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BOLLETTINO
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DION. D' ALICARN. ANt. Rom. I, 19.
PERUGIA
UNIONE, TIPOGRAFICA COOPERATIVA
(PALAZZO PROVINCIALE)
1906
ANNO XII.
VoLUME XII.
FascicoLo I.
BOLLETTINO
DELLA REGIA DEPUTAZIONE
STORIA PATRIA
PER L'UMBRIA
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PERUGIA
TIPOGRAFICA
(PALAZZO PROVINCIALE)
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DION. D' ALICARN.
COOPERATIVA
Ant. Rom. I, 19.
—
La morte del Professore Giuseppe Mazzatinti ha gettato
nel lutto questa Deputazione, che in Lui perde uno dei suoi
benemeriti fondatori, uno dei soci più operosi e più dotti.
Non è l'annuncio della perdita amarissima che noi in-
tendiamo dare ai colleghi nostri da questo Bollettino, al quale
Giuseppe Mazzatinti dedicò, dirigendolo insieme a Luigi Fumi
e collaborandovi, le sue cure amorevoli e sapienti; quanti
in Italia e all’estero coltivano ed hanno in pregio gli studi
storici seppero, non appena avvenuta la morte dell'indefesso
. lavoratore, dello scienziato genialissimo, meritamente venuto
in fama per opere insigni, quale irreparabile sventura li
aveva colpiti.
Nel segnare su queste pagine col più sincero rimpianto
il nome carissimo e venerato di Giuseppe Mazzatinti additan-
dolo alla imperitura ed affettuosa gratitudine degli studiosi,
noi rispondiamo ad un vivo bisogno dell'animo nostro an-
gosciato.
Il nostro dolore non ci consente dire oggi più a lungo del-
lamico impareggiabile. Di Lui saranno quanto prima, a cura
della R. Deputazione, rammentati in modo solenne e degno
gli alti meriti e le peregrine virtu.
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—.
ATTE DELEA Rn. DEPUTAZIONE
ADUNANZA DEL CONSIGLIO
del dài 16 settembre 1905 a ore 15
in Città di Castello nella sala dell' Aecademia dei Liberi
Presenti i soci ordinari:
SCALVANTI — SorpINI — MAZZaTINTI — DeGLI Azzi — LANZI —
MAGHERINI-GRAZIANI — TOMMASINI-MATTIUCCI.
Scusano la loro assenza i soci:
SENSI — BLASI — ANSIDEI — Di CAMPELLO — TENNERONI — BEL-
LUCCI ALESSANDRO — FILIPPINI — CuTURI — Fumi — BELLUCCI GIu-
SEPPE — FALOCI-PULIGNANI.
Nell’assenza del presidente comm. Fumi e del vice-pre-
sidente comm. G. Bellucci, il segretario Scalvanti assume la
presidenza incaricando il socio ordinario Giustiniano Degli
Azzi di dar lettura dei verbali delle precedenti adunanze,
che sono approvati.
Quindi il ff. di Presidente informa il Consiglio che pri-
ma della loro scadenza a tenore dell'art. 10 dello Statuto,
il presidente Fumi e il vice-presidente G. Bellucci avevano
inviato le loro dimissioni mantenute anche di fronte alle piü
vive e cortesi insistenze sue e di aleuni colleghi della R. De-
putazione.
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Viene pertanto comunicata la lettera del comm. Fumi
in data 12 settembre corrente, dalla quale apparisce che egli
intende ritirarsi, per ragioni di salute e di lontananza dalla
sede della R. Deputazione, da qualsiasi carica, che richieda
assiduità di lavoro. Dichiarà poi di ringraziare tutti i col
leghi degli aiuti e della benevolenza, di cui gli furono sem-
pre larghi, e ringrazia sopratutto il Vice presidente, che ha
dovuto, nella sua assenza dall’ Umbria, tenere il suo posto,
e che tanto si è adoperato per riordinare l' amministrazione
e regolare l'ufficio. Ringrazia il Segretario, che con zelo co-
stante ha curato l'incremento dell Istituto.
E poiché il socio G. Bellucci con una sua lettera aveva
dichiarato di dimettersi anche da Socio ordinario, la R. De-
putazione unanimemente delibera di officiarlo affinchè non
insista in tale determinazione.
Procedutosi per l'art. 10 dello Statuto alla rinnovazione
. dell Ufficio di. Presidenza per il triennio: 1906-1909, risultano
designati alla conferma sovrana il comm. L. Fumi a Presi-
dente — il cav. conte dott. V. Ausidei a Vice-presidente, ed
il prof. avv. Oscar Scalvanti a Segretario-economo.
Gli adunati lodando la dotta e solerte opera dei soci
Fumi e Mazzatinti come Direttori del Bollettino li confer-
mano nella carica suddetta anche per il venturo triennio.
E poichè da parte dei medesimi è stato fatto conoscere,
che tale ufficio talvolta riesce loro gravoso, la R. Deputa-
zione delibera -di nominare due condirettori, coll'incarico di
coadiuvare la Direzione nella compilazione del Bollettino.
Riescono eletti i soci ordinari Degli Azzi Vitelleschi
dott. Giustiniano e Tommasini-Mattiucci prof. cav. Pietro.
A far parte della Commissione per le pubblicazioni sono
eletti i soci: Mazzatinti prof. dott. Giuseppe. — Degli Azzi
Vitelleschi dott. Giustiniano. — Sordini cav. prof. Giuseppe
e Tommasini-Mattiucci prof. cav. Pietro. |
Si delibera di comunicare con telegramma ai soci assenti
conim. L. Fumi e conte dott. V. Ansidei le loro respettive
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PGE a
E giacchè il conte Ansidei, nel g
VII
nomine a Presidente e Vice-presidente della R. Deputazione.
»iustificare la propria assenza,
aveva allegato la infermità del socio conte Luigi Manzoni di.
lui congiunto, gli adunati inviano un telegramma per avere
notizie dell'infermo e per rivolgere a quest'ultimo i più fer-
vidi auguri di pronto ristabilimento in salute.
Si prende quindi in esame dai convenuti il conto con.
suntivo dell’ esercizio 1904 presentato dal segretario-economo
prof. Scalvanti, e si approva il conto stesso, previa lettura
di un accurato rapporto dei sindacatori prof. Angelo Blasi e
conte Vincenzo Ansidei. È approvato del pari il bilancio pre-
ventivo per il 1906, e procedendosi alla nomina dei sindaca-
tori per l'esercizio 1905 risultano eletti i soci prof. Angelo
Blasi e dott. Giustiniano Degli Azzi-Vitelleschi.
Il ff. di Presidente, dopo la lettura del Conto consuntivo,
propone, che si devenga nell’anno 1906 al depennamento delle
partite di credito inesigibili per prolungata morosità dei soci
ed alla radiazione del nome di essi dai ruoli sociali. La De-
putazione approva. Il ff. di Presidente Scalvanti legge poi l'in-
ventario di tutto ciò che appartiene alla R. Deputazione, e fa-
cendo notare, che non sono poche le opere che egregi scrit-
tori le inviano in dono, dichiara di aver loro rivolto i più
vivi ringraziamenti, ma desidererebbe di potere esprimere
loro anche il gradimento della intera Deputazione. La pro-
posta del Presidente è approvata.
Il ff. di Presidente interpella gli adunati circa la oppor-
tunità di stabilire sin d'ora la sede del futuro Congresso della
R. Deputazione; e viene deciso, che ove nel 1906 abbia luogo
in Perugia lannunziata Mostra di arte. antica, la R. Depu-
tazione sia ivi adunata, e che quando tale avvenimento sia
rimandato al 1907,.il Congresso del 1906 si faccia in Assisi.
La Deputazione procede quindi alle proposte di nuovi
soci delle varie categorie, da approvarsi poi dall'intera as-
semblea.
Dopo di che l'adunanza è sciolta.
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VIII
ADUNANZA DEL CONSIGLIO
del 17 settembre 1905 a ore 8 antimeridiane
Presenti:
SORDINI — SCALVANTI — MAZZATINTI — DEGLI Azzi — MAGHERINI-
GRAZIANI — TOMMASINI-MATTIUCCI — LANZI.
Presiede il segretario prof. SCALVANTI.
Il ff. di Presidente dà lettura di un progetto di Regola-
mento per disciplinare i servizi della Direzione del Bollettino,
della Segreteria e dell’ Economato. Il regolamento è approvato.
La Deputazione provvede poi ad alcuni sussidi e acquisti
per pubblicazioni di indole storica.
Il ff. di Presidente riferisce che da parte del comm. Fumi
sì provvide ad esortare il Governo per la conservazione e rior-
dinamento degli Archivi del patrio risorgimento. Comunic:
pure che mercé le cure della Presidenza della R. Deputa-
zione e dell'egregio Sindaco di Perugia, il Ministro ha con-
cesso che gli antichi documenti giudiziari esistenti nella can-
celleria del tribunale perugino sieno dati in custodia al Co-
mune della città. La R. Deputazione é lieta di apprendere
con quanto zelo l'ufficio di presidenza abbia corrisposto alla
deferente fiducia del Comune facendo le indagini necessarie
sull'importanza di quei documenti e favorendo la loro con-
servazione negli archivi di Perugia; e delibera siano inviati
al sindaco conte dott. Valentini i ringraziamenti dell'intera
Deputazione per la sua nobile iniziativa.
L'adunanza é sciolta.
ASSEMBLEA GENERALE
del 17 settembre a ore 10 e mezza antimeridiane
Presenti i soci:
MAGHERINI GRAZIANI — SCALVANTI — MAZZATINTI — DEGLI AZZI
— TOMMASINI-MATTIUCCI — LANZI — SORDINI — MARTINI — PERALI —
BRIGANTI — ANTONELLI — BurALINI — NovELLI — CorBucci — Mu-
ZIARELLI — CoNTEGIACOMO — Di CamPeELLO SoLoNE — CATINI — Mo-
RETTINI — Dg: — Torni — PoNTANI — VIVIANI — MANNUCCI — MORICI
— BruGnoLa — FRANCHETTI — BRUNI — ZaMPI — PATRIZI — GAVASEI
— Nicasi — Tommasini Urpano — Corsi — CECCHINI — AMICIZIA —
Bionpi — Bonpi — DeLLa Porta — CoLLesi — GNONI — LOCATELLI.
Presiede il Prof. OscAR SCALVANTI.
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Vien data lettura dei Verbali delle sedute del 1904, che
sono approvati.
Sono intervenuti il rappresentante del Ministro della
P. I. on. Leopoldo Franchetti, il prof. cav. Martini in rap:
presentanza del Ministero della P. I. e del R. Prefetto di
Perugia, il marchese cav. dott. Ugo Patrizi per la Deputa-
zione Provinciale dell'Umbria e il Sindaco di Città di Ca.
stello cav. avv. F. Bruni.
Il Presidente scusa l' assenza dei soci ordinari:
Fumi — ANSIDEI — Di CaMPELLO P. — FiLippini E. — BELLUCCI A.
— BeLLucci G. — SENSI — TENNERONI — BLASI A. — Facoci PULI-
GNANI e CUTURI.
Si scusano di non potere intervenire i soci:
G. FiNALI — A. Manno — R. DavipsHon — A. LuMBROSO — P.
F. DaLr' Onbio — GaLLENGA-STUuART R. — E. Verga - S. FEDERICI
— B. GeRALDINI — FRENFANELLI CiBo — P. P. LuGano — L. RoBECCHI
— G. CoaGroLA — B. LEONETTI.
Il Sindaco di Perugia aveva disposto di farsi rappre-
sentare al Congresso dall'assessore dott. Angelo Fani, ma
questi, per ragioni di salute, non poté intervenire.
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Il ff. di Presidente saluta gli adunati ricordando la gentile
e decorosa accoglienza che Città di Castello fece altra volta
alla R. Deputazione, ed è lieto di constatare che alla tradi-
zione di ospitalità cortese ed entusiasta la illustre Città non
è venuta meno anche in questa occasione dell’ XI Congresso
della Società di Storia Patria per l Umbria.
Il Sindaco avv. Bruni ringrazia il ff. di Presidente delle
lusinghiere espressioni. dirette alla cittadinanza, che egli è
orgoglioso di rappresentare a questa festa scientifica. Augura
che i lavori del Congresso sieno di notevole profitto agli studi
storici nella regione umbra.
L'on. Franchetti ha parole di encomio per l'opera ve-
ramente benemerita della R. Deputazione, ed è lieto di por-
tare ai congressisti il saluto riverente del Ministro della P. I.
Il cav. Martini sentitamente ringrazia dei cortesissimi inviti
diretti dalla R. Deputazione al Ministero ed al R. Prefetto.
Si compiace. di trovarsi fra egregi cultori di severi studi.
Rivolge un fervido saluto al comm. Fumi, al prof. Scalvanti,
al prof. Bellucci e al prof. Mazzatinti, che tutti rivolsero
le più assidue cure all'incremento dell'Istituto. Evoca poi
il nome di Scipione Lapi, editore e ispiratore della grandiosa
ristampa dell’opera muratoriana. Augura feconda concordia,
ed esprime i sensi della più sincera ammirazione verso tutti
i componenti della R. Deputazione.
Il marchese Ugo Patrizi, a nome della Deputazione Pro-
vinciale dell’ Umbria, saluta l'illustre Consesso, affermando
che l'opera della R. Deputazione recò sempre ottimi resul-
tati nelle ricerche storiche della regione. Alla quale opera
Città di Castello accrebbe lustro e decoro con opere univer-
salmente ammirate nella storia generale e in quella delle arti.
Il ff. di Presidente ringrazia i vari oratori, e rivolgendosi ai
rappresentanti del Governo è lieto di constatare che gli omaggi
recati qui con tanta cortesia di espressioni hanno una con-
ferma nel vivo interesse che il Ministero ha dimostrato per
l’Istituto, concedendogli in questo anno un sussidio straordi-
—
XI
nario. Al rappresentante della Provincia esprime tutta la ri.
conoscenza della Deputazione per il contributo, che la Pro-
vincia ha sempre largito alla Società di Storia Patria fino
dalla sua fondazione. Rinnova al Sindaco a nome della R. De-
putazione vivi ringraziamenti per la entusiastica accoglienza
che i congressisti hanno ricevuto in Città di Castello.
Indi il ff. di Presidente annunzia le nomine, che hanno a-
vuto luogo da parte del Consiglio, e parlando della conferma del-
lillustre comm. Fumi a Presidente della Deputazione, non
può nascondere che egli dubita assai che la nuova elezione
venga dall’ egregio uomo accettata. Nondimeno egli spera che
le calorose e fervide insistenze della R. Deputazione fattegli
per telegramma valgano a rimuoverlo dal proposito di riti-
rarsi.
Il socio Contegiacomo desidera, che l'assemblea tutta
mandi un telegramma al comm. Fumi per pregarlo a vo-
lere accettare l'ufficio, a cui con unanime votazione è stato
confermato. L' assemblea approva.
Si dà lettura delle proposte di nuovi Soci, che vengono
dall’ assemblea accettate.
Gli eletti sono:
Nella categoria dei Soci onorari:
FioRINI comm. VirTORIO — SaBATIER PAOLO — ALLAIN EUGENIO.
Nella categoria dei Soci corrispondenti:
FELICIANGELI prof. BERNARDINO — CASALI prof. ReGOLO — PELLE-
GRINI prof. AMEDEO — BoneLLI nob. Lorenzo — Corsi cav. uff. GIu-
seppe — WILLIAM BOMBE.
Nella categoria dei Soci collaboratori :
ViVIANI arch. ing. DANTE — PERALI PERICLE.
Nella categoria dei Soci aggregati:
S. E. il cardinale SaroLLI — BIscaRINI prof. Gino — ANDREOLI
dott. ANsELMO — BruscHETTI prof. FRANCESCO — Boxucci dott. prof.
ALESSANDRO — Boccali can. GiuLio — BruxaMmonTI Bruno —. BRU-
e
XII
GNOLI prof. AMERICO — Cenci tenente FRANCESCO — CONESTABILE DELLA
SrAFFA conte Giuseppe — Caoci cav. dott. Pietro — Fiumi conte dott.
AwTONIO — Rossi dott. ULIsse — FERRINI can. FABIO — GRILLI prof.
Lurai — IracI prof. ALBERTO — MAGNINI prof. MiLziape — MONTE-
SPERELLI cap. Omero — MENICONI avv. ITALO — NAVARRINI prof. avv.
UMBERTO — OppI dott. LuiG1 — PENNACCHI prof. FRANCESCO — Ro-
TELLI GIANMARIA — SANTINI ing. ZEMIRO — VALIGI dott. VALENTINO —
FaANTACCHIOTTI cav. Lopovico — MoRrETTI cav. uff. MiLITONE — Pica
cav. ERCOLE — CruFFELLI comm. AGOSTINO, deputato — T'ARULLI prof.
Lurer — BuraLini march. GiuLio — TorrIoLI don GiUsEPPE — FAT-
TORINI don EuGENIO — Tani BraGIo — Dr CAMPELLO conte SOLONE —
CALISTI DOMENICO.
Il ff. di Presidente Scalvanti commemora quindi i soci
defunti Abbate Cozza-Luzi e prof. can. Anastasio Rotelli.
Vien fatta comunicazione dei resultati del resoconto con-
suntivo del 1904; e il ff. di Presidente partecipa inoltre agli
adunati quanto venne deliberato dal Consiglio intorno alla
Sede del Congresso della R. Deputazione nel 1906.
Dopo aver risoluto, a proposta del socio Contegiacomo,
di raccogliere in seno alla Deputazione qualche offerta a fa-
vore dei danneggiati pel terremoto delle Calabrie, si inco-
comincia lo svolgimento delle comunicazioni di carattere
scientifico:
1.^-2.* LANZI LUIGI. — Riferisce intorno a Due antichi ri-
cordi esistenti sotto il portico della Cattedrale di Terni (1), e
intorno alla Conservazione della Cascata delle Marmore rivolge
agli adunati le seguenti parole:
Chiarissimi signori ed egregi colleghi,
Una delle più meravigliose vedute della nostra Um-
bria, una delle più belle opere romane, la Cascata del
Velino, sta per essere distrutta.
Le esigenze delle moderne industrie ne hanno già
(1) Questa comunicazione é pubblicata nel presente fasc. a pag. 127.
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Ro
XIII
sottratta, con gran parte della sua forza, grande parte
della sua bellezza; ma l’avidità degli industriali non è
‘ancor paga; essi oggi chiedono di sbarrare il deflusso
del Velino a circa 500 metri dal ciglione della cateratta
e precisamente là dove incomincia il cavo del console
Marco Curio Dentato, volgere altrove la corrente e dis-
seccare la Cascata completamente e per sempre!
Una società che già possiede più di 13 metri cubi
delle acque veline, ne è ancora talmente assetata che
ne pretende altri 10, accontentandosi di derivarli dal
fiume (sembra un paradosso crudele!) ai disopra delle
magre. Ed intanto mentre le Acciaierie con appena
5 m.? danno lavoro a più di duemila operai, la sitibonda
predetta con 13 m? non ne alimenta neppure un mi-
gliaio !
Di fronte a questa minaccia, sebbene solo, ho sen-
tito il dovere d’insorgere, e mentre mi son fatto solle-
cito di proporre al Ministero della Istruzione il veto a
tale barbara devastazione, in forza della legge 12 giugno
1902, ho fatto appello agli amici e alla stampa, perchè
mi coadiuvassero nella impari lotta che mi accingevo a
sostenere.
Al Ministero pare non sia sembrato che la legge
citata contenga sanzioni sufficientemente adatte a di-
fendere il manufatto Curiano; gli amici risposero con
sincera simpatia al mio grido d'allarme, e qui ricordo
principalmente il comm. Corrado Ricci e il senatore
Luigi Morandi; la stampa di tutte le regioni e di tutti
i colori fu unanime nel raccogliere la mia protesta, se
si eccettua una frazioncella addirittura insignificante e
trascurabile.
Gli avversari ammonivano che non si doveva in-
tralciare colle nostre melanconie il fortunato sviluppo
dell'industria locale e che noi avremmo dovuto mo-
derare i nostri isterismi, prendendo ad esempio popoli
più pratici, più assennati e quindi più ricchi di noi,
quali gl'inglesi, i francesi e gli americani.
Io ho a mia volta costantemente risposto alla prima
di; sè
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argomentazione che lo sviluppo fortunato delle nostre
industrie non dipende esclusivamente dalla conces-
sione degli ultimi resti della Cascata, poichè altre forze
idrauliche scorrono inoperose nella nostra valle, senza
che eccitino le bramose canne degli industriali. — E ciò
perchè? Perchè sul mercato della borsa il poter dire
che una. Società ha monopolizzata l'intera. forza. della
Cascata delle Marmore è tal frase da poter recare alle:
azioni quei benefici effetti che forse con altra forma si
raggiungerebbero con assai maggiore difficoltà.
La nuova e grandiosa officina del Cervaro dimostr:
come si possano produrre 12000 cavalli di energia, usu-
fruendo della rapida corrente del fiume Nera, senza do-
ver ricorrere al prosciugamento di una di quelle rare
e poderose opere che, per secoli, fecero bella e invidiata.
la patria nostra.
All altra esortazione ho contrapposto precisamente
l'esempio delle nazioni che gli avversari hanno sempre
citato, ed ho ricordato loro che gl’ Inglesi non consen-
tirono che le vecchia mura di Oxford fossero
contami-
nate dalle moderne costruzioni operaie ; che i Francesi,
non paghi di aver provveduto alla difesa dei loro mo-
numenti, nel decorso febbraio promulgarono una legge
per la protezione delle bellezze naturali del loro pae-
saggio; che gli Americani, ad onta del loro indirizzo
essenzialmente speculatore, ad onta della corruzione
largamente esercitata nel Parlamento, hanno finito col
negare la derivazione delle acque del Niagara a scopo
industriale.
E che sono mai le tradizioni di questi popoli, pur
messe insieme, di fronte alle tradizioni della nostra Ita-
lia, e starei per dire della nostra regione ?
L'Associazione Artistica Internazionale, preoccupata
dal pensiero dello estremo attentato che si minacciava
alnostro meraviglioso paesaggio, nominava un Comitato
« pro Marmore » presieduto dall’ illustre senatore Giu-
lio Monteverde e costituito dai pittori Ioris, Coleman e
Bottoni, dall’ ing. Tuccimei e da me, allo scopo di te-
XV
ner viva l'agitazione e di provocare su questo argo-
mento il voto di tutti i corpi accademici d'Italia.
Il Governo, sospinto dalle proteste e dalle istanze,
creava a sua volta una commissione col mandato di
studiare i mezzi più acconci per conciliare gl’ interessi
che si trovano in conflitto in così importante vertenza,
e chiamava a farne parte i signori: comm. Maganzini,
membro del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, pre-
sidente; comm. Apolloni e generale Verri, commissari
pel Ministero della Istruzione; cav. De Rossi e cav. Do-
minedò pel Ministero dei Lavori Pubblici; comm. Pa-
vesio pel Ministero delle Finanze ; cav. Perrone per
quello di Agricoltura, Industria e Commercio.
La onor. Presidenza della nostra R. Deputazione,
accogliendo coll’ usata benevolenza il mio modesto ap-
pello, non tardava, nel decorso aprile, ad esprimere il
suo autorevole voto per la conservazione della mirabile
opera che la storia, l’arte e la letteratura hanno da se-
coli consacrata all’ammirazione del mondo (1); oggi che
siamo convocati in generale assemblea, io rinnovo in-
nanzi a voi, signori e colleghi chiarissimi, le mie pro-
teste e le mie invocazioni, e sarò pago se vorrete col
vostro voto confortare non l’ autorevole parola del no-
(1) Alla lettera presidenziale, S. E. il Ministro dei Lavori Pubblici così riscon-
irava:
Illustrissimo Signore,
Roma, 30 aprile 1905.
Mi sono da tempo. preoccupato della questione riguardante la conservazione
della celebre Cascata delle Marmore, e sto provvedendo alla nomina di una Com-
missione che dovrà studiare e proporre i provvedimenti idonei a conciliare le esi-
genze dell' industria con quelle non meno importanti dell'arte e del bello.
Cotesta On. Deputazione può stare comunque sicura che l'Amministrazione
pubbliea farà quanto é in suo potere perché non sia soppresso lartistico spettacolo
della celebre Cascata.
Con ogni osservanza mi confermo
Dev.mo
| CARLO FERRARIS.
Ill.mo Signor Presidente
della R. Deputazione di Storia Patria per l’ Umbria
Perugia,
VERI cnc o 8 SAT. 1 MU SSL
stro illustre presidente, che, nella sua saggezza, schiet-
tamente incarna il senno e il sentimento dell’ Umbria,
ma la modesta opera mia, che, nel cozzo di così gravi
interessi troppo facilmente può essere sopraffatta e an-
nientata !
L’ Assemblea, plaudendo unanime all’ opera oculata ed
energica del socio ordinario cav. Lanzi, ispettore delle an-
tichità di Terni, si associa agl' intendimenti di lui per la
estrema difesa della Cascata delle Marmore, e delibera :
« 1.° che sia spedito un telegramma a S. E. il Ministro della
Pubblica Istruzione, rinnuovando le più vive raccomandazioni perchè
l’opera insigne e la superba veduta siano protette dalla minacciata
manomissione.
« 2.» che sia data la più larga diffusione all'estratto del presente
verbale, invocando con ciò l'assistenza e la cooperazione di quanti non
sono insensibili alle tradizioni, alle glorie e alle bellezze del nostro
paese ».
Il cav. Sordini in omaggio al voto espresso dal socio
Lanzi propone che la comunicazione si stampi integralmente
nel Bollettino, e che le si dia la massima diffusione. Il ff. di
Presidente Scalvanti si associa alla proposta Sordini, e dopo
aver narrato quali pratiche fossero già state fatte a questo
proposito dal comm. Fumi, assicura che la Presidenza dal
canto suo non si stancherà di insistere presso il Ministero,
affinchè la questione sia risoluta in modo conveniente.
La proposta Sordini è approvata alla unanimità, e si
delibera di darne annuncio telegraficamente al Ministro della
Pubblica Istruzione.
La Presidenza infatti spediva a S. E. il Ministro della
Pubblica Istruzione il telegramma seguente :
———————
« Ministro Istruzione Roma. :
« Assemblea Deputazione Umbra di Storia Patria, confermando
omaggio devoto e confortando voto presidenziale, vivamente racco-
—————————À
XVII
manda vostra Eccellenza Cascata Marmore sia ancora serbata ammira-
zione universale (1).
« Il Presidente ff.
« O. SCALVANTI ».
3.° Il socio cav. TOMMASINI- MATTIUCCI domanda di
leggere una comunicazione inviatagli dal conte Paolo Cam-
pello della Spina dal titolo: Alcune opinioni di storia umbra
manifestate dagli stranieri. Il ff. di Presidente dichiara non
essere contrario a che si leggano comunicazioni di soci che
furono impediti di intervenire all'assemblea: e tanto più
perchè la comunicazione del conte Campello trova il suo
pieno svolgimento nel ms. presentato. Pure desidera su que
sto punto interpellare gli adunati, i quali deliberano, che si
possa dar lettura delle comunicazioni dei soci assenti, purchè
esse siano redatte in modo da potere essere senz'altro li-
cenziate per la stampa.
La comunicazione del conte Paolo Campello della Spina
e del seguente tenore:
Egregi Colleghi,
Sempre gli uomini colti, che pure in tempi remoti
visitarono la nostra privilegiata regione, ne sentirono
le seducenti attrattive, e, se amanti cultori degli studi
storici o delle arti, manifestarono la loro ammirazione
anche in opere di polso. Dal Montaigne al Mabillon,
dal Byron al Tayne, dallo Schneider al Broussolle ab-
biamo una serie di opere in cui i nostri ricordi gloriosi
e i nostri tesori invidiati sono descritti insieme all’in-
canto dei nostri colli e delle nostre valli.
(1) S. E. con dispaccio del 21 settembre così compiacevasi di rispondere;
« Ringraziandola omaggi espressimi a nome Regia Deputazione Umbra Storia
Patria l'assieuro che nulla questo Ministero lascierà intentato perché alla Cascata .
delle Marmore sia conservata tutta la superba bellezza delle sue acque.
« Per il Ministro
« ROSSI ».
| Per ordinario gli scrittori stranieri consegnavano
| | alla carta le impressioni ricevute con maggior o minor
entusiasmo dalla vista dei luoghi e delle cose, ma in
| ordine alla storia delle città e dei monumenti facevano
INI tesoro di quanto scrittori paesani avevano asserito. Mas-
| sime ove fossero autori del tempo in cui una savia cri-
| tica non rifugge dal dissipare le vanitose esagerazioni
I degli antichi.
Adesso invece la morbosa ricerca del nuovo infonde
i il desiderio di leggere chi scrisse avanti, meno per ap-
prenderne l'opinione che per avere la voluttà di confu-
tarla. E sia benedetta questa loro voluttà quando con-
| duca alla scoperta di documenti per l’innanzi ignorati,
| ma quando poggi la loro confutazione sul modo d'in-
terpretare i documenti conosciuti, si contradica pure,
ma si discuta, non si condanni senza prima avere udita
la difesa. Ora avviene che degli affrettati giudizi degli
| * jperceritiei, s' impossessa compiacendosene il giornalismo
e la letteratura commerciale che spia il modo di farsi
credere illuminata e, per usare una frase modernissima,
| di farsi credere arguta ed evoluta; e ne consegue che
| le opinioni controverse si giudicano alla leggera e da
giudici poco competenti, il più delle volte nelle pagine
dei giornali. Non dico che ciò sia un male quando sia
la verità il sole che dilegua le tenebre dell’ ignoranza.
Nel nostro Bollettino ancor’ io m'industriai di persua-
dere i lettori che del santo vescovo Brizio ve n'era stato
uno soltanto e non due come riferisce il Jacobilli e
come sono registrati nelle serie dei Vescovi spoletini.
Ma il mio ragionamento posava sopra documenti, non
volevo imporre la mia opinione, anzi porgere ai più com-
| petenti le addotte prove perché le vagliassero e quindi
| giudicassero. Molti esempi potrei portarvi che ora invece
si accolgono giudizi espressi da dotti stranieri anche
non assoluti, come sentenze giudicate e senza appello !
La brama di non abusare della vostra pazienza mi co-
stringe a'tacere oggi di sentenze strane e facilmente
confutabili per fermarmi in una soltanto, ma di altis-
XIX
simo interesse per la città di Spoleto e potrei dire per
la intera nostra regione.
Un dotto tedesco in un grande lodatissimo trattato
di architettura Cristiana, Enrico Hubsche, vanta per
modo la basilica Spoletina del S. Salvatore da preferire
i suoi ornati a quelli del tempo costantiniano e perciò
gli assegna ai tempi anteriori a Costantino. Egli nota
quella chiesa fra le cinque più antiche del mondo, cioè
quella di Reparato in Orleansville nell' Africa, di S. An-
drea nell'Esquilino, di S. Stefano nella via latina e in
parte del Duomo di Treveri.
Il Serlio dal canto suo propone la porta del S. Sal-
vatore tra i migliori esempi classici da imitare.
Nessuna meraviglia perciò può farsi se gli storici
spoletini, Bernardino Campello e Achille Sansi, menas-
sero vanto di un edificio celebrato in Europa tra i più
vetusti ed ammirevoli.
Il secondo sulle tracce di quanto il primo aveva as-
serito narra che sin dall'anno 170 dell era volgare fu
sepolto in luogo vicino il martire S. Concordio da cui
la Chiesa prese il nome nel 815, dopo essere stata chia-
mata del Salvatore, titolo che facilmente, scrive il Sansi,
dal quarto secolo serbò sin dopo l’anno accennato.
Ma la più autorevole voce, quella del tanto grande
quanto rimpianto fondatore della Cristiana archeologia
G. B. De-Rossi, escludendo che possa credersi anteriore
al periodo Costantiniano, dice: — Le ragioni artistiche
non sono sì rigide e dimostrative che possano prevalere
allé storiche. — Dunque sotto il rispetto dell’ arte nes-
sun dubbio per lui che le potrebbe essere attribuita l'e-
poca indicata dal Hubsche, E soggiunge « le finestre
benchè fiancheggiate da pilastrine di proporzioni tozze,
pure coi loro timpani, archi e cornici ed altri ornamenti
assai più dell’antico che del cristiano modo di architet-
tare rendono immagine, e sono migliori dello stile degli
archi e delle finestre dei tempi di Gaglieno in Verona.
Le croci poi spiccate e dominanti, non innestate ma
sculte da principio nel mezzo dei fregi delle porte e
XX
dentro i timpani e nel sommo arco delle finestre, dimo-
strano che il monumento è veramente opera d'arte eri-
stiana. Nulla di simile si rinviene altrove. Quindi egli
domanda: « Sarà questa forse come la più classica an-
che la più antica delle chiese superstiti dei primi se-
coli? » Esclusa da lui come dicemmo l’ epoca Costanti-
niana conclude : « l’estrinseca bellezza e finezza di quei
fregi c’inviteranno sempre ad attribuire loro la massima
possibile antichità ». La quale infine dichiara età non
più antica del quinto secolo.
Non è poi messo in dubbio che gli ornati del così
detto Tempio del Clitunno siano dello stesso tempo e
della stessa eccellente fattura. I citati storici datano nel
446 il gran terremoto che deviò le acque del fiume su
cui aveva navigato Caligola, nel qual tempo ritengono
che l'antico sacello fosse ridotto a Chiesa cristiana. E
appunto lo storico Spoletino nella metà del decimoset-
timo secolo intui solo che non doveva credersi quello
I edificio descritto da Plinio, sibbene uno dei sacelli che
Plinio medesimo dice contornare il tempio maggiore.
Ma egli, come il Sansi suo seguace, che aveva con egual
amore studiato pure i bassorilievi della porta del Duomo,
quelli di S. Pietro e S. Ansano, non si peritó mai di
metterli in riga con quelli stupendissimi sia della Chiesa,
sia del sacello ai primi secoli della Chiesa.
Non dissimile giudizio ne fecero 1’ Hostenio, Fra
Antonio Zaccaria, il Palladio, il Venuti, il Serlio, il
Mothes, il Cattaneo, l'Holtzinger, Rohault de Fleury,
l'Armellini, il P. Germano Passionist, 1’ Hubsche, e come
vedemmo, il più autorevole di tutti G. B. De-Rossi.
Spoleto poteva dunque riposare tranquilla sulla glo-
riosa rinomanza dei due monumenti di fama mondiale,
allorchè l'illustre P. Grisar in uno studio dettato nel suo
idioma tedesco tradotto dal chiar: sig. Franco De-Cava-
lieri, nel 1895 inserito nel Bollettino di Archeologia Cri-
stiana, nel quale nell'anno 1871 era comparso lo scritto del
De-Rossi; manifestava l'opinione che una soltanto fosse
stata la scuola dei marmorari umbri che da uno dei suoi
CS
XXI
rappresentanti principali chiama la scuola del Melo-
ranzio vissuto nella seconda metà del secolo decimose-
condo, il cui nome vedesi sugli stipi marmorei della
porta del Duomo di Spoleto. Egli vi fa delle dotte e
lunghe riflessioni; ma non omette queste parole « Per
« quanto si siano studiati negli anni scorsi i misteriosi
« monumenti, il problema, a mio giudizio, non si può
« dire ancora risoluto ». E il parere dell’ illustre autore
della Storia di Roma e dei Papi del medio evo, merita
grande rispetto, tanto più che egli non lo diee indiscu-
tibile ed assoluto. Tuttavia così lo interpretò un altro
dotto, il Prof. Adolfo Venturi, che nella sua bella storia
dell’arte italiana accettò il parere del Grisar senza ri-
serva, e tal parere poi fu anche in maniera più assoluta
diffuso dal giornalismo. Contro siffatta sentenza io mi
ribello e chiedo a voi, amati Colleghi, il soccorso della
vostra dottrina e del vostro grande amore per le glorie
dell'Umbria. Studiate la importante questione, e fate an-
che impeto al nostro egregio collega Sordini affinché
sul luogo si metta a tutt'uomo ad indagare tanto da po-
ter dimostrare la differenza che passa tra i lavori della
scuola medioevale con quelli, lo ripeterò con le parole
stesse del De-Rossi « che nulla di simile per bontà di
stile e finezza di lavoro ci rimane nei cristiani edifici di
Roma, di Ravenna, di Costantinopoli e della Palestina ».
Esaurita la lettura, il cav. Sordini osserva che il conte
Campello ha trattato di un'antica e sempre rinnovata que-
stione sul carattere delle sculture del Clitunno e dell’ Ab-
bazia di S. Salvatore di Spoleto. Esprime in proposito quale
sia il suo avviso, e comunica di avere da assai tempo in-
trapreso anch’ egli lo studio di tale argomento.
È lieto poi di partecipare ai colleghi che il cav. ing. Fausto
Morani di Roma compiendo un atto di rara munificenza si
è offerto di sostenere tutte le spese di un’opera illustrativa
di quei monumenti, e propone che la R. Deputazione gli
invii i più caldi ringraziamenti. Il ff. di presidente Scalvanti fa
MeL. AA
Fra uico (Io dio e 1 MI,
XXII
plauso anzitutto al conte Paolo Campello della Spina per
la sua interessante comunicazione, e quindi al cav. Sordini
per la sua lodevole proposta. Crede perciò di interpretare il
sentimento di tutti i colleghi, proponendo che nel prossimo
Consiglio la R. Deputazione sia invitata a nominare l'inge-
gnere Morani tra i suoi soci d’ onore.
4.-D' Il socio DEGLI AZZI svolge la sua comunicazione
sul « Secondo volume delle Relazioni tra Firenze e l Umbria
nel secolo XIV » che è pronto per la stampa; e parla
quindi del Aiordinamento e importanza storica dell’ Archivio del
Governo Apostolico nell' Umbria. E poiché a tale riordinamento
si è potuti pervenire mercé le cure e l' energia del comm. Pre-
fetto dell' Umbria, il Degli Azzi propone che gli si mandi
un voto di plauso da parte dellassemblea. Il ff. di Presi-
dente accoglie di buon grado la proposta, e la pone ai voti.
È approvata per acclamazione. In seguito a ciò il ff. di Pre-
sidente legge il telegramma da inviarsi al R. Prefetto, e che
é del seguente tenore:
« Assemblea Deputazione storica Umbra avuta no-
« tizia vostro vivo interessamento conservazione assetto
« patrimonio archivistico regionale delibera unanime
« plauso provvida opera vostra.
« SCALVANTI ».
Il Presidente dà comunicazione del telegramma. perve-
nutogli dal comm. Fumi in risposta a quello che gli venne
inviato dal Consiglio:
« Gratissimo dimostrazione vie più cara ogni altra
A
: giuntami mio compleanno rinnovo proteste servire
A
sempre Deputazione ma impossibilitato accettarne
« Presidenza ringrazio, saluto cordialmente.
« FUMI ».
Il prof. Scalvanti. confida che le nuove premure fatte
al comm. Fumi a nome dell'intera assemblea valgano a ri-
XXIII
muoverlo dal proposito di ritirarsi dalla Presidenza della
R. Deputazione.
Prima di sciogliere l'adunanza, rinviandone il seguito a
domani 18 corr. a ore 15,.il ff. di Presidente avverte coloro,
che hanno fatto o debbono fare comunicazioni di indole scien-
tifica, che la Presidenza e la Direzione del Bollettino, si ri-
servano di giudicare quali debbano essere pubblicate per
intero come Memorie, e quali debbano essere riassunte nei
verbali, come fin qui si è praticato.
L'udienza è sciolta.
IL PRESIDENTE ff.
O. SCALVANTI
Il. Segretario ff.
G. DEGLI Azzi VITELLESCHI.
ADUNANZA DEL CONSIGLIO
del 17 settembre 1905 in Città di Castello a ore 15.50
Presenti:
SCALVANTI — MAGHERINI-GRAZIANI — MAzzaTtINTI — DEGLI AZZI
— SorpINI — LANZI — TOMMASINI-MATTIUCCI.
Il ff. di Presidente espone per quali motivi ha dovuto
convocare di bel nuovo il Consiglio della R. Deputazione.
Anzitutto deve comunicare agli adunati che il conte dott.
V. Ansidei per mezzo di lettera, pur protestando « che ad ac-
cettare l' ufficio di Vice-presidente occupato fin qui da un
uomo di così alto valore come il prof. G. Bellucci lo rende
titubante la coscienza della propria pochezza » aggiunge che
« ove altri non voglia sostituirlo, egli accetterà l'ufficio con
benevola indulgenza conferitogli confidando che Y illustre Pre-
sidente e il Segretario, alla rielezione dei quali plaude di
tutto cuore, compensino la deficienza sua ».
XXIV
Il ff. di Presidente è poi dolentissimo di dover parteci-
pare, che il comm. Fumi ha insistito nel proposito ‘di non
accettare l' ufficio presidenziale col seguente telegramma:
« Prof. Scalvanti,
« Città di Castello
« Ripeto commosso sentimenti espressi telegramma
« inviato stamane pregando Consiglio accettare ragioni
« che costringonmi nuova designazione Presidenza im-
« possibilitato aderire voto lusinghiero partecipatomi.
« FUMI ».
Il ff. di Presidente invita gli adunati a votare per schede
segrete il nome del Presidente da designarsi alla conferma
reale pel triennio 1906-1909; e dichiara che, ai termini dello
statuto, deporrà nell’ urna anche le schede inviate oggi stesso
dai soci Faloci-Pulignani e Fumi.
Fatto lo spoglio delle schede risulta eletto a Presidente
il cav. uff. Magherini-Graziani con voti 8 su 9 votanti.
Il cav. Magherini-Graziani sentitamente ringrazia del-
l’immeritato onore conferitogli.
Il ff. di Presidente propone poi, che in omaggio al voto
dell'Assemblea sia nominato a socio onorario il comm. ing.
Fausto Morani. La proposta è accolta all’ unanimità.
IL PRESIDENTE ff.
O. SCALVANTI
Il Segretario ff.
G. DEGLI Azzr VITELLESCHI.
ASSEMBLEA GENERALE
del 18 settembre 1905 in Città di Castello a ore 16.30
ld
Presenti gl'intervenuti alla:prima adunanza, tranne i
soci Franchetti, Bruni e Patrizi.
fee —
XXV
Il ff. di Presidente comunica agli adunati il telegramma
del comm. Fumi, già partecipato al Consiglio della R. De-
putazione, e la nomina del nuovo Presidente nella persona
del cav. uff. Magherini-Graziani, che assume la Presidenza.
Il socio don Pio Cenci formula una sua proposta circa
la nomina di delegati eletti dalla R. Deputazione nelle varie
Città della regione, i quali provvedano alla ricerca e conser-
vazione dei molti documenti, che giacciono ignorati negli
archivi privati e parrocchiali, e dei quali è pur troppo fa-
cile la dispersione.
Parlano sulla proposta i soci ordinari Degli Azzi, Scal-
vanti e Morici, e la Regia Deputazione fa voti, affinchè i
Vescovi delle varie diocesi dell’ Umbria provvedano alla con-
servazione e al riordinamento degli archivi episcopali, capi-
tolari e parrocchiali, e i Sindaci facciano altrettanto per quelli
dei Comuni e delle Opere Pie.
Scalvanti aggiunge, che la R. Deputazione potrebbe util-
mente rivolgersi anche ai propri soci, in specie per ciò che
ha riferimento agli archivi privati. Gli adunati approvano.
Si riprende lo svolgimento delle comunicazioni di carat-
tere scientifico.
6.° Il socio Degli Azzi riferisce sulla nuova pubblica-
zione di storia umbria dal titolo Archivio del Risorgimento,
alla quale attendono i soci A. Fani, G. Mazzatinti e lo stesso
Degli Azzi.
1.* Il socio Tommasini-Mattiucci legge una sua comuni-
cazione dal titolo: Un viaggiatore perugino del secolo XVI (1).
8.-9. Il prof. Scalvanti intrattiene gli adunati sulla
Concessione del Vicariato di Borgo S. Sepolcro fatta da Euge-
nio IV a Nicolò Fortebraccio nel 1432 e sull Indulto di Papa
Leone X a favore di Carlo Baglioni. Questi documenti sono
custoditi nell’ archivio privato del sig. conte Marco Oddi-Ba-
(1) Questa comunicazione verrà inserita nel 2° fascicolo del Bollettino del cor-
rente anno.
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glioni di Perugia, che ha gentilmente consentito se ne facesse
la integrale trascrizione. Propone che di ció venga dall'assem-
blea particolarmente ringraziato. Gli adunati approvano (1).
10.* Il prof. Scalvanti comunica inoltre che in un qua-
dernuccio appartenuto al defunto socio cav. Anastasio Ro-
telli si hanno molte notizie intorno ad un prezioso libro già
di proprietà della famiglia Florenzi, e nel quale si parla di
illustri famiglie perugine nel secolo XVIII.
11.* Il socio Sordini legge un accuratissimo studio sulle
condizioni statiche del Duomo di Spoleto e sugli scandagli
e opere intraprese pei necessari restauri (2).
Gli adunati, apprezzando la particolare importanza del-
lareomento trattato dal cav. Sordini, deliberano di rinviarne
la trattazione ad una seduta straordinaria da tenersi il giorno
appresso a ore 9 antimeridiane.
—
IL PRESIDENTE
G. MAGHERINI-GRAZIANI
Il. Segretario L
O. SCALVANTI.
ASSEMBLEA GENERALE
del dì 19 settembre a ore 9 antimeridiane
Presenti i soci interventi all’ ultima adunanza.
Presiede il cav. uff. Magherini Graziavi.
3
Si apre la discussione sulla comunicazione del cav. G.
Sordini intorno ai restauri del Duomo di Spoleto, alla quale |
(1) Questi documenti verranno pubblicati nel Bollettino del corrente anno. È
(2) Per questa Comunicazione del cav. Sordini vedi il presente fascicolo a p. 141
XXVII
discussione partecipano i soci Lanzi, Mazzatinti ed altri. Il
socio Scalvanti propone ai voti dell’ assemblea il seguente
ordine del giorno:
« La R. Deputazione
« Udita lettura di una comunicazione del socio Ordinario cav. Giu-
seppe Sordini intorno alle condizioni statiche del Duomo di Spoleto
ed ai restauri che debbono praticarvisi per il consolidamento dell’edi-
fizio :
« Tenuto conto della discussione avvenuta in seno all’ assemblea :
« Convinta non solo della diligenza usata dal cav. Sordini nelle
ricerche e dell’ eccellente metodo con cui vennero condotte, ma anche
della gravità del pericolo, da cui il tempio è minacciato, e quindi della
necessità di procedere a nuovi scandagli, come il socio Sordini pro-
pone, affinchè l’opera sia atta a guarentire pienamente la stabilità di
quel celebre monumento d' arte,
« Fa voti:
« Perchè il Governo e gli Enti interessati, già degni di sineero
encomio per le premure fin qui dimostrate nella tutela di quel mira-
bile tempio, si degnino portare ad effetto, il più sollecitamente possi-
bile, le proposte del socio Sordini per evitare ciò che costituirebbe una
sventura e una vergogna nazionale; e delibera che copia del presente
ordine del giorno sia trasmessa al Ministero della Pubblica Istruzione
e agli altri Enti interessati ».
Gli adunati approvano alla unanimità la proposta del
socio Scalvanti.
Si continua lo svolgimento delle comunicazioni.
12.8 Il socio dott. Francesco Briganti parla dei Ze-
stauri eseguiti alla Chiesa di S. Francesco di Deruta, discu-
tendo intorno all’epoca, cui il monumento risale e dimostrando
che esso appartenne già all'Ordine di S. Benedetto stabilito
nel vicino villaggio di Casalina (1).
(1) La comunicazione del socio Briganti verrà inserita nel 2° fascicolo del B0t-
lettino del presente anno.
XXVIII
13." Lo stesso socio dott. Briganti, anche a nome del
conte dott. V. Ansidei comunica che per la stampa del primo
volume dei Fonti storici già è completo il Regesto dei Codd.
II, IV e V, onde rimane solo da compilare quello dei Codd. VI,
IX e X. Il Cod. VI contrassegnato con lettera A va dal
maggio 1273 al gennaio 1276, mentre il Cod. IX, di let-
tera B va dal 13 ottobre 1284 al 2 gennaio 1298, e il Cod. X
di lett. C va dal novembre 1296 al 10 aprile 1299. Tali date
si notano perchè da esse resulta evidente la possibilità di
iniziare la stampa dei Regesti già compilati.
I soci Degli Azzi e Mazzatinti interpellano il socio dot-
tor Nicasi circa le ragioni per le quali non ha consentito
si pubblicasse nel Bollettino una sua Memoria letta nell’ as-
semblea di Terni del 1902 intorno alle antiche cifre locali.
Il dott. Nicasi sarebbe lieto di tale pubblicazione, e invierà
il ms. alla Presidenza il più sollecitamente possibile.
Dal socio Corbucci si danno notizie intorno al riordina-
mento ormai compiuto della biblioteca tifernate. Egli svolge
alcune sue proposte sulla redazione della bibliografia umbra.
Parlano in proposito i soci Sordini, Degli Azzi e Briganti.
Dietro invito del Presidente Magherini-Graziani il se-
eretario Scalvanti dà lettura di una proposta inviata dal
comm. Fumi.
Questi osserva che il massimo contributo agli studi storici
medioevali viene offerto dai documenti dei nostri corpi ammi-
nistrativi. I magistrati comunali al tempo della libertà corri-
spondevano ai parlamenti di ogeidi, e rispecchiavano tutta la
vita politica, economica e sociale. Ora poter presentare un
sunto di tutte le deliberazioni consigliari dei nostri Comuni sa-
rebbe quanto dare tutti gli elementi per la storia delle antiche
costituzioni e per disegnare perfettamente la fisonomia popo-
lare.
Per Orvieto questo lavoro è stato compiuto dal com-
mendator Fumi, opera paziente di piü anni, fonte inesauri-
bile di notizie utili per la conoscenza degli avvenimenti con-
/—————
siderati nelle loro cause e nei loro effetti, per lo svolgimento
della costituzione comunale, per le relazioni con la Chiesa,
con l Impero e con tutto il di fuori, per l'assestamento giu-
e nel costume.
XXIX
ridico e per il consolidamento economico, come per la rive-
lazione della vita nelle arti e nelle industrie, nella istruzione
Questo lavoro è raccolto in un cumulo di schede, dove
di ogni deliberazione dal secolo XIII alla fine del XIV è
dato un brevissimo cenno in italiano, a volte con brani te-
stuali latini, che non dispensano però gli studiosi di uno spe-
ciale argomento dal ricorrere alla fonte originale. Poichè se
si uscisse dal metodo dei sunti o sommari, non basterebbero
molti volumi e diecine di anni per la pubblicazione.
Il comm. Fumi, persuaso che la stampa di questo som-
mario torni utile a tutta la storia umbra, interessi le regioni
vicine come la romana e la toscana, e caratterizzi l' antico
in un volume
sarà condotto
popolo orvietano, propone la pubblicazione dello schedario
a parte di seguito al Bollettino, e dopo che
a termine il Vol. II delle Relazioni tra Perugia
e Firenze, opera altamente lodata del socio Giustiniano De-
gli Azzi. E quando la sua proposta venga benevolmente ac-
colta dalla R. Deputazione, egli domanda di associarsi a tale
scopo l'opera di don Alceste Moretti conservatore dell Archi-
vio orvietano e socio nostro, affinchè possa perfezionare e
compiere il lavoro.
Il socio Scalvanti dichiara degna del più grande elogio
la proposta del comm. Fumi, giacchè non vi è dubbio che
nei partiti delle magistrature comunali è la storia della vita
dei nostri municipi. Invita quindi l assemblea a far plauso
alla coraggiosa iniziativa del comm. Fumi e ad accoglierne
le proposte.
L' assemblea approva all’ unanimità.
Il Segretario comunica agli adunati un saggio di Voca-
bolario umbro-italiano iniziato dal meritissimo prof. cav. Ciro
Trabalza. Gli adunati plaudono a tale iniziativa, e, sebbene
XXX
trattisi di materia estranea ai fini della R. Deputazione, si
propongono di favorire l opera utilissima, che riuscirà d'in-
cremento allo studio dei dialetti in Italia.
Il socio Scalvanti svolge la sua proposta per inserire
nel Bollettino un Notiziario degli scavi, del ritrovamento di
oggetti di interesse storico-artistico, dello stato di conserva-
zione dei monumenti ecc. L' assemblea approva la proposta
del prof. Scalvanti.
Indi viene comunicata all’ assemblea una lettera del so-
cio comm. Gamurrini, colla quale raccomanda di insistere
presso i soci della R. Deputazione per la pubblicazione di
tutte le iscrizioni medioevali, interessando i comuni e i parroci
ad inviarne i calchi e ricorrendo perciò in special modo al
l’opera dei soci della R. Deputazione. Nella stessa lettera il
comm. Gamurrini dà poi ottimi consigli pel metodo da se-
guire, onde la raccolta riesca completa e degna dell’ ammi-
razione degli studiosi. Il prof. Scalvanti propone si ringrazi
il comm. Gamurrini della sua comunicazione e dell’ interesse
vivissimo che ha dimostrato anche per la collezione dei si-
gilli antichi umbri, dando all’ ufficio di Presidenza continue
e preziose indicazioni.
La Deputazione unanimemente approva.
Il socio Degli Azzi prende la parola per esporre un pro-
getto concreto di pubblicazione degli antichi statuti perugini.
Egli dice che la Società di Storia Patria per l' Umbria fino
dalla sua fondazione volle che la pubblicazione dei Fonti
storici avesse principio colla stampa degli statuti. Ora egli
è lieto di riferire che un editore perugino si è offerto di
procedere a tale pubblicazione, e presenta un saggio di
stampa dello statuto del secolo XIV col raffronto dello sta-
tuto precedente del 1279. Il Degli Azzi crede. che si debba
incoraggiare questa iniziativa, e che il lavoro interessantis-
simo per la storia del nostro regime statutario potrebbe, colla
collaborazione di alcuni studiosi e sotto la direzione del
Dee
—M Á-À
I TS
XXXI
prof. Scalvanti, riuscire di grande decoro e lustro per la
R. Deputazione.
L'Assemblea, pure approvando nelle sue linee generali il
progetto esposto dal socio Degli Azzi, delibera di rinviarne
l'esame al Consiglio della R. Deputazione.
Non essendovi altre comunicazioni o proposte da fare,
il Presidente Magherini Graziani espone, che nella gita dei
congressisti a Gubbio, avvenuta nel giorno precedente, quella
Rappresentanza comunale ebbe ad officiarlo perchè la R. De-
putazione scegliesse quella città a sede di un prossimo Con-
gresso. Egli crede interpretare il desiderio degli adunati ac-
cettando il cortese invito per una prossima assemblea, e cioè
dopo che si sarà soddisfatto ai precedenti inviti di Perugia
e di Assisi. Propone poi che l’assembea, prima di sciogliersi,
rinnovi vivissime grazie alla città di Gubbio, ospitale e gen-
tile, e al march. Bufalini che con tanta affabilità accolse i
congressisti ael suo storico castello di Sangiustino. Gli adu-
nati approvano. Lo stesso Presidente ringrazia poii soci del
loro numeroso intervento e i colleghi del Consiglio per l'onore
conferitogli; ed é lieto di aver constatato come anche in que-
st'anno i lavori del Congresso della R. Deputazione Umbra
di Storia Patria sieno riusciti fecondi di buon resultato a
vantaggio degli studi storici.
Indi dichiara chiuso il Congresso.
IL PRESIDENTE
G. MAGHERINI-GRAZIANI.
Ii Segretario
Prof. OSCAR SCALVANTI
GUBBIO SOTTO | CONTI E DUCHI D'URBINO
(1984-1632)
(Continuazione vedi Vol. XI, fasc. III, pag. 483, m. 31).
Ma non si creda che lo facessero per disinteresse. Oltre
una ragione d'indole generale che si faceva tanto più forte
in quanto si avvicinava il momento della morte dell’ ultimo
duca — di ottenere per la Chiesa, pacificamente, lo stato
d'Urbino (1) — tante altre cause riposte inducevano gli am-
biziosi pontefici ad accarezzare i duchi: ottenere sempre
nuovi privilegi per gli ecclesiastici, rafforzare la scambievole
persecuzione contro i banditi, Quello che più, almeno appa-
rentemente, interessava a Roma, era che si pretendesse dai
sudditi un assoluto rispetto per la religione e per tutto ciò
che volevasi gabellar per sacro.
È noto che S. Pietro, la grande cattedrale del cattoli-
cismo, sorta per opera di un patto ignominioso, continuó
ad arricchirsi per l'azione di emissari fanatici che ogni mezzo
escogitarono per spillar denaro.
Anche la città di Gubbio, consapevole certamente Fran-
cesco Maria, fu percorsa da un commissario di Sisto V che in-
tendeva continuare l'opera intrapresa da Giulio II. Tali erano
le pretese dell'esattore — chiamiamolo così — pontificio, che i
(1) Per conoscere le arti esplicate da Gregorio XV e più specialmente da Ur-
bano VIII per ottenere il ducato d' Urbino, basta leggere il libro di P. M. SANTORIO,
Memorie istoriche concernenti la Devolusione dello Stato d" Urbino alla Sede APO-
stolica, Amsterdam, MDCOXXIIT.
A. PELLEGRINI
«buoni eugubini non poterono fare a meno di protestare presso
il duca. La lettera che i nostri scrivono non ha bisogno di
commento, chè troppo chiaramente fa intendere di dove ab-
«bia spremuto il denaro la Curia romana durante il hinasci-
mento, scambiando « la grandezza del Pontificato con quella
«
«
9
della Chiesa (1) »: « Alli giorni passati è venuto in questa
Città uno che dice esser Commissario apostolico per la
fabrica di S. Pietro di Roma, allegando haver autorità di
essigere i legati pii, e di conoscer le cause delli beni ec-
clesiastici indebitamente alienati da quarant'anni in qua;
e perché molesta molti di questa Città e suo territorio, dà
causa di molta alteratione, massime procedendo per il piü
senza servare li termini della ragione e senza citatione,
concedendo ancho essegutioni personali contro li principali
di questa Città di puoca somma e facendo esseguir la ca-
ptura in casa propria delli presenti debitori, come hora ha
comandato alli essegutori qui che faccino in la persona
del conte Girolimo Cantalmaggi. £ perchè, per li ordini
antiqui, in tutti li testamenti si fanno legati al monte della
pietà, per mantenimento di quel luogho, in sussidio de po-
veri, et ancho del Hospital grande, il quale è sotto la pro-
tettione di V. A. Ser.ma, ha cominciato far essegutione
per tai legati, volendoli applicare a sé, allegando che per
vigor della bolla s'applica alla suddetta fabrica un terzo
d'essi legati, e ricusa di far fede del riceuto a quelli che
vogliono pagarli ecc.; desiderando qualche rimedio conve-
niente, habbiam voluto darne avviso a V. A. Ser.ma ecc.
Il Gonfaloniere e Consoli d'Ugubbio; 6 giugno 1590 (2) ».
Non v'era statuto, p. es., che non contemplasse il caso
di offese a Dio, alla Madonna, ai Santi; eppure si continuava
ad emanare sempre nuovi bandi e decreti ricordanti ai sud-
(1) G. GREGOROVIUS, Storta di Roma dal Val XVI sec., Trad. Manzato, vol. VIII,
pag. 331. :
(2) Lib. ms. segn.: Cl. I, D. G., F. CCLV (Arch. di Stato eit.).
Dio MATRE DITA e
—
CC MG TEAM re 7
vm — a
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 3
diti qual era il loro dovere rispetto al culto e alle effigi sa-
cre e si moltiplicavano le pene contro i ribelli. Abbiam visto
che Guidobaldo II si occupa in particolare dei violatori delle
imagini. Francesco Maria, annullando tutte le precedenti
disposizioni intorno ai bestemmiatori, ne emette delle nuove
da cui risulta che la Madonna, a differenza delle altre volte,
dovrà esser considerata alla stessa stregua del Cristo. Le
pene, si capisce, sono assai severe, di cui alcune — come
quella di mettere la lingua del bestemmiatore tra due stec-
che verrebbero oggi stimate come parto della crudeltà di
un uomo (1). Pene, invece, di minore entità stabilisce per
coloro che al passaggio del Sacramento, e al suono della
(1) « Qualunque persona biastemiarà il Sigr. Idio Giesù Christo, o vero la glorio-
« sissima Vergine... o maledirà a questi....., la 1a volta incorerà la pena di 25 scudi
« d'oro et tre tratti di corda da darseli in publico; la 22 in 50, et si porrà alla ber-
« lina con la lingua tra due stecche, in giorno di mercato; la 3a pagherà 100 scudi
« d'oro, et se manderà alla galea per 5 anni. Dalla 3a volta in su se punirà in scudi
« 300 d'oro et se mandarà alla galea perpetua; et qualunque..... biastemiarà santi
« o sante, o maledirà loro, la 1* volta incorerà nella pena di 12 scudi d'oro, et starà
« ingenochiato in terra col capo scoperto et candela accesa in mano inanzi alla
« porta della chiesa maggiore di quel luogo, mentre la mattina si celebraranno in
« essa li divini uffitii; la 2a di 25 scudi et li saranno dati tre tratti di corda in pu-
« blico; la 3a di 50, et starà alla berlina come di sopra; dalla 3a in su, pagará 100
« scudi d'oro, et sarà frustrato et bandito da tutto il stato nostro; et se alcuna per-
« sona..... malamente giurarà al corpo, al sangue di Giesü Christo.... overo de la Ver-
« gine... incorerà le medesime pene per ordine che di sopra habiamo detto volere
« che incorrano quelli che biastemmiaranno li santi.... escetto che dalla 3a volta in
«su vogliamo.... sia [punito] nel modo detto di sopra inanzi della porta della chiesa...
« et paghi la pena pecuniaria imposta nel precedente capo et.... vogliamo che delle
« sopradette pene pecuniarie l'accusatore ne habbi la 4a parte....., et il nome di esso
« aceusatore sarà sempre tenuto secreto... Li giudici, in questo scelerato delitto,
« procederanno senza servare ordine alcuno di ragione o di statuti, per via d'in-
« quisitione o come a loro più parerà di convenire per trovare la verità, et.... se li
« giudiei saranno negligenti di procedere quanto prima contro di questi e di punirli
« nelle debite pene come di sopra, siano puniti eglino nella privatione de' loro of-
« fitii et in 25 scudi d'oro ecc., dove non vi sono, gli ordinari di luoghi tenghino
« un libro particolare et ciascuno l'assegni poi al suo suecessore, nel quale siano
« tenuti de scrivere tutti li bestemiatori maledici et che temeriaramente giurano
« come di sopra, con li loro nomi, cognomi et Patria, et tante volte quante contra-
« verranno a questo nostro decreto, con la qualità del delitto, Anno, mese ef di
« delle condennationi loro, sotto pena per ciascuna volta che saranno negligenti in
esseguire tutto questo di 25 scudi d'oro ecc. Di Pesaro li 20 marzo 1578 ». (Lib. ms.
segn.: Ordini, Bandi ece.; III, XVII, C. 4; Bibl. cit.).
A
4 A. PELLEGRINI
campana, « ad Angelicam salutationem >», trascurassero di
genuflettersi (1). Donde, i troppo zelanti esecutori della legge,
dietro quest’ ultimo bando, nella lor sete di persecuzione,
avean preso di mira specialmente gli ebrei, che non si ?-
ravano, sottoponendoli a dure rappresaglie. Il Duca allora,
sebbene anche lui, sia per politica sia per natura, non po-
tesse del tutto liberarsi da quel pregiudizio proprio dei tempi
e delle circostanze, di non permettere intera libertà d'azione
e di pensiero agli isdraeliti, pur tuttavia, nella sua umanità,
emana un secondo decreto esplicativo a norma dei giudici
che, interpetrando il primo « duro e cavillosamente », da
esso prendevano « occasione a molte smainezze et insolenze
« verso li medesimi hebrei contro l' intentione [sua] che [era]
« di non obligarli a cose impossibili o grandemente diffi-
« cili ». Volendo adunque che « possino vivere [gl ebrei]
« nel stato quietamente », scrive: « .. sel detto ordine
« nostro non paresse così ben chiaro, sappiate che l'abbiamo
« inteso dell’Avemaria che per l'ordinario si suona ogni sera
« alle 24 hore o poco doppo, et non delle altre che si suo-
« nano a mezzodi o altre hore o per qualche accidente, e
« se anco in quella della sera [gl ebrei] non fossero cosi
« presti a retirarsi, s'usi discretione, et in ogni caso non se
« li lassi da putti o da altri dar molestia alcuna, ma che si
« proceda contro di essi alle pene imposte, secondo li ter-
mini di giustitia ecc. Di Pesaro xxi di Giugno 1583 (2) ».
«
Nè sfuggono alla sagacia del duca coloro che « fanno
« libelli et altre scritture et cose infamatorie... » e che
« senza risguardo del honore, reverenza de Dio et rispetto
« della giustitia » ardiscono « anco su le porte delle chiese
« comettere simili escessi ». Proibisce infatti che « niuna
(1) La pena consisteva in 25 scudi d'oro (Cfr. il bando del 30 aprile 1583; Lib.
ms. cit.; Bibl. cit.). ;
(2) Lib. ms. cit.; Bibl. cit. — Anche nel 1624 Francesco Maria torna sull argo-
mento, non per Gubbio soltanto ma per tutto lo Stato, con lettera del 27 aprile
(Edita da G. Luzzatto, I banchieri ebrei in Urbino nel? età ducale, Padova, 1902).
Na
omae
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO D)
« persona... presuma in modo alcuno comporre, dettare,
« Scrivere o sottoscrivere libello, lettere, cartello... che di-
« rettamente o per indiretto contenghi delitto, ingiuria, in-
« famia od ignominia, altro errore o difetto di alcuna per-
« sona, ne quelli in qualsivoglia luogo publico o privato atac-
« care, gettare a qual si vogli persona » sotto « pena della
« Morte et confiscatione de beni; quando però l'infamia o
calunia data ne i libelli ecc., se fosse vera » la pena si
e
A^
ridurrà « alla galea et confiscatione della metà de... beni ».
Similmente proibisce « che niuna persona... presumi...
« gettare a persona alcuna, bruttura, o con brutture... per-
« cuoterla in faccia over nel resto della persona ne a bru-
« giar porte ne rompere gelosie et fenestre, ne a quelle o
« avanti quelli alla casa..., anco che fosse publica meretrice,
« attacare o porre corna, sporchezze o qualunque altra cosa
« brutta, sporca, fetida ecc., sotto pena della morte natu-
« rale ».
Aggiunge che nelle stesse pene incorreranno gli ordina-
tori o gl'inventori di simili sconcezze.
Intima che coloro i quali troveranno detti « libelli o
« altre scritture infamatorie o d'altra cosa vergognosa » deb-
bano subito « levarla, e, senza mostrarla ne palesarla ad
« altri, presentarla e denontiarla al... giudice (1) ».
Colpisce, come si vede, il duca, tutti que’ sudditi, che,
a base d'ingiurie o d'altri insulti, tentavano di togliere la
pace agli individui od alle famiglie, ma non dimentica nean-
che di dettar pene severe per tutti quei vagabondi e la-
druncoli forestieri che, menando vita randagia, raccolti in
piccoli gruppi, attentavano alla sicurezza delle persone e
delle sostanze: gli zingari.
Il 20 di luglio 1580, Francesco Maria fa bandire: « Se
« bene da nostri Antecessori sono state provisioni penali
« perché li Zingari non habbino pratica di sorte alcuna nel
(1) Decreto del 24 gennaio 1579 (Lib. ms. cit.; Bibl. cit.).
^
A
A
«
A. PELLEGRINI
stato nostro, non di meno essendo cresciuta tanto la mal-
vagità loro che ardiscano non solo di commetter furti e
robbarie, ma di andare anco la notte alle case de alcuni,
ligarli et toglierli con violenza la robba et l| honore, hab-
biamo determinato di accrescere le pene ancora et li re-
medii. Però prohibiamo a tutti li zingari maschi et femine .
che per l'avenire non ardischino,.anco con pretesto di li-
cenza o concessioni per l’adietro ottenute, quali tutti re-
vochiamo, o d'havere lasciato l'habito et esercitio o d'altro
qualsivoglia colore, andare, stare, conversare, passare o in
altro modo praticare in luogo alcuno dello stato nostro,
sotto pena della forca et confiscatione de beni. Coman-
dando a ciascun nostro suddito, alla pena imposta dalli
decreti a quelli che non perseguitano li banditi capital-
mente, che vederà zingaro o zingara... che gli debba le-
rare la grida et rumore dietro et fare ogni opera di ha-
verli vivi nelle mani per poterli dare il debito gastigo.
Volendo che a ciascheduno sia lecito di svaligiarli et gua-
dagnarà tutti li beni che li levaranno, non si trovando li
padroni, et trovandosi guadagnino quella recognitione dalli
padroni che sarà giudicata honesta da’ nostri Auditori, et
quando li zingari facessero resistenza...., vogliamo che sia
lecito a ciascuno, per che non fugghino, amazzarli senza
incorso di pena alcuna (1) ».
Due decreti essenzialmente umanitari e educativi, che
destano meraviglia, dati i tempi e le idec, e da fare invidia
anche oggi alla nostra moderna società, son quelli del 28
luglio 1600 e del 13 febbraio 16053 che riguardano la carce-
razione preventiva delle donne e dei fanciulli.
Basta leggerli, per capire che Francesco Maria intendeva.
il carcere non riuscisse scuola di corruzione, e si migliorasse
lanimo della delinquente mediante altri mezzi che fossero
assai più consoni ad un principio educativo.
(1) Lib. ms. cit. (Bibl. cit.).
remm
GUBBIO SOTTO 1 CONTI E DUCHI D'URBINO Y
Basterà riportare il primo decreto, ché il secondo non
è che una ripetizione di esso: « Commissario: Sono di cosi
« mal effetto le carcerationi delle donne, se non vengano
« temperate con molta circumspettione dalla prudenza di di-
« screti Giudici, che ci é parso ragionevole di comandare à
« tutti quello che ben spesso havemo fatto ricordare ad al-
« cuni, che nell'occasioni d'imprigionare et retener le donne
« per i Palazzi, e particolarmente quelle che portano buon
« nome, vi si proceda con ogni maggior riguardo, ne vi si
« venghi se non portati dalla gravezza de casi, et al hora
« si tenghino separate dalli altri prigioni, in compagnia d'un
« altra donna di tempo di honesta vita, dandosi, ne gl'altri
« più leggieri, quando pur vi sia bisogno di ritentione, le
« proprie lor case o d'altri per prigione, dove con sicurezza
« possino più honestamente aspettare il fine delle loro cause,
« che doverà essere piü sollecitato quanto si vedrà maggiore
« l'imbarazzo che apportano si fatte resentioni; facendo
« l'istesso nelle occasioni che veranno di ritener putti da 14
« anni in giü ecc. Da Urbino li 28 di luglio 1600 (1) ».
Accanto a questa provisioni così liberali ed umane, tro-
viamo le solite, frutto del secolo, restrittive e intollerabili.
Una provisione, certo dettata da ragioni plausibili e
buone secondo la mente di.chi la emanava, e che forse vo-
leva essere igienica -— se d'igiene si puó parlare per quei
tempi — mentre doveva poi riuscire in molti casi disa-
strosa, fu quella di non poter tenere in casa un cadavere piü
di cinque ore (2). È noto come nei casi, specialmente di epi-
lessia, possano succedere anche oggi dei gravi errori, mal-
erado il grande sviluppo della scienza medica: figuriamoci
dunque quanti errori dovettero accadere allora dietro simile
provisione, la medicina essendo: appena bambina. Quanti in-
felici saranno stati sotterrati tuttora vivi?
(1) Ibidem.
(2) Cfr. il seguito di questo studio.
per una ragione quindi d’
i nel gennaio del 1600, Fr:
«
«
proprie famiglie, parten
^
|
H «
|
pregiuditio delle case e
minaccia a tutti coloro «
« provisione (1) ».
in Gubbio, erano, ‘oltre quella della 1
pag. 39, n. 4).
« ficatio nel fiume de la Scirca, cont
< ciaro, da far ferro: nel qual edifiti
| «cominciò a lavorare et in tal giorn
|
A.
Per evitare lo spopolamento del paese, la decadenza
delle poche industrie e la relativa povertà delle famiglie —
di galera e la confisca della metà de’ beni a tutti quegli arte-
fici che « per mera ingordigia loro e speranza di magior
guadagno, non curandosi anco di lasciare alle volte le loro
bottegha et introdurre le loro arti in luoghi forastieri, senza
« da cinque anni in qua fuori del stato et patrie loro et non
« Vi tornaranno fra un anno dalla' publicatione di questa...
(1) Bando del 17 gennaio 1690 (Lib. ms. Gila:
economico di Gubbio sotto Francesco Maria.
vetri: il 15 novembre del 1618, Francesco Maria concede a G.
Tausini da Piegaro di fabbricare vetri in Gubbio (Cfr. I
Pel contado, si sa che fin dal 15 giugno 1551 Giov
« Spiritu Sancto con gran solennità ». (Cfr. F
PELLEGRINI
indole esclusivamente economic
incesco Maria minaccia diec
dic
i anni
o delle case loro et vanno ad aprir
t Patrie loro »; e la medesima pena
che per tal effetto si trovaranno
i
|
; Bibl. cit.). Riepilogherò qui lo stato l
Le poche industrie che si esercitavano i
ana (di cui s'é detto più avanti), quella pure di :
Antonio di Agostino |
4 CELLI, Di S. Goszolini, ecc..
ambatista Barbi fece « una edi-
à d'Ugubbio, nel territorio del Castel di Costac-
O spese gran dinaro, et nel sopr
0 fu benedetta 1°
ascritto giorno
acqua, cantata la messa del,
. UGOLINI, Op. cit., vol. cit., pag. 161
n. 1). |
Nel 1580 l’entrata di Gubbio era di ducati 6,654: bolognini 20; quattrini 3. If
» l'uscita, » » 1,985; » 9; » Qi d
i) | Nel 1591 « le bocche tanto de' maschi come femine » in Gubbio che nel contado.
Wie eran cosi divise:
i: i 4 5 " È
i « Gubbio maschi 3,061 feminae 3,958 |i
« Cantiano » 1,13 » 1,186 È
« Costacciaro » 486 » 588 |
« Scheggia » 401 » 470 |
| « Pascilupo » 191 » 194 !
| « Serra di S. Abondio » 321 » 342 |
Hi « Il resto del Contà » 5,186 » 5,177 i
Hi :
Totali . . 10,777 11,215 |
In tutto n. 21,992. |
D.
| L'« assegna de’ grani, biade e bocche » di Gubbio e contado nel 1594 erano: |
4 n Y ^ 5 3 : s i |
| Bocche n. 17,419. Grano, some n. 19,003,5. Biade, some n. 3,258 (Cfr. 1 op. cit. di t
! L. Celli, pagg. 257, 240, 249).
Nel 1598 la popolazione aveva raggiunto il n. di 18,520 ab. (DENNISTOUN, Op. cit.,
vol. TIT. pag. 423).
crm ro
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D' URBINO 9
Quelli che più di tutti lasciavano a desiderare erano
gli ufficiali dello Stato. E la ragione per me è facile ad in-
tenderé: il completo isolamento in cui eran costretti a vi-
vere, il diniego di qualsiasi ombra di libertà, gli stipendi
miseri con cui venivano retribuiti.
Dai documenti che ci restano non si rileva che a Gub-
bio si comportassero peggio che negli altri luoghi. Il Bar-
gello, p. es., malamente pagato nella nostra città, come nelle
altre, era quello che maggiormente costava noie e pensieri
ai superiori.
Basti che io riferisca il seguente reclamo della comu-
nità eugubina al duca: « Il Barigello et essegutori... vivono
« con tanta libertà e cosi lincentiosamente che par quasi
« non riconoschino superiorità... poiché pare... siano qui solo
« per bevere il sangue a quelli che li passano per le mani,
« facendosi pagar le lor mercede come li piace, senza voler
« punto attendere alle tasse et ordini che vi sonno...; l'altro
« giorno fu chiamato in palazzo per una cattura d'un gio-
« vene che si doleva esserli stato forza darli troppo come
« per la tassa si li dimostrava, e perché volevamo che li re-
« stituisse i denari, ci rispose che quella tassa non l inten-
« deva e ci si levò dinanzi..; ci par grave non solo perchè
« sapiamo mente di V. A. esser che lui... serva et obedisca
« il magistrato, ma perché ne riceve pure ogni mese da noi
« diece scudi; ... le fu data in essegutione contro un debi-
« tore... in buona somma, e perché quel tale era molto suo
« amico non fu mai possibile farglila fare... (1) ».
Io non conosco che questo reclamo; chi sa peró quanti
altri ne saranno stati fatti contro gli ufficiali dello Stato in
diversi periodi di tempo e da ogni luogo, cosicché il duca,
nel.1596, emanò per tutti gli « offitiali del suo stato, per
« servitio della Giustitia come per benefitio de’... sudditi »,
un decreto con cui ricordava e sanzionava gli obblighi cui
(1) Lettera dell'8 giugno 1593 (Lib. ms. segn.: Cl. I, D G., F. CCLV; Arch. di
Stato cit.).
dovevano rimanere soggetti. Nel darne un breve sunto non
10
A. PELLEGRINI
posso fare a meno di notare che dubito abbia potuto recare
i suoi buoni effetti, poiché troppo si pretendeva da loro: Or-
dina dunque che vivano « con il timore di Dio; che si asten-
A
A
^
^
A
ghino da tutte le conversatione intrinsiche...; che non va-
dino, se non per causa di necessità,... a mangiare a casa
d'altri ne essi ne altri della fameglia loro, ne ricevino per-
sone della giurisditione loro a mangiare con loro; che non
vadino a feste né si faccino maschera; che non trattino,
mentre sono nell'offitio, parentado tra essi alcuni di loro,
« con loro giurisditionarii; che non faccino cómpari..; che
non giochino; che non s'impaccino d'inviar cause ad avo-
cati o a procuratori..; che siano facili nel dar udienza e
pazienti nell'ascoltar; che attendino ad osservanza di tutti
li decreti di S. A...; che visitino almeno ogni giorno di
festa le carcere e prigionia, ordinino che siano tenute ben
polite e che non le manchi cosa necessaria al vivere se-
condo il grado loro..; che al tempo della Pasqua e feste
solenne se gli racordi il confessarsi e comunicarsi..; che
trattino amorevolmente con li Giudici Ecclesiastici..., non
cerchino di turbare la giurisditione loro, et vadino con
quel rispetto che si deve alle chiese e persone ecclesia-
stiche, avertendo non mandare a pigliar prigioni in luoghi
Sacri se non con la licenza del Vescovo e ne casi e con
li modi permessi dalla Bolla di Gregorio XIIII. Et si come
si deve haver l'occhio di non turbare la giurisditione loro,
così si deve altretanto avertire loro che non turbino loro
questa di S. A... Et alli soldati si osservino inviolabilmente
li loro capitoli. Che s'avertisca... che nelle giurisditioni loro
non vi siano persone che voglino fare professione di stare.
superiore agl'altri nelle cose della giustitia... Che siano
ben vigilanti nell'interesse de' poveri, vedove, pupilli, che
non restino indefesi... (1) ».
(1) Lib. ms. segn: Ordini, Bandi ecc.;
III, XVII, c. 4 (Ar. cit, Bibl. cit».
" IUIUS reser
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINÓ 11
Finalmente, altre provisioni — alcune per lo Stato in
generale, alcune per Gubbio in particolare — e alle quali
si annetteva. allora tanta importanza e che rientrano sempre
nell'ordine economico, furono da Francesco Maria emanate
intorno al lusso ed altre spese del vivere comune.
Queste provisioni sono di epoche diverse: del 1574, del
"75 e dell’’83, e del 1613.
Quelle del 74 e dell’ ’83 furono già pubblicate dal prot.
Mazzatinti (1); sicchè io mi occuperò piuttosto delle altre due.
Il 4 di gennaio del 1575, la comunità fa scrivere al
duca la seguente brevissima lettera: « ... hanno resoluto,
« quanto alle donne, che non vogliono le sia lecito portar altro
« che zambollotti, saglie e rasce e panni simili, prohibendo
affatto drappi e seta, eccetto che alli sposi che per un
«anno possino portar dui vesti di veluto schietti, cioè una
« sopraveste e l’altra sottana, e che passato l’anno non le
«
A
-« possino operar più in vestirsene... (2) ».
Nel 1613 Francesco Maria fa raccogliere in un sol corpo
le diverse provisioni di questo genere e vengono pubblicate
nello stesso anno in Pesaro per Gerolamo Concordia, con li-
cenza de Superiori, sotto il nome di Nuova | Provisione et |
riforma | per le pompe del vestire | et altre superfluità di spese
| da osservarsi nelle Città, Provincie, Terre ecc. | luoghi dello
Stato del Serenissimo ecc.
Questa Nuova provisione merita di essere in buona parte
conosciuta, sia perchè non più, per quanto sappia, esumata,
sia perchè viene in diversi punti a modificare quelle ante-
riori sullo stesso soggetto dettate.
È una provisione assai più restrittiva delle altre, e perciò
assai più illiberale; detta norme chiare, precise, tassative;
considera il suddito riguardo all'età, al sesso, alla condizione
sia naturale che civile; contempla cioè ogni caso della vita
privata e famigliare. Riesce alquanto umanitaria, laddove, p.
(1) G. MAZZATINTI, Op. i Bollett. cit., pagg. 297 e segg.
(2) Lib. ms. segn.: Cl. I; D. G., I. COLX (Arch. di Stato cit.).
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A.
PELLEGRINI
es., lascia facoltà, al forestiere specialmente, di « esercitare
. «
«
atto di carità et di elemosine a persone mendiche et mi-
serabili ».
Ma andiamo per ordine. Premesse le solite considerazioni,
quasi. come per giustificare la Nuova provisione, si continua:
A
A
A
De parti et battesimi; .... si ordina .... che da nissuna per-
sona si possano visitare le donne di parto, se non parenti
fino al secondo grado all’ Infantata ; ^. Che nella ceri-
monia di battesimi o cresime non si faccino adunanze di
persone et che nell'aecompagnamento non possino interve-
nire altri che i compari et comari con quattro altre donne,
non comprese le serve. Non sia lecito in questa occasione
fare alcuna sorte di presenti o doni; possino solamente i
compari, le comari et i congiunti, fino al secondo grado,
donare all'infantata cose mangiative non escendenti la va-
luta di doi scudi et altrettanto alla creatura, in ció che
più loro piacerà. Dalla quale proibitione siano però esclusi
i forastieri invitati di fuori et ogni altro che volesse eser-
citare atto di carità et di elemosina a persone mendiche
et miserabili; nel portare la creatura al sacro fonte si pro-
hibisce ogni apparato di pompa et ogni ornamento di oro,
argento, gioie, perle et ricami di seta, le pelli preciose et
i drappi espressamente prohibiti, come si dirà, et i lavori
d'intagli et punti in aria, di magior valore di quattro scudi;
- SÍ prohibiscono parimente dentro in casa tutte le cose so-
pradette, et le colattioni di confetture, di zuccaro d'ogni
sorte.
« De putti: si ....prohibisce che i putti non possino vestirsi
et ornarsi di drappi di seta prohibiti, nè di gioie, perle, o
ricami d'oro, d'argento e seta. Si permette .... che i mede-
simi fino al settennio possino vestirsi et ornarsi con passa-
mani et trine d'oro.et argento, guarnire i capelli, centu-
rini et ligaccie, et usare piume di mediocre valuta. Per
lo restante s'intendino compresi sotto la riforma et gene-
rale prohibitione degli altri huomini.
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 13
« Delle fanciulle: si prohibisce .... portare et usare vesti
di seta d'ogni sorte et il fornirle d'oro o d'argento in modo
alcuno, et il ricamarle anco di seta; solo le sia lecito porle
la trina et passamano di seta che si permette alle spose;
sì permette il poter portare .... vesti di buratto di seta di
ferandina, et simili, il giumbone et maniche di drappo non
prohibito, il velo et panigello di seta, zedalo o taffetà et il
capello del medesimo; .... si prohibisce il portare ....oro, ar-
gento, perle et gioie di qualsivoglia sorte. Solo se le conce-
dono per le orecchie gli anelletti d’oro, di valuta al più di
uno scudo, i coralli et granatine, tramezzato con l’Agnus
« Dei o crocetta d’oro, non ascendenti in tutto il valore di
A
sei scudi. Nel resto s'intendino compre sotto la generale
: prohibizione dell’altre donne.
« Delle spose et sposalitii: ... nella cerimonia dei sposa-
: litii et nozze, non sia lecito né in palese né in secreto
* donare cosa alcuna ai sposi, ai parenti et alle persone di
casa... eccettuandone i padri, madre, fratelli, sorelle zie e
zie carnali d'amendue i sposi ne fare conviti ecc., escen-
‘ denti la spesa di 10 scudi; non sia lecito ad alcuna per-
sona visitare le spose mentre staranno in casa, eccetto che
- alle sorelle carnali, consobrine, zie carnali et alle cognate;
et nella cerimonia dell’uscire di casa, et nell’altre susse-
: ‘guenti, non possino le spose uscire accompagnate da più
« che sei donne, ad elettione della sposa, non comprese le
^
A
^
serve; non possino le spose havere in oro, cioé collane,
: Cintura, manigli, bottoni ecc., oltre la valuta di scudi 200
- di moneta, in gioie, in anelli, granatine, gioielli, pendenti
. et gli anelli che si permettono anche col smalto; non sia
lecito... alle spose il portare... drappi prohibiti cioè gl'intes-
suti con oro et argento, i broccati, broccatelli, veluto riccio
: Soprariccio, et i ricamati et lavorati in oro, argento, seta di al-
: cuna maniera; si prohibisce... l'uso delle perle et gioie di qual
« sivoglia altra sorte, et le trine et passamani di oro et di
- argento vero o falso, le pelli di armelino, zibellino, mar-
*
i
riassetto mante.
ewe
14
^
A^
^
«
^
«
A. PELLEGRINI
tori et lupo cerviero, eccetto che per una manizza; si pro-
hibisce.... che ne doi primi anni del loro maritaggio, non
possino havere piü di quattro vesti, due sottane et doi
eiubboni et un capotto di drappo di seta non prohibito,
: guarniti di uno o due trine et passamani o frange di seta
non piü larghe di un dito, et finalmente di cappie, né pos-
sino fodrarle d'altra seta, fuori che il capotto et le mani-
che aperte; non possino.. portare... colari et lattughe di
velo o d'altre tele ricamate di perle, oro et argento vero
o falso, né oprare.. muschio e profumi di maggior prezzo
de un scudo. Si prohibiscono... i lavori di rimessi, d'inta-
elio, punti in aria et altri... di magior valuta di 4 scudi;
..vogliamo che per l’avenire, dove saranno figli maschi,
non si possi, senza nostra licenza, dare dote maggiore della
legittima, tanto de beni paterni, quanto materni, sotto pena
della perdita di quel soprapiü venisse dato e oltre l'altre
pene generale contenente nel fine di questa ecc.
« Delle donne maritate. Si ordina... che tutto quello s'é
prohibito... alle spose, s'intenda... magiormente prohibito alle
donne maritate non piü spose; non sia lecito ad esse... por-
tare penacchi, piume et fiori di valuta, cristalli et vetri di
sorte alcuna et guanti ricamati, se non di seta semplice.
« Degli uomini:... si prohibisce... il portare... oro, argento,
perle, gioie..., vetri, cristalli et smalti; solo se li concedono
fino a due dozene di bottoni di oro senza smalto, non
escendente il valore di un scudo e mezzo luno, et uno o
due anelli con smalto di scudi 25 al più, et un centurino
al capello con pezzi d’oro,... si prohibisce... ogni uso... di
drappi prohibiti, come di sopra; i passamani et trine di
oro et argento di ogni qualità, et i racami del medesimo
et di seta ancora; si concede nondimeno a tutti, purchè
per altro non li sia vetato, facoltà di portare spada, altre
armi et guarnimenti di esse indorate et inargentate, come
più gli piacerà. i
« De contadini. Si... prohibisce che nissuno, huomo o donna
nm om
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GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 15
di villa ardisca.. usare vestimenti di seta di qualsivoglia
sorte, ancorché permessa. Solamente alle donne sia lecito
portare le maniche, il zendalo et il capello di seta, senza
finimento peró d'oro o di argento, piume et penacchi, i
quali penacchi si permettono peró a' soldati delle militie,
come... anco i centuroni et l'armi indorate et inargentate.
Si prohibisce... il portamento d'oro, argento, perle, gioie,
salvo alle donne i coralli et anelli d’oro, i quali si permet-
tono anco agli huomini, purchè non escendano il valore
di 4 scudi.
« Delle meretrici. Si... prohibisce... il portar... oro, argento
perle et gioie... eccetto un ‘anello di oro e di argento che
: con la pietra non passi il valore di doi scudi; si prohibisce
l’uso di qualsivoglia drappo di seta, ancorchè permesso;
riservatoli solamente il zendalo et il capello da portare in
capo.
« De’ funerali... Si comanda che i defunti non si possino
vestire et ornare di sorte alcuna di drappi di seta nè d’oro
: 0 gioie et il cadavere non possa tenersi in casa più di
cinque hore, seguendo la morte di giorno, e se è di notte,
fino alla mattina..., et quando le chiese et i sacerdoti fos-
rero lontani, o che vi fusse altro legittimo impedimento,
si possi... tenere in casa fino a 10 hore...; si prohibiscono
i catafalchi ecc. come anco... ogni altra ostentatione d’armi,
tapeti, panni ecc., dichiarando che non siano comprese in
queste prohibitioni gli adobbi delle confraternite e compa-
gnie;... si prohibiscono i sermoni soliti farsi in lode del
morto; non sia lecito ad alcuna persona in questa occa-
sione visitare in casa i parenti del morto, esclusi gli atti-
nenti, fino al quarto grado; si prohibisce... che in questa
occasione non si possino fare vestiti, dare berette et veli
da lutto a persone fuori di casa del morto ecc. (1) ».
Queste adunque le disposizioni principali d'indole econo-
(1) Lib. ms. segn.: Ordini, Bandi ecc.; III, XVII, e. 4; Ar. cit.: Bibl. cit.
ao Rare orem ims te eo
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— cQ Js a mam er e E Fi Enn
16 A. PELLEGRINI
mica e sociale emanate da Francesco Maria che direttamente o
no riguardavano anche Gubbio, E prima di finir di parlare
di questo periodo — tralasciando di notar che ai 5 di ottobre
del 1582 fu adottata nella nostra città come nelle altre del
ducato, il nuovo calendario di Gregorio XIII (1), e che con
decreto del 81 maggio 1624 fu approvata la riforma dell’antico
statuto eugubino, fatta dal giureconsulto Giacomo Beni (2) —
mi preme anche accennare quale sia stato l'interessamento
del duca per le condizioni materiali, diciamo così, dei citta-
dini di Gubbio.
Allora, le due principalissime preoccupazioni dei gover-
nanti e di ogni comunità dovettero essere, l’anzona, prima
di tutto, e il render facili, quanto più era possibile, le di-
Verse comunicazioni tra paese e paese.
Non erano certo da trascurarsi questi due fattori della
vita e del benessere cittadino, quando Gubbio sul finir del
secolo XVI aveva già — come ho detto — raggiunta la ci-
fra di più che 18000 abitanti.
(1) Francesco Maria, ai 19 di settembre 1582, scrive: « Habbiamo veduta la
« correttione et riforma del calendario novamente fatta da Sua Beatitudine per ri-
« durlo a suoi giusti termini, et c'é piaciuta grandemente; però vogliamo che sia
A
osservata in tutte le città e luoghi dello stato..... et che secondo la continenza di
« quella, il di cinque del mese di ottobre seguente diventi il quindici, levandone
« dieci giorni, seguendo doppo li quindici, il numero degl'altri di del medesimo
« mese, secondo é stato sin qui solito, di maniera che il mese di Ottobre per que-
« stanno solo habbi giorni ventuno, ct..... comandiamo che questa nostra determi-
« natione sia publicata..... et inviolabilmente osservata sotto pena di cento scudi ».
(Lib. ms. cit.; Arch. cit., Bibl. cit.).
(2) Gubbio si governo fino al secolo XVII con uno Statuto compilato nel 1338
e approvato dal cardinale Egidio Albornoz, legato d'Italia per Innocenzo VI, ai. 15
d'agosto del 1354. In sul principio del secolo XVII fu riformato dal celebre giure-
consulto eugubino Giacomo Beni e la riforma approvata dal duca ai 31 maggio 1624
e poi da Urbano VIII nel 1632, quando Gubbio passo allo Stato pontificio (F. UGOLINI,
Op. cit., vol. I, pag. 166). « Il nostro Antonio Concioli — dice il LUCAKELLI (Op. cit.,
« pag. 110) —,ed il giureconsulto Bonaguerra corredarono questo nuovo statuto d'as-
« sai dotti commenti, e.... queste nostre leggi municipali furono poi adottate dalla
« città di Gerona capoluogo della provincia omonima in Catalogna ». Dallo statuto eu-
gubino furon fatte tre edizioni: la l^, senza alcuna annotazione, per Marco Antonio
Triangoli in Gubbio nel 1624; la 2* per G. Piccinini in Macerata nel 1678, con note
di A. Concioli; la 3* per Girolamo Gobol nel 1685 in Gerona con note del Concioli e
di Francesco Romaguerra (R. REPOSATI, Op. cit., vol. 2°, pag. 417).
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D’URBINO 17
Allora, come ho altra volta accennato, nessuna libertà
di commercio: i sudditi di uno Stato dovendo pensare a sé
stessi, sfamarsi con i propri mezzi, non potevano privarsi di
un prodotto a beneficio di altri, per evitare appunto che in
caso di guerre o di carestie venisse poi loro a mancare. Era
questo naturalmente un mezzo troppo semplice e poco efficace,
— imperando spesso, come abbiamo visto, nello stesso modo
la carestia — ma era l’unico che avessero a loro disposi-
zione. Donde un ufficio a bella posta dei cosidetti abondan-
teri che dovevano cercar sempre il modo migliore per trar
profitto, quanto piü era possibile, di quei mezzi di cui potean
disporre.
Ne abbiamo un esempio nel 1593.
Preoccupato Carlo Gabrielli, console del comune, delle
condizioni miserrime della città, sottopone all'approvazione
di Francesco Maria un suo disegno:
« Questa sua città di Gubbio.— scriveva — per la ste-
« rilità del paese ha molto bisogno che sia ben provista di
« grano e l'uffitio della bondantia si esserciti bene e fedel-
« mente.
« Principalmente, è cosa molto bona che si faccia il
« pane ad istantia del l'abondantia per più raggione qui sotto
« .Scritte.
« Prima, perche il pane serà netto de ogni sospetto di
« mistura ecc.
« 2.° che il peso serà sempre giusto.
« 53. che il guadagno serà del istessa bondantia che
« tutto ritorna a vile de honesti.
« 4.° la città serà sicura dalle necessità che potessero
« nascere da fornari nel alteratione de’ grani ecc.
« 5. e se il grano del la bondantia serà caro, li fornari
« ne potriano pigliare poco e cosi manterria il grano e il
« pane à caro prezzo e potriano li fornari comprare a man-
« cho prezzo il grano nella città, e forastiero, e ne potriano
« fare il pane, al bilancio del grano, caro al la bondantia
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18
e così li fornari potriano guadagnare ingiustamente e si
manterria il pane caro longhamente a danno de’ poveri.
A. PELLEGRINI
« 6.° tutta volta che faranno il pane li fornari, varrà
assai, massime a certe charestie ecc. |
« 7. per la sperienza de altri paesi facendo il pane dei
fornari, e periculo a certi tempi.
« Accio quest'abbondantia vada bene ecc. a me pare oc-
corra le sottoscritte cose:
« Principalmente che labondantieri siano tali conformi
alla voluntà de V. A. Ser. ma che per li poteri abino la
modesma voluntà che per loro figlioli propri, il numero de
quali non passi quatro...; per causa di maggiore aiuto e
de consiglio vi é il magistrato et il consiglio pubblico, del
quale si potriano chavare quatro persone che fossero con-
siglieri del la bondantia, dua de deputati e doi del consi-
.glio grande che fossero partecipi delli consigli et afari del
la bondantia, quali poi nel consiglio publico faccino cha-
pace il consiglio del bisogno e progressi della bondantia
acció poi il magistrato per la parte sua quando bíso- |
gnasse, provedesse e, bisognando, desse conto a V. A.
Ser.ma.
« Al numero grande de bondantieri hora è tanto chare-
stia de homeni che si uno anno se ne occupano assai, lo
anno che segue non sa dove dare di mano, farsi seria be-
ne che di questi quatro abondantieri ogni anno ne restas-
sero doi, come bene informati delli afari e cose del la bon-
dantia, e così le cose con più certa informatione e sicura
pasariano e non si occuparia il tempo che occorre al li
homeni novi per entrare in maneggio. |
« Cosa molto necessaria che li abondantieri de anno in
anno provedino di grano la bondantia... e doi mesi di più
si spiani al novo uffitio il grano vecchio, premedittare la
quantità e desegnarla al prezzo che stesse alli bondantieri
vecchi, li novi bondantieri la pigliassero, avertendo che il
erano che serà a prezzo basso, faccia servitio per li po-
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«
A
^
GUBBIO SOTTO 1 CONTI E DUCHI D’URBINO 19
veri al grano alto che l'abassi l'alto e non l'alto alzi il
basso prezzo; questo serà una cosa che li grani staranno
sempre a prezzi onesti perchè ogniuno haverà grano da
vendere pensarà di smaltirlo al tempo e nissuno pensara
ritardarlo delle speranze che la abondantia non habbia
erano abastantia. È necessario che... in modo alcuno non
si lasci fare il pane a altri... ma si gastichi chi farà il pane
fora del ordine...; se bene ve fosse qualche fatigha nel eser-
citare che l'abondantia faccia il pane publicho, questo non
. è gran cosa per uno anno che tocca... e tuttavia si pole fa-
cilitare, e quando vi fosse strada da fare il pane con man-
cho spesa e con piü prestezza, si potria fare venire di fora
ho uno fornaro tedesco ho de altri paesi che insegnasse
bene...
« Bonissima cosa, anzi necessaria, é che li abondantieri
debbano tutto l'anno comprare grano della città e contado
de ogniuno che l'occorra vendere e lo debbano tenere in
eranari diversi dalli granari del grano dello spianare...
« Bona cosa serà ancora di più, che l'abondantia pigli
de li orzi, aranelle, grano marzolo, grano, vernella, fave,
altri legumi, seghala e qualche poco di grano di setten-
trione per paesi freddi... 8 Agosto 1593 (1) >.
Questi i rimedi escogitati e proposti da Carlo Gabrielli,
i quali avrebbero forse potuto arrecar buoni frutti, se non
fossero mancati i denari: e a questo riparò qualche anno
dopo la liberalità del duca, prestando 5000 scudi alla comune
«
per sovvenimento dell'abbondanza (2) ».
Un'altra preoccupazione, come ho detto, eran le facili
comunicazioni fra la città e gli altri paesi del ducato.
Già fin dal 19 giugno del 1587 i consoli trattano con
o t
Scaramuccia, mastro delle poste di Sua Santità, per fare attra-
versare dalla corriera il territorio eugubino (3); nel 1594, le
(1) Lib. ms. segn.: Cl. I, D. G., F. CCLIX (Arch. di Stato cit.).
(2) Lib. ms. segn.: Cl. I, D. G., F. CCLV (Arch. di Stato cit.).
(3) Ibidem.
scada sirene Mam a — _
‘20 A. PELLEGRINI
vie dello stesso territorio trovandosi in uno stato tale di
deperimento « che apena malamente si possano cavalcare »,
Carlo Gabrielli si rivolge in proposito a Francesco Maria,
« conoscendo con quanta carità vigila » i sudditi.
Propone adunque vengano riattate le strade seguenti:
« 1.° la strada di Chagli a Peroscia che è la strada
della corte e del stato e da Peroscia per Todi e Roma et
serve per viatione di grano, olio et altre vittuvaglie, e ser-
ve anche nel contado di questa sua città.
« 2.° la strada della città di Chastello e della Brancha,
viaggio ordinario di Fiorenza et Ancona e de Toscana e
de Fabriano e del la Marcha e di Gualdo, Nocera, Foligno
per Roma e per la montagna di Norcia e Camerino, e vi
è parte de questo suo contado.
^
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A
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^
A
« 5.° la strada della Fratta e Gubbio, di dove viene
^
assai vittuaglia di grano, meloni et castagne per qui e per
la Marcha.
A
« 4.° la strada della Marcha che si ariva per questo
contado alla Schiggia, Pasalupo, Serra di santa tonda, dove
« è gran parte di questo suo territtorio che ne viene grano
« et altre vittuvaglie.
A
« 5.° le strade di Asise che passa per Valfabbrica e
ve è di questo suo territtorio, di dove viene... olio et al-
tre vittuvaglie. $
«
A
«
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« 6." la strada di Costacciaro e Sigillo, dove v'è del
« terittorio di questa sua città, e vi viene qualche vittuvaglia.
« 1^ la strada che arriva a santo Agnolo, Chasteldu-
« rante, Mercatello, e passa per Apecchie e per la monta-
« gna di città di Chastello e per una parte della montagna
« di questo territtorio ecc. (1) ».
Ed ora chiuderò questo mio racconto dello stato di Gub-
bio sotto Francesco Maria, dando uno sguardo alle condizioni,
piuttosto morali che fisiche, dell'elemento clericale.
(1) Lettera dell'8 dicembré 1594 (Lib. ms. segn.: Cl. I, D. G., F. CCLIX).
GUBBIO SOTTO 1 CONTI E DUCHI D URBINO 21
Che gli ecclesiastici godessero privilegi d’ogni sorta, fra
i quali quello di esser giudicati da un tribunale a parte tutto
loro speciale, si sa; e che ciò costituisse una vera e pro-
pria anormalità e fosse causa di attriti fortissimi fra le auto-
rità laiche ed ecclesiastiche e di ingiustizie somme, questo
pure è omai noto. Non starò dunque a dilungarmi in consi-
derazioni che riuscirebbero pur sempre tristi, e verrò senz'al-
tro a narrare obiettivamente le quistioni che nacquero sotto
Francesco Maria in causa appunto delle due autorità in lotta
spesso fra loro e gli scandali che sorsero ad ammorbare
l'aria, a rompere la tranquillità del paese, a turbare le co-
scienze bramose di pace.
Forti della loro potenza morale e materiale, gli ecclesia-
stici nulla sopportavano, e, intesi solo ad un fine terreno e
di supremazia, non erano mai essi i primi a piegarsi e a ta-
cere. Perchè, sarebbero scusabili quando fossero stati causa
di liti e peggio per salvaguardare la santità della religione,
ma pur troppo invece le liti più grandi sorgevano a causa
di ripicchi privati, di sciocche pretensioni di superiorità (1).
(1) Nel 1598 intanto i padri di S. Francesco ricorrono al duca per una quistione,
chiamiamola così, di dignità e di rispetto. « Hoggi.... 21 febraro, i ministri di S. A. S.,
« luogotenente et podestà, hanno fatto piantare le forche rimpetto al dormitorio
« del nostro convento vicino alle muraglie di detto convento, et in faccia alla porta
« principale della Chiesa per punire un malfattore, et questo l' hanno fatto di notte;
«la matina..... siamo ricorsi.... facendoli instanza che dovesser altrove far simil
« cosa, non essendo conveniente che appresso luoghi religiosi et sagri se essegui-
« schino cose tali ;..... hanno usatate parole ingiuriose con dire insolenze ad uno de
« nostri padri et altre parole impertinenti ecc. ». Lett. del 21 febbraio 1598 (Lib. ms.
seg.: Cl. I, D. G., F. CCLIX ; Arch. di Stato cit.).
Avevano ragione i monaci a non voler contaminate le loro adiacenze da ese-
cuzioni infami e maggiormente quando uno de? padri fu insultato da parole in-
giuriose, sebbene forse fossero dirette a qualcuno che se le meritava; sapendo
che i conventi allora — come abbiamo già visto sotto Gudobaldo II e come avremo
occasione di vedere anche: fra poco — e specialmente questo di S. Francesco,
erano inquinati da diversi indegni soggetti; ma d’ altra parte avevan sempre
torto, ed. eran degni di riprensione, quando impedivano che la giustizia colpisse
chi di loro si rendeva reo di colpe, per un vieto e falso rispetto umano. Nel 1604,
p.es. un fra maestro Mariano, accusato di non so quale peccato, malgrado la
« mala sodisfatione del publico e de la città di Gubbio » l'autorità ecclesiastica de-
cide, « per degni respetti concernenti l' honor del Convento, della Religione, dell’i-
29 A. PELLEGRINI
Con questo peró non voglio attribuire tutto il torto ai chie-
rici; anche i laici avevano il loro. E l’antagonismo, i ripic-
chi, le liti erano conseguenza logica di due trattamenti di-
versi da parte di chi siedeva in alto.
« stesso padre et della Città, non se ne debba fabricar processo ». Viene solamente,
fra Mariano, traslocato in altro convento; dove forse, ben conoscendo le false idee
imperanti che gli assicuravano facilmente l'impunità, non si sarà fatto scrupolo di
rinnovare le sue geste poco edificanti (Cfr. Lett. del 27 febbraio 1604; Lib. ms. Git. ;
Arch. di Stato cit.).
Nel 1612 nasce una fiera contesa tra Mariano Savello vescovo di Gubbio e i
ministri del duca della medesima città. La causa é sempre la solita: la gelosia di
comando e di giurisdizione per cui tentano sopraffarsi; discordi essendo nei mezzi,
nei fini, nei pareri. Si trattava d'istruire processo ad un prete che aveva deflorato
una donna. Pare che in questo caso il Vescovo avesse richiesto l'aiuto del braccio
secolare; ma il solo aiuto materiale, passivo. Non intendeva che i giudici laici si ap-
propriassero il diritto di consigliare né di giudicare. Dovevano insomma mantenere
una perfetta neutralità; cosa che, secondo monsignor Savelli, non essendo stata os-
servata ricorse a Roma, e ci furono da ambo le parti accuse e bisticci; si misero
in moto la Sacra Congregazione e i ministri di Francesco Maria, lui stesso e le au-
torità eugubine.
Al duca che chiede a Gubbio informazioni in proposito, si risponde un suo mi-
nistro di nome Rutilio: « ... li Giudici di Gubbio havendo proceduto contro una
« donna deflorata et ingravidata da un prete, contro il quale fa la causa detto Ve-
« scovo, [sono accusati] che habbino prohibitoli che non si lasci essaminar dalli Ec-
« clesiastici et con tal prohibitione gl’ habbino assegnato certa casa per carcere;
« che.... da certo tempo in qua pretendino la cognitione delle cause in sustanzia di
« decime et esattione di esse, il che spetta al foro ecclesiastico,
« che habbino astretto li coloni partiarij di esso vescovo alle fattioni con farli
« careggiare la calcina in palazzo,
« che gli habbino fatto amazzare il balio....,
« che se gli neghi il braccio secolare (Lett. del 2 settembre 1612; Lib. ms. segn.:
Cl. I, D. A., F. IV; Arch. di Stato cit.). Questi adunque i principali capi d' aecusa del
Vescovo. D'altra parte, gli accusati pensavano ai mezzi di difesa. Da una lettera di
un altro ministro del duca, si ricava: « il Vescovo... ha secondo il solito suo, dato
« memoriale e querele contro di noi alla congregazione de’ vescovi, e I' Emilio... ha
« avuto copia di alcuni capi di esse che sono questi che io le mando d'ordine di
« S. A. accio ne scrivino a Gubbio, massime del primo dove si tratta di quella donna
« deflorata e dell'ultimo intorno al braccio, perché intorno al quarto che gl'abbino
« fatto ammazzare il balio é vanità d'iscusarsi, poiché é stato per il cattivo proce-
« der suo...., quàndo al secondo e terzo bisogna stare in cervello di rispondere in
« maniera che non ce pregiudichiamo, che crederei la risposta potesse esser questa:
« che li giudici di Gubbio, conforme a quello che loro e loro antecessori... hanno
« fatto da tempo...., hanno aministrato ragione a quelli che sono andati al loro foro
« per l'essatione delle decime chiare e liquide, se come hanno anco fatto contro i
« Coloni partiarij in matteria di fattioni per cause concernenti l'util publico, come
« di strade ecc. ». (Lett. del 23 agosto 1612; Lib. ms. cit.; Arch. di Stato cit.).
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO
Ma il peggio era quello che avveniva nei monasteri.
Erano molti a Gubbio e assai numerosi di anime: il
monastero di S. Agnese, di S. Agostino, delle Cappuccine, di
S. Pietro, di S. Antonio, di S. Spirito; i canonici Lateranensi
Rimanevano sempre il primo e l’ultimo capo d' accusa, cui trovare una ragione
di difesa. Lo stesso Rutilio pensa al rimedio e scrive: « ignoro che li giudici hab-
« bino fatta nessuna proibitione alla donna, e attesto che quando i vescovi hanno
avuto bisogno dell'aiuto laico contro gli ecclesiastici che han mancato l' han sem-
pre avuto, e nel caso presente che venne ser Guido Baldelli Cancelliero episcopale
‘a nome del Vicario a dimandarmi il braccio per far catturare detto Prete et l'hebbe
che quello fu catturato dal Barigello, et dopo tornò il medemo Cancelliero per
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« il braccio per essaminar secolari contro esso Prete et piü l'ottenne » (Lett. del
settembre cit.: Lib. ms. cit. ; Arch. di Stato cit.).
Dunque le ragioni eran trovate, ed alcune assai plausibili; l'unica che forse
poteva dar luogo a pensare che il vescovo non avesse torto era il dire, d'Zgnorare
che li giudici habbino fatta nessuna prohibitione ecc. Ma quando la matassa si fosse
vieppù ingarbugliata e le cose fossero arrivate all’ estremo, gli eugubini avrebbero
alla lor volta accusato. Non facevano i loro dovere le autorità laiche? ma neanche
il vescovo badava a che i suoi sottoposti otternperassero alle leggi dello Stato. Ri-
cordano infatti che nel carnevale i suoi servitori erano andati « alla festa in alcune
« ville » di Gubbio con gli archibugi mentre il duca aveva ordinato di non por-
tare armi « per 200 passi vicino ai luoghi dove si ballava », inoltre, uno de’ detti
servitori « haveva una sera abbassato [l' archibugio] contra un contadino facendolo
« desistere dal ballare » (Lett. senza data del 1612; Lib. ms. cit.; Arch. di Stato cit.).
Citerò, in ultimo, una terza contesa fra il Capitolo e la Comunità nata e soste-
nuta veramente per bassa quistione d'interesse, la quale mostra come i preti si ser-
vissero della religione pei loro fini profani. Era usanza antica di far celebrare una
« messa cantata dello Spirito Santo nel domo, ogni primo giovedì del Mese ». Nel
l'ottobre del 1615 il consiglio richiede per la medesima cerimonia uno de’ cano-
nici, ma tutti d'accordo si rifiutano. Quale il perché? Pretendono, scrivono i Consoli,
che siamo « incorsi in scomunica e che perciò non possano celebrare alla nostra
« presenza, ne meno possano venire in coro mentre noi stiamo in Chiesa; la loro
« pretentione la fondano per che noi haverho fatto aprire una strada publica, quale
« era stata serrata d'essi de fatto tre anni sono in circa per certo loro interesse
« ecc. ». I Consoli terminano col dire che la scomunica era una scusa, che il non
voler celebrare la messa era solo per dispetto e pregano il duca ad accomodar lui
la faccenda. (Lett. del 2 ottobre 1015; Lib. ms. segn.: Cl. I, D. G., F. CCLV; Arch. di
Stato cit.). Riuscì il nuovo vescovo Alessandro Dal Monte a rimettere la concordia fra
il capitolo e la comunità. Ai 19 di ottobre 1616 annunzia al duca: « Scrissi à V. A. 5.
« che speravo vedere quanto prima la concordia tra questa Communità et questo
« Capitolo. Hora le soggiungo che Dio gratia cosi é stato, poiché hier mattina Do-
« menica la Comunità e Capitolo di commune concordia si riunirono insieme con
« allegrezza communissima di tutta questa Città. Per il che io, accompagnato dal-
« l'un e l'altro, andai alla Catedrale, vi stetti alla Messa, et il giorno doppo desinare
« tornai alla Predica e Vespro. Il tutto è passato felicissimamente ecc. » (Lib. ms.
cit.; Arch, di Stato cit.).
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94 A. PELLEGRINI
ed altri istituti ecclesiastici, di cui si possono avere notizie
leggendo l'opera citata del Sarti — e, data la tirannica seve-
rità con la quale i signori di quei tempi disponevano del
cuore e della persona dei loro figli — maschi e femmine —,
non é da meravigliarci se i poveri tapini poi prevaricas-
sero.
Chi non ha presente la sorte della signora di Monza?
Fin dal tempo di Guidobaldo II, a confessione de’ suoi
ministri, molti de’ conventi avean bisogno. di cura e di custo-
dia. Presentemente — le cose essendo andate sempre in
peggio — gli stessi ecclesiastici — un padre confessore e un
vescovo perfino — dichiaravano addirittura, l'uno che biso-
gnava tener lontani dai conventi di monache qualunque per-
sona laica od ecclesiastica, l'altro che la CAiesa di Gubbio,
avendola trovata nuda di vera disciplina et in tanto disor dine,
era d'opinione di aver bisogno di spetial gratia del Signore,
per ridurla al suo testo (1).
A Roma certo si doveva sapere in quali condizioni era-
no ridotti i monasteri; non si osava metterci riparo, sia per
la vana paura di allargare lo scandalo, sia perché forse
speravasi che gli addetti medesimi un di toccati dalla gra-
zia divina tornassero a vita onesta. Così, intanto, s'andava
avanti di giorno in giorno e il mal seme fruttificava.
Solo nel 1576 si tentó un provvedimento d'indole gene-
rale, per salvare le apparenze.
Impensierita la Chiesa di Roma delle brutture che diso-
noravano gl'istituti monastici, specie i femminili, e intuendo
che una delle cause dovesse ricercarsi nella fac ilità con cui
le vergini venivano presentate ai conventi e ricevute, la
Chiesa di Roma, dico, ricorse al mezzo di aumentare la dote
per chi avesse voluto assumere i voti claustrali. Si lusingava
forse che molte famiglie, davanti al fatto di dovere sborsare
(1) Cfr. lett. del 2 febbraio 1601 del vescovo Andrea, riprodotta più innanzi.
ri
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 25
una somma superiore alle loro forze, avrebbero preferito di
tenersi in casa le figliuole, incamminandole per altra via più
consona al desiderio stesso delle fanciulle.
Si aggiunga che le rendite di certi conventi, come ve-
dremo, non bastavano neanche a sostentare parcamente le
suore, donde sofferenze e mormorazioni contro la Divina
Provvidenza.
Mentre, portate le doti a 200 scudi d'oro (1), i monasteri
sarebbero stati meno affollati, le poche sorelle in Cristo avreb-
bero sofferto meno privazioni, tante vittime e quindi tanti
scandali sarebbero stati risparmiati.
Ma, a tale divisamento, non saprei dire con quanto cri-
terio, si oppose proprio la stessa comunità d’accordo con le
suore. Le suore perchè vedevano di mal occhio diminuire il
numero delle aspiranti al monacato, i consoli perchè indotti
dalle medesime, perché, come padri di famiglia, non inten-
devano che fosse loro resa più dificile una via sicura per
isbarazzarsi delle figliuole.
Consultate le monache, mandano al duca, nel febbraio
del 76, il capitano Franceschino Marioni per ragguagliarlo
della loro intenzione (2); il signore d' Urbino ricorre al coz-
cilio della Sacra Congregazione di Roma, e il 7 di aprile dello
stesso anno, il cardinal Maffeo informa il vescovo di Gubbio
con la lettera seguente: « La Sacra Congregazione ecc. aver
« risoluto che le doti, quali doveano pagarsi dalle figliole
« che voleano monacarsi nelli monasterij di quella Città,
« fusseno di ducento scudi d'oro, che facevano ducento et
« venti di questa moneta di Roma; nondimeno, per la nuova
istantia fattone a N. S., in nome di quella Università,
« dalli Deputati di essa, gli ha fatto gratia che si ridu-
e
^
(1) Da una lett. del 7 aprile 1576 (Lib. ms. segn.: Cl. I, D. A., F. IV; Arch. di
Stato cit.). :
(2) Lett. del 4 febbraio 1576 (Lib. ms. segn.: Cl. I, D. G., F. CCLV ; Arch. di
Stato cit.). i
26 A. PELLEGRINI
« chino..... a ducento et venti di quella moneta di Ugobbio
« a dieci giuli per scudo (1) ».
Come si vede, ottennero facilmente soddisfazione; e per
quanto anche altre volte il vescovo o chi per esso abbia t
tentato di rialzare la tassa dotale (2), ha dovuto abbando-
nare subito l’idea davanti alla forte contrarietà degl’ inte-
ressati.
Non si oppongono però, nè le suore nè le autorità lai-
che, circa vent'anni dopo a che la registrazione e la con-
servazione de’ contratti dotali vengano ben regolate.
Il 21 di febbraio del 1594, il vescovo Mariano Savello
scrive al duca in questi termini: « Ella saprà che per E
« molti rispetti alli...... mesi passati ordinai che il mio
^
cancelliero se rogassi dell'applicationi delle doti delle Ver-
gini che se monacavano, o fossi in censi o in compre de
beni stabili, secondo che alla giornata io deliberassi, con-
forme all'autorità già datami dall Ill.ma Congregatione
ecc. Hora, per esseguire quanto V. A. S. desidera, sono i!
andato imaginandomi un modo del quale ragionevolmente
questi notarii eugubini si doveranno sodisfare, et salvare
la mia. giurisditione ecc. ecc.
^ A^ ^ ^
A
Urt onm
4
^
«
^
« Ordini da osservarsi da Notarii negl instrumenti da
farsi per l'applicationi de' doti ecc. i
« Prima che il Notario se roghi de’ detti instrumenti E
« tamquam pro cancellarius curiae aepiscopalis et non al
trimenti.
«
^
<
A
« Item, che detto Notario sia obligato a registrare nel
« libro essistente nell'Archivio della Cancelleria del Vesco-
« vato a quest effetto detti instrumenti gratis et ve si sot-
« toscriva N. Notarius pro cancellarius curiae episcopalis,
« in termine di tre giorni doppo che egli se ne sarà rogato, -
« Sotto pena ad arbitrio di Monsignor Ill.mo Vescovo.
(1) Lib. ms. segn.: Cl. I, D. A, F. IV; Arch. di Stato cit.
(2) Vedi il seguito di questo studio.
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 2T
« Item, che esso Notario, nelli detti instrumenti, non
« usi altra forma che quella che gli sarà data da Monsignor
« Ill.mo. Vescovo.
« Item, che sia in arbitrio di chi vorrà, copia semplice
« e autentica di detti instrumenti per valersene in sue oc-
« corenze, di pigliarla o dall'istesso Notario che ne sarà
« rogato o dal cancelliero di Monsignor Illlmo Vescovo, et
« cho detta copia se le debba dare tanto dall uno come dal-
« l’altro per la metà manco che pagano i secolari si come
già Monsignor Ill.mo Vescovo decretò et fece ponere nella
A
tassa della sua Cancelleria (1) ».
Venendo a parlare delle tristi condizioni interne dei
conventi, dirò che il primato su tutti lo portava quello di
A
Santo Spirito.
Il Sarti (2) racconta che sotto il vescovo di Gubbio,
Antonio Saverio, nel 1444, « ex variis monasteriolis, quae
« erant extra civitatem, locis desertis, vel incommodis certe,
« et non admodum ad sanctimonialium habitationem ido-
« neis, virgines deo sacrae, haud esiguo numero, ad Sancti
« Spiritus, in civitatem, migrarint ». Un’ accozaglia adunque
di persone che professavano regole le piü disparate, che do-
veano essere d'indole e d'umori assai diversi venne a for-
mare fin da principio il nuovo convento di San Spirito. E
sebbene i documenti, per assicurarlo, manchino, pure non sarà
cosa azzardata il pensare che fin dall'inizio questa comunità
così eterrogenea non debba essere andata completamente
d' accordo.
Per quanto fossero persone votate al sacrifizio, alla ras-
segnazione, alla completa dedizione dell'anima loro, certo re-
stavan sempre, in fondo, nascosti dallabito sacro, un cuore,
un'anima pronta a sentirsi ferita e offesa, da opposti in-
teressi e da sentimenti diversi. Una: doveva essere la supe-
(1) Lib. ms. segn.: Cl. I, D. G., F. CCLV ; Arch. di Stato cit.
(2) Op. cit., pag. 208.
— AER aber- molis mo n n
È * — €—— —————————— CP i- 2 4
M €— ra ase
È A. Ai "e. 20 -i iS
28 A. PELLEGRINI
riora della nuova comunità, a scapito di altre che nel loro.
ristretto convento erano e sarebbero state pur esse alla lor
volta le superiore. Alcune che forse erano invecchiate sotto
il regime d’una regola tutta affatto opposta, dovendo d’ un
tratto cambiarla e con essa mutar propositi ed abitudini,
dovettero per forza di cose sentire, anche nolenti, un brusco
passaggio che non dové loro sembrare piacevole; donde un
turbamento nella coscienza e nella persona. Si aggiunga che
altro è la vita di un piccolo convento, dove, fra gli addetti, es-
sendo in pochi, regna più confidenza e c' è bisogno di minor
disciplina; dove le gioie e le soddisfazioni possono essere
sempre uguali a quelle di un gran monastero, e i dolori e
le mortificazioni, invece, assai minori.
Poste sotto la protezione dei canonici regolari di S. Sal-
vatore, avvenne che un giorno, verso il 1582, Gregorio XIII,
con un suo breve, le ridusse bruscamente sotto la tutela del
vescovo di Gubbio.
Fu capriccio del pontefice, o fu per insinuazione del ve-
scovo, fu per ragioni di moralità ? Il loro contegno, quando
seppero di esser tolte dalla protezione de’ frati, dà a credere
che Gregorio XIII fosse indotto ad un passo simile per cause
appunto di vera e propria moralità.
E, se dobbiamo credere ad una lettera de’ Consoli di
Gubbio (1), gli sfessí canonici avevano domandato di esserne
liberati. Non tutti i canonici forse, ma chi presiedeva alla
disciplina del monastero di S. Salvatore.
Il fatto sta che le monache si ribellano al Breve e ne
-—
nasce una questione tale che si trascina, con grave scandalo
de’ fedeli, per anni ed anni. Questo dà pure a pensare
che non furono tolte dal governo de' frati perché le faces-
sero soffrire o perche le angariassero; altrimenti, le suore,
avrebbero ringrato bene Iddio e il papa di averle liberate
dai loro persecutori.
(1) Cfr. Lett. del 22 maggio 1593 (Lib. ms. segn.: CI. I, D..G., F. CCLV; Arch. di
Stato. cit.). 3
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GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO
Dunque il movente dovette essere un qualche cosa di
intimo, di secreto, di serio che ledeva il buon costume, la
disciplina, il buon nome della regola di Santo Spirito.
Rimanendo il cuore e l'interesse colpiti dal breve di Gre-
gorio, si sollevò un vespaio, ne nacque un subbuglio, tale che
‘vennero a galla recriminazioni, accuse e scandali da non aver-
ne idea.
. Cercheró di spiegarmi.
La disciplina non era più che una parola vuota, che un
lontano ricordo, per le suore di questo convento. Non esi-
steva più gerarchia, non si aveva più riguardo alcuno, non
dico pei superiori diretti e interni, ma neanche per lo stesso
principe d’ Urbino; ché a tal punto si ridussero, da scrivere
perfino direttamente a lui in via privata, or questa suora
or quell’altra, chiedendo una pelliccia per ricoprirsi dal freddo
o un sussidio particolare (1).
Nel tempo in cui scrivo eran circa in cento, e, abban-
donate alla mercè di Dio, che par non l’assistesse, dimenticate
o disprezzate da’ superiori e da’ parenti, povere vittime della
superstizione e della malvagità umana, divennero pettegole
e cattive per forza delle circostanze; un’ accolta di amma-
late, d’isteriche, di squilibrate, di pazze.
Rimasero quiete, almeno apparentemente, finché, sotto
l’egida de’ solleciti padri di S. Salvatore, furono amate e cu-
stodite. Tolte a questi, bastò perche, l'incendio divampando,
si ribellassero e sfogassero tutta la piena del loro dolore, chi
sa da quanto tempo compresso.
Il vescovo di Gubbio, monsignor Savelli, tentò reprimere
il loro sdegno, e riusci dapprima a ricondurre fra le nude e
fredde pareti del convento di S. Spirito un po’ di calma. Ma
si sarebbe illuso se avesse creduto di aver fatto opera dura-
tura, ché la priora sor- Vittoria nell agosto dell''82 scrive al
(1) Cfr. lettere del 3 dicembre 1581 é del 6 aprile 1590 (Lib. ms. segn.: Cl. I,
D. G., F. CCLX ; Arch. di Stato cit.).
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— JEU as. e. - _ a I em mein mtm merde cea saune
lin i impari
— Più i
30 A. PELLEGRINI
duca una lettera, la quale, malgrado gli errori di gramma-
tica, merita di essere, in parte, riportata.
« Per esser noi qua renchiuse che non potemo venir
personalmente a dire le nostre ragione... bisognia pure che
« V. Altezza ci metta scusa se troppo la infastidiamo...; dove
« sua altezza nella lettera... dice averli scritto il Sig. loco-
« tenente che noi ci semo quietate, noi li rispondemo che
siamo quietate per non aver potuto fare altro, che dinanzi
al Signore idio esclamiamo più che mai, che è stata tanto
grande la furia de secolari sopra di noi che ancor le mie
« figliole anno dimostrata un po’ de manco religione che non
« dovevano, et questo disordine he causato per la mala in-
« famia che il nostro sindeco ha posta a torto et senza testi-
« moni al nostro R.do confessor che se partito, e la partita
« del quale ce a grandamente doluto, che lui hera proprio
« un santo del paradiso (1) ».
Questa lettera parla chiaro: si eran quietate per forza,
avevan ceduto mormorando pur contro Iddio che pareva le
avesse abbandonate; il fuoco covava tuttora sotto la cenere,
e si capiva bene che alla prima occasione avrebbero ripreso
con più vigore la lotta.
Perchè, intendiamoci, si eran quietate, è vero, ma non
avevano ancora giurato di sottomettersi al breve papale; e
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7)
quando giunse il momento di dover prestare obbedienza al
vescovo, ripresero con piü forza a difendersi.
Nel novembre dello stesso anno il duca viene informato
che « non ostante ogni buono offitio et preghi fatti con esse
« dall'istessa Comunità et Parenti loro — di nuovo insur-
« gendo — » non intendevano « obedire alla dispositione
« già fatta di loro dal Sommo Pontefice » (2).
(1) Lett. del 5 agosto 1582 (Lib. ms. segn.: CI. I, D. G., F. CCLX; Arch. di Stato
cit.).
(2) Cfr. Lett. del novembre 1582 (Lib. ms. segn.: Cl. I, D. A., F. IV Arch. di
Stato cit.).
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GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO Si
Viene in conseguenza di ciò messo da parte il vescovo
Savelli, abbastanza inviso ai ministri di Francesco Maria
per le quistioni passate. È caratteristica una lor frase, come
già abbiamo visto: il Vescovo..... ha secondo il solito suo dato
memoriale e querele contro di noi — e altrettanto poco sti-
mato dalle monache, che non era riuscito a sottomettere,
viene mandato in sua vece, a far opera di pacificazione,
monsignor di Cagli.
Questi, inaugurando una tattica diversa, preferì tempo-
reggiare e lusingare lamor proprio delle suore offese, fa-
cendo creder loro che il provvedimento del pontefice, non
era che temporaneo e promettendo che lui avrebbe ottenuto
di farle tornar sotto l'antico governo (1). Le fiduciose dere-
litte, persuase dalla parola dolce e carezzavole del monsi-
gnore, aprirono l animo a nuova speranza e si mostrarono
docili e fidenti, tanto che nel 1583 il cardinal Maffeo scri-
veva da Roma al duca: Monsignor di Cagli « ha acquietato
« tutti li rumori » (2)..... Ma quando si accorsero di essere
state mistificate, le loro querele giunsero al cielo, e la loro
anima stillò veleno. Ne son piene le lettere da loro scritte
in seguito. Chè non si contentano più di accusare il sindeco
e i secolari, ma sono le sottoposte che accusano i superiori
e viceversa; è la. compagna che dà addosso alla compagna.
Le lettere, senza grammatica né sintassi, riescono eloquenti;
troppo eloquenti nella loro forma prolissa. Chi scrive appare
omai priva di anima e di cuore, stretta solo dalla dispera-
zione, e presa dalla più completa sfiducia verso i propri
superiori ecclesiastici.
E nella foga del pettegolesimo, l' animo adulcerato rivela
l'abbandono in cui sono lasciate — per cui mancano perfino
di pane e di che ricoprire le membra dal rigor dell'inverno —
e confessa che nel sacro ritiro del chiostro restavano chiuse
(1) Ciò lo fa pensare, come vedremo, una lettera del 23 maggio 1593 (V. il se-
guito di questo studio).
(2) Lett. del 28 giugno 1583 (Lib. ms. cit.; Arch. di Stato cit.).
32 A. PELLEGRINI
monache disgraziatissime per malattie inveterate, che suc-
‘cedevano abbattimenti di porte, pugilati e sassate, ribellioni
feroci, scandali che fanno nausea.
Invano i superiori laici ed ecclesiastici si affannano a
porre un argine al male divenuto cancrena, invano il paese
intero si commuove tentando cauterizzar le piaghe del con-
vento di Santo Spirito. La ragione di tanto subbuglio non
stava, per me, nel breve di Gregorio XIII, ma in una se»
quela di circostanze dolorose che ho già in parte accennate:
le altre si indovinano facilmente; stava nel sistema e nelle
radici.
Una lettera al duca, che le monache chiaman supplica,
firmata « Humilissime e perpetue serve, la priora et sore
« di S.to Spirito », del 26 luglio 1585, mette a nudo la loro
anima che pare abbia perduto il ben dello intelletto.
La priora, adunque, e le perpetue serve incominciano a
raccontare che fra loro v'era in quel momento una suor
Leonora « in quell'essere che era sollita essere tre anni avea
« che gli cascó la goccia ». Il fratello, ser Giulio, temendo
morisse, avrebbe voluto soccorrerla e darle il conforto d'un
confessore che pare avesse domandato; ma ció essendogli
negato, egli, preso dalla disperazione — scrivono — « diede o
« pugni o calci ne la porta, e poi prese il martello de ferro
che sta a la porta e diede tre volte e parve che volesse
butarla.., come ben sapete clie sape fare e che... se parti...
« € che le Matre tutte andorno in chiesa... e che s. Leonora
^
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a lora rideva e che le dicea che non era vero che avesse
« dimandato confessore nisciuno, di piü glie se faceva fede
« come diceva simil cose spesse volte perchè eli veniva
« certo catarro e variava; oltre che sempre per tre anni
« era stata fori de cervello, che monsignor Fornasso mai la
* podré comunicare che non fosse sostentata per forza da
« le rise e gran materie ».
Il fratello della poveretta se, sfogata la giusta ira, se
partì, non si quietó; ma, abboccatosi — continuano a raccon-
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—'
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 38
tare con un lungo giro di parole la priora e le perpetue serve
— col medico del monastero, col gonfaloniere e col luogote-
nente, fu deciso d’ incaricare il confessore don Checco perchè
entrasse nel convento e constatasse se la monaca era vera-
mente in fin di vita o pazza grave. Il luogotenente però, che
pare nutrisse vecchi rancori con le monache, non era di
questo parere. Avrebbe voluto forse lui stesso constatar de
visu la verità; dimodochè « egli — aggiungono. le suore —
«
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«
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«
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seguitò sempre con terribile parole, e dicea -cose de sua
propria persona e non del magistrato; da noi sue parole
furno poco extimate, peró che se avemmo creso a sue pa-
role terribile, già la sua unica figlia che da undice anni,
mese nel nostro Monasterio per sora, saria, per sue terribile
voci continuo clamante a le nostre grate, murata tra doi
colonne: questo e molto più meritava secondo che in detti
e in scritti si iniquamente in tutti li anni che conversó con
noi operava:. ma la carità de quelli Reverendi padri che
ne governavano, non mirando a le norme suo processo
fatto in proprie mani con aver voluto tosicare confessori,
e fatte tante altre cose contrarie a la santa casa de idio,
là condanorno in carcere più e più volte con alcune altre
penitenze secondo le nostre costitutione, e non volsero né
ancor noi volemmo murarla viva come diceva suo padre;
il remerito che ne diede à li soi padri, escita che fu de
. Carcere, senza avedersene nisciuna, giorno e notte seri-
veva lettere innumerabile, piene de bugia e falsità e le
mandava fori per ogni piccola fessura, o da li muri, a se-
colari per vendicarsi contro le Moniche e li padri de la
gran carità e clemensia che gli aveano usata...; oltre que-
sta sua figlia, si trova nel nostro Monasterio doi sorelle del
[sindaco] Ms. hiosef, tutte doi fuori de cervello, una delle
quali bisognia spesso incarcerarla, per che né di né notte
ne lassa reposare da le gran matezze che sempre fa...; el
tener secreto queste, et il poco cervello de la sorella de
Ms. Giulio, con il mal governo de hiosef de sere armanno,
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34 |A. PELLEGRINI
« nostro sindico, ha causato il terribile e malconsiderato
« afronto ».
: Terminano la priora e le perpetue serve di S. Spirito di
tormentare il duca con le loro quisquilie poco .edificanti, di-
cendo che un'altra monaca aveva « il mal caduto », prote-
standosi « innocentissime di qualunque » infamia, poiché in
« minima cosa mai é stato maculato l'honore de questo santo
« loco:», e pregando S. A. che voglia difenderle (1).
« In minima cosa mai è stato maculato l' honore de questo
« santo loco! ». Tale fu il grido che fecero pervenire fino alle
orecchie di Francesco Maria.
Ma, allora, io mi domando: perché tante ammalate —
di malattie anche sospette — perchè tante ribelle tra quelle
fredde pareti del monastero? D'altra parte, il solo fatto di
non voler prestare obbedienza al breve di Gregorio, per
quanto anche emanato senza ragione, basterebbe per non de-
porre in favore della loro bontà di animo e del modo come
intendevano la propria missione di esseri votate alla pura
volontà di Dio.
Del resto, se non ci fosse stato uh movente serio, a che
‘scopo i superiori tutti, dal vescovo al duca e al pontefice,
avrebbero dovuto poi accanirsi tanto contro delle povere
donne ?
Intanto i superiori seguivano la propria via, ricorrendo
a misure estreme. Nell'agosto dello stesso anno le monache
informano il duca: « Monsignor Ill.mo ha comandato, sotto
« pena de scomunica, non sia nisciuno che se approssimi
« a le nostre grate et ne anno rinchiuse le nostre serve ».
Finiscono col dire che ai lavoratori è stato proibito di por-
tare perfino il grano al convento e temono di esser poste
nella condizione di morir di fame (2). Protestano per que-
(1) Lett. del 26 luglio 1585 (Lib. ms. segn.: Cl. I, D. G., F. CCLX;-Arceh. di Stato
cit). :
(2) Lett. dell'8 agosto 1585 (Lib. ms. cit.; Arch. di Stato cit.).
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO DI
sto trattamento rigoroso, ma non cedono; ed altre scuse
mettono in campo per giustificare la loro resistenza : quando
eran governate dai frati, questi si prestavano, senza pre-
tendere ricompensa alcuna, a mantenere la Chiesa e ad assi-
sterle in tutto quello di cui avevano bisogno riguardo all a-
nima. Ora, passando sotto la tutela del vescovo, bisognava
che mantenessero e pagassero anche il cappellano. Questo
fatto poi le indignava, perché non avevano denari da spen-
dere (1). Donde, nuove sollecitazioni e nuove minaccie da
parte del vescovo e del luogotenente che si affannavano pure
a dimostrare « il pericolo grande che correvano, perseve-
« rando in questa contumacia... e l'occasione che tanto ma-
« nifesta porgevano [a/ duca] d'abbandonare la protettion
« loro (2) ».
L'attrito da ambo le parti si acuì talmente, che anche
i superiori stessi perdettero la calma e la misura.
Se é vero ció che narrano in una lettera le stesse mo-
nache al signore d'Urbino, io non posso in questo caso
che dar ragione a loro. Il monastero era sotto clausura, ed
ebbero dunque torto gli esecutori della legge e il vescovo
stesso a volervi entrare per forza per leggere il breve fa-
moso. Di piü, quando le suore si opposero di riceverli fra
le sacre mura, non vi penetrarono neanche dalla porta, ma
dal tetto, sotto una pioggia di sassi gettati dalle sorelle in
Cristo. Le serve e priora di S. Spirito approfittano di tale
incidente per ripetere una seconda lunghissima lettera a
Francesco Maria nella quale, divagando, trovano anche il
modo di levarsi la soddisfazione di mettere in cattiva vista
quella o questa campagna, accusandola dei peccati i piü
neri.
Le suore adunque scrivono cosi: « Ieri che fummo alli
« © del presente e le quindeci ore, venne un servitore... e
(1) Cfr. Lett. del 20 febbraio 1586 (Lib. ms. segn.: Cl. I, D. G., F. CCLVI; Arch.
di Stato cit.).
(2) Lett. cit. e lett. dell Io luglio 1586 (Ibidem).
—— canta me BI m er Lr m i a t fa dpi Ld
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36 A. PELLEGRINI
dimandó la priora.., che era nel letto con febre e doglia
di testa;.. disse che el Vicario de Monsignore verria a
parlargli, li fu rispcsto che venisse..., e mentre stava espe-
tando, il Barigello de la campagnia disse a la priora che
li apprisse la porta, se non che la buttava a ter ‘a; la ma-
dre gli rispose che questo none occorreva, ma che pi-
gliasse le pollize che erano a la rota e le mandasseno a
chi andavano; el Barigello volse pigliarle con ogni mode-
stia, ma il Vicario non volse; la Madre disse al Vicario...
che se volea intrare lui mentre veniva Monsignore, che
intrasse. Rispose che non a tale commessione se non in-
trare con li birri a forza, prima che venisse Monsignore ;
cominciando essi a buttare a terra la porta, le Madre ve-
dendo questa insolenza ruppero il solaro e li diedero a li
sassi talmente che fuggirono tutti e furono forzati, dicono
loro, da Monsignore e dai altri a sciendere per li tetti, e
sciesero ne l'infermaria e ve trovarono cinque sore: la
prima detta sor Eufrasia, sorella del conte e de l’abate Ot-
< tavio da la Genga, quella che ricevve in casa quella cassa
de Archebugi proibiti del suo nepote Giovambatista, e
senza la cassa dui altre volte gli ne avea tenuti dii bohe,
e quando da S. A. S. fu scoperto fece dal suo Nepote cas-
sare il breve con quattro o cinque de li altri, e questo
fece per liberarsi dal rigore de li boni prelati che spesso
la corregevano, de la quale solo diremo tre parte: mai
rese hobedienza a prelati, mai disse offitio divino, salvo
con penitenza e mortificatione, e: sempre, in sessantasei
anni o in circa, mai atese ad altro che a robare la fama
e la roba d’altri; l'altre che era con lei, una sua nepote
de assise, che he una giovenetta quasi novitia et a lei si-
mile; l'altre furono s. Lucia sorella de cacciamalle, e. s, Le-
titia zeccadore e s. Leonora beni; tutte queste s'inginoc-
chiarono ha Birri e li dissero che non erano con le altre,
per che se erano retirate, che loro sole erano flagelate
per che voleano rendere obedienza. Il Barigello da cam
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GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO
pagnia non fece da Barigello, ma da bono e esperto pre-
lato, e le mortificò con aspre parole e di discussione e di
ardire e li disse: voi cinque cogniosco essere state la
ruina de questo si famoso monastero. E poi venne a basso
e trovò tutte le altre moniche in Chiesia tutte hunite e
piangendo; si portò con il più bel modo che desiderare si
potesse... Venne Monsignore, e la Madre lo ricevette con
ogni humilità..; non volse intrare in chiesia ma intrò, in
Refetorio e. là avea seco don Lorenzo el Vicario, el can-
cielliere ; disse che si tutte se contentavano de rendere
hobedientia, che tutte ad una ad una se andasseno da lui
sole a sottoscriversi... Incominciò la priora..; li disse se
voleva rendere hobedientia, gli rispose come priora che
gli rendeva hobedientia e ricevea per suo padrone; li disse
: se de bon core volea giurare al breve, gli rispose che
l'obedientia la facea voluntiere... ma che avendo una volta
eiurato e fatta la sua professione al breve, non giurava
de core; detto questo, lui la sottoscrisse e licentiolla e
e cusì tutte le Madre...; fenita la sottoscritione chiamò il
« Vicario e comandoli che andasse a le cammore che furno
tolte a li confessori e darle a le moniche che volea ordi-
nare per pregione; la Madre priora li disse che espetando
li birri, le Madre haveano murati li usci a secco...; il ve-
« Scovo chiamo il cancielliere e secretamente scrisse la... pol-
liza..., quale il Vicario non volse accettare. Quando le Madre
sentirno deporre la loro priora con la onorata Vicaria e de
cinquanta anni in circa e fare superiore si disforme, la so- .
pranominata sora Eufrasia e la Vicaria de trenta anni in
circa che sempre he penitentiata per essere si stolta e
pazza, se levorono tutte come diavoli, sentendo ancor pre-
gionare le principale Moniche de sangue e de Virtù... e
li dissero che voleano notificare a S. S.tà e S. A. S. il tutto
con l'enorme vite di quelle che volea ellegere per prelate,
e in faccia loro tutte gli acontarono la lor vita e co-
stumi.., essendo tutte a un modo, salvo le cinque dacordo
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cit.).
AL PELLEGRINI
con la sua. iniquità. Il Vicario al e chiamò il Bari-
gello de campagnia, quale.:. disse: Madre e, non temete e
tacete che idio he per voi..; la Madre priora volse ren-
dere il sigillo, le Moniche tutte gli ritolseno ; il cavaliere
qui da.Ugubbio si lanciò adosso a la priora come un dia-
volo, tutte le Moniche gli introrno atorno che ben rombato.
lo mandorno adrieto; il prudente Barigello de campagnia
gli se afrontò e gli disse : con chi te credevi de havere
à fare, ingniorante che sei? il Birro fugi e disse: idio me
liberi de le mani di queste donne. Il Vescovo quasi, tre-
mando, non poteva parlare... Don Lorenzo spigotito del
brutto atto del Vescovo e li disse che era suo debbito de
dare a tutte la beneditione...; gli venne un vomito con do-
lore che eresé morire per compassione e per pietà; le Ma-
dre tutte se inginochiorno innanzi al vescovo e in voce
publica reconfirmarono le prelate et ancor lui le confirmó,
ma era si perso che quasi piü non parló; mai disse né
mal né bene e se levò... e senza.. . parole se parti. Questo
è tutto il successo veracissimo e quelli de Monsignor, li
Barrigelli e Birri ne possono essere testimonio, e che nes-
suna giurò al breve!.. el superiore si vede per vendetta
esser lupo rapace; or consideri se giurammo al breve non
ci havendo di cio ag ‘avato, se in tutto e per tutto sares-
simo state allora e sempre sugette a un nostro nemico
capitale... che il breve esclude per noi ogni adiuto e fa:
vore. Adonque tutte piangendo ne butamo ne le pietos-
sime braccia de S. A. Ser.ma e la pregamo per le viscere
di jesu Cristo che vogli difendere la nostra innocentia
ecc. (1) ».
Basta questa lettera del 6 luglio 1586 per dimostrare a
qual punto d’ anarchia fossero giunte le suore di S. Spi-
rito. Il vescovo Savello non avea fortuna. Grave ormai di
(1) Lett. del 6 luglio 1586 (Lib. ms. segn.: Cl. I, D. G., F. COLX ; Arch, di Stato”
GUBBIO SOTTO I CONTI.E DUCHI D'URBINO 39
anni (contava già 30 anni circa di vescovato), stanco delle
cure che la sua carica gli portava, non era certo l uomo
il più adatto per farle rinsavire: divenuto per loro lupo ra-
pace, non poteva che peggiorare lo stato delle cose. Nel giorno
fatale del 5 luglio, da quanto appare dalla lettera, non volle
far opera di pacificazione e benedirle, quantunque invitato
da don Lorenzo; anzi, partito dal monastero, lontano dalla
bufera, riprese coraggio e le scomunicò, inibendo loro di
compiere le pratiche religiose e di nominare-la priora e la
vicaria (1).
ricorsero alla Sacra Congregazione e, ad insaputa del
vescovo, dopo diversi mesi, furono assolte (2). Si stimó
forse da Roma di compiere un atto di prudenza, per cui
Speravasi d'inaugurare una nuova era di pace; e forse le
monache avrebbero ceduto, e fatta ammenda de' loro pec-
cati, accostandosi al tribunale della confessione, quando il
vescovo tornó a seminar zizzania. Mal intendendo che i su-
periori gli avessero dato torto, all'approssimarsi della Pasqua
dell''88, di suo arbitrio rinnovó loro la proibizione di con-
fessarsi e di comunicarsi e di nominar la priora (3). Donde,
altre querele e proteste, finché di nuovo la stessa Sacra Con-
gregazione condannò per un'altra volta l'opera del vescovo
Savelli.
E già, secondo narrano le suore, erano state confessate
venti monache, « quando, per ascoltare una suor Prudenzia :
« Ondadei, la quale non mai haveva voluto bagiar la mano
« alla Madre Priora...., ed essendo di ciò ripresa dal confes-
« sore, li rispose che non mai la terebbe per Priora se non
« faceva la Vicaria secondo li ordini di Monsignore.... quan-
^
. tunque dalla congregatione fosse venuto ordine in contra-
€3110.. 5». È
(1) Ciò rilevasi da una lettera del 24 aprile del 1588 (Lib. ms. cit.; Arch. di
Stato cit.).
(2) Lett. cit. del 7 aprile 1588 (Idem).
(3) Lett. cit. del 24 aprile 1588 (Idem).
A. PELLEGRINI
É chiaro che suor Prudenza era una delle partigiane
del vescovo, e questi, non certo da buon pastore, punto sul
vivo dalla contrarietà delle altre e dallo scacco avuto dalla
Sacra Congregazione, « in cambio di far penitentiarie et ca-
« stigare tanta insolentia, comandò che dovesse lasciar stare
« la confessione.... ».
Allora le monache — scrivono — « per quietare, ha-
< vemo fatto chiamare tutti li nostri Parenti et fatto eletione
. di tre: del Conte Gabriello e di Ms. Federico Pamphilis
et di Ms. Pirro Nuti ». Ma Monsignor Savello, a sua volta,
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non volle riconoscerli « et hieri fu qui — continuano a rac-
« contare le suore — con mes. Iacomo Beni, fratello del
^
proposto di Fano, il quale é stato principio, mezzo et fine
« della ruina nostra, con grande alteratione disse che non
« conveniva a noi fare questa eletione, ma alli Parenti, et..
« son nate altercarie tra esso mes. Iacomo e mes. Pirro,
« onde é pericolo di grave inimicitia tra due principali case
« della... città (1) ».
Dunque, quel padre confessore, malgrado tutta la sua
buona volontà, non aveva fatto che un buco nell'aequa. Né
era colpa sua, quando, descrivendo al duca in poche parole
lo stato deplorevole del convento, mostra di aver colto nel
segno rilevando: « quelle suore, ben che siano poche e di-
« vise tra di loro, hanno nondimeno un folletto di fuora che
« le mantiene e fomenta, quale vantasi voler dar de schiaffi
« e bastonate al confessore, al quale non gli par sia ben
« fatto viver senza obedienza ». Ma non si ferma qui. Ve-
nendo alle generali, egli scrive: « A me pare che la più im-
« portante cosa e pericolosa e degna di consideratione e de
« rimedio che si ritruovi nella... città d' Agobbio, sia il disor-
« dine del Monastero di S. Spirito... Infamare l’istesso colle-
« gio, sparlar d'ognuno, metter bocca in tutte le persone,
< non guardare a gradi di dignità e grandezza de veruno...,
(1) Lett. del 24 aprile 1588 (Lib. ms. cit.; Arch. di Stato cit.).
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E
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 41
« il tutto nasce che non han freno, e ben che io habbia dati
« alcuni rimedii, non ho fatto per questo troppo frutto presso
« quelle, per che dentro non vi e, pregione, che, l'istesse
«l han guasta, levata serratura, catenaccio e tutte le cose;
« ora ho dato ordine che si rifaccia ». Termina pregando
il duca di ordinare « tanto a finti clerici, quanto a laici...
« [che] per quattro o cinque mesi almeno, non s'accostino à
« quel monastero (1) ».
Da quello che ho detto, appare. che fin qui, dal ponte-
fice alla Sacra Congregazione, al duca, al vescovo, al luo-
gotenente, al padre confessore — tutti, in una parola — si
facesse a gara per ordinare o propor rimedi, per usar le
buone e le cattive; ma le loro armi si spuntavano sempre
contro la caparbietà delle monache; ed é inutile che con-
tinui a raccontare gli eccessi cui ancora si abbandonarono.
La questione adunque rimase ancora per molto tempo inso-
luta.
Non si voleva saperne del breve, né si voleva andare
in prigione (2). I superiori laici, ed ecclesiastici, stanchi ed
umiliati, le abbandonarono al loro destino, mostrando dimen-
(1) Lett. del 28 novembre 1588, firmata: « il priore di S. Agostino, confessore
« delle suore di S. Spirito » (Lib. ms. cit. ; Arch. di Stato cit.).
(2) Da una lettera del 10 dicembre 1588. (Lib. ms. cit. ; Arch. di Stato cit.) si ri-
cava che avendo preso a cuore lo stato delle monache il cardinale Alessandrino, |
sembrava che le medesime andassero persuadendosi di riconoscere le nuove costi-
tuzioni, quando, otto delle suore, insorgono d'un tratto dichiarando di voler ubbi-
dire solo in quello che sarà loro ordinato dal vescovo Savello e di non riconoscere
la priora. Questa, a sua volta, forte del proprio diritto, pensa di ricorrere ad un
mezzo estremo per sopire finalmente la contesa scandalosa, e matura nell'animo
l’idea di imprigionare le più riottose. Ma le monache vegliavano, e mandarono a
monte il suo piano col togliere di nuovo le serrature alle celle che dovean servire
di carcere. La priora confessa: « avendo comandato in nome del padre confessore...
« che chi haveva la serratura, catenaccio e chiodi delle prigione li dovesse resti-
« tuire — come fu fatto da aleune delle otto che alli mesi passati per ordine de
« Monsignore lI' havevano rotta per cavare una... carcerata per havere transgredito
« alle nostre constitutioni, et era incorreggibile... — », quando « il chiavaro » andò
per rimettere il tutto, trovò la porta « levata interamente! » Allora la priora non si
dà per vinta e invoca l'aiuto del padre confessore; é il solito priore di S. Agostino,
che, poveretto, neppur lui riesce a venire a capo di nulla. E in una lettera, candi-
49 A. PELLEGRINI
ticarle completamente. Ma, così, non fecero che aggravar di.
più il loro stato ed acuir gli attriti; finiron, le monache, per
soffrir anche il freddo e la fame; ma le loro facoltà mentali
già scosse abbastanza dovettero addirittura risentirne un ef-
fetto deleterio. Non è più una suora infatti che chiede per:
sé sola, come ho detto già in altra parte, una pelliccia od
un sussidio speciale, ma è la rappresentante dell'intera co-
munità che si rivolge al duca, facendogli un triste quadro
della loro tristissima condizione, invocaudo un tozzo di
pane (1). Il solo conforto che loro restasse ancora era il pa-
dre confessore; non più il vecchio agostiniano, ma un gio-
vane frate di S. Domenico, che faceva il possibile per alle-
viar le loro pene, tanto che fanno voti sia « conservato per
« dieci anni, ché altrimenti il... monastero — scrive suor
« Teodora Malatesta — ritornarebbe allo inquieto stato di
« prima (2) ». Almeno per dieci anni! Finché, forse, non
fosse entrato nel periodo discendente della sua virilità.
Noi sapremo fra poco, che questi non era un fior di
onestuomo, ma — secondo almeno alcune suore accusano —
damente scrive: Le costituzioni del cardinale Ale ssandrino, « fu detto in c apitolo,
« che il tutto credevano fosse finzione e baiate e che a niente prestarebbono fede
« senza l'avviso di Monsignore, e che non volevano esser soggette a nessuna cosà
« senza tale avviso: ma queste non passarono il n. di 4 o 5, aggiungendo ingiurie
« notte seguente andarono levar la porta della prigione, per liberarsi dal timore
« della giustizia » (Lettere del 2 e 9 dicembre 1588; Lib. ms. segn.: Cl. I, D. G., F. CCLX
Arch. di Stato cit.).
(1):«575 da molti giorni in quà non ci é più grano né più pane per la vita co-
« mune d'uno collegio tale di cento bocche. E Monsignor si ride de’ fatti nostri; la
« comunità non ci provede, e le monache s' hanno venduto sino alli panni del dosso
« per comprarsi ciaschuna del pane ». È suor Teodora Malatesta che sérive così, la
vicaria del monastero. E continua dicendo di sperar nella bontà del duca perché
venga in aiuto delle sorelle in Cristo, e anche di lei in particolare con un piccolo
sussidio (Lett. del 6 aprile 1590; Lib. ms. cit.; Arch. di Stato cit.). Francesco Maria,
non ancora chiuso a nessun senso di pietà per loro, si affretta a spedire una certa
quantità di grano che — scrive ringraziando la stessa suora — « sollevò e me e que-
« ste mie sorelle dalla eruda et aspra fame nella quale ci ritrovavamo » (Lett. del
17 maggio 1590; Lib. ms. cit.; Arch. di Stato cit.).
2) Lett. eit; del 6 ionis 1590 (Lib. ms. cit.; Arch. di Stato cit.).
Ì
È
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 43
si era fatto l'amante della vicaria; proprio di suor Teodora
Malatesta (1).
Non solo gli uomini, ma pure Iddio sembra avesse al-
lontanato lo sguardo dal monastero di S. Spirito.
Agli ultimi di luglio del 1590, i solai del sacro ritiro
cadono 0 minacciano rovina sotto limperversare di un in-
cendio (2): cosa che, non essendo costata la vita a nessuno,
fu piuttosto benefica, perchè le monache, dovendo lasciare
il convento durante i restauri, si tolsero per -un momento.
dalla miseria, tornarono a respirare l'aria pura de’ loro
monti, si smussarono gli attriti.
Ma quanto ci volle perchè i superiori si decidessero ad
allontanarle dal monastero caduto in rovina! Così per un bel
pezzo ancora le monache sventurate — alla fame, alle puni-
nizioni, alla mancanza di tranquillità dello spirito e della co-
scienza aggiungendo altri malanni — dovranno continuare
nella loro vita funesta. L'anima di una suora, di suor Gi-
rolama Beccoli, ha un grido di rivolta a tanto strazio; grido
che potrebbe essere accolto con simpatia e commiserazione,
se non gli fosse poi tolto ogni valore dal seguito della lettera
. che si perde, secondo il solito, in pettegolezzi scandalosi e
accuse. Nell'ottobre dello stesso anno 1590, la Beccoli scrive
Al'dües:-« i; non solo non habiamo habitatione ne altre como-
«
«
dità necessarie, ma stiamo sotto l’acqua... con pericolo di rovina
di volta e di muraglie, e hieri poi si compì di consumare tutto
il grano e pane che c'era; CHE DIO CI GUARDI DALLA DISPE-
RATIONE; ma tutte queste necessità... s'andariano forse
in parte tollerando, se non fossimo poi cosi malamente
eovernate e trattate dalla nostra Vicaria, che non potendo
più la magior parte di noi comportare le sue vanita e no-
(1) Cfr. Lett. del 25 ottobre'1590 (Ibidem).
(2) Non saprei indicare il giorno preciso dell'incendio, perché non é detto. Ma
da una lettera del vescovo Savello, in data del 3 agosto 1590, parlandosi dell’ « incen-
« dio seguito questi giorni adietro » é presumibile accadesse agli ultimi di luglio
. (Lib. ms. segn.: Cl. T, D. G., F. COLVIII ; Arch. di Stato cit.).
A.
PELLEGRINI
« tabili manchamenti.... mentre sono stati qua confessori al-
« cuni frati suoi amici, ce li anno fatti taccere sotto pene
« di scomuniche con vituperio di questo infelice capitolo....,
« poiché, essendo stato levato da superiori un frate di san
« Domenicho, suo amorevole, del quale, dopo la sua partita,
« si sonno trovate lettere scritte alla medesima..., bruttissime
« e disoneste, et essendoli stato dato... per confessore un
« prete vecchio, non lo vole, né lo puó comportare e fa bia-
« simar tutte noi con mille falsità che va scrivendo di sua
« mano a Roma ecc. (1) ».
E da deplorarsi che una suora qualsiasi accusi la vica-
ria, ma ciò non toglie che io mi debba domandare in quale
stato d'immoralità dovevano trovarsi le sottoposte, quando
le superiore arrivavano ad un grado simile di bassezza.
Non è la sola Beccoli che accusa, ma anche altre. Tengo
sott' occhio una seconda lettera firmata da otto monache. Sa-
l'anno state forse le solite otto che, secondo la voce comune,
tenevano sossopra il convento. Voglio anche ammettere che,
prese dalla disperazione e dall'ira, non fossero del tutto se-
rene nelle loro querele, ma non mi posso d'altra parte spie-
gare come otto sole potessero accusare impunemente e con-
tinuatamente — quasi costituitesi in tribunale d'Inquisi-
zione — senza che tutte le altre fossero capaci di farle ta-
cere, di annientarle una buona volta. Vuol dire che C'era
un fondamento di ragione e di verità e che anche la mag-
gior parte delle compagne, sebbene per timidezza e per ca-
rità cristiana non alzassero alta la voce, tradivano in qual-
che modo la loro approvazione, mostrandosi solidali. La Bec-
coli parla del padre confessore, le otto — chiamiamole così —
accennano ad un laico: la vicaria « senza rispetto del do-
« vere, de idio, della religione e de se stessa... per istiga-
(1) Lettera del 25 ottobre 1590 (Lib. ms. segn.: Cl. I, D. G., F. CCLX; Arch. di
Stato cit.). Altre lettere che parlan nello stesso modo dello stato deplorevole in cui
le monache si trovavano, sono del 16 ott. e 3 dic. 1590 (Lib. ms. cit.; Arch. di Stato
cit.). SO
RG.
bem TES
GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 45
<
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tione diabolica, s' era data alla vanità e fatto acordo con
« un gentilhuomo della città.... »; non tollerandolo le sorelle,
« S'è portata in tanta rabbia, che oltre alla sua tirannide
« anticha, non perdona a falsità né a malignità e indegnità
«
^
alcuna, tratandoci da schiave (1) ».
Anche la pazienza ha un limite: alcune, non potendone
più, un bel giorno fuggirono dal convento e, sia che non
fossero accolte dai parenti o che li avessero perduti, si ri-
dussero nella condizione di andare elemosinando di casa in
casa (2). Lo scandalo adunque dilagava, passava ogni misura
e i superiori impressionati, ricorsero finalmente all estremo
di chiudere il monastero con la scusa di restaurare.
Avrebbero dovuto, tornando ai loro, seguire un genere
speciale di vita. Secondo il pensiero di Roma, avrebbero do-
vuto avere a loro disposizione una chiesa e convenirvi tutte
alla stess’ ora, per ivi « udir messa alcuna volta et comuni.
« carse, nella quale, mentre fossero state, per oviar a ogni
« sorte di seandalo et inconveniente, non potesse persona
« alcuna entrare (3) ». Ma il vescovo Mariano Savelli scrive:
« j cittadini quasi tutta l'estate stando fuori della città
« nelli loro luochi, et alcuni quasi tutto l anno et non po-
« tendo tener la Casa aperta in Augubbio et lasciarvi la mo-
« naca con la debita custodia, é stato necessario che la con-
« duchino seco per dovere et reputation loro per la buona
« custodia. Et quelle che nella Città istessa si ritrovavano,
« non si poteva essequire per rispetto che non era possibile
« da tante diverse parti della città farle convenire in un
« hora ad alcuna Chiesa per diverse occupationi et impedi-
« menti delli parenti loro ». Perciò, il vescovo conclude :
« non potendosi... instituire una Chiesa come desidereremmo,
« le conduchino con il manto negro, et ad hora che meno
(1) Lett. dell B novembre 1590 (Lib. cit.; Arch. di Stato cit.).
(2) Da una lettera del 12 aprile 1591 (Idem).
(3) Lettera da Roma del 20 maggio 1591 (Lib. ms. segn.; Cl. I, D. A., F. IV;
Arch. di Stato cit.).
“ms. segn.: Cl. I, D. G., F. CCLX; Arch. di Stato cit.).
46 A. PELLEGRINI
« siano frequentate le Chiese, senza dimorarvi più del tempo
« necessariamente richiesto ecc., et in casa [le tengano] con
« quella maggior riserba che per loro sia possibile..., et co-:
< mandiamo alli. suddetti parenti che incontinente che have-
« ranno ricevute in casa le Monache, debbino venire a darne
« notitia a nui (1) ».
‘ Così d'accordo le autorità, nel giugno del 1601 le mo-
nache tornano a riveder le stelle (2).
Il convento, rimasto libero, si prese a restaurarlo. Sem-
bra venisse incaricato il solito monsignor di Cagli per riferire
sul buon andamento dei lavori e sulla disciplina delle suore.
Animato da zelo forse un po’ troppo eccessivo, visto che il
tempo passava, che le pecorelle tendevano a smarrirsi, che
‘l'aumento delle doti avrebbe cooperato a farle vivere assai
meglio in avvenire, riferisce in proposito il suo pensiero alle
. dovute autorità. Ma i Consoli, tutori dell' interesse e decoro
?
cittadino insorgono protestando: « ... la Città riman mal sati-
sfatta che Monsignor di Cagli habbia imputata la tardanza
del restauramento del monastero alla discordia di Cittadini,
« poichè alle spese degl'itessi parenti delle monache si ri-
« staura tutta via, e con molta concordia e charità hanno
« preso a far le spese alle monache acciò si risparmino l’en-
« trate del monastero, e se tardanza alcuna vi fosse stata,
« più tosto l’ha cagionato la mancanza della materia e-*del
« denaro; rimane ancho malissimo satisfatta d'esser tutta la
« Città imputata di si puoca charità che non habbia preso
« pensiero di soccorrere alla miseria di queile monache che
^
^
« tanto pativano com'esso vescovo riferisce, perché non é
< Vero... Si duole... che tanto apertamente e tanto risoluto
« sia venuto a parlare d'aleune monache o d’altri, racon-
« tando quelle cose che -vere non sonno, almeno di quella
« maniera che si dice...; che... sia intrato a persuadere l'au-
(1) Lettera del 10 giugno 1591 (Idem).
(2) Da una lettera del 14 giugno 1591 della Sacra Congregazione al duca (Lib.
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GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 47
gumento delle doti sin a trecento scudi con danno gran-
" dissimo, evidente, perpetuo di questa Città che... gl'anni pas-
sati ottenne lo stabilimento alla somma... di doicento venti
scudi,... ch'egli habbia voluto rinovar la memoria del go-
verno de’ quei frati et affettarle con il suo consiglio, poi-
ché con tanta sodisfation publica di tutta la Città ad istan-
za di medesimi frati e del lor generale ne furno levati
dalla S. memoria di Gregorio XIII e non per capriccio di
tre o quattro cervelli bizari com'esso scrive... ». Terminano
pregando il duca che faccia tacere il vescovo « senz'altro
fastidio » della città « che... sente molto travaglio, e spe-
cialmente i parenti che paiono piutosto inclinati a ritener
a casa le lor monache che rimetterle nel monastero per
tema di questo [che ritornino cioè sotto à frati]; aggiuntosi
che per il passato terremoto e stato talmente dannificato
il monastero che vi vorrà anche in quella buona spesa... (1)».
Francesco Maria si affretta a rispondere che il cardi-
nale Alessandrino non aveva prestato fede alle accuse di mon-
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signor di Cagli, e i Consoli, sebbene alquanto tranquillizzati,
ritornano però sul loro concetto: « ... questa città si è inso-
spettita e turbata assai per li dei principali capi dell'au-
eumento delle doti e della rinovation del governo di frati...;
ci è parso supplicar di nuovo V. A. S. che si degni... che
quell’Ill.mi e R.mi Cardinali chiarischino che non si verrà
ad alteratione et innovatione alcuna... acciochè... non. si
cagioni che quando verrà il tempo di ritornare le mona-
che al monastero, nasca scandalo e disturbo per molti che
mostrano voler piutosto sostenere il carico e fastidio di
eovernarle in casa propria che sofrire che elle siano go-
vernate da frati.... (2) ».
Giunti, con questa lettera de’ Consoli, al ‘93, da ora in-
nanzi, i documenti facendosi più radi, è, da credere che la
(1) Lettera del 23 maggio 1593 (Lib. ms. segn.: Cl. I, D. G., F. CCLV; Arch. di
Stato cit.).
(2) Lett. del 6 giugno 1593 (Lib. ms. segn.: Cl. cit., F. cit.; Arch. di Stato cit.).
48 A. PELLEGRINI
dolorosa quistione finisse per virtù propria, quasi per ane-
mia. Non saprei dire quando le monache, e in qual numero,
tornassero in clausura, ma vero è che esse devono essere
state le ultime a chetarsi, perché nel 799 —. già tornate in
convento — sparano l'ultima cartuccia, mandano ancora in
nome di Jesu Christo un'altra delle solite vibrate proteste,
aecusando perfino che « i preti non sanno quello. che se sia
« religione (1) ». Ma invano: chè la loro voce si perde nel
deserto.
Cosi, morto il vescovo Savello, che, come ho detto, pare
avesse non poca responsabilità nel perpetuarsi degli scan-
dali, allontanato monsignor di Cagli, che pare accarezzasse
facilmente le velleità delle suore, fu mandato nel 1601 il
vescovo Andrea, il quale, più fortunato de’ predecessori, mal-
grado trovasse la diocesi in uno stato verrognoso (2), senza
temere calunnie nè rappresaglie, usando ogni cura e molto
tatto per evitare rumori (3), riuscì in breve a ritornare l’idea
dell’ubbidienza e della disciplina fra le sue pecorelle (4).
Francesco Maria II mori il 29 aprile 1631, dopo 83 anni
di vita, lasciando solo la moglie (5) che, « forse per un sen-
(1) Lett. del 15 ottobre 1599 (Lib. ms. segn.: CI. cit.; F. CCLX ; Arch. di Stato cit.).
(2) Il vescovo Andrea scrive così ai 2 di febbraio del 1601: « Fra i disordini
vi é che in cinque di questi
« monasterij di monache non s'osserva la clausura, poiché ‘in
« Chiamata udienza, dove stanno le monache, s'è
« c'ho trovato in fatti essere in questa mia Chiesa,
una certa stanza
abusato d'entrarvi indifferente
« mente donne senza alcuna sorte di licenza et in uno d'essi anco huomini, contra-
« riamente al decreto del concilio di Trento..... ; questa Chiesa, sappia V. A., ch'io
« l'ho trovata così nuda di vera disciplina et in tanto disordine che per ridurla al
« suo testo, secondo ch'io devo, havrò bisogno di spetial grati
(Lib. ms. segn.; Cl. I, D. G., F. CCLVII1; Arch. di Stato cit.'.
(3) Cfr. le lettere del 1601 del vescovo Andrea (in Lib. ms. segn.: CI. cit., F. cit.;
Arch. di Stato cit.).
a del Signore ecc. »
(4) Le prime a f.re atto d' ubbidienza furon le monache di San Martiale e S, An-
tonio, quando si furon « chiarite che il negotio della clausura non era cosa pen-
« dente » dal vescovo « ma espressa ordinatione della sedia apostolica » (Cfr. lett.
del vescovo del 27 luglio 1601; Lib. ms. cit.; F. cit.; Arch. di Stato cit.).
(5) S'é già visto quando gli morì il figlio; la madre Vittoria Farnese gli era
morta nel dicembre del 1605, e « alli 4 de febraro 1606. furono fatte l'eseque bellis-
« sime in Domo... et vi furno tutti li preti della città et diverse et tutte le reli-
« gioni de' frati » (Lib. ms. segn.: III, XVII, B. 20: Ar. Armanni ; Bibl. cit.).
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GUBBIO SOTTO I CONTI E DUCHI D'URBINO 49:
timento di geloso affetto », avrebbe voluto, lui morto, si ri-
tirasse in convento (1) e fu quegli fra i principi feltreschi
e rovereschi che piü fosse amato dagli eugubini (2).
Venne a prendere possesso di Gubbio don Taddeo Bar-
berini, principe di Preneste e capitano generale di Santa
Chiesa, e il 30 d'aprile ne fu fatto pubblico rogito da Co-
rinzio Baroncini, pubblico notaio e cancelliere di quella curia
arcivescovile. « Entró per la porta di S. Agostino; gli andó
« incontro il conte Raffaele Carbonana, Gonfaloniere di Giu-
« Stizia, col corpo del Magistrato e comitiva de’ Nobili e
« moltissimi Cittadini; il quale sopra un bacino d’argento
« gli presentò le chiavi delle porte della Città e delle pri-
« gioni, e l’accompagnò fino alla casa del sig. Conte Giovanni
« Battista Beni, ove don Taddeo prese alloggio; ed ivi, so-
« praggiunti i principali pubblici rappresentanti delle Terre
« e Castelli del territorio [eugubîno], fecero le stesse offerte
« delle Chiavi dei loro rispettivi luoghi e prestarono fedeltà
« e ubbidienza al suddetto don Taddeo per la Santa Sede;
« indi portossi al Palazzo ducale di questa Città [Gubbio] ac-
« compagnato dalla stessa comitiva, da affollato Popolo, pren-
« dendo di quello ancora possesso colle solite formalità.
« Poscia, il giorno dopo, entrato nella Chiesa cattedrale,
« dopo aver esercitati gli atti di pietà e religione, si pose
« a sedere sopra una nobil sedia, collocata in luogo emi-
« nente, ove ricevè il giuramento di fedeltà colla formola
(1) P. Campello della Spina, op. cit., pag. 362.
(2) Oltre le diverse prove di affetto che sono andato enumerando man man che
capitava l'occasione, non voglio tralasciar di ripetere la seguente che si ha da una
lettera dei consoli, del 13 febbraio 1607: « È tanta e tale la fideltà e devotione di
« questa Città verso V. A. S. che non ha potuto contenersi, nell'occasione delli mo-
« tivi di guerra,... di non pensare.... in supplicare.... V. A. S. di dover tenere numero
« di persone conveniente a cavallo e ai piedi.... per guardia della persona sua e del
« Ser. Prencipe, offerendosi questa città mandar perciò quel n. di persone e tener-
« vele a sue spese che gli verrà accennato da V. A. Ser., con offerirle di più esser
« prontissimi sempre metter non solo la robba et havere, ma tutti la vita propria,
« per conservatione di V. A. S. ecc. » (Lib. ms. segn.: Cl. I, D. G., F. CCLV; Arch
di Stato cit.).
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a HORSE. riattare este LT
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A. PELLEGRINI
seguente: Noi Gonfaloniero, Consoli, Deputati, Consiglieri
et altri Gentiluomini e Cittadini della Città di Gubbio (ivi
espressamente tutti nominati in numero di 61) ricono-
sciamo la Santità di N. S. Papa Urbano VIII, la S. R. C. e
la Santa Sede e Camera Apostolica per veri e diretti Pa-.
droni della Città di Gubbio e sue Terre, Castelli, Contado,
Distretto ecc., col mero e misto imperio e potestà di sangue
e totale giurisdizione, et inoltre di tutte le Città, Terre,
Castelli, Fortezze e Luoghi del Ducato e Stato d'Urbino
e degli altri beni giurisdizionali e feudali posseduti già
da Francesco Maria II, sesto ed ultimo Duca d'Urbino,
concessi da Sommi Pontefici a suoi Antecessori e, per la
sua morte e linea mascolina finita, devoluti alla Santa
Sede.e Camera Apostolica, facciamo e promettiamo pieno
omaggio e vassallaggio alla Santita Sua, S. R. C., e Sede
e Camera Apostolica, e a Voi Ill.mo et Ecc.mo Sigr. Don
Taddeo Barberino Principe di Palestrina, Generale di Santa
Chiesa ecc. e da quest'ora innanzi sareno fedeli, devoti et
ubbienti al prelibato Santissimo N. S. Urbano VIII e a suoi
successori che canonicamente entraranno ecc., e osserve-
remo e faremo osservare, per quanto potremo, li Statuti,
Leggi, e Ordinazioni di N. S. e Successori suoi, e tutto
ciò a nome tanto pubblico come privato, promettiamo e
giuriamo di attendere ed osservare senza dolo fraude e
malizia ecc. (1) ».
Assisi, novembre, 1905.
A. PELLEGRINI.
(1) R. Reposati, op. cit., vol. II, pag. 248, n. 194. Se il lettore vorrà sapere qual-.
. che cosa di più delle feste fatte pel Barberino, legga una dettagliata relazione di
esse pubblicata in Roma da un ms. vaticano.
Mie e PA
di A
DUE MONASTERI BENEDETTINI
PIÙ VOLTE SECOLARI
(RIE TI)
In quasi tutte le città dell’Italia centrale, piccole e grandi
che sieno, trovansi monasteri di Benedettine, dei quali, di-
sgraziatamente, nessuno fin'ora ha preso a scrivere la storia.
Non rimanemmo quindi punto sorpresi quando venimmo a
sapere che esistevano pure a Rieti ed a Città Ducale due
di tali monasteri, e la grande antichità a cui rimonta la
loro fondazione c’ indusse a fare intorno ad essi, di prefe-
renza, delle ricerche storiche. Il primo di questi monasteri
infatti risale al IX secolo, e l'altro al 1328. L'incendio. de-
gli archivî episcopali di Rieti nel XVI secolo, che cagionò
una perdita irreparabile per la storia di questa Chiesa, fon-
data, secondo un’antica credenza da S. Prosdocimo, discepolo
di S. Pietro (1), quindi l' invasione de’ francesi, al principio
del secolo XIX, fecero perire quasi tutti i documenti, che ci
avrebbero potuto guidare nelle nostre ricerche; nondimeno,
colle poche notizie che ci fu dato raccogliere qua e là, po-
tremo tracciare almeno i lineamenti generali della storia di
queste due fondazioni.
B
Le Benedettine di Rieti.
Rieti, prima dell'invasione de’ francesi, aveva soppressi,
nel 1359, oltre quello di S. Margherita, altri tre grandi mo-
(1) Cf. M. MICHAELI, Memorie storiche della Città di Rieti (Rieti, Trinchi 1898)
«I, p. 39 sg. bora
52 W. VAN HETEREN
monasteri di Benedettine: il monastero di S. Caterina, quello
di S. Scolastica e quello di S. Benedetto. È tradizione po-
polare che quando S. Benedetto Labre venne a Rieti, si re-
casse al monastero di S. Scolastica, e quivi battendo a tre
riprese il suolo col bastone, uscisse in queste profetiche
esclamazioni: « S. Caterina, S. Scolastica, S. Benedetto! tre
monasteri di Benedettine! Appena uno solo ne resterà! ».
Cheeché sia di questa tradizione, certo é che il mona-
stero di S. Caterina fu il primo a scomparire; quello di
5. Seolastica fin dal 1813 serve di carcere; in quello di
5. Benedetto ha sede fin dal 1860 la scuola normale femmi-
nile, ed ora nove figlie di S. Benedetto, rifugiate in una
misera casa che minaccia rovina, appena appena formano
una comunità.
Ma veniamo alla storia: e, lasciando da parte S. Cate-
rina, che divenne monastero di Francescane assai prima
dell’ invasione francese, diciamo anzi tutto qualche cosa
del monastero di S. Margherita, che fu il primo a sparire.
Dopo di che diremo della badia di S. Benedetto e del mo-
nastero di S. Scolastica.
A. — Santa Margherita.
Non si conosce il tempo, in cui fu fondato questo mo-
nastero; ma si sa di certo che era situato fuori di porta
Cintia e che esisteva già prima del 1359 ; nel qual tempo
era ridotto a tanta povertà, che il vescovo di Rieti dovette
venire in soccorso delle religiose, come risulta dalla bolla se-
guente (1): *
1359, novembre 18.
« Universis presentes licteras inspecturis Frat. Bla-
sius Dei et Apostolice Sedis gratia Episcopus Reatinus,
salutem in Domino Iesu Christo.
(1) Originale nell'Archivio delle Monache di S. Benedetto di Rieti.
DUE MONASTERI BENEDETTINI, ECC. 53
Licet cuneta charitatis opera in conspectu Divini
nominis sint accepta, illa reputantur potissime, que
pro substentatione pauperum in monasterio degentium
largiuntur. Cum propterea in monasterio S. Margarite
de Reate multarum virginum inibi reclusarum vigent
ordinis Beati Benedicti observantia regularis, que reli-
etis propriis, Domino famulantur, nec propter pauper-
tatem ipsarum, possint absque fidelium opportuno sub-
sidio trahere vitam suam, volentes de gratia desuper
Nobis data vos et eas participes facere, omnibus vere
penitentibus et confessis, qui dietis religiosis, seu mo-
nasterio manus porresserint adjutrices, quotiescumque,
de omnipotentis Dei misericordia et Beatorum Petri et
Pauli ae Beate Virginis Margarite auctoritate confisi,
quadraginta dies de iniuncta eis penitentia misericordi-
ter in Domino relassamus. In quorum testimonio pre-
sentes litteras fieri fecimus, Nostrique Capituli Reatini
sigilli munimine roborari. :
S. Capituli Reatini ».
Datum Reate in Nostro Episcopali palatio sub anno
Domini 1359, indictione XII tempore domini Innocentii
Pape VI, mense Novembris die 18 ».
Ma le condizioni del monastero, non che migliorare, an-
darono peggiorando vie più, di giorno in giorno; tanto che
nel 1453 il vescovo di Rieti prese il partito di sopprimere
il monastero e di unirlo definitivamente a quello di S. Sco-
lastica (1).
(1) originale nell'Archivio delle Monache di S. Benedetto di Rieti.
1453, novembre 29.
« Angelus Dei et Apostolice Sedes gratia Episco-
pus Reatinus dilectis Nobis in Christo Abbatisse et mo-
nialibus monasterii S. Margarite extra muros reatinos
Ordinis Sancti Benedicti salutem et sinceram in Do-
mino caritatem.
Quoniam ex debito pastoralis officii Nobis incumbit
circha Ecclesiarum omnium curam, earum precipue, que
—= -
W. VAN HETEREN
nostre ditioni subjiciuntur, queque ad aliquam observan-
tiam potissime sunt electe diligentiam sedulam adhibere,
ne quomodo ex negligentia aliqua damnum aliquod eis
vel detrimentum, seu in temporalibus, seu in spirituali-
bus valeat imminere, ut tanto in eis Altissimo quietius
famuletur, quanto potiori ubertate fuerint circumfulte ;
eapropter deficiente nuper, sicut altissimo placuit, per
naturalem obitum Margarite abbatisse monasterii S.
Scolastice de Reate abbatissa in dicto Monasterio San-
cte Scolastice dignum duximus, dietí monasterii, quod
iam omnino destitutum est monialibus, indennitatibus
quantum possumus providere, ne propter huiusmodi
abbatisse carentiam suscipiat detrimentum.
Attentis igitur hinc Monasterii vestri Sancte Mar-
garite inopiam et paupertatem, et inde dieti Monasterii
Sanete Scolastice destitutionem, monialiumque parvita-
tem, dietum monasterium et ecclesiam Sancte Scola-
stice, que, ut predicimus, monialibus. destituta est, ac
etiam dietum monasterium Sancte Margarite, cum om-
nibus eorum et cuiusque ipsorum fruetibus, iuribus et
rebus, omni meliori modo, via, vice et forma, quibus
melius possumus et de iure valemus, ad invicem per-
petuo et irrevocabiliter unimus, annectimus et incor-
poramus, ita quod de cetero unum tantum monaste-
rium, atque Abbatia una dumtaxat censeantur, ad quod,
eo facilius, libentiusque inclinavimus, quo honestius VOS,
abbatissa et moniales antedicte, que eamdem regulam
ordinemque, videlicet, Sancti Benedicti, cum dieta ec-
clesia et monasterio Sancte Scolastice servatis, dictum
monasterium gubernabitis, ac de redditibus suis adjute,
quietius et divinis officiis vacabitis et in Dei servitio
persistetis.
Committimus autem, harum serie, et mandamus di-
lecto nostro domino Nicolao Montanelli presbytero Rea-
tino et Cappellano nostro quatenus vos, seu alteram tum
nomine omnium in possessionem dieti monasterii San-
cte Scolastice inducat, et inductas defendat, ac vobis de
universis fructibus redditibus et obventionibus univer-
»
-
DUE MONASTERI BENEDETTINI, ECC. DD
- sis ad dictam. ecclesiam et monasterium Sancte Scola-
stice spectantibus et pertinentibus faciat integraliter
responderi, contradictores quoslibet ac rebelles per cen-
suram ecclesiasticam compescendo. In quorum fidem
et testimonium presentes fieri, nostrique pontificalis si-
gilli appensione iussimus communiri.
Datum in episcopali palatio Reatino et presentibus
his testibus, videlicet D.no Sancto Antonii, et domino
Dominico Paulutii, canonicis Reatinis ad predicta voca-
tis, sub anno Domini 1453, prima indietione, die penul-
tima novembris, pontificatus SS.mi domini nostri do-
mini Nicolai divina providentia Pape V; anno octavo.
Dominieus Macchi de Reate m. p. ».
B. — San Benedetto.
In mancanza di documenti autentici, abbiamo avuta la
fortuna di trovare una lettera scritta nel 1835 dal famoso
professore ed autore di diritto canonico, Carlo Santini, al ca-
nonico D. Fernando Ricci. Da essa in gran parte abbiamo
attinto le notizie seguenti.
Dopo aver detto che negli Archivi della cattedrale di
Rieti si trovano sei documenti, in cui ricorre il nome di
S. Benedetto (1) (trattasi là, però, dell’antico castello, ora
distrutto e della chiesa di S. Benedetto sui confini di Ma-
gliano e di S. Elia), l’autore si appoggia a sua volta sopra
un manoscritto composto dal P. Giuseppe Orsini, O. S. Aug.
per il convento soppresso di S. Caterina, e riferisce che il
monastero di S. Benedetto sorgeva anticamente fuori di
porta Carceraria, detta pure porta SS. Leonardi, porta d'Arci
o degli Abbruzzi. Le religiose vivevano sotto la regola di
S. Benedetto, ma senza la stretta clausura che usasi oggl,
potendo esse uscire e far delle visite, ma solo con la li-
(1)1153 — Aprile 1161 — Settembre 1249 — Marzo 1250 — Febraio 1350 — 7 Lu-
glio 1836.
ePi.
— ————— = =
56 W. VAN HETEREN
cenza della badessa e a condizione di rientrare prima. di
notte.
Dopo una breve dissertazione sui cambiamenti introdotti
nella clausura monastica dal tempo della bolla « Periculosa »
di Bonifacio VIII (1294-1303), fino al Concilio Tridentino, e
dopo lenumerazione de’ diversi monasteri di Rieti posti
fuori delle mura — tra i quali troviamo quello di S. Scola-
stica presso porta Cintia, in una località detta S. Marghe-
rita — l’autore prende a trattare direttamente la questione
dell'origine di S. Benedetto.
« Se questo monastero, scrive egli, si trovava fuori di
porta d'Arci, o ad Arcem, è perchè in origine non era altro
che l'antica cella o chiesa di S. Agata ad Arcem, di cui
difficilmente si ritroverebbero oggidi le fondamenta, ma
della quale. vien fatta parola più volte nei Documenti Far-
fensi, pubblicati dal Galletti, O. S. B., nel suo dotto lavoro
« Delle tre chiese di Rieti » (1). Questa cella di S. Agata si
trovava già nell'ottavo secolo sotto la giurisdizione de’ mo-
naci di Farfa. Nel luglio 761 essi la cedettero solennemente
con l'autorizzazione dell’ abate Alano, all’ azionario Ilderico,
in cambio di alcune proprietà, che il Duca di Spoleto avea
legato a quest’ultimo (2). ;
Più tardi Ilderico vesti l'abito monastico, ed in quest'oc-
casione cedette nuovamente al monastero di Farfa la chiesa
di S. Agata ad Arcem, ritenendo tuttavia l’usufrutto di tutti
i beni per tutto il tempo della sua vita, di quella di sua
moglie Gusta e di sua figlia Guisperga. Ma la sua vocazione
non fu di lunga durata: usci dal monastero, e poco dopo
che fu rientrato nel secolo, mori; sua moglie l'avea già pre-
—————
(1 Roma, Generoso Salomoni, 1765, p. 77 sg.
(2) « Recepi ego qui supra Aldericus a te jam dicto Halano Abate, vel a cuncta
Congregatione Monasteri S. Marie in commiutatione Basilicam beate Christi Mar-
tyris Agathes foris muros Civitatis Reatinae una cum casela prope ipsa Basilica cum
curticella, et horto, vel aliquanta vinea, que ad ipsam pertinet Basilicam » (Reg.
Farf., n. 56).
|
rent n DIZIONE tm L— nidis
' —
DUE MONASTERI BENEDETTINI, ECC: DT
ceduto nella tomba. Allora Guisperga, rimasta orfana, prese
il velo monastico e rinunziò a sua volta, con una lettera
del mese di giugno 819, in favore di Ingoaldo, abbate di
Farfa, a tutti i diritti che potesse avere sulla chiesa e sui
beni di S. Agata, ma Ingoaldo da parte sua le restituì l'usu-
frutto col pagamento di una tenue rendita di 12 denari al-
l’anno (1).
Pur tuttavia i monaci di Farfa non senza contestazione
e lotta rimasero in possesso di S. Agata. Adolfo, fratello di
Guisperga, pretese che la detta donazione fosse stata fatta
dal loro padre Ilderico soltanto in vista del suo ingresso
nel monastero, e che era stata quindi annullata con la sua
uscita; perciò reclamò la sua parte di eredità. Malgrado ciò,
dopo molte discussioni, si venne ad un accordo, e si con-
venne che a Farfa sarebbe rimasto il possesso di S. Agata
e di altri fondi posti nell’ agro reatino, e che l'abate In-
goaldo avrebbe ceduto a Adolfo alcune proprietà situate nel
distretto o contea di Amiterno (giugno 824, Reg. Farf. n. 27g;
Galletti, 1. c., p. 85).
Dal fatto che Guisperga era monaca, l’autore si propone
una questione, a nostro avviso, assai naturale, se cioè non
si debba considerare Guisperga come una delle antiche mo-
nache addette alla chiesa di S. Agata ad Arcem, e per con-
seguenza come una delle madri delle nostre Benedettine. In
nessun luogo, è vero, vien riferito che S. Agata fosse in
quel tempo un monastero di religiose; ma che oltre alla
chiesa vi fosse pure veramente un monastero, si deduce
prima dal passo n. 56 del Reg. Farf. citato più sopra, quindi
si deduce pure dalle parole che pronunciò nell'assemblea
tenuta nel novembre del 982 al palazzo episcopale di Rieti
(1) « Modo quidem venit Giusperga Sanctimonialis femina filia cuiusdam Hilde-
rici, et sua bona voluntate retradidit ipsam Ecclesiam S. Agathes (que posita est
ad Arcem) et ipsas res, et usufructus, ad portam Sanctae Marie, et nobis Ingoaldo
Abati » (Reg. Farf., n. 2613 GALLETTI, l. C , p. 81).
oe e
58 | W. VAN HETEREN
l'abate Giovanni di Farfa (1); di più si ricava dall’ impossi-
bilità di assegnare in. quel tempo un altro monastero, in cui
la monaca Guisperga avrebbe potuto ‘ritirarsi: finalmente,
la tradizione locale ‘è costante nell'affermare che S. Bene-
detto è realmente la continuazione di S. Agata, e questa tra-
dizione è confermata dal fatto che l'altar maggiore della
chiesa di S. Benedetto è dedicato insieme a S. Benedetto
ed alla celebre eroina cristiana S. Agata.
Resta a sapere in qual tempo le monache si trasferirono
. dalla campagna in città. Alcuni autori hanno preteso, ma a
torto, che ciò avvenisse verso l'epoca del Concilio Triden-
tino. Difatti in quel tempo il monastero dentro le mura con-
tava già due secoli di esistenza, come lo prova il cap. 138,
Lib. I, dello statuto municipale (2).
Benché questo statuto fosse stampato per la prima
volta nel 1549, dopo essere stato definitivamente compilato
nella seconda metà del secolo XV, pure i capitoli che lo
«compongono risalgono ad una data assai più lontana. Inoltre,
questi capitoli non sono disposti secondo l'ordine delle ma-
terie, ma secondo l'ordine cronologico della loro apparizione.
, B }
Ora il capit. 137 che precede immediatamente il nostro,
contiene una disposizione dell'anno 1329, ed il cap. 139 che
(1) « Facite iustitiam de rebus juris saneti monasterii nostri, quae suntin ter-
ritorio Reatino id est... de ipsa Ecclesia S. Agathe cum pertinentia sua et. dotali-
cio » (Reg. Farf., u. 430 — GALLETTI, l. c., p. 95*.
(2) « Statutum in favorem S. Benedicti. Petitionem quandam pro parte ven.
domine Abbadisse et Conventus Monasterii Sancti Benedicti de Reate coram nobis
exhibitam : Coram vobis providis et discretis viris statutariis positis ad renovandum
et faciendum Statuta Communis et populi Reatae, supplicat, exponit et cum reve-
rentia petit Abbatissa et Conventus Monasterii praedieti, quod vigore Statuti per
vos faciendi detur et concedatur intuitu Dei Monasterio predicto via juxta por tam |
post domum Ciminorum, et juxta predictum Monasterium. — Et ipsa Abbatissa et
Conventus. Monasterii predicti det pro necessitate hominum inde transire volen-
tium. tantum de territorio ipsius Monasterii quod sufficiat ad viam faciendam post
ipsas domus juxta Cantanum, secundum quod videbitur Serfalibus (?) Communis lar-
gam, cum ipsa via fienda sit pulchrior e et habilior et utilior hominibus. Et hoc
petunt pro Deo; et quod de his per vos fiat statutum ad cautelam dicti Monasterii,
Dei et pii Patri Beati Benedicti contemplatione, et reverentia. Ut iacet admicti-
mus » ete.
e
CA
—
DUE MONASTERI BENEDETTINI, ECC. “DO
lo segue ha un provvedimento preso in favore dei ghibellini
nel 1344; il nostro capitolo dunque deve esser posto tra
l’anno 1329 e 1344, e ci fa sapere che il monastero di S. Be-
nedetto esisteva nella prima metà del secolo XIV, e che era
abitato da monache sotto .la giurisdizione di una badessa.
Ne ricaviamo inoltre che il nuovo fabbricato non era ancora
intieramente compiuto, ma che si estendeva fino alle mura
della città, ed occupava l’antica via che lo rasentava da
porta d’Arci fino a porta Conca, ed in compenso di questa
antica via venne aperta, nei fondi appartenenti al monastero,
la via attuale che rasenta il muro del giardino ed il riga-
gnolo detto ij Cantaro, a incominciare dalla chiesa del Suf-
fragio (1) fino a quella di S. Benedetto. Ma possiamo risalire
fino al 1309. Il 1° agosto di quell’anno, un certo Oblatus
Monasterii SS. Benedicti acquistò per esso la 16* parte del
(1) Questa chiesa del Suffragio era anticamente dedicata a S. Leonardo. Dalle
notizie interessanti, che abbiamo trovato su questo soggetto negli Archivì episco-
. pali, e che riproduciamo qui sotto, si deduce chiaramente che le Monache di S. Agata
e più tardi quelle di S. Benedetto, almeno nei primi anni del XIV secolo, erano di-
rette da monaci della famosa Abbazia benedettina di Ferentillo, presso Spoleto,
unita il 5 Agosto 1302 da Bonifacio VIII al Capitolo del Laterano. Ecco queste notizie :
Chiesa di S. Leonardo, al presente chiamata S. Maria del Suffragio. Quella si
venerava nella piccola chiesa detta della Strada dritta e fu portata nel 1614 nella
chiesa di S. Leonardo. L'abate di Ferentillo la pretendeva di sua giurisdizione: vi
sono nell'archivio della Cattedrale nel fasc. P. sotto gli anni 1253-1257 — 1257 - 1278
dopo il numero primo e secondo gli atti della lite mossa contro la Cattedrale: que-
sti atti si conservano ancora nel Tabulario Ecclesiastico compilato dal Bibliotecario
del Card. di Bagno vescovo di.Rieti. i
Nell'anno 1311, volendosi alzare le mura della città sopra la porta d'Arci, si fa:
dal Magistrato delle sette Arti con gli Operai la convenzione seguente: « Die 72 Sep.
1311 in domo et... murare supra portam S. Leonardi de Arce quinque passus altum,
et faciendo nurum grossum de tribus pedibus... » dal che apparisce che la porta si
chiamava di S. Leonardo, come anche apparisce per istrumento pubblico fatto in
pergamena, e rogato il 23 Maggio 1312 da Rodolfino di Mastro Iaco di S. Gemini,
Not. imperiale etc.
Nello Statuto compilato l'anno 1349 nel lib. 4, fogl. 61 si legge: « ... quod via
Cantari posita juxla Cantarum a Porta S. Leonardi, usque Pontem S. Thomae ».
Nel catasto pubblico fatto l'anno 1447 questa chiesa di S. Leonardo apparisce
ricca di molti beni stabili.
Nellanno 1523 e nel libro delle Riformanze a fogl. 2913 si tratta di rifare la
campana di S. Leonardo: servì a fondere l'artiglierie.
au rn padrini di M a
o: Ms. : p Ta
aam uro C VALI A SETT
60 W. VAN HETEREN ,
mulino delle cataste, d'onde risulta che questo monastero esi-
steva già nel 1309 (1).
Finalmente, nel ms. dell'Agostiniano Orsini trovasi il
il testo d'un breve del 17 agosto 1308, col quale il vescovo
di Rieti Giovani Muti de' Papazzurri (1301-1337) concede
40 giorni d’indulgenza a coloro che in qualsiasi maniera
contribuissero al compimento della fabbrica del monastero
di S. Benedetto.
Ecco dunque stabilito presso a poco il tempo in cui le
monache di S. Agata lasciarono la campagna per venire ad
abitare il nuovo monastero di S. Benedetto; e non v'è dub-
bio che il regolamento più severo di Benedetto VIII sulla
clausura monastica abbia contribuito a questa mutazione.
La nuova ala del monastero fu costruita nel secolo XVI in
seguito ad un decreto del cardinal Amulio, dopo il suo ri-
torno dal Concilio di Trento (22 aprile 1560). Con questo
decreto il cardinale assegnava alle religiose parecchie somme,
che doveano servire al compimento dei lavori.
Da quel tempo fino al 1809, quando i francesi s impa-
dronirono di Rieti e vi soppressero gli stabilimenti religiosi,
ed al 1819, quando S. Benedetto fu riunito a S. Seolastica,
come piü giü vedremo, non troviamo nulla di notabile. Sem-
pre questi monasteri furono modelli di regolarità e disciplina
monastica, e non diedero mai occasione a questioni e la-
menti.
Mgr. Bolognetti, vescovo di Rieti nell'anno 1645, gettò la prima pietra della
chiesa attuale nella quale fu scolpita la seguente iscrizione :
DEIPARAE SUFFRAGII
TEMPLUM
VIVENTIUM SUPPLICATIONIBUS MORTUORUM INDULGENTIIS
DESIGNATUM
SODALITAS FUNDAT
GEORGIUS BOLOGNETUS EPISCOPUS
PRIMUM HUNC LAPIDEM FECIT
ANN. D. 1645
(1) « In presentia ete.... vendit religioso viro, Paulo domini Petri, oblati mona-
sterii S. Benedicti de Reate, Ordinis S. Benedicti, sextam decim
am parte molendini
Catasta positi in Populario S. Laurentii in Cantaro..
. pro triginta trium florinorum ».
YA RUPOTT ET RIOME N adt n iio
Pam:
IR TITEFTI RI) ogm n ds
DUE MONASTERI BENEDETTINI, ECC. 61
Ed ora, prima di parlare della riunione di queste due
comunità, daremo in primo luogo ciò che abbiamo potuto *
raccogliere riguardo al monastero di S. Scolastica.
C. — Santa Scolastica.
Secondo gli Stati delle Chiese di Rieti, che si conservano
negli archivi della Curia di questa città, la chiesa e il mo-
nastero di S. Scolastica non rimontano, per ciò che concerne
la loro costruzione, se non al principio del XVII secolo.
Malgrado la loro unione con le monache di S. Margharita, nel
1359 le Benedettine di S. Scolastica sembra abbiano attra-
versato giorni assai tristi, come si può vedere dalla bolla
seguente:
1500, marzo 28.
« Antonius de Rocca de Aquila decretorum doctor
Rev.mi in Christo patris et domini, domini titulo Saero-
sancte Romane Eeclesie S. Marie in Aquiro diaconi Car-
dinalis de Columna dignissimi episcopi Reatini, in epi-
scopatu in spiritualibus et temporalibus vicarius genera-
lis, universis et singulis has presentes Nostras litteras
inspecturis, leeturis pariterque et audituris, salutem in
Domino sempiternam.
Ad hoc ut ecclesiarum omnium per civitatem et dio-
cesim Reatinam consistentium, et ad illarum decorem ad
obtinentium personarnm status salubriter dirigi, serva-
rique decentia possit honestius, ad personae ipse di-
vinum inibi psallentes officium opportunos ad tenendum
statum suum habeant redditus, nostri libenter favoris
impartimur presidium, potissimum cum temporum re-
quirit necessitas causeque persuadent rationabiles, et
divini cultus augmentum salubriter id exposcit.
Exhibita quidem nobis nuper ex parte virginum et
religiosarum dominarum abbatisse et monialium mona-
steri S. Scolastice de Rheate petitio continebat, quod
dicti monasterii fructus, redditus et proventus adeo te-
nues sunt, quod ad monialium substentationem minime
W.. VAN HETEREN .
suppetunt, et si dieto monasterio, ecclesia seu eccle-
sie S. Andree extra et prope muros Reatinos nunc
vacante per obitum domini Mariani Petroni presbyteri
Reatini ultimi ipsius Rectoris et pacifici possessoris, qui
nuper extra romanam curiam diem suum clausit, et cui
nulla inest cura animarum, annetteretur, uniretur et
incorporetur, plurimum dicto monasterio provideretur et
augeretur.
Nos igitur attendentes petitionem huiusmodi, pre-
missis veris existentibus, fore justam et consonam ra-
tioni, de premissis omnibus et singulis Nos diligenter
informavimus; et quia per informationem legitimam,
premissa omnia et singula vera esse reperimus, idcirco
authoritate ordinaria, qua fungimur in hac parte, dictam
ecclesiam S. Andree, seu ecclesias cum omnibus juri-
bus et pertinentiis suis dicto monasterio et ecclesie
S. Seolastice unimus, incorporamus et annectimus per
presentes sine aliquo prejudicio maioris ecclesie Rhea-
tine. Volumus etiam quod preter hoc dicte ecclesie de-
bitis non fraudentur obsequiis, scilicet, debita suppor-
tentur onera consueta, et dictum monasterium per hoc
titulum S. Scolastice non mutet.
Mandamus universis et singulis presbyteris Rheati-
nis, qui requisiti vel requisitus fuerit, ut per se vel
alium ad dietas ecclesias S. Andree, et procuratorem
dieti monasterii in actualem, realem et corporalem pos-
sessionem ipsarum ponat inducat et immittat, et defen-
dat inductum, amoto ex ea quolibet illicito detentore:
dietoque monasterio post actualem, realem et corpora-
lem possessionem, ut supra, de fructibus, redditibus et
proventibus, juribus et obentionibus universis plenarie,
et integre respondeat et faciat ab aliis responderi, con-
tradictores, si qui forent, per censuras ecclesiasticas com-
pescendo. In quorum fide presentes fieri fecimus, et
prefati R.mi D. majoris et pontificalis sigilli appen-
sione munire. Datum Rheate in Episcopali palatio die
28 martii 1500, indietione III pontificatus d.ni Alexan-
dri Papae sexti, anno octavo, presentibus, audientibus
UTERE rrt
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DUE MONASTERI BENEDETTINI, ECC. 63
et intelligentibus his testibus, videlicet d.no Antonio
Mannio, Colecta Valentini et Angelo Anselmo Fortunati
de Rheate, testibus ad predicta vocatis et rogatis. Se-
raphinus Aligerus Notarius, manu propria (1) ».
Nell'anno 1500 dunque, come risulta da questa bolla,
le monache di S. Scolastica ottennero la chiesa parrocchiale
di S. Andrea cón una casa attigua a quella. Questa chiesa
si trovava in un vicolo dietro al palazzo del marchese Vin-
centini (2) e fu consacrata il 21 febbraio 1546 da mons.
Mario Aligeri vescovo reatino.
Non si tardò a riconoscere che nè la chiesa nè la casa
corrispondevano all’ onore dovuto alla divina Maestà, nè al
numero delle religiose consacrate al suo servizio.
Queste vedendo che il loro numero e le loro rendite
s aumentavano considerabilmente, ebbero la gioia di veder
porre le fondamenta d'una nuova chiesa nel 1600.
Fu comprato il terreno il 5 gennaio 1672 dalla badessa
D. M. Angelina Vecchiarelli per scudi 60. Questo superbo
edificio, costruito a forma di croce greca, fu benedetto nel
1701 da mons. Bonaventura Martinelli vicario apostolico, e
consacrato solennemente il 1° maggio 1717 da mons. Guinigi
vescovo reatino in onore di S. Andrea apostolo, come. l'at-
testa una pietra posta al lato dell’ evangelo. i
Vi si vedono tre altari. L'altar maggiore consacrato da
mons. Antonio Camarda O. P. (1724-1754), e ornato nel 1715
da D. Chiara Felice Fabri di marmi preziosi, è decorato di
un quadro che rappresenta la SS. Vergine, 5. Scolastica,
S. Benedetto, S. Silvestro e S. Margherita, dipinto da Giro-
lamo Pesci.
Sotto quest'altare venne deposto nel 1715 il corpo di
S. Mariano martire che l'abbadessa M. Rosa Alemani fece tra-
(1) L'originale di questa bolla si trova nell'Archivio delle monache di 8. Bene
detto di Rieti. :
(2) Così nél Pro memoria. Nella bolla è detto: « Ecclesiae S. Andree extra et
prope muros Reatinos ». i s
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64 W. VAN HETEREN
con altre reliquie. L'altare posto dalla parte del vangelo è
dedicato a S. Gregorio ed ha un quadro dipinto dal cav.
Andrea Casali. Di rimpetto trovasi l’altare di S. Andrea, de-
dicato prima al SS. Crocifisso, come lo attesta una lapide
murata nella parete. Il quadro che gli sta sopra è uno de’
capolavori del celebre pittore Andrea Sacchi (1).
Il campanile ha tre campane, la più grande delle quali
venne fusa verso l’anno 1400.
All’invasione de’ francesi (1809) le religiose furono cac-
ciate dal loro convento situato allato alla chiesa.
Nel 1812 mons. Marini vescovo reatino concesse la
Chiesa alla Congregazione di S. Luigi, e nel 1813 il governo
francese ridusse ad uso di prigione la maggior parte del
convento, e tale fino ad oggi rimane.
Pio VII, di ritorno in Italia, confermò con un decreto
del 1° luglio 1816 il possesso della chiesa e del locale (ec-
cetto la ‘parte riservata alle prigioni) alla Congregazione di
S. Luigi e a quella degli « Amanti di Dio », mettendo però
a loro carico il mantenimento dei locali e le spese di culto.
Il governo italiano nel 1860 rispettò queste disposizioni.
In una Pro memoria che noi abbiamo avuto la fortuna
di trovare nello Stato attivo e passivo dei due monasteri riu-
niti di S. Benedetto e di S. Scolastica di questa città di Rieti,
firmato il 15 dicembre 1824 da D. Anna Felice Palombi,
prima abbadessa dopo la soppressione, noi troviamo ancora
questi ragguagli:
« Nella ripristinazione de’ monasteri, dopo circa cin-
que anni della espulsione, ossia soppressione delli me-
desimi comandata dell’ estinto Napoleone Imperatore già
de’ Francesi e Re d’Italia, coll'assistenza della Provi-
denza divina, la S. M. di Pio Papa VII ordinò la ria-
pertura di tutti i luoghi Pii in tutti li Stati della Chiesa,
(1) Vedi per la serie di abbadesse e monache di S. Scolastica e di S. Benedetto
dal 1579 al 1732 l' Appendice A.
sportare nel 1717 sotto l’altare del SS. Crocifisso insieme
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DUE MONASTERI BENEDETTINI, ECC. 65
ed altrove; qui in Rieti vi erano due monasteri Bene-
dettini, uno di S. Scolastica di maggior numero di re-
ligiose, l’altro di S. Benedetto di pochissime religiose;
'il locale di S. Scolastica già occupato dal 1813 per uso
delle Carceri pubbliche del Governo, dovette soccombere
ed unirsi col sudetto monastero di S. Benedetto. Questa
unione seguì alli 5 di Agosto del 1815 ».
Adunque dopo il 5 agosto le due comunità si fusero in
una sola residente nel monastero di S. Benedetto. Anche i
beni furono messi in comune. Per i loro censi comunitativi
le religiose ottennero delle cartelle fruttifere per un valore
di scudi 7190, e siccome il governo francese aveva pagato
scudi 601.14, il capitale totale, al principio del governo pon-
tificio, fu di scudi 7791.14, per i quali questo governo pa-
gava, fino al luglio 1827, la somma di scudi 176.48 di ren-
dita. Il 15 dicembre 1824 il valore totale de’ beni stabili in
città ed in campagna raggiungeva la somma di scudi 44064.14.
In quell’anno le rendite ascesero a scudi 1151.09 e le spese
a scudi 1139.67, di modo che rimane un sopravanzo di
scudi 11.41.
Questi beni e proprietà s' aumentarono rapidamente, so-
pratutto per il gran numero delle novizie che abbracciavano
la vita monastica. Infatti ai 3 di maggio 1816 vediamo già
entrare Mariangela Barcucci (D. Maria Scolastica), il 30 no-
vembre 1816 Matilde Bucci (D. Maria Luisa), il 5 gennaio
1817 Colomba Mazzetelli (D. M. Colomba), il 4 luglio 1819
le due sorelle Carolina ed Artemisia Coccia (D. M. Serafina
e D. M. Matilde) e così di seguito. Senza alcun dubbio S. Be-
nedetto sarebbe diventato un monastero ricco e rinomato in
Italia, se gli avvenimenti del 1860 non avessero cambiati i
suoi destini (1).
(1) Nel mese di agosto dell'anno 1860, le monache ricevettero l'ordine di ab-
bandonare il loro monastero in ventiquattro ore. Tutti i ioro beni furono confiscati
e una pensione soltanto sarebbe assegnata « vita durante » a quelle che furono
membri della comunità nel momento dell’ espulsione. Il. governo voleva lasciare in
5
W. VAN HETEREN
II.
Badia di S. Caterina di Città Ducale.
La piccola città di Civita Ducale o Città Ducale, detta
pure da antichi scrittori Città di Cali, o Civitas Caliensis, è
posta sopra un'altura sulla destra del Velino, presso i confini
della provincia abruzzese e a due leghe da Rieti. Deve la
sua origine a Roberto detto il Savio, duca di Calabria, figlio
di Carlo II di Napoli e suo successore, verso il 1507. Fu egli
che diede alla città il nome di « Città del Duca ». Assai flo-
rida nel XVI e XVII secolo, ebbe molto a soffrire nel 1703
da un terribile terremoto che distrusse una parte delle sue
mura e dei suoi edifici, in seguito al quale si formò, alla di-
stanza di circa tre quarti di lega dalla città, un piccolo lago
di acque bituminose, servite a bagni indicati per certe malattie.
Quanto al lato spirituale, Città Ducale era da principio
sotto la giurisdizione del vescovo di Rieti. Ma il 24 giugno
del 1503 Alessandro VI le diede un vescovo proprio: nella
persona di Mattia Orsino (romano). Giulio II la restituì a
Rieti nel 1505 (8 novembre), ma tosto dopo gliela ritolse.
Pio VII, il 28 giugno 1818 la uni alla diocesi di Aquila.
Anche a Città Ducale trovasi un antico monastero di Bene-
dettine, fondato nel 1328 dal vescovo di Rieti, Giovanni Muti
de’ Papazzurri (1301-1331). La bolla di fondazione, e le due
altre che riportiamo, si conservano negli archivi del mona-
stero, che l'abbadessa mise gentilmente a nostra disposizione.
mano delle Benedettine l'antico convento delle Francescane di S. Fabiano, ma esse
si rifiutarono, perché il suddetto convento essendo situato al disotto del livello del
fiume, era reputato assai malsano. Preferirono coabitare con le Francescane il mo-
nastero di S. Lucia, e vi restarono fino al 1890. Allora presero a pigione per lire 300
all'anno una vecchia casa appartenente al marchese Vincentini. Il poco denaro
ch’ esse avevano potuto economizzare, circa lire 10000, fu impiegato a restaurare
quest’ abitazione e a renderla un poco più comoda per una comunità. Quando uscì
‘da S. Benedetto, nel 1860, la comunità si componeva di 18 religiose corali e di 6
‘converse. Ora delle antiche non resta più che una conversa. In tutto vi sono 6 co-
rali, tra queste una novizià, 4 converse, delle quali due novizie.
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(1) o Generali.
DUE MONASTERI BENEDETTINI, ECC. 67
1328, febbraio 26.
« Iohannes Dei et Apostolice sedis gratia Episco-
pus Reatinus dilecto sibi in Christo religioso domino
fratri Gentili (1) de Fulgineo de Ordine Heremitarum
S. Augustini salutem in Domino sempiternam. Quum
inter cetera caritatis opera illud pregrande et merito-
rium fore censetur, ut beatorum patrum edocemur exem-
plis, sanete instruamur pagine disciplinis; ut divino
cupientes servitio mancipari favorabili presidio ful-
ciantur, ideirco tanto diligentius in hiis nostrum adiu-
torium impertimus, quanto attentius affectamus, ut te-
norem creatoris devotionem et fidem augeri etin eius
ovili divinum cultum sive obsequium augmentari. Cum
igitur per te Nobis fuerit humiliter supplicatum, ut con-
cedere dignaremur qualiter infra muros Civitatis Du-
calis construere et edificare posses de novo monaste-
rium monialium pro quibusdam Christi ancillis, que
Domino inspirante disponunt suos humeros regolari
supponere discipline, ac contemptis honoribus et mun-
danis illecebris abiectis divitiis spretisque delitiis, pro-
priüm arbitrium dietioni alterius subiugare, vitam suam
sanetorum regulis limitando, nos attendentes zelum
tuum et sinceram dispositionem quam habere videris
ergo animarum salutem, ut verba premunt et opera ma-
nifestant, inducimur supplicationes tuas admittere gra-
tiose. Igitur tenore presentium concedimus tibi, ut infra
muros predicte civitatis Ducalis nostre diocesi edificare
possis monasterium monialium sub vocabulo Sancte
Catherine virginis et martyris cum cimiterio pro sepul-
tura sororum et familiarium dicti loci, ac etiam cam-
pana parva usque ad pondus XXX librarum et altare
pro celebrandis ibidem divinis officiis sollemniter et.de-
vote, in quo monasterio sanetimonialem vitam agere va-
leant et debeant ingressure sub sancti Benedicti regule
institutis. .
Quam regulam ipsis deliberatione perhibita dili-.
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(1) o Generalis.
W. VAN HETEREN
genti, tenore litterarum presentium assignamus, dantes
et indulgentes eis in dieto monasterio ordinationem ad
presentes, nominationem, postulationem et electionem
"Abbatisse cum ipsum monasterium vacare contingerit
in futurum, ipsius tum confirmationem, visitationem
et correctionem nobis et nostris successoribus in per-
petuum reservantes. Sed et in signum subiectionis te-
neatur dictum monasterium dare pro censu eeclesie
Reatine annis singulis mediam libram cere in festa na-
tivitatis beate Virginis de mense septembris. Primam
tunc abbatissam in ipso monasterio tu, frater Gentilis (1),
preficere possis autoritate nostra iuxta discretionem tibi
a Deo collatam. Que abbatissa recipere possit moniales
in sorores in loco predicto usque ad numerum duode-
cim. Concedimusque tibi visitationem et reformationem
dieti loci et monasterii dum vixeris in adiutorio abba-
tisse et diligentiorem observantiam regularem. Consti-
tuentes te procuratorem et nuntium nostrum, ad po-
nendum nomine nostro lapidem primarem benedictum
in domo et monasterio supradicto sub vocabuto sancte
Catherine virginis et martiyris. Et quum abbatissa et
Sorores, que pro tempore fuerint in dicto monasterio
eligere et assumere sibi possint quotiens opus fuerit di-
secretum et ydoneum sacerdotem, qui ibidem deservat in
divinis et eisdem ministret ecclesiastica sacramenta, et
animarum curam et cetera, que ad animarum ipsarum
salutem et statum ipsius congregatianis expedient libere
valeat episcopali auctoritate, qua fungimur, indulgemus.
Prohibemus autem non interdum iuri parochialis eccle-
sie sive cuiuscumque alterius in aliquo derogare. In
cuius rei testimonium presentibus sigilli nostri figuram
ceream mandamus appendendam. Data in Monte Regali
anno Domini M.°CCC.-X.XVIIJ, pontificatus sanctissimi
patris et domini d.ni Johannis divina providentia pp.
XXIJ, anno eius XIJ, die XXVJ mensis februarii, XI
Indictione ».
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DUE MONASTERI BENEDETTINI, ECC. 69
Nel 1389 papa Bonifacio IX accordò alle monache l'in
dulgenza seguente: -
« Bonifacius Episcopus, servus servorum Dei, di-
leetis in Christo filiabus abbatisse et universis mo-
nialibus professis ac novitiis et ministris monasterii
sancte Catherine de Civitate Ducali ordinis sancti Be-
nedicti Reatine diocesis salutem et apostolicam. benedi-
ctionem. Provenit ex vestre devotionis affectum, quo vos
et Romanam Ecclesiam reverimini, ut petitiones vestras
illas presertim que animarum vestrarum salutem respi-
ciunt, ad exauditionis gratiam admittamus. Hinc est
quod nos vestris supplicationibus inclinati, ut confessor,
quem quelibet vestrarum duxerit eligendum omnium
peccatorum vestrorum, de quibus corde contrite et ore
confesse fueritis, semel tantum in mortis articulo, ple-
nam remissionem nobis in sinceritate et fidei unitate
Sancte Romane Ecciesie ac obedientia et devotione no-
stra vel successorum nostrorum Romanorum pontificum
canonice intrantium persistentibus, auctoritate apostoli-
ca concedere valeat, devotioni vestre tenore presentium
indulgemus. Sit tamen quod idem confessor de hiis,
quibus fuerit alteri satisfactio impendenda eam vobis
per vos, si supervixeritis, vel per alios si tunc transie-
ritis, faciendam iniungat, quam vos vel illi facere te-
neamini, ut prefertur. Et ne, quid absit, propter huiu-
smodi gratiam reddamini procliviores ad illicita in po-
sterum commitenda, volumus quod si, ex confidentia
remissionis huiusmodi, aliqua forte committeretis, quod
ad illa predieta remissio vobis nullatenus suffragetur.
Nulli ergo omnino hominum liceat hane paginam nostre
concessionis et voluntatis infringere vel ei ausu teme-
rario contraire. Si qui autem hoc attemptare presum-
pserit, indignationem onnipotentis Dei et beatorum Petri
et Pauli Apostolorum eius se noverit incursurum.
Datuni Rome apud sanctum Petrum, XIIIJ Kalen-
das Octobris, poetificatus nostri anno primo.
Gratis pro Deo de mandato D.ni nostri pp..
"T. Bogel ».
Nel 1416 il vescovo di Rieti, Ludovico de Teodonaris
(1397-1437), riconobbe l'elezione dell'abbadessa Margherita Lo-
terii colla bolla seguente :
W. VAN HETEREN
1416, agosto 10.
« Lodovicus, Dei et Apostolice Sedis gratia Epi-
scopus Teatinus, dilecte in Christo filie sorori Marga-
rite Loterii abbatisse monasterii sancte Catharine de
Civita Ducali nostre Reatine diocesis salutem in Domino.
Pro parte tua nobis oblata petitio continebat, quod cum
olim bone memorie honesta et religiosa domna, Johanna
Jacobicti abbatissa dudum monasterii supradicti, viam
universe carnis ingressa, et eius corpore in eadem ec-
clesia tumulato et ecclesiastice tradito sepulture, mo-
niales eiusdem monasterii, ad quas electio abbatisse
future speetare dignoscitur, in capituli loco dicti mona-
sterii congregate et de futura earum et dicti monasterii
abbatissa tractantes, facto prius ydoneo scrutinio inter
eas remotim et in secreto, per scrutinium idoneum, te
in earum et dieti monasterii abbatissam elegerunt, no-
minaverunt, declaraverunt et deputaverunt, et item vo-
tum ipsarum... earum emiserunt et direxerunt; quam
electionem, licet prius te excusaveris, insufficientem ad
tantum onus officii asserens et indignam, et nolens ta-
men divinis dispositionibus contraire, divino auxilio in-
vocato, votis ipsarum monialium annuens, electionem
ipsam et onus dieti officii, quamvis timide, devote tamen
suscipiens, acceptasti, prout hec et alia plene patent
publico et auctentico instrumento manu notarii Pe-
triantonii Petructii de dieta civitate publici notarii
scripto ac publicato; supplicasti siquidem humiliter
quatenus te in abbatissam predictam acceptare et con-
firmare de speciali gratia dignaremus, Nos itaque tuis
supplicationibus inclinati, de bona tua et laudabili mo-
ribus et virtute fide dignorum testimonio informati,
sperantes potius ipsius monasterii providere saluti, ele-
ctionem tuam predictam acceptamus, ratificamus et omo-
logamus; teque in abbatissam ipsius monasterii tenore
(07 T TASTO) mos m
S te is,
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DUE MONASTERI BENEDETTINI, ECC. (5!
presentium confirmamus, mandantes insuper harum se-
rie omnibus et singulis ipsius monasterii monialibus,
quatenus te in earum prelatam abbatissam suscipiant,
tibique moribus licitis et honestis pareant et intendant.
Tu vero ob id huiusmodi tibi commissum officium exer-
cere studiis virtutum intendas, quod ultra omnis retri-
butionis meritum, a nobis dignis laudibus valeas com-
mendari et ad faciendum tibi uberiorem gratiam invi-
temur. In quorum festimonium presentes litteras tibi
fieri fecimus per Johannem nostrum notarium instru-
menum nostri pontificalis sigilli appensione munitas.
Datum Reate in nostro episcopali palatio, sub annis
Dominini millesimo quadringentesimo sexto decimo, in-
dictione VIIIJ, sede Romana pastore vacante, mensis
augusti die X^, presentibus Mariano Pucti, Christofano
Marini familiaribus nostris et aliis pluribus testibu» ad
hoe vocatis, adhibitis et rogatis etc.
Johannes ser Anthonii Carilli de Reate nota-
rius dicti domini Episcopi, eius mandato ».
(L. S. in cera rossa).
Nel XVII sec. il monastero raggiunse il suo piü alto grado
di prosperità, sotto la direzione delle abbadesse Santa Fundia
e Pazienzia da Paterno. Ma la nuova ala, dove abita ancora
adesso la comunità, non fu compiuta che nel 1746, come
attesta l'iscrizione seguente collocata al disopra della porta
AS EMESDSG
ob commodiorem Sacrarum Virginum habitationem
nova haec monasterii pars antiquae juncta est
anno Domini MDCCXXXXVI.
Ingredimini filiae Sion hortum conclusum
flores enim ejus fructus honoris et honestatis.
Ingredimini et quasi vobis fructificate
suavitatem odoris.
W. VAN HETEREN
il 2 ottobre di quell’anno il vescovo d'Aquila Luigi Filippi,
a domanda delle monache, v' introdusse la vita communis, che
vi è, d’allora in poi, strettamente osservata, come l’ordine
del giorno adottato allora. Una francescana di Rieti, M. Naz-
zarena, fu dal vescovo incaricata sul principio di iniziare le
Benedettine al loro nuovo regime di vita, e rimase alcuni
mesi a Città Ducale come presidentessa
L'ordine del giorno è regolato nel modo seguente :
Ore 4, levata, quindi Mattutino, Prima, Terza e me-
ditazione.
Ore 11,30 (le feste alle 8) Messa di Comunione, Co-
lazione.
Ore 11 !/, Sesta e Nona.
» 12 Pranzo, visita al SS. Sacramento. Ricrea-
zione, e durante l'estate Sijest8.
Ore 2 (nell’inverno) Vesperi.
» 3 (nell’estate) »
Prima della Cena, che ha luogo alle 8, si recitano
Compieta, Rosario e Litanie, quindi si fa mezz’ ora di
medizione.
Dopo la Cena: Visita al SS. Sacram., Orazione ed
in fine si va a coricarsi verso le 9.
Il lavoro manuale si fa prima dell’ora Sesta e dopo
i Vesperi.
Ogni giorno le Monache devono fare la Via Crucis.
Come quelle di Rieti, le Benedettine di Città Ducale fu-
Tono soppresse nel 1860. Ma più fortunate delle loso conso-
relle, ottennero di rimanere nel loro caro Monastero, finché
vivesse una almeno delle Religiose che formavano la Comu-
nità nel 1860. Una sola conversa sopravvive tuttora; e la Ba-
dessa attuale, donna veramente forte secondo la S. Scrittura,
Fino al 1855 le monache avevano il Peculium : il monaste-
ro distribuiva a ciascuna alla fine del mese una somma suffi-
ciente per vivere e comprare ciò ch'esse desideravano. Ma
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DUE MONASTERI BENEDETTINI, ECC. 73
entrata come educanda nel monastero all’età di otto anni senza
mai più uscirne, ebbe timore di vedersi tosto discacciata con
le sue compagne da quell'asilo, e però seppe trattar così abil-
mente colle autorità civili, che riuscì ad ottenerne I affitto
per ventinove anni, a cominciare dall'anno scorso (1904) Ec-
cone le condizioni veramente assai vantagiose per le religiose.
In compenso delle 10000 lire che il Munitipio avea speso fino
dal 1860 per il ristauro degli edifizi, e per diversi altri la-
vori, le Religiose dovettero depositare immediatamente lire
6000, di cui lire 4000 a fondo perduto e lire 2000, le quali
doveano essere loro restituite dopo i ventinove anni, se in
quel tempo l’affitto non venisse più continuato.
Di più le religiose doveano pagare ogni anno, come pi-
gione, la somma dovuta al governo per le tasse, vale a dire
lire 209.
Finalmente sono obbligate a tenere la 4° e 5* classe ele-
mentare, dirette da una maestra abilitata. Siccome adesso
nessuna di esse ha la patente dallo Stato, furono costrette a
mantenere a loro carico una signorina del paese per la scuola,
sperando tuttavia di poter al più presto farne a meno.
La Comunità comprende ora 11 religiose di coro, 5 con-
verse e 2 educande.
Dopo la morte della badessa M. Luigia Bonafaccia (1881),
il monastero rimase 10 anni senza badessa (1).
Dom. WILLIBRORDO VAN HETEREN.
(1) Vedi per le serie delle Abbadesse e Monache della Badia di S. Caterina di
Città Ducale l'Appendice B.
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VAN HETEREN
AcP-PEN-D:EC-E
In questo primo Appendice abbiamo voluto registrare
alcuni nomi di abbadesse e di monache di S. Scolastica e di
S. Benedetto in Rieti, i quali abbiamo potuto raccogliere da
antichi libri di conti e nei titoli di proprietà. Tali nomi ap-
partengono agli anni 1570 fino al 1782. Ci è parso di ordi-
narli cronologicamente, le abbadesse secondo il compimento
del loro triennio, e le altre monache secondo l'ordine della
loro professione.
1. — Abbadesse:
D. Teodosia citata il 19 Lug. 1570 e 23 Genn. 1573.
D. Margherita » il 98 Giug. 1574.
D. Vittoria » il 27 Febb. 1578 e il 9 Apr. 1595.
D. Maura » il 25 Sett. 1583 e Ott. 1591.
D. Prudenzia citata come Decana nel 1574 e 1583, come Abbadessa
nel 1601, 1610 e 1634.
D. Scolastica de Santis citata come Abbadessa 95 Sett. 1699 e 15
Mar. 1623.
D. Arcangela Aligeri. Fece professione 12 Genn. 1603. Citata come
Abbadessa 28 Apr. 1623 fino al 1626.
D. Laura Nobile. Professione 2 Febb. 1606 citata come Abbadessa
il 20 Sett. 1626.
D. Placida Crispoldi. Dal 10 Dic. 1629 fino alla fine del 1633.
D. Porzia Aligeri. Dal 18 Febb. 1639, fino alla fine del 1641. Fece
professione il 12 Genn. 1603 e morì il 21 Febb. 1666.
D. Anna Vincenza Bucchi Abbadessa dal 1645-1649,
D. Orsola Petrozzi. Professione il 7 Ag. 1609.
1.° Triennium 1651-1654.
2.0 » 1654-1657. Mori il 12 Lug. 1680 in età di anni 96,
D. Dorotea Crispoldi. Professione il 30 Ott. 1610. Abbadessa dal
1657-1660. Mori il 2 Giug. 1663.
D. Dusilla Canali. Professione 2 Ott. 1611. Abbadessa 1660-1663.
Morta il 2 Ott. 1670.
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DUE MONASTERI BENEDETTINI, ECC. È (5
D. Maria Angelina Vecchiarelli. Entrata nel Monastero nel 1630.
1.° Triennio 1663-1666.
2.9 » 1666-1669.
9.0 » 1669-1672; quindi citata nel 1673, 1693 e il 19
Mar. 1704. Mon il 30 Mag. 1709 in età di anni 96.
D. M. Ludovica Canali. Citata come Cassiera nel 1646. Divenuta
Abbadessa il 21 Gen. 1702. Morta il 9 Febb. 1716 in età di 85 anni.
Il 14 Genn. 1703, un forte terremoto sopravvenuto a due ore di notte,
abbattè una parte della città di Rieti. S. Scolastica non subì alcun
danno e l'Abbadessa Ludovica albergó per 10 mesi nel suo monastero
le religiose di S. Agnese, essendo stata rovinata la loro dimora.
D. M. Elettra Tani. Professione 8 Ott. 1673. Abbadessa dal 17 Ag.
1709, fino 1712. Morta il 5 Nov. 1723 in età di anni 82. m
D. M. Rosa Alemani (4° sorella). Entrata in Monastero il 1° Dec.
1674. Abbadessa 1713 fine 1716. Morta il 22 Dec. 1732.
D. M. Angela Canali. Professione 23 Sett. 1693. Eletta Abbadessa
il 29 Genn. 1720. Morta già il 1° Genn. 1721.
D. Clara Petrozzi le succede.
1.° Triennio 1721-1724.
2.0 » 1725-1728. Fece professione il 23 Sett. 1693 e mori.
il 23 Ag. 1736.
D. Chiara Felice Fabii. Fece professione il 30 Nov. 1712.
1." Triennio . 1730-1733. |
2.9 » 1745-4 Nov. 1746 quando morì come Abbadessa in
età di 76 anni. Essa aveva intanto fatto professione in S. Benedetto.
D. Anna Vicenza Vecchiarelli.
1.° Triennio. 1728-Mar. 1730.
DEI » 1734-12 Mag. 1736 quando morì.
D. Orsola Smorsi fece professione il 7 Mar. 1722. Abbadessa 5 Ott.
1736 fino al 1739. Morì il 10 Mar. 1768.
D. Anna Teresia Ferretti. Professione 12 Nov. 1729.
1.° Triennio 1753-1756.
DI » 1765-1768.
90° » 1768-1771.
4.° » 1771-1774. Si trova inoltre il suo nome nella par-
tecipazione dei meriti e suffragi della Congr. Orsinense, segnata 1 Mag.
1751, dall' Abb. gen. D. Pietro Aloysi della Torre (Archiv. Bened. S. Ben. 35
- D. Marianna Ferretti. Professione 26 Lug. 1723.
1." Triennio 1756-1759.
2." » 1759-1762. Morì 16 Febb. 1789 (83 anni).
D. M. Geltruda Monetti citata il 6 Mag. 1780. Professione 26 Nov. 1794.
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D. Angela Serafina Ricci citata 21 Nov. 1782. Professione 30 Giug.
1753.
D. M. Teresia Ferretti. Mori come Abbadessa il 93 Mar. 1787 in
età di 13 anni.
D. M. Scolastica Rinaldi. Professione 19 Apr. 1760 citata come Ab-
badessa il 25 Apr. 1190.
D. Anna Felice Palombi citata come Abbadessa il 6 Lug. 1788, nel
1818-1822 e 15 Dec. 1824. Fu la prima Abbadessa dopo la soppressione.
D. M. Cecilia Martinucci citata il 30 Apr. 1810. Professione 24 Sett.
1766. i
D. M. Luisa Bucchi, indossa l'abito il 30 Nov. 1816; citata il 98
Giug. 1822; 26 Mag. 1830; 8 Dic. 1831. :
D. M. Cecilia Coccia. Morì nel 1879. È citata il 18 Lug. 1862.
D. M. Ferri. Morì nel 1885.
D. M. Luigia Selvaggi. Morì nel Mag. 1903.
D. M. Matilde Rogai, attualmente Abbadessa.
2. — Monache di Coro. (Più di una volta ci è capitato di trovare
due date differenti di professione di una monaca. Noi allora abbiamo
dato quella che ci sembrava la più probabile). Non annoteremo le Con-
verse.
Nel 1570 sono citate: suora Eufemia e Dionisia, Decane e suora
Francesca di Cantamale.
Nel 1571 vengono citate suora Smeralda.
> 5T » » » Orazia e suora Chiara. Decane.
Nel 1581 » » » Antonia. Decana.
» 1582 » » » Libenzia d’ Adiutorio (suora Ga-
briella).
30 Ott. 1610. Professione di D. Agnesa Severi ( il 13 Ott. 1674 di
anni 63), D. Beatrice Aligeri, Properzia Aligeri, Margarita Nieche, Laura
de Nobili, Vittoria Petrozzi, Dorotea Crispoldi (più tardi Abbadessa).
25 Genn. 1604. Professione di D. Adriana Nobili t 91 Mag. 1671.
81 Mag. 1610. Professione di D. Caterina Teodonari.
17 Apr. 1611. Professione di D. Vittoria Teodonari (Forse di quella
nobile famiglia Teodonari, « la quale si è spenta in una signora che
fu madre del gentilissimo signor Nicoló Falconi ». — GALLETTI, Op.
eit., p. 74).
2 Ott. 1611. Professione di D. Cecilia Canali.
10 Febb. 1608. Professione di D. Ludovica de Santis.
28 Dic. 1614. Professione di D. Chiara Aligeri T 20 Sett. 1666.
29 Giug. 1619. Professsione di D. Agata de Santis t 19 Febb. 1646
(47 anni).
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DUE MONASTERI BENEDETTINI, ECC.
9 Mar. 1615. Professione di D. Barbara Petrozzi.
10 Sett. 1696. Professione di D. Cherubina Polelli ( 26 Genn. 1689
a 85 anni) D. Margherita Cappelletti (t 10 Dic. 1668) Prudenzia de
Santis (f 19 Mar. 1693 di anni 87); M. Angelica Vecchiarelli, Angela
Vittorini, Anna M. Navi (t 27 Lug. 1681 di 76 anni), M. Olimpia Mar-
tini; Preziosa Fabri, Virginia Tuschi, Anna Maria Evangelista Sini-
baldi, Maria Lucrezia Petrozzi (T a 73 anni) Arcangela Valentini,
Vincenza Bucchi, Anna Belomo, Vittoria Benedetti.
6 Genn. 1693. Professione di D. Francesca Nobili.
95 Sett. 1622. Professione di D. Ludovica De Santis, Orsola Pe-
trozzi, Chiara Aligeri, Paula Cappelletti ( 19 Mag. 1671) e Benedetta
Cappelletti (T 22 Dic. 1695), Felice e Madalena Crispoldi.
10 Sett. 1630. Professione. D. Maria Preziosa de Fabri ( 19 Febb.
1675).
25 Apr. 1633. Professione di D. Virginia Tuschi + 31 Ott. 1683 (70
anni). i
28 Apr. 1633. Professione di D. Olimpia Martini + 6 Dic. 1688 (77
anni). i
99 Sett. 1637. Professione di D. Anna Francesca Belomo + il 4 Genn.
1700 (83 anni).
26 Mag. 1641. Professione di D. Teodora Vecchiarelli.
28 Nov. 1642. Professione di D. Vittoria Perelli T il 18 Apr. 1673.
26 Giug. 1644. Professione di D. Maria Giacinta Petrozzi.
19 Giug. 1644. Professione di D. M. Evangelista Sinibaldi + il 27
Genn. 1698 (76 anni).
28 Genn. 1648. Professione di D. Arcangela Valentini T il 16 Mar.
1711 (96 anni).
8 Sett. 1684. Professione di D. M. Cristina Ciampa t il 19 Ott.
1648; D. M. Isabella Ciampa t il 10 Febb. 1707.
20 Giug. 1653. Professione di D. Caterina Tersia t l'8 Lug. 1690
(65 anni).
15 Mag. 1654. Professione di D. M. Anna Fabri t nel 1109.
6 Mag. 1658. Professione di D. M. Luisa Mano.
95 Nov. 1657. Professione di D. Laura Celeste Mareri.
1 Dic. 1658. Professione di D. M. Maddalena Vincentini.
1 Ott. 1673. Professione di D. Leonora Mareri t il 21 Lug. 1715
(82 anni).
18° Sett. 1672. Professione di D. Vittoria Alemani; D. Girolama
Alemani (8% sorella) t il 24 Lug. 1683.
8 Ott. 1673. Professione di D. Caterina Fóradelli (t il 1° Liug. 1691,
di 59 anni) Anna Fabri, Anna Caterina Ciampa (t nel 1700), Maria
78 1 i W. VAN HETEREN
"Luisa Alémani (f il 25 Nov. 1693), Anna Giustina Alemani, M. Mad-
dalena Valentini, M. Scolastica Sabuti, M. Eletta Tani, M. Ludovica
Canali, Anna Felice Canali (T il 93 Mar. 1695) M. Costanza Canali
(T ill? Lug. 1723).
. 1618. Professione di D. Chiara Petrozzi 1 il 27 Apr. 1736; D. Li-
cia Petrozzi.
23 Sett. 1693. Professione di D. Eleonora Mareri (f il 10 Febb.
1738), Angela M. Canali (Abb.), M. Rosa Alemani (Abb.), Chiara (Abb.)
e Vittoria Petrozzi t l'8 Febb. 1718) M. Placida Marchetti (t il 12
Genn. 1724, di 75 anni) Anna Benedetta Marchetti (T il 19 Mar. 1709
90 anni) Lucia Marchetti ( il 31 Ag. 1738), M. Deodata Canali (t il
1° Apr. 1736), Candida Colomba Guerra ( il 29 Mar. 1727).
21 Nov. 1695. Professione di D. M. Gertrude Marchetti (T il 24
Ag. 1737).
6 Mar. 1698. Professione di D. Prudenzia de Santis + il 31 Lug.
1730; D. M. Olimpia Cicarelli.
28 Nov. 1677. Professione di D. Angela Stella; D. Chiara Stella
(f il 12 Mag. 1683).
2 Genn. 1704. Professione di D. Placida Vincentini (venuta da S.
Benedetto).
16 Mag. 1690. Professione di D. M. Deodata.
20 Lug. 1711. Professione di D. Teodora Fiorentini.
30 Nov. 1712. Professione di D. Chiara Felice Fabri (Abb.), Rosalia
Roselli (t il 28 Giug. 1778).
24 Nov. 1715. Professione di D. M. Angelica Vecchiarelli T 3l 5
Febb. 1769.
22 Dic. 1715. Professsione di D. Chiara Vitali T il 18 Lug. 1764.
9 Ag. 1716. Professione di D. M. Maddalena Moretti + il 98 Ag.
1758.
13 Dic. 1722. Professione di D. M. Girolama Marchetti Tommasi
t il 18 Die. 1788 (87 anni).
* Mar. 1722. Professione di D. Barbara Senorsi.
3 Giug. 1723. Professione di D. Isabella Ferretti t il 7 Genn. 1772.
10 Mar. 1731. Professione di D. Anna Felice Ricci T il 31 Genn.
PB v
1 Mar. 1731. Professione di D. Ludovica Aluffi.
* Mag. 1731. Professione di D. Teresa M. Aluffi T3Lb,3: Ott: d CC.
5 Ag. 1736. Professione di D. M. Eletta Ricci T il 26 Mar. 1787
(71 anni).
22 Ott. 1737. Professione di D. M. Angela Ricci f il 26 Lug. 1793
(80 anni).
—ÀÀ— o^ ENG —
DUE MONASTERI BENEDETTINI, ECC.
8 Mag. 1746. Professione di D. M. Clementina Grifoni.
27 Genn. 1755. Professione di D. M. Rosalia Cola.
95 Mar. 1756. Professione di D. M. Evangelista Ricci.
7 Giug. 1756. Professione di D. Marianna Celeste Marinucci.
31 Mar. 1760. Professione di D. M. Vicenza Aversa; D. M. Matilde
Aversa.
21 Nov. 1765. Professione di D. M. Angela Frasca.
25 Mag. 1765. Professione di D. M. Costanza Santangeli.
25 Giug. 1769. Professione di D. M. Rosa Marinucci.
14 Dic. 1773. Professione di D. M. Crocifissa Meloni.
6. Mag. 1780. Professione di D. M. Deodata Gioseffa Ranuzzi.
21 Nov. 1782. Professione di D. Scolastica M. Benedetta Paulini.
Inoltre troviamo ancora citate:
1669. D. Lidia Vecchiarelli.
20 Mag. 1633. D. Ortensia Bancalioni.
2 Mag. 1633. D. Fabia Vittoria Sabuti.
20 Ag. 1636; D. Anna Vincenza Bucchi t il 18 Ag. 1700 (84 anni).
29 Sett. 1678. D. Giulia Marchetti.
10 Nov. 1675 (vestitura di) D. Aurelia Canali (3* sorella); D. Co-
lomba Stella Canali (4° sorella).
29 Nov. 1695. D. Cherubina Polelli.
27 Lug. 1794. D. Lavinia Vitali.
2 Dic. 1758, t D. Anna Caterina Poscedii (?).
17. Ag. 1646, + D. Flavia Petrozzi (63 anni).
4 Sett. 1683, T D. Margherita Ciaramelletta (28 anni).
16 Dic. 1683, 1 D. Cecilia Schina (26 anni).
5 Febb. 1709, t D. Maria Fabri (75 anni).
24 Kug. 1732, t D. Maria Dionisia Clutterelli (?).
ATPBENDICE^B
Qui trovansi registrati aleuni nomi di abbadesse e mo-
nache, che abbiamo potuto raccogliere dai documenti messi
a nostra disposizione.
1. — Abbadesse:
D. Matheuccia Nicolate citata nel 1378, 1374.
D. Iohanna Iacobicti morì nel 1416.
W. VAN HETEREN
D. Margarita Loterii eletta nel 1415.
. Antonia citata nel 1532.
Catarina Mariani citata nel 1536.
Lavinia Carolutia citata nel 1584.
Ottimia de Paterno citata nel 1587.
. Marta de Montopulo citata nel 1606.
. Magdalena citata nel 1612.
. Pacifica Pacifici citata nel 1621.
Sancta Fundia citata nel 1660, 1662, 1663.
. Patientia de Paterno citata nel 1664, 1665.
. Maria Luigia Bonifaccia citata nel 1855 T 1887.
. Maria Nazzarena Mariani citata nel 1897-1891 (prima Priora).
. M. Concetta Caloisi !' Abbadessa attuale: entrò nel monastero in
età di 8 anni, fece professione a 16 anni ed è Abbadessa dopo il 1891.
2. — Monache citate nel 1350. — Suora Angelutia Vicaria. — Suora
Angelina. — Suora Catherina Egidii. — Suora Matheutia Nicolate. —
Suora Agnes Martinucii. — Suora Margareta Martinucii. — Suora
Sancta Vannis. — Suora Maria Petiutii Iannoni. — Suora Cecilia. —
Suora Sancta Crahi. — Suora Vannutia Andreutii. — Suora Colasia.
1516. — S. Margarita.
1532. — Suora Antonia.
1584. — Suora Cherubina Alussi, coadj. — Suora Elisabet Egi-
psia. — Suora Victoria Cieconio.
1587. — Suora Pretiosa Ciogli.
1612. — Suora Antonia Sanetille, Vic.
1621. — Suora Pacientia Buceii.
1660. — Suora Clara Bonafaccia Vie. — Suora Margarita Fra-
gutia. — Suora Catarina Porfirii. — Suora Dionisia Prona. — Suora
Angela Penna. — Suora Lucretia: Vetuli.
1662. — Suora Clara Bonafaccia Vic. — Suora Catarina Porfirii. —
Suora Margarita Fragutia. — Suora Dionisia.
obgubbbbbbbbo5D
1663. — Suora Clara Bonafaccia Vie. — Suora Margarita Fragu-
tia. — Suora Catherina Porfirii. — Suora Patientia de Paterno. —
Suora Cecilia Vetuli.
1664. — Suora Angela' Penna Vie. — Suora Clara Bonafaceia. —
Suora: Saneta Fundia. — Suora Dionisia Frona. — Suora Catherina
Porfirii. — Suora Margherita Fragutia. — Suora Agnesa de Sanctis.
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LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI
E LE FAZIONI IN RIETI
NEL SECOLO XV
Di quanti, storici e letterati, in questi ultimi anni, si
sono occupati di Tomasso Morroni, soldato, umanista, poeta
e diplomatico del secolo XV, nessuno ha mai fatte ricerche
negli archivi reatini, stimandosi forse più infruttuose che
disagevoli, poichè, come è noto, l'operosità del Morroni si
spiegò tutta fuori della sua patria, Rieti (1). Di qui nacquero,
a mio avviso, i molti e gravi errori, ne’ quali s'incorse sul
conto specialmente della famiglia del Reatino, attribuendole
in sulle prime perfino un cognome non suo e, conseguente-
mente, dando come parenti a Tomasso persone che con lui
ebbero comune soltanto la patria (2) Ora, avendo io da
qualche anno istituite indagini rigorose e pazienti negli ar-
chivi reatini, male finora esplorati o, come quello notarile,
inesplorato affatto, mi sono trovato, quasi senza avvedermene,
ad avere spigolato un discreto manipolo di notizie sulla fa-
miglia Morroni, utili non pure ad illustrar meglio la figure
di Tomasso, quando siasi descritto l ambiente in che nacque
(1) Per la bibliografia vedi: RopoLFo MicaccHI, Tommaso Moroni da Rieti. Un
letterato umbro del secolo XV, Rieti, tip. S. Trinchi, 1904, pp. 61-62; garbata narra-
zione ritessuta con tutti i documenti fin allora editi.
(2) Cfr. FERDINANDO GABOTTO, Tommaso Cappellari da Rieti, letterato del se-
colo XV, in Archivio storico per te Marche e per V Umbria, vol. IV, fasc. XV-XVI,
pp. 628 e segg. Più tardi lo stesso Gabotto corresse l'errore.
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decantato ita M Ces id Moos i +
82 S A. SACCHETTI SASSETTI
e crebbe, ma a rettificare altresì alcuni particolari sulla per-
sona sua e quella de’ suoi parenti, de’ quali a torto i suddetti
storici e letterati poco si sono occupati (1). Avrò agio così
di dare per primo non solo indicazioni precise sui vari mem-
bri di questa cospicua famiglia, ma anche di ricordare la
grande parte da lei avuta nei principali avvenimenti reatini
e in special modo nelle fazioni che durante il secolo XV la-
cerarono il seno della città. Queste notizie, io spero, non
saranno per riuscire inutili a chi vorrà di proposito, una
buona volta, tessere un’ampia ed esauriente biografia del
chiaro Reatino.
Poggio. Bracciolini, nella nota e feroce invettiva contro
il suo emulo (2), gli dà come bisavo e capostipite della fa-
miglia un tal Morrone, da prima pastore d'un beccaio rea-
tino, poi, morto il padrone, successo a lui nel mestiere e
con male arti arricchitosi. Quanto ci sia di vero nell affer-
mazione del maledico fiorentino, io non so; ma pare assai
probabile che questa famiglia non possa vantare un'origine
nè antica, nè nobile, poichè ne tacciono gli antichi docu-
menti reatini.
Erra per altro il Bracciolini, sebbene, essendo stato a
Rieti, dovesse conoscer bene la famiglia del suo avversario,
quando asserisce che innanzi a Morrone non esiste alcuna
memoria de’ suoi parenti; ché, in un documento del 26 ot-
tobre 1372, il più antico che io conosca, trovasi menzionato
un certo Tomassone, come padre di Morrone, già morto (5).
(1) Il MicaccHI, op. cit., li trascura affatto; il GABoTTO, loc. cit., ne parla, ma
confusamente e insufficientemente, non conoscendo la storia reatina.
(2) Pubblicata per la prima volta dal GABOTTO, loc. cit.
(3) È un atto notarile, rogato da Tomasso Morroni, il quale si firma: Ego T7i0-
mas quondam Morroni Thomassoni de Reate etc. Archivio Capitolare, Arm. VI, fa-
scicolo D, num. 14. ;
È
|
RIA A
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC. 83
Con Tomassone, adunque, e non con Morrone, devesi iniziare
la genealogia di questa famiglia reatina.
Da Morrone nacque un secondo Tomasso, notaio, che
non solo esercitó la sua professione, ma fu per qualche anno
Cancelliere del Comune di Rieti e si trovò a prestar l' opera
sua in momenti difficili, come furono durante la sollevazione
generale delle città pontificie contro la Chiesa (1375-76).
Compostesi le cose, egli abbandonó il suo ufficio (1)e visse
liberamente, ricercato tuttavia spessissimo d'opera e di con-
siglio nelle più ardue e delicate congiunture. Fu più volte
Gonfaloniere e Priore (2), revisore dei conti, capitano di cu-
stodia e conestabile, ambasciatore al Papa coi piü cospicui
cittadini; il suo nome appare bensi tra i XII della maggiore
e mediocre libra, ma sempre nella lista dei popolari e nel
sestiere di Porta Carceraria dentro. Dopo il 10 gennaio 1390
non si trova più ricordato nelle riformanze, segno che era
morto o s'era ritirato dalla vita pubblica per infermità o
vecchiezza.
Ser Tomasso, che per primo diede un certo lustro e
nobiltà alla famiglia, lasciò tre figli: Angelo, Francesco e
Giovanni, dei quali i due primi soltanto sono ricordati an-
che dal Bracciolini e con una certa copia di notizie. Angelo,
notaio come il padre, lasciò breve vestigio di sè nella storia
reatina. Fatta la sua prima apparizione nella vita pubblica
il 24 luglio 1395 in qualità d'uno dei sei deputati all’ assetto
delle carni, fu Priore nel gennaio del 1397, membro del
Consiglio generale e del Consiglio di credenza e delle con-
suete commissioni comunali; dal 18 gennaio al 13 febbraio
1598 sostituì nell’ ufficio di Cancelliere priorale Ser Giovanni
del fu Angeluccio di Simone d'Assisi (3); né più lo troviamo
(i) I1 6 nov. 1376, epoca in cui cominciano i registri delle riformanze, non ap-
pare più Cancelliere priorale, ma un Ser Jacobus quondam. Rondi de Amelia.
(2) Fu Priore nel luglio 1377; Gonfaloniere nel maggio 1380, luglio 1381, marzo
1384, novembre 1385, settembre 1389.
(3) Nelle riformanze si firma: Ego Angelus quodam, Ser Tome Morroni ete.,
notarius et nunc notarius reformationum et civitatis cancellarius substitutus etc.
E c ri ui oo SERE ERE ERR D RR ERES
SU ui le ilm ml orae ems mani.
du unn ted da io pi. dti
84 A. SACCHETTI SASSETTI
presente in Rieti dopo l 11 agosto 1400 (1). Allontanatosi
dalla patria, Angelo, a quel che dice il Bracciolini, ed é con-
fermato dai documenti, fu da prima segretario o meglio li-
braio di Leonardo Sulmonese, vicecamerlengo di Innocenzo VII;
quindi per le vive preghiere di Rinaldo Alfani, il più potente
signore di Rieti tra la fine del '300 e la prima metà del 400,
fu ereato notaio della Camera Apostolica, nel quale ufficio
rimase piü di tre anni. Ma quando tutti i cardinali abban-
donarono Gregorio XII (1408) egli si mise ai servigi del
eardinal fiorentino e durante il concilio di Pisa (1409) spese
tante fatiche e vigilie nello scrivere i decreti di quelle me-
morabili assise, che per intercessione dei cardinali fu fatto
segretario apostolico di Alessandro V. Fu quindi segretario
anche di Giovanni XXII, il quale, del pari che il successore
Martino V, lo adoperó piü volte come nunzio pontificio.
Uomo assiduo e laborioso, facilmente accumulò ricchezze e
mori.infine demente a Verona (2).
I risparmi di Angelo giovarono molto al fratello Fran-
cesco per mantenersi agli studi in Bologna, ove si addottoró
in giurisprudenza: e sembra che il Bracciolini non esageri,
affermando che Francesco spese molti anni intento a con-
sumare le ricchezze del fratello piuttosto che ad apprendere
il diritto. Difatti Francesco Morroni trovasi menzionato nelle
riformanze per la prima volta, vivente il padre, come ap-
provatore delle spese pel mese di marzo 1389, e il 1 aprile
come consigliere di credenza: poi bisogna venire al 2 no-
vembre 1407 per rivederlo attendere alla cosa pubblica, già
insignito del titolo di dottor di leggi. Tanto tempo spese per
compier gli studi o prima di tornare in patria esercitò l'av-
vocatura fuori di Rieti? Coi soli documenti reatini non è
(1) Sotto questo di, nomina suoi procuratori « dnum Franciscum suum germa.
num, Ser Mactheum Ser Cole Cherrubini et Mactheum Dominici Jannetelle » nella
lite che ha « cum Ciccho Clare ». Archivio Notarile, rogito di Giovanni di Ser An-
tonio Carilli. : i
(2) Cfr. GaBOTTO, loc. cit., e l'invettiva ivi riportata.
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De
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC. 85
possibile dare una risposta. Tornato adunque in patria, omai
non più giovane, lo vediamo il 25 novembre 1407 stringere -
contratto nuziale con Onorata, figlia di Giannantonio di Nuc-
cio Petroni, nobile reatino, e di madonna Tarsia, già morta (1).
È questa una data importantissima, in quanto ci permette
di affermare con sicurezza che l anno di nascita di Tomasso,
il letterato, non può essere anteriore al 1408 e neppure, ag-
giungo, posteriore, perchè in un registro del 1428, conte-
nente lo stato d’anime della città di Rieti (2), trovasi ricor-
dato Francesco Morroni con suo figlio Tomasso: segno evi-
dente che quest ultimo aveva almeno vent anni.
E qui sorge una questione nuova e importante non tanto
per sé stessa, quanto per la giusta interpretazione dei docu-
menti reatini. Dal 1407 al 1427 sempre e dal 1436 al 1438
qualche volta ancora, ai due membri di questa famiglia,
Francesco e Giovanni, é dato il cognome di Scioni pel primo
periodo e di Scioni o Morroni indistintamente pel secondo
periodo. Come si spiega questo fatto? Ecco: finché Tomasso,
il letterato, fu oscuro, il cognome di suo padre e di suo zio
fu Scioni; quando invece egli acquistò chiarezza, la famiglia
al più antico cognome sostituì il nuovo di Morroni, proba-
bilmente preferito da Tomasso: cosa non tanto rara in quel
tempo, in cui ancora regnava incertezza per tal riguardo e
i cognomi non erano definitivamente formati. Quindi, fin
tanto che non appar chiaro trattarsi nel caso nostro di un
vero cognome, la parola Morroni deve considerarsi più come
patronimico che come nome apposto, sebbene per non crear
confusione convenga più tenerlo sempre per cognome (3).
(1) Doc. I. — Seconda moglie di Giannantonio Petroni fu Caterina di Antonio
di Giacomo della Fratta, la quale il 7 gennaio 1425 appare già vedova. Arch. Not.
rog. di Pietro del fu Ser Grimaldo di Ser Tomasso di mess. Francesco.
(2) Archivio Comunale. Cupita hominum Civitatis Reatine (1428-29). Nel sestiere
di Porta Carceraria dentro si legge: Dnus Francischus Thome Morroni e sotto:
Thomas eius filius.
(3) Il MICHAELI, Memorie storiche della città di Rieti etc. non avverti la iden-
tità tra la famiglia Morroni e la famiglia Scioni: anzi invece di leggere de Scionis
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A. SACCHETTI
SASSETTI
Alti gradi nella vita pubblica reatina, non meno del pa-
dre, occupò Francesco Morroni fin dal suo primo ritorno in
patria e dal matrimonio con madonna Onorata. Nel 1408 fu
uno degli oratori del Comune a far dedizione della città al
re Ladislao di Napoli che aveva occupata Roma; fu più volte
Gonfaloniere e Priore ed ebbe, come anche afferma il Brac-
ciolini, una parte attivissima in tutti i principali avvenimenti
di quell’ epoca turbolentissima (1). Onde non fa meraviglia :
il trovare, verso la fine del secondo decennio del secolo XV,
tanto Francesco che Giovanni, suo fratello, tra i più mortali
nemici del Comune, esuli dalla patria, probabilmente per
opera di Rinaldo Alfani, che in quel tempo era diventato
Vicario del pontefice in Rieti e nella famiglia Morroni do-
veva vedere un ostacolo alla sua grandezza e potenza. Fu
tanto l'odio dei Morroni contro la madre patria, che non si
peritarono di muoverle contro ostilmente. Sui primi di marzo
del 1421, essendo entrato nel territorio reatino Niccolò Pic-
cinino, uno dei più valorosi capitani di Braccio Fortebracci,
da cui due anni prima i reatini avevano defezionato, si uni-
rono a lui tutti gli esuli e ribelli e fra essi l'audace fuoru-
scito Giovanni Morroni, che con empi suggerimenti lo spinse
a danneggiare il contado, a far preda e prigionieri e a im-
porre una taglia di 2200 ducati d’oro alla città. Allora que-
sta, decisa ad avere ad ogni modo la pace, ricorse alla ven-
dita dei beni dei fuorusciti e ribelli e tra gli altri i più dan-
neggiati ne rimasero Francesco e Ciovanni Morroni, i prin-
cipali autori di tanto male (2). Se non che, quando più tardi,
lesse de Faonts (vol. 1II, pp. 200, 223, 224, 315, 328), de Stionis (vol. IV, p. 144), e de
Seiomis (vol. IV, p. 146). Il 13 apr. 1436 trovo per la prima volta de Morronibus (Rif.
c. 19t.), che col tempo diventa anche de Murronibus, Morronus e Murronus, forme
in cui si vede ormai fissato il cognome. Il MicaccHI, Op. cit., s'ostina a scrivere Mo-
roni, secondo i documenti milanesi, mentre i documenti reatini, i soli attendibili,
e l’invettiva del Bracciolini dànno Morroni.
(1) Francesco Morroni fu Gonfaloniere nel gennaio 1408, gennaio 1411, luglio
1412, giugno 1425, maggio 1486. Si notano, per altro, frequenti lacune nelle riformanze
della prima metà del sec. XV.
(2) MICHAELI, op. cit., vol. III, p. 217.
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LA FAMIGLIA Dì TOMASSO MORRONI, ECC. . 8T.
nel 1425, gli Alfani caddero in disgrazia del Papa e dovet-
tero andar esuli, tornarono i Morroni in patria e Francesco '
Sopra tutti gli altri, nei Consigli generali tonó dalla ringhiera
parole di fuoco contro il tiranno Rinaldo Alfani, parole in
cui più che l'amore della libertà si sente l'ira di parte (1).
. Giovanni, intanto, era diventato anche lui dottor di leggi |
e, cambiamento assai comune a quei tempi, abbandonati i : : i
rischi delle armi, era entrato nella più comoda e remunera-
tiva carriera ecclesiastica. Come proposto e. beneficiato di
S. Cecilia in Rieti, il 15 gennaio 1427, lo vediamo dettare
certe costituzioni, per le quali nessun canonico di quella
collegiata, che non interveniva alle esequie di qualche morto,
potesse aver parte nelle propine, ma queste tornassero. uni-
camente a pro dei presenti (2). E per qualche anno, insieme
col fratello Francesco, attende tranquillamente a’ suoi affari
e all’amministrazione del patrimonio paterno (2) Ma non
duró a lungo il loro soggiorno in patria: per uno di quei
trambusti così frequenti a Rieti nella prima metà del 400 e
che dalle riformanze, per le numerose. lacune, si intravveg-
gono appena, dopo circa quattr anni riprendono la dolorosa
via dell'esilio. Questa volta trovano altri esuli bramosi di
ritornare in patria, gli Alfani, che non si potevano dimenti-
care della perduta signoria e tutti i mezzi tentavano, dalla
diplomazia alle armi, per ricuperarla. Dimentichi degli anti-
chi rancori, ché la comune sventura affratella, si unirono a
Xe nnn ted elio adi, d o ll ea
loro e tentarono, sebbene invano, nel febbraio del 1431, Gio-
(1) Ivi, vol. III, p. 223. :
(2) Arch. Not. rog. di Pietro del fu ser Grimaldo di ser Tomasso di messer Ps dl
Francesco. 1 li
(3.11 3 maggio 1426 « dnus Franciscus de Scionis » per sé e a nome « egregii :
viri dni Johannis » suo fratello loca a vita «Johanni Angeli Macthei alias mancini »
di R. una metà della sua vigna per la corrisposta annua di 2 barili di mosto. — Il
23 gennaio 1427 « Johannes Cole dni Petroni » di R. vende per 10 fiorini « rev.do
patri dno Johanni de Scionis » e al fratello Francesco un pezzo d'orto in Porta Car-
ceraria dentro presso i beni di detti fratelli. — Il 20 luglio 1427 « Ludovicus Ange-
luctii de castro Murro » vende per 9 fiorini a detti fratelli un pezzo di terra di 3
giunte all'Apuleggia. Arch. Not., rogiti del citato notaio.
88 A: SACCHETTI SASSETTI
vanni e Francesco Morroni, che in quest impresa ebbe socio
anche il figlio Tomasso, di ordinare un trattato con alcuni
reatini (1). Questo particolare è nuovo affatto e può riuscire
utile alla conoscenza della prima giovinezza di Tomasso, in
quanto che di qui si vede come la sua prima apparizione
nella storia non è data, secondo l'invettiva del Bracciolini,
dalla parte da lui presa, quale soldato di Giacomo da Roma,
nel moto scoppiato in questa città contro Eugenio IV il 24
maggio 1434; ma sì da questo trattato del 1451, in cui, a
ventidue anni appena, cospirò col padre e con lo zio contro
la terra natale. $;
Finalmente nel 1435 avvenne una pacificazione generale
dei reatini, che omai troppo s'erano lacerati a vicenda, e
insieme con gli Alfani ed altri esuli, tornarono in patria an-
che i Morroni (2). Nè è a credere, per altro, che il Comune,
dopo il fatto del '31, avesse rotta ogni relazione con que-
st ultimi, i quali dimoravano a Roma (3); ché, appunto nel
'84, per aver notizie sul conto di Eugenio IV, pensó di ri-
volgersi a Giovanni Morroni (4). La pace poi tra le due po-
(1) Rif. ult., febbraio 1431, ce. 64 t-66. Il 6 marzo 1431, per trovare il denaro ne-
7 citta-
dini « qui fuerunt conscii tractatus quem temptare ordinaverunt dnus Franciséhus
et dnus Johannes de Scionis de Reate et Thomaxius filius prelibati dni Francisci
contra salubrem, liberum et pacificum statum presentem Comunitatis Reatine etc. »
Ef; 0.71.
(2) Il 2 marzo 1435 trovo presente « Franciscus de Scionis » come, teste in un
atto del notaio Pietro del fu ser Grimaldo di ser Tomasso di messer Francesco. Arch.
Not. — Il 2 luglio 1435 Francesco, procuratore di Giovanni, canonico reatino, dinanzi
cessario per mandare ambasciatori al nuovo papa Eugenio IV, si tassano
al vescovo e ai canonici, rivendica al fratello un canonicato, ivi.
(3) Il 26 marzo 1432 « Mactheus Dominici Jannetelle » da R. procuratore e gestore
degli affari « dni Johannis ser Tomaxii Morroni », come da procura « manu ser Bar-
tholomei ser Johannis Cole Pauli » loca un pezzo d'orto etc. Arch. Not. rog. di Marco
del fu Matteo di Giovannuccio. — Il 10 sett. 1433 Fr. Morroni revoca la procura fatta
« Mactheo Dominici Jannetelle » di R. « Actum Rome in Regione Columpne in domo
habitationis Christofori Georgii Montanarii de Reate ». Arch. Not. rog., di Domenico
del fu Vanni di Giovanni.
(4) « Item deliberaverunt etc. quod omnino rescribatur Rome ad exprorandum
(sic) de dno nostro et de factis Romanorum et quomodo res se habuit et rescribatur
pro dietis sciendis dno Johanni de Scionis, dno Chistoforo de Montegammaro et dno
Bonanno etc. ». Rif., 8 giugno 1434, c. 167 t.
e EPEMODCFR UR TERR
rr lic eve mae
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC. 89
tenti famiglie meglio si confermó con un matrimonio cele-
brato il 28 dicembre 1436 tra madonna Nicola Alfani, nipote
di Rinaldo, e Battista Morroni, secondogenito di Francesco
ed Onorata, e quindi fratello di Tomasso (1).
Intanto Giovanni Morroni, in Roma, era entrato nella
earriera diplomatica e in breve era stato assunto all'ambitis-
simo ufficio di protonotario apostolico. Nel febbraio del 1437
per la morte di Ludovico Teodonari, vescovo di Rieti, fu
niandato dal pontefice Eugenio IV come amministratore per-
petuo della chiesa reatina e vi rimase fino alla metà di marzo
del 1438, quando venne il nuovo vescovo Mattia Foschi, ro-
mano (2). Ma in questo suo governo non si comportò troppo
rettamente: onde il card. Giovanni Vitelleschi, legato della
Sede Apostolica, in data 18 novembre 1438 da Viterbo, diede
ordine al Rettore e Podestà di Rieti Lorenzo de' Terenzi da
Pesaro ed ai Priori di fare una diligentissima inchiesta sul-
l'amministrazione di Giovanni Morroni e di riferirgli in un
memoriale per esteso tutte le sottrazioni, estorsioni e spo-
gliazioni da lui commesse a danno di chierici, cittadini ed
ebrei per informarne il Papa. Il 20 dicembre dello stesso
anno un bando per tutti i pubblici luoghi della città invi-
tava a nome del Podestà e dei Priori tutti gli abitanti, che
avessero da reclamare nel temporale o nello spirituale con-
tro Giovanni Morroni, a recarsi dal vicario del vescovo per
(1) Arch. Capitolare. Arm. IX, fasc. E, n. 8.
(2) In questo periodo di tempo sui Libri del Camerlengo nell'Archivio Capitolare
si legge: « tempore Regiminis Reverendi patris et dni dni Johannis Apostolici pro-
thonotarii, Administratoris perpetui dicte Ecclesie Reatine ». Di questo Giovanni fa
menzione PAOLO DESANCTIS, Notizie storiche sopra il tempio cattedrale, il capi-
tolo, la serie dei vescovi ed i vetusti monasteri di Rieti, Rieti, Stab. tip. Trinchi,
MDOCCCLXXXVII, p. 80, ma ne tace il cognome. A pag. 420 del curioso libro intito-
lato: Le Relationi et Descrittioni universali et particolari del Mondo di LUCA DI
LINDA et dal Marchese MAIOLINO BiS4CCIONI tradotte etc., in Bologna, per Gioseffo
Longhi, 1674, si legge: « .... e nel 1438 Gio. Morone fu constituito Amministratore
perpetuo nel temporale ». E più sotto, a pag. 422, nella serie dei vescovi reatini è
posto, al n. 58, Giovanni Moroni Nobile Reatino 1437, con evidente errore.
90 A. SACCHETTI SASSETTI
‘aver soddisfazione d' ogni loro giusta richiesta (1). Questo
fatto serve a lumeggiar meglio la figura di Giovanni, avido
di potere e di ricchezze e non tanto scrupoloso nel maneg-
gio delle pubbliche amministrazioni; ed è strano che il Brac-
ciolini; il quale nella sua qualità di segretario apostolico do-
veva conoscerlo, non faccia mai menzione nella sua invettiva
di questo zio di Tomasso, mentre dimostra di conoscer molto
bene suo padre Francesco e suo zio Angelo. Dopo il 1438
Giovanni Morroni non è più ricordato dai documenti come
presente a Rieti (2); né d'altra parte egli, in seguito alla
sua poco onorata partenza, avrà sentito il desiderio di rima-
nere tra i suoi concittadini che non senza un forte motivo
avevano mosse lagnanze contro di lui.
Francesco invece, tornato a Rieti, si vide subito resti-
tuito agli antichi onori e diritti; fu ancora qualche altra
volta Gonfaloniere, e il suo nome figura come primo dei
centodiciotto cittadini che il 24 febbraio 1440 giurarono nelle
mani del legato Vitelleschi perpetua fedeltà alla Chiesa (3).
Morì poco dopo, lasciando la vedova Onorata coi figli su ri-
cordati, Tomasso e Battista (4).
Giovanni Morroni frattanto, sebbene vedesse difficile la
sua posizione a Rieti dopo l'inchiesta del 1438, in mezzo
agli splendori della Curia romana, sentiva vivo il desiderio
della città natia, dove, morto Rinaldo Alfani, agognava in
(1) Il breve del Vitelleschi e il bando furono editi nel Boll. di St. Patria per
Umbria, vol. VII, fase. III, n. 20, p. 436-437, dal prof. Alessandro Bellucci, il quale,
dalle parole gubernavit e governatore ivi usate e riferite al vescovato argomento
erroneamente che il Morroni fosse Governatore di Rieti, di cui invece fu Governa-
tore e Podestà Lorenzo de’ Terenzi da Pesaro dal 1437 al 1439.
(2) I1 nome di Gio. Morroni, protonotario apostolico, figura nel giugno 1448 in
un atto di procura rogato da Manno di Cola di Santo, esistente fra certe carte sciolte
nel secondo vol. dei rogiti di Angelo di Antonello di ser Angelo. Arch. Not.
(3) Rif. ad. ann., cc. 129 t-131.
(4) Il 12 marzo 1438, « dnus Franciscus de Scionis » appare come teste.in un
rogito scritto in pergamena da Manno del fu Cola di Santo e posto come coperta al
primo volume degli atti di questo notaio. E questa l'ultima volta che trovo us to il
cognome « de Scionis », poi sempre Morroni. Dopo il 24 febb. 1440 non trovo più
Francesco nelle Rif. e neppure nell'Arch. Not. come vivo.
Pn Fip tnt
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC. 91
cuor suo alla preminenza della sua famiglia. Ed ecco il suo
nome associarsi nel 1450 ad una congiura o trattato, come
allora dicevasi, a fine di rovesciare il reggimento esistente
e dare a lui il dominio della città. Il racconto particolareg-
giato di questa congiura ci è stato conservato da un’ inchie-
sta del Governatore (1), preziosissima, perchè è la sola su-
perstite del secolo XV, perchè inedita e infine perchè, nel-
l'assoluta mancanza di cronache e d'ogni altro documento
che non sia registrato nei libri delle riformanze, giova non
poco a darci un'idea abbastanza chiara e precisa di ciò che
fosse la-vita reatina nel '400, vita agitata ed irrequieta per
le fazioni cittadine, piena di brame smodate e di odi feroci,
implacabili.
IL
Fin dai primi d'aprile del 1450 era giunta agli orecchi
‘del Magistrato la voce che tra il. popolo minuto s'era insi-
nuata la persuasione di peculati commessi a danno del Co-
mune, e s'era perció pensato di affidare ad una commissione
di cittadini, dei tre ceti, l'incarico di rivedere i libri del-
l'amministrazione, a fine di punire i colpevoli, se ve ne fos-
sero stati, o-di reprimere i calunniatori, se i conti si fossero
trovati in regola (2). Se non che, essendosi poco dopo sco-
perta una vasta congiura, la quale, stese le sue fila tra il
popolo piü bisognoso, doveva sovvertire, a quanto si diceva,
lo stato pacifico della città per darla in balia d'un signo-
rotto, quell’ opportuna deliberazione per allora non fu più
(1) L'inchiesta é contenuta in un fascicolo cartaceo non numerato di carte 10.
Comincia con le parole : « Hec est quedam inquisitio que fit et fieri intenditur per
Mag.cum et Generosum Dnum Gentilem de Monaldens. de Urbeveteri » etc. e fini-
Sce « ... contra pacificum et quietum statum dicte Civitatis et in ipsius pacifici
status et populi grave dampnum, scandalum et preiudicium ». Arch. Com. Carte di-
sperse del sec. XV.
(2) Questa deliberazione del 6 aprile 1450 é ricordata in un bastardello, mà non
riportata, ignoro perché, nei registri delle riformanze.
el v mA
92 A. SACCHETTI SASSETTI
eseguita. Ma con atto risoluto il Governatore e Podestà di
Rieti, Gentile de’ Monaldeschi da Orvieto, imprigionò innanzi
tutto i cittadini accusati come partecipi della congiura e
chiese quindi sollecitamente istruzioni a Roma, per mezzo
del suo Uditore e Vicegovernatore Galeotto de’ Michelotti da
Perugia, non pure perchè l'accusa gravante sui carcerati era
d'un peso eccezionale, ma anche perchè essi, per la loro
condizione sociale, sembravano degni d’un qualche riguardo.
Un breve di Niccolò V, in data del 18 maggio 1450, or-
dinava al Governatore di procedere contro gli imputati, con
l'opportuna mitezza a scanso di mali peggiori, anche se fra
di loro si fosse trovato qualche prete o chierico, e, che più
monta, gli affidava l’incarico di rivedere i conti da otto anni
a quella parte, essendosi risaputo che il pubblico denaro era
stato male amministrato (1). Il Governatore, venuto in pos-
sesso di tale ampio mandato, procedette personalmente ad
una minutissima e diligentissima inchiesta contro Antonio di
Coletta di Vitto e don Cristoforo di Valentino, dottor de’ de-
creti e canonico della Cattedrale, suo nipote, don Luca, pro-
posto di S. Cecilia, Matteo di Sante di Buccio e Giorgio, suo
figlio, Francesco di Donnicola e Giacomo di Vagliadosso,
tutti reatini: ed ecco quanto risultò a carico di ciascuno.
Antonio (2), il capo riconosciuto dei congiurati, fin da
cinque e più anni addietro, era stato carcerato ed anche
sottoposto a tortura dal cavalier Costanzo de’ Saluzzi da S. Da-
miano, allora Governatore di Rieti, a cagione di incitamenti
sediziosi (3), sebbene egli ascrivesse ciò a pura ingiustizia
(1) Doc, 11.
(2) ]] suo nome figura, nel 1428, insieme con gli Alfani, tra i banditl dalla città.
Era di civil condizione ed abitava in Porta Carceraria dentro. Fu molte volte Priore
e Gonfaloniere nel marzo 1419, nell'agosto 1421, luglio 1441 e marzo 1455 ed ebbe altri
incarichi onorifici nel Comune. Il 3 dicembre 1464, trovandosi infermo, fece testa-
mento, lasciando eredi la moglie Bonaventura e il figlio Coletta ed eleggendo la
sepoltura in S. Agostino. Arch. Not., rog. di Angelo di Antonello di ser Angelo. Di
poi non ho più notizia di lui.
(3) Di questo fatto, ricordato nell'inchiesta, non si ha menzione nelle rifor-
manze. :
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC. 98
per impulso e calunnia di alcuni cittadini e segnatamente
di Vanni di Ranuccio, Pietro Paolo Jaconelli e Gabriele di
Cola di Berardo, ai quali era sommamente inviso (1). Anto-
nio, adunque, sapendo di quest'odio e notando con sommo
rammarico che, sebbene fosse stato tra i principali autori
del governo allora vigente, era escluso da ogni reggimento
e pubblico ufficio, lungamente avvisò al modo di schiacciare
i suoi avversari, a costo di seppellire con essi anche le li--
bertà comunali. Onde fu che, per raggiungere più facilmente
il suo intento, pensó di trattare con Giovanni Morroni e di
persuaderlo a tornare nella sua città natale per ottenervi
preminenza e signoria. A tal fine, recatosi a Roma, s'abboccó
con lui e lo esortó a pensare al suo stato in Rieti e à non
abbandonare i suoi amici, rappresentandogli che, ove egli
avesse abbracciato tal partito, avrebbe trovati in Rieti più
seguaci che forse non si pensasse e che la preminenza nella
sua città non gli avrebbe conferito minor decoro ed estima-
zione che l'alto ufficio occupato nella Curia Romana. Affi-
dasse pure a lui, Antonio, il carico di ordinare il trattato e
presto ne avrebbe sperimentato il frutto. Udito ció, Giovanni
Morroni molto ebbe a lodare il discorso di Antonio e alla
sua volta lo esortó à spendere ogni sua opera a tal effetto.
Antonio, tornato a Rieti, comunicó questo suo disegno
ad alcuni suoi amici, benevoli al Morroni, e segnatamente a
don Cristoforo di Valentino (2), che assenti pienamente alla
(1) I nomi di questi tre cittadini, di civile ed agiata condizione, occorrono as-
sai spesso nelle riformanze di questi tempi. Vanni di Ranuccio, abitante in Porta
Cintia di sopra, fu Gonfaloniere nell agosto 1447 e nel novembre 1450. Pietro Paolo
Jaconelli, della stessa Porta, fu Gonfaloniere nell'aprile 1447, maggio 1451, luglio-
agosto 1453. Gabriele di Cola di Berardo, della stessa Porta, fu Gonfoloniere nel no-
vembre 1436, ottobre 1440, gennaio 1448, aprile 1450 e novembre-dicembre 1451. Sua
moglie, Angelella, della nobilissima e potente famiglia dei Brancaleoni di Roma-
gna, signori di Belmonte, Stipes ete. in Sabina, rimasta vedova, fece testamento il
21 settembre 1462. Arch. Not., rog. di Matteo di Ludovico di Antonio Todini.
(2) Fu costui persona assai ragguardevole e molto adoperata nei negozi del
Comune. Ordinato chierico il primo gennaio 1410 dal vescovo Ludovico Teodonari
(Arch. Not., rog. di Giovanni di ser Antonio Carilli), il 27:dicembre 1411 lo troviamo
94 : A. SACCHETTI SASSETTI
proposta dello zio, consigliandolo a sollecitare la cosa, dap-
poiché entrambi ingiustamente eran tenuti lontani da ogni
ufficio ed emolumento pubblico. Riconfortato così nel suo di-
visamento, nulla trascuró, con somma perseveranza, per ve-
nire a capo dell'impresa: e nel novembre del 1449, mentre
.se ne stava nella piazza del Leone, vide venirsi incontro un
certo prete, di nome don Antonio da Cantalice, il quale cosi
prese a dirgli da parte di Giacomo di Giovanni di France-
sco (1) altro reatino immischiato nella faccenda: Anthonio,
dice Jacomo come le tractamo queste brigate. Ed Antonio: Molto
male, rispose, como che ce avemo novella veruna bona. Ed al-
lora don Antonio soggiunse: Dice Jacomo che ha cinquanta
fanti ad tua posta: se te basta, l’avemo ad testa or may. E a
«lui Antonio: Se ritorni ad Roma, pregote che me dichi ad Ja-
como che me basta la mano ad fare ogne cosa (2).
Nel dicembre dello stesso anno, per mezzo d’un tal San-
tuccio da Poggio Nativo, scrisse una lettera al Morroni, nella
quale lo stimolava a disporre pel suo ritorno a Rieti, co-
gliendo il momento favorevole, in cui i suoi avversari, per
le loro opere, erano fortemente invisi al popolo, in mezzo
al quale ei disseminava sediziosi incitamenti. Anzi, perché
già canonico della Cattedrale (ivi, rog. di Marco del fu Matteo di Giovannuccio). Nel
1428 insieme con lo zio Antonio, col padre Valentino e coi fratelli Andrea e Mariano
si vede segnato nel numero dei banditi dal Comune. Tornato in patria sui primi
del 1435 (l'ultimo di febbraio 1485 figura come teste in un atto del notaio Pietro del
fu ser Grimaldo di ser Tomasso di mess. Francesco), fregiato omai del titolo di dot-
tore dei decreti, il 13 maggio, rivendica il suo canonicato nella Cattedrale (ivi), il
13 settembre di detto anno ottiene una prebenda nell’abazia di S. Eleuterio (ivi), e
il 30 novembre 1441 un’altra prebenda in S. Giovanni (ivi). Ebbe altresì un. canoni-
cato in S. Eleuterio e un altro in S. Angelo (ivi, rog. 12, 13, 16 luglio 1479 di detto
notaio): morì sul principio del 1479. Nei documenti si trova a lui dato il cognome
« Valentini » e « de Valentinis » ed anche « de Guardariis », perché suo padre Va-
lentino era « Vardarius » cioé bardaro.
(1) Nobile reatino, abitante in Porta Romana di sotto, famigliare del Legato
Vitelleschi, fu camerlengo del Comune nel 1439 (Rif., cc. 96, 97, 99) e Gonfaloniere
nel settembre di detto anno.
(2) I discorsi diretti sono riportati integralmente, se in volgare; e tradotti alla
lettera, se in latino, dall’inchiesta che veniamo riassumendo : e questo per conser-
vare il carattere drammatico alla narrazione della congiura.
ione
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC. 95
il Morroni si cattivasse la benevolenza dei reatini, tornava
a scrivergli che, quando essi si recavano a Roma per loro
negozi o per trattare cause, s'adoperasse di giovarli, favo-
rirli ed accarezzarli: così facendo si sarebbe riguadagnata
la simpatia comune e in breve, a malgrado de’ suoi avver-
sari, avrebbe potuto far ritorno in patria. Frattanto Antonio
senza indugi proseguiva nell’eccitare e nel mettere in odio
del popolo tutti quelli che conosceva nemici del Morroni e
suoi, e sopra tutti Pietro Paolo Jaconelli, Gabriele di Cola
di Berardo, Vanni di Ranuccio e Pietro Paolo Cerrocchi.
Cercando adunque seguaci e scrutando l| animo dei co- .
noscenti, in quello stesso mese si portò alla casa di Fran-
cesco di Donnicola (1); e, trovatolo, senz'altro gli domandò:
Se misser Johanni torna ad Riete et questi laíri lisse parassero
in nanti, volemolo adiutare? E Francesco tutto animoso: Fosse
domani, rispose, che revenisse misser Johanni! Quindi, nel feb-
braio del 1450, visto che le cose prendevano una buona
piega, Antonio divisò di comunicare tutto particolarmente,
così del suo disegno come delle lettere scritte al Morroni, a
don Luca, proposto di S. Cecilia (2), e a don Cristoforo, coi
quali per l’innanzi aveva tenuto discorso su quest'argomento,
massime perché pensava che don Luca, per esser familiare
del Morroni, ne conoscesse già l'intenzione. Si recó pertanto
prima alla casa del proposto e, apertogli tutto l'animo suo,
‘gli raccontò quanto aveva fatto sino allora, e come tutto
fosse ben disposto. Lo esortó poi ad esser sollecito ed a scri-
vere al Morroni, per stringerlo a tornare a Rieti ed infor-
marlo di tutto. Il proposto rispose che era ben informato
della volontà del Morroni di formarsi uno stato nella sua
città, ritornandovi: e che nondimeno gli scriverebbe nel senso
(1) Di questo fazioso altro'non so che mori nel 1479. Arch. Cap, Libri del Ca-
merlengato, ad «nn.
(2) Di questo fazioso altro non so che il 9 gennaio 1459 vende un pezzo di terra,
che era ancora proposto di S. Cecilia e che suo padre avea nome Cristoforo. Arch,
Not., rog. di Nicola di Giacomo.
——
96 A. SACCHETTI SASSETTI
che Antonio gli suggeriva. Di poi pregó e scongiuró Antonio
di operare virilmente, di perseverare nell' impresa e di porre
in odio del popolo i nemici del Morroni e specialmente i
quattro cittadini su menzionati, mostrando a tutti le usur-
pazioni, imposte, dative e collette che allora, oltre ogni de-
bito, si facevano, ed eran causa del malumore generale. Po-
nesse altresì dinanzi agli occhi dei cittadini le usurpazioni
delle gabelle fatte da questi avversari e, dicendo il vero e
insieme il falso, tali cose facilmente entrerebbero nella mente
degli ascoltatori, stante la povertà del popolo minuto e la
penuria d'ogni cosa che quell’anno regnava a Rieti. Don Luca,
infine, esortó Antonio a portarsi bene degli abitanti de la
Concha (1), per averli, al caso, pronti in suo aiuto. Allora
Antonio: O proposto, disse, lascia a me questa briga: ché
t'assicuro ch'io posso disporre degli abitanti de Za Concha,
come di don Cristoforo, mio nipote, e forse piü. Scambiatesi
queste idee, vedendo che il trattato procedeva bene e diffi-
cilmente poteva esser disturbato, Antonio prese à scherzar
di parole, dicendogli: L'abbazia di S. Pastore ti sarà molto
confacente e credo che ti piaecia. E il proposto di rimando:
Non dubitare: ché io ho buona intenzione e buona speranza;
ma don Cristoforo non sarà perció danneggiato, perché la
propositura di S. Cecilia spero che si conferisca a lui e spero
anche che messer Giovanni farà di meglio e di più utile per
noi: ché é un uomo che puó e sa far tali cose.
Il giorno seguente Antonio similmente conferì tutto ciò
con don Cristoforo in casa di lui e lo esortó a prendersi, tra
l’altro, la cura di stare appresso a don Luca, affinché per
lettera stimolasse il Morroni a tornare. Don Cristoforo as-
senti, lodò l’opera dello zio e promise di seguire i suoi con-
sigli. Non contento di ció, Antonio fece recapitare un'altra
lettera al Morroni, per mezzo d'un certo Consobrino da Ca-
scia, ripetendogli quanto a voce e in iscritto fino allora gli
(1) Porta della città di Rieti, la quale conserva ancora tal nome.
gramma 0
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC. 97
aveva detto. Quindi egli, don Luca e don Cristoforo, dovun-
que si trovassero e nella casa or dell’uno or dell'altro, pre-
sero a riunirsi più spesso, a comunicarsi scambievolmente
quel che avevano fatto tra il popolo, ad esortarsi ed ani-
marsi a vicenda nell’audace disegno. Don Cristoforo poi, a
mezzo d'un servo di Angelo Cappellari, reatino (1), scrisse
al Morroni, affinché affrettasse il suo ritorno, assicurandolo
che tutti di casa sua eran disposti a porre i beni e le per-
sone per l'utile suo.
Un giorno di marzo, innanzi alla casa Morroni, Antonio
Si senti dire da un famiglio del protonotario, venuto da Roma:
Misser Johanni dice che da quello che tu hay scripto farrà cosa
che ti piacerà et che quando serà el tempo, verrà ad Riete.
Queste parole finirono d'assicurare il grande fazioso, il quale
senza posa, dovunque si portasse o si trovasse, ora nei prati
pubblici, ora nelle porte della città, dove soleano radunarsi
crocchi di cittadini, ora nelle chiuse e nei possedimenti dei
lavoratori, cominciò ad usare d'ogni più sottile accorgimento
per eccitare gli ascoltatori contro i suoi avversari, asserendo
che le dative e le collette si facevano tra il popolo a danno
dei poveri, e che le gabelle e i beni pubblici venivano usur-
pati. E quando notava che le sue parole avevano prodotto
l’effetto desiderato, usciva a dire: E perchè non moriamo?
Perchè non usciamo da tante spese? Perchè non uccidiamo
tanti tiranni e lupi? Non è meglio morire che sopportare
tal tirannia? Né cessava, finchè non gli fosse parso d’ aver
commosso il popolo contro i suoi nemici.
Quando, adunque, si fu accorto che le sue parole tro-
vavano facile adito nell'animo del popolo bisognoso, deliberò
di aprirsi con alcuni altri cittadini, per scrutarne la volontà
e servirsene all'uopo più sicuramente, ma si guardò bene
(1) Questo reatino era al servizio degli Sforza in Milano: perciò il GABOTTO,
op. cit., confuse la famiglia Morroni con quella Cappellari. In un atto dell’ 8 aprile
1457 leggo: « legum doctor dnus Angelus de Cappellariis de Reate et duchalis ge-
neralis auditor ». Arch. Not., rog. di Matteo di Ludovico di Antonio Todini.
1
«è
4 Surriento ire esL hor Mee
98 A. SACCHETTI SASSETTI
pel momento di svelare interamente il suo disegno. A tal
fine, un giorno di marzo, si recò alla casa di Matteo di Sante
di Buccio (1) e, domandatagli la sua intenzione sul probabile
ritorno del Morroni, sentì con piacere rispondersi animosa-
mente che poneva i beni e la persona per lui. Nello stesso
mese tornò da Roma Giacomo di Vagliadosso, che s'era ab-
boccato col Morroni per sentire la sua volontà e riferirla ad
Antonio. Si recò da costui in una sua chiusa, e, scambiatisi
i saluti, alla domanda che fosse del Morroni e del suo ri-
torno, rispose che messer Giovanni trionfava ed era ben di-
sposto a tornare; e per quel di non intervennero altre pa-
role fra di loro. Ma qualche giorno dopo, Antonio e Giacomo,
ritrovatisi insieme presso la porta del Borgo, fuori della porta
di Ponte, l'uno chiese all'altro: Giacomo, tu sai l'intenzione
di messer Giovanni: se egli ritornasse, che possiamo sperare
da te e che farai per lui? Antonio, rispose Giacomo, quando
messer Giovanni sarà per tornare a Rieti, dimmelo un giorno
innanzi all'arrivo e quindi lascia a me questo carico. Io farò
in modo d'avere il favore e l'aiuto di più cittadini .che. tu
forse non creda. Quindi Antonio si recó alla bottega di Gior-
gio, figlio di Matteo, sita in Porta Romana di sotto, e gli
domandò: Giorgio, senti se misser Johanni deve tornare ad
Riete? Giorgio rispose che no; ma richiesto della sua inten-
zione in caso di ritorno e di ostacoli da parte degli avver-
sari: Alle mani, esclamò, ecco me ad mectere l’overa et la
persona.
Prima di recarsi a Roma pel noto fine, Antonio aveva
parlato con madonna Onorata e l'aveva pregata di dire a
suo cognato che tornasse a Rieti e curasse il primato della
sua casa in questa città, e che se egli non voleva risiedere
in Rieti, lo inducesse a mandare per messer Tomasso, che
era idoneo al governo di essa. Madonna Onorata ‘aveva ri-
(1) Abitava in Porta Romana di sotto. Fu Gonfaloniere nel luglio 1409, settem-
bre 1412, novembre 1422: ebbe vari incarichi nel Comune e fu di condizione mercante.
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC. 99
sposto annuendo, e che anche da sè stessa avrebbe mandato
pel figlio Tomasso. Nello stesso senso, adunque, Antonio
scrisse più tardi una lettera a madonna Onorata e l’inviò
per mezzo d’un tal Pietro Paolo di Simone nella notte che
si recò a Roma con la madre. Quindi, dopo la metà di Qua-
resima, il Morroni, per mezzo di un tale da Norcia, fece dire
ad Antonio: Messer Johanni m'à dicto che tu, Anthonio, te dii
la bona vogla, în per ciò che presto averete lu actento vostro.
Giunse poi ad Antonio un messo da Poggio S. Lorenzo e
così prese a dirgli: Mi manda messer Francesco di Pie-
tro Paolo da Montegambaro (1) a dirti che messer Giovanni
e Giacomo di Giovanni di Francesco, gli hanno fatto sapere,
perchè. ne sii informato tu, che il primo giorno di Pasqua
di Risurrezione entrambi verranno a Rieti e nel Sabato Santo
verrà innanzi messer Francesco con 50 fanti messi insieme
alla meglio. Nell’ ingresso della città, per non destar sospetti,
entreranno alla spicciolata come persone che tornano da:
Roma dallindulgenza. Se tu, Antonio, conosci un modo più
sicuro, manifestalo, e frattanto sollecita i tuoi amici e quelli
di messer Giovanni e di Giacomo, affinchè il disegno sorta
un esito felice. Antonio, udita questa ambasceria, commise
al messo di riferire a Francesco da Montegambaro che avvi-
sasse il Morroni e Giacomo che stessero di buon animo, per-
ché tutto era ben disposto e, a qualunque ora venissero,
troverebbero sulla via di Ponte tutti i suoi amici in loro
aiuto e favore.
Subito dopo Antonio riferi a don Cristoforo tutti i par-
ticolari di questa ambasceria, e il dì seguente ambedue si
riunirono in casa del proposto di S. Cecilia, per scambiarsi
i loro pensieri; don Luca e don Cristoforo esortarono Anto-
nio a mostrarsi coraggioso ed accorto: e stabilirono che, ap-
(1) Della stessa nobile famiglia reatina, onde uscì quel Lorenzo da Montegani-
‘ baro a eui Tomasso Morroni fece quella donazione che fu causa di tutte le sue di-
sgrazie. Di Lorenzo da Montegambaro esiste il testamento in data 27 luglio 1464.
Arch. Not., rog. di Angelo di Antonello di ser Angelo.
100 A. SACCHETTI SASSETTI
pena avuto sentore dell'arrivo del Morroni e di Giacomo,
ciascuno di loro si adoperasse ad avvertire ed animare i
suoi amici e nel primo giorno di Pasqua si trovassero nella
via di Ponte, per riceverli ed associarsi a loro; ed entrati
in Piazza, si dessero a gridare: Viva la Chiesia et morano li
tirapni et li lupi et morano le gravezze! A queste voci, che
stimavano gradite al popolo, la gente sarebbe accorsa, e se
taluno volesse opporsi, lo uccidessero, e sopra tutti uccides-
sero i quattro lor cordiali nemici. Pensavano essi che a
questo rumore di popolo molti altri si sarebbero uniti in
loro favore, e così, fatto un mutamento in Rieti, ne avreb-
bero eletto capo e signore Giovanni Morroni.
Stavano così le cose, quando un giorno di marzo quel
tale don Antonio da Cantalice, che sopra ricordammo, venuto
da Roma, si fece incontro ad Antonio presso la chiesa di
S. Giovenale (1), e, salutatisi scambievolmente, il primo disse
al secondo: Antonio, ti voglio dire una novella migliore di
quella che quest'anno t'ho detta, ma entriamo in questa
chiesa. Entrati, presso l’altare, don Antonio prese in mano
il breviario che aveva al fianco e disse: Antonio, voglio che
tu prima giuri che quello che ti dirò non lo manifesterai a
nessuno. Antonio giurò e il prete cominciò a dirgli da parte
di Giacomo di Giovanni di Francesco: Tu dei sapere che il
primo giorno di Pasqua messer Giovanni verrà alla porta
di Ponte con quei fanti che potrà avere e Giacomo pure
verrà pel territorio del Conte di Tagliacozzo con altri fanti,
e passato per Cittaducale, si presenterà a Porta Conca: dove
parimente giungerà con 50 fanti Antonio, fratello di Gia-
como, insieme con me, dal castello di Cantalice. Quel giorno
quei di Cantalice si presenteranno per tempo con bestie da
soma, panni, bisacce ed altre cose, come se andassero a
Roma per l’indulgenza, e si fermeranno tanto quanto ba-
(1) Chiesa esistente fino al sec. XVIII nei pressi dell'Ospedale, dove oggi si
trova l'orto dei sigg. Blasetti. Il titolo di S. Giovenale si aggiunse poi alla chiesa
di S. Vincenzo Ferreri, detta comunemente la Madonna della scala.
c Á
- torio.
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC. 101
sterà all'arrivo di messer Giovanni alla porta di Ponte, se
ciò loro riuscirà: e allora tutti a un tempo si scopriranno e
la novità sarà fatta.
Or avvenne che, mentre si aspettava il primo giorno
di Pasqua, fosse estratto Gonfaloniere pel mese di aprile Ga-
briele di Cola di Berardo (1). A quest'annunzio Antonio vide
guastato il suo piano, non solo perchè sapeva Gabriele suo
principale nemico e tale da mandare a monte ogni suo di-
Segno, se un che si fosse scoperto, ma anche e sopratutto
perché i più notabili cittadini di quel reggimento vivevano
molto sospetti per certe lettere recapitate ai Priori e al Co-
mune, nelle quali si faceva parola dell’ordita congiura. Adun-
que don Cristoforo, don Luca e Antonio, radunatisi subito,
deliberarono di soprassedere, e di informare il Morroni che
per sì forti motivi non sembrava più quello il momento ac-
eoncio al loro fine. Antonio e don Luca, ciascuno per conto
suo, scrissero in tali termini al Morroni, differendo 1’ esecu-
zione del loro progetto a dopo finito il gonfalonierato di Ga-
briele. Quindi Antonio, saputo che Matteo di Sante di Buc-
cio si sarebbe recato a Roma per difendere una sua causa,
si portò alla bottega di lui, e trovato il figlio Giorgio, gli
domandò dove fosse Matteo. Giorgio rispose che di già si
era recato a Roma. Allora Antonio. se ne dolse con lui di-
cendo: Egli ha fatto male a non parlar meco, perchè avrei
voluto che avesse parlato con messer Giovanni e sentite e
riferite le sue intenzioni. Antonio, gli rispose Giorgio, non -
dir ciò: chè egli sarà con messer Giovanni e sentirà tutta
la sua intenzione e ce la riferirà. E già i congiurati s'erano
rassegnati a riallacciare le fila del trattato, non appena fosse
uscito d'ufficio Gabriele, quando, sorpresi e incarcerati, non
avevano potuto più condurre ad effetto il loro divisamento (2).
(1) Fu estratto il 27 marzo 1450. Rif., ad ann.
(2) Qui finisce l’ inchiesta. Nelle riformanze non si fa cenno alcuno di essa e
dell'arresto di questi faziosi, sebbene poco dopo se ne parli come di un fatto no-
du rue tod od da vió ai d auos M oe è
A. SACCHETTI SASSETTI
III.
Avvenuta la cattura di questi audaci faziosi che tanto
pericolo avevano fatto correre alle ancora abbastanza libere
istituzioni del Comune, si commise finalmente a quattro cit-
tadini e al Cancelliere priorale il delicato officio di rivedere
i conti, tanto più che.il breve pontificio ordinava in tal
senso. Così facendo, si sarebbe tolto ogni sospetto e veduto
chiaro una buona volta in quel complesso di accuse vaghe
ed incerte che pesavano sui vecchi amministratori del Co-
mune (1). Contemporaneamente il Papa, sebbene avesse già
data ampia potestà al Governatore in questa materia, no-
minava suo special commissario a Rieti Jacobo Muzarello da
Bologna, chierico della Camera Apostolica, il quale s'affrettó
a portarsi sul luogo (2). Nel frattempo molti cittadini, che
non potevano essere rimasti indifferenti dinanzi a quell’ av-
venimento, s'erano adoperati, così presso i Priori di maggio
come presso quelli di giugno, perchè si conoscesse la sorte
dei carcerati (3). Se non che neppure la presenza del Com-
missario valse ad affrettare la sentenza per ragioni abba-
stanza ovvie, e verso la fine di giugno le cose stavano an-
cora come prima. Finalmente si trovò espediente d’ inviare
al Papa quattro oratori, Silvestro di Ser Marco e Zapitello
di Manzarella, artisti, e Stefano di Sasso e Giacomo di Pan-
degrano, lavoratori, i quali avessero a provvedere che i car-
cerati fossero al più presto puniti se colpevoli, rilasciati se
(1) Rif. Cons. dei XXXVI, 25 maggio 1450, c. 67. — Il breve pontificio, presen-
tato in fine di seduta da Francesco da Viterbo, collaterale del Governatore e suo
luogotenente, non si trova trascritto nei libri delle riformanze, ma il Cancelliere
lasciò nella pagina un certo spazio in bianco per copiarvelo. Nell'armadio delle per-
gamene non si trova: forse andò perduto, prima che il Cancelliere potesse tra-
scriverlo. :
(2) Ii breve, in data 25 maggio 1450, di nessun interesse pel contenuto, trovasi
nell'Archivio Capitolare : Arm. IV, fasc. A, num. 3.
(3) Rif. Cons. gen., 4 giugno 1450, c. 67. — Ivi non si ha la deliberazione presa
e si trova un breve spazio della pagina lasciato in bianco.
n gene
—Á — : PX
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC. 108
innocenti (1). Gli oratori si recarono a Spoleto, dove allora
si trovava il Papa, e ne ritornarono con buone promesse,
come appare -dal breve che seco riportarono (2).
I quattro cittadini deputati e il Cancelliere priorale ave-
vano già, con grandissimo ordine, rivedute le entrate e le
uscite di un anno, quando Jacobo Muzarello presentava, il
14 luglio, un altro breve pontificio, pel quale gli si commet-
teva di nuovo l'incarico di rivedere i conti insieme col Go-
vernatore. Sembra per altro che il Muzarello venisse prin-
cipalmente per cagione dei carcerati e che il Papa brigasse
di farli tradurre a Roma, per ivi giudicarli. Ma i reatini,
insospettiti di ciò, deliberarono di continuare l'opera di re-
visione dei conti, di non spogliarsi dei diritti che loro com-
petevano sulla sorte di quei carcerati e di mandare all'uopo
nuovi oratori al Papa per far valere le ragioni della città,
e finalmente, se nel rivedere i conti si fosse trovato alcun
detentore illegittimo del denaro comunale, di costringerlo
a restituirlo immediatamente (3).
Il difetto di documenti ci vieta di seguire in tutti i suoi
particolari questo importante processo e di conoscerne la
sentenza: ma tutto ciò che stiamo per dire ci ammaestra
che i principali imputati furono condannati al confine, pena
assai comune a quei tempi. Difatti, tre anni dopo gli avve-
nimenti sopra ricordati, in data del 31 luglio 14583, il proto-
notario Nicola Capranica, Governatore di Città di Castello,
scriveva ai Priori reatini, lodando i buoni costumi di Anto-
nio, ivi confinato, e raccomandandolo vivamente (4): e poco”
dopo, con breve del 14 agosto 1453 il Papa scriveva al Go-
vernatore e ai Priori di Rieti in favore di Antonio, di don
Cristoforo di Valentino e di Giacomo di Vagliadosso. In que-
sto breve era detto che egli, il Papa, aveva permesso che
) Rif. Cons. dei XXXVI, 26 e 27 giugno 1450, c. 70.
2) Doc. III.
)
(4) Doc. IV.
104 A. SACCHETTI SASSETTI
quei cittadini fossero posti al confine per suggerimento di
alcuni faziosi, ma che, scoperta la frode e conosciuto che
ciò era stato operato per non aver essi alcun impedimento
alle loro rapine ed estorsioni, voleva e comandava che im-
mediatamente i tre cittadini fossero riammessi in patria e
reintegrati in tutti i loro beni e diritti (1). Non occorre dire
che l'ordine del Papa fu in tutto eseguito (2).
A questo punto sorge naturale la domanda: Dunque
tutto ciò che si è detto della congiura ordita per dare la
signoria della città a Giovanni Morroni, non fu che una mi-
rabile macchinazione fatta dagli avversari di Antonio e dai
suoi complici, per rovinarli e bandirli? Io credo di no: pri-
mieramente perchè tanti particolari della congiura, venuti
fuori dalla diligentissima inchiesta, non possono essere stati
inventati di sana pianta, tanto più che autore di essa era
stato il Governatore in persona, un ufficiale pontificio, cioè,
estraneo alle gare e fazioni cittadine; in secondo luogo per-
chè sappiamo benissimo, per il loro passato, che i tre con-
finati erano veramente tra i più ardenti faziosi. Se non che,
malgrado le affermazioni del Papa, che possono essere state
frutto delle insinuazioni e querimonie degli esuli e del de-
siderio così nel Papa come nei reatini di sopire gli odi che,
in loro assenza, saranno stati tenuti vivi dai fautori, un grave
dubbio ci rimarrebbe sulla verità dei fatti da noi ricordati,
se un avvenimento di poco posteriore al ritorno degli esuli,
non venisse a gettare uno sprazzo di luce su quanto finora
Gi è parso un poco oscuro.
(1) Doc. V.
(2) Infatti don Cristoforo riappare tra i canonici della Cattedrale nel settembre
del 1453; Giacomo di Vagliadosso il 31 gennaio 1454 é nominato portiere e gabelliere
della Porta di Ponte (Rif. ad ann., c. 36) e muore tra il 1478 e il 1479 (Arch. Capit.,
Libri del Camerl.). Invece, cosa notabile, gli avversari di Antonio, che insieme coi
due suddetti rientrò, non si veggono più, dopo questo fatto, occupare pubblici
onori, tranne Pietro Paolo Cerrocchi, il quale, abitante in Porta Carceraria fuori,
era stato Gonfaloniere nell'agosto 1441, novembre 1447, luglio 1450, e sarà ancora
nel dicembre 1457 e ottobre 1463. Il 3 ottobre 1405, fece testamento. Arch. Not., rog.
di Feliciano di m.ro Domenico di m.ro Antonio de' Nicolacci.
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC. 105
sulla fine di marzo del 1454, Pietro Paolo Jaconelli, Ga-
briele di Cola di Berardo e suo figlio Battista, Vanni di Ra-
nuccio e Rodolfo Alfani con false macchinazioni addussero
molti cittadini reatini ad una conventicola e congiura e, per
ben nove giorni, si fecero prestare da loro man forte, tur-
bando la pace «del popolo e insorgendo audacemente contro
i rettori e gli ufficiali della Chiesa. Il Governatore e Podestà
di Rieti, Galeotto Agnese da Napoli, pronunziò contro questi
ribelli sentenza di bando e solo usò di tutta.la sua indul-
genza, opportunissima in simili congiunture, verso quei non
pochi cittadini che inconsapevolmente avevano portato il
loro aiuto ai capi della ribellione. Poco dopo, mandato dal
Papa con breve del 5 aprile 1454, giungeva a Rieti, qual
Commissario, il P. Michele da Prato, procuratore fiscale, che
il 10 dello stesso mese convocava nella grande sala del pa-
lazzo del Governatore, sulla piazza del Leone, un pubblico
e generale arringo di tutto il popolo reatino: e quivi, pre-
sentato e spiegato il breve, egli solennemente decretava, in
virtù del mandato affidatogli, che l’opera del Governatore
rimanesse a pieno confermata, tanto per lindulgenza usata
verso la più parte dei cittadini, quanto per le sentenze emesse
contro i rei, dei quali, tranne Vanni di Ranuccio che nel
frattempo era morto, fu sanzionata da lui la condanna. Anzi
ordinava che quei cittadini, banditi dalla Curia del Gover-
natore, si considerassero banditi da tutte le terre mediata-
mente e immediatamente soggette alla Chiesa, che di questo
decreto si desse comunicazione a tutti gli ufficiali cui potesse
interessare e che se ne rogasse regolare istrumento dal Can-
celliere priorale e dagli altri notari. Finalmente ingiungeva
al notaio della Camera Apostolica reatina e al vicecamer-
lengo della Camera comunale di confiscare i beni dei ban-
diti (1). La solenne ratificazione della sentenza promulgata
(1) Rif. «d ann., cc. 41 t-43. — L' 8 novembre 1453, Giovanni di Puceiarante, pub-
blico guallario, per ordine del Governatore Galeotto Agnese, prende possesso d' un
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pezzo di terra in vocabolo « Castagnole » di proprietà di Gabriele e Battista di Cola
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106 A. SACCHETTI SASSETTI
dal Governatore e il suo inasprimento stanno a dimostrare
apertamente la gravità del fatto, i cui attori principali erano
stati quei cittadini appunto che piü volte abbiamo menzionati
quali acerrimi nemici di Antonio di Coletta di Vitto e dei
suoi aderenti.
Saputo di questo secondo bando, Pietro*Paolo Jaconelli,
che s'era rifugiato nella vicina Aquila (1), interpose i buoni
uffici di questa città e del conte di Montorio, che con Rieti
erano in ottimi rapporti di amicizia e di vicinanza, perché
fosse moderata la gravità della pena. Il Comune di Rieti, si
all'una che all'altro, rispose manifestando il suo rincresci-
mento di non poter contentare si buoni amici, ma prote-
stando a un tempo che pel delitto del Jaconelli e dei suoi
complici recedere dalla presa deliberazione giammai non
avrebbe potuto. Aggiungeva poi che quella grave punizione
dell'esilio e della confisca dei beni doveva riuscir salutare
a quanti in avvenire si fossero attentati di turbare lo stato
pacifico della città (2). Né mancarono in quell'occasione i
reatini di rimeritare degnamente il governatore Galeotto
Agnese dell’opera da lui prestata per la sicurezza della città
e, uscendo d’ufficio con la fine d’aprile, non solo gli fecero
un presente di cento ducati d’oro, ma gli conferirono anche
di Berardo, condannati alla confisca (Arch. Not., rog. di Nicola del fu ser Matteo
de’ Cherubini). Il 19 febbraio 1454, detto guallario, come sopra, prende possesso di
una casa, già di Vanni di Ranuccio; sita in Porta Cintia di sopra (ivi). Nei libri poi
del Camerlengato del Comune, in data 10 agosto 1454, c. 59, si trova u na nota di in
dumenti e di altre cose confiscate a Gabriele di Cola di Berardo per un valore di 25
ducati d’oro, 4 lire e 1 soldo.
{1) Pietro Paolo di Onofrio di Cristoforo Jaconelli aveva all’ Aquila parenti,
avendo sposata mad. Belfiore Alfani, figlia di Andrea Alfani e di mad. Gemmuccia
de’ Carli, aquilana. Suo figlio fu quel Battista Alessandro Jaconelli, che nel sec. XV
ci diede uno dei primi volgarizzamenti di Plutarco, Cfr. MicHAELI, op. cit., vol. III,
pp. 270-271 e ANTONIO COLARIETI, Degli uomini più distinti di Rieti per scienze, let-
tere ed arti, Rieti, dai tipi di Salvatore Trinchi, 1860, pp. 27-30. :
(2) Nelle Rif. mancano le due missive della città dell Aquila e del conte di
Montorio al Comune di Rieti: per la risposta di questo all'Aquila vedi il Doc. VI.
Identica, mutatis mutandis, fu la risposta al conte di Montorio. >
rt: rr
TR TT
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC. 107
l'arma della città (1); alla cui difesa, nel luglio, 79 cittadini
ottennero dai Priori la facoltà di portare le armi (2). i
Da quanto sin qui si è venuto esponendo traspariscono
chiare, io spero, le lotte intestine che allora travagliavano
Rieti al pari di molte altre città d’Italia. I capi delle due
fazioni avverse sono, a quanto pare, Antonio di Coletta di
Vitto e Pietro Paolo di Onofrio Jaconelli: e si l'una che
l'altra, composta per la piü parte di popolo grasso, tenta
tutte le vie, dalla calunnia contro gli avversari all'aperta
ribellione contro gli ufficiali, per sormontare e ottenere il
primato nella città, abbattendo e sbandendo, con alterna vi-
cissitudine, la fazione avversa. Non é facile indagare la parte
che Antonio e i suoi avranno preso alla loro volta nel so-
verchiare la fazione contraria, ma lieto sarà certo spuntato
per loro quel giorno che li liberava alfine da si potenti
nemici! (3).
IV.
Di Giovanni Morroni, dopo l’infelice esito della congiura,
non trovo più cenno nei documenti reatini: e l'ultimo ri-
cordo che si abbia di lui-è in una bolla del 3 dicembre 1453,
da cui risulta bensì che Niccolò V gli affidò importanti in-
combenze nella Marca d' Ancona, ma non ch'egli era ancor
vivo (4). Invece si comincia a parlare più spesso di Battista
Morroni, il secondogenito, come dicemmo, di Francesco ed
Onorata. Il suo matrimonio con madonna Nicola Alfani non
(1) Rif. Cons. di Cred., 3 maggio 1454, c. 45.
(2) Rif., 18 luglio 1454, c. 10.
(3) Di essi non occorre più il nome nelle riformanze successive e neppure ne”
gli atti notarili : il che fa credere che mai più fossero riammessi e morissero in
esilio. è
(4) PIER LUIGI GALLETTI, Memorie di tre antiche chiese di Rieti etc. in Roma,
per Generoso Salomoni, MDCCLXV, pp. 194-196. Sebbene nella bolla, dell'Arch. Late-
ranese, della quale è dato il transunto, non sia ricordato il cognome, è evidente
trattarsi di Giovanni Morroni: ma in essa non é detto quando l'incombenza fu data.
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108 A. SACCHETTI SASSETTI
ebbe un esito felice; essi, non avendo figli, fecero divorzio (1),
molto probabilmente perchè lo stato coniugale impediva a
Battista di entrare nella Curia romana, dove gli zii Angelo
e Giovanni avean tenuti alti uffici. Nel 1457 lo troviamo già
scrittore apostolico (2) e nel 1460 segretario di Pio II. Ecco
adunque un altro Morroni al servizio dei Papi, mentre To-
masso alla corte dei Visconti e degli Sforza, per la sua grande
facondia ed abilità nel maneggio dei pubblici negozi, s'ac-
quistava ricchezze e nome chiarissimo. Sulla fine d'ottobre
del 1458, dopo essere stato a Roma (4 ottobre) per congra-
tularsi a nome del Duca di Milano con Enea Silvio Piccolo-
mini, esaltato al trono pontificio, e aver recitata un’ elegante
orazione in Napoli dinanzi al re Ferdinando (15 ottobre),
Tomasso Morroni, di ritorno, si recò a Rieti, per rivedere la
patria e baciare, forse per l’ultima volta, la madre. I suoi
concittadini, e per rispetto al Duca, e per le sue virtù e pei
benefici pubblici e privati fatti alla città, lo accolsero con
grandi feste ed onori, facendogli, come era gentil costumanza
pei più illustri ospiti, un presente di cera, confetture, biada
e cibarie (3). Due anni appresso, essendo caduta mortalmente
inferma madonna Onorata, Battista venne a trovarla, mu-
nito d'un breve commendatizio di Pio II presso il Magistrato
reatino (4). La madre, sebbene assai vecchia, superava la
malattia: e nel 1462, invece, moriva madonna Nicola Alfani
che nel suo testamento, tra i molti legati, non dimenticava
il suo antico marito (5).
(1) I! 2 marzo 1457, « Ven. et honesta mulier » Nicola di Andrea Alfani nomina
suoi procuratori « ven. virum decretorum doctorem ven. Amicum de Fossolanis de
Aquila et dnum Galassum Alovisii de Venetianis de Aquila » nella lite che ha « cum
ven. viro dno Baptista de Morronibus etc. occasione citationis ut asseritur cuiusdam
divortii matrimonii ». Arch. Not., rog. di Matteo di Ludovico di Antonio Todini.
(?) In un atto del 16 giugno 1457; Arch. Not., rog. di Pietro del fu ser Grimaldo
di ser Tomasso di mess. Francesco. ;
(3) Doc. VII.
(4) Doc. VIII.
(9) Arch. Capit., Arm.'V, fase. E, n. 5.
MYERS
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC. 109
Mentre adunque Tomasso e Battista, lungi dalla patria,
vivevano in mezzo al fasto e alla grandezza delle Corti, ma-
donna Onorata, nell’ antica casa deserta, passava malinconi-
camente gli ultimi anni della sua tarda vecchiezza, ammini-
strando il patrimonio dei figli (1), in compagnia d’una sua
giovane domestica, Rita di Pietro, alla quale, pei servigi
prestatile, maritandosi con un tal Domenichino di Angelo da
Turano, diede in dote 150 fiorini (2). Caduta gravemente ma-
lata la nobile donna, l’ultimo di febbraio del 1470, fece testa-
mento, in cui eleggeva d’esser sepolta nella chiesa di S. Do-
menico nella tomba paterna, lasciava le opportune dispo-
sizioni pei suoi funerali, faceva alcuni pii legati a varie
chiese di Rieti, eredi in parti eguali nominava i suoi figli
Tomasso e Battista e disponeva che, nel caso essi morissero
senza figli, alla chiesa di S. Domenico andassero 100 fiorini
e il resto si distribuisse ai poveri (3). Ella era ancor viva
(1) I1 1 gennaio 1445 « dna Honorata uxor olim egregii doctoris dni Francisci
ser Thome Morroni » nomina due suoi procuratori nella lite che ha con « Vannicello
Magnani » (Arch. Not., rog. di Pietro del fu ser Grimaldo di ser Tomasso di mes-
ser Francesco). In un « Liber focularium noviter factorum » del 1446, nel sestiere
di Porta Carceraria dentro trovasi segnata: « Dna Honorata dni Francisci de Mor-
ronibus » (Arch. Com. Carte disperse del sec. XV). Il 30 gennaio 1447 mad. Onorata,
procuratrice « dni Johannis de Morronibus » loca per 3 anni un orto, detto « l'ortu
de li iudey » e una casa contigua (Arch. Not., rog. di Nicola del fu Matteo de’ Cheru- .
bini). Il 4 ottobre 1449 nomina suo procuratore « ser Mannum Cole Santi » nella lite
con Giannantonio « Sandestri »; e il 3 marzo 1450 detto ser Manno, a nome di lei e
di Giov. Morroni loca « Ludovico Angeli Donati » una casa presso il Velino, e loca
anche un orto presso il Velino (ivi, rog. di Bartolomeo di ser Marco di Matteo di
Giovannuccio). Il 2 febbraio 1464 loca « Petro Jacobi Mariole » un pezzo d'orto, sito
nelle Porara per lire ravennati 9 1/9 l'anno (ivi, rog. di Feliciano di m.ro Domenico.
di m.ro Antonio de’ Nicolacci). L'8 gennaio 1465 Battista Morroni nomina suo pro-
curatore « ser Angelum Antonelli » e mad. Onorata, procuratrice di suo figlio To-
masso, subdelega detto ser Angelo nella lite che detto Tomasso ha con Antonio di
Giovanni di Francesco (ivi, rog. di Benedetto di ser Manno di Colasanto). Il 6 mag-
gio e il 25 agosto 1466 loca due pezzi di terra (ivi, rog. di Paolo di ser Manno di
Colasanto).
(2) Arch. Not., rog. di Angelo di Antonello di ser Angelo del 22 ottobre 1470.
(3) Arch. Not., rog. di Feliciano di m.ro Domenico di m.ro Antonio de' Nico-
lacci. « In omnibus autem aliis suis bonis etc. suos universales heredes instituit
dnum Thomam et dnum Baptistam dni Francisci de Murronibus eius filios etc pro
equali portione etc. ».
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110 : A. SACCHETTI SASSETTI
il 26 dicembre 1470, quando, confermando il resto, in un
codicillo al suo testamento, annullava alcuni precedenti le-
gati (1). Probabilmente subito dopo morì. Morto anche To-
masso (1476) nel modo infelice che sappiamo, Battista rimase
ancora alcun tempo a Roma: poi, verso il 1480, prese stanza
in Rieti, amministrando i suoi beni e occupandosi talvolta
anche della cosa pubblica (2). Se non che poco mancò che
per questo suo ritorno in patria, in un trambusto, non in:
contrasse la morte. Ricordiamo brevemente i fatti.
Già da qualche tempo s’ erano manifestati tra i cittadini
di Rieti gravi dissensi (3), i quali più crebbero, quando en-
trarono in carica i nuovi Priori pel mese di settembre 1483
(1) Arch. Not., rog. di Feliciano di m.ro Domenico di m.ro Antonio de’ Nico-
lacci.
(2) Il 6 febbraio 1458, « magister Julianus Faber de Interamne » procuratore di
B. M., scrittore apostolico, loca « Ciecho Antonii Christophori » da Morro alcuni
pezzi di terra di B. e di suo fratello, siti in Apuleggia, per 3 anni, in ragione di 4
quarte di grano e 6 di spelta all'anno (Arch. Not., rog. di Manno del fu Colasanto).
Il 18 gennaio 1465, B. Morroni nomina suo procuratore « ser Jacobum Andree » da
R. nella causa con Filippo etc. (ivi, rog. di Matteo di Ludovico di Antonio Todini).
Il 20 marzo 1474, per mezzo del suo procuratore « Dominicus Angeli de Turano »
loca un pezzo del Lago piccolo « Luce Vannis de Podio », per 5 anni a 10 libre di
pesce a Quaresima ogni anno (ivi, rog. di detto notaio). Il 2 aprile 1474, per detto
procuratore, per mano di notaro romano, loca « Annibali.Jacobi Amiche » una sua
casa, sita in Porta Cintia di sopra, « iuxta res de Alfanis ab uno, res m.ri Dominici
lombardi, plateam Comunis et alios fines » per 9 anni, a 9 fiorini l'anno (ivi, rog. di
detto notaro). Il 25 luglio 1475, « magister Julianus Faber et Dominicus Angeli » pro-
curatori « dni Baptiste de Murronibus:» locano « Francisco Macthei alias panac-.
chione » un pezzo di terra, per 3 anni a due fiorini l'anno: procura di notaio romano
(ivi,rog. di Feliciano di m.ro Domenico di m.ro Antonio de’ Nicolacci). Il 30 novembre
1480, B. Morroni, direttamente, loca « Francisco Juliani » da Poggio Fidoni un pezzo
di terra per 8 quarte di grano o spelta l'anno (ivi, rog. di Matteo di Ludovico di
Antonio Todini) Il 23 aprile 1481, loca per mezzo di procuratore (ivi, rog. di Gia-
como del fu Andrea di Antonello). Il 26 aprile 1482, ser Giacomo di Andrea, a nome
di Battista Morroni, da una parte e maestro Domenico di maestro Leone dall'altra si
accomodano circa la fabbrica fatta sopra una coscia della casa Morroni, sita nella
Piazza del Comune (ivi, rog. di Matteo di Ludovico di Antonio Todini). L' 11 settem-
bre 1483, B. Morroni compra un pezzo di terra prativa da « Margarita Mariani Antonii
Lucioli » per 59 fiorini tivi, rog. di detto notaio). Il 24 giugno 1480, Dnus Baptista
de Murronibus » per la prima volta trovasi registrato nel Consiglio generale. Rif.
ad ann.
(3) Il MICHAELI, op. cit., vol. III, p. 278, parla perfino di tentativi di novità e
minacce contro i magistrati ; ma io non trovo cenno di ciò nelle Rif.
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC. 111
che furono: Angelotto Angelotti, Gonfaloniere, Battista di
Antonello, Bartolomeo di Mariano di Raniero e Antonio di
Matteo di Stefano (1). Il 50 settembre, ultimo giorno del
Magistrato, scoppiò un aperto tumulto e un tal Mercoccio
ed altri suoi compagni, assalito il Palazzo priorale, investi-
rono il Gonfaloniere Angelotto Angelotti e lo precipitarono
dalla loggia nella sottostante piazza, dove ei mori (2). Ferirono
anche gravemente al cranio Battista Morroni, lo derubarono
e quindi gli omicidi e i complici occuparono il Palazzo, vi
si serrarono dentro armati e ai nuovi Priori del mese d' ot-
tobre dichiararono di non volerlo consegnare, se prima non
fossero stati garantiti nella vita e nei beni.
L'indomani, primo d'ottobre, i nuovi Priori e il Podestà
convocarono d'urgenza il Consiglio generale nella chiesa di
S. Domenico ed.ai cittadini sgomenti da tanta novità do-
mandarono il loro parere. Sorse primo a parlare Pier Sante
Severi, chiaro giureconsulto, e propose che contro tutti i rei
si facesse il processo e nello stesso giorno si cassasse: che
si mandasse a Roma un oratore, da designarsi dai rei e a
spese del Comune, con favorevoli istruzioni per ottenere dal
Papa la conferma della remissione, e che infine tutti i cit-
tadini presenti giurassero di farla mantenere e rispettare, e
di coadiuvare i Priori e il Podestà, che esercitava le veci
di Salvato de’ Jorii da Todi luogotenente del Governatore.
Tutto questo ei proponeva per amore di pace ed anche per
evitare che i rei, disperando della grazia, sonassero la cam-
pana di Palazzo, cagionando mali maggiori. Bartolomeo Ca-
selli, Marco Cappelletti, Pier Sante Nardi, Domenico del
(1) I nomi dei Priori, dati dal MICHAELI, op. cit., sono errati ; vi si mette anche
il Morroni che Priore non era. s
(2) Nella lista dei XXXVI cittadini della nuova Credenza, creata per un anno
a cominciare dal primo settembre 1483, accanto al nome cassato di Angelotto An-
gelotti leggesi questa nota: Ultimo die Septembris magistratus sui de meniano
palatii precipitatus, interiit, inde eassus. Rif. ad ann., c. 124t. E accanto al nome
di Bartolomeo di Mariano di Gianni di Raniero, che fu Priore con l Angelotti, è
scritto: 20, 710, 0o. Vedremo più tardi il perché di questa nota.
142 A. SACCHETTI SASSETTI
i Tento e Nofrio di Ser Filippo parlarono tutti nello stesso
ll | |t : senso e centoquarantotto cittadini, ivi presenti, giurarono di
| D osservare quanto il Severi proponeva. Se non che i nuovi
| i il i — Priori ricusavano di entrare e dimorare nel Palazzo per ti-
| more d'essere accusati dai Superiori d'intelligenza coi rei e
TENET di trovarsi soli ed inermi in mezzo ad uomini sospetti ed
d | armati: sarebbero entrati in carica sol che fossero garantiti
da ogni danno. Allora ventisette de' principali cittadini, tra |
| i quali Alessandro Poiani, Angelo di Girolamo Nobili e Bar-
D: x tolomeo Caselli, promisero ai nuovi Priori sicurezza e im-
| munità da ogni danno che lor potesse venire pel fatto che
i rei rimanevano dentro il Palazzo; e che in questo mezzo
|| i | | non farebbero alcuna novità dannosa al Comune, sotto pena È
E di 500 ducati da applicarsi all’ Apostolica Camera Reatina.
| Inoltre i Priori, per ovviar trambusti, vollero che il reggi-
ll BH mento di credenza rimanesse in Palazzo, ad ogni loro ri-
Wirt | chiesta, stabilmente (1).
ERE Quale sia stato il motivo di questo omicidio, Michele
JUR Michaeli, storico reatino, non dice né si cura di ricercare,
| ma appare abbastanza chiaro, quando si conosca chi fosse
Angelotto Angelotti. Nato a Leonessa negli Abruzzi (2) e ad-
dottoratosi in giurisprudenza, lo troviamo al seguito di Ga-
leotto Agnese, Governatore e Podestà di Rieti, in qualità di
collaterale e giudice delle cause civili e straordinarie (3).
VOTO
ì i Ritiratosi più tardi a vita privata, prese stanza a Rieti, ove
Î i ottenne la cittadinanza e si diede ad esercitare l'avvocatura,
Il | in cui era assai reputato per la sua grande cultura nel
I: giure (4). Il Comune non mancò di ricorrere a lui in ardui
'MEI lá LL
Wu (1) Rif. ad amn., cc. 135-137.
| (2) Il COLARIETI, op cit., pp. 40-42, lo erede reatino.
| RAT (3) Galeotto Agnese tenne l'ufficio di Gov. e Pod. dal 1°‘ottobre 1450 al 30 aprile
AHI 1454.
| il | . (4) Molti sono i documenti dell'Arch. Not. su Angelotto Angelotti. Per amore
| Tb di brevità ricorderò soltanto che il 27 maggio 1474 Angelotto, Mariano e Giovanni
IB Angelotti fecero pace con un certo Mattiuccio da Leonessa, uccisore di Antonio loro
padre (Arch. Not., rog. di Giovanni Angelotti). — Angelotto ebbe parecchi figli da
Et,
(ES TOSTI
onset
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC. 113
negozi ed, essendo stati carcerati in Castel S. Angelo, il 2
giugno 1482, da Sisto IV i cardinali Giovanni Colonna, ve-
scovo di Rieti, e Gio: Battista Savelli, protettore della città,
mandò nell ottobre di quell’anno 1’ Angelotti insieme con al-
tri oratori a supplicare, sebbene invano, il Papa in favore
dei carcerati, fidando forse nella forza della sua parola, che
ebbe efficacissima (1). Ma sopratutto è da ricordarsi e lodarsi
Angelotto Angelotti per le sapienti riforme da lui, Gonfalo-.
niere, fatte introdurre il 6 ottobre 1482 nello Statuto reatino..
Per esse si decretò, tra l’altro, che non si potesse più in
avvenire redimere per denaro la condanna del capo; che si
proibisse il giuoco e frenasse il lusso delle donne; e si pu-
nissero con doppia pena le ingiurie fatte ai Magistrati (2).
Non più tardi d'un anno, egli stesso doveva cadere vittima
di quest'ultimo delitto pel suo amore alla giustizia e proprio
per lui si doveva violare lo Statuto da quel Pier Sante Se-
veri che, con altri giureconsulti, aveva atteso alle riforme.
Presto si venne alla pace tra Battista Morroni e il suo
feritore Mercoccio: procuratori di quello furono don Leo-
nardo Fratta da Spoleto, dottor dei decreti e vicario del ve-
scovo reatino, e padre Paolo de’ Cerrosi da Viterbo, dell'or-
dine de' minori e guardiano del convento di S. Antonio del
Monte presso Rieti; procuratori di questo e de’ complici fu-
rono i giurisperiti dottori Pier Sante Severi e Bartolomeo
Caselli: e tutti, innanzi al Governatore reatino, promisero di
far la pace e di mantenerla sotto pena di 500 ducati d'oro
da applicarsi per metà alla Camera Apostolica del Papa e
per l'altra metà alla parte osservante, a patto espresso che
nel termine di tre mesi da Mercoccio e compagni si resti-
. tuissero al Morroni le cose rubategli nel ferimento (3).
"una certa Sebastiana che il 21 giugno 1506 fece testamento (Ivi, rog. di Francesco
di ser Giacomo). La famiglia Angelotti, resasi illustre nelle armi e nelle lettere, si
spense sul principio del sec. XIX.
(1) MICHAELI, op. cit., vol. III, p. 277, nota 2; OOLARIETI, Op. cit., p. 40.
(2) Statuto, ms. in pergamena del sec. XV.
(3) Nelle Rif., in data 16 ottobre 1483, a cc. 143 t.-144, trovasi l'Iistrumentwum pacis.
8
Seed etl lo siti dvi ii
114 A. SACCHETTI SASSETTI
Non ostante le solenni promesse fatte ai rei il 1° d'ot-
tobre, era trascorsa la metà del mese ed essi nulla ancora
sapevano della loro sorte: onde la città viveva sospetta e
lun cittadino temeva dell'altro. Allora si pensó di venire a
una pacificazione generale, di dimenticare le passate offese,
di aiutare i rei secondo la promessa fatta: e si nominarono
tredici conestabili, uomini gravi di vita ed età, che ad ogni
occorrenza ed ordine de’ Superiori, coi loro seguaci, doves-
sero accorrere, sotto pene di 100 ducati (1). Simone Fratta,
oratore del Comune, s'era subito recato in Roma per otte-
nere dal Camerlengo che fosse mandata in esecuzione la
promessa fatta in favore dei rei (2); ma, essendo tornato
senza nulla concludere, si mandò in sua vece, il 6 novem-
bre, Ser Fabrizio Muzi, cancelliere priorale (3). Intanto, sol-
lecitato con più lettere dal Comune, che viveva in continue
angustie e timori, il 17 novembre veniva il nuovo Governa-
tore, Gio: Andrea, vescovo di Modena; il quale, recatosi al-
cuni giorni dopo nel Consiglio di credenza, senti raccoman-
darsi con vive istanze da Alessandro Poiani ed altri autore-
voli cittadini il perdono dei rei. Il Governatore rispose es-
sere dispostissimo a pregare il Papa, a patto che al Morroni
fossero restituiti i denari tolti (4). Le pratiche, ripartito il
Governatore per Terni, durarono ancora a lungo (5); e un
breve di Sisto IV, in data 10 febbraio 1484, annullava quel
capitolo dello Statuto reatino che mandava impuniti i delitti
commessi in tempo di pubblici tumulti, anzi ordinava che
cadessero nel doppio della pena e si dichiarassero nemici di
Santa Romana Chiesa coloro che, senza licenza del Gover-
natore, sonassero all'armi la campana di Palazzo (6). I rei
(1) Rif., 19 e 20 ottobre 1483, cc. 145 t.-147 e 148 t.-149.
(2) Rif., Cons, di Cred. 28 ottobre 1483, c. 152.
(3) Rif., ad ann., c. 155.
(4) Rif., 17 novembre 1483, c. 160t. e Cons. di Cred. 24 novembre 1483, cc. 164-165.
(5) Rif., Cons. di Cred., 10 dicembre 1483, cc. 167 t.-168.
(6) Rif., ad ann., c. 9. Il breve fu anche trascritto nell'ultima pagina dello Sta-
tuto reatino: ms. citato.
ENTIRE
115
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC.
poi dell’ uccisione e ferimento furono banditi per ordine del
Papa e si comminò la pena della confisca dei beni contro
coloro della città e contado che osassero ricettarli (1). Nuovo
tumulto contro la Curia del Podestà fecero gli esuli: si pre-
sentarono minacciosi al Borgo, dichiarando di voler essere
trattati come alcuni altri omicidi che, riparatisi dopo il de-
litto nel campanile di S. Agostino, erano stati graziati (2).
Finalmente, per intercessione del Governatore e del card.
Giovanni Colonna, si venne a un componimento soddisfacente
e sulla fine del 1484 si stabili dal Papa che Mercoccio e i
compagni, purchè avessero fatta pace col Morroni e resti-
tuitogli il suo, potessero tornare, eccetto che Mercoccio,
ch'era stato il feritore, stesse ancora due mesi fuori. Quanto - »l
poi agli uccisori di Angelotto, fatta la pace coi parenti più
stretti, stessero al bando per sei mesi fuori del territorio
reatino; e Bartolomeo di Mariano, che meglio s' era portato,
potesse tornare liberamente. « Confortateli, così finiva la
lettera del card. Colonna al Comune, confortateli ad vivere
civilmente, acciocchè per le colpe nove non si ricordino le
vecchie (3) ».
Il nuovo Governatore, venendo a Rieti, aveva preso
stanza al vescovado; ma, quando seppe che presto sarebbe
tornato alla sua .sede il vescovo Giovanni Colonna, liberato
dal carcere, chiese al Magistrato una casa, dove potesse stare
Seed dla dti oi ao
comodamente, a petizione del Comune e non di privata per-
sona. Si pensó sulle prime di prendere per lui in locazione
la casa di S. Matteo, di proprietà dell' abate di S. Pastore (4);
(1) Rif, 24 aprile 1434, c. 27 t.
(2) Rif., 26 aprile 1484, cc. 28-29 e 20 maggio 1484, c. 49. Intorno a quest’ultimo
delitto vedi: ANGELO SAccHETTI SASSETTI, Le scuole pubbliche in Rieti dal XIV al
XIX secolo, Rieti, S. Trinchi, 1902, pp. 28-31.
(3) MICHAELI, op. cit, vol. III, pp. 280 e 366 307. — Il Bartolomeo di Mariano
suddetto é lo stesso « Bartolonreus Mariani Jannis Ranerii », Priore insieme con
l’Angelotti, accanto al cui nome il cancelliere scrisse: 20, 70, ?0. Di qui s'argo-
menta che egli prendesse parte alla ribellione del 30 sett. 1483. Il MICHAELI, Op. cit.,
non parla di ciò, anzi fa una strana confusione di nomi.
(4) Rif. Cons. di Cred., 24 novembre 1483, ce. 164-165.
116 : A. SACCHETTI SASSETTI
ma poi si conobbe che, per incutere terrore ai malvagi e ai
desiderosi di novità, era opportuno che la curia del Gover-
natore, del Podestà e dei Priori stesse sulla medesima piazza,
ov'era il Palazzo priorale. Allora si decretó di comprare per
residenza del Podestà due case contigue al Palazzo priorale;
l'una d'un certo maestro Domenico, muratore lombardo, e
l'altra di Battista Morroni; di locare agli osti l'antico pa-
lazzo del Podestà nella. piazza del Leone: e a trattare que-
sta compra furono deputati Ser Giacomo di Antonello per
la casa del Morroni e Paolo Sancrocchi per quella di mae-
stro Domenico (1). Se non che il Podestà rimase nell’ antica
residenza e pel Governatore prese subito il Comune a fab-
bricare nella parte superiore della casa del Morroni. Si scrisse
poi a quest'ultimo e si mandò come oratore il deputato alla
fabbrica, a fine di persuaderlo a vendere al Comune la casa:
ma il Morroni tenne duro e rispose per mezzo dell oratore
di non voler vendere la casa sua ai suoi nemici ed anzi ri-
chiedeva i cento ducati dovutigli per la parte superiore di
essa, dove si stavano fabbricando le stanze del Governatore.
Il Comune, scandalizzato di questa ripulsa, poichè gli ante-
nati del Morroni, un di banditi dalla città, avean distrutti
quattro castelli del contado reatino, Butri, Apuleggia, Coco- .
ione e le Rocchette, ed egli, loro erede, non aveva mai data
aleuna soddisfazione al Comune, prese la deliberazione di ri-
chiedere al Morroni l'interesse pei quattro castelli rovinati
e frattanto di prender possesso della sua casa, fino alla con-
clusione della vertenza. Di tutto. ciò si desse notizia al
Papa (2).
Il Morroni, con lettera del 30 marzo 1484, da Cittadu-
cale, protestó energicamente contro quest'atto del Comune,
dicendosi ingiustamente danneggiato e reclamando almeno il
prezzo della parte superiore della casa, pel quale si rimet-
) Doc. IX. — Vedi anche Rif. Cons. di Cred., 25 ottobre 1483, c. 151 t.
(1
(2) Doc. X;
—
CUTE ion sent
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC. 111
teva al giudizio del Governatore (1). Certo é per altro che
la questione non ebbe séguito e la casa fu incorporata al
Palazzo priorale, in modo da formarne l'ala occidentale (2).
E qui si potrebbe domandare: È questa la casa dove nacque
Tomasso Morroni, il letterato? No certamente, io rispondo:
ché sempre la famiglia Morroni abitò in Porta Carceraria
dentro, mentre questa casa, contigua al Palazzo priorale, si
trovava in Porta Cintia di sopra. D'altra parte é certo che
i Morroni possedettero fin da tempi antichi una casa sulla
Piazza: onde si deve concludere che essi ebbero parecchie
case e che quella ove nacque Tomasso si trovava si sulla
Piazza, ma dal lato orientale, dove appunto cominciava. il
sestiere di Porta Carceraria dentro (3).
Di Battista Morroni, ne' documenti reatini, non si hanno
più notizie dopo il 1488 e molto probabilmente non mori in
Rieti (4). Trovo invece che nel settembre del 1491 mori in
Rieti un tal Cristoforo di Tomasso Morroni, che una sola
volta, nel 1440, é ricordato nelle riformanze (5). Chi era co-
stui? Non figlio di Tomasso, il letterato, perché non si può
credere che questi, nato nel 1408, sebbene s'ammogliasse
giovanissimo, avesse un figlio per lo meno ventenne nel 1440
(1) Doc. XI.
(2) Più precisamente questa casa di B. Morroni e quella di m. Domenico si al-
zavano a sinistra della scala dell’ odierno Palazzo comunale, sopra le due botteghe
dei sigg. Poggi e Rosa. Ora sarebbe impossibile distinguerle, dopo tanti cambia-
menti, anche dal lato nord-del Palazzo, che meglio conserva l'antica struttura.
(3) In un istrumento del 24 agosto 1410 è detto: « Actum in platea statue s. in
toccho domus heredum Ser Thome Morroni ». Arch. Not., rog. di Giovanni di ser
Antonio Carilli. Dunque la casa avita di Tomasso Morroni trovavasi dove oggi é il
lato occidentale del palazzo Capelletti.
(4) II 1° novembre 1488 « Magister Jacobus Baptiste et Christophorus Petri Van-
nicelli », procuratori delle pinzoche di S. Chiara, quietano Timideo di m.ro Apollo-
nio di ciò che deve avere per la locazione fatta da B. Morroni « manu Ser Francisci
de Jaconellis », Arch. Not., rog. di Feliciano di m.ro Domenico di m.ro Antonio de'
Nicolacci.
(5) Sotto il titolo: Cera vecepta de non sepultis, trovo notato: « de mense Se-
ptembris. Recepi de morte Cristofori Thome Morroni unum cereum ponderis libr. 1,
on. 3 ». Arch. Cap. Camerlengato del 1491, — Il 24 febbraio 1440 « D.nus Christoforus
de Morronibus » fu uno dei 12 cittadini di Rieti eletti a Inettersi d'aecordo con
Francesco Savelli circa le promesse fattegli. Rif., «d ann., c. 9.
118 A. SACCHETTI SASSETTI
e, se legittimó la figlia naturale Brigida, vuol dire che era
privo di eredi: altra famiglia Morroni in Rieti non s'ebbe:
quindi non ci resta che vedere in Cristoforo un figlio, legit-
timo o illegittimo non so, del notaio Tomasso, morto certa-
mente centenario, se il padre mori circa il 1390. A ogni
modo é strano che il nome di Cristoforo si trovi menzionato
queste sole due volte e forse soltanto nuovi documenti degli
archivi non reatini potranno risolvere il quesito. Cosi si spe-
gneva la famiglia Morroni, illustrata non pure da Tomasso,
ma anche da Angelo, Giovanni e Battista; famiglia che sorta
da umili principii, appena nel volger d'un secolo, sali ai
piü alti gradi sociali, come spesso avvenne nel meraviglioso
Quattrocento (1).
A. SACCHETTI SASSETTI.
(1) In un catasto membranaceo e frammentario iz folio della fine dol sec. XV,
esistente nell'Arch. Com., trovansi indicati sotto il titolo: Heredes d.ni Thome de
Morronibus i beni rustici posseduti da questa famiglia. In fine dell’elenco leggesi:
Summa. l'ibbrarum Mille centum quatraginta duarum, sol. duodecim. — Gli stessi
Heredes d.ni Tome de Morronibus sono segnati per libre 690 in una nota di malpa-
ghe, del 1501, della dativa imposta dal Comune, per pagare Alessandro VI, in ra-
gione di 8 carlini a capo e di 11 a foco (Arch. Com. Diversorum è 1484 ad 1510). È
questa l'ultima notizia da me trovata sui Morroni negli Archivi reatini. Infine no-
terò che ROMUALDO PEROTTI DE' CAVALLI nella sua Genealogia
i fere omnium familiarum huius Civitatis Reatis (Bibl. Com.,
ms. del sec. XVII) pone fra le estinte la famiglia Morroni e la
um ni fa fiorire dal 1300 al 1490, come il DE LINDA, op. cit. Lo stesso
D MIT erudito reatino, che disegnò le Arme o Tessere Gentilitie di
molte Famiglie Reatine (Bibl. Com., ms. del 1679), ci conservò
\ > l'arma della famiglia Morroni e così la disegna e descrive:
Sbarra rossa, lune turchine, campo bianco. In luogo poi della
genealogia della famiglia Morroni, dataci dal GaBOoTTO, loc.
cit., si ha quest’ altra, secondo i documenti reatini.
Tomassone
Morrone
Tomasso
| : cul
Angelo Francesco Giovanni Cristoforo
sposa Onorata Petroni
|
Tomasso Battista
E sposa Nicola Alfani
Brigida
sposa 1» Alessandro di Rudiano
» 2° Cristoforo da Montegambaro.
Rt
e
/————
IX GATENESP
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC. 119
DOCUMENTI
I. — 1407, novembre 25.
Capitoli nuziali tra Francesco Morroni e Onorata Petroni.
In nomine d.ni amen. Anno d.ni millesimo quadrignentesimo sep-
timo, Ind. XV, tempore d.ni Gregorii pape XII, mense novembris, die
XXV. Impresentia mei notarii et horum testium efc. silicet Ser An-
tonii Ser Mactei Pauli Tatoni, Ser Jannis Nalli, Ser Micchaelis Ser
Thomei et Andree Cicchi Cole de Reate testium ete. Nobilis vir Jan-
nes Antonius Nuctii Petroni civis Reatinus sponte per se etc. dedit efc.
egregio et nobili legum doctori d.no Francisco Ser Thome Morroni de
Scionis de Reate efc. pro dote et dotis nomine nobilis et honeste d.ne
d.ne Honorate filie dicti Jannis Antonii et future uxoris in Dei nomine
dieti d.ni Francisci, idest unam iuntam terre clusate de uno petio terre
clusate ipsius Jannis Antonii efc. et residuum dieti petii cluse efc. eidem
d.no Francisco efc. dedit pro restitutione totius dotis que olim fuit quon-
dam d.ne Tarsie uxoris quondam dicti Jannis Antonii et matris dicte
d.ne Honorate efc., cum introytibus et exitibus etc. Hoe tamen pacto etc.,
quod si contingat dietum Jannem Antonium decedere intestatum sine
filiis masculis efc., quod Honorata succedat et succedere debeat simul
et una cum aliis filiabus dieti Jannis Antonii in bonis et hereditate
suis etc. Insuper dietus d.nus Franciscus promisit efc. quod si contingat
dietam dotem restitui debere de iure mortis efc. quod absit, ipsam do-
tem eidem Janni Antonio efc., reddere et restituere ete. Que quidem
omnia efc. Actum Reate in Ecclesia Saneti Rufi.
[Arch. Not., rog. di Giovanni di Ser Antonio Carilli].
II. — 1450, maggio 18.
Niccolò V ordina al Governatore di Rieti, Gentile de’ Monaldeschi da
Orvieto, di procedere contro alcuni faziosi e di rivedere i conti della
Camera degli ultimi otto anni.
Dilecto filio Gentili de Monaldensibus Civitatis nostri Reatine Gu-
bernatori.
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120 A. SACCHETTI SASSETTI
Nicolaus papa V.
Dilecte fili, salutem et apostolicam beneditionem. Intellectis omnibus
per te tua nobis per dilectum filium Galeoctum, Auditorem tuum, ex-
positis, volumus ut pro bono illius Civitatis regimine contra omnes et
singulos delinquentes et qui merito plectendi sunt, iustitiam facias,
mitius tamen ac humanius quam fieri potuerit, ne conditio facti ih de-
terius labatur; et si inter eos presbiterum ullum aut clericum fuisse
compereris conscium et participem tibi vel cui comiseris examinandi
etiam cum questionibus si oportuerit ac puniendi plenam concedimus
facultatem, in contrarium non obstantibus quibuscunque. Ceterum quia
percepimus in Civitate illa introytus Camere Apostolice et Comunis
nonnullorum defectu fuisse iam diu inutiliter ministratos in grave to-
tius populi detrimentum ac displicentiam, tibi dictorum introytuum re-
visionem et calculum, per quoscunque fuerint ab annis oeto citra per-
cepti et expositi, commictimus per presentes. Tandem prout compereris,
nos advises ut inde, prout nobis visum fuerit, possimus providere.
Datum Rome apud Sanctum Petrum sub anulo piscatoris die XVIII
Maij, MCCCCL, pontifieatus nostri anno quarto.
: P. Lunensis.
[Arch. Com. Carte disperse del sec. yj.
III. — 1450, giugno 30.
Risposta di Niccoló V ai reatini a proposito dei faziosi carcerati.
Dilectis filiis Prioribus et Comuni Civitatis nostre Reatine.
Nieolaus papa V.
Dilecti filii, salutem et apostolieam beneditionem. Audivimus Ora-
tores vestros super his que nobis parte vestra exposuerunt, eisque re-
sponsum dedimus, dabitisque itaque sibi plenam eredentie fidem. Cum
autem in loco firmiori nos esse contigerit, ad reliqua providere cura-
bimus. Et quia pacis et quietis vestre zelatores sumus, operam nostram
impendemus ut cuncta per vos petita votive dirigantur et fiant. Datum
ex Arce Spolitana sub anulo piscatoris die ultimo Junij MCCCCL, Pont.
nostri anno quarto. !
P. Lunensis.
[Arch. Capitolare, Arm. IV, fasc. A, n. 8].
EnEYCUR OUT
|
III
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC.
IV. — 1453, luglio 31.
Il Governatore di Città di Castello raccomanda ai Priori reatini Antonio
ivi confinato.
Magnifieis viris Prioribus Reatinis tanquam patribus honorandis.
Magnifici viri tanquam patres honorandi. — Commendatione. —
Altra volta ho seripto a le Magnificentie Vostre della honesta et vir-
tuosa vita de Antonio vostro citadino confinato qui, per la quale cosa
me è debito de recommandarvello, et così strectamente prego le M. V.
li piaccia haverlo per recommandato. So sempre a li piaceri delle M.
V. Ex Civitate Castelli, ultimo Julij 1453.
Vester Nicolaus de Crap, prothonotarius
Civit. Castelli Gubernator.
[Rif. ad ann., c. 10].
V. — 1453, agosto 14.
Niccolò V raccomanda ai reatini don Cristoforo e Antonio de’ Valentini
E e Giacomo di Vagliadosso da Rieti, confinati.
IE
IE Dileetis filiis Gubernatori, Prioribus et Comuni Civitatis nostre
li Reatine.
i Nicolaus papa V.
Dilecti filii, salutem et apostolicam beneditionem. Tantum apud
nos haetenus valuerunt seditiosorum quorundam hominum suggestio-
nes, quod dilectos filios. Cristoforum decretorum .doctorem, Antonium
de Valentinis et Jacobum Valliadossi cives Reatinos ad conflnia poni
passi sumus et in eisdem longo tempore morari toleravimus. Verum
quia nuper, eorum seditiosorum fraude et iniquitate detecta, comperi-
mus ad id eam tantum ob causam motos, ut nullum haberent, qui eo-
rum perversis conatibus contrairet, sed liberius circa rapinas et alia
inhonesta publice et privatim versari possent; volumus et presentium
tenore vobis stricte precipimus et mandamus sub pena nostre indigna-
tionis, quatenus eosdem Cristoforum, Antonium et Jacobum in civitate
| nostra Reatina libere et grate suscipiatis et singula eorum iura, hono-
| res et bona restituatis, quas ex nunc nos etiam presentium tenore re-
| stituimus et reintegramus, non obstantibus quibuscunque in contrarium
i facientibus. Datum Rome apud Sanetam Mariam Maiorem, die XIIII
} Augusti MOCCCLIII. Pont. nostri anno septimo.
1 Pe. de Noxeto.
[Rif. ad ann., c. 20].
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122 A. SACCHETTI SASSETTI
VI. — 1454, maggio 16.
I Priori reatini si dolgono col Comune dell’ Aquila di non poter far nulla
in favore di Pietro Paolo Jaconelli, bandito dalla città.
Magnifici et potentes d.ni fratres nostri honorandi, salutem. Nui
comprehendemo per continentia dela lettera dele V. M. S. havete pi-
gliato recrescimento et anche desdigno del secundo banno dato contra
de Pietropaulo de Nofrio, nostro citadino. El perchè ce pregate vogliamo
fare tollere et corregere tali cose. Unde ce pare le S. V. non sieno in-
formate de quanto noi possiamo fare sopra de ciò. El banni dati contra
de Pietropaulo sonno proceduti, perchè lui ha facto contra li officiali
et stato de N. S. et quieto et pacifico vivere de questa Cità. Sapete,
simo subditi ala Santità de N. S. et ad la sua voluntà non ‘potemo
contradire. Potete esser certissimi che ad noi et ad tucti nostri citadini
è grande recrescimento, quando alcuno citadino commecte cosa, per la
quale li ne sequita pena o mancamento alcuno. El banno primo et
condemnatione de Pietropaulo fe’ dare el nostro Mag.co Governatore
passato et confiscare li suo beni a la camera apostolica. Da poi ad
quisti dì passati la Santità de N. S. ha mandato qui uno suo Commis-
sario, procuratore fiscale, el quale un’altra volta ha pronunciata et
promulgata per autorità apostolica la condemnatione et banno d'esso
Pietropaulo et de suo compagni in quelle medesime pene come da prima
et fattili bannire de nuovo, non solo da questa Cità et suo destricto,
ma da tucte le terre de saneta chiesia tanto immediate quanto che me-
diate subiecte et pigliare per la camera apostoliea li loro beni, quan-
tunque pochi sieno. Stimamo l’agia facto per affligere più li predicti,
et per freno dell'altri che non ardiscano mai senza questo exemplo
turbare el pacifico stato de santa chiesia et de questa Cità et fare con-
tra li suoi officiali. Iudichino adunque le S. V. come noi possiamo ob-
Stare ad queste cose et quanto sia conveniente voi le degiate repre-
hendere et reputare ad iniuria. Devete pure stimare per lo fraterno
amore naturale è tra noi che la iniuria vostra et nostra et non manco
ad noi molesta. Pregamo adunqua caramente vogliate tollerare cum
patientia quello che noi non potemo nè devemo reprehendere nè cor-
regere, et ancora considerare Pietropaulo essere stata cascione de fare
mal capitare lui et misso in periculo lo stato et la patria nostra. Bi-
sogna adunque stare patienti ala voluntà de nostri superiori, et le V.
M. S. ce degono avere per exeusati. Vorramo volentieri che lui fosse
stato contento al luoco suo et non havesse guasto sè et altri, et del
suo recrescimento. havemo dispiacere, poichè ale S. V. ancor despiace,
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LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC.
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ale quali piaccia de questa cosa che è per noi inretractabile non re-
scrivercie quello che comprendemo non se serive senza passione et noi
non potemo senza recrescimento intendere, perchè non cie pare sia de-
gna cosa che lo errore de Pietropaulo degia havere ad seminare in la
vostra Mag.ca Comunità et questa alcuna cosa contra l'antiquata et
experimentata vicissemente fra noi benivolentia. Reate XVI Maij 1454.
[Rif. ad ann., e. 46].
VII. — 1458, ottobre 23.
Il Comune di Rieti delibera di fare un presente al cav. Tomasso Morroni
nel suo ritorno in patria.
Die XXIII Octobris [1458]. Antedicti mag.ci d.ni priores et duode-
cim convenientes in unum in Camera Audientie palatii d.norum prio- |
rum cum esset eis relatum. fore hue venturum de proximo preclarissi-
mum virum et magnificum Militem d.num Thomam de Morronibus de
Reate, oratorem Illustrissimi ducis Mediolani et conveniens censeatur
et dignum eum recipi cum honore a Comunitate, que suo nomine glo-
riam obtinet in orbe, et a nonnullis civibus eis dictum fuerit quod fiat
ili honor per Comunitatem tum prestantia suarum virtutum, tum re-
spectu prefati Illustrissimi ducis, tum etiam memoria beneficiorum ab
ipso huie Comunitati impensorum publice et privatim et que potest ex-
hibere in futurum etc. deliberaverunt ideo et ordinaverunt comuniter
et concorditer quod prefato d.no Thome in suo huc adventu per hanc
Comunitatem fiat honor et ensenium hoc modo, videlicet quod donen-
tur duo cerei honorabiles et tres libre facularum cere, duo seatule con-
fectionum, due salme bladi et sex paria caponum.
[Rif. ad ann., c. 187 t.].
VIII. — 1460, gennaio 1.
Pio II raccomanda al Governatore e ai Priori di Rieti Battista Morroni
che torna in patria a rivedere la madre malata. á |
Dileetis filiis Gubernatori et Prioribus Civitatis. nostre Reatine.
Pius papa II.
Dilecte fili, salutem et apostolicam beneditionem. — Cum dileetum
flium Baptistam de Morronibus, Secretarium et Familiarem nostrum,
C uM + None
194 A. SACCHETTI SASSETTI'
vestrum Reatinum Civem fide et devotione in nos et apostolicam sedem
alisque virtutibus preditum esse noverimus, erga vero vos et ipsam
Communitatem semper se innocentissimum prestitisse nulloque vestro
decreto unquam fuisse quomodolibet condemnatum fidedignorum te-
stimonio acceperimus ; idcirco volumus et huius serie devotionibus ve-
stris expresse mandamus quatenus eundem ad visendam matrem in
mortis artieulo constitutam in suam istuc patriam redeuntem tanquam
dileetissimum nobis, innocentem ac indemnatum Civem et pium filium
benigno vultu et animo suscipiatis atque immorari in eadem patria
et inde regredi libere permittatis, non obstantibus quibuscunque. In qua
re obsequium quo promptius ac liberius impenderitis nobis, eo nobis
gratius futurum existimetis. Datum Rome sub anulo piscatoris MCCCCLX
Kal. Ianuarij; Pontifieatus nostri anno tertio.
G. de Piccolomin.
[Arch. Capitol., Arm. IV, fase. A, n. 4].
IX. — 1484, febbraio 9.
Il Comune di Rieti delibera di comprare le case di Battista Morroni e
di maestro Domenico per residenza del Podestà.
Quum videatur R.mo D. Gub. et D.nis Prioribus, quod curia dicti
R.mi D. Gubernatoris, d.norum Priorum et d.ni Potestatis civit. Rheat.
deberet stare et esse in platea, ubi est palatium d.norum priorum: et
quod propterea videretur eis quod acciperetur una domus ad pensio-
nem in dicta platea pro d.no potestate etc. ad hoc ut omnes sint in
eadem platea ad maiorem terrorem delinquere volentium.
D.nus Alexandrer Poianus unus ete. super prima proposita de Cu-
riis R.mi d.ni Gub., d. pr. et d. potestatis dixit, quod videretur sibi
quod debeant emi per comunitatem domus olim magistri Dominici et
d.ni Baptiste de Murronibus et quod emantur de pecuniis solvendis pro
malefitiis tam factis quam fiendis cum termino quatuor annorum vel
quinque, prout melius potuerit fieri. In quibus domibus debeat stare
d.nus potestas. Et quod isto interim d. potestas debeat stare in domo
Caruli ad pensionem, et palatium in quo nunc moratur d.nus potestas
locetur hospitibus pro eo pretio quod solvetur pro pensione domus di-
eti Caruli vel pluri et nullo pacto locetur pro minori pretio. Et sic fuit
conclusum. quod ad tractandum dietas domos emendas sit ser Jacobus
Antonijli, vid: domum D. Baptiste et Paulus Sanerocchi domum olim
magistri Dominici.
[Rif. ad ann., ce. 6 t.-1].
LA FAMIGLIA DI TOMASSO MORRONI, ECC:
X. — 1484, marzo 22.
Non volendo Battista Morroni vendere la casa al Comune di Rieti, que-
sto delibera di prenderne possesso in compenso dei danni arrecati al
suo contado dagli antenati di lui.
Quum fuerit alias tractatum utile futurum et ad pacem civitatis
concessurum edificare habitationem competentem pro R.mo D. Gub. in
platea iuxta palatium mm. dd. pp. et pluries ac pluries bonis et legiti-
mis persuasionibus fuerit requisitus d. Baptista de Murronibus, ut velit
complacere comunitati sua contigua domo dicto palatio sita in dicto
loco et pluries ac pluries per litteras rogatus ac etiam pro matura ma-
gis expeditione fuerit missus orator egregius ser Jacobus Antonijlli,
qui demum retulit nolle se vendere domum suam, quam inimici sui.
sint habitaturi, immo etiam ipse d. Baptista repetiit ab oratore, ut su-
pra misso, quod comunitas debeat ei solvere ducatos 100, quos habere
debet de ea domo, que modo edificatur ad usum R.mi D. Gubernatoris,
quos nunquam habuit contra omne iuris debitum: et quum hoc sit
quod comunitas estimet nullum tetrius monstrum inveniri homine in-
grato et non cognoscente benefitia et supportationem suorum errorum,
prout intelligitur et fuit quod maiores prefati d. Baptiste, alias stantes
extra civitatem Rheatinam, diruerunt quatuor castra, vid: Butrum, A-
puleiam, Cocoionum et Rocchettas, et ipse heres maiorum suorum
nullam unquam comunitati Rheatine fecerit satisfactionem : proponitur
utrum videretur honestum et utile quod dictus d. Baptista, tanquam
. heres suorum maiorum, compellatur ad satisfaciendum interesse di-
etorum castrorum, quum non recognoscit benignitatem usatam per co-
munitatem erga se usque hoc tempus.
Super quibus omnibus etc.
Egregius vir ser Paces dixit quod eligatur unus syndicus et pro-
curator ad repetendum interesse Comunis a dieto d. Baptista ut herede
maiorum suorum pro dannis illatis per illos suos pro demolitione ca-
strorum. Et interim capiatur possessio sue domus, que est sita in pla-
tea et coniuncta habitationi, que fit ad usum R.mi D. Gubernatoris per
comunitatem usque ad conclusionem cause. Et quod notificetur S.mo
D. N. hec res etc. Et fuit electus ser Joannes Hieremie pro sindico,
-testibus dno potestate et dno auditore etc. cum plenissimo mandato etc.
cum salario constituendo per R.mum D. Gubernatorem ete.
[Rif. ad ann., ce. 16-11].
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196 A. SACCHETTI SASSETTI
XI. — 1484, marzo 30.
Battista Morroni reclama dal Governatore il prezzo della casa sua, usur-
pata dal Comune di Rieti.
R.mo in Christo patri et dno Joanni Andree Episcopo Mutinensi,
Rheatis Gubernatori et Thesaurario ete. dno meo colendissimo.
R.mo S. Non mia loquace natura, ma la necessitate impostami o
dal falso referire de ser Jacovo o da soverchia volontate de alchuni
cupidi iniuriarmi et precipiti ad tanto detestando acto de tollarme de
facto la casa mia et da altre venenose lingue, me costringono ad si
longhe littere. Piaccia ala S. V. legiarle et, si le pare, nel consiglio
legerle et della conclusione che Io in quelle fo o concludere o desclu-
dere, in tucto so certo la S. V. cognoscere esse più equa cosa tanti
citadini insieme accesi havere essa casa, dalla comunitate sempre ho-
norati et beneficati, sopportare el peso de un poco per uno et de al-
quanto magiur prezo che Io invito ad vendere dalla comunità alieno
supportar tucto el peso e minor prezo. Presertim che tanto è tardarmi
ad pagamento quanto in tucto tollarmelo et farme inimico de ipsa co-
munitate. Ma ante omnia la V. S. per suo honore et iustitia me faccia
epsa casa restituire et poi adimpire tucte l’altre mie conclusione, le
quali nanzi ad tucti li homini e il mondo pareranno iuste et rascione-
vili. Et ho Joanni [de] Pietro Paulo presente confaloniero, ho per la
fine del mese Nofrio spetiale futuro Confaloniero la V. S. voglia con
seco, ho lei sola ch'el voglia fare de concludere el prezo della supe-
riore parte d'essa casa, lo rimetto ne lo arbitrio de V. S. ala quale me
racommando. Ex Civitaducali penultima martij 1484.
Sos D:
Servitor Baptista Murronus.
[Rif. ad ann., c. 21 t.°]
— eri
— —
NOTIZIE SUI MONUMENTI DELL'UMBRIA
DI DUE ANTICHI RICORDI
ESISTENTI SOTTO IL PORTICO DELLA CATTEDRALE
DI BERNI
Sovente avviene che il ricordo affidato dagli antichi padri ai mo-
numenti perda, attraverso i secoli, tutta la sua eloquenza, e che,
ricomparendo per caso agli occhi dei tardi nepoti, mentre per al-
cuni può costituire un insignificante nonnulla, per altri addiviene
o una strana impronta piena di mistero, o un interessante pro-
blema da risolvere e, attorno ad esso, è quindi un affollarsi di
ragionamenti, di ricerche e di polemiche, che talora non hanno.
mai fine e rifioriseono così di generazione in generazione.
A questo genere di curiosità poteva aseriversi una specie di
finestrella quadrata, incastrata cogli spigoli della cornice contro
la metà dei lati di un’altra, che, rispetto alla minore è disposta
a modo di losanga. La prima ha 50 centimetri di lato ed è pro-
fonda centimetri 15; la seconda ne misura 18 di lato e altri 15
di profondità ed il suo piano è alto dal suolo metro 1,22.
Il tutto è scavato, con una certa pretesa di lusso, in un unico
blocco di marmo bianco, chiuso sul fondo da una lastrina dello
stesso. Una cornice, egregiamente modanata, orna lo spigolo della
prima apertura; un’altra più sottile, quello della seconda; sull’an-
golo superiore del quadrato maggiore è scolpita a basso rilievo
la testa di un bue. Il lavoro reca tutta 1’ impronta di cosa con-
dotta nel XIV secolo o almeno all’inizio del successivo.
Quali l'origine, il significato, lo scopo di questa finestrella ?
L. LANZI
Alcuno la ritenne destinata a deporvi memoriali e denuncie
come, nella Serenissima, la bocca del leone ; ma invero man-
cava ad essa la profondità o, per dir meglio, il ricettacolo interno
indispensabile a raccoglier le carte. Altri la credette il meschino
‘avanzo di una decorazione che, come ad esempio nella torre e
nelle chiese di Pisa, doveva ornare gli archi di un portico, pro-
babilmente in questa stessa cattedrale; però alcuni particolari e
specialmente la profondità del vano (centim. 30), in questo caso
soverehia, facevano giustamente dubitare della: esattezza di que-
sta ipotesi.
Alcuno più fantasioso e macabro pretendeva di sapere che in
quella buca, che il colore del tempo. e il fumo di qualche lumi-
cino hanno veramente resa tetra e misteriosa, venissero esposti i
‘ capi .mozzati degli eretici; e nella testa del bue riconosceva lo
stemma del vescovo Ventura Bufalini che ebbe fama (non so quanto
giustamente) di feroce giustiziere... e sul piano della piccola cella
interna, e lungo la parete marmorea, rivedeva le macchie del san-
gue rappreso ecc. ecc. Ma anche questa non era spiegazione ac-
cettabile, sia perchè manca ogni elemento che affermi della bor-
giana efferatezza dei Bufalini, che fu vescovo di Terni dal
17 aprile 1499 all’ agosto 1504; sia perchè, per l’ ufficio supposto,
la finestrella sarebbe stata collocata troppo in basso e la nicchia
interna avrebbe avuto proporzioni troppo ristrette.
| Intanto un’ antichissima tradizione religiosa sospingeva an-
cora.le vecchierelle della città ad introdurre il capo fra le brevi
"pareti di quel marmo per trovarvi ai loro mali guarigione o ri-
storo, nè questo atto poteva avere relazione di sorta alcuna colle
ipotesi che ho sopra ricordate; nè alcuno seppe mai come e per-
chè esso, da tempo immemorabile, fosse arrivato e si ripetesse an-
che ai dì nostri.
Ma quando, nel riandare i documenti e i ricordi che si. rife-
riscono alla storia della cripta della cattedrale e al culto del ve-
scovo Anastasio, antico patrono e difensore di "Terni (1), ‘appresi
che le spoglie di lui, trafugate dall’antico avello sotterraneo, erano
state nascoste presso la porta principale del tempio, allora mi
- (1). Cfr. le mie pubblicazioni nel Boll. della R. Dep. di storia patria per VV Um-
bria, anno VIII, fasc. 23;.6 nell’ Italia moderna, anno III, fase, VIII.
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nni ii) 1 e RE
M mmn men
DI DUE ANTICHI RICORDI, ECC. 129
convinsi che quella finestrella, costrutta al certo dopo il ritrova-
mento delle venerate reliquie, come nelle antiche catacombe, come
nella cripta medesima, segnava ritualmente il punto contro il
quale, nell’ interno della parete, giaceva il corpo del Santo, e per
essa i devoti si mantenevano quasi a contatto con lui, per implo-
rare più da vicino e più fervidamento il suo ausilio e la sua pro-
tezione.
Era giunto a queste non dispregevoli conelusioni, quando, nel
liberare dalle imbiancature, che per secoli vi si erano sovrapposte,
quella parete del portico, poco al disopra della finestrella descritta,
a destra, apparve la impronta della pianta di un piede, anzi pre-
cisamente di una scarpa, graffita a semplice contorno, lunga 26
centimetri, divisa da due orizzontali in tre parti quasi eguali, e
recante sulla sezione centrale un solco regolare e profondo che
occupa il centro della pianta e congiunge verticalmente le due
divisioni, segnando un’altezza di 80 millimetri.
È la misura o la forma del piede di S. Anastasio, afferma-
rono subito i più facili solutori. — No, mi fu dato di poter loro
rispondere, perchè se va aggiustata fede agli agiografi che stu-
diarono gli antichi atti e i lezionari, una cosa notevole nella pri-
ma ricognizione delle ossa di lui fu la enorme dimensione dei cal-
zari, onde dedussero che fosse uomo di gigantesca statura (1).
È il prototipo della misura di lunghezza, che soleva precisa-
mente scolpirsi sulla porta del Comune o della chiesa principale.
— No; perchè la misura del piede ternano è ben più lunga di
questa (2).
È un voto. — No, perchè quella forma e quei segni sono ad-
dirittura inusitati e questi ultimi non hanno ragione di essere in
siffatte rappresentazioni rituali.
È uno scherzo di qualche lapicida o di qualche vagabondo,
dicevano i più gioviali. — No, perchè a questa poco elaborata ipo-
(1) IAcoBILLI, Vite, vol. I, pag. 634.
(2) Il piede ternano da misurar fossati era lungo millim. 355; quello da mi-
surar terreni millim. 525; quello da misurar muri e tavole millim. 335.
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130 L. LANZI
tesi si oppone specialmente il carattere intenzionale e accurato
‘ della esecuzione.
E così trascorremmo parecchi ‘giorni, brancicando alla ricerca
della verità, che mi apparve, finalmente, per caso.
Il secolo XV, colla rinascenza di ogni gentile coltura, aveva
assai modificata la fierezza dei costumi medioevali, e la mollezza
e il lusso erano gradatamente subentrati all’ austera semplicità
della vita nei nostri Comuni; vita ristretta e difficile per l'eco di
antiche inimicizie, che se non tralignavano ancora in sanguinosi
episodi, alimentavano però le ire, i pettegolezzi e le gare, onde
si danneggiavano assai così la pubblica, come la privata fortuna.
Nei pubblici ritrovi, nelle funzioni religiose, nelle occasioni
solenni, il desiderio di figurare meglio e al disopra della fami-
glia nemica diveniva una lotta, e spesse volte il Governatore ed
il Vescovo dovevano intervenire a dirimere questioni di prece-
denza, di posto eee. (1).
Occorreva dunque infrenare questo pernicioso andazzo, tanto
più che le condizioni del popolo si facevano sempre più tristi per
le caréstie, le usure e le calamità d’ ogni genere. L' ordine dei
frati minori erasi posto, si direbbe oggi, alla testa dell’agitazione
e mentre propugnava la istituzione dei Monti di pietà, predicava
contro la corruzione ed il lusso.
Fr. Giacomo da Matelica, noto poi generalmente col nome di
b. Giacomo della Marca, uno degli oratori francescani più fervidi
e più fortunati a’ suoi tempi, venne in Terni e forse tra lui e il Ma-
gistrato corsero accordi per darsi l'un l'altro la mano e combat-
tere insieme questa crociata.
(1) Riferisco brevemente una vertenza di questo genere sorta, sebbene assai
più tardi dei tempi di cui parlo, fra il-Clero e il Comune. Nel 1599 (25 aprile) nelle
funzioni pontificali, i canonici del Duomo, modificando il vecchio rituale, non turi-
ficavano più i Priori del Comune. Questi, su tutte le furie, ricorsero al Vescovo, ma
visto che non era facile ottenere una sodisfacente soluzione, il Consiglio deliberò
che il Comune acquistasse un turibolo d'argento a proprie spese, perché i suoi
rappresentanti potessero essere incensati a loro piacere; e così fu fatto.
Anche i frati di S. Francesco e di S. Pietro, sull'esempio dei canonici, avevano
tentata siffatta novità, ma con questi la vertenza fu più sollecitamente risoluta,
poiché il Magistrato minacciò di sopprimere la elargizione delle consuete elemosine,
e i frati si affrettarono a tornare a più miti consigli.
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EUTENDEMUSTUMMeT
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DI DUE ANTICHI RICORDI, ECC. 131
Infatti fr. Giacomo, in una memorabile predica fatta in duomo,
ammoni contro il lusso, cagione ormai d'insopportabile dispendio,
fomite di gare e di antipatie cittadine ; eccitò i ternani contro le
bische e gli usurai, onde seaturiva la rovina della gioventù e
delle famiglie e li richiamò solennemente a maggiore austerità e
correttezza di vita.
Il Magistrato, a sua volta, tradusse in legge municipale le
raccomandazioni del b. Giacomo e dal 25 ottobre al 16 novem-
bre 1444, negli atti di Bartolomeo di ser Giovanni Barbiano da
Toscanella, cancelliere del nostro Comune, troviamo il ricordo
autentico di questo fatto.
Leggiamo in essi che Giovanni di Martalo e Galieno Palmeri
propongono nell’ arringo di riformare le costumanze cittadine su-
gli argomenti predetti; che furono eletti sei cittadini e sei ban-
derari, i quali, insieme al b. Giacomo, dettarono i capitoli com-
presi in 22 articoli nei quali, fra l'altro, fu decretato che fosse
ridotto il lusso dei funerali e che alle donne fosse vietato di par-
tecipare a cortei funebri ; che le stesse non potessero spendere per
gli abbigliamenti nuziali più di 66 ducati d’ oro, nè indossar
drappo serico, nè manichetti di velluto, nè corona d'argento in
capo, che pesasse più di oneie 8; finalmente che non potessero
calzar pianelle alte più di quattro dita, la qual misura, per co-
modo del pubblico e degli stimatori, che sarebbero stati eletti due.
per rione, si scolpirebbe nella chiesa di S. Maria, presso 1’ altare
di S. Anastasio; e se alcuna donna a questa prescrizione avesse
eontravvenuto, sarebbe stata punita con una multa di mezzo du-
eato d'oro (1).
L'impronta del piede oggi scoperta è dunque, fuor d'ogni
dubbio, la misura dell’ altezza delle scarpe muliebri del secolo XV ;
infatti gli 80 millimetri del segno rispondono egregiamente a
quattro dita di giusta grandezza.
Seeondo la interpretazione letterale della Riformanza, tale
misura invero si sarebbe dovuta trovare scolpita, non all’ esterno
(1) (Riform., vol. 497, cart. 74a) — « Item quod nulla mulier dicte civitatis vel
habitatrix ejusdem possit portare planellas altiores quatuor digitis, secundum men-
suram que sculpetur in Ecclesia s. Marie in cappella s. Anaxtasij, ad penam medii
ducati aurei pro qualibet et vice qualibet ut supra applicanda ».
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132 L. LANZI
del duomo, ma dentro, nella distrutta cappella del patrono; e
però ovvio il pensare che, per rendere il confronto comodo in
tutte le ore e per evitare nell’interno del tempio il disturbo pro-
fanatore di possibili diseussioni tra gli stimatori e le donne ferite
nel tallone, si sarà convenuto d'ineiderla sotto il portico esterno,
presso quella finestrella nella quale, già da secoli, si prestava a
S. Anastasio culto devoto.
LuIGI LANZI.
Loo —9*99—
DEL
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ENGFOLIGNO
Ugolino Trinci, la cui famiglia avea il dominio della città
di Foligno col titolo di vicariato pontificio, acquistò da Giovanni
Ciccarelli, negoziante di questa città, alcune case in fondo alla
piazza Maggiore, presso la Cattedrale, per farne la residenza
principesca della sua casa. Egli non badò a spese, e dispose in
modo le cose, che all’ esterno il nuovo edificio avesse la forma di
una rocca, mentre il cortile interno dovea essere magnificamente
ornato.
ll lavoro cominciò nel 1389 ed ebbe termine nel 1407. Per
ricordo della quale cosa si scelse una elegante stela sepolcrale
romana, dove era finamente scolpita la storia di Amore e Psiche,
vi fu abrasa la sottostante iserizione, e nel marmo così levigato
nuovamente, furono incisi sei esametri, che danno la storia di
quella erezione. Ivi si legge che il lavoro di riparazione comin-
ciò a tempo di Urbano VI e terminò a tempo di Gregorio XII,
e che fu fatto quando dominava alla città e alla rocca Ugolino
Trinci, il quale la decorò con mirabili costruzioni, ris struc-
turis. Il marmo esiste ancora nel museo municipale, ed è la fede
di nascita del palazzo dei Trinci.
Quando questi nel 1438 furono privati del potere, il palazzo
passò in mano della Camera Apostolica, che ne ebbe cura e che
nel 1458 ne fece fare uh inventario, che è per noi del massimo
interesse, poichè ci enumera le camere, ci dice come erano chia-
mate, come erano disposte, quali arredi avevano eee. Sulla guida
di queste indicazioni noi possiamo faeilmente ricostruire quasi
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134 | M. FALOCI-PULIGNANI
tutto il palazzo come era. Questo per la parte costruttiva. In
quanto alla decorazione questo palazzo nel XVII secolo fu dili-
gentemente descritto nelle sue forme artistiche più minute, e ne
furono indicate le numerose pitture e traseritte le non meno
numerose iscrizioni latine e italiane, che illustravano i dipinti.
Sisto IV lo restaurò, cancellando il nome dei Trinci dove era ri-
masto, e sostituendo il suo nome e il suo stemma, come si vede
tuttora. Nel XVII secolo subì numerose trasformazioni che lo
manomisero interamente, e così si è venuto man mano alterandolo
dalla struttura primitiva, finchè oggi è adibito nientemeno che
per gli usi seguenti: È
1.° per uso di Pretura;
2.° per Carcere Mandamentale;
3.° per Caserma delle Guardie di Finanza;
4.° per deposito di generi di privativa;
5.° per Ufficio del Demanio e del Registro;
6.° per Conservatoria delle Ipoteche;
7.° per Ufficio del Catasto e dell’ Agenzia dell’ Imposte;
8:° per uso del Teatro Ferroni;
9.° per abitazioni di privati.
E questa enumerazione serva a far conoscere quanto sia va-
sto tale edificio.
Ora, dall’ inventario del 1458, dalla descrizione del XVII se-
colo (della quale si conosce una copia nella Biblioteca Vaticana,
ed un'altra in quella del Seminario di Foligno), dall’ Archivio Co-
x
munale e Capitolare di questa città, non ci è difficile ricostruire,
alla meglio questo palazzo, almeno nel senso di enumerare le sale,
le camere e le logge, delle quali era composto, limitandoci però
a quelle sole, fra le altre, nelle quali può trovarsi qualche cosa.
che interessi i buoni studi. A miglior tempo, con studi tecnici
fatti sul luogo, con indagini diligenti e minute, sarà possibile farne
una pianta, e ricostruirlo graficamente come era. Scopo nostro è
di fare in esso quasi una visita da dilettanti, da artisti, da uma-
nisti, immaginando di vivere verso la metà del XV secolo.
Il prospetto esterno non ci interessa più, poichè è tutta una
grande facciata architettonica del XIX secolo. Entrati nella corte,
si vedono ai quattro lati alte pareti coperte da tettoie molto spor:
genti, sotto le quali sono bifore, trifore, stemmi, decorazioni di-
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DEL PALAZZO TRINCI IN FOLIGNO 3295
verse. Una larga scala scoperta dava l'ingresso al palazzo in un,
angolo di esso, e, appena giunti, ci troviamo di avere a destra la
Cappella domestica di Casa Trinci. Essa è nota, e se è superfluo
il deseriverla, non è al nostro scopo superfluo ricordare che essa
fu fatta costruire nel 1424 da Corrado Trinci, che la diè a dipin-
gere ad Ottaviano Nelli da Gubbio, del quale altri vi lesse il nome.
La cappella è quadrata; quattro vele di volte, divise da quattro
ricchissimi nervi o costoloni, ne formano la parte superiore, e
questa, e le quattro pareti sono tutte colorite in affresco, rappre-
sentando fa vita della Madonna, secondo il racconto evangelico,
le leggende e gli apocrifi. Chi vuole averne un’ idea, si proveda
delle belle fotografie fattene dall’ Alinari, sotto i numeri 3595
fino al 5412. Ecco il titolo di queste 18 storie:
1.° Sposalizio di S. Anna;
2.° Promessa fatta a costei da un Angelo, che avrebbe
prole;
3.° Incontro di S. Gioacchino e S. Anna;
4.° Nascita di Maria;
5.° Sua presentazione al tempio;
6.° Bando di Zaccaria sopra l'età da marito di Maria;
7.° Sposalizio della Madonna;
8.° L' Annunziazione ;
9.° Natale del Signore;
10.
T1:
Visita dei Re Magi ;
Presentazione al tempio e profezia dei dolori di Ma-
ria;
12." L' Angelo reca a Maria la palma del martirio ;
13." Crocifissione di Gesù Cristo;
14.° Gli Apostoli prendono commiato da Maria;
15.° Morte della Madonna;
16.° Suoi funerali ;
17.° Assunzione di Maria; |
18." S, Antonio, S. Domenico e S. Giovanni Battista.
Sono circa 250 figure, tutte vive, fresche, nelle quali l’ arti-
sta, l' erudito, l’istorico ha molto da studiare.
E vicina una, camera, nella quale il pittore colorì in nove
istorié tutta la leggenda di Romolo e di Remo, la fondazione di
Roma eee,
—— M— I — —— —
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tod a esie ebd Ai Mer Re 2
136 M. FALOCI-PULIGNANI
Sotto ogni storia è una quartina, ed ecco il soggetto delle
nove istorie:
1.° Matrimonio di Ilia con Marte;
2." Nascita dei gemelli Romolo e Remo;
3.* La lupa li allatta;
4.° Ilia e sepolta viva;
5.° Fausto alleva i gemelli;
6.° Ruberie di Romolo e Remo;
7.° Romolo e Remo prendono Alba;
8.° Si stabilisce di fondare una città; ;
9.° Fondazione di Roma.
Questa camera dovrebbe chiamarsi camera di Koma.
Da questa entriamo nella camera dei giganti, grande, che
misura 110 metri quadrati, ha un soffitto a travi tutto dipinto,
e nella quale, sopra una ricca trabeazione ornata di stemmi di
lunghe iscrizioni metriche latine eec. sono dipinti entro grandi
nicchie trenta giganti, cioè figure alte più di due volte del vero,
come fossero grandi statue, tutte coi simboli del loro grado, de-
corate con lusso, eseguite con amore. Queste statue appartengono
alla storia biblica: Giosuè, Davide, Giuda Maccabeo: alla storia
greca: Ettore, Alessandro Magno, alla storia romana: omolo,
Giulio Cesare, Ottaviano, Tiberio, Camillo, Fabrizio, Curio Den-
tato, Mallio Torquato, Cincinnato, Marcello, Scipione Africano,
Muzio Scevola, Porcio Catone, Mario, Publio Decio, Claudio Ne-
rone, Fabio Massimo, Caligola, Pompeo, Traiano: alla storia eri-
stiana: Re Arturo, Carlo Magno, Goffredo di Buglione. Sovra que-
sto coro di eroi, sono decorazioni architettoniche, svolazzi, nastri,
nei quali ora si legge TRINCIA, ed ora, ove questo nome fu coperto,
si legge SIXTUS IV P. M. Questa grande sala è detta dei giganti
e forse anche degli imperatori, se pure questa non era un'altra.
Proseguendo il viaggio entro questo palazzo, abbiamo la ca-
mera delle stelle, cioè una sala tutta destinata a figure mitologi-
che, astronomiche, simboliche, che rappresentano i pianeti coi loro
simboli, cioè: la Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno,
il Sole. Versi italiani e latini spiegavano queste figure, alle quali
erano unite, come sembra da altri versi, altre figure, che simbo-
leggiavano le ore: Mattutino, prima, terza, sesta, nona, vespro,
compieta. PACA
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TUAE RESI CASO
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DEL PALAZZO TRINCI IN FOLIGNO 137
I visitatori del XVII secolo descrivono poi un’altra camera,
dove erano altre immagini, le quali ci autorizzano a chiamare
questa sala col nome di camera delle arti. Difatti, sempre col
commento di iscrizioni e di versi, in questa camera erano dipinte
le figure della Grammatica, Dialettica, Musica, Aritmetica, Geo-
metria, Astrologia.
Fin qui vi è da avanzo per restare ammirati da tanto lusso
di arte. Ma non basta. L’antico inventario accennato parla di al-
tre camere tutte designate con nomi diversi, delle quali i mano-
scritti del secolo XVII non parlano. Si ricorda la camera delle
rose, la camera delle griglie, la sala bianca con otto fenestre, la
camera dei pappagalli, la sala dei gigli, finalmente la camera
del Papa con la sua lettiera, con due cassoni doppi, con una ta-
vola con i trespici, con una fenestra colla sua arme, e un’ altr:
fenestra con gli usci doppi e con altri arnesi. Non si ritroveranno
più questi, ma, chi vorrà e potrà, ritroverà tutto quanto è stato
indicato, poiehé molto è ancora salvato, molto è difficile ma è
ancora possibile di vedere, molto poi resta coperto dalla calce
e forse è un bene, poichè quello che è rimasto scoperto è tutto
bucherellato, graffito e rovinato. Basti dire che, durante le cause
penali, il R. Pretore confina e custodisce i testimoni in un bugi-
gattolo, dove si vede scoperta una parte della base della sala dei
giganti, nella quale, fra gli epigrammi latini, si alternano sgorbi,
che si fanno ogni dì più frequenti.
È vano segnalare l’importanza massima di questo palazzo,
che, se ci fosse giunto intatto, sarebbe uno dei più ricchi ed in-
teressanti edifici civili dell’ Umbria. Ho letto tutti quei versi, ho
confrontati questi con i canti del Quadriregio di Federico Frezzi,
grande amico e cliente di casa Trinci, e sono venuto nella con-
elusione, per me certa, che mentre Ugolino Trinci costruiva il
palazzo, e Ottaviano Nelli e gli altri pittori (molti fanno il nome
di Gentile da Fabriano) lo dipingevano, quegli che dava i temi, i
concetti, le istorie ai pittori, era senza dubbio Federico Frezzi,
alcuni canti del quale sono quasi un commento a queste sale. Non
posso qui esporre le aride indagini e i confronti, che mi hanno
portato a questa conclusione, ma per me il nome del Frezzi è in-
separabile da quello del Trinci e del Nelli.
Ed ora a noi.
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‘delle lettere e delle scienze, è oggi occupato da tutti gli uffici i
più antiestetiei o antipatici che. si possano immaginare, dal- H
l'Agenzia delle Imposte alla R. Pretura, dall’ Ufficio delle Ipote- 4
che al Carcere Mandamentale. Il Municipio di Foligno ha spesso
fatto pratiche per avere, o riavere, la proprietà di questo fabbri- 1
lora qualcuno ei provvederà, ma forse allora conteremo qualche
M. FALOCI-PULIGNANI
Ho già detto che il palazzo Trinci, la sede geniale delle arti
cato, e spesso si senti dire che il Governo lo aveva concesso, ma
poi il mese seguente non era piü vero. La burocrazia, i regolamenti,
il fisco, un po’ di apatia in tutti, hanno fino ad oggi frustrato
il desiderio dei cultori dei buoni studi. Oggi siamo a questo, che
chi vuol salire al palazzo Trinci e vedere la cappella del Nelli
(l’unica parte visibile), deve pellegrinare su e giù pel Municipio
in cerca di un bidello che vi apra. Il che è strano, perchè se il
palazzo è del Municipio, dovrebbero esulare di là tutti gli inqui-
lini non suoi; se poi è del Governo, questo non dovrebbe caricare
il Comune del peso di eustodire la eappella, dando tanto incomodo
ai visitatori. Comunque, avuta la chiave, incomincia il pellegri- i
naggio tutt'altro che artistico. Due monumenti vespasiani si pre- È
sentano in fondo alle scale, e queste sono sporche, indecenti. Le :
fenestre mancano d'imposte e di cristalli, e, levando gli occhi, fa
pietà e mette paura un magnifico soffitto, grande, ricco, collo i
stemma a rilievo di Sisto IV: tracce evidenti nelle pareti indicano E
che su quel soffitto piove abbondantemente, sicchè non è neppur
sicuro rimanerci sotto. Quando sarà accaduta una disgrazia, al-
vittima di più e il soffitto sarà caduto e perduto. Entriamo a :si-
nistra per una porta di pietra fatta fare nel 1600 dal cardinale
Scipione Borghese. Intorno intorno è una desolazione! Soffitti ca-
denti, affreschi rovinati, gli stemmi di Sisto IV esposti alla piog-
gia, ragnatele per tutto. Da un lato, come da un pozzo, esala odore
fetido: lì sotto sono le carceri. Chi si inoltra un po’, trova intatta
la scala dei Trinci tutta dipinta a finto mosaico. Risalendo, entra,
fra due altri monumenti vespasiani, nella camera, in parte an-
cora visibile, di Roma. Di qui si entrà nella Cappella. Polvere,
ragnatele dovunque: non una seggiola, non un segno di riguardo.
Volete vedere la sala dei giganti? Conviene armarvi di pazienza,
e assicurarvi la vita. Una scaletta di legno vi conduce nel soffitto
degli Uffiei della Pretura, e dovete cautelarvi in modo da cam-
I apra
DEL PALAZZO TRINCI IN FOLIGNO
minare sulle travi del soffitto sottostante: se voi camminate sui
travicelli, senz'altro precipitate di sotto: se poi voi levate una
di quelle pianelle, vedrete sotto di voi il Pretore, che tiene se-
duta. I giganti, cioè la parte superiore di essi (perchè la parte
inferiore è occupata dalle sale della Pretura) è giganti vi guar-
dano minacciosi, con occhi severi, ma voi fuggite tosto da quel
luogo, che pur vi seduce, poichè sopra l’ amore dell’ arte, prevale
l’amore di voi stesso, e della vostra persona. E quando siete sceso
tutto coperto di polvere e di ragnatele, siete 'sdegnato come mai
in Italia, dove abbiamo un Ministero della Pubblica Istruzione,
un Ufficio superiore di Belle Arti, un Ufficio per la Conservazione
dei Monumenti, un Regio Ispettore dei Monumenti, un Ufficio Co-
munale di Belle Arti, come mai sia tollerabile che un edificio di
primo ordine venga votato alla distruzione. Tutti ripetono e si
discolpano, dicendo che non ei sono danari, il che è vero ed è
falso. Sicuro, per restaurare questo palazzo ci vogliono 50,000 lire,
ma chi esige mai che il restauro si faccia tutto da un solo, e tutto
in un anno? Se dal tempo in eui chi serive levò la voce, Co-.
mune, Provincia, Governo avessero messo mille lire all'anno cia-
seuno, oggi sarebbe tutto restaurato. Ma il Governo presto se ne
lavò le mani, perchè nessuno li stimolo: il Comune consuma spesso
il tempo in piati politici, e così il palazzo Trinci se ne va. L’anno
scorso, a Foligno, nella nostra adunanza del settembre, segnalai
l’importanza di questo palazzo: il Regio Ispettore dei Monumenti,
conte Manzoni, accennò al pericolo di incendi, e fu una voce di
meraviglia: ma poi che si è fatto? Alla vigilia delle elezioni po-
litiche corse voce che il Governo aveva ceduto il palazzo al Co-
mune; ma poi, che si è fatto?
Ora la R. Deputazione di Storia Patria per l' Umbria, nel cui
seno si destò l’anno passato una tanto lodevole iniziativa, deve
fare non già dei voti platonici, ma delle pratiche efficaci e riso-
lutive per addivenire allo scopo.
Anzitutto, deve facilitare i mezzi perchè il Comune di Foligno
entri nel possesso effettivo di tutto il fabbricato, procurando che
il Ministero delle Finanze e quello della Pubblica Istruzione si
mettano d’accordo per evitare tutte le difficoltà burocratiche ed
economiche, che accompagnano la trasmissione di possesso, le
tasse di Registro eec. Deve poi stimolare il Municipio di Foligno
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140 M. FALOCI-PULIGNANI
a trovar subito una sede per tutti quelli offici, che risiedono oggi
in questo palazzo, e che per legge stanno a carico dei Comuni.
Infine deve invitarlo a metter subito in bilancio una somma con-
veniente per cominciare gli studi necessari, i saggi da farsi, i pro-
getti da compilarsi, i preventivi relativi, onde il palazzo stesso
ritorni allo stato primitivo.
Ottenuto questo, liberato cioè il palazzo dagli ingombri che
lo deturpano, conosciuta la spesa occorrente per la sua resurre-
zione, la Regia Deputazione rifletterà che se quel palazzo legal-
mente appartiene al Municipio di Foligno, esso però, come monu-
mento insigne di storia e di cultura nazionale, nel senso più largo,
è patrimonio di tutti, sicchè tutti debbono concorrere, Governo,
Provincia, Comune al suo restauro. Un po’ per volta, una sala
per anno, e l’opera riuscirà. Forse non tutto si salverà, ma il
più, il meglio si salverà certo. Con i moderni sistemi che si
hanno nel discoprire, nel restaurare, nel fissare gli affreschi, sarà
facile ai periti di rievocare il più dal meno, e da pochi indizi ri-
costruire quello che è perduto. A Perugia, mezzo secolo fa, il pa-
R - ? ,
lazzo del Comune era ben piü massaerato che non sia il palazzo
Trinci: eppure oggi è quasi intatto come lo consegnò l’architetto.
Chi non conosce il risorgimento del Castello di Milano?
È perciò che io raccomando come so e posso alla Regia De-
putazione di prendere con mano risoluta e con tenace proposito
questa gloriosa iniziativa. Non s’ indugi a cominciarla, cominciata,
non passi giorno senza continuarla con una lettera, con una rac-
comandazione, con un articolo, con un insistenza degna della
causa che si è assunta.
M. FALOCI-PULIGNANI.
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DI ALCUNI LAVORI ESEGUITI NEL DUOMO DI SPOLETO
DAL 6 GENNAIO 1904 A TUTTO L’AGOSTO 1905
Relazione presentata all’ Assemblea generale del 19 Settembre 1905,
dal Socio Ordinario Cav. Uff. GIUSEPPE SORDINI.
Nella notte del 6 gennaio 1904, dall’una alle tre antimeridiane,
rovinò improvvisamente, in prossimità e.a valle del Duomo di
Spoleto, un tratto delle mura urbane medioevali di quella città,
per la lunghezza di ben sessanta metri. E subito si vide che altri
quarantasette metri di quelle mura, quasi in immediato contatto
con il Duomo, avrebbero, o prima o poi, subita la stessa sorte.
Non è esagerazione il dire che, all'annunzio della rovina av-
venuta e di quella minaeeiata, si eommosse il mondo civile. E non
già per le mura cadenti e cadute, le quali non avevano, in quel
tratto, aleun valore, ma per le sorti del Duomo di Spoleto, ben
sapendosi (e io stesso l'ho gridato e fatto gridare ai quattro venti,
da oltre un quarto di secolo) che una gran parte di quell’ edificio
apparisce ed è veramente in condizioni statiche tanto anormali,
senza che se ne conoscano le vere cagioni, da far temere per la
sua preziosa esistenza. Preziosa esistenza davvero! Chè se il Duo-
mo di Spoleto, disgraziatamente, perdette nel seicento la sua ori-
ginaria omogeneità costruttiva, e infinite opere d’arte, pure è, an-
che oggi, tal mole di edificio, e conserva ancora tanti e così lu-
minosi raggi dell’antico splendore, da far considerare Ia sua rovina
come jattura gravissima, irreparabile, e per la Storia e per l' Arte.
Passato però il primo sgomento, e visto che nuove rovine non
avvenivano, ben presto, anche intorno al Duomo di Spoleto, tutto
tacque. E oggi, soltanto qualche solitario si domanda, di quando
V
f
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149 --G. SORDINI
in quando, se un provvedimento qualsiasi venne mai preso per la
eonservazione del prezioso edificio. Nè, che io mi sappia, si ebbe
ancora risposta aleuna.
Ciò non mi parve e non parmi dicevole alla dignità nostra,
né all' interesse del monumento alle mie eure affidato; ed io, un
anno fa, chiarissimi Colleghi, sarei venuto a rendervi eonto del-
l'opera mia, a eonfidarvi i miei timori e le mie speranze, se la
improvvisa minaccia di irreparabili domestiche sventure, per for-
tuna seongiurate, non me lo avesse allora impedito.
Ritorno oggi al vecchio disegno, e sono lieto di colorirlo in
questa gentile Tiferno, che è un vero modello di sapiente solle-
citudine per i suoi monumenti e per le opere d’arte delle quali
aneora si abbella e, giustamente, si gloria.
Appena avuta notizia della rovina delle mura urbane di Spoleto,
S. E. il Ministro della Istruzione Pubblica, preoecupandosi subito
per la sicurezza del Duomo, mi ordinava telegrafieamente di prov-
vedere ai lavori da me ritenuti più urgenti. E, a mio parere, questi
si riducevano alla biffatura immediata delle più importanti lesioni
dell'edifieio, per eonstatarne.i possibili movimenti ulteriori, e alla
non meno immediata scomposizione, e rieomposizione in altro luogo,
dei monumenti di Fra Filippo Lippi e di Gianfrancesco e Fulvio
Orsini. E ciò, non solo perchè i due monumenti, opere d'arte
‘ preziosissime, si trovavano nella parte più fatiscente e meno con-
veniente dell’edificio, e cioè in un oscuro andito innanzi alla Cap-
pella del Sacramento, dove li aveva confinati Gianlorenzo Bernini,
allorehè per ordine di Urbano VIII ricostruì, quasi intieramente,
il Duomo di Spoleto; ma si ancora perchè recavano, essi stessi,
manifesti. e gravi segni di sconnessioni: nè si poteva essere tran-
quilli sul modo della loro ricostruzione seicentesca.
Coll’assistenza dell’architetto Guido Fondelli, vennero, infatti,
scomposti subito i due monumenti, e si vide appunto che, nel sei-
cento, erano stati ricostruiti alla peggio, senza adoperarvi nem-
meno una grappa; e la parete, sulla quale sfolgorava l'arca. di
Fra Filippo, era così mal costrutta, da essere obbligati gli operai
a puntellarla con le mani perchè, durante la scomposizione del
monumento, non cadesse in rovina insieme ad esso!
DI ALCUNI LAVORI ESEGUITI NEL DUOMO DI SPOLETO 143
Ambedue queste preziose opere d’arte furono subito ricostruite
nella crocera’ di destra, che è la parte più solida di tutto 1’ edi-.
ficio, una di fronte all’altra, con grandissimo vantaggio ornamen-
tale del Duomo e delle opere stesse; le quali, finalmente, dopo
quasi tre secoli, si possono rivedere a giusta luce e distanza. Tutti
i pezzi vennero assicurati con grappe metalliche, e non si ebbe a
lamentare, tanto nella seomposizione, come nella ricomposizione,
il minimo inconveniente; anzi, si potè studiare e rilevare, con
esattezza, la stupenda polieromia di cui, in origine, si abbellirono
i due monumenti, e che, in quello del Lippi, mon si sospettava
nemmeno. Per questo si ottenne anche il vantaggio di ricostruirlo
quasi nello stesso punto nel quale lo fece collocare Filippino, di-
ciotto anni dopo la morte del padre, come narrano il Vasari e i
suoi commentatori, per ordine di quel gran mecenate che fu Lo-
renzo de’ Medici, giustamente soprannominato il Magnifico.
Nè, in questa sistemazione, vennero dimenticate le povere ossa
di un oscuro Governatore di Spoleto, Messer Ludovico Anguisciola,
trovate nel pavimento, sotto l'area di Fra Filippo. Anche queste
che erano autenticate da una scritta plumbea, vennero trasportate
nella eroeera di destra. |
Contemporaneamente, eseguendosi i lavori di biffatura, si.poté
accertare, ciò che io già sospettavo, che le fenditure della fab-
briea, mascherate stoltamente da ripetuti intonachi, raggiungevano
in alcuni punti otto centimetri di larghezza, e vi erano spostamenti
di muri verticali, in. breve tratto, anche di nove centimetri! Tali
fenditure, numerose e allarmanti, e tali gravi spostamenti avevano
sconnessa tutta la Cappella del Sacramento, opera del XVI.e del
XVII secolo, tutta la crocera di sinistra, fino a mezzo l’ arco
trionfale, gran parte della cupola e, per due terzi almeno, la na-
rata di sinistra. In altro paese, dove la tenacia cementizia della
calce e la bontà dei materiali costruttivi fossero state minori, la
massima parte di quell’ edificio sarebbe già caduta, o, almeno,
per misura di pubblica sicurezza, l edificio stesso si sarebbe .do-
vuto chiudere al pubblico.
Quali le cause di tanta sciagura? È noto. che la Cattedrale
spoletina fu ricostruita, quasi interamente, dal Bernini, nel decen-
nio 1634-1644. Dell’ antico edificio rimasero in piedi le Cappelle
della Icone e del Sacramento, la tribuna, la facciata, il pavimento,
ii I SOA GE a OA RENNES III AL SONNO
BT cogo ^
— — CAS
144 i G. SORDINI
il muro esterno della cosidetta nave falsa, le due ali di muro ai
lati della tribuna e qualche altro resto. E sappiamo ancora che la
nuova fabbrica (diari Campello) resistè benissimo ai terribili ter-
remoti del Gennaio e del Febbraio 1703. Le prime lesioni si ma-
nifestarono, asseriscono le citate memorie contemporanee, dopo il
üon meno terribile terremoto del 1767. Ma questo fatto non era
nuovo in quel luogo; chè se Urbano VIII ordinò la rieostruzione
della Cattedrale spoletina, per seguire la moda del tempo e per
fasto di Prineipe, certamente glie ne porsero impellente motivo
le eattive eondizioni statiche dell' edifieio: QUOD DE COLLABENTIS
HUIUS CATHEDRALIS REPARATIONE COGITAVERAT quando era Cardinal
Veseovo di Spoleto, come si legge nella iserizione commemorativa,
sopra la porta, nell'interno della chiesa.
Che cosa facessero gli antichi per tener su la barcollante fab-
brica distrutta dal Barberini, vedremo poi: dirò, intanto, che non
appena si manifestarono le prime allarmanti lesioni nel moderno
Duomo, i Fabbriceri, i Canonici e il Comune furono solleciti di
chiamare Tecnici insigni ad esaminare e provvedere alle sue con-
dizioni statiche. Ed i Tecnici furono unanimi nel consigliare catene
di ferro nelle parti alte dell’edificio, poichè tutti partirono dal
fatto che il terremoto aveva prodotte le lesioni, e, quindi, consi-
derarono il terremoto come causa unica della rovina.
Le catene furono apposte numerose e robustissime; ma la fab-
brica continuò a muoversi, perchè il terremoto non era che 1’ espo-
nente improvviso di un male preesistente.
Un barlume intorno alle vere cause della rovina del Duomo
di Spoleto, lo ebbero i Tecnici chiamati nella prima metà del secolo
scorso. Oltre le solite catene, essi raccomandarono di abbandonare
ogni coltivazione nei terreni contigui e a valle del Duomo, ridu-
cendoli a sodo, e di raccogliere e convogliare in un unico canale,
‘per mezzo di robuste platee, le acque piovane attorno all'edificio.
Ma, con tutto ciò, la fabbrica continuò a muoversi, perchè le cause
del male dovevano cercarsi non sopra, ma nel sottosuolo. E anche
questa volta a mio parere, della scienza pura, per quanto vasta e
solida, ebbe ragione l’esperienza pratica. Io non dimenticherò mai
il Maestro muratore Giuseppe Ferretti (meglio conosciuto a Spo-
leto col nomignolo Peppe Panichi), che per oltre settant'anni ebbe,
si può dire, in mano il Duomo di Spoleto, Maestro ancora vivente,
pure
SML ite ol met m cre im cmt eon
DI ALCUNI LAVORI ESEGUITI NEL DUOMO DI SPOLETO 145
sebbene vecchissimo, il quale sentendo parlare di catene, di ter- |
LR.
remoti, di aeque pluviali, scuoteva il capo, e con frase pittoresca '
andava ripetendo: Eh, non è la testa che duole a questo edificio:
sono i piedi che gli mancano! Ed io non so se queste parole, tante
volte udite ripetere, vi avessero qualche parte, ma quando, sono
oi i e SSA
oramai molti anni, cominciai a studiare il Duomo di Spoleto, ben
presto dovetti convincermi che le cause principali e più forti della
minacciata rovina risiedevano appunto nel sottosuolo. E mi per-
suasi che mai si sarebbe fatta opera seria a vantaggio del monu-
mentale edificio, se quelle cause non si fossero, prima, con tutta
esattezza determinate, e, in base ad esse, non si fossero poi esco-
gitati i mezzi diretti a scongiurare la minacciata rovina.
Forte di questa convinzione, provveduto appena, come ho
detto, ai lavori urgentissimi, io proposi e il Ministero approvò ;
l’apertura di alcuni pozzi, per metterci in grado di riconoscere le
condizioni del sottosuolo, poichè — sembrerà ineredibile — nessun
documento scritto esiste o, per lo meno, non siamo riusciti ancora
a rintracciare, intorno alla costruzione e ricostruzione, più volte
verificatasi, di un così vasto, monumentale edificio. E non solo
non vi sono documenti per quanto riguarda le epoche più antiche,
ic I ge n — i VI prt a RIE e a Ls POE |
ma sì ancora per quella a noi più vicina, e, cioè, per la ricostru-
zione Barberiniana!
Tenendo conto della esiguità dei mezzi che il Ministero po-
teva mettere a mia disposizione, nessuno vorrà condannarmi se io
ho cercato di conciliare la esplorazione del sottosuolo a scopo pu-
‘amente statico, con la desiderata rivelazione delle parti più ve-
tuste del monumentale edificio. E, avendo sempre di mira questo
duplice intento, feci aprire il primo pozzo nell’interno stesso del
Duomo, presso una delle più allarmanti fenditure che apparivano
nella parete destra della erocera di sinistra. Con tale pozzo a-
vremmo potuto determinare un dato importantissimo per la static:
dell’edificio, e nello stesso tempo vedere se l’ antica chiesa ebbe
una cripta, della quale non si ha memoria alcuna, ma che qualche
fatto lasciava sospettare potesse essere esistita nella forma e di-
mensioni, all'ineirea, di quella del Duomo di Rieti. Per metri 6,70
di profondità, non si trasse fuori dal pozzo che terreno di riporto;
ma si mise in luce la faccia interna del muro perimetrale della
chiesa che, per comodità di espressione, diremo del XII secolo;
————— —— —-
— IO
146 G. SORDINI
e, di fronte à questo, in una pianta più ristretta, un resto di muro
di grossi travertini, posto un po’ di sbieco con la pianta della
chiesa odierna e di quella del XII secolo, ma in perfetta concor-
danza con P inelinazione dell’ abside; nel qual resto di muro io non
esitai a riconoscere il muro perimetrale della primitiva chiesa, di cui
oggi non rimane che l’abside, conservata intatta nell'antico amplia-
mento dell’edificio, e nella moderna ricostruzione Barberiniana.
Mentre però di questo muro apparisce il piano di posa am. 2,76
dal livello del pavimento del presbiterio, quello del XII secolo si
profonda, invece, a ben m. 8,50. Differenza che ci dice, forse da
sola, la ragione dell’ampliamento dell’edificio nei primi due secoli
del secondo millennio. L'esistenza, però, del muro più antico ci
provò, in maniera evidente, che una cripta, almeno così estesa da
giungere ai due muri opposti della crocera, non è mai esistita nel
Duomo di Spoleto, mentre la faccia interna del muro perimetrale
del XII secolo, anch'essa di piccole pietre conce, come l'esterna,
ci dice quasi certamente, che si ebbe intenzione di costruirla.
Poco dopo incominciato lo scavo del pozzo, considerando le
gravi difficoltà tecniche eui andavo incontro, chiesi ed ottenni,
debitamente autorizzato da S. E. il Ministro della Istruzione Pub-
blica, la collaborazione dell’ ing. Luigi Del Bene e del prof. Ar-
pago Ricci, ai quali mi lega la più viva riconoscenza per l'aiuto
sapiente e diligente prestatomi e che, ne sono sicuro, vorranno
‘ancora prestarmi nella difficile impresa.
Terminato lo scavo del terreno di riporto ehe, in quel punto
raggiungeva, come ho detto, m. 6,70 di profondità, si attaccò su-
bito il terreno vergine, che si presentava sotto forma di un banco
di argilla azzurrognola, compatta, ma umidieeia.
Arrivati al piano di fondazione della chiesa del XII secolo,
eonstatato che la fabbrica Berniniana aveva un piano di fonda-
zione molto più basso, si potè questo determinare, per mezzo di
trivellazioni, a circa venti metri sotto il pavimento del presbiterio.
Ma, l’acqua che già filtrava abbondante, attraverso il muro del
Bernini, e che mostrava così di essere sotto carico, zampillò im-
provvisamente in grande quantità dal foro della trivellazione, che
fu dovuto subito chiudere ermeticamente, ed invase il fondo del
- pozzo.
Volgemmo allora le nostre eure ad assieurarei del piano di
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fondazione dei muri della crocera Berniniana; al di là del muro
del XII secolo, per mezzo di una galleria orizzontale, e, con no-
stra grande meraviglia, constatammo che il muro della Cappella
di S. Ponziano, o della erocera di sinistra che dir si voglia, pre-
sentava una discontinuità o squarcio, che si apriva a guisa di
cuneo, dal basso in alto, raggiungente, nella massima larghezza
ben venti centimetri; discontinuità o squarcio riempito perfetta-
mente di argilla. E, ciò che ci sembrò anche più meraviglioso, il
muro di fondazione si arrestava alla profondità di dodici metri.
Ma, una sorpresa infinitamente maggiore, sebbene di diverso
genere, ci aspettava, quando giungemmo con la galleria al muro
di fondo della crocera, dopo aver messo allo scoperto tutto il
piano di fondazione di quel lato. Vicino al muro di fondo, il
banco di argilla appariva tagliato da una trincea o fossa a pa-
reti inclinate, trincea o fossa riempita di materie organiche de-
composte o earbonizzate, di ciottoli e di cocci antichi, tra i quali
riconobbi varî frammenti di vasi preistorici funerarî della prima
età del ferro, identici ad altri da me trovati nei pressi di Spo-
leto e al Clitunno, di tipo assolutamente nuovo, e che verranno
pubblicati appena compiuto il lungo e difficile lavoro di ricompo-
sizione, al quale attendo da tempo. Evidentemente, quei frammenti
fittili, le materie organiche e la stessa trincea o fossa, debbono
considerarsi quali tracce di una necropoli arcaica stendentesi fino
a quel punto.
Durante lo seavo del pozzo e della galleria, volendo rendermi
conto dell’antica pianta della chiesa in quel punto, feci demolire
il pavimento laterizio della croce ‘a, tutto logoro e sconnesso; e
la pianta apparve in tutti i suoi particolari. Furono determinati,
così, nettamente i confini dell’antico presbiterio, nonchè la pianta .
di una cappella poligonale addossata al Duomo nel XIII secolo,
le enormi seonnessioni della fabbrica anteriore alla ricostruzione .
Barberiniana, e gli immensi sproni in muratura, costruiti in tempi
diversi per tenere in piedi quelle parti dell'edifizio, ma anch'essi
sconnessi e spezzati dalle stesse cause che minacciano l'esistenza
del Duomo odierno. Scoperte, queste, di non lieve importanza per .
la storia e per la statica dell’edificio.
Esaurite tali ricerche, venne aperto un altro pozzo nell’ in-
terno della cappella del Sacramento, verso l'angolo nord-est, per
DI ALCUNI LAVORI ESEGUITI NEL DUOMO DI SPOLETO 147
MS sdP oc SUE.
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si
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148 G. SORDINI
studiare una enorme fenditura verticale che divide, quasi in due
parti, la Cappella stessa, e per vedere se le condizioni del sotto-
suolo, constatate nel pozzo della crocera, si estendevano anche al
sottosuolo della Cappella del Saeramento. Ma, alla profondità di
m. 4,70, si dovette interrompere il lavoro, essendosi incontrata, nel
fondo del pozzo, una muratura durissima, che ei impedi di pro-
seguire oltre con la necessaria speditezza. Il terreno scavato era
tutto di riporto, a strati, in mezzo al quale si rinvennero fram-
menti di mosaico medioevale, di stucchi e di intonachi romani
eoloriti di rosso, di nero, di violaceo, e pezzi di porfido e ser-
pentino.
Venne anche sgombrata la cripta della cappella poligonale,
ridotta modernamente ad ossario, nella speranza di controllare,
eon una trivellazione, i risultati del pozzo della erocera. Ma.la
nostra speranza anche qui restò delusa, essendosi improvvisamente
rotta, rimanendo nel foro, la trivella. Però, anche in questo punto,
se non fatti geologici, avemmo almeno il conforto di rimettere in
luce un’ antica finestra, molti interessanti avanzi di antiche pitture,
nonchè una elegante base di pietra quadrilobata, le quali cose
dimostrarono essere stata la cripta aperta al culto. Rimase però
insoluto il problema dell’ antico accesso alla cripta stessa, alla
quale oggi si perviene per uno strappo moderno fatto nella volta.
Falliti questi due tentativi, buoni risultati ottenemmo, invece,
da due trivellazioni eseguite, una nella cripta di S. Primiano,
sottostante alla Cappella delle Reliquie, trivellazione che, spinta
fino a m. 19,50 dal pavimento del presbiterio, ci rivelò un fatto
nuovo, cioè una diversa costituzione geologica del sottosuolo, a
circa dieci metri soltanto di distanza dal pozzo della Cappella di
S. Ponziano; e l'altra a monte della chiesa, in un cortiletto attiguo
alla Sagrestia della S. Icone, trivellazione questa che incontrò un
solido strato di breccione alla profondità di m. 8,60.
A confermare questi risultati, e a rendere più ampia la zona
di esplorazione, e per essere più liberi nelle ricerche, trasportammo
il campo dei lavori all’esterno del Duomo. E, prima di tutto venne
iniziato un nuovo pozzo a fianco e.a monte della Cappella del Sa-
cramento, per studiare l'andamento sotterraneo della enorme fen-
ditura che, come ho detto, la divide quasi in due parti. Questo
pozzo fu condotto fino alla profondità di m. 10, e con meraviglia
DI ALCUNI LAVORI ESEGUITI NEL DUOMO DI SPOLETO 149
comune, benchè io mi attendessi di rinvenire, in quel luogo, an-
tichi ruderi, ci imbattemmo tra vecchie murature costituenti come”
la canna di un vero e proprio pozzo: murature che si andavano
restringendo, verso il fondo, in modo da lasciare un campo non più
largo di settanta centimetri di lato; finchè trovammo anche questo
ostruito da un’altra solidissima muratura, che fu impossibile rom-
pere con i mezzi dei quali disponevamo. Riconoscemmo però che
alcune di queste murature erano di elevazione, e state un tempo
allo scoperto. Di una anzi, potemmo vedere il paramento esterno
di pietre conce a filaretto, avanzi, di certo, dell’antico Episcopio che
come sappiamo da due documenti del X e dell’XI, e da una te-
stimonianza del XIV secolo, sorgeva appunto dietro il Duomo.
Costretti ad abbandonare anche questo saggio, divenuto in-
fruttuoso per il nostro primo e più diretto scopo, e non po-
tendo lasciare inesplorata quell’ area importantissima per le no-
stre ricerche, concentrammo tutti gli sforzi dietro l'abside, che,
come ho detto, è la parte più antica del monumentale edificio,
e che, come tutti i cultori di Arte e di Storia sanno, ci conserva,
quasi intatto, l’ultimo lavoro e forse il capolavoro di Fra Fi-
lippo Lippi.
Ammaestrati omai dall’ esperienza, rotta la platea del XIX se-
colo, costruita per convogliare l’acqua piovana, con un breve
scavo a ridosso dell’abside, rimettemmo in luce l’antica base del-
l’abside stessa, sconciamente occultata, e, alla profondità di un
metro, incontrammo un’altra muratura che ci parve, così alla
prima, una più antica platea. Saggiata questa, e visto che aveva
uno spessore non determinabile senza seonnetterla profondamente,
eereammo il suo limite esterno, e constatammo che si allargava
attorno all’abside per m. 4,25, ed aveva forma di poligono rego-
lare. Seandagliato il terreno adiacente, mercè una trivellazione,
per acquistare o meno la certezza di poter-seavare un pozzo a
ridosso di quella muratura, avemmo per risultato che, innanzi di
toccare il terreno vergine, bisognava attraversare ben dodici metri
di terreno di riporto! Allora fu risoluto di seavare un nuovo pozzo,
il quale, innanzi tutto; ci dimostrò che la supposta platea su cui
sorge l’abside, è, invece, una colossale sostruzione di m. 6,21 di
altezza, sporgente, come ho detto, m. 4,25 dal muro dell’ abside,
un tempo quasi interamente visibile. E sotto questa sostruzione,
150 ; G. SORDINI
che riposò: già sopra uno strato di breccione, trovammo, orribile
constatazione, una profonda caverna riempita in parte da un muro
piantato di sbieco, e che serve di sostruzione alla sostruzione!
Sgombrato il terreno di riporto, in mezzo al quale trovammo
aleuni interessanti frammenti di sculture, appartenute all'antieo
Duomo, vedemmo che il fondo del, pozzo era occupato da uno
strato di breccione, con nostra grande meraviglia risultato poi
essere invece un masso erratico di quella roccia; masso erratico.
che, se minore fosse stata 1’ accortezza della assistenza teeniea,
avrebbe. di certo causato qualche grave disastro.
Spezzato e rimosso anche questo masso di breccione; incon-
trammo finalmente il banco di argilla, identico a quello constatato
nel pozzo della eroeera. Fu cominciata allora una nuova trivel-
lazione che venne spinta a ben £rentasette metri di profondità, fin
dove cioè, la trivella e lo scalpello si arrestarono contro una roccia
dura ‘e solida — forse il calcare. E volendo controllare questo
importante risultato, si intraprese una nuova trivellazione più a
valle, sotto le mura urbane, e, anche qui, trivella e scalpello si
arrestarono contro un durissimo ostacolo, a ben quarantasette metri
di profondità. Queste misure, come è naturale, si riferiscono al
punto fisso di partenza di tutte le altre, che è il piano del pre-
sbiterio. 26
Da quanto sono venuto esponendo si comprende facilmente
che le nostre indagini non sono ancora al loro termine; ma, in-
tanto, sappiamo: che, nell'area dove sorge il Duomo di Spoleto, fu,
in tempi preistorici, anzi addirittura geologici, un profondo bur-
rone, il cui solido letto di calcare, probabilmente identico a quello
del vicino Monteluco e a: quello su cui è fondata la Rocca, so-
vrastante al Duomo e alla città, si incontra a profondità ragguar-
devoli; che questo burrone fu naturalmente riempito da un banco
di argilla con strati acquiferi e di breccione; che le parti del
Duomo fondate, come il campanile, i piloni della cupola ed altre,
sul breccione, sono solidissime; che tutta la parte a valle invece,
non si sa ancora se per una faglia determinatasi nell’ argilla 0 se
per trovarsi sulla testata o bordi del breccione, presenta un. mo-
vimento capillare continuo, accentuato dalle scosse sismiche, mo-
vimento che, o prima o poi, produrrà la rovina di tutto l’edificio;
che infine, con opere molto serie e dispendiose, quando non ve-
EPUM cC
—
DI ALCUNI LAVORI ESEGUITI NEL DUOMO DI SPOLETO 151
nissero meno gli aiuti necessarî, si potrà, in maniera duratura
provvedere alla consolidazione del monumentale. edificio, per rie-^
‘chezza storica e artistica, senza dubbio, uno dei più cospicui della
regione. :
Questo è ciò che per sommi capi può dirsi oggi, e che spe-
riamo verrà confermato da un nuovo pozzo, già deliberato in mas-
sima .da una Commissione governativa, di cui fanno parte insieme
all’ ing. Del Bene, al prof. Ricci e allo scrivente, l' Ingegnere-capo
del Genio Civile della provincia dell'Umbria, l'Arehitetto Vice-Di-
rettore dell’Ufficio Regionale e 1’ Ingegnere del Comune di Spoleto,
con la quale Commissione. si procedette sempre d'accordo nello
stabilire il piano e la esecuzione dei lavori. Questi sono stati lun-
ghi e difficili, pieni di ansie e di responsabilità per noi; ma hanno
anche costato una ben misera somma, e cioè poco più di L. 3,500,
mille delle quali si ebbero come spontaneo contributo di enti lo-
cali, il Capitolo e l'Opera, e le altre dal Ministero della Pubblica.
Istruzione.
Accennerò, da ultimo, che non venne da noi trascurato di stu-
diare un altro fatto che sembrava potesse avere una qualche rela-
zione con la minacciata rovina. È ben noto che le grandi campane
del Duomo di Spoleto, quando vengono suonate a distesa, fanno
notevolmente oscillare l’alto e solidissimo campanile: oscillazione
che: persone degne di fede asserivano comunicarsi a tutta la fab-
brica, compresa la Canonica, e che pareva fosse confermata dal-
l'evidente dondolare dei fiocchi del baldacchino sospeso sopra
l'altar maggiore. Si fecero, a questo proposito; vari esperimenti,
ma sembrò di poter concludere che le oscillazioni non si. propa- -
ghino fino alle fondazioni del vasto edificio.
E qui avrebbe termine il compito che mi sono proposto, se
non sentissi il dovere di chiudere questo rapido cenno con una
notizia ben dolorosa, indirettamente collegata eon i lavori eseguiti.
Appena scomposto il monumento mediceo di Fra Filippo, ae-
quistata la certezza che, nè dietro, né sotto di esso, erano con-
servate le ossa del grande Pittore fiorentino, dimostrai con argo-
menti inoppugnabili, ehe esse non dovevano essere state mai tolte
dal sepolero che, appena morto, gli fece fare innanzi alla porta
maggiore del Duomo, con marmi bianchi e rossi, il Comune di
Spoleto. Concentrate in quel punto tutte le ricerche, promosse da
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152 3. SORDINI
me a spese esclusive dell Opera del Duomo, purtroppo nulla si
rinvenne; ed io, oggi, ho la dolorosa eonvinzione che le ossa di
Fra Filippo Lippi siano perdute per sempre!
Tratti in inganno, i nostri maggiori, dal monumento mediceo
che, per bocca del Poliziano, in una gloria di bellezza artistica e
letteraria, da più di quattro secoli grida: Conditus hic ego sum
picturae fama Philippus, e perdutasi la memoria della non avve-
nuta traslazione, o forse, tenuta nascosta dallo stesso Filippino,
per non contrariare la espressa volontà del Magnifico, le ossa del
Lippi finirono certamente nell’ossario comune, come le ossa. del-
l’ultimo dei mortali, allorchè le sepolture vennero sgombrate dai
più antichi e volgari carcami. Conclusione questa, doppiamente
dolorosa al mio cuore, ma che proverà-anch’ essa, eon quanta
sincerità, serietà e diligenza, si proceda nei lavori del Duomo di
Spoleto.
Che se a voi, chiarissimi Colleghi, parrà di poter confortare
della vostra autorevole approvazione, il metodo da noi tenuto nel-
l affrontare il più grave problema statico della nostra regione,
tanto io quanto i miei valenti Collaboratori saremo compensati ad
usura delle amarezze cui ci condannarono le insane impazienze
di coloro i quali, mirando sempre e soltanto all’utilità materiale
immediata, vere parodie di Luigi XV, avrebbero voluto che spa-
rissero subito, sotto un compiacente strato di intonaco le spaven-
tose lesioni del Duomo di Spoleto, ridonando, senz'altro, tutte le
parti di questo, alla libera circolazione del pubblico. Ciò si fece,
è vero, in altri tempi, quando non si era ancora intuita la gra-
vissima causa del male: farlo oggi, che dico? pensarlo solamente,
sarebbe lo stesso che ingannar sè e gli altri: inganno, forse per-
sonalmente comodo, ma che, o prima o poi, condurrebbe ad una
immane catastrofe. E a questo, nè la mia coscienza, nè il mio
carattere, nè la responsabilità mia si acconcieranno giammai.
GIUSEPPE SORDINI.
xc
"—
BOLLETTINO DELLA REGIA DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA
PERE ZUNE BETA
INDICEH
DEL PRESENTE FASCICOLO
Maportesdi Gi Mazzatiito 59 us qut c RI DI
Atti della Regia Deputazione.
Adunanza del Consiglio, tenuta il 16 settembre 1905 . . . » M
Adunanza del Consiglio, tenuta il 17 settembre 1905 . . . » VII
Assemblea generale, tenuta il 17 settembre 1905. . . . . » IX
Adunanza del Consiglio, tenuta il 17 settembre 1905 . . . » XXIII
Assemblea generale, tenuta il 18 settembre 1905. . . . . » XXIV
Assemblea generale, tenuta il 19 settembre 1905. . . . . » XXVI :
Memorie e Documenti.
Gubbio sotto i conti e duchi d’ Urbino (1384 - 1632) (A. PeL-
LHGHIND. ORE I a » 1
Due monasteri benedettini più volte secolari (Rieti) (W. van
FEBTEBEN) ESSEN SAN RENE RNA O » 51
La famiglia di Tomasso Morroni e le fazioni in Rieti nel se-
v
colo XVi: (Ax SACOHDTTI SASSATTI) i. t VS S n » 81
Notizie sui monumenti dell? Umbria.
Di due antichi ricordi esistenti sotto il portico della catte
drnlesdb Terni (I IGANZIY ee SRO II » 127
Del palazzo Trinci in Foligno (M. FALOCI-PULIGNANI). . . » 138
Di aleuni lavori eseguiti, nel duomo di Spoleto dal 6 gen
naio 1904 a tutto J'ayosto 1905 (G. SORDINI). . . . . » JA
mn NONO A?
D ade PNE i.
PUBBLICAZIONI.
DELLA :
R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER L'UMBRIA
che si vendono anche separatamente presso la medesima À
è
Inventario e spoglio dei Registri della Tesoreria Apostolica di Città di
Castello, dal R. Archivio di Stato in Roma (a cura di L. Fumi).
Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, Mr Un vol. in carta a
mano di pagg. XIV-80. i : : : : QOLoo38—
Inventario e odia dei Registri della "osoróela Apostolica di Perugia
e Umbria, dal R. Archivio di Stato in Roma (a cura di L. Fumi).
Perugia, Unione Tip. Coop., 1901. Un vol. in carta a mano di
pagg. LXVIII-400 i : i 1 : ; . L. 12,50
I Registri del Ducato di Spoleto della serie « Introitus et exitus »
della Camera Apostolica presso l'Archivio Segreto Vaticano, Excer-
pta e documenti per la storia civile, politica: ed economica della
provincia del Ducato di Spoleto (a cura di L. Fumi). Perugia,
Unione Tip. Coop., 1901. Un vol. di pagg. 350 . . L. 8—
Indici del Bollettino della R. Deputazione Umbra di Storia Patria, dal-
l’anno 1895 all’ anno 1901 (a cura di L. Fumi e G. Mazzatinti).
Perugia, Unione Tip. Coop., 1903. Un. vol. in carta a mano, di
pagg. XXV-114 . : ; à j ; i siria
Cronaca inedita Perugina di Pietro Angelo di Giovanni in continua-
zione di quella di Antonio di Guarneglie, già detta del Graziani
(a cura del prof. 0. Sealvanti) Perugia, Unione Tip. Coop., 1903.
Un vol. di pagg. XV-162; VI-219 . ; i ; . L. 10,50
Le Relazioni tra la Repubblica di Firenze e l'Umbria nel secolo XIV
secondo i documenti del R. Archivio di Stato di Firenze (a cura
di G. Degli Azzi-Vitelleschi), Vol. I — Dai Carteggi, un vol. di
pagg. 327. Perugia, Unione Tip. Coop., 1904 . i vou: 400
Di prossima pubblicazione il II vol. delle Relazioni tra la Repubblica
di Firenze e U' Umbria nel sec. XIV, a cura di G. Degli Azzi.
Un? annuta del Bollettino . ; : ; S DAR DS
Un fascicolo separato . — . = : , RICE AS)
Rivolgere le domande al Segretario-Economo sig. prof. Oscar ScAr-
VANTI — Perugia.
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