodi omnino rerum tam in speciali, quam etiam in comuni propter Deum meri-
toria est et sancta, quam et Christus viam perfectionis ostendens verbo docuit et exemplo
firmavit, quamque primi fundatoris militantis Ecclesie, prout ab ipso forte hauserant,
volentes perfecte vivere, per doctrinae ac vitae exempla in eos derivarunt » (HONOR.,
Decret. « Exiit »). Ma non pretese farne un articolo di fede e se ne rimise alla inter-
petrazione della S. Sede.

(2) Reg. Vatic. Ep. 57, an. VI, VII Ka. aprilis. V. WaADDING (t. VI e VII) che
riporta gli atti della contesa francescana, non senza propensione per il suo Ordine.
V. anche Tocco, I? Eresia nel medio evo, Firenze 1884. Dalla submissio Petri de Cor-
baria meglio si rivela la parte principale che ebbe nello scisma e nella eresia fra
Michele da Cesena. V. CIACCONIO, Vitae, II, pag. 440, 442.
ERETICI E RIBELLI NELL'UMBRIA, ECC. 259

papa, a rintuzzarlo, negò ai francescani il diritto delle cose
e dei beni che era stato a loro concesso; li privò del diritto
di nominare sindaci e procuratori. Insomma, Giovanni XXII.
con la sua decretale « Ad conditorem canonum » (1) distrusse
tutta I opera del papato, quanto cioé i francescani erano
riusciti ad ottenere da Gregorio IX, Innocenzo, Alessandro,
Martino IV, Niccolò III e Clemente; « la qual cosa (dice il
Villani) fu tenuta grande novitade nella chiesa di Dio »- (2).

Tutto l' Ordine ne andò sossopra. Il suo procuratore, fra
Bonagrazia da Bergamo, si appellò contro la costituzione ;
ma ebbe in risposta, per tutti, la conferma con un nuovo
atto (« Quia quorumdam. mentes »), e, per sé, la carcere.
Tornate vane tutte le pratiche per richiamare all'obbedienza
fra Michele, costui fu scomunicato. Egli dié occasione ad
una nuova eresia che dagli scrittori ecclesiastici si nota cosi:
« De Christi et apostolorum paupertate » (3). E molti furono
i suoi aderenti.

Nell Umbria, non pochi seguitarono le idee nuove. Già
dai tempi di. Celestino V, Jacopone da Todi, Tommaso da
Trevi, Corrado da Spoleto, Pietro da Montecchio, stati fami-
liari dell’eremita prima del pontificato, e poi gli spirituali,
distaccatisi dall Ordine, e i fraticelli e gli spirituali un'altra
volta, soffrendo e tribolando, avevano apprestate, con le per-

(1) A. 1322, VI idus decembris.

(2) Lib. 9, 150.

(3) CrAccONIO, IT, 393. Questa eresia dà motivo a considerare in quali mani fosse
caduta l’eredità di S. Francesco non ancor alla distanza di un secolo da lui. Obliato
il vero spirito della regola, la questione era tutta astratta e rimaneva senza appog-
gio. Della vera via evangelica indicata da S. Paolo ai Timotei (6, 8): « Habentes ali-
menta et quibus tegamur, his contenti sumus » si smarri la traccia. Si sosteneva
come principio, ma in pratica poi si usava la distinzione dei beni « ab uso in rebus »
per proprio tornaconto, mentre gli avversari ripigliavano che l’usufrutto presuppone
il diritto di proprietà. Il papa riprendeva i francescani di insubordinazione verso i
superiori canonicamente stabiliti. A che giova la castità e Ja povertà senza la sog-
gezione? « La povertà é grande (egli diceva), la castità lo è ancora molto, ma l’ub-
bidienza è superiore a queste due virtù » (WADDING, II. Boll. di p. Giov. XXII, « Quo-
rundam exigit »).
Speo n = SEE FUMI |

secuzioni e col dolore, nuove armi alla difesa della regola,
che gli altri ordini giudicavano troppo severa e impossibile ad
‘attuare. Nè è privo di significato che frate Michele scegliesse
Perugia a luogo: di convegno per quel Capitolo generale, da
cui doveva sorgere la prima favilla del nuovo incendio che
sacrificó tante vittime all'eresia. Primo di tutti, il capo del-
. l'Ordine da inquisitore passò ad esser giudicato; da braccio
destro di papa Giovanni XXII, ritorte le armi contro di lui,
-si converti nel suo piü fiero assalitore, trasse dalla sua il ce-
lebre inglese Guglielmo Occam, capo della setta dei nomi-
nalisti, e portò l'agitazione in mezzo ai dottori dell Univer-
sità di Parigi.-

Sembrerebbe una questione oziosa, come è sembrata
‘ridicola e pazza al Sismondi, al Nicole, al Martin e al La-
vallie; ma tutt'altro che leggiera e vana per le menti dei
pensatori del tempo, poichè ad essa si ricollegavano principî
di ordine gravissimo. Di sotto all’arruffio delle dispute sco-
lastiche, si affacciava una questione molto più seria che
imponeva i limiti alla podestà pontificia, oltre la quale
s' invocava l’autorità della Chiesa, del Concilio e dell’ impe-
ratore. Questo dalla parte dei ribelli. Da parte poi della
Chiesa, si vede bene quanto s'impigliasse contro il principio
della universale giurisdizione della S. Sede il consiglio evan-
gelico della povertà messo come legge fondamentale. Osserva
quindi il Gregorovius che « se avesse posto radice la dot-
trina che gli apostoli non avevano posseduto alcuna pro-
prietà temporale, la Chiesa Romana avrebbe perduto quelle
-fondamenta, sulle quali in lungo corso di secoli aveva co-
struito l’edificio della sua potestà temporale ...., ed ella
compariva; bruttata di errore contrario alla dottrina. evan-
gelica, e pareva che dal puro ed ecclesiastico ordinamento
dell'età apostolica fosse scaduta, etc. » (1).

(1) Storia della città di Roma nel Medio evo, vol. VI, p. 139.
T. ERETICI E RIBELLI NELL’ UMBIÎIA, ECC. - 261

La gravità, anzi, di quel movimento appare dagli stessi
effetti che ne seguitarono. Giovanni XXII si vide. assalito

| dagli spirituali che lo tennero per dannato e lo chiamarono

Anticristo, eresiarca e dragone a sette teste dell’ Apocalisse, e
chiamarono la Chiesa d’allora la prostituta di Babilonia. Que-
sti scrivevano e predicavano che a risollevare la Chiesa
e a rimetterla sulla via della purità evangelica, ci voleva
un angelo destinato da Dio, e quest'angelo c'era: S. Fran-
cesco col suo Ordine. Si vide poi assalito dai ghibellini, i
cui spiriti s'erano ridesti, nelle terre della Chiesa, per l'as-
senza della curia dall'Italia, a nuove speranze. Tendevano
verso il concetto filosofico e giuridico che Dante allora
aveva divulgato nella sua Monarchia e anche nel Convito,.
e pensavano che si poteva bene mettere in effetto: ché e
assurdo definire, come fanno alcuni, questo concetto per
un semplice sogno di poeta in chi, come Dante, visse in
mezzo alle lotte politiche e per la politica, e ne rappresentó
in se stesso i dolori e le speranze, come l'azione dramma-
tica nella Commedia.

Quindi noi troviamo eretici e ribelli insieme. Al movi-
mento ereticale si unisce l'agitazione politica; e si ribellano la
Romagna e la Marca d'Ancona. Spoleto inalbera il vessillo
della rivolta e si leva fieramente tirandosi dietro tutta l' Um-
bria. I documenti che riproduco dallArchivio Segreto Vati-
cano ci fanno vedere quanto intensa e vivace fosse la oppo-
sizione e quanto stretto il nesso, come accade, fra le idee re-
ligiose e le politiche nel medio evo, dimostrando contro quale
forza di resistenza dovessero ormai cozzare i guelfi. Se Pe-

.rugia non avesse tenuta alta l'insegna delle chiavi, la parte

ghibellina, sollevatasi con tanto sforzo, non sarebbe caduta
così presto. La repressione di Perugia impedì, come vedremo,
al veltro di Dante, personificato, per un momento, nel conte:
Federico da Montefeltro, di quella rivolta primo autore, che:
egli, inteso a cacciare /a lupa per ogni villa, la rimettesse-
« là onde invidia prima dipartilla » (Inf. I, 111). Perugia se
969 - i ì STO RUI

ne ripagò, adoperando con scaltrezza a danno dell’ antica
rivale, Spoleto, nè a tutto vantaggio del papa.

| IL — È molto verosimile che di una eresia, come quella;
promossa da Michele di Cesena, non si interessassero troppi.
Il popolo, in specie, non poteva comprendere la disputa, nè
la ragione di essa. Non la comprendeva nemmeno Lodovico
il Bavaro che si dichiarò ignorante di sacra scrittura e delle
sottigliezze dialettiche (« Scripturarum et litterarum subti-
litatum nos ignari ») (1): molto meno la potevano compren-
dere le masse, avvezze nei pregiudizi, e, a seguire gli esempi
della vita più propense, che non capaci di penetrare i prin-
cipî della religione. A mantenerle nei pregiudizi vi erano sem-
pre in gran numero gli astuti e i furbi che con le arti della
magia e dell’ astrologia sapevano gabbare la buona fede del
pubblico, attraendolo in infiniti modi: a lusingarne le ten-
denze superstiziose attendevano le turbe dei falsi mendicanti,
che spacciando miracoli e affettando la povertà evangelica,
predicavano nelle piazze. Favoriva poi la inclinazione verso
l'errore nei credenti lo stato delle nostre province, abban-
donate alla rapacità degli ufficiali francesi; Guasconi di Cle-
mente V con Caorsini di Giovanni XXII:

« [n veste di pastor lupi rapaci
Si veggion di quassù per tutti i paschi.
O difesa di Dio perché pur giaci?
Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
s'apparecchian di bere . . . . ».
(Par. XXVII, 55-59).

Tutti quelli che in Avignone non incontravano favore,
quelli che temevano persecuzioni e gli altri, francesi e d'al-
tre nazioni, che scampavano ai giudizi della Curia, riparavano
in Italia, e nelle terre della Chiesa specialmente. Tutti que-

(1) Vatikanische. Akten. zur deutschen Geschichte in der seit Kaiser Ludwigs
des Bayern, Innsbruck, 1891, 639.
ERETICI E RIBELLI NELL'UMBRIA, ECC.

sti non venivano fra noi a crescere la reputazione della Cu-
‘ria e il buon nome di papa Giovanni XXII. Il quale appena
eletto, non aveva nascosto la sua. intenzione di rinunziare
all'andata a Roma, e davanti ad una deputazione di borghesi
d'Avignone, che lo ricevette alle porte della. città, rispon--
dendo alle felicitazioni, aveva dichiarato che egli, sull’ esem-
pio di Clemente V, avrebbe stabilita la sua dimora fra quelle
mura (1) Le prime notizie che correvano della Curia e di
lui erano state di ben cattivo auspicio. Una congiura fu or-
dita contro la vita dei cardinali e del papa. Gli storici nonne
fanno menzione (2); ma mi pare utile accennarla, anche per-
ché il modo che fu tenuto, servendosi della magia, e le cau-
tele che in seguito adottó il papa per preservarsene, carat-
terizzano il tempo e possono giovare. ad intendere meglio,
eresia. Dice uno scrittore del secolo XVI:

per la magia, Y

crescit cum magia haeresis, cum haeresi magia (3).

Narra dunque lo stesso Giovanni papa « di un orrendo
delitto, di un esecrabile misfatto, di un detestabile sacrilegio
commesso contro di lui e alcuni cardinali, la cui inaudita
temerità aveva fatto inorridire la gente ». Persone ecclesia-
stiche e secolari macchinarono con nefanda congiura una
cospirazione di morte per veleno. Perché non mancasse I ef-
fetto, si ricorse agl'inganni dell'arte magica e alle incanta-
gioni dei demoni. Fabbricarono figure di cera sotto i nomi del
papa e de’ cardinali, e queste, attossicate, dovevano uccidere
per contatto. Ma la Provvidenza fece cadere nelle mani del
papa i veleni e tre di quelle immagini (forse prima che fos-
sero affatturate), e tornarono vani gli attentati. « Chi. non
sentirà orrore per figliuoli cosi pazzamente e senza ragione
congiurati ad invelenire contro il padre e contro i fratelli
che insieme con noi portano il peso del mondo? Clii sosterrà

(1) VERLAQUE, Jean XXII, sa vie e! ses oevres d’après des documents, Paris,
1883, p. 71. 3

(2) All’infuori del RiINALDI, Ann. Eccles. I, 858, ma senza il racconto.'
. (3) V. SOLDAN, Geschichte der Hexenprocesse, p. 304.
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«sori. Secret. Joan. XXII, II, 83 e 84.

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senza amarezza l'audacia di sudditi, che infranto il sacra-.

mento di fedeltà, si sono fatti così spergiuri contro il signore

.e così iniqui assassini di lui e dei fratelli suoi? Dove si tro-.

verà un luogo sicuro per governare? Quale sovrano si sen-

tirà tranquillo quando il romano pontefice e la sua curia

corrano siffatti rischi, e quando i suoi fratelli e figli spirituali
sono esposti alle medesime insidie? » Cosi il papa, pochi
mesi dopo la sua elezione. Fu una congiura, per quanto pare,
di palazzo, dove si scopri che un cantore, commensale e cap-
pellano pontificio, pessimo soggetto, che aveva rapita e violen-
tata una monaca, suor Mabilia di Castiglione, del monastero

. di S. Croce di Poitiers e se la teneva da tre anni per con-

cubina, un vile sicario che fece commettere un omicidio a

certi suoi nepoti, reo anche di falso e di corruzione di giu-

dici, reo di lesa maestà, andava seminando discordie nel
sacro Collegio: metteva dissidi fra cardinali contro il pon-
tefice, insinuando con male suggestioni « perché contro di lui
congreghe, congiure e cospirazioni inique si preparassero,
sicuro che, cosi scissi e divisi, si sarebbero sminuite le forze
del governo del mondo ». Faceva capo la congiura nel vescovo
Caturcense, Ugo Geraldi, che fu degradato, toltegli di dosso le
insegne pontificali, anello, mitra, cappa, camice e berretta, e
lasciato in semplice abito clericale, fu condannato al carcere a
vita (4 maggio 15317); e poi ucciso, scorticato vivo e arso,
secondo un cronista pubblicato dal Duchesne (1). Anche si
scoprirono varii chierici, un medico e un barbiere dell arci-
vescovo di Lione con altri della curia d'Avignone implicati

nella negromanzia, nella geomanzia e nelle altre arti della

magia. Erano appunto essi che « squadernando libri e scritti
concernenti arti diaboliche, sorte dalla pestifera associazione
di uomini con gli angeli cattivi », facevano uso frequente di

(1) DUCHESNE, Liber pontificalis, IT. BERNARD GUI, 480. Secondo una lettera di papa
Giovanni XXII, fu interdetto e condannato a carcere perpetuo per furto di sacri te-
fer

| ERETICI E RIBELLI NELL' UMBRIA; ECC. SE 265

- « ritratti e figure, secondo il loro rito esecrabile consacrate;

e descrivendo circoli intorno a sè, invocavano più volte i
maligni spiriti per macchinare col loro aiuto contro la salute
degli uomini, e costringendo i demoni dentro circoli o anelli e

nei ritratti, li interrogavano sul futuro e sul passato ed eccita-
‘vano gli istinti delle donne a libidine ». Tutto questo, con-

cludeva il papa, era un impasto di superstizioni « che tor-
nava di obbrobrio all'ordine clericale e ingenerava pericolosi

esempi » (1).

Ma sarebbe da pensare che lo stesso pontefice, tuttochè

«uomo di mente eletta e di animo forte, non sapesse sfuggire

in tutto ai pregiudizi del suo tempo. Pare che non resistesse
egli medesimo dal prestare qualche fede, non dico alle dia-
volerie che durarono fino ai tempi del Cellini, e più oltre,
ma alla virtù segreta delle ammoniti serpentine. Erano in voga,
a quei tempi, i così detti corni serpentini che anche oggi il
volgo napoletano riguarda come un buon mezzo contro la
jettatura. Trovo dunque che egli accettasse con gratitudine
e con premura il prestito di uno di essi, offertogli dalla
contessa di Fox, la quale aveva trovato nell'animo paterno
del pontefice la vigorosa difesa ai diritti della sua vedovanza
davanti alla corte del re Filippo. Era (forse, di rinoceronte) a
guisa di manubrio di coltello e dicevasi avere virtù di svelare
gli inganni occulti dei veleni. Il pontefice, dopo che l'ebbe rice-.
vuto per le mani di due procuratori della contessa, Raimondo
da Rearmo, arcidiacono Carvallense, e Monaldo di Castrotino,
‘canonico Olorense, e ringraziatala per lettera, promise nell'atto
di quietanza di restituirlo ad ogni richiesta, obbligandosi in
buona forma con tutti i suoi beni mobili ed immobili (2).
Sebbene non sia nuovo il caso che anche i grandi
prelati facessero buon conto di siffatti Gorni, e anche dopo
questo tempo, nella metà del secolo XIV, il vicario di

-

(1) Secret. Joan. X XII, M, 80, 82, 82 t., S3, *6.
(2) Secret. Joan. XXII, M, :5.
OB. SSSPA OC VE L. FUMI

Roma avesse cura di conservarne, nelle sue preziose suppel-

lettili, infino a trenta fra grandi e piccoli (1); pure non è.

privo di curiosità il documento citato, per appartenere a un

papa come Giovanni XXII. Quel nobile gingillo ha. tutta .

la. somiglianza di un talismano, di un incantamento magico
proprio dei maomettani (2). Che poteva mai nelle mani di
un papa munito dell’anello del pescatore una specie di amu-
leto come quello? Avrebbe potuto sostituire Agnus Dei, a

cui la Chiesa dava potere contro il male? (3). La facile con-.

discendenza del papa ad accettare dalla premurosa contessa
un oggetto profano proveniente da superstizioni gentilesche
è un aneddoto abbastanza curioso a conferma di pregiudizi
(oggi appena tollerabili fra i popoli indiani) che, perfino nelle
più alte sfere sociali e nelle intelligenze più colte, si anni
davano ancora; e prova, altresi, la paura che seppero . se-
minare gli avvelenatori, ‘in ‘quel tempo; quando cioè una
sciagurata setta sl era fitta in capo di avvelenare le popo-
lazioni della Francia, inquinando le acque potabili con le
lavande dei lebbrosi, per cavarsi il pazzo gusto di rimanere
sola essa padrona di tutto; al quale effetto si aveva, già in
antecedenza, partito così bene il bottino, che ad ognun di
loro era ormai assegnata la regione, la provincia, la città e
il castello del nuovo felicissimo stato (4).

Dopo questo, nessuna meraviglia che il popolo, credulo
per natura, desse fede a indovini e incantatori, quando il
mondo era pieno d'orrore per il pericolo corso dal papa e

.. dai cardinali di morir vittime dei fattucchieri. I perugini;

stentanlo à credere la notizia, se ne commóssero e scris-

(1). V. Inventario dei beni di Giovanni di Magnavia, 51-02, 87, in Studi e docu-
menti di storia e diritto, an. XV, 1891.

(2) V. REINAUD, Descriptions des Monuments musulmans, ete., II.

(3) « Agnus Dei » (leggesi nel cerimoniale romano inviato da Urbano V all'im-
peratore dei Greci) « fulgura desursum depellit, et omne malignum. peccatum. fran-
git, virtutem destruit ignis, de fluctibus eripit undae ».

(1). DUCHESNE, loc. cit.

—— 2l
mre Gcr

ERETICI E RIBELLI NELL'UMBRIA, ECC.

sero al papa per apprendere il vero, per condolersi e per
invitarlo a recarsi presso di loro (1). E buon per tutti se
egli avesse accettato! :

Erano le condizioni d'Italia, non atte a dargli sicurtà
di pacifica dimora, che lo trattenevano? Ormai egli .speri-
mentava che, fuori d'Italia, le cose erano anche a peggior
partito. Né anderà molto che i cardinali legati, inviati da lui
a pacificare Eduardo I d'Inghilterra e Roberto di Scozia,
saranno a un punto di perder la vita, sacrificando, per manco
male,.cavalli e arnesi in mano del sicario, col quale saranno:
di piena intelligenza i priori e i monaci di Durham (2).

(1).I Perugini avevano invitato il papa: ma egli rispose non potere, per ora,
accettare, Avevano chiesto con la stessa lettera la dispensa di matrimonio per un Gra-
ziani suddiacono; ma il papa fu dispiacente non poterlo accordare: lo aveva negato
anche ad un principe reale. I termini con cui è scritto tutto questo mostrano il gran
conto che il papa faceva di Perugia. Aveva accordato favori allo studio gnerale e si
compiace della soddisfazione che ne avevano provata. « Sane, filii, quod ad beneficia
non ingrati, gratiam à Sede apostolica vobis factam super concessis vestre civitatis
privilegiis studii generalis gratanter agnoscitis gratum procul dubio gerimus, vestram-
que inde gratitudinem in domino commendamus ». La lettera è data da Avignone alle
calende di luglio (Arch. Segr. Vaticano, Secret. Ioan. XXII, T, c. 141).

(2) Ivi, 93 e 152. « Iudicibus quod inquirant contra Priores et Monachos Ecclesie Du-
nelmensis, qui fuerunt conscii aggressionis et insultus commissorum per Guilbertum de -
Militon et complices suos in personas Cardinalium legatorum et eos citentur ad Cu-
riam ». Il fatto è così narrato dal papa: « Pro sedanda discordia inter Eduardum regem
Anglie et Robertum de Brus regem Scotie, cum ad Civitatem Eboracensem perve-
nissent, et deinde versus Civitatem Dunelmensem ad préfatum Robertum, premissis
nuncis, ut super tractatu pacis habendo convenire possent in aliquo loco ad hoc ydo- -
neo, per Helial q. Guilbertum de Militon ac eius complices capti et arrestati fuerunt, '
equitaturis, bonis et rebus suis familiariumque suorum direptis in predam, et nonnul-
los ex ipsis familiaribus vulneratis. . Cum enim forzierii et familiares Luce Cardinalis,
qui ante patrutionem excessus huiusmodi processerant pro recipiendis et parandis
hospiciis in Civitate jam dicta in pluribus domibus et cameris signa Cardinalis ipsius,
more solito, depingi fecissent, ut per ea sciret quilibet ubi suspitari deberet, signa
ipsa quasi omnia fuere deleta.. Custodes portarum arcis (Dunelmen.), in qua est sita
Ecclesia bis.. Cardinalibus peditantibus denegarunt aditum, sic quod usque plateam
civitatis Dunelemensis retrocedere hab'erunt....».1l Papa aveva scritto lettere con-
solatorie ai cardinali, Ganselmo de’ SS. Marcellino e Pietro, e Luca di S. M. in Velabro
dell'ingiuria patita per opera « dampuande factionis », Al re Edoardo aveva scritto
chiedendo la punizione dei ribaldi: ma ai cardinali aveva fatto sapere che giudicava
più opportuno differire la vendetta e sospendere con prudente dissimulazione il pro-
cesso, per non pregiudicare la missione « de censu et de debitis aliis ceterisque com-

missis » (Arch. Sezr. Vaticano, Secret. Joan. XXII, Y. c. 74).
SCORRE L1. FUMI

Tali esempi il clero d'Italia non li avrebbe dati di certo,

e se del marcio ce n'era anco da noi, veniva, più che altro,
da merce importata di fuori. Le stesse turbe di Beghini, che
andavano insinuando in mezzo al popolo dottrine riprovate,
"quando non venivano d'oltremonte, seguitavano l'andazzo
.che correva in quelle parti. In Irlanda preti e mendicanti
andavano sollevando il popolo contro il loro re e lo insinua-
vano a mal fare (1). Questuanti diretti a Roma, attraversa-
vano le terre della. Chiesa, chiedendo sussidi per i luoghi
cristiani d'oltremare. Attiravano i curiosi inalberando un
nuovo vessillo dipinto a figure, predicavano pubblicamente,
commovevano, estorcevano denaro. « Andavano seminando
errori, avvertiva il papa, e con azioni da iniqui tendevano
lacciuoli per accalappiare i semplicioni, dando spaccio alla
grande indulgenza concessa dalla S. Sede a loro e a’ loro
seguaci » (2). Sull'esempio di. costoro, i frati di Altopascio,
predicando, minacciavano scomuniche o promettevano indul-
genze: assolvevano da rapine, da fratricidi, da omicidi e da
spergiuri dietro sborso di denaro, facendosi autorizzati di
assolvere da pena e colpa. Davano. ad intendere che nel
loro ospedale si celebravano ogni giorno fino a 100 messe,
e coi loro beni si dotavano da 200 fanciulle povere. Avevano
poi falsato una bolla pontificia che gabellava la fola del san-
gue spicciato dal costato del Redentore da essi posseduto (3).
Non parlo dei Pastorelli o Pastorali che passavano la misura,
col vezzo di dar la caccia agli ebrei: quanti ne trovavano
che non avessero intenzione di battezzarsi, e tanti ne ucci-
devano, appropriandosene le sostanze: ripetevano le stesse

(1) Secret. Joan. XXII, II, 135. « Episcopis Norwicens. et Elyen. Quod contra
nonnullos fratres mendicantes et alios clericos subvertentes populum. Ibernie a de-
votione regis et persuadentes eis mala facere procedant ».

(2) Secret. Joan. XXII, III, 101 t.

(3) Ivi, 107 t. Sono nominati, di questi frati, Bartolommeo di Lucca, un Nicola
da Firenze o da Siena e un Bartolommeo da Modena. I falsari delle bolle erano Oli-
vario da Padova, Nicola da Pescia, Donnino da Firenze e Vanne di Guido da Colle:
Valle, che caddero nelle mani del Rettore di Spoleto e furono carcerati (Ivi, 32) t. D ).
dole ina

dir

prodezze anche coi cristiani ricchi, predandoli senza pietà,
per modo, e da seminare tanto terrore, che quando essi si
avvicinavano alle città, subito si chiudevano le porte e si
gridava allarme: e avevano fatto il tiro anche alla curia di
Avignone, mossi da fautori grandi che si credevano ubbi-

«dire ad una missione di Dio, perchè si trattava di dar di

piglio alle ricchezze del clero (1). Erano questi gli effetti, in
Francia, delle dispute sulla povertà di Cristo e degli apostoli ?
Ivi, è certo, il papa condannava i terziari francescani, come
quelli che s'intricavano nelle questioni di articoli di fede, di
sacramenti ecclesiastici e volevano penetrare l'essenza del
l'autorità apostolica per vedere fin dove si estendesse la pon-

tificia, e fin dove le chiavi di Pietro aprano e serrino.

Avvisava il papa che costoro dissentivano dalla Chiesa e
altro dicevano da quello che per lei s’ insegna (2).

Appunto della latitudine dell’autorità pontificia si faceva
a poco a poco una questione grossa, a quei giorni, che tor-
nava comoda non meno ai novatori di religione che ai fau-
tori del diritto imperiale.

E lo spirito di libertà entrato nelle questioni religiose
facevasi strada in mezzo ai ghibellini, per le dottrine di Gio-
vanni da Gandano e di Marsilio da Padova, a profitto di Lu-
dovico il Bavaro (3). Fra Michele da Cesena, ministro gene-
rale de’ francescani, dopo che se l'ebbe rotta col papa per

(1) DUCHESNE, Liber pontificalis, II, BERNARD GUI, 483,

(2) Secret. Joan. XXII, III, 97. Così scriveva il papa a varii arcivescovi e ve-
scovi di Francia:.. « Esse in huiusmodi ordine tertio nonnullas sexus utriusque
personas, que volentes potius suo errore p?rire, quam ewangelica doctrina et salu-
bri persuasione proficere, de articulis fidei, de sacramentis Ecclesiae se extendunt

alterari et disputare, sentire ac profiteri presumunt in derogationem, quantum in eis

extat, Catholice fidei et in perniciem suarum et aliarum, quas astute decipiunt, simpli-
cium animarum. — Dat. Avinion. III, Kal. martii an. sexto ». :

(3) Le dottrine di Giovanni da Gandano e di Marsilio da Padova sono riassunte
in poche parole nell'atto procuratorio di Lodovico il Bavaro del 28 ottobre 1336:
« Primo, quod illud, quod de Christo in ewangelio beati Matthei legitur, quod ipse
solvit tributum Cesari, quando staterem sumptum ex ore piscis illis, qui petebant
didragma, jussit dari, hoc fecit non condescensive (sic) ex liberalitate sue pietatis, sed
necessitate coactus. — Secundo, quod beatus Petrus apostolus non plus auctoritatis

ERETICI E RIBELLI NELL'UMBRIA, ECC. 269.

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D. FUMI

la questione della povertà di Cristo, si uni o si sostituì ai

due consiglieri del novello rappresentante dell'impero, che
riassumeva tutte le aspirazioni dei ghibellini; fu inteso dalle
popolazioni della Chiesa, già stanche dei governatori francesi,
meglio che non fosse conipreso nel dottrinarismo sulle divine
scritture, tirate a sostenere il principio della povertà apostolica.

In un corpo sociale cosi marcio, dove allaudacia del
pensiero si accoppiava l intenzione di venire a’ fatti, i vecchi
umori fra guelfi e ghibellini non tardarono a scoppiare. Il
papa, appena eletto, s'era provato già coll'aiuto dei suoi nunzi
speciali, spediti in ogni contrada, di mettere pace (1); ma
senza buon frutto. Nominò re Roberto di Napoli che aveva

già confermato vicario d'Italia nella vacanza dell’ impero,

capitano generale delle terre della Chiesa; carezzó i fioren-
tini e gli altri guelfi di Toscana; mentre i ghibellini si strin-
gevano intorno a Castruccio Castracani e pensavano a chia-
mare il Bavaro. Intanto nelle città della Chiesa, funestate da
sette, agitate da signorotti, penetrava la rivolta; e nella
Marca d'Ancona s'accese quel fuoco che cominciato a Reca-
nati, a Fano, a Osimo, a Cagli, a Macerata, a Urbino, a Cin-
goli e in molti altri luoghi, doveva poi divampare nell’ Um-
bria. Federico conte di Montefeltro era alla testa degli eretici
e dei ribelli. Dichiarato eretico ed idolatra, non cura le sco-
muniche e le condanne, e passa, di conquista in conquista,
fino a Spoleto, dove è fatto duca.

Ma, prima, il segnale della ribellione lo aveva dato As-

habuerit, quam alii apostoli habuerunt, nec aliorum apostolorum fuit capud, quodque
Christus nullum caput dimisit ecclesie nec aliquem vicarium suum fecit. — Tertio,
quod ad imperatorem spectat papam instituere et destituere ac punire. — Quarto,
quod- omnes sacerdotes, sive sit papa sive sint archiepiscopi, sive episcopi sive sim-
plices sacerdotes, sunt ab institutione Christi auctoritatis et jurisdictionis equalis, et
si unus habet plus quam alius, hoc est secundum quod imperator concedit utri vel
alii plus. vel minus; et sicut tunc concessit alicui, sic potest etiam illud revocare. —

. Quinto, quod tota ecclesia simul iuncta nullum hominem punire potest punitione

coactiva, nisi imperator super hoc auctoritatem sibi daret » (In Vatikanische ahten
zur deutschten Geschichte in der zeit Kair Ludwigs des Bayern, Innsbruck, 1891, 640).
(1) Secret. Joan. XXII, 1, 20, 29 t. :
-- ^^ ERETIOI E RIBELLI NELL’ UMBRIA, ECC.

sisi, posta di mezzo fra Perugia e Spoleto, per opera di Muzio

di Francesco, alleato di Federico e del ghibellino vescovo
d'Arezzo. Muzio di Francesco, uno degli esuli ghibellini, che di
nobiltà e ricchezze tutti i compagni d'esilio avanzava (1), aveva
voce di sentir male della religione. Non credeva alle scomu-
niche: sprezzava la Chiesa. Capo de' ghibellini fuorusciti,
scacciò i guelfi dalla città il 19 settembre 1319; invitó Fe-
derico di Montefeltro a venire in. Assisi, ché con lui, chia-
mato dal papa scomunicato, eretico, perfido idolatra, era di

intesa in tutto. Il nuovo reggimento allora inaugurato, lui

capitano e Vanni de Puppio podestà, pochi giorni dopo,
violentó il convento di S. Francesco, abbatté le porte con
impeto, e messe le mani nel tesoro della Chiesa che ivi in
gran copia si conservava e a’ depositi di cardinali e di altre
persone; rapi una parte della decima raccolta dalle varie
chiese e lasció in mano delle guardie il restante a loro ar-
bitrio (2). Muzio stesso fece largo bottino delle cose sacre :
reliquie, calici, croci, turiboli, candelabri, immagini, pluviali,
pianete, dalmatiche con altri preziosi indumenti, vasi d'oro
e d’argento, con ornamenti destinati al culto divino, pietre
preziose di gran valore, tutto se ne portò, e poscia im-
pegnò o vendè per 14,000 fiorini d'oro ad Arezzo, a Fa-

briano e a Firenze, e si sparti cogli amici. Un prete che.

fece prendere dai suoi, precipitò dalla finestra del palazzo
del Comune, sicchè rimase morto sul colpo. Un altro, che
era lo stesso priore della chiesa di Assisi, mandò legato
a penare in durissimo carcere, da cui non sarebbe uscito
vivo se non si fosse salvato con la fuga, come, fuggendo, se
la scampò il vescovo. E quando, per siffatte novità, Assisi
cadde nell’ interdetto, egli fece prendere il guardiano di

(1) CRISTOFANI, Storia d'Assisi, I, 123.

(2) Giovanni XXII con lettera del 23 marzo 1320 si rivolse ai gubbini, folignati e
camerinesi perché assistessero il Rettore del Ducato a ricomporre le cose d'Assisi e
di Spoleto. Rivolto ad Assisi, esortò a reintegrare il tesoro in termine di dieci giorni e
a richiamare i fuorusciti (v. THEINER, Cod. dipl. dom. temp. S. Sedis, 1,401, X Kal.
aprilis ann. IV).

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S. M. in Porziuncola e Bartolo, ambedue de’ minori, e tante
percosse fece loro dare che ebbero per esse ad ammalare
gravemente, anzi uno ne morì, l’altro ne andò con un brac-
cio rotto; di più li obbligò a rodere co’ propri denti le bolle
dell’ interdetto, e, a meglio inghiottirle, a bere la loro stessa
orina. La medesima sorte toccò a due altri frati che il ve-
scovo di Nocera aveva mandati in Assisi per il negozio della
decima. Predò de’ beni mobili il vescovo d'Assisi, molti ec-
clesiastici aggravó con taglie, sequestrò prebende, impedi
che avesse effetto l interdetto, obbligò ad involare i cadaveri
di quelli che morivano per farli seppellire nei cimiteri delle
chiese, a suon di campane, a dispetto dei rigori ecclesiastici (1).
Muzio, maneggiandost col conte di Montefeltro e col ve-
scovo aretino che lo avevano aiutato ad occupare Assisi, spinse
gli spoletini di parte ghibellina a sollevarsi contro i guelfi.
E veramente, l'ultimo di novembre 1319 fu levato il romore in
Spoleto (2). Seicento cavalieri spediti da Muzio sollecitamente
da Assisi, dove erangli stati mandati dalla Marca, in gran parte,
dal Montefeltro, arrivarono più presto degli aiuti guelfi mossi
da Perugia, ed ebbero in mano la città. Favori anche Nocera,
dove i ghibellini rientrarono, cacciandone il podestà, fatto da

loro prigione, Cuco Baglioni, che vi era per il Comune di Pe-

rugia. Fu sentita l'offesa dai perugini, che eccitati dal papa
insieme agli orvietani, senesi, gubbini, camerinesi e folignati
deliberarono muovere sopra Assisi e ritoglierla dalle mani
di Muzio. Un conflitto aveva già avuto luogo fra gli uomini
d'arme di Assisi e quelli di Perugia, di ritorno dalla fallita
spedizione di Spoleto, con vantaggio dei perugini, i quali an-
dati loro incontro si azzuffarono presso i confini d'Assisi con

(1) Così la sentenza contro Muzio. Vedila nell'ArcA. St. Ital., S. I, vol. 13, 495.

(2) Non é esatto quel che scrisse papa Giovanni al principe Carlo di Napoli duca
di Calabria, che Assisi seguisse gli esempi di Spoleto : ciò fu scritto per mettere
innanzi agli occhi della corte angioina i pericoli dellà rivolta di Spoleto che prossi-
ma ai confini del regno avrebbe dilatato la rivoluzione, come già avveniva. V. lettera
led papa del 5 aprile 1320 nell'Arch. di Perugia.
| ERETICI E RIBELLI NELL'UMBRIA, ECC. 273

forza e li ruppero riportando seco molte ‘bandiere (1); ma
questo fu un fatto d'arme che non poteva decidere della
sorte di Muzio. Perugia, per rivalersi, dovette sostenere una
lunga guerra che fece capo con l’assedio della Bastia e poi
‘di Assisi, intorno alla quale città le milizie perugine si affa-

ticarono un anno intiero, finché quelli di dentro non si re-

sero a patti (marzo 1322) (2).

Contro Muzio, allora, che riparò a Todi, avventò gli
strali l Inquisizione della provincia romana di S. Francesco.
Francesco di Borgo S. Sepolcro e Pietro di S. Nicola da Pe-
rugia istituirono i processi non pure contro di lui, ma anche
contro molti chierici, persone ecclesiastiche, religiose e se-
colari che ebbero con esso la parte principale nei fatti nar-
rati (3). Non sappiamo chi fossero, ma alcuni dovevano fa-
cilmente appartenere ai Fraticelli, i quali, scrive il .Cristo-
fani, fino dal 1307 avevano fermata stanza nell'eremo delle
carceri (4). Muzio si mantenne sempre contumace, e il papa

(1) Il fatto è narrato negli Arnati dell'Archivio perugino (An. 132), c. 2), sotto
la data del 4 gennaio 1320:

« Contigit quod Comune Civ. Assisi misit milites et pedites suos tam forenses
quam cives numero my c. et ultra militum et peditum in maxima quantitate ad Civi-
tatem Spoleti ad expellendum Guelfos de dicta Civ. Spoleti amicos intimos Com. Pe-
rusii in dampnum obbrobrium et verecundiam ipsius Com. Perusii et in turbatione
honoris et status Com. predicti Civ. Per. et totius contrate, et ut homines dicte Civ.
Spoleti Gebellini brigam et guerram facerent ipsi Com. Per. una cum ipso Com. Civ.
Assisii et ipsos Guelfos Civ. predicte Spoleti expulere de ipsa Civ. et ipsam Civ. Spo-
leti et statum pacificum ipsius Civ. turbare. Qui milites et pedites erunt potentia
et actitudine bellandi maior pars hominum dicte Civ. Assisii, et qui continuo bellum
et cavalcatas fecerunt et faciebant contra Com. P. eius complices et sequaces, com.
burendo et destruendo comitatum P. et personas de dicta Civ. et Comit. P. capiendo
et occidendo. Post hec accidit quod dum ipsi milites et pedites forenses et cives
dicte Civ. Assisii redirent a dicta Civ. Spoleti, Conestabiles per dicti Com. P. cum
corum militibus iverunt obviam contra ipsos milites et pedites, et cum ipsis militibus
et peditibus Civ. Assisii civibus et forensibus, qui secum multas banderias habebant
et portabant in comit. ipsius Civ. Assisii se iunxerunt et cum eisdem viriliter pugna-
verunt, et pungnando cum ipsis militibus et. peditibus eos debellaverunt et generalem
conflictum de ipsis militibus et peditibus fecerunt. Et banderias plures quas ipsi mi-
lites et pedites Civ. Assisii secum habebant et portabant lucrati fuerunt ».

(2) PELLINI, Dell’ Istoria di Perugia, pag. 435.
(3) Secret. Joan. XXII, III, 124, t. A, 135 B, 299 B.
(4) CRISTOFANI, Op. cit, I, 134.

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us C SUR MERI... nb e S aig codici st. ite iti
274 i z L. FUMI

minaeciava il bando contro di lui: lo priverebbe di tutti i
suoi feudi e possessi, facendo lecito a chiunque arrestarlo,
salva solo la vita: ad Assisi minacció pene spirituali e tem-
porali e una multa di due mila marche, se non avesse ri-
messi gli esuli e restituito il tesoro (1). Todi ebbe per due volte
richiami perché consegnasse il colpevole alla curia del Rettore
del ducato (2). Non doveva essere ricettato più oltre il sacri-
lego e sospetto di eresia, né vettovaglia lasciarsi andare per
lui (3). Le comunità vicine, i baroni, le autorità del Patrimo-
nio e del Ducato dovevano fare ogni loro potere per averlo in
mano e per assicurarlo in forte carcere. La sentenza, redatta
da Tebaldo vescovo di Assisi, con istruzioni speciali del
papa (4) e dagli inquisitori Tebaldo da Narni e Francesco
da Montefalco, gli accagionava tutti i fatti già accennati, e
piü, che avesse avuto commercio carnale con monache e
affermato non esser colpa nessuna in questo, né nell'uccidere
il guelfo. Quindi dichiarato eretico e decaduto dai diritti ci-
vili, tutti i suoi beni furono confiscati alla Chiesa. Con lui
incorse nella pena tutta la sua posterità, a norma della le-
gislazione canonica e imperiale contro gli eretici. I suoi
creditori furono citati a comparire nello spazio di 30 giorni,
in prima, seconda e terza chiamata perentoria, per la con-
segna de’ beni mobili e immobili di proprietà del medesimo.
La sentenza però non fu promulgata se non gli 11 settem-
bre 1526 da frate Francesco suddetto, inquisitore, presenti
varii frati di più Ordini, e giudici e altre persone (5).
Sarebbe, peraltro, difficile risapere quanto guadagnasse
in questo bottino la Chiesa. Muzio ormai non possedeva più
nulla del suo ricco patrimonio. Fin da quando correvano le
trattative della resa di Assisi, ed egli, abbandonato dai suoi,

(1) Arch. di Perugia, perg. 1320, marzo 23.
(2) Arch. di Perugia, perg. 1323, ottobre 1.
(3) Secret. Joan. X XII, III, 124 t. A.

(1) Secret. Joan. XXII, III, 317 B.

(5) Arch. stor. it., loc. cit.

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RI
ERETICI E RIBELLI NELL'UMBRIA, ECC. 152985

stava per prendere di nuovo la via dell' esilio, il magnifico
Ugulino de’ Trinci capitano di Perugia aveva fatti persuasi
i perugini, che se non si veniva alla confisca delle sostanze
del grande ghibellino, non si concluderebbe il trattato. Aveva
quindi proposto che i beni di Muzio, il quale non avrebbe
avuto mai più la speranza di rimpatriare, né lui né la fa-
miglia, pervenissero in mano de’ guelfi. Il Comune doveva
metter fuori il denaro per loro. Non vi ebbe bisogno qui di
un atto di confisca. Muzio lasció in mano al suo viucitore
una procura di vendita dei beni, che il. Comune di Perugia
acquistó per diecimila fiorini d'oro (1). Certamente, fu questa
una finzione legale, perché i beni immobili erano posseduti
in indiviso con Napoleuccio nepote di Muzio. Bisognava poi
scansare il pericolo che, per finzioni legali, i beni messi in
vendita non rimanessero nelle mani degli stessi venditori.
Difatti, nel Consiglio de’ 19 luglio 1322, il Comune di Perugia
dava pieni poteri ai Priori per riparare appunto a questo
che era già avvenuto per molti possessi dei fuorusciti di
Assisi (2).

Finalmente, Assisi ebbe a sopportare lungamente il
danno della rivolta. Oltre ai mali della guerra e del lungo

(1) La vendita fu fatta sopra i seguenti possessi :

« Medietatem pro indiviso cum Neapoleutio q. Veri d. Francisci nepote carnali
dicti Mutii domorum omnium positarum in civ. Assisi in porta S. Clare in parochia
S. Marie maioris juxta, vias et juxta Matheolum Valterii et juxta heredes Fontanelli

et iuxta plateam seu terrenum ubi olim fuerunt domus filiorum d. Bernardi.

« It. medietatem etc. unius mansii seu poderis positi in territorio Assisii in Villa
Galgassiani in loco qui dicitur Albanum, juxta vias et juxta Cecchum Pinardi et
Ceccolum Sóli et juxta rem hospitalis leprosorum et juxta rem hospitalis leproso-
rum et juxta filium Bellutii et alia latera.

« It. medietatem etc. unius vinee posite in vocabulo Forme, juxta viam et juxta
d. Matheum Gilucii et juxta Paulum Magepti et juxta d. Guidonem d. Bernardi.

« It. medietatem etc. unius petie terre partim campie et partim vineate posite
in- vocabolo Torchioni, juxta viam et juxta heredes Pauli Pizzonesche et iuxta Mas-
sium d. Gentilis... et generaliter omnia alia et singula bona... in civitate, comitatu et
districtu Assisii, etc. » (Ann. ad an. c. 85 t.).

(2) « Cum dicatur quod multi emerunt possessiones et bona ab illis, qui modo
sunt exititii civ. Assisi, que emptiones dicantur esse fititie et simulate et solum in fa-
vorem vendentium facte.... » (Ann. 1322, c. 149 t.).

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276 2 i FUMI

assedio, cento ghibellini furono trucidati in barba ai con-
traenti il trattato di capitolazione. Le mura furono smantel-
late, le porte levate dai gangani e trasportate in Perugia (1):
sottoposta già ad interdetto, risenti una mitigazione sola-
mente otto anni dopo, per il ricorrere delle maggiori solen
nità, come quella del Perdono: sospesa per pochi giorni, per
un anno ancora, la sentenza, tornava: poi ad applicarsi di
nuovo. Duró questo stato di cose 38 anni, cioé fino a tanto che
il tesoro, nel 1359, non fu, almeno in parte, restituito (2).

L’atto di Muzio non è privo di importanza nella storia del
tempo: ché non puó riguardarsi da per sé od isolato, se Guido
Tarlati vescovo di Arezzo é Federico conte di Montefeltro lo
ebbero manifestamente favorito. Ci fornisce una prova del
carattere comune che andava qua e là prendendo la reazione
generale delle signorie, avviantisi, munite di armi a doppio ta-
glio, contro il papato. Cosi i Visconti, gli Scaligeri, i Bonacolsi, i
Malatesta, i Chiavelli e Federico di Sicilia si associano, nelle
loro ribellioni, agli eretici o agli scismatici o ai negromanti: e
sono anche essi combattuti allo stesso modo, cioè dall’ inquisi-
zione religiosa e dalla federazione guelfa stretta in unità na-
zionale. Scacciandosi una parte con l’altra, quel movimento,
che si ripete e si assomiglia da per tutto, se si sospende o
si arresta, non sarà mai più domato intieramente.

(Continua). L. FUMI.

(1) È registrata la spesa negli Annali dell'Arch. di Perugia sotto la data 16 aprile
1322 (c. 781); « Pro hominibus habendis et mictendis ad civitatem Assisii qui haberent
et traginarent portas civ. Assisii ad civ. Perusie pro honore comunis: Perusii causa
dicte guerre ».

(2) V. i diversi atti nelPArchivio di Assisi. PAR DI G. — Archivio Comunale antico
di Assisi, Perugia, Boncompagni, 1895, in 80 di p. 36. — Miscellanea francescana, ecc.
diretta dal sac. d. M. Faloci-Pulignani, vol. VI, fasc. VI, Foligno, 1897. V. anche
EHRLE F. — Historia Bibliothecae Romanorum Pontificum, Romae, 1890, I, 16, 778;
DENIFLE-EHRLE, Archiv., I, 249, 252 s. e fonti ivi citate sul furto del tesoro. V. anche
Regestum Clementis papae V. ex vaticanis archetypis etc. nunc primum editum
cura et studio Monachorum 0. S. B. Romae, 1885,-T. I. Prolegomena, p. XXVI, Ap-
pendix documentorum p. CXCV et seq.

t (O) «A ————————

(COMITIS ot Ram mn ———

——

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Mare emn

I. — [1317] aprile 22 e maggio 7
— [1318] febbraio 27.

ERETICI E RIBELLI NELL'UMBRIA, ECC.

DOCUMENTI

APPENDICE I.

Arch. Segr. Vatic. Secret.
Joan. X XII, II, 80.

Giovanni XXII istituisce i processi contro gli avvelenatori

Contro di lui
e de’cardinali di
questi giorni, si
è preparato un
grande misfatto.

Persone eccle-
siastiche e seco-
lari cospirarono
di ucciderli.

Apparecchia-
rono veleni mor-
tali contro .di lui
e de' cardinali.

e contro à negromanti.

Ven. Fr. Gualhardo Epo Regen. — Horrendum scelus,
execrabile facinus, detestabile sacrilegium in nos et quos-
dam ex fratribus nostris S. R. E. cardinalibus, diebus
istis, ut dicitur, inaudita temeritate presumptum, horro-
rem. audientibus ingerit, iusdicentis pulsat officium et

ut

severitatem correctionis exposcit. Fertur enim, et ad no-
strum assertio fidedigna perduxit auditum, quod nonnulle
persone ecclesiastice ac mundane, filii utique belial, fra-
tres et college illorum, quos ex patre diabolo esse ponit
l

[e

evangeliea veritas, fidelitatis debitum, quo nobis et Ecclie
R. tenentur, dei timore postposito, transgredi non veren-
tes, ac in oficio se pretereuntes, reverentie filialis affe-
ctum, tanquam degeneres filii, patrios ante diem inqui-
rere et finem illorum moliti sunt iniquis machinationibus:
15 maturare, quodque quadam. ferali sevicia et omnino quasi
humane nature, que inter omnes homines cognationem
quandam constituens alterum insidiari alteri censuit ne-
phas esse, federe violato, in eorum necem, quos amabi-
liter et reverenter prosequi tenebantur, nephandis tracta-
tibus inde prehabitis, conspirarunt.

20 Si quidem non at-

tento quod leges humane atrocius iudicant hominem ve-

neno extinguere, quam gladio trucidare, .pociones et
venena mortifera preparari fecerunt, ut, ex illorum pro-
pinatione, nos et aliquos ex eisdem fratribus nostris ex-

25 tinguerent. Et ne defficerent in sui mali executione pro-
Per meglio ot-
tenere l’ intento,
si servirono della
magia, con certe
immagini avve-
lenate e incan-
tate.

Iddio fè però
cadere in sue ina-
ni i veleni e al-
cune di. queste
immagini.

Chi non sen-
tirà orrore, non
proverà amarez-
za?

Dove la sicu-
rezza di uno sta-
to, se non si pu-
n'ssero tali de-
litt?

Non volendo
quindi lasciare
impunito questo
eccesso, ordina
d'istituire contro
chiunque si tro-
verà reo, il giu-

L. FUMI

positi, propinationis habilitate negata, ymagines cereas
fecerunt, sub nostro et ipsorum nostrorum fratrum no-
minibus, confici, ut magicis artibus, incantationibus ve-

titis ac demonum incantationibus reprobandis adhibitis,

30 vitam labefaetarent insoncium per puncionem imaginum .

predictarum. . Porro licet huiusmodi perfidi proditores
conceperint dolum huiusmodi et ut iniquitatem parerent,
oportunitates querere suosque frequenter curaverint pro.

viribus exercere conatus. Ille tamen in cuius potestate

35 hominis mors et vita consistit, misericorditer resistentie

manum apposuit, et a nocere intentibus innoxiis nocere
non sinens, potiones. et tres ex ymaginibus antedictis in
manus nostras, ab insperato, devenire concessit.

Quis igitur non horreat filios sic inmaniter sine causa

40 commotos in patrem et in fratres una nobiseum mundi

onera supportantes sic indebite voluisse sevire ? Quis
amare non ferat subditorum audaciam, rupto fidelitatis
federe, sic infideliter erectam in dominum et in suum

et fratrum suorum interitum sic inique grassantem?

45 Quis locus regiminis poterit esse tutus? Quis rector

securitate gaudebit, si Romanus Pontifex et eius Curia
talibus subiaceant cas'bus, si eius fratres et filii spiri-
tuales huiusmodi periculis exponantur, cuius ita tepe-

scat affectus, ut non accendatur velut ignis ad cohibenda

0 talia zelus eius? — Quis in castigando tantorum scelerum

patratores et crudelitatis inaudite ministros libenter iu-
stitiam non ministret ? Quia itaque premissa in ani-
marum vergunt periculum, in. ordinis clericalis oprobrium

et perniciosum exemplum aperte redundant. Nos ea sic

55 enormia, sieque detestanda absque castigatione debita

pertransire nolentes, cum ad ea compescenda ne pericu-
lose in alio exemplari alveo deriventur exercenda, sic
pocius severitatis ecclesiastice disciplina ad inquisitionem

super hiis zelo justitie, quam ex offieii debito exequi te-

dizio in via som- 00 nemur, ad omnia, auctoritate apostolica censuimus pro-

maria.

cedendum, fraternitati tue, de qua plenam in domino
fiduciam obtinemus, distriete precipiendo mandantes,

- quatinus in locis, de quibus videris expedire, contra qua-

TEA TAI ig 3

eee pedi e ie nehmen

ee ee MÀ —— e

RIE MERI TE n]

Bernardo de
Artigia congiura
a danno del pa-
pa.

Tenta lina co-
spirazione in
mezzo al S. Col-
legio.

Reo di lesa
maestà e di sper-
giuro,

Ritenuto in
carcere.

ERETICI E RIBELLI NELL’ UMBRIA, ECC.

scumque personas ecclesiaticas et mundanas cuiuscumque

65 preeminentie status, cohditionis aut dignitatis existant,

n

oc

Qt

(SI

90

95

Z

etiam pontificali prefulgeant dignitate, per omnes vias
et modos quos ad id videris expedientes et utiles, solum
Deum habendo pre oculis, super predictis omnibus et
singulis et ea tangentibus, summarie de plano judicio-
rum anfractibus et solemnitatibus omnino submotis, omni
appellatione cessante, inquiras diligentius veritatem, et
quecumque inveneris super illis, in publicam formam re-
dacta, fideliter assignare nobis sub tuo sigillo procures.
Dat. X Kal. Maij. — [Anno primo].

c. 82. Ven. fr. Gualhardo epo. Regen. et dil. f. m. Petro
de Pratis can. Tornacen. Conmissa quelibet etc. — Sane
ad nostrum assertio fidedigna perduxit auditum quod
Mag. Bernardus de Artigia cantor Pictaven. commen-
salis cappellanus noster et Sedis eiusdem reverencie filia-
lis officium in officio se preteriens, dei timore postposito
et fidelitatis debito violato, illius qui primum scisma su-
scitavit in celo stimulis, ut creditur, agitatus, nos et pre-
dietos fratres nostros, qui in caritatis unione fore firmis-
simi et unius moris iu domo habitare debemus ad invi-
cem dividere ac per exclusionem unanimitatis separare
pro. posse sategit, et per se ae mediatores improbos zi-
zaniam seminans, nonnullis ex eisdem fratribus, ut con-
tra nos congregationes, coniurationes et. conspirationes
iniquas inirent, detestandis suggestionibus, persuasit, quo
sic separati sicque divisi in mundi supportandis oneribus
debiliores essemus, unde nimirum si facta relatibus con-
sonant, se reum sese constituit magestatis. Cumque pro-
pterea et perjurii etiam in vestra presencia per eum con-
missi pretextu, eum nostro fecerimus carceri detinere,
multa quo hucusque nos de ipsius turpi vita latuerant,
nune ad nostram audieneiam sunt aliquorum delatione
prolata: vid. q. idem Cantor persone sue qualitatem et sta-
tus sui decentiam non advertens, sed fame sue prodigus

et salutis, voluptatis impulsu, in precipicium proruens

100 ac impudenter nefariis actibus se inmiscens, monialem

quandam velatam Deoque dicatam nomine Mabilia de Ca-
280:

.Scoperto ra-

pitore di una

monaca, e con-
'* cubinario stu-
pratore.

mandatario di
omicida e ricet-
tatore.

L. FUMI

stellione de Monasterio S. Crucis Pictaven., ubi devotum
‘obsequium impendebat altissimo, per violenciam rapuit,
et eam ad terram propriam secum ducens, tam ibi quam
105 in Curia Romana et alibi, illam ut coneubinam publice
tenuit ultra triennium et adhue tenere, sicut dicitur,
non veretur, Deum a cuius servicio dictam monialem ab-
duxit, offendere, raptumque ac stuprum conmittere non
formidans. Nec hiis contentus, set mala malis accumulans,
110 hominem quemdam nomine (/acuna) per quosdam nepotes
suos in illicitis faventes eidem, gladio mandavit et fecit,
ut fertur, interfici, ne dum interfectores eosdem post pa-
tratum homicidium in hospicio- proprio receptans et ad

tempus oceultans in quoddam mandati predicti patens

115 iudicium, quin etiam judices et notarios, ad quos dicti

Corruttore di
giudici.

Sia processato
in via sommaria.

125 inquisitam in formam redigi publicam faciatis.

homicidii cognieio et punicio pertinébat, ut per illos
exinde absolveretur iniuste, plectibili presumptione corrum-
pens, legis cornelie de siccariis et de falsis crimina nota-
biliter ineurrendo. Ne igitur etc. cireumspectioni vestre
12) precipiendo mandamus quatinus, receptis presentibus, super
predietis omnibus et singulis, excepto periurio, de quo ut
predicitur nobis liquet, summarie et de plano iudiciorum
anfraetibus et solemnitatibus omnino submotis omnique
appellatione cessante, inquiratis diligentius veritatem et
Dat.
Non. Maii.
c. 82t. Ven. fr. Bartholomeo epo. foroiul:en. et dil. fil.
m. Petro Textoris doctori decretorum priori mon. S. An-

tonini dioc. Buthenen. per priorem soliti gubernari ac

130 Petro de Pratis jur. civ. professori proposito Eeclie Cla-

romonten. capellanis nostris. -— Romanus Pontifex ecc. Ad
nostrum siquidem assercio fidedigna et sonorum quoddam
vulgaris fame preloquium noviter perduxit auditum. quod
Johannes de Lemovicis, Jacobus d.* Barbantinus. Johannes

135 de Dinanto Medieus, Radulphus Penchaclan, Gualterus

Ecclesiastici
e laici della Cu-
ria mischiati
nella necroma-
zia.

Loflamene, Guillelmus Martini, Corradus Alamannus et
q. Thomas d.* Alamannus clerici ac Innocentius barbiton-
Sor ven. fr. nostri Archiepiscopi Lugdunen. dyoc. et non-
nulli alii iu nostra curia residentes, nolentes iuxta doctri-


*

uo nam apostoli sobrie sapere, sed nimie vanitatis ebrietate

Arti diaboliche
e riti da loro
usati per ucci-]4
dere, per cono-
scere il passato
e penetrare il
futuro e a scopi
impudichi.

decipere, reprobis ausibus appetentes se. nigromancie, geo-
mancie, ac aliarum magicarum areium moliminibus impli-

carunt et implicant, seripta et libros habentes huiusmodi ar-

cium, que quidem eum sint artes demonum ex quadam pe-

5 stifera societate hominum et angelorum malorum exorte
vitande forent cuilibet xpiano et omni penitus execratione

dampnande, speculis et ymaginibus secundum ritum suum
execrabilem consecratis usi fuere frequenter ac in circulis se
Li

ponentes, malignos spiritus sepius invocarunt, ut per eos con-

150 tra salutem hominum molirentur aut eos interimendo vio-

leneia carminis (1) aut eorum abreviando vitam vehemencia
immissa langoris demones in speculis, circulis seu anulis in-
terdum incluserunt, ut eos nedum de preteritis sed et de

futuris inquirerent futura ipsa, que prescire solius Dei

155 est, ex illorum consultationibus predieturi divinationi-

bus et sortilegiis se inmiseuérunt, perperam dianis (2) non-
nunquam utentes, set et experimenta plurima quandoque
fecerunt, ut pudicos mulierum animos ad libidinem fle-

eterent, cirea hec et alia per eos demonibus invocatis. Nec

160 veremur asserere quod nedum potus vel cibi propinatione,

Usano veleni
per abbreviare o
prolungare la vi-
ta e per curare

- malattie.

quin etiam solius verbi prolatione hominum abreviare seu
prorogare vitam, aut prorsus perimere et ab omni possent
infirmitate curare talibus se usos fuisse firmiter affirmantes,

relieto preterea creatore suo, in huiusmodi demonum sut-

105 fragiis confidentes, eosque dignos arbitrantes, quibus ser-

Sono idolatri,
adoratori di de-
moni.

viant et quibus honores divinos impendant, illos ydola-
trarum more adorare cum exhibitione cultus et reverentie
presumpserunt, hiis et aliis superstitionibus detestandis et
adversantibus catholice fidei prefati clerici et barberius

(1) V. allavoce Carmen in DUcANGE. V. anche MAURY (La magie et l'astrologie dans
l'antiquité et au moyen age, Paris, 1877) che cosi dice: « Il y est plusieurs fois question,
sous le nom de carmina diabolica de priéres adressées aux dieux, expression qu'on doit

traduire par charmes diaboligues; car ces vers, ces hymues (carmina), n'étaient, plus,
pour ceux qui les répétaient, les élans religieux de la poésie, c'étaient des simples for-
mules magiques. Burehard est si frappé du caractére antique de toutes ces superstitions,
qu' il s'écrie: A recta fide deviat etin errore paganorum evolvitur » (Ivi, pag. 180).

(2) Dalla Diana, fenomeno così chiamato presso gli indiani che fa apparire da-
vanti agli occhi allucinati l'oggetto della propria adorazione (V. "VISHNU-PURANA,

Transit. by Wilson, p. 540).

ERETICI E RIBELLI NELL'UMBRIA, ECC. 281

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—. L. FUMI

170 et eorum quilibet, nec non aliqui alii residentes in curia

Quindi, coine
eretici, siano

processati, non]80 moratos censuimus procedendum.

ostante che uno
di essi sia morto

già.

II. — [1317] luglio 95.

Qt

non semel se pluries institisse feruntur, nedum in suarum,

sed in quamplurium aliarum perieulum animarum. — Quia

igitur pestem superstitionum huiusmodi, quarum reprobos
sectatores civilis ratio comunis salutis hostes reputat et
humani generis inimicos nec valemus conniventibus ocu-
lis pertransire, presertim cum labem :sapiant heretice
pravitatis, super predictis omnibus et singulis zelo fidei,
cuius negotium est ubique favorabiliter prosequendum,
ad inquisitionem contra clericos, barberium et alios me-
Non obstante quod
predictus quondam Thomas in fata decesserit, cum “de
talibus agatur criminibus, de quibus etiam licet memoriam
accusare defuncti cuius post mortem comprobata perfidia

debite plecti debet. Quocirca vobis et vestrum cuilibet

5in solidum, de quorum discretione plenam in domino

. fidueiam gerimus, auctoritate presencium conmictimus et
mandamus, quatenus super premissis omnibus.......
inquiratis, exacta diligencia efc. — Dat. iij Kal. Martii

an. secundo.

Arch. Vatic., Secret. Joan. X XII, I, c. 14.

riovanni papa XXII ringrazia i Perugini della parte da

loro presa in occasione delle novità tentate contro di lui e dei

cardinali.

Dilectis

filiis Potestati, Capitaneo, Prioribus artium, Consilio

et Comuni Civitatis Perusii.

Ricevute le let-
tere di condo-
glianza, di desi-
derio d'appren-
dere il vero del
fatto e di offerte
d'aiuto,

Missa nobis vestra, diebus istis, Ep'stola, devotione
plena verbisque succinta, grata nimiram nostris occurrit
aspectibus; dum eius series vos, tanquam fideles filios,
ac de paterna salute solicitos in nephandorum auditu

5rumorum contingentium statum patris turbationem ma-
gnam concepisse recensuit, et in anxia solicitudine per-
quirendi, an rumores ipsi a vero processerint, ac in li-


li loda, li ringra-

zia, disposto a
ricambiarli.

Iddio non per-
mise che aves-
sero effetto gli
empi conati di-
retti contro di lui
e di alcuni car-
dinali.

III. — [1318] marzo 29.

Giovanni XXII ringrazia la contessa Margherita di Fox

per un corno serpentino.

Dilecte in Xpo filie nobili mulieri Margarite comitisse Fu-

xensi.

_ Ha ricevuto
da’ nunci di lei
in prestanza un
corno serpentino,
che dicesi atto
a scoprire gl’in-
ganni venefici,

Rimette quie-
tanza di esso, e

ringrazia proffe-

rendosi di favo-
rirla nelle op-
portunità.

(=)

[31

2) omnia, adversus impios conatus eorum resistentie manum

ct

[-]

2.
ERETICI E RIBELLI NELL'UMBRIA, ECC. 283

berali oblatione filialis auxilii vestre sinceritatis affectum
ad predecessores ffostros et Romanam .Ecclesiam matrem
vestram, oportunis temporibus, evidentium operum exhi-
bitione probatum, ad nos constanter et solide continuan-
dum ostendit; pro quibus devotionem vestram multipli-
citer. in domino conmendantes ac dignis prosequentes .
accionibus gratiam, gratamque voluntatem habentes. ad
omnia, que cum Deo et honore Sedis apostolice Comuni
vestro reddi profuture, scire vos facimus quod, licet in
Nos et aliquos ex fratribus nostris nonnulli degeneres
filii fuerint aliqua, instigante diabolo, maechinati, Ille

tamen, cui cuneta subserviunt et in cuius potestate sunt

pie supposuit et noceri innoxiis non permisit.
Dat. Avinion. VIIJ Kal. Augusti.

Arch. Vatic., Secret. Joan. XXII, II, 55.

Gratum, filia, nobis multum accessit et placidum quod
tu de sospitate ac vite nostre longevitate. materno more
solieita, cornu illud serpentinum factum admodum manu-
brii eultellini, cuius virtus dicitur ad detegendas insi-
dias veneni valere, nobis tam liberaliter comodare curasti,
quod equidem sub certis modis et obligationibus per dil.
fil. Raymundum de Rearmo archidiaconum Larvallensem
in ecclesia Lascurcense et Munaldum de Castrotino cano-
nicum Olorensem nuncios tuos, qui nobis cornu ipsum
tuo nomine tradiderunt, in tuam notitiam. plenius addu-
cendum, ex causa commoditatis, recepimus, et de rece-
ptione huiusmodi ac de promissione restitutionis illius

patentes alias recognitorias et obligatorias licteras per
Rilascia quie-
tanza

e promette la re-
stituzione, obbli-
gandosi con tutti
1 beni,

ai detentori di
esso, contro la
volontà di lei,
promulgatala
scomunica.

e ROME

eosdem tibi nuncios destinamus, sinceritatem tuam inde
15 prosequentes actionibus®gratiarum ac in tuis oportunita-
tibus, in quibus ad nos poteris cum fiducia filiali habere
recursum, prout res exegerit et cum Deo licebit, favo-
rem tibi proprium offerentes.
[Dat. Avinioni IIIJ Kal. aprilis, an. secundo].

20. Ecce, filia, cornu illud serpentinum factum admodum

manubrii cultellini, quod adversus veneni valere fertur
insidias, per d. fr. Raymundum de Rearmo archid. Lar-
vallen. in eeclesia Lascurcen. et Monaldum de Castrotino

canon. Oloren. nuncios tuos nobis nuperrime presentatum

25 ex comodato nos recepisse cognoscimus, eumque tibi vel

certo mandato tuo cum de tua nobis super hae requisi-
tione constabit restituere sine difficultatis et dilationis
obstaculo pollicemur, nos et omnia bona nostra mobilia

et inmobilia quecumque et ubicumque sint tibi propter

30 hoc obligantes, ac in quemeumque cornu detinentem

huiusmodi contra voluntatem tuam, postquam per te vel
certum procuratorem tuum super ipsius restitutione fue-
rit requisitus ex nunc prout ex tunc excomunicationis.

sententiam promulgamus.

IV. — [1323] ottobre 1. Arch. com. Perug. perg. origin.

Giovanni XXII ai Todini contro Muzio d'Assisi.

Johannes efte. dil. fil. Pot. Capit. Cons. et Com. Tudertino

sal. etc.

Sapranno delle
gravisentenze
che colpiscono
Muzio di Fran-
cesco d'Assisi e
suoi aderenti.

A vestra notitia fore non credimus alienum quod nos
dudum contra Mussium q. Francisci de Assisio dei et Ec-
clesie erudelem persecutorem et hostem prophanum ex-
comunicatum et sacrilegum et de pestifera labe heretice

5 pravitatis vehementer suspectum, ac sequaces, fautores,
valitores et receptatores ipsius sibique quomodolibet adhe-
rentes et dantes auxilium, consilium et favorem publice

————— m — i MM

1

e

Si meraviglia
che essi lo ricet-
tiro.

Proibisce di 20
più oltre ospi-
tarlo. -

do
ùt

30

RE e Ia

ERETICI E RIBELLI NELL'UMBRIA, ECC. 285

vel occulte, processus nostros habuimus, graves spirituales .
et temporales penas et sententias continentes; sed infeste
relationis assertione pereepto quod vos huiusmodi penarum

et sententiarum grandia pericula non verentes, díctum

Mussium in nostram et E. R. contumeliam ac vestrum ma-

ximum periculum receptatis et retinetis vobiscum, sibique

prestatis auxilium eonsilium et favorem non absque turba-

tione miramur. Quare universitatem vestram rogamus -
actentius et hortamur vobis nichilominus, per ap. scripta
mandantes, quatinus huiusmodi periculis, que vobis pro-
cessus nostri predicti nisi celeriter a predictis destiteritis,
probabiliter comminantur prudenter et salubriter obviantes,
eundem Mussium aut sequaces suos receptare retinere aut
eis adherere seu prestare auxilium, consilium vel favorem
per nos vel per alios publice vel occulte, aut sibi vel
dietis sequacibus victualia aut alia quecumque necessaria
per vos vel alios quomodolibet ministrare nullatenus pre-
sumatis, nee communionem aut commercium cum ipso
aut dictis sequacibus, quamdiu extra nostram et aposto-
lice Sedis gratiam fuerit, quomodolibet habeatis, circa pre-
missa et ea contingentia taliter vos acturi quod variis
vobis ex hoe imminentibus periculis occurratis et penis
ac sententiis non involamini supradictis. Dat. Avinion.

Kal. octobris an. septimo.
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DI ALCUNE LEGGI SUNTUARIE EUGUBINE

DAL SGIV AL XVI SECOLO

A proposito di Alcune leggi suntuarie Pistotest, il prof. Ago-
stino Zanelli aveva ragione di notare che, « se considerate sotto
l'aspetto giuridico e morale non ci additano altro che un penoso
ed infecondo lavoro, esse ci offrono d’altra parte una larga fonte
di notizie per la storia descrittiva dei costumi e portano un buon
contributo, sebbene indiretto, alla storia delle industrie e del com-
mercio » (1). Sta qui la ragione ond'io voglio dar notizia d’alcune
di tali pragmatiche del Comune eugubino.

Le prime, ch'io conosco, « De ornamentis, veslibus et arre-
dis dominarum et mulierum prohibitis » sono contenute nella ru-
brica 164 del terzo libro degli Statuti di Gubbio, che il cardinale
Albornoz confermó e furono pubblicati nel settembre 1371. Affin-
chè « cessent superflua et inhonesta dominarum arreda. et orna-
menta que damna persepe, immo cotidie, afferunt civibus et di-
strictualibus Eugubii, et arreda et ornamenta huiusmodi pro co-
muni utilitate refrenentur », si vietò di portare oggetti d'oro o di
argento, smalti, gemme, ambre e pietre preziose e « caputeum

.seu capellum, guarnachiam seu mantellum foderatum de variis »,

fatta eccezione per le mogli de' militi del Comune: solo un anello.
era permesso, d'oro o d'argento, incastonatavi una pietra pre-
ziosa, pur che il valore non fosse superiore a 25 soldi ravennati.
Proibita la cintura con fregi o con pietre o smalti o coralli, era
lecito portare « pro abotonalura manicarum et colli ad plus unam

(1) Arch. stor. ital., XVI, serie 52, pag. 206.
288 G. MAZZATINTI

untiam boctonum sive monilium de argento deauratorum ». Non
« aliqua frigiatura » nella veste; non veste di seta; non mantello

“ foderato « de sindone » di più colori, ma tutt'al più, di due, oa

scacchi od a zone, senza ornati d'oro o d’argento « et absque

aliqua ioculatura »; non veste rappresentatevi in ricamo od im-
pressevi figure d’animali, di piante, di frutta e fiori, o pure « ali-
que littere »; non abito con la coda (ma soltanto in chiesa sia
lecito « mantellum traginare et per terram trahere ») di più sorta
di stoffe, ma « de uno panno » e « dimidiata per longum equaliter
de panno solum ex ultroque latere », senza ornamenti d'« intalii
vel dogalure »; non tunica aperta dalla cintura in giù; non borsa di
seta con ricami d’oro o d’argento. Alla osservanza di codesti severi
ordinamenti, che dovevansi dall’officiale del Comune far bandire
una volta al mese per la città e leggere nelle chiese di S. Fran-
cesco e S. Agostino, e in quelle dove « homines et mulieres erunt
magis congregati », non erano tenute le consorti e le figlie dei
militi e nobili del Comune; ed alle mogli di giudici e medici era
concesso d'ornarsi con oggetti d’argento, indorali o no, pur che
il peso non ne fosse maggiore di tre oncie, e d'indossar le vesti
e i mantelli (ma un orefice deputato dal Gonfaloniere e dai Con-

‘soli doveva bollarli) fatti avanti la pubblicazione del presente Sta-

tuto, tolti però i bottoni d'argento dorati, le perle, gli « arbores »
e tutto che vera « contextum vel aplicatum, exceptis fregis et
brandellis argenteis auratis vel non auratis » (1).

Malgrado tali rigorose provvisioni la gravità della multa che

‘poteva ascendere fino a 25 lire ravennali per ciascuna contrav-

venzione, e la minaccia di confisca degli abiti non bollati, nuove
leggi e più restrittive e severe, confermate le antiche, furono, a
quanlo pare, necessarie pochi anni dopo, cioè ne’ primi giorni
dell'85. E appunto il 27 gennaio i Priori, i Consoli. ed otto depu-
tati dal Consiglio generale deliberarono « super redibus et orna-
mentis dominarum ordinandis et declarandis »; e pene da 20 soldi
di denari ravennati a 25 lire fissarono per le donne che avessero
portato ghirlanda o diadema con pietre, ambre, coralli ed ornati
d’ogni specie, d’oro o d’argento; cappuccio o berretto per la città,

(1) Cfr. l'Appendice all’ Inventario deW Archivio Com. di Gubbio in Arch. stor.
per le Marche e V Umbria, IV; pag. 53.e sgg. dell’ Estratto.
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DI ALCUNE LEGGI SUNTUARIE EUGUBINE, ECC.

salvo che fossero uscite fuor delle mura a piedi o-a cavallo; man-
tello con fregi e pietre di valore; più d'un anello del valor mas-
simo d'un fiorino; calzature « cum becchis »; veste aperta dalla
cintura; borsa con ricami; abito di scarlatto o di seta, frastagliato
od a zone, con figure d'animali o di fiori sovrapposte o conteste .
cintura con ismalti; « filaria palernoster » d'ambra, di coralli

.di perle; fodere di seta, intessutevi fila d'oro o d'argento. Giu-

sta gli ordinamenti del 1371, doveva un orefice della città, desi-
gnato dai Consoli, bollare « ipsas vestes et clamides » ed esigere
per ogni bollo dodici denari. Ecco il testo di tali provvisioni.

In Dey nomine Amen. Infrascripta sunt ordinamenta facta super
arredis et ornamentis mulierum civitatis et comitatus Eugubii per no-
biles et prudentes dominos Priores et Consules ac octo arbitrium haben-
tes a Consilio generali populi civitatis Eugubii.

I. — Im primis, ut evitentur expense superflue que fiunt in orna-
mentis et aredis mulierum per cives et comitatum Eugubii, statuerunt
et ordinaverunt quod nulla mulier euiuseumque condictionis et etatis
fuerit per civitatem et comitatum Eugubii audeat vel presumat portare
seu deferre intra domum vel extra domum aliquam coronam ghirlandam
seu franzalam vel circulos in capite in quibus sit aurum, smaltum, ar-
gentum, perla vel perle, naccara vel naccare, lapis seu lapides pretiosi,
corallus, eristallus seu ambra in aliqua materia, forma vel spetie aurea
vel argentea, aurata vel argentata in totum vel in partem, pena XXV
lib. den. Rav., et in amissione rerum predictarum prohibitarum.

II. — Item quod nulla mulier cuiuscumque condietionis et etatis
existat, audeat vel presumat deferre seu portare caputeum, capellinam
seu berettinum aut capellum ullo modo per civitatem et comitatum
Eugubii, in domo vel extra domum; salvo quod si aliqua mulier equi-
taret vel pedes iret extra civitatem, tune possit portare caputium ca-
pellum seu beretinam in capite in quibus non sit aurum, argentum vel
aliquod. smaltum. Que autem contrafecerit condempnetur per dietum
Potestatem vel alium officialem Comunis Eugubii in VISITI AS

lib. den. Rav. et in amissione rerum predictarum.

III. — Item statuerunt et ordinaverunt quod nulla mulier cuius-
eumque etatis vel condictionis existat, audeat vel presumat portare
aliquod genus varij in aliqua veste, mantello vel mantellina, in domo
vel extra domum, nec aliquam fregiaturam auream vel argenteam seu
de perlis, naccaris, smaltis, corallis, cristallis vel ambris in aliqua ma-
teria vel spetie, ad penam vigintiquinque libr. Liceat tamen cuilibet

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mulieri portare quatuor untias argenti puri vel deaurati in vestibus
earum, in monilibus vel in centuris dumtaxat. Uxores autem iudicum
et medicorum tam fixicorum quam ceruscicorum, qui studuerunt pro
tempore in aliquo studio generali possint et eis liceat portare sex untias
argenti puri vel deaurati in monilibus et centuris et omue genus varij
in vestibus earum impune. :

IV. — Item statuerunt et ordinaverunt quod nulla mulier maritata
seu nupta possit vel debeat portare ultra unum anulum in digitis valo-
ris unius floreni ad plus et caleiamenta aliqua cum becchis nec aliquam
vestem que sit aperta a centura, ad penam XX s. den. Rav. pro qua-
libet vice et in admissione rerum predictarum.

V. — Item statuerunt et ordinaverunt quod nulla mulier cuius-
eumque etatis vel condietionis existat modo aliquo portet aliquam
bursiam vel carnerium cum aliquo ornamento de prohibitis pro forma
- presentium ordinamentorum ad penam centum s. Rav. pro qualibet
bursia vel carnerio et qualibet vice qua contrafactum fuerit et in ad-
missione rerum ipsarum.

VI. — Item statuerunt et ordinaverunt quod nulla mulier cuius-
cumque condictionis existat portet vel ferat per civitatem vel comitatum
Eugubii, in domo vel extra domum, aliquam vestem de scarlacto samito
vel serico, nec aliquam vestem transtalglatam vel dogatam; et que
contrafecerit in aliquo predictorum condepnetur per Potestatem civitatis.
Eugubii et quemlibet alium officialem dicti Comunis pro qualibet . vice
in XXV libr. den. Rav. et in amissione vestis seu vestium predictarum ;
addito quod id quod dicitur de veste transtalglata vel dogata non ven-
dicet sibi locum in puellabus non nuptis etatis octo annorum et ab inde
infra.

VII. — Item statuerunt et ordinaverunt quod nulla mulier cuius-
cumque condictionis existat ferat vel portet per civitatem et comitatum
Eugubii, in domo vel extra domum, aliquam vestem que sit ultra quod
de uno panno nisi fortasse esset dimidiatam per longum equalem de
panno solum ex utroque latere sine aliqua mistura in talis vel dogatura
ipsiusmet panni vel alterius panni, ad penam supradictam, exceptuatis.
tantum dietis puellabus.

. VIII. — Item quod nulla mulier per civitatem vel distrietum et
comitatum Eugubii, in domo vel extra domum, induat vel ferat aliquam
vestem in qua vel super qua sint alique litere vel figure arborum, fru-
ctuum, florum, frondium vel alicuius animalis seu similitudinis animalis.
picte, conteste, superposite, designate vel. infixe vel aliter seu alio modo
ioculatam. Que autem contrafecerit, in XXV libr. Rav. et in admissione
vestis predicte vice qualibet condepnetur.
DI ALCUNE LEGGI SUNTUARIE EUGUBINE, ECC. 291

IX. — Item quod nulla mulier euiuseumque fuerit etatis vel con-
dictionis per civitatem vel districtum Eugubii portet vel deferat aliquam
centuram, schiggiale vel fietam in quibus sit aurum vel argentum,
smaltum, lapis pretiosus, perla, eristallus, ambra, naccara seu corallus,
vel aliquod deauratum vel argentatum, preter et contra supra dicta or-
dinamenta posita supra in tertio capitulo. Et que contrafecerit, pena
XXV libr. Rav. et in admissione rerum prohibitarum vice qualibet de-
beat condepnari. ;

X. — Item quod nulla mulier cuiuscumque condictionis et etatis
existat portet vel ferat per civitatem vel comitatum Eugubii, in domo
vel extra, aliquam filariam paternoster in qua sint ambre, coralli, perle
vel naccara, cristalli vel aliquod aliud de auro vel argento, ultra valo-
rem unius floreni auri. Si qua vero mulier inventa fuerit contrafaciens
condepnetur per Potestatem dicte civitatis in centum sol. den. Rav. pro
qualibet vice et in admissione dicte filarie paternoster, de cuius valore
stetur et credatur declarationi domini Potestatis qui nunc est et pro tem-
pore fuerit.

XI. — Item statuerunt et ordinaverunt quod quelibet mulier possit
portare in reversinis et pro reversinis vestium earum et pro foderibus
manteliorum, guarnaechiarum et gabanorum et pro reversinis eorum
sindone et drappum de serico cuiuscumque coloris cum virgis et sine
virgis dummodo in dictis virgis non sit aurum nec argentum-contestum
vel alio modo positum et in dictis sindone et drappo non sint figure lit-
terarum, animalium vel aliarum rerum conteste, picte seu super posite.
Qui quidem sindone et drappus sic pieti contesti et figurati non pos-
sit nec debeat per aliquas mulieres portari, exceptis uxoribus militum
et mulieribus nobilibus supradictis portari seu poni in reversinis et fo-
deribus supradictis. Que autem contrafecerit, condepnetur et condepnari
debeat in XXV libr. den. Rav. et in amissione dictarum vestium in
quibus essent dicte reversine et fodera prohibita apposita.

XII. — Item statuerunt et ordinaverunt quod vestes et clamides,
facte ante presentia ordinamenta et provisiones que sunt contra formam
ipsorum, possint portari sine pena si bullate fuerint infra XV dies post
bannimentum fiendum, que debeant bullari et ad bullandum ipsas vestes
et clamides deputetur unus aurifex de civitate Eugubii per dominos
Gonfalonerium et Consules dicte civitatis. Et omnes vestes et clamides
bullande deseribi debeant per officialem sive notarium domini Potestatis,
declarando que vestes sint et cuius fuerint dicte vestes. Et si aliqua
vestis vel clamis reperta fuerit bullata contra dictam formam, puniatur
bullarius in X libr. Rav., et nichilominus portans seu deferens dictam
vestem et elamidem condepnetur secundum formam predietorum ordina-
999 : G. MAZZATINTI

mentorum ; de quibus vestibus debent elevari arbores et fregiaturas per-
larum et bottonariorum de argento deaürato vel non deaurato, vel nac-
cararum et quiequid aliud quod eis esset contestum vel aplicatum quod
esset contra formam presentium ordinamentorum, exceptis fregis et ben-

dellis argenteis auratis vel non auratis. Aurifex vero qui sic fuerit .

electus ad bullandum, ut supra dictum est, pro suo salario accipere
possit et debeat duodecim denarios pro qualibet bulla et non plus, pena
XX solid. a dicto aurifiei si contrafecerit pro vice qualibet exigenda de
facto per dictum Potestatem. i

XIII. — Item statuerunt et ordinaverunt quod nullus sartor seu
sartrix aut alia quevis persona in civitate comitatu seu burgis Eugubii
vel ipsorum aliquo, incidat, suat vel fatiat aut incidi, sui vel fieri fatiat
aliquam de vestibus supradictis prohibitis fieri et portari ad penam XXV
libr. Rav.; in quibus contrafaciens Comuni Eugubii vice qualibet conde-
pnetur, salvo quod non intelligatur si faceret vestes puellabus minori-
bus octo annorum et mulieribus militum et nobilium. Et quilibet possit
accusare. et denumptiare predictos sartores, sartrices, sutores, sutrices et
ineisores predictarum vestium et habeat quartam partem pene.

XIV. — Item statuerunt et ord^naverunt quod dietus dominus Pote-
stas et quilibet alius officialis Comunis Eugubii ad predieta deputatus
per dietum Comune omnes et singulas mulieres fatientes et commictentes
contra suprascripta et infraseripta ordinamenta vel aliqua eorum et con-
tenta in eis vel ipsorum aliquo possint et valeant condepnare in penis
in ipsis capitulis adnotatis et ipsarum condepnationes exigere debeant
et teneantur a maritis ipsarum, si habebunt maritos; si vero maritos
non habebunt, condepnationes ipsas exigere teneantur et debeant a pa-
tribus, matribus, sororibus vel fratribus ipsarum mulierum eum eis habi-
tantibus. Si vero dieta mulier non habeat aliquem de predictis, dicta
excussio diete summe fieri debeat per dietum Potestatem contra dictam
mulierem que contrafecerit in predictis vel aliquo predictorum. Qui qui-
dem Potestas et offieiales habeant et habere debeant quartam partem
omnium et singularium condepnationum predictarum quas fecerint venire
in Comuni ad manus camerarii dicti Comunis et ipsa camera possit
teneatur et debeat dicto Potestati et dicto officiali dictam quartam par-
tem solvere atque dare sine alia bullecta sive deliberatione inde fienda.
Et aliam vel maiorem partem de dictis condepnationibus dictus dominus
Potestas vel alius officialis habere non possit non obstante aliquo statuto
vel ordinamento in contrario loquente vel in quo aliud contrarium dice-
retur. ik Rue
XV, — Item statuerunt et ordinaverunt quod condepnationes fiende
de mulieribus supradictis vigore presentium ordinamentorum sive quan-
DI ALCUNE LEGGI.SUNTUARIE EUGUBINE, ECC. i 293

titates earum condepnationum possint et debeant solvi de dotibus vel
bonis ipsarum mulierum ; et quod. solventes dietas condepnationes vel
quantitates earum possint et eis.liceat retinere de ipsis. dotibus vel de
bonis ipsarum quantitates ipsas; et quod ex nunc dotes et bona predi-
eta intellivantur fore atque sint pro dictis quantitatibus solvendis sol-
ventibus obligata. x

XVI. — Item statuerunt et ordinaverunt quod supraseripta ordina-

menta vel aliqua eorum non vendicent sibi locum in uxoribus militum
et aliis mul‘eribus cuiuslibet etatis nobilium civitatis et comitatus Eugu-
bii, nec eontra eas dummodo non sint nupte popularibus civitatis et
comitatus Eugubii, quas sic nuptas voluerunt subiacere dispositioni su-
praseriptorum ordinamentorum. Et non vendicent sibi locum in filiis ei
nepotibus militum qui non servarent nobilitatem et militiam et qui sunt
de numero consiliariorum populi sive LXXX maioris summe et de officio
consulatus diete terre. Excepta alia confirmantes et approbantes que con-
tinentur in Statuto posito in tertio libro voluminis Statuti dicte civitatis
Eugubii sub Rubrica CLXIIII.* de ornamentis vestibus et arredis domi-
narum, et in presentibus ordinamentis et capitulis nom declaratis (1).

Nuove leggi (altre non ne conosco anteriori al dominio di Fe-
derico da Montefeltro) furono promulgate il 12 aprile del 1469:
chiarissima prova della sfrenatezza nel lusso delle donne e delle
spese eccessive in vesti ed ornamenti. Significantissimo, tra gli
altri, il divieto di portar vesti con ampia coda e tanto aperte da
mettere in mostra il collo e il petto.

In primis che niuna donna de qualunche stato o conditione se sia,
la cui dota non transcenda la quantità o valuta de fiorini cento a bon. 40
per fiorino, ardischa ne presumma portare né havere in suo uso festivo
in vestimenti o vero ornamenti ultra la quantità de fiorini cinquanta a
la dieta ragione. Et da dieti cento fiorini in giù non possa havere in
nelli sopradieti ornamenti o vestiti ultra la mità de la dota sua. Et da
cento fiorini in su in li predicti vestiti et ornamenti nulla possa portare
ultra li doi quinti de la dota sua: salvo non fossero donne de’ cavalieri,
gentilhomini et dottori, quale possano portare et havere a lloro uso ve-
Stiti. et ornamenti per fine a la montanza de la mità de la dota loro. Et

in questo non se intendano né comprehendano li vestimenti et orna-

^

(1) Arch. Com. di Gubbio, Riforme, tomo 11, fol. 122 e sg.
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994 G. MAZZATINTI

menti dati dal padre loro o da soi herede. Et qualunche contrafacesse

incurra a la pena per ciaschuna volta de fiorini quattro a bon. Xl per
fiorino. De la quale pena a l'offitiale del dieto Comuno che sarà la dicta
pena eum effetto pagate habbia la quarta parte, et l'altre tre parte de-

vengano et devenire debbano cum effetto al Monte de la Pietà del Co-

muno de Vg.?, et per le mani del depositario del predieto Monte el di-
cto offieiale debbia la dieta sua parte ritenere et non altramente. -

Item che niuna donna de qualunche grado o condictione se sia ar-
discha nè-presumma portare alcuna veste rachamata ad uso de la sua
persona, sotto pena de cento soldi da applicarse et pagarse come de sopra.
Item che niuna donna dè qualunche grado o condictione se sia

possa portare maniche de brochato d'oro nè ancho argento, salvo non

fosse donna de cavaliere o de gentilhomeni o de dottore, sotto la pena
de cento soldi da applicarse et pagarse, come de sopra é dicto, per cia-
schuna volta che contrafacesse.
Item che niuna donna de qualunche grado o condictione se sia pre-
summa portare soi vestimenti scholati denanti in tal forma che '1 pecto
per aleuno modo.sia schoperto. Et el simile se intenda da la parte de
le spalle ciò è per tre o quattro -deta sotto la nuca, salvo per tal modo
cum pancielli non coprissero la carne che per niuno modo se podesse
apparere, sotto la dieta pena de cento soldi per ciaschuna volta de ap-
plicare, como è dicto. È i

Item che niuna donna possa portare stragino i soi vestiti ultra uno
palmo comune sotto le pianelle, salvo non fosse donna de cavaliere, de
gentilhomo o de doetore, quale se possino portare uno piede et non più,
a la ditta pena de cento soldi da applicarse per ciaschuna volta, como
de sopra è dicto.

Item che li predicti ordini et statuti et prohibitioni se intendano
ad observare solo per li vestimenti et ornamenti li quali se facessono de
novo per lo advenire. Et non se intendano per quelli fossero stati fatti
per lo passato et per fino in lo presente di; li quali se possino usare et
portare come prima senza alcuna pena.

Approbata et confirmata fuerunt omnia et singula supraseripta ca-

minum Comitem Federicum Montisferetri Vrbini et Durantis Comitem
ac serenissime lige Capitaneum generalem, sub annis Domini Millesimo
ecec^ LXVIIIJ*, die XIJ aprilis (1).

(1) Arch. cit., Riforme, tomo 28, fol. 22.

pitula et ordinamenta per illustrem et excelsum dominum nostrum do-.

i ener rego DI ALCUNE LEGGI.SUNTUARIE EUGUBINE, ECC. 295

Disposizioni più. severe, per ciò che le vecchie leggi dovettero
riuscire inefficaci, prese il Consiglio durante la signoria di Gui-
dubaldo I; ma io non le conosco. Soltanto so che nella seduta
del 20 marzo 1484 fu proposto (1) di provvedere « circha orna-

‘tum mulierum et inhonestam portaluram earumdem » e di modi-

ficare gli antichi ordinamenti: per questo furono eletti « duodecim

-morales idoneos et prudenles cives ». Ma per quanto rigorose

siano state, codeste disposizioni a nulla giovarono; tanl’è vero
che nel maggio del 1507 il Consiglio tornó a discutere su lo stesso
argomento. Nè potè, a quanto sembra, farne a meno, anche per-
ché frate Battista da Mantova aveva con roventi parole, predi-
cando nella quaresima in S. Francesco, condannato quellg « su-

| perfluitatem vestium mulierum et praecipue gestandi faldiglias et

trahendi per terram caudas vestium ». E s'aggiunga che il frate
stesso ne parlò con risentimento e stupore per tanta sfrenatezza
di lusso a Guidubaldo, e che questi scrisse al Consiglio perchè
con savio rigore ponesse un freno a quel ch’egli chiamò « maxi-
mum detrimentum civitatis ». Aderì subito il Consiglio al desi-
derio del Duca, e in quella seduta del 10 maggio fu recisamente
proposto che le donne « non debeant amplius ferre faldiglias et
quod statualur quod omnino tollantur; et quod circa vestes mu-
lierum et circa straginia, moderentur ». Dal Gonfaloniere ottenuta
la unanime approvazione, e:comunicata al Duca la risposta « quod
vestes reducantur sine stragino » e « mulieres deponant faldi-
glias », quesli fece nello stesso giorno « bandire et comandare che
non sia aleuna donna, de qualunche stato e conditione, quale ar-
disca da ora inanli né presuma in dicla citade o suo distrecto
portare indosso panni de seta o lana o di qualunche altra condi-
lione sia cum tragino alcuno, ma solum possino portarli in tal
longhezza che tocano terra solum per quattro dela. Et similiter
non ardisca portar indosso alcuna generatione di faldiglia sotto
pena di due ducati d'oro per ciaschuna et qualunche. volta con-
trafarà ad alcuno de li sopradicti capitoli; et sia tenuto el patre
per la figlia non maritata et el suocero et marito in solidum per
la nora e moglie ». Ancora: « per obviare a li scandoli quali fa-
ciliter potessero occorrere per lo advenire », ordinò il Duca « che

(1) Arch. cit., vol. all' a. 1484.
296 5 A ine. G. MAZZATINTI

non sia licito ad alcuna persona farsi maschara ad alcuno tempo
a faccia scoperta o penta, nè anche a faccia coperta, mutando
habito. da homo in donna, o de seculare a religioso, sotto pena de
dece fiorini ».

Altre leggi non furono pubblicate prima del '66. In quest'anno
il Duea bandi (1):

Che non sia lieito ad aleuna persona, di qual grado, stato, conditione
^e preminenza se sia, portare berette di drappo o di panno se non sim.
plici, excetto per cagione di voto, nè in esse si possa portare medaglie
né gioie né perle né altro ornamento di oro o di argento, ma un cordone
di seta dintorno o di velo o ver francia con le fodere di drappo che
sieno del medesimo colore.

Non sia lieito portare capelli di feltro o di drappo se non negro, o
di paglia simpliei con un cordone di seta o velo et la fodera di dentro
di seta, e d' intorno con una francetta ; e il tutto semplice.

Non sia lieito alle spose andare in habito da sposa piü di uno anno
dal di che seranno andate a marito et haveranno consumato il matri-
monio, le quali in quel tempo possino portar cente, catthene e fronzette
di valore di scudi XXV l'una e non più, e parimenti perle o altri or-
namenti tanto alla gola come in testa. Ma non le sia licito portar cosa
alcuna a l'orecchie, né manighi, né guanti profumati, né vesti d'oro e
d'argento, né raccami e intagli o altro, nè fazzoletti lavorati d'oro o di
argento. E in capo non possino portare altro che scuffie di seta bianca,
lionata o di qualche altro colore se sia simplice. Nè possino portare co-
rone di ambracane o di musito.

Non le sia lieito portare sottane guarnite di raccami d'oro o di ar-
gento, né sorte aleuna di guarnigione, eccetto una lista o doi, overo
una trina larga al più mezzo dito intorno al busto, alle maniche e da
piedi. Né sia licito ad alcuna haver più di tre vesti di drappo in tutto,
o sieno sottane o ciamarre o altre vesti.

Non sia licito alle sudette dame portare berette in testa nè capelli
di veruna sorte, eccetto capelli di remosi negri simplici ne’ quali non
possino portare medaglie o penne; né meno debbano portare calzetti
lavorati di seta ad accuccia con raceami o lavori.

Non le sia licito portare zibilini con teste d'oro nè ventagli con
maniche d'oro.

(1) Arch. cit., vol. 54, fol. 181.
| DI ALCUNE LEGGI SUNTUARIE EUGUBINE, 1£0C. 297:

Non sia licito portare stragini, ma che le lor vesti sieno convenien-
temente lunghe et alte da terra un dito.

Non le sia licito portare più di tre annelli per ciascuna.

Non sia licito alli huomini portare camisce lavorate d'oro o d’ ar-
gento, nè meno a donne. er

Non sia lieito alli huomini portare giupponi con altro guarnimento
che con bottoni di seta d'imbotitura pur di seta, senza altro lavoro.

Non sia licito in saio, casacca, coletto o simile sorte di vestimenti
di panno o di drappo ponere per guarnigione altro che una simplice
banda intorno le maniche e busti e falde di drappo o di-dentro o di
fuori; e il medesimo nella cappa o tabarri, il terzo di un palmo.

Non sia lieito nelli cossali delle calze metter bambagio o feltro per
gonfiarle, nè meno ponervi oro né argento, raccami, trine, cordoni né
francette, ma solo una imbotitura di qua o di là dal taglio; e che detti
cossali non sieno più larghi di doi terzi d'un palmo della fodera che

basta a circondare la coscia, o lunghe dal ginocchio in su più di quello

che sarà la fodera.

Nove anni appresso il Consiglio elesse qualtro cittadini « su-
per moderalione vestium »; ma, quando essi riferirono e pro-
posero, non su Lulli i punti, come dice l'atto consiliare, « siamo
stati d'accordo ». Cinque proposte furono discusse ed accolte:
« Che se debbiano levar via in tullo i tragini della veste; che le
verducale overo faldine siano al tucto prohibite; che le donne
non spose debbiano portar solo veste di rascia, panni, ciambel-
lotti, buralti, moccaini e simili, nè possano portar drappi di sorte
alcuna eccetto che le veste di drappo già falle; che alle spose si
concedano per.il primo anno solo una veste di drappo di sopra
con una sollana pur di drappo per un anno solo; che non si pos-
sino portare cenli d'oro d’alcuna sorte, ma solo cenli de seta ».
Su altri cinque non fu presa alcuna deliberazione, e.cioè: « Che
le donne non possino portare più de doi veste di drappo e queste
due siano:veste o sollane o ciamarre, come pare a chi le porta,
sì che non possa usare altro che queste due di drappo. et. non
più: che tulte le veste et sollane tocchino terra et un palmo de
tragino et non più: che possino portare le faldiglie o vogliam
dire verdugata, concedendosi da Noi per esser cosa di poca spesa:
che le spose possino portare una centa d'oro la quale cinga e
non avanzi niente solto la cintura: che le spose possino portare

3
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1
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298 G. MAZZATINTI

tre veste di drappo, delle quali se ne possino servire per. veste,
sottane e ciamarre come li pare, et non possino havere più di
queste tre et usare con l'ordine del tragino dilto di sopra » (1).

- "Ma corsero appena sei anni, e il Gonfaloniere ed i Consoli,
sgomentati « per le pompe et escessive spese de’ vestimenti che
si fanno nella città », furono costretti a formular nuove leggi:
nel settembre dell'83 le inviarono al Duca, pregandolo « humil-
‘mente (cosi gli scrissero) si degni confirmare li sopradelli capi-
toli, fatti a honor de Dio e per benefitio publico, comandando che
siano registrati nelli libri soliti et osservati inviolabilmente: il
che lo riceveranno per gratia singolare ». 1l Duca li approvò il
1° di ottobre, scrivendo a canto a ciascuno il solito Placet e, in
fine, la formula: « Supradicta capitula confirmamus, approbamus
et donec vobis placuerit observari mandamus. F[ranciscus] M[aria]
D[ux] ».

« Moderaticne del vestire.

Perchè in ogni città non solo è lodevole, ma ancora debbito de
chi ha il Governo, provedere che le cose concernenti a gloria e lode di
Dio et a salute de l'anime s'introduchino et s’osservino, et quelle
tanto al particolare come al pubblico dannose le quali da irregolari
apetiti procedono non solo non trovino luogo nelle città, ma ancora
quelle che ivi fussero si levino, o almeno, quanto piü si puó, se ridu-
chino a l’honesto; però il ser. signore Frane. Maria Feltrio della Ro-
vere ij ducha d' Urbino a richiesta della sua città d' Ugubbio, desideroso
del bene et commodo de’ suoi populi, volendo provedere quanto più
si può alla conservatione delle facoltà de’ suoi sudditi et a’ molti cat-
tivi abusi che vi sono; con il presente publico bando notifica et comanda
che non sia alcuna persona di qualsivoglia grado, stato, dignità et
preminenza ardisca nè presuma in modo alcuno nè sotto qualsivoglia
| pretesto o colore contravenire all’infrascritti capitoli, quali S. A. S.
vuole et comanda che per l'avenire inviolabilmente s'osservino sotto
.pena a chi contrafarà a detti capitoli o ad alcuno d'essi di XXV scudi
per ciascuna volta; e applicarsi per la metà alla Camera Ducale et il
resto a l'executore che ne farà effettuale essecutione, et di piü della
perdita delle robbe prohibite, d’applicarse come di sopra. Dichiarando

(1) Arch. cit., Riforme, vol. 55, fol. 255 e seg.
DI ALCUNE LEGGI SUNTUARIE EUGUBINE, ECC. 299

che in caso di contraventione siano obligati i padri per i figli, i mariti
per le mogli et i fratelli per le sorelle non maritate, et che il Luogo-
tenente ne sia ordinario conoscitore. Et per maggior fermezza delli
infraseritti capitoli se prohibisce a tutti li sarti et lavorenti, tanto
huomini come donne, et ad ogni sorte d'arteggiani che da hora in poi
non debbino nè per sè né per altri tagliare, cuscire, vendere nè tenere
in botegha alcune vesti né robbe contro la forma et prohibitione delli
presenti capitoli, tanto in pubblico come in secreto, sotto la pena d'ap-
plicarsi come di sopra.

Et prima che non sia lecito ad alcuna donna di qualsivoglia grado,
conditione o preminenza portare oro, argento rebattuto, nè filato, nè
fino, nè finto, nè gioie, nè perle, nè coralli nella testa per ornamento
di esse.

Che nei. capelli et berette, tanto d'huomini come di donne, di
drappo o d’altro non sia lecito portare altro ornamento che un velo
o cordone o francia di seta, overo una fascietta ornata di cristallini
con fodera di drappo et con una medaglietta che non passi il valore di
quattro scudi. ì

Che non si possino portare li pendenti a l'orecchie di maggior
prezzo che di quattro scudi.

Che li giupponi d'huomini come di donne non si possino portare
con guarnimenti d'oro né d'argento, nè fino, né finto.

Che non si possa portare. camisce, né fazzoletti lavorati d'oro, né
d'argento o fino o finto.

Che non sia lecito ad alcuna persona alcuna sorte de vestimenti
guarniti di ricami d'oro né argento fino nè falso, cristallini, intagli, im-
bottitura, nè meno recami di seta, eccetto con una lista di drappo o due .
al più, overo una trina larga al più un dito intorno al busto, alle ma-
niche et da piedi.

Che niuna donna di qual grado o conditione, età da otto anni in su,
possa andare per la città senza panigello o velo in testa di giorno, eccetto
le spose dal di che saranno sposate per sin che andaranno a marito et
sei mesi dappoi.

Che niuna donna di qual grado o conditione sia possa portare al
collo alcuno ornamento d’oro, gioie o altro che esceda il valore di scudi
trenta d'oro in tutto, dechiarando che le gioie et oro non siano finte nè
false et che l’ornamento sia uno istesso et non diverso.

Che a niuna donna di qual sia grado o conditione sia lecito portare
alcuna sorte di vestimenti di broccato d'oro et d'argento; s' intendono in
tutto et per tutto esser prohibite, tanto d'oro et argento fino, quanto
falso.
900 —" ici MAZZATINTI

Che a.niuna donna di qualsivoglia grado o conditione, come di:

sopra, sia lecito portare tebellini, et alli ventagli e ventarole non sia
lecito portar maniche d'oro né d'argento, né gioie, tanto fine quanto

finte, così che il valore di ventagli e ventarole non esceda cinque scudi. .

Che a niuna donna sia lecito portare più di. tre anelli, il valore
de’ quali non passi in tutto sessanta scudi.

Che a niuna donna sia lecito portare manizzi recamati né guarniti

di veruna sorte, tanto fine come finte, eccetto che di passamani di seta.

Che a niuna donna, come di sopra, sia lecito portare manigli d'oro
o altro ornamento alle mani che esceda il valore di dodici scudi. ;

Che a niuna donna sia lecito portare cinte d'oro che esceda il valore
di trenta scudi d'oro, prohibendo che a dette cinte non sia lecito portare
gioie d'aleuna sorte, nè fine né finte, rè meno smalti.

Che niuna persona possa portare corone di ambracane nè di muschio
o di alcuna altra sorte che esceda il valore di dieci scudi.

Che a niuna donna sia lecito portare nè usare più che quattro vesti
di drappo, comprendendo in detto numero anco le ciamarre.

Dechiarando che i ciambellotti, moccaiani, tulli, triglie, dobletti et
ogn'altra cosa simile, come escedano il valore di sette giuli il braccio,
s'intendino compresi nel numero dei drappi.

- Che a niuna donna sia lecito trinciare veste et ciamarre di veluto,

di raso, di panno et di rascia, eccetto che li busti et le maniche.

Che le veste già fatte se possino portare tutto carnevale prossimo (1).

Il prof. Merkel, illustrando eon singolare dottrina 7re cor-
redi milanesi nel 400 (2), concluse col notare « i caratteri co-
muni del lusso nell’Italia settentrionale » e « una medesima, ga-

gliarda passione per il lusso [che] diffonde ed impone dappertutto :

le medesime foggie: Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia, Ro-
magna, Veneto con caratteri particolari ne presentano pure molti
comuni ». E l'Umbria? E da applicarsi per lei la stessa massima,
.ch'ella cioè presenti foggie di lusso comuni-ad altre regioni della
penisola ?; o pure la ragione dell'esistenza di peculiari costumi fra
noi è da ricercarsi nell'influsso esercitato da Firenze o da Roma,
due de’ tre massimi centri del lusso italiano nel secolo XV e nel
seguente? Pochi finora sono i documenti umbri su codesto sog-
getto a noi noti (conosciamo quelli di Perugia, d'Orvieto, di Rieti,

(1) Arch. cit., Riforme, vol. 57, fol. 171 e sg.
(2) Bull. dell’ Istituto stor. ital., num. 13; pag. 169.
DI ALCUNE LEGGI SUNTUARIE EUGUBINE, ECC.

di Città di Castello e, adesso, di Gubbio), perché a tale domanda.
si possa con sicurezza rispondere: non mi sembra, però, che
a cerle forme del lusso nell'Umbria debba giudicarsi estraneo =
il fiorir delle corti e delle signorie che tanto influirono sullo

E i svolgimento fecondo dello spirito nostro. Per Gubbio, ad esempio,

e non si dimentichi la lunga e gradita dimora che vi fece Battista

: | Sforza ed Elisabetta Gonzaga nel meraviglioso palazzo di Luciano

di Lovrana: né esplicazioné di fasto e passione per il lusso mi- ;

nori di quella della corte eugubina' potrebbero constatarsi a Fo-

ligno, a Perugia e a Città di Castello nelle case splendide dei Trinci,

dei Michelotti, dei Baglioni e dei Vitelli.

G. MAZZATINTI.

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COMUNICATI

POTESTÀ, CAPITANI E GIUDICI DI TODI

NEL SECOLO XITI

Secondo il cronista tuderte Gian Fabrizio degli Atti (1), la
serie dei nostri potestà comincerebbe nel 1201, con un messer
Spagliagrano. Nel 1198 e nel 1206 avevamo i consoli, come si vede
nelle lettere ad essi dirette da Innocenzo III (2). Nel 1203 tornò
messer Spagliagrano; nel 1202 e nel 1207 la suddetta cronaca tace;
ma dal 1208 la serie dei potestà tuderti procede senza interruzione.
Pure, in quest'anno, il nuovo magistrato non era definitivamente
prescelto. Il 24 giugno, i sei consoli di Amelia facevano atto di
soltomissione al potestà di Todi, et omnium futurorum consulum
sive potestatis (3); il che vuol dire che non era ben certo se, negli
anni seguenti, il Comune sarebbe stato governato dai consoli o
dal potestà. Invece nel 1217 i cittadini di Terni fanno atto di som-
missione al solo potestà di Todi (4); onde pare che ai consoli non
si pensasse più.

Quali fossero le città, quali le famiglie che diedero maggior
numero di rettori a Todi, è cosa che il lettore vedrà facilmente
dalla nota che segue.

Roma, Firenze, Bologna vi occupano il primo posto. La pre-
valenza di cittadini romani si spiega. col bisogno che spesso

(1) Per queste cronache cfr. quanto ho scritto intorno agli scrittori di storia to-
dina. Foglietti, 1892. 2

(2) LEONI, Cronaca dei Vescovi di Todi ; Todi, Franchi, 1889, pag. 49. Nell' Epi-
stolario d' Innocenzo III del Baluzius (I, ep. 379) c' è anche una lettera a questo « Spa-
lagrano » dalla quale appare che egli era di Todi; e Spagliagrano é anche un
castello presso Todi.

(3) Registro degli istromenti, 18.

(4) 1d., 26.

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304 : G. CECI

aveva Todi di quietare le pretensioni di dominio accampate dai
papi e difendersene. Ciò accadde specialmente dopo il 1275, per-
chè il rettore del Patrimonio pretendeva di estendere su Todi la
sua giurisdizione, e i lodini vi si opponevano; onde ambascerie,
processi, scomuniche che furono da ultimo risolute in favore del
Comune da Bonifacio VIII, ma che si riaccesero poco dopo e mi-
sero capo ad una causa in curia di Roma dibattutasi nel 1367-68,
interessantissima per i molti documenti e le testimonianze che
racchiude (1). Con Firenze e Bologna dovevano essere grandi
le relazioni delle nostre famiglie nobili, le quali vi mandavano i loro
figliuoli a studiar legge; e invero è grandissimo il numero dei
nobili todini i quali portano il titolo di « judice » negli atti pub--
blici e privati.

ll primo capitano venne nel 1255 (2), ma non sempre avem-
mo questo magistrato, anzi nei 46 anni che seguono fino al 1300,
solo in 19 si incontra, forse perchè Todi fu per lo più ghibellina e
quindi non doveva incontrarvi molto favore questa specie di fri-
bunus populi, come lo chiama il Muratori (3).

Tornando ai potestà romani, è grande il numero di fratelli
o di altri parenti dei papi; spesso ai papi fu rimessa la scelta del
potestà, come a Martino IV e Bonifacio VIII, ed essi ci manda-
rono i loro domicelli, o persone che godevano il favore della Corte.

. Non mancano esempi di due potestà, uno guelfo ed uno ghi-
bellino (4) (1275); del solo capitano, senza potestà (5) (1288) ;
di ambedue gli uffici nella stessa persona (6) (1272-74). Il potestà
prima di entrare in ufficio giurava sugli evangeli ad uno o piü
sindaci appositamente eletti (7) di amministrare bene e legal-
menle (8); e prima di andarsene doveva render conto del suo
operato ai sindacatori scelti dal Consiglio generale. Pandolfo Sa-

(1) Arm. I, Cas. VIII, n. 397, II vol.

(2) Il GreGoROVIUS (V, 359) erro sulla fede del CrccoLINI di cui parlo piü innanzi,
e ce lo diede nel 1254.

(3) Antiq: It., IV, 666.

(4) Statuti e sentenze; Arm. VII.

(5) Decretali.

(6) Id.

(7) Id., 1288, 28 dic., e 1289, fol. 65.

(8) Statuti del 1275,
POTESTÀ, CAPITANI E GIUDICI DI TODI NEL SECOLO XIII 305

vello nel 1267 fu esentato da questo obbligo, anzi fu posta una
lapide sopra la porta del palazzo del popolo, in ricordo della sua
ottima amministrazione (1).

Talvolta i potestà erano cacciati dalle fazioni. Nel 1235, Ugo-
lino di Ugolino è cacciato dai ghibéllini (2); nel 1266 Andrea di
Baroccio di Venezia, dai guelfi (3); nel 1268 Comaccio dei Gal-

luzzi di Bologna, dai ghibellini (4). Il lungo processo che que-

st'ultimo ebbe col Comune, permette di ricostruire i fatti nei mi-
nimi particolari. Partito il Savello, la potesteria fu data al Comune
di Bologna, il quale ci mandó il suddetto Comaccio. In quel tempo
Corradino passava da Foligno per andare alla battaglia di Taglia-

“cozzo, e perciò i guelfi temevano, i ghibellini imbaldanzivano. Il

Savello aveva saputo mantenere in pace i due partiti (5), ma ora
si riaccesero gli odi. L'intolleranza era al punto che Comaccio, no-
minando due banditori o due trombettieri, doveva scieglierne uno
guelfo ed uno ghibellino! Per stornare il temporale, egli, col mandato
del Consiglio, aveva assoldato a Bologna trenta verroari a cento
soldi di usuale moneta al mese, i quali guardavano il palazzo del-
lepiscopio, quello del potestà, la torre del palazzo del popolo e la
città intera giorno e notte. Altri armati erano stati chiesti alle
città vicine. Dapprima ne vennero dieci da Foligno e altrettanti
da Terni; dopo, Foligno, Orte e Terni ne mandarono venticinque
ciascuna; Spoleto cinquanta e dieci cavalieri. Inoltre Comaccio
faceva bandire che nessuno portasse armi; che non si facessero
riunioni nelle chiese o altrove; che nessuno guernisse la propria
casa d'armi e d’armati; quei del contado non potessero dimorare
in città, nè venirvi in tempo di risse; uscissero subito se vi erano,
o si iscrivessero come domiciliati in città se volevano rimanervi;
nè gli osti, nè altri li alloggiassero. Ma era come dire al vento.

Comaccio spalleggiato dai guelfi, il cui capitano era un messer
Francesco, tentò di far rispettare i suoi ordini e intimò a Monaldo e
Polello degli Atti e ad Egidio « Mattafelloni » capi ghibellini, di non

(1) La riporta il Leony nelle Memorie storiche di Todi.
(2) ATTI, Cron. Era degli Alviano.

(3) Id. e Reg. degli istr., 14 a 18.

(4) Arm. I, Cas. I, n. 17.

(5) Cfr. iscrizione sunnominata.

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306 : ; .. 6. CECI

adunare armi ed armati in casa come andavano facendo, e pagas-
sero una multa. Notinsi quei due Atti ghibellini, perchè questa
famiglia che più tardi si disse guelfa contro i Chiaravalli ghibel-
ini, fu sempre creduta tale, mentre invece lo divenne quando è
due partiti non rispecchiavano” più due opposte correnti politiche,
ma solo rabbiosi odî personali.

Dopo circa quaranta giorni che Comaccio era a Todi, si venne
alle mani. Si cominciò a sassate sulla piazza maggiore, poi si
sguainarono le spade; molti guelfi furono feriti o uccisi, e gli
altri fuggirono mentre la casa del loro capitano era messa a sacco
e a fuoco. Assicuratisi che i guelfi non tentavano la riscossa,
tutti i ghibellini si riversano di nuovo sulla piazza maggiore, at-
torniano il palazzo del potestà, e gridano a quei di dentro: « Uscite,
uscite; consegnateci il palazzo! ». Il potestà guarda dalle finestre
i tumultuanti affollati intorno a quattro o cinque bandiere, una
delle quali ha l'arma imperiale, cioè l'aquila nera in campo bianco.
Tutti sono armati e risoluti; inutile la resistenza! Egli, pieno di
dolore, battendo le palme; esclama: « Che mi accade! Per far
bene, aver male! ». Intanto la folla minaccia di appiccare il fuoco
al palazzo, altri penetrano con baliste per la porta della scuderia;
Comaccio sta per essere ucciso! Ma in buon punto in cima alla
scala del duomo, che sta da capo alla piazza, appare il vescovo
Pietro Caetani, scende circondato da molti frati dell’ordine degli
Eremiti e dei Minori, calma gli animi, e trae in salvo Comaccio
e i suoi famigli nel convento di S. Fortunato!

Polello degli Atti prende subito il comando della ciltà e fa
bandire che non si incendino le case, non si violino le donne, non
si rubi, non si saccheggi, come pare che fosse consueto in simili
casi. Ma la folla entra nel palazzo del potestà, e ne porta via
armi, cavalli, masserizie e 600 lire cortonesi. Comaccio nel con-
vento è così addolorato come non lo sarebbe se avesse perduto
tutti i suoi figlioli. Ristabilita la calma, i ghibellini si pentirono
di essere trascorsi a tanto contro il potestà, specialmente perchè
offendere lui era un pigliarsela con il Comune di Bologna che
lo aveva mandato. Allora Egidio Mattafelloni e Oddone di Acqua-
sparta con altri, andarono al convento. a pregare Comaccio di tor-
nare al suo ufficio. E Comaccio rispose: Io sono venuto a gover-
nare Todi, non un partito; rimettete i guelfi entro le mura e

LEE BE

A — — A9 ‘PODESTÀ, CAPITANI E GIUDICI DI TODI NEL SECOLO XIII 307

riprenderò la podesteria. Era un patto inaccettabile, e forse il
Galluzzi lo mise avanti per uscirsene al più presto e con onore,
e infatti se ne andò verso Spoleto, scortato da Pietro Friulani
potestà di detto Comune e da altri. armati.

Ne seguì un processo in Curia di Roma che durò fino al

4291 (1). Gomaecio voleva essere rifatto dei danni e delle ingiurie;

Todi invece chiedeva un'indennità per i danni della ribellione, che

diceva causata dal mal governo del Galluzzi. Bologna concesse a -

questi il diritto di rappresaglia. Nel 1281 capitarono in quella
ciltà tre mercanti todini, e Comaccio li fece imprigionare, nè li
rimise in libertà che dietro preghiera di Martino IV. Finalmente
nel febbraio del 1291, per intromissione del cardinale Matteo Ben-
tivenga d’Acquasparta, si venne ad un accordo, e Comaccio ebbe
millesettecento fiorini d’oro (2).

Dapprima il potestà durava in carica un anno, ma nel 1275
era già statuito che non restasse in ufficio più di sei mesi; pure
non sembra che la legge fosse strettamente osservata o durasse,
poichè s’incontrano potestà riconfermati fino per tre anni continui.
Spesso chi aveva fatto buona prova di sè, tornava dopo pochi anni.

Nel 1297, come ho delto, la nomina del potestà fu affidata a
Bonifacio VIII, che da giovanetto era stato canonico di Todi; ma
con la condizione che non perciò venissero. pregiudicati i diritti
del Comune (3). Le condizioni erano che fosse di un luogo lon-
tano da Todi almeno 6) miglia, conducesse tre giudici, un socio
milite, sette notari, otto domicelli, dodici verroari per custodia
della città, otto cavalli; restasse, dopo finito il suo ufficio, dieci
giorni con tutti i suoi ufficiali per render conto del suo regime.
Salario, 1080 libre di denari cortonesi minuti: e non potesse Bo-
nifacio eleggere il potestà uscente (4). Nel 1279 il salario era sa-
lito a 3000 libre restando uguali gli obblighi (5); nel 1288 il ca-
pitano ne aveva 250 al mese (6).

(1) Arm. I, Cas. I, n. 17.

(2) Reg. degli istr., 156 a 161.
(3) Decretali, fol. 113, 114.
(4) Id., 117.

(5) Id., 42,

(6) Id., 29 dicembre.

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Non sempre il potestà e il capitano esercitavano direttamente

il loro ufficio, ma talvolta per mezzo di un vicario che per lo più
era il giudice maggiore, o il milite, se traltavasi di assenza mo-
mentanea; o un altro nobile a ciò assolutamente delegato quando
sapevasi che l’eletto non sarebbe mai venuto in persona. Nel 1279,
lo stesso Consiglio, eleggendo Matteo Rosso Orsini, mette la con-
dizione che mandi un buon milite per suo vicario (1). i

Il potestà, né il capitano, né i loro vieari, né i giudici pole-
vano assenlarsi senza perniesso del Consiglio Generale, al quale
spettava anche l'elezione; elezione che non veniva fatta diretta-
mente, ma scegliendo 12 o 24 probi uomini, 2 o 4 per rione, 1
quali, nominato il potestà, si ripresentavano al Consiglio a chie-

dere l'approvazione del loro operato. Nel 1289 l’elezione era fatta

dai 412 radunatori o consoli delle arti e da altri 12 probi uomini, :

in San Fortunato, lontano dall' influenza di altri a ciò non dele-
gati (2). |
: Un sindaco ed un notaro andavano a portare la nomina (3),
accompagnati da un numero maggiore o minore di cavalieri a se-
conda dell'importanza dell’eletto. Nel 1279, per portare l'elezione a
Matteo Orsini, i cavalieri dell'ambasciata furono scelti d’accordo
col vescovo, il quale entrava in ogni atto che potesse toccare la
Corte di Roma dacché era sorta la questione col capitano del Pa-
trimonio, questione che toccava anche il clero todino il quale,
come la città, avrebbe dovuto pagare un tributo se quella giuris-
dizione fosse stata riconosciuta.

Talvolta l'elezione era delegata ad una città; a Bologna,
come dissi, nel 1268; a Perugia nel 1284; a Firenze nel 1282 (4).

Le decretali del 1288 ci hanno serbato il caso di una vacanza
per il ritardo del potestà nell'assumere l'ufficio. « Gli adunatori
delle Arti, con Guizzardino notaro delle riformagioni, stiano nel pa-
lazzo del Comune fino alla venuta del nuovo potestà, e Guizzar-
dino seriva ogni maleficio personale, furti e incendi, e li dia al futuro
potestà il quale, nel primo mese del suo regime, dovrà provve-

(1) Decretali, fol. 42.
(2) Id., fol. 38.

(3) Id., 40.

(4) ATTI, Cron.

adi
POTESTÀ, CAPITANI E GIUDICI DI TODI NEL SECOLO XIII 309
dere perchè non restino impunili, anzi li punisca con pena doppia
di quella ordinata dallo statuto. I radunatori delle Arti, badino
intanto a custodire la città, a imporre pene fino a 20 soldi, nè il

potestà futuro le possa togliere; radunino al bisogno il Consiglio.

Generale. Se il potestà tardasse oltre il termine stabilito per la
sua acceltazione, o dichiarasse di non venire, ne eleggano uno
nuovo d’accordo con altri 12 probi uomini » (1).

Ridire qui le attribuzioni del potestà di Todi nel secolo XIII,
sarebbe un pubblicare per intero gli statuti del 1275, poiché quasi
non v'è articolo nel quale non sia nominato. Sono stati pubbli-

cali da me e dal signor Giulio Pensi (Todi, Trombetti, 1897). All'e-.

lenco dei potestà e capitani del secolo XIII ho aggiunto quello
dei giudici, perchè, forastieri anch'essi, ci presentano nomi ce-
lebri, come un Guittone d'Arezzo.

Una pubblicazione simile fu già tentata nel 1802 da Otta-
viano Ciccolini (2), il quale, « invasato dal malo esempio dei Ro-
mani che distrussero le opere degli Etruschi, da quel valente

antiquario che era, copiò, e Dio vel dica come, alcuni criginali

manoscritti de’ nostri vecchi e ne abbrugiò gli autografi per farli
parer sua fatica, ma non seppe ben copiare, nè sopperire al
distrutto » (3). Dopo avere affermato che il governo dei Comuni
fu retto dai consoli fino a tutto il secolo X e che a questi, dopo
il mille, fu sostituito il potestà da Ottone Il, presenta ai lettori
un elenco di consoli che va dall'870 al 913. senza la più piccola
lacuna ed in ragione di due all'anno! Segue poi la nota dei po-
testà dal 1900 al 1406, e quella dei capitani dal 1454 al 1798.
Quando si pensi che nessuna cillà ha memorie di consoli prima
del secolo XI, e quando avrò detto che i nostri documenti male

e raramente corrispondono alla stampa del Ciccolini (nè egli ne

vide altri che ora si possano dire distrutti, perchè l'inventario
redattone dal Petti circa due secoli prima di lui, corrisponde al-
l’attuale), ognuno si farà un'idea di quanta fede meriti il Ciccolini.
Del resto, eccone un saggio; il lettore faccia i raffronti con la mia

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nota, tratta da documenti ineccepibili.

(1) Decretali, 81 dicembre.
(2) Todi, Scalabrini; in 106.9 x
(3) LEONI, Mem. Stor. di T.; nell’appendice,

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1200. Innocenzo III Papa, e per il suddetto M. Spagliarino da Bologna.
1201. Innocenzo suddetto ed invece M. Rustico Monte Mellino da Perugia.
1202. M. Spagliarino da Bologna.

1903. M. Ugolino di M. Rinaldo Liviani da Todi.

. 1904. M. Stefanuccio Stefanucci da Todi.

1205. M. Gio. di Raniere Campello di Spoleto.
1206. M. Burgarello de’ C. di Marsciano.
1207. Innocenzo III ed invece M. Rio di Raniere Campello di Spoleto.
1208. Innocenzo suddetto ed in luogo M. Rio Guidone da Pavia.
1209. M. Bonello.
1210. Atto Atti da Todi per sei mesi.
M. Ottaviano per gli altri sei.
1211. Giacomo Ramazzani da Perugia.
1212. Girardo Caposecco.

E mi pare che basti senza continuare ancora. lo trassi quasi
tutti i nomi dalle cronache di G. Fabrizio degli Atti e dai docu-
menti del nostro Archivio. Senza ripetere ad ogni nome le indi-
cazioni dei documenti, dirò che i potestà avendo a fronte il solo
anno, sono citati dalle sole cronache suddette; quelli col giorno
e il mese trovansi nei documenti corrispondenti del Registro degli
istromenti fatto redigere nel 1281 dal potestà Jacone di Jacone
da Perugia e continuato dai suoi successori fino ai primi anni
del trecento. S'intende che l'Atti concorda sempre con i docu-
menti dell'Archivio. La data, se espressa in calende, è pure tolta
dall’Atti. Se i nomi figurano in altri documenti, che non i suddetti,
li ho indicati. I giudici sono tutti nominati nel Registro degli
istromenti all'anno corrispondente.

Podestà.

1201. Spagliagrano.
1203. Spagliagrano.
1204. Bulgarello da Marsciano (1).

1205. Giovanni di Raniero da Spoleto.

1298 (8-24 giugno). Giovanni di Guidone del Papa da Roma (2) (Arm. I;
Cas. I, n. 1, e libro delle Sommissioni di Perugia A, C, 41 r.).

(1) Per questo Bulgarello Cfr. UGHELLI, Genealogia, dei Marsciano, p. 23, e FUMI, 59. .

(2) Nel 1205 potestà di Perugia (Somm. di P., A, 41) nel 1216 di Grosseto (FUMI, 77).
Si chiamava « Console romano ».

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POTESTÀ, CAPITANI E GIUDICI DI TODI NEL SECOLO XIII 911

1209. Bonello (1). :

1210 (4 settembre). Ottaviano (Fuwr, Cod. dipl. d' O., 58).

1211. Guido conte di Marsciano (2). :

1212. Gerardo Caponsaeco da Firenze (3).

1213. Monaldo.

1214. Giovanni di Guidone del Papa da Roma.

1215 (6 settembre). Gerardo Caponsacco da Firenze (Fuwr, 69).

1216. Aigone (?) de' Pier Leoni da Roma.

1217 (agosto). Giacomo di « Joseppe» (4) da Siena dui I, Cas. I,n. 8).

1218 (3 settembre), 1219. Roffredo di Giovanni Cenci da Roma (5) (Som-
missioni di Per., C. 63)

1220 (9 giugno). Ugolino di Ugolino d'Alviano (Fuwr, 90).

1221. Raniero di Ugolino d' Alviano.

1222-23. Megliorello Catalani da Firenze (6).

1224. Ruggero di Pinto di Santo (7).

1225. Nicola di Girardo Schiantolo da Gubbio.

1226. Andrea di Roffredo di Giovanni Cenci da Roma.

291. Mosca Lamberti da Firenze.



228. Tommaso Caccianemici da Bologna.

229. Guidone da Marsciano (GuaLTERIO, Cron. di F. Montemarte, II,
254).

1230 (11 agosto). Manfredo di Pinto di Santo.

1231. Guido Lambertini da Bologna.

1232 (1 aprile), 1233 (26 aprile). Annibaldo di Pietro Annibaldi da Roma (8)
e per suo vieario, Giacomo. (Arm. I, Cas. I, n. 1).

1233. Luca Savello da Roma.

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(1) Nelle decretali é spesso nominata porta « Bonella » che l'Atti dice fabbricata
da. questo potestà.

(2) Non registrato dall’ Ughelli nell'opera suddetta; ma non se ne può mettere
in dubbio l'esistenza perché lo si ritrova potestà di Todi anche nel 1229 e come. tale
è nominato in un Breve di Gregorio IX riportato dal Gualterio (Cron. di F. Monte-
marte, II, 254).

43) Sconosciuto al Gamurrini. (Fam. Nob. Umbr. e Tosc.).

(4) Secondo il prof. Lisini il suo vero nome era « Jacoppo di m. Ildobrandino
Tosephi.».. La famiglia s'estinse nel sec. XIII e lasciò un castello col suo nome: Ca-
stiglion Giuseppi.

(5 Proconsole romano. Potestà d'Orvieto nel 1220 al 22 (PARDI).

(6) Nel 1228-29 pot. di Orvieto (PARDI); nel 1288 (9 sett.) a Spoleto. (SANSI, Doc.
stor. ined , 943).

(7) Dei Santi di Siena?

(8 Senatore di Roma nel 1231 (GREGOROVIUS).
312 : _G. CECI

1234. Giacomino Rangoni da Medina (1).

1335 (1 febbraio). Ugolino di Ugolino d’ Alviano. (Arm. IV, Cas. V, n..2).

1236. Gaetano Salvi da Firenze.

1931. Andrea di Giotto da Roma.

1231 (5* kal. aug., 15 nov.), 1238-1239. Andrea di Giacomo [dei Monte-
melini] da Perugia. (Somm. di P., A, 192; C, 98.")

1940. Stefano Annibaldi da Roma. |

1241. Scarnabecco de’ Fasani da Bologna (2).

1242. Biagio di Bonaccorso da Todi.

1243. Castellino de Stellichi (3).

1244. Raniero da Castel S. Pietro.

1244-45 (12 febbraio). Lambertino di Guidone Lambertini da GUISESUT
Montanario suo milite.

1215-46 (12 gennaio). Caccianemico di Giacomo da Bologna.

1216-1241. Giacomo de Ponte proconsole Romano.

1247. Tolomeo di Pietro.

1248. Americo di Riecadama.

1249-50 (14 marzo). Riccardo di Pietro Annibaldi da Roma e per suo
vicario, Bonconte (Arm. I, Cas. I, n. 9).

1250 (11 ottobre), 1251 (4 maggio). Alberto Caccianemici da Bologna.

1251. Alberto Greci.

1252. Annibale Trasmondi da Roma.

1253. Giacomo di Napoleone Orsini.

1254. Guido Visconti da Milano.

1255. Tommaso del Pagese.

1256 (31 maggio). Pandolfo Trasmundi da Roma (Fuur, 208).

1257 (30 maggio), 1258. Lambertino di Guidone Lambertini da Bologna
(Fuur, 212).

1258 (26 ottobre). Giacomo Prendiparte.

1259. Raniero di Bulgarello da Marsciano.

1260. Nicola da Titignano.

1261 (18 aprile). Giacomo dei Rossi da Parma (4).

1262 (8 gennaio -14 agosto). Filippo degli Ugoni da Brescia (5).

(1) Pot. a Siena nel 1237, a Foligno nel 1245, a Rimini nel 1258, a Bologna nel
1259, a Firenze nel 1260, a Reggio nel 1265, a Modena nel 1268, a Cremona nel 1271.
(LITTA, Fam. cel. d? I.).

(2) Ne vive il nome nella fonte « Scannabecco » da lui fatta costruire.

(3) 11 7 gennaio dello stesso anno era pot. a Gubbio. (LUCARELLI, Gwida st. di G.).

(4) Nel 1262 pot. di Orvieto (PARDI).

(5) Pot. 2 volte a Bologna e poi a Firenze nel 1252 (Mancust, Galleria dell’o-
nore, I, 161).

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POTESTÀ, CAPITANI E GIUDICI DI TODI NEL SECOLO XIII 318 -

2 1263 (29 settembre). Muto Greci da Firenze. H .

1264 (15 dicembre). Pietro dei Carbonensi — Vivieno milite del | potestà.
1265 (11 aprile). Bravo dei Bravi da Modena.
1266. Andrea Baroccio da Venezia.

1266 (31 settembre), 1267 (8 aprile). Ugolino d'Alviano.

1267-1268 (18 aprile). Pandolfo Savelli da Roma (1). — Giovanni Boc-
camazzo suo vicario (Iscr. sopra la porta del palazzo del Popolo:
e Arm. I; Cas. I, n. 15).

1268. Comaccio dei Galluzzi da Bologna (Arm. I, Cas. Dbsnsb;

1268. Ugolino da Baschi.

1269. Per sei mesi. Riccardo.

1269. Per altri sei mesi. Pietro da Roma.

1210 (3 settembre). Uspinello Carbonensi capitano e rettore (nominato*

negli stat. del 1275, e Arm. I, Cas. I, n. 19).

1210-1271 (4 luglio). Raniero di Ugolino dei Baschi.



271. Guglielmo dei Pazzi.
272 (20 giugno), 1273 (1 agosto), 1274 (14 gennaio). Napoleone di Gia-
como di Napoleone Orsini potestà, e capitano nel 1272.
1274. Ugolino de’ Sessi da Reggio (2).
1274 (8 ottobre), 1275 (16 dicembre). Ugolino d'Alviano (3). (Sentenze
in Arm. VIII). i
1274 (8 ottobre), 1275 (16 dicembre). Raniero di Ugolino dei Baschi. (Sen-
tenze in Arm. VIII).
276 (11 marzo). Ugolino d’Alviano.
1276-1277 (7 gennaio -4 aprile). Guglielmo de Ponte da Roma.
1277-78. Luca di Giovanni: Savello (4) da Roma. Pietro di 1odolfo,
giudice e vicario, e poi Vita di Anagni. (Ricordato in Heg. degli
istr. 86, 102 e nelle Sentenze all’ Arm. VIII).
1278 (5 agosto). Matteo Rosso Orsini (5) e per suo vicario, Angelo di
Imperatore Malabranca (Decretati).
1279. Matteo Rosso Orsini e per suo vicario Sinibaldo di Jacopo da
Rieti (Decretati). :
1219 (28 aprile-98 novembre), 1980 (8 marzo). Mattco Rosso Orsini e per
suo vicario, Bernardo giudice (Decretali).

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(1) Senatore di Roma nel 1279, 85, 91, 97, fratello di Onorio IV (Gn SOROVIUSE
(2) Cap. del pop. a Gubbio nel 1259 (D ARELLI, Op. cit.).

((3) Pot. di O. nel 1235 e cap. nel 1313 (PARDI).

(4) Nipote di Pandolfo, pot. di Foligno nel 1276 (Cron. di Bonav. di Bénv.).
(5) Fratello di Nicolò III.

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S14 cs vue G. CECI

1980 (kal. giugno-15 luglio) Guido di Romena conte palatino in Tu-
scia (1).

1980 (1 ottobre). Card. Bentivenga dei Bentivenga d' Acquasparta (2).

1980 (10 novembre-1 dicembre). Guido da Pistoia e Rodolfo da Foligno
giudici e rettori. i

1281 (22 febbraio-19 maggio). Iacone di Iacone da Perugia, e per suo
vicario Sante di Borgo S. Sepolero, giudice e assessore.

1281 (22 luglio). Monaldo di Ugolino da Perugia, rettore.

1282 Geraldo Tornaquinci da Firenze.

1282 (29 giugno-3 ottobre). Cardinale Tornaquinei da Firenze.

1282 (kal. dicembre 1382), 1983 (28 febbraio -5 giugno). Roffredo Caetani
d’ Anagni, e per suo vicario Catenaccio (3) d'Anagni.

1283 (kal. giugno, 28 dicembre). Giannotto di Corpolaio domicello di
Martino IV, e per suo vicario Gerardo di m. Diotaiuti d' Arezzo,
milite e giudice.

1284 (31 marzo-30 giugno). Filippetto d'Alneto domicello di Martino
IV3se per suo vicario Bernardo d' Assisi.

1284 (1 luglio-31 dicembre). Simonetto domicello di Martino IV e per
lui Alberico da Gubbio. ;

1985 (18 marzo). Giovanni de Monte domicello del Papa e per suo vi-
eario ser Simone di Raniero de Ferrapecora da Parma.

1285 (ultimi sei mesi, 8 agosto-28 novembre). Pandolfo Savello (4) e
per suo vicario Fulcone « de Azonibus »: e per questi, Romerio
giudice maggiore.

1286 (15 giugno). Pandolfo Savello e per suo vicario Fulcone de « Azo-
nibus ».

1286 (kal. luglio). Gentile di Bertoldo Orsini (5) da Roma.

1287 (29 marzo-28 giugno). Gentile di Bertoldo Orsini da Roma e per
suo vicario Pietro Pasta.

1287. Tommaso dei Roberti da Reggio.

1288 (primi sei mesi, kal. gennaio-14 maggio). Roberto della Grotta da

Bergamo — Domino, milite del potestà.
1289 (19 marzo-29 giugno). Glottolo di Senso da Perugia — Monaldo

« de Bargis » milite del potestà. È
1289 (19 luglio), 1290 (4 marzo). Oddo degli Oddi da Perugia — Leonardo

di Crescimbene milite del potestà.

(1) Nel 1311 pod. di Foligno per il re Roberto (Cron. suddetta).

(2) Fratello del Papa. i

(3) Senat. di Roma nel 1230, 1309, 1304, 1306 (GREGOROVIUS).

(4) Il papa lo obbligò a rinunciare (ATTI).

(5) Anche questi rinunciò quasi subito.
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POTESTÀ, CAPITANI E GIUDICI DI TODI NEL SECOLO XIII 315

1990 (95 ottobre-1 dicembre). Ubaldo degli Interminelli da Lucca e

; per suo vicario, Monaldo giudice (1). |

1291 (2 febbraio-9 giugno). Rainaldo di Ponterolo — Giovannino milite
del potestà.

1291 (3 settembre), 1292 (giugno). Roberto della Grotta da Bergamo —
Giannuario milite del potestà.

1292 (17 luglio-29 giugno). Princivalle de Mandello da Milano.

1292 (12 novembre), 1293 (23 agosto). Pietro Confalonieri.

1293 (29 giugno). Bartolo de Zoppo da Bergamo. È

1293 (15 ottobre). Bonaccorso dei Visdomini de Monticulo da Parma.

1294 (28 settembre). Albertino Confalonieri 2).

1295 (3-30 maggio). Bonaccorso dei Visdomini de Monticulo da Parma.

1295 (24 dicembre), 1296. Nino di Cristoforo de’ Tolomei da Siena.

1296 (20 giugno). Cello di Bernardino da Marsciano.

1296-1297 (novembre). Ranaldo di Brunforte — Gualteruccio, Domenico
e Malpelo militi del potestà (Decretali), e poi Percivalle da Fermo
giudice e vicario, e Raniero di Galluzzo milite del potestà.

1297 (kal. novembre). Attaviano di Brunforte; — Adonolfo di San Gene-
sio, Nuccio di Rinaldo di Rocca, Ranaldo di Marcellano di Fermo,
Vannino di Ugolino di Ripatransone militi e soci del podestà.

1298. Nicola dei Bonsignori da Siena.

1298 (29 maggio). Conte di Colle Vall’ Elsa.

1298. Nicola di Tebaldo.

1299. Bosone da Gubbio.

1299 (27 giugno). Nerio di Ugolino dei Baschi, rettore.

1299-1300. Tomeo da Castiglione.

1300 (15 luglio). Guglielmo da Cortona.

Capitani.

1255. Bonifacio Castellani da Bologna.

1258 (26 ottobre), 1259. Offreduccio di Gerardo (3).

1259. Filippo di Barattano (4), e per suo vicario Ranaldo « exgravator ».

1261. Bartolino da Spoleto.

1262 (18 aprile). Filippo di Barattano, e per suo vicario Ranaldo, giudice.
| , » 5

1263 (29 settembre). Salamare da Viterbo.

(1) Il 25 ottobre trovavasi in Todi lo stesso Ubaldo.

(2) Il 10 gennaio dello stesso anno era ancora potestà a Perugia (Reg. istr., 192).

(3) Era di Todi.

(4) Di Spoleto, o meglio « Baractalis ».

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‘1266 (31 settembre). Francesco di Filippo da Viterbo.

1213. Francesco da Viterbo.

1218 (1)(4 settembre-7 novembre). Enrico Ermanni da Perugia (Decretali).

1290. Raniero di Ugolino dei Baschi.

1293. Venzolo di Perugia, e per suo vicario Monaldello,. giudice.

1294 (29 agosto-28 settembre). Bulgarello di Giovanni da Perugia
(Arm. I, Cas. I, n. 195).

1994 (11 novem.). Bartolomeo di Taddeo da Perugia (Arm. I, Cas. I, n, 19).

1295 (3 maggio-21 dicembre), 1295. Simeone d'Ingilfredo da Padova.

^

Giudici.

1245. Beniamino.

1250. Bartolo di Raptente e Pietro Malaspina.

1251. Bonifazio, Ugolino e Giuliano da Bologna (Arm. I, Cas. I, n. 10).

1255. Andrea (Arm. I, Cas. I, n. 12).

1259. Ranaldo.

1261. Ulmerio dei Parenti.

1262. Ranaldo, Savariscio, Costantino, Giovanni, Bicchus de la Pisina
bresciano.

1263. Bartolo di Rambaldo.

1265. Ottolino.

1266. Giovanni, Donadio.

1267. Nicola, Grappa. i;

1268. Nicola Malaspina, Giovanni d'Assisi, Rollando di Corneto; Benve-
nuto Ranzi Fabri, Nicolò Guidoni Tosi, Giacomo di Lobia.

1270. Giovanni, Albergetto da Spoleto, Ermanno Petri.

1271. Rainaldo.

1272. Stefano da Toscanella, Andrea da Giustino da Roma, Ranuccio
Marina.

1273. Stefano da Toscanella, Riccomanno da Narni.

1274. m. Pane, Riecomanno « exgravator », Gabriele da Foligno, Giacomo
da Tolentino, Giovanni da Viterbo.

1275. Amore di Bonapresso, Giacomo suddetto, Raniero da Montefiascone.

1216. Giacomo suddetto, Gismondo di Attone di Ascoli.

1277. Gismondo suddetto, Taddeo di Borgomuecio d'Assisi, Pietro di Ro-
dolfo da Norcia.

1211-18. Pietro Quintavalle da Civita Castellana.

(1) Per gli-anni 1270, 1272, 1273, 1274, cfr. la nota dei podestà, essendo cumulati
i due uffici in una sola persona,
POTESTÀ, CAPITANI E GIUDICI DI TODI NEL SECOLO XIII 311

. Bernardo « Pinkilinis » da Parma, Rolando da Narni, Pietro di
Rodolfo da Norcia, Matteo « Tademori » da Roma.

Leonardo di Rodolfo da Viterbo, Porno suddetto, Jacomo, Bar
tolomeo, Rodolfo.

Gerardo Diotaiuti, Francesco di Gentile, Guidone da Pistoia, Ro-
dolfo da Foligno.

. Grappa Novello da Pistoia, Sante di S. Sepolcro, Rainaldo di Bo-

ninsegzna^« de Contano ».
Coppo di S. Gimignano e Rolandino di Figino.

3. Pietro di Sezzo, Nicola, Leonardo di Guercino, Paolo.

. Ildebrandino, Guglielmo, nobile, sapiente uomo e dum Guittone
d'Arezzo, Filippo di Caldarola.

. Rodolfo da Foligno, Bartolomeo da Toscanella, Accurso da Norcia,

Romerio.

. Tommaso.
1. Gregorio di Pietro da Velletri, Giacomo di Tarano, Pietro da Roma,

Andreolo da Campagnola, Bentiviene, Guidone de « Rebusatis »,
?aolo Orsi.

. Gualdino da Parma, Offreduccio di Ildebrandino da Perugia, Zano,

Bartolino, Giovanni.

. Manfredo di Aldobrandino da Perugia, Offreduecio da Spello, Ri-

baldo da Perugia, Ermanzio di Pietro, Rainaldo di Taneredo da Pe-
rugia, Andrea da Montefalco, Matteo, Lorenzo, Giacomo da Trevi.

. Giacomo da Trevi, Simone di Miniguerra da Gualdo, Monaldo, An-

drea da Gubbio, Compagno da Montefalco, Gerardo, Matteo di Pietro.

. Lorenzo di Lorenzo da Città di Castello, Delfino, Ubertario, Fe-

derico.
Alberto, Bartolomeo, Francesco, Bene d’Arezzo.

. Monaldello, Giacomino, Antonio, Tomassino, « Demelde ».

Giovannino di Giuliano da Parma, Clerico di Leonardo da Civi-
tanova.

. Giacomino « De Metallis » da Parma, Alessio, Cua Manfre-

dino, Alverotto, Lorenzo di Città di Castello.
Ranuccio, Grappa, Raniero, Matteo, Zeno, Polo, Nicola da S. El-
pidio, Tommaso, Giovanni da Tolentino.

. Percivalle da Fermo, Arzolo di Ripatranzone, Gentile di S. Genesio,

Ciano di Ranaldo, Nuto di Rainuccio di Città della Pieve, Egidio
dei Gazati di Parma.
GeTULIO CRCI.

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319

TARANO IN SABINA ED | SUOI PODESTÀ —

Tarano, antico castello della Sabina, secondo vari autori,
trae nome ed origine dall antico Tarino, il cui popolo (7a-
rinates) è ricordato da Plinio. i

Sorge sopra una collina circondata dal torrente Campano
e da altro torrentello senza nome. Altre colline di maggiore
altezza le fanno corona. Ha Torri ad oriente, Montebuono a
settentrione, ad occidente Fianello, Cicignano e Collevecchio,
ed a mezzogiorno Santo Polo. Il terreno è fertile, ed i più
abbondanti prodotti sono olio e vino. Fu feudo degli Orsini,
quindi dei Savelli fino al pontificato di Gregorio XIII in cui
tornò direttamente alla Chiesa, tranne che, per breve tempo,
sotto Clemente XII, fu concesso in marchesato a Luzio Sa-
velli, ultimus marchio Tarani, come si legge sul suo sepolcro.
nella ‘chiesa di Aracoeli in Roma. Tanto i Papi che i feu-
datari governarono il paese per mezzo dei Podestà, la cui
serie cronologica ho dedotto dai registri conservati nell’ ar-
chivio comunale. È incompleta questa serie come è incom-
pleto l'archivio, lasciato per lunga pezza in abbandono ed
in balia del primo capitato. Oggi però conservasi con quella
cura con cui merita siano conservati i documenti per la
Storia.

Tarano conta circa 670 abitanti. Il Piazza e il Marocco
non temono d’ asserire che altre volte la popolazione sia
3890 . : G. AMORI

stata molto maggiore, e - quest’ ultimo la fa raggiungere a
qualche migliaio. STESO
Che Tarano avesse un tempo maggiore importanza si
deduce, se non altro : i
: 1." Dal saggio dei tributi che pagavano i paesi di Sa-
bina alla chiesa di Vescovio, l'antichissima Foronovo. Mentre
Vacone e Stimigliano- erano tassati per 20 soldi d'oro, Selci
per 21, Magliano per 30, Tarano lo era per 54.

.2." Dall aver dimorato a Tarano, colla sua corte, Boni-
facio IX nel 1392 ed avervi datato Bolle e Brevi, fra cui
quello pel quale Cicignano fu assoggettato a Tarano. Prima
di lui, nel 1109, dimoró a Tarano Pasquale II (1).

3. Dalla grandiosità e splendidezza delle abitazioni,
tuttora esistenti, dall' estensione delle mura castellane, dal

numero delle nobili famiglie e dei personaggi illustri che

ne uscirono. Ricordo &li Spinelli che, oltre all aver dato un
santo alla Chiesa nel B. Agostino Novello degli Eremitani
di s. Agostino, ebbero uomini prestantissimi che propaga-
ronsi con distinte parentele a Napoli, a Firenze; a Bologna,
a Bergamo, a Cremona ed altrove; i Ridolfi col loro vescovo
Cipriano nel 1492, Rodolfo, ascritto alla nobiltà romana nel
1551, Antonio protonotario apostolico a Bologna nel 1664,
ecc.; i Corrado, i Sinibaldi, i Pancrazi coi loro capitani, i
Benedetti coi loro dignitari ecclesiastici, primo tra i quali
Pietro Carlo vescovo di Spoleto nel 1838; eppoi gli Armandi,-
i Galloppi, i Paluzzi, i Roberti, gli Alemanni, i Sabuzi ed
altri.

A tutte queste però precede la gente Ranuzia. Cito
esempi. Da Ranuzio del 1171 discendono Giacomo cav. di
Calatrava nel 1186, Ranuzio cav. Gerosolimitano nel 1236,
Jago capitano d’ Orvieto nel 1320, Paolo capitaneus stipen-
diariorum S. HR. E. nel 1397, Giacomo cancelliere del car-

^ (1) Mss. Arch. Vaticano, A. V. 35. To. 18, p. 129. Vi si legge: An. 1109, 1 Sept.,
Paschalis II P. P. degens apud Castellum. Taranum.
TARANO IN SABINA ED I SUOI PODESTÀ 391

dinal Frischi e del Concilio bolognese nel 1552, Paolo vice-
legato di Romagna e successivamente Governatore di Fermo,
poi di Marittima e Campagna, Governatore di Orvieto, Le-
gato delle Marche e Prefetto d' Ancona, dove mori nel 1562;
Giulio Governatore di Todi e Ranuzio Governatore di Assisi
nel 1554, e di Fermo nel 1556; Flaminio che nel 1573 sposò
Lugistilla figlia del Principe Fabio di Santacroce. Sono ra-

mi di questa famiglia i Ranuzzi di Città di Castello, di Fi-

renze e di Bologna dove diedero Senatori alla loro città,
vescovi e cardinali alla Chiesa, e furono insigniti in perpetuo
del titolo di conti della Porretta da Sisto IV nel 1471.

Tarano ebbe il suo proprio Statuto che trovasi ora nella
biblioteca del Senato del Regno. Il suo archivio notarile, pre-
gevolissimo, riassume la storia paesana dal 1466 al 1822 per
una serie non interrotta di 41 notai.

Ammirevole il campanile della chiesa parrocchiale, opera
dei primordi del sec. XII. .

Questi brevi cenni su Tarano ho tratto da documenti
autentici de' suoi archivi e dalle innumerevoli memorie che,
pubblicate, gioverebbero ad illustrare un paese oggi scono-
sciuto, ma che un tempo tenne un posto importante nella
regione Sabina.

Tarano, maggio 1897.

GIUSEPPE AMORI.

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G. AMORI

SERIE CRONOLOGICA

dei Podestà di Tarano

Giacomo di Rieti.

Gio: Felice Morichelli di Spello.
Adriano Ciotti da Forano (1).
Silvio di Roma.

Pietro Filotterio di Offida.
Silvestro Rocchetta di s. Polo,
attuale frazione di Tarano.
Terenzio Ugolini di Sassofer-
rato.

Girolamo Lupi di Roma.
Teofrasto Bontadosi.

Luca Luchini di Fivisano.
Cesare Tiberi di Velletri.
Alessandro Benedetti di Offida.
Felice Saraceni di Ponzano.
Francesco Antici di Monte Ot-
tone.

Orazio Falcidi di s. Polo.
Marcello Peperoni di Civita-
castellana.

Fabio Palma di Città di Ca-
stello.

Angelo Savelli di Acuto.
Bartolomeo Celonio di Alatri.
Salomone Cibagli di Alatri.
Prospero Guagni di Alatri.
Marco Paluzzi di Accumoli.
Pietro Paolo Vanni.
Domenico Maiali.

1600 Gio: Antonio De Prosperi.

1602
1602
1602

1602

1606
1607
1607
1610

1611
1612
1613
1615

1615

1616
1618
1619

1620
1620
1621
1621
1621
1621
1622

Adriano Lattanzi di Torrita.
Mario Scorpioni di Roma.
Alessandro Martiniani di Ta-
rano.

Giulio conte Colucci di Ma-
gliano di Fermo.

Alessandro Totti di Cerreto (?).
Geminiano Ricci.

Ettore Castelli di Terni.
Domenico Ventura di Stron-
cone.

Ettore Catina di Piperno.
Fulvio Perini.

Barnaba Martorelli.

Gio: Domenico Panvino di Ole-
vano.

Paolo Juvencio di Monte Fla-
vio.

Alessandro Monti di Spoleto.
Giulio Galganetti.

Marco Tullio Vitelluzzi di Fu-
mone.

Gabriele Salvi.

Galluzzi di Tarano.

Ettore Pontani di Cerreto (?).
Domenico Prosperi.

Luca Santoli di Miranda.
Orazio De Angelis di Ferentino.
Paolo D'Arcangelis di Poggio
Catino.

(1) I primi tre della serie sederono a nome dei Savelli : i seguenti per la S. Sede.

————
v W

an. b 3 da » È
TARANO IN SABINA ED I SUOI PODESTÀ |, * 323
1623 Onorato Riali. ‘1646 Lorenzo Aloisi di Collevecchio.
1623 Nicola Desanetis di Montasola. 1646 Girolamo Caro di Cesi, domi-
1623 Gio. Battista di Colangeli di ciliato a Vacone. i
. A Collevecchio. 1647 Vacone Vaconi di Vacone.
1624 Felice Ricci di Roma. 1647 Girolamo Campoli di Vacone.
. 1624 Alberto Danesi. 1649 Fabio Vaconi di Vacone
1625 Luca Pucci di Roma. 1649 Pompeo Casaroscia di Rimini. -
1627 Antonio Fanilo. 1650 Agostino Varese di Sutri.
1627 Aurelio Fasioli. 1651 Camillo Milli di Bassanello. -
1628 Quinzio Giugni. 1652 Francesco Grossi di Poggio
1629 Ubaldo Ciarpelloni. S. Lorenzo (Farfa).
1631 Sebastiano Maronio di Roc- 1652 Eligio Cetri.
chette. 1653 Carissimo Carissimi di Colle- ^. -
1631 Giuseppe Glandarelli. vecchio.
I631 Francesco Bonafede. 1653 Bernardino Ciotti di Otricoli.
1632 Gio. Maria Simoneschi di Pog- 1657 Ottavio Angelici di Configni.
gio S. Lorenzo (Farfa). 1666 Orazio Bonaiuti.
1632 Astolfo Mezzi. 1668 Giovanni B. M.
16533 Belardino Mancini. 1671 Pancrazio Enei.
1633 Aristide Orlandi. 1613 Francesco Tinelli.
1653 Domenico Colangeli di Colle- 1673 Gio. Battista Parisi.
vecchio. 1674 Fortunato Cappiola - Malatesta
1634 Andrea Grifucci. di Rimini.
1634 Orazio Alfonsini di Giove (A- 1675 Teofilo Branca.
melia). 1676 Cesare Bonifaci.
1635 Fabio Vaconi di Vacone. 1677 Alberto Greci.
1635 Vacone Vaconi di Vacone. 1678 Vincenzo Grazia di Candia.
_ 1635 Felice Sebastiani di Tivoli. 1678 Gio. Cesare Potenzi di Fab-
1635 Egidio Desio. brica. ]
1636 Carlo M.* Bracci. 1680 Gio. Paolo Faventini.
1657 Pietro Mattia Martinelli di 1680 Antonio Somma.
Triponzio. 1680 Placido Gotti.
1637 Agostino Cecchini di Amelia. 1681 Biagio Francesco Piccini.
1638 Giovanni Mancinelli. 1682 Prospero Cesari di Collevec-
1639 Paradiso Paradisi di Civitaca- chio.
stellana. 1687 Francesco Felice Marchetti di
1641 Natale Crisostomi. Rieti.
1641 Eusebio Volpi di Cottanello. 1690 Stefano Nobili.
' 1641 Antonio Battistini. 1692 Marco Antonio Aloisi di Col-
1641 Domenico Alessi. leveechio. -
1642 Michelangelo Silvi. 1692 Donato Alberto Cimara.
1642 Carlo Tebaldeschi. 1697 Gio. Tommaso Consoli di Ro-
1642 Bartolomeo De Santi. : ma.
1642 Angelo Romani di Otricoli. 1698 Girolamo Rosselli.

1644 Placido nob. Ralli di Orte. 1698 Ludovico Luzzi.
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G.

1699 Stefano Grandarelli di Colle-

vecchio.

11700 Francesco Antonio Valvassori.

1703 Gio. Surchi di Ferrara.

1705 Nicola Barbi di Roma.

1706 Marco Gabrielli di s. Agata (?).

1706 Carlo Antonio Francesconi di
Roma.

1708 Filippo Palmieri di Collevec-
chio.

1710 Gio. Batt. Cordelli di Viterbo.

1710 Domenico Rena.

1713 Giuseppe Mannia.

1715 Girolamo Ferrante.

1717 Stefano Toschi.

1719 Lorenzo Feroci di Genazzano.

1723 Raimondo Spreca.

1726 Dom. Pio Cavallina di Bolo-
‘gna (1).

1727 Raffaele Antonio Canina.

1728 Giuseppe Antonio Battisti.

1728 Antonio Ridolfi di Tarano.

1728 Pietro Schiantarelli di Roma.

1732 Gio. Paolo Laperini di Roma.

1733 Bartolomeo Benedetti di Ta-
rano.

1733 Carlo Capaldi.

1733 Francesco Paganelli.

1736 Nicola De Stefano.

1740 Filippo Magalotti.

1740 Francesco M.* De Pazzis.

1740 Gaetano Gualaccini. -

1742 Bonifacio Luciani.

1743 Orazio Pierozzi di Camerino.

1751 Giuseppe Marcuzzi.

1751 Domenico Petrucci di Roc-
chette.

AMORI

1751 Domenico Moscatelli.

1751 Giuseppe Antonio Muccetti di
Ronciglione. Bis

1758 Francesco M.* Cippitelli.

1761 Didaco Carosi.

1761 Giuseppe Gentili.

1771 Giuseppe Mancini-Fidanza.

1763 Gaspare Petrarca.

1767 Simone Lalloni di Roma.

1762 Saverio Della Fazia.

1771 Giuseppe Sabuzi di Selci.

1772 Alessandro Sabuzi di Selei.

1785 Gio: Angelilli di Frosinone.

1785 Michele Gazoni.

1787 Bernardino Neroni di Asisi.

1787 Filippo di Carlo Mazzetti di
Sassoferrato.

1789 Erasmo Carissimi di Norcia.

1790 Francesco Brunelli di Rimini.

1791 Vincenzo Mazzoni di Viterbo.

1793 Lorenzo Pompeo Agostini di
Cartoceto.

1799 Ignazio Sinibaldi di Cottanello.

1801 Nicola Rubini di Cingoli.

1801 Gio. Batt. M.* Leonori di Pe-
saro.

1801 Pietro Benedetti di Tarano.

1803 Giuseppe Luigi Morelli.

1804 Filippo Marcucci di Montalto
(Sinigaglia).

1808 Stefano Sabuzi di Selci.

1809 Ottavio Ranuzzi di Tarano.

1810 Lorenzo Bartolini (2).

1815 Stefano Sabuzi (predetto).

1816 Vincenzo De Sanctis.

1817 Benedetto Ranuzzi di Tarano.

1817 Enrico Ludovisi di Tarano.

(1) 1726 e 1727 Canina e Cavallina nominati dal March. Luzio Savelli che ebbe
Tarano in feudo sua vita durante; dopo di essi T. tornò sotto il dominio della Chiesa.

(2) Era Maire nell’occupazione francese per Tarano e per Montebuono.



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LO SLATU-TO DL FO DI

Del 1279

1. —- Lo statuto di Todi del 1275, edito di questi giorni, è

uno degl importanti documenti statutari del secolo XIII, e

gli studiosi debbono saper grado al prof. Getulio Ceci e al
dott. Giulio Pensi della diligenza, che hanno posto nel decifrare
il prezioso manoscritto e curarne la stampa (1). I compila-
tori egregi non credettero di far precedere il testo da un'am-
pia introduzione storica, e di accompagnare ai capitoli dello

‘statuto tudertino opportuni raffronti colle disposizioni statu-

tarie di altri Comuni. Il Ceci però nell intrapresa storia di
Todi nel medio evo si propone di intrattenersi . più di propo-
sito sul valore del documento ora pubblicato. Pertanto, al-
l'odierna edizione va innanzi una lettera dell illustre Fran-
cesco Schupfer al Pensi, nella quale si accenna brevemente
ad alcuni tratti originali di quella raccolta. Quindi vi si
legge un’ accurata descrizione del manoscritto e un somma-
rio, assai comodo, delle disposizioni contenute nello statuto
secondo le materie giuridiche cui si riferiscono. Il libro si
chiude con un glossario, molto incompleto, per la spiegazione
delle voci dialettali o di corrotta latinità usate nel testo.
Lo statuto di Todi, se non abbonda di norme giuridiche
relative all’ ordine interno, presenta molti lati ca 'atteristici

(1) Statuto di Todi del 1275 con lettera del prof. Francesco Schupfer. — Todi,,
Tip. Trombetti, 1897.
396 -— O. SCALVANTI

degni di nota. La distribuzione delle materie non è fatta
ordinatamente, giacchè all’ infuori di pochi capitoli che trat-
tano di seguito dello stesso argomento, in genere le dispo-
sizioni di gius punitivo si alternano con quelle civili o di
pubblico ordinamento o con le norme procedurali, e va di-
cendo. Il quale difetto è comune a presso che tutti gli sta-
tuti del secolo XIII. La forma é chiara e di solito assai con-
cisa, fatta eccezione da alcune prolissità che si incontrano
nelle formule del giuramento da prestarsi o dal podestà (I, 1)
o dai cives et comitatenses o dagl iudices maleficiorum et alia-
rum curiarum (I, 3). La divisione è fatta in due parti, cia-
scuna suddivisa in capitoli.

A me pare intanto che per lo statuto di Todi debba ripe-
‘tersi quello che fu già scritto per lo statuto perugino, tutt'ora
inedito, del 1219 ; e cioè che non fu la prima collezione scritta
di leggi comunali in Todi. I primi tentativi di brevi statuti
speciali appartengono al principio del secolo XIII e alla se-
conda metà del XII; e così avvenne a Milano, ove la stessa
raccolta delle Consuetudini del 1215 non è evidentemente il
primo getto di quella legislazione comunale (1). Ma rispetto a
Todi ricorrono altre considerazioni. Lo statuto del 1275 è
detto con molta esattezza — Constitutum — (2), perchè, al pari
di quello pisano, è compluribus statutum (3). Ma al tempo, in cui
esso fu promulgato, esisteva una raccolta di norme giuridiche
pur chiamata — Constitutum o Constatutum —. « Nos, cosi
giuravano i magistrati di tutte le curie, iudex maioris curie
et aliarum curiarum et maleficiorum iuramus ad sancta Dei
evangelia officium iudicatus bona fide sine fraude facere, et

(1) Vedi i! nostro lavoro: La tradizione romana nelle consuetudini medio»
evali, S.2. — Perugia, 1807. ;

(2) « Hoc est constitutum comunis tuderti. In nomine D..... et ad honorem et
salutem totius comunis civitatis et districtus et omnium societatum, que nominabun-
tur in hoc Constitutum » (Proemio).

(3). Vedi Proemio del Cost. pisano 1161.
inni

LO STATUTO DI TODI : 321

adimplere sine fraude, secundum constitutum et eius capi-

tula. et secundum constatutum, ubi statutum non loquitur » (1).

Qui si distingue lo statutum dal constitutum, il quale doveva

essere una precedente collezione da intendersi abrogata in
tutte quelle parti, che erano state trattate dalla nuova legge.
Un altro riscontro si trova nella formula del giuramento —

- civium et comitatensium — ove è detto, che « si extiterit
aliquod capitulum constituti comunis tuderti quod pertineat
ad meam artem, istud observabo » (I, 2. Ognuno sa che

extare significa, per lo più, sopravanzare, soprastare, sussistere;
e quindi il testo deve potere riferirsi a disposizioni anteriori,
che sussistevano, ossia erano in vigore al tempo della. pro-
mulgazione del nuovo statuto. E tanto più è da abbracciare
questa opinione, quando si pensi che lo statuto del 1275
non conteneva nessuna disposizione circa le arti (se ne ec-
cettui quella della mercanzia); e se puó spiegarsi fino ad
un certo segno questo silenzio del legislatore per le ragioni
che diró in appresso, certo un governo che si fondava sulle
corporazioni, non poteva assolutamente tacerne; e convien
credere che certe norme regolatrici della comunale società

fossero scritte in precedenti carte statutarie (2).

2. — Parmi poi degno di osservazione il fatto, che men-
tre al cap. 60 del lib. I si dichiarano inappellabili le sen-
tenze prese dai sindacatori dei pubblici ufficiali, e si vuole
che per « hoc capitulum renuntietur appellationi », nel

(1) I, 9. — Nel giuramento del Podestà (I, 1) non.si trova ricordato questo Coz-
stitutum come distinto dallo statuto: « Ego potestas iuro ad Sancta Dei Evangelia quod
per annum futurum regam, conducam et salvabo .... civitatem, ecc., bona fide sine
fraude omni malo suffismate remoto, salvis huius constituti capitulis scriptis, et ob-
servabo et observari faciam ab omnibus hominibus. dicte civitatis hoc constitutum et
omnia et singula eius capitula infrascripta, ecc, ». : 2

(2) E non si può interpretare quella frase « ev are aliquod capitulum » come
riferentesi agli statuti particolari delle arti, prima perché il testo é chiaro, e parla
di qualche capitolo « constituti comunis Tuderti, quod pertineat ad artem meam »
e poi perché, secondo il mio avviso, nel 1275 e tanto più in epoca antecedente, in
"Todi le corporazioni non erano molto fiorenti. -

eod o epu

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" pre te MESTRE m m

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x
cx.
328 O. SCALVANTI

cap. 11 si pone tra le attribuzioni dell iudex maior quella
di pronunziarsi de causis syndicatus officialium preteritorum
et de petitione emendationis faciende. Ora, unà delle due: o
l'ufficiale sindacato poteva, prima che i suoi sindacatori
avessero pronunziato la sentenza, fare petizione di emenda
al giudice maggiore, mentre quando la sentenza era lata
nessun rimedio poteva proporsi contro la medesima; oppure
qui siamo in presenza di due disposizioni contraddittorie.
Ma è egli possibile che si desse ai funzionari sindacati. la
facoltà di interrompere il giudizio dei sindacatori per chie-
dere l'emenda all iudex maior? Parmi di no, perché non so
vedere di qual gravame geli ufficiali soggetti al sindacato
potessero chiedere riparazione, prima che la sentenza fosse
pronunziata. E allora convien ritenere che per uno statuto
precedente, da cui fu riportata la disposizione del capo 11,
(comé.avveniva spesso nelle riforme statutarie). si desse
appello contro le sentenze dei sindacatori, ma che, per ra-
gioni non difficili a comprendersi, nella riformagione del
1275 quel beneficio venisse tolto. E in quest'avviso mi' con-
forta il testo 60 del lib. I, ove é detto, che « si esset
sententia lata super causam syndicatus non possit appellari,
sed per Aoc capitulum renuntietur appellationi ». Né si dic:
che il capitolo 60 derogava alla rubrica 11, pure allora
inserita nello statuto, perché mentre è probabile vi fosse
trascritta da un precedente statuto, non è verisimile vi si
introducesse per la prima volta nel 1275 proprio quando
le si voleva togliere ogni efficacia.

E poi non daremo noi peso anche al fatto, che nello
statuto non si parla mai di consuetudini? Se quel corpo di
leggi fosse il primo getto del codice comunale di Todi, e
vi si trovassero raccolte le consuetudini della ragione romana
conservata per tradizione e i nuovi usi richiesti dalla par-
ticolare natura dei Comuni, come eli statutari non ne avreb-
bero fatto cenno nell’opera loro? È ben vero che eli statuti
vennero generalmente compilati nei secoli XII e XIII per

ome Lat

E e —
NIIS

LO STATUTO DI TODI

togliere il diritto alla confusione, in cui lo aveva travolto
limpero della consuetudine nei tempi feudali; ma appunto
per questo nelle carte statutarie le consuetudini sono spesso
ricordate, e per lo più non interamente abolite. IL silenzio,

che serba su ciò lo statuto todino, dimostra che l'opera di
| raccogliere in scritto le veteres et observatae consuetudines si
‘era compiuta da un pezzo, e che quel documento non è

che una riformagione di un costituto più antico, che in al

‘cune materie poteva aver sempre vigore. Inoltre basta

aprire uno statuto per trovarvi i caratteri di una legge, che
doveva aver vigore per uno spazio di tempo assai breve;
imperocchè molte disposizioni vi si incontrino di una indole
tutta personale e concernenti affari speciali, che col decor-
rere di un anno si sarebbero condotti a termine. Un argo-
mento contrario alla opinione che io sostengo potrebbe essere
il seguente. A proposito degli istrumenti notarili recanti il
precetto della guarentigia, di cui parlerò a suo luogo, lo sta-
tuto dice, che contro il precetto stesso e contro la sua ese-
cuzione nulla può eccepirsi, e che « ipsum preceptum
guarentigie habeat firmitatem, nom obstante non reperiatur
statutum, factum tempore ipsius contractus ». Di fronte a
questo testo si. potrebbe argomentare, che se. gli statutari
vogliono dare efficacia piena anche ai precetti di garanzia
contenuti in contratti stipulati al tempo, in cui non reperza-
tur statutum, ciò significa che poco prima della carta statu-
taria del 1275 non esisteva in Todi uno statuto vero e
proprio, perchè non è presumibile che un contratto. fosse
sempre operativo di effetti dopo un lunghissimo periodo di
tempo.

Ma l’obbietto non sarebbe sostenibile, perchè a me pare
che il legislatore in questo capitolo abbia voluto dire, che
il precetto della garanzia doveva avere firmitatem secondo
la nuova legge, ancorchè l'atto fosse stato posto in essere
sotto l'impero di uno statuto, che non conteneva. dixposi-
zioni consimili intorno al preceptum. E infatti, se lo statuto
330 O. SCALVANTI

del 1275 era il primo, a che gli statutari avrebbero usato
la espressione « non obstante non reperiatur statutum fac-
tum tempore ipsius contractus » ? Bastava che essi, accor-
dando retroattività alla legge nuova, avessero dichiarato,
che la medesima si applicava a tutti i contratti contenenti
il precetto della guarentigia, ancorché anteriori alla data e
promulgazione dello statuto. La frase « non obstante non
reperiatur statutum » non significa dunque inesistenza dello
statuto, ma mancanza di disposizioni analoghe nella. legge
anteriore (1).

LI

3. — Esaminato poi lo statuto di Todi nel suo insieme, è
facile notare come vi aleggi uno spirito di libertà e di sag-
gezza, che sebbene comune a presso che tutti gli statuti
italici, pure in qualche parte è degno di speciale conside-
razione. Nella città di Todi si mantenne per assai tempo
fiorentissima la parte imperiale, e. nello scorcio del secolo

(1) Del resto gli statuti di regola non avevano vigore che per l'anno del conso-
lato o della podesteria, al termine del quale potevano esservi aggiunti altri capi-
toli. In quello di Todi si legge infatti: « Et observabo, così giura il podestà, et
observari faciam ab omnibus hominibus dicte Civitatis hoc constitutum, et omnia et
singula eius capitula infrascripta ab omnibus hominibus eius districtus, et pro hac
potestarmia habenda » (I, 1). Ciò risponde alla notizia che abbiamo circa la nomina an-
nuale degli statutari, carica permanente in Todi come in altri Comuni d'Italia.
Sembra quindi che si adoperasse nei Co.uuni medioevali presso a poco quello che
era adoprato in Roma al tempo degli editti pretorii; e chi sa che i primi statuti non
fossero veramente editti promulgati dai consoli o dai podestà all’ inizio del loro uffi-
cio, e che le disposizioni lungamente ripetute non assumessero il carattere di diritto
consuetudinario, com'era a Roma? Intanto un esempio di Edictum tralatitium si ha
nello statuto del 1275, e precisamente nel cap. 35 del lib. T. Parlandosi di certe norme
relative al pagamento dei debiti ai guelfi si dispone nel seguente modo : « Quod capi-
tulum potestates teneantur facere poni de statuto in statuto quo usque de dictis de-
bitis fuerit eisdem integre satisfactum ». Da che si ha la prova, che il podestà aveva
larga influenza nella stessa legislazione, e che lo statuto andavasi rinnovando ogni
anno per modo che, quando si volle che una disposizione passasse da uno statuto
all'altro, i legislatori lo avvertirono. La stessa espressione — de statuto in statutum —
si trova nella Rub. 37 dello statuto inedito di Perugia del 1279 relativamente a certi
obblighi imposti a quei di Fabriano, e nellà Rub. 52 a proposito del bando dato ai Mon-
temelini. (Vedi lo studio di prossima pubblicazione del dott. Francesco Briganti, dal
titolo — Comuni minori e città dominanti nel Evo Medio — Loescher, 1897). Per
quanto concerne la revisione annuale degli statuti, vedi statuto di Bologna 1250 e le
riforme dal 1253 al 1207; statuto di Parma e Padova, quello di Modena (1237) e la ri-
forma del 1328, e lo statuto. di Ferrara (1207).

SET iu ud

lai
4

LO STATUTO DI TODI , 331

XIII fiere erano state le contese fra guelfi e ghibellini, i
primi dei quali, avuta la peggio, dovettero esulare. Nello
statuto si parla infatti della pace intervenuta « per d. hu- .
golinum gerardi, syndicum tune partis extrinsecorum gelfo-
rum, et d. Oddonem de Aquasparta syndicum comunis et
partis tunc intrinsecorum gibellinorum » (1).

Questa tendenza a parteggiare per l'impero potrebbe
essere allegata a dimostrare il laico governo di Todi e la in-
dipendenza, che esso conservò di fronte alla Curia Romana,
ma, a dir vero, non è sempre la qualità della prevalente
parte politica che determina cotesto indirizzo nello spirito
pubblico e negli ordinamenti comunali, giacchè troviamo
che simili caratteri furono propri anco di città guelfe, come,
ad esempio, Perugia. Il fatto è che a Todi si difendevano
con fierezza i diritti della giurisdizione cittadina dalle pre-
tese dell’ autorità ecclesiastica. Infatti è sancito che i capi-
toli statutari debbono applicarsi tra i cittadini di Todi e del
contado /agcos tantum, e di più « in causis religiosorum in
quibus ipsi aguntur et reconveniuntur » (I, 67). Non v ha dub-
bio che Todi cercasse di mantenersi in rapporti di cordialità
cogli ordini monastici (2), ma al tempo stesso volle esclu-
derne alcuni dai pubblici uffici (3). E poichè la scomunica
a quei di era fatto gravissimo, noi vediamo, che lo statuto
prendeva cura di ció, e dava obbligo al podestà e al suo
consiglio di prestare, a spese del pubblico erario, il suo aiuto
pro posse a favore della persona, che « inciderit in aliquam

(1) Stat., lib. I, cap. 33, pag. 30.
(2) « Item statuimus quod potestas teneatur ponere in consilio de provisione fa-

' cienda fratribus minoribus, predicatoribus et aliis fratribus et religiosis et hospitalibus,

et id quod consilium duxerit statuendum, id potestas executioni mandare teneatur,
quod consilium potestas facere teneatur ad petitionem ipsorum fratrum seu religio-
sorum » (II. 82). i

(3) « De continentis non aligantur in aliquo officio. — Item statuimus et ordina-
mus quod nullus de ordine continentium eligatur in aliquo officio comunis tuderti
per aliquam personam, et si eligeretur quod non cogatur ad illud officium, in quo
electus fuerit, ipsum officium recipiendum » (I, 39).
9 O. SCALVANTI

‘ excommunicationem occasione comunis » all effetto di li-

berarnela (I, 54). Anche le pene contro gli eretici, se non
danno segno di mitezza, non propria di quell età, fanno

“conoscere la prudenza del legislatore nel tener fermo sugli

attributi del potere civile. Innanzi tutto se si trova fra i
cittadini qualcuno che abbia abbracciato ‘un’ eresia, « pote-
stas et tota sua familia et curia teneantur invenire eum, et
monere ipsum, ut ad fidem catholicam revertatur ». E se
egli persiste nell'errore, i suoi beni debbono essere confi-
scati a favore del Comune, ed egli è punito in persona ar-
bitrio potestatis. La qual cosa, mentre puó a taluno sembrare
eccessiva, essendo quasi sempre l'arbitrio fonte di ingiu-
stizie e di atrocità, nel caso nostro costituiva invece una
misura indirizzata ad impedire che le pene fossero ecces-
sive. Certo in materia di eresia non poteva non farsi luogo
al giudizio . dell’ecclesiastica autorità, ma l'intervento del
vescovo, dei frati minori e dei predicatori era richiesto solo
per aiutare il podestà nella ricerca dei colpevoli. Il supremo
magistrato del Comune presiedeva questo collegio di eccle-
siastici, perché il testo dice: « Potestas una cum domino
episcopo, ecc., inquirere et invenire hunc feneatur, ecc. ». Dun-

que gli atti di inquisizione si svolgevano, presente il podestà,

e ció doveva guarentire i cittadini che il fanatismo non
avrebbe prevalso alla ragione e lamor di casta alla giu-
stizia. La sentenza poi spettava al solo podestà (1).

È impossibile non rilevare l importanza di questo testo
del costituto todino. La Repubblica Veneta, che in materia di
giurisdizione fra Stato e Chiesa puó essere citata a modello,
agitò per lungo tempo la disputa circa l'intervento dei suoi ma-
gistrati nei processi di eresia. Furono tra la. Sedia Apostolica
ela Repubblica più concordati, ed il più antico è del 1289; ma,

sebbene la Repubblica non accettasse il principio che nel 1551

Te: ii RETE PER
"ove



LO STATUTO DI TODI È i 333

voleva stabilire Giulio III, e cioè che 1’ assistenza dei giudici
secolari fosse cifra cognitionem et sententiam (1), pure si ap-
pagó di un sistema, che presentava minori garanzie di quello
introdotto nell'umile città di Todi ed altri Comuni italici. Consi-
derando che il delitto di eresia é misto, perché corrompe la
vera dottrina cristiana e perché turba la quiete pubbliea, si
volle un tribunale misto, in cui peró il giudizio spettava agli ec-
clesiastici, e ai secolari si attribuiva solo il diritto di assistervi.
La quale assistenza doveva essere ammessa anche nelle cause,
in cui si trattava dell' eresia di un sacerdote, e doveva aver
luogo non pure nel giudizio, ma anco nella formazione del
processo, sia che la denunzia venisse da autorità risiedenti
nel territorio della Repubblica, sia che fosse trasmessa dalla
Curia Romana. Il funzionario dello Stato presenziava dunque
eli atti di inquisizione e il giudizio, per verificare che tutto
procedesse regolarmente, e, per dirla con Paolo Sarpi (2), al-
l’effetto di proteggere il suddito, se fosse oppresso dagli eccle-
siastici. Questo, in brevi parole, il fondamento della legisla-
zione veneta, la quale pur nondimeno lasciava al tribunale
ecclesiastico la facoltà di pronunziare la sentenza, e solo si
assicurava circa il modo, con cui era condotta la proce-
dura e applicata la legge. Ma anco ammesso il diritto di
veto, che l'assistente poteva opporre alla sentenza, pare
egli che questa serie di guarentigie agguagli il sistema in-
trodotto in molti Comuni d'Italia, cosi diverso da quello
che si praticava a Venezia? A Todi si pensó che nelle tem-
porali pene dovesse incorrere il cittadino eretico pel disor-

(1) Questa ingiunzione venne fatta dal pontefice Giulio III alla Veneta Repubblica
per mezzo di mons. Achille Grassi nel 1551, ma non fu subita, e la Repubblica volle,
clie i Rettori suoi prendessero parte almeno alla cognizione e inquisizione dei reati. Gli
atti della Repubblica Veneta relativi a questa materia sono le deliberazioni del Consi-
glio dei X del 20 novembre 1548, del 26 settembre 1551, del 9 giugno 1574, e le delibe-
razioni del Senato del 5 settembre 1609 e 1612. Vedi poi le proposte per un nuovo e
completo concordato, dettate da Paolo Sarpi nel Discorso delle origini, forma, leggi ed
uso dell’Inquisizione in Venezia. — Venezia, 1639, pag. 14-38.

(2) SARPI, op. cit.
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334 O. SCALVANTI

dine che gettava nel consorzio civile e per l'offesa alla re-
ligione, considerata come istituzione della società, avente
diritto alla protezione dello Stato, e perció era il magistrato
civile che doveva emettere la sentenza. Solo a ricercare il

colpevole e a concludere sulla esistenza o no del reato,

l autorità secolare chiedeva il concorso di quella ecclesia-
stica. Avuto riguardo alle condizioni dei tempi, il reato di

'eresia, che era in Venezia giudicato di natura mista, e cioé

religioso e politico, con prevalenza del primo carattere sul

secondo, a Todi era tenuto in conto di reato più politico che
- religioso. :

E questa tendenza a mantenere integre le facoltà del
potere civile di fronte alla Chiesa, si rivela ancora nella
scarsa partecipazione, che in altre pubbliche faccende si
faceva agli ecclesiastici, sebbene fossero proprie del mae-
strato sacro. Ad es. negli ospedali, ed anco nei /oca religiosa,
ove si esercitavano funzioni di carità pubblica, era massimo
l| ingerimento del podestà e dei giudici, sia per la conser-
vazione dei beni, sia per la loro amministrazione, sia per
la condotta degli oblati e dei familiares, che avevano in
custodia quelle istituzioni di beneficenza (1). Il vescovo poi
non trovasi ricordato, come vedemmo piü sopra, che quale
membro della commissione inquirente per gli eretici, e nel
caso della pace fatta fra guelfi e ghibellini. Era utile a
quei di Todi, che fossero sedate le discordie tra le due fa-

zioni, ma prevalendo nella città il partito imperiale, non si

poteva aver favorevoli i guelfi se non si allontanava il so-
spetto di sorprese e inganni, mediante l'intervento di un
personaggio benviso al papa, ossia il vescovo. Quindi sta-
bilitosi che il podestà si eleggesse per fot electores ec una
parte quot ex alia (guelfi e ghibellini), bisognava provvedere
al caso, che essi non si accordassero nella scelta; e fu de-

(1) Stat., lib. I, 108,

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LO STATUTO DI TODI 395

liberato, che all'adunanza intervenisse il vescovo, e che in
caso di disparere, l'elezione. cadesse wbi ipse d. episcopus
suum animum. inclinabit (1). Egualmente era opportuno affi-
dare al vescovo l’arbitraggio per la remissione delle ingiu-
rie e il rifacimento dei danni tra le parti contendenti (2).
Pure nelle trattative della pace e nella sistemazione de’ vari
interessi patrimoniali fra le due fazioni l'ingerenza vera-
mente decisiva spettó ai sindaci speciali, al consiglio gene-
rale ed al podestà (3).

Una misura poi che rivela l’amore della giustizia e il
desiderio che la lettera della legge fosse nota a qualsiasi
cittadino, è quella contenuta nel cap. 54 del lib. I, in virtù
della quale chiunque poteva procurarsi copia dello sta-
tuto (4).

Fatte queste brevi considerazioni generali sullo statuto
tudertino, stimo opportuno rilevare partitamente qualche spe-
ciale disposizione concernente:

I. l’ordinamento del Comune ;
II. gU istituti giuridici ;
III. /a pubblica amministrazione interna.

I. — Ordinamento del Comune.

4. — In Todi noi troviamo uno degli esempi tipici del
vero governo del podestà. Già siamo alla seconda metà del
secolo XIII, e quest'ufficio, che altrove ha già un emulo e
spesso un avversario nel capitano del popolo, a Todi si con-

(1) Stat., I, 33.

(2) Cap. eod. « Item quod omnes remissiones iniurarum et omnes dampnorum
dationes hinc inde fiant secundum voluntatem d. episcopi tuderti ».

(3) Stat., lib. I, 34. :

(4) «Item statuimus quod potestas tenetur... precise facere exemplari statutum
tuderti de bona litera et legibili, per notarium, qui sciat bene Scribere, infra unum
mensem post initium sui regiminis, et, ipso facto, faciat illud poni in palatio co-
munis infra unum mensem... ubi stare consuevit legatum cum catena, ita quod
quilibet possit habere copiam ».

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336 E O. SCALVANTI

serva nella più rigida integrità. La pace del Comune, los-
servanza delle leggi, V amministrazione della giustizia, i
provvedimenti per la prosperità e ineremento del popolo
fanno capo a lui. Egli ha il diritto di banno (KK=30); e non
v'è atto della civile amministrazione a cui la sua autorità
debba rimanere estranea. Deve essere forestiero e recarsi
nella città accompagnato dalla familia de’ suoi ufficiali, tra
cui tre giudici che da lui dipendono. Or, mentre in altre
città dell Umbria, come, ad es., Orvieto, l'autorità del pote-
stas andò tramontando non appena fu introdotto il capitano
del popolo (1), a Todi non si ha notizia di questa magistra-
tura, e l’ufficio del podestà è sempre il perno dell’azione
politica e amministrativa del Comune. Certo anche in Todi
è un consiglio generale o maggiore, che nel 1256 vien com-
posto di 300 persone, cioè 50 per ognuno dei 6 rioni della
città; e un consiglio ristretto o di credenza, che nel 1337
contava 60 cittadini scelti nella maggiore assemblea; ed è
il podestà che deve convocarlo entro un mese dall’assunto
regime (2). È certo del pari che il podestà nessuna conces-
sione poteva fare a cittadini o a comitatini senza l'approva-
zione del consiglio generale (3); ma tuttavia puó dirsi che
il governo del Comune fosse nelle mani di quel magistrato.
A me pare che questo fatto trovi la sua spiegazione nel
poco incremento che ebbero in Todi le corporazioni delle
arti, di cui si trova fatta menzione in un solo capitolo dello
statuto. Da esso apparisce che i cittadini appartenevano
alle arti, ma mi sembra che esse non raggiungessero il grado
di sviluppo toccato altrove, e perciò non favorissero la se-
parazione del Comune del popolo da quello del podestà (4).

(1) Vedi Carta’ del popolo in Codice dipl. di Orvieto di L. Fumi; e Pardi nella
Serie dei supremi magistrati e reggitori di Orvieto. 1895.

(2) CECI e PENSI — Statuto di Todi del 1275. — Introd., pag. XXI.

(3) Stat., II. 19.

(4) Stat., I, 2 — De iuramento civium et comitatensium — « Tale iuramentum
faciat fieri potestas ... civibus et comitatensibus Tuderti. Ego qui iuro ad Sancta Dei
LO STATUTO DI TODI : 337

L'arte della mercanzia aveva acquistato, come vedremo
meglio a suo luogo, una certa importanza; e di vero si trova
che i consoli di quest'arte, oltre ad avere alcuni uffici am-
ministrativi, esercitavano anco una estesa giurisdizione (1);
ma le altre arti non erano nel secolo XIII pervenute a tale
potenza da dar luogo alla formazione di un governo pretta-
mente democratico con propria rappresentanza, la quale
avrebbe con tutta probabilità, anche in Todi, conteso per
lustro e potere coll’ufficio di podesteria.

5. — Dopo il podestà si trovano gli 2ud?ces, gli arbitri, i ca-
merari, i baiuli, il sindaco, i sindacatori, i notari, ecc. I g2u-
dici, oltre amministrare la giustizia, formano il consiglio or-
dinario del podestà. I camerari, eletti dal consiglio generale
(e ad imitazione di altri Comuni scelti fra i religiosi dell'ordine
francescano) sono i gestori della pecunia pubblica, e il loro
ufficio è sapientemente ordinato (2); i sindaci sono cittadini
designati a un particolare ufficio, e cessano dalla carica non
appena hanno adempiuto al mandato. Di questi sindaci, in
tal qualità assunti al disbrigo di pubblici affari, é menzione
in molti altri statuti di Comuni italici, e nello statuto di Todi
se ne ha un saggio degno di nota nelle trattative della pace
fra guelfi e ghibellini, altrove ricordata, e che vennero affidate
appunto a dei sindaci (3). Questi ufficiali non si confondono
coi semplici ambasciatori, sono muniti di piü estese facoltà,
quella compresa di stipulare per atto pubblico le conven-
zioni relative all’ affare per cui vennero eletti. Dai sin-

Evangelia sequimentum potestatis et precepta ipsius et qui loco eius fuerit, et que
ipse per se vel alium nuntium mihi fecerit, observare et adimplere et facere sine
fraude pro honore et assaltamento et aumento et utilitate comunis tuderti, et ad uti-
litatem volentium ad servitium comunis tuderti permanere, pro ut melius congno-
vero, et credentiam tenebo quandocumque mihi imposita fuerit, et si extiterit aliquod
capitulum constituti comunis tuderti, quod pertineat ad artem meam, istud. obser-
vabo ».

(1) Stat., I, 92.

(2) Stat., II, 90.

(3) Stat., lib. I, 33 e 34, nel quale ultimo si tratta del sindaco « eligendo pro

debitis promittendibus hominibus partis gelfe ». Da
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338 i O. SCALVANTI

daci poi si vogliono distinguere i due sindacatori eletti én
consilio comunis, i quali debbono chiedere ragione al podestà,
alla sua familia e agli altri pubblici ufficiali del modo tenuto
nell'esercizio delle funzioni loro affidate. Notevole era l'auto-
rità dei sindacatori, perchè, mentre per altri statuti era lecito
appellare dalle loro sentenze al consiglio generale, a Todi,
lo abbiamo visto altrove, questo rimedio era tolto (1).

Grande importanza ebbe anche a Todi l'ordine dei notari,
in specie per ció che si riferiva alla loro qualità di funzio-
nari del Comune. Infatti essi dovevano, sotto la loro fede e
responsabilità, registrare in quaterno comunis tutti gli atti
giudiziari (2); e avevano facoltà, che in molti altri statuti
invano si cercherebbe, di sostituire i magistrati nell’ interro-
gatorio dei testimoni e di scrivere le loro deposizioni, pur
non potendo loro deferire il giuramento se non 2» presentia
iudicis (3). Ma lY ordine notarile era bene organizzato anche
nella parte relativa alla stipulazione degli atti tra privati; e
così vediamo stabilita con cura la giurisdizione dei motari,
provveduto alla conservazione dei protocolli de’ notari de-
funti (4) e ai modi per evitare incertezza e frode negli atti,
come, ad esempio, la chiara indicazione per extensum della
data, dell'anno e del giorno. Sul quale proposito osservo, che
gli statutari ebbero chiarissima idea del diritto formale, per-
ché se il notaro contravveniva a cotali disposizioni di forma,
il suo atto era viziato di nullità. Del resto, i rogiti nota-
rii di qualsivoglia natura fanno pienissima fede del loro
contenuto (I, 27); e il notaro non può consegnarli si él
quo rogatus est, a meno che non intervenga ordine di magi-
strato (nisi cohactus fuerit per curiam) (5).

(1) Stat., lib. T, 60. Vedi quanto dicemmo a proposito degli statuti anteriori al

nel S 2.

(2) Stat., lib. I, 7.

(3) Stat., lib. T, 8.

(4) Stat., lib. I, 24, 25
(5) Stat., lib. I, 28.


E E
LO STATUTO DI TODI 399
6. — Quanto all'amministrazione della giustizia, lo statuto

di Todi non offre caratteristiche molto degne di nota. Il po-
destà, nell'assumere il supremo potere, conduceva seco tre

giudici, l'éudex maior, l’iudex maleficiorum e l'iudex de caa-.

sis extraordinariis. Al giudice maggiore spettava di conoscere
delle controversie in materia civile, ma esercitava in pari
tempo uffici di volontaria giurisdizione, come provvedere di
tutori e curatori chi ne avesse d'uopo, e interporre la sua
autorità nelle vendite de' beni spettanti a minorenni e ad
orfani. Non era questa un'attribuzione speciale di lui, perché
potevano egualmente attendervi il giudice straordinario, il
giudice dei malefizi ed il podestà; e ciò, secondo il parer
mio, all’effetto di rendere assidua, vigilante e completa la
difesa organizzata a favore dei deboli contro i possibili abusi,
cui potevano soggiacere (I, 6).

Le cause, oltre distinguersi in ordinarie e straordinarie,
secondo ciò che si vede in presso che tutti gli statuti del-
l'epoca (1), si distinguevano in cause civili e penali con tri-
bunali separati. Le stesse cause civili poi non andavano tutte
dinanzi la medesima autorità giudicatrice, in quanto che
quelle aventi il merito di C sol. o meno erano giudicate da
due magistrati « qui debeant esse de civitate tuderti » (2);
mentre le cause al di sopra dei € sol. rientravano nella com-
petenza del giudice maioris curie, che era forestiero (3). Del
resto, l'ufficio di quest'iudex maior è importante non solo per
la sua illimitata giurisdizione nelle cause civili, ma anco per
l'’imperium di che era rivestito per mandare ad esecuzione
i giudicati emessi da altre autorità, ad esempio, dai consoli
della mercanzia, dai sindaci eletti super ncendiis et quastis,
dagli arbitri scelti dalle parti a dirimere una loro contro-
versia, o dalla curia ècclesiastica quando avesse invocato il

(1) Vedi per lo statuto di Todi il lib. I, 9, 10, 6 e 11.
(2) Stat., lib. I, 12.
(3) Ibid, capo 11.

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340. x -. O. SCALVANTI

braccio secolare, e va dicendo. Gli altri giudici avevano per
contro la sola facoltà di mandare ad esecuzione i propri
giudicati e quelli dei loro predecessori. Abbiamo detto che

vi era tra i magistrati il giudice straordinario; egli, oltre a
“dirimere certe controversie, che lo statuto appella extraor-

dinarias, come, per via di esempio, le cause de alimentis et

libertatibus prestandis, esercitava anche degli uffici ammini-.

strativi, quali la vigilanza de omnibus datis et collectis impo-
sitis, di cui doveva curare la esazione (1), el incarico di in-
vestigare, insieme ai consoli della mercanzia, la fedeltà ed
esattezza del peso, misura e marchio, che si usavano dai
mercatanti del Comune (2). Talvolta le cause finivano con
un atto di conciliazione o con un atto esecutivo senza sen-

‘ tenza, tal’altra con sentenza resa dal magistrato, e finalmente

potevano aver termine col lodo di arbitri. È cosa assai co-
mune negli statuti, che si cerchi in qualche modo di evitare
una vera e propria sentenza pur facendo ragione alla parte

attrice in giudizio. L'egregio Santini, nel pregievole studio

sull Azica- Costituzione del Comune di Firenze (3), intrattenen-
dosi sull’ ufficio giudiziario dei consoli, sempre assistiti da
uno o più giudici, con ingegnosi argomenti si è accinto a di-
mostrare, che l' investitura del banno non poteva essere
prerogativa dei consoli, in quanto non erano ufficiali dell’ im-
pero, e quindi era loro vietato di render sentenza; e che
al tempo stesso non piaceva ai consoli, che quest’ atto di
sovranità xXAenisse esercitato dagl'2udices, i quali, origina-
riamente investiti di quell’ autorità dagl imperatori, ora

erano divenuti ufficiali del Comune. Quindi, per non met-

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(1) Stat., lib. I, 11.

(2) « Item statuimus et ordinamus, quod iudex extraordinarius tuderti teneatur

duabus vicibus per annum requirere et videre, una cum consulibus mercatorum mer-
catantie, omnes marcos, passos, et libras, et stateras tnercatorum de tuderto, et scire
si dicta pondera et mensura sunt recte et precipere ipsis mercatoribus quod legaliter
ponderent et mensurent ad directum passum et ad directam mensuram » (I. 99).

(3) Arch. Stor. Ital., disp. 3a, 1895.

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cena: LO STATUTO DI TODI ; 341

-

tere in evidenza lo scarso potere dei consoli nell'amministra-
zione della giustizia, i tribunali fiorentini evitavano di ren-
dere vere e proprie sentenze, e o si otteneva dalle parti
che rimettessero la controversia ad un collegio di arbitri, o,
ante latam. sententiam, si procedeva all'immissione in pos-
sesso a beneficio dell'attore in causa. In tal modo i consoli
non compivano che un atto esecutorio, che il giudice colla
sua conferma rendeva pienamente valido. Il Santini appog- i
gia la sua soluzione al fatto, che, venendosi a sospendere
per avvenimenti politici la magistratura consolare, le curie
funzionavano avendo a capo il giudice ordinario, vicario im-
periale. Cessava allora la ragione del procedimento somma-
rio, e il giudice pronunciava la sentenza, assolvendo o con-
dannando. Ora quella pratica del procedimento sommario
e degli atti esecutorii, nella quale il Santini riconosce un
espediente giurisdizionale agli effetti che ho accennato, si
osserva quasi costantemente anche là dove non militavano
gli stessi motivi, che l'avrebbero fatta introdurre nei tribu-
nali di Firenze. A Todi evidentemente le Corti giudiziarie
erano presiedute dal podestà o dagl'zudéces, i quali emana-
rano vere e proprie sentenze ; e pur nonostante i magistrati,
- . oltre a favorire, come vedremo poi, la costituzione di arbi-
traggi, spesso ante latam. sententiam procedevano all'atto ese-
; cutorio della immissione in possesso. E non è a dire come
| lo statuto (I, 10) si diffonda nel determinare le conseguenze
È di tale provvedimento inteso a dirimere sommariamente liti,
Si in cui il reo convenuto rimaneva contumace (1). Era dun-

(1) « Verum si reus venerit, infra mensem, et satisdederit de iudicio sisti et iu-
dicato solvendo, et solverit viaticum ac exspensas, illa tenuta data restituatur reo:
cum fructibus inde perceptis a ‘creditore, et ille mensis computetur a die tenute date-
et scientie; tenuta vero data per contumaciam in reali petitione recuperari possit jnfra.
duos menses continuos post dationem tenute et scientie, et possit vendi tenuta, re-
quisito reo, si apparebit debitum testibus vel istrumento, vel confessione, et habita
licentia a iudice teneatur infra XV dies, postquam petitum fuerit, primo requisito reo, '
ut recolligat tenutam .... Et si contra contumacem tenuta data fuerit, vel possessio-
nem post extromissionem, eam recuperari non possit, nisi causa cognita et finita, et.
949 O. SCALVANTI

que un uso invalso presso i Comuni del medio evo all'effetto
di abbreviare i giudizi e non per dissimulare la mancanza
dell’imperium nei primi magistrati della città.

Come ho accennato più sopra, lo statuto favorisce la so-
luzione delle controversie per mezzo di giudizi arbitrali. E
ove la causa sia compromessa in due arbitri e questi non
si accordino sulla sua definizione, il podestà e il giudice
straordinario debbono costringerli a nominare un terzo ar-
bitro, e se nemmeno sulla scelta di lui concordano, esso
viene eletto da quei magistrati. Il lodo ha da essere secun-
dum tenorem compromissi, e gli si riconosce pieno vigore ed
autorità (1). Nè per ragione di merito, né per valore è limi-
tata la giurisdizione degli arbitri, la quale può spiegarsi su-
pra qualibet questione et questionibus omnibus (2).

-Ma ebbe Todi, come altri Comuni, il tribunale speciale
pei forensi? È noto che in molte città d’Italia questi tribunali
furono introdotti fra il secolo XII e il XIII; Pisa li ebbe
nel 1178; Genova tra il 1145 e il 1178 presieduti dai consoli
Hour (3); Lucca nel secolo XIII ne ebbe sette (4), e Fi-
renze li aveva già istituiti nel 1206 (5) A primo aspetto
sembrerebbe che anche in Todi vi fosse una curia forensium,
perchè si trovano qua e là menzionati nello statuto i consu
les castri vel ville comitatus tuderti, ed è evidente che eser-
citano attribuzioni giudiziarie. Ma se si osserva bene, è facile
scorgere che questi consules non costituiscono un vero e pro-

ipse index teneatur procedere in causis et diffinire eas ad petitionem illorum, contra

quos tenuta data [uerit secundum tenorem libelli in utroque casu » (Lib. I, 10).

(1) Stat., lib. I, 41. î

(2) Ib. lib. 1I, 73.

(3) LAsTIG — Entwickelungswye und Quellen des Handelsrechtj. — Stuttgart, 1877.

(4) BONGI — Invent. del R. Arch. di Stato, vol II — Lucca, 1886, pag. 203 e segg

(5) Ciò ha brillantemente dimostrato il Santini (op. cit.). Infatti in uno dei pre-
ziosi documenti da lui raccolti sull'antica costituzione del Comune di Firenze (vol. X,
doc. 1395 dell’ Arch. Stor. Ital.) accanto al nome dei magistrati si legge: « iudex or-
dinarius in Curia S. Martini pro Comuni ad causas forensium et appellationum ter-
minandas sedens ». Un altro atto fu compiuto in curia forensium S. Martini veteris
nel 1225.

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LO STATUTO DI TODI 343

prio tribunale pei forensi, come si introdusse in altre città,
e nemmeno possono paragonarsi ai due Zwdices cittadini, che
in Todi dirimevano le controversie aventi un merito di C sol.
o meno. I consules non son posti a decidere liti tra forensi,
ma conoscono delle cause fino al merito di sol. X tra gli
abitanti del contado. « Et consules cuiuslibet castri vel ville
comitatus tuderti possint definire et terminare omnes questio-
nes et causas usque ad X sol. » (II, 73). Rappresentavano dunque
un ufficio simile a quello degli odierni giudici conciliatori, al-
l'effetto che più prontamente e senza grave dispendio o disagio
potesse amministrarsi la giustizia nelle varie parti del territorio
comunale in cause di lieve entità. Vedremo poi come in Todi si
cercasse sempre di impedire, che per negozi civili i forensi ac-
quistassero diritto alla giurisdizione della città o meglio del
Comune. I consoli avevano pure altri uffici, come, ad esem-
pio, quello di prender parte all’ istruttoria per le cause di
danno dato. Si trova infatti, che « actor suam formet pe-
titionem. contra assingnatum (datorem dampni) et producat
testes quos homines loci, vel syndicus sive consul assingna-
verit ». La querela poi vien deferita al tribunale dei ma-
lefizi, da cui solo puó essere emanata la sentenza di assolu-
Zione o di condanna « et de hiis omnibus congnoscat iu-

dex maleficiorum » (I, 14).

1. — Fin qui della giurisdizione estesa a tutti i cittadini in

genere. Vi era poi una giurisdizione speciale pei mercanti, alla

quale accennai già parlando dell' udex maioris curie. Pertanto,
tutte le questioni fra i mercanti per qualsivoglia causa di
commercio, debbono essere conosciute e definite dai consoli
della mercanzia, ai quali ogni ascritto alle arti deve pre-
stare ossequio ed obbedienza. I consoli sono eletti dai mer-
canti stessi tra i membri del collegio della mercanzia (1). Se

(1) « Statuimus quod consules mercatorum possint congnoscere et diffinire omnes
questiones, que acciderent inter eos et causa omnis eorum mercationis, et iudex maior
teneatur executioni mandare id quod per ipsos consules fuerit preceptum et servatum
non obstante aliquo e:pitulo constituti, et potestas teneatur cogere omnes mercatores

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344 O. SCALVANTI

non che i consoli non hanno podestà di mandare ad esecu-
zione i loro giudicati, la qual cosa spetta all'iudeac maior.
Un altro esempio .di particolare giurisdizione parmi ri-
scontrarlo nei sex boni homines,.uno dei quali, per cura del
podestà, veniva eletto entro il primo mese del suo .regime
dal eonsiglio del Comune. Son note le sapienti ricerche che
gli studiosi di storia giuridica hanno intrapreso per giungere
alla dimostrazione, che i boni homines nei Comuni medioevali
furono i rappresentanti del primitivo ordinamento comunale,
d'onde poi usci il magistrato dei consoli (1). Ma se é vero,
secondo il mio umile avviso, che i primi defensores civitatis
furono i boni homines, ossia quei maggiorenti delle città, che
la pubblica estimazione designava al governo degl’ interessi
comuni; e se è probabile che essi dessero origine alla ca-
rica consolare, è d’uopo riconoscere altresì che in processo
di tempo l’ appellativo di boni homines non diede più Vl im-
magine dell’ antica autorità, ed essi divennero un tribunale
simigliante ai moderni collegi dei boni o probi viri. E così a
Todi nel 1275 e fors anco assai prima. Ed invero io trovo
fatta parola di essi a proposito delle disposizioni dettate per

-la salubrità del pane, e l'osservanza delle quali, come la ir-

rogazione delle pene relative, è affidata a un collegio di sei
boni homines « scilicet de qualibet regione unus, qui super-

sit omnibus et singulis suprascriptis ».

8. — Dalle sentenze civili era lecito interporre appello,

e quilo statuto todino reca un contributo all'insieme delle

notizie che abbiamo circa la soluzione delle cause portate in
appello dai primi giudici ad un tribunale superiore. In molti
Comuni, ad esempio in Firenze, troviamo, che le corti per

et qui operantur artem mercatantie, ut iurent in consulatu predicto et obediant ipsis
consulibus, et quod nullus possit (esse) consul mercatorum, nisi ille qui dictam artem
exerceret, et quando fleret. electio ipsorum consulum requirantur ipsi mercatores per
bannimentum » (II, 84). :

(1) Vedi ScHIAPPARELLI, Origini del Comune di Biella. Atti dell’Accademia di To-
rino, tomo XLVI, anno 1896.

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gli appelli erano costituite da cognétores appellationum, due
dei quali legis prudentes, eletti dai consoli. A Todi si presenta
qualche cosa di simigliante nel testo 97 del libro II, da cui
si ha che le cause venivano definite in appello dal podestà,
il quale detto appello commetteva aeu sapienti de ipsa
civitate, e ciò in senso ristretto, perchè lo statuto esplicita-
mente avverte, che egli deve essere de civitate et non fo-
rensi (1). Però è da osservare, che se la parte appellata
non comparisce, allora il podestà affida la definizione della
causa ad altro sapiente. Nel caso poi che le parti. eccepi-
scano il sospetto circa l' imparzialità del giudice o giudici
designati dal podestà, questi le invita ad: eleggere il proprio
giudice, ed è a que’ legis prudentes che si commette defini-
tivamente il giudizio di appello.

Ma una caratteristica, degna di particolare considerazione,
è la suscettibilità che ebbero i Comuni italiani e Todi in
specie, circa le materie di giurisdizione. Anzitutto se un cit-
tadino o comitatino di Todi è chiamato in giudizio « in
aliqua. alia curia quam in curia tuderti » ad istanza. o di
un chierico o di un laico della città, del contado o di altro
luogo, il citato può ricorrere al podestà, il quale « teneatur
eum cogere precise, qui cytari vel requiri fecit sive fecerit
aliquem civem vel comitatensem tuderti... ut desistat modibus
(sic) omnibus quibus potest, et teneatur potestas ei tollere
nomine banni C lib. den. ete. » (2). Ad ogni modo poi il pode-
stà deve, a spese del Comune, proteggere e difendere il cit-
tadino, che é stato chiamato dinanzi ad un'altra curia. Una
consimile disposizione si legge al cap. 32 del lib. II, dove è
detto che il podestà deve « iuvare et defendere » colui

(1) « Item statuimus et ordinamus quod si aliquis dixerit se gravatum ab aliqua
diffinitiva sententia, lata in civilibus questionibus ab aliquo iudice curiarum comunis
tuderti, possit talis gravatus ad potestatem appellare, quam appellationem possit
prosequi infra sex dies continuos a die quo appellaverit recurrendo ad potestatem, et
ipsam appellationem committat alicui sapienti de ipsa civitate » (II, 97).

(2) Stat., lib. I, 50.

LO STATUTO DI TODI 945.

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346 O. SCALVANTI

che avendo un possesso fuori del contado di Todi abbia
sofferto ingiuria o molestia: « et si ob dictam causam
aliquis cytaretur, vel alia de causa ad aliam curiam extra
iurisdictionem tuderti vel coram alio iudice clerico vel layco,
teneatur ipsum defendere omnibus expensis comunis tuderti,
et hoc adiutorium teneatur potestas facere omnibus illis, qui
sunt et stant ad precepta potestatis et comunis tuderti pre-
cise ».

Ad evitare poi che i cittadini venissero trascinati dinanzi
a curie di altra giurisdizione, si proibisce severamente al
cittadino di Todi di costituirsi principal debitore o fideiussore,
o di obbligare i suoi beni con un altro cittadino di Todi per
guarentire l'obbligazione di un forense alterius iurisdictionis.
Consimili atti erano colpiti di nullità ipso jure, e l’effetto era
questo, che il cittadino di Todi non poteva essere chiamato
a rispondere della sua obbligazione dinanzi alla giurisdizione
di un altro Comune. Ciò non- valeva pel caso di negozi
commerciali « exemptis mercatoribus et tabulariis, qui si
aliquid promiserit predictis personis quod valeat et te-
neat» (1). La stessa gelosa custodia delle prerogative comu-
nali si avverte nella giurisdizione notarile, poichè è assolu-
tamente vietato a un cittadino o comitatino di far rogare
un pubblico istrumento, sia nella città che nel contado, da
un notaro alterius iurisdictionis (2).

II. — Istituti giuridici.
9. — Per ciò che si riferisce agl istituti giuridici di ordine

privato, lo statuto di Todi offre dei pregi non comuni, che sa-
rebbero degni di un lungo e minuzioso esame. Io mi conten-
terò di accennare alle disposizioni più notevoli e di seguire

(1) Stat., lib. II, 30. Vedi anche il cap. 1:5 dal titolo: « Quod nullus accipiat
ius & forensi ». i
(2) Stat., I, 25.
EERRURETTERM

LO STATUTO DI TODI _ 347

in specie alcune traccie della ragion giuridica romana, che si
trovano qua e là nei testi. Già fu avvertito, che nello statuto
tudertino non si fa mai menzione della consuetudine, e che

lius ne tiene le veci; e che nel capo 11 del lib. I l' espres-

sione « secundum constitutum et eius capitula, et secun-
dum constatutum, ubi statutum non loquitur » va interpretata
nel senso, che prima del 1275 Todi ebbe altri statuti, che
dovevano applicarsi, quando quello dell'anno suddetto non
offriva disposizioni atte a risolvere la controversia. Ma la
parola, che piü spesso ricorre e che é posta a completare e
supplire lo statuto è la parola ius. Così il cap. 2 del lib. I,
trattando della esecuzione delle sentenze del giudice straor-

dinario, dice che deve esser fatta « secundum constitutum

et secundum ws, ubi statutum non loquitur ». E la stessa
frase s'incontra nuovamente nel medesimo testo a breve di-
stanza (1) Quando poi si dispone circa l'ufficio del giudice
maioris curie per la vendita dei beni pupillari, si dice che
tal vendita deve esser fatta secundum iura; e nello stabilire

la competenza di due giudici cittadini per le cause di C. sol.

et infra, si ripete che ciò deve esser fatto « secundum hoc sta-
tutum. et iura, ubi constitutum non loquitur » (2). Là dove poi
si parla dell'ordine dei giudizi, è scritto « procedatur prout
fuerit procedendum secundum hoc constitutum et ura » e
nella materia dei danni dati, dopo l'esposizione di un parti-
colare sistema probatorio, si conchiude « et tunc proceda-
tur secundum ius et capitula constituti » (3).
Ora a me sembra, che mentre presso alcuni Comuni la
fons juris, fuori degli statuti, era la consuetudine, piü o me-
no attinta al gius romano, nello statuto di Todi e di altre
città era rappresentata dall'jws, cui si doveva aver ricorso

(1) « Si iudex clericalis executionem facere recusaret, et si congruum fuerit et
conveniens (executioni mandent sententias latas) secundum hoc constitutum et iura,
ubi constitutum non loquitur ».

(2) Stat., lib. I, 12.

(3) Stat., lib. T, 14.

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348 O. SCALVANTI

nel silenzio della legge del Comune. E quest’jus, questa co-
piosa fonte di norme giuridiche, che è come lo sfondo del
quadro nella legislazione delle città medioevali e di Todi in

specie, non era altro che il diritto romano, di cui qua e là -

nello statuto del 1275 appariscono evidentissime vestigia.
Diamone qualche esempio. Il cap. 18 del lib. I, parlando
dell’osservanza dei patti e delle convenzioni, così si esprime:

.« Item quod pacta et conventiones et omnes contractus sive

pacta et instrumenta huc usque facta, potestas et iudex integre

faciant observari, nisi eliderentur per excemptionem iuris et.
misi continerent in se turpem causam » Il qual testo non è

che la parafrasi del fr. 27,.8 4, Dig. De pactis (II, 14) cosi
espresso: « Pacta quae turpem causam continent, non sunt
observanda ». La causa turpe fu assunta dai giureconsulti
romani come motivo per rendere irriti i patti, dietro il prin-
cipio del fr. 15 Dig. De condition. institut. (XXVIII, 1).
« Nam quae facta laedunt pietatem, existimationem, vere-
cundiam et (ut generaliter dixerim) quae contra bonos mores
fiunt, nec facere nos posse credendum est ». Né la frase
« continere in se turpem causam » tratta, come ognun ve-
de, dal citato passo di Paolo, è usata solo nel cap. 18 del

lib. I, ma si ritrova nel capitolo successivo (1); è dunque una

formula giuridica, che gli statutari adoprano per seguire anche
in questo, al piü possibile, la terminologia del diritto ro-
mano. Ed è tutta romana la distinzione fra patti e. conven-

zioni, che lo statuto adotta non materialmente, ma con piena

cognizione della differenza, che é tra luna e laltra forma
di questi vincoli giuridici. Inoltre è propria, secondo il con-
cetto romano, l'espressione del cap. 18, lib. I dello statuto,
ove é detto che i patti debbono essere osservati misi elide-
rentur per excemptiones iuris. E di vero molte eccezioni si

(1) « Potestas . . . teneatur omnes et singulos fideiussores, constitutores et pro aliis.

promissores cogi facere et dare et solvi facere id quod promiserunt, non obstante
quod debitor non fuerit conventus, asi contineret in se turpem causam ».

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TRIBUS LT

LO STATUTO DI TODI 349

trovano adottate dai romani per. annullare certi contratti,
che essendo di stretto diritto, non eran nulli pleno jure. Si
accordava allora un'eccezione, che, come dice il nostro sta-
tuto, elideva l'obbligazione. « Comparatae sunt autem exce-
ptiones defendendorum eorum gratia cum quibus agitur.
Saepe enim accidit ut quis jwre civil teneatur, sed iniquum
sit eum judicio condemnari; velut (sé) stipulatus sim a te
pecuniam tamquam credendi causa numeraturus, nec nume-
raverim: nam eam pecuniam a te peti posse certum est,
dare enim te oportet, cum ex stipulatu tenearis; sed quia
iniquum est te eo nomine condemnari, placet per. exce-
ptionem doli mali te defendi debere » (1). È dunque evidente
che l'exceptio juris nello statuto di Todi significa l'eccezione
derivata dall'jws, ossia dal diritto romano.

10. — Un altro testo, che dimostra come l7«ws fosse vera-
mente il diritto romano, di cui si conoscevano abbastanza
bene i principii, è il cap. 94 del lib. I: « Item statuimus
quod si aliquis olim rem aliquam vendiderit stabilem alicui
civi tuderti vel comitatensi, et appareat inde publicum in-

strumentum mano alicuius notarii, et in ipso instrumento

contineatur quod venditor promisit emptori vacuam, liberam
et absolutam possessionem ipsius rei tradite.... quod potestas
et iudex curiarum, ad quem recursus habere voluerit emptor,
cogere venditorem talem possessionem ipsius rei tradite va-
cuam, liberam et absolutam, non obstante quod in instru-
mento vendictionis contineatur, quod ipse venditor rem ipsam

(1) Gaii Instit. Comm. IV, 116. — Quest'eccezione era stata introdotta dal Pretore
« Ideo autem hanc exceptionem Praetor proposuit, ne cui dolus suus, per occasionem
juris civilis, contra naturalem aequitatem prosit » (fr. 1 Dig. De doli mali et metus

"except. XLIV, 4). Lo stesso si legge alla Cost. 5 Cod. De inutil. stipulat. « Dolo vel

metu adhibito, actio quidem nascitur si sit subdita stipulatio; per doli mali tamen vel
metus exceptionem summowveri petitio debet ». — Insomma il principio generale era,
che se taluno per qualche macchinazione veniva indotto ad obbligarsi, sebbene fosse
subtilitati juris obstrictus, pure poteva usare dell'evceptio doli vel metus. E quando
lo statuto parla di obbligazioni, che eliderentur per exceptionem juris, ripete l'e-
spressione romana « per doli mali exceptionem. summoveri petitio debet ».
950... : O. SCALVANTI

emptoris nomine possidere, propter quod res ipsa pro tradita se-
cundum iura. videtur, sed non de facto ».

A me sembra che questo capitolo dello statuto di ‘Todi
dimostri: 1.° che gli statutari conobbero a meraviglia il
costituto possessorio dei romani; 2.° che non vollero adottarlo.

È noto infatti che dal principio generale di Celso « quod
meo nomine possideo, possum et alieno nomine possidere »
(fr. 18 Dig. De acquir. rer. dom. XLI, 2), discendono i germi
del costituto possessorio, che ha luogo quando chi possiede.
una cosa giuridicamente, dichiara di volerla detenere per
l'avvenire a nome di un terzo, che vuole acquistarne il pos-
sesso (1); di guisa che non era mestieri di fraditio (2). Dun-
que in gius romano - esisteva un istituto giuridico, in virtù
del quale la trasmissione del possesso aveva luogo senza bi-

"sogno di tradizione, cioè quando il possessore dichiarava di
‘detenere la cosa in nome di colui, al quale l'aveva per qual-
sivoglia titolo alienata. Il caso che comunemente si allega
è quello del venditore, che si fa conduttore del fondo ven-
duto,. e continua a possederlo in nome del compratore. Ora,
quando lo statuto di Todi interpreta la clausola « che il
venditore possederà la cosa venduta nomine emptoris nel
senso, che con questa dichiarazione s'intendeva fatta la con-
segna della cosa; e aggiunge che ciò è secundum iura, evi-
dentemente richiama il costituto possessorio ammesso dal gius
romano. Ma il testo infirma cotesta clausola, e togliendole
ogni valore, esige che, malgrado essa, abbia luogo la tradi
zione de facto. In ciò gli statutari miravano ad appoggiarsi
piuttosto sul concetto generale del diritto romano, che sul

(1) ARNDTS — Trattato delle Pandette, vol. I, lib. II, $ 140.

(2) Cost. 23 Cod. De donation. — « Quisquis rem aliquam donando, velin dotem
dando vel vendendo usumfructum ejus retinuerit, etiamsi stipulatus non fuerit, eam
continuo tradidisse credatur, nec quid amplius requiratur quo magis videatur facta
traditio. Sed omnimodo idem sit in his causis usumfructum retinere quod tradere ».
Cost. 35 Cod. eod. tit. « non ex hoc inutilis fiat donatio, quod res non traditae sunt,
nec confirmetur ex traditione donatio ».
LO STATUTO DI TODI i 351

gius eccezionale del costituto possessorio. Infatti il principio
che la romana sapienza fece prevalere è scritto nella cele-
bre Cost. 20 Cod. De pactis (II, 3), e cioè che « traditioni-
bus et usucapionibus, dominia rerum, non nudis pactis transfe-
runtur ». E senza dubbio nello stesso frammento di Celso
sulla possessio alieno nomine è impossibile non scorgere un
certo artifizio. « Nec enim, egli dice, muto mihi causam pos-
sessionis (il che, come è noto, era assolutamente vietato) sed
desino possidere, et alium possessorem ministerio meo facio ».
Il quale artifizio per conciliare quello, che pei principii ge-
nerali del gius romano era, secondo me, inconciliabile, mag-
giormente si rivela nella conchiusione del ragionamento.
« Nec idem est possidere et alieno nomine possidere, nam pos-
sidet cujus nomine possidetur ». È chiaro; per ammettere il
costituto possessorio, dargli efficacia di vera traditio e sfuggire
alla norma, che nessuno può mutare la causa del proprio
possesso, bisognava giungere fino a queste ardite e; vorrei
dire, assurde affermazioni; che il venditore, il quale continua
a possedere a nome del compratore cessa di possedere ; e che
altro è possedere e altro è possedere in nome altrui, perchè
in questo caso il vero possessore è colui, nel nome del quale
s! possiede. Quindi non fa meraviglia, se la stessa teorica
dell’Jhering (1), che i romanisti chiamano della volontà indi
viduale, e che stabilisce come criterio del possesso la libera
determinazione di chi tiene la cosa, è anch’ oggi vivamente
combattuta come atta a scompaginare l'intero istituto del
possesso. Si nota infatti che per norma generale veramente
teoretica il solo cambiamento dell'umzmus non ha la virtù di
trasformare la detenzione in possesso e nemmeno il possesso
in detenzione, come sarebbe nel caso contemplato dallo sta-
tuto di Todi. E poichè quest’ affermazione troverebbe un
grave ostacolo nel costituto possessorio, si osserva che quello,

(1) Der .Besitswille Zugleich eine Kritik der herrschenden juristischen Methode.
Jena, Fischer, 1889.

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359 O. SCALVANTI

che in dati casi é disposto per motivi di peculiare utilità,
non si deve estendere ed elevare al grado di regola gene-
rale, talchè gli stessi romani non adottarono quella massima
nemmeno dove sarebbe stato assai naturale accoglierla (1).
Anche il Maynz, mentre sostiene che nel costituto possessorio
v'ha realmente presa di possesso col consenso del possessore
attuale, e per conseguenza tradizione, pure accenna alla.
complicazione di questa forma traslativa del possesso. Eb-
bene, gli statutari di Todi non accolsero il gius eccezionale
del costituto possessorio, ma tornarono ai generali principii
del diritto romano; e vollero che la tradizione dovesse av-
venire di fatto, ancorchè nell’ istrumento si trovasse la clau-
sola, che il venditore continuava a possedere per il compra-
tore. E questo ricercarono per togliere adito alle controversie,
che potessero nascere sul. trasferimento della proprietà, e
per mantenere ad essa l'evidenza di uno de’ suoi principali
caratteri.

È assai notevole il linguaggio adoperato nello statuto per
significare le obbligazioni complesse non solidali. Anche per
diritto romano la solidarietà non si presume, talché se in
un contratto più persone si obbligano a pagare una deter-
minata somma, non per questo deve intendersi ciascuna
di esse obbligata al pagamento dell'intera quantità di danaro,
nè è data facoltà al creditore di procedere contro ciascuno dei
debitori per l'ammontare di tutto il debito. Salvo patto in
contrario, ciascuno rimane obbligato per virilem partem (2).
Lo stesso avviene nei casi, in cui più persone sieno condan-
nate, non solidalmente, da una sentenza a pagare una certa

(1) Frag. vat.,8 263, fr. 42 pr. Dig. De mortis c. don. (XXXIX, 6), e l. 14,81, Dig.
De haered. vend. (XVIII, 4), passi citati dall'esimio prof. C. Brezzo nel lavoro « La
nuova teoria possessoria di Jhering, nella Riv. it. per le Scienze giuridiche, vol. IX,
fasc. III, 1890. PERSE

(2) Fr. 11, 8 1, Dig. De duobus reis stip. (XLV, 2) « Cum talibus esset comprehen-
.sum, illum, et illum centum aureos stipulatos neque adiectum, ita ut duo rei stipu-
landi essent, virilem partem singuli stipulati videbantur. ».
LO STATUTO DI TODI 353

somma; esse si intendono obbligate a pagare una quota vi-
rile, e ciascuna pagando la propria parte, viene liberata Zz
residuo (1). I medesimi principii trovansi espressi nel diritto
romano a proposito della stipulazione damni infecti (2).

Ora ecco in qual modo lo statuto di Todi, in armonia col
gius romano, si esprime circa questo punto di diritto: « Item
si plures debitores in uno instrumento scripti fuerint et ali-
quis ipsorum suam partem solvere voluerit, teneatur credi-
tor illi facere refutationem (3) de parte sibi soluta, misi esset
in solidum, obligatus, et idem, fiat (si) in uno instrumento
scripti fuerint et aliquis ipsorum suam partem solvere vo-
luerit, teneatur creditor illi facere refutationem de parte
sibi soluta, més? esset im solidum obligatus, et idem fiat (si)
in uno instrumento plura debita continentur et diversis sol-
ratur, et creditor faciat cartam quetationis de parte sibi so-
luta » (4) Qui anzitutto si distingue opportunamente il caso
— dei più debitori per un so/o debito dal caso di più debiti. Nel
primo, ove non sia pattuito il vincolo di solidarietà, ciascuno
dei debitori paga legittimamente la. parte sua, e il creditore
è obbligato (fenetur) a rilasciargliene quietanza; nel secondo,
a più forte ragione, trattandosi di vari debiti (m wno instru-
mento plura debita continentur) ogni debitore è liberato col
pagamento del suo debito.

Non mi sembrano poi imitate dall'antico diritto certe di-
sposizioni affini alla materia delle servitù, sebbene a primo

(1) Fr. 43, Dig. De re iudic. (XLII), 1) « Paulus respondit: eos qui una sententia
in unam quantitatem. condemnati sunt, pro portioni virili ex causa judicati conve-
niri, et si ex sententia adversus tres dicta Titius portionem sibi competentem exolvit,
ex persona caeterorum ex eadem sententia conveniri eum non posse ». Il quale fr. è
cosi riassunto dalla glossa Accursiana: « Duo sunt condemnati in viginti in una senten-
tia, quilibet videtur condemnatus in decem, et si unus eorum solvat sua X, liberatur
in residuo ». :

(2) Fr. 40, Dig. De damno infecto (XXXIX, 2) « Quoties ex damni infecti stipula-
tione plures agunt, quia in eadem re damnum passi sunt, id est in aedibus; non de-
bet unusquisque eorum in solidum agere, sed in partem experiri, ecc. ».

(3) La parola refutatio è usata negli statuti municipali nel significato di rice-
vuta, quietanza, dimissione, ecc.

(4) Stat., lib. I, 31.

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354 ‘O. SCALVANTI .

aspetto appariscano derivate dal gius de' romani. Trattandosi
dell’ ite» (così pure chiamato dallo statuto) o della semitam
vel traversam per rem alterius, si dice che se il vicino non
ha lius eundi (1) non può continuare nell'esercizio dell’ iter,
ecc., ove il proprietario del fondo glie lo vieti. Se non che
egli può provare di avere il diritto per concessionem vel usum
longissimi temporis: XL annorum. Rispetto a questa prescri-
zione longissimi temporis lo statuto si è alquanto allontanato
dal principio romano, perchè per la legislazione giustinianea,
malgrado le controversie che dominano in questa materia,
sembra che le servitù sulle cose immobili si prescrivessero
in 10 anni fra presenti e 20 fra assenti, quando ricorreva il
giusto titolo e la buona fede; in 30 anni, quando mancava
il giusto titolo e ricorreva la buona fede, e in un lasso
maggiore di trent’ anni (ossia colla praescriptio longissimi
temporis) quando mancava luno e l’altro requisito (2). Ora
nel caso dello statuto di Todi il giusto titolo non esisteva,
perchè il testo distingue appunto l’aliguam concessionem dal-
lusum; dunque, dato che vi fosse la buona fede, il diritto
romano avrebbe limitato il tempo utile alla prescrizione
ad un solo trentennio, mentre lo statuto esige l’uso per lo

(1) Quest'espressione ricorre spesso nelle Fonti romane. Vedi fr. 1, Dig. De ser-
vitut. praed. rust. (VIIT, 3). Iter est jus eundi, ecc.

(2) Anche per diritto romano la servitù acquistavasi per longi temporis prae-
scriptio, e con Giustiniamo questo modo di acquisto fu esteso a tutte le servitù (Cost. 12,
Cod. De longi temp. praescript., VII, 33. Vedi stat. di Todi, II, 11). Non é qui il luogo
di prendere in esame le varie controversie, cui dà luogo in diritto romano la costi-
tuzione delle servitù per prescrizione. È certo però che non può affermarsi con sicu-
rezza, il diritto romano altro non domandare, che l'esercizio della servitù come un
diritto, nec vi, nec claim, nec precario durante il tempo di dieci anni inter prae-
sentes, e di venti inter absentes. E infatti, oltre ad essere controversa la dottrina sul-
l’applicabilità dell'usucapione alle servitù discontinue, alle negative ed alle personali,
dubbi gravissimi insorgono sulla determinazione del tempo utile ad usucapire, sulla
necessità o no del giusto titolo e della buona fede. Io ho prescelto la teorica più affine
a quella generale dell'acquisto del dominio per prescrizione. S'intende, che per la
longissimi temporis praescriptio non è veramente acquisita la servitù, ma il diritto
di respingere l’azione del proprietario tendente a rivendicare la piena libertà del
fondo. In quest'ultimo caso si tratta adunque di una praescriptio estintiva, anziché .
acquisitiva.
‘LO STATUTO DI TODI 3 3595

*

spazio di quaranta anni. Ma la ragione di questo fatto è
dovuta forse alla teoria tutta speciale, che lo statuto aveva
adottato in materia di servitü di passo. Già osservo, che lo
stesso cap. 11 del libro II non parla di servitù, ma solo
« de pena facientis iter per rem alterius » e il testo 37 dello
stesso libro, parlandoci « de eo qui non habet viam per rem
suam » ci indica ben chiaramente il concetto che si aveva
circa l'acquisto del passaggio. A me pare infatti che lo sta-
tuto non segua in ció la ragione romana, la quale ammet-
teva in questo caso ljws im re aliena, come lo ammettono
le odierne legislazioni (1) Il processo era ben diverso: il pro-
prietario, che non aveva libero accesso. al proprio fondo.
si faceva vendere dal vicino uno spazio di terreno per
praticarvi la via, e in caso di rifiuto ricorreva al podestà,
il quale era tenuto a costringere il vicino, o a vendere al ri-
corrente cotesta terra recipiendo iustum pretium determinato
da due arbitri eletti dalle parti; o ad accettare la permuta
di una parte del fondo di proprietà del ricorrente, e che avesse
egual prezzo. Bisognava peró che l'istante dimostrasse non
avere egli altra possibilità di: accesso al proprio fondo. Dun-
que lo statuto non riconosce nel proprietario del predio cir-
condato dai fondi altrui il diritto di costituire su questi una
servitù di passaggio mediante un' indennità, ma gli accorda solo
il diritto di acquistare il terreno necessario alla sede stradale
o di costringere il vicino ad accettare una permuta. E che
questo e non altro fosse il sistema voluto dalla legge statu-
taria, si chiarisce anche meglio proseguendo nell’esame del
testo, ove é detto, che se aleuno ottenne per concessione o
per sentenza della curia la via su terra altrui « et solverit
justum. pretium vel dedit cambium pro ipsa via » egli ha fa-
coltà di usarne. Però per aver ragione di fronte al proprie-
tario del terreno destinato alla via, è mestieri che effettiva-
mente sia sborsato il prezzo o dato il cambio, altrimenti egli

(1) Cod. civ. it., articoli 593 e 595.
an

Tube ETTI A

356 O. SCALVANTI

non può servirsene, e se lo faccia « puniatur sicut puniretur
ille qui intraret tenutam alterius ». Ora se, mancando il paga-
mento del prezzo o la dazione del fondo, si agisce contro l'ac-
quirente come se proprietario non fosse, vuol dire che egli è
veramente proprietario, ma gli si interdice l’uso della pro-
prietà fino a che non abbia adempiuto agli obblighi derivanti
dalla concessione o dalla sentenza (1).

— Né si obbietti, che talora era concesso o riconosciuto
per sentenza l’jus im re aliena, senza bisogno dell'acquisto
del terreno, in cui doveva essere tracciata la via; perché
il testo è incavillabile, e il diritto di esigere la vendita o
di imporre la permuta é solidamente posto nella legge. La
concessione o la dichiarazione della sentenza non riguardano
l’jus in re, ma il riconoscimento del titolo legittimo del-
lacquisto. Poteva avvenire infatti, che « malitiose esset peti-
twn » o che si avesse altra via per accedere al fondo, e
in tal caso non doveva accogliersi la domanda dell'attore

(non audiatur); mentre se vi era un regolare riconoscimento :

del diritto di acquisto o per contratto o per sentenza, il

- proprietario del terreno era costretto a vendere, e il com-

pratore, pagato il prezzo, usava legittimamente della cosa
vendutagli.

Secondo me, gli statutari, attenendosi a questo sistema,
diedero prova di sapiente discernimento, perché non v'é

(1) Stat., lib. IT, 37. « Item quicumque non habet viam per rem (suam per) quam
possit comode ire et redire ad terram suam, potestas teneatur facere vendi convicino
suo terrenum pro via sine malitia recipiendo iustum pretium pro extimatione ipsius
rei recte facta per unum vel duos amicos communiter eligendos, scilicet per quam-
libet partem unum, vel tantum de terra sua, scilicet illius qui voluerit ipsam
viam, quantum de ipsa terra iurabitur in dicta via, puta si habuerit terram iusta
viam alioquin recipiat iustum pretium. Salvo quod si malitiose esset petitum vel ha-
beat aliunde viam, non audiatur, set ambe partes revertantur ad pristinum statum. Et
(si) alicui vel aliquibus fuerit (olim concessa via vel data per curiam per terram
alienam, et solverit iustum pretium, vel dederit cambium pro ipsa via, vadat et veniat
per ipsam viam et ipsam habere et tenere, possit et eam uti sine pena et ille, cui
concessa esset ipsa via, non possit eam uti, nisi iusto pretio soluto vel cambio dato,
et si iverit contra voluntatem illius, cuius est, puniatur sicut puniretur ille, qui in-
traret tenutam alterius ».

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LO STATUTO DI TODI : 901

alcuno che ignori di quali molestie e di quali questioni sia
origine la servitü di passo, appunto per la ragione che essa
è un jus in re aliena. Ciò si volle evitare.

11. — Consimile é il caso dell'acquisto per accessione di
un albero al suolo, in cui vien piantato. Per diritto romano
l'albero diveniva proprietà del proprietario del suolo non
appena aveva gettato le sue radici « rationem enim non
permittere, ut alterius arbor intelligatur quam cujus fundo
radices egisset » (1). Se poi la persona, che aveva piantato
lalbero era in buona fede, poteva coll’eccezione doli mali,
servare sumptus (2). Certo il caso era di difficile soluzione,
e i romani lo definirono attribuendo la proprietà dell'albero
à chi aveva il dominio del suolo, perché ció era piü razio-
nale, che attribuire la proprietà del suolo a chi aveva ese-
guito la piantagione (3). Tuttavia non parve ai giuristi
dell'evo medio, che fosse mestieri dichiarare il passaggio di
proprietà dell'albero da chi lo aveva piantato al proprietario
del suolo; un'altra soluzione si affacciava piü conforme a
giustizia; e questa la incontriamo nel cap. 39 del lib. II
dello statuto nostro: « Si quis arborem vel arbores habuerit
in terra alterius sive ille cuius terra est, voluerit emere
eos, teneatur potestas facere vendi infra mensem post que-
relam depositam, et similiter ille, cuius est vel cuius fuerint
arbores, si voluerit eos vendere, potestas teneatur jnfra
eumdem terminum illum, cuius terra fuerit, arbores cogere
ad emendum et emi facere ». Dunque nessun passaggio di
proprietà pel fatto dell'accessione, ma al tempo stesso nes-
suna molestia deve essere inflitta al proprietario del suolo.
per parte del proprietario dellalbero. Il primo può solo
obbligare il secondo a vendergli la pianta, e. questi vice-

(1) Fr. 7, 8 fin. Dig. De acquir. rer. dom., XLI, 1.

(2) Cost. 11, Cod. De rei vindicat. à

(3) « Postquam hae (plantae) radicibus terram fuerint amplexae, solo cedere ra-
tionis est. Domini enim magis segetem vel plantas, quam per hujusmodi factum, so-
lum suum facit (Cod. eod. tit.).

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398 O. SCALVANTI ^

versa può obbligare l'altro a comprarla. In parte questa
soluzione si ritrova nei Codici moderni, i quali sottopongono
il proprietario del suolo, che vuol ritenere per sé la pianta-
gione, a pagare a sua scelta o il valore dei materiali o- il
prezzo della mano d'opera, oppure l'aumento di valore recato
al fondo; ma se ne allontanano quando riconoscono nel
proprietario del suolo la facoltà di obbligare il vicino .à
togliere le piantagioni (1). Tale facoltà lo statuto nega, forse
per il riflesso che certe piante, per loro natura, non possono
essere asportate senza condannarle a perire. E poiché la
questione poteva sorgere sul prezzo da dare alle piante, lo
statuto avverte « si questio inde fuerit de pretio, teneatur
diffinire per duos amicos communes habentes bona in. con-
trario, ubi fuerunt dicti arbores, et iudex maioris curie
congnoscat de omnibus supradictis sine salario ». Con questa
reciproca facoltà di obbligare a vendere o a comprare la
piantagione, certo si raggiungeva il fine di evitare aspre

controversie, e fu quindi la soluzione preferita dagli statu-

tari.

12. — Degne di qualche considerazione son poi certe nor-
me sulla proprietà consortile, con tendenza peró a limitarla
entro i più angusti confini. Vi è nondimeno la dichiarazione,
che mai può essere diviso ciò, che per patto deve rimanere
in perpetuo nella proprietà dei consorti (2). Nel resto il fatto
della divisione delle sortes tenute in comune è molto favorito
dalle disposizioni statutarie, e sono minuziose e prudenti le
misure adottate, perchè questi giudizi divisorii si compiano
con sollecitudine, con giustizia e col minimo dispendio (3). .
Pertanto, volendo presentare qualche esempio dei vincoli de-
rivanti dal principio della proprietà consortile, noterò, che
uno dei consorti, il quale intendeva lavorare il fondo, dove

(1) Cod. civ., art. 450,
(2) Stat., lib. I, 4l.
(3) Stat., lib. 1, 36.
LO STATUTO DI TODI | 399

si trovava la sua sors indivisa, doveva per due o tre volte
significare la sua volontà ai consorti, e se questi non rispon-
devano, poteva procedere ai lavori, e il podestà era tenuto
a fargli rifondere le spese dai consorti, sine salario. Ove tale
rimborso poi non venisse effettuato, il lavoratore poteva
« habere et fructus percipere partis non reficientis sibi ex-
pensas, donec sibi plenarie fuerit satisfactum de expen-
sis.» (1). Altre disposizioni si danno perchè non sia danneg-
giata da un consorte la proprietà dell altro consorte. Fin
qui per altro i precetti statutari, sebbene parlino di consortes,
non offrono caratteristiche tali da distinguer molto questa
forma di comproprietà dai criteri dell' ordinaria comunione
o dalle leggi regolatrici dei rapporti di vicinanza. Dove al
contrario queste caratteristiche si scorgono con chiarezza,
sono i casi delle innovazioni recate alla proprietà consortile,
e del retratto. E noto, che nessuno dei partecipanti può fare
innovazioni nella cosa comune, ancorché le pretenda. van-
taggiose a tutti, se gli altri non vi acconsentano; il quale
principio delle moderne legislazioni è derivato dal diritto
romano: « In re communi neminem dominorum jus facere
quidquam, invito altero, posse » (2). Talché per eius ro-
mano le facoltà di un condomino di operare da solo sulla
cosa comune, senza il consenso degli altri, limitavasi ai prov-
vedimenti presi per conservare e impedire la rovina della
res communis, o a quelli, che assolutamente non pregiudica-

.vano ai diritti degli altri condomini (3). Al contrario nello

statuto di Todi si legge, che uno dei consortes può edificare :

(1) Stat., lib. I, 40.

(2) Fr. 28, Dig. Comm. divid , X, 3. I giureconsulti romani si proposero il caso
della aedificatio, di cui nello statuto di Todi, fatta da uno dei condomini, consideran-
dola sotto ogni aspetto, ma vennero alla conchiusione seguente: « Et magis dici po-
test, prohibendi potius quam faciendi esse jus socio; quia magis ille qui facere cona-
tur (ut dixi) quodam modo tibi alienam quoque jus praeripit, si, quasi solus dominus
ad suum. arbitrium uti re communi velit » (fr. 11, Dig. Si servit. vind., VIII, 5).

(3) Fr; 52, 8 10 Dig. Pro socio, XVII, 2.
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PA TOTO sert 178a LITRI

- 860 3 O. SCALVANTI

super re communi sine contradictione consortis et sine pena; e,
costruito l’edificio, ha diritto di farlo stimare per duos magi-
stros, e di obbligare l'altro consorte a pagargli la metà delle
spese incontrate per l'edificazione (1).

L'altro caratteristico istituto è quello del retratto, deriva-
Zione del principio della proprietà gentilizia e comune. Per
diritto romano, come per diritto moderno, il condomino può
alienare la sua parte, ed unica regola è che « nemo ex so-
ciis plus parte sua potest alienare, etsi totorum bonorum
socii sint » (2). Ma queste norme, non potendo consuonare
col sistema della proprietà consortile, non vennero accolte
in più statuti comunali del medio evo; e infatti lo statuto
di Todi dispone, che se uno dei consorti vende Zn partem la
cosa comune, non compellando alium consortem, questi può
riscattare la cosa venduta dalle mani del compratore pa-
gandogli verum pretium (3).

Gli statutari disciplinarono poi l' istituto della espropria-
zione per causa di pubblica utilità, disponendo che se, per
praticare un. fosso o aprire una via, si occupavano i fondi
dei cittadini, doveva loro pagarsene pretium condecentem a
istanza degli espropriati, i quali avevano l'obbligo di giusti-
ficare il loro titolo di proprietà (4).

13. — Quanto all’ ordinamento della famiglia, che tanta
influenza esercita sul gius successorio, parmi potere inferire,
che essa presentasse il carattere di una forte organizzazione.

Né le era estraneo il concetto, che i figli avessero un qual-

(1) Stat., lib. I, 40. « Item quilibet volens hedificare super re communi . . . possit
hedificare et facere hedificium sine contradictione et sine pena, et, ipso hedificio facto,
teneatur potestas ad petitionem hedificantis illud hedificium facere extimari per duos
magistros, et medietatem illius extimationis vel partis contingnenti consortis cogere
alium consortem, qui non hedificaverit vel fecerit hedificium, promittere et solvere
hedificium facienti et reficere et resarcire medietatem expensarum dictarum ».

(2) Fr. 68, Dig. Pro socio, XVII, 2. i

(3) Stat., lib. II, 72. Vedi poi, per lo stabilimerito di un consorzio di vicini all’ef-
fetto di praticare Javori sopra una via, il cap. 8 dello stesso libro.

(4) Stat., lib. II, 20.
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LO STATUTO DI TODI © 9361

che diritto alla fortuna del padre, mentre questi era in vita.
Vi è, ad esempio, un testo, dal quale apparisce, che un.pa-
dre ha dato una parte del suo peculio al figlio emancipato,
affinché con essa egli viva o si applichi ad un'arte o indu-
stria. Se il figlio non contento della somma ricevuta, vuole
insistere presso il paterfamilias onde ottenere di piü, il capi-
tolo statutario avverte, che egli deve restar contento de illa re
quem a patre recepit in premium emancipationis. Il testo pare
abbia voluto allontanare il dubbio, che il figlio potesse avere
ancora altre pretese giuridiche alla fortuna paterna, lo che
starebbe a significare che in un tempo più o meno remoto
si riteneva avere il figlio qualche diritto ad una parte delle
sostanze del padre, mentre questi viveva. E tanto più tale opi-

nione si chiarisce giusta, quando si noti che il testo parla

di figli emancipatos vel non (1). Il figlio poi, sebbene fosse
in potestate patris, poteva esercitare la mercatura « de vo-
luntate vel mandato patris vel ipso patre non contradicente ».
In tal caso egli obbligava il padre suo, il quale era tenuto
à pagare i debiti contratti dal figlio per occasione del com-
mercio (2).

La tendenza alla conservazione del nucleo famigliare
fece si che nei diritti di successione i maschi fossero pre-
feriti alle femmine; ma si volle al tempo stesso proteggere
le femmine imponendo, morto il padre, ai fratelli di prestare
alle sorelle ogni cura, l'abitazione, gli alimenti, l' istruzione,
la dote. « Si vero pater et mater ab intestato decesserit,
potestas et iudex cogat ipsos fratres vel nepotes ipsam vel
ipsas, secundum modum. patrimonij, dotare et merces dare
sine salario et alimenta et habitationem nichilominus -pre-
stare (I, 101) ». In ció lo statuto segue il diritto canonico

(1) Stat., lib. T, 98.

(2) Stat., lib. IT, 93. I codici di commercio moderni non riconoscono efficacia al
tacito consenso del padre; solo la moglie può esercitare la mercatura non contradi-
cente il marito (art. 13 Cod. com. it.). i
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362 O. SCALVANTI

e il romano (1). I beni pervenuti dal padre e dalla madre
nel figlio rimanevano obbligati a favore delle doti. da darsi
alle figlie usque ad quantitatem. condignam. La donna rimasta
vedova, aveva diritto di tornare ad domum patris, fratris
vel nepotis, e di ottenere dai beni paterni ciò che le occor-
reva per vivere. :

Ciò avveniva nelle successioni legittime e rispetto alla
eredità del paterfamilias, il quale aveva facoltà di disporre
di una parte delle sue sostanze per mezzo del testamento.

Questo diritto non era riconosciuto alla madre; essa,
avendo figli o figlie non poteva lasciare la sua eredità o
dote a persone estranee, e lo statuto disponeva « quod illud
testamentum non valeat, neque teneat. Immo dicti filij vel
fille succedant in hereditate sive dote eorum matris ». Però
il legato pro anima doveva avere effetto. La moglie poi
non succedeva al marito che nellottava parte della for-
tuna di luij e nel caso in cui non fossero superstiti figli.
Nel resto del patrimonio succedevano i procimiores ex parte
patris tantum. Le disposizioni di ultima volontà, le dona-
Zioni fra vivi o à causa di morte, al pari di ogni contratto,
potevano esser provati anco per mezzo di testimoni, il nu-
mero dei quali mutava, secondo il merito di tali atti. Cosi
se essi disponevano di un valore di C. sol. o piü, era me-
stieri fornirne la prova per mezzo di tre testimoni maschi;
se di un valore inferiore bastavano due testi sempre rogati
et presentes (2). Nessun testimone peró puó essere introdotto

(1) Per diritto romano non aveva veramente obbligo di dotare che il padre e
lavo paterno — « Qui liberos quos habent in potestate, iniuria prohibuerint ducere
uxorem, vel nubere; vel qui dotem dare non volunt, ex Const. Divorum Severi et
Antonini, per. Proconsules, Praesidesque provinciarum coguntur in matrimonium
collocare et dotare « (fr. 19, Dig. De ritu nupt., XXIII, 2. « Neque mater pro
filia dotem dare cogitur (nisi ex magna et probabili causa vel lege specialiter ex-
pressa), neque pater de bonis uxoris suae invitae ullam dandi habet facultatem »
(Cost. 14, Cod De jure dotium, V. 12). Pur nondimeno i canonisti, fondandosi sulla l. Qui
filium Dig. Ubi pupil. educ. e sulla l. Cum plures Dig. De adminis. tut., ammisero
che i fratelli fossero tenuti a dotare le sorelle, purché non alio patre natae.

(2) Stat., lib. I, 22. i

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LO STATUTO DI TODI 363

a provare contro il contenuto di un rogito notarile accom-
pagnato dal precetto della guarentigia. Lo statuto infatti
contiene delle speciali disposizioni riguardanti i rogiti emessi
con questo precetto, in virtù del quale il debito deve esser
pagato entro 10 giorni dall’ intimazione del giudice, pena il
pagamento del doppio. In mancanza di pagamento si hanno

da offrire i beni, e ciò senza eccezione od opposizione al-

cuna « sive quis agat suo nomine, sive procuratorio nomine,
sive ex iure sibi cesso, sive ex causa lucrativa, sive ex
causa donationis, sive ex causa vendictionis ». Nessuno può
appellare dal preceptum guarentigie, nè dall'esecuzione datagli
dal giudice. Ove più .sieno i creditori, essi sono chiamati
dinanzi al podestà, e ivi si fa una graduatoria secondo la
data dei respettivi crediti. Gli statutari vollero a questo
precetto di garanzia accordare la massima efficacia, e perciò
stabilirono, che avesse piena /irmitatem, ancorchè resultasse
fatto al tempo, in cui le particolari disposizioni, nuovamente
introdotte, non erano in vigore (1). Del resto, le norme in
materia di gius successorio sono ben lontane dal fornire la
soluzione di tutti i casi contingibili, e perció, come notai

altrove, in questo ed in altri argomenti si dovevano appli-

care o statuti anteriori o l’jus romano.

14. — Nella procedura civile poco di ragguardevole s' incon-
tra nello statuto. Pure mi sembra ben delineata la materia
dell'esame dei testi ad futuram memoriam. « Ita si quis
testes ydoneos voluerit introducere pro aliquo debito decla-
'ando, vel contractu, vel conventione rei mobilis, testamento
etc. ad perpetuam rei memoriam, et ut sibi valeat in futurum,
potestas et iudex faciant eos iurare et recipi et eorum dicta
scribi et publicari, »o» obstante si lix non fuerit contestata . .
.. et eorum dicta valeant in futurum » (2).

(1) Vedi quanto esponemmo al 8 2 del presente studio.
(2) Stat., lib. I, 22.
9364 O. SCALVANTI

15. — Poco notevoli del pari mi sembrano le disposizioni
in materia penale. La base delle: pene è la composizione in
danaro; non manca qualche qualifica bene espressa, come,
ad es. l'aggravante del furto perpetrato in caso di incendio
o altro pubblico infortunio (1); giustamente è colpita di
pena severissima la violenza carnale; con mitezza la be-
stemmia, perché la pena pecunaria é assai tenue, e solo si
fa luogo alla pena corporale in mancanza. di pagamento
della multa. Ma il punto più degno di considerazione sono
‘i principii generali scritti nel cap. 54 del lib. IL. Ogni
delitto puó essere seguito dalla pace tra le parti, e questa
pace seriamente fatta per pubblico istrumento fa cessare la
| procedu a, tranne per la quarta parte del banno dovuta
alla curia: « De quolibet maleficio potest. fieri pax inter
partes », ed essa ha effetto di troncare il procedimento,
quando non sia fatta «' fictitie ad decemptionem curie causa
pene maleficii evitande ». L'altro principio è, che « nullum
malificium potest probari per publicam famam, nisi proba-
retur legitimis probationibus ». Certo, i più elementari precetti
del gius insegnano, che la pubblica fama non può fornire
la prova di un reato, ma chi conosce la nostra legislazione
statutaria sa, come per molti reati talvolta si assumesse per
prova la voce pubblica, e bisogna quindi tener conto della
dichiarazione degli statutari todini, che tale arbitrario si-
stema vollero abrogato per qualunque malefizio.

Dove risplende poi la prudenza dei nostri legislatori si
è nelle materie di polizia, sulle quali non spiacerà al lettore
che io mi trattenga alquanto.

III. — Pubbliea amministrazione interna.

16. — Le piü importanti disposizioni sanitarie riguardano :
a) l'igiene delle vie; b) l'igiene delle bevande e degli ali-
(1) Stat., lib. I,.66. « Quicumque occasione ignis vel alia occasione tum aliquid

astulerit et sequenti die non restituerit vel emendaverit, in L lib. puniatur et plus
arbitrio potestatis, et rem accemptam restituat, et in duplum emendet, ecc. ».
LO STATUTO DI TODI 365

menti; c) i provvedimenti per le malattie dell'uomo e degli
animali.

a) Igiene delle vie. — Detto della cura, che deve aversi
della piazza di S. Fortunato (I, 59), dove sorgeva la Chiesa
maggiore, si fa rigorosa proibizione ai tavernieri e a qua-
lunque persona di gettare nelle vie « aliquam turpitudinem
vel lixaturam carnium, etc. ». Si noti poi che è interdetto
il gettito non solo di quelle materie, ma anche dell’ acqua:
« et nullus debeat prohicere aquam in viis publicis et vi-
cinalibus ». — Di più non poteva certamente disporsi per
ottenere la massima nettezza delle vie. E se le leggi miras-
sero a conseguire questo fine cosi essenziale al manteni-
mento delle buone condizioni igieniche de' luoghi abitati, lo
dimostra la gravità della pena comminata alle contravven-
zioni. Essa era di XX sol, la qual somma, relativamente ai
tempi, superava di gran lunga le pene tenuissime ed insi-
gnificanti contenute nei moderni regolamenti per l' igiene (1).
Nello stesso modo resta assolutamente proibito « prohicere
aliquod animal mortuum mangnum sive parvum in platea
comunis vel in aliqua civitatis tuderti. Item quilibet habens
viam iuxta vias civitatis tuderti et habitans iuxta ipsas vias
et specialiter tempore pluvie venientis, teneatur habere tra-
gulum et cum ipso purgare debeat ipsas vias ». Nemmeno
è lecito raccogliere dinanzi alle case le immondezze, nè fare
ingombro nelle vie, tranne per causa di edificazione, nè
giuocare alla quintana o bersaglio, o in altro modo pericoloso
per i passanti e atto ad impedire la libera circolazione per
la città.

All’effetto poi che tali disposizioni sieno osservate, è dato
obbligo, sotto pena di X sol. al podestà di inviare ommi die
dominico qualcuno della sua famiglia ad una minuta ispe-
zione di tutte le vie mattonate, coll’ ingiunzione di denun-

(1) Stat., lib. II, 1.
306 O. SCALVANTI

ziare i contravventori, i quali sono del pari severamente

puniti.

b) Igiene delle bevande e degli alimenti. — Rispetto alle
fonti è prescritto che il podestà, entro il primo mese del
suo reggimento, chiami a sè i capi maestri muratori, e tenga
consiglio con essi per il buon regime delle acque potabili,
di guisa che sieno ben condotte, e niuno possa attingere
acqua se non dalla fonte. Ogni famiglia poi « in quorum
domibus sunt conducti aque, que tendit et fluit versus fon-
tem » deve giurare di non impedire che l’acqua Zbere fluat
per ipsos conductos. Del pari debbono essere chiusi gli acquai,
che fluiscono verso il fonte. Spetta al podestà di vigilare
sull'osservanza di tali precetti, ed è sua la cura di far pur-
gare e riattare i condotti delle acque, e perció ogni mese
uno de' suoi giudici, insieme al maestro muratore, deve re-
carsi a fare un'ispezione sullo stato delle condutture, e con-
testare le contravvenzioni a coloro, che vi fossero incorsi.
È vietato poi lavare nella fonte pubblica, la quale, a cura
dei camerari del Comune, deve esser fatta purgare quattro
volte in ciascun anno. E poiché d'acqua sorgiva era difetto,
si vollero raccogliere le acque piovane in cisterna; su di
che vennero emanate molte disposizioni. Si prescrive infatti
la eostruzione di condotti, e, questi costruiti, si fa precetto
che nessuno osi con fori o rotture od ostacoli di qualunque
maniera trattenere, disperdere o derivare le acque per uso
proprio; e, in caso si facesse, si dà obbligo al podestà di
ripararvi sine dilatione et quam citius fieri potest. Queste ci-
Sterne debbono rimanere chiuse in tutta la stagione inver-
nale dalla festa di S. Angelo in settembre fino alle calende
di giugno « nec per potestatem, nec per aliquem de sua fa-
milia possit auferri aqua de dictis cisternis tempore verno,
et si fieri fecit potestas vel aliquis de sua familia in predi-
ctis vel aliquod (sic) predictorum perdat de suo salario X
lib. ». Le cisterne e gli acquedotti sono tre volte all' anno
visitati per vedere quali miglioramenti possano introdurvisi;

3.
LO STATUTO DI TODI 3615

in ogni mese poi deve esser fatta « inquisitionem si aliqua
turpitudo fieret in dictis cisternis de die vel de nocte » (II,
82). E poiché si aveva chiarissima l'idea che: le sostanze
organiche in putrefazione potevano inquinare le acque, così
è proibito di uccidere animali o abbruciarli in vicinanza dei
pozzi (I, 53).

B

Circa gli alimenti si trova la proibizione di vendere carni

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di animali morti da sé, e la contravvenzione è gravemente
punita. È pure vietato di uccidere gli animali nel luogo di
vendita delle carni (II, 154). Minute sono le disposizioni indiriz-
zate a guarentire la buona qualità del pane, su di che è ufficio
del podestà, nel primo mese del suo regime, di far prestare
ai fornai il giuramento di procedere alla panificazione sine
malitia et fraude. Restava poi severamente proibito di cuo-
cere panem cum ossa olivarum, e di porne in vendita del

3

guasto. E per render possibile un'attiva sorveglianza su que-
sto cibo di prima necessità, si interdice ai fornai di venderlo
nelle loro case, poichè il solo luogo di vendita deve essere
la piazza del mercato pubblico (I, 81).

c) Malattie degli uomini e degli animali. — Anzitutto lo
statuto prescrive, che ci sia un 5won medico comunale, e la
ricerca di esso spetta al podestà (1), come spetta al consiglio
l'assegnamento del relativo salario. Doveva poi vigilarsi sulle
malattie, che dominavano e « si aliqua persona denuntiata
fuerit potestati, quod aliquis infectus .vel infecta, teneatur
potestas eum facere videri per duos medicos, et si iudicatum
fuerit per illos, istum vel illos esse infectos vel infectam,
expellatur de civitate et mittantur ad hospitale leprosorum,
et idem fiàt in castris et in villis comitatus tuderti » (II, 89).
Dal quale testo si rileva che quel medico eletto dal podestà
era veramente un sanitario comunale, imperocchè altri ve ne

(1) « Item statuimus quod potestas teneatur precise habere et inquirere de uno
bono medico habendo pro communi tuderti, et de salario dando ipsi medico per com-
munem tuderti, remaneat arbitrio consilii » (II, 136).
568 O. SCALVANTI

fossero nella città di Todi; e che i colpiti da malattie in-
fettive venivano allontanati e posti fuori della città in un
ospedale apposito. Né penso io che lo statuto per énfecti in-
tendesse solo gl'individui presi dalla lebbra, giacchè es-
sendo quello un morbo con caratteri esteriori visibilissimi
non vi sarebbe stato motivo di sottoporre lammalato alla
visita di due medici. Notevole é poi, che anche il contado
venne sottoposto alla medesima vigilanza, adonta che in esso
non si avesse una popolazione molto agglomerata, come nella
città.

Lo statuto prescrive inoltre, che chiunque abbia un ani-
male infermo, de quo dubitaretur ne alia animalia infirma-
rentur vel egrotarentur, non lo conduca ai pubblici abbe-
veratoi; e, non appena morto, lo faccia trasportare fuori
della città, sub pena XX sol. (II, 42). Queste non sono le sole
disposizioni in materia di igiene. Ora, se si pensa quanto ope-
rarono i governi municipali per la salubrità pubblica in un
tempo, in cui la medicina era guidata più da osservazioni em-
piriche, che da raziocinio scientifico fondato sull’ esperienza, è
da stupire che oggi, con tanto progresso della scienza medica,
si vadano così lentamente e con tanta esitazione applicando
. le regole della pubblica igiene. Non certo gli ordinamenti si
dovrebbero attingere agli statuti comunali, ma bensì l'ener-
gia, colla quale si sperimentavano tutti i mezzi intesi al
pubblico bene e alla pubblica incolumità.

17. — Lo statuto poi si prende cura dell’ amministrazione
edilizia ordinando, che chi vuole edificare un muro o cas:
su via pubblica o vicinale, deve prima farne denunzia al
podestà, e questi è tenuto a recarsi o mandare al luogo
indicatogli « et studere ita quod ius comunis non pereat
vel ammittatur, et via non destruatur nec restringatur ».
Pel caso vi potessero nascere legittime opposizioni di terzi,
il podestà doveva di ogni proposto lavoro in muratura far
bando per la città et im die sábbati im mercato (II, 122).
Ottime sono le disposizioni sul buon regime delle acque,
LO STATUTO DI TODI E ‘369

sia rispetto al divieto di impedire il loro libero deflusso, sia
rispetto all’obbligo di purgare i corsi d’acqua. I lavoratori
delle terre son tenuti a remondare formas et in culto te-
nere (1). Qua e là si incontrano misure di protezione per
gli scambi commerciali; e ora si prescrive, come altrove
vedemmo, che la proibizione di far malleveria a favore di
forensi o di obbligarsi con loro in qualsivoglia maniera non
si estenda ai commercianti (2); ora si sottraggono le per-
sone e le robe dei mercatanti ai pericoli e danni delle
rappresaglie (3); e ora, a proteggere la industria della ma-
cinazione dei cereali, si sanciscono regole attinte ai principii
della più rigorosa giustizia (4).

Il legislatore attende ancora. all’ incremento dell’ agricol-
tura, e perciò vuole che il giudice straordinario vigili e co-
stringa tutti i lavoratori delle terre, vigne, ecc. alle opere
richieste dai relativi contratti di locazione e conduzione (5).
All’ effetto che i danni alle terre sieno tosto riparati lo sta-
tuto aecorda per questo genere di controversie una proce
dura assai spedita, e vuole che la persona, la quale ha. in-
ferto il danno lo emendi integre e dia bonum fideiussorem. de
dampno emendando (6). Rispetto ai danni cagionati dagli ani-
mali lo statuto, per accordare la massima protezione all'agricol-
tura, dà facoltà al proprietario o coltivatore delle terre dan-

(1) Stat., lib. I, 81. Vedi nello stesso libro anche il cap. 58.

(2) Stat., lib. II, 39, e quanto abbiamo osservato in proposito al & 6.

(3) Stat., lib. II, 43.

(4) « Item statuimus... quod si quis habet possessiones aliquas ab utraque parte
alicuius fluminis sive fossati vel cursus aquarum, quod liceat ei auctoritate pro-
pria sine pena stangnum facere, arbores plantare, et omne concimen facere ad suam
voluntatem, dum modo non ledat aliquam specialem personam. Et quod nulla per-
sona possit aliquod hedificium facere in aliqua ex aquis comitatus tuderti sive flu-
mine, quod possit facere preiudicium alicui molendino supra ipsum vel infra ipsum
positum. Et (si) hedificium aliquod factum fuerit sive stangnum vel aliqua para, cuius
de causa cursus aque alicuius molendini supra vel infra ponita im pediretur, illud fa-
cere destrui et reduci cursum aque in statum antiqum, et si.quis contrafecerit pu-
niatur arbitrio potestatis, et quod aqua debeat terminari ad petitionem petentis » (I, 93).

(9) Lib. I, 13.

(6) Stat.,-lib. II, 55.

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neggiate di uccidere gli animali, che quel danno cagionas-
sero: « Et si quis occiderit porcos vel pullos gallinacios in
suo dampno penam nullam patiatur, si redat porcum mor-
tuum ili cuius est ». Ma non basta, ché é anco permesso

al danneggiato « guastatores moderate verberare, quos in-

venerit in suo dampno vel furto sine pena, et etiam possit
depredare bestias et auferre eas sine pena » (1). Al pari di
molti altri statuti, quello di Todi accorda efficace protezione
ai lavoratori colpiti da qualsiasi danno (I, 14). -

.18. — Non mancano poi alcune disposizioni contro il lusso .

dei conviti e delle nozze, rispetto alle quali parmi si cadesse,
come spesso avveniva, in ridicole esagerazioni (2). Della be-

neficenza si occupa lo statuto a proposito dell’ ospedale della
carità, posto alla dipendenza del Comune. Infatti, sebbene vi

sieno gli oblati e i familiares, questi debbono prestare obbe-
dienza al precettore o: rettore eletto dal Comune, e la cui au-
torità deve essere così rispettata, che chi l'offendesse sa-
rebbe severamente punito arbitrio potestatis. Tuttavia, non vo-
lendo lo statuto affidare interamente quell’ istituzione di be-

(1) Stat., lib. II, 56. E notevole poi la parte del testo, che qui si trascrive: « Et
domini silvarufn et custos conservientes ipsorum et laboratores terrarum, vinearum,
silvarum, cannetorum, salcetorum et ortorum possint auferre et auferri facere in silvis
et salcetis incidentibus et in vineis et ortis et blado et arboribus dantibus dampnum

pingnus auferre et bestias dampnum dantes auferre et ducere et retinere, et curia puniat.

dominos ipsarum bestiarum in XX sol si querimonia inde fuerit et dampnum emendet
secundum predictum modum et dicta pingnora et alia ablata possit retinere, quo usque
fuerit sibi de dampno integre satisfactum, quod receperit, et mandecaturam ipsarum
quam.iacuerint et stetur iuramento bestias auferentis vel occidentis, et denuntietur
illis, quorum sunt bestie ablate. Et in condempnationibus facientibus pro dictis gua-
stis dictis sufficiat dicta probatio usque in XX sol., ecc. ».

(2) « Item nullus de civitate tuderti det vel dari promittat marito filiovel ne-
poti vel alteri persone. pro ea recipienti, nisi unum lectum et unam mutaturam pan-
norum lini, et qui contrafecerit et quotiens in X lib. puniatur, de quibus medietatem
habeat accusator et dicta promissio non valeat, et hoc vindicet sibi locum in prete-
rito'ed in futuro, et vadat sponsa pedes tantum, ad quam sponsam possint ire iiij
domine et non plures ex parte viri et quicumque contrafecerit solvat nomine pene.X
lib. de quibus medietatem habeat accusator, et hoc locum habeat in civitate dedu-
cendo sponsa, nisi iret sponsa in comitatu vel veniret de comitatu, et hoc potestas.
faciat banniri per civitatem infra unum mensem post initium sui regimnis » (Stat., lib. I,
71). Vedi anche il cap. 97 dello stesso libro I.

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LO. STATUTO DI TODI s ST

neficenza alle cure del precettore, sebbene scelto dal Comune,

prescrive che il podestà e tutti i giudici abbiano l’obbligo
di difendere e di procacciare il mantenimento dei beni del-
l’opera pia; che il podestà debba far compilare gl’ inventari;
e che le convenzioni riguardanti gl immobili dell’ ospedale,
tranne il contractus laboricij che non ecceda la durata di
tre anni, non si possano stipulare’ sine consensu et voluntate
comunis e senza un'inchiesta del podestà. Finalmente, a ri-
guardo della destinazione umanitaria dei beni stessi, è statuito
che qualunque autore di danni sui medesimi « condempne-

tur in duplum pene contempte in statuto » (1).

19. — Con questi cenni io credo aver dato ai lettori un
ragguaglio assai esatto dello statuto tudertino del 1275, il
quale, per essere una scrittura del secolo XIII, ha partico-
lare importanza per gli studiosi. e

Infatti, bene a ragione l' illustre Schupfer nella lettera al
Pensi (2) scrive, che a lui piacciono « i vecchi monumenti
più ancora di quelli di tempi meno remoti, perchè rispec-
chiano meglio le condizioni sociali e cercano di adattarvisi ».
Certo le native fattezze delle società comunali del medio evo
non sono del tutto perdute anco negli statuti del secolo XIV;
ma, per ciò che si riferisce alla parte strettamente giuridica,
i più antichi sono di un valore incomparabile rispetto ai
più recenti, perchè « quanto più si avanza, e tanto più la
fisonomia particolare del Comune si perde, specie in ordine al
diritto, sotto l'influsso della scuola e della giurisprudenza,
che non vedono altra salvezza che nel diritto romano ».

È per questa considerazione, che a me parve utile in-
trattenermi sulle reliquie del gius romano nello statuto di
Todi. Qualcuno de'miei leggitori avrà forse giudicato altri-
menti, fino ad accusarmi di aver confermato ciò che di
conferma non aveva mestieri, e cioè che lws, cui si rife-

(1) Stat., lib. II, 108 e 109. Leggi inoltre il cap. 104 del lib. I.
(2) Statuto di Todi del 1275, con lettera di Schupfer. — Todi, 1897.
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372 O. SCALVANTI

rivano. gli statuti, altro non era che il diritto di Roma. Que-
sta è verità inconcussa, e riuscirebbe ozioso il parlarne a

proposito degli statuti del XIV e XV secolo, quando l' auto-

rità del diritto romano e più quella. de’ suoi interpreti fu
tanta da superare ogni ostacolo e da imperare sovrana, nel
foro. Ma è tutt'altro che priva di utilità scientifica, penso io,
la ricerca della tradizione romana, che dalloscillante, oscura
e guasta consuetudine riuscì a penetrare nelle prime leggi
scritte, e la investigazione dei modi, coi quali le società comu-
nali si andarono adattando i principii della romana sapienza.

Siffatte investigazioni e ricerche, nel tempo in cui, a dirla con

Schupfer, la battaglia era ancor viva, possono guidarci a sco-
prire la lenta evoluzione dell’antico gius, e svelarci il segreto
della sua permanenza tra le genti latine, e della sua pratica
elaborazione, che dovette precedere quella scientifica de’ glos-
satori e degl’ interpreti. Ora, gli statuti della seconda metà
del secolo XIII, come quelli che in gran parte raccol-
gono il frutto di precedenti compilazioni, servono mirabil-
mente a quegli scopi, che sono da porre tra i più degni
di studio nelle dottrine storico-giuridiche.

Perugia, maggio del 1897.

Prof. OscAR SCALVANTI.

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1373.

oSIOGII

dell’ Archivio Notarile Distrettuale di Perugia

In tenui labor.

Occupandomi da circa tre anni, nell’ archivio notarile di-
strettuale della città, alla ricerca di notizie, intorno all’ in-
troduzione della stampa in Perugia nel secolo XV, volle caso
che m'imbattessi nell’ indicazione di molti rogiti, contenenti
atti, che si riferivano ad artisti perugini ed umbri. Questi mi
venne vaghezza di trascrivere, ritornando agli antichi studii,
fatti in età giovanile coll’amico Frizzoni, sotto la guida di quel
dotto ed intelligentissimo uomo, che fu il compianto senatore
Giovanni Morelli di Bergamo, e che in materia d’arte ebbe
sentimento tanto fine e giudizio rettissimo.

Presento ora un primo mazzo di 10 documenti del secolo XV
e XVI che si riferiscono ai supposti maestri di Pietro Pe-
rugino e che non furono stampati dal Rossi (Giornale d’E-
rudizione artistica, Perugia, Tip. Boncompagni 1872-77, volu-
mi 6, in 8° grande), e che non si trovano nè nelle varie
edizioni del Vasari, nè nelle vite del Vannucci, scritte dal-
lOrsini (Perugia, Tip. Baduel, 1804, in 8°) e dal Mezza-
notte (Perugia, Tip. Bartelli, 1836, in 8°; e di taluni dei
quali soltanto si fa cenno nelle eruditissime Lettere Pitto-
riche Perugine di Annibale Mariotti (Perugia, 1788 per le
stampe Badueliane, in 8°) che sono uno dei più pregievoli
scritti di questo valente storiografo perugino.
9314 L. MANZONI

AI presente primo spoglio mi propongo di farne seguire
altri nei venturi numeri di questo Bollettino, pubblicando i
documenti, che si riferiscono a Pietro e ai suoi scolari, e
che si rinvengono nei rogiti di detto archivio. |

Vogliano gli studiosi far buon occhio a queste povere fa-
tiche, le quali mi fu dato compiere mercé la cortesia del
dottor Giuseppe Antonini solerte conservatore di esso archivio,
e ne traggano frutti per opere degne di lode.

Perugia, 15 aprile 1897.

LUIGI MANZONI.

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Pittori Perugini e Umbri

(BONFIGLI BENEDETTO e FIORENZO DI LORENZO).
BONFIGLI BENEDETTO.

I. — 1445, Marzo 7. — rog. Pietro Paolo di Nuto.

Die vij dieti mensis martij actum in audientia episcopali perusina
presentibus Joanne Tomaxini Crevelli de Perusio porte s. Angeli et par.
5. Marie de Viridario et Vestro Ioannis Andree de castro s. Martini in
Campo comitatus Perusij testibus ad infraseripta vocatis, habitis et ro-
gatis.

Benedictus Bonfigli pictor de Perusio porte et par. s. Petri ex una
parte et Paulus Angeli Ceccoli de villa s. Cristophori de Piscille comi-
tatus Perusie porte s. Petri parte ex altera compromiserunt et compro-
missum fecerunt in providum virum Gratiosum Pauli Cerchi alias de
Casantella de Perusio camerarium artis pietorum porte s. Suxanne
presentem et aceptantem tanquam in.eorum arbitrum in de et supra pic-
tura cujusdam ymaginis gloriose Virginis cum duobus angelis iuxta
altare foris stans in ecclesia s. Petri. Cui dederunt plenam licentiam
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et liberam potestatem eligendi unum aut plures magistros et exami-

nandi et debitam mercedem declarandi, Cuius declarationi stare et aequie-

scere promiserunt renunciantes. tc.

IL. — 1469, 5 Decembre. — rog. Francesco di Giacomo.

Eisdem millesimo Indictione et pontificatu, die quinto decembris ac-
tum Perusii in palatio magnificorum: dominorum priorum in .camera
notarii presentibus domino Stefano Guiduccio cancellario comunis Perusii
de Perusio porte s. Angeli et Joanne Bartolomei Ciabacche de Perusio
porte S. Petri testibus rogatis. :

Cum hoc sit assertione infrascriptarum partium quod sub mille-
simo cccelviiij die xxj decembris per consilium magnificorum domino-
rum priorum et camerariorum fuerit salubriter provisum pro augmento
artis sirici quod de pecuniis comunis Perusii mutuetur et mutuare debe-
retur Bartolomeo Gregorii ser
centos ad rationem nonaginta solidorum pro quolibet flor. quos flor.
idem Bartolomeus teneatur restituere in certis terminis prout in lege
edita manu ser Bartolomei Raynaldi latius dicitur contineri. Qui Bartolo-
meus una cum Francisco et Mariotto suis germanis manu eiusdem ser Bar-
tolomei se in solidum obligaverint restituere dietas pecunias in certis
terminis nec non prestiterint in fideiussores Bartolomeum Andree Pascutii
Benedietum Vici Baldi et Constantium Angeli Paulutii qui pro rata
promiserunt solvere dictam quantitatem in terminis in instrumento con-
tentis et ex dictis pecuniis. Idem Bartolomeus a comuni perusii ha-
buit et consecutus fuit-flor. sexcentos ad dietam rationem et demum
de dicta summa idem: Bartolomeus satisfecit comuni Perusii flor. cen-
tum et sic idem Bartolomeus restat debitor comuni Perusii in quanti-
tate quingentorum flor. ad dictam rationem et in presentiarum per
magnificos dominos priores et consilium camerariorum fuerit bis provi-
sum et determinatum volentes operam dare quod capella palatii magni-
ticorum dominorum priorum pingatur et ad debitum finem deducatur
quod dieto Benedicto nomen debitoris dieti Bartolomei assignetur et pro
rata sui crediti.

Dopo di che si passa ad indicare la somma da pagarsi
al Bonfigli:
Idcireho dieti Bartolomeus et Franciscus, nec non Anibal eorum ger-

manus et filii olim Gregorij ser Honofrii da Perusio porte Solis ipsi et
quilibet ipsorum in solidum per eos et eorum heredes obligando se ipsos

Honofrii de Perusio florenos milledu-
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et omnia et singula eorum bona mobilia et inmobilia presentia et futùra
pro observatione infrascriptorum promiserunt et. convenerunt eidem ma-
gistro Benedicto Bonfigli de Perusio porte S. Petri presenti, stipulanti
et recipienti pro se et suis heredibus et cui infrascripta concesserit vel
concedere voluerit dietam quantitatem trecentorum septuaginta flor. ad

- dietanr rationem xxxvj. bolon. dare, solvere et numerare.

III. — 1477, 1 Luglio. — rog. Francesco di Jacopo.

Eisdem millesimo Indictione pontificatu die primo iulij actum Pe-
rusij in audentia artis pannorum lane presentibus Raynaldo Francisci
magistri Jacobi de Perusio porte heburnee et ser Priamo ser Angeli de
Perusio porte s. Angeli testibus ad infrascripta habitis, vocatis et ro-
gatis. -

. Magister Benedictus Bonfigli de Perusio porte S. Petri pietor per
.se et suos heredes obligando se et omnia et singula ejus bona mobilia
et inmobilia presentia et futura pro observatione infrascriptorum fecit
finem refutationem, quietationem, absolutionem liberationem et pactum
de ulterius non petendo Bartolomeo Gregorii quondam Honofrii de Pe-
rusio porte Solis presenti stipulanti et recipienti pro se et suis heredibus
et cui jus suum concesserit seu concedere voluerit de florenis centum-
octuaginta ad rationem xxxvj bolon. pro quolibet flor. dicto magistro
benedicto debitis virtute publice ipsius promissionis facte per dictum
Bartolomeum, Franciscum et Anibalem ejus fratres prout de dicto in-
strumento plene patet manu mei notarij infrascripti celebrato sub m.^
cccelxyiiij die quinto decembris. Et hoc fecit pro eo quia fuit confessus
et contentus dictos clxxx a dieto Bartolomeo habuisse et recepisse in
pluribus, variis, diversis partitis et vicibus usque in hodiernum diem

prout idem magister Benedictus affirmavit patere in quodam. suo ba- .

stardello scripto manu dicti Bartolomei existente penes ipsum magi-
strum Benedictum. Ec.

IV. — 1483, 10 e 24 Decembre. D rog. Girolamo di Bar-
tolomeo.

Nell'archivio del tribunale della città si conserva una riec:
raccolta di processi, e mercé la; gentilezza del signor cancel-
liere Pimpinelli ho potuto rinvenire il processo riferentesi a

donna Gioliva, moglie del Bonfigli..Sulla coperta del processo
Sta scritto: « Benedictus Bonfili de Perusia contra Iolivam


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Menicutii ejus uxorem ». Il processo é in data delli 10 de-
cembre 1483, e la sentenza é in data delli 24 dello stesso
mese, e la pronunciarono i massari del comune « Thomas
Massei porte s. Suxanne.et Cristoforus ser Ioannis porte he-
burnee » condannando « predictam dominam Giolivam dapnis
expensis et interessis ». L'atto è per mano di pubblico notaio,
che si sottoscrive « Ego Hieronimus q. Bartolomei publ. im-
per. auctoritate notarius ». 3
Di tal atto fa ricordo il Mariotti nelle citate Lettere,

V. — 1492, 14 Decembre. — rog. Mariotto Calcina.

Die veneris xiiij decembris aetum in domibus hospitalis sancte Marie
de Misericordia presentibus Costantio Johannis et Andrea Baptista alias
de Banoia porte s. Angeli, etc.

Cum prout infrascripte partes asseruerunt quod magister Benedictus
Bonfigli de Perusii porte s. Petri fuerit et sit creditor Barnabei Putij
Teti (?) de villa s. Felitiani comitatus porte Solis in quantitate xxti medio-
lenorum olei dulcis pro coptumo virtute publici instrumenti manu ser
Mathei Nardi et viginti librarum olei ultra dicta xxti mediolena olei et
iu solidis nonaginta duobus pro expensis qui Barnabeus fuit ad instan-
tiam dieti magistri Benedieti in carceribus detentus et in presentiarum

Antonius Filippo alias Pippo de castro montis habatis comitatus peru-
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sini porte Solis sequiriverit ser Franciscum domini Iacobi de Perusia ut
Sibi placeret dietas quantitates olei et pecuniarum tradere et consegnare
ac solvere promittere. Volensque dictus ser Franciscus votis dicti Antonii
annuere per se et suos heredes obligando se efc. promisit et convenit
dicto magistro Benedicto ec. dietos viginti mediolenos olei dulcis et libras
viginti et solidos viginti duos dare et solvere; tradere. £c.

VI. — 1495, 11 Marzo. — rog. Mariotto Calcina.

Eisdem millesimo Indictione pontificatu et die xi martij. Actum
in audientia artis lane civitatis Perusie presentibus Bartholomeo Jo-.
annis Biancati porte s. Suxanne par. s. Andree habitatore porte s. Petri,
par. s. Stephani et Pero Joannis Masey porte Eburnee par. s. Savini
Duo ad infraseripta vocatis, habitis et rogatis.

Jenedictus Bonfigli porte s. Petri et par. s. Stephani per se et suos
heredes obligando se et omnia eius bona mobilia et inmobilia presentia
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et futura pro observatione omnium infrascriptorum fecit finem refu-
tationem quietationem liberationem et pactum de ulterius aliquid non
petendo Antonio Pippi de castro. montis Abatis tamquam presenti et
mihi Mariotto Joannis notario tamquam publice et autentice persone
stipulanti et recipienti pro dieto Antonio suisque heredibus de viginti

mediolenis et viginti libris olei duleis pulpe solidis nonaginta duobus

pro expensis eidem Benedicto debitis virtute istrumenti promissionis et
fideiussionis facte predicto Antonio et in favorem dicti Antonii et in eius
utilitatem et commodum dicto Benedieto per ser Francisum domini Jacobi
fideiussorem olim dieti Antonii vel eius fideiussoris manu Mariotti notari.

VII. — 1496, 6 Luglio. — rog. Bartolomeo di Mariotto.

Il Mariotti a pag. 136 delle sue Lettere Pittoriche dice

.che a rogito di questo notaio sotto tal anno e data il Bon-

figli fece testamento, e questo ripete alla pag. 141, aggiun-
gendo che lasció erede delle sue sostanze il convento di
5. Domenico, volendo esser sepolto « in introitu porte dicte
ecclesie, que dicitur la Porta del Castellaro ». Questo testa-
mento é stato da me cercato invano, per cui riporto qui la
particola di esso testamento stampata dal Mariotti (pag. 136,
nota 2), in cui é detto che lascia una somma pel compi-
mento della cappella nel palazzo dei Priori. « Item judicavit,
etc. Quod Bartolomeus Gregorii de Perusio debeat perficere
seu perfici facere capellam Palatii magnificorum, Dominorum
Priorum, Civitatis Perusii, quam dictus Bartolomeus eccepit
perficiendam ab ipso testatore per tempus unius anni proximi
futuri. Et quod perfecta dicta capella debeat eidem Barto-
lomeo, etc. ». La qual somma sarebbe di fiorini 180. Questo
documento si collega a quelli riportati ai numeri II, III.

"VIDE 1502, 24 Agosto. — rog. Giovan Francesco di Pietro.

Particella del testamento di donna Gioliva moglie di Be-
nedetto Bonfigli, da cui appare che esso alli 24 agosto del

1502 era defunto.
SPOGLI, ECC.

Eisdem millesimo Indictione pontificatu et die xxiiij mensis augu-
sti aetum Perusii in ecclesia s. Marie Angelorum de Perusio sita extra -
et prope duas portas civitatis Perusii, porte s. Petri infra suos confi-
nes presentibus domino Mariotto Gasparis de Boncambiis porte Eburnee,
domino Ybo Alberto Bonifatij de Coppolis porte s. Angeli civibus perusi-
nis, fratre Francisco quondam Antonii. de Venetiis priore infrascripti
conventus, fratre Bartolomeo quondam Bartolomei da Bergamo, fratre
Iohane Pero quondam Augustini de Bergamo, fratre Laurentio quon-
dam Iacobi de Venetiis et fratre Martiale quondam Thome de Pedemon-
tium fratribus et canonicis commorantibus in dieta ecclesia sáncte Ma-
rie Angelorum de Perusio testibus ad infrascripta ab infrascripta testa-
trice vocatis, habitis et rogatis.

Domina Gioliva uxor quondam Benedieti Bonfigli pictoris de Perusio
porte s. Petri par. s. Stefani Dei gratia sana mente et intellectu et in
bona et recta seientia constituta licet senex et aliquantulum dogliosa ti-
mens casum mortis nolens intestata decedere ne post ejus mortem inter
aliquos de suis bonis aliqua valeat exoriri discordia hoc presens te-
stamentum nuncupativum quod dicitur sine scriptis in hunc modun
facere procuravit et fecit videlicet. ;

Da quest’ atto si rileva che essa era ricca per gli abbon-
danti legati fatti, e che abitava nel convento di Monna
Simona, lasciando ad una sorella fiorini 15 per fare un para-
mento per la chiesa del convento stesso; e così pure appa-
risce che il suo primo marito chiamavasi Pietro o Petrino,
lasciando essa 15 fiorini. « domine Honeste uxori olim Nicolai
aurificis de Perusio pro anima Petrini sui primi mariti dicte
testatricis ».

. FIORENZO DI LORENZO.
IX. — 1472, 9 Decembre. — rog. Francesco di Jacopo.

- Eisdem millesimo Indictione et pontificatu die nono decembris actum
Perusii in palatio magnificorum dominorum priorum in camera notarii pre-
sentibus Ludovieo ser Antonii de Perusio porte Eburnee carpentario et
Marco Nicolai Nai de Perusio porte s. Suxane testibus habitis rogatis.
Venerabilis et religiosus vir frater Grisogonus Antonii de Firmo
viceprior sindicus et procurator fratrum capituli et conventus sancte
Marie Nove ordinis Silvestrinorum de cuius mandato patere dixit manu
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ser Nicolai Angeli de Perusio publici notarii obligando omnia et singula b
bona dictorum fratrum capituli. et conventus presentia et futura. pro li
observatione infrascriptorùm dedit, cessit, et concessit magistro Flo-
rentio Laurentii de Perusio pietori porte s. Suxanne presenti, stipulanti
et recipienti pro se et suis heredibus et cui ius suum concesserit seu con-
cedere voluerit ad pingendam tabulam jam de lignamine factam ponen-
dam in altari s. Marie Nove porte Solis pro pretio pactis capitulis et E
conventionibus ac modis anotandis in cedula dicti laborerii de qua in
fine presentis seripture de verbo ad verbum erit tenor insertus.

Et hoe fecit pro eo quia dictus magister Florentius per. se et suos
heredes obligando se et omnia et singula eius bona mobilia: et inmobi-
lia, presentia et futura pro observatione infrascriptorum, promisit et
convenit prefato fratri Grisogono presenti stipulanti recipienti pro dictis
fratribus, capitulo et conventu et cui jura ipsorum concesserint seu conce-
dere voluerint dictam tabulam pingere modis et formis in dicta cedula
et infra annotandis contentis ad usum boni et legalis magistri. Efc.

Seguono altre clausole di garanzie reciproche tra le due
parti e poscia viene la cedola che trascrivo letteralmente:

Cedola.

Tenor vero cedule, de qua supra fit mentio est infrascriptus et se-
quitur.

In Dei nomine amen. meccelxxij die vero nono Decembris.

Qui desocto in questo folglio io frate Grisogono da Firmo vece
priore de la chiesia et convento de sancta Maria Nuova porta Soli de
Peroscia et sindico et procuratore de essa de volontà et consentimento
del capitolo et frati de la dieta chiesia insiemo congregati fo mentione
como qui desocto appare per li infrascripti capituli. Como daremo a la-
vorare et pignere et mectere ad oro la nostra tavola de lo altare grande
de la dieta chiesia a. mastro. Fiorenzo de Lorenzo de porta Sansanne
parocchia de sancto Stefano citadino peruscino per non contrafare a la
lege faeta per li magnifici signori priori et Camerlenghi de la dicta
cità ad uso de buono et fedele maestro li quali capituli sono questi ve-
delicet.

Em prima che el dieto mastro Fiorenzo se obliga conservare senza |
dampno et lavorare la dicta tavola ad uso de buono et fedele maestro. i
E pui che el dicto mastro Fiorenzo se obliga mectere tutti li campi,
folgliame et cornice de la dicta tavula ad oro fino et le figure et le altre
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SPOGLI, ECC. 381

cose de azzuro.oltra marino fino et questo secondo a le figure se con-
verrà. :

Et che el dieto mastro Fiorenzo- volemo faccia ne lo scabello de
essa tavula in mezzo de essa la passione co la sua istoria de là et
de qua e dall'altro lato sancto Benedetto cola sua istoria da li suoi
lati et da canto l'arme del comuno de Peroscia.

Item volemo che el dieto faccia in quello quadro luochi che stanno
dacanto le finestre che se vede el corpo di Cristo li quactro evange-
liste doi per lato. :

Item volemo le cinque figure grande de uno lato Passunzione de
Maria, appresso lei sancto Pietro, et saneto Pavolo, sancto Benedetto et.
beato Silvestro nostro. ;

Item dall'altro lato le cinque figure grande volemo Maria colo fi-
gliuolo in braccio, a presso lei San Girolamo et sancto Ambrogio, poi
saneto Nicoló et beato Paolino.

Item ne li pileri che sonno dodece spatii ce volemo li xij apostoli.

Item ne li nove tabernacoli in cima de la tavola in quello di mezzo
da omne lato faccia Dio Padre, ne li quatro, da uno lato sancto Stefano,
sancto Lorenzo, sancto Sebastiano et sancto Antonio, et dali altri quatro
volemo faccia saneta Caterina, saneta Lucia, saneta Margherita et san-
cta Scolasticha. Et in altri luoghi de avanzi che qui non sia faeta mentione
volemo sancto Augustino, sancto Domenicho, sancto Francesco et san-
eto Bernardino.

Item che non volemo ce possa stregnere a trovare denare nó fare
pagamento piü che noi voliamo. |

Item che el dicto mastro Fiorenzo se obligha a fare tucte queste so-
pradecte cose ut supra per prezzo de doicentovintacinque ducate d'oro.

Et perchè de sopra e' è uno capitolo che el dicto mastro Fiorenzo non
ce possa stregnere al pagamento de li dicti doicentovintacinque ducati
più che noi voliamo e non seria ragionevole che elglie fosse costrecto
al pegnere se non per le rate de li denare quale esso averà, volemo et
semo d'aecordo che noi non podiamo stregnere nó molestare el dicto
mastro Fiorenzo a la pentura de la dieta tavola se non per la rata de
li denari che averà. Et el pegnere de la dieta tavola da quello in su
sia in d'ebito desso mastro Fiorenzo.

Questo documento è ricordato dal Mariotti, Lettere Perugine.

X. — 1501, 10 Maggio. — rog. Giovan Francesco di Pietro.

Eisdem millesimo Indictione pontifieatu et die x mensis maii actum
Perusii in domo Martini Vincentii Mateoli Bey de Perusio sita in porta

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SPINA ORG e L. MANZONI

S. Petri et par. S. Marie de colle infra suos confines presentibus Ma-
riano Luce Simonis Cecchetti de Perusio porte s. Petri, et paroc. s. Petri,
et Gnangne Antonii dieto Fornaiolo de Perusio dicte porte et par. s. Marie
de colle testibus: ad hec vocatis, habitis et rogatis.

Petrus et Filippus filii quondam Paulini Petri de Perusio porte s. Su-

xanne et par. s. Luce per eos et eorum heredes obligando se ipsos et omnia
ipsorum bona presentia et futura pro observatione omnium et singulorum
infraseriptorum dederunt vendiderunt cesserunt et concesserunt Floren-
tio Laurentii pietori de Perusio porte s. Suxanne et par. s.: Nicolai pre-
senti, stipulanti et recipienti pro se et suis heredibus ' et. cui ius suum
concesserit seu concedere voluerit unam eminam ad perticham et mensuram
comunis Perusii unius petie terre arate et arborate pro indiviso cum
residuo cum dietis venditoribus site in pertinentiis castri sancti Blaxii
de valle in vocabulo Colcello fines totius ab uno heredes domini Petri de
Ubaldis de Perusio ab altero. Etc.

Seguono altre modalità del contratto e l atto finisce con
un contratto ad comptumum, a guisa d'un affitto tra i ven-
ditori e Fiorenzo di Lorenzo, di cui questo é il principio:

Petrus et Filippus venditores predicti sopranominati fuerunt con-
fessi et contenti habuisse et habere et tenere dicta bona ut supra per
ipsos vendita ad coptumum et nomine coptumi a dieto Florentio em-
ptore per dietum tempus decem annorum predictorum. te.
INVESTITURA DI MONTONE A FAVORE Dl FORTEBRACC

Città di Castello conserva ancora molti documenti riguar-
danti il Capitano Braccio da Montone, che vi dimorò per un
certo tempo coi suoi. Ivi gli nacque un figlio, nel 15 di febbraio
del 1410, tenuto a battesimo dal Comune per mezzo di quattro
sindaci eletti il 17 dello stesso mese « ad divinam parentelam
contrahendam cum strenuo capitaneo », la quale costò assai
cara ai Castellani. E probabilmente per avervi dimorato
Braccio e la sua famiglia, a Città di Castello (nell' archivio
di casa Graziani) si conserva il Breve col quale, nel settem-
bre del 1414, Giovanni XXIII conferiva la signoria di Mon-
tone a Giovanni Fortebracci, a Braccio e al suo figlio natu-
rale Oddo o Oddone, nato nel 1410, e non nel 1409 come
riferisce Ariodante Fabretti. Montone fu occupato da Braccio,
secondo scrisse lo stesso Fabretti, nel 27 di luglio del 1413 « col
mezzo di que’ terrazzani che tenevano dalla sua ». Negli
annali pubblici di Città di Castello si legge che il 29 dello
stesso mese si ordinò il pagamento del dono al trombetta di
Braccio che aveva recato la nuova della espugnazione da
lui fatta del castello di Montone.

G. MAGHERINI (XRAZIANI.

Johannes Episcopus servus servorum Dei. Dilectis filiis Nobilibus
viris Braccio et Johanni Germanis quondam Nobilis viri Oddonis militis
ae Oddoni infanti dicti Braccii nato de Montone Civitatis Castelli dioe-
cesis salutem et apostolicam benedictionem.

Probata in arduis vestre fidelitatis strenuitatis atque devotionis
integritas, quibus experimentis innumeris erga statum et honorem n0-
strum et Romane ecclesie etiam dum minori fungeremur officio vos
exibuistis continue ae exibere non desinitis survigiles, fideles, strenuos et
intentos innumereque virtutes, quibus personas vestras earum largitor
dominus insignivit, ac laudabilia tue infantilitatis indicia, quibus tu fili
Oddo verisimiliter presumitur, quod in virum te debeas producere vir-
tuosum merito nos inducunt ut vos ac per vos natos descendentes et
posteros vestros speciabilibus gratiis atque favoribus prosequamur : Hodie
384 » — ..G. MAGHERINI GRAZIANI

Siquidem ex certis causis animum nostrum moventibus Castrum nostrum
Montonis Civitatis Castelli dioecesis in-Comitatu Civitatis nostre Peru-
sine situatum cum eius territorio et distrietu iuribus ac pertinentiis suis
universis ad nos et predictam ecelesiam nullo medio pertinens ab omni :
dominio, potestate ac iurisdictione ae superioritate Comitatu territorio
et distrietu Civitatis nostre Perusine prefate protinus dimembrantes ac
separantés in comitatu auctoritate apostolica . . . . deerevimus quod Ca-
strum ipsum deinceps ae perpetuo Comitatus Montonis nuncuparetur et
ipsum Castrum a prefata eeclesia pro tempore obtinentes et in fidelitate
ipsius persistentes Comites Montonis existerent et sic deberent perpetuis
futüris temporibus nominari, iure tamen ipsius ecclesie. in omnibus sem-
per salvo, prout in nostris inde confectis litteris plenius continetur. Nos
volentes vos qui hactenus contra perfidiam hostium ac rebellium prefate
ecclesie viriliter, intrepide ac strenue militatis et tu fili Bracci militas
de presenti et Castrum ipsum de hostilibus manibus eruisti multaque
preclara atque fidelia opera pro statu et honore huiusmodi impendistis
sedulo ac impenditis, ut arbitramur indubie in futurum harum intuitu
favore prosequi gratie specialis, vos vestrosque natos masculos ac eorum.
et cuiuslibet ipsorum filios masculos descendentes et posteros natos et
qui masculi nascentur ab, illis de legitimo matrimonio procreati, Comi-
tos predieti Comitatus Montonis auctoritate prefata ac presentium tenore
facimus, constituimus et etiam ordinamus, vosque ac natos filios, de-
scendentes et posteros predictos Comites dicti Comitatus existere volui-
mus, et sic deinceps ab omnibus censeri et nominari, ac etiam nuncupari,
et posse ac debere gaudere omnibus et singulis emolumentis, commodis,
honoribus, immunitatibus ac privilegiis et exemptionibus, que tam La-
teranenses Palatii quam aliis Comitibus concedi a sede apostolica con-
sueverunt. Volumus autem quod vos vel procuratores vestri ad hunc
actum specialiter constituti, aut tu fili Bracci tuo et ipsorum nomine
tam vestro quam filiorum, descendentium ac posterorum predictorum
nomine in manibus nostris aut venerabilis fratris nostri Antonii Epi-
scopi Senensis ae Thesaurarii nostri officium Camerariatus nostri regentis
fidelitatis debite prestare debeatis in. forma solita iuramentum. Nulli
ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostre creationis constitu-
tionis ordinationis et voluntatis infringere vel ei ausu temerario contra-
ire. Siquis autem hoc attemptare presumpserit indignationem omnipo-
tentis Dei et beatorum Petri et Paoli Apostolorum eius se noverit
incursum.

Datum Bononie V.° Kal. Septembris, Pontificatus nostri anno
quinto.

Gratis de mandato domini nostri pape
B. de Montepoliciano.
(Il Breve ha il piombo).

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ANALECTA UMBRA

Il prof. Scartazzini ha pubblicato (Milano, Hoepli) il vol. I
dell’ Enciclopedia Dantesca, « miracolo (ha scritto un critico ignoto
in un giornale di Bologna), oltre che di cultura, di pazienza:
nelle questioni critiche ha saputo conservare un'obbiettività. di
citazioni quali molti dantisti non si sarebbero attesa da lui ».
Sotto il nome Agobbio (pag. 45) leggiamo: « Si vuole che Dante
esule vi si rifugiasse in casa di Bosone dei Raffaelli ». E si cita
il Troya, il Balbo, il Pelli e il Fraticelli. E non altri? Ancora:
« dicono che [Dante] insegnasse greco e francese ai figliuoli di
Bosone »; ma anche questa è una di quelle ipotesi « fondate per
lo più sopra alcuni versi della Commedia, o sopra tradizioni vaghe
e fors'anche relativamente moderne »; e si rimanda al libro del
Ricci, L'ultimo refugio di Dante, pag. 97. Ecco; il Ricci dice
ben diversamente: « Fu a Pisa, a Genova, a Gubbio, al Mona-
stero di Fonte Avellana, sotto il Catria e in altri luoghi? Chi lo
sa? La storia non sussidia affatto queste ipotesi fondate per lo
più sopra alcuni versi della Comm. o sopra tradizioni vaghe e i
fors'anche relativamente moderne ». Questo, dunque, per la sua
andata in Gubbio, non per l'insegnamento impartito ai figli del
Raffaelli. Ma lo Seartazzini cita anche il Bartoli, Letteratura, V,
367 e sgg.; e pure qui c’è tanto da non. far neppure lontana-
mente supporre che Dante fu a Gubbio.e insegnó greco e fran-
cese. — Sotto al nome d'Agobbio non era il caso di ricordare Z7
colle eletto, ecc., ch' é appunto il colle a pié del quale si distende
la città? No: per lo Scartazzini quel verso deve. citarsi sotto la

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24

- 386 ANALECTA UMBRA 1

voce Colle con questa ‘noticina che fa sbalordire: « E il monte
Subasio sul cui pendìo è collocata la città d'Assisi. Cfr. Ubaldo ».
Ma che cosa si dica al nome Ubaldo diremo un’altra volta, chè
questo vol. I giunge soltanto fino alla lettera M. E non è da sup-
porre che lo S. ignori chi fu s. Ubaldo, tant' é vero che ne conosce
la biografia scritta da Teobaldo (cfr. La Div. Comm. comm. da
G. A. Scartazzini; Milano, 1893, pag. 715). O allora che c'entra
il Subasio? — Nel vol. II si dirà di Oderisi: ma siccome spesso |

l'a. riferisce quasi le stesse parole del Commento ora citato, cosi
è desiderabile che nell’ Enciclopedia non si ripeta che « Gubbio
[patria d'Oderisi, è] nel Ducato d’ Urbino »: fu del Ducato dal
1384 al 1624. Nel Commento è dichiarato che Oderisi fu a Bologna
nel 1268 e nel 71; c'era pur nel 1269 (cifr. Malaguzzi, La Minia- |

tura in Bologna in Arch. stor. it., 4° disp. del 1896, pag. 249;
e Documento I, pag. 310). Lo S. scrive che a Roma egli era |
nel 1295 e vi mori nel 99: dice il Malaguzzi, invece, che « incerte |

sono le notizie sulla sua andata a Roma e sui lavori che vi avrebbe |
eseguilo ». Non sarà dunque il caso di ripetere che « due mes-
sali miniati, di gran valore, nella Canonica di s. Pietro in Roma

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si credono opera sua », tanto più che il Crowe e il Cavalcaselle

(Storia della pittura, IV, 4 e sgg.; Firenze, 1877) asseriscono )
che il cod. dell’ Historia s. Gregorii Magni ha miniature « che
per la loro bellezza furono attribuite a Giotto, ma i cui caratteri,
come la tecnica dell'esecuzione, dimostrano invece che nei rispetti
dell’arte tanto possono appartenere alla scuola senese, quanto
all'umbra ». Ed in nota essi ricordano che il Rhoele nel num. 22
del Kunstfraund di Berlino le repuló decisamente di Pietro Lo-

renzetti; « ed è vero (soggiungono per conto proprio) che le dette
miniature rassomigliano alle opere di questo maestro senese più
che a quelle di qualunque altro pittore della scuola ». — Tutti
sanno che Dante nominò Gualdo Tadino; ma nessuno, senza la
nota illustrativa dello .S., sapeva che è un « Villaggio della Ro-
magna fra Perugia e Camerino, posto alle falde dell'Appennino
sopra un altipiano dal quale scende il Fiume Basin affluente del
Chiascio. Ai tempi di Dante apparteneva al regno di Napoli. Vi
si vedono le rovine di un antico castello longobardo ». E dopo )
ciò non oseremo affermare che abbia torto l'ignoto critico d'un
giornale di Bologna (è il Resto del Carlino del 15 agosto 1896)

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ANALECTA UMBRA ' 387

quando dice che ormai, con l'Enciclopedia dello S., Dante « non
contiene più segreli; non più dubbi, non più interpretazioni in-
certe »: è proprio vero, almeno per ciò che riguarda |’ Umbria,
che quest'opera è un « miracolo, oltre che di coltura, di pazienza »!

Nel Catalogo d'una scelta raccolta d’incunaboli, mss., codici
miniati che nel maggio di quest'anno erano in vendita presso il
librario Antonio Gheno (Roma, Corso V. E., 223) sono da segna-
larsi 1 mss. seguenti. Biografia di mons. Napoleone Comitoli di
‘Perugia (1548-1624): precedono brevi cenni sulla famiglia Comi-
toli (sec. XVII, in 8, di cc. 66). — Laude lat. e volg.: il cartel-
lino sulla costola dice « Poesie dei Bianchi di Assisi » (sec. XV,
in 4 picc., di cc. 116). — Libro di Ricordi di Ludovico degli Oddi
di Perugia (sec. XVI e sg., di cc. 70. I ricordi sono domestici). —
Memorie storiche di Perugia, Rosciano, Torgiano e delle famiglie
Signorelli, Baglioni, ecc. (sec. XVI e sg. Sono copie di documenti
d'archivi, disposizioni statutarie, ricordi, iscrizioni, ecc.). — In un
ms. di preci (num. 1002) sono laude, delle quali una com. « O
amore de poverlate Regno de tranquillitate ».

Nelle due aste librarie di Ulisse Franchi (Firenze, catal. 132,
.133) del febbraio e del marzo u. s. erano vendibili questi mss.:
Studio di Francesco Friggeri di Perugia sopra un'iscrizione del
secolo XIV, dichiarato « dottissimo lavoro, pieno di memorie me-
dioevali di Perugia ». — Atto di cittadinanza perugina concessa
a Pietro di Braccio Martelli. — Lettere autogr. di Ascanio della
Corgna al Duca di Firenze; con appunti che possono ritenersi
autogr. di Cosimo de Medici.

Nella /ivista ital. di numismatica, a. VI, fasc. 4, il Papado-
poli dà la riproduzione d'uno scudo d’oro di Francesco Maria
duca d’ Urbino (1508-27) coniato a Gubbio. Era già stato pubbli-
cato nel catalogo della Raccolta del cav. G. C. Rossi. Per la sua
rarità veggasi la Zecca del Reposati, II, 137. — Nel fasc. 3 del
1896 (pag. 375) G. Ruggero riproduce una moneta d’oro perugina
di Leone X, rarissima, ch'è posseduta da S. A. il Principe di
Napoli. Ha sul rovescio la scritta Augusta Perusia col grifo coro-
nato rampante e l’armetta del Ciocchi cardinal Legato, che manca
al grosso d’argento riprodotto dal Vermiglioli (Della zecca e delle
388 ANALECTA UMBRA j

monete perugine, tavola II, num. 6). La ricchissima collezione del
Principe ha molte monete perugine, tra le quali uno scudo d'oro
di Paolo III colla leggenda Libertà ecclesiastica. !

Il prof. Guido Bonarelli dell’ Università di Bologna ci comu-
nica la notizia d'un affresco di Luca da Perugia, ch' é nella chiesa
di S. Petronio della stessa città. « La cappella di S. Brigida, in
S. Petronio, è la seconda a destra, entrando dalla porta maggiore.
È detta anche cappella Pepoli, chè questa famiglia per due volte
vi fece praticar dei restauri, come appare dalle due iscrizioni,
delle quali una é del 1783. Le pitture di Luca sono sulla parete
destra, a poca altezza dal pavimento, si che la spalliera. del se-
dile, che corre lungo la parete stessa, ricuopre il limite dell'af-
fresco che misura m. 2,50 in altezza e circa m. 5 in larghezza.
E vi si legge: Hoc opus fecit fieri magister Bartolomeus de
Mediolano mercarius pro anima sua. MCCCC XVII de mense
iulii. La Vergine è seduta in trono ed ha in grembo il bam-
bino. A destra, in piedi, è s. Bartolomeo (?) con un libro rosso
sotto il braccio destro e con un grande coltello nella mano
sinistra; è raffigurato in atto di presentare il devoto ordina-
tore dell’affresco, il quale è pur riprodotto, in ginocchio, presso
i gradini del trono. Dietro a questo santo sono dipinti, in piedi,
s. Petronio in abito episcopale e col pastorale, s. Antonio col
porcellino ai suoi piedi, e s. Ambrogio vescovo con un cilizio
nella destra. A sinistra della Vergine è un santo vescovo in mezzo
a due beali protettori delle facoltà mediche. L’opera è d'un rozzo
ritardatario, di cui il nome leggesi sul ripiano del ‘soglio della
Vergine: Luca da Perura p. — Vicino a questo affresco, anzi a
destra, sono dipinte altre tre figure di santi: s. Agata (fu commessa
da una certa « Sofia de Inghiltera », la quale si fece rappresen-
‘tar genuflessa a lato di lei), s. Cristoforo e s. Antonio. Credo di
poter affermare che non debbano ritenersi opera di Luca. Nulla
dico degli affreschi della parete opposta che sono del 1431 e 1449,
ed a Luca non possono assolutamente attribuirsi: uno, anzi, ha
questa scrilla: « A/drovando de s. Acurio (?) fece fare questa.
Franciscus Lola ». foci

Ma chi è codesto Luca da Perugia?: non si sa. E non lo sa
neppure il Lupattelli, il quale, non tenendo conto della data del-

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ANALECTA UMBRA © : 389

l'affresco bolognese (1417), scrisse nella Storia della pittura in

Perugia (Foligno, 1895, pag. 12): « Di pittori antichissimi ci è

dato notare un Luca da Perugia che vcuols: dipingesse in s. Pe-
tronio di Bologna nel secolo XII ». E pure Corrado Ricci nella
Guida di Bologna (Bologna, 1886, 28 ediz., pag. 32) aveva detto
che quelle pitture « sconciate orribilmente dai restauratori, furono
eseguite da Luca da Perugia (1417) e da Francesco Lola bolo-
gnese (1419-31) ». i

De L’idea della madre nei grandi scrittori italiani ha trattato
con garbo e dottrina in un opuscolo Elisa Battaglia Fontana (Bel-
luno, 1896). Ma perché dopo quanto scrisse il D'Ancona su la
lauda « Di’, Maria dolce, con quanto disio » (Studi lett., Ancona,
1884, pag. 90 e segg.), insistere nella credenza che la sia di Ja-
copone? E si sa che altri ha con prove che non si distruggono
confortata l'asserzione sua. — Notisi, a proposito di questa lauda
di Leonardo Giustiniani, che Giorgio Rossi dà l'indicazione di
molti codici e edizioni che la contengono in una lunga nota (non
sapremmo dire quanto opportuna) dello studio suo su Andrea da
Vigliarana in Rivista romagnola, I, pag. 14 e seg.

‘Quali furono le ispirazioni che trassero dal Clitunno i poeti
da Virgilio al Carducci ha detto con singolare genialità e con
bella erudizione Antonietta Fantozzi nel Fanfulla della Domenica
del maggio scorso (estr. di pp. 31; Roma, tip. dell’ Opinione,
1896). Quelle fonti sacre descrisse Plinio in una lettera ch’ è te-
stimonianza storica preziosa, per ciò che il fiume al suo tempo
era « amplissimo e tale da recar dei navigli », e molti erano i
sacelli (uno solo ne resta) con loro divinità, intorno al tempio
massimo del dio pretestato. E quelle acque ricordarono, oltre a
Virgilio, Properzio, Silio Italico, Stazio, Giovenale, Claudiano e
Sidonio Apollinare; ne’ versi dei quali « la nota dominante è la
limpidezza e freschezza delle acque e la bianchezza caratteristica
dei tori » che tratti dai pingui pascoli del fiume erano destinati
ai sacrifizi. E le cantò il Byron, il Kulezychi e la poetessa nostra
gentile Alinda Brunamonti. I canti dell’antica lode rinnovellò nella
saffica meravigliosa il Carducci, che l'autrice nella seconda parte
del suo studio opportunamente riassume.
390 ; | ANALECTA UMBRA

I monumenti del sacro pallio nell'esposisione Orvietana e le
più antiche forme della detta insegna è il titolo di una tratta-
zione archeologica (in Civiltà catt., quad. 1118) che ha per base
lo studio dell’omoforio di Grottaferrata e del dittico. della casa
Barberini di Roma, esposti nella sala papale di Orvieto, per rico-
noscere le analogie del pallio sacro col lorum o sciarpa del Con-
sole romano indossata dalla figura consolare di quel dittico. La
riproduzione fotografica del quale accompagna uno studio del
p. Grisar sulla storia degli abiti sacri in Festschrift zum elfun-
dertjührigen Jubilium des deutshen Campo Santo in Rom (Frei-
burg, Herder, 1897).

M. Barbier de Montault nella Revue de l'art chretien (fasc. 2,
1897) discorre di un recente libro del Fumi / Santuario del
"ss. Corporale, ecc., che egli chiama « un ricordo assai prezioso
ed una illustrazione abbondantissima ».

Il barone Claretta negli Atti della Società di Archeol. e belle
Arti per la proo. di Torino (vol. VII, fasc. 1) commemora i per-
duti colleghi e per primo il presidente senatore A. Fabretti
(pp. 3-10), ricordando anche la parte ch'egli ebbe nella fondazione
dell'Archivio stor. ital. e le sue opere principali, come il Corpus
inscriptionum latinarum e le Biografie dei Capitani venturieri
dell’ Umbria.

Nelle Memorie storiche della Provincia Riformata Romana
del p. Benedetto Spila da Subiaco (vol. III; Milano, 1896), si dà
contezza del Monastero di s. Chiara in Rieti.

E uscito il num. 6 degli Atti dell’Accademia Properziana
del Subasio in Assisi. Contiene: 1.» Discorso inaugurale per lo
scoprimento di una lapide commemorativa posta alla casa, ove
nacque Giuseppe Aromotari d'Assisi, letto il 7 agosto 1887 dal
socio resid. cav. dott. Antonio Marmani. — 2.9 Parole dette dal
comm. prof. Cesare Paoli nella solenne tornata tenuta in Assisi
(detto giorno). Il nostro socio prof.,cav. Mariano Falcinelli-Anto-
niacci fa il cenno necrologico del p. Alessandro Borroni.
TS

ANALEOTA UMBRA - 391

Della scoperta d'affreschi giolteschi in quel di Rieti è data
notizia nell'Arte e Storia, a. XVI, num. 6. « Il prof. Fabio Gori
Preside del R. Liceo M. T. Varrone e nuovo R. Ispettore dei
monumenti e scavi, essendosi recato per incarico del Ministero
di P. Ll. a visitare Ja Badia di S. Pastore, fondata nel 1255, l'ha
trovata ridotta in uno stato orribile, coi tetti crollati e colle se-
polture aperte e violate dai contadini! In sua presenza, il valente
pittore Colarieti-Tosti, rimuovendo l’ intonaco di calce delle pareti
di una cappella, ha cominciato a scoprire dieci figure di scuola
Giottesca. Fra esse, una bellissima giovane tiene la destra sulla
impugnatura di lunga spada e colla sinistra indica nel collo un
segno nero che lo cinge a guisa di monile, per indicare il ge-
nere del suo martirio. Presso a questa santa è dipinto l’apostolo
Bartolommeo che brandisce l'affilato coltello con cui gli venne
strappata la cute. Si sono cominciate a scoprire anche le teste
caratteristiche dell’ apostolo Simeone e di un vescovo od abbate
mitrato insieme ad una Madonna col Bambino. Si spera che la
Principessa Potenziani, alla quale spetta ora la proprietà della
Badia, faccia ripulire questa ed altre figure nascoste sotto un
semplice strato di calce, e riduca alla primitiva architettura gotica
le tre arcate della chiesa ».

Giulio Pisa nell'Emporium (vol. V, pag. 281 e seg.) dà conto
del volume del Broussolle, Pélerinages Ombriens (Paris, 1896).
Illustrano l'articolo le riproduzioni fototipiche del Palazzo pubblico,
d'un affresco del Bonfigli (Perugia assediata da Totila), della sala
del Cambio e del Gonfalone di s. Bernardino da Siena, di Peru-
gia; della veduta di Narni, della cattedrale e della. chiesa della
Consolazione di Todi.

. Nel vol. VII della Storia della pittura in Italia del Caval-
caselle e del Crowe (Firenze, Le Monnier, 1897), trattatevi con
ampiezza la vita e l'opera del Ghirlandaio e de’ discepoli suoi, è
descritta (pag. 403-6) la tavola già in s. Girolamo de’ minori os-
servanti di Narni, ed ora nel Palazzo Comunale della stessa città.
Creduta finora dello Spagna, vien restituita al Ghirlandaio mercé
un documento del 3 giugno 1486 (cfr. Vasari, Vite, ediz. San-
soni, III, 276). Concludono gli A. che puó dedursi dai caratteri
392 p ANALECTA UMBRA

della pittura. stessa « che Domenico si servi dell'opera de' suoi
aiuli a dirigere e ripassare come meglio poteva il lavoro. Nel
complesso é peró un'opera importante ». Per la storia del Ghir-
landaio nell'Umbria giovi pur ricordare che nel 1492 fu chiamato
in Orvieto a rifare il mosaico, rappresentante lo sposalizio della
Vergine, nella facciata del Duomo, ed a restaurare gli altri che
erano deperiti. Nel riferire questo fatto gli A. citano le Vite del
Vasari nell'ediz. curata dal Milanesi, vol. V, pag. 83 nota. Se ne
parla, invece, nel vol. III, pag. 274, nota 1, ed anche vi si di-
chiara che David Ghirlandaio operò nei mosaici di Orvieto (1492).
Vedi in proposito quanto ne ha scritto il Fumi, 7/ Duomo d'Or-
vieto e i suoi restauri (Roma, 1891, pag. 109).

E di recente uscito alla luce il fascicolo 2' della Crestomazia
italiana dei primi secoli a cura del prof. Ernesto Monaci. Il pri-
mo, che fu pubblicato nell’ 89 (Città di Castello, Lapi) contiene il
Cantico di s. Francesco (pag. 29) con le varianti offerte da otto
manoscritti: il secondo Un bestiario moralizzato (pag. 315: sette
sonetti dei 64 che G. Mazzatinti comunicò allo stesso professore
e questi pubblicò nei Rendiconti dell'Accad. dei Lincei, V, 719 e
segg., sul ms. già posseduto dall’avv. Lucarelli ed oggi della
Bibl. V. E. di Roma), Lauda dei Disciplinati di Perugia (pag. 462:
dal cod. Vallicelliano A. 26; cfr. Zivista di fil. rom., I, 235 e
sgg.) Lauda di disciplinati di Gubbio e d'Assisi (pag. 462 e sgg.:
comincia, come la precedente « Levate gli occhie e resguardate »,
ed è qui pubblicata sul cod. eugubino, ora Landau: cfr. Aüvista
cit., III, 85 e sul cod. già Frondini e Manzoni, ora 478 della
Bibl. V. E. di Roma; cfr. Zio. cit., I, 240, 268); e Poesie di
Jacopone da Todi (« O femene guardate a le mortal ferute »,
« O papa Bonifatio, molt'áy jocato al mondo », « Que farai, fra
Jacobone », « Donna del paradiso »). Quest'ultima é qui ristam-
pata secondo il testo ricostituito dal prof. A. Tenneroni (Todi, 1887).
Le altre tre su due codici già Manzoni, ora della Bibl. Angelica,
e dello stesso prof. Tenneroni.

Nella prefazione del prof. E. Monaci ad Una leggenda e una
storia versificate nell'antica letteratura abruzzese (Rendiconti del-
l’Accad. dei Lincei, seduta del 20 dic. 1896) è ricordata la danza
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ANALECTA UMBRA © 393

macabra in Poggio Mirteto, ch'é tuttavia inedita, con una iscri-

zione, che la dichiara, in versi volgari. Il prof. Monaci ne ha

ricevuta notizia da F. Porena e G. Tomassetti. Esprimiamo il
desiderio che in questo nostro Boll. ne sia data una dettagliata
relazione. In più punti di quelle notevolissime pagine di proemio
s'accenna alla identità di origini che la lauda e alcune manifesta-
zioni dell'antica letteratura ebbero' nell'Abruzzo e nell’ Umbria.

Nel fasc. precedente di questo Bollettino (pag. 229) fu data
nolizia delle riproduzioni magnifiche delle opere d'arte umbra re-
gistrate nel Catalogue des réproductions inaltérables au charbon
della Casa Braun (Paris, 1895). Ora che la stessa Casa ha pub-
blicato il Catalogue général (in 8, pp. XLIV-764) delle riprodu-
zioni di pitture, d'affreschi e disegni che conservansi ne' Musei
d'Europa, siamo in grado di offrirne una più ricca notizia ai
nostri studiosi. (I formati delle fotografie sono di 24 X 20, di
40 X 50, di 65 Xx 80, e d'un metro o di due. Il prezzo d'ognuna
di quest'ultime è da L. 200 a 300). A/fani Domenico. La Vergine
col figlio; disegno (Venezia, Accad. di belle Arti). — A/fani Ora-
zio. Sposalizio di s. Caterina (Louvre). Santa Famiglia (Firenze,
Uffizi). — Alunno (Nicolò di Liberatore). La crocifissione ; trittico
(Galleria Naz. di Londra). — Danti Vincenzo. Disegno d’uomo
(Louvre). — Fiorenzo di Lorenzo. La Vergine col figlio (Ber-
lino, Museo). La Vergine col figlio e santi ed angeli; trittico
(Londra, Gall. Naz.). Cristo in croce, s. Girolamo e s. Cristoforo
(Gall. Borghese). — Andrea di Luigi d'Assisi, detto |’ /ngegno.
Disegno di due putti (Dresda, Museo, Gabinetto delle stampe). —
Giannicola di Paolo Manni di Città della Pieve. L°Assunzione
della Vergine, l'adorazione dei Magi e la santa famiglia (Louvre).
L’Annunciazione (Londra, Gall. Naz.). — Perugino Pietro. Cen-
todieci tra pitture, disegni e quadri attribuitigli (Louvre, Chantilly,
Collezione di Durand-Ruel, Marsiglia, Francfort, Dresda, Gall.

: del principe di Liechtenstein, Gall. Naz. di Londra, Musei di

Firenze e di Roma, Galleria Vaticana, Lille, Collez. Albertina di
Vienna, Biblioteca r. di Windsor, Galleria di Weimar, ecc.). —
Pinturicchio. Ventisette tra pitture a disegni (Louvre, Musei di
Berlino, Londra, Buda-Pesth, Gall. Naz. di Londra, Collez. Mal-
colm, Musei di Roma e Firenze). — Tiberio d'Assisi. Tre di-.
394 ANALECTA UMBRA

segni, d'una figura da lui dipinta. a Montefalco, delle tre virtù
teologali e della Carità (Venezia, Accad. di belle Arti). — D'opere

.d'ignoto autore, ma di scuola umbra, sono riprodotti: un disegno

di testa d'uomo (Windsor) e due pitture rappresentanti la Vergine
col figlio (Museo di Berlino e di Buda-Pesth).

Nell'Arehieto d. Soc. Rom. di St. patria P. Savignoni spo-
glia documenti viterbesi (fasc. 73-76), de’ quali a noi interessano
i.segg. Un atto, Foligno 18 febbraio 1175, del Legato imperiale
in ltalia ; altro da Perugia, 24 febbraio 1246, del Vice-gerente
del papa nel Patrimonio, ducato Spoletino, ecc., per ricompensa
nella recupera della rocca di Orcla; due di Innocenzo IV, Pe-

rugia aprile-maggio 1252; tre del med., Assisi maggio-luglio .
1253 ; un'attestazione di possessi Orsineschi, 15 decembre 1262, :

in eui sono ricordate case di Spoletini in Roma ; di Urbano IV,
Orvieto febbraio-aprile 1264; di Clemente IV, Perugia settembre

.1265 e marzo 1266; di fra Benvenuto da Orvieto Inquisitore, 22

gennaio 1266; di Martino IV, Orvieto 24 marzo 1281, 17 febbraio
1282; di Giovanni da Spoleto camerlengo del papa, 21 gennaio
1304; del Consiglio di Orvieto, 26 luglio 1310; del Consiglio di
Narni, 4 novembre 1315. Di rappresaglie con Perugini ed Orvie-
tani parla il docum. del 12 settembre 1312. Il docum. CCLIII,

24 dicembre 1315, è la sentenza di bando del giudice generale :

del Patrimonio contro varii Comuni, fra i quali Orvieto: il Savi-
gnoni emenda il Fumi che lo pubblicó (Cod. diplom., 497) per
un nome e l'anno. Il CCLX, 13 settembre 1317, è ad istanza di
« Boscione q. d. Boscioni de Egubio civ. Vit. pot. ». Ricordano Guit-
tone Farnese vescovo d'Orvieto i docum. CCLIV, CCLXVIIe segg.,
CCLXXI e sg. Varii atti pontifici sono datati dalle città dell'Um-
bria (Perugia, 12 ottobre 1387, 23 luglio 1388, 19 settembre 1388,

: 9 aprile 1390; Rieti, 17 giugno, 24 agosto 1300).

Nello stesso fasc. V, Capobianchi (/mmagini. simboliche e
stemmi di Roma) riporta. gli. stemmi e notizie dei Senatori di
Roma Tommaso di Pianciano da Spoleto (1860), Berardo di Cor-
rado de’ Monaldeschi della Cervara di Orvieto (1370), Cecchino
dei conti di Campello da Spoleto (1433).

Fra i documenti inediti pubblicati dal Pastor nella sua im-
ANALECTA UMBRA ; 395

portantissima Storia dei papi (vol. 111, pp. 788) è quello del 23
gennaio 1507 di Giulio II al Governator di Spoleto, il quale aveva
consciamente lasciato fuggire Cupotino da Norcia, uomo fazioso,
ch’ era stato affidato alla sua custodia dal. Legato di Perugia.
Papa Giulio in mezzo alle cose politiche ed ecclesiastiche da cui
era oppresso, trovava sempre tempo pel governo de’ suoi stati e
dava mano ad imprese di pubblica utilità. Il Pastor cita un breve
al Gonfaloniere di Spoleto, 2 genn. 1507, in cui prescrive che.entro
venti giorni imprendasi la necessaria deviazione del corso del
fiume, minacciando, se no, grave castigo (pag. 492).

Solto il titolo Ein verschwundener der Háresie verdichtiger
Traktat il dott. L. Schmitz nel. Aómische Quartalschrift für
christliche Alterthumskunde und für Kirchengeschichte (1-2, 1896)
parla di Jacomo Palladino che fu vescovo di Spoleto e poi di
Firenze, autore del Somnium Nabugodonosor, ovvero Statuta
Danielis. Riporta la bolla di condanna di Giovanni XXIII, Bo-
logna, 28 luglio 1410.

Il fasc. VIII dell'Archivio Paleografico ital. diretto dal prof.
E. Monaci contiene dieci tavole, delle quali otto di codici umbri.
Tav. 86, 87, Statuto dei Sarli e Cimatori di Todi (a. 1492: dal
cod. della Società dei, Sarti di Todi, ora conservato nell’ Arch. di
quella Congregazione di Carità). Tav. 88, Matricola della frater-
nita di S. Maria V. d'Orvieto (a. 1313: dal cod. 528 della Bibl.
Naz. di Roma). Tav. 89, Matricola della fraternita di s. Fran-
cesco di Orvieto (1395-98; ivi). Tav. 90, Rappresentazioni ad uso
delle fraternite di Orvieto (1495; ivi). Tav. 91, Necrologio della.
fraternita di s. Francesco d'Orvieto (1398; ivi).

Le pitture che il Pinturicchio eseguì e diresse nelle aule dei
Borgia il prof. Adolfo Venturi ha descritte con molta dottrina e
genialità rara nel fasc. 7 della Nuova Antologia di quest’ anno.
In quelle aule l’artista perugino « coronò le idealità medioevali,
elaborò le tradizionali e popolari imagini dell’arte, trasfuse sulle
volte la sua ebbrezza di colori ». Ma non tutte le pitture son do-
vute al suo pennello; e su le attribuzioni giovi riferire alcuni
giudizi del critico illustre. Dopo aver notato che « le composi-
396 ANALECTA UMBRA

zioni non sono tutte di uno stesso valore », e maggiore e minor
grazia ed eleganza è nelle figure, il V. avverte, a. proposito
delle rappresentazioni astronomiche, dalle quali prende il nome
una sala, che « ci troviamo di fronte a un maestro molto pros-
simo al Pinturiechio, non al Bonfigli che segnó nell'arte umbra
il periodo della ricerea naturalistica ». Anche le figure delle Arti
liberali non sono opera sua, ché « non hanno la sua gaiezza e
la sua impronta fastosa . . . Il pittore della Grammatica fu pro-
babilmente lo stesso della prima sala della torre Borgia, ove sono
effigiali apostoli e profeti con risolutezza di segno che cade nel
duro e nello sgarbato, con archi di sopracciglia segnati fortemente
ele pupille vive entro le strette palpebre, con l'ossatura delle teste
irregolare ». Se quindi è giusto ciò che lo Schmarsow ne pensò
e scrisse, Pietro da Volterra, che al dir del Vasari operó per
Alessandro VI, ne è l'autore. La Dialettica è opera forse d'un
artista fiorentino. La Retorica (sebbene su un gradino del trono
leggasi Pentorichio) è, secondo lo Schmarsow, di Pietro Peru-
gino (e nella sua figura aveano ravvisata la maniera del Van-
nucci il Cavalcaselle ed il Crowe): ma non cosi pare al prof. V.,
che non credendo valide le prove addotte dallo Schmarsow à
sostegno dell’ ipotesi sua, domanda piuttosto « se non sia possi-
bile di trovarci innanzi a un’opera di Gerino di Pistoia » che
del Pinturicchio, dice il Vasari, fu amico e con lui molto lavorò,
e fu seguace fedele della maniera di Pietro. Ad altri le altre pit-
ture attribuisce il V.; ma tutti, s' intende, perugineschi: che se
« può sembrare strano che il Pinturicchio chiamasse ad aiuto
tanti artisti differenti », si pensi alla mole grande dell’opera e al
compimento sollecito che ne voleva Alessandro VI. In Vaticano
e nel Castel S. Angelo egli operò dal 1492 al 98; e continuava
intanto i lavori in Orvieto o da sè o per mano d’altri. Malgrado
la esecuzione delle pitture per mano di più artisti e cooperatori
suoi, la sala delle Arti liberali « ha una grandissima unità ».
Nell’ altra sala, ove son rappresentati i Profeti e le Sibille, vide
lo Sehmarsow la maniera di Pietro Andrea da Volterra ; quella,
invece, del Peruzzi vi riconobbero il Cavalcaselle ed il Crowe. Di
pittore « mediocrissimo, angusto, povero d’idee e di espressione,
mal tagliato nel disegno, coi colori tirati a fatica » (lo Schmarsow
lo reputa un imitatore di Lorenzo Vecchietta senese) son gli apo-

e UU eG

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ANALECTA UMBRA 2 ‘. 891

sloli e i profeti nella sala del Credo: del Betti e di cooperatori
(d’ ignoti umbri e di varii, come del Fungai e del Pacchiarotto, -

secondo lo S.) sono le rappresentazioni della sala detta della
« Vita della Madonna e del Cristo ». Sue (e il V. le descrive da
artista) son le pitture della. sala della « Vita dei Santi »; però in
alcune figure egli scorge certe caratteristiche particolari del Pe-
rugino e della sua scuola, ed altre, come « giustamente osserva lo
Schmarsow, hanno le forme tipiche del Signorelli ». ;
Molti giudizi del prof. Venturi non accoglie Giulian Dorpelli
che su Le sale Borgia espresse il parer suo nella Rassegna
settim. unio. (a. II, pag. 232 e segg.). Secondo lui, sebbene sia
indiscutibile che lo spirito e non la fattura delle pitture sia del
Betti, non devesi « tanto eccedere nel vedervi la mano di troppi
collaboratori »: per lui certe differenze possono dipendere dalla
« grande facoltà assimilatrice » del pittore e dalla rapidità
ond'egli soleva operare. Le composizioni della sala dei Pianeti,
« specialmente alcune, rammentano le stampe attribuite a Braccio
Baldini; certo non son tutte della stessa mano e dello stesso va-
lore: forse del Pinturicchio alcune, come per esempio, quella ove
è raffigurata la sfera armillare ». Nelle lunette della sala della
« Vita della Madonna e del Cristo » dove, secondo il Venturi,
operarono parecchi artisti, pare all'A. che il Betti « abbia lavo-
rato solo o coi suoi propri scolari ». Il Venturi, non riconoscendo
possibile per ragioni di storia e di cronologia la congettura dello
Schmarsow, che cioè nella sala delle Arti liberali dipingesse il
Perugino, si domanda, abbiam detto più su, s’ è il caso di pen-
sare a Gerino da Pistoia, seguace del Vannucci: « sarà (dice l'A.) ;
ma io più ammiro la figura, che è certo un ritratto del citarista,
e meno mi sento disposto ad accogliere l'osservazione del Ven-
turi: un Gerino da Pistoia che è, per dir così, più Perugino del
Vannucci stesso! ». Con sua buona pace, a noi non pare ch'egli
abbia ragione; almeno finchè si limita a citar come esempio, il
ritratto del citarista. Quattro riproduzioni illustrano l'articolo: un
particolare della disputa di s. Caterina, uno della Musica, il ri-
tratto di Alessandro VI e la figura di s. Gaterina.

Sul vero luogo della battaglia detta di Gubbio o di Tagina
(anno 552) è il titolo di una importante nota storica del prof.

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CITIES
398 ES È ANALECTA UMBRA

Plinio Pratesi (Estratta dalle comunicazioni di un collega, a. III,
num. 9-10, del prof. A. Ghisleri da Cremona). Seguendo la nar-
razione di Procopio, e determinando i punti topografici, con molta
precisione, di Melvillum (Sigillo), Tagina (ora S. Pellegrino
di Gualdo Tadino) e Capras (Caprara, borgata di Gualdo Ta-
dino) è venuto a conclusioni diverse dal Muratori che limitò il
luogo della battaglia fra Matelica, Gubbio e Sentino (Sassofer-
rato), troppo esteso o vagamente designato, e lo pone invece
sotto monte Cielo a Tagina. « Accampatosi ai Busta Gallorum
(piccola Bastia o Bastiola), Narsete (dice il P.) ebbe notizia
che il nemico trovavasi a Zagina non lontano di là e dall'altra
pendice dell’ Appennino, ch'ivi ha modica altezza ed adito non
arduo, e occupò il varco fra i Busta ed Helvillum o Suillum
che è sotto Monte Czelo, non breve, ma sì stretto e accidentato,
da potersi difendere con pochi soldati. Totila, pensando di dover
prevenire l'avversario, s'avanzó per la via Flaminia sino a Z7el-
villum, dove trovò il passo già impedito. I ripetuti assalti, con
cui. tentò d'impadronirsene, furon respinti, e dopo una sosta,
durante la quale esso riordinò i suoi per tornare a far impeto,
e i Goti prepararonsi a riceverlo con tutte le loro forze, si ri-
prese la lotta e la giornata diventò campale. È presumibile che
le coorti di Narsete avesser coronate le alture del versante occi-
dentale, talehè per superiorità di posizione, giovevolissima a chi
aveva più numero e miglior qualità di fanteria e di saetlatori, e
mercè l'avveduta manovra d'aecerchiamento onde accolsero i Goti,
ebber sollecito e decisivo vantaggio sopra la massa di cavalleria,
in cui principalmente consisteva la loro possa, e che veniva innanzi
per prima. Attutitone l'urto che perdeva efficacia sui declivi, con
fitte scariche di dardi, la sgominarono si prontamente, che nella rotta
trasse seco i fanti che la seguivano. Nella disfatta, i Goti è da
arguire che, cercando di giungere ai loro accampamenti, si mettes-
sero in fuga giù per la via Flaminia, per cui erano appunto ZZelvil-
(um, Tagina e Capra ». Sarà da vedere in proposito ciò che dice
Bernardino Baldi nella sua « Difesa di Procopio contro le calunnie
di Flavio Biondo ». (Bibl. Vatic., Fondo Urbin., N. 908, p. 1).

Una scuola classica di marmorarii medioevali (H. Grisar,
in Nuovo Bullettino di Archeologia cristiana, an. 1, num. 4, 2,
esa

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ANALECTA UMBRA 399

3e 4). Si studia il tempietto di Clitunno adattato ad uso cristiano,
e si raffronta coll'aliro fuori le porte di Spoleto appiè del colle
di S. Angelo, dedicato al Salvatore, ora delto del Crocifisso. Il
risultato delle osservazioni sugli ornati, e in parte anche sugli
edifizi a cui appartengono, si discosta alquanto dalla sentenza
espressa anche ultimamente dal Mothes, dal Cattaneo, dall’ Holt-
zinger. Studiato il rigoglioso sviluppo della scoltura nell’ Umbria,
segnatamente nel secolo XII, sulle opere che portano il nome
di Melioranzio (Gregorius. Melioranzio) nel fregio marmoreo
della porta maggiore del duomo di Spoleto, sugli avanzi di altra
chiesa ora murati nelle scale del municipio, sul fregio ad ornato
e a figure che ammirasi sulla fronte della chiesa di S. Pietro,
sull'arco che sovrasta alla porta laterale sinistra della chiesa di
S. Ansano; e quindi in Narni sulla facciata di S. M. Impensula,
sugli stipiti e su l’architrave della porta maggiore della chiesa
di S. Domenico, sulla porta laterale del duomo; in S. Gemini
sulla chiesa di S. Nicolò, in Bovara fra il tempio di Clitunno e
Foligno, sulla chiesa abbaziale di S. Pietro; in. Bevagna sulla
«chiesa di S. Michele; infine, sulla cattedrale di Foligno e di As-
sisi, l’abilissimo scrittore conclude trionfalmente che non solo la
ricca ed originale decorazione in marmo così della chiesa del
Salvatore come del tempio del Clitunno deriva dalla nobile e
possiamo dire classica scuola di marmorarii umbri del secolo XII,
ma che anche una buona parte della ricostruzione dei due mo-
numenti, e, in ogni caso, la loro conservazione sono merito dello
stesso suolo. Le varie riproduzioni di ornati che il Grisar adduce
danno la prova evidente che non è lecito risalire più oltre del
secolo XII per applicar loro un’origine ragionevole.

Nello stesso periodico il Gamurrini (an. II, n. 3) parla di una
Iscrizione cristiana trovata a Pagliano d’ Orvieto. Di quanto vi
è stato rinvenuto si hanno sommarie relazioni di R. Mancini
inserite nelle Notizie degli scavi. Pare che alla foce del fiume
Paglia che immette nel Tevere circa quattro miglia da Orvieto,
fosse una terra abitata (Paltanum) devastata e bruciata, forse
nel 409, e fatta deserta fino ai nostri giorni (V. Bollettino del-
l'Accademia « la Nuova Fenice »).

È di grande interesse tutto il filo del ragionamento tenuto

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400 ANALECTA UMBRA

dall'insigne scrittore nell’illustrazione di un monogramma. cri-
stiano di Pagliano e della rozza tegola trovata sopra Corbara che
porta l'iscrizione VRSE | VIVAS | IN DEO. Per spiegarsi come
il cristianesimo penetrasse in quella contrada, dimostra come per
la via Cassia e presso Viterbo, ove è il ponte detto di Verona,
soffrì il martirio S. Valentino prete, e della prima chiesa episcopale
presso il lago si decorò Bolsena, lungo sempre la stessa via ed
a piè della città romana. Appunto da Ferento per l'antica strada
che andava a Todi passando.per Bagnorea, congettura che sia stato
raccolto l'annunzio evangelico, onde-gli indizi si sono palesati in
Pagliano e Corbara, incontrantisi appunto nella prosecuzione di
quella via, per cui da quel punto entravasi nell’ Umbria. E tradizione
antichissima che per quella parte venisse S. Brizio con i suoi
‘compagni da Roma, egli che fu uno dei primi apostoli dell’ Um-
bria, e che si vuole sia stato vescovo di Massa Martana.

Il Miintz nel fasc, 1 dell'Archivio stor. dell'arte di quesl’anno,
a proposito della Influenza di Leonardo da Vinci sulla scuola fioren-
tina, nota ch’essa si rivela in « una serie di studi di Raffaello
per l’affresco di san Severo a Perugia: sono le stesse caricature
‘di teste di vecchi ». Di codesto affresco lo stesso E. Miintz
avea trattato nel faphael (Paris, Hachette, 1881) pp. 142, 218,
220: ma se ne vegga ciò che scrissero il Crowe e il Cavalcaselle
nel loro faffaello (Firenze, Le Monnier, 1884, I, 236 e sg.).

Nei num. 1 e sgg. del Raffaello, rivista d'arte e di storia
patria ch'é risorta in Urbino a prospera vita mercé le cure del
conte C. Castracane ed E. Gherardi, il dott. R. Truffi ha dato
alla luce il Codice del sec. XIV che tratta della pittura su vetro
della Bibl. di s. Francesco d'Assisi. Il Fratini n'avea stampato il
testo, ma ridotto a forma moderna e con mende gravissime: il ,
T. ne fa, invece, una edizione diplomatica. Nel proemio discorre
delle invetriate meravigliose della Basilica d'Assisi, una delle
quali, L’invetriata di.s. Antonio di Padova, fu descritta e illu- -
Strata con sette fototipie da C. de Mandach nell'ArcA. stor. del-
l'arte, fasc. cit., pag. 59 e sgg. Di questa avea fatto cenno il
Thode a pag. 990 del suo Franz von Assisi; ma nessuno finora
ha date indicazioni sul nome degli artisti: certo è, nota l'A., che
ANALECTA UMBRA 401

« sarebbe pur mestieri scoprire i maestri che ébbero a disegnarne
il modello ». Né i nomi che dànno il Fratini e il Guardabassi
rispondono, per ragioni di tempo, a quelli di codesti artefici. Il

‘Vasari attribuì a Cimabue ad a Giotto tutte le invetriate della

x

Basilica; ma l'attribuzione non è confortata da alcuna prova. Il
de Mandach nota: « quale autore della nostra invetriata non può
trattarsi che di Giotto .
grande maestro fiorentino »; e il Thode non errò asserendo: che

il carattere dell’ opera è degno» del

codest'opera ha evidentissima « la impronta caratteristica del-
l'epoca e della scuola di Giotto ». E l'A. soggiunge in nota: « Si
paragoni l’architettura nella predica dell’avarizia (nella invetriata
della tav. 6) e nello assalto del demonio (tav. 7) col fresco della
‘chiesa inferiore, nel quale Giotto rappresenta un giovane che si
butta dal sommo d’una torre ; la Basilica, dinanzi alla quale av-
viene il fatto, offre tutti gli elementi della nostra chiesa ».

Nei num. 2 e segg. dello stesso Raffaello il prof. G. Zan-
noni ha inserito uno studio su Le rime storiche di Gaugello Gau-
gelli d'origine eugubina, del quale e di varii di sua famiglia son
date nolizie dedotte da fonti inedite. — Nel fasc. 3 G. Castellani
ha trattato de La prima fonte storica della vita del Duca Fe-
derico d’ Urbino, ch’ è la Vita dello stesso Duca scritta dal suo
segretario Pierantonio Paltroni. Di quanto pregio essa sia’ per
la storia della nostra regione fu dichiarato in questo £o//., lI,
573 e sgg. Il Castellani, data notizia di una copia della Vita
slessa, testé acquistata dalla Bibl. V. E. di Roma e prima pos-
seduta da lui (20//. cit., pag. 574), prova con fatti la verità della

«congettura ‘proposta dall'Holtzinger e dal Mazzatinti, che cioè la

cronaca rimata di Giovanni Santi e la Vita di Bernardino Baldi
discendono dal testo del Paltroni. Del quale finora son noti
questi esemplari: due dell'Arch. Com. di Urbino, uno della V. E.
di Roma, ed uno (é del sec. XVI, adesp.: num. 1100) nella Oli-
veriana di Pesaro. E l'autografo?: inutilmente ricercato nella
Biblioteca Vaticana, ve lo ha ritrovato il prof. G. Zannoni (cod.
Urbinate 1010): reca postille marginali del Baldi che, come il
Mazzatinti credeva, dovè servirsene per la vita di Federico. Il
prof. Z. promette d'illustrarlo con una memoria, non ricono-
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402 ANALECTA UMBRA

scendo la necessità: di pubblicarlo integralmente (cfr. Raffaello
cit., fasc. 4).

Del cav. G. Magherini-Graziani, di cui è imminente la pub-.
blicazione della splendida opera L'Arte a Città di Castello, se-
^. gnaliamo tre recenti ed ottimi opuscoli. Degli Aneddoti e memorie

sul passaggio di G. Garibaldi nell’ alta valle del Tevere nel
luglio 1849 (Città di Cast., Lapi, 1896; in 8, pp. 48, con sei
vignette illustrative) ha detto con molta e meritatissima lode M.

‘B. Paoli nel vol. XVIII dell’ Arch. stor. ital., pag. 454: preziosi

quei ricordi, confortati da numerose testimonianze del tempo, ed
esposti con. forma di schietta genialità. Dell'eruditissimo studio
di Bianco Bianco Z/ dialetto e la etnografia di Città di Castello
con raffronti e considerazioni storiche, edito dal Lapi nel 1888.
(in 8, pp. IX-101) fu espresso il più favorevole giudizio nell’ ArcA.
stor. per le Marche e l Umbria, IV, 672 e sgg.: ora di quel-
l'uomo dalla vita esemplarmente modesta, dal forte intelletto e
dalla vasta cultura ha tessuta un'erudita ed affettuosa biografia
il cav. M. G. (Città di C., Lapi, 1897; in 4, pp. 38) che tanto
gli fu amico ed ebbe tanta parte nelle dotte opere sue. La storia
del trafugamento dello Sposalizio di Raffaello da C. di Cast.,
narrata da un documento contemporaneo, è stata edita dallo.
stesso cav. per le nozze Tommasini-Guarini, 26 aprile 1897 (C.
di C., Lapi; in 4, pp. 8), in elegantissimo opuscolo. La tavola, si
sa, ora è a Milano. La relazione, ch’ è nell' Archivio Magherini
Graziani, ha questo titolo: Da! Promemoria di fatti e di ragione
sul diritto competente ai frati minori di Città di Castello e ad
altri Compadroni toscani sul quadro di Raffael d' Urbino.

La Miscellanea francescana del nostro socio mons. M. Fa-
loci-Pulignani (vol. VI, fasc. VI) contiene: 1. Maloci-Pulignani

D. M. L’ indulgenza della Porziuncola — 2. D'Alencon P. E. Gia-

como da Settisolio — 3. Labanca B. Sguardo agli scrittori fran-.
cescani di S. Francesco del secolo XIX — 4. Bibliografia fran-
cescana — 5. L'Archivio Comunale di Assisi — 6. Un testimonio:
per la Porziuncola — 7. Poeti francescani del 300 — 8. Un libro
di Bernardo da Bessa — 9. Un breviario di S. Bernardino da Siena

— 10. Lettera della b. Angela da Foligno. Notevole l'articolo-

gr.
ANALECTA UMBRA 403

del prof. Labanca (pag. 169-195) riprodotto dal periodico mila-
nese « Il pensiero italiano » che « è una sintesi diligente e giudi-
ziosa degli studi francescani in Italia in questi ultimi cinquanta
anni », dice il Faloci, che addita come si possano completare le
lacune dell'autore e come accettare i giudizi.

Del Faloci-Pulignani è pure un opuscolo dal titolo : Lettere di
S. Francesco d'Assisi sul culto della SS. Eucarestia (Foligno, tip.
degli Artigianelli, 1896). E dedicato al Fumi e preceduto da brevi
ma importanti dichiarazioni: « richiamare l’attenzione dei dotti e de-
gli uomini pii sovra documenti pregevolissimi della vita di S. Fran-
cesco : far conoscere ai medesimi alcuni squarci assai insigni di
letteratura teologica e mistica, e tentare di ridurre questi : docu-
menti ad una lezione che più si avvicini alla forma genuina da-
tagli dall'autore: iniziare un lavoro, il quale accerti questi scritti
essere autentica fattura del Santo ... » questi gli scopi del Fa-
loci col pubblicare due lettere e una ammonizione; le prime,
scritte nel maggio 1221, a giudizio dell'egregio editore; |’ altra
non facile a congelturare. Le lettere, una diretta ai frati, l'altra
ai preti, si completano a vicenda, e tanto esse quanto l'esortazione
parlano del Corpo di Cristo con sublimità di pensiero e soave
espressione di sentimento. — Di S. Francesco é importantissimo
lo studio di Gaetano Negri contenuto dei suoi Saggi critici (Me-
ditazioni vagabonde, Milano, Hoepli, 1897).

La puntata numero 7 degli Atti dell’Accademia Properziana
del Subasio in Assisi, reca, fra altro, una lettere del 1380 e-
stratta dall'Archivio di Stato di Venezia scritta ad Antonio Venier
doge di Venezia dal minorita Francesco da Montone di Perugia
che partecipa il privilegio accordato dal Comune di Assisi ai Ve-
neziani di portare armi impunemente per tutto il tempo delle fe-
ste del perdono e di portare per le vie della città dispiegato il
vessillo di S. Marco.

«A ricordo del terzo centenario di S. Filippo Neri, che nel
settembre 1895 fu con feste solenni celebrato anche a Perugia, la
Congregazione dell’ Oratorio di questa città ha raccolto in un
elegante fascicolo pregevoli lavori letterari ed interessanti memorie

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‘404 ANALECTA UMBRA

storiche ed artistiche. Queste riguardano specialmente le origini
e la esistenza di detta Congregazione in Perugia, rammentano
uomini insigni che ne hanno falto parte o con essa hanno avuto
rapporti, ed illustrano insieme con l'annesso Oratorio, la Chiesa
Nuova, che è per la sua ricchezza e leggiadria meritevole di par-
ticolare considerazione.

Il nostro socio signor Adolfo Morini ha dato alle stampe « La
Regola Spirituale di Fra Simone da Cascia », facendola prece-
dere da una studio in cui discorre della opinione, che sempre più
va acquistando terreno e secondo la quale, se non lutte, almeno
aleune delle opere attribuite al Cavalca devono invece assegnarsi
a Fra Simone Fidati. Il Morini dà prova di avere con attento
amore e da giovane colto qual’ è esaminato la: questione, ed è da
augurarsi che egli ne tratti anche più diffusamente e contribuisca
così alla scoperta del vero « che o ingigantisca la fama del Ca-
valca, o spazzi quella indecorosa polvere di che il secolo nostro
ha cosparso la grandezza del Fidati ».

Il cav. Lorenzo Franceschini pubblica una lettera al prof. Ga-
botto nel Bollettino storico-bibliografico subalpino (a. I, N. 1V-V,
pag. 291-297) Intorno al b. Simone da Cascia. Dati pochi cenni
biografici di Simone Fidati. (nn. 1285 1358), attinti a nolizie
lasciate da Marco Franceschini già arciprete di Cascia sullo stesso
soggetto, parla delle opere da lui lasciate vantandone il pregio
letterario e pensando con compiacenza che molte scritture che
vanno sotto il nome del Cavalca si abbiano a riferire al suo illu-
stre concittadino; come già molti tennero fin dal secolo XIV, e
in specie Lo specchio di croce, le trenta stoltisie e il trattato
degli Spirituali.

Il signor Antonio Domenico Pierrugues Barone Forget de Barst
ha pubblicato (Firenze, stabilimento di Gius. Pellas, 1897) i Gior-
nali del Principe d'Orange nelle guerre d'Italia dal 1526 al
1530 insieme all’ Elenco dei gentiluomini della casa militare del
Principe e dei capilani, agenti ed, uffiziali dell'Imperatore e del
Papa nella guerra di Firenze.

Il signor Pierrugues nel dare alle stampe i Giornali e ]' Elenco,
SS

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ANALECTA UMBRA 405

dichiara che i primi furono offerti ai suoi studi dal signor Augusto

Caston, il quale ne trasse copia dagli originali esistenti negli

archivi del Doubs, e che il secondo fu compilato col resoconto
delle spese fatte nell'assedio di Firenze da Baccio Valori com-
missario di Clemente VII, colle lettere degli oratori senesi e dei
commissari ed agenti dell'Imperatore e del Papa nel campo ce-

‘sareo, con quelle del Principe a Carlo V e con altri documenti.

Ognuno riconoscerà ]’ interesse di questa pubblicazione, reso
anche maggiore dalle brevi, ma ‘opportune note, delle quali il
Pierrugues l’ha corredala. Nel citato elenco sono ricordati Gio-
vanni d’ Urbino luogotenente generale del Principe d' Orange,
che morì nel 1529 a Foligno in seguito ad una ferita riportata
sotto Spello, Braccio Sforza e Galeazzo Baglioni, Girolamo e
Marcantonio Meniconi, Baldassarre della Staffa e i capitani Bal-
lottola e Antonio e un Bernardino bombardiere tutti di Perugia,
Alessandro, Ferrante, Antonio e Maria Vitelli, nonchè i capitani
Vincenzo e Giovanantonio da Città di Castello. Fra i capitani è
pur fatta menzione di un Giangiacomo d'Amelia, di un Mari-
nangelo e di un Vittorio da Terni, e di un Felice da Montone.
L'opuscolo va adorno d'un ritratto del Principe d'Orange ripro-
dotto da quello che si vede a capo del lavoro del Sandret, nonchè
d'una incisione raffigurante la lapide sepolcrale di Filiberio esi-
stente a Lons-le-Saunier in Borgogna.

Della Beata Battista da Varano de'Signori di Camerino ha
coi tipi Borgarelli, Camerino 1897, pubblicato un canto in ottava
rima (Colloquio che fa l'anima innamorata, che languisce d'amore,
con Gesü Cristo suo dilelto sposo) il canonico Milziade Santoni
Bibliotecario della Valentiniana. di quella città. Le ottave sono
in parte in un codice di detta Biblioteca, ed il Santoni ne ha
poi trovato altra copia più completa in un codice umbro miscel-
laneo di ascetica francescana, che appartenne ad una suora
Agnesina Baldeschi di Perugia, pervenne quindi nella raccolta
dei manoscritti del conte Giacomo Manzoni, e finalmente fu testè
acquistato dalla Biblioteca Casanatense. Al Canto il Santoni fa
precedere uno studio, ove adduce i motivi dai quali è indotto ad
attribuirlo alla Varano.

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406 ANALECTA UMBRA

Nel Giornale Storico della letteratura italiana, vol. XXIX,
p. 965, il prof. F. Novati pubblica, traendole dagli Annali Decem-
virali del Comune di Perugia, aleune notizie riguardanti il com-
mentatore di Dante, fra Giovanni da Serravalle, che nel 1400 e
1401 fu in Perugia, insegnandovi, predicandovi ed ingerendosi
anche in politici negozi. ll prof. Novati, richiamandosi alla co-
municazione da lui fatta nel ZBo/lettino della Società Dantesca
Italiana (n. 7, dicembre 1891) di altri documenti sui rapporti in-
terceduti tra la Repubblica di Firenze e frate Giovanni negli anni
1395, 1401, 1404, 1406, afferma che le notizie degli annali Peru-
gini contribuiscono a rendere più esatta la conoscenza di quel
periodo della vita di Fra Giovanni « intorno al quale gli editori
del suo commento non avevano saputo raccogliere che vaghi e
slegati ragguagli ».

Il tipografo G. Guerra ha pubblicato una breve ma accurata
descrizione che del Sepolero dei Volunni ha fatto il prof. Angelo
Lupattelli. Questa descrizione riuscirà utile ai numerosi forestieri
che visitano la ciltà nostra e ai quali il volumetto tornerà anche
più gradito per le cinque incisioni in tipofotografia, insertevi a
meglio illustrare il celebre ipogeo.

Il ch. C. Drury E. Fortnum ha pubblicato nello scorso anno
in Oxford (Clarendon, 1896) lo splendido volume dal titolo Mato-
lica a historical treatise, ecc.: la parte illustrativa delle maioliche
nostre è a pag. 140 e segg. La storia di quelle di Maestro
‘Giorgio è corredata di riproduzioni bellissime di piatti che ap-
partennero all’autore ed ora sono nel Museo Ashmolean di Ox-
ford. Uno di questi è riprodotto a colori nel principio del libro
ed è forse del 1515, due tazze sono del 1520 e 1536. Delle maio-
liche di Città di Castello è detto a pag. 224; di Deruta a pag.
226-255; di Foligno a pag. 237; di Spello e di Umbertide, ivi.
Nella seconda parte del volume Marcks and Monograms sono
le firme e i monogrammi di m. Giorgio, pag. 26 e segg., nu-

meri 247-271. Quelle stupende riproduzioni son pure nell'altro:

volume dello stesso autore A -descriptice Catalogue of the* Maio-
lica. .. in the Ashmolean Museum di Oxford, già Collection For-
4num (Oxford, Clarendon, 1897). Il Fortnum, giovi ricordare, è

— Qi ANALECTA UMBRA 401

l'autore del Catalogo delle maioliche del Museo Kensington di
Londra (Museo Britannico), in cui tanto largamente è studiata
l’arte di maiolicare nell’ Umbria e ne son riprodotte le opere mi-
gliori (Descriptive Catalogue of the Maiolica. .. in the South
Kensington Museum; London, 1873).

Fra i pittori ricordati dal prof. E. Calzini nel discorso che
il 28 marzo disse in Urbino per l'anniversario dalla nascita di
Raffaello, fu Ottaviano di Martino, del quale nella patria del San-
zio si conservano alcuni affreschi. Trattando dell’ arte in Urbino
avanti Raffaello, il C. non potè passar sotto silenzio l' artista eu-

gubino, uno de’ più caratteristici e gentili maestri umbri. Con lui .

s' apre il ciclo più importante delle pitture eseguite in Urbino
nella prima metà del sec. XV; ma s'aggiunga che allora soltanto
cominciarono i Duchi a partecipare ai godimenti della vista e
dello spirito. Questo specialmente avvenne per opera d'una gen-
tildonna, la sposa di Guidantonio, la quale in mezzo ai costumi
rudi ancora e militareschi della corte de’ Montefeltro portò un
senso nuovo di gentilezza e d’eleganza. Ed a lei dovè molto il
pittore di Gubbio. Le pitture che questi eseguì. nell’ oratorio di
S. Croce in Urbino erano, forse, molte; benchè il C. non gli possa

attribuire che una Vergine col putto, incoronata dagli angeli, sul

piccolo altare a destra di chi entra nella chiesa: non altro vi
resta delle pitture che Ottaviano vi compiè dal 1428 al 32. Mag-
giori e migliori prove del valor suo s' hanno invece in una cel-
letta campestre, a un chilometro da Urbino, fuori della porta
S. Lucia, chiamata della Madonna dell’ Uomo: v'è in affresco
rappresentata la Vergine che accoglie sotto il manto molti devoti;
ai lati sono quattro santi (due per parte); s. Nicola vescovo e
s. Bartolomeo a sinistra, s. Pietro e s. Paolo a destra. Ciascuna
di queste figure sta sotto un baldacchino archiacuto, sorretto da
colonnine a spirale e istoriate. Più e meglio che qui, ne sarà
detto in un volume sopra Urbino e i suoi monumenti che il pro-
fessor Calzini pubblicherà nel prossimo agosto, quando in Urbino
s'inaugurerà il monumento al sommo pittore.

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408 ANALECTA UMBRA

ll signor Leone Dorez nella « Revue des Bibliothéques », fa-
scicolo del marzo-aprile 1897, pubblica, traendoli dal cod. G. 18
della Comunale di Perugia, l'inventario dei libri manoscritti e
stampali che appartennero a Pier Leone Leonj di Spoleto medico
di Lorenzo de' Medici, nonché l'elenco di altri libri del Domeni-
cano G. B. Bracceschi Fiorentino; quest'ultimo aveva inviato due
copie di detto inventario al Card. Sirleto, al quale aveva scritto
da Spoleto, in data 1* marzo 1583, che i 220 volumi del Leonj
erano stati stimati 400 scudi da sapienti medici e filosofi, fra cui
Giovan Bernardino Rastelli di Perugia. Che il Rastelli fosse un
giudice competente, può sicuramente affermarsi quando si rifletta
che egli non solo fu valente medico e filosofo, ma tenne altresì a
suo conto una tipografia. Il Dorez crede che la copia dell’inven-
tario esistente nel Codice perugino possa essere quella stessa che
fu sottoposta all'esame del Rastelli dal Bracceschi, corrispondente
del Card. Sirleto. Non v'ha dubbio che questo catalogo sia im-
portante, offrendo esso, come afferma il dotto editore, « una idea
esatta del come era formata la Biblioteca d'un medico celebre in
quell'epoca, quando la scienza, malgrado i suoi sforzi verso il
progresso, era ancora quasi esclusivamente tributaria della tra-
. dizione greco-araba ».
VOCAT Um.

RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

Ciro TRABALZA. — Della vita e delle opere di Francesco Torti
di Bevagna con una lettera di Luigi Morandi. — Bevagna,

Tipografia Properziana, 1896.

Raccomandiamo ai nostri lettori questa pubblicazione, che è
pregevole per il soggetto di cui si occupa e per il modo col quale
del soggetto medesimo l' egregio prof. Trabalza discorre. Del

‘resto la raccomandazione migliore del libro si ha nella lettera

che lo precede, indirizzata all’autore dallo illustre Luigi Morandi.
Questi afferma che dal lavoro del Trabalza « la figura di Torti
viene fuori qual era realmente, modesta sì, ma simpatica » e poi
aggiunge che anche per la forma « il volumetto può riuscire una
lettura piacevole per qualunque colta persona ». Lode più au-
torevole certo non poteva attendersi il giovane e valente profes-
sore, che con dottrina e con affetto ha onorato la memoria del-
l'insigne bevanate.

Dopo una breve introduzione, il Trabalza nel capitolo primo
si occupa della vita e del carattere di Francesco Torti e passa
quindi nei tre capitoli seguenti a discorrere delle più importanti
opere di lui, che sono il Prospetto. del Parnaso Italiano, V Anti-
purismo, la Corrispondenza di Monteverde e l'Apologia di questo
medesimo scritto: infine tratta nel capitolo quinto delle opere
minori e nel sesto degli scritti inediti del letterato Umbro, ma ne
tratta, giustamente riconoscendo che nè le prime accrescono (ad
eccezione delle Osservazioni critiche alla Bassvilliana a noi
malauguratamente pervenute soltanto in parte, e della Filosofia
410 . RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

delle Medaglie) nè i secondi accrescerebbero di molto, anche se
pubblicati, la fama del Torti.. i

Comunque però, ci sia lecito far voli perché in un’altra edi-
zione, che gli auguriamo, del suo lavoro, possa il Trabalza stam-
pare in appendice alcune almeno di quelle Lettere romane, che
non possono non avere importanza storica, se, dettate all’ epoca
della Rivoluzione francese, « rispecchiano, come scrive il Trabalza
stesso, l'allegria e la spensieratezza in cui si viveva a Roma,
mentre a Parigi il sangue scorreva per le vie ».

Il Torti, in un'epoca in cui nella letteratura la forma uccideva
la sostanza, dimostrò come a questa debba sempre subordinarsi
la prima, e come alle discipline letterarie spetti ognora un alto
compito umanitario e civile.

Il suo opuscolo // Purismo nemico del gusto fu acerba-
mente combattuto dal Giornale Arcadico, ma egli trovò un com-
penso alle fiere accuse di quel periodico nelle lodi che gli veni-
vano da illustri cultori delle belle lettere ; fra questi segnaliamo
il Niccolini che lo encomiava e lo incoraggiava con le seguenti
parole: « Or non è egli il colmo della sfacciataggine chiamar cattivo
italiano chi fa guerra a questi studi meschini [dei puristi] per i
quali inlisichisce l'ingegno e grida: congiungete al linguaggio la
filosofia, ricordatevi che le favelle seguono i progressi della ra-
gione? Sì certamente; conviene essere un Ottentoto per proferire
tanta bestemmia ».

Come-di questo opuscolo, così degli altri ("Hisposta ai Puristi,
Dante rivendicato, Le bellezze poetiche di Ussian imitate dal
Monti), i quali tutti furono. poi raccolti e pubblicati sotto il titolo
di Antipurismo, il Trabalza addita i pregi non comuni e segnala
imparzialmente i difetti, intrattenendosi in modo speciale sul Dante
rivendicato, dove il Torti seppe con coraggio e dignitosamente
affrontare il Monti divenutogli, da amico anche troppo benevolo,
nemico eccessivamente fiero: ed ingiusto. E su tale inimicizia
e sulle cause che la provocarono, prima fra queste l' epigramma
dettato dal. Torti contro il Perticari, il Trabalza, oltrechè nel primo
capitolo, s'intrattiene anche nelle pagine che consacra alle Osser-
vazioni critiche alla Bassvilliana, nelle quali pagine calorosamente
difende lo scrittore di Bevagna opponendosi agli apologisti del
poeta, e in modo speciale ad Achille Monti.

TITEL i A — M

RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE 411

Senza dubbio, al pari di tutti coloro che con grande energia
intendono ad un solo scopo e danno alle loro indagini e agli studi -
loro un indirizzo unilaterale, il Torti non seppe evitare siffatto
pericolo e trascurò troppo la forma, nella quale manifestò i suoi
pensieri; niuno però potrà mai togliere a lui il vanto di aver so-

stenuto e difeso nobilissimi ideali e di essersi consacrato a render

popolari quei principî che ai suoi tempi erano da molti chiamati
utopistici e che oggi pure, con tutta la nostra vantata civiltà, non
sono interamente posti in pratica.

Non senza ragione Vincenzo Monti ebbe a lodare nel Torti
un sommo critico, e Giambattista Niccolini potè definire l’opera di
lui intitolata Prospetto del Parnaso Italiano « la meglio pen-
sata che avesse l'Italia in fatto di critica ». Il Trabalza, affer-
mando che il Niccolini non adulava l’amico con tale giudizio,
dichiara di trovar questo ispirato a giustizia, avuto in particolar
modo riguardo alle condizioni in cui erano la critica e la storia
letteraria allorchè vide la luce il libro del Torti; noi siamo del
tutto concordi con l’egregio autore, il quale, pure apprezzando ed
ammirando le doti dello scrittore di Bevagna, ne dimostra con se-
renità i difetti e gli errori.

Il bel libro del Torti « La Corrispondenza di Monteverde »
giudicato da Pietro Thouar altamente educativo e morale, è degno

>

di esser letto e studiato anche nell'epoca nostra, essendo appunto
una di quelle opere, che sono altresì buone azioni; quel libro è
dei non molti che « rifanno la gente » e Dio solo sa se anche
adesso v’ è bisogno, e bisogno sentitissimo, che la gente sia ri-
fatta! Prescindendo anche dagli apprezzamenti, che sulla Corri-
spondenza possono portarsi dal punto di vista letterario e nei
quali il Trabalza non è certo verso il Torti indulgente, riman
sempre a nostro avviso (anche se voglia riconoscersi che non
pochi dei concetti del bevanate non sono più in armonia. con al-
cuni principi oggi generalmente riconosciuti giusti), la somma
importanza di quest'opera di lui, come studio filosofico e sociale.
Tale importanza è con retlissimo criterio segnalata nella lettera,
che a proposito della Corrispondenza scrisse Enrico Mayer e che
molto opportunamente il Trabalza riproduce nel suo volume: del
resto, il valore del libro del ‘Torti è attestato anche dalle oppo-
sizioni che esso trovò nei governi del tempo in cui vide la luce, e
412 RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE



ne sono testimonianza altresì le fiere ma inconsulte accuse mosse
al Torti dal conte Monaldo Leopardi che augurava « mille capestri
intorno al collo » a questo « spasimante per l’indipendenza italiana ».
A quelle accuse rispose il Torti con l'Apologia della Corrispon-
denza, dando nuovo saggio della squisita sua urbanità, del po-
tente suo ingegno, dell’ onestissimo animo suo. — Nella conclu-
sione al suo lavoro, che di tutta l'attività del Torti, e quale
uomo e quale scrittore, presenta uno specchio fedele, il profes-
sore Trabalza riferisce la sentenza del critico Giusto Lipsio :
« Alii habent, alii merentur famam » ed afferma che « tra questi
ultimi è, indubbiamente, Francesco Torti ».

Il Trabalza tanto più ha diritto di asserir ciò, quanto meno
ha adulato l’uomo illustre del quale ha impreso a discorrere, e
noi, condividendo pienamente l'opinione da lui espressa, gli di-
ciamo che egli, col rivendicare dall'oblio il nome di Francesco
Torti, ha meritato e merita, come cultore degli studi letterari e
come cittadino, le lodi più ample e sincere.

V. ANSIDEI.

Givtio Unpixt. — Le Opere di Spello. Roma, 1897. — (Estratto
dall' Archicio storico dell’ Arte, serie II, a. II, fasc. V ; a. HI,
fasc. l). !

Studiare con amore e intelletto i monumenti e gli oggetti
d'arte del proprio luogo; ricercarne l'origine e la storia; fare
indagini per iseoprire i nomi di coloro che li crearono o vi pre-
sero comunque parle ; e illustrarli poi con sicura conoscenza,
giovandosi di fotografie per risparmio di tempo, e talvolta di fa-
tica e di noia per chi descrive o per chi legge; tale in complesso
lo scopo nobilissimo, nobilmente raggiunto, che il prof. Giulio Ur-
bini s' è prefisso con la pubblicazione del suo lavoro.

Riassunta brevemente, dall' origine, la storia di Spello ch'egli
crede fosse veramente Colonia Giulia come « n' assicurano Plinio
i| vecchio e Igino il Gromatico » ; ricordata la sua importanza
al tempo di Roma pagana; accennato alla decadenza della città
per le invasioni barbariche ; alle vicende del medioevo ; al diretto
dominio della chiesa (1583) per la morte dell’ ultimo: de’ Baglioni
UENUWITSOUA —
* MERE. I rade

‘(RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE 413

che la tennero con qualche intervallo sin dal secolo XIV; l'Ur-
bini giunge a’ giorni nostri osservando, con ragione, come la
piccola città umbra benchè più non. sia « neppur capoluogo di
mandamento, occupa. sempre un posto molto distinto tra le città
minori dell’ Umbria per le sue tante e importantissime opere d'arte,
visitate spesso da italiani e da stranieri; ma richiedono da parte
de’ cittadini più vigili cure che pel passato, più amore ch' al pre-
sente; giacchè il bello non dovrebbe andar disgiunto dal bene ».
Cominciando dal più antico, descrive gli avanzi della mira-
bile Cerchia romana, dei quali un sol tralto rettilineo, conserva-
tissimo, misura circa 110 metri; le Porte romane a massi squa-
drati enormi, altri tratti di mura, le due belle Torri di pianta do-
decagonale, ecc. Sopra là Porta Consolare, che in origine doveva
essere fiancheggiata da due torri, sono state collocate tre statue
di marmo del basso impero. Pare provengano da due basamenti
scavati presso l Anfiteatro, sulla fine del secolo XVI, e rappre-.
senlino « una casta, come dice il Nostro, nonchè chiarissima e
munificente Licinia Vittorina e un Caio Matrinio Aurelio Anto-
nino, uomo perfettissimo, insignito di molte dignità, tra cui quella
di pontefice della gente flavia, e benemerito della Colonia ».
Fatto cenno del Tempio di Diana che da secoli pià non esiste
e d'una Fontana medioevale, demolita, l' A. si ferma dinanzi ad

‘una Casa del Rinascimento ch’ egli crede appartenesse alla no-

bile famiglia Venanzi. Più innanzi è la chiesetta di s. Bernardino
la cui facciata gli offre occasione di pensare a uno de’ migliori
allievi del Pinturicchio (ma non ne dice il nome) quale autore
degli affreschi che la decorano; e per altri affreschi ancora si
ferma un momento nella piazzetta e nella chiesuola di sant'Angelo.

Rintesse quindi la storia dell’ antichissima chiesa di s. Maria
Maggiore. Della facciata nuova si pose la prima pietra il 17 giugno
del 1644, anno nel quale il bel tempio fu allungato. Costruttori
della facciata furono: un maestro Belardino e un suo nipote, del
quale non si conosce il nome; ma non l’opera di costoro ci mo--
stra la parte più bella del tempio, nè di quelli che presero parte
ai lavori del prolungamento della chiesa. Per le preziose opere
d’arte, invece, che vi si conservano, si deve ripetere col Gautier
che « se non si ammira lo scrigno, bisogna pure ammirare le
gioie ». Dalla pila dell’acqua santa (un’ Ara funeraria romana ri-
414 RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE.

dotta a pila) alle pitture degli altari, dal pulpito alla Tribuna,
tutto qui dentro ferma l’attenzione del visitatore intelligente, e
l Urbini ne trae il maggior profitto, con acume di crilico, con la

pazienza dell’ investigatore dotto e diligente ; si che questo tempio
costituisce la parte più importante del suo studio. La maggiore |
attrattiva sta nelle pitture; ma io non mi so dar ragione del

perchè il bravo prof. Urbini continua a ritenere per incerta la

prima tavola, di cui egli parla quando accenna al primo altare,

mentre dice che critici competenti come il Morelli, il Cavalcaselle

e il Frizzoni la giudicano del Pinturiechio. Ma il semplice raf-

fronto con altre opere di questo maestro non doveva essere suf-

ficiente per togliere quell’ « attribuita » sotto la I tavola presen-

tataci a pag. 13?

Ben a ragione di questa chiesa continuansi a giudicare, quale
ornamento suo più ragguardevole, le pitture di Bernardino di
Betto, nella cappella de’ principi di Spello, i Baglioni ; infatti i tre
grandi affreschi rappresentanti | Annunciazione, V Epifania e
la Disputa coi dottori, e la volta con le Sibille Ziburtina, Eri-
trea, Europa e Samia formano un ciclo di pitture murali di pri-
m’ ordine, benchè vi prendessero parte, come giustamente osserva

anche l' Urbini, diversi aiuti del genialissimo maestro. Tali lavori \
danno occasione al N. di tessere alcune pagine descrittive e fanno

ricordare e tener nel debito conto giudizi già espressi intorno ad

essi da critici eminenti; ma il leltore sempre desideroso d’ ap-

prendere qualche cosa di nuovo, e lo storico che da cotesti studi

parziali di opere d'arte vuol attingere nuovi fatti per intessere

con sicurezza e larghezza maggiore la sua storia, attendevano

che l'egregio professore affacciasse almeno, con verosimiglianza,

alcun nome di coloro che, secondo lui, avrebbero prestata l’opera

propria negli affreschi della cappella Baglioni. Ben è vero che

per voler tentare qualcosa di simile, in. proposito dello . scopri-

mento delle sale Borgia, su per alcuni periodici romani è avve-

nuto appunto qualche cosa di strano. Anche i meravigliosi fre-

schi di quelle sale, com’ è noto, furono diretti ed eseguiti in gran

parte dall’ amabile Pinturicchio. Alcuni scrittori del principio di
questo secolo e altri de’ nostri giorni hanno fatto nomi di artisti |
contemporanei del maestro che l'avrebbero aiutato nelle pitture
del Vaticano. Or bene, non è mancato chi, alzando un po’ la voce,

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6 _y RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE 415

ha scritto che tutti, ^o quasi, i lavori delle sale Borgia apparten-
gono a Bernardino di Betto e che non c' é ragione di far nuovi
nomi, « essendochè dette pitture debbono essere state falte dal
maestro con i proprii scolari ». Oh benedelta cocciutaggine ! Chi
sono dunque cotesti scolari di Pinturiechio che con lui lavorarono
in Valicano? Ma sì, è proprio da questo lato che certi sapientelli non
sanno capire. D'altra parte è anche vero che non simili esempi
possono far deviare uno studioso modesto, ma altrettanto serio e
coscienzioso quale l' Urbini, o farlo tacere quand’ egli avesse buone
ragioni per indicarci, secondo il suo giudizio, l'artista o gli ar-
‘tisti che nelle pitture delia cappella Baglioni aiutarono il Pintu-
ricchio.

Continuasi nella descrizione delle opere d'arte conservate
nella chiesa di S. M. Maggiore toccando delle altre pitture d’al-
tare; del bel pulpito di Simone da Campione e della magnifica
Tribuna, tutta di marmo, di Rocco da Vicenza, posta davanti
all'abside e ricoprente l'allar maggiore. Della quale opera l'U. può
offrire una splendida fotografia degli Alinari. Essa devesi porre,
secondo i documenti da lui veduti, nella seconda decade del se-
colo XVI. A p. 25 segue anche il disegno di ‘una parte del bel
pavimento di maiolica della fabbrica di Deruta che adorna la
Tribuna. Le mattonelle quadrate in terra cotta invetriata misu-
rano centim. 18?/, per lato. Dietro l’altare è segnato l'anno 1566,
la data del pavimento magnifico con rabeschi di smaglianti colori,
su fondo azzurro, fregi bianchi e intrecci di fogliami, oppure su
fondo bianco con mascheroni, grifi, grottesche, foglie e fiori, il
lutto armoniosamente combinato con svariatissime tinte.

De’ due affreschi del Perugino sulla fronte dell’abside, ai
lati della Tribuna, è riprodotto in questo studio, quello a sinistra
con la Pietà: la Vergine seduta, sostenente il Cristo morto, s.
Giovanni e la Maddalena ginocchioni, a mani giunte. Nell’altro
affresco è figurata la Madonna col Bambino in trono, corteggiata
dai. santi Caterina e Biagio. La prima di queste pitture è firmata
e l'Urbini ha trovato documenti che attestano della paternità vera
de’ due affreschi, i quali appartengono senza dubbio al maestro
di Raffaello, ma all'ammiratore delle soavi figure di Pietro pro-
ducono una grande disillusione; non par vero che nello scorcio
di sua vita potesse egli operare come uno dei suoi mediocri imitatori.

STA SARE desti. ms abl o iR Em
416 RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

L'abside, che è ancora l'antica, conserva lult'in giro affre-
Schi di maniera grottesca, che andrebbero scoperti dall’ intonaco
fermatovisi per le diverse mani di bianco passatovi sopra. Ac-
‘cennato al poco o nessun valore artistico del coro a. doppio or-
dine di stalli, del secolo XVI, a una Madonna:col B. e s. Antonio,
dipinti sul muro, di Scuola ‘umbra, a una finestra colorata, ad
alcune tele del Cinquecento, l'A. ci conduce ad ammirare l'opere
d'arte nella cappella del Sacramento: un'altra, finestra a colori,»
un tabernacolo riechissimo di. marmo, uno scanno con intarsii
del 1503 e 1505, un altro affresco (con un angelo) del Pinturic-
chio, una ‘Croce capitolare, splendidamente cesellata (riprodotta
8 tav. XI) e smaltata, da Paolo Vanni perugino. A tav. XII
riproduce una dolcissima figura di Madonna col B. benedi-
cente, del Pinturicchio; e anche qui l'A., certo innavvertitamente,
lascia scritto ch'essa è solamente attribuita al geniale maestro.
Si notano ancora in questo tempio 11 tavolette uguali formanti
un tempo una cantoria, un bel Lavabo’ intagliato del secolo XVI,
due armadì antichi intarsiati, ecc.
Passando poi in Via Cavour l’A. ci conduce ancora dinnanzi
ad un affresco di Bernardino di Betto o di tale che ne imitava
la maniera; quindi nella chiesa di s. Andrea apostolo che il N.
studia e illustra con la solita diligenza. Anche questa’ chiesa e
l'annesso convento meritano tutta la nostra attenzione per la
quantità considerevole di oggetti d’arte e di pitture che qua e là
l'adornano; ma il capo principale, e che più interessa il visitatore,
consiste nella grande sala d'altare che lo stesso Pinturiechio vi
dipinse, servendosi degli aiuti di Eusebio da S. Giorgio e di altri
per gli ornamenti della pittura. Benchè a tav. XIII ne sia data
una buona fotografia, essa é dall'A. minutamente descritta. Rap-
presenta la Vergine col Putto in trono (a cui fanno corona due
angioli e quattro cherubini) corteggiata da quattro santi. Sul pri-
mo gradino del trono sta il piccolo s. Giovanni seduto e in atto
di scrivere sur una carlella svolta sopra le ginocchia: ecce
agnus dei.

Nulla è dimenticato in questo studio sulle opere di Spello, ed
,è perciò che l' Urbini ci parla dell'orfanotrofio maschile che rac-
chiude pur qualche oggetto o memoria d’arte; della piazza V. Ema-
nuele con la Rocca un tempo abitata dai Baglioni; del palazzo
RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

comunale, dove tra altro è una raccolta di lapidi romane, l'archi-
vio notarile e la biblioteca; della piccola chiesa detta della Mise-

ricordia con affreschi di pennello umbro; dell'ospedale della Nuova.

Unione con altre pitture ; del Collegio Rossi; della storica chiesa
di S. Lorenzo con dipinti, marmi, intarsii pregevoli; una croce
capitolare attribuita al mentovato Vanni di Perugia e un gran-
dioso-pulpito di noce riccamente istoriato, ecc.. Nel quarto capitolo
sono studiate le opere del Rione S. Martino: la Fortezza -anti-
chissima, il Monastero di Vallegloria, la chiesuola di Santa Bar-
bara, la Posterula, il teatro e piccole chiese ancora con lavori
di minor importanza; nel capitolo seguente cominciasi il giro nei
dintorni di Spello, e la prima tappa del visitatore vien segnata
dalla visita alla chiesa e convento di S. Girolamo eretti nel 1474
a spese di Braccio Baglioni. Qui, oltre il resto, sono altri affre-
schi dell'operosissimo Bernardino di Betto e d'altri pittori della
sua scuola. Di tre di tali affreschi sono date le fototipie. Vengono
poi le chiese di Paterno dove s'ammirano ancora buoni dipinti
sulle pareti; così in Santa Maria e in Sant'Anna, di Scuola um-
bra; e giotteschi, nella massima rovina, in quella della Trinità,
e altri nella chiesa di S. Ventura, ecc. Compiuto il giro lungo la
via perugina e tornando sulla provinciale, l'A. ci indica l’antica
chiesa di San Claudio, tutta in pietra a tre navi, interessantissi-
ma. Continuando ancora ci pone soll'occhio e avanzi di costru-
zioni romane e cimeli d'antiche pitture. Chiude infine lo studio
ragguardevole, la descrizione della Rotonda eretta a circa due
chilometri dal paese, antica tanto che non mancano prove per
crederla un mausoleo romano, e una ricca appendice bibliografica.

Certo, se tulti i piccoli paesi della penisola, che guida non
hanno o non avranno forse mai, trovassero illustratori intelligenti
come l' Urbini, non soltanto il famoso catalogo dei monumenti
d'arte — chi sa per quanti anni ancora di là da venire — sarebbe
facilmente compilato ; ma un reale vantaggio ne trarrebbe la storia
dell'arte in Italia, e l'idea di una bibliografia artistica italiana più
non si presenlerebbe fra noi con la parvenza d'un sogno.

E. CALZINI.

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RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

Moretti Giovanni (Ivan LeRMOLIEFF). — Della pittura italiana.

eyt

- — Milano, Treves, 1897; in 4°, pp. XXVIII-887, con 81 in- .

cisioni.

Dell’ uomo, come studioso, critico e patriota, ha detto ‘molto
bene il Frizzoni nei Cenni biografici che precedono lo splendido
libro: il critico, sopra tulto, vi è tratleggiato e giudicato con au-
torità e dottrina singolari. Tra gli scritti suoi, nuovi ed originali
per acutezza di osservazioni e di giudizi, di quelli ehe riguardano
Le opere dei maestri italiani nelle Callerie di Monaco, Dresda,
Berlino fu nell’ 86 pubblicata la traduzione in italiano dall'editore
Zanichelli: alcuni di questi studi che illustrano la Galleria Bor-
ghese (illustrano gli altri la Galleria Doria Pamphili di Roma)
apparvero tra il 74 e il 76 nel periodico Zettschrifte für bildende
Kunst del prof. Carlo von Lützow. Qui non del libro, che ha
dato e darà frutti di ammaestramenti magistrali, sia. opportuno
dir brevemente: giovi piuttosto spigolar quei giudizi che si rife-
riscono ai monumenti dell’arte nostra pittorica.

A proposito del ritratto virile, segnato col num. 397, della
Galleria Borghese, il Venturi (Z/ Museo e la Galleria Borghese,
Roma, 1893, pag. 191 e seg.) credette di non ravvisarvi quello
del Pinturicchio, il quale ben altro ritratto di sè dipinse in S. Ma-
ria di Spello; ma si mostrò proclive ad aggiudicare quella opera
bellissima al Pinturicchio. Questi, si sa,- fece il ritratto di Sera-
fino Aquilano, di cui riman solo il ricordo e la lode in tre suoi
sonetti: perché non supporre che appuuto sia il ritratto, scono-
sciuto finora, del poeta: cortigiano? Opportuna dimanda, ma, se-
condo il Frizzoni (Archivio storico dell’arte, a. III, fasc. 2°),
non accettabile congettura. All' Holbein prima, e poi al Perugino
ed al Sanzio (al secondo dal Mündler) fu attribuito quel ritratto :
all’ultimo lo dà, invece, il Morelli. « Sin dal primo momento che
lo vidi (egli scrive, a pag. 185) mi fece l'impressione d'un la-
voro dell'età giovanile di Raffaello, circa l'anno 1502. Non posso
quindi accordarmi col defunto Mündler nel ritenerlo 1° auto-
ritratto di Pietro Perugino. La capigliatura è ordinata con sen-
timento affatto raffaellesco. e, colla grazia a lui propria, gli
occhi hanno una vivacità, uno splendore che difetta per lo più
nelle teste del Perugino: il naso e la bocca sono più poderosa-

E^

Teva
RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE.

mente modellati di quello che sogliono essere nei ritratti del Pe-
rugino. Infine la lucentezza delle carni è tutta propria dell’ Urbi-
nale. In proposito vorrei esortare 1 miei amici a confrontare questo
ritratto coll’ùna o coll’altra delle teste degli apostoli nell’ Zncoro-
nazione della Madonna di Raffaello, della Pinacoteca Vaticana ».

Ma non credasi definitivo il suo. giudizio: Carlo di Lützow e. il

3

bic us RO SERE.

Minghetti gli dierono ragione; torto i critici di Berlino ed Eu-

EC

genio Müntz. — D'un altro ritratto, quello di un ragazzo (num. 399

ber s. atia. con

della stessa Galleria), fu detto ch'era di Raffaello; altri lo giudi-
carono di Timoteo Viti e di Pandolfo Ghirlandaio: l'opera, dice
il Morelli, è di bottega e affatto insignificante; tanto rifatto,
notò il Venturi, esso appare da non essere agevole il fissarne
l’autore e da giudicarlo soltanto di scuola perüginesca. Pel Mo-
relli, se fosse il caso di mettere innanzi un nome d'arlista, po-
trebbe esserne l'autore Domenico Alfani: « si confronti, egli

aggiunge, questo ritratto col Presepio dello stesso, num. 24 nella

Satin esta:

Galleria comunale di Perugia ». -— Al Perugino giovine egli re-
slituisce un altro ritratto, al num. 4 della Galleria Borghese di
città, ch'è copia dell'originale esistente in quella degli Uffizi in
Firenze (num. 1217) e rappresenta, credesi, Alessandro Braccesi.
Sebbene il Cavalcaselle ed il Crowe l'abbiano attribuito a Lorenzo:
$ “di Credi, pure il Morelli ha le sue buone ragioni per giudicarlo
del Vannucci: a parer suo « è composto con troppa vivezza per E
Lorenzo di Credi, ed anche il colore è troppo caldo »; e non esita.

« a tenerlo. per un buon lavoro giovanile di. Pietro Perugino .
del 1485-90 circa, a un dipresso dell’epoca stessa della cosi detta
Monaca di Leonardo nel Palazzo Pitti »: Codesta Monaca (num. 40
della Galleria Pitti) fu data al Franciabigio; ma basti, secondo il

j Morelli, osservarne la forma della mano, e « chi ha familiarità
colle mani di Pietro non esiterà a riconoscere che quer ritratto è
opera sua ». Delle relazioni tra gli Ubertini e il. Perugino è lar- E
gamente trattato nel cap. sul Bachiacca (Francesco Ubertini), di c E

cui a rappresentare il periodo peruginesco, cioè dell'influenza di
‘Pietro, stanno due quadri, il Noli me tangere e la Risurrezione
di Lazzaro nel Museo di Oxford (Christ Churh College). Codesto
Pe periodo, egli pensa, dura fin verso il 1518, della qual’epoca è

« l'interessante quadretto di Adamo ed Eva nella collezione del
dottor G. Frizzoni a Milano. Questo piccolo dipinto passava tempo
iU

RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

fa per opera di Giulio Romano. Venduto a Roma, fu battezzato
col nome di B. Peruzzi. In questo quadro degno di nota, nel
quale la correzione del disegno tuttavia lascia alquanto da desi-
derare, il Bachiacca evidentemente si valse del piccolo cartone
del suo maestro Pietro Perugino, che aveva servito a quest’ultimo
pel suo famoso quadro Apollo e Marsia, presentemente esposto

mel Salon carrè del Louvre sotto il nome di Raffaello, largitogli

dal suo primo possessore. Il cartone del Perugino, trattato pre-
cisamente nella stessa maniera del disegno di Oxford (collezione
dell’ Università) rappresentante l’arcangelo Raffaele e il piccolo
Tobia (Robinson Catal., num. 16) si trova nell'Accademia vene-
ziana, anche là, come si capisce, indicato come opera di Raffaello.
Il Bachiacca non fece che convertire l'Apollo in un’ Eva e il Mar-
sia in un. Adamo ». — Del quadro i/ Crocifisso, s. Girolamo e
s. Cristoforo (num. 377 della Gall. Borghese), che il Morelli dà
al Pinturiechio ed il Venturi a Fiorenzo di Lorenzo, fu fatto
cenno in questo Bollettino, I, 434 e segg. Il Morelli vi riconobbe

* lo spirito e. la mano dell'artista, senza sapere ch'esso era già
stato citato dal Vermiglioli come.opera di Bernardino Betti » (Me-
morie di Bern. Pint., pag. 109 e segg.); ed aggiunse in nota
che « il quadro allora apparteneva ad un dottore di Monaco ».
Ma il Venturi risponde (Museo cit., pag. 184) che il Vermiglioli
« parlà di un quadro di altre maggiori proporzioni ». Di quale? :
il dissenso tra i due critici dotti è così grave che varrebbe la
pena d’ indagare e narrare le vicende della tavola e stabilire qua-
lé la pittura di cui tratta il Vermiglioli. — Delle altre due tavole,
num. 49 e 57, il Morelli asserisce che l'una, datane « l'esecu-
zione troppo dura e meschina pel maestro medesimo », è da at-
tribuirsi a un allievo suo; e che l’altra, aggiudicata allo Spagna,
rivela lo spirito e la tecnica del Pinturicchio, tanto più che « le
ombre sono tratteggiate nella stessa maniera de’suoi disegni a
penna ».

G. MAZZATINTI.
RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE ' 421

Dorr. ANcELo Fani. — La Deportazione, studio di diritto puni-
tivo per dissertazione di laurea in giurisprudenza. — Ermanno
Loescher, Roma. Unione Tipog. Cooperativa, Perugia, 1896.

«Diamo un cenno di questa interessante pubblicazione, ancor-
ché essa a prima vista possa apparire estranea all'ordine di studi
cui specialmente si consacra questo Bollettino, poichè l’egregio
autore dott. Angelo Fani, prima di esaminare la pena della depor-
tazione dal punto di vista scientifico; l'ha considerata dal lato
storico, dimostrando per tal modo di volere nello studio della gra-
vissima questione far tesoro degli insegnamenti dell’esperienza. Il
Fani comincia dal discorrere della deportazione presso i Romani,
osservando che a Roma risale l'origine di detta pena ; fa menzione
del modo assai limitato nel quale essa fu applicata durante l’epoca
carolingica, e poi brevemente, ma con chiarezza e dando prova
che il poco che dice è frutto di coscienziose ed accurate indagini,
si occupa dei vari Stati d' Europa e d'America, presso i quali, dopo
la scoperta di quest'ultima, la deportazione apparve di nuovo non
come.pena di per sé stante, ma come aggravante di altre pene.
E poiché la deportazione fu ed è anche adesso largamente prati-
cata in Russia, in Inghilterra, in Francia, il dott. Fani prende
accuralamente a studiare questa pena, dimostrandone per ognuno
dei tre accennati Stati lo svolgimento dalle origini sino ai nostri
giorni. In questi primi quattro capitoli del suo lavoro il Fani di-
mostra singolari attitudini agli studî storici, ed offre saggio di
quanta ulilità questi riescano a procedere con passo fermo e sicuro
nelle indagini scientifiche.

Ed invero nella seconda parte del suo libro, nell'esame della
quale a noi non è dato addentrarci, il giovane e valente autore,
si dichiara favorevole a tal pena che, secondo lui, si racchiude
« il segreto della scienza penitenziaria », ma giunge a questa
conclusione dopo avere scrupolosamente osservato come la de-
portazione medesima sia stata e sia praticata presso i vari
popoli civili. Nè è a tacersi che il dott. Fani sostiene la depor-
tazione, siccome quella che, mentre tutela i diritti della società,
ha per fine anche la emenda dei colpevoli; egli pone come prin-
cipio fondamentale del diritto penale la tutela giuridica e come
fine l'emenda: di questo criterio eclettico noi lo lodiamo, essendo

i

nari

Vian. RASTA: LE

p- X

NU MEER *
PEORES FONTE OURUUPNE I CITI ZIO

499 | RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

DI

convinti che il seguire rigidamente un solo indirizzo è prova che
da chi lo segue non si rammenta essere la storia maestra della
vita.

Ma il rimprovero di siffatta dimenticanza non può certo muo-
versi al dott. Fani, che anche nella parte riguardante l'Italia
risale ai precedenti storici per giungere ad affermare che anche
nel nostro paese sarebbe opportuna ed utile la deportazione.

L’esame dei mezzi migliori, coi quali questa pena potrebbe
introdursi fra noi, ha dato occasione al Fani di consacrare un ca-
pitolo del suo libro, capitolo che è interessantissimo, alla. Colonia
Eritrea e all'odierno problema coloniale. É proprio dei giovani, che
hanno ingegno e che studiano e che perciò veggono, senza però
lasciarsene scoraggire, tutta la difficoltà dei problemi alla cui
soluzione si consacrano, il confidare sì nelle proprie forze, ma
il domandare anche con lodevole modestia lume e consiglio ai
più sapienti ed esperti: questa buona via ha tenuto il dott. Fani,
che alla eletta schiera di quei giovani appartiene; egli, non con-
tento di avere studiato profondamente per conto suo l'istituto
della deportazione ed esaminato da sè la questione coloniale in
genere e in particolare rapporto coll’ Italia, (e di ciò fanno pur fede
la diligente rivista bibliografica, la rassegna dei congressi peni-
tenziari e il copiosissimo elenco bibliografico delle opere consultate,
citate e richiamate), ha altresì rivolto a persone ‘autorevoli e
competenti non poche domande; le risposte da lui avute figurano
fra gli allegati al volume, e della importanza di tali risposte sarà
persuaso ognuno che sappia che talune di esse furon date dal
compianto Antonio Cecchi, dall'onor. Leopoldo Franchetti, dal
comm. Luigi Bodio.

Le lettere indirizzate al Fani dai nominati e da altri egregi of-
frono nuova testimonianza del pregio del lavoro che abbiamo bre-
vemente preso in esame, e noi non possiamo che congratularci col
dott. Angelo Fani, il quale con questa dissertazione di laurea
non solo ha molto bene coronato il corso dei suoi studî, ma dà
completo affidamento che di questi studî sarà sempre un valoroso
ed appassionato cultore.

ee
R. Istituto Storico Italiano. — Bullettino, n." 18. — Le più antiche carte
diplomatiche del Monastero di S. Giusto di Susa (10299-12125, con. una
tavola. — Un trattato inedito del secolo XV sulla tecnica dell'arte.

Archivio Storico Italiano. (Dispensa 18 del 1891). — Memorie e documenti.
— Il carteggio di Bettino Ricasoli (Dall'anno 1829 all'anno 1860),

DoMENICO ZANICHELLI. — Aneddoti e varietà. — Corrispondenze. —
Rassegna bibliografica. — Notizie.

Archivio Storico per le provincie Napoletane (Anno XXII, fasciscolo I). —

—. CrrasoLi F., Clemente VI e Giovanna I di Napoli. (Documenti ine-
diti dell'Archivio Vaticano,-1543-1352) (continua). — NUNZIANTE E.,
I primi anni di Ferdinando d'Aragona e l'invasione. di Giovanni
d’Angiò (continua). — Capasso B., Masaniello ed alcuni di sua fa-
miglia effigiati nei quadri, nelle figure e nelle stampe del tempo.
Note storiche. — MERnCALLI, Ragguaglio del terremoto successo in
Puglia a’ 30 luglio 1627. — Rassegna bibliografica. — Notizie ed
indicazioni bibliografiche.

Idem. — Indice generale dei volumi I a XX (1876-1895) compilato da
BENEDETTO MARESCA. !

Archivio Storico Lombardo (Serie III, Fascicolo 13°). — Memorie. — No-
tizie storiche topografiche della città di Mantova nei secoli XIII e
XIV, S. Davanr. — Contributi alla Storia della ricostituzione del
Ducato milanese sotto Filippo Maria Visconti (1412-1421), C. Romano.
— Per un libello contro Galeazzo Maria Sforza, A. CAPPELLI. —
Bibliografia — Bollettino di bibliografia Storica Lombarda (dicembre
1896, marzo 1897).

AR. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria per le antiche provincie
e la Lombardia. — Miscellanea di Storia Italiana (Terza serie,
tomo III). — CarriGanrs G., Due pretese dominazioni straniere in
Sardegna nel secolo VIII. — TurLetTI C., La rivoluzione del 1797

in Fossano e Racconigi e la sollevazione della truppa francese in
D acere iru E D e Tg ene TERR

020.494 PERIODICI IN CAMBIO O IN DONO -- OMAGGIO DI PUBBLICAZIONI

Torino, narrate da contemporanei. — Savio F., Il monastero di
S. Teofredo di Cervere ed il culto di S. Teofredo in Piemonte. —
Maroceur R., Un diploma inedito di Re Lotario, riguardante la
città di Como. — PERRIN A., Le trésor de la Chapelle du chátean
des Échelles, commanderie de S.' Jean de Jerusalem. Inventaires iné-
dits du XVI siécle. Documents sur là prise du cháteau par Lesdiguiéres.
— GanorTrO F., Documenti inediti sulla storia del Piemonte al
tempo degli ultimi Principi di Acaia (1383-1418). — Cars DE PIERLAS

E., Obituaire de l'ancienne cathédrale de Nice. — CaruTtTI D., In:
memoria del senatore Carlo Negroni.

Società Storica per la provincia e antica diocesi di Como. — Periodico
(Vol. XI). — D. SANTO MonTI, La cattedrale di Como.

Idem. — Raccolta Storica (Vol. III, Disp. VII e VIII). — Atti della vi-
sita pastorale diocesana (1589-1593) di F. Feliciano Ninguarda Ve-
scovo di Como.

Atti e memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le provincie di
Romagna (Terza serie, Vol. XIV, Fascicolo IV-VI). — P. ACCAME,

‘ Notizie e documenti per la storia delle relazioni di Genova con Bo-
logna. — L. ALDROVANDI, Acta Sancti Officii Bononiae (1291-1309).
— G. B. SaLvionI, Sul valore della lira bolognese.

Nuovo Archivio Veneto (Tomo XIII. Parte I) — Marino Faliero. La
Congiura, V. LAZZARINI. — Jacopo Bertaldo e lo splendor Veneto-
rum civitatis consuetudinum, E. Besta. — Venezia e lo scisma du-
rante il Pontificato di Gregorio XII (1406-1409), E. Piva. — La cor-
rispondenza epistolare di L. A. Muratori con mons. G. Bini friulano,
E. DEGANI. — Giambattista Da Ponte, aneddoto storico della lega
Cambraica, F. PELLEGRINI. — Del luogo ove Sordello amò Otta di
Strasso, F. C. CARRERI. — Schiumberger Gustave, L'epopée byzan-
tine à la fin du dixième siècle, N. Barozzi. — Henri Cordier, Cen-
tenaire de Marco Polo, G. B. — La lirica del mare, G. B.

Atti e memorie della Società Siciliana per la Storia Patria (Anno XXI,
Fascicoli III-IV). — GARUFI C. A., Ricerche sugli usi nuziali nel Me-
dio Evo in Sicilia. — Romano S., La costruzione della torre di Ligné
ed i tumulti popolari a Trapani nel 1673. — Dr GrovannI V., Il tran-
sunto dei diplomi del monastero del presbitero Scholaro di Messina.

Rivista di Storia, Arte, Archeologia della provincia di Alessandria (An-
no VI, Fascicolo 17°). — Studi — G. GrorceLLI, Documenti storici
del Monferrato: VIII. Cronaca del Monferrato in ottava rima del
march. Galeotto del Carretto del Terziere di Millesimo, 1493. — F.
GanBoTTO, Asti e il Piemonte ai tempi di Carlo d' Orleans (1407-1422).
— Memorie e notizie.
I SITO MATIZ LIE ETUE

PERIODICI IN CAMBIO O IN DONO -- OMAGGIO DI PUBBLICAZIONI 425

Monumenta Alexandrina. — Archivio di S. Maria di Castello edito a spese

del municipio di Alessandria da FRANCESCO GASPAROLO.
I

Studi e documenti di Storia e Diritto. — Pubblicazione periodica dell’Ac-

cademia di conferenze storico-giuridiche (Anno XVIII, Fascicolo 19-9"),
— Sui contratti agrarii medioevali, S. D'AwzLIO. — Dalla Geografia di
Strabone. Nuovi frammenti scoperti in membrane palinfeste - della.
Biblioteca Vaticana, G. Cozza-Luzi. — Di un frammento di una
vita di Costantino, nel cod. greco 22 della biblioteca: Angelica, P.
FRANCHI DE’ CAVALIERI. — Usi e regolamenti per gli scavi di antichità
in Roma nei secoli XV e XVI, F. CrerasoLI. — Note bibliografiche.

Atti e memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le provincie

Modenesi (Serie IV, Vol. VIII). — Il matrimonio di Giacomo Stuart
Duca di York (poi Giacomo II Re d'Inghilterra) con Maria d'Este,
1673, U. DALLARI. — Lettere inedite di Francesco Guicciardini, L.
STAFFETTI. — Felice Alessandri maestro di cappella di Federieo Gu-
glielmo II Re di Prussia, L. F. VALDRIGHI. — Bonafini Caterina. —
La signora Chiara ed altri musicisti, L. F. VALDRIGHI. — Trattato
seguito nel 1665 fra il Duca Carlo Emanuele II di Savoia ed il Duca
della Mirandola Alessandro II Pico per la coltivazione di miniere
con preambolo e note del Barone G. Claretta, F. CERETTI. — Di un
trattato seguito nel 1665 fra il duca Carlo Emanuele II di Savoia e
il duca Alessandro II della Mirandola per coltivazione di miniere,

G. CLARETTA. — Diploma di Luigi XII Re di Francia a Francesca
I 8
Trivulzio Pico contessa della Mirandola, F. CERETTI. — Soste in

Modena di Giovanni d’Angiò e di Carlo V, A. G. SPINELLI. — Seavi ^
o 1

del Modenese, A. CRESPELLANI.

R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. — Memorie. — Classe di let-

tere, scienze storiche e morali — (Vol. XX-XI della serie III, Fasci-
colo V), C. SALVIONI. —- Postille italiane al Vocabolario latino — ro-
manzo. —- Rendiconti (Serie II, Vol. XXX, Fascicoli 3° a 11.°

Ecole francaise de Rome. — Mélanges d'Archéologie et d'histoire

(a. XVII, Fasc. 1). — S. Maria antiqua. Notes sur la topographie
de Rome au moyen-áge, VIII, L. DucuEsNE. — Le vie d'Atha-
nase patriarche de Constantinople (1289-1293, 1304-1310), H. DELE-
HAYE. — Trésors d'Églises. Ascoli Piceno et l’orfèvre Pietro Vanini,
E. BERTAUX. — Les rapports finaneiers de Grégoire XI et du due
d'Anjou, L. Minor.

JH. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. — Degli studi storici re-

lativi al Friuli nel decennio 1886-1895, G. OccroNr BoxArFONS. — I

‘primi settarj contro il mistero dell'incarnazione del Verbo e la re-
ligione or professata dagli Abissini, G. BELTRAME. — Circa l'epi-
o o 1

è €

abcr a. iot iio dp

a5 ou rar 426. PERIODICI IN CAMBIO 0 IN DONO — OMAGGIO DI PUBBLICAZIONI

tafio di Jacopo Dondi, F. CrPornra. — Virgilio guida di Dante, F.
CrPOLLA. — Dante e Petrarca, F. CrPorra. — Su talune glosse agli sta-
tuticivili di Venezia composte nei secoli XIII e XIV, E. Besta. — Gli
spogliatori di Venezia artistica e della necessità di una legge sulla con-
servazione degli oggetti d'arte, P. MorwENTI. — Il prestito dei codici
manoscritti della Biblioteca di S. Marco in Venezia ne suoi primi tempi

e le conseguenti perdite dei codici stessi, C. CAstELDANI. — L'Americ:

‘ del Nord vista a volo d'uecello nel gennaio 1897, A. Rossi. — Fram-

menti Vianiani, II. Una frase allusiva a Stefano Ghisi, G. B. Dg Towr.

R. Società: Romana di Storia Patria. — Atti del sesto congresso storico
italiano (Roma, 19-26 settembre 1895).

R. Accademia dei Lincei. — Classe di scienze morali, storiche e filolo-

giche. — Rendiconti (Serie V, Vol. V, Fascicoli 11°, 12° e Indice

del Volume, Vol. VI, Fascicoli 1° e 2°).

TOS

R. Accademia delle Scienze di Torino. — Atti (Vol. XXXII, Disp. 1° a

42, 1896-97). — R. Osservatorio astronomico di Torino. — Osserva-
zioni meterologiche fatte nell'anno 1896 all'Osservatorio della R. Uni-
versità di Torino calcolate dal dott. G. B. Rizzo.

Bollettino della Società dantesca Italiana, Vol. IV, fasc. 4° e 5°).

Miscellanea storica senese (Anno IV; numeri 11 a 12).

Bollettino storico-bibliografico subalpino diretto da FERDINANDO GABOTTO .

* (Anno I, num. 6, Anno II, num. 1°2°).
Erudizione e Belle Arti, miscellanea diretta-dal prof. F. RavaGLI (An-

no III, Fascicoli 5° a 1°).

"Nuova Rivista Misena, diretta dal cav. A. ANSELMI (Anno IX, num. 7-8).

Bollettino della Società Africana d'Italia (Anno XVI, Fascicoli 1° e 2°).

Rivista di Storia antica e scienze affini diretta dal dott. Giacomo Tno-
PEA (Anno II, Fascicolo 2°).

Analecta Bollandiana (Tom. XVI, Fascicoli 1° e 2°).

Miscellanea storica della Valdelsa (Anno V, Fascicolo 1°)._

Accademia Dafnica di Scienze, Lettere ed Arti in Acireale. — ‘Atti e
rendiconti (Vol. IV, Anno 1896).

Rassegna Abruzzese di Storia ed Arte diretta da G. Pansa e P. PIccI-
RILLI (Anno I, num. 1).

Rivista delle Biblioteche e degli Archivi, periodico diretto dal dott. G.
BrAgI (Vol. VII, num. 9-10-11-12).

Commentari dell’Ateneo di Brescia per l'anno 1896.

La Civiltà cattolica (dal quad. 1117 al quad. 1126).

Rivista di Artiglieria e Genio (Vol. II, aprile e maggio).

La Cultura moderna; rassegna quindicinale di Scienze, Lettere ed Arti

e miscellanea (Serie I, Anno I, Vol. I, Fascicolo 5, quad. 6-17).
PERIODICI IN CAMBIO O IN DONO -- OMAGGIO DI PUBBLICAZIONI 427

Ceci G. e Pensi G. — Statuto di Todi del 1275 con lettera del prof. Fran-
cesco Schupfer, Todi, A. Trombetti tip.-edit., 1897. — Della inau-
gurazione di una lapide all'avv. EusracHIo CABASSI Storiografo
Carpigiano. Ricordi, Carpi, 1897.

CLARETTA G.; Di alcuni aguati di Antonio Rosmini a Torino sul prin-
cipio del secolo XVIII, Torino, Clausen, 1897.

Ceci G. — Documenti sui diritti del Comune nel Brefotrofio di Todi,
Todi, tip. Foglietti, 1896.

PRaATESI.P. — Sul vero luogo della battaglia detta di Gubbio o di Ta-
gina (Anno 552). Nota storica, Torino, tip. G. B. Paravia e C., 1897.

MoRINI A. — La regola spirituale di Fra Simone da Cascia, Perugia,
Unione tipografica cooperativa, 1897.

"I abii i dci ullo

asili
pm

vi PSE

ERETICI E RIBELLI NELL'UMBRIA

dal 1320 al 1330

studiati su documenti inediti dell’ Archivio segreto Vaticano

(V. fasc. prec. n. 7, pag. 257 ).

II. — Federico di Guido da Montefeltro, che avversò la
Chiesa e combattè gagliardamente contro la parte guelfa, ebbe
taccia di eretico e di praticare il culto di una idolatria, le
cui strane forme rivelano un curioso movimento di reazione
dello spirito umano; anzi un pervertimento degli spiriti, che
pare appena credibile avesse potuto far presa sopra un certo
numero di persone, e persone anche di qualità. Egli, educato
alla scuola del padre, che fu uomo non meno forte in guerra
che di mente sagace, era cresciuto sotto il vessillo ghibellino.
Ai suoi tempi Filippo il Bello impugnò acremente il principio
della supremazia papale. Al dominio temporale, nelle terre
della Chiesa, i partigiani dell’ impero opposero l’ autorità dei
capitani di popolo, i quali venivano annunziando, qua e là, gli
abusi dei tiranni. In quel vacillare del reggimento civile ec-
clesiastico, contro Bonifacio VIII che se ne fece strenuo di-
fensore, il re di Francia era andato lusingando le ambizioni
dei signori, e, chiesto appoggio ai baroni romani, aveva loro
detto: « Fate me senatore di Roma; io lascerò libera la
Chiesa: terrò il Patrimonio di San Pietro, incaricandomi di
esigerne le imposte e pagarne i pesi, e darò al papa un lauto

27
I ==

L. FUMI

assegno, qual basti al rappresentante di Cristo » (1). Questo,
in breve, l'ambiente politico di fuori, nei migliori anni di

Federico. Quali fossero gli esempi in casa, ce lo dice Dante.

La Romagna che

«....non fu mai
senza guerra ne' cuor de' suoi tiranni »

(Inf. XXVII, 37-38)

nutricò quel bellicoso Guido, a cui il poeta fece dir di sé
in tal modo:

3s... <@.l opere mie
non furon leonine, ma di volpe:

gli accorgimenti e le coperte vie
io seppi tutte; e si menai lor arte
ch’ al fine della terra il suono uscie ».

(Ivi, 74-78).

Poi se si fé frate minore (1296), ottenne assoluzione a patto in-
giusto, sebbene poco verisimilmente la storia ammetta il detto
dell’ Alighieri, che s'inspiró, più che alla verità, al suo ap-
prezzamento verso Bonifacio. Ad ogni modo, quel disprezzo
dal poeta accentuato in Guido contro il papa, è il disprezzo
dei regi, per i quali non fu che intruso, falso, ladrone, ne-
mico di Dio e degli uomini, affogato nelle eresie. La memo-
ria di quel papa stesso offesa da Clemente V, il quale la lasciò
sottoporre all’ infamia di un processo, alla pari con l'ordine
de’ Templari, inaspriva la lotta fra Chiesa e Stato; e la lon-
tananza della Sede cresceva le tendenze a ridurre l'Italia
al principio d’ unità fra popolazioni più affini fra loro, e
specialmente fra i popoli soggetti alla S. Sede. In questo, Fe-
derico vedeva la via a soddisfare la sua passione politica.
Il dominio che tenne di Pisa, il vicariato imperiale di Arezzo,
la signoria di Urbino e di Gubbio gli fecero sentire la fidu-

(1) CANTÙ, Gli eretici d? Italia, 1, 140,
——
SES CA rar ss

ERETICI E RIBELLI NELL' UMBRIA, ECC. 431

cia nel süo spirito di conquista; e sognó uno stato sulle ro-
vine del dominio temporale, arrisagli la speranza dallo sgo-
verno delle provincie, rette da francesi inabili e corrotti, dal
parteggiare violento dei numerosi tiranni e dalle debolezze
dei tralignati Comuni. Dante, amico quale egli fu di Bonconte,
fratello di Federico, avrebbe facilmente scoperto nell' animo
del prode capitano quella passione conquistatrice; e se il
veltro potesse essere mai un soggetto non indeterminato,
Federico da Montefeltro, che mirava ad abbattere in ogni
città i rettori pontifici, sarebbe il più vicino, fra tutti i capi
di parte ghibellina, a raccogliere e rappresentare in sé l'al-
lusione, intorno alla quale i chiosatori esercitarono le fan-
tasie, come sopra una divinazione. Si fecero tanti sogni
per ricercare l'uomo che ai popoli appartenenti alla parte
inferiore d'Italia, ossia, secondo il poeta, dal Po in giü, ap-
porterebbe salvezza ( « di quell’umile Italia fia salute » ), che
immaginarne un altro pensando a Federico I da Montefeltro,
vale assai meglio che fautasticare con i contemporanei di
Federico II della stessa casa, i quali vollero in questi con-
cretare il fatidico salvatore d' Italia (1). Non è egli chiamato
nel Convito « nobilissimo latino » il padre di Federico I? E
nella Divina Commedia non è detto « di quella dolce terra la-
tina» il Montefeltro, quasi a spiegazione dell’ «umile Italia » ? (2).
Federico, i cui successi in Romagna, quando corse in aiuto
del ghibellino card. Napoleone Orsini, scacciato da Bolo-
gna e da Firenze, e i fatti d'arme in Toscana, quando ca-
valcò fin sotto le mura fiorentine aveangli cresciuto bal-

(1) Federico duca di Urbino e il « veltro » dantesco di Lupovico FRATI in
Arch. St. per le Marche e per V Umbria, vol. II, fasc. IV, an. 1885. A Federico II
Giovanni Cioi fiorentino (1431?) dedica versi, dove svolge l'allusione del « veltro ».

(2) « Tutti coloro, i quali da Dante son detti latini appartengono alla parte infe-
riore d'Italia, cioè dal Po in giù; mentre quelli che da esso son detti lombardi, ap-
partengono alla parte superiore, cioó dal Po in su. Di qui s'avrebbe il significato
dell'umile Italia, cioè, l'Italia inferiore, per cui morio la vergine Cammilla, Inf. I,
v. 106, 107 » (FRATICELLI, La Divina Commedia. Firenze, 1860, p. 192, n. 26-27).
499 — L. FUMI

danza, ebbe il torto di scoprirsi troppo presto tiranno (1). Nel
capitanato di Cesena, fu, per questo, scacciato, dopo un anno,
à furia di popolo. La guerra che portó, per vendetta, su quel
territorio (2) gli aumentó la fama di uomo crudele, non avendo
ribrezzo di macchiarsi perfino del sangue de' poveri bambini.
Dopo la rotta da lui data sotto Jesi agli anconitani, che vi
rimasero, fra morti e feriti, più di cinque mila, una notte,
con Guido Tigna suo figlio, a capo di grossa masnada sorprese
Cagli; e abbattute le porte e rotti gli steccati, invase la
pacifica città, ne scacciò Muzio de’ Gabrielli e la mise a
ferro e a fuoco. Narrano che qui violasse monache e pie

‘vergini. Cavalcando a bandiere spiegate la Marca, a Fa-

briano, a Fermo, a Macerata, da per tutto, sono ricordati atti
di fiera conquista compiuti da lui, dai suoi figli o dai suoi
consorti, come il guasto e l incendio dati al castello e al borgo
di Pira, a S. Fumia, a Monte Rubiano, a S. Donato e ai ter-

ritori di Osimo e di Recanati. Nel conflitto intorno a questa

ultima: città rimasero morti un cugino e un nepote del mar-
chese della Marca, 500 suoi aderenti furono trucidati, donne
e fanciulli massacrati, il vescovo costretto a fuggire, quello
di Osimo rinchiuso in duro carcere. Dice il Reposati che in
quel furore si fecero tali enormità « che non permette la
modestia il descriverle » (3). Una volta che il marchese

mandó a Federico una lettera per mezzo di un suo balio,

(1) CoLuccI, Antichità picene, t. XX, Fermo, 1793, riporta un discorso dell'ab.
d. ANDREA LAZZARI, De’ conti Feltreschi di Urbino ecc., dove a pag. 41 si fa la vita
di Federico. « La prima impresa che fece fu che nel 1300, vivendo suo zio Galasso,
insieme con Ubertino Malatesti ed Ugone della Faggiola, allora Potestà di Gubbio,
cacciarono da questa città la parte guelfa; ma gli Eugubini avendo ricorso a Boni-
facio VIII, venne ordine al card. Napoleone Orsini Governatore di Spoleti, di assediar
Gubbio: fu il tutto eseguito, e li 23 giugno se ne impadronirono i guelfi scacciando
Federico (pag. 41, 42, nota d.).

(2) Narra Giov. GALLO GaLLI nella Vita di Federico che vinse i Cesenati oppo-
stisi con quei di Rimini quando egli (1395) con Urbinati e Forlivesi si fece a soccor-
rere il card. Napoleone. :

(3) REPOSATI, Della zecca di Urbino e delle geste de'conti e duchi di Urbino,
I, Bologna, 1772, pag. 94. V. ivi un commentario della vita di Federico.
ERETICI E RIBELLI NELL' UMBRIA, ECC. 439

| persona di qualità, quando questi fu alle porte di Urbino,

egli lo fece prendere e carcerare, e lo avrebbe mandato
anche a morte, se non fosse riuscito al prigione di fuggire (1).
Dopo avere conquistata quasi tutta la Marca, fuori di Ancona,
capitano di Osimo, di Recanati, degli estrinseci di Iesi, ecc.,
Federico si avvicinava nell Umbria, preceduto dal terrore.

Alleato con Guido Tarlati di Pietramala, che non mancava

mai di favorire un movimento di ribellione appena se ne
presentava il destro, dovette confidare in lui, facilmente, per
tenere in scacco i perugini, i quali avrebbero avuto alle
spalle i ghibellini di Arezzo, mentre egli con i rinforzi spe-
diti a Muzio di Francesco teneva un passo avanzato in Assisi
e a Nocera, occupava Norcia e Spoleto, assumendo il titolo
di duca.

« Era podestà di Spoleto (dice' il barone Sansi) messer
Ruggero da Fabriano ghibellino; erano nell'ufficio del Co-
mune Manente Grimaldori, Domenico Paganucci e Giacomo
Borsini della stessa fazione. Fu quindi ai ghibellini cosa facile
mutare lo stato, quando l' autorità era già in gran parte in
mano dei loro. Convenuto il modo, fu dato segreto avviso
alle genti del Montefeltro che stavano in Assisi, le quali,
come quelle che tal cosa aspettavano, subito si mossero.
Quando queste erano sul giungere, il Podestà e i tre sunno-
minati fecero improvvisamente, al suono delle trombe e della
campana, convocare nel palazzo uno straordinario Consiglio:
v accorse la moltitudine de’ ghibellini armati, escludendone
a forza chi non fosse dei loro. Quivi fu subito decretata la
riforma della città a parte ghibellina e l’ espulsione de’ guelfi. -
Erano capi di quella violenta adunanza e insieme della parte,
Enrico di messer Abrunamonte di Chiavano, Vanni, Pietro,
Andrea, Tommaso e Ranotto signori d' Ancaiano, Rinaldo di
Lapparino, Ghino e Rinaldo di Simone Fidanza, Petruccio
Castelli, Matteo e Paolo Transarici, Alleuro Petroni, Bartolello

(1) Secret. Joan. XXII, an. V, p.T, c. 5 t.
L. FUMI

Bancaroni; Matteo Galli, Matteo e Ottaviano signori di Arrone,
Niccolò di Rocca Accarini, i quali tratta a sè tutta 1’ autorità
e tolto il gonfalone del Comune, uscivano, seguiti da sette-
cento ghibellini armati, nobili i più, o principali cittadini, e
percorrendo le vie, levavano la città a rumore contro i guelfi,

i quali visto ciò che si faceva, aveano mandato a Perugia per

soccorso. Molti di quelli che essendo venuti al Consiglio vi
erano stati respinti andarono a raccogliersi nella catte-
drale, dove, mentre il rumore cresceva, e le uccisioni inco-
minciavano, tutti coloro che non poterono trovare altro
scampo trassero con le loro famiglie, e furono intorno a sei-
cento guelfi quelli che ivi ricoveratisi si afforzarono come

‘ poterono, confidando dovesse essere loro sicuro schermo,

almeno fino che desse giù quella prima furia, la fortezza e
la santità del loco. Miseri! I ghibellini avendo seco le milizie
venute da Assisi, .menata strage di quanti guelfi trovarono

. per la città, vennero a bandiera spiegata al duomo, e cir-

condandolo, ne cominciarono l'assalto come d'un castello
avrebbero fatto. Lo tennero assediato tutta la notte, e la se-
guente mattina, espugnata ogni difesa e gettatene a terra le
porte, vi si versarono dentro, e attendendo essi a sfogarsi
con opere di sangue, lasciarono tutto in balia delle genti
del Montefeltro e della rapace plebaglia. Furono spogliati gli
altari; fu rotta la porta della sacrestia e rubati.i vasi sacri

e ogni altro ornamento ed arredo prezioso, il tabernacolo

ricchissimo dell’ Icone e un altro d’oro delle reliquie della
croce di Cristo. De’ guelfi molti furono morti; gli altri ri-
tenuti prigioni: tra’ morti si contarono lo stesso priore
della chiesa e messer Simone priore di S. Erasmo. Tra
i presi, Simone Riccardi e Pietro Blasi canonici, e undici
fra frati e chierici con altri cento cittadini riscattatisi con

molt'oro furono cacciati in bando. Gli altri, uomini, donne,

fanciulli, tratti, a forza, di chiesa furono racchiusi parte
in una gran torre degli Anselmi nelle vicinanze della chiesa
di S. Benedetto, parte in certe basse e oscure vólte, avanzi

CRY a

——
ERETICI E RIBELLI NELL' UMBRIA, ECC.

di terme antiche, presso S. Agata, che ancora si conservano.

sotterra. Quivi, la piü parte in ceppi, furono con scarso
cibo e durissimi trattamenti tenuti due anni e cinque mesi,
dopo de’ quali ebbero quella sorte che si dirà a suo tempo.
Furono costoro sopra 400, molti de' quali gentiluomini e capi
di parte, che o per isdegno non vollero pagare le grosse
taglie che erano state loro imposte, o non poterono, per le
rapine e per gli incendi, in cui perdettero ogni loro avere.
Ché, proseguendo i ghibellini il corso dei loro eccessi, dopo
avere inferocito sugli esseri umani, rivolsero la loro rabbia
contro le pareti, e dato il sacco a sessanta delle principali
case, fra le quali quella de’ Manenti sotto il duomo, e degli
Agurri, antichi e possenti cittadini, vi misero il fuoco, né
più perdonarono a’ tuguri, ché oltre quelle sessanta, disfe-
cero dugento case di popolani guelfi » (1).

Che à preparare questa ribellione si adoperassero anco
gli eretici, ce lo fa sapere il papa, Giovanni XXII, quando
narrando i casi di Spoleto, dice che « gli spoletini non con-
tenti di avere accolto in città il conte di Montefeltro, sco-
municato, eretico e perfido idolatra, pubblico nemico di Dio e
rabbioso persecutore della Chiesa sua sposa; non contenti di
averlo acclamato loro duca, a provocare maggiormente l’ira
del cielo contro la loro superbia e a trascendere vieppiù
contro la verità della fede cattolica, disserrarono il carcere
a Pietro de’ signori di Ancaiano che era stato condannato a
vita dall’ inquisitore per eresia, e lo portarono agli uffici
del Comune » (2). Fecero ugualmente con altri condannati
per la stessa colpa, cioè con Massiolo Abbadangoni e. con

(1) SANSI, Storia del Comune di Spoleto, ecc. Foligno, p. I, 1879. — L' illustre
storico spoletino (ivi, pag. 192, n. 2) seguendo il Pellini, op. cit., e il Muratori, pone
la ribellione al novembre 1320, anziché al 1319, come fanno il Villani, il Graziani e il
Parraccio. Ma i documenti offertici dall'Archivio Vaticano e dall'Archivio di Perugia

ristabiliscono la data primitiva del 1319. Erra però il Villani ponendo la ribellione

di Spoleto avanti a quella di Assisi (VILLANI, lib. IX, $ 103, 138).
(2) Secret. Joan. XXII, t. III, c. 123 b.
436 L. FUMI

Bonagura Odoli (1). Tutti costoro avevano fraternizzato coi
vicini marchegiani, fra i quali s' erano diffuse le eresie per
impulso del conte di Montefeltro.

Che alcuni maestri di superstizione fossero venuti da
Recanati e da Osimo a Spoleto (2), non pare fuori di proba-
bilità. La Marca pullulava d' eretici, e abbiamo ricordo di un
Carlo da Recanati, consorte di Federico, che per sfuggire alle
indagini degli inquisitori, riparò nel dominio veneto. Il doge
lo fece carcerare, e l inquisitore, Bonagiunta da Padova, lo
condannò (3). Il papa lo richiese per consegnarlo alla curia
del marchese, a cui apparteneva (4). Osimo ricettava eretici
idolatri, che prestarono aiuto a Federico; e messer Lippaccio,
il più notevole dei suoi compagni, fu scomunicato (5). L' inqui-

(1) V. ivi sopra. —

(2) Così nelle storie inedite del Campello da me vedute in Spoleto, mss. Cam-
pello, an. 1321. — Ivi si cita il Regesto vaticano di -Giovanni XXII inesattamente. La
notizia che il papa togliesse a Spoleto la giurisdizione sulla terra Arnolfa per punir la
città di avere accolto gli eretici della Marca non é stato a me possibile fin qui rinve-
nirla negli atti di quel pontefice. Il Sansi, ripetendola, riprodusse dal ms. Campello
anche la sbagliata citazione così come si trova.

(3) Secret. Joan. X XII, t. IL, c. 1051.

(4) Ivi.

(5) Principali ribelli di Recanati e di Osimo, processati da fra Lorenzo de Mon-
dayn, furono tutti trovati « pravitatis heretice et abominabilis ydolatrie labe re-
spersi », e il dichiarò « hereticos et ydolatras ». Il papa ordinava poi al rettore della
Marca e a quello del ducato di Spoleto di arrestarli e imprigionarli: « Cum igitur
. heretici et ydolatre supradicti vinculis diaboli, cuius tenebrosa prosecuntur opera,
laqueati, mentibus obstinatis, in sui erroris dampnabili cecitate persistant, nec ad
gremium matris Ecclesie redire procurent, nos....fraternitati tue per apostolica
- scripta mandamus quatinus hereticos et ydolatras antedictos, ubicumque in pro-
vincia et terris tuo commissis regimini poterunt reperiri, capi et in tuto ac debito
carcere cum omni diligentia custodiri facias, quousque a nobis super hoc aliud
receperis in mandatis. . .. Dat. Avinion. Kal. Augusti an. sexto ». (Secret. Joan. XXII,
t. II1, 184 b.). — Da un altro atto risulta che gli stessi Lippaccio e Andrea suddetti
avendo occupato Osimo e commessi molti eccessi, non perdonarono al vescovo
medesimo, e messegli sopra le mani, lo strapparono dalla cattedrale, « ipsumque
compedibus ferreis irretitum duris carceribus manciparunt et detinuerant, sicut
adhuc detinent captivatum » (Secret. Joan. XXII, t. V, 185 b.). Ribelli ed eretici
principali della Marca, autori della rivolta di Fabriano, Fermo e Macerata, furono

pure i seguenti: Bartolomeo abate di S.' Benedetto, Carino secolare della chiesa di .

S. Venanzo di Fabriano, i priori dell'Ospedale di Albacina, pievani, e canonici e oltre
a sessanta laici (Ivi).
ERETICI E RIBELLI NELL’ UMBRIA, ECC. CHAM

sitore, frate Lorenzo de Mondayn, dichiarò ostinati eretici ed.
idolatri, fra. molti altri seguaci del Montefeltro, Lippaccio e
Andrea Guzzolini di Osimo, Jacomo e Berardo Percivalle,
Aioletto Cruciani, Cetolo Corradi, Piercivalle di Gabriele da
Recanati e Tarabotto di Rinalduccio de’ Tarabotti di Ancona (1).
Complice. di Guido, un amico di questi, Malatesta, deferito
da Cante Gabrielli al papa come sospetto d’ eresia, era stato
preso con Guido stesso e imprigionato da Cante e poi resti-
tuito al marchese (2). I difensori di Fano, tutti della stessa
tinta, Bononino e Upizzino, patirono la scomunica insieme
ai Montefeltro. E, in generale, il papa contro tutti quelli rim-
proverati di favorire o di ricettare i ribelli aggravava la
colpa, onde si erano fatti rei verso la fede il conte Federico
e i figli. Ringraziando i comuni e le città che gli prestarono
le milizie per sconfiggerli, si vale, a rimunerazione di premio,
delle grazie spirituali: e quando ai Malatesta di Rimini, ne-
mici acerrimi dei Montefeltro, ebbe condonato il maltolto,
impose loro per condizione di far viva guerra a Federico,
eretico e idolatra (3). Il che avendo essi eseguito bravamente
a capo dei popoli di Città di Castello, di Gubbio, di Peru-
gia e di altri, primi a riportarne lodi furono Branca dei
Brancaleoni di Città di Castello (4), Pandolfo e Ferrantino
di quella -casa; su loro contava, eccitandone nuovamente
gli animi, « poiché (diceva il papa) ostinata empietà di quei
ribelli esigeva che contro di essi con tutta la costanza si
spingesse la guerra » (5).

Sarebbe mai credibile la colpa di Federico? La sentenza
onde egli è accusato di idolatria, dà nel vago e nell’ inde-
terminato. Le profane superstizioni rimproverategli accennano
ad wun.culto nefandissimo da lui praticato, senza che ne sia

(1) Secret. Joan. X XII, t. HI, c. 134 b.
(2) lvi, t. IT, c. 106 t.
(3) Ivi, t. III, c. 147 a.
(4) Ivi, t. II, c. 102 b.
(9) Ivi, t. III, c. 136 a.

zc Patin - MAREA: dc ca

S5
Es
438

“Lx FUMI

punto dichiarata la forma. « Nemico della Chiesa cattolica,
bestemmiatore di Cristo, sovvertitore dell’ ortodossia, demo-
litore dei diritti della S. Sede », sono tutte espressioni gene-
riche, onde si riassume tutto l operato di un ghibellino ac-
canito, ma nessun particolare è aggiunto che dia credibilità
all’ eresia. Eppure Lorenzo di Mondayn, prima di condan-
narlo, si era fondato su documenti veridici: il consiglio
degli uomini periti aveva riconosciuto « empio » Federico.
Il papa lo afferma (1). Forse, la nota d' idolatria, appostagli
con tanta asseveranza, dispensava i suoi giudici da una in-
dagine minuta, che a noi ci permetta di scorgere un sistema
metafisico da lui seguito. Egli era sopratutto un uomo di
arme, datosi per morto alla causa dell'impero e al ghibel-
linismo: gli si farebbe troppo onore a considerarlo o un
averroista ritardatario, o un precursore del peripatismo pla-
tonico, o un adoratore di Aristotele, siccome molti fra i pen-
satori suoi contemporanei. Sarà più facile pensare che egli
famigliarizzasse con i demoni, a modo di Pietro d’ Abano, il
quale se li teneva chiusi dentro un’ ampolla, di quello che

(1) Non solo é ciò espresso nella sentenza contro Federico, ma in tutti gli atti
posteriori. Ne cito uno del 1325 contro Fabriano e Fermo, dove il papa dice:...« Ex
eo quod tam ipsi, quam dampnate memorie q. Fredericus olim comes de Montefe-
retro, quem, infelix, de hac luce subtraxit occasus in illam mentis dementiam,

quin immo cecitatem et ignorantiam corruerant fidei ortodoxe, quod documentis

veritatis adiectis, et per obscenas operationes et sordidas inquinati in gravem dei
omnipotentis iniuriam et offensam ydolatrie nephandissimo cultui per prophanas
superstitiones et horridas se occulta et ceca ingesserant insania labe respersi pesti-
fera ydolatrie ac heretice pravitatis hostesque facti prophani E. S. catholice adversus
redemptorem nostrum dei unigenitum sponsum eius insurrexerunt blasfemiis eiu-
sdem fidei catholice murum -detractionum ictibus impotentes structuram eius dir-
ruere moliendo ; nec non contra quondam Speranciam de Monteferetro, fratrem dicti
Frederici tanquam hereticorum et ydolatrarum ipsorum fautorem, receptatorem et,
etiam defensorem eiusdem .E. rebelles et hostes publicos ac etiam manifestos...Dat.
Avinion. VII Id. maij a. IX ». (Secret. Joan. XXII, t. V, c. 185 b.).

Anche nella lettera al vicario vescovile di Ancona e a fra Lorenzo de'minori
contro i Recanatesi e gli Osimani, «dicendo di loro, « qui heresum diversarum érrori-
bus et orribilis ydolatrie.... abhominatione fedabantur.... » aggiunge: che per
inquisizione fatta si era trovato dagli inquisitori « Federicum de Monteferetro in di-
versis articulis heresum labe et ydolatrie feditate suspectum » (Ivi, an. V, p. I, c. 1-2).

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RE acari

| ERETICI E RIBELLI NELL’ UMBRIA, ECC. . 439

credere potesse partecipare all’ ambiente delle astruserie se-
mi-scientifiche dei gnostici del suo tempo.
Non rimane, quindi, se non ritenere Federico di Monte-

feltro praticante di magia e di necromanzia, e fautore, in

tutta la Marca e nell’ Umbria, di queste pratiche occulte.
Abbiamo già accennato alle tendenze della gente di grande
affare in Francia, e come la magia si facesse servire a fini

biechi e reconditi, e come si giocasse di necromanzia perfino

in corte di Avignone per spegnere la vita del papa e dei
cardinali, i due più cari a papa Giovanni, Gancelino di Gio-
vanni e Bertrando del Poggetto nepoti del pontefice. Ugo
Geraldi, vescovo Caturcense, per vendetta di un processo
intentatogli dal papa, con partecipazione del vescovo di To-
losa e. di alcuni suoi familiari, si propose, come già aceen-
nammo, di affatturare e avvelenare le sue vittime. Ora ci
giova notare alcuni particolari desunti dal suo processo per
chiarire meglio i tempi di Federico. Fecero fare ad un giudeo
battezzato tre statue di cera vergine alte poco più di un pal-
mo, una delle quali rappresentava il papa vestito come cele-
brante e le altre due rappresentavano i cardinali. Presero anco
tre pissidi o vasi. In uno fu messa una scheda in pergamena con
le parole: Papa Johannes moriatur et non alius «Nel
l’altro si leggeva: Bertrandus cardinalis de Puieto
moriatur et non alius, e nel terzo: D. Cancellinus
Johannis moriatur et non alius. Presero poi tre
pani di pasta lavata, e'trattavi la midolla, vi misero dentro
le dette immagini e ve le chiusero con pasta. Nel pane era
impressa l immagine del papa avvolta in un panno rosso.
I vasi contenevano polveri velenose miste a realgar, atte a
spacciare all’ altro mondo in tre giorni, un liquore mescolato
con fiele di porco, con carne di gatti, con piedi e. code di
sorci, coscie abbruciate di lucerta, carne, piedi, ossa, unghie
e corda d'impiccati, argento vivo, sale e cera. Bernardo
dell' ordine di S. Agostino, vescovo Gavense, portando la
stola, benedisse la figura, nella cappella del vescovo di To-

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+ L. FUMI

losa, con l' aequa benedetta, dicendo le orazioni solite a dirsi
quando si benedicono le immagini. Il vescovo Caturcense
le battezzò, le lavò con vino sacrato, le unse col crisma
e le scongiurò, dicendo certe parole misteriose in misteriosa
favella. Punse poi con uno stile d'argento i ritratti nelle
anche, e Pietro di Folcherio, arciprete, li trapassò nelle
spalle con un ago dicendo: Pungo imaginem istam
cere, sic cardinalis Avinionensis affligatur,
donec nobis paraverit statum pacificum et tran-
quillum, cum domino papa, et confundantur qui
me persequuntur, et fiant dies eius pauci. Il ve-
scovo Geraldi doveva ogni settimana tornare a pungerli
una volta sin tanto che sortisse l'effetto: non seguendo I'ef-
fetto, doveva, nella settimana della nuova luna, rifarsi a
pungere tre volte al giorno, di lunedi, di mercoledi e di ve-

merdi, come diceva l ebreo, dandosi a credere che la perso-

na, di cui si faceva strazio nel ritratto, dovesse al medesimo
tempo provare in sé dolore. Ma in quella che le statuette ve-
nivano recate in Avignone, certamente perché i familiari del
papa, cappellani, commensali, cerusici, si prestassero a pro-
pinare il veleno a lui e ai cardinali, come già toccammo,
sorpresi dalla corte, furono imprigionati con gli altri com-
plici (1).

Quel fatto fu gravissimo; ma non era il primo caso che
Si presentasse nell'alto clero. Lo stesso papa Bonifacio VIII
che fu dagli odi implacabili de' suoi detrattori accusato di
sortilegi, certamente non poteva andare incontro a questa
calunnia, se le pratiche di necromanzia non fossero state
assai diffuse ai tempi suoi. Bernardo Saisset, vescovo di
Pamiers, Guiscardo, vescovo di Troyes, l'ordine de' Tem-

(1) Vedi in Arch. Secr. Vaticano il processo contro il vescovo Geraldi, in. Cot-
lettorie, N. 493, Processus contra Episcopum, Caturcensem, e Miscellanea Divers.,
Arm. 36 f. 38. La pubblicazione integrale del Processus sarebbe certamente una delle
più interessanti del genere.

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ERETICI E R