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ANNO XI. - FascicoLI I-II. ,

BOLLETTINO,

DELLA REGIA DEPUTAZIONE

"STORIA PATRIA

PER L'UMBRIA

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VOLUME XI.

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DION. D' ALICARN. At. Rom. I, 19.

PERUGIA
UNIONE TIPOGRAFICA COOPERATIVA
(PALAZZO PROVINCIALE)

1905
LI

'
ORVIETO ETRUSCA

Fin dal 1908 lo studio dei trovamenti archeologici di Or-
vieto e dei dintorni mi faceva dubitar moltissimo della pos-
sibilità di una Vulsinii Veteres in Orvieto, mentre sempre più
mi veniva confortando nella probabile identificazione del Fa-
num Voltumnae sul masso, ove sorge la città.

Nel settembre 1904 esposi tale mia ipotesi a Riccardo
Mancinelli, dotto intraprenditore di scavi nella Etruria, cui
mi legano parentela, stima ed affetto, e con vero compiaci-
mento lessi quanto egli mi scriveva: « La difficoltà di bat-
tezzare il masso orvietano con uno dei nomi delle grandi
città non ancora identificate, la speciale ubicazione e la pe-
culiare topografia fanno pensare con compiacenza alla tua
supposizione. La identificazione del Fanum Voltumnae nel sito
di Orvieto è una genialissima idea e, benchè ardita, non è
forse priva di fondamento ».

Nel gennaio di quest'anno ebbi la fortuna di discutere in
proposito col comm. Fumi e conclusione dei nostri discorsi
fu l’incarico che egli mi diede di scrivere questo breve
articolo.

Dirò, dunque, della varia fortuna che han corso le varie
identificazioni di località etrusche sul masso orvietano, delle
ragioni che mi permettono di affermare l'impossibilità di una
Vulsinii Veteres in Orvieto, delle ragioni che mi confortano
ad identificare qui il Fanum Voltumnae e accennerò, in fine,
IG. I. La vallata della Chiana e Ia strada dei Galli.

Scala 1
2.150.000

beris f

7) - — —————

ORVIETO ETRUSCA T

ad alcuni degli oggetti che in Orvieto ho osservati e studiati
e che ai cultori di cose etrusche non sarà discaro veder pub-
blicati.

T

Nel 1830, tracciandosi sotto il masso ofvietano a nord
la Nova Cassia, furono scoperte delle tombe etrusche (1) e
già prima (1828) nel sito chiamato Belvedere, là dove la Nova
Cassia, che é ancora sul masso, volge alla discesa, era stata
distrutta e traversata dalla strada la cella di un tempio etru-
sco che fu detto augurale (2).

Il Miiller per il primo accennò alla probabilità di una
Vulsiniù Veteres in Orvieto (3).

L'Orioli lo sostenne (4) poi ne dubitó (5) e mentre sulle
traccie dei più antichi, quali il Cluverio (6), il Dempstero (1),
il Cellario (8), i moderni scrittori di cose etrusche, o ro-
mane, cioé fra gli altri il Canina (9), il Niebuhr (10), il De Ver-
gers, (11) il Bunsen (12) vogliono identificare la Vulsiniî Veteres

(1) GUALTERIO, Bull. Inst. 1831, p. 35, 1832, p. 216; BUNSEN, Bull. Inst., 1833,
p. 93. Ma le prime scoperte di cose estrusche di cui si abbia notizia seria ed impor-
tante risalgono a quando fu scavato il Pozzo di S. Patrizio. ARCHIVIO COM. DI OR-
VIETO, Riformanze, an. 1532, c. 279 t. e FUMI, Orvieto, Note storiche e biograf., p. 191,
Dali

(2) CERVELLI, Bull. Inst., 1829, p. 11; GERHARD, Bull. Inst., 1831, p. 9.

(3 Die Etrusker (1828) I, p. 481, n. 380.

(4) Nuovi Ann. d. Inst., 1836, p. 50.

(5) Viterbo e il suo terr., p. 50.

(6) Italia Antig. (1624), IT, p. 556.

(7) De Etr. Regati., Carta geogr., vol. IT.

(8) Notitia orbis antig. (17831), p. 577 e Carta-Italia Media. — A questi sono da
aggiungere moltissimi; nominerò solo uno degli antichi storiografi orvietani il Mo-
NALDESCHI, De Comentari Historici (1584), libr. VIII, p. 63.

(9) Etruria Marittima, II, p. 125, tav. 117.

(10) Histoire Romaine, (trad.) 1888.

(11) L'Etrwrie et les Etrusq., I, p. 191.

(12) Bull. Inst., 1833. Negli atlanti antichi si vede l'incertezza delle identifica-
zioni. Vedi anche KIEPERT, Lehrbuch der alten Geogr. (1878), p. 408 e nota 5; Fon-
BIGER, Handbuch der atten Geographie (Lipsia, 1877), vol. III, p. 525; BELOCH, Grie-
chische Geschichte, tav. II e. PAULI, Corpus inscrip. etrus., fasc. 10, prefaz., p. 5.
; L-Deeumano dell’ orizzonte di Orvieto -
‘-9,- Rud. di tempio (Belvedere)

3. - Duomo (Rud. di tempio)
- 4. -8. Giovanni (Rud. di tempio)
-— D. - S. Giovenale (Tempio?)
- 6. - Piaz.Comun. e S. Andrea (Foro e tempio ?)
d. Rud. di tempio (Palaz. Misciattelli)
cid Rud.di tempio (Palaz, del Popolo)
i (9. - S, Francesco (Rud. di tempio)
— 10.-S. Lorenzo in Aralis (Tempio ?)
—]1.. - Ss. Domenico (Tempio ?)

-— ]9. - S, Antonio (Tempio?)
i13. Ipogei

14. - Pozzo

- 15. - Rud, di tempio

16. - Fosso

17.- Antica Porta Vivaria
18. - Antica Porta S.-Maria

FIG.II. Schizzo di Pianta archeologica di Orvieto.

Necrop. di
Cannicella ORVIETO ETRUSCA 9

a Bolsena o nelle vicinanze (1) eeco dal 1872 al 1877 tor-
nare alla luce per le cure amorevoli del cav. Mancini gran
numero di tombe di una estesissima necropoli etrusca a nord
ovest del masso orvietano.

Il Korte (2) le illustrò magistralmente, e giustamente
osservò (3) come gli oggetti rinvenuti in queste tombe ap-
partengano ad un'epoea non posteriore alla distruzione di
Vulsinii; osservó anche la grandiosità della necropoli orvie-
tana, ed affermò che la Vulsiniî Veteres doveva esser posta
sul nostro scoglio (4).

Egli forse aveva dimenticato ció che le date storiche ci
ricordano, e che ci vien detto esplicitamente da Floro (5):
« Postremi italicorum in fidem venere Volsinii opulentissimi
etruscorum »; di modo che, o la città etrusca posta sul masso
Orvietano era del territorio Vulsiniese (come in ogni caso
sarebbe da ritenersi (6)) e allora è ragionevole che con la
caduta di Vulsinii cessi anche la sua vita; o non era del ter-
ritorio Vulsiniese, e già da prima doveva essersi spenta.

Ma non fu solo il Kórte a ritenere la necropoli orvie-
tana come base di dimostrazione per la ipotesi della Vulsinéé
Veteres in Orvieto.

Il Gamurrini, tre anni dopo (7), a sostegno di quella ipo-
tesi volle dimostrare come i testi greci e latini che parlano
di Vulsinii (8) si possano applicare ad una città posta sulla

CORSSEN, Ueber die Sprache der Etrusker, vol. II, carta dell' Etruria dell’ Umbria e
del Lazio. Fa cenno della questione al vol. I, p. 1009.

(1) ABEKEN, Mittetitalien, p. 34 (a Montefiascone). Così pure il GHIRARDINI, M07.
Ant. (Acc. Line.), VII (1897), p. 87.

(2) Ann. d. Inst. 1877, La necropoli di Orvieto (estratto). Completarono l' illustr.
di quella necropoli il GAMURRINI e il Cozza, (Mot. degli Scavi, 1880, p. 437 e seg. e
tav. XIV-XVI.

3) Confronta fra gli altri: CONESTABILE, Pitt. Mwralü, p. 6.
7) Ann. d. Inst. 1881, Volsindi Etrusca in Orvieto (estratto).
)
10 P. PERALI

rupe orvietana, come faccian fede di tale Vulsinià orvietana
i ruderi etruschi trovati sul masso e la necropoli che lo
circonda e che da lui vien detta opulentissima (1).

Nel suo lavoro però non tenne conto delle vere caratte-
ristiche dei trovamenti archeologici, e non fece buon uso
dei testi.

Scopertasi nel 1884 la necropoli di Cannicella a sud-est
del masso, ripeté la sua affermazione (2).

Il Kórte fece altrettanto (3). E ultimamente il Milani (4)
e il Gabrici (5) hanno insistito su quella identificazione.

Ma il Gamurrini stesso nel 1896, dopo la scoperta di
grandiose mura etrusche sulle alture Montebello e Piazzano
sovrastanti a Bolsena, pubblicò (6) e lasciò pubblicare che
egli dubitava della sua primitiva identificazione della Vw
sinii Veteres in Orvieto (7). Tuttavia rimane sempre un dub.
bio perchè quella determinazione fece un ingresso trionfale
nel mondo degli etruscologi, e molti competentissimi, come
ho accennato, fino a questi ultimi anni, considerando l'im-
portanza topografica del sito orvietano e la estensione della
nostra necropoli, l'accettarono e la divulgarono.

Intanto ad Orvieto tranquillamente si parlava di una

(1) 0p. cit., p. 32.

(2) Not. d. Scavi (Acc. Linc.), 1885, febbr., p. 33-39.

(3) Ueber eine altgriechische Statuette der Aphrodite aus der Necropole Von Vol-
sini (Orvieto). (Manca la data. È un opuscolo in 4° di pag. 84 con varie incisioni ed
una tavola. La cortesia del cav. Mancini che ne possiede una copia dono dell'A. mi
ha concesso di usarne). Fa pubblicato in: Archeotogische Studien ihre Lehrer H.
Brunn dargebracht, Berlino, 1893. Vedi anche la recensione : PARDI, in: Boll. d. regia
Dep. di storia patria per V Umbria, ann. I (1895), p. 184.

(4) Museo Topogr., p. 46.

(5) Not. d. Scavi, 1903 fasc. 8, p. 374-375. Anche il MARTHA, L° Art Etrusque
(1889), mise Vulsini in Orvieto, carta e p. 2. Il MONTELIUS, Ld civilisation primitive
en Italie (1904), non si pronuncia. ,

(6) Not. d. Scavi, 1896, p. 324 e seg.

(7) Boll. della società storic. Vulsiniese (Bolsena), n. 18-19, p. 177. Ultimamente
mi si affermava a Bolsena che anche il Gabrici si è ricreduto. ORVIETO ETRUSCA 11

Vulsinii Veteres orvietana (1) e a Bolsena si parlava tran-
quillamente di una Vuwlsinii Veteres Bolsenese (2).

FIG. Bilo Cono di Tinia, rinvenuto sotto il Duomo (Museo dell’ Opera).

Per una esposizione ordinata della questione è necessario,
prima di tutto, dire come si vogliano cercare due Vulsinii,
una Veteres ed una Novae in base ad un solo testo, quello

(1) FUMI, Orvieto. Note storiche e biografiche (1891), p. 1-17 e Boll. dell’Acc. Nuova
Fenice, Orvieto (Vedi varì numeri).
(2) Boll. della Soc. storic. Vulsin., Bolsena (Vedi vari numeri).
19 P. PERALI

di Zonara (1), dove si narra che il Console (2), distrutta la
città di Vwulsini, trasportò i superstiti in altro luogo.

Faecio subito notare che se in base a un testo di Zo-
nara si cercano due Vu/sinzi, in base ad un altro testo dello
stesso Zonara, (3) dove ci dice che i Vulsiniesi, i più antichi
dei Tirreni, si erano costrutto un muro fortissimo, non si
deve ricercare la Veteres in Orvieto, che non ha avuto mai (4)
mura costrutte. n

Poi anche si disse che Bolsena (Vulsinii Novae) mancava
di ruderi etruschi; ma di questa, che é una favola oramai
sfatata, parleró a suo luogo.

Intanto, é opportuno prendere in considerazione i testi

(1) EIHTOMH IXTOPIOQN, lib. VIII, cap. VII, vol. II, pag. 195 (Ediz. Dind.,
Lipsia).

0 de Urzroc TOÙG uév dqperauesovs TÙS TOV xuptov ciu (1448 6v 0G
£wttiyE zi T7)» mOLt» nateonnbe, toùs di avbryevéte, nai vel tivec cO olzetov
ypnatoi mepî tods deandraz PyÉvovco, dv irepw narweloe cómo.

(2) Zonara dice che andarono a combattere per la libertà dei Vulsiniesi contro
i servi i due consoli Quinto Fabio e Emilio, e dice che uno dei consoli morì sotto
le mura di Vulsinio per le ferite riportate. Di modo che «l’altro console » dovrebbe
essere un Emilio o un Fabio. Non so perché il GAMURRINI (0p. cít., p. 33, n. 2) at-
tribuisca a Zonara la notizia che Fulvio fu il distruttore di Vulsinii. Potremo piut-
tosto argomentarlo dal frammento degli ACTA TRIUMPH. CAPIT. (Corpus Inscrip.
latin.,I, p. 457) che al 489-490 ab. U. C. hanno: M. FVLVIS. Q. F. M.N.FLACCUS.
AN . CDXXCIX | COS . DE. VVLSINIENSIBUS . K_. NOV .

Ma bisogna notare che é stata spessissimo confusa questa vittoria dei Romani
sui Vulsiniesi con l'altra del 474 ab U. C. (Corp. Inscrip. latin., I, p. 457). Ti CoruN-
CANIUS . TI. F..TI.N.COS. AN . CDLXXIII | de vVLSINIENSIBUS ET VVLCIEN-
TIBUS . K.. FEBR.

Il Freinshemius nei suoi supplementi a Livio attribuisce questa vittoria a De-
cio Mure succeduto nel comando della guerra a Fabio Gurgite (XV-XVI), forse ap-
poggiandosi a Floro, I, 21 e a Sex. Aurelio Vitt., 36.

(3) Op. c., lib. VIII, cap. VII, p. 194 (Ed. Dind.) m dy oor aot Tuponvésv OytEc
(I Vulsiniesi)... telyas ULTETKEVATAYV Oyuporaro».

(4) PRocoero IZTOPION TII> B' TETPAA0O®, lib. I1, Cap. 20 (vol. II

Á , ^ , L] &-r t ». » ^ PR
p. 128, Ed. Comparetti) £T/ c70v7cT0» dn co Àopou ot ta)at avbporor TUV TO,tvy '

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SO eluzvco, OUTE. TELYN nepiBa)ovtes OUT. XAAO TL OxvUpmux TOMTALEVOL ETTEL

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Queer avtois TO po piov XX Tov EdoEey sit, Enon si trovano traccie di mura
etrusche né sul masso né in basso all'intorno. Vedi anche GAMURRINI, 07. cét., p. 39,
n. 2.
ORVIETO ETRUSCA 13

degli autori latini e greci che nominano Vulsinii e Vulsiniesi,
poi esamineremo i trovamenti archeologici di Orvieto e di
Bolsena e vedremo quale delle due città sia la legittima erede
della Vulsinii etrusca.

JUOMEUEN

Fig. 4. — Frammento d'inscrizione, rinvenuta sotto il Duomo (Museo
dell’ Opera).

Ammessa la esistenza di due Vulsinij, di cui la più an-
tica sia da ricercarsi ad una considerevole distanza dal /a-
cus e dal lucus Vulsiniensis (1), è naturale che si cerchi di
determinare quali siano i testi da applicarsi alla Veteres e
quali alla Novae, e quali infine si debbano ritenere ambigui.

(1) Lacus. Livio, XXVII, 23, Volsiniis sanguine lacum manasse (ab Urbe Condita
544); PLINIO0, XXXVI, 49; COLUMELLA, VIII, cap. 16; VITRUVIO, II, 7.
d

14 P. PERALI

Comincieremo coll'attribuire alla Vulsinii Veteres i testi
di Tito Livio (1); la narrazione di Zonara (2) che supplisce
ai libri XV e XVI di Livio, e che forse deriva da Dione
Cassio; i vari racconti della guerra dei servi (3) cui avvicino
il testo di Aristotile (4) citato dal Forbiger e dal Miiller-
Deecke (5); le notizie delle vittorie riportate dai Romani sui

(1) V, 31-32; VII, 3; IX, 37. Epitome, XVI.
(2) Epit. Hist. VIII, 7.
(3) VAL. Max., IX, 1; FLORO, I, 21; SEX. AUR. VITT., 36; OROSIO, IV, 5.

(4) De Miravilibus Auscultationibus, cap. 94 (96) "Esc, dé «t iv Tuppnvia

molte Vivapia zadontiva, UE insggon Qasty ÜyupXy elvat. Év "yp uéar, ad
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aütGs, xt’ Eviauidv d' GL oUC dyrvuuÜugzk»2t c0to)c0oUc. (Ediz. Firmin Didot,

vol. IV, p. 90.

Nella ediz. del Du VarLIo (Parigi, 1639) tom. II, p. 725, il brano £y 390 uan...
Qyy my %vw è compreso fra due asterischi, il ehe puó dimostrare come il DU VAL-
LIO dubitasse della autenticità del brano.

Non posso negare che il testo Aristotelico è importante per chi vuole identi-
ficare la Vulsinii Veteres in Orvieto. Perché non ostante il nome Vulsinii non ap-
paia, pure il fatto da Aristotile narrato, cioè la partecipazione dei servi al governo
della città è fatto caratteristico della Vulsinii Etrusca, e il nome stesso Oivapiz
dato da Aristotele alla città della Tirrenia conviene a perfezione ad una città posta
in questi luoghi (sia Orvieto che Bolsena) rinomati per l'abbondanza e la bontà dei
vini. Solo ho da osservare che oltre l'inverosimiglianza della altezza che secondo
Aristotile avrebbe avuto il colle posto al centro della città, cioè trenta stadi (circa
5525 metri) v è errore anche nell'affermazione che tal colle esistesse nel centro
della città.

Ammettiamo pure che Aristotele scrivendo Oivapéz accennasse ad una Vul-
sinii etrusca posta in Orvieto, e troveremo esser falso che un colle tanto alto fosse
in mezzo alla città, ché anzi sul colle la città sarebbe stata costrutta, e fuori solo
le tombe. Manca poi la ricchezza di acque affermata, ricchezza del resto geologica-
mente impossibile, sia sul masso che ai piedi del masso per essere il masso tufaceo
e completamente isolato. Mentre ciò converrebbe a Bolsena (Not. d. Scavi, 1896,
p. 325).

A questo proposito cito BAGLIONI: Studi geologici sopra Orvieto e dintorni in
Boll. Acc. Nuova Fenice, n. 1, anno I (1890), p. 56; e varie Note del VERRI in Boll.
della Soc. Geologica Italian., vol. HI e V.

(5) FORBIGER, Handbuch der alten. Geographie (1877), vol. III, p. 525; MüLLER-
DEECKE (1878), Die Etrusher, I. p. 206, n. 56.

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ORVIETO ETRUSCA 15

Vulsiniesi che si trovano nei frammenti degli Acta Trium-
phalia Capitulina (1).

Le notizie geografiche di Strabone (2), di Tolomeo (3),
dell’ Itinerarium Antonini (4) le dovremo senz altro riferire

Fia. 5. — Oggetti trovati nelle tombe etrusche di Orvieto (4, 5) e di
Chiusi (1, 3, 6, 11) (Museo Faina).

alla Vulsinii Novae; a meno che non si voglia far mentovare
da Strabone una città distrutta da tempo; non si voglia far
segnare da Tolomeo la longitudine e latitudine di poche ro-
vine disabitate, e non si pensi che I Ifinerarium Antonini

(1) Corpus Inscrip. latin., I, p. 457, e questo articolo, p. 12, n. 2.

(2) V, 11, 9, 7, regi ÜvoXatvtouc.Mpyn (p. 226, ed. Pr.).

(3) III, 1 mette a Vulsinii tale segnatura astronomica: 35° - 42» 20°.

(4) Citato dal DES JARDINS, La Tabl. de Peut., fasc. 8, p. 131; ha in proposito
un brano interpolato da ANNIO, Iter Tiberinum. Per la questione si legga il CLUVE-
RIO, II, p. 564-565.
16 P. PERALI

segnasse come stazione un luogo deserto, che poi non era
nemmeno sulla via.

Della Tabula Peutingeriana, contorta e inesatta come è
non si può discutere; faccio osservare solamente come in
essa Vulsinii sia lontano dalla confluenza del Pallia col Te-
vere (1). 1

Diodoro Siculo (2) e Dionigi di Alicarnasso (3) parlano
sicuramente di Vulsini e Vulsiniesi Etruschi, ma non ci
dànno nessuna indicazione topografica.

Dei passi di Plinio (4), quello assai involuto dove ci narr?
del mostro Volta che infestava lagro Vulsiniese, si deve ri-
ferire alla Vulsinii Veteres, Y altro che dice del fulmine dal
quale venne incendiata Vulsinii non si può riferire alla Ve-

teres quando si metta a confronto con la notizia di Giulio
Ossequente (5); mentre, pure accettandolo con circospezione,
attribuiremo alla Veteres quello dove, citando Metrodoro Scep-
sio, ci narra delle 2000 statue di cui i Romani fecero preda
nella Vulsinii espugnata.

Ma i Vulsiniesi dell elenco Pliniano (6) sono gli abitanti
della Veteres o della Novae?

Non v'ha alcun dubbio che li si accenni alla seconda Vul-
sinii, per la solita ragione dello inverosimile accennar dei
geografi a città da tempo distrutta senza osservazioni parti-
colari. Procopio (7) accenna al Bov\oiva ly» dandoci per primo

(1) Ediz. WELSERIUS, seg. III ed Ediz. DES JARDINS, fasc. 2-3 (1859), seg. 3-4 e testo
fasc. 8, p. 134.

(2) XIV, 109 (388 av. Cristo) e XX.

(3) II, 37 Folmviov-Odo).sivivv. Vedi DES JARDINS, La Tabl. de Peut., fasc. 8,
p. 134.

(4) II, 53 (concrematum est fulmine); II, 54 (agris depopulatis subeunte monstro
quod vocavere Voltam). (Vedi: CLUVERIO, p. 556); XXXIV, 16 (ni Metrodorus Scep-
sius... propter duo millia statuarum Volsinios expugnatos obiiceret).

(5) Vedi questo articolo, p. 20, n. 1.

(6) III, 8 « Volsiniénses » ultimi di una specie di elenco alfabetico che Plinio
ci dà delle città e dei popoli di Etruria.

(7) I, 4 (vol. I, p. 31, Ed. Comparetti).

A " c r Tora ? Yrs
ME duo RE LE ^ d » (COME MT RIT
ORVIETO ETRUSCA 17

il nome della antica Vulsinii nella forma che conserva, an-
che all'epoca presente. Ed egli primo di tutti gli autori an-

"UE

— Pe

M m tmi qe n ES o a

. Fia. 6. — Cippo etrusco (Museo dell’ Opera).

tichi che ci sono rimasti descrive Orvieto nominandola
O5p8:1870v (1). E questa forse la trascrizione greca del nome

(1) II, 11; II, 185; II, 19; II, 20; (vol. II, Ed. Comparetti), pp. 69, 119,. 122, 127,
128, 129.
18 : P. PERALI

latino che ci è ricordato da S. Gregorio Magno (1), Urbs
Vetus? Non voglio entrare in questa discussione che oltre-
passa i limiti cronologici del mio lavoro. Faccio solo notare
il contrasto caratteristico che ci sarebbe, volendo cercare la
Vulsinii Veteres in Orvieto, tra Procopio e Zonara (2): que-
eli insistendo sulla naturale fortezza del sito orvietano, di
cui si giovarono i primitivi abitatori per non costrurre le
mura, questi esplicitamente affermando che i Vulsiniesi si
erano costrutto un muro fortissimo. Seguono i testi in cui
si fa cenno della Dea Nortia che aveva il tempio a Vulsinii (3).
Si riferiscono alla Veteres o alla Novae? Non dubito di ri-
ferirli alla Veteres per essere Nortia divinità del tutto etrusca,
e pel modo come ne parla Livio. Per il passo di Tito Livio
ora noi sappiamo che nella Vulsimii degli Etruschi si trovava
il tempio di Nortia, e la medesima divinità ritroviamo nella
Vulsinii dei romani (4). Che, forse, il console Fulvio, distrutta
la Vulsinii etrusca, si sia preso la cura di trasportare in altro
luogo anche il tempio di quella dea insieme con i pochi
superstiti Vulsiniesi ?

Intanto Vertumno (Voltumna), altra divinità Volsiniese (5),

(1) HOLSTENIUS, Annotationes (1666) in Italia Antiq. (del Cluverio), p. 63; cita GRE-
GORIO Magno, Ep. 12, lib. I, Ep. 27, lib. V; ma si deve notare che le forme Urbs
cetus, Urbevetanus sono nei titoli non nei testi.

(2) Vedi i due testi citati in questo articolo a p. 12, n. 3 e 4.

(3) Livio, VII, 3, GIOVENALE, X, 74 (si Nursia Tusco favisset). Seiano (Tuscus) era
Vulsiniese e qui si accenna a Nortia, dea della Novae Vulsinii. TERTULL., Agolog. 23-
24; Inscrizione di Festo Avieno ereduto Vulsiniese, in. FABRETTI, J7sCrí3., p. 472,
n. 10. Livio, VII, 3, (Nortia, etrusca dea).

(4) Vedi: Inseriz. framm.* in GABRICI, Not. Scavi (Ace. Linc.), 1903, fasc. 8,

p. 366. Ultimamente (febbraio 1905) ebbi notizia della probabile scoperta del tempio
di Nortia fatta a Bolsena da un intraprenditore di scavi, dal sac. Bianconi. E nel-
l'aprile io stesso ne vidi le traccie a Montebello. Mi é impossibile discuterne; so
che ne scriverà il GABRICI.
(5) Per la identificazione di Voltumma e Vesuna con Vertummno ; vedi: NIEBUHR,
Histoire Romaine (Ed. franc., 1838), II, p. 139, nota 210; AMPERE, L'Histoire Romaine
ù Rome (1862), I, 382; II, p. 163, nota 5; MüLLER DEECKE, II, p. 51, nota 87; MILANI,
Museo Topografico, p. 144, nota 41, p. 145, nota 48. ORVIETO ETRUSCA 19

tra le guerre si ritirava a Roma (1) come ci narra Pro- .:
perzio.

In fine Giovenale (2) afferma che si puó viver tranquilli
a Vulsinii, posta fra gioghi boscosi. Diceva della Veteres o della

EZ
2

È

Fic. 7. — Buccheri (Museo Faina).

Novae? E Tacito (3), parlando di Seiano Vulsiniese, certamente
lo diceva cittadino della Novae. E il miracolo narrato da

(1) PROP., V, 2, versi 3-4. Venuta contemporanea a quella cui accenna DIONIGI
D'AL., II, 37: €&& Do)mviov — Obo)rmviov? Vedi MiLLER DEECKE, 0p. cit., I, p. 110,
nota 124.

(2) III, 191, con tutta probabilità si riferisce alla Novae.

(3) Ann, IV, 1.
20 P. PERALI

Giulio Ossequente, che si ricollega al fulmine di Plinio e al

nubilo di Tertulliano, é riferito ad un'epoca molto tarda (1).

Riassumendo: della Vulsinzî Veteres sappiamo che era
città opulentissima (2), tra le capitali d' Etruria (3), posta a IX
miglia da Trossulo (4), cinta da muro fortissimo (5), adorna
di molte statue (6); che c'era nel suo territorio il fanum
Voltumnae e che Vertumno era indigete Vulsiniese (7); che
aveva il tempio della dea Nortia (8); che aveva ricchezza
di fonti (9), e infine, che dopo essere stata vinta piü volte
dai Romani (10) agonizzò sotto il dominio dei servi (11) e dal
console Fulvio fu distrutta e i cittadini superstiti furono tra-
sportati in altro luogo (12).

Questo é quanto di interessante per la determinazione
topografica della Vulsinii Etrusca ci offre la tradizione storica.

I trovamenti archeologici orvietani li elencava il Ga-
murrini nel 1881 (13) e oggi (marzo 1905) eccettuati i ru-
deri ed i frantumi fittili presso il Palazzo del Popolo che
il cav. Mancini (14) giudicó rimasugli di un tempio etrusco,

(1) TERTULLIANO, De Pallio, 2: Apologetico, 40: GIULIO OSSEQUENTE, De Prodi-
giis (sotto i consoli C. Valerio, M. Herennio, 659), cap. 112 e l'anno avanti (658) sa-
rebbe da Vulsinii scomparsa la luna appena spuntata sull'orizzonte.

(2) PLINIO, II, 53; VALERIO Mass., IX, 1; FLORO, I, 21; LIvIo, X, 37 (validissima).

(3) LIvIO, X, 37: VALERIO MASS., IX, 1, il MOMMSEN, Storia di Roma antica, Ed.
it. PAIS, p. 105, la dice metropoli d' Etruria.

(4) PLINIO, XXXIII, 9. Livio, X, 46, (scrive: Troilum) e secondo il CLUVERIO, II,
p. 562: DIODORO, XX (V'ougzatw?) e DIONIGI D'ALIC., XIV, l'oeupzatov .

(5) ZONARA, VIII, 7. Livio, X, 37 (al principio) dice: moenia.

6) PLINIO, XXXIV, 16.

7) PROPERZIO, V, 2.

8) Livio, VII, 3, Inscriz. di FEST. AVIENUS (FABRETTI, Jnscríz., p. 472, n. 10).

9) Inscriz. di FESTUS AVIENUS (V. s.) e ARISTOTILE, De Mirab. Ausc., cap. 96(94).

(10) Livio, V, 32; IX, 41; X, 37, e: ACTA TRIUMPH. CAPITUL. (Corp. £nscr., (at.J,
I, p. 457. r

(11) ZONARA, VIII, 7; FLOR., I, 21 ; VAL, MASS., IX, 1; OnOSIO, IV, 5; SEX. AUR.
VITT., 86; ARISTOT., 07. Cit., 96(94).

(12) ZONARA, VIII, 7. Rettificando la notizia come in questo articolo a p. 12, n, 2.

(13) Vulsinii Veteres in Orvieto (Ann. Inst. Corr. Avch., 1881), (estr.) p. 38 e seg.
(14) Bull. Imp. Istit. Arch. Germanico, vol. XIII (1898), fase. 2 (estratto).

(
(
(
( ORVIETO E'TRUSCA 21

l ara etrusca rinvenuta a S. Lorenzo in Arari dall archi-
tetto Zampi (1) il conetto di Tinia che riproduco (fig. 3

Fra. 8. — Vaso Tirreno Egizio (Museo Faina).

insieme con una inscrizione frammentaria (fig. 4) rinvenuta
nel 1903-904 sotto il Duomo, presso i ruderi della cella di

(1) La chiesa priorale di S. Lorenzo é perfettamente orientata sul decumano
di Orvieto come la via della Cava. Nel restauro si trovò giacente sotto il massiccio
dell’altar maggiore barocco un lastrone rotondo di pietra. Era posto nel centro pre-
ciso della tribuna basilicale. L'architetto Zampi direttore del restauro espresse la
convinzione che lì sopra poggiasse un'ara o un tronco di colonna facente da piede
alla mensa dell’altare primitivo. i

Volle che sì intraprendessero ricerche nelle vicinanze della chiesa e dal ter-
reno di un piccolo orto che si stende lungo il lato settentrionale della chiesa venne
alla luce una bellissima ara etrusca del IV o V secolo av. Cr. L'ara fu restituita nel
suo posto ed ora sorregge la mensa dell’altare.

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929 - P. PERALI

un tempio probabilmente etrusco (1), siamo al punto al quale
si era nel 1881. Anzi siamo tornati indietro; perché mentre
il Gamurrini asseriva (2) che nel sottosuolo orvietano si
trovano traccie abbondantissime di legnami abbruciati e di
tegoli infranti, ricordo forse del cattivo scherzo di quel
fulmine burlone, ora, per ulteriori rovistamenti del sotto-
suolo (3), si può affermare non solo che tale sedimento figu-
lino-carbonifero non esiste, ma che non si trovano affatto
traccie di abitazioni etrusche.

E siamo tornati indietro, anche perchè di quei cunicoli
che il Gamurrini attribuisce agli Etruschi (4), moltissimi sono
stati sicuramente scavati per loro rifugio e scappatoia dai
Paterini (sec. XII) (5), ed essendo tutti d' un tipo, che sa ben
poco di etrusco, se ne può arguire che tutti siano dell’epoca

medioevale.

(1) Nei lavori di scavo per la costruzione di ampi magazzini sotto la nave tra-
sversa del Duomo furono trovati i due lati di una cella di tempio. Nell’interno era
coperta di cemento tinto di.rosso.

Lì presso furono trovati frammenti fittili di decorazioni, il conetto e l' iscri-
zione framm. che ho pubblicati, più due frammenti di basi di colonne di lavoro
semplicissimo.

Faccio notare che gli storici antichi di Orvieto avevan notizia di questi tempi
pagani. MONALDESCHI, Com. Hist., p. 60 (cita il MANENTE, lib. II, ann. 1290).

(2) Op. cit., p. 94.

(3 L'ingegnere Comunale signor Podiani mi comunicava nel dicembre pas-
sato questo elenco delle vie scavate negli ultimi tempi per i lavori di fognatura di-
chiarandomi che, come risulta dai registri dei lavori, nulla, ad eecezione di quello
che é notato, fu rinvenuto nel sottosuolo. Gli oggetti rinvenuti furono trasportati al
Museo dell'Opera.

L'ing. Podiani escluse assolutamente di aver mai trovato uno strato di carboni
abbruciati e di tegoli infranti.

Via Magalotti (nulla); via S. Angelo (nulla); via Dei Gualterio (un pozzo in ar-
gilla senza costruzione in muratura); via Dei Gualterio (presso casa Urbani, una
tomba a cassa con bucchero locale; tia Angelo da Orvieto (nulla); Piazza S. Pietro
(presso la chiesa di S. Antonio una antefissa e una testina di coccio frantumata);
via del Paradiso (nulla); via Malabranca (nulla) ; via della Commenda (un pozzo ro-
vinato).

(4) Op. cit., p. 56. .

(5) FUMI, Orvieto, Note stor. e biogr. (1891), p. 81; MANENTE, Hist. d? Orvieto, 1,
p. 34.

——— MÀ

gus ams q
ORVIETO ETRUSCA 93

Fatte quelle aggiunte e queste esclusioni, è bene osser- ‘’
vare la pianta archeologica di Orvieto (fig. 1).

I primi abitatori del masso dovettero certamente salire
per quell'ampia insenatura del tufo che oggi ha il nome di
Cava. É naturale od artificiale quell'avallamento ?

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|

Fi. 9. — Ossuari (Museo Faina).

Non ho potuto determinarlo ancora, ma, dopo una serie
di accurate ricerche che farò nei pianterreni e nelle cantine
delle case che coprono i fianchi della insenatura, spero di
poterlo precisare.

Per ora contentiamoci di osservare col Gamurrini (1)
come questa via che, venendo dal lago di Bolsena, penetra e

(1) Op. cit., p. 38. Egli dice da Vulci perché nel suo lavoro sostiene che la Vul-
sinii Etrusca (Orvieto) era colonia di Vulei.
94 P. PERALI

sale sul masso, sia sul decumano (1), e come sopra i due aero-
cori formati dall’incavo del tufo si ergano due chiese che nel
nome del santo titolare hanno la radice del nome di Giove (2).
S. Giovanni a destra di chi sale e S. Giovenale a sinistra. Nel
l'orto attiguo alla chiesa di S. Giovanni, fu trovato un cono di
tufo, traversato da un foro per tutta la sua lunghezza e che

porta l'inscrizione:
AMIT
VIANZNAIT 0)

più, varî frantumi di colonne e di antefisse in terracotta;
tutto un insieme che dava ragione di fissar li il sito di un
. tempio di Giove.

Dalla parte di S. Giovenale finora non si sono fatti scavi
di sorta.

Poi il Gamurrini nei ruderi e nei frantumi fittili rinve-
nuti sotto il palazzo comunale e nelle colonne g 'anitiche di
S. Andrea, volle vedere le traccie di un foro e di un tem-
pio (4), come del resto è nella tradizione degli storici orvie-
tani (D). Romano, e sicuramente dell epoca imperiale, egli
disse quel foro (6); ma forse succedaneo del foro e del tem-
pio dell’epoca etrusca.

(1) Non propriamente sul decumano cioè sulla linea che va da Est ad Ovest,
ma sul decumano dell'Est e dell'Ovest di Orvieto che, per essere circondato da monti,
ha un decumano viziato che traligna di 30° circa dal decumano astronomico. Si os-
servi la piccola pianta topografica (fig. 1) del masso Orvietano.

(2) GAMURRINI, 0p. Cit., p. 44.

(3) GAMURRINI, 0p. Cit., p. 45 e tavole B. C. 2; e. MILANI, Studi e materiali di
Arch., vol. II, p. 61, fig. 227. Tinia è il Giove degli Etruschi. Vedi una strana inter-
peirazione di Tinscvil in: BERTANI, Ess. de déchiffr. de quelq. inscr. etrusques (1860),
p. 53-54. Vedi anche: DEECKE Und PAULI Etrus. Fors. und Stud., II, p. 46.

(4) Op. cit., p. 43-44 e note.

(5) Nella tradizione degli storici orvietani si ha che nella piazza di S. Andrea
vi era il foro e che la chiesa occupa il posto del tempio di Giunone Arbana (Her
bana). PLiNIO, III, 8; Arbano: MYRSILIUS LESBIUS (spurio). Vedi: MANENTE, Op. Cit.,
I, p. 10 e MONALDESCHI, 07. cit., p. 2 e 60. ,

(6) Bull. Inst. Corr. Arch., 1879, p. 16-18. ORVIETO ETRUSCA 25

Il Gamurrini, salito per la via Vulsinia e per la Cava,
e giunto al Foro, piegando dal decumano, presso a poco se-
condo il tracciato del moderno corso Cavour, andava a rag-
giungere altri ruderi di tempio sotto il palazzo Misciattelli.

Fig. 10. — Cippo a forma di testa coperta d’elmo (Museo dell’ Opera).

In quel punto, egli dice (1) che sotto il piano stradale
moderno, a due metri circa di profondità, si trovarono traccie
di selciato antichissimo, e sul selciato varî frantumi abbru-

(1) Op. cit., p. 41, 53.
26

P. PERALI

ciacchiati delle decorazioni fittili del tempio che doveva fron-
teggiare la strada (1).

Io invece, come ho accennato nella pianta (fig. 1), non
tengo conto di questo selciato, ma attenendomi rigorosamente
al decumano sul quale come ho detto è la via Vulsinia (2),
oltrepassato il Foro, sfiorati i ruderi del palazzo del Popolo
e quelli di S. Pietro (3), giungo al tempio augurale di Bel
vedere.

Gli altri trovamenti di cui scrisse il Gamurrini sono:
frantumi fittili e ruderi presso la chiesa di S. Francesco
dove, secondo il dotto archeologo doveva esser I' Acropoli
della città etrusca (4), un ipogeo per tesoro in casa Felici,
che egli dice pelasgico (5), frantumi fittili in gran quantità a
Fontana Secca, dove egli credé di aver trovato anche un ag-
gere del quale mi mancano precise notizie, e depositi di fran-
tumi fittili a S. Paolo (6).

Dei eunicoli e delle vie mi permetto di non tener conto
perché quelli li ritengo medioevali e queste meriterebbero un
esame accurato e minuzioso; cosa impossibile a me finchè
una fortunata combinazione di lavori di scavo nelle varie
località designate non mi darà occasione di osservarle.

(1) Il selciato rinvenuto sotto il Corso Cavour non si può con certezza affer-
mare etrusco. Il GAMURRINI stesso (loc. cit.), riconosce che é «a lastre di sasso vivo
al modo quindi usato dai Romani ».

(2) Chiamo così per semplice convenzione quella via di cui le più lontane trac-
cie verso Bolsena si trovano a Viétana (vedi Notiz. degli Scavi, 1883, p. 419; 1884,
p. 101; 1885, p. 65) e le più vicine sotto Orvieto al Rio Chiaro (vedi NMNotiz. degli
Scavi, 1887, p. 87). Mi fece osservare il sig. Leoncini, Isp. d. Scavi a Bolsena, come
ambedue le vie, che da Viétana si spingono fiancheggiate da tombe verso Orvieto,
discendano anche con traccie evidenti di antichità fino al sito della moderna Bol-
sena. i

(3) MANCINI, Boll. Imp. Ist. Arch. Germanico, vol. XIII (1898), fasc. 2 (estratto)
e CARDELLA, Boll. Acc. Nuova Fenice, ann, I, n. 1, p. 14 e vedi il presente articolo
ap. 22, n. 3.

(4) Op. cit., p. 54.

(5) Idem, p. 55, e uno simile a S. Domenico: CARDELLA, Boll. Acc, Nuova Fenice,
I fasc. 1, p. 14-15.

(6) Op. cit., p. 42. ORVIETO ETRUSCA 27

Accennerò soltanto alle varie direzioni che avrebbero
tali strade secondo il Gamurrini: una seguirebbe, per circa
trecento metri, il tracciato del Corso Cavour; una da piazza
del Cornelio salirebbe a S. Francesco, una dalla torre del
Moro andrebbe verso piazza del Popolo; una traverserebbe
la piazza del Popolo incontro al palazzo Ravizza; una an
drebbe da S. Pietro al tempio augurale (1).

Fra. 11. — Teschi rinvenuti nelle tombe etrusche orvietane (profilo)
(Museo dell’ Opera).

Così gli elementi archeologici sicuramente etruschi tro-
vati sul masso sono: tempî, pozzi, e qua e là depositi di fit-
tili (terrecotte, dipinte o no, e buccheri).

Di case nemmeno la più piccola traccia, considerando
che quanto afferma in proposito il Gamurrini (2) è stato de-
finitivamente escluso dal non essersi mai trovato il celebre
deposito di legnami bruciati e di tegoli infranti, fatta ecce-
zione per poche località, specialmente vicine ai tempî.

(1) Idem, p. 57-58.
(2) Idem, p. 54.
DIGNE ONERE A ums
$2 x5 - -

98 P. PERALI

D'intorno al masso le due necropoli, quella Mancini e
Crocifisso del Tufo, e quella di Cannicella, ambedue né ric-
che né disposte come quelle di altre città etrusche (1).

Basandomi sulle affermazioni della tradizione storica e
sui risultati presenti. degli scavi orvietani, ritengo che una
Vulsini veteres (se anche è esistita nettamente distinta e lon-
tana dalla Novae), non poteva essere posta sul masso orvie-
tano, perché le sarebbero mancate tutte le caratteristiche
assegnatele dalla tradizione.

Opulentissima non si sarebbe potuta dire, perchè ne quello
che si è rinvenuto sul masso né quello che si è rinvenuto
nelle necropoli (tenendo conto, s' intende, delle tombe integre)
giustifica tale appellativo; le sarebbe mancato quel muro
fortissimo che i suoi abitatori avrebbero fabbricato; (2) non
avrebbe avuto fonti, e non poteva averne, per essere il masso
tufaceo posto in alto ed isolato (3), ma invece avrebbe avuto
pozzi numerosissimi (4), e avrebbe avuto al più poche case di
legno presso i tempi, fatto meraviglioso se si pensi che tali
catapecchie sarebbero state adorne di circa 2000 statue (5).

E strano é che tra i ruderi di questi tempi (6) nessuna
notizia ci si sia svelata riguardante la dea Morta, mentre,

(1) Vedi per le ricchezze di Vetulonia e di Vulci: Testo e tavole: FALCHI, Vetu-
lonia; GSELL, Fovilles dans la necrop. de Vulci e. MILANI, Studi e Materiali di Ar-
cheologia, I, p. 233 e II, p. 96 (KAno. Le oreficerie di Vetulonia).

(2) Per quanto si potrebbe anche credere che Zonara non avendo capita la de-
scrizione fattane dagli autori che egli compilava abbia trasformato la notizia di un
forte muro naturale in quella d'un muro costrutto.

(3) Vedi il presente articolo a p. 14 n. 4 in fine.

(4) Se ne trovano moltissimi ; alcuni vengono usati ancora. Sono scavati nel
masso e talvolta raggiungono in basso la strato arenario; l’incavo è tutto intona-
cato di argilla e dentro l’argilla si sovrappongono varî circoli di tufi commessi senza
calce o cemento; il fondo è composto da uno, due o tre lastroni incastrati nell" ul-
timo circolo di tufi e poggianti sul fondo dello scavo parimenti intonacato di argilla.

(5) E senza alcuna difficoltà come costrussero di tufo le tombe e i tempi po-
tevano costrurre le abitazioni, tanto più che il tufo orvietano è facilissimo a lavo-
rarsi. ;

(6) Di tali tempi sapevano gh storici orvietani come già ho avvertito: MONAL-
DESCHI, 0p. Cít., p. 60. ORVIETO ETRUSCA | 29

come dissi, a Bolsena si hanno inscrizioni che la nominano
e secondo ultime notizie riferitemi, se ne sarebbe rinvenuto
anche il tempio (1).

Fra. 12. — Teschi rinvenuti nelle tombe etrusche orvietane (pianta)
(Museo dell' Opera).

E gli ultimi scavi ufficiali ed extra-ufficiali di Bolsena
sono giunti a sfatare la favola che quei luoghi mancassero
di antichità etrusche. Sulle aiture presso il castello medioe-
vale ruderi di mura veramente grandiose (2), allintorno
tombe (3), frammenti di fittili (4) e soprattutto ricchezze di

(1) L'iscrizione è frammentaria e venne ricostrutta dal GABRICI e interpetrata
dal BoRMANN. La seconda linea dice: ... EMPL * DEAE N .... Vedi GABRICI, Not.
degli Scavi, 1903, p. 366 e seg. e Boll. Soc. Stor. Vulsiniese, n. 30-31. p. 282, per le
rovine del tempio. di Nortia vedi questo articolo a p. 18, n. 4 e vedi anche GABRICI,
Not. Scavi, 1903, p. 364. à

(2) GABRICI, Notiz. Scavi, 1908, p. 359 e seg. e fig. 3-4; PERNIER, JVotis. degli
Scavi, 1903, p. 600. Io stesso ho potuto riconoscere sul luogo, come la moderna Bol-
sena fosse circondata da un ampio e grandioso muro etrusco dal lato nord e nord est.

(3) Notis. degli Scavi, 1883, p. 419; 1884, p. 101; 1885, p. 65, ecc.

(4) Vedi Notis. degli Scavi cit.
30 P. PERALI

pietre incise e di oro (1) e di argento e di bronzo lavorati
che, dati alla luce quasi sempre dagli scavi extra-ufficiali e
clandestini (2), arricchiscono i privati, e, trafugati, vanno per
i musei sotto i nomi di Corneto, di Vetulonia, di Populonia
ad aumentare le collezioni di quelle città, facendo perdere
la speranza che si possa un giorno ricostruire un po' di sto-
ria Vulsiniese dagli elementi archeologici.

La Vulsinii etrusca dalle alture di Mercatello, Montebello,
Piazzano e Viétana dominava il lago, era veramente ric-
chissima di acque, aveva il tempio della dea Nortia, aveva
mura fortissime, era opulentissima, la circondavano gioghi
boscosi, e nove miglia la separavano da T'rossulo.

Già troppo mi sono aggirato per questo labirinto alla
cui formazione hanno contribuito gli storici ed i geografi an-
tichi e gli eruditi moderni. Per determinare il sito della Vwl-
sinti etrusca abbiamo un dato importantissimo.

La distanza di 9 mila passi che, secondo Plinio (2), inter-
cedeva tra Vulsimii e Trossulo.

Una specie di reciprocanza puó condurre alla determi-
nazione delle due località.

Il Cluverio (4) aveva voluto identificare 7rossulo con
Montefiascone e argomentò che Plinio avesse sbagliato di
mille passi nel calcolo, o che gli amanuensi avessero fatto
di un VIII un VIIII, perchè da Montefiascone a Bolsena (Piaz-
zano) intercedono appunto ottomila passi. Ma opportunamente

(1) Gli ori e gli argenti dei trovamenti archeologici... extra ufficiali si... squa-
gliano con più sollecitudine del piombo. Non mi posso intrattenere su questo terreno
sdrucciolevole, ma ho gran dovizia di aneddoti piccanti che mi fanno persuaso come
sia necessario che una buona volta, per il decoro e per l'interesse della archeologia,
tutti gli scavi entrino sotto la diretta sorveglianza del Governo.

Ma a Bolsena gli ori non c'è bisogno di scavarli, ché dopo le pioggie nelle gior-
nate di piena un torrente, che scende dalle alture e passa sotto la Piazza Comunale,.
trasporta ori ed argenti lavorati, strappati forse alle tombe che incontra nel suo

percorso.
(2) Vedi fra gli altri Notiz. degli Scavi, 1879, p. 110.
(3) XXXIII, 9. Vedi anche Livio: X, 46 (Troilum) e questo articolo a p. 20 n. 4.

(4) Op. cit., II, p. 562. ORVIETO ETRUSCA sl

l Holstenio (1) osservò al Cluverio che a due mila passi da
Montefiascone vi erano ancora le vestigia di un oppidum
dette 7rosso e un fosso che si chiamava al guado: Vado di
T'rosso. :

iui ita

3 ARMES. ONDES

WT XXWPT OCCISUS:

i
|

Fi. 13. — Teschio etrusco (profilo destro).

Il Des Vergers, riprendendo questa identificazione (2),
giustamente osservò che questo Vado di Trosso e le rovine
dette 7Yosso sono in pianura, dove era possibile che i cava-
lieri romani, come Plinio ci racconta, espugnassero da soli
senza aiuto di fanteria un castello.

E dal Vado di Trosso (3) alle alture di Piazzano e Mon-
tebello intercedono appunto 9 miglia romane; mentre il

(1) Annot. in Italia Antiq. (1666), p. 67, come poi fece anche il CELLARIUS, Mot.
Orb. Antiq. (1731), p. 580 e Carta Italia Media. Egualmente poi il MENKE (1860), tav. 10
e il KIEPERT (Formae orb. antiq.), Italiae pars media, tav. XX.

(2) L'Etrurie et les etrusques, parte II, p. 303 e Carta. — DENNIS, 0p. Cit., II,
p. 31 n. 4.

(3) Confronta le misure sugli atlanti citati.
32

P. PERALI

masso orvietano ne dista di 15 circa. Perchè vorremmo ac-
cusar Plinio di aver sbagliato, quando, caso raro, ne ha detta
una giusta?

Così confermando lantichissima (1) identificazione della
Vulsinii etrusca a Bolsena escludo l'ipotesi del Gamurrini, ed
escludo pure dal masso orvietano qualunque altra città etru-

sca.
Salpinum (2), che del resto potrebbe identificarsi con

molta probabilità in uno dei luoghi dell'altipiano dell AZfina (3),
ed Herbanum (4) che, noto per una sola indicazione di Pli-
nio (5) od anche per una indicazione e mezza, se si vuole
riavvicinare all’ Herbanum Pliniano l'"Egz (6) di Tolomeo (34°
30-49» 15) bisognerebbe cercarla ad occidente di Vulsinii
(85499 20°) (7). Di Oropiten (Orbitum) non faccio alcun
conto (8).

n

(1) MONALDESCHI, Og. Cit. (1984), p. 20 verso e 63; ORTELIUS, Thes. Geogr. (1611)
alla parola Bulsinio; CLUVERIO 0p. Cit., (1624) p. 556 e Carta dell'Etruria; DEMPSTERO
op. cit. (1724), Carta, vol. I1; CELLARIUS, 0p. Cít., (1731), p. 577 e Carte Ital. Med., e
fra i moderni: BUNSENN, Bull. d. Inst. Corr. Arch., 1833, p. 96; AMPERE, 0p. Cít.,
(1862), vol. II, p. 91, n. 5; DES JARDINS, Atlas geogr. de VItal. Anc., tav. IV e V; DES
VERGERS, 07. cit. I, p. 191 e Atlante, Carta. ;

(2) NIEBUHR, 07. Cit. (Ed. fran., 1838), II, p. 481, n. 380; GUALTERIO, Cronac. ined.
di Montemarte, p. XV, n. 1; CONESTABILE, Pitt. Mur., p. T3 MENKE, Atl. del. Mondo
Antico (1860), tav. X; KIEPERT, Atlante, tav; XX.

(3) KIEPERT, Atlas der alten Welt (1851), tav. X.; DES VERGERS, 02. Cit.: GAMUR-
RINI, 0p. Cit., p. 30. Vedi in MONALDESCHI, 0p. Cíl., p. 65: (Monte Alpino).

(4) MANENTE, 07. Cit., II, p. 19; MONALDESCHI, 0p. cit., p. 1 verso, 2 e 3 (Herbano
cap. dei Salpinati); p. 13, eec.; ORTELIUS, 0p. cit. alla parola Oropitumi; CLUVERIO,
op. cit., II; p. 554; DEMPSTERO, 0. Cit., p. 409, 470 e Carta vol. II; CELLARIUS, 07. Cit.,
p. 578 e Carta Ital. Media; DES JARDINS, Atlas cit., tav. V. Invece il BorGHI: Sopra
ant. geogr. deW' Etruria (Discus. Acc. Etr. di Cortona, IX, p. 376) che mette ad Or-
vieto Castula, identifica il fanum Volturnae il cui nome fu poi Herbanum (!) con
Viterbo p. 375 e Carta. Egualmente a Viterbo: KIEPERT, Atlas der Alten Welt, tav. X.

(5)511I,. 8.

(6) Per l'una e per l'altra indicazione vedi ToLoMEO, III, 1.

(7) Tanto è vero che il BERTI, Thes. Geogr. Veter., p. 72, il quale identifica
Ovov)giviov con Bolsena, identifica poi "E con Pitigliano.

(8) Qui sarebbe opportuno parlare delle falsificazioni perpetrate da ANNIO DA
VITERBO, ma non me lo permettono né l'argomento che tratto, né lo spazio, solo
diro che, per far opera compiuta, l'ingegnoso viterbese pensó bene di far confer- ORVIETO ETRUSCA 33

Finchè non troveremo sul masso orvietano traccie si-
cure ed estese di abitazioni etrusche si potrà sempre negare
che lassù ci sia stata una città, perchè, esclusa la invero-

RE in,

WU. SSR OU

L2

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|
|

Fra. 14. — Teschio etrusco (profilo sinistro).

simile ipotesi della WVulsinài veteres, troverei contraddizione
ira una secondaria città etrusca e la posizione naturalmente
privilegiata del masso orvietano, e la estensione della necro-

mare l’ Orbitum del decreto di Desiderio, ehe egli aveva inventato, da una Oropitez
e da certi popoli Oropitae, dei quali fan cenno CATONE, FABIO PITTORE, MYRSILIO
LESBIO, l' ITINERARIO D'ANTONINO, sempre, s' intende, in brani inventati dal sullodato.
Caddero nella pania il MANENTE, il MONALDESCHI, l'ORTELIUS, non il CLUVERIO che fa
al Viterbese una spietata requisitoria (0p. cit., p. 565).

E cadde nella rete di ANNIO anche il suo compatriotta MARIANI (De Etrusc.
metrop., cap. 7, p. 45) quando tra le dodici lucumonie etrusche poneva Corteneba e
Cortenossa, due nomi che sanno di medio-evo longobardo, e che Annio non si era
peritato di scrivere nei frammenti di CaroNE e di FABIO PITTORE (Vedi anche Mür-
LER DEECKE, 0. Cit., I, p. 328, nota 37).
934 P. PERALI

poli, e il numero dei tempi architettonicamente decorosis-
simi (1).
I"

Il Fanum Voltumnae, dove si radunavano i dodici popoli,
era il principale mercato dell' Etruria e anche in tempo di
guerra tra le spedizioni lo frequentavano i mercanti (2).

Dal Cluverio (3) fu identificato a Viterbo, non ostante
che egli si fosse accorto delle falsificazioni dei testi da Annio
da Viterbo (4) attribuiti a Catone, a Fabio Pittore, a Myrsilio
Lesbio e della interpolazione fatta dallo stesso Annio in un
frammento dell Itinerarium Antonini, luoghi tutti dove si
parlava di Volturna e del Fanum Volturnae come situati a
Viterbo.

Il Dempstero lo identificò anch’ egli con Viterbo (5) e
disse il Fanum Voltumnae presso Vulsinii citando Alessandro

rm

di Alessandria (6): il Canina (7) a Valentano, sur un colle ad

(1) CERVELLI, Bull. Inst., 1829, p. 11, 1831; p. 9; FAINA, Notiz. d. Scavi, 1879, p. 30-
31; MüLLER DEECKE, 07. cít., II, p. 250-251, nota 15; GAMURRINI, 07. Cit., p. 44-54; MI-
LANI, I frontoni di un tempio tuscanico (in Mus. Ital. di Antich. classica, vol. I,
punt. I), p. 93, nota 2.

Di tempi etruschi sul masso orvietano se ne possono contare fino a 11: quelli
di S; Giovanni, di S. Andrea, del Duomo, di S. Lorenzo, del palazzo Misciattelli, del
Palazzo del Popolo, di Belvedere, di S. Francesco, di S. Domenico (?), di S. Pietro (?),
di S. Angelo (?). Vedi: MANENTE, MONALDESCHI, GAMURRINI, FUMI, 0pp. citt., e il pre-
sente articolo.

(2) Livio, IV, 23, 24 (renuntiatum a mercatoribus esset, negata Veientibus au-
xilia), 25, 61; V, 17; VI, 2 (coniurationem de bello, ad Fanum Voltumnae factam, mer-
catores afferebant; e X, 16; (postulaverunt principum Etruriae concilium). SCWEGLER,
Rómische Geschichte II, p. 290, n.3; MULLER-DEECKE, 07. Cit., I, 287 e 329 e seg.; NIEBUHR,
Op. cit., (Ed. franc., 1838), III, 258. Forse é da riferirsi al fanum Voltumnae anche
V, 1 « solemnia ludorum » e da riconnettersi col trasporto dei giuochi da Vulsinio a
Spello; MowwsEN, Epigraphische Analalecten in Berichte der Kon. Sachs Gesetl-
schaft der Wissemsch za Leipzig (1850), p. 190, 221.

(3) Op. cit., II, p. 563 e Carta d’Etr.; così il MENKE, Atlante cit. tav. X; e il
Boncnur pure a Viterbo, vedi questo articolo p. 32 n. 4 in fine.

(4) Vedi nota 8 a p. 32 del presente articolo.

(5) Op. cit., I, cap. XV, p. 63.
(6) Genialiun, dierum, cap. ultimo.
(7) Etruria maritt., I, p. 30, II, pag. 82, II, p. 13.
i ATA

ORVIETO ETRUSCA 39:

ovest del Lago Bolsenese, il Niebuhr (1) a Viterbo, il Lanzi
pure (2) a Viterbo, Secondiano Campanari (3) al Voltone presso
Isola Farnese, il Dennis (4) a Montefiascone, il Des Vergers (5):
a Viterbo, il Des Jardins (6) ugualmente a Viterbo.

Fic. 15. — Antefisse di tempî etruschi orvietani (Museo dell’ Opera).

L'Orioli prima disse futili le ragioni messe in campo
per identificare il Fanum Voltumnae a Viterbo (7) poi tornò
egli stesso alla medesima identificazione (8).

(1) Op. cit. (Ed. franc.) III, p. 258.

(2) A Viterbo perché c'è la chiesa detta S. Maria in Volturna. Saggio di lingua .
etrusca, II, p. 87. Anche INGHIRANI, Storia della Toscana, Geogr. della II epoca, $ 41.

(3) Tuscania e i suoi monumenti, p. 13, nota.

(4) Cities and cem. of Etr., 1I, p. 32, 35.

(5) Nel testo (0p. cit., I, p. 192) dice. che è ignoto il sito, e che si dovrebbe
ricercare nella vallata della Chiana, ma nella sua Carta arch. lo mette a Viterbo.

(6) Atlas. cit., tav. V.

\ (7) Boll. Inst., 1833, p. 26, nota.
(8) Viterbo e il suo territorio, p. 80 e seg.
P. PERALI

Il Pinzi nella sua Storia di Viterbo non ne fece alcun
cenno (1) e I Helbig, incoraggiato da quanto aveva scritto
il Campanari, fece degli scavi al. Voltone (2), e trovò mura
costrutte di lastroni di murcio commessi con cemento ed
incrostate di porfido (t.

Prima però di esporre la mia nuova identificazione, ri-
corderó qualche notizia sulla divinità cui era consacrato il
Fanum principale degli Etruschi.

Voltumna in Etruria era divinità maschile o femminile ?

Per una serie lunga di osservazioni fatte già dagli stu-
diosi, si è potuto stabilire che Vesona, Voltumna. (3), Vel-
thina (4), Volturna (b), Vortumnus, Vertumnus (6) sono le varie
trasformazioni dello stesso nome e della stessa divinità (7).

Ma perchè si parla comunemente di questa divinità come
di una dea?

Forse perchè Livio la nomina Voltumna.

Pure, è bene osservare come tal nome non essendo mai

accompagnato da un aggettivo che ne indichi il genere, non

(1) Storia della città di Viterbo (1887), vol. I. Il primo cap. incomincia: « Ai
tempi della etrusca dominazione niuna città che meritasse o valesse tal nome, sorse
in quel tratto di paese che ora s'addimanda l'Agro di Viterbo » e non accenna nem-
mena al Fanum Volturnae.

(2) Bull. Inst. Corrisp. Arch., 1880, p. 242.

(3) Livio, passi citt.

(4) Cippo perugino in FABRETTI, Corpus inscrip. ital., 1914 e in PAULI, Corp.
inscrip. etrusc., n. 592. Vedi in proposito: ORIOLI, Nuovo Giorn. dei lett. di Pisa,
1828; ZANNONI, Artologia, 1824; CIAMPI, Antolog., 1825.

(5) Volturnalia sacra: vedi GoRIO, Museum etrusc., ll, p. 34 e GRUTERUS, TAe-
saurus, p. 134, Frammenti di antichi kal.

(6) ORAZIO, Satire, II, VII, 14; Epist. I, XX, 1; Ovipio, Metam. XIV, 642, 078;
TIBULLO, IV, II, 13; PROPERZIO, V, II; PSEUDACRONIS, Scholia i», Horat. (Lipsia, 1904),
p. 186 e p. 275.

(7) GoRIO, 0p. cít., II, p. 32-34 e 53; NIEBUHR, 0p. cit. (Ed. franc.), II, p. 139, nota
210; AMPÈRE, 0p. cit., I, p. 382, nota 2; e II, p. 163, nota 5 (nel primo libro dice trat-
tarsi di divinità etrusca che poi divenne sabina, mentre nel 2° afferma trattarsi di
divinità sabina che poi divenne etrusca (!!). Per le varie identific. di Vertumno vedi:
MILANI, Museo Top., p. 145, nota 48; p. 144 nota 41; e Studi e Mater., vol. II, p. 85; e
Di una statuetta di bronzo, ecc. in Notis. degli Scavi, 1884, p. 270 e seg., e DES VER-
GERS, 0p. cit., I, p. 295 4 GERHARD, Gotteit. d. Etr., p. 315 DENNIS, Op. Cit. I, p. LVII,
II, p. 32, n. 8, p. 33, p. 199. ORVIETO ETRUSCA 9T

si possa dire senz'altro femminile, perché le altre forme la-
tine cui si riavvicina sono maschili ( Vertumnus, Vortumnus)
e perchè nella trascrizione latina dei nomi Etruschi non è

€ [FrG. 16. — Disco di bronzo. Il Mostro Gorgonico (Museo Faina).

difficile ritrovare tal forma. Basta confrontare alcuni nomi:
Porsenna, Vibenna, Mastarna e persino uno, forse neutro,
Volta (1), il Mostro che infestò i campi Volsiniesi.

Dalla mitologia romana sappiamo che Vertumno era un
dio multiforme e cui piaceva di trasformarsi spesso in
donna (2). Ovidio infatti ci fa assistere ad una sua trasfor-
mazione femminile quando appunto ci narra del maritaggio
di lui con Pomona, dea delle biade.

(1) Il GorIo (0p. cit., II, p. 34) ravvicina anche il mostro Volta a Voltumna.
(2) Ovin1io, Metam., XIV, 642 e seg.; PROPERZIO, V, II, 23, 24,

he. La B i-a i m eR a me

OU IAGENEE ONT 72

LP AGIRE: Pol 4 E 1 P. PERALI

Ora è strano che in Etruria si trovino scambiate le parti.
maritali: difatti nelle Tavole Euguline che tanto risentono
dell Etruria, Vesona è sposa di Poîmono (1) e in uno specchio,
orvietano Vesuna è unita e Phuphluns (2).

A risolvere la questione può dirsi che in Etruria quel
nume era più comunemente adorato come donna e come
uomo a Roma; ciò in consonanza ai costumi dei due po-
poli (3).

Sappiamo che veniva rappresentato in abito virile, ma
con fattezze di donna, portante nella destra il Zituo (pedum) (4).

Properzio, il poeta umbro, è quegli che maggiori e più
chiare notizie ci dà di questo nume.

. Meriterebbe d'essere riportata per intero la sua elegia (5)
ma mi contenterò di citarne quei brani che sono più utili a
me per la mia determinazione, lasciando che quegli cui inte-
ressi di conoscer qualche cosa di più della divinità, si serva
delle brevi indicazioni bibliografiche.

È Vertumno che parla:

« Tuscus ego et Tuscis orior nec poenitet inter

« Proelia Vulsinios deseruisse focos.

« Haec me turba juvat, nec templo laetor eburno,

« Romanum satis est posse videre forum » (v. 1-4).

. Dunque, Vertumno fu portato a Roma da Vulsinii, cui

(1) Vedi BREAL, Les tables Eug. (1875), tav. III e IV, e vedi le Tavole in FABRETTI
Corp., in LANZI, Saggio di lingua etrusca.

(2) HELBIG, Monum. dell’Inst., XI, tav. XXI, 1. Phuphluns accoppiato a Semia
(Semele); GERHARD, Etrusk. Spiegel, 1, 88, e OVERBEC, Atlas der Griech. Kunst. (Epoca
molto tarda). SiTTL. Atl. Z. arch. der Kunst, tav. XV, lla. DENNIS, 07. cit., vol. I.

(3) Del resto la prevalenza del nome maschile nella tradizione storica può di-
pendere dalla prevalenza della forma più moderna (latina) sulla più antica (etrusca),

(4) MILANI, Di una statuetta, ecc. (Notis. degli Scavi, 1884, p. 270, tav. III). La,
statuetta che riproduco (fig. 5, 4) credo che rappresenti Vertumno, È del Museo
Faina (Sala dei Bronzi, scansia C, 4° ripiano) e ritengo che sia quella stessa di cui
il GAMURRINI (Notiz. degli Scavi, 1887, p. 90) dice che fu rinvenuta in una delle tombe
che flancheggiano la via Volsinia. Vedi la statuetta di cui scrisse il Milani anche in:
SITTL, 0p. cit., VII, f. 3 b.

(5) V, II.
M ed

'ORVIETO ETRUSCA 39:

fu tolto dopo una delle guerre dai Vulsiniesi combattute e
perdute contro i Romani (1).

Ma il fanum Voltumnae dove si radunava tutta l' Etruria
per le elezioni dei capi religiosi e politici e per la decisione
delle guerre, e per i mercati, non poteva stare in una città,
come non poteva essere solo un tempio (2).

Del resto, che non fosse a Vulsinii, lo affermano tutti gli
scrittori (3) di cose etrusche che sono concordi nel ricercarlo
in territorio Vulsiniese ma fuori di Vulsinà a ciò certo co-
stretti anche dal fatto che Livio, se si fosse trattato di un
tempio di Vulsinti, non l'avrebbe sempre nominato come un
luogo a sé.

E poi ammissibile che il luogo delle adunanze nazionali,
e le adunanze stesse fossero sotto la diretta influenza di una
città, sia pure della metropoli d'Etruria, come il Momm-
sen (4) chiama Vulsini?, mentre si può ben ritenere che fosse
in territorio Vulsiniese, e per essere Vwlsimüé la metropoli,
e per l'attestazione di Properzio?

(1) Da come poi dice ProPERZIO (v. 60) sembrerebbe che tale venuta di Ver-
tumno a Roma si dovesse far risalire anche a prima della impresa di Celio Vibenna
ma sorge spontaneo e a buon diritto il dubbio, nella scelta delle due notizie (v. 4)
e (v. 60), o la venuta da Vulsinii a Roma-tra le guerre, o la presenza a Roma dal
tempo di Numa. Ritengo esatta l'una e l'altra. Nel Vico Tusco, testimone della co-
lonizzazione etrusca a Roma, o meglio della colonizzazione volsiniese, sin da tempo
antichissimo fu il simulacro e l'ara di Vertumno; poi in una delle guerre da Vul-
sinio perdute, fu tolta al fanum presso Volsinio una più perfetta immagine del dio
e posta a capo del Vico Tusco. Così intorno al primitivo e rude simulacro, come
intorno alla novella immagine di questa ambigua divinità si svolgeva la vita pu-
trida di quella via adiacente al Foro. (Vedi: Asc. ad Cic. 4 Verr., 1, 59 « in Vico
Tusco habitant lenones, meretrices, faenatores ». PLAUTO, Cwrcul. IV, 1, 21 «in Tusco
Vico ibi sunt homines qui se venditant ».

(2) Specialmente gli scrittori piü moderni di cose etrusche lo dicono tempio.
Ciò è inesatto, che se anche nel fanum vi era il tempio dedicato a Voltumna, non
il tempio, ma il fanum stesso era il luogo delle riunioni, e Livio che (VII, 3) dice:
«in templo Nortiae, etruscae deae », quando invece nomina il luogo delle adunanze
di tutta l'Etruria dice « fanum Voltumnae ». Ed egli stesso (X, 37) ci dà il valore
della parola che, sia pure inesatto etimologicamente, deve servirci di guida per in-
tender la parola quando é usata dallo scrittore (fanum... id. est locus templo effatus).

(3) Vedi AUTT. CITT., 0pp. citt., U. citt.

(4) Storia di Roma Antica (Ed. Pais), I, p. 105.
40 P. PERALI

Ora, di tutto il territorio Vulsiniese il masso orvietano
è, a parer mio, il luogo su cui convergono le maggiori pro-
babilità.

Il Des Vergers (1) vide oscuro nella questione del Fanum
Vollumnae, ma senza citare il passo di Livio, da cui ab-
biamo la notizia, scrisse, che essendo. stata turbata nel 357
ab U. C. una adunanza del Fanum Voltumnae dai Galli che
sopravvenivano, si doveva ricercar questo luogo sacro nella
valle della Chiana.

Peró, messosi cosi nella medesima via che ora io cerco
di percorrere, non prosegui, perché le antichità etrusche di
Orvieto, quand'egli scriveva, non avevano ancora veduta la
luce, e forse anche per mancanza di una esatta cognizione
di questa parte dell' Etruria; e nella sua carta Archeologica
mise il Fanum Voltumnae fra Montefiascone e Viterbo.

Ma è opportuno leggere il passo di Livio (2): « Concilia
Etruriae ad fanum Voltumnae habita, postulantibusque Cape-
natibus ac Faliscis ut Veios communi animo consilioque omnes
Etruriae populi ex obsidione eriperent, responsum est: antea
se id Veientibus negasse quia unde consilium non petissent
super tanta re, auxilium petere non deberent; nunc jam pro
se fortunam suam illis negare; maxime in ea parte Etruriae.
Gentem invisitatam novos incolas (accolas) Gallos esse, cum
quibus nec pax satis fida nec bellum pro certo sit: sanguini
tamen nominique et presentibus periculis consanguineorum
id dari ut, si qui inventutis sua voluntate ad id bellum eant,
non impediant ».

Da questa risposta dovremo argomentare che gli Etru-
schi adunati al Fanum Voltumnae, i quali riconoscevano di
non poter andare a far guerra contro i Romani agli estremi

(1) Op. cít., I, p. 192 « la reunion se trouvait entravée par l' invasion des Gau-
lois dans la vallée de la Clanis ».
(2) V, 17.

— —
ORVIETO ETRUSCA 41

limiti meridionali dell'Etruria, si trovassero in un luogo dove
si potesse davvero temere dei Galli (1) »ovos incolas.

Ma nel 357 di Roma i Galli non erano ancora in lotta
con i Chiusini con i quali aprirono le ostilità solo nel 364 (2)
quando i Chiusini chiesero contro di loro aiuti ai Romani (2)
ai quali ricordarono di essere stati essi fra gli Etruschi che
avevano rifiutati aiuti a Veio.

Pure, nel 357 doveva essersi udita al Fanum Voltumnae
una voce di pericolo imminente. Perciò ripugna identificare
quel luogo sacro in un sito tanto lontano da Chiusi, come
Viterbo o Montefiascone o il Voltone; tanto più che queste
località non erano sulla via dei Galli, via naturale, deter-
minata da speciali circostanze topografiche.

Gli sbocchi verso il centro dell'Italia per chi viene dal-
l'Appennino sono due: la valle del Tevere, e la valle del-
l’Arno a valle fino ad Arezzo dove s'incontra la valle della
Chiana. Vallate longitudinali, quelle del Tevere e della Chiana,
che si riuniscono a tre km. a Sud di Orvieto per poi al-
largarsi dopo il Soratte nella campagna romana (fig. 2).

(1) MOMMSEN, Storia di Roma Antica (ed. Pais), I, p. 304, attribuisce la causa
principale di questo rifiuto a discordie interne specialmente al mal animo del con-
cilio d'Etruria contro i Veienti per l’ essersi questi eletto un re prepotente che
aveva osato interrompere i giuochi solenni (Livio, V, 1). Il Pars invece (Storia di
Roma, vol. II, parte II) pur attribuendo (p. 8) l'isolamento in cui furono lasciati i
Veienti a tale causa, afferma (p. 10 e 50) che il sopraggiungere dei Galli impedì al
concilio di soccorrere Veio quando e Capenati e Falisci chiesero aiuti per quella
città, come narra Livio, V, 17.

(2) Livio, V, 33.

(3) Livio, V, 35. È strana la presenza dei Galli in Etruria fin dal 357-58, che si
risolve in guerra solo l’anno 364. Si potrà credere che al principio li tollerassero per
quanto dubitandone (cum quibus nec pax satis fida nec bellum procerto sit), mentre
poi, cresciute le pretensioni e le imposizioni dei barbari, scoppiò la guerra. Ma ciò
contrasta con la storiella dell'ira.di Arunte narrataci da Livio stesso (V, 33)la quale
darebbe un carattere di improvvisa invasione alla discesa dei Galli. Militando mag-
gior numero di ragioni in favore della prima versione (V, 17) di quella tengo conto,
ed osservo che uscirei dal mio campo se discutessi la questione storica. Si veda il
NIEBUHR, 0p. Cit.; l'AMPERE, 0p. cít.; lo ScuwEGBER, AROmische Geschichte, vol. III,
p. 206, n. 2; e III, 235 e seg.; MOMMSEN, 07. Cit.; PAIS, 0p. Cit.

i AES ber

LI

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|
|
|
|
P. PERALI

Queste due valli sono state sempre le vie delle migra-
zioni e degli eserciti (1).

L’ Etruria marittima presenta invece molte barriere a chi
viene dalla valle del Po per l'Appennino (2) e cioè l Arno,
le colline Volterrane e Senesi, l'Ombrone, il Monte Amiata,
il lago e i boschi Volsiniesi, i monti, i boschi Cimini.

La tradizione storica poi ci dice che i Galli passarono
per la valle della Chiana (3). Per la valle della Chiana e del
Tevere, sembra che confermi l'archeologia.

Se dunque nel 357 si temeva dei Galli al Fanum Voltu-
mnae, noi dovremo ricercarlo in una delle due vallate longi-
tudinali; non in quella del Tevere, perché sarebbe strano che
proprio all'estremo limite del territorio etrusco, quasi a contatto
degli Umbri si tenessero le adunanze e i mercati nazionali.
Dunque nella valle della Chiana doveva sorgere questo luogo
sacro, (non fempio), luogo ampio, neutrale e centrale per tutta
l Etruria.

Il masso orvietano ha appunto queste caratteristiche.
Posto nel territorio Vulsiniese congiunto con Vulsinii per una
via diretta (4) anche con le altre città dell' Etruria aveva
facili comunicazioni (5). Poteva per la sua singolare strut-
tura e posizione assumere degli aspetti assolutamente religiosi
per i primitivi che fecero la via agli Etruschi.

(1) Vedi fra gli altri: NIEBUHR, 07. cit. (Ed. franc.), III, p. 254; MüLLER DEECKE,
0p. cit., I, p. 200 e n. 30^; p. 204 n. 43, 44; p. 14l.

(2) Per questi confronti vedi qualunque atlante moderno o anche il KIEPERT
Form. orb. ant. alla tav. XX, che é nitidissima. Vedi la Carta arch. del DES VERGERS,
op. cit.

(3) Livio, l. c.

(4) Vedi: pianta (fig. 1) e Notiz. degli Scavi, 1885, p. 65.

(5) Vedi: pianta (fig. 1). II GAMURRINI e il Cozza lavorano da tempo intorno alla
carta delle strade d’Etruria ed é nei voti che presto si possa consultare quest'opera.
La via etrusca di cui parla il GAMURRINI, NMottz. d. Scavi, 1887, p. 87, io la crederei
diretta a Salpinum (Alfina). E in quel punto all' incontro della via Vulsinia (?) con

‘ la Salpinate (?) si ergeva forse un piccolo tempio che indicava il limite estremo del
"luogo sacro (fig. 1) (GAMURRINI, 7. c., p. 90). E si tenga conto del fatto che anche in

quel punto tombe non se ne sono trovate che dalla parte di Orvieto, ciò indicando
come intorno intorno le strade convergenti al moderno onte del sole limitassero la
necropoli del luogo.
TITTI

ORVIETO ETRUSCA 43

Ergentesi boscoso sovra un colle boscoso anch'esso, che
si eleva isolato in mezzo ad una vallata irrigata dal Paglia
e dal Chiani, attrasse i primitivi. Vennero da Vulsini cam-
minando da l'Occidente verso l’ Oriente; discesero nella
valle, traversarono il ruscello, salirono il colle, tagliarono la
rupe, giunsero sul ripiano del masso, e spingendosi sempre
verso l'Oriente videro dall'estremo limite giù in basso nella
vallata confondersi le acque dei due fiumi, del Paglia e del
Chiani. Là adorarono i loro numi e presero gli auspici, e là
fu il tempo augurale, (1).

Poi in varî punti del bosco costrussero e consacrarono
altri tempî, scavarono pozzi ed ipogei; quelli per le acque
dei sacrifici e per l’uso dei temporanei e degli stabili abita-
tori del luogo, questi per conservare forse i tesori della na-
zione.

I due acrocori rimasti a dominare l'incavo del masso
furono occupati da due tempî (2), forse ambedue di Giove,
non da baluardi e fortezze, come se quello, invece che l'in-
gresso di un luogo neutrale e pacifico, fosse stato l'ingresso
di una città forte e bellicosa. Anzi l'incavo stesso del masso
forse era aperto ed indifeso (3).

La popolazione fluttuava nel Fanum. Vi dimoravano sta-
bilmente i sacerdoti presso i tempî, vi accorrevano nelle epo-
che degli scambi i mercanti, epoche che dovevano coinci-

(1) Così fu detto dal GAMURRINI: Vulsinti Etrusc., p. 47 e seg.

(2) Di uno se ne trovarono le traccie (GAMURRINI, 02. Cit., 44). Per ritrovare l'altro
non si sono fatti ancora scavi di sorta, ma é mia opinione che occupasse l’area
stessa dell’antichissima chiesa di S. Giovenale, la quale mantiene l’orientazione del
decumano orvietano.

(3) Non si hanno traccie di costruzioni etrusche all'ingresso del masso. L'in-
cavo raggiunge lo strato sottostante (sedimentario e argilloso) su cui poggia la mu-

.raglia di struttura medioevale che lo chiude. A meno che, come opina il EUMI, 0p.
cit., p. 9, la porta non fosse « a capo della Cava ». Ma ciò, a parer mio, contraste-
rebbe col fatto che l’incavo del masso va allargandosi a mano a mano che sale
(fig. 1). Mentre con poca fatica ‘avrebbero potuto chiudere la piccola apertura in
fondo alla Cava, un muro forte e lungo sarebbe stato necessario per sbarrare la via
o verso il mezzo, o alla sommità. E dove sono le traccie di questa grande muraglia?
44 P. PERALI

dere con quelle delle adunanze nazionali (1), quando vi con-
correvano i maggiorenti dell’ Etruria.

Intorno al masso sui fianchi del colle girava la necro-
poli che manca di grandi serie di tombe appartenenti ad
una stessa famiglia (2); e ciò, a parer mio, dimostra come
molte di quelle sepolture fossero occasionali. Come anche
l'ampiezza, la regolarità della necropoli stessa possono darle
un carattere quasi pubblico, nel senso che l'adunanza stessa
del Fanum provvedesse alla sepoltura degli intervenuti, che
durante i convegni od i mercati finissero la vita; 0 dei cit-
tadini di tutta I Etruria che avessero desiderato d'esser de-
posti presso il luogo sacro.

E credo che meriti speciale menzioneil fatto che Tinia,
la sola divinità Etrusca di cui finora si puó dire con cer-
tezza che possedesse tempi sul masso orvietano (3), veniva
qui adorato nella stessa maniera nella quale, secondo Pro-
perzio, in tempi antichi si adorava Vertumno (4).

« Stipes acernus eram properanti falce dolatus

« Ante Numan grata pauper in urbe deus.

(1) Livio, IV, 23-IV, 24; VI, 2.

(2) Vedi la caratteristica mescolanza di nomi delle iscrizioni orvietane: KÓRTE,
op. cit., p. 21 e tav. K. I. GAMURRINI (Notis. degli Scavi, 1880, p. 443-445), che tanto vi-
vamente contrasta con la regolarità dei raggruppamenti delle nostre tombe (Vedi
opp. citt., 1. c. e Notis. degli Scavi, 1880, tav. XIV, XV). Ciò meraviglierà di più, se
si consideri che le altre città etrusche mentre hanno le necropoli disposte con
molto minore regolarità, hanno invece serie di tombe sulle quali si riproduce il
nome della medesima famiglia. Vedi in FABRETTI, 07. Cit., PAULI, 0p. Cit., e le opere
particolari sopra le necropoli di Vulci, Vetulonia, Perugia, ecc. Anche nei dintorni
di Orvieto (a 4 km.) in epoca tarda abbiamo le tombe aggruppate d'una famiglia,
degli Hescanas. Le illustrò il CARDELLA, Le tombe degli Hesc. Si potrebbe obbiettare
che molte tombe orvietane appartennero a donne. Nulla esclude che nei ministeri
religiosi d'Etruria predominassero le sacerdotesse, del resto vedi PAULI, Etrus. Stud.,
II, p. 55.

(3) Uno a S. Giovanni (GAMURRINI, 0p. cit., p. 44) e uno sotto il Duomo, come
potrebbe indicare l’altro conetto di Tinia (fig. 3), lì rinvenuto e da me pubblicato.
Un terzo forse a S. Giovenale (GAMURRINI, 0p. Cít., l. C.).

(4) V, II, v. 59-00. ORVIETO ETRUSCA 45

Difatti i conetti di Tinia (1) traversati nella lunghezza
da un ampio foro molto probabilmente servivano a sostenere
lo stipes dolatus che rappresentava nei tempi minori la mi-
nore divinità come nel tempio maggiore era forse rappre-
sentato il nume cui era sacro il Fanum intero.

Si potrà obbiettare che se così fosse, qualche traccia del
culto di Voltumna si sarebbe dovuta trovare.

Rispondo che il sottosuolo orvietano non è stato esplo-
rato completamente, e che non mi meraviglierei se a me o
ad altri (2) avvenisse di trovare in seguito tra le decorazioni
dei tempî già alla luce qualche attributo di quella divinità
che tanti ne aveva (3).

Mettendo in campo questa ipotesi nuova ho creduto di
fare un po’ più di luce sulle antichità etrusche di Orvieto.
Tralascio di esporre, perchè la trattazione diverrebbe arida

e noiosa, le altre infinite osservazioni da me fatte sui trova-
menti dei nostri tempi e delle nostre tombe, dalle quali os-
servazioni è scaturita per me la convinzione che sul masso
orvietano esistesse piuttosto un luogo sacro che una città.
E se dovessi dire dove a parer mio si possa con mag-
giore probabilità identificare il tempio sacro alla maggiore
divinità d’ Etruria cui era dedicato il Fanum, indicherei la
piazza Comunale. Forse le traccie se ne troverebbero sotto
la chiesa di S. Andrea.

(1) GAMURRINI, 07. Cit., tav. BC, 2, e MILANI, Studi e Mat., vol. II, p. 61, fig. 227
e fig. 8 di questo artic. Strano il fatto che ambedue i conetti sono spezzati in due,
come da un colpo di mazza che così nell'uno come nell'altro rovinò anche la parte
superiore. Una specie di tronco di piramide con gli angoli smussati e con la iscri-
zione tinia tinscvil sacirsacni (?) è conservato nel Museo comunale di Bolsena; fu
trovato al Castello.
(2) Potrei se non altro accennare a queste parole del MILANI (Notis. degli Scavi,
1884, p. 272, n. 1: « La stessa dea Vesuna credo doversi riconoscere nella figura
frammentaria del frontone di un tempietto orvietano (tempio augurale), da me altra
volta chiamata Arianna (MILANI, 7 frontoni di un tempio tuscanico scoperti in Luni

nel Mus. di Ant. Class. di Comparetti, parte I, p. 5, nota 2, fr. c.). Per la descrizione ‘

di questa figura vedi GAMURRINI, A72. Inst., 1881 (Vulsini Etrus.), p. 51 (Baccante) ».
(3) PROPERZIO, V, II, 21-48.

CLA EFE 77 ,

- "AYYTHECÓO
AA —— pA

= 46 P. PERALI

II.

Riproducendo un cippo di nenfro nella necropoli di Car-
nicella (fig. 6) che rappresenta una testa la quale è di anti-
chissimo stile etrusco e del tutto imitato su quello egizio (1)
(Gamurrini), lo confronto con la statuetta di Venere trovata
fra le rovine di un sacello nella stessa necropoli (2).

.I tipi raffigurati dalle due statuette si somigliano, le ac-
conciature dei capelli si differenziano. Nel cippo più somi-
glia al costume egizio, nella statua per la tenia sottile che
cinge la chioma, più al costume greco antico. Ma il tipo raf-
figurato nelle due sculture è il medesimo e si potrebbe chia-
mare egizio. i

Il Gamurrini disse la statuetta opera Fenicia o Cipriot-
ta (3), ma sopratutto in essa riconobbe un concetto ed una
esecuzione orientale.

Il Kórte invece (4) la reputó greca antica, insistendo
sulla provenienza del marmo in cui è scolpita da una delle
isole greche (5). Tralasciando la questione del marmo, osservo
che tanto il Gamurrini quanto il Kórte, a parer mio, possono
aver colpito giusto, ma ad un patto, che il primo riconosce
non potersi asserire esser quelle figurazioni e quei tipi frutto
della importazione, e l'altro dichiari chiaramente che cosa
intenda per archaisch griechischen Kunst.

(1) Boll. Acc. Nuova Fenice, 189), n. 1, p. 22. Il GAMURRINI lo dice: « di tufo
vulcanico locale » invece é di nenfro.

(2 GAMURRINI, Notis. degli Scavi, 1885, p. 33 e seg. e tav. I-V e KónTE, Uelber
eine altgriechische Statuette ecc., con una tav. (1893). SITTL., 0p. Cil., VIa,6b;Vb,2a:

(3) Notiz. degli Scavi, 1885, p. 38, 39, n. 1 (a p. 37 scrisse che la statuetta ha il
tipo semitico: voleva forse intendere cantico.

(4) Ueber eine altgriechische ecc. a p. 23. A Bolsena molti frantumi di statue
rinvenuti negli scavi sono del medesimo marmo friabile che la nostra Venere, come
anche dello stesso marmo sono vari frantumi bolsenesi di capitelli e di ornati. Do-
veva appartenere quel marmo a cave qui vicine ora perdute. Con tutto ciò non vo-
glio affermare che la Venere di Cannicella é di fattura locale. Mi basta si riconosca
come l'argomentazione basata sulle caratteristiche del marmo, nulla dimostri.

(5) Op. cit., p. 24. ORVIETO ETRUSCA 47

Nell Etruria dei secoli più antichi (VIII-VI) quei tipi e
l’acconciatura del cippo si trovano rappresentati con somma
frequenza; anzi dirò che nei buccheri orvietani essi sono i
soli raffigurati. i

Come saggio presento tre buccheri del Museo Faina
(fig. 1). Nel vaso frammentario di questo gruppo, appare ni-
tida intorno al collo in caratteri abbastanza arcaici l iscri-
zione:

minemulvunukelarisnumenas .

Di questa inserizione e di un'altra simile ho. fatto una
breve critica e ho dato l'interpretazione io stesso nella « Mi-
scellanea di Erudizione », Rivista pisana (fasc. II, 1905).

Nei vasi che ho riprodotti non si hanno che tipi e ac-
conciature somiglianti ai tipi della statua e del cippo, e al-
l’acconciatura del cippo.

Non credo superfluo far osservare quanto importi tener
conto della concomitanza sur uno stesso vaso di quei tipi,
di quello stile e di quella inscrizione. Ciò può dare argo-
mento a ritenere che quei tipi, quello stile e quella lingua
appartenessero ad uno stesso popolo.

Ma nella ricchissima sala dei buccheri del museo Faina,
oltre agli innumerevoli vasi, dove sono riprodotte le mede-
sime figurazioni di cui ho dato un saggio, vi sono anche tre
tazze (1) cinte da un fregio alto circa 3 cm., dove a mi-
nutissimo rilievo sono raffigurate scene e movenze che ben
a diritto si possono comparare con le egiziane. La minutezza
del disegno mi impedisce di riprodurle. i

E anche vasi di stile Tirreno-Egizio (Gherhard) lisci, ma
con finissima pittura policroma, dei quali, per quanto estra-
nei alle nostre necropoli, uno riproduco (fig. 8) per far ve-

(1) KORTE, 02. Cit., p. 63; CARDELLA, Museo Etrusco Faina; p. 60, n. 257, 258;
p. 61, n. 323 bis; MONTELIUS, 0p. cit., tav. B 243, 2; MARTHA, 07. Cit., fig: 303.
48 P. PERALI

dere come anche in questo stadio dell'arte figulina predomi-
nassero quei tipi e quelle figurazioni. Ma lunguentario di
argilla roseo - pallida (fig. 5, 5) è della necropoli Mancini, e il
Kérte afferma che rappresenta un tipo arcaico etrusco (1).

Dei tre canopi che riproduco (fig. 9), i primi due son
di Chiusi (2), il terzo (che io ritengo più arcaico degli altri) è
dei dintorni di Orvieto (3). Mi basta di far rilevare come
| uso e l'arte di questi canopi si riavvicini ad un uso e ad
un'arte egiziana ed orientale e come l' acconciatura dei ca-
pelli sulla testa del terzo canopo sia la stessa che sulla te-
sta del cippo (fig. 6).

E la grandiosa testa del Lucumone (fig. 10) (così la disse
il Mancini, quando la rinvenne in una tomba della necro-
poli), che porta una arcaicissima inscrizione:

Larscupresaranthia,

mentre si puó ravvicinare, pel tipo che rappresenta, alle
sculture di Vetulonia e al guerriero di Ravenna (4), non. si

(1) Op. cit., p. 60; CARDELLA, 07. Cif., p. 18, n. 414. È detta di stile egsto.

(2) Del secondo non convengono fra loro testa, olla e seggio; CARDELLA, 07. C%.,
p. 7, n. 1, 2. Vedi altri vasi cinerari chiusini in Mus. 4t. di ant. class., vol. I, pun-
tata III, tav. e in MONTELIUS, 07. Cit., B 219-228.

(3) CARDELLA, 0D. Cit., p. 24, n. 570. Questo io lo confronto con i ca210pi egiziani
(PERROT et CurPriEZ, Histoire de l'art dans L.Antiq., I, p. 308 e fig. 196) e all’ altro
ossuario di Siena descritto dal MILANI (Mus. Ital. di Ant. Classica del Comparetti,
vol. I, parte III, p. 320 e tav. XII, 3) che egli mette al secolo VII-VI, ma che classifica
con altri ossuari ad olig. Lo reputo più arcaico di quegli ossuari che il MiLANI mette
in quel gruppo, perché più si ravvicina al ca70po egizio, perché ha la caratteristica
disposizione alla egiziana della capigliatura, e speciale crudezza nei tratti. Quello
che dico per l'ossuario senese valga anche per l'ossuario orvietano, che dal senese
differisce solo per aver eguali le due orecchie, e per aver ambedue le braccia in-
crociate sul petto invece che una piegata sul petto, l'altra sul ventre, e per non
essere dipinto. Si possono far confronti anche con i vasi di Hissarlyk: SCHLIEMANN,
Ilios, p. 273, 328, 383, 386; e SiTTL, Atlas III b, 10 a, 70 c.

(4) MILANI, Studi. e Materiali di Arch,, vol. IT, tav. III; FABRETTI, Corp., tav. V,
n. 49; MONTELIUS, 0p. cit., B 203, 6. La testa orvietana fu pubblicata dal MARTHA, 0p.
cit., p. 213 e Not. d. Scavi, 1887, p. 342 e tav. VII, 9. ORVIETO ETRUSCA 49

può disgiungere dai tipi dei nostri buccheri e del nostro cippo
riprodotto dal Martha (1).

Il Sergi (2) pubblicò la fotografia di un teschio della
nostra necropoli e lo chiamò platicefalo orbicolare. Non mi
è stato possibile di rintracciarlo, ma per completare la mia
esposizione suntuaria, pubblico (fig. 11-12) due teschi della
nostra necropoli i quali, secondo le classificazioni del Sergi (3)
dovrebbero stare fra gli sfenoidali. Ho potuto avere anche
due fotografie (fig. 13, 14) di un teschio che non mi è stato
possibile di rintracciare, ma che mi affermano essere stato
trovato in una tomba etrusca.

La presenza nelle nostre tombe delle due diversissime
forme craniche costringe, secondo la teoria del Sergi, ed am-
mettere la presenza di due razze diverse. Ma, considerando
come nelle figurazioni dei buccheri, nelle rudi sculture e in
genere nelle rappresentazioni artistiche più arcaiche della
fisonomia umana, predominino tipi e costumi simili agli egi-
ziani, e come questi tipi, secondo ogni ragionevolezza (4),
siano quelli che corrispondono alle forme craniche sfenoidali
potremo affermare che queste furono le caratteristiche della
razza che nei tempi più antichi predominò in Etruria; men-
tre quando più tardi nei secoli V, IV, III, abbiamo la pit-
tura murale (5) i lineamenti della razza in antico predomi-
nante si sono misti e si sono fusi con i tipi di un'altra
razza. E riesce vano ogni sforzo per distinguerli, perché se,

(1) Op. cit. (fig. 179), e MONTELIUS, 02. cit., B 248, 5.

(2) Arii ed Italici, p. 125-26, Platicefalo Orbicolare, Indice cefal. 83°; ' HOLDERER
lo disse Twranico.

(3) Op. cit., p. 121 (Ellissoidi). Vedi SERGI, Specie e varietà wmane (Classifica-
zione) e p. 198, 203. Vedi anche: GIOVANNOZZI, Di alcuni crani etruschi della necro-
poli di Orvieto, Arch. per VAntrop., XXXIII. 1903, fasc. 3 (estratto); e NICCOLUCCI,
Antropologia del? Etruria, p. 5, 8, 34, 35, 49.

(4) SERGI, Specie e Varietà, p. 138 e Arii ed Italici, p. 121.

(5) CONESTABILE, Pitt. Mwrali, ecc.; CARDELLA, Le tombe degli Hescanas e
MARTHA, 02. Cit.

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come avvisa il Sergi (1) le forme dei erani si perpetuano,
i muscoli che danno i tratti caratteristici del volto in gran
parte si adattano e si trasformano.

| Ma la unità, o meglio la mista pluralità dei tipi delle
nostre pitture murali puó dimostrare che se anche nei primi
tempi, delle due razze l'una fu padrona e schiava l'altra,
negli ultimi secoli e piü splendidi della civiltà etrusca pa-
droni e servi non erano distinti per razza. Nelle figurazioni
pittoriche si riconoscono e si distinguono solo dai vestiari e
dagli atteggiamenti. Pure se nelle tombe del periodo più an-
tico predominano oggetti (buccheri) e sculture con figura-
zioni da ravvicinarsi ai tipi egizi, e sovrana ed imperante
quella forma e quella tecnica delle costruzioni, che mentre
può somigliare alle forme e alla tecnica del periodo pre-
miceneo e miceneo (2) ha anche tanti punti di contatto
con tecnica e stile egiziano (3); invece troviamo che i templi,
per quanto costrutti con la tecnica delle tombe (4) hanno
decorazioni e figure che sempre piü si allontanano dal co-
stume egiziano e si avvicinano al greco.

Ma riproduco due antefisse (fig. 15) dei nostri tempi
dove sotto una incorniciatura decorativa alla greca, e di piü
sotto un'aeconciatura alla greca, appaiono due tipi simili a
quelli dei buccheri e differenti e contrastanti con quelli so-
liti a vedersi in tali ornamenti dei tempi etruschi orvie-
tani (5). |
Come spiegare quell'aura di puro arianesimo che spira
sull'arte dei tempi etruschi?

Credo che a tal uopo si debba tener conto dell'epoca

(1) Op. cit., p. 101 e seg. ;

(2) PERROT et CHIPIEZ, vol. VII; MARTHA, 0D. Cit.

(3) PerroT et CHIPIEZ, vol. I; ManTHA, Op. Cit; GAMURRINI, Bolt. Acc. Nuov.
Fenice, 1890, n. 1, p. 22 e altrove. ;

(4) Lastroni di tufo senza cemento, ecc.

(5) GAMURRINI, Vulsinii Etrusca ecc., p. 44-54 e Notis. degli Scavi, 1885, p. 33
e seg. e tav. IV, V; e KORTE, Ueber eine ecc. ORVIETO ETRUSCA 51

relativamente tarda in cui quei delubri furono costrutti, e
si debbano ricercare le origini e le trasformazioni dei miti
in Etruria. |

Nella sala dei bronzi del museo Faina (1) viene conser-
vato un piccolo disco (fig. 16) (diam. cm. 15) nel quale il
Kérte (2) trovò connessi e confusi due miti: l' Ercole fenicio
assiro e la Gorgone greca. Ma quando egli scriveva (1877)
non ancora era avvenuta la scoperta dell'Antro di Zeus Ideo
a Creta tutta gloria italiana (3). Quegli scavi ci diedero un
grande scudo di bronzo nel quale il Milani (4) volle vedere
rappresentato luomo primigenio. Non faccio i paragoni, in-
dico le fonti per chi volesse attingervi; solo faccio notare
come oramai sia riconosciuto tanto per Melgart (Ercole As-
siro-Fenicio), come per A4 (Egizio), per Suwtekh (Hetheo), per
Gilgames (Caldeo) che le belve dominate o ammansate dal-
l’uomo son parte integrale del mito (5).

Ora perché nel bronzo orvietano, dove é riprodotta una
azione somigliantissima a quello del bronzo cretese, e a
quella dei cilindretti assiri e fenici (6), delle gemme mice-
nee, (7) le due. belve dovranno essere messe li « per riem-
pire lo spazio vuoto », come dice il Korte? (8)

Sono invece parte essenziale del mito. E la figura é di
sesso maschile perché appunto nella mossa e nell'azione si
ricollega a figurazioni orientali di una divinità maschile. Ma

il Kórte disse (9) che la testa gorgonica fu sovrapposta a

(1) CARDELLA, 09. Cit., p. 30, 4-4D.

(2) KÒORTE, La necr. ecc., p. 64-67 e Arch. Zeitung, 1877; MONTELIUS, La civil.
prim. in Ital. (1904), B 247, 1.

(3) HALBHERER ed ORSI (Mus. di Ant. Class. del Comparetti, vol. II, punt. III)
e Atlante Ideo.

(4) Atlante Ideo, tav. I; MILANI, Studi e Mat. ecc., vol, I, parte I, tav. I, n. 1 e
p. 3-5, vol. II, p. 23 e seg.; e SITTL., OD. Cil., VII d, 4 a.

(5) Vedi SITTL., 0p. cit., tav. V, b. 1.

(6) MILANI, 0p. cit., vol. I, parte I, p. 4, n. 11, fig. 3-4 e nota 12, tav. I, n. 6, 8.

(7) MILANI, 0. Cit., vol. II, p. 24, fig. 145 e p. 1, fig. 99.

(8) Op. cit., p. 65. ;

(9) Op. cit., p. 65-66.

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vi
59 P. PERALI

quella figura perchè E artista non aveva più chiara l'idea
dell’Ercole Fenicio. Io invece, considerando che in Etruria è
molto frequente tale rappresentazione del mito misto (1) ri-
tengo che questo sia uno dei casi in eui si debba studiare
l’infiltrazione e la sovrapposizione di un mito greco ad un
altro preesistente ed in parte persistente o Assiro, o Fenicio,
o Caldeo, o Egiziano o forse anche Hetheo.

Che poi il bronzo in questione non sia molto arcaico
come dice il Kórte (2) non oserei affermarlo, che anzi la
decorazione circolare a palline rilevate e a puntini incavati,
(un poco somigliante a quella di alcuni scudi cretesi) (3) mi
dà argomento per affermarne E arcaicità.

Altre molte osservazioni avrei da aggiungere sulle an-
tichità etrusche di Orvieto e mi sorriderebbe I' idea di trarne
qualche affermazione d'’ indole generale; ma, né la natura
del periodico, nè la esiguità del materiale esaminato in que-
sto articolo me lo permettono: sarà per un'altra volta.

Pisa, aprile 1905.
PERICLE PERALI.

(1) MIcALI, Art. Mon., CII, 0,7; XXII; VERMIGLIOLI, Saggi di Bronzi, p. 09;
HELBIG, Ann. Inst., 1880, p. 230; MILANI, 0p. Cit., vol. I, parte 1, p. 24, fig. 24.
Anche un'agata di Corneto Tarquinia (MILANI, 0p. Cit., V, II, p. 24, fig. 147);
MONTELIUS, 0p. cit., B 247, 2; B 252, 17; B 204, 8; B 337, 12.
(2) Op. cit., p. 66.
(3) Atlante Ideo, tav. II-VI e MILANI, 07. Cit.. vol. I, parte I, tav. I, n. 7, 15. TOMMASO PONTANO

(NUOVE RICERCHE ED APPUNTI)

Gli studi recenti hanno diradato alquanto le tenebre che
avvolgevano la vita di Tommaso Pontano, togliendo di mezzo
incertezze e confusioni e precisando alcune circostanze bio-
grafiche che non si conoscevano bene (1). Tuttavia restano
ancora da colmare molte lacune, le quali sono tanto più de-
plorevoli perchè egli non fu tra gli ultimi e meno pregiati eru-
diti del suo tempo. Orbene, qualche nuova circostanza e qual-
che nuovo dato ci possono essere offerti da alcuni documenti
dell'Archivio Comunale di Perugia, che mi furono con grande
cortesia comunicati dal professore Alessandro Bellucci, e da
una serie di lettere dello stesso Pontano, rimaste finora
inedite nelle biblioteche Vaticana e Marciana.

IB

Dai documenti perugini, e precisamente dalla nomina
di Tommaso Pontano a cancelliere del Comune, risulta an-

(1) L. MANZONI, Zommaso Pontano in Giornale Stor. Lett. Ital., XXXI1I, pag. 139,
47. — R. SABBADINI, Tommaso Pontano e Tommaso Seneca, id., XVIII, pag. 228. —
A. ZANELLI, Ancora di Tommaso Pontano e di Tommaso Seneca, id., XXXIII, pag. 347.
— KARL. MUELLNER, Reden und briefe italienischer. Umanisten. Vien, Alfred Holder,
1899 (Cfr. Recens. di V. Rossi in Gior. Stor. Lett. Ital., T.» XXXVIII, pag. 174) — A. SE-
GARIZZI, Niccolò Barbo, id., XLIII, pag. 46-47, al quale porgo qui i più vivi ringra-
ziamenti per le ricerche fatte per me nella Marciana.

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zitutto che egli era veramente di Camerino (1), la qual cosa
non appariva chiara, come fu già osservato, dai passi di
documenti e di attestazioni di contemporanei citati dal conte
L. Manzoni (2). Ma se il Pontano fu camerinese come il suo
omonimo Tommaso Seneca, devesi peró stare bene attenti di
non attribuire al primo fatti che si riferiscono alla vita del-
laltro. Erró quindi il Manzoni, come avevano prima assai
di lui sbagliato il Vermiglioli ed il Bini, asserendo che il
Pontano insegnava in Perugia nel 1428 (3). La deliberazione
stessa di nomina conferma quanto già provammo con la
scorta di due provvisioni del Consiglio di Brescia (4); in essa
difattisi parla, è vero, del Pontano come de viro optimo et
eloquentissimo, ma come di persona della capacità della quale
facevano testimonianza il Papa ed il Governatore che lo
raccomandavano, e appunto per compiacere a loro il Consi-
glio di Perugia lo chiamava all’ importante ufficio di cancel-
liere del Comune e di lettore nello Studio. Ora se egli già
avesse insegnato colà, pare a noi che o si sarebbe ricordato il
Suo precedente insegnamento o quanto meno si sarebbe
| parlato di lui come di persona ben nota e famigliare ai pe-
rugini. Tanto piü quindi ci confermiamo nella nostra con-
vinzione che il maestro insegnante a Perugia nel 1428 fosse
Tommaso Seneca, e che il Pontano vi sia stato per la prima
volta chiamato quale cancelliere e lettore solamente nel 1440.

II.

Egli fu assunto con lo stesso stipendio di 180 fiorini che
aveva Ser Matteo; ebbe inoltre 40 fiorini netti di ritenuta

(1) Vedi in appendice il testo della deliberazione di nomina, tratto dall'Archi-
«vio comunale di Perugia, Annali Decemvirali, 1440, c. 34 r-35 v.

(2). ZANELLI, op. cit.

(3) VERMIGLIOLI, Memorie di Francesco Maturanzio. Venezia, 1807, pag. 140 e
seg. — BINI, Memorie storiche della perugina università. Perugia, 1816, pag. 540 e seg.
(4) ZANELLI, Op. cit. TOMMASO PONTANO, ECC. 55

di gabella eon tutti gli altri emolumenti, doni, onori, oneri,
potestà ed arbitrio consueti; doveva però leggere, senz’ altra
mercede o salario, ordinarie în arte et facultate oratoria tutti
i giorni feriali, tenere presso di sè in casa famüliariter et
benigne e mantenere a sue spese Ser Giovanni di Luca da
Spoleto (1) quale coadiutore di cancelleria, corrispondendogli
un salario di 30 fiorini e parte degli emolumenti, degli onori
e degli oneri derivanti dalla cancelleria, con 1 espresso di-
vieto di modificare in qualsiasi modo questi obblighi verso
il suo aiutante.

Il Pontano ricevette la consegna dell'ufficio il 17 otto-
bre (2) e corrispose tanto bene all’aspettazione del Consiglio,
che l'anno dopo, nel '41, i priori ed i camerarii « animadver-
« tentes egregiam virtutem, fidem et probitatem et in omni-
« bus rebus solertiam et diligentiam famosissimi artium do-
« ctoris et in arte oratoria peritissimi domini Thome Pon-
« tani... », gli aumentarono lo stipendio di 36 fiorini in ragione
di 40 bolognini per fiorino « ad decus, famam et exaltationem
« huius magnifice civitatis », aggiungendogli peró l'obbligo
di fare un registro di tutti i bollettini dei priori e dei con-

(1) Lo stesso maestro che nel '28 era stato presentato come supplente da Tom-
maso Seneca, quando questi partì da Perugia. Vedi MANZONI, op. cit. — Crediamo
però che esso non si debba confondere con quel Giovanni da Spoleto che nel 1396
era chiamato ad insegnare e leggere Dante nello Studio senese e che nel 1421 era
pure per la seconda volta chiamato ad insegnare a Pistoia (Vedi ZANELLI, Del pub-
lico insegnamento a Pistoia dal secolo XIV al XVI. Pistoia, Tip. Flori, 190).

(2) « Die Iovis, VI octobris. — Veniens ac personaliter constitutus existens co-
ram prefatis magnificis dominis prioribus... vir egregius et doctiloquis do. Tomas
Pontanus dudum electus et deputatus in cancellarium dicti comunis... asserens ple-
nariam informationem habuisse de dicta electione de eo facta, ideo in Dey nomine
ipsam electionem grato animo acceptavit, asserens se paratum ex nunc facere omnia
que ad dictum officium cancellarie pertinent et spectant et omnia alia et singula de
quibus in dicta electione fit mentio... ». (Annali Decemvirali, 1440, c. 82). Seguono
nello stesso registro l'ordine a Pietropaolo ser Nuti di consegnare al Pontano le
chiavi della Cancelleria e. tutti i libri ivi esistenti e.l' atto di consegna, il quale fu
pubblicato insieme con l'inventario dal chiaris. DEGLI Azzi in appendice alla dotta
memoria: Per ia storia dell’antico archivio del Comune di Perugia nel vol. X
(pag 22-90, doc. IX) di questo nostro Bollettino:

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56 A. ZANELLI

servatori della moneta del Comune (1) Nello stesso anno,
come fu già ricordato dal Manzoni, ottenne anche la citta-
dinanza perugina; fu poi riconfermato nell'ufficio nel '42 e
nel '46 per altri cinque anni, di cui però non vide la fine
perché nel 30 luglio 1450 venne a morte.

IV.

Ma della sua vita durante il decennio che fu in Peru-
gia, dei suoi studii, delle sue relazioni con gli amici, della
parte che prese come cittadino alla vita pubblica, che sap-
piamo noi? Qui pur troppo le incertezze e le lacune si ac-
cumulano, perché i documenti o tacciono o mancano addi-
rittura e gli scritti del Pontano non ci lasciano intravedere
che molto incertamente alcuni momenti o poche circostanze
della sua vita. E in che consistono questi scritti ?

Giustamente deplorava il Manzoni che di essi poco o
nulla noi conoscessimo; difatti di lui sino a poco tempo fa
erano note tre sole lettere pubblicate dal Martène. Poi il
Sabbadini ne trovò parecchie altre in alcuni codici va-
ticani e di due di esse recò anche qualche passo. Il Muell-
ner pubblicò più tardi la lettera ad un certo Pasquale figlio
di Stefano (?) che insieme ad altra diretta a Carlo Aretino
ed a due orazioni si trovano nel codice Casanatense 294,
e finalmente nel citato fasc. 127° del Giornale Storico della Let-
teratura Italiana il Segarizzi, nella pregevole memoria intorno
a Niccolò Barbo, diede notizia di alcune lettere scambiate tra
il Pontano ed il Barbo, che sono in un codice della Marciana
di Venezia. E questo è tutto quanto conosciamo fino ad oggi
di scritti del Pontano!

Nè possiamo dire che lo scarso materiale ci offra almeno
dei dati sicuri. Per la maggior parte le lettere sono difatti
senza data e senza nome di destinatario; di quelle del cod.

(1) Annali Decemv., 1441, c. 34-35. TOMMASO PONTANO, ECC. i 51

Ottob. alcune sono datate da Perugia, altre da Foligno, dal-
l'agro pontano o da Roma; i destinatari nominati sono: Mar-
silio da Trevi (1), Carlo Aretino (2), Niccolò [ Barbo] (3), Andrea
|da Fano] (4, Francesco Patrizio (5); di altri personaggi si fa
il nome nel contesto delle lettere: sono ricordati Leonardo
[Bruni], Leonardo e Bernardo Giustiniani, un Callimaco (6) ed
un Melchiorre (7). Ma nè questi accenni nè altre allusioni ba-
stano a precisare la data delle lettere e non ci consentono di
ordinarle cronologicamente. Onde, pur troppo, la luce che da

(1) Lett. II, XXI, XXVII, Cod. vaticano, Ottob. 1677.

(2) Lett. XI, Id. Fu in parte pubblicata dal SABRADINI nella cit. memoria.

(3) La lettera é diretta ad un Niccolò, e molto verosimilmente a Niccolò Barbo,
col quale il P. era in buona relazione. Cfr. SEGARIZZI, Op. cit.

(4) Lett. XXXV, Id. Anche qui siamo nel medesimo caso di prima. Devesi av-
vertire che nella lett. XX egli incarica il suo corrispondente di salutare « virum
spectabilem Andream de Fano ». Di questo Andrea da Fano, che il Lanzi nella Sto-
ria del Comune di Spoleto (Foligno, 1884, pag. 16-17) ricorda come famigliare di Eu-
genio IV, e del quale il FuMI (R. Archivio di Stato in Roma, Camera Apostolica,
Tesoreria di Perugia e dell'Umbria in Bollettino Umbro di Storia Patria, vol. VI, pa-
gina 50 e seg.) ci dà il casato de Pilis, trovansi parecchie indicazioni nei Mazdata
Camerarii 1437-43 del R. Archivio di Stato in Roma e nei Registri Introitus et Exi-
tus Rev. Camerae dell'Archivio segreto Vaticano, da cui apprendiamo che quale
scutifero del papa Eugenio IV fu sovente mandato fuori di Curia per affari politici.
Così nel 1440, gennaio, andò a Narni (Mandata Cam. Arch. Stato, Roma, c. 182); altra
volta, nel 1441, 8 settembre, fu mandato a Roma presso il Cardinale legato; nello
stesso mese fu presso Alfonso d’Aragona; nel dicembre gli furono pagati 61 fiorini
per essere andato da Galeazzo di Mantova; nel 42, aprile, fu due volte a Perugia,
nel 12 luglio fu presso Niccolò Piccinino e l’appostazione del registro combina col
ricordo del LANZI (op. cit.) il quale scrive che appunto in quei giorni Andrea da
Fano faceva giurare dagli abitanti di Cerreto fedeltà al Piccinino. Lo troviamo quindi
ricordato come tesoriere di Perugia in un ordine di pagamento di fior. 30 (1446, 27
dicembre) per spese da lui sostenute nel recarsi in luoghi diversi.

(5) La lett. XXXVI, Id., Id. Cfr. Bassi, L’epitome di Quintiliano di Francesco Pa-
trisio senese in Rivista di Filologia ed Istruzione classica, XXVI, fasc. 7-8, pag. 385
e seg.

(6) Credo che per ragioni di tempo debbasi escludere assolutamente che il P.
accenni al Callimaco detto Esperiente, che nacque nel 1437 (Vedi UjELLI, La vita e
i tempi di Paolo Dal Pozzo Toscanelli (Roma, 1894, pag. 178).

(7) Sarà il Melchiorre Bandini, segretario di Eugenio IV, di cui fa il nome il
MARINI, Archiatri Pontifici, vol. I, nota a., pag. 154, o piuttosto quel Melchiorre di
ser Cecco da Fossato che nel 1459 fece istanza ai magistrati perugini per avere la
condotta di una scuola di grammatica esponendo di avere per 12 anni servito que-
sta città? (Vedi Bini, op. cit., pag. 600, nota g.).

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A. ZANELLI

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esse puó venire é, come si puó fin d'ora comprendere, assai

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Tuttavia, anche così come sono, non può negarsi loro
del tutto ogni valore; meglio gli sprazzi di luce che l’ oscu-
rità completa. E perciò appunto noi verremo scegliendo dalle
lettere tutto quello che in qualche modo possa contribuire a
far maggiormente conoscere la vita e l’animo del Pontano.

V.

In tre lettere egli parla del suo stato: ma tutte tre sono
senza data e senza indicazione del destinatario, nè è lecito
arguire a qual tempo si riferiscano. Nella prima (secondo
lordine che hanno nel codice Vat. Ottob. 1677) scrivendo ad
un amico perchè rompa il lungo silenzio, « ne noster im-
« mensus amor aliqua ex parte refrigescat », soggiunge di
« sè: Ego vero ea felicitate fruor, que est a viro probato et
« litterato desideranda. Nam nec nimium habeo nec plur:
« desidero. Benivolentia civium. tanta in me est, quantam | op-
« tare decens fasque est. Valeo ab animo et a corpore. Musas
« amplector et mihi habundans ocium, legendo etiam aliquid
« proficio; quid ultra desiderem aut cupiam nec scio, nec
« si scirem bona mens et sapientium institutiones haud per-
« mitterent, quorum auctoritas in ducenda vita plurimum
« valere debet. Habes igitur Pontani tui depictam vitam
« ac mores; cupio tuam inspicere... Vale, dimidium anime

« mee » (1).

Ma questa contentezza appare offuscata in una lettera
successiva (VII del Cod.), nella quale trae argomento da certe
dicerie corse in città in seguito ad una sua assenza per de-
plorare lo stato di servitü in cui si trova: « Divinabam hos
« cives moleste laturos absentiam meam, et vera fuit vatici-
« natio. Nam postquam huc redii, audivi nescio quos ser-

(1) Lett. IV, c. 07.
TOMMASO PONTANO, ECC. 59

« mones circumferri qui mihi non placuerunt, quare oro ut
« me excusatum habeas si clam me subduxi. Nulla enim
« maior mihi voluptas esse potest, quam tecum esse et ob-
« versari, modo possim clare. Nonne vides que tibi libertas
« est agendi quod velis, mihi est mera servitus? Igitur in-
« sipiens servus est qui vult se domino comparari; si daretur
« facultas, te atque Callimacum in ocio et animi voluptate
« longe superarem. Verum vivendum est cum istoc Catone
« et iugum molliter ferendum ‘et eo magis quia in eo aliqua
« lucri dulcedo atque suavitas est, que interdum animum
« oblectat meum. Vobis vero parta quies est! nullum maris
« equor arandum est neque vi et labore domanda pauper-
« tas, maximum teterrimum malum; mihi vero cum ege-

^

state diurnum ac nocturnum certamen. Attamen spero
clava Herculis hoc foedum monstrum subigere, modo mihi
« numen tuum non desit qui mihi Jupiter et presens Deus..;
si Pontano unquam dies serena affulserit, cognoscent amici
quam magnus et clarus vir sim. Interim faba rodenda
et versandus lapis ac porro et cepe traducenda vita, ut

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possim deinde phoenicoptero et accipensere uti et Venere
« et pluma Sardanapalli » (1).

A qual’epoca debbonsi assegnare queste due lettere cosi
diverse nella loro intonazione, tanto serena l'una quanto me-
lanconica l'altra? L'allusione, prima, alla benevolenza dei
cittadini e, poi, al malcontento di costoro per l'assenza del
Pontano ci fanno credere che siano state scritte quand'egli
era stato nominato lettore. Ma noi sappiamo che prima di
andare a Perugia fu maestro a Bologna e a Firenze; è però
anche certo che mentre a Firenze non riscuoteva che un
salario di 70 fiorini, a Perugia ne ricevette sin da principio
180. Non potremmo dunque supporre che la prima delle due
lettere fosse posteriore alla seconda e che in questa il Pontano

^

(1) Lett. VII, c. 68.

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60 A. ZANELLI

manifestasse la sua compiacenza per aver finalmente trovato
quel posto che gli concedeva anche agio di studiare?

Da questo agio, che egli chiama ocewm, appunto trae
argomento la lettera XVII (c. 74 v. e 75 r.) « Postquam
« ocium nactus sum quod excogitabam, institui referre me ad
« grecas musas que me semper precipue delectarunt et qua-
« rum a teneris amantissimus fui, et quoniam librorum summa
« hic penuria est, ad florentinas bibliothecas confugere de-
« crevi, tua tamen ope et opera precipue confisus quam oro
« diligenter adhibeas... Quod autem volo in hac re agere ea
« est. Abbas monasterii Sancti Petri scribit ad florentinum
« abatem ut huc ad nos mittat greca volumina duo, pro
« quibus vir probatissimus Laurentius noster fideiussit libere.
« Ea sunt Plutarchi vite alique et Ovidii metamorphoseos
« quem grecus quidam doctissimus e romana in sua lingua
« translavit et egregie quidem. Hi libelli velim ut tua opera
« quam primum ad nos deferantur... ».

E per quanto le crescenti occupazioni gli facessero or-
mai sentire il peso dei doveri d'ufficio e d'altra parte l'af-
fliggesse il pensiero di invecchiare veluti ludi magister in pulve-
rem, mentre altri del suo ordine conseguivano magistrature
e dignità, tuttavia nell’ozio degli studii egli ritrovava ancora
due grandi consolazioni com’egli scriveva nel passo seguente
in una lettera che ci sembra del '46 (1): « ...Una quod habeam
« ex antiquitate romana et Atheniensi viros omni laude di-
« gnos quos imiter et qui hoc ocio delectati sunt; altera que
« est mihi multitudo audientium copiosa et electa ex omni
« natione, adeo ut nec Isocrati cedam nec Hermagore. Ista

(1) La lett. (c. 70-71) comincia col dire che nulla di nuovo aecadde degno di nota,
e con lo scusarsi perché la lettera precedente sia stata non tanto gioconda, osser-
vando che ogni qual volta egli deve parlare « aut de excidio patrie aut de prodito-
ribus nefandissinis ..... », non puossi astenere dall'usare parole acerbe, Ora in altre
lettere, come si dirà appresso, egli parla a lungo d'un traditore e dal contesto
di esse ci sembra che si riferisea veramente a fatti accaduti nel 1440, quando era
governator di Perugia il Vescovo di Mantova.

SI in TOMMASO PONTANO, ECC. 61

« sane non parum mihi laborem leniuntur, quoniam huius-
« modi exercitio est adiuncta honesta fama que a viris bonis
« non est omnino repudianda. Vobis autem qui in tranquil-
« liore portu navigatis et quibus magis benigne fortuna arrisit
« quam mihi, non modo non invideo sed gratulor, maxime
« Callimaco viro in primis qui ea libertate vivendi utitur
« que viro erudito digna est et quam non potest nisi eximia
« virtus prestare Pontano, ut meritus est... ».

VI.

Ma oltreché agli studii, trovansi nelle lettere qua e là de-
gli accenni anche alla vita privata.del Pontano, a parenti, amici
e discepoli, alle pubbliche vicende? Gli accenni non man-
cano, sebbene sovente sieno vaghi ed indeterminati. In una
lettera (XV c. 73 e v.), datata « ex agro pontano, festine et
« sub umbra » si scusa dell’assenza prolungata oltre il giorno
fissato e prosegue: « ...Absolvi quidem tandem serius quam pu-
« taram; nihil superest nisi ut in possessiunculis paternis dos
* sororis collocetur, cuius rei existimatio biduo absolvetur;
« deinde illico iter accipiam et advolabo ad M. D. V. ve-
« stram. Feci nuptias pro conditione mea satis opulentas ;
liber sum omni pede, ut aiunt, potero in posterum libero
« animo D. V. inservire.. ». Dalla quale lettera credo che si
possa desumere che i Pontano erano probabilmente originari
da un umile villaggio de ponte, come osservó il Rossi (1), che
ivi esistevano ancora i beni paterni, nei quali si investiva
la dote della sorella. Alle nozze di costei poi per certo allude
la frase « feci nuptias pro conditione mea satis opulentas »,
ché male si accorderebbe con l’altra « liber sum omni
« pede » se volessimo credere che il Pontano parlasse delle
sue proprie nozze.

^

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(1) Rossi, 7 Pontani e la loro casa in Perugia in Giornale d'erudizione arti-
stica, vol. IV, ottobre 1875, pag. 301 e seg.

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A. ZANELLI

Alla sua famiglia allude pure, ma sempre velatamente,
in due altre lettere. Condolendosi con un amico per la morte
di un fratello di costui, che aveva avuto come allievo ca-
rissimo fino dai teneri anni, e della quale si sentirono per-
cossi i parenti, gli amici, la patria, soggiunge: « Quid loquar
« de nostra familia? Que nisi optima iuventute substentetur
« et propagetur, impugnabitur tandem ab invidis et tempo-
« rum progressu ornamenta sua amittet et ad ignobilitatem
« decidet pontanum nomen ». (1). Di un Urbanus Pontanus,
per sangue e singolare amore a lui cogiunto si fa pure pa-
rola nella lett. XXVII (c. 80", 81") a proposito di un pegno
di due tazze d'argento, che questo parente aveva lasciato
presso un folignate a garanzia di una certa somma avuta
da lui. Il Pontano mandó per riscattare il pegno, ma il cre-
ditore cercó ogni pretesto per non restituirlo, onde, scri-
vendogli, si lamenta di questo contegno sconveniente, giac-
ché « non adeo tenues sunt res mee neque « adeo ignobile
« nomen, ut in reposcendis duobus stiphis fides abroganda sit ».

Una circostanza importante per la vita dello stesso Pontano
risulta poi chiara dalle due lettere XXXI e XXXVIII. Nella
prima, datata da Roma, die XIIII Aprilis 1447, si giustifica
con un amico di essere partito dalla città senza salutarlo. Ció
accadde, egli scrive, « non negligentia nec animi rusticitate,
« sed perturbatiuncula quadam, quod enim mihi negatum
« fuit quod multis rationibus ultro offerri debuerat, si recte
« me fidemque meam expendo »; si raccomanda quindi ad esso
per l'amicizia che gli porta, tanto più che molti cardinali in-
tercedettero per lui, specialmente il cardinale da Fermo (2),

(1) Lett. XXX, c. 75-76.

(2) Il Capranica già governatore di Perugia dal 1444, 19 decembre, al 1445, 30
dicembre. Vedi GRAZIANI, op. cit. e PELLINI, Storia di Perugia (Venezia, 1644, parte II,
pag. 539 e 551. "ctas

| TOMMASO PONTANO, ECC. 63

Morinese (1) e di quello di San Paolo (2), « qui pro me obnixe
« manibus et pedibus laborant. Si eveniet [continua] ut
« Spero, bene erit; sin autem, ero contentus sorte mea. Ora-
« tores nostri egregie expediti fuere et post biduum iter ac-
« cipient. Ego autem antea multos viros prestantes hic re-
« cognovi, complurium novam conflavi amicitiam et quod
« consilium ceperim audies a me. Scio te modeste et caute
« rem domesticam et publicam gubernasse, quod fuit gra-
« tum; ita enim de te sperabam non frustra factum erit a te.
« Vale ».

Il nostro erudito era dunque andato a Roma quando da
Perugia furono spediti colà speciali oratori per congratularsi
col nuovo papa Niecoló V. Ció era stato già stato affermato
dal Vermiglioli, il quale pubblicò anche l’orazione del Pon-
tano al papa, tratta da un codice cartaceo della Badia di
Arezzo (3) e dal Bini (4), ma fu poi negato dal conte Man-
zoni perché nel verbale dell'adunanza del 6 marzo 1441, in
cui i priori nominarono i dieci oratori, fra quelli che dove-
rano accompagnarli nell' ambasciata non è nominato il can.
celliere, mentre si fa il nome del notaio Mariano di Luca.

Ora si potrà forse discutere se il Pontano sia andato
insieme cogli oratori o da solo. Certo è che andò nella stessa
circostanza e che v'andó anche per affari suoi. E quali fos-
sero ci ap pare dalla lettera XXXVIII, in ui scusandosi col-
l’amico (vir docte tanquam frater amande) di non scrivergli
ampiamente di certe cose, che gli dirà a voce, soggiunge:
« ....5. d. noster leto vultu et summa humanitate me suscepit,
« sepenumero ad se ire iussit, summam benivolentiam et

(1) Iohannes Iuvenis, Vescovo di Terouanne (JMoriz dal 1436 e fatto cardinale
da Eugenio IV col titolo di S. Prassede in occasione del concilio di Firenze. Vedi
GIACCONIO, Vite dei Papi ed EuBEL, Hierarchia Catholica Medii Aevi, vol. II, pag. 8.

(2) Giovanni de Primi, abbate del Monastero di S. Paolo, fatto cardinale da
Eugenio nel 16 dicembre 1446 col titolo di Santa Sabina; EUBEL, 0p. cit., vol. II, pag. 9.
3 (3) VERMIGLIOLI, Op. cit., pag. 142.

(4) BINI, op. cit.

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64 A. ZANELLI

benignitatem in me ostendit. Quare ex duabus rebus quas
« postulavi alteram ilico perfecit, salarii augumentationem,
« eo modo ut a me postulata fuit; alteram usque in hunc
« diem reservavit, quam cras ni fallor expediet ». E del
laumento di salario, che veniva così portato a 200 fiorini,
abbiamo la conferma nei capitoli che appunto nel'47 furono
rinnovati tra il Papa ed il Comune di Perugia (1).

^

VII.

Come abbiamo già avvertito, nelle lettere Ottob. occor-
rono qua e là nomi di personaggi dei quali il Pontano fu
maestro od amico; ma anche questi cenni non sono sover
chiamente chiari. Fra gli scolari ricordiamo Marsilio da Trevi,
che egli chiamava dilettissimo suo discepolo; e che lo avesse
caro risulta dagli elogi che ne fa ad un amico al quale l'aveva
raccomandato, sebbene invano (2), e dagli incarichi affidatigli,
tra cui quello di custodirgli la casa (3).

(1) « Item cum per retroacta tempora fuerit diminutum salarium Cancellarii...
a flor. ad rationem octuaginta sold.
et atenta scientia, peritia
qui bene, landalibiter ei

et nunc dictum salarium sit centum octuagint
pro floreno, attento comodo et honore nostre rei publice
d. Thome Pontani nostri Cancellarii seu scribe pubblici,
amore et benivolentia omnium civium, placeat S. V. augere

fideliter se gessit cum
ad florenos ducentos inclusive ad rationem quadraginta

predictum salarium usque
bolon. pro flor... Placet S. d. pro tempore moderni Cancellarii et flat ad partem
provisio » (Capitula inter S. D. N. [Niccolò V] et Comunitatem Peruste... Reg. Il
Brevi, 1447, 11 giugno, fol. 27, parag. 22°, Archivio Com. di Perugia).

(2) « Commendavi tibi pridie Marsilium meum qui longe peritior factus est quam
erum in hac re non successit commendatio; quenam fuerit causa,
scio te, nisi me spes fallat, usum esse solita diligentia.
antiquo fato eveniat ut cuni

fortasse credas. V
non bene coniectari possum :
Nam ego eadem in amicis tuis uterer. At vereor ne
Eugenistis irriti semper sint conatus nostri. Video tamen hune nostrum novellum
gubernatorem neque leonardos secum duxisse neque poggios sed vulgaris litera-
et quod magis est, hos scribas duxit existimans fortasse opus hoo
.», Lett. II, c. 60. L'accenno agli Eugenis!i
ani i suoi sforzi, ed alla

ture homines,
maioris laboris aut ingenii esse quam sit..
ed all'antico fato pel quale presso costoro furono sempre v
venuta del nuovo governatore (Giacomo da Recanati?) mi lascia supporre che la
lettera fosse scritta nel 1447. Cfr. PELLINI, Op. cit., IT, pag. 501.

(3) Lett. XXI, c. 77. « Thomas Pontanus salutem dieit Marsilio. Quamquam di»
scedens | in omnia re caute incedas. Vale Fulginei, die etc. ».
TOMMASO PONTANO, ECC. . 65

Fu pure forse suo discepolo un Ciriaco d'Amelia, che egli
presentava a Francesco Patrizio (1) con queste parole: « iu-
« venis satis bonus et satis eruditus est et in quo, nisi fallor,
«.spes quedam future probitatis apparet. Hic a te audire cu-
pit, ductus fama doctrine tue. Oro ut hominem et amice
« suscipias et in rebus suis studiosum officium prestes (2) ».

Fra gli amici dei quali sospira la compagnia, di cui in-
vidia la libertà e dei quali elogia altamente la virtù sono poi
rammentati un Callimaco ed un Melchiorre; del primo già
abbiamo visto in altra lettera ciò che il Pontano scrive; del
secondo così scriveva nella lettera XXX: « ..Vos ex toto
« animi affectu diligo ardeoque neque excludo virum doctum
« et bonum ac equitem insignem, do. Melchiorem, quippe qui in
. amicitie condimento mel atticum possit appellari. Hunc ho-
« minem si magni facitis, recte et sapienter facitis. Nam quan-
« tus, quantus est, totus probitas et humanitas est...». E poichè
il sistema delle raccomandazioni per ottenere uffici privati e
pubblici non é proprio triste privilegio esclusivo dei tempi
nostri ci piace mettere in rilievo anche la lettera con la quale
il Pontano raccomandava ad un amico — pur troppo anonimo!
— il perugino Mariotto Baglioni, che aspirava alla pretura
fiorentina e che per i costumi e saggezza era giudicato in-
signe tra i concittadini: « Hic cupit, scriveva egli, et que-
« rit eligi iu pretorem magnifice civitatis vestre, et quoniam
« audivit me apud dignitatem tuam non parum posse, petiit
« ut eum tibi commendarem, quod quidem libens facio tum

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(1) Lett. XXXVI (c. 84 r.).

(2) Sia forse questo il Ciriaco che il Manzoni afferma essere stato discepolo del ^

Pontano a Perugia? Il M., contradicendo al Tiraboschi, affermò difatti che Ciriaco
d'Ancona fu discepolo non di Tommaso Seneca, ma di Tommaso Pontano. Donde ab-
bia attinto la notizia della. venuta dell'anconitano a Perugia veramente egli non
ci dice, né a noi é riuscito di trovarne cenno. Ma siccome abbiamo dimostrato che
il Pontano alla sua volta venne a Perugia solo nel 1440 ad insegnare, così crediamo
anche per ciò impossibile che Ciriaco, l'anconitano, fosse suo discepolo. Potrebbe
quindi trattarsi di questo Cériacus Amerinus che egli raccomandava al Patrizi, ma
di cui non ci riuscì di trovare alcun altro cenno,

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« quia eupio viros probatos amicos tibi parare, tum etiam
« quod hie vir est rei publice florentine amantissimus et
« observantissimus. Quare te summopere oro et obsecro ut
« huie nostro civi in hac petitione preture faveas et adsi-
« stas eo studio ac cura qua soles amicos presertim egre-
« gios. Quod si facies ita ut voti compos fiat, et civitati tue
« consules et mihi rem eratissimam facies (1) >.

VIII.

E delle vicende pubbliche non giunge a noi nessun'eco
attraverso le lettere del Pontano? Vivendo in tempi di guerre
continue, addetto, quale cancelliere, all'ufficio dei priori, il
Pontano era certo in condizione di offrire ai corrispondenti
notizie importantissime di tutto quel tramestio politico e guer-
resco, che avveniva allora in quasi tutta l'Italia. Ma le lettere
ci offrono ben poco! La prima lettera, del Cod. Ottob., scritta da
Perugia il 1^ maggio 1448 ci dà per vero subito una notizia
politica, quella della pace conchiusa tra Venezia e Milano,
« que res magna habetur multis rationibus (2) ». Ma il Pon-
tano non ne era molto tranquillo; « timeo tempestatem fu-
« turam » egli scriveva, e non aveva torto, ripensando alle
guerre che proprio in quegli anni con rapida vicenda si suc-
cedevano devastando i paesi, trai quali in modo particolare
Perugia: ..« Credo furias ab inferis excitatas et has nostras
« regiones invasisse. O vos felices et prudentes qui hanc te-
« terrimam pestem e regionibus vestris expulistis. In nos

(1) Lett. V, c. 67-68. Di questo Mariotto Baglioni racconta lo SCALVANTI — Cro-
naca perugina inedita di Pietro Angelo di Giovanni in Bollettino Umbro, IV, pa-
gina 92, nota — che fu veramente personaggio illustre per sapienza e grande zelo
nel disimpegno dei pubblici uffici; fra questi lo S. ne ricorda parecchi nel ‘41, 743,
44, 45 e 49 oltre ‘alcuni che ebbe fuori della sua patria.

(2) Probabilmente il P. si riferisce non veramente alla pace, ma ai negoziati
di pace che nel settembre '48 si trattarono a Bergamo dal Lampugnani ed altri pel
senato di Milano con la Repubblica di Venezia, I negoziati non ebbero seguito per
le mene dello Sforza che li fece mandare a monte. TOMMASO PONTANO, ECC. 61

« hodie cruditur hec faba. Hic nostra ac nostrorum maiorum
« delicta luimus, neque est qui huic malo remedium affe-
« rat ». Cosi egli descriveva in altra lettera (1) le condizioni

della città all'amico Niccolò Barbo, al quale chiedeva scusa .

delsilenzio di molti anni, dovuto alle grandissime ed incre-

‘ dibili occupazioni che crescevano ogni giorno « urgente ma-

« xime et in annos renascente bello hoc, quod profecto ita
« omnia perturbat, ut nulla sit quies animi aut studii (2) ».

Assai probabilmente a questo medesimo tempo devonsi
assegnare due lunghe lettere del Pontano, al solito senza
data e senza nome dei destinatari, nelle quali deplora che
costoro si adoprino per salvare dalla prigionia o dalla morte
un traditore della patria. Sebbene le allusioni storiche. sieno
cos] velaté che mal si comprendono, il Pontano usa in que-
ste lettere un linguaggio cosi appassionato e cosi sdegnoso,
quale non si trova in tutte le sue lettere. Che era dunque
accaduto? Raccontasi nella citata cronachetta del Graziani
che nell'agosto del 1446 una parte di Cerretani, « cioè quella
« parte che atengano con li Norscini, fecero un trattato in Cer-
« reto contro l'altra parte che atengano con li Spoletini, onde
« cheli Norscini se miseno in Cerreto con la loro parte amica,
« e la parte che atendevano con li Spoletini se strenseno in-
« sieme con lo aiuto de dieti Spoletini et fecero tanto che

(1) Che: questa lettera sia posteriore per tempo alla precedente non credo, per-

ché non abbiamo ricordo di guerre intorno a Perugia nel 1449. Credo piuttosto che .

si debba riportare tra il 43 ed il ‘46. Nel 43 difatti sappiamo. che si era. conclusa
alleanza tra Milano e Venezia (Cfr. MURATORI, Annali d’Italia, 1443 e Cronaca cit. di
Perugia attribuita al GRAZIANI, pag. 539), il quale ultimo scrive che appunto a questi
di (settembre 1443) venne nuova a Perugia di tale lega. Le guerre che si scatenarono
poi su Perugia nel 46 spiegherebbero 1’ apostrofe del Pontano. Il papa Eugenio IV
la ruppe di nuovo con Francesco Sforza, il quale era eccitato ad entrare nello Stato
romano anche della promessa che Todi, Narni ed Orvieto si sarebbero date a lui
(MURATORI, Id. id., 1443). ;

; (2) Lett. XXXII, c. 83 r. .... « Vir optime et doctissime, salve. Scio te mihi subi-
ratum illum visere atque amplexari». È questa la lettera stessa a cui accenna SEGA-
RIZZI nella cit. memoria. Il S. non sa però « assegnare alla lettera una data nem-
meno approssimativa né indicare donde fu scritta »; e per certo da se soto non offre
mezzo di fondata congettura.

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A. ZANELLI

« intrarono dentro che prima ne erano stati cacciati e mo-
« rircene più di cento persone et otenne la parte deili Spole-
« tini e rubarono e amazarono li loro inimici et anco de li
« Norscini ».

Ora il Pontano scrive che per natura non desideró mai
la strage di nessuno, ma che fu troppo commosso dal delitto
inaudito di un suo conterraneo, « qui patriam hostibus ca-
« pitalibus sciens volensque prodidit, qui suorum sanguinem
« et mulierum pudicitiam auro vendidit, qui templa deorum
« et sedem adiutam incendere passus est, qui iam spoliis et
« cede suorum civium illa nocte exultabat », onde spesso
trattó col governatore perugino, il Vescovo di Mantova, « ut
« hoc teterrimum monstrum merito supplicio afficeret, con-
« trà quem humanitas ipsa ac iura divina et humana cla-
« mant et cui omnes cruciatus et tormenta non satisfacerent,
« quippe qui omnium sceleratorum qui fuerunt et qui futuri
« sunt nequitiam hoc uno scelere superaverit (1) ». Fu quindi
ammirato e sdegnato quando apprese che si trattava tanto da
parecchi amici per salvarlo. A due di questi egli pertanto
scrive ammonendoli perchè desistano da tale opera, ed uno
di essi eccita in modo particolare a non cercar tanto la be-
nevolenza dei Norcini, « cum sit genus ferum, agreste, in-
solens.., Diis et hominibus invisum ». In altra lettera (2) poi
annuncia al corrispondente che gli spedirà una sua ora-
zione contro i traditori della patria, non appena l'abbia man-
data a Norcia. Ora questi accenni ai Norcini ed il fatto che
il vescovo mantovano Galeazzo Cavriani fu appunto gover-
natore di Perugia dal ‘46 al’47, mi inducono credere che la
lettera del Pontano si riferisca al fatto ricordato dal cronista
perugino. Chi fosse poi il conterraneo così empio, contro del
quale il Pontano si scaglia con tanto sdegno, non saprei dav-
vero!

(1) Lett. VIII, c. 69.
(2) Lett. XXII, c. 78. TOMMASO PONTANO, ECC. 6

Altri aecenni alle pubbliche vicende non trovansi allo
infuori delle notizie che circa la peste manda a due diversi
amici nelle lettere XX e XXII. In entrambe il Pontano smen-
tisce che la peste sia cosi grave come ne era corsa voce (1),
e dice che si sono indette preci per stornare il grave fla-
gello. Siecome peró é da insano attendere l evento ed egli
ha un grande orrore dell'epidemia, cosi se qualche sinistro ac-
cadesse, andrà a cercare salvezza sui monti e sulle fredde con-
valli, « agitur enim de re dulcissima et percarissima que est
,« vita, quam inconsulte abicere summa dementia censetur! »
Le quali parole ci provano che anche il Pontano teneva,
come qualunque altro mortale, alla vita e che tutte le la-
mentazioni sulla infelicità di questo mondo erano, secondo
il solito, esagerazioni più o meno rettoriche. Notevole infine
ci sembra la lunga lettera che scrisse ad. Andrea da Fano
per dissuaderlo dal fissare la sua dimora in Foligno, della
quale gli dà una descrizione, che davvero non potrebbe es-
sere più desolante. E per ciò appunto, per la passione evi-
dente che l'ispira, crediamo opportuno pubblicarla integral.

(1)-Lett. XX; C.-76.v.-77T. e v. ...... « Pestilentia hic quàmquam aliquantulum
seviat, tamen fama quam re orribilior est et non nisi plebeos et humiles petit,
potentes ac divites reformidat aggredi. Verum insanum est illius occursum expe-
ctare; igitur mihi in tempore consulam. Indicte praeterea hic sunt supplicationes
ad omnia templa et pulvinaria sanctorum ob iram dei mitigandam., Putant omnes
futurum hoe unicum ac salubre remedium ac iam aliquantulum sedata est; deus
sua inefabili misericordia talem labem a nobis avertat. Interea prospiciam valetu-
dini quam scio tibi carissimam fore... ». Prosegue incaricandolo di salutare il car-
dinale di San Paolo ed Andaea da Fano. Le lettera non ha data, ma poiché, come
risulta dalla cit. Cronaca detta del GRAZIANI, pag. 606, la peste cominciò nel 47,
credo che a quest'anno appunto essa debba assegnarsi. Intorno allo stesso tempo
fu quindi scritta anche la seguente che tratta dello stesso argomento: «.... Scio
preterea fama vulgatum esse nos hic pestilenti aere vexari; falsus omnino rumor
est et ex levissima causa natus, sed quis multitudinis insanam assertionem compe-
scat, presertim cum preceps ire ceperit? attamen scias me adeo exhorrescere epi-
demiam, ut si vel ex minima parte vera fuissent que dicuntur illico accipuissem
fugam. Agitur enim de re dulcissima et percarissima que vita est, quam inconsulte
abicere summa dementia censetur. Verum si quid sinistri exurgeret, quod deus
avertat, montes nostros et frigidas convalles repetam atque exustos lares et te et
dominum Octavianum virum quidem optimum certiores faciam e vestigio .... ».
Lett. XXII, c. 78 r..e v.

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70 A. ZANELLI

mente qui di seguito, insieme con l'orazione che egli pro-
nunciò rivolgendosi in nome di Perugia al nuovo governa
tore, al quale sopratutto raccomandava giustizia ed equità (1).

TE

Il 30 luglio 1450 il Pontano pagò l’ultimo tributo alla
natura, in età non molto avanzata, lasciando caro ricordo
di sè ad amici e concittadini, ma legando agli eredi una
curiosa controversia col Comune di Perugia. Come fu già.
detto, al Pontano era stato da principio assegnato uno sti-
pendio di 180 fiorini, 40 dei quali come retribuzione speciale
per la lezione ordinaria d'arte e oratoria; poi nel '46 si erano
aggiunti altri 36 fiorini in ragione di 32 bolon. per fiorino,
in modo che lo stipendio raggiungeva i 180 fiorini in ragione
di 40 bolonini per fiorino, e finalmente il papa Niccolò V glie
l'aveva aumentato ancora, nel ’47, fino a 200 fiorini. Però il
Pontano continuò a riscuotere per tre anni, fino cioè alla sua
morte, anche i 36 fiorini. Fu abuso di fede da parte del
Cancelliere o piuttosto credette egli sinceramente che l' au-
mento di salario concessogli dal Pontefice non escludesse il
godimento di quei fiorini? I Priori, quando se ne accorsero,
affermarono che l’ intenzione della legge manu ser Ludovici (2)
non era stata quella di aggiungere un supplemento al pri-
mitivo salario di 180 fiorini e che questo supplemento non
aveva in ogni modo più ragione di continuare dopoché lo
stipendio era stato portato a 200 fiorini; intimarono quindi
agli eredi del Pontano di rifondere al Comune i 108 fiorini
riscossi in più da lui durante quei tre anni. Gli eredi per
mezzo dei tutori Matteo da Trevi e Colangelo da Cerreto

(1) Chi fosse questo nuovo governatore non é detto, né è facile arguire, giac-
ché di lui si accenna solo alla circostanza che era stato altre volte governatore.
Chi sarà dunque stato? Il Capranica o il Cavriati?

(2) Intendi la legge del 22 aprile 1441, con la quale fu aumentato lo stipendio
di 36 fiorini del valore di 40 bolon. per fiorino. TOMMASO PONTANO, ECC. 11

contestarono tale intimazione, non riconoscendo come in-
giusta la riscossione della somma, ma dovettero pure con-
sentire che una buona parte di essa fosse restituita al Co-
mune. Detratti 40 fiorini dovuti per la lezione fatta nel 1450,
i rimanenti 68 furono quindi rimborsati al Comune da certo
Paolo di Bartolomeo, il quale come depositario degli averi

della città, teneva ancora presso di sé 75 fiorini di ragione

dello stesso Pontano (1). I Priori destinarono poi la somma

(1) Nell'adunanza del 19 settembre 1850 dei Priori, premesso il racconto dei
varii aumenti di stipendio conceduti al Pontano fino all’ ultimo datogli dal papa
Niccolò V di « cc flor ad rationem XL bolon. pro quolibet floreno et anno quolibet,
nulla facta mentione de dicto supplemento [dei 36 fiorini] », si notava come « d. Tho-
mas deinde à dicto tempore citra, videlicet, pro tempore trium annorum proxime
preteritorum finitorum die XV aprilis proxime preteriti, habuerit et receperit quoli-
bet anno ultra dictos cc florenos ad rationem XL bolon. pro quolibet floreno dictos
(sic) XXXLI florenos ad rationem XL bolon. pro q. fl. qui summant fioreni CVIII
quos minime recipere et habere tenebatur et debebat, quia intentio dicte legis
manu dicti ser Ludovici non fuerit facere supplementum nisi dietis CLXXX flo-
renis ad rationem XXXII.bolon. pro floreno; adeo quod postqnam habuerit dictos
cc florenos ad rationem XL bolon. dietum supplementum habere non debebat. De-
mum dictus dominus Thomas decesserit de anno presenti et mense Iulii quasi in
fine dieti mensis, teneanturque eius heredes remittere et refundere dictos centum .
otto florenos ad rationem predittam habitos et receptos per dietum d. Thomam pro
dictis tribus annis preteritis. Quorum CVIII florenor. pro parte dictorum heredum
dicitur quod penes se retinent florenos XL ad dictam rationem debitos pro salario
lecture dicti Cancellarii pro presenti anno, sic restant refundere florenos sexaginta
octo ad rationem XL bolon. pro quolibet fioreno. Ultra floreni XL ad dictam ratio-
nem quos eius heredis penes se retinent pro salario lecture dicti Cancellarii sibi 3
debito pro anno presenti et reliqui floreni XXXVI ad'dictam rationem pro presenti
seu quarto anno sunt penes comune, quare de eis non habuerunt buletinum. Et ad
presens de florenis et pecunia dicti olim domini Thome et in bonis et in heredi-
tate ipsius reperiantur penes infrascriptum Paulum Bartolamei floreni LXXV (sic),
"ationem XL bolon. pro quolibet floreno ut ipse Paulus asseruerit.. Et ideo dietus
Paulus Bartolomei de Perusio, porte heburnee, olim depositarius comunis perusii
per se et suos heredes obligando se... promisit et convenit supradictis magnificis
dominis prioribus... dare et solvere et integre cum effectu numerare ad ipsorum pe-
titionem... florenos sexaginta octo ad rationem XL bolon. pro floreno de dicta sum-
ma LXXX florenis quos asseruit penes se habere heredem dicti domini Thome. Et
hoc fecit dictus Paulus... de consensu et voluntate domini Matthei de Trevio et Co-
langeli Angeli de Cerreto tutoribus seu defensoribus heredum et bonorum dieti
olim domini Thome ibidem presentibus et consentientibus, non tamen affirmantibus
nec consentientibus quod dictus do. Thomas olim cancellarius dictas quantitates flo-
renorum iniuste et indebite receperit... et protestantibus quod per predicta non
intendunt preiudicare » (Annali Decemv., 1450, c. 98).
(2 A. ZANBLLI

rifusa al completo rinnovamento ed ornamento della cappella
del loro palazzo, dove essi e tutti, forestieri e cittadini, po-
tevano con massimo piacere degli animi dilettarsi conver-
sando (1).

Così il Pontano potè legare il suo nome ad un’ opera
d’arte di squisita fattura in quella città, dove per oltre un
decennio aveva insegnato arte oratoria.

Roma, maggio.

AGOSTINO ZANELLI.

(1) ... « Cum capella palatii prefatorum M. D. Priorum noviter et de novo con-
structa et edificata omnium et singulorum esse debet oppetitio ut ipsa capella sit
splendida, decora et hornata, cum sit decus, ornamentum et speculum dicti palatii
et tanquam principale membrum dicti palatii et locus precipuus et singularis ubi
M. D. Priores et quique homines tam forenses quan alii... maxima cum delectatione
et animorum voluptate et recreatione delectantur et conversantur,necessarium ergo
videtur et utile ut super his omnibus oportune et utile provideatur... ordinave-
runt et concesserunt dicte nove capelle... supradictos CXL /s4c) florenos ad rationem
XL bolen. gro q. flor. quos... Thomas... indebite et iniuste... receperat. Et deputa-
verunt et vocaverunt supra dicta expensa venerabilem virum fratrem Ricciardum
cappellanum dicte capelle cum omni modo, potestate, mandantes ex nunc supradi-
‘ eto Paolo Bartolomei, alias de la Berarda, quatenus... solvat dicto fratri Ricciardo
dictos XLVIII florenos » (Ann. Decemv., 1450, IIII Octobris, c. 103-106).
| TOMMASO PONTANO, ECC.

APPENDECE

I.

LETTERA AD ANDREA [DA FANO].
(Cod. Vatic. Ottob. 1677, c. 84).

[1446?...]

Thomas Pontanus s. d. Andree viro primario.

Nequeo satis mirari cur tantopere tibi Fulgineum placeat estivis
presertim caloribus. Dic, queso, per deum te oro, quid ista urbs habet
quod egregium dici possit? Quid potius non sinistrum et insalubre?
Aer enim istic semper caliginosus et palustribus vaporibus obsitus;
nebule ita dense ut raro coelum videas; lux diurna unquam clara sed
semper obtusa micat; nulla preterea salubris aura spirat, sed stat den-
sus aer tabida nube plenus, qui ita incolarum corpora inficit, ut...(?)...
aut crocei coloris sint quasi regio morbo laborent. Vie insuper publice
coeno et sterquilinio plene, e quibus quedam methyphis exalat et odor
teterrimus qualem in faucibus averni graviter spirare descripsit Vates ;
fructus preterea insipidi et ita aridi, ut neque succus insit neque odor.
Vina vero asperrima, cruda, insuavia et que cerebri vertiginem illico
faciant, adeo ut, cum biberis, tectum omne ambulet et geminis exurgat
mensa lucernis. Domus preterea exigue, humiles et fuligine nigre
cum olentibus cloacis, in quas cum ex estate ingrederis aut in senti-
nam descendere aut in balneas et thermas intrare te putes, ita ut de
repente in sudore totus verteris; lectuli perduri, adeo ut humi mollius
requiesceres; aque immunde per foveas et criptas decurrentes et si
que puteales sunt, ille quidem perrare, quippe que vix quattuor aut
quinque ad summum locis tota urbe hauriantur, tanta est hominum
diligentia et tanta in comparanda publica comoditate cura! O resupinum
et crassum iudieium tuum, quem locum delegisti ad relaxandum ani-
mum et refieiendum corpus? Carcerem foedum diversorium appellas;
melius certe in merore degeres iocundius apud Ethiopas, ubi etsi sol
assidue fervet, tamen illie [sunt] subterranee specus, unde frigidissime
aque scaturiunt. Tu Fulgineum amas? Urbem agrestem et omnium
morborum nutricem, quam ego non a fulgore, uti imperiti, sed a fuli-
T4 A. ZANELLI

gine dictam puto; que me pauculis diebus ita turbavit, ut nondum pri-
stinam recuperaverim valetudinem. Tu usque adeo immoraris, ut inde
divelli nequeas? Perverse, mihi erede, sentis et Challimacus perversis-
sime, qui se hominem esse iactat exquisiti iudicii. Ego enim iampridem
homini fidem abrogavi cui nihil placet nisi quod animo quadrat suo,
reliquorum sententiam neque curat neque magnifacit. Quare si mihi
auscultabis et si recte valere vis, advola Perusium, urbem sane amoe-
nissimam et puleherrimam. Est preterea aliud quod te revocare debet,
eura scilicet fisci et querele que de te cireumferunt, quas quod ita con-
tempnas non laudo, imo sapientis esse existimo interdum vulgi opi-
nionibus observare, quibus certe in omni re adversari periculosum et
temerarium arbitror. Igitur si existimas me aliquid consilii habere,
cura, queso, ut ad nos redeas quamprimum; qui autem tibi aliter per-
suadit, te non diligit et sue potius voluptati quam tue utilitati consu-
lit. Vale et ad nos illieo redi.

IT.

ORAZIONE DI T. PONTANO
AL NUOVO GOVERNATORE DI PERUGIA.

(Cod. Casanatense, 294 c. 129 t.).

[1441?...]

Non ambigit perusina res publica, pretor insignis, quin hunc ma-
gistratum tibi a Summo Pontifice concessum [sit], integritate precipua
et prudentia singuli sis ad magistratus, quum de re non obscura fama
fert reliquos alios quos superiori tempore adeptus, optima cum laude
gessisse. Verum quia benivole adhortationes virum, quamvis sepe
etiam currentem excitant et incendunt, visum est mihi quidem tibi
amicissimo bonam navare operam si nomine inclite civitatis nostre te
ad iustitiam, ad humanitatem et ad rerum nostrarum curam, diligen-
tiam animadvertero ; sciscitaque, vir optime, et Perusii rerum intelligis
quantum opis et quam laboriosum popolosissima [sic] ae in primis no-
bilius dicere et rerum agendarum gubernaculum tenere ae ita equato exa-
mine lances iustitie ponderares, ut neutra aut dextram aut sinistram decli-
net, ubique facinorosi ae audaces, vinclis et pena ferrendi, sed boni
vero aut premiis aut honore afficiendi, que res quemadmodum ardua
est et indigit prudentia non mediocri, ita, si laudabiliter etiam peracta
sit, maxime hornat et fama perempni et eternis monumentis digna habe-
tur. Hec enim una virtus quam precellentissima sit, virum maxime
hornat. Nam ut est a sapientibus dictum, iustitia inter reliquas virtu- "OPNS

TOMMASO PONTANO, ECC. 19

tes tamque lucidissimum sidus splendet illisque dominatur et presidet,
sine qua humana recte societas diu stare non potest, qua etiam qui
preditus, is semideus habetur apud mortales; quippe qui ad comunem
utilitatem et ad generis humani conservationem natus videatur. Pre-
elare igitur, ut solet omnia, Maro hane veluti precipuam laudem et
ceteris prestantiorem romanis attribuit eum dixerit: tu regere imperio
populos, romane, memento; quasi divinum opus sit populos in iustitia
continere et non minus laudabile censent se, cui hee cura mandata sit
in ea exercenda, studium maxime et vigilanter prestare. Tales (1) pro-
fecto viro maiores nostri summo in honore admiratione habuerunt sta-
tuasque illis e£ perpetua monumenta dediearunt et recte quippe. Nam
qui iustos et probatos viros, ut terrenos deos, colit et observat, is fa-
cile ostendit se cum antiqua sapientia consentire, que asserere non
dubitavit iustitiam, quam Astrem vetusti vates appellant, ex coelo ad
homines fuisse delapsas (2), cuius tanta vis et comoditas esse dicitur,
ut non aqua, non igni pluribus locis utamur et tam nobis necessa-
ria sit quam vita. Merito igitur Athene non tam Hercule quam So-
lone et Aristide gloriantur et Rome /sic/, non tam Cesare quam Bruto
et Catone se iactant. Belliee enim laudes, etsi per se magni estimen-
tur, tamen si iustitia vacant, splendorem suum retinere non possunt.
Nulla igitur re, vir prestantissime, tam clarescere poteris, quam si
equitatem et humanitatem pre te feras atque ita iustitie partes ample-
eteris, u£ neque ab illis amore neque odio aut privata comoditate divelli
queas; hoe enim pacto a civibus perusinis benivolentiam singularem
ac fortasse non ignobile virtutum tuarum premium reportabis. Tuis
vero ae patrie et honori et ornamento eris. At vero opus est animo
presenti et costanti, ut qualis ab initio processeris, talis usque ad exi-
tum tibi ipsi constes, ne extremus actus tanquam ab inerti poeta ne-
gligatur. Vetus enim est, ni universum stadium adeursum fuerit, co-
ronam profecto certaminis non accipies. Qua re te ipsum excita et
quantum honus humeris tuis impositum sit diligenter adverte. Sed fi-
nem dicendi faciam, ne videar virtuti tue diffidere, quam hoc loco
incendere volui, non instruere et digito, ut aiunt, coelum ostendere.
Ad quam si perveneris, non parvam tibi gloriam comparabis. Unum
tibi non pretermittam, ut memineris humanitati severitatem admiscen-
dam esse, adeo ut neque crudelitati declines, neque ad nimiam facili-
tatem ; hae enim via pretoris optimi nomen adipisci poteris.
Thomas pontanus.

(1) Forse anche tale.
(2) Avrebbe voluto scrivere delapsam.

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E]
4

a TE
A. ZANELLI
IIT.

NOMINA DI T. PONTANO
A CANCELLIERE DEL COMUNE DI PERUGIA.

[Ex Reformationum libro I, anno 1440, c. 44]
Die XXV, mensis Maij (1).

1430, mag. 25

[Consilio magnificorum dominorum Priorum Consulum mercatorum,
auditorum Cambij, Camerariorum calzolariorum et aliorum Camerario-
rum Artium civitatis Perusij, de licentia, volumptate et consensu ac
expresso mandato, quo ad infrascriptam .... [?] .... Reverendi in
Christo patris, patris et domini domini Gasparis Archiepiscopi Neapoli-
tani, Perusij ete. pro sanctissimo domino nostro domino Eugenio divina
provvidentia papa quarto et sancta romana ecclesia Gubernatoris]. .
Cum vacaverit officium cancellarie comunis perusij primo quidem
propter mortem bone memorie optimi viri Ser Mathej Vannoli de Ite-
ramne quondam cancellarij comuni predicti, nune quod etiam id officium
vacet propter inabilitatem aut aliam causam domini Ranutij.. de ca-
stilione aretino, qui electus die XVIIIJ mensis Aprilis proxime preteriti
ad officium predictum venire nequivit, et necesse sit providere de alio
caneellario pro honore, utilitate, statu atque decore dieti Comunis et
civium eiusdem, scientes [predicti Priores, Consules ete.] ex relatione
spectabilium civium domini Francisci de Coppolis et domini Angeli de
Parilglis oratorum perusinorum ad Sanctum Dominum Nostrum do-
minum Eugenium Papam quartum optare et contentari ut dicta electio
per comune Perusij fieret et celebreretur de domino Toma Pontano de
Camereno, viro optimo et eloquentissimo, deinde etiam fuerint ipsi do-
mini Priores pluries requisiti, persuasi, ortati simul et rogati assum-
ptione dieti domini Tome ad officium cancellarie predicte per Reveren-
dissimum dominum dominum Gubernatorem perusinum, qui asserebat
de hujusmodi re fienda breve prefati sanctissimi domini nostri su-
scepisse; volentes ita quod prefati domini priores, ut convenit, sancti-
tati domini nostri et prefato domino Gubernatori obedire et gratulari
et in omnibus sese gerere equo animo semper et omni tempore: ipsi
domini Priores in unum in dicto loco audientie ipsorum sedis colle-

(1) Il presente documento fu integralmente trascritto, insieme con gli altri che
furono citati in nota, dall'egregio prof. Alessandro Bellucci, al quale rinnuovo i più
vivi ringraziamenti.
TOMMASO PONTANO, ECC. (Ur

gialiter congregati, heri, videlicet die precedenti, habitis primo super
hijs colloquijs et ratiocinijs inter se, miserunt diligentem partitum ad
bussulam et fabas albas et nigras secundum formam statutorum ét or-
dinamentorum comunis perusij, ut moris est, et optento partito inter
eos omnes mictentes et restituentes in bussulam ipsorum fabas, albas
de sie, nulla faba nigra in contrarium reperta seu restituta. Et hodie
porro inter dictos dominos camerarios numero xlij in dicto consilio
congregatos, facta proposita de predictis et exibitis super illa consilijs
et demum facto, posito ae misso inter eos solempni et diligenti par-
tito ad bussulam et fabas albas et nigras secundum dictorum exi-
gentiam statutorum, et optento per xl camerarios, qui miserunt et re-
stituerunt in bussulam ipsorum fabas albas del sic, non obstantibus
duobus camerariis, qui miserunt et restituerunt iu bussulam ipsorum
fabas nigras del non in contrarium predictorum, prefati itaque domini
priores et camerarij existentes in dicto consilio, in unum collegialiter
congregati, volentes et affectantes in hijs omnibus possibilibns volump-
tatibus dispositionibus et menti prefati sanctissimi domini nostri ob-
temperare et annuere iuxta posse, omnibus modo, via, jure et forma
quibus melius potuerunt, et omnibus arbitrijs, autoritate, potestate et
baylia eisdem tam simul quam divisim quandoquidem et qualitercumque
concessis et attributis, per formam quorumeumque statutorum et ordi-
namentorum comunis perusij cum pactis, modis et condictionibus in-
frascriptis, providerunt, ordinaverunt et reformaverunt ac etiam provi-
dendo, ordinando et reformando, eligerunt, vocaverunt, deputaverunt et
conduxerunt supradietum dominum Tomam Pontanum, licet absentem,
in cancellarium et pro cancellario comunis Perusij et ad exercitium
dieti offieij cancellarie faciendum et operandum, secundum occurrentias
et opportunitates incumbentes; et etiam ad lecturam in dieta civitate,

ut in paetis, pro tempore et termino trium annorum proxime futuro-:

rum incipiendorum die qua inceperit exercere dictum officium cancel-
larie, et ordinarie legere, et ut sequitur, finiendorum.

Et finito dicto tempore ad beneplacitum magnificorum dominorum
priorum et eamerariorum artium, qui pro tempore erunt, cum salario
in una manu centumoptuaginta florenorum ad rationem quattuor li-
brarum de camera apostolica perusina percipiendorum eo modo, forma
et ritu ceu reperiebantur a dicta camera per dominum ser Matheum
olim cancellarium et cum salario in alia manu quadraginta florenorum
ad rationem xl bolonenorum pro quolibet floreno a comune perusii et
eius depositario sine retemptione gabelle debende et solvende eidem
domino Tome temporibus debitis et consuetis et cum aliis emolumen-
tis, muneribus, honoribus et honeribus potestate et arbitrio consuetis,

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718 A. ZANELLI

olim prefato ser Matheo, salvo et cum hoc pacto, quod teneatur et
debeat retinere in domo sue habitationis familiariter, honorabiliter et
benignie, ut decet, suis sumptibus et expensis victus et habitationis,
ser Johannem Luce de Spoleto et pro coadiutatore in dicta cancella -
ria, et eidem ser Johanni dare de dieto suo salario anno quolibet, flo-
renos triginta ad dietam rationem quatuor librarum pro quolibet floreno,
de tempore in tempus ut supra, et partem emolumentorum et munerum
et honorum et honerum ex dicta cancellaria emanantium. Et quod nullo
modo nec aliquo quesito colore possit vetare cancellariam eidem nec
ipsum removere aut contra eum aliquid innovare in predictis. Qui immo
prefati domini priores et camerarii in dicto consilio existentes eligerunt
dominum ser Johannem cum pactis et conditionibus predictis, decla-
rantes expresse electionem de domino Toma Pontano factam sine su-
pradietis et infraseriptis condietionibus et pactis, non valere nec vim
et efficaciam sortiri; et etiam cum hoe pacto et condictione, quod ipse
dominus Tomas Pontanus sine alio salario vel mercede, teneatur. et
debeat ordinarie legere in arte et facultate oratoria singulis diebus non
feriatis ad honorem dei saltem unam lectionem publice omnibus euin
audire volentibus. Et mandaverunt conservatoribus camere apostolice
perusine, massarijs camere massariorum et etiam depositarijs pecunie

comunis perusij et alijs ad quos expectat et in futurum expectabit,

quatenus, visis presentibus sine alio ordinamento vel mandato, tempo -
ribus debitis et consuetis eidem domino Tome cancellario de dieto sa-
lamiousoly sit: 9:3 n9: 0280 8 e EUR I MNT

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ATTI D'UN PROCESSO FATTO A PERUGIA

TRA LE MINUTE D'UN NOTAIO PADOVANO [1368]

SOMMARIO. — Il notaio padovano Lanzarotto Trepelilo. — Le sue minute relative al

processo contro i nobili ribelli al governo del popolo di Perugia. — La data
del processo. — Cause e pretesti, i capi e i complici, l'esito della congiura
secondo le dette minute.

Fra le minute dei rogiti redatti dal notaio padovano
Lanzarotto Trepello fu Benedetto, che si conservano nellAr-
Ghivio notarile di Padova, sono riportati brani più o meno
lunghi d'un processo (inquisicio) eseguito dal capitano del
popolo di Perugia contro alcuni cittadini, rei d'aver fatto
congiura per abbattere il governo popolare della città.

Come mai questo processo, svoltosi a Perugia, trova ri-
scontro nelle minute del notaio padovano?

Quelli che presiedevano al detto processo erano lo stesso
capitano del popolo di Perugia, Giacomino de’ Giraldi e il
suo giudice Pizzacomino di Padova: il notaio che redigeva
gli atti relativi al processo, doveva essere il detto Lanzarotto
Trepello.

Di qual città e regione fosse il Giraldi non dicono i no-
stri documenti, né ci fu dato di saperlo altrimenti; forse egli
era veneto; quando andò a Perugia per assumere l’ufficio di
capitano del popolo, condusse seco i due padovani, il Trepello
e il Giraldi.

Del notaio Lanzarotto Trepello noi abbiamo notizie: egli
apparteneva alla famiglia Baialardi, che, come nota il Gloria,
già nel 1275 dimorava in Padova ed era fra le più benestanti

Lee i. S Ms. = reo rr aeu RT e A

80 G. SORANZO

della città. Noi troviamo il suo nome scritto come firma no-
tarile in atti del 1361 e dai grossi volumi, che il Trepello ci
lasció, di minute, apprendiamo che la sua attività di notaio
si prolungó quasi sino alla fine del terzo decennio del se-
colo XV. Dalle date di luoghi dei rogiti noi sappiamo che
egli esercitó il suo ufficio ordinariamente sempre a Padova (1).

Piü particolareggiate notizie abbiamo del Pizzacomino fi-
glio di Matteo de’ Pizzacomini di Padova (famiglia, che, come
quella de' Baialardi, abitava in questa città sin dal 1275).
Consegui la sua aggregazione al collegio dei giudici il 13 lu-
glio 1366, già licenziato in diritto civile, e come tale coprì
importanti ufficii nel Comune di Padova e altrove; lo rinve-
niamo il 1° maggio 1369 testimone nel palazzo del capitano
di Perugia, quando Iacopino Vitaliani di Padova confessò d'a-
ver ricevuto 40 fiorini da Giovanni Saraceno, dottore. Nel 1384
Pizzacomino era già morto (2).

Dichiarata in qualche modo la ragione, per cui atti d'un
processo di Perugia sono conservati nei rogiti del notaio Tre-
pello, notiamo alcuni caratteri estrinseci delle minute del-
l'inquisicio, che noi in fine pubblichiamo. Esse riproducono
non l’intero processo, ma solo alcune parti e precisamente
gli atti d'accusa di due imputati rei di aver preso parte ad
una congiura contro il governo popolare di Perugia e i re-
lativi interrogatorii. Sicuramente il notaio doveva aver fatto

opera completa nella redazione delle minute, che riguarda- '

vano quel processo, che non poca importanza politica aveva
avuto, e al quale egli come notaio aveva partecipato, poichè
sin dalle prime parole del primo atto superstite apparisce
che ci dovevano essere altre minute di atti precedenti, cioè
là dove è scritto: Hec est inquisicio que fit et fieri intenditur
per suprascriptos dominos etc. Alcune carte delle dette mi-

(1) GLORIA A., Monumenti del? Univ. di Padova (1222-1318), pag. 66; (1318-1405),
$ 1212, 1224, 1228, 1236, 1240, 1247; 1278, 1291, 1294.
+ (2) GLORIA A., Op. cit. (1318-1405), I, cap. IV, pag. 219.

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ATTI D'UN PROCESSO FATTO A PERUGIA, ECC. SH

nute andarono perdute, e negli atti del Trepello furono in-
serite non bene, come vedremo, le superstiti. Le minute man-
cano affatto di tutti i preamboli comuni nei rogiti notarili,
e ci fanno conoscere soltanto il contenuto essenziale delle
singole parti del processo, sicchè noi siam d’avviso che esse
siano non copie fedeli, ma sì un regesto, ora più ora meno
ampio degli altri originali. Ce ne dà conferma, ci pare, an-
che il fatto che il notaio stesso, o chi compilò per lui le mi-
nute, nei margini delle carte, sulle quali ha: scritto ciò che
riguardava il detto processo, fece frequenti aggiunte, quasi
per illustrar meglio quanto prima aveva riferito, cancellò in-
vece altre parti che egli credeva o inutili o inopportune, ag-
giunte e cancellature, che non sarebbero state fatte, se gli
atti del processo fossero stati integralmente copiati.

Quando fu fatto il processo?

L'unico dato di tempo, che dà la minuta d'un atto del-
l’inquisicio, è questo: Die sabati VIIII scripsi (1): giorno, in
Gui, pare, il notaio redasse
delle minute (2) del proce

l'atto originale; e l'inserzione
sso di Perugia fra due rogiti del
notaio stesso scritti in Padova, uno del 17 ottobre, l’altro del
10 novembre 1365, poteva far supporre che il processo, a
cui il Trepello come notaio, e il Pizzacomino, come giudice,
intervennero, fosse stato fatto entro il breve tratto di tempo
riferito da queste due date. Ma essa è errata, perchè tanto
il Trepello quanto il Pizzacomino nel 1365 non furono a Pe-
rugia, ma, come attestano molti rogiti dal Trepello redatti,
rimasero a Padovai ed è errata, perchè nessun riscontro un
processo simile aveva nei documenti, nelle cronache e nelle
storie di Perugia.
Un documento del 1° maggio 1569, che è nel 1° volume
gli i del notaio Trepello, ci informa che questi allora
egli i de | ;

(1) Archivio Notarile di Padova, Rogiti del not. Lanzarotto Trepello, I, c. 60.
(2) Si noti che le minute in tutti i cinque volumi degli Atti del notaio Trepello

sono disposte in ordine cronologico.

RE lio ila

IAT Bi A 89 G. SORANZO

doveva trovarsi in Perugia, appunto 2» palacio residencie do-
mini capitanei Perusii insieme con Pizzacomino di Padova. Ma
pochi mesi il Trepello rimase a Perugia, poiché due altri
documenti, uno del 12 agosto 1368, l’altro del 7 agosto 1369
indicavano la sua presenza in Padova (1) In questo tempo
doveva esser avvenuto il detto processo: nella scarsezza di
altri dati estrinseci ed intrinseci ci fondammo su questo cri-
terio, per stabilire che la congiura, di cui trattano i nostri
documenti, é quella appunto di cui dànno succinta relazione
le memorie di Perugia:

« Papa Urbano quest'anno (1368) del mese di settembre
cominció a tentar di pigliar Perugia per la Chiesa, di che
Si fecero assai ragionamenti tra molti cittadini perugini;
onde si fecero le guardie, e fu scoperto il trattato, e furono
presi cinque cittadini, dei quali ne furono giustiziati questi
quattro: Agabituccio di Cecco di Nocciolo, Neri di Bernio
da Montesperello, Monte di Cino Baglione, Andreucciolo; e
molti altri fuggirono, che s'intendevano in questo trattato;
16 di casa Baglione, de'quali il primo fu Oddo di messer Ba-
glione, due suoi nipoti, due suoi figlioli, Carlo Vitello, i fi-
glioli di messer Pellino, Lodovico di Guidarello, ser Eusepio
di Contolo, Vico di Cola di Galiffo populare (2) ».

In Perugia da qualche tempo dominava la fazione po-
polare, intollerante e severa contro i frequenti tentativi dei
nobili, i quali spesso promovevano congiure e ribellioni per
abbattere il governo democratico ed instaurare la loro su-

(1) Arch. notarile di Padova, Rogiti del not. Lanzarotto, I, c. 86 e c. 119. GLORIA
A., Op. cit., $ 1278, 1291, 1294.

(2) FABRETTI A., Cronache della città di Perugia (Torino 1887), vol. I, Memorie
di Perugia dall'anno 1352 al 1398, pag. 36; Memorie dall'a. 1351 al 1438, pag. 192. « Del
mese di ottobre 1368 furono scacciati tutti li Baglioni da Perugia, e messi a bando
per traditori e ribelli della città, e pubblicato tutto il loro al Comune, salvo Galeotto,
che ci rimase, ché parve che non fosse colpevole nel trattato; il quale si disse che
l'aveva fatto l'abbate di S. Pietro con tutti li Baglioni, cioé di dare la città a papa
Urbano V. ». Più particolareggiate notizie ci offrono Pompeo Pellini nella sua JZfi-
storia di Perugia, e dietro l'autorità di lui tutti gli storici più recenti di questa
città.
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ATTI D'UN PROCESSO FATTO A PERUGIA, ECC. 83

premazia nel reggimento di Perugia; tentativi, che come
nelle altre città italiane, così in Perugia, dove più vivi che
mai erano l'orgoglio e la prepotenza si dei nobili come dei
popolani, avevano per effetto che i vinti o venivano impic-
cati sulle forche nelle pubbliche piazze, o esiliati e privati
sì inesorabilmente dei loro beni, che ad essi null’altro rima-
neva che un vivissimo desiderio di vendetta e l'odio contro
la parte dominante: e non appena un aiuto veniva loro of
ferto da nemici esterni della patria, essi con maggior acca-
nimento suscitavano tumulti e sedizioni nella città, da cui
poco tempo prima erano stati espulsi, e vi entravano armati
e bramosi di lottare fino alla morte contro i loro avversari.
È precisamente uno dei molti tentativi questo, di cui ci
forniscono alcune notizie le minute dell’ inquisicio, lasciateci
dal notaio Lanzarotto Trepello. Gli storici di Perugia hanno
detto non poche cose intorno alla congiura del 1368, ma non
sempre comprovate da documenti autentici: quelli che noi
pubblichiamo ci fanno conoscere nuovi particolari e confer-
mano almeno in parte quanto i detti storici hanno scritto.
Grande malcontento era fra i nobili contro il governo
popolare della città, il quale non voleva ad ogni costo di-
minuire le gravezze che pesavano. sopra di loro. Per questo
leggiamo che alcuni nobili di nuovo congiurarono e trama-
rono de submitendo et destruendo... statum popularem civitatis
Perusii et in recuperando suum statum et aliquorum alliorum
nobilium. dicte civitatis, qui male trattantur in civitate ista. (1).
Ma un altro fatto determinó o meglio forni pretesto di
agire: questo non è detto esplicitamente nell’ inguisicio, ma
alcune espressioni ce ne dànno una qualche certezza. Dal-
l’atto di accusa di Andreucciolo Michi (sic), che era stato
arrestato quale complice della congiura, si rileva che costui
insieme con altri tramò de dando et dari volendo dictam civi-

(1) Rogiti del notaio Lanzarotto Trepello, istrumenti I, c. 59.

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84 G.

SORANZO

tatem, Perusii uni magno domino, nomen cuius ad presens ta-
cetur pro meliori, pro destruendo et subvertendo bonum tram-
quillum et pacificum statum. cwitatis Perusii (1). Chi era questo
magnus dominus, di cui allora non conveniva fare il nome?

Considerando che Arlotto de' Michelotti, perugino, nomi-
nato dal detto Andreucciolo nell interrogatorio, aveva detto
quod quidam ex nobilibus civitatis Perusii volunt tradere hanc
civitatem in manibus ecclesie (2), che, tra i molti, complice
nella medesima congiura era stato anche Filippo da Monte-
civiano, abbate del monastero di S. Pietro di Perugia (3),
tenendo poi presente che il papa Urbano V da Orvieto conti-
nuava limpresa di ricuperare tutto lo stato della Chiesa,
che era rimasta interrotta per la morte del cardinale Egidio
d'Albornoz (agosto 1361), e in special modo s'era proposto
di ridurre ad obbedienza i Perugini, che erano in contesa
colla S. Sede per il possesso di Assisi, siamo d'avviso che
appunto'al papa o ad un suo legato i nobili congiurati pen-
sassero di consegnare la città, confidando di aver poi piü
facilmente il governo di essa per concessione del pontefice.

Mettendo innanzi il nome e l'autorità della Chiesa e del
Pontefice, i nobili speravano di trarre parte del popolo in
favore della loro causa. Ma una lotta tra Perugia e il Papa
era incominciata già nel 1367: anche allora i nobili ordirono
una congiura contro i Raspanti, cosi era detta la fazione do-
minante in Perugia: e le milizie dell' Albornoz, cardinal le-
gato, avevano indotto i Perugini a lasciar Assisi alla Chiesa
e a far pace: morto l'Albornoz, costoro nuovamente ricusa-
rono obbedienza alla Chiesa e nell'agosto 1368 si posero in
guerra aperta (4). Sin d’allora i nobili di Perugia congiura-
rono contro il governo popolare della città per spodestarlo,

(1) Ibid., c. 64.
(2) Ibid., c. 60.
(3) BALAN D. PIETRO, « La ribellione di Perugia nel 1308 e la sua sottomissione
nel 1370 narrata secondo i documenti degli Archivi Vaticani » in Stwdt e documenti
di Storia e di Diritto, Roma 1880, pag. 5-8.
(4) Ibid., pag. 5, PELLINI PomPko, Historia di Perugia, II, pag. 1040-1042,
ATTI D'UN PROCESSO FATTO A PERUGIA, ECC. 85

interficiendo omnes maiores populares civitatis Perusii et illos
qui regunt dictam. civitatem et ipsam civitatem Perusii et habi-
4 tantes in ipsa suo posse depredare... et de dictis divitis divisio-
nem facere inter omnes qui predictis interfuissent... et predicta
fuerunt ab uno anno citra et diversis mensibus et diebus parata :
È ma più intensamente la trama era stata combinata tra l'a-
gosto e il settembre del 1368 (de anno presente ab uno mense
citra) (1).

| Chi questa volta primo avrebbe promosso a tutt’ uomo
È la congiura e a tal uopo raccoglieva in casa sua in segrete
| adunanze altri nobili suoi complici, sarebbe stato Nerino fu

Petruccio di Monte Sperello, il quale avrebbe eccitato mul
toctens Nello figlio di Oddo de’ Baglioni, affinchè esortasse suo
padre ad aderire alla ribellione non solo, ma anche accettare

glioni: Kogo te quod loquaris cum Odo patre ac roga ipsum
Odum quod inveniat modum recuperandi suum et meum statum
et aliquorum alliorum nobilium civitatis Perusii. quia non co-
gnosco aliquem in civitate ista qui melius possit facere statum
* nostrum et ipsorum mobilium civitatis Perusi mutare în bonum
quam Odo pater tuus (2). Avendo risposto Oddo Baglioni per
mezzo di Nello suo figlio, che à tempo opportuno avrebbe
accettato l'offerta, poiché allora l'occasione non gli pareva
propizia, tanto piü che essi erano affatto sprovvisti di armi
e di aiuti, Nerino insistette; dichiaró che i Baglioni non do-
vevano prendersi aleun affanno di ció, ch'egli avrebbe prov-
veduto tosto che avesse avuto il consenso di Oddo de’ Ba-
glioni, e disse a Nello: fac tantum quod sciam tribus diebus
ante, quia bene fulcitus ero. Nulla valse a distorlo dall'intento,
neanche il ricordo, che Nello Baglioni stesso gli fece, delle
; precedenti ingiurie, le quali avevauo avuto esito così cattivo,
È che molti dei loro parenti furono decapitati e banditi (3).

(1) Rogiti del notaio L. Trepello, Istrum. I, c. 59 e 59 t.
(2) Rogiti del not. Trepello, loc. cit., c. 59.
(3) Ibid. c. 59 t.

di esserne il capo: Nerino cosi avrebbe parlato a Nello Ba-

poop aA RP E
G. SORANZO

Altri complici della congiura ricordati nelle minute del-
l'énquisicio sono un fratello del detto Nerino, a cui era stato
già mozzo il capo, Giacomo e Masuccio Baglioni, e Andreuc-
cio o Andreucciolo Michi, abitante nel rione di Porta Borgne
(Eburnea) nella parrocchia di S. Stefano, il quale era impa-
rentato coi Baglioni, perché una sua nipote era sposata con
Oddo Baglioni, e un'altra con Nello soprannominato. Costoro
agirono d'accordo con molti altri, nomina quorum, si legge
nei documenti, ad preseus tacentur pro meliori (1). Essendo
stato questo processo indetto ipso facto dopo la scoperta della
congiura, ed essendo molti dei complici fuggiti da Perugia,
premeva tener nascosto il nome di coloro che sarebbero stati
ricercati e perseguitati dai reggitori della città. Questa ci
pare la ragione piü ovvia del silenzio sui nomi degli altri
nobili perugini, rei d'aver partecipato alla congiura.

Certo non mancarono à costoro aiuti dal di fuori. La
minuta dell'atto di accusa contro Andreucciolo Michi ci in-
forma, che i congiurati avevano stabilito che una magna co-
mitativa gentium si sarebbe raccolta nel monastero di S. Pie-
tro. la quale, quando in città fosse scoppiata la ribellione,
avrebbe dovuto accorrere prontamente e aiutare con ogni
mezzo i congiurati e i loro fautori. Questi avevano intanto
fatto diffondere la voce che i governanti avevano deciso
quod omnes gentilles homines civitatis Perusii debebant interfici
ab hominibus et populo civitatis Perusii e in special modo i
Baglioni sotto pretesto che questi e altri nobili erano stati
colpevoli nella perdita fatta da Perugia di Città di Castello:
habuerant aliquam. culpam in admittendo civitatem. Chastelle (2).

La congiura doveva compiersi, pare, il giorno 6 o 7 ot-
tobre (1368): ma la trama fu rivelata a tempo, non si sa da
chi, ai priori delle arti e ai rettori di Perugia, sicché facil-
mente poté essere sventata e fu risparmiato nuovo spargi-

(2) Ibid., c. 69, 64.
(2) Ibid., c. 64.

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ATTI D'UN. PROCESSO FATTO A PERUGIA. ECC. 87

mento di sangue: furono arrestati alcuni colpevoli che non
ebbero tempo di fuggire, tra i quali i due sopranominati Ne-
rino fu Petruccio di Monte Sperello e Andreucciolo Michi.

Le minute del notaio Trepello riguardano appunto gli
atti di accusa e gli interrogatori, relativi a questi due com-
plici della congiura, fatti loro dal capitano del popolo di Pe-
rugia, Giacomino de’ Giraldi e dal suo giudice Pizzacomino
de’ Pizzacomini.

E DI PADOVA.

Rogiti del notaio Lanzarotto Trepello de’ Baialardi (Istrumenti, I, n. 121)

(e. 59-64). [1368]
Hec est inquisicio que fit et fieri intenditur per IDA do-

minos capitaneum et iudicem contra et eso LE

Nerinum quondam Petrucii de Monte Spirello civitatis Perusii de
porta Solis et parochia sancte Lucie,

In eo et super eo quod ad aures et noticiam predietorum dominorum
capitanei et iudicis fama publica procedente et clamo[ro]sa insinuacione
referente (1) pervenit quod predictus Nerinus dolose maliciose mallo
modo spiritu diabolicho istigatus et immemor eterne salutis * "
quam pre oculis non habendo (2), disisset fecisset tratasset et ordinas-
set de submitendo et destruendo et mutando honorabilem et pacifieum

(1) Aggiunta marginale del notaio stesso: «07» « malivolis sed a personis fide
dignis.

(2) Altra aggiunta: ac animo et intencione (proditionem. faciendi in dicta ci-
vitate) subvertendi libertatem et pacificum statum quam, et quem ad presens habet
civitas Perusti. Nel contesto inoltre si leggono, benché segnate con una linea tra-
sversale, cioé cancellate, le seguenti espressioni, che per noi hanno qualche impor-
tanza: una cum quampluribus nomina quorum ad presens tacentur pro meliori.

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88 G. SORANZO

statum popularem civitatis Perusii et in recuperando suum statum et
aliquorum alliorum nobillium diete civitatis, loquendo eum Nello fillio
Odi de Bayonibus de civitate Perusii, dicendo eidem Nello: Rogo te quod
loquaris cum Odo patre ac roga ipsum Odum, quod inveniat modum
recuperandi suum et meum statum et aliquorum alliorum nobilium
civitatis Perusii, qui male trattantur in civitate ista, quia non cognosco
aliquem in civitate ista, qui melius possit facere statum nostrum et
ipsorum nobilium civitatis Perusii mutare in bonum quam Odo pater
tuus (1). Qui Nellus eidem Nerino respondit et dixit: Ego bene ero locu-
tus secum. Et postea stando aliquo tempore dictus Nellus eidem Nerino :
Ego bene locutus fui cum Odo patre meo de mutacione status nostri.
Qui Odo mihi dixit et respondit quod bene faciet et procurabit predicta,
quando erit tempus et omnia, sed modo non est tempus faciendi pre-
dieta. Et post aliquod tempus stando, Nellus eidem Nerino dixit: Tu
mihi dixisti multociens quod rogare deberem patrem meum, quod om-
nino operam daret quod nos haberemus statum in ista civitate et sub-
miteremus (2) statum popularem qui ad presens est * * et non habes
arma in domo. Qui Nerinus respondit: Non cures quod non habeam
arma, quia si sciam vos velle facere aliquid in destruendo dictum sta-
tum, fac tantum quod seiam tribus diebus ante, quia bene ero fuleitus
armis. Qui Nellus respondit et dixit dieto Nerino: Sta firmus et nichil
dichas; quia bene scis qualiter predecessores nostri qui similia tracta-
bant habuerunt bonum finem, quia fuerunt dechapitati et baniti * *;
predicta comitendo tratando et ordinando in magnum vituperium et
dedecus dicti domini capitanei et tocius sue curie et danum et preiu-
dieium hono[rabilis] populi civitatis Perusii. Et predicta fuerunt ab uno
anno citra et diversis mensibus et diebus parata in domo habitationis
ipsius Nerini cum suis complicibus (?) et per viam publieam* * * *,
Et predieta omnia et singula suprascriptus Nerinus ab uno anno citra
pluries et pluries et continue tractavit et ordinavit causa subvertendi
libertatem et pacificum statum popularem civitatis Perusii et sibi et
aliis consciis statum aquirendi, a suprascripto malo próposito nunquam
recedendo, ymo in ipso semper perseverando, neque per ipsum stetit
quominus omnia et singula suprascripta executioni totaliter mandaren-
tur, nisi predicti tractatus et ordinamenta dei gratia fuissent revelati

(1) et predicta cum dicto Nelo tratabat causa habendi statum. in civitate Pe-
rusti et causa subvertendi et mutandi libertatem et bonum et pacificum. statum quem
et quam ad presens habet: dicta, civitas Perusii.

(2) et mutaremus libertatem et sta(tum] pacificum.

relitti AIN LOGARIIP SNB Ree omni 1 Sene cop
SRI e Se ción EN
ATTI D'UN PROCESSO FATTO A PERUGIA, ECC. 89

et revelata dominis prioribus artium civitatis Perusii et aliis ad presens
dictam civitatem regentibus et gubernantibus.

Die sabati VIIII seripsi.

2(0,700);

Andrucius quondam Michi de parochia sancti Stefani et porta Ebur-
nea diligenter examinatus per nobilem militem dominum Jacobinum
de Giraldis capitaneum populi Perusii nec non dominum Picachominum
de Padua eius iudicem * * et suo sacramento dixit se scire prout
inferius continetur.

Primo interrogatus per suprascriptos qua de causa fuit et est de-
temptus per dominos priores tune Perusii, respondit se nil aliud scire,
nisi quod est atinens illos de Bayoni (sic). Interrogatus in quo gradu est
amicus, dixit quod Ocdo habet in uxorem quandam suam nemptem seu
filliam cuiusdam sue sororis, et quidam Nellus fillius suprascripti Ocdi
habet in uxorem quandam alliam suam neptem vel vanam filliam cu-
iusdam sue consanguinee vel consobrine. Item dixit interrogatus se
non habere aliquam alliam amicitiam cum predictis nisi quod aliquando
conversabatur cum predictis suprascriptis de causis. Item dixit quod
audivit diei a quampluribus quod omnes gentilles homines civitatis Pe-
rusii debebant interfici ab hominibus et populo civitatis Perusii. Inter-
rogatus a quibus audivit dici, dixit quod audivit dici a Jacobo * * de
Bayonibus et predicta fuerunt die Jovis nuper preterito. Et dixit tamen
quod predietus Jacobus eidem dixit quod quedam mulier iverat ad do-
mum predicti Jacobi et mulieribus suis dixit: Quare non recedunt isti
Bayones, quia publice dicitur quod omnes debent interfici ab hominibus
et populo civitatis predicte? Si eidem dixit dictus Jacobus que fuit ista
mulier, dixit quod non, quia non curavit interrogare et ipse dicere.
Ac etiam dixit quod ista fama de interficiendo predictos de Bayonibus
facta fuit sub specie civitatis Chastelle removendo (?), quod dicebatur
quod aliqui populares et qui steterant in officium in civitate Perusii
habuerant aliquam culpam in admitendo dictam civitatem Chastelle
amitere (sic), et alia dixit se nescire.

Interrogatus a quibus audivit dici, respondit quod audivit dici a
Masuco de Bayoni (sic). Et dixit etiam predictus Masuco quod eo tempore
quo fecit custodiam mercatoribus ad plateas, non fecisset nec venisset
ad faciendam nisi quod intelexerat quod illi de Bayonibus debebant in-
terfici. Interrogatus si predictus Masugo dixit quod si interficerentur
predieti de Bayonibus vendicet (?) ipsos, dixit quod nichil aliud dixit
nisi ut supra. Item dixit quod audivit, non recordatur a quibus, quod

Anzio Gi i e Al

rc io - n Lil ii 90 G. SORANZO

Arlotus de Michelotis dixerat: dicitur quod quidam ex nobilibus civi-
tatis Perusii volunt tradere hane civitatem in manibus ecclesie; chaveant
bene sibi, quia forte non erit cras quod faciemus eis allia nova. Et allia
dixit interrogatus se nescire.

(c. 61).

Nerinus quondam Petrucii de Monte Sperello de porta Sollis et pa-
rochia sanete Lucie suo sacramento interrogatus dixit prout inferius
continetur.

Interrogatus qua de causa fuit et est detemptus, respondit se nichil
scire nisi quod quidam sui atinentes fuerunt et sunt rebelli civitatis
Perusii et fuit incissum caput uni suo fratri et ab eo tempore citra re-
putatur pro suspecto a comune Perusii. Item dixit interrogatus quod
bene conversatur et conversacionem habet cum Nello filius Ocdi de Ba-
yonibus civitatis predicte (1). Interrogatus in quo modo habet conversa-
cionem eum predicto, dixit quod habebant in amasias duas sorores (2)
et ista de causa conversabantur insimul. Interrogatus si predictus Nellus
eidem dixit aliquid de accipiendo civitatem Perusii vel de dando ipsam
aliquibus, dixit quod non. Et allia dixit interrogatus se nescire.

(e. 64).

Hee est inquisicio que fit et fieri intenditur per antedictos domi-
nos per capitaneum et iudicem ete. adversus * REA INL ND Ma:

* Andrucolum Michi de porta Heburnea et parochia sancti Stefani de
Perusio. In eo et super eo quod ad aures et noticiam predictorum do-
minorum capitanei et iudicis fama publica procedente et clamo[ro]sa
insinuacione referente non a malivolis personis sed a fide dignis per-
venit, quod Andrucolus dolose maliciose et malo modo et spiritu diabo-
licho instigatus et inmemor eterne salutis divine quam pre oculis non
habens ac animo proditorio causa subvertendi libertatem et bonum et
pacifieum statum, quem ad presens habet civitas Perusii, multociens et
multoeiens ab uno mense citra locutus fuisse ac tratasse et ordinasse
et operam cum effectu (3) dedisse cum Odo de Bayonibus civitatis Pe-

(1) sed modo dico tibi quod Odo pater meus intendit omnino operam dare et
totaliter efectui mancipare, quod libertas et pacificus status huius civitatis mutetur
et subvertetur, et una cum eo quod status noster recuperetur, quare dico tibi quod
fulcias armis ita quod cum tempus erit, inveniam te fulcitum; et quod ipse Nerinus
valde contentus de predictis respondit, quod se de armis modo fulciret et quod pro-
curata erant quecumque ad predictam executionem una cum ipsis mandanda. et
ex nume se cepisset fulcire occasione predicta.

(2) Sono cancellate queste parole: que vocantur.

(3) Aggiunta marginale: quantum potuit.
ATTI D'UN PROCESSO FATTO A PERUGIA, ECC. 91

rusii de dando et dari volendo dietam civitatem Perusii uni magno do-
mino, nomen cuius ad presens tacetur pro meliori, pro destruendo et
subvertendo bonum tranquillum et pacificum statum civitatis Perusii et
in reeuperando. suum et aliorum qui predietis interesse debebant ac eciam
tratasset curasset ordinasset cum Odo predieto de interficiendo omnes
maiores populares civitatis Perusii et illos, qui ad presens regunt dictam
civitatem et ipsam civitatem Perusii et habitantes in ipsa suo posse de-
predare et depredari facere et de predictis diviciis divisionem facere

inter omnes, qui predietis interfuissent, nomina quorum ad presens ía-
centur pro meliori. Item sponte dixit et confessus fuit quod Iacobus * *

meret m m mS

de civitate Perusii cum multis personis, nomina quorum ad presens ta-
centur pro meliori (1), debebat ire ad portam sancti Petri et ipsam por-
tam deicere in terram et frangere cum quadam magna comitiva gen-

SU REIS n t

cium que illie extra erat in monasterio saneti Petri (2) intrare dictam

civitatem Perusii pro complenda et executioni mandanda omnia supra-
Scripta et causa subvertendi libertatem et pacificum statum popularem

RET

civitatis Perusii ex tractatu suprascripti Odi ac etiam de voluntate et
consensu predicti Andrugoli, et predicta omnia singula ab uno mense
citra pluries et pluries et continue tratavit et ordinavit causa subver-
tendi libertatem et pacificum statum popularem civitatis Perusii, et a
suprascripto malo proposito et ordinamento nunquam recedendo, ymo
in ipso semper perseverando; nec per ipsum stetit quominus omnia et
singula suprascripta executioni totaliter mandarentur, nisi predictus
tratatus et ordinamenta dei gratia fuissent revelata dominis prioribus
artium civitatis Perusii et aliis ad presens dictam civitatem regentibus
et gubernantibus; omnia predicta faciendo comitendo et tratando in ma-
gnum dedechus et vituperium dieti domini capitanei et tocius sue curie
etin magnum danum ef preiudicium civitatis Perusii et tocius populi
diete civitatis. Et predicta fuerunt de anno presente citra in civitate
Perusii in quadam stancià dicti Oedi posita super platea Horusti cum
i suis complicibus et in domo habnacionis on pm FE EUR

3 * * * s* * » * * * D * * *
Padova, maggio 1905.

* GIOVANNI SORANZO.

È (1) de ipsius et aliorum conscilio tractatu deliberacione et ordinamento.
A (2) esse debebat de ebdomada nuperrime preterita, nisi predictus tractatus

Lee 21. S As.

Suisset revelatus.
DI DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI

DI DELIBERAZIONI CONSIGLIARI E DI PROCESSI

(NOTIZIA).

Scarse sono pel secolo decimoterzo le fonti della storia
umbra, e scarsissimi poi per quest'epoca i libri delle delibe-
razioni de’ Consigli e quelli processuali, che pure è certo si
cominciassero a compilare e custodire gelosamente sin dagli
inizi de’ nostri Comuni, e dai quali tanta luce potrebbe ve-
nirci per conoscere in modo sicuro e preciso la vita, i co-
stumi, le vicende e l’interna compagine di quelle sorgenti
democrazie.

Tra i pochissimi che restano debbono annoverarsi i due
registri originali di cui qui offro un cenno sommario, che
fanno parte della ricchissima raccolta strozziana del R.° Ar-
chivio di Stato di Firenze.

Il primo di essi, che porta l'antico numero 74, consta
di 51 fogli membranacei in grande formato, appartenenti non
ad un solo registro di partiti, ma a più libri di deliberazioni
de’ diversi Consigli del Comune di Città di Castello, del Con-
siglio Generale, cioè, Speciale, di Credenza, del Popolo, come
di quegli altri corpi deliberanti minori o commissioni spe-
hs ciali, de' Ventiquattro, de’ Dieci, de’ Savi sopra la guerra,
! de' Discreti, ecc., che, secondo un costume frequente in quelle
incipienti organizzazioni politiche, si eleggevano di volta in

7

MEECSE CI PARO AR 94. G. DEGLI AZZI

volta a seconda delle particolari necessità del momento. Non
abbiamo quindi, purtroppo, un corpo unico e compatto di do-
cumenti svolgentisi ordinatamente, ma un insieme di più
frammenti, parte brevissimi, parte di più ragguardevole mole,
che furono poi da chi li salvò da ulteriori dispersioni, to-
gliendoli anche all'indegno ufficio di coperte d'altri registri
d’epoca posteriore, riuniti e disposti per ordine cronologico.
Non intendo per ora farne quello studio sistematico e
completo che per l'alta antichità e pel contenuto loro meri-
terebbero, ma offrirne soltanto una succinta indicazione e un
brevissimo spoglio, da cui, peraltro, non potrà non apparire
la somma importanza che hanno così per la storia tifernate
in particolare, come per quella, in generale, dell'intiera re-
gione umbra. :
Col 1261 cominciano le prime registrazioni, quando cioé
piü infierivano le civili discordie, e il governo del Comune
era passato nelle mani de' Ghibellini: d'un. Consiglio « Par-
tis Ghibellinorum » troviamo ififatti ricordo sin dai primi
del 1263, e delle trattazioni che corsero in quegli anni fra
il partito dominante nella città e i fuorusciti e i signorotti
feudali de’ dintorni che spalleggiavano e sostenevano l'una
o l'altra fazione. Assai utili sono i ragguagli che si posson
trarre cosi per ricostruire e controllare la serie cronologica
de' magistrati del Comune in questi anni, come per lo studio
della organizzazione de' vari poteri che prendevan parte al
governo della pubblica cosa e per lesatta conoscenza della
giurisdizione territoriale di Città di Castello, che ci è data da
un elenco « omnium castrorum et forticiarum [sic] que sunt
ad mandata Comunis », formato officialmente a scopo di di-
fesa e di sicurezza. Copiosi pure sono gli accenni alle rela-
zioni intercedenti tra la repubblica tifernate e quelle limi-
trofe di Perugia e Firenze, come ai suoi rapporti con molte
città della Toscana, delle Marche e della Romagna e perfino
colla corte Sveva e colla curia di Roma. Mentre quindi ci
è dato studiare l’azione esterna del piccolo stato in confronto
. DI DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI, ECC. 95

della. politica generale d'Italia, possiamo traverso i nostri do-
cumenti seguire il suo sviluppo interno e l'opera di concen-
tramento politico che andava assiduamente compiendo e la
sua lotta incessante e spesso fortunata contro gli ultimi
avanzi delle circostanti dominazioni feudali, conquistati o sot-
tomessi man mano o colla forza dell’armi od anche più fa-
cilmente colloro mercè pacifiche convenzioni. Né meno in-
teressante è vedere la vigile premura e gli sforzi con cui il
Comune tifernate si studiava di accrescere ed assodare la
propria egemonia sul territorio, attuando quella politica di
assorbimento che talora fu di amichevole aggregazione, ta-
lora di violenta sopraffazione de’ vicini più deboli e più pic-
coli, quale già su scala più vasta avean cominciato e segui-
tavano ad attuare le altre maggiori repubbliche. In questa
sciagurata gara d'ingrandimento per cui parve che le nostre
giovani democrazie non sapesser cercare la propria autono-
mia che nella soppressione dell’altrui libertà, e che fu causa
non ultima delle infinite stragi domestiche e del rapido de-
clinare a servitù, il Comune tifernate fece prevalente uso
delle milizie cittadine; ma non tanto che anche qui non s'a-
vessero in embrione già sin da quel tempo i germi delle fu-
neste compagnie di mercenari, onde di li a non molto così
atroci sciagure vennero al nostro paese. Nè altro infatti che
masnade di ventura, assoldate dai tifernati, son quelle che
sotto la scorta d'un « presbiter de Bulxano » vengono ricor-
date in una deliberazione del 9 maggio 1263 e le altre che
sotto il maggio 1267 (carte 38 r.) vediamo accapigliarsi tra
loro, tantochè i magistrati stessi e i Consigli della città do-
vettero intervenire per comporre tra loro quei turbolenti fra
cui figura persino un nome di donna.

Per ciò che concerne la costituzione politica, è notevole
il vedere come durante la vacanza dell'ufficio del Podestà e
del Capitano, il supremo potere veniva assunto da un corpo
collegiale di quattro Capitani del Popolo (c. 1 e 41 t.), con
proprio giudice e notaio, i quali col nome di « subregentes

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96 G. DEGLI AZZI

loco Potestatis » amministravano la cosa pubblica con pieni
poteri, presiedevano i Consigli e nominavano magistrati. An-
che degno di considerazione é il fatto che, mentre si ha già
ripetuta e sicura menzione di Statuti e di Costituti, le mo-
dalità della elezione de' supremi ufficiali, il salario loro e le
condizioni d’ eleggibilità, specialmente per riguardo al luogo
d'origine, dovessero ancora stabilirsi di volta in volta: effetto
questo, indubbiamente, delle tristi condizioni politiche de’
tempi, torbidi per l'imperversar delle fazioni, e delle diffi-
denze di cui le suscettibilità partigiane circondavano la scelta
de’ forestieri cui doveva affidarsi il governo della repubblica.

Le ultime registrazioni (c. 51) concernono le concessioni
di cittadinanza tifernate agli oriundi d'altri paesi e le condi
zioni che s'usavano imporre pel godimento de’ diritti a quella
inerenti.

D'interesse più particolare per la storia giuridica e l'al-
tro registro (antico n.° 74), che è pure costituito di più fram-
menti, ma assai men esigui di quelli del primo e relativi ad
un periodo d’anni (almeno per la parte principale) assai più
ristretto.

Comincia, alla metà circa del marzo 1260, colle denunzie
sporte « ex officio » dagli agenti del magistrato contro co-
loro che tentassero portar aiuti d’armi o di vettovaglie ai
fuorusciti della città od ai signori ed abitanti de’ luoghi vi-
cini sospettati di osteggiare il partito allora dominante nel
governo del Comune. Le denunzie venivano presentate al
podestà, designato ne’ nostri documenti coi nomi di Uderigo,
Oderisio o Uderigo, e i processi istruiti generalmente da
Polo suo giudice « super malefitiis »; le registrazioni sono
autenticate dal notaio criminale ser Polo, il quale il più delle
volte annotava a margine delle singole procedure, con sigle
o con parole convenzionali, l'esito di queste.
DI DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI, ECC. 97

Dal 18 marzo 1260 si va senza interruzioni al 14 di-
cembre: a c. 67, sotto la data del 1263, si hanno alcune
note di pagamenti fatti ai Camerlenghi di Città di Castello,
e a c. 70 il resoconto della loro gestione presentato, ai 3
marzo di quell’anno, al giudice del Capitano del Popolo ed
ai tre « ratiocinatoribus Comunis ».

Poche annotazioni processuali si hanno dell'agosto 1263,
essendo podestà Orlando « Guidonis Bovis », Capitano del
Popolo un Uguccio, e suo giudice Cacciaguerra (c. 69).

Del 1275 sono registrate varie denunzie avanzate innanzi
al podestà Guido « de Corigia » e sentenze di condanna rese
da lui (c. 11-16); seguono poi le condanne pronunziate nel se-
condo semestre del 1276 da Giulio « de Sanguinea » e Guido
« Baracus », giudici del podestà, nobile Matteo « de Corigia »,
in danno dei « portantes arma contra bannum Potestatis »,
e pubblicate nel Consiglio Generale de’ Dugento da Bernardo
de' Grossi notaio del podestà; a cc. 19-84 sono le denunzie
sporte innanzi al podestà Bravo « de Bravis » ed al suo giu-
dice Ottolino « d. Orte ».

Nella c. 86, ultima del registro, leggonsi le sentenze di
condanna emanate nel bimestre marzo-aprile 1244 da Marco-
valdo « Malpilij » lucchese, podestà di Città di Castello, il
quale (è opportuno notarlo per la storia politica del Comune),
come premette al titolo della sua dignità la formula « Dei
et imperiali gratia », cosi esplicitamente dichiara di ricono-
scere dall' Imperatore lautorità di che era investito (« arbi-
trium nobis ab Imperatore concessum »).

I pochi saggi che ho dato di questa preziosa raccolta di
documenti giudiziari sono ben lungi dallesporne anche suc-
cintamente tutto l'importantissimo contenuto: ma anche quei
pochi, mi lusingo, potranno far conoscere agli esperti qual
tesoro di notizie se ne possano trarre cosi per lo studio delle
discipline penali e procedurali, come per quello del costume
e per la ricostruzione d'un abbozzo, diró cosi, della statistica
criminale d'uno dei nostri Comuni alla metà del secolo XIII.

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G. DEGLI AZZI

Ed a quest'ultimo proposito anzi osserveró come, tolte
quelle registrazioni (e son molte) che riflettono i delitti e le
contravvenzioni, come oggi diremmo, d'indole politica, di-
sgraziato e necessario effetto di tempi faziosi e di persecu-
zioni partigiane, le altre denuncie relative a delitti comuni,
specialmente contro l'integrità della persona e la proprietà
privata, rappresentano, registrate cosi come sono direttamente
in prima persona su referto immediato del querelante, al-
trettanti gustosi e caratteristici quadretti di genere, utilissimi
a darci un'idea abbastanza adeguata della vita, della civiltà,
delle tendenze e delle condizioni di quegli antichissimi padri:
poiché sulla scorta del privato denunciante ed insieme al
magistrato inquirente ci è dato penetrare nell'interno delle
case, sorprenderne gli episodi domestici, studiarne le abitu-
dini, la consistenza economica e ispezionarne persino gli uten-
sili, i vestiarî e gli arredi.

E quando si pensi che la serie degli Annali o libri de’
Partiti Consigliari di Città di Castello, oggi conservati nel-
l'Archivio del Comune, comincia appena col 1337 (1), e che
per la maggior parte delle nostre repubbliche medievali,
come a Firenze e Perugia, le serie complete de’ registri pro-
cessuali non s'iniziano che alla metà circa del secolo XIV,
oso nutrire fiducia che la notizia qui offerta dei due vetusti
e sin qui ignorati registri tifernati sia per riuscire non del
tutto inutile e inopportuna agli studiosi della storia nostra.

Firenze, 18 marzo 1905.
GIUSTINIANO DEGLI Azzi VITELLESCHI.

(1) Cfr. Muzr, Memorie Civili di Città di Castello, vol. I, pp. 65 e segg., e Ge
MAGHERINI, Notizia dell Archivio del Comune di Città di Castello, a pagg. 353 e Segge
del vol. II degli Archivi della Storia d’Italia, editi da G. MAZZATINTI. MT Pee TE

DI DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI, ECC. 99

SPOGLIO DEI REGISTRI CASTELLANI

Registro I.

Qi 1261, Ott. 16.
Provvisioni contro la delazione d’armi, contro gli sbanditi, ecc.

1. « Quaternus Consiliorum Credentie. — In Christi nom. Amen. Anno
Domini mill. ducent. sexagesimo primo. Indict. quarta, tempore d. Ur-
bani pape iiij. Quaternus Consiliorum Credentie [corros.] tempore
dd. Capitaneorum populi Civitatis Castelli videlicet Ugolini Berardi,
Jacobi Galgani, Johannis Martini Novelli et Jacobi Bonagratie et d.
Blencevenne iudicis, et Maioris Consilij et Consilij populi.

Die Dominico xvj intran. Ottubr.

Congregatis quibusdam bonis hominibus Civitatis Castelli electis
per Capitaneos populi diete Civitatis super utilitatibus Comunis provi-
dendis et dispensandis cum ipsis Capitaneis in palatio Episcopatus Ci-
vitatis diete, dietus Jacobus Galgani Capitaneus populi de licentia et
voluntate sotiorum suorum proposuit et consilium eis exiberi petiit:

Si placet eis quod exigantur vel puniantur quemlibet (sic) contra»
facientem secundum formam statuti vel ordinamenti.

Item si placet eis quod banniatur quod nullus vadat armatus per
civitatem ni[si] de licentia Capitaneorum populi.

Item si placet eis quod banniatur quod nullus exbannitus Comunis
stare debeat in civitate, et quod nulla persona debeat vel audeat ex-
bannitum aliquem retinere in domo vel auxilium eis dare ad bannum
quod continetur in Capitulo Constituti vel ordinamenti.

Item si placet eis quod banniatur quod quilibet forensis exeat ho-
die extra Civitatem »...

Approvato ; e la relativa. « reformatio » fu subito pubblicata dal ban-
ditore « în platea Comunis ».

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2. « Liber Consiliorum spetialium factorum tempore nobilis viri d. Ro-
landi Guidonis civis de Parma potestatis Civitatis Castelli anno Dni
mill. ducent. sexag. tertio, septime indict.

1263, Mar. 2.
Provvisioni di custodia per la città.

Die Jovis secundo Marcij.

Consilium speciale de xxiiij, et Consules Arcium congregati fuerunt
in hospicio potestatis, presente d. Huguccio de Cortona Capitaneo Po-
puli dicte Civ., in quo dictus potestas proposuit et consilium petiit sibi
dari super custodia civitatis de die et nocte et precipue ut porte civi-
tatis que aperiuntur et clauduntur, custodiantur.

Item cum custodes carceris in quo sunt prexonerij Comunis non
satisdederunt, consilium similiter petiit super custodia diete carceris.

Petrus de Caprano consuluit quod porte que aperiuntur et clau-
duntur custodiantur de die et nocte desuper per duos custodes beneficio
Comunis.

Item dixit quod .xL. de melioribus et fidelioribus hominibus civi-
tatis elligantur in qualibet porta quorum decem singulis noctibus re-
quirant eos qui custodiant civitatem et postas, portas et archus civi-
tatis, et suprastantes qui ponant custodias postarum et portarum po-
nant [sic] ubique in ea quantitate quam viderint expedire »...

Q::9.t, 1263, Mar. 5.

Per la concordia fra il marchese, i ghibellini e il Comune, ecc.

2. Die Lune v Marcij.

D. Potestas... in Consilio Speciali proposuit... super concordia fa-
cienda inter Huguccium d. Hugolini et partem Ghibillinorum et Comune
Castelli secundum petitiones dieti Huguecij et secundum quod refor-
matum est per Consilium Partis Ghibillinorum ut... constat script. per
Raynaldum not.

Item super petitione d. Henrigi Marchionis qui petiit milites et
pedites et aliud auxilium a Comuni pro defensione sua et terrarum
suarum.

Item super petitione d. Oddonis vicarij et sotij veteris potestatis
qui petiit relaxari a custodibus satisdando de bonis pignoribus de ju-
dicatu solvendo »...
DI DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI, ECC. 101

1263, Mar. 6.
Riferma della concordia con Perugia.

4. Die Martis vj eiusdem mensis.

... Item [dietus potestas] petiit consilium super [ambaxiatoribus]
mietendis Perusium ante quam potestas vadat vel, si debeat statim
ire, ante quam ambaxiatores vadant, causa sacrandi concordiam cum
Perusinis secundum quod fuit statutum per Consilium Generale.

... D. Baraterius,.. super ambaxiata de Perusio dixit quod pote-
stas vadat antequam aliqui alij ambaxiatores mictantur et cum pote-
state vadant quatuor ambaxiatores...

D. Guido Baldovini... super facto ambaxiate de Perusio dixit quod
tamtum duo Ambaxiatores vadant tamtum (sic) Perusium...

Martinus Hughicionis.. super ambaxiata de Perusio dixit quod
potestas faciat dictam ambaxiatam cum quatuor ambaxiatoribus aut
sex secundum quod placebit sibi et Capitaneo...

In reformatione predicti Consilii... plaeuit majori parti quod. dieta
ambaxiata fiat per potestatem cum quatuor aut sex ambax. arbitrio
potestatis et capitanei ».

C. 6 r. 1263, Mar. 21.

Provvisioni di custodia del contado.

5. Die Mercurij xxj Marcij.

Consilium Speciale et Consules Arcium fuerunt congregati in eodem
palatio potestatis in quo... dietus potestas, cum multa castra petant
custodiri per Comune que per ipsum dicuntur esse solita custodiri, si-
licet Podium Abbatis, castrum Montis Lardarij, Montis Raynucini, Lu-
gnanum, Rochagnanum et etiam multa alia..., petiit generaliter ut
provideatur super custodia omnium castrorum et forticiarum districtus
Civ. Castelli que sunt ad mandata Comunis, et petiit eciam provideri
quid possit fieri super custodia districtus causa rebellium qui de die
et noete predant, ut eorum spoliis resistatur et per quot custodes volunt
unumquodque castrum custodiri et quid volunt dari unicuique custodi.
Castra vero que anno preterito custodita per Comune sunt infraseripta :

In districtu Porte S. Marie

Castrum Primaynij cum duobus capitaneis et .xx. custodibus
» Bagnoli per quatuor custodes

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Castrum Salti per .ij. custodes

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G. DEGLI AZZI

Montis Raynucini per .iij. custodes
Vetus per .iij.

»

De Porta Sancti Floridi

Castrum Civitelle per unum capitaneum et .v. custodes
Podij Abbatis per .iij. custodes

Turris de Fonte Maiori per .ij.

»

Lugnani per .iij.

Montis Bendenesi per .ij.

Mucignani per .iiij.

»

»

De Porta S. Jacobi.

Castrum Scilicis per unum capitaneum et .vij. custodes
Vallis Bone per unum capit. et (abrasione)...

Turris de Cisterna et porta per .iij.
Castilionis et porta per .iij.
Castilionchulum cum uno custode.

»

Castrum Riparum per .vi. custodes

Plebis sancti Zipriani per .ij. custodes

Sealochij per unum capit. et . vi. »

»

»

De Porta Sancti Gilij.

Turris de Abbatia per .vi.

450

1263, Mar. 27.

Precauzioni contro le mene faziose.

Die Mercurij xxvij Marcij.
Coadunato Consilio Speciali... dictus potestas petiit consilium super
equis Guelforum utrum per eos vel per alios qui sint fideles Comunis

debeant equitari.
D. Oderigus consuluit quod mittatur pro Guelfis qui habent cava-
latas et dicatur eis quod singuli eorum elligant illum qui erit Ghibel-
linus, et facta dicta electione, examinetur si dederint in scriptis illos

de quibus potestas et milites possint confidere...
DI DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI, ECC. 103

C. 8 m. 1263, Apr. 1.
Deliberazioni contro esterni nemici.

1. Die Sabati vii Aprelis.

Consilium speciale... in quo d. Capitaneus populi, leeta ibi quadam
littera missa a d. Johanne Donati Vieario in Vacharezia pro Comuni
Civ. Castelli, continente quod Huguiccius hiis diebus habuit colloquium
et tractatum cum illis de Agubio et de Massa sancti Petri in detri-
mentum et lesionem Comunis Civ. Castelli et quod ipse Huguecius de
novo eddificat quoddam castrum quod dieitur Menatoia, dixit et con-
silium petiit sibi dari super predictis...

D. Oderigus... consuluit quod... reducatur ad Consilium Generale

Comunis et populi.
Ca gir: 1263, Apr. 10.
Ricostruzione vietata di luoghi sospetti.

8. Die x Aprelis.

Similiter... Capitaneus populi, cum expositum sit sibi quod Hugue-
cius q. Hugolini incepit incastellare Montem Ghixium,... consilium
petiit...

Magister Hugolinus notarius consuluit quod castrum prohibeatur
refici secundum formam capituli constituti.

D. Oderigus dixit quod duo notarij mittantur ad sciendum verita-
tem de hoc: que scita, reducatur ad simile Consilium...

1263,. Apr. 14.
Vertenze col Comune di Perugia.

9. Die Sabati xiij Aprelis.

Congregati sex Sapientes de qualibet porta civitatis, qui habent
auctoritatem super exercitu faciendo contra Huguccium a Consilio Ge-
nerali, et xxiiij consiliarij in hospicio potestatis fuerunt, coram quibus
d. Bartulus pro se [et] d. Tedaldo Orlandino Maffei et Matheo Tabiatij,
ambaxiatoribus dieti Comunis qui iverunt cum potestate Perusium pro
invenienda concordia inter Comune Perusij et Comune Castelli et pro
aliis multis negociis Castelli et pro represaliis removendis et etiam
super eo quod Comune Perusij requisiverat Comune Castelli ne dam-

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104 G. DEGLI AZZI

nificarent (sic) in aliquo Marchionem de Monte Mixano nec illos de dicto
castro vel curia nec illos de curia Reschi, cum cives perusini dicant se
emisse multas possessiones in dicta curia, retulit quomodo ipse d. po-
testas et ipse et alij ambaxiatores excusaverunt Comune Civitatis Ca-
stelli super facto de Monte Mixano et curia Reschi et super represaliis
et quomodo induxerunt multa jura quibus Comune Civitatis Castelli
erat excusatum de facto Marchionis; et eciam quod condennacio quam
fecit Comune Civitatis Perusij de Comuni Castelli pro homicidio facto
in illos qui fuerunt occissi occasione Huguccij, et retulit eciam talem
responsionem esse factam de Comuni Perusij quod nolunt quod aliqua
offensio fiat in curia Reschi per aliquem castellanum; et super eonden-
nacione facta de Comuni Civitatis Castelli occasione predicti homicidij,
fuit responsum per Comune Perusij quod ipsi Perusini volebant quod
Comune Castelli omnino comitteret se sibi et Comune Perusij faciet in
hoc quod justum erit, cum non velit super hoc quasi nisi honorem:
unde dietus potestas consilium peciit super predictis.

D. Guido Baldovini consuluit quod super predictis aliquid de ce-
tero non tractetur, quia non invenimus jus apud Perusinos, set amba-
xata predicta debeat referri in Consilio Generali...

C. 9 t. 1263, Apr. 15.
Provvedimenti politici contro i quelfi.

10. Die Dominica xv Aprelis.

Consilium Generale etc. .... coram quibus d. Tiverius judex pro se
et d. Bartolo, qui fuerant missi per potestatem et capitaneum ad requi-
rendum. Huguccium q. d. Hugulini quod veniret ad mandata potesta-
tis, capitanei et Cons. Civitatis Castelli, retulit se ivisse ad Montem
Maiorem causa faciendi requisitionem de dicto Huguccio secundum
quod stanciatum erat et preceperat eis potestas, et, cum fuerunt ibi,
intellexerunt dictum Huguccium esse in Monteghisulo et cum eo esse
Guelfos proditores Comunis Castelli: propter quod non fuerunt ausi
procedere, set dixit se cum dieto d. Bartulo mississe duos suos non-
cios ad dictum Huguecium: qui noncij retulerunt sibi ambaxiatoribus
quod dietus Huguccius dixit eis quod habebat Guelfos pro amicis ubi-
cumque essent et dixit quod volebat esse notum omnibus quod Guelfi
sunt ad suum servitium et ipse ad suum : propter quod ipsi ambaxia-
tores aliud non potuerunt facere. Unde potestas... consilium petiit
super predictis.

D. Bartulus consuluit quod [noti]ficetur per omnes amicos Tuscie
d

DI DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI, ECC. 105

et Comunia civitatum de Tuscia qui sunt Ghibillmi et qui sunt ad
mandata d. Regis, novitas et amicitia quam nunc Huguccius fecit et
contraxit eum Guelfis proditoribus d. Regis et Comunis Castelli, et
quod custodes eastrorum Comunis sollicitentur et moneantur esse sol-
liciti circa custodiam castrorum et suam et quod milites archatores et
balestarij equitent in valle Soarie (?) causa faciendi quod illi de illa
contrata recolligant se et sua ad forticias in quibus possint se defendere...

D. Tiverius judex consuluit quod potestas vadat ad Montem Ma-
iorem cum duobus portis militum et ducat secum arcatores et balle-
starios et videat ipsum castrum et vadat eciam ulterius donec videat
castrum quod faeit Huguecius in Monte Ghisio et videat circumstan-
cias loci et tune mittat duos baylitores aut alios noncios ad predictum
Huguccium ut veniat ad loquendum sibi potestati, et potestas loquatur
sibi et requirat eum ut faciat sua mandata et de hoc tune faciat fieri
instrumentum ; et, hoc facto, procedat potestas usque ad Pichium et ibi
hospitetur, et si tunc sibi videbitur, requirat homines de Vaccaria (?) et
qui non essent in loco securo precipiantur ire cum rebus suis et stare
in burgo de Pichio vel in Montemaiori et illis de contrata, qui taliter
non fecerunt (sic), tollantur eorum res impune si eas ad predictas for-
ticias non reduxerint.

In reformatione... placuit... quod notificetur... novitas et societas
quam habet predietus Huguccius cum proditoribus d. Regis et Comunis
Castelli... amicis et dominis et Comunibus de Tuscia... et eciam d. Ot-
taviano cardinali...

(11.1. 1263, Apr. 17.
Preparativi militari.

11. xvij Apr.
Infraseripti sunt Sapientes ellecti, quorum provisione debent fieri
exercitus et cavaleate (seguono è 40 nomi, distribuiti per le 4 porte).

C. 18 t. 1263, Apr. 23.
Rapporti col. Comune d’ Urbino.

12. Die Lune xxiij Aprelis.

Congregatis... sapientibus... petitum fuit consilium per eumdem
potestatem super hominibus de castro Riparum a quibus Comune de
Urbino exigit occasione unius condennacionis quingentas libras quas
dieti homines omnino non sunt solvendo...

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106 G. DEGLI AZZI

D. Tebaldus consuluit... quod duo ambaxiatores vadant Urbinum
causa predicta et etiam occasione quia ilii de Urbino dant auxilium

inimicis...

C. 13 t.
Minaccie d’ assalti contro Apecchio.

13. Eadem. die.

... Coram... sapientibus... lecta fuit quedam lietera missa a d. Jo-
hanne Dianti (?) quod rebelles intendunt expugnare Burgum Apicule...
et petit suecursum balistarum et hominum...

C. ^16 T. 1263, Apr. 26.
Riparazione dovuta a' sudditi di Perugia, ecc.

14. Die Iovis xxvj Aprelis.

Congregatis efc. ... cum sit expositum potestati quod rebelliones (sic)
volunt reparare castrum Montis Falchoni, et cum d. prior de Monte-
maiori petat quod concedatur sibi quod ili qui habent refugium in
dieto castro cum rebus et personis dent sibi adiutorium ad solvendum
otto balestariis quos tenet ad suas expensas pro defensione dicti castri ;
lectis eciam lieteris Comunis Perusij continentibus qualiter Comune
Perusij requirit nostrum Comune ut mittat Perusium illos qui commis-
serunt (?) in Bencevenni eorum comitatensem et alios qui fecerunt vul-
nera in suos distrectuabiles (sic), et etiam dietum Comune requisivit
d. Riguccium ut vadat personaliter ad se excusandum de predietis,
unde potestas consilium peciit...

D. Tedaldus Signorelli consuluit super licteris Comunis Perusij
quod adhue scribatur quod nos sumus parati facere heredi occisi et
vulneratis et spoliatis plenitudinem rationis, scribendo verba que con-
veniant ad predicta...

D. Baraterius consuluit... quod d. Marchio de Pitriolo requiratur
ut faciat excusationem de predictis et inquisitio fiat ex officio qualiter
predieta facta fuerunt in nostro districtu...

C. 16-1. 1263, Apr. 30.
Rapporti d'ambasciatori inviati in Toscana, ad Urbino, ec.

15. Die Lume ult. Aprelis.
.. Moneta, noncius et ambaxiator Comunis missus ad d. Vicarium
et ad amicos de Tuscia occasione Hugucij q. d. Hugulini, exposuit DI DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI, ECC. 107

quod d. Viearius requireret dictum Hugucium ut faceret sua mandata, '
alioquin haberet ipsum pro proditore d. Regis et daret milites, et eciam
requisivit amicos de partibus Tuscie ut intendant in nostrum auxilium.

Item d. Uderigus d. Vinciguerre exposuit se ivisse ad civitatem
Urbini ad rogandum potestatem et Comune Urbini quod amore Comu-
nis Castelli non exigant condennacionem quingent. libr. ab hominibus
Riparum, quas omnino predicti homines non suní solvendo et exposuit
sibi fuisse responsum a potestate e& Comune Urbini quod potestas te-
netur de hoc precisse (?) vinculo iuramenti: tamen amore Comunis et
potestatis Civitatis Castelli potestas Urbini faciet quicquid potuerit ita
quod homines de Ripis potuerint se laudare. — Item requisivit Ghibel-
linos de Massa et de Urbino ut sint soliciti in factis nostris sicut ad-
versari] sui sunt intenti in negotiis Guelforum quorum amicorum sul-
lieitudo et responsio fuit bona...

RE m c JO RN

C. 18 t. | 1263, Mag. 9.

Condotta di mercenarî.

16. Die Mercurij viij Maij.

D. potestas... consilium petiit super facto Presbiteri de Bulxano et
sociis suis xxxvij ad assoldandum eos pro Comuni eum [non] velit stare
nisi habeat pro se et singulis sociis suis xr sol. ad rationem mensis...

6:97. 1263, Mag. 11.
Condanna contro un delinquente minorenne.

17. Die Veneris xj Maij.

Consilium speciale... in quo d. Potestas consilium petiit qualiter
volunt condemnare Bonsegnorem filium Maragacini qui rapuit Stan-
ciolo sartori xij libr. den., cum minor sit xv annis, et capitulum Con-
stituti requirat ipsum condennari de voluntate predicti Consilij...

.. Plaeuit omnibus... quod... compellatur restituere quicquid ra-
puit... antequam exeat de carcere, et postea stet ligatus ad catenam
tribus diebus et fustigetur per civitatem a Porta S. Iuliani usque ad
Portam S. Marie si constiterit ipsum esse minorem xv annis per jue
ramentum patris et maíris...

C. 20 r. 1263, Giu. 12.

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18. Die Martis xij intr. Junij.
.. Potestas.. consilium petiit super eo quod d. Rainerius de Viter=
bio cappellanus et legatus d. pape /?/ resto della carta è in bianco].

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ser? MESSA Uu. È

. DEGLI AZZI

C. 20 t. 1263, Giu. 14.
Rassegne delle milizie. [

19. Die Jovis xiiij Junij. 1

D. Potestas et Capitaneus in Consilio Speciale... decreverunt quod
notarij, silicet duo pro qualibet porta civitatis, elligantur per illos de
dicto Consilio speciali qui... legant et seribant resignationem peditum
et guastatorum in hostibus et cavaleatis quando fient de cetero per Co-
mune Civitatis Castelli...

C. 21 r. 1263, Giu. 16.
Rapporti con dignitar? ecclesiastici, con Perugia, ec.

20. Die Sabati xvj Junij.

Representata fuit infrascripta lictera potestati et Capitaneo et leeta
fuit in Consilio Speciali de xr Sapientibus... cuius lictere tenor talis
est: Petrus Dei gratia capellanus episcopus (spazio di varie linee in
bianco):

Super quibus Potestas... consilium peciit super equo imposito Ray-
nuccio de Ara quem petunt ambaxiatores de Perusio et de Montorio
absolvi ab impositione ipsius equi de gratia.

D. Benceveni iudex consuluit quod dicto Raynuccio ‘fiat gratia
petita.

Super facto predicte littere consuluit quod ob hoc nichil differatur
quod faciendum sit contra rebelles...

C. 22r. 1265, Nov. 22.
Trattative d' accordo coi fuorusciti guelfi.

21. .... Anno M.CC.LXV. Ind. viij. — Liber Consiliorum Generalium
factorum tempore dicti d. Potestatis.
- Die Dominico xxij. intr. Nov.

Ad laudem, efc.... in Generali Consilio .cc. Consiliariorum et xxiiij.
spetiali (sc) et Consulum Artium... d. Ugolinus de Sesso dei gratia
dicte civitatis potestas... consilium peciit... quid placet vobis consu-
lere et providere super eo quod Guelfi exititij et rebelles [comunis]
et districtus Castelli volunt se compromittere in venerabilem pa-
trem d. episcopum fratrem Michelem miseratione divina episcopum ca-
DI DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI, ECC. 109

stellanum tamquam in arbitrum et arbitratorem seu amicabilem com-
positorem dominum et amicum comunem et stare et parere eius pre-
cepto... de pace et concordia facienda cum Comune (sic) et hominibus
Civ. Castelli... dummodo Comune Castelli compromittat se simili modo
in dictum d. Episcopum ....

D. Bagnus... consuluit quod si dieti Guelfi rebelles et exititij vo-
lunt cedere libere sine pacto aliquo ad mandata d. Potestatis et Capi-
tanei et Comunis Civ. Castelli, recipiantur; sin autem, nihil fiat....

D. Bencivenne judex consuluit quod. d. Episcopus habeat in seri-
ptis illas petitiones quas dieti Guelfi (corros.) volunt et querunt, et di-
etus d. Episcopus det in seriptis postea potestati et capitaneo, et tune
diete petitiones in dieto Consilio reducantur, et sicut eis placuerit tunc
fieri in predictis, procedatur et fiat...

1 Ego Iohannes filius q. Petri Pagani de Gastaldis not. d. Pote-
Statis... scripsi...

Totus liber Consiliorum est in quindecim quaternis.

C. 24 t. 1266, Febr. 23.
Provvisioni circa alcune località del distretto tifernate.

22. Die Lune vj exeu. Febr.

Congregato Consilio Generali... ut moris est, in ecclesia S. Floridi...
d. Ugolinus de Sesso pot. Civ. Castelli.. consilium peciit: quod cum
reformatum sit per Consilium speciale quod petitiones hominum de
Monte Zardino reducantur ad Consilium Generale, et si in dicto Con-
silio fuerit ordinatum de expendendo de avere Comunis quod duo par-
tes hominum dicti Consilij debeant esse in concordia et aliter non
valeat: que petitiones tales sunt: petunt homines de Monte Zardino
quod cum ipsi emerint ab Ugutio d. Ugolini castrum curiam jurisdi-
cionem et homines de Monte Zardino qui erant dicto Ugueio subditi et
quiequid Ugucius habebat in castro et curia supradicta pro preeio un-
decim .c. libr. et parati sint jus quod habent in dieto castro a fossis
intus ét pedagio quod in dicta curia exigitur vel exigi consuevit et
etiam forum et jurisdicionem castri predieti vendere Comuni Civ. Ca-
stelli seeundum quod habent et emerunt ab Ugucio pro precio quod
Consilio populi videbitur conveniens. — Item quod per Consilium or-
dinetur de providendo eis ad solutionem precij memorati. — Item quod
si aliqui reperirentur in curia dieti castri, qui nolent ad solutionem
diete quantitatis confecte, pro eo quod non fuerunt presentes ad dietam
emptionem, quia requisiti non potuerunt haberi, forsan propter eorum
absentiam, quod per Potestatem et Capitaneum ad contributionem dicte

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110 G. DEGLI AZZI

quantitatis compellantur pro rata inspectis facultatibus utriusque, quid
placet vobis providere et consulere.

Item eum eodem modo reformatum sit per Consilium Populi quod.
portio hominum de Primano reducatur ad Consilium Generale, quod
cum ipsi homines sint vacui rebus victualibus et personis ita quod di-
etum castrum custodire non possunt nisi eis de rebus victualibus suc-
curratur per Comune Civ. Castelli....

...In reformatione dicti Consilij... super petitionem illorum hominum
de Monte Zardino placuit... quod illis... non provideatur pro Comuni (sc)
Civ. Castelli in aliquo de avere Comunis pro emptione dicti castri.

Item placuit... quod compellantur homines dieti castri qui non in-
terfuerunt emptioni facte de dicto castro et eius curia ad solutionem

diete quantitatis solvendam pro rata parte contingente cuilibet et se-

eundum eorum possibilitatem.

Super petitionem illorum de Primano placuit quod d. Potestas et
Capitaneus habeant cum eis .x. homines sapientes pro qualibet porta
qui super predietis debeant dispensare et providere...

Q. 26.7. 1266, Feb. 28.
Ordinamenti edilizi.

23. Die Sabati ult. Febr.

Congregato efc... quod cum in statuto contineatur quod quicumque
habeat fenestras vel hostium in muro vel supra muro civitatis teneatur
oxtrahere branchapettos et remurare ipsa hostia et fenestras de bonis
lapidibus et calzina sicut est grossus murus, et hoc de mense Februari;j :.
et cum propter defectum calzine hoc fieri non potuerit, quid placet...;.
et ubi non est aliqua domus justa dietos muros civitatis, quod potestas

faciat remurari et claudi hostia et fenestras que sunt in muro civitatis.

expensis Comunis...

... placuit... quod d. Potestas habeat terminum de predietis facien-

dis usque ad medium Martium prox. vent;... et quod illa hostia et fe-

nestre que sunt in dicto muro civitatis et non sunt apud aliquam do-

mum debeant remurari et claudi expensis Comunis...

C. 26 t. 1266, Mar. 2.
Rilascio di prigionieri perugini, ec.

24. Die Lune ij intr. Marcij.
In Generali Consilio... d. Ugolinus de Sesso pot... consilium peciit
DI DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI, ECC. 111

super lictera missa a Comuni Perusij in qua continetur quod Benin-
tende et Bernardinus et Ruspaldus et Corbucius capti apud Montem
Mizanum per homines Civ. Castelli et quos dicunt fuisse captos in con-
trata Plebis Marzani et esse eorum contadinos, cum bestiis ablatis re-
laxentur de carceribus Comunis Castelli et fideiussores de representando
Guidotium captum in dieta cavalcata absolvantur: quid placet...

Item qualiter placet vobis providere magistro Ranaldo not. qui ste-
tit pro suprestite ad faciendum fieri turrem de Silice per xx menses
et plus et cum sibi non fuerit in aliquo satisfactum...

Item quid placet vobis providere Jacobo Guidonis preti qui stetit
pro balitore ad faciendum fieri dietum opus...

.. Placuit... super lictera missa a Comuni Perusij quod tres ex
ilis hominibus qui fuerunt capti apud Montem Mizanum et qui sunt
in carceribus Comunis Castelli relaxentur et dentur ad petitionem Co-
munis Perusij.. et alii duo relaxantur (sic) per scambium illis de Monte
Mizano... qui sunt in carceribus in Monte Mizano...

... Super facto magistri Rainaldi et bailitoris placuit... quod d. Po-
testas et Capitaneus inquirant ab eis per quantum tempus steterunt ad
faciendum fieri dietam turrem de Silice et eciam quantum pretium que-
runt pro eorum labore et sallario, et hoe habito et scito, reducatur ad
dictum Consilium...

C. 30 rm. 1266, Dic. 5.
Partecipazione ricevuta di fauste novelle.

25. Die lune v. Decem. (1).

Congregato Consilio Credentie ad sonum campane ut moris est in
palatio Uguecij, proposuit dominus Amadore vice d. Comitis et consilium
postulavit... quid placet eis quod fiat nuntio qui apportavit lieteras
ex parte Potestatis et Comunis Florentie de victoria d. Regis Caruli
de Podio Bonizi...

In reformatione cuius Consilij... placuit... quod nuntius qui por-
tavit litteras Comunis Florentie habeat tunicam, cuperonem et capu-
zium de panno mediolanensi.

(1) A questo punto il codiee muta mano; non son più registrati i pareri de'Con-
siglieri, ma solo le proposte e le deliberazioni prese; e cosi fino a cc. 38.
G. DEGLI AZZI

C. 80 t. | 1266, Dec. 6.
Rapporti coi Perugini.

96. Die Martis vi Decem.

Congregato Consilio Credentie in domo Ugueci inferiori... d. Ama-
dore iudex vice d. Comitis proposuit... quid placet eis quod fiat super
facto lieterarum quas misit potestas Perusij et d. Ballione et qualiter
sit eis respondendum super litteris nominatis...

... placuit... quod unus ambaxiator cum syndico et notario mitta-

tur Perusium...

1266, Dec. 11.
Rapporti con quei di Cortona, ec.

91. Die Dominico xi Decem.

... d. Amadore iudex... consilium postulavit quid placet eis quod
fiat super litteris missis a d. Rege de facto Corton.; item... super lit-
teris missis a Comuni Masse super facto Inghilmentis;... item super
quod dieitur quod Burgenses dederunt verbum represallie d. Rieco-
manno contra homines Civ. Castelli...

... Placuit... quod si Inghilmente emit domum quam emit cum
voluntate ConsiHi quod nihil dicatur... Item quod banniatur quod nulla
persona de Civ. Castelli vadat Burgum. Item quod super litteris missis
a d. Rege presentia d. Comitis expectetur.

Ci53l:r. 1266, Dec. 13.
Vertenze cogli Aretini.

28. Die Martis xiij Dec.
Congregato Consilio Credentie... d. Amadore... proposuit... quid
placet eis quod fiat super facto Folconis et Nicole ambaxiatorum Aretij.
... Placuit... quod rescribatur Comuni Aretij quod parati sumus
facere Falconibus et Nicole civibus aretinis summariam et plenariam
tacitationem super questionem quam porrexerunt Comuni Civitatis Ca-
stelli et quod super questione predicta faeta fuit inquisitio diligenter.

Parere di giurisperiti su una questione col Vescovo.

Consilium .dd. judicum Jacobi Paganelli, Tiverti, Johannis Alberti
super appellationem quam fecit d. Episcopus Castellanus de facto Ca-
DI DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI, ECC. 113

stri Verne tale est: quod contra Comune Verne et homines dicti Co-
munis ad habendum condempnationes datia et collectas viriliter pro-
cedetur, non obstante appellatione predieta.

1266, Dec. 30.
Provvisioni per ambascerie.

29. Die Jovis xxx Dec.

Congregato Consilio Credentie... d. Comes proposüit... super facto
petitionis porrecte pro parte d. Guidonis Marchionis ; item super [facto]
ambaxiatoris qui debet ire ad Curiam d. Regis...

... Placuit... quod d. Guido marchio habeat libras .x. pro amba-
xiata quam fecit pro Comuni cum d. Ranerio de Viterbio Eugubium
et cum Guarnerio Eugubium, Callium, et in Massa Trabaria; salva
taxatione sicut fit pro aliis hominibus civitatis predicte... Item quod
Delcidede not. vadat ad Curiam d. Regis pro ambaxiatore Comunis...

C. 31 t. 1267, Genn. 22.
Rapporti con feudatarî.

30. Die Dominico xxii Jan.

... D. Comes... proposuit... super... facto eundi ad loquendum cum
d. Henrigo marchione et quomodo...

... Placuit... quod d. Comes vadat ad loquendum d. Rigoni mar-
chioni usque: ad Montem Lendinosum, et cum eo vadant xvi milites,
de qualibet porta quattuor. :

1267, Gen. 23.
Licenze di pascolo su terreni del Comune.

91. Die Lune xxiij Januar.

... Proposuit d. Comes... si placet eis quod d. Comes habeat li-
centiam et possit aliis dare licentiam retinendi pecudes in pasturis Civ.
Castelli et eius comitatus per se et homines stantes ad mandata civi-
tatis predicte...

... Placuit... quod d. Comes habeat licentiam ad velle suum plenam
faciendi retinere et retinendi suas pecudes et dandi securitatem aliis
omnibus qui volunt suas peeudes retinere retinendi ipsas suas pecudes

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114 G. DEGLI AZZI

in pasturis civitatis et distrietus civitatis predicte, per se et omnes ho-
mines stantes ad mandata civitatis predicte et eorum sequaces, et licen- !
tia et securitas quam dederit dietus d. Comes valeat et teneat per se et
omnes homines stantes ad mandata civitatis prediete et eorum sequaces.

QU 33. 1267, Feb. 3.
Condotta di soldati.

32. Die Veneris ij Febr.

... Proposuit d. Comes... super facto magistri Rodulfi cum sua
masnada si retineatur ad soldum aut non...

... Placuit... quod magistro Rodulfo et suis masnaderiis dentur
libre .x. in mense et iungantur ei soldi pro duobus equis, dummodo
faciat pactum Comuni standi et serviendi Comuni predicto usque ad
mensem septem.

C. 33 t. 1267, Dec. 6.
Compenso per copie di pubbliche scritture.

99. Die Martis vi Dec.

... Brodaius d. Paganelli not... de duobus instrumentis sindicatus
guelforum et ghibellinorum exemplatis per eum ad Curiam Romanam
et aliis seripturis... factis olim pro Comuni... habere debet a dieto Co-
muni... libras iiij denar.

1268, Apr. 10.
Compilazione di pubblici registri.

Die Martis x Apr.

Congregato Consilio Credentie in palatio q. Ugucci... d. Comes
proposuit quid placet eis quod debeat habere d. Andreas not. de scrip-
tura libri debitorum Comunis...

... Placuit... quod... habeat... libras .xx. den. usualis monete...

0. 84 r. 1268, Apr. 13.

Provvedimenti di difesa per Varrivo di Corradino di Svevia.

35. Die Mercurij xiii Apr.

... D. Comes... proposuit... quid placet et videtur eis quod fiat su-
per munimine cívitatis, quum nova ferunt quod d. Curradinus nuper ad
partes Pisanas personaliter properavit.

... Placuit... quod nulli Ghibellini ad presens exeant de civitate
MUTET HEIC t Coo XS Ap n

DI DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI, ECC. 115

et nulla novitas fiat super munimine civitatis, nisi quod fovee implean-
tur aqua, et quod exploratores mittantur Pisas et quocumque fuerit
oportunum.

1268, Apr. 13.
Indennizzo a favore di ambasciatori.

36. Eodem die.

... Placuit... quod d. Tedaldo emendetur equus a Comuni quem
abstulerunt sibi nuntij d. pape quem emerat Uguccio Jacobi villi precio,
et quod res ablate dicto d. Tedaldo et oratori in Curia d. pape per
eustodes marescalchi d. pape restituantur eis et satisfiat eis de dietis
rebus perditis a Comuni Civ. Castelli.

1268, Apr. 12.

Provvedimenti su varie petizioni, ec. e per sostituire un Matteo castellano
incaricato di fare lo Statuto di Borgo d’ Abbazzia.

37. Die Jovis xii Apr.

... Proposuit d. Comes... quid placet eis quod fiat super faeto li-
cterarum d. Guidonis Marchionis de Monte S. Marie in quibus contine-
batur quod Jacobus Aretinus recipiatur ad soldos Comunis; et quid
super facto petitionis d. Archipresbiteri Montis S. Marie petentis sociari
usque ad plebem de Apechio a militibus civitatis et quod homines de
Apechio qui tenentur in civitate concedantur et reddantur ei: et quid...
de castellano Burgi Abbatie qui positus est ad faciendum statutum ;
et quid fiat de debitis dieti d. Marchionis.

... Placuit... quod Jacobus de Aretio nunc non recipiatur ad soldos
Comunis. Item quod d. Archipresbitero concedatur et detur scorta sive
societas ad suum velle de militibus civitatis. Item quod homines de
Apechio qui nunc tenentur in civitate non concedantur ei ad presens.
Item quod Mattuccius Matei Alberti mittatur ad Burgum Abbatie pro
castellano loco Matei patris sui, donec dietus Mateus steterit ad facien-
dum statutum. Item quod de debitis d. Guidonis marchionis fiat sicut
reformatum fuit alia vice in Consilio nominato.

QUOD. 1268, Apr. 14.
Precauzioni contro moti faziosi.

38. Die Sabati xiij Apr.
... D. Comes proposuit... quid placet eis quod fiat super facto

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116 G. DEGLI AZZI

quod proposuit d. Guelfus dicens quod relatum fuit ei quod rebelles
civitatis nituntur ad aequirendum mutuo pecuniam pro soldandis mi-
litibus in preiudicium hominum civitatis...

... Plaeuit... quod imponantur .L. equi tam guelfis quam ghibel-
linis...

C. 35 t. 1268, Apr. 16.
Indennità accordate a funzionari del Comune.

39. Die Lune xvj Apr.

Uguiccio Jacobi et Gerardus Alberti venientes ad Consilium Cre-
dentie proposuerunt quod eundo in servitium Comunis causa emendi
equos perdiderunt quamdam pecunie quantitatem...; tenor cuius peti-
tionis talis est: Significant dominationi vestre d. Guido de Romena in
Tuscia Comiti palatino potestati Civ. Castelli et vestris Consiliariis
Uguiccio... et Gerardus... quod dum ipsi... propter impositionem equo-
rum... facerent transitum per districtum Ecclesie iuxta roccam de Cesci,
Fretius Berardus castellanus diete rocche, nuntius et familiaris d. pape,
depredatus est eos et accepit eis unam mulam,.. extim. libr. xl et
unum ronzinum ext. libr. xij, et libr. xxxij den. in den. grossis de
argento et auro; et res predicte pervenerunt ad manus Camerarii d.
Pape ex eo quod dicebatur nos esse rebelles et exbannitos d. Pape et
Ecclesie Romane. Quare supplicatur ut eis provideatur, ete...

1268, Apr. 19.
Sussidio a una monacanda, ec.

40. Die Jovis xviiij Apr.

... D. Comes proposuit... super facto Sovrane puelle que nuper
intravit religionem dominarum de Fonte et... super facto Perusinorum
qui debent recipere a Comuni quamdam pecunie quantitatem, et... de
spia missa de Eugubio si debeat xviij ravignanos in die habere...

... Placuit quod... Sovrane puelle... dentur per Camerarios Comu-
nis de bonis et denariis Comunis pro suo vestimento pro Deo lib. xv
den.; et quod spia... habeat quolibet die... xviij den. rav... Item quod
fiat syndieus per Comune qui sit sufficiens ad promittendum Bonbaroni
de Fracta pro Comuni lib. c. viiij... pro debito nominato solvendo... et
ad promittendum... et obligandum bona Comunis creditori...

TPNUSOTRTEN YES ARUTT S7 e DI DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI, ECC. 117

C. 36 r. | 1268, Apr. 99.
Risposta a lettere cardinalizie, ec.

41. Die Dominico xxij Apr.

... D. Comes proposuit... super facto licterarum missarum a d. car-
dinali Octaviano (1)... et a Comuni Burgi... et super facto licentie quam
petit d. Comes... i

... Placuit... quod fiant d. Cardinali littere responsive in quibus
rengratietur de litteris quas misit hominibus civitatis predicte; — item
quod respondeatur Comuni Burgi quod Burgensi eorum fiet ratio sicut
civi Castellano; — item quod d. Comes habeat licentiam eundi ad do-
mum suam...

C. 36 t. 1268, Apr. 26.
Rapporti con Perugia.

42. Die Jovis xxvj Apr.
... D. Gerardus judex et vicarius potestatis proposuit... super re-
sponsione ambaxiatoribus de Perusio et quomodo respondeatur eis..
... Placuit quod... respondeatur quod civi peruscino fiet sumaria
ratio sicut melius fieri poterit...

C. 37 m. 1268, Mag. 4.
Intervento nelle discordie sorte fra i soldati mercenari.

43. Die Veneris IV Maij.

... D. Gerardus... proposuit... super facto magistri Rodulfi et ma-
gistri Curradi Greci et Tomasini qui die Martis prima Maij fuerunt ad
invicem preliati...

... Plaeuit... quod magister Rodulfus per se et totam suam masna-
dam et magister Curradus per se et per totam suam masnadam pro-

(1) E questi il famoso cardinale Ottaviano Ubaldini, che nel giugno 1269 comprò
dal Comune per Tano suo nipote i beni confiscati ad Uguccione di Ugone di Ugo-
lino, più volte nominato in questi documenti, e il 13 Ottobre successivo si fece ce-
dere in enfiteusi dal Vescovo alcuni castelli nel territorio tifernate, ove — dice il
Muzi — « il suo nipote e discendenti ebbero un vasto teatro di guerresche im-
prese ».
118 G. DEGLI AZZI

mittant sibi ad invicem treugam et iurent tenere per totum tempus quo
serviverint et steterint ad servitium Comunis Civ. Castelli et plus duo-
bus diebus; et si unus offenderit alium infra dictum terminum, ille qui
offenderit capite puniatur; et quod donna Rieea debeat stare sub ban-
deria magistri Curradi, et ab isto mense in antea nepos magistri Cur-
radi mittatur ad soldos sub banderia magistri Curradi. — Super facto
Greci suspendatur usque ad reditum d. Comitis et postea d. Comes de
eo faciat ad suum velle.

C. 37 t. 1268, Mag. 6.
Provvedimenti riguardo alle fazioni politiche.

44. Die Dominico vj Maij.

... D. Gerardus iudex... proposuit... super facto Canusii....

... Placuit... quod precipiatur duodecim Ghibellinis de Canusio quod
veniant ad civitatem et inde non discedant sine licentia; et quod pre-
cipiatur Guelfis de Plebe quod cum rebus eorum incontinenti ad forte-
ziam revertantur.

... Item quod quattuor ambaxiatores mittantur ad loquendum do-
mine Ortabile et Inghiramo fratri Oddonis marchionis et filiis Oddonis
de Perusio qui ereduntur esse apud castrum de Colle; licet prius mit-
tantur littere dicte nomine Ortabile et Inghiramo ad quem locum pla-
ceat eis convenire ad loquendum ambaxiatoribus supradictis. — Item
quod xl confinati electi per Consilium morentur ultra hospitale Ramal-
delli et monasterium de Fonte et magis non appropinquent civitatem
sine licentia spetiali....

1 Ego Bonaventura not. d. Comitis potestatis Civ. Castelli predicta
omnia scripsi et publicavi.

C. 39 r. ; [1270], Ott. 27.
Provvisioni per l’officio del podestà.
45. Die Iovis iij exeum. Octubr. (1).

Consilium Generale .cc. Consiliar. Consulum Artium... in palatio
hospitalis S. Floridi...; in quo d. Bencevenne judex dd. Capitaneorum

(1) Qui la serittura muta mano; e si torna alle registrazioni più complete delle
sedute, coi pareri de' Consiglieri.

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DI DUE ANTICHISSIMI REGIS'TRI TIFERNATI, ECC. 119

2

Populi... proposuit... si placet Consilio quod provideatur civitati de po-
testate usque ad Kal. Ian. prox. vent., et qualiter et quomodo et unde
volunt potestatem et si unum vel plures; aut quid videtur eis fa-
| . eiendum.

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"—

Item quantum salarium statuatur eidem usque ad dictum tempus
quod debeat a Comuni habere pro suo salario et feudo.

Item... de uno judice maleficiorum qui cognoscat super malefitiis
et de notario maleficiorum...

Item super uno judice qui cognoscat et intendat super causis a .c.
sol. supra et qualiter et quomodo volunt quod fiant.

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Item super salario predictorum et quanta quantitate statuatur pro
salario predictorum...

D. Baius d. Comitis... consuluit quod Capitanei Populi qui nune
sunt sint loco Potestatis et Capitanei et jurisdictionem et offitium po-
testatis habeant in omnibus et per omnia donec adventus potestatis eli-
gendi pro anno futuro fuerit...

Orlandinus Mattei... consuluit quod eligantur .iiij. boni homines de
civitate ad brevia... qui sint omnes .iiij. loco potestatis et habeant of-
fitium Potestatis...

C. 41 r. [1270], Ott. 25.
Estrazione degli elettori del podestà.

46. Die vij exeu. Octub.

Isti sunt illi ad manus quorum brevia pervenerunt qui debent eli-
gere octo bonos homines... qui octo debent eligere potestatem pro anno
futuro (seguono à nomi dei 4 elettori di 1° grado)... Isti sunt octo boni
homines qui debent eligere potestatem pro anno futuro, electi per pre-
dietos electores (seguono gli otto nomi).

C. 41 t. [1270], Ott. 99.

Provvedimenti diversi per la vacanza dell’officio del podestà.

47. Die Sabbati ij exeu. Octub.
... Consilio Generali... d. Bencevenne judex Capitaneorum populi
de voluntate dietorum Capitaneorum... proposuit... super inveniendis..,
| lx libr. den. pro solutione ambaxiatorum qui debent ire pro potestate
venturo.

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... Placuit... quod illi iiij Capitanei populi qui nune subregentes
190 ; G. DEGLI AZZI

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loco potestatis Civ. Castelli et offitium et jurisdietionem potestarie Civ.
Castelli omnino habeant et exerceant offitium Potestatis donec adventus
alterius Potestatis novelle eligendi pro anno futuro fuerit...

Item in eodem Consilio predictus d. Bencevenne... consilium petiit
quod cum nullus de potestatibus qui pro anno futuro ad regimen Civ.
Castelli fuerit eleetus admiserint vel acceptaverint electionem factam
de eis, ut ambaxiatores Comunis... retulerunt, si placet quod per ele-
ctores, qui tunc potestates elegerunt, eligant et eligere possint (sic) vel
per alios electores iterato eligendos ad brevia secundum condietiones
et modos in reformatione facta tempore d. Andree potestatis hoc anno
contentos...

... Placuit... quod Potestas eligendus pro anno futuro silicet a kal.
Jan. prox. vent. ad alias kal. Jan. fiat in presenti Consilio ad brevia,
et illi ad manus quorum brevia pervenerint eligant... octo electores...
qui electores eligant Potestatem...

C. 43 t. [1270], Ott. 30.
Proposta circa la vacanza dell’officio del Capitano.

48. Die Dominico penult. Octubr.

In Consilio Populi Civ. Castelli, silicet Consulum Artium et eorum
Consiliariorum et Adiuntorum in palacio hospitalis Canonice Castel-
lane... congregato, d. Bencevenne judex... consilium petiit quid facien-
dum videtur Consilio de Capitaneo populi, cum ille Capitaneus qui fuit
hoc anno eleetus non venerit nec adimpleverit quod promisit ad regi-
men dieti populi dicte civitatis: unde si volunt quod dispensetur pro
anno futuro de uno capitaneo populi ed de qua contraceta et loco eli-
gatur aut quid volunt quod fiat...

(In hoc non fuit reformatum).

C. 44. r. [1270], Ott. 31.
Balia per le assegnazioni al bando, al confine, ec.

49. Die lume ult. exeu. Octub.

Congregatis speiialibus personis et discretis Civitatis Castelli electis
per Capitaneos populi super ordinandis et tractandis cum ipsis certis
factis Comunis pro utilitate et bono statu civitatis, placuit ipsis... quod
Capitanei populi.possint mittere extra civitatem ad locum quem ma-
luerint et facere stare ipsos ad eorum voluntatem et compellere ipsos

ME DI DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI, ECC. 121

et unumquemque eorum de civitate stare et ire extra civitatem ad tra-

fines et ponere certum bannum et auferre sieut ipsis videbitur.

C. 44 t. [1270], Nov. 2.
Provvisioni circa la scelta del Capitano.

50. Die Mercurij ij intr. Nov.

Consilium populi... in palatio hospitalis S. Floridi... fecerunt Ca-
pitanei populi more solito congregari, in quo... placuit... quod Capita-
neus populi Civ. Castelli faciendus pro anno futuro sit... de Lombar-
dia; item quod... non possit esse de civitate vel districtu Mutine, sed
de alia Lombardia; item quod... sit tantum... de civitate Bononie...

CRAS: 1271, Gen. 24.
Licenza d’ esportare grano dal territorio.

5l. Die xxiiij Jan.

Congregato Consilio .xxiiij. et sapientum virorum in ecclesia S. Ja-
cobi... d. Hugolinus de Alviano potestas Castelli proposuit... super eo
petitu ex parte nobilis d. Guidonis Comitis de Romena per d. Andream
eiusdem domini nuntium et ambaxiatorem.

... Placuit... quod d. Comiti licentia largiatur emendi in nostro di-
strietu vel civitate usque in quantitatem iij stariorum frumenti et ipsum
portandi, et ubi emat dietum granum et quomodo eum portari faciat
per d. potestatem et .xxiiij. ordinetur...

Testes interfuerunt: Gerardus de Alviano socius potestatis; ma-
gister Maseus notarius potestatis; et d. Jacobus Paganelli...

C. 46 t. 1271, Feb. 13.
Provvedimenti circa le controversie giudiziarie del. Comune.

52. Die xiij mensis Febr. intr.

Congregato Consilio .xxiiij. et eorum Suprapriore, et sex sapientum
virorum de qualibet porta et omnium judieum et jurisperitorum Civi-
tatis Castelli in ecclesia S. Jacobi,... proposuit d. Bonavere judex Civ.
Castelli per nobilem virum d. Hugolinum de Alviano potestatem dicte
Civ., ipso d. potestate presente, volente et mandante, quid placet ipsi
Consilio quod fiat super hiis omnibus que per ipsum d. judicem... ho-

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199 G. DEGLI AZZI

die in Generali Consilio proposita fuerunt..., per Generale Consilium
remissa in hoe Consilio stabilenda...

D. Berardus judex dixit quod d. Potestas cum illis sapientibus
viris vadat ad [magnifieum virum d. Guidonem comitem Montisfortis|
vicarium Tuscie, si est apud Burgum ; alias dixit quod ad eum irent
duo ambaxiatores qui sibi d. Vicario responsionem faciant ad ea que
per suos ambaxiatores proposita fuerunt ex eius parte in nostro Con-
silio quod nos sumus parati ad omnia que ipsi d. placent et nostra
possibilitas exigit et eidem d. negotium d. Archidiaconi et Plebis 5.
Antimi recomendetur, rogantes eum quod ipsi d. Archidiacono nec plebi
nec rebus plebis nullam faciat... lexionem... |

Item dixit quod magister Jacobus de Tuderto not. syndicus gene-
ralis Comunis et procurator specialium (sic) et ad omnes defendendas
quas Comune defendere [intendit] in Curia Romana...

(Manca il resto per esser tolte le carte successive).

C. 41 t. 1271, Giu. 17.
Deliberazioni circa un’ambascerta spedita dai Perugini.

53. Die xvij Junij intr.

Congregato Consilio Generali et .xxiiij... proposuit d. Bonavere
judex nobilis viri d. Hugolini de Alviano potest. Civ. Castelli... super
proposita et ambaxiata recitata in presenti Consilio per ambaxiatores
Perusij narrantes quod in turre et domo seu castro et nec contra Od-
donem marchionem per nos nulla fiat offensio, cum dieta turris et do-
mus ad d. Gualfreduzium et fratres eius pertineat.

... Placuit... quod d. Potestas et .xxiiij... et .x. Sapientes viri
(sic) pro porta deliberent quomodo ad ambasiatam Perus. sit respon-
dendum et quomodo contra Oddonem march. procedatur...

C. 48 rm. : 1271, Giu. 18.
Risposte da darsi al Comune di Perugia per la questione di Colle.

54. Die xviij Junij intr.

Congregato Consilio .xxiiij. et decem Sapientum...

... Placuit... quod Comuni Perusij ad proposita per eorum amba-
xiatores per sollempnes ambaxiatores fiat responsio... et quod potestas
vadat cum .iiij. ambaxiatoribus Perus. pro responsione facienda... qui
narrent coram potestate, capitaneo et Consilio Perusij omnia que ad

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DI.DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI, ECC. 123

dictum negotium viderint expedire et maxime quod venditio de Colle
facta per Oddonem Marchionem vel suos antecessores filiis Oddonis ficte
facta fuit et prius per eos Comuni Castelli in predictis iux (sic) suum
concesserant...

C. 50 r. 1271, Giu. 24.
Provvisioni per l'acquisto di Collevecchio.

90. Die xxiiij mensis Junij intr.

Congregato Consilio Generali et .xxiiij. necnon Consulum Artium...
placuit... quod unus sindieus eligatur et nominetur qui nomine Co-
munis Castelli emat, et venditionem et cartam venditionis et defensio-
nis recipiat, a d. Rigono marchione Collem Veterem cum fossis et pen-
dicis suis, in quo homines curie Collis per nos possint reponi, et quod
idem syndicus eisdem hominibus casalena in dieto Colle nomine Co-
munis Castelli concedat et quod ab eisdem hominibus promissionem
recipiat et faciat.

€. 51 r. [1280], Gen. - Febr.
Registrazioni di concessioni di cittadinanza tifernate (1).

56. Die iij exeu. Jan.

Johannes Bonacciani qui dicitur Melio de civitate Aretij presen-
tavit et assignavit instrumentum sue citadancie Civ. Castelli scriptum
per Johannem de Carella not. in MCCLXXVJ tempore d. Mattei de Co-
rigia olim potestatis Civ. Castelli qui Johannes dixit coram dicto d.
Uberto judice d. Capitanei quod nolebat prestare recoltas secundum
sermonem statuti occasione diete citadancie sed solvere dacia et facere
faetiones Comunis sicut alij Cives et renuntiavit benefitio immunitatis
sibi concesse pro dicta citadancia.

Presentibus testibus Guidone d. Tedaldo et Francisco Guidonis.

Die Lune xxviij Jan.

Guido olim Bencivenis de Aretio presentavit instrumentum sue
citaduntie Civ. Castelli seriptum per Simonem Laciesi not. in .MCCLVIJ.
(Sic, pro MCCLXXVII) tempore d. Mathei de Corigia olim pot. Civ. Ca-

(1) Sono senza data, ma evidentemente debbono ritenersi posteriori al 1279, es-
sendo questa data assegnata all'ultima di siffatte concessioni di cittadinanza.

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124 G. DEGLI AZZI

stelli. Item dixit quod habet domum in civitate in porta S. Jacobi et
Matheus Abadeugi not. fecit inde instrumentum : qui Guido coram dicto
judice dixit quod non vult prestare recoltas... (come soprd).

Die Martis penultima Jan.

Cenninus q. Andree qui fuit de Florentia presentavit intrumentum
sue citadancie scriptum per Matheum Abadeugi not. in .MCCLXXVIJ.
tempore d. Mathei de Corigia pot. Civ. Castelli et dixit quod habet

domum...

Die Veneris ij Febr. ;

Caccianeve qui fuit de Monte S. Marie presentavit coram dicto d.
Capitaneo et suo judice instrumentum sue citadancie... scriptum per
Johannem de Carella not. in .MCCLXXVJ. tempore d. Mathei de Corigia
olim pot. ...

Die Jovis xv Jan.

Lapus d. Luterij qui dieitur Lapus Anguilucius olim de Flor. ve-
nit coram dieto d. Jacobo Capitaneo et d. Uberto suo judice... et dixit
se habere domum in civitate ut constat in istrumento scripto per Jo-
hannem de Carella not. ...

Die Mercurij xxj Febr.

Buccharellus d. Lizete qui fuit de comitatu Perusij... coram dicto
judice presentavit instrumentum sue citadancie scriptum per Antho-
nium de Roncalle not. d. Pelegrini de Guidonibus olim pot. Civ. Ca-
stelli sibi concesse per ipsum potestatem in .MCCLXXVIIIJ...

« Ego Guido de Scottis civis parmensis not.... predicti d. Capita-
nei et Comunis Civ. Castelli... et d. Uberti sui judicis... scripsi... ».

Registro II (1).

C. 15 r. [1260], Set. 15.
Processo per omicidio.

57. « Inquisitio facta per potestatem et eius judicem d. Polum super
malefitiis constitutum et ex offitio eorum quod cum ad aures eorum

(1) Questo codice, che consta, come il precedente, di frammenti di vari regi-
stri, non porta in fronte alcuna data: il nucleo principale però, che va da cc. 1-66,
porta processi agitati innanzi al podestà Ulderigo e al giudice Polo e registrati da

E a Trageemamemmom ARI

Doa eaa s ai

——

DI DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI, ECC. :125

pervenerat Ugutium olim d. Comitis esse mortuum ex percussione
eidem Ugutio factam per Ugutium q. d. Ugolini in capite cum clava
ferrea metallina sicut in denuntiatione facta a dicto Ugutio olim d, Co-
mitis continetur. Item super eo quod ad aures eorum pervenerat Jo-
hannem qui alias dicitur Zafonem, Bencevennem Amati, Balecenam et
Bectum de Florentia qui ad predietum malefitium et homicidium fa-
ciendum interfuerunt similiter cum dicto Ugutio et opem et adiutorium
prestiterunt dieto Ugutio d. Ugolini ad dietum homicidium et malefi-
eium faciendum.

Die Mercuris (sic) xv intr. mens. Setembr.

Deotaiuva bailitor Civitatis Castelli retulit coram d. Polo judice
Comunis Civitatis Castelli mandato dicti Judicis et coram me Ranaldo
notario dicti Judicis et Comunis predicti citasse personaliter die predi-
eta Ugutium olim d. Ugolini, Johannem qui dieitur Zafonem, et Ben-
cevennem Amati, Bettum de Florentia et Balecennam quod venirent
hine ad tertium diem peremptorie coram dicto judice ad defendendum
et exeusandum se coram dicto judice ab inquisitione quam potestas et
judex faciunt et facere volunt contra eos et quemlibet eorum super eo
quod ad aures dictorum potestatis et judicis pervenit Ugutium d. Co-
mitis esse mortuum ex percussione eidem Ugutio facta per Ugutium
d. Ugolini predictum et super eo quod dicti Zafonus, Bencevenna Amati,
Balecena et Bectus fuerunt cum dieto Ugutio ad faciendum dietum
malefitium et homicidium et super eo quod dicto Ugutio olim d. Ugo-
lini prestiterunt opem et adiutorium ad dictum homicidium et malefi-
tium faciendum.

un « Ranaldus apost. Sedis auctoritate et nunc Comunis Castelli notarius », che au-
tentica, in fine, ciascun quaderno. Ora, in più luoghi, e specialmente a c. 59 è chia-
ramente espressa la data del 1260 (VI exeu. Augu. MCCLX); onde all’anno 1260 deb-
bono riferirsi le presenti registrazioni. È da osservare che questo podestà Ulderigo,
il quale, secondo i nostri documenti sarebbe stato in carica nel 1260, non figura nel-
l'elenco dei Podestà di Città di Castello datoci dal Muzi (op. cit., vol. II. pp. 206 e
segg.). Il primo documento qui pubblicato appartiene ad un registro di Inquisitiones,
che dalla metà di Marzo 1260 va sino al 14 Dec. di detto anno (cc. 1-35); segue poi
(ce. 35-00) un « quaternus accusationum et denuntiationum malefitiorum », dal 3 Giu.
al 15 Sett. 1260: ciò spiega la mancanza di rigoroso ordine cronologico nei saggi di
documenti qui offerti, avendo preferito di seguire l’ordine materiale delle registra-
zioni come sono nel codice.

È probabile che il podestà Ulderigo abbia retto quell’ officio negli ultimi dieci
mesi del 1260, mentre nei primi due sia rimasto in carica il Bulcaruccio « q. Raynerij
Bulgarelli » da Perugia (indicato dal Muzi, che già avea tenuta quella dignità pel

secondo semestre del 1259.

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———M dn I
126 G. DEGLI AZZI

Item eodem die Marchus porchetarius bailitor Comunis retulit ci-
tasse predietos personaliter una cum dicto Deotaiuva sicut superius

continetur.

Die Jovis viij exeu. Setem.

Johangnolus d. Baldinoeti bailitor Comunis retulit citasse eri sero
personaliter Ugutium d. Ugolini ad castrum Carpene quod veniret ho-
die ante tertiam ad hospitalem Valdinice (?) una eum Balecena, Bence-
venne Amati, Zafone et Becto de Florentia ad faciendum mandata po-
testatis cum .xx. bonis fideiussoribus.

Die eodem.

Ugutius predictus d. Ugolini iuravit precepta potestatis et dicere
veritatem super predictis: suo sacramento negavit pereusisse Ugutium
olim d. Comitis et vulnerasse eum de eo vulnere de quo vel qua per-
cussione denuntiatus fuit et negat dictum Ugutium mortuum esse de
aliqua percussione facta eidem per eum.

Eodem die datus est dieto Ugutio oretenus per dietum d. Polum ju-
dicem terminum peremptorium ad faciemdum et costituendum legiti-
mum suum procuratorem hodie per totam diem qui cotidie coram dicto
judice compareat ad videndum jurare testes qui recipientur super dietis.

Item preceptum fuit dicto Ugutio oretenus ad penam .M. libr. de-
nar. per dictum judicem quod hinc ad diem Sabbati per totam diem
prox. vent. det dicto judici stipulanti pro Comuni .x. fideiussores et
.x. sacramentales pro mandatis potestatis et ipsius judicis observandis.

Die Sabbati vj exeu. Setem.

Marcittus qui dicitur Tavellus retulit coram me Ranaldo notario
potestatis et Comunis Castelli mandato d. Poli judicis citasse persona-
liter Balecenam, Bectum de Florentia, Johannem qui dicitur Zafonem
et Bencevennem Amati ad castrum Carpene quod per eos vel legitimum
eorum procuratorem compareant coram d. judice et peremptorie ad vi-
dendum jurare testes quos potestas vult recipi facere contra eos ex suo
offitio super malefitium et homicidium commissum in personam Ugutij
comitis.

. Die Lune iiij exeu. Setem.

Cambius Intristrince bailitor Comunis retulit citasse ad domum
heredes Ugutij comitis et precepisse personaliter familie dicte domus
et sorori dicti Ugutij quod peremptorie incontinenti coram d. Polo ju-
dice maleficiorum mitterent pro eis legitimum procuratorem et pro dietis

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aid arca DI DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI, ECC. 197

heredibus, qui videat interrogatorium testium qui recipiuntur et quos
dietus judex vult facere recipi ex offitio potestatis super mortem dieti
Ugutij d. Comitis et super malefitium commissum in persona ipsius.

Die Jovis iij intr. mens. Novem.

In ecelesia Sancti Giuliani coram d. Tiverio d. Ugonis de Valcellis
iudice, Aghillo et Simone Latasi de Montone notariis; Pero Saccarelli,
Ranaldo famil. et Ranaldo Benedictoli perusin. testibus: Bernardinus
Donadei, Guido Jacobi Magalocti, Jacobus Johannis Bonomis, Franci-
seus d. Guidonis, Orlanducius Ugolini, Monacata d. Armanni, Johan-
nes Bonamente, Angaiale Aluderij, Baruncius Jacobi et Jacobus magi-
stri Johannis q. Mezzalasca, mandato Ugutij olim d. Ugolini et eo pre-
sente fideiusserunt pro eodem Ugutio, Johanne qui dicitur Zaffone, Ben-
civenna Amate, Balecena et Becto de Florentia et pro quolibet eorum
pro banno solvendo et pro homicidio et occasione homicidij commissi
de Ugutio olim. d. Comitis, ad mandatum potestatis si ipsi licet alter
eorum fuerint aut fuerit occasione dieti homicidij condempnati vel eon-
dempnatus, principaliter se et in solidum obligantes; et promiserunt
d. Polo judici potestatis et Comunis predicti recipienti solvere ipsum
bannum et comdempnationem de bonis eorum si condempnati vel con-
dempnatus de eorum [pecunia] non solverint aut solverit, sub obliga-
tionem suorum bonorum; renuntiantes beneficio nove constitutionis
de fideiussoribus et pluribus reis, auxilio epistole divi Adriani et omni
alio legum auxilio eis competenti vel alteri eorum.

O. 85 v. 1260, Giu. 3.

« Quaternus accusattonum et denuntiationum malefitiorum ».
Denunzia per violazione di domicilio e furto.

08. Die Jovis iij intr. mens. Junij.

Beneapare filius q. magistri Deotesalve de Celle juravit precepta
Potestatis et dicere veritatem super istam accusationem. — Coram vobis
d. Ulderigio potestate Civitatis Castelli et vestro judice d. Polo super
malefitijs constituto, accuso atque denuntio ego Beneapare filius q.
magistri Deotesalve de Celle Comparum Aldrovandi de Celle quod con -
tra meam voluntatem et iniuriose intravit quamdam meam domum po-
sitam in Civitate Castelli, cui ab uno latere tenet Cazatus, ab alio he-
redes Crescij et ab alio heredes Jacobi olim Zibedei, et ab alio via, vel
si qui alij sint ei confines, et accepit et extraxit de dieta domo unum
meum scrineum, quod serineum habet penes se, et predictum serineum

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198 G. DEGLI AZZI

fecit tegiri [sic, pro stagiri?] a Curia vel a iudice Comunis: quod seri-
neum extimatur .xx. sold. denar. bon. pisan., et hoc fuit de mense
Maij proxime preteriti: unde peto ipsum puniri et serineum mihi re-
stitui secundum formam capituli Constituti et ordinamenti populi Ci-
vitatis Castelli et vestrum bonum arbitrium. — Qui Beneapare suo
iuramento dixit vera esse. .

Comparus Aldrovandi juravit precepta Potestatis et dicere veritatem
super predietis: ad suam excusationem negat omnia de quibus est ac-
cusatus.

Datus est terminus ad probandum utrique parti. peremptorie hinc,
ad decem dies: et precepit d. Polus judex predicto Comparo peremptorie
quod die qualibet compareat ad videndum testes.

Rigucius d. Aldrebandini de Fonte Maiori fideiussit pro dicto Be-
napare.

(Nel margine destro :) Testes sunt inducti.

Q. 35. 1260, Giu. 4.
Denunzia per furto d'una cagna.

59. Die Veneris iiij intr. mens. Junij.

Luterius qui dicitur Papiscius juravit precepta Potestatis et dicere
veritatem super infrascriptam aecusationem et denuntiationem : Coram
vobis d. U[derigo] potestate Civitatis Castelli et vestro judice d. Polo,
accuso et denuntio ego Luterius qui alias Papiscius vocatur, filius olim
d. Luterij Gelfucij, Panem filium Mafei Detarazaldi, quod furtive sub-
ripuit et subtraxit de anno presenti quamdam meam veltram pili ru-
bei: quare peto eum puniri et dictam veltram mihi restitui secundum
formam juris et capituli Constituti et vestrum bonum offitium.

Die eadem Reca publieus trumbator Comunis Civitatis Castelli,
sono tube premisso, in scalis palatij Ugutij d. Ugolini, citavit dictum
Panem et requisivit ut hinc ad tertiam diem peremptorie [debeat] ve-
nire predieto Luterio responsurus de jure, et ad defendendum se a

IN AE dicta accusatione.
(A margine :) Con[dempnatus] in x libras et quod emendet in du-
plum. — F.

°

C. 86 r.

Denunzia per furto di vestiari.

60. Ricca q. Jannis accusat Deoteguardi Guilielmi de Valcellis quod...
accepit et furatus fuit mihi unam meam tunicam de panno lazo de
—M

DI DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI, ECC. 129

fossato de Raneitelli in quod miseram dictam tunicam ad mollandum
causa abluendi ipsam, que est extimata .xij. sol. denariorum.
(A marg.:) Absolutus.

C. 43 t. 1260, Giu. 21.

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Denunzia per lesioni, minaccie, ec.

61. Die x exeu. Junij.

Rigutius... accusavit Berardinum... qui cepit eum per capillos et
dedit sibi cum pugillis, et dixit sibi quod incideret sibi nasum amala-
gradum Potestatis et Capitanei, et sibi strasciavit infulam.

C. 43 t. 1260, Giu. 18.
Denunzia per ingiurie, minacete, ec.

62. Die Veneris xiij exeu. Jun.

Homizolus filius q. Johannis de Val de Pozolo juravit precepta
potestatis et dicere veritatem super infrascriptam denumptiationem et
accusationem quod suo sacramento coram d. Uderigio potestate Civi-
tatis Castelli accusavit et denuntiavit Venturam Brunoli de Ripalongna
quod die Jovis .x. mensis Junij intr. in quadam petia terre Martini
Ranaldi posita in Ripalongna iuxta terram dieti Martini et dieti Ven-
ture undique: cum ipse in dicta petia terre cum dieto Martino labo-
raret et multi alij laboratores in eadem terra eum dicto Martino labo-
rarent: idem Ventura fecit insultum super eum minando sibi fortiter
et quod deberet de agro exire, percutiendo boves; et cum de agro non
exirent, venit idem Ventura iterum super eum dicendo sibi multa verba
iniuriosa et inter alia improperavit sibi mortem patris sui qui gladio
mortuus est tempore discordie civitatis inter partes existentes Civitat.
Castelli, dicendo sibi pluries animose: — Adhuc non sumpsisti vindi-
etam de patre tuo cui vene gule fuerunt incise seu secate. — De quibus
omnibus rationem et ipsum puniri petit iuxta formam capitulorum Con-
stituti tam Populi quam Comunis et etiam ordinamentorum Potestatis.

Ventura predietus juravit precepta potestatis et dicere veritatem
super accusationem et denunciationem predictam factam de eo: suo [sa-
cramento] dixit predicta vera non esse et predicta negavit in totum.
Datus ei terminus peremptorius x dierum ad probandum quicquid
voluerit et quod omni die et ora etc.

(A marg.:) Eidem pro eodem Ventura [fideiussit] Cambius magistri
Laurentij — Absolutus. F.

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G. DEGLI AZZI

Denunzia per usurpazione di possesso, ec.

63. Eodem. die.

Ventura q. Brunoli juravit precepta potestatis et dicere veritatem
super infraseriptam denumptiationem et accusationem quod suo sacra-
mento coram d. potestate et ejus judice d. Polo denuntiavit et accu-
savit Martinum q. de Primolis et Homizolum Jovanecti olim de Val
de Pozolo, Venturam Joannecti, Venturam da Colle Vitole, Golantem
Ficis.... quod de mense Junis (sic) anni presentis in quo sumus vio-
lenter et iniuriose aecesserunt ad quoddam suum campum positum
in Ripalonga in plano de Puteo, cui desuper est via et de subtus est
greppa et ab alio tenet ipse et dictus Martinus et ab alio dietus Mar-
tinus et ipse Ventura, et ipsum privaverunt de tenuta et possessione
ipsius campi intrando et laborando ipsum campum cum bubus et sap-
pis et insultum faciendo contra suos bebulcos qui laborabant tunc in
dieto campo. Quare petit ipsos et quemlibet eorum puniri tam de in-
sultu quam de privatione tenute et ipsum in possessionem diete terre
reponi secundum formam capituli Constituti.

Martinus predietus, Homizolus, Ventura del Colle Vitole, Golante
Ficis, Ventura Johannecti juraverunt precepta potestatis et dicere ve-
ritatem super dictam denuntiationem et accusationem factam de eis:
eorum sacramento dixerunt, videlicet idem Martinus dixit et confessus
est intrasse et laborasse et laborari fecisse terram predictam pro se et
tamquam rem suam: alia negavit: omnes alij predicti confitentur in-
trasse dictam terram et laborasse ipsam pro dieto Martino tamquam
laboratores ipsius Martini: alia negaverunt de quibus sunt accusati et
denuntiati.

(A margine:) Absol. F.

C. 47 r. 1260, Giu. 26.
Denunzia per furto, ec.

64. Die v exeu. Jun.

Compangnus Angeleris... accusat... Riecam servientem domine
Brune quod de mense Mart. prox. preter. violenter et furtive nocturno
tempore intravit quamdam cameram quam conduxit ad pensionem a
dieta domina Bruna in qua retinebat oleum, sal, carnes et poma et
alias res ad vindendum, et de ipsa camera accepit sic furtive unum
starium malarum et.x sol. denar.

... Rieca... negavit omnia.

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DI DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI, ECC.

Denunzia per lesioni e minaccie.

65. Eodem. die.

Verdebella... accusavit R... quod ipse venit super eam et verbera-
vit eam fortiter cum quadam corigia et percutiendo eam in spatulis
pluries, dicendo et minando sibi quod amputaret sibi nasum et non di-
mitteret pro aliquo...

1260, Giu. 28.
Denunzia per danneggiamento.

66. Die iij exeu. Jumij.

Flora... accusat R... quod in domo quam ipsa possidebat ivit et
devastavit et fregit, ea presente et vidente et sciente, unum brocolum
et duos loberes (?) suos de nocte qui extimantur .vii. denar., et expu-
lit eam de domo dicta: unde petit eum puniri de dicto dampno dato
et de ablatione tenute dicte domus et condempnari sibi ad extimationem
dupli dieti dampni et puniri secundum capitulum Constituti de incendiis

et vastamentis de nocte.
Denunzia per violazione di domicilio, danneggiamento, ingiurie, ec.

67. Eodem die.

Flora jam dicta... accusat N... quia domum suam intravit et de-
vastavit et fregit vasa sua que habebat in dieta domo, silicet duas
soas, tre broccolos et quatuor pignattas et unam scarsellam et seri-
neum percussit cum capite securis, ea vidente et sciente, quod damp-
num extimatur xi sol., et iuxta eamdem domum in aream cepit ipsam
per vettam et capillos et traxit sibi capillos et vectam proiecit in terram
et dixit ei quod incideret ei nasum et « filia putte sozze » : unde petit
eum puniri secundum tenorem capituli Constituti de tractione capil-
lorum... et de incendiis et vastamentis.. et de iniurijs verborum... ef

condempnari sibi in duplum extimationis dictarum rerum...
Denunzia per lesioni personali, ec.

68. Hodem die.
Jove, filius diete Flore, accusavit eumdem N... quia domum suam

intravit et patrassavit ipsum .xii. vicibus et de manu sua pereussit
ipsum in vultu et capite et proiecit eum in terram et traxit eum ad se
per violentiam multis vicibus et proiecit eum extra dietam domum auf-

E.
132 G. DEGLI AZZI

ferendo ipsi tenutam de dieta domo quam possidet: quare petit eum
puniri de patraxis et tractionibus factis per violentiam secundum for-
mam capituli de patrassis et tractione capillorum et de percussione
capitis et vultus seeundum tenorem capituli de alapis et pugillis et de
ablatione tenute...

C. 86 r. 1244, Mar.-Apr.
Condanne pecuniarie per reati diversi.

69. Hec sunt condempnationes facte per d. Mareovaldum Malpilij lu-
cens., Dei et imperiali gratia potestatem Civitatis Castelli, et per suos
judiees super accusis maleficiorum et possessionum ablatarum de mense
Martij et Aprelis [1244].

: Gratia Dominicelli quia cum Zaccone iniuriose percussit in capite
Draccomandum prenominatum Brandoliam ita quod sanguis exivit et
requisitus pro ballitore Comunis non venit et probatum est contra eum :
ideo condempnatus in libr. xx.

Draecomandus predictus prenominatus Brandollia quia manu ex-
tensa in vultu percussit dando alapam suprascripto Gratie Dominicelli
ut per offitium comperimus : ideo condempnatus in libr. decem.

Draecomandus Nigri quia nequitose immisit ignem anno proxime
preterito de mense Decembris in quadam domo et una cella Tribaldelli
de Col de Sole faciendo eam comburi: condempnatus in libr. xx:
quam condempnationem si non solverit hine ad decem dies, condem-
pnatus est ut manus dextra abscidatur eidem.

Item idem Draccomandus quia iniuriose de nocte cum speudo (sc)
percussit in pectore Michelem Cosoli anno prox. preter. de mense De-
cem., ita quod samguis exivit: condempnatus in libr. octuaginta qua-
druplata pro ea (sic) quia fuit de nocte: quam condempnationem si
non solverit hinc ad decem dies condempnatus ut pes sinister absci-
datur eidem.

Presbiter Ugolinus q. Martini Savini pro denuntiatione de eo fa-
eta ab Oratore notario quod cum dictus presbiter cum Frederigo et
Rodulfino eius fratribus accessisset ad dietum Oratorem tamquam ad
notarium ut rogaret eis quoddam instrumentum donationis inter vivos;
idem presbiter Ugolinus imposuit sibi nomen presbiter Johannes et
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DI DUE ANTICHISSIMI REGISTRI TIFERNATI, ECC. 133

fecit donationem predictis fratribus suis recipientibus pro se ipsis et
dicto presbitero Ugolino : ideo in lib. C. Comuni condempnatus.

Frederigus et Rodulfinus fratres suprascripti quia predictam dona-
tionem a suprascripto presbitero receperunt, quilibet eorum condempna-
tus in libr. xx.

Jacobus Mariani quia post bannum missum a potestate ne arma
portarentur, portavit cultellum, condempnatus in sol. xx.

Domina Berta uxor q. Berardi Rugerij pro accusa facta de ea a
Draccomando Trovati de possessione ablata seu turbata cuiusdam petie
terre posite in Fontanella in accusa designate; et requisita per balli-
forem Comunis, non venit se de predictis defensura: ideo ipsa habita
pro confessa condempnatur in sol. xl. et ut possessionem eidem resti-
tuat dicte terre.

Orlandinus Regnantis quia inventus fuit a potestate portare corre-
ctum (?) contra bannum missum ne arma portarentur, condempnatus
in sol. xx. et in correcco quod remaneat Comuni.

Item idem Orlandinus quia contra dietum bannum portavit cultel-
lum, condempnatus in sol. xx. et in cultello.

Lunardus magistri Petri quod iniuriose percussit Ugolinum de
Augustino, ut per offieium comperimus, condempnatus in sol. xx.

Ugolinus de Augustino quia iniuriose patassavit suprascriptum
Lunardum ut per offieium comperimus, condempnatus in sol. xx., ecc.

Lecte facte et publicate sunt omnes predicte condempnationes in
Consilio Generali Civitatis Castelli in palatio Comunis Civitatis ipsius
a suprascripto Potestate de consilio suorum judieum predictorum, in
presentia Guidonis Comunis Civitatis Castelli Camerarij et Guidonis
Longi eius notarij et Bisciolfo de Luca et Alcherio notario quondam
Pagani, testium rogatorum. Dominice Nativitatis anno millesimo du-
centesimo quadragesimo quarto, indictione secunda; die ultima mensis
Martij.

1244, Apr. 19.
Sentenza capitale per assassinio, ecc.

70. Gennaiolus de Burgo sancti Sepuleri quia ivit cum Diotaiuva Zonte
Furconis et Diotisalvi Bernardi et Guido de Burgo predicto apud Bec-

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134 G. DEGLI AZZI

coritam (?) in districtu Civ. Castelli occasione qua dictus Diotaiuva
debuerat vendidisse ipsi Diotisalvi suam terram et ipse Diotisalvi de-
bebat ibidem facere solutionem et dictus Gennaiolus fecit pactum cum
ipso Diotaiuva de interficiendo ipsum Diotisalvi habendo medietatem
omnium que reperirentur aput eum et quia idem Gennaiolus, quando
dietus Diotisalvi denarios numerabat eidem Diotaiuve, ipsum cum se-
curi in capite percussit ita quod samguis exivit et pro ea mortuus est
et de ipsius Diotisalvi denariis habuit sol. xl. ut predicta omnia per
ipsius confessionem sunt manifestis (sic) sive declarata: et quia Gui-
donem Lomgum notarium Comunis cum ballitoribus duxit ad locum
ubi eum sepellierat qui fecerunt eum ad civitatem adduci: super hiis
quoque habito consilio Sapientum quod de jure comuni mori debet: nos
Marcovaldus Malpilij lucensis dei et imperiali gratia potestas Civ. Ca-
stelli per rationem comunem et arbitrium nobis ab Imperatore conces-
sum ipsum Gennaiolum ad mortis perieulum condempnamus ita quod
a palatio Comunis straginetur usque ad locum ubi fuit dietum homi-
cidium perpetratum et ibidem per gulam suspendatur furcis.

Lata fuit hec sententia a dicta Potestate de consilio dictorum
suorum judicum in palatio Comunis Civ. Castelli in Consilio Generali,
presentibus Guidone Camerario dicti Comunis, Bemcivenne et Becca-
rello banditoribus, et Guidone Longo notario, testibus ad hee rogatis,
suprascriptis anno et indictione, die .xij. exeuntis Aprilis ».

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GUBBIO SOTTO | CONTI E DUCHI D'URBINO

[1984-1682]

La storia eugubina è ancor tutta da rifare, scriveva nel
1902 il recensente ad una nota dantesca (1) « Cesena nella
Divina Commedia (2) » con cui si veniva dall'Autore ad ac-
cennare anche alla vita comunale di Gubbio. E difatti nessun
lavoro ha visto fin’ora la luce, che degnamente ci ricordi i
fasti dell'antica cittadina che giace alle falde del monte In-
gino in fertile e ridente vallata, bagnata dal torrente Car-
mignano.

La storia, o meglio, la Guida del Lucarelli (3) che vor-
rebbe illustrare la vita politica e sociale del suo paese dal-
l'epoca di fondazione al sec. XVII — basta darci un'occhiata
per capirlo — non è che uno studio rachitico ed ha gravis-
simi difetti (4). Del resto l'Autore stesso la intitoló Guida e
non Storia.

Altri lavori che abbraccino tutte le fasi della vita poli-
tica e sociale di Gubbio, non esistono.

(1) Cfr. il Bollettino di Storia patria umbra, an. 1902, vol. VIII, pag. 608.

(2) La Nota, scritta dal sig. avv. Nazzareno Trovanelli, comparve nel Cittadino
di Cesena del 1° giugno 1902.

(3) O. LUCARELLI, Memorie e Guida storica di Gubbio, Lapi, 1888.

(4) Cfr. la recensione nell'Archivio storico per le Marche e per Umbria,
vol. IV, pag. 698.

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A. PELLEGRINI

Io, tanto perché altri prenda coraggio, mi sono accinto
ad uno studio che racchiuda almeno un lungo periodo.

Non é quello della costituzione del comune, ché il la-
voro, lungo e faticoso, troverebbe poi un ostacolo quasi in- È
sormontabile — almeno nelle circostanze presenti — negli
scarsi documenti andati forse perduti, per la maggior parte.
Mi sono piuttosto accinto ad illustrare, sulla scorta di docu-
menti editi ed inediti e su brevi lavori critici, l'età ducale
(1384-1632); età non del tutto ingloriosa nè indegna di studio. ;

Fonti edite, sono le cronache di Gubbio di ser Guer- T
riero, di fra Girolamo Maria da Venezia e di un canonico È
don Francesco, pubblicate per cura del prof. Giuseppe Maz-
zatinti (1).

La prima va dal 414 al 1472; e l’autore, ser Guerriero
di ser Silvestro d’Angelello di Manno Campioni, scrive, per lo
più, di veduta. Fu notaro del Comune e amicissimo del conte
Federico.

Sebbene la sua cronaca non sia molto dettagliata e ab-
bracci, per quel che riguarda il nostro studio, un breve pe-
riodo di tempo, pure in qualche momento riesce di grande
efficacia e ci fu sussidio assai prezioso.

La seconda va dalle origini di Gubbio al dicembre del
1539; la terza, dal marzo del 1419 all’ aprile del 1579. Ma
più sterili assai della prima, registrano piuttosto un'epidemia,
la venuta o la morte di un vescovo, una festa religiosa, x
l’arrivo di.un illustre personaggio; sono notizie a sbalzi, a È
lunghi intervalli, e quando pare debbano veramente illumi-
nare intorno a un fatto della vita eugubina sotto i signori
d'Urbino, non fanno invece che acuire maggiormente la cu-
riosità del lettore, lasciandolo spesso insoddisfatto.

V'é un diario, detto di Marcello Cervino, edito da Luigi fi
Bonfatti (2); non starò a discutere se sia veramente dell’ex- i

(1) R. I. S., vol. XXI, parte IV. Città di Castello, 1902.
(2) SIMON PAoLo, Diario detto di Marcello Cervino, con note di L. Bonfatti.
Gubbio, 1848.
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GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 137

vescovo di Gubbio o di altri; vero è che per le pochissime
notizie che si riferiscono alla nostra città è attendibile, tro-
vando esse per lo più riscontro nelle Riformagioni del Co-
mune e nelle lettere del tempo. Ma anche qui si deplorano
le notizie a lunghi intervalli, a sbalzi, frammentarie.

Uno studio abbastanza serio intorno ai vescovi eugubini
è quello del Sarti (1) che va dal 262 d. C. al 1750 circa. Il
titolo stesso dell'opera ci dice che generalmente è storia ec-
clesiastica; e la vita di Gubbio è legata a quel poco di at-
tività e d'influenza spiegata in paese dai vescovi, figure per
lo più che mai non fur vive.

Anche la storia della zecca di Gubbio del Reposati (2)
non è opera da disprezzarsi. L'autore, oltre parlare in par-
ticolare della zecca, ha voluto anche diffondersi intorno alla
vita e politica dei conti e duchi d’ Urbino. Scrive adunque
con tanta copia d'erudizione é vero, ma ci regala pure molte
volte degli errori grossolani. Senza dire che, non scrivendo
di proposito riguardo alla vita sociale e politica della sua
città, la maggior parte delle notizie riescono scarse ed af-
frettate.

Bonaventura Tondi scrisse un volume: 7 fasti della Glo-
ria (3). Il solo titolo basta a farci comprendere che l'opera
non é che uno zibaldone col solo scopo di magnificare e di
esaltare le virtü cittadine.

Finalmente, eccettuando alcune brevi e buone mono-
grafie riferentisi direttamente a Gubbio sotto i Montefeltro
e i Della Rovere (4) — e da alcuna delle quali ho ritratto

(1) M. SARTI, De Episcopis Eugubinis. Pisauri, 1755,

(2) R. REPOSATI, Della zecca di Gubbio ecc. Bologna, 1772.

(3) Edito a Venezia nel 1684,

(4) G. MAZZATINTI, Di alcune leggi suntuarie eugubine. Gubbio dal 1515 al 1522
(Bollettino di Storia patria cit., vol. IMI, an. 1897 e vol. I, fasc. I). — F. BALLERINI,
Le feste di Gubbio per la nascita di Federico Ubaldo dei duchi d’Urbino (Period. Il

' Muratori, vol. I, fasc. II e segg., an. 1892, Roma). — 0. SCALVANTI, IL Mons Pietatis

. di Perugia con qualche notizia di quello di Gubbio (Perugia, 1892). — V. ARMANNI,

Stor. della famiglia de’ conti Bentivoglio da Gubbio (Bologna, 1682), — RANGHIASCI

MERCI SI MS COLE
138 A. PELLEGRINI

utile grande — diró che le fonti edite son tutte queste. Per-
ché, le storie generali intorno ai signori d' Urbino, come
quella dell'Ugolini (1) « il più autorevole fra gli storiografi
« del ducato (2) », le Relazioni degli ambasciatori veneti (3)
o le storie che trattano in particolare di un principe della
casa — come quella del Baldi (4) o del Leoni (5) — o di
luoghi o persone ch'ebbero rapporto con Gubbio (6), si ca-
pisce bene che solo fugacemente e per via indiretta accen-
nano ad essa città; non possono perció essermi state che
di lievissimo aiuto, mentre per nulla mi giovarono altri studii
assai attendibili che, pur trattando di cose e di persone del-
l'età ducale, non ricordano mai la città di Gubbio.

Fonti inedite. — I titoli dei mss. esistenti nella biblio-
teca di Gubbio furon noti al pubblico dal prof. G. Mazza-
tinti (1).

Per la parte che mi riguarda, volendo tacere di qualche
miscellanea dei secoli XVI e XVII, le cui notizie sono abba-
stanza attendibili (8), dirò che hanno non scarso valore due
volumi sotto il nome di Ordini, Bandi, ecc. (9); e la ragione

FrANC., De? palazzi municipali ecc. di Gubbio (Arch, stor. ital., vol. VI, parte II)
— La cittadinanza concessa a Giorgio da Gubbio e ai fratelli (Giorn. di erudiz. ar-
tistica, vol. I. Perugia, 1872). — Memorie del Cap. Ubaldantonio Gabrielli scritte da
lui medesimo, con note di L. Bonfatti (Gubbio, 1850), ed altri che andrò man mano
nominando nel corso di questo studio.

(1) F. UGOLINI, Stor. de? conti e duchi d^Urbino (Firenze, 1859).

(2) G. ScoTONI, La giovinezza di Francesco Maria II e à ministri di Guidobaldo
Della Rovere, pag. 1 (Bologna, 1899).

(3) E. ALBERI, Relazioni venete, vol. V, ser. 2^ (Firenze, 1841).

(4) B. BALDI, Vita e fatti di Guidobaldo I di Montefeltro (Milano, 1821); Vita €
fatti di Federigo di Montefeltro (Bologna, 1826).

(5) Gro. B. LEONI, Vita di Franc. Maria I Della Rovere (Venezia, 1605).

(6) P. PELLINI, Historia di Perugia (Venezia, 1664). — A. CRISTOFANI, Storia di
Assisi (Assisi, 1866). — A. FABRETTI, Biografie de’ capitani venturieri dei Umbria
(Montepulciano, 1842) ed altre che andrò man mano nominando nel corso di questo
studio.

(7) Inventario dei mss. delle Biblioteche d^ Italia, I, estr. in 8°, pag. 88.

(8 CANTALMAGGI, Ann. di Gubbio dal 1100 al 1605 (Segn.: XVII, A, 4-7. Fondo
V. Armanni). — Miscellanea stor. eugubina (Fondo L. Bonfatti). Il pregio di questi
due lavori consiste nel citare ad ogni istante la fonte da cui la notizia deriva.

(9) Segn. III, XVII, c. 3-4; Ar. Armanni, Bibl. cit.

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GUBBIO SOTTO l CONTI E DUCHI D'URBINO 139

apparirà evidente a chiunque abbia un po’ di pratica delle
cose storiche.

Sono assai ben conservati, al contrario di tanti altri mss.
che, quando li toccavo per consultarli, cadevano a brani.
Eran volumi interi le cui pagine forate dai tarli, sciupate
dall umido, ora si perdevano in polvere, ora cadevano a
stracci; per cui, quel poco di buono che avrebbe potuto es-
serci, mi fu reso inservibile dalla noncuranza imperdonabile
di chi era in dovere di mantenere intatto il patrimonio let-
terario e artistico del proprio paese.

In tali condizioni, almeno, si trovavano, circa quattro
anni or sono, nei diversi reparti della biblioteca, quei do-
cumenti affidati dall'ingenuità di pazienti raccoglitori al ma-
gistrato del Comune.

Le Riformagioni del Comune che muovono dall'anno 1326
con qualche lacuna, sono ben conservato nell’ archivio. In
esse è la vita palpitante della città e suo territorio, a volta
a volta procellosa e varia, spesso calma ed uniforme. Men-
tirei se dicessi che non mi furono di aiuto prezioso, sebbene
non m'illuminassero molto riguardo alla vita politica, non
essendo, in genere, che un gran documento di ordinaria am-
ministrazione.

Non poco forse, a parer mio, avrei potuto attingere dal-
l’archivio Capitolare. Ma, di dove incominciare in quel mare
magnum di pergamene e di libri lasciati nel più completo e
sconfortante abbandono? È vero che c'è un indice delle
pergamene, un regesto, compilato dalla pazienza del canonico
Pecci (1), ma per colmo di sventura — certo non per colpa
dell'autore — le indicazioni che rimandano ai documenti il
più delle volte non corrispondono affatto.

Il maggior contingente, per descrivere la vita sociale e
politica del paese, l'ho avuto dal Carteggio dei duchi (son

(1) Il sac. Cenci pubblicherà una notizia intorno al Regesto nell'opera: Gli Ar-
chivi della Storia d’Italia di G. Mazzatinti.

MERCE ERE
140 A. PELLEGRINI .

circa 60 buste — un vero tesoro) conservato nell' archivio
comunale di Gubbio, e dai documenti dell’ archivio di Stato
di Firenze, Fondo Urbinate; scarsi nei primi secoli della do-
minazione ducale, più numerosi negli ultimi.

Dei secoli XIV e XV sono per lo più pergamene, brevi
di pontefici che autorizzano ad aprire una chiesa od un con-
vento o che trattano di affari ecclesiastici; dei secoli XVI e
XVII son lettere innumerevoli di ministri, di personaggi
pubblici e privati, di confraternite ecc., le quali in gran parte
illuminano di luce feconda i diversi periodi della storia eu-
gubina nell'età ducale.

Sorvolando su altri documenti inediti rinvenuti qua e là
e su altri studi resi di pubblica ragione, che mi sono stati
fonte veridica e preziosa, noteró che le croniche di Gubbio
e le carte manoscritte, non potevano, in fin de' conti, am-
mannirci delle notizie sensazionali, diciamo cosi, né strepitose,
quando dallinsieme appare chiaro che la città visse una
vita relativamente calma e serena.

Se togli qualche ribellione interna al principio della
nuova dominazione, dovuta ai soliti facinorosi; se togli l'as-
salto improvviso di qualche nemico esterno, facilmente re-
spinto, e la breve occupazione del territorio da parte del
Valentino e poi di Leone X, il corso naturale delle cose e
degli eventi si svolse pacifico, senza gravi turbamenti.

Ma pur la vita eugubina sotto i signori d'Urbino non
e indegna di conoscersi.

Io, traendo profitto da qualunque notizia che avesse fon-
damento di verità, come l'ape coglie il succo da ogni fiore,
cercai di formare un sol tutto da rendere, per quanto era
possibile, un quadro assai completo della vita economica e
politica del paese: ma non artistica e scientifica, perché in
eran parte mi sarebbe mancata la materia prima. Certo, in
qualche punto il mio studio apparirà sterile e saltuario, ma
non per colpa mia, ché vorrà dire che i documenti mancano
o sono di niuna importanza: e dandosi quest'ultimo caso,
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 141

avremo il diritto di credere che allora le acque scorrevano
perfettamente tranquille.

Ed ora, prima di entrare addirittura in materia, termi-
nando questo fugace accenno alle fonti, non posso a meno
di notare un fatto d'indole generale e assai sintomatico.

Gli scrittori eugubini — se togli i tre cronisti citati,
ser Guerriero che aveva tutto l'interesse di lodare i Monte-
feltro, e gli altri due che non fanno apprezzamenti — Vin-

cenzo Armanni cioó, autore di due volumi di lettere nelle
quali tratta di tutto e di tutti (1), il Tondi (2) il Lucarelli (3),
riescono parziali e ingiusti quando parlano con acredine
della dominazione dei signori d'Urbino a Gubbio, cui non
possono perdonare, secondo essi, la perduta libertà.

L'Armanni a un certo punto deplora: « Essi [i maggio-
« renti di Gubbio] non seppero trovare alla patria già mo-
« ribonda, rimedio piü salutevole di porla a ricovero nel
« Seno, si come fecero, del conte Antonio di Montefeltro...
« cosi ella [fu] trascinata dalla necessità a baciare quelle ca-
« tene che pur troppo conosceva ch'aveano un giorno a
« metterla in servitù (4) ».

Bonaventura Tondi scrive: « Era già stanca la città di
« tante inquietudini ecc., quando offerendosi Antonio conte
« di Montefeltro... ad ogni suo sollievo, le promise ogni sua
« assistenza ecc. Accettarono... i gubbini le grate essibizioni
« del Montefeltro, il quale, coprendo i suoi veri sentimenti
« sotto il velo della dissimulazione, non tanto inclinava alla
« protezione, quanto al dominio assoluto della città. Promise
« egli il patrocinio, et in tanto procurò di farsi arbitro di
« tutte le cose e d’estendere la sua autorità ad una real Si-
« gnoria come gli riuscì, perdendo è nostri, addormentati dalle

« belle parole del conte, l'antica libertà (b) ».

(1) Lettere (Roma, 1663).
(2) Op. cit.

(3) Idem.

(4) Idem, vol. I, pag. 687.
(5) Idem, pag. 17.
A. PELLEGRINI

Il Lucarelli che, come è natutale, prese l'intonazione
da questi due, anche lui fra le altre serive: « ... I nostri Con-
« sigli perdettero ogni autorità di governo...; il podestà eletto
« dal conte limitó le sue attribuzioni alla sola ammistrazione
« della giustizia [notisi che il diritto di eleggere il podestà
« fu, come vedremo, offerto liberamente dagli stessi eugubini
« fin da principio al conte] e piü tardi gli venne aggiunto
« un nuovo magistrato che col nome di luogotenente rap-
« presentava lautorità del duca e decideva in secondo grado
« le cause civili e penali già definite dal podestà (1) ».

Niente, ripeto, di piü ingiusto e di esagerato di tutto
questo.

Finché gli scrittori eugubini lamentano coll'Armanni (2):
« Il conte assai tosto, dal titolo con cui egli ‘ricevè la città
« di difensore, governatore, amministratore e rettore, passò
« alla condizione di principe », hanno ragione, sebbene il
puro titolo non aggiungesse nè togliesse nulla; ma in quanto
a dire che Gubbio fosse trascinata a baciare le catene della
servitù, hanno effettivamente torto.

I duchi, come vedremo nel corso di questo studio, ap-
portarono soltanto lievi innovazioni nell'ordinamento interno
della città; la riforma più radicale fu l'avere Elisabetta Gon-
zaga, moglie di Francesco Maria I, avocato a sè nel 1529 la
nomina del gonfaloniere.

Lasciarono però sussistere in maggioranza tutte le altre
cariche e rispettarono usi e costumi, e quando alcuni di
questi subirono modificazioni, fu sempre d'aecordo colla Co-
munità o dietro iniziativa della medesima. (3).

(1) Idem, pag. 88, nota.

(2) Idem, pag. cit.

(3 Anche il carattere comunale delle imposizioni fu mantenuto, sebbene una
parte di quei soldi che prima si conservavano tutti nella cassa comunale, passasse
coll'avvento del potere de' nuovi signori nelle casse loro. Ma é da notare anche
che li adoperarono spesso — come vedremo — a sussidiare il medesimo comune di
Gubbio e non pochi de’ suoi abitanti, mentre, a cose naturali, non pretesero mai
di aggravare con nuove tasse i contribuenti. GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 143

Se le sedute del consiglio incominciarono ad aprirsi in
nome dei nuovi signori, fu poi serbata sempre ai signori del
comune completa libertà d'azione; non avendo trovato mai
che una sola volta i Montefeltro o i Rovereschi abbiano an-
nullato una delle loro deliberazioni. E laver messo quasi
sotto tutela — dirò così — il potestà, non dovette in fin dei
conti sembrare ai più un'offesa tanto grande alle libere isti-
tuzioni, perchè, nel 1520, quando — capitati ‘sotto la Chiesa
— potendo chiedere a Leone X l'annullamento di una tale

L'avv. L. CELLI, in un suo libro (.DZ S. Goszolini da Osimo ecc. [Torino, 1892],
pag. 117 e segg.), dimostra: « Fino dal 1390 Gubbio ed il suo contado e distretto,
« che da trent'anni prima. obbediva ai rettori di Spoleto, fu da Bonifacio IX dato
« per dodici anni al conte Antonio di Montefeltro in vicariato : e d'allora in poi tutti
« i dazi che la città aveva imposti, furono ceduti come rendita ai Feltreschi in di-
« verse occasioni, ad eccezione delle gabelle del sale, del passo ed una parte di
« quelle sulla carne e sul pesce (tre denari per libra) che il Comune volle riservare
« à sé stesso per provvedere al salario dei medici e del maestro di scuola, ed al
« mantenimento delle strade. E conservarono siffattamente il carattere di cessione
« volontaria che quando nel 1424 Guidantonio, nel 1444 Federico, nel 1483 Guidobaldo,
« nel 1508 Francesco Maria presero possesso dello Stato, fra i capitoli proposti dal
« Comune di Gubbio e sottoscritti dai nuovi duchi fu sempre inserto quello del
« mantenimento delle, gabelle ordinarie col divieto espresso che nessun'altra nuova
« imposta si dovesse introdurre per niuna cagione e per niun modo, e quelle che
« fossero poste si togliessero via ».

Già che sono à parlare del sistema tributario, per evitare di tornarci sopra,
voglio trascrivere qualche altro brano del libro cit. del Celli che spiega il mecca-
nismo usato affin di accertarsi de’ proventi dei cittadini: « Il tributo principale di
« Gubbio non era ragguagliato all’estimo censuario dei fondi rustici, ma colpiva
« direttamente il reddito del grano, del vino, della paglia e delle altre biade e. ri-
« scuotevasi in due modi : in città all’ entrata delle porte; nel contado mediante
« l'assegna, quando non veniva dato in appalto per un tempo e corrispettivo deter-

« minati. La riscossione diretta era la regola: infatti si eleggevano ogni anno. otto
« ufficiali per assistere a due a due alle quattro porte della città e descrivere tutto
«il grano, vino e biade che vi si introducevano ; ed altri otto si destinavano per il
‘« contado a notare il prodotto di parte colonica, che rimaneva in campagna; e. de-
« scrivere insieme il numero (bocche) di quelli che non. possedevano stabili, dalla
« età prima di sette anni, poi di tre anni in su, e che pagavano una tassa perso-
« nale del testatico insieme: con quelli che. abitavano nei borghi della città. Il ter-
« ritorio era a quest'effetto scompartito in due regioni dette di levante e di ponente ;
« ela tassa consisteva in sei quattrini per mina di grano, quattro per mina di pagliosi
« (biade), dodici per soma di mosto, otto per soma d'uva, e bolognini sei per bocc«
« del contado. Si capisce che l'importo annuo doveva variare secondo il prodotto;
«in media però calcolavasi che fruttasse in complesso. oltre duemila scudi, dei
« quali entravano netti alla Camera:quando 1400; quando 1200, non mai meno di 1000 .».

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144 A. PELLEGRINI

riforma, vollero invece avere per di piü nel posto del ]uo-
gotenente un impiegato a lui superiore; vale a dire un go-
vernatore.

Anzi, i signori di Urbino, per lasciare ai nuovi sudditi
una completa libertà d'azione, « con eccezione dalle altre
« città loro soggette [mostrarono] — lo confessano, contrad-
dicendosi, il Bonaventura (1) e l Armanni (2) — con gli
« editti, coi bandi, con iscrizioni et in altre guise, non esser
« [Gubbio], come mai non fu, contenuta sotto il ducato di
« Urbino ».

Ma v'è di più.

Da principio — lo ammetto fin d’ora — dovette esistere
un po’ di diffidenza fra sudditi e signori, nè questi ultimi
vollero o seppero procurarsi immediatamente l’amore degli
eugubini: basti sapere che nel 1400 essendo gran morta-
‘lità in Gubbio e nelle città contigue (8), il conte Guido
Antonio, commise l’ imprudenza di abbandonare i nostri, an-
dando a Verona e ritornando l’anno dopo quando ogni peri-
colo fu scongiurato. Questo passo impolitico di lui non do-
vette certo accrescere il suo prestigio. Ma seppero in seguito,
egli stesso e specie i successori, far dimenticare ogni scre-
zio, togliere ogni attrito e conquistarsi fiducia e amore.

Il duca Federico, p. es., per accrescere decoro alla città
e per soddisfare l amor proprio dei nuovi sudditi, apri a
Gubbio una seconda corte, e Guidobaldo II, a differenza de-
gli altri luoghi, alleggerì il paese di diverse tasse; Francesco

Maria II — come già aveva fatto in minor proporzione il
conte Antonio — per rendere agli eugubini men dura la

vita, fu largo, ora ai conventi, ora ai privati, di denaro e
di oggetti da coprirsi; e alla Comunità venne in soccorso,
dal 1590 al 1621, di ben centoquattordicimila scudi (4).

(1) Op. cit., pag. 22.

(2) Op. cit., pag. cit.,

(3) V. ARMANNI, Op. cit., pag. cit.

(4) Cfr. F. UGOLINI, Op. cit., vol. II, pag. 397; il Lib. ms. segn.: Cl. I; D. G. F.
CCLV ; Cl. I, D. A. F. IV (Arch, di Stato di Firenze) e il presente studio. GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 145

A confessione degli stessi sopracitati scrittori, quando la :
Città passò sotto il dominio de’ Feltreschi, era fin da trecento
anni (dal 1080. al 1384) travagliata da lotte intestine (1): eb-
bene, venute al potere le due famiglie de’ Feltreschi e dei
Rovereschi — che al piacere e alla mollezza preferivano le
asperità e i pericoli della guerra — Gubbio fu facilmente
salvata dagli assalti repentini dei nemici esterni e liberata
con fermezza da quelli interni. Aggiungasi a tutto questo il

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- Et 3. (VS em A ——Á

governo di buoni ministri ducali, una seria legislazione, ba-
sata, come vedremo, in certi casi, su principii meramente
umanitari, e la voluta osservanza della legge tanto da parte
dei cittadini, grandi e piccoli, quanto de' loro uffiziali, e bi-
sognerà dunque concludere che la signoria dei conti e duchi
d’Urbino fu piuttosto un bene, una fortuna.

D'altra parte, era fatale che Gubbio perdesse le libertà
comunali; sia per il continuo estendersi in Italia delle si-
gnorie, sia perché Roma la guardava con occhio d'invidia.
Se avesse parato lo scoglio de' Montefeltro, non avrebbe po-
tuto salvarsi dalla Chiesa. Sarebbe caduta assai piü presto
sotto il dominio papale, e i cittadini, oltre esser servi nello
stesso modo, avrebbero dovuto risentire tutti i difetti e le
odiosità del potere temporale: l’ inquisizione, la caccia agli
ebrei, la contrarietà per tutto ciò che era vita artistica e
sociale, l'indifferenza per le loro prerogative e per la sicu-
rezza delle persone e delle cose.

Caduta infatti la città di Gubbio, nel 1632, sotto il papa,
questi, a differenza dei duchi, intese facesse senz'altro parte
del grande stato pontificio, e, mentre i signori d’ Urbino, à
rischio d'inimicarsi le altre città che ne potevano diventar
gelose, non permisero mai che in Gubbio si stabilisse l'in-
quisizione, Urbano VIII lasciò subito che sotto il vescovo

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(1) « Gubbio fu per 3?0 anni continui, cioè dal 1080 al 1384, travagliato da
« guerre civili; era diviso in fazioni che si perseguitavano fra di loro sotto il vero
« o falso pretesto di difendere le ragioni chi de' pontefici e chi degl' imperatori »
(V. ARMANNI, 0p. Cit., vol. II, pag. 587).

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146 A. PELLEGRINI

Ulderino Carpino s'inaugurasse un simile tribunale (1). Né
la Chiesa rispettó neanche alcune loro abitudini, barbare se
si vuole, ma che in quei tempi erano in onore e formavano
il vanto, l'anima di un paese; citerò ad esempio le partite
di pugni (2). Nello stesso modo la Chiesa, sebbene assai
tardi, aboli la carica del Contestabile che si nominava ogni
anno durante le feste del patrono S. Ubaldo, con autorità
superiore agli stessi conti e duchi d'Urbino; provvedimento
questo per cui non si può invocare attenuante di sorta come
per quello che proibiva le partite di pugni, le quali potevan
costare la vita ad un uomo (3).

Del resto, lasciamo che certi scrittori di cose eugubine
si atteggino a mentori e rimpiangano la cosidetta libertà,
in tempi in cui potevano farlo impunemente, scrivendo essi
dopo che la dominazione dei conti e duchi d’ Urbino era
già tramontata; specialmente non ci dobbiamo badare se si
pensa che gridavano per fini riposti, atteggiandosi quasi a
vendicatori dei desideri dei loro avi: non potevano perdonare
cioè ai vecchi signori di non aver proclamato la loro città

(1) M. SARTI, op. cit., pag. 231. ;

(2) In che consistessero le partite di pugni fu detto nella Vita di S. Ubaldo,
commentata dal Reposati (Loreto, 1760, pag. 134 e segg.) e ripetuto dall'Ugolini (op.
cit., doc. IV, vol. II), sicché é inutile lo riferisca io. Trascriverò piuttosto quel passo
che si riporta all'origine di esse: « È tradizione... che S. Ubaldo proibisse... il non
«più combattere colle spade e altre armi offensive e similmente collo scagliare dei
« sassi. Ma se mai... si dassero delle pugna... Laonde tutti i cittadini... mai più fra
« di loro usarono armi... ma si prevalevano... delle mani col fare a pugni, costume
« che... durarebbe eziandio se con prudente divieto non fossero state proibite que-
« ste battaglie dagli Eminentissimi Cardinali Legati della Legazione di Urbino sotto
« il governo de’ quali si trova anche... Gubbio » (Vita cit., pag. 134). i

(3) Il ToNDI (op. cit., pag. 8) non ha che un breve cenno sulla carica del
contestabile; 1 autore della Vita di S. Ubaldo (pagg. 232 e segg.), si diffonde solo a
parlare delle colazioni e pranzi che sotto l'egida del contestabile si dispensavano
al popolo. Né il Reposati né il Lucarelli parlano ex professo di questa carica. Esiste
però nella Biblioteca di Gubbio un'aecurata e lunghissima Provvístone manoscritta
intorno al contestabile per la quale si conosce quali fossero il cerimoniale, le di-
verse attribuzioni e privilegi di lui. Ma tale Provvistone, intitolata, Fatto informa-
tivo | sopra la carica di contestabile della città di Gubbio.| e sua giurisdizione, è di
epoca assai tarda, cioé del 1757. GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 147

capo del ducato. Questa è la ragione dei rimpianti dell’ Ar-.
manni e del Tondi, non volendo capire che un atto simile
non dipendeva neanche dal volere dei governanti, perchè
Cera una città, Urbino, che non poteva essere posposta per
antico diritto a nessun’ altra. Se ciò fosse avvenuto, ne sa-
rebbèro nati certo tali inconvenienti da mettere in pericolo
perfino la sicurezza della stessa Gubbio. Il fatto è che il
popolo, quello che veramente era in grado di giudicare, sce-
vro da passioni di sorta, il governo de’ Feltreschi e de’ Ro-
vereschi, mostrò sempre — salvo qualche rara eccezione —
di esserne lieto e soddisfatto. Nel corso del racconto non ci
troveremo mai davanti ad una seria sommossa popolare che
suoni biasimo al governo ducale. Noteremo poche volte un
senso di malcontento causato per questioni d'interesse ma-
teriale più che politico, sedato del resto facilmente da chi
stava al potere sia per buona politica, sia per sentimento di
affetto. La Comune, che rappresentava in fin de’ conti la
volontà del paese, si mostra sempre sollecita ad onorare in
ogni forma i propri signori; e se dovesse nascere il dubbio
che i membri del general consiglio agissero così per fini
riposti o perchè in condizioni speciali, dirò allora che il po-
polo minuto si era tanto affezionato ai nuovi dominatori, che
nel 1590 — quando Alfonso Piccolomini pareva avesse in-
tenzione di rovinare il territorio eugubino — « li vecchi e
« giovinetti non scritti alle armi, vengono a offrirsi spontanea-
« mente al servitio di Francesco Maria », in altre occa-
sioni mostrano — come vedremo — tutto il loro attacca-
mento ai duchi, e nel 1624 il paese intero mostra con tutta
l'anima il proprio malcontento, quando gli giunge la nuova
che il duca, vecchio e stanco, aveva affidato il governo nelle
mani di monsignor Bellingerio Gessi legato pontificio, perchè
ciò equivaleva ad aver abbandonato i sudditi alla mercè
della Chiesa (1).

(1) V. il seguito di questo studio.

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A, PELLEGRINI

Ill conte Antonio. — Si reggeva Gubbio a libertà da
diversi secoli, quando Gabriele Gabrielli di Necciolo, monaco
avellanita, eletto vescovo di quella città nel 1578, d'accordo
con la corte d' Avignone, disarmó lanno dopo le milizie re-
pubblicane, affidando il governo di Gubbio a Carlo Durazzo,
e proclamandosene poi egli stesso signore nel 1381. Da que-
sto momento incomincia un periodo di tirannide, di sedizioni
e di fame che dura circa tre anni (1) finché ai 24 marzo
dell'84 si raduna il general consiglio e stabilisce di darsi al
fratello del vescovo, Francesco, nominando dieci nobili per-
ché provvedano « super bono et pacifico statu ac custodia »
della città. |

I dieci nobili — nelle persone di C?eciolus Cantutij de
Gabriello, Coradutius domini Coradi de la Branca, Nicolaus Ma-
rini, Tancredus Baldellj, ser Marinus Angelutij, Nicolellus
Baldellj, dominus Benedictus Ceccolj, Bartolomeus Nicolae, do-
minus Melchior Actulij, Andreas Baronis — riunitisi il 30 di
marzo, stabiliscono per il « bono, pacifico et tranquillo statu
« et custodia civitatis et comitatus » di accettare come ret-
tore il conte Antonio da Montefeltro, signore di Urbino, e,
seduta stante, vengono da loro redatti i capitoli da sotto-
mettere al giuramento del conte (2).

Come mai questa improvvisa e grave determinazione?

Nella cronaca di ser Guerriero da Gubbio (3), che fu
carissimo al conte Federico da Montefeltro e notaro del Co-
mune, e che scriveva nel 1472, viene così spiegato l’ ina-
spettato cambiamento di regime: « ... Curendo li anni domini
« mille trecento otanta quactro, a di 24 de marzo, per vie
« indirecte, fo de bisogno la clementia del nostro Signore

(1) Cfr. R. REPOSATI, Op. cit., vol. I, pag. 99. — O. LUCARELLI, 0p. cit., pagg. 83, 84»
(2) Riformag. cit., vol. 10, f. 133; Arch. com. cit.
(3) .R. I. S., vol. cit., p. cit., pag. 23 e segg.
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D' URBINO 149

« Idio cie mustrasse la nostra salute et la via devamo te-.
« nere per uscire de tanti et tali infortunii, et che afaticati
« in le civile discordie cie reposassimo ecc.

« Fo preso adonqua per partito in uno conseglio che
« ambasciadori se mandassero a mes. Francesco per acordo;
« et quisto fo inventione de mes. Gaddo, Coraduccio de la
« Branca, Senso di Gabrielli, Ceciolo de Cantuccio et Fran-
« cesco de Agnolo di Carnovali, li quali, non posendo la
« cosa dirizare a loro senno, per via indirecta fecero loro
« voglia et segul loro intentione. Fo creato sindaco del co-
« mune per mezanità de quisti a potere aconciare et obbligare
« la comunità de Ugubio commo li pareva et con chi li pa-
« reva. Et facto el di le lectere, credendo la brigata andasse
« a mes. Francesco, essendo gonfaloniere Nicoló de li Sfor-
« zolini, el quale havea el sugello, la notte foro derizate le
« lectere al conte Antonio de Montefeltro conte de Urbino,
« et dove el popolo credeva Francescho andasse a mes. Fran-
« cesco, lui andò al conte Antonio, el quale aceptó tórre la
« impresa ecc. ».

Questo il racconto del modo strano con cui Gubbio cam-
biò regime; il quale sembrerebbe pura invenzione del cro-
nista, se a quei tempi non fosse stato tutto possibile e se
non ne trovassimo sicura conferma anche nelle AKformagioni
del Comune.

Dunque, per mero caso e quasi per inganno, Antonio di
Montefeltro divenne rettore e governatore di Gubbio. Trova-
vasi a Cagli, quando gli ambasciatori andarono a sollecitarlo
facendogli noti i patti stabiliti già il 30 di marzo dai dieci
cittadini, per il buon andamento delle cose. I capi principali
erano: il conte Antonio nominava il podestà, e poteva abi-
tare, quando e quanto volesse, in Gubbio e sue fortezze; si
ritenevano per amici gli amici suoi, e per nemici i suoi ne-
mici, e lui a sua volta doveva « defendare, protegere la
« .. comunità... e reacquistare suoie ragioni e contado giusta
« suo podere », eccetto che « contra la Chiesa de Roma »;

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150 A. PELLEGRINI

non poteva far tregua co' nemici del Comune contro la vo-
lontà del medesimo; che il Comune possa eleggersi « uno
« giudice d'appellagione »; che il conte debba provvedere la
città di biade e di grano (1).

Queste le principali clausole del trattato, fatte ed ap-
provate « cum dieto domino et Mutio Veragini » della Per-
gola, « eius numptio et procuratore (2) », che, portatosi a
Gubbio, prese in consegna dal castellano Suppolino Mase, la
rocca più importante della città, quella cioè di S. Ubaldo.

Il conte Antonio arrivò il 31 di marzo, accolto dalle
erida: « Viva el conte Antonio (3) », portando seco 2000 fanti
e 400 cavalli « con piü suoi gentiluomini e provisionati, e
« con ottocento some di vittuaglia e fece molto onore alli
« consoli. Ebbe le guardie della rocca della città, le chiavi
« delle porte... Mandò alli nostri gentiluomini, e molti tor-
« narono, e incominciò ad invilire il prezzo del grano a 20
« ancone (4) la mina (5) ».

Dal suo modo di comportarsi, facilmente s'intende che
il nuovo dominatore non perdette la testa all'insperato suc-
cesso: egli entró in città con un buon numero di soldati (6),
quasi ad affermare fin da principio la sua potenza e l'in-
tenzione di signoria, ma non dimenticó neanche la farina
per ammolcire gli animi dubbiosi, per guadagnarsi del tutto
laffetto della plebe che per la carestia soffriva la fame.
Quindi da principio lasció affatto intatte le leggi statuarie e

(1) Leggi il testo preciso de' capitoli nel vol. cit. delle Riformag. del Comune
(Arch. com. cit., i quali son anche per intero riportati in nota alla cronaca cit.
di ser Guerriero (acc. cit., vol. cit., p. cit., pag. 23 e segg.).

(2 Riformag. cit., vol. cit., f. 134; Arch. com. cit.

(3) Cronaca di ser Guerriero (Racc. cit., p. cit., pag. 24).

(4) Cioé, lire anconitane.

(5) Diario di Simon Paolo, detto di Marcello Cervino, pag. 11. — Il REPOSATI
(op. cit., vol. I, pag. 110), che copia da Marcello Cervino, vorrebbe che il conte An-
tonio avesse mandate a Gubbio in due volte, il 20 e il 81 marzo, buon numero di
some di vettovaglie. Ma non si accorge che l’autore del diario si ripete.

(0) Anche ser Guerriero da Gubbio (Race. cit., p. cit., pag. cit.) scrive « con
« gran gente et molta victualia ».
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 151

i privilegi del Comune, e riammise in città molti de’ fuoru-.

sciti: specialmente diverse illustri famiglie ghibelline, come
i Beni, i Bentivoglio, gli Armanni ecc. (1).

Non si creda però che la quiete del paese non venisse
mai più turbata. Era fatale che anche per l’ avvento al po-
tere del conte Antonio si ripetessero, passato il primo mo-
mento di stupore e di meraviglia, i medesimi inconvenienti
che noi vediamo ripetersi tutte le volte che succede un av-
venimento del genere.

Diversi nobili (2) intanto, memori dell’antica libertà, non
potendo veder di buon occhio il nuovo stato di cose, poichè
— per quanto il conte fosse venuto col titolo di rettore e di
governatore, per quanto avesse promesso di non esser altro
per gli eugubini che un capitano — capivan bene che si
eran sempre tirati in casa un padrone, preferirono andare
in esilio, e da lontano — come vedremo — brigarono per ri-
condurre il paese a libertà. Ma questi sarebbero stati da
parte loro tentativi isolati e non troppo pericolosi, nè avreb-
bero potuto mantenere a lungo agitata la popolazione se,
nel vicino castelllo di Cantiano (3), i Gabrielli, non potendo
dimenticare di essere stati una volta signori di Gubbio, non
avessero apertamente mirato a riconquistare la supremazia
perduta.

D'altra parte, anche al conte Antonio premeva troppo
il possesso di Cantiano a causa della sua posizione geo-
grafica.

Ecco che cosa scrive il Reposati: Cantiano, « essendo
« nei confini del territorio di Cagli e nella strada che da

(1) FRANC. FABIO MONTANI, Elogio storico di Vincenzo Armanni ecc., pag. 7
(Modena, 1845).

(2) Baldo e Senso Gabrielli, Bosone Raffaelli detto l' Ungaro, Gaddo Accorom-
boni, Cante iuniore e Giovanni Gabrielli, Corraduccio della Branca, Giacomo e Laz-
zaro.di Lando Becchi, Gioacchino Montaiti conte di Magrano (Cfr. 0. LUCARELLI, 0p.
cit., pag. 78). :

(3) Cantiano era stato. edificato dagli eugubini nel sec. XIII a tempo di Fede-
rico II verso il 1285 (Cfr. la Vita di S. Ubaldo cit., pag. 137).

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152 A. PELLEGRINI

« quella città conduce a Gubbio, [al conte] era in un certo
« modo serrato il passo tra Gubbio e Cagli, e senza gran
« difficoltà e senza lunghezza di strada, e quella sempre fra
« monti, non poteva in occasione di guerre mandar genti e
« soccorsi agli eugubini. Oltre di che, essendo posto in mezzo
« fra Gubbio e lo stato d' Urbino, non poteva mai il conte
« possedere la città di Gubbio pacificamente, se non s'im-
« padroniva di quel castello. Per la qual cosa, nei mesi di
« aprile, di maggio e di giugno continuavasi grandissima
« guerra » tra Francesco Gabrielli, divenuto capo di famiglia
dopo la morte del vescovo, « unito cogli esuli di Gubbio, e
« il conte Antonio (1) ». Ma vedendo Francesco di non aver
forze bastevoli per potersi difendere contro un si potente
nemico, e avendo di già dovuto cedere, forse per ottenere
una tregua, il cassero di Colmatrano di Cantiano (2), ricorse
per aiuto ai fiorentini. Questi, a quanto sembra, non si mo:
strarono restii a contentarlo, e dapprima forse consigliarono
anche un accomodamento; perché le Aiformagioni citate di-
cono che ai 16 d'agosto del 1385 fu mandato a Firenze Fran-
cesco Agnolelli di Gubbio da parte del Comune e del conte
Antonio, per trattare col « magnifico milite domino Zanobio
de Mezola « cive florentino, arbitro et compromissario » della
lite (3).

L'Agnolelli condusse seco un cancelliere, due cavalli e
un famiglio, ed ebbe per salario 20 fiorini.

Le trattative durarono circa un mese e si arrivò anche
a formulare un lodo; ma il Gabrielli non accettandolo (4),
le ostilità furono riprese con più vigore.

(1) R. REPOSATI, Op. cit., vol. cit., pag. cit.

(2) Cronac. cit. di ser Guerriero (Race. cit., vol. cit , p. cit., pag. 25).

(3) Riformag. cit., vol. cit., f. 2 (Arch. cit.). — MARCELLO CERVINO (0p. cit., pag.
cit.) e il REPOSATI (op. cit., vol. cit., pag. cit.) e l’UGOLINI (op. cit., vol. I, pag. 180)
che copiano dal primo, affermano che Zanobio andasse a Gubbio, ma, come abbiam
"visto, le Riformagioni dicono il contrario.
(4) Diario cit. del Cervino, op. cit.
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 153

Ser Francesco, insieme a dei fuorusciti di Perugia, oltre :
ai soliti di Gubbio, e aiutato da un esercito fiorentino sotto
il comando di Giovanni degli Obizi da Lucca (1), espugnó e
distrusse molti castelli e fortezze del contado eugubino (2).

Intanto i reggitori della nostra città seguivano con ar-
dore le fasi della guerriglia e ardentemente desideravano
che le cose si accomodassero al più presto.

Sembra che la pietra dello scandalo, diciamo così, fosse
l’esiliato Francesco Neccioli, il quale, per le sue « malitias,

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« iniquitates, tradimenta », contribuiva ad impedire qualsiasi
accordo. Di ciò allarmato il Consiglio, si riunisce ai 3 di
ottobre per decidere « ut resistatur malitijs et dolositatibus
« dieti domini Francischi » e per venire alla pace desiderata.
A tal uopo i consiglieri nominano quattro «. bonos et pru-
« dentes homines » di Gubbio che abbiano « arbitrium, au-
« ctoritatem, bayliam et... potestatem providendi, deliberandi,
« ordinandi, reformandi ecc., pro dicto commune [di Gubbio]
« ecc.; et habeant arbitrium, auctoritatem ecc. imponendi
« collectas, gravamine in dicto commune (3) ».

Un altro provvedimento da cui si ripromettevano buoni
frutti fu quello di ripopolare il contado: ai 28 di dicembre
i consoli bandiscono che « qui fuerint absentes per guerram,
« possint reverti libere et secure », senza soffrire alcun gra-
vame né reale né personale (4).

É noto che nessuno poteva allontanarsi dal territorio
senza un regolare permesso; coloro dunque che in causa
della guerra si erano invece volontariamente esiliati pote-
vano, anzi dovevano, questa volta tornare nei confini senza
subire aleuna pena. Tale provvedimento poi aveva un dop-
pio scopo: di popolare vieppiù il contado, e di evitare che,
a lungo andare, gli esiliati, sia per forza, sia per amore, do-

(1)
(2) Diario cit. (pag. cit.). — R. REPOSATI, op. cit., vol. cit., pag. cit.
(3) Riformag. cit., vol. cit., f. 13 v. (Arch. com. cit.).

(4) Idem. f. 31.

Cronaca cit. di ser Guerriero (Racc. cit., vol. cit., p. cit., pag. cit.).

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154 A. PELLEGRINI

vessero far causa comune coi ribelli. E fu questa una deli-
berazione presa regolarmente, e con tutte le debite. forma-
lità, dal general consiglio, non un’idea peregrina, un parto
esclusivo della fantasia del conte Antonio, come alcuno vor-
rebbe far credere (1). Anzi, bandi simili si ripetono più volte
nel breve periodo di pochi mesi e si arriva perfino a mi-
nacciare i disobbedienti di pene severe (2).

E la maggioranza dei cittadini come si comportava?
Purtroppo anche nell'interno spirava un’aria di malcontento
e di combattività. La plebe era stremata, vuoi per la guerra,
vuoi per la carestia, d'onde v'era chi, « furtive latentius »,
tentava di sovvertire il pacifico e tranquillo stato del Comune.
Adunatosi per questo, ai 5 di marzo, il Consiglio, delibere
di richiedere a qualche stato amico un certo numero di ar-
mati per sedare « predictas perversitates et scandala in
« honore, pace, tranquillitate et libertate communis ac ex-
« terminio dictorum perversorum (3) ».

In questo momento correvano buoni i rapporti coi pe-
rugini, ei consoli pensano di profittarne, rivolgendosi a loro:
né i perugini si rifiutano, ma offrono la miseria di dieci
lancie e alcuni fanti « per quietare gli humori di quel po-
« polo (4) ». Tentano peró qualche cosa di piü in favore
degli amici, riguardo alla buona riuscita della grossa lite
col signor di Cantiano, mandando diverse ambascerie a Fi-
renze per rimuovere « quella repubblica dallo sdegno che
« contra el conte Antonio preso haveva (5) », siccome pare
che la città toscana avesse finito di addossarsi la somma
della guerra.

Ma le ambascerie non approdarono a nulla.

Or dunque: oltre alla guerra ed alla fame — cagione

(1) Il LUCARELLI, Op. cit., pag. 78.

(2) Riformag. cit., vol. cit., f. 33-74 (Arch. com. cit.).
(3) Riformag. cit., vol. cit., f. 155 (Arch. com. cit.).
(4) P. PELLINI, Op. cit., vol. I, pag. 1311.

(5) Idem, pagg. 1338, 1342, 1343.
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 155

questa, come s'è vista, di malcontento e di scandala all’ in-

terno — aggiungansi anche alcuni tumulti sorti in Gubbio

tra il clero e il popolo ad istigazione del vescovo Lorenzo
Corvino, a causa del grande scisma che affliggeva la Chiesa,
e quindi l’Italia tutta (1), e poi non recherà nessuna mera-
viglia il sentire che la nostra città fosse pure vittima di un
tentativo di tradimento.

Raccontano le cronache: il 26 d'aprile del 1386, da
Ubaldo e Senso Gabrielli e Corraduccio della Branca fu ordi-
nato un tradimento contro di Gubbio per darla al comune
di Firenze, e il 27 dello stesso mese i soldati della repub-
blica, con la compagnia del Boldrino, di mille cavalli e tre-
cento fanti, comparvero nel Corso, luogo vicino alla città,
sperando che il trattato riuscisse. Ma le loro mire furono
scoperte ; il conte Antonio soccorse i sudditi con duecento
fanti e sessanta uomini d’ arme, i nemici furono assaliti e
costretti a prendere la via di Cagli. Di li passarono poi in
quel di Urbino verso Corbardolo e Talacchio, aspettando gli
eventi.

Intanto, la città, che era sempre affamata, fu da Giovanni

di messer Ongaro soccorsa di 36 some di farina (2) e colla
interposizione del conte di Carpi fu intavolato ai 7 di luglio

‘ e finalmente conchiuso ai 28 dello stesso mese un accordo

tra i fiorentini e il conte Antonio: il signore di Urbino do-
veva mandare ogni anno a Firenze il palio nel giorno di

S. Giovanni Battista (3); doveva restituire il cassero di Col-
matrano a Francesco Gabrielli e pagare al medesimo 1200
ducati per i danni sofferti; ai ribelli e ai banditi era per-
messo tornare in patria (4).

(1) Miscellanea stor. cit., vol. I ad an. (Bibl. cit., Fondo cit.).

(2) Cronac. di ser Guerriero (Racc. cit., vol. cit., p. cit., pag. cit.).

(3) Il palio, p. es., che Gubbio presentò nel 1390, costava fior. 60 (G. RAFFAELLI,
Sulle maioliche durantine, pag. 261, Fermo, 1846).

(4) Così ser GUERRIERO DA GUBBIO (Race. cit., vol. cit., p. cit., pag. cit.). — M.
CERVINO (0p. cit., pag. 12) e più particolarmente il REPOSATI (op. cit., vol. cit., pa-
gina 111). — Il PELLINI (0p. cit., vol. cit., pag. 1342) vorrebbe piuttosto far credere

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Come si vede, il guadagno fu tutto dalla parte di Fran-
cesco Gabrielli: questi non si obbligó ad altro che a man-
tenersi in buona amicizia coi confinanti, e i fiorentini, quasi
per agevolare le trattative di pace, si affrettarono solamente
a ritirare, fin dal 7 di luglio, le soldatesche. Nè Gubbio riebbe
sì presto la calma desiderata: molti dei ribelli preferirono
rimanere in esilio, darsi alla Chiesa e servire Urbano VI
contro il proprio paese, pur di non riconoscere il signore di
Urbino (1). Il Consiglio adunque continua a prendere le de-
bite disposizioni: mentre ai 13 di agosto ordina a tutti i
sindaci delle università e delle comunità dei castelli e delle
ville, che dentro tre giorni si portino a prestare al Comune
la dovuta ubbidienza, sotto pena, s'intende, di una multa
per chi non ottemperi all'invito, ai 16 dello stesso mese
viene nella determinazione di non sciogliere l'impegno con
la brigata equestris, che manteneva in città, e la riconferma
appunto perchè Gubbio non rimanga « gentibus armigeris
« denudata ». Poi, diversi mesi dopo (ai 24 di marzo del 1381),
il general consiglio, d'accordo col conte Antonio, vector et

gubernator communis — s'incomincia a capo d'ogni delibera-
zione a scrivere da ora innanzi una tal formula — perchè

il paese non cada in manum nefaciorum, stabilisce che si
elegga un certo numero di uomini i quali abbiano pieno po-

che la dimostrazione armata del 27 fatta da Firenze fosse una conseguenza dell'ar-
resto proditorio del Gabrielli per parte del conte affin di togliergli Cantiano. Ma
questo particolare d' importanza non è riferito dall’ autore della cronaca eugubina,
sebbene si possa credere avesse interesse a tacerlo per amor del buon nome del
Montefeltro. Per me, terrei piuttosto a credere che i florentini si fossero presen-
tati senz'altro coll'animo deliberato d'impadronirsi del paese, istigati, non solo dal
Gabrielli e dai fuorusciti, ma forse anche da molti che residenti in Gubbio non
eran punto soddisfatti dell'andamento delle cose. Difatti, il beato Antonino — serio
scrittore di cose fiorentine e da cui copia il Pellini — e il Reposati, accennano al
forte malcontento degli eugubini ; le Riformagioni, come abbiamo visto e come ve-
dremo, son piene appunto di provvedimenti per la quiete interna; dunque niente
di strano che si cercasse di fuori e di dentro di liberarsi del conte Antonio.

(1) M. CERVINO, op. cit., pag. cit.
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 151

tere di provvedere in qualunque caso di eventi dolorosi (1). :
Quindi, per assicurare vieppiü la quiete del dominio, il conte
Antonio continua ad emanare altri decreti di sicurezza pub-
blica.

Il 23 di maggio del 1388 fa bandire che nessuno indi-
stintamente osi « offendere vel dapnificare seu aliquam no-
« vitatem facere quoquo modo in territorio, rocche, con-
« trate, sine expressa licentia (2) »; circa un anno dopo,
ordina di riedificare le mura intorno alla rocca di S. U-
baldo (3), e il 22 novembre 1389 il suo luogotenente, Nicolao

da Montefeltro, fa bandire da Francesco Turco — pubblico
banditore — quanto segue: che nessuna persona di qua-

lunque stato ecc. osi uscire dal contado, senza licenza; che
nessuno osi mandar fuori del contado nè ricevere da alcuno
né dare alcuno o presentare alcuna lettera, se prima non
sarà presentata all'ufficiale delle bollette e bollata; che gli
uomini destinati alla custodia delle porte della città portino
alla presenza dell'ufficiale preposto tutti i forestieri che vo-
lessero entrare; che nessun Aospes, in qualunque parte della
città osi albergare o ricevere alcun forestiero in casa senza
licenza; che ciascuno sia tenuto a denunziare i contravven-
tori, e saran tenuti segreti i loro nomi e avran diritto alla
metà del denaro ricavato dalla multa di 50 denari (4).

(1) Riformag. cit., vol. cit., f. 59 v. e segg.; Arch. com. cit. — È da notare che
un divisamento simile si prendeva di solito nei casi estremi. Difatti non dové essere
estraneo a ciò, oltre che il pensiero dei ribelli, anche il timore dell’ avvicinarsi di
Bernardo della Sala, il famoso condottiero de’ brettoni in Italia. Aveva costui, in
compagnia di Rinaldo Orsini, guerreggiato la città di Viterbo e sconfitto il Beltost,
capitano inglese al servizio del Pontefice, quando, col favore de’ fuorusciti peru-
gini, occupò il castello di Carraia; quindi, unitisi con lui il tedesco Everardo della
Campana e Guido d’Asciano — il primo con 300 cavalli il secondo con 1000 — scese
infatti nei contadi di Gubbio e di Città di Castello, depredandoli senza ostacolo ; ma
non osò attaccare i due paesi fortificati (E. RICOTTI, Stor. delle Compagnie di Ven-
tura in Italia, vol. II, pag. 187. Torino, 1844).

(2) Riformag. cit., vol. 14, f. 4 (Arch. com. cit.).

(3) Miscell. stor. cit., vol. cit., f. 6 (Bibl. cit., fondo cit.).

(4) Riformag. cit., vol. cit., f. 66 v. (Arch. com. cit.).

11

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A. PELLEGRINI

Malgrado però questi bandi severi, i fuorusciti continua-
vano sempre ad infestare le vicinanze (1) tentando anche
qualche volta lo stesso paese (2). Ma lo scoglio piü forte eran
sempre i Gabrielli: dopo circa cinque anni di amicizia ap-
parente scoppiavano di nuovo, nel 1391, piü feroci le osti-
lità, alle quali prendevan parte anche i perugini, e con mag-
gior vigore l'intera famiglia de’ Malatesta (3). E, « dopo
« varie fazioni, assalti di terre e castelli, cavalcate, stratta-
« gemmi ed insidie che durarono per molto tempo senza
« alcun fatto decisivo, in favore dell'una o dell’ altra parte,
« finalmente, essendosi interposti i fiorentini e Bonifacio IX,
« nel luglio del 1393 fu composta definitivamente la que-
« stione di Cantiano che fu ceduto al conte Antonio per
« fior. 8000, coll'obbligo di acquistare anche tutti gli altri
« beni che i Gabrielli di Necciolo possedevano nel territorio
« eugubino e cantianese ».

Anche questa volta i fuorusciti ebbero facoltà di ritor-
nare in patria, e n'approfittarono Gaddo Accoromboni, i due
Becchi ed altri (4) salvo poi, il primo di essi, a ribellarsi
poco dopo.

Coll'aequisto di Cantiano parve tornare la sicurezza fuori
e dentro la città, e il conte Antonio poté dedicarsi vieppiü
al miglioramento economico e civile dei sudditi.

(1) I perugini, p. es., eran costretti in questo tempo a venire a patti con Cec-
ciolo Gabrielli e con Cinello d'Alfano dei nobili di Ascagnano nelle pertinenze di
Pietra Melina, per condurre, sicuri, da Gubbio a Perugia due mila cariche di grano
comprato da Gian Galeazzo Visconti (P. PELLINI, Op. cit., vol. II, pag. 4).

(2) Ser Guerriero da Gubbio, p. es. (Cronac. cit., Race. cit., p. cit., pagg. 27, 29),
scrive che nel mese di marzo [1391] Giovanni « Catinello Schiavo furò Valfrenaia e
fece gran guerra a Ugubio », la quale continuando, nel febbraio 1392 il conte Anto-
nio perse anche Caresto piccolo paese del contado eugubino; nel maggio prossimo
però il Signore d'Urbino riuscì a comprar da Catinello il forte di Caresto, e, sman-
tellandolo, ritorno da questo lato la tranquillità.

(3) Rilevasi dal rogito di pace fra il conte Antonio e Carlo Malatesta et fra-
tres eius del 28 aprile 1392 (Riformag. cit., vol. cit., f. 161 v.; Arch. com. cit.).

(4) Cronac. cit. di ser GUERRIERO (acc. cit., p. cit., pag. 30); 0. LUCARPLLI, Op.
cit., pag. 12. GUBBIO SOTTO 1 CONTI E DUCHI D'URBINO 159

Si noti intanto che gli eugubini, facendo parte, almeno‘
virtualmente, dello stato d'Urbino, e prosperando all'ombra
di una casa, s' intendeva dovessero dividere anche le gioie
e i dolori di essa. A tal uopo, tutte le volte che veniva giu-
rata una tregua od una pace fra il Montefeltro e gli altri
signori, sia pure che i cittadini nostri non ne risentissero
un benefizio diretto, ne venivano pur sempre avvisati.

Infatti, nel breve periodo di quattro anni, il conte An-
tonio rende in Gubbio di pubblica ragione tre alleanze o le
che, strette con diversi potentati,le quali portarono, secondo
l’uso, come conseguenza, la restituzione dei prigionieri o il
ritorno in patria de' fuorusciti (1).

Un altro fatto, pure di capitale importanza allora, era il

buon vicinare o no coi popoli circonvicini sottoposti ad altro

dominio.
E noto come esistesse il diritto di rappresaglia « dive-

(1) Il Montefeltro, avendo che fare spesso coi Malatesta, ora si guerreggiavano
ora si stringevano la mano. Il 17 novembre 1388, il solito banditore grida in Gubbio
come per intromissione e mediazione dellill.mo sig. di Milano, del suo vicario e
del dott. Luterio Rusconi suo consigliere, siasi stretta alleanza fra il conte Antonio
e Carlo e Pandolfo Malatesta. Per cui, gli esiliati potendo restituirsi in patria e i
prigionieri venendo liberati (Perg. ad an., fondo Urbinate, Arch. di Stato di Firenze),
ritornano e si sottomettono il conte Gabrielli col figlio Giovanni, signore de’ feudi
di Giomisci e Biscina, e Bosone Ungaro (0. LUCARELLI, Op. cit., pag. 13).

Il 1° di novembre del 1389, il Consiglio ordina a Francesco Turchi e Ondedeo
Bucari publicis preconibus che vadano per il paese et per loca ecc. a bandire ad
alta voce ecc. che è stata fatta lega « ... per tempo e termene de tre anni incomen-
« zando a di nove del mese de octobre proximo passato » fra il conte di Virtù, i
Comuni di Firenze, di Siena, di Lucca, di Pisa, di Perugia, di Bologna ei signori di
Mantova, di Forli, i Malatesta e il conte Antonio (Réformag. cit., vol. cit., f. 62 v. :
Arch. com. cit.). Questa lega, durata del resto assai meno di tre anni, e conchiusa
per l'interposizione di Gian Galeazzo, fu preceduta dalle solita ostilità: nata
discordia verso il 1387 fra Urbano VI ed i fiorentini, eran venuti alle armi nel-
l'aprile del 1388; il conte Antonio, avendo tenuto le parti di Firenze, ebbe invaso
il territorio d'Urbino da Galeotto Malatesta con 1200 cavalli, indottovi dal Pontefice:
i fuorusciti eugubini, protetti da Perugia, e guidati da Gaddo Accoromboni, avean
sollevato contro il proprio paese alcuni castelli (F. UGOLINI, op. cit., vol. cit., pag. 182.
— M. CERVINO, Op. cit., pagg. 14, 15. — GRAZIANI, Cronaca di Perugia, pag. 231 in
Arch. Stor. Ital., vol. XVI, p. I, an. 1850). La terza lega, pure coi Malatesta, fu ai
28 aprile del 1392 e con essa si stabilivano le medesime clausole che con le altre
(Riformag. cit., vol. cit., f. 161 v.; Arch. com. cit.).

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160 A. PELLEGRINI

« nuto un rigoglioso e vasto organismo politico - giuridico
« sotto l'impero... della legislazione statuaria (1) ». Or bene:
spesso il comune di Gubbio si trovò ad esercitare questo
diritto, ma non saprei dire quale ne fosse il motivo partico-
lare o l'ingiuria. Le cause, del resto, potevano essere molte
e diverse: i debiti, le malleverie, le rapine e le grassazioni,
le tasse, i pedaggi abusivi, un omicid:o ecc. ecc. (2).

Altra e grave preoccupazione de'governanti di questo
tempo era il procurare a che i sudditi non rimanessero sfor-
niti del necessario alla vita materiale. :

Allora che non si conosceva alcuna libertà di commercio
e che lo Stato non penetrava coi suoi mille tentacoli nelle
viscere della nazione, allora l'egoismo imperava: gli uomini
di ciascuna terra, com'ebbi già occasione altra volta di di-
mostrare (3), dovendo pensare a sé stessi, sfamarsi e vestirsi
con i propri mezzi, non potevano per legge asportare un
prodotto ‘fuori del territorio naturale, per evitare che in caso
di guerra o di carestia venisse poi loro a mancare. Donde,
ai 6 novembre 1389, Nicolao da Montefeltro, luogotenente
del conte, d'accordo con i consoli fa bandire da Francesco
Turco — pubblico banditore del Comune — a voce alta e al
suono della tuba, per la città e loca consueta, che nessuna per-
« sona terrigena vel forensis cuiuscunque status, gradus, di-
« gnitatis vel condictionis » osi « extrahere vel exportare »

(1) A. DEL VECCHIO ed E. CASANOVA, Le rappresaglie nei comuni medioevali
ecc., pag. 13 (Bologna, 1894).

(2) Porterò] un esempio. Il 10 gennaio 1395, Gubbio sospende le rappresaglie
con Gualdo della diocesi di Nocera; le riprende poco dopo e le termina del tutto
nel luglio del 1396: il podestà di Gualdo ai 17 luglio 1396, accettando la decisione
presa da messer Antonio di Pietro suo commissario d'accordo con messer Santi e
ser Pacetto commissari di Gubbio, ratifica sieno « levate via et anullate » le rap-
presaglie fra i: due comuni. Manifesta pure il desiderio che la Magnifica Signoria
di Gubbio si degni « operare che le rapresaglie concedute a Fuligno » contro quei
di Gualdo « si levino via » (Riformag. cit., vol. 15, f. 56 v. e 96 v.; Arch. di Gub-
bio cit.).

(3) A. PELLEGRINI, Storta di Pieve di Cento, pag. 106 e segg. (Lucca, 1903, ed. Pel-
licci). [4

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 161

da Gubbio « vel eius comitatuali quam quantitatem grani vel.
« bladi forensis vel terrigeni cuiuscunque generis sit sine
« expressa licentia offitialis ecc. » ; e la stessa proibizione
ripetendosi ai 29 di gennaio del 1395, contempla anche i
legumi e una certa quantità di pane (1).

Perché tali decreti sortissero buon effetto bisognava an-
che ripopolare il paese ed il contado divenuto deserto « prop-
« ter assiduas guerras et immensas caristias ». A che proibire
di asportare i prodotti, quando questi erano scarsi a causa
delle braccia che mancavano per lavorar la terra, per ini-
ziare o continuare un commercio o un'industria? A tale ef-
fetto, il 26 dicembre 1393, il conte Antonio emanava un
bando quasi simile a quello del 28 dicembre 1385, e più
tardi ne ripeteva altri delio stesso tenore nel 1397 e nel
1401 (2).

Tali provvedimenti adunque s' imponevano per ristabilire
la vita normale del paese, scosso dalle guerre e dalle care-
stie, colpito dalle solite tasse — in vigore, come abbiamo vi-
sto (3), fin da quando reggevasi a libertà — soggetto di quando
in quando a qualche tributo straordinario che dicevasi re-
gala (4). Anzi, il conte Antonio, sollecitato dallo stesso Con-

(1) Riformag. cit., vol. cit., f. 193 (Arch. com. cit.).
(2) Il conte Antonio facea bandire: quelle famiglie che oggi abitan fuori già
da due anni, ritornino, e giurino di rimanere e di esercitare un'arte lecita ed one-
sta. Dettava delle norme per gli emigrati che avean comprato predii fuori di Gub- .
bio, affinché non ne risentissero danno; minacciava pene, oltre la confisca de' beni, P
a quelli che dentro un anno non avessero ottemperato al comando. — Il decreto del :
24 ottobre 1401 proibiva inoltre di lavorare redi e possessioni fuori del contado
per evitare che molte terre di esso rimanessero incolte apportando danno 72075; mo-
dicum (Riformag. cit., vol. cit., f. 16, 19 v., 89, 170; Arch. com. cit.).
(3) Cfr. pag. 142, n. 3 di questo studio.
(4) Il conte Antonio, fatta la pace co' signori di Rimini, volle suggell:rla con
un matrimonio dando sua figlia Anna (non sorella, né Battista, come i piü vogliono
contrariamente a ciò che dicono le Riformagioni) a Galeotto Malatesta. Ai 24 di ot-
tobre del 1396 il Consiglio di Gubbio si raduna e incarica quattro cittadini — ser
Baldutius Dominici, Simon Paolus di messer Nichole, ser Petrus Anthonij, Petrutius
ser Urbinj — per fare agli sposi un donativo. Questo consisté in 500 fiorini d'oro
(Riformag. cit., vol. cit., f. 71 v.; Arch. com. cit.). L'anno dopo in novembre, Biordo
Michelotti, signore di Orvieto, di Todi, di Assisi, di Nocera ecc., menava in moglie

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169 A. PELLEGRINI

siglio con un'ambasceria del 21 dicembre 1397 perché prov-
vedesse « alli mali e penurie (1) » con mezzi piu solleciti e
più pratici, e perchè intendeva « aver benevoli.. particolar-
« mente i popolani », vivendo « sempre con sospetto de' no-
« bili (2) », fece qualche cosa di piü, mandando in due volte
— 19 febbraio e 27 ottobre 1398 — danari e grano, e poco
piü tardi due suoi ministri per sedare definitivamente ogni
malumore in paese.

Giunse il suo ministro Matteo Ghisilieri ai 15 di maggio
del '99 con l'incarico di rappacificare « mes. Pablone Grilli,
« Gregorio della Bellainfanta e Rufino Baciolfini, nobili, con li
« consorti »; ma sorpreso due fnesi dopo — il 17 luglio —
dalla morte (3), l'opera sua non avendo potuto lasciare trac-
cie durevoli, il conte Antonio mandò con la carica di vicario
in. Gubbio ser Giovanni Bentivoglio, uno fra gli uomini
più qualificati che aveva presso di se.

Ecco come scrive un suo biografo: « Lo mandò... accioc-
« ché con la destrezza e con la forza mantenesse ne’ doveri
« alcuni spiriti eontumaci che mormorando contro la nuova
« signoria facevano dubitare che un giorno non tumultuas-
« sero ancora. Venne a di 30 di luglio 15399... insieme con
« madonna Madalena Savelli sua moglie, essendo con molti
« honori stati ricevuti dal Comune e da’ cittadini e... a 4
« d'agosto [mise] in concordia molti nobili, cacciando dalla
« città messer N. giovane de’ principali. Essendo poi costui

Giovanna, figlia del conte Bertoldo Orsini signor di Soana. « Feste magnifiche dove-
« vano perpetuare in Perugia la memoria degli avventurati sponsali; e l'annunzio
« delle nozze, ben presto si sparse per tutta Italia. I Signori d'Urbino, Camerino, San-
« severo ecc. si recarono in Perugia per farsi incontro alla sposa novella e per
« augurare a Biordo giorni belli di liete avventure »; tutte le terre d'intorno gli
mandarono ambascerie con onorevolissimi doni, e Gubbio, per non essere da meno
delle altre, fece lo stesso (A. FABRETTI, Op. cit, vol. I, pag. 52. — GRAZIANI, 0p. Cit.,
pag 261; Arch stor. cit., vol. cit., pag. cit., an. cit.).

(1) M. CERVINO, op. cit., pag. 19. — R. REPOSATI, Op. cit., vol. cit., pag. 116.

(2) R. REPOSATI, Op. cit., vol. cit., pagg. 116, 117.

(3) Morì alla Bressana nel palazzo di Mondino Panfili di messer Puccio (M. CER-
VINO, Op. cit., pag. cit.).
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO i 163

« a 13 dello stesso mese rientrato di nascosto nella città, e,
« cercato di mettervi sedizione contra il conte Antonio, fu
« preso per tradimento in casa di messer N. suo zio, il quale
« sgridandolo della sua animosità, gli fu da lui risposto di
« volere anzi perdersi con l'honore d’haver tentata la libertà,
« Che conservarsi con la vergogna d’ubbidire ad un huomo
- « di cui non era nato nè suddito né inferiore. A di 23 di
« agosto, Monaldo Magalotti e messer Anadino Acquaviva,
« in nome di 47 nobili e grandi della città, andarono a sup-
« plicare il conte che volesse condonare alla propria cle-
« menza un errore che non havendo partorito verun disor-
« dine, era degno da perdonarsi alla età giovenile...; quando
« ritornarono a Gubbio erasi data il giorno innanzi l' esecu-
« zione alla giustizia contra quell'infelice signore... A 24 del
« detto mese giunse in Gubbio mes. Ariodante da Siena con
« una squadra di cavalli a Giovanni Bentivoglio, mandato
« dal conte Antonio per assicurarsi che questa morte non
« cagionasse qualche novità... et al di lui arrivo fu gridato
« dal popolo, viva il conte Antonio, muoiano i suoi nemici...
« A 29 settembre dello stesso anno si fece allegrezza, per-
« ché a messer Giovanni Bentivogli era nato un figliuolo, e
« il conte Antonio mandò a fare qualche regalo a Madalena
« moglie d'esso Giovanni, nella cui casa si pacificarono mes.
« Francesco Guelfoni e mes. Pietro della Branca co’ loro
« adherenti, non senza gran piacere della città (1) ».
Dunque, malgrado l'atto assai crudele commesso dal si-
gnore d'Urbino sopra una giovane vita, di cui non mi è
riuscito conoscere il nome, il popolo eugubino, che ormai si
era in maggioranza affezionato alla nuova dominazione, plaudi
al conte Antonio. Eppur questi non seppe o non volle nei
frangenti estremi mostrargli gratitudine né attaccamento.
Correva appunto l’anno 1399 quando in Gubbio si ebbe

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(1) V. ARMANNI, Della famiglia Bentivoglio, origine ecc., pag. 71, 72 (Bologna,

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1682).

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164 A. PELLEGRINI

sospetto di peste; secondo l'andazzo dei tempi — piuttostochè

prendere quelle necessarie precauzioni dettate dall'esperienza

e da quel po’ di scienza che allora poteasi avere — fu pre-
dicato un generale digiuno, e il popolo trasse fiducioso e
commosso per otto giorni al corpo prediletto di S. Ubaldo
e ai martiri Mariano e Giacomo protettori della città (1).
Era questo il momento opportuno in cui il conte Antonio
avrebbe potuto finir di guadagnarsi l'affetto degli eugubini
soccorrendoli ed incoraggiandoli. Invece, non seppe far altro
che fuggir da Gubbio e ritirarsi in Verona (2).

Pur nullameno, gli eugubini riuscirono a trarsi d'im-
paccio da sè. Probabilmente, lo spettro del contagio li affra-
tellò vieppiù (3); si riunirono tutti sotto uno stesso cielo

(1) M. CERVINO, op. cit., pag. 20.

(2) F. UGULINI, op. cit., vol. cit., pag. 190.

(3) Per non interrompere da ora innanzi il corso naturale del racconto per
volere accennare ai contagi e carestie che nei secoli scorsi afflissero tanto spesso
l’Italia e quindi anche la città di Gubbio, li ricorderò qui per ordine cronologico.

Nel 1399-1400, peste bubbonica. — Nel 1456, ai 28 di gennaio, la Comunità ban-
disce che nessuno vada a Sinigallia né ad Ancona « essendovi grave moria di pe-
« ste; né conversi cum chi ne venisse, né dia né da mangiare né bevere » sotto
pena di 25 ducati. i

Nel 1462 « a di 24 de agosto principiò el morbo ad Ugubio per contagione de
« una Venitiana che arrivò in lo spedale de Gionta, dove era priore Giordano di
« Mucifelli; morì lui, Ugolino suo fratello, et una figliola del dieto Ugolino ; morì
« in casa de Antonio de Carlo la Soveva sua moglie per contagione de uno suo ge-
« naro che venne d'Assisi ». — « L'anno 1465 fo carestia quasi per tucta Italia. Noi
«di Ugubio havemmo mancamento, perché l’anno prima el signore conte havea
« dato la tracta a li homini da Fano, dei Vicariato et a tucto lo stato acquistato de
«novo per la sua signoria a santa Ghiesia, et molto ne andò in Marca, che in Ugu-
-« bio se trovava fornito per tre anni ». — « Dicto anno [1471], del mese de marzo,
« forono molti gran tremuti et molti moriero de morte subitana ». — Nel 1478-79,
pestilenza. — Ai 31 di giugno del 1484, la Comunità bandisce: chiunque « havesse
o havesse avuto in casa infecto de morbo o fusse suspecto de esso et qualunque
« persona che li fusse vicina, che non ardiscano... li infecti uscire de casa et li vi-
« cini uscire de contrada socto pena de » 50 ducati d'oro e X tratti di corda. — Dal
1527 al 1530, Gubbio fu desolata dalla peste bubbonica, e fra la città e contado sa-
rebbero morte 14000 persone. — Nel 1543, influenza. — « Nel 1555, essendo gran ru-
« more di peste, fui io [Ubaldantonio Gabrielli] dalla magnifica Comunità eletto a
« provveditore ». — Nel 1623 ci fu « mortalità e la gente assai diminul » (Cfr. A.
CORRADI, Annali delle epidemie occorse in Italia, vol. VI, p. II, pag. 3975: Bologna,
1895. — Riformag. cit., vol. 25, f. 102 v. e vol. 81, f. 115; Arch. com. cit. — Cronaca
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 165

animati da una profonda fede nel loro santo preferito, aspet-
tando tempi migliori. Molti dei fuorusciti tornarono ai loro
focolari; si strinsero parentadi con diversi nobili perugini; il
numero degli abitanti crebbe, verso il 1400, a ben 27.000 (1).

Ed ora, tornando un passo indietro, diamo uno sguardo
alle leggi suntuarie emanate sotto il governo del conte An-

tonio, tralasciando di parlare di quei provvedimenti che po-

tessero riflettere il progredire dell’ arte e dell’ edilizia nel
paese, perché troppo arduo compito sarebbe, data anche la

“mancanza di documenti ampi e sicuri (2).

E noto adunque come ne’ secoli scorsi porre un freno
al dilagar del lusso fosse una delle principali preoccupazioni
di chi dirigeva lo Stato. Ma tale preoccupazione non prove-

niva tanto, lo dico ora per sempre, dall’affetto che i reggi-

tori nutrivano per i sudditi, quanto da una ragione di Stato,
da un senso acuto di egoismo del potere centrale o comu-
nale. L'economie fatte sul lusso e su qualunque altra cosa
riuscivano sempre di tenue beneficio al popolo, mentre erano
di assai vantaggio per chi stava in alto, potendo, all'occa-
sione, più facilmente usufruire della ricchezza, con bel garbo
fatta ammassare, per i propri capricci. Il principe aveva
modo così di poter comodamente imporre balzelli per im-
prese guerresche che spesso dovevano ridondare a sua glo-

cit. di ser Guerriero, pagg. 75, 79, 88; acc. cit., ecc. — M. SARTI, op. cit.. pag. 213.
— 0. LUCARELLI, Op. cit., pag. 107. — Mem. di U. GABRIELLI cit., pag. 18. — Lettera

del 4 giugno 1625, in lib. segn.: Cl. I, D. G., F. CCLV ; Arch. di Stato cit.

(1) Cfr. M. CERVINO, Op. cit.

(2) Accennerò qui soltanto al proseguimento di due fabbriche, decoro e lustro
del paese. Malgrado le tante cure d'indole politica ed economica, nel 1390 si trovò
modo di riprendere l'erezione degli stupendi palazzi municipale e pretorio, divisati
fin dal 1321 e disegnati dall'architetto Angelo d'Orvieto; non dal Gattapone, come

alcuno vorrebbe, ché il cittadino eugubino Giannello Maffei, detto Gattapone, del.

quartiere di S. Pietro, fece soltanto nel 1350 la memoria ed il collaudo de' lavori,
tralasciati e ripresi in diverse epoche (Cfr. l'articolo di F. RANGHIASCI BRANCALEONI :
De? palazzi municipale e pretorio di Gubbio ; in Arch. Stor. cit., vol. cit., pag. cit., e
l'articolo di G. MAZZATINTI nella Rassegna d’arte; Milano, an. I, n. 12. — Citerò pure
à titolo di cronaca lo studio di A. CALASANTI, Gubbio (Bergamo, 1905).

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166 A. PELLEGRINI

ria e profitto, per compiere opere d' indole privata a perpetuo
ricordo della sua dominazione; i consiglieri del Comune, alla
lor volta, potevano meglio spillar denaro al popolo quando
si trattava di ricevere in paese questo o quel signorotto, di
preparare grossi regali a lui ed al suo brillante stato mag-
giore, di addobbar contrade, di fare sciocche e costose gaz-
zarre per una nascita, per uno sposalizio, per la sagra, ecc.

Ma v'è di più: le leggi suntuarie, oltre ledere, come ben -

si comprende, anche la libertà individuale, oltre arrecare
scarso vantaggio a chi doveva riconoscerle, e servire da
bavaglio alla libera espansione delle arti, riuscivano pure
esose e disumane quando tendevano ad impedire le pompe
nei funerali e le lodi del defunto, quando in occasione di
parti o di morti non si poteva per esse visitare l'amica o
l’amico (1). Quest'opera ultima di amore o di pietà era sol-
tanto permessa ai parenti, e ognun sa quanto spesse volte
la puerpera o la famiglia del morto risentano maggior sol-
lievo da una parola gentile dell'amico, il quale viene in soc-
corso spontaneamente, che da quella del parente che può
visitare per forza o per rispetto umano.

In questo tempo adunque, sembra che le donne avessero
tralasciato un po’ di seguire le norme stabilite dai vecchi
statuti intorno al modo di vestire, e ai 22 gennaio 1385 il
Consiglio si riunisce per discutere che le « vestes donnarum
« factae contra formam statutorum remaneant non suspen-
« sae »; quindi, ai 27 gennaio stabilisce appunto nuove
norme (2) che confrontate con quelle già consacrate dagli
Statuti, confermati e pubblicati dal cardinale Albornoz nel
settembre del 1371, presentano differenze notevoli in senso
anche più restrittivo.

Il testo di tali riforme fu già coi debiti confronti reso

(1) Cfr. questo mio studio quando parlo delle leggi suntuarie sotto Guido-
baldo II. à
(2) Riformag. cit., vol. 11; fll. 129, 131 v., 135 (Arch. com cit.).

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GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 161

di pubblica ragione dal prof. G. Mazzatinti (1); a me non.
resta che darne un brevissimo sunto.

Il chiarissimo professore, dopo aver accennato alle leggi
suntuarie emanate nel 1371 e alle relative pene pei disob-
bedienti, continua: « malgrado tali rigorose provvisioni, la

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« gravità della multa che poteva ascendere fino a 25 lire

« ravennati per ciascuna contravvenzione, e la minaccia di
| « confisca degli abiti non bollati, nuove leggi e più restrit-
| « tive e severe, confermate le antiche, furono, a quanto
« pare, necessarie pochi anni dopo, cioé nei primi giorni
« dell 85. E appunto il 27 gennaio, i Priori, i Consoli ed otto
« deputati del Consiglio generale deliberarono « super redi-
« bus et ornamentis dominarum ordinandis et declarandis »;
« e pene da 20 soldi di denari ravennati a 25 lire fissarono
« per le donne che avessero portato ghirlanda o diadema;

« eon pietre, ambre, coralli ed ornati d'ogni specie, d'oro e

« d'argento; cappuccio o berretto per la città, salvo che

| « fossero uscite fuor delle mura à piedi o a cavallo; man-
« tello con fregi e pietre di valore; più d'un anello del va-
« lore massimo di un fiorino; calzature « cum becchis >»;
« veste aperta dalla cintura; borsa con ricami; abito di scar-
« latto o di seta, frastagliato od a zone, con figure d'animali
« 0 di fiori sovrapposte o conteste; cintura con ismalti; fila-
« ria di paternoster d'ambra, di coralli o di perle; fodere di
« seta, intessutevi fila d'oro o d'argento. Giusta gli ordina-
« menti del 1371, doveva un orefice della città, designato
« dai Consoli, bollare « ipsas vestes et clamides » ed esigere
« per ogni bollo dodici denari ».

Naturalmente i Consoli — e su questo punto il Mazza-
tinti tace — stabiliscono pene anche per quei sarti e quelle
sarte, per quel calzolaio e quella calzolaia (sutrix) che si
prestassero a fare abiti o scarpe diversi dalle regole stabilite,

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(1) « Di aleune leggi suntuarie eugubine » Bollettino della R. Deputazione di

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Stor. cit., vol. cit., an. cit. 168 A. PELLEGRINI

.eccetto che per bambine di età minore agli otto anni, e per

le mogli de’ soldati e de’ nobili. Inoltre stabiliscono che l'uf-
ficiale deputato a condannare i contravventori, percepirà la
quarta parte sulla multa; e la pena dovrà esigerla dal ma-
rito, se la donna è coniugata, altrimenti dai genitori o dai
fratelli o dalla medesima se sarà priva degli uni e degli
altri (1).

Morì il conte Antonio in Urbino nell’aprile del 1404 (2).

A proposito della sua morte si racconta una storiella
che merita di esser riportata, se non altro a titolo di cro-
naca. Narrano adunque gli scrittori di cose eugubine che nel
1402 mes. Jacopo, astrologo (3), mentre era gonfaloniere di
Gubbio « perché disse che il conte Antonio doveva morire
« in breve, fu casso d'offizio, ma vi fu rimesso d'ordine di
« detto conte, a cui donò un libro che haveva fatto de
« Astris (4) ».

Non saprei assicurare l'autenticità di una tale profezia.
Peró, dati i tempi e le condizioni, nulla di strano che un
gonfaloniere si perdesse a dir la ventura; vero è che due
anni dopo, nel 1404, come ho detto, il conte mori.

Gli successe il figlio Guidoantonio che papa Bonifacio IX
confermó vicario di tutte le sue terre fino al terzo erede,
dietro la somma di 12000 fiorini d'oro che il nuovo signore
si procurò facilmente tassando i sudditi (5).

Sua prima e principal cura fu di sistemare le finanze
e, come si suol dire, le pendenze in corso.

Difatti, nel maggio dello stesso anno 1404 ottiene che
papa Bonifacio approvi e confermi una transazione già con-

(1) Riformag. cit., vol. 14, f. 100 (Arch. com. cit.).

(2) Non é sicura la data della morte. Alcuni dicono l'8 aprile 1403, altri il 28
o il 24 aprile 1404 (Cfr. R. REPOSATI, Op. cit., vol. cit., pag. 117).

(3) Nelle Riformag. cit. (vol. 16 ad an.) é detto « Mes. D. Jacobus Manni Confa-
« lonierius Iustitiae q. S. Iulani Mensis Novembris et Decembris 1402 » ed altrove é
chiamato col nome degli Armanni figliuolo d'Armanno, altrimenti Manno.
(4) V. ARMANNI, Op. cit., pag. 73.
(5) M. CERVINO, op. cit., pag. 24.

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GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 169

cordata e stabilita fra Corrado, camarlingo pontificio, lui
conte Guidoantonio, e le comunità di Cagli e Gubbio circa il
pagamento delle taglie imposte loro per gli stipendiarii che
erano ai servigi della Chiesa (1) e qualche mese piü tardi
rivolge l'animo al riordinamento delle gabelle eugubine, per
evitare specialmente le frodi (2). A tale scopo noi vediamo
di nuovo in Gubbio, come vicario, Giovanni Bentivoglio che
aveva « havute tante opportunità d'insinuarsi ancora nel-
« l'animo del conte..; e fu... lungamente tenuto... a gover-
« nare invece [sua] questa città, la quale riguardavasi da lui
« con quell’occhio di gelosia e di timore con cui da principio
« sì riguardano i domini che han di fresco acquistati »;
né « mai separò l'interesse de’ suoi signori dal bene di que-
« Sti popoli, e gli avvezzó al giogo della nuova soggezione,
« senza che lo risentissero (3) ».

Durante il suo vicariato non si ha notizia che sia stato
causa di malcontento o di ribellioni, ma, approfittandosi di
‘qualche anno di quiete (4), continua a proporre e a far at-
tuare altre riforme interne.

(1) Perg. del 22 maggio 1404 (Arch. di Stat. cit., fondo cit.).

(2) Da lungo tempo (iam diu), il paese era rimasto privo degli ufficiali delle
gabelle, dimodoché varii abusi (varie abusiones) e anche vere frodi succedevano.
Per riparare a questo inconveniente che riusciva a danno dell'erario pubblico, e
quindi del principe, Giovanni Bontivoglio chiama, come ufficiale delle gabelle, con
lo stipendio di 10 fiorini al mese, il nobil uomo ser Geraldo degli Ivarelli di Imola,
dandogli un incarico superiore al semplice ufficio di riscuotitore: considerando
« quod multa et varia ordinamenta ae statuta... supra dictis gabellis » discordino
fra di loro, egli dovrà a suo arbitrio riparare a simili inconvenienti, e a sua discre-
zione punire con multe o con tortura chi osasse continuar nelle frodi (Riformag.
Qi. vol. 17, fi:8.v.; Arch. com. cit.).

(3) V. ARMANNI, 0p cit., pag. cit. — M. CERVINO, op. cit., pag. cit.

(4) Tanto doveva regnare la calma fra i nostri, che non avendo da badare a
sé stessi prestano i loro servigi a prò degli altri. Si ha, p. es., che il Fortebraccio,
perduta nel 1400 Perugia, e preparandosi più tardi — nel '405 — a riprenderla, sce-
glie come centro di riunione — per contare i suoi — e come punto di partenza i
territori di Gubbio e di Città di Castello (A. FABRETTI, Op. cit., vol. I, pag. 118). Inol-
tre, agli ultimi di novembre del 406 trova stanza fra le stesse mura eugubine Mar-
tino da Faenza con la sua brigata (Commissioni di F. degli Albizzi, vol. I, pag. 111.
Firenze, 1867).
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A. PELLEGRINI

Ai dieci di settembre del 1405 si bandisce, secondo il
solito, che nessuna persona di qualunque stato o condizione
ecc. possa assentarsi dalla città o territorio, senza licenza.

Nell'ottobre dello stesso anno, « ad comprimendum sce-
« lera et ad tollendum materiam peccandi et. delinquendi, et
« pro conservatione et exaltatione sancte justitie ac statuum
« et dominationum ecc. », viene bandito in Gubbio come fra
i signori Malatesti e il conte Guidoantonio si sia conchiuso
un contratto di estradizione, diciamo così, per tutti quelli
che nei territori soggetti alla loro autorità avessero osato
« perpetrare aliquam molestiam, excessum vel delictum ».
Nel febbraio del 1407 si tolgono le rappresaglie contro Città
di Castello, e ai 16 di marzo del 1408, il conte Guidoantonio,
sia forse per un tal rigore di fiscalismo sia per sentimento
di severità contro chi incorreva in condanne, proibisce as-
solutamente al « cancellario Comunis Eugubii et Notario Ca-
« merarij..., qui nunc sunt et in futurum erunt, quod non
« admictant nec cancellent seu cancellari faciant aliquam
« condempnationem contra aliquem latam (1) ».

Fu nell anno 1408 che la vita eugubina incominciò a
risentire qualche scossa, per avvenimenti inaspettati.

I perugini, preferendo vedere la loro patria in mano di
un forestiero, mossi dalle solite discordie civili, cederono la
città a Ladislao re di Napoli che, per le sue mire su Fi-
renze, non é a dire con qual piacere ne prendesse possesso.
Era legato di Perugia il cardinal di Bari, Landolfo Marra-
mauro, il quale, pubblicati i capitoli di consegna della città,
se ne parti nell’agosto per Gubbio. Ivi si fermò, e, come
non aveva mosso lamento per l’ occupazione di Perugia da
parte di uno straniero, cosi ora andava maturando il pen-
siero di tradire chi l'ospitava nel proprio Stato: trattava cioè
di consegnare ai perugini la città di ‘Assisi che poco prima
si era data liberamente a Guidoantonio, consenziente anche

(1) Riformag. cit., vol. cit., e vol. 18, fll. 52, 61 v., 35 v., 08.
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 171

il Pontefice, quasi a premiare i buoni servigi resi dal conte
alla Chiesa. Ma, fortunatamente, le sue mire furono scoperte
dagli eugubini che si sollevarono, e il cardinale « stette a
« gran pericolo di non esser morto dal popolo. Pure vitupero-
« samente da Ugubio partì (1) ». Intanto, accesasi una forte
contesa fra la Chiesa e il re Ladislao, con relative ribellioni
da parte de’ capitani mercenari, il territorio di Gubbio ebbe:
non poco a soffrirne; avevano abbandonato le insegne del
re di Napoli, Paolo Orsini e Braccio Fortebraccio, quando il
primo, assediato in sul principio del 1413 in Rocca Contrada
dalle soldatesche del re, ne fu liberato da Braccio col cor-
rere a devastare il contado eugubino (2), per cui i regi, che
si erano amicati con Guidoantonio, furon costretti a lasciar
libero l’Orsini affin di aiutare il loro nuovo alleato.

Ed anche da parte della Chiesa ebbero gli eugubini a
soffrire rappresaglie.

Intorbidatesi le acque nel 1410 a causa di una taglia
imposta dal vescovo agli ecclesiastici e per cui Guidoantonio
dovè mettersi in urto col vescovo stesso (3), terminarono di

(1) Cronaca di ser Guerriero ecc. (Race. cit., vol. cit., p. cit., pag. 37). — F.
UGOLINI, vol. cit., pag. 205.

(2) Idem, pag. 38. — Cantalmaggi, lib. ms. cit. (Bibl. cit.). — P. PELLINI, op. cit.,
vol. II, pag. 199. :

(3) In una lettera a Franceschino Fulmini podestà di Gubbio, il conte scrive:
« El convento de San Martino de tista nostra cita de fra predicatori, a mandato a
« noi dolendose che contra onne loro ragione e antica consuetudine sono molestati
« de presente per Messer lo veschovo a contribuire a la taglia mandata per lo no-
« stro segnore lo papa debita a la Maesta del re, nostra ententione he stata e he
« che i dicti frati e ciaschuno altro non lasiate nolestare ne costrengere a pagare
« alcuna cosa se non quanto sono stati per lo passato dal tempo de la buona Me-
« moria del Signore nostro patre ave el dominio de tista cita e volemo che quelli che
«anno gravati quisti che ragionevolmente non deggono essere nolestati, sieno a-
« strecti loro a pagare prestamente quello che deveno pagare tucti quelli che inde-
« bitamente sono stati molestati siche tucto quello che debitamente se dee pagare
« se abbia intieramente e per piu observatione de la ragione dei dicti frati faciate
« rigistrare en luoco autentico la lectera e rendare a quisti frati e cusi come di-
« cimo di costoro, dicimo de tucti li altrj mendicanti, e anche de le suore de tista
« cita. Urbinij di XXVIJ de giugno 1410 » (Réformag. cit., vol. cit., f. 111 v.; Arch,
com. cit.).

MDC SCIT m.
pag. 206.

172 A. PELLEGRINI

diventar. tempestose quando il conte, a dispetto del Papa, fece
alleanza col re di Napoli accettando pure la nomina a Gran
Connestabile.

Il Pontefice, non potendo far altro, bollò di scomunica
il signore d' Urbino in un coi sudditi, e solo sulla fine del
1418 Giovanni XXIII tolse la dura condanna, ordinando a
Franceschino, priore della canonica di Gubbio, che assolvesse
il conte e gli uomini del suo dominio (1). Allora il nostro
principe, quasi ad ammenda del suo preteso peccato, volse
l’animo a far rifiorire in Gubbio l'antichissimo monastero di
S. Ambrogio, rimasto pressochè deserto, coll'introdurvi da
Fabriano i monaci di S. Maria del Reno. Questo suo atto
ebbe la ratifica papale con bolla del 24 settembre 1414, e i
bravi fraticelli credettero bene di mostrar la loro gratitudine
verso il conte impegnandosi di recitare « nel quotidiano loro
« capitolo » tre Ave Maria in prò dell'anima sua (2).

Segui dopo questi anni un altro breve periodo di tregua
in cui si continuarono ad emanare ordini di savia ammini-
strazione senza tralasciar di rendere vieppiù sicure le forti-
ficazioni.

Il primo aprile del 1418, il conte Guidoantonio scrive
da Urbino al podestà di Gubbio: « A ciò che la campagna
« non sia defraudata, la cità e ’1 contado dapnificato per lo
« partire de le persone e per torre via la cagione, volemo
« Che... vui mandiate el bando publico, e anche a ciò che
« niuno possa pretendere ignorantia, mandiate le lictere a
« tucti li castelli che niuno debbia nè possa vendare nè com-
« parare de li beni che per niuno modo spectino a la cam-
« pagna del comuno, nè anco che niuno possa vendare nè
« comparare da niuno che se partisse poi del nostro tereno
« per habitare altro, a pena del perdimento de la casa che

(1) R. REPOSATI, Op. cit., vol. cit., pag. 130.
(2) R. REPOSATI, Op. cit., vol. cit., pag. 188. — F. UGOLINI, op. cit., vol. cit.,
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GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO

« fosse venduta e de tanta pena al venditore e de tanta al : |

« Comparatore quanto sera venduta la casa (1) ».

Cercar di ripopolare. il contado (2), ed evitare che i sud-
diti, per una ragione o per l’altra, emigrassero, non avrebbe
condotta che a scarsi risultati, se non si fosse anche badato
alla buona conservazione delle rocche.

Da una lettera assai sgrammaticata dell’ 11 dicembre
1418 di Antonio de Lareda scritta al conte Guidoantonio, si
ricava che si eran fatti de’ lavori assai importanti: « Mesurai
« ella torre maestra del cassaro. Mura facte per Mastro A-
« gnolo da Como: prima à facti mura cominciati al principio
« de le poste de li becchetelli fine a la somità de li meroli
« de la decta torre che sonno in tucto de mesura canne
« octo et uno dodecimo de canna che monta, per fior. vinti
« cauna, fior. cento sessanta uno et denari tredece.

« Ancho piü dei avere Mastro Agnolo, per una casella
« da guardia facta in sommo de la decta torre, che so de

A

mesura una canna e mezza, de la quale dico che li sia
« dato fior. diece in tucto per suo salario.

« Ancho piü dei avere per uno muro de matoni denanti
a la schala che va in sommo de la torre, el quale muro
sta denanti a la faccia de la decta casella per fare el tecto
che (copre?) la scala el quale muro fa a tucte suoi spese
« per prezzo de fior. vj.
« Ancho piü dei avere per doi poste de becchetelli,

^

A

^

« fior. vj.

« Somma in tucto fior. 175 (3) denari 13 (4).
Continuavano nel 1414 le imprese del re Ladislao, del co-
mune di Perugia e della Chiesa; si temevano imminenti guerre,

(1) Riformag. cit., vol. 19, f. 30; Arch. com. cit.
(2) Si ha che dal 1406 al 1411 ritornarono in Gubbio 65 famiglie; nel 1415 furono
ammesse 40 famiglie forestiere, e nell'ottobre dello stesso anno si stabiliscono delle
agevolazioni per coloro che volessero ritornare in patria (Riformag. cit., vol. 18, 19,
fll. 19, 109).
(3) Mi pare che dovrebbero essere fior. 182.
(4) Riformag. cit., vol. 19, f. 141; Arch. com. cit.

X E IE AI
Sd

174 A. PELLEGRINI

pericoli e divisioni nel comitado eugubino ; sicchè, ai 20 ottobre
dello stesso anno, il Consiglio, per volontà del conte, decide
di riattare il castello di Caresto (1), e una deputazione no-
minata dal Comune si porta a visitare il lavoro fatto da
Agnolo da Como, muratore, intorno alla rocca maggiore di
S. Ubaldo. Ai 23 di novembre, riferiscono: « Quisti sonno li
« mura facti per mastro Agnolo da Como ecc.; prima uno
« cassero de muro che so canne doi et uno quinto, per
« fior. 20 cauna, monta fior. 44. i

« Ancho più à facto de muro intiero, cioè tucto grosso
« e parapecto e bocchetelli e meroli e volta, che so canne
« septe et uno quarto per lo dicto prezzo; monta f. cento-
« quarantacinque, cioé f. 145.

« E più à facto in somo de la dicta roccha, la castella
« da la guardia che so canna una e uno quinto per f. dice
« cauna; monta f. dodece, cioè f. 12.

« E piu à facto en lo cercuito de la decta roccha, cioè
« parapecto e meroli che so de mesura canne sei e quatro
« quinti; monta per lo dicto prezzo, cioe per f. diece cauna,
« f. sexantaocto, cioè f. 68.

« E più à facto uno barbacane de fuor de la porta del

circuito de la dicta roccha, che so canne secte e uno
quinto per f. diece cauna; monta f. setantadoe, cioè f. 12.

^A

«

A

« Somma in tucto f. 341 (2) ».

Finalmente si ha che Pietro di Petruccio di Caroccio di
Gubbio, essendo stato incaricato dal conte di fortificare Ca-
stiglione de Aldrovando nel contado di Gubbio, incominciò il
lavoro il primo di novembre del 1414 e terminó il primo di
luglio del 1415: « Per legname tagliato, cioè per pontonj,
« stanghe e palanghe e ferri e altre cose necessarie per fare
« la bastia prima al decto luoco e per cavare pietra e con-

(1) Riformag..cit., vol. 19, f. 75 v.; Arch. com. cit. — Era stato smantellato dal
conte Antonio (Cfr. pag. 153, n. 2 di questo studio).
(2) Riformag. cit., vol. cit., f. 82; Arch. com. cit.
m —seÁ

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 115

« durre legname per lo calcinaio e per condurre la decta,
« calcina, rena e acqua ecc., per la torre facta al dicto Ca-
« stiglione, per feramenti per fenestre, chiavatura, armatura
« de la decta torre e per cavare li fondamenti prima, per
« Salario de maestri e manovali e per spese facte a loro, a
« quelli che vennero a la guardia della decta bastia ecc. »,
fu pagato a Pietro di Petruccio più di 167 fiorini (1).

Assicurate così le principali fortezze dello Stato e fa-
cendo continuamente buona guardia (2) avrebbero potuto
assai più a lungo gli eugubini godere il frutto delle loro
fatiche (3) e, con la sicurezza di chi si sente veramente forte,
continuare ad offrire lieta ospitalità in casa propria (4), se
Guidoantonio non avesse poi fidato troppo nella sua potenza
e nella dea fortuna.

Nel luglio del 1416 Braccio da Montone, dopo dieci anni
di sforzi, riuscito a recuperare Perugia e avendo sconfitto
in quel d’Assisi e presi prigioni Carlo Malatesta col nipote
Galeazzo li liberava poco dopo dietro l' interposizione di Gui-
doantonio fattosi mallevadore della taglia di 12,000 fiorini
d’oro che avrebbero dovuto pagare come prezzo della loro
libertà. Vennero nel febbraio del ‘17 i due sconfitti a Gub-

(1) Riformag. cit., vol. cit., f. 102; Arch. com. cit.

(2) Si visse per qualehe tempo con tale sospetto a Gubbio, che si rinforzarono
perfino tutte le guardie de’ castelli quando nel 1415 passò per il territorio il re La-
dislao che — come sappiamo — era loro alleato (Cfr. una rota del 27 luglio 1416 ;
Riformag. cit., vol. cit., ad an. ; Arch. com. cit.).

(3) Quando, p. es., ai 24 di luglio del 1415 « Becharino de Brunoro, che se parti
« dal soldo del signor Rodolfo da Camerino, fecie una gran cavalcata a Ugubio »
non poté altro che far « cerca otanta prigioni, riducendose poi in lo Patremonio »,
tra quelli che sorprese alla spicciolata pel contado (Cronaca di ser Guerriero; Racc.
cit., vol. cit., p. Cit., pag. 38).

(4) Guidoantonio riceveva in Gubbio nel 1415 gli ambasciatori dell’imperatore
Sigismondo e del XVI Concilio Ecumenico ; ai 16 di febbraio del 16 si celebravano
nella stessa città splendide nozze fra Giovanna Alidosi, sorella di Lodovico siznore
di Imola e Bartolommeo Brancaleoni signore di Castel Durante: e nel luglio dello
stesso anno si permetteva a Braccio di Montone di confinare in Gubbio dieci citta-
dini di Perugia ligi alla famiglia nemica de’ Raspanti (Cronaca di ser Guerriero ;
Race. cit., p. cit., pag. 39. — F. UGOLINI, Op. Cit, vol. I, pag. 206. — A. FABRETTI.
op. cit., vol. cit., pag. 176).
176 A. PELLEGRINI

bio, per rendere grazie al loro amico del beneficio ricevuto
e i cittadini li festeggiarono celebrando grandi feste, di cui
la principale fu « una gran battaglia de pugna (1) ».

Ma i lieti onor tornaro in tristi lutti.

Martino V, avendo in animo di ritogliere Perugia al For-
tebraccio, si alleò con Guidoantonio: Braccio da Montone al-
lora, colto il destro di romperla col Feltresco, si per l'al.
leanza di lui col Pontefice, sì perchè indugiava a pagargli i
12,000 fior. promessi, deliberò di pigliare Assisi che faceva
parte degli stati del conte. i

Correva l’anno 1419.

Avviate le sue genti a quella volta, mandò innanzi, con
gran numero di perugini e di fanti e di cavalli, Malatesta
Baglioni che facilmente occupò la porta di S. Chiara.

' Non pochi de’ Feltreschi furono trucidati, ma la rocca
maggiore resisteva; Braccio allora, ch'era già arrivato, fa:
cendo una diversione con la maggior parte de’ suoi, entrò
nel territorio di Gubbio. Il primo a presentarsi sotto le mura
di questa città fu un suo condottiero, Ruggero Cane de’ Ra-
nieri, con alcuni cavalli, che, ai 6 di marzo, penetrò nel-
l’interno per tradimento di Cecciolo de’ Gabrielli. Ma gli altri
cittadini avendo chiuso in tempo le porte per evitare che
entrasse il grosso dell'esercito, per le vie di Gubbio s'accese
aspra zuffa coi pochi che seguivano il Ranieri, il quale, vi-
stosi a mal partito, a stento s'aperse un varco tra le spade
dei nemici, e fuggi. Contemporaneamente, Braccio di Montone
persuaso che i suoi fautori, per mal volere o per impotenza,
non rispondevano alla promessa di aprirgli le porte, s'unisce
ai fuggenti ripiegando verso Gualdo (2), senza peró che il

(1) Cronaca di ser Guerriero (Racc. cit., vol. cit., p. cit., pag. cit.).

(2) A. CRISTOFANI, Storia di Assisi, pagg. 245, 240 (Assisi, 1866). — A. FABRETTI,
op. cit., vol. cit., pagg. 193 e segg. — P. PELLINI, Op. cit., vol. I, pag. 235.

L'assalto dovette essere così furioso e la difesa altrettanto brillante che per-
fino la leggenda se ne impossessò. L'autore della Vita di S. Ubaldo (pag. 203) scrive :
« Braccio... avendo presso Gubbio a tradimento, messivi dentro suoi soldati é voce

——— GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO riri

contado di Gubbio, secondo l’uso, non sia guastato e sac- :
cheggiato; anzi, un suo condottiero, il castellano della Rosa,
riuscì perfino a togliere la Serra di Sant’ Onda, di dove fu
in breve scacciato al grido di « Viva el conte Guido! (1) ».

Il Fortebraccio, intanto, da Gualdo si era affrettato. di
tornare contro Assisi che finalmente cadde. Ma il Pontefice
che « mostrava questa volta di voler fare da senno (2) >,
raduna in Gubbio, nell'agosto, sotto la dipendenza del conte,
un bel numero di armati che dovran correre alla rovina del
gran condottiero. Erano il conte di Carrara con 800 cavalli
e 100 lancie mandate dal comune di Bologna sotto il co-
mando di Angelo della Pergola, molti fuorusciti perugini ed
assisiani con Ludovico di Michelotto, Ludovico della Costa e
Bernardino dalla Carda: in tutto 1000 cavalli e 800 fanti (3).

Venuti alle prese con Braccio, ora acquistano, ora riper-
dono Assisi, mentre il capitano di ventura si abbandona ad
aspre vendette. E quei fortunati che potevano salvarsi dalla
sua collera, « poveri e desolati riparavano in Gubbio presso
« il conte Guido, confortandosi colla speranza di ricuperare
« la patria, appena Braccio se ne fosse allontanato (4) ». Il
che quasi intuendo costui, muove nel dicembre dello stesso
anno 1419 da Todi e, coll’usata rapidità, entra nel contado
eugubino ed espugna la Serra di Partuccio (5). Poscia, ri-
fattosi di genti, piomba, ai primi di gennaio del nuovo anno,

« che dicesse: Gubbio è mio, se quel Vecchio [S. Ubaldo] che sta sul monte non
«me lo leva. Atterriti da tal novità i Cittadini, e fuggendosi qua e là, a due di essi
« che salivano il Monte (Stefano di Cremona dicesi avea parlato col figlio di uno di
« costoro), S. Ubaldo in persona d'un certo Vecchio si fece incontro e loro accennò
« che scendessero a Fonte Lavello che Braccio saria partito : e fatto il segno della
« Croce sopra la Città disparve. Braccio indi a poco intimorito partissi ».

(1) Cronaca di ser Guerriero da Gubbio (Race. cit., vol. cit., p. cit., pag. 40).

(2) A. CRISTOFANI, Op. cit., pag. 252.

(3) CANTALMAGGI, Op. cit; XVII .A. 4-7 (Bibl. cit. — P. PELLINI, vol. cit.,
pag. 237.
(4) A. CRISTOFANI, Op. cit., p. cit.
(b) Castello vicino al fiume Asino.
178 A. PELLEGRINI

sulla città, colla ferma ‘intenzione di prenderla. Ecco come
descrive un cronista l'impresa braccesca:

«

«

« ... Detto Braccio, a di 8 di gennaro del 1420, havendo
in animo di fare l'impresa di Ugubio, se ne andò a quella
volta con tutti i suoi cavalli, e quelli non potevano andare
seco, lassò che ordinatamente alla ‘fila li tenessero dietro,
e presa la strada di Coldalbone, allogiò alla sera a S... (?),
luogo di Gubbio, con tutta la sua gente che fu 800 cavalli
e 2000 fanti, et in detto luogo la mise a parte di quanto
si doveva fare. Il giorno seguente, avanti giorno, si mise

.con tutta la sua gente alla volta della città e camminò

sino al ponte delle Assi, appresso alla stessa città, et ivi
fece tre schiere di tutta la sua gente e la mandò per due
strade diverse, acciò andassero a tre porte di detta città,
dividendo che ciascheduna di dette tre squadre havesse
egualmente cavalli e fanti, quale gente con tale ordine
andasse ogni una alla sua porta, et ivi avendo trovato li
diffensori, si combattettero gagliardamente le porte. Le
genti di Braccio nondimeno conquistarono li borghi con
aspra e crudele battaglia dove trovarono della robba e de
bestiami e ne fecero preda. Più avanti passare non potet-
tero per il tempo che vi stette, seguendo sempre scara-
mucce con quelli della città. e fu fatto gran sforzo d'en-
trarvi dentro, ma li Gubbini aiutati dal luogo e dalle bom-
barde che si havevano e balestre assai non gli lassarono
passare più oltre, e furono fanti morti molti dell'un e
laltra parte, e fecero quelli di dentro alcuni priggioni. Vi
si stette tre giorni, e visto Braccio non potersi conquistare
la città (1), si tolse dall'impresa, e nell'uscire dei borghi
arse et abrugió ogni cosa, non havendo riguardo alli ho-

(1) « V' era dentro fra gli altri Lodovico della Costa, asisiano, che i fuorusciti
nostri [quei d'Assisi] s' avevano eletto a duce; il quale... si portò tanto virtuosa-
mente che a lui si vuole in ispecial modo recar la lode se quella città non venne
a mano del Fortebraccio. Uscito costui di speranza, dato prima fuoco ai sobbor-
ghi, levò l'assedio e tornossene a Perugia » (A. CRISTOFANI, Op. cit., pag. cit.).

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GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 179

« spitali, chiese e monasteri, e tutto quello che trovò per la
« strada, mise a fuoco e fiamma (1); la sera andò ad allog-
« giare in S. Benedetto, e poi alla Fratta, dove da lui fu data
« licenza a tutti li soldati, fuori che alle genti d'arme, alle
« quali furono assegnati gli alloggiamenti in detto luogo (2) ».

Così ebbe fine questa impresa che, riuscendo assai ono-
revole per eli eugubini, nulla aggiunse alla gloria del ca-
pitano perugino e assai meno giovó ai suoi fautori.

Ho detto poco prima che Cecciolo de’ Gabrielli. aveva
tentato di dare in mano al nemico il suo paese. Il conte
Guidoantonio, in giugno, lo fece prendere alla Serra di S. Ab-
bondio (3), unitamente al fratello Gabriele, e in agosto lo
fece appiccare sopra la porta del Ponte Marmoreo, oggi porta
Trasimeno. Spaventati da questo esempio di necessaria se-
verità, gli altri pretendenti della famiglia Gabrielli pensarono
bene di sottomettersi definitivamente, cedendo perfino il ca-
stello di Frontone, ultima reliquia della loro sovranità (4).

Subentrando ora un non breve periodo di quiete, si
continua l’opera di pacificazione con i paesi e signori vi-
cini (5), si ricevono con onore visite di potentati (6), si pren-

(1) Bruciò l'ospedale della Giunta, il borgo della porta Marmorea e quello di
S. Luca (Cronaca di ser Guerriero da Gubbio; Racc. cit., vol. cit., p. cit., pag. 40.

è — R. REPOSATI, Op. cit., vol. cit., pag. 135).

(2) CANTALMAGGI, ms. cit., Bibl. cit.

(3) Castello vicino al fiume Sentino.

(4) Cronaca di ser Guerriero da Gubbio (Racc. cit., vol. cit., p. cit., pag. 41).
— R. REPOSATI, op. cit., pag. 135. — U. LUCAREILI, Op. cit., pag. 95).

(5) Si tolgono le rappresaglie, nel marzo 1420, fra Todi e Gubbio, fra Gubbio e
Tuderti, luogo di Braccio Fortebracci e col conte di Carrara, per un anno. Il salva-
condotto, che da ambo le parti si rilasciò, diceva che gli uomini potevano bere et
secure stare ac morarj et traficare nelle rispettive terre, tam die quam. de nocte,
tam equester quam pedester ecc. (Riformag. cit., vol. 20, f. 4 v., 5; Arch. com. cit.).

(6) Martino V, p. es., che dopo la sua elezione si recava per la prima volta da
Firenze a Roma, passò nel settembre del 1420 da Gubbio, dove fu ospitato nel pa-
lazzo Beni e festeggiato con-ogni maniera di popolari dimostrazioni (U. LUCARELLI,
op. cit., pag. cit.). :

Pure con grande magnificenza fu ricevuto in Gubbio l'imperatore Sigismondo,
nell'agosto del 1433, quando ritornava da Roma dove era stato incoronato da Eu-
genio IV (Cronaca di ser Guerriero ; Racc. cit., vol. cit, p. cit., pag. 50. — R. RE-

POSATI, Op. cit., vol. I, pag. 141).

P o

KA GOES WV ut uso c 180 A. PELLEGRINI

dono altri opportuni provvedimenti per il benessere di Gub-
bio.

Malgrado i décreti precedenti, la riscossione de'dazi la-
sciava ancora a desiderare: ai 13 di aprile del 1420, Guido-
antonio d'accordo col Consiglio provvede alla giusta esazione
di essi (1).

Il 15 di giugno dello stesso anno, forse perche la mo-
ralità a Gubbio lasciava alquanto a desiderare, Guidoantonio
minaccia il taglio della testa ai lussuriosi in genere, ricor-
dando in particolare i sodomt,lo stupro, Y incesto, adulterio,
il ratto con la forza (2). Qualche anno dopo il Consiglio vieta
la demolizione delle case, sia in città che nei borghi, « né

(1 « Noi Guidantonio conte ecc. vedendo conoscendo et considerando certi
« nostri offitiali li quali tueto di deputatamo a la exactione de li datij de le gabelle
« colte et altri reali encarchi, per nigligentia o per avaritia surgente, essere tardi
« et negligenti a pagare et dare et asignare al depositario de la camera nostra le
« pecunie per quelli medesemi exacte o vero recevute, per questo nostro presente
« decreto abbeneplacito nostro valituro avemo decretato et ordenato che tucti et
« ciascheduni offitiali nostri sopra qualunche offitio, negociatione o vero admini-
« stratione deputati, et per qualunche nome siano chiamati, li quali per lo avenire
« receveranno o vero torranno alcune pecunie publiche o vero private che se aper-
« tegnano a la camera nostra socto pretesto .....(?) de lo offitio o vero administra-
« lione ingionto omne fia de che seronno rechiesti per lo revedetore calculatore
« o vero casonieri nostro, de la loro administratione et recevementi de le pecunie
« e derendere la rasone in quello die nel quale saranno rechiesti siano tenuti e
« debbano ad esso revedetore fedelmente assegnare tucti et ciascheduni libri, si li
« originali comme li exemplificati i quali habbiano facti per la expeditione de la
« administratione dello offitio et oltra cio siano tenuti et debiano fra uno mese fi-
« nito l'ofitio del camerlengato senza alcuna requisitione dare et consegnare li decti
« libri a la cancellaria del comuno. Et anchora siano tenuti nella consignatione de
«li decti libri dire et dechiarare al decto revedetore tutte le qualita de le pecunie
« o vero resti de le quantita le quale sieno o vero essere debbano apresso de esso
offitiale de esse pecunie recevute o vero scosse » sotto la pena di multe ad arbi-
trio del conte.

« Item ha statuito che niuno offitio de camerlengato de la Cita de Ugubio possa
« durare più che de sei mesi. Et ciascheduno Camerlengo quale domandasse de es-
« sere refermo per alchuno tempo de poi a li sei mesi cada a la pena de cinquanta
« fiorini subitamente da essere applicati a la camera del Comuno » (Réformoag. cit.,
vol. cit., f. cit. ; Arch. com. cit.).
(2) Riformag. cit., vol. cit., f. 9 (Arch. com. cit.).

A
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 181

« con licentia o senza (1) »; stabilisce che gli operai forestieri
siano adibiti al trasporto della calce, delle pietre e della rena ;
mette in guardia i concittadini contro quei di Matelica per-
chè c'era timore di rappresaglie; accetta le scuse del comune
di Perugia per rappresaglie fatte a degli eugubini del ca-
stello della Fratta, notando con piacere che il triste caso era
pur dispiaciuto al cardinal della Rovere legato di Perugia (2).

Nel 1433 e nel ’34 il conte pensa di nuovo a popolare
la città e il contado (3); con lettera del 10 settembre 1437
cerca frenare i malviventi che di quando in quando si face-
vano notare per le loro tristi bravure (4), e nel '48 le mere-
trici, per la loro eccessiva spudoratezza, provocano una deli-
berazione del Consiglio con la quale vengono relegate in
un luogo speciale (5).

Questi i principali ordinamenti interni sotto la signoria
di Guidoantonio fino all’epoca della sua morte. Ora torniamo
un momento addietro per accennare ancora a qualche fatto
d’indole politica.

Era fatale che Cantiano fosse causa tuttora di contesa:
circa il 1422 infatti si rinnovavano le antiche controversie
fra Gubbio e Cagli sopra i confini de’ loro territori nelle per-
tinenze di Cantiano, e, dopo molti contrasti, non piacendo
al conte che due città a lui soggette stessero in discordia,
elesse e mandò a terminare nel 1429 le differenze, il dot-

(1) Riformag. cit., vol. cit., f. 17 (Arch. com. cit); decreto del 22 maggio 1422.

(2) Decreti del 30 agosto 1422; 1° settembre 1430; 13 dicembre 1432 (Ri/formag.
cit., vol. 21, f. 38, 87 v.; Arch. com. cit.).

(3) « ... ciaschuna persona ecc. » voglia venire ad abitare sia da sola o'con la
famiglia e gli averi, godrà per 20 anni della « exaptione reale e personale, la quale
« se intende essere per tucti li fructi, cioe grano et vino et omne altro biado »
(Riformag. cit., vol. cit..f. 103, 124; Arch. com. cit.).

(4) « ... perché li [a Gubbio] se fanno molte risse, e de cio ne cagione el portar
« larme, ... volemo che mandiate un bando che veruno ne con licentia nostra ne
« senza deba portare... arme de veruna razione, imponendoli la pena che a voi pa-
« rera ecc. » (Riformag. cit., vol. 22, f. 52; Arch. com. cit.).

(5) « Locus Casalinj existentis ante domum domine lippe » ebbe la fortuna di
ospitarle (Riformag. cit., vol. cit., f. 83 v.; Arch. eom. cit.). i 182 A. PELLEGRINI

tor Francesco de' Bonori da Castello, con titolo di commis-
sario. Venne deputato dal comune di Cagli per suo sindaco
e procuratore ser Niccolò di ser Guido di ser Gionta, e
Cantiano fece parte del territorio di Gubbio (1).

Ai 18 di luglio del 1431 Nicoló Fortebraccio usci da
Montone, scese nel territorio di Gubbio, e fino alle porte di
questa città fece guasti e prede, trascinando prigioni quanti
eugubini gli capitarono. Intendeva forse di vendicarsi del-
l'offesa fattagli da Guidoantonio che, col beneplacito del Pon-
tefice e coll'aiuto di altri, aveva preso Città di Castello, ac-
cordata un tempo a Braccio da Martino V per paghe che
gli doveva. Rigettato, e riavuta poi, ai 9 di decembre del
'92, Città di Castello (2), nel '33 marciò di nuovo sul terri-
torio eugubino, accompagnato da cavalli e da fanti di Borgo
S. Sepolero, di Città di Castello e di Montone. Impossessatosi
questa volta di tre castella, e rovinato dalle fondamenta
Ogliorbano, stava per andare innanzi affin di avvicinarsi
vieppiù alla nostra città, quando, il conte di Poppi offertosi
mediatore, fu nel giugno stipulata una tregua di quattro
mesi (3).

Dopo questi fatti scorsero dieci anni ancora fino alla
morte di Guidoantonio senza che la vita eugubina fosse piü
scossa da alcun evento doloroso (4).

Addantonio. — Guidoantonio morì il 21 febbraio del

(1) R. REPOSATI, Op. cit., pag. 138.

(2) F. UGOLINI, op. cit., vol. cit., pag. 204.

(3) Cronaca di ser Guerriero (Racc. cit., vol. cit., p. cit., pag. 50). — A. Fa-
BRETTI, Op. cit., vol. II, pag. 179-189.

(4) Restano a citarsi qui in nota due fatti. Nel 1440 si rifugiò in Gubbio Nic-
coló Piccinino dopo la famosa rotta del 19 giugno subita sotto Anghiari e fu da
Guidoantonio « sovenuto di vettovaglie, di viatico e di veste per li soldati che di
« già in gran numero ve n'erano comparsi, parte perch'erano stati lasciati e parte
« scappati dalle mani de' nemici ». Quindi, il Piccinino avendo in animo di li pas-
sare in Romagna, colse l'occasione per rappacificare l'ospite con Sigismondo da
Rimini e col signor di Cesena. E la pace fu bandita in Gubbio (A. FABRETTI, Op.
‘cit., vol. cit., pag. 79, n. 2).

Due anni dopo, il Fortebraccio che aveva perduto Assisi, caduta in mano di
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 183

'49, e gli successe il figlio che fu il primo ad avere il titolo di
duca, concessogli da Eugenio IV nell’aprile dello stesso anno.

(Gli eugubini accolsero da principio con diffidenza Od-
dantonio (1), a causa forse delle sue ben note sregolatezze;
ma non fu che una nube passeggera, tanto che a > perpetua
memoria della concessione pontificia fecero imprimere nelle
loro monete il titolo « Odantonius dux ». Perchè, come è
noto, a Gubbio esisteva una zecca fiorente, la cui vitalità fu
sempre sostenuta e incoraggiata dai Feltreschi e dai Rove-
reschi; anzi, in quest'epoca, proprio sotto Oddantonio, la zecca
acquistò importanza grandissima, perchè unica, per molto
tempo, nello stato di Urbino (2).

La dominazione del duca durò appena un anno, essendo»

stato assassinato ai 22 di luglio del '44; dunque ben poco
avendo potuto fare per la nostra città, non ho io modo di
dilungarmi intorno alle sue geste. Noterò solo come ai 12 di
marzo essendosi scoperto che quegli assisiani rifugiatisi in
Gubbio dopo l'assalto del Fortebraccio tradivano l' ospitalità
congiurando, furono immediatamente scacciati (3).
Federico I. — A Oddantonio successe il fratello Fe-
derico, figlio naturale di Guidoantonio. Era nato in Gubbio
il 7 di giugno del 1422, dove fu allevato per due anni (4), e

Francesco Sforza, si mise in testa di ricuperarla coll’ aiuto di Niccolò Piccinino. E
così fu: dopo un lungo assedio, Assisi cadde (18 gennaio 1443), e, come spesso acca-
deva allora, fu sacchegiata. Molti fra i cittadini esiliati ripararono anche questa
volta nelle terre vicine di Foligno e di Gubbio, di dove, come vedremo, per voglia
di cospirare, furono poi in breve cacciati (A. CRISTOFANI, Op. cit., pag. 299).

(1) CANTALMAGGI, ms. cit., segn. XVII .A. 47 (Bibl. cit.).

(2) Cfr. R. REPOSATI, Op. cit., vol. cit., pag. 155. — Non mi occuperò qui parti-
colarmente della zecca di Gubbio, avendolo già fatto con cura e con assai erudi-
zione il Reposati.

(3) Coloro che scrissero intorno alla cospirazione degli assisiani, non si tro-
vano d'accordo intorno al movente. Secondo il CANTALMAGGI (ms. cit.) e il PELLINI,
storico coscenzioso di Perugia (op. cit., vol. II, pag. 505), avrebbero trattato di dar
Gubbio allo Sforza; secondo il FABRETTI invece (op. cit., vol. II, pag. 141), avrebbero
maneggiato con Cristoforo da Tolentino, agli stipendi di Niccolò Piccinino, per far
ribellare a questo capitano la tenuta di Todi in favor dello Sforza. Vero è che si
trovano tutti d'accordo nel dire che furono da Gubbio cacciati per aver congiurato.
(4) R. REPOSATI, Op. cit., pag. 137. — F. UGOLINI, Op. cit., vol. cit., pag. 211.
184

A. PELLEGRINI

ai due di dicembre del '37 furono ivi solennemente cele-
brate le sue nozze con Gentile Brancaleoni, invitati ad as-
sistervi, come é naturale, i rappresentanti di tutti i comuni
e gli alleati di Guidoantonio.

Nominato che fu, gli eugubini eli mandarono ambascia-
tori che alle condoglianze per la morte del fratello unirono
anche i rallegramenti per la sua assunzione al seggio ducale
e gli presentarono le chiavi della città (1).

Era allora gonfaloniere mes. Giovanni de' Pierantoni (2).

Durante i 38 anni della dominazione di Federico, non
ho da notare che fatti di scarsa importanza. Da quanto ri-
sulta dai documenti che ci restano, le fazioni non tormentano
più lo Stato eugubino, e i nemici esterni assai raramente
rivolgono i loro strali contro la nostra città.

Quando Francesco Sforza, nel 1445, ebbe invaso y A-
bruzzo a danno di Alfonso re di Napoli, e questi si fu alleato
col pontefice Eugenio e con Filippo Maria Visconti signore
di Milano, Gubbio ne risenti il contraccolpo. Perchè il duca
Federico, capitano dell'esercito di Francesco, avendolo rice-
vuto, insieme con la moglie Bianca e i figliuoli, proprio nella
nostra città, le ire nemiche si scatenarono anche contro di
essa. Gli eugubini dovettero dapprima premunirsi dalle mi-
naccie di Gismondo Malatesta, e poi ripararsi dagli assalti
di Carlo Fortebracci, aizzato contro di loro da Eugenio IV,
indispettito che il signore di Urbino non volesse lasciare
l'alleanza dello Sforza. Carlo Fortebracci con « 800 cavalli e
« 400 fanti fece una cavalcata sino alla porta di Ugubbio
« et amazzò molti huomini e fece prigioni molti e predò
« bestiame grosso e poi si ridusse in Montone (3) ».

(1) B. BALDI, Vita e Fatti di Federico ecc., vol. I, pagg. 16, 71. — F. UGOLINI,
op. cit., vol. cit., pag. 302. — Cronaca di Gubbio di don Francesco (Race. cit., vol.
cit., p. cit., pag. 105).

(2) Cronaca di. Gubbio di don Francesco (Race. cit., vol. cit., p. cit., pag. cit.).

(3) CANTALMAGGI, ms. cit. (Bibl. cit.). — GRAZIANI, Op. cit., pag. 579 (Arch.
stor. cit., vol. cit., p. cit., an. cit.). \
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 185

« Se disse che uscì fuore tutto el populo de Agobbio,
« ma non fecero a tempo (1)». Né contento di un primo
assalto, le croniche riferiscono, che ritornò a predare per
ben due altre volte in brevissimo tempo (2). E invano i reggi-

‘ tori di Perugia, per incitamento dello stesso duca di Montefel-

tro, sadoperarono a che Carlo restituisse il bottino fatto (3).

D'altra parte, non potendo gli eugubini veder di buon
occhio che per causa di un terzo, il loro signore permettesse
fossero rovinati nei beni e nelle persone, successe un fatto
abbastanza significativo: « nacque tra il popolo non picciola
« sedizione et tumulto, et fu lo Sforza gridato, ma non per-
« ciò dall'ubbidienza del conte Federigo si tolse. Il medesimo
« avvenne di quei giorni in Todi (4) ».

Però si venne in breve alla pacificazione fra Braccio e
il duca; ai 6 di ottobre dello stesso anno 1445, si bandisce
in Gubbio che si è fatta « vera et bona treugua » trai due
contendenti, e in conseguenza si comanda che nessun sud-
dito « non debbia nè possa offendere, nè fare offendere niuna
« persona del... castello de Montone o abitante in esso ca-
« stello » ; che ciascuno possa traversare quel territorio pa-
gando i « debiti e usati passaggi », ma nessuno possa en-
trare nel castello. senza licenza (5).

(1) GRAZIANI, Op. cit., pag. cit. (Arch. stor. cit., vol. cit., p. cit., an. cit.).

(2) P. PELLINI, Op. cit., vol. cit., pag. 546, 552, 553. — A. FABRETTI, Op. cit., vol.
cit., pag. 313.

(3) P. PELLINI, idem.

(4) P. PELLINI, Op. cit., vol. cit., pag. 546. — Il GRAZIANI (op. cit.; Arch. stor.
cit., vol. cit., ecc., pag. 581) invece scrive: « Dipoi venne nuova come el comuno de
« Agobbio se era dato alla Chiesa ». Sia adunque che i nostri avessero tentato darsi
allo Sforza o alla Chiesa, resta pur sempre il fatto che in quel momento il malcon-
tento contro il duca aveva raggiunto la sua intensità.

(5) Riformag. cit., vol. 23, f. 145 v.; Arch. com. cit. — La tregua si ruppe dopo
4 anni per volontà di Federico: Sulla fine del 49, ordinata in Gubbio un’ eletta
schiera di uomini d'arme e di fanti, sotto pretesto di una giostra, si diresse invece
con essi, di notte, contro Montone per espugnarlo; ma fu rigettato e dové con poca
preda e pochi prigioni da taglia, tornarsene lestamente a Gubbio. Rifatta « vera et
bona treugua » il 20 giugno del '50 fu rotta dopo 2 mesi e 10 giorni, per rinnovarne
un'altra il 20 dicembre del '51 da rompersi a beneplacito delle parti interessate (P.
A. PELLEGRINI

Francesco Sforza intanto, dopo aver vagato pel territorio
eugubino, aspettando « el Patriarca con el campo della
« Chiesa », verso gli ultimi di giugno del '46, abboccatosi
col signor di Montone, si allontanò da Gubbio dirigendosi a
Cagli (1).

Così, a poco a poco, i timori di rappresaglie diminuivano,
rimanendo però tuttora il pericolo della Chiesa e del Mala-
testa. Federico tentò invadere le stesse terre del Patrimonio,
sperando negli aiuti del conte Averso d’Anguillara; ma questi
gli venne meno, e le sue soldatesche, rimaste « per tre di
« senza pane a mangiar fragole », furon fatte tornare in-
dietro a ripararsi a Gubbio, « dove la fame prima soportata
« fecie cavare de corpo (2) ».

Si puó facilmente immaginare quanto possa aver potuto
ingoiare un esercito digiuno da tre giorni!

Riguardo a Sigismondo Malatesta le cose col Montefeltro
non procedevano migliori.

Mentre ambedue si sentivano stanchi di lottare e di ten-
dersi agguati, pure nessuno di essi voleva stringere una pace
duratura. Ne veniva adunque che si cercasse di andare a-
vanti, come si suol dire, alla giornata, ed ora si faceva tre-
gua ora si riprendevano le ostilità. Così abbiamo che fu ai
2 maggio del ‘46 bandita in Gubbio una tregua fino a tutto
giugno fra il duca e Sigismondo Pandolfo. Il medesimo si
ripete agli 11 di marzo dell’anno dopo, abbracciando pure
la nuova tregua, il conte Francesco Sforza e gli alleati (3),
e durò fino a che Federico, che era stato nominato capitano
dell’esercito fiorentino contro Alfonso re di Napoli, non fu

PELLINI, Op. cit., vol. cit., pag. 585. — F. UGOLINI, Op. cit., vol. cit., pag. 365. — A.
FABRETTI, Op. cit., vol. cit., pag. 315. — Riformag. cit., vol. 24, fl. 46, 95; Arch.
com. cit.

(1) GRAZIANI, Op. cit., pagg. 579-581 (Arch. stor. cit. ecc.).
(2) Cronaca di ser Guerriero (Racc. cit. ecc., pag. 61).
(3) Riformag. cit., vol. cit., fl. 162 v., 185 (Arch. com. cit.).

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T rU

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 187

di ritorno (1) Si riaccendono dunque le ostilità nel '49,
quando il Malatesta tenta di prendere per sorpresa la città
di Pesaro, impedito a ciò dallo stesso Federico, immantinente
mossosi da Gubbio alla testa de’ suoi (2); né la tregua si rin-
nova che circa tre anni dopo, la « matina al levare del
« sole » del 21 di marzo del ’52, e dura brevissimo tempo: il
22 aprile Federico avvisa gli eugubini che « a di xxiij del
« presente mese, al levare del sole spirava et finiva la tre-
« gua »; raccomanda che « se debbiano redurre in le fortezze
« e luochi securi »; che attendino « ad bona et sollicita guar-
« dia e ad fare vedecte, scolte, et ad fortificare li castelli,
« di e nocte per forma non possano ricevere danno »; ag-
giunge che « da domatina al levare del sole in la, ciaschuno
« possa liberamente offendere li amici, terre et luochi del...
« sig. Sismondo ». Finalmente, un' ultima tregua che a co-
minciare dal 10 luglio del '53 par dovesse continuare fino
a tempo indeterminato — non essendo specificato il termine
— vien bandita in Gubbio ai 9 dello stesso mese (3).

Ma, per concludere, diró che continuarono ancora per
molti anni a vedersi di malocchio, il Montefeltro e il Mala-
testa, essendo noto come anche nel 1462 il duca Federico
non si rifiutasse di combattere i Signori di Rimini per far
piacere al pontefice Pio II, dal quale, appunto per la sua
devozione e valore, ebbe immensi favori (4).

Donde i Malatesta, ogni qualvolta capitava loro l'occa-
sione, tornavano a far rappresaglie contro lo Stato nemico
e quindi davano addosso anche al territorio di Gubbio (5).

(1) In quest’ occasione « con lui menò el magnifico signore Napoleoni de li Ur-
« sini, el quale con la sua compagnia alogio in Ugubio et in lo contà. Fo bene veduto,
« et portose humanissimamente, et a la sua partita lasò molti denari » (Cronaca di
ser Guerriero; Racc. cit., vol..cit., p. cit., pag. 63)

(2) F. UGOLINI, op. cit., vol. cit., pag. 366.

(3) Riformag. cit., vol. 24, fl. 104, 110, I17 v. (Arch. com. cit.).

(4) F. UGOLINI, Op. cit., vol. cit., pag. 435.

(5) Si ha, p. es.: « A di 11 novembre [1460] la nostra Ill.ma Madonna [Battista
« Sforza] scripsce [a Giberto dellAgnello mogotenente di) Ugubio commo al signore

Po
EDCOB e a ea
A. PELLEGRINI

188

Ed ora occupiamoci per quanto è possibile dell'interes-
samento che il duca portò a Gubbio e dell’andamento in-
terno di questa città.

Abbiamo visto come Federico si trovasse di sovente fra
i suoi sudditi eugubini; e anche in seguito, fino alla morte,
mostró di preferire, sopra ogni altro, il soggiorno del paese
nativo tutte le volte che gli fu permesso di riposarsi dalle
fatiche della guerra. Perché é noto come in diverse epoche
abbia accettato la condotta di Firenze, della Chiesa e del re
di Napoli, come abbia guerreggiato spesso per conto proprio
in Romagna, in Toscana, in altre parti, costretto cosi a stare
assente non solo da Gubbio ma dail intero ducato (1).

« mes. Gismondo havea hauto el vicariato et era a campo a la rocca di Mondavi,
« et che se mandassero fanti a la Pergola. Foro mandati fanti cento » (Cronaca, di
ser Guerriero; Racc. cit., vol. cit., p. cit., pag. 71).

(1) Le cronache ci ricordano a volta a volta le sue venute in Gubbio e le sue
dipartite: Il 16 maggio 1457 « el di del glorioso mes. santo Ubaldo arivò a Ugubio
[di ritorno da Ferrara, dove per opera del marchese Borso si era abboccato con
« Gismondo Malatesta]. Pensa, lectore, si da li soi popoli fo veduto volentiere quello
« che da li strani era stato tanto honorato ».

« A dì 14 de febraro [1460], el signore conte venne a Ugubio per andare alla
« santità de papa Pio [secondo], et a dì 15 partì. Andò la sera a la Fracta, menò
« seco el signore Ottaviano de li Ubaldini. A dì 18 intro in Siena » (Cronaca cit. di
ser Guerriero; Racc. cit., ecc., pag. 67, 69).

Di ritorno dalla condotta di Pio II si ritirò in Urbino nel novembre del '64 col-
l intenzione di riposarsi; Ai primi di luglio dello stesso anno venne a Gubbio, che
fu sempre una delle sue città predilette, dove onorò di sua presenza le magnifiche
feste che vi si celebrarono il giorno 18 per gli sponsali di Guidantonio Ubaldini con
la figlia di Bartolomeo Contarini di Venezia, chiamata Altadonna, e creò, in quella
occasione, cavaliere dello speron d’oro Francesco di Baldo dell’ antica famiglia Ga-
brielli (F. UGOLINI, op. cit., vol. cit., pag. 404); il Conte si trattenne in Gubbio, fino
al 23 dello stesso mese di luglio; quindi ripartito, vi tornò il 26 di settembre per
allontanarsi il 28 affin d'andare a Roma, con circa 150 cavalli, a visitar Paolo II eletto
al pontificato dopo la morte di Pio II (Cfr. Cronaca di ser Guerriero, pagg. 78, 79;
Racc. cit. ecc.).

Morto il conte Averso dell’ Anguillara, gli successero Deifebo e Francesco.
Qnesti infestando spesso, come già avea fatto il conte Averso, il territorio pontifi-
cio, Paolo II indusse il duca Federico ad assalirli. « Parti da Ugubio a di XXVJ de
« giugno [1465] et andò sotto la Biscina et li stecte tre dì dove aspectò l'altre soi
« gente ». Erano le milizie napoletane mandate dal re di Napoli e quelle del papa. « Da
« poi [andò] a li danni del decto Deifebo » che fu rotto; e Francesco fu fatto pri-
« gione ». — « A di XVIJ de novembre [1465] essendo el signor conte a Ugubio, et
« cercando darse piacere, andando quel dl a caccia (fo de domenica) verso s. Bene-
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 189

Quasi a riparare alla sua lontananza, quasi perché gli
eugubini sentissero meno il loro isolamento, mosso certo da
un senso di affetto, ma indotto anche da fini politici, stabili
che la sua seconda moglie Battista Sforza prendesse stabile
dimora nella nostra città.

Entró là novella sposa di Federico in Gubbio, ai 21
di febbraio del 1461: « foli facto gran festa, et più saria
« stato facto, secondo l'ordeno dato, si non fosse stato la
« morte de la figliuola (1) et anche de l'ava madonna Lucia,
« matre del duca de Milano. Fo de mercordi. El giovedi li
« consoli, con molti cetadini andaro a visitare sua signoria,
« et io li feci (2) el sermone per parte del Comune. El ve-
« nere apresentai per parte del Comune: foro otto marza-
« pani, undeci scatole, tra penochiati et amandole, 150 libre

« decto Vecchio, castello de Ugubio, li vennero nove che el signore Malatesta da
« Cesena era morto; il perché essendo el signore conte luogotenente del Papa, et
« succedendo quello stato alla Chiesa, senza tornare a Ugubio cavaleò et andò in
« Montefeltro: ebbe novella che non era morto; stecte in le soi terre fine a di XX
« ch'ebbe la certeza de la sua morte a ore XX ». — Il duca ai 25 di luglio 1466 venne
a Gubbio; « fo de venere; stecte la sera; sabato partì et andò al papa e al re da
« loro chiamato et domandato. Lasò fossero guasti li balconi, et cosi fo facto a dl
« XXVIIJ de luglio » (Cronaca di ser Guerriero; Racc. cit. ecc., pag. 81).

Terminata la guerra nata nel 1466, sempre per ragioni di gelosia, fra la lega
(il duca di Milano, il re di Napoli e Firenze) e il Papa e Venezia, il duca che v'avea
preso parte principalissima come generale de' confederati ritorno a Gubbio agli 11
d'agosto del 1468, con Battista Sforza sua moglie che gli era andata incontro: « fo
« facto gran festa... Fo coperta la strada de panni da la porta de Scatone in Piaza;
« quelli da la Corona fecero una magnifica credenza, et li foro receute loro signorie
« et loro comitiva ». Ai 4 di settembre ripartirono.

Nel novembre 1471 venne in « Ugubio per stare el signore conte con la illu-
« strissima madonna et tucta la corte » (Cronaca cit. di ser Guerriero ; Racc. cit.
ecc., pagg. 84, 85, 89).

Travagliava verso il 1476 lo stato ecclesiastico Carlo Fortebracci che voleva
ricuperare Perugia. Incominciò adunque a dar molestia a Città di Castello e a Ci-
terna, mentre le armi ecclesiastiche assediarono Montone. Questa terra non sarebbe
caduta se non fosse venuto in aiuto ai pontifici H duca Federico che con un grosso
esercito si partì da Gubbio agli 8 d'agosto del 1477; Montone cadde infatti ai 2 di
settembre (CANTALMAGGI, ms. cit., XVII, A, 4-7, ad an. — F. UGOLINI, Op. cit., vol.
cit., pag. 511). — Vedi, inoltre, anche questo studio.

(1) Aveva partorito ai 16 dicembre 1460, e la figlia morì prima del 25 febbraio
1461.

(2) Si ricordi che chi scrive, era notaio del Comune.
190 A. PELLEGRINI

« de pescie, 40 libre de cera, sedeci fiaschi de avantagiato
vino.

« A di... de marzo venne... el signore mes. Alexandro (1)
« con lo signore Gostanzo suo figliolo: veniva da Pesaro et
« retornava a le soi stantie a Nepi. Stecte qui uno di.

« A di 20 de marzo, madonna, parti de qui [da Gubbio]
« et andò a trovare el signore conte a Magliano (2).

« Del mese de maggio ritornò a Ugubio la illu. madonna
ecc. partita da signore conte da Magliano; venne per la
« via d'Assesi et per tucto li fo facto grande honore. A la
« porta de Sancto Pietro fo aparechiata una credenza, et li
« fecie colatione con tucti li soi. Da poi in lo Fosso, quelli
« dal Sole fecero un'altra credenza et andarli incontro con
« le donne ballando, et anche li fecero colatione tueti li
« Soi (3) ».

Formossi adunque una vera e propria corte in Gubbio,
lustro e decoro della città. A tal uopo fu fatto fabbricare
dall'architetto Francesco di Giorgio da Siena, di fronte alla
cattedrale, un superbo palazzo (4) che anche ora, rovinato
dalle intemperie e dall' incuria vandalica dell'uomo, si ricorda
sotto il nome di palazzo dei duchi d'Urbino (5).

Come é naturale, in grazia della corte, la città di Gub-
bio ebbe modo da ora innanzi di assistere piü frequentemente
a feste d'ogni genere, e specialmente quando c'era il duca,

«

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«

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e fu più spesso dimora di personaggi (6) che avevano occa-

(1) Padre della duchessa, signore di Pesaro.

(2) Nella Sabina.

(3) Cronaca cit. di ser Guerriero (Racc. cit. ecc., pagg. 72, 73).

(4) U. LUCARELI, Op. cit., pag. 99.

(5) Si noti però che la corte di Gubbio non riuscì mai così magnificente per
concorso di letterati ed artisti come quella di Urbino e specie come quella di Pe-
saro, raggiungendo questa il massimo dello splendore da essere sotto Guidobaldo II
la più fastosa ed appariscente d'Italia (Cfr. ciò che ne scrissero il Castiglione, .il
Bembo, l’Ariosto ecc.).

(6) Oltre quello che ho già detto in nota a questo studio, aggiungerò qui al-
tre notizie. Riconoscendo che gli esercizi ginnastici invigoriscono il corpo e ad-
destrano la persona, la ginnastica è spesso coltivata, sotto diverse forme, dai Me-
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 191

sione di fermarsi li, sia per ragioni private, sia per omaggio '
ai Montefeltro, sia per concertarsi intorno a nuove conquiste
che avessero in mente di fare.

taurensi: « 1450, a dì 21 de maggio venne nuova qui como el conte Federigo... ordinò
« de far fare una bella giostra in Ugobbio, nella piazza, da’ suoi gente d'arme, et
« fece mettere la tela per mezzo per segnio de più verità et fece venire tutte le
« suoi genti com’ esso aveva ordinato » (GRAZIANI, Op. cit.; Arch. stor. cit., vol. I,
pag. 625).

«In quisto anno [1461] fo la festa de santo Ubaldo, de sabato. Foro facte le
« compagnie ehe foro cinque quelle che levaro capo: Corona, santa Crocie, Sole,
« Fonte de Fosso et santo Pietro. Foro stimati fossero gioveni VJC [600] o più. Foro
« facte grandissime feste, benche cie fossero gare. La domenica se balestrò el palio,
« et la compagnia de santa Crocie andò con molte donne a fare compagnia a ma-
« donna, la quale ‘andò a vedere balestrare. Stecte in sancta Croce. Da poi andò
« con tucti li suoi a cena a casa de maestro Pietro e fratelli di Pamphili. Fo grande
« et bello convito ».

Dopo la morte di Francesco Sforza (7 marzo 1466) il duca si recò a Milano per
assistere all'elezione di Galeazzo. Quindi, tornato ai 22 di giugno, siccome era, dive-
nuto « locotenente del Papa, capitano generale del re Ferando et del duca di Mi-
«lano, per lo Comune de Ugubio foro mandati Guido di Pecci et Baldino de Bom-
« barone ambasciatori a congratularsene » e furon celebrate anche molte feste di
occasione.

Aveva il conte Federico una figlia Isotta o Isabella, d' anni 9 natagli da Batti-
sta Sforza, che da qualehe tempo desiderava maritare a Roberto Malatesta. Questi
aveva avuto diversi favori dal duca, e d'altra parte reputava anche grande onore
per lui imparentarsi coi Feltreschi. Sicché, non fu difficile accordarsi, e nell' aprile
del 1471 fu in Urbino « specificato el parentado ». A Gubbio « foro facti falò et soni
« de campane ».

« El signor conte... de aprile [1462] fecie fare in lo mercato [di Gubbio] un fatto
« d'arme de la sua famiglia per dare piacere al popolo; dove se adoperaro lancie
« con scudelini su la. ponta et spada senza ponta et senza taglio. Durò asai et fo
« bello a vedere. Stectecie madonna con tucte le figliole, compagne et camoriere.
« Fo facto el banco inanze a l'uscio de la fraternita.

« El dì de santo Giorgio el signor conte con la sua fameglia uscio fore pur
« tuetavia festegiando » (Cronaca cit. di ser Guerriero; Racc. cit. ecc., pagg. 73,
81, 88, 90).

« Adi XXX de ottobre:[1465] venne in Ugubio la figliola del magnifico mes. Carlo
« de Malatesti da Sogliano : andò a marito a Matelica. Venne lei et el marito, nomi-
« nato Alexandro, el conte Ugolino Bando, conte Ugo de Carpegna, conte Ruberto
* da Montevecchio. El signore conte fecie le noxe et doi di fecie fare festa in la
« sala grande del palazo di consoli dove foro tucte le principale donne de Ugubio.
« Fo facto festa la vigilia, et la festa de Onniasanti che fo giovedì et venere: sa-
« bato partiro et andaro a Matelica ».

Nacque guerra per le solite gelosie, come già in altra parte si é detto, verso
il 1466 fra il duca di Milano, il re di Napoli e Firenze alleati e il Papa e Venezia.

Il 15 maggio del '607 « dompno Alonso conductiere del re Ferando con XV squa-
« dre » venne a Gubbio: « alogioó longo la Saonda de Santo Apolinare fine a Raggio.
A. PELLEGRINI

D'altra parte, la medesima duchessa non si disinteressó
mai della prosperità dei sudditi, come appare da diverse let-
tere e decreti scritte e redatti in suo nome quando il duca
peregrinava per l’Italia.

Tralascierò di occuparmi particolarmente della vita re-
ligiosa, perchè, dipendendo piuttosto dal vescovo, si esplicava
da per sé nelle solite visite pastorali e nelle solite feste pom-
pose e teatrali (1), senza mai dare occasione in questo tempo
— a quanto pare — alle autorità laiche di intervenire,

« Fecero danno a li grani per la carestia d'erba. Fo presentato de pane, vino, cera
« et confecti ». Passò dalla nostra città per andare a raggiungere il duca, generale
de’ conferati, che trovavasi già in Romagna.

Agli XI d'agosto del '67, passò da Gubbio per andare in aiuto de’ fiorentini,
« el duca de Calavria, primogenito del re Ferando, con squadre XV ; havea tre ban-
« diere, doi reali et una de la Ghiesia ». Desinò in corte con Ottavio Ubaldini. « Era
« con lui il conte Orso Orsini et molti altri signori et gentilhomeni del Reame »
(Cronaca cit. di ser. Guerriero, pag. 83 e Cronaca cit. di don Franc.; Racc. cit.
ecc., pag. 106). — Aggiungo che fin dal 25 luglio, il Consiglio prende i debiti prov-
vedimenti per gli eventuali danni che l’esercito napoletano avrebbe potuto com-
mettere (Riformag. cit., vol. 27, f. 147 ; Arch. com. cit.).

«.A di XX de marzo [1471] arrivò a Urbino el signor mes. Borso marchese di
« Esti ». Si era mosso da Ferrara ai 13 dello stesso mese, e andava a Roma per rice-
vere la corona ducale da Paolo II. « Era con 500 cavalli, muli 150 et a pe’ circa 100
« con grandissimo triunfo. Il signor conte li fecie grande honore. Sabato a matina
« [22, venne] a Ugubio et stecte la nocte. Per tucto li fo facto grande honore. El signore
« conte non lo lasò mai per fine uscì del suo tereno. L'arcevescovo de Spalatro,
« tesauriere magiore, era con lui et fecieli le spese per tucte le terre de la Ghiesia.
« Parti la domenica matina, dopo desenare, da Ugubio » per la via di Perugia. Il
duca riparti per Urbino il 4 aprile.

« A di XXVIJ de aprile [1472] venne in Ugubio el cardenale [Bessarione] Niceno,
« dicto el cardinale Greco, el quale andava legato in Francia ». — Vi era mandato
da Sisto IV con la stessa missione che aveano avuta contemporaneamente il Borgia
per la Spagna e il Barbo per la Germania ; affine, cioè, di eccitare i principi di Eu-
ropa contro il comune nemico Maometto II. — « Fo de lunedi. Foli facto grande
« honore. Stecte in Ugubio tucto el martedì et in quello dì cresimò el figliolo pic-
« cino del signor conte con grande festa el mercoledì partì...; lasò... certe indulgentie
« al sepulcro novamente facto in la fraternita di Bianchi in Ugubio... » (Cronaca
cit. di ser Guerriero; Race. cit. ecc., pagg. 8),.82, 88, 89, 90).

(1) Si ha, p. es. « A di 24 de luglio [1444] fu di domenica a ore 18, il dì di S. Ja-
«como e $. Cristofano, venne il cardinal Diego che tiene in commenda la badia
« di S. Croce fonte della de la Volana, et andammo processione apparati per fino
« a S. Chiara, et li alla Maestà baciò la croce nostra.che li porse l'abate di S. Pietro,
« e alla porta di S. Agostino li furono appresentate le chiavi et tutti li cittadini
erano li alla presenza, et andammo alla piazza di S. Antonio et per il mercato, et
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 193

come successe invece sotto Guidobaldo II e principalmente :
sotto il di lui suecessore Francesco Maria. Riguardo alla vita
civile diró prima di tutto che Federico rinnova ancora i so-
liti bandi onde evitare che i sudditi si allontanino dal terri-
torio, sia per timore che si dovessero stabilire altrove, per
sempre, magari al servizio o sotto la protezione di un ne-

« scavalcò a S. Croce et entrò sulla chiesa et andò in casa: poi rimontò a cavallo
« su la mula et venne nella canonica et li smontò; entrò in chiesa et andò all'altare
« et disse l'oratione di S. Mariano et diede la benedizione et diede 100. giorni d' in-
« dulgenza et andandosene in corte a piedi su per le scale della chiesa » (Cronaca
cit. di Don Franc., Racc. cit. ecc., pag. 105). :

Una vecchia usanza semi-pagana fu tolta il giorno 7 del maggio 1448, dal ve-
scovo Antonio Severi. I vescovi della Chiesa, solita a prendere in prestito dalle altre
religioni tutto quello che avesse potuto maggiormente fare impressione sull' animo
dei semplici, sembra avessero fino allora permesso, forse in ricorrenze speciali, la
presentazione e l'adorazione di un vitello o di un agnello cui si dava un significato
biblico. — Anche ora, del resto, sotto altra forma, si permette a Gubbio ad un bam-
bino camuffato da S. Giovanni, di condursi dietro in una processione religiosa, un
agnello. — Ebbene, il vescovo, « fu di domenica quando si diceva il vespero..., co-
« mando che il vitello fosse buttato in terra et fosse arso perché era un idolo »
(Cronaca cit. di Don Franc., Racc. cit. ecc., pag. cit.).

« In quisto anno et quisti di [16 maggio 1457], che fo la pasqua rosata, fo facto
« capitolo provintiale de l'ordene de li Heremitani de santo Agustino in Ugubio; el
« quale fo molto abondante de vitualie; et tra l'altre cose fo a quello capitolo apre-
«sentato tante torte che fo uno stupore; che in tale desenare foro apresentate se-
« santa torte, tucte avantagiate ; et chi portava la torta, portava anche el fiascho
« del vino. Et per paura de li tremuti, se fecero in quello anno molte precesione »
(Cronac. cit. di ser Guerriero; Racc. cit. ecc., pag. 67). Ciò che mostra, nota l'Uco-
LINI (Op. cit., vol. cit., pag. 374), non essere stata quella congrega di romiti molto
schiva dell'allegra compagnia e della buona tavola, quantunque tremasse la terra.

« A dì 13 del mese de magio 1462 fo principato in Ugubio el capitolo pro-
« vintiale de’ frati Menori et durò otto di. Forcie frati 3)0 et el ministro de la
« Marca, che era maestro Baldo da Montenovo vicario del generale et maestro An-
« drea d'Assisi, ministro de la provintia de santo Francesco con xij maestri. Fo el
« capitolo abundantissimo d'omne cosa, per forma che molti antiqui frati dissero
« esserse trovati a più capitoli et che mai vedero el più sprendido » (Cronaca cit.
di ser Guerriero ; Racc. cit. ecc., pag. 75).

« L'anno 1464 papa Pio [II] publicò per tucto volere andare in persona contra
« el Turco; et poserse grande imposte a li religiosi; et etiam fece predicare la cru-
« ciata. A Ugubio venne fra. Jacomo de la Marca observante de santo Francesco,
« santo omo; predicò tucta la quadragesima, parte in santo Francesco et parte in
« lo Mercato » (Cronaca cit. di ser Guerriero; Racc. cit. ecc., pag. 77). Non si ha
notizia se le parole di fra Jacomo sieno state ascoltate; ma é probabile che lo fos-
sero, data la natura eugubina proclive piuttosto — come vedremo più innanzi — ad
abbandonarsi in imprese guerresche.
194 A. PELLEGRINI

mico, sia per impedire che il suddito medesimo potesse in-
contrare offese in terra altrui, o commetterne egli stesso.
Per queste ragioni, affin di raggiungere l’intento di farsi ub-
bidire, emanò leggi severe. Basti quest’ esempio: nel maggio
del 1445, il duca bandisce che chiunque si trova fuori del )
territorio di Gubbio, zncontanente ritorni, e non possa uscire
più senza licentia, né possa più andare nelle terre de’ Mala-
testi, salvo in quella di Galeazzo da Pesaro, sotto pena della
forca (1).

Ma, per minacciare una pena così radicale, ci doveva
essere in questo tempo una ragione speciale, impellente, che
a noi sfugge. C'era certo di mezzo qualche cosa di più forte
che l'incolumità dei cittadini, perché, quando si trattava di
mettere in guardia i sudditi dalle rappresaglie di questo o
quel paese, gli editti suonavano diversamente. Se ne veda,
p. es., uno emanato nel '49: nessun cittadino né contadino di

Gubbio « vada ne pratichi, ne per aleun modo mande soi
« mercantie robbe e cose a Siena né in luoghi ad essa sot-
« toposta » ché « li dicti senesi hanno concesse represaglie
« per tucto loro terreno contra hominj et suditi de la sua
« Illma S. ». Altrimenti, correranno il rischio di essere ar-

^

restati in quel territorio e di perdere la roba (2).
Quest'ultima e semplice costatazione, era dunque tutta
la pena che si faceva balenare alla mente dei disubbidienti.
Diversi decreti di ordine e di pubblica sicurezza, son
quelli che contemplano il porto delle armi, che fanno obbligo
ai cittadini di ritirarsi nelle proprie case ad un'ora stabilita,
che proibiscono la formazione di speciali compagnie per la
festa di S. Ubaldo e le battaglie di pugni, che inibiscono
lentrata in palazzo — certo quello dei duchi — senza li-

(1) Riformag. cit., vol. 23, f. 132 (Arch. com. cit.). ?
(2) Decreto dell'll novembre. — Un altro decreto che si riferisce alle rappre- i
saglie é del 5 settembre 1450: Nessuno vada o mandi mercanzie ad Ancona o suo
* territorio « perché hanno concesse rapresaglie » (Riformag. cit., vol. 24, f. 85 v.).
[o | GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 195

cenza, che s'occupano delle gabelle (1) che regolano le di-,
verse specie di caccie nei luoghi permessi e ne dettano le
norme, che permettono, finalmente, a coloro i quali si erano
resi rei di rappresaglie o di debiti, di rientrare in città du-
rante le feste del patrono S. Ubaldo (2).

(1) Vedi p. es. il bando del 16 gennaio 1451 pubbl. da L. CELLI (Di S. Gozzoliná
da Osimo, pag. 238).

(2) Con un decreto del 25 maggio 1445, il duca proibisce a tutti di portar armi
in Gubbio e nel contado, sotto le pene contemplate dagli statuti, eccettuati, s'in-
tende, la famiglia del podestà l' « official da la guardia e sua famiglia, casteliani
« de la città e de le rocche e soldati ». Proibisce inoltre che nessuno, « de dopo el
« terzo suono de la campana, persino al suono de la decta campana del Comune al
« di » possa uscire né con lume né senza, eccettuati neppure i « famegli de la no-
« stra Ill.ma madonna »; sotto pena di 10 fiorini, 4 tratti di corda e d'un mese di
prigione (Riformag. cit., vol. 23, f. 133 v.).

Agli 11 d'aprile del '52, il podestà bandisce che nessuno ardisca « da mo in
« ante in la cità ne contado de Ugubio », alla festa di S. Ubaldo né in altra, « or-
« dinare ne fare alcuna compagnia per festegiare », né ardisca « portare calze ne
« giornee cum frappe de diversi colori ». Nello stesso modo, il 30 novembre '68, la
duchessa notifica che nessuno « presuma fare, ordinare ne principiare alcuna ge-
« neratione de battaglia, de pugni, saxi o qualunche modo in la città de Ugubio,
« borghi, suborghi; ne fare adunata in alcuno loco per dicta cagione », sotto pena
di x ducati (ifor mag. cit., vol. 24, f. 105 v.; vol. 28, f. 8 v).

Il magistrato di Gubbio | roibisce che nessuno « da mo in ante debba andare
« ne praticare al pelagio senza licentia » sotto pena di 4 tratti di corda e di 25 du-
cati d'oro (Decreto del 15 novembre 1476. — Riformag. cit., vol. 29, f. 96 v.).

Dalla lettera seguente ai Consoli e dai relativi provvedimenti, é facile pensare
in quale stato di abbandono si trovassero le bandite del duca: « ... tucte le cacce
« nostre sono messe in abandono, per forma che in esse non se retrova uno ani-
« male, per questa casione volemo che voi mandiate un bando che a ciaschuna per-
« sona sia licito e possa cacciare incomenzando da la porta del borgo, secondo tira
«la strada dericta che va al castello de san Benedecto, contado de Ugubio verso
« le montagne, e simelmente comenzando a la porta de sancto Augustino, secondo
« tira la strada dericta che va a la Brancha, pur verso le montagne, cum canj, lacci,
« rete e corde, et a tempo de neve o no ecc., et che non sia lecito ecc. caceiare al
« tempo de neve cum canj ecc.; simelmente, quando non fusse neve con lacci eec.
« da le dicte strade verso le saonde apresso la cita de Ugubio a cinque migli a le-
« pori, cavrioli, starne, e ad faggiani » sotto pena di 10 fiorini. Item, si potrà cac-
ciare « quando non fosse neve, cum li canj solamente, in omne loco, exepto in le
« cacce de la sua Ill.ma S. guardate, che socto le selve de la dal fiume de loreto,
« le selve de Raggio e de lo spedale e de le fornace de Augustino ». Un secondo
decreto é piü chiaro riguardo alle località per caccia di lepri e caprioli: nessuna
persona può con laccì pigliar caprioli o lepri né cacciarli con reti, ma solo con cani
« incomenzando da la cima del monte de Montecchie, venendo verso la brancha per
« le cime e somita di monte de loreto [villa del distretto di Gubbio lontana cirea 3
« miglia, verso ponente] de monte leto el monte de Spagnola el monte de san
A. PELLEGRINI

Era il cosidetto diritto di asilo che si esplicava in certe
occasioni di pubblica gioia, ma che escludeva pur sempre
coloro i quali vivevano sotto la condanna di rebelli o di
sbanditi. Non é vero dunque, come parrebbe a prima vista
leggendo il Reposati (1) che potessero rientrar tutti indi-
stintamente.

Un atto, alquanto autoritario, che non dovette forse pia-
cer molto agli eugubini fu quello con cui il duca stabiliva
ai 29 ottobre 1459 di togliere dalla loro dipendenza la grossa
terra di Pergola, di circa 53000 abitanti, e, come si crede,
dagli stessi eugubini fondata, permettendo che a somiglianza
degli altri Comuni con leggi proprie si governasse (2). Ma,
del resto, il duca Federico si mostró sempre tenero, ed era
anche suo interesse, del quieto vivere dei nostri. Una lettera
da Urbino, ci mostra chiaramente l'animo suo. Dovette scri-
verla sotto l'impressione di un grave scandalo successo, sia
per colpa de'suoi ministri sia per colpa de' sudditi medesimi:
la vera ragione non si conosce; certo le sue frasi dimostrano

« Jacomo, el monte de sancto baldo, el monte de Sancto Augustino, el monte de
« san Felicesimo, el monte de san Bartolo, el monte sopra saneta Maria del Riolo
« e da le dicte somità et cime de monti verso il piano e da la Saonda tra li confini
« de cinque miglia ecc. » sotto pena di sei fiorini.

Finalmente, neanche i colombi vengono dimenticati; il podestà bandisce che
in nessun modo si ardisca « da mo inante ucellare ad colombi, ne pigliare colom bi
« cum rete, ne per niuno altro modo » (Lettera del 22 dicembre 1447 e bando; bando
del 20 dicembre 1449, dell'8 marzo 1454, del 22 novembre 1455. — Riformag. cit.
vol..23, 24, 25, f. 223, 28 v., 62, 38 v.).

Dal numero assai rilevante dei bandi che trovansi nelle Riformagioni del Co-
mune, riguardo al diritto di asilo, si arguisce che facilmente i duchi elargivano
questa momentanea amnistia, negata certo assai di rado e in momenti eccezional i.
Riporterò uno dei bandi, tanto per darne un'idea. Ai 5 di maggio del 47 il Consiglio
bandisce che « ciascheduna persona di qualunche conditione ecc., excepto rebelli,
« sbanditi, ecc. non obstante alcuno debito o represaglie, possano liberamente ve -
« nire, stare ecc. salvi e securj in havere, in persone cum omne loro mercantia
«ecc. a la cita de Ugubio per cinque dil, cio e per. doi nanti la festa el dì de la fe-
« sta et per doi di de po la festa del glorioso confessore Santo Ubaldo, senza pagare
« alcuna gabella de passaggio » (Riformag. cit., vol. 23, f. 190).

(1) R. REPOSATI, Op. cit., e Vita di S. Ubaldo, tradotta, commentata ecc. da
R. Reposati. ;

(2) F. UGOLINI, op. cit., vol. cit., pagg. 391, 392.

EST Li NE

we.
SN

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 197

la grande preoccupazione del momento: « Locotenente. Nui.
« havemo hauto dispiacere de queste cose che nui hauremo
« saputo che se sonno facte la ecc.; per che nui desideriamo
« che li populi nostri siano ben governati et che stiano sem-
« pre impace et in quiete et siano bene uniti insieme, et
« per honore nostro et per utile loro, et studiamo quanto
« possemo perche segua questo effecto, et nui vedemo che
« segue tucto lo opposito, e senza nostra colpa et defecto,
« de che come e dicto, nui havemo grandissimo affanno ecc.
« Da Urbino, 15 aprile 1473 (1) ».

Mi piace rilevare la frase « desideriamo che li populi
« nostri siano ben governati...». Difatti, per ció che si rife-
risce à Gubbio, oltre quello che ho detto, ricorderó come fu
sotto di lui che fu eretto e prese a funzionare il Monte di
pietà.

Il primo Monte dell Umbria fu eretto in Perugia nel-
laprile del '62, e prima fra le città italiane che seguisse
l'esempio della vicina fu, secondo O. Scalvanti (2), la città
di Gubbio: infatti il 21 novembre del '63 i capitoli pel fun-
zionamento del Monte, erano approvati non solo dal collegio
del Comune, ma anche da Federico (3).

I poveri del paese dovevano sentire un ardente bisogno
di una istituzione cui poter sicuramente ricorrere per attin-
cere un po' di denaro, liberi dalla rapacità degli usurai,
quando si pensi che tutto il benessere de' cittadini poggiava
esclusivamente sul prodotto dei terreni esposti alle rappre-
saglie degli eserciti e alla natura matrigna, quando non po-
tevano essere coltivati per la penuria de' lavoratori che qual-
che volta erano decimati dal morbo.

Qualche altro provvedimento di non scarsa importanza

(1) Réformag. cit., vol. 29, f. 2 (Arch. com. cit.).

(2) O. SCALVANTI, Il mons pietatis di Gubbio, pag. 10 (Perugia, 1896).

(3) Il Monte ebbe da Federico un dono di 35) fior. in occasione della nascita
del figlio Guidobaldo (Cron. di ser Guerriero ecc., pag. 89) e fiorì poi specialmente
sotto Elisabetta moglie di Guidobaldo (R. REPOSATI, op. cit., vol. 2, pag. 96).

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198 A. PELLEGRINI

dobbiamo registrare durante la signoria di Federico: uno n
riguarda gl israeliti, di cui gli altri duchi non si erano, a |
quanto sembra, fino ad ora occupati di proposito; un secondo l
riguarda gli albanesi, un terzo le solite leggi suntuarie. |
Ma, prima, voglio accennare di sfuggita ai lavori di edi- P
lizia eseguiti sotto di lui, o meglio a quelli di fortificazione. |
Non si hanno disgraziatamente che pochissimi dati. Si sa,
cioè, che nel 1450, il Consiglio stabilisce di far restaurare
il palazzo per abitazione del duca di Milano, padre della
duchessa; che nel 1476 il duca fece « mattonare tutte le
« strade e fece la corte nuova, et altre... bonificazioni... per
tutto il suo stato », che nel 1480, il monastero di S. Agnese,
posto sopra il cassero per un tiro di sasso nel monte S. U-
« baldo, ove prima era il Castel Vecchio, gettossi a terra
« per fabbricarvi la nuova rocca (1) ». Fu condotta a ter-
mine sotto la direzione di Ottaviano fratello della duchessa
Battista 'ed « era mirabile e bellissima e costó trentacinque
ili « milia ducati, tutti denari de condennagioni (2) ».
4 Ed ora veniamo agli ebrei. È
|
|

*

^

3 »
già !

[s

Uno studio speciale sugl'israeliti a Gubbio, come è
[too stato fatto per Siena, Pisa, Benevento, Padova, Urbino ecc., |
| è impossibile, mancando la materia.

=_=

Per lo più si trovano ricordati nelle iformagioni del |
Comune, quasi per incidenza, sia per proibire a qualche bec-

(1) Riformag. cit., vol. 24, f. 52 v.; Arch. com, cit. — Miscellanea stor. eugubina,
Fondo cit., Bibl. cit.

(2) Cronaca di Gubbio di fra Girolamo Maria da Venezia; Racc. cit. ecc.,
pag. 102.

A titolo di cronaca ricorderò, già che siamo a parlare di edilizia, che sotto
Federico furon trovate nascoste dentro la terra, dalla famiglia Maggi, e comprate |
dal Comune, le cosidette tavole eugubine, pel valore di 20 fiorini! Il contratto fu |
firmato il 25 sgosto 1456 (Cfr. lo stromento di c impera nel Giornale di erudiz. ar- |
tistica, vol. 1, fasc. 6, pag. 177 e segg. — Perugia, 1872). Che cosa siano queste tavole |
mi pare lo definisca chiaramente il Larousse: « Ces tables portent des inscriptions
lec ? « en ombrien, en latin et en caractéres étrusques. Elles ont donné lieu à bien des è

« travaux et à des opinions diverses » (Grand Dictionnaire universel ecc.; vol. 8
pag. 1578. — Paris, 1872). Difatti vi si sono affaticati intorno, e si può dire invano,
tanti dotti fra cui Lepsius, Dempster, Micali, ecc.
— 7

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 199

caio ebreo di vendere « Christianis carnes sciattatas » sia.
perché qualcuno di essi chiede il permesso ai Consoli di dare
a prestito (1).

Una delle poche volte in cui si dovettero occupare di
proposito di un banchiere israelita, assegnandogli norme de-
terminate per il suo mestiere, fu nel febbraio del 1470.

I Consoli, il Gonfaloniere ecc. « advertentes et con-

PS
A

siderantes quod necessarium sit habere in dieta civi-

A

tate [di Gubbio), hebreum ad mutuandum civibus et

A

incolis dicte civitatis et eius Comitatus pro eorum

A

necessitatibus; ac etiam attendentes Samuelem Con-

A

silii Hebreum pro tempore retroacto satis se humani-

A
A

ter ac legaliter in dicta civitate gessisse in dieto exer-

^

citio ; volentes indempnitati indigentium providere cum

jam elapsum sit decennium quod dietus Samuel fuerat

A

conductus ad dietum exercitium mutui, refirmaverunt

supradicto Samueli Consilii hebreo, presenti stipulanti

AR

recipienti pro se et suis sociis et eorum et cujuscumque

A

ipsorum heredibus omnia et singula capitula olim con-

AR

cessa per Confalonerium et consules tune existentes,

A

supradicto Consilio patri supradicti Samuelis in annis

^
Aa

domini 1441 indictione IV tempore domini Eugenii

PS
AR

papae quarti die 24 mensis novembris prout de dietis

A

capitulis constat, manu ser Mathei de Luchinis de Ur-

A

bino imperiali auctoritate notarii et nune notarii re-

A

formationum ecce. Et hoc fecerunt prefati magnifici
o]

A

domini... ex comissione in eos faeta per Ill. Dominum

PS
A

-nostrum ut provideatur per comunitatem Eugubii in

A

reconductionem hebrei prout dicte comunitatis melius

A

et sanctius videbitur et placebit sine dispendio salutis

A

eterne ut per litteras prefati Ill. Domini nostri di-

A

rectas Magn.co locuntenenti ecc. Et... dictus Samuel...

A

promisit... se facere attendere observare et adimplere

(1) Cfr. p. es. il vol. 31 e 34 delle Riformag. f. 79, 80, 80 v., 127, 130, 188 v. (Arch.
cit. di Gubbio).
A.

PELLEGRINI

« omnia et quecumque continentur in supradictis capi-
« tulis et addictionibus et modificationibus infrascrip-
« tis videlicet :

1. — In primis quod dietus Samuel et omnes de sua
familia et ejus socii teneantur et debeant custodire dies
festivos Christianorum ad penam eamdem ad quam te-
nentur Christiani secundum formam Statutorum dieti
comunis. Nec liceat dictis Hebreis, aut alicui ipsorum
nec eorum famulis factoribus et mynistris in omnibus
et singulis diebus festivis Christianorum qui de precepto
custodiri debent, custodiri, tenere hostia eorum fundici
seu apotece aperta nec bancum paratum ad prestandum
neque ad accipiendum seu restituendum pignora sub
eadem pena quotiescumque per officialem repertus fuerit
contrafacere non obstante quod per supradicta capitula
contrarium caveatur, quibus in hac parte derogaverunt.

2. — Item quod pro omni quantitate que non esset
florenus sanus ad rationem XL bononeni dicti hebrei
usque ad quantitatem XXIIII bonon. possint tamen ac-
cipere unum denarium pro bono. pro quolibet mense.
Ab inde vero quamtacumque sit summa non excedens
XL bonon. non possit accipere nisi tantum unum bo-
non. pro quolibet mense. Et quod florenus intelligatur
ad rationem XL bononen. Et quod non possit pro quo-
libet floreno XL bonon. accipere ultra unum bonon.
pro quolibet mense non obstante quod dieta capitula
aliter provideant quibus in hac parte derogaverunt.

3. — Item quod non possint ante medietatem men-
sis accipere pro merito seu usura ejus quantitatis quam
mutuarunt nisi tantum pro medietate mensis, post nero
medietatem mensis possint accipere pro toto mense etiam
si mensis non fuerit completus, sive fuerit primus men-
sis sive ultimus non obstante quod per supradieta ca-
pitula aliter provideatur. Quibus in hac parte expresse
derogaverunt.

4. — Item quod dictus Samuel et ejus familia et
ejus:socii et famuli et ministri postquam fuerint elapsus

unus annus cum duratione a die quo inceperit mutuare,

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GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 201

vigore presentium capitulorum, teneatur et debeat ad-,
hire D.num Gonfalonerium et consules qui pro tempore
fuerint, in otto dies et illis notificare quemadmodum ipse
habeat plurima pignora que sibi sunt devoluta vigore
supradietorum capitulorum per lapsum dicti temporis
et ab eis petere ut committatur notario ad hoe depu-
tando, quod scribat omnia et singula pignora ad se de-
voluta. Ac ab eisdem petere ut faciant banniri et pre-
coniezari bis in XV dies videlicet de sabato in sabatum
quod omnes et singule persone que habuerunt pignora
aliqua ad dictum hebreum devoluta debeantur reluisse (?)
in dietum terminum XV dierum alias comminari facere
quod dicta pignora subastabuntur et venduntur et da-
buntur plus offerenti, quo termino elapso dicti hebrei
teneantur et debeant omnia et singula pignora ad se
devoluta ut supra portare seu portari facere in plateam
comunis eugubii videlicet prope minorem columnam que
posita est versus palatium residentia dominorum Gon-
falonerii et Consulum in angulo platee et ibi una cum
dieto notario et uno alio cive ad hoc deputando per Gon-
falonerium et Consules qui pro tempore fuerint debeat
stare per tres horas continuas incipiendo in vesperis et
ibi tenere dieta pignora in banca et in perticis palam
que ab omnibus videri possint, et dicta pignora. suba-
stare hoe modo videlicet ut fiat caleulus sortis princi-
palis et usurarum que intervenerunt per dictum tempus.
Et quod facto dicto calculo de quolibet pignore preco
Comunis Eugubii sono tube premisso debeat alta voce
dieere et clamare tale pignus talis conditionis et quali-
tatis stat pro tanta quantitate. Venient qui velint offerre
quia plus offerenti dabitur; et sic fiat per tres dies con-
tinuos incipiend8 a die lune et eadem hora et pignora
plus offerenti dentur. Et dieti hebrei debeant ad se tra-
here sortem principalem et usuras que eis deberentur
per dietum tempus decursum secundum formam supra-
dietorum capitulorum. Et si aliquid ultra supererit de-
ponatur apud illum civem deputandum ut supra, et de
dieto deposito dietus notarius faciat inventionem. Et dic-
A. PELLEGRINI

tus civis teneatur dietum residuum restituere domino
pignoris vel eius procuratori vel heredibus ipsius do-
mini. Et quando non inveniuntur heredes, vel cui de
jure fieri deberet dieta restitutio, illud residuum detur
vel eoncedatur Monti pietatis dictae civitatis et ad hoc
dietus civis rogatur realiter et personaliter visa scripture
dieti notarii ad petitionem cujuscumque petentis Et quo-
libet offerenti Comunis Eugubii teneatur et debeat de
predictis executionem facere ad requisitionem cujuseum-
que petentis, sub pena quinquaginta libr. denariorum
Ravennateusium de facto applieandorum Camere Ill.mi
Domini N.ri et similiter de restitutione facienda dietus
notarius mentionem faciat in suo bastardello vel sibi
credatur. Et hec omnia dietus Samuel et sui socii fa-
muli et ministri teneantur et debeant facere bis in anno
videlicet quolibet semestre semel dummodo omnia pi-
gnora ad se devoluta usque ad illud tempus subastentur
et incantentur. Et si sepius facere vellet, possit dum-
modo servet superseriptum ordinem et pignora sie ven-
dita sint pleno jure ipsius emptoris. Et si contingerit
aliqua pignora factis dictis subastationibus non vendi
quod nihil fuerit oblatum post dictos tres dies sunt pleno
jure dietorum hebreorum et de ipsis disponere pro ip-
sorum libito voluntatis. Et quod post lapsum dieti anni
cum dicto et a dicto tempore usque ad dietas subasta-
tiones et venditiones dietus Samuel non possit nec va-
leat petere nec habere aliquod interesse seu aliquas
usuras. Sed tantummodo per dietum tempus anni cum...
Et quod dietus notarius habeat ab eo qui ement pignus
bonon. unum pro quolibet pignore. Preco nero soldum
unum pro quolibet pignore quod vendetur. Et intelli-
catur unum pignum e$se si pro una quantitate fuerunt
plures res pignorate. Que res debeant simul subastari
et vendi uni vel pluribus dummodo in totum vendantur
usque ad quantitatem debitam. Hebreo vero remanentes
retineantur ut supra. Et predicta in presenti capitulo
contenta, dietus Samuel specialiter promisit observare

ut supra ad penam librarum centum denariorum appli-

p
A

GUBBIO SOTTO 1 CONTI E DUCHI D'URBINO 208.

candarum Camera Ill. domini N.i pro qualibet vice qua
contrafactum fuerit Capitulo de venditione pignorum.
Et nihilominus cogatur realiter e personaliter ad pre-
dieta faciendum, Addentes quod pignora sibi pignorata
a decem bon. infra non teneatur venditioni subiicere.
Et dieta capitula non vendient sibi locum in forensibus
non obstantibus quantum ad venditionem pignoris. Su-
pradieti vero cives et notarius ad predicta annuatim de-
putandi per dominum Gonfalonerium et Consules qui
pro tempore erunt teneantur acceptare officia predicta
snb pena viginti librarum denariorum et cogi debeant
per quoscunque officiales Comunis Eugubii ad accipien-
dum predicta. Et predieta omnia et singula fecerunt
prefato Mag.ci Domini Gonfalonerius Justitiae et Con-
sules populi Civitatis Eugubii et Syndicus predictus pro
tempore decem annorum proximorum futurorum. Cum
hoc quod si non fuerint revocati infra sex ultimos men-
ses ultimi anni dietorum decem annorum intelligatur
dicta refirmata seu confirmatio durare per alios decem
annos irrevocabiliter modo aliquo vel causa.

Et predicta omnia et singula fecerunt prefati Ma-
gnifici domini et Sindicus predietus cum hoc conditione
et protestatione. Si et in quantum per Summum ponti-
ficem dispensetur et provideatur autentice et in forma
de jure valida in casibus, in dictis capitulis comprehen-
sis in quibus requisitur explicita dispensatio et provisio
ad hoc ut res transeat et transire possit sine dispendio
salutis eterne et aliter et alio casu dieta reformatio seu
conventio seu Capitula ex nune non valeant neque te-
neant in dictis casibus nec ullum sortientur effectum,
et pro non concessis ex nune habeantur supradicta ca-
pitula et conventiones. Intendentes et expresse decla-
rantes quod ante supradictam dispensationem et provi-
sionem apostolieam dietus hebreus non possit nec va-
leat vigore supradictae reformationis mutuare alicui
aliquam pecunie quantitatem ad usuras nec usuras ab
aliquo extorquere. Et dicta reformatio seu conventio non

intelligatur reformata nec conventio neque aliquid con-
LU re iD CASE LV gri > SIE

A. PELLEGRINI

cessum supradietis hebreis quod si concessum esset ten-
deret in dispendium salutis eterne et detrimentum ani-
marum concedentium. Capitula tamen peccatum aut
excomunicationem non concernentia Confirmaverunt et
pro confirmata haberi voluerunt. Beneplacito ill.mi D.ni
N.i penitus reservato cum pactis modificationibus su-

prascriptis (1) ».

Il provvedimento che riguardava gli albanesi, del 26
luglio 1477, suona così: « Il potestà fa bandire che tutti li
« schiavi e albanesi che fosseno stati ad Ascise e venuti
« in questa cita de Ugubio o in suo contado a stare da doi
« mesi in qua se debano partire per tucto el di de domani »
sotto la pena di 25 ducati d’oro e di 10 tratti di corda.

« Item che qualunque persona de qualunque condictione
« se sia che fosse stato ad Asisi o nel suo contado et ve-
« nuto a stare e abitare in questa cita o nel suo contado
« da dicti doi mesi in qua se debano per tucto domani es-
« serse partiti, ecc.

« Item... che nessuna persona de la dicta cita de Ugu-
« bio ecc. debba ne possa andare a la cita da Sisi ecc. »
sotto pena di 25 ducati e di 10 tratti di corda (2).

Del resto, a quanto pare, questo decreto mirava piutto-
sto a colpire chi abitava in Assisi o chi da questa città ve-
niva, che gli albanesi stessi.

La venuta degli albanesi in Italia rimonta al 1462
quando Ferrante d'Aragona assediato in Barletta, e più le
insistenze di Pio II, chiamarono in aiuto contro Giovanni
d’Angiò, Giorgio Castriota o Scandeberg. Questi scese alle
spiagge di Puglia, ed i francesi, al solo suo appressarsi,
sciolsero l’assedio, e, riportata la peggio in una battaglia, ri-
tornarono oltr’ Alpe. Scandeberg ebbe in guiderdone la città

(1) Riformag. cit., vol. 28, f. 47, 48 (Arch. com. cit.).
(2) Riformag. cit., vol. 30, f. 3 (Arch. com. cit.).
MONDE I VITA WI mt T

eme

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO , 205

di Trani, il monte Gargano col santuario di S. Michele, Man-,
fredonia ecc. Ma dopo la sua morte, avvenuta in Lissa il
17 gennaio 1467, il sultano s'impossessó della tanto ambita.
Albania, ed il figlio di Scandeberg, Giovanni, sebbene protetto
dalla repubblica veneta, non sapendo resistere ai turchi,
espatriava, rifugiandosi nelle amiche terre napoletane in-
sieme a molte famiglie albanesi, mentre altre toccavano i
domini veneti continentali, altri emigravano in Basilicata, in
Sicilia, in Calabria ecc.

Riguardo alle leggi suntuarie pubblicate sotto Federico,
dirò che, oltre l'esplicita proibizione fatta dal podestà nell'a-
prile del '52 di « portare calze ne giornee cum frappe de
« diversi colori » nella festa di S. Ubaldo (1), si bandirono
nuove proibizioni il 12 di aprile del 1469. Dal confronto con
le altre, appaiono, queste leggi suntuarie, assai piü chiare
e particolareggiate ; e le norme per farle osservare, mi
sembrano assai più esplicite.

Le riporterei per intero se pur questa volta non mi
avesse preceduto il prof. Mazzatinti (2). Mi limiterò adunque
a ripetere le cose principali.

« Significantissimo, tra gli altri — nota lo stesso profes-
« sore (3) — il divieto di portar vesti con ampia coda e
« tanto aperte da mettere in mostra il collo e il petto ».

Donde una tale proibizione? forse per ragioni di mora-
lità? Ma allora è ridicolo che aggiungessero: si possono « usare ‘
« et portare come prima, senza aleuna pena » gli abiti fatti
anteriormente a questa provvisione.

Mentre le altre volte si usava la frase generica « nulla
« mulier cuiuscunque conditionis existat », in questo bando
s'incominciano a far delle distinzioni, secondo la dote di cia-
Scuna: « niuna donna de qualunche stato o conditione, se

(1) V. questo studio.
(2) Op. cit., Bollettino cit., an. cit., pagg. 293, 294.
(3) Op. cit., pag. 293.

14

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4 i... S.
206 . A. PELLEGRINI

« Sia, la eui dota non trascenda la quantità o valuta de fio-
« rini cento a bon. 40 per fiorino, ardischa ne presumma
« portare ne avere in suo uso festivo in vestimenti o vero
« ornamenti, ultra la quantità de fiorini cinquanta a la dicta
« ragione. Et da dicti cento fiorini in giù non possa havere
« in nelli sopradicti ornamenti o vestiti ultra la mità de la
« dota sua. Et da cento fiorini in su in li predicti vestiti et
« ornamenti nulla possa portare ultra li doi quinti de la dota
« Sua: salvo non fossero donne de' cavalieri, gentiluomini et
« dottori, quale possano portare et havere al loro uso, ve-
« stiti et ornamenti per fine a la montanza de la unità de
« la dota loro ».

Si proibisce inoltre l'uso di vesti ricamate, maniche de
brochato d’oro e d’argento, sotto pena, ai disubbidienti, di
cento soldi (1).

La moglie del duca d’ Urbino, Battista Sforza, morì in
Gubbio, secondo ogni probabilità, il 6 luglio del 1474. Fede-
rico aveva appena terminato, come capitano generale, la
guerra contro Volterra ribellatasi alla repubblica fiorentina,
e stava per tornarsene ad Urbino, quando fu avvisato della
grave malattia della consorte. Affrettò il cammino e giunse
appena in tempo a Gubbio per rivederla moribonda (2).

Il corpo della duchessa fu portato in Urbino, e Gubbio
mando ai funerali 100 persone, 70 delle quali vestite a lutto (3).

(1) Riformag. cit., vol. 26, f. 12 (Arch. com. cit.). :

(2) Gli storici sono discordi riguardo all'anno della morte. Chi la vuole nel
1459 come il GINGUENE (Storia della Letter. ital.), ma non può essere quando si sa
che nacque un figlio nel 1472. Il DENNISTOUN (Memoirs of the Duhes of Urbino) e il
REPOSATI (0p. cit., vol. I, pag. 247) vorrebbero avvenuto il decesso ai 6 di luglio del
del 1472. — FRA GIROLAMO MARIA DA VENEZIA (Cronaca cit.; Race. cit., pag. 102) dice
che morisse di parto; dunque quando si sgravò di Guidobaldo nel 1472, ma ser Guer-
riero che ci parlò a lungo della nascita di lui non avrebbe potuto tralasciare di
dirci che costò la vita alla madre. — L'UcorLINI (op. cit., vol. cit., pag. 501) vuole la
morte nel 1474, cioé dopa la vittoria del duca su Volterra, proprio come dice il Re-
posati, senonché questi sbaglia la data.
(3) R. REPOSATI, op. cit., vol. cit, pag. 248.
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 201

Federico da Montefeltro, visse ancora per otto anni. Mori,

il 10 settembre del 1482, e otto ambasciatori furono eletti
nella seduta consigliare del 19 per andare a porgere, al suc-
cessore, le condoglianze de' fedeli sudditi eugubini. Gli am-
basciatori furono: Francesco di Ubaldo de' Gabrielli, Fede-
rico di Pietro de' Panfili, Battista de' Forzolini, Piermatteo
de’ Paoletti, Giuliano de' Romeni, Berardino di Polidoro de’
Benvenuti, Giovanni di Nicola de’ Labranca, Guidantonio de’
Marcolini (1).

Guidobaldo I. — A Federico successe il figlio Guido-
baldo.

Era nato in Gubbio il 24 gennaio del 1472 con grande
letizia dei nostri. Ser Guerriero, contemporaneo, con quella
sua solita semplicità di linguaggio, ci fa il racconto della na-
scita e delle feste fatte in tale occasione:

« In nomine Domini. Nell anno 1472 a di 24 de gennaro
« el venerdì a ore septe et meza de notte, venendo el sa-
« bato, nacque al mio illustr. signore de la mia illus. ma-
« donna Batista Sforza un figliolo maschio, havendo per prima
« ahute più figliole femine. Nacque in la cetà de Ugubio.
« Foro facte grande feste et fo facta dimostrazione per la
« Comunità et per tucti cetadini de grande alegrezze. Du-
« raro le feste di cetadini piu di, che omne di festegiava uno
« quartiere in palazo del comune et in piaza. Dapoi el si-
« gnore conte fecie festegiare omne di in piaza per fine al
« martedi de carnovale, che fo a di xij de febraio. El signore
« conte fecie anche fare piü processione et grandi elimosine,

A

tra le quale fo uno dono fecie sua signoria al Monte de la
Piatà de 350 fiorini. Fo batisato el mamolino in calonic:
& di.... de genaio per lo reverendo patre mes. Antonio di
Siveri vescovo de Ugubio: compari, el generale et priore
« de Santo Secondo dell'ordene de li canonece regulari de

A

^

A^

^

santi Agustino. Li nomi foro Ubaldo, Girolimo, Vincenso.

(1) Riformag. cit, vol. 31, f. 65 (Arch. com. cit.).
A. PELLEGRINI

« In calonica fo facta una coletione dove foro butati, oltra
« li confetati, gran copia de confecti; et fo tenuta una sum-
« ptuosa colatione da imperadore et riale a spese del signore
« conte (1) ».

Quando Federico morì, Guidobaldo, che era nella tenera
età di dieci anni, fu messo sotto la tutela di Ottaviano Ubal-
dini, stretto congiunto del padre.

L’ Ubaldini che tenne pure, s'intende, le redini del go-
verno, « era huomo doctissimo et esperto, et esso seguitò le
« fabbriche cominciate dal duca Federico.... Trovandosi in
« Gubbio, et havendo precognociuto di dovere in detta città
« morire, sano e di buona voglia, in una lettica portato, se
« ne parti; et assalito da una febre, nell’ uscire dal contado
« di Cantiano, parlando, passò all’altra vita. E fu a di... de
giugno del 1499 (2) ». |

Durante la minorità di Guidobaldo, Gubbio ebbe a sof-
frire un assalto da Boccolino da Osimo: era in lotta nell '87
col papa Innocenzo VIII, e questi avendo ricevuto aiuti dalle
soldatesche di Guidobaldo, si comprende facilmente come l'i-
nasprito signore si volgesse per rappresaglia contro la nostra
città: fortunatamente non fece gran danni e fu respinto (3).

L'anno dopo, piuttosto, ci troviamo davanti a delle piü
aspre contese.

«

^

Eravamo verso il 1488, quando nacque rottura fra gli
eugubini e quei di Sassoferrato, sudditi della Chiesa, per ra-
gion di confine. Il ministro del signore d'Urbino scrisse a
Innocenzo VIII che mandasse persona con l’ autorità neces-
saria per conchiudere un accomodamento; il Pontefice inca-
ricò Maurizio Cibo suo fratello, governatore di Spoleto, che

(1) Cronaca cit., Racc. cit. ecc., pag. 89.

(2) Cronaca cit. di fra Gir. Maria da Venezia (Racc. cit. ecc., pag. 102).

(3) G. MORONI, Dizionario di erudiz. storico - ecclesiastica, vol. 33, pag. 169. —
Il LUCARELLI (0p. cit., pag. 100) par che trovi poco attendibile questa notizia riportata
dal Moroni, per il solo fatto che non se ne trova memoria nelle cronache. eugubine.
Oh se le cronache avessero dovuto registrare ogni cosa!
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 209

deputasse qualcuno a tal effetto, ma tardando Maurizio ad
eseguire; il mandato, e avendo il Papa altri pensieri più im-
portanti a causa del turco, la pacifica risoluzione della con-
tesa si protrasse assai più del necessario; dimodoché dalle

due parti contendenti si scese à rappresaglie.

il

Gli eugubini, stanchi di più pazientare, ricorsero al duca,
cui ministro commise ai capitani delle milizie di Gubbio,

di Cagli e d’altri luoghi vicini, di star pronti ad ogni cenno,
attendendo cautamente il momento in cui gli avversari aves-
sero cavalcato contro il loro territorio. « Perciò, fatte porre

«

«

in aguato le sue milizie, colsero all’ improvviso i sassofe-
ratesi, e, impetuosamente assaliti, senza verun ostacolo gli
sconfissero, e non contenti gli eugubini di ciò, spinti dallo
sdegno, dopo aver ucciso alcuni di quei che vollero fare
resistenza, si misero a scorrere il territorio nemico, col far
non solo preda del bestiame e di biade che in gran copia
erano nellaie, ma a tagliare anche olivi, viti ed altri al-
beri fruttiferi, ed abbruciare le abitazioni e a rompere e
fracassare tutto quello che non potevano portar via. I sas-
soferatesi, ricevuti questi mali dai feltreschi, e temendo
di peggio, immantinenti spedirono a farne doglianza e schia-
mazzo al Papa, il quale, adiratosi molto, ne parlò risoluta-
mente con lo Staccoli agente del duca, ma essendogli da
lui rappresentate le ragioni del suo principe, e la neces-
sità che gliene avevano data, mostrò di placarsi alquanto ;
scrisse al duca Guid' Ubaldo (1) dolendosi degl’ inconvenienti
seguiti, con ricercarlo a deputar persona colle facoltà ne-
cessarie, che fossero al luogo della differenza con Arrigo
Panici uditore di suo fratello, a cui ne avea già dato l'or-
dine, per troncare pacificamente questa controversia; com-
mettendogli che in tanto procurasse di far restituire a i
sassoferratesi le cose usurpategli, a i quali fece anche sa-
pere che, lasciata la via del fatto, si rimettessero a quella

(1) La lettera é pubblicata dall’ UGOLINI, op. cit., vol. 2, pag. 59.
210 A. PELLEGRINI

« della ragione. Rispose il duca al breve del Papa, giustifi-
« candosi di quanto aveva fatto, mostrando che i ;sassofer-
« ratesi, col mal procedere l’avevano più fiate acerbamente
« irritato, e con ciò obligato a provvedervi in quella forma
« ecc., e gli soggiunse che essendo egli il padre comune e
« giudice giusto, non dovea condannare i suoi alla restitu-
« zione delle cose tolte, senza prima sentirli, poiché, essendo
« scambievoli i danni, scambievole doveva esser eziandio la
« restituzione, la quale dovea incominciarsi da coloro che
« primi erano stati a depredare ecc. (1) ».

Come andarono dunque a finire le cose? Visto che le
cronache e le &7formagioni tacciono su questo punto, ho tutte
le ragioni di credere che la quistione si componesse presto
e con reciproca soddisfazione.

Nel 1493 assistiamo ad un fatto che trova la sua giusti-
fica negli eventi che si preparavano: piuttosto che proibire
di portar armi — come si era fino ad ora usato — si co-
manda invece « che da ora inantj ciascheduno capo de fa-
« miglia adulto sia obbligato havere et tenere una balestra
« de acciaro cum tucti fornimenti, a la pena » di 10 ducati,
« e tenerla in ordene da poterla in omne bisogno hoperare,
« et ciascuno offitiale sia tenuto farne fare la mustra omni
sei; mesi... (2). ».

^

Ne aveva bisogno il duca di addestrare i suoi per pre-
pararli alle future lotte contro la Chiesa.

Ma, prima che i malumori fra i Borgia e i Montefeltro
si dichiarassero, vediamo che nel '95 partono all'improvviso
dalla nostra città i fuorusciti perugini guidati dai capitani
Bernardino Ranieri, Agamennone della Penna e Giulio Cesare
della Staffa, sovvenuti di buone schiere di soldati dal duca

(1) R. REPOSATI, Op. cit., vol. cit., pagg. 203 e segg. — Il LUCARELLI, Op. cit.,
accennando a questi fatti, li riporta al 1486. Evidentemente sbaglia perché la lettera
citata pubblicata dall'Ugolini é in data del 26 luglio 1488.

(2) Riformag. cit., vol. cit., f. 135.
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 211

d'Urbino, per andar contro i castelli di Astorre Baglione,
pure molestato dalla repubblica di Siena, non punto amica
a Perugia (1); e vediamo pure che nel 1502 gli eugubini ac-
colgono con pubbliche dimostrazioni di gioia Lucrezia Borgia
Sposa ad Alfonso d'Este, partita da Roma con numeroso se-
guito alla volta di Ferrara il 6 di gennaio dello stesso anno.

Fu incontrata da un corteo di circa 2000 persone e
500 cavalli « per la qual cosa fu estimato che fra Gubbio,
« Cagli e Urbino, il signor duca spendesse circa ottomila
« ducati (2) »

Bene spesi davvero questi soldi, quando si pensa come
furono i feltreschi ricompensati dai Borgia! Io ne parleró
qui per quello soltanto che si riferisce a Gubbio.

Nel giugno dello stesso anno 1502, lo stato d'Urbino fu
proditoriamente assalito da Cesare Borgia, protetto e bene-
detto da suo padre Alessandro VI. Quest ultimo aveva pre-
gato Guidobaldo che acconsentisse alle domande del Valen-
tino e lo aiutasse; vale a dire, di rifornirlo di soldati e di
artiglierie, di far spianare e accomodare le strade per Cagli
e Gubbio e per dovunque il nipote di S. Santità avrebbe do-
vuto passare (3). Il duca acconsenti, e quando il Borgia ebbe
tutto ottenuto, invase lo stato amico cadendo anche Gubbio
in suo potere. Ma gli Orsini, i Vitelli, Giov. Paolo Baglioni
ecc. riunitisi alla Magione, luogo vicino a Perugia, si strin-
sero in lega offensiva e difensiva. Capirono che era nel loro
interesse soccorrere Guidobaldo e fare in modo che non fosse
annientato; sicchè ciascuno di essi spedi al duca, armi e
soldati. Nè gli eugubini, « gente pugnace,... si stettero: ma
« spedirono in aiuto d’ Urbino buon numero di fanteria e ca-
« valli, fresca e cappata gente, condotta da Gentile Ubal
« dini (4) ».

1) A. FABRETTI, Op. Cit., vol. 3, pag. 93.

2) F. UGOLINI, op. cit., vol. i. pag. 86.

3) R. REPOSATI, Op. Cit., vol. 1, pag. 327. — E. RICOTTI, op. cit., vol. 3, pag. 333.
UGOLINT, op. cit., vol. cit., pag. 100.

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A. PELLEGRINI

Una delle prime fortezze a ritornare in potere di Gui-
dobaldo fu S. Leo, nella provincia feltrana, agli 8 di ottobre
del 1502; ciò fece che i cagliesi e gli eugubini prendessero
animo e, parte uccidendo parte scacciando il presidio nemico,
rimettessero in lor potere l antico signore. Fu ricevuto in
Gubbio, com'è bene da immaginarsi, a suon di campane e
con ogni sorta di dimostrazioni che crebbero maggiormente
quando anche la rocca della stessa città, tenuta da una mano
di perugini, si arrendeva a discrezione, espugnata da Giam-
paolo Baglioni (1).

Il Valentino però non si dette per vinto: essendo il più
forte, e scioltasi la lega, Guidobaldo dovette nuovamente ab-
bandonare lo stato. Ma, prima di partire, fatti chiamare da-
vanti a sè tutti i capitani e nobili e primari dello stato e
della corte, propose loro la distruzione delle rocche, cosa che
essendo dal consesso approvata, nel novembre del medesimo
anno 1502, fu demolita la fortezza di Gubbio (2).

In questo modo il Borgia divenne signore del ducato, e
due suoi luogotenenti si affrettano a scrivere al nostro Co-
mune: « .. per vigore de la amplissima autorità ad noi dal
« prefato [Cesare Borgia] concessa, et de volunta... de sua
« excellentia, la quale.. e paratissimo li soi populi recevere
« ad gratia, ogni excesso, delicto et colpa... remettemo et da
« quello absolvemo ». Aggiungono che han dato « faculta et
« arbitrio de currere » Cagli e Gubbio a Mes. Caleocto de
Valdi e di reggerle.

Ricevuta la lettera, il Consiglio di Gubbio si riunisce
sotto la presidenza di mes. Caleocto per « singula peragenda »
e due atti importanti si compiono: si presta giuramento cioè,
e si nominano i nuovi ufficiali, deponendo quelli « positos

(1) R. REPOSATI, op. cit., vol. cit., pagg. 326 - 342. — A. FABRETTI, op. cit., vol.
cit., pag. 152.

(2) R. REPOSATI, Op. cit., vol. cit., pag. 349, — Il LUCARELLI, op. cit., pag. 102,
vorrebbe che la rocca fosse demolita più tardi; per me, in mancaza di altre prove,
é più attendibile il Reposati.
GUBBIO SOTTO. I CONTI E DUCHI D'URBINO

« per Ill. D. Guidobaldum olim ducem Urbini ». Quindi, il.
commissario mes. Caleocto « descendit in plateam et, arre-

« pto vesillo de palatio.., campanis totius civitatis continue

« pulsantibus, et cum tubis et rumore atque clamore uni-

« versali Borgia borgia, viva viva, et cum palmis olivorum

« puteis clamantibus, eodem modo » va intorno alla città

« cum dicto vesillo et populo, et tandem reversus ad pla-
« team cum dictis, consilio et populo fuerunt sibi tendite
« clavas civitatis (1) ».

Intanto, Cesare Borgia, preparandosi a scacciare Giam-
paolo Baglioni da Perugia e Pandolfo Petrucci da Siena, tra-
sferisce il suo quartier generale a Gubbio, il cui governo
viene allora affidato ad un Vandino de Vandinis di Faenza (2);
e bisognò che morisse nel '503 Alessandro VI perché la for-
tuna del Valentino ruinasse, perchè tutte le città del ducato
d’ Urbino, ribellatesi, richiamassero l’antico signore.

Così il Consiglio di Gubbio si riunisce di nuovo in nome
di Guidobaldo, ai 28 di agosto del 1503 (3).

Durante il breve dominio del Borgia, non ci fu tempo
di portare, o non si volle, alcuna modifica 0 all'amministra-
zione interna della città. Sol che trascorriamo per un mo-
mento i pochi decreti emanati in otto mesi, apparirà chiaro
che si ripetono pedissequamente quelli dei duchi di Monte-
feltro, già nella forma che nella sostanza, con una sola dif-
ferenza: che invece di esser pubblicati a nome di Guido-
baldo, lo sono, com'é naturale, a nome del Valentino o de”
suoi ministri. Dunque si leggono i soliti bandi che proibi-
scono di portar armi, di balestrare i colombi, di dar.ricetto
agli omicida, di cacciare incomenzando da la porta del borgo
secondo tira ecc. ecc.

Una sola disposizione non fatta sulla falsariga delle al
tre, fu quella di concedere ai forestieri di abitare in Gubbio,

(1) Riformag. cit., vol. 35, f. 18, 19, 20 (Arch. com. cit.).
(2) Cfr. i decreti ad an. nelle Ri/ormag., vol. cit. (Arch. com. cit.).
(3) Riformag. cit., vol. cit., f. 70 (Arch. com. cit.).
214 A. PELLEGRINI

sebbene non vi possedessero beni stabili, dietro il compenso
di 6 bolognini al mese (1).

Assunto alla tiara Giulio II (31 ottobre 1503), il cui fra-
tello Giovanni della Rovere era cognato di Guidobaldo, fu
grande amicizia tra le due corti, e per vieppiü consolidarla,
il duca, non avendo figli dalla moglie Elisabetta Gonzaga (2),
adottò, nel 1504, suo nipote Francesco Maria figlio di Gio-
vanni della Rovere e come erede lo fece riconoscere dai sud-
diti, nella cattedrale d' Urbino, il 17 settembre dello stesso
anno.

Cinque giorni prima, il duca invita gli eugubini a pren-

« havendo noi ordinato che martedì... che sira ali xvij... per
« li sudditi nostri.. se habbia ad giurare fedelita alo Ill.mo

« S. Francesco Maria de Ruere prefecto di Roma nostro fi-

« gliolo.. volemo... se elegga uno o doi sindici che habbiano
« ad venire qua per tucto lunedi prossimo ad prestare in
« nome di quella cità et contado... juramento et homagio de
« fedelita..., ordinando che sieno homini graduati et hono-
QTA (2) ».

Il Consiglio di Gubbio, ricevuta la lettera, si aduna ai
15 di settembre, e risponde mandando due fra i migliori de’
concittadini: il cavaliere Girolamo Bentivoglio e il dottore in
medicina Federico de’ Panfili (4).

Il clero era rappresentato dal proprio vescovo, France-
sco della Rovere (5).

Cosi, fino alla morte di Guidobaldo, la nostra città poté
gustare un po’ di pace.

(1) Idem, f. 22 v.

(2) Elisabetta Gonzaga, figlia di Francesco duca di Mantova, era stata sposata
da Guidobaldo nel 1489, e fu fatta una partita di pugni quando venne per la prima
volta in Gubbio (B. BALDI, Vita e fatti di Gwidobaldo I, vol. 1, pag. 105).

(3) La lettera é del 12 settembre 1504. Fu pubblicata dal REPOSATI, Op. Cit.,
vol. 2, pag. 6, n. 3 e trovasi nelle Réformag. cit., vol. cit., f. 107.

(4) Riformag. cit., vol. cit., f. 108.
(5) O. LUCARELLI, Op. cit., pag. 103.

———— -—————-—- —-—————— — _--

GUBBIO: SOTTO 1 CONTI E DUCHI D'URBINO 215

Il duca durante la sua dominazione, ripete i soliti decreti
che riflettono il buon ordine della città e contado: modifica
in senso più liberale ed umano i bandi che riguardavano gli
esiliati, eccetto i ribelli e gli sbanditi, permettendo loro di
praticare per la terra in tutti i giorni di festa, « in sabato
« e domenica » senza alcuna molestia (1), si occupa anche
lui di leggi suntuarie: e lascia che Gubbio accolga con ogni
dimostrazione di gioia, Giulio II.

Si era, il Pontefice, fin dal 1504 immischiato nelle cose
interne di Gubbio col riunire i due ospedali del paese allo
spedal grande, sottoponendolo poi alla cura del duca e suc-
cessori suoi (2); e quando nel '506, dopo aver coll’aiuto dei
francesi ridotta Bologna all'obbedienza della S. Sede — vol-
gendo egli nella mente di formare un forte ed esteso domi-
nio ecclesiastico — per ritornare a Roma passó, ai 22 di set-
tembre, da Gubbio con 24 cardinali e con 4000 uomini gui-
dati da Guidobaldo stesso, fu solennemente ricevuto e rega-
lato (3). d

Per le leggi suntuarie faró un breve sunto dallo studio
citato del prof. Mazzatinti (4):... in una seduta del Consiglio
fatta il 20 marzo 1484 fu proposto di provvedere « circha or-
« namentum mulierum et inhonestam portaturam earundem »
e di modificare gli antichi ordinamenti eleggendo a ció 12
cittadini morales, idones et prudentes. Ma sembra che l'opera
loro non riuscisse cosi proficua da evitare che ai 10 di mag-
eio del 1507 il Consiglio dovesse tornare a discutere intorno
a simile argomento. Forse indotto a ciò anche da frate Bat-
tista da Mantova che avea predicato nella quaresima in chiesa
di S. Francesco, e da una lettera dello stesso duca.

(1) Bando del 24 ottobre 1489, Riformag. cit., vol. 32, f. 39 v.; Arch. com. cit.
(2) Miscellanea stor. eugub. cit., vol. 1, pag. 36 (fondo cit., Bibl. cit.).

(3) Cronaca cit. di don Francesco (Racc. cit. ecc., pag. 106). — B. CASTIGLIONE,
Il Cortegiano, l. I, pag. 18 (Padova, 1633). — R. REPOSATI, Op. cit., vol. cit., pag. 372.
— 0. LUCARELLI, Op. cit., pagg. 102, 103.

(4) Pag. 295. A. PELLEGRINI

Fu adunque categoricamente bandito che nessuna donna
potesse portar veste con tragîno più lungo di quattro dita,
nè alcuna generatione di faldiglia, sotto pena di due ducati
d'oro, nè farsi maschera. |

Queste, in succinto, le provvisioni intorno al lusso delle
donne, le quali, del resto, non sono le ultime; ne vedremo
altre ancora, di cui alcune assai piü esplicite e severe, come
per esempio quelle del 1561.

Francesco Maria I della Rovere. — Guidobaldo mori
nell'aprile del 1508 in Fossombrone, ultimo de' Montefeltro (1),
e gli successe, secondo era stato da lui stabilito, Francesco
Maria I della Rovere; per la successione non vi fu contra-
sto. I sudditi si affrettarono a salutarlo signore, sebbene, à
quanto sembra, si temessero disordini ad Urbino a Cagli e
a Gubbio.

Ma, veramente, se un tumulto doveva avvenire a Gub-
bio, il momento dell'elezione non poteva essere che una scusa,
non la causa princrpale. Si sapeva da un pezzo che France-
sco Maria era il principe ereditario, quando, fin dal 17 set-
tembre del 1504, gli eugubini approvarono, come abbiam
visto, le disposizioni di Guidobaldo intorno al figlio adottivo.
Dunque, si sarebbe colta loccasione della presa di possesso
da parte di Francesco Maria, solo per isfogare gli odi che

(1) Ho detto altra volta che non é mio cómpito occuparmi delle arti e delle
lettere in Gubbio, né degli uomini illustri che vi fiorirono. Ma non posso fare a
meno di ricordare qui come il famoso Giorgio di Pietro — comunemente conosciuto
sotto il nome di mastro Giorgio — ebbe sotto Guidobaldo la cittadinanza eugubina.
L'ebbe, insiem col fratello Salimbene, ai 25 di maggio del 1498 e ottenne anche la

esenzione da tutte le gravezze, per venti anni. Da tempo egli dimorava nella no-

stra città. « Era venuto di Lombardia, e più precisamente da Intra sul lago Mag-
« giore, donde, emigrato in cerca di lavoro, aveva fatto breve sosta a Pavia. Da qui,
« come tanti altri operai lombardi scesi nell’ Umbria, partì, credesi, verso il 1490 e
«a Gubbio fissò la sua dimora ». Fu, non tra gli ultimi, pittore e scultore in terra.
cotta e inventore di quegli smalti a lucido per cui fu detto il Raffaello della pla-
stica. Riuscì « carissimo al duca Guidobaldo... che onorò di molti uffici, tra cui prin-
« cipalissimo quello di castellano della fortezza maggiore di Gubbio ». Morì circa il
1553 (Cfr. E. CALZINI, Gubbio e maestro Giorgio, in Arte e Storia [Firenze, 30 aprile
1898] e il Giornale di erudiz. artistica, vol, I, fasc. 8, pagg. 213-210 [Perugia, an. 1872]) CO

GUBBIO SOTTO 1 CONTI E DUCHI D'URBINO 217

da tempo doveano covare in paese tra famiglia e famiglia.
Questa, secondo me, la vera cagione dei timori del Della
Rovere, il quale, per garantirsi da: qualunque ingrata sor-

presa, mandó come commissario — usiamo questa parola
perchè adattissima — Baldassare Castiglione che, riuscendo

ad evitare qualunque causa di attrito, ebbe gli uomini lutti,
come scrive lui stesso (1), obbedientissimi. Infatti, quando ai 2
di maggio furono fatte in Urbino l’esequie del duca defunto,
da Gubbio v'andarono « i nobili e cittadini in grandissimo
« numero, vestiti d'abito lugubro », secondo erano stati in-
vitati da Francesco Maria stesso con lettera del 25 aprile
1508 (2), e il 3 dello stesso mese prestarono giuramento di
fedeltà (3).

Dunque, nulla di tutto quello che si temeva; e il nuovo
duca, quasi per propiziarsi vieppiù l'animo loro, il 25 di set-
tembre concedeva a Gubbio il ‘privilegio di batter moneta
d'argento, come già la battea di rame (4), e poco piü tardi,
un avvenimento che riempi di gioia la corte e lo stato tutto,
induceva la duchessa madre ad elargire nuove grazie ai
sudditi fedeli. : i

Una lettera del 21 marzo 1511, vergata a nome di Eleo-
nora Gonzaga moglie di Francesco Maria, diceva: « Berl
« presente messo...... vi advisamo como hoggi nostro S. Idio
« ne ha facto gratia de uno figlio. Pregate Dio per la pro-
« sperità sua ». Contemporaneamente, la vedova di Guido-
baldo, Elisabetta Gonzaga, scriveva: « Essendo piaciuto al
« nostro S. Idio de concedere uno bello figlio maschio que-

(1) « Io fui ad Eugubbio, perché in questa mutazione di stato si estimava che
« quella terra dovesse far qualehe tumulto, per essere potente d'uomini e molte
«inimicizie. Pur Dio non ha voluto male alcuno ; ché le cose sono. andate bene, e
« quegli uomini tutti mi sono stati obbedientissimi ». Lettera alla madre dell'aprile
1508, nel Cortigiano, vol. I, pag. 25 (Milano, 1803); citata pure dall'UGOLINI, Op. cit.,
vol. 2, pag. 146.

(2) La lettera è pubblicata dal REPOSATI, Op. cit., vol. I, pag. 371.

(3) R. REPOSATI, vol. cit, pagg. 377-378.
(4) Idem, vol. II, pag. 181.
218 A. PELLEGRINI

«sta matina a la Illlma madonna duchessa nostra figlia
« [Eleonora] ecc. volemo ecc. che domenecha matina pro-
xima se faccia li per la terra una grande processione ecc.;
« volemo anche se cancelli et anulli tucte le condennatione

^

« pecuniarie ecc. ».

Il Consiglio, in ossequio alla lettera avuta, il giorno dopo
bandiva:.. « per lo immenso amore e benevolentia che sua
« Ex.tia porta a questo fidelissimo stato ecc. ecc., vole et
« declara che tucte le condannatione de li mallefitij pecu-
« niarie e processi pendenti de che la pena fusse pecuniaria,
« curse sino al presente di.., le intendemo per casse et an-
« nullate et cancellate quanto a la pena pecuniaria ». Ciò
fatto, lo stesso Consiglio stabiliva di eleggere due oratori af-
finché andassero in Urbino a rallegrarsi per il lieto evento,
e furono Bernardino Gabrielli e Benedetto Aventurelli (1).

Il bello figlio maschio fu poi Guidobaldo II.

Cosi, i giorni scorsero tranquilli e sereni per Gubbio, fino
al 1575. Sembra che nessun turbamento recasse neanche
nella città la nuova dell' incarcerazione del duca — la quale
del resto fu brevissima —, accusato di omicidio in persona
del cardinale Alidosi suo nemico (2). I primi sintomi che la
pace doveva in qualche modo turbarsi, apparvero dopo la
morte di Giulio II (3) sul principio del pontificato di Leone X.

ll fratello del papa, Giuliano de’ Medici, che si era de-
ciso di opporsi ai francesi che miravano al ducato di Mi-

(1) Riformag. cit., vol. 37, f. 20, 20 v.

(2) Il vescovo Alidosi legato di Bologna, accusando Francesco Maria di aver
lasciato a bella posta cader quella città in mano de’ Bentivogli, fu da lui ucciso.
Incarcerato, da un tribunale di quattro cardinali, ai 5 di dicembre del 1511, fu as-
solto, reintegrato ne’ suoi stati, nelle dignità e titoli (Cfr. F. UGOLINI, 0p. cit., vol. II,
pag. 187).

(3) 20 febbraio 1513. Circa un anno prima, nel luglio del 1512, Giulio II, ad
istanza del duca e di Elisabetta ed Eleonora Gonzaga accordó il permesso di fab-
bricare presso la chiesa di S. Ubaldo, quasi sulla vetta del monte Ingino, un mona-
stero della congregazione di Canonici lateranensi sotto l'invocazione del santo sud-
detto (Cfr. Lett. del 23 luglio 1512; lib. ms. segn.: Cl. I, D. A. F. IV; Arch. di Stato
cit.). GUBBIO SOTTO 1 CONTI E DUCHI D'URBINO 219

lano, fu eletto capitano generale dell'esercito ecclesiastico,,
carica che spettava invece a Francesco Maria. Questi invano
si querelò e dovette piegarsi a prender parte in quella guerra
come feudatario di S. Chiesa.

Così, per condiscendenza del duca, le cose si accomo:-
darono pacificamente; e quando Giuliano, verso la fine del
1513, si mosse da Roma alla volta di Lombardia, venne e
rimase in Gubbio due giorni, per abboccarsi col Della Rovere
intorno alla buona riuscita della guerra (1). Ecco adunque
che ormai si trovavano d’accordo, che il temporale era sva-
nito, salvo però a riaddensarsi due anni dopo e irrompere in
tutta la sua veemenza per opera sempre dello stesso Leone X.

In questi due anni di calma e di tregua, gli eugubini
continuano a trar profitto dalle buone disposizioni del duca
verso di loro, e uno de’ principali privilegi che ottennero,
fu di tenere due mercati alla settimana; il 9 di settembre
del 1514, i Consoli bandiscono a nome di Francesco Maria:...
« per generale satisfatione de la sua cita eugubina e suo
« conta, ha determinato chel mercordi de qualunche septi-
« mana sia privilegiato come fuose el di del sabbato (2) »...

Ma, se gli eugubini s'ingegnavano di far prosperare i
loro affari, il duca, d'altra parte, non dimenticava i propri
casi. Si narra che mentre festeggiavasi l'elezione di Leone X,
egli dicesse alla moglie Leonora Gonzaga: Gli altri fanno
« festa, ma vedrai che noi non avremo nemico peggiore di
« costui (3) ». Sicchè, fisso in questo pensiero, non rimase

(1) R. REPOSATI, Op. cit., vol. IT, pag. 46.

(2) Riformag. cit., vol. 38, f. 8; Arch. com. cit. — Questi mercati dettero oc.
casione a querele da parte de’ vescovi che non intendevano si facessero quando
coincidevano con una festa religiosa. Il vescovo Mariano Savello, p. es., il 24 di-
cembre del 1598 invoca il braccio secolare per impedire che « quando occorre festa
« alcuna in giorno di mercato..., in tal giorno non si faccia mercato, ma si faecia
« il giorno inanti » (Lib. ms. segn.: Cl. I. D. G., F. CCLV ; Arch. di Stato cit.).

(3) Cfr. L. CELLI, Le fortificazioni militari di Urbino, Pesaro e Sinigaglia ecc.,
pag. 9 (Castelpianio, 1896).

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inerte. Da un lato prese a fortificare Urbino e
dall'altro cercò esercitare i sudditi alle armi.

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anche labitudine di certi esercizi che non servivano ad altro
che a coltivare gli umori selvaggi del popolo. Basta scorrere

0 A. PELLEGRINI

Pesaro (1),

Premetto che fino a qui, lui stesso come gli antecessori

ps
ii qua avevano spesso procurato di porre un argine alla voglia di
fare le cosiddette battaglie di pugni e di sassi, la ben nota

mata di S. Ubaldo ecc., per evitare sconcerti e per togliere

Riformagioni per accertarsi della verità.

Ebbene: in quest'anno 1514, agli 11 di settembre si emana
seguente proclama: « Desiderando il duca... che in l'arme
si possino exercitare li soi ecc., si fa noto... come... in Ugu-
bio ha ordinati.. una giostra, da comenzarsi con la dei
gratia a xxiiij d'octobre... con li seguenti capituli: prima

« Il pregio de li corredori saranno cinquanta braza de
veluto.

« Item che se intenda li dicti corredori dover currare
botte xij.

« Item che debbiano portar xij lanze a modo loro col
demenino, e si qualcuno non si trovasse fornito de essi de-
menini, ne sera in parte servito da sua excellentia.

« Item che ciaschuno possa quanto li piace fortificar la
resta de la lanza.

« Item che l'arme sieno da battaglia ma doppio e più o

«meno quanto li piacera.

« Item che decti corredori se intenda che habbiano da
currare a Tavoleri li quali seranno deputati per lo prefato
S. Ill.mo con lelmo scudo e lanza mozza cum la vera e
haverano il loro pregio separato da quel de li corredorj.
Cusi li Tavoleri non si imparazaranno del pregio de li cor-
redori (2) ».

Difatti, Leone X, che nutriva le stesse idee rapaci del

(1) Cfr. L. CELLI, op. cit.
(2) Riformag. cit., vol. cit., f. 8; Arch. com. cit.

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GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO . 221

Borgia, rimuginando nell'animo di togliere lo stato al duca
per darlo al nipote Lorenzo, ne colse subito l'occasione quando
gli mori il fratello Giuliano che si era sempre opposto a
questo suo disegno.

Tanto per incominciare la lite rinfaccia a Francesco Maria
l'uccisione del cardinale Alidosi (delitto di cui, come sap-
piamo, era stato assolto) e lo scomunica minacciando di scac-
ciarlo armata manu da’ suoi stati.

Francesco Maria, anzichè sgomentarsi, si prepara contro
i colpi del Pontefice. Per quello che riguarda Gubbio, dirò
che nel 1515 vi spedisce Benedetto Giraldi da Mondolfo per
esercitare la milizia paesana (1) e quindi, ai 6 di ottobre,
scrive ai consoli che mandino tutte le genti d’arme della
città alla volta d’ Urbino, con tante victuaria bastanti per
cinque giorni.

Il gonfaloniere infatti, ricevuta la lettera, fa bandire il
il giorno dopo che « ciaschuna persona de qualunche grado
« ecc. acta ad portare arme, cioè da li xiij anni per fino à

« li cinquanta, debbia subito comparire in piazza cum tucte
« le loro arme ecc. », e si presenti ai Consoli e al conte
Gentile Ubaldini, minacciando pene ai ritardatari e ai disub-
bidienti. Nei giorni susseguenti corsero altre lettere fra il
duca e il gonfaloniere, con le quali si presero tutti quei
provvedimenti necessari alla difesa in generale, ed in parti-
colare, il 19 dello stesso mese, si delibera pure intorno alla
reparatione e fortificatione della città di Gubbio.

« Camillo Orsini, Renzo di Ceri e Vitello Vitelli condu-
« cevano lesercito della Chiesa; quest'ultimo, oltrepassato
« l'Appennino, moveva per la valle metaurense, mentre Giam-
« paolo Baglioni da Perugia minacciava l invasione del ter-
« ritorio eugubino », con cento cavalieri, 500 cavalli e 3000
‘fanti. Il duca, d' la parte, con lettera del 27 maggio 1516
scriveva che, dovendo egli badare alla sicurezza di Urbino

(1) L. CELLI, op. cit., pag. 10.
2922 A. PELLEGRINI

e di Pesaro, pensassero gli eugubini alla difesa del loro
paese; mentre, al 29 dello stesso mese, Giovan Paolo Ba.
glioni inviava un tal Costanzo di Perugia, come ambascia-
tore, che persuadesse gli eugubini a sottomettersi alla Chiesa.
Dietro quest'imbasciata, i Consoli non mostrarono, a quel
che pare, di sconcertarsi molto, se, convocato il Consiglio
generale ai 31 di maggio, decisero senz'altro di « redire ad
« Romanam Ecclesiam et sub regimine s. D. N. ».

Furono poi deposte le chiavi della città in mano del
Baglioni e fu prestato giuramento.

Intanto gli eventi precipitavano. Il duca si rifugiava a
Mantova; il Papa dichiarava, ai 18 di agosto, Lorenzo de' Me-
dici signore del ducato. Il Consiglio di Gubbio stabiliva ai 7
di settembre di presentare gli omaggi al nuovo padrone.

Passarono diversi mesi, il tempo necessario al signore
d’ Urbino di riconcentrare le sue forze per tentar di ripren-
dere l’ offensiva, mentre gli eugubini ricevevano di quando
in quando dei messi ducali che l'incitavano a rimaner fedeli
a Francesco Maria, in ispirito almeno, e ad aver coraggio.
Si giunse così al febbraio del '17, quando il duca venne co’
suoi in Romagna. Il primo del mese si presentó al gonfalo-
niere Carlo Gabrielli (1) il conte Gentile degli Ubaldini, con
lettere ducali, proponendo d'inviare aiuti al loro antico si-
gnore; il 5 un nuovo messo, nella persona di Lando de' Landi,
per animar gli eugubini a rimanere forti e costanti nell’ a-
nimo: dopo diversi consigli e tergiversazioni, malgrado il
Baglioni minacciasse di occupar la città, ai 5 di aprile si de-
liberò giurare fedeltà al duca e di espellere i ministri .del
Baglioni. Non sapremmo dire se questi abbia allora tentato
di correr davvero sulla città. Il Reposati (2) lo afferma, e
può anche darsi, ma, se lo fece, fu respinto. I cittadini, fe-

(1) Di costui cfr. Memorie del cap. Ubaldantonio Gabrielli pubbl. da L. Box-
FATTI (Gubbio, 1891), pag. 32, n. 3.
(2) R. REPOSATI, Op. cit., vol. cit., pagg. 55, 56. GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO i 223

“deli al giuramento, avrebbero ricusato di ricevere Giovan
Paolo e Gentile Baglioni, e di preparare gli alloggiamenti
per 6000 fanti e 400 cavalli al servizio della Chiesa. Anzi,
questi avvicinandosi già, il popolo, spinto dal marchese Febo,
‘venuto espressamente con patente ducale per dirigere le sorti
della città, avrebbe affrontate le milizie. nemiche e fugate
verso Perugia. Nè contenti di questo successo, gli eugubini
correvano nello stesso tempo in buon numero a Cagli, per
unirsi, sotto la scorta di Carlo Gabrielli, ai combattenti in
favore del duca.

Si accese così una guerra vergognosa (1). Gli eugubini
invano fecero atti di valore, e solenni preghiere e processioni
nel giorno della traslazione del patrono S. Ubaldo, per allon-
tanare ogni disastro sul capo del duca (2), chè nel settembre
dello stesso anno Gubbio tornò al Papa.

E neanche alla morte del nipote Lorenzo (18 aprile 1519)
Leone X restituì il ducato al legittimo possessore, ma lo in-
corporò alla Chiesa; e, sia che intendesse fomentare le gare
municipali, come dice il Lucarelli (3) che copia dal Guicciar-
dini (4) — politica questa usata assai dai governanti affin-
chè i popoli non avessero così il tempo di pensare alla loro
soggezione —; sia, come dice il Reposati (9) (e per me,
date le circostanze, ci ha proprio azzeccato (6)), che volesse
propiziarsi gli eugubini perchè i meno inclinati alla sogge-

"2

zione papale; il fatto sta che Leone X, mentre smantelló le

(1) R. REPOSATI, op. cit., vol. cit., pag. cit. — G. B. LEONI, Vita di Franc. Ma-
ria, pag. 212. :

(2) Miscellanea stor. eugub. cit., f. 32 (Fondo L. Bonfatti; Bibl. cit.).

(3) Op. cit., pag. 106.

(4) Historia ecc., l. 13, pag. 377 (Venezia, 1568).

(5) Op. cit., vol. cit., pag. 70.

(6) Lo dimostra il bando seguente del conte R. Boschetti, ministro di S. San-
tità: « ... fa bando... a tucti i singuli homini e persone de la cita de Ugubio e suo
« contado ecc. [che] debbia vivere pacifice et quiete senza tumulto e scandalo al-
« chuno sotto proteptione, cura, ombra e defensione de la Sede Apostolica, sotto
« pena ed arbitrio di S. Santità » 22 maggio 1519 (Aformag. cit., vol. 40, f. 39 v.;
Arch. com. cit.)

X

milo, ia
224 A. PELLEGRINI

mura di Urbino e degli altri luoghi principali del ducato,
rispettò invece quelle di Gubbio e fece questa città — esau-
dendo un vecchio e ardente desiderio degli abitanti — capo
del ducato, mandando a presiederla il conte Roberto Bo-
schetti di Modena.

Quindi, forse appunto per averla dichiarata capo del
ducato, attese anche a fortificarla (1).

Morto il Pontefice il 2 di dicembre del '21, il Consiglio
di Gubbio si riunisce il 19 febbraio dell’anno seguente per
discutere intorno al da farsi. Naturalmente, si decide di ri-
tornare sotto la vecchia signoria, e qualche giorno dopo si
delibera « mittere oratorem ad Ill. et esc. dom. Franciscum
« Mariam Ducem pro fidelitate stipulanda et notitia habenda
« quid facturi simus ecc. »; e quasi contemporaneamente il
duca manda a Gubbio Giovan Battista Bonaventura, patrizio
d'Urbino, che alla signoria « exhibuit litteras patentes (2) ».

Francesco Maria, ritornato cosi nel suo stato, non ebbe
piü a subire altri travagli da parte de' sudditi né da parte
dei Pontefici che si successero; Adriano VI, Clemente VII e
Paolo III, anzi, ebbero per lui la massima deferenza, e col
secondo, il duca si trovó a Bologna circondato da cento ca-
pitani, di cui 50 eran di Gubbio (3), in occasione dell inco-
ronazione di Carlo V (21 febbraio).

.

(1) Nel 1521 « volendo fabricare in Ugubio una fortezza, levò le monache di
« S. Maria del Paladio, dove stavano, e gli fece dare dalli monaci di San Benedetto
« detta Chiesa » (CANTALMAGGI, ms. cit., segn. XVII, A. 4. 7; Bibl. cit.). Riguardo alle
altre riforme di Leone X dirò che gli eugubini avendogli chieste diverse gratia e
d'indole economica e amministrativa furono esauditi con bolla del marzo 1520, pub-
blicata per intero dal prof. G. MAZZATINTI (Gubbio dal 1515 al 1522 in Bollett. di Stor.
patr. del! Umbria, vol. I, fasc. 1, pag. 98); quindi, volendosi occupare i ministri del
Pontefice, delle grascie, dei banditi comuni, del porto d'armi e di bastoni, delle of-
fese alla religione, agli uomini ed alla proprietà, rinnovarono pedissequamente i
bandi che vediamo ripetersi uniformi sotto i signori d'Urbino e sotto il Borgia (Cfr.
lettere ad an. in lib. ms. segn: Cl. I. D. A, F. II; Arch. di Stato cit.).

(2, Il periodo di tempo che va dal 1515 al 1522 fu assai illustrato dal prof. G. Maz-
zatinti (Bollett. cit., fasc. cit., pagg. 87-105), e diversi periodi riportati fra due vir-
golette e non seguiti subito da nota ‘appartengono appunto a tale studio.

(3) V. ARMANNI, Lettere, vol. 1, pag. 682 (Roma, 1663).

————— 1

23:

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO

Quando fu eletto dai veneziani — collegati con l'impe-
ratore contro i francesi per la salvezza di Francesco Sforza.
duca di Milano — governatore generale delle armi, in sua
assenza resse le sorti del ducato Elisabetta Gonzaga sua mo-
glie; questa portò una radicale riforma nella nomina del gon-
faloniere di Gubbio: stabili cioè, con lettera del 17 dicembre
1529 al conte Guido Beni, che quel magistrato si dovesse
esclusivamente scegliere nel ceto nobile, e per tal modo —
nota il Lucarelli, esagerando — « fu cancellata l'ultima trac-
« cia della nostra costituzione democratica (1) ».

Riprese che ebbe le redini dello stato Francesco Maria,
sorse la famosa questione della cosidetta muraglia di Pesaro.

È noto che il duca, per salvarsi dagli assalti nemici,
aveva deciso di fortificare, non badando a sacrifici nè a
spese, le tre città: Urbino, Pesaro e Sinigaglia.

Io, rimandando il lettore al pregevole lavoro del Celli (
accennerò solo alle fortificazioni di Pesaro e Sinigaglia. per
quel tanto che sarà necessario affin di meglio intendere la

92)
P

parte che v'ebbero gli eugubini.

La questione delle fortificazioni di Pesaro si trascinava
già fin dal sec. XIV e si riaccese più viva quando il ducato
si senti minacciato dalle rappresaglie di Leone X. Francesco
Maria vi dedicò tutto l'animo poco prima dell’esilio e subito
dopo che riebbe i suoi possedimenti.

Fin verso la fine del 1521 ci pensarono da sé i pesa-
resi, facendo grandi sacrifici, a tirare avanti tali opere di
difesa; dopo, il duca, visto che in seguito sarebbe loro man-
cata la lena, « venne nella determinazione d'imporre una
« tassa generale a tutto lo stato, comeché di generale inte-
« resse era l'opera cui doveva servire (3) ». Ma di assai ma-

Ne [y pr Y , -]
MERC USE TT

(1) Op. cit., pag. 107.
(2) L. CELLI, Le fortificazioni militari di Urbino, Pesaro € Sinigaglia, ecc. (Ca
stelpianio, 1896).
(3) L. CELLI, op. cit, pag. 28. 996 | A. PELLEGRINI

lavoglia le altre città pagavano una tassa simile, non risen-
tendone un vantaggio diretto e immediato.

Prima: di tutto, verso il 1522, « si fece una scelta di
« cento guastatori in tutto lo stato con obbligo alle Comu-
« nità di spesarli e mandarli a Pesaro a lavorare alla mu-
« raglia con vanghe, pale e zappe, sotto pena di 100 ducati
« d’oro per ogni Comunità e 50 ai singoli contrafacienti (1) ».
Poi, con decreto del 18 maggio 1530, Francesco: Maria fa
noto a quei di Pesaro che « si è fatto la descritione di tutto
« il stato havendo compartito et imposta questa spesa [della
« muraglia) secondo la possibilità et qualità di ciascun
« luoco (2) ».

Non saprei dire di quanto fu tassata la città di Gubbio;
vero é che se non si ribelló apertamente di pagare, come
fece nel 1512, questa volta la Comunità dové spesso essere
richiamata all'osservanza della legge ed al pagamento della
imposta.

Una prima volta il duca scrive da Pesaro in questi ter-
mini: « Meravigliandone grandemente che le Comunità quasi
« di tucto lo stato nostro, non solo sono tarde... di pagare
« a li tempi debiti la rata impostali per causa de la fabrica
« di questa muraglia ecc., habbiamo stabilito,.. paghino quanto
« sono debitori, e perciò si è deputato a questo lo exhibitore
« de la presente, chiamato Paolo Antonio dal Pozzo... (3) ».

Ma; a quanto sembra, quest'esattore ebbe poca fortuna
e non riuscì a nulla; invano -si susseguono ancora le esor-
tazioni da parte di Francesco Maria, finchè, richiamato il
dal Pozzo, viene sostituito da un. altro con autorità di vero
e proprio commissario, nella persona di un ser Tommaso.
Questi non potè che trar pochi denari dalla scarsella degli

(1) Ididem.
(2) Ibidem.
(3) 2 ottobre 1581 (Zéformag. cit., vol. 45, f. 186). La lettera è pubblicata per
intero da L. CELLI (op. cit., pag. 30).

mr

n
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 2IT

eugubini « con poca satisfactione » del suo signore, che, dopo
diversi giorni di permanenza in ufficio, lo richiama, minac-
ciando il popolo: se dentro dieci giorni « non farete che il
« restante de la impositione:.. non serà qui in mano del de-
« putato..., le spese corse e che correranno nello avenir per
« exigerlo, andarano tucte a conto vostro, e poi vi acorge-
« rete haverne facto poco a piacere (1) ».

Se il duca mantenne là promessa di mettere a loro ca-
rico le spese che avrebbe incontrato in seguito per riscuo-
tere il resto, gli eugubini dovettero vedersi certamente rad-
doppiata l imposta, perché nuove lettere di sollecitazione

furono scritte, e nuovi esattori mandati da parte di France-

sco Maria e del successore (2). Finchè nel 1972 chiedono à
Guidobaldo II di esserne affatto esonerati, e l'ottengono (3),
a differenza degli altri che dovettero aspettare un decreto
del 10 maggio 1623 di Urbano VIII, quando ebbe in sua
mano il ducato (4).

Riguardo alle fortificazioni di Sinigaglia diró che gli eu-
gubini furono solo comandati di mandare a più riprese qual-
che diecina di guastatori. I lavori incominciati verso il 1541
si protrassero per molti e molti anni (5). Nel 1557 «il cap.
« Gianfrancesco Cacciaguerra scriveva ai Consoli con lettera
« del 4 giugno che sollecitassero a compire il numero di 350
« guastatori e 50 cavalli ordinati da messer Franceschino
« Marchetti [commissario dei lavori], avendone essi spedito
« soli 295 guastatori e 35 cavalli. E perché questa gravezza
« fosse ugualmente spartita per tutto lo stato, era disposto
« il turno di tempo che dovevano lavorare le squadre d'ogni
« parte di esse. Le Comunità dovevano provvedere gli uo-

(1) Lett. da Pesaro del 6 febbraio 1532 (Riformag. cit., vol. 46, f. 19 v.).

(2) Cfr. le Riformag. cit., vol. cit. e segg. (Arch. cit. di Gubbio).

(3) V. più oltre questo studio.

(4) L. CELLI, op. cit., pagg. 29, 30.

(5) Riporto qui tali notizie per non dover piü ritornare sulla questione delle
forticazioni, sebbene si riferiscano ai tempi di Guidobaldo II.

UP QM OM

FIM BOE SEIT 228 A. PELLEGRINI

« mini di zappe, badili e- degli altri strumenti necessari, non
« che del vitto, per tutta la durata del lavoro; e le squadre
« andavano ordinate ciascuna sotto i loro capidieci, le guide
« per i cavalli o le* mule, e i fattori per le vettovaglie (1) ».

Può essere che anche questa volta gli eugubini abbiano

finito per contentare le esigenze ducali; ma ogni anno che pas-

sava diventavano sempre più restii, cercando di esimersi col-

l’addurre scuse che potevano avere un fondamento di verità.

Invitati nel 1559 a mandar di nuovo un certo numero
di guastatori coi relativi attrezzi, la Comunità ai 30 aprile
risponde confessando che non sa trovare « modo alchuno né
« strada, expediente, per la quale si possa riparare al di-
« naro » occorrente per equipaggiarli, perché le « persone
« privilegiate » si ricusano, e « gl'altri poveri cittadini che
« di già han pagato, non consentono si metta altra imposta
« nuova, essendovi da rescuotere tanto delle vecchie »; fi-
nisce Col suggerir di « commettere al sig. luogotenente che
« astrengha indifferentemente ogn' uno, tanto privilegiati et
« exenti.. a pagare (2) ».

E per non ritornare più sopra le fortificazioni, dirò che
anche nell'agosto del 1574 per paura dei corsari, volendosi
compiere il lavoro del fossato rimasto sospeso in causa delle
annate perniciose, intorno alle due cinte di Pesaro e di Seni-
gaglia, i cittadini eugubini, prvilegiati o no, vennero tassati (3).

Francesco Maria aveva anche un’altra ragione di mal-
contento contro i nostri: la gran tolleranza di questi verso
i banditi politici di Perugia. Fuggiti dalla vigilanza del vice-
legato pontificio, cercavano e trovavano asilo e protezione
in Gubbio, malgrado i divieti severi delle autorità superiori.
Una lettera del duca del 22 giugno 1533 deplora: « ... Hora
« troviamo che serrando voi gli occhi e le orecchie, tolle-
« rate che [i banditi e condennati del Perosino] si reducano

(1) L. CELLI, op. cit., pag. 44.
(2) Lib. ms. segn.: Cl. I., D. G., F. COLV ; Arch. di Stato cit.
(3) Cfr. L. CELLI, op. cit., pag. 45.

PETER I um Rt

Xe matta Tp pum Te et ore

e ——
TETTO LT PT

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 929

« e pratichino li in Ugubio, in Costacciaro, in Valfabrica et
« alla Brancha, et per ciò il vicelegato... ne fa grave que-
« rela..; quegli afferma stare e conversare nei sopradicti
« luochi al lor piacere come si fussero di questo stato », il
che, aggiunge, è causa di molti inconvenienti e fastidi in
Perugia; termina ordinando che si arrestino immediatamente.
I banditi e i condennati erano:

« Sforzino )

« Simonetto Baglioni

« Costantino

« Gadone de Nepis d'Assisi

« Vincentio de mes. Pier Filippo de [Corgna]

« Il ser de porta S. Pietro

« Angelino da Bevagnia (1) ».

L'anno dopo, ai 19 di ottobre, giunse la notizia di un
lieto avvenimento. Nello stesso tempo la lettera di annun-
zio esprimeva un desiderio che ora riempirebbe di mera-
viglia e di stupore; anzi suonerebbe offesa all'intera cit-
tadinanza. Il popolo, ancora bambino, non poteva liberarsi
da eccessi, tanto nella gioia che nel dolore; non educato ad
esprimere i propri sentimenti con quella calma dignitosa che
è prodotto di civiltà, ne veniva che, senza volerlo, senza ac-
corgersene, arrivasse, anche nei momenti di tripudio, a com-
mettere dei fatti spiacevolissimi. La lettera ai Consoli, che
ora riproduco, darà una prova di quello che poteva essere
capace il popolo in certi momenti : « ... S'è... publicato il pa-
« rentado fra li Ill.mi la Signora Julia de Varrano duchessa
« di Camerino e Guidobaldo mio figliolo..: ve ne habiamo
« voluto avisare che... ne faciate quelle demostratione e segni
« di alegrezza con campane e fuochi che se rechiede; aver-
« tendo che... per questo conto non segua danno né desor-
« dene.., come serà danegiare hebrei e brusciare scripture di

(1) Riformag. cit. vol. 40, f. 102 v. Cfr. FUMI, LG Legasione del card. Ippolito

de? Medici new Umbria, in questo BolL., vol. V, pagg. 499 e segg.
DIS

30 A. PELLEGRINI

« sorte alcuna, e che non segua alcun desordine alle prigione.
« Da Fossombrone 15 ottobre 1534 (1) ».

Una delle piaghe della società è stata in ogni tempo la
usura. E sebbene, come sappiamo, si fosse fondato il Monte
per opporvi un argine, pure, per un'abitudine inveterata nel
popolo di continuare a ricorrere, malgrado tutto, alle mede-
sime fonti, per una tal quale diffidenza delle cose nuove, per-
chè momentaneamente riusciva più comodo e soddisfacente
rivolgersi ad un privato piuttostoché al Monte, il fatto sta

che l'usura continuava tuttora ad esercitare la sua malefica ‘

e disastrosa influenza a Gubbio. Un bando adunque del 22
novembre 1535 tende ad impedire un simile sconcio: « Co-
« mandiamo che non sia alcuna persona... che presuma
« esponere, contrahere o stipulare contratto alcuno usurario
« o feneratitio.. sopra cose stabile quanto mobile, sotto pena
« di perpetua infamia e privatione d'ogni dignità o indulto
« che-avesse, e di cento scudi d'oro ecc., e singole pene
« incorrino li notarij ecc. E che non sia alcuna persona...
che debba comprare né vendere cosa alcuna stabile, nel
« contratto della quale se apponesse il patto di revendere o
« in altro separato, senza espressa authorità et intervento
« del suo giudice ordinario che serà per tempo, sotto pena
« al venditore di perdere la cosa venduta ecc. Che alcuno
« notario non possa né debba rogarsi di tali instrumenti ecc.
« Che qualche persona... volesse comprare o vendere con
« detto patto, debba... far tal vendita o compra pel quale
« prezzo serà dechiarato per doi huomini eletti uno per cia-
« Scuno dalle parte e mediante il loro giuramento ecc. Che
« persona alcuna... non debba pagare o recevere cottimo
« de cose vendute col detto patto, ma solamente li sia lecito
« satisfarsi e pigliarsi quella rata gli tocca del frutto ecc.
« Die 22 novembre 1535 (2) ».

^

^

(1) Riformag. cit., vol. 46, f. 164.
(2) Lib. ms. segn.: III, XVII, C. 3, f. 8; Ar. Armanni, Bibl. cit.

emu
231

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO

Francesco Maria I mori il 21 ottobre del 1538, per ef-
fetto di veleno (1) e gli successe il figlio Guidobaldo Il.

Guidobaldo II. — Secondo la consuetudine, quest ul-
timo attese in Pesaro al giuramento di fedeltà e all'esequie
del padre. Tolgo da una relazione manoscritta: « In novem-
« bre del 1538, in domenica, dopo desinare furono chiamate
« le città confusamente, per esser discordia di precedentia
« intra Ugubbio e Pesaro e Caglie e Fossombrone, e sino a
« un' hora di notte duró detta udienza, e l'ultimi furono
« ugubbini e cagliesi. Il lunedi seguente, per essere la festa
« di San Simone, non si fece il giuramento di fedeltà come
« era ordinato, et il di di Marte, dopo che S. E. hebbe udito
« messa e desinato e fatto un palchetto tra le due finestre
« del salotto ducale coverto tucto di nero, sotto un ban-
« chetto sopra detto palchetto coverto di veluto nero, con un
« missale sopra detto banchetto aperto con il Crocefisso, e
« posto a sedere S. E. in una sedia tra le dette due finestre
« in detto paleo et appresso di quella, messer Stefano Au-
« ditore; furono chiamati gli oratori di Gubbio, cioó messer
« Federico Prilij e messer Hieronimo Panfilio, quali simil-
« mente jurarono ».

Ai 9 novembre, di sabato, furono fatte le esequie: vi
presero parte, oltre che moltissimi vescovi ed altri prelati,
una rappresentanza, s'intende, di tutte le città del ducato.
Formatasi là processione per andare alla cattedrale, fra le
rappresentanze, furono prime quelle di Urbino, secondi
« gli oratori di Ugubbio, n. venti, vestiti di nero ».

« Arrivati in Chiesa, cominciando dalli primi, e segui-
« tando di mano in mano, furono collocati dalli maggiori in
« questo modo: la famiglia dellIllmo, la testa fu posta in
« Choro apresso l'organo, e seguitando in su in verso il Choro
« con doi file di banchi, stettero a sedere tirando l’ ordine
« sin all'altra banda verso la capella del Corpo di Christo,

(1) Cfr. E. VIANI, L'avvelenamento di Francesco Maria Idella Rovere, ecc. (Man-
tova, 1902).
9232 A. PELLEGRINI

« dove in testa li erano li orator Veneto, il sig. duca ecc.
« Nel palco stavano il locotenente, Priori e cittadini d’ Ur-
« bino, all'altra parte, sotto lorgano, alli primi banchi, sta-
« vano li cittadini d'Ugubbio, poi Camerino ecc. (1) ».

In sul principio, la signoria di Guidobaldo fu turbata
dalle pretese di Paolo III. Questo Papa che volea continuare
nel nepotismo, rivolse lo sguardo sullo stato d’Urbino e spe-
cie sulla città di Camerino che apparteneva al duca, come
marito di Giulia Varano, per investirne il figlio Pier Luigi
Farnese. E nel dicembre del 1538, Pier Luigi si avanzò alla
volta di Gubbio con 12000 fanti che, per venire a capo di
intercettare le vettovaglie e d'interrompere i passi, si fer-
marono presso il vicino castello di Valfabbrica. Fu questo
difeso vigorosamente da un capitano di Gubbio, di nome
Aquilante e da un'eletta schiera di soldati eugubini ; mentre
i cittadini, vedendo la patria in pericolo, implorata con ar-
denti voti da Dio e dalla Vergine la salvezza della città, ac-
corsero ai gonfaloni,e in numero di 150 si misero in pronto
in un sol giorno, e, per consiglio del viceduca Guglielmo
sanfertol, che forse pensava esser funesto a pochi valorosi
tentar battaglia con l’esercito pontificio, prevalente in nu-
mero, s'incamminarono verso Giomisci (2), guidati da un
tal Francesco Trombetti, e ivi si fortificarono. Donde, pro-
tetti dalle alture e da spessa nebbia, cominciarono a in-
quietare il nemico il quale, credendo di dover combat-
tere con un esercito numeroso, e perchè sopravvenuta. al-
tissima neve, si ritrasse da Valfabbrica, contentandosi di
rovinare le campagne. Gl innocui cittadini che erano rimasti
a casa facevano intanto orazioni, e la Comunità, a persuasione
di fra Giuseppe da Brescia, cappuccino, fece fra gli altri
voti (3), quello d’istituire la Compagnia della Misericordia e

(1) Lib. ms. segn.: II, XVIII, E, 4 (Bibl. cit.).

(2) Piccolo castello situato al confine del contado di Gubbio, allora potente-
mente difeso da una rocca.

(3) Nella relazione cit.: Le feste di Gubbio per la nascita ecc., pubbl. da F. Bal-
lerini (Period. cit., pag. 85) é detto per incidenza « ... il populo di Gubbio... istituì

ie GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 233

di eleggere Nostra Donna a protettrice della città di Gubbio,
sotto il titolo della Concezione, con erigerle una cappella
nella chiesa di S. Francesco a spese pubbliche, e dove fu
stabilito sovrapporre l' arme della Comunità da una parte e

dall'altra due mani significanti la pace che poco dopo — ai
27 aprile 1539 — segui tra il Pontefice e il duca (1). Ot-

tenne allora Guidobaldo l' investitura del ducato, solito a
darsi da ogni Pontefice; cosi gli eugubini poterono in se-
guito vivere tranquilli, attendere ai loro affari, seguire fa-
cilmente le proprie inclinazioni.

Essendo un popolo eminentemente guerresco, è naturale
che non si lasciasse sfuggire l'occasione, quando le circo-
stanze lo permettevano, di mostrare la propria valentia. Ne
abbiamo infatti in diverse occasioni prove non dubbie (2) e
specie nel 1571 alla famosa battaglia di Lepanto (3).

« nella sua città quella Santissima oratione detta delle 40 hore... l’anno 1533 per ot-

— « tenere da Dio pace e quiete della guerra de Valfabrica ». L'autore della relazione,

o sbaglia l'anno perché la guerra fu nel '38 0 si riferisce ad un altro fatto. di cui
non si ha più memoria. :

(1) Cfr. Mem. cit del cap. U. GABRIELLI, pubbl. da L. BoNFATTI, pag. 8 e 36
n. l4. — Il Gabrielli aggiunge che la pace fu conclusa cedendo il duca la città di
Camerino, e sposando Vittoria Farnese nipote di Paolo III. Farò notare che in questo
tempo era sempre viva la duchessa Giulia Varano, sposata da Guidobaldo in tenera
età. e Vittoria non fu da lui condotta in matrimonio che nel 1547.

(2) Oltre i diversi combattimenti fatti per la salvezza del proprio paese come
fin ora abbiam visto, oltre quel poco che narra il LUCARELLI (Op. cit., pagg. 109, 110)
intorno alle geste in paesi forestieri, notisi quanto segue: da una lettera dei Consoli
del 28 settembre 1572 si sa che un loro concittadino, il capitano Soldatello, soffriva
in una segreta detta Marnegro, essendo caduto in mano di Selim II, quando, dopo
aver espugnato Nicosia, assediò I'll settembre del '70, Famagosta (Lib. ms. segn.:
Cl. I, D. G. F, CCLV ; Arch. di Stato cit.). Uno storiografo di Francesco Maria I, p. es.,
« Sonno eugubini naturalmente inclinati alle armi, però in notabil summa
« escono da loro tanto a piede come a cavallo molto boni e valorosi soldati stabili
.« e firmi nella guerra, non incerti, non varii, non deseriori della militia. Et io già

serive:

« per commissione de Francesco Maria raccordomi fra tutti haver cavato in un sol
« tratto ottanta homini d'arme ben armati e ben montati, e tutto mandatogli in
« servitio de Ottaviano Fregoso a Genova » (Cfr. Li. CELLI, Di S. Gossolini da Osimo.
cit., pag. 46, n. 3). :

(3) Ecco che cosa serive l'ARMANNI (Lettere, vol. I, pagg. 682, 683): « ... l'anno
« 1571, in quella memorabil giornata [7 ottobre] che mise tutto il mondo cattolico in
« trionfo per la vittoria che l' Armata della Lega Cristiana conseguì contro quella
« dei turchi, si trovarono a combattere trenta eugubini col comando di gente con-
A. PELLEGRINI

Coloro che invece preferirono restarsene pacifici attorno

al focolare domestico, badando alle proprie occupazioni, fu-
rono spesso distratti dal passaggio per Gubbio di qualche
illustre personaggio o di soldatesche amiche, da luttuosi 0
lieti avvenimenti (1); il più grande fra quest'ultimi essendo

^
A

A

A

possesso della Curia, si celebravano solenni funerali o feste grandiose.

dotta da loro, cioó XXIV Capitani e VI Colonnelli, oltre altri quattro Offiziali mag-
giori, e sei pur Capitani ch'erano senza compagnie particolari, essendosi ancora
in quel gran conflitto trovati molti Nobili, similmente eugubini, tra quali XII Ca-
pitani che assisterono alla persona del duca Francesco Maria II... allora giovi-
netto... Di più, per servizio della medesima Lega furono impiegati in vari luoghi
di mare e di terra cinque altri Capitani, e altri sette avevano cariche appresso
diversi Principi, che numerandosi tutti questi condottieri che in un anno mede-
simo fiorirono nella stessa città, ascendono a LXIV. Papa Urbano VIII ne fece la
testimonianza, non solo alli due ambasciatori mandatigli dalla stessa città in oc-
easione di esser ella devoluta alla Santa Sede, per la morte del duca Francesco
Maria, ma eziandio alli quattro ultimi Vescovi, ch’ esso Pontefice le diede...; per-
ciocché, dopo aver detto loro che Gubbio era una città molto antica... soggiunse
che cinquanta Capitani di questa città si erano trovati alla Battaglia Navale in
Lepanto... È notorio che Don Giovanni d'Austria, Generale di quella Lega, ... sen-
tendo nominare tanti Capitani da Gubbio, proruppe meravigliato: Que es esto Gub-
bio? es maior de Napoles, maior de Milan, o que es ?...

« Francesco Sansovino, nel suo libro dell'origine delle Case illustri d'Italia,
parlando della famiglia Marioni di Gubbio, a car. 344, così ha lasciato scritto: L’anno
1570 e "71 si trovarono in quella guerra al servizio del Papa, del re Filippo, e della
repubblica veneziana, 24 Capitani d'Ugubbio in un tempo medesimo contra i tur-
chi, in diversi luoghi in mare e in terra, tutti con compagnia di fanti condotti da
loro, oltre i gradi maggiori, che esercitavano con diversi comandi, e furono Cesare
Bentivogli Colonnello, e Luogotenente di Sforza Pallavicino Governatore Generale
dell armi veneziane, Gian Maria Baldinacci, Alfonso Arcangeli, che fu poi colon-
nello in Candia l’anno 1574, Barone Baroni, Raffaello Carbonara che l’anno 1574 fu
Sergente Maggiore della gente dell’Armata e Mastro di Campo Generale del regno
di Candia, Governatore al presente del Castello di Brescia. Il Co: Girolamo Ga-
brielli Capitano allora dell’artiglieria con 300 fanti. Soldatello Galeazzi, Bernardino
Raffaelli, Mancino Leonolli, Guerra Andreoni che poi fu fatto Colonnello in Cattaro.
Guido Sangradali, Colonnello. dalla Signoria, e al presente si trova Governatore
della milizia di Cattaro. Caccia Ramoscetti, Cristoforo Angelelli, Salva Colombini,
Peruzzini Beccoli, Vincenzo Andreoni, Riccio Orlandi, Giulio Sarafina, Pietro Bon-
gironimi e Vincenzo Marioni. I quali tutti servirono onoratamente e con soddi-
sfazione, dando buon conto del valor loro così nel dì della gloriosa giornata, come
anche nell’ assedio di Famagosta e nelle altre fazioni di quella guerra, oltre a
molti altri Cavalieri de’ principali di quella città che servivano privatamente e
altri con cariche onorate nelle loro condotte di offiziali principalissimi, ancorché
fossero senza compagnie particolari. E ve ne andarono parimente col .princeipe di
Urbino che ne condusse molti in tanto che passarono in tutto il numero di 50,
senza quelli ch'erano in diverse cariche per lo stato del duca d' Urbino ».

(1) Tutte le volte ché un vescovo della città moriva o che un nuovo prendeva
-

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 235

stato il nuovo matrimonio di Guidobaldo II con la nipote di
Paolo III. ;

Morta in Fossombrone ai 18 febbraio del 1547 Giulia
Varano (1) il duca s’ affrettò a riprender moglie sposando

Basta leggere il SARTI (op. cit.) per averne un'idea. Per esempio, tanto per ac-
cennare ad un vescovo — Pietro Bembo — che fu destinato a Gubbio sotto Guido-
baldo, dirò che il Sarti si esprime così: entrò nel novembre del 1543 con « ingenti
« pompa et magnifico apparatu, quasi in triumphantis modum (op. cit., pag. 221) ».
Si arrivava poi al delirio se il proprio pastore veniva elevato alla porpora o al seg-
gio di Pietro; e non starò a ripetere qui quello che appunto si ebbe occasione di
fare dal 1541 al 1570, ma rimando il "lettore alla Cronaca cit. del canonico don Fran-
cesco (Race. cit. ecc., pagg. 106, 107). Noterò soltanto che se grandi e solenni devono
essere state le feste per l' elevazione alla tiara di Marcello Cervino (9 aprile 1555,
Marcello 1I) vescovo di Gubbio, altrettanto deve esserne stato il lutto per la sua
morte (1 maggio 1555), perché « avea fatto molte provvisioni alla nostra chiesa con
« volerla fare a volta et adornarla di paramenti, calici, toriboli et altri ornamenti ».

Feste sontuose si fecero quando fu eletto cardinale Giulio della Rovere fratello
di Guidobaldo, secondo era stato pattuito fra il Papa e il duca per la conclusione
della pace del 1539, e quando il medesimo passò da Gubbio per raggiungere la le-
gazione di Perugia: A dì 15 gennaro 1548 furono fatte per tre sere grandi allegrezze
«per essere stato fatto cardinale l'Ill.mo e R.mo signor Giulio fratello del nostro
« signor duca Guidobaldo — A di 14 settembre 1548 il sig. cardinal Giulio passò per
« Gubbio, e il giorno seguente andò a Perugia » (Cronaca cit. di don Franc.; Racc.
cit. ecc., pag. 107).

E continuando a spigolare la Cronaca cit. (Race. cit. ecc., pagg. 198, 109), si ha:
« A dì 10 di giugno [1554] l'ambasciatore del re di Franchia passò per la nostra città,
«il quale andava a trovare lo imperatore in Inghilterra.

« corso di n. s Papa Paolo IV [EZ noto che Paolo IV si unì ad Enrico II di Francia
« contro gli Spagmuoli che devastarono lItalia]:che in tal giorno alloggio qui nella
« nostra città et non fece danno alcuno; il loro capo era monsignor di Mola.

« A di ultimo d'aprile 1558 furono fatte molte allegrezze per tre sere perché il
« nostro principe [Francesco Maria figlio di Guidobatdo II) si assoldò con il re Fi-
«lippo con gran provvisione. A dì 24 di maggio, il principe di Urbino, figlio del
< duca Guidubaldo venne nella nostra città, la quale gli andò incontro con tutti li
« capitani et persone nobili et tutta la gioventù in ordinanza armata. Ogni quar-
« tiere portò la sua insegna et furono fatti gran presenti et onori.

« A dì 10 settembre 1562 venne il signor cardinal di Urbino per andare a tro-
« vare sua eccellenza. Stette qui due giorni in casa del Bentivogli, poi andò alla
« volta di Urbino.

« A dì 11 di luglio [1566] tornò il signor principe figlio del nostro duca, il quale
« era stato al servitio del re Filippo [secondo] anni tre, et la nostra Comunità man-
« dogli quattro ambasciatori, cioè m. Giovanfrancesco Andreoni, il capitano Adriano
« Bombaroni, m. Gioseffo Ondadei et m. Vincenzo Marioni ».

(1) Si fecero l'esequie in Urbino ai 24 marzo, e gli eugubini mandarono 20 dei
loro a rappresentarli (Lib. ms. segn.: II, XVII, E. L.; Bibl, cit.).
236 A. PELLEGRINI

Vittoria Farnese, figlia di Pier Luigi duca di Parma. L'atto
nuziale si firmò ai 4 di giugno dello stesso anno, e ai 20

furono fatte in Gubbio « grandi allegrezze per tre sere (1) »,
quasi come preparazione a quelle che dovevansi celebrare
più tardi, quando la nuova duchessa sarebbe venuta in per-
sona a visitare i buoni eugubini. Nè si fece poi molto aspet-

tare: il 18 di settembre arrivò il duca, da solo, per andare

a

Perugia a visitare il Pontefice; l'11 decembre, il fratello

di Vittoria, Ottavio Farnese, e gli fu fatto grande onore (2);

il

26 di gennaio del '48 la duchessa « con una bella, caval.
leria; dove furono fatti quattro archi trionfali bellissimi
et molto apparati et fu fatta una grande spesa, mentre
quaranta giovani vestirono di velluto paonazzo con una
manica con i gigli bianchi et tutto il resto dei giovani si
misero in ordine con dispendio grandissimo et la nostra
città pareva una Roma (3) ».

"Un anonimo che scrisse certo di veduta, ci ha traman-

dato una relazione, sgrammaticata sì e senza sintassi, ma
assai espressiva, intorno agli addobbi fatti per l'occasione:

« Allegrezze fatte da Gubbini nel ricever la duchessa Vit
toria Farnese moglie di Guidobaldo II; Nella prima entrata
— a S.to augustino: Ingredere felix victoria omen acce-
pimus. — Nello archo da S.to Antonio, nel primo incontro,
da capo un giglio grande, sotto al giglio la felicità dove
e scritto: venit felix; da mana destra la richeza /dove è
scritto]: venit dives; da mano sinistra la liberalità /dove ?
scritto]: venit liberalis. Nel fregio: Vict... Ro. ob insignes
virtutes P. C.; da uno canto de sopra la victoria et de
sotto la prudentia, da l'altro canto medesimamente la vic-

(1) Cronaca cit. del can. Don Franc. (Racc. cit. ecc., pag. 107).
(2) Ibidem. Ottavio Farnese andava anche lui a Perugia a visitare Paolo III.
(3) Da un altro documento riportato dall’ UGOLINI (op. cit., vol. II, pag. 273) si

ricava: « ... quattro archi trionfali bellissimi e molto ornati, particolarmente col
« busso... Furono fatte grandi allegrezze, gran presenti con gran trionfi, grandi ap-
« parecchi di roba da mangiare; a segno che più some di polli e cacciagioni, con

« ogni altra sorta di roba. da mangiare furono mandate in Urbino ».
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 237

toria et de sotto la carità sotto l'archo da uno canto e una
victoria in carro triunphale et ha ligati li sette peccati
mortali et è scritto de sopra: Is demum versus triumphus
est iustus —. De contro è una victoria incoronata da quat-
tro virtù: iustitia, prudentia, forteza et temperanza dove
è scritto de sopra in greco, dal altro canto de l'archo, da
capo, uno giglio grande, de sotto e la imagine de la virtù
che abbraccia uno giglio da canto et pocho sotto decta
imagine sonno doi quadri con lettere grece. Nel fregio e
scritto: hac victorie sunt artes, que ei comparetur; a capo
larcho sonno doi fame et cusi dal altro canto. Tra le co-
lonne de larcho da uno canto et de sopra è la fede, et de
sotto la speranza et dal altro canto de sopra è marte et
de sotto la forteza. Andando piü avanti, é uno archo in-
tessuto et ornato de hedera assai ornato dove è scritto:
Sic mentes vestras optimus deus optimo amore vinciat.
Piü avanti nel archo de S. Martino, nella cima, é uno
marte; nel fregio è scritto C. V. et vict. novis coniugibus
optimis fortis unisque P. E. — Fra le colonne de sopra è
jove sopra una aquila, et de sotto marte, da l'altro canto
tra le colonne, de sopra é venere con Cupidine et de sotto

la vietoria. — Da laltra faccia de decto archo nella cima
è cerere con spighe de grano et altri fructi. — De fuora

tra le colonne, da uno canto é marte dove é scritto de
sopra: hic vero Carminibus aut titulis non indiget sese
ipse quantus sit ostendit. — Da laltro canto tra le colonne
è una victoria, dove è scritto de sopra: non palma esi
insigne michi amplius atque illa Jovis quercus; apud quer-
cum lux..(?) non tenebre; et nel fregio de dicto canto è
scritto: Nefas erat se alij vict... (?) — Drento sotto larcho
è uno triptolemo in uno Carro che semina et ha denanti,
dove è scritto de sopra in greco, et de sotto sono questi
versi; Letare. est princeps tua iam victoria. non te | Am-

« plius iste capit angulus italie | Letare et uncta es postquam

«

victoria marti | Curas pone. iuvet et meminisse morae |
16
«
Es ecs «
Me : x È

«

A

ERT REZZA RI,

238 A. PELLEGRINI

Eugubium letare. regunt victoria mavors | Lilia. marchus
adest. quis tibi iam noceat? — De contro a questo è la
imagine de marte et de la Vectoria a sedere, abbraciata decta
victoria da esso marte et denanti è uno homo antiquo quale
apresenta larme de la comunità de eugubio, dove è scritto
de sopra: urbs vestra est, favete, juvate Caius Caia, et de
sotto é scritto: Miravis cur distulerit victor iungi! | hanc
martis tantum fas erat esse deam | Miravis properasse
deum coniunger ipsi! | Jndiget haec misera martibus italia.
— Arivando in piaza è uno altro archo dove nella cima
è la imagine de la alegreza; et nel fregio è scritto: ad
declamandam felicis coniugij publicam letitiam. pP. E. —
Sotto larcho da uno canto sonno le tre gratie, dov'é scritto
de sopra: Adsunt et gratie decentes, dal ultimo canto è
mercurio et venere, et è scritto de sopra: Non sine mer-
eurio venus, et tra le colonne da uno canto è depento uno
bamboccio et è scritto de sopra: Tollite pueri faces virgo
adest, et de sotto e sopra: Invicta et pulchra faciunt vos
prole parentes Juppiter onnipotens equior italie; dalaltro

canto, tra le colonne, è un altro bamboccio dove è scritto
de sopra: viden ut faces aureas quatiunt comas, e de sotto
è scritto: ut inter vidi atque hederam complectier ulmos

| sic nos per vingat atque amor atque fides, et de sotto
a Canimede rapito da la quale, et de contro è leda et el
Cigno. Dal altra faccia de decto archo in cima è la con-
cordia, et è scritto: Bona que speramus veniant saecum
dum que sit coniugium, et da uno canto, tra le colonne,
è uno putto che sparge le noce, et è scritto: Sparge nu-
ces puer, et de sotto è scritto: Omnia habeant boni co-
niuges comunia, et dal altro canto è un altro putto, dove
è scritto: Des opera presit tramen vir ut anima corpori,
et de sotto e scritto: que tibi veniunt here quanta gaudia,
et sotto questo è uno alicorno adormentato in grembo ad

una .d. et da laltro è Europa portata dal tauro (1) ».

(1) Lib, ms. segn.: III, XVIII, B. 14 (Fondo Armamni ; Bibl. cit.).
————

uictio it

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 239

Abbiamo già altre volte veduto come gli eugubini do-
vessero concorrere a pagar di persona e di borsa, quando
esigenze della pubblica sicurezza lo richiedevano ; adduce-
vano dapprima qualche scusa, tergiversavano, e poi, come
s'è visto, pagavano. E nello stesso modo contribuirono nel-

l'agosto del '66 — come avean fatto nel 57 e nel '58 in oc-
casione del passaggio dei francesi condotti dal duca di Guisa
contro il duca d'Alba — quando, « correndo il sospetto di

« un'invasione dell armata turchesca nell'Adriatico, il go-
« verno ducale provvide a crescere i presidii in Pesaro e
« Senigallia (1)»; Gubbio è invitata con lettera degli Uditori
del 17 agosto '66 a mettere in pronto « quella rata che li
« tocca, che se li dirà poi di certo quanto sarà (2) >.

Ma dimostrarono in ben altro modo il proprio risenti-
mento o si opposero addirittura tutte le volte che furono
tassati per ragioni per cui non si poteva invocare la sicu-
rezza pubblica, poichè allora intendevano bastassero le vec-
chie tasse (3) per il consueto e regolare andamento dello
stato. Nè potremmo accusarli di disamore verso i duchi,
quando si pensi che il paese non navigava in buone ac-

(1) L. CELLI, op. cit., pag. 44.

(2) La lettera é pubbl. dal Celli, op. cit., pag. cit.

(3) A pag. 8, n. 1, di questo studio, ho accennato a quali tasse fossero sog-
I sec. XVI in causa della aumentata fertilità del

getti gli eugubini e crebbero poi ne
territorio. Il lettore può farsene un idea esatta leggendo lo studio cit. di L. CELLI,
qui basterà che io noti che una

(Di S. Gozzolini da Osimo ecc., pagg. 119 e segg.);
delle principali tasse era quella sull'industria della lana, essendo Gubbio e Cagli le
sole città del ducato dove si facesse « qualche faccenda dell'esercizio della lana »
(Cfr. Relaz. del 1547 di Matteo Zane, in E. ALBERI, Op. cit., vol. cit., ser. cit., pag. 394.
— L. CELLI, Op. cit., pag. 39, n. 4. — E già che accenno all industria della lana dirò
ehe Francesco Mingueci pesarese, in un volume dedicato a Urbano VIII, il 2 d'aprile
del 1626 sugli Stati, Domini, Città ecc. de" duchi e principi della Rovere (Bibl. Bar-
beriniana, cod. XLIX, 23) scrive: « La città [di Gubbio] per natura é fiera e belli-
« cosa; il popolo attende all’ artificio de
« l'arte del lanificio avea già tradizioni secolari nel vecchio stato de’ conti di Mon-

« tefeltro come a Cagli e a Gubbio, i cui statuti ne prote

lle lane da che ricava molto guadagno ». E

ggevano l'esercizio con ge

« losi provvedimenti » (L. CELLT, Op. cit., pag. 39, n. 4).
240 A. PELLEGRINI

que (1) tanto che la Comunità era sovente costretta a con-
fessare la propria miseria (2).

Or dunque, avendo Guidobaldo, per facoltà di Pio IV,
aumentata nel 1562 la tassa sulla tratta dei grani, gli eugu-
bini non insorsero, a quanto pare, come fecero dieci anni
dopo, ma, covando risentimento, tentarono prendersi la rivin-
cita verso il duca, la prima volta che l'occasione si presentó
loro. L' Ugolini racconta (3): « Custodivasi nelle pubbliche
« prigioni un perugino; nè la cronaca dice per qual ca-
« gione; ora avvenne che costui fuggisse e si ricoverasse
« nel palazzo del Comune, nel quale per l appunto i padri
« stavano adunati per consultare sui negozi municipali. Il
« podestà, informato della fuga e del ricovero, corse nella
« sala del Consiglio, dicendo esser ivi fuggito dalla prigione ;
« e fu data commissione che si cercasse per esso; e non
« essendo stato trovato dal podestà, la notte parti il prigione
« dal detto palazzo. Crede il principe » — e così doveva
essere — « che gli adunati avessero tenuto mano a na-
« scondere il fuggitivo; e il gonfaloniere Raffaele Raffaelli,
« e un priore, imprigionò e rinchiuse nella rocca di Pesaro:
« ma... laffronto fatto alla città per l incarceramento del
« magistrato municipale, non era proprio à raddolcire gli
« sdegni ».

Non sappiamo qual seguito avesse quest'incidente; ma
v'è ragione di credere che le cose si accomodassero con
soddisfazione de'sudditi, poiché, come vedremo, da alcuni

(1) Da alcuni prospetti riportati dal CELLI (op. cit., pag. 170), ricavasi che l'uscita
di Gubbio verso la prima metà del sec. XVI era di sc. 1205, mentre l'entrata non
arrivava che a sc. 970, oltre le entrate patrimoniali.

(2) Come s' è visto, incominciò già a lamentare la propria miseria nell aprile
del '59 a proposito delle continue richieste di guastatori. Ai 26 d' ottobre del ’63, i
Consoli serivono: « ... la supplichiamo che le piaccia ordinare che la spesa del ba-
«rigello sia adossata ai delinquenti, secondo l'ordine di già dato, che questa Co-
« munità é tanto povera che sarebbe impossibile a portar un tal carico » (Cfr. Lib.
ms. segn.: Cl. I, D. G., F. CCLV; Arch. di Stato cit.).
(3) Op. cit., vol. 2, pag. 28.
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 241

bandi che contemplano la vita interna, emanati nel '65, ap-
pare che nessuna preoccupazione il duca nutrisse più per la
quiete di Gubbio.

Non così liscie andarono le cose nel 1572. Vi fu un vero
e proprio principio di ribellione, davanti al quale Guido-
baldo dovè cedere del tutto.

L'egregio avv. L. Celli, nel suo bel libro, Tasse e rivo-
luzione; della sollevazione di Urbino ecc. ha bene illustrato
questo momento: « Alle condizioni finanziarie faceano un
« triste riscontro quelle economiche del ducato, perchè, ad
« eccezione di Pesaro e Senigaglia e delle altre terre o ca-
« stelli della parte marittima, le altre città della parte mon-
« tana, e per la sterilità del territorio e per l'assoluta man-
canza delle industrie ecc., versavano in generali angustie
e disagi ». Aggiungi l'errore « di aver concentrato a Pe-

^

^

« saro tutto il governo, abbandonando, o quasi, Urbino e
Gubbio. Queste circostanze critiche aumentarono le diffi-
coltà dell’erario ducale, e Guidobaldo non trovò altro espe-
diente per liberarsene, che di chiedere al nuovo Papa
Gregorio XIII il permesso d'imporre nuovi dazi ai sudditi,
fino alla somma di 20 mila scudi: ed ottenne d’imporli
non uguali per tutto lo stato, ma diversi per le diverse
« città: a Gubbio /specialmente] su panni e sul bestiame >.
Sebbene le tasse che imponeva fossero miti, pure anche lui
presentiva bene l'impressione sfavorevole che avrebbe incon-
trato col toccare la borsa dei contribuenti...; n'è prova un de-
ereto che fece scrivere dagli Uditori e che corresse di pro-

A

A

A^

^

^

^

prio pugno (1).
Urbino, Cagli, Fossombrone, Gubbio ecc. si commossero
infatti in maniera straordinaria e pensarono subito al modo

di esserne esonerate.

(1) Il decreto è del 28 settembre 1572 è fatto a bella posta per preparare e in-
durre l'animo de’ sudditi ad accettare di buona voglia le nuove imposizioni. (È pub-
blicato in op. cit. del CELLI, pag. 39).
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A. PELLEGRINI

« Gubbio risolvette di mandare a Pesaro un'ambasceria
composta di 12 gentiluomini, tra i quali erano il conte Ot-
taviano Bentivoglio, messer Cristoforo Panfili, già stato
uditore ducale, messer Girolamo Gabrielli, il capitano G.
M. Baldinacci... [e] mossero alla volta di Pesaro il giorno
9 dicembre...

« Consapevole il duca del loro imminente arrivo, mandò
in fretta ad incontrarli per istrada, Niccoló Salarini suo
segretario, con l'ordine di farli tornare indietro (1). All'Ac-
qualonga ebbe luogo l'incontro, ove gli oratori furono
trattenuti con modi cortesi e promesse formali: e due di
loro si indussero a tornare a Gubbio per ottenere che il
Consiglio mutasse la fatta deliberazione. Ma il tentativo
non riuscì: l ambasceria riprese la via di Pesaro per
adempiere il geloso ed importante mandato. Il duca do-
vette suo malgrado riceverli, e vennero a lui introdotti
nella villa di Miralfiore, ove esposero la loro ambasciata,
ed il memoriale che portavano consegnarono agli Uditori
Roberto Monaldi di Pesaro ed Alessandro Marsili da Ur-
bino, presente Paolo Mario vescovo di Cagli, consigliere
di somma autorità presso Guidobaldo ed a cui forse si
deve il disegno delle nuove gravezze.

« L/esposizione delle doglianze della città fu lunga e mi-
nuta; chiedevano l'esenzione non pure dai nuovi dazi, ma
anche dall imposta detta della muraglia di Pesaro e Se-
nigaglia che da molti anni » — lo abbiamo già visto —
pesava su tutto lo stato; imploravano una riforma delle
pene arbitrarie introdotte da recenti decreti contro l'ordine
fisso degli statuti, massime delle multe che erano aumen-
tate del 20 per cento; volevano abolite le prestazioni di
paglia, legna, biade che ab antico facevansi pagare solo a

(1) Il Salarini aveva anche scritto a Gubbio, per dissuadere gli ambasciatori a

partire; ma Il'11 la Comunità rispose al duca che gli ambasciatori mandati a posta
avrebbero risposto a voce alla lettera (L. CELLI, op. cit., pag. 47, n. 1).

— A:
addat SEU iae

ves mu

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 243

ville e luoghi più opulenti, ed ora gravavano universal.
mente su tutti, persino sui contadini, che, non facendo la-
« vori e non possedendo nulla del proprio, erano costretti
« a comperarne pei loro bisogni. Si lamentavano del ricor-
« rere continuo dei poveri alla corte per comporre le con-
« travvenzioni, dove prima si aggiustavano in Gubbio diret-
« tamente col Riveditore ducale ed altri ministri di S. E.,
« importando molte volte più la spesa del viaggio che l'am-
« montare del debito, oltre la perdita del tempo. Enumera-
« vano laumento subito di tutte le tasse preesistenti, cioè
il 25 per cento sui dazi ordinari e sul sale; l'uno e un
« quarto per cento sui panni; la tassa per capo del contado
« (o, come allora si diceva, le bocche) che prima pagavasi
« dai sette anni, ed ora dai tre in su; la gabella sulla ven-

A

A

« dita del vino a minuto a grossi (1) quattro la soma, oltre
« l'ordinario, estesa alle terre di Cantiano e di Scheggia;
« la tassa imposta ai calegari (quoiai) e l'altro di un giulio (2)
« la soma sullo scotano, che era raccolto solo dai poveri.
« Rappresentavano che l'entrata ordinaria della città e del
« contado di Gubbio, mentre prima fruttava alla Camera
« ducale poco piü di 3500 ducati, al presente toccava i sei-
« mila; non potere adunque non essere incomportabili le
« nuove tasse del quattrino (3) per libra sulla carne, dei tre
« giuli sopra gli animali suini oltre l' ordinario, e le altre.
« Questi lamenti, e via più lautorità che le persone degli
« oratori esercitavano sulla corte, sortirono il loro effetto ;
« dappoichè fu accordato dal duca l’esensione della gabella
« nuova di quattro giuli sui suini e di otto sulle bestie grosse,
« e la sospensione dell aumento del due per cento imposto
« sui dazi ordinari cinque anni prima; e di 5 grossi per
« soma sulla vendita del vino a minuto (4) ».

(1) Il grosso equivaleva a 60 cent.
(2) Il giulio equivaleva a 54 cent.
(3) Il quattrino equivaleva a poco più di 1 cent.
(4) L. CELLI, op, cit., pagg. 35, 38, 39, 43, 47, 48, 49 (Torino-Roma, 1892).
A. PELLEGRINI

Dunque, il tentato inasprimento delle tasse fu piuttosto
un bene per Gubbio, perché le si presentò l' occasione di
protestare nuovamente contro aleuni de' vecchi dazi e di
commuovere uua buona volta il duca.

È facile comprendere quale invidia sentissero le città

consorelle, e come raddoppiassero i loro sforzi per ottenere

listesso intento. Urbino specialmente, dopo aver esplorato
ogni via pacifica, ricorse a tumulti e ribellioni; chiese aiuti
alle altre città, le invitó a ribellarsi; e nella foga della pas-
sione, gli urbinati ebbero l'ingenuità di ricorrere anche a
Gubbio (1) Ma era naturale che gli eugubini rifiutassero di
rendersi solidali, quando si pensi che tra i due popoli non
correva buon sangue, e quando i nostri erano omai riusciti
nel loro intento. Anzi, dirò che si sforzarono di dimostrare
tutta quanta la loro riconoscenza verso chi li aveva esauditi.

Appena conobbero la grazia ricevuta, vennero in Pesaro,
scrive il Celli (2), « e furono accolti con molte carezze, gli
« oratori mandati dalle Comunità di Gubbio e di Cagli per
« ringraziare /i duca] della sospensione dei dazi, e ritorna-
« rono con lettere piene di affettuosa benevolenza, che pa-
« revano dettate espressamente per far dispetto agli urbi-
« nati (3) ». Quindi, Guidobaldo, quasi temendo che gli altri
paesi, sia di propria iniziativa, sia perche sobillati, prendes-
sero le parti d'Urbino, quando egli fosse ricorso a vie di
fatto per obbligarla a quietarsi, il 25 di gennaio del '(3
scrive al Gonfaloniere e Consoli di Gubbio una lunga lettera
di cui i passi principali sono i seguenti: « Haverete inteso
« da molti di in qua il mal procedere e cattivi modi tenuti
« dalla città d'Urbino con tutto che in essa vi siano assai

(1) Serissero, ai 26 di gennaio 1573, lettere alle vicine città e terre: Montefeltro,
Casteldurante, Fossombrone, Gubbio ecc, (Cfr. L. CELLI, op. cit., pag. 141).

(2) Op. cit., pag. 120.

(3) La lettera per Gubbio, datata da Pesaro, del 22 gennaio 1573 é pubbl. da
L. CELLI (op. cit., pag. 121).
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 245

« hanno costretto a fare quelle provisioni che in tai casi si
« ricercano per valerci della forza in conservare l'autorità
« e dignità nostra et in reprimere l'aroganza sua, non ci
« essendo valsa seco misura onorevole e paterna amonitione ;
« peró habbiamo fatto metter gente insieme in buon numero
« per condurre a quella volta, e perché non abbia dare al-
« teratione alcuna al resto del nostro stato, sentendosi tali
« apparecchi, ci è parso conveniente di darne parte in ogni
« luogo, acciò con l'animo quieto ecc. Ci rimettemo al pre-
« sente Angeli, mandato nostro, acciò meglio restiate infor-
« mati del tutto, e vi dica appresso l'intenzione che abbiamo
« di servirci di alcuni di Voi in tale occasione ecc. (1) ».
Questa lettera mostra apertamente la buona e fine po-
litica del duca, mirando con essa a raggiunge tre scopi:
giustifica i provvedimenti che ha preso e che sarà per pren-
dere e mira ad attenuare la dolorosa impressione che tali
provvedimenti avrebbero potuto produrre sull'animo dei sud-
diti; ricorre all'autorità degli eugubini, forse perché lo aiu-
tino di consiglio, se pur non intende valersi dell'opera di
capitani o soldati di Gubbio, sicuro che ben volontieri sa-

rebbero andati contro quei d’ Urbino in sua difesa, e con- -

vinto che, in fin dei conti, erano essi i migliori nell’ arte
guerresca fra tutti quelli del ducato (2).

Il fatto sta che gli eugubini si affrettano a rispondere
con una lettera esprimente una piena devozione. Si dolgono,
cioè, del poco affetto degli urbinati, ringraziano S. E. di
averli avvertiti, e quindi soggiungono: « ... Siccome noi par-
« tecipiamo d'ogni suo dispiacere e male soddisfattione verso

(1) Dal libro secondo ms. segn. « collettanea »; Arch. del Duomo di Gubbio.

(2) L'ambasciatore veneto Zane Matteo scrive: « ... si potrebbe fare in questo
« stato [d' Urbino] per difesa propria diecimila fanti... e tra loro vi sono quelli di
« Agubbio che per particolar privilegio hanno il primo luogo di bravura et attitu-
« dine alla guerra » (Cfr. E. ALBERI, Op. cit., Race. cit., vol. cit. ecc., pag. 324).

de’ buoni, i quali modi essendo passati tant'oltre che ci,
246 A PELLEGRINI

« quel suo popolo, così a comun benefitio non cesseremo
« pregare Iddio che per sua misericordia si degni illuminare
« et humiliare quelli animi verso la persona di S. E. Ill.ma
«eco. (Ds.

Ma ora é tempo di parlare di altre cose, visto che la
questione d'Urbino non ha più, in seguito, alcuna ripercus-
sione in Gubbio.

Monteleone di Calabria, maggio 1905.

(Continua). A. PELLEGRINI.

(1) Lett. del 3 febbraio 1573; Lib. ms. cit.; Arch. cit.
ANEDDOTI DI VITA CLAUSTRALE

E IN DUE MONASTERI UMBRI DEL SECOLO XIII

Dell'antieo monastero di S. Maria di Oselle nel territorio ti-
fernate poche notizie rimangono oltre la breve menzione ehe ne
3 fecero FEDELE SOLDANI nella sua Historia monasterii sancti Mi-
chaelis de Passiniano (Lucca, Marescandoli, 1741 ; lib. III, pag. 125)
e il Muzi nelle Memorie ecclesiastiche di Città di Castello (vol. IV,
eapp. XVI e XVII, pagg. 161-172). Dei molti documenti che quel
convento dovea possedere, solo alcuni pochi mi fu dato rintrae-

O————

i ciarne nell’archivio domestico della nobilissima famiglia de’ mar-
ES chesi Bufalini, conti di S. Giustino (1), i cui antenati sin dalla
metà del sec. XII avevano fatte donazioni di beni a quel pio
luogo, e di cui poscia due illustri soggetti, mons. Ventura vescovo
di Massa e Populonia, nel 1489, ed il cardinale Giovanni Ottavio,
z nel 1729, furono abati commendatari di Oselle.

Altri ragguagli però, assai interessanti — sebbene non molto
edifieanti — per la seconda metà del sec. XIII, ne rinvenni nel-
Á larchivio diplomatico di Firenze, tra le pergamene della storica
3 abazia di S. Fedele di Strumi in Poppi, fondata nel sec. X dal
conte Tegrimo il Vecchio, della celebre casa de’ Guidi. A quella
infatti eran soggetti da antichissimo tempo così il cenobio di
Oselle, come la chiesa e il monastero di S. Jacopo di Città di
Castello: ond’è che le loro vicende si trovano costantemente e
strettamente ‘connesse. E invero, a dì 16 luglio 1258, come ri-
sulta da autentico atto rogato da ser Benintendi detto Tendino,
notaio di Poppi, Xiovanni abate di S. Fedele procede, nel chiostro

Um niin

(1) Vedine l'inventario-regesto ch'io stesso ne diedi negli Archivi della Storia
d’Italia di G. MAZZATINTI, vol. IV, pagg. 46-68.
248 G. DEGLI AZZI

di Strumi, all’elezione del priore e rettore di S. Jacopo nella per-
sona di Giovanni priore di S. Maria d'Oselle, eommettendone
l’ investitura al monaco osellense Filippo.

Sembra però che il nuovo eletto preferisse indi a poco resti-
tuirsi all'antiea sua sede, dove cominciarono a verificarsi guai
così gravi che l'abate di Strumi, sollecitato dalla pubblica indi-
gnazione, dovè recarvisi per procedere, come legittimo ed imme-
diato superiore, ad una rigorosa inchiesta, dalla quale, 1’ 11 feb-
braio 1261, risultò, nientemeno, che sette di quei monaci avean
congiurato contro la vita del priore per favorire le mene faziose
di certi nobili tifernati; che il priore stesso ed i monaci menavan
tutti vita scostumata e licenziosa, trascurando l’obbligo de’ divini
uffiei, del soccorso a’ poveri e dell’ assistenza ai malati, mante-
nendo relazioni con femmine, banchettando co’ laici nel convento,
e ritenendo entro la clausura, anzi nelle loro celle puraneo, donne
e ragazzi, tra cui il supposto bastardo d’un prete; che avean con-
tratti ad usura debiti rovinosi, e impegnato persino il messale,
per sopperire alle loro intemperanti e spendereccie abitudini
(doe. I).

In presenza di eccessi siffatti l' abate, eol lodevole intento di
non erescer pubblicità a tali scandali, si limitò ad ordinare rigo-
rosi provvedimenti disciplinari e a punire que’ frati ribelli che
avean osato, per fini mondani e faziosi, tramare contro la vita
del loro superiore. A nulla però tali premure approdarono : poichè
mentre analoghe accuse si ribadivano contro i claustrali di Oselle,
altre gravissime ne sorgevano pur contro il priore di S. Jacopo
di Castello. Onde il nuovo abate di Strumi, Andrea, dovè con
due separati atti, l'uno de’ 19 marzo e l’altro de’ 24 marzo 1262,
rogati rispettivamente in S. Jacopo e in Oselle dal notaio tifer-
nate Finello, confermare e aggravare le fiere rampogne e le già
sancite misure di prevenzione contro codesti suoi dipendenti.

Ma non andaron guari quattro anni che quei d’ Oselle torna-
rono ai soliti abusi: onde lo stesso abate Andrea, con riforma
autenticata li 2 novembre 1266 nel Capitolo osellense dal notaio
Jacopo di Rampone, confermando tutte le precedenti disposizioni,
dovè imporre a quei monaci l'obbligo di costruirsi un proprio
refettorio e un dormitorio, ove dovesser mangiare e coricarsi sen-
za intervento di profani e specialmente di femmine, come di

inn ire

ANEDDOTI DI VITA CLAUSTRALE, ECC. 249

provvedersi d'appositi orologi a sveglia per esser desti alle ore
canoniche: giacchè sembra che, a ristorarsi delle orgie, que' bravi
religiosi trovasser comodo di dedicare al riposo gran parte del
tempo riserbato a’ divini uffici.

A tutti gl' ineonvenienti sino allora deplorati s' aggiunse, due
anni appresso, l'andazzo d'indossar vesti (« interulas vel cami-
sias ») di stoffe e foggie vietate dalle austere costituzioni vallom-
brosane, e quello di portar armi proibite a difesa e ad offesa :
talchè li 12 maggio 1268 (rogito del notaio Ubaldino de’ Fronzoli)
ecco di nuovo l'abate a prescrivere e condannare, oltre tutto il

‘resto, anche quelle secolaresche abitudini.

Più grave fu il fatto commesso nel 1275 dal monaco Pietro,
il quale, non pago di praticare infinite irregolarità nella celebra-
zione de’ sacrî riti e di ritener presso di sè illecite e prave serit-
ture, avea osato indurre un tal Federico suo complice ad aecu-
sare presso il conte Simone [da Battifolle] il priore d’Oselle e lo
stesso abate di Strumi, minacciando Dio sa quali sciagure al suo
convento ed all’ Ordine tutto. Colpito da tanta audacia, l' abate
Andrea lasciò questa volta le blande misure e fulminò senz’ altro
sentenza di scomunica contro il monaco prevaricatore (atto de’ 14
giugno 1275, a rog. di Jacopo di Rampone; nel Capitolo d'Oselle).

Nè, purtroppo, quel fatto costituiva solo un fenomeno isolato
e sporadico, ma era l’ indice fatale della general corruttela : i frati
stavano in coro, quando pure v'andavano, in maniche di camicia,
senza curarsi di tener indosso le cappe o cocolle e senza neppure
tener innanzi agli stalli i leggii (« prosperas ») che imponevano
le consuetudini di Vallombrosa ; vestivano « pannos, calziamenta
et omnia alia, inhonesta et dissoluta a regula >»; mangiavano a
modo loro, anzi ciaseuno per conto proprio si procacciava diret-
tamente cibi e manicaretti a sua voglia, senza che vi fosse un
camarlingo che provvedesse a’ mer sati l’occorrente per tutti; tra-
seuravano in modo indegno gli esercizi del culto, la chiesa, la
sagrestia, le opere di carità, tutto quanto. E allora torna per due
volte di seguito, in men d'un anno, il povero abate Andrea a rin-
carar la dose de’ rabbuffi, delle minaccie, de’ divieti e delle san-
zioni, la cui inefficacia ci è provata dalla necessità delle continue
ripetizioni, come pure. dalla mitezza de’ gastighi inflitti a quei
scapestrati : per le infrazioni infatti alle regole del coro si com- 50 G. DEGLI AZZI

minava, e per un sol giorno, di stare a pane e vino. Ma l' affare
più grave era sempre sempre quello dell’ abusivo commercio con
donne: e su questo punto poi i monaci si mostravano ostinata-
mente recalcitranti : talehè l'abate, che il 3 giugno 1275 (« inqui-
sitio acta in Capitulo Usell. », a rogito di Jacopo Ramponi) avea
dato un mese di tempo per lo sfratto di quelle spudorate dal cir-
euito del monastero, dove li 13 giugno del seguente anno ripetere,
senza prefiggere un termine, quell’ ingiunzione, consentendo anche
che le converse potessero restarvi. E poi, ai 13 dicembre del 1277,
dovè limitare ancora il rigor del divieto, ammettendo che di donne
potessero starvene, ma non oltre il confine designato nel recinto
del monastero da un’annosa querce, salvo che dovessero acceder
alla chiesa per bisogno dell’ anima o fosser costrette dai pericoli
delle guerre a ripararsi sotto l'amiea ombra del chiostro. E, come
se queste transazioni fosser pur poche, altri motivi eccezionali di
compassione o di pietà (doe. II) potevano raddurre le discacciate
sotto l’egida delle sacre cocolle.

Questi particolari che lo storico non dee ereder lecito di tra-
seurare, perchè utilissimi allo studio e alla conoscenza delle isti-
tuzioni e de’ tempi, non sono certo molto edificanti, come avvertii :
ma dessi sono un nonnulla in confronto degli eccessi che il nuovo
abate di Strumi, Agostino, dovè constatare, li 16 dicembre 1290,
a carico di quell’altro suo sottoposto Basilio, priore della chiesa
S. Jacopo di Castello dove, come nel cenobio osellense, pareva
omai essersi troppo profondamente radicata la mala pianta della
dissolutezza (doc. III) (1).

GIUSTINIANO DEGLI Azzi VITELLESOHI.

(1) È indubitato che i conventuali d'allora dovean essere di manica molto
larga, poiché ma'grado le sue gravissime colpe, prete Basilio non fu destituito, ma
troviamo che li 12 febbraio 1801 fa pubblico: atto di sudditanza e reverenza a Fran-

. cesco nuovo abate di Strumi; e nel 1306 a dì 4 novembre, rinunzia spontaneamente
al suo beneficio, nel quale gli succede quel monaco Pietro che n'era stato implaca-
bile accusatore al tempo del processo. Dopo quest’ epoca i due pii luoghi non sem-
bra fossero più bruttati di scandali, e nel 1335, a' 2 novembre, il nuovo priore di
S. Jacopo di Castello meritava d’ esser promosso rettore di Oselle; finché, li 10 di-
cembre 1445, Jacopo di Perzinvalle da Reggio, abate di S. Fedele di Poppi, riunì
nella persona d'Antonió di Checco da Casalecchio i due priorati di S. Jacopo di Ca-

stello e di S. Maria d' Oselle.

E oops
GIA REC

ANEDDOTI DI VITA CLAUSTRALE, ECC.

APPENDIGE

Badia di S. Fedele di Poppi, già di Strumi.
Doc. I. 1261, Feb. 11.

In Dei nom. Amen. — Domnus Iohannes, licet indignus abbas mo-
nasterij sancti Fidelis de S[trumi], veniendo ad monasterium de Uselle
eidem abbati et monasterio memorato subiectum: volens in eo visita-
tionis, inquisitionis et reformationis offitium exercere, tanquam caput
dieti loci, plurium clamoribus incitatus, per quos de infamia et vita
inhonesta tam prioris quam monachorum et conversorum dicti loci san-
ete Marie de Uselle (intellexit; et ideo) descendit visurus et inquisiturus
si clamor qui ad eum pervenerat veritatem contineret: unde, congre-
gato Capitulo et coadunato prout moris est apud dictum locum,... pre-
cepit eis [monachis]... ut dicerent veritatem... Postmodum facta inqui-
sitione,... claruit evidenter quod quidam eorum [monachorum], silicet
donnus Rainaldus, presbiter Comandus, presbiter Arengerius, Bartolus,
Salee, Coezus, Girardinus, quedam iuramenta facerunt... de morte in-
ferenda donno Iohanni priori dieti loci. Item quod quidam alij, vide-
licet domnus Rainaldus, Bartolus, Salce, Coczus, iuraverunt in manu
cuiusdam laici... quod faverent parti quorumdam nobilium de Civitate
Castelli, videlieet domini Berardini et amicorum eius, et alias invenit
eos infamatos... Unde, cupiens ut actus eorum in melius reformentur...,
tale fecit preceptum : in primis quod offitium divinum, salva honestate
sua, pro posse facere[n]t nocturnum et diurnum. Item quod elimosinam
et hospitium pauperibus... elargiantur... Item quod mulieribus illicite
non loquatur; et, si possibilitas prebeat, retineatur hostiarius ad por-
tam dicte domus. Item quod laicos, prout minus poterit, ad mensam
[ipse Iohannes prior] retinebit et intra claustrum diete domus. Item
precepit eidem sub debito iu ramenti quod hi[n]e ad .viij. dies prox. re- 252 G. DEGLI AZZI

tineat Celonem in suo cubiculo et non ultra. Item... quod matrem suam
et quendam iuvenem nomine Marcum, qui dicitur esse filius presbiteri
Ugonis, in ipsa domo morari continue non permittat. Item... quod quem-
dam librum missarium qui est sub pignore apud creditorem hine ad
Kal. Aprel. prox. vent. redibeat, ita quod sit apud dictum monasterium
in termino memorato. Item quod aliquam mulierem intra portam infe-
riorem habitare non permittat nisi esset tempus guerrarum. Item... quod
nisi ex causa infirmitatis vel pro victualibus aut ex precepto domini
pape non faciant debitum usurarium per annum ad .x. lib. supra...

Lata fuit hec sententia apud mon.rium S. Marie de Usellis.

1 Ego Iacobus Raponis auct. ap. not. ete. Sub anno d. MCCLXI,

etc.
Doc. II. 1277, Dic. 13.

.. Hee est inquisitio facta... in monasterio S. Marie de Osellis dioc.
Castellan... per d. Andream abbatem abbatie S. Fidelis de Strumis...;
postmodum audita confessione secreta prius d. Coppi prioris et poste:
aliorum ipsius Capituli monachorum et conversorum,... [dictus abbas]
precipiendo mandavit... quod prior et monachi in omnibus et singulis
boris, e£ maxime in missis, vesperis et matutinis, stando in ecclesia
cucullas sive cappas indutas in dorso debeant habere et tenere, et qui-
cumque ex ipso Capitulo hoc mandatum habuerit in contentum, ipso
die quo neglexerit in solo pane et vino vescatur... Item quod omnes...
proprium habeant dormitorium eum orlogiis, ad sonum quorum sollici-
tius valeant... surgere ordinate ad divina offitia celebranda... Item quod
[prior] non permittat aliquam mulierem habitare in circuitu monasterij
dieti, nisi fuerit conversa, et maxime a loco ubi consuevit esse quereus
infra usus (?) monasterij, sed ab illo loco ubi consuevit esse quercus
usque ad portam per directum possit habitare et stare; nec ab illo loco
ultra, ut dictum est, non permittatur intrare aliqua mulier, nisi quando
ad ecclesiam pro animarum salute habent necesse ire, et nisi guerra-
rum discrimina cogat (sic) eas vel alia causa evidens et manifesta aut
de misericordia et pietate alicui fuerit permissum....

Acta... in Capitulo mon. de Osellis...

1 Ego Uguito q. Guidonis imp. auct. not...

Doc. III. 1290, Dec. 16.

Hec est inquisitio et visitatio facta per religiosum virum d. Augu-
stinum abbatem Dei gratia monesterij S. Fidelis de Strume, de vita,

"S —— ————— ANEDDOTI DI VITA CLAUSTRALE, ECC. 253

fama, operibus et moribus d. Basilij prioris ecclesie S. Iacobi de Civi-

tate Castelli,... que facta est pro bono statu et utilitate dicte ecclesie...
quia multa enormia relata sunt dicto d. abbati de dicto priore:

In primis d. Petrus monacus dicte ecclesie S. Iacobi..., iuramento
prestito, interrogatus per sacramentum de vita et honestate dicti d. Ba-
silij..., respondit quod... [dictus Basilius] malam et inonestam vitam
servavit et maxime cirea vitium luxurie et carnalitatis eum mulieribus ;
et credit et habet pro firmo quod usum carnale eum pluribus mulieri-

‘bus habuit existendo prior dicte ecclesie; et dixit quod audivit dici a

presbitero Franco capellano dicte eccesie quod ipse prior progenuit et
procreavit filium gradientem per terram de quadam muliere cum qua
habuit usum; et, nisi fuisset ipse presbiter Francus, vituperatus fuisset
ipse prior, et etiam totus ordo exinde obrobrium recepisset. Et dixit
etiam quod publica fama est, et publice dicitur in contrata et parochia
et populo diete eeclesie, quod ipse prior contaminatus est de ipso vitio,
et etiam nune dieitur et audivit dici quod quedam mulier pregnans est
ex eo priore... Circa autem elemosinas non bene se habuit nec carita-
tive, et ea que pauperibus eroganda erant aliter turpiter expendebat...
Dixit etiam quod de tesauris dicte ecclesie calicem pingnoravit... Dixit...
quod bene contraxit debita, sed nescit quanta... et credit quod multa
fraudasset in bonis ecclesie... Et, generaliter concludendo, quia dificile
esset omnia spetialiter enarrare, dicit quod dietus prior circa vitam,
honestatem, mores, opera et dieta sua dissolute... se habuit... etc.
Presbiter Francus, capellanus dicte ecclesie S. Iacobi, iuravit... quod
dietus d. Basilius habuit usum carnalem cum Nobili, filia Venture de
Laguinza, prout ipse prior dixit et non negavit ipsi presbitero Franco:
et dicit quod ipsa Nobilis habuit ex ipso priore filium sicut ipsa et alie
mulieres dicebant ei; et multam curam habuit ipse presbiter Francus
de dieto fratre quia nolebat quod sciretur ad hoc ne esset dedecus ipsi
priori et ecelesie. Interrogatus de aliis, dixit quod nescit visu, sed au-
divit diei quod bene habuerat usum cum pluribus aliis sed nescit cum

quibus; nisi quod audivit diei quod habuerat usum cum quadam que:

vocatur donna Masaia...
Acta et celebrata fuit dieta inquisitio in Civ. Castelli in sacrestia

ecelesie S. Iacobi memorate.

Ego Matteus Fabri imp. auct. not. scripsi, etc.

2.5. A2...

5M adis itd aput Di Corrado Trinci tiranno e mecenate umbro del quattrocento

Durante il quattrocento, in quasi tutte le città dell’ Umbria,
della Marca, della Romagna, quei vicari pontificî, che, fin dal se-
colo XIV, pullulavano colà e che, nella più parte dei luoghi, si cam-
biarono in veri e propri tiranni, erano stati spazzati via dall’ ira del
popolo, che o li aveva uccisi o cacciati ignominiosamente, o erano
stati soppressi nelle frequenti tragedie domestiche; sembrava che

quegli anni — come scrive Pasquale Villari, accennando piucchè
altro alla seconda metà del quattrocento — fossero diventati gli

anni delle congiure (1).

Limitandomi soltanto alle regioni umbra e marchigiana — la
storia delle quali spesso si intreccia talmente nei tempi di mezzo
che apparisce unita e confusa insieme — ricorderò, tra le altre
città, Jesi, che, nel 1408, si ribellò ai Simonetti (2); Sanseverino,
dove, nel 1426, gli Smeducci poterono a stento scampar dalla
morte (3); Fermo e Montottone che, nel 1428, espulsero i Miglio-
rati (4); Camerino che, il 1433, uccise i fratelli Varano, Piergen-

(1) La storia di Girolamo Savonarola, Firenze, 1887, vol. I, p. 48.

(2) Cfr. GIANANDREA ANTONIO, Il ristretto delle istorie di Jesi di Pietro Gristo,
ivi, Ruzzini, 1880, p. 40, n. 93.

(3) Cfr. GENTILI Giov.-CarLo, Sopra gli Smeducci vicarii per S. Chiesa dal se-
colo XIV al XV, Mancini, Macerata, 1841, p. 18; vedi anche ALEANDRI V. E., Le f«-
zioni dei Guelfi e Ghibellini nella Marca d? Ancona, in Arte e Storia di. Firenze,
1887 (an. XVI), n. 5, p. 39.

(4) Cfr. MARINI ACHILLE, Storia della terra di Montottone melle Marche, Pac-
casassi, Fermo, 1863, p. 30. 256 M. MORICI

tile e Giovanni (1) e Gentilpandolfo, circa il 1436 ; ultimo, Berardo,
della stessa famiglia, fu trucidato dal popolo di Tolentino nel 1484;
Fabriano, dove, nel 1435, avvenne la strage memor anda dei Chia-
velli (2). Nel 1444, anche Urbino tentava liberarsi dalla signoria
dei Montefeltro, trucidando il duca Oddantonio (3); col 1449,
morto Roberto Paganelli, Montalboddo si dà a Sigismondo Mala-
testa e, l’anno dopo, passa alla Chiesa (4); altrettando fanno i cit-
tadini di Sassoferrato nel 1460: nauseati della vita lussuriosa di
Luigi degli Atti, tiranno dispotico e parricida, lo precipitano giù
dalle mura castellane insieme co’ suoi (5). Si aggiunga a questi il
truce dramma dei fratelli Baglioni, in Perugia, e, per compiere il
quadro, si pensi che « dietro a tutti costoro già si affacciano, con
ghigno beffardo le figure sinistre di papa Alessandro VI e di Ce-
sare Borgia... » (6).

La strage più terribile, tuttavia, della regione umbro-marche-
giana e che difficilmente trova riscontro anche nelle altre parti
d’Italia, è quella di cui fu teatro Nocera e tutta la /altopina sino
a Trevi e a Foligno. In questa città, infatti, cirea la metà di gen-
naio del 1421, si propagò una spaventosa notizia.

Una « orribile sventura aveva colpito i signori di Foligno.
Imperocehè un Pietro di Pasquale, castellano di Nocera, offeso
nell’onore, per via di sua moglie, da Nicolò Trinci, fratello di
Corrado e Bartolomeo, studiò il modo di vendicarsene, invitandoli
insieme a Berardo Varani ed altri a far caccia nelle selve di No-
cera (10 gennaio): e, come gli ebbe fra le mani, nel silenzio della
notte, fece macello dei corpi di Bartolomeo e di Nicolò, solo per-
donando la vita al signore di Camerino. Corrado Trinei non fu

) Cfr. FELICIANGELI BERNARDINO, Intorno ai rapporti tra il Comune di Came-
rino e Francesco Sforza, in Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria
per te Marche, G. Morelli, Ancona, 1895, vol. I, p. 44. i

(2) Cfr. MAZZATINTI GIUSEPPE, Cronaca eugubina, in R. I. S. del MURATORI, Città
di Castello, Lapi, p. 51

(3) Cfr. REPOSATI R., La secca di Gubbio, p. 172.

(4) Cfr. ROSSI AGOSTINO, Notitie historiche di Montalboddo, Sinigaglia, Stampe-
ria Vescovile, p. 62.

(5) Cfr. MorIcI MEDARDO, Det conti Atti signori di Sassoferrato e ufficiali fore-
stieri..., Castelplanio, 1899, p. 43.

(0) Cfr. MESSERI ANTONIO, Galeotto Manfredi, signore di Faenza — MO RAG HOS
storico, Faenza, coi tipi della Tipografia Sociale, 1904, p. 13.
DI CORRADO TRINCI TIRANNO, ECC. 257

preso alla rete (1). Sul mattino del giorno seguente i Priori, i
cittadini e i più ricchi abitanti di Nocera furono chiamati nella
rocca: disse loro il castellano inusate parole di liberta, di ribel-
lione, di tirannia, di onore vilipeso ; disse loro s'inanimassero,
pigliassero subito le armi, facessero sentire la voce, sperassero.
« Sulle prime non capirono li dabben' uomini che sorta di linguag-
gio si fosse quello; balbettarono, mormorarono sommessamente,
chiedendosi tra loro con gli occhi un consiglio, come se in quel
punto assaliti fossero da uno sciame di masnadieri. Ridisse più
chiare, quanto fiere parole, Piero da Foligno: risposero quelli —
pensasse alla enormità del delitto, alla rotta fede e all’anima sua:
non s'impaccerebbero essi in così fatta ribellione; il popolo di
Foligno e d’altri luoghi, preso da compassione per quegl’ infelici,
ucciderebbe lui traditore, vendicherebbe i traditi. — Il castellano
si fortificò nella rocca, presago di funesta ventura ».

« Corrado Trinci era, a que’ giorni in Trevi; seppe della morte
de’ suoi fratelli e della prigionia di Berardo da Camerino; divam-
pante di rabbia, sprovvisto di soldati, chiese aiuto a Braccio, il
quale allora tenevasi in Todi, per comporre le discordie di quei
cittadini ». :

« Arrivava il Fortebracci improvvisamente a Nocera con poehi
militi: e tosto inviava al castellano wn trombetta con ordine che
gli dimandasse a prieghi di cui o per qual cagione egli avesse cosi
grande scelleranza commesso. Rispondeva Piero da Foligno: aver
fatto di sua testa e non a contemplazione d’altrui: ma, quanto alla
cagione (se ben non ne avesse avuta niun’altra), era a giudicio suo,
pur assai sufficiente quella di aver cercato di rimettere in libertà
la patria e à suoi, e d'avere a un tempo vendicati così la pubblica

(1) Sul giorno della tragedia non tutti i cronisti vanno d'accordo. Nel Ristretto
di fatti d’Italia e specialmente di Urbino dal 1404 al 1444, pubblicata la prima volta
da GIUSEPPE BaccinI in Zibaldone, Firenze, tip. Cooperativa, 1888, an. I (e ripubbli-
cata poi in la riv. di Fano, Le Marche, 1902, p. 62) si legge: « an. 1421, 8 gennaio.
Fo la novità in la terra de Nocera contro Nicolò e Bartholomeo de Trinci alora morti
etc. et immediatamente-ne seguì morte del castellano de quello loco et de piü de
cento persone ». Nei Frammenti degli Annati di Spoleto di PARRUCCIO ZAMBOLINI
dal 1805 al 1424, p, 159 (Documenti storici inediti in sussidio allo studio delle Me-
morie umbre raccolte e pubbl. da A. SANSI, P. I, in Atti dell’Accademia spoletina,
Foligno, Sgariglia, 1876. Cfr. anche Doro DURANTE, Storia della famiglia Trinci
ecc., Foligno, 1638-48, pp. 200 e segg.
58 M. MORICI

come la privata sua ingiuria (1). — Suonarono orgogliose a Brac-
cio le parole del castellano: tre giorni tempestò d’ artiglieria la
rocca, finchè con maggior numero di soldati rovesciò a forza i
primi ripari, imprigionando uomini, donne e fanciulli e inviandoli
al rabbioso Corrado Trinci, che ne fece brutale ed osceno ma-
cello. La storia inorridisce alle crudeltà di Corrado d’infame me-
moria. Rimaneva a superarsi l'interno della rocca. Piero da Fo-
ligno difendevala con ardire disperato, maraviglioso: più giorni
si tenne forte: ma aiutato da pochi de’ suoi e quasi divorato dalle
fiamme, gittò dall’ alto della rocca la rea compagna del suo letto
e si rese agli armati di Braccio (2). Sul cadavere del castellano,
non è a dire come imbestialisse Corrado: il quale più di trecento
vittime alla sua rabbia sacrificando, insanguinò le vie di Foligno,
di Nocera, di Trevi; aggiunse delitti a delitti; e, tirandosi addosso
lo sdegno dei pontefici, preparò la rovina del suo principato (3) ».

Piombarono, infatti, quasi subito 1’ interdetto e la scomunica
sul capo di lui, ribelle alla S. Sede, e di quelli che gli si erano
assoggettati e gli avevano prestato omaggio.

Un tale stato di cose anormali durò fino al decembre del 1424,

(1) Cfr. CAMPANI JO. ANT., De vita et gestis Andreae Brachii Perusini, Basileae
apud Nic. Bryling, MDXLV, lib. V, pp. 289 e segg.

(2) Il PELLINI, Dell’ Historia di Perugia, Venezia, Hertz, P. 1I, pp. 252 e segg.
così scrive: « Si narra alquanto diversamente da uno scrittore nostro a penna que-
sto fatto, perciocché vuole che '| castellano veduto di non potersi difendere, e fat-
tosi in cima della rocca dicesse: che quanto contro i signori Trinci aveva fatto, non
laveva fatto perché egli avesse voluto né tor loro la rocca di Nocera, né per usare
tradimento alcuno contro lo stato, ma solo per avergli essi tolto l'onore con aver
fatto condiscendere la moglie, per l'autorità che avevano, alle loro sfrenate e diso-
neste voglie: e, perché ciò fosse noto a tutti, averlo voluto in quel luogo pubblica-
mente dire — e che volto alla donna sua, che condotta seco si aveva, messele le
mani alla gola, la soffogasse, e indi precipitosamente ne la buttasse a basso; che
il medesimo facesse a’ figliuoli che vi aveva, e che ultimamente vi si buttasse an-
ch'esso e che tutti morissero, e che il padre non fosse nella rocca, ma che fatto
cercare e prendere da Corrado, fosse con tutti li suoi fatto rigorosissimamente morire,
non perdonando né a donne né a fanciulli, né a lavoratori de' campi, né al fornaro,
né a nessun altro che all'uso della vita di lui concorresse ; e che fra tutti da cento
persone vi morissero. E il beato Antonino, che anch'egli di quest' accidente scrisse,
e vuole che il Papa, udita la crudeltà usata dal Trinci, vi mandasse un Commissario
a posta per raffrenarlo; e che ‘1 castellano, data la morte ai due fratelli, alzasse lé
insegne della Chiesa, e chiamasse a favore di lei gli uomini di Nocera ».

(3) Cfr. FABRETTI ARIODANTE, Biografie dei capitani venturieri dell’ Umbria,
Montepulciano, Fumi Angiolo, 1842, vol. I, pp. 241 e segg.
‘ DI CORRADO TRINCI TIRANNO, ECC. 259

quando papa Martino V si degnò di assolvere la città di Nocera
dall’ interdetto e dalla scomunica, in cui era jneorsa, col Breve
che si conserva nell’ Archivio comunale di Nocera e che ora vede
per la prima volta la luce.

« Eppure un principe così feroce, avea eziandio delle buone
qualità e, non v'è dubbio, egli fu anche assai sollecito del benes-
sere dei suoi popoli e della felicità dello stato, per il quale fece
e dispose buon numero di cose. Educato fra i poeti e loro amico,
buono e facondo parlatore, forse buon poeta egli stesso, amò le
arti, le lettere e le scienze e le incoraggiò e le protesse. Nel 1424
chiamò da Assisi l'eugubino Ottaviano Nelli perchè gli colorisse
in palazzo quel domestico oratorio — vero gioiello dell'arte —
che sarà sempre un prezioso documento del suo buon gusto e della
sua munificenza; dicemmo pure delle cortesie usate al poeta pe-
rugino Candido Bontempi, e come nel 1438 facesse coniare moneta
d’oro e di argento da quella industre e numerosa famiglia di ore-
fici, dalla quale esei quel nostro benemerito Emiliano Orfini, ehe
forse, primo degli italiani, apri le sue case ai tipografi tedeschi
e, fin dal 1469, iniziò quella officina tipografica d'onde, nel 1472,
doveva pubbliearsi per la prima volta la Divina Commedia... » (1).

Questo tiranno, e mecenate al tempo stesso dei letterati e degli
artisti, morì di laccio nella rocca di Soriano, in quel di Viterbo,
nel 1441 e con lui ebbe termine la dominazione dei Trinei nella
città di Foligno.

Come Atalanta Baglioni ha trovato in Gabriele D'Annunzio il
poeta che sceneggerà magistralmente il truce dramma della sua
casa, così Orsolina di Nicolò da Catignano della Fratta di Trevi,
moglie al castellano nocerino Pietro da Rasiglia — che ispirò già
un infelice romanziere (2) —, avrà, senza dubbio, chi sappia rap-
presentare la orribile tragedia di Nocera.

Firenze, 19 maggio 1905.
MEgpARDO MORICI.

(1) Cfr. FALOCI-PULIGNANI MICHELE, Le arti e le lettere alla corte dei Trinci, Fo-

ligno, Salvati, 1888, pp. 138-39.
(2) Cfr. FERRANTI FELICE, Il castello di Nocera — racconto storico — in La Ron-

dinella, Strenna Umbra del 1843, Ancona, pp. 9-44.
M. MORICI

DOGE M EINE

Da Roma, an. 1425, dicembre 8.
Breve di Martino V, im cui assolve la città dall’ interdetto e dalla
scomunica, per essersi soggettata e prestato omaggio a Corrado Trinci di
Foligno, ribelle della S. Sede.

MARTINUS episcopus, servus servorum Dei, dilectis filiis communi
et hominibus Civitatis nostre Nucerie salutem et apostolicam benedi-
etionem. Apostolice Sedis benignitas deviis filiis ad eam in humilitatis
spiritu redeuntibus, post excessum, libenter misericordie sue gratiam
impartitur. Exhibita siquidem nobis nuper vestrorum, ad presens in
dieta civitate commorantium, tam eeclesiasticorum, quam secularium
petitio continebat, quod cum Conradus de Trinciis, tune noster et Ro-
mane Ecclesie hostis atque rebellis existeret, propter quod civitas ipsa
et provintia nostra Spoletana, in qua civitas ipsa situata fore dinosci-
tur, eoneusse fuerunt multiplieiter et attrite, nonnullas terras, castra et
bona et inter cetera predictam civitatem Nucerie, iam multis retroactis
temporibus, ad nos et Romanam Ecclesiam nullo medio pertinentes, oc-
cupare et occupatas tenere damnabiliter presumeret. Nosque eundem
Conradum tunc nullatenus litteris aut nuntiis ad gremium nostrum et
sanete matris Ecclesie revocare valentes, omnemque tandem inobedien-
tiam atque rebellionem ulcisci volentes, prefatum Conradum et sequaces
eiusque adherentes et complices vi armorum necessitate compulsi, que-
sivimus expugnare. Vosque eidem atque etiam quondam Nicolao, eius
germano, dum ageret in humanis, adherere, favere atque obedire contra
constitutiones prediete provintie ac in vestrum et dicte civitatis do-
minum et gubernatorem assumere iuraque ipsius Ecclesie occupare pre-
sumpsistis ac parere mandatis officialium Ecclesie contempsistis, propter
que nonnullas sententias, bamna, condemnationes et penas per pro-
cessus et constitutiones felicis recordationis Johannis pape XXII et alio-

rum romanorum pontificum, predecessorum nostrorum, nec non lega- .

torum apostolice Sedis aliorumque officialium eiusdem Ecclesie in talia

pepe Ie

—tioinneu@—tm@r—t<>@

pariaentzi ene

mW DI CORRADO TRINCI TIRANNO, ECC. 261

committentes prolatas et inflictas temere incurristis. Quare nobis hu-
militer supplicastis, quatenus, cum culpas et excessus vestros huiusmodi
commiseritis et ab intimis doleatis, vobiscum super eisdem eulpis et
excessibus ac absolutione a dietis penis, censuris et sententiis, quas
propterea quomodolibet incurristis, misericorditer agere dignaremur.
Nos igitur, qui in emendatione delectamur peccantium, attendentes
quod sacrosancta R[om]ana Ecclesia redeuntibus ad eam in humilitatis
spiritu gremium claudere minime consuevit, vestris supplicationibus
inclinati, tenore presentium, auctoritate apostolica, omnem inhabilitatis
et infamie maculam sive notam vel irregularitatis penam, per vos et
quemlibet vestrum, tam ecclesiasticos, quam seculares, incursas et con-
tractas, occasione premissorum, culparum, delictorum et excessuum,
abstergimus et abolemus, et cum illis ex personis ecclesiasticis, que
premissorum vel alicuius eorum occasione seu dependentium quomo-
dolibet ab eisdem super irregularitate, quam celebrando divina vel im-
miscendo se illis, non tamen in contemptum clavium, contraxerunt, quod
in susceptis ordinibus ministrare valeant, prefata auctoritate, de. ube-
rioris dono gratie dispensamus a dictis quoque sententiis, bannís, con-
demnationibus et penis, de quibus esset cognitum vel non cognitum,
que haberi volumus presentibus pro sufficienter expressis, vos et quem-
libet vestrum absolvimus et liberamus, hac vice duntaxat, ac vos ad
omnia privilegia, gratias, indulta et immunitates reales et personales,
ae honores, feuda, officia et benefitia bona et iura ac famam et statum,
que singulariter seu particulariter habebatis, antequam delinqueretis
in premissis et quibus eorundem excessuum occasione, per sententiam
hominis vel iuris privati fuistis, seu que prefate ecclesie ob id confi-
scata fuissent, dummodo in eisdem bonis et iuribus non sit alteri spe-
tialiter ius quesitum, habilitamus, reponimus et in integrum restitui-
mus per presentes, eademque bona et iura dictasque penas et muletas,
prout pubblieum interesse et cameras, tam apostolicam, quam dicte
provintie ae ducatus nostri Spoletani, communiter vel divisim con-
cernentes, sive occasione tallearum, censuum aut affietuum vel alio-
rum debitorum, ad que nobis et Romane Ecclesie. teneremini, usque
in presentem diem, quaque ratione vel causa, vobis et cuilibet ve-
strum remittimus ae donamus. Mandantes, exnune, auctoritate presen-
tium, universis et singulis Officialibus nostris et dicte Ecclesie presen-
tibus, tenentibus libros, in quibus diete pene et condemnationes ac sen-
tentie sunt deseripte, quod huiusmodi sententias muletas et banna de
eiusdem libris, visis presentibus, non differant cancellare et totaliter
abolere, habentes eas, exnunc, pro abolitis et cancellatis ; ac volumus
et decernimus, quod de cetero super premissis vel aliquo ipsorum aut

di gap.

a
csi 62 M. MORICI

dependentium ab eisdem per aliquos officiales vel magistratum Ecele- o
sie et provintie prefatarum, quocumque nomine nuneupentur, ordinarie
vel extraordinarie, cum promotore vel sine, civiliter vel eriminaliter
seu mixtum, ad cuiusvis instantiam seu ex offieio procedi, inquiri seu
cognosci nequeat quoquo modo, quantum ad publicum interesse et apo-
stolicam ac predicte provintie cameras spectare potest, districtius inhi- !
bentes omnibus magistratibus et officialibus nostris et ipsius Ecclesie
ae dicte provintie, pro tempore existentibus, ne contra absolutionem et
abilitationem nostras huiusmodi ét tenorem presentium nostrarum lit-
terarum aliquid non solum agere, sed attemptare, quoquo modo, pre-
sumant. Irritum et inane decernentes, exnunc, quidquid contra inhibi-
‘tionem nostram huiusmodi per quosvis contigerit quomodolibet attem-
ptari constitutionibus et ordinationibus apostolicis et dicte provintie,
ceterisque contrariis non obstantibus quibuscunque ; volumus autem
quod, si ullo unquam tempore, quod absit, vos et commune vestrum i
aut singulares persone ipsius a fidelitate, devotione et obedientia no-
stris et prefate Ecclesie aut successorum nostrorum Romanorum Ponti-
fieum canonice intrantium se subtraxerint, aut rebelles fuerint, presen-
tes littere et que sequerentur exinde quo ad se subtrahentes, seu re-
bellantes, eo ipso nullius existant roboris vel momenti, sed in easdem
censuras et penas spirituales et temporales quilibet rebellans aut se
subtrahens, ut prefertur, incidat eo ipso. Nulli ergo omnino hominum
lieeat hane paginam nostre abstersionis, abolitionis, dispensationis, è
voluntatis, absolutionis, liberationis, habilitationis, repositionis, resti-
tutionis, donationis, mandati, constitutionis et inhibitionis infringere,
vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem hoc attemptare presum-

pserit, indignationem omnipotentis Dei, beatorum Petri et Pauli, apo-
stolorum eius, se noverit incursurum.
Datum Rome, apud Sanctos Apostolos, VI idus decembris, ponti-
flcatus nostri anno octavo.
Dominieus de Crapaniea.
Registrata
in camera apostolica.

Nella plica, all’esterno, si legge :

Gratis de mandato domini nostri pape, G. de Callio.

Manca il sigillo pendente e restano nella plica i fili serici. LO STATUTO DEL 1334

(Continuazione vedi Vol. X, fasc. II, pag. 169-197, n. 28).

Que collecta solvatur de tiratortis, caldariis et xxvm
linis aptis ad tingendum (1).

It. stat. et ord. quod de quolibet tiratorio pan-

' norum lane solvatur et solvi debeat quolibet anno
pro eolleeta eamerario ipsius colleete VIII s.

It. pro qualibet caldaria, in qua tingitur de arte

maiori solvatur quolibet anno pro collecta camera-

|
| rio ipsius eolleete — XXX s.

It. de qualibet caldaiola in qua tingitur de in-:
dieo vel verzino solvatur quolibet anno pro colleeta
camerario ipsius colleete — V S.

It. de quolibet tino, in quo tingitur de guato sol-
vatur quolibet anno pro collecta camerario diete
eolleete — XV s. r

arte della tintoria ad Orvieto, esercitata

(1) Questo 8 somministra notizie sull’
con caldaie pic-

in tre modi: con caldaie grandi per tingere di vari colori i panni,
a mezzo di indaco e di verzino, e con tini per

endevano i panni su strumenti,

f cole per tingere in azzurro e in rosso
} 1 n : * H 1
tingere di guato. I tiratoi poi erano luoghi ove si st
detti pure tiratoi, per asciugare e tendere le pezze dei pannilani per ridurle alla

larghezza perduta col feltramento. 64 G. PARDI

Que collecta solvatur a textoribus, textricibus et ab XXVIIII
illis qui filant ad rotulum (1).

It. stat. et ord. quod quilibet textor vel textrix,
qui vel que texit pannos de lana vel carpitas seu

celones, solv. et solv. ten. quolibet anno pro collecta

decem. s.

eamerario ipsius collecte

It. quilibet textor vel textrix, qui vel que texit
guarnellos, palioetos, toballias et toballiectos, solv.
et solv. ten. quolibet anno pro colleeta — VI s.

It. quilibet textor vel textrix, qui vel que texit
duri pannos de lino vel de canape vel bendas et similia,
IU EE i solv. et. solv. ten. quolibet anno pro collecta —
Cera III s.
It. omnes et singuli facientes pettines et telaria
de panno lini; canapis, guarnellorum, bordorum, t

bendarum et de panno lane et pro celonibus et car-
pitis et pro aliis pannis, solv. et sol. ten. et debeant

pro eolleeta quolibet anno — XX s.

It. quelibet persona filans ad rotulum lanam vel
bambasciam solv. et solv. ten. pro colleeta quolibet
anno — XII d. Et predicta omnia intelligantur tam
in Civ. et burgis quam in comitatu Urb.

De collecta solvenda de coriamine et infrascriptis XXX
rebus pertinentibus ad operandum artem calzo-
lariorum.

De qualibet salma coriorum pilosorum solvatur

j ad introitum portarum — IIII s.

Disce It. de qualibet salma coriorum conciorum et so-
MN sosta

= lorum — VIII s.

(1) L’arte della tessitura produceva in Orvieto, oltre i guarnelli, panni di lana,
carpite (panni con pelo lungo usati per coperte di letto), cetoné (panni tessuti a
vergato per coprire. letti e tavole), patiotti (panni per mantelli), tovaglie e tova-
glioli; panni di lino e di canapa, bende per il capo e bordo, specie di tela (cfr. bor-
dato e bordatino), usata generalmente per i materassi.
GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D' ORVIETO,

It. de qualibet salma scuotani, radicium et simi-

»

»

It. de quolibet medio
et similium — XII d.
It. de qualibet salma

»

»

»

lium — XII d.

quirieis — II d.
virgulorum — III d.
quartengulo pepi, mortule

mortule piste — XII d.

gallonum — IIII d.
gallarum — XVIII d.
suvarorum — VIII d.

pili eaprioli, bovis, asini

vel alterius pili similis — XII d.

It. de quolibet pari stivalium — III d.

»

ealzarettorum et similium

— NL:
It. de qualibet salma scorze — VI d.
De collecta solvenda de mercibus et rebus aliis ad XXXI

artem merciantium pertinentibus. Et primo de
setis, auris, argentis, drappis, saiis, syndone,
bucaramine, bendis et similibus lavoratis et non

lavoratis.

Inprimis de qualibet libra sete ad introitum por-

tarum — XII d.
It. de qualibet libra

»

»

filiscelli — VI d.

grane — decem s.

auri veneziani filati (1) —
IIII:S.

auri lucchesis filati — III s.
argenti veneziani et lueche-
sis — II s.

(1) Non é privo d'interesse conoscere che la filatura dell' oro si faceva allora
principalmente a Venezia e a Lucca, e che l'oro filato veneziano era piü pregiato
e costoso di quello lucchese, come si capisce dal maggior dazio di cui era gravato.
Anche la filatura dell’ argento si esercitava principalmente a Venezia e a Lucca;
ma l'argento filato di ambedue le città sottostava allo stesso dazio d'introduzione,

donde si può dedurre che era in egual modo pregiato.
266 G. PARDI

It. de qualibet libra argenti laborati in schagia-
libus, fresciaturis, smaltis, boetoneinis et similibus
— XII d.

It. de qualibet uneia pernarum — quinque s.

It. de qualibet 1. ad pondus sete laborate in bur-
seis, cordonibus, fiectis, jerlandis, carneriis, guantis
et similibus — II s.

It. de quolibet centenario numero foglarum auri
— III d.

It. de quolibet eentenario numero foglarum ar-

genti — I d.

It. de qualibet donzina bendarum vel veleetorum
de seta (1) vel de bambascia — quinque s.

It. de qualibet donzina infularum de seta vel
de bambascia vel cortina — VI d.

It. de qualibet petia drappi virgati, schietti, do-
rati vel non dorati, vel taffecta vel pallii vel velluti
de sirico — IIII s.

It. de qualibet petia syndonis — II s.
» saye Irlande — IIII s.
» bucaraminis — XII d.

It. de qualibet donzina tovaglarum de mensa —
IIS:

It. de qualibet donzina tovaglettarum ad manus,
sciuccatoiorum et bendarum de lino et similium re-
rum —.VI d.

De collecta solvenda de diversis aliis mercis per-
tinentibus ad merciantes.

De qualibet salma bronzi fraeti et metalli —
quinque s.

It. de quolibet centenario ad pondus bulsiminis
et argenti vivi — VI s.

It. de quolibet centenario ad pondus verzini —
quinque $.

(1) Bende e velette di seta e

XXXII

di bambagia per adornamenti femminili del capo.

«e

——— 9 domm mem

pellium tintarum in rubeo, giallo vel viridi, et bue-

TM——A-

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

It. de qualibet salma aluminis — quinque s.

It. de quolibet centenario ad pondus cerosse vel
biaeche —- III s.

It. de quolibet centenario ad pondus pellium
soacti, carmosci (1) et pellium carmosciatarum et

ciarum et, similium — II s.

It. de qualibet donzina guantorum carmosci et
lane et berrectarum et calcettorum et similium —
III d.

It. de qualibet salma corrigiarum, fargnarum,
tappetorum de leeto, tabulacciorum, flaschonum de
corio, cappellorum de feltro, bisacciarum, cultelli-
norum, armorum de corio, pavesorum et similium
rerum — VIII s.

It. de qualibet salma lignaminis laborati, perti-

nentis ad merciariam, non tamen pieti — XII d.
It. de qualibet salma vitri laborati — quinque s.
» mazacocti — XII d.
» sulphi et saponis — II s.
» stamegne (2) — VIII s.
» cegnaminis et furiaminis —
III s.

It. de qualibet salma bicchieraiarum, stoiarum,

seareiarum et similium — VI d.
It. de qualibet salma sellarum factarum —
VIII s.
It. de qualibet salma fustorum — V s.
It. de quolibet eofano magno — II s.
» eofanetto parvo — VI d.
It. de qualibet salma cornuum — Il s.

It. de quolibet matto palme — III d.
It. de qualibet salma cartarum bambascinarum
— III s.

(1) È scritto sempre carmoscius invece di camoscius ; perciò dev'essere forma
dialettale.
(2) Le stamigne erano impannate per le finestre, fatte di tela e resina. 268 G. PARDI

It. de qualibet salma cartarum pecudinarum et
eapreetinarum — VIII s.
It. de qualibet salma mozaturarum cartarum —
VI d.
It. de qualibet salma colle — VI d.
» eineiorum — VI d.
It. de quolibet centenario ad pondus budellorum

siccorum — Il s.
De metallis lavoratis et non lavoratis.

De quolibet pario flasehonum et vascellorum sta-
gni et de quolibet pario bronzorum et similium —
VI d.

It. de quolibet baeeino — VI d.

It. de quolibet centenario ad pondus ferri, octo-
nis et raminis ad filum — XII d.

It. de qualibet salma raminis lavorati — decem s.

It. de qualibet salma palarum, vangarum, zap-
parum, gomearum, fureonum, bidentium et similium
— quinque s. (1).

It. de qualibet salma bullonum, bulleetarum,
chiovorum, magliarum, ferrorum de caballo, fibia-
rum, ferrorum de lancia, quatrellorum et similium
— II s.

It. de qualibet salma armorum de magla — XX s.

» baccinettorum, corazarum,
coscialium, gambarolarum et aliorum armorum de
piastra — VIII s. (2).

It. de qualibet salma spatarum et cultellorum et
speronum et similium — VIII s.

It. de quolibet sbiede (3) et mannaria, qui et que
deferuntur in salma vel in fardello — IIII d.

(1) Oggetti» in éerro usati nell'agricoltura: pale, vanghe, zappe, vomeri (gomea
e gomera voce contadinesca per vomere), forconi, forche (o bidenti).
(2) Armi allora adoperate: maglie, celate (o bacinetti), corrazze, cosciali, gam-

biere, armi di piastre di ferro, spade, coltelli, lance, quadrella.

(3) Sbiede forma dialettale per spiede, arme formata di una punta di ferro ina-
stato in un bastone, che si adoperava alla caccia dei cinghiali e in guerra,

pera ne GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO,

It. de qualibet salma ferri non lavorati, seilicet — ti

virgonum, massellarum et pezaminis — III s.
È It. de qualibet salma plumbei — III s.
: : » stagni non lavorati — V s.
i » raminis non lavorati — V s.
| » metalli non lavorati — III s.

» acciarii non lavorati — V s.
De spetiebus et aliis ad spetiariam pertinentibus. XXXIMI

De qualibet centenario ad pondus piperis —
VI 8.
De quolibet centenario ad pondus zinziperis (1), cen-
naurii, nucium moschatarum et similium — V s.

De quolibet centenario ad pondus zaffarani —
XV s.

It. de qualibet libra garofanorum et reubarbari (2)
— II s.

It. de quolibet centenario ad pondus zuechari
sodi — VI s.

It. de quolibet centenario ad pondus pulveris
zuechari — IIII s.

It. de quolibet centenario ad pondus indiei et
cennaarii (3) IIII s.

It. de qualibet libra azori (4) — XII d.

| It. de qualibet salma cimini (5) et pieis — II s.
| » risi — II s.
| » mellis — III s. (6). j
» cere — VIII s.
It. de quolibet centenario ad pondus draganto-
rum (7), masticis, incensi et similium — V s.

(1) Zenzero.
(2) Rabarbaro. d i
(3) Cinabro, solfuro rosso di mercurio, usato, come l'indaco, per materia co-
lorante.
(4) Assurro, altra materia colorante.
(5) Cimino o comino, pianticella adoperata in medicina come tonico diuretico.
(6) In margine sta scritto d'altra mano : ad éntroitum XII s. ad eaoitum Y s.
(7) Adragante o dragante, sorta di gomma.

18 270 G. PARDI

De collecta solvenda de vais, pellibus, scoiolis et aliis
pertinentibus ad. artem pellipariorum.

It. de quolibet centenario ad numerum vaiorum

erudorum — Il s.

It. de quolibet centenario ad numerum vaiorum
lavoratorum — IIII s.

It. de quolibet centenario ad numerum pellium
vulpinarum et gattinarum — XII d.

]t. de quolibet centenario ad numerum scoiolo-
rum (1) crudorum — XII d.

It. de quolibet centenario ad numerum scoiolo-
rum [lavoratorum] — II s.

It. de qualibet salma pellium coniglorum erudo-
rum — X s.

It. de qualibet salma pellium eoniglorum lavo-
ratorum — XX s.

It. de qualibet salma pellium agnellinarum eru-

darum — Vs.
It. de qualibet salma pellium agnellinarum la-

voratarum — X S.

De collecta. solvenda de venatilibus, avibus et pisci-
bus et aliis ad artem. procacciantium pertinen-
tibus.

Inprimis de quolibet cervo et porcho signali (2)
solv. ad introitum portarum — II s.

It. de quolibet bufaloeto et eapriolo — XII d. (3).

It. de quolibet lepore et vulpe III d. (4).

It. de quolibet tascione, spinosa et simili — II
d. (5).

(1) Scoiole, pelli di scoiattolo adoperate per far pellicce.
(2) Cignale.

3) In margine: ad exitum II s. — Bufalotto, piccolo bufalo.

(
(4) » VI d.
(5) » VI d.

XXXV
GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC. 271

It. de quolibet cappone, gallina, anatre, germano T
et ansere — II d. (1).

It. de quolibet faseiano — III d. (2).

It. de quolibet pari pollastrorum, pollastrarum,
palumborum, pippionum, starnarum, folearum, cer-
eellorum, agegiarum et similium — II d.

It. de qualibet pari turturum — I d.

It. de singulis quattuor turdis, merlis, qualis
mortitis et similibus — I d.

It. de qualibet gruga — IIII d.

It. de quolibet mergone et simili — II d.

It. de aliis avibus solvatur de simili ad similem.

It. de qualibet salma piseium marinorum recen-
tium vel sieeorum solvatur ad introitum portarum
— Vs.

It. de qualibet salma piseium laeus Bulseni (3),
scilicet teneharum, luccioram et anguillarum —
IIII s.

It. de qualibet salma arronum, calvorum et cal
cinorum dicti lacus — II s.

It. de qualibet salma saltarellorum — VIII d.

It. de qualibet salma anguillarum, tencharum et
lascharum de lacu Peruscii (4) III s.

It. de qualibet salma piscium Clanis (5) — II s.

» tonnine et sorre — III s.
» anguillarum salatarum —
III s.

It. de qualibet salma gambarorum — II s.

It. de qualibet fescina seu cesta piscium de Pa-
lea, de Tiberi vel de alio flumine — VI d.

(1) m margine: ad exitum IIII [d.]
(2) » VI [d.]
-(3) Il lago di Bolsena, per la sua vicinanza ad Orvieto, ne forniva il mercato
di pesci squisiti: tinche, lucci, anguille, arroni, calvi e calcini.
(4) Lago di Perugia o Trasimeno.
(5) Il Chiani (da non confondere con la Chiana), piccolo fiume, che nasce a
Chiusi e si getta presso Orvieto nel Paglia, affluente del Tevere.
. PARDI

It. de quolibet fiscinello dietorum piseium —

AVA È
It. de qualibet salma quoruneunque aliorum pi-
scium, quam expressorum superius — ITE8:

It. ord. quod quicunque extrasserit aliquam sal-
mam piscium extra Civ. Urb. solv. et solvere de-
beat diete eolleete pro qualibet salma — X s.

Et ab inde infra ad eandem rationem.

Quod mullus possit stare ad vendendum pisces cum
forense.

It. stat. et ord. quod nullus civis vel eontadi-
nus aut habitator Urb. possit stare ad vendendum
pisees eum forense in loco ubi pisees venduntur, aut
possit emere pisces pro revendendo a portantibus
dictos pisces ad Civ. nee ab aliis pro eis, ad penam
X l. pro qualibet vice, nisi fuerit sotius talis foren-
sis, de qua sotietate appareat publieum instrumentum,
et super eo iuraverit se esse verum sotium talis fo-
rensis ad dietam artem exercendam. Et iudex col-
leete teneatur quolibet mense de predietis facere in-
quisitionem ad penam XXV I. De venatilibus autem
et volatilibus servetur forma statutus Civ. Urb. et
sieut in capitulo statutus Civ. Urb. continetur.

Quod nullus de arte procacciantium vel pizicaiolo-
rum possit emere die sabati usque ad horam
none res, que capitulo continentur.

It. stat. et ord. domini Septem et XII supradieti
quod nulla persona de arte proeaeeiantium vel pi-
zicaiolorum possit vel debeat emere pro se vel pro
alia persona die sabati usque ad horam none ecap-
ponem, gallinam, pollastrum, pollastram, pippiones,
caseum, ova, lepores, starnas et similia, nec alia per-
sona possit emere dietas res causa revendendi dieta
die sabati usque ad dietam horam none in Civ. vel

XXXVII

XXXVIII
GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

burgis vel prope Civ. ad unum miliare, ad penam
et sub pena C s. pro qualibet vice. Et cuilibet li-
ceat contrafacientes in predietis accusare et denun-
tiare. Ab hora vero none in antea dieta die sabati
et aliis diebus quacunque hora (1) lieeat cuilibet
emere res predictas et alias sicut eis videbitur et
plaeebit libere et impune.

Quod nullus de arte procacciantium vel pizicaio- — xxxvim
lorum. possit vendere res infrascriptas nisi eo
pretio quo in capituto continetur, et qualiter de
eis solvatur collecta.

It. stat. et ord. quod nullus de arte procaccian-
tium vel pizicaiolorum et salaiolorum nee aliqua
persona pro eis possit vel debeat vendere vel vendi
facere alieui persone par pollastrorum vel pollastra-
rum ultra quinque s. d. e. De pretio cuius paris
pollastrorum vel pollastrarum solvere debeat pro col-
leeta eamerario diete collecte — II d. pro quolibet
pari.

It. non possit vel debeat vendere vel vendi fa-
cere alieui persone par pippionum de palumbaria
ultra XXXII d. De pretio cuius paris solv. et solv.
ten. diete eolleete — I d. Pippiones vero casa-
iolos possint vendere quanto voluerint, solvendo
semper diete eolleete pro quolibet pari quod vendi-
derint — I d. Et quod dieti procacciantes seu pizi-
eaioli et salaioli vel alie persone, que pro eis ven-
derent res predietas teneantur et debeant semel in
hedomada assignare et iurare coram iudice seu of-
fitiali collecte quot pollastros vel pollastras seu pip-

(1) Perché il sabato ad un'ora determinata e gli altri giorni a qualunque ora ?
Perché il sabato è il giorno precedente la festa, in cui si fa maggior consumo di
galline, polli, piccioni ecc. Perciò gli esecutori, o almeno le spie della colletta,
potevano così meglio invigilare sulla vendita di tali commestibili, affinchè non
fosse frodato il dazio sulla vendita al minuto.

Laion

MIE 274 G. PARDI

-

piones vendiderint in hedomada et pro eis solvere
eolleetam, ut in eapitulo continetur. Siquis vero con-
trafecerit predictis vel alicui predietorum in ven-
dendo pollastros, pollastras vel pippiones ultra pre-
tium contentum in eapitulo vel non assignando et
solvendo in hedomada, ut in capitulo continetur, in
C s. d. e. per iudicem collecte nomine pene vice
qualibet puniatur. Et iudex possit, teneatur et de-
beat de predictis et quolibet predietorum inquisi-
tionem facere diligentem.

It. quod quilibet de predietis solv. ten. diete col-
leete pro quolibet paparo vel ansere vendendo per
eos — I d.

It. pro quolibet pari anatrarum, fulcarum (1),

scrinzorum, germanorum et similium — II d.
It. pro quolibet eapone vel gallina — II d.
It. pro quolibet pari starnarum — II d.

It: pro quolibet pari palumborum maremmano-
rum (2) et palummellarum (3) — II d.

It. de quolibet lepore, tascione, vulpe et spinosa
— III d.

De collecta solvenda de caseis et ovis. XL

De quolibet filo casei — XII d. (4).

Et intelligatur filus de L 1.

It. de qualibet tabula casei recentis vel insec-
chiati — IIII d.

It. de qualibet decina casei recentis vel siechi,
qui defertur alibi quam in seechia vel tabula — II d.

It. de quolibet caseo de forma qui defertur alibi
quam in salma — I d.

It de qualibet decina ovorum — I d.

(1) Folaghe.
(2) I palombi presi in quella parte della Maremma toscana appartenente ad Or-
vieto. : i
(3) Patommelle, assimilazione per palombelle.
(4) In margine d’altra mano: ad exitum duplum.

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De collecta, solvenda. de lardo et carnibus siccis.

De qualibet salma lardi et carnium siccharum
— II s.

De pomis.

De qualibet salma ficuum, pirorum, malorum,
persieorum, prunorum, cerascium, sorborum et si-
milium pomorum viridium — III d.

Et, si non fuerit salma, de quolibet canestro,
feseina vel fescinello — I d.

It. de qualibet salma nueium et amindolarum (1)
viridium — VIII d.

Et, si non fuerit salma, de quolibet canestro,
feseina vel fescinello — II d.

It. de qualibet salma amindolarum et avellana-
rum sine guseio — II s.

It. de qualibet salma nucium et ficuum siecha-
rum — XII d.

It. de qualibet salma ranciorum (2), lomonum,
lomiarum et cetronum — XII d.

It. de qualibet salma uvarum in bigonzis — II d.

It. de quolibet canestro vel fescina — I d.

It. stat. et ord. quod quecunque pomaiola seu
treechula (3) stabit et stare voluerit ad aliquam ta-
bernam vel ante aliquam tabernam ad vendendum
vel vendi faeiendum poma, solv. et solv. ten. came-
rario diete collecte quolibet anno — III s. Et aliter
ad aliquam tabernam vel ante aliquam tabernam ad
vendendum poma stare non possit.

(1) Mandorle.
(2) Aranci. ©

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

275

XLI

XLII

(3) La vendita delle frutta, legumi ed erbe era fatta da donne dette pomaiole
e treccole o rivendugliole, che stavano in qualche bottega (in questo senso é ado-
perata la parola taverna, che più tardi significò soltanto osteria) o tenevan. banco

innanzi alla porta di questa.

MERO SN uU AR) A 276 G. PARDI

De collecta solvenda de foglis, cipollis, aglis et aliis
pertinentibus ad camagnaiolos.

De qualibet salma cipollarum, aglorum, sealo-

gnarum (1) et porrorum viridium solvatur ad introi- .

tum portarum — III d.

De qualibet salma cipollarum, aglorum et scalo-
gnarum siccarum IIII d.

De qualibet salma eaulium, spinaeium, lactuca-

rum, eapitinorum, radieium et similium — III d.
It. de qualibet fescina, canestro seu fascio pre-
dietarum rerum — II d.

It. de qualibet salma poponum, zuecharum, eo-
eomarorum, cetronum et similium — III d.

De collecta solvenda de olivis, oleo et sale.

De qualibet salma olivarum — II d.

It. de qualibet broccha olei — XII d. (2).

It. stat. quod de qualibet salma salis solvatur ad
introitum portarum — VI d.

Ed totidem solvatur ad exitum.

De collecta solvenda de molendinis olivarum et
guati.

It. stat. et ord. quod queeunque persona habeat
aliquem molendinum de olivis vel de guato solv.
et solv. ten. quolibet anno pro collecta eamerario
diete collecte — XX s.

De collecta solvenda de lapidibus et aliis pertinen-
tibus ad artem muratorum.

De qualibet salma lapidum maeinegni, tevertini
et similium solvatur ad introitum portarum — II d.

(1) Scatogn, specie di cipolle.
(2) In margine : ad exitum XVIII d.

XLIII

XLIIII

XLV

XLVI

/———— M9 vin e

temer

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

salvo quod de lapidibus qui deferuntur pro opere
sancte Marie maioris de Urb. de quibus nichil sol-
vatur (1).

It. de qualibet salma rotarum — VIII d.

It. stat. et ord. quod quecunque persona labo-
raverit lapides tufi (2) solv. et solv. ten. diete col-
leete pro quolibet centenario duplo lapidum, quos
laboraverit — III s.

Et ab inde infra pro rata.

It. quecunque persona laboraverit planellas et la-
pides tufi pro archu solv. et solv. ten. camerario
diete eolleete pro qualibet salma quam laboraverit
— I d.

Quod muratores et carpentarii et alie persone sol- XLVII
vant collectam de cottomis.

It. stat. et ord. quod quieunque murator vel ear-
pentarius vel quevis alia persona receperit vel ac-
ceperit ipse vel alia persona pro eo aliquem cotto-
mum seu aliquod opus ad cottomum a Com. Urbe-

(1) Reca meraviglia una gemma artistica, qual’ è il duomo d’Orvieto in mezzo
ad una città piccola e spopolata in cima ad una roccia tufacea. Ma tale meravi-
glia cessa quand’ uno si faccia ad interrogare i documenti del passato e riscontri
con quanto entusiasmo e costanza tenace la popolazione di questa piccola città
siasi adoperata all'innalzamento ed alla conservazione del suo gioiello marmoreo.
Nella vicina terra di Bolsena accadeva nel 1263 il noto miracolo del Corpo di Cristo.
Essendo stati trasportati in Orvieto i lini eucaristici bagnati di sangue, parve inde-
gna di contenere il sacro deposito la vecchia cattedrale di S. Maria e fu deciso di
innalzarne un'altra più bella. Quale nobile gara tra i ricchi ed il popolo per l’ere-
zione della grandiosa fabbrica. Il Comune vi contribuì con leggi speciali, una delle
quali é appunto questa, che i marmi portati ad Orvieto per l'opera di S. Maria non
pagassero dazio all'ingresso delle porte.

(2) Un antico e grande vulcano, il cui cratere spento ha già formato il lago
di Bolsena, eruttando lave innalzò le rupi scoscese ed inaccessibili che formano
le mura naturali d' Orvieto. È perciò che il tufo abbonda sul territorio orvietano e
costituisce il principale materiale da costruzione, come fu il principale materiale
di costruzione nell'epoca etrusca e nei tempi medievali nei quali la città risorse
sulle rovine antiche.

MEC N 278 G. PARDI

vetano vel a quacunque spetiali persona in Civ. vel
comitatu, solv. et solv. ten. diete collecte pro qua-
llbet 1. pretii, quod receperit pro -dieto cottimo —
IHI d. Quam collectam solv. ten. infra XV dies
postquam dietum cottomum acceperit. Et ille, qui
dietum eottomum dederit, teneatur predieta denun-
tiare infra decem dies a die dati dieti cottomi ad
penam XXV l. Et hoe remaneat, seilicet de dietis
penis, in provisione iudieis et executorum collecte,
inspeeta qualitate delieti et persone deliquentis.

De collecta solvenda de lignanime.

Inprimis de quolibet soppedanio (1), eassa ma-
gna, archapredula, archamensa (2), vegete seu tina
— XII d.

It. de qualibet eassa parva, votticello (3) seu ti-
nozo — VI d.

It. de qualibet salma dogarum dealbatarum, cer-
chiorum pro tinis, vegetibus et barilibus — VI d.

- It. de qualibet salma arcionum, seaglionum seu
schaglarum pro bastis — XII d.

It. de qualibet culla, trappula vel salaiola — I d.

It. de qualibet salma asserorum, astricorum di-

correntium et similium — III d.
It. de qualibet salma templarum, dentalium, ta-
bularum de eastaneo et populo — III d.

It. de qualibet salma tabularum de nuce — VI d.

It. de qualibet salma tabularum de abeto — II s.

It. de quolibet trayno unius paris bovum — VI
d. Et si plures boves fuerint, solvatur pro quolibet
pari — III d.

(1) Soppedanio, cassa di legno per biancheria, accostata al letto.
(2) Archapredula, predella o sgabello, a forma di cassa. — Arcamensa, cassa

per tenervi la farina, la biancheria e altri oggetti.
(3) Votticello per botticella, scambio del d col v.

XLVIII

rare = GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D' ORVIETO, ECC.

Quod qui vendiderit aliquod genus lignaminis sol- — xrvum
vat collectam.

It. stat. et ord. quod quicunque carpentarius vel:
alia quecunque persona Civ. vel comitatus Urb. ali-
i quod genus lignaminis lavorati vel non lavorati ven-
diderit, valoris XX s. et ab inde supra, solv. pro
qualibet 1. pretii dieti lignaminis — IHI d. Quam
venditionem assignare teneatur et de ipsa collectam
solvere infra XIII dies a die venditionis prediete.

È De collecta solvenda de lino, canape, stoppa et si L
milibus.

Inprimis de qualibet salma lini vel canapis non
inceglati — IIII d.

It. de qualibet salma lini vel canapis inceglati
— III s.

It. de qualibet salma lini seotulati (1) — VIII s.

It. de qualibet salma borre (2) seu stoppe — II s.

It. de qualibet salma canapis, que defertur extra
Ciy. Urb. — III s.

Et, si non esset salma, de quolibet centenario ad

———Ó

pondus — XII d.
It. quecunque persona recollegerit linum vel ea-

eyrmen

napem in comitatu ed distrietu Urb., solv. et solv.
ten. pro quolibet. fascio — II d., exceptis eivibus

f Urbevetanis, qui solvunt collectam, ut supra conti-
netur.

Quod collecta non specificata solvatur de simili ad LI
similem.

It. stat. et ord. deliberaverunt et firmaverunt dni

(1) Nel testo primitivo era scritto liné conci, ma conci fu cancellato e sostituito
con scotulati. Scotolato, battuto con la scotola, strumento di legno con cui si toglie
la lisca al lino battendolo.

(2) Borra, cimatura o tosatura di pelo di pannilani.

+e =
280 G. PARDI

Septem et XII supradieti quod si sunt vel apparent
aut apparerent alique merchanzie seu alie quecun-
que res, que micterentur.in Civ. Urbevetanam sive
extraherentur de ipsa, de quibus non sit expecifi-
cata collecta, quod executores collecte possint et de-
beant facere exigere collectam de talibus rebus ad
modum et istar aliarum rerum, de quibus collecta
colligitur, ut eis melius videbitur convenire. Et quod
portonarii, qui stabunt ad colligendum collectam, di-
ctam colleetam de simili ad similem exigere te-
neantur.

Quod de rebus, que essent in minori vel maiori
quantitate, quam. specificata sit, solvatur collecta
pro rata.

It. stat. et ord. quod si merchanzie vel alie que-
cunque res, que micterentur in Civ. Urb. vel trahe-
rentur de ipsa, essent in maiori vel minori quanti-
tate, quam specificata sit, de qua solvi debet collecta,
tune portonarii, qui manebunt ad portas ad colligen-
dum collectam, teneantur et debeant accipere de mi-
nori quantitate minorem collectam et de maiori quan-
titate maiorem eolleetam, prout tanget pro rata, ad
rationem quantitatis collecte solvende pro tali quan-
titate rerum.

Quod non solvatur nisi semel collecta et ad maio-
rem summam.

It stat. et ord. quod, si de aliqua re de qua de-
beat solvi collecta inveniretur aliquod eapitulum plus
quam semel positum, illud capitulum, in quo conti-
netur maior collecta, servetur et aliud capitulum seu
alia eapitula, que loquntur de eadem materia, tollan-
tur nee vindicent sibi locum. i

LII

LIII
Quod qui redducerit aliquas merchanzias in Civ.
non possit illas extrahere sine apodixa.

It. stat. et ord. quod quecunque persona reddu-
eet aliquam merchanziam ad Civ. Urbevetanam vel
aliquem alium locum intus Civ. non possit illam
extrahere extra Civ. seu cum ipsa discedere, nisi
primo habuerit apodixam expeditionis ipsius a iudice
collecte, et siquis contrafecerit puniatur et conde-
pnetur qualibet vice pro qualibet salma per dictum
iudieem collecte in C s. d. c. ;

De modo et forma servanda de salmis, que rema-
nent în Civ.

It. stat. et ord. quod si contigerit aliquam salmam
muli vel equi vel alterius bestie intrare Civ. Urbeve-
tanam, de qua esset soluta collecta, de eadem salma,
si remaneret in Civ. predicta, occasione bestie, que
esset magagnata et remaneret de coscientia dnorum
eolleete et eum eorum apodixa, in discessu, que[m]
fecerit dieta salma de Civ., non possit nee debeat
plus collectari, salvo quod si faceret residentiam in
Civ. ultra unum mensem, ten. solv. collectam in
diseessu sicut prius.

Quod de mercanziis missis în Civ. solvi debeat col-
lecta ad exitum. secundum | infrascriptam | for-
mam, si starent ultra mensem.

It. stat. et ord. quod quieunque de Civ. vel co-
mitatu Urb. miserit seu mieti fecerit aliquas mer-
ehantias in Civ. predieta et pro ipsis merchanziis
eolleetam solverit in introitu Civ. et ipsas merchan-
zias non vendiderit in dieta Civ. infra unum men-
sem postquam. ipsas merchanzias miserit, voluerit
eas portare extra Civ. et comitatum Urb. pro eis
merchanziis, non teneatur amplius solvere. Ab uno

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC. 281

LIII

LVI
G. PARDI

vero mense in antea, si eas extrahere voluerit de

dieta Civ., solv. colleetam ut solvitur de ipsis mer-

ehanziis, qui mietuntur in Civ. predictam.

Quod forenses solvant collectam de salmis, quas fa-
cerent in Urb.

It stat. et ord. quod si aliquis forensis faceret
salmam in Urb. de pannis sive de mercibus vel aliis
rebus, debeat solvere collectam ad quameunque por-
tam exiverit.

De salmis revidendis per merchatores et quod re-
videre possint secundum infrascriptam formam.

It. stat. et ord. quod si contigerit aliquem mer-
ehatorem velle revidere suas salmas vel aliquam
earum, postquam essent poliziate, liceat eis eas revi-
dere, de coscientia tamen dnorum colleete vel alte-
rius eorum, et ipsi d.ni teneantur eas postea poliziare.

De merchationibus que portantur ad merchata et
non venduntur.

It. pro merchationibus, que portantur ad merchata
et non venduntur et redducuntur in Civ., nichi in
redditu pro eis ad portam solvatur.

Quod salme pannorum et merciarum debeant si-
gillari per portonarios ad ianuas, quando in
Urb. deferuntur.

De collecta a deferentibus pannos et mercias est
per supradictos dnos Septem et XII ordinatum, quod
partonarii, qui manebunt ad ianuam, debeant salmas
panno[rum] et mereiarum, que in Civ. mietuntur,
sigillare: que salme desigillari vel solvi non. pos-
sint sine lieentia provisoris colleete, qui provisorres

LVII

LVIIT

LVIIII

LVIIII bis

——o—nBÓàÀ—
pere

TE e e e pra

quas in dieta salma invenerit, seribere teneatur, et
si de rebus omnibus in ipsa salma inventis non es-
set, ut convenit, soluta collecta, quod iudex collecte
de dietis rebus ecolleetam solvi faeiat a deferentibus
eas vel ab aliis, qui solvere tenentur. Siquis vero
desigillaret vel solveret dietas salmas sine licentia
provisoris prefati, in XXV l. per iudieem collecte
pene nomine puniatur.

Quod portonarti scrutentur in bisaccris et bonectis
pro rebus, de quibus solvi debet collecta.

It. stat. et ord. quod portonarii, qui manebunt ad
ianuas ad eollegendum collectam, teneantur et debeant
serutari in bisacciis et bonectis pro opere argenti et
sete et pro aliis, de quibus solvi debet collecta et de
rebus, quas invenerint, solvi facere sieut decet.

Quod de rebus, que portantur per districtum. Urb.,
solvatur collecta.

It. stat. et ord. quod de merchanziis et rebus, que
portantur et redducuntur per distrietum et fortiam
Urbevetani Com., que non intrarent Civ. ita solva-
tur eolleeta, sieut solvitur de eis ad portas, et ubi-
cunque ponentur custodes, intelligantur portonarii.

De collecta non solvenda per ambaxtiatores.

It. ord. et stat. quod quando aliquis ambaxiator
missus fuerit vel iverit in ambaxiata et miserit sal-
mam suam de cofanis vel de pannis, vel quando ali-
quis eivis miserit pannos vel matarazum suum causa
iacendi ad aiam vel ad domum, quam haberet extra
Oiv., non solv. nec solv. ten. aliquid in introitu vel
exitu portarum, nisi fiat fraudolenter; et hoc rema-
neat, seilicet de fraude, in provisione iudicis et exe-
eutorum collecte.

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

LXI

LXII
384 G. PARDI

Quod portonarii non tangant pecuniam et de modo
quem servare debent.

It. stat. et ord. quod portonarii existentes pro
eolleeta eolligenda ad portas et posterulas Civ., te-
neantur videre denarios, qui dari debent eolleete pro
hiis, que mietentur in Civ. vel extrahentur, de qui-
bus solvi debebit collecta, et eis visis, sì sunt tot
boni quot dari debent, faciant miceti in cassam per
illum, qui eos dare debet in eorum presentia et fa-
eiant sie quod Com. non decipiatur, et ipsi portonarii
non recipiant ipsos denarios nec mietant in cassam,
sed faciant mieti ut dietum est.

Quod nullum pignus recipiatur.

It. stat. et ord. quod nullum pignus recipiatur
.ab-aliquo sed solum in denariis solvatur, ut dietum
est supra, nisi de ballis et torsellis, et quod porto-
narii teneantur ipsa pignora ballarum et torsellorum
apud eolleetam seribi facere ea die vel sera, qua ea
habuerint; et capsa, que tenebitur ad portam vel
pusterulam, sit cum catena ordinata ita longa, quod
possint mieti denarii in eam, tam per homines, qui
essent equites, quam pedites, et hoe capitulum pre-
eonizetur per Civ. ter in anno et in villis semel
per nuntios collecte, ad hoe ut vectigaly et comi-
tatenses hoe faciant et seiant.

Quod nulle merchanzie mictantur vel extrahantur
nisi per portas Civ. et de pena facientis contra.

It. ord. et stat. quod nulle merchanzie mictan-
tur in Civ. vel extrahantur de ipsa nisi per portas
magistras, sicut videbitur iudici et executoribus col-
leete, et quecunque persona per alias portas Civ. mi-
serit vel trasserit aliquas merchanzias, puniatur et
condepnetur ad arbitrium iudieis predicti. Verum

LVIII

LXIIII

LXV
per alias portas possint mieti palea, ligna, fenum et
omnia vietualia. Et quilibet custos portarum det
fideiussorem unum bonum [virum] colleete de ob-
servando quod per portas predictas, quas custo-

dierit, non permietat mieti vel extrahi aliquas mer-

chanzias, nisi de voluntate iudicis et executorum
eolleete, et si permiserit mieti vel extrahi, puniatur
ad arbitrium dieti iudicis, et siquis per aliquam por-
tam miserit vel extrasserit fraudolenter aut imma-
ginarie, sive sub specie alterius rei licite, et ita quod

non solvatur quid debet, de qua deberet solvi colle- .

eta, perdat ipsam rem et tantundem de suo ad vo-
luntatem iudicis collecte et secundum qualitatem
commissi et rei conditionem.

Quod nullus trascendat rupes vel muros Civ. cum
merchanziis.

It. stat. et ord. quod nulla persona Urbevetane
Civ. et burgorum, comitatus vel distrietus vel a-
liunde traseendat rupes vel muros civitatis, neque
aliquas merchanzias vel res exinde transferat vel
collet vel proiciat vel trahi faeiat vel deferri, nisi
publice et palam per portas Civ. ad introitum vel
exitum deputatas, solvendo de merehationibus et re-
bus, quas extrasserit vel miserit id totum, quid sol-
vere debet, secundum formam capitulorum collecte
offitialibus ad eos recolligendum deputatis. Et si ali-
quis predieta non servaverit vel eontra ea vel ali-
quod ipsorum fecerit, püniatur qualibet vice, qua con-
trafecerit, in XXV 1. si res valuerit a XXV 1. supra,
et si res valuerit ultra XXV 1., perdat ipsam rem.
Et si penam solvere non poterit mietatur in carce-
rem et tam diu ibi maneat, donee solvat et res et
merchantias amietat, quas immiserit seu proiecerit
vel eollaverit aliter, quam per portas ordinatas, in
quibus potest micti secundum capitula. Et medietas

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC. 285

LXVI 286 G. PARDI

sit accusatoris et altera medietas collecte, et accu-
sator non manifestetur, sed credentia teneatur eidem,
et eredatur accusatori ad voluntatem iudicis et ca-
merarii et executorum vel alterius eorum. Et res et
merchanzias, aliter missas vel extractas, quam su-
pradictum est, sit licitum cuilibet accipere et tollere
et eas redducere et assignare camerario collecte in
presentia iudicis et executorum, de quibus medieta-
tem habeat Com. et aliam medietatem habeat talis
acceptor. Et si capi non poterit talis contrafaciens,
ponatur in proprio banno Com. Urb., de quo exire
non possit nisi solverit predictam penam. Et si ali-
quis merehanzias et res alias detulerit vel per portas
aut scenditoria Civ. extrasserit vel immiserit frau-
dolenter et immaginarie sub specie alterius rei licite
vel alterius persone, ita quod collecta fraudetur vel
haberi non possit vel non solvatur, quod amictat
res-et merchanzias, et bestias super res et mercantias,
[quas] detulerit, sive sit dominus bestie sive non. Et
predicta ter in anno preconizentur per Civ. et bur-

gos.

Quod porte Civ. Urb. stent aperte et custodiantur
ad voluntatem iudicis et executorum collecte.

It. stat. et ord. quod porte Civ. stent aperte et
custodiantur, sicut iudici collecte et executoribus
plaeuerit; et sit in eorum provisione.

Quod iudex et camerarius et executores collecte fa-
ciant actari portas.

It. stat. et ord. quod iudex et camerarius et exe-
eutores collecte teneantur et debeant facere sic actari
portas et seinditoria omnes Civ. Urb., quod nulla res
possit extrahy vel mieti, de qua solvi debet collecta,
sine solutione debita facienda.

LVVII

LXVIII
| De collecta solvenda de blado ad introitum. porta-
rum. -

Inprimis de quolibet raserio grani et sechalis sol-
vatur ad introitum portarum — VIII d.

It. de quolibet raserio cicerum salsorum —
VIII d.

It. de quolibet raserio fabarum et aliorum legumi-

num — VI d.
It. de quolibet raserio ordei — VI d. ‘
» spelte — III d.
» saine — IIII d.
» migli et paniehi — VI d.

Hoe intelleeto, quod de blado, annona, oleo, vino
et aliis, que redducuntur civibus pro redditu terra-
rum, que laborantur ad medium vel aliter, vel pro
fietu vel quoeunque alio modo, solvatur a eive et
non a redditore, tamen semper solvatur ad portam
ante qnam mietatur in Civ.; et si eivis solvere no-
luerit ad portam, ut dietum est, pro blado, annona
etaliis, que sibi redduntur, redditor, reddueens vel
mictens ea non cadat in penam aliquam domino suo
vel eui reddere teneretur.

De collecta. solvenda. de foglais, corvellis et mappis.

De qualibet salma foglaiarum, corvellorum et
mapparum solvatur ad introitum portarum — VIII d.

De collecta solvenda pro recollectione bladi.

It. stat. et ord. quod quelibet persona Civ. et
burgorum et eomitatus Urb., que recollegerit granum
vel aliud bladum de. terris, possessionibus, molen-
dinis, gualeheriis (1) et aliis suis propriis sive li-

(1) Gualchiera, edificio con macchina, che, mossa per forza d'acqua, batte ed

assoda i pannilani.

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D' ORVIETO, ECC.

LXVIIII "

LXXI 288

G. PARDI

bellariis, solv. et solv. ten. collecte Urbevetani Com.
pro dieto blado ut infra continetur, silicet:
Pro quolibet raserio grani et sechalis — VIII d.

»

»

Et predicta intelli

5

cicerum salsorum — VIII d.

fabarum et aliorum legumi-

num — VI d.

ordei — VI d.

spelte — III d.

saine — III d.

migli et panichi — VI d.
'antur de blado, grano, ordeo,

spelta et aliis supraseriptis, si reddueuntur ad Civ.
Urb., et de eis solvitur ad portam secundum prece-
dens ordinamentum collecte. De blado autem, grano;
ordeo, spelta et aliis supraseriptis, que non reddu-
euntur ad Civ., aut non solvitur de eis ad portam,
solvatur duplum dictarum quantitatum. Et iudex
eólleete teneatur de predietis inquirere, ad hoe ut
plene fiat solutio supradieta.

Quando solvatur collecta de dicto blado. LXXII

Ut predietorum bladorum solutio executionem
plenariam mereatur, est provisum et ordinatum quod

omnes et singulas suprascriptas collectas sup 'aseripti
bladi offitiales collecte persolvi faciant cum effectu,
silicet a civibus Civ. Urb. infra XX dies continuos,
a die bannimenti fiendi pro parte dieti offitialis nu-
merandos. A nobilibus vero et sergentibus ae etiam
massariis et forensibus Civ. et comitatus Urb., infra
mensem a die bannimenti fiendi pro parte dieti of-
fitialis, ad penam dupli collecte, quam persolvere
negligens fuerit: quam eolleetam sie duplieatam die-
tus offitialis a contrafacientibus cum effectu exigere

teneatur.

ITDOVRIA
I

Quod liceat molendinariis portare blada ad molen- LXXI
dina et farinam redducere. Et quid solvere de-
beant pro dicta farina.

It. stat. ‘et ord. quod liceat omnibus molendina-
riis portare blada ad molendina et ab eis redducere
farinam de ipsis bladis ad ea loca unde blada ex-
trasserit vel deportaverit, non commictendo aliquam
fraudem vel extra devetum eundo, et qui contrafe-
cerit puniatur per iudicem collecte ae si devetum
portaret. Additum, quod quilibet molendinarius solv.
et solv. ten. ad intratam ianue de suis denariis pro
quolibet raserio farine grani, quod maeinaverit et

- quam in Civ. miserit — IIII d. Et pro quolibet ra-

serio farine alterius bladi, quod macinaverit et quam
in Civ. miserit — II d. Et ab inde supra vel infr:
pro rata. Et si dieta blada essent in minori quanti-
tate, quam unius medialis, nichilominus unus d. sol-
vatur de quantitate, que esset. De farina vero grani
vel alterius bladi, quam in Civ. non mieterent, sed
per comitatum vel alibi portaretur, solv. et solv. ten.
ille molendinarius Civ. vel comitatus, qui talia blada
vel granum maeinaret ad dictam rationem. Et qui-
libet de dietis molendinariis teneatur et debeat, se-
mel ad minus quibuslibet oeto diebus, assignare co-
ram iudice colleete vel suis offitialibus totum granum
et bladum, quod in dietis oeto diebus maeinaverit et
eius farinam in Civ. Urb. non miserit.

It. si aliquis ex dietis molendinariis peteret vel
peti faceret aliquos denarios de maeinatura grani
vel bladi illi, cuius esset dictum granum vel bladum,
quod maeinaret, vel alteri persone pro eo, solv. no-
mine pene, qualibet vice, qua sie petierit vel fecerit
peti, € s. d. c., quos iudex collecte de facto eidem ae-
cipere teneatur. Et iudex possit, teneatur et debeat
de predictis inquirere, et quilibet, cui denarii sie pe-
titi forent, possit dietos molendinarios accusare et
credatur eius sacramento, inspeeta qualitate persone.

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC. 289

II
290

G. PARDI

Quod molendinarii non accipiant nisi de XX par-
libus unam.

It. quod nullus molendinarius possit vel debeat
accipere vel accipi facere pro multura seu macina-
tura grani vel alterius bladi, quod maeinaret, plus
quam de XX partibus unam, ad penam Cesate
Nec possit vel debeat cambire granum, bladum vel
farinam ad dictam penam, quam penam iudex col-

. ]eete de facto accipere teneatur, et infra secundam

diem, postquam sibi denuntiatum fuerit, facere resti-
tui illi, eui acceptum vel cambitum fuerit tale gra-
num, bladum vel farinam vel illud, quod sibi acceptum
vel eambitum fuerit: et quod de predictis eredatur
sacramento illius, cui sic acceptum vel cambitum
fuerit tale bladum, granum vel farina, inspeeta qua-
litate sue persone.

De collecta solvenda de molendinis, gualcheriis et
aliis hedifitiis et de eorum. pensione.

It. stat. et ord. quod quecunque persona Civ. et
burgorum vel eomitatus Urb., que haberet aliquod
molendinum vel gualcheriam seu aliquod hedifitium
aptum ad rotandum in aqua aliqua, et ipsum mo-
lendinum, gualeheriam vel hedifitium teneret penes
se et ad suas manus, et ad fictum vel pensionem
non daret, et fructus perciperet de eisdem, solv. et
solv. ten. diete eolleete — IIII d. pro qualibet 1.,
faeta extimatione quantum potest talis persona de
tali molendino, gualcheria et hedifitio fructum per-
cipere vel habere; si vero pensionem vel fictum de
ipsis habuerit, similiter solv. — IIII d. pro qualibet
l. eius quid habuerit pro pensione vel fictu. Et super
predictis iudex colleete teneatur diligentem inquisi-
tionem faeere, ad hoc ut plenariam possit veritatem
scire de fructibus talium molendinorum, gualeheria-
rum et hedifitiorum. i

LXXIIII

LXXIIII ^is

Sr
re

Quod molendina, que non sunt adfictata, debeant
adfictari. i

It. stat. et ord. quod omnia et singula molendina,
que sunt in Civ. et comitatu Urb., que non sunt ad-
fietata, debeant adfietari et extimari, et ipsorum
et euiusque ipsorum redditus et proventus, hoe
modo, videlieet, quod per d.nos Septem et XII
eligantur IIII boni viri, seilicet unus de quolibet
quarterio, in secreto, qui habeant notitiam molendi-
norum, qui iurent bona fide, sine fraude adfictare
et extimare valentiam, redditus et fictus molendi-
norum in quocunque flumine, rivo sive fossato vel
alio quocunque loeo intra eomitatum Urb., que affic-
tata et extimata non essent. Alia vero omnia et
singula molendina, que sunt in comitatu dicte Civ.
que sunt affictata, stare debeant et esse in ipsa ex-
timatione et affictu ac que nune affietata sunt. Et
illi qui eligentur, ut dictum est, ad affietandum et
extimandum supradicta molendina, que affictata et
extimata non sunt, non sint nec esse possint de illis,
qui habeant aliquam partem in aliquo dietorum mo-
lendinorum, et ommes et singuli redditus et proven-
tus alieuius molendini debeant extimari ad granum

solum et non ad aliud bladum.

De supradictis offitialibus super extimatione mo-
lendinorum.

It. stat. et ord. quod supradicti offitiales, qui ex-
timabunt et affictabunt predieta molendina, debeant
iurare si est ibi aliquod molendinum affictatum, et
si ille vel illi, cuius vel quorum fuerit molendinum,
dixerit quod dietum molendinum fuerit affictatum,
faciant sibi hostendi instrumentum affictus et red-
dueant illud in scriptis, seilicet quo anno et quo die
instrumentum fuerit conditum et manu cuius notarii
et quantum est affictum ; et, si dietum instrumentum

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE .D' ORVIETO, ECC.

LXXV

LXXVI
292 G. PARDI

- non ostenditur dietis offitialibus, debeant et tenean-
tur dieti offitiales dietum molendinum affietare et
extimare sieut tenentur extimare alia molendina, que
affietata non sunt.

Quod quilibet debeat ire ad molendina de quibus
solvitur collecta Comuni Urb.

. It. stat. et ord. quod quilibet de Civ. et comitatu
Urb. teneatur et debeat ire et portare frumentum et
aliud bladum solum ad illa molendina, que dant col-
leetam Com. Urbevetano et qui contrafecerit con-
depnetur pro qualibet vice et qualibet salma in X
l. d. e. Com. Urbevetano et perdat salmam et be-
stiam, et cuilibet sit licitum accusare et capere be-
stias et salmas, et medietas banni sit accusatoris vel
capientis, et alia sit Com.

Quod molendina que sunt in comitatu Urb. red-
ducantur in scriptis.

It. stat. et ord. quod omnia et singula molendina,
que sunt in eomitatu Urb., redducantur in scriptis
et seribatur ubi est quodlibet molendinum et cuius
vel quorum est. Et si aliqua persona vel locus, que
et qui non sit supposita vel suppositus iurisdictioni
Urb., que et qui habuerit partem in aliquo molen-
dino, et habuerit consortem in aliquo molendino ali-
quem alium, qui sit suppositus iurisdietioni Com.
Urb., noluerit solvere Com. predicto, sieut superius
dietum est, si talis suppositus danpnum recepit, illi
tali persone et loco et suis familiaribus ius aliquod
non debeat observari vel statuta Com. Urb. quousque
integre satisfecerit consorti suo supposito iurisdictioni
Com. Urb. et omne danpnum quid receperit ocea-
sione predieta.

LXXVII

LXXVIII
GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D' ORVIETO, ECC.

Quod recolligentes pensionem solvant collectam. LXXVI »

E It. stat. et ord. quod quelibet persona, que re-
colligit aliquam pensionem de aliquo palatio, turri,
eassero, platea vel plateis, domo, claustro, capanna,
E loia vel andito, sive de aliqua vinea vel vineis, terra
vel terris, boscho, prato, lama, canneto vel orto, vel
de alia quaecunque re, sive de aliquo vocabulo ali-
euius rei, de qua recipiatur pensio in pecunia nu-
merata in Civ. Urbevetana et burgis et comitatu
ipsius, solv. et solv. compellatur annuatim Com. Ur-
bevetano pro ceolleeta quattuor d. de quibuslibet
XX s. d., quos pro pensione habuerit.

De collecta solvenda de libellariis. EXXX

It. quieunque recollegerit in Civ. Urbevetana vel
burgis vel comitatu aliquod libellum sive de do-
mibus, sive de terris, sive aliis possessionibus, solv.
et solv. ten., ut supra dietum est, de pensionibus
III d. pro qualibet 1. eius quod recollegerit.

Que collecta solvatur de pensione posessionum, que LXXXI
adacquantur.

It. stat. et ord. quod queeunque persona adac-
È quaverit suam posessionem de aliqua aqua, que exi-
ret de rupibus Civ. Urb. vel de alia aqua, que exi-
ret, esset et.transiret a rupibus Civ. usque ad flu-
men Palee (1) et usque ad rupes Alfine (2), solv. et
solv. ten. quolibet anno, pro qualibet l. eius, quod

habuerit pro pensione dicte posessionis — VI d. Et
E si pensionem non habuerit de dieta posessione, iudex
E. et executores collecte extiment omnes fructus, quos
|. - ille, euius fuerit posessio, de tali posessione recol-

(1) Il fiume Paglia affluente del Tevere, che scorre sotto Orvieto.
(2) L'Alfina é un vasto altipiano che si estende ad occidente di Orvieto.
294: G. PARDI

legerit et seeundum dictam extimationem solvatur
collecta predicta ad rationem — VI d. pro l., ut
dietum est. De pensione vero aliarum terrarum, que
non adaequantur solvantur, pro eolleeta — IIII d.
pro l. ut superius est expressum.

De illis personis, que tenent vel laborant posessiones
illorum, qui non sunt de iurisdictione Com. Urb.
et qui ipsorum apothecas tenent.

It. stat. et ord. quod quicunque tenet vel laborat
in Civ. vel eomitatu Urb. aliquam terram vel po-
sessionem seu molendinum vel aliquam domum sive
apothecam alicuius, qui non sit suppositus iurisdic-
tioni Urb., teneatur et debeat solvere colleetam et
eolleetas dieto Com. Urbevetano de pensione, fictu
et redditu dietarum rerum, seilicet de redditibus,
fietibus et pensionibus, que reeolligentur de dietis
terris, posessionibus, molendinis, domibus, apothe-
chis, secundum formam ordinamenti colleete Com.
Urb. Et d.nus potestas et iudices curiarum de quan-
titate soluta a dieto tali, si d.nus dietarum rerum
vel alicuius earum conquereretur de tali detentore
pro parte soluta, ut dietum est, teneatur non reddere
rationem, non obstante aliquo capitulo statutus Civ.
Urb. Et quod illud, quod dieti detentores solverint
occasione predieta, computetur in eo quod d.ni debent
reeipere a dietis detentoribus pro dietis rebus.

De offitialibus eligendis super mensuris.

It. stat. et ord. quod iudex collecte et d.ni Sep-
tem et XII eligant unum vel duos offitiales bonos et
legales, et eis feudum assignent et solvant ut eis vi-
debitur, qui supersint super sigillis et mensuris, sta-
teriis, ponderibus, belanciis et marchis Civ. burgorum
et comitatus Urb. et eorum offitium faciant seeundum
formam infraseriptorum capitulorum, videlicet:

LXXXIII
GL1 STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D' ORVIETO, ECC.

Inprimis dieti offitiales faciant fieri unum. sigil-
lum, secundum quod ordinabitur per d.nos Septem
et iudicem et executores collecte, cum quo sigillari
debeant bariles, brocche et medie brocche, pitietus,
medius pitietus, terzecta, foglecta et media fogleeta
quartengus, medius quartengus, quartus et omnes alie
mensure, que consuete sunt sigillari et infra dicuntur,
P et accipiant pro infrascriptis mensuris colleetam in-
: fraseripto modo, videlicet: :
Pro quolibet quartengo — VIII d. (1).
E » medio quartengo — VI d.
» quarto et aliis mensuris — IMI d.

I Pro qualibet broecha pro oleo — XII d.
» media broccha vel quarto — VIII d.
Pro quolibet pari barilium — VIII d.
» pitieto — VI d.
Pro aliis mensuris vini et olei — IIII d.
Pro qualibet statera que portat usque in C 1. —
ESS:
» alia maiori statera — X s.

E: Pro quolibet passecto — VI d.
È » coppitello sive coppa molendini —
1 VIII d.
Pro qualibet pesa maeellariorum — III d.
Pro quolibet pari belanciarum — XII d.
Pro qualibet pesa marehi — VI d.
» perticha — III s.

E: Pro media perticha — II s.
i Pro aliis vero mensuris ad hee aptis, videlieet
pro qualibet earum — XII d.

(1) Sono qui menzionate le misure adoperate ad Orvieto nel 1334: il quartengo
misura del frumento suddiviso in mezzo e in quarti, la brocca per l'olio, il barile,

| il piecolo, la terzetta, la foglietta per il vino, la coppa e il coppetto per la farina,
il passetto per misurare la lunghezza delle mercanzie e la pertica per quella dei
terreni, la stadera e le bilance per pesare ecc. Le misure del frumento eran di le-
gno, quelle del vino e dell'olio (piecolo, terzetta e foglietta, brocca e mezza brocca
e quarto di brocca) dovevan essere di rame, come si legge nel 8 seguente.


MM À— ie ER E EE ERE EE ETE

996 G. PARDI

Pro qualibet forma mattonum seu tegularum —
VI d.

De mensuris et ponderibus adiustandis et sigillandis.

It. stat. et ord. quod statere, marchi et mensure
corrigantur et approbentur et sigillentur per legit-
timos approbatores constituendos per d.nos Septem
et XII et iudicem et executores colleete per to-
tum mensem ianuarii, ad quas stateras, marchos et
mensuras sie approbatas et approbatos ponderari
et mensurari debeat et emi et vendi et non ad
aliquam aliam mensuram seu pondus, nisi taliter
correctum et sigillatum fuerit, ut dietum est, ita ta-
men quod mensure bladi, quartengus, medius quar-
tengus et a medio quartengo infra approbari debeant,
et sint et esse debeant de ligno, et mensure vini et
olei, cum quibus debent adiustari; alie mensure sint
et esse debeant de ramine; de quibus mensuris om-
nibus eamerarius eolleete habeat et habere debeat
exemplum penes se, et approbatores similiter, ut om-
nibus fraudibus ovietur. Et iudex diete collecte iu-
ramento precise teneatur et debeat quemlibet con-
trafaeientem punire et eondepnare in XX s. c.

Et si sie non fecerit et observaverit ipse iudex,
per potestatem dieti Com. in XXV I. condepnetur,
et tantum camerarius collecte de suo salario debeat
detinere.

De bannis et penis exigendis et recolligendis.

It. quod predieti -offitiales Com. recolligant dieta
banna et penas, et tam de ipsis, quam de denariis
habitis sive habendis pro sigillatura, mensuratura
et venditione mensurarum Com. Urb. rationem fa-
ciant, solvendo et retinendo sibi salarium suum et
alias expensas faciendo, que fieri debebunt pro pre-
dietis, iuste.

LXXXIIII

LXXXV

""—
Quod denuntietur Urbeveteri quod faciant appro-
bari bariles et alias mensuras.

It. quod dieti offitiales faeiant denuntiari et diei
per totum comitatum Urb. ut si qua persona habue-
rit bariles et mediales, quartengos vel alias men-
suras bladi, vini vel olei, quibus uti velit pro men-
surando, quod cum eis ad Urb. vadat ad dictos
offitiales et eas faciat approbari, si fuerint sigillate;
et si non fuerint sigillate, quod eas faciat sigillari.
Sin autem ab inde in antea patietur penam supra-
dietam. Et possint propterea dieti offitiales aliquem
eorum nuntium mietere, de quo certi sint, qui sic
denuntiet, et eidem dare debeant de ipso suo labore,
sieut videbitur iudiei collecte et dietis offitialibus,
et ipsi offitiales teneantur et debeant toto anno in-
tendere et superesse ad providendum supradictas
mensuras per eos sigillatas et approbatas, si vide-
bitur d.nis potestati, capitaneo, Septem, XII, iudici
et executoribus collecte.

De sigillo collecte retinendo.

It. stat. et ord. quod d.ni collecte teneantur te-
nere sigillum collecte et non alii, et non possint
mieti alique lietere sive nuntii, nisi de eoscientia
dieti camerarii et d.norum collecte aut duorum ex
eis.

De collecta vini solvenda.

Stat. et ord. quod de qualibet salma musti seu
vini puri solvatur et solvi debeat ad introitum por-
tarum — III d.

It. de qualibet salma musti seu vini aequati —
I d.

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D' ORVIETO, ECC.

LXXXVI

LXXXVII

LXXXVIII G. PARDI

De collecta solvenda pro recollectione vini.

It. stat. et ord. quod quecunque persona Civ.,
burgorum et comitatus Urb. de vineis et possessio-
nibus suis propriis sive libellariis solv. et solv. ten.
diete eolleete pro qualibet salma vini vernaceini,
grechi, tribiani et muscatelli — IIII d.

It. pro qualibet salma vini nostrati — II d.

Et predieta intelligantur in vino seu musto quod
redducitur ad Civ. Urb. et de eo solvitur ad portam
in introitu seeundum ordinamentum collecte. De vino
autem quod non redducitur ad Civ. aut non solvitur
de eo ad portam, ut dietum est, solvatur duplum
dietarum quantitatum. Et iudex teneatur de predic-
tis inquisitionem facere ad hoc ut plenaria fiat so-
lutio de predietis.

Qualiter solvatur collecta de vino grecho, vernac-
cino et fiano (?).

It. stat. et ord. quod quieunque redduci fecerit
ad Civ. Urb. vel burgos aut eius comitatum vinum
grecum vel fianum (?) vel de vernaccia vel vinum
marchianum solv. et solv. ten. dicte collecte pro
qualibet salma vini grechi vel fiani (P) aut ver-
naccie — II s.

It. de qualibet salma vini marchiani — XII d.

Et intelligatur de vernaccia ianuensi et de grecho

neapolitano.

Quantum solvere debeat pro collecta qui extrasserti
vinum extra comitatum Urb.

It. stat. et ord. quod quicunque extrahet vel
exportabit vinum extra comitatum Urb. solv. et
solv. compellatur diete collecte — IIII s. pro qua-
libet salma, habita prius licentia extraendi et por-
tandi dietum vinum a iudice collecte, salvo et re-

LXXXVIII

LXXXX

XCI
GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D' ORVIETO, ECC.

servato quod, si per dietum Com. fieret exercitus
extra iurisdietionem Urb., tune debeant solvi — XII
d. pro qualibet salma vini et non plus, de vino vi-
delicet quod defertur in dietum exercitum. Et si
accideret quod fieret exercitus in comitatu Urb. de
vino quod defertur in dietum exercitum, niehil de-

a beat solvi. "

Quantum solvat pro collecta qui ectrasserit vinum XOn
de Civ. et burgis. ;

It. quicunque extrasserit de Civ. et burgis vinum
solv. et solv. ten. diete colleete pro qualibet salma

— II d. De aceto autem, qui illud extrasserit de Civ.

vel burgis, et de venditione ipsius aceti nichil solvat
pro eolleeta vel solvi debeat vel aliquis (?) compel-
latur.

Que collecta solvatur de venditione vini. XCIH

Stat. quod quilibet vinum vendens vel vendi fa-
ciens ad minutum in Civ. vel comitatu Urb. solv.
et solv. ten. pro eolleeta, pro qualibet l. pretii vini

quod eolleetatum fuerit — XII d. Si vero vinum
E venditum fuerit in grosso, solv. venditor pro qualibet
l. pretii dieti vini venditi — II d.
Pro quanto pretio vinum vendi possit. XCIMII

It. quod nulla persona possit vendere vinum ali-
quod, euiuseunque valoris fuerit, ultra XXXII d. pro
quolibet pititto. Et qui contrafecerit puniatur per
iudicem collecte in 1. — decem. d. e.

De pena vendentis unum vinum pro alifo[. Xov

Nulla persona vinum vendens vel vendi faeiens CORCREEUM
ad minutum possit vendere vel vendi faeere unum

vinum pro alio. Qui contrafecerit penam X 1. in-
300 G. PARDI

currat, tam vendens quam vendi faciens, pro quolibet
et qualibet vegete vel votticello de quo venderet.

De pena non tenentis mensuras sigillatas. XOVI

Quilibet tabernarius sive vinum vendens ad mi- M
nutum teneatur et debeat habere et tenere pjtittum, E
medium pitittum, tertium pitittum et foglectam si- Fr
gillatos sigillo Com. ad penam XL s. pro quolibet
vase seu mensura non sigillata. Liceat tamen habere

vasa maiora duobus pitittis sine pena et alia vasa
non pititta causa miseendi aquam.

De vendendo cum mensura petita. XCVII

Quilibet tabernarius vel vinum vendens ad mi-
nutum teneatur vinum vendere omnibus et singulis

petentibus cum illo vase sigillato sigillo Com. cum
quo petitum fuerit, ad penam XX s. e. et debeat
dare mensuras plenas. It. teneatur vendere pro illo
pretio, pro quo vinum fuerit collectatum, et non pro

maiori, ad dietam penam.,Et de omnibus et singulis
in presenti ordinamento contentis stetur sacramento
accusatoris eum attestatione unius testis.

De pena mon vendentis vinum palam et apertis — xovmm
hostiis.

It. quod quilibet tabernarius vinum vendat palam
et apertis hostiis taberne ad penam X l. pro quo-
libet et qualibet vice cuilibet contrafacienti aufe-

rendam.

De vino non vendendo ad minutum absque apo- | XOVIm

diva et sigillatione iudicis vel offitialis collecte
et de licentia concedenda.

It. quod nullus tabernarius vel vinum vendens
ad minutum audeat vel presumat vendere vinum,

citrico —rarrrggt_î PALI » C f

remi Lo re
De
p.

nisi prius posita fuerit ad vegetem apodixa iudicis
vel notarii collecte, qua contineatur concessio licen-
tie et pro quanto pretio vinum vendatur. Contrafa-
ciens in l. X vice qualibet puniatur et minus usque
in tres l. arbitrio iudicis. Et cuilibet sit licitum ae-
cusare et denuntiare contrafacientes; et due partes
banni sint Com. et tertia sit denuntiatoris. Et iudex
teneatur sigillari facere cocchiaionem vegetis, ita
quod nichil possit inmieti, et infrenare zaffos et
sigillare, aliarum vegetum, ita quod nichil possit ex-
trahi sine sua lieentia. Qui vero desigillaverit vel
defrenaverit vegetes sine licentia, penam © s. in-
eurrat. Et non possit concedi licentia in duabus ve-
getibus eiusdem coloris, nisi una veges sit vini crudi
et altera vini cocti. Possit tamen concedi licentia
vendendi duas vegetes eiusdem coloris et eiusdem
pretii; vegetes autem non possint ad minus pretium
redduei per offitialem, scilicet solvatur Com. colleeta
que primo fuerit collectata.

Infra quantum tempus solvi debeat collecta vini.

Queeunque persona fecerit eolleetari aliquam ve-
getem sive boetieellum vel barilem' vini, solv. col-
leetam infra oeto dies, a die date licentie numeran-

dos, ad penam dupli.
De custodibus secretis eligendis super vino.

Fiant per offitialem seu iudicem collecte, cum
consilio IIII executorum, eustodes secreti super frau-
dibus eontra ordinamentum vini, quibus eustodibus
et alteri eorum eredatur et ipsorum dieto et cuius-
libet ipsorum stetur, secundum quod iudici et exe-
eutoribus videbitur, dummodo habeat ipse custos
unum contestem et hoe pro legitima et plena pro-
batione.

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D' ORVIETO, ECC.

CI
302. G. PARDI

De provisione facienda quod collecta vini non frau-
detur.

Ad hoe ut collecta vini non fraudetur et maxime
in eomitatu Urb., teneatur iudex sive offitialis col-
lecte et d.ni IIII executores providere, modis omni-
bus quibus possunt et eis videbitur, quod in comi-
tatu Civ. Urb. colleeta solvatur per dietos comita-

tenses sicut per cives.

De pena portantis vinum in barilibus non sigilla-
tis et aliis mensuris.

It. stat. et ord. quod siqua persona Urbevetani
Com. vel eius comitatus et distrietus vinum porta-
verit in barilibus non sigillatis perdat et Urbe-
vetano Com. solv. ten. omni vice — s. decem d.
e. Et quieunque mensuraverit vinum vel bladum
ad aliam quameunque mensuram, a mediali infra,
non sigillatam, perdat omni vice et Urbevetano
Com. solv. ten. — s. X. Et si ad medium quarten-
gum vel aliam mensuram sigillatam et non appro-
batam per dietos offitiales perdat et Urbevetano Com.
solv. ten. viee qualibet — X s. Additum quod men-
sure, que in dieto capitulo continentur et de quibus
dietum eapitulum mentionem facit, si semel uno
anno: fuerint sigillate et approbat[e], non teneantur
illi, quorum sunt, amplius illas mensuras vel aliquam
earum approbatam et sigillatam, ut dietum est, facere
sigillari vel approbari. Et persona, cuius essent,
dietas mensuras, vel aliquam earum ulterius quam
semel approbare et sigillare minime teneatur.

Et siqua persona mensuraverit oleum ad broc-
cham vel mediam broccham, quartam vel mediam
quartam sive ad quameunque aliam mensuram ab
inde infra, que sigillata non esset, perdat omni vice
et Urbevetano Com. solvere debeat — X s. Et si

eum sigillatis et non approbatis per dictos offitiales,

CIII

IAT
m—
trà AS

perdat omni vice et Urbevetano Com. solvere debeat
— quinque s. Intellectum sit in omnibus supradictis
bannis sive penis quod qui contrafecerit post de-
nuntiationem vel citationem sive banna pro predictis
missa, sic solvere debeat et non aliter. Et quieunque
accusaverit aliquam personam contra predieta ordi-
namenta vel aliquod predietorum faeientem, illud
autem verum constiterit, habeat et habere debeat
mediam partem banni sive pene inde habende.

Quod potestas Urb. et iudex collecte teneantur. pre-
conizari facere ordinamenta vini per Civ. et
burgos.

It. stat. quod d.nus potestas Urb. et iudex col-
leete teneantur facere banniri per Civ. Urb. et eius
burgos publiee omnia ordinamenta vini quolibet
mense semel.

Quod, rectores, comes et baro teneantur facere ban-
niri ordinamenta vini in eorum terris.

It. stat. quod reetores terrarum vel baro seu co-
mes, vel quivis alius quoeunque nomine censeatur
comitatus Urb. teneantur facere banniri ordinamenta
vini in eorum terris quolibet mense semel.

De collecta carnium et venditione ipsarum facienda
ad minutum.

Nullus macellarius sive vendens earnes ad mi-
nutum in Civ. vel burgis Urb. audeat carnes inei-
dere vel taglare nisi prius vise et scripte fuerint
diete earnes per notarium iudicis colleete, qui no-
tarius teneatur omni die bis ire ad macellum vel ma-
cella et dare licentiam cuilibet volenti macellare et
seribere nomen macellarii sive macellare volentis

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D? ORVIETO, ECC..

CIHII

CV

CVI

EE 2

E. I. 304 : G. PARDI

earnes, et que carnes sunt et euius condictionis.

Et teneantur d.ni III executores faeere assectum

earnium, pro quanto pretio possit vendi libra car-
nium eastratinarum, poreinarum et sic de singulis

earnibus, qui assectus fieri debeat totiens quotiens |
dietis d.nis IIII visum fuerit expedire. Et nullus )
earnes sive libram car-
dietos d.nos IIII.

| macellarius audeat vendere
p nium ultra pretium taxatum per

Siquis vero macellarius vel vendens carnes ad mi-

nutum contr
XX s. ineurrat, quam penam sine aliquo processu
faetu sibi auferre possit iudex

afeeerit in aliquo de predictis, penam

vel sententia et de
collecte vel quivis alius offitialis qui fuerit ad pre-

dieta.
Collecta vero carnium macellatarum solvatur per |

infrascriptum modum, videlieet :
.Pro quolibet castrato, peeude, eapra et ircho

—-HI s.
» agno eompleto — II s. di
» caprecto, cordescho et porchecta — n
Ts: \
Pro qualibet manza tenente — XXI s.
» sugente — X s.

Pro quolibet bove et vaccha veteri — XXVIII s.
» porcho et serofa — X. Sg. po

Modus vero predictus duret et observetur donee
mutatus fuerit per iudicem et executores colleete,
post quam mutationem ille modus, qui per eos de-
clarabitur, observetur.

Que collecta solvatur pro carnibus macellatis in-
fra terminum a iudice statuendum. Qui si non fuerit
assignatus, intelligatur quod pro carnibus macellatis
die sabati et die lune solvatur ipsis diebus et per
totum diem martis proxime subsequentem. Pro car-
nibus vero macellatis die martis, die mercurii et die
iovis solyatur diebus predietis et per totum diem

veneris proxime subsequentem.
De carnibus macellandis in comitatu.

Siquis vero carnes voluerit macellare in comi-
tatu Civ. Urb. non antea ineidat, quam si eas videri
fecerit a syndico et duobus massariis pleberii in quo
carnes macellantur aut per alterum ipsorum. Siquis
vero contrafecerit — XX s. c. penam ineurrat.
Syndiei vero et massarii aut alter ipsorum teneantur
scribere et in seriptis redducere aut seribi et in
scriptis redduei facere carnes predietas cum ipsius
. licentia macellatas, ac etiam earnes macellatas ab-
sque licentia; et notificare iudici et curie collecte
singulis XV diebus, ita quod sciri possit quis et quan-
tas et quales carnes maeellaverit eum licentia et
sine licentia. Qui syndieus et massarii si negligentes

fuerint in predietis aut aliquo predietoram — XX

S. penam ineurrat- Et pro predictis carnibus solva-
tur tanta eolleeta quanta solvitur in Civ. infra ter-
minum a iudice statuendum, qui si non fuerit assi-
gnatus, intelligatur esse dierum XV et non ultra a
die quo carnes fuerint macellate.

De venditione carnium salatarum.

Carnes salate, lardum sive untum et assugna nul-
lus audeat vendere ante quam fuerint ponderate per
poderatorem Com. et seripte per notarium iudieis
eolleete. Et teneatur quilibet vendens carnes predie-
tas, lardum et assugnam vendere seeundum assectum
fiendum per d.nos IIII executores et iudicem col-
leete et solvere collectam pro predietis de qualibet
l. — I d. infra terminum a iudiee statuendum. Et
predicta intelligantur-in Civ. In comitatu vero pon-
derentur per syndicum et duos massarios aut alte-
rum ipsorum. Que omnia in seriptis redducantur
per dietum syndicum, et iudiei presentetur singulis
XV diebus, ut supra proximo capitulo dietum est.

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

. 305

CVII

CVIII
306 . G. PARDI

| De pena vendentis carnes vetitas pro non vetitis.

Siquis macellarius carnes vendiderit et fraudem
fecerit in venditione qualitereunque miscendo carnes
unius generis cum carnibus alterius generis et ve-
titas posuerit cum permissis, puniatur per iudicem
collecte de facto in XX s. et plus et minus arbitrio
dicti iudicis.

r

De collecta solvenda de coriis sive pellibus bestia-
rum in Civ. vel burgis scorticatarum.

Quecunque persona vendet vel vendi faciet ali-
quam pellem vel aliquod eorium alieuius bestie, que
seortiearetur in Civ. vel burgis Urb., solv. et solv.
ten. et debeat pro collecta:

Pro quolibet corio cavallino, bufalino, bovino vel
de mulo — II s.

It. pro quolibet corio asini — VI d.

It. pro qualibet pelle vel corio capre vel becchi
23 THT-d.

It. pro qualibet pelle castratina vel pecudina —
HI d.

It. pro qualibet pelle caprecti vel agni — I d.
» caprioli — III d.
» cervi — VI d.

De collecta solvenda de bestiis, que ad Civ. Urb.
ducuntur.

De bestiis, que ad Civ. Urb. ducuntur, solvatur
eolleeta infrascriptis modo et forma, videlicet:

De qualibet bestia bovina a XVIII mensibus su-
pra — XII d.

Et ab inde infra — VI d.

Pro quolibet equo venali eum sella vel.sine sella
— Vs.

GVIIII

CXI

gere
DTA sues | LU
. Pro quolibet mulo vel mula aut iumento venali

— JI s.
» asino vel asina venali — XII d.
» pollitro asinino infra annum — VI d.
» porco vel scrofa valoris trium ]. et
ab inde supra — VI d.
Valoris autem ab inde infra usque in — XXX

S. — III d.

Ab inde vero infra pro quolibet porcho vel serofa
— Id.

Pro quolibet castrone, vetere (?) peeude, yrcho, ca-
pra et similibus usque in dimidium miliare — II d.

Ab inde vero supra pro quolibet centenario —
XII s. :

De agnis autem et caprectis sugentibus seu lactan-
tibus pro qualibet decina — VI d.

Pro predietis bestiis solvatur suprascripta collecta
si diete bestie venduntur vel remanent ultra unam
diem in Civ. Si autem extrahuntur dieta die de Civ.,
niehil solvatur pro eis, nisi extrahentes sint forenses.
Qui solvant omnino colleetam, si volunt extrahere de
comitatu, quo easu solvant secundum ordinamenta
eolleete et non extrahant sine apodixa iudicis col-
lecte.

De bestiis exeuntibus extra Civ. ad pascendum et
quis modus servari debeat.

It. ord. quod siquis miserit vel mieti fecerit in
Civ. de supradietis bestiis in capitulo supra proxime
eontentis et voluerit postea extra mietere ad pa-
scendum, hoc facere possit, et nichil propterea plus
solv. ten., dum tamen per illam portam exeant, quam
intraverant. Et portonarii faciant aliquid signum
eum eis, ita quod Com. inde non decipiatur neque
mietentes bestias in Civ. Et si per aliam portam
extrasserit, ostendat solutionem.

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC. 307

CXII
308 G. PARDI

De bestiis ductis diebus sabati ad merchatum et
aliis diebus quibus merchatum fieret.

Hee est declaratio et intentio predietorum capi-
tulorum loquentium de bestiis supradietis, quod pro
bestiis duetis diebus sabati ad merehatum vel alis
diebus, quibus merchatum fieret sollepne, que non
venderentur, nichil solvatur in exitu; hoe addito quod
habeatur apodixa iudieis collecte et iuret ille qui
ipsas bestias non vendiderit et quod sint ille eedem
bestie, quas duxerit.

De forense qui miserit aliquem. equm în Civ.

It. siquis forensis miserit in Civ. vel burgos ali-
quem equm, equam, ronzinum vel mulum de equi-
tando, solv. pro quolibet equo armigero — II s.

Et pro quolibet ronzino, mulo vel mula de equi-
tando — XII d.

Et hoc intelligatur de hiis, qui non ducuntur ad
vendendum. De hiis autem, qui ad vendendum du-
cuntur, solvatur ut supra patet in eapitulo de bestiis
que ad Civ. dueuntur.

De collecta solvenda de pretio bestiarum.

It. stat. et ord. quod quicunque vendiderit vel
emerit aliquam seu aliquas bestias in Civ. Urb. vel
eius comitatu, solv. et solv. debeat diete collecte
tam emptor, quam venditor — II d. pro qualibet
parte et pro qualibet 1. totius pretii quo bestias seu
bestiam vendiderit vel emerit, infra quintam diem
post quam vendiderit vel emerit, si vendiderit vel
emerit in Civ. vel burgis seu merchatu Urb. Et si
vendiderit vel emerit in. comitatu Urb. extra mer-
chatum et extra Civ. et burgos, solv. et solv. ten.
infra otto dies postquam vendiderit; hoe addito quod
si offitialis collecte, qui ad hoe deputaretur, esset

CXII

CXIII bis

CXIIII

n ap —
e mÓ— ale —

presens in merchato vel alibi, ubi diete bestie ven-
derentur et emerentur, quod tune tales venditores et
emptores eidem offitiali, qui ad colligendum dietam

eolleetam deputatus esset, solv. ten. Siquis vero pre-

dietis vel alicui predietorum contrafecerit, dupliea-
tam, pene nomine, solv. ten.; quam sic duplicatam
iudex collecte possit, teneatur et debeat auferre de
faeto.

De collecta solvenda de bestiis que baractantur.

It. siquis baraetaverit aliquem equm, mulam vel
mulum vel aliquam aliam bestiam in campo fori
vel alibi, solv. de dieto baraeto pro eo modo et sicut
solvitur de venditione ipsarum bestiarum.

JDe collecta solvenda per illos qui prestant equos
ad victuram.

Quecunque persona Urbevetane Civ. et burgorum
prestat seu prestabit equos vel equm vel equam vel
ronzinum seu mulam ad victuram, solv. et solv. ten.
et debeat diete eolleete pro qualibet bestia predic-
tarum omni anno — XX s. Et iudex collecte te-
neatur banniri faeere quod quicunque voluerit pre-
stare equm vel mulum seu mulam vel equam vel
ronzinum ad vieturam, faeiat se seribi per notarium
iudicis collecte infra otto dies post bannum missum.
Et si aliquis inventus fuerit prestare ad vieturam

aliquam de dietis bestiis, qui se seribi non fecisset,

solv. et solv. ten. nomine pene — C s. d. c.

Que collecta solvatur per illos, qui retinent equas,
mulas vel mulos domitos.

It. quieunque habuerit in Civ. vel comitatu Urb.
equam, mulum vel mulam domitüm vel domitam,
cum quo vel qua somiaret vel somiari faceret pretio,
vel esset de armento (?), solv. et solv. ten. diete col-

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

CXV

CXVI

CXVII
310 G. PARDI
lecte quolibet anno pro quolibet dietorum anima-
lium — XX s.

Que collecta solvatur per illos, qui tenent somarios
et somarias domitas.

It. quicunque habuerit in Civ. vel comitatu Urb.
somarium vel somariam domitum vel domitam, solv.
et solv. ten. diete colleete quolibet anno pro quolibet
dietorum somariorum vel somariarum, quos vel quas
"habuerit in Civ. vel burgis — V S.

Et pro quolibet ipsorum quem habuerit in comi-
tatu — II s.

De collecta solvenda pro retentione porcorum.

It. stat. et ord. quod quieunque retinuerit in Civ.
porehum vel scrofam, dum modo vadat extra domum
per stratas vel plateas, solv. et solv. ten. dieto Com.
pro eolleeta quolibet anno pro quolibet porcho vel
serofa — XX s. Si autem retinuerit porchum vel
scrofam euntes per stratas, ut dictum est, in burgis
diete Civ., solv. pro quolibet anno pro quolibet por-
cho seu serofa — X s. Si autem tenuerit in Civ.
vel burgis porehum vel serofam mandrialem seu ad
pilam et non vadat extra domum, solv. quolibet anno
pro quolibet porcho vel serofa, quem vel quam sic
tenuerit — quinque s. Et hoc banniatur publice per
Civ. Et inquiratur per iudicem de predictis, ita quod
dieta collecta omnino solvatur et exigatur.

De. collecta. solvenda de soccitis bestiarum.

It. ord. quod quelibet persona que dedit vel da-
bit deinceps, vel que nune habet in soceitam vel ad
collaticam alicui persone aliquas bestias, ten. solv.
pro quolibet bove, quem habuerit in soccitam, inter
conduetorem et locatorem — VIII s.

CXVIII

CXVIII

CXX
It. de qualibet vaecha et qualibet vitella et quo- .

libet vitello, inter conductorem et locatorem — VI d.

It. de quolibet bufalo seu bufala et pro quolibet
bove domito — VI d.

It. pro qualibet bestia minuta, videlicet castrone,
pecude, capra, ircho et similibus, sive sint mandriales
sive non, solvatur pro [qualibet] dictarum bestiarum
— I d., tam de propriis, quam de aliis, que habentur
in soccitam. De illis autem, que habentur in soe-
citam, medietatem solvat d.nus et aliam medietatem
solv. soccius.

It. pro quolibet poreho magno — IIII d.
It. pro qualibet troia magna — II d.

It. pro quolibet porcello vel porchetta parvis —
Ed: ;

Et intelligatur de porcis et porchabus, qui et que
sunt extra Civ. Urb. Ita tamen quod pro qualibet
bestia, ut dietum est, solvatur tantum semel in anno,
et quelibet persona, que negaverit aliquas bestias,
solv. duplum eum pena imponenda ei per offitiales
colleete; et quod omnis persona, que habet vel tenet
bestias suas proprias, licet in soccitam non habeat,
si tenuerit eam vel eas apud se, solv. annuatim Ur-
bevetane collecte pro quolibet bove vel vaccha do-
mito vel domita — II s. et VI d. Et pro quoli-
bet vitello vel vitella — XV d. Excepto quod non
preiudieet carnaiolis de bestiis minutis, quas ipsi
tenent vel habent apud se vel eorum famuli custo-
diunt eausa occidendi.

De collecta solvenda de iumentis, bufalis el vacchis
de armento.

It. stat. quod quincanque habuerit iumentum de ar-
mento, solv. pro quolibet eorum quolibet anno —
— VI d. Et intelligatur iumentum a duobus annis
supra.

It. quieunque habuerit bufalam vel vaecham de

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORYIETO, ECC.

cXXI
312 G. PARDI

armento, solv. pro qualibet dietarum bestiarum omni
anno — IIII d. Et intelligatur bufala et vaecha a
duobus annis supra. Et teneatur iudex et offitialis
eolleete de omnibus bestiis armentiziis et de pecu-
dibus et de omnibus aliis bestiis, de quibus colleeta
solvitur annuatim, seribi faeere in quodam libro, ubi
non sit aliqua alia seriptura, et quantitates bestia-
rum et nomina illorum, quorum fuerint dicte bestie.

De collecta solvenda de bestiis Carfagninorum (1). CXXII

It. de bestiis Carfagninorum et aliorum, que mie-
tuntur ad pascendum in Maritimam (2) vel ad alias
partes, solvatur in introitu per centenarium — II s.
Et si in redditu plures fuerint, de pluribus solvatur
ad dietam rationem.

De pretio tollendo Carfagninis. CXXIII

It. stat. et ord. quod notarii collecte non possint
reeipere vel habere a Carfagninis ultra quinque s.
d. de instrumento securitatis et ultra duos s. d.
de lietera. Et predictum salarium ad Com. Urbeve-
tanum perveniat et dieti notarii ipsum assignare te-
neantur.

De pretio nuntiorum, qui irent cum Carfagninis. CE

It. quod nuntii, qui cum dietis Carfagninis irent
pro securitate ipsorum, si fuerint equites, non, pos-

(1) Carfagno era una terra del contado albobrandesco, vasto dominio degli Al-
dobrandeschi nella Maremma toscana, di una parte del quale s' impossessò Orvieto
nel 1223 (FUMI, Cod. dipl., p. 108) finché poi lo occupò tutto alquanti anni dopo, in-

- correndo perciò nelle scomuniche della Santa Sede, che vantava dei diritti su
quello.

(2 La Marittima (maritima regio) designa qui in senso ristretto la Maremma
toscana, dove gli abitanti della terra di Carfagno (o Carfagnini) conducevano a pa-
scolare il bestiame. Erano accompagnati, per la poca sicurezza delle strade, da
uomini armati a piedi o a cavallo, a cui i Carfagnini dovean dare rispettivamente
3 e 6 soldi al giorno, oltre gli alimenti. x

a n sea n
X te

sint habere ultra sex s. d. c. pro unaquaque die
et pro unoquoque ipsorum, et expensas; si vero
fuerint pedites — III s. d. e. pro unoquoque ipso-
rum, et expensas.

De collecta solvenda de vascellis et vasis et simi-
libus.

De qualibet salma vaseellorum, vasorum et si-
milium solvatur ad introitum portarum — XII d.

De collecta solvenda de fornaciata vasorum, ur-
cium et similium.

It. stat. et ord. quod quilibet vaseellarius Civ.
et comitatus Urb. teneatur et debeat solvere came-
rario diete eolleete pro qualibet fornaciata urcium,
pignaetarum et testium et similium — XII d.

De fornaciata vascellorum, panatarum et simi-
lium.

It. de qualibet fornaciata vascellorum, panata-
rum, galleetarum, lavandaiarum et ciotularum pice-
tarum et similium — V s.

it nullus de dietis vascellariis possit mictere vel
mieti facere ignem in dietam fornaciatam nisi prius
eolleetam solverit, ut dietum est, ad penam C s. d.
c. Et nichilominus dietam colleetam solv. ten.

De collecta solvenda de tegulis, canalibus et simi-
libus.

De qualibet salma tegularum, canalium, matto-
norum et similium solvatur ad introitum portarum
IL:d;

GLI STATUTI DELLA COLLE'TTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

CXXV

CXXVI

CXXVII

CXXVIIT
314 G. PARDI

De collecta solvenda de fornaciata tegularum, ca-
naliumet similium.

It. stat. et ord. quod quilibet tegularius de Civ.
vel comitatu Urb. teneatur et debeat solvere came-
rario diete colleete pro qualibet fornaciata tegula-
rum, eanalium, pianellarum, mattonorum et simi-
lium X s. d. c.

Et nullus possit mictere vel mieti facere ignem
in dietam fornaeiatam nisi prius solverit, ut dictum
est, ad penam C s. d. c. Et nichilominus dietam
eolleetam solv. ten.

De collecta solvenda de fornaciata calcine.

Quilibet ealeinarius vel quecunque alia persona
de Civ. et comitatu Urb. calcinam faciens vel fieri
faciens, teneatur et debeat solvere camerario diete
eolleete pro qualibet fornaciata calcine quinque s.

Et nullus ealeinarius vel ealeinam faciens, ut di-
ctum est, possit mictere vel mieti faeere ignem in
dietam fornaeiatam, nisi prius collectam solverit
supradietam ad penam C s. Et nichilominus, ut di-
etum est, solv. ten.

Quod. iudex de predictis inquirat.

Et iudex eolleete de omnibus supradietis de va-
seellariis, tegulariis et caleinariis teneatur et debeat
inquisitionem facere diligentem.

Pro quanto pretio dari debeat raserius calcine.

It. stat. et ord. quod calcina vendi possit pretio
septem s. pro quolibet raserio et non ultra. Et quod
mensuretur eum quartengo signato signo iudicis col-
leete, et detur et dari debeat quartengus colomus
de ealeina. Et qui ealeinam vendet, ut dietum est,

CXX VIIII

OXXXI

OXXXII
teneatur et debeat dare bonam calcinam et bene cop-
tam, et ealeina, que non esset bona vel bene copta,
debeat cambire et dare bonam et bene coptam illi
cui venderet. Et, si daret calcinam in minori quan-
titate quam deberet, debeat restituere et adimplere.
Siquis vero predictis vel alicui predietorum contra-
faceret, penam C s. incurrat. Et credatur de predictis
sacramento illius, cui ealeina vendita esset, inspecta
qualitate persone.

De collecta solvenda de lignis et fraschis, que ven-
duntur ad fornaces.

It. stat. et ord. quod de lignis, ceppis et fraschis,
que apportantur et veniunt in burgos Civ. et ad
fornaees ealeinarum, tegularum seu maetonum prope
Civ. per unum miliare, et de lignis, que portantur
et venduntur ad curam guarnellorum et aliorum
pannorum, solvatur colleeta, sieut de aliis, que in-
trant portam Civ. Urb. Et ne dieta colleeta fraude-
tur, iudex collecte et d.ni exeeutores cum duobus
hominibus bonis et legalibus de quolibet quarterio
provideant supra predietis per omnem modum et
viam, quibus eis melius videbitur, ut dieta collecta
integre persolvatur.

De collecta solvenda de lignis, carbonibus, paleis,
fienis, glandibus et aliis infrascriptis.

Inprimis de qualibet salma legnorum, sterporum,
cepporum et fraseharum et similium solvatur ad in-
troitum portarum — I d.

It. de qualibet salma carbonis — III d.

» fieni, tam de illo, quod ap-
portatur ad Civ. et burgos, quam de illo, quod. ven-
ditur per comitatum — IIII d. Et iudex colleete
teneatur:et debeat de hoc suo offitio invenire.

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO,

OXXXII

OXXXIIII
316 G, PARDI

It. de qualibet salma palearum, panichalis,

vulis, stoppie, feleis et similium — I d.
It. de qualibet salma glandium — III d.

De collecta solvenda de venditione silve.

It. stat. et ord. quod, quando lignamen alicuius
silve venditur, solvatur diete eolleete per venditorem
de quibuslibet XX s. pretii, quo dietum lignamen
venditum fuerit — IIII d. Et tam emens, quam
vendens dietum lignamen teneatur et debeat denun-
tiare dietam emptionem et venditionem iudiei et
eamerario collecte infra otto dies post dietam em-
ptionem et venditionem ad penam X 1. d. c. Et
iudex colleete teneatur dietum capitulum publice
banniri facere in principio sui offitii. à

De .collecta solvenda de infrascriptis rebus, que mi-
ctuntur extra Civ., scilicet de blado, castaneis,
lignamine, annona, vino, oleo, carnibus siccis
et aliis victualibus.

It. stat. et ord. quod si aliqua persona Civ. Urb.
vel aliunde extrasserit de dieta Civ. bladum, casta-
neas, lignamina, annonam, vinum, oleum vel carnes
siechas aut alia vietualia, et hoe fiat de voluntate
et lieentia iudicis collecte et executorum, solv. ad
exitum portarum duplum eius quod solvitur in in-
troitu, quando diete res in Civ. mictuntur, salvo
quod cives et comitatenses Civ. Urb. possint ex-
trahere, sine aliqua solutione facienda in exitu por-
tarum, medium quartengum vel quartam: bladi et
unum pitietum olei et ab inde infra sine fraude. Et
tempore sementis, tam eives, quam eomitatenses pos-
sint bladum mietere et portare ad seminandum sine
aliqua solutione faeienda sine fraude, dum modo iu-
rent, et appareat in seriptis in curia collecte quod
dietum bladum portent vel mietant ad seminandum

CXXXV

CXXXVI
et non alia de causa. Et ponatur in qua possessione
‘vel terra debeat seminari.

Quod castellani et sergentes Urbevetani Com. pos-
sint portare ad castra victualia.

It stat. et ord. quod castellani et sergentes Ur-
bevetani Com. possint et quilibet eorum possit por-
tare et portari facere ad castra, in quibus steterint
pro Urbevetano Com., vietualia ad voluntatem et
provisionem iudicis et exeeutorum collecte.

Que res portari possint extra Civ. et burgos sine
aliqua solutione et qualiter.

It. stat. et ord. quod liceat cuilibet civ Urbeve-
tano portare et portari facere extra dietam Civ. et
burgos, sine aliqua solutione faeienda, ad poderia,
loea et possessiones infra distrietum Civ. prediete,
panes, vinum, earnes, pannos lecti et dorsi et si-
milia cum apodixa iudieis collecte, considerata qua-
litate persone et causa. Et si sine apodixa iverit,
intelligatur ire extra devetum. Liceat tamen uni-
cuique civi et comitatensi Urb. sine apodixa portare
et portari faeere extra Civ. et burgos Urb. intr:
comitatum usque in X 1. earnium salatarum et usque
in XX l. earnium recentium et usque in C panes
sine aliqua collecta.

Qualiter licéat portare panem et carnes et alia per
comitalum Urb.

It. de uno Com. comitatus Urb. ad aliud Com.
de dieto comitatu liceat unieuique posse libere por-
tare earnes, fruetus, panem et vinum in modica
quantitate. Si vero de aliquo Com. exportaretur
blada, vinum vel oleum aut earnes vel similia,
possint omnes libere portare ad Civ. et versus Civ.

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, Ecc. 317

L]

CXXXVII

CXXX VIII

CX XXVIIII
318 G. PARDI

Urb., et ad alias partes non possint portare predicta,
nisi de licentia iudicis collecte, sub pena et banno
auferendo contrafacientibus arbitrio iudicis supra-
dieti.

Quod victuralibus dentur IIII d. pro salma.

It. stat. quod iudex collecte teneatur facere re-
stitui vieturalibus pro qualibet salma IIII d.; et in-
telligatur de salmis, de quibus solvuntur duo s. et
ab inde supra. Additum quod, tam in introitu, quam
exitu dieti IIII d. solvantur, dummodo dieti duo s.
vel ab inde supra solvantur de salma, ut dietum
est.

Quod nullus de arte barberiorum possit accipere
ultra II d. pro rasura barbe.

It stat. et ord. quod nullus de arte barberiorum
nullusque barbitonsor Civ. et comitatus Urb. pos-
sit accipere vel accipi facere pro rasura seu barbi-
tonsura barbe cuiuslibet persone, quam raderit, ultra
duos d., ad penam C. s. pro quolibet et qualibet
vice, qua ultra duos d. acciperet, ut dietum est.

Et quilibet possit contrafacientes accusare et
denuntiare.

Et iudex collecte teneatur et debeat de predictis
inquirere et contrafacientes punire et condepnare, ut
in eapitulo eontinetur.

De collecta solvenda de merchatis, que fiunt de re-
bus mobilibus.

It. de quolibet merchato, quod fieret per homines
comitatus Urb. de aliqua re mobili, a XX s. supra,
solvi debea[t| per illam personam comitatus, que
predietam rem mobilem vendiderit cuique persone,
de quibuslibet XX s. I d. Et iudex collecte tenea-

CXL

CXLI

CXLII
tur et debeat predicta inquirere et invenire per se
et alias personas, prout sibi melius videbitur exigere
ad utilitatem collecte.

Quod solvant qui emerint vel vendiderint posses-

stones, libella et alia.

It. quecunque persona Urbevetane Civ. et bur-
gorum vel comitatus emerit: vel vendiderit aliquas
possessiones sive redditus vel fructus aut pensiones
vel libella, aut insolutum dederit aut permutabit sive
donabit sive obtulerit vel quomodocunque alienabit,
sive per solutum a Com. vel aliqua curia vel offitiali
habuerit, receperit vel dederit, solv. dicte colleete de
qualibet I. pretii vel extimationis vel valoris — I d.,
seilicet persona que emerit vel receperit seu habue-
rit, et tantundem persona que vendiderit vel dede-
rit seu alienaverit. Et si aliqua persona vel loeus
esset ad hee facienda, que nón esset subiecta Urbe-
vetano Com., alia persona que subiecta est solv.
pro se et persona non subieeta, eum qua contrahe-
ret, salvo quod de insolutis, de permutationibus, do-
nationibus et offertionibus solvatur tantum — I d.
pro quolibet pro parte; et semper solv. persona su-
bieeta pro persona non subiecta in quolibet caso.

Et quelibet persona Urbevetane Civ. et burgo-
rum et eomitatus eiusdem, que emerit vel vendide-
rit vel alienaverit, quocunque istorum modorum, ali-
quas posessiones sive redditus vel fructus aut pen-
siones vel libella, positas et posita tam in Civ. Ur-
bevetana, quam in burgis et comitatu, solv. ten. et
debeat, ut dietum ‘est. Et semper persona subiecta
pro persona non subieeta solv. ten. et debeat, salvo
quod de divisionibus -faetis et faciendis inter con-
sortes niehil solvatur. Et quod quelibet persona Ur-
bevetane Civ., burgorum et comitatus teneatur et
debeat facere fieri cartam de talibus venditionibus,

emptionibus, permutationibus et alienationibus et

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

CXLIII

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320 G. PARDI

aliis seripturis omnibus tali notario, qui sit subie-
etus Urbevetano Com. et de Urbevetana Civ. et bur-
gorum vel eius comitatus, et talis emens vel ven-
dens, infra mensem a die contractus faeti, solv. et
solv. ten. et debeat ipsi collecte, seeundum supra-
seriptam formam; et si infra mensem non solverit,
solvat quintuplum. Et predietum eapitulum denun-
tietur publiee per preconem per Civ. Urb. singulis
duobus mensibus.

Quod sensales denuntient et iurent.

It. quod omnes et singuli sensales Urbevetane
Civ. et burgorum teneantur omni mense denuntiare
omnes venditiones, que fierent de omnibus posses-
sionibus, redditibus, affietibus aut permutationibus
et alienationibus; et matrimonia si interessent. Et
iudex collecte, infra quindeeim dies sui introitus, sic
denuntiari faeiat, et dietos sensales iurare ad saneta
dei evangelia, ad penam que videbitur iudiei et
executoribus eolleete imponenda et auferenda.

De collecta solvenda per ementes aliquid ante
tempus.

It. stat. et ord. quod queeunque persona emerit
in Civ. vel eomitatu Urb. granum vel aliud bladum
ante tempus, solv. et solv. ten. diete collecte pro
quolibet raserio, quod emerit ante tempus — VIII d.
Et ille intelligatur granum emere ante tempus, qui
granum emerit ante ricoltum ipsius, videlicet a ka-
lendis mensis novembris usque ad kalendas mensis
iulii.

Et quod quilibet teneatur et debeat assignare et
denuntiare iudici collecte totum granum, quod ante
tempus emerit. Et iudex predictus teneatur et de-
beat de predietis inquirere et collectam solvi facere
cum effectu.

CXLIIII

CXLV
FORSE GET morem

UXPEUTSS

yr "

De collecta solvenda per usurarios (1).

It. stat. ord. deliberaverunt et firmaverunt quod
quilibet usurarius seu fenerator, qui publice et pa-
lam prestabit pecuniam ad usuram, ad banchum su-
pra pignus, solv. et solv. ten. et debeat quolibet
anno pro eollecta camerario diete collecte, illam et
tantam quantitatem d., que et quanta videbitur et
declarabitur per iudicem et executores collecte-a X
1. usque ad centum 1. d. inclusive loquendo, inspecta
per dietos iudices et executores qualitate persone,
divitiarum, paupertatis et exercitii.

De collecta solvenda, a^ mutuantibus universitati.

It. quecunque persona mutuaverit alieui Com.
seu universitati comitatus Urb. vel syndieo alieuius
pleberii comunitatis vel universitatis comitatus eiu-
sdem, solv. et solv. ten. diete collecte pro quolibet
eentenari l. — X s. Et ab inde supra et infra pro

"ata.

De illis personis que deposuerint vel mutuaverint
ad modum, sotietatis.

It. stat. quod quelibet persona, que deposuerit
vel mutuaverit vel in accomandisciam dederit ad
modum sotietatis vel ad eollegantiam vel ad partem
lueri, ten. solv. diete collecte de dictis denariis in
anno pro quolibet centenario — II s. Quos solvere
debeat ad terminum a iudice collecte statuendum.

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

CXLVI ;

CXLVII

CXLVIII

(1) Questo e i seguenti paragrafi concernono le imposte sugli usurai e i pre-
statori di danaro. E noto che i Comuni medievali, ispirandosi agli interessi delle
classi popolari dominatrici, impedivano con leggi vessative la formazione del ca-
pitale. Cos! questo importante elemento economico, che padroneggia la moderna
società, non interveniva che in piccola misura a perturbare i rapporti tra la natura
e il lavoro, quei rapporti di produzione in cui Carlo Marx ravvisa il fondamento

dell'assetto economico.
322 G. PARDI

Et nullus possit se
sotietatem. Et quod iudex eolleete teneatur et debeat

defendere, quum dieat se habere

de predietis inquirere veritatem per eartas et instru-
menta et per testes et aliis modis omnibus, quibus
sibi videbitur, mietendo pro merchatoribus Urbeve-
tane Civ. et aliis, qui iudiei videbuntur et perqui-
rendo ab eis et quantum habeant vel illo anno con-
veniunt de mobili alicuius aliquo istorum modorum.
Et dieti merchatores et artifices teneantur et debeant
eorum iuramento declarare et dicere quantum et a
quo vel a quibus habent. Et si noluerint ipsi mer-
chatores et artifices vel aliquis ex eis exprimere a
quo vel a quibus quantum habent vel habuerunt,
ipsi per se solv. ten. et debeant, de mobili, quod di-
xerint habere vel habuisse, pro quolibet centenario
— II s. et modo et forma, quo et qua supra die-
tum est; hoe intelleetu habito, quod siquis aliquo
istorum modorum peeuniam aeceperit et alii aliquo
istorum dederit, quod sepe contingit, ut quis alte-
rius nomine vel in alterius servitium pro alio pecu-
niam accipiat, pro securitate prioris ereditoris, licet
hoe in eontraetu expresse non dicatur, quod tali da-
tione nichil solvi debeat collecte, eum prior eredi-
tor solvere debeat collecte, nisi iudiei et executori-
bus videretur quod in fraudem faetum esset; et
quod si aliquis mutuaverit aliquid Urbevetano Com.
pro aliquo offitiali et ab eodem offitiali solo vel eum
alio obligato securitatem accipiat, quod diete collecte
semel tantum — s. II solv. ten. pro quolibet cente-
nario per annum, cum videatur pro eadem pecunia
mutuum factum Urbevetano Com. et aecepta secu-
ritas. Item etiam hoc intellectu habito, quod si aliquod
instrumentum inveniatur in forma depositi facti oc-
casione aliquorum sponsalium faciendorum seu ma-
trimonii faciendi, vel pro pace aut pro compromisso
vel sententia observanda vel facienda, vel pro secu-
ritate alicuius venditionis seu cuiuscunque alterius
contractus observandi, vel depositi faeti vel faeiendi

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alicuius inquisitionis vel responsionis vel accuse ad
voluntatem iudicis alicuius curie Urbevetane Civ.,
et in veritate non interveniat pecunia, quod nichil
eolleete solvatur; de qua veritate iudex inquirat per
iuramenta contrahentium et alia inditia, que sibi suf-
ficentia videantur. Et siquis contractus pecuniarius
invenitur facetus in modum venditionis, depositi vel
accomanditie vel alio quoeunque modo de aliqua re
mobili, quod iudex eolleete, consideratis personis
contrahentium et per inquisitionem notarii et testium,
debeat videre et examinare si in fraudem mutuum fac-
tum fuerit, et omni alia via et modo, quo dieto iu-

diei videbitur; et si videbitur faetum in fraudem :

collecte, ita quod de dieta pecunia colleete non sol-
ratur, tune debeat eogere illam personam sic fa-
eientem solvere pro quolibet centenario ad rationem
centenarii — s. II, et pro mutuo habeatur; et si ap-
pareret in dieto eapitulo aliquid dubium, remaneat
in provisione iudicis et executorum collecte.

De collecta. mutuantium et deponentium.

Quicunque mutuaverit vel deposuerit alicui, cum
instrumento vel sine, aliquam peeunie quantitatem,
solv. et solv. ten. pro collecta, pro qualibet totius
quantitatis in eontraetu declarate, — unum d. Ad-
ditus quod non intelligatur de contractibus, qui ap-
parerent de merchantiis lane, pannorum vel bam-
baseie inter cives Civ. Urb. tantum, in quo eontraetu
appareat testis pesator vel sensalis: qui eontrahentes
nichil solvere pro talibus eontraetibus teneantur, dum
modo artem continue operentur.

De collecta solvenda ab accipientibus waxorem.

Quieunque acceperit uxorem solv. de qualibet I.
quantitatis, quam habuerit in dotem et corredi, con-
tracto matrimonio et eoniuntione — II d.

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

CXLVIIII

CL



5M ades siad Be


KA REI

f Ad, G.

PARDI

Quod solvat cui dox esset restituta.

Et quicunque receperit restitutionem dotis, soluto
“matrimonio morte mulieris, solv. et solv. ten. dicte .
collecte pro qualibet 1. dotis, quam receperit — IIII d.

De collecta solvenda de testamentis et codicillis. CLII 3

It. quod si aliqua persona Urbevetane Civ. et [^
burgorum aut comitatus fecerit testamentum sive
codicillos de Bonis suis, quod Urbevetanum Com. de |
omni et toto eo, quod ipse testator iudieabit, lega- È
verit seu reliquerit, tam de bonis mobilibus, quam
immobilibus, iuribus et actionibus, habeat et habere
debeat — d. IIII pro qualibet l. ipsius iudicii sive
legati; ad quos solvendos eogantur heredes de bonis
defunti. Et recipiens non possit petere ab eo sol-
vente, si solverit id quod solv. ten. colleete, que
solutio fieri debeat primo Com. quam legatariis, ita i
quod Com. non deficiat. Et hoc locum habeat mortuo È
testatore vel religionem ingresso; et hoc non ven-

dicet sibi locum in legatis relietis piis et venerabi-
libus loeis, vel collegiis vel miserabilibus personis
vel hospitalibus vel ecciesiis vel opibus ecclesiarum
vel pontium vel ecclesiasticis personis vel fidei com-
missariis, quibus relieta est aliqua quantitas dispen-
sanda, in quantum dispensaverunt supradietis piis

et venerabilibus loeis et personis et operibus; et
quelibet persona, que testamentum vel codicillos fe-
cerit, teneatur iudicare et relinquere Com. Urbeve-
tano aliquid de bonis suis solvendis collecte, et nisi
iudieaverit et reliquerit ipsi Urbevetano Com., intel-
ligatur a quolibet esse relietas et iudicatas 1. quin-
que d. c.; et ita cogantur heredes solvere Urbeve-
tane eolleete ac si scriptum esset in testamentum

ed vel codicillis. Et siqua hereditas alicuius persone ex

testamento vel ab intestato ad aliquam personam
devenerit preter quam ad filium: vel filios maschulos
vel feminas in potestate patris constitutas et in domo
patris existentes et non nuptas et filios vel filias fi-
liorum maschulorum, quod Urbevetanum Com. lu-
cretur et habeat de ipsa ereditate, de singulis XX
s. — III d. Et hoc de miserabilibus personis stet in
provisione iudicis et executorum collecte.

Quod ad pelitionem fideiussoris accipiantur et gra-
ventur persone, pro quibus quis fideiusserit.

It. stat. et ord. quod si aliquis fideiusserit pro
aliqua spetiali persona vel comunitate seu univer-
sitate apud d.nos collecte pro solvenda aliqua pe-
eunie quantitate, teneantur et debeant et possint d.ni
eolleete, ad petitionem et voluntatem fideiussoris et
fideiussorum, procedere contra illas spetiales [perso-
nas] seu universitates, pro qua vel pro quibus fide-
iusserit, ut satisfaciant dietis fideiussoribus et quod
conservent tales fideiussores eorum indempnes a tali
fideiussione, quam fecerunt.

De fideiussoribus accipiendis a Comunibus et uni-
versitatibus comitatus Urb.

It. quod a Comunibus et universitatibus, que
sunt in comitatu Urb., aeeipiantur fideiussores et
habeantur, videlieet a quolibet Com. de centum l.
pro osservandis mandatis iudieis collecte.

De collecta solvenda per fornarios et fornarias
Civ. Urb.

Ord. quod omnes fornarii Urbevetane. Civ. et
burgorum solv. et solv. ten. pro quolibet furno, omni
anno, eamerario diete eolleete — quinque s. Et in-
telligatur unus fornarius seu fornaria tantum pro
quolibet furno.

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE :D' ORVIETO, ECC.

CLIMI

CLIIII

CLV
326 G. PARDI

De collecta illorum qui habent fornos extra Civ.
et burgos.

It. omnes et singuli, qui habent furnos extra Civ.
et burgos Urb., solv. et solv. ten. et debeant dicte
eolleete Urbevetani Com. omni anno — tres. s. pro
quolibet furno: quos tres s. solv. et solv. ten. illi
vel ille, qui vel que ducunt vel fruetus percipiunt
de dictis furnis.

De collecta panicocularum.

It. stat. et ord. quod omnes et singuli panicoculi
et panicocule, qui et que panem faciunt, causa ven-
dendi in Civ. Urbevetana et burgis, solv. et solv.
ten. et debeant diete colleete pro quolibet ipsorum
omni anno — quinque s. d. c.

Quod dicti panicocule faciant se scribi coram d.nis
collecte.

It. quecunque persona voluerit facere panem vena-

lem in Civ. vel burgis, faciat se seribi coram d.nis col-
leete post bannum missum; et quicunque post dietum
tempus panem venalem fecerit seu vendiderit et non
reperiretur seriptus in libro seu actis eurie collecte,
eondempnetur per iudicem collecte pro qualibet vice
qua contrafecerit in X s. et panem perdat.

De collecte solvenda de stufa.

It. de qualibet stufa existente in Civ. Urbevetana
solvatur à d.no stufe, quolibet anno, diete collecte
— X S.

De collecta solvenda, per illos. qui habuerint ali-
quam voltam, cantinam, tubam (?) sive cisternam
subtus aliquam viam Comunis Civ. Urb.

It. stat. et ord, quod quieunque habet aliquam
voltam, eantinam, tubam (?) sive eisternam subtus ali-

CLVI

CLVII

CLVHI

CLVIII bis

CLVIIII
GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO,

quam viam Com. sive in Civ. Urbevetana et burgis
sive subtus aliquod terrenum Com. Urb., solv. et
solv. ten. annuatim diete collecte — II d. pro quo-
libet brachio, de illis que sunt subtus terram, men-
surando brachium per quatrum de hiis, que sunt in
stratis magistris Civ. Urb. Et quieunque habet ali-
quam de dietis voltis, cantinis sive cisternis tenea-
tur et debeat eas denuntiare d.nis collecte Com. Urb.
infra quindecim dies postquam bannitum fuerit et
proelamatum per Civ. Urbevetanam. Et quicunque
eas non denuntiaverit infra terminum supra dictum,
à dieto termino in antea solvatur solvere et conpella-
tur — XX s. d. e. nomine pene et — XII d. pro
quolibet brachio, mensurando brachium per quatrum,
pro quolibet anno, de dietis voltis, cantinis, tubis
sive cisternis.

De collecta. solvenda de voltis, pontibus, archis exi- CLX
stentibus supra stratis.

It. quecunque persona habeat vel habuerit in
dieta Civ. vel burgis supra aliquam stratam, viam
seu retum (1), aliquam voltam, pontem seu archum,
solv. quolibet anno diete colleete pro quolibet bra-
chio diete volte, pontis seu archi, mensurando in
quatrum, — XII d.

De collecta solvenda de balconibus et orticellis su CLXI
pra viis existentibus.

It. quecunque persona habeat vel habuerit in
dieta Civ. vel burgis supra aliquam stratam, viam
vel retum, aliquem balconem seu orticellum, solv.
quolibet anno diete collecte pro quolibet brachio

(1) La parola reto è ancora in uso ad Orvieto (ad es. Reto lungo, Reto prino, ecc.)
ed indica strada traversa. Cfr. la voce lucchese redolo o redola, significante un
viottolo di campagna angusto e lungo.
328 G. PARDI

dieti balconis seu orticelli, mensurando in quatrum,
— VI d.

De collecta solvenda de porticis.

It. stat. et ord. quod queeunque persona habeat
seu habuerit in Civ. Urbevetana vel burgis super
aliquam stratam, viam vel retum, aliquem porticum,
sub quo non sit balehio seu banchum, solv. et solv.
ten. diete eolleete quolibet anno pro quolibet bra-
chio dieti portici, mensurando in quatrum, — VI d.

De collecta solvenda de banchis.

It. stat. et ord. quod quecunque persona habeat
vel habuerit aliquod banchum seu scannum in strata
que est à porta maiore (1) usque ad portam puste-
rulam, (2), vel in strata que est a eapite merchanzie
usque ad ecclesiam sanete Marie (3), vel in via
seu strata que est a domibus Iudeorum usque ad
macellum platee comunis vel in contrata Saran-
cie (4), videlicet ab archu palatii Com. usque ad
stratam que est ante domum filiorum Vannis Barthi
vel in retibus merchantie; vel quecunque persona,
exceptis macellariis, habeat banchum in platea po-
puli, solv. et solv. ten. diete collecte pro quolibet
anno, pro quolibet brachio dieti banchi, mensurando
in quatrum, — VI d., ita tamen quod solv. et solv.
ten. illi; quorum essent domus vel apotheche ante

(1) Porta Maggiore, oggi Porta della Cava.
(2) Porta Postierla, ora della Rocca.

(3) La strada, che dal capo della Mercanzia conduceva alla cattedrale di S. Ma-
ria, corrisponde all’odierno Corso Cavour per il tratto che dalla piazza del Comune

(oggi V. E.) fa il croce-via alla torre del Papa (oggi del Moro).

(4) La Serancia, o quartiere del Saracino (detto così dalla testa di Moro contro
la quale i cavalieri rornpevano le lance correndo la quintana) era compresa tra

l'odierna Via del Duomo, Corso Cavour e Piazza V. E.

CLXII

CLXIII

OTT
quos essent bancha predicta. Et si illi, quorum di-
ete domus vel apotheche essent, non essent iurisdi-
etionis Com. Urbevetani subiecti, solv. pro dietis ban-
chis ille, qui domum vel apotheeam tenent ad pen-
sionem vel affictum.

It. queeunque persona habeat vel habuerit ban-
chum in aliqua alia strata, via vel reto diete Civ. et
burgorum non nominatis superius, solv. diete col-
leete, quolibet anno, pro quolibet brachio dicti ban-
chi, mensurando in quatrum, — III d.

De collecta, solvenda de banchis, que retinentur in
plateis cum tenda vel sine tenda.

It. quecunque persona retinet vel tenebit in pla-
tea comunis vel populi diete Civ. aliquod banchum
cum tenda, solv. diete eolleete quolibet anno pro
quolibet bancho cum tenda, ut dietum est — VIII
s. Et qui retinet vel tenebit in aliqua dietarum pla-
tearum banchum sine tenda solv. diete eolleete pro
quolibet, baneho sine tenda, ut dietum est, quolibet
anno — IIII s.

De collecta solvenda per illos, quà stazonaverint in
dictes plateis.

It quecunque persona stazonaverit vel stazonem
tenuerit in aliqua dietarum platearum cum. sale

vel eum coramine laborato vel non laborato vel cum

vasis, urceis et panatis, solv. et solv. ten. et debeat
quolibet anno diete colleete — VIII. s.

De collecta solvenda de lois.

It. queeunque persona fecerit vel tenuerit in ali-
qua strata, via vel reto dicte Civ. aliquam loiam
de fraschis vel sestoris, solv. quolibet anno diete col-
lecte pro qualibet loia — III s.

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

CLXIHII

CLXVI

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330 : G. PARDI

De collecta solvenda per illos qui vetinent pasta-
tam în Civ.

It quecunque persona habet vel retinet in Civ.
Urbevetana aliquam pastatam, solv. et solv. ten.
diete eolleete quolibet anno pro qualibet pastata —
unum florenum auri.

De collecta solvenda de maltitiis et calcinariis.

It. quecunque persona habet vel retinet in dieta
Civ. aliquod maltitium vel calcinarium cartarum,
pellium vel eoiorum, solv. diete collecte quolibet
anno pro quolibet maltitio vel ealeinario — XL s.

Et si aliqua persona haberet dieta maltizia vel
caleinaria seu aliquod ipsorum a eapite merchanzie
usque ad eeclesiam sanete Marie vel in pillicciaria

seu merehanzia vel in suis cireumstantiis, solv. quo-
libet anno diete colleete pro quolibet dictorum mal-
titiorum in dietis loeis existentium — VI 1. d. c.
Et iudex collecte teneatur et debeat de predictis
omnibus sollempniter et diligenter inquirere et solu-
tiones predictas fieri facere cum effectu.

De collecta solvenda per illos, quà retinent. navim
in flumine Tiberis.

It. quelibet persona habens navim in flumine Ti-
beris, silieet in vado Mareiani (1), solv. et solv. ten.
et debeat diete collecte quolibet anno — XXX s.

De eodem.

Et quelibet persona habens navim in flumine Ti-
beris, videlicet in guado Corbarie (2), solv. et solv.
ten. et debeat diete colleete quolibet anno — XX s.

CLXVII

CLXVIII

CLXVIIII

CLXVIIII bis

(1) Marsciano, grossa borgata a metà strada sulla via provinciale tra Perugia

e Orvieto. Tra i conti di Marsciano è noto quel Conte di Bulgaruccio che nel 1316

morì a Pisa nella torre della fame resa celebre dai versi di Dante e dello Shelley.
(2) Corbara, terra é castello sul Tev ere'a nord-est di Orvieto. Appartenne un

tempo ai potenti conti di Montemarte, nobili orvietani.

O—
IR.

De collecta solvenda per famulos et famulas, qui
cum aliquo cive ad salarium steterint.

It. quilibet famulus, qui cum aliquo cive ad sa-
larium steterit, solv. et solv. ten. diete collecte quo-
libet anno — IIII s. d. e.

Et quelibet famula, que ad salarium steterit cum
aliquo eive, ut dietum est, solv. diete collecte quo-
libet anno — II s. d. e.

Et d.nus talis famuli teneatur pro eis.

De collecta. solvenda a lavandariis.

Quelibet lavandaria Urbevetane Civ. et burgo-
rum, que pannos vel capita lavat, solv. et solv. ten.
diete eolleete omni anno — III s., exceptis famula-
bus, que morantur cum d.nis et dominabus, de qui-

bus supra dietum. est.
De collecta solvenda a discipulis et factoribus.

It. quicunque steterit cum aliquo pro discipulo
vel faetore ad salarium, solv. pro qualibet l. salarii
omni anno diete collecte — III d.

De collecta solvenda per illos, qui recipiunt salaria
vel soldum a Com.

It. stat. et ord. quod queeunque persona habue-
rit aliquos denarios a Com. Urbevetano tam occa-
sione salarii, soldi vel stipendii, quam quacunque
alia causa, exceptis illis personis, quibus restitue-
rentur denarii, quos mutuaverit vel mutuarent
Urbevetano Com., solv. et solv. ten. diete collecte
pro qualibet l. eius quod receperit a dieto Com. —
VI d. Et hoc intelligatur etiam de rectoribus et
offitialibus venientibus ad Urb., quibus significentur
predieta in syndieatu presentando eisdem. Et came-

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

CLXX

CLXXI

CLXXII

CLXXIII

331
OIUADOLITTE I PIATTO TOI A AL we m mad ato | esce soc

332 G. PARDI

rarius Com. et eamerarius collecte et quilibet alius,
qui solutiones fecerit, predietam collectam retinere
teneatur; quod si non fecerit, de suo proprio solvere
compellatur.

JDe collecta solvenda per illos quibus concesse fue-
rint represalie.

It. stat. et ord. quod omnes et singuli, quibus
concesse fuerint per Com. Urbevetanum vel offitia-
les ipsius represalie seu licentie reprehendendi con-
tra aliquas terras, comunitates vel personas, solv. et
solv. ten. diete colleete pro quolibet centenario 1.
quantitatis in talibus represaliis seu licentiis repre-
hendendi contente — XX s. d. c.

De collecta solvenda a condempnatis qui absolvun-
tur a Com.

Quilibet condempnatus Com. Urb. qui absolve-

"retur per dietum Com. vel consilia Civ. eiusdem

vel euius condempnatio suspenderetur vel compen-
saretur in minori quantitate, solv. et solv. ten. pro
qualibet 1. quantitatis que continetur vel continebi-
tur in sua eondempnatione — XX d., exceptis illis
condempnatis, qui per eonsules artium condempnati
essent, qui in dieto casu nichil solv. ten.

Quod omnes persone debentes solvere solvant infra
terminum assignandum.

Stat. et ord. quod omnes persone debentes sol-
vere vel que debebunt solvere aliquid diete collecte,
ten..solv. infra terminum dandum et assignandum

CLXXIIII

CLXXV

CLXXVI

"
-

eis per offitiales collecte ad vocem preconis genera-
liter et spetialiter vel primi precepti facti per eos
vel eorum nuntios de solvendo dietam colleetam, et
ab inde in antea cogantur solvere expensis eorum et
non Com. Et quod nullus possit aliquod offitium or-
dinarium vel extraordinarium Urbevetani Com. vel
quod pro Com. Urbevetano datur, ex quo salarium
reeipiatur, eligi vel assumi aliquo modo, nec ius ei
fiat in aliqua euriarum Urbevetane Civ. in eivili
causa, qui debitor fuerit huius collecte, pro tallia
vel imposita sibi faeta vel quaeunque de causa, post
denuntiationem vel preceptum sibi spetialiter in
persona vel in famulis seu familia factum de sol-
vendo tagliam vel impositam sibi faetam, pro arte,
vel tanquam non artifici, vel quameunque aliam
colleetam infra terminum assignatum vel assignan-
dum; et semper tamen solventi, etiam post termi-
num, à die solutionis in antea, fiat ius et eligi pos-
sit, sive ipse solverit, sive alia persona pro eo.

Et iudex collecte teneatur hoe capitulum facere
denuntiari per Civ. per preconem ter in anno et
maxime infra XV dies postquam inceperit offitium.

Quod non reddatur ius illi quà non solverit colle-
ctam.

Et si aliqua persona non solverit quiequid debet
vel debebit solvere pro eolleeta secundum formam
ordinamenti collecte, denuntietur ita quod non ser-
vetur ei aliquod ius nisi prius solverit quod solvere
debebit collecte. Et quilibet offitialis Com. teneatur
querere a partibus si solverunt vel habent solvere
aliquid pro collecta; et nisi solverint non servetur
eis ius donec solverint. Et quelibet curia habere de-
beat hoc capitulum exemplatum et ipsum observare
teneatur, dum apponens predieta de debita solutione
non facta fidem facere teneatur.

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

CLXXVII

‘383

SOI A

sN
P

334 G. PARDI

De denuntiando hospitibus infrascriptorum locorum — cuxxvn

ea que in infrascripto capitulo continentur (1).

Teneatur iudex collecte Urbevetani Com. qui
pro tempore fuerit denuntiare seu denuntiari facere
per nuntios sue curie vel aliquem eorum hospitato-
ribus omnibus de burgo Petrorii, de burgo saneti
Iuliani, qui morantur in valle Urbevetana, hospita-
toribus de Palazettis et hospitatoribus domorum co-
mitis de Monte Martis in valle Clanis et domibus
filiorum Allevi, hospitatoribus Stennani, hospitato-
ribus Peri Patrignoni, Sucani, Tabernis, Prodi et Pa-
terni et omnibus aliis qui morantur et stant in stra-
tis publieis tenentibus albergarias, per quas itur et
venitur publiee eum mercanziis, prout dieto iudici
et executaribus videbitur melius convenire, ut ipsi
hospitatores et quilibet eorum debeant denuntiare
perse vel eorum familiam omnibus vettigalibus ve-
nientibus versus Civ. Urb. et euntibus versus di-
etam Civ., ut intrent vel intrare debeant tam cum
salmis, quam eum eorum bestiis per portas Urbeve-
tane Civ. Qui vettigales seu aliquis eorum, si post
dietam denuntiationem sibi faetam non intraverint
per portas Urbevetane Civ. seu transierint cum eo-
rum bestiis et salmis, sed aliunde irent, solv. et
solv. debeant pro qualibet salma — XX s., ultra id
quod solv. ten. pro salma colleete Urbevetani Com.,
et sie iudex colleete tollere et accipere teneatur di-
eti vettigali pro qualibet salma, et cuilibet sit lici-
tum capere seu capi facere talem vettigalem et Ur-
bevetane collecte seu coram iudicem collecte pre-
sentare; et talis eapiens habeat dimidium diete
pene. Et si [iudex] contrafecerit, syndicetur et con-
dempnetur per d.nos potestatem et Septem Urbeve-
(1) In questo s son menzionati i luoghi del contado orvietano, dove si tro-
vavano alberghi, Petroio, Sugano, Paterno e Stennano son nomi di pivieri. Cfr. G.
PARDI, Ji Catasto d’Orvieto del 1292, Perugia, 1896, pp. 65 segg. e Bollett. di Stor,
patr. per UL Umbria, vol. II.

i pri

" — — ee AAA]
tani populi et Com. qualibet vice in XXV I. d. e.
Et hoe capitulum non preiudicet capitulo seu ca-
pitulis loquentibus eontra portantes deveta.

Quod liceat iudici collecte posse precipere porto-
nariis contenta in presente capitulo.

It. stat. et ord. quod iudex colleete precipere
possit et ex parte sui precipi facere teneatur om-
nibus portonariis Urbevetane Civ. quod non permi-
etant exire aliquam merchanziam extra portas diete
Civ., nisi prius portantes extra Civ. dietas mer-
chanzias mostraverint dietis portonariis apodixam
sigillatam sigillo iudieis collecte; et si dieti porto-
narii contrafecerint, pro qualibet merehanzia con-
dempnetur quilibet eorum per dietum iudicem in
— € s.; et sic dietus iudex exigere dietas penas a
contrafacientibus teneatur, et quod a predieto capi-
tulo vel eius exeeutione non possit appellari. vel
querela moveri.

De pena erigentis maiorem collectam quam debeat.

It. stat. quod si eontingeret aliquos collectores
eolleetarum exigere maiorem collectam, quam de-
beant ex forma ordinamenti eolleete, debeat condem-
pnari per iudicem eolleete quilibet qui contrafecerit
in € s. d. e. et in aliis C s. emptor diete collecte
pro quo dieti eolleetores morantur; et compellantur
restituere ei eui acceperint id quod ultra acceperint,
quam debeant. Et si fuerit de emptoribus collecte,
accipiens vel accipi faciens puniatur per dietum iu-
dicem collecte in deeem 1. d. c. ;

De pignoribus non recipiendis per camerarium col-
lecte nisi valuerint id pro quo dabuntur sub
pignore.

It. quod eamerarius eolleete, tam presens quam
futurus, teneatur non recipere pignus aliquod pro

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

CLXXVIIII

CLXXX

CLXXXI

33

-

9
G. PARDI

336

aliqua pecunia, que dari debeat collecte, nisi valeat
bene id pro quo dabitur; et camerarius teneatur
pignus vendere si infra mensem non fuerit recollec-
tum, et si quod pignus venderetur minus quam fue-
rit summa denariorum pro qua datum fuerit vel
receptum, vel reperiretur minus suffieiens, teneatur
ille qui pignus recepit de suo proprio refundere et
supplere quod defuerit, et quod dietus recipiens
cogi debeat a iudiee collecte dietum supplementum
facere in continenti, et hoe locum habeat tam in

presentibus quam in futuris.

Quod camerarius collecte reddat rationem et co-
ram quibus.

It. stat. et ord. quod eamerarius seu collectores
eolleete qui pro tempore fuerint, ten ntur dare et
reddere et consignare in manus camerarii Urbeve-
tani Com., qui pro dieta collecta eligetur, denarios,
pignora et proventus, qui et que ad ipsos camera-
rium seu collectores collecte pervenerint occasione
diete colleete ad voluntatem camerarii, qui pro tem-
pore, pro collecta tenenda, eligetur pro Urbevetano
Com., et rationem reddere de omni eorum intrata
et exitu coram ipso camerario et d.no capitaneo et
Septem et IIII bonis hominibus eligendis, scilicet
uno pro quolibet quarterio, singulis duobus mensi-
bus una vice et plus ad voluntatem d.ni eapitanei
et Septem et camerarii supradicti; et nulle expense
fieri possint per camerarium diete collecte nec solu-
tiones alique sine licentia et mandato consilii au-
tentiei, salvo quod possint solvere feuda offitialium
collecte prediete et eorum salaria et pensiones do-
morum ipsorum offitialium tam presentium quam fu-
turorum. Et notarius camerarii Urbevetani Com. te-
neatur ex inde introitum et exitum facere.

Et camerarius collecte teneatur et debeat reddere
et facere rationem de eorum introitu et exitu sin-

CLXXXII
LORA

gulis duobus mensibus coram d.no capitaneo, Sep-
tem et supradietis IIII hominibus et duobus mer-
ehatoribus scientibus bene facere rationem et uno
notario; et in fine anni multipliciter, ita quod pro
toto anno videatur introitus et exitus totius anni,
et seribatur quanta sint quantitas intrate et quanta
exitus et quantum superatur introitus vel exitus.
Et qui duo merchatores et notarius eligantur per
d.nos potestatem, capitaneum et Septem, et eligantur
per dietos d.nos potestatem, capitaneum et Septem
homines supradicti, silicet unus de quolibet quarte-
rio, ut supra dietum est. Et pro predietis faciendis
habeant mereatores, notarius et ipsi IIII salarium
sieut videbitur d.no capitaneo et Septem cum con-
silio aliquorum sapientium virorum, qui videbun-
tur ipsis d.nis capitaneo et Septem. Qui notarius
teneatur et debeat seribere rationem ipsam in li-
bro propterea ad hoe ordinato, ita quod proprio?
possit videri et scire; et que ratio legatur publiee
in consilio autentico Urbevetani Com. infra XV dies
postquam faeta erit et sie omni anno similiter fiat
de omnibus et singulis aliis introitibus et exitibus
Com. cuiusque offitii et de introitu et et exitu ca-
merarii.

Additum quod ad eligendum ratiocinatores et qui
videre debent dietam rationem, prout in dieto eapi-
tulo eontinetur, in consilio opportuno proponatur
de modo et forma eleetionis ipsorum ratiocinatorum
dieti camerari et secundum provisionem dieti fieri
debeat electio dictorum ratiocinatorum, ne fraus ali-
qua possit eommieti in eligendo illas personas que
plaeuerint dieto camerario.

De reddenda ratione camerarii collecte.
It. stat. et ord. quod ratio eamerarii et d.norum

eolleete reddatur quibuslibet tribus mensibus de in-
troitibus et expensis hoe modo: quod d.ni Septem

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D' ORVIETO, ECC.

CLXXXIII

-
P

di

PIERA UN E
33m o G. PARDI

defensioni Urbevetani popoli presidentes eligant duos
bonos et legales homines per quarterium, qui dili-
genter videant rationem camerarii introytu[u]m et
expensarum et deinde assignetur dieta ratio et reci- E

tetur in eonsilio opportuno vel d.norum Septem et
XII, et seribantur residua que debent solvi collecte [.
in quodam quaterno ad hoe spetialiter ordinando, in E
quo seribantur debentes solvere aliquid. pro collecta
et cause?; et dieta residua debentes solvere legantur
in dieto eonsilio quando ratio redditur, et semper in
quibuslibet tribus mensibus dieta ‘atio legatur in
dieto consilio; et si predieti executores colleete pre-
dieta non fecerint, condempnetur quilibet eorum in
— X l. d. e. per d.num potestatem.

De elemosinis faciendis per camerariwm collecte de — cuxxxum
pecunia. collecte.

It. stat. et ord. quod eamerarius collecte possit
et debeat dare quolibet die sabati pro elemosina de
[REC denariis diete colleete — XX s. hoc modo, quod Gi
us X s. sint et mictantur in cippum? operis sanete E
(eod Marie de Urb. et quinque s. sint et dentur ecele-
| sie sancti Bernardi et reliqui quinque s. sint et den- È
tur LX pauperibus per camerarium dicte colleete. 5

Quod offitiales collecte non teneantur ire in exer — cuxxxv

citum.

It. ord. quod offitiales colleete non teneantur ire Bi:
in aliquo exercitu vel cavalcata que fieret per Com. :
Urbevetanum, ita tamen quod talis offitialis tempore
talis exereitus nullum salarium recipiat, pro dieto
suo offitio exercendo, a Com. seu collecta, hoc intel-
leeto: si dietus offitialis ire teneretur in tali exer-
citu vel cavalcata ex forma alicuius ordinamenti
vel banpi, et tune privetur salario, aliter non, non
obstante aliquo statuto vel ordinamento, vel capi-
tulo carte populi. Et nullus alius offitialis possit
constitui ad aliquod offitium Urbevetani Com. per
iudicem vel eamerarium diete collecte et, si contra
faetum fuerit, non teneat. Intellectum sit et est in
hoe capitulo quod nullus offitialis colleete possit ha-

‘ bere aliquod aliud offitium durante ipso offitio vel

dum in ipso offitio staret.
Quod offitiales collecte possint arma portare.

It. stat. et ord.
possit et sfbi liceat portare omnia arma offendibilia

quod quilibet offitialis collecte

et defendibilia per. Civ. Urb. et eius burgos libere
et impune.

De pena vendentium in domibus eorum minoribus
XV annis commestiones.

It. stat. et ord. quod omnes vendentes comme-
stiones coptas Urbevetanis civibus in eorum domi-
bus propriis vel eonduetis solv. et solv. ten. pro
quolibet eorum et qualibet vice qua dederit come-
dere in domibus eorum propriis minoribus quinde-
eim annis de Civ. Urbevetana vel burgis sive ma-
— € s. d. Sit tamen lieitum
talibus vendentibus posse vendere unieuique Urbe-

seulis sive feminis
vetane Civ. habitatori in predietis domibus dictorum
vendentium illis, qui dietas commestiones in eorum
domibus non commederent. Et hoe capitulum locum
habeat in comitatensibus et habitantibus extra Ur-
bevetanam Civ. et burgos. Et quicunque accusave-
rit dietos tales eontrafacientes habeat medietatem
istius pene et condempnationis, et alia sit Urbeve-
tane collecte; et eredatur tali accusatori si fuerit
bone fame et conditionis cum uno teste bone fame,
et sie predieta iudex collecte teneatur observare et
executioni mandare, non obstante aliquo capitulo

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO,

statuti Com. vel earte populi, et ab isto eapitulo et.

CLXXXVI

CL

D

1

1

VII
3940 - 1 G. PARDI

eius pena et executione appellari non possit vel que-
rela moveri.

Capitula super gracia custodienda.

It. stat. et ord. supradieti d.ni Septem et XII,
pro bono paeis et pro bono statu Urbevetani Com.
atque pacifico et tranquillo, et ad hoe ut Urbevetana
Civ. habundantiam omnium habeat et gaudeat, et ne
ea que Deus donat Urbevetano Com. et populo ad
partes extraneas deportentur, quod nulla persona
Urbevetane Civ., burgorum et comitatus vel aliunde
portet, guidet vel mietat aut micti faciat, nisi versus
Civ. Urb. et ad ipsam Civ., sine licentia d.ni pote-
statis, eapitanei et Septem ad defensionem Urbe-
vetani populi presidentium, aliqua blanda vel le-
gumina, sive vinum vel oleum, aut commestibilia,
aut lignamen lavoratum vel non lavoratum ; et hoc
preeonizetur per Civ. ter in anno per preconem Ur-
bevetani populi et Com. et denuntietur per castra
et villas Urbevetani eomitatus per nuntios collecte
expensis curie collecte. Et qui contrafecerit, puniatur
et condempnetur per iudicem collecte qualibet vice
qua contrafecerit: in decem Il. d. c. et plus et mi-
nus ad arbitrium dieti iudicis; et liceat cuique con-
trafacientes accusare, et de condempnatione faeta
vel fienda per dietum iudicem de aliquo contrafa-
eiente aecusator seu denuntiator habeat — XL s. Et
credatur dieto denuntiatori cum uno teste bone
fame et teneatur credentia tam denuntiatori quam
testi.

De lignamine vero et aliis que ad lignamen per-
tinent sit in providentia iudicis et exeeutorum col-
lecte. Sed semper enim sit in arbitrio iudicis et exe-
cutorum quando aliquis denuntiaretur vel aeeusa-
retur in itinere, et provideant ubi fuerit inventus
aliquis eum predictis, si locus est aetus [sic: aptus] ad
veniendum ad Civ. Urbevetanam vel ex[e]unt de

CLXXXVIII

rmt Shire CA,
guuesUgPeeryu roS

AEST NUIT

.

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC. Sil

recto tramite, ita quod nec Com. nece aliquis dam-
pnifieetur vel eondempnetur iniuste.

Et si predietus contrafaciens solvere non posset
penam ei impositam a iudice collecte et haberi pote-
rit, capiatur et in carcere moretur donee satisfaciat
ut dietum est. Si autem eapi vel haberi non poterit
ponatur in banno proprio Urbevetani Com., de quo
exire non possit nisi primo satisfocerit ut a dicto
iudiee fuerit condempnatus vel exbanditus.

De custodibus et offitialibus deveti faciendis.

It. quod iudex et executores eolleete possint et
eis lieeat custodes sive offitiales deveti, ubieunque
eis videbitur, pro custodia deveti bene facienda,
eonstituere, et si ipsi offitiales facerent contra uti-
litatem eolleete, eassentur et expellantur ab ipso
offitio et condempnentur in quintuplum eius vel
eorum in quo vel quibus cendempnari deberent
fraudem commietentes, et nisi possent ipsam con-
dempnationem solvere et nisi solverint mietantur, in
carcerem Com. et ibi tennantur usque quo satisfece-
rint et solverint ipsam condepnationem, et si haberi
non potesint banniantur, ut dietum est supra. Et
predietis offitialibus assignetur et detur salarium à
eamerario colleete — prout ordinatum fuerit per
d.nos potestatem, capitaneum et Septem et dietum
iudieem et exeeutores collecte — quod sit iustum.
Lieeat enim redducentibus vel mictentibus in Civ.
bladum vel vinum posse mietere vel portare, si ha-
buerint extra Civ., ad domum ubi habitant pro eorum
vita, cum apodixa d.ni potestatis vel iudicis colle-
ete, sieut ordinabitur inter eos; salvo quod tonnina
et sorra, pisces sieci vel caseus, cetri, arancii vel
canestri et ficus et amindole et spetiarie et poma
et schudelle et ineisoria et nappi non intelligantur
in deveto, dum modo solvant collectam et ad vo-
luntatem potestatis et iudieis eolleete vel alterius eo-

CLXXXVIHI

AX No be d i AM

I Ron 9

si

G. PARDI

rum. Sed semper qui portaverit accipiat apodixam a
iudiei collecte, et accipiatus de apodixa pro collecta
quod supra dietum est in superioribus capitulis. Et
quod eomitatenses posint portare unum quartengum
vel medium quartengum blade vel vini, medialem
vel mediam broeeham vel quartam olei pro eorum
vita non fraudolenter, sed cum apodixa iudicis eol-
lecte, ut dietum est; et etiam cives habitantes ad
eorum poderia et facientes laborari poderia eorum
possint mictere et portare panem, vinum et oleum
et carnes et fructus arborum infra comitatum in
modica quantitate, ut iudici et executoribus collecte
videbitur, semper cum apodixa ; et tam eomitatenses
quam cives tempor sementis possint portare blada
ad seminandum in ea quantitate, que iudici et exe-
eutoribus collecte videbitur ; salvo quod molendi-
narii possint portare blada ad molendina et farinam
reducere sine alia solutione quam illa que supra in
capitulo — posito sub rubrìca: Quod liceat molen-
dinaris portare blada ad molendina et farinam red-
ducere et quid solvere debeant quod incipit: It.
stat. et ord. quod liceat molendinasiis portare blada
ete. — Quod capitulum de molendinariis observetur.
Panicoculi et panicocule commorantes extra Civ. et
burgos possint blada de Civ. extrahere sine aliqua
solutione facienda, dum modo eustodes portarum
scribant ea et denuntient quantitatem cuiusque iu-
dici collecte et etiam illis qui sunt in offitio colleete
‘ad voluntatem dieti iudicis. It. quod per iudicem
eolleete provideatur in loeis per que verisimile co-
gitari, videri vel perpendi possint per ipsum vel ali-
quem eius offitialem quod per inde aliquid expor-
tari possit vel haberi quod sit contra devetum Ur-
bevetane Civ. et ordinamenta introitus, aut contra
ipsius iudicis preceptum vel bannum, tam per se
quam per alias personas bonas et legales omni modo
quo poterit. Et: personas quas crediderit de Civ.
Urbevetana predieta sive de burgis, comitatu vel
Tree

aliunde? revolvere, transire, ordinare aut ordinari
facere vel consentire, cohereere penis et bannis qui-
bus voluerit, fideiussoribus et pignoribus, transfe-
rendo etiam eas et ad confines mietendo et tenendo,
prout sibi videbitur, ne contra devetum vel capitula
introitus vel ordinamenta vel preeepta aut banna
dieti iudieis aliqua faeient sive tollantur, ordinent
sive consentiant per se aut per submissas personas
vel personam, prout iudiei videbitur; et si aliquam
personam invenerit eontra predieta ordinamenta de-
veti vel capitula introitus aut eontra precepta vel
banna dieti iudieis facientem, iudex eolleete puniat
et eondempnet eam ad opus collecte in centum l.
moderata predieta pena arbitrio dieti iudicis, secun-
dum qualitatem commissi. Et in hoe intelligatur le-
gitima probatio, fama loci vel eontrate in cuius
territorio vel eontrata huiusmodi persone talia com-
misisse dicerentur cum uno teste ydoneo, et similiter
violenta presuntio sola prout iudiei videbitur, salvo
quod si per offitiales vel offitialem ad hoe deputatos
in ipso loeo eommissi deprehense vel deprehensi
fuerint, illud intelligatur pro probatione legittima.
Et ad hee invenienda, investiganda et exequenda ca-
merarius collecte possit expensas moderatas facere
ad mandatum dieti iudicis et exeeutorum et prout
dieto iudiei et executoribus videbitur. Et quotiens
offitiales, qui super deveto positi erunt vel ponentur
aut a Com. Urbevetano vel a iudice vel camerario
eolleete, si aliqua acceperint vel capi fecerint per
se vel alias personas, ipsa omnia reddaeant ea die
vel sera coram dieto iudice eolleete et executoribus,
et in eorum presentia dividantur ita quod medietas
sit capientium et alia collecte. Et si predieta non
observaverint, ea vice eareant parte sua et ab offitio
removeantur. Iudex tamen nichilominus cogat eos
ad restitutionem omnium captorum, nisi remanserit
de licentia iudieis collecte, aut alio evidenti impe-
dimento ad arbitrium iudieis istius. Et predietum

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D' ORVIETO; ECC.
344. G. PARDI

eapitulum locum habeat tam in presentibus quam
in pendentibus et futuris et quod omnes persone
possint eapere que portarentur contra devetum et
capta presentare coram iudiee vel eamerario colle-
cte infra tertiam diem; de quibus habeant et ha-
bere debeant aeeusatores vel accusator medietatem,
et credatur suo iuramento tam faeto seu faeiendo a
iudiee colleete seu ab alio constituto ad eligendum,
quam dato vel dando curie collecte a comitatibus
terrarum.

Quod iudex collecte teneatur omnes et singulas
quantitates pecunie. collecte debitas a quocunque
exigere, et pena iudicis contrafacientis.

It. stat. et ord. quod iudex collecte, qui fuerit ad
dietum offitium deputatus, teneatur et debeat omnes
et singulas quantitates pecunie, a quibuscunque
personis debitas Com. Urbevetano, per viam collecte
vel que eolleete solvi debeant, exigere cum effectu
et ad Com. Urbevetanum et in Com. pecuniam,
quam deberet solvi facere perveniri; et si dietus
iudex de predietis vel in predietis esset negligens
vel remissus, in XXV l. pene nomine puniatur per
offitiales qui eum debeant syndicare, et condempna-
tionem de eo propterea faetam camerarius collecte
retinere de salario dieti iudieis teneatur.

Quod nobiles comitatus solvant et omnes spetiales
persone.

It. quod omnes nobiles comitatus Urb. et omnes
alii spetiales qui non solvunt de taxatione que fit
in comitatu Urb., solv. et solv. ten. de venditioni-
bus et emptionibus et aliis eontraetibus supradietis
et omnibus aliis: rebus, ut in eapitulis continetur ci-
ves Urbevetanos solvere debere.

XCC

XCCI
Quod dominus naturalis alicuius castri solvat col-
lectam.

It. quilibet dominus naturalis alicuius terre,
castri, ville vel burgi comitatus Urb., in qua vel
quo Comune Urbevetanum non ponit rectorem, ten.
solv. Com. Urbevetano pro colleeta III d. pro
quolibet 1. salarii quod habere debet et consuetus
est reeipere pro suo feudo; et si non haberet sala-
rium ordinatum, remaneat in provisione d.norum.
Septem et consilii autentiei et iudicis et executorum,
et seeundum quod ipsi ordinaverint, tantum solv.
ten. diete collecte.

De militibus et peditibus mictendis contra nobiles
et comitatenses, et modo et forma, per iudicem
collecte.

It. stat. et ord. quod lieeat dieto iudiei et ca-
merario et d.nis collecte mietere milites et pedites
supra nobiles et comunitates Urb., qui vel que ces-
sant solvere collectam eis impositam, non obstante
aliquo eapitulo statutus Com. Urb. quod in contra-
rium loqueretur, salvo quod non possint mietere
eques vel pedites supra aliquam ceomunitatem de
mense ianuarii vel feb[ru]arii in quibus mensibus
comunitates comitatus dare debeant securitates ca-
merario et IIII provisoribus Com. Urb. nee etiam
supra aliquam eomunitatem que dedisset fideiubso-
res camerario et IIII supradietis, nisi mieterent ad
petizionem ipsorum fideiubsorum post solutionem
faetam ab ipsis fideiubsoribus vel fideiubsore pro
illa eomunitate, et nullus ire possit super aliquam
comunitatem pro collecta vel occasione collecte nisi
iret de coscientia et mandato dieti iudicis et came-
‘arii et d.norum collecte, et qui contrafecerit pu-
niatur qualibet vice in C s. d. ec. Et quod nullus
eques vel pedes po[s]sit mieti vel stare nisi supra

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

XCCII :

XCCIII

f - A...

CR NMGEDCOS NV a ee a 346 G. PARDI

unam comunitatem, tamen simul et semel, et non
supra plures comunitates vel spetiales personas, et
qui eontrafecerit puniatur pro qualibet vice in cen-
tum s. d. c. per d.num potestatem. Et offitiales sive
notarii, qui eum mieterent vel lieteras concederent
seu scriberent ad plus quam ad unam comunitatem
vel personam simul et semel, punia[n]tur qualibet
vice per d.num potestatem Urb. in C s. d. c. Et predi-
eti milites et pedites vadant expensis comunitatum
que dietam colleetam non solverint.

Qualiter quolibet anno de mense ianuarii fiat ta-
catio collecte quam solvere debent comunitates
terrarum comitatus Urb.

It. stat. et ord. quod d.ni Septem defensioni Ur-
bevetani populi presidentes et Duodecim super statu
diete Civ. deputati, una eum illis sapientibus et di-
scretis viris quo[s] secum ad hoe eligere et ha-
‘bere voluerint, quolibet anno de mense ianuarii fa-
eiant taxationem colleete quam solvere debent co-
munitates terrarum comitatus Urb. ita quod quolibet
anno fiat taxatio de predietis de predieto mense, et
si dieti d.ni Septem et Duodecim qui pro tempore
fuerint pretermiserint predieta facere, puniatur et
condempnetur quilibet eorum per d.num potestatem
dieti Com. in X l. d. ec.

De offitialibus eligendis et qualiter corrigant er-
rores qui sunt in comitatu.

It. stat. et ord. quod per d.nos Septem defen-
sioni Urbevetani populi presidentes et executores
collecte de mense ianuarii debeant eligi tres homi-
nes per quarterium, qui debeant sapienter et equa-
liter corrigere herrores comitatus qui oriuntur 0c-
easione earum taxationum, ne inter ipsos comita-
tenses seandala oriantur, cum contingat multotiens

XCCIIII

XCCV
pauperem habentem magnam. familiam plus solvere
de taxatione colleete, quam divitem habentem par-
vam familiam; et etiam provideant sapientes predieti
eirea illos qui se separant de terris suis et, dimissis
ibi possessionibus, vadunt ad alias terras ad mo-
randum pro mezaiolis vel alio modo, qualiter pre-
dieti sie se separantes debeant solvere de taxatione
predieta; et quiequid per eos fuerit ordinatum reddu-
eatur in seriptis ad consilium auctoritatis, et quic-
quid inde per dietum consilium ordinatum fuerit
exeeutioni mandetur.

Quod nulla comunitas possit statuta facere contra
ordinamenta collecte.

It. stat. et ord. quod nulla comunitas terrarum
comitatus Urb. possit aliquid statuere vel aliqua pre-
cepta facere alicui persone, eui liceat merchanzias
et alia vendere et emere secundum ordinamenta col-
leete, et si qua comunitas contrafecerit condempnetur
in l. centum d. c.

Quod nulla persona vel collegium faciat contra
capitula.

It. quod nulla persona singularis vel universitas
vel sozietas aliqua seu collegium, aliquod licitum vel
illicita audeat vel presumat facere vel faciat contra
ista eapitula colleete vel aliquod eorum vel contra
istas ordinationes quominus predieta omnia et sin-
gula semper eorum firmitatem obtineant, et quod
non debeant se congregare vel convenire nec aliquas
paetiones, vel eonventiones aut iuramenta facere vel
venire vel eoram potestate vel capitaneo aut eius
vicario vel curia vel coram d.nis Septem Urbeve-
tano populo presidentium (sic) convenire pro dietis

.GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D' ORVIETO, ECC.

XCCVI

XCCVII

nto

aria
348 G. PARDI

capitulis et ordinamentis vel aliquo eorum, in totum
vel in partem seu particulam vitandis, cassandis vel
rumpendis, viziandis vel revocandis aut contrave-
niendo vel eorum vel alicuius eorum occasione; et
contrafaciens puniatur qualibet vice, si est univer-
sitas vel sotietas aut collegium, in D. l. d. e. et
singularis persona in C. 1. d. e. et nichilominus om-
nia et singula predieta eapitula sint et remaneant
firma.

Et quod d.nus potestas, capitaneus et Septem
predietas penas, quotiens contrafactum fuerit vel
ventum, ab eis qui contrafecerint vel venerint au-
ferre teneantur et debeant ad opus collecte Urbeve-
tani Com. Et de predictis non possit appellari vel
querela moveri aut supplicari, vel aliqua via vel iure
se aliqua persona iuvare non possit quominus pre-
dieta solvant. Et si predieta pena exigi non potest,
ponantur in carcere et tam diu morentur in eo
quam diu solverint, et si haberi non poterint, po-
nantur in proprio banno Urbevetani Com., de quo
banno exire non possint nisi penam predietam sol-
verint. Et quod nullus iudex vel syndieus aut ad-
voeatus vel aliqua alia persona possit vel debeat
aliquam advocationem facere pro se vel pro alio vel
patrocinium prestare alicui universitati, collegio vel
alii singulari persone, coram potestate vel capitaneo
vel eoram alio iudice aliquam iurisdietionem vel
cognitionem habente, pro predietis capitulis vel aliquo
eorum in aliquo minuendis vel mutandis, distrahen-
dis vel immutandis. Et quod nullus notarius vel
aliqua persona recipiat vel recipere possit aliquam
procurationem vel syndieatum vel cartam facere in
preiudieium vel diminutionem ipsorum eapitulorum
vel alicuius eorum, ut predieta capitula vel aliquod
eorum minuantur vel mutentur, vitientur, cassentur
vel revocentur; et contrafaciens in quolibet istorum
casuum puniatur qualibet vice in L I. d. c.

MURDER a CALOR METRI 7



)

Y TT— i

De non audiendo qui vellet cassare ordinamenta.

It. quod Urbevetana regimina et Septem ad defen-
sionem populi presidentes [presentes] et futuri tene-
antur et debeant non audire nec audientiam prestare
aliquibus vel alieui qui predicta capitula vel aliquod
eorum vel ipsas ordinationes factas pro collecta velint
vel vellent eassare in totum vel in partem vel con-
tra ea vel eas aliquid proponere vel arengare vel
allegare seu allegari facere pro predictis capitulis
violandis vel in eis in aliquo derogandis aut immu-
tandis, nec pati quod violent aut immutent vel in
eis in aliquo derogetur, nec pati quod aliquis de
eis vel de eorum curia se intromictat vel intromic-
tere possit, nee aliquod consilium maius vel minus,
generale vel eonsulum, vel XL, vel parlamentum, vel
invietum, ex inde vel ea occasione tenere vel dare
aut facere vel imponere pro predietis capitulis vi-
tiandis vel eis in aliquo derogandis. Immo teneantur
ipsa eapitula et ordinationes diete colleete omnia et
singula semper manutenere et observari facere et
omnes et singulas penas, que continentur in ipsis
eapitulis et ordinationibus, et in quolibet eorum cui-
libet contrafaeienti teneantur auferre et punire, ut
supra continetur; et si predieta et quodlibet predic-
torum non servaverint et fecerint vel contravenerint
vel fecerint vel passi fuerint, admietat potestas et
'apitaneus, silieet quilibet eorum, qualibet vice qua
eontravenerint vel fecerint vel predieta non serva-
verint, de eorum feudo, C 1. et in tantum debeat
quilibet eorum per potestatem Urb. post depositum
eorum offitium condempnari.

Quod non audiatur qui fuerit condempnatus.
It. quod potestas et capitaneus et Septem et alii

offitiales Urbevetani Com. tam presentes quam futuri
teneantur et debeant quod, si aliqua persona fuerit

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC. 349

Li

XCCVIII

XCCVIIII

UAM
350 G. PARDI

condempnata vel ei pena imposita vel aliquid. gra-
vamen inlatum per istos offitiales vel aliquem eorum
pro dieto introitu vel eius occasione, predietam. per-
sonam appellantem vel querelam moventem aut sup-
plieantem non audire vel intelligere vel admictere,
et si eontrafecerint vel aliquis eorum contrafecerit,
admietat, potestas, capitaneus et iudex, de eorum
salario qualibet viee C 1. et Septem defensores po-
puli eondempnentur pro quolibet ipsorum in XXV
l. et potestas et capitanens teneantur exigere et re-
cuperare et recuperari facere per familiares suos
condempnationes et banna que faciet iudex collecte
ad eius petitionem, et simili isto modo teneantur
potestas et eapitaneus exbannitos collecte capi facere
quotiens et quando inde fuerint ipsi vel aliquis eo-
rum requisiti vel requisitus per dietum iudicem col-
leete vel aliquem eius offitialem. Quibus exaetis, ipsa
omnia et singula ponant et poni faeiant in potestate
camerarii eolleete cum coscientia iudicis et notarii
et executorum collecte ad opus collecte.

Quod offitium collecte sit firmum et observari de-
beat per omnia capitula.

It. stat. et ord. quod offitium colleete Civ. Urb.
sit firmum et observari debeat per omnia eapitula,
sieut in ordinamento ipsius colleete plenius conti-

netur; et quod de hiis, que in dieto ordinamento '

continentur, non possit minui aliquid vel tolli, nec
possit statui vel firmari per aliquod consilium vel
alio modo vel eausa necessitatis, et teneantur pote-
stas, iudex et camerarius et omnes offitiales Com.
Urb. facere observari dietum ordinamentum a qua-
libet persona et dare fortiam et auxilium offitialibus,
qui positi erunt super offitio eolleete, ut illud ple-
narie executioni mandetur.

TET

E

CC


GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

Quod non possit per d.nos potestatem, capitaneum CCI
et Septem poni aliquod. consiliuni quod sit con-
tra collectam.

Cum potestas, capitaneus et Septem non habeant
plenam notitiam capitulorum collecte et Septem pos-
sent proponi facere in consilio consulum artium et
XL (1) aliquid quod esset in dampnum et preiudicium
colleete et eontra capitula eolleete vel aliquod eo-
rum, ordinaverunt et firmaverunt dieti d.ni Septem
et XII quod d.nus potestas et capitaneus nec Septem
[non] possint proponere ad consilium consulum et XL
vel aliquod aliud, aliquid quod tangat collectam,
vel quod aliquid fiat vel non fiat per offitiales col-
leete nisi de coscientia iudicis vel camerarii et exe-
eutorum colleete: et si fieret, non teneat nec valeat
ipso iure.

Quod. anteriones et consules obediant iudici et offi- Cc
tialibus collecte.

It. stat. et ord. quod consules artium et anterio-
nes regionum (2) Urbevetane Civ. et burgorum de-
beant et teneantur observare precepta iudicis collecte
et eius offitialium, ad penas et banna, que eis vel
alieui eorum imponerentur per eos vel aliquem eo-
rum aut per aliquem pro parte eorum oeeasione ip-
sorum offitii.

Ad iddem. CCII bis

It. stat. et ord. quod consules artium et omnes
alii homines diete Civ. Urb. et burgorum et eius

(1) I quaranta buoni uomini popolari formavano un consiglio, che, dopo quello
dei consoli delle arti, godeva di grande autorità politica. Cfr. FUMI, La Carta del
Popolo, in Cod. Dipl., p. 744.

(2) Gli anterioni costituivano, insieme con i consoli delle arti, il consiglio del
popolo. Dovevano essere artefici di buona fama e possedere beni del valore di al-
meno 100 lire cortonesi. Cfr. FUMI, ivi.

SRG

MI SSL TN 352

G. PARDI

comitatus teneantur et debeant observare omnia et
singula precepta, que eis et euilibet eorum impo-
nerentur per ipsum iudicem vel eius offitiales seu
ex eorum parte ad penas et banna, quas et que ipse
iudex vel eius offitiales velint imponere occasione

eorum offitii.

Quod consules artium teneantur dare in scriptis
nomina hominum sue artis.

It. stat. et ord. quod consules artium et alii ho-
mines, qui sunt in universitate aliqua alieuius artis
et collegii, teneantur et debeant dare in seriptis of-
fitialibus colleete omnia nomina et prenomina om-
nium hominum ipsarum artium et universitatum et
collegiorum, et que solverunt et solvere debeant vel
debebunt pro tagliis eorum artibus impositis et col-
legio. Et quod dietus iudex eolleete teneatur et de-
beat precipere cuilibet consuli artium et cuilibet alii
homini alieuius artis, a quo petierit sibi dari in
seriptis nomina et prenomina sue artis, quod non
dent in seriptis nomen et prenomen alieuius, qui non
exerceat per se palam et continue, bona fide, dietam
artem, sieut alii sue artis, ad penam X l. Et iddem
fiat et observetur de apothecis et sotiis et eorum
fratribus et plus et minus arbitrio dieti iudicis, quam
penam dietus iudex, absque aliqua iuris et statuto-
rum servata solempnitate, a quolibet contrafaciente
penitus tollere et tolli faeere teneatur.

De obediendo iudici collecte et eius offitialibus circa
expeditionem sui offità.

It. stat. et ord., ad hoe ut predieta collecta et
capitula in aliquo viziari vel infringi non possit, sed
plene firmitatem et robur in quolibet eapitulo obti-
neant et non eontra fieri vel veniri possit aliquo
modo, quod quilibet Urbevetanus civis et burgorum

CCIII

CCIIII
isa ea

Urb. teneatur et debeat dicto iudici
et offitialibus diete collecte et eorum preceptis fa-

et comitatus

ciendis sive per se sive per eorum nuntios, ex eorum
parte, occasione offitii dicte collecte, obedire et nullum
impedimentum prestare vel predieta defendere vel
fraudem commictere et nullam iniuriam vel offensam
dieere vel inferre eontra dietum iudicem vel offitia-
lem seu aliquem nuntium diete collecte, occasione
eorum offitii vel alia quacunque occasione vel modo,
et suis offitialibus existentibus in curia diete eolleete
vel exercentibus offitium in ipso exercitio. Et dietus
iudex teneatur et debeat eontrafaeientes vel venien-
tes inquirere et punire et procedere ad condempna-
tiones et exbannimenta contra eos, sicut et quemad-
modum dicto iudici videbitur, usque in duplum eius
quod inveniretur pro qualibet culpa et excessu et
delicto, ex forma statuti Urbevetani Com. vel populi.
[Et si] non esset certa pena statuta, sit arbitrio iudicis
predieti in puniendo, procedendo et eondempnando

pro tali culpa, excessu vel delieto, de quo non conti-:

neatur in statuto populi et Com. predicti. Et predieta
facere possit dietus iudex collecte, nulla iuris so-
lempnitate servata vel statuti vel consilii Urbeve-
tani Com., dum modo dietus iudex audiat et intel-
ligat legitimas defensiones cuiusque, assignando ter-
minum suo arbitrio. Et quod a preceptis et grava-
minibus, exaetionibus, detentionibus, bannis vel
condempnationibus vel aliquibus aliis processibus
faetis et faciendis per ipsum iudicem vel offitialem
eolleete seu aliquos eorum seu aliquem ex eorum
parte, oeeasione diete colleete et eorum offitii, non
possit appellari, supplicari vel querela moveri vel
recursus haberi ad potestatem et capitaneum et Sep-
tem vel aliquem eorum vel ad aliquem alium offi-
tialem Urbevetani Com. et populi. Et in quantum
potestas et capitaneus et Septem tenerentur, vel ali-
quis alius offitialis teneretur, sint penitus absoluti

et liberi, et quilibet ipsorum sit inde liber et ab-

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

; PRECISE Vues ENTE I
G. PARDI

solutus, et in quantum d.ni potestas et capitaneus
vel aliquis alius offitialis aliquam appellationem re-
ciperet eontra formam statuti presentis vel eapituli,
vel contra formam supraseriptorum et infraseriptorum
capitulorum, syndieentur per futuros potestatem et
eapitaneum vel Septem Urbevetani Com. et pro qua-
libet appellatione, quam receperint, in centum 1l. con-
dempnentur collecte predicte.

Quod quelibel persona teneatur obedire d.nis exe-
cutoribus collecte.

Quelibet persona in Civ., burgis et comitatu Urb.
teneatur et debeat obedire d.nis executoribus col-
leete in eorum offitio, et qui contrafecerit vel ino-
bediens fuerit, puniatur pro qualibet vice in XXV
l. e. et plus et minus, considerata qualitate faeti et
conditione persone, et de predietis stetur dieto die-
torum d.norum eolleete sine alia probatione.

Quod banditores Com. obediant iudici et d.nis col-
lecte.

It. banditores Com. Urb. teneantur et debeant
ad voluntatem et mandatum iudieis et d.norum col-
lecte publice proclamare et omnia et singula banna
mietere per Civ. Urb. et burgos, que eis vel alicui
eorum imposita fuerint ab eis, et quando et quotiens
eis plaeuerit occasione offitii collecte.

Quod iudex collecte possit procedere per viam ac-
cusationis, denuntiationis et inquisitionis contra
facientes contra capitula collecte.

It. quod in omnibus supradietis et quolibet
predietorum d.ni potestas, iudex et executores eol-
leete et quilibet eorum teneantur et debeant inqui-

CCV

CCVI

COVII
rere et procedere per viam accusationis, denuntia-
tionis et inquisitionis et per omnem viam et modum,
quibus eis videbitur, et repertos culpabiles punire et
condempnare in penis superius contentis, non ob-
stante aliquo statuto vel ordinamento quod in con-
trarium loqueretur, obmissis iudiciorum ordine vel
solempnitatibus iuris, et quod ab eorum processu
seu processibus appellari, supplicari vel querela pro-
poni non possit.

De offitio iudicis contra non comparentes.

Si quis requisitus fuerit per aliquem nuntium sive
balitorem iudicis collecte et non comparuerit in ter-
mino assignato per nuntium sive balerium, ipsi re-
quisito in persona vel ad domum sue habitationis,
possit gravari et molestari pignoribus et muleta et
aliis gravaminibus, auferendo hostia domus et ali-
ter, prout iudex precipere voluerit. Et dicto nuntii
eredatur et stetur quod requisitionem fecerit vel
ambaxiatam, vel aliquid aliud precepto et mandato
iudicis in quoeunque actu offitii sive occasione of-
fitii collecte.

Et quod si quis fuerit requisitus occasione ali-
cuius inquisitionis, accusationis, denuntiationis vel
relationis seu cuiuscungne processus ordinarii vel
extraordinarii, semel aut pluries, in persona vel ad
domum et non eomparuerit, possit banniri et procla-
mari per bannitorem Com. ad fenestras domus dieti
iudicis sive apud hostium dicte domus. Et si non
comparuerit infra terminum banni assignandum per
iudicem et post per duos dies, habeatur pro vere
contumace et pro vere confesso et convieto, et ex
tune possit exigi dietum bannum omnibus remediis
personalibus et realibus, videlicet capiendo et deti-
nendo et incippando personam, destruendo bona et
fructus sequestrando, prout iudiei videbitur.

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

CCVHI
..G. PARDI

Contra comparentes.

Si quis vero requisitus comparuerit, cogatur re-
spondere processui, et si neget, possit poni ad tortu-
ram, si precedant inditia, que ad torturam solent
sufficere, et assignetur terminus ad defensionem ar-
bitrarius et non assignetur, si iudiei visum fuerit ex-
pedire, et possit iudex compellere ad solvendum de
facto illud in quo condempnatus est, vel illud quod
solvere debet occasione illius delieti de quo incul-
patur ed ad predieta uti remediis quibuscunque:
post quam solutionem ipse iudex possit condempnare
et in publieam formam redigere omnes delinquentes,
et condempnationes legi faciat per unum ex notariis
suis forensibus ad bancum suum et excomputet pe-
cuniam solutam per aliquem condempnatum, ita quod
in dieta condempnatione dieatur quis solverit et quis
non, et eontra predictas condempnationes et pro-
cessus non possit aliquid diei vel opponi nec appel-
lari ab eis nec haberi recursus nullitatis ullo tem-
pore coram aliquo offitiali Civ. Urb. vel ad aliquem
alium iudicem recurri.

De penis imponendis per iudicem.

Inobedientes et non parentes mandatis iudicis
collecte, faetis vel fiendis per eum vel per nuntium
sive balerium vel preconem mandato suo, possit ipse
iudex punire in centum s. si fuerit persona singu-
laris: quam penam de faeto possit auferre sine ali-
quo processu vel sententia; si vero fuerit universitas
vel comunitas, possit punire ipsam universitatem vel
comunitatem in l. C et nichilominus syndicum et
singulares personas, secundum quod ipse iudex ar-
bitratus fuerit.
GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D' ORVIETO, ECC.

De pena fraudantis collectam.

Fraudatores collecte, delinquentes et fallum ali-
quod facientes sive inobedientes, possit, teneatur et
debeat ipse iudex punire et condempnare per viam
inquisitionis, accusationis, denuntiationis et relatio-
nis simplicis et cuiuscunque processus et sine pro-
cessu, prout sibi videbitur, observando iura, ordi-

namenta et non servando, cum solempnitate iuris et
sine, et etiam de faeto cogere ad solvendum penas.
Etiam possit imponere cuilibet fraudatori et auferre
a quolibet fraudatore in modica re usque in quanti-

m

tatem XX s. de facto auferendorum ; et modica res
[ intelligatur arbitrio dieti iudieis. Si vero fuerit fraus

L in maiori summa, possit auferre penam usque in sum-
1 È è n (Erga

E mam X l. et plus et minus arbitrio dietis iudicis,
i considerata qualitate personarum et rerum. Possit

1 etiam, in predietis, punire fraudatores, [in] rebus in T SIM
quibus fraudem eommietunt et applicare comuni vel Poe

aeeusatoribus, si aliquo capitulo cavetur. Fraudatores
autem intelligantur et sint omnes illi qui aliquid docs
faciunt eontra banna et precepta iudicis collecte et 21d

3 contra presentia ordinamenta, et maxime ,cessantes
i solvere eolleetam et non solventes infra terminum ur
È assignatum per presens ordinamentum vel assignan- ME
1 dum per iudicem; et qui res extrahit de Civ. extra.
portam, non soluta colleeta — et intelligatur extra-
here extra portam quicunque recedit et sit remotus
E eum salmis vel salma aut rebus per IIII domos a

A porta —; item quieunque portat res per comitatum
E et non vadit reeta via versus Civ., in quo casu in- SS gi
E telligatur velle extrahere et extrahere de comitatu . ES |
E et fraudem commietere, et hoe casu puniatur ipsis c

MRI

rebus, salvo quod predieta non intelligantur in rebus decl
permissis portare, de quibus supra eontinetur in ea-
pitulis de ipsis faeientibus mentionem.
ra icem ai i mpi atti io SE DAMA ini E IRE

358 G. PARDI

De accusatoribus secretis et manifestis.

Fiant et eligantur per iudieem collecte IIII exe-
eutores, notifieatores sive eustodes seereti, qui no-
tificent omnes eommietentes fraudem in collecta oc-
eulte et palam, et teneantur secreti, ita quod nunquam
sciatur si occulte notifiea[n]t. Cuilibet etiam, sive
civi sive comitatensi sive offitiali colleete, sit licitum
capere et in fortiam Com. ducere omnes et singulos
portantes res extra Civ. vel comitatum Urb. contra
formam ordinamenti, et habeat tertiam partem pene
quilibe[t] predietorum in quolibet de casibus supra-
dietis, ac etiam rerum in quibus commictitur fraus,
si rebus ipsis fraudator privari debet per ordinamen-
tum collecte.

Quod in offitio collecte possit iudex procedere de
similibus ad similia.

In omnibus et singulis casibus et capitulis offitii
collecte possit iudex procedere, ut in eis continetur,
tam circa exactionem collecte quam circa penarum
impositionem. Ubi vero easus occurreret quod pro-
cessus non esset, possit ipse iudex procedere de si-
milibus ad similia. Ubi. vero non est simile, procedat
seeundum arbitrium suum et, quiequid per eum fae-
tum fuerit, valeat et teneat et roboris obtineat fir-
mitatem.

Quod omnia et singula ordinamenta collecte exten-
dantur ad presentia, preterita et futura.

Omnia et singula ordinamenta colleete in quolibet
capitulo et quolibet easu locum habeant in futuris,
presentibus, pendentibus et preteritis a die duode-
cima Junii proximi preteriti citra (1).

(1) Im margine è aggiunto, con scrittura differente da quella del codice:

annis Domini MCCCXXXIIII ».

CCOXIII

COXIIII

E
,

« In | Quod exigatur satisdatio a syndicis comitatus.

It., ad hoe ut eolleeta non fraudetur, sed exigi
possit in comitatu sicut in Civ. et ut comitatenses
magis sollicite obediant, exigat dietus iudex collecte
ab omnibus et singulis syndicis cuiuslibet pleberii co-
mitatus Urb. fideiubsores, cautiones, et eis et éuilibet
ipsorum precipiat et precipere possit ad penam suo
arbitrio auferendam, per lieteras sive per nuntium,
quod compareant eoram ipso ad prestandam cautio-
nem predietam, et quod, siquis non eomparuerit, pu-
niatur ad dieti iudicis arbitrium, et de predietis
eredatur relationi nuntii sive balitoris.

De balitoribus collecte.

Balitores sive nuntii collecte sint numero quot
ipse iudex et executores constituerint, quorum of-
fitium sit citare mandato dieti iudieis et gravare et
referre omnes inobedientes, et ipsorum relationi ste-
tur, quamquam non appareat de mandato, dum
modo referant que ad offitium eorum spectatur. Pos-
sint etiam ipsi balitores et quilibet ipsorum ac etiam
quilibet offitialis collecte et familiaris, absque aliqua
commissione et mandato, citare et requirere quem-
cunque invenerint vel invenerit facientem contre
preceptum iudicis seu aliquod ordinamentum col-
leete; et dieta citatio intelligatur et sit vigore pre-
sentis ordinamenti legitima et rite facta, et post lap-
sum dieti termini possit contumax requisitus ex-
banniri et contra eum procedi, secundum formam
ordinamenti. Quorum balitorum salarium sit secun-
dum quod per d.nos IIII executores fuerit ordi-

natum.

De pena contendentis pignus balitoribus vel fa-

cientis eis aliquam iniuriam. vel familiaribus

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

CCXV »

CCXVI

COXVII
360 G. PARDI

judicis, dicto vel facto, vel contra
tium.

ipsum offi-

Contendentes pignora vel non permietentes se
pignorari a balitoribus dieti iudieis vel eius fami-
liaribus, uno vel pluribus, penam XL s. incurrant
de faeto auferendam per dietum iudieem sine aliquo
proeessu. Si vero fuerit syndieus vel comunitas,
villa vel eastrum, puniatur quilibet homo singularis
in l. quinque: quam penam syndicus, tanquam sin-
gularis persona, non aufugiat nec evadat; comunitas
etiam sive syndicus syndieario nomine in l. C et
plus et minus arbitrio iudieis puniatur. Si vero ali-
qua singularis persona vel comunitas dieto vel facto
aliquam offensam vel iniuriam fecerit alicui offitiali
vel familiari collecte sive de ipso offitio vel contra
ipsum offitium vel ordinamentum collecte, vel ali-
quid dixerit vel fecerit quod reddundare posset ad
diminutionem et detractionem offitii collecte, ad ar-
bitrium dieti iudieis puniatur. In quibus omnibus
stetur et eredatur relationi et denuntiationi offitia-
lium vel familiarum offensorum sive in cuius vel
quorum presentia fuerit iniuria faeta vel dieta. In
omnibus autem et singulis capitulis colleete possit
iddem iudex augere, minuere et mitigare penas im-
positas vel imponendas per aliquod eapitulum, ha-
bita bona consideratione delieti et personarum in
omnibus et singulis supradictis et infrascriptis.

De offitio notariorum. collecte.

Notarii iudieis collecte et alter ipsorum possint
et teneantur et debeant continue recircare omnes
artifiees et quaseunque personas debentes solvere
collectam et non solventes et omnes inobedientes
et fraudem commietentes in offitio collecte, et inqui-
rere et referre dieto iudiei cum uno beruario : re-
latio habeatur pro plena et legitima probatione.

COX VIII

MRNA TES
De benefitio confitentis delictum.

It. ord. quod quicunque fuerit inquisitus vel ac-
cusatus vel denuntiatus vel notifieatus. vel quali-
tercunque fuerit cont|r]a eum processum et coram
iudice fuerit confessus delietum, possit ipse iudex
de condempnatione fienda de ipso diminuere quar-
tam partem sine aliquo sui preiudicio et gravamine,
exeeptis easibus in quibus iudex procederet ex de-
nuntiatione notarii et familie, euius dieto stari opor-
teat.

Quod statutum continens maiorem collectam vel
penam. prevaleat omnibus aliis de minori.

Stat. quod si in aliquo casu reperiatur aliquod
statutum maiorem penam imponens vel maiorem
collectam et aliquod aliud minorem penam impo-
nens vel minorem collectam, statutum de maiori
pena et eolleeta locum habeat et pre cunctis aliis
observetur, salvo semper arbitrio iudicis per ordi-
namentum collecte concesso, quo potest penas au-
gere et mitigare.

Quod executores collecte stent ad eorum offitium
continue operandum.

It., ut negotia collecte reete gerantur et fiant,
stat. et ord. quod omnes et singuli electi pro d.nis
et executoribus dicte collecte teneantur et debeant
morari et stare eontiuue ad dietum eorum offitium
oxereendum, ita quod ad minus duo ex eis conti-
nue eommorentur, salvis horis ordinatis pro eundo
ad commedendum; et qui contrafeeerit, puniatur
qualibet viee in quinque s. d. e., qui de suo salario
per eamerarium colleete debeant retineri. Et hoe
teneatur iudex collecte observare et observari fa-
cere vineulo iuramenti et ad penam X 1. de suo sala-

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D' ORVIETO, ECC.

CCXVIIII

CCXXI

361°

,
362 G. PARDI

rio dedueendarum. Et de hoe potestas et iudex stare
debent sue conscientie seu dieto camerarii supra-
dieti.

Quod executores collecte solva[n]t de ipsorum sa-
lario VI d. pro qualibet 1.

It. stat. et ord. quod executores colleete de-
beant et ten. solv. diete eolleete de ipsorum salario
VI d. pro qualibet l. et d.ni collecte, qui pro tem-
pore fuerint, teneantur facere solvi dictos VI d. pro l.

Quod d.ni collecte faciant sibi legi ordinamenta
collecte.

It. stat. et ord. quod d.ni eolleete teneantur et
debeant sibi facere legi ordinamenta collecte, tamen
quolibet mense semel, silieet octo diebus in intrata
cuiuslibet mensis.

Quod hostia domus in qua retinetur collecta non
teneantur aperta nisi essent duo ex offitialibus
collecte.

It. teneantur d.ni collecte non dimictere aperire
hostia domus in qua retinetur collecta, nisi essent
ibi ad minus duo ex offitialibus ipsius collecte.

De apodixis non faciendis per superstites et ca-
merariwm collecte.

It. teneantur et debeant d.ni et superstites et ca-
merarius colleete non facere aliquas apodixas in
aliqua carta que remaneat poliziata apud aliquem
d.num seu aliquos offitiales dicte colleete, sed que-
libet apodixa que oecurrerit faeienda de novo fieri
debeat sieut et quando expedierit, et dieta apodixa
stare debeat apud camerarium diete collecte, ita

CCXXII

COXXIII

CCXXIIII

COXXV
GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC. 363

. quod aliqui eorum offitiales non possint nec debeant
ipsam tenere.

Quod quicunque emet aliquam collectam teneatur ^ ccxxvi
mostrare libros orriginales et autenticos in qui-
bus sunt scripte collecte.

It. stat. et ord. quod quicunque emerit aliquas
eolleetas seu residua aliquarum eolleetarum habere
debeat et teneatur libros autenticos et orriginales in

quibus seripte sint omnes diete collecte, signatos si-
gno collecte per dominos executores ipsius collecte,

in quibus seribant et seribere teneantur omnes so-
lutiones que fierent ad postas illorum qui solvunt, et
non possint faeere vel habere aliquem librum resi-
dui pro eolligendo aliquam collectam, sed solum
libros orriginales habere teneantur, ut dietum est; et
hoe fiat expensis emptorum, et qui contrafecerit vel
haberet, puniatur in eentum 1l. Hoe vero locum non
habeat in eolleeta silve que venditur, neque balneo-
rum vel mereatorum seu portarum.

Quod qui emerit aliquam collectam teneatur ad | coxxvm
requisitionem | cuiuslibet solventis facere eidem
apodixam.

It. stat. et ord. quod quilibet emptor alicuius
collecte teneatur et debeat, ad requisitionem cuius-
libet qui solverit aliquam colleetam, faeere sibi apo-
dixam seriptam manu sua, et in ea seribere diem
solutionis et quantitatem solutam et cui, et hee te-

neatur faeere sine aliquo pretio, et quieunque re-
quisitus non faeeret, puniatur pro qualibet viee in
centum s. Et de hoe stetur dieto unius testis siquis
contrafecerit. Et hoe teneatur facere ex paeto ap-
ponendo in venditione, et quieunque peteret aliquam
eolleetam, que appareret soluta per talem apodixam,
puniatur et solv. ten. Com. Urbevetano X l. d. e.
si inde denuntiatus fuerit ab illo qui eam solvisset.
364

G.

PARDI

Quod nullum residuum - alicuius. collecte vendite
peti possit misi per libros autenticos.

It. stat. quod nullum residuum alieuius colleete
vendite possit peti vel recolligi nisi per libros au-
tentieos et orriginales collecte et apud locum ubi
stant iudex et executores collecte ; et qui contrafe-
cerit, puniatur in X Il.

Quod qui emerit collectam et petierit iam solutam
puniatur et de pena petentis.

It. stat. et ord. quod quieunque emerit aliquam
eolleetam et peteret seu peti faeeret ab aliquo vel
exigeret aliquam eolleetam iam solutam, puniatur in
X 1. Com. Urbevetano applieandas, et in duplum
quantitatis quam peteret ab illo a quo peteret; et
nuntius qui eam peteret, seu illum qui collectam
solvisset requireret, puniatur Urbevetano Com. in
XXV l. d. e. pro qualibet vice.

De pena non mostrantis libros autenticos de solu-
tione collemte.

It. stat. et ord. quod quilibet emptor alicuius
collecte teneatur et debeat ostendere libros autenti-
eos, ut dietum est antea, cuilibet qui solveret vel
solvere vellet et cui aliqua collecta peteretur, et
permietere quod possit videre et legere impositam
sibi faetam, si aliqua solutio inde faeta foret. Et si
non ostenderet petenti, puniatur pro qualibet vice
in C s. d. e. Urbevetano Com. Et credatur dieto
talis petentis et unius testis de veritate.

Quod qui fuerit offitialis collecte non possit esse
inde ad duos annos.

It. stat. et ord. quod quicunque de Civ. vel co-
mitatu Urb. fuerit offitialis diete colleete pro anno

CCXXVIII

CCXXVIIII

CCXXX

CCXXXI
presenti, non possit esse offitialis collecte a fine sui
offitii ad duos annos completos, et qui fuerit in fu-
turo anno, de eetero vacet per dictos annos. Et sie de
anno in annum iudex collecte teneatur facere obser-
vari, faciendo prestantiam semper, ut ordinatum fue-
rit per Com. Urbevetanum et solvendo VI d. pro
l. Et in hoe deveto non intelligantur nuntii diete
curie collecte. Et si iudex collecte predicte ea que
in dieto capitulo continentur non observaverit, per-
dat de suo salario L l. d. c. in quibus debeat per
potestatem vel eapitaneum condempnari pro quo-
libet offitiali qualibet vice. Et tantum camerarius
diete collecte teneatur de suo salario detinere, non
obstante aliquo eapitulo vel statuto Com. vel populi
in eontrarium loquente.

Quod unus notarius curie collecte supersit inquisi-
tionibus.

It. stat. et ord. quod unus notarius eurie collecte,
quem iudex et IIII executores seu offitiales collecte
voluerint, sit et esse debeat super inquisitionibus
omnibus que fiunt vel fieri debent in curia collecte;
et ille notarius, qui electus fuerit ad ipsum of-
fitium, continue moretur ad prefatum offitium exer-
cendum.

Quod in libris collecte non possit scribi per ali-
quem notarium nisi per notarium collecte.

It. stat. et ord. quod in libris collecte non possit
nec debeat fieri aliqua scriptura per aliquem alium
notarium, quam per notarios eolleete, qui sunt in
dietio offitio spetialiter constituti, de qua non pos-
sint nec debeant aliquem denarium, quam cum serip-
serint, diem et tempus seribere teneantur. Et dieti
notarii teneantur et debeant predieta observare ad
penam C s. ad petitionem cuiuslibet postulantis.

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

CCXXXII

CCXXXIII

9

Li
G.

PARDI

De electione iudicis collecte.

It. stat. et ord. quod d.ni Septem defensioni Com.
et populi Civ. Urb. presidentes et XII sapientes su-
per statu diete Civ. deputati et executores collecte
eligant et eligere debeant unum bonum, sapientem
et legalem iudicem iuris peritum, qui iudex et exe-
cutor collecte appelletur, qui una cum executoribus
ipsius collecte offitium habeat exequendi singulari-
ter omnia ordinamenta, statuta et capitula ipsius
eolleete faeta et facienda, que de dieta collecta fa-
eiunt seu facerent mentionem. Cuius iudieis executo-
ris offitium duret et durare debeat sex mensibus tan-
tum. Et habeat et habere debeat idem iudex executor
illos offitiales, familiam et equos et salarium, prout
et sicut per dietos d.nos Septem, XII et executores
fuerit deliberatum. Quod salarium camerarius diete
eolleete eidem iudici de pecunia diete collecte inte-
graliter solv. ten. Qui iudex stet et stare debeat
contentus suo salario et nichil aliud ipse vel eius
offitiales vel familia a Com. vel spetiali persona
ratione dieti offitii possit percipere vel habere; et
teneatur et debeat venire, ipse cum suis offitialibus,
familia et equis, ad dietam Civ. tribus diebus ante
introitum sui offitii. Et si contigerit iudicem vel
offitiales aut familiares suos vel aliquem ipsorum
absentari a dieta Civ. Urbevetana pro suis negotiis
vel aliorum, dum modo non pro utilitate Com. pre-
dieti, quod de eorum salario debeat excomputari
pro rata temporis, et quod dietus iudex et eius of-
fitiales et familia stent et stare debeant, finito eo-
rum offitio, in Civ. predieta ad syndicatum tribus
diebus continuis, reddituri de ipsorum offitio ple-
nariam rationem coram syndieis deputandis ad ipsos
syndieandos. Cuius iudieis eleetio fiat et fieri debeat
duobus mensibus ante finem offitii memorati.

CCXXXIIII
GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D' ORVIETO, ECC.

De electione executorwm. collecte.

It. stat. et ord. quod dieti d.ni Septem et XII
prepositi ad statum Civ. una eum illis sapientibus
viris, quos secum ad hoe eligere et habere voluerint,
eligant et eligere debeant IIII bonos viros, videli-
cet unum pro quolibet quarterio diete Civ. qui sint
et esse debeant executores collecte, quorum offitium
duret et durare debeat sex mensibus. Et habeat qui-
libet eorum pro suo salario quolibet mense dietorum
sex mensium unum fl. a., quod salarium camerarius

dicte collecte eisdem executoribus solv. ten. Et qui

fuerit pro sex mensibus executor, non possit amplius
esse a fine sui offitii ad duos annos. Qui executores
iurent eorum offitium facere bona fide, sine fraude,
et ordinamentum colleete servare. Et iddem fiat et
servetur singulis sex mensibus de electione et aliis
in dieto eapitulo contentis. Et quilibet electionem
huiusmodi de se faetam teneatur et debeat acceptare,
et renuntiare non possit nisi solveret diete collecte
X l. d. e. Et tune denuo fiat eleetio de altero, loco
illius qui renuntiaret, secundum predietam formam.
Et nullus possit esse executor sive offitialis colleete
nisi popularis.

De electione camerarii collecte.

It. stat. et ord. quod per prefatos d.nos Septem
et Duodeeim sapientes una cum illis bonis et sa-
pientibus viris, quos secum ad hoc eligere et habere
voluerint, eligatur et eligi debeat unus bonus et le-
galis ae suffieiens camerarius dicte collecte, cuius
offitium duret sex mensibus et non ultra; ad ma-
nus euius eamerarii deveniant omnes introitus diete
collecte et suos introitus et proventus debeat red-
dueere in seriptis, ut de ipsis possit rationem red-
dere, et etiam de exitibus. Et d.ni collecte tenean-
tur et debeant similiter facere redduci in seriptis

CCXXXV

CCXXXVI

361
368 G. PARDI

per unum ex notariis collecte omnes introitus et pro-
ventus qui pervenerint ad manus dieti camerarii,
et etiam omnes exitus, ita quod de predietis omni-
bus ratio reddi possit. Qui camerarius habeat et
habere possit pro suo salario, de pecunia dicte col-
lecte, quinque l. d. e. pro quolibet mense sex
mensium predietorum.

De electione offitialium qui stare debent ad colli-
gendum. collectas ad portas et de modo et forma.

It. stat. et ord. quod per d.nos Septem ad de-
fensionem Urbevetani populi presidentes, et Duode-
eim deputatos super statu pacifico Civ. Urb. eligan-
tur offitiales qui stare debeant ad portas ad colligen-
dum eolleetam, et per iudicem et d.nos executores
eolleete eorum salarium ordinetur.

Tallie artium Civ. Urb.

Infraseripte sunt tallie artium Civ. Urb. quas
solvere debent secundum infraseriptam formam:

Tallia iudieum et notariorum.

Supradieti d.ni Septem et Duodecim stat. ord.
deliberaverunt et firmaverunt quod collegium iudi-
cum et notariorum Urbevetane Civ. et ipsi iudices
et notarii solv. et solv. ten. et debeant collecte Ur-
bevetani Com. omni anno, donee ipsa colleeta dura-
verit vel aliter correcta fuerit (1).

Tallia mereatorum.

It. ars mereatorum et ipsi mereatores solv. et
solv. ten. etc.

(1) Manca l'ammontare della taglia dell'arte dei giudici e dei notari e di altre

arti.

CCXXXVII

COXXXVIII
GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC. 369

Tallia artis lane. à
It. ars lane et ipsi lanaioli solv. et solv. ten. ec.
Tallia artis calzolariorum.

It. ars calzolariorum et ipsi calzolarii solv. et
solv. ten. etc.

Tallia artis merciantium.

It. ars merciantium et ipsi merciantes solv. et
1 solv. ten. etc.

Tallia artis macellariorum.

1 It. stat. et ord. quod ars macellariorum Urbe-
vetane Civ. et ipsi macellarii solv. et solv. ten. ec.

E Tallia artis fabrorum.

| It. stat. et ord. quod ars fabrorum Urbevetane
È Civ. et ipsi fabri solv. et solv. ten. et debeant dicte
eolleete omni anno, donee ipsa collecta duraverit
vel aliter correcta fuerit, triginta sex l. d. e.

Tallia artis pellipariorum.

E It. stat. et ord. quod ars pellipariorum Civ. Urb.

et ipsi pelliparii solv. et solv. ten. ec.

Tallia artis sartorum.

Mr ades eiae (17

n E

It. ord. quod ars sartorum Urbevetane Civ. et
ipsi sartores solv. et solv. ten. et debeant diete col-
leete omni anno, donee ipsa colleeta duraverit vel
aliter eorreeta fuerit, quinquanginta l. d. e.
370 G. PARDI

Tallia artis muratorum et petraiolorum.

It. stat. et ord. quod ars muratorum et petraio-
lorum Civ. Urb. et ipsi muratores et petraioli solv.
et solv. ten. diete colleete omni anno, donee ipsa 1

eolleeta duraverit vel aliter correcta fuerit, qua-
draginta l. d. e.

Tallia artis procacciantium. -

It. stat. et ord. quod ars procacciantium Civ.

Urb. et ipsi proeaeciantes solv. et solv. ten. efc.
Tallia artis tabernariorum.
It. firmaverunt et ord. quod ars tabernariorum

diete Civ. et ipsi tabernarii omnes solv. et solv.
ten. e£c.

Tallia artis pizieaiolorum.

It. ord. et voluerunt quod ars pizicaiolorum et
ipsi pizieaioli solv. et.solv. ten. etc.

Tallia artis lignaminis. E

It. stat et ord. quod ars lignaminis diete Civ.
et homines seu magistri diete artis solv. et solv.
ten. etc.

Tallia artis molendinariorum.

It. stat. et ord. quod ars molendinariorum diete
Civ. et ipsi molendinarii solv. et solv. ten. efc.

Tallia artis oliariorum et salaiolorum.

It. stat. et. ord. quod ars oliariorum et salaiolo-
GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

rum diete Civ. et ipsi oliarii et salaioli solv. et solv.

ten. etc.
Tallia artis funariorum.

It. stat. et ord. quod ars funariorum Civ. Urb.
[ et ipsi funarii solv. et solv. ten. et debeant dicte
È collecte omni anno, donec ipsa colleeta duraverit vel
aliter correcta fuerit, sedeeim. l. d. e.

Tallia artis albergatorum. p d

| lt stat. et ord. quod ars albergatorum diete Civ.
E et ipsi albergatores solv. et solv. ten. et debeant

diete eolleete omni anno, donec ipsa collecta dura-
: verit vel aliter correcta fuerit, vigintiquinque 1. ; Za
: d. e. I
È si
[ Tallia artis camagnaiolorum. i
1 It. stat. et ord. quod ars camagnaiolorum diete
E Civ. et ipsi eamagmaioli solv. et solv. ten. efc. 4

Tallia artis barberiorum.

It. ord. et stat. quod ars barberiorum dicte Civ.
3 et ipsi barberii solv. et solv. ten. et debeant ommi
: anno diete collecte, donec ipsa collecta duraverit vel
[ aliter correcta fuerit, quindecim l. d. e.

Tallia artis ealeinariorum.

It. stat. et ord. quod ars calcinariorum diete Civ.

TIE DB ARE:

et ipsi ealeinarii solv. et solv. ten. efc.

Tallia artis vascellariorum.

It. stat. et ord. quod ars vaseellariorum diete
G.

PARDI

etc.
Tallia artis tegulariorum.

It. stat. et ord. quod ars tegulariorum diete Civ.
et ipsi tegularii solv. et solv. ten. etc.

Tallia artis macinariorum.

It. stat. et ord. quod ars macinariorum diete Civ.
et macinarii solv. et solv. ten. et debeant dicte col-
leete quolibet anno, donee ipsa collecta duraverit vel
aliter eorreeta fuerit, viginti l. d. c.

Tallia artis vieturalium.

It. stat. et ord. quod ars vieturalium diete Civ.
et ipsi vieturales solv. et solv. ten. etc.

Imposita magistrorum medicorum, cirur-
giscie, fisice et gramatiee dicte Civ.

It. stat. et ord. quod medici, cirurgici, fisici et
magistri gramatice diete Civ. et maxime qui non
vadunt in exercitum et non tenentur ad personalia,
solv. et solv. ten. et debeant quolibet anno, donec
ipsa eolleeta duraverit vel aliter correcta. fuerit,
viginti l. d. e.

Quod qui sunt sine arte solvant collec-
tam.

It. quod quilibet homo Civ. Urb. et burgorum
qui non exercet aliquam artem per se publice et
continue, sicut alii sue artis bona fide sine fraude,
solv. et solv. ten. dicte collecte sieut ei impositum
fuerit a iudice collecte, vel aliter pro collecta, a

Urbevetane Civ. et ipsi vascellari solv. et solv. ten.

SPHERE DDR TNR
quinque s. d. e. usque in XL s. d. c., sieut ei im-
positum fuerit. Quas impositas, tallias et denarios
dietus iudex facere et imponere teneatur cuique
predietorum, consideratis faeultatibus et exereitio
persone et etiam expensis et exitu familie, consilio
aliquorum bonorum virorum, ut iudici videbitur;
hoe intellecto quod aliquis predictorum non possit
se exeusare de predietis pro eo quod uxor vel filius,
nepos vel frater aut aliquis de sua familia, nec pro eo
quod aliquis, [quem] haberet de sua pecunia ad par-
tem lueri vel in soeeitam, solvat talliam pro arte
vel ministerio. It. est aliud intelleetum quod filii
familias, qui sunt in potestate patris et cum eo mo-
rantur sine fraude et non divisi a patre, non te-
neantur ex forma huius capituli. Homines vero LXX
annis non ten. aliquid solv. silicet pro arte vel exer-
eitio, si solverent filii vel filius non divisi, vel frater
aut nepos sive nepotes non divisi.

De pupillis habentibus in bonis ultra CC 1.

It. quod pupilli minores XVIII annis et pupille
habentes in bonis valentiam CC l. ultra domos pa-
trimoniales, divisi ab eorum fratre vel fratribus,
consobrino vel eonsobrinis, patruo vel patruis ma-
ioribus, teneantur ad solvendum et satisfaeiendum
eolleete ex forma ipsius capituli. Et sic eis impo-
natur per iudicem eolleete, ut dietum est de homi-
nibus non exereentibus aliquam artem, hoe tamen
intelleeto quod de pupillabus habentibus fratrem
vel fratres et morantibus cum eis vel eo vel aliquo
eorum [hoe] non intelligatur.

De civibus habitantibus in comitatu.

It. quilibet eivis Urbevetanus qui consuevit cum
sua familia habitare continue in Urbevetana Civ.

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D' ORVIETO, ECC.

[CCXXX VIIII]

[CCXL]

373
314 G. PARDI

| P vel burgis aut pro duabus partibus anni et habitat
10 in eomitatu Urb. eum sua familia, solv. et solv.
i) ten. et debeat diete eolleete quinque s. ascendendo

usque in XL s. in aliis civibus, inspecta qualitate
108 et divitiis cuiusque, secundum quod videbitur iu-

dici collecte et eius offitialibus et sicut determinatur
et declaratur in superiori capitulo posito sub rubrica

fili) quod qui sunt sine arte solvant collectam, quod in-
Ln eipit: It. quod quilibet homo etc.

Quod iudex teneatur recolligere tallias ab homini- [CCXLI]
bus qui non exercent artem.

DG It. stat. et ord. quod iudex collecte teneatur et

ILA debeat exigere et exigi facere cum effectu omnes
et singulas tallias et impositas. factas et fiendas
hominibus et personis sciartatis seu qui non exer-
cent aliquam artem in Civ. et burgis Urb., sicut
alii homines artium diete Civ. et ipsas taglas seu
impositas teneatur et debeat exigisse cum effectu
infra duos menses post introitum sui offitii, et elapsis

dietis duobus mensibus, immediate dietus iudex te-
Mi neatur et debeat in consilio autentieo Civ. Urb. legi
i faeere nomina et prenomina sciartatorum seu qui
nu. artem publiee non excercent in Civ. vel burgis Urb.,

qui solverunt eorum taglam et etiam nomina illorum
qui non solverunt; et postquam nomina predictorum
sciartatorum, tam solventium quam non solventium,

leeta fuerint in dieto consilio, d.ni capitaneus et
Septem teneantur et debeant propositam facere de

| exigenda dieta imposita artium vel quid vel qualiter
I et quomodo sit procedendum super imposita predicta.
Et quiequid per dietum consilium provisum, ordi-
il; natum et stabilitum fuerit, procedat et executioni
| mandetur, statuto vel ordinamento aliquo non ob-
stantibus.
RIO

Quod fiat imposita universitati, arti seu collegio
cui non esset facta.

Ad hoe ut iura omnia Urbevetani Com. et collecte
serventur illesa, stat. et ord. supradieti d.ni Septem
et Duodecim, ut plene eorum sacramentum servetur,
quod si aliqua persona, collegium seu universitas
sue artis reperiretur, cui non esset facta imposita
seu tagla collecte, quod sit in provisione iudicis ip-
sos cogere ad solvendum diete colleete, inspecta qua-
litaté persone, collegii et universitatis seu artis, ita
quod quisque solvat ut ei impositum fuerit et vi-
debitur ipsi iudici et camerario et d.no potestati et
Septem Urbevetano populo presidentibus; et hee non
obstante aliquo capitulo huius colleete supra vel
infra seripto.

Quod, si aliqua capitula invenientur bis posita de
eadem re et de eodem facto vel simili, exigatur
ad maiorem collectam.

It. stat. et ord. quod si eapitulum vel aliqua
capitula invenirentur positum vel posita in dieta
collecta de eadem re vel simili pluries quam semel,
eolleeta exigatur de dieta materia secundum capitu-
lum quod maiorem colleetam ponit.

Quod presens statutum. et ordinamenta collecte sint
firma et omnia alia de collecta sint cassa.

It. ord. et stat. quod presens statutum collecte
et omnia et singula ordinamenta et capitula in ipso
comprehensa, pro ut et sicut superius et inferius
scripta sunt, de capitulo in capitulum, membro ad
membrum et lietera ad lieteram, prout iacent et
scripta sunt per d.nos potestatem et capitaneum et
Septem et iudices et executores colleete presentes
et futuros et quoseunque alios, debeant inviolabiliter

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC. 315

" [CCX LII] 2

[CCXLIII]

[CCXLIIII]

NOW C uM

pa, €

376 G. PARDI

observari, et quod omnia alia statuta et ordinamenta
et seripture cuiuscunque conditionis et cuiuscunque
continentie et quibuscunque verbis concepta et con-
cepte et manu cuiuscunque notarii, in quibus de
collecta fieret aliqua mentio vel in eis de collecta
aliqua mentio fieret, vel scripture quecunque facien-
tes de colleeta mentionem, sint casse et cassa et nul-
lius efficacie vel valoris; et ex ipsis vel cum ipsis
nulla executio vel exatio fieri possit per aliquem
iudieem collecte, d.num potestatem vel capitaneum
vel aliquem alium offitialem Civ. Urb. presentem
vel futurum. Et quod potestas, capitaneus, Septem,
iudex et executores collecte et quilibet alius offi-
tialis vel alia quecunque persona, que aliis statutis vel
seripturis vel collectis uteretur, quam eis que in pre-
senti collecta continentur, condempnentur et con-
dempnari debeat quilibet contrafaciens vel veniens
in C I. d. e. nomine pene, et possint a quocunque
molestari, syndieari et appellari nullo eontrario ob-
stante.

Quod ordinamenta collecte observentur in infra-
scriptis terris Vallis Lacus, sicuti observantur
in Civ. et comitatu.

It. stat. et ord. quod omnia et singula suprascri-
pta capitula et quodlibet ipsorum facta et que fie-
rent de supradicta collecta serventur in totum et ven-
dicent sibi locum in omnibus et per omnia in terris
et eontra terras Vallis Lacus infraseriptas et homi-
nes et habitatores ipsarum terrarum, prout et sicut
servantur et servari debent in Civ. et comitatu Urb.
et hominibus ipsorum; silicet:

Terram sive castrum Bulseni,

» Saneti Laurentii,
» Griptarum,
y: Gradularum, et

Latere.

[CCXLV]
Quod d.ni potestas el capitaneus et iudex et eme-
cutores collecte teneantur servare capitula et
ordinamenta collecte.

It. stat. et ord. quod omnia et singula supraseri-
pta eapitula teneantur d.ni potestas et capitaneus,
iudex et executores colleete et singuli alii offitiales
Civ. Urb. observare et observari facere et execu-
tioni mandare vineulo iuramenti et sub penis et
bannis in dietis eapitulis contentis.

CONCLUSIO.

It. stat. et ord. omnes supradicti d.ni Septem et
Duodeeim, voluerunt, correxerunt, fecerunt et fir-
maverunt, sieut supra per omnia et singula seripta
sunt, non obstante aliquo capitulo vel statuto sta-
tuti Com., earte populi vel consiliorum, quod predi-
etis capitulis vel alicui eorum contradiceret vel ob-
viaret vel vitiaret, salvo quod si aliquod eapitulum
esset supra in presenti collecta statutum vel ordi-
natum vel faetum, quod vel esset contra deum et
sanetos, beatam Mariam eius matrem vel eius san-
etos vel eontra romanam eeelesiam vel eius hono-

rem vel contra ecclesiasticam libertatem, quod illud

tale volunt habere et habent ex nune pro non sta-
tuto, non ordinato et non facto, et sic per omnia
comuniter pronuntiant d.ni Septem et Duodecim su-

pradieti.

Addictio facta capitulis de collecta solvenda de be-
stiis et sequentibus.

Additur quod qui emit bestias causa macellandi
non solvat collectam de emptione. It. si aliquis

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC. 377

[CCXLVI] »
318 G. PARDI

emerit a forense vel non subiecto iurisdictioni Com.
Urb. aliquam bestiam vel cum eo fecerit aliquam
merchantiam, de qua debeat solvi collecta per Ur-
bevetanos eives secundum capitula collecte, teneatur
et debeat retinere dietarum bestiarum et merchantia-
rum tantam pecunie quantitatem quanta debetur pro
eolleeta et dietam pecuniam solvere camerario col-
lecte. Et si quis predietam retentionem non fecerit,
de suo solvere eompellatur. It. quod nullus de Civ.
vel eomitatu Urb. emat vel vendat aliquam bestiam
diebus merchati alibi quam in foro consueto ; et
quicunque diebus merchati emerit vel vendiderit
aliquam bestiam, solvat colleetam offitialibus colle-
cte ad predietam collectam exigendum deputatis
ipsa die: si vero aliis diebus emerit vel vendiderit,
solvat collectam infra terminum otto dierum. Et si
aliquis predieta non servaverit vel contrafecerit in
aliquo. easuum predietorum, solvat collectam duplam
ut in eapitulo De collecta solvenda de pretio bestia-
rum continetur, et XX s. pro qualibet bestia et qua-
libet mercehantia. It. quod quieunque duceret be-
stias extra comitatum absque solutione colleete et
lieentia iudicis intelligatur ducere contra devetum
et puniatur penis contentis in capitulo: De custodibus.
et offitialibus deveti faciendis, quod capitulum locum
habeat tam in bestiis, quam in aliis merchantiis
que absque licentia iudieis ducerentur.

Quanti ponderis intelligatur salma. .

It. ord. et declaraverunt quod salma quanticun-
que ponderis fuerit in una bestia habeatur pro una
salma, et pro una salma solvat a CCC 1. supra. Si
vero fuerit a CCC 1. infra solvat pro rata ad ratio-
nem CCC 1. pro qualibet salma.
Addictio et declaratio facta ad capitulum De pi-
gnoribus non recipiendis.

It. declaraverunt quod iudex et camerarius col-
leete possint et eis liceat et teneantur vendere
omnia pignora, que remanserint penes dietum ca-
merarium tam supradieta occasione, quam occasione
eolleete portarum, dum modo banniatur, semel in
die, fori, et assignetur terminus trium dierum .eui-
libet dieta pignora debenti recolligere, et a dicto
termino in antea vendi possint dieta pignora absque
aliquo preiudicio.

Additio facta ad capitulum : Quod iudex collecte
teneatur omnes et singulas quantitates pe-
pecunie etc.

It. declaraverunt quod, ad hoc ut dieta exaetio
melius fieri possit et ut debitores collecte asperius
terreantur, possit dietus iudex dietis debitoribus
gravamina inferre penalia, realia et personalia de
faeto, prout sibi magis placuerit, absque aliquo sui
preiudieio.

Additio facta ad capitulum De balitoribus col-
lecte.

It. addiderunt quod dietus iudex possit punire
absque aliquo proeessu vel sententia, realiter et
personaliter, omnes et singulos balerios collecte ea
gastigatione et punitione que sibi congruentior visa
fuerit, maxime in casibus in quibus dieti balerii
aliqua pignora derobaverint aut baraetaverint, aut
aliquam personam indebite gravaverint sub pretestu
offitii; et quod potestas et eapitaneus teneatur ad
petitionem dieti iudieis detinere et eustodire in car-

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

LAT

M ades gl Da

c
350 G. PARDI

ceribus Com. dietos balerios et alias quascunque
personas, quas dietus iudex eis custodiendas mise-
rit, et eas non relassare absque licentia dieti iudi-
eis ad penam C 1.

De collecta solvenda per coquentes vasa vitrea.

It. stat. quod quicunque voluerit eoquere bie-
chierios sive alia vasa vitrea, de vitro tamen, solv.
et solv. ten. singulis annis camerario colleete XX
S. d: 6.

(Continua ).
ANALECTA UMBRA

Assisi. — Tutto un fascicolo degli Atti dell’ Accademia Properziana
del Subasio (num. 8-10 del vol. II; pag. 121-168) è consacrato a GZu-
seppe degli Aromatari difensore del Petrarca contro Alessandro Tassoni.
La dotta monografia, modestamente dichiarata Cenno storico, è del
prof. Leto Alessandri, n. s., che ha opportunamente ravvivata la memoria
del letterato assisano or che l'Italia ha celebrato degnamente il sesto
centenario dalla nascita del Petrarca. Giovi ricordare che nella casa
in eui l'Aromatari nacque il 25 marzo 1587 è una iscrizione che lo ri-
corda come medico, letterato e naturalista; e che nel 1887, nel terzo
centenario dalla nascita sua, il prof. Leonello Leonelli pubblicò le sue
biografiche Memorie: queste ed il presente studio del prof. Alessandri
rappresentano a sufficienza, integrandosi, la figura del critico e del-
l’erudito.

+ L' illustre prof. L. Zdekauer nel suo opuscolo L'Archivio del
Comune di Recanati ed il recente suo ordinamento (Fano, 1905), riporta
fra i documenti una domanda tratta dagli Annali di quel Comune, in
data 26 sett. 1439 scritta da maestro Luca di Assisi che chiede di poter
venire a Recanati per esercitare l’arte della lana.

Città di Castello. — Di Paolo Vitelli chi avesse a trattare di
proposito dovrebbe apprendere molto dal nuovo libro del nostro socio
dott. G. Coggiola: I Farnesi ed il ducato di Parma e Piacenza durante
il pontificato di Paolo IV (Parma, 1905). Questo è il primo saggio di
studî sulla storia del ducato. L’autore la proseguirà da un pontificato
all’altro, per la stretta connessione che questo ha con la Chiesa e per
l’alternarsi della politica personale da uno all’altro papa. I nuovi do-

cumenti, più delle già note raccolte, offrono il modo di seguire non solo,

25
382 ANALECTA UMBRA

4

ma spiegare e giustificare la politica farnesiana nei suoi vari adatta-
menti per non lasciarsi sfuggire di mano il possesso. Paolo Vitelli fu
principale strumento di Ottavio Farnese, e molte cose da lui operate
sono qui messe in vista, sebbene nella diplomazia egli valesse non tanto
quanto valeva nelle armi. A lui mancava (dice l'A.) la multiforme
abilità politica che ci apparisce in molti altri familiari dei Farnese.

Gubbio. — Il regesto dell’ Archivio Capitolare di Gubbio fu redatto
dal 1834 al 35 dal cardinale Giuseppe Pecci, in due volumi, col titolo di
Membranarum archivii Ecclesiae Cathedralis Eugubinae recensio per Jo-
sephum de comitibus Pecci. Com'egli trovò l’archivio, come l’ordinò ra-
zionalmente e come ne compilò quel « vero modello di catalogo » (così
scrisse il Bethmann nell'Archiv del Pertz, vol. XII; Hannover, 1872),
ha detto il sac. Pio Cenci nella Miscellanea di storia ecclesiastica (a. YI,
num. 8-9; giugno-luglio 1904).

«x Dobbiamo allo stesso don Pio Cenci, nostro socio e ricercatore
diligente delle memorie storiche eugubine, un opuscolo di Zcordi sto-
rico-artistici della chiesa abaziale di s. Pietro di Gubbio (Gubbio, Romi-
telli, 1904; in 16, pp. 20). Da tracce di sculture nella facciata può,
forse, dedursi che la costruzione della chiesa risale al secolo VIII od
al IX; ma « la prima menzione » se ne trova in una pergamena della

Cattedrale del 1097. E da quest'anno muove e procede sicura la nar-

razione del Cenci fino al secolo XIX.

«x Per la storia del ducato d'Urbino, a cui Gubbio fu sottoposta
fino al 1631, è ottimo documento la relazione della Solenne entrata
di Lucrezia d’ Este im Pesaro nel 1571, quando cioè ‘andò sposa a Fran-
cesco Maria della Rovere, ora pubblicato per circostanza nuziale dal
prof. N. Bianchi (Pesaro, Federici, 1904; in 16, pp. 32). Non ignota
era, veramente, questa descrizione di festa magnifica; per ciò che il
Cittadella ne avea fin dal 1869 pubblicata in 100 esemplari una detta-
gliata notizia di anonimo contemporaneo; ed un’altra ne diè fuori,
trattala da un manoscritto dell’Archivio di Stato di Firenze, il Baccini
nel 1882. Questa, edita dal Bianchi, è del padre Ludovico Zacconi,
narratore fedelissimo perchè testimone delle feste alle quali parteci-
parono cittadini e città umbre: Gubbio figura tra le comunità che
offersero doni ricchissimi alla nuova principessa ; e il suo dono fu
« piatti num. 50, la metà tutti indorati e l’altra metà bianchi », sti-

mati 2000 scudi. Erano probabilmente della fabbrica che tanto nome:

s'era procacciata per l'arte di maestro Giorgio.

——— il —— | —— ——— di cirie

ANALECTA UMBRA 383

4^4 La tavola num. 48 della Pinacoteca di Gubbio, comunemente
attribuita a Filippo Lippi (cfr. Guida storica di O. Lucarelli, pag. 523),
è di Neri de’ Bicci, come ha di recente asserito Arduino Colasanti (R7-
vista d' arte, marzo 1904). La ragione dell’ attribuzione si spiega pen-
sando che Neri dedusse il soggetto dalla tavola del Lippi ch’ è ora nella
Galleria di Berlino.

&'« Gubbio è la XIII delle Monografie illustrate (Italia artistica)
compilata da Arduino Colasanti (Bergamo, 1905). Compilata, ho detto;
ma dovevo dire che è letterale ristampa delle Memorie e Guida storica
di Gubbio di Oderigi Lucarelli (Città di Castello, Lapi, 1888). Veggasi
per esempio da pag. 13 a pag. 49, e in Memorie da pag. 16 a pag. 115:
da pag. 105 a pag. 109, e in Memorie da pag. 548 a pag. 550. Il fatto
è così grave che giustificherebbe amarissime parole di rimprovero e
d'indignazione. Su mastro Giorgio, nelle poche linee a pag. 64, non
sì potevano accumulare errori più grandi: al solito, pel Colasanti
l’Andreoli è anche « pittore e scultore »: naturalmente, ché non gli
son noti gli studi recenti, pubblicati in occasione delle feste centena-
rie giorgesche. Egli però conobbe la lettera del march. Ranghiasci a
Giovanni Eroli, Di Maestro Giorgio, dalla quale dedusse letteralmente la
falsa notizia che l’ Andreoli avesse partecipato alla « famosa congiura
contro Galeazzo Maria, ucciso nel tempio di Santo Stefano la mattina
del 26 decembre 1476 » (perchè il Colasanti ommette l’anno ?). Alla
congettura, accolta dal Colasanti, che Angelo da Orvieto sia lo scul-
tore anzichè l’ architetto del palazzo de’ Consoli (struxit dice l'inseri-
zione, non seu/psit!), non è il caso di opporre alcuna buona ragione,
per ciò che quella congettura non dev’ esser presa sul serio finchè, al-
meno, la parola sfruocit non divenga suscettibile d'un'interpetrazione
arbitraria e irrazionale. Non è vero che Vespasiano dichiari costruita
dal Lauranna « durante il ducato di Federico » /a casa d’ Agubbio:
Vite, I, 320 della edizione per cura di L. Frati. Il « tautologio »,
anzi l' « un tautologio » (pag. 121 e 122) è il Teleutelogio di Ubaldo
di Sebastiano da Gubbio (non è, dunque, vero che non se ne « cono-
see neppure l'autore »), sul quale fu pubblicato uno studio nell’ Ar-
chivio storico italiano, serie IV, tomo VII. « Si dubita fortemente
che Bosone abbia mai scritto » 1’ Avventuroso Ciciliano?: ma se è noto
più che l'erba betonicà che il romanzo è un raffazzonamento di scritti
altrui e che, così com'è, gli è falsamente attribuito (Studi di filologia
romanza, I, pag. 277, 325). Sostenere che il sonetto Tu che stanzi
(pag. 121 e sg.) non è di Dante e nè pure autografo suo, vuol dire
sfondare una porta spalancata: è noto a chi studia che quei 14 versi
EE. . o 1° nia -

384 ANALECTA UMBRA

deformi sono del 1508, e recano, in principio, appunto quest'anno! —
Ma lasciamo andare; non senza però aver notato che la impreparazione
dell' autore mirabilmente resulta dalla nota delle « fonti principali »
alle quali attinse: è un elenco di scritti che fa pietà.

4^, Il nostro socio dottor Romeo Gallenga Stuart (Ii Marzocco del
13 novembre scorso) ha, giustamente e con parole di rammarico sin-
cero, deplorato che Gubbio non più produca quelle meraviglie di maio-
liche con riflessi metallici, che costituirono una delle sue artistiche
glorie: giace oggi « malinconicamente perduta tra i dossi nudi del-
I Appennino » la piccola città, come un’ accidiosa dantesca ; immemore,
svogliata, oziosa, infeconda. Se taluno (io noto per mio conto) tenta
di risvegliarla dal sonno secolare, richiamandola a vecchi ricordi della
sua storia e della sua artistica produzione, ella si scuote e freddamente
si guarda dattorno, quasi colta da meraviglia per quelle ravvivate
bellezze che sue furono e delle quali un tempo fu adorna: poi, indif-
ferente, torna a ricadere nell’ usato letargo. A Gualdo Tadino, presso
a Gubbio, in mezzo al fiorire del piecolo commercio, ridono intanto i
lucenti colori delle maioliche che operai volonterosi riproducono e dif-
fondono: notevole manifestazione d'arte nella quale maestro Giorgio
fu assoluto signore su la fine del quattrocento e il primo trentennio
del secolo dopo; ma, come bene avverte il Gallenga, manifestazione
bella per tecnica, infelicissima per gusto e invenzione, ché i modelli
giorgeschi mancano a quegli operai di buona volontà. Ond’è ch'egli
esprime il desiderio che il nostro Ministero dell’ Istruzione mandi co-
pisti valenti a Londra, perchè ritraggano tutte quelle forme di ornati
e quelle figure e rappresentazioni che fanno ammirate le moltissime
maioliche gelosamente (e in realtà son tesori) custodite nei Musei Bri-
tannico e South Kensington; e tali copie servano di guida e modello
ai nuovi produttori di piatti, d'anfore e di vasi riverberati. Desiderio
giustissimo; ma, secondo me, niente Londra e niente Gualdo Tadino ;
e l'opera d'incoraggiamento del nostro Ministero a ben altro dovrebbe
esser diretta. Mi spiego. Quando, pochi anni or sono, Gubbio volle per
mio mezzo celebrare il quarto centenario di maestro Giorgio, io raccolsi
riproduzioni e grandi fotografie delle sue maioliche conservate nei mu-
sei d' Italia e d' Europa, e alle mie richieste consentirono con genero-
sità singolare il Re d'Italia, la Regina d'Inghilterra, i direttori dei
Musei di Bologna e di Berlino e molti collezionisti nostri e dell' estero.
Giunsi così a formare un vero e proprio Archivio, una. vera e propria
Esposizione dell'opera di maestro Giorgio, aggiuntavi una raccolta
completa delle sigle, dei segni convenzionali e delle firme, onde l’ ar-
ANALECTA UMBRA 389

tista contrassegnava le maioliche riverberate nella propria bottega.
Gl'inesperti e i maligni dissero quella mostra una raccolta di cartoni,
ma per me e per i pochi studiosi che seppero apprezzarne il valore,
egregiamente riuscì. Or bene, oggi, quel prezioso materiale di tante
fotografie (in grandezza naturale son quelle dei piatti di Londra) è con-
servato (non bene, credo; certo, senza compiacimento) dalla Società
Operaia di Gubbio, a cui lo affidai perchè ad essa soltanto spettava il
merito delle dignitose feste centenarie. S'è dunque quistione d’ aver
sott'occhio, per fedeli riproduzioni, le maioliche riverberate da maestro
Giorgio, possono bastare quelle grandi e nitide fotografie, senz’ attin-
gere agli originali di Londra, di Berlino e d' altrove. Del resto, baste-
rebbe per un artista lo studio sui piatti di Faenza, di Casteldurante,
d' Urbino, per ciò che maestro Giorgio non dipinse maz e ai abbelli
di « fiori, ornati e stemmi » le maioliche, su le quali egli applicò sol-
tanto i riverberi: egli operò così soltanto su le maioliche dipinte e già
cotte. Questo ho ben dimostrato, e l’amico Gallenga non insista a so-
stenere il contrario, non foss’ altro per amore all’ assoluta verità.

Chi può continuare gloriosamente la tradizione di maestro Giorgio
a Gubbio e produrre ancora maioliche riverberate, com’ egli ne diè, con
perfezione ammirevole, esiste ancora, solitario e modestissimo artista :
Giovanni Spinaci. L'intelligente di quest’ arte dia semplicemente un'oe-
chiata alle maioliche, uscite dal suo forno, raccolte in casa sua e frutto
di tanto studio paziente, e si persuaderà che riproduzioni migliori e
più prossime agli originali non potrebbero desiderarsi. Perchè il nostro
Ministero dell’ Istruzione non s’ adopera a far rivivere e render produt-
trice la solitaria e modestissima fabbrica dello Spinaci? « Non Le pare,
amico Gallenga, che l' opera sarebbe veramente utile e bella? E non
Le parrebbe abbastanza facile compierla? Purché così vogliano la Di-
rezione Generale ed i fati..... ».

Foligno. In oecasione del Congresso della nostra R. Deputa-
zione, fu inaugurata in Foligno (18 settembre) la sala delle Memorie
e documenti in Foligno per la storia del Risorgimento italiano e ne fu
pubblicato il secondo elenco (Foligno, Campi; in 8, pp. 20: il primo,
ora esaurito, fu edito nel 1893), che comprende i fascicoli 53-80, serie
€ D. Sono preziosi ricordi di Francesco Benaducci, Cesare Agostini,
Colomba Antonietti, Antonio Liverani; e di Foligno dal 49 in poi, con
cataloghi di volontari dal 48 al 67.

«x Per la stessa circostanza furono pubblieati in opuscolo cenni
sui Principali monumenti antichi ed opere artistiche di Foligno e dintorni
386 ANALECTA UMBRA

(s. Maria in Campis, Sassovivo, Le grotte di Pale; s. Maria Giacobbe
e s. Giovanni Profiamma), compilati dal prof. A. Mancinelli (Foligno,
Campi; in 8, pp. 21).

«'. L'idillio di Sante Ferroni Il primo amore, uno dei componi-
menti non estemporanei del poeta folignate, ha pubblicato il nostro
socio prof. E. Filippini nello splendido volume che amici studiosi e
dotti colleghi hanno offerto al prof. Scherillo in occasione delle sue
nozze colla sig. Negri (Da Dante al Leopardi: Milano, Hoepli, 1904).
L'autografo dell'idillio è nella Braidense, e il Filippini l’ha riprodotto
a canto al testo, ben differente dall'inedito ms., dell’ edizione del 1795,

notandone le molte diversità e modificazioni, e determinando le ragioni.

di così sostanziali differenze. Della memoria del prof. Filippini s'ha
l'estratto dal volume, pag. 521-528.

Orvieto. — Miscellanea di erudizione è il titolo di una nuova ri-
vista che si stampa in Pisa dal Mariotti diretta da Pio Pecchiai e as-
sai ripromettente. Nel 2° fascicolo è un articolo di Pericle Perali intito-
lato: « Di una iscrizione etrusca riprodotta sui frammenti di due vîv070n
rinvenuti nella Necropoli di Orvieto, dandone la riproduzione fotogra-
fica ». Il Perali, tuttochè giovanissimo, si rivela un etruscologo acuto e
tenta una interpetrazione delle iscrizioni ; egli analizza le forme comuni
alle iscrizioni della serie e le parti speciali delle due orvietane, rifiuta
la versione del Deecke e del Lattes per la voce Mulu e con buoni ar-
gomenti propone per ambedue le leggende, anzichè il valore di forma
verbale, la corrispondente sostantivale munus, che il Bagge ha ravvi-
cinato a mulune e a muluth verbali.

da IL fasc. 16 dei nuovi Rerum Italicarum Scriptores contiene le
Ephemerides Urbevetanae a cura di Luigi Fumi, riprodotte dal codice
Vaticano Urbinate 1745. Il testo n'é uscito non solo migliorato nelle
voci e nei nomi propri, ma di molto ampliato per varie parti che l' ama-
nuense Muratoriano aveva omesse. La bella cronaca volgare, che è
uno dei testi più ragguardevoli della nostra lingua del trecento, e di
cui il Fumi crede autore un Antonio da Orvieto (che potrebbe essere,
come egli pensa, Antonio di Ugolino da Orvieto lettore di grammatica
nello studio di Bologna, 1369) viene passo passo studiata, ponendola
a fronte de’ documenti officiali del Comune di Orvieto con un ampio
corredo di note illustrative che talvolta emendano il cronista, più spesso
dichiarano il significato degli avvenimenti e vi aggiungono i partico-
lari più interessanti. Nei fasc. successivi saranno date le cronache or-
ANALECTA UMBRA 387

vietane fino a tutto il medio evo studiate con lo stesso metodo di raf-
fronto e di reintegrazione storica.

Perugia. — La parte VIII dell’opera The Renaissance in italian
Art (seconda edizione; Londra, 1904) comprende il Vannucci, The ma-
ster of Perugia, e la sua scuola feconda. Ma nel capitolo d’ appendice
che a questa si riferisce, erroneamente sono aggruppati pittori della
finitima Toscana, di Romagna (anzi di Forlì, come il Melozzo e il Pal-
mezzano) e d’ Urbino con gli umbri e i perugini Matteo da Gualdo,
l| Alunno, Ottaviano da Gubbio, il Buonfigli e Fiorenzo di Lorenzo
(pag. 133 e sgg). Intendimento dell’ autore era, veramente, di rappre-
sentare l'arte nostra pittorica nel rinascimento inscritta, come ampio
quadro in- cornice, nella storia della stessa arte nelle città che eoll'Um-
bria confinano (cfr. il capitolo The Umbrian Borderland); ma tropp’ ol-
tre egli estende quei confini giungendo in Romagna per dir del Me-
lozzo, a Camerino per toccar dei Boccati, e in Urbino per determinare
l’opera di Timoteo Viti, di Giovanni Santi e di Girolamo Genga. Però
il libro, se non severamente critico, è geniale nell’ esposizione e buon
mezzo a divulgare all’ estero la nostra ammirevole produzione artistica.

«5 Il nostro socio ed amico dott. Degli Azzi ci comunica :

Nel suo interessante volume Palio and Ponte, an account of the
sports-of central Italy from the age of Dante to the xx" century (Siena,
Torrini, 1904), W. Heywoop, il dotto illustratore di Siena e amantis-
simo delle cose nostre, dedica un accurato capitolo (pp. 138-160) al no-
tissimo giuoco della Sassazuola, particolare a Perugia tanto da meritare
l'appellativo di Ludus Perusinus. Di questo feroce trattenimento, che
più propriamente ebbe nome di Battaglia de’ sassi (Praelium lapidum)
lI A. studia con diligenza le affinità con altri giuochi medievali consi-
mili in onore a Siena, a Gubbio, ad Orvieto ed altrove, e sulla scorta
de’ nostri migliori e più autorevoli scrittori, come il Campano, il Pel-
lini, il Bonazzi (oltre al Graziani ed agli altri cronisti), ne offre una
diligentissima descrizione, ricordando opportunamente l’ antica divisione
della città in Porte o Rioni, e l origine e le vicende delle diverse Com-
pagnie di sollazzo (larvanti spesso, sotto nomi e scopi festaiuoli, in-
tendimenti politici e gare faziose) che in ciascuno de’ rioni sorsero e
prosperarono. Completa lo studio storico de’ provvedimenti legislativi
che occorsero a temperare la fierezza e la crudeltà di quei sanguinosi
trattenimenti popolari, la pubblicazione della rubrica 216 del vol. III
dello Statuto perugino edito dal Cartolari (1528) e del bando “emanato
dal Legato pontificio Pietro Donato il 20 febbraio 1426: ai quali do-
388 ANALECTA UMBRA

.ecumenti già noti e d'epoca già molto avanzata l'egregio A. avrebbe,

veramente, potuto preferire il testo, molto piü interessante pei riguardi
dell’ antichità e della lingua, della rubrica 117 (« De la bataglia da
non fare en piazza ») del libro III dall' ancora inedito Statuto volgare
del 1342.

4", Anche il nostro prof. Annibale Tenneroni scrive: Su Fiorenzo
di Lorenzo di cui si cerca oggi assiduamente porre in rilievo la nobi-
lissima ragione d'arte, la sua influenza sui grandi della scuola umbra
nonché fare un po’ più di luce circa l'autenticità delle sue opere, si è
pubblieato di recente a Strassburg dal dott. Siegfrild Weber un libro
dal titolo: Fiorenzo di Lorenzo. Eine kunsthistorische Studie, illustrato
di 25 fototipie. L'A. dichiara nella prefazione di essersi valso all'uopo
di un lavoro preliminare sull'arte umbra lasciato incompleto dal prof.
Ad. Rossi, riconoscendo al Mariotti il merito di avere per il primo
tratto dalle tenebre un pittore capo scuola, meraviglioso per la ricerca
della verità e della perfezione. Notiamo nello studio del Weber i capi-
toli sullo sviluppo della pittura umbra sino alla metà del secolo XV,
intorno alle ultime notizie su Fiorenzo, sulle sue opere incerte a Pe-

rugia e nei dintorni, sui quadri, secondo la sua maniera, conservati
nelle gallerie fuori d'Italia, ed aucora un capitolo su Fiorenzo quale |
architetto. L' opera si chiude con alcuni documenti di allogazioni d'opere

a Fiorenzo, desunti dalle copie del Rossi, e riguardanti gli anni 1491, à
1490, 1510, 1513, 1514. Di qualche apparente inesattezza incorsa nella

stampa di questi documenti latini, non è qui il caso di tener conto.

Dopo l'erudito Broussolle e l'egregia signora Graham (The problem of

Fiorenzo di Lorenzo) dobbiamo esser grati al dott. Weber di questo !
suo nofevole contributo alla storia della grande e originale scuola um-

bra, che speriamo possa aver presto la sua degna Mosíra, di cui si

parlò eon vivo desiderio e intendimento di programma nella. ultima

riunione della nostra Deputazione storica a Foligno.

x 4. Di quel cieco maestro di grammatica perugino, amico del Pe-
trarca (veggasi nelle Seni, XVI la lettera settima a Donino gramma-
tico di Piacenza) eui vanamente cercó a Napoli ed a Roma pér intenso
desiderio di conoscerlo, scrive Giovanni Sforza nella Storia di Pontre-
moli (Firenze, tip. Franceschini, 1904). In questa città insegnò nella
prima metà del secolo XIV il grammatico umbro, di cui l'avventura, come
avverte il Fracassetti (Lettere senili di F. Petrarca, II, 507 e sg.), si |
riferisee manifestamente al 1341. A taluno parve che egli sia da iden- coi

ANALECTA UMBRA 389

tificarsi con il perugino Stramazzo, l’autore del noto sonetto al Pe-
trarca che gli rispose con l’altro « Se l'onorata fronda » ecc.

4", Giorgio Bernardini rende conto de I dipinti italiani nella Gal-
leria di Vienna nella Rivista d’Italia del giugno scorso, e segnala « in
mezzo ai pochi quadri umbri » tre opere del Vannucci (num. 32, 24 e
25) ed una pala (num. 27) che, per essere « di disegno duro, di con-
torni aspri, di un modellato piuttosto rozzo », egli giudica « prodotta
dalla sua bottega ». Bellissima invece è la tavola che ha il num. 32.
Il Bernardini ne determina il soggetto così: « [ivi] è effigiata la Ma-
donna, che tiene il figliuolo in piedi sulle sue gambe, e due sante ai
lati, il quale, con qualche variante, ne richiama uno che ammiriamo
nel Louvre ». E il pregio cosi: « Niente di più peruginesco di questo
quadro si può trovare nel mondo, ai tipi, alla tecnica, ai colori... In
esso nulla vi si scorge di quella dolciastra sentimentalità che ci di-
sgusta nelle opere dell’ultimo periodo della sua vita. Le figure mo-
strano un aspetto attraente, simpatico, sono rese con arte somma e fine
disegno ». (Mai opere d’arte furono così barbaramente descritte !).
Dei « due piccoli quadrueci » che recano i num. 24 e 25, il Bernardini
dichiara soltanto il soggetto ; cioè il battesimo di Cristo e s. Girolamo.
Nel quadro num. 67 è rappresentato Malatesta Baglioni, opera di Fran-
cesco Mazzola: severa figura dalla lunga barba, che il Bernardini
pare abbia scambiata per una gentildonna ; « l’effigie di una Malatesta.
Baglioni dicesi ritratta nel quadro num. 67 » ecc!

+". La Galleria degli Uffizi s'é recentemente arricchita d'una
grande pala d’ altare (era nella chiesa della Calza), attribuita al Peru-
gino dal Vasari in poi: questi nella sua vita, narrò che « lavorò in
un'altra tavola un Crocifisso con la Maddalena, ed ai piedi s. Giro-
lamo, s. Giov. Battista ed il beato Giovanni Colombini, con infinita
diligenza ». Alle figure qui designate é da aggiunger quella di s. Fran-
cesco d'Assisi. Il direttore della Galleria, dott. Corrado Ricci, ne da
notizia nell’Emporium del settembre scorso, e rileva che alcune figure
« presentano nell'energia del disegno e nella densità cupa del colorito,
piuttosto il fare del Signorelli, che quello del Perugino ». E gli dà ra-
gione il confronto fra questa tavola (ne é qui data una nitida ripro-
duzione) e quelle del Signorelli. nella Galleria dell’ Accademia e in
s. Lucia di Urbino, e le Deposizioni d’ Umbertide e di Cortona. Altre
figure invece « hanno tutta la dolcezza tipica e cromatica delle figure
peruginesche ». La tavola, avanti di determinarne l'autore, dev'essere
più seriamente studiata; nè, conclude il Ricci, « sarebbe poi tanto
390 ANALECTA UMBRA

strano se si trattasse d'un'opera di collaborazione ». Della piccola
tavola di Bartolomeo Caporali, acquistata, come la precedente, per la
stessa Galleria, dice il Ricci che nessuna riproduzione potrebbe ren-
derne « tutta l’ombrosa finezza dell’esecuzione e la dolcezza bionda del
colorito »: in essa « si scorge benissimo l'innesto delle forme di Be-
nozzo Gozzoli sopra la pianta di derivazione senese ». Che nel secolo
XIV e nel seguente pittori senesi operassero in Perugia, e che « il
Gozzoli co' suoi affreschi di Montefalco divulgasse nell' Umbria le forme
dell'Angelieo e le proprie, oltreché storicamente, risulta artisticamente
e in sommo grado anche dal prezioso dipinto passato ora agli Uffizi ».

Rieti. — Dà contributo alla.vita di Tommaso Moroni il dott. Neri
Achille, dichiarando le sue finora ignote relazioni con la repubblica di
Genova (Noterelle d' Archivio; Spezia, 1904: estr. dal Giornale storico e
letterario della Liguria, anno V). Nel 1439 Tommaso Campofregoso e
il Consiglio degli Anziani gli rilasciarono, come a clarus poeta im. tici-
nensi studio laurea donatus, in omni prope genere discipline doctissimus,
una presentazione per i consulibus et mercatoribus Januensibus Hispali
moram. facientibus, senza però dichiarare la ragione del suo viaggio o
di aleun còmpito suo. Un decreto del 23 gennaio, posteriore di un
giorno a quella lettera, stabilisce che, essendo conveniens honorare spe-
ctatum militem et celebrem poetam. dominum Thomam Heatinum, gli
fossero donate cento lire di genovini d'oro (più di mille lire italiane).
Perchè si cospicuo donativo? Il Neri, forse con ragione, congettura che
il Moroni dovè nel gennaio del 39 giungere a Genova a corto di quat-
trini e che il Campofregoso lo soccorse, sempre ammiratore e generoso
verso gli umanisti. Ma il documento giova ad altro; a determinare la
fama dell’uomo fin da quell’ anno e il fatto ch’ egli aveva conseguita
la laurea nello studio di Pavia.

Tornò in Genova nel 61, ma questa volta « mandato da lo ill. du-
cha di Milano » di cui compiè la missione con tanto singolar lode e
soddisfazione dei genovesi, che la Repubblica gli decretò dona ascen-
dentia a libris quinquaginta ad florenos quinquaginta.

+ Degli affreschi eseguiti da Un discepolo del Domenichino, cioè
da Vincenzo Manenti di Orvinio in Sabina (1600-1674), nel palazzo epi-
scopale di Rieti, dà larga notizia il prof. Vincenzo Boschi nella Mi-
scellanea di storia ecclesiastica (a. II, num. 8-9; giugno-luglio 1904).
Restaurati dal prof. Colarieti Tosti, se ne può ora ammirare la bel-
lezza e determinare .il pregio assieme all’ alto zoccolo in ceramica
abruzzese, nella seconda sala, ch'è tornato con le pitture alla luce.
ANALECTA UMBRA 391

Le mattonelle recano con l’anno 1637 lo stemma del cardinale Fràn-
cesco di Bagno, che fu vescovo di Rieti dal 1635 al 39 e commise la
grandiosa opera pittorica al Manenti. Il quale rappresentò nella prima
sala le sante Barbara e Giuliana, i santi Stefano e Balduino e la morte
di s. Probo, a cui accorrono i martiri Giovenale e Eleuterio. Le scene
della Natività, della Annunziazione della Vergine e della fuga in Egitto
sono raffigurate nell'altra sala. La notizia è preceduta da copiosi ri-
cordi dello storico palazzo.

4*4, In onore di Loreto Mattei nel secondo centenario dalla morte
(Rieti, 24 giugno 1905) è stato pubblicato un fase. numero unico (Rieti,

‘tip. Trinchi) con cenni biografici, ritratti e varii lavori in prosa e in

verso. di Jacobelli, Cioli, Perotti, Boschi, Campanelli, Tosti, Saechetti-
Sassetti e Crisostomi per rilevare la figura del lirico sacro, poeta dia-
lettale, volgarizzatore di Orazio ed erudito scrittore delle antichità rea-
tine.

Sabina. — Due lettere inedite di Francesco Berni indirizzate a
Blosio Palladio sabino (3 luglio 1528; 31 dicembre 1534). Alla rarità
delle lettere Berniane aggiungono pregio le notiziole dell'editore mar-
chese A. Ferraioli (Giorn. stor. della lett. Ital.) « Blosio Palladio fu,
giovanissimo, alla clientela di Agostino Chigi; quindi ai servigi di
mons. Roberto Latino Orsini arciv. di Reggio; piü tardi segretario do-
mestico di Clemente VII e di Paolo III vescovo di Foligno nel 1540,
mori il 13 agosto 1550, lasciando il suo patrimonio parte alla pia Casa
degli Orfani, parte all'ospedale di s. Giacomo. Serisse latinamente in
prosa e in versi, come si sapeva scrivere allora e pubblicò nel 1524 la
celebre Coryciana. Fu di carattere gaio e socievole, e la sua vigna nella
Valle dell’ Inferno, fuori la porta Angelica, fu ritrovo degli Accademici
Ternani e successe ai giardini del Coricio e del Colocci.

Spoleto. — Per ciò che si riferisce alla Storia dell’ antico Ducato
di Spoleto è da segnalarsi il recente volume di storia, severamente cri-
tica, teramana de La Contea di Apruzio e i suoi Conti di Francesco
Savini (Roma, Forzani, 1905; in 16, con la carta storico-topografica.
della contea Aprutina nell’alto medioevo).

Terni. — « L'Associazione artistica internazionale, tutrice sem-
pre vigile degli alti interessi dell'arte, stabiliva nell'assemblea gene-
rale del 28 marzo 1904 di prestare, coll' autorità sua, opera efficace onde
fosse conservata la celebre cascata detta delle Marmore, alla confluenza

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392 ANALEUTA UMBRA

col Velino ». Affidato il mandato di studiare il problema nel suo du-
plice aspetto artistico e tecnico ad una commissione, questa (la costi-
tuirono P. Bottoni, E. Coleman, P. Joris, L. Lanzi e C. Tuccimei) fece
savie proposte che l' assemblea generale approvò nella seduta dell'11
giugno. L’opera della Commissione suecintamente è narrata in una
relazione Pro Marmore (Roma, Squarci, 1904; in 16, pp. 7) dal suo
presidente Giulio Monteverde.

Umbria. — Tra le Novelle del Decameron illustrate nelle fonti
(sono otto) da Letterio di Francia (nel Giornale storico della letteratura
italiana, fasc. 130 e sg.) due ci riguardano; la decima della quinta
| giornata e la seconda della giornata prima; quella, cioè, de « L' asino
giustiziere » in cui figura Pietro di Vinciolo (il cattivo e vizioso peru-
gino, secondo il Boccaccio ; il probo uomo e ambasciatore e podestà,
secondo la storia), e l’altra di « Abraam giudeo », fonte della quale
fu creduta la leggenda del Saladino, narrata nel romanzo l’ Avventuroso
Ciciliano attribuito a Bosone da Gubbio. In realtà, come l' autore con-
clude, da una forma primitiva di questa leggenda discesero il racconto
boeeaecesco e un rifacimento di scrittore francese, dal quale alla sua
volta discese la narrazione dell’ eugubino. In quanto a Pietro di Vin-
ciolo, non è improbabile la congettura « che il Boccaccio facesse ca-
dere su lui la triste condanna per una vendetta personale » di cui do-
vremmo cercar la ragione « in qualche aspra contesa fra lo scrittore e
il diffamato perugino », sorta naturalmente, « prima che la novella
fosse scritta ». Questa congettura è avvalorata da quanto l’A. scrive
nella nota 2, pag. 14 e sg.

xa Per la storia della moneta pontificia negli ultimi anni del se-
colo XVIII (si vegga in proposito la nota della nostra socia Ada Bel-
lueci su L'ultimo periodo della zecca di Perugia) ha speciale valore la
comunicazione che il prof. G. Castellani ha inserita negli Atti del Con-
gresso internazionale di scienze storiche; vol. V: Sezione numismatica
(Roma, 1908): estr. in 8, pp. 11; Roma, tip. della r. Accad. dei Lincei
1904. Segue una Tabella di confronto tra il corso delle monete ponti-
ficie fissato dagli editti emanati in Romagna, e quello fissato in alcune
città delle Marche (Forlì, Rimini, Pesaro, Fano, Ancona).

4*4 Quando s'inauguró una croce monumentale sul Monte Came-
liano, o di s. Angelo, presso Arcevia (25 luglio 1904), il cav. Anselmo
Anselmi pubblicò un numero unico in cui raccolse notizie de’ mona-
steri, romitaggi e delle chiese su lo stesso Monte che fu sede di fio-
ANALECTA UMBRA

rentissimo convento. Un dei più antichi rettori fu nella seconda metà
del secolo XIV Francesco Moscioni di Bevagna, a cui successe Paolo da
Gubbio : il primo commendatario di s. Angelo fu Francesco Baglioni

(godé pur la commenda dell’abbazia di Sitria) nel primo ventennio del

CI

secolo XV. Delle chiese è da ricordare s. Maria di Colle (già Collis
Ghetii, ora s. Maria di Costa), parrocchia della diocesi di Nocera, di
cui le memorie risalgono al secolo XIV. La piccola chiesa di s. Maria
delle Grazie, che sorge in una insenatura del monte, prende nome da
quell’ antico simulacro che probabilmente è derivato dalla immagine
della Cattedrale perugina « portata qui (nota l' Anselmi) da qualche
religioso umbro durante il periodo dell’alleanza d’Arcevia con Perugia
nel 1376 ». E da quest'anno intimi furono i rapporti fra le due città ;
e podestà e castellani ed abati commendatari umbri troviamo in Arce-
via e segnatamente artisti eugubini: a suggello di tanto sincera al-
leanza la città di Perugia dové mandare la riproduzione di quella
immagine che fu collocata nella chiesetta dello storico monte.

e È uscito il fasc. 1°-20 dell'Archivio storico del Risorgimento
Umbro. Compiuta l'annata, ne daremo ampio ragguaglio. Lo racco-
mandiamo, intanto, caldamente ai soci della nostra R. Deputazione.
Gli abbonamenti (L. 6) si ricevono dal sig. rag. Morettini (Via Ba-
glioni 4: Perugia).

GiusEPPE MAZZATINTI.
NECROLOGI

Ab. GIUSEPPE COZZA -LUZI

Abate greco basiliano, Giuseppe Cozza-Luzi, mancato ai
vivi il 1° giugno 1905 nella sua natale Bolsena, continuò a
Grottaferrata e a Roma l’operosità degli antichi monaci negli
studi di erudizione e di critica.

Il celebre . Tischendorf, scopritore e illustratore dei più
importanti testi biblici, fu acerrimo critico del Mai, e il Ver-
cellone che avrebbe voluto difenderne la fama, impedito dalla
grave malattia che doveva mandarlo alla tomba, ne affidò
la cura al Cozza-Luzi il quale seppe elevare il suo studio
critico al di sopra della dottrina del Tischendorf e rivendi-
care la riputazione dell'italiano Mai, coronandola poi con la
edizione fototipica del più antico codice greco biblico. Al
merito di questo grande lavoro va di pari passo quello della
scoperta dei palinsesti Straboniani i quali, per essere stati
rasi due volte, avevano fatto smettere al Mai l’idea di deci-
frarli. Questa famosa opera, che costò tanto lavoro all illu-
stre scopritore, fu accolta con plauso dai dotti di tutta Eu-
ropa, e sovrani e principi e istituti scientifici fecero a gara
per onorarlo.

Alla edizione dei palinsesti fece seguire varie illustra-
zioni e note, fra cui notevoli le dissertazioni Del più antico
testo della Geografia di Strabone (1887) e Dell’ isola Caudon
cretense secondo i palinsesti straboniani (1890). Pubblicò un
396 NECROLOGI

saggio dell’ epistolario del Mai (1883), la Cronaca siculo -sa-
racenica da nuovi testi greci coll’arabo, un gran numero di
memorie e di articoli di dottrina storica e archeologica,
come il Tusculano di Cicerone ; S. Silvia in Palestina ; delle
pergamene vaticane di evangelario ad oro e argento; « de
graecis codd. Octoboniano-Vaticanis, commentatio critica »; di
un filatterio cristiano; di antico vessillo navale; delle eru-
zioni di Lipari e del Vesuvio nel 787; delle epigrafi di Gior-
gio l'ammiraglio ; della famiglia dei Canulei e del loro mau-
soleo in Bolsena; di un singolare giudizio nell’anno 1117 in
Sicilia; del Codice purpureo Rossanese ; sopra un nuovo pa-
piro Ravennate; l' antico « ciborium » dell'ipogeo di Bol-
sena; del codice magliabecchiano della storia di S. Chiara ;
di un documento longobardico milanese, da un codice vati:
cano; e di S. Chiara secondo alcuni nuovi documenti; il co-
dice del breviario del Petrarca; del ritratto del Petrarca da
un codice vaticano; gli autografi del Petrarca, ediz. elioti-
pica; l'epistola autografa del Petrarca da un codice vaticano;
l'aula dei papiri della vaticana; sopra un antico stampo di
« Agnus Dei »; monumenti assiri; un documento romano-
tusculano del 1120, ecc. ecc.; di erudizione letteraria e arti-
Stica, come il duomo d'Orvieto e Raffaello Sanzio; il para-
diso dantesco nei quadri miniati e nei bozzetti di Giulio
Clovio pubblicati sugli originali vaticani; appunti leopar-
diani; la cassa nuziale di Terracina scolpita in legno; di
una epigrafe metrica greca di Calabria; di alcuni graffiti
della casa di Tiberio al Palatino; nota tibulliana, ecc. ecc.;
discorsi di occasione su Vasco de Gama, su Cristoforo Co-
lombo e l Umbria; discorsi vari ai giovani, argomenti reli-
giosi in gran parte: oltre che promosse una Società storica
volsiniense, nei cui Atti si pubblicarono notizie e documenti
per la storia civile e per la biografia degli uomini notevoli
di tutta la valle del lago di Bolsena, quasi tutti raccolti da
lui stesso. Ma il valore maggiore dell'opera sua è quello
della erudizione nella letteratura greca e specialmente ec-
NECROLOGI 397

clesiastica, e più competente fu nello studio della liturgica,
di cui è grande la sua produzione letteraria, che non è qui
il luogo di ricordare.

L. FUMI.

Contessa ELOIGIA ANSIDEI

Chi non conobbe la contessa Eloigia Ansidei, ne indo-
vina le virtù singolari sol che sappia che fu moglie del conte
Alessandro. Ma chi ebbe la fortuna di conoscerla davvicino
può dire quanto tesoro di virtù domestiche e civili trasfuse
e cumulò nella casa questa gentildonna, piena di bontà an-
geliche e insieme d’animo forte. Compagna affettuosa, madre
dolcissima, fu la felicità della famiglia, e la sua morte ad-
dolora tutti ; addolora gli amici specialmente del caro nostro
collega Vincenzo Ansidei. La nostra Società unisce in un
solo affetto nel nome di lui coloro che furono e saranno il
culto di tutta la vita nel cuore di un figlio, perchè ogni cosa
a lui cara nel cuore dei genitori trovò un palpito intenso,
come lo ebbe sempre in loro la nostra Società.

Per la Redazione

L. FUMI.

MARY GALLENGA-STUART

Il nostro collega carissimo dott. Romeo Gallenga-stuart
è stato colpito nel più santo degli affetti colla morte della
madre sua.
26

21.5 A9...

. USE
Ù MARI
RIDERE A E ut ideo 398 NECROLOGI

Per tessere degnamente le lodi della Nobil Donna Mary
Gallenga-Stuart sarebbe necessario scriver di lei più di
quanto non consenta la natura di questo Bollettino. Ma in
ogni modo, nell’ inviare al nostro amico le più vive condo-
glianze, non possiamo non ricordare che Mary Gallenga-
Stuart, provata dalla sventura sin dai giovani anni per la
perdita amarissima del marito, di un figlioletto, di una so-
rella, spese nel culto fedele ai suoi defunti e nella educa-
zione del suo Romeo tutte le energie di un'alta intelligenza
e di un cuore nobilissimo; ed è per questa unione, che nel suo
spirito eletto s'intrecciava fra le più meste e venerate me-
morie e le più liete e fervide speranze, che in lei quel culto
non si manifestò in vani lamenti, ma fu invece fecondo di
ogni maniera di bene. Ciò sanno i tanti infelici che furon
largamente soccorsi dalla sua provvida pietà; questo atte-
stano tutti coloro che conobbero Mary Gallenga- Stuart, e che
rammenteranno sempre con vivo desiderio il suo amore ope-
roso e munificente per tutte le manifestazioni delle scienze
e delle arti.

O. SCALVANTI.

Can. Prof. ANASTASIO ROTELLI

Il 27 febbraio decorso moriva in Perugia il canonico
prof. Anastasio Rotelli socio di questa R. Deputazione.

Per la sua vita solitaria e modesta non molti furono in
grado di apprezzare pienamente i pregi che adornarono il
canonico Rotelli, ma egli fu tale da meritare che quei pregi
sieno più largamente conosciuti ora che la morte « giusta
dispensiera di lode » lo ha tolto all’affetto dei congiunti e
degli amici.
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NECROLOGI 399

Non è nostro compito rammentare le virtù del sacer-
dote; noi qui ci limitiamo a dire che il canonico Rotelli fu
delle belle lettere italiane e latine cultore valente, che per
molti anni insegnò con onore nel Seminario di Perugia, che
della storia perugina fu conoscitore profondo, e di tutto che
potesse tornare a decoro della città nostra amantissimo.

Nominato parroco dei SS. Stefano e Valentino parve che
in lui si trasfondesse lo spirito del suo predecessore Vincenzo
Cavallucci, il letterato ed erudito perugino che fiorì nel se-
colo XVIII; e negli anni nei quali resse quella parrocchia,
divise le sue giornate fra le cure sacerdotali, l insegnamento
e le pazienti indagini sulle memorie patrie. Così egli iniziò
quella interessante ed ora quasi completa raccolta di miscel-
lanee perugine, che conservava, accrescendola di continuo,
con tanto amore, e che liberalmente poneva a disposizione
degli amici desiderosi di attendere a ricerche su persone e
cose di Perugia. Fu poi eletto canonico della Metropolitana,
ed alla morte del compianto arcidiacono mons. Romitelli, i
colleghi lo prescelsero a conservatore della Biblioteca e del
l'Archivio del Capitolo. Anche in tale incarico il Rotelli diè
prova del suo valore, porgendo ajuto efficace e cortese a
coloro che avevano bisogno di consultare i preziosi docu-
menti affidati alla sua custodia. Il nostro compianto socio

scrisse vari opuscoli in argomenti di agiologia, e lasciò al-.

cuni mss. nei quali attese a raccogliere la narrazione dei
fatti più importanti della storia perugina.

Questo è l'uomo del quale gli estimatori lamentano la
perdita immatura.

O. SCALVANTI.

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PRRIODICI IN CAMBIO E IN DONO — PUBBLICAZIONI IN. OMAGGIO CP

Accademia Dafnica di scienze, lettere ed arti in Acireale. Atti e rendi-
conti (Vol. X, Anno 1903-1904).

Accademia (r.) dei Lincei, « Classe di scienze morali, storiche e filolo-
giche » (Serie V, Vol. XIII, fase. 1°-11°).

Accademia (r.) di scienze, lettere ed arti degli Zelanti in Acireale (Se-
rie III, Vol. II, 1902-1903).

Analecta bollandiana (Tom. XXIII, fase. 19-49).

Annuario per l’anno scolastico 1903-1904, R. Università degli Studi di
Sassari.

Archivio della R. Società Romana di Storia Patria (Vol. XXVII, fasc. 19-49).

Archivio storico italiano, fondato da G. P. Vieusseux e continuato a
cura della R. Deputazione Toscana di Storia Patria (Serie V,
Tom. XXXIII-XXXIV, 1904).

Archivio storico lombardo, giornale della Società Storica Lombarda (Se-
rie IV, Anno XXXI, fasc. 19-4»).

Archivio storico per le provincie napoletane, pubblicato a cura della So-
cietà di Storia Patria (Anno XXIX, fasc. 19-4»).

Archivio storico per le provincie parmensi, pubblicato a cura della R.
Deputazione di Storia Patria (Nuova serie, Vol. I, Anno 1901).

Archivio storico messinese (Anno V, fasc. 19-49).

Archivio storico per la Sicilia orientale (Anno I, fase. 19-3».

Arte e Storia, diretta da Guinpo Carocci (Anno XXIII, fase, 19-12^).

Atti della I. R. Accademia di scienze, lettere ed arti degli Agiati im Ro-
vereto (Serie III, Vol. X, fase. 19-49).

Atti del Congresso internazionale di scienze storiche, Roma, 1-9 aprile
1908 (Sez. III, Vol. IV; Sez. VI, Vol. X ; Sez. VII, Vol. XI).

(1) Nel presente elenco sono annotate solamente le pubblicazioni inviate sino
a tutto il 1904.

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402 —PERIODICI IN CAMBIO E IN DONO -- PUBBLICAZIONI IN OMAGGIO

Atti della Società Ligure di Storia Patria (Vol. XXXIV).

Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino (Vol. XXXIX, Disp. I-
XV).

Atti e memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le provincie di
Romagna (Serie III, Vol. XXII, fasc. 19-69).

Atti della R. Accademia lucchese di scienze, lettere ed arti (Tom. XXXI,
Anno 1902).

Atti e memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le provincie
modenesi (Serie V, Vol. III).

Atti e memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le provincie
delle Marche (Nuova serie, Vol. I, fasc. 19-99).

Atti della Società di archeologia e belle arti per la provincia di Torino
(Vol. VII, fasc. 4°).

Atti e memorie della Società Siciliana per la Storia Patria (Anno XXIX,
fasc. 19-49).

Atti della Accademia Scientifica Veneto - Trentino - Istriana (Nuova serie,
Anno I, fase. 1°).

Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti (Anno accademico
1903-904, Tom. LXIII, Parte II).

Bibliografia dantesca: Rassegna bibliografica degli studi intorno a
Dante, al trecento e a cose francescane, direttore Lurar SUTTINA
(Anno II, Quad. I-XII, Part. I, gennaio-decembre 1903).

Bollettino della Società di Storia Patria Anton Ludovico Antinori negli
Abruzzi (Anno XVI).

Bollettino storico-bibliografico subalpino, diretto da F. GAaBoTTO (Anno IX,
fase. 19-69).

Bollettino della Società Africana d'Italia (Anno XXIII, fase. 1?-12»).

Bollettino del Museo civico di Padova, diretto da A. MoscHETTI (Anno VII,
num. 1-6).

Bollettino della Società Pavese di Storia Patria (Anno IV, fase. 10-40),

Bollettino ‘mensile della Società Cattolica Italiana per gli studi scientifici
(Anno 1904, num. 1-12).

Bollettino della Società Internazionale di Studi Francescani im Assisi
(Anno I, gennaio 1904, fasc. 1°; Anno II, luglio 1904, fase. 1°-5°).

Bulletin historique du diocèse de Lyon (Anno V, num. 25-30).

Bullettino della Società Dantesca Italiana, diretta da M. BarBI (Vol. XI,
fasc. 19-12»).

Bullettino storico pistoiese (Anno VI, fasc. 19-3»).

Bullettino senese di Storia Patria (Anno XI, fasc. 19-20).

Civiltà (la) Cattolica (Anno LV).

Commentari dell’ Ateneo di Brescia per l'anno. 1904.
PERIODICI IN CAMBIO E IN DONO -- PUBBLICAZIONI IN OMAGGIO 403

Deputazione (r.) sovra gli studi di Storia Patria per le antiche provincie e
la Lombardia « Miscellanea di storia italiana » (Serie IIT, Tom. IX).

Erudizione e Belle Arti, Miscellanea diretta dal prof. F. RAVAGLI
(Anno I della Nuova serie, fase. 119).

Favilla (1a), « Rivista letteraria dell’ Umbria e delle Marche », diretta da
L. TrBERI (Anno XXIII, fasc. 19-12»).

Giornale dantesco, diretto da G. L. PasseRINI (Anno XII, Quad. 1-12).

Giornale araldico-genealogico-diplomatico, diretto da G. Dr CROLLALANZA
(Anno XXVII, num. supplementare, pubblicato il 31 decembre
1904).

Giornale storico e letterario della Liguria, diretto da A. NERI e da U. Maz-
ZINI (Anno V, fasc. 1»-19»).

Istituto Storico Italiano — 1.°) Bollettino (Vol. 25); 2.» Fonti per la
storia d'Italia: I diplomi di Berengario I, a cura di L. ScHIaP-
PARELLI (1903). — Liber Majolichinus de gestis Pisanorum illustri-
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cioni, aggiuntevi alcune notizie lasciate da M. Amari, a cura di
C. CALISSE. — Le Historie o liber de Regno Sicilie, e la epistola ad
Patrum Panormitanum di U. Felcando, a cura di G. B. SrRACUSA.

Istituto (r.) Lombardo di Scienze e Lettere, « Rendiconti » (Serie II,
Vol. XXXVII, fasc. 1?-12).

Marche (le) illustrate nella storia, nelle lettere e nelle arti, rivista bime-
strale, direttore dott. G. GrimaLDI (Anno IV, fase. 19-6").

Mélanges d' archeologie et d’ histoire (Anno XXIV, fase 17-5").

Minerva, Rivista delle Riviste, diretta da F. GARLANDA (Anno XIV,
Vol. XXIV).

Miscellanea storica della Valdelsa (Anno XII, fasc. 19-39).

Nuovo Archivio Veneto, « Pubblicazione periodica della R. Deputazione
Veneta di Storia Patria » (Num. 56).

Napoli nobilissima, « Rivista di topografia e d'arte napoletana » (Vo-
lume XIII, fasc. 19-12»).

Quellen und. Forschungen Aus italienischen Archiven und Bibliotheken
— Lerausgegeben vom Koenigl. Preussischen. Historichen Institut in

Rom (Band. VII, Heft. 19-29).

Rassegna bibliografica della letteratura italiana, direttori A. D' ANCONA
e F. FLAMINI (Anno XII, fase. 1°-12”).

Rassegna d’arte. Direzione: G. COGNALA, F. MALAGUZZI-VALERI, C. Ricci
(Anno IV, fase. 19-19»).

Rivista di artiglieria e genio (Anno XXI, Vol. I-XID).

Rivista di storia antica, « Periodico trimestrale di antichità classica »

,
diretta da G. 'TTRoPEA (Nuova serie, Anno IX, fasc. 1°).
3 9 ,

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404 PHRIODICI IN CAMBIO E IN DONO -- PUBBLICAZIONI IN OMAGGIO

Rivista di storia, arte, archeologia della provincia d’ Alessandria, diret-
tore F. GAsPAROLO (Anno XIII, fasc. 139-16").

Rivista delle biblioteche e degli archivi, « Periodico di biblioteconomia e
di bibliografia, di paleografia e archivistica », direttore G. BIAGI
(Vol. XV, num. 1-12).

Rivista storica calabrese (Anno XII, num. 1-12).

Rivista storica italiana, « Pubblicazione trimestrale », diretta da C. Rr-
NAUDO (Anno XX, Vol. II, fasc. 39-4e; Anno XXI, Vol. III, fasc. 1°).
Indice dal 1884 al 1901.

Rivista storica salentina, direttore P. PALUMBO (maggio 1903)..

Società storica per la provincia e antica diocesi di Como, « Periodico »
(Fase. 589-619).

Studi e documenti di storia e diritto, « Pubblicazione periodica dell'Ac-
cademia di conferenze storico-giudiche » (Anno XXV, fasc. 19-49).

Studi sassaresi, pubblieati per cura dell'Università di Sassari (Anno III,
fase. 19-20).

Studi storici, « Periodico trimestrale », diretto da A. CrIveLLUCCI (Vo-
lume XIII, fase. 19-39). è

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mimico per imparare contemporaneamente lettura e scrittura. —
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Atti del Congresso internaz. di scienze storiche). — Roma, 1904.

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Diplomatico, Vol. II. Carteggio degli Anziani, Parte I-II. — Lucca,
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che possa costituire oggetto di un concorso universitario. — Roma,
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ZoLr A. e BERNICOLI S., Statuto del sec. XIII del comune di Ravenna. 1

pubblicato di nuovo con note e correzioni. — Ravenna, 1904.
A

To uen

IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA

E LA POLITICA DI LORENZO IL MAGNIFICO

Del celebre tumulto, suscitato in Perugia dalle gare fa-
ziose de’ Baglioni e degli Oddi nell'ottobre del 1488, diffusi
particolari offrono i cronisti e gli storici nostri, iquali peró
a quel sanguinosissimo fatto non sembrano dare tutta Y im-
portanza politica che merita. Da quello infatti ebbe straordi-
nario incremento la potenza de' Baglioni, che, spalleggiati e
sorretti di consigli e d'aiuti da Lorenzo de’ Medici, videro da
quel terribile episodio delle guerre civili uscir rafforzati e
consolidati l'egemonia loro e il loro effettivo dominio sulla
città. Ed un altro particolare non posto sufficientemente in
rilievo dai nostri annalisti (che si perdono in prevalenza
nella descrizione delle cruente imprese partigianesche) si é
appunto l'interessamento e l'intervento del magnifico Lo-
renzo, che, vagheggiando in cuor suo la tirannide in casa
propria, s'affaticava intanto per incoraggiare, consolidare e
stabilire le audacie e le pretese de' tirannelli vicini, pullu-
lanti d'ogni parte sulle gloriose rovine delle comunali demo-
crazie (1) Ad illustrare e porre nella debita luce la parte-
cipazione e l'opera, perniciosa alle libertà democratiche, del

(1) Dell’interessamento del Magnifico alle cose nostre e delle mene di lui a
favor dei Baglioni, discorre anche A. von REUMONT nella Vita di Lorenzo (vol. II,
pagg. 277 e segg.): « Schon zur Zeit der Pazzi' schen Wirren — cosi egli s'esprime
— hatte Lorenzo de’ Medici so vielfach mit Perugia verhandelt un die Bedeutung
der Stadt für Florenz so klar erkannt, dass ihm daran liegen musste, der gren-
zenlosen auch die Sieger schwüchenden Unordnung ein Ziel zu setzen. Er war den

27
408 «G. DEGLI AZZI

Mecenate toscano nelle cose nostre recano notevole contri-
buto i documenti dell'Archivio Mediceo, e segnatamente quelli
de’ carteggi confidenziali e privati che, appunto pel loro ca-
rattere intimo e riservato, rivelano meglio de’ pubblici le
intenzioni, i desideri, i maneggi de’ protagonisti che figura -
rono in quel brutto e grandioso episodio delle nostre scia-
gurate lotte municipali.

Già sin dal 4 luglio di quel funesto anno 1488, Lorenzo
de’ Medici scrivendo a Giovanni Lanfredini, ambasciator fio-
rentino in Roma, gli dava notizia dell' invio di Franceschetto
Cibo a Perugia, ordinato in que’ giorni dal pontefice suo pa-
dre: ma nel partecipargli la missione di costui, 1’ esperto
Lorenzo giudicava esser quella « cosa di Perugia materia
assai difficile et di qualità da metterci a disavanzo »; non
proporzionata quindi alla capacità ed alle forze del giovane
ancora malpratico de’ sottili accorgimenti e de’ negoziati della
politica, al quale sarebbe stato meglio « attendere a dare grado
et honore, et metterli innanzi cose facili et di beneficio », an-
zichè « queste cose rematiche (1) ». Difatti il Cibo, dopo
goduta la splendida ospitalità del Medici nelle amenissime
ville di Careggi e della Petraia, andava a Perugia a dimo-
strare colla vacuità de’ resultati ottenuti, malgrado le boriose
ed arroganti pretese, l'inesperienza e l'inettitudine sua.

Baglionen günstig, die einen der Ihrigen zu ihm gesandt hatten... — Er wünschte
nicht nur ihnen die Suprematie in Perugia mittelst püpstlicher Genehmigung zu
sichern, sondern auch sie von Verbindung mit Kónig Ferrante abzuhalten, dem sie
sich schon genihert hatten, zu seinem gróssten Missvergnügen, da ihm jede Ein-
mischung desselben verhasst war », etc.

Su questo argomento e sulle conseguenze de' fatti qui narrati é pur da con-
sultare il diligentissimo lavoro, ricco di documenti, del valoroso Bibliotecario della
Comunale Perugina, dott. V. ANSIDEI, pubblicato in questo stesso Bollettino (vól. V,
fasc. III, n. 14), col titolo: La pace del 6 luglio 1498 fra Gwidobaldo I duca d^Ur-
bino e il Comune di Perugia.

(1) It. Archivio di Stato di Firenze. — Mediceo avanti il Principato : Lettere:
filza LIX, c. 195.

I documenti qui citati sono pubblicati in ordine cronologico e per lo più in-
tegralmente, nell’Apperndice a questo lavoro; le sigle ASF e ACP ne indicano la pro-
venienza e valgono rispettivamente: Archivio di Stato di Firenze e Archivio Comu-
nale di Perugia.
re -

IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 409

Intanto il Magnifico faceva dal Lanfredini suggerire al
Papa di tenersi ligio Camillo Vitelli, che gli pareva valesse
assai e fosse « molto utile soldato alla Chiesa », e che, « male
trattato de' pagamenti, maxime rispecto alla maggior parte
delli altri soldati », avrebbe potuto « cercare altro avvia-
mento » colla sicurezza di trovarlo presso « persone che
non piacerà a nostro Signore (1) »: con che si alludeva al
Duea di Milano, cui il Capitano tifernate aveva forse già
fatto offrire, al fine della ferma col Papa, la sua spada. E
in pari tempo raecomandava, « per rassettare quelle cose
di Perugia », di rassicurare i Baglioni, che « facean sospecto
Camillo », e che premeva assai al Medici sapessero il suo
interessamento per loro e per l'opera sua presso il Papa negli
affari di Perugia. I quali « parevano directi a quiete (2) »,
ma in realtà si complicavano ed aggravavano maledetta-
mente, tantoché il Cibo faceva premura per tornarsene a
Roma e lavarsene bellamente le mani.

Difatti tre mesi appresso scoppió con inaudita violenza
il temporale, che mise a soqquadro la città nostra, e delle
zuffe terribili, che si continuarono dal 28 al 30 ottobre, a
Firenze se n'ebbe notizia per lettere d'un Francesco di Ghe-
rardo Gherardi, capitano a Cortona, che il 4 novembre in-
formava gli Otto di Pratica della vittoria de' Baglioni e delle
loro mosse contro il coraggioso Conte di Sterpeto, partigiano
degli Oddi; mentre questi, asserragliatisi a Castiglione del
Lago e al Borghetto, si preparavano a disperata difesa (3).

Contro quel pugno di esuli muoveva il 5 novembre Ri-
dolfo Baglioni insieme a Nicolò Vitelli, con 2000 soldati a
piedi e à cavallo, ed espugnato il Borghetto, s'apparecchia-
vano ad assalire Castiglione, dove coi suoi fidi e con buone
artiglierie s'era chiuso Pompeo degli Oddi (4). Contempora-

(1) Ivi, e. 199 t.; di Firenze, 8 Lug. 1488. i
(2) Ivi, c. 291 t.; lett. di Lorenzo al Lanfredini; di Firenze 19 Lug. 1488.
(3) Lettere agli Otto di Pratica; Responsive, filza VI, c. 118.

(4) Otto di Pratica; lettera del Gherardi, di Cortona, 5 Nov. 1488.
410 G. DEGLI AZZI

neamente dava agli Otto notizie dei fatti di Perugia il Lan-
fredini da Roma, che asseriva il Papa aver « fatto più caso
che di nessuna altra cosa » dell'abbruciamento della cassa
degli offici; commesso dal popolaccio « publicamente in
piazza »; di che Guido Baglioni si scusava, « monstrando
[che] è suto contro la vogla sua (1) »; ed aggiungeva che
ad acconciar que'guai il pontefice inviava per suo legato il
Cardinal di Siena, Francesco Piccolomini, sperando col mezzo
di lui, già noto ai Perugini perché antico studente del nostro
Ateneo, che « ogni cosa si placherà et rassetterà in buon
termine ». Ma piü che nell'abilità diplomatica del nipote di
Pio II, Innocenzo VIII confidava « per rimediare à quelle
civili alterationi » nella forza delle armi, poiché mentre
preparava genti da mandar sotto il comando del figlio Fran-
cesco, faceva dal Lanfredini pregar la Signoria di Firenze
che volesse « servirlo del conte di Pitiglano con la condocta
sua, bisognando: videlicet, che, essendo in quel di Cortona
alle stanze, stia in ordine et a ubidienza di Sua Santità o di
mons. Legato, sanza altra dimostratione, con animo di non
lo havere a usare se la nicistà o mali portamenti de' privati
non lo strignessino a quelle chose (2) ». Il che di buon grado
accordavano i Fiorentini « studiosissimi di satisfare alla Bea-
titudine sua in ogni occorrentia », revocando al Conte la
licenza, accordatagli già in seguito a sue vive istanze, di

‘tornarsene per alcuni giorni a casa sua (3).

Ma più che dai Magistrati della Repubblica, l'ambascia-
tore fiorentino prendeva ed attuava le istruzioni del Magni-
fico, il quale peró, troppo non fidandosi del Conte di Piti-
eliano, opinava gli si dovesse ordinare di rimaner a dispo-
sizione « sanza specificare la cagione: perchè a me è paruto

(1) Ivi, c. 144; di Roma, 6 Nov. 1488.
(2) Ivi, c. 145; lett. del Lanfredini agli Otto, 6 Nov. 1488; in detto giorno i no-
stri Priori mandavano a Firenze ed a Siena, per dar ragguaglio de’ casi occorsi in
Perugia, Pietro Paolo di Cannara, « tubicina » di palazzo.
(3) Ivi, VII, c. 84 t.; lett. degli Otto al Lanfredini, 6 Nov.
IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 411

meglo che il Conte non intenda la intentione nostra, accio-
ché, quando la facessi intendere a' Bagloni, le cose non peg-
giorassino conditione, et loro, a uno tempo diffidando del
Papa et di noi, non facessino di pensieri di aiutarsi forse
d'altronde (1) ». Tanto più che il Pitigliano, d'arbitrio suo,
sin dal 6 novembre era andato a tentar un accordo fra le
parti, del che il Medici si lagnava col Lanfredini, preferendo
« che si fussi stato nelli alloggiamenti sanza travaglarsi nelle
cose d’altri, perchè in questo non poteva per capo nissuno
essere carico ». E di fronte ai Baglioni, che gli sembrava
avessero già « molto bene fortificato lo stato loro et assicu-
rato sè in Perugia », consigliava di seguire la stessa politica
d’infingimento e « per hora attendere a dissimulare con loro
né fare alcuno segno che dessi loro alteratione o sospecto »,
senza « mandare in là gente d’arme, perchè le poche non
possono sforzare, le assai non possiamo mettere ad ordine ».
Esser meglio che se la sbrigasse il Legato andandovi senza
armi, perché così « resteràvvi più luogo alla industria et

farà chiaro quello che possa la forza ». Intanto sarebbe stato

bene che il Papa non « mostri essere malcontento di questi
Bagloni, et la ingiuria della cassa et delle borse si vorrebbe
dissimulare et mitigare »; ma era anche da augurarsi « che
questi inconvenienti sveghiassino almeno N. S. & riordinarsi,
perché da questo nasce questo disordine di Perugia, et na-
sceranne degl’ altri..., et essi [i Baglioni] hanno ragione a non
si risentire in servigio del Papa, poichè ’1 Papa non si risente
in servigio proprio ». Ed in tutto ciò occorreva agire con
gran prudenza, parendogli « molto pericoloso il suscitare
nuovo incendio; et come io: non ho mai tenuto che ‘1 Re
debba rompere guerra a N. S. apertamente, così mi pare
che non si lascerebbe una occasione come è questa di tra-
vagliare le cose di S. Santità (2) ». Non mancò l'Ambascia-

(1) Med. avanti il Principato, filza LIX, c. 57; lett. di Lorenzo al Lanfredini,

9 Nov. 1488.
(2) Ivi, lett. cit. di Lor., che é in parte scritta in cifra.
419 G. DEGLI AZZI

tore di ragguagliare delle amichevoli disposizioni de' suoi
signori il pontefice, ch'era « in lecto impedito da un pocho
di gotta in uno dito del pie' » (1), e che molto aggradimento
mostró nel saper il Pitigliano a’ suoi ordini per ogni occor-
renza. i

Intanto i Baglioni, cacciati gli Oddi di Castiglione Chiu-
gino, il di 12 eran tornati a Perugia, ed ivi a Nicolò Miche-
lozzi, inviato speciale de’ Fiorentini, avean dimostrata la
loro ferma intenzione di finirla per sempre e ad ogni costo
coi loro avversarî; e Ridolfo, « che parla per lo ordinario
uno poco più largo che Guido, et ha più del liberale et com-
pagnone », gli avea dichiarato « che andassino tutti per lo
pane ed a casa del diavolo, che lo faranno »; commetten-
dogli intanto di scriver a Lorenzo, per cui protestavano la
più « svicerata dispositione », che (2) « questo stato lo vo-
glàmo per noi et per lui, et così lo terrèno insino a la morte;
et quando non possiamo più, ci faréno a la tale porta [mo-
strandomela, chè eravamo in luogho alto], et circumdando
tutta la città, tutta la abruceremo, chè non ci rimarrà pietra
sopra pietra: poi con 12 o 15 mila huomini ce ne verrèno
ad habitare in quello di Firenze, dove è tutta la nostra fede ».

E siffatti disperati propositi de' Baglioni al Michelozzi
stesso aveva confermati in Città di Castello Camillo Vitelli,
che gli aveva tenuto questo discorso: « Di' a Lorenzo che
tengha per certo che [nei moti di Perugia] non vi é stata
alcuna intelligentia d'altri; et perchè ragionevolmente si
debbe più dubitare del Re che d'altri, afferma a Lorenzo che
del successo di Perugia e' Bagloni non havevano pure dato
aviso a Hastor, figluolo di Guido che sta col Duca: chè questi
Bagloni, se sono abandonati da quelli in chi hanno fede, et
che il Papa li perseguiti, nonché altro, si daranno al dia-

(1) Otto di Pratica; lett. del Lanfred. agli Otto; di Roma, 13 Nov. 1488.
(2) Med. av. il Princ.; fil, LIX, c. 60; lett. del Michelozzi a Lorenzo, del 14 Nov.
1488, d
IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC.

volo dello inferno, perchè non voglono lasciare lo stato «in
modo alcuno » (1). |
In pari tempo il Vitelli gli avea confidato essere intorno
al Papa « alcuni che in queste cose di Perugia non re-
stano di seminare triboli », specialmente il Doria e l'Arriva-
bene che non era affatto « huomo da governo, maxime delle
cose pertinenti al stato » ; aggiunse constargli « che qualche
Cardinale, come desideroso di havere il Papa con travaglo,
meterà legne in sul fuocho », eccitando il pontefice a chie-
der armi a Firenze per usare la forza e suscitando cosi
« qualche favilla, ché il resto fa poi la natura ». |
Come si vede, l' informatore fiorentino faceva bene il suo
uffieio di spia, ma, per quanto ei dissimulasse il vero scopo
della sua missione, dando ad intendere di essere venuto per
servizio del Papae per agevolar l'assetto dello stato, non mancò
chi lo prendesse in sospetto, e questi fu il Commissario del
Papa, messer Sinolfo da Castell’ Ottieri, che, appena veduto
il Michelozzi, gli aveva detto che potea tornarsene a casa
« per essere quelle cose rendute in buon termine ». Non
raccolse l'abile toscano quella scortese provocazione per non
guastar gl interessi de’ suoi padroni, ma anzi, per quanto
comprendesse che il Commissario papale mirava « a fingerli
e ad insellarsi in aria a suo modo », pure dimostrava di vi-
ver secolui « molto alla dimestica », ed essendo ambedue
oziosi, passava gran tempo con lui a ragionare per trarne
confidenze e novelle. Con messer Maurizio, fratello del Papa,
. invece, « faceva alla mutola », ma con quello non si curava
di mentire, essendochè costui era « buona persona » ed an-
che perchè « questi ecclesiastici delle cose della terra si tra-
vaglano o poco o non punto, et lasciano governare » ai Ba-
glioni. Con questi, al contrario, e' si comportava con molta
destrezza, avendo trovato le cose loro « in tale favore » che
con essi gli pareva fosse da guadagnare e non da perdere.

(1) Ivi, lett. cit.
414 G. DEGLI AZZI

Perciò, appena arrivato in Perugia, avea preso alloggio « a
due case presso a quella di Guido » e subito giunto, « in
stivali, a una hora e mezza di notte » era andato nascosta-
mente a visitarlo, con tal segretezza che neppur Guido avea
saputo nulla della sua venuta; e di questo ne era « certo
come della morte »; poi sempre aveva « cerco di mostrarsi
molto con Guido e con Ridolfo per levare loro ogni ombra
et suspitione et per seminare bene et al proposito di nostro
Signore »; e tutti li avea trovati disposti ad « essere buoni
ecclesiastici, benché piü volte habbino detto che aspettano
d'essere richiesti per dimostrarsi veri et buoni ecclesiastici
in ogni cosa; purché lo stato non sia loro violato, faranno
ogni cosa a la abandonata », e ció anche per deferenza verso
il Magnifico, « in chui dimostrano confidare, non stante le
ombreze, ché nelle cose di stato non si puó fare con man-
cho » (1); d’altronde poi era d'uopo tenerseli cari, poichè
eran saliti in tal potenza che credeva « gran prudentia a
piglare là spada pel manicho »; mentre gli Oddi « erano a
l'olio santo ».

Le buone intenzioni de' Baglioni eran pure partecipate
il 15 novembre dal Lanfredini agli Otto, i quali peró, « non
intendendo ancora in queste cose di Perugia la mente della
Santità del Papa », non volevano sbilanciarsi in favore d'al-
cuna delle parti, e perciò ordinavano all'ambasciatore di ren-
derli edotti della volontà del pontefice, raccomandando in-
tanto a lui « che, a persuasioni et richieste di chi è fuora,
non [volesse] mettere quella città in nuovi travagli et di-
sfarla » (2).

Il Michelozzi poi, lagnandosi col Lanfredini d'averlo a
suo modo « confinato in Perugia » senza istruzioni precise,
gli esponeva che, appena giunto il Cardinal di Siena, gli

(1) Filza LIX cit., c. 92 « Copia d'uno capitulo a Lor. de’ Medici in lettera di
ser Niec. Michelozzi da Perugia di 14 (Nov.) ».

(2) Otto di Pratica, VI, c. 150: lett. del Lanfr. agli Otto; e VII, c. 85: lett. degli
Otto al. Lanfr., 17 Nov. 1488.
——— 4

s'era ripetutamente presentato « come homo del magnifico
Lorenzo », offrendogli i servigi suoi e del suo padrone « per
assetto di queste cose »; che il Legato gli avea fatte « infi-
nite carezze » ed invitatolo seco a desinare; ma in tutta la
giornata nulla gli avea detto d'importante; onde se avesse
dovuto durarla cosi senza concluder nulla, era meglio per
lonor del padrone che lo richiamasse, invece di tenerlo li
« a logorare il tempo e '1 mantello del padrone, al quale è
bene conservare »; che, del resto, non desse ascolto a chi
volesse malignare sul conto de’ Baglioni, poichè essi non
avean punto bisogno d'essere eccitati a fedeltà ed obbedienza
verso il Papa, protestandosi ed essendosi dimostrati in realtà
affezionatissimi fautori di lui, « sanza alcuno riservo, exce-
pto di una cosa, et questa è che non vorrebbono essere
messi in luogho che portassino pericolo dello stato, el quale
voglono conservarsi a ogni modo ad honore et grandezza di
sancta Chiesa » (1).

E in una postilla serittà a 4 ore di notte, ed allegata
alla lettera precedente, aggiungeva che il Legato « per hu-
manità sua » aveva voluto fosse presente ad un primo col-
loquio suo coi Baglioni, nel quale, dopo ch'egli ebbe esposte
le commissioni dategli dal Papa « con tanta efficacia et cal-
dezza et con tanta dexterità » che difficilmente aveva mai
potuto udir « parlare più accomodatamente », « rispose Guido
molto dolcemente et accomodatamente; et, benchè sanza or-
dine, disse nondimeno di molte cose in iustificatione sua:
prima commemorando la devotione di casa sua verso santa
Chiesa, in che disse di molte cose, le quali... se sono vere,
certamente quella casa merita assai da santa Chiesa. Apresso,
in giustificatione di quanto lo haveva accusato il Legato che
haveva mancato di fede a N. S. a quello [che] li promisse a
la partita sua, perchè questo tocchava a lui proprio, si giu-

(1) Med. av, il Princ.; fil. LIX, c. 65: lett. del Michelozzi al Lanfred.; del 18
Nov, 1488.

IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 415:

FD?
416 G. DEGLI AZZI

stificò molto lungamente monstrando particularissimamente
tutto il processo et successo di questo caso: nel quale a ogni
passo mostró non solo havere servata la fede data a N. S.,
ma fatto molto piü che non promisse, a la necessità che li
fu fatta dalle insolentie delli adversarii.. Scusó 1’ abrucia-
mento del saecho essere stato fatto dal populo sanza loro vo-
luntà, et che furono necessitati a piglar l' arme perché esso
populo non abruciassi altro che il saccho. Disse che quelli
Priori, per essere stati fautori delli Oddi, da loro stessi abando-
nórono la terra la più parte, nonché il palazzo; et che i nuovi
Priori non potendo adoperare il saccho abruciato, furono
fatti di consenso et permissione del sig. Mauritio, et smile i
Dieci, il quale offitio disse essere cosa consuetissima et an-
tiquata nella città in ogni simile caso, come ne sono pieni
i libri della Cancelleria ». Tale il risultato del primo abboc-
camento, che il Michelozzi s'affrettava quella notte stessa a
comunicare al Lanfredini, garantendo la sincerità delle di-
chiarazioni del Baglioni, di cui tutti, anche i forestieri che
S'eran trovati ai fatti, parlavano « per una boccha ad laude,
et a vituperio di chi é fuore »; e, protestando ch' ei neppure
per Lorenzo, nonché per costoro, avrebbe dette « bugie di
questa sorte », concludeva di aver il Cardinale « fatto tanto
vivamente l’officio del buono prelato, et tanto ecclesiastica-
mente, che in queste conditioni qualche volta nel dire suo »
gli parve sin troppo (1).

Agli Otto di Pratica lo stesso Michelozzi, il 23 Nov.,
scriveva esser tutto rimasto in sospeso, perchè il Legato
aveva chieste ed attendeva istruzioni da Roma, senza di che
non gli pareva poter risolversi, ed ai Magistrati perugini,
che reclamavano l'ordine d'espulsione de’ fuorusciti da’ din-
torni, e il rifacimento del sacco prima del 20 Dec. (epoca
in cui dovean trarsi i Priori nuovi « per calen’ di Gennaio »
ed infiniti altri magistrati), obbiettava, per. tenerli a bada,

(1) Postilla alla lett. preced. scritta a quattro ore di notte.

ib 7
IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC.

nuove recriminazioni per aver « inconsulto pontifice » man-
dati ambasciatori a Firenze ed anche altrove. Di che quelli
si scusavano, adducendo « dolcemente che il mandare lo
Ambasciatore a Firenze non era fuori del loro arbitrio, nè
lo havevano mandato se non per comunicare il successo di
queste cose con li vicini et padri, come reputavano.» i Si-
gnori di Firenze (1).

Le stesse idee improntate al piü roseo ottimismo ed alla
maggior tenerezza verso i Baglioni ripeteva il Michelozzi in
sue lettere del 23 Nov. al Magnifico, dove gli narrava le di-
scolpe addotte da Guido Baglioni in risposta alle accuse e
lagnanze mosse dal Legato, riferendo che, « prima per iusti-
ficare sè della promessa, recitò tutto il caso di questo tu-
multo, et in infiniti luoghi mostrò le fatiche et li affanni
suoi, dove sopre le forze sue si operò per obedire al papa,
ma non fu in sua potestà levare lo scandolo; et certamente
in questo è laudato da ciascuno, che la bontà sua spegnesse
grandissimo fuoco et levassi una strage, non homicidij, che
sarieno seguiti se havessi corrisposto a la insolentia delli
adversarij: et in questo luogho accomodatissimamente con-
tando molte historie vecchie, mostrò quanto la famiglia sua
fussi benemerita del Papa et di quella sancta Sede, dicendo
distintamente quanti homini de’ loro fussino morti in bene-
ficio di sancta Chiesa; et ancho che per opera di suo padre
Malatesta, dopo la morte di Braccio, questa. terra fussi su-
biecta a la Chiesa contra la voluntà universale de’ Peru-
gini, e' quali in sua absentia havevano electo per Signore
el conte Oddo figluolo di Braccio: et questa parte, al pa-
rere d'ogni huomo, con li altri riscontri, fu iustificatis-
sima. Circa la privatione de' Priori vecchi et creatione de'
nuovi, disse che i vecchi da sè stessi la più parte se ne
erano privati, perché per esser suti, maxime il capo d'of-
fieio (ché così chiamano il Gonfaloniere), che era Iulio Ce-

(1) Otto di Pratica, VI, 156; lett. del Michelozzi agli Otto, del 23 Nov. 1488.
418 G. DEGLI AZZI

sare delli Armanni, del tutto fautori delli Oddi, et per loro
tenendo il palazzo, vedendo la parte loro in decimatione, si
fuggirono dalla terra. nonchè del palazzo, et sono in termini
che con cento salvocondotti non vi tornerieno: però, tro-
vando nudo il palazzo del suo Magistrato, suplicórono al
sig: Mauritio governatore per la privatione loro et per la
electione de’ nuovi: S. S. consenti a ogni cosa et hannone
la suplicatione segnata nè per questo possono essere impu-
tati di havere illegittimamente facto cosa alcuna; et que-
sta cosa resta assai bene iustificata: solo si oppone per el
Legato che '| sig: Mauritio fu quasi forzato a quella suppli-
catione, et costoro lo niegano, allegandone la S. S. che non
è molto discosto; et resta la cosa cosi. Lo officio de’ Dieci
di Balia mostró con efficacissime ragioni essere consuetissimo
in questa terra in ogni caso, et disse esserne pieni i libri di
palazzo, del quale officio era stato lui più volte, né poteva
essere questa reputata cosa nuova, ma antiquata nella città
et per consequens legittima, offerendo mostrarne le scripture,
etc. Circa il saccho, disse quello che si riscontra esser vero:
et che mentre che loro Bagloni proibivano li incendij et ra-
pine de le case de li Oddi, el popolo armato et furibundo
abrució il saccho et ruppe le prigioni; né fu in loro potestà
provedere a uno tempo a tante cose; ma in tanto loro af-
fanno, intendendo lo abruciamento, correndo alla piazza per
prohibirlo, furono tardi; ma non furono tardi a prohibire che
il libro de’ processi et condannagioni et bandi non fussi arso,
ché era quello che innanzi ad ogni cosa desiderava lo uni-
versale per li molti sbanditi che ci sono, come vi diró poi;
et perché queste condannagioni tocchano alla Camera, non
già alla Comunità, credevano di essere laudati di questa
sauta opera, non biasimati di quello che non è stato in loro
potestà di provedere. Che il saccho torni su per li registri,
disse che quando paressi a sua Signoria Rev.ma ne farieno
la diligentia loro, :ma vedevano tale dispositione nello uni-
versale ehe non speravano che fussi in loro potestà prohibire
IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 419

uno nuovo scandolo nella terra, perché questo saccho era'la
principale cagione delle discordie et delle novità di questa
terra, per essere fatto contra le constitutioni antique et con-
suete sempre, et a Roma et non qui, come è stato sempre
consueto, et per essere in quella riforma privati questi cit-
tadini di molti magistrati di che si pascevano, come saria
lungho a scrivere, et io ve lo farò intendere, ma altra volta;
tanto è che questa cosa resta così et mi pare essere certo
per li gesti che el legato non pensi che questa cosa sia né
da sperarla né da farla per il pericolo che porta seco. Et
confessa sua Signoria Rev.ma che, insino quando si fece il
saccho, condannó questo modo et giudicollo di pericolo, come
è successo. La rottura della prigione giustificò nel modo
sopradetto, et nondimeno si offeriscono costoro a rimettere
in prigione quelli che vi erano, che erano pochi et la piü
parte per debiti privati impertinenti a la Camera. Del Can-
celliere affermano questo essere loro arbitrio proprio et
da loro paghato, né haverci alcuno arbitrio N. 5.; et aceu-
sanlo assai: et tandem fanno queste conclusioni, che non ci
tornerebbe, se li fussi mandato dieci sicurtà, ché sa bene
quanto habbi peecato » (1) Ma, dopo siffatte giustificazioni,
il Baglioni e suoi protestavano che, soltanto quando fosser
cacciati lontano dai dintorni gli avversari, « leveranno e’
fanti, manderanno via li sbanditi, leveranno del tueto le
armi della terra, et vederàssi in questa città una santimonia
et una observantia maraviglosa, benché per queste armi non
ci si senta uno minimo strepito; né poi che ci sono, se non
tre o quattro sere sono in bordello, et questo fu una frittella
di pocha importantia ».

(1) Med. av. il Princ., fil. LIX, c. 70 e 71; lett. del Michelozzi a Lor., del 23
Nov. 1488. — A proposito di questa nuova prepotenza de' Baglioni, dice il Pellini
(p. II, pag. 856) che il.vecchio Cancelliere, messer Stefano Guarnieri da Osimo, che
per molti anni avea egregiamente servito, fu rimosso per non aver soddisfatti i Ba-
glioni « nel negotio delle borse degli offlcì fatte in Roma », e gli fu sostituito un
messer Girolamo Lambardi da Città di Castello, « confidente de’ Baglioni, perch'era
amico de’ Vitelli, loro parenti ».

E

na RO CAO MA
420 G. DEGLI AZZI

Del resto, linviato fiorentino trovava che il contegno
de’ Baglioni era anche troppo remissivo (!), e riferiva le
doglianze di alcuni cittadini per la soverchia « modestia
de’ Bagloni, perché vorrieno farla uno pocho più vivamente,
dicendo che non sono somieri comperati al. mercato. Sonsi
subiecti loro stessi alla Chiesa, et datosi con le conditioni
le quali dicono essere in piè, et autentiche, et vorrieno,
insomma, che il Papa stessi contento a quello con che ha
preso questa terra da loro, et il resto, come sempre è stato
pel passato, innanzi a questo ultimo saccho, lasciassi gover-
nare a loro, a loro modo ».

Le dichiarazioni de' despoti perugini non potevano, come
si vede, essere più esplicite, e ciò nondimeno l' inviato del
Magnifico commenta quelle arroganti affermazioni tiranniche
col narrare di non aver saputo e potuto che lodare « la mo-
destia di questi magnifici Bagloni, maxime di’ Guido: ché
Ridolfo la faria un poco più vivamente et più alla soldate-
scha ». Di fronte alle quali parole bisogna ben riconoscere
che anche a Firenze si fosse giunti piuttosto innanzi sulla
via della tirannide, e che le libertà democratiche anche nella
vecchia e gloriosa Repubblica toscana non fosser più omai
che un vano nome senza soggetto.

L’opera nefasta, d'altronde, del confidente mediceo era
spalleggiata da un altro tirannello, il Vitelli che, per non

esser da meno, seguitava anche lui, — come dice in gergo
il Michelozzi, — « quella pesca » che gli fu mostrata dal-

l’astuto Lorenzo: ed ambedue d'accordo si sbracciavano per
indurre i perugini a liquidare quei magistrati che in un’ora
di audace, per quanto malintesa e perfidamente guidata,
fierezza s'erano dati, e a lasciarsi imporre dal Papa « altri
Priori suoi confidenti ». Ma contro le pontificie pretese sta-
vano I' occhiuta cupidigia e la brama d' egemonia de’ Baglioni,
i quali in ogni nuova invasione di poteri da parte della
Chiesa vedevano una possibile diminuzione di loro autorità,

UTR

pura
ONU

IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 421

ed avrebber voluto invece l'ambizione papale sfruttare so-
lamente ai lor fini e valersene per sbarazzare dal campo i
secolari ed accaniti avversari. Quindi, mentre il Legato, il
Vitelli e il Michelozzi tempestavano perché la città fosse
sgombra di genti d'arme, specie de’ 200 fanti forastieri che
sotto Troilo da Bevagna eran venuti a crescer la confusione
sotto pretesto di tener in guardia la piazza, i Baglioni po-
neano innanzi agli occhi del timido prelato lo spauracchio
de’ 2500 scherani che i nobili s' eran ridotti nelle loro case,
tra cui v'eran 500 sbanditi, tutto fior di canaglia, che —
malgrado le affermazioni di Guido — ad ogni istante, o per
conto proprio o per conto de’ padroni, menavan le mani. e
insanguinavan le vie con terrore di tutti e sgomento de’
buoni. E protestavano essere per la sicurezza loro e della
città una necessità imprescindibile tener quell’ accozzaglia di
ribaldi per premunirsi dai fuorusciti, che scorrazzavano pe’
contorni: e quindi sinchè quelli non fosser cacciati in bando

‘ ben lungi, non avrebber potuto congedar quegli sgherri che

i Baglioni stessi avean reclutato tra i peggiori malfattori
fatti uscire nei di del tumulto dalle prigioni.

I fatti, del resto, corrispondevano in tutto alle parole, a
quelle in ispecie di Ridolfo Baglioni, che, più spregiudicato e
temerario dell'altro, avea detto senza misteri all inviato del
Medici: — « Ser Nicolò, questo stato lo voglamo per noi,
né voglamo ci sia tolto: prima, per goderlo noi, poi, perchè
lo goda il magnifico Lorenzo. Or eccotela qui, vé! » — (1)
Però, seguendo la loro scaltra politica d' altalena e di finzioni,
mentre tenean mano ai figli del Piccinino perchè non ren-
dessero l’ usurpato castello al valoroso conte di Sterpeto,
l’unico che avesse osato a viso aperto confortare e aiutare
la sventura degli Oddi, dall'altra parte prostituivano la di-
gnità della Repubblica con vergognose, per quanto subdole,
dedizioni al pontefice, al cui Legato plaudivano, genufletten-

(1) Lett. cit. del 23 Nov.
429 G. DEGLI AZZI

dosi, per garantirsi l’impunità degli eccessi compiuti e di
quelli che meditavano ancor di commettere.

Difatti, come il Michelozzi riferiva agli Otto di Pra-
tica (1), il lunedì 24 nov. i Priori ed i Dieci si presentarono
al Legato, e « con gravi, humili et accomodate et molto sub-
messe parole si dolsono de’ casi successi, et potissimum se in
epsi casi si fussi alterata la mente di N.' S. et in alcuna cosa
provocatala meritamente ad ira contra di loro; chiedendone
con ogni dimostratione di humilità perdono, maxéme di quelle
cose ad che non è rimedio alcuno, come è l'abruciamento
del saccho et la rottura delle prigioni et d'ogni altra cosa
che similmente fussi successa, et delle altre cose che sono
state chieste da S. S.ria R.ma in nome del pontefice. Con
molta humilità et dextrezza mostrórono quanto fussino per
essere moleste a tutta la città et apte ad redurre questa terra
non ad pace et tranquillità, come tenevano per certo che
era la mente di N. S. et sua, ma in maggior travaglo et
combustione che prima..., non obmettendo et nel chiedere
perdono et nel supplicare, uf supra, insino a lo inginoc-
chiarsi »; e gli oratori, che avean dichiarato di parlare a
nome « dell'universale della città et di chi desidera bene
vivere », erano stati Lodovico degli Armanni, capo d'ufficio,
Pierfilippo da Cornia e l'immancabile Guido Baglioni. Al che
il Cardinale, fermo sempre nel voler attendere istruzioni da
Roma, rispose molto sulle generali, é li congedó senza nulla
concludere, mandando peró subito « per cavallaro expresso »
ragguaglio al Papa della sommissione fatta dai perugini. Nel
frattempo i Baglioni, per ingraziosirsi i Fiorentini, da cui
volevano provocare un bando di espulsione dai lor confini,
« almancho da Arezzo in costà », contro gli avversari fuo-
rusciti, cercavano in ogni guisa di porre questi in cattiva
vista, come colpevoli di « cose sinistre et male a propo-
Sito »; e da ultimo non trovarono di meglio che incolpar eli

(1) Otto di Pratica, VI, c. 159; lett. da Perugia del mercoledi 26 Nov. 1488.
LEMDIT AIAR IAN SORS AE TA PP

IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC.

Oddi d'aver falsificato le monete di Firenze. — « Questi ma-
gnifici Bagloni — scriveva agli Otto il Michelozzi (1) — mi
hanno mostro le stampe de'grossoni et soldini et quattrini
nostri, et così delle monete bianche di Milano et Luccha, et
molte monete battute et non ancor finite, quale hanno tro-
vate in queste terre et tenute delli Oddi; et mi affermano
che in tre luoghi hanno trovate simili masseritie et officine:
et io spero portarne a la tornata mia qualchuna a V. S., pa-
rendomi cosa che importi a lo honore della città: me é parso
che le sappiate, che, oltre alli buoni costumi di questi Oddi,
si è scoperto ancor questo: che laudato ne sia Dio! ».

A Roma, dove Vincenzo Montebiani e Battista di Rinaldo
Montemelini ambasciatori di Perugia attendeano invano che
i medici permettesser al Papa di occuparsi « di faccende »
con loro (2), giungevano da Lorenzo de Medici, per mezzo
del Lanfredini, consigli di mitezza e prudenza, non senten-
dosi « altrimenti gagliardi o in ordine da aviluppare insieme
tante cose » e tentar di risoverle colla forza; e il Magni-
fico, mal dissimulando nel velo della cifra le sue mire ri-
guardo a Perugia, raccomandava che all'ambasciatore de’
Perugini in Roma fosse destramente fatto conoscere l'inte-
ressamento per loro spiegato da lui presso il Papa, « acció
che havessi [l'ambasciatore] cagione di scrivere et riferire
bene, perchè queste cose di Perugia ci importano et dob-
biamo havergli gl'ochi perchè ci sono nel cuore » (3).

La Signoria di Firenze non mancò di lodare i Perugini
« per l'humile acto et degno d’ ogni commendatione » da
essi compiuto, ed, augurando che dopo quello « ogni loro
cosa pigliasse miglior sexto », li assicurava d’aver disposto
che i fuorusciti di Perugia non trovasser ricetto alle sue
« frontiere, et maxime a Cortona, Castiglione, Montepulciano,

(1) Lett. cit. del 26 Nov.

(2) Otto di Pratica, VI, c. 162: lett. del Lanfred. agli Otto, de’ 27 Nov. 1488.

(3) Med. av. il Prínc., fil. LIX, c. 69; lett. di Lorenzo al Lanfred., de' 27 Nov.
1488; parte é in cifra.

28
424 G. DEGLI AZZI

Borgho et Anghiari » (1); nel tempo stesso se ne felicitava col
Lanfredini, confidando che anche il Papa ne sarebbe stato
contento (2). E più della Signoria, che non vi aveva così di-
retto interesse, della « perdonanza chiesta con tanta humi-
lità » da Perugia, si rallegrava il Magnifico, che, vedendo
trionfare per quel lato la sua politica, sollecitava il Lanfre-
dini a spalleggiarlo in Curia, usandoci « diligentia, chè è cosa
che vale il pregio » ; ed una volta avviate le cose alla con-
ciliazione, sperava di potersi facilmente « fare uno buono
muro da quel canto » (3).

A confortare i signorotti perugini dello sgomento pro-
vato per i gravi casi del 3 dicembre in Bologna, fatti loro
comunicare per mezzo del Michelozzi dagli Otto di Firenze (4),
venne la grata partecipazione del proposito della Signoria
« di levare di queste circumstantie e’ loro fuorusciti ». Di
che menarono essi gran giubilo, e, mentre dall'inviato fio-
rentino facean protestare a’ suoi Signori che essi erano « più
patroni di questa terra et delle persone loro che loro stessi »,
promettevano, che, appena sgombrati i fuorusciti dai din-
torni « in modo che non sieno piü suspitiosi, si leveranno
le armi del tutto et faràssi infinite altre cose, benché pic-
cole, pure bene ad proposito della quiete et pace della città ».
Intanto l'ambasciatore fiorentino in Roma annunziava le buone
e pacifiche intenzioni de' cardinali riguardo alle cose di Pe-
rugia, che garantiva si sarebbero accomodate subito appena
« reassumerà le faccende » il Papa, che « di sua natura e
molto benigno et ama singularmente quella città et tutti
quelli gentili huomini » (5).

Ma la premura del Lanfredini non pareva sufficiente al
Magnifico, che gli rimproverava di non stimar giustamente

(1) Otto di Pratica, VII, c. 92: lett. al Michel degli Otto, 28 e 30 Nov. 1488.
(2) Ivi, c. 93: lett. degli Otto al Lanfred.; 30 Nov.

(3) Med. av..il Princ., LIX, c. 74: lett. di Lor. al Lanfr. del 1° Dic. 1488.

(4) Otto di Pratica, VI, c. 191: lett. del Michel. agli Otto, del 3 Dic. 1488.
(5) Ivi, e. 192: lett. del Lanfred. agli Otto, del 5 Dic. 1488.
IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. . 425

l'affare di Perugia, di che egli faceva gran conto, e di non
fornire al Michelozzi solleciti ed adeguati ragguagli, che gli
potesser servire per regolarsi e spacciar colla maggior sol-
lecitudine la faccenda; finiva poi col raccomandargli di far
in modo coll'ambasciator di Perugia che là si sapesse e ap-
prezzasse linteressamento suo e di Firenze in quei fatti (1).
Le sollecitazioni del Medici peró eran forse fuori di luogo,
poiché il 26 e il 28 di novembre il Michelozzi avea avute
informazioni da Roma in proposito ; di che ringraziando, pres-
sava per una sollecita definizione delle vertenze, al cui in-
dugio mancava ora la scusa della malattia del pontefice;
poiché egli che s'era trovato altre volte a simili indisposi-
zioni del Papa, non dava fede a chi faceva sinistri progno-
stici sulla vita di lui, non avendosene piü notizia « dopo lo
interlunio proximo passato »; di che, più d'ogni altro, s'an-
gosciavano, naturalmente per l'interesse loro personale, i
Baglioni, i quali andavan dicendo « publicamente che nes-
suna piü trista nuova potriano havere che la morte di N. S.,
come quelli che da sua Santità sperano ogni bene et in tale
caso non sanno ad mano di chi si capitassino ». Non trascu-
rava poi di rispettosamente esprimere le sue meraviglie, per-
ché pur volendo la Curia riserbar a sé la trattazione degli
affari di Perugia, vi avesse poi mandato « uno Legato della
qualità che è questo et di tale reputazione » (2). Concludeva
raccomandando d’esser al più presto fatto tornare a casa.
Perdurando intanto la malattia del Papa, ed instando il
cardinal di Siena per avere istruzioni, fu nominata una con-
gregazione di cinque cardinali, che furono il Savelli, il Vi-
Gecancelliere e i cardinali di S. Angelo, di S. Pietro in
Vinculis e di Napoli, per deliberare in proposito: e questi,
seguendo il tradizionale costume di tutte le commissioni, con-
clusero senza concluder nulla, e rimisero il tutto « al gra-

(1) Med. av. il Princ., LIX, c. 77 ; lett. del 6 Dic.
(2) Ivi, LIX, c. 79; lett. del 6 Dic. 1488.
426 G. DEGLI AZZI

vissimo iuditio » del Legato, esprimendo il voto che a Pe-
rugia « sia levata ogni ombra, et in quello [che] si può, as-
sicurata et consolata », salvi sempre, s'intende, la dignità e
il decoro della S. Sede: e di questo l'ambasciator fiorentino
in Roma nutriva fiducia, data la buona disposizione de’ Pe.
rugini, i quali assicurava avrebbero riconosciuto in gran parte
al Medici ed alla Signoria il merito di questa sistemazione
propizia de’ loro affari (1).

La nuova dei pieni poteri affidati al Legato fu ai Peru-
gini, quel giorno stesso 15 decembre, partecipata dai loro
ambasciatori a Roma, e n’ebbero grande allegrezza, poichè
la troppo lunga dilazione a risolvere e « li avisi sinistri che
havevano da Roma di carezze facte a’ loro usciti et opere
facte da qualchuno male a proposito di costoro », faceano
nascere gravi sospetti ne’ Baglioni e loro fautori di una pos-
sibile predilezione del Papa per gli Oddi. Subito tuttii mag-
giorenti sì recarono ad invocare una definitiva sistemazione
dal Legato, che sulle prime tentò schermirsi dicendo di aver
commissione solo in parte, ma poi accettò per l'indomani di
trattare con una commissione di cittadini, dopo però d’aver
conferito con Guido e Ridolfo Baglioni per « li interessi par-
ticulari loro »; tutti, del resto, eran d'accordo di sistemar
ogni cosa al piü presto, come li esortava il Michelozzi, deside-
roso che una buona volta se ne cavasse « cappa o mantello,
et non mancho, perché questa suspensione tiene suspesa tutta
questa provincia, dove non é luogo che non sia diviso in
parte, et ogni minima cosa li faria andare sotto sopra » (2).
Ed a sollecitudine eccitava pure il Magnifico (3), talchè final-
mente a di 22 si addivenne al sospirato accordo. I Priori,
sebbene convinti d'essere legittimamente e canonicamente
eletti per il decreto del governatore Maurizio, pure eran

(1) Ivi, LIX, c. 82: lett. di Lorenzo al Lanfred., 9 Dic. 1488. — Otto di Pratica,
Responsive, VI, c. 197 e 200; lett. del Lanfred. agli Otto delli 12 e 15 Dic. 1488.

(2) Fil. LIX. cit., c. 85; lett. del Michel. a Lor., 15 Dic. 1488; parte di questa é

in cifra.
(3) Ivi, c. 86; lett. di Lor. al Lanfred., 19 Dic. 1488. IL TUMULTO DEL 1488 1N PERUGIA, ECC. 427

pronti a rassegnare le lor dimissioni in mani del Legato, il
quale, compiacendosi di tale atto di sottomissione, dopo averli
però rimproverati « aspramente della tardità », per non la-
sciar la città senza magistrati, « in nome di N. S. voleva che
seguitassino nelli officî, et apostolica auctorictate li instituiva
di nuovo et li benediva: a li Priori per el tempo del loro
officio che è tutto questo mese, et a’ Dieci dava l'officio per 6
mesi, et 6 altri ad beneplacitum pontificis o di chi fussi in suo
luogho ».

Quanto al sacco degli offici, fu stabilito che « si facessi
di nuovo et secondo il rito et costume che si soleva innanzi
al presente saccho ». Rimaneva soltanto la questione de' fuo-
rusciti che i Baglioni ad ogni costo volean far bandire come
« rebelli di sancta Chiesa, o almancho di questa terra », men-
tre il Legato credeva sufficiente che fossero di fatto « con-
finati sanza altra rebellione ». Anche su questo punto però
l inviato fiorentino in Perugia prevedeva un sollecito acco-
modamento; onde, considerando come finita la sua missione,
instava per essere richiamato, potendo la sua ulteriore pre-
senza, per quanto ben veduta dal Papa, « dar ombra » ad
altri (1).

L'anno 1489 si apri colle querimonie de’ Baglioni, per-
ché gli Oddi, avuto ricetto a Valiano, a Montepulciano e a
Cortona, facevano « con quella commodità qualche scandalo
et novità in sulla loro iurisditione » (2); di che si scusava
la Signoria di Firenze, protestando di aver non solo « scritte,
ma fulminate » lettere a' suoi Rettori in quei luoghi con
ordine di caeciar gli Oddi anche colla forza (3). Non si stan-

,

(1) Fil. LIX, c. 93; lett. del Michel. al Lanfred., 22 Dic. 1488.
(2) Otto di Pratica, VII, c. 102; lett. degli Otto al Michelozzi, del 1° Gen. 1489.

(3) Ivi, VII, c. 104 t.; lett. degli Otto al Michel. 15 Gen. 1489. — Il Roscok nelle :

Illustrazioni storico-critiche alla sua Vita di Lorenzo de’ Medici (traduzione ita-
liana, Firenze, Magheri, 1823, vol. II, pagg. 196-198) pubblica una lettera di Lorenzo
al Lanfredini, da Firenze 18 Gennaio 1488-89, che comincia: « Io credetti, come vi
scripsi per l’ultima, che queste cose di Perugia fussino posate, et così mi ha rife-
rito ser Nicolò... »; e finisce: « ... et per uscire di questa parte a. me pare neces-
sario, o el remedio, chiarirsi presto di questo humore ».

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MESSE ATI
498 G. DEGLI AZZI

cava intanto la fazione baglionesca di assediare con continue
insistenze il cardinal di Siena perché volesse bandir per ri-
belli i nemici; ma, ripugnando forse alla sua coscienza di
dannare come ribelli gli antichi fautori del suo sovrano, non
volea decidersi a tanta enormità, e solo s'era lasciato in-
durre a consentire che gli « Oddi et altri usciti havessino
certi confini nelle terre della Chiesa, e' quali non osservando,
diventassino ribelli non solo di Perugia, ma anchora della
Chiesa ». E siccome poi, allo stringer de’ conti, nicchiava an-
che su questo punto, mettendo « in desperatione non picchola
non solamente quelli Bagloni, ma et ser Niccolò et sl’ altri
mezani di questo acordo », ecco il Magnifico entrar risoluta-
mente in iscena, facendo consigliar il cardinale a risolversi,
altrimenti v'era pericolo che « la desperatione non conduchi
questi Bagloni a piglare la protectione del Re, perchè Iacopo
Pontano è stato a Perugia a di passati et poi a Virginio, et
hora è tornato a Perugia, et... e' ha temptato questi Vitelli per
condurgli a’ soldi del Re »; onde non acconciandosi le cose
di Perugia, erano in pericolo, oltre quella, anche « Castello,

. Spuleto, et forse anche dell’altre terre »; né si dissimulava

)
il dubbio che i Perugini potessero, per ragion del Papa, pren-
der in sospetto Firenze. Onde ei proponeva che il pontefice,
« in confermatione del suo buono animo », a lui Lorenzo in-
dirizzasse « uno breve, dove mostrassi buona dispositione
verso e' Perugini » e dove gli desse incarico di trattar lui
con essi e di obbligarsi, quasi, pel Papa: con questo mezzo
sperava di poter accomodare il tutto, anche « perchè a’ Ba-
gloni et a’ Vitelli è molto più naturale questa via, che
quella dello stato del Ee, et a quella andrebbono solo per ne-
cessità » (1). E, come da Roma si esitava ad accogliere le
sue richieste, e’ tornava con insistenza a replicare, tempe-
stando il Lanfredini, perchè cercasse di persuadere il Papa

(1) Fil. LIX cit., c. 112; lett. di Lor. al Lanfred., 21 Gen. 1489. — Le parole in
corsivo sono nell’originale scritte in cifra.

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Mib dior

IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 429

che i « Bagloni sono naturalmente bene disposti a santa
Chiesa, havendo havuti molti stimuli in contrario et molte
grandi offerte, et nondimeno sono ridocti a volere essere obe-
dienti figluoli di sancta Chiesa »; e concludeva non parergli
« tempo da seminare triboli, né mettere in sospecto Perugini
et quelle altre terre circumstanti; perchè questo è apunto
quello che desidera chi vuole male a N. $., et forse anchora
degl’ altri che mostrono volergli bene, e' quali, a qualche
loro proposito, lo vorrebbono mettere in travaglo » (1).

Né pago di ció, mentre gli Otto di Pratica neppur co-
noscendo il vero stato delle cose si congratulavano per l'ac-
cordo che credean compiuto (2), egli, che avea davvero in
mano il bandolo della matassa, spediva Sante di Camillo Vi-
telli ai Baglioni per confermarli ne' loro propositi, fidando
nella sua mediazione (3): e delle loro risposte ragguagliava
subito il Lanfredini (4), col quale si doleva aspramente che
il Papa dopo aver « facto tante cose per confermare in buona
opinione et fede questi Bagloni », poi volesse « guastarle per
zachere ». Quindi, dopo aver a lungo conferito col Cancel-
liere di Perugia speditogli dai Baglioni, tornava a raccoman-
dare che il pontefice volesse a lui affidare la composizione
d'ogni vertenza. Lo stesso concetto ribadiva pure con altre
sue del 17 e del 21 febbr., assicurando che ove il Papa, ma-
gari « ingrassando un poco le parole », avesse accettati
« per buoni figluoli e' Bagloni, et assicurato lo stato loro »,
tutto si sarebbe d'un subito, per suo mezzo, accomodato (5).

Ma quando finalmente un nuovo disperato tentativo de-

gl'indomiti Oddi minacciò di mandar in aria tutti i piani

della politica del Magnifico, che ci teneva ad essere ed a
p 5 ,
parere colui che manteneva l’ equilibrio politico d'Italia, al-

(1) Ivi, cc. 113 e 115; lett. di Lor. al Lanfred., 26 e 28 Gen. 1489.

(2) Otto di Pratica, VII, c. 111; lett. degli ‘Otto al Lanfred., del 1° febbr. 1489.
(3) Fil. LIX cit., c. 118; lett. di Lor. al Lanfred., del 3 Febbr.

(4) Ivi, c. 130; lett. di Lor. al medesimo, del 14 Febbr.

(5) Ivi, c. 132 e 135; lett. al Lanfred.

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430 G. DEGLI AZZI

lora mutò tono e faceva senz'altro dire al Papa che a lui
non piaceva « vedere a uno tracto tanti suscitamenti di
scandali, ch'è bene spegnerli a buona hora »; e poiché in
Curia non si valutavano giustamente i pericoli che dalle
cose di Perugia potevan nascere, specie ora che a « queste
turbationi si sono aggiunte la licentia di Virginio e l' obsti-
natione del Conte », e’ riputava « bene sturare gl’ orechi »
al Papa, e facendogli vedere i rischi della sua rovinosa osti-
nazione, deciderlo ad « assodare una volta questo stato de’
Bagloni » (1).

E cosi fu finalmente: poiché il pontefice un po' per ri-
condurre la calma, un po' per liberarsi da tante insistenze
e un po' perché sconcertato dallo spauracchio del Re di Na-
poli che ad arte l'astuto Medici gli facea porre dinanzi (2),
si lasció indurre il 5 Marzo 1489 a segnare il breve che con-
finava gli usciti sotto pena di ribellione, compiendo cosi una
mostruosa infamia e un atto di vergognosa ingratitudine con-
tro quelli ch' erano stati per secoli i suoi fedeli fautori, e che
forse scontavano il fio non d'altro che della loro devozione
ostinata alla Chiesa. Esultò il Magnifico di quel trionfo de’
Baglioni, ch'era buon augurio a quello ch'ei per sé vagheg-
giava, e, non pago del successo, confortava il Legato a per-
seguitare gli esuli sfortunati, non solo colle « censure et mi-
naccie », ma eziandio coll’ armi che aveva a sua disposizione,
ché egli poi altre ne manderebbe, ed altre ne procurerebbe
di fuori, dal Duca d'Urbino; e per dimostrare che alle pa-
role intendea far seguire le opere, spediva intanto ai Baglioni
le artiglierie per espugnare Pacciano e gli altri estremi pro-
pugnacoli degli esuli valorosi (3).

Dott. G. DEGLI AZZI.

(1) Fil. LIX cit., c. 139; lett. di Lor. al Lanfred., 5 Mar. 1489.
(2) Fil. LIX cit., c. 142 bis; lett. di Lor. al Lanfred., 11 Mar.
(3) Ivi, c. 144; id. 14 Mar. 1489.

Me

ET
IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 431

JD OCIUMEIN LI

1. — A S F. Med. av. Princ., LIX, 195.
Lorenzo de’ Medici al Lanfredini.

Firenze, 1488, Lug. 4.
« Questo dì è venuto la vostra de’ di iij. con le commissione al
sig. F. che se ne vadia a Perugia et che lasci la Magdalena. Sono stato
hoggi con S. S., et mi pare questa cosa di Perugia materia assai dif-
ficile et di qualità da metterci a disavanzo, maxime non havendo el
sig. F. praticha di quelle cose, nè havendo appresso di sè persona. da
potergli commettere cose importante; et sebene messer Cesareo viene,
a me non pare da mettere anchora costui in queste cose rematiche et.
crederrei, quando si potessi dare questa cura a qualche prelato di costà,
starebbe molto meglo in mano sua, perchè al sig. F. si vuole attendere
a dare grado et honore et metterli inanzi cose facili et di beneficio.
Intendesi, ma non so bene per che via, che queste cose di Perugia si
fanno ogni hora più difficili et tanto più è d'aspettarsene. Domattina
però partirà el sig. F. verso Perugia per obedire N. S.; ma io ve ne
ho decto el mio pare[re]. Hieri desinó meco a Chareggi, poi vedémo
la Petraia et certi altri luoghi ehe gli satisfeciono molto », efc.

2. — A S F. Med. av. Pr., LIX, 199.
Lorenzo de’ Medici al Lanfredini.
Firenze, 1488, Lug. 8.

« Camillo Vitelli me ha facto intendere essere molto male trattato
de' pagamenti maxime rispecto alla maggior parte delli altri soldati.

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uu LES 2 G. DEGLI AZZI

A me pare che vagli assai et sia molto utile soldato alla Chiesa per le
ragioni che intendete. Dubito non lo trattando altrimenti, al fine della
ferma non lo perdiate. Vorrebbesi rassettare quelle cose di Perugia et
rassicurare quelli Bagloni che fanno sospecto Camillo: et veder di go-
dersi l' uno et l'altro; et darli cagione co’ trattamenti buoni di non
cerchare altro aviamento, chè vi so dire certo li troverrà et con persone
che non piacerà a N. S.: harei caro che questi Bagloni intendessino che
io vi ho raccomandate le cose loro, et havendo ad havere qualche pia-
cere dal Papa, io ne havessi uno poco di grado », etc.

3. — A S F. Med. av. Pr., LIX, 201 t.
Lorenzo de’ Medici al Lanfredini.

Firenze, 1488, Lug. 19.

« Ho lettere dal sig. F. da Perugia: et quelle cose parevano diricte

a quiete. Lui mostra desiderio di tornare costì, et io ne lo contenterei

et darei più tosto queste facciende ad altri, come per altra vi dissi »
etc.

,

4. — A C P. Ann. Decemov.

[e. 89] 1488, Nov. 3.

« Consilium Camerariorum.

Consilio M. D. P. et Camerariorum Artium Civitatis Perusij de li-
centia et mandato ill.mi d. d. Mauritij Cibo S. D. N. germani Perusij
ete. dignissimi gubernatoris necnon magnifici et generosi militis d. Ie-
ronimi de Panfiliis de Eugubio hon. potestatis civitatis Perusij ad so-
num campane, efe., in quo quidem consilio interfuerunt prelibati M.
D. P. omnes novem presentes et in concordia, absente [dicto] Matteo
eorum sotio et eollega et Cam. Artium numero XL: volentes circa uti-
lia et necessaria diete civitatis et totius populi salubriter providere:
cum propter novitatem et rumorem noviter factum inter Nobiles huius
Civitatis, ex quo multa possent emergere in maximum detrimentum
reypublice et presentis ecclesiastici status nisi de oportuno remedio et
auxilio subveniatur et provideatur, ne in posterum inter prefatos no-
biles aliqua scandela amplius oriantur nec etiam aliquod detrimentum
presenti regimini Civitatis predicte et publice saluti posset afferre,
Camerariorum consilium nune haberi et congregari videtur causa eli-
gendi voeandi et deputandi aliquos cives perusinos presentis status zé-

ra

iena

— Eve.
——%

IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 433

latores et amatores usque in numerum decem quibus concedatur ple-
num ac liberum arbitrium potestatem auctoritatem et facultatem ac
bayliam providendi statuendi ordinandi reformandi agendi et faciendi
cirea omnia et singula que necessaria noverint et eis visa fuerint expe-
dienda utilia et oportuna pro et supra conservationem manutemptionem
tuitionem et amplifieationem presentis tranquilli status civitatis prediete
eiusque comitatus et districtus ad honorem et statum S. R. Eeclesie et
presentis status : existentes M. D. P. et Camerarij etc. eongregati efc.
in audientia efc. ex omnibus arbitrijs efc. eisdem concessis eíc. super
bono pacifico et tranquillo statu et ut ius et iustitia observentur pro
custodia et habundantia civitatis et comitatus Perusij super persecutio-
nem hostium et rebellium super casibus occurrentibus non provisis,
etc., statuerunt, elegerunt vocaverunt et nominaverunt infrascriptos de-
cem Cives (1), videlieet duos pro qualibet porta pro tempore unius anni
incepti a dicto die et ut sequitur finiendi, quibus dederunt atque con-
cesserunt auctoritate presentis legis plenum atque liberum arbitrium
faeultatem potestatem et bayliam in omnibus et per omnia prout et
quemadmodum habet totum universum Consilium M. D. P. et Cam. etc.
providendi statuendi ordinandi consulendi reformandi conducendi gentes
armorum tam pedites quam equites capitulandi eis et cuilibet eorum
dandi et dari faciendi pecunias debitas et promissas; et similiter ex-
pendendi pro omnibus necessitatibus et occurrentiis Comunis, eí£c., de
quibuscumque pecuniis dieti Comunis excepto de pecuniis farine que
aliquo modo expendi non possint, et que eis videbuntur fore necessa-
rium, ecc. Ita quod dictum arbitrium sii generale et generalissimum et
spetiale et spetialissimum in omnibus et singulis casibus in quibus et
super quibus Consilium M. D. P. et Camer. habet et habere videretur
comuniter seu divisim arbitrium, efc. Et quiequid per dictos dd. Decem
de arbitrio et baylia ut supra gestum factum reformatum ordinatum et
stabilitum extiterit, proinde valeat teneat procedat et observetur et fir-
mum sit et plenam obtineat roboris firmitatem ac si per totum univer-
sum Consilium dietorum M. D. P. et Camer. et totum populum efe.
gestum efc. fuisset, non obstantibus, e£c. Quorum nomina predictorum
Decem sunt infrascripta videlicet :

Bartholomeus de Hermannis, porte S. Angeli

Ierominus de Archipresbiteris idem.

D. Perfilippus de Co[rjneo, porte S. Subxanne

Ioannes Iacobi Piecininus idem.

(1) A marg.: « Electio Decem Arbitrii pro tempore unius anni. Refirma pro 1489,
fol. 96; item ad beneplacitum Camerariorum pro 1490, fol. 134 ».

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a :

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Mi

eis.

c 434 G. DEGLI AZZI

Guidus de Balionibus, porte Heburnee

Rodulfus de Signorellis idem.

Rodulfus de Balionibus, porte S. Petri

D. Vincentius de Monteubiano, idem.

Berardinus de Raneriis, porte Solis

Franciscus Nicolay Tome de Montemelino, idem.

Item (1) considerantes prefati M. D. P. et Camerarij iminentem peri-
culum quod evenire posset cum cives noviter expulsi de civitate rebelles
et hostes diete civitatis [dicantur] moram trahere per comitatum et distri-
ctum civitatis prediete castra et fortilitia ipsius comitatus occupare et
detinere et hodie occupant et detinent in maximum dedecus vilipendium
et detrimentum S. Romane Ecclesie et presentis ecclesiastici status, et
volentes circa predicta providere et ante tempus occurrere quam post
tempus medicamenti subfragium postulare pro tuitione civitatis efc. et
pro seandalis evitandis que in futurum ex dicta de causa obvenire pos-
sent: volentes itaque provisionibus oportunis invigilare et omni cura
qua potest pro posse operam dare pro pace et quiete civitatis, efc., sta-
tuerunt, efc., et obtinuerunt quantitatem XXV milium flor. ad rationem
XXXVI bol. pro quolibet floreno de quibuseumque pecuniis dieti Co-
munis expendi posse tam pro gentibus armorum destinatorum seu de-
stinandorum ad expellendos rebelles et hostes dicte civitatis, quam etiam
ad custodiam platee et totius civitatis et pro tuitione manutemptione et
defensione dicte civitatis et comitatus efc. et pro omnibus et singulis
necessitatibus et occurrentiis efc. que ex dicta de causa evenire pos-
sent, etc ».

9. — A S F. Otto di Pratica. Responsive, VI, 118.
Francesco Gherardi agli Otto.

Cortona, 1488, Nov. 4.

« Mag. domini etc.

De’ casi di Perugia per altre mia ne ho dato notitia a V. S.; hora
intendo questi Baglioni al tutto la parte degli Oddi hanno superata et
mandata fuori della città, et con loro partigiani et giente a chavallo e
a pie’ essi Baglioni si sono mossi et vanno a campo a uno chastello
[che] si chiama Sterpeto verso Sciesi, che pare il Conte d’esso Sterpeto

(1) A. marg.: « Provisio XXV millium floren. pro defensione Civitatis et comi-
tatus Perusij ».
IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. . 439

sia partigiano di questi Oddi. Et qui a nnoi assai vicino si trova-a 'Ca-
stiglioni del Lagho e al Borghetto Pompeo degli Oddi con suoi parti-
giani, e in detto Castiglioni si fa forte, et già a una porta ha princi-
piato una bastia; e stimasi quivi i loro aversarij el vierranno a trovare.
Ed è quel paese in forma inpaurito che quì nella città et nel recindo
si riduce grano e altri [vituaglia]menti di detti partigiani degli Oddi. E
apresso la strada da Perugia a quì non è sichura per chagione che a’
vetturali e ad altri è stato fatto lesione. Se altro di nuovo seguirà, ne
starò vigilante, etc.
Ex Corthonio Dat. iiij Nov. 1488.

Francischus Gherardi de Gherardis capitaneus ».

6. —A C P. Ann. Decem».

[e. 90]. 1488, Nov. 4.

Eleetio ser Antonij Johannis de Perusio Porte saneti Petri in no-
tarium dd. Decem pro arbitrio...

« Mag. dd. Priores et Decem Arbitrij... ... volentes circa utilia ne-
cessaria et oportuna dicte civitatis salubriter providere, maxime de uno
Conestabili deputando ad custodiam civitatis et platee cum ducentis
provisionatis et stipendiarijs qui noctuque diuque custodire debeant to-
tam dietam civitatem ob multis seandalis latrocinijs et robbariis et ho-
mieidijs evitandis, et pro tuitione manutemptione et defensione dicte
civitatis et presentis ecclesiastici status occaxione rebellium et hostium
qui moram trahunt per comitatum et distrietum Perusij... elegerunt...
Troiulum de Bevania... conestabilem... » efc.

(— XQ P.4Ann. Decem.

[65:91..1. ]. 1488, Nov. 4.

« Mag. dd. Priores et Decem Arbitrij... considerantes Cancellarium
Comunis non agere et facere cum ea qua debet diligentia solicitudine
et maturitate faeta et negotia Comunitatis et Cancellarie, prout tenetur
debet et obligatus est secundum formam sue electionis et ex debito sui
offitij, et ipsum fore et esse potius suspectui Comunitati populi et pre-
senti statui; ex quo maximum preiuditium et detrimentum dicte Comu-
nitati et Cancellarie predicte in futurum esse posset... », lo revocano
all'unanimità dall'uffieio e vi sostituiscono il Lambardi ».
436 G. DEGLI AZZI

8. — A S F. Otto di Pratica. Responsive, VI, 119.
Francesco Gherardi agli Otto.

Cortona, 1488, Nov. 5.

« Mag. domini, etc.

Hieri per altra mia detti aviso de' casi di Perugia. Dipoi questa
mattina Ridolfo Baglioni con Camillo et Vitellozzo di messer Nicoló
Vitelli con circha dumila persone fra a piè e a chavallo sono venuti al
Borghetto e hanno preso el chastello et la roecha. E stimasi faranno
forza volere assediare Castiglioni del Lagho qui vicino: nel quale si
truova Ponpeo degli Oddi con suoi partigiani con munitioni e artiglie-
reie (sic) da stare alla difesa. Attenderàssi a quanto ne seghuirà, efc.

Ex Cortonio
Franciscus Gherardi de Gherardis cap. ».

9. — A S F. Otto di Pratica. Respons., VI, 144.
Il Lanfredini agli Otto.

i Roma, 1488, Nov. 6.
« Mag. d.ni, efc. — ... Perle altre [mie lettere] havete inteso le di-
scordie civili de! Perugini; et, per quanto si senta, s'acordano a richia-
mare ciaschuno dagli Oddi infuora. Dipoi hanno arso la cassa con la
imborsatione [che] si fece quì, publicamente in piaza. Di che N. S. ha
fatto più chaso che di nessuna altra cosa. Guido Bagloni se ne scusa,
monstrando [che] è suto contro la vogla sua; pure la S. de N. S. vi
manda legato il Rev.mo Card. di Siena: et spera col mezzo di S. Rev.ma
Signoria ogni cosa si placherà et rassetterà in buon termine », etc.

10. — A S F. Otto di Pratica. Respons., VI, 145.
Il Lanfredini agli Otto.

Roma, 1488, Nov. 6.

« Per altra ho scripto alle S. V. questa civile alteratione successa

a Perugia; et dipoi harete inteso che hanno arso in piaza la cassa de
-]a imborsatione che fu fatta qui dal Pontefice: la quale ha più mole-
stato l'animo di S. S. che ’1 primo excesso. Et per rimediare et a
questo et a degli-altri seandoli che potrebbono succedere, ha deliberato
Legato di Perugia il Rev.mo Card. di Siena, et partirà fra pochi di;

rr
IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC.

et per la sapientia della Sig.ria sua Rev.ma et per la qualità del 'di-
sordine spera che a ogni cosa piglerà buona et pacificha forma. Et per
prestare magiore autorità a Monsig. lo Legato, credo preparerà qual-
che squadra delle sua con lo ill.mo sig.re Francesco, et me ha richie-
sto vi scriva che el desidera vi piaccia servirlo del Conte di Pitiglano
con la condocta sua, bisognando, videlicet che essendo in quel di Cor-
tona alle stanze, stia in ordine et a ubidienza di S. S. o di Monsig.
Legato, sanza altra dimostratione con animo di non lo havere a usare,
se la nicistà o mali portamenti de’ privati non lo strignessino a quelle
chose; [il che] non eredo et lui non desidera ; offrendosi per le S.- V;
in ogni evento », efc.

11. — A C P. Am. Decem».

[cc. 90-91]. p 1488, Nov. 6.

11. — « Creatio oratorum destinatorum ad S. D. N. ».

« M. D. P. etc. deputaverunt etc. nobiles viros d. Vincentium de
nobilibus de Monteubiano et Batistam Ranaldi de nobilibus de Monte-
melino... in oratores ete. ad S. D. N. cum XII equis et cum uno mulo,
eum infrascriptis punctis capitulis et instructionibus videlicet:

In primis quod se conferant ad pedes S. D. N. et sue Beatitudini
commendatos faciant M. D. P. et Camer. Artium et presentem eccle-
siasticum statum nobilium et bonorum popularium huius peculiaris ci-
vitatis S. B. et universam rempublicam perusinam sue santictati.

Secundo, veris et iustis rationibus, que quidem multe et quamplures
assignari possunt et notorie, iustificare conentur expulsionem pestifere
familie nefande de Oddis et quorumdam suorum complacium /s2c] enu-
merando partes eorum que per eos intollerabilia et nefanda temerarie
continue gerebantur et certiorando S. B. qualiter ipsi dederunt causam
retroacti tumulti et novitatis pluries insultando et initiando prelium
et ultimo loco omni re fere parata immediate post adventum ill.mi d.
Mauritij in eius maximum contemptum et verecundiam tanti viri fra-
terno sanguine et legatione S. B. representatis, ad sonum campane pu-
bliee dato signo, magnis clamoribus et impetu tumultuaverunt rissam
et prelia pluribus locis renovarunt: ex palatio publico, quod hominibus
armatis et publieis munitionibus munierunt, magnificos viros Guidonem
et Rodulfum preter spem saxis et balistis salutaverunt adeo quod vix
illesi evaserunt et profeeto mirum fuit: hinc eorum ruina : exursit enim
adversus eos populus et nisi nox supervenisset, tunc de re eorum actum
erat: eadem nocte nemine insequenti fugam arripuerunt.

di. f Ad...

— à

"NY. d 438 G. DEGLI AZZI

Tertio, obstendant eius Sanctitati quod licet sua B. paterno affectu
et bono zelo dueta fuerit ad ordinandum novum regimen huius civitatis
sperans hanc rempublicam deduci ad frugem melioris vite: et pravis
persuasionibus multa statuerat que fuerunt molesta bonis civibus et
fere universo populo et, prout manifeste docuit experientia que omnium
rerum est magistra, penitus contrarium effectum produxit: numquam enim
hec respublica fuit tempestate nostra in tanto discrimine in moribus
tam destinandis /s/c/ mortua iustitia quantum fuit post mutationem pre-
dictam regiminis civitatis. Quo factum est quod universus populus cla-
maverit quod res reduceretur ad pristinum regimen magis salubre rey-
publice; et hine processit quod camerarij Artium qui populum repre-
sentant et iuventus et populus tumultuose bussulum offitiorum et bul-
lam super regimine civitatis editam igne consumpsit preter mentem
seniorum. Sed calor juventutis et rumor populi reformari nequit. Se-
niores cum intendebant omnino supplieare V. B. et ab illa impetrare
ut auctoritate S. B. illud idem effectualiter fieret. Sed res ipsa erat adeo
fere cunctis exose et adeo videbatur perniciosa reipublice quod non
potuit tumultui resisti: supplicant humiliter V. B. rem hane equo animo
ferre ,et calori juventutis et populo sua clementia ingnoscere dignetur.
Non enim id perpetratum fuit in contemptu V. B., sed pro salute et
quiete reipublice.

Quarto, supplicatur S. B. quod auctoritate Sédis ap. pro salute et
quiete huius pecculiaris sue reypublice omnia concernentia regimen et
introitus et exitus eiusdem et Camere Ap. reducantur ad pristinum mo-
rem et ea que super huiusmodi constituta frustis persuasionibus et or-
dinata fuerunt per S. B. aboleantur, nam prout inquit Imperator se-
eundum varietatem temporum statuta variantur humana.

Quinto, supplicetur S. B. dignetur confirmare cum honoribus et one-
ribus consuetis offitium Priorum qui nuper creati fuerunt auetoritate
ill.mi d. d. Mauritij germani sue S. et nostri gubernatoris, ita quod
cuncta per eos gesta et gerenda valeant, efc. ae si ordinarie et aucto-
ritate S. B. creati fuissent, etc.

6° idem « pro officio decem nobilium civium electorum per M. P.
et Camerarios, efc. etc.

7° quod in spetie confirmentur per suam S. pro rebellibus infra-
seripti qui pro rebellibus sunt habiti et reputati et rebelles facti per
dietos Decem Arbitrii pro salute et quiete Civitatis, reservata tamen
auctoritate S. B., quibuseumque in contrarium facientibus non obstan-
tibus, cum alias ista respublica non de facili requiescere atentis pesti-
feris et nefandis moribus eorumdem ».

8° (che ai Camerlenghi fosser conservati gli stessi salari, ecc.).
IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 439
,

9° quod supplicetur S. B. quod dignetur absolutionem concedere a
censuris ecclesiasticis omnibus et singulis qui illis innodati sunt novis
constitutionibus seu ordinamentis ap. vel aliis, maxime causa et occa-
xione abloqutionum et gestorum adversus sancita et ordinata circa con-
cernentia novum regimen civitatis per S. B. et propter receptionem bam-
pnitorum cum infiniti illas incurserint, maxime postquam absumpta fue-
runt arma. Et insuper dignetur S. B. in posterum illas suspendere ad
beneplacitum sedis ap. quum alias multi illis illaquearentur, maxime
donec non deponentur arma stantibus exititiis in- districtu Perusij.

10° Supplicetur S. B. quod atempto quod nova ordinamenta super
ordinatione et modo congnitionis causarum per S. B. edita ad postula-
tionem Priorum existentium non fuerant hic discussa maxime inter viros
doctos, sed secrete ordinata fuerunt et per rescriptum S. S. et postquam
in apertum deducta, compertum fuit quod multa in eis continentur quod
non expediunt et adversantur comuni utilitati: idcirco, quia quedam
salutifera in eis continentur, stetit in suspenso redditio juris et con-
gnitio causarum : subspendat sua S. dicta ordinamenta quoad effectus
preteritos et futuros donec acurate revideantur et per S. B. aliud re-
scribatur; non tamen decet quod res tam ardua clandestine ordinetur
et interim secundum morem procedatur solitum et ordinamenta et sta-
tuta observentur quoad preterita presentia et futura et maxime remo-
veantur excommunicationes civibus et incolis perusinis que in dictis
novis ordinamentis continentur ». (Seguono i nomi de' ribelli, come nel
Pellini. Il nome di « Giovagne de Sinibaldo e suoi figlioli legitimi e non
legitimi » é cancellato e v'é la seguente postilla: « 1498 et die 9 Ian.
de mandato M. D. Decem Arbitrij oretenus mihi Iacobo Canc. faeto,
cassi sunt Io: et filij infrascripti cum fuerint et sint in gratia presentis
status et illius amici et benivuli. Iacobus Cane. »).

12. — A SF. Otto di Pratica. Missive, VII, 84 t.
Gli Otto al. Lanfredini.

Firenze, 1488, Nov. 9.

« Havendo inteso per le tue de' VI la requisitione la quale ne fa

la S. del Papa che vogliamo fare stare in ordine et provisto il Capitano
nostro Conte di Pitigliano in modo che accadendone il bisogno la B.
sua per ridurre questa alteratione di Perugia a quiete et concordia di
quella città se ne possa valere, ete.: Noi, come quelli che siamo stu-
diosissimi di satisfare alla B. S. in ogni occorrentia, subito che ci fu
noto questo suo desiderio, scrivèmo al prefato Conte imponendoli che

99
440 G. DEGLI AZZI

stessi in ordine et che per niente non si partissi, benchè prima li ha-
vessimo dato licentia che potessi transferirsi a casa sua, chè così ci
È haveva richiesto con grandissima instantia. Et certamente la prefata
S. si può promettere di noi ogni cosa, come di suoi obsequentissimi

figluoli », etc.
18. — A S F. Med. av. Princ., LIX, 91.
Lorenzo de’ Medici al Lanfredini.

Firenze, 1488, Nov. 9.

: « Stamani ricevute le vostre et data la lettera agl' Octo, subito si
deliberó, secondo che doverrete intendere per lettere dell'ufficio, di sa-

tisfare interamente a quello che ha richiesto N. S.; èssi seripto al Conte

che havea obtenuto licentia d'andare insino a casa che soprassegha et

stia a ordine sanza
meglo che il Conte
la facessi intendere
et loro a uno tempo diffidando del Papa et di noi, non facessino di
pensieri di aiutarsi forse d’altronde. In facto el Conte farà quanto gli
sarà ordinato da N. S. o da chi sarà a Perugia per la Santità Sua ; et
di questo lo accertate; ma è bene che intendiate il respecto che ci ha

specificarse però la cagione, perchè a me è paruto
non intenda la intentione nostra, acciochè quando
a’ Bagloni, le cose non peggiorassino conditione;

mossi a non chiarire al Conte la intentione nostra: credo doverrà sa-
tisfare a N. S.; se pure volessi altro, subito che da voi ci sarà nuovo
adviso, s'exequirà con la voluntá di S. Santità: a ogni modo non si
perde tempo perché inanzi che '1 Legato sia a Perugia o che, '] Conte
se havessi a operare, ci sarà vostra risposta. La lettera pubblica do-
verrà satisfare a N. S. et fare quelli effecti che mostrate per la vostra
desiderare. In facto accertate S. Santità che ’1 Conte et tucte le nostre
forze saranno sempre a ogni dispositione sua, perche non habbiamo
maggiore capitale, nè cosa che hoggi stimiamo più.

Subito al primo adviso vostro, per la lettera del primo missi a ca-
vallo ser Nicolò con ordine che facessi quanto messer Mauritio li or-
dinava et dipoi el Legato; émmi paruto advisarvi prima che qui s' è
facto molto largamente quanto havete ricordato et così si farà in fu-
turo. Hora vi dirò quanto mi occorre in questa parte.

Benchè creda a questa hora intendiate il seguito delle cose di Pe-
rugia, et come gl'Oddi in tucto sono exclusi et della città et del con-
tado, tucta volta vi mando con questa una lectera che ho dal Conte,
per la quale intenderete quanto lui ha facto, et benchè a me paia
che le opere sue non sieno sute di qualità da dare carico o a sè 0 a
"rem



IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 441

L]

noi, pure quando questo non fussi vero, sapiate come la cosa è ita
sanza coscientia e intentione nostra. Era più officio del Conte et a me
sarebbe piaciuto più che si fussi stato nelli alloggiamenti sanza tra-
vaglarsi nelle cose d'altri perché in questo non poteva per capo nis-
suno essere carico: pure la cosa è qui et a me pare questi Bagloni
debbino havere molto bene fortificato hoggi lo stato loro et assicurato
sé in Perugia. Crederei fussi bene per hora attendere a dissimulare
con loro né fare alcuno segno che dessi loro alteratione o sospecto, né
mi piace il mandare in là gente d'arme perché le poche non possono
sforzare, le assai non possiamo mettere ad ordine, lascerei andare. Il
Legato el quale per la prudentia et auctorità sua doverrà ritrarre molto
bene in che termine restano quelle cose et che remedio o modo de ac-
concio hanno, et la dispositione in che sono Perugini, potrà andando
sanza gente d'arme havere più fede co’ Bagloni et resteravvi più luogo
alla industria et sarà chiaro *quello che possa la forza. Insino a questa.
informatione a me non pare bene che ’1 papa mostri essere malcontento
di questi Bagloni, et la ingiuria dell'arsione della cassa et delle borse
si vorrebbe dissimulare et mitigare; et per questo respecto anchora
m'é paruto meglo che ’1 Conte non intenda la dispositione nostra.
Sammarco doverrà tornare in questo mezo et potrete intendere la opi-
nione sua; eía me piacerebbe molto che questi inconvenienti sveghias-
sino almeno N. S. a riordinarsi, perché da questo nasce questo disor-
dine di Perugia et nasceranne degl’ altri, et come per altre mie havete
inteso, essi hanno ragione a non si risentire in servigio del Papa,
poiché.'] Papa non si risente in servitio proprio. Ho decto fedelmente
quanto me occorre, col proposito però di non manchare in cosa alcuna
a quello che piacerà a N. S., ma a me pare molto pericoloso il susci-
tare nuovo incendio, et come io non ho mai temuto che ’1 Re debba
rompere guerra a N. S. apertamente, cosi mi pare che non lascerebbe
una occasione come é questa di travagliare le cose di S. Santità.
(Prosegue parte in lettera, e parte in cifra, ma d'altre cose non
relative a Perugia).
Floren. viiij Novem. 1488.

Lorenzo de’ Medici ».
14. — A C P. Ann. Decem.

[e. 93 r.] 1488, Nov. 9.

Deliberandosi « super creatione oratorum destinandorum ad excel-
sam Comunitatem Flor. ac etiam ad Mag.cum et illlmum virum Lau-
rentium de Medieis civem florentinum occaxione rumoris et novitatis

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S Made einge - ia v eA
449 1 G. DEGLI AZZI

nuper facte inter cives et nobiles huius civitatis et ad obviandum multa

que ex dicta de causa evenire possent pro pace et quiete et unione

civitatis prediete et presentis pacifici et tranquilli ecclesiastici status no-
bilium », i Priori di Perugia eleggono Mariano Baglioni con questi
punti:

1.° Si presenti ai Priori di F. e raccomandi loro i Priori di P. e
i Dieci, tutta la città in genere e in specie « el presente ecclesiastico
stato dey gintigliomene, a le loro ille sig.rie deditissime e devotis-
sime ».

2.° « Per voce viva notificare debbia a le loro ill. S. como per
questa repubblica sonno state facti ribelli per loro enormi demeriti e
seditione e perturbatione del pacifico stato de questa repubblica de Pe-
roscia, recontando subcinte et cumulatim li loro pestiferi costumi e como
loro sonno stati principio e causa de questa novità ».

3.° « Rememorare a le loro Ille sig.rie la lega facta tra quella
excelsa rep.ca e la nostra la quale non se dubita le loro ilLe sig.rie
intendano mantenere et inviolabiliter observare per lo advenire como
per lo passato: e perchè nella ditta lega inter cetera ve è uno capitulo
che li ribelli de Peroscia non debbiano possere stare nel destrecto o
territorio de Fiorenza da la cità de Fiorenza verso Peroscia, se pregha
con instantia le loro excellentie se degneno quello capitulo observare
nelli dicti ribelli fatti de novo e in questo fare omne insistentia con
honestà possibile si serà de bisogno ».

4.° « Visite la excellentia del Mag.co Lorenzo dey Medice da
parte de' Priori efc., e recomande a sua excellentia questo nuovo pre-
sente stato e quello degni recomandare a la S. de N. 5. et intercedere
che S. B. per sua clementia se degne exaudire le iuste supplicatione
sonno porte a S. S. per li oratori mandati per questa Comunità la
quale tucta, e maxime el presente stato, ha grandissima fede e devotione
in sua mag.ca sig.ria ».

[Durante il mese d'Ottobre nulla negli Annali Decemvirali di Pe-
rugia è notato circa il tumulto].

15. — A S F. Otto di Pratica. Respons., VI, 149.
Il Lanfredini agli Otto.
Roma, 1488, Nov. 13.

Narra che, avuta la loro de’ 9, si presentò al Papa, «il quale tro-
vai in lecto impedito da un pocho di gotta in uno dito del pie’; et si-
445

IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC.

gnifichai alla S.tá sua la risposta delle S. V. circa la requisitione' di
S. S.tà di fare stare provisto et in ordine il Conte di Pitiglano alle
stanze sua di Cortona perché possa servirsene bisognandoli per lo as-
setto delle cose di Perugia, et così li lessi quanto le S. V. mi commettono.
Ringratiò le S. V. della presta risposta et satisfatione di quello desi-
derava, et d'altro non mi ricerchò.

Il Rev.mo Card.le di Siena, Legato di quello luogho, è partito, et
per la sapientia et auctorità sua doverrà posare quelle chose: per ben
che, per quello s' intende, pare che piglino pacifica resolutione. GI' Oddi
ne sono fuora per via d’acordo, come le S. V. debbono essere avi-
sate », ete.

16. — A S F. Med. av. Princ., LIX, 60.
Nicolò Michelozzi a Lorenzo de’ Medici.

Città di Castello, 1488, Nov. 14.

« Questa mattina venendo a Castello et qui presso a la porta ho
havuta la vostra delli XI, risposta a la mia de li 8....; però non
mi parendo da fare altro quì, domattina me ne tornerò a Perugia.

Inanzi la partita mia di là tornò Ridolfo, col quale fui a lungho:
et trovai in lui una sviscerata dispositione verso di voi; parla per lo
ordinario uno poco più largho che Guido, et ha più del liberale et com-
pagnone; et insomma è tutto vostro; et vi pregha di cuore che met-
tiate il pensiero in quelle cose loro, le quali sono più vostre che loro,
et le indirizzate a quello camino’ che vi pare; chè se li facessi inten-
dere che andassino tutti per lo pane et a casa del diavolo, che lo fa-
ranno; et in ultimo mi disse questo: Scrivi a Lorenzo che questo stato
lo voglamo per noi et per lui, et così lo terrèno insino a la morte; et
quando non possiamo più, ci farèno a la tale porta, mostrandomela,
chè eravamo in luogho alto, et cireundando tutta la città, tutta la abru-
ceremo, che non ci rimarrà pietra sopra pietra; poi con 12 o XV mila
huomini ce ne verréno ad habitare in quello di Firenze, dove è tutta
la nostra fede, etc. Io lo confermai con quelle cose che mi diceste, et
promissi di scrivervi come fo, nè m'è parso da tacere queste dimostra-
tioni, le quali sono molto grandi.

A Perugia hebbi la vostra piccola, e prima da me me ero inge-
gnato se potevo intendere che quivi sia stato altro che contentioni ci-
vili, nè mai ho potuto havere uno minimo riscontro: anzi intesi alcuni
particulari de’ modi di queste contentioni che mi hanno confirmato che
queste cose non sono uscite della terra se non per partigiani. Stamani
444. G. DEGLI AZZI

qui in Castello, accennandone qualche cosa, benché da lungi, a Ca-
millo, mi intese subito et dissemi: Di' a Lorenzo che tengha per certo
che non vi è stata alcuna intelligentia d’altri; et perchè ragionevol-
mente si debbe più dubitare del Re che d'altri, afferma a Lorenzo che
del successo di Perugia e' Bagloni non havevano pure dato aviso a
Hastor figliuolo di Guido che sta col Duca. Dissemi bene apresso che
vi accertassi che questi Bagloni, se sono abandonati da quelli in chi
hanno fede, et che il Papa li perseguiti, nonchè altro si daranno al
diavolo dello inferno, perchè non voglono lasciare lo stato in modo al-
cuno ; et quì mi confortò assai che vi ricordassi ad interporre l’ opera
vostra col papa et a dirizzare queste cose a quello camino, mostrando
che non sia fuor de’ propositi vostri, ecc.; et affermando che nessuno
poteva meglo farlo che voi. Dissemi apresso che el papa ha apresso
alcuni che in queste cose di Perugia non restano di seminare triboli,
et nominòmi el Doria et lo Arrivabene, et di questo ultimo disse che
non era punto bene aconcio e che non li pareva homo da governo,
maxime delle cose pertinenti al stato; et mostrò quasi maraviglia che
lo havessi lasciato salito su, ecc.

Questo medesimo mi disse a questi dì meser Cesario (?), ma perchè
mi parve passione, non ne feci caso: hora havendone questo riscontro,
m'é parso che lo sappiate.

Dissemi ancora che sa che qualche Cardinale, come desideroso di
havere il Papa con travaglo, metterà legne in sul fuocho, ricordando
che hora si faccia paragone di noi et proverrà di favori richiedere in-
sino delle genti d'arme per vendicare questa ingiuria fatta a la Chiesa;
et allegòmmi delli exempli passati et della natura de’ cardinali molte
cose concludendo che sa che voi sapete et intendete più cose che que-
ste et meglo : et meglo l'adirizzerete che lui non saprebbe ricordare, et
li pare se queste eose di Perugia si assidano dalla banda del Papa,
havendo li Orsini provista questa terra, le cose vostre siano al netto,
et molte altre cose simili, che le intendete meglo che io non le scri-
verei; et per 2 o 3 riprese mi ha accertato che a Perugia non è stata :
altra intelligentia.

Parlàigli della intelligentia con Urbino secondo l'ordine vostro, et
dissemi che era vero che haveva ricordato et ricorderìa sempre che si
intendessimo bene insieme per essere quello stato molto coniuncto et
apresso siti di Perugia et di questa terra, ma non pensó mai che si
‘havessi a fare capitoli o contracti: solo intendersi insieme come buoni
amici et vicini; et che si haveva trovata quella amicitia d'Urbino sem-
pre utile, insino quando erano fuori di casa, che furono serviti amo-
revolmente di quello che ancora non hanno renduto in tutto.
TT

IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 445

Piacqueli in questo il iuditio vostro, il quale farò intendere a quelli

Bagloni, come sono tornato a Perugia, et di quello piü che ritragha,

vi aviserò. :

Per rispondere hora a la vostra ultima, io ho dubio che voi non
dubitiate che questi ecclesiastici di Perugia non sieno in qualche so-
spetto di me. Io di messer Mauritio non dubito punto perché é buona
persona et oltra quello che li scrivesti voi nella lettera di eredentia et
che li ho detto io molte volte, mi pare peró che ha qualche volta ae-
cennato che ne habbi riscontro da Roma, et dal Papa sia causata la
sua venuta, non da alcuna altra cosa: peró da questa banda mi pare
che possiate levarvi il suspecto : dal canto di messer Sinolfo che é quello
che voi dite da Castello Otthieri, non mi pare essere cosi bene chiaro
perché al primo mio arrivare mi disse, come vi scrissi, che io potevo
tornarmene per essere quelle cose rendute in buon termine, ecc.

Io notai quella parola, et peró sempre in giustificatione vostra mi
sono fatto più prompto; et ogni di due volte o più o almeno una, mi
sono di nuovo, come ho saputo dextramente, mostro d'esservi et per
conto ed ad requisitione del papa et in beneficio di sancta Chiesa, stando
con loro ad lunghi ragionamenti di queste cose, cioè di quello si possa
sperare da Roma, ecc., et mi pare in questo havere satisfatto a me; a
voi non so se mi (sic) ho satisfatto: io pure lo desidero.

Et quanto a lo havere io visitato prima Guido, vi dirò che vi hebbi
rispetto: andàvi in stivali, di notte una hora e !/,; et l'osteria dove
sono aloggiato è a due case presso a quella di Guido; et parmi esser
certo che questi ecclesiastici non lo sappino, chè non sapevono la ve-
nuta mia se non la mattina; ché delle cose della terra si travaglano o
poco o non punto, et lasciano governare.a costoro.

Et Guido ancora quando li arrivai innanzi non sapeva che vi fussi ;
di questo ne sono io certo come della morte. Pensàci uno pezzo prima
et poi consulto mi parve da andarvi, trovando le cose loro in tale fa-
vore che mi parse guadagnare et non perdere. Et questo sono certo
che non vi può havere dato caricho a Perugia; se altrove ve ledessi Ta
venuta mia, a questo non posso rimediare io. Messer Sinolfo, se è quello
che dite, et io il credo per qualche altro riscontro, può fingersi et in-
sellarci in aria a suo modo, et aiutare il male: et fariaselo a ogni
modo. Io nondimeno ho vivuto seco molto alla dimestica, et perché egli
è otioso et io, stiamo il più del tempo insieme a ragionare, et è huomo
da chi si trahe più presto che si metta cosa alcuna. Con messer Mau-
ritio si fa alla mutola tutto il dì; et io nondimeno lo fo spesso per il
rispetto sopradetto.

L'andata mia a Castiglione del Lagho fu solo per aboccarmi col
G. DEGLI AZZI

Conte intendendo dal sig. Rinucino che era in possessione del castello,
et credetti trovarlo vóto delli Oddi per intendere da lui qualche cosa
delle conditioni della terra...

Neanche là mi parve fare cosa alcuna onde possiate haverne ca-
richo. Se il Conte fussi ito un poco più oltre lui che il convenevole,
non so, ma vi fo fede che li Oddi mandòrono per lui, perchè erano a
l'olio santo, et haveria viso di restarvi tutti presi; et del fare bene
non debbe essere lacerato.

A la tornata mia a Perugia di nuovo farò intendere a quelli ma-
gnifici Bagloni quanto mi scrivete: hòllo fatto molte volte et farò di
nuovo; ma insino non vengha altro da Roma, non sono richiesti di
cosa alcuna, et sono disposti mostrarsi veri ecclesiastici in ogni cosa,
excepto che lo stato voglono per loro; ogni altra cosa faranno alla
abandonata et potissimum per ricordo vostro; et così mi dicono fran-
camente in ogni cosa che ricorderete.

Non so che mi dire altro; da Perugia, se io non vi havessi strac-
cho con questa, vi riscriverò.

In Città di Castello, Venerdì a dì 14 di Novembre 1488, a mezza notte
Servitor
Ser Nicholò vostro »

17. —A S F. Med.-av. Prínc., LIX, 92.
Nicolò Michelozzi a Lorenzo de’ Medici.

Perugia, 1488, Nov. 14.

« Copia d’uno capitulo a Lorenzo de’ Medici in lettera di Ser Ni-
colò Michelozzi da Perugia de’ di 14 » (1).

« Io mi sono forte ingegnato di intendere se qui sia stato altro che
contentione civili: nè mai ho potuto havere uno minimo riscontro, anzi
ho inteso alcuni particulari de’ modi di queste contentioni che mi hanno
confermato che queste cose non sono uscite della terra se non per par-
tigiani: et accennandone qualche cosa con Cammillo, benchè da lungi,
mi intese subito, et dissemi: « Dite a Lorenzo che tenga certo che non

(1) Questa lettera sembra una copia dell’altra scritta dal Michelozzi a Lorenzo
questo stesso giorno da Città di Castello; ma, oltre la diversità del luogo di spedi-
zione, vi sono altre differenze sostanziali assai rilevanti, talehé m'é sembrato op-
portuno di pubblicare anche questa, che in molti punti serve di complemento e
spiegazione alla precedente, e rivela nelle varianti che v'introdusse il Magnifico (il
quale la trascrisse per mandarla ad altri) l'animo e le intenzioni di lui.
IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC.

c'è stata intelligenza con altri. Et perché ragionevolmente si debba più
dubitare del Re che d'altri, affermate a Lorenzo che e’ Bagloni non
havevano pure dato adviso a Hastor figluolo di Guido che sta col Duca,
et fui io che ne li ripresi, et fecilo avisare di tucto per non fare per-
dere in [tutto] il eredito a Hastor col Duca ».. Dissemi bene apresso che
vi facessi certo che i Bagloni, se e' sono abandonati da N. S. et S. S.
gli perseguiti, nonché al Re, si daranno al diavolo dello inferno, per-
ché non voglono lasciare lo stato in modo alchuno, et pregómmi che
vi ricordassi et pregassi ad interporvi col Papa ad adirizzare queste
cose a quel camino, monstrando che e' non sia fuora de' propositi di
S. Beatitudine et affermando che nessuno può meglo farlo di voi per lo
interesse che havete con N. S. né persona debba havere meritamente piü
fede; quasi dimonstrando che nol facendo et non ve ne adoperando sarà
perché vi ricordiate del tempo di Sixto, et non voglate conservare questo
stato et li visi (?) son tutti sollevati et con l'animo in aria: et benchè
voi non habiate bisogno di ricordo, et meno di consiglo, amando, come
fate, la quiete di Italia et il pacifico stato di N. S., credo farete utile
opera ad adoperarvene per cavare a costoro ogni fantasia e suspitione.
Dissemi apresso che N. S. ha apresso di sè alehuni che volentieri se-
minano triboli, et nominòmmi il Doria et lo Arrivabene; et in questo
ultimo disse che non era puncto bene aconcio et non li pareva huomo
da governo, maxime delle cose di Stato, et precipue dello ecclesiastico,
et monstrò quasi maraviglarsi che voi gl'havessi prestato favore. Et
messer Cesaro a questi di mi disse questo medesimo: ma perché mi
pare passione, non ne feci chaso ef non ve ne seripsi; havendone que-
sto riscontro, m'è parso di non lo tacere. Dissemi anchora che sa che
qualche Cardinale, come desideroso di havere il Papa in qualche tra-
vaglo, mette legne al fuocho ricordando che hora si faecia paragone da
voi; et proverrà di farvi richiedere insino delle genti d' arme per inpi-
glare una volta qualche favilla di fuocho; chè il resto fa poi la natura ;
et allegòmmi molti exempli passati; et della natura de’ Cardinali molte
cose, coneludendo che sa che voi sapete meglo di lui et potete fare
del bene et del male assai.

Parlàgli io havere sentito non so che intelligentia con Urbino. Dis-
semi era vero; che haveva ricordato et ricordava sempre che e’ s' inten-
dessino bene insieme, per essere quello stato molto congiunto et molto
à proposito di Perugia et di Castello. Ma non pensó mai che si facessi
capituli o contratti: solo intendersi insieme come buoni amici et vicini.
Et che e' si haveva trovata quella amicitia di Urbino sempre utile, in-
sino quando erano fuora di casa, che furono serviti amorevolmente di
quel che anchora non ha renduto.

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Wu RN NON

ae 448 G. DEGLI AZZI

Dissemi havere sentito da Roma che la mia venuta quì è causata
da N. S., et veggho ne stanno un pocho sopra di loro; et perchè mi
pare di bisogno levare loro ogni ombra et suspitione, io ho cerco di
mostrarmi molto et con Guido et con Ridolfo per seminare bene et al
proposito .di N. S. come fu la commissione vostra. Visito spesso el si-
gnor messer Mauritio et fin quì non mi ha ricercho di cosa alehuna.

Messer Sinolfo è stato con qualche ombrezza forse eredendo che io
era venuto qui per altro: e ’1 primo di mi disse potevo tornarmene ad
chasa. Et sinonché io credo esserci con piü affectione di lui al servigio
di N. S., gli harei risposto a proposito. Io notai quella parola: pure
ci doverrà venire el Cardinale et conoscierà che voi siete huomo del
Papa et buono ecclesiastico, come quando si venga a’ fatti si sa che
sapete et potete fare: et non sete uso a simulare, ma a observare le
semplice parole piü che altri gli instrumenti.

Le cose di questi Bagloni sono in tal favore che credo sia gran
prudentia a pigliare la spada pel manicho: hora io non so che rela-
tione s'abbi dato messer Sinolfo di me; voi mi conoscete che sono uso
di vivere netto, et spero di questa mia venuta con verità acquisterete.

Di nuovo farò intendere a questi Bagloni per parte vostra che e’
voglino essere buoni ecclesiastici: benchè più volte mi habbino detto
che aspettino d’essere richiesti per dimostrarsi veri et buoni ecclesia-
stici in ogni cosa; purchè lo stato non sia loro violato, faranno ogni
cosa alla abandonata, tanto più ricordando lo[ro] la Magnificentia vo-
stra in chui dimostrano confidare, non stante le ombreze che nelle cose
di stato non si può fare con mancho ».

18. — A SF. Otto di Pratica, Responsive, VI, 150.
Il Lanfredini agli Otto.
Roma, 1488, Nov. 15.

Conferma quanto disse nella sua del 13, sperando che Perugia
tornerà a quiete e a devozione della S. Chiesa, « come quella terra è

“consueta et come è il naturale di quelli Bagloni », efc.

19. — A S F. Otto di Pratica. Missive, VII, 85.
Gli Otto al Lanfredini.

: Firenze, 1488, Nov. 17.
« Non si conviene che la S.tà del Papa ringratii di quelle cose
facciamo, obligati per grandi et molti meriti della B.ne Sua. Il Conte

i LR
e cue: t,

Cm

IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 449

di Pitigliano sta preparato a Cortona colla Compagnia per fare tucto
quello ehe dalla S.tà S. sarà ordinato; et cosi se in quelle cose di Pe-
rugia o in altro possiamo fare cosa che le sia grata, ci troverà sempre
dispostissimi a fare tueto quello che sia a beneficio et commodo della
S. S.tà e di quella S.ta Sede.

Al proposito di queste cose di Perugia ci occorre darti notitia per-
ché la tenghi in te et nolla comunichi con alcuno altro che, per quanto
ser Nieoló Michelozzi ne scrive, le cose della città al presente sono
del tutto posate et fuora di tomulto, et quelli Bagloni monstrano una
buona dispositione et volontà di volere vicinare bene con noi et essere
buoni nostri amici et preghano vogliamo pigliare la parte loro apresso
la S.tà del Papa e pregarla si degni riceverli a gratia, et a per-
suasioni et richieste di chi è fuora non mettere quella città in nuovi
travagli et disfarla, ete. Noi, non intendendo in queste cose di Perugia
la mente della S.tà del Papa, non siamo per inclinare in parte alcuna
nè per fare se non tucto quello che stimereno piaccia alla S. S.tà ;
peró haréno caro per la prima tua lettera ci renda particularmente ad-
visati ad che camino la S. S.tà si adirizza in queste cose di Perugia,
acciò che noi sappiamo meglio come ci governare circa la requisitione
fattaci per decti Baglioni et ogni altra cosa che occorressi et questa no-
titia, come di sopra ti si dice, terrai in te ».

20. — A S F. Med. av. Princ., LIX, 65.
Nicolò Michelozzi al Lanfredini.

Perugia, 1488, Nov. 18.

« Mag. co ambasciatore. Voi mi havete pure confinato in Perugia

a vostro modo. Seripsivi allo arrivare mio qui et non havendo risposta,
stimo che non sia venuta salva: forse verrà questa. Come voi havete
inteso da Firenze, di subito a lo aviso vostro, Lorenzo mi invió qui
dove in presente a la S. de messer Mauritio et a messer Sinolfo da
Castel Ottieri nuovamente mandato commissario da la Santità del Papa;
fra loro intenderó la cagione per che venni, chè tutto era ad requisi-
iione di N. S. per fare se potessi o sapessi in servitio di Sua Santità
ogni cosa di che fussi richiesto da loro S. — Ricevettonmi molto vo-
lentieri et con gran carezze et in causa tutti et insieme et di per sé
più volte dopo il ringratiare il mag.co Lorenzo di questa sua santa
opera, dissono che insino non veniva di costà questa cosa piü oltre
non saperebbono che farsi, essendo maxime queste cose redutte a buon
termine del male et quiete. A questo modo siamo stati alcuni giorni
450 G. DEGLI AZZI

ad aspettare, et tandem Domenicha a dì 16 molto honoratamente entrò
qui el Rev.mo Sig. Legato Cardinale di Siena: al quale et innanzi a
la entrata et nella entrata et poi più volte mi sono apresentato et
fattoli, come ho saputo, intendere la cagione perchè ci sono, offerendo
l’opera mia, ete., benché dove fussi sua Rev.ma Signoria poco facessi
mestieri di opera mia o di altri miei pari, pure come homo del mag.co
Lorenzo mi offerivo, se credito alcuno havessi sua M.tia con questi
gentili homini, di mettercelo a campo tutto in servitio et beneficio de
la Santità di N. S. et di sua Rev.ma Signoria per assetto di queste
cose. Hammi ricevuto molto amorevolmente et fattomi infinite carezze
et hieri tutto giorno li stetti apresso, chè volle che io desinassi seco;
niente di mancho havere non: voglo quello ad che mi possa essere
buono per non mi essere detto altro, et se si havessi a fare a questo
modo, non so se la stantia mia quì fussi molto con honore del mag.co
Lorenzo.

So bene che in questi principii S. S. R.ma può poco fare altro
per essere occupatissimo in audientie, le quali ne’ principii la più
parte sono generali. Doverràssi da mo’ innanzi discendere a’ particu-
lari, et io li sarò sempre apresso, non mancando de officio o de obse-
quentia alcuna mentre ci starò, ché ci starò quanto voi vorrete, perchè
da Fiorenza sono rimesso a voi per la licentia, perchè di costì nascha
la partita mia donde procedette la venuta: però quando voi vedrete
che la stanza mia sia vana, non mi ci fate logorare altro che il tempo
et dico el mantello del padrone al quale è bene conservare, ete. Ho
fatto intendere al Rev.mo Legato distintamente tutto quello che ho
ritratto mentre sono stato qui: et per farne parte a voi, vi dico che
questi Bagloni veramente sono sì buoni ecclesiastici quanto non so se
sapessi desiderare più se bene io fussi papa: et di questo ne ho tanti
riscontri che me ne pare essere certissimo et certo ci si può fare fon-
damento. Apresso sono dispostissimi in ogni cosa fare ogni segno di
obsequentia et servitù verso N. S. sanza alcuno riservo, excepto di
una cosa, et questa è che non vorrebbono essere messi in luogho che
portassino pericolo dello stato el quale voglono conservarsi a ogni
modo ad honore et grandezza di sancta Chiesa. A questi effetti potrei
dirvi molte cose, ma questo vi basti et questo tenete per fermo. Io
non so che opinione sia costì di queste cose; credo bene che de’ so-
spetti siano sì atorno assai, ma se non sono ingannato, sono tutti
sanza fondamento, et non vorrei che il sospetto facessi, come suole,
piglare qualche partito non punto bene a proposito. Confortovi ad
aprire bene li occhi et a chiudere li orecchi a chi volessi o malignare
o travaglare, etc. Bastivi insino a quì, et forse é troppo a me, ma con

OSARE ASIA IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 451

voi non mi pare poter errare. Cosi vi pregho facciate masseritia di
quello vi pare et con chi vi pare, ché so mi intendete meglo che io non
saprei scrivere. Non vi dico niente de’ conforti ho fatti a questi Ba-
gloni in nome del padrone perchè si conservino il papa, et la Chiesa,
che sono stati assai, ma vani del tutto perché costoro mi sono innanzi
assai, et si sono piü caldi di noi, come quelli a chi piü toccha. Non

nenti

] so che mi vi dire altro. A voi mi raccomando.

In Perugia a di 18 di Novembre 1488.
Vostro tutto serv.re
Nicoló Michelozi ».

i (Senz' indirizzo; — a tergo riprende :)

x « Poi che hebbi scritto, è occorso che hoggi el R.mo Legato ha-
vendo chiamato a sé Guido et Ridolfo Bagloni, fece chiamare ancora
me, et vóle per humanità sua, chè ad altro non lo ascrivo, che io mi
ci trovassi, et cominciò a discendere a’ particulari delle commissioni
che haveva da N. S., et exposele con tanta efficacia et caldezza et
con tanta dexterità che io ardirò di dire che poche volte habbi udito
parlare più accomodatamente. Quali sieno le cose che expose non vi
dirò perchè stimo vi siano note: et questo non voglo tacere che nel
parlare fece honore al nostro Lorenzo di havere presa questa cura di
4 mandarmi, monstrando che fussi gratissimo a N. S. et veramente farà
l’officio di buon Legato, nè io crederei che si potessi havere fatta, per
tanto che viva, meglo l'opera che fece. Rispose Guido molto -dolce-
mente et accomodatamente et benchè sanza ordine, disse nondimeno
di molte cose in iustificatione sua, prima commemorando la devotione
di casa sua verso santa Chiesa, in che disse di molte cose le quali io
credo che siano vere affirmandole in tal maniera in presentia del Car-
1 dinale; et se sono vere, veramente quella casa merita assai da santa
E Chiesa. Apresso in giustificatione di quanto lo haveva accusato il Le-
; gato che haveva manchato di fede a N. S. a quello li promisse a la
: partita sua, perchè questo tocchava a lui proprio, si giustificò molto
lungamente monstrando particularissimamente tutto il processo et suc-
cesso di questo caso: nel quale a ogni passo mostrò non solo havere
servata la fede data a N. S., ma fatto molto più che non promisse a
la necessità che li fu fatta dalle insolentie delli adversarii. Il che ve-
i ramente io ho riscontrato da molti forestieri che ci si trovòrono et tutti
; ne parlano per una boecha ad laude di Guido et vituperio di chi é
fuore. Scusò l’abruciamento del saccho essere stato fatto dal populo
sanza loro volontà, et che furono necessitati a piglar l’ arme perchè
esso populo non abruciassi altro che il saecho. Disse che quelli Priori,
492 G. DEGLI AZZI

per essere stati fautori delli Oddi, da loro stessi abandonòrono la terra
la più parte, nonchè il palazzo; et che i nuovi Priori, non potendo
adoperare il saecho abruciato, furono fatti di consenso et permissione
del Sig. Mauritio, et simile i Dieci, el quale offitio disse essere cosa
consuetissima et antiquata nella città in ogni simile caso, come ne sono
pieni i libri della Cancelleria, et molte cose simili. Tandem perchè il
giorno mancava, per allora si pose fine con ordine di essere ogni di
alle mani tanto che a tutto si dessi forma ad satisfactione della mente
di N. S. et ad quiete et pace di questa terra, come credo certamente
che succederà perchè non ci vegho altro che sincerità et observantia
verso cotesta sancta Sede, et crediatemi di questo chè non lo dico sanza
fondamento et sanza haverne veduto qualche cosa altrimenti che ap-
parente. Et io ad questo ci ho havuto ad durare poca faticha, chè per
costoro si va naturalmente, a dirvi il vero realmente, et voglatemi tenere
partigiano o nò, chè non le direi per Lorenzo de’ Medici, nonchè per
costoro, bugie di questa sorte. Questo di nuovo non voglo anche tacere
che il Cardinale ha fatto tanto vivamente l’officio del buono prelato et
tanto ecclesiastitamente, che in queste conditioni qualche volta nel
dire suo mi parve troppo ; et dicasi o credasi costà quello che si vuole,
chè io vi dirò come soglo da miglore senno che ho; hovi voluto fare
questo pocho del discorso per rispetto de quanto scrivo nell'altra fac-
cia et perchè non habbiate costì d’ogni cosa ad dimandare altri. Pure
vi ricordo la licentia mia: et a voi di nuovo mi raccomando. A dì detto,
a 4 hore di notte. Avisatemi se havete havuta l’altra mia ».

21. — A S F. Otto di Pratica. Miss. VII, 86 r.
Gli Otto al Lanfredini.

Firenze, 1488, Nov. 20.

« Alle tue de’ xv non accade altra risposta, se non che sempre
pigliamo grandissimo piacere quando conosciamo in decto o in facto
potere in parte alcuna gratificare alla S.tà del Papa, etc.

Le cose di Perugia, per quanto intendiamo noi di quà, doverrànno
pigliar buona via et posare pacificamente mediante la buona natura
et singular prudentia del R.mo. Legato Card.le di Siena nella quale
provisione la S.tà del Papa ha veramente dimonstro la somma bonità
et sapientia sua, et noi haréno caro essere bene certificati della mente
sua in queste occurrentie per poterne accomodare a quello che inten-
diamo essere secondo la intentione di sua Beatitudine ».
t Mana ii TI SOLITI LIRA Nd
- T Mentre mmm err

IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC.

2. — A S F. Otto di Pratica. Hespons. VI, 156.
Nicolò Michelozzi agli Otto.

Perugia, 1488, Nov. 23.

« Mag.ci, etc. Scripsi ultimamente a V. S. a di xviij tucto quello

che mi occorse di queste cose. Dipoi è occorso poco altro: perché que-
sti perugini stanno pure in su le giustificationi nella forma che scripsi
a V. S.,etil Card.le in su le petitioni predette, sperando, come li pare
conveniente, che costoro debbino inclinarsi alla S.tà del papa; et alle
tante qualche cosa di quello che hanno giustificatamente risposto. Et
quasi ogni giorno siamo stati in su queste agitationi sanza alcuno
frutto per insino ad hora, et sanza aleuna conclusione. Et la cagione
mi pare più che per altro che proceda che la S. R.ma del Legato ha
scripto a Roma tutto quello che segui a di xviij, di che detti particu-
lare notitia a V. S., et ne aspetta risposta, sanza la quale male li pare
poter risolversi, la quale risposta non doverrà tardare troppo, ed io
d'ogni successo daró particulare aviso a V. S. Hoggi nuovamente sono
stati questi mag.ci Priori da S. R.ma Sig.ria per sollecitare che si pi-
gli forma a questi usciti perchè non sieno in queste circumstantie, ae-
ciocchè, rimossi li usciti de’ luoghi suspetti, si possino levare le arme
del tutto de la terra et provedere et levare infiniti altri inconvenienti
impossibili a levare stando loro nelle cireumstantie. Et apresso ricor-

dòrono che si cominciassi a piglare forma al saccho nuovo, perchè una.

altra volta non si habbi a provedere extraordinariamente, ricordando
che a di xx di Decembre si hanno a trarre e' Priori nuovi per calen

,

di Gennaio et infiniti altri magistrati, e’ quali ordinariamente sanza il
bossolo non si possono trarre, et simili altre cose.

La S. del Legato rispose commemorando le querele le quali altra
volta haveva facto per parte de la S.tà del Papa a che non li era stato
ancora risolutamente risposto cosa alcuna: di che si doleva assai; et
alle querele passate ne aggiunse alcune altre: come era che, incon-
sulto pontifice, havessino mandato costì ambasciatore, et forse altrove.
A che li fu risposto dolcemente che il mandare lo ambasciatore a Fi-
renze non era fuori del loro arbitrio, nè lo havevano mandato se non
per comunicare con li vicini et padri, come reputano le V. S., il suc-
cesso di queste cose ;et perchè le V. S. havendo in loro gran fede, la
S.tà del Papa aiutassino et raccomandassino la causa loro al Papa.
Dolsesi d'aleune altre zacchere di poca importanza, che per mon te-
diarvi non le scriveró altrimenti. Et tandem si vede che Mons. Legato
come ho detto di sopra, prolunga queste cose per aspettare risposta da

Pe E dee - as d A,

A a

*

Lor PAPA Sc RS 494 G. DEGLI AZZI

Roma: a la venuta della quale, se altro occorrerà, ne darò notizia a
VS ape:

P. S. — Non dico a.V. S. cosa alcuna delle amorevoli dimostrationi
et parole che continuamente questi sig.ri et gentili homini usano verso
V. S. perchè stimo che il loro amb.re habbi abundantemente facto co-
stì l’ officio suo et satisfactione a V. S.

23. — A S F. Med av. Princ., LIX, 10-11.
Nicolò Michelozzi a Lorenzo de’ Medici.

Perugia, 1488, Nov. 23.
« Per anticipare io cominceró a scrivere quello che mi occorre di
queste cose, maxime di quelle che mi pare havere commesse per le
altre mie, perche havendo voi aviso d'ogni particulare possiate meglo
iudicare di queste cose et adirezzarvi a Roma come vi parrà meglo.
Le petitioni del Rev.mo Legato ad partem del secondo di a questi
mag.ei Bagloni ad che io intervenni, come vi seripsi, furono queste:
Prima, in nome di N. S., si dolse molto di Guido in particulare
che havessi mancato della fede a nostro S., havendoli alla sua partita
da Roma promesso, se se retornava quà, non seguiria novità, et con
questa fede Sua Santità [....] Apresso si dolse della privatione de’ Si-
gnori che erano in palazo et della creatione non canonica de’ nuovi,
sanza autorità del superiore et chiese che i Priori fossino restituiti et que-
sti dismessi. Item che uno offlcio fatto qui de’ Dieci dello arbitrio, chè così lo
chiamano, essendo inconsueto et non legittimo et sanza auctorità del Papa,
sia disposto. Dolsesi dello abruciamento del saccho, et chiese che tornassi
su, chè ce n’ era el registro. Dolsesi della rottura delle prigioni nelle quali
era qualche debitore della Camera. Et postremo che fussi tolto l' officio al
Cancelliere, che era uno messer Stefano da Osimo, inimico di Bochalino
de chi so che avete notitia; et domandò che fussi dismesso il nuovo
che è ser Ieromino da Castello vostro noto, et renduto lo officio al vec-
chio. Queste furono le prime petitioni, et a queste ne sono aggiunte
dipoi queste altre: prima che qui, inconsulto pontifice, si fanno 200
provigionati in piazza, che li pare cosa molto aliena da terra subietta
al papa; apresso, che la terra è piena di sbanditi, et vorrebbe che si
mandassino via. Dipoi che Sterpeto, castello quà verso Scesi, che fu
anticamente del conte Iacopo Piccinino, che in questi tumulti è stato
tolto a uno Conte detto di Sterpeto, fussi restituito a detto Conte: et
questo castello si ha preso el conte Agnolo figliuolo del conte Iacomo,
et lo tiene come cosa apartenente a lui, come ne le risposte vi faró
intendere più apieno.

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UNSERE TANT

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IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 455

,

Guido Bagloni con grande ordine et prudentia rispose a tutte le
sopredette cose; et prima per iustificare sé della promessa » efc.

* . . . . . . . . . . . . er ATO
P ce

(IL brano che segue é riferito nel testo. Indi riprende :)
Queste furono le giustificationi di Guido a le petitioni del Cardi-
nale; et fu concluso quanto vi scripsi a di xviij pel cavallaro: che .si
examinassi et si vedessi in dies che fussi da fare, etc.

Le altre poi sono nate, quando una quando una altra: et le giu-
stificationi di costoro ad epse sono queste: che i fanti haveano fatto in sul
tumulto per sicurtà [....| loro et insino a tanto che li adversarii sono in
queste cireumstantie, sono constretti per sicurtà de loro fare come fanno:
ma se si absentano da questi confini, leveranno e’ fanti, manderanno
via li sbanditi, leveranno del tucto le armi della terra, et vedrassi in
questa città una santimonia et una observantia maraviglosa, benchè
per queste armi non ci si senta uno minimo strepito: nè poi che ci
sono ci sia mai sentito se non 3 o 4 sere sono in bordello, et questo
fu una frittella di pocha importantia.

Del mandare via li sbanditi, oltre le giustificationi predette, dicono
che questi tali che sono in numero circa 500, et si tirano dietro con le
loro famigle più di 2500 persone, non ci sono per loro conto, ma la
più parte per conto di questi gentili huomini, de’ quali ce n’è in parte
suspetti a loro, come è Bernardino de Costantino et altri: e' quali sa-
rieno fuori et erano: ma sono stati richiamati da loro: pure ci stanno
con sospetto et la più parte della fede loro è in questi sbanditi: et
quando questi Bagloni facessino uno cenno solo che si mandassino via,
dubiterebbono che non fussi per fare loro male. Pare preterea d’assai
momento questa cosa per conto proprio de questi Bagloni per non fare
con essi coda a chi è fuori: però havevano fatto fare qualche motto
che fussino ribanditi quelli che havessino pace et che fussino sbanditi
per minori colpe, etc.

Restaci solo il caso di Sterpeto, che, come ho detto, sta in questo
termine: el Conte di quello luogho in questi tumulti perugini venne
qui con 80 huomini in favore di questi Oddi et fu il primo di fuori
che si mostrassi in loro favore: ha lo stato vicino a le terre di questi
Bagloni verso Scesi, et costoro lo hanno havuto tanto a male, che fe-
ciono dipoi coda a questi figluoli del conte Iacopo, e’ quali si piglórono
quello eastello, e£ sónné in possessione: el Legato vorrebbe che si re-
stituissi et diee quello Conte essere in protectione del Duca d' Urbino ;
et quando non si renda, dice che si ha a suscitare nuovo scandolo
perchè il Duca d' Urbino farà forza, ete. Questi Piccinini havendo ha-
vuti più comandamenti dal Legato che lo lascino tandem, sperando

30
456 G. DEGLI AZZI

havere miglore conditione a Roma che [....| si sono reducti ad ire a
Roma et quivi farne la voluntà di N. S., et a questo è sieurtà Ridolfo
Bagloni, che quando al Papa paia che Sterpeto si restituisca, lo farà
restituire a due partiti. Questo pare che non satisfaccia molto al Le-
gato perchè vorria haverne lui honore di questo. Sta la cosa così et
il conte Agnolo Piccinino mi pare del tucto disposto di andare a Roma:
hammi preghato che ve lo raccomandi, deliberando di esservi servo, etc.,
con molte parole amorevoli, et mi ha preghato che li facci uno motto
a lo ambasciatore, et faròllo non mi parendo poter esser secho.

Queste sono tutte le discussioni che insino a questa hora si sono
agitate di queste cose. Quello che si habbi a seguitare non so: saprete
ogni successo. Non voglo tacere che alcuni di questi cittadini amici
però de’ Bagloni da parte mi si dolgono assai della modestia de’ Ba-
gloni, perchè vorrieno farla uno poco più vivamente, dicendo quello
che io credo che sia vero, che non sono somieri comperati al mercato.
Sonsi subiecti loro stessi alla Chiesa, et datosi con le conditioni le quali
dicono essere in pie’ et auctentiche, et vorrieno insomma che il papa
stessi contento a quello con che ha preso questa terra da loro, et il
resto.come sempre è stato pel passato inanzi a questo ultimo saccho,
lasciassi governare a loro, a loro modo, et allarganmisi molto circa
questo allegandomi i tempi et le scripture, etc. Et io li ho temperati
il meglo che ho saputo, laudando la modestia di questi magnifici Ba-
gloni, maxime di Guido, chè Ridolfo la faria un poco più vivamente
et più alla soldatescha.

Hora io per exeguire le commissioni vostre, del continuo sono stato
apresso a questi Bagloni, di commissione ancora del Legato, perchè,
se non in tutto, in qualche parte si satisfaccia a N. S. Citra tamen ete.
Et ultimamente ce è intervenuto Camillo Vitelli che ancora lui seguita
quella pesca che voi li mostrasti per Ser Tomaso, et aiuta assai que-
sta cosa: habbiamo discusso particularmente ogni cosa, et io per dire
qualche cosa mettevo innanzi che si satisfacessi al Papa circa i Priori
in questo: che al legato parevano questi non canonice electi col nome
di dio si dismettessino et di suo consenso si facessino altri Priori con-
fidenti, e£c. Apresso che l’officio de’ Dieci si levassi, parendomi che nella
una cosa et nella altra non potessi essere pericolo alcuno, et pure era
mostrare obsequentia, efe. Non piace a costoro la prima per astimare
di momento assai la mutatione del primo magistrato, et a grande scorno
a tutta la città et a loro, stando pure in su la iustificatione che sia
fatto consulto superiore. A la seconda non consentono per havere
quello magistrato potestà quanto tutto il popolo, et nello spendere et
in ogni altra cosa; et quando questo si toglessi, harebbono a ire a lo Te

MU. eger

e^ TETTI mmn

IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 457

à
ordinario, che è cosa lunga et pericolosa: il che io non sapevo. Camillo
ricordo (?) a levar via e'fanti parendoli non necessarij, et a questo ere-
do, quando el legato ne facci instantia, si raddurranno. In tutte le al-
tre cose mi paiono fermi del tutto. Solo se si levono li usciti delle cir-
cumstantie, si piglerà forma a li sbanditi, et si leveranno del tutto le
arme. Et perché non dal Cardinale, ma da qualche altro, s'è fatto
qualche ragionamento del numero delli usciti, credo che il numero si
restrignerà. In altre cose non credo che sia da sperare alcuna muta-
tione sanza scandolo. Voi intendete hora il tutto; et potrete più como-
damente volgervi dove credete che sia il bisogno de la città. El Legato
mi pare del tutto volto ad aspettare da Roma et non muovere uno
passo sanza commissione de S. S. per fuggire gravezze et calunnie sa-
pendo come là le cose sono interpretate: ma ordinariamente mi pare
che intenda bene queste cose; et le habbi di già giudicate come sia
da acconciarle, et confermovi di nuovo che, se non sono guaste da
Roma, queste cose si aconcieranno presto et bene.

Ho, dipoi havute le vostre de’ 17 et 18, rifacto col Cancelliere
quello che, come ultimamente vi seripsi, havevo facto al mio parere
abundantemente dandoli la lettera vostra. Dissemi molte belle cose di
voi laudandovi assai et mostrando lo animo suo continuato sempre
verso di voi et molto lodando questa nostra opera, etc.; nè resta di
continuare meco con ogni amorevolezza: hammi tenuto due volte a
desinare seco, et due volte factomi parte de’ presenti facti a lui.

A Guido et Ridolfo ho facto intendere quanto mi scrivete, nè po-
trebbono essere più contenti dello amore et opera vostra et qui et a
Roma; nè si diffidano d'ogni buono successo havendo voi per patrone,
ete.: preghanvi che seguitate, accertandovi che veramente vi potete di
loro et di questa città et stato promettere ogni cosa, et disegnare di
questa cosa come delle vostre. Non voglo tacere uno motto di Ridolfo
in su questi ragionamenti, maxime confortandoli io a rendere qualche
cosa al Papa, con questo protesto, efc., per torre animo a’ maligni et
darlo a chi vuole loro bene. Disse insomma: « Ser Nicolò, questo stato
lo voglamo per noi, nè voglamo ci sia tolto : prima per goderlo noi,
poi perchè lo goda il magnifico Lorenzo: or eccotela qui ve’ » ; et con
questo si partì.

Camillo sta nel medesimo proposito che vi scripsi da Castello et di
qui ultimamente, et vi conforta a pensare a queste cose perchè sono
vostre come coteste.

Del caso di Castiglione del Lago, di che mi seriveste, non ho an-
cora havuta forza d'intendere il pensiero di costoro, ma tacendo et ri-
mettendosi ultimamente stasera al parere de’ Dieci, mi pare intendere

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sie 458 G. DEGUI AZZI
quello che voglono dire, nè mai me la hanno voluta spianare, credo
per non offendere voi, né il sig. Francesco: ma potete essere chiaro
che non piace loro.

Hoggi di nuovo sono stati i Priori col Legato et ha di nuovo
facto con loro le medesime querele, me presente; et perchè non li pare
havere havuta risposta a suo modo insino a quì, credo che domani
questi Priori et i Dieci insieme li risponderanno con ogni umilità chie-
dendo perdono di quello che fussi stato facto in alteratione del ponte-
fice, ad che non è rimedio, come è la rottura delle prigioni et abrucia-
mento del saccho et in reliquis : pregheranno et suplicheranno de gratia,
per torre scandolo et per conforto universale, che siano benedetti et
compiaciuti et che col nome di Dio si metta mano a la riforma nuova ;
ad che io ho facta qualche opera et spero ne saranno consolati, se non
in tutto, in qualche parte. Saprete che seguirá per altra, ché non m'è
paruto tenere piü questo corriere.

Io mi sono ingegnato in ogni attione mia nettare tutti i segni al
Card.le et eredo haverlo fatto bene: pure mi potrei ingannare: cosi se-
guirò usque in finem.

A questi figluoli del Conte Iacopo stasera a notte è stato fatto uno
protesto che sotto pena di rebello per tutto dì domani habbino dato
Sterpeto in mano del Legato: loro mi paiono in animo d’ appellarsi
al papa et andare a Roma come dico di sopre. Non so che mi vi dire
altro: et questo è pure fosse troppo. Raccomandomi a voi. In Peru-
gia, Domenica a di 23 di Novembre 1488.

Parte il fante domattina innanzi di.

Servitor Ser Nicolo vostro ».

24. — A S F. Otto di Pratica. Respons., VI, 159.
Nicolò Michelozzi agli Otto.

Perugia, 1488, Nov. 26.

« Mag., etc. — Di queste cose perugine a la giornata ho scripto a

V. S. ogni successo; nè per al presente ho molto che serivere. Sola-
mente è occorso di poi che havendo inteso questi mag.ci signori che
saria uno grande principio allo assetto di queste cose, et che molto sa-
tisfarebbe a la S. del Papa et a la Rev.ma S. del Legato quando loro
non stessino tanto in su le giustificationi nè in sul tirato, ma si ahu-
miliassino et chiedessino perdono di quello che in questi tumulti peru-
gini fussi potuto occorrere in offensione di sua S.tà o S.ria, per non
lasciare officio aleuno che a loro si convengha et per mostrarsi del

TT

— IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 459

tutto, come in fatto dicono essere; obedientissimi et devotissimi figluoli
di sancta Chiesa et della S.tà del Papa, Lunedì proximo passato a di 24
del presente, dimandata prima de more audentia a S. S.ria R.ma del Le-
gato, si apresentarono ad epsa, non solo epsi Priori, ma ancora lo Of-
ficio de’ Dieci de lo arbitrio, che sono tuttii primi huomini della città,
et, per quello che habbi inteso etiam da chi ci è pel pontefice, con
gravi, humili et accomodate et molto submesse parole », efc.

[Il brano che segue è riprodotto nel testo, sino alle parole « et com-
bustione che prima »; indi continua:] « ... argumentando circa questo
bene accomodotamente a loro proposito, et tandem suplicando per bene
et pace et unione universale della città che fussino loro di gratia con-
cesse et permesse, et che col nome di Dio sanza altro indugio si ve-
nissi ad dare forma a le cose, non .obmettendo, per quanto io habbi
inteso, et nel chiedere perdono et nel supplicare ut supra insino a lo
inginocchiarsi, et le parole fecie prima Lodovico delli Armanni, capo
d’ Officio; dipoi messer Pierfilippo da Cornia et ultimamente Guido Ba-
gloni, benché uno ad uno tutti i Signori et Dieci confirmassino quanto è
detto et dicessino questa essere la intentione dell'universale della città
et di chi desidera bene vivere.

La risposta di Mons. Legato fu grave et elegante, come sono tutte
le sue, ma non si risolvé né ristrinse troppo a’ particulari; mostrando
nondimeno havere havuto grata questa tale dimostratione, e£c.; et con-
fortó che in occurrentibus desiderava che e' fatti corrispondessino a le
parole, et così dolcemente li licentiò. Et stimasi che non sia disceso
a' particulari per aspettare da Roma qualche cosa in risposta di quanto
ha seripto: et nondimeno di questo atto per cavallaro expresso ha dato
notitia a Roma con diligentia, et forse anche di questo aspetterà la ri-
sposta. Et nondimeno il tempo passa, come scripsi a V. S. a di 23, nè
sarà possibile che a' 20 di questo altro, che si hanno a fare le tratte
di quasi di tutti li officii, sia il nuovo saccho ad ordine: ad che ancora
non si pensa per sua Rev.ma Sig.ria.

Io serivo a V. S. quello che segue et lascerò il iuditio de le cose
future a le sapientie loro, chè io per me non saprei, benchè sia in sul
fatto, fare altro iudicio.

Questi mag.ci signori insino a hieri me hanno mandato quì una
lettera a V. S. et fattomi intendere che è per le cose di Rassina presa
nuovamente da Camillo Vitelli, et di che mi seripsoso V. S., ete.; pre-
ganmi che raccomandi a quelle le ragioni loro affermandomi di nuovo,
come scripsi a V. S. da Castello, quello luogho essere di loro iuridi-
tione, non de’ Marchesi. — V. S. vedranno la loro lettera et ne faranno

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A SES TI 460 G. DEGLI AZZI

quella deliberatione prudente et savia che soglono in ogni cosa. Io non
ho risposto altro, se non che manderei la lettera a V. S. et li obedirei
nel raccomandare, efc.

Non voglo tacere una cosa quale ho obmessa per altre mie inad-
vertentemente: che questi magnifici Bagloni mi hanno mostro le
stampe de' grossoni et soldini et quattrini nostri, et cosi delle monete
bianche di Milano et Luccha, et molte monete battute et non ancor
finite, quale hanno trovate in queste terre et tenute delli Oddi; et mi
affermano che in tre luoghi hanno trovate simili masseritie et officine:
et io spero portarne a la tornata mia qualcuna a V. S., parendomi
cosa che importi a lo honore della città: m’è parso che le sappiate,
che oltre alli altri buoni costumi di questi Oddi se è scoperto ancor
questo: che laudato ne sia Dio.

Questi mag.ci Baglioni questa mattina molto efficacemente mi hanno
pregato che facci opera con V. S. perchè questi loro usciti siano di-
scostati da' loro confini, et tenuti almancho da Arezo in costà, perché
del continuo intendono che vanno tentando cose sinistre et male a pro-
posito. Hólli confortati che non temino da cotesta banda perché V. S.
non permetterebbono, efc.; et nondimancho instando loro che vi scriva,
-lo ho fatto volentieri, parendomi che stimino assai questa cosa, et mi
sarà gratissimo che V. S. ne rispondano qualche ‘cosa della loro in-
tentione perché possa loro rispondere », efc.

25. — A S F. Otto di Pratica. Respons. VI, 162.
Il Lanfredini agli Otto.

; Roma, 1488, Nov. 27.
Dice che non ha potuto parlar « di faccende » col papa, ch' era in-
disposto, per divieto de' medici.
« Da Perugia non s'intende altro. Sonci inbasciadori di quella Co-
munità, et per le medesime cagione fino a qui non hanno fatto cosa
alchuna ».

26. — A S F. Med. av. Princ., LIX, 69.
Lorenzo de’ Medici al Lanfredini.
Firenze, 1488, Nov. 27.

A t. « Mag.co viro maiori meo Iohanni de Lanfredinis oratori flo-
rentino. Rome ».
IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC.

« Hieri ricevetti la vostra de di xxiij, et cominciando dalle cose
di Perugia voi intenderete per una di Ser Nicolò a me la informatione
che ne ho io, la quale non mi pare conferiate con altri. Crederei fussi
bene che N. S. per hora posassi quelle cose et dessi arbitrio al Legato
j^ . d'aeconeiare in quel modo che paressi a S. S., perché essendo savio
) et buono ecclesiastico et conoscendo bene le nature et modi di quella
terra, mi pare di potersi confidare di lui et non ci essendo modo per Sr
hora a sforzare Perugini, mi pare a proposito di N. S. mostrare più
che si può d’arvergli accepti et non dimostrare malanimo sanza potere
fare gl’effecti o dare loro cagione di piglare fede o protectione d’altri,
attese l’altre conditioni di N. S. et maxime queste cose d’Anchona che

mi paiono pure importanti, et io non vorrei aviluppare insieme tante
cose, non sendo noi altrimenti gagliardi o in ordine.
Quanto al satisfare in queste cose di Perugia a N. S., conto scri-

vere a voi in modo che si possa leggere. Havete costì ser Gio: An-
tonio et potete fargli fare le lettere che vi paia da fare, perchè è im-

possibile che io possa mettere diligentia in simile cose per avere da
fare molte altre cose et potere confidare di pochi come vedete in questo
che serivo a voi ricordandovi che io non ho in casa la cancelleria di
Milano: basta a me che voi intendiate il senso mio. Queste et altre
cireumstantie fatele di costà meglo che potete. In effecto crederci fussi
bene queste cose di Perugia posassino con più honore che si può per

Y N. S., pure che non si dessi alteratione o sospecto a quello stato. Vorrei
che destramente all'ambasciatore perugino che 6 costi facessi intendere
le opere mie col papa acció che avessi cagione scrivere et referire bene,
perchè queste cose di Perugia ci importano et dobbiamo haverle ne
gl'ochi perchè ci sono nel cuore... ».

(Segue, in cifra e in lett., parlando d'altro].

Florentie xxvij Novem. 1488.

Lorenzo de Medici ».

291. — A SF. Otto di Pratica. Missive, VII, 92.
Gli Otto al Michelozzi.

Firenze, 1488, Nov. 28.

Lo ringraziano-d’averli ragguagliati della « buona dispositione et
volontà di codesti mag.ci Baglioni et universalmente di tucta cotesta
YN 5 . mag.ca Città verso la nostra Repubblica, come anchora abondantemente
referì in questa sua venuta, et noi ce lo persuadiamo per cosa certis-
sima, la mag.tia dello Imbasciatore di cotesta mag.ca Comunità, » efc.

A Ei SII STI
G.

DEGLI AZZI

« Apresso voliamo che ringratii cotesti mag.ci Baglioni et cotesta
mag.ca Comunità della dispositione et buona volontà loro inverso di |
noi, eertifieandoli che in ogni occorrentia ci troveranno non mancho
studiosi della pace, quiete et bene loro che della città nostra propria ».

28. — A S F. Otto di Pratica. Missiv., VII, 93 t. |
Gli Otto -al Michelozzi.

Firenze, 1488, Nov. 30.
« Con grandissimo piacere habiamo inteso per la vostra de’ xxvi
l’humile acto et degno d’ogni commendatione usato per codesti signori
Priori, mag.ci Baglioni et di tucta la città inverso la S. del Papa nella
persona di cotesto rev.mo Mons. Legato, sperando nella clementia et
benignità della S. del Papa che per questo tale acto ogni loro cosa
piglierà miglior sexto, et etiam pare a noi, che siamo desiderosissimi
aiutare et favorire ogni loro cosa come se appartenessi allo stato no-
stro proprio, che ci habbino più aperta la via colla S.tà del Papa et
dove bisognassi a favorire le cose loro.

Havendo inteso il desiderio di codesti sig. Priori et mag.ci Baglioni
de’ loro fuorusciti, habiamo ordinato alle nostre frontiere, et maxime a &
Cortona, Castiglione, Montepulciano, Borgho et Anghiari, che non vi
saranno riceptati, et cosi siamo per fare ogni cosa che sia a beneficio,
commodo et preservatione della pace et quiete loro et del loro stato ».

Per dimostrar il loro affetto al Legato, a P. e ai Baglioni, mandano
a lui, perché le mostri loro, copie di lettere di Bologna, etc.

29. — A S F. Otto di Pratica. Missiv. VII, 93.
Gli Otto al Lanfredini.

Firenze, 1488, Nov. 30. (c

« Per lettere di ser Niecoló da Perügia habiamo inteso la dimon-
stratione feciono a di xxiiij del presente quelli Priori et tucti e' prin-
cipali cittadini di humiltà, reverentia et divotione inverso la S.tà del
Papa e di S. Chiesa. Et come a noi é stato grato intendere tale acto
di submissione, cosi haréno caro ci advisi come sarà stato accepto eosti E
alla S.tà del Papa et che resolutione si sarà facta di quelle cose ».
IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC.

30. — A S F. Med. av. Princ. LIX, 74. ;
Lorenzo de’ Medici al Lanfredini.

Firenze, 1488, Dic. 1.
« Io vi mando quanto ho da Perugia da Ser Nicolò perchè in que-
sta informatione vi debbe aiutare a governare di -costà questa cosa.
Desiderrei in effecto che voi operassi che si posassi per la via che per
l’ultima vi scripsi, cioè per le mani del Cardinale di Siena che, dover-
rebbe essere tanto più facile havendo loro chiesto perdonanza con tanta
humiltà. Vorrei almeno che l'imbaseiatore perugino havessi cagione di
rescrivere bene di voi et del sig. F. perchè vederete per la lettera di
ser Nicolò ne sono in qualche dubio. Queste cose di Perugia ce im-
portano et naturalmente sono ben disposte verso noi; con ogni pocho
d’aiuto vostro ci potremo fare uno buono muro da quel canto. Sichè
usateci diligentia, chè è cosa che vale il pregio; et io sarei de opinione
che ’1 Sig. F. piuttosto cerchassi di vendere il Chiusi che far tutto (?) per
governarlo; perchè comprendo sia cosa che, mancando el Papa, non
potrebbe tenerlo, et piacerebbemi più questo che ’1 vendere lo stato
che ha costà, perchè è cosa da conservarlo meglo, maxime sendo expe-
dito quello che bisognava secondo la compera che se ne fè... ».
« Lorenzo de’ Medici ».

91. — A S F. Otto di Pratica. Respons., VI, 191.
Il Michelozzi agli Otto.

Perugia, 1488, Dic. 3.

« Mag.ci, etc. — Questo medesimo di ho havuta la lettera di V. S.

de l'ultimo passato, et con epsa le copie delle lettere [che] vi è pia-

ciuto mandarmi del caso nuovamente occorso a Bologna, el quale, se-

condo il comandamento di V. S., ho comunicato prima con questo R.mo

Legato et dipoi con questi mag.ci cittadini: et tutti ringratiano con

ogni studio V. S. di tanto amorevole partecipatione, mostrando che in

questo come nelle altre cose quelle non mancano d’ alcuno officio di

veri et boni amici et- padri. Dispiace loro nondimancho il caso, come
quelli che desiderano et vorrebbeno vedere bene da ogni banda.

Comunichai similmente a questi mag.ci Bagloni la deliberatione fatta

per le S. V. di levare di queste circumstantie e’ loro fuorusciti ; del

che hanno havuto tanto piacere et contento, che non saprei descriverlo.
464 G. DEGLI AZZI

Réstanne infinitamente obligati a V. S., et parendoli havere con quelle
congiuncta ogni loro fortuna, non pensano che cosa alcuna possa loro
nuocere, et liberamente dicono, affermano et giurano che V. S. sono
. più patroni di questa terra et delle persone loro che loro stessi: nè
pensano ad altro che come possino mostrarsi grati di tale beneficio. Io
dal canto mio ho fatto con le parole et dimostrationi tutto quello che
ho saputo di bene in confermatione di questa loro optima dispositione,
et così seguirò, mentre che ci starò, con ogni studio et sollicitudine.

Circa le cose di Rassina mi avidi, subito che fu partito 1’ ultimo
messo pel quale scripsi a V. S., haver facto uno errore, et questo è che
la lettera di questi mag.ci Priori era restata in terra per inadverten-
tia: sarà con questa. Io dipoi non ho parlato altro. V. S. vedranno la
continentia di epsa, et potranno meglo risolversi, et io obedirò come
è mio debito ad ogni comandamento che me ne faranno V. S.

Di queste cose perugine non è dipoi seguìto altro : ogni cosa si
sta suspesa insino che da Roma venga qualche cosa: et di là non
si aspetta altra risolutione insino che dura questa infermità del Papa,
della quale è quì diversi avisi, et per qualchuno non se ne ha molto
buona opinione: nostro Signore li renda la sanità, secondo il bisogno
comune. Qui nondimeno del continuo si vanno rassettando le cose, hora
una, hora una altra: et se questi usciti si partono da questi confini
in modo che non sieno piü suspitiosi, si leveranno le armi del tutto
et faràssi infinite altre cose, benché piecole, pure bene ad proposito
della quiete et pace della città. Ad che si 6 provisto dal canto di V. S.,
come ho detto: di che costoro non potranno essere più contenti », efc.

32. — A S F. Otto di Pratica. Respons., VI, 192.
Il Lanfredini agli Otto.

Roma, 1488, Dic. 5.
« Le cose di Perugia doverranno piglare buono assetto, perché
vego questi R.mi Sigg. Cardinali molto inclinati al posare et quietare
quelle ehose; et come N. Sig.re reassumerà le facende, doveranno
havere presto resolutione: et di qualità che non doverrà dispiacere a
quella Comunità ; perché S. S.tà di sua natura é molto benigna et ama
singularmente quella eittà et tutti quelli gentili huomini.
Hoggi visitai N. S., et come vi ho sempre detto, il male non mi é
paruto di pericolo: et hoggi mi é paruto anchora meglo che mai lo
DE iero a

ec

IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 465

habbi trovato : allegro, sanza affanno, con pocha sete et pochissima
febre », etc.

33. — A S F. Med. av. Princ., LIX, 11.
Lorenzo de’ Medici al Lanfredini.

Firenze, 1488, Dic. 6.
« Voi non stimate a mio parere quanto noi queste cose di Perugia.
Noi ne facciamo gran conto. Voi per la ultima vostra non me ne date
alcuno adviso, chè forse vi referite alla penultima. Ser Nicolò dubito
che là non pigli ombra et sospecto et di costì et di noi per questo tar-
dare a risolversi anchora che io ho giustificato con la infirmità di N.
S.; et se voi gl'avessi qualche volta dato adviso come passavono costi
queste cose, harebbe potuto intratenere meglo quella brigata. Desidero
che tra l’altre vostre occupatione anchora vi diate questa di operare
che si expedisca con più celerità che si può questa cosa, rimettendo in
mano del Card.le el modo ; et sopratucto ingegnandovi che l’imbascia-
tore perugino che è costì, et di voi et del Sig. Francesco si tengha
bene satisfacto, et che ’1 Sig. Francesco si guadagni questi Bagloni,
che mi pare molto a proposito suo, havendo là quelle possessioni ; et
a Ser Nicolò fate scrivere quache cosa da Ser Gio: Antonio di qualità
che possa leggere, et mostri le buone opere mie et vostre, chè gioverà
assai et molto più se darete cagione a l'imbasciatore perugino che
scriva il medesimo... ».

34. — A S F. Med. av. Princ., LIX, 79.
Ii. Michelozzi al Lanfredini in Roma.

Perugia, 1488, Dic. 6.

« Magnifico Ambasciatore. Tandem pure vennono due vostre lettere

de' 26 et 28 passato in risposta a tre mie: di che sommamente vi rin-
gratio. Harètene dipoi havute delle altre, et io non ho perdonato alla
penna parendomi fare lo officio mio, maxime perché havendo voi noti-
tia di queste cose, meglo potete et iudichare di queste cose et aiutarle.
Benchè a l'iudieio mio si possino male aiutare altrimenti che sollicitare
costi et la expeditione delli ambasciatori perugini et la resolutione di
quelle cose di che vi ha dato notitia el nostro R.mo Legato, in tal ma-
niera che quì non si tenghino più suspecte queste cose; chè invero

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Abe M, A 466 G. DEGLI AZZI

nessuna cosa mi pare apta tanto ad fare qui sinistri effecti quanto la
molta dilatione, la quale, a dirvi ad uno tratto, sarà qui ricevuta in
ogni eattiva parte, et quello che questo si possi tirar dietro lo inten-
dete meglo di me. La indispositione di N. S. fu legittima scusa al pre-
sente, ma guarendo et la cosa andassi in lunga, vi dico di nuovo che
sarà male interpetrata. Peró vi conforto et pregho che sollicitiate que-
sta benedecta expeditione; et vi direi quello che ne pare a me, se bene
è presumptione, voi non dovevate mandare di quà uno Legato della
qualità che è questo, et di tale reputatione, se di poi volevate serbare
a voi il iuditio d'ogni cosa et la resolutione. Io lo ho pure detto.

Qui é stato da 3 o 4 di in quà molto sinistri avisi del male di N.
S. — Io però o perchè volessi o perché mi sia trovato altra volta a
Roma a simili cose, non ci ho prestato fede, ché so come si fa grande
schiamazzo ad ogni minimo accidente d'uno gran principe, pure non
si riposa la brigata insino ci sta adviso come sta sua Santità dopo lo
interlunio proximo passato. Non tacerò già questo, che di questi sini-
stri avisi ho visto tanto di mala voglia questi mag.ci Bagloni quanto
li vedessi mai: et dicono publicamente che nessuna più trista nuova
potriano havere che la morte di N. S., come quelli che da sua Santità
sperano ogni bene, et in tale caso non sanno ad mano di chi si capi-
tassino.

Essi insieme con questo male del Papa detto similmente che il
duca di Calabria stia malissimo et che si sia volando ora tornato di

Pugla: se ne è cosa alcuna, vi pregho me ne avisiate. Io vi do delle
nuove da Perugia: se havessi altro, ve ne darei.

Qui dipoi non è innovato cosa alcuna: solamente el Rev.mo Le-
gato due di fà in mia presentia ragionò con Guido Bagloni qualche
cosa de' nuovi magistrati che a calen di proximo debbono entrare in
officio: ad che per necessità si harà per questa volta a provedere ex-
traordinariamente: non si fa peró conclusione aleuna. Le altre cose
tutte aspettano voi.

. . . . . . . D . . .

So che harete inteso el caso occorso al vostro Niccolo Melocchi che qui
nella hosteria mi fu morto quasi nelle braccia tornando da Camerino:
Dio lo habbi ricevuto ad gratia.

Non so che dirmivi altro, se non che mi vi raecomando et vi pre-
gho che procuriate in modo che mi possi tornare ad casa. Di che
aspetto qualche aviso vostro.

In Perugia a dì 6 di Dicem. 1488.

El vostro Ser Nicolò Michelozzi ».

pri



EVI ZITTA

te rarae erm n LE Sen tz IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC.

35. — AS F. Med. av. Princ., LIX, 82.
Lorenzo de’ Medici al Lanfredini.

Firenze, 1488, Dic. 9.
« . E . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Delle cose di Perugia per questa ultima vostra resto bene satisfacto :
quando il tempo sarà, spero gl’ effecti simili allo serivere vostro, et di
nuovo vi dico che quì si stima assai questa cosa ».
(Parte in lett. e parte in cifra).

36. — A S F. Otto di Pratica. Responsive, VI, 197.
Il Lanfredini agli Otto.

Roma, 1488, Dic. 12.
« Benchè il Rev.mo Card.le di Siena, al presente Legato di Perugia,
havessi potuto per la sua auctorità risolvere quelle chose, ha voluto
per scarico suo confermarle con N. S. il quale per la malattia non ha
potuto expedirle, et per questo rispecto fu facta congregatione di cin-
que R.mi sigg. Cardinali, videlicet: Vicecancelliere, Napoli, San Piero
ad Vincula, sancto Agnolo et Savello : li quali post multa conclusono
a rimettere tucto al gravissimo iuditio del prefato mons: Legato: et
secondo mi hanno facto intendere, con dispositione che a quella Co-
munità sia levata ogni ombra et, in quello [che] si può, assicurata et
consolata, pure che quello che si harà a fare sia con degnità et honore
di questa Sede sancta. Il che non doverrà essere molto difficile non
manchando loro li effecti che e’ disiderano; et me hanno facto pregare
che scriva a ser Nicolò Michelozzi che insieme col prefato R.mo Le-
gato, s'aoperi in questo effecto sanza exprimere alehuno particulare:
et così li ho seripto », etc.

91. — A S F. Otto di Pratica. Respons., VI, 200.
Il Lanfredini agli Otto.

Roma, 1488, Dic. 15.
« Credo che il buon portamento che hanno facto e' Perugini in-
verso il R.mo Card.le Legato sarà stato instrumento che di qui haranno
468. G. DEGLI AZZI

quelle resolutioni che e’ monstrano desiderare: come di là le S. V. do-
verranno intendere. Et anche mi rendo certo che del mezo delle S. V.
conosceranno essersi serviti et valuti, forse più che di nessuna altra
cosa in questo tempo. Et se la S.tà di N. S. vacassi alle faccende,
tanto più et meglo et più presto sarebbono suti resoluti et contentati,
purchè e' seguitino in quelle actioni, che acadrà piglarle con quella ri-
verentia si conviene verso questa saneta Sede », etc.

38. — A S F. Med. av. Princ., LIX, 85.
Ii Michelozzi a Lorenzo de’ Medici.

Perugia, 1488, Dic. 15.

« Seripsivi ultimamente a di xj et la sera medesima hebbi la vo-
stra de’ viiij ad che risponderò apresso con arroto di quello che oc-
corre.

Prima io vi scripsi non sanza ragione che vedevo costoro in quella
ombra per la dilazione che si vedeva a Roma in queste loro cose, et
vedevola interpretare sinistramente per li avisi sinistri che havevano
da Roma di carezze facte a’ loro usciti et opere facte da qualchuno

male a proposito di costoro : di che altra volta vi avisai et del conti-

nuo cresce loro il suspecto di lui per li avisi che hanno di là; et se la
infirmità del pontefice, che è suta causa potentissima della dilatione
non fussi interceduta, sarìa ancora stata la interpetratione dello indugio
più sinistra: né mancavo io, con li avisi che havevo da voi et da Roma,
dello offitio mio: pure, gratia di Dio, essendo ultimamente hiersera ve-
nuta questa benedetta resolutione, come vi diró poi, eredo si torrà via
ogni ombra, et spero che ogni cosa piglerà buono assetto, su che io
non mancheró di studio et d'opera quale mi sia possibile, ingegnan-
domi non a mettere di capitale, nè di perdere, con alcuna delle parti.

Venne hiersera, come ho detto, lo aviso da Roma di notte con la
resolutione, et io hebbi lettera dallo ambasciatore con questo aviso, ben-
ché non si extendessi ad altro particulare, rimettendomi a la S. del Le-
gato. Però questa mattina di buona hora mi apresentai a Sua S. Rev.ma,
narràli lo aviso che havevo, et come ho facto infinite volte, li offersi
l'opera mia, efc. Risposemi che era vero che in buona parte haveva
havuto commissione di queste cose, et dopo molti ragionamenti con-
cluse che aspetterebbe le petitioni di costoro et, Domino duce, s'inge-
gnerebbe di assettare le cose, e pensava che li ambasciatori di costoro
dovessino tornare ‘da -Roma, come si fussino licentiati di là, el quale
aviso non hanno costoro, innanzi che per costoro si venissi ad altra

TP
Me]
IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. i 469

discussione. Il che non è seguito da poco dipoi; innanzi che io mi par-
tissi da Sua S. Rev.ma, e’ Priori et Dieci mandarono ad chiedere au-
dientia, chè ancor loro havevano havuto simile aviso da’ loro amba-
sciatori; et apresentati al Rev.mo Legato, me presente, exposono la
notitia che havevano da Roma, mostrandosi molto lieti che ogni cosa
fussi in arbitrio di sua Rev.ma S., et offersonsi parati dal canto loro
ad fare ogni cosa, etc. El Legato con mature et gravi parole, ut moris
sui est, rispose havere in. qualche parte commissione, et che aspettava
d’intendere se queste cose si havevano ad praticare con tutti loro, opure
se volessino determinare o deputare qualchuno: et fu concluso che si
deputerebbe hoggi, et quam primum sarieno con epsa per non dare più
dilatione che si bisogni. Cosi fu dissoluto il colloquio. Sono stati dipoi
costoro insieme et, per quello che intendo, hanno deliberato che do-
mani Guido et Ridolfo da parte siano con esso Legato per farli in-
tendere li interessi particulari loro: poi parlerebbono i deputati, efc.;
et mi paiono disposti a non perdere tempo, ad che io li ho confortati,
perehé una volta se ne cavi cappa o mantello. Et non mancho, perché
questa suspensione tiene suspesa tutta questa provincia, dove non è
luogho che non sia diviso in parte et ogni minima cosa li faria andare

(Segue poi, parte in cifra, parte in lettere, a narrare delle novità
di Todi, de’ easi di Rasina, del grano del Chiugi, ecc.).
« In Perugia lunedì a di xv di dicembre 1488.

Servitor
Ser Niccolo vostro ».

39. — A S F. Med. av. Prine., LIX, 86.
Lorenzo de’ Medici al Lanfredini.

Firenze, 1488, Dic. 19.

In una lettera all'ambaseiatore fiorentino in Roma, Gio : Lanfredini,
cosl, tra l'altro, scrive Lorenzo de' Medici:

« Intendo per la via di Perugia quello medesimo che mi serivete
della novità di Todi, et ser Nicolò mi scrive di più quanto vederete:
ché vi mando la lettera sua. Parmi debbiate confortare N. S. a porre
una volta et presto fine a quelle cose di Perugia, perchè credo queste
novità di Todi et dell’altre che fussino per nascere, posate quelle, po-
seranno anchora loro », etc.
i rr ITC PE qp:

470 G. DEGLI AZZI

40. — A S F. Med. av. Pr., LIX, 93.
Il Michelozzi al Lanfredini.

Perugia, 1488, Die. 22.

« Sig. Amb.re.
Io vi ho scripto a questi dì più volte, nè da voi ho altra lettera,
et l’ultima è de’ xii con lo aviso della remissione quà dello aconcio di
queste cose, et come vi dissi per l’ultima, di già si era dato principio
dal quale io stimavo che dovessi succedere bene; et così, gratia di Dio,
è successo che tandem hoggi dopo molte disceptationi facte prima a’
dì passati, pure se è venuto allo assetto infrascripto. Prima, che questi
mag.ci Priori et l’offitio de' Dieci, hoggi, etiam me presente, si tran-
sferirono al conspetto del Legato, et con buone e amorevoli parole se
ahumiliarono assai, facendo insomma questa conclusione: che pensavano

che li officî loro astimavano che fussino legittimi et canonici per ha-

verci lo ill.mo Sig. Mauritio interposta la auctorità sua come si vedeva
per la supplicatione segnata: ma poi che non pareva così a sua Rev.ma
Signoria per haverne fatta insino dal principio doglianza, non voleva
di questo astimare altro che paressi ad quella, et da hora se ne rimet-
teranno a l’iuditio et arbitrio di Sua Sig.ria Revma; et tornerebbono
in palazzo o non, secondo che a quello piacessi, come figluoli d'obe-
dientia, ete. Ad che Mons. lo Legato molto dolcemente rispose accet-
tando in nome di N. S. questa obedientia et riprendendoli aspramente
della tardità; fece in ultimo conclusioni che per rispetto che la terra
era impossibile che si reggessi sanza magistrati; et hora in nome di
N. S. voleva che seguitassino nelli officî, et apostolica auctoritate li in-
stituiva di nuovo et li benediva, a li Priori per il tempo del loro officio
che è tutto questo mese, et a’ Dieci dava l’officio per 6 mesi et 6 altri
ad beneplacitum pontificis o di chi fussi quì in suo luogho. Vennesi
poi a’ meriti delle petitioni fatte per costoro, et tandem quello che mi
pareva d’assai importantia et questo è il saccho nuovo, con pocha dif-
ficultà fu assettato in questo modo: che il saccho si facessi di nuovo
et secondo il rito et costume che si soleva innanzi al presente saecho:
et così spero che si seguirà et presto vi si metterà mano: solamente
ci resta ad assettare le cose di questi usciti perchè costoro li vorreb-
bono rebelli o di saneta Chiesa o almancho di questa terra; et il Le-
gato mi ci pare male vólto, come quello che li pare assai che siano
fatti confinati di quì sanza altra rebellione; et qui verrà qualche diffi-
cultà et de' beni loro et de' benefici: pure spero che presto s'accon-
cierà ogni cosa et parmi che horamai qui non sia più difficultà alcuna

restomo eI MN

pritiosteqeemr PIRA

IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 411

se non questa de’ ribelli, et questa presto s'acconcierà: però io mi stitno
che la stanza mia sia non solo vana horamai, ma àpta ad dare ombra
à chichesia; et però vi pregho che ordiniate che mi sia data licentia
che mi possa tornare a Firenze, perché se bene satisfó al Papa con
stare qui, forse fo ombra ad altri et so che mi intendete: aspetto con
desiderio una risposta et a voi mi raccomando : non ho altro che dirvi :
et di Todi so che havete piü certo aviso che io qui.
In Perugia a di xxij di Dic. 1488.
el vostro
Nicoló Michelozzi ».

41. — A S F. Otto di Pratica. Miss., VII, 102.
Gli Otto al Michelozzi.

Firenze, 1489* (1), Gen. 1.
Alle sue del 23 e 28 Dec. u. s. rispondono « solamente alla parte
della querela hanno facto cotesti mag.ci Priori che de’ loro fuorusciti
abbino pure ricepto a Valiano, et con quella commodità faccino qual-
che scandalo et novità in sulla loro iurisditione, efc. È questo vera-
mente contro la volontà et intentione nostra, perchè et qui a boccha
a chi fu mandato per parte delli Oddi che li volessimo lasciare stare a
Valiano, facèno intendere expressamente che non volevamo per cosa
del mondo che vi soprastessino pure uno giorno; et a Montepulciano
et Cortona serivemmo a’ nostri Rectori che li mandassino via: hora
avendo inteso per la tua de’ xxiij che non sono partiti anchora, di che
ci siamo maravigliati, habiamo di nuovo scripto et replicato a’ decti
officiali et rectori nostri che al tucto li faccino levare, et bisognando
usino la forza. Et siamo certi che cotesti mag.ci Priori della opera no-
stra in questa et in ogni altra cosa occorrente resteranno sempre sati-
sfacti ».

49. — A S F. Med. av. Pr., LIX, 100.

Lorenzo de’ Medici al Lanfredini.

s ; Firenze, 1489*, Gen. 3.
« Delle cose di Castiglione aspecto la tornata di Ser Nicoló, al quale
scripsi iij di fa che se ne venissi con buona licentia però del Legato,
parendomi che lo stare suo di là non fussi piü necessario », efc.

(1) L'asterisco significa che l'anno, indicato nell'originale secondo il computo

fiorentino, é qui ridotto allo stil comune.
472 G. DEGLI AZZI

49. — A S F. Med. av. Pr., LIX, 101.
Lorenzo de’ Medici al Lanfredini.

Firenze, 1489*, Gen. 8.
« Io non sono de opinione che '1 Sig. Francesco pigli Castigloni
sanza expressa voluntà de' Bagloni, perché mi pare cosa da arrechargli
col tempo spesa, charico et vergogna: quando vi consentissino, mi pia-
cerebbe assai. Per quanto ritrahe Ser Nicoló, non mi pare che mai ci
habbino havuto una inclinatione al mondo, et, oltra questo, è stato messo
loro assai sospecto che ’1 Papa aspecti tempo et habbi malanimo : que-
sto ce li confermerebbe, et, aggiunto all'altre cose, potrebbe generare
qualche scandalo in Perugia, ove, per quanto intendo da Ser Nicolò,
si resta pure ad assectare le cose de’ rebelli; et ser Nicolò è soprastato
per aiutare il resto della conclusione et pacificatione del tucto: in che
non ha pocha difficultà et briga », etc.

44. — A S F. Otto di Pratica. Responsive, VI, 262.
Il Lanfredini agli Otto.

Roma, 1489*, Gen. 12.

« Credo che da Perugia ser Niccolò harà advisato le S. V. della
qualità di questa contesa, che è di natura che credo la riputatione solo
la sederà, o si verrà a qualche compositione di triegue : et poi potranno
trattare lo accordo, chè lo effecto della disputa è pocho, et più tosto
sdegni et bizarria che altro. Le S. V. savissime pondereranno tucto, et
risponderànno quanto li parrà: et io reverentemente lo eseguirò », ete.

45. — A S F. Otto di Pratica. Missive, VII, 104.
Gli Otto al Lanfredini.

Firenze, 1489*, Gen. 15.

« Se interverrà che il figluolo di Guido Baglioni, il quale è col
sig. Virginio, abbi licentia da lui, habiamo provisto che non potrà
havere seco la compagnia né valersene in alcuna factione contro al

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etie, :

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IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 473

È)
proposito et mente della S.tà del Papa, che è quello di che tu ci scrivi
et ricerchi per parte sua per la tua de’ viiij », efc.

46. — A S F. Otto di Pratica. Missive, VII, 104 t.
Gli Otto al Michelozzi.

Firenze, 1489*, Gen. 15.

« Habiamo la tua de’ x: et veggiamo la molestia che hanno cote-

sti mag.ci Priori che li loro fuorusciti non sieno anchora partiti non
solamente da Valiano, ma più presto multiplicati. La molestia nostra
in questa è maggiore di quella delle loro S.rie, perchè havendo seripto
et replicato tanto efficaciemente che sieno mandati via, ci persuada-

vamo che nissuno ve ne restassi: ma subito che havémo questo ultimo
tuo adviso, habiamo, non scripte, ma fulminate lettere, ché saremo in-

DE Urbes,

tesi, et non dubitiamo che a questa hora ne sarà seguito lo effecto.
Dio sa che questa dilatione é suta al tucto contra alla volontà nostra;
ma in questi casi di questa natura il più delle volte si mette più tempo
in mezzo che non è la intentione, per la difficultà della cosa », efc.

41. — A SF. Otto di Pratica. Missive, VII, 109.

Gli Otto al Michelozzi.

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Firenze, 1489*, Gen. 20.

Si ricorda che per la questione di Rasina tra i Del Monte e Ca-

millo Vitelli, e per quella di Chitignano tra detto Camillo e Bernafdino
deli Ubertini, era stato eletto arbitro Lorenzo de' Medici.

48, — A S F. Med. av. Pr., LIX, 112.
Lorenzo de’ Medici al Lanfredini.

Firenze, 1489*, Gen. 21, hore 4.

« Io vi spaccio questa chavalcata a cagione di queste cose di Pe-
rugia onde sono advisato per lettere di ser Nicolò che la conclusione
di tucte quelle cose si poteva dire faeta se non fussi restata pel Car-
dinale, el quale havea data intentione ferma di consentire a’ Perugini
LE che questi Oddi et altri usciti havessino certi confini nella terra della
Hi Chiesa, e' quali non observando, diventassino ribelli non solo di Pe-

E

a M o au Ro D e a GAD
474. G. DEGLI AZZI

rugia, ma anchora della Chiesa. Allo stringere poi, el prefato Cardinale
non ha voluto consentirvi et ha messo in desperatione non pichola non
solamente quelli Bagloni, ma et ser Nicolò et gl’ altri mezani di questo
accordo. Io ve ne scrivo apunto el vero, ma mi pare bene che nel re-
ferire questa cosa lo facciate in modo che ’1 Cardinale non si tenga
malcontento di me, come forse si tiene di ser Nicolò. A me parrebbe
che N. S. dovessi rassettare questa cosa et commettere al Cardinale
che li dessi conclusione nel modo ragionato, perchè, restando in ropta,
io fo gran dubio che la desperatione non conduchi questi Bagloni a
piglare la [protectione del Re perchè Iacopo Pontano è stato a] Peru-
rugia a dì passati et [poi a Virginio, chè ve lo trovai io] et hora [è
tornato a Perugia]; potete stimare quello [vadi faciendo] maxime per-
chè io so che [e' ha temptato questi Vitelli] per condurgli [a' soldi del
Re]; ma credo presteranno tanta fede a noi quanta ad altri, maxima-
mente acconciandosi queste cose di Perugia; non s'acconciando, io
vegho in pericolo Perugia, Castello, Spuleto, et forse anche dall’ altre
terre; et si vede [....]; et a me non pare d'aiutare [.... del Re con]
questi modi, maxime perché Perugini non solo entrano in sospecto [del
Papa, ma anchora di noi per rispecto di sua Santità]; et però io vor-
rei, deliberando N. S. posare le cose di Perugia, che facessi una cosa
in eonfermatione del suo buono animo, et questo é che scrivessi a me
uno breve dove mostrassi buona dispositione verso Perugini et mi con-
fortassi a farne loro fede et quasi ad obligarmene loro per sua S.tà
con tali parole che, faciendolo loro intendere, ne piglassino animo et
speranza; et credo con questi mezi questa cosa andrà bene, perchè a’
Bagloni et a’ Vitelli è molto più naturale questa via che quella dello
stato [del Re], et a quella andrebbono solo per necessità et despera-
tione », efc. (1).

49. — A S F. Med. av. Princ., LIX, 113.
Lorenzo de' Medici al Lanfredini.

Firenze, 1489*, Gen. 26.
« El Papa non doverrebbe lasciare a gnuno modo e’ Bagloni,
maxime essendo accordate le cose di Perugia, come harete inteso; et

(1) Le parole tra [ ] sono scritte in cifra, e la spiegazione é scritta sopra, di
mano sincrona, tra le righe.

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IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 475

credo tra le spese sue ve ne sia assai delle più disutile, et a me pia-
cerebbe molto si rassettassi et si reducessi a spesa utile et da valersene,
ché servirebbe a molti propositi », ecc.

(Parte in cifra).

50. — A S F. Med. av. Princ., LIX, 115.
Lorenzo de’ Medici al Lanfredini.

Firenze, 1489*, Gen. 28.

« Io credetti, come vi scripsi per l'ultima, che queste cose di Pe-
rugia fussino posate et così mi ha referito ser Nicolò che hieri tornò
di là con la conclusione facta col Legato con grande unione et dimo-
stratione d'amore. Hoggi ho la alligata da’ Bagloni per fante aposta
molto diversa dalla opinione mia, di che harei maggiore dispiacere se
non credessi che questo fussi più tosto disordine nato in sul facto che
ordine dato costi; et così ho scripto a’ Bagloni confortandogli che lo
accordo harà effecto a ogni modo et a non innovare cosa alcuna. De-
sidero che el più presto che potete facciate intendere a N. S. questa
cosa et che vi si rimedi, non havendo altro fondamento: et havendo
pure fondamento, desidero intenderlo per non ingannare altri; che,
come sapete, io mandai ser Nicolò a Perugia per ordine vostro, el
quale nel tractare di quelle cose ha satisfacto al Legato, il quale ha
usato di dire che gli pare queste cose di Perugia siano ridocte ad as-
sai honorevole termine per N."S., et può havere compreso che’ Bagloni
naturalmente sono bene disposti a santa Chiesa, havendo havuti molti
stimuli in contrario et molte grandi offerte, et nondimeno sono ridocti
a volere essere obedienti figluoli di santa Chiesa, et a questo effecto è
suta tucta la opera di ser Nicolò, et io gli ho accertati del buono animo
di N. S. a ricevergli per figluoli, et supratucto che non hanno da du-
bitare che per la S.tà sua si tentassi o innovassi cosa alcuna contra
loro, perchè così mi havete più volte seripto, et io ve lo ho creduto et
credo. Se pure fussi altrimenti et se io lo intenderò, saprò meglo come
governarmi. Come per altre vi ho scripto, a me non pare tempo da se-
minare triboli, nè mettere in sospecto Perugini, et quelle altre terre
circumstanti, perchè questo è apunto quello che desidera chi vuole male
a nostro Signore, et forse anchora de gl’ altri che mostrono volergli
bene, e’ quali a qualche loro proposito lo vorrebbono mettere in tra-
vaglo, et io lo conforterò sempre a fuggirlo. Parevami male alterare
le cose di Perugia inanzi alla conclusione dello accordo; hora mi pare
476 G. DEGLI AZZI

non solamente disutile, ma anchora con qualche caricho ; et per uscire
di questa parte, a me pare necessario o el remedio, o chiarirsi presto
di questo humore », etc.

91. — A S F. Otto di Pratica. Missive, VIL. ILE
Gli Otto al Lanfredini.

Firenze, 1489*, Feb. 1.

. . . .

« Da Ser Nicolò Michelozii ritornato da Perugia et anchora per le
tue de’ xxviij siamo advisati della pacificatione di Fuligno et di Spello
et della conclusione et assetto delle cose per ugine con satisfactione et
reputatione della S.tà del papa: delle quali cose habiamo presa gran-
dissima consolatione et contento per rispecto principalmente della S.tà
del papa; et se in queste occorrentie per noi si è operato alcuna cosa
la quale sia suta grata et accepta alla S.tà sua, ne siamo molto conso-
lati perchè Idio sa che il desiderio nostro di gratificarli in ogni cosa
non potria essere più fervente nè più prompto », efc.

ia

92. — A S F. Med. av. Pr., LIX, 118.
Lorenzo de’ Medici al Lanfredini.

Firenze, 1489*, Feb. 3.

« Alla ricevuta della vostra de’ di 27 si trovava quì Santi di Cam-
millo Vitelli, notissimo a voi, et conferì seco la intentione di N. S. circa
la limitatione de’ capitoli fermi col Legato a Perugia da 5 anni a 18
mesi, etc.; et in effecto ne lo mandai benissimo instructo et a’ Bagloni
et a Cammillo, et ho speranza tornerà con lo effecto che desiderate; di
che vi adviserò per potere dare effecto alla sicurtà loro o per brevi o
per altro modo. A questa hora a Perugia sono chiari di quello che
havevo seripto loro, cioè che 'l sospeeto [che] havevono era vano, et
tanto più pigleranno fede et accomoderannosi a quello che vuole il Papa; 1
et seguendo qualche provisioneella a quelli Bagloni, si ribadiranno fe
nella devotione di costà, maxime perchè tueta la fede che hanno in
noi servirà al proposito di mantenergli in cotesta devotione », etc.
IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC.

59. — A S F. Med. av. Pr., LIX, 121.
Lorenzo de’ Medici al Lanfredini.

Firenze, 1489*, Feb. 12.

« Da Perugia ho una lettera da quelli Bagloni et mi fanno inten-
dere che drieto alla lettera debbono mandare subito uno loro, et ac-
cennónmi bene per anchora non è comparso questo mandato: advise-

ròvvene subito », etc.

54. — A S F. Med. av. Pr., LIX, 130.

Lorenzo de’ Medici al Lanfredini.

Firenze, 1489*, Feb. 14.

« È arrivato quì el Cancelliere de’ Perugini mandato da quelli Ba-
gloni per farmi intendere la intentione loro circa quello mossi loro per
Sancti da Castello tin effecto credo saranno disposti a fare quello che
vuole N. S. Stanno alquanto ombrati perché conprendo messer Gua-
sparre Biondo con quelle genti ogni dì suscitino in quelle cireumstan-
tie cose nuove et pocho a proposito loro et anche forse di N. S., per-
chè a me pare che con cotesti modi non si faccia altro che scoprire
mala voluntà sanza effecto. Io credo debbino essere opere al tutto con-
tra la opinione di N. S. ad instigatione d’ altri che vorrebbono vedere
la S. S.tà in travaglo, et havendo facto tante cose per confermare in
buona opinione et fede questi Bagloni, non mi parrebbe da guastarle

per zachere, perchè sono certissimo, levandosi questi dubi, N. S. può:
più disporre di Perugia che d’alcuna terra della Chiesa. Io ho facto in-
tendere a questo loro Cancelliere che queste cose dispiacciono a N. S.
et che mi pare essere certo, come sarà assettata questa cosa che vuole
N. S. da loro, tucti questi sospecti cesseranno et leveràssi via el Com-
missario con le gente, perchè, acconcie le cose, non saranno più neces-
sarie; et con questo et altre parole ha seripto indrieto in modo che
sono certo alla risposta si potrà fare quello che vuole N. S. A me par-
rebbe che voi procurassi d’avere la cautela secreta che vuole fare N. S.
a costoro per mio inezo o per uno breve o per quel modo che vi parrà

meglo, purchè sia chiara et specificata in modo che stia bene come si

conviene alle cose che passano per mie mano; et credo in effecto pos-
siate mettere questa cosa per acconcia et mandare liberamente questa

cautela et ordinare da altra parte che si levino el Commissario et.le

TRARRE
478 G. DEGLI AZZI

gente et la cagione di queste sullevationi in paese acciochè costoro
se assicurino interamente et posino l’animo.

In cotesta librerria del Papa è uno Psalmista Caldéo del quale ha-
rei bisogno grandissimo per pochi dì. Supplicate a N. S. che se degni
servirmene, che subito lo rimanderò ».

95. — A S F. Med. av. Pr., LIX, 132.
Lorenzo de’ Medici al Lanfredini.

Firenze, 1489*, Feb. 17.
« A Perugia, per quanto intendo, di poi vi seripsi, sono entrati in
gran sospecto che questi Oddi non tentino qualche cosa nello stato et
non abbino spalle, ecc.; maxime perchè comprendo siano suti advertiti
da chi ha qualche dependentia dal Papa, che stiano a buona guardia ;
se è cosa di fondamento non so; ma non sendo, come credo, sarebbe
bene levare loro questo sospecto che non serve se non a male; leve-
rebbesi in gran parte, levando el Commissario et quelle poche gente.
Non sento però per questo che a Perugia habbino mutato proposito di
quanto vi seripsi per l’ultima », etc.

96. — A S F. Med. av. Princ., LIX, 135.
Lorenzo de' Medici al Lanfredini.

Firenze, 1489*, Feb. 21.

« Circa le cose di Perugia, a lloro crescono continuamente sospecti.
Credo habbiate inteso la novità di Orti, et lo essere alcune altre di
quelle terre ogni di sollevate; sarebbe bene levare la cagione, et quando
lo acconcio di tucte queste cose si rimettessi al Cardinale di Siena et
si levassino le gente et quel Commissario, erederei tucto posassi. Quanto
alla sicurtà di Perugia, io credo se N. S. mi scrive uno breve che ac-
certi, non obstante la limitatione de' cinque anni redocti a uno, che è
contento siano cinque et che con queste conditioni accepti per buoni
figluoli e' Bagloni et assicuri lo stato loro et ingrassi un poco le

parole
in questi effecti, dandomi commissione che io ne facci lor

o fede, reste-
ranno satisfactissimi, maxime seguendo gl'effecti poi che per opera di

N. S. quelle cose circumstanti quietino. Se più o meno paressi a voi,

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479

IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC.

; LI
me ne rapporto a l'iuditio vostro; o questo o altro modo, mandatelo
presto perché ei sia quando la risposta da Perugia, o pocho poi, per-
chè a ogni hora l' aspecto », ecc.

e 507. — A SF. Med. av. Pr., LIX, 139.

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Lorenzo de’ Medici al Lanfredini.

Firenze, 1489*, Mar. 5,

« Per quanto sono advisato da Perugia, questi Oddi hanno facto
insulto a certe terre del Perugino, che sono pure cose di mala natura.
Crederei fussi bene quietarle, come vi ho decto, perchè a me non piace
vedere a uno tracto tanti suscitamenti di scandali, et è bene spegnerli

a buona hora; et essendosi preso co’ Perugini per mio mezo quella con-

Exa

clusione, sarebbe bene che N. S. se ne risentissi, et come dico, questa
cosa si quietassi assodando una volta questo stato de’ Bagloni, perchè

^

aggiunte queste turbationi alla licentia di Virginio et alla obstinatione
del Conte, mi paiono da stimarle più che voi non fate. Siate allo sti-
mare i pericoli gagliardi et al provedervi vilissimi: et poi clie sono en-

trato in questo, a me pare che sia bene sturare gl'orechi a N. S. et
mostrargli che a mio parere. porta gran pericoli », efc.
(Segue parte in cifra).

58. — A S F. Med. av. Pr., LIX, 142 bis.

Lorenzo de' Medici al Lanfredini.

Firenze, 1489*, Mar. 11.

« Io ho mandato a fare intendere a’ Bagloni la dispositione di N.

S. alle cose loro, chè so ne haranno assai conforto. Prieghovi operiate
che gl’effecti seguitino, perchè ogni di mi pare più necessario levare
questi semi di seandali, vista la intentione del Re », efc.

99. — A S F. Med. av. Pr., LIX, 144.

Lorenzo de’ Medici al Lanfredini.

Firenze, 1489*, Mar. 14.
« Delle cose di Perugia vegho N. S. persevera nella medesima di-
spositione che mi piace assai. Crederei fussi bene dessi ordine al Le-
TT ENEDENCONNCSERN,

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————_—_—=ttttTttTTt=t+tT=i1rzx==

480 G. DEGLI AZZI

gato che potessi usare oltra le censure et minaecie anchora le gente
che si truovano in quelle parte. Noi anchora aiuteremo più gaglarda-
mente. Harei bene caro intendere se pare a N. S. che noi serviamo
questi Bagloni d'una bombarda che ci richieghono per expugnare Pac-
ciano. Io crederei fussi bene per ogni via possibile aiutargli per spe-
gnere questo fuoco: et credetemi che, se N. S. usa questa occasione,
farà questi Bagloni interamente suoi et gli confermerà in ogni buono
proposito. Vorrebbesi fare intendere al Duca d’Urbino che anchora lui
aiutassi et non disaiutassi, et rimettere alla discretione del Legato de
usare verso questi usciti quelli modi che gli parranno ; perchè io me
ingegnerò disporre i Bagloni a fare a punto quello che vuole il Le-
gato, et a ogni modo si vuole saldare questa piagha per le ragioni
altra volta scripte », efc.

60. — A C P. Amn. Decem.
Breve abrogans Decem Arbitrij.

[e. 24 r.]. 1500, Apr. 28.

« Dilectis filiis Prioribus Artium et Decem Arbitrij Civitatis nostre
Perusie.

Alexander papa VI.

Dilecti filij, salutem efc. Pridem tam per legatos quam alios guber-
natores et offitiales qui in ista nostra civitate pro tempore fuerunt non
sine molestia intelleximus schandalorum et delictorum occasiones que
quotidie ex officio isto Decem arbitrij vulgariter nuncupato a decem an-
nis vel circa in non parvam nostre et apostolice sedis jurisdictionis
iacturam provenerunt ac in dies provenire formidantur: Nos volentes
desuper oportune providere, presentium tenore, sub excomunicationis
ac rebellionis et amissionis omnium privilegiorum vestrorum et decem
milium ducatorum Camere Ap.ce de facto applicandorum penis, man-

damus quatenus, visis presentibus, omni excusatione postposita a dicto

officio et illiusque administratione exercitio prossus (sic) abstineatis at-
que abstinere faciatis negotiaque et offitia ipsius Comunitatis per vos
sieut ante institutionem dieti offitij solitum erat et consuetum, tractare
et ordinare ae exercere; ac dilecto filio nostro Raymundo tituli sancti
Vitalis prebitero Cardinali Gureen. nostro et Ap.ce sedis legato tam
circa cassationem et anullationem dieti offitij Decem arbitrij quam circa
imbussulationem futurorum Priorum ac aliorum offitialium ipsius civi-
tatis per dietum Legatum faciendam, omni promptitudine et obedientia
asistere et favere, efc.
*

IL TUMULTO DEL 1488 IN PERUGIA, ECC. 481

è

Cassantes nihilominus presentium tenore omnes et singulas ordi-
nationes inbussulaturas et Capitula per prefatos Decem arbitrij edita,
que in preiuditium nostrum et ipsius Camere quomodolibet facta esse
per dietum Legatum reperirentur vel iudicarentur, efc.

Datum Rome apud S. Petrum sub anulo Piscatoris die xxviij
Apr. MCCCCC. pont. nostri anno octavo.

I Priori unanimi accettarono il breve, che fu letto a quattro dei Dieci,
cioè a Guido Baglioni, Baglione Monteubiano, Periteo Montesperelli e
Pietropaolo della Corgna, i quali l’accettarono e dissero di non poter
nè volere « contradicere voluntati superioris ».

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GUBBIO SOTTO | GONTI E DUCHI D'URBINO

[1984-1682]

(Continuazione vedi Vol. XI, fasc. I-II, pag. 135-246, n. 30).

I banditi, i facinorosi preoccupavano facilmente i duchi
e le diverse Comunità. Formavano essi una genia che niente
aveva da perdere, tutto da guadagnare dalle proprie follie e
da’ tradimenti. Si prestavano spesso a far lega comune coi
potentati di fuori e coi soliti malcontenti del Ducato che
avevano interesse a sovvertire lo stato o a far nascere dei
subbugli, sfogando così le tristi passioni del loro animo per-
verso contro le sostanze e i cittadini (1). Si aggiunga che
molti fra i sudditi, sia popolani che no, per ignoranza, per
mala fede o per interesse; per parentela o per amicizia coi
fuorusciti, rei od innocenti, non trascuravano di proteggerli
in qualunque modo e in qualunque momento. Donde i duchi,
e quindi anche le Comunità, dovevano pure occuparsi dei
cosidetti favoreggiatori, colpire la loro audacia con pene se-
vere.

(1) Da una lettera, p. es., del luogotenente di Gubbio, scritta ai 14 di gennaio del
1500, si ricava: « Subito avendo posto ordine col[bargello] et molti honorati capitani
« di questa città, d' andare in persona a trovare que’ temerari.... quali ardivano di
« notte far le mascherate, guarnimenti et harmate, ogni cosa è cessata, et... erano
« certi forastieri, quali si erano partiti, quali se non partiranno, volemo smasche-
« rare et conoscer » (Lib. ms. segn.: Cl. I, D. G., F. CCLX).
484 A. PELLEGRINI

Questo fece Guidobaldo con un decreto che verrà poi

letteralmente ripetuto dal suo successore: « Considerando

«

«

«

«

«

«

«

^

l'Ill.mo et Ecc.mo Sig. ecc. ecc. quanti gravi delitti et in-
convenienti nascano giornalmente dalla pratica, conversa-
tione et recettatione de banditi et homicidi, volendo a quelli
obviare et provedere con oportuno remedio, per il presente
publico bando ordina, proibisce et comanda a ciascuna
persona di qual grado che sia o conditione, che non ardisca
o presuma dare nè dia ricetto, magnare o bevere nè per
qualsivoglia alcun altro modo aiuto, commodo, consiglio 0
favore per sè o per altri direttamente o indirettamente ad
alcuno homicida o altro capitalmente bandito o condennato
né ad alcuno di essi per qualsivoglia causa ricevere let-
tere o messi o imbasciade, etiam Dio che fossero patri o
fratelli o in altro modo attinenti, né con essi parlare, pra-
ticare o conversare in qualsivoglia luogo, sotto pena della
vita e confiscatione de’ beni da applicarsi de fatto alla Ca-
mera di S. A. Volendo inoltre che ciaschuno che haverà
notitia de' sudetti recettatori, fautori o transgressori del
presente ordine o bando, debbia subbito rivelarlo al Giu-
dice o offitiale del luogo, sotto la medesima pena non reve-
lando, et revelando, se il revelante sarà uno de’ recetta-
tori e fautori e trasgressori sudetti, revelando gli altri, se
intenda egli sia per quella volta perdonato e rimessa la
pena che fosse incorso per tale recettatione, et se sarà al-
tro, guadagnarà la sesta parte de la pena che pagaranno
li recettatori e non revelanti e più ad arbitrio di S. A.,
e sarà tenuto secreto. E di più il sudetto sig. duca, acciò
il suo stato sia ben netto et purgato di tale pratica e com-
mert'o di detti banditi e delinquenti, vuole e dichiara che
sia lecito ad alcuna persona, trovando alcuni di detti ho-
micidi o banditi capitalmente in detto suo stato, pigliarli
et darli in mano della Corte et stenderli et amazzarli senza
timore et incorso di pena alcuna; anzi a maggior loro per-
segutione ordina et comanda a tutti, tanto particolari quanto

=
la ro

arene

RET gi
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D’URBINO 485

offitiali, priori, sindici e Communità dei luochi, ove alcuno
« di detti homicidi o banditi capitassero, siino obligati so-
« nare subbito e fare sonare la campana all arme, levarli
« il romore dietro, pigliar e far pigliare l'arme et correre
« anco in aiuto della Corte et perseguitarli et fare ogni sforzo
« et usar ogni diligentia per haverli nelle mani, potendosi
« havere vivi, se non morti, sotto pena alle Communità,
« priori, sindici et offitiali dei luochi, di scudi 500 et priva-
« tione d'offitio, et a’ particulari di scudi 200 per ciascuno
« et d'altre pene reservate all'arbitrio della prefata S. A., da
« applicarsi de fatto alla sua Camera, et per l'altra metà
« all’accusatore et essecutore egualmente (1) ».

Il clero che avrebbe potuto far tanto bene al paese e
riuscire di sostegno e di consolazione ai miseri, ben visto
dalla maggioranza de' cittadini, sostenuto dalle leggi e pri-
vilegiato — troppo privilegiato — spesso veniva meno al
proprio ministero ed era causa di scandalo e di tumulti.
Perché non é che ci sia da farci meraviglia se un monaco
od un prete prevaricava; il male sta nel fatto che allora
lintera corporazione o l'autorità ecclesiastica, per un falso
sentimento di pudore, per l'idea innata che i suoi membri
o sottoposti non potevano fallire, spesso prendevano esse le
difese del delinquente, sottraendolo alla pena dovuta, al

-coperto dalla ingerenza della giustizia laica. Donde, frati e

monache e preti ribelli a qualsiasi giogo, e di costumi cor-
rotti e indegni dell'abito che portavano, del quale si servi-
vano per nascondere le loro magagne.

Forse, dedicandoci alla ricerca di documenti che si rife-
rissero ai diversi conventi di cui era piena la città di Gubbio,
chi sa quali turpitudini si scoprirebbero qui, come altrove,
dappertutto si hanno! Nell'archivio capitolare, negli archivi pri-
vati de’ monasteri e in quelli pubblici delle diverse città del
Ducato, la materia non dovrebbe mancare. Io me ne occu-

(1) Bando del 19 agosto 1565 (Lib. ms. segn.: Ordini, Bandi ecc. ; III, XVII, c. 4;
Ar. Armanni, Bibl. cit.).

dee

MBA uU II
486 A. PELLEGRINI

però qui per quel poco che ho rinvenuto. E si capisce bene
perchè non. si hanno molte memorie della vita privata di
costoro. Non erano essi cittadini di uno stato, o almeno come
tali non si consideravano, perchè sfuggivano alla legge co-
mune, non riconoscevano nè il governo nè i tribunali laici,
non pagavano tasse, non ammettevano imposizione di sorta;
formavano una vera e propria casta a parte; non avrebbero
dovuto aver relazione col mondo profano se non in quanto
alla vita spirituale, e con questa scusa s'insinuavano nelle
famiglie impossessandosi delle coscienze in modo che qua-
lunque turpe azione commettessero veniva loro perdonata,
e il triste ricordo restava nella cerchia di un circolo ristret-
tissimo, perdendosene poi traccia del tutto. Perché adunque
gli scandali, facendo capolino, dilagassero e colpissero al cuore
el ingenui credenti, bisognava che uscissero dall'orbita dei
naturali e de' consueti e che tentasse d' intervenire l' autorità
laica: l'esagerato mercimonio di cose sacre, le lotte fra due
istituti per quistioni di precedenza, l'arrogarsi del vescovo
de' privilegi altrui, la fuga di un ecclesiastico, la ribellione
assoluta di un intero convento o di un buon numero de' suoi
addetti a qualche decreto della Chiesa. ;

Questi erano per lo più i casi per cui l'opinione pub-
blica si appassionava, e le coscienze si turbavano, donde

spesso nasceva conflitto fra le due autorità ecclesiastica e.

laica; sia perché ambedue volevano arrogarsi il diritto di
giudicare il reo, sia perché la prima intendeva assolverlo e
la seconda condannarlo.

Dunque, per concludere, mentre sarebbe quasi inutile
che lo storico si affannasse a ricercare e a rilevare il pec-
cato dei singoli del tempo presente, perché facenti parte ora
anche gli ecclesiastici del novero dei cittadini e perché non
più capaci con le loro geste isolate di commuovere alcuno e
molto meno un intero paese, è invece doveroso riferire sem-
pre quel poco che si sa dei secoli passati, inquantoché, come
ho già accennato, anche la sola diserzione di un frate o di
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO AST

un prete era causa di commozione dell’ intero stato e d' inter-
veuto delle autorità; un fatto simile potendo commuovere
tanto, quanto l'assalto improvviso di un nemico esterno, quanto
una congiura o un attentato alle libere istituzioni, rientra.
dunque per noi nell’orbita di un vero e proprio avvenimento,
e perciò devesi ricordare.

Del resto, sotto Guidobaldo non si ebbe a deplorare che
qualche incidente doloroso che per breve tempo turbò la
quiete pubblica della città. Sotto il di lui successore invece
avvennero fatti assai più gravi di cui parlerò a suo luogo.

Il 4 ottobre del 1562, il luogotenente di Gubbio scrive
al duca che un tal Raffaello di Giuseppe, frate del mona-
stero di S. Agostino, la notte prima, aveva rapito una mo-
naca dal convento di S. Antonio da Padova, « il quale — con-
« tinua il luogotenente — è dentro la terra, ma su alto dove
« non è habitata; et questo perché havendola 1 abbatessa
« trovata gravida... di lui et messala prigione, questo frate,
« per liberarla, rompendo il tetto et poi il solaro di sopra,
« Si era calato nella camera nella quale ella era riserrata,
« e per la medesima via onde era entrato, tiratala fuori; et
« presentendo io che questo frate era nel suo convento...,

.« senza rumori mandai a chiamare il priore.., feci si che

« egli mi promise di metterlo prigione...: et perciò haven-
« dolo il priore fatto riserrare in certo luogo, mentre il Bar-
« gello, secondo l'ordine dato, andava al convento (che é
« poco fuori della città), 77 priore lo lasciò fuggire dall’ altro
« canto, fingendo poi che fosse scappato. Così non si è trovato
« più. La monaca ancor non si truova, per molta dilligenza
« che gli suoi medesimi ne facciano, alla qual cosa io faccio
« Star avertito acciò non l'amazassero.... Fra tanto ho havuto
« che fare a tenere che gli parenti di lei non siano questa.
« notte andati a quel convento, credendovi trovare il frate
« dove potevano succeder molti mali... (1) ».

(1) Lib. ms. segn.: Cl. L, D. G., F. CCLX. Arch. di Stato cit.
488 A. PELLEGRINI

Ed ora qualche domanda e qualche considerazione. Se
frate Raffaello di Giuseppe fosse fuggito ai nostri tempi, chi
lo avrebbe rilevato? E si sarebbe forse temuto che i pa-
renti si prendessero la briga di dare l'assalto al convento?

No, davvero; né la vita interna del paese rimarrebbe per

nulla turbata. Inoltre, se un male c'è da deplorare, non è
nel peccato di quei due infelici che, in fin de’ conti, bisogna
vedere se si fossero votati alla castità e contemplazione, per
amore o per forza, ma nell' incuria dei superiori che non vol-
lero o non seppero tutelare il buon costume. Ma c’è dell'al-
tro: il priore, lasció fuggire il frate per un sentimento di
pura umanità, o perché indispettito che del fatto s'ingerisse
l'autorità laica? Ecco il nodo della quistione che non voglio
risolvere; se peró dovessi dare un giudizio, direi che il cuore
non ci entrava per nulla; era pel solito principio di non vo-
ler dipendere da altri che da Dio o da’ suoi diretti ministri
che il priore prendeva l'occasione di dare pubblicamente
uno schiaffo alle autorità borghesi.

Pur nullameno, il luogotenente prosegue nelle sue inda-
gini e si sfoga, non sul priore del convento, ché sarebbe
stato osar troppo, ma su di un mal capitato, privo di appog-
gio, che aveva aiutato il frate ad andar lontano: « Scrissi....
« di trovare quali fossero gli compagni di quel frate, et....
« ho fatto metter prigione un Marcuccio di qui, suo parente,
«i| quale era col frate quando se fuggi del convento, et
« l'accompagnó fuori: et... non ho voluto ancora procedere
« rigorosamente, acció gli altri non fuggissero, che in questa
« città sono le prigioni cosi aperte, che quel che si dice et
« si fa là dentro si sa per tutta la piazza; ma havendo in-
« ditio che un Riccio di Pancotto, pur di questo luoco, era
« stato compagno del frate a tutte le cose, mandai.... per pi-
« gliarlo, ma egli prima se ne fuggi, et sotto il suo letto fu-
« rono trovati gli panni di questo frate. La donna non. si
« può sapere’ ancora dove sia, ma il frate et Riccio s' intende
« che si sono ridotti a Prietragialla del conte Guid'Antonio
dam inte

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 489

« Ubaldini....; questo accidente ha turbato gravemente tutta que-
« sta città contro quei frati di S.to Agostino, et per questo et
« per la non molto santa vita loro, massimamente în questi
« tempi (1) ».

Dopo aleuni giorni di prigione, Marcuccio, messo alla
tortura confessó che si era incaricato proprio lui di correre
« a dire a quel frate et a quel Riccio di Pancotto.... che si
« fuggissero.... »; disse pure « che nel caminare, il frate et
« Riccio confessavano di haver menata via la monaca et che
« l'havevano mandata a Lionessa, luoco del sig. Paolo Vi-
« telli verso Norscia (2) ».

Dunque, i due amanti erano omai al sicuro; e protetti
dal dio degli innamorati, avranno potuto un giorno riunirsi e
vivere tranquilli, perché il luogotenente, con altra lettera
del primo novembre, finisce per confessare la propria impo-
tenza; aggiunge solo che. ebbero un altro complice in un
bandito di Perugia, e ripete: « .... questo monasterio /d S. An-
« tonio] et degli altri hanno bisogno di cura et di custodia (3)».

Che non aveva torto di ragionare cosi, lo vedremo quando
parlerò di Gubbio sotto Francesco Maria II.

Del resto, qual disciplina, quale ossequio alle leggi po-
tevano avere gl'inferiori, quando le stesse autorità ecclesia-
stiche davano il cattivo esempio?

Il Sarti, nella sua opera citata De Episcopis ecc. riferi-
sce in epoche diverse le contese or dell'una or dell'altra co-
munità clericale, o quelle fra il vescovo e il superiore di un
ordine religioso; né io le riporteró, per evitar di ripetere le
stesse cose, rimandando il lettore all'opera citata, ma riferiró
bensì tutto quello che fu omesso da lui.

Il cardinale Iacopo Savelli, p. es., già vescovo di Gub-
bio (4), avendo ayuto in questo tempo la cattiva idea di pro-

(1) Lett. del luogotenente, del 9 ottobre 1562 (Lib. cit., Arch. di Stato cit.)

(2) Lettera del luogotenente, del 23 ottobre 1562 (Lib. ms. segn.: Cl. I, D. G., F.
CCLVI; Arch. di Stato cit.).
(3) Lib. cit., Arch. di Stato cit.
(4) Cfr. M. SARTI, Op. cit., pag. 225.

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KI ded A AE Arun IDEE s
490 A. PELLEGRINI

porre a Pio IV di sottomettere la diocesi eugubina a quella di
Urbino, fu causa che la Comunità, il capitolo, il vescovo
stesso, che era suo fratello, insorgessero immantinente; e la
quistione si protrasse e si acuì tanto, che « tutto il populo e
« Clero ne » prese «incredibile fastidio e dispiacere (1) ». Ci
volle del bello e del buono perché una delle due parti ce-
desse, e cedette Roma (2).

Mariano Savello, fratello del cardinale, vescovo di Gub-
bio dal 1561 al '99, checchè ne dica il Sarti (3), non seppe
o non volle mantenere per nulla la disciplina fra i sottoposti,
e lo sfacelo degli ordini monastici raggiunse il colmo: e la
Chiesa eugubina fu piena di scandali. Un esempio, sebbene
di scarsa importanza, l'abbiamo già avuto nel 62, subito un
anno dopo da che era venuto a ricoprire la diocesi; altre
prove di scandali enormi e continuati le darò a suo tempo.
Si aggiunga che neanche con la Comunità, come vedremo,
passava buon sangue, perchè doveva essere, da quello che
appare, dalle quistioni che solleva, di carattere altezzoso e
petulante.

Vediamo ora quali furono le principali disposizioni di
Guidobaldo II riguardo alla vita cittadina.

(1) I Consoli scrivono il 13 settembre del 1563 al duca: « ...... il cardinale Sa-
« vello, per farsi patrone assoluto, non solamente del vescovado di Ugubbio, ma de’
« beni e canonicati della chiesa catedrale .... a tale effetto ha di nuovo impetrato
« dal presente Pontefice Pio iiij la derogazione de’ privilegij di detta chiesa della
« lunga consuetudine e d'ogni altra ragione, favore e comodo di quella, cosa vera-
« mente de si gran detrimento a l'utile e honore di questa città e tanto fuori del
« giusto e del honesto, che tutto il populo e clero ne ha preso incredibile fastidio

« e dispiacere ...... ;i sudetti privilegij della catredale fuorono già confirmati da
« papa Leone X a contemplatione della felice memoria di Francesco Maria ..... , di

« questa comunità e del Capitolo ecc. » (Lib. ms. cit.; Arch. di Stato cit).
Naturalmente i consoli esageravano dicendo che il cardinale Savello voleva
farsi patrone assoluto del vescovado, de’ beni ecc., ma il fatto é che se la chiesa
fosse stata appunto incorporata, come lo fu per poco, con quella di Urbino, secondo
appare dal Sarti (op. cit., pagg. LXXXI e 226), avrebbe certo finito di perdere ogni
importanza. ;
(2) M. SARTI, Op. cit., pagg. cit.
(3) Op. cit., pag. 226.
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re REM E C ER

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GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 491

Tralascieró di parlare dell'edilizia, perché non si erigono
più nuove fortificazioni né si acconciano le vecchie — forse
perché il bisogno non lo richiedeva —, ma si risarciscono
solo molte strade urbane e il condotto pubblico e si fabbrica un
palazzo per abitazione del luogotenente (1) e verrò piuttosto
ad alcuni bandi, intesi, è vero, a regolare il buon andamento
del vivere, ma di cui molti vedremo che ledono la libertà
individuale, il libero espandersi della vita nel senso moderno
della parola.

Accanto ai bandi che proibivano ai sudditi di portar
coltelli, spade, pugnali, arme d'asta ecc. (2), in qualunque pe-

(1) Senza stare a spigolare le Riformagioni, riportero ciò che serisse nelle sue
Memorie il capitano Ubaldantonio Gabrielli (Mem. cit., pagg. 18, 19), essendo conforme
al vero: « Nel 1558, avendo Sua Eccellenza comandato a la Comunità che facesse ri-
« sarcire molte strade della città e del contado, fu data tal carica a me. Avendo il
« condotto pubblico bisogno di gran restauro, fu dato il carico a me e a mes. Ubaldo
« Bent. Volendo ancora la Comunità fare una bellissima fabbrica in piazza per più
« decoro e per abitazione del luogotenente e del podestà, fu io uno de’ soprastanti
« con mes. Filippo Ondedei e Bartolomeo Ceteroni ». La fabbrica per abitazione del
luogotenente e del podestà é quella dove sono oggi la scala d’ingresso e gli uffici
della ragioneria e dei copisti annessi al palazzo comunale.

(2) Riporterò i brani principali dei due bandi che sebbene emanati per lo stesso
fine, pure si differenziano alquanto nei particolari: S. E. ordina che « .... le prohibi-
« tioni di portare e tenere archibugetti piccoli, fatte ne bannimenti passati restino

« salde e ferme...., li archibugi di misura sia lecito a ciascheduna persona portarli
« fuori della città o terre di S. Ecc.za Ill.ma.... et di giorno solamente....., ma in detta

« città o terre caschino nelle medesime pene che si contengono nei bandi di prima,
« eccetto li soldati delle legioni, a quali sia permesso il portarli per tutto et di giorno,
« ma per reprimere tanto più la temerità di quelli che cercano d'ammazzare ecc.
« Ordina che tutti coloro che tireranno ad altra persona tanto che l'ammazzeranno
« quanto se no, ancora che non lo cogliessero..... si intendono subito incorsi nella
« pena della vita e confiscatione di tutti i loro beni, con essere dishonorati e no-
« tati di perpetua infamia in quel delitto; specialmente comanda che si habbia per
« legittimamente provato ogni volta vi sia anche un solo testimonio di veduta. Vo-

« lendo che....... l’accusatore....... sia tenuto sempre secreto e riconosciuto....... con

« premio di 25 scudi...... e de beni d’ esso malfattore. Et che nessuno possa tirare
« con detti archibugi vicino a terre o città per un miglio...., e che restino illese le
« prohibitioni di tirare a colombare a piccioni..... L' altre sorte d' armi, come spade,
« pugnali et arme d'asta, si contenta S. E. che si possano portare honestamente da
« ogni uno per tutto lo stato suo, ma non già dentro alla città o terre, ne quei luo-
« ghi ne castelli murati non sia lecito se non alli privilegiati ecc. Di Pesaro il di xiij
« di Aprile 1503 » (Lib. ms, segn.: Ordini Bandi ecc., III, XVII, e. 3; f. 25, 26; Ar.
Armanni, Bibl. cit.).

Il secondo bando emanato da Pesaro il 26 gennaio 1568 proibiva di portare

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499 A. PELLEGRINI

riodo dell'anno, e specie in carnevale, sotto la maschera (1)
— previdenza allora tanto piü necessaria, in quanto che
l'uomo, dati i costumi e le abitudini, si sentiva maggiormente
disposto e quasi spinto ad usare di ogni mezzo d'offesa per
un nonnulla e in qualsiasi occasione —, accanto ai bandi che
riflettevano, come vedremo, il buon costume e tutelavano l'o-
nore delle donne, che cercavano di rimettere la concordia
fra paese e paese, altri se ne trovano, come ho già detto,
che ledono affatto la libertà individuale, gl'interessi privati,
economici e sociali, Poiché, nulla sfugge alla sagacità del
duca o dei suoi ministri; tutto è contemplato, ogni atto della
vita é regolato secondo gli umori di chi governa, secondo
le circostanze e le idee che prevalgono, secondo i tempi e
gli usi.

E i decreti, per lo piü, son chiari, minuziosi, espliciti, per
evitare equivoci o che si eluda la legge.

" Le pene che si minacciano sono severe, spesso inade-
guate alla colpa; ed é da deplorarsi che fosse permesso ai
giudici di punire anche dietro l'accusa di un solo testimone,
poiché ciò era un'arma in mano dei vili e causa di abusi
dolorosi e di vendette.

Nel 1544 si stabilisce la pena della forca per tutti quelli
che volendo « pasciare la loro sfrenata voglia, mossa da in-

« arme d'asta et archibugii di qualunque sorte a quei luoghi a quali si suole con-
« gregare moltitudine di gente, come alle chiese, alli merchati et alle feste » e ag-
giungeva: « Si ponghino dette arme fuori alla porta di detti castelli, lontano almeno
« 200 passi, sotto pena di tre tratti di corda e di 25 schudi ». (Lib. ms. cit.; Ar. cit.,
Bibl. cit.).

(1) Il duca ordina « che ciascuna persona..... anco privilegiata di qualunque
« privilegio..... in nessun modo ardischi, mascherata, portare armi da offendere di'

« qualunque sorte » sotto pena « della galera perpetua, et... non presumi portare
« bastoni, canne ecc. sotto pena di tre tratti di corda et di 25 scudi d’oro ecc., et ar-
« dischi condurre seco ne in campagna sua o appresso di sé, servitori 0 qualunque
« altro con armi né con maschera né senza, se non con licenza espressa di S. Ecc.za
« Ill.ma sotto la pena di 500 scudi alli patroni, et tre tratti di corda alli servitori
« ecc. Et se alcuno, essendo mascherato, havendo arme, caccierà mano a quelle
« anco che alcuno non offendesse, incorra subbito nella pena della forca ecc. Die
29 gennaro 1569 (Lib. ms. cit., f. 60; Ar. cit., Bibl. cit.) ».

MM tuom Tr
deri ra

gorda libidine..., nelle città e fuori di esse usano violenza
« alle giovane di honesta vita per conoscerle carnalmente, ba-
ciandone ancora alcune per haverle per moglie, o per sati-
sfare al appetito loro (1) ». E questo decreto, abrogando
qualunque altro bando o statuto che contemplasse il medesimo
caso, e stabilendo d'altra parte il massimo della pena, quale
può essere la perdita della vita, o la confisca de’ beni a chi
si rendeva contumace, ci dà a pensare che in questo tempo
il popolo fosse sceso al più basso livello morale.

Ho già altra volta ricordato come esistendo un forte an-
tagonismo fra due paesi, pur sottoposti al medesimo signore,
si esplicasse poi spesso in vere e proprie rappresaglie. Nè
deve far meraviglia, quando si pensi che allora ogni paese
si sentiva per idee secolari, sebbene sotto le stesse leggi e
lo stesso cielo, estraneo l'uno all’altro, e quindi facilmente
nemico; era conseguenza logica della politica dei tempi, es-
sendo i sudditi coltivati sovente nelle loro idee di vendetta
e d’ira fraterna dalli stessi principi interessati a vederli ‘di-
visi. Pare adunque che fra Gubbio e Cagli non corresse buon
sangue per ragion di confini, donde le ostilità giunsero ad
un punto tale che, forse suo malgrado, dovette perfino in-
tervenire il duca: « Volendo tuor via.... ogni discordia ecc.
« tra gli huomini della città e contado di Gubbio et quegli
« di Caglie per causa del pascolare, lignare et uso ecc., vo-
« lemo che gli huomini de Caglie possano... pascer, lignare
« ecc. sino al ponte della contessa, et così alla dirittura di
« quello, si da la destra come da la sinistra...., e chel me-
« desimo possano fare gl’ huomini di Canthiano sino al ponte
« Grosso et alla dirittura d’ esso ecc.; se alcuno contravenirà
« a tale nostra dechiaratione, caschi in pena de mezzo scudo
« per capra e bestia grossa, cinque grossi per pecora, et uno
« scudo per persona ecc. Di Pesaro, il di 4 aprile 1554 (2) ».

A.

A

(1) Lib. ms. segn.: Ordini, Bandi ecc., IIT, XVII, c. 3, fll. 25, 26; Ar. cit. ; Bibl. cit.
(2) Lib. ms. cit., f. 14; Ar. cit.; Bibl. cit.

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 493

DR ERA EI: RNC
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494 A. PELLEGRINI

Certo, in quei tempi, per una sequela di circostanze che
è inutile enumerare qui, ma che si possono bene immagi-
nare, non doveva essere molto vivo nell’animo ‘de’ sudditi il
sentimento dell'educazione né del rispetto altrui né di tolle-
ranza, che è un portato dellodierna civiltà. Non dovevano
perció essere rari i casi che in un ritrovo qualsiasi, in una
festa civile o religiosa, nascessero per un nonnulla delle liti
sanguinose, che si rinfocolassero gli odi.

Anche qui la sapienza del duca interviene e bandisce in
due volte: « Per remediare desordini che succedano nelle
« feste, si notifica che chiunque usarà parole ingiuriose in
« qualunque luogo, ove si faranno feste, incorrarà in pena
« di due tratti di corda d'esseguirsi subbito (1) ».

« .. molti urtano e percuotono con mani et piedi nelle
« feste ove si balla, et cercano scusarsi sotto pretesto che
« la prohibitione non abbraccia questo caso..., dechiaro che
« la pena che é imposta per il decreto a quelli che fanno
« parole di contesa nelle feste, molto maggiormente... sia
« imposta a tutti quelli che urtano ecc. (2) ».

bi cercava adunque di evitare i disordini che potevano
nascere dalle parole ingiuriose e dagli urti e percosse di mani
et piedi, ma non si toglieva il diritto agli esiliati di tornare

in patria per la festa di S. Ubaldo — lasciata questa sussi-
stere e alimentata per ragioni esclusivamente politiche — i

quali si approfittavano — come del resto ho già accennato —
del breve indulto per compiere le loro vendette (3).

Ma un altro bando assai curioso per le cause che lo
provocò, è quello del 5 marzo 1567. Riguardava anch’ esso
la tutela de’ cittadini, cercava cioè d'impedire che il popolo
allegro e faceto manifestasse con ischiamazzi speciali il pro-
prio stupore, o meglio la propria ironia in occasione di certi

(1) Decreto del febbraio 1569 (Lib. ms. segn.: Ordini, Bandi ece., III, XVII, c. 45
f. 64; Ar. cit.; Bibl. cit.

(2) Decreto del 25 giugno 1569 (Lib. ms. cit., f. 65; Ar. cit.; Bibl. cit.).

(3) Cfr. B. TONDI: L'esemplare della gloria, pag. 9.

eri

FINEM ner i e ramen III —

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Bei ita pe mie EAT es >

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 495

matrimoni che potevan sembrargli ridicoli e inopportuni. An-
c'oggi il popolo, composto per lo più di ragazzi, in molte
città d'Italia serba il curioso, e nello stesso tempo antipa-
tico, andazzo di far, come si dice, la seampanata ad una COp-
pia che si sposi in tarda età, o i di cui membri abbiano ri-
levanti difetti fisici.

Il bando diceva: incorrerà nella pena di 50 scudi d’oro
chiunque « presuma in alcun modo, e sotto alcun quesito....
« di fare maitinate o scampanate o vero bagordi alli pedoni,
« tanto huomini come donne, che si maritaranno (1) ».

Abbiamo già visto le diverse provvisioni emanate sotto
Federico riguardo agli ebrei. Prima di lui, come dissi, non
esisteva per Gubbio un decreto ducale che riflettesse la li:
bertà e la sicurezza loro, né in seguito gli altri principi, Gui-
dobaldo e Francesco Maria primo, ebbero occasione di oc-
cuparsene più.

Guidobaldo II, invece, un anno prima di morire, torna con
un brevissimo decreto a ricordare agli eugubini, perché ce
n'era certo di bisogno, e il diritto d’ incolumità degli isdraeliti
e degli altri che non professavano la religione cattolica; il
decreto suona cosi: « Per parte et commissione dell Ill.mo et
« Ecc.mo Signore il Signore Guidobaldo Feltrio della Rovere
« Duca d' Urbino, Signore di Pesaro et di Sinigaglia, Prefetto
« di Roma, et di Santa Chiesa capitano Generale, si comanda
« à qual si voglia persona di qualsivoglia stato, grado e con-
« ditione che non ardisca in verun modo in fatti et in pa-
role dire o dar molestia alcuna, ne ingiuriare in modo al-
cuno hebrei, levantini, portughesi o altri di qual si voglia
« provincia et natione, et anco con le loro famiglie, sotto la
« pena di tre squassi di corda da darseli in publico senza
« replica nesuna, et in oltre di pagare quella pena pecunia-
« ria di più che si riserba al arbitrio di Sua Ecc.za. Notifi-

^

AR

A

« cando a tutti che se coloro che molesteranno detti hebrei

(1) Lib. ms. cit., f. 176; Ar. cit.; Bibl. cit.

MA

—— 496 A. PELLEGRINI

«

«

^

«

«

o lor famiglie, saranno minori di 14 anni, saranno tenuti
per loro i Padri et Patroni respettivamente alla pena pe-
cuniaria, et ad ogni modo li figlioli et garzoni colpevoli
haveranno il gastigo publico nella persona che li converrà
al età loro. — Die 1 octobris 1573 (1) ».

Uno di quei decreti che non avevamo fin ora trovato se

non nei veechi statuti, vien ripetuto nella sostanza sotto Gui-

dobaldo II, e riguarda i violantes santissimas Imagines. È senza
data, e perciò è difficile stabilire l'epoca in cui fu emanato,
del resto non é neanche necessario saperlo; basterà conoscere
piuttosto a quali criterii s' informa: « Tanta erga Domini Nostri

«

«

«

«

Iesu Christi santissimaeque Virginae et sanctorum ac san-
ctarum Imagines reverentia haberi a sudditis nostris non
potest, quin maiorem desideremus a religione enim bona
omnia provenire putamus. Proinde cum audiverimus multos
huius adeo esse contemptores, ut sepe in his et sanctissimae
Crucis signum impie serviant, quod facinus et si sacris
canonibus legibusque gravissime puniatur, ne a nobis, qui
tantopere haec curamus, negletta esse videantur, praesenti
nostra perpetua lege decernimus, ut quisquis posthac idem
sanctae Crucis signum, statuas, vel imagines fictas, aut pi-
ctas servatoris Domini nostri Iesu Christi sciens et pru-
dens.contennens vel ira iurans in terram deicerit, fregerit,
sciderit, turpaverit, vel quavis alia iniuria effecerit, aut
quomodocunque leserit, ultimo suplicio et naturali morte
puniatur, si capi poterit, et poena mortis in eum exequi;
sin minus publicatione omnium suorum bonorum fisco no-
stro illico addicendorum; si Divae Mariae ad triremes per
decennium relegetur simili modo, si poena, scilicet, corpo-
ralis exequi poterit, sin autem parte dimidia bonorum mul-
tetur et fisco nostro detur; si aliorum sanctorum aut san-
ctarum, fustibus publice cedatur eodem modo vel adimatur
a fisco bonorum quarta pars et quae nobis (2) ».

(1) Lib. ms. cit., f. 230; Ar. cit., Bibl. cit.
(2) Lib. ms. cit., f. 71; Ar. cit., Bibl. cit.
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 497

Questi i bandi principali che io metto nella categoria

dell'ordine pubblico, del rispetto alle persone od alle cose;
un altro invece che parea volesse salvare gl'ingenui dalle

male arti altrui, e che per me nascondeva un secondo fine,
era il bando seguente: « Considerando l'Il.mo et Ecc.mo

«

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Guidobaldo ecc. che il più delle volte quelli che si risol-
vono a fare libera donatione dei beni e facoltà loro. ad
altri, sono indotti a farli più per le persuasioni e promesse
che vengono loro fatte da donatarij, che per mera e spon-
tanea loro volontà, e così facilmente si trovano ingannati,
il che si vede per le liti che molte volte ne succedono in
danno e pregiuditio loro, et anco per il ricorso che fanno
a S. Ecc.za, che pentiti ritrovandosi privi del loro, diman-
dono rimedio et aiuto, di che ella ne sente non poco di-
Spiacere; e perciò volendo provvedere che per l’ avenire
non seguino tali disordini, S. Ecc.za Ill.ma vuole ecc. che
da hora innanzi non sia persona ecc. che ardisca.... far do-
natione di veruna sorte per titolo di donatione intra niuni
de’ suoi beni in tutto o in parte ad alcuna persona, senza
espressa licentia di S. S. Ill.ma sotto pena della perdita
dei beni donati, et in oltre de scudi venticinque, nella
quale incorra, tanto il donatore quanto il donatario, et di
scudi dieci al notario ecc. Dichiarando nondimeno e vo-
lendo espressamente che tali donativi et contratti che di
essi haranno celebrati senza detta licentia siano nulli, in-
ralidi e di nessun momento, come se mai non fossero stati
fatti (1) ».

Il fine vero e proprio cui mirava il duca, per me, era

questo: porre un freno alle tante donazioni che allora si usa-
vano strappare ai semplici di spirito dagli. ecclesiastici, in
nome della religione. Guidobaldo, naturalmente, non potendo
né osando, per ragione politica, bollare direttamente l'arte
dei ministri del culto pubblico, ricorse allo stratagemma di

(1) Lib. ms. cit., f. 20; Ar. cit.; Bibl. cit.

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MEBCOSU S utor LEUTE LN
498 A. PELLEGRINI

emanare un decreto d'indole generale, senza entrare nel me-
rito della quistione; ma vero è che lo scopo sarebbe stato
da lui sempre raggiunto.

Finalmente, due bandi che suonavano offesa alla libertà
individuale e di commercio, derivanti pur sempre da ragioni
interne di ordine e di economia, sono i seguenti: l'uno del

14 aprile 1547, vietava di fabbricar il sa/mitro — perchè di
gran danno all'arte della lana — sebbene in tempi più an-

tichi tal proibizione non esistesse (1). L'altro, del 29 aprile
1561, venendo. direttamente a colpire l' indipendenza degl’ in-
dividui e le famiglie ne’ loro affetti più cari, regolava le
doti e il lusso delle donne, e questa volta anche degli uo-
mini, le visite, da parte de’ parenti, alle puerpere e il com-
mercio della lana ecc. i

Quest’ ultimo bando non è diretta emanazione del prin-
cipe, ma del gonfaloniere d'accordo coi consoli di Gubbio, i
quali sottomettono la riforma a Guidobaldo, per la sua ap-
provazione, giustificandola così: « Havendo considerato di
« quanta importanza sia il reformare l’ excessive doti, le
« quali, alla giornata crescendo insieme con il superfluo ve-
« Stire delle donne, sieno alla città et particulari di evidente
« danno, perciocché per le doti excessive, quelli li quali le
« danno se impoveriscono et a quelli li quali le recevano,
« non solamente sonno di poco utile, spendendole oltre il
dovere in veste di drappo, in oro, argento e gemme et
« altri ornamenti, tanto della persona quanto di casa o altre
« Spese superflue, ma spesso di pari detrimento bisognan-
« doli restituire le doti integre, le quali hanno per la mag-
« gior parte consumate; et perciocchè, le parentele, le quali
« Si dovrebbeno o si solevano fare senza riguardo de le doti
« per sodisfatione, pace e unione delle famiglie, o concordia
« delle città, si fanno hora principalmente per le doti, donde
« ne resultano discordie, ecc., per liti ch' ogni di nascono dalle

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(1) Idem f. 11.
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 499

difficoltà de’ pagamenti o dalle restitutioni delle doti ‘et.
< parimenti il danno almeno di chi le da et spesso ancora
« di chi le riceve; considerando ancora che il presentare
« il quale, li cettadini fanno di tempo in tempo ai confalo-
« nieri o consoli esser di molta spesa, o che oltra il danno
« comune e cagione che li magistrati atendono più a ban-
« chetti et private sodisfationi, che alli comodi publici, del
« che se minuisce la dignità dell’uffitio; et il soverchio ve-
« stire delli homini, maxime de gioveni, ha bisogno di freno
« et di oportuno remedio, con molti altri abusi, li quali que-
« sta povera città non può tolerare, et sperando che Vostra
« Ecc.za.... non li dovesse mancare del solito aiuto.... hanno....
« adunato il publico consueto consiglio.... [e] furono.... electi....
« otto gentiluomini o cittadini li quali haveseno a provedere
« 0 ordinare quello che in ciò giudicassero convenirse a be-
« nefitio, tanto de particolari quanto della città tutta....; li
« quali, congregati... nel palazzo dei... consoli.... havuta fra
« di loro matura consideratione, intesa ancora la mente di
« Vostra Eccellenza Ill.ma, dal magnifico m. Barzo amba-
« Sciatore,.... hanno... formati li capitoli infrascritti ».

Dai capitoli infrascritti si ricava che si considereranno
divisi i cittadini in quattro classi o gradi. Quelli del primo
grado non potevano dare né ricevere una dote maggiore di
fiorini 2000; quelli del secondo, una dote di 1500 fr.; quelli
del ferzo, una dote di 1000 fr.; quelli del quarto, una dote
di 500 fr., sotto pena, ai trasgressori, da destinarsi. D'altra
parte, per conseguire e mantenere l'unione della città, stabi-
livono che « li più bassi si possino maritare co li maggiori ».
Quindi, chiusero il capitolo delle doti con i due articoli
esplicativi: « Item dechiarando che per li sopradetti capitoli,
« non s'intenda essere proibito ad alcuno grado che non
« possino pigliar le moglie che gli dessero l| heredità a loro
« differite in dote. Et conseguentemente che non sia fraude
« il pigliar la dote sopradetta, con speranza o parole che le
« moglie debbino hereditare. Item dechiarando che quelli li
«

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500 A. PELLEGRINI

quali si troveranno havere il domicilio fuori della nostra
città, pigliando moglie fuori della città, o maritando le
suoi donne fuori d'Ugobbio non s'intenda contravenire alle
soprascritte prohibitioni ».

Ed ora vediamo come dovevano vestirsi ed ornarsi tanto

le donne che gli uomini. Le norme sono assai diverse da quelle

DEri

già stabilite negli statuti del 1371 e nei nuovi decreti for-
mulati per lo stesso fine, nel gennaio dell’’85, sotto il reggi-
mento del conte Antonio. Leggiamo infatti:.... « quelle donne

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li quali fusseno sposate.... nel 1? grado di qual conditione elle
si siano et ancorche fusseno nate fuori d’ Ugubbio nobili,
non possino havere ne portare indosso più che veste tre di
drappo, ció é doi camorre e una ciamarra senza racami o
lavori di qual si voglia sorti. Et che volendo far sottane,
non peró di drappo, li sia licito listarle con braccia doi
di drappo a lor modo. Item quelle che fusseno sposate....
nel medesimo secondo grado, ancorche fusseno nate nel
primo, o altre volte fusseno state maritate nel primo, o
nate di fuori nobili, non possino haver vesti se non doi di
drappo con una sottana ecc.;.... quelle... sposate nel terzo
grado, ancorche fusseno nate nel secondo ecc. non possino
portare ecc. veste se non una di drappo o una sottana....;
.. quel del quarto o ultimo grado non possino portare ve-
sti di drappo di qual si voglia sorte, ma che solo le sia
lecito havere braccia doi di drappo, con il quale listino le
altre vesti ....

« .. tutte le gentildonne o cittadine dei gradi sopradetti
non possino portare in testa oro battuto, ne meno argento
in centure in qualsivoglia modo lavorato, né perle o gioie
di qualsivoglia sorte, ma... solo a quelle del 1° grado sia
licito portare scuffi di oro filato sotto la medesima pena ;...
quelle del 1° e 2° grado possino portare al collo o altrove
della persona, colane d’oro, non di magior valuta però a
quelle del 1° grado che di scudi 15, o a quelle del 2° che
di scudi 10, et volendo, in luogo di dette colane, portare

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GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 501

perle, le possino portare, pur che non excedino la valuta
di scudi 15 a quelle del 1°, o di scudi diece a quelle del
2° ecc.; quelle del 1° grado, non possino portare più che
anelli 4; quelle del 2^, anelli 3; quelle. del 3° e 4° grado,
anelli doi ecc.

« .. quanto al vestire delli huomini, di tutti i sopradetti
primi gradi, nessuno possa...., tanto di panno come di
drappo, spendere più di scudi.... (?); in-le cappe.... non vi
si possa spendere in trine o altri raccami d'oro o di seta....
più di scudi tre, a quelli del 1° grado ecc. ; quelli delli altri
gradi non più di scudi doi. Intendendo parimente che li
sartori non possino lavorar calze ne cappe fuori di questa
dispositione... ponendoli sotto alla medesima legge ».

Riguardo ai molti altri abusi che la loro povera città non

poteva tolerare, i consoli stabilirono:

« .. questo modo di presentare che da li cittadini si e
fatto sin hora et si fa alli signori consoli in palazzo della
loro residentia... si tolghino via. Havendo li sudetti otto
cittadini in questa parte facta resoluctione di dover pro-
vedere alli magistrati, quali per tempo saranno e sonno
ancora per altra via, se rinnova totalmente; intendendo
peró che tal reformatione à quel tempo habbia luogo o
incominci a sortire il suo effetto che la Comunità serà
reintegrata delli suoi intrate....

« .. tutte le gentildonne o cittadine di tutti i gradi
(come di sopra) nei tempi de i lor parti non possino ne
debbino, se non persino in terzo grado visitarsi o presen-
tarsi, et che non possino alla camera o culla fare spesa
d’oro o d'argento o racami ecc.

‘« ..li mercanti di questa sua città per l’avenire non
possino ne debbino vender alli loro fondichi, ne altri luo-
ghi della citta o suo territorio, panni di lana di qual si
voglia sorte in le rascie si non in tavola dalle saie in poi.
Li quali restino nella loro pristina libertà, si come per il
passato.

BRERA uU ARI > UC
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A. PELLEGRINI

« .. questo modo che si e servato sin hora nel dare o
« ricevere i pagamenti con la differenza de la buona o cat-
« tiva moneta, essendo abuso di grandissimo interesse de po-
« veri huomini, sia in tutto tolto via o.... in ogni sorte di per-
« sone tanto povere come ricchi, da mo in poi habbia luogo
« la buona moneta; cioè a ragione di XXI quatrino al grosso.
« Intendendo che ogni persona di qual si voglia grado o
« conditione debbia per l'avenire darla o riceverla secondo
« questa nuova... reformatione ecc. Eugubii xxviiij de aprile
« 1561 (1) ».

Altre leggi suntuarie furon pubblicate circa cinque anni

dopo, vale a dire nel '66; e di queste essendosi pure occupato
il prof. Mazzatinti (2) — che non conobbe quelle del '61 —
io mi limiteró a farne un breve sunto. 1

Si proibisce di portare berette di drappo o di panno se |
non semplici, excetto per cagione di voto; capelli di feltro o di
drappo, se non negro o di paglia semplici con un cordone di
seta o velo; non potranno le spose andare in habito da sposa
più di uno anno, le quali in quel tempo potranno portar cente,
catthene ecc. di scudi XXV l’una ecc. ecc.; sono proibite le

CRITTTZZA

sottane guarnite di raccami d'oro o di argento, le berrette e i
capelli, se non di remos? negri; gli zibellini con teste d'oro, i
ventagli con maniche d'oro, gli straginà ecc. Non sarà lecito
portar più di tre anelli, e, sì alle donne che agli uomini, por-
tar camisce lavorate d’oro e d’argento ecc. ecc.

Queste adunque le principali disposizioni emanate sotto
la signoria di Guidobaldo II, le quali saranno certamente
state accolte dal popolo eugubino senza protesta alcuna, per-
ché troppo insito nell'animo loro il concetto che lo stato
tutto dovesse regolare, sia la vita pubblica che privata.

D'altra parte, il commercio e l'industria non erano al-
lora così come al giorno d’oggi perfezionati, d’aver bisogno

(1) Lib. ms. segn.: III, XVIII, B, 14; Ar. cit.; Bibl. cit. i
(2) G. MAZZATINTI, Op. cit. (Bollet. cit., vol. cit., an. cit., pagg. 290, 297).
UPS

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'UBRBINO 503

L]

di grande sviluppo, e ben poco danno risentivano da certe legg
regolatrici e restrittive quei pochi che, a differenza della mag-
gior parte, non si erano dati all'agricoltura o alla carriera
delle armi; danno che poi veniva a sua volta compensato,
mediante la forzata economia di una vita modesta. Dunque,
niente proteste per simili riforme, cercando i sudditi, nel
peggior de’ casi, di stare a//a lettera del decreto, senza ba-
dare allo spirito cui era informato, per approfittarsi di fare
tutto quello che il decreto stesso non contemplava o pareva
non contemplasse.

.
1
i

Le proteste sorgevano alte solamente, come abbiamo
visto, quando i cittadini venivan lesi nei loro diritti politici
o, meglio, quando venivano colpiti troppo dalle tasse.

Guidolbaldo mori il 28 settembre 1574 e gli successe
Francesco Maria II, ultimo dei Montefeltro.

Il 50 settembre, facendosi in Urbino le esequie del duca
defunto (1), vi parteciparono, secondo il solito, gli ambascia-
tori delle diverse città dello stato, rimanendo quelli di Gub-
bio alla destra del nuovo duca insiem con quelli di Urbino,
DL di Cagli e del Montefeltro, e gli altri a sinistra (2).

Francesco Maria II. — Francesco Maria governò circa
I 57 anni, e, durante questo lungo periodo di tempo, nessun

grave politico avvenimento turbò la sua signoria; si rese,
come vedremo, ben accetto, agli eugubini, nonchè al loro
capo spirituale (3).

(1) Lib. ms. segn.: IIT, XVII, B, 20; Ar. cit.: Bibl, cit. II REPOSATI (op. eit., vol. II,
pag. 215) riporta l' esequie al 28, ma evidentemente le anticipa di due giorni.

(2) R. REPOSATI, 0p. cit., vol. cit., pag. cit., n. 175.

(3) Si noti la seguente curiosissima lettera del vescovo Savello : « Era nata in
« Agubbio opinione, se ben fui sempre in molta buona gratia dell’ Ill.mo et Ecc.mo
« Sig.r Suo Padre di bona memoria, hora ne fusse assai lontano da quella di V. S.
« Ill.ma et Ecc.ma, et erasi cominciato a mormorare assai competeniemente; ma a
« questo bestial rumore presto provvidde quella bella Bestia che V Ece.za V. Ill.ma
« mi ha donata, per il che si ragiona al presente molto diversamente da quel che

; « si faceva, anzi fanno certa coniettura che nell'attioni mie per il giusto e honesto
1a « haverò sempre molto più favorevole U Ecc.sa V. Illana. di quel che fu U Illamo et
i È « Eccano Sig. Suo Padre di bona memoria ecc. ». (Lett. del 5 novembre 1574; Lib.
ms. segn.: Cl. I. D. G., F. CCLVIII; Arch. di Stato cit.).

33
504 A. PELLEGRINI

Venne per la prima volta in Gubbio, dopo l'elezione al
ducato, ai 28 ottobre del 1575 « nè fece cerimonia nessuna
« d'aleuna sorte (1) ». Anzi, la città di Gubbio, come già
aveva in altre consimili occasioni praticato, « s'era messa
« in ordine per fargli grande onore; ma non volse cerimonie.

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Si era ordinato che gli andasse incontro il clero, per fare
« il tutto secondo che ordina il pontificale, e s'era fatto un
« baldacchino nuovo al signor duca; e ricusó tutto. Vi an-
« darono bensi incontro molti cavalli e gentiluomini, con
« bella gioventü a piedi; e molti putti vestiti di diversi co-
« lori, ed altri con palme in mano e con belli motti latini;
« e per tre sere furono fatte molte allegrezze (2)».

Dunque, a quanto pare, contrariamente all’ uso, nessun
preparativo solenne; non di quei ricevimenti suntuosi che
tanto costavano allerario, e ció per sua espressa volontà. In
compenso peró s'intrattenne in Gubbio diciassette giorni di
piü che negli altri luoghi, e questa eloquente dimostrazione
di affetto vien rilevata con compiacenza dagli storici eugu-
bini, proprio da quelli che, come ho già detto, non rispar-
miarono mai di lamentare, quando il destro si offri loro, la
perduta libertà (3).

E dal medesimo sentimento di non recare aggravio fu
sempre animato Francesco Maria le poche altre volte in cui
tornó a visitare i nostri; tanto che ci par di assistere al ri-
cevimento di un semplice privato, e non del principe domi-
natore (4).

In altre fauste occasioni, gli Eugubini spesero invece
molti denari: quando si sposó la di lui sorella Lavinia e
quando nacque in Pesaro e poi venne in Gubbio il figlio
Federico Ubaldo. |

(1) Miscell. stor. ms. cit., vol. I, f. 216; Fondo L. Bonfatti, Bibl. cit.

(2) F. UGOLINI (op. cit., vol. IT, pag. 389) che copia da un doc. del tempo.

(3) P. es., il REPOSATI, Op. cit., vol. cit., pag. cit.

(4) Oltre. ehe nell' ottobre 1575, fu in Gubbio dal 19 ottobre 1586 al 3 novembre,
e dal 14 ottobre 1601 al 28 dello stesso mese. (Cfr HR. REPOSATI, Op. cit., vol. cit.,
pagg. 218, 221, n. 178 e 185).
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 505

Perchè Lavinia potesse maritarsi ad Alfonso Felice, mar-
chese del Vasto, principe di Pescara, i nostri concorsero in-
sieme ad altre comunità, con 10,000 scudi per farle la doté (1),
e fecero molte allegrezze ai 16 di maggio del 1583 quando il
matrimonio stava per effettuarsi (2).

Per il principe ereditario le spese si limitarono ai soli
festeggiamenti, ma non dovettero essere indifferenti.

Francesco Maria aveva sposato nel settembre del 1570
Lucrezia d’ Este, sorella del duca di Ferrara, ma il loro ma-
trimonio, poco felice, fu sterile. Morta essa agli 11 di feb-
braio del 1598, i sudditi, che mon potevano adattarsi al pen-
siero che la stirpe roveresca avesse a spegnersi, ricorsero a
tutti i mezzi perchè si riammogliasse. Narrasi perfino che il
popolo metaurense, ogni volta che il duca mostravasi in
pubblico, gli gridasse ripetutamente: Serenissimo, moglie! (3).

Francesco Maria trovavasi, come si suol dire, fra l'in-
cudine e il martello. Non avrebbe voluto scontentare i sud-
diti, nè urtare la suscettibilità di Clemente VIII, che aveva
tutto l'interesse che il ducato cadesse da sé, e al più pre-
sto, nelle mani della Chiesa. Il duca furbescamente ricorse
a questo mezzo: scrisse ai comuni dello stato una lettera
nella quale diceva di esser pronto ad. arrendersi alle loro
istanze, ma che « avessero in considerazione quello che a
« loro fosse vantaggioso ...[e]... che facessero intendere la
« loro risoluzione al vescovo di Pesaro (4) », nobil Cesare
Benedetti. La lettera, uguale per tutti i comuni, fu mandata
anche a quello di Gubbio (5) con data del 7 giugno 1598.
Non sappiamo che. cosa i nostri abbiano risposto, ma è fa-
cile immaginarlo, specie quando si conosce una loro missiva

(1) A. VERNARECCI: Lavinia Feltria dellu Rovere marchesa di Vasto, pag. 65,
nota (Fossombrone, 1896).

(2) Lib. ms. segn.: 1II, XVIT, B. 20; Ar. Armanni, Bibl. cit. Il matrimonio av-
venne ai 5 di giugno del 1583 (A. VERNARECCI, Op. cit., pag. cit.).

(3) CALOGERÀ: Mem. concernenti Franc. Maria II (Venezia; 1776).

(4) R. REPOSATI, Op. cit., vol. II, pag. 220. — F. UGOLINI, Op. cit., vol. cit., pag. 416.
(5) La lettera fu pubblicata dal REPOsATI (0p. cit., vol. cit, pag. 323).
506 A. PELLEGRINI

del 9 marzo 1599 dalla quale, oltre tutto, sembrerebbe che
il duca avendo già intrapreso trattative per un nuovo ma-
trimonio, fossero queste fallite o non procedessero secondo
il desiderio comune.

La lettera diceva: « Quel desiderio che abbiamo sempre
« hauto di perpetuare sotto il governo di cotesta Ser.ma
« Casa della Rovere, hoggi più che mai vive in noi ardentis-
« simo, e però non è stata da noi se non con lacrime letta
« la sua delli 3 del corrente, et intesa da questo general con-
« siglio con grandissimo dolore, intendendo prolungarsi quello
« che si sperava fosse sin hora effettuato, dove che ringra-
« tiandola prima affettuosamente dell'amore che si ha por-
« tato e porta, veniamo di nuovo (così importare dal mede-
« simo consiglio) a supplicarla con ogni maggior humiltà vo-
« glia quanto prima accasarsi acciò questo suo populo non
« resti privo di tanta felicità ecc. ecc. (1) ».

Francesco Maria, del resto, non perse tempo; la ragion
di stato imponendolo, il 26 aprile del 1599 offre la mano a
Livia della Rovere, e ai 26 d'agosto gli eugubini, rallegran-
dosi delle nozze avvenute, non tralasciano di augurare agli
sposi dei figli maschi (2).

Furono esauditi.il 16 di maggio del 1605.

Appena conosciuta la gravidanza della principessa, il
luogotenente della città, Carlo Gabrielli, propone e presenta
al duca una balia eugubina in questi termini: « È di dicia-
« nove anni, nominata Modesta, figliuola di mes. Oratio Sanzi
« e di........ (3) Leonardi, l'una e l'altra casa nobili cittadini...,
« moglie di mes. Gio. Maria Reali, di casa honorate e nobile;
« la giovane sana, bella, fresca, modesta, di bona descretione
« e di grande honestà e di bontà e di bona e piana condi-
« tione e di poche parole, e queste tre case sonno state sem-

^

(1) Lib. ms.:segn.: Cl. I, D. G., F. CCLV ; Arch. di Stato cit.
(2) Lettera del 26 agosto 1599 (Lib. ms. cit.; Arch. di Stato cit.).
(3) Anche l'originale è punteggiato.
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D' URBINO OT

pre honorate e di donne caste e da bene; il latte di tre
« mesi, e sanissima giovine e persone de inviolabile fede e
« giovine da non uscire mai del ordine di loro altezze ser.
« ecc.; ha una cera vivace e bona.... (1) ».

Avrebbero forse voluto intervenire in gran numero al

battesimo che si fece nel novembre, ma dimisero il pensiero
dietro la fiera ostilità degli urbinati (2). Si vendicarono però
col promuovere solenni festeggiamenti in patria, che dovet-
tero riuscire più solenni del solito, sia appunto per non es-
ser potuti intervenire al battesimo, sia anche perchè attri-
buivano il fausto evento a S. Ubaldo patrono della città. Per
far cessare le allegrezze, ci volle una parola del duca;
« mandò, cioè, spaccio a tutti i giusdicenti che non si faces-
« sero più segni di allegrezza, e che sotto pena di scudi 100
« non si sbarrassero più archibusi raggiti (3) ».

Ne dovettero rimaner tanto soddisfatti anche gli stessi
eugubini delle feste promosse, chè credettero perfino cosa

(1) Lettera del 22 gennaio 1605 (Lib. ms. segn,: Cl. I, D. G., F. CCLIX; Arch. di
Stato cit.).

(2) Un anonimo scrive: « Nel battesimo del..... principe Federico, essendosi
« fatto ogni possibile apparecchio [dagli urbinati] per espugnare i gubbini, et oc-
« cupati tutti i passi in modo che francamente et all’ aperta vantavano la. viitoria,
« e se ne videro apertissimi contrassegni. Avedutosi di ciò gubbini, elessero di non
« andare, e non andarono. Urbino tacque, benché privo di Gubbio, et il presente
« duca non fece minimo motivo, come amatore della giustitia e consapevole del
« vero » (Lib. ms. segn.: CANTALMAGGI; Seritture varie; II, XVII, F. I; Ar. Armanni;
Bibl.).

Abbiamo accennato già altra volta all'antagonismo de’ due paesi a proposito
del giuramento prestato dai sudditi per l'avvento al dominio di Guidobaldo II. Qui
aggiungeremo pure un altro fatto. E noto che Pio IV con bolla Sedes apostolica gra-
tiarum abundantissima mater del 24 febbraio 1564 concesse al Collegio d’ Urbino il
privilegio di poter creare dottori in ciascuna facoltà ed anche poeti e cavalieri, e
che Guidobaldo impose ai giovani dello stato, l'obbligo di laurearsi in Urbino con
decreto del 27 agosto 1565 (Cfr. A. Ragazzi: Cenno stor. sopra P, università d' Ur-
béno, Urbino, 1873). Orbene, un anonimo eugubino vanta: « 4 Urbino nessuno di
« Gubbio [42406] mai dottorato. Così di nuovo si scopre Gubbio d' Urbino in tutto
« separato, in cosa massime ex professo toccante il punto della pretesa superio-
« rità ». (Lib. ms. cit.: CANTALMAGGI: Scritture varie ecc.:; Bibl. cit.).

(3) F. UGOLINI (op. cit., vol. cit., pagg. 422) che copia da un doc. del tempo.
Stato cit.

508 A. PELLEGRINI

degna tramandarne ai posteri la memoria. La relazione di esse
fu così intitolata: « Relazione delle allegrezze fatte in Gubbio
« nella solenità del Natale del Serenissimo Federico Ubaldo
« prencipe di Urbino, raccolte da m. Annello Charnei Cano-
« nico de Gubbio ad istantia de Monsignor Rev.mo Accoram-
« boni Vescovo di Fossombrone (1) ».

Si noti che il vescovo Ottavio Accoramboni er: appunto
nativo di Gubbio (2).

Dalla relazione appare che furono dapprima innalzate pre-
ghiere a Dio per invocare la nascita di un erede, e, venuta
«la nuova che la serenissima duchessa haveva le doglie
« del parto, subito da tutto il populo con molta divotione si
« ricorse di nuovo alle orationi ». Sparsasi poi la notizia
che era nato un maschio, il popolo intero si abbandonò al
delirio: i monasteri « fecero la loro cantina aprire » e fu-
rono illuminate le torri della città, sparati mortaletti, codole,
raggi; si fecero tornei, rappresentazioni pubbliche, funzioni
sacre, armate, e mille altre feste che ora sembrerebbero stra-
nezze. Non appare però che la plebe sia mai ricorsa in quei
giorni di tripudio ad eccessi vergognosi come quella di Pe-
saro (5).

Ritornata la calma, ai 50 di maggio la Comunità inca-
ricó quattro gentiluomini affinché si presentassero a Fran-
cesco Maria per rallegrarsi del lieto evento. Gli ambasciatori
furono: « il colonnello Raffaele Carbonara, il conte Mutio
« Beni, il conte Francesco della Porta e il conte Ottaviano
« della Branca (4) ».

(1) Fu pubblicata da F. BALLEKINI, period. cit., an. cit., pagg. 81 e segg.
(2) Cfr. l'UcuELLI: Italia Sacra, vol. IT, col. 338 e 803.
(3) La turba di Pesaro, presa dal delirio « dilago, come torreníe verso il quar-

« tiere degli ebrei; e quantunque non potesse entrare nei fondachi che erano ben

« chiusi, pure ruppe i tavolati esterni e saccheggiò la sinagoga » (F. UGOLINI, Op.
cit., vol. II, pag. 421).
(4) Lettera del 30 maggio 1605 (Lib. ms. segn.: Cl. I, D. G., F. CCLV; Arch. di

ERES :
IDA HIA CC TERT PETIT es
PP CAE DA d T ECT FA AI) x TUN

. (GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 50%

Soddisfatti in questo modo i loro sentimenti di affetto,
oltre anche di dovere, è ben naturale che maggiormente do-
vessero sentire il desiderio di espandere tutta quanta l'effu-
sione del proprio animo quando l'eletto del santo protettore
venne, tredicenne, a rallegrare del suo sorriso la città. Do-
veva arrivare nel 1616 (1), ma, tardando due anni, non venne
che nel 1618, e la gioia degli eugubini esplose sincera e
potente.

Della sua venuta abbiamo due relazioni anonime; l'una,
in forma assai barocca, ma più accurata e particolareggiata,
descrive i preparativi e la decorazione del paese e accenna
alle occupazioni di Federico durante i dieci giorni in cui si
trattenne in Gubbio; l’altra, più breve, scritta in forma as-
sai chiara, è anche degna di conoscersi, perchè in certi punti
è meglio dettagliata e chiarisce alcune parti dalla prima ap-
pena accennate. Nei luoghi comuni ad ambedue, gli autori
si trovano abbastanza d'accordo, se si eccettua qualche parti-
colare; e si capisce facilmente che, sebbene animati dallo
stesso intento, di tramandare cioè ai posteri la memoria delle
feste celebrate, avevano interesse a rilevare ciascuno un
fatto piuttosto che un altro.

Riporteró adunque tutte e due le relazioni, perchè l'una
completa l'altra:

[Si dirà] come il Ser.mo Pren- « Subito che in Gubbio si heb-
cipe, a dì 12 di Maggio 1618, nel « be nuova che il Ser.mo Prencipe
« sabbato alle 22 hore fece la sua — « Federico era arrivato a Cagli,

« prima entrata nella sua città di. « da questo pubblico furono man-

Gubbio: che andorno incontro a. « dati a quella volta dei gentili
« S. A. fin alli confini di Cantiana — « huomini principali con quattro
« verso Cagli una banda di com- « staffieri a liverea per complire

« pagnie d’archibugieri e che al « con S. A. della gratia che face-

(1) Si ricava da una lettera del 12 aprile 1616 (Lib. ms. cit., Arch. di Stato cit.)
con eui la Comunità prega il duca di permetterle di fare qualunque festeggiamento.
510 An

primo apparire di S. A. li faces-
sero una bella mostra con una
bella salva e che poi questi lo ser-
vissero accompagnandolo sempre
nel camino; che anco doppo que-
sti, alli confini di Gubbio e Can-
tiana, S. A. ne incontrasse un’al-
tra simile, la quale con li stessi
S. A. e la

servisse; che poi tre miglia in

modi si mostrasse a

circa lontano da Gubbio incon-

« eontrasse una grossa compagnia

di archibuggieri a cavallo che
tutti con bella mostra riverirono
LA. S., e poi precedendola di
guardia la servissero nel viag-
gio; che parimente doppo que-
sti, a truppe a truppe, incon-
trasse gentiluomini a cavallo, su
cavalli generosissimi, numero-
sissimi. Giunto poi che fu S. A.
ad una tal chiesa detta la Ma-
donna de Ponte, lontana dalla
città per spatio di un miglio in
cirea, come ivi trovasse il ve-
scovo di Gubbio che smontato
da cavallo aspettava S. A. e le
fece reverenza humilissima, e S.
A. che era in lettica, fatto fer-
mare la lettica, come si compiac-
que scenderne da essa, e poi di
haver gratificato il vescovo della
sua bontà con accettar quel poco
atto di servitù, come volse su-
bito entrare in detta chiesa della
Madonna, nel quale ingresso il
Vescovo porse.a S. A. il spar-

golo dell'aequa santa, e che poi

PELLEGRINI

ra di venire a Gubbio. Partito
poi da Cagli, alli confini d' essa
città e di Gubbio, fu servita da
cinquantaquattro archibugieri a

gente bennata, gio-

c

‘avallo ; tutta

vane e ben montata con archi-
bugi alla coscia, vestiti con ca-
sacca di panno verde, con trine
e coppie di fenigello a liverea

della Comunità, havendo anco

. nelli capelli superbe piume. Er:

capo di questo un gentilhuomo
vestito di superbissima casacca,
come anco il suo alfiere, giova-
ne alto e desposto, havendo l’uno
e l’altro bellissimi cavalli. Poco
lontano, si scoperseno le militie
del Capitano Gio. Battista Ro-
setti al numero di 700 e più sol-
dati, tutti benissimo all’ ordine.
Dopo questi fu incontrata S. A.
dal Capitano Gaddo Aecorom-
boni, eon altrettanto numero e
più soldati desposti in un sito pro-
portionato alla qualità dell’ armi
in tre squadroni, cioè battaglia,
vanguardia e retroguardia con
un squadroncino volante, il che
faceva bellissima mostra; anche
S. A. smontò di lettiga a cavallo
per vedere la soldatesca. Fu dal
medesimo Capitano, a giusta di-
stanza, fatta fare una salva, con
ordine tale, che riuscì e piacque
a tutti il erepito degli archibu-
gij, facendo risonare tutte quelle
valli. Passata S. A., fu fatta di

riuscendo

nuovo un'altra salva,
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- fatta da S. A. una devota ora-
tione, uscito di chiesa si com-
piacque lasciar la sua comodità
della lettica e volse montar a
'avallo per più consolar le genti
della sua Ser.ma vista reale, e
così cavalcando, come subbito
nello istesso loco presentarono
avanti S. A. in bell’ordine, tutti
disposti, dodici gioveni della cit-
tà, vestiti a concerto, cioè di
« calza, casacca e ferrarolo, tutti
damaschi di seta nera, calzette
di seta verde, giuppone di raso
- simile, e le legaecie di seta bian-
ca con merletti d’oro, scarpe ne-
re, il cappello nero con un cor-
doneino d'oro con penne verde,
rosse e bianche, e sopravi una
rametta di quercia con ghian-
. dette d'oro, sotto la quale era
ripiegato il giro per più vaghez-
“za; tutti al fianco havendo cen-
ture e spade dorate, e nelle mani
un’ hasta divisata da alto al basso
di color verde, rosso e bianco, a
concerto delli colori della Comu-
: nità, e questi per tener remote
le genti; et così questi, fatto un
profondissimo inchino a S. A, si
divisero, sei alla destra e sei
alla sinistra della S. A., e, sco-
« perti il capo, la servivano cami-
nando verso la città, quale, indi
a poco, comandati da S. A., co-
prirono. Come poi alora S. A. fu
vicino alla città un tiro di mano,

ad una chiesa detta di S. Se-

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GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 511

bene come la prima, in ogni sal-
va sparando due volte tutti li
soldati a tempo; haveva quattro
insegne et leoni per retroguar-
dia in ordinanza, essendo dato,
fra Canthiano e Gubbio, rinfre-
scamenti per chi voleva. Da quat-
tro miglia lontano da Gubbio fu
incontrata da piü di 150 tra ti-
tolati, gentilhuomini e cittadini
principali ben montati e vestiti,
fra li quali vi erano dodeci de-
stinati per servire S. A. per la
città, a cavallo, li quali have-

vano comprati per questa occa-

: sione cavalli di valore di cento-

cinquanta e cento ottanta seudi
de pavoli. Dopo questi fu incon-

trata da Monsignor Alessandro

« Vescovo con canonici, abbati e

preti nobili al numero di 50 in
cirea. Alla Madonna del Ponte,
un miglio lontano da Gubbio, fu
servita da dodeci giovanetti di
età di 18 in 20 anni, vestiti. di
veluto negro, gippone di drappo
verde eon cappotti di tevzanella
foderata di veluto; e poco piü
vicino della città, Le fu fatta hu-

mile riverenza da altri giovanet-

« ti in numero similmente dodeci,

‘ d'età minori delli sopradetti, ve-

stiti di damasco negro con cal-
zetti di seta gremisi con gippo-
ne di tela d’oro, cappotti di ter-
zanello foderato di drappo con
‘apelli arricchiti di gioie e eol-

lane, e questi servirono sempre

32. 1.5 d.

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519 A. PELLEGRINI

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condo, che qui incontrasse do-
deci altri giovinetti, tutti di e-
gual statura, venustà e concerto
come i sopradetti, eccetto che
questi non havevano né feraroli
né aste, ma havevano i calzetti
e giupponi di seta 1ncarnatina, i
quali similmente presentatisi in
bell'ordine avanti l' A. S., fattole
una gratissima reverenza, la ser-
virono caminando primieramente
a capo scoperto, e che S. A. indi
a poco comandò loro che copris-
sero, come fece a gli altri primi;
e così questi tutti coperti, a quat-
tro a quattro, caminavano avanti
S. A. Il grido poi del popolo e
delle genti, dalla detta chiesa,
chè S. A. montò a cavallo in fin
alla sua corte Ser.ma: Viva, viva

il Prencipe, Dio benedica il Pren-

. Cipe, cento anni, mille anni al

Prencipe, dieci figlioli maschi tutti
del mondo, S. Ubaldo vi conservi,

figliol bello che siate voi benedetto,

«e simili, non occorre esplicare,

perchè era di segni inesplicabili;
lacrime di dolcezza, voci amoro-
sissime parevano un suono con-
tinuo, e tra tante glorie se ne
andava S. A. con maestà, con
gratia tale, che pareva portato
non che accompagnato....... (?).
Che pure giunto S. A, alla porta
della città, vedesse il primo arco
trionfale alzatoli nel Borgo, e

come di questo il vescovo che

« come lo seguiva appresso a ca-

«D Arme de la Comunità.

S. A. e quando mangiava in
publico. Entrata nel borgo di 5.
Lucia, a mezzo d'esso, trovó un
Portone o arco trionfale fatto da
quelli borgogiani, appa 'ato mol-
to bene; vi era intessuta l'arme
di S. A. con bombace, che faceva
bellissima mostra; di qua e di là
eranvi l'effigie delli Ser.mi Pro-
genitori, et in mezzo del Ser.mo
Prencipe, dove apparivano que-
sti versi latini: Umbrosum splen-
dor Princeps pulcherrime salve.

Numina nanque tuo lumina no-

« stra beas. Giunse a S. Martino,

dove era il secondo Portone, fat-
to tra la.casa delli signori conti
Cantalmaggi e del signor Gui-
dantonio Beccoli; in cima d' esso
vi era una statua di donna vec-
chia che co la mano violente-
mente s'apriva il petto, et il mot-
to sopra era di questo tenore:
Federigo Principum | compendio
cor pandit eugubium. Nella fac-
cia vi era, da una parte la Fe-
deltà, con questo motto: ANwn-
quam deficiet, e dall’ altra parte

l’Obedienza con il motto: ,Sem-

« per alacrior. Nelle basi poi v'era

Nella
facciata verso il ponte del fiume
eravi, nel

frontespicio, questo

motto: Federigo Ubaldo Princi-

pi Ser.mo eximia suorum virtute

amatissimo. Al Cantone del Pa-
lazzo de' Signori Consoli era un

arco trionfale con pitture.e sta-

PEPERIT

TE
Adina

———

GUBBIO. SOTTO 1 CONTI E DUCHI D'URBINO

vallo gli mostrasse i significati,
et essendo il borgo tutto tendato
il cielo e spaglierate le parete,
che S. A. avesse vaghezza di
moversi lentamente, per più -at-
tentamente udire e vedere come
l’arco haveva i Santi protettori
della città, e tra essi il gloriosis-
simo S. Ubaldo, e questi nella più
alta parte di /detto arco], come dal-
la destra vi era la Fede, e dalla si-
nistra la Giustizia, con altre fi-
gure delle altre virtù teologali, e
tutto l’arco come era coperto
d'ori, argenti ed alberi, per se-
gni dell'immortale gloria della
A. S. Dentro la città come sco-
prisse da lontano il secondo ar-
co, eretto nella piazza detta di
S. Martino, quale prineipalmente
era ricchissimo e vaghissimo d'ori
e colori cerulei, quale in quattro
niechi haveva le quattro Virtù
cardinali, Giustizia e Fortezza
alla destra, Prudenza e Tempe-
ranza alla sinistra, e sopra il
piano dell’arco alto, in nero, sta-
vasi dritta in piedi una gran sta-
tua di marmo, simigliante ad
huomo senile, quale con la de-
stra sua indicava il petto aperto,
e che mostrasse il core, sotto la
quale nel fregio maggiore del-
lareo erano queste parole: Fe-

derico Principum. Compendio Eu-

c gubium cor pandit. Havendo S.

A. goduto sommamente della vi-

sta di questo, che si passò lieta-

tue; da una banda vi era Marte
che porgeva una spada al Ser.mo
Prencipe, con questo motto : Mars
Federice tibi; dall altra, stav:
Pallade con un libro in mano,
con il motto: Pallas sua numina
tradit. Nel frontespicio vi erano
scritte queste parole : In Federici
gloriam omnia conspirant. Nella
cimaglia stavano doi putti co le
trombe in bocca. Dall’ altra fac-
cia verso la piazza vi erano doe
altre statue, una d'esse la Reli-
gione co le mani soprapresse
con il motto: Zeligio eius exi-
mia. L' altra era la Fortezza, con

questo motto: Fortitudo eius in-

: comparabilis. Nel frontespicio :

Federico Ubaldo Principi Ser.mo

morum. splendore animi pietate

« candidissimo. Nelle guste del-

: l'arco, da una banda vi era la

Magnificientia, con il motto : Ma-

« gnificentia eius ab atavis ; dal-

l' altra, la Prudenza con il motto :
Prudentia semper | comes. Nel
frontespicio vi erano due statue :
una di essa, la Gloria con una
corona in mano, l’altra la Fama
con tromba, e nelli basi dell'arco,
ad ogni banda, l' armi della Co-
munità. All'entrare della piazza,
fu fatta reverenza a S. A. dal
Magistrato accompagnato da una
gran copia di Gentilhuomini e
Cittadini principali, luogo solito
a far riverenza a quell’ Altezze.

Furono fatte allegrezze con. gi-
AR

mente al terzo arco, quale era
eretto alla piazza maggiore, vi-
cino al palazzo della Communità.
Questo, come per la brevezza
del tempo non fosse stato arric-
chito del gran numero delle sta-
tue ch'avevano preparato, ma
ch'aneo questo fosse non men
spettabile, arricchito più degli al-

tri, ammirabile, per doi ragioni

« che lo rendevano quasi celeste ;

cioè la gran multitudine degli
ori e dei colori e la gran copia

dei musici, cantori e sonatori,

. all’armonia de’ quali cessarono

trombe e tamburi per quel men-
tre. S. A. lo trapassò. Troppo
saria longo il distinguere in carta
l'apparato delle cinquanta statue
preparate per l'adorno di questo
arco: il motto dell'arco: In Fe-
derici gloriam omnia conspirant.
Discorra dotto ingegno le virtü
morali e di esse ne faecia trionfo
glorioso, che apena giungerà al-
l’idea gloriosissima d’esso. Acan-
to a questo arco erano a piedi
li signori Confaluniero e Consuli,
e che fatta da questi una humi-
lissima reverenza a S. A., ella li
salutò con gratissimo sguardo.
Poscia cavalcando, lasciati que-
sti, S. A. vagheggiata, vagheg-
giava le tante belle e numerose
dame e signore; ché per tutte le
strade della città per dove passò
S. A. pareva il sole per le sue

vie stellate. Giunta finalmente S.

A

A

514 A. PELLEGRINI

'andole, fuochi, salve, levate di
razzi et scherzi di fuochi che fe-
cero mirabili effetti per quattro
sere continue, essendo fatta l'ul-
tima in allegrezza della nascita
di S. A. Fu fatta in Palazzo una
festa, dove intervennero più di
50 gentildonne nobilmente e su-
perbamente vestite, quale finita,
fu fatta una bellissima collatione,
essendo da una banda un tavo-
lino per il Serenissimo. Si fece
la giostra del saracino, e dopo
questa il giuoco, restando vinci-
trice la parte detta di sopra; fu
fatta la lotta et la giostra del
porco; si tirò il palio, usanza
antichissima di questa città, com-
piacendosi S. A. di honorarla
con la sua presenza. Fu anco
fatta l’armata sollita a farsi la
vigilia e festa di S. Ubaldo, molto
numerosa di soldati dispersi et
molto bene in ordine. Nell’uscire,
tanto a piedi quanto a cavallo,
S. A. era sempre servita et ac-
compagnata da una gran molti-
tudine di titolati, gentilhuomini
et cittadini tutti prineipali, li
quali, in questa oecasione, dico-
no, habbino speso di diciottomila
scudi. Fu presentata S. A. dalla
Comunità et anco da molti tito-
lati gentilhuomini, Monasteri et
Arti. Al partire di S. A., oltre
le 54 casacche e nobiltà, fu ser-
vita dal Capitano Gaddo con 112

suoi soldati, tutti bene a cavallo
AR

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^

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 515

A. alla sua corte Ser.ma, smon- | « et.ben vestiti con bande a 'tra-
tata da cavallo con tutti gli al- —« verso et archibugi alla coscia,

tri et tutti, che con gratiosissimo . « che facevano mirabile vista. Fu
giro d'oechi che ‘desse cortesis- « fatto computo che fra Nobiltà,
simo saluto e con maestrevole | « Monasterii, Vescovo, Canonici,

sembiante si ritirasse nelle sue | « Abbati, Preti principali, le 54

. serenissime camere per riposare. « casacche della Comunità e li 112

< Dove finalmente giunta, che tutta ^ « soldati dell’ Accoromboni, ascen-

la città cominciò a risonare di devano al numero di 350 ca-

A

tutte le sorte dei strumenti bel- — « valli (1).

lici grossi et altri, con lo accom-

pagnamento delli fragori delle

trombe e tamburi, sì che per lo

spatio di un’ hora incirca (perchè era sera) pareva quasi questi gran
monti si seuotessero e che le valli rimbombassero della gloria e gran-
dezza dell'A. S., et che ogni cosa era gioia, giocondità, letitia che più
anco si possa, per abbreviare il tutto, che in questa sera del sabbato

non furno fatti grande trattenimento de fuochi e raggi per non im-

: pedire il riposo di S. A., ma solo ne furono fatti alcuni pochi. La

domenica seguente, fu li 13 detto, che S. A. elegesse udire la messa
nel duomo, e come le musiche e gli organi rappresentaro il paradiso,
dove, oltre il corteggio, che vi concorresse tutta la città e dame e

‘avalieri; finita la messa, che il medesimo vescovo che aveva servito

: S. A. nell’ingresso, lo servisse anco con tutti i suoi canonici e clero

all'egresso et alla porta della chiesa, comandato da S. A. restasse.
Come poi la medesima Altezza volesse andare a caminare per la città,
e quale fosse il corso e concorso delle genti per vederla e per servirla.
Et havendo S. A. fatto quello esercitio che le parve sufficente, come
si ritirasse nella sua serenissima corte per riposare alquanto, e po-
scia come desinò in publico con un servitio reale. Il giorno stesso,
come non volesse partire di corte, per accettare questi che le anda-
rono a farle reverenza, et questi furno li signori Confalonieri e Con-
soli, e poi il Capitolo della Catedrale, solo perchè il vescovo vi era
stato la mattina solo, e come in questo giorno cominciarono i pre-
senti di varie sorti, che tutti S. A. restò servita, benignemente gradì.

La sera poi di questa domenica, come cominciassero le solennissime

(1) Lib. ms. seen. i IIT, XVIII, B, 14; Ar. Armanni, Bibl. cit.
allegrezze

516 A. PELLEGRINI

de fuochi, raggi, aquile volanti, corone fisse, quercie do-

oo

rate, suoni, trombe, di tamburi, con li smisurati rimbombi di tiri bel-
lici, musici suoni sovra ringhiere ornate e di lumi splendidissimi, che
per il corso di doi hore fecero di sè spettacoli ammirabilissimi. Il lu-
nedi seguente fu li 14 detto, che S. A. volesse, senza partir dalle sue
camere serenissime, a udir la Messa in Capella, desinar da sè, che
il doppo desinare si compiacesse andar a spasso per la città in car-
rozza, nella quale erano S. A., il signor Aio et il vescovo solamente,
e doppo si ritirasse parimente al riposo, che in questa sera seguitas-
sero le allegrezze della sera, come la precedente, più piena. Il mar-
tedi la mattina, che fu li 15 detto, come S. A. volesse andare a
S. Ubaldo con pochissima gente, cioè con un sol corpo di guardia
de soldati gubbini et aleuni suoi camerieri, e che a S. Ubaldo soddi-
sfacesse devotamente il voto, e poi tornato, che parimente mangiasse
ritiratamente. Il giorno, che volesse andare a spasso per la città a
:avallo eon numero infinito di gentilhuomini a cavallo che la servi-
vano, la sera che seguitassero le allegrezze come nelle precedenti,
sempre crescendo le meraviglie; come doppo cena, le fosse stato fatto

un concertino di voci et instrumenti delicatissimi sotto le logge delle

« sue stanze. Il mercordi la mattina, fu il 16 et il giorno della festa

: di S. Ubaldo, che S. A. andasse a piedi alla messa a S. Pietro, nella

quale udi quell’organo famosissimo con musiche rarissime, e poi data
una spasseggiata per la città, che sua Altezza tornasse alla sua corte
serenissima e che desinasse ritiratamente. Il giorno poi, come egli ve-
desse con suo gusto l’armata di numerosissima soldatesca, sì come
il giorno avanti, che fu la vigilia di S. Ubaldo, che vedesse una nu-

merosissima processione della Catedrale; che la sera stessa si faces-

- sero allegrezze straordinarie et eccedenti le precedenti, tra l'altre con

tanto numero di raggi che non si vedevano le stelle, e con gusto di
S. A.; che in questa sera si dessero fini alle allegrezze di fochi not-
turni. Che in questo giorno fosse S. A. visitata dall'Ill.mo Ecc.mo
Signor Marchese Vitelli, quale la servi una mattina a cavallo. Il eio-
vedi mattina, fu lì 17, che udì la messa in capella: doppo desinare
fu fatta in palazzo della Comunità una festa grossa, dove che S. A.
vi intervenisse e ballasse con una sposa tra l'altre gratissima et in

jarticolare un battipiede, dove S. A. comparve vestito alla Spaentola
I 1 b] 1

: e doppo la festa S. A. che andasse un poco a spasso per la città e

poi si ritirasse a riposarsi. In questo di fu visitata S. A. dall’ Ill.mo
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 5IT

L]
Signor Marchese di Sorbello e suo signor fratello venuti a posta per

questo. Il venerdì mattina, fu li 18, S. A. che pure udisse messa in
capella, doppo la quale desinasse allegramente e che doppo non vo-
lesse uscire, rispetto il tempo piovoso, e che se ne passasse questi
. giorni con altri trattenimenti de’ suoi paggi di corte. Il sabbato mat-
tina, che fu li 19, che S. A. udisse messa in Domo, dove volesse ve-
dere tutte le reliquie di essa chiesa, e doppo che se ne tornasse in
corte à desinare, e doppo desinare, che prima nel suo cortile le fosse
'appresentata la caccia del porco, e doppo questa che S. A. andasse
a vedere tirare a bersaglio con balestrieri da leva, uso di questa città ;.
il ehe finito, che se ne tornasse a cavallo alla eorte con molta alle-
gria e con il solito corteggio dei gentihuomini a cavallo. Domenica
mattina, fu li 20, che per il tempo cattivo S. A. restasse d’ uscire et
havesse la messa in casa, e doppo desinare fu in publico, che fosse
a vedere la giostra del Saracino fatta da dodici gentilhuomini; doi
de questi fumo i premiati, e doppo questa, nell’ istesso loco, che si
facesse una folta battaglia di pugni, all’uso di questa città: poi che
l' A. tornasse lietamente a cavallo, e doppo cena, questa sera, che li
fosse fatto un altro bel concertino delicato. Il lunedì mattina, fu li 21,
: che S. A. andasse alla messa a S. Francesco, e doppo camminasse al-
quanto per la città. Doppo desinare, che nel cortile della sua corte
ser.ma le fosse fatta una bella lotta di dieci lottatori: fra questi uno
ve n'era, giovine, che gettò a terra il padre con tre figli: vista mira-
bile quanto vaga, con il quale trattenimento passò tutto questo giorno.
Il martedì mattina, fu li 22, che S. A. volesse tornare a rivedere il
serenissimo Sig. duca suo padre, e che perciò, auta la messa, mon-
tasse a cavallo con il concorso di tutti i gentilhuomini a cavallo e
con il vescovo e canonici, et avanti a S. A. andasser li paggi e li
dieci della città, nel modo che le veniro nell’ entrata. Nella piazza di
S. Francesco che /una/ compagnia di cosacchi a cavallo, archibuggieri
che facessero mille varie scorrarie in poco trattenimento di S. A. e
mostra del loro valore, e che poi così la servissero in fino a Cantiana:
che alla... (?) lontana da Gubbio tre miglia in circa, il capitano della
militia di ponente, con le suoi soldati a piedi e con 150 cavallo, si
apressasse a servir S. A, per il viaggio, al quale il vescovo e gli
altri avevano servito S. A. infino alla Madonna del Ponte suddetta,
pregandola che le facesse compagnia, come si è inteso; poi ehe pro-

sperissimamente giunse a Cantiana a desinare, e la sera a cena a
A

* Cagli. Che in questi giorni non ne passò uno che S. A. non fosse pre-

518 A. PELLEGRINI

sentata, ma in particolare il giorno di S. Ubaldo doppo pranzo : pre-

sente; che la Communità le mandasse il ricchissimo suo presente, qual

« fu di canestri dieci, pieni d’ova, dieci pieni di limoni, dieci di me-

* larancie, dieci di carcioffi, dieci di amandolini, dieci di pere fioren-

« tine, dieci di mele rose, dieci di formaggi di varie sorte, bacili cin-

A

que di... (?), cinque di garofani, cinque di canella: e ciascuno de’ ca-
] \° 73 1 eo 1 | 9

<« nestri e bacili era portato da un homo in testa; dieci stangate de

« capponi a X paia per stangate; galdindia dieci paia in doi stangate,

‘ piccioni casalini, piccioni di colombare et d'anitre numero infinito,

A

portate in grandissime crine portate da doi homini per erine: sono

« eentinara de pari. Presciutti ottanta, salumi grossi 200; capretti, stan-

A^

gate dieci; agnelli, stangate dieci, a X per stangata: vitelle nu-

« mero 20; bacili quattro di paste di Genova: canestri dieci di pane de

^

zuccari; bacili 10 di diverse sorte di confettioni: et ogni sorte erano

* dieci; pinochiate e marzapani in dieci altri bacili, canestri dieci di

tondini, dieci mazzi di torcie a sei torcie per mazzo, le torcie a quat-

« tro libre l'uno. Doppo tutti questi seguitavano un corsiero leardo con

A

A

occhiali dorati, e sopracoperte di seta cangiante con l'arme, alle

bande di S. A, et doppo il’ corriero seguiva una chinea romana di

* simile ornamento, menata da doi.... (1) >.

Questi i festeggiamenti e i regali che gli eugubini fe-

cero al principe Federico che un giorno speravano divenisse

loro signore. Non ci dicono però come Federico si compor-

tasse; se fu affabile e dignitoso; se riusci per un momento

a

nascondere le sue tristi inclinazioni; perché i biografi non

ne parlano certo con molto entusiasmo. I/ Ugolini, p. es.,
scrive: « Cresceva intanto Federico Ubaldo in Castel Du-

rante bellissimo della persona ecc. e già nel fanciullo si
svolgevano i semi de’ vizi, onde fu poi soggiogato; e di
otto anni avea scosso il giogo dell’ajo.... Già i vecchi...
male auguravano di un fanciullo superbo, indocile, sfre-

nato ecc. (2) ». Orbene; malgrado tutto questo, il vescovo

(1) 4 questo D la relazione é mutilata (Lib. ms. cit.: Ar. eit., Bibl. cit.).
(2) Op. cit., vol. II, pag. 435 e seee.

ATA
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'UREINO D19

di Gubbio, Alessandro dal Monte, per il solo fatto di essere
stato considerato, forse un po’ più degli altri, dal principe
Federico mosso probabilmente a ciò da un senso di fine
politica, non di riverente affetto, il vescovo, dico, non può
fare a meno di scrivere al duca una lettera laudativa in-
torno all’erede, degna proprio di un vero cortigiano: « La
« lettera — scrive il vescovo — della quale V. A. S. si è com-
piaciuta honorarmi con l'occasione della ‘venuta del Ser.mo
« Prencipe suo figlio, l'A. S. istessa me l'ha data per tanto
« più honorarmi, mentre pure venivo honorato di servirla
« in carozza....; mi rallegro con V. A. S. delle molte rare
« e squisite e degnissime qualità del Sig." Prencipe suo figlio ;

A

« è cresciuto e crescie di persona gratississimo, di bonissima,
« cera, in ottima salute; e quello che è più, crescono et ap-
« paiono in essa i giuditij, senni e tendenze degli anni ma-
« turi, si che, come dice ogniuno, ha un non so che del divino
«a mirarlo (1) ».

Mori Federico Ubaldo il 28 giugno del 1623. Circa due
anni prima aveva sposato Claudia figlia di Cosimo II, e la
Comunità di Gubbio si era fatta un dovere di spedire al
principe, come un anticipato regalo di nozze, nel dicembre
del 1619 « un Bronzo a Bacile di oro » del costo di 6.000
scudi, e aggiungeva di mandare nei giorni delle feste ma-
trimoniali, oltre a molti gentilluomini « una compagnia d' Ar-
« chebugieri a cavallo che per tutto quel tempo serva il
« Ser.mo Sig." Prencipe ove andarà (2) ».

Non saprei dire se poi mantenessero la promessa, per-
ché, come è noto, a causa della morte del granduca (28
febbraio 1621) le nozze furono celebrate senza pompa al-
cuna (3). Del resto, il Bali Cioli inviato da Cosimo II nello
stato d'Urbino « per concordare sopra gl interessi della

(1) Lettera del 18 maggio 1618 (Lib. ms. segn.: Cl. I; D. G., F. CCLV; Arch. di
Stato cit.).

(2) Lettera del 24 dicembre 1619 (Idem).
(3) Ofr. F. Ugolini, op. cit., vol. cit., pag. 437.
520 ‘UA. PELLEGRINI

« signora Principissina » ebbe abbastanza prove di omaggio
dal duca che « sotto colore di donativo fatto da’ Popoli »
pretese si spianassero in quest'occasione le rocche d'Urbino,
e fra quelle di altre città, anche « due in Gubbio (1) ».

Oltre le visite di Francesco Maria e di suo figlio in
Gubbio, un'altra qui ne noteró per evitare di dovere, in se-
guito, interrompere il corso naturale dei fatti che si svolsero
nella nostra città fino al giorno in cui essa cadde sotto il
dominio pontificio.

Si era rifugiato in Italia, per salvarsi dalle insidie di
Enrico IV, il principe di Condé che portò il nome di Enrico II
di Borbone. Improvvisamente, il 22 di gennaio del 1625,
venne a Gubbio, e, appena si sparse la voce del suo arrivo,
i principali della città si affrettarono a rendere gli onori
dovuti all illustre ospite.

: Il cancelliere Ottavio Castellotti, scrive cosi: « Doppo
« esser passate le 24 hore, che poco prima i SS. Confaloniero
« e Consoli erano ritornati in Palazzo, fu fatto sapere alle
« 5.5. loro Ill.me che si ritrovava nella sala da basso, et
« era già entrato in Capella, un barone francese, per vedere
« questa loro habitatione, che poco prima era giunto al-
« | hosteria del Mercato con parecchi cavalli. A tal aviso,
« si inviarono per incontrarlo alquanto, facendo accendere
« due torcie, et essendo scesi da tre o quattro scalini della
« prima scala, arrivò detto signore col Sig." Barto Barti et con
« un francese di dietro (2)...; /il sig.] Confaloniero con i com-
« pagni l'aecolse con ogni segno di affetto, con riverenza in-

A

sieme, et essendo saliti alla sala, subito con suo molto
« gusto diede un'occhiata alla fonte, dicendo esser cosa
« ben degna di esser mirata. Entrò nella camera dell’ U-
« dienza; passò poi alla loggia grande, et nel partire, testi-
« ficó di restar molto soddisfatto di esser venuto a vedere
(1) Cfr. Memorie istor'iche concernenti te devoluzione dello Stato d° Urbino alu

Sede Apostolica, pag. 48 (Amsterdam, MDCCXXIT).

(2) E inutilo.
re

<

^

questa città del Prencipe di Condé. Di 22 di gennaro 1623. (Lib. ms. segn.: Cantal-

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 521

una fabbrica di gran fortezza et magnificentia. In questo
mentre, si sparse chiara voce che questo era il Ser.mo
Prencipe di Condé, da molta gente che in quell istante
all improviso sopravenne; di maniera che il Magistrato
scese, nell'accompagnarlo, tutte le due scale, et anco la
terza e quarta fino in plazza, et cosi con ringratiare dup-
plicatamente i detti SS. Confaloniero e Consoli con parole
piene di benignissimo affetto, lasciando grossa mancia a'
servitori, si parti con la compagnia di detto Barti et di
quel suo servitore, havendo prima il Sig. Confaloniere reso
eratie a S. A. del favore che si era degnata di fare alla
nostra città; havevano, i Signori, fatta preparare all im-
provviso una bella collatione per regalarla, secondo il
solito. Ma havendo ella ricusato, accettando volentieri se
cosa alcuna havessino voluto mandare alla sua habitatione

‘ (colà, cioè, alla sudetta hosteria del mercato), mandarono a

presentarlo di... (1) inviando colà con servitori vestiti a.
livrea, il capellano et me Ottavio Castellotti cancelliero,
et al Sig. Barto Barti fu dato carico di complire con S. A.
a nome del publico, nel medesimo istante; quale, essendo
fatto entrare, et ricevuto amorosamente da Lei, parlò:
[segue il discorso che è inutile riportare]. S. A. mostrò segni
evidentissimi d’ haver gradito quelle dimostrationi, usando
la sudetta benignità in colmo con parole e . gesti tutto
corrispondenti. Et la mattina seguente, voleva giungere
al Borgo di S. Sepolcro per lo suo viaggio di Fiorenza:
in quello stesso di si parti inanzi giorno senza havere
[potuto] vedere il Duomo, la Corte, il theatro, il Corpo,
principalmente, del glorioso S. Ubaldo e degli altri santi
e beati, come ne mostrò desiderio espresso; a che in Cielo
gli siano buona guida fino alla fine di tutto il viaggio di
esso Ser.mo Sig." Prencipe di Condè (2) ». (

(1) E mutilo.
(2) Relazione. d? Ottavio Cartellotti, cancelliero del Publico, sopra lu venuta dii
S
12
LO

A. PELLEGRINI

Il governo di Francesco Maria II fu saltuario. Non è
mio compito indagarne le ragioni. La stanchezza però su-
bentrata in lui dopo diversi anni di dominio, e le arti dei
pontefici, che vegliavano costantemente sulle sorti del ducato,
dovettero non poco influire sull’ animo suo e indurlo a ce-
dere ad altri le redini dello stato (1).

Dapprima, per tema di morire, avanti che-il figlio Fe-
derico fosse in grado di dirigere i sudditi, per allontanare
possibilmente i pericoli e i danni di una improvvisa reg-
genza, volle che questa incominciasse lui vivente e sotto la
sua direzione, affinchè in caso di sua morte, fosse già radi-
cata e matura. Pensò adunque che governasse « il popolo
« col mezzo de’ sapienti, cioè di rappresentanti eletti da
« consigli municipali che l università de’ cittadini rappre-
« sentavano. Non concesse peró questo privilegio ai piccoli
« comuni, ma alle città soltanto, cioè Urbino, Pesaro, Gub-
« bio ecc. Ora, i consigli di questi luoghi dovevano nominare
« tre soggetti probi e capaci, fra i quali uno il principe
« avrebbe scelto (2) ». Di questo suo disegno dette parteci-

maggi: Scritture varie; II, XVII, F. I: Ar. Armanni: Bibl. cit.). Per quanto sap-
piamo, tanto in passato quanto in seguito, nessun altro personaggio godé di feste
speciali. Si ha p. es.: « L'Ill.mo Cardinal Farnese [0dodrdo Farnese} ha per un suo
« corriere fatto sapere all'oste della posta..... che li facci e prepari da desinare, et
« qui se sonno preparati et inviati molti gentilhomeni per incontrarlo, et da me [é
« il Iuogotenente che scrive] non si mancara di pregare S. Signoria Ill.ma.... che vo-
« glia venire a scavalcare alla corte ». Lettera al duca del 6 giugno 1592. (Lib. ms.
segn.: Cl. I, D. G., F. CCLVI: Arch. di Stato cit.).

(1) È curioso, per non dire scandaloso, il. vedere lo zelo, le astuzie, le arti, che
i pontefici, specie Clemente VIIT, misero in opera per accapararsi lo stato, le&gendo
le Memorie Istoriche concernenti la devoluzione dello stato d’ Urbino ala Sede
Apostolica cui è da credere finché non vedrà la luce un nuovo lavoro sul me-
desimo soggetto annunziato dal Chiar. Prof. C. Scotoni, Provveditore agli studi.
jasti il dire che nel 1603, sempre vivente il figlio Federico Ubaldo — e ciò mo-
stra che il Papa pensava di poter trovare facilmente una delle solite vie per eli-
minarlo quando il padre Francesco Maria fosse morto — « a Monsignor Bernino era
« stata assegnata quella parte, che chiamano del Vicariato, e Senigallia infino a
« Fossonbrone ecc. Monsignor Verospi dovea spingersi a Gubbio e moghi vicini; ma
« | Arcivescovo dovea dare il moto a tutti in evento della morte del signor duca, e
« tenere sempre bene avvisati i colleghi ecc. (Op. cit., pag. 30) ».

(2) F. UGOLINI, op. cit., vol. cit., pag. 427.

———' "- ESO us
VRETEZZITE ZE

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 523

L]

pazione alle sette città del ducato e a Massa Fermana: con
lettera da Urbino del 24 agosto 1606, e i popoli di buon
grado aderirono. Gubbio presentò 14 soggetti, de’ quali venne
prescelto Girolamo Cantalmaggi, conte delle Carpini e di
Rocca d'Aria, che, insieme agli altri rappresentanti, prestato
il giuramento in Urbino per la prima volta ai 22 di gennaio
del 1607, incominciò subito ad esercitare l'alto suo ufficio.
Ma non continuó molto in questa carica, ché nel 1609, agli
8 di novembre, fu eletto, per nuovo consigliere dello stato
eugubino, mes. Giulio Gabrielli, figlio del capitano Carlo (1).

Peró, non si sa il perché, con decreto degli 11 settem-
bre del 1615, Francesco Maria sopprime il Consiglio degli
Otto e riprende egli l'esercizio della sovranità; quindi, ai 14
di maggio del '21 rimette l'amministrazione dello stato nelle
mani del figlio Federico Ubaldo, e, morto questi ai 28 di
giugno del ‘23, il 5 di luglio dello stesso anno ripone in onore
il Consiglio degli Otto, invitandoli a congregare il Consiglio
generale.

Pochi giorni dopo, morto Gregorio XV (8 luglio 1623),
e successogli, il 6 d'agosto, Urbano VIII, questi si applicò
subito con tanta cura ad accaparrare alla Santa Sede il du-
‘ato d’ Urbino, che l'atto relativo fu stipulato in Roma il 30
aprile del 1624, e in base al quale fu spedito monsignor Vi-
rile, latore di una formula strettissima di giuramento a tutti
i governatori delle piazze e ai capi della milizia, per cui
s'impegnassero di consegnare subito alla Chiesa, morto il
duca, tutti i luoghi da loro custoditi.

Cosi la Santa Sede, ancora una volta, mediante certe
arti di cui fu sempre maestra, si preparava ad allargare il
suo territorio di una bella ed opportuna provincia. Quindi,
forse per il timore che la preda, malgrado tutto, le sfug-

(1) F. UGOLINI, op. cit., vol. cit., pagg. 220-429. — R. REPOSATI, Op. Cit., vol. cit.,
pag. 223. Le istruzioni date dal duca a questa consulta che fu chiamata il Consiglio
degli Otto, furono pubblicate da F. UGOrINI: Discorsi sulla riforma dei Comuni dello

Stato pontificio, pag. 80. (Cagli, 1848).
594 A. PELLEGRINI

gisse, approfittandosi della pusillanimità del legittimo pos-
sessore, e della incoscienza de' sudditi, il 24 dicembre del
1624, un legato, à nome del nipote del papa, don Taddeo
Barberini, prendeva éndirettamente e malamente a governare
l’agognato territorio.

Il legato, fu dapprima monsignor Bellingerio Gessi, che
gia nunzio in Venezia per Paolo IV si era. acquistato il ti-
tolo di burattino e di moretto; neanche quando venne a pre-
siedere il nuovo stato seppe farsi amare né rispettare, la-
sciando che i suoi protetti rubassero ai sudditi: un suo
favorito, p. es., di nome Bruni, « organo de’ suoi concetti »,
andava qua e là, di paese in paese, cercando di spillar de-
naro col vantarsi « di essere in mano sua il far delle gra-
« tie ». A Fano, a Cagli, a Senigallia si appropriò oggetti e
denari; « in Pesaro e Fossombrone e Gubbio fe anco delle
« sue » (1).

Nel 1627 fu poi sostituito da monsignor Lorenzo Cam-
peggi, vescovo di Cesena (2), coadiuvato, se non soppiantato,
dal conte Bernardino Campello di Spoleto (5).

Non saprei dire come la intendessero gli altri sudditi
quando si seppe che Francesco Maria abbandonava interamente
il governo; vero é che gli eugubini, mentre, senza dir pa-
rola, avevano aderito alle riforme cui di sopra ho accennato,
non tacquero questa volta che intesero pur troppo essere
omai già spenta veramente per loro ogni traccia di libertà
e finito ogni benessere. La lettera diretta al duca con la
quale manifestavano tutto il proprio risentimento, diceva
così: « Habbiamo letto con lacrime la lettera di V. A. S.,
« con la quale ci dà avviso della venuta di mons. ill.mo
« Gessi al governo del suo stato, et se bene riconosciamo

(1) Memorie istoriche cit.: pag. 87 e 143.

(2) Idem, pag. 376.

(3) F. UGOLINI, op. cit., vol. cit., pagg. 433, 466. — O. LUCARELLI, Op. cit., pag. 111.
Ma l'Ugolini e il Lucarelli sbagliano quando dicono che il Campello chiamavasi
Solone. (Cfr. P. CAMPELLO DELLA SPINA: 7I Castello di- Campello, pagg. 358 e segg. ;
Roma, 1889).

ug PI DI

ee
GUBBIO SOTTO. 1 CONTI E DUCHI D'URBINO

in ciò l'affetto paterno.., nondimeno, havendo noi godùto

« per più secoli una perpetua tranquillità sotto il felicissimo
: governo di V. A., non ci potiamo contenere di deplorarne
il fine e la privatione di esso. Ma poichè... V. A. si trova.
oppressa dagli anni..., è forza accostarsi al voler divino,
che però li diciamo che questa cità sarà prontissima in
- riconoscere et obedire al detto governatore, massime per
la ferma speranza che ci dà V. A. della sua bontà e va-
: lore, sicurissimi che si come dall'A. S. siamo stati sempre
trattati con amorevolissimo affetto... cosi sia per insi
nuarlo al suddetto monsignore ecc. (1) ».
Ma la lettera non rimase che come una prova di piü
dell affetto eugubino verso il loro ultimo duca.
Ed ora torniamo un po’ indietro. È noto che Francesco
Maria, dopo avere per diversi anni tergiversato, conchiu-

OT LECTIO

nouum

desse nel 1582 il negozio della sua condotta col re di Spagna

ui We RS

Filippo II col patto di mandare un certo numero di gente
d'arme al suo servizio. Abbiamo dunque che, oltre una com-

pagnia di soldati che di regola doveano recarsi nel regno
di Napoli, nel 1587 mandó « ottocento fanti per la guerra
« di Fiandra sotto il colonnello Guerra Andreoni e il capi-
« tano Silla Barignani. Otto anni dopo, partirono altri tre-
« mila fanti in quindici compagnie con il marchese del Vasto,
come maestro di campo di due compagnie....; Anche nel
1602 si spedirono per Fiandra altre due compagnie, sotto
i capitani Francesco Baldassini e Lucantonio Abati (2) ».
Nel 1611 spedì un ferzo in servizio di Filippo III, sotto
il comando del conte di Carpegna, per andare in Piemonte,
dove S. M. doveva reprimere i tentativi del duca di Savoia
che cercava ingrandirsi dal lato del milanese. E così, di se-
guito, manda a Milano un altro terzo di fanti nel 1615 in
servizio di Spagna, e in altre epoche.

i1) Lettera del 20 dicembre 1624 (Lib. ms. sezgn.: CLI, D.
di Stato cit.).
2) F. UGOLINI, Op. Cit., vol. eit., pag. 396.
| ll
=..5° EHI

526 A. PELLEGRINI

Le leve furono or volontarie ora obligatorie. Gli eueu-
bini che, come abbiamo visto, e come confessa anche la stessa
‘omunità nel 1625, andavano facilmente di propria elezione,
malgrado i decreti proibitivi (1), sotto le insegne di questo
o di quel principe, pare ne fossero poi restii, quando si trat-
tava di andarvi dietro un ordine speciale e perentorio del
duca; forse perché nel momento in cui lordine arri 'AV&,
le condizioni loro non permettevano davvero di abbandonare
i beni e la famiglia (2). E una volta, nel 1611, in cui forse
i ministri di Francesco Maria obbligarono assolutamente eli
eugubini e gli altri sudditi a partire per la guerra, si com-
portarono cosi malamente da provocare un severo provve-
dimento del duca. Merita riportarlo per intero: « Commis-

(1) Ai 17 dicembre 1611, Francesco Maria scrive da Castel Durante al luogote-
nente di Gubbio: « Se bene le provisioni già fatte e più volte reiterate da noi che
« li nostri sudditi mediate et immediate di qual si voglia grado o condittione, et an-
« che feudatari, non possino pigliar soldo o andare a servire altri per oecassione
« di guerra o d'altro sotto le pene della vita e di tutti li beni loro ecc., sono per-
« petue...., ci compiaciamo..... di ridurle a memoria a tutti accioché sotto qual si
« voglia pretesto non venissero trasgredite da alcuno ecc. ». (Lib. ms. segn.: Ordini
Bandi ecc., III, XVII, C. 4: Ar. Armanni: Bibl. cit.).

(2) Nel giugno del 1595 la Comunità dona 5209 scudi ai capitani Sebastiano Nuti
e Ottavio Angelini « capi di 400 fanti per una leva volontaria di soldati da farsi [in
« Gubbio] per servizio del Re Cattolico ».

Un manipolo di 86 eugubini partono in sui primi del 1602: mentre altri, di cui
pure si conosce il nome, in numero di 32 ricusano muoversi dal paese malgrado la
leva sia forzata, tanto che i consoli intercedono presso il duca perché non li punisca.

Nel 1625, a più riprese, la stessa Comunità riliuta di ottemperare agli ordini di
Francesco Maria, adducendo varie scuse: scrivono che là « gente solita » é « assai
« diminuita per la mortalità seguita due anni sono, et anco perché l'arti della lana
«nutrice de’ poveri, é mancata assai. che però molti manifattori, tanto della cità
« come forastieri, con l'occasione de presenti romori se ne sono partiti, et in oltre
« buona parte de nostri contadini sono andati a tagliar tieni e grani secondo il so-
« lito, per suplire a loro bisogni..... »; aggiungono in altra lettera dello stesso anno
che mancavano uontini atti alle armi per « esserne prima andato buon numero al
« soldo d'altri principi »: finiscono col dire che per mostrare la loro devozione a
S.A., aveano dato 2200 scudi « alli Capitani acciò facessero li soldati volontaria-
« mente », ma quei capitani, « desiderosi del guadagno e di fare li cambi contro la
« buona mente di S. A. », procedevano « contro li huomini.... con atti rigorosi acciò »
avessero ad « andare alla guerra contro la loro volontà ». (Cfr. lettere del 20 giugno
1595; 28 marzo, 5 aprile 1602; 4 giugno, 29 agosto 1025; Lib. ms. segn.: Ck, Ds:G.,
F. CCLV ; Arch. di Stato cit.)
GUBBIO SO'TTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 527

sario. Intendiamo con nostro particolare dispiacere che
« molti soldati del nostro terzo, spedito ultimamente per il
Piemonte, in servitio di S. M. Cattolica, sotto il comando
del conte di Carpegna, si sono partiti da Campo, e fug-
‘ gendosene, hanno abandonato le loro insegne, non curando
il servitio di S. M. e 1 nostro insieme, e poco stimando la
loro propria reputatione e del paese. E se bene è molto
ben noto quanto sia grave questo mancamento e quanto
sia degno di severo castigo, tuttavia, per questa volta, ci
. siamo contentati che tutti quelli i quali si sono partiti
dal servitio sudetto senza licenza e loro ben serviti, prima
che si levasse il campo di sotto Asti, in pena loro sia e
s intendino esser privati d'ogni honore, privilegi, prero-
gative, ufficij publici d' honore, magistrato e luoghi di Con-
siglio che havessero di presente, tanto nella loro propria
patria, come in altri luoghi del stato nostro, volendo che
di tutti i sudetti comodi et honori siano incapaci anco
nell'avvenire, né a quelli possano essere amessi senza
espressa nostra licentia; e di più vogliamo che i mede-
« simi siano incapaci della nostra militia, e quando vi siano
descritti, ne siano levati, e cossi come anco privati d'ogni

facoltà di portar armi di qualsivoglia sorte in ogni luogo
e tempo, sotto la pena della galea in vita, e di tenerle.
in casa, sotto la medesima pena, et inoltre che non pos-
sino usare alcuno ornamento o altra cosa propria del sol-
dato, come sono pennacchi, centuroni, bande e simili.
Tanto dunque esseguirete, facendo registrare in libri sol-

liti, questa nostra voluntà senza farla publicare né per
bandi né per editti. Da Urbino li 28 d'agosto 1611 (1) ».
Durante i DT anni di dominio, Francesco Maria emanò
molti provvedimenti, sia d' indole politica, che economica (2).

(1) Lib. ms. segn.: Ordini, Bandi ece.: IIT, XVII, e. 4; Ar. Armanni: Bibl. cit.

(2) Premetto che nel corso della narrazione riporteró o citerò anche alcuni
bandi che rifletteranno lo Stato in generale, perehé necessario. Aggiunge-ehe nes-
suno dei bandi per Gubbio. fu motivato da tumulti o da ribellioni interne.
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A.

PELLEGRINI

Rivolse le sue cure, oltre che a perseguitare i soliti
banditi e i prepotenti di bassa lega che continuavano a sco-
‘azzare pel ducato (1), a paràre anche i colpi di un celebre
bandito che tenne per un momento sospeso l animo timo-
roso degli eugubini, e del quale fra poco parlero.

Ripeté ad intervalli i bandi che riguardavano le ma-
schere (2), che proibivano di portare bastoni e coltelli; armi

/9

d'asta (3) ed archibugi non maggiori di tre palmi di lun-
ghezza (4); rinnovò i bandi contro i facinorosi e lor. fautori,

Senonché nel 1577. anno in cui la città di Gubbio trovossi in subbuglio per
una rissa sanguinosa, ci fu bisogno di decreti speciali.

Il fatto che diede origine ad una rissa sanguinosa fra due famiglie, deve ri-
cercarsi nelle solite inimicizie, nate e alimentate per gelosia d'interessi o di casta.
Al giorno d'oggi. veramente, per quanto potenti fossero:due casati, non riuscireb-
bero certo a scuotere nemmeno la suscettibilità dei servitori, quando fra loro sor-
gesse antagonismo, mentre allora potevano essere anche causa di sovvertimento
dell'intero stato. Narrasi adunque ehe ai 27 d'agosto del "77 accadde in città una
rissa sanguinosa in cui fu ucciso il priore Carbonana e ferito il capitano Raffaele,
principalissimi cittadini: « sicché tutta la città era sollevata e divisa in parti. E il
« duca trovò opportuno mandare sul luogo l' ottima sua madre Vittoria Farnese, che
« era anche madre de’ suoi popoli, e per tale essi la tenevano. E la buona duchessa
« vi giunse ai 15 aprile 1578, ricevuta da tutti gli ordini della cit à con onori splen-
« didissimi: e se non le riuscì di spegnere le ire fraterne, pur la sua opera di pace
« non fu vana del tutto ». (F. UGOLINI, op. cit., vol. cit., pag. 394, che copia da un
documento del tempo).

(1) Nel gennaio, p. es., del 1594, il duca dové perfino mandare a Gubbio il ca-
pitano Lorenzo co' suoi soldati « per l'estirpation de banditi ». (Cfr. lett. del 22 gen-
naio 1594: Lib. ms. segn.: Cl. I. D. G., F. CCLV : Arch. di Stato cit.).

(2) Cfr. il bando del 20 dicembre 1575 e del 9 febbraio 1570. (Lib. ms. seen.:
Ordini, Bandi ecc.: III, XVII, C. 4: Ar. cit.: Bibl. cit.).

(3) I bandi sono del 20 dicembre 1574; dell'8 gennaio 1575: del 28 gennaio 1579;
del 6 aprile 1580; del 1? dicembre 1589 ecc. (Cfr. lib. ms. cit. ; AT. Armanni; Bibl. cit.).

(4) Il duca aveva comandato di non portare « arehibugi minori di tre palmi
« di lunghezza di canna, et secondo la mensura mandata.... de suoi ministri, quale
« é circa due dita piü lunga di quella che si serva nello stato ecclesiastico ». Ma i
Consoli pregano di revocare il decreto « perché in questa città — dicono — ve ne
« sono buon numero che passano un migliaro de quali li nostri cittadini si servano
« nel portare per le terre della Chiesa et per il stato di Fiorenza, dove sono tolle-
« rati et di giusta misura, quali non si potendo portare per lo stato di V. E. Ill.ma,
« darebbe danno alla città di quattro o cinque milia scudi » (Lettera del 6 maggio
1576. Lib. ms. segn.: Cl. I, D. G., F. CCLV ; Arch. di Stato cit.). Si noti a questo pro-
posito che di mal animo si assoggettavano i sudditi a non portar con loro gli «v
chibugi, in luoghi, p. es., dove ci celebrava una festa. Era allora insito nell'animo
di andare, sia a diporto o per interessi, coll'arma a tracolla, come ora con in
GUBBIO SOTTO 1 CONTI E DUCHI D'URBINO 529

uguali al bando del 1565 emanato da Guidobaldo II (1).
E perché quest ultimi sortissero buon effetto, formó anche,
fin dal ‘76, dietro invito. dello stesso Gregorio XIII (2), una
lega offensiva e difensiva, diciamo cosi, con lo stesso papa,
per la quale i sudditi potevano rispettivamente invadere i
due domini d'Urbino e della Chiesa, affine di dar addosso
ai banditi (3). Fu adunque una vera e propria caccia al-

l’uomo, per cui bisogna credere — e del resto è noto (4) —

mano un semplice ed inocuo bastoncello. Riusciva dunque penoso tutto ciò ai pri-
vati e maggiormente ai soldati, molto più che questi, siccome vestivano una divisa.
si credevano spesso in diritto di eludere le leggi appoggiandosi, come gli ecclesia-
stici. a privilegi reali o immaginarii Se i borghesi qualche volta fingevano di di-
menticarsi una tale proibizione, i soldati non se la ricordavano mai, donde proteste
e denunzie da parte de’ cittadini che eran tanto più felici di accusarli, a ragione o
a torto, dell'infrazione di una legge la quale pure a loro pesava d' assai. Francesco
Maria, con un decreto che peccava alquanto di parzialità e ciustificandolo con ra-
gioni alquanto inverosimili, tentò di por fine a simile stato di cose: « Intendiamo che
li soldati delle nostre militie ricevono molti aggravii nell imputationi che li ven-
gono date da falsi accusatori per il portare l'archibugi nelle feste; et che essi, si
bene alle volte sono inocenti, per fuggire le gravi spese d'avocati, procuratori ét
altre simili, s'inducono il più delle volte a farsi colpevoli di delitti che non hanno
fatti. per remediare : ..... vogliamo ehe per l' avvenire non amettiate più simili re-
corsi fatti da persone che non siano uffitiali, senza che vi nomini testimoni infor-
mati del fatto, et che quelli che sono giudici non procedino contro li soldati o al-
iri nominati per haver tenuti archebugi in festa, se con la denuntia non haveranno
inditij sufficienti a procedere ecc. ». Da Pesaro li 4 di gennaro 1599. (Lib. ms. seen. :
Ordini, Bandi ecc., III, XVIT, C. 4; Ar. Armanni, Bib. cit.). Nel luglio: del 1599. poi,
il duca, ricordandosi de’ forestieri, bandisce: « se alcuno dello stato ecclesiastico
« con li archibugi delle misura che al loro paese si costuma » entrerà nel territo-
rio eugubino « non sia dato loro molestia alcuna ». Bando del 19 luglio 1599. (Lib.
ms. cit., Ar. cit. eec.
(1) Cfr. p. es. il bando di Francesco Maria del 3 settembre 1588. (Lib. ms. cit.;
Ar. cit.: Bibl. cit.):
2) Fu invitato a ciò dal Pontelice con lettera del 19 maggio 1576. (Cfr. L. GRoT-
ANELLI: Alfonso Piccolomini, pag. 15; Firenze, 1892).

(3) Nell 81, p. es., si esprime cosi: « Commissario. Siamo restati in appunía-
mento con quelli che governano le città e luoghi di Santa Chiesa circonvicini al
Stato nostro che noi posiamo fare perseguitare banditi per haverli nelle mani,
anco nelle loro giurisditioni, purche non s'entri nelle città, castelli et altri luo-
ghi murati, et che li prigioni che si faranno siano consignati alli superiori di quel

| luogo dove si prenderanno et ehe medesimamente eglino possino fare persegui-
tarli intrando nel prato nostro con le medesime condittioni ecc. Di Pesaro li 21 di
« novembre 1581 » (Lib. ms. cit.; Bibl. cit.).
(4) Cfr. L. GROTTANELLI, Op. cit., pag. 6 e sega.
530 A. PELLEGRINI

che in questo tempo la potenza de’ ribelli fosse d’ assai cre-
sciuta insieme col numero di essi (1).

Ma ci fu una volta in cui un semplice decreto non sa-
rebbe bastato: quando Alfonso Piccolomini, duca di Monte-
marciano, divenuto capo di masnadieri, parea volesse pas-
sare sulla fine di giugno del 1590 attraverso gli stati del
duca per andare nelle Marche. Alfonso era figlio di Giacomo
Piccolomini e di Isabella Orsini; aveva sposato nel 1578 in
Pesaro Ippolita Pico sotto la protezione del duca d’ Urbino,
e, dando sfogo alla sua natura facinorosá, che fin dalla
più tenera età aveva dimostrato, si dette al brigantaggio ri-
coprendosi dei più neri delitti. Francesco Maria, gli era a-
mico; e si puó dire — come appare appunto da un bello stu-
dio del conte Lorenzo Grottanelli — che tale gli fu sempre. E
se qualche volta, come anche nel 1590, gli si mostró con-
trario, almeno apparentemente, devesi attribuire al fatto di
non volersi compromettere di troppo in faccia a Gregorio XIII
e poi a Ferdinando de' Medici che si era prefisso di rovinare
addirittura il celebre bandito. La prima volta che il Picco-
lomini si fece vedere nel territorio di Gubbio, fu nel 1519,
quando, dopo una vera battaglia in quel di Camerino con
Latino Orsini al servizio del papa, voleva andare a riposarsi
ad una badia « un miglio distante da Schifanoia nel peru-
« gino ». Ma avvertito che si avanzavano le milizie di Gub-
bio e di Perugia, immantinente indietreggiò, e si mise « a
« girare intorno ai confini del ducato di Farnese e della To-
« scana ». Finalmente, riuscì a penetrare in Camporsevoli,
in casa propria, dove fu festevolmente ricevuto da’ suoi vas-
salli « dopo una scorreria che era durata quindici giorni —
« dopo aver fatto cose che finchè giri il mondo saranno mera-
« vigliose (2) ».

(1) Per es., Silvio Pinoli da Gubbio di natura terribile che cercò nel '90 « sole-
« vare la plebe et resto per molto bandito.et condenato », fu nel luglio del '05 eletto
console. La comune supplica il duca che ratifichi l'elezione. (Lett. del 12 nov. ‘95; lib.

ms. segn.: Cl. I, D. G., F. COLV ; Arch. di Stat. cit.).
(2j L. GROTTANELLI, Op. cit., pag. 49.


GUBBIO SOTTO 1 CONTI E DUCHI D URBINO 981

Si trattenne però in Camporsevoli per poche ore, ché
sentiva il bisogno di rinnovare le sue geste criminose, e
tornó in campagna in quel di Gubbio. I soldati del düca,

anche questa volta, « veramente si mossero contro Alfonso ma

« si disse piuttosto lo favorissero che lo perseguitassero (1) ».

Nel 1590 invece pare volessero far sul serio.

« Il 16 di giugno venne la notizia a Firenze che Al-
« fonso Piccolomini... si trovasse con fuorusciti a piedi ed
« a cavallo nel pistoiese, coll’ intenzione di passare nel se-
« nese (2) ». ;

Non si sapeva quale via potesse battere: la cosa piü pro-
babile era che attraversasse la montagna di Gubbio, e qui
si concentravano tutte le forze di Francesco Maria, di li si
diramavano gli ordini per arrestare la sua marcia. È pro-
babile che questa volta almeno, il duca facesse sul serio.

Era morto, è vero, Gregorio XIII, e pareva che Sisto V
— era nel 1590 sulla fine della vita — non si occupasse
più tanto del bandito, ma Ferdinando de’ Medici, al con-
trario di Francesco suo predecessore, stringeva vieppiù la
rete in cui doveva cadere il Piccolomini. Si aggiunga ormai
che anche i popoli stessi eran sazi dei ladroneggi di lui;
ogni speranza di suo ravvedimento era svanita ed è proba-
bile dunque che il duca non volesse più rendersi complice
di perpetuare i suoi misfatti.

Da una relazione delle misure prese per dar la caccia
al Piccolomini appar chiaro che il signore d' Urbino l avesse
omai abbandonato alla propria sorte.

Il capitano Carlo Gabrielli, incaricato della buona riu-
scita dell' impresa, scrive cosi: « Avendo avuto aviso dal
« Sig." Vetarano.... il di 2 de luglio... la mattina, feci sban-
« dare et alarghai ogniuno da questo negotio del piccolo-
« meni, avertendo si stesse al ordine di arme per ogni oca-
« Sjone....

(1) L. GROTTANELLI, Op. Cit,, pag. cit.

(2) Idem, pag. 124.
DAI I OE

PALAIA i

A

A^

A

«

A.

PELLEGRINI

« Subbito che io ebbi la comissione e patente di V. A.
ser.ma, la mostrai al Sig.' locotenente. e sig." confaloniere
e consoli et a li capitani delle militie....

« Ordinai alli sudetti capitani che dovessero fare ve-
nire li loro. soldati che gia stavano al ordine che certa-
mente li detti capitani si sonno portati con gran diligentia,
prontezza e bonissimi ordiui, et anno operato di maniera
che io so restato sodisfattissimo.

« Feci scrivere tutti li homeni della città de una certa
età a preposito, e mettere al ordine de arme e tutti vera-
mente anno con gran prontezza mostro il grandissimo de-

siderio.... di servire V. A. S. che dal loro posta tutti li

- gentilomeni e cittadini de, ogni qualità, e la plebe, et an-

cora de li vecchi e giovenetti non scritti venivano a of-
ferirsi prontamente al servitio di V. A..., e cosi con pron-
tezza infinita venivano l'homeni de le militie...

« Piü presto à me possibile mandai messi in diversi lo-
chi per sapere di mano in mano nova del piccolomeni, e
per mettere inteligentia con tutti li populi, ghoverni e
ministri confinanti et altri particulari signori e gentilomeni
e de parenti et altri amici miei.

« Che tutti gli o trovati con infinita devotione verso
NATL

« Ordinai li capitani de le militie avesero qui trecento
fanti per averli freschi nel bisogno (1), avendone fatto la
regolatione, e questa erà bona gente e pronta, e li alog-
giai nelli monasteri, e molto volentieri quelli frati e li alo-
giarono e si portorno bene per servire lei; gli o fatti gho-

‘ vernare bene e con resparagno, accio tanto più volentieri

al bisogno si portasero bene.
« Diedi ordine che qui nel piano, e vicino a un certo
cenno di campana, venissero qui dai cento fanti e più e

(1) L'ordine fu dato fin dal 29 giugno. (Cfr. Lett. del 29 giugno 1599; Lib. ms.

segno: CI. 1, D. G.,F. CCLIX; Arch. di Stato: citi).
pie stia —

TATSMATTSURTS

«

A

A

GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 555

bene armati che in pochissime hore erano qui “mentre
metevo al ordine gli homeni de la città.

« Per escire fora contra il piccolomeni, menano quatro-
cento homeni della città bene armati e quatrocento ho-
meni de le militie bene armati, che tutti erano al ordine
in uno momento con boni ordini e con homeni a preposito
alli uffizi che si convenivano; ce avevo del li Archibugioni
a posta et altre arme a preposito...

« Avevo descritto cavalli della città e più cavalle del
distretto per potere adoperalle piü a preposito posibile con
sella e da soma.

« Avevia ordinato lasare gente della città nella città a
sufitienza alla guardia et chi ne pigliava cura, et avevo
ordinato alli chasoli il medesimo. Tutto il resto de li ho-
meni del distretto avertiti in punto con quella piü arme
che potevano.

« Avevo di più doi soldati e di spirito e pratichi che
seguitavano il piccolomeni ove pigliasse la strada con uno
messo con loro e con ordine darne che lo seguitassero, se
informassero de ogni qualita e progressi suoi e di suoi
banditi e si nel la persona sua vi fosse cosa segnalata, e
seguitandolo sempre con li nemici suoi dandone aviso del
tutto, e come voltava a questa con prestezza, de mano in

- mano, darne aviso et avisare ancora li altri amici nostri
. à maggior danno suo e più avertimento nostro, e tutto

questa deligentia. me bisognava, che si bene io ero benis-
simo informato dal la Corte, nondimeno quando il picco-
lomeni veniva per la montagna, e di piü levatosi, a rime-
sosi di poi al la montagna e si seguitava, bisognava pa-
sase in questo di Gubbio per andare in marcha, et io per
le sopradette cose ero aiutato in tempo e di vantaggio
assai.

« Come avevo l'aviso che il piccolomeni veniva a que-
sta volta, andavo con questi otocento homeni ad incon-
trarlo e combatterlo di certezza con una prontezza, unione
«

«

«

A. PELLEGRINI

infinita, e tutti eravamo de una medesima volunta a ser-
vire V. A. Ser.ma..... sperando la vittoria.

« Avevo modo mandare alcuni cavalli a riconoscere il
piccolomeni, di mano in mano, e cosi noi marchiando a
quella volta sua a tale che non poteva scanzare l'incon-
tro nostro.

« Avevo a lordine messi per avisarlo, a tutti li lochi,
del intelligentie e di confidenti, acciò sapesero quanto oc-
coreva che stavano ancora loro su laviso, accio non se ne
salvassero per alcuna via (1) ».

Ma gli sforzi e le cure di Carlo Gabrielli riuscirono inu-

tilii perché il Piccolomini, certo fiutato il vento infido, ncn

si fece vedere. Il nostro capitano perció non poté altro che

contentarsi di far pompa col duca con questa sua Znforma-

tione, come egli stessa la chiama, delle sue inclinazioni stra-

-tegiche, inclinazioni che non potè più esplicare, almeno ri-

guardo al Piccolomini, poiché questi, incalzato da ogni parte
dai soldati della Chiesa e specie da quelli del granduca, ar-
restato in quel di Cesena il 2 gennaio del '91, fu appiccato
il 16 di marzo (2).

I duchi d'Urbino, e la S. Sede, salvo ad accapigliarsi

per ragioni essenzialmente politiche e di temporale, in tutti

eli altri casi si trovavano quasi sempre d' accordo.

Erano solleciti i papi a contentare i buoni confinanti

tutte le volte che questi si lamentavano che una sede ve-

scovile rimanesse troppo a lungo vacante, come nel 1599 a

Gubbio (3); s industriavano di accomodare le vertenze fra
]3

il vescovo e il clero secondo il desiderio ducale, come fecero

nel 1601 per gli screzi nati tra monsignor Andrea della

(1) Relaz. del 10 luglio 1590 (Lib. ms. segzn.: Cl. L, D. G., F. COLIN; Arch. di

Stato cit.).

. gamena; fondo Pesaro-Urbino; Arch. di Stato cit.).

(2) L. GROTTANELLI, Op. Cit., pag. 164.
(3) Cfr. il Breve di Clemente VIII a Francesco Maria del 25 settembre 1500 (Per-
GUBBIO SO'TTO I! CONTI E DUCHI D'URBINO 525
cattedrale di Gubbio e l affare della visitazione (1), eran pronti
sempre a consolare i sudditi coll'erezione di nuovi con-
venti (2), e coll'assegnare loro nuovi privilegi, ostentavano
disinteressarsi di una quistione di disciplina ecclesiastica,
quando si accorgevano che gli stessi duchi preferivano oc-
cuparsene da sé, come vedremo per es. pel monastero di
S. Spirito.

( Continua). A. PELLEGRINI.

(1) Cfr. il Breve di Clemente VIII a Francesco Maria del 22 gennaio 1601. (Perg.;
fondo cit.; Arch. di Stato cit.).

(2) Si vedrà in seguito di quanti conventi era consoluta la città di Gubbio.

"

Zoo AS WARIPE

NOTIZIE E DOCUMENTI

PER COMPROVARE LA GENEALOGIA DI S. FRANCESCO D'ASSISI

Nel 1668 il p. Eugenio Gamurrini stampando la sua Storia
delle famiglie nobili Toscane et Umbre parlò de' Moriconi di
Lucca. Per compiacere al canonico don Libertà, ultimo rampollo di
quella famiglia, accettò quanto questi gli suggerì, e, fra le altre
cose, che S. Francesco d’Assisi discendeva dalla famiglia di lui.
Bastava aver considerato che i Moriconi, come casato, non esiste-
vano nè a Lucca, nè a Firenze, nè a Pistoia, nè in altro luogo
all’epoca della nascita del santo, per non accettare simile notizia.
Quanto poi a don Libertà Moriconi, basta leggere quello che un
nostro dotto bibliotecario ha scritto accanto al nome di lui nell’ in-
diee de’ manoscritti; come cioè essi sieno da consultarsi con pre-
cauzione, perchè beveva grosso. E se beveva grosso nelle cose che
non lo riguardavano, figuriamoci se non dovesse bere grosso, gros-
sissimo, quando si trattava di lui e della sua famiglia !

Per fornire al Gamurrini il materiale onde scrivere de’ Mori-
eoni di Lucca, il buon canonico cominciò varii alberi genealo-
gici, più o meno fantastici, dai quali si capisce benissimo come
un suo antenato discendesse in linea retta da Adamo! Ma quei
lucchesi che lessero, non mancarono certo di ridere alle spalle del
buon canonico, e questi, convinto della poca solidità dei suoi al-
beri, come ci diee egli stesso, spese altri vent'anni a racconciarli ;
poi, così rabberciati, li presentò nuovamente ai lettori, sperando

che questa volta li avrebbero trovati logici. Il che vuol dire che

A

*

EY

14

UNES
2528 R. CASALI

giuocava di fantasia e non aveva documenti di sorta per provare
che quanto seriveva era la verità.

Intanto, nel 1689 il veseovo di Assisi Ottavio Spader fu invi-
tato a predicare la quaresima nella cattedrale di Lueca; e il Mo-
riconi non mancò di raccontargli i fatti suoi. Il buon prelato, che
credeva a tutto quanto gli dicevano, tornato ad Assisi, scrisse un
opuscolo intitolato: Lumi Serafici di Porziuncola, dove narrò, che
« l'anno 1689 un canonico, de’ Moriconi di cognome, gli aveva
detto tenere in casa le memorie autentiche del passaggio di un suo
antenato in Assisi il quale sarebbe stato, secondo lui, l avo di
S. Francesco ».

In una parola, il Moriconi giuocó allo Spader il tiro giuocato
vent'anni prima al Gamurrini; perchè, una quaresima è lunga, e
se veramente avesse posseduto un documento antico ed autentico
del fatto, invece di dire allo Spader « tengo presso di me un do-
cumento ecc. » glielo avrebbe mostrato. Nella seconda metà del
secolo XVIII il p. Chalippe, recolletto, serisse una vita di San
Francesco d’Assisi, e parlando della genealogia del santo, in nota
citò i Lumi Serafici, però falsandone il contenuto; perchè mentre,
come abbiamo veduto, lo Spader scrisse « avergli il canonico Mo-
riconi detto che teneva in casa ecc. », lo Chalippe serive: « Un
canonico, Moriconi di cognome, gli fece vedere un monumento an-
tico ed autentico »; e fra tenere in casa o far vedere ci corre: non
è vero?

Ma da quel tempo in poi, tutti gli scrittori di vite più o meno
fantastiche di S. Francesco, ripeterono la storiella del documento
veduto dallo Spader e perpetuarono l'errore. Lo. stesso p. Papini,
storico autorevolissimo, fece sua la favola, quale lo Chalippe la
aveva foggiata; e a Josafat Rossi, che aveva oppugnato con ra-
gioni validissime le conclusioni alle quali egli, toscano, era giunto,
partendo da false premesse, rispondeva: « Si provi il Rossi, ad at-
terrare con sana logica il vetustissimum documentum dello Spa-
der e sarà reputato magnus Apollo ». Se il Rossi avesse letto i
Lumi Serafici, avrebbe potuto farlo subito; e atterrato il docu-
mento, come mai esistito, il resto cadeva da sè.

Ho detto che moltissimi scrittori di cose francescane hanno
accettato il documentum e fra gli altri il De la Riva ed il Lemon-
nier. Però a quest'ultimo si deve l’ onore d'aver provata falsa la
rr eis

NOTIZIE E DOCUMENTI, ECC.. 039

discendenza della madre del santo, Pica, da i conti Bourlemont
di Provenza. E così, un’altra novella è sparita dal campo sereno
della storia. Ma ci convien tornare un passo indietro. Fra quelli
che scrissero, ex professo, della genealogia del santo assisiate, fu
nel 1882 un pio e dotto sacerdote lucchese, il can. Almerigo Guerra.
Questi, pur dichiarando che il documento Morîconio, mai era esi-
stito, tratto in errore dalla lettura della pergamena 91 dell’archi-
vio arcivescovile di questa città, cercò in qualche modo di pro-
vare, dietro la scorta di tal cimelio, che, probabilmente, Bernar-
done (sie) era lucchese.

L'errore fu questo. Il Guerra lesse: Petrogallus B. M. Mori-
conis, E interpetrò: Petrogallus filius Bernardonis (de’ Moriconi).
Ma nella pergamena sta scritto: Petrucallo bone memorie Mo-
riconi! Ecco tutto. È inutile dunque la domanda che l'ottimo ea-
nonieo fa a sè stesso: Onde mai venne a costui il nome di Pietro-
gallo? E piü inutile sarebbe la risposta.

Quindi per un pezzo nessuno più si occupò direttamente della
genealogia del serafico Patriarca. Come ho detto, molti dei bio-
grafi moderni seguirono lo Chalippe, salvo il più grande ed il più
critico di essi, Paolo Sabatier, il quale cosi si esprime in propo-
sito: On a fabriqué à Francois un certain nombre de généalogies :
elles ne prouvent qu'une chose, le naufrage de l'idée franciscaine.
Qw' ils comprenaient mal leur héros, cewr qui ont cru le grandir
et le glorifier en le faisant sortir d'une famille noble.

Recentemente, furono esumati i vecchi errori, tuttochè già
sfatati. Nel 1901, i luechesi fecero pratiche presso il governo
perchè fosse ridonata al culto la chiesa di S. Francesco, adi-
bita da anni ad uso di magazzino militare. In quest’ occasione
il sig. Carlo Paladini, lucchese, pubblicò nei fascicoli 16 giugno
e 16 luglio della /tassegna Nazionale che stampasi a Firenze un
brillante articolo: San Francesco nell’arte e nella storia lucchese:

articolo, che qualche tempo dopo ristampò sotto forma di elegante

‘volumetto arricchito di note. Noi ci riferiamo a questo per le

nostre citazioni. Il lavoro del sig. Paladini è senza dubbio benis-
simo seritto, piacevole a leggersi e molto suggestivo; però ci di-
spiace di non andare con lui d’accordo circa la genealogia del
santo e in qualche altra cosa ancora.

Per impedire il dilagare di un errore storico già troppo abu-
DD

540 . R. CASALI

sato anche da coloro che si occuparono di proposito di storia fran-
cescana, stampammo nel volume VIII di questo Bollettino Umbro
di Storia Patria un articoletto col quale si dimostra che quanto
l’egregio Paladini diceva della genealogia di S. Francesco non
aveva ombra di verità. Al nostro modestissimo lavoro mancava
il corredo di molti documenti in esso accennati, e noi ora, se-
condo le nostre forze, ripariamo al difetto (1).

Quanto poi al Paladini, se invece di promettere di « mettersi
sulla via maestra della storia documentata », ci si fosse messo sul
serio, e avesse fra le altre cose letto una sola volta i famosi
Lumi Serafici che egli cita con tanta voluttà, avrebbe veduto che

(1) Mi richiamo alle citazioni e alle cose già dette in questo Bollettino, e intorno
alle idee in esso svolte mi giova ricordare, che nella Rassegna Bibliografica della
Letteratura Italiana, Pisa, 1902, diretta dall'illustre prof. comm. Alessandro d'An-
cona si legge: « IL prof. Regolo Casali in un suo articolo Della genealogia di S. Fran-
« cesco d'Assisi (estr. dal Bollettino della R. Deputazione di storia patria per VUm-
« brio, vol. VIII, fasc. 22, di pag. 9 in-16°) esaminando le testimonianze storiche sugli
« antenati di S. Francesco, mostra che nessun indizio ci permette di credere che il
< santo appartenesse alla famiglia dei Morici o Moriconi, venuti ad Assisi, secondo
« aleuni hanno voluto di recente affermare, da Lucca. L'origine lucchese della fami-
« glia del santo é stata sostenuta ultimamente da Carlo Paladini nel suo libro
« S.Francesco d'Assisi nell’arte e nella storia lucchese (Firenze, 1901), ma a noi pare
« che, date le notizie di fatto su cui possiamo argomentare, il Casati abbia piena-
« mente ragione ».

E il valentissimo prof. Corrado Zacchetti nella sua splendida conferenza: £ra-
cesco d' Assisi e le « Laudes creuturarum » (Assisi 1904), conferenza che egli applau
ditissimo disse prima a Spoleto poi in Assisi, così si esprime circa gli sforzi fatti da
alcuni per affibbiare al Poverello nobiltà ed origine non assisana:« 71 padre, 10350
« e violento, fu un ricco mercante di panni, e appartenne a famiglia popolana,
« checchè s? abbia voluto ultimamente esumare a PROPOSITO DELLA. SUA DISCENDENZA
« DALLA NOBILE FAMIGLIA DEI MORICONI DI LUCCA ; ESUMAZIONE FATTA PER UN GHETTO
« SPIRITO DI CAMPANILISMO, DA UNA CRITICA LEGGERA E SPICCIOLA SULLA QUALE È ME-
« GLIO PASSAR SOPRA, tanto più che ad essa fu da poco tempo risposto CON SERI DO-
« CUMENTI E CON SERENA IMPARZIALITÀ E CON MOLTO BUON SENSO ».

Potremmo finir qui, lietissimi che le nostre umili fatiche siano riuscite a. far
la luce là dove si tentava di mantenere le tenebre; ma non vogliamo privare i
lettori, véríbws unitis, di ciò che i Bollandisti pensano e. serivono a proposito
dei Morici o Moriconi; ché quanto alla discendenza lucchese del santo, essi non
mai l'hanno voluta aecettare per vera. Ecco qua: « Analecta Bollandiana, Tomus
XXII, Fasc. II, pag. 120, A. D., 1903, R. Casali, Della genealogia di S. Francesco Mo-
rici o Moriconi d^ Assisi. Dans le Bollettino di storia patria per U Umbria, t. VII
(1902), pag. 279-85. Article fort sensé, dans lequel l' auteur qui connatt bien les avchi-
ves d^ Assise, montre l' anité des efforts tentés par des écrivain du XVI° siécle
pour ennoblir le glorieua patriarche des Fréres Mineurs, en rattachant sa famille
à celle des Moriconi d' Assise ».
SIA i. —

NOTIZIE E DOCUMENTI, ECC. DAL

non è vero che i Moriconi fossero nobili forestieri in Assisi; «he
non sappiamo nulla, proprio nulla se i Moriconi fossero mercanti
al tempo di S. Francesco; anzi sappiamo che nè a Lucca nè ad
Assisi v'era allora il casato Moriconi; che i Moriconi di Lucca e
quelli di Assisi non avevano lo stesso stemma; e perciò le consi-
derazioni del Paladini che tutto accetta, ma nulla prova, sono
perfettamente inutili; che non è vero che il documentum, sul
quale egli insiste sia stato visto, come ripetutamente afferma, da
Ottavio d’ Assisi, e ciò for a very sufficient reason, che cioè non
è mai esistito. Veda adunque il Paladini se non abbiamo ragione
quando diciamo che egli ha scritto della genealogia del santo non
solo senza aver consultato un solo documento, ma anche senza
aver letto i famosi Lumi Serafici che, per essere stampati, non
presentano difficoltà alcuna.

Ma parliamo dell'ultimo che sostenne, al solito, senza ragioni
e senza documenti, questa spallata ipotesi della discendenza lue-
chese del santo.

Fu questi il venerando padre Marcellino da Civezza. Uno sto-
rico come lui non merita nemmeno una scusa, per avere seritto
con tanta leggerezza. Desiderando che niun ostacolo si opponesse
ad una sollecita apertura della chiesa francescana di Lucca, dopo
aver detto a noi che lo interrogavamo in proposito che nessuna
prova si aveva della discendenza lucchese del santo, quando poi
noi ci mostrammo contrari alle opinioni del Paladini, egli per ti-
more che i nostri articoli dispiacessero, oltre che a questi, anche
a qualche persona lucchese che va per la maggiore; e temendo
che l’ aver noi pubblicato una sua lettera sulla questione potesse
ritardare la famosa apertura (la chiesa è sempre chiusa), preso il
coraggio a due mani, stampò un opuscolo dal titolo: S. Francesco
oriundo dei Moriconi di Lucca. Evidentemente il pio religioso di-
menticò nella penna un punto interrogativo. Fu lodato, lodatissimo
da un giornaletto locale : L' Esare, ma fece ridere tutti quelli che
si occupano sul serio di cose francescane, compresi molti de’ suoi.

Per dimostrarvi la serietà di tale opuscolo, basti questo fatto.
Pietro Rodolfo da Tossignano diee, parlando della genealogia del
santo: Bernardonus Asisias ex honesta (ut ferunt) Moricorum fa-
milia atque optimae inter cives conditionis fuit B. IF, Avus (cioè

beati Francisci Avus).
R. CASALI

Il periodo è chiarissimo. Bene! Al p. Marcellino non acco-
moda così com’è: Asisias invece di Lucensis gli dà noia, e non
fa al caso suo quel B. F. avus. Ebbene? È presto fatto: prende
il periodo e lo castra cosi: « Bernardonus Asisias ex honesta (uti
ferunt) Moricorum familia atque optimae inter cives conditionis
fuit, » lasciando fuori il « B. F. Avus ». E apre una nota, la
quale non ha che far nulla colla questione, citando il periodo in-
tero.

Bastano queste gherminelle per capire che il p. Marcellino è
convinto del contrario di quanto scrive. Abbiamo finito colla di-
samina degli scrittori più noti dal 1668 al 1901. S. Francesco non
fu nè dei Moriconi di Assisi, nè di quelli di Lueca, per la buona
ragione che, come abbiamo detto, tali casati ancora non esistevano.
Egli non fu nobile; il padre suo fu pannaio e cioè fabbricante
di pannilani. In Assisi l'arte della lana probabilmente già fioriva
quando a Lueea era bambina. L'arte della seta e delle stoffe pre-
ziose non era forse uscita da Luce: quando S. Franeeseo venne
al mondo. Pubblichiamo qui tutti i documenti che ei restano sui
parenti del santo dall'anno 1253 al 1273 e l'albero genealogico
che si conserva nella biblioteca d' Assisi che è il più antico, mai
veduto finora dagli storici e nemmeno dal Papini.

Dal quale albero si dimostrà come nel 1380, e cioè dugento anni
appena dopo la morte del poverello d'Assisi, la consanguineità di
lui era nota e testimoniata dalla sopravvivenza di due femmine, e
cioè Francesca, figlia di Pietruecio di Ceecolo e Giovanna, figlia di
Bernardo di Ceecolo; il quale Ceeeolo, figlio di Giovanni di An-
gelo, fratello del santo, era, naturalmente, il pronipote di quello.

. Be S. Francesco avesse avuto un cognome di origine, non si poteva

mai trascurare di ricordarlo da chi seriveva nel 1380 sulla genea-
logia del medesimo. Dato che i Moriconi avessero potuto vantare
la comunanza di sangue col Serafico, come non avrebbero fin di
allora rivendieata questa diseendenza? Non abbiamo altro da ag-
giungere, se non che la versione più ovvia di questa favola debba
attribuirsi, come si disse già, alla fantasia di un Libertà Moriconi
di Lucca, uomo di nessuna levatura e sereditato.
Lucca, agosto 1905.

R. CASALI.
———

NOTIZIE E DOCUMENTI, ECC.

pO C. Ut: M. ETXINZES

1l. — Divisione di beni fra i figli di Pica.

Biblioteca Comunale di Assisi, Instrumenta, vol. I, pergamena 27.
1253, novembre 18.
In nomine domini Amen. Anno domini MCCLIII, Indictione | unde-
cima, tempore domini Innocentij pp. quarti, die iiij | exeuntis novembris.
Picardus et Johannettus filii quondam et heredes | Angeli Pice ad di- m 4-
visionem bonorum eorum [omnium] mobilium | et stabilium venientes,
de ipsius bonis duas partes de comuni | eorum concordia et voluntate
fecerunt, in qua quidem prima parte | posuerunt unam domum sitam in 3
porta Moiani a i» via et ii» formellum et iii» heredes Sfossati et iiiiv
Ugolinus Contadini cum omnibus ! massaritijs comunibus, scilicet scrineis
et areis et bancis et cum dieta | domo posuerunt partem agri, quem
habent in Asio sancti Martini | Argentane ab oriente, sicut est terminata,
usque ad fossatum | a j? cuius partis via et ij? dominus Paris et sanctus
Rufinus et tertio ospitale | et quarto closura, que fuit domini Bovis. Item
terram, que dicitur esse | duos modiolos | in cireum campi semite a | iv
ospitale saneti Rufini et ij? | Egidius Ottonis (?) et tertio Ventura Bene et
quarto Benvegnate Ugolini. | Item duas strisias in Fontanelle a iv. via
a ij Ugolinus Contadini et iij» heredes Andree Gidii Folgarati et iiij"
Johannettus predietus. | Item duos modiolos, sieut dicitur, in Camparica

a | i* et ij^ via | alia latera nexa (?). Item unum cantonem cum predictis
strisiis Fontanellis | a i° filii Volte et ij? Johannettus et iij" ipsi sortientes.
Item cantonem Canalis a | i* et ij» dominus Paris et iij" ospitale et quarto
filius | Johannis Solusmete. Item omnia que habent in montanis. Quam
partem | predietus Picardus in sua et pro sua portione recepit et de ea
voluit | et confessus fuit esse conteptus et de aliis bonis fecit Johannetto
finem | et quetationem et remissionem et pactum de non ulterius pe-
tendo; | et dietus Johannettus dietam partem sibi confirmavit et remi-
244. R. CASALI

sit | sibi omne ius omnemque actionem realem et personalem, utilem et
directam, | quod vel quam haberet vel habere posset adversus eum oc-
casione dicte partis, promittens eidem dictam | partem communiter de-
fendere et disbrigare et hec omnia | supradicta promisit attendere et in-
violabiliter observare | et contra non facere sub pena quinquaginta li-
brarum ; et ea | soluta vel non, dicta firma sint et rata et sub obligatione
suorum bonorum.

Actum ante domum filii Berardi Johannis, presente Philippo notario
et Ventura Percenarii et Egidio | Calzaviridis et Andrea Loreti testibus.

Ego Jacobus auctoritate imperiali notarius hiis | omnibus vocatus
et rogatus affui et ut supra legitur

mandato dietorum paciscentium
seripsi et autenticavi.

2. — Testamento di Giovannetto d' Angelo di Pica.
Id., Instr., vol. I, perg. 42. 1261, agosto 4.

In nomine Domini Amen. Anno eiusdem millesimo ducentesimo
sexagesimo primo, die iiij? intrantis mensis Augusti, Indictione quarta,
post obitum domini Alexandri pape quarti, ecclesia | romana vacante
Apostolica. Ego Johannectus olim Angeli de Pica, licet infirmus corpore,
sanus tamen | et compos mente, per hoc testamentum nuncupativum de
meis bonis disponere cupio in hune modum. Primo j filiam meam Jo-
hannolam instituo mei heredem in quadam petia terre site in vocabulo
Litorte et in alia petia in vocabulo Bassani a iv. rivus et ij’. ecclesia
Saneti Petri de Mululla et iij». Andreas de Ponte, que petia est
ab utraque parte | Rivi , latera terre de Litorta iv, Deotaccomman-
dus Petri filii Berardi et filii Petri domine Berte et ab alio | latere via,
et in viginti libris de mobilibus et his sit contenta : et in aliis
meis bonis instituo mei heredem Francisculum filium meum maseu-
lum. Item si dicta filia mea decederet sine prole, substituo ei dietum
filium | meum, et si dietus filius meus decederet sine prole, habeat dicta
filia mea de bonis dicti mei filii | quadraginta libras; alia bona ipsius
filii dentur pro anima mea et meorum antecessorum et pro male acce-
ptis | ad sensum Picardi et custodis Saneti Francisci, et si ambo mo-
riantur sine prole, dentur omnia pro anima | mea, ut dictum est. Item
confiteor me recepisse olim ab uxore mea Bonagratia vigintiquinque
libras pro | dote, unde debet apparere istrumentum manu Ugutionis notari
Leonardi, et super istam dotem relinquo eidem, | sive filii mei vivant sive
moriantur, quindecim libras, pro quibus XV libris obbligo sibi clausu-

ram | meam de fonte Camorata, i? via, . ii». Bonaventura Forani, . iii . |
Rui

NOTIZIE E DOCUMENTI, ECC. 545

: : TE : : ; è.
dominus Bos Tancredi et . iiij^ . | Picardus . Item | relinquo pro anima
mea, dandos secundum quod.ius precipit, Lx solidos. Item pro anima
monasteria, xl solidos. Item ecclesie sancti

relinquo, distribuendos per
Francisci relinquo XX solidos. Item relinquo dicte uxori mee ha | bita-
tionem domus mee, donec honeste cum filiis meis morari voluerit. Et
hanc esse volo meam | supremam et ultimam voluntatem, que si iure
testamenti forsitan.non valeret, valeat saltem jure co | dicillorum, vel
cuiuslibet ultime voluntatis. Actum Asisij in domo dicti Picardi, presen-
tibus Mu ; naldo de Camerino , Angelo Johannis Lencis, Jacobucio Bo-
naionte , Rufino Johannis , Gualterucio Johannis Spellati , Venturella
Bevenuti de Spello et Andriolo fratre eius, testibus a testatore rogatis | .

Ego Riccardus imperiali auctoritate notarius hiis omnibus inter-
fui | et predicta omnia supradicta, testatoris mandato, scripsi et auten-

ticavi.

Ya In nomine Domini Amen. Anno eiusdem millesimo ducentesimo
sexagesimo primo,| die quinto intrantis mensis augusti, indictione
quarta, post obitum domini Alexandri | pape quarti ecclesia Romana
vacante apostolica. Ego Johannectus olim Angeli de Pica testamen-
tum | nuper a me factum, seriptum manu Ricardi notari, volo in omni-
bus ratum et firmum esse, sed | addo presentibus codicillis, quod sive
filii mei vivant sive moriantur, volo quod Picardus | frater meus det
et restituat de meis bonis ad suam voluntatem pro restauratione male | et
illicite acceptorum vel pro usuris, si quas aliquando accepissem. Actum
Assisi in domo dieti | Picardi, presentibus . . . . frate Benvenuto, Ja-
cobo Pauli Sescii, Ugolello Ugo | lini Contadini, Asisano vasario et
Brucimine, testibus a dieto Johanneeto rogatis.

“go Ricardus imperiali auetoritate notarius hiis omnibus interfui
et predicta omnia, mandato supradicti Johannetti, seripsi et autenticavi.

n]

3. — Notizie di documenti.
(1256 - 1373).

Id., Instr., vol. I, perg. 27. 1253.
In nomine domini Amen. Anno domini MCCLIII, Indictione unde-

cima, tempore domini Innocentij pp. quarti, die IIII exeuntis novem-

bris. Divisio bonorum inter Pieardum at Johannectum filios Angeli de

Pica, nepotes B. Francisci.

Iaeobo notario.
ernia i

546 R. CASALI

Id., Instr., vot. II, perg. 10. 1256.

Anno domini Millesimo ecL VI, Ind. XIIII, tempore domini Alexandri
pape quarti, die V exeuntis madii. Dominus Jacobus Ysmaelis Judex
Comunis Asisij iubet quod exequatur preceptum a se ipso factum contra
dominum Amaedeum fideicommisarium Lini Nutoli, nisi illico et imme-
diate solvat Pieardo Angeli syndico eeclesiae S. Francesci et pro ea
recipienti XXV lib. denariorum.

Francisco notario.

Id., Instr., vol. II, perg. 39. 1258.
In nomine domini Amen. Johanna filia quondam Benvenuti Bona-
venturae sub anno domini Millesimo CCLVIII, die octava mensis Apri-
lis, Indietione prima, tempore domini Alexandri pp. quarti, coram
Picardo Angeli et aliis testibus ad haec vocatis, suum condidit testa-
mentum reperto 2» eo nomine domine Jacobae de Roma.
Bonaventura notario.

Id., Instr., vol. II, perg. 13. 1258.

In nomine sanctae et individuae Trinitatis. Anno domini Mille-
simo ceLVIII, pontificatus domini Alexandri pp. IIII, mense Julii...
Ind. secunda. Dominus frater Nicolaus (de Carbio) Episcopus Asisinas,
consentiente d. Petro ecclesiastico ecclesiae S. Gregorii, concedit et
vendit Picardo Angeli procuratori ecelesiae S. Francisci unam petiam
terrae de V stariis et medio puillo positam in Asio Collis. A primo et
secundo res Sancti Francisci etc.

Nicolao notario.

Id., Instr., vol. II, perg. 11. 1259.

In dei nomine Amen. Anno eiusdem Millesimo ceLVIITI, pontificatus
domini Alexandri papae IIII, die VI mensis Madii, Nicola domini Chri-
stiani dedit et concessit Picardo Angeli procuratori ecclesiae B. Fran-
cisci nomine et vice dictae ecclesiae duas petias terrae sitas in vocabulo
S. Andreae de Ynsula.

Egidio notario.

Id., Instr., vol. II, perg. 17. 1259.

In dei nomine Amen. Anno eiusdem Millesimo CCLVIIII, Ind. se-
cunda, tempore domini Alexandri pp. quarti die XV intrantis augustis.

Angelus Iunte Jaconj etc. vendidit Picardo Angeli procuratori ec-
clesiae saneti Francisci unam petiolam terrae sitae in vocabulo Collis
sancti Francisci. pro pretio trium librarum pro quolibet stario.

Egidio notario.
NOTIZIE E DOCUMENTI, ECC. D4T

- LI
Id., Instr., vol. II, perg. 12. 1259.
In dei nomine Amen. Anno eiusdem adventus Millesimo ccLIX, Ind.
sexta, die quartodecimo mensis maij exeuntis, residente domino Ale-

X; xandro papa quarto. Jacobus Oporthali de Crucella, Angelus et Ben-
1 venutus olim Theobalducij vendunt ete. Picardo Angeli proc. ecclesiae

S. Franciscis et pro ipsa ecclesia unam petiam terrae sitae suptus ec-
clesiam Sancti Francisci.
Martino notario.

Id., Instr., vol. II, perg. 14. 1259.
In nomine domini Amen. Anno eiusdem Millesimo CCLIX, Ind.

secunda, tempore dom. Alexandri pp. IV, die XI intrantis Augusti.

Ugutionus Juntae vendidit Picardo Angeli yconomo etc. monasterij San-

| eti Francisci tertiam partem pro indiviso unius starij et medietatem

i unius pugilli terrae positae subter ortum dicti monasterij.

Francisco Egidii notario.

Id., Instr., vol. II, perg. 15. 1259.

In nomine domini Amen. Anno eiusdem Millesimo CCLIX, Ind.
secunda, temp. domini Alexandri pp. quarti, die undecima intrantis
Augusti, Angelus, Berlengutius et Guidarellus filii quondam Borgo-

enoni vendunt et tradunt ete. Picardo Angeli yconomo et procuratori

et syndico monasterii saneti Francisci, favore ipsius monasterii, tria

staria et unum pugillum terrae positae subter ortum dicti monasterij.
Francisco Egidii not.

1 Id JInstr.,. vol. II; perg. 17. 1259.
In dei nomine Amen. Anno eiusdem Millesimo CCLVIIIT, Ind. se-
cunda, die XIIII intrantis Augusti, Venturella et Piccolus Bonaven-

turae Jaconij vendiderunt Picardo Angeli, recipienti nomine et vice
È eeclesiae saneti Francisci, unam petiam terrae cum olivis sitam in vo-
cabulo Collis sancti Francisci pro pretio et ad rationem trium libra-
rum pro quolibet stario.

» Egidio notario.

Id., Instr., vol. II, perg. 19. 1259.

In nomine sanctae et Individuae Trinitatis, Anno domini MCCLVITIT,

mense Decembris... intrantis, Indictione secunda, tempore domini Ale-
3 xandri pp. IV. D. Benedictus prior et rector, nee non procurator
omnium leprosorum hospitalis de arce Asisinati, consentiente venera-
bili patre Nicolao (de Carbio) Episcopo Asisinate, vendidit Picardo, yco-
548 R. CASALI

nomo Eeclesiae S. Francisci, favore dictae eeclesiae, unam petiam
terrae et oliveti ipsius hospitalis positam in Colle.
Nicolao Ascanii notario.

Id., Instr., vol. II, perg. 20. 1259.

In nomine sanctae et individuae Trinitatis. Anno domini MCCLVIIII,
decembris die XVIII, Ind. secunda, pontifieatus domini Alexandri pp.
quarti. D. Petrus clericus ecclesiae sancti Gregorij de Asisio, prae-
sente et consentiente venerabile patre Nicolao (de Carbio) Ep. Asisinate,
dedit et concessit, iure cambii seu permutationis, Picardo procuratori
ecclesiae S. Francisci unam petiam terrae eeclesiae saneti Gregorii, po-
sitam in Colle sub ecclesia Beati Francisci.

Nicolao Ascanii notario.

Id., Instr., vol. I, perg. 42. 1261.

In nomine domini Amen. Anno eiusdem Millesimo CCLXI, die IITI
intrantis mensis Augusti, Indictione quarta, post obitum domini
Alexandri pp. quarti ecclesia Romana vacante apostolica. Johannectus
olim Angeli de Pica suum condidit testamentum.

Riccardo notario.

Id., Instr., vob I, perg. 58. 1273.

In nomine domini Amen. Anno eiusdem a nativitate Millesimo
CCLXXIII, tempore domini Gregori pp. quartidecimi, die quartadecima
exeunte octubre. Domina Marsebilia quondam Pravi suum condidit te-
stamentum, eligens Picardum procuratorem ecclesiae S. Francisci
suum fideicommissarium. Reperitur in hac carta nomen Dominae Ja-
cobae de Roma.

Angelo Mag. Raynerij notario.

Nel codice 558 « Opuscula varia » della Biblioteca Comunale di
Assisi pag. 121, si legge... « De Cognatione Sancti Francisci: Franci-
scus autem, filius Petri Bernardonis filii Bernardonis de Asisio, fratrem
habuit Angelum nomine; matrem vero nomine Picam. Angelus autem
filios genuit Johannem et Picardum; Johannes genuit Ciccolum. Cic-
colus autem genuit Johannem, Angelum, Petrutium, Bernardum et
Franciscum et eorum sorores Franciscam et Claram. Angelus autem et
Franciscus fuerunt fratres minores et vivebant tempore Domini Johan-
nis pp. XXII; immo frater Franciseus usque ad mortalitatem. Petruc-
cius autem genuit filiam nomine Franeiscam, quae adhuc vivit et est
adhue Zuvencla." Anno Domini MCCCLXXX. Bernardus autem habuit
aliam filiam nomine Johannam, quae etiam adhue vivit ».
Giovannola

NOTIZIE E DOCUMENTI, ECC.

Alberetto di S. Francesco d' Assisi

Bernardone d'Assisi

Bernardone
Pietro
Sp. Pica

GIOVANNI Angelo
(S. Francesco)

già 4 1253

|

|
Giovannetto Picardo
sp. Bonagrazia economo della chiesa
di S. Francosco
| fino al 1273

1226

Francescolo o Ceccolo

Giovanni

l
| REY] | | 2
Angelo Petruccio Bernardo Francesco Francesca Chiara
fr. min. | fr. min.
viv. circa | | nella mortalità
1330 | | (1348)
Francesca Giovanna

viv. 1380 viv. 1380.

Ao 26 Muni. LaL aee

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DOL

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO

DO STA'UCUTO- DEL::33

(Continuazione vedi Vol. XI, fasc. I-II, pag. 268-380, n. 80).

A EP END

LO STATUTO DELLA COLLETTA DEL 1559

Nell’ arch. com. di Orvieto si conservano altri due codici della
colletta, l'uno del 1339 e l' altro senza data (1). Perciò prenderemo
in esame soltanto il primo, notandone le differenze con quello del
1384. Sebbene corrano soltanto cinque anni ‘tra la compilazione
dei due statuti, nondimeno nel più recente vediamo introdotti
parecchi mutamenti, che dimostrano come gli ordinamenti della
gabella non rimanessero a lungo invariati, ma venissero modificati
quasi di continuo per impulso di nuovi bisogni e dietro gli am-
maestramenti dell’ esperienza.

La riforma del 1339 fu fatta da 24 rappresentanti delle arti
arvietane (uno per ciascheduna) e da 8 saggi uomini (2).

/ om

(1) Lo statuto del 1339, che porta scritta la data della compilazione nel mar-
gine sinistro della prima pagina, misura 0,36 X 0,25. Consta di 40 carte in perga-
mena, non numerate; le ultime tre bianche; le quattro precedenti contengono l'in-
dice dei s tutto scritto in rosso. In rosso son pure le intestazioni dei s. Il codice
é molto malandato, corroso dall' umidità nel margine superiore, e specialmente in
quello sinistro, donde la corrosione si estende al testo. Inoltre ha due lacune, una
dalla e. 82 alla 92 e l'altra dalla 30a alla 31a. Comincia con una invocazione a Maria
e a S. Bernardo, protettore e difensore della parte guelfa in Orvieto.

(2) I nomi dei riformatori dello statuto son ricordati nell’ introduzione : « Ma-
sius d.ni Tomacini de arte iudicum et notariorum, Savinius Nuti Lapi de arte
mercatorum, Tutius Bartholomei de arte lane, magister Nectus Iohannis de arte
calzolariorum, Celle ser Becti de arte merciantium, Ciutius Nalli Massutii de arte
macellariorum, magister Ninus. Andree de arte (fabrorum. Dominicus Tei Petri

36
ET TT e eccoli

202 G. PARDI

Non poteva non influire sulla colletta, un’ amministrazione così
importante per l'erario, il mutamento politico avvenuto in questo
tempo: i Dodici erano caduti ed aveva assunta una grande au-
torità il Gonfaloniere di giustizia, eariea che preparava la via
alla signoria delle città. Quindi non più i Sette e i Dodici eleg-
gono gli esecutori della colletta, bensì i Sette e il Gonfaloniere di
giustizia: essi nominano quattro buoni uomini, uno per quartiere,
che pongano in ordine i capitoli dello statuto della colletta, col-
locati troppo disordinatamente (S 79), scelgono i notari della col-
letta, assegnano loro salario conveniente (S 234).

L'organamento amministrativo della colletta non poteva mu-
tarsi sostanzialmente nel breve spazio di un lustro. Il giudice è
ancora il capo della medesima ed ha l'autorità di far bandi, im-
porre multe ed esigerle fino alla somma di 100 soldi cortonesi,
condannare al pagamento di qualunque somma chi si rifiuti di ob-
bedirlo eee. Il podestà della città ed il eapitano di popolo han
l'obbligo di prestargli man forte nella esecuzione delle condanne
e nella esazione delle multe.

Il eamarlingo regge ancora l' amministrazione finanziaria e
riscuote tutti i proventi della colletta, di eui deve rendere conto
al sindaco maggiore del Comune ogni sei mesi (non più. ogni

due), in presenza dei Sette e del Gonfaloniere di giustizia (non

Angeli de arte pellipariorum, Lemmus Ramonis de arte sartorum, magister Lan-
dutius Petri Hermanni de arte muratorum, Ceccus Iacobi Bocculi de arte procac-
ciantium, Bartueciolus Vannis Davini de arte tabernariorum, Vannutius Andree
de arte pizzicaiolorum, magister Nardus Nini de arte lignaminis, Picciolus Pippi
de arte molendinariorum, Tancius Ioli de arte olioarirum et salaiolorum, Cobutius
Fredi de arte funariorum, Ceccus Iacobi Boniannis de arte albergatorum, Iacobutius
Pepi Iohannis de arte camagnaiolorum, Vannutius Bartholomei de arte barberiorum,
Cinus Danielis de arte calcinariorum, Ceccus Ciutii de arte bascellariorum, Ceccus
Vannis magistri Angeli de arte tegulariorum, Ceccus Gherardinelli de arte macina-
riorum, Vita Cole de arte vecturalium, ser Savinus d.ni Petri, Giudeetus Pandolfutii,
magister Lutius Federici, Vannutius Vacce, Factiectus Philippi, ser Berardinus Ro-
berti, Ceccus Nerii Raynerii et ser Iacobus Cecchi Iacobi ».

Nell'introduzione son pure menzionati i nomi del gonfaloniere di giustizia
dell'anno 1339, Memmo di Giacomo di Ranieri, e dei Sette (« septem gubernatorum
et defensorum »): Bernardino di Gianni per l'arte dei vetturali, ser Domenico di ser

"Simone Palmieri per l'arte dei giudici e dei notari, Simonetto di Pietro « Geptii »

per l'arte dei mertanti, maestro Angelo Bonoste per l'arte della lana, « Geptius »
di Vanni di Vita per l'arte dei calzolai, e ser Savino di Pietro e Guidotto di Pandol-
fuccio del numero dei Quaranta (quaranta buoni uomini popolari).
‘GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D’ ORVIETO; ECC. 553

,
più innanzi ai Sette, al Capitano di popolo e a 4 buoni uomini).
Lo stipendio (con eui deve pur provvedere al mantenimento di
un socio incaricato. di tenere i registri) è fissato in 100 soldi al
mese.

Gli eseeutori vigilano alla esecuzione degli ordinamenti della
colletta, hanno di stipendio non piü un fiorino d'oro al mese,
ma tre lire eortonesi. Come gli altri ufficiali della colletta deb-
bono rilaseiare annualmente 12 denari ogni lira di salario (non
più 6 come nel 1334), e non aver meno di 20 anni di età.

Per quanto grande fosse la vigilanza degli amministratori ed
impiegati del dazio di consumo, nondimeno avvenivano frequenti
contravvenzioni e frodi, e si esportavano dal territorio orvietano
tante vettovaglie che ne scarseggiava la città. Perciò i Riforma-
tori dello statuto stabilirono, per ovviare allo scemar degli introiti
delle gabelle e alla searsezza di vettovaglie, ehe i Sette ed il Gon-
faloniere avessero facoltà di porre custodi nei luoghi che eredes-
sero opportuni, per impedire | estrazione dei generi d divieto
e ehe il podestà, il capitano di popolo e il giudice della colletta
punissero severamente i eontravventori agli ordinamenti daziari
fino alla somma di 100 lire eortonesi, 873 lire circa di nostra mo-
neta (1).

Inoltre stabilirono ehe due sbirri del podestà e due del capi-

tano di popolo stessero di continuo, gli uni alla porta Maggiore e

(1) 8 XXI. « Ut intrata collecte melius conservetur ».

« It. stat. et ord. — ad maiorem sollicitudinem et custodiam adhibendam ect ut
malefactoribus et illis, qui vellent fraudare intratam sive collectam predictam, que-
dam temperies imponatur, et ut Civ. urbevetana possit habere habundantiam vi-
ctualium et aliarum rerum, et ut bona Com. Urb. et d.norum collecte melius con-
serventur, — quod per d.nos Septem et vexilliferum Com. et populi Urb. providea-
tur in locis, in quibus eis videbitur, eustodes ne aliquid extrahatur vel asportetur.
quod sit eontra devetum Civ. Urb. ete.; et quod tam per se quam per alias personas
legales quam voluerint tam de Civ. quam de comitatu Urb. teneatur perquirere et
invenire omni modo quo melius poterint omnes illas personas quas crediderint vel
de quibus suspicari possit quod faciant aut ordinent vel consentiant aut tractent
facere eontra devetum etc. Et si d.nus potestas vel capitaneus aut iudex dicte col-
lecte invenerit aliquam personam que faciat contra predieta capitula et ordina-
menta, aut eontra divetum vel contra preceptum vel bannum dictorum d.norum
collecte puniatur et punire teneatur dietus d.nus potestas sive capitaneus vel dictus
iudex eam et condempnare in. centum 1l. d. c., moderata pena secundum qualita-
tem eulpe ete. ».
551 : G. PARDI

gli altri a porta Postierla (le porte della Cava e della Rocea attuali),
per prestare man forte agli ufficiali del dazio e eostringere al
pagamento tutti coloro che introducessero merci e vettovaglie in
città (1). Ciò significa che i soli impiegati della colletta non basta-
vano a far rispettare gli statuti, e che il popolo si ribellava contro
le disposizioni fiscali.

Finalmente, affinché i collettori delle gabelle alle porte non
s'appropriassero alcuna somma riscossa, il giudice e gli esecu-
tori dovevano ogni mese indagare se essi avevano defraudato
qualcosa alla colletta e deuunciare i colpevoli al podestà, che li
faceva arrestare e tenere in prigione finehé non avesser pagata la
‘condanna, di 100 lire. E nondimeno erano rimossi dall'ufficio
($.32).

Queste disposizioni statutarie dovevano impedire: 1° che s' in-
troducessero generi in città senza pagamento del dazio; 2° che si
estraessero oggetti dal contado senza soddisfare all’ obbligo della
colletta, e che si esportassero vettovaglie necessarie alla popola-
zione ; 3° che gl'impiegati defraudassero 1’ amministrazione delle
gabelle. Altre disposizioni miravano a diminuere le spese, come
l'abbassamento degli stipendi e l'ordine ehe i notari della colletta
non percepissero più del salario loro assegnato, anche se fossero
comandati di fare scritture diverse da quelle del loro ufficio.
Altre poi ad accrescere l’ entrate, come l'obbligo ai cittadini, i
quali si trovassero fuori della giurisdizione del Comune, di pagar
la colletta, entro due mesi se in Italia, entro sei mesi se fuori.
Altre finalmente determinavano meglio aleuni capitoli dello sta-
tuto del '34, come quella che per i soldati, inviati dal giudice
nelle terre del eontado, non si pretendessero piü di 6 soldi al giorno

se a eavallo, di 3 se a piedi.

(1) s CCVII ... « Qui beruarii continue stare debeant ad portas predietas, ut su-
perius dictum est, usque sero quousque porte clause fuerint, et non possint inde
discedere nisi prinio alii duo venirent ad standum et morandum ibidem quousque
commestum iverint et rediverint. Qui beruarii teneantur non permictere transire
vel intrare aliquam salmam vel aliquod aliud unde collecta solvi deberet, nisi primo
soluta fuerit collecta. Et si ipsi beruarii permieterent aliquam salmam vel aliquid
intrare vel exire, nisi primo collecta soluta, capitaneus et guardianus, quorum tales
beruarii seu familiares essent, solv. pro qualibet vice, qua dicti beruarii et familia-
res ipsorum contra facerent predietis, 1. decem d. e. Urbevetano Com. de salario
talis d.ni detrahendi, etc. ».
==

090

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

Tra i mutamenti introdotti per la vendita al minuto nello: sta-

tuto del ’39, notiamo che i tavernieri per la vendita del vino

eran tassati di 2 soldi ogni soma, (non più di 12 denari ogni lira
di prezzo). Nessuno poteva portar vino ad un taverniere senza
licenza del giudice. Ciascuno poteva accusare i tavernieri di con-
travvenzioni alla gabella; e il giudice doveva ascoltare le loro de-
nuncie ed accuse, ma non prestar fede a quelle degli accusatori
non segreti (spie) se non fossero confermate da due testimoni di
fama non dubbia. Finalmente i compratori di barili dovean giurare
che non li acquistavano con intenzione di commetter frode, e che
non li avrebbero rivenduti prima di sei mesi. In tal modo il giu-
dice della colletta, sapendo chi possedeva recipienti per il vino
quanto ne veniva portato a ciascun taverniere, chi era sospettato,
di frodare il dazio, poteva far meglio rispettare gli ordinamenti
sul vino.

. Più severi nel 739 che nel ’34 sono i capitoli concernenti la
vendita del pesce. Coloro che portavano a vender pesci del lago di
Bolsena avean l'obbligo di reearne sei salme, di 400 libbre l'una,
ogni 40 giorni, di farle registrare dagli esecutori della colletta, e
di venderle soltanto sulla piazza maggiore della città: disposizioni
prese perché non mancasse il pesce sul mercato e perché si po-
tesse difficilmente frodare il dazio. E tutti i pesciaioli doveano
spacciare la loro mercanzia sulla piazza del Comune, dare il peso
giusto, non far ‘pagare nessuna qualità di pesce più di 6 denari
a libbra e vendere fino alla sera del giorno in cui introdueevano
in città il pesce. Alla sera gli esecutori della colletta facevan ta-
gliar le code a quello rimasto invenduto, che il giorno dopo non
poteva esser messo in vendita ad un prezzo maggiore di 4 denari
a libbra. Così ogni cittadino sapeva se il pesce era fresco Oo pas
sato. Infine i peseiaioli dovevano dare buoni e sufficienti fideius-
sori che avrebbero rispettato gli statuti, e questi erano obbligati
a rispondere del proprio di ogni contravvenzione o frode (efr. S 15-
108).

I macellai pagavano nel '39 una tassa per la macellazione e
una per la vendita. La prima era di 5 denari per una vitella, di
11 per una vacca, di 5 per un porco, di 8 per ogni pecora, ca-
pra e agnello grosso, di 6 per un capretto. Avean l’obbligo poi di
soddisfare il loro debito con la colletta due volte alla settimana,
556 G. PARDI

il martedì e il venerdi, per non aecrescerlo di troppo. La gabella
del bestiame era frodata di frequente da mercanti forestieri che,
dopo aver venduto o permutato qualche bestia in Orvieto, si par-
tivano senza pagare il dazio. Perciò nel ‘39 venne stabilito ehe
fossero responsabili del pagamento stesso quelli ehe con essi fa-
cevano affari (1).

Chi portava a vendere sulla piazza del popolo o sulla piazza
maggiore della città pecore, montoni, capre, agnelli ecc. doveva
pagare per ciascuno 1 denaro al giorno se vendeva la bestia,
altrimenti 1 denaro per ogni tre animali. Chi vi teneva porci
grassi, 4 denari per ciascuno se non li vendeva. Chi vi teneva
cavalli, muli, somari altrimenti 2 denari al giorno per ogni be-
stia venduta. Per impedire poi che sfuggissero alla gabella sulla
vendita del bestiame coloro ehe lo contrattavano nel contado, i
riformatori dello statuto ordinarono (2) che pagassero come ven-

dendolo in città. Così imposero lo stesso dazio che all’ ingresso

(1) 8 LXXVI. « De retinendo collecta bestiarum a non subiectis Com. Urb. ».

« It. — cum collecta Com. Urb. multum fraudetur et dampnum non modicuni
[re]ecipjat a mercatoribus et personis de extra civ. et iurisdictionem Urb. [qui] emunt
et vendunt seu cambiant in Civ. urbevetana et burgis equos [et m]ulos et somarios ;
et postea, cum ipsi recedunt nullam collectam. solvendo — [sta]t. et ord. quod qui-
cunque de Civ. et comitatu Urb. emerit seu mercatum [feceri]t de dictis bestiis vel
aliqua earum, seu cambiaverit vel baractaverit cum aliquo [qui] non sit de Civ. et
comitatu Urb., retinere possit et debeat partem collec[te qujam illa talis persona
non subiecta Com. Urb. solvere teneretur, et de dieta col[lecta] respondere d.nis
collecte teneatur. Quod si non fecerit, dictam collectam de s[ui]s propriis denariis
solv. ten. camerario collecte Com. predieto vel cui dieta colleeta vendita foret. Et
hoc publice banniatur per civ. urbevetanam et burgos, ita quod nullus ignorantiam
allegare possit ».

(2) 8 LXXV.« De collecta solvenda de bestiis que^venduntur in comitatu Urb. ».

« It. — cum in statuto collecte contineatur quod quicunque emerit, baractaverit
seu cambiaverit aliquas bestias per duo miliaria prope Civ. urbevetanam solv. col-
lectam de eis sicut eas vendidisset in Civ. urbevetana et in dicta platea populi ba-
ractasset vel cambiasset; et multi, volentes vitiare et fraudare dictam collectam,
vendant et baractent et cambient ipsas bestias a dietis duobus miliaribus ultra —
stat. et ord. quod quicumque vendiderit, cambiaverit seu baractaverit bestias in co-
mitatu Urb. et iurisdietione ipsius ubicunque, excepto quam in mercato, in comitatu
Urb., solv. collectam de ipsis bestiis, et sicut eas vendidisset vel baractasset in pla-
Lea populi Civ. Urb. Et de hiis excipiantur comitatini, qui eum eorum contractibus
sunt taxati, quorum sacramento stetur, quod sunt de illis comunitatibus que sunt
tarato sp,

os srt
oggetti, 4 i venditori di vasi ($ 44).

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO,

della città a coloro ehe furtivamente portavano bestie attrayerso
il territorio’ orvietano (1).

L/ imposta sui molini doveva esser pagata anehe dai forestieri
che ne possedessero aleuno in territorio orvietano; se si rifiutavano
di pagarla, perdevano la protezione del Comune e non potevano
reclamare alcun diritto (S 65). :

Una nuova imposta era quella sui possessori di pascoli e di
ghiande in ragione di 4 denari per lira di reddito (S 68).

La tassa sulla fabbricazione del pane era nel 734 di 5 soldi
all'anno per ogni pastaio, nel '39 fu fissata in 4 denari per ogni
quartengo di pane di grano, in 2 se di altro frumento. Cosi fu
aggravata e proporzionata meglio allo smercio (S 77).

Diversa da quella del ’34 è pure la tassa su chi teneva tende
sulla piazza del Comune o del popolo, fissata in 4 lire all’ anno
per ciascuna. Inoltre il possessore doveva pagare 8 lire all’ anno
se le teneva nella seconda, 40 soldi se nella prima. Nuova dispo-
sizione è che i venditori di cerchi sulle due piazze paghino 10
soldi all'anno, 10 pure quelli di cuffie, bende, specchi e simili

Alcune taglie delle arti sono mutate nel 39. Taglia dell'arte
dei giudici, dei notari e dei medici 25 lire, dei fabbri 60, dei
procaccianti 25, dei pizzicagnoli 30, degli oliari e saliari 15, dei
vetturali 15. .

L'imposta sui cittadini orvietani che andavano a reggere qual-
che terra sotto la giurisdizione del Comune non gravava più sol-
tanto su di loro, ma anche sulla università degli uomini di quella
terra; chè dovean pagare il salario intero al rettore e la tassa alla
colletta, chè era molto grave, cioè Ta quarta parte del salario me-
desimo (2). La Comunità di Cetona pagava per sei mesi (quanto

(1) 8 XXXVIII... « Cum Com. Urb. multum decipiatur ab illis qui ducunt bestias
per comitatum et iurisdictionem Urb. ducendo eas furtive, seu qui furtive de qui-
bus non solvitur aliqua collecta dieto Com. Urb. ad portas Civ. Urb. et pro fugiendo
collectam. eessant introitum Civ. et exitum portarum dicte Civ., stat. et ord. quod
de talibus bestiis, que sie furtive transeunt per quameunque partem comitatus et iu-
risdietionis Urb., solvatur Com. Urb. sicut solveretur de eis ad portas Civ. Urb. Et
si solvitur de illis que intrant ad portas Civ. et tantundem solv. quilibet qui scor-

geret vel guidaret dietas bestias ».

(2) 8 CXXXVIII. « Collecta comitatusf terrarum, comunitatum et iurisdictionis
Urb, ». i
« It. quelibet terra sive comunitas comitatus et iurisdictionis Urb. que consue-
DOS G. PARDI

durava generalmente l'uffieio di podestà) 25 lire, quella di Mo-
iana 100 soldi, di Lugnano 25 lire. Ma l' imposta sui rettori delle
terre e sui loro notari era stata ridotta generalmente da 6 a 4 de-
nari per lira di salario (per il podestà e castellano di Cetona da
12 a 4 denari) Una medesima riduzione da 6 a 4, fu fatta ai
collettori dell’ imposta della lira nel contado. Modificata fu pure
la tassa sugl' impiegati del Comune, fissata in 5 lire all'anno per
il notaro della Curia maggiore (nel '34 era di 2 fiorini d'oro), in
2 fiorini per il notaro delle Riformazioni in 50 soldi per il camar-
lingo del Comune (nel '34 era di 40) e in 10 soldi per i ragionieri

del Comune (invece di 5 come nel ^34). L' imposta su coloro che

prestavan denari a corporazioni e a comunità fu accresciuta da:

10 a 20 soldi ogni 100 lire.

La tassa sulla sigillazione delle misure fu, logicamente, resa
uniforme nel ‘39, 2 denari per ciascuna, mentre nel 734 variava
secondo le specie di misure, da 1 ad 8 denari ($ 179).

La tassa sui calcinai fu portata da 5 a 7 soldi ogni fornaciata
di ealeina (S 142).

Nuova è l'imposta di 20 soldi all'anno su coloro che tenevano
mucchi di feece di vino per farne cenere o per altra cagione (S 129).
E così quella sui redditi dei giudici e dei notari per ogni causa
loro affidata: 12 denari ogni 20 soldi luerati ($ 118).

Per incoraggiare i notari a denunziare i contratti rogati, i ri-
formatori del 39 stabilirono. che la colletta regalasse loro 18 de-
nari ogni lira che riscuoterebbe sui contratti medesimi ($ 229).
Ma poiché, anehe così rieompensati, i notari avevano maggiore
interesse a celare i contratti, ordinarono che tutti questi fossero‘
registrati in apposito libro dai notari della colletta entro il ter-
mine di un mese e non avessero vigore senza la debita registra-
Zione (1).

vit eligere rectorem de dicta Civ., ten. et debeat solv. camerario inirate collecte
quartam partem totius salarii, quod consuevit dieta terra sive comunitas terre solv.,
ultra salarium debitum suo Rectori et sine diminutione salarii debiti rectori. predi-
cto. Et quod rector nullam aliam collectam solv. ten. ante quam vadat vel mictat
ad reetoriam sive signoriam predictam. Et quod talis comunitas supradictam colle-
ctam sibi impositam solv. ten. camerario intrate infra, octo dies post introitum diete
signorie, etc. ».

(1) 8 LV. « Quod omnia instrumenta de quibus debet solvi colleetas cribantur
in libro collecte ».

db mn m GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC. 559

attesi T NC

Finalmente i Riformatori, poichè sfuggiva all'imposta sulle
rendite, successioni e donazioni chi ereditava da un orvietano
appartenendo alla giurisdizione di altro Comune, deliberarono
che per ogni possesso comperato o avuto in eredità, pagassero
una tassa proporzionale al reddito anche le persone non sottoposte
i alla giurisdizione del Comune d’Orvieto (1).

Così, dietro gli ammaestramenti dell’ esperienza, per i bisogni
nuovi dell'erario e l'avidità sempre crescente dei pubblici ammi-
nistratori, venivano perfezionati, in soli cinque anni, gli ordina-
menti della colletta orvietana.

.

G. PARDI.

« It. stat. et ord. quod — cum per aliquos notarios tam clericos quam laycos de
Civ. et comitatu Urb. plures contractus celentur collecte qui ex forma ordinamento-
rum debent denunptiari, occasione cuius celamenti collecta decipitur et: dampnum
sequitur non modicum per annum — quod quodlibet instrumentum unde exitgitur et
solvi debet collecta, debeat micti et scribi in libro collecte infra unum mensem post-
quam fuerit factus contractus; et si non inveniretur scriptus, ut dictum est, nulla
defensio fieri possit cum dieto vel pro dicto instrumento aut occasione eius contra-
ctus Com. Urb. vel contra aliquem creditorem qui prestaret aut alio modo creditor
deveniret, a fine dieti mensis usque ad diem qua dictum instrumentum micteretur
et seriberetur in registro, non obstante capitulo [guarentisie] ».
á (1) 8 CXXXIIII. « Quod posessiones relicte locis non Com. suppositis ex nune

intelligantur esse Com. obligate ».

« Quoniam Com. Urb. dampnificetur non modicum, ex eo quod subditi sui qui
solvunt collectam de posessionibus, tam de frumento quam de vino ac etiam pen-
sionibus, relinquunt in ultimis voluntatibus et aliquando donant in eorum viía in-
ter vivos et per alios contraetus alienant quibusdam personis, et aliquando locis,
qui subditi non sunt Com. Urb., propter que de tali reditu fraudatur Com. de sua
collecta; stat. et ord. quod ex nunc intelligantur et sint omnes possessiones suppo-
sitorum Com. Urb. esse obligate Com. eidem pro collecta predicta, ita quod tales
posessiones, que ab hodie in antea alienabuntur, pro ut superius dictum est, debent
scribi in quodam libro per se et seribatur in eodem libro quantum debet. solvere
quelibet posessio pro suo redditu. Et predieta teneantur facere d.ni collecte in primo
mense eorum officii et invenire omnes posessiones sic alienatas et adiungere in di-
cto libro. Et dieta collecta de qualibet posessione sic alienata debeat exigi in per-
petuum pro Com. Urb. ne ulterius decipiatur Com. ».
560 G. PARDI

INDICE DEI CAPITOLI

Que collecte solvantur per potestates infrascriptarum | terrarum.

I. — Potestas castri Moiane . $ y ^ : ; Pad» 159
II. — Potestas castri Scetone . ; i È ; È : » »
III. — Potestas castri Lugnani . ; ; ^ à è » 184
ILII. — Potestas castri Bulseni et potestatum electores.. » »
V. — Potestas castri Saneti Laurentii et potestatum electores » 185
VI. — Potestas castri Griptarum et potestatum electores . » »
VII. — Potestas castri Gradularum et potestatum electores » »
VIII. — Potestas castri Latere et potestatum electores : » »
IX. — De collecta solvenda per vicecomites pleberiorum . » 186
X. — De collecta solvenda per cives et comitatenses Urb.

qui extra iurisdietionem Urb. ad aliqua regimina seu
offitia eliguntur . : ; : : j : . ; » »
XI. De collecta solvenda per superstites castrorum, villa-

rum, viarum, fontium, pontium et aliorum operum 1 War LO:
XII. — De colleeta solvenda per collectores librarum et da-
tiorum . 3 ; i i ; : : i E j » »
XIII. — De collecta solvenda per infraseriptos offitiales Civ. » »
XIIIT. — De collecta solvenda de offitiis pertinentibus ad
iudices et notarios . ; : : j : 3 j » 189
TAM: XV. — De offitiis comitatus et districtus j ; i j » »
; XVI. — De collecta solvenda per iudices et notarios ituros
ad offitium extra districtum Urb. . : ; ; ; wr LOL
XVII. — Quod per notarios Urbevetanos fiant contractus
emptionum, donatium, venditionum, ut in capitulo con-
tinetur. 3 : ; . j È } ; i 1 » »
XVIII — Quod ,notarii Urbevetane Civ. et comitatus assi-

gnent eorum instrumenta . : i : : : ; » > 192
GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D' ORVIETO,

XVIIII. — Que collecta solvi debeant de infrascriptis pannis,
merchanziis et rebus ad artem merchatorum pertinentibus

XX. — De collecta solvenda de bambasciis . : i

XXI. — De guarnellis | . ;

XXII. — De pannis Urbevetanis qui mictuntur ad gual-
chandum et de aliis . ? : pi ; . :

XXIII. — De venditione pannorum S

XXIII. — De venditione bambascie et lane ; :

XXV. — De pennis pro leeto . 3 : : à

XXVI. — De collecta solvenda de lanis ad introitum vel
exitum portarum. È : : : : È : ^

XXVII. — Que collecta solvatur de infrascriptis rebus per-
tinentibus ad operandum artem lane... : :

XXVIII. — Que collecta solvatur de.tiratoriis, caldariis et
tinis aptis ad tingendum : È :

^ XNVIII. — Que collecta solvatur a textoribus, textricibus
et ab illis qui filant ad rotulum . È :

XXX. — De collecta solvenda de coriamine et infraseri-
ptis rebus pertinentibus ad operandum artem calzolario-
rum . : : i ; :

XXXI. — De collecta solvenda de mercibus et rebus aliis ad
artem merciantium pertinentibus. Et primo de setis, au-
ris, argentis, drappis, saiis, syndone, bucaramine, ben-
dis et similibus lavoratis et non lavoratis : 3 à

XXNII. — De colleeta solvenda de diversis aliis mercis per-
tinentibus ad merciantes . : : È 3 -

XXXIII. — De metallis lavoratis et non lavoratis

NXXIIII. — De spetiebus et aliis ad spetiariam pertinentibus

XXXV. — De collecta solvenda de vais, pellibus, scoiolis et
aliis pertinentibus ad artem pellipariorum . 3 è

XXXVI. — De collecta solvenda de venatilibus, avibus et
piscibus et aliis ad artem procacciantium pertinentibus

XXXVII. — Quod nullus possit stare ad vendendum pisces
cum forense j : ; > 3 i : : x

XXXVIII. — Quod nullus de arte procacciantium vel pizica-
iolorum possit emere die sabati usque ad horam none
res que capitulo eontinentur . ; ; : 5

XXXVIII. — Quod nullus de arte procacciantium vel pi-
zicaiolorum possit vendere res infrascriptas nisi eo pre-
tio quo in capitulo continetur et qualiter de eis solva-

tur colleeta . : À i 2 t : . : s

*

a

NO S.

dite
562 G. PARDI |
XL. — De collecta solvenda de caseis et ovis + : . Pag. 274 :
XLI. — De collecta solvenda de lardo et earnibus siecis . » 0 215 |
XLII. — De pomis . . . . . . . . » »
XLIII. — De collecta solvenda de foglis, cipollis, delie et
aliis pertinentibus ad camagnaiolos. : 7 : ; » . 216
XLIIIT. — De collecta solvenda de olivis, oleo et sale : » » 1
XLV. — De collecta solvenda de molendinis olivarum et
guati . : ì . 5 ; 1 : ; 3 j » »
XLVI. — De collecta solvenda de lapidibus et aliis pertinen-
tibus ad artem muratorum È 1 : : 7 ; » »
XLVII. — Quod muratores et carpentarii et alie persone sol-
vant collectam de cottomis i i ; ^ s ^ » (2211
XLVIII. — De collecta solvenda de lignamine . ; : »7 218
XLVIIII. — Quod qui vendiderit aliquod genus lignaminis
solvat collectam . s : : : È : j : > 219.
L. — De collecta solvenda de lino, canape, stoppa et simi-
libus . : : : à : 1 ; ; ; : » »
LI. — Quod collecta non specificata solvatur de simili ad
similem È à 3 : 3 , : i A : » »
LII. — Quod de rebus, que essent in minori vel maiori
quantitate, quam specificata sit, solvatur collecta pro rata » . 250
LIII. — Quod non solvatur nisi semel collecta et ad maio-
rem summam . ; ; : j : ; ; : » »
LIIII. — Quod qui reduxerit aliquas merchanzias in Civ.
non possit illas extrahere sine apodixa . ; : : » . 281
LV. — De modo et forma servanda de salmis que remanent
in Civ. i : : i; : 1 : : ) ; ; »
LVI. — Quod de mercanziis missis in Civ. solvi debeat col-

lecta ad exitum, secundum infrascriptam formam, si sta-

ret ultra mensem ; : Á ; T > » »
LVII. — Quod forenses solvant collect tam de salmis quas
facerent in Urb. ; S i ; PIL '

LVIII. — De salmis tovidendis per ioeroligiolse et quod

revidere possint secundum infrascriptam formam . È > »
LVIIII. — De merchationibus, que portantur ad merchata

et non venduntur . í È ; 1 ) ) 1 » »
LVIIII **. — Quod salme pannorum et merciarum debeant

sigillari per portonarios ad ianuas, quando in Urb. de-

feruntur . : ; E, : í : ; : » » 4 i
LX. — Quod portonarii scrutentur in bisacciis et bonectis
pro rebus, de quibus solvi debet collecta
eri

pres

GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO,

LXI. — Quod de rebus que portantur per distrietum Urb.
solvatur collecta. 7 j ; ; É ì À
LXII. — De collecta non solvenda per ambaxiatores .
LXIII. — Quod portonarii non tangant pecuniam et de mo-
do, quem servare debent . : $ 3 È :
LXIIII. — Quod nullum pignus recipiatur . 3 È
LXV. — Quod nulle merchanzie mietantur vel extrahantur
hisi per portas Civ. et de pena facientis contra . :
LXVI. — Quod nullus trascendat rupes vel muros Civ. cum
merchanziis i ; : È 3 i : :
LXVII. — Quod porte Civ. Urb. stent aperte et custodian-
tur ad voluntatem iudicis et executorum collecte . ;

LXVIII. Quod iudex et camerarius et executores collecte

faciant actari portas . i

LXVIIII. — De colleeta solvenda de blado ad introitum
portarum .. : ^ . E È i è : .

LXX. — De collecta solvenda de foglais, corvellis et map-
pis 7 4 : : È : È : :

LXXI. — De collecta solvenda pro recollectione bladi

LXXII. — Quando solvatur collecta de dicto blado

LXXIII. — Quod liceat molendinariis portare blada ad mo-

lendina et farinam redducere. Et quid solvere debeant

pro dieta farina . ; : : : È 3 :
LXXIIII. — Quod molendinarii non accipiant nisi dé XX
partibus unam . È 2 È : È : : :
LXXIIII "*. — De collecta solvenda de molendinis, gualche-
riis et aliis hedifitiis et de eorum pensione . A
LXXV. — Quod molendina, que non sunt adfietata, debeant
adfietari : È ; ; . È : 2 : i
LXXVI. — De supradictis offitialibus super extimatione mo-
lendinorum . : à : : : n ; È
LXXVII. — Quod quilibet debeat ire ad molendina de qui-
bus solvitur collecta comuni Urb. . È :
LXXVIII. — Quod molendina, que sunt in comitatu Urb.,
redducantur in seriptis | . : . E :
LXXVIII. — Quod [ocoligontes pensionem SORTE colle-
etam . DURS , 3 : x : . è
LXXN. — De RO solvenda de libellariis : : s
LXXXI. — Que collecta solvatur de pensione possessionum,
que adaequantur : à : ; : : À

LXXNII. — De illis personis, que tenent vel jdborabt posses-

ECC.

ims qe s"

Secun 564 G. PARDI

siones illorum qui non sunt de iurisdictione Com. Urb.

et qui ipsorum apothecas tenent . : PNEU :
LXXXNIII. — De offitialibus eligendis super mensuris.
LXXXNIIII. — De mensuris et ponderibus adiustandis et si-

gilandis . : : ; i i ; È : î
LXXXV. — De bannis et penis exigendis et recolligendis
LXXNVI. — Quod denuntietur Urbeveteri quod faciant ap-

probari bariles et alias mensuras . :
LXXXVIII. — De sigillo collecte retinendo . :
LXXXVIII. — De colleeta vini solvenda 3 : \

LXXXNVIIIH. — De collecta solvenda pro recolleetione vini

LXXXX. Qualiter solvatur collecta de vino gregho, vernae-
cino et fiano ; 1 ; : ; i ; ; ;

XCI. — Quantum solvere debeat pro collecta qui extrasserit
vinum extra comitatum Urb. . i : 7

XCII. — Quantum solvat pro collecta qui extrasserit vi-
num de Civ. et burgis. . . : . i ;

XCIII. — Que collecta solvatur de venditione vini x

XCIIII. — Pro quanto pretio vinum vendi possit

XCV. — De pena vendentis unum vinum pro alio

XCVI. — De pena non tenentis mensuras sigillatas ..

XCVII. — De vendendo cum mensura petita i : 7

XCVIII. — De pena non vendentis vinum palam et apertis
hostiis . : : i è 7 !

XCVIIH. — De vino non vendendo ad minutum absque apo-
dixa et sigillatione iudicis vel offitialis collecte et de
licentia concedenda . i ; ; ; : 1

C. — Infra quantum tempus solvi debeat collecta vini .

CI. — De custodibus secretis eligendis super vino

CIL. — De provisione facienda quod colleeta vini non frau-
detur . È È ; ; i 1 i ; 1

CIII. — De pena portantis vinum in barilibus non sigillatis
et aliis mensuris. : ; : i 5 ; ;

CIIII. — Quod potestas Urb. et iudex colleete teneantur
preconizari facere ordinamenta vini per Civ. et burgos

QV. — Quod rectores, comes et baro teneantur facere ban-
nire ordinamenta vini in eorum terris ; 5

CVI. — De collecta carnium et venditione ipsarum facienda

ad minutum i È i i : i : . x

CVIT. — De carnibus macellandis in comitatu | . :

CVIII. — De venditione carnium salatarum. i

Pag.

»
GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D' ORVIETO,

CVIIII. — De pena vendentis carnes vetitas pro non vetitis.
CX. — De colleeta solvenda de coriis sive. pellibus bestia-
rum in Civ. vel burgis scorticatarum . 3 : :
CXI. — De colleeta solvenda de bestiis que ad Civ. Urb.
ducuntur . ; : 7 . . : 5 -
CXII. — De bestiis exeuntibus extra Civ. ad pascendum et
quis modus servari debeat ;
CXIH. De bestiis ductis diebus sabati ad merchatum et aliis

diebus, quibus merchatum fieret —. : ; : :
CXIII "*, — De forense, qui miserit aliquem equm in Civ.
CVIIIT. — De collecta solvenda de pretio bestiarum .
CXV. — De colleeta solvenda de bestiis, que baractan-
tur : * . : SX : : . .
CXVI. — De collecta solvenda per illos quo [qui] prestant
equos ad vieturam .
CXVII. — Que collecta solvatur per ilios, qui retinent equos,
mulas, vel mulos domitos .

CXVIII. — Que collecta solvatur per illos, qui tenent so-
marios et somarias domitas . ; 3 : t
CXVIIH. — De collecta solvenda pro retentione porcorum .
CXX. — De colleeta solvenda de soecitis bestiarum . :
CXXI. — De collecta solvenda de iumentis, bufalis et vac-

chis de armento . È - ; : È :
CXXII. — De collecta solvenda de bestiis carfagninorum .
OXXIIT. — De pretio tollendo carfagninis . i :
CXXIIIT. — De pretio nuntiorum, qui irent cum carfagninis
CXXV. — De collecta solvenda de vascellis et vasis et si-
milibus j ; j : ; ;

CXXVI. — De eolleeta solvenda de fornaciata vasorum,
urcium et similium . È ; ; : È :
CXXVII. — De fornaciata vascellorum, panatarum et si-

milium. : : : : : : à : 3
CXXVIII. — De colleeta solvenda de tegulis, canalibus et

similibus . i 1 È ) . : i : 1
CXNVIIII. — De collecta solvenda de fornaciata tegularum,

‘analium et similium. s ; È 9 : : :
CXXX. — De collecta solvenda de fornaciata calcine . :
CXXNI. — Quod iudex de predictis inquirat ; i
CXXXII. — Pro quanto pretio dari debeat raserius calcine.
CXXXIII. — De collecta solvenda de lignis et fraschis, que

vendutur ad fornaces. : A È ^

214

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||

566 G. PARDI

CXXXIIII. — De collecta solvenda de lignis,
paleis, fienis, glandibus et aliis infrascriptis .
CXXXV. — De colleeta solvenda de venditione silve
CXXXVI

mictuntur extra Civ., scilicet de blado, castaneis, ligna-

carbonibus,

— De collecta solvenda de infrascriptis rebus, que

mine, annona, vino, oleo, carnibus siecis et aliis victua-
libus

CXXXVII. — Quod castellani et sergentes Urbevetani Com.
possiut portare ad castra victualia

CXXXVIII. — Que res portari possint extra Civ. et S UEdOE
sine aliqua solutione et qualiter

CXXXVIIII. — Qualiter liceat portare panem et carnes et
alia per comitatum Urb. . RC Td

CXL. — Quod vieturalibus dentur IIII d. pro salma

CXLI. — Quod nullus de arte barberiorum possit accipere
ultra II d. pro rasura barbe . : 3

CXLII. — De collecta solvenda de merchatis que fiunt de
rebus mobilibus . : : È ^ ; . . ;

CXLIII. — Quod solvant qui emerint vel vendiderint pos-
sessiones, libella et alia . ; A ; à ;

CXLIIII. — Quod sensales denuntient et jurent 5

CXLV. — De colleeta solvenda per ementes aliquid ante
tempus : : ; : o

CXLVI. — De collecta solvenda per usurarios

CXLVII. — De collecta solvenda a mutuantibus universi-
tati : ; : ; $ ; ^ ; ; : è

CXLVIII. — De illis personis, que deposuerint vel mutua-
verint ad modum sotietatis

CXLVIIII. — De collecta mutuantium et deponentium

CL. — De collecta solvenda ab aecipientibus uxorem.

CLI. — Quod solvat eui.dox esset restituta . i è

CLII. — De collecta solvenda de testamentis et codicillis

CLIII. — Quod ad petitionem fideiussoris accipiantur et
graventur persone pro quibus quis fideiusserit ^ . .

CLIIII. — De fideiussoribus accipiendis a Comunibus et
universitatibus comitatus Urb.. i i ;

CLV. — De collecta solvenda per fornarios et fornarias
Civ. Urb... , j : : ;

CLVI. — De collecta MA qui kabet fornos extra cdm
et burgos .-. ; à : $ ; ; 1

CLVII. — De collecta panicocularum

Pag.

»

315
516

326
GLI. STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO, ECC.

CLVIII. — Quod dicte panicocule faciant se scribi coram
d.nis collecte — . : :
CLVIII "*, — De collecta BETA de stufa . : i
CLVIIII. — De collecta solvenda per illos, qui habuerint
aliquam voltam, cantinam, tubam sive cisternam subtus
aliquam viam Comunis Civ. Urb: . j > : :
CLX. — De collecta solvenda de voltis, pontibus, archis exi-
'stentibus supra stratis ! : 5 : s :
CLXI. — De collecta solvenda de .balconibus et orticellis
supra viis existentibus . à 2 : ; ;
CLXII. — De collecta solvenda de porticis
CLXIII. — De collecta solvenda de banchis.
CLXIIII. — De collecta solvenda de banchis, que retinentur
in plateis eum tenda vel sine tenda
CLXV,. — De collecta solvenda per illos, qui stazonaverint
dietes plateis . ; ; : ; : : à :
CLXVI. — De collecta solvenda de loiis ^ : :
CLXVII. — De collecta solvenda per illos, qui retinent pa-
statam in Civ. . : ; ; ; ; ; :
CLXVIII. — De collecta solvenda de maltitiis et calcinariis
CLXVIIII. — De collecta solvenda per illos, qui retinent
CLXVIIII "*, — De eodem
navim in flumine Tiberis . ; . :
CLXX, — De collecta solvenda per famulos et famulas qui
cum aliquo cive ad salarium steterint .
CLXXI. — De collecta solvenda a lavandariis
CLXXII. — De colleeta solvenda a discipulis et factoribus
CLXXIII. — De colleeta solvenda per illos, qui recipiunt
;salaria vel soldum a Com. È i È
CLXXIIII. — De collecta solvenda per loss quibus con-
cesse fuerint represalie . . : ; i
.CLXXV. — De collecta solvenda a sien pna ds qui absol-
vuntur à, Com. . : : È ;
CLXXVI. — Quod omnes persone debenteg iol vasó solvant
infra terminum assignandum
CLXXVII. — Quod non reddatur ius illi, qui non solverit
eolleetam .... ^. ; : : ; : : :
CLXXVIII. — De denuntiando Hochiunne infrascriptorum

locorum ea, que in infraseripto capitulo continentur .
(d

CLXXVIIII. — Quod liceat iudici collecte posse precipere

portonariis eontenta in presenti capitulo. : ^ ;

561

335

335
568 : G. PARDI

CLXXX. — De pena exigentis maiorem collectam, quam
debeant

CLXXXI. — De pignoribus non recipiendis per camerarium
collecte, nisi valuerint id pro quo dabuntur sub pignore

CLXXXH. — Quod camerarius E reddat rationem et
coram quibus :

CLXXXIII. — De reddenda ratione camerarii ésllGote

CLXXNIII. — De elemosinis faciendis per camerarium
collecte de pecunia collecte

CLXXXV. — Quod offitiales collecte non teneantur ire in
exercitum . È È : i : ; : : :

CLXXXVI.:— Quod offitiales colleete possint arma portare

CLXXXVII. — De pena vendentium in domibus eorum mi-

noribus XV:annis commestiones
CLXXXVIII. — Capitula super grascia üustodiendá
CLXXXVIIH. — De custodibus et offitialibus deveti fa-

ciendis .

XCC. — Quod iudex collecte teneatur omnes et singulas
quantitates pecunie colleete debitas a quocunque exigere
et pena iudicis contrafacientis . ; : ; : :

XCCI. — Quod nobiles comitatus solvant et omnes spetiales
persone : ; ; ; : . : à . :

XCCII. — Quod dominus naturalis alicuius castri. solvat
collectam | . 1 ; / ; 3 j ; à

XCCIII. — De militibus et peditibus mictendis contra nobi-
les et comitatenses, et modo et forma, per iudicem col-
leete -. ; : È ; ; i ; ; i

XCCIIII. — Qualiter quolibet anno de mense ianuarii fiat
taxatio collecte, quam solvere debent comunitates ter-
rarum comitatus Urb. 3 ; ; : 3 ;

XCCV. — De offitialibus eligendis et qualiter corrigant er-
rores, qui sunt in comitatu — . : ; x j i

XCCVI. — Quod nulla comunitas possit statuta facere con-
tra ordinamenta collecte . DLE : : È

XCCVII. — Quod nulla persona vel collegium faciat contra
capitula ;

XCCVIII. — De non n TUR qui volo cassare ordina-
menta . ; : : : ; : : Xd oes

XCCVIII. — Quod non audiatur qui fuerit condempnatus

CC. — Quod offitium collecte sit firmum et observari debeat

per omnia capitula . ; ^ . : à 1 ;

Pag.

e
c

900
O0 )

391

9 5

346
GLI STA'TUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D'ORVIETO,

CCI. — Quod non possit per d.nos potestatem, capitaneum
et Septem poni aliquod consilium quod sit contra col-
lectam . ; la j : : : x 4 : tai

CCII. — Quod anteriones et consules obediant iudici et of-
fitialibus collecte È ; ; : è : : 2

CCII **, — Ad iddem : à . i ; È 4 7

CCIII. — Quod consules artium teneantur dare in scriptis

- nomina hominum sue artis È i ; ; ; ;

CCIIII. — De obediendo iudici collecte et eius offitialibus
circa expeditionem sui offitii . ; ; 3 : :

CCV. — Quod quelibet persona teneatur obedire d.nis exe-
cutoribus collecte 5 : : : 7 : È :

CCVI. — Quod. banditores Com. obediant iudici et d.nis
collecte S : : È È : : 3 : .

CCVII. — Quod iudex collecte possit procedere per viam
accusationis, denuntiationis et inquisitionis contra fa-
cientes contra capitula collecte : 2 $ È :

CCVIII. — De offitio iudicis contra non comparentes . :

CCVIIII. — Contra comparentes . : c ; : :

CCX. — De penis imponendis per iudicem . 3 : È

CCXI. — De pena fraudantis collectam : : : :

CCXII. — De accusatoribus secretis et manifestis — . :

CCXIII. — Quod in offitio collecte possit iudex procedere
de similibus ad similia . . : E : :

CCXIII. — Quod omnia et singula ordinamenta collecte
extendantur ad presentia, preterita et futura E .

CCXV. — Quod exigatur satisdatio a syndicis comitatus .

CCXVI. — De balitoribus collecte . : ; : È :

CCXVII. — De pena contendentis pignus balitoribus vel
facientis eis aliquam iniuriam, vel familiaribus iudicis,
dieto vel facto, vel contra ipsum offitium i È 3

CCXVIII. — De offitio notariorum collecte . È : :

CCXVIIII. — De benefitio confitentis delictum . 3 P

CCXX. — Quod statutum continens maiorem collectam vel
penam prevaleat omnibus aliis de minori : f :

CCXNI. — Quod executores collecte stent ad eorum offitium
continue operandum . i n ; 2 : È :

CCXXII. — Quod executores collecte solvat (sic) de ipso-
rum salario VI d. pro qualibet l. . : i à à

CCXXNIII. — Quod. d.ni collecte faciant sibi lege ordina-

menta. collecte — . d : : ; : È 1 i

PRE

vid E gu

KA CIDCUDCOUS CN Un 570 G. PARDI

CCXXIIII. — Quod hostia domus, in qua retinetur collecta,
non teneantur aperta nisi essent duo ex offitialibus col-
lette ©. : i : : :

CCXXV. — De Bnbdizis non faciendis per superstites et
camerarium collecte . : ; ; 3 / È ;

CCXXVI. — Quod quicunque emet aliquam collectam te-
neatur mostrare libros orriginales et autenticos in qui-
bus sunt scripte collecte . i 3 È : 3 ;

CCXXVII. — Quod qui emerit aliquam collectam teneatur

ad requisitionem cuiuslibet solventis facere eidem apo-
dixam . i 3 : È 7 ; : ; $ ;
CCXXVIII. — Quod nullum residuum alicuius colleete ven-
dite peti possit nisi per libros autenticos ; : :
CCXXVIIII. — Quod qui emerit collectam et petierit eam
solutam puniatur et de pena petentis : ;
CCXXX. — De pena non mostrantis libros autenticos de
solutione collecte : à :
CCXXXI. — Quod qui fuerit oftitialis ont non gti
esse inde ad duos annos . í 4 i i ?
CCXXXII. Quod unus notarius curie collecte supersit
inquisitionibus . : s 3 . j
CCXXXNIII. — Quod in libris aoliedto non possis scribi per
aliquem notarium nisi per notarium collecte .
CCXXXIIII. — De electione iudicis collecte .

CCXXXV. — De electione exeeutorum collecte
CCXXXVI. — De eleetione camerarii collecte É i
CCXXXVII. —- De electione offitialium, qui stare debent sù

colligendum collectas ad portas et de modo et forma .
CCXXXVIII. — Tallie artium Civ. Urb. à 5 ;

[CCXXXVIIIT]. — De pupillis habentibus in bonis ultra CC 1.

[CCXL]. — De civibus habitantibus in comitatu . : :

[CCXLI]. — Quod iudex teneatur recolligere tallias ab ho-
minibus, qui non exercent artem . ; : 3

[CCXLII]. — Quod fiat imposita universitati, arti seu col-
legio, eui non esset facta . ; : j . .

[CCXLIII]. — Quod si aliqua capitula rinvenientur bis po-
sita de eadem re et de eodem facto vel simili, exiga-
tur ad maiorem collectam . : : i ;

[CCXLIIII]. — Quod presens statutum et ordinamenta. col-

lecte sint firma et omnia alia de collecta sint cassa

. .

Pag.

362
GLI STATUTI DELLA COLLETTA DEL COMUNE D' ORVIETO,

[CCXLV]. — Quod ordinamenta collecte observentur . in
infrascriptis terris Vallis Lacus, sicuti observantur in
Civ. et comitatu. i à à : i ; :

[CCXLVI]. — Quod d.ni viento: et capitaneus et iudex
et executores collecte teneantur servare capitula et

ordinamenta collecte . ; : Í : : : -

Conclusio . d 5 : ; A : È > : i;

I. — Addictio facta capitulis de collecta solvenda de bestiis
et sequentibus . Y i 3 3 :

II. — Quanti ponderis intelligatur salma

III. — Addictio et declaratio faeta ad capitulum De pigno-
ribus non recipiendis . È : :

IIII. — Additio facta ad capitulum Quod iudex ENT. te-
neatur omnes et singulas quantitates pecunie etc.

V. — Additio faeta ad capitulum De balitoribus collecte É

VI. — De collecta solvenda per coquentes vasa vitrea

»
ieri

AVNVEHTENZA

Fino da quando nel 1903 pubblicammo in questo Bollet-
tino la seconda parte della Cronaca inedita di Pietro Angelo
di Giovanni, già detta del Graziani, nel tratto dal 1461 al
1494, avvertimmo che vi erano altresi dei frammenti inediti
del secolo XIV e della prima metà del secolo XV i quali
sarebbero stati pubblicati in seguito.

Questi frammenti, che ora vengono in luce, apparten-
gono agli anni 1325, 1326, 1327, 1341, 1351, 1354, 1361, 1365
e 1366. Del secolo XV vi sono frammenti del 1422, 1423,
1444 e 1445, i quali colmano in parte, se non in tutto, le
lacune del ms. già edito nell’ Archivio Storico italiano (1) per
opera di Francesco Bonaini, di Ariodante Fabretti e Filippo-
Luigi Polidori. A queste lacune essi cercarono supplire pub-
blicando dei tratti di cronachette perugine, che il compianto
Fabretti rese poi di pubblica ragione per intiero. Ma altro
erano quei pochi cenni di cronisti, che avevano scritto affret-
tatamente registrando i fatti, che a loro parvero di maggiore
interesse, e altro è la narrazione ampia e particolareggiata
che offre il ms. nostro, opera della stessa mano che tracciò
la cronaca pubblicata nell'Archivio Storico.

Riteniamo che il lettore vorrà saperci grado di avere
procurato la stampa anche di questi preziosi frammenti, nei
quali si narrano fatti ignorati dagli storici o da altri cro-
nisti, o non conosciuti abbastanza da poterne aver noi com-
piuta notizia. Qua e là, dov'era mestieri, abbiamo corredato
il testo di note, studiandoci di riuscire secondo la maggior
brevità.

O. SCALVANTI.

(1) Tomo XVI, Parte I, 1850.
FRAMMENTI

DI CRONACA PERUGINA INEDITA

Secolo XIV.

1325. — Adì 16 de giugnio Fiorenzza con suoi cettadini de-
cavaleata et con gran quantità de pedone fece soldate del contado
e forestiere a cavallo e loro amistari (1) e usciro ad oste contro
de lucca. Capitano de tutti era meser Raimondo da Cardona de
Regoria, e preseno tre castelli e la magione de S. Giapecho e
altro passo nel contado de lucca, per la qual cosa li luchese usciro
fora de Lucca ad oste. Signior de’ Luchese era Castruccio castra-
'ane, e andaro lì presso duo millia a alto passo (2) con molte
gente de cavaliere, li quali venero con meser Galeazzo da Milano
e in continenti come gionsero nel campo de’ luchesi gridaro ba-
taglia, e la notte venente quasi non disciesero niente de li cavalli,
e la mattina per tempo apresso duo millia a l'alto passo se det-
tero ne l’oste deli fiorentini, e ataccaro una grande bataglia con
tanta furia, di modo che in continenti li miseno in sconfitta, nela
quale cie foro morte molta gran quantità de cavaliere e più de
2000 pedone e molte prese, fra le quali se menaro pregione me-
ser Raimondo capitano generale dei fiorentini cum suo figlio e un

(1) Amistari per Amistadi, ossia schiere degli alleati e confederati. Tal voce é-
usata da Giovanni Villani nella sua cronaca per indicare appunto i dugento cavalieri
di Siena, che si aggiunsero alle milizie de' fiorentini nella loro guerra contro il Ca-
stracani.

I forestieri, di cui parla il cronista, erano francesi, tedeschi, guasconi, fiam-
minghi e provenzali (VILLANI GIOVANNI, Croniche, capo CCC e CCCI). Una parte di
questi cavalieri oltramontani era guidata da Oddo di Longaro degli Oddi.

(2) Altopascio in Valdinievole.
576 O. SCALVANTI

nepote (1). De Perugia cie foro circa 300 cavaliere soldati oltra-
montani dele quali eavalieri ne era capo meser Oddo de meser
Longaro deli Oddi.

Meser Giacopo de li Gonfalonieri da Piagenzza Podestà per 6
mesi.

1326. — Del mese de maggio vene a Perugia el Duca de
Atene figlio del Conte de Prebenda genero de meser Filippo pren-
cipe de Taranto figlio che fo de meser lo re Carlo, Re de Puglia,
el quale passò per Perugia e andò a fiorenzza (2) per incarco de
meser Carlo duca de Calabria figlio del Re Roberto. Andò con 500
cavaliere (3).

Meser Bertoldo da Monte Pulciano per sei mesi Podestà.

A dì ultimo de giugnio vene a Perugia meser Carlo duca de
Calabria figlio del Re Roberto Re de Puglia, el quale vene con
grande numero de cavaliere e con grande Baroni, con lo qual
vene meser Felippo despoto de’ Romania, figlio de meser Felippo
prencipe de Taranto anco detto meser Lodo Duca, e menò con
secò la sua moglie, la quale avea nome madonna Madorsena, quale
fo figlio de Carlo senza terra, onde che il nostro Comuno donò al
Duca una coppa d’ariento con 600 fiorini d’oro e ala sua moglie
fiorini 210 pure in una coppa d’ariento e a meser Felippo fiorini
200 in un altra coppa. Aloggiò nel vescovado, e ad onore de sua
venuta cie giocaro 75 giocatore e ebbero dalla camora del. eo-
muno fiorini 4 per omo (4).

Messer Agnielo de Ariete per 6 mesi Podestà,

Adi 3 de luglio vene in Perugia meser Giovanni de lo Re
Carlo prencipe de la Morea con 400 cavaliere. Gli fo donato dal
nostro Comuno una eoppa d'ariento eon 300 fiorini drento, e anco
menó eon seco la sua moglie che fo figlia del eonte de Paraglio,
e era nepote de Papa Giovanni 22, ala quale fo donata una coppa

(1) La maggior parte degli storici non parlano di questo nipote del Cardona
fatto prigioniero cogli altri.

(2) Infatti il Duca di Atene giunse in Firenze ai 17 di maggio.

(3) Gli storici, come l'Ammirato, il Villani ed altri dicono che il Duca di Atene
entrò in Firenze con 400 cavalieri. È possibile che egli abbia lasciato in qualche
luogo vicino a Firenze un presidio di 100 savalli. Lo storico Pellini non parla di
questo passaggio del Duca per Perugia.

(4) Il Pellini non reca la notizia di tutti questi fatti e dei donativi offerti dal
Comune ai cavalieri venuti in Perugia,
FRAMMENTI DI CRONACA PERUGINA INEDITA, ECC. SY
de argento, nela quale cie erano drento fiorini 150. Aloggiò in
S. Domenecho. Giocaro in suo onore 25 cavaliere, et ebbero dala
camora del nostro comuno fiorini 4 per omo.

Adi 4 de luglio venerdi a mane se parti de Perugia lo duca
con tutta la sua gente e con meser Giovagnie, e andaro in To-
scana verso fiorenzza (1).

Del detto mese de luglio essendo in Siena Carlo del Re Ro-
berto de Puglia con molti cavaliere de sue genti el popolo de Siena
se levò tutto a romore de arme contro li grande, el quale romore
posato se dettero al ditto meser lo duca, e sottomisero la ditta
città con el popolo de essa liberamente per 5 agnie in questo modo
cioiè :

Che il Comuno de Siena debba chiamare 4 o 6 omene per
rettore loro, deli quali ditto meser lo Duca ne deve confirmare j
a sua volontà, e confirmato eie deve stare per ineareo in luoeo
dela podestà e tutti li altri signiori debbino stare nel modo che
prima. E lo detto duea promette de aiutarli ad ogni lor bisognio
con 500 cavaliere (2).

Adi 30 de agosto la città de Nargnie se levò tutta a romore
de arme e a bataglia fra ghelfi e ghibellini dela detta città, nela
qual bataglia li ghibellini for vineitori e cacciaro li ghelfi, e per
parte ghibellina eie entrò drento il Signor da Basehie con grande
quantità de cavaliere e pedone e eon altri gabelline de Tode e de
tutto el paese (3).

Adi 15 de setembre uscì de Perugia e cavalcò in Toscana a
Fiorenzza meser Vinciolo de meser Vinciolo de Uguecionello con
500 cavaliere de Perogia, li quali el nostro Comuno mandava in
aiuto dele duca de Calabria in servitio de parte ghelfa. Capo deli
ditti fo meser Vincelo, el quale avea dala eamora del nostro Co-
muno con 10 cavalli fiorini 5 per eiasehuno, e li cavalli de Perogia

(1) Il Duca si trasferì prima a Siena, ed entrò a Firenze nel 30 di luglio a mez-

zodì (VILLANI, Croz., Lib. X, cap. I, e, secondo scrive l'Ammirato « non fu per

molti anni innanzi fatta entrata aleuna in città d'Italia da re, pontefice o impera-
tore veruno, con tanta pompa e grandezza, quanta fu allora quella del duca ». Vedi
nella Cron. del Villani (ibid.) i nomi dei principali personaggi che accompagnarono
il Duca, A Perugia egli aveva avuto dunque convegno coi principali di essi per
muovere alla volta di Firenze colla maggiore pompa e solennità.

(2) Il fatto non è ugualmente narrato dagli storici. Il Pellini non ne fa cenno.
(3) Fatto ignorato dallo storico Pellini.
518 O. SCALVANTI

avean per ogni di e per ciaschun de loro libre 30 el di, e li sol-
dati oltremontani avean per ciaschun mese e per ciaschun de loro
fiorini 11 d'oro. E li eonestaveli de ditti soldati aveano piü che
non avevano inante per ciaschuno mese fiorini 5 d'oro, e li soldati
inanzze che cie andassero avevono fiorini 8 el mese (Dy.

Adi 30 de setembre se publicò nel palazzo la sentenza e la
scomunica e la interditione contro Guido da Pozzo, el quale era
vescovo de Arezzo (2) e contro de Castruccio castracane da Luca,
e contro lo vescovo de Luca (3) e contro tutti li lor seguace e
aiutorii in qualunque modo segrete o palese e contro molti altri
rebelli e inimici della Chiesa de Roma, e contro tutte le persone
che parteeipassero per qualche modo con essi. La qual sentenza
cie mandò che noi publicassemo monsignor Giovagnie Gaetano
Cardinale de Roma e legato de Toscana per la Santità del Papa
Giovanni 22 (4), la qual sentenzza cie mandò el legato per meser
Francesco de meser Gratia Arceprete de S. Lorenzzo.

Adi 15 de novembre el nostro Comuno fece apieeare per la
gola Giovagnie de Chello da Nocera, il quale era rebelle de Roma
e del nostro Comuno. Fo preso a una sconfitta che recevettero li
fabrianese dali soldati dele Malatesta da Arimene, e for menate
pregione ad Arimene, lo quale Malatesta lo vendette al nostro Co-
muno fiorini 1500, e così fo apeso in colle dela strada (5).

Adì 17 de novembre convenero in Perugia li nostri cavaliere
de Fiorenzza perchè il nostro Comuno li avea mandati in servitio
de parte Ghelfa (6).

(1) Vedi la nota precedente.

(2) Guido Tarlati, che fu privato « del vescovado, dello spirituale e temporale »
(VILLANI, Op. cit., Lib. X, cap. 1II). Il cronista lo chiama da Posso, menire doveva
scrivere da Pietramala.

(3) Gli storici fanno menzione della scomunica fulminata contro il Castracani
e contro il vescovo di Arezzo, ma tacciono di quella scagliata contro il vescovo di
Lucca. Però è da notare che questo vescovo non fu il legittimo vescovo Enrico, ma
probabiimente Amisino consacrato dallo pseudo cardinale Ostiense o fra Michele da
Cesena, altro intruso, non canonicamente investito. La bolla pontificia a Firenze fu
pubblicata il 30 di agosto. Un mese dopo veniva solennemente pubblicata anche in
Perugia.

(4) Giovan Gaetano Orsini creato cardinale da Giovanni XXII nel Concistoro.

del 17 dicembre 13106.

(5) Collestráda, paesello presso il Ponte S. Giovanni sul Tevere.

(6) Furono i 300 cavalieri inviati dai-perugini al Duca di Calabria nel 15 set-
tembre di questo anno. Essi vengono ricordati dagli storici florentini, in unione ai
FRAMMENTI DI CRONACA PERUGINA INEDITA, ECC. DI9

Adi primo de dicembre el nostro Comuno mandò in servitio
dela Chiesa. de Roma e del Capitaneo del Patrimonio 100 ceava-
liere soldati, el quale Capitaneo stava ad oste contro li Gabellini
de Nargnie, però che eli tenevono li ditti uffiti contra la Chiesa de
Roma e contra la parte gelfa. Capitano de ditti cavalle de Perogia
fo Giagniarello de Ciecco de ser Giagnie (1).

Adi 18 de decembre il nostro Comuno fece fare la pace fra
li Gualterotti de. Castello dela parte de meser Brancaleone e suoi
congionti e lo abate: de Sealachio. Se fece ditta pace a piede del
canpanile de S. Lorenzzo e fra loro se fecero più parentade. Fece
la carta del ditto patto Mannello de Gulielmo de Porta Soli, pa-
roeehia S. Severo del monte.

Adi 25 de decembre li Priore e Camorlenghe con grande
quantità de savi e de grandezze e de popolo avien trattato e fer-
mato certi capituli de pace tra il Comuno de Perugia e Castello,
li quali Priori e Camorlenghe incontinenti foro recati a sospetto
che non fossero gabelline da alchune persone del popolo e de
grandezza, quali subitamente se radunaro de ciaschuna porta gran
quantità de gente e venero tutti nel palazzo del popolo, e man-
daro per li Priore: quali venuti li dissero, che il tutto se do-
4 vesse guastare dele conto dela pace, e incontinenti fecero bandire
1 e sonare alo arengo overo parlamento generale, dove che con gran
romore squareiaro nel ditto arengo tutti li ditti capituli, e refer--
f maro che a niuno trattato de pace se intendesse, anzi a fare viva
e forte guerra, e fo determinato che durante la guerra de Toscana,
niuno che fosse ghibellino e figlio di ghibellino possa essere Priore
nè Camorlengo de alcuna arte, e a questo provare basteno 6 te-
stimoni de familia e chi lo recevessi contro il ditto modo [fosse
condennato|] per 500 libbre, e chi lo elegesse per 200 libbre e al
Capitano se fosse negligente de pena 500 libbre.

1327. — Messer Giovagnie del contado dell’ Aquila podestà

"ESITI ZO=

per sei mese.
Adì 16 de genaio revenero in Perugia li cavaliere nostre, li

senesi in numero di 850, ai bolognesi forti di 300 cavalieri, agli orvietani, ai faentini
ece., quando nell ottobre del 1326 il Duca con Spinetta Malaspina tornò ad attaccare
Castruccio Castracani in Lunigiana, nel pistoiese e altrove. L'impresa non riuscì,
onde negli ultimi di quel mese e in novembre le schiere partite in aiuto del Duca
tornarono alle loro sedi.

(1) Della famiglia dei Montesperelli.
580 O. SCALVANTI

quale il nostro Comuno avia mandato al Capitanio del Patrimonio
contro Nargnie. Fo capitanio Giagnierello de Ceccolo.

Adi 25 de genaio el nostro Comuno mandò in servitio dela
Chiesa e del Marehese dela Marea 200 eavaliere oltremontane, e
andaro eontro Fabriano che se era rebellato dala Chiesa de Roma
e da parte ghelfa. Fo eapitaneo deli ditti eavaliere meser Oddo
delli Oddi de Perogia (1).

Adi 22 de febraio vene a Perugia per Capitano de guerra
Vfredueeiolo de Alviano (2) eon 25 cavaliere ehe fo chiamato per
6 mese: avea per suo salario dal nostro Comuno per ognie mese
con 10 cavalli fiorini 150 d'oro.

A ditto dì revene in Perogia li nostre cavaliere che avea
mandato el nostro Comuno nela Marca in servitio dela Chiesa
contro Fabriano. Cap. meser Oddo de meser Longaro deli Oddi.

De febraio se comenzzò a cavare li fondamenti deli muri de
la conca. Fo soprastante dele dette opere mastro Ambrogio (3) quale
fo maestro dela cierca (4), e l’altro fo Butolo de Bartucciolo che
fo massaro a pagare li maestre e manuali e tutte le spese dela
ditta opera. Notario deli ditti maestri e massari fo ser Marino de
mastro Bianco. Fo comensata la ditta opera nel ditto .millesimo
al tempo de Papa Giovagnie 22, al tempo dela Podestà de meser
Giovagnie da l'Aquila, dela Capitananzza de messer Gregorio da

Ascoli. Se comenzzò la porta dele ditte mura nela strada de

porta S. Agnielo detta de S. Mateo.

Adi primo de Marzo essendo meser Giovagnie da l' Aquila Po-
destà e meser Gregorio da Ascoli capitaneo del Popolo avene che
nel dì de S. Arcolano lo giudece e uffitiali insieme con li Priore
dele Arte e eon lo nobil omo Vfredueeio de Alviano capitano de
guerra contro Castello [andarono] ad. recevere li palj et li altri

(1) Questi cavalieri furono richiesti da Tano di Reggio, capitano della Chiesa,
perché lo aiutassero a domare la ribellione di Fabriano. La vittoria arrise alle armi
guelfe, e Oddo degli Oddi un mese e sei giorni dopo tornava a Perugia « carico non
men di preda che d'onore » (PELLINI, Híst., P. I).

(2) Questo Uffreduccio era della nobil famiglia degli Att. di Todi.

(3) Maestro Ambrogio Maitani di Siena, figlio del celebre Lorenzo.

(4) Cierca per cerchia. Infatti l'opera, di cui un po’ confusamente ci parla il
cronista, ebbe per scopo di cingere con un muro la parte di città volta a setten-
irione. In essa si erano negli ultimi tempi alzati nuovi edifici, e non conveniva
che restassero indifesi e considerati come un borgo della città.
ni

nai Lad

FRAMMENTI DI CRONACA PERUGINA INEDITA, ECC. 581

Ll

censi che si debbono apresentare al-nostro Comuno ogni anno [in]
detta festa a piede del canpanile de S. Lorenzo, come è usanzza
per antichissimi tempi, onde che fra li altri che foro apresen-
tati in questo comuno cie vene lo seienteco de Spoleto, e apre-
sentava uno palio de seta in su un cavallo coperto de scarlatto;
e detto scienteco menò un notaro Spoletino e fece schrivere e pro-
testare per lo comuno de Spoleto che quello era un palio che Spo-
leto mandava al-nostro Comuno per parte dela città de Roma e
per li buoni servitij che Perogia avia fatto a Spoleto. Onde che li
nostre Priore comandaro al ditto scienteco e notaro che lo apre-
sentassero come esso dovea, non cioè per come conceduto per la
chiesa de Roma e (1) anco per li oblighi deli patti che ditti Spo-
letini fecero con noi. Onde che alora li nostri Priore fecer pren-
dere detto scientico e notaro e metterli pregioni, e non volsero
recevere nè acettar quel palio in tal modo.

Adi 14 de marzzo foro sbanditi li spoletini perché non ave-
vano recato il palio nel dì de S. Arcolano come avevon promesso
per virtù dei capituli. Podestà de: Spolete per lo nostro Comuno
era Legiere de Nicoluccio de Andrea de Porta Soli (2).

Adi 18 de Marzzo vene a Perogia lo seientieo de Spoleto e
presentò un palio de seta sopra un cavallo coperto de scarlatto
come erano obligati per patto, e apresentarlo al Podestà, al Ca-
pitano e Priore nostre li dal eanpanile de S. Lorenzzo, e si ancora
dissi come eie era eoneeduto per la Chiesa de Roma al tempo de
Giovagnie 22, el quale seientieo renunzzò e revocò ognie prote-
statione ehe fusse stata fatta per lui o altro seientieo de Spoleto,
e apresentó ditto palio in un eavallo eoperto de searlatto come
erano obligati al nostro. Comuno (3).

Adi 25 de Aprile se fece in Perogia nel eonseglio grande uno
statuto con la città de Asese e contro li omeni de essa città, el

(1) Qui e sta in luogo di ma.

(2) Nel ms. alla pagina di contro si legge, quasi a schiarimento e complemento
della notizia data nel testo, quanto appresso: « Adi 14 de marzzo, e chi dice adi 13 ditto
sono sbanditi li Spoletini per non avere recato el palio ala festa de S. Arcolano come
avevono promesso. Et chi li offendea nello avere e nela persona non fosse tenuto
ad alchuna pena. Podestà per Perogia nela città de Spoleto per il nostro Comuno
fo Leggiere de Nicholuccio de Andrea de Porta Soli paroffia S. Fiorenzzo ».

(3) Cfr. in questo Boll., vol. III, pag. 433 e segg. i particolari delle cose occorse
fra Perugia e Spoleto in detto tempo. ‘582 O. SCALVANTI

qual eonseglio contiene che tutti li Podestà e capitani e ognie altro
uffitiale dela città de Asese che mandato sarà ala ditta città per
lo nostro Comuno nanti che esso vadi ad Asese debbia esser tenuto
‘e obligato giurare a piede el nostro canpanile de S. Lorenzzo in
presenzza del Podestà e Capitano e Priore de Perogia tutti li or-
dinamenti e statuti e reformatione che sono al presente, o che se
faronno per el nostro Comuno fare oservare in Asese e li altri
non, e che li offitiali eie anderanno promettano de fare e eurare
sì che li asciciane pageranno tutte le date e le colte che se por-
ranno per lo nostro Comuno e tutte le gravezze reale et per-
sonale qualunque sarà, e poi che il ditto uffitiale averà giurato
debbia portare con seco legate e suggellate li statuti che date li
saranno per lo nostro Comuno, e che esso uffitiale aprire non li
possa per fino che,non sarà entrato in uffitio. Et questo se fece
perchè li asciesciani ogni di facevono statuti e ordini contro la
giuriditione del Comuno de Perugia. Fecesi ancora perchè li a-
sciesciani avevon fatto uno statuto, e volevono che li perugini
quali avevono aleuna possessione nel lor contado pagasseno le
gravezze dela città de Asese, e non volevono che se oservassero
niun ordinamento del nostro Comuno.

Adi 28 de aprile Alexandro de ser Bienvenuto essendo eletto
Podestà de Asese dal nostro Comuno giurò a piede del canpanile
de S. Lorenzo presente el Podestà e Capitane e Priore de fare
oservare li statuti et ordinamenti del nostro Comuno che sono al
presente e se farano, e non altri statuti, e poi ch’ebbe giurato li
for dati li ditti statuti de Perogia sigillate col sigillo del eomuno
de Perogia, e li fo comandato ehe non l’ aprisse se non quando
era entrato nelo Uffitio, el quale Alexandro come Podestà de Asese
prese e tolse ditti statuti e portolli a Asese e entrò in uffitio per
podestà mandato da questo Comuno.

1341. — Adì 22 de setembre i fiorentini avisaro el nostro
comuno come avien comparata Lucca da meser Mastino per fio-
rini 500000 (1), per lo quale pagamento avea dal Comuno de Fio-
renzza 30 staggie.

(1) Abbiamo riprodotto dal ms. inedito la notizia intorno alla cessione di Lucca
fatta da Mastino della Scala ai fiorentini per le molte differenze, che corrono tra
MURS. --

FRAMMENTI DI CRONACA PERUGINA INEDITA, ECC. 83

Et così pigliaro la possessione dela qual cosa sene fece in
Perogia grande falone per alegrezza. Ma i pisani se ne turbarono
e fatta gente adi 2 de otobre asediaro Lucca con tutte le sue gente.

1342. — Adi 20 de aprile el nostro Comuno mando ali fio-
rentini in aiuto loro contro i pisani 300 cavaliere, deli quali ne fo
capitano Giovagnie marchese de Santa Maria, quali fiorentini se
erano refatti e volevono de novo liberare Lucca (1). Et adì 17 de
giugnio el Comuno de Pisa prese per asedio Lucca e non cie pod-
dero li fiorentini remediare, el quale asedio durò 10 mese. Lucca
se rendette a patti.

Adi 8 de septenbre el Comuno de la città de Fiorenza se sot-
tomise e chiese per patrone meser Gualtieri duca de Atene figlio
del Conte de breenda (2) de Francia. E questo fero li fiorentini
per tema che avien deli pisani. Vene in Perogia ditta nova adì
10 de setembre, che cie lo sehrisse li priore de fiorenzza e anco
el Duca de Atene e Pavoluecio de Riguccio. E fo questa somes-
sione e patronato in vita dele ditto duca. Glie se dè anco Volterra
e Arezzo pure in vita.

questo e il racconto della Cronaca a stampa. Ad es. il codice pubblicato dal Bonaini,
Fabretti e Polidori dà come prezzo della cessione la somma di fior. quattromila, e
il Bonaini annotò, che invece doveva leggersi « dugentocinguantamila fior. d? oro,
come concordemente affermano tutti gli storici ». Il eronistà nostro invece scrisse
prima la cifra di fior. 4000, poi la cancellò e pose fior. 500,000. È certo però che il
prezzo fu realmente di 250,000 fiorini, come si ha anche dal trattato stipulato in Fer-
rara fin dal 4 agosto 1341: i fiorentini non poterono soddisfarlo, e convenne loro
consegnare gli ostaggi al Della Scala, circa il numero dei quali il nostro cronista
corregge un altro errore, perché dopo avere scritto che essi furono 300. cancella e
sostituisce 30.

(1) Né per il numero delle milizie inviate dai perugini, né per il tempo, in cui
esse si recarono in aiuto dei fiorentini, v'é accordo fra il nostro cronista e gli storici.
Essi narrano che nel 1341 insieme agli altri alleati erano 150 perugini. Com’é noto,
nell ottobre di cotesto anno le armi di Firenze furono sconfitte: ma nell’anno ap-
presso, rinnovandosi le ostilità tra pisani e fiorentini, questi richiesero del consueto
aiuto Perugia, la quale invio 150 cavalieri. Ora il cronista nell'anno 1341 tace del
concorso dei perugini, e sotto l'anno 1342 pone il numero di trecento cavalli spediti
all'assedio di Lucca. Evidentemente lo scrittore ha fatto una sola delle due spedi-
zioni. Quanto alla data, mentre il cronista ricorda il 20 aprile, Giovanni Villani scrive
che nel 24 marzo 1342 tutte le schiere e masnade ebbero le insegne, e mossero per
la Valdinievole. Ma se riflettiamo che fino al 10 maggio non si ebbe il principio delle
ostilità, sembra probabile che la milizia perugina non si trovasse insieme alle altre
nella partenza del marzo, ma che direttamente raggiungesse gli alleati nel mese
successivo all'assedio di Lucca.

(2) Di Brienne.
cet
(e e)
pa

O. SCALVANTI

De setenbre essendo la città de Lucca presa dali pisani con
lo. aiuto de meser Luchino Signior de Milano, come avemo ditto,
onde che se partiro de Pisa gran numero de cavaliere todesche,
li quali se uniro insieme con quelli altri pure eavalli todesche,
quali erano eassi dal Comuno de Fiorenzza, e se fecero cavaliere
de ventura, e se pusero nome la gran compagnia dele Corone (1),
e venero per lo contado de Volterra non facendovi danno, e ari-
raro a Colle de Valenzza (2), e li fecero molto grande danno con
ardere, robbare e predare. Poi se ne andaro nel eontado de Siena
e lo arsero, e robbaro Boneonvento e Torraniere e li Bagni de
Vignione e. Fontebeneie ardendo e robbando e predando el ditto
contado de Siena a lor piacere: e li stettero più e più di facendo
grandissimo danno. Et la fine el Comuno de Siena non se potendo
defendere da essi mandaro un comessario nel eanpo dela ditta
compagnia dele corone ad oferirli 2500 fiorini, quando essi pro-
mettessero partirse dal loro contado e non farli più danno, e così
la ditta compagnia promise voler fare. Dopo la qual promessa
fatta e fatto detto pagamento de fiorini 2500 anco se fecero dare
per menda de’ lor cavaglie straccate e morte fiorini 300 d'oro: li
quali aute se partiro e venero tutti al Monte de S. Savino dove
stiero 3 dì daendoci forte badaluche e bataglie tutta fiata. Pure
el ditto Monte de S. Savino se defese per la gente che eie era
drento quale cie avevamo mandato noi. Aveva el fodero la detta
compagnia dal Comune di Lucigniano, poi se parti dal monte, e
andaro a Aquarata e a Prato antieo del contado de Arezzo, e li
stettero 2 di. Dicevasi che andavono per fodero; e poi vennero a
Castiglione aretino, e posero campo a Laeoseiello, dove stero al-
chuni dì, e poi se partiro e pusero campo a Carbogniano e ala
Camochia e a l'Orsaia del contado de Cortona. Era la ditta gente
circa 3000 cavaliere todesche e 950 pedone. Capo de essi ne era
il Duca Guarniere de Alemagnia conduttore dela ditta gente, Re-
tilla deli Uberti e meser Baldaccie deli usciti de Fiorenzza; e lì
stettero 8 dì ferme tutta fiata daendo a loro el fodero el signior
de Cortona, e fra questo tempo ditto Signior dé Cortona e meser

(1) Il Villani scrive che questa Compagnia fu composta di quasi tutti i soldati
dei pisani, ma il cronista ‘con maggior precisione nota che le soldatesche ai servigi
di Pisa si unirono ai cavalieri tedeschi cassi, ossia licenziati dal Comune di Firenze.

(2) Valenza per Valdelsa.
FRAMMENTI DI CRONACA PERUGINA INEDITA, ECC. 585

,
Averardo e Bindolo de Monaldo ambasciatori del nostro Comuno
de Perogia a Cortona trattavono patto con li detti todesche, per-
chè li detti todesche e compagni domandavono e chiedevono che
il comuno de Perogia soldasse de lor gente 300 cavaliere, cioiè
che dessero a lor moneta e soldo per 6 mese a ragione de 10 fio-
rini per cavalli, e volevono el passo et el fodero per il contado de
Perogia per 3 giorni libero ogni qualunque volta che esse el vo-
lesseno, per la qual cosa detto Signior de Cortona insieme con li
detti ambasciatori mandaro in schritto al nostro Comuno tutto el
parlamento dele ditte patte che la gran compagnia domandava, e
se partiro ]i detti loro eondottiere italiane, e non volsero entrare
nel contado de Perogia con la detta compagnia (1).

[1351]. — Adi 45 de febraio li Ghelfueci e lo Marchese del
Monte foro remessi nela città de Castello dal Comune de Perogia,
li quali ne erano state cacciate perchè foro contrari ala sumes-
sione dela ditta città.

Ditto mese se comenzò la guerra infra el nostro Comuno de
Perogia et el Comuno de Agobbio, la quale terra tenea Giovagnie
de Contueeio dei Gabrielli (2).

De marzzo Podestà per 6 mesi vene meser Bonifatio Ghie-
ciardi da Pistoia.

Tomasso de Alviano capitano de Taglia entrò in Calende de
marzzo (3).

(1) Tutto questo racconto sulla formazione della grande compagnia delle Co-
rone, sulle sue scorrerie, patti e condizioni che pretese dai popoli angariati e sulla
scelta a capo delle soldatesche del famigerato Duca Guarnieri è dato dal cronista
con minuti particolari, che non si incontrano negli storici.

(2) Questo fatto della contesa fra Perugia e Gubbio, di cui era signore Giovanni
di Cantuecio dei Gabrielli, avvenne certamente nel 1351, onde é solo per errore che
l'amanuense ha scritto nel margine l'anno 1350. Il quale. errore abbiamo corretto
sostituendo l'anno 1351. Resulta poi dalla cronaca inedita che le prime avvisaglie
tra Perugia e Giovanni de’ Gabrielli, che aveva occupato Gubbio, avvennero nel feb-
braio del 1851.

(3) Capitano della.taglia non valeva capitano di guerra, ma condottiere della
lega (Cfr. nota del Polidori nella Cronaca a stampa alla data del 9 gennaio 1351).
fca i LES SP Ue. Ud. -— Ri uum n” ==> <-> mm

586 O. SCALVANTI
1354. — Nel dieto mese de giugnio el tribuno de Roma entrò

in Roma come senatore con licenza del legato cardinale ispano (1),
e avea con seco le gente de Perogia perchè esso le soldò et el
fratello de fra Monreale li prese 4700 fiorini d’oro, e ebbe per
staggio il figliuolo de Ciecco de meser Righo nostro (2).

. . . . . D . . . . . . . . . E

Adi primo de setembre vene in Perugia novella come meser
Nieola de Lorenzzo romano Tribuno de Roma remesso in Roma
secondo senatore (3) del Popolo Romano dal legato dela Chiesa
intendendo, che fra Monreale era giunto in Roma subito lo fece
pigliare e esso e li suoi fratelli e 20 conestavoli suoi, quali erano
con esso, e adì 29 del mese de agosto li aveva fatto tagliare la
testa in campidoglio. La causa de ciò se disse, che ditto fra Mon-
reale volea tradire detto Tribuno; e tutti li altri remasero pre-
gione. i

Adi 10 de otobre vene novella in Perogia che li Sabelli erano
entrate in Campidoglio in Roma, e sì lo abrugioro, e che detto

Savelli insieme col popolo avevono preso meser Nicolo de lorenzzo
Tribuno e lo amazzaro a furia de populo, e poi lo traginaro fino
a [la] colonda, e lì lo apieearono col capo de sotto. Anco miseno foco

(1) Il cardinale Egidio Albornoz, che nell'anno prima [1353] era stato lungamente
in Perugia a sedarvi le discordie e provvedere al buon regime della città. Fu forse in
tale occasione che egli assoldò per conto di Cola di Rienzi le soldatesche perugine,
che dovevano accompagnarlo nell'inutile tentativo dell'assedio di Palestrina. È no-
tevole che i danari per il soldo gli furon dati dal fratello di frà Moriale, il quale a
garanzia della restituzione di questa somma ebbe in ostaggio un cittadino di Pe-
rugia.

(2) Abbiamo riferito dal ms. inedito queste notizie, perché nella Cronaca a
stampa non si incontrano che poche e sconnesse parole, a causa del Codice molto
danneggiato.

(3) Il Polidori aveva già osservato che questa parola secondo doveva; prendersi
nel significato di come. Infatti nella Cronaca inedita al passo riportato al principio
di questo anno si legge a proposito di Cola di Rienzo « entrò in Roma come. sena-
tore con licenza del legato ecc. ».
FRAMMENTI DI CRONACA PERUGINA INEDITA, ECC. 581

e abrugiaro el palazzo dove abitava ditto Senatore overo Tri-
buno (1).

. . . . . . . . . . . . . . Ù .

1361. — Adì 23 de agosto el comuno de Perogia reebbe tutte
le predette castella subitamente con le gente che cie mandò ad
oste el detto Comuno (2).

Adi 27 de agosto le gente del Comuno miser foco nel castello
de Montevibiano, nel palazzo dele Meche e nelle Tavernelle, quale
erano de meser Alexandro de meser Venciolo, e nela Toricella de
meser Averardo e nel palazzo de quelli de Cinello e nel palazzo
del Ciardolino, e forono scarcate molte altre fortezze deli sopra-
detti, quali erano stati messi in bando.

E adì 9 de setembre fo tagliato el capo a Cieccarello de
Ciueco, a meser Nicolo de Nino da Montemelino e a 4 altre per-
sone per cagione che ordinavono el sopra ditto tradimento.

Adì 17 de setembre el nostro Comuno ordinò una adunanzza
generale, nela quale fo determinato che meser Alexandro, meser
Averardo, meser Giovagne da Montemelino, Trebaldino, Ercolano
del Buono, lo Squartano, Corlaccio deli Baglione e el Zeppa fos-
sero penti nela facciata del palazzo in capo dela piazza per tra-

(1) Abbiamo riportato questo brano della Cronaca inedita, perché quella a
stampa non dà completo il racconto per essere consunta parte del foglio.

(2) Si parla qui di un recupero di castella da parte dei perugini. Gli altri cro-
nisti ne tacciono, e il Pellini all'anno 1361 scrive: « La città di Perugia governan-
dosi sotto reggimento popolare era libera calle guerre straniere, perciò che dopo la
pace fatta con Sanesi e Cortonesi [a. 1358] non havea havuto occasione né da Terre
o Città vicine, né da altri di dar le mani alle armi ». Convien credere dunque che
la perdita e il recupero dei castelli, di cui parla la cronaca inedita, debbano rife-
rirsi a quella vasta congiura interna, che poco mancò non trascinasse a rovina la
libertà della repubblica. È probabile quindi che alcune bande di fuorusciti si impa-
dronissero di qualche castello nei primi dell’ agosto 1361, forse allo scopo di costrin-
gere i reggitori del Comune ad inviare soldatesche nel contado e a diminuire cosi
il presidio della città. I perugini infatti spedirono milizie per riacquistare il domi-
nio di quei castelli, mentre nel 24 agosto (secondo scrive l' Anonimo nella sua cro-
naca dal 1358 al 1382 citata dal Bonaini, Arch. St., Tomo XVI, Parte I, pag. 191) do-
veva scoppiare in Perugia la congiura ordita dai Nobili. I colpevoli scoperti o fu-
rono uccisi, o fecero in tempo a fuggire, od ottennero di rimanere con loro, o ven-
nero banditi. a uet IA ==>

588 O. SCALVANTI

ditore in. tertia generatione, e li lor bene fossero publicate al
Comuno (1).

Nel 1871 adi 7 de genaro le penture deli detti penti per tra-
ditore foro seaneellate e guaste.

Adi ultimo de decenbre 1371 s'è fornito de fare le libre del

eatrasto quali for messe nelo armario, e foro 55 libre.

1865. — Adi 3 de agosto (2) foro eapate cento pregione in-
glese de quelle che stavono pregione nel palazzo del Podestà, e
for mandate dove stavono quelli 5 pregione caporale nel palazzo
del Podestà, cioiè dove ch'erano li granari publici, e li altri tutti
sono lassati e liberati e andavono per la città, quali erano più de
1500 persone.

Adi ditto el capitano della compagnia dela Stella e m. Gran-
debure sealeo dela compagnia de meser Anechino e più altre ca-
porale mangaro con li nostre priore.

E adì ditto el nostro Comuno mandò 4 bandiere de cavalli e
1500 barbute dela gente de meser Anichino contro de meser Gio-
vagnie Aguto inglese in aiuto del Comuno de Siena, quale avia
mandato ambasciatori al nostro Comuno recomendandose molto

eordogliosamente ehe li mandassimo aiutorio (3).

(1) Più cose sono a notare in tutto questo racconto del cronista. Anzi tutto
egli ci riferisce che sei furono i ribelli condannati nel capo, mentre l' Anonimo ci-
ato nella precedente nota, ne ricorda tre soli, Nicolò da Montemelino e due suoi
famigli, né fa menzione di Ceccarello di Ciucco, che pone invece tra coloro che fug-
girono dalla città. Il eronista nostro ci narra poi che tre giorni dopo lo scoprimento
della congiura, cioé il 27 di agosto le gente del Comuno appiccarono il fuoco o de-
vastarono le proprietà dei principali congiurati, fra i quali Alessandro di messer
Vinciolo, che avrebbe voluto essere Signore di Perugia, il conte delle Meehe, Ciar-
dolino dela Fratta, Averardo dei Montesperelli ecc.

(2) La cronaca a stampa per questo anno finisce col 6 di agosto, e vi supplisce
il nostro ms. inedito. Però, a dare continuità al racconto, stimiamo opportuno rife-
rire anche gli avvenimenti narrati nella Cronaca a stampa sotto la data del 3 agosto.

(3) Mentre il Muratori ed' altri storici scrivono che i senesi chiesero aiuto ad
Anichino e all'Albaret, affinché li difendessero dalle scorrerie di Giovanni Agudo,
dalla cronaca resulta che l'aiuto fu domandato al Comune di Perugia, che spedì in
difesa di Siena le migliori milizie che aveva assoldato, La cronaca dimostra ancora,
sotto la data del 22 luglio 1365, che le schiere di Anichino, all'apparire di Giovanni
Agudo nell' Umbria, non si trovavano nel distretto di Perugia, come in modo al-
quanto dubitativo sembra aver ritenuto il Muratori, ma vennero appositamente ri-
TTT

FRAMMENTI DI CRONACA PERUGINA INEDITA, ECC. 589

Et adi de agosto se fece una dunanzza generale, nela quale
se fece parlamento de molte cose, e meser Anechino e meser Al.
buretto e meser Andrea fur fatte nostre cettadine, e poili fo do-
nata una easa per omo dal nostro Comuno, e aneora una bona
intrata da posser vivere onoratamente in Perogia per la vitoria
recente eontro li inglese.

Et adi 7 de agosto vene in Perogia meser Anichino e meser
Alburetto e meser Andrea per rengratiare el nostro Comuno, e
andaro a mangare eon li priore, e for fatti 10 armegiatore per
porta, e armegiaro tutto il di. Meser Alberghetto aloggiò nele case
che foro de meser Giovagnie della Biscina (1), meser Andrea in
San Benedetto della cupa e meser Alburetto nela casa de meser
Felippo deli Giacani, e poi a meser Alburetto li fo donata la casa
che fo de Legiere de Andreotto e a meser Anichino fo donato lo
arbergo del Cervio e a meser Andrea... (2).

Adi 22 de setembre el legato dela Chiesa ebbe Sassoferrato
in questo modo (3). El comune ditto levò el romore, e quando le
gente del legato se apressaro ala terra li dettoro la entrata a ditta
gente, e fecero pregione meser Ongaro e .meser Alovigie (4) con
tutte le gente loro.

Adi 28 de setembre andaro li nostre ambasciatori a fare la
lega de Toscana.

Adi 23 de novembre le nostre gente cavalcaro a Castello dela
Pieve; e cie erano 300 barbute e 500 fanti, perchè li Pievaioli
non volevono pagare dodici omene a cavallo per ciaschuno anno
come li impuse el nostro Comuno, onde per questa cagione se fe-
cero nuovamente li patti con loro.

Et a di... de... (5) se levò un romore en Asese che vene in

chieste e assoldate dal Comune di Perugia, onde mossero da Roma e giunte nel ter-
ritorio perugino inflissero alla Compagnia inglese la terribile sconfitta di S. Mariano
(Vedi Cronaca a stampa. Arch. st. it., Anno 1365, pag. 198 e segg.).

(1) Nelle case di Giovanni della Biscina abitò messer Anichino, che il cronista
chiama col nome di Alberghetto.

(2) Lacuna del ms, Nemmeno il Pellini ci sa dire che cosa fosse donato al con-
dottiere Andrea (Hist., P. I., Lib. VIII, pag. 1012).

(31 Il legato era il cardinale Egidio Albornoz, che tolse Sassoferrato ai perugini.

(4) Luigi Severi dell'illustre famiglia, da cui era forse disceso Bartolo, il grande
giureconsulto.
(5) Lacuna del ms. Il fatto avvenne nel dicembre del 1365.
590 O. SCALVANTI

deferenzza la parte de sotto eon quella de sopre, e la parte de
sotto cacciò fora quella de sopre, e dapoi el nostro Comuno li re-
mise drento, e eie mandò drento meser Giuliano dali Pancitechi
de Pistoia in Podestà (1), e esso li fece fare certe parentade tra
loro eioié ad una parte con l'altra, e così se pacificoro insieme,
e il nostro Comuno volse de nuovo fare li patti con la somessione
al ditto Comuno, e fecero che pagassero doi bandiere de omene
a cavallo per la loro guardia, e tutte le terre nostre soggette pa-
garo Vanno... (2) cavaliere sopra ad ogni spesa.

1366. — Adi 3 de febraio 1366 se fece una dunanzza gene-
rale nel palagio deli Priore, e se refermaro li Statuti novi, cioiè
el primo libro quale tratta del regimento de quista città, del Po-
destà, Capitaneo, Priore, Camorlenghe e altre cose, e fecese un

*

libro quale e ditto libro giallo sito nelo armario del nostro Co-
muno, e li è sehritto ogni fatto de questo Comuno (3).

A di 30 de marzzo el nostro Comuno mandò li ambasciatore
al Papa Benedetto (4), li quali for pagate per 3 mese da questo
Comuno (5).

(I Ver. mente il Panciatichi era Podestà di Perugia, ma il Comune puo averlo
destinato con eguale ufficio in Assisi all'effetto di ricondurvi la pace e restaurarvi
l autorità della repubblica perugina. Perugia aveva fino dal 1327 un trattato con As-
sisi, in forza del quale questa città obbligavasi a ricevere dai perugini i Podestà, i
Capitani e ogni altro ufficiale e a soddisfare alle gravezze tutte, che le fossero state
imposte dal Comune di Perugia. Di questo statuto si occuparono i perugini in un
Consiglio grande del predetto anno 1327, come si può vedere nella presente cronaca
sotto la data 25 aprile. Tale provvedimento fu suggerito dal fatto ehe « gli ascisciani
facevono ogni di statuti e ordini contro la giurisditione del Comuno de Perogia ».

(2) Lacuna del ms.

(3) Di questo libro giallo non esiste più traccia.

(4) Il lettore correggerà da per sé l'errore del cronista, che pone nel 1366 un
papa Benedetto, mentre dal 1362 era salito all'onore della tiara Guglielmo di Grimoaldo
sotto il nome di Urbano V. Forse l'errore può essere derivato dal fatto che Urbano
apparteneva all'ordine di S. Benedetto, pel quale tenne l'abbazia di S. Vittore di
Marsiglia.

(5) Il Pellini rispetto a questa ambasceria scrive: « Si può credere che per ra«
gione del legato fossero mandati gli ambasciatori al Papa, perché gli offerissero di
restituimrgli alcune terre che questa città teneva dallo Stato della Chiesa, di che il
Papa si era doluto ». Ciò.é verosimile. Infatti i fiorentini nel 1366 mandarono una
ambasceria al legato appunto per raccomandargli i perugini, e al tempo stesso fe-
cero premure con essi affinché /ucilitassero l’ accomodamento. Di qui, secondo noi,
ebbe origine la missione al pontefice ordinata nel 1366, e. della quale fecero parte
illustri personaggi, come il vescovo Andrea Bontempi, Tiberio di Francesco Monte-
melini e messer Pietro dei Vincioli dottore. Ma gli ambasciatori recatisi ad Avignone
^ - x si ETTARI A pa Eu. c =
2 Eu a, v &. à
FRAMMENTI DI CRONACA PERUGINA INEDITA, ECC. 591

Adì... (1) de Aprile vene novella come le conpagnie bian-
che che stavono nel contado de Siena avevono dato la bataglia a
san Chiereo (2) contado de Siena doi volte, e avevono maneggiato
de pigliare Siena per trattato, e che erano in Siena 600 omene a ca-
vallo del ditto Comuno quali dovevono dare la intrata per le porte
ale ditte conpagnie bianche. Ma la cosa se seppe come piaque a
Dio, la quale gente se usciro de Siena e andò ne le ditte compa-
gnie bianche de li inglese, e poi for prese diece cettadini in Siena
quali faeevono ditto trattato, e anco foro. presi cettadini in Fio-
renzza che similmente faeevono trattato per dare Fiorenzza ala
ditta conpagnia bianca. Era il capitano magiure dela ditta con-
pagnia meser Ambrogio figlio bastardo de meser Barnabò mila-
nese. E meser Barnabó e meser Galasso da Milano, quali erano.
stati a Genova (3) in persona con tredecemila cavaliere e cinque-
mila pedone, e stettero con - ditta gente atorno a Genova, e poi
venero per intrare in Siena e in Fiorenzza; e prese che avessero
le ditte città dovevono venire verso Perogia, e queste compagnie
bianche se dicea che erano più de 25000 omene intra cavalli e a
piede (4).

Et adi 17 de aprile vene novella in Perogia che la conpagnia
bianca avia preso doi castella de Siena.

non ottennero il loro scopo, e quindi alla venuta di Urbano V in Italia nell’anno
appresso i fiorentini gli inviarono a Viterbo, ov'egli era giunto ai 9 di giugno, una
ambasceria per parlargli di molti interessi della repubblica e anche per raccoman-
dargli il Comune di Perugia (Cfr. AMMIRATO, Hist. fior., Lib. XIII), acciocché esso
conseguisse, a intercessione di Firenze, quello che per l’opera dei propri ambascia-
tori non aveva ottenuto. Né si creda che la missione a Urbano V in Avignone avesse
per fine di eccitarlo ad entrare: nella lega delle città toscane. Il cronista, è vero,
sotto il mese di aprile del 1366, parla del ritorno degli ambasciatori nostri dalla lega
di Toscana, ma evidentemente si tratta qui di una particolare ambasceria inviata a
Firenze, la quale non può confondersi con quella, che nel maggio 1366 andò al Papa
in Francia per invitarlo ad entrare nella lega tra Carlo IV, Francesco da Carrara e
Lodovico e Francesco Gonzaga. Ben altri furono gl’ intendimenti di questa alleanza,
che fu conelusa poi nel 7 agosto 1367.

(1) Lacuna del ms.

(2) Leggi: San Quirico.

(3) Si accenna all'assedio di Genova che si era ribellata ai Visconti.

(4) Leggendo il Pellini è facile comprendere che egli trasse gran parte della
narrazione di questi avvenimenti dal nostro cronista, di cui adotta bene spesso le
espressioni, Però nella Cronaca sono accennate circostanze, di cui lo storico peru-
gino non tenne conto, come, ad es. quella della occupazione di due castelli senesi
per opera della compagnia bianca, come si legge nel diario del 17 aprile.

e DEU
Inc
O. SCALVANTI

Adì 20 ditto vene in Perogia Mainardo dala Carda quale era
nemico del Comuno nostro, é fo asigurato e li fo perdonato.

Et adì 21 dele ditto mangò con li nostre priore, e se fe que-
sto perchè ditto Mainardo era molto stimato e grande nele con-
pagnie bianche deli Inglese.

Adi ultimo de aprile revenero li nostri ambasciatore dala lega
de Toscana e non fecero niente.

Et adi 10 de maggio meser Alburetto todesco ebbe in pre-

. stanzza dal nostro Comuno fiorini .... (1).

Et adì 6 de maggio vene la conpagnia bianca fra Castello e
il Borgo de S. Sepolchro, e adì 10 del ditto venero ala Fratta
300 todesche e presero li borghi per forzza, perchè drento non
cie era gente forostiera. Et adì 11 de maggio se partiro dali ditti
borghe.

Adì 15 de maggio la ditta compagnia bianca cavaleò per fino
a Monte Cologniela e a Castel Rigone, e per tutto quel paese se
disse che erano 40000 persone, e non fecero male a persona.

"Adi ditto vene la nova in Perogia che era stato sconfitto el
Re de Spagna.

Et adì 16 de maggio se fece un conseglio di 500 persone nel
palazzo deli Priore, nel quale fo proposto come la compagnia
bianca domandava al nostro Comuno quelli inglese che tenevono
pregione, altrimenti che essi arderiano è predaveno tutto el con-
tado de Perogia. Nel quale eonseglio fo determinato che se re-
mettesse neli priore, e che quanto essi facessero quel tanto fosse
rato e fermo, onde che se concluse de rendere ditti pregioni ala
ditta conpagnia con patto che ditti pregione se obligassero de
non ofendere el nostro Comuno nè lo suo territorio nè le terre dela
Chiesa per cinque agnie, e de questo volevono essere cautati (2)
atento che li inglese altre volte erano maneate dela fede loro, e
così fo mandata la resposta ala ditta conpagnia bianca. In efetto
remasero per ostaggi cinque caporale, e li altri foro tutti lassati.

Del mese de giugno piove quasi ognie giorno, e fa gran fresco.

(1) Lacuna del ms.
(2) Cautati per assicurati.
FRAMMENTI DI CRONACA PERUGINA INEDITA, ECC.

Secolo XV.

1422. — Del mese de genaio valse el grano soldi 35 a 30
la mina.

In quelli dì de febraio fo fornito de aconciare.el palazzo del

| Podestà e il vescovato.
Item nele detto tempo fur fatti molti furti nela città.
Item in quello di l'aqua del nostro Laco de Perogia comenzzò
| ad avere l'useita per la cava fatta per sciemare l'aqua del laeo (1).
| In questi dì li frati di S. Maria Novella del condutto pigliaro
| lo abito nero, e si chiamaro frati de la oservanza de S. Agustino
t del mese de febraio.
| De marzzo el Papa et el signior de Piombino fecero lega eol
i duca de Milano, e per questa cagione el Comuno de Fiorenzza
lassaro el Visconte, el quale era pregione neli Stinchi de Fio-
renzza, cioiè era zeo del Signior de Pionbino. Se disse che lo
lassaro per dispetto del detto Signiore perochè se erano pochi be-
A nevoli.

Adi 17 de Aprile mori meser Nicolo de Pestoia tesauriere, et
adi 19 ditto fo fatte le esequie, e portarlo li dottori nostri per sino

a capo del rembocho, e poi lo portaro li seolari. Cie fu 18 para
de torehie grosse eon asta. Volse così el Iuocotenente- (2).
Adi 20 de Aprile for publicati li priore fatti a saputa perochè

non eie erano più nel sacco, e feceli el Signior Braccio Forte-
braecio. Li lor nomi far questi:

Chrieseienbene de Michelocei.
Sinibaldo de Pietro da Ramazzano.
Guiccione conte de Petroia.
Galeazzo de m. Bobio.

Mateo de Pavolueeio de fonte nova.
Jacopo de Mateuccio orfo.

| Nicolo de Ciucciarino.

i El badiale barbiere.

(1) Il cavo del Trasimeno é dovuto a m. Sano di Matteo da Siena, che lo riparò
nel 1422 (FUMI, Reg. della, Tesoreria di Perugia, pag. 18).

(1) Il Pellini aggiunge che il luogotenente volle ancora che alle esequie di Nic-
colo dei Forteguerri intervenissero tutti i collegi delle arti. Questo Niccolò pistoiese
era tesoriere di Braccio, ma mentre il Pellini scrive che morì negli ultimi del 1422,
il cronista pone la sua morte al mese di aprile.
TUE

TATA IVA

-—

094. O. SCALVANTI

Mateo de Giovagnie Picolino.

Mateo deli Reali.

Nel detto mese de aprile per cagione deli priore fatte a. sa-
puta e per conto de lo arfare del sacco in contrada se fece come
è usanzza de sette e conventichole per essere ad arfarlo, e così
stettero in gara insieme.

Anco per questa cagione se fece un gran conseglio con il luo-
cotenente, e fo determinato che se mandasse al Signior Braccio
nel Reame a ciò che esso desse licenzza che se refacesse el sacco,
e anco fo determinato nel ditto conseglio che persona alehuna non
ardisse portar arme, e fo bandito e fo mandato al Signior Braccio.

Adì 3 de maggio di domenica li garzonetti tutti quelli dì fe-
cero le bataglie insieme con li sassi, onde che ragionandose de
ciò in piazza vene in contesa meser Francesco Coppoli e Fran-
cesco de Golino de meser Erancesco (1), de modo che comenzaro
a darse, e fo sì gran zuffa che per tutta Perogia se levò el ru-
more, e comenzò a venire assai gente insieme armata gridante —
muoiano li Raspanti — e se intermisero alehuni de molti buoni
cettadini, e così per la gratia de dio non fo altro, e fo fatta pace
tra li duo franceschi li dal palazzo del locotenente (2).

A questi di passati el Signior Pandolfo de Malatesta fo fatto
capitano generale dela Chiesa e andó verso el Reame.

Nel detto mese de maggio un fraticello che abitava li a lato
ala porta de S. Gostanzzo mon se ne seppe mai piü niente de
lui (sc).

Nel ditto mese retornò el mandato che andò al Signior Brae-
cio Fortebraecio per conto del refare el sacco, e per questo fo
ordinato un gran conseglio, nel quale for lette le lettere e quello
che il Signior Braccio aveva inposto a bocca al mandato, e la
eonehlusione fo che circa lo arfare del sacco mandò a dire e
schrisse, che si soprasedessi fino ala sua tornata perochè presto
esso sarebbe in Perogia.

Nel ditto mese certi garsoni de Porta San Pietro ebbero in-
ditio come un eremita, el quale abitava a Sartiano, avia 500 fio-
rini. Subito questi gentili garsoni cie andaro, e si lo preseno e

(1) Della famiglia Della Penna.

(2) Intendi, ehe la pace fu fatta con l'intervento del Magistrato e avanti. al
luogotenente (PELLIN!, Hést., P. II, Lib. II, pag. 262).
FRAMMENTI DI CRONACA PERUGINA INEDITA, ECC. 595

poi lo amusellaro e mozzarli la lengua perché esso non li conse-
gniò se non 9 grossi, e questo lo fecero a ciò che esso non po-
desse redire cosa alehuna ala corte. In ultimo fecero altre re-
solutione e si lo amazzaro, e poi li robbaro la cella dove eie
tolsero uno callice e altre cose de chiesa, e poi se retornaro a
Perugia, onde ehe sapendose per quelli de Siena ne schrisseno al
Iuocotenente quale facea ragione in Perogia, e non ne fece niente (1).

Ali 20 dele dieto [mese] fo rotta la bottega a Giovagnie de

Petrieeiolo dai pegnie eli fo tolte eircha per 200 fiorini, e perehe
se fece el di non ebbero tempo li malefattori a rompere li eassetti
deli denari, e non se seppe chi fosse stato el robbatore.
13 Alì 2 de giugnio de martedì de notte fo posto un fascio de
lenia a piè de l’uscio de Luca calzolaio de Porta Susanna, e poi
eje se mise foco de modo che detto useio tutto dì arse e non se
seppe chi se fosse stato, nè alehuni deli vicini non ebbero rin-
chrescimento.

Nel ditto mese Ranaldo de Rusteeho Montemelino entrò in
casa de bartolomeo de Ser Lello de di per sforzare la moglie, a
la fine se ne usci fuore e non ne fo niente.

È Adi 13 ditto de sabeto se fece bando a 4 tronbe e fo messo
in bando el Roseio de Ser Martino e li compagnie per più ribal-
darie quali essi avevono fatte, e chi li pigliassi guadagneria 100
fiorini e podessi rebandire duo sbandite, e che nissuna persona li
possa dare recetto, né mangare, nè cosa alehuna sotto pena dela
vita; e questo fo fatto perchè amusellaro un nostro contadino; e.

questo Roseio e li eompagnie for quelli ehe asesinaro e amazaro
lo eremita in quello de Sartiano.

Nelo ditto mese comenzzò la peste.

Nelo ditto mese venero lettere in Perogia dal signior Braccio

de Montone come esso avia fatto lo acordo con el Signiore Sforza
LU. e fatto parentado insieme e che dovevono venire in su (2).
Adì 15 del ditto retornò el mandato quale andò al Signiore

(1) Nessun cenno di questo grave fatto commesso, come serive il cronista, da
gentili garsoni di Perugia, é nel Pellini e nelle altre cronache.

(2) Si allude qui al; convegno tra Sforza Attendolo e Braccio tenuto, coll'assenso
del pontefice Martino V, in Presenziano, castello dell’ agro casinate. Furono grandi
Sg le proteste dell'uno e dell'altro. capitano per rinnovare l' antica amicizia. Però scopo
P principale di quel convegno fu di guadagnare alla regina Giovanna il favore di
Sforza, temuto difensore degli angioini.
596 O. SCALVANTI

Braccio per lo interesse de li uffizi, e disse da parte del Signiore
che se facessero priore quelli che esso mandasse in schritto, € li
conservatori e altri uffiziali che bisogniava li refacessero li ca-
morlenghe. Per questo ogni arte fece la sua adunanzza.

Adi 20 de giugnio che fo de sabato foro publicati li Priore e
Camorlenghe tutti a saputa. Li nomi de essi son questi:

Antonio de Andrea de Lippo.

Buoneagnie de Giovagnie.

Antonio ealzolaio.

El Cornaeehia.

El Borioso.

Ser Tadeo de Agnolello notaio.

Felippo de Carlo de li Oddi.

Pietro Pavolo de Mansueto.

Orso de Guido.

El Riccio de Montesperello.

Agnielo dela nonna.

Adi 5 de luglio el Signor Braccio aloggioó nel piano de Agello
eon 2000 cavalli e fece predare de molto bestiame e grano e fe-
cero deli molti danni (1).

Alì 6 de luglio se partì e andò a aloggare infra quello de
Agobbio e de Montone e quello de Castello non facendo maj pre-
gione alehuno.

Adi 7 ditto se parti e aloggò apresso ala porta de Castello, e
‘domandò ali castellani la tenuta dela città, però che li era stata
concessa dal Papa per la paga sua, e non volse maj che se pi-
gliasse alehun pregione, e tutti li contadini andavono seguri per
il contado, e a lor piacere meteveno le lor biade portandole ali ea-
stelli (2).

(1) Di questa scorreria di Braccio in quel di Agello non é cenno negli storici.
Certo egli vi passo per il suo tentativo contro Città di Castello, come narra il cro-
nista. Pertanto, secondo la cronaca, il 5 di luglio Braccio si trovava ad Agello, ed
il 7 fra Gubbio e Montone, indi a Castello. Il Fabretti invece pone, sull'attestazione
di altri storici, questa discesa di Braccio dagli Abruzzi nella Marca e quindi nel-
l Umbria all aprile del 1422.

(2) Erano cosi rari questi esempi di moderazione nei condottieri di quel tempo,
che quello narrato dal cronista non avrebbe dovuto sfuggire ai biografi del gran
iapitano. Ma fu vera generosità o astuzia politica per tener quieto il contado,
mentre egli intendeva alla conquista della città?
PRAMMENTI DI CRONACA PERUGINA INEDITA, ECC. 591

Adi 8 del ditto che fo de mercordì li Castellani arsero tutti li
borghi fuore dele porte e li monasteri spedali e ease ch'erano vi-

cine ale porte e poi armaro le porte e (1)...

EI giovedì li Castellani fecero conseglio e conchlusero de voler
|j dare ognie anno al Signior Braccio 4000 fior. de censo, e ch'esso
| Signior Braccio metessi li uffitiali in Castello. La resposta de Brae-
cio fo. che esso vole fare e disfare quanto a esso li piacesse e che
se reservasse nel petto suo.

Adi ditto che fo adi 6 el Signior Braccio mandò a Perogia
che li se mandassero 400 fanti e cie andaro el venerdì.

-oTATTEEE

Adi 12. de luglio in domeneca venero in Perogia li palij e
foro 10. El primo el mandò Asesi, Jege, Castel del Piano, Gualdo

LAS

IC

de Nocera, S. Giemene, Montealboddo, la Rocha de Cese, Spello,
Cannara e la Rocca contrada; e fo fatto al modo usato con pro-

asi e SE

cessione, dir messe in piazza, e dar le facole ali Priore e Camor-
lenghe, e fo fatta per la ditta festa una compagnia e chiamase la

Sac eli

M

compagnia de S. Felice.
Nel ditto mese el Signior Braeeio mandó ale communanzze e

tO 4019.

segnorie del suo territorio per bonbarde e traboechi, e così li foro

CTOUEENCRUTAL ret

mandati e sempre se usano per lo contado cioiè li contadini.

Dipoi el Signior Braccio mandò per la tenuta de tutti li ca-
stelli e fortezze del territorio de Castello, e tutti li ebbe ecetto 3
0 4.

Adi 20 de agosto for publieati li Priore de Perogia:

Giovan de Petruccio dai Vegli.

i | Pulidoro de Pellino.

Ghiotto de Nicolo.

Francesco de Ciucciolo.

Antonio de Mateo de Francesco.

È Vangelista de Mateo de meser Francesco.
|: Mario de meser Francesco.

Agustino de Luca.

Massolo de... (2).

Giapeeo de Renzzo.

P TENE

CE

ui

E (1) Lac. del ms. Anche questo episodio della disperata resistenza dei Castel- HO
E lani non é narrato dal Fabretti, né da altri storici.
(2) Lac. del ms.
sedare — — ecini is Rca = Ly CEN d y Were ni

.598 O. SCALVANTI

Del ditto mese se reseno li Castelani a patto al Signior Brae-
cio, e così entrò drento per tanto che fo fatto una bellissima festa
e grande alegrezza in perochè prese el dominio.

Adì 3 de setembre passaro per Perogia una moltitudine fr:
omeni e donne e rede turchi delo Egitto quali li avea conquistate
lo imperatore e mandaveli al Papa a battezzarli (1).

Adì 5 de setembre in domeneca fo fatta in Perogia alegrezza
per auta dela città de Castello e for sonate tutte le canpane.

Adì 6 e 8 ditto el signior Braccio mandò la sua gente ale
stanzze, cioiè li cavalli e fanti, e lassò a Castello per suo locote-

nente meser Francesco del Salinbene da Siena.

Adì 10 del ditto el Signior Braccio tornò a Perugia per Porta
S. Agnielo, e menò con secho alchuni castelani, ma prima remise
li usciti dela città e contado de Castello, e ala sua tornata li an-
daro incontro li Priore dottori e altri cettadini per Perogia tutti
con le palme in mano gridando — viva el Signior Braccio — e
smontò lì dal suo palazzo (2).

Adi 15 dele ditto partì da Perogia Nicolo piccinino con pa-
recchie cavalli. Se disse che se era condutto con la regina de
Napoli.

Del mese de otobre se partì da Perogia la moglie del signior
Braccio per fuggire la peste, e andò a stare ala Fratteciola in
quello de Tode.

Adi 5 de otobre el Signior Braccio andò a Spello.

Adì 8 ditto se bandì lo studio a Castello dela Pieve per parte
del luocotenente per la moria, e non eie andò persona (3).

Adì ditto el luocotenente mandò per li buoni omeni per arfare
el sacco, li quali for questi, cioiè :

Piero de Pavolo de Piero.

Agniolo de meser Francesco.

(1) Queste orde di zingari narravano; infatti, che loro patria era l'Egitto, e che
il re d'Ungheria, dopo avere occupato la loro terra, aveva voluto che andassero
nello spazio di sette anni pellegrinando per il mondo. Secondo il cronista, questi
ladroni narravano ancora di dover recarsi a Roma per ricevere dal papa il batte-
simo, e l'ingenuo cronista, a quanto pare, vi prestò fede.

(2) Della venuta di Braccio e delle aeclamazioni, con cui lo ricevettero i peru-
gini, non dà notizia né lo storico Pellini, né il Fabretti.

(3) Circostanza ignorata dagli storici perugini.

B aei FRAMMENTI DI CRONACA PERUGINA INEDITA, ECC.

Nicholo de Mateo de Giovanello.
Cola de Restoro.
El Roscio de mettealponte.
Tancio de Ser Felippo.
Bevegniate tentore.
i Sinibaldo de Pietro da Ramazzano.
Giliotto de Sobalzo.
Meo del Saracino.
Guasparre de Nicholo.
Giovagnie de Periglio.
El Pezzecato.
Agostino de Andrucciolo.
Batista ditto bacioia.
Giapecho de Sciro.
Franeeseo de Ventura ladro (1).
Contueeio de Pietro.
Giovagnie de Raggio sartore (2).
Adi 21 de otobre martedi a notte for li teremoti.
Ali 24 ditto de sabeto foro publicati li signiori Priore de Pe-
rogia fatti a saputa, perochè non era fornito de fare el sacco:
Bartolomeo de ludovieo da fiume.
Agnielo detto Barzetto.
Andrea de Pellino.
Antonio del Medecho.
Felippo de Pietro da Catrano.
| baracino de Rustecho.
i Pavolo de busone de Ramazzano.
Antonio de Agnielo sartore.
; Fiorenzzo lanaio.
Tomasso de Semone bargagniato.
Adi 27 del ditto l’insacculatore useiro fori ehe avevono refatto

-

el sacco per 5 agni, cioiè comenzando adi primo de genaio 1423,

:
È e andaro a reponere li ditti Uffiti fatti nelo Armario, e poi anda-
rono a giurare ali priore come è usanzza, e usciti che forono
3 EO fai re

i (1) Infatti lo stesso cronista sotto la data del 27 ottobre narra, che Francesco
È di Ventura, uscito cogli altri insaccolatori dall'adunanza, fu arrestato per ladro.

(2) In margine si legge la parola « Insacolatore ».

39
600 O. SCALVANTI

fuore del palazzo dei priore fo preso Francesco de ventura per
ladro, lo quale Francesco è uno de quelli che fo eletto per bono
omo, e preso e menato per la strada deritta del palazzo del po-
destà, e subito for serrate le porte del palazzo, e alora fo presa la
madre del ditto e una venditrice chiamata la Marinella dela cupa,
benchè quella medesima sera fu relassata la ditta donna, perochè
non era in colpa, e il ditto Francesco senza martorio confessò nele
examino, come esso avia rotta la bottega de Giovagnie dali pegnie
acanto l’audienzza de maestre da legniame in sopramuro che già
avemo detto che fo rotta adì 20 de maggio, e confessò molti altri
furti. Per questo li Oddi e tutti li suoi parenti e amici cercarono
de defenderlo, e fecero venire lettere in favore dal Duca de Ca-
merino e fecerli chiedere in gratia da quelli de folignio, e a l'ul-
timo fo impiccato li inanzzi ala bottega del dieto Giovagnie dove
lui avia robbato.

Adi 14 de novembre la madre del ditto Francesco de Ventura
fo eondenata dal Comuno nostro in 300 fiorini e se no ehe essa
promise de restituire e concordare ditto Giovagnie sarebbe stata
apesa.

Nel ditto mese se eomenzzó a matonare in piede de la piazza
à spina ehe prima non era matonata (1).

Lunedì che fo ali 25 de decenbre foro publieati li priore del
sacco nuovo, li quali son questi:

Nicolo de Vlisse (2) e Nieholo detto Cornello per Porta Bor-
gnie.

Benedetto de Pietro de Senso e Nello de Pandolfo per Porta
S. Pietro.

Tomasso de Gostanzzo e Pavolo de Casciatello per Porta Soli.

Antonio de Tofolo e Pasehueeio de Baeeo per Porta S. Agnielo.

Sandruccio de Francesco e Giagne de Tancio per Porta Su-
sanne.

Adì 23 decenbre in mercordì andò per Podestà de Castello
Nello de Pandolfo deli Baglione, quale fo el primo Podestà che cie
metesse el signior Braccio Fortebracci.

(1) Di quésta-novità edilizia ci parlano altri storici e cronisti, ma il Nostro ci
ragguaglia ancora della forma, che si diede al mattonato, molto usata a quel tempo.
(2) Della famiglia dei Graziani.
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FRAMMENTI DI CRONACA PERUGINA INEDITA, ECC. 601

Tutto l’anno 1422 valse el grano el più soldi 40 la mina, el
minimo poi soldi 20.

1423. — Adì de gennaio in sabeto a sera ale 22 ore el si-
gnior Braccio parti da Tode per avere Canale che è in quel de
Tode, e ebbilo per la discordia deli Chiaravallesi, e poi lo dette
per dote ala nepote moglie de Francesco de Nicholo Piccinino da.
Calisciano (1).

Adi 10 de febraio in mercordì ritornò in Perogia el signor
Braccio per stare con la sua moglie, e tutta la fameglia partirono
da Tode, e ala partenzza che fece el Signior Braccio da "Tode
lassò e conmise che in Tode se facesse fare el cassero, e per que-
sto fo scharcato parecchie braccia de muro dela città da Jato Verso

.Il cassero, e così fo fatto, e per la ditta cagione se puse in Tode
una buona inposta a li cettadini.

Alì 14 de febraio in domeneca el Signior Braccio fo fatto Pren-
cipe de Capua. Lo fecero fare la regina Giovanna regina del Rea-
me de Napoli e lo Re de Ragona, e vene con la commissione el
Signior Corrado Signior de Folignio per parte de detto Re e Re-
gina, e così fo coronato el Signior Braccio de un cierchietto de
oro. E questo fo fatto nela prima sala del palazzo, dove fo fatta
una bellissima festa dove eie vene el Signior da Camerino, el
Signior de Fabriano, e quando vene el Signior Corrado con detta
comissione menò 40 famegli tutti vestiti de una divisa, e menò
molti cettadini de Folignio, e smontò ale case dela citadella nele
stantie del Conte Oddo figliuolo del Signior Braccio, e ala detta
festa eie for lette tutti li capituli fatte e le lettere mandate per
parte dela ditta regina e del ditto re de Aragona, e quello di la
moglie del Signior Braccio fece uno bello convito de donne, e simile
fece el Signiore, e poi fece ordinare una giostra dali famiglie de
casa, dove giostraro 40 fameglie a ferro polito.

In quelli dì morì el Signior de Cingoli de morte naturale, e
li signiori de Cingoli volevono per signiore el Signiore de Came-
rino, e così mandaro per lui e li diero la tenuta dela ter ‘a; e da
l'altra parte la moglie del Signior de Cingoli morto acorgendosi

(1) Il Pellini scrive, che il castello di Canale fu dato da Braccio in dote a Ni-
colò Piccinino, che aveva sposato una nipote di lui. Secondo il eronista invece tale
connubio sarebbe avvenuto tra la nipote di Braccio e Francesco di Nicolò Piccinino.
602 O. SCALVANTI

del fatto mandò per Giapeco de meser Francesco a Siege (1), e così
detto Giapeco cie andò e entrò per la citadella onde che cia-
schuno dela parte mise in ordine le sue gente e azzufarse insieme
in Cingoli, e ne l’ultimo ditto Giapecho fo vitorioso per gridare
— viva Braccio — e ditto Giapecho resse quanto piaque al si-
gnior Braccio. Tra questi tempi el signior Braccio cerehò de far
parentado con la donna e figliuoli del Signor vechio de Cingoli,
cioiè volea dare la ditta donna moglie del Signior vechio de Cin-
goli (2) per moglie de Anselmo de Raniere de meser Triviere de
Perogia, e le figliuole darle per moglie ali fratelli del predetto An-
selmo. E così fo concluso e fatto el detto parentado, onde che in-
tendendo questo Giapecho de meser Francesco sdegniò fortemente,
e dicea che esso volea la Signoria de Cingoli per luj, perchè la.
avea aquistata con la spada in mano. Ma ala fine volse el signior
Braccio che ne fossero signiori li figlioli de Raniero de meser
Triviere.

Adi 19 de febraio venerdì notte foro guasti tutti li petroni
dela piazza e portati in capo dela piazza.

Adì 21 ditto in domenica a notte for levate via le colonde
dela piazza e portate e poste lì dal pozzo de piazza (3).

Adì 23 ditto vene in Perogia al Signior Braccio, con li am-
basciatore del Comuno de Fiorenzza.

Adì 24.ditto tornò del Reame Mateo de meser Pietro quale
era andato per comessione del Signior Braccio ala Regina Gio-
vanna e eon lo detto Mateo eie venero 2 ambasciatori, uno arci-
vescovo per la regina e uno cavaliere catalano per lo Re de Ara-
gona.

(1) Iacopo di Francesco degli Arcipreti.

(2) Di nome Ringarda. Il Pellini narra di questo matrimonio tra la vedova del
signor di Cingoli e Anselmo di Ranieri dei Montemetini, e dell'altro connubio fra
la figlia di lei e il fratello di Anselmo. Il cronista però parla di più matrimoni con-
clusi tra le figlie di Ringarda e i Montemelini. Infatti quando sotto la data del 28
febbraio ci narra dell'andata dei Montemelini a Cingoli per prendervi la Signoria e
contrarre le nozze volute da Braccio, il cronista ci dice che messer Anselmo era
accompagnato da due fratelli.

(3) Questi trasporti di pietre e colonne erano in parte preordinati alla costru-
zione delle logge dette di Braccio, perché da lui volute per decoro della città.e pel
comodo dei commercianti. Ma queste colonne furono trasportate al pozzo della
piazza per applicarvi la carrucola.
FRAMMENTI DI CRONACA PERUGINA INEDITA, ECC. 603

Et adì primo de marzzo el ditto arcivescovo se partì e tornò
nel Reame, e il catalano cavalcò a Fiorenzza, e con luj cie andò
come omo dela regina Mateo de meser Pietro da Perogia. Se dicea
che la regina gli dava per provisione fiorini 150 el mese, e andò
ala comunità de Fiorenzza per ambasciatore dela ditta regina.

Adì 28 de febraio in domenica Anselmo de Raniere de meser
Tiviere con 2 suoi fratelli eavalearo per menar moglie e pren-
dere el possesso dela Signoria de Cingoli, e menaro con essi 50
cavalli bene in ordine e moltissimi famegli vestiti tutti ala divisa
de nuovo, e sposaro le donne e ebbero la Signoria.

A questi dì passati vene a Perogia el Signiore Fortebraccio
da Montone e li ambasciatore del fiorentini.

Del ditto mese de febraio el signior Braccio cie levava via el
bolletino che non cie fossero più guardie ale porte e non se apre-
sentassero più le lettere.

Adi 8 de marzzo el lunedì se comenzzò a cavare per fare li
fondamenti per la loggia in capo dela piazza.

Adi 15 de marzzo el lunedi fo levato via el petrone dela chio-
chena (1) in piede dela piazza e messa l'aequa de piaza per una
fenestra ferrata li apresso alla bancha dell'orfo.

Del detto mese el signor Braccio arvestì tutti li suoi fameglie
ala divisa de nuovo.

Nel ditto mese vene a Perogia el figliolo del Conte da Carrara,
e ebbe la condotta dal signior Braccio con parecchie lancie, e foro
soldati in Perogia.

Nel ditto mese de marzzo el signior Braccio soldò tutte le
sue gente de arme.

Adi 7 de aprile se comenzzò a guastare le scale de S. Lo-
renzo per asetto dela loggia.

Nel ditto mese tutte le Comunanze e Signiorie de intorno apre-
sentaro al signor Braccio chi denari e chi altre cose per paura.
E tutti li soldati suoi a cavallo e a piedi se misero in ordine de
quello che li bisogniava, e ebbero fiorini 50 per lancia e fiorini 8
per paga.

Adì 24 de Aprile in sabeto foro drizzate le colonde al pozzo
de piazza per ponere le chiovele (2), e di continuo se atendea a ca-

(1) Ciochena e anche Chionaca per chiavica o fogna.
(2) Chiovele ossia carrucole per attingere acqua.
604 ‘ O. SCALVANTI

regiar pietre e farle conciare dali nostre maestre e senese e fio-
rentine e asciesciani e orvetani per aconcime del loco, e era una
grande multitudine de maestre (1).

Adì 27 de aprile in martedì a mattina el signior Braccio uscì
fuor de Perogia con tutte le sue gente con lo stendardo e tron-
bette bianche, cioiè el campo bianco con il leopardo d'oro, e fer-
mosse in Tode per fino che il suo locotenente tornò da Roma e
tornato ehe fo cie lo remandò, che de fermo venisse o con pace o
con guerra fra luj e il papa (2).

Nel ditto mese se scoperse un trattato nel cassero a Spolete,
lo quale se facea in servitio del signior Braccio dove che molti
ne foro presi e morti.

Adì primo de maggio el Signior Braccio partì da Tode, e se
andò al ponte Cardaro fra S. Giemene e Nargnie, e lì aspettò per
fino che el suo locotenente (3) tornò da Roma, e secondo che se
disse el Papa et il Signior Braccio foro d’aecordo, onde che Brac-
cio partì, e andò verso l'Aquila là dove piglio de molte castella, e
poi pose eanpo a l'Aquila.

In quelli di se disse come el Duca de Milano avea auto Forlì
e Faenzza, e che avea rotto coli fiorentini.

E aneo se disse che li fiorentini per eagione de guerra nova
avevono fatto li X dela balia overo delo arbitrio, e presero una
gran prestanzza di parechie migliaia de scudi ala loro città.

Et in quelli dì se disse come in Napoli era stata novità con-
tro el Re de Aragona, e come la Regina fece uccidere e robare
tutti li Catalani, e lo Re de Aragona era rencoverato nel castello
de l'ovo, e con ditta regina eie fo Sforzza con la sua conpagnia.

Adi 26 de giugnio venero lettere de Napoli da Mateo de me-

(1) Era già noto che all’otto di marzo del 1423 si incominciarono a cavare i
fondamenti del portico, e nel 7 aprile si diede mano alla demolizione dell’antica
scala di S. Lorenzo, che impediva l'erezione delle logge; ma il cronista ci avverte
ancora che il lavoro doveva procedere colla massima speditezza, e perciò furono
chiamati maestri di pietra da molte città dell’ Umbria e della stessa Toscana.

(2) Non hanno ignorato gli storici questo dissapore sorto tra Braccio e Mar-
tino V, ma il cronista riesce più esatto nel raccontarci le due ambascerie inviate
dal Fortebraccio al Papa.

(3) Fu luogotenente di Braccio e ambasciatore per lui a Martino V Bindaccio
dei Ricasoli. 1
FRAMMENTI DI CRONACA PERUGINA INEDITA, ECC. 605

ser Pietro da Perogia, come al Re de Aragona era gionto soccorso
per mare de galee e nave, de modo che forzatamente repigliaro
Napoli, e entrati che foro ucisero e robbaro tutti quelli che
erano drento e arsero parte de Napoli, e la Regina recoverò in... (1),
e Sforzza canpò per il buono cavallo che esso avia, e fo rotta e
robbata tutta la sua gente sì che Napoli si può dire essere tutto
disfatto perchè ciettadino napoletano non cie era remasto.

In quelli dì se disse che in Tode era fatto bando che tutti li
usciti de Tode podessero retornare à casa loro per licenzza del
signior Braccio.

A questi dì vene la nova quì come el Signior Braccio stava
a canpo a l'Aquila.

Adi 30 de giugnio in mereordi se comenzzò a murare le pi-
lastre dela loggia lì in capo dela piazza, e continuo ce stavono a
lavorare moltissimi maestri nostre.

Adì 12 de luglio venero 11 palij in Perogia sì come era
usanzza e quello de Cingoli fo il più riecho e il più bello de tutti,
e fecesi la festa al modo usato, ma non cie vene quelli de Tode,
perochè se disse che pagavono parechie fiorini, e quelli de Ca-
stello non eie vene: la cagione non so.

Adi 31 de luglio in sabeto fo posta e aconciata la chiovela
al pozzo de piazza.

Adì 15 de agosto in domenecha se disse come li gentilomene
de Spolete erano rentrate, e eaeciaro fora l'altra parte, e alcuni
eie foro feriti e morti.

Adi 25 de agosto andò per podestà de Castello Mariotto de
Nieholo de Galiotto Baglione.

De novembre Giovanne Orso da Montesperello andò per po-
destà a Ascoli e baglione de fortera tornò a Perogia, che avia
fornito il tempo dela sua podestaria.

Adi 11 e 12 de decembre el signior locotenente fece. coman-
dare in Perogia fanti cettadini, e mandolli ale guardie de Piom-
bino per un mese per temenzza de alehuni legni che mandaro li
genovesi e li reamisti in aiuto del Re Alouige. El primo conesta-
vole perugino cioiè di tutti li perugini, castelani e asciesciani fo
(1) Lae. del ms. La regina Giovanna, durante il conflitto tra lo Sforza e l’ Ara-
gonese, stette rinchiusa in Rocca Capuana, d'onde lo Sforza la trasse per condurla
a Nola e quindi ad Anversa. 606 O. SCALVANTI

Fioramonte de biordo deli Oddi e l’altro Bartolomeo di m. Marcho
e Averardo de baldino, Alexandro de buonuora, Benedetto il bec-
chutello, Vieho de Cansadonio e il bigio, Gionbolo de Pallotta,
lioneino de Andrea de Nutolo.

1424. — Adi 7 de genaio in venerdi vene lettere dal signior
Braccio a Perogia come che Sforzza da Cotignola capitano dele
gente de arme se era anegato in un passo de Pescara con molti
cavalli, et era stato adi 3 de genaio, e se ne fece alegrezza in
Perogia con fuochi e faloni perochè Sforzza era nemico del si-
gnior Braccio.

Adì 10 de febraio in giovedì se disse come el duca de Milano
avea preso Imola, e pigliò pregione el signiore de detta terra e li
figlioli, e ebbe 600 cavalli che cie erano drento et ebbela per trat-
tato. Se disse che ditto trattato el fece el capetano del cassero de
Imola. E più se disse che il detto duca de Milano avea auto
Faenzza.

In quelli di fo fatto vescovo de Castello M. Sinibaldo de me-
ser Bobio perugino (1).

Adì 21 de febraio el lunedì retornò in Perogia el Conte Oddo
de Braccio che era stato ad Asese per stanzza.

Adì 23 ditto Guido de Carlo deli Oddi andò per Podestà a
Castello e arvene Mariotto de Baglione.

Nel ditto mese passaro per Perogia la scorta che mandava el
conte Guido da Urbino per la donna sua a Roma, perochè avia
tolta per moglie una nepote del Papa, e foro circa 50 cavalli
molto onorevoli.

E anco nele ditto mese se disse che li fiorentini facevono gente
de arme a cavallo e a piede.

Et in quelli dì per la festa di S. Arcolano se fece una bella
festa.

(1) Della famiglia Baldeschi.
FRAMMENTI DI CRONACA PERUGINA INEDITA, ECC. 607

1444. — Adì 19 de decenbre vene per governatore in Perogia
monsignor de Capranica chiamato per nome meser Domeneco (1),
el quale prima era legato dela Marca, al quale li fo fatto grande
onore, e più si era preparato di farne; ma per el tempo cativo
non fo fatto e stette sempre triunfalmente, e fo messo a partito e
vento per lo comuno nostro e donato al governatore vechio fio-
rini 100, e bisogniò che se ponesse la prestanzza per pagare li
ditti 100 fiorini.

. . . . . . . . . B . . . . . B .

1445. — Adì 17 de aprile fo bandito per parte delo Auditore
de Monsigniore se alchuna persona avesse o tenesse robba alchuna
de quale fosse sorte che apartenesse a meser Bartolomeo e ali
fratelli figli de Nicolo de Giovagnie de Borgaruccio le debbino
asegniare alo ditto meser banditore sotto pena dela forcha.

A questi dì gì per Podestà de Monte Falcho Lodovico de Pie-
tro dei Baglione.

A questi dì de aprile vene nova come el Conte Carlo de Brac-
cio da Montone se era condutto con il signior Gismondo Signior
de Rimine, perochè ditto Signior Gismondo era fatto condottiere
dela Chiesa, et era molto inimieo del Conte Francesco e del Conte
da Vrbino. Et che ditto conte Federigo da Vrbino se era con-
dutto col Conte Francesco (2).

A quisti dì el nostro Comuno de Perogia mandò a presentare
el Patriarca (3), e mandollo a presentare una bella nave de argento,
che il Comuno la fece fare aposta da Jacobbe e da Jsachi orfi

(1) Il cardinale Domenico Capranica vescovo di Fermo si portò a Perugia, come
narra il cronista, nel dicembre del 1444, ma è d'uopo notare, che egli venne non
pel solo governo di questa città, ma altresì del ducato di Spoleto e di altre terre.

(2) Si accenna qui un po' confusamente dal cronista all' andata di Federigo da
Montefeltro, duca di Urbino, a Fermo per unirsi a Francesco Sforza. Di ciò Sigismondo
Malatesta ebbe a dolersi e a concepir sospetto non fosse quella unione contraria ai
disegni suoi. Il cronista scrive giustamente che Sigismondo era molto inimico dello
Sforza e di Federigo da Montefeltro, e perciò il Malatesta cercò condurre ai suoi
servigi Carlo di Braccio da Montone.

(3) Il cardinale d' Aquileia, Lodovico Scarampi Mezzarota, creato da Eugenio IV
nel Concistoro del 22 giugno 1440, e divenuto celebre per aver ricuperato alla Chiesa
i territori della Marca contro le armi di Nicolò Piccinino e Francesco Sforza.
608 O. SCALVANTI

per donarla al ditto patriarea: cie mandò meser Agamenone deli
Arceprete con il ditto presente (1).

Adì 14 de maggio la madre de meser Agamenone mise fuoco
in casa per disgratia, dove se arse lej e una sua serva con tutta
la roba che eie era dentro; le quali case de meser Agamenone
sono in capo dela piaza a man diritta quando se va oltra per la
strada de Porte Soli, e durò el fuoco tre dì, le quali case erano
de Andrea de Berarduecio nostro uscito de la parte dei Ra-
spante.

Adi 24 ditto retornò monsigniore in Peroga, quale vene da
Gualdo.

Adì 6 de luglio fo ferrata la volta dela cantina dela piazzuola
de S. Maria del mercato a tutte suoi spese (sic).

Adì 7 de luglio vene nuova come il conte Francesco era ca-
ralcato a staffetta a Fiorenzza, e lassò luocotenente dele sue gente
el Conte Federigo da Urbino. Se disse che lui retornò con molte
migliara de fiorini.

Et a dì ditto vene la nova come el Conte Carlo de Braccio
era eavaleato nel contado de Agobbio e li fece preda e pregione,
e poi se retornó a Montone. Per questa eagione fo fatto bandi-
mento per parte de monsigniore e deli magnifiei signiori priore
dela città de Perogia, che non sia persona alehuna tanto cettadino
quanto contadino dela città ehe ardisea de comparare preda de
qualumque sorte o ragione fatta nel eontado de Agobbio ala pena
dela forcha, e anche che ale ditte gente che anno fatto ditta preda
non li se debbia dare vitovaglia anzi sonare a l’arme e trattarli
come nimici.

Adi 8 de luglio vene in Perogia uno ambasciatore del Conte
Federigo da Orbino al nostro comuno dolendose fortemente dela
cavalcata, preda e pregione fatte nelo stato suo, e che vorria es-
ser certo se tal cavalcata è stata fatta cum consenso del nostro
comuno de Peroga. Per questo il comuno nostro prima fece molte
schuse al ditto ambasciatore, e retornando el ditto ambasciatore al
Conte cie fo mandato con esso Nicolo de ser Giapecho nostro pe-

(1) Gli storici parlano di questa nave di argento donata dal Comune al Patriarca,
ma il cronista ci dà anche la preziosa notizia dei nomi degli artefici, a cui venne
commesso il lavoro, e che erano certamente israeliti. Messer Iacobbe di m. Pace
della Fratta dei figli di Uberto fu orafo e pittore (Cfr. FUMI, op. c., pag. 52).
FRAMMENTI DI CRONACA PERUGINA INEDITA, ECC. 609

rogino per fare là schusa di simile cavalcata, perochè se dubitava
che il conte Federigo non facesse el simile nel nostro contado.

Et adi ditto vene nova eome Agobbio avea fatto novetà e
gridato — viva el conte Francesco.

Et adi ditto vene nova come Tode avea fatto novetà e gri-
dato — viva la libertà.

Adì 9 ditto cie fo mandato meser Agamenone de li Arceprete
e Mariotto dej Baglione e retornaro. La cagione e perchè anda-
vono e quello avessero per risposta non se sa (1).

O. SCALYANTI.

(1) Il Pellini non accenna menomamente a questo fatto ed alla ambasceria dei
due perugini.

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"LAMB e Dil NECROLOGIO

Sotto questa triste parola dobbiamo pur troppo segnare
un altro nome caro, quello del nostro collega

Conte Dott. LUIGI MANZONI

morto nella sua villa della Frascata il 15 Ottobre decorso.

La vita di lui, sebbene abbia avuto termine al primo appa-
rire di una vecchiezza, che ancora per molti anni era dato
sperare fiorente, fu tanto operosa che a discorrerne in de-
gno modo occorrerebbero tempo e spazio maggiori di quelli
a noi consentiti.

Comunque, nel fermare su queste pagine il doloroso ri-
cordo della morte di Luigi Manzoni, sentiamo il dovere e il
bisogno di rammentare quanto egli fece negli studî e per
gli studî.

Nepote di Bartolomeo Borghesi, il creatore della scienza
nuova della numismatica e dell’epigrafia latina, figlio di Gia-
como Manzoni, il valoroso bibliografo e bibliofilo, egli trasse
dai domestici esempî incitamento a coltivare con ogni amore
le discipline storiche e filologiche.

Ottenuta in queste la laurea nell'Università di Bologna,
pubblicò nel 1871 come saggio dei suoi studî le rime di
Leonardo Salviati traendole da un codice Magliabecchiano e
a questa edizione fece dopo breve tempo seguir l'altra di
alcune prose dello stesso letterato fiorentino.

IPEA GELD HE T UTNEX:
T ps L8 612 NECROLOGIO

Il plauso che meritarono queste prime prove incorag-
giò il Manzoni nella sua attività, la quale fu così feconda
che temiamo di non potere, pure avendone vivo desiderio,
farne qui un cenno completo.

Fra le più interessanti sue pubblicazioni notiamo « Il
libro di Carnevale dei secoli XV e XVI » (Bologna, Roma-
gnoli, 1881) ove riprodusse dalla edizione perugina di Giro-
lamo Cartolari del 1542 « el contrasto di carnesciale et della
quaresima » e raccolse altri componimenti poetici che al
contrasto si riferiscono, dottamente ed argutamente l'uno e
gli altri illustrando; e segnaliamo altresì le notizie su « Fran-
cesco Pipini dei PP. Predicatori, storico, geografo, viaggia-
tore del secolo XIV », nelle quali ricostruì con ogni diligenza
la vita del frate bolognese traduttore dei viaggi di Marco
Polo e discorse con vasta erudizione degli studî geografici
in Italia durante il detto secolo.

Indottovi forse dal nobile desiderio di seguire la via
gloriosamente percorsa dal padre suo, Luigi Manzoni, oltre-
ché alla filologia si dedicò anche alle indagini bibliografiche ;
da queste ebbero origine la « Bibliografia degli Statuti, Or-
dini e Leggi dei Municipî italiani » stampata nel 1876, non-
ché due Saggi, luno di bibliografia statutaria dei collegi
d'arti e mestieri edito nel 1879 e l'altro di bibliografia storic:
bolognese pubblicato per l’ VIII Centenario dell Università di
Bologna. :

Gli aecennati lavori peró non erano i soli, ai quali il
Manzoni attendesse; contemporaneamente egli consacravasi
ai più diligenti studi per approntare una nuova edizione dei
Fioretti di S. Francesco e con attenzione coscienziosa esami-
nava e collazionava ben 43 codici che contengono l'aureo
libretto; frutto di questa fatica sostenuta per lunghi anni fu
il volume intitolato « Di una nuova edizione dei Fioretti di
5. Francesco secondo il testo di Amaretto Mannelli » (Bolo-
gna, Regia tipografia, 1887); in questo libro fu stampata
sulla lezione del Codice della Nazionale di Firenze soltanto
NECROLOGIO 613

una piccola parte dei Fioretti con una prefazione del Man-
zoni sulla loro origine e sul loro volgarizzatore, nonchè sui
motivi della preferenza data per la ristampa al manoscritto
Palatino.

Lo studio delle cose Francescane esercitava un fascino
sull'animo sereno e mite del collega nostro, e fu con vera
compiacenza ch'egli nel 1900 presentó a S. M. la Regina
Margherita dedicandogliela la edizione con tanto amore da lui
sul testo del Mannelli curata della prima parte dei Fioretti.
Il volume stampato benissino dalla Tipografia Umbra in Pe-
rugia è adorno di molte immagini del Poverello d'Assisi, e
di altre tavole raffiguranti i fatti narrati nel libro, riprodotte
le une e le altre da pitture non posteriori al secolo XIV, che
leditore con fine intelletto estetico prescelse.

Fu questo intelletto che portò il Manzoni alle ricerche
sulla storia dell'arte, e segnatamente dell'arte umbra, che
nella sua spiritualità aveva per lui, tutto compreso della
bellezza dell ideale cristiano, uno speciale incanto.

Di tali ricerche ci fanno testimonianza molti articoli
del Manzoni che videro la luce in questo stesso Bollettino,
e fra i quali notiamo il Commentario di Benedetto Bonfigli,
nonché le « Matricole dei collegi dei pittori di Siena, Fi-
renze e Perugia », da lui pubblieate in una splendida edi-
zione che altamente onora la nostra Unione tipografica coo-
perativa.

E qui torna opportuno il rammentare che il Manzoni,
fielio di bibliofilo valente e bibliofilo egli stesso, teneva
moltissimo a che i suoi lavori vedessero la luce nella forma
più elegante; ond'é ch'egli con paziente amore si faceva
euida ai tipografi nelle loro fatiche, e ció non solo quando
erano alle stampe i suoi lavori, ma pur quando si appresta-
vano volumi od opuscoli di amici suoi; come appunto ac-
(adde per le pubblicazioni della Società filologica romana af-
fidate alla Unione tipografica di Perugia pei buoni uffici di
lui. Fra queste pubblicazioni è a segnalarsi la riproduzione 614 NECROLOGIO

diplomatica del Canzoniere di Petrarca secondo il celebre
codice Vaticano, riproduzione giudicata anche all’estero un
capolavoro tipografico ed eseguita sotto la costante vigilanza
del Manzoni dai nostri bravi operai, che ora si associano al
nostro cordoglio e in lui piangono il protettore amorevole,
l esperto consigliere.

Ma, tornando alle artistiche ricerche del Manzoni, diremo
ch'egli aveva in animo di scrivere la storia della pittura in
Perugia nel secolo XV e che, lavorando con monacale pa-
zienza negli Archivi della città nostra e specie in quello no-
tarile, aveva già a tale scopo raccolto molti e preziosi docu-
menti. Né solo a questo lavoro avrebbe atteso, se la morte
non lo avesse anzi tempo colpito; ché vagheggiava di dar
termine alla bibliografia storica e statutaria, voleva comple-
tare in una seconda parte la edizione dei Fioretti, e durante
l'ultima sua malattia parlava di una ristampa dell Ariosto,
cui avrebbe collaborato insieme ai Professori Ernesto Monaci
e Ciro Trabalza, valendosi anche di materiali raccolti dal
Padre suo: ed altamente compiacevasi nell'idea di questo
lavoro, perchè intendeva pagare con esso un tributo di fi-
liale reverenza, tributo che si prefiggeva rendere più solenne
ed affettuoso, dettando la vita del Conte Giacomo, illustre
non solo come scienziato, ma eziandio quale ardente patriotta
e Ministro della Repubblica Romana nel 1849.

Tanta e così utile operosità andava nel nostro amico
congiunta ad una rara modestia; egli non era di quegli stu-
diosi, che della stima acquistata si valgono ad atteggiarsi a
pontefici infallibili della scienza, ma invece si dimostrava
grato a chiunque nelle sue indagini lo aiutasse e gli desse
consigli; sempre memore di quanto aveva scritto un tempo,
che cioè « i saggi sono amorevoli aiutatori ai giovani e con
ogni loro potere agevolano ad essi la via faticosa dello stu-
dio », poneva con liberale cortesia a disposizione di ognuno
che a lui ricorresse le sue schede e i suoi libri, e davvero
seguiva l'insegnamento del suo antenato Bartolomeo Bor-
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