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BOLLETTINO

DELLA REGIA DEPUTAZIONE

DI

STORIA PATRIA

PER L'UMBRIA

VOLUME XII.

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DioN. D'ALICARN. Ant. Rom, I, 19.

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UNIONE - TIPOGRAFICA COOPERATIVA

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BULLETIN DELLA REGIA: DEPUTAZIONE, DI STORIA PATRIA

PER L’UMBRIA

INDICE

DEL PRESENTE FASCICOLO

Atti della Regia Deputazione,

‘ Adunanza del Consiglio del 22 settembre 1906, in Assisi POgGz I
Assemblee generali del 23 settembre 1906 . . Pagine vi e xxxii

Memorie e Documenti. :
Delle chiese della città e diocesi di Foligno nel secolo XIII

(P. LUGANO) . . “0327
Di un sunto inedito di storia spoletina, scritto. nel sec. X
(GS SORDINI). - X L4. »v 351

Appunti storici intorno ai monaci benedettini di S. Pietro

in Perugia fino al primi del sec. XV (L. pM

TARULLI) È ». 385
. Quale posto convenga al dipinto di Stroncone nella serie
delle Fonti per la iconografia francescana (L.. LANZI) » 467

Comunicati.

Un Codice poco noto della Visione del B. Tommasuccio da
Foligno (E. FILIPPINI) . | » 483

Di un Santuario francescano in pericolo (P. ‘CAMPELLO DEL-
LA SPINA). » 487
Amelia sotto la dominazione del Re Ladislao, e del Tartalia ;
da Lavello (B. GERALDINI). . . » 491

Per la sepoltura di Braccio Baglioni e di Braccio Forte-
pracci in -Perugia (O; SCALVANTI)4.. |. 0. AN » 503

Documenti.

I-II - Briciole di storia assisiate. — III. - Circa il riordi-

namento dell'Archivio Giudiziario di Perugia (G. DEGLI
AZIO Ro e LE UC AES VeL od e dE vade Apc eo de DURS ON

Varietà. È

‘Un quaternario politico ed altre poesie inedite di France-

sco Melosio da Città della Pieve (I. NoRRERI) . . .. » 519
Notizie sui monumenti dell' Umbria. /

Spoleto (G. SoRrDINI) . . pls eu nwipdu dE Ten Mus fi. » 530
Chola Pictor (G. CRISTOFANI) . ? i » 545

Del « Giudizio Universale » di Rieti e e de' suoi ‘autori (A.
SACCHETTI SASSETTI) . . DI o » 549
Analecta Umbra (G. DeGLI Azzi, P. T. M). ASSLIRENTTNTE » 555
Tavola dei nomi di persone e di luoghi . . . . . . » 563

Indice del dodicesimo volume ^. . . . . . . . » 567
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ANNO XII. FascicoLo III

BOLLETTINO

DELLA REGIA DEPUTAZIONE

DI

STORIA PATRIA

PER L'UMBRIA

VoLUME XII.

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Dion. D’ALICARN. Ant. Rom. I, 19.

PERUGIA
UNIONE -TIPOGRAFICA COOPERATIVA

(PALAZZO PROVINCIALE)

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ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE .

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ADUNANZA DEL CONSIGLIO
tenuta nel dì 22 settembre 1906

in una sala del Palazzo comunale di Assisi, gentilmente concessa

Presidenza MAGHERINI-GRAZIANI.

Presenti i soci:

Ansipei V. Vice-Presidente — Sorpini — CUTURI — TENNERONI —
FaLOCI-PULIGNANI — TOMMASINI-MATTIUCCI — DEGLI AZZI-VITELLESCHI
— SCALVANTI, Segretario.

Scusano la loro assenza i soci ordinari:
FiLippini — LANZI — FUMI — BELLUCCI ALESSANDRO.

Il presidente comunica agli adunati di avere cortesemente in-
sistito presso il prof. Giuseppe Bellucei perchè ritirasse le sue di-
missioni da socio ordinario della R. Deputazione, ma che non potè
rimuoverlo dalla presa determinazione. Il vice-presidente conte
Ansidei aggiunge di aver fatto anch'egli pratiche personali a que-

sto scopo, ma. inutilmente.

Dopo tali comunicazioni, la R. Deputazione alla unanimità

, prende atto con vivo rammarico delle dimissioni del socio ordi-

nario comm. prof. Bellucci.

Indi si approvano i processi verbali delle adunanze tenute in
Città di Castello nel settembre del decorso anno 1905.

Si passa alla proposta di nomina di un socio ordinario in so-
stituzione del compianto prof. Giuseppe Mazzatinti in base all'ar-
ticolo 15 dello Statuto. Il segretario fa noto ehe prendono parte
II

alla votazione anehe i soei assenti Lanzi prof. eav. Luigi e Bel
lueei prof. Alessandro per mezzo di schede inviate alla Presidenza
e ehe vengono dissuggellate e deposte nell'urna. L'esito della vo-
tazione dà per risultato la designazione a socio ordinario del pro-
fessor Leto Alessandri, direttore dell'Arehivio storico comunale di
Assisi.

Il presidente espone agli adunati, che egli è dolentissimo di
dover partecipare ehe l'illustre comm. Luigi Fumi ha dichiarato
di non poter prender parte alla Direzione del Bollettino, come: ha
fatto da molti anni eon plauso degli studiosi e meritandosi la piü
viva gratitudine di tutti i suoi colleghi. Aggiunge ehe la R. De-
putazione è chiamata a deliberare intorno alle dimissioni inviate
dal comm. Fumi, e ad eleggere l'altro. Direttore in sostituzione
del compianto prof. Giuseppe Mazzatinti.

Il Consiglio, pure apprezzando i motivi di salute e di lonta-

nanza dalla sede della Deputazione che hanno suggerito al com-
mendator Luigi Fumi di inviare le sue dimissioni, ritiene chè
queste non debbano essere accettate, perchè il comm. Fumi si è
reso così benemerito della R. Deputazione come organizzatore del
sodalizio, e come collaboratore e direttore assiduo e sapiente del
Bollettino da doversi in qualsiasi modo ottenere che egli non privi
la Deputazione della sua opera preziosa. Commette perciò all’ uf-
ficio di presidenza di fare tutte le pratiche opportune per indurre
il eomm. Fumi a non insistere nelle date dimissioni.

Quanto poi alla nomina del eondirettore, in sostituzione del
prof. Giuseppe Mazzatini, il segretario Scalvanti ritiene, che an-
che a tenore dello Statuto non sia mestieri procedere a questa
nomina. Lo statuto dispone — che per tutto ciò che concerne le
pubblicazioni (compresa quella periodica del Bollettino) si elegga
una Commissione speciale, che dura in carica tre anni ed è pre-
sieduta dal presidente della R. Deputazione (art. 21). — Si è pra-
tieato fin qui, che uno o due membri della Commissione assumes-
sero le funzioni di direttori, nel quale uffieio si distinsero in modo
degno del più largo encomio l’ illustre comm. Fumi e il compianto
prof. Mazzatinti. Egli confida che il Fumi, dietro le nuove atte-
stazioni di riverenza e di stima della R. Deputazione, vorrà con-
tinuare ad occuparsi della direzione del Bollettino, facendo egli

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parte della Commissione per le pubblicazioni, ma LONE non sia luogo
& designare un condirettore.

Anche i soci Degli: Azzi, Tommasini ‘e Tenneroni sono dello
stesso avviso, e ritengono che al presidente spetti di designare,

-ove lo creda opportuno, qualche membro della Commissione sud- -

detta, affinché coadiuvino il direttore del Bollettino, comm. Fiumi.
Il Presidente dichiara che egli è lieto di poter. designare a
tale ufficio i soci ordinari Degli Azzi e Tommasini-Mattiucci, che

. già ebbero ad occuparsi delle pubblicazioni del Bollettino con in- -

teresse vivissimo e con rara competenza.
Il socio Degli Azzi, a proposito del Bollettino richiama Y e

tenzione dei colleghi sulla nuova rubrica introdottavi dal titolo :

Notiziario d’arte. Egli rende giustizia al prof. Scalvanti, che nel-.
l dssemblea di Città di Castello ebbe a proporre tal Notiziario,
ma . desidererebbe ‘ora che la R. Deputazione determinasse eon

‘ esattezza i confini che si debbono assegnare a questa pubblicazione.

II prof. Scalvanti osserva che nella proposta da lui fatta e dal
l'assembleà dei soci accettata tali confini erano chiaramente espo-
sti: e cioè che la nuova rubrica doyesse contenere soltanto con-
cise e sobrie notizie sui principali ritrovamenti di oggetti d’arte,
che avessero altresì un interesse storico per la regione. Sarà lieto
però -che la Deputazione anche più nettamente esprima il suo av-
viso. in proposito. Il socio Tenneroni crede, che si debbano dare
solo le notizie delle cose più importanti, e che sopratutto si cer-
chino di pubblicare i documenti riferentisi ad opere d'arte nel-

‘l'Umbria. Il cav. Sordini e il cav. Lanzi sono dello stesso avviso.

Sul metodo della pubblicazione del Bollettino parla quindi il

socio Tenneroni, il quale vorrebbe, che quando vi è occasione di .

riprodurre documenti in latino si notassero ‘nel margine i punti
salienti, e ciò all'effetto di richiamare su di essi I attenzione dei
lettori. i i i
Aggiunge, che ‘sarebbe mestieri cho si pubblicassero più di

frequente gl’Indici relativi ai lavori inseriti nel Bollettino, e poi-

chè ciò rappresenta fatica non lievé peri soci autori degli scritti,
egli vorrebbe che di ciò fossero incarieati dei giovani studiosi
dietro un conveniente compenso. Le proposte del socio Tenneroni
sono. appr ovate;

Il socio Sordini osserva poi, che il compilare un lavoro Stó-
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IV
rico per il Bollettino richiede presso che sempre la traserizione
di numerosi documenti. Ora se la R. Deputazione non può offrire
compensi agli autori per le Memorie o Comunieazioni che essi pre-
parano per il Bollettino, almeno dovrebbe retribuirli in maniera
adeguata per le trascrizioni. Il segretario Scalvanti risponde, che
ciò è stato praticato e da molto tempo. E se alcune trascrizioni
non ricevettero compenso di sorta, ciò fu perchè gli autori non
eredettero doverlo domandare. Cita, ad esempio, le trascrizioni

degli Statuti e quelle delle Cronache perugine, per le quali fu-

rono tali compensi assegnati.

Il segretario-economo legge la Relazione compilata dai revi-
sori del Conto finanziario 1905 prof. Blasi e dott. Giustiniano De-
gli Azzi-Vitellesehi, i quali dichiarano che la gestione finanziaria
ha proceduto con la massima e più scrupolosa regolarità, e ha
dato sufficienti e lodevoli resultati. Il segretario quindi passa: alla
lettura della Relazione propria, intrattenendo gli adunati sulla ge-
stione stessa, e sul rendiconto morale dell'Istituto. Espone quindi
lo stato patrimoniale e le variazioni apportate negli Inventari.

La R. Deputazione, lieta di apprendere che l'Istituto, mercè
le cure assidue dell’ Ufficio di Presidenza, proeede con la più
esemplare regolarità; e tenuto conto dei resultati soddisfacentis-
simi della gestione, approva il Conto Consuntivo 1905 nelle cifre
esposte dall Relazione del Segretario-economo e dei Revisori.

Delibera poi di confermare a revisori per il Conto 1906 i soci
prof. Angelo Blasi e dott. Giustiniano Degli Azzi-Vitelleschi.

Si discute quindi il bilancio preventivo 1907, su di che prende
la parola il prof. Torquato Cuturi per raccomandare che agli au-
tori degli scritti inseriti nel Bollettino sia assegnato un maggior
numero di estratti. Gli adunati approvano in massima la proposta,
ma sono di avviso che ciò debba affidarsi ai poteri diserezionali
del presidente.

Il bilancio preventivo 1907 è approvato nelle cifre e risultati
finali proposti dall’Ufficio di Presidenza.

Il presidente, constatato che le risorse finanziarie dell’ Istituto,
per quanto assai searse, permettano ormai che si ponga mano alla
pubblicazione dei Fonti storici, espone che l’Ufficio di Presidenza
ha concretato su di ciò un progetto, che viene esposto dal. vice-
presidente conte Ansidei. Da esso apparisce che la R. Deputazione ZA f

nel venturo anno potrebbe intraprendere la stampa del Regesto

‘dei più antichi documenti custoditi nell'Archivio comunale di Pe-

rugia, e che sono anteriori alle pubblicazioni statutarie, e potrebbe
iniziare altresì la stampa del più antico statuto generale del 1279.

Le relazione del conte Ansidei contiene una succinta e chiara,

esposizione dei metodi, che, secondo lui ed il segretario Scalvanti,
dovrebbero essere seguiti in queste pubblicazioni, e si chiude con
una dimostrazione della spesa, a cui esse potranno ascendere.

Apertasi la discussione su questo argomento, il socio Tenne-
roni, dopo aver tributato encomio ai soci Ansidei e Scalvanti per
la diligentissima relazione, propone anzi tutto, che la pubblicazione
del Regesto vada sotto il nome del conte Ansidei, e quella dello
Statuto sotto il nome del prof. Scalvanti, il quale altre volte venne
designato dalla R. Deputazione ad occuparsi della stampa dello
Statuto perugino. Osserva poi che la R. Deputazione non può det-
tare' che norme generiche, approvando quelle contenute nella Re-
lazione, e questo perchè anche sulle proposte pubblicazioni deve
essere interpellata la Commissione speciale eletta in ordine all’ar-
ticolo 21 dello Statuto. Il socio mons. Faloci-Pulignani propone
ancora che, stampandosi lo Statuto, si pubblichi altresì una bi-
bliografia di tutti gli altri statuti dell'Umbria editi e inediti.

La Deputazione approva. i

Prende la parola il socio Tenneroni, ed espone che, secondo
il suo avviso, esaurita la stampa di questi Fonti storici, si po-
trebbe por mano a quella di altre opere, che pure avendo carat-
tere letterario, hanno importanza storica. Cita, ad es., il poema
L'altro Marte di Lorenzo Spirito, che ha valore di cronaca, e del
quale ormai non si trovano più esemplari, giacchè l’unica edizione
assai scorretta pubblicata in Vicenza nel 9 aprile 1489 è ormai
esaurita. Riferisce poi che la biblioteca Vittorio Emanuele di Roma
acquistò già l'altro lavoro dello Spirito dal titolo: Lamento di Pe-
rugia o del Griffone, opera della quale il Vermiglioli ha dato solo
dei brani. Anche questa importante composizione metrica, d’ indole
storica, di un nostro pregiato scrittore del 400 potrebbe essere pub-
blicata con onore della regione umbra e vantaggio degli studi storici.

La R. Deputazione è grata al socio Tenneroni di queste pro-
poste, che saranno prese in considerazione e tenute presenti per
l’ordine del giorno di una ventura convocazione del Consiglio.

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VI

Il segretario, dietro” invito del presidente, riferisce intorno
alla partecipazione presa dalla R. Deputazione ai funeri ed alle
onoranze del compianto prof. Mazzatinti, e la R.' Deputazione

delibera di stanziare la somma di lire 100 sul bilancio 1907 per .

concorso alla spesa del ricordo marmoreo, che Gubbio inalzerà al
suo illustre cittadino. i
La R. Deputazione procede quindi alle proposte di nuovi soci
delle varie categorie da farsi alla Assemblea generale in ordine
al disposto dell'art. 2 lett. 0) e c) e art. 4 dello Statuto.
Non essendovi altri affari a trattare l’adunanza è sciolta.

IL PRESIDENTE |
G. MAGHERINI-GRAZIANI

a Il Segretario

O. SCALVANTI. ,

ASSEMBLEA GENERALE
del giorno 23 settembre 1906 a ore 9 »

in Assisi, nella sala della Biblioteca Comunale, gentilmente concessa,

Presidenza MAGHERINI-GRAZIANI.
Presenti i soci ordinari :

AxsipEt V., Vice-Presidente — TOMMASINI-MATTIUCCI — SORDINI —

Cururi — TExNERONI — DEGLI ÁZZI-VITELLESCHI — FALOCI-PULIGNANI. .

— CAMPELLO DELLA Spina”— LANZI — ALESSANDRI.
E i soci:

‘BrIiGANTI — Brizi — CorBuccI — CRISTOFANI — GERALDINI —
GaLLENGA STUART — GIGLIARELLI —. PERALI — SACCHETTI-SASSETTI
— Viviani — VERGA — ANGELINI — BurFETTI-BERARDI —. FAINA-VA-
LENTINI Luciana — MAGNINI — PRESENZINI — RoccHI — TARULLI —

TORELLI-FAINA ALESSANDRINA — NOVELLI — ANTONELLI — LUGANO —

SCALVANTI, Segretario.

A VII

Il presidente ordina la lettura dei verbali delle precedenti se-
dute, che sono approvati.
. Prende quindi la parola il pro-sindaco di Assisi dicendosi lieto

di rivolgere in nome della rappresentanza comunale e di tutti i:

cittadini i più vivi ringraziamenti agli ospiti illustri e graditissimi
per avere scelto Assisi a sede del XII Congresso della R. Depu-
tazione di Storia Patria per l'Umbria, e gli auguri più fervidi, af-
finchè il Congresso sia di incremento ai fecondi studi, che tanto

interessano la gloria e il lustro dell'intera regione. Accenna alla

importanza delle ricerche storiche, per le quali sempre più vanno
rivelandosi i caratteri dello spirito umbro, le leggi che i liberi

Comuni si diedero e gli onori dovuti a insigni personaggi, che.

nelle armi, nelle scienze, nelle arti, nelle lettere e nella politica
meritarono fama non peritura. Nota come questo rifiorire delle
indagini nel nostro glorioso passato si unisca oggi a un nuovo ar-
dore di vita, che si augura possa migliorare le sorti dell’ Umbria
in un non lontano avvenire. Egli ha pieno convincimento che
questa regione sarà presto uno degli elementi più preziosi di forza
‘e di progresso nella grande famiglia italiana. E poichè è segno e
indizio certo di civiltà il custodire con amore i ricordi del passato
e salvare tanti ed insigni monumenti dal pericolo di prossima ro-
vina, egli confida che anche a questo fine nobilissimo saranno ri-
volte le rinnovellate energie della regione umbra. Intanto egli

‘manda un caloroso saluto alla R. Deputazione, la quale ha ap-

punto per scopo di diffondere la cultura e l'amore delle memorie
del passato sottraendole all'oblio e alle continue minaecie di di-
spersione, opera che la rende altamente benemerita degli studi,

e le concilia la gratitudine dell'Umbria intera.

A questo saluto dell'on. rappresentante del Comune di Assisi
risponde il presidente Magherini-Graziani, pronunziando le seguenti
parole: o

« Prima di ogni altra cosa mi sia permesso di porgere un rive-
rente e caldo saluto a te, o Assisi, ove più che in altro luogo dell’ Um-
bria nostra, si subisce potente.il fascino di una poesia ineffabile e
grandiosa; ove tutte le cose sembrano rivestirsi di dolcezza infinita, di
una dolcezza piena di maestà nella loro quiete solenne; alla tua. bel-
lezza e alla tua gloria, che diffondendosi prima per l' ampia distesa
della valle da te dominata e poi per tutto il mondo rese famoso eterna-
o RERE Rd

VII

mente il Subasio. Un saluto a te, in eui la rómana civiltà si perpetuò
nel tempio di Minerva, la medioevale potenza nelle tue mura vetuste,
nella rocca formidabile; a te in cui risplende tanto fulgore dell’arte
italiana, a te culla e sepolcro di Francesco, il nome del quale si sparse
per tutta la terra e dovunque si mantiene perennemente glorioso.

E a te porgendo l’ omaggio meritato, intendo di rivolgere nello
stesso tempo un saluto riverente a voi, o signori, che degnamente rap-
presentando la vostra città, coll’ accoglienza che ci faceste, degna in
tutto della vostra tradizionale e mai smentita gentilezza, avete voluto
dimostrare come siate ammiratori delle glorie passate degli avi, e come
voi amiate l'istituzione, che i ricordi di quelle glorie raccoglie. Ad
Assisi intiera, adunque, ma più specialmente a voi, anche a nome dei
colleghi tutti, la nostra gratitudine cordiale per tale accoglienza, di cui
serberemo, ne potete esser certi, imperitura e carissima memoria ».

Il Segretario Scalvanti seusa l'assenza dei soci:

FuMIi comm. Luigi: — MANNO comm. ANTONIO — MANASSEI conte
sen. PAoLo — Comm. CESARE FaNI — PAOLO SABATIER — CONESTABILE
conte comm. GIUSEPPE, presidente della Deputazione provinciale, in tal
qualità rappresentato al Congresso dal conte dott. VINCENZO ANSIDEI —
Sindaco di Perugia conte dott. Luciano VALENTINI, rappresentato dal
dott. Romeo GaLLENGA-STUART — Prof. AMEDEO PELLEGRINI — Profes-
sor ALESSANDRO BeLLUCCI — Prof. ExnRrICO FILIPPINI — Prof.* BrRA-
TRICE Rascur — Prof. Giuseppe Pascucci — Comm. VirTORIO FIORINI
— Cap. Bexeperto LeoNETTI-LuPARINI — Cav. BRUNO BRUNAMONTI —
Pio sac. CENCI — Prof. Pier GAETANO PossENTI — Cav. DOMENICO

Torpi — Avv. Giuseppe UBaLDI — Cap. Carm — :Uco OJETTI. —

Conte FnENFANELLI-CiBO — Dott. ANGELO FANI.

Comuniea poi che hanno diehiarato di non poter intervenire
per ragioni- dell'alto. ufficio :

S. E. il Ministro Rava -- S. E. CiurFELLI, Sotto-Segretario della
Pubblica Istruzione — S. E. PomPILJ — il Comm. ERNESTO DALLARI,
Prefetto dell’ Umbria, e il cav. prof. FERRUCCIO MARTINI, R. Provve-
ditore agli Studi, i quali tutti hanno inviato per lettera o per telegramma
la loro adesione al Congresso salutando i convenuti e plaudendo alla
loro opera indefessa ed efficace per l'incremento degli studi storici.

Indi il segretario annunzia all'assemblea, che la Deputazione
nella seduta del giorno precedente designava a socio ordinario,
IX

in sostituzione del compianto prof. Giuseppe Mazzatinti, il socio
Leto Alessandri, egregio bibliotecario della comunale di Assisi e
ormai noto i per suoi meriti di storico e di letterato. Il socio Ales-
sandri vivamente ringrazia.

Il segretario Scalvanti legge poi la seguente relazione sui la--
vori compiuti dalla R. Deputazione nell’anno 1905:

Io debbo ringraziare anzi tutto l’ illustre Presidente
di avermi dato il gradito incarico di riferire intorno al-
- l’opera spiegata dalla nostra Deputazione nel decorso
anno; gradito, perchè a chi. ama il fiorente istituto e -
prende parte, modesta è vero, al suo avanzamento scien-
tifico, è di conforto il constatare, che la R. Deputazione
di Storia Patria per l'Umbria sorta da wnili origini oc-
cupa ormai un degno posto fra le altre consimili isti-
tuzioni italiane. 3
Dell’opera scientifica, quale si esplica specialmente -
nella pubblicazione del Bollettino, dirò, che tanto pei
lavori di Storia civile e topografia, quanto per quelli dio-
grafici e archivistici l’attività dei soci si è continuata ad
affermare in modo vantaggiosissimo per la cultura sto-
rica nella nostra Regione. ; :
Appartengono al primo gruppo della Storia civile e
topografia i pregevoli lavori di Pericle Perali, che nel-
l’Orvieto etrusca affrontò ardue questioni dando prova.
: di copiosa erudizione e di acutissimo ingegno.-Io sono
lieto di testimoniare al giovine egregio che il suo lavoro -
ha incontrato il plauso dei dotti destando vivo interesse
in tutti i cultori di etruscologia. Pure alla Storia civile
appartiene l’altro geniale lavoro di Giovanni Soranzo
dal titolo Affi di un processo fatto a Perugia nel 1368,
che tanto più dovette riuscir gradito alla Direzione del
nostro periodico quanto che si trattava di documenti
umbri rinvenuti a Padova, i quali per opera di uno serit-
* tore non umbro venivano in luce con segnalato van-
- taggio degli studiesi di quel fosco periodo di storia, in
cui le ire di parte o avevano di già spento o stavano
per distruggere la libertà dei nostri Comuni. Il lavoro

pregevole per la esposizione presenta poi il valore in-
— — pt

1v,

: È : trinseco di tutti gli studi storici fondati sui doeumenti.
Con saggie considerazioni storiehe, con note bio-
grafiche di vivo interesse, con indagine sottile il pro-
fessor Pellegrini ha trattato di Gubbio sotto i Conti e

- Duchi di Urbino. Adoperando un metodo eccellente l’e-
'simio scrittore ha fissato anzi tutto la sua attenzione
sulle Fonti, che sottopose a critica diligentissima, per
venir quindi, col sussidio di riscontri indubitabili e di
documenti certi ad investigare e chiarire molti punti
" rimasti fin. qui inesplorati intorno alle relazioni fra Gub-
bio e i Duchi urbinati.

: Di un altro fortunoso periodo di storia perugina ha
ehe. io e seritto il Degli Azzi, narrandoci di un tumulto avvenuto
= ea ho x in Perugia nel 1488, e al quale ebbe mano Lorenzo il
Magnifico. E qui valga una considerazione generale in-

- torno all’attività scientifica del nostro collega. Egli vive

ora lontano da Perugia, ma giova. egualmente al mo-
vimento degli studi storici nell’ Umbria. Questo di cui
parlo ne è un nuovo saggio, perchè i documenti che
servirono all'interessante Memoria sono ricavati dall’Ar-
chivio di Stato in Firenze. E certo dal punto di vista
egoistico della nostra Deputazione è da augurarsi che
nel procedere della sua carriera archivistica. il Degli
- Azzi abbia modo di frugare con agio sufticiente altri
Archivi d'Italia per porgere sempre nuovo e prezioso
contributo agli studi storici della sua regione. Pertanto
x ; Dos ; nel lavoro a cui ho accennato il Degli Azzi, coi docu-
menti alla mano, che sono ben 60 e tutti inediti, ha
potuto spiegare ai lettori qual grado di influenza avesse.

si il Magnifico nelle vicende. politiche di Perugia.
Sempre nel campo della Sforza civile nel Bollettino
È del decorso anno fu condotta a termine la stampa della
‘ Cronaca perugina di Pietro Angelo di Giovanni, di cui

dopo la pubblicazione fattane nel 1903 per omaggio al

Congresso storico internazionale di Roma, erano rimasti
inediti alcuni frammenti, dei quali in ispecie debbono
destare interesse fra gli studiosi quelli riferentisi al se-
22.752. eolo. XIV.
an

XI

Né scarso fu il contributo agli studi biografici. Lo
Zanelli ei diede un lavoro critico sulla vita di Tommaso
Pontano dimostrando in quali errori ed inesattezze erano
caduti gli serittori precedenti. Anche qui dobbiamo con-.
statare, che le preziose notizie relative al Cancelliere di |
Perugia provengono da Archivi non umbri, cioè da quello
della Casanatense e del Vaticano.

Medardo Morici scrisse su Corrado Trinci, rispetto
al quale pubblicò il Breve di Martino V del 1425, con
cui assolvette la città di Foligno dalla scomunica lan-
ciatale per essersi assoggettata a Corrado e avergli reso

omaggio. Intorno alla genealogia di S. Francesco d'As-

sisi, argomento che ha affaticato già molti scrittori, ci
ha offerto preziose notizie il Casali, il quale polemizzando
coi biografi che hanno scritto prima di lui, cerca rive-
larne gli errori colla scorta di importantissimi docu-
menti, che per la prima volta sono venuti in luce.
Ricco è il tributo reso alla parte archivista dai dotti
redattori del Bollettino. Il Pardi continuava la pubbli-
cazione degli Statuti della Colletta di Orvieto, così utili
a consultarsi; e il Degli Azzi, anche qui valendosi di
documenti rintracciati all’ Archivio di Firenze nelle ce-
lebri carte strozziane, rendeva conto di due Antichissimi
registri tifernati di deliberazioni consigliari e di processi.
E che tali documenti fossero di particolare interesse lo
dimostra il fatto che essi vennero accuratamente studiati
in Riviste germaniche e italiane, anche perchè essi hanno
valore storico-giuridico, tanto più rilevante in quanto
trattisi di processi del secolo XIII. Ed io particolarmente
son lieto di aver reso meritatissimo; encomio - a questo.
lavoro, dettandone una diffusa recensione per gli Annali?
della Facoltà di Giurisprudenza del nostro Ateneo.
Questo per le pubblicazioni. L’opera del nostro so
dalizio si spiegó poi con profitto degli scopi a cui mira
per il suo istituto, procurando di raccogliere un sempre
maggior numero di calchi di sigilli umbri. Sul quale
proposito merita ch'io faccia parola qui, e a titolo di
onore, del nostro socio comm. Gamurrini, che ci diede
md —— peur. idit e. VERA RA D A

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O XII 3 : ; S d»

‘eopiose indicazioni di/ sigilli umbri sparsi qua e là in
"Musei o presso privati. Egual lode deve esser data al
comm. Fumi, che oltre ad aver donato alla R. Deputa-
zione degli interessantissimi calchi, ha fornito anch'egli
preziose notizie di raccolte private, dalle quali speriamo
ricevere un notevole contributo per la nostra collezione.
Fu inoltre atteso ad aumentare i cambi col nostro Bol-
lettino per rendere vie piü rieca la Biblioteca speciale del
nostro sodalizio, e a colmare qualche inevitabile lacuna
nelle raccolte periodiche. Si ottenne che a questa bi-

blioteca fossero inviati in dono gli Atti del Congresso
internazionale storico di Roma, ed opere di molto pregio
edite dal Vaticano, dal Municipio di Genova e dal Go-
verno.
La R. Deputazione poi per l'incremento della cul-
SAC tura storica umbra incoraggiò con ogni mezzo le ricer-
: - . che in Archivi di Enti ecclesiastici, assicurò a Perugia
che non le venissero tolti i pregevolissimi documenti
| giudiziari, di cui fra breve vi intratterrà il socio Degli
Azzi. Fu appunto nel decorso anno che questa suppel-
lettile archivistica venne richiesta dal Governo per l'Ar-
chivio di Stato di Roma; ma il Comune di Perugia, ed
è doveroso fargliene encomio, senza indugio domandò
‘il concorso della R. Deputazione, la quale pregò 1’ Ar-
chivista del Comune, conte Vincenzo Ansidei, di verifi-
: i; .eare la importanza di coteste carte, e, poiché l'egregio
Eee : : uomo ebbe riferito tanto a noi quanto al Municipio trat-
: tarsi di cose preziosissime per la storia umbra, la R. De-
putazione d'accordo col Comune riuscì ad ottenere che
esse fossero conservate a Perugia. Y
Fu altresì posto mente che ai cultori degli studi
storici conviene occuparsi anche della sorte dei nostri
monumenti d'arte, e perciò nel decorso anno a Città di
Castello fu proposto che il Bollettino avesse a volta a
: volta un sobrio Notiziario relativo agli scavi, ai ritro-
; vamenti e alle condizioni in cui si trova il patrimonio
artistico dell'Umbria. E a Città di Castello riuscirono

applauditissime le comunicazioni dell'esimio Sordini sui
————— M —————

XII

lavori al Duomo di Spoleto, del. Faloci-Pulignani sulle
condizioni disgraziatissime del palazzo Trinci a Foligno,
del Lanzi sopra antichi ricordi esistenti sotto il portico
della cattedrale di Terni, del conte Campello-Della Spina,
così benemerito degli studi storici della nostra regione,
sopra alcune opinioni di stranieri intorno all'arte umbra.
e del dott. Briganti sulla Chiesa di S. Francesco a De-
ruta. i

Nè la R. Deputazione si appagò di voti platonici,
ma volle iniziare, e iniziò prima che il decorso anno
tramontasse la sua azione energica presso il Governo e
gli Enti interessati, sia per ottenere che si intrapren-
dessero i necessari restauri ai monumenti, sia per pro-
muovere il riordinamento di archivi pubblici, sia per
incominciare la pubblicazione dei Fonti storici, intorno
alla quale dopo l'approvazione di massima espressa
nell'assemblea di Città di Castello in quest'anno ha de-
liberato il Consiglio della R. Deputazione.

Essa poi volle che il numero dei suoi soci onorari,
che tanto decoro recano- all’ Istituto, si accrescesse dei
nomi illustri di Vittorio Fiorini, di Paolo Sabatier e di
Eugenio Allain, i quali tutti risposero accettando l’ono-
rifico titolo, e l’ultimo di essi inviando alla Deputazione,
in testimonio del suo animo grato, il rieco dono della
sua opera su Plinio il giovine.

Di più la R. Deputazione ha visto in questi ultimi
anni accresciuto il numero dei soci delle varie categorie,
che da 257 è salito a 302.

Tutto ciò mi sembra così confortante da poter aver.
fede nel sempre maggiore incremento del nostro Istituto,
nel plauso degli studiosi e in un più efficace concorso

del Governo all’opera nostra disinteressata ed assidua. :

L'Assemblea dei soci ringrazia il segretario Sealvanti della
relazione fattale, dalla quale apparisce come sia stato proficua
agli studi storiei l'opera della R. Deputazione anche nel decorso
anno 1905.
DIM iene i ei gg ° — fn RE crt

XIV : ;

Commemorazione del prof. Giuseppe Mazzatinti.

Il presidente. cav. Magherini-Graztani ‘tesse l'elogio del com-
pianto prof. Mazzatinti pronunziando il seguente discorso : :

S Egregi Colleghi,

Dovere ed affetto mi hanno qui chiamato a comme-
morare Giuseppe Mazzatinti. Altri colleghi, ben di me
più valenti, avrebbero potuto dire di lui in questa nostra
riunione annuale resa triste dalla sua mancanza, da

‘ nessuno preveduta sì fatalmente repentina, e quando si
pt i -— volle a me affidare il mesto ufficio pensai che non avrei
| potuto compierlo degnamente. Per altro, all'invito non

poteva non corrispondere: e pure riconoscendo la mia
insufficienza porgo all’ amico riverente tributo di lode
meritata, l'ultima testimonianza di affetto riandando ,
brevemente la sua vita nobilmente operosa, ricordando
il suo sapere, le sue fatiche e la sua bontà, le multiformi
manifestazioni della sua rarissima attività. Al dovere
adempiró come posso; al bisogno del cuore come sento:
Sarò breve e sarò semplice, e parlerò di Giuseppe Maz-
. zatinti com’ egli fosse presente; altrimenti mi parrebbe i
quasi di offendere la modestia di quell’ anima eletta. sd
. Del resto nè magistero d'arte nè abbontlanza di frasi.
‘aggiungono merito ad un estinto. Il merito del Mazza-

tinti parla da sè; e il compianto sincero ed unanime

che l’ accompagnò nel sepolero, può esso solo dare la

giusta misura dell’affetto e dell'estimazione ch'ei seppe sa o
procacciarsi da quanti conobbero le sue opere giovan- SA
dosene, o ne conobbero le rare qualità dell’ animo am-

mirandole.

Nato a Gubbio da famiglia antica, forse Castellana

d'origine, ed ivi fatti i primi studi, li compì sollecita-

mente a Pisa, dov’ ebbe la sorte d’imbattersi in maestri

valentissimi ed in compagni degni di lui. Assai presto

dette saggio lodato di sè con alcune pubblicazioni, tra

le quali la Fiorifa di Armanno Armanni, apparsa nel "-»

E - d

TERI RENT a AT ==”

XV

1880 nel Giornale di Filologia romanza. Insegnante nel
patrio. Ginnasio, mentre annotava le stanze del Tasso
per uso degli scolari, restituiva al suo vero autore Ubaldo
di Sebastiano il Theleutelogio, dimostrando con buon
lume di critica come il codice più autentico e più cor-
retto di quell’ opera fosse nella biblioteca Sperelliana.
Trattava in pari tempo, e assai dottamente, dei Disci-
plinati eugubini e dei loro Ufizi drammatici; dava alla
luce alcune poesie umbre del secolo XIV, ed illustrava
lettere inedite del Muratori e del. Metastasio.
Innamorato dell’Umbria, l'anima sua della storia e
dell'arte umbra subiva il fascino potente, e al suo o-
recchio giungeva caramente seduttrice l'onda pura e
soave dei canti, che intorno a lui pei monti e pei piani
sentiva levarsi, quasi eco ancora vibrante dell' umbra
poesia fanciulla rifiorente sulla bocca del popolo. E
scelse, raccolse e pubblicò a varie riprese, quei canti
ove più si rispecchiavano l’antiche tradizioni, l’antica
fede e tutta l’umbra gentilezza.
Nella tranquilla e silente Gubbio, ove fra tanta maestà
di moli gigantesche e tanta grave solennità di secolari
memorie, sembra alitar sempre poderoso e suggestivo

l'antico spirito cittadino, e dove tutto par testimoniare

una famosa grandezza sparita, la naturale inclinazione

. agli studi storici e di erudizione si fece in lui ognor

più viva e manifesta, e ne dette prova trattando con
dottrina ed acume di Tommasuccio da Foligno e del
famoso ghibellino Bosone Raffaelli; e pieno di amore
filiale e direi quasi di filiale entusiasmo per.la nostra
regione, bramoso di farne vieppiü conoscere i vanti,
le glorie, e di accrescerne il decoro, cercó che al ri-
sveglio generale della cultura storica italiana anche
l'Umbria nostra degnamente partecipasse. Era questo
intendimento altamente civile, e con l'ardore generoso
ed operoso che gli era proprio e col quale pronto si
affrettava a secondare e a favorire ogni nobile iniziativa,
fondò col Faloci-Pulignani e col Santoni quell’ Archivio

che noi tutti conosciamo, contribuendo così con quei due
— A — E

"- —Á———— MÀ C —-- Wem

XVI-

- animosi colleghi ad incoraggiare e ad invigorire molte

forze intellettuali esistenti, ma che per difetto di asso-
ciazione.in un comune intento non si manifestavano
abbastanza con. fecondità palese di frutti.

L'Archivio, che onorava tanto l'Umbria intiera, senza
quei tre benemeriti, è d’uopo ricordarlo e confessarlo,
non sarebbe sorto, e se per mancanza di ogni adeguato
aiuto governativo dovè morire, i suoi fondatori hanno
il vanto di essere stati i veri precursori dell’attuale no-
stra comunione di studi e d' intenti : senza l' Archivio la
Deputazione non sarebbe sorta, né oggi sarebbe.

E seguitando a dare in quel periodico come nelle piü
accreditate Riviste frequenti prove del suo valore ed es-
sendo questo anche per altre e frequenti pubblicazioni
vieppiü conosciuto ed apprezzato, dal Ministro della Pub-

blica Istruzione,.che ne ebbe la buona idea, gli fu af-

fidato l'incarico di ricercare e descrivere quei mano-
scritti italiani che per fortunose vicende erano andati
ad arricchire, riponendovisi talvolta pressochè ignorati,

le biblioteche di Francia. Non è a dire come il Mazza-

. tinti di buon grado accogliesse l’ invito di contribuire

alla glorificazione del genio italiano; e come in tempo
relativamente breve egli corrispondesse alla fiducia in

lui riposta, e compisse l’ardua missione, lo dicono i tre

‘volumi d’ Inventari che dal 1886 al 1888 videro la luce.

E frutto della sua permanenza in Francia furono al-
tre pubblicazioni, cioè: « Le Carte Alfieriane di Mont-
pellier » e i « Rimatori italiani del quattrocento », la

ristampa del prezioso codice del Fiore conservato pure

a Montpellier, la-descrizione dei codici lafini apparte-

nuti ai Visconti e agli Sforza, e 1’ « Inventario dell’ Ar-
chivio Sforzesco » della Biblioteca Nazionale di Parigi.
Tornato in Italia, insegnò per poco tempo in Foggia ed
in Alba, alla quale ultima, lasciò durevole ricordo della
breve permanenza fattavi con un pregiato contributo
alla. storia locale : mandato poi a Forlì, vi pose stabile

dimora, ivi subito cattivandosi l'affetto e l'estimazione

non solo degli scolari del liceo, ehe lo ebbero qual pa- XVII

dre, ma dei cittadini tutti che lo ebbero amico. E su-
bito, provando il bisogno di corrispondere a tale affetto
con palese e degna testimonianza, cominciò ad illu-
strare la sua nuova patria d'adozione nella sua storia
e nelle sue bellezze d'arte. Ed a Forli e a Gubbio, dove
volava frequente il memore suo pensiero, cominciò a
consacrare con uguale misura buona parte delle sue
pazienti e faticose indagini e delle sue fruttifere ricer-
che nelle biblioteche e negli archivî, ove sembrava tro-
vare ogni suo pascolo, il suo vero elemento.

E qui troppo lungo sarebbe anche solamente ram-
mentare tutto quel che egli cominciò a dare alla luce
con tanto continua frequenza, da parere talvolta anche

troppo frettoloso. E furono volumi, opuscoli per nozze,

.ed articoli apparsi nei più autorevoli e diffusi perio-

dici italiani, d' indole storica e letteraria, che lo ebbero
tanto pregiato quanto desiderato collaboratore.

Dei lavori dedicati al suo luogo natale basterà ri-
cordare la Raccolta dei documenti per la storia delle Arti
in Gubbio, già incominciata da Luigi Bonfatti, di quelli
relativi alla guerra tra Pisa e Firenze e alle relazioni
tra Fiorentini ed Eugubini, e alle vicende di Gubbio
dal 1515 al 1522; la pubblicazione delle antiche Laudi
dei Disciplinati e delle lettere politiche del cieco Vin-
cenzo Armanni ; l’ illustrazione della dimora in Gubbio
di Francesco d'Assisi e di Bernardino da Siena; quella
completa dei pubblici palazzi e la dissertazione vigo-
rosa e sottile sull’architetto che ne ideò e diresse le
moli meravigliose. Degnamente illustrò anche l’opera
del soavissimo pittore Ottaviano Nelli in S. Agostino,
ed a Giorgio Andreoli, il quale alle fabbriche eugubine
di maioliche dette fama insuperata, consacrò più seritti,
allorquando, per opera esclusivamente del Mazzatinti,
Gubbio, con giusto vanto e con una esposizione all An-
dreoli consacrata, celebrava la gloria di quel famoso
suo cittadino. È

Al Mazzatinti deve Forlì la pubblicazione delle Cro-
nache di Andrea Bernardi, gli estratti d’altre cronache

9

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XVHI

A — MÀ T€ e ——— m

cittadine e delle memorie relative alla dimora che in
Forlì fece Gioacchino Murat, e di molte rarità scono-
sciute 0 poco note della biblioteca comunale, cui fu pre-
posto per lunghi anni e finchè visse. E gli deve ugual-
mente se i suoi artefici, cominciando dal grande Me-
lozzo, rifulsero di nuova e più vera luce e se i suoi
monumenti, dei quali il Mazzatinti curò la conserva-
zione anche per mezzo degli amici riuniti in una so-

cietà da lui fondata ed animata, furono con dotti scritti

degnamente studiati. E dell'attività instancabile del-

l'uomo egregio nel curare il decoro della città vi resta
ancora palese testimonianza il museo del Risorgimento
da lui fondato, custodito e continuamente accresciuto
con costante ed amorosa premura.

AI sorgere della nostra Deputazione ei dette tutto il

suo appoggio e tutto il suo facile entusiasmo secon-

dando la nobile iniziativa di Luigi Fumi, il quale riuscì

a raccogliere attorno a sè le sparse e latenti forze del-
l'umbra cultura storica e a fondare l’ istituto che di tutta
l'Umbria è illustrazione e vanto, e che è e sarà, per virtù
di concorde volere, prova e strumento di civile pro-
gresso.

Il nostro Bullettino sino dal primo: apparire ebbe
le sue cure sollecite, il contributo di originali e pregiati
lavori, di recensioni numerose ed accurate e sopratutto,
fino agli ultimi suoi giorni, quei brevi e succosi annali
che servono a segnalare agli studiosi quanto intorno
all' Umbria in fatto di Storia e d'Arte si viene pubbli-
cando. E di questo largo e prezioso contributo è inu-
tile parlare perché tutti noi, ben conoscendolo, siamo in
grado di apprezzarne l’ alto valore.

Anche all'ardua impresa della nuova edizione del
Muratori ideata e animosamente iniziata da Scipione
Lapi e che onora l’umbra Città di Castello, dove gli
splendidi volumi vedono la luce, ei volle contribuire pub-
blicando la Cronaca di Guererio di ser Silvestro da Gub-
bio, già da lui data estratta dal codice della Sperelliana

nell’ Archivio storico delle Marche e dell’ Umbria molti

w w

XIX

anni prima, e la sola seconda parte degli Annales Fo-
rolivienses, essendogli mancato colla vita il tempo di
condurre a termine la erudita prefazione che doveva
precedere la parte prima. E nell' Archivio Muratoriano,
della gradiosa raecolta degno complemento, dette suc-
cinte ma precise notizie sui manoscritti delle Cronache
Forlivesi. | :

L'avida brama di scoprire nuovi tesori € il desi-
derio ardente di arricchire sempre più l'Italia con le
sue indefesse ricerche, facendo poi generosamente par-
tecipi tutti gli studiosi del resultato delle sue fatiche,
lo spinsero a dar notizie e redigere inventari di Biblio-
teche e di Archivi. |

Importantissimo è il suo volume sulla Biblioteca dei Re
di Aragona in Napoli: e additato ch'egli ebbe agli stu-
diosi con appositi inventarî i manoscritti esistenti in al-
cune biblioteche italiane, considerando quanta ricchezza
in queste giacesse tuttora riposta e ignorata, prima in-
traprese la pubblicazione degl’ « Inventari dei manoseritti
delle Biblioteche d’ Italia », e poi, perchè se ne avvan-
taggiasse tutta quanta la storia nazionale, gli « ArcAu
della Storia d'Italia ».

Una particolare attrattiva avevano peril Mazzatinti
le lettere dei grandi, e lo dimostrano gli epistolari che
da solo e con altri dette alla luce, dell Alfieri, di Rossini,
del Monti e del Mazzini, del quale ultimo fu grande am-
miratore e direi quasi entusiasta; in seguito si dette a

raccogliere altre lettere di Mazzini e ad anmotarne altre

di Verdi e di Garibaldi eon una passione che mal po-

trebbe ridirsi e che lo tormentó insistente fino anche
agli ultimi suoi giorni.

Il Risorgimento d'Italia fu dal Mazzatinti studiato
con patriottico amore. Egli ne avea trattato con grande
‘alore di parola in molte pubbliche conferenze-tenute a
Forli; aveva edito seritti c lettere del ministro Lazza-
rini, illustrato i moti Forlivesi del 1831 e l' organizza-
zione della milizia cittadina, difesa la memoria di Piero

Maroncelli e, riconoseendo come la vera storia del patrio
— ARE MR

S ce E ——— rr

riscatto fosse ancora da farsi, pensó di riunire nell' Az-
chivio Storico del Risorgimento Umbro i documenti e le
memorie ehe servissero a render piü facile il compito a
chi ricereasse e volesse descrivere quale veramente fu
il contributo della nostra regione .all'indipendenza e
all' unità nazionale. E, non contento di aver fondato
questo Archivio, col solito fervore ineitó gli amici a re-
carvi, dandone loro esempio efticacissimo, la loro colla-
borazione. A questo nuovo frutto della sua irrefrenabile
attività ei consacrò le ultime forze, e stava raccogliendo
e preparando materiali per una « Storia della Giovane
Italia » ed aveva condotto a buon punto una « Diblio-

grafia generale del Risorgimento » quando la morte lo -

colse.

Detto cosi brevemente dei suoi meriti scientifici e
delle sue benemerenze verso gli studi, è d'uopo bre-
vemente accennare altresì al merito dell’ opera sua e
alle qualità del suo animo, che a tutti lo resero stimato,
a molti e a noi tutti suoi colleghi carissimo. -

La scuola gli porse l’ occasione di trasfondere in
altri i tesori della sua dottrina e della sua bontà. Non
solamente affezione, ma devozione sincera e profonda eb-
bero per lui i discepoli, effetto questo del modo; col quale
esercitava l’ ufficio, cui era stato chiamato e che fu da
lui costantemente esercitato qual ministero di civiltà e
di amore. Il suo insegnamento non fu utile solamente
per l importanza della dottrina, ma per l'efficacia mo-
rale della sua parola piena di fede, di quel. sentimento
del dovere e di quella idealità della scienza, di quel-
l'amore al lavoro, che non s'insegnano, ma che s'ispi-
rano soltanto coll’ esempio.

All'Umbria nostra ei dette largo contributo d'in-
gegno e di dottrina, e grandemente benemerito ei si
rese della cultura nazionale additando all' investigazione
degli studiosi la luce della storica verità, ravvivando,
illuminando e rendendo piü completa la gloriosa tra-
dizione italiana nella storia dei fatti e delle idee. Tutta

l'opera sua é coronata di luce modesta ma viva e pe- XXI

renne perchè consacrata alla preparazione di una più
completa e perfetta nostra storia; opera condotta nel si-
lenzio religioso degli archivi con quella costanza pa-
ziente, di cui solo è capace chi fatica, non a scopo di
lucro o di lode, ma per vero e nobilmente inteso amor
di patria e solo perchè sia più conosciuto l’animo degli
avi nostri. Opera, che per conseguenza non finisce con
lui e con quel che egli lasciò scritto, ma che rimane e
che si perpetua feconda nei lavori ch’ egli ispirò, sug-
geri e facilitó; senza dire che oltre a questo sussidio
validissimo fornito agli studiosi, liberalmente e genero-
samente, porse, finchè visse, non solo agli amici, ma a
tutti coloro che ne lo richiedessero, € con amore pari
alla dottrina, consiglio ed aiuto. E in questo compito
incessante, impostosi quasi adempimento di uno stretto
e sacro dovere, tormentò le sue forze consumandole e
morendo sul suo campo di battaglia, eroe modesto del
dovere e del lavoro. La sorte gli fu avara di quegli
onori che oggidi specialmente si profondono anche .ai

meno degni: ma non se ne rammaricò nè se ne curò,

poichè ben sapeva gli onori esser luee- fatua. e-che di

essi non ha nè sente bisogno chi ha la coscienza del
proprio valore, tanto più se riconosciuto ed apprezzato
da chi può esserne giudice spassionato e competente.

Se l'ambizione lo avesse spinto avrebbe potuto farsi
largo e salire in alto; invece per la tempra del suo
carattere nobilmente fiero; e sdegnoso perfino di ogni
apparenza contraria alla sua dignità e alla sua modestia,
preferì starsene in disparte fatieando con un'abnega-
zione che rasentava il sacrificio e che andò in lui ere-
scendo cogli anni: e quando la salute mal ferma lo
consigliava a risparmiare le forze esauste, l’ operosità
si.rese anche più intensa. e febbrile, quasi derivasse, più
che dal costante interno stimolo, dal presentimento della
morte vicina.

E solamente il sorriso seducente dell’Arte e quello
consolatore dell’amiceizia doveano illuminare e poter

sollevare il suo spirito stanco; peroechè in lui era gusto
— iii geni i gg MR ctr no ir 9M se —— pr

XXI »

squisito per le ‘forme più elette e più serene della bel-
lezza; lo dimostrano tanto i suoi seritti e le sue confe-
renze, tra le quali felicemente profonde quelle su Raf-
faello e Leonardo, quanto l'innata gentilezza di senti-
mento eapace di affetti nobili duraturi.

So bene che giudici severi più che sereni, pure ri- 1
conoscendo il Mazzatinti come uno dei più attivi pro-
duttori nel campo della erudizione, gli fecero l'addebito

- di essersi lasciato troppo trasportare dalla smania. di
raccogliere e pubblicare quel che gli venisse a mano
senza prima farne una scelta ben ponderata. E però
quei giudici non lo tenevano nel conto che si meritava,
ed erigendosi non solo a rigidi censori, ma a sacerdoti
sommi: della scienza, non lo vollero professore all’ Uni-
versità, dicendo fra le altre cose, che i suoi Archivi e-
rano un ammasso d’indici non uniformati ad un metodo
unico e costante e accettati con troppa facilità dal Maz-
zatinti come venivano ; e pur confessando che egli aveva
ingegno e doti da emergere con lavori originali, che
aveva cuore e sentimento e che poteva produrre opere
d’arte, di lui dissero che preferì invece esaurire la sua
meravigliosa attività servendo ad arricchire gli studiosi
di notizie bibliografiche per la conoscenza delle fonti; »
che egli era un erudito, ma non alla maniera del Mu-
ratori, dei suoi precursori e dei suoi seguaci, un eru- ;
dito perció chiuso e ristretto esclusivamente nel campo
della bibliografia. E gli fecero l'addebito di appassio-
narsi un po’ di tutto, peccando in fecondità eccessiva a
scapito di serupolosa diligenza e di serietà scientifica,
mentre poteva, producendo meno, dare cose profonda-
mente studiate con rigoroso esame.

Ma bisognerà riconoscere che delle sue fatiche già si
giovarono e dovranno giovarsi lungamente e largamente
anche quei dotti che sembravano sdegnarlo, e dovranno
tutti senza esagerata esaltazione ammirare non solo la
operosità utile di lui, ma l’amore fervente per il sapere
cui egli sacrificò agiatezze ed onori e che gli accorciò

per soverchia fatica la vita. — ' > »
XXIII

E se gli studiosi tutti quanti debbono professare a
Giuseppe Mazzatinti la dovuta gratitudine, la nostra per
lui, o colleghi; dev'essere più sentita e di gran lunga
maggiore; di noi che memori gli sopravviviamo, ripen-
sando con quanto amore indefesso e disinteressato egli .

favorisse il risveglio a vita intellettuale piü attiva e co-

. nosciuta della nostra regione, e come incontestate siano le

molteplici benemerenze sue verso la nostra Deputazione.
Della quale bene meritò, specialmente come collabora-
tore ed anima direttiva delle sue pubblicazioni, ch'egli
volle rendere e seppe mantenere degne dello scopo loro.
Nessuno che gli succederà nell’ufficio potrà meglio disim-

pegnarne i non facili doveri, che seguendo le orme sue. Il

‘suo nome come le sue fatiche onorarono l’ associazione

nostra, la quale ora sente amaramente quanta forza viene
a mancarle in lui e qual vuoto ei lasci nella nostra fami-
glia, quando ancora molto si poteva attendere dal suo
vigoroso e ben temperato ingegno che gli aveva assi-
curato un posto distinto nella storia della cultura um-
bra ed italiana. i

E tutti noi possiamo affermare, senza tema d'essere
smentiti, che la scienza come la patria, cui dette largo
tributo d'intelletto e di cuore, dovranno annoverarlo. fra

i più degni d'essere ricordati con vivo sentimento di

riconoscenza e di affetto.

Noi più degli altri, perchè egli ce ne fece generosa-
mente partecipi, dovremo rammentare quella vita di.

lavoro e di costanza, quella vita che sembrò destinata

‘ad una fatica senza tregua, che fu lotta rara éd ammi-,

rabile tra la potente e talvolta irrequieta attività dello
spirito, e le forze fisiche; la storia di quei giorni che
per lunghi anni, tutti si aprirono e si chiusero col lavoro.

Detto dei meriti seientiflei di lui, bisognerebbe che
io ne tratteggiassi la figura e ricordassi le qualità, che
gli cattivarono l'estimazione di quanti lo conobbero,
e soprattutto dei molti amici, aleuni dei quali veramente
illustri, che con lui ebbero affettuosa dimestichezza. Ba-

stava vederlo e. parlarci, per apprezzarne subito la pron-
—— MR : me ENNMMREET. MER

XXIV

tezza dello spirito arguto, la dottrina svariata e profonda,
la chiarezza delle percezioni, la franca lealtà, la serenità
dei giudizi. Bastava stringerci relazione per conoscerne
la fermezza del carattere, il disinteresse, la nobiltà de-
lieata ed istintiva. La sua conversazione era piacevole
ed attraente per una genialità sua propria che rendeva
dilettevoli anche le discussioni più gravi; ed erano ca-
ratteristiche le sue frasi brevi ed incisive, di frequente
H garbatamente sarcastiche e talvolta, francamente rudi,
nella loro sincerità; ed era comunicativo il calore af-
frettato della parola pronta quando animoso difendeva
la contrastata sua opinione. Ispirava alla prima fiducia
e simpatia con i suoi modi cortesi e distinti, con la sua
compitezza serupolosa e dignitosa accompagnata da un
sagace tatto e da una cordialità naturale e spontanea
che rendevano la sua compagnia oltre ogni dire gradita.
Nessuna ragione d’ interesse lo spinse mai a fare
opera alcuna: era largo di consiglio e di aiuto a tutti
coloro che a lui ricorressero : ogni sventura lo com-
moveva e cercava di soccorrerla : era generoso, e l’ im-
pulso subitaneo ed imperioso della generosità pareva
in lui precedere la riflessione, e, quel che più monta,
l’aiuto ch’ ei porgeva nella misura che potesse mag-
giore, cercava gelosamente tener nascosto. Fermo, in-
crollabile nelle sue convinzioni come nei suoi propositi,
non conobbe l’ intolleranza : sopportó con fermezza e con
\ forte serenità le avversità e i dolori della vita: non co-
nobbe odio, od invidia: non conservò rancori e dimen-
ticò le offese, ricambiandole spesso con beneficî: la
sincerità dell’ animo ebbe sulle labbra e si sdegnava
solamente allo spettacolo dellé umane viltà. E apparve

come veramente era e voleva essere. E della stima e

della simpatia che per il suo sapere e per il suo cuore
si era saputo guadagnare, furono prova commovente il
rimpianto che destò la sua scomparsa, le solenni ‘ono-
ranze che gli furono rese, lo spontaneo lutto dei suoi
concittadini.

Fin qui il dovere; fin qui il collega, che ha ram-

. XXV

mentati i meriti dell'uomo di scienza e del cittadino : al

cuore l'ultima parola. Perché anch'io ti ho amato ve-
ramente, o. mio diletto Giuseppe, e lascia che con pie-
nezza di affetto io ti porga in questo momento un saluto
pieno di ricordanze. Fra le quali dolcissima e mesta in-
sieme quella di quando ti vidi per l'ultima volta, allorchè,
nella tua Gubbio, ti avemmo noi tutti compagno caris-

simo in una gita indimenticabile. Come io ti vidi allora

‘or ti rivedo qui, in mezzo a noi, e nell'anima mia scende,

come in quel momento vi scese, commozione indicibile,
ricercandone le fibre piü riposte: allora noi tutti facesti
partecipi della visione, nella quale sembravi assorto, e
che tu sapesti tradurre colla voce tremante, mentre in-
solita melanconia comprimeva in te i trasporti della

poesia e dell'amore, mentre il tuo petto si gonfiava di

commozione intensa, mentre dal tuo cuore erompeva.

sulle labbra tutto un poema di dolorosa passione, tra-
boccante di quel sentimento che rivelava intera la tua
gentilezza; mentre forse l'idea della tomba velava di
melanconica dolcezza il tuo abituale sorriso e la tua
elettà parola.

E in quell’ istante, ben lo ricordo, mi apparisti pre-
sago della tua prossima fine! i

Bene a ragione fù detto che la tua morte fu una
pubblica sventura, sventura pianta da tutti, ma sovra
tutto da noi, che più di.ogni altro ed oggi più che sem-

pre, proviamo vivo, intenso e profondo il dolore di averti

perduto.
Ma se la forbice inesorabile e fatale ha troncato lo.

stame indebolito della tua esistenza, non potrà mai, per
altro, recidere i vincoli della nostra riconoscente affe-
zione per te. No! Questi vincoli non potranno essere
troncati, finchè nell'animo nostro viva il rispetto o, dirò
meglio, l'ammirazione per te che fosti creatore della tua
nobiltà come della tua fama, trionfatrice del tempo e
degli eventi umani. Noi ricorderemo sempre i tuoi me-

riti, ma più la tua bontà, quella bontà che conoscemmo

per prova, in ogni occasione sperimentandola, bontà
— E Rd

XXVI

—t — MÀ ce a ——

che ti si leggeva nel volto, che ti si annidava nel cuore;
bontà che il tuo nome illustre. ha reso anche venerato
e benedetto.

E ate, che vivi sempre nell' anima nostra, a te che
in questo istante vediamo e sentiamo in mezzo a noi,
il nostro riverente saluto, il palpito unanime dei nostri

cuori.

Cessato l' unanime plauso, che salutò il discorso pronunciato

dal Presidente in lode dell’ estinto, sorse il conte Vincenzo Ansi-
dei per tessere l’elogio del socio conte Luigi Manzoni mancato ai
vivi nel dì 15 ottobre 1905.

Egregi colleghi,

Non perdonerei a me stesso l’audacia di sorgere a
parlare dopo lo splendido discorso, col quale il Presi-
dente ha commemorato nel modo più degno l’ indimen-
ticabile nostro Mazzatinti, se non mi desse coraggio il
pensiero che nel culto dei poveri morti sparisce ogni
diseguaglianza, la quale abbia origine dalla potenza
dell’ intelletto e dal fascino della parola, e che i fiori
più umili sono, al pari dei più mirabili per colore e
per forma, simbolo di confortatriee corrispondenza di
amorosi sensi fra noi e.i nostri cari perduti.

È quindi con affetto vivissimo di collega, d' amico
e di congiunto che io depongo un umile fiore sulla
tomba, ahimè ! troppo presto dischiusa, del conte Luigi
Manzoni: questo affetto però non m'indurrà a lodi
mendaci, che, riprovevoli sempre, tanto più lo sono
quando offendono la santità dei sepoleri. Che se anche
io m'attentassi a pronunciarle, ne sarei subito distolto
dal ricordo di Lui, che vogliamo onorare e che ebbe a
norme di tutta la vita la più schietta sincerità ela più
grande modestia; virtù queste, per le quali Luigi Man.
zoni, se si professò grato a chi gli fu largo di encomî,
ugualmente lo fu a chi in maniera garbata e cortese
ebbe a consigliarlo e a muovergli qualche giusta cen-

sura. XXVII

Chè (diciamolo subito con onesta franchezza) l’opera

sua di studioso, pur tanto utilmente feconda, non è
priva di mende dovute ad un lavoro troppo vario ed
intenso e talora affrettato.
Ma Luigi Manzoni, ancorchè molta parte della sua
straordinaria attività spendesse fuori del campo degli
studi e fosse, come giustamente è stato scritto di Lui,
« più che uomo di lettere, uomo di mondo nel senso
che la sua operosità si volgeva dovunque Egli trovasse
a fare un po’ di bene », pure anche in quel campo ha
lasciato di sè memoria con pubblicazioni, le quali son
frutto di ricerche pazienti e rivelano una geniale cul-
tura. -

L'opera del Collega fu già ricordata nel nostro Bol-
lettino, ma ciò non impedisce che io, parlando di Lui'
innanzi a voi, che agli studi storici vi consacrate, debba
richiamare ancora una volta la vostra attenzione sulla
« Bibliografia statutaria dei Municipi italiani e dei Col-
legi d'arti e mestieri », che, sebbene lasciata dal Man-
zoni incompleta, é a tali studi notevole contributo.

Né posso tacere delle lunghe fatiche dal nostro a-
mico sostenute allo seopo di preparare una nuova edi-
zione dei Fioretti di S. Francesco, collazionandone
moltissimi manoscritti e le più antiche stampe. Di
questi suoi studî il Manzoni diè saggio nel 1887 in
un volume intitolato « Di una nuova edizione dei Fio-
retti di S. Francesco secondo il testo di Amaretto Man-
nelli »: e sul testo medesimo ripubblicò poi nel 1900
l'aurea scrittura, dandone cosi (cito le parole di un giu-
dice autorevolissimo, di Ernesto Monaci) « la miglior
lezione che, fra tante varietà di copie, i manoseritti ci
abbiano conservata ». Il volume stampato con quella
signorile eleganza, che il Manzoni curò in tutti i suoi -
libri, è reso anche più vago per le riproduzioni di-ta-
luni dei meravigliosi dipinti, coi quali fu nei secoli XIII
e XIV illustrata la storia francescana, specialmente in
questa Basilica d' Assisi, vero miracolo dell’ arte. E

all’ arte si riferiscono quasi tutti i lavori: dal Manzoni
e Pal

XXVIII

— li e —— ——

pubblicati nel nostro Bollettino ; nell’ articolo « I qua-
dri dello Sposalizio della Vergine di Pietro Perugino
e di Raffaello d'Urbino » si oppose, sulla base di docu-
menti, all'opinione del Berenson, secondo la quale il
primo dipinto, che ammiravasi nel Duomo di Perugia
ed ora si trova a Caen, si dovrebbe al pennello, non
del Vannucci, ma dello Spagna, e l'opera dell’Urbinate,
che da Città di Castello è passata a Brera, sarebbe stata
anteriore a quella del Perugino; diede poi in altri fa-
scicoli del nostro periodico interessanti notizie sulla
Madonna degli Ansidei di Raftaello, e dagli Archivî Co-
munale e Notarile di Perugia trasse memorie o inedite
o soltanto in parte conosciute su Fiorenzo di Lorenzo
e sul Bonfigli.

L'ultima sua pubblicazione, cui dedicò le più amo-
revoli cure, fu quella degli Statuti e matricole dell'Arte
dei pittori delle città di Firenze, Perugia e Siena. Al
volume, riuscito anche dal lato tipografico splendida-
mente, un altro ne doveva seguire, nel quale il Man-

zoni avrebbe raccolto il resultato delle sue indagini su-

. gli antichi pittori, perugini.; e.poichè..son già pronti per

la stampa i düe capitoli riguardanti gli artisti, che fio-
rirono in Perugia nei secoli XIII e XIV, è da augurarsi
che veggan la luce e che per tal modo si arrechi van-
taggio agli studî e si onori la memoria del compianto
amico. -

A questo libro sull’antica arte nostra Egli rivolgeva
sempre il pensiero anche quando la malattia, che lo
condusse alla tomba, gli avea tolto il conforto dolcis-
simo del lavoro ; ed ancora mi suona all'orecchio e su-
scita nell'animo mio ricordi ed affetti la debole voce di
Lui, che, sebbene a stento, mi parlava delle nostre ar-
tistiche glorie e m' intratteneva della ristampa, alla

quale doveva por mano la Società filologica romana,

. delle prime edizioni dell’ Orlando Furioso.

E come era stato utilissimo alla Società stessa nella
pubblicazione del Canzoniere del Petrarca, così si ripro-

metteva di prestarle nuovi servizi in quella del Furioso ; XXIX

e ciò Aon solo per la liberalità, colla quale sempre fa-
voriva gli studi, ancorché a Lui non ne derivasse alcun
profitto o non ne fosse accresciuta la sua fama, ma
perchè intendeva anche di rendere per tal modo omag-
gio alla venerata memoria del padre suo, il conte Gia-
como, che di quella ristampa aveva dato la prima idea,
consacrandovi le ultime sue fatiche.

Se la morte non avesse troncato ‘anzi tempo una
esistenza tanto fervidamente operosa, il culto della sto-

ria e dell'arte avrebbe certo- ricondotto ogei Luigi Man- .

oo

Zoni su questo monte, centro ed anima degli studi

francescani da Lui prediletti: tale certezza rende più
vivo e più doloroso il desiderio che di sè .ha lasciato il
dolcissimo amico, e fa che noi lo rammentiamo in que-
sto nostro convegno con rimpianto anche maggiore e
benediciamo con più larga effusione d’affetto alla sua

cara memoria !

L'assemblea applaude.

Il Segretario-Economo espone agli adunati il resoconto finan-.

ziario e morale dell’ anno 1905. Indi partecipa all’assemblea le pro-
poste per la nomina di nuovi soci nelle varie categorie:
Soci aggregati:

BRUNELLI ANGELO BruGNoLA-BoccoLINI G. — Burr-Bocci G. B.

— CaPPELLI C. — CosTaNzi G. — FRENGUELLI G. — FIUMI A. — Far-
CINELLI-ANTONIACCI M. — Gori C. — L'BERATI P. — MIGNINI A. — Mr-
GNINI R. — MplLINELLI 0. — MonEeTTI W. — ManiGNOLI G. — Man-
MANNI-Pucci L. — ParazzETTI D. — RomagnoLi L..— Tinr A. — TILLI

G. — UBRR PF.
Socio corrispondente:
FeDERICI V. ys
L'Assemblea a tenore dell'art. 1 dello Statuto approva le pro-
poste del Consiglio. i

Si svolgono quindi le comunicazioni di carattere scientifico (1)

nell’ ordine seguente:

. (1) Per le comunicazioni inserite nel Bollettino si:dà solo il titolo col richiamo
alla pag. del Vol. in cui vengono pubblicate.

*
- -— —— ————

XXX
1.^ SorpINI GausEPPE. — Di un sunto inedito di storia Spo-
letina scritto nel X secolo (1).
3.* SCALVANTI Oscar. — Sw di alcune memorie perugine ine-
dite. — Il socio Scalvanti comunica di avere rintracciato in privati

archivi delle preziose notizie intorno alla storia perugina e delle
altre parti dell’ Umbria.
i Circa il tempo si hanno ricordanze di fatti svoltisi nei secoli
XIV, XV. e successivi fino al secolo XVIII. I nomi degli scrittori
di queste Memorie sono il Pentini, il Renzini, il Buoni, il Nardi,
il Cristiani, il Donatelli, il Massari ece. Essi ci riferiscono costu-
manze civili e religiose del tempo, ci danno notizie di sinodi te-
nuti in Perugia, ci narrano passaggi di eserciti stranieri, come
quelli avvenuti nel secolo XVIII di milizie spagnuole e austriache
lasciandoci preziosi ricordi, che valgono anche severo ammoni-
mento. Altri fatti, tra i moltissimi che per -brevità si tralasciano
di accennare, sono narrati molto diffusamente, come quello della
venuta del cardinale Alberoni a Perugia, dell’ arresto di sacerdoti
da parte delle milizie francesi nel 1798, come di-molti altri inte-
ressanti la nostra Università, e le vicende di Chiese e Santuari
dell’ Umbria.

Assai ricca è la parte biografica pei cenni dati su illustri pe-
*rugini- vissuti nel secolo XIII e dipoi. Notevoli le notizie su Marco
Antonio Boneiario, di eui si hanno anche molte e interessanti let-
tere inedite, su monsignor Giovio, sul Van Outers, su personaggi
di easa Oddi e delle altre principali famiglie di Perugia. Alla parte
biografiea appartengono le necrologie, che si danno spesso docu-
mentate, di perugini vissuti dal secolo XIV al XVIII.

Un curioso epistolario sulla sconvenienza di far cantare le
donne in teatro attiene alla materia dei costumi, ed ha partico-
lare interesse perchè alla disputa non era estraneo lo stesso pon-
tefice. -

Tra queste carte si trovano ancora dei preziosi inventari di
suppellettili sacre e profane, molte delle quali più non esistono.

Questo per il materiale già raccolto. Lo Scalvanti aggiunge,
che recandosi qua e là nelle terre Umbre, per ammirare tanti te-
sori d’arte che esse racchiudono, gli è venuto fatto di scoprire 0

(1) Vedi il.presente fasc. a Pag. 357. XXXI

presso le parrocchie o presso le Confraternite o Congregazioni dei

quadernucci e talvolta anche dei volumi mss. nei quali, oltre le
notizie, del resto non prive di interesse sulle origini e le ricerche
delle Chiese, dei Santuari o altri Enti, si incontrano delle pre-
gievoli memorie storiche del paese, e in molti di questi mss. con-
dotti con un metodo rigoroso si hanno altresì fedelmente tra-
seritti documenti, diplomi e bolle, i cui originali sono andati per-
duti o dispersi. Fu l'opera paziente di qualche chierico, che nella
solitudine del luogo alpestre amò fissare con semplicità e spesso
con rozzezza di stile i ricordi della sua chiesuola e del paese che
abitava.

Talvolta l'opera del primo cronista si trova ampliata e cor-
retta da altri venuti dopo di lui a reggere la Chiesa o il Santuario,
i quali esercitarono così una certa critica sui dati stabiliti, senza
sufficienti prove, da chi aveva iniziato il lavoro. Di tali quader-
netti e libri ne furono rintracciati a Mongiovino e Pacciano, en-
trambi non privi di interesse, e l' ultimo specialmente di singolar
pregio per la fedele trascrizione di documenti attinenti alla storia
ed all’ arte.

Ora lo Scalvanti nota, che mentre i mss. dei pubblici archivi
ben custoditi possono sempre consultarsi, queste carte disseminate
qua e là o tenute da privati non solo non possono essere consul-
tate con agio, ma possono andar perdute con danno delle ricerche
storiche. i

Dimostra quindi quanto sarebbe utile, che, avuta cognizione
dell’ esistenza di questi mss.,-la R. Deputazione per mezzo dei suoi
soci ottenesse di traseriverli per conservarli nel proprio Archivio,
e porli a disposizione degli studiosi. Lo Scalvanti aggiunge che
egli in quest’ anno praticò un tale sistema per le carte, di cui fu
dato sopra un cenno, ed egli vorrebbe che altri lo seguisse su
questa via giacchè è sua convinzione che non sia scarso il mate-
riale dei nostri studi ancora ignorato, o non abbastanza conosciuto,
e che può essere con estrema facilità disperso.

E perciò se ognuno dal canto suo si desse a raccogliere questi
materiali, in ispecie le cronache, i cenni biografici, le epigrafi ecc.
in breve la R. Deputazione potrebbe avere un prezioso archivio
di memorie patrie di non lieve vantaggio agli studi, che i suoi
soci coltivano eon tanto amore e con tanto successo.
uu m — MÀ — —

XXXII

Non potendosi esaurire in questa seduta antimeridiana tutte
le comunicazioni e proposte dei soci della R. Deputazione, il Pre-
sidente annunzia che l'Assemblea resta convocata per le ore 15.

IL PRESIDENTE :
G. MAGHERINI-GRAZIANI .

Il. Segretario
O. SCALVANTI.

ASSEMBLEA DEI SOCI
tenuta nel di 23 settembre 1906 a ore 15 pom.

nella sala della Biblioteca di Assisi

Presidenza MAGHERINI - GRAZIANI

Segretario SCALVANTI.

Presenti i soci intervenuti all’adunanza antimeridiana.

Si riprende lo svolgimento delle comunicazioni :

3.* Lanzi LuIci. — Quale posto convenga al dipinto di Stron-
cone nella serie delle fonti per la iconografia francescana (1).
4.° PERALI P. — Notizie miscellanee di topografia e d’arte.

H socio. Perali espone che invitato da due coraggiosi editori or-
vietani, dal tipografo Marsili e dal fotografo Raffaclli-Armoni, a
compilare una breve monografia sopra Orvieto, riconobbe la ne-
cessità di intraprendere nuove ricerche sulla storia topografica e
artistica orvietana. Col valido aiuto di D. Alceste Moretti conser-
vatore dell’Archivio storico municipale di Orvieto, condusse per-
tanto le sue indagini nell'arehivio stesso, in quello dell’ Opera del
‘Duomo, in quelli notarile, vescovile e di S. Giovanni dei eano-
nici lateranensi e in alcuni archivi privati. Attingendo a queste
fonti il Perali potè rintracciare quale fosse in Orvieto l'antica di-
mora del Vescovo e le successive, e ciò gli ha dato occasione: a
parlare delle opere che si condussero nei vari tempi a questo
scopo. Vien quindi a parlare di due pittori di seuola umbra, che
operarono nella prima metà del secolo XVI, dipingendo in S. Rocco
di Orvieto, ossia di Eusebio da Montefiascone e Cristoforo da Mar-

(1) Vedi il presente fascicolo a pag. 467. XXXIII

sciano. Comunica poi di aver trovato documenti concernenti il
contratto e i pagamenti fatti al Sanmicheli per la sepoltura sot-
terranea dei Petrucci da lui costrutta sotto l’ abside di S. Dome-
nico. Del Sangallo il Perali ha rinvenuto nella Galleria degli Uf-
fizi a Firenze due schizzi, le piante del pianterreno e del primo
piano per il palazzo orvietano detto di Ludovico di Marsciano,
che invece fu fatto costruire nella prima metà del XVI secolo dal
card. Tiberio Crispo, e che dal Marsciano fu acquistato soltanto
nel 1582. Altri documenti inediti il Perali rinvenne sui disegni
del Sangallo per il palazzo comunale di Orvieto e sulla direzione
dei lavori da lui continuati fino al compimento del pozzo di S. Pa-
trizio (contrariamente a quanto affermò il Vasari, che lo disse
compiuto da Simone Mosca).

Il Perali chiude questa prima parte delle sue comunicazioni
accennando ai restauri, che stanno per farsi al Palazzo del Capi-
‘tano del Popolo in Orvieto.

5.8 CAMPELLO DELLA SPINA P. — Importanza storica del
convento francescano di Monteluco di Spoleto (1).

6.^ DEGLI Azzi VITELLESCHI. — a) Di una lite di confini
tra Perugia e Urbino per due ville nel territorio di Assisi (2) —
b) Circa la pubblicazione di alcuni lavori di storia umbra lasciati
inediti dal compianto Giuseppe Mazzatinti (3). — c) Un regola-
mento di Guidantonio da Montefeltro per S. Maria degli Angeli (4)
— d) L'Archivio Storico-giudiziario di Perugia e il suo recente
riordinamento (5).

7.» FrinrePINI ENRICO. — Un codice poco noto della visione
del B. Tommasuccio da Foligno (6).

1." SCALVANTI Oscar. — Di una degna sepoltura da darsi
a Braccio da Montone e a Braccio di Malatesta Baglioni in Peru-

gia (7).

(1) Vedi c. s: a pag. 487.
(2) Ibid. a pag. 497.
(3) Ibid. a pag. 555.
(4) Ibid. a pag. 498.
(5) Ibid. a pag. 500.
(6) Ibid. a pag. 483.
(7) Ibid. a pag. 503.
— i — ad

— LÀ MÀ Á——Á 9 vs — MAÁM—

NNNIV

8.* SonbpINI GIusEPPE. — Di alcuni nuovi lavori eseguiti
nel Duomo di Spoleto, nella Basilica di S. Salvadore e in altri
monumenti pagani e cristiani di questa città (1).

9." SACCHETTI SASSETTI A. — Del « Giudizio Universale »

di Rieti e dei suoi autori (2).

10.* CRISTOFANI G. — « Cola pictor » 0 un pittore ignorato
del secolo XIV (3).
11.* TARULLI L. — Appunti storici intorno ai monaci bene-

dettini di S. Pietro in Perugia fino ai primi del secolo XV (4).

12. Lugano P. — (Gti studi storici benedettini e U Umbria.
Il socio Lugano, dopo avere osservato che quando S. Francesco
di Assisi diede vita alla sua speciale comunità religiosa, la com-
pagnia di S. Benedetto aveva vissuto già ed operato da più di sei
secoli, e dopo aver notato come i figli di S. Benedetto diedero
prova di devozione verso il Poverello di Assisi, parla dei monu-
menti, a cui era assicurata la gloria dell’ordine benedettino prima
che sorgesse l'ordine minoritico.

Così, per tacere delle badie dei SS. Rufino e Vitale, e dei
SS. Vincenzo ed Anastasio, presso Amandola, ambedue del secolo
VI, che rimangono nella provincia del Piceno, possiamo qui vi-
cino a noi ricordare 1’ antichissima abbazia di S. Benedetto sul
Monte Subasio di cui non restano che pochi avanzi, e quella di
S. Pietro, alle porte della città serafica. Ogni centro di qualche
importanza ha avuto il suo cenobio benedettino: Trevi, l'abbazia
di San Pietro a Bovara; Sangemini, il: monastero di San Nicolò;
zieti l’abbazia di S. Pastore; Orvieto, il cenobio dei SS. Severo
e Martirio; Norcia, l'abbazia di S. Eutizio e quella di S. Bene-
detto; Narni il monastero di S. Cassiano; Gubbio, l'abbazia di
Alfiolo (ora villa Degola, fuori porta romana), di S. Donato, di
S. Pietro e il Cenobio di Caprignone; Ferentillo, l'abbazia di S.
Pietro della Valle; Perugia, i monasteri di S. Pietro e dei SS.
Agato e Severo; Foligno, l’abbazia di Sassovivo, e giù nella Sa-
bina, l'abbazia di Farfa. Né queste sono tutte le abbazie bene-

(1) Vedi il presente fascicolo a pag. 530.
(2) Ibid. a pag. 519.
(3) Ibid. a pag. 545.

(4) Ibid. a pag. 385. XXXV

dettine che sorgevano nel tempo piü antico nella ridente vallata
umbra: ché altre ve n'avea a Gualdo Tadino, a Magione, a Spoleto,
a Norcia. Piò tardi, anche nell' Umbria i monasteri benedettini si
moltipliearono e sopra di ogni colle il figlio di S. Benedetto sten-
deva una mano al popolo e l'altra inalzava al cielo.

La vita monastica, che si esplicava nelle mura di queste badio,
era modellata sui dettami della Regola di S. Benedetto. Lo studio
e la preghiera — ora et labora — alimentavano gli animi sitibondi
di Dio e di pace: nella silenziosa solitudine del chiostro i monaci
educavano il proprio spirito, e divennero grandi nella estimazione
popolare e presso Dio: colle loro virtù e colla loro santità edu-
cavano e coltivarono il proprio ingegno e divennero benemeriti
della cultura scientifica del tempo, colle loro opere e coi loro studi.

Ogni monastero era centro di coltura pel suo dintorno: la bi-
blioteca, l’ archivio, la scuola dell'arte, eran frequentate dai mo-

aci e dai non monaci. Dalla badia si riversava la coltura arti-
stica, scientifica, religiosa nei lupghi vicini a titolo di beneme-
renza e di perpetua gratitudine.

E negli archivi monastici — come sanno gli esperti — sono
preziose miniere da utilizzare. I libri di amministrazione, sotto i
diversi titoli di Giornali, di Entrata e Uscita, di Creditori e De-
bitori, di Spese, ed i libri di ordine superiore, come gli inven-
tari, le cronache, i diarii, i manoseritti di memorie e memoriali,
di ricordi e molti altri coi titoli più curiori e significativi, posson
somministrare a chi sa interrogarti con paziente cura materia

abbondante per studi e monografie veramente originali.

Rintracciare questi monumenti della cultura civile e religiosa
del tempo, della letteratura, dell’ agiografia, della biografia, del-
l’arte, investigarli e studiarli è compito dello storico dei nostri
giorni. Il materiale della celebre badia di Farfa è ormai reso di
pubblica ragione, in buona parte, per cura della R. Società ro-
mana di storia patria, e ben sanno gli studiosi quanta luce ne

venga per quei secoli oscuri.

Anche la badia di Sassovivo ha ancora il suo rieeo materiale
d’archivio inedito.

Dalla ricerca e dallo studio di queste memorie scaturirà una
luce nuova per la giurisprudenza del tempo, per la eronologia
di fatti ancora circondati di dubbiezze, per la topografia, per le
etie c Itt ZO I —— — MH

XXXVI

eireoserizioni ecclesiastiche e civili, per l'esatta cognizione e,
della beneficenza pubblica e privata, che ebbe fin da quei tempi
remoti un indirizzo tutto speciale. Senza rammentare ehe da que-
sto studio balzeranno fuori uomini, finora sconosciuti, degni di
memoria, artisti, eruditi, agiografi, benefattori delle nostre terre
e insigni per santità.

A questo lavoro, ehe sarebbe immane per un sol uomo ed
anche per una sola Società storica, si è posta con animo risoluto
e costante, una legione di figli di S. Benedetto, che recherà, qua-
lora sia eireondata dalla simpatia dei. dotti e degli studiosi, il suo
modesto eontributo eziandio alla Regione Umbra. Essi hauno di
più iniziato una pubblicazione storica illustrata trimestrale, che
raccoglie memorie e studi originali di storia e letteratura mona-
stica con special riguardo all’ Ordine Benedettino ed alla storia
d’Italia, documenti agiografici, letterari, biografici ed una serie
di studi storici, filologici, religiosi, critici, artistici, nell' intento
di dare, possibilmente, un’ideasesatta e compiuta di questa grande
comunità che Visse e vive, attraverso ai secoli, operando e bene-
fieando.

13.* BRIGANTI FRANCESCO. — Di alcune cronache inedite pe-
rugine del secolo XIV copiate da Vincenzo Tranquilli nel secolo
XIV. — Egli espone che queste cronache molto interessauti per
la storia del secolo XIV furono recentemente acquistate dalla Bi-
blioteca comunale di Perugia, e ritiene che debbano essere recate
in luce con profitto notevole degli studî e delle ricerche storiche
nella nostra regione.

14." AxsiDEI V. — Comunica a nome del socio Beniamino
Cenci, che questi ha rintracciato nell’archivio della sua nobile fa-
miglia un ms. contenente l’ autobiografia del pittore, architetto e
storico perugino Baldassarre Orsini. È un fascicolo di 18 pagine,
in formato 8° grande. Questo ms. proviene da Bartolomeo Cenci,
che richiese con viva premura all’ Orsini di compilare qualche
notizia della sua vita. Questi acconsentì a condizione che il ms. ri-
manesse inedito. L’autobiografia è di molto interesse non solo per-
chè reca notizie sulla vita del geniale artista, ma anche perchè
contiene molti giudizi sull’ indirizzo artistico del tempo. Insieme
all’autobiografia è anche la brutta copia di una delle tante opere
dell’Orsini scritte su di un soggetto pittorico. Fra le carte Cenci

111. ,«1* ht — XXXVII

fu pure rinvenuto un ms. di Gio. Battista Vermiglioli con alcuni
appunti di memorie perugine.

15.° VIVIANI DANTE. — Sull’ex Abbazia Benedettina di Monte
l’Abate (già S. Maria di Valdiponte) presso Perugia. Il socio Vi-
viani espone quali sieno i pregi di questo antico monumento um-
bro, trattenendosi a parlare della sua costruzione e dello stato

miserevole in cui attualmente si trova. L'Assemblea, udita la co-

municazione dell’architetto Viviani, delibera di far premure presso
il proprieiario dell’antica abbazia, affinchè il pregevole monumento
venga con maggior cura conservato. :

16.° GEgRALDINI B. — Amelia sotto la dominazione del re La- .
distao e del Tartaglia (1).

17.° PERALI P. — Di alcuni nuovi studi intorno a monu-
menti etruschi.

« Riferendomi ad un mio precedente lavoro dal ti-
tolo — Orvieto etrusca — pubblicato nel nostro Bollet-
tino (anno 1905), ricordo di non ‘aver dato allora la in-
terpretazione della scritta finia tinscvil in certi tronchi
di cono orvietani, nè di una piramide tronca bolsenese,
in cui alle due parole sopra scritte ne seguono due al-
tre, sacirs acni.

Ora io desidero dare di queste parole la spiegazione
che a me sembra più plausibile. Zinia è il Giove degli
etruschi. Glottologicamente non é facile dimostrarlo,
ma gli specchi etruschi dove presso alla figura di Giove

è scritto un tal nome bastano a documentare la identifi-
cazione. Per tinscvil, rimasto sempre un problema per
gli etruscologi, propongo una soluzione. Divido tins e
cvil, e tins parmi sia un tema partecipiale in zs quali si
trovano nel greco, nel latino ecc. appartenente ad una
radice ti, che suppongo, forse a buon diritto, significhi
dedicare, dare o porre. :

Quanto all'altra parola cvil, affermato in base al

confronto fra i due nomi, ad es. Tanucoil = Tanaquilla,

(1) Vedi il presente fascicolo pag. 491.
"PT—— d

XXXVII

i À— ——Ó— € — HH

che il nesso cv etrusco corrisponde al qu latino, pongo

l'eguaglianza cvil = quir.

Quir-is in lingua latina significa asta; i romani per-

ché astati son detti quiriti, e Romolo dopo morto sale al
cielo e lo si appella Quirino. In latino si trova parallela
alla radice quir la radice quer, come in quer-c-us (quer-
cia).

Si noti che i coni tronchi di Orvieto hanno un foro
longitudinale come per fissarvi un'asta, e pilastrini e tron-
chi di cono analoghi inalberanti un' asta semplice o con
bipeune, son noti alle antiche sculture e pitture religiose
dei Micenei. Ora il Giove degli etruschi è adorato sotto
forma di asta come Vertummo dio etrusco- romano, e
quindi sulle basi che reggono le aste sacre ci stava
scritto — Giove, asta dedicata (o posta?). Sarà forse una
ipotesi ardita; ma io rifletto che i pontifices, i quali fu-

rono sommi sacerdoti a Roma anche prima che i ponti

.Si costruissero, presero forse un tal nome dalla massima.

delle azioni sacre che essi compivauo, cioè dal porre

la divinità. Infatti non ripugna uu primitivo tema par-

- vecipiale -pons divenuto poi nome come fons che Scorre,

mons che sta, mens che misura; e da pons fex (forse in
origine fecus) é derivato il nome del sommo sacerdote,
cioè colui che pone il dio. Quanto poi al sacirs acni ag-
giunto alle altre parole nella piramide tronca di Bolsena,
sembra accettabile, che sacirs equivalga a sacer (sacro),
e acni ad agni (in sanscrito fuoco) ed in latino ignis.
Di guisa che quelle due parole avrebbero il significato

di fuoco sacro.

Non-essendo presenti i soci, che avevano trasmesso i titoli di

altre comunicazioni, si passano a discutere le varie Proposte.

I. Il Presidente Magherini-Graziani propone che pel venturo

anno 1907 uno dei fascicoli del Bollettino sia interamente destinato

a raccogliere documenti e notizie interessanti l’arte umbra, di cui

Perugia si appresta a fare per quel tempo una pubblica Mostra.

II. Il dott. F. Briganti propone che nel 1907, sotto gli au-

spici della Regia Deputazione si inauguri un ricordo nella Biblio-
XXXIX

teca comunale di Perugia a Giuseppe Belforti, di cui scade il cen-
tenario dalla morte. Egli fu infaticabile e intelligente raccoglitore
di ricordi patrî, a cui gli studiosi bene spesso ricorrono nelle loro
indagini storiche, e quindi è d’avviso che la R. Deputazione debba
promuovere queste onoranze in lode del benemerito cultore delle
memorie perugine. i :

Tali proposte sono approvate.

Il Presidente annunzia che, secondo il deliberato della R. De-
putazione che ebbe luogo nel settembre 1905 a Città di Castello,
l’Assemblea generale pel 1907 sarà tenuta in Perugia.

IL PRESIDENTE
G. MAGHERINI- GRAZIANI

Il Segretario
O. SCALVANTI.

ne IT
s
d
321

-. DELLE CHIESE DELLA CITTÀ E DIOCESI DI FOLIGNO

. NEL SECOLO XIII

(Continuazione vedi Vol. XII, fasc. II, pag. 222, n. 33).

' PARTE QUARTA

LE GHIESE DELLA “ LIBRA VNIVERSITATIS ,,

(CHEESE ENTI)

I. Ecclesia sancti Salvatoris de Fulgin.

Della chiesa di Foligno, intitolata al SS. Salvatore, si ha forse
esplicitamente la più antica menzione nella sentenza del card. Capocci
(1939). Tuttavia non va passato sotto silenzio un monasterium salvatoris,
ricordato nella Bolla d'Innocenzo II (1138), che ebbe stretta relazione
colla nostra chiesa (1). La quale, sul finire del secolo XIII, avea 6824
libre e 4 soldi di patrimonio, provenienti da terreni posti «m contrata
cesani », «în agello », « în saxo », « in renavi », « în Catrasone », « in
colle vaiano », « in capernaco », « in passano », da una vigna situata
« prope et supra fulgineum, inter carbonarias novas », da due molini e
mezzo posti « im catasta molendinorum sancti Salvatoris » e da 12 libre
di denari « que ipsi ecclesie annuatim.. pervenire possunt ex scriptis et
carceribus » (2).

—. Scrive Lodovico Jacobilli che presso questa chiesa antichissima

« ne’ secoli passati fu eretto un monastero di monaci neri dell'antica
Congregazione Benedettina, fondata dal gran patriarca S. Benedetto.
Era abbadia molto potente, e da essa la contrada, ove è situata, e la
porta a sè vicina, tanto la moderna quanto l’antica, ch'era nell'ulti-
ma casa, vicino al monastero di S. Maria del Popolo, viene denomi-
‘nata Abbadia. Havendo li suddetti Monaci lasciato questo monastero,

(1) G. CAPPELLETTI, Le chiese d’Italia, vol. IV, pag. 408.
(2) Libra, fol. LVII.

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16
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ere a Iri tm nr É — —Há

398 P. LUGANO

et andati ad habitare, per ordine de' Superiori, in quello di Sassovivo,
della medesima Religione, fu quivi, nel 1200 in circa, eretto un Prio-
rato con tre canonici, le quali dignità ancora perseverano, insieme con
dieci cappellani, instituiti in diversi tempi, che celebrano in dieci eap-

pelle, che qui sono state erette » (1).
II. — Ecclesia sancti Nicolaj de Fulgin.

Di questa chiesa non si trova ricordo nell' indice della Libra Uni-
versitatis, premesso al testo; ma qui poi ricorre con 90 libre di patri-
monio provenienti da 9 libre di oblazioni, decime, primizie e funeri (2).

Tuttavia è certo che, fin dal secolo XII, la chiesa di S. Nicolò
dipendeva dall'abbazia di Sassovivo: nel 1191 n’ era priore Gualtiere
d'Ascaro. Ma nel 1281 (25 gennaio) Paparone de’ Paparoni, vescovo
di Foligno, per mezzo di messer Angelo di Mercato, Canonico di Fo-
ligno e suo procuratore, permutava coll'abate di Sassovivo, le chiese
di S. Lucia di Pale e di S. Andrea di Griceiano, con quella di S. Ni-
coló e metà della chiesa di S. Tommaso: le quali ultime dall’ abate di
Sassovivo passavano al vescovo di Foligno. La permuta venne anche
ratificata, nel marzo susseguente, da aleuni nobili di Foligno (3).

III. — Ecclesia sancti Stephani de Fulgin.

La chiesa di S. Stefano, dentro Foligno, il cui rettore, di nome
Bartolomeo, é già ricordato in una sentenza del 2 maggio 1209 (4),
verso la fine del secolo XIII, avea' un patrimonio di 530 libre e 8 soldi,
che proveniva da terre poste « in Rosario » ed « n palude Rosarii », « în
molglis », « in contrata sancti Petri de Mathocciis », « in Luguiati »,
«in butino », « in vallibus », « in spinazzocceu » e « prope santum Petrum
de Mathocciis » (5).

Della Bolla di Innocenzo IV (1244), per la conferma de' beni e
dei possessi dell'abbazia di S. Benedetto del monte Subasio, si rileva
che, tra le dipendenze di quel celebre cenobio, era annoverata anche
questa, chiamata allora, cappellam S. Stefani Fulginatis (6).

(1) L. JACORILLI, Historia delle Chiese, Cod. A. VI, 12, c. 22.

(2) Libra, fol. LVIIII t.

(3) L. JACORILLI, Cronica del monastero di Sassovivo, pag. 36, 42, 55, 57, 97, ecc.

(4) L. JACORILLI, Cronica del monastero di Sassovivo, pag. 61.

(5) Libra, fol. LXI.

(6) GiUsEPPE DI Costanzo, Disainina degli scrittori, e det monumenti riguar-
danti S. Rufino vescovo e Martire di Ascesi, Assisi, Tip. Sgariglia, 1797, doc. XXV,
pag. 399

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E m E AR LIRA III EVITA TIEPIDA Pr aet o NP. TIE DVR UT PIE i, i mcm DELLE CHIESE DELLA CITTÀ E DIOCESI DI FOLIGNO, ECC. 399
IV. — Ecclesia sancti Thome de Fulgin.

È questa la chiesa de’ Cippischi. Dipendeva anticamente dall'ab-
zia di Sassovivo, ma nel 1281, passò per metà al vescovo di Foligno (1).
Il suo patrimonio, nel 1295, consisteva in 164 libre, provenienti da una
terra posta « im curtina Rosarii seu in butino » e da due casali situati

: « în contrata dicte ecclesie » (2).

Della sua erezione nel 1190, per opera del vescovo Anselmo degli
Atti, rimane perpetua memoria nella seguente iscrizione, scolpita in due
pietre, sulla porta della chiesa stessa.

POST. ANNOS . M . POSQVAM NA

TVS FVIT ILLE Q NOS PLASMAVIT Q

VERBO CVTA CREAVIT . LAPSO CENTENO CVRRENS
TVC NONAQVEGENVS . EDEM

FVNDAVIT IPAM DNOQVE SACRAVIT . FVLGINEI PRE
SVL ANSELMVS ET HIC NVCERI

NVS . PRVDENS ET SAPIENS POLLENS ET IN ORDINE
PRIMVS VT SIT ONOR . PA

TRI THOME . SIT GLORIA MATRI . AGATHE . DIGNE
SANTE . IVSTEQVE BENIN

GNE MARTIR . SUME PRECES THOMAS ET SVSCIPE
LAVDES . QVAS REFERAS DNO

CVN QVO PEPETUO GAVDES (3).

V. — Ecclesia sancti Manni de Markyscellis.

La chiesa di S. Manno, ora S. Magno; de' Marchiselli è fuori di
porta S. Maria. Sul finire del secolo XIII, essa avea già il cospicuo
patrimonio di 1740 libre e 16 soldi, che provenivano da fondi posti
presso la chiesa, sopra S. Magno, e « in contrata. Marckyscellorum >
« în contrata Burronorum », « in sodoris », « in contrata corvie », « in
contrata sancti stephani de villa Ramponisky », « in contrata Custini »,
« in lacu de tenne », « in montorone », « in Custino », « in contrata

2

fovearum » ed « in contrata flaminee > (4).

(1) L. JACOBILLI, Cronaca del monastero di Sassovivo, pag. 97.
(2) Libra, fol. LXI.
(3) M. FALOCI PULIGNANI, Le iscristoni medioevali di Foligno in Archivio sto-

rico per le Marche e per VUMmbria, vol. I, fasc. I, 1884, pag. 20.

(4) Libra, fol. LXII.

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330 P. LUGANO
VI. — Ecclesia sancti Stephani de Maceratura.

La ehiesa parrocchiale di Maceratura, ora Maceratola, è tuttora
dedicata a S. Stefano, come in antico. Il suo patrimonio ascendeva a
105 libre e 14 soldi, provenienti da terreni posti « 2n maceratura »;
« a via calcaria », « în aquasparta » ed intorno alla chiesa (1). È ri-
cordata anche nella sentenza del card. Canpeci (1239) ed era sotto la

pieve di Butino.
VII. — Ecclesia sancti Joannis de Luguiati.

La chiesa di S. Giovanni de Luguiati, verso la fine del secolo XIII,
avea già un patrimonio di 751 libra e 12 denari, il quale proveniva
da terre poste « 2n contrata lugati », », «in barcu, juxta viam » e « juxta
semitas » e « justa viam Barchi », « in Cyppito », « in contrata cen-
tum currorum — juxta viam », « in loco in quo fuit facta forma anti-
qua » ed « in contrata sancti Johannis » (2).

VIII. — Ecclesia sancti Laurentii de Villa Ratthessca.
San Lorenzo di Villa Rattesca avea già, sul finire del secolo XIII,
un patrimonio di 350 libre e 16 soldi, il quale constava del circuito 0
« curtina » della chiesa stessa, e di terreni posti « 2n» villa vattesca »,
« in Grume », « in prato vosarii » ed « in spinazoccu » (3).

IX. — Ecclesia sancti Sisti de Pasiana.

A Pasano, antieamente Pasiana, esisteva una chiesa intolata a
S. Sisto. Avea un patrimonio di 323 libre e 2 soldi, proveniente da terre

poste « im contrata sancti sisti », « in pasiana », « in cesis », « in con-

trata Cupe » (4). Era nella pieve di Butino, come si rileva dalla sen-
tenza del card. Capocci (1239). .

Forse questa chiesa di Pasano è da identificarsi colla cappella
S. Xisti de Cesa, ricordata tra le dipendenze dell’ abbazia di S. Benedetto
del Monte Subasio, nella Bolla di Innocenzo IV (1244) (5).

(1) Libra, fol. LXHT.

(2) Libra, fol. LXHI-LXIIII,

(3) Libra, fol. LXIV t.

4) Libra, fol. LXV.

(5) G. DI COSTANZO, Disamina degli scrittori e dei monumenti riguardanti

S. Rufino, Assisi, 1797, pag. 399.
DELLE €HIESE DELLA CITTÀ E DIOCESI DI FOLIGNO, ECC. 851
X. — Ecclesia sancti Angeli de Rosario.

Nella Bolla di papa Innocenzo II (1138) si fa ricordanza del mo-
nasterium ... sancti Angeli de Rosaia, che doveva già essere di qualche
importanza, e che, dalla storia susseguente sappiamo essere apparte-
nuto all'ordine di S. Benedetto (1).

Della chiesa si conosce la precisa località da una nota della Libra,
iu cui si rammenta una terra « posita inter Carbonarias, INTER QUAS EST
SITA DIOTA ECCLESIA e£ turris hedificata » (2). Sul finire del secolo XIII,
essa avea già il cospicuo patrimonio di 5040 libre e 12 soldi, formato
da una casa posta a Foligno « in Cyppischys », da due piedi di un casale
dentro città, e da terre situate « im Rosario », « in palude Hosarii »,
« in molglis seu rosario », « in contrata Hosarij », « in contrata mol-
gle », « in molglis », « incontrata vallium », « in contrata melagi »,
« in villa nova », « in filecto », « in butino », « in villa butini », «in
contrata fontis pugnentium », « in vocabulo Sancte Marie de ysalberto »,
« in. Asio Sancte Marie de ysalberto », « in pantanis », « in aquatino >,
e in contrata de cesis », « in forma », « in asio sancti venantii », « in
luguiati », « in Grocturis », « in Contrata Sancte Marie de Phylecto »,
« in Asio flaminee », « in asio sancti Petri de Mathociis », « jucta fla-
mineam. » (3).

È ricordata altresì nella sentenza del card. Capocci (1239), da cui
risulta che faceva parte delle pieve di Butino. Però, nella Bolla d’In-
nocenzo IV.(1244), essa è annoverata tra le dipendenze dell'Abbazia di
S. Benedetto del Monte Subasio (4).

XI. — Fcclesia sancte Marie de Jsalbertis.

La chiesa di S. Maria degli Isalberti, ricordata forse la prima
volta nella sentenza del 1239, avea. sul finire del secolo NIII, un pa-

‘ trimonio di 105 libre e 4 soldi, costituito da terreni posti intorno alla.

chiesa stessa e da una pezza di terra situata « 22 contrata sancti vg-

(1) G. CAPPELLETTI, Le chiese d? Italia, vol. IV, pag. 409; L. JACOBILLI, Cronica
del monastero di Sassovivo, pag. 145, 187, 205. :

(2) Libra, fol. LXV t. }

(3) Libra, fol. LXV t-LXVIII t. i »

(4) G. DI COSTAN70, Disamina cit., pag. 399. Le chiese, per noi di qualche im-
portanza, hanno quest'ordine: « .. ecclesiam S. Blaxii de Cannaria cum suis perti-
nentiis, ecclesiam S. Angeli de Rosario cuin. suis. possessionibus, Capellam S. Nisti
de Cesa, Capellain S. Stefuni Fulginatis, Oupellaii S. Pauti in Spello ... ».
AE m Mmm gm eoe te ————

9332 P. LUGANO

nantii » (1). Nel 1239 non era che una semplice cappella, soggetta alla
pieve di Butino.

,

XII. — Ecclesia sancti Feliciani de Butino.

San Feliciano di Budino, dapprima Butino, è una delle pievi più
importanti della Diocesi, già confermata al vescovo di Foligno nel 1138
da Innocenzo II (2).

Verso la fine del secolo XIII, essa aveva un patrimonio di 1076
libre e 5 soldi, il quale proveniva da terreni posti « zn Dutino », « in
villa Butini » ed « in vocabulo prati » (3).

XIII. — Ecclesia sancti Johannis foris Flamineam.

Tra Nocera e Foligno sorgeva, ai tempi dell' impero romano, l’op-
pidum chiamato Forum Flaminiüi. La sua esistenza è luminosamente
provata da varie iscrizioni, dai classici e dagli itinerari (4). Della sua
importanza, nella età romana, si puó desumere un argomento dalla sua

stessa posizione, la quale formava del Forum Flaminii un centro di:

vita commerciale, a cui convenivano, per la via Flaminia, i mercanti
dell'Umbria e delle Marche. A noi basterà rammentare che sui primordii
del cristianesimo, fu tanta l'importanza di questo centro, che tosto gli
venne designato il vescovo, che vi troviamo ancora quando divenne
città vescovile la prossima Foligno.

Infatti, da una lettera di papa Simmaco (498-514), si rileva che
sul finire del secolo V e sul cominciare del VI l'episcopus ecclesie Fo-
roffaminiensis era un certo Bonifacius, mentre contemporaneamente era
vescovo di Foligno, prima Urbano, e poi Fortunato (5).

Unico ricordo cristiano dell’antico Forum Flamini rimane ancora
la basilica di S. Giovanni, detta comunemente Profiamma. Non già
perchè questa chiesa rimonti a quei tempi, ma perchè e nel titolo, quan-

(1) Libra, fol. LXX.

(2) G. CAPPELLETTI, Le chiese d’Italia, vol. IV, pag. 408.

(3) Libra, fol. LXX t.-LXXI t.

(4) BORMANN, C. I. L., vol. XI, pag. 754.

(5) DE Vir, Onomasticon, tom. III, pag. 137, 145, 159. Il CAPPELLETTI (Le chiese
«d’Italia, vol. IV, pag. 445), ricorda che nella IV azione del concilio VI costantinopo-
litano, nel 680, sottoscriveva Decenzio erignus episcopus sancte Foroflaminiensis
ecclesie, e v'era con lui anche Floro, vescovo di Foligno. Cfr. LABBÉ, Sacrorum Con-
cil. nov. et amplis. collectio, tom..VIII, col. 269, 300; HARDUIN, Acta Concil., tom. II,
c. III, 1130
DELLE CHIESE DELLA CITTÀ E DIOCESI DI FOLIGNO, ECC. 233

tunque corrotto, che porta, e nei frammenti onde consta, e nella situa-
zione che tuttavia occupa, possiamo con ragione ritenerla per l'unico
monumento cristiano, indice della distrutta città romana.

Fra le scolture della porta di questa basilica, nello‘ stipite destro,
presso la figura di un vescovo, probabilmente S. Feliciano, si legge
ancora il nome di un rinomato artista umbro : — FILIPO ME. FEC. —
il quale, nel 1231, nelle decorazioni della sua basilica, volle conservarci
un piccolo residuo di scultura, avanzo sicuro della antica basilica cri-
stiana di Forum Flaminii (1). Della quale però nulla abbiamo che valga
a meglio determinarci il luogo, il titolo e la struttura. Poichè nell’at-
tuale basilica di S. Giovanni si dovrebbe forse riconoscere o 1’ antico
fonte battesimale di quella città, o la chiesa che a quello immediata-
mente tenne dietro. La qual congettura viene confortata dal titolo di
S. Giovanni Battista che conserva la basilica tuttora esistente.

Comunque sia, è certo che sul finire del secolo XIII, questa chiesa
avea il cospicuo patrimonio di 4733 libre, 7 soldi e 6 denari. I suoi beni
eran situati « în contrata dicte ecclesie — juxta fossatum », « prope di-
ct«in. ecclesiam, juota flaamineam », « în contrata sancti Geruntii, Juxta
flamineam et fossatum. », « in contrata turris — juxta flamineam », in
contrata flacani, juxta flamineam », « in contrata vallis », in colle va-
iano », « in contrata collis », « în contrata vallis Barvaione », « in colle
supra dictam. ecclesiam », « in contrata. funni », « în contrata. castan-
gne », « in contrata Pasani », « in contrata castanee », « in filecto »,
« in loparia », « in podiis », « în polencano », « in contrata sancti. Ve-
nantii », « in alvata », « in contrata campi cavalli », « în molglis »,
« in colle de Grancis », « in castelglone », « în contrata cupe », « in
contrata vie alte sive tregii », « in contrata flaxani », « in contrata. funni
— juxta alveum topini », « in contrata sancti Johannis, juxta topinum »,
« in sancto Geruntio, juxta stratam et viam », « in vocabulo ville Aqui »,
« in. contrata. senaldeske », «in petaccio », « in Guesia ubi dicitur trevi»,
« in polenzano » ed « in plano alvenetarum, juxta viam » (2).

XIV. — Ecclesia sancti Sebastiani de Colle Vaiano.

La chiesa di S. Sebastiano a Colle Vaiano possedeva, già nel
secolo NIIT, un patrimonio di 186 libre e 10 soldi, proveniente da terre

(1) M. FaLocI PULIGNANI, Le iscrizioni medioevali di Foligno, in Arch. stor. per
le Mavehe e per U Umbria, vol. I (1884), pag. 29-30, nn. XII-XUE; IDEM, Del. eRiostro
di Sassovivo preso Foligno, Foligno, 1879, pag. 26: IbEM, Una pagina di Arte Uni-
dra, Foligno, Salvati, 1903, pag. 18-24.

(2) Libra, fol. LXXIT-LXXV.
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| 334 - P. LUGANO
| :
| poste intorno alla chiesa, « im colle vatano > ed « în colle vaiano. ubi
dicitur. Puzolus » (D. E V attuale parrocchia di S. Sebastiano. Nel 1239,
come si rileva dalla sentenza del card. Capocci, faceva parte della
pieve di S. Giovanni foris Flamineam.
4
| XV. — Ecclesia sancti Jlarii de Colle Vaiano.
Un’ altra chiesa di Colle Vaiano era intitolata a Sant! Ilario. Questa
avea un patrimonio di 92 libre e 8 soldi, il quale risultava di due terre
situate « in contrata collis vaiani » (2). E già ricordata nella sentenza
del 1239.
XVI. — Ecclesia sancti Antolini de Galglole.
| La chiesa di S. Antolino di Galglole, posta nella contrada omo- t
| nima, è ricordata forse per la prima volta nella sentenza del card. Ca-
pocci (1239). Dalla Libra, risulta che aveva un patrimonio di 56 soldi,
s proveniente da un terreno posto « im Galglole » (3).
d. | XVII. — Ecclesia sancti Laurentii de Podio.
| | * ^ LI . . Li
| La chiesa di S. Lorenzo del Poggio, di cui si ha la prima menzione
oo è) I
nella sentenza del 1239, avea un patrimonio di 23 libre, provenienti da
. " . . . . stente . . M
| vari terreni di pochissima rendita, posti intorno alla chiesa ed « 2m
ill! Montesciano » (4).
I XVIII. — Ecclesia sancti Blasii de Carsorciis.
|
Il La chiesa di S. Biagio de’ Casorcii, avea, come si rileva dalla
| Libra, un patrimonio di 88 libre, 17 soldi e 6 denari, che risultava di
| terreni posti « in contrata loriti » (5). Nel 1239 era soggetta alla pieve
i di S. Giovanni forís flamineam. È
XIX. — Fcclesia sancti Angeli de Valle.
Di questa chiesa di S. Angelo della Valle si ha forse la prima
| notizia nella sentenza del 1239. Dalla Libra si rileva che possedeva un
(1) Libra, fol. LXXV t.
(2) Libra, fol. LXXV t.
(3) Libra, fol. LXXVI. 3
(4) Libra, fol. LXXVI.
(5) Libra, fol. LXXVI.
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DELLE CHIESE DELLA CITTÀ E DIOCESI DI FOLIGNO, ECC. 335
patrimonio di 111 libre e 3 soldi, il quale constava di un orticello in-
torno alla chiesa e di altre terre poste « 2n Gorga », « în valle sancti
Angeli », « in polenzano », « in podio », «in vallecellis » ed « în serra :

» sicca » (1). Faceva parte della pieve di S. Giovanni foris flamineam.

XX. — Ecclesia sancte Marie in Montesciano.

La chiesa di S. Marià di Montesciano o Montesiano, sul finire del
secolo XIII, avea un patrimonio di 52 lire e 18 soldi, che - proveniva
da terreni posti intorno alla chiesa e da un piccolo ginestreto situato
« în Montesciano » (2). Forse è la cappella di S. Maria, ricordata nella
sentenza del card. Capocci (1239), come soggetta a S. Giovanni foris
flamineam.

XXI. — Ecclesia sancti Venantii de Colle Aqui.

Ad Acqui, nella Valtopina, era una chiesa dedicata a S. Venanzo,
la quale, secondo l’ attestazione della Libra, avea un patrimonio di 35
libre e 10 soldi, in terre poste « im contrata sancti Venantii », « in
contrata Macerini », « in collebenedicto », « in contrata valdi », « in
molglis » e presso la chiesa (3). È già ricordata nella sentenza del 1239,
e dipendeva da S. Giovanni foris flamineam.

XXII. — Ecclesia sancti Bartholomei de Pazole.

La chiesa di S. Bartolomeo di Pazole, ricordata già nella Libra,
avea un patrimonio di 429 libre, formato da terreni posti « în pazole
subtus stratam » e « supra stratam », « în monte », da alcune piante
olivifere e dall’ alveo del molino « quod est în contrata cantagalli » (4).
Va identificata colla cappella sancti Bartholomei della sentenza del 1239:
dipendeva dalla pieve di S. Giovanni foris flamineam.

XXIII. — Heclesia sancti Marcelli de sancto Marcello,

La chiesa di S. Marcello de sancto Marcello o de villa sancti Mar-
celli, secondo il registro della /Zbra, avea un patrimonio di 251 libra
e 18 soldi, il quale constava di terre poste intorno. alla chiesa, in vi-

(1) Libra, fol. LXXVI t.

» (2) Libra, fol. LXXVII.
: (3) Libra, fol. LXXVII t.
(4) Libra, fol. LXXVIII.:
— —— ia e nici

— or MM ——— o — rt

336 P. LUGANO

cinanza del Topino, « Zn eodem vocabulo sancti Marcelli » ed « in teraia
vel si aliter ibi dicitur » (1). La villa è il S. Marcello di S. Giovanni
profiamma ; la sua chiesa è già ricordata nella sentenza del 1239.

XXIV. — Ecclesia sancti Laurentii de Villa Aqui.

La villa d’Acqui, nella Valtopina, avea una seconda chiesa, ma
forse più antica di quella di S. Venanzo, posta sul Colle, dedicata a
S. Lorenzo. Questa, come rilevasi dalla Libra, avea un patrimonio di
293 libre e 18 soldi, il quale risultava di terreni posti intorno alla
chiesa, « in contrata oliviti », « in villa aqui », « în saxeta », « in
contrata aqui » ed « in contrata de Carpenetis » (9).

XXV. — Ecclesia sancti Pauli de Villa Monasterii.

La chiesa di S. Paolo a Villa del Monastero, ricordata nella Libra
per la prima volta, avea, già sul finire del secolo XIII, un patrimonio
di 217 libre e 2 soldi, costituito da terreni posti « în dicta villa mona-

. sterit », « in contrata fornackye » , « in senaldescha » e presso la chiesa (3).
La villa monasterii era un luogo dipendente da Sassovivo.

XXVI. — Ecclesia sancti Stephany de Gallano.

La chiesa di S. Stefano di Gallano è quella che era unita al fa-
moso monastero benedettino omonimo, eretto nel 1085 nella Valtopina,
circa 6 miglia da Foligno, presso i castelli di Gallano e d’Afrile, e le
ville di Fondi e d’Arvello. Della quale identificazione è argomento de-
cisivo il titolo del testo della Libra, che suona così: « ecclesie sancti. ste-
phany de Gallano et 1PStUS ECCLESIE MONASTERI res et bona inferius de-
scribuntur » (4).

L'edificazione di questo monastero avvenne per opera di Berardo,
Bruco ed Atto, figli di Gerardo d'Atto degli Atti dei conti di Nocera, i
quali lo :dotarono di varie possessioni e v'introdussero i monaci del-
l'Ordine di S. Benedetto. Ne fu primo abate nel 1132 un certo Be-
rardo, nipote del detto Berardo, che, nel 1125, vi avea indossato l'abito

monastico.

(1) Libra, fol. LXXVII t.
(2) Libra, fol. LXXVIII.
(3) Libra, fol. LXXX.

(4) Libra, fol. LXXX t.

-— DELLE CHIESE DELLA CITTÀ E DIOCESI D! FOLIGNO, ECC. © 337

Della storia del monastero di Gallano scrisse già a suo tempo Lu-
dovico Jacobilli (1): onde a noi basterà notare le vicende di maggior
importanza.

Innocenzo II, con breve del 16 marzo 1142, ad istanza dell’abate
Berardo, tolse sotto la sua apostolica protezione il monastero di Gal-,
lano, confermandogli le chiese di S. Pietro del castello di Serra, nella
Valtopina, di S. Giovanni di Talogna, di S. Cristoforo e di S. Michele
di Rotondolo, di S. Maria di Villa alva e di S. Maria d' Afrile, alle
quali Alessandro IIT, con suo breve di conferma de' 22 dicembre 1112,
aggiungeva la chiesa di S. Sisto di Gallano. Quindi, Celestino III, con
breve del 16 aprile 1197, eonfermava il privilegio di Alessandro III,
aggiungendo al monastero le chiese di S. Croce di Serra e di Castel-
reale con le possessioni e uomini nelle pertinenze di Fondi, Base, Afrile
Rivo, Palarna, Bolferagna, Forcatura, Villa alva, Carpelle, Andifo, Ta-
logna, Alvello, Cassignano, Musano, Surrifa, Stravignano, Capo d'Ac-
qua, Orchi, Gallano, Marcillone, Poggio, Capriglia, Castiglione, Acqui,
Capranica, e le possesioni che erano di S. Maria da Roverano (2).

Verso la fine-del secolo XIII, essendo abate di Gallano Ridolfo di
Monaldo de’ conti d' Antignano, questo monastero per motivo di guerra -
ebbe molto a patire; onde l' abate pensó di unirlo all’ abbazia di Sas-

sovivo. Il che avvenne il primo d'ottobre del 1291. Per tale unione il

monastero di Gallano venne restaurato notevolmente; ma il vescovo
di Foligno non parve troppo contento dell'unione, perché in forza di
una Bolla d'Anastasio IV (1153), confermata da Innocenzo III (1210),
egli pretendeva che il monastero spettasse al suo vescovado. Il 17 lu-
glio 1297 le due parti vennero ad un aecordo: il vescovo di Foligno
cederebbe ogni sua ragione sul monastero di Gallano all' abate di Sas-
sovivo e questi darebbe in compenso al vescovato di Foligno trentuno
modioli e otto oncie di terra, già spettante al monastero di S. Stefano.

Ma prima di questo accordo, il vescovo Berardo ordinò la Libra,
e noi vi troviamo notati tutti i beni spettanti alla chiesa ed al mona-
stero di Gallano, i quali ascendevano ad un patrimonio di 8169 libre,
19 soldi e 6 denari..

Questi beni erano posti « în contrata Molgle », « în colle podii
sancti stephany », « in maiano » e « in valle maiani », « in Costa
vallis Gee », « in contrata sunni », « in. Coldellaia », « în Cyrritu >,
« in valgatiri », « în campo funni », « in campo de perticali », « in

(1) L. JAcoBILLI, nella Cronaca del monastero di Sassovivo, pag. 235-243.
(2) I brevi di questi pontefiei furon noti al Jacobilli, che li cita da un libro del-
YArehivio di Sassovivo: Liber #8, fol. 178, 180, 183.
e —— M—

3358 .P. LUGANO

vallopaia », « in plano palarni », « in.contrata fracte », « in plano al-
velli-», « in Cerretis Bolforange », « in monte Bolforangne », « in Bol-
forangna », « in capite pratorum Bolforange », « în corvellaio », « in
ripatellis », « in lacqua Camerine », « in vocabulo spinetarum », « in
colanasole », « in valle abbatis », « in contrata segii ubi dicitur bovita »,
« in calcaria », « in bule », « in afreli », « în Civitella », «in basia »,
« in busscu Azzi », « in pratis », « în valmarina », « in valfonnana »,
« in campo Actolino », « în varro vaia », « in colle Crucis », « in monte
Alvelli », « in bolvengna », « in valle Alvelli », « în contrata Alvelli »,
« in Campis », « in pede puri Carpelle », « in valle funni », «in staf-
file », « in coldelifabri », « in Campudursu », « in Mostranello », « in
plano annifi », « in pede palarni » , « în valdeboroni », « in cesa Rayni »,
« in pede morri », « în plagiis talonge », « in Coldemeso », « in capra-
lica », « in perticali », « in pratis Bolforange », « in canapinis », « in
palude segii, im formis », «in capudacqua », « in marcelglonis », « in
contrata orcli », « in terraio », « in valmarina », « in vaccangna ». Avea
pure delle terre colte ed incolte come il « collis Calprilgle », la « costa
de Corgnoletis », la « plana dellutegulaiu », i « montes Gallani cum
valle Sancti [Stephany] a capite plani de lutigulaiu usque ad viam. Co-

ste et usque ad terras. universitatis Gallani », una selva « im eodem

monte, prope et supra ipsum monasterium », « montes qui sunt subtus
dictam. ecclesiam, versus Capudacquam », un « molendinum. positum in

: Capudacqua », un -« artum prope dictum monasterium sancti Stephany »,

una pezza, di terra « inter dictum. monasterium et funni » ed alcuni
« casalena posita in Annifo » (1).

Intorno al 1350 il monastero di Gallano fu rovinato da nemici:
i monaci sf ritirarono a Sassovivo, e la chiesa con la parrocchia rimase
ad un rettore secolare, eletto dal cardinale commendatario dell' abbazia
di Sassovivo. i

Tra le chiese dipendenti dal monastero di Gallano, la sentenza del
card. Capocci (1239) ne mette alcune che non hanno riscontro di sorta,
né nella Zibra, né nella storia del Jacobilli. Tali sono due chiese di
S. Maria, S. Lucia, S. Giacomo, e S. Venanzo. Di S. Sisto di Gallano,
abbiamo già fatto parola. Forse, nella sentenza del card. Capocci, in-
corse qualche errore, o queste chiese, nel 1295, non eran più soggette
al monastero di Gallano. Può anche darsi che, per mancanza di oele-
menti di identificazione, le chiese siano al loro posto, e nella sentenza
del 1239 e nella Libra, ma senza vantaggio nostro, almeno per ora.

(1) Libra, fol. LXXX t.- LXXXV. - SG

DELLE CHIESE DELLA CITTÀ E DIOCESI DI FOLIGNO, ECC. 399

XNVII. — Eeclesia sancti Petri de Serra.

za chiesa di S. Pietro del castello de Serra, già sul finire del se-
colo XIII, avea un patrimonio di 2596 libre e 11 soldi. I suoi beni
erano situati « Zm plano sancti Petri, juxta viam — juxta rigum lapi-

deum », « in plano collis arce », « in contrata. sancti Petri », « juxta'
ecclesiam sancti. Petri », « in casalenis », « în morecenis », « in serra »,

« in funnillis », « în valle gurgi scuri, juxta rigum », « in plano Rigi »,
« in lamis », « in contrata Rigi », « in campo lungo, juxta rigum et
fossatum. campi longi », « în fraganetis, juxta. fossatum campi longi »,
«.in valle filiorum offreducii », « in peretis, juxta fossatum », « în valle
martinella, juxta fossatum » ed « in villa sancti Petri de Serra » (1).
Dipendeva dal monastero di S. Stefano di Gallano, a cui venne confer-
mata da Innocenzo II (16 marzo 1142) (2).

XXVIII. — Ecclesia sancte Crucis de Serra.

L' altra chiesa de Serra, intitolata a S. Croce, avea un patrimonio
di 29 libre, 16 soldi e 6 denari, costituito da terreni posti « n Serra »,
« in Colle sancte Marie », «in fonnillis » ed « in Collebucco » (3). Venne
confermata al monastero di S. Stefano di Gallano nel 1142 (4), al quale
era stata donata da Guelfo figlio di Robbacastelli da Foligno, conte di

. Castel Reale nella Valtopina (5).

XXIX. — Ecclesia sancti Angeli de Rotunduro.

Di Sant'Angelo di Rotunduro si ha forse la più antica menzione
in una Bolla del 1142 (6), se pure questa chiesa non ha qualche relazione
storica con quella di S. Pietro de Rotundo, ricordata nella bolla di
papa Innocenzo II (1138) (7).

Godeva un patrimonio di 81 libra e 14 soldi, che era formato di
terre poste « în rotunduro » ed « in contrata rotunduri », « în contrata

Nuciti », ed « în contrata fontis de Strata » 8). Dipendeva dal moná- .

stero di Gallano.

(1) Libra, fol. LXXXVI- LXXXV II t.
(2) L. JACOBILLI, Cronaca del monastero di Sassovivo, pag. 237.
(3) Libra, fol. LXXXVIII.
(4) L. JACOBILLI, Cronaca del monastero di Sassovivo, pag. 237.
(5) L. JACOBILI.I, Op. cit., pag. 239.

‘ (6) L. JACOBILLI, Cronaca del monastero di Sassovivo, pag. 237.
(7) G. CAPPELLETTI, Le chiese d’Italia, vol. IV, pag. 498.
{8) Libra, fol. LXXXVIII t.
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340 P. LUGANO

XXX. — Ecclesia sancti Iohannis de Talongia.

La chiesa di S. Giovanni de Talongia, posta nella villa omonima,
appare per la prima volta in una bolla di Innocenzo II (1142) (1). Nella
Libra, ha un patrimonio di 929 libre, 4 soldi e 6 denari, risultante di
terre situate « Zn valvongna », «in contrata Murri », « in costa murri »,
«in pede murri», « in valle veneie », « in prato Actonis », « in contrata
carpelle », « in carpella », « in plano annifi », « in cardetis », « in peza-
longa », « în castellarie », « in calcinario », « in valle alvelli », « supra
coronam », « în purege » ed « in plagis » (2). È la chiesa di Talogna
d'Annifo, soggetta al monastero di Gallano.

XXXI. — Ecclesia sancti Mariani de Villa Alvelli.

La chiesa di S. Mariano di villa Alvello, ora Arvello, nella Val-
topina, possedeva già nel secolo XIII un patrimonio di 102 libre, 17
soldi e 6 denari. I suoi beni eran posti « in valle, juxta dictam. eccle-
siam >», « in vilito juxia viam », « in plano cerreti », « in contrata
pirlixi », « in fracta », « in campo reo », « in contrata buscarelli » ed
« in contrata cese Rayne » (3). La chiesa e la villa erano soggette al mo-
nastero di Gallano. Lo Jacobilli la dice dedicata a S. Maroto ( Mauro) (4).

XXXII. — Fcclesia sancte Crucis de Capackya.

Di questa chiesa di S. Croce de Capackya, di non .lieve impor-
tanza fin dal secolo XIII, si ha la piü antica memoria forse nella sen-
.tenza del 1239. Nella Libra essa appare con un patrimonio di 924 libre,
9 soldi e 6 denari, che risultava di beni posti « Zw campo de annifo »,
« in fossato annifi », « in contrata de campis annifi », « in | pede coste
annifi », « în villa annifi », « in vaccangnd », « in contrata collis »,
« in pede carpelle »; « in contrata Rigi juxta Rigum », « în cardetis »,
« in capudacqua », « in valle cassingnani », « in canavinis castri. ca-
singnani » ed « în valle marina » (5). Era nei dintorni del monastero
di Gallano e da esso dipendente.

(1) L. JACOBILLI, Cronaca del monastero di Sassovivo, pag. 237.
(2) Libra, fol. LXXXVIIII-LXXXX.

(3) Libra, fol. LXXXX-t.

(4) L. JACOBILLI, Cronuca del monastero di Sassovivo, pag. 253.
(5) Libra, fol. LXXXNI. DELLE CHIESE DELLA CITTÀ E DIOCESI DI FOLIGNO, ECC. 341
XXXIII. — Ecclesia sancte Marie de Villalva.

A Villalva era una chiesa dedicata a Maria Santissima. Sul finire
del secolo XIII, avea un patrimonio di 685 libre, 8 soldi e 9 denari,
formato da terre poste « 2n contrata dicte ecclesie » , « in contrata villalve »,
« in. pratis villalve », « în contrata saxorum villalve », « in monte vil-
lalve »,:« in contrata Carrarie », « in tufo Carrarie », « in pede carpelle », :
« in orto Bontii », « in colle bugentis », «in contrata picarli », « supra
lacum Cassicky », « în valgopenaria », « in tornaturis », « in valle del-
luniunctituiw », « in vaccangna » ed « in capite pratorum | Belforan-
gne,» (1). Venne confermata al monastero di Gallano, nel 1142, da In-

*

nocenzo II (2).
XXXIV. — Ecclesia sancti Paterniani de Collebucino.

Nella Bolla di Innocenzo II (1138) è già confermata al vescovo di
Foligno la canonicam S. Paterniani cum omnibus pertinentiis (3), che, :
nella Libra, appare con un patrimonio di 1160 libre, 7 soldi e 7 de-
nari. I suoi beni erano posti « juxta dictam ecclesiam », « in colle bu-
cino puta flumen topini », « in contrata de Machonis », « in vocabulo
de peretis », « in plagia collis gaiosi, jurta flumen. topini », « in cor-
nello », « in contrata de cesis », « in colle modiolis », « in' castelglone »,
« in colle mantingnonis », « in colle pedalecti », « in colle martucii >»,
« in Cerichia », « in colle asini », « in contrata de molglis », « in colle
Actaviani », « in Campo maiori », «in Ynsula » ed «in Centisimo » (4).
Sorgeva nella Valtopina. i

XXXV. — Heclesia sante Marie de Cassingnano.

A Cassignano esisteva una chiesa intitolata alla Madonna. Fin dal
secolo XIII avea un patrimonio di 521 libra,.16 soldi e 6 denari. I
suoi beni eran situati: « în plagis », « în plagiis collis mergi », « in
contrata Cassingnani », « in pescaria Casingnani », « in.costa Cassin-
gnani », « in valle Cassingnani », « in contrata cavellis de cassingnano »,
« in Cesteta », « in valle Marangni », « in Valperaia », « în costa ple-
bis », «in valpeio », « in valle mezanellorum », « in valle de felcaretis »,

(1) Libra, fol. LXXXXII.

(2) L. JACOBILLI, Cronaca del inonastero di Sassovivo, pag. 237.
(3) G. CAPPELLETTI, Le chiese d’Italia, vol. VI, pag. 408.

(4) Libra, fol. LXXXXIII LXXXXIIII t. :

2:3 cL iniu did a i Qo [B cag QU ir qn LA Qu i
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342 P. LUGANO ——. i ,

| SR «.in colle mezanelli », « in contrata rote Musciani », « in valle fabro-
| rum », « în colle casino », « în vocabulo prati donici », « in contrata ^
Rovelgle », « in valle Annifi », « in plano Annifi », « în costa. collis
mergi », « în contrata fontis pignariorum », « in pratis », « in valle
salvuri », « in capackya », « in contrata trigi » e « juxta dictam ec,
elesiam sancte Marie in Monte Casino », la quale ultima designazione
sembra indicare il luogo preciso dove sorgeva la chiesa (1). Essa però
è ricordata per la prima volta nella Bolla d'Innocenzo IV (1138) col
titolo di plebem de Cassignano (2).

s T Li

| XXXVI. — Ecclesia sancti Andree de Caliguedani.

iE La chiesa di Sant'Andrea di Caliguedani, nella villa omonima, va
IE] re. identificata probabilmente con quella tuttora esistente a Carié, dedicata
allo stesso Santo e filiale della parrocchia di Cassignano. Avea un pa-
trimonio di 62 libre e 8 soldi, che risultava di terreni posti « în Cali-
guedani », « în villa de Caliguedani », « in offangna », « in contrata
grachi », « în plagiis », « în canavinis », « în contrata de pastinis »,
« in contrata bissine », « ‘in contrata de fruolis » ed « in contrata pi-
relli » (3). E già ricordata nella sentenza del card. Capocci (1239): fa-
ceva parte della pieve di Cassignano anche allora.

‘XXXVII. — Ecclesia sancti Petri de Colle Annifi.

| 3E Tra le varie chiese che sorgevano sul colle dell'Annifo forse la
fi più importante era quella di S. Pietro. Essa avea un patrimonio di 159
libre e 12 denari, fin dal secolo XIII, come si rileva dalla ZZbra. I suoi
beni eran posti « Zn contrata de campis dicti Collis », « in campo abba-
tis », « iuxta dictam. ecclesiam », « in pede morri » ed « în carde-
tis » (4). Faceva parte della pieve di Cassignano, come si rileva dalla
sentenza del 1239. 7

] XXXVIII. — Ecclesia sancti Bartholomei de Palarno.

La villa di Palarno avea una chiesa dedicata a S. Bartolomeo.
i CA: par E ricordata la prima volta. nella sentenza del card. Capocci (1239).

| | (1) Libra, fol. LXXXXV-LXXXXVI.
| il ; ; (2) G. CAPPELLETTI, Le Chiese d’Italia, vol. IV, pag. 408.
| ; (3) Libra, fol. LXXXXVI t. SEN
(4) Libra, fol. LXXXXVII. — L'esistenza di altre chiese in Annifo si rileva da
i questo luogo della Libra, ove sono notate per confine una terra sanceti Nicolay de
|

Annifo ed un'altra terra sancti Johannis de Annifo.
DELLE CHIESE DELLA CITTÀ E DIOCESI DI FOLIGNO, ECC. 343

Avea un patrimonio di 231 libra e 16 soldi. Avea beni « in villa pa-
larni », « în canapinis », « in valleiani », « in trivio segii », « în tor-
natura », « in valle ocrilli », « in cesis », « in valleckye », « supra fon-
tem », « infra pratum », « în cardito », « in plano alvelli », « in villa
panaia » ed « in bolforangna » (1). Faceva parte della pieve de Por-,
carella.

Giusta la sentenza del 1239, dovea esistere nella stessa villa una
altra chiesa, che era soggetta alla canonica di Grizzano (Ricciano).

XXXIX. — Ecclesia sancti Laurentii de Forcatura.

La chiesa di Forcatura appare dedicata a S. Lorenzo fino ab
antico. Dalla Libra si rileva ch’ essa, sul finire del secolo XIII, avea
un patrimonio di 124 libre, formato da terre poste « im cesa Rayne »,
« în cardito », « in contrata Gulubri », « în valle corgniti » e « cor-
niti », « in Casale », « in contrata acuti », « in pureia », « in stalza-
bone », « in fontanellis », « în vallicillo » ed « in Aiale » (2). Appare
per la prima volta nella sentenza del 1239, come soggetta alla. pieve
de Porcarella. Qui è pure menzione di una seconda chiesa de Forcatura,
soggetta alla canonica di Grizzano (Ricciano).

XL. — Ecclesia sancti Iohannis de Bolforangna.

La chiesa di S. Giovanni « de Bolforangna » o .« de villa Bolfo-
rangne », ricordata forse la prima volta nella sentenza del 1239, avea,
sul finire del secolo XI; un patrimonio :di 109 libre e 8 soldi, costi-
tuito da terreni posti « Zn villa Bolforangne », « in valle crete »,.« in
saxo » ed « Zn cerretis » (3).

Nella sentenza del card. Capocci (1939) si ricorda un’ altra chiesa
de Bolforania, sotto la canonica di Grizzano (Ricciano).

XLI. — Ecclesia sancte Marie de Collefiorito.

La chiesa di S. Maria di Colfiorito, già sul finire del secolo XIII,
avea, come si rileva dalla Libra, un patrimonio di 199 libre, formato

da terre, situate « in contrata Casalenorum », « in Mirgulini », « in

pede Budulglani », « in pede Orve », « in contrata dolebre », « în pla-

(1) Libra, fol. LXXXXVII t.
(2) Libra, fol. LXXXXVIII.
(3) Libra, fol. LXXXXVIII t.

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344 3 P. LUGANO

giis delebre », « in pratis Bolforangne », « in vocabulo Bangnoli », « in
villa alva », « in cuti » ed « in valle luce » (1). :

Il castello di Colfiorito venne costrutto colle rovine della deserta
città di Pistia, dai folignati, nel 1269, essendo Podestà messer Egidio
di messer Giovanni Arcioni e Capitano del popolo messer Andrea di

messer Ugolino da Perugia (2).
XLII. — Ecclesia sancti Angeli de Campilglole.

Sant'Angelo di Campilglole, al termine del secolo XIII, avea già
un patrimonio di 252 libre, 4 soldi e 10 denari. Era costituito da ter-
reni posti «in campilglole », « in plagiis Campilglole », « in monte.
campilglole », « in plano Trellis », « in valle Tufangarelle » e « juxta
Rigum » (3).

Probabilmente questa chiesa va identificata con quella de Campa-
niole, ricordata nella sentenza del 1239, che appare soggetta alla canonica
de Orve, posta nei dintorni di Colfiorito (4). Sotto questa canonica de
Orve, era pure un’ altra chiesa de Tolentino.

XLIII. — .Ecclesia sancte Marie de Popula.

La chiesa di Popola era, anche in antico, intitolata a S. Maria.
Dalla Libra risulta con un patrimonio di 242 libre e 11 soldi, formato
da terre poste « în villa Campilglolis », « im actegis », « in contrata de
fracta », « in contrata sancti Silvestri de fracta », « in contrata. fontis
aque vive in vocabulo de cardetis », « în contrata vallis cupe », « in ca-
misino », « in ipso monte camisino », « in capite vallis tege», « in valle
curasi », « in valle moia », « in valle polecha », « in monte fenavelli »,
« in villa fragaie », « in stazzone fragarie, juxta Rigum », « in pede
montis melle » ed « în valle ornete » (5).

XLIV. — Fcclesia sancti . . . . . È. DEA E
XLV. — Ecclesia sancti Savini de Fragaria.

La chiesa di S. Savino di Fragaria, ricordata forse la prima volta
nella sentenza del 1239. Avea un patrimonio di 182 libre e 19 soldi, il

(1) Libra, fol. LXXXXVIIII.

(2) L. JaconiLLI, Annali, ad an. 1269.

(3) Libra, fol. LXXXXVIIII t. ipd

(4) Tra i beni, infatti, di S. Maria di Colfiorito, è un pezzo di terra posto i»
pede Orve.

(5) Libra, fol. C.
DELLE CHIESE DELLA CITTÀ E DIOCESI DI FOLIGNO, ECC. 345

quale risultava di terreni posti «n villalva », « in valle fragaie », «in
vingnale fragaie », « a molglis de cesis », « a pede collissicci », «in ca-
misile », « in contrata popule », « in canavello » ed « in valle tee » (1).

Essa deve probabilmente identificarsi colla chiesa de F'ragaia che,
nella sentenza del card. Capocci, appare soggetta alla canonica de

Orve. :

XLVI. — Ecclesia sancti Egidii de Afreli.

In Afrile erano anche anticamente due chiese. Quella intitolata

a sant'Egidio avea già nel secolo XIII, un patrimonio di 94 libre e

10 soldi, che constava di terre poste vicino alla chiesa, « în villa

Afrelis » ed « în colle juxta viam » (2).
Il Juogo di Afrile era soggetto al monastero di Gallano, fino dal
1197 (3).

XLVII. — Fcclesia sancte Marie de Afreli.

L'altra chiesa di Afrile era dedicata a S. Maria: forse era infe-
riore a quella di S. Egidio, anche per importanza poichè, sul finire del
secolo XIII non avea che l’esiguo patrimonio di 60 libre, risultante da
due terreni posti « i» Afreli » (4).

Peró essa veniva già confermata al monastero di S. Stefano di
Gallano da Innocenzo II nel 1142 (5), e, nella sentenza del card. Ca-
pocci (1239), appare sotto la pieve de Faieto.

XLVIII. — Ecclesia. sancte Marie plebis de Porcarella.

Già la Bolla di papa Innocenzo II (1138) conferma al vescovo di
Foligno la plebem de Porcarella, la quale pertanto deve annoverarsi
tra le pià antiche della diocesi folignate (6).

Dalla Libra poi si rileva ch'essa avea un patrimonio di 710 libre
e 12 denari. I suoi beni erano posti intorno alla chiesa medesima,

^« în pede plagie ipsius ecclesie », « in. dicla. palude pisenti », « in. pi-

(1) Libra, fol. CI.

(2) Libra, fol. CI t.

(3; L. JacopiLLI, Cronaca del monastero di Sassovivo, pag. 239.
(4) Libra, -fol. CI t.

(5) L. Jacon:LLr, Cronaca del monustero di Sassovivo, pag. 237.
(6) G. CAPPELLETTI, Le chiese d'Italia, vol. IV, pag. 408.
T— Ó—— o

346 P. LUGANO

ris », în colle segi », « in monte segii », « in colle masolis », « in teulo »,
« în valle de fontanellis », « in vallone de carvoncellis », « in plano Gra-
rizani », « in forcatura », pratorum », « in macelis », « in. colsegaie », « în valle iudicis », « in
valle calcinarii », « in bolforagna « in villa Bolforangne » ed « in
colmasionale » (1).

Nella sentenza del card. Cap
sè una delle chiese di Bo/ferania,

ci (1239), questa pieve ha sotto di
in’altra de Forcatura ed una terza

de Palarna.
XLIX. — Ecclesia sanc? Marie plebis de fagitu.
La pieve di S. Maria de Fagi'u o de Faytu, sebbene antica quanto
le altre pievi della diocesi di Folizno, non è ricordata nella Bolla di
Innocenzo II (1138). Nella Libra essa risulta con un patrimonio di
1158 libre e 10 soldi. Avea beni « in fagito », « în contrate de geis »,
« in casalenis », « in clusis », « în lamis », in villa Afrelis », « în colle
segii », « in plano segii », « în trivio segii », « in palude segti », « a ca-
pite paludis », « in campo cassine », « in piris », « in carpenetis », « în
valle fontis », « in colle morici », « in saxo vigi », « in via de vineis »,
« în foveis », « in valle aignoli », « in cana pinis » ed « in pede clivii » (2).
Essa, secondo la sentenza del 1239, avea soggette a sè cinque cap:
pelle, tra le quali, una dedicata a. S. Martino, che non ha riscontro

sicuro nella Libra.
L. — Ecclesia sancti Angeli de Villa Segii.

Nella villa di Seggio, la chiesa avea il titolo di S. Angelo, ed
ora, di S. Michele. La più antica memoria è quella della sentenza
del 1239. Secondo la Libra, essa avea un patrimonio di 58 libre. I suoi
beni eran posti « im villa segii », « in staffili », « in contrata fontis »;
« in pisenti » ed « in puregia » (3). Faceva parte della pieve de Faieto.

LI. — Ecclesia sancti Laurentii de F'agetis.

Della chiesa di S. Lorenzo de Fagetis, si apprende dalla Libra,
che avea un patrimonio di 87 libre, 17 soldi e 6 denari. Le sue terre

(1) Libra, fol. CII.
(2) Libra, fol. CIII.
(3) Libra, fol. CHI.
DELLE CHIESE DELLA CITTÀ E DIOCESI DI FOLIGNO, ECC. 347

eran situate « im canapinis », « în vingnali », « in cerquito », « in pi-
senti », « în fagetis », « n vallecella », « in villa franconis », « in
carpinetis » ed « in capite de carpinetis » (1). È ricordata anche nella
sentenza del card. Capocci (1239), sotto la pieve de Faieto.

LII. — Ecclesia sancte Marie de Collelungo.

La chiesa di Collelungo, dedicata a S. Maria, sul finire del se-
colo XIII, come si rileva dalla Libra, avea un patrimonio di 63 libre
e 10 soldi. I suoi beni eran posti « în monte de fagetis », « în valle de
casalenis », « în valle franconis », « in barrasia », « in cannellis » ed
« în colle magno » (2).

LIII. — Ecclesia sancti Nicolay de Caresto.

La chiesa di S. Nicolò di Caresto, già sul finire del secolo XIII,
avea un patrimonio di 241 libre e 18 soldi. Le sue terre eran poste
« în villa Afreli », « in monte Afreli », « in valle Riguli », « in monte
caresti », « în lamis », « in molglis », « în contrata Rigi », « in cesis »,
« în valle iangni », « in tornaturis de segno », « in campo cassine »,
« în contrata viturituri » ed « a capite fossati » (3). Dipendeva dalla
pieve de Faieto come si rileva dalla sentenza del 1239.

LIV. — Ecclesia sancti Christofori de villa Orky.

L'antica chiesa di villa Orchi era dedicata a S. Cristoforo. Se n'ha

la prima menzione nella sentenza del card. Capocci (1239). Dalla Libra

risulta con un patrimonio di 42 libre e 12 soldi, in terreni posti « Zn
contrata Orky, iuxta ecclesiam » ed « in capudacqua, juxta flumen Ro-
velani » (4). Era soggetta alla canonica de Equalis o de Quali.

LV. — Fcclesia sancti Johannis de Capudaoqua.

La chiesa di Capodacqua fu dapprima dedicata a S. Giovanni.
Sul finire del secolo XIII, come si rileva dalla Libra, non avea che
88 libre di patrimonio consistente in una vigna posta « in capudac-

qua » (5).

(1) Libra, fol. CIIII l.
(2) Libra, fol. CV.

(3) Libra, fol. CV t.-CVI
(4) Libra, fol. CVI t.
(5) Libra, fol. CVI t.
T Án to cos ———

348 P. LUGANO
LVI. — Ecclesia sancti Angeli de Sistino.

La chiesa di Sustino, anticamente Sistino, era dedicata a S. An-
gelo. Avea un patrimonio, ehe ascendeva a 70 libre e 8 denari, in ter-
reni posti « in contrata Bonivelli », in contrata Caulelle », « in colle
vampape », « in contrata de pizali », « in clusis », « in valle corgni »,
« in saxo vallium >», « in cruce sistini » ed « in colle forvi » (1). Era
soggetta alla canoniea di S. Lucia.

LVII. — Ecclesia sancte Marie plebis de Scoplo.

La pieve di S. Maria de Scoplo, de Scopulo, ed ora Scopoli, è già
ricordata nella Bolla di papa Innocenzo II (1138) colle principali della
diocesi folignate (2). Però, ancora, sul finire del secolo XIII, essa non
avea che 100 libre di patrimonio, provenienti da decime, primizie e fu-
neri (3), quantunque, nella sentenza del 1239, abbia sotto di sè varie
chiese, tra le quali sei in valle Scoppli e quella de Caneiole, che non
hanno più riscontro aleuno nella Libra.

LVIII. — Ecclesia sancte Marie Iacobi."

La chiesa di S. Maria Giacobbe, sul finire del secolo XIII, avea
un patrimonio di 237 libre e 10 soldi. I suoi beni eran posti « 2» cesis
de pali », « în ripis » ed « în valle » (4).

Essa faceva parte, anche in antico, di un eremo, che oggi non è
se non una piccola fabbrica, alta pochi metri, con una porta : arcuata
nel mezzo e una piccola finestra a sinistra. La chiesa è oggi rettan-
golare, lunga poco meno di nove metri, larga circa tre e mezzo, e prov-
veduta di un altar maggiore e di un secondo altare a sinistra, che fu
forse il primitivo del tempio. Per due terzi circa della lunghezza, ha
soffitto a volta acuta non molto regolare; ma poi, dopo un arco a tutto
sesto, le serve di soffitto la montagna stessa, che proprio sopra l’altare
sporge con un enorme gibbo irregolare, sul quale fu dipinta l'imma-
gine del Redentore.

Molti altri dipinti adornano ancora le pareti di questo eremo e
della sua chiesa. I più antichi sembran risalire ai secoli XIII e XIV,
e forse sono fattura di artisti folignati, contemporanei a Cimabue.

(1) Libra, fol. CVII.

(2) G. CAPPELLETTI, Le chiese d’Italia, vol. IV, pag. 408.
(3) Libra, fol. CVII t.

(4) Libra, fol. CVII t.
vi

DELLE CHIESE DELLA CITTÀ E DICCESI DI FOLIGNO, ECC. 349 -

L'eremo sorge a mezzo della costa della montagna, detta dal vi-
cino castello, il sasso di pale, ad oriente di Foligno (1).

LIX. — Ecclesia sancti Angeli de Agnano.

La chiesa di Sant'Angelo d'Agnano, rammentata per la prima volta
nella sentenza del 1239, avea un patrimonio di 75 libre e 15 soldi, in
terre poste « în Agnano », « in contrata Agnani », « in contrata acque
blance » ed « a domo Martinellorum » (2). Faceva parte della pieve di
Seopoli.

LX. — Ecclesia sancti Martini de Quali.

Probabilmente questa chiesa di S. Martino di Quali va identificata
colla Canonica S. Martini, che è rammentata nella Bolla di Innocenzo II
(1138) (3). Il certo si è che, sul finire del secolo XIII, questa chiesa
avea già un patrimonio che ascendeva a 1026 libre e 14 soldi; segno
evidentente ch’ essa rimontava a qualche secolo prima. I suoi beni erano
posti « in prato », « în colle martii », « in quali », « in venaia », « in
monte Salvini », «in pintano », « în valle cursuri », « a domo Agitoni »,
« în sodis » ed « în contrata sancti Marcelli » (4).

Aveva sotto di sè le cappelle di S. Cristoforo (de Orcky) e di San-
t'Angelo.

LXI. — Ecclesia sancti Flaviani.

*
*

- La chiesa di S. Flaviano, posta sul Colle omonimo, è ricordata
forse per la prima volta nella sentenza del 1239. Nella Libra è segnato
il suo patrimonio in 160 libre e 15 soldi. I suoi beni erano situati « 2»

(1) Maggiori notizie si possono vedere presso mons. FALOCI PULIGNANI, Del-
l’Eremo di Santa Maria Giacobbe presso Foligno, Foligno, Campitelli, 1880, pag. 32.
— Ignorasi il fondatore di quest’ eremo, che ricorda l'antica devozione dei folignati
a S. Maria Giacobbe, una delle donne che si recarono al sepolero di Gesù Cristo per
ungere di aromi e venerare il corpo di lui (Marc. XVI, 1). Secondo una memoria
raccolta da Lopovico JACOBILLI (Libro di diverse memorie antiche, pag. 80, n. 53;
FALOCI PULIGNANI, Op. cit., pag. 30, n. 1), la chiesa e l'eremo di S. Maria Giacobbe
eran di patronato della famiglia Orfini. Anzi nel 1535 era stato rettore di quell’ ere-
mo, quel Tammaso Orfini, vescovo di Strongoli, che dal 1568 al 1576, fu vescovo della
sua patria.

(2) Libra, fol. CVIII.

(3) G. CAPPELLETTI, Le chiese d’Italia, vol. IV, pag. 409.

(4) Libra, fol. CVIII t.-CVIII.
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350 P. LUGANO

valle ecclesie », « în colle sancti Flaviani », « in vena », « in Contrata fon-
His », « în Agello >, « in Canali » cd « în plagia de civitaveckya » (1).
Faceva parte della pieve di S. Valentino de Civitaveccla.

LXII. — Ecclesia sancti Valentini de Civitaveccla.

Questa chiesa di S. Valentino di Civitavecchia, è probabilmente
da identificarsi colla plebem sancti Valentini confermata nella Bolla di
Innocenzo II (1138) al vescovo di Foligno (2).

Non sarà temerario asserire ch'essa esisteva già intorno al mille.
Il suo patrimonio, come si rileva dalla Libra, ascendeva, sulla fine
del secolo XIII, a 1100 libre e 15 soldi, in terreni posti « 2m contrata
sancti Venantii », « in contrata Runuri », « în villa Mayna >, « in
quatratura », « in franilis », « in campo sacerdotum », « in molglis »,
« in cruce », « in passingnano », «in Buiano », « in vena », « in canali »,
« in contrata sancti Flaviani », « in villa collis Bertoni », « in puzolo »,

« in civita veccla », «a sancto Savino », « in campogatte », « în arpol-

letis », « in. Rigo », « in contrata sancti Pauli », « in contrata qorcani »,
« in petra ficta », « in pazole », « in cutis », « in Roturis », « in con-
trata sancte Lucie » ed « in valle fulgin. » (3).

Aveva soggette le chiese di S. Flaviano e di S. Lorenzo.

Circa la fondazione della chiesa di S. Valentino, è da notare che
Durante Dorio la collega a quello stesso Lupo IT, o Lupone, di Casa
Trinci, che- edificò e dotò, nel 1091, la chiesa di S. Matteo della Piazza
in Assisi. Poiché di lui egli scrive: « Edificò in oltre la chiesa di S. Va-
lentino, detta di Civita vecchia, appresso la strada di Colle, villaggio
nel territorio di Foligno : ehe fu priorato e poi benefitio semplice; e si
conservò per più secoli ne' successori di lui il jus presentandi per Ret-
tore di detta chiesa ; e l'anno 1533 vi introdussero li Padri Cappuccini ;
ma poi la lasciarono e si trasferirono ad abitar altrove » (4).

LXIII. — Ecclesie sancti Martini de Guesia.

Alla Vescia, anticamente Guescia, oltre la chiesa di S. Nicolò,
eravi pure quella di S. Martino che ora é la chiesa parrocchiale. Sulla

(1) Libra, fol. CVIII t. :

(2) G. CAPPELLETTI, Le chiese d’Italia, vol. IV, pag. 408.

(3) Libra, fol. CX-CXI t.

(4) DURANTE DORIO, Istoria della famiglia Trinci, Foligno, 1638, pag. 47. — Nel
1435 n'eran patroni Nobili virt Astorellus, Baptista et Gentiles filit Raynaldi de Ful-
gineo, de Soctetate Spavigliorvin ; D. DORIO, Op. cit., pag. 95, 123. DELLE CHIESE DELLA CITTÀ E DIOCESI DI FOLIGNO, ECC. 351

‘fine del secolo XIII, questa avea un patrimonio di 367 libre e 8 soldi.
I suoi beni erano posti intorno alla chiesa stessa, « 2m Guesia », « în vo-
cabulo crucis » ed « in pede vingnali, juxta alveum Guesie ». Faceva
parte del suo patrimonio anche un « alveum molendini a ponte supra
sanctum Martinum »; la chiesa avea la sua « curtina et camera » (1).
Dipendeva dalla pieve di S. Giovanni Foris Flamineam.

SUXIV. — Ecclesia sancti Petri de Rasylia.

La chiesa di S. Pietro di Rasiglia, forse rammentata per la prima
volta nella sentenza del 1239 avea un patrimonio di 217 libre. I suoi
beni eran situati « 2 venis, jutta flumen », « in Rotellis », « in villa
fabriani in vocabulo de clusuris », « în pretamuri », « in Turturio »,
« în canavinis », « im coronis », « im cerrero », « în contrata collis
Apri », « în piritu », « în valle fontis cerreti », « în scapio »; « in
plano colamarii », « în fontanellis, juxta viam », « in valle vadi »,
« in contrata montis sancti », « în contrata fontis civitelle » ed « în

monte camisino » (2). Era nella pieve di Scopoli, come si rileva dalla.

sentenza del card. Capocci.
LXV. — Ecclesia sancti Martini de Lanni iano.

Dalla Libra, che n'ha la più antica menzione, si rileva che la
3 .

chiesa di S. Martino di Lanniano avea un patrimonio di 95 libre e.

18 soldi in terreni posti « in lanni iano — juxta viam », « a capite
fossati veteris » ed « în valle de Lullo-» (3).

LXVI. — Ecclesia. sancti Silvestri de Collefrega.

La chiesa di S. Silvestro di Collefrega, di cui si fa menzione nella
Libra, avea, sul finire del secolo XIII, un patrimonio di 139 libre e
18 soldi. I suoi beni eran posti « in pedecoste », « în tornaturis », «in
valle sancti silvestri » ed « im borgese » (4).

LXVII. — Ecclesia sancti Ansovini de Collecasura.

Di S. Ansovino di Collecasura o Colle Casulo (oggi, Casenove nel
Folignato), si fa menzione nel 1955, per causa di una convenzione tra

(1) Libra, fol. CXII. |.

(2) Libra, fol. CXII t.- CXIII.
(3) Libra, fol. CXIII t.

(4) Libra, fol. CXIIII.

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——— áo mnc up E EE aL ——À

359 . P. LUGANO

Ridolfuccio Trinci e il Rettore di questa chiesa (1) Dal che si può
: ‘argomentare ch'essa fosse di patronato de’ Trinci e che risalga a molti
= anni addietro. Sul finire del secolo XIII, essa avea un patrimonio che
ascendeva a 169 libre e 15 soldi in terre poste « în planis de casura »,
€ in colle olluri », « în collestrino », « in capite dotis », « in valle cifi »
e presso la chiesa (2). :

| Non è certo se questa chiesa di Collecasura debba identificarsi
o E con quella sancti Ansuini de Capro, soggetta al monastero di Sassovivo,
|

|

e ricordata in due documenti di Onorio III, dell' 11 luglio 1224 (3).

LXVIII. — Ecclesia sancte Marie de Serrone.

Una delle chiese del Serrone era, anche anticamente, dedicata alla
Madonna. Come si rileva dalla Libra, questa avea 74 libra di patrimo-
nio in terreni posti « in costa valmassene » ed « în valle serronis » (4).
Faceva parte della pieve di Scopoli, come risulta dalla sentenza del
1239.

LXIX. — Ecclesia sancti Angeli de Serrone.

L'altra chiesa del Serrone era intitolata a S. Angelo. Anche que-
sta non avea che 71 libra di patrimonio in terreni posti « în Canapi-
nis » ed « in valle masena » (b). La sua più antica menzione si ha
nella sentenza del card. Capocci (1239), ov'é soggetta alla pieve di

4 '- Scopoli.

LXX. — Ecclesia sancti Venantii de Essculano.

La chiesa di S Venanzio di Essculano od Assculano, rammentata
Ia prima volta nella sentenza del 1239, avea un patrimonio di 48 libre
e 3 soldi in terre poste tutte « im assculano » (6). È la chiesa dell'at-
tuale villa di Ascolano.

LXXI. — Ecclesia sancti Angeli de Fabriano.

Sul finire del secolo XIII, la chiesa di S. Angelo di Fabriano,
avea, come rilevasi. dalla Libra, un patrimonio di 124 libre e 10 soldi

(1) D. DORIO, Istoria della famiglia Trinci, pag. 135.
(2) Libra, fol. CXIIII t. 3
(3) Regesta, Honorii papae 11], edit. PETRUS PRESUTTI, Romae, Typ. Vaticana,
MDCCCLXXXVIII, vol. II, pag. 204, n. 5085; pag. 203, n. 5084. .
: (4) Libra, fol. CXV.
t (5) Libra, fol. CXV.
(6) Libra, fol. CXV t.
DELLE CHIESE DELLA CITTÀ E DIOCESI DI FOLIGNO, ECC. 353

in terre poste « im valporage », « in colle sancti », « in sede campi »,
« în clusura, juxta flumen », « in valle bucini », « in colle », « in for-
cella » ed « in Granarellis » (1). E la chiesa di Fabriano di Rasiglia.

LXXII. — Ecclesie saneti Martini de Murro.

Del monastero di S. Martino di Murro si ha già menzione nella
Bolla d' Innocenzo II (1138), colla quale venne preso sotto la protezione
apostoliea (2). Sul finire del secolo XIII, la chiesa avea il cospicuo pa-
trimonio di 3637 libre e 10 soldi: onde è a pensare ch'essa rimonti in-
torno al mille. I suoi beni consistevano in un « alveum molendini po-
situm in fabriano », in una terza parte e unius alvei molendini positi
in pede castri Rasylie » ed in terreni posti « juxta castrum Rasilie »,
« in cerreto », «in valle », « in orto Elfi», «in petiis », « in colle apri»,
« in valle iacagne », « în valle bonnate », « in córnito », « in valle tufi »,

« în colluzanino », « in Costa Clei », « in bissina orzani », « in valle:

orzanina », « in venis », « in colle monachorum », « in pertinentüs
morri », « in valle puzuli », « in fagito », « juzta fontem de casali »,
« in casali », « in colle Murri », « sub fonte sancti stephani », « in
valle veterum », « in fossato civitelle », « in villa armalupi », « in costa
armalupi », « în costa sancti Martini », « in valle », « in magretis »,
« in fabriano, juxta flumen », « in colle veteri », « in granarello », « în
terratia » ed « în Ruspatuiu » (3).

Nella sentenza del card. Capocci, é chiamata Canonica de Morro.

LXXIII. — Ecclesia sancti Johannis de Villacupuri.

Villa Cupuri è l’attuale villa di Cupoli. La sua chiesa di S. Gio-
vanni sembra già ricordata nella sentenza del cardinal Capocei (1239)
come soggetta, o compresa nell'ambito della pieve di Roviglieto (4).

Dalla Libra si rileva ch'essa, sul finire del secolo XIII, avea un

patrimonio di 188 libre e 10 soldi, in terreni posti « în pede plagie »,

« în costis », « in valle cupuri », « in vallanza », « in campo iannucii »,
«in vingnali », « în valle fantis », « în villa Radicosa », « in valle
sorri », « în campis », « in valle collis » ed « in pretatio » (5).

(1) Libra, fol. CXVI.

(2) G. CAPPELLETTI, Le chiese d’Italia, vol. IV, pag. 459.

(3) Libra, fol. CXVI t. CXVIII.

(4) M. FALOCI PULIGNANI, Le memorie dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, ecc., Fo-
ligno, 1894, pag. 108.

(5) Libra, CXXVIIII t.-CXX. ^
354 Pi LUGANO
LXXIV. — Ecclesia sancti Nicolay de sancto Stephano.

La chiesa di S. Nicolò di S. Stefano è tuttavia la chiesa parroc-
chiale della villa chiamata Acqua S. Stefano. Come si rileva dalla
Libra, essa godeva sul finire del secolo XIII, di 104 libre e 14 soldi di
patrimonio. I suoi beni erano posti « Zn villa acque sancti Stephami »,
« in plano sancti circumcirca ipsam ecclesiam », « in vingnali » ed « în
lavacello » (1). ;

LXXV. — Ecclesia sancti Angeli de Civitella.
%
La chiesa di Sant'Angelo di Civitella, già ricordata nella sentenza
del card. Capocci (1239) (2), sulla fine del secolo XIII, non avea che
8 libre e 16 soldi di patrimonio, come ne fa fede la Libra. I suoi beni
eran posti «a capite plagie», «a capite Purusoli », « in valle Savinissi »,
« in colle Orbene » ed « in curia» (3). Faceva parte della pieve di Ro-

viglieto.
LXXVI. — Ecclesia sancti Martini de Ruvilglita.

A Roviglieto sorgevano anticamente due chiese, una delle quali
era intitolata a S. Martino, da non confondersi colla pieve (4). Sulla
fine del secolo XIII, come rilevasi dalla Libra, avea un patrimonio di
484 libre e 8 soldi in terre poste « in contrata de magretis:», «in villa
Ruvilglite:», «in cirritu », «in planura », « in treiaia», « in via arta »,
«super viam », « in malis civarii », cin querquitis », « în pragnolitu »,

n collicillo » ed « în sterpetis » (5). Se ne fa menzione anche nella
sentenza del card. Capocci (1239).

LXXVII. — Ecclesia sancte Marie de Ruvilglita.

È questa la pieve di Roviglieto. Fu confermata al vescovo di Fo-
ligno nel 1138 da Innocenzo II (6). Essa però era stata donata nel 1078

(1) Libra, fol. CXX t.

(2) M. FALOCI PULIGNANI, Le memorie dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, ecc., 1894,
pag. 108. :

(3) Libra, fol. CXXI.

(4) La distinzione tra la chiesa di S. Martino e la pieve, viene affermata da una
nota della Libra (fol. CXXXI t.), secondo la quale un terreno di S. Martino era posto
« juxta, rem PLEBIS de Ruvilglita ».

(5) Libra, fol. CXXI t. - CXXII.

(6) G. CAPPELLETTI, Le chiese d'Italia, vol. IV, pag. 408. DELLE CI.ESE E DIOCESI DELLA CITTÀ DI FOLIGNO, ECC. 355

dal vescovo S. Bonfiglio ai canonici di S. Feliciano (1). Quest' istesso
vescovo ne consacró l'altare, come si rileva da uno scaccolo di per-
gamena ritrovata nella demolizione del vecchio altare nel 1773 (2). Essa
attesta che tale altare fu dedicato alla Madonna, in onore di S. Gio-
vanni apostolo, dei santi Filippo e Giacomo e di Tutti i Santi.

Più tardi, il vescovo Benedetto II, il 22 agosto 1141, consacrò nuo-

vamente il medesimo altare, ad onore della Madonna, di S. Giovanni

Battista, di S. Gio. Evangelista, dei santi Andrea, Filippo e Giacomo,
Timoteo e Sinforiano e di Tutti i Santi, facendovi porre una pergamena,
ritrovata, con l’ altra, nel 1773 (3).

La pieve di Roviglieto è ricordata anche nella sentenza del card.
Capocci (1239) (4), e più tardi, nella Libra, con un patrimonio di 896
libre e 18 soldi. I suoi beni eran posti « în contrata de magretis », « in
villa Ruvilghite », « in lonthera sancte Marie », « in puzolu », « in
valle », « in plamura », « în cruce cupuri », « în valle Ade », «in
puteo », « in sterpetis », « în Turri », « in via alba », « in contrata
puthei sicchi » ed « in contrata flamingnani ubi dicitur Alglone » (5).

LXXVIII..— Ecclesia sancti Laurentii de Colle.

La chiesa di S. Lorenzo di Colle è forse ricordata per la prima
volta dalla Libra, con un. patrimonio di 106 libre e 12 denari. I suoi
beni eran posti « 2m colle circumcirca ipsam ecclesiam », « in clusa » ed
« in fossato, juxta fossatum » (6). È la chiesa di Colle S. Lorenzo.

LXXIX. — Ecclesia sancti Andree de Valle.

La chiesa di Sant'Andrea della Valle avea già, sulla fine del se-
colo XIII, un patrimonio di 488 libre e 4 soldi, in terre poste « zn vivole »,.

« in magretis », « in valle », « in contrata vallis » ed « in monto ro-
nibus » (7). Non se n' ha memoria più antica.

(1) M. FALoci PULIGNANI, Le memorie, ecc., 1894, pag. 105.

(2) G. CAPPELLETTI, Op. cit., pag. 405; M. FALOCI PULIGNANI, Op. cit., pag. 106.
(3) G. CAPPELLETTI, Op. cit., pag. 412; M. FALOCI PULIGNANI, Op. cit., pag. 106.
(4) M. FALOCI PULIGNANI, Op. cit., pag. 108.

(5) Libra, fol. CXXII t. - CXXIII.
(6) Libra, fol. CXXIII t.

(7) Libra, fol. CXXIIII,
—————

EVI Cet ntt nm RA

356 P. LUGANO

LXXX. — Ecclesia sancte Marie nove de Flaminea.

Benchè Innocenzo IT, già nel 1138, confermasse al vescovo di Fo-
ligno la plebem de S. Maria nova (1), essa tuttavia, sulla fine del se-
colo XIII, non avea patrimonio di beni immobili ; poichè, come si rileva
dalla Libra, non avea che 50 soldi di oblazioni, capitalizzati, in 50
libre (2). ;

P. Lucano.
SERRE

(1) G. CAPPELLETTI, Le chiese d' Italia, vol. IV, pag. 408.
(2) Libra, fol. CXXIIII t.

RO d eure m CE TER tr dl Inde
A 351

DI UN SUNTO INEDITO DI STORIA SPOLETINA

SCREEFO NEL SEGOI:O x

Nell’ Archivio capitolare del Duomo di Spoleto, si con-
servano tre grandi volumi membranacei (1), contenenti le
vite di molti Santi, alcune parti della Bibbia e altre cose di
minor conto. Sono questi i celebri Lezionarî della Chiesa Spo-
letina, tanto spesso e da tanti scrittori citati, ma fino ad ora,
può affermarsi con sicurezza, da nessuno attentamente stu-
diati.

Infatti, se ebbe agio di consultarli il Ferrari, che se ne
valse peri suoi Cataloghi dei Santi, non poterono nemmeno
vederli i Bollandisti, i quali molto se ne rammaricarono e
anche pubblicamente (2). Li lesse e ne fece lunghi estratti
il Padre Bracceschi (3) dei Predicatori, sul finire del XVI
secolo, per le sue Vite dei Santi rimaste quasi tutte inedite,

(1) Il volume primo si compone di carte 249, alte m. 0,58, larghe m. 0,38.

Il volume secondo è di carte 222, alte m. 0,56, larghe m. 0, 36 Us.

Il volume terzo conta carte 294, alte m. 0,54, larghe m. 0,35.

Sono tuiti tre scritti in doppia colonna su ciascuna pagina, con belle e grandi
iniziali miniate. :

(2 Vedi: Acta SS. Tom. IV (Settembre), Antuerpiae, Plassche, 1757, pag. 28.

Nell'Archivio del Conte Paolo Campello della Spina, in Spoleto, si conservano alcune
lettere del Papebrochio, allo storico Bernardino di Campello, nelle quali il dotto Bol-
landista lamenta amaramente la perdita dei tre antichissimi Codici della Chiesa Spo-
letina.

Anche negli Acta SS., XIX Marzo, De S. Joanne Abbate Panarensi prope Spo-
letum in Umbria, è ricordata la perdita dei Lezionarî spoletini, dai Bollandisti co-
nosciuta quando furono la prima volta a Spoleto. :

(3) Giovanni Battista Bracceschi, fiorentino, dell'Ordine dei Predicatori, nacque
nel 1531 e mori nel 1612. Fu uno studioso nel senso più lato della parola. Compose
molte opere, rimaste quasi tutte inedite. Capitato a Spoleto, innanzi al 1586, e poi

EET ON
358 G. SORDINI

e per una Storia di Spoleto che, purtroppo, egli non poté poi
scrivere. Di certo con maggiore senso critico del Bracceschi,
si valse dei Lezionar? spoletini il Leoncilli (1) per la sua Zi:
storia spoletina per Episcoporum seriem digesta, ancora inedita
e non condotta a perfezione dall'autore, per immatura morte
avvenuta nel 1613. E largamente li prese in esame Serafino
Serafini (2), un buon Parroco del XVII secolo, per le sue Ag-
giunte alla Historia del Leoncilli e per i suoi Elogi dei Santi
Spoletini, che non vennero mai stampati. Lodovico Jacobilli
poté averne una copia assai spropositata, per mano di un
Bartolomeo Tiberio Spoletano, copia che passò poi ai Bollan-
disti, i quali se ne servirono per gli Acta Sanctorum, dopo es-
sere stata, dallo stesso Jacobilli, adoperata per le sue Vite
dei Santi e Beati dell’ Umbria. Nè copie, nè gli originali fu-
rono pur veduti da Bernardino di Campello (3), che li citò

nel 1590, si innamorò delle memorie storiche di quella città e volle raccoglierne il
“- maggior numero che poté, in un prezioso volume, al quale dette il titolo di Com-

mentari.

Vedi, in proposito, una mia nota nel quarto volume (Documenti) della Storia
aneddotica di una Famiglia Umbra, del Conte Paolo Campello della Spina, in corso
di stampa. 4

(1) Giacomo Filippo Leoncilli nacque di antica e nobilissima famiglia spoletina,
nel 1572: fu dotto giureconsulto e buon latinista. La brevità della vita tolse a lui
di acquistare gran nome con opere di polso, alle quali aveva singolare attitudine
per naturale disposizione di mente e per dottrina. x

(2) Serafino Serafini nacque in Beroide, castello del contado di Spoleto; nel 1573.
Fu parroco di S. Giacomo e poi di S. Silvestro, presso Spoleto. Venne a morte nel
1659, o poco di poi. Studiò e trascrisse tutte le memorie e le opere storiche spole-
tine, che gli capitarono alle mani. Alcuni suoi manoscritti sono di rara bellezza cal-
ligrafica. Di quest’ uomo veramente benenierito e modestissimo, nessuno, mai, si è
occupato. Soltanto Jacobilli (Bibliotheca Umbriae, p. 248) ne dà un semplice cenno.
Eppure, meriterebbe une studio accurato, perché, oggi, senza la di lui faticosa e
costante opera, dovremmo lamentare perdute molte scritture, delle quali egli ci ha
lasciate, invece, numerose e belle copie.

(3) Bernardino di Campello è il più conosciuto degli storici spoletini, benché

del suo maggior lavoro — Delle Hístorie di Spoleti — si abbia a stampa la sola :

prima parte, e in maniera infelicissima, per i tipi di Giovanni Domenico Ricci, Spo-
leto, 1672. Il secondo volume, che è il più interessante, giace ancora inedito, Ber-
nardino di Campello nacque nel 1594 e morì nel 1676. Fu dell'antica e nobile fami-
glia spoletina dei Conti di Campello. Diplomatico insigne e scrittore di storia, per
i suoi tempi mirabile, si rivelò anche buon letterato, come lo attestano i suoi la-
vori poetici.

—— €

TAA En s

DI UN SUNTO INEDITO DI STORIA SPOLETINA, ECC. 399

sempre sulla fede del Ferrari e del Leoncilli; e nemmeno
dal Barone A. Sansi (1), il quale si giovó delle notizie in essi
contenute, desumendole dal Campello, dal Leoncilli e dal Se-
rafini. Ai tempi nostri, sfogliarono rapidamente i Lezionarî?
‘della Chiesa spoletina, il De Rossi e il Grisar (2). E negli ul-
timi anni del secolo XIX, questi famosi e preziosi volumi
sarebbero rimasti poco meno che distrutti dall’ umidità e dalla
muffa, se, chi scrive, avutili nelle mani per varî mesi, allo
scopo di studiare le Vite dei Santi dell'Umbria, in essi
contenute, non li avesse fatti asciugare, e non ne avesse poi
raccomandata vivissimamente la conservazione.
Che io sappia, nessuno si è ancora domandato se questi
Lezionarî appartennero, ab initio, al Duomo di Spoleto, e quale
sia il loro valore agiografico e cronologico. E ognuno sa che
la questione della provenienza e quella del tempo della com-
posizione e della trascrizione di tali documenti, hanno grande

‘importanza per ik loro scientifico apprezzamento. Né io, qui,

intendo rispondere estesamente a tali questioni, che riserbo
ad un particolare lavoro su questi Lezionarî; questioni che, del
resto, sarebbero fuor di luogo e affatto sproporzionate all’ in-
dole modestissima di queste pagine. 2

Ma non debbo tacere che le ricerche da me eseguite,
mi hanno posto in grado di affermare, con assoluta certezza,
che i Lezionarî in parola non appartennero, in origine, alla
Cattedrale spoletina, beusi a due chiese del contado, e che,
soltanto in epoca abbastanza recente, furono depositati nel-
lArchivio capitolare del Duomo di Spoleto, per evitare il

(1) I1 Barone Achille Sansi, anch' egli di antica e nobile famiglia di Spoleto, é
l'ultimo, per ragione di tempo, degli storici spoletini. Nudrito di buoni studi, scrisse
e pubblicò per le stampe, in cinque volumi, | intero ciclo storico di Spoleto, muo-
vendo dalle oscure origini della città, © arrestandosi ai giorni nostri. Nato nel 1822,
morto nel 1891.

(21 Giovanni Battista De Rossi se ne giovò per il suo Spicilegio d? archeologia
cristiana neu Umbria, pubblicato nei fascicoli III e IV del Bullettino di Arch. Crist.,
anno 1871; il Grisar per Una scuola classica di marmorarii medioevali, che vide la
luce nel Nuovo Bulléttino di Arch. Crist., fascicoli I e II, anno 1895.

24
Ps E —M—À ——

360 G. SORDINI

pericolo di una dispersione o distruzione, La qual cosa spiega
subito il trovarvi ripetute le Vite di alcuni Santi, e le non lievi
varianti che in esse si riscontrano.

Questi Lezionar? sono oggi segnati e distinti con i.nu-
meri I, II, III. Ora, è bene si sappia che il volume I pro-
viene dall'antica Abbazia benedettina di S. Felice (1) in Vai.
dinarco, e il IL e III appartennero all’ altra chiesa, forse an-
ch'essa abbaziale benedettina, intitolata a S. Brizio (2), esi-
stente ancora, sebbene assai malconcia, entro il castello omo-
nimo, a sei chilometri, a ponente di Spoleto. Per queste due
chiese, certamente, vennero seritti, e in esse, sul finire del

XVI secolo, li rinvenne il dotto Vescovo Paolo Sanvitale, che, .

conosciutone il grande pregio, li fece subito depositare nel:
l'Archivio del Duomo di Spoleto (3). Però, non sempre, da al-
lora, furono in esso, più o meno custoditi.

Come ho già detto, quando i Bollandisti si recarono a
Spoleto, nel 1660, non poterono vederli. Si rispose loro che
i « tres libros permagnos et antiquos, qui solebant extare in ar-

(1) Dell'antica Abbazia è ancora in piedi la bellissima chiesa dedicata a S. Fe-
lice, tutta costruita di pietre conce, ornata di sculture marmoree all'esterno, con
' cripta e presbiterio molto elevato. Questa Abbazia. venne soppressa, e data come
Priorato alla famiglia Lauri-di Spoleto, dice Jacobilli, da Clemente VII. A proposito
di questa chiesa e delle leggende che ad essa si connettono, vedi: CARLO CILLENI-
NEPIs, Jl « Drago.» nella leggenda di S. Mauro e di S. Felice in Val di Narco,
Aquila, Vecchioni, 1900, :

(2) Rapporto a questa chiesa, vedi quanto ne scrissi io stesso nella mia dis-
" sertazione intitolata: Di un cimitero cristiano sotterraneo new Umbria, pubblicata

negli Atti del secondo Congresso internazionale di Archeologia cristiana, Roma, Spi-
thóver, 1902, pag. 109-121;.e ristampata poi, in un fascicolo a parte, in Spoleto, Tip.
dell’ Umbria, 1903. = :

(3 SERAFINI SERAFINO, nei suoi Elogia de Sanctis Ecclesiae Spoletinae (Ms.
presso di me) a pag. 102, nelle ote alla Vita di S. Brizio IL Vescovo di Spoleto e
Confessore, così fa ricordo di quanto sono venuto dicendo: Gesta Autus s. Britti
secundi, Episcopi Spoleti fuse habentur descripta in illis saepius citatis Mss. Codd.
Archivii Cathedralis Spoleti, tom. 1". pag. 100, qui ante e annos 500 erat in custodta
Eccltae Prioralis s. Felicis in Valle Narci, ut in eodem codice legitur pag. 196, scri-
pto in anno 1200, et in alio tomo 3., pag. 181, qui pariter tomus iuncto secundo
spectabant ad jus eiusdem. vetustissimae Ecclesiae S. Britii: ev quibus Ecclesiis ne
temporuin iniuria, vel regentium incuria nuufragium aliquod paterentur, Paulus
Sanvitalis Episcopus Spoleti, et Antiquitatum Ecclesiasticurum amantissimus, eos
codices in Archiviumi Cathedralis custodiendos in posterum censuit. DI UN SUNTO INEDITO DI STORIA SPOLETINA, ECC. 361

- ehivio episcopali. cathedralis ecclesiae spoletanae, et Lectionarii

seu Passionarii nomine appellari » erano perduti (1). E il Pe-
riero, il quale anch'esso lamentó il fatto scrivendo tanto
tempo dopo, osserva che doveva esser vero, perché non si
sarebbe capito che si fosse negato ai Bollandisti, ció che si
concesse al Ferrari (1).

E il fatto era, purtroppo, vero. Della grande iattura si

preoccuparono moltissimo, deplorandola, i maggiori cittadini
di allora; e il Vescovo, che era il cardinale Facchinetti, volse
in animo di fulminare la scomunica (3) contro i detentori:
tanto era il pregio in che si avevano quei volumi! Io non
sono riuscito a sapere, e forse non si saprà mai, il nome di
colui o di coloro che commisero il furto doppiamente sacri-
lego, e le induzioni, per quanto verosimili e riguardanti tempi
ed uomini da noi tanto lontani, non mi sembrano permesse
in questo caso, trattandosi di materia delicatissima.

. Ma, del difetto di così. ingrata notizia, ci compensa larga-
mente la lieta novella della ricomparsa e del ritorno di quei
preziosi volumi nell’ Archivio del Duomo di Spoleto. Infatti,
nel Libro Capitolare IV, che è un registro delle delibera-
zioni dei Canonici riuniti in Capitolo, sotto la data /5 feb
braio 1683, si legge la seguente deliberazione che qui tra-
scrivo, come titolo di onore per i Canonici che la presero:
« sapendosi che erano appresso il Sig. Card. facchenetti già nostro
Vescovo di felice memoria Tre Tomi antichi grandi in Carta
pergamena, intitolati Lezionarij della Chiesa Spoletina, quali
per molti anni sono stati in mano di terza Persona, senza che
si fosse potuto haver notitia appresso chi fossero, et essendo poi
ultimamente stati riportati all' Eminenza sua, e saputosi che il

(1) Acta SS., Tom. III di Marzo, pag. 30.

(2) Acta SS., di Settembre, Tom. VI, Antuerpiae, Plassche, 1757, pag. 28.

(3) Risulta da una lettera di Bernardino di Campello al Papebrochio, conser-
vata nel citato Archivio dei Conti di Campello in Spoleto. Questa lettera venne stami
pata in Spoleto, nel 1759, dall' Abate Filippo Gelosi Rosmarini, in un libretto dive
nuto oggi assai raro e che porta per titolo: Osservazioni sopra Pantico Cimitero

di S. Abondanza Vedova ed^il Templo di S. Gregorio prete e martire, pag. 2.
362 G. SORDINI

Sig. Loreto Scelli in mano del quale sì trovavano depositati era
pronto consignarli al Capitolo, è stato eletto il Canonico Petro-
nio Secretario a ricevere detti libri, e poi collocarli nell’ Archivio
solito della Chiesa con facoltà di poterne fare ricevuto e quie-
lanza per istromento; e questo decreto, et elezione, si è aprovata
con voti secreti tutti favorevoli dal si numero 11 >.

Ed effettivamente i libri tornarono nell Archivio del
Duomo pochi giorni dopo, come risulta da questa nota che
si legge accanto alla trascritta deliberazione : « Si sono hauti
li tre Tomi di contro, e fattone ricevuto per ? istromento rogato
da Rosmarini Cancelliere del Vescovado a dà 8 marzo 1683 ».

Né eure tanto gelose e minute erano ingiustificate o esa-
gerate.

Pochi, di certo, tra quelli che si sono occupati dei Le-
zionarî spoletini, ne hanno conosciuta la vera antichità, ben-
chè nel volume I, proveniente da S. Felice di Narco, a carte

196 r.,-sia chiaramente scritto :

Ofred Dunc fecit fieri librum

206 priorif . tempus Berardi pum

Quor_ possideant . anime celum;

208 sci honorem felicis credo . - .
Cuius basilica ope miro .

Nunc pollet structa. in naris rivo

anni domini

Unnor rpi curricula .

Tune duo centu et milia ,

Suerunt . TN sermania

Mense apl .

i E gli altri due volumi, quelli già appartenuti alla chiesa
(Bi di S. Brizio, presentano tali caratteri, un farli assegnare a

|| BM
IET tempi di poco lontani dal primo.
Molte questioni si possono e si debbono sollevare in una

particolare disamina della forma estrinseca di questi mano-

——4—————— IE DI UN SUNTO INEDITO DI STORIA SPOLETINA, ECC. 363

scritti e del loro contenuto; ma anche di queste, io, per ora,
mi passeró, bastandomi, per lo scopo che mi sono proposto,
di asserire che, se tali volumi sono opera materiale del XII
secolo e cioè, per quanto io sappia, i più vetusti dell’ Umbria,
il loro contenuto è indubbiamente anteriore al mille; né
vi si fecero aggiunte nelle successive trascrizioni, tranne
un solo caso, vol. II, carte 45 r., nella vita di S. Gregorio,
prete spoletino, in capo alla quale, a guisa di proemio, venne
posta e si legge la narrazione di uno strepitoso miracolo,
operato in Roma, per di lui intercessione, nel 1037.

È ben vero che in questi tre volumi, come ho già di-
chiarato, non si leggono che vite di Santi, oltre alcuni brani
della Bibbia e altre cose di minor conto; ma il lettore intel-
ligente comprende subito che, in particolare le Vite dei Santi
locali, composte sicuramente prima del mille, nei luoghi stessi
in cui i fatti o le leggende nacquero e si svolsero, possono
offrire materiali preziosi non soltanto per l'agiografia, ma si
ancora per la storia civile, artistica, monumentale e politica,
Il che verificasi appunto in questi Lezionar? spoletini, come

‘ apparisce chiaro anche dalla semplice citazione delle poche

righe di uno di essi, da me fatta di sopra. E non solo vi si
‘incontrano, qua e là, preziose indicazioni e notizie di uo-
mini, di monumenti, di oggetti d'arte, ma, caso assai raro,
vi è anche un vero e proprio sunto, inedito, di storia spole-
tina, scritto nel X secolo, del quale sunto intendo dare qui il
testo, facendolo precedere da alcune modeste, ma non inu-
tili dichiarazioni e osservazioni.

Quando dico: Sunto di storia spoletina scritto nel X secolo,
esprimo, mi sembra, con tutta esattezza il mio pensiero e
il fatto. Il lettore discreto, io spero, non vorrà presumere,
dalle mie parole, più di quanto é: possibile, dato il tempo —
X secolo — e l'indole dei volumi — Lezionarî — da uno dei
quali ho tratto il documento che qui, per la prima volta,
vede la luce.

È desso una semplice introduzione alla Vita di S. Gio-

Ra?” A
(M—— ian gg i

304 G SORDINI

vanni Arcivescovo di Spoleto, che si legge nel volume I, a
carte 109 v., e che fu compilata ad istanza di una Badessa

del Monastero di S. Eufemia (1) in Spoleto, di nome Berta,

da un tal Giovanni monaco cassinese.

La data di questa compilazione non risulta, esplicita
mente, dalla introduzione o proemio, nè dalla Vita. Ma, sul
finire di essa, leggesi che il corpo di S. Giovanni Arcivescovo
venne trasportato dalle Monache di S. Eufemia nella loro
chiesa, secundo piissimo regnante Ottone (2). Ottone II, come
è noto, regnò dal 973 al 983: ora è ben naturale che le Mo-
nache di S. Eufemia abbiano richiesto il loro confratello cas-
sinese. di una nuova redazione della Vita del Santo Arci-
vescovo, poco dopo avvenuta la traslazione del corpo suo,
tanto più che la memoria dell’ Arcivescovo Giovanni venne,
allora, in così grande onore, da sovrapporsi allo stesso an-

(1) Delle vicende e della importanza di questo Monastero, ebbi occasione di
tratiare in un mio scritto pubblicato nel periodico fiorentino: Arte e Storia, n. 15,
16 e 17 del 1894. La mia pubblicazione si intitolava: Di un diploma e di un affresco
esistenti nel Palazzo Arcivescovile di Spoleto; il qual Palazzo non è poi altro che
l'antico Monastero di S. Eufemia,

(2) Dagli storici spoletini si assegna, comunemente, a questa traslazione, la
metà del secolo VII. Ma é un errore. Si narra infatti, da essi, che, essendo stato
ucciso l'Arcivescovo Giovanni dai Goti, verso la metà del secolo VI, cento annt
dopo, Gunderada, Abbadessa di S. Eufemia, conosciuto, per mezzo di segni prodi-
giosi, il luogo di sepoltura di S. Giovanni, nottetempo, con alcune sue compagne ne
trasportò il corpo nella chiesa di S. Eufemia. Invece, risulta chiaramente dal testo
della Vita di S. Giovanni che A»2:0 quoque post hec (cioè la morte) pene centesimo
cominciarono i prodigi rivelatori del sepolcro, e che la traslazione del corpo per
opera di Gunderada, Abbadessa di S. Eufemia, avvenne secundo piissimo regnante
Ottone. Il che è molto importante per la storia del Monastero di S. Eufemia, che
il monaco Giovanni asserisce ab £ino fundatum, e ritornato in onore a devotissima
Gunderada ... abbatissa. Vedi: MINERVIO, De rebus gestis ecc., Foligno, Sgariglia,
1879, pag. 92; LEONCILLI, Historia ecc. (Manoscritto già presso i Leoncilli, ora pro-
prietà dell’Accademia Spoletina), foglio 80 r. Veramente il Minervio e il Leoncilli, pur
narrando della traslazione subito dopo i prodigi verificatisi anno gene centesimo
post'hec (la morte del Santo), lasciano incerta la data della traslazione stessa. SERA-
FINI, Elogia de Sanctis Ecclesiae Spoletinae (Ms. inedito presso di me), pag. 130 e 137,
primo che io sappia, citando gli Atti, stabili la data della traslazione verso l'anno
975. Errarono completamente, benché venuti dopo di lui, CAMPELLO B., Op. cit.,
vol. I, pag. 295 e 364; SANSI A., Degli edifici ecc., pag. 183, Furono immuni, da tale
errore, Jacobilli e i Bollandisti.

a asi DI UN SUNTO INEDITO DI STORIA SPOLETINA, ECC. 365
: “x : A

tico titolo della chiesa e del Monastero di S. Eufemia (1). E

‘poco dopo vediamo tutto un rione della città portare il nome

di S. Giovanni Arcivescovo (2); e, più tardi ancora, se ne
incisero l'immagine e il nome nelle monete del Comune di
Spoleto (3), come di Santo protettore e patrono. Segno evi-

dente del grande e non passeggero culto avuto da questo Santo,
anche a detrimento di quello tributato al principale e piü

‘antico Patrono di Spoleto, che fu ed è S. Ponziano (4).

'Acodo (5).

Né é possibile discendere oltre i primi tre lustri del se-
colo susseguente, perchè un diploma, da me già fatto noto
e illustrato, di Enrico II, ci apprende che, nel 1016, il Mo-

nastero di S. Eufemia di Spoleto fu concesso, insieme al Mo-

nastero di S. Angelo in Mogliano di Fermo, a un Conte
. Tra queste due date quindi bisogna restringere il tempo
della compilazione della Vita di S. Giovanni Arcivescovo di
Spoleto, fatta dal monaco Giovanni. Ma, nessuno potrebbe
darsi facilmente a credere che le Monache di S. Eufemia,
venute, quasi miracolosamente in possesso del corpo di
S. Giovanni, tesoro per esse preziosissimo e invidiato, aspet-
tassero un quarto di secolo per farne scrivere nuovamente
la Vita; Vita, che mentre rispondeva ad un naturale loro
pio desiderio, avrebbe contribuito grandemente a diffondere

(1) La chiesa basilicale, compresa oggi entro il Palazzo Arcivescovile, a tre

navi absidate e con matronei, ancora esistente quasi intatta, ebbe in origine il titolo.

di S. Eufemia : intorno all’ XI secolo prese quello di S. Giovanni Arcivescovo; sul
finire del XV secolo fu chiamata di S. Lucia da un'immagine di quella Santa, tut-
tora visibile, dipinta sopra una colonna.

(2) La città di Spoleto fu divisa, nell’ alto Medioevo,:in tredici Vaite o Rioni,
uno dei quali si denominò di S. Giovanni, dalla chiesa, appunto, di S. Giovanni Ar-
civescovo.

(3) SANSI A., I Duchi di Spoleto, Foligno, Sgariglia, 1871, pag. 64, nota 5.

(4) San Ponziano, i cui Atti sono generalmente ritenuti sinceri e che pare

rimontino ad alta antichità, é anche il patrono di Spoleto. Per le monete ornate
della sua immagine, vedi la nota precedente.

(5) Chi fosse questo Conte Acodo non si sa. Vedi: Monumenta Germaniae,
Diplomata II, pag. 464. Il Bloch porta la data al 20 Febbraio 1017. Il che, però, non
ha per noi molta importanza.
—— d

r^

x

366 G. SORDINI

il culto del Santo e a dare novello credito al Monastero e
alla chiesa.

À me pare indubbio, quindi, che la compilazione del
monaco Giovanni, e perciò anche la introduzione o proemio
di cui particolarmente mi occuperò, sia opera della fine del
X secolo. Il che, del resto, perfettamente consuona con l'ac-
cenno ad un fatto storico fino ad ora ignorato, del quale il
monaco Giovanni ci avverte che, al suo tempo, duravano
tuttora ed erano visibili le dolorose tracce: intendo dire della
distruzione di Spoleto per opera dei Saraceni, distruzione che
non puó essere posteriore, come vedremo, all' anno 915; anno
in che ebbe termine, per sempre, il dominio dei Saraceni
sulle città dell'Umbria e della Sabina. i

Anche questo riscontro, quindi, viene a corroborare l'ac-
cennato giudizio, al quale non si oppone, di certo, il carat-
tere della latinità adoperata dal nostro Monaco.

I Bollandisti, i quali pubblicarono, primi, la Vita di
S. Giovanni Arcivescovo di Spoleto, desumendola dalla ricor-
data copia tratta dai Lezionar? spoletini, favorita loro da Ja-
cobilli, videro il documento di cui parlo, ma lo tagliarono
fuori, perché le cose in esso narrate, « tum quia ad Sancti
gesta et marlyrium vic aut ne vic quidem pertinent, tum quia...
tam viliose descripta sunt, ut adhibila etiam frequentissima cor-
rectione » (1). Del resto, si erano accorti benissimo i Bollandisti
che, in mezzo a gravi errori, « partem Passionis seu Vitae
Ms. majorem » conteneva « haec et similia de episcopis aliis,
de ducibus Spoletanis, deque variis Spoletanae civitatis vicissitu-
dinibus » (2). i

Infatti, il documento che qui, per la prima volta come
già dissi, viene da me pubblicato, dopo alcune invocazioni
ascetiche, di verun conto per il nostro argomento, entra su-
bito in materia. Ed incomincia col dire che la Valeria fio-

(1) Acta SS., Tom. VI, di Settembre, Antuerpiae ecc., pag. 30.
(2) Acta SS., Tom. VI, di Settembre, Antuerpiae ecc., pag. 30. DI UN SUNTO INEDITO DI STORIA SPOLETINA, ECC. 367

risce per comodità e per vigoria, contenendo, innanzi tutto,
la splendida città di Spoleto.

Che cosa deve intendersi per Valeria?

Valeria, evidentemente, é il nome della provincia o della
regione, nella quale era situata Spoleto ai tempi dello scrit-
tore, e prima e poi. Infatti, questo nome comparisce in al-
cune delle Vite dei Santi dell' Umbria, tantoché qualche tardo
scrittore, da quei passi agiografici, né si comprende come,
venne indotto a sentenziare che la stessa Spoleto, un tempo,
si chiamasse Valeria. Errore già rilevato e confutato da Ber-
nardino di Campello nelle sue Historie di Spoleti (1).

Purtroppo, che io sappia, non vi é ancora uno studio
particolare intorno alla divisione dell'Italia in provincie, du-
'ante il Basso Impero, e della sua influenza e permanenza nel-
lalto Medioevo. E noi, quindi, su tale argomento, sappiamo
poco più che il noto fatto dei nomi di Umbria, Tuscia, Valeria,
e poi -di nuovo Umbria, dati ad una regione che, quasi co-
stantemente, ebbe a capo la città di Spoleto. Da Costantino
a Teodosio, pare che l'Umbria fosse riunita alla Tuscia o To-
scana sotto un Prefetto o Correttore che risiedeva a Spo-
leto; mentre quando l’Italia, al cominciare del-quinto secolo,
fu divisa in due Vicariati, la regione umbra, unita ad altri
territori limitrofi e posta sotto il comando di un Preside, fu
denominata Valeria, nome che conservó lungamente, come
lo dimostra lo stesso nostro documento. Né vanno trascu-
rati, mi sembra, questi titoli di Correttore e di Preside, ricor-
renti nelle Vite dei Santi umbri, tra gli indizi che potreb-
bero giovare a stabilire la minore o maggiore antichità di
esse, allorché la vasta e importante materia della agiografia
umbra, fino ad ora troppo avuta in non cale, sarà degna-
mente studiata ed esposta.

Continua poi a dire il monaco Giovanni che tanta fu
la floridezza di Spoleto, da farne la prediletta dei Principi

(1) Libro I, pag. 6 e 27.
368 Seu G. SORDINI

Romani e quasi una seconda Roma; per il che, ad essa, con- .
cessero le dignità del Ducato, dell'Arcivescovato, e il privi-:
legio di dividere le spoglie, dopo le trionfanti vittorie: d'onde,
egli osserva, i filosofi hanno tratta la ragione del nome.
Senza insistere nel far rilevare la supina confusione sto-
rico-archeologica nella quale mostra di esser caduto il buon
Monaco, pure è notevole questo passo come prova dell’ alta
antichità cui risalgono la famosa etimologia del nome Spoleto
(a spoliis dividendis) e lY incontestabile fatto della dignità arci-
vescovile della Archidiocesi spoletina; alta antichità che richia-
mavasi, di certo; ad opinioni e documenti di poi scomparsi.
E tanta floridezza, soggiunge il monaco Giovanni, sa-
rebbe stata manifesta a chiunque avesse considerato il luogo
della città, le turrite case, e, ció che piü vale, il grande te-
soro dei martiri del quale poteva gloriarsi. Ed anche i Duchi
di Spoleto rifulsero per mirabile santità, tra cui è memo-
rando il cattolico Faroaldo, il quale ebbe tanto a cuore la
TE religione, da rendersi appassionato fondatore, nel suo Du-
| cato, di opere romane e di figure a mosaico, ut actenus vi-
dentur.
In Senza alcun dubbio, qui, lo scrittore accenna a Fa-
[HE s roaldo II che fu Duca di Spoleto dal 703 al 724. A lui si
| : deve la restaurazione della celebre Badia di Farfa e, secondo
pes ^. . una credibile tradizione, fu lui anche il fondatore della Badia
| E di Ferentillo, dove santamente fini di vivere, dopo che il fi-
| glio Trasmondo lo ebbe cacciato dal seggio ducale. Di certo,
il a Farfa e a S. Pietro di Ferentillo si riferiscono le parole
| | | del monaco Giovanni, ma non esclusivamente: chè anzi, a
parer mio, là frase generica suo ducatui... ut actenus videntur,
dimostra la grande frequenza di nobili edificî sacri, ornati
E . di musaici figurati, eretti .da Faroaldo II. Il che deve de- .
A stare in noi la dolce speranza di riconoscere, quando uno
M scrupoloso studio analitico sarà compiuto delle antiche chiese
I | del Ducato di Spoleto, alcuni almeno di tali edifizi, i quali
| non possono, di certo, esser tutti periti, come, forse, avvenue
DI UN SUNTO INEDITO DI STORIA SPOLETINA, ECC. (992000

dei musaici, facili a scomporsi per la stessa loro natura e
per l'arte imperfettissima del tempo in che vennero ese-
guiti. E, nel buio fitto della storia artistica dei secoli di mezzo,
questa indubitabile notizia dataci dal buon Monaco benedet-
tino, ignorata da tutti gli storici antichi e moderni, ha una
importanza grandissima per l’arte medioevale, e anche per-
ché scrittori di tutti i tempi, non a Faroaldo II, ma a Teo-
delapio (a. 602-660) attribuirono una grande attività costrut-
tiva, sol perchè, come venne già avvertito dal Sansi, regnò
lungamente senza che si sappia cosa facesse.

Dopo di che, il buon Giovanni ci dice che molti Arcive-
scovi spoletini erano sepolti — carmine... clarificati — nella
chiesa di S. Pietro, fra i quali rifulgeva per santità PIETRO,
cuius opera et virtutes marmoreis tabulis lyrica versificatio ma-
nifestat. Evidentemente, qui, il monaco Giovanni accenna a
S. Pietro I che tenne la sede spoletina, secondo la cronologia
del Leoncilli, per trent'anni, dal 563 al 593. E dalla sepol-
tura di quei Vescovi, o,-com’egli afferma, Arcivescovi, così
antichi, im beati petri apostoli aula, dobbiamo necessariamente.
concludere che la chiesa ai S. Pietro, presso Spoleto, fu una
vera e propria Basilica cimiteriale, quando appunto nelle
città era proibito di seppellire, e non già la Cattedrale spo-
letina, come tutti gli scrittori dal XVI secolo ad oggi, ave-
vano unanimemente ritenuto; poichè se quella chiesa fosse
stata ornata, in quel tempo, della dignità di cattedrale, il:
buon Monaco non l'avrebbe semplicemente chiamata aula
del beato Pietro Apostolo, ma il Vescovato del beato Pietro Apo-
stolo, come scrisse appunto, poco più innanzi, sul finire della:
Vita del santo Arcivescovo, della chiesa di S. Maria, vera ed
unica Cattedrale di Spoleto, la quale chiamò episcopatum Ge-
nitricis Domini nostri. Il che, data l'epoca del documento, di
poco meno che un secolo anteriore alla sognata traslazione
della sede episcopale spoletina, da S. Pietro extra moenia a..
S. Maria dentro la città, è argomento di massima impor-
tanza ed evidenza per distruggere un errore storico perdu-
UY einn tn 8R

310 G. SORDINI

rato dal XVI secolo ad oggi, fino a quando, cioé, io ebbi a
farne la chiara, irrefutabile dimostrazione (1) E di tale er-
rore, che ebbe ed ha grande importanza in sé e per le sue
conseguenze, si sarebbero, senza dubbio, accorti gli stessi
Bollandisti, se avessero considerata la Vita di S. Giovanni
Arcivescovo nel suo insieme, senza cioé trascurarne il proe-
mio; poiché, di certo, all’acutezza della loro mente, non po-
teva sfuggire il contrasto, da me qui rilevato. Tanto è vero
che commentando essi la frase episcopatum Genitricis Domini
nostri che si legge, come ho detto, sul finire della Vita di
S. Giovanni Arcivescovo, dovettero, per cavarne un senso,
ricorrere ad un ipotetico errore di scritturazione, e suppo-
sero che il buon Monaco avesse scritto episcopatum invece di
episcopalem (2). Cosi grande é la forza di un errore e di un
pregiudizio storico!

E non soltanto la chiesa di S. Pietro extra moenia era
Basilica cimiteriale, ma lo erano altresi le suburbane chiese
.di S. Ponziano e dei Santi Apostoli. Quest' ultima. esistente
ancora lungo il ramo settentrionale dell'antica Flaminia, a
‘breve distanza da Spoleto; chiesa stoltamente lasciata ven-
dere dal Demanio, dopo l’ultima soppressione, e trasformata
in fattoria; benchè, tra l’altro, ci assicuri il monaco Giovanni

| che, in essa, Spes insignis est repertus episcopus, si fossero ri-

trovate, cioè, le ossa del famoso Vescovo Spes, del Damaso
spoletino, come lo chiama il De Rossi (3). Scoperta non solo
localizzata, ma cronologicamente determinata da quell’ est
repertus, che la rende «contemporanea del monaco Giovanni (4).

(1) Vedi negli Atti dell’Accademia Spoletina del 1899: SoRDINI G., IZ Duomo di
Spoleto — Delle origini secondo 1 documenti. I principali argomenti di tale mia di-
mostrazione, vennero anche accennati nell'articolo: Di alcuni monumenti spoletini,
-da me pubblicato nella Rassegna d'Arte di Milano, An. VI, fasc. III, 1906.

-(2) Acta SS., di Settembre, Tom. VI, Antuerpiae, Plassche, 1757, pag. 3l. Nota Rh.

(3) DE Rossi G. B., Bullettino cit., Anno 1871, fasc. II, pag. 94.

(4) Il DE Rossi, nel Bullettino cit., Anno 1878, fasc. II, pag. 153-158, riassumendo
un articolo pubblicato dal canonico Kessel in Jahrbitcher des Ver. von Alterthums,
1878, LXII, pag. 88 e segg.,. ci assicura che le ossa del vescovo Spes trovansi nel te- DI UN SUNTO INEDITO DI STORIA SPOLETINA, ECC. 311

Di S. Ponziano, anch'essa chiesa suburbana di Spoleto,
fondata sopra un antichissimo cimitero cristiano, cui si ri-
collegano le più antiche leggende della introduzione e dello
sviluppo del Cristianesimo nell’ Umbria, io non mi diffonderò a
parlare qui, avendone altrove trattato (1). Una parola, però;
è necessaria intorno al Vescovo SPES, cui il monaco Giovanni
tanto sicuramente dà il titolo di znsigne. E davvero questo
Vescovo che, secondo il Leoncilli, tenne la Cattedra spoletina
dal 420 al 452, ha diritto al titolo di insigne, poichè, come
il celebre suo antecessore Achilleo, fu poeta e si piacque di
adornare di carmi i sepolcri dei martiri di Spoleto. Di lui è
noto un famoso carme in lode di S. Vitale, carme inciso in
una grande tavola di pietra; fatta trasportare a Spoleto e
collocare nel Duomo dal dotto Vescovo Sanvitale, sul finire
del XVI secolo, e poi rimossa e perduta, e della quale io
ebbi la fortuna, or sono molti anni, di rinvenire un frammento
da altri poi pubblicato (2). E il sepolcro dell’insigne Vescovo

LI

soro delle reliquie di Aquisgrana, in una cassetta di avorio, autenticate da una scritta,
fatta circa il secolo nono, e quivi trasportate e deposte per ordine di Carlo Magno, il
quale raccolse, quante più ne poté, reliquie di Santi, da Roma, Gerusalemme, Costan-
tinopoli e da altre minori città. La pergamena non reca che la trascrizione di due
epitaffi, quello del vescovo Spes e un altro che per noi, qui, non ha interesse. Non vi
può esser dubbio quindi, che le ossa conservate nell'eburnea cassetta reliquiaria di
Aquisgrana, siano veramente quelle del santo Vescovo spoletino Spes. Ma, di fronte
alla chiara testimonianza del monaco Giovanni, io mi permetto di dubitare che le
reliquie del vescovo Spes siano entrate nel tesoro di Aquisgrana ai tempi di Carlo
Magno e, cioè, quasi due secoli prima della loro invenzione testimoniata dal nostro
Monaco. E di dubitare, me ne dà cagione, altresì, l'esame della scritta, la quale mi
sembra posteriore a Carlo Magno. Pare, del resto, che lo stesso De Rossi avesse un
' identico dubbio, perché, nelle due paginette che dedica all'argomento, per ben due
volte dichiara che quella scritta è di mano del secolo in circa nono. Ora, senza ri-
correre alla comoda ipotesi di due invenzioni dello stesso sepolcro, alla distanza di
quasi due secoli l' una dall'altra, o peggio alla sostituzione posteriore della scritta
trovata nel 1878, si può pensare che nel decimo secolo, corsa la fama del ritrova-
mento, qualcuno dei successori di Carlo Magno, delle reliquie del vescovo Spes, vo:
lesse arricchire il tesoro di Aquisgrana. Il che, del resto, potrà esser messo bene
in chiaro da chi avesse modo di esaminare, con la necessaria diligenza, tutte le
memorie che si riferiscono al tesoro di Aquisgrana.
(1) SORDINI G., Di un cimitero cristiano sotterraneo nelU Umbria, già citato.
(2) Vedi: DE Rossi, Bullettino cit., An. 1888.89, pag..94.
— >

— ir

319 ; G. SORDINI

Spes, cosi come venne trovato nel X secolo, io stesso vidi
intatto nella mia infanzia, mentre ora deve lamentarsi, forse,
interamente distrutto (1). st

. Ma non dei soli beni spirituali si preoccupa il monaco
Giovanni, poiché non trascura dirci che Spoleto abbondava
di acque, le quali ad essa affluivano per mezzo di due lun-
ghi acquedotti. Notizia questa che conferma, se ve ne fosse

(1) DE Rossi nel Bwllettino cit., An. 1878, rendendo conto, come abbiamo visto

'.jn una nota precedente, di una pergamena trovata in Aquisgrana, riproducente la
epigrafe del vescovo Spes, chiama la chiesa dei Santi Apostoli presso Spoleto, b«si-

licula o cella cimiteriale, e crede che quivi sia un notabile sepolcreto cristiano dei
secoli IV e V. Come io la vidi nella mia infanzia, essa era invece, una chiesa ab-
bastanza vasta, a forma di croce latina, con abside semicircolare, larga quanto
la nave, e abbracciante tutto il presbiterio sollevato sopra uno o due gradini.
Nel céntro di questi giaceva la lapide con la celebre iserizione del vescovo Spes, e
sotto si vedeva una fossa rettangolare che tagliava i gradini e il pavimento della
crocera, in fondo alla quale fossa appariva il coperchio di un sarcofago di pietra
eon acroteri. Attorno all'abside girava un sedile in muratura, interrotto nel centro
dall'altare parimente in muratura, nel quale, fin da quell'epoca, notai due frammenti

di pietra scolpiti con figure di rilievo, entro un'architettura assai strana (vedine la
‘ inesatta riproduzione in CATTANEO R., L'Architettura in Italia dal VI secolo ul mille,

Venezia, Ongania, 1889, pag. 134) forse. parti di antico sarcofago cristiano, e due

frammenti di iscrizioni pagane, donati poi dal proprietario attuale del fondo al Mu

nicipio di-Spoleto, che ancora conserva e gli uni e gli altri. Tutta la chiesa. pren-
«deva luce soltanto da una bifora, esistente sopra la porta d'ingresso, che si apriva

nel muro di facciata. Sulla parete destra della nave, si vedeva un vecchio affresco,
con la figura di un Santo, tutto coperto, meno la faccia, di una rozza tela. Nelle due

braccia della crociera, a destra e a sinistra del presbiterio, erano due piccole absidi.

In qu-lla a sinistra, sorgeva da terra un altare assai antico di pietra, composto di

un rozzo pilastro e di una grossa tavola sovrapposta. Nell'altra abside, ehe era mu-

rata, si vedeva una pietra piana con una croce equilatera incisa nel mezzo.

Ma la chiesa suburbana dei Santi Apostoli, che sorgeva lungo l'antica Flami-
nia, a poca distanza dall'altra célebre Basilica, cimiteriale anch'essa, di S. Sabino,
non fu sempre di così ristrette dimensioni, né così disadorna. Come può vedersi
ancora dalla sagoma esterna del fabbricato, ebbe, un tempo, certamente tre navi
sostenute da colonne di pietra, delle quali si notano, qua e là, aleuni avanzi, e una

decorazione di affreschi non spregevoli, come lo dimostravano le tracce di essi da
me vedute nelle stalle adiacenti, che furono già parti della chiesa a tre navi. E a

tre navi si mantenne fino a tutto il 1677 almeno.

Infatti, nel Libro Capitolare quarto, contenente le deliberazioni capitolari dei
Canonici del Duomo di Spoleto (Volume cartaceo di fogli 189 numerati e,scritti, le-
gato in pelle, alto m. 0.41, largo m. 0,27) io trovai, molti anni or sono, questa riso-
luzione: A di 3 8bre 1677 (carte 88 v.), congregato il Capitolo, Monsignor Priore pro-
pose quello di che è stato tante volte discorso, cioè di risarcire, e fur tenere più
decentemente la chiesa de? SS. Apostoli, p. honore di Dio principalmente, e Poi p. DI UN SUNTO INEDITO DI STORIA SPOLETINA, ECC. 318

bisogno, quanto già venne da me archeologicz umente provato,
che cioè i famosi acquedotti di Spoleto e i grandiosi manu-
fatti ai quali dettero origine, non sono opere del XIII secolo
e del Comune, come si volle anche di recente asserire, ma
sono opere romane, più volte e in vario modo restaurate (1).

Da ultimo, il nostro Giovanni chiude la sua introduzione
alla Vita del santo Arcivescovo spoletino, con la notizia di
un altro fatto storico di grandissima importanza, così in sè
come per le conseguenze che se ne possono trarre, tanto in

togliere l’occasione dilmormorure al popolo che concorrendori in gran nwuinero nella

festa di tutti lt Santi e nel giorno susseguente a prendere la stazione per le anime

de morti, con qualche ragione resta scandalizzato dello stato indecente di detta

chiesa; e perchè il lavoratore (colono) hu bisogno di sito e stanze da tenere fieno

aratri, e cose simili, per le quali si serve oggi di detta chiesa, è stato resoluto che

con licenza dell’Em.mo Sig. Cardinale n.ro Vescovo, sieno profanate le due navate

laterali di essa chiesa lasciando però le teste di d. Navate, che serviranno come

per due braccia, rimanendo la chiesa in Croce, et a questo effetto che si alzino due

muraylie dal pavimento al tetto, che dividono le dette due teste delle navate sud. .
lat rali; che per dar lume alle dette due braccia 0 capi delle navate, ne si fac-

ciano due fenestre; che si serrino con muraglie li due archi in mezzo alla chiesa :

che si serrino le due porte a piè delle sop.e navate laterali, et accio possano servire

ad uso del lavoratore si aprano altre due porte in inezzo alle med.e navate da pro-

fanarsi, cioè vna che riesca nella strada e U altra verso il campo; che si mattoni |
e si imbianchi con aggricciatura sottile tutta la chiesa ecc.

Non sembri sproporzionata questa nota al desiderio di tener viva la memoria
di un monumento che potrebbe completamente scomparire, mentre per la sua alta
antichità, maggiore forse, di quanto ora si creda (la consuetudine popolare, durata”
fino ai nostri giorni, della visita annuale per le commemorazioni dei Santi e dei
Morti, a preferenza di altri antichi cimiteri cristiani di Spoleto, può esserne valido
argomento) e per le importanti vestigia artistiche e archeologiche che ancora rin-
serra, sarebbe stato degno di ben diversa sorte.

Il Barone A. Sansi, mosso da questo stesso mio pensiero, riunì iù notizie che
aveva su questa chiesa in uno scritto pubblicato nel periodico spoletino L’Eco del-
Umbria, An. I, n. 15, Ap. 1876, nel quale afferma che il proprietario attuale aveva
donati al Comune di Spoleto, tutti i resti di antichità che si vedevano ancora in
quel luogo. E veramente, quei resti sono tutti presso il Comune, meno il più pre-
zioso, la epigrafe, cioé, che stava sopra il sepolero del vescovo Spes, ia lettere del
secolo quarto cadente 0 del quinto, come afferma G. B. De Rossi. Di quella insigne
epigrafe furono, forse, allora trascurati la consegna e il trasporto? Esiste ancora?
E dove?

(1) Vedi in Notizie del Genn. 1898: SORDINI G., Scoperte di antichità in Spoleto
e nel suo territorio, pag. 17 e segg. ; e SANSI A., Degli edifici ecc. già cit., pag. 204
e segg.; I Duchi di Spoleto, Foligno, Sgariglia. 1871, pag. 30; Storia del Comune di
Spoleto, Foligno, Sgariglia, 1879, vol. I, pag. 161. i
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314 G. SORDINI

rapporto alla città di Spoleto, quanto per la cronologia dello

scritto dello stesso Giovanni. Accenno al fatto della presa e ‘

distruzione di Spoleto per opera dei Saraceni, fatto che, nar-
rato da Bernardino di Campello (1) con gran lusso di parti-
colari, e con successo non inglorioso per quella città, venne,
invece, interamente taciuto dagli storici moderni (2).

Dopo aver detto il nostro buon Monaco che la somma
dei beni posseduti e goduti da Spoleto, accrebbe i peccati
degli uomini, asserisce che questa città, per occulto giudizio
di Dio, venne presa e saccheggiata allorché quasi tutta Italia
era devastata dai Saraceni, e aggiunge il prezioso particolare
che, a tanta iattura fu tratta per incuria, cioè a dire che

fu occupata per sorpresa. Il buon Monaco crede che ciò av- .

venisse ut in futuro restauretur in melius; ma intanto, non
trascura di accennare che fu seminata di rovine; che tutti
gli abitanti ne andarono dispersi; che fu spogliata dei propri
tesori sacri; che vennero abbattute le chiese e le alte case;
che lungamente giacque in cosi desolato abbandono.

Ma egli confida che. la città di Spoleto, per i meriti dei
propri martiri, dovrà risorgere e che, in parte — ut ex parte
conspicitur — se ne vedevano di già gli effetti.

Da queste e da altre parole risulta evidente che la di-
struzione di Spoleto, per opera dei Saraceni, dovette avve-
nire in epoca non lontanissima da quella in che visse il mo-
naco Giovanni, autore del nostro proemio, se al tempo di lui

duravano ancora gli effetti della distruzione, e la città, solo

in parte, allora appunto andava rimettendosene.

Bernardino di Campello, appoggiando la narrazione di
tale avvenimento all'autorità di Erchemperto, pone l'avve-
nimento stesso nell'anno 881 (3). Ma, di certo, la distruzione

(1) CAMPELLO B., Delle Historie di Spoleti già cit., Lib. XVIII, pag. 585 e segg.
Gli scrittori precedenti, MINERVIO, LEONCILLI € SER FINI, non fanno parola di que
sto avvenimento. .

(2) È taciuto completamente dal Sansi e dagli altri minori.

(3) Vedi le indicazioni della penultima nota. Nei riporti del Libro XVIII, Let-
tere G e H, B. CAMPELLO cita anche la Cronaca di Leone Ostiense; ma é risaputo
Dl UN SUNTO INEDITO DI STORIA SPOLETINA, ECC. 919

di Spoleto, per opera dei Saraceni, non avvenne nell 881,
perché Erchemperto dice solo che, in quel torno di tempo,
i Musulmani dell'Italia meridionale guastarono, tra gli altri,

anche i confini del Ducato di Spoleto. E i confini meridio-

nali del Ducato di Spoleto, come nota l Amari e come si
rileva dai documenti, arrivavano allora, fino a Sora e al lago
di Celano. Né, data l'autorità di Bernardino di Campello, de-
vesi di ció prendere soverchia ammirazione, poiché fu di-
fetto, come già venne rilevato, ed egli stesso ne domandò
venia, più dei tempi che suo, quello di applicare a luoghi
particolari, fatti e notizie storiche comunque riferentisi al
‘territorio, per quanto esteso, da essi luoghi dipendente. E que-
sto nell'intento veramente ingenuo, di dare, di quei tali luo-

.
l ^
D

che, per questi tempi, la Cronaca dell'Ostiense é una semplice derivazione della
Historía Principum Langobardorum di Erchemperto. Del resto, le parole di ambe-
due questi scrittori sono molto semplici. ERCHEMPERTO, Historia cit. (Edizione Pra-
tilli, Napoli, 1749, pag. 134), Cap. XLIV, scrisse: Per idem tempus (Ann. 880) AtAa-
nasius Praesul Neapolis Magister Militum praeerat, qui ut praemtsimus, exulato
fratre proprio, cum Saracenis pacem iniens (Ann. 879), ac primum infra Portum ae-
quoreum, et urbis murum collocans, omnem terram Beneventanam, simulque Roma-
nam, nec non partem. Spoletit, diruens, cunctaque Monasteria, et Ecclesias, omne-
sque urbes et oppida, vicos, montes et colles, tnsulasque depraedavit: E LEONE O-
STIENSE nella sua Chronica sacri monasterii Casinensis (Lutetiae Parisiorum, Bil-
laine, M.DC.LXVIII, pag. 178-70, cap. XL) parafrasa: Jdem vero frater eius (di Sergio
Duca di Napoli) £n loco ilius effectus, pace cum Saracents firmata, eosque juxta
Neapolim collocans, tam Beneventum quam Capuam, atque Salernum, Roman. quo-
que, nec non Spoletium devastare cum eis acriter coepit, multaque tunc temporis
Monasterta, et Ecclesiae cum villis, et urbibus incensa ac desolata sunt.

E MICHELE AMariI nella sua Storia dei Musulimant.dj Sicilia, Firenze, Le Mon-

nier, 1854-1872, pag. 454, quasi traducendo scrisse: Surse per tal modo tra le mura
della città (Napoli) e il Sebeto (An. 880, un campo musulmano, vero ribàt o Kairev-
vàn, dal quale usctan le gualdane addosso ai nemici del vescovo di Napolt ; nè .co-
stut poteva vietare che spogliassero anco gli amici. Guastarono lo Stato di Capua,
i confini di quet di Salerno, Benevento, Spoleto e la campagna di Roma : mona-
steri, chiese, città, borghi, villaggi, monti, colline, isole, dice Erchemperto, furono
saccheggiate a un paro.

Dunque, si trattò non della città, che era troppo lontana, ma dei contini del
Ducato di Spoleto, i quali confini, scrive l' Amari (pag. cit., in nota), arrivavano
sino a Sora e al Lago di Celano.

E chi ha qualche pratica degli scrittori dell' alto Medioevo, sa che quasi sem-
pre essi usarono il nome di-una città per indicarne il territorio 0 il dominio.

25
316 G. SORDINI,

ghi, storie non interrotte, e, il più che fosse possibile, com-
piute (1). i
Però, se non nell’ 881, la testimonianza del monaco Gio-
vanni ci rende certi che il fatto avvenne realmente; e a me
sembra, cercando addentro nei turbinosi avvenimenti di quel
tempo, doversi collocare al finire del primo decennio del se-
colo X, o al cominciare del secondo, quando cioè i Saraceni,
oltrepassati, con loro scorrerie, i confini del Ducato di Spo-
leto, stabilmente avevano occupate le città di Narni e di Orte,
e gran parte della Sabina, dove stanziavano, e, se dobbiamo
credere a memorie locali, saccheggiata la stessa Rieti, si spin-
gevano fino a Norcia. Certamente non si puó varcare il 915;
nel quale anno Achiprando di Rieti ed .altri, combattendo
strenuamente e senza requie i Saraceni, costrinsero questi
ad abbandonare per sempre la Sabina e Orte e Narni, e a
ritirarsi al Garigliano, dove, nell' Agosto del 916, toccarono,
per le armi del Duca di Spoleto, del Papa e dell' Imperatore .

'la celebre rotta che pose fine al loro predominio nell Italia

meridionale (2). E tale designazione di tempo corrisponde
mirabilmente con le parole del monaco Giovanni, il quale,
potendo aver composto il suo proemio, come ho già avver-
tito, all'incominciare, forse, od anche prima del penultimo
decennio del secolo X, e cioè sessanta o settanta anni dopo
il disastro, era in grado di sentire una viva eco del disastro
stesso, e le dolorose conseguenze, in parte almeno, con i
propri occhi ancora vederne.

Ma, se queste, come ne assicura lo scrittore monastico,
furono terribili e lungamerte durature, pure, il fatto d’arme
‘in sé, dovette esser poca cosa e rapidamente passeggero. Il
che dobbiamo necessariamente indurre dal silenzio, intorno

(1) CAMPELLO B., Historie cit., Lib. VII, pag. 207: SANSI A., Degli edifici ecc.
già cit., pag. 12. i : :

(2) AMARI M., Storta cit., vol. II, pag. 164 e segg.; MICHAEL! M., Memorie stori-
che della città di Rieti, Rieti, Trinchi, 1898, vol. II. pag. 106 e segg.; PATRIZI-FORTI
- F., Dellé memorie storiche di Norcia, Norcia, Micocci, 1869, pag. 111.

,
‘DI UN SUNTO INEDITO DI STORIA SPOLETINA, ECC. 911

ad esso, serbato dagli scrittori cristiani e musulmani; i quali

ultimi, in specie, non avrebbero mancato di gloriarsene quando
. fosse stata vera impresa di guerra, e non rapida scorreria
. di ladroni (1). E le ingenue parole del nostro buon Giovanni,
le quali accennano chiaramente ad una sorpresa — incuriam.

megligentie, — alla preda e alle rovine — perpessa ruinis...
"spoliis omnibus denudata — “confermano, mi sembra, la mia
‘congettura.

Ed era ben naturale. Stabilitisi i Saraceni in SEO in
‘Orte e nella Sabina, cioè nel cuore del Ducato di Spoleto,
e spintisi fino a Norcia, un colpo di mano sulla città di Spo-
leto, in specie per le vie coperte della montagna, si rendeva
facile, sicuro e, direi quasi, inevitabile. E le grandi ricchezze
“indubbiamente accumulate in Spoleto, nel lungo periodo in
che.i suoi Duchi dominarono mezza Italia, e seppero poi sol-
levarsi fino alla dignità e alla fortuna del Regno e dell'Im-
pero, dovevano essere stimolo potente a quei veri corsari di
terra, nei quali la sete dell’ oro non era, forse, minore del-
‘ l’odio al nome cristiano.
Alle note distruzioni di Spoleto, quindi, storicamente
‘.certe, compiute da Silla, da Totila, da Federico Barbarossa,
dobbiamo aggiungere, oramai, anche quella avvenuta, per
opera dei Saraceni, al principiare del secolo X. Fatto questo
che: sarebbe rimasto, per lo meno, avvolto nella incertezza,
‘senza la tenue ma utilissima parola del monaco Giovanni, il
‘ quale chiude il proemio alla Vita del ‘santo Arcivescovo spo-

letino, colla previsione, quasi, dell’ accusa formulata tanti se-
‘coli dopo, contro il suo scritto, dai Padri Bollandisti. Ma, se.

È (1) L'AMARI che poté attingere tanto alle fonti cristiane, quanto a quelle mu-
' sulmane, non fa cenno delle devastazioni di Rieti e di Spoleto, né di quella di Nor-
cia. Ciò non deve maravigliare, perché l'Amari stesso nota che gli scrittori musul-

‘mani tacciono, ad esempio, della sconfitta di Bucoboli per opera di Atto figliuolo di

Trasimondo di Spoleto, nel 972, magnificata dai nostri, mentre invece egli crede si
‘ tratti d’una piccola schiera, poichè non fan memoria di questa impresa gli annali
musulmani d'Affrica, nè.di Sicilia. Vol. II della Storia cit., pag. 312, in ota.
318 G. SORDINI

previde l'aecusa e cercò giustificarsene, non previde di certo
il grande servigio che avrebbe, con il suo proemio, reso a

noi tardi investigatori degli oscurissimi tempi in che il buon.

Monaco visse. Da questo proemio, che non noi stimeremo pro-
lisso e superfluo, come egli dice di temere, sono elevati alla

dignità di notizie storiche indubitabili, senza parlare di altri.

minori, i fatti seguenti:

1.° che Spoleto, nei tempi di mezzo, era ornamento
della provincia Valeria;

2.» che Faroaldo II ornò il Ducato di mirabili edifici
e musaici, esistenti ancora sul finire del X secolo;

3.» che la Cattedrale spoletina non fu mai a S. Pietro
extra moenia, ma a S. Maria, nell' interno della città;

4. che veramente il titolo di Arcivescovo è antichis-
simo nei Vescovi di Spoleto; ;
bana dei Santi Apostoli, si rinvennero le ossa del vescovo
Spes, il Damaso spoletino;

6.° che attorno al monastero di S. Ponziano era un
insigne antico cimitero cristiano;

7.° che gli acquedotti spoletini non sono opera del XIII
secolo, come si volle asserire, ma anteriori al mille;

8.° che, al cominciare del X secolo, Spoleto fu presa
e distrutta dai Saraceni.

Né tutto ció deve sembrar poco a chi, riflettendo alla
antichità del documento, sa quali stenti e fatiche, troppo
spesso si richiedano per giungere a stabilire la verità di un
solo fatto storico o di una data relativa a quei tempi fortu-
nosi e bui che vanno dal quinto secolo al mille.

Dormi dunque in pace o buon Giovanni, che da Monte-
cassino, d'onde cosi vivida luce di civiltà si irradió nel mondo,

sul cadere del X secolo, tanto utilmente peregrinasti fino a

Spoleto; e sta certo della gratitudine dei posteri per l'opera
tua, modesta, ma a noi giovevole anche al di là delle tue
ristrette e pie intenzioni. Di una cosa sola potresti dolerti,

5.° che nel X secolo, nella basilica cimiteriale subur- : DI UN SUNTO INEDITO DI STORIA SPOLETINA, ECC. - 319

o buon frate, ed è della barbarie dei trascrittori antichi che
ha così malconcio il tuo lavoro, come noi siamo costretti
di pubblicarlo (1) Ma anche di ció otterranno pronta ed am-
pia venia presso il lettore discreto, ne siamo sicuri, e l'au-
tore antico e il modernissimo editore.

; G. SoRDINI.

(1) Mi è sembrato più che inutile, dannoso, temerario e forse anche impossi-
bile, porre le mani nel documento, per tentarne una restituzione qualsiasi che
troppo non discordasse con la grammatica e con la logica. Lo pubblico, quindi
nella forma in che è stato da me rinvenuto, curando anzi, che l' edizione sia fede-
lissima all'originale, meno che nei segni di abbreviazione, i quali costituivano una
seria difficoltà tipografica. Cosi, le brevi interpetrazioni, poste accanto al testo, deb-
bono considerarsi non già come traduzioni, ma come: semplici indicazioni, spesso,

del probabile pensiero dello scrittore.
1980: ..: G. SORDINE,

cip plogus sci iohs mon

‘ Compellitis me o sacratissimu collegium
una cum devotione Berte ductricis vre coenobii
sci martyris iohis quod abimo fundatum. quon-
dain in honore virginis beatissime Euphemie. a
devotissima gunderada recolimus abbatissa. ut
signa et virtutes atque miracula prefati mar-
tyris cuius assidue custodire corpus meremini.
stilo pprio propalare n denegem. Pericolosum
quidem injungitis opus. sed devotionis pre-
mium pfuturum. Nan undiq. tanti pelagi pcel-
lis. quatere contremesco. videlicet artium pau-
| pertate dedecuiusq. generositatis maximeq.
plectra inetantiu. Sed quia xps pauperrimos
magis piscatores elegit qua dialeticos. et rheto-
res faleratosq. supbos. confisus in eo. aggre-
diar. quod rogastis. spans ‘ab eo remedium. cu-
ius signa et miracula videntesq. me coram po-
site pandere studuistis. Sce iohs martyr xpi p
iohis monachi peccatoris semp intercede deli-
ctis. Amen.

| PASS SCI IOHIS MAR.

"PAX TUA xpe ds hec sit venerantib. acta.
‘et vitam capiant superam post funera carnis.
Descripturis beatissimi iohis martyris. signia
atq. pdigia. scam invoco trinitatem ut tante
materie pficiendi auxilium. tribuat. que linguas
fecit dissertas infantium. brutor. que animan-
tium oris. loquelas humanas edere cessit. Iohs
itaq. remissione. et miam indigens. scissimi pa-
tris benedicti sacri casinensis cenobii eximius
omib. in xpo renatis atq. redemptis unu et.
verum dm in trinitate colentib. pace. concor-

pecco

Costrettovi dal sacro
collegio e dalla devozione
di Berta conduttrice del
cenobio di S. Giovanni
martire, già in antico fon-
dato in onore della bea-
tissima vergine Eufemia,
e rinnovato dalla abba-
dessa Gunderada, non si
negherà di narrare, con

. appropriato stile, i pro-

digi, le virtù, i miracoli
del prefato Martire, il cui
corpo esso collegio aveva
meritato di custodire.

Espone le gravi diffi-
coltà dell’opera e la po-
chezza propria; ma come
Cristo scelse poveri pesca-
tori, piuttostoché dialet-
tici e retori e superbi de-
corati, confidando in lui,
affronterà il lavoro col-
l aiuto del Martire di cui
gli vengono posti innanzi
i prodigi e i miracoli.

Invoca il santo martire
Giovanni in aiuto di Go-
vanni monaco e peccatore.

Invoca la pace di Cri-
sto per coloro che vene-
rano questi Atti. Invoca
poi la Santa Trinità per sé
che deve descrivere cosl
ardua materia.

Giovanni del santis-
simo padre Benedetto del
sacro cenobio cassinese,
invoca finalmente la pace,
la concordia e la vita sem-

iterna, dopo morte, a co-
oro che sono veri cre-
denti.

D DI UN SUNTO INEDITO DI STORIA SPOLETINA, ECC. 381

Il Redentore, dopo
molti anni, volle rivelare,
perla salute degli uomini,
cuesto pegno di gaudio e
dispose che venisse custo-
dito come preziosissimo
tesoro.

Per esso

avvengono
molti prodigi.

La Valeria fiorisce per.
diverse forze e varie co-
modità, prima delle quali
é la splendida città di Spo-
leto.

Spoleto, per la sua flo-
ridezza, in antico, era cara
ai Principi romani come
una seconda Roma.

Per questo l' arricchi-
rono delle dignità del Du-
cato e dell’ Arcivescovato.

E. ne ebbe anche la
concessione di dividere le
spoglie dei nemici dopo
le vittorie.

D'onde i filosofi tras-

sero il nome di Spoleto.

Di tanti beni poteva
prender cognizione chiun-
que avesse esaminata la
postura della città e la
fortezza delle case.

* Ma, di tutto più pre-
ziosi, sono gli innumere-
voli corpi dei Martiri, dei
quali si adorna.

Anche i Duchi di Spo-
leto rifulsero per mirabile
santità

Fra i quali é da ram-
mentare il cattolico Fa-
roaldo che di opere ro-
mane e di mosaici, come
ancora si vede, ornò il suo
Ducato.

Moltissimi Arcivescovi
fiorivano pure di eguale
santità. Tra questi, Pie-
tro, le cui opere e le cui

diam. vitamq. post funera sempiternam. Obta-

bile vob. gaudii pignus suppremis teporib. 're-

demptor omium voluit misericorditer revelare.

quod multor. annor. curriculis in salutem' pe-

tentium. velut pretiosissimum thesaurum salu-

tifera predestinatione custodire disposuit, Inde

vero fessi recuperant. infirmi stabiliuntur. lapsi

resurgunt. sanantur egroti. paupes xpi letan-

tur. Decepti demoniis. refrigescunt. Languentes

roborantur. insidiantes inimici. contremescunt. -
destituti atq. torpentes infideles. ad vitam re-
dire incitantur eterna. Itaq. valeriaq. diversis

valitudinib. variisq. comodis pollet. prima splen-

dide spolitanam continet urbem. Que tante au-
dacitatis atq. fecunditatis priscis temporib. vi-
guit. ut secunda romanis diligeretur principib.

Qua ppter ducatu ei pariter et archiepiscopatu

dignitatis imposuerunt. insup. etiam ubiq. post

triumphum victorie. imperiali taxatione eius :
militib. dividendi spolia concesser. que p tanti.
doni derivatione eius vocamen a philosophis
est inventu.

Hanc aut. serenitate pspicua ita pollere
quisq. advertere poterit. si suptiliter situs eius
vel arces edium perserutare conaverit. atq. quod
pretiosus est cum innumeris vivificis martyrum .:
pignorib. eam circu quaq. stupenter pornata
conspexerit. i

Revera eni aptissime pbatur cu. et. illor.
passiones talia personat eor q. gloriosum cer-
tam. aptius manifestant. Et ut auferatur in-
credulor. supplicio. etiam duces predicte civi-
tatis mira scitate fulgebant. quor. unus cathó-
licus memorandus farualdus. cuius vigor in
tantum religionis enituit. ut romanis opib. mu-
Sivisq. scematib. suo ducatui ut actenus vi-
dentur. studiosissimus fundator existeret. Plu-
rimiq. vo archiepor. ipsius. equa scitate polle-
- um—————— M — á——

389 G. SORDINI

bant. qbus. unus petrus scissimus fulsit. cuius
opa et virtutes marmoreis tabulis lyrica versi-
ficatio manifestat. aliiq. nonnulli simili camine
signis et pdigiis clarificati. in beati petri apli
aula. serena pace quiescunt. Simili etia modo
in beator. eccla aplor. spes insignis est repertus
eps. mirifico reconditus calatho. qui post sui
eorporis inventionem. diversis inclaruit signis.
Et quid dica cu in beatissimi martyris pontiani
cenobio. aureo acervo velut arca repleta sa-
cratissimum cymiterium. incoparabilib. pigno-

rib. emicat. Nam undiq. ut firmissima munitio :

turium. tantor. patrociniis martyrum. eximia

| urbs inexpugnabil. et glosa persistens. Igitur
.du talib. tantisq. splenderet nitorib. eo plau-

debat iniurib. quo circum septa his munitionib.
videbatur. Insup. etiam conspiciebatur opima
eum et longinquis spatiis utroque latere dui
lympharum ‘ductib. redundabat. et quicquid
humana indigebat fragilitas. pectore amplis-
simo retinebat. Cum aut. tali decore tantisq.

virtutib. gaudens vigore nimio exultaret, aut

[N

supbie cultu ut reor. aut nefandis peccami-
num occupata. occulto dei iudicio capta et de-

solata est. Cum enim instigatione demonu pene.

tota italia a saracenis depplata atq. destructa
esset. ingruente periculo per incuriam negli-
gentie. pdita atq. pstrata est. eo quod existimo
in honore et gaudio pacis esset. non intelligens
etnm. superni arbitris pvidentia ad tempus de-
solata atq. destructa est. ut in futuro restaure-

"tur in melius. Nam. cum meirore lacrimisq.

lugenda est. que.diu ppessa ruinis omib. q.
incolis dispsis ppriis orbata pignorib. spoliis
omib. denudata. miris scor. arcib. altisq. edibus
pstrata. temporib. multis emarcuit. Licet eni
destituta. et ad nichilum redacta his cladib.

videretur. adeo tam derelicta non est. qui eam

*

virtù sono rammentate in
versi scolpiti su tavole di
marmo.

E alcuni altri ancora
sono sepolti nell'aula del
beato Pietro Apostolo, resi
chiari da consimili carmi
e da prodigi.

In tal modo viene tro-
vato, nella chiesa dei Beati
Apostoli, l'insigne vescovo
Spes, chiuso in un ammi-
rabile sarcofago, resosi
chiaro, dopo la invenzione
del suo corpo, con varii
prodigi.

E che dirà del cenobio
del beatissimo Ponziano,
che brilla come un' arca
ripiena di un aureo cu-
mulo, per gli incompara-
bili pegni del suo sacra-
tissimo cimitero ?

Col patrocinio di tanti
Martiri, la città di Spoleto
rimaneva inespugnabile e
gloriosa.

Inoltre era ricca per-
ché da assai lungi, e da
due lati, per mezzo di due
condotti, le veniva abbon-
danza di acque.

A causa di tanta flori-
dezza, salita in superbia,
po occulto giudizio di
Dio, fu presa e devastata.

Ciò accadde mentre
tutta Italia era in potere
dei Saraceni, i quali la
saccheggiavano, riducen-
dola agli estremi. Quando
il pericolo era imminente,
Spoleto si perdé e fu pro-
strata per incuria e negli-
genza. È Ta

Stima che ciò si veri-
ficasse per decreto della
Provvidenza, affinché in
avvenire fosse restaurata
e migliorata. -:

Giacque lungamente
in rovina, ebbe dispersi
gli abitanti, fu orbata dei
propri Martiri e di ogni
dovizia. i

Abbattute le mirabili
rocche dei Santi e le alte
case, per molto tempo re-
stò disfatta.

Pareva che dovesse es-
sere ridotta al nulla da
tante sventure; ma non è
così abbandonata, ‘poiché
il Signore si era degnato DI UN SUNTO INEDITO DI STORIA SPOLETINA, ECC.

di consacrarla .con tanto
sangue e tanti corpi di
Martiri. ;

Per la intercessione di
quelli, come in parte si
vede, ritorno in grazia e
riebbe i propri, già di-
spersi, abitanti.

Non si stimi prolisso o
superfluo questo proemio
perché fu fatto per esal-
tare le virtü e i miracoli
delbeatissimo martire Gio-
vanni e per render noto
come la patria, in che egli
nacque e subi il martirio,
si perdé e risorse dalle
proprie rovine.

,
IATA eet P ERI rmm ert 9 A , Pata

E
Fs

383

tantor. martyrum cruore. eor. q. pignorib. con- ,
secrare dignatus est. Et quavis pius dus exi-
gentibus peccatis. gentili gladio archana pre-
destinatione perire permitteret. pretiosa tam
suor. martyrum corpora. clypeo sue pietatis
inviolata ptexit. Quor. intercessionibus et pa-
trociniis ut ex parte conspicitur. reconciliare
disposuit et circu quaq. dispersi in ppria redire
concessit. quia iuxta quendam sapientes melius
est iusto modicum. super plurimas superbor.'
divitias. | 2n
Hec aut. frs que plata sunt nullus plixa
atq. superfluvia éxistimet. quia ideo dignu du-
ximus huie operi iopi inserere stylo. ut bea-
tissimus martyr iohis p. quo hec comentata fut.
laudib. dignissimus extollatur eiusq. virtutes. .
et miracula. digno conamine declarentur. etiam
et patria ipsius in qua ortus et passus e qua-
liter perdita ed recuperata est omib. patefiat..

so e —— ————-

20

ber AI
389

APPUNTI STORICI

intorno ai monaci benedettini di S. Pietro in Perugia

FINO AI PRIMI DEL SECOLO XV (1):

-

i

. È noto come nel medio evo, prima che sorgessero i pub-
‘ bliei Studi, le arti e le scienze, comprese sotto il nome di
Trivio e Quatrivio, venissero insegnate nellé scuole monacali .
ed in quelle cattedrali. Non mancavano le scuole laicali, ma -
erano poco numerose ed avevano, per lo piü, minore impor-
tanza delle altre. Tutto questo stava in stretta relazione colla -
fisonomia di quei tempi, in cui i er litterati, i philosophi, i
grammatici, con i quali titoli si designavano allora i dotti, si
trovavano quasi esclusivamente nel clero.

Il prof. Scalvanti (2) ha dimostrato con documenti come
anche in Perugia, nei secoli IX, X e XI, fiorisse una schola

(1) Il materiale per questa pubblicazione é stato da me raccolto, mentre com-
pivo delle indagini nell'Archivio di detto monastero per un mio studio intorno at
medici ed alla medicina in Perugia nel medio evo e per il quale ho messo insieme
notizie abbondanti e preziose, nei brevi intervalli di tempo lasciatimi liberi dalle
ricerche di laboratorio. Ho consultato pure, con grande utilità, la storia di detta Ab-
bazia, scritta dall'Abate Don Mauro Bini, paziente ed accurato lavoró sempre inedito
con grave danno della storia di Perugia. Intanto fin da ora sento il dovere di rin-
graziare i monaci di S, Pietro per l'ospitalità offertami ed in modo particolare il
Reverendo sig. Don Mauro Pierleoni, che alla profonda cultura storica unisce una
squisita cortesia di animo. iV sut

(2) SCALVANTI, Il seminario giuridico secondo le tradizioni delle Università
medioevali, in L’opera di Baldo ecc. — Perugia, tipi dell’ Unione Cooperativa, 1901
386 e ;L. BRUNAMONTI TARULLI

cathedralis, dove oltre alle dottrine ecclesiastiche s' insegna.
vano le nozioni del diritto e le arti, fra le quali, aggiungo io
con molta probabilità, anche i primi rudimenti della medicina
teorica (1). Non possediamo però finora dati certi per stabilire
quali fossero gli insegnamenti impartiti nei monasteri, nei
tempi piü remoti della loro esistenza. Già avanti il 1266,
l'epoca più lontana a cui si possano far risalire i principî

sicuri dello Studio perugino, anche fra noi erasi manifestato,

dopo la conquista delle libertà comunali, un vivo desiderio
d'apprendere, diffusosi rapidamente in tutti gli ordini sociali,

cui tenne dietro un'ampia cultura intellettuale che andò
grado grado aumentando, producendo forti ingegni, valenti
nelle varie discipline, precursori di quei lettori famosi che
di cosi viva luce illuminarono più tardi la città nostra.
Fu un tumulto di vita quello che nel secolo XI si mosse
dalle Alpi e si rinfranse nell’Apennino, rispondendo al fremito
della giovinezza di Lombardia la vecchia Toscana, l'Umbria
ed il Piceno (2). Un codice di medicina di questo secolo, ora
nella biblioteca comunale, appartenuto una volta ad una fra-

-.: teria soppressa (non si sa a quale delle molte che erano in

Perugia), ricco di postille interlineari e di chiose marginali,
alla cui importanza accennai altrove (3), potrebbe far sup-
porre che anche nei nostri monasteri si attendesse con grande
vigoria agli studi, come avveniva in altri delle varie regioni d'I-
talia, non trascurato od escluso quello dell'arte salutare. Ma non

é dato affermarlo con sicurezza, per esser perduta la maggior
; ) : oo
parte dei documenti che erano in quegli Archivi. E certo peró
che, se non tutti, molti dei cenobi benedettini italiani e stra- .

nieri furon sempre oltre che luoghi di preghiera dei veri
centri di studio e di educazione, in cui stavano raccolti gio-

(1) TARULLI, 7 medíci ed i primordi della scuola medica perugina. Prelezione al
Corso di Chimica e Fisica Fisiologica nell’Università di Perugia. — 1905 (Di prossima
pubblicazione). à

(2) CARDUCCI, Discorsi letterari e storici, vol. I, pag. 7. — Bologna, Zanichelli*

- (3) TARULLI, loc. cit.


e ———

APPUNTI STORICI, ECC. © — ; 381

vanetti nobili e figli del popolo istruiti dai monaci, i soli
maestri di allora, che insegnavano anche nelle scuole catte-

drali, le quali molto spesso trovavano presso di loro un asilo

Sicuro ed onorevole. Soltanto verso la metà del secolo XI
queste si rendono piü indipendenti, incominciando i chierici

secolari ad insegnare da soli, senza aver più bisogno del
l’aiuto degli altri. E nei monasteri si recava a preferenza chi

per acutezza d'ingegno e per speciale inclinazione sperava

raggiungere i gradi piü elevati dellà gerarchia ecclesiastica,

rifuggendo dalla carriera delle armi, generalmente prescelta

dai cavalieri di allora come più adatta ai loro animi tem- .

,prati a fierezza. Difatti per essi non poteva esser suffi-

dere a scrivere ed a parlare correttamente il latino, la lingua .
dei dotti adoperata, oltre che per le cose di chiesa, negli atti

ciente quel poco che s'insegnava alla maggioranza del clero,

‘il quale imparava alla meglio un po’ di latino, a commentare -

la Bibbia, a spiegare il Vangelo e poche altre cose intorno ai
dogmi ed alla liturgia; nozioni proprio elementari a cui i Ve-
scovi provvedevano cogli omeliari e con altri libri consimili.
Era invece necessaria -una istruzione molto - maggiore che
non si Acquistava che nei conventi, particolarmente in quelli
più rinomati, dove si studiava bene la grammatica, per appren-

pubblici e nei commenti ai libri di scuola; la rettorica, che
permetteva di conoscere i libri dei poeti e dei prosatori del-

l’antichità classica greca e romana, elemento indispensabile

e fondamento della cultura letteraria; le leggi civili e cano-

. niche, necessarie per esercitare qualsiasi pubblico ufficio; la

teologia, la quale trovava nei monaci gli interpreti piü va-

lenti ed autorevoli. Quest'ultimo insegnamento dava poi oc-

casione a coltivare la dialettica, la parte della filosofia tenuta
in grandissimo onore presso tutti; la storia, la geografia,
l’arte del computo e quella del canto ecclesiastico, che si
imparava nelle scholae cantorum, presso tutti i monasteri e

presso le chiese cattedrali. Né mancavano quelli che predi-

ligevano questi luoghi lontani dai rumori delle. guerre con-
388. p L. BRUNAMONTI TARULLI

‘ tinue, delle gare e degli odi cittadini, spinti soltanto dal
desiderio di ricercare il nuovo, lo, straordinario, il misterioso,
problemi che in tutti i tempi hanno affaticato le menti piü
sublimi, più che dal vivo sentimento religioso, che verso la
metà del secolo X aveva commosso profondamente gli animi
di tutti e popolati numerosi eremi. Per costoro, che studia-
vano con lo stesso entusiasmo posto nelie scienze sacre le

matematiche, l'astronomia, l'astrologia, la fisica, la medicina, :

. e che per la novità delle ricerche a cui si davano erano con-
siderati dal volgo come dei veri negromanti, aventi misteriose
relazioni con gli spiriti infernali, non faceva difetto il mate-

riale di studio. Questo era rappresentato dalle famose enci- .

clopedie chiamate breviari, compendi ecc., una raccolta delle
nozioni più varie ed estese intorno alle singole discipline, e
da libri speciali riuniti nelle biblioteche monacali, alla cui
conservazione ed incremento attendevano con amoroso zelo
gli Abati ed i monaci, che si assoggettavano a lunghi e fa-
ticosi viaggi per arricchirle di codici, il vero tesoro del mo-
nastero, il quale godeva piü o meno fama a seconda del
maggiore o minor numero di libri che possedeva. Di questi
uomini avidi di sapere troviamo uno splendido esempio in
Guiberto Arcivescovo di Ravenna, poi Papa col nome di Sil-
vestro II dal 999 al 1003. Questi prima fu monaco e come
tale precettore ed amico di Ottone III giovane di animo no-
bile, d'ingegno vivace, pieno di entusiasmi per le bellezze
greche e romane. Guiberto brillò di luce vivissima in mezzo
alla decadenza intellettuale e morale dell'età sua, abbrac-
ciando col suo ingegno -multiforme tutto lo scibile dei suoi
tempi. E mentre come Capo della Chiesa dava principio alla
‘riforma, proseguita poi con maggior fortuna dai suoi succes-
sori, come uomo dottissimo fu il precursore di quel risveglio
nelle lettere e nelle scienze, che, iniziatosi nel secolo XI, rag-
giunse il suo massimo sviluppo nei secoli posteriori, quando que-
ste non più nascoste all'ombra dei chiostri, dove in tempi pe-
rigliosi avevano trovato nutrimento e vita, ma venute alla luce
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i i | APPUNTI STORICI, ECC. 389
del sole poterono liberamente coltivarsi ed esercitare una be- i
| nefica influenza sulle condizioni della vita pubblica e privata.
l . à
P Nell’ Umbria, prima che S. Francesco d'Assisi riempisse

le nostre contrade dei suoi. mistici entusiasmi, popolandole
di ferventi seguaci, numerosi erano i monasteri benedettini,
dove stavano raccolte le' menti più elette e le anime più
semplici, le quali trovavano un grande conforto nella vita di
solitudine della bellezza suggestiva dei luoghi prescelti per
loro dimora. E nel perugino ve ne erano molti chiamati cenobi,
celle, eremi (alcuni anche dipendenti da qualche monastero
salito già a grande fama e posto in altro territorio) (1) fino
à trovarne uno quasi alle porte di Perugia nel borgo di S.
Pietro, ed un altro nella città. nel monte di porta Sole (2),

,

(1) Al monastero di Val di Castro presso Fabriano furono circa il 1120 aggregati
otto monasteri della città e territorio di Perugia, cioé S. Maria del Verzaro, S. Do-
Y nato e S. Agnese (piuttosto chiese e cure che monasteri), e nel territorio S. Maria
della Fratta, S. Pietro in Colle; la SS. Trinità di Montemalbe, S. Pietro. di Val ‘di
Ponte e S. Fortunato presso il Tevere. (V. Mariotti, Memorie storiche ecclesiastiche |
perugine raccolte e scritte da me Annibale Mariotti. Manoscritto in Biblioteca co-
munale). , : AA ITE :
(2) Parlando dei numerosi monasteri che la tradizione vuole fondati cirea il
1007 da S. Romualdo gli annalisti camaldolesi riferiscono che ve ne era uno nella
stessa città di Perugia chiamato di S. Severo, dipendente dal monastero di S. Apol-
linare in Classe di Ravenna, come risultava da una donazione fatta da Gualtiero
Arcivescovo di questa città all’ Eremo di Camaldoli nel 1138, e da un privilegio
emesso da Corrado imperatore del 1037 (V. Av al camaldolesi, vol. I, pag. 287). Il
Mariotti (loc. cit.) ritiene che Andrea vescovo di Perugia accogliesse nella sua città ‘
il grande riformatore, e che il B. Manno o Marino perugino fondasse il detto mona-
stero di S. Severo nel monte di porta Sole. Però lo stesso Mariotti, accennando ad
alcune chiese che Gualtiero arcivescovo di Ravenna aveva in Perugia commesse
poi alle cure di Azo generale camaldolese, dice che ‘frà queste eravi la chiesa di
S. Severo « demolita per la fabbrica dei priori e trasferita in S. Agata finché si fab-
| bricò il nuovo monastero di S. Severo in Porta Sole ». Questa notizia potrebbe far
| credere che.la chiesa di S. Severo de Platea avesse appartenuto ai camaldolesi. Ma
ciò non risulta esatto. Trascrivo dai detti annali camaldolesi ciò che riguarda
questa questione: « In comitatu perusino cellas quinque, quarum una est fundata
in eadem civitate cuius vocabulum est sancti Severi... Cellae nomine veniebant parva
\ monasteria in quibus vel unus residebat monachus vel pauci. Perdurat adhuc (cioà nel
117155) à. congregatione nostra monasterium perusinum S. Severi, quod üistinquendum |
est ab ecclesia S. Severi, cuius medietatem Rodulphus episcopus perusinae ecclesiae con-
firmat canonicae S. Laurentii, ac Iohanni archipresbytero et successoribus etus
anno 1128 mense septembri indictione sexta,et Iohannes pariter Perusinus episcopus

ì

Aha
orem ac Imm tm een — —

390 CRA L. BRUNAMONTI 'TARULLI

uno dei luoghi più belli di essa, da cui l'occhio può spaziare
ampiamente e rallegrarsi nella contemplazione di una cam-
pagna ridente, varia di colline e pianure verdeggianti. Più
tardi il loro numero erebbe, sia perchè alcuni monaci, ces-
sati i primi entusiasmi e stanchi della solitudine, o non più
sicuri come prima, abbandonati i luoghi montuosi e le cam-

© .pagne silvestri, avevano preso dimora nella città, accolti li-
beralmente dal magistrato cittadino ; sia perchè erano sorti
nuovi ordini religiosi come quelli di S. Francesco e di S. Do--
menico. Pensare che in tutti questi cenobi s'attendesse molto
allo studio, in particolar modo di cose non attinenti a materie
ecclesiastiche, è non conoscere la storia dei religiosi di quei
tempi, dei quali alcuni, specialmente quelli che vivevano
‘in luoghi solitari, si davano ad aspri esercizi di penitenza,
- alternati con lunghe salmodie che si ripetevano nelle varie
ore del giorno e della’ notte. In altri monasteri però dove
essi erano in gran numero raccolti in locali grandi e comodi, la
loro vita fu senza dubbio ben diversa, divisa fra la recita delle
ore canoniche, lo studio, il lavoro manuale e l'assistenza ai

. «pellegrini ed ai poveri. Quivi nell'inverno e nella quaresima
si studiava lungamente ed a ciascun monaco veniva asse-
gnato un codice estratto dalla biblioteca che si sceglieva

. urta uniuscuiusque exigentiam (1), rimanendo incaricati alcuni
fra i più provetti (2) ad invigilare che nessuno fosse negligente

|

‘Bertraimo archipresbytero cum medietate turris, anno 1146 mense noveinbri tndt-
ctione nona, et similiter Fridericus imperator anno 1163... Alexander IIl... 1169... et
Clemens III... 1189 canonicis confirmant, ut habetur in volumine viridi canonicorum
cathedralis eiusdem ecclesiae S. Laurentii de Perusia. Haec enim appellubatur ecclesia
S. Severi de platea Perusti et conferebatur ab archipresbytero canonicorwin ; da
vero primum sub monasterio Classis longo tempore, postea, sub alio nostro S. Io
hannis evangelistae de Burgo S. Sepulcri. perseveravit, et demum sui (rts. facta
— fuit... », pag. 59, Vol. II. :

(1) MABILLON, Tractatus de stitdiis inonasticis, pag. 19. — Venezia, 1770.

(2) « Ante: omnta sane deputentur unus aut duo seniores, qui circumeunt inognae
terium horis qui vacant fratres lectioni et videant ne forte inventatur frater «c-
cediosus, qui vacet otio, aut fabulis et non sit intentus lectioni... Dominico die le-

i ctiont vacent ». V. Regula S. Benedicti, cap. 48. step vor tereti ort Terr MADEIRA AA DT prat;
M NOTET TAA Ire 1b o UN pU I wn DM PPYT
) "voL? t Ya BU,
ns

APPUNTI STORICI, ECC. 2891-7

nello.studio e nella preghiera; mentre nella stagione pro-
; | pizia s'attendeva da tutti indistintamente e con pari alacrità
È «ai lavori campestri, mostrandosi l'Abate sempre il primo nel-
Fosservanza di quanto prescriveva la regola.
Da una organizzazione cosi sapiente s'ebbero sempre e
da per tutto benefici notevoli. E noi avemmo, cosi vuole la
tradizione, mercé l'opera dei benedettini di S. Pietro di Pe-
rugia e di S. Pietro d' Assisi, sistemata, come oggi si vede,
lampia vallata del Tevere, alla cui impresa difficile e peri:
colosa concorsero in gran numero; e del loro sapere ci ser-
vimmo non solo per il disbrigo degli affari del Comune e .
dei privati; ma anche per erigere costruzioni di pubblica
utilità e di ornamento cittadino, nelle quali il monaco ar
chitetto, che aveva dato prova della sua perizia nell'innal-
“zare con libertà d'inspirazione, mà con armonia di linee la
sua chiesa, il suo campanile, poneva tutta l'anima d'artista.
La storia specialmente di alcuni dei nostri monasteri trovasi
adunque' in stretta relazione con quella della città nostra
ed in genere dei luoghi dove essi erano sorti; ed ogni con
tributo anche modesto che si porti ad essa, potrà riuscire
utile alla conoscenza delle cose paesane. Non sarà pertanto
del tutto inutile questo lavoro, col quale si è tentato di
riunire quello che é stato possibile intorno alla cultura dei
Ec monaci del nostro S. Pietro, uno dei monasteri piü antichi
| 2 0.» dell Umbria, il più antico di quelli della Città, e del quale
| 7. ‘tutti i ricordi non sono andati perduti, come è accaduto
disgraziatamente di altri. Le presenti indagini non si esten
dono però oltre i primi anni del secolo XV, poichè dopo
«questo tempo il monastero, perduta la sua autonomia, perde
: anche molto della sua importanza locale, non venendo più
CER ‘governato da Abati scelti o fra i monaci dello stesso con-
vento o fra le persone più rispettate appartenenti alla no-
biltà di Perugia. Fu Eugenio IV che nel 1436, nominó una
| commissione d'inchiesta in seguito a varie accuse rivolte
al Abate Oddo Graziani ed ai suoi religiosi; quello incolpato
—— M n EIE m MR tm re 9 —— ———À rogum

ertet mt IT arme pene TA erbe qe omnet ep tpe tr ETA ITA TI e me Ww Dn SS pn eomm nnm o formen ur enar v "TEMPS mte Qnm gemein
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ABE SN . Y : YA ^ Seo S AEN foy FEES "n EP "eA ue MP UV VT LARA

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392 PORT L. BRUNAMONTI TARULLI

di cattiva amministrazione (1) questi di poca osservanza
alla regola monastica. Risultati i fatti veri, il Papa sospese i
l'Abate (2), unendo S. Pietro alla congregazione cosi detta
dell'osservanza di S. Giustina di Padova, che prese poi il nome
di cassinese, la quale vi mandó subito un Priore, poi Abati
provenienti da altre congregazioni, con cui s'era unita in.
federazione. A nulla valsero le premure del magistrato, va-
lido sostenitore dei diritti e dei privilegi dei cittadini, fra
cui annoverava quelli che erano nei numerosi conventi della
.città e del contado e sopra i quali ‘esercitava una specie di alto
patronato. Eugenio tenne fermo e le riforme volute, già intro-
dotte in altri cenobi benedettini, furono portate anche fra noi.

Non è possibile stabilire l'epoca esatta in cui si dette
principio alla costruzione di questo monastero da Pietro
Vincioli nobile perugino (3). Questi visse verso la metà del
secolo X, quando il monachismo trionfava da per tutto; ed
alcuni ritengono.che prima di stabilirsi. fra noi fosse. stato
il monaco in qualche cenobio delle vicinanze, in cui la riforma e
| cluniacense, diffusa in quasi tutti i monasteri di Francia e
T. d'Italia per opera dell'Abate Oddone e dei suoi prosecutori,
era già stata introdotta. Quello che si può affermare con cer-
tezza si è che le sue origini furono assai modeste. Gli avanzi
| dellantica Chiesa Cattedrale, allora chiamata più comune-
^n mente Pieve o Chiesa maggiore, a cui era annessa una piccola
canonica o convento, dove il Vescovo risiedeva con alcuni preti,

(1) Cronaca detta del Graziani in Archivio Sto) ico italiano, tomo XVI, pag. 406.
— Firenze, 1850. :
(2 V. Bolla di Eugenio IV in data 19 maggio 1436. Con questa Bolla si toglie al
Graziani ogni giurisdizione sulla Badia e si stabilisce che S. Pietro sia retto mo-
mentaneamente da un Priore fino alla nomina del nuovo Abate. Al Graziani viene
fissata una pensione di 300 fiorini d' oro per sé e per i suoi famigliari, colla condi-
il zione che acconsenta all'unione dei monastero alla. detta congregazione e non di- !
| sturbi il nuovo Priore ed i monaci, pena l'espulsione. À
(3) Bist, Memorie storiche del monastero.di S. Pietro di Perugia dell'ordine di
S. Benedetto rcccolte e redatte da un monaco di esso nel 1848. Manoscritto inedito
presso l'Archivio di S. Pietro. iy.
, APPUNTI STORICI, ECC. | 393:

.vivendo tutti sotto una stessa regola, furono la prima di-
mora del santo monaco (1). Questi però non soddisfatto del
luogo avuto in dono con pochi terreni adiacenti dal Vescovo
Onesto, forse nel 964 o 65, convinto che altri della sua città
si sarebbero a lui uniti, e spinto dal desiderio allora vivo e
. comune d'innalzare nuove chiese ricche di marmi e più son-
tuose delle già esistenti che si abbandonavano, poco lontano,
anzi addossato quasi al vecchio tempio, ne eresse un altro
.più ampio, dedicato, come l'antico, al principe degli Apostoli,
. decorato di colonne di bardiglio e di granito orientale, ap-
partenute ad un edificio pagano, donate a lui dagli stessi suoi
concittadini, che lo circondavano di stima ed affetto; co-
struendo poi ai fianchi della novella chiesa alcune celle per
sé e per i suoi monaci. Pietro fu subito eletto Abate di que-
sta nuova congregazione, che adottò la regola di S. Benedetto
e per la quale egli scrisse le costituzioni (2). Di queste norme
a cui ubbidirono i religiosi nulla si può dire che sia rimasto,
chiudendosi col 1245 il periodo più oscuro della vita interna
della nostra Abbazia. Possediamo invece per questo intervallo
di tempo diplomi, privilegi rilasciati dai Re, dagli Impera-
tori, dai Pontefici relativi ai possessi del monastero e che
attestano la potenza ed anche la ricchezza a cui questo era

-

(1) Il prof. AnAMo Rossi in un fascicoletto dal titolo Saggio di svarioni seminati

nell? opuscolo del can. Luigi Rotelli sul Domo di Perugia (Perugia, 1801; V. Miscel
lanea Fabretti, N. 125) scritto in confutazione dell’ altro pubblicato dal can. LUIGI
RorELLI, JL Duomo di Perugia (Perugia. 1864) riferisce un brano della vita di S. Pietro
- Vincioli scritta dai Bollandisti, in cui si dice che al tempo di detto Abate la chiesa
dedicata al Principe. degli Apostoli e donata dal vescovo Onesto giaceva in rovina
du inolto tempo. Intorno al trasferimento della chiesa cattedrale da San Pietro, pri-
ma alla chiesa di S. Stefano e poi a S. Lorenzo e sull'importanza che aveva la di-
mora del Vescovo ne.le prime età del medioevo p.rlo con qualche dettaglio nel-

l'appendice del detto mio lav. ro 7 medici ecc., nel capitolo Le cattedrali e gli studi -

nelle prime età del medioevo.

(2) Si chiamavano queste col nom: di Consuetidines, ed ogni monastero, al-
meno quelli di maggior “importanza, aveva le proprie. Servivano a vivificare la
lettera morta della regola e da esse possiamo apprendere « come si presentasse di-
sciplinata nei vari luoghi e nei diversi tempi la vita privata e pubblica dei monaci
e come si osservassero o modificassero le prescrizioni regolari circa il vestimento,

il vitto, il silenzio, l'ospitalità. il lavoro manuale e intellettua!e e l' ufticio divino ». |
" mu M —

394 . L. BRUNAMONTI TARULLI

giunto in poco più di due secoli; ed anche qualche altro docu-
mento da cui è possibile ricavare degli indizi intorno alla dot-

trina ed alla fama che riscuoteva qualche Abate, che ebbe.
a governarlo. Pochissimo senza dubbio per formarsi un' idea.

di quello che sapevano allora i benedettini di 5. Pietro, che
nel proprio seno eleggevano il capo della comunità, il quale
secondo la regola doveva emergere fra tutti per virtù e per
sapere; ma pure è qualche cosa in tanta scarsezza di notizie
storiche.

Il pensiero che domina subito nelliatiio dei monaci, ap-.

pena riuniti sotto il governo dell'Abate, e che rimane costan-
temente immutato nel volgersi dei secoli è quello della pro-
pria autonomia, volendo sempre rimanere indipendenti da
tutti, ma pàù specialmente dal Vescovo di Perugia. Fu lo
stesso fondatore che ordinò che così si vivesse fin da prin-
cipio, avendo ottenuto pochi anni dopo la cessione. della di-
ruta chiesa, cioè nel 967, da Papa Giovanni XIII (1) un
privilegio con cui la nuova Badia veniva francata dalla giuri-
sdizione episcopale e sottoposta all’autorità soltanto del Ponte-

fice romano; e stabilendo che allo stesso modo si continuasse -

anche per l'avvenire. Il Vincioli era nato e cresciuto nei

tempi memorandi delle lotte per la libertà, e come prezioso.

retaggio aveva lasciato ai suoi monaci l'amore per lei, più
cara della vita stessa. E interessante però il rilevare che,

(1) Nel concilio romano allora tenuto da questo pontefice, Pietro Vincioli fu
scelto Abate del nuovo monastero, che venne sottoposto alla dipendenza immediata
.della S. Sede, Fu lo stesso vescovo Onesto che aiutò il nobile perugino a condurre
a termine la difficile impresa, favorendolo colla sua protezione e consacrando la
Chiesa nel 969. Nel 978 Benedetto VII con una sua Bolla confermò i diritti ed i beni
della nuova congregazione. In essa si legge: « Ed ideo quia tua religiositas Nostro
Apostolatui humiliter postulavit quatinus concederemus et confirmaremus tibi pre-
dictum monasterium Sancti Petri principis Apostolorum cum omnibus domibus et
cellis atque hedificiis et ortuis suis una cum fundis et casalibus suis vineis quoque
et terris campls pratis pascuts et silvis nec non et Ecclesiam, S«ncte Lucte et Eccle-
stam Sancte Marte cum omnibus eorum pertinentiis mobilibus vel immobilibus om-
nibusque ad predictum monasterium pertinentibus... ». (V. Manoscritto intorno alle

Vite dei primi Abati di S. Pietro del P. Galassi). Ecco quali erano i dieu del no- :

stro S. Pietro, vivente il suo fondatore. e id APPUNTI STORICI, ECC. 995

all'infuori di numerose cautele di cui questi si circondano
per non cadere sotto il governo di qualcuno, al punto da
muoversi, agitarsi, combattere fieramente in difesa dei propri
privilegi (1), dei quali chieggono in opportune occasioni con

‘amorosa premura la conferma dai Papi e dagli Imperatori,

-i supremi poteri di allora, nulla si trovi che dimostri un di-

saccordo ‘profondo, permanente fra gli Abati di S. Pietro ed
i Vescovi di Perugia. Sono degli sforzi, dei tentativi com-

piuti ogni tanto da parte di questi ultimi, intenti ad estendere

la loro giurisdizione sopra i nuovi monasteri che sorgevano,

ma niente di più; tentativi che s'infrangevano avanti la
‘tenace resistenza dei primi. Ciò potrà sembrare assai strano

ed in opposizione con quanto accadeva nella maggior parte
dei luoghi, combattendosi fra gli Abati signori feudali, ric-

(1) In un sinodo del 1002 che ebbe luogo nel palazzo lateranense sotto Silve-
stro II il Vescovo Conone, successo ad Onesto, fu citato a giustificarsi delle violenze
usate contro l'Abate, al quale voleva ritogliere l'antica chiesa cattedrale ed i beni
donati. Pietro Scrinario riferisce intorno alla questione e rivolto al Papa dice: Hic. Ab-
bas tuus de Perusio queritur adversus Cunonem Perusinum Episcopum, il quale per
mezzo di satelliti armati aveva assalito il monastero, cercando di discacciare l'Abate

—con i suoi monaci, che ebbero appena tempo di rifugiarsi nella chiesa, circondan-
done l’altare, sperando così di esser salvi nella vita. Il Vescovo si difende con ener-.

gia e dice i fatti essere avvenuti neque mea partecipatione neque mea voluntate.
Ma sembra che ciò non bastasse, rivolgendosi poi al Papa ed invocando la miseri-

‘cordia di lui omnium Pontificum pater e quella totivs conventus presentis, accioché

non: gli si rechi nessun pregiudizio nei suoi diritti; ricordando che nell'aftidargli la
Chiesa perugina il Pontefice lo aveva obbligato a giurare che ne avrebbe tutelate
ad ogni costo e con ogni mezzo le ragioni. Monasterium illud (così continua Conone)
quod iste Abbas tenet ad meum Episcopatum proprie pertinet et nulli alteri iuri
subiacebit. Il Papa però risponde: Ego illud Monasterium Ecclesie tue neque subtraxi,
neque subducere feci. Sub iure et dominio Ecclesie nostre illud. inveni et ita posses-
sum usque nunc tenui, ordinando in pari tempo che fossero a lui presentati i privi-
legi ‘ottenuti dal Vincioli. Essendo stati prodotti, e trovandosi quindi il Vescovo a
mal partito, questi replica che erano stati dati sine consensu antecessoris mei. An-
Che ciò fu provato non vero dall'Abate, il quale dimostrò invece che erano stati
largiti consensiente il Vescovo Onesto. Non avendo più Conone altre ragioni da ad-

,durre finalmente si dié per vinto e la controversia fra i due personaggi fu chiusa
avanti il Pontefice, dandosi l'Abate ed il Vescovo il bacio di pace. Dopo ciò, il Papa

con i suoi giudici decretò che chiunque dei Vescovi della Chiesa perugina avesse
osato hanc definitam litem removere contra hwnc Abbatem vel suos successores do-
vesse pagare 10 libre di purissimo oro palutio lateranensi (V. Codex diplomaticus
perusinus del detto P. Galassi esistente nell'Archivio di S. Pietro).

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396 L. BRUNAMONTI TARULLI

chi, nemici di ogni libertà ed i Vescovi, protettori naturali
delle nascenti repubbliche contro la sfrenata ambizione dei
potenti, una lotta aspra e continua, che aveva per oggetto
di demolire la cresciuta potenza feudale a vantaggio del li-
bero Comune. La spiegazione di ciò però non è difficile, se
si pensi che il Vescovo non ebbe mai in Perugia alcun pre-
dominio negli affari della città (1) mentre invece i Priori di
questa esercitarono spesso su di esso ampio potere ed au-
torità giurisdizionale; né gli Abati di S. Pietro furono mai, o
se mai solo per poco, dei veri signori Zn spiritualibus et tempo-
ralibus. Che anzi furono sempre molti quelli che spontanea-
mente si recavano ad offrire territori estesi, castella, chiese

.al monastero, il quale dopo averne preso possesso per mezzo

dei suoi rappresentanti, li restituiva agli stessi donanti che
continuavano a goderli, mediante il ‘pagamento di lievi tri-
buti; ponendosi così in rilievo non solo la grande potenza a
cui eran saliti gli Abati, per la quale chi si poneva sotto la
loro protezione si trovava al sicuro da gravi imposizioni, ma
anche l’ animo mite e benefico dei medesimi verso i propri
dipendenti. i

Dai rapporti di buona amicizia, solo qualche volta e per

breve tempo interrotti, fra il Vescovo e l'Abate di S. Pietro
è lecito dedurre, con piena verosimiglianza, che coloro che.

abbracciavano lo stato monacale, almeno nei primi anni della
fondazione dell'Abbazia, avessero comuni con i chierici seco-
lari le scuole, nelle quali il Vescovo stesso insegnava coi preti
più dotti, come allora si usava (2). Ritenere che il monastero

(1) SCALVANTI, Considerazioni sul primo libro degli statuti perugini — Pe-
rugia, 1895. :

(2) Questa ipotesi, che cioé i religiosi di S. Pietro per qualche po' di tempo po-
tessero andare alle scuole dei chierici secolari, sembrerebbe non accordarsi con
quanto si è detto in antec«denza intorno al dominio quasi assoluto dei monaci nel-
l'istruzione del clero. Però notisi che questo accadeva soltanto nei primi secoli del
medio evo, in cui mancava qualsiasi disciplina fra i chierici secolari, mentre questa
esisteva nei monasteri, dai quali anzi i Papi traevano quasi sempre i Vescovi. Più
tardi, migliorate le sorti del clero, i*chierici ebbero le loro scuole, avvenendo ciò APPUNTI STORICI, ECC. TS 391

appena sorto fosse stato provvisto di scuole interne non mi
sembra verosimile, mentre è certo almeno per il secolo IX e
forse anche per epoche anteriori, che nel luogo dove sorgeva
la nostra Chiesa Cattedrale esistevà « una modesta ma pur
sufficiente biblioteca di uno Studio, ove alle dottrine sacre
dovettero accoppiarsi quelle di diritto » (1). Trascorse certa-
mente del tempo, perché i piü intelligenti fra i monaci com-
pissero la loro educazione scientifica; ed apertesi le scuole
entro le mura del chiostro, fra i maestri prescelti dalla so-
lerzia dell' Abate furono compresi certamente quelli che prima

‘di entrarvi avevano, fuori di esso, coltivato con onore qual-

che scienza od arte. Ma quando ció sia avvenuto, come pure
se presto dei monaci fosser saliti in qualche fama, non é

facile stabilirlo. E probabile che cresciuti in numero e ad-

divenuti ricchi studiassero anche di più, fornerido la loro bi-
blioteca di numerosi volumi, che allora costavano moltissimo;
trascrivessero codici, come era costume di tutti i monaci, e
coltivassero oltre le discipline ecclesiastiche anche le legali,
costretti come erano a tutelare i propri diritti e quelli dei loro
sottoposti. Ed anche lo studio della medicina non dovette essere
trascurato, poichè sebbene verso la fine del secolo X, questa si
riscontri coltivata prevalentemente dai laici, mentre in antece-
denza lo era solo dai monaci e dai chierici, pure essa rimase an-
cora per lungo tempo nei monasteri, se non altro come un in-
sieme di nozioni pratiche. Queste si apprendevano in qualche

breve compendio, come quello di cui si è fatto parola, ed aù-.

che in qualche formulario o ricettario, di cui era ricchissima la
letteratura medica, assai utili per l'assistenza dei malati negli

come si é detto, circa la fine del secolo decimo e sul principio del XI. « Monaci tez-
tum tune scientiarum professores erant, ac Magistri in nostris Coenobiis; quinim-
mo ex ipsis quam plures Cathedrales Ecclesiae Doctores pro se emendicabunt. Circa
finem decimi et sub inttütm undecimi scecuti. Clerici seeculares in scholis edocere ce-
perunt » (V. MABILLON, loc. cit.). E S. Pietro Vincioli fondo il suo monastero pro-
prio in quest'epoca. Y

(1) SCALVANTI, Il Seminario giuridico ece.. pag. 474.

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398 Sim L. BRUNAMONTI TARULLI

ospizi, ospedali, xenodochi, spesso uniti agli stessi cenobi, ov- -
vero situati poco lontani, lungo le vie piü frequentate, dove
eli ospitalarii prestavano l'opera loro confortatrice ed utile
per quelli, ed erano moltissimi, che intraprendevano lunghi
e faticosi viaggi a scopi religiosi, sorretti niente altro che da

una fede ardente, che vivificava gli animi loro (1). Ma quando
si volesse tentare di fissare un'epoca, solo molto approssima-
tiva, si potrebbe ammettere che sotto Bonizone i monaci at-
tendessero più assiduamente che per il passato agli studi,
poiché nonsi puó ritenere che quest' Abate, piü degli altri be- 2
nemerito del suo monastero per averne procurato ed aumen-

(1) Le notizie più antiche d'un ospizio chiamato Hospitalis alle dipendenze di
S. Pietro si tolgono da una Bolla di Eugenio III del 1145, con la quale si definisce
HI una controversia fra i canonici del S. Sepolcro ed i monaci sulla proprietà e sul
EN wg {| possesso del medesimo. Quest'ultimi erano riusciti ad avere confermati i loro diritti .
S A E: | pnus mediante una Bolla di Lucio II (creato Papa nel 1144), emessa occasione quarundum
i Legs | litterarum beate Memorie Pape Calisti (Calisto II eletto nel 1119). Eugenio III invece
PE H non fu dell'avviso di papa Lucio e si dichiarò favorevole ai canonici. Anche i nostri
; ll . religiosi-di S. Pietro ebbero dunque un luogo adatto, non troppo lontano dal mona-
Ta ! stero, lungo una delle strade più frequentate (annesso all'attuale Chiesa di S. Croce, 5 INC
HEN EI | : anche ora appartenente ai Cavalieri di Malta) ove aecoglievano i pellegrini, curando 2
scu coloro che vi cadevano malati; senza che venissero esclusi quelli del contado e '
24 della città che infermi vi si recavano per essere assistiti. E fu scelto questo posto,
| perché il monastero nei primi anni dalla sua erezione si trovava, si può dire, fuor .
| Y di mano, circondato da campi e da poche case, essendo rimasto così finché il borgo
| non andò man mano popolandosi. Dove venisse trasportato l'ospedale, dopo la sen-
| tenza emessa da Eugenio, non sapremmo dirlo con precisione. Tutto fa ritenere che
a questo scopo venisse destinato un locale nello stesso convento. Negli statuti della
188; riforma del 1235 troviamo ricordati i doveri dell’ ospitalità. Item, così ordinarono i
ae ; | due inquisitori, ut super omnia et ante omnia iuxta Regulam a Cellerarto necessaria
: ministrentur Infirmis domus vero specialis et infirmarius diligens et timens Deum
ad eorum. servitia deputetur; ed in altro punto, sempre delle stesse riforme, si
torna a raccomandare validamente la stessa cosa. Ma niente di piü. Certo che
quando l'esercizio della medicina fu dominio esclusivo dei laici l'opera dei monaci
si ridusse a ben poca cosa, cioé alla sola custodia degli infermi. Per il 1193 ho trovato,
come testimonio in un atto, un tal Nicolaus medicus Sancti Petri, che certo non era
monaco. In una bolla di Gregorio IX (20 Sett. 1231). fra le possidenze del monastero
è registrato sempre quest' ospedale, colla clausola « Salvo ture domtnict Sepulcri ».
Ed i nostri monaci, come premio per l'assistenza che prestavano, riscuotevano
dei compensi: Decime autem eiusdem monasterit in susceptione hospitum et pere :
grinorum ad portam ipsius monasterii conferantur. Di questo ospedale e di altri ‘
esistenti in Perugia nei secoli XII e XIII parlo con piü dettaglio nel predetto mio
lavoro. j
Ay bn tuor

Dur xo 9 1%

APPUNTI STORICI. ECC. 399

tato la floridezza, avesse poi trascurato di badare all'istruzione
dei suoi sottomessi, quando la regola gliene faceva un obbligo
formale. Bella è la figura di Bonizone, il quale resse l'Abbazià
dal 1037 al 1060, spendendo tutta la sua vita a vantaggio di
essa. Difatti noi lo troviamo nel 1037 avanti al Concilio romano

a difendere con documenti e con prove testimoniali i diritti

del convento, contro le pretese di Andrea Vescovo di Perugia,
senza l aiuto di nessun procuratore od avvocato (ogni mo-
nastero in genere n’ era provvisto) (1); il che addimostra il
suo valore personale, la conoscenza delle leggi e la sua
grande energia. Nel 1045 ottiene una Bolla da Gregorio-VI,
che lo chiama col titolo assai onorifico di Abáte coangelico

(1) Fin da epoche assai lontane i Vescovi e gli Abati avevano ai loro servizi
uomini valenti nelle leggi, designati col: ome di avvocati, che avevano per compito
di dif-ndere il cliente nei giudizi «ivili, prestare per esso giuramento, produrre te-
stimoni a difesa e sostenere al.’ occorrenza anche duelli. Facevano parte inte-
grale della corte vescovile ed abbaziale, godendo lauti benefici che passavano da

padre in figlio, trasmettendosi nella stessa famiglia anche l'ufficio. Da una lite^sorta -
fra i monasteri di S. Pietro di Perugia,-di S. Salvatore di -.Monteacuto, di S. Maria...

jin Val di Ponte ed il Vescovo della nostra città Andrea, sempre per i soliti diritti

che questi credeva di avere sopra di quelli, e definita nel sinodo tenuto in Roma

nel 1037, apprendiamo che il monastero di S. Pietro aveva in Curia una specie di
protettore. Petrus (così leggasi in un frammento di detto sinodo, la cui copia tro-
vasi nel nostro Archivio) Episcopus Sancte Rufine Ecclesie patronus eiusdem Mo-
nasterii... cioè di S. Pietro. Il Patrono non era però l'Avvocato e di questo presso
i nostri monaci non mi é capitato di aver notizie se non nel 1339, cioé ai tempi del-
l'Abate Ugolino Vibi (V. Appendice docum. XLII). Ciò però non esclude che non
ve ne sieno stati anche in epoche anteriori. Soltanto per citare qualche nome e
fissare qualche dato intorno a costoro, ricorderò che Ingoaldo Abate di Farfa nel-
l'821 si presentò avanti il Conte Aldramo, Adelardo e Leone messi imperiali, cum
Adulfo advocato monasteri cius S. Marie; che Giorgio Vescovo di Assisi nel 1018 si
serviva di un tal Petrus adbocato suo, e Guglielmo Vescoyo della stessa città nel-
l'anno successivo, di un tal Giovanni adbocato de donnum Episcopo Guillielmo; che
Andrea Vescovo di Perugia, di cui si è fatto parola, aveva un certo Burello, della
cui opera si giovò nel 1038 in una questione sorta. fra-lui e Bovo arciprete di S. Lo-
renzo, discussa poi avanti il Conte Adalberto messo imperiale, che aveva piantato
le sue tende facendam justitiam. custodiendam legem prope Civitatem ... erga Ec-
clesia vocabulo Sancti Stefani. Notisi questo particolare, di essere cioè stato scelto
per la solenne adunanza, alla quale intervennero moltissimi cittadini, fra cui Bonatto
Pro consul Civitatis, un iuogo vicino a detta chiesa. Ciò fa pensare che S. Stefano,
abbandonato che fu S. Pietro, fosse la nuova chiesa cattedrale o chiesa. maggiore
o pieve, riunendosi, come era costume del tempo, entro le mura di questa o nelle
sue vicinanze i nostri maggiori, quando trattavano affari di pubblico interesse..

27

AITINA PITTI METTI ARIA mi TEA AIA TEA TION DÌ OT git rnm. 2 PERITO
oret

400 ra L. BRUNAMONTI TARULLI

(anche altri fanno lo stesso), titolo dato ai personaggi più illu-
stri in quei tempi, nella quale sono confermati i numerosi pri-
‘ vilegi posseduti ab antiquo ed indicati i nuovi (1). Piü tardi da
Leone IX (an. 1052) conseguisce l'altro privilegio che i chierici
di S. Pietro potessero esser ordinati da qualsiasi Vescovo, con-
cessione confermata da Stefano IX nel 1057 (2). Quest' ultimo
- particolare riesce per noi di speciale interesse, poiché ci fa pen-
sare oltre che ad una assoluta indipendenza dei monaci dal Ve-
scovo di Perugia nelle cose spirituali, anche all'esistenza nel
monastero d'un corso regolare di studi ecclesiastici, dei quali i
.due Pontefici dovevano trovarsi soddisfatti, venendo i prescelti
agli ordini sacri esonerati dal dimostrare la loro istruzione al
‘Vescovo che li ordinava, sulla semplice attestazione dell'Abate
che li dichiarava idonei. E colla stessa Bolla del 10097 dal mede-
simo Papa Stefano IX benedettino, sinceramente affezionato ai
suoi confratelli, riesce ad avere l'esenzione di pagare il fodo-
rum, imposizione gravosissima che si doveva all'Imperatore, al
Re, e che veniva riscossa da delegati speciali (3). Infine come ri-

(1) In questa Bolla il Papa riconferma l'esenzione del monastero dalla giu-
risdizione del Vescovo diocesano con queste parole: Romano autem pontifici pre-'
dictus locus sit semper subiectus eique serviens obediat et sub nullo alterius iure vel
potestate consistat. Prescrive che ai soli monaci dovesse appartenere l'elezione del-
l'Abate, il quale durava ad vitam, riservandosi per sé il Papa il diritto di benedirti,
la qual cerimonia è chiamata consacrazione: Statuimus autem cum abbas ipsius
monasterit obierit neque a regibus neque ab archiepiscopis, sive ab episcopis neque
a marchionibus vel comitibus neque a qualibet. persona hominum aliqua cupiditatis

; causa ibidem eligatur neque consecretur Abbas sed qualis cuncta congrega sione mo-
nachorum ibidem digentium eligatur et communi consilio a nobis nostrisque suc-
cessoribus pontificibus consecretur. (V. manoscritto come sopra). Da ciò si deduce in
modo non dubbio che l'Abate era eletto esclusivamente dai monaci e non da altri.

(2) Licentiam quoque damus tibi de omnibus tuis clericis tam in monasterio

: degentibus quamque etiam foris in posessionibus suis manentibus a quocunque vo-
lueris idoneo et canonice locato episcopo €os ordinandi et chrisma in tuis plebibus
accipe... (V. manoscritto come sopra).

(3) Servitium quoque et quod vulgariter dicunt fodorum nec imperatori nec
regi nec marchioni nec alicui hominum liceat ew eodem monasterio aut ew perti-
nentits suis requirere nisi sole nostre apostolice sedi... (V. manoscritto come sopra).
Poteva il Papa ordinare che non si pagasse questo tributo? Non é facile rispondere.

‘ Certo si é che questo non fu il solo tentativo fatto dai Pontefici di-sottrarre le città
e gli abitanti di esse da qualsiasi dipendenza d'Imperatori e di Re, Fin dalla discesa APPUNTI STORICI, ECC. i 401

compensa dell’opera sua non solo a vantaggio del monastero

ma a sostegno e presidio della Chiesa contro i simoniaci e
gli eretici, il nostro Abate riceve da Niccolò II (an. 1059), oltre
che amplissime lodi, anche alcune decime che questi doveva
riscuotere in Roma e che rivolge invece a tutto vantaggio
dei monaci di S. Pietro.

Un altro Abate dobbiamo ricordare in questo primo pe-
riodo, carissimo ai papi Innocenzo III ed Onorio III, i quali
dimorando in Perugia ebbero campo in più occasioni di ap-
prezzarne la profonda sagacia ed un’ abilità non comune nel
trattare gli affari. Esso fu un tal Pietro III (dal 1208 al 1225
circa), prescelto prima a giudice d'appello (an. 1209) nella
controversia fra il priore di S. Apollinare del Sambro in quel
d'Assisi e l’ Abate di Sassovivo nelle vicinanze di Foligno (1);

dei Longobardi in-Italia, e forse anche prima, quando i successori dei Cesari, lon-
tani da Roma, non seppero difendere le nostre terre da soldati stranieri che di-
struggevano o forse meglio non avevano in loro stessi la forza di conservare un
passato glorioso, considerandole invece come luoghi di conquista, ogni speranza
per la conservazione ‘delle nostre proprietà, dei nostri privilegii fu riposta dagli

italianinel-Capo .della. cristianità, E-per un-lungo:-periodo..di anni, fu un. continuo...

alternarsi di sottomissione e di supremazia verso l'impero da parte dei Papi con
affermazione di alcuni loro diritti di sovranità, finché col tempo questi ebbero una
sanzione definitiva dagli stessi Imperatori.

(1) Il convento di S. Apollinare del Sambro fu eretto circa il secolo X da un
tal Mevanio giudice, che vi si rese monaco. Lunga è la controversia fra questi reil-
giosi che volevano restare indipendenti e l’' Abate di Sassovivo, il quale accampava
dei diritti su di essi, avendoli Pasquale II nel 1116, ad reformandam.... ordinis mo-
nastici disciplinam, uniti a questo monastero, dove si obbediva meglio che in altri
alla regola di S. Benedetto. Con tutta la Bolla papale Innocenzo III volle che si
studiasse nuovamente la: questione, incaricandone i Vescovi Giovanni di Perugia,

Guido d'Assisi, Egidio di Foligno (an. 1208) che emisero sentenza sfavorevole a quei .

di S. Apollinare. Ora mentre i prelati si recavano per ordine del Papa a dare il
possesso del monastero all'Abate suddetto furono sorpresi per la strada da Hen.
de Arcedepitio de Comitatu Asisii et V. filius Petri civis Asisinatis i quali evaginatis
ensibus cum aliis armatis fautoribus suis insultum in nos fecerunt. Così scrivono

i Vescovi al Papa, aggiungendo che alcuni del loro seguito erano stati feriti: anche.

gravemente. L'Abate.di Sassovivo, che scorse in questo agguato la mano.dei monaci
ribelli, inasprito ricorse ancora una volta al Papa ed Innocenzo rimise la causa
‘ (an. 1209) a Pietro Abate del monastero di S. Pietro in Perugia ed a Bartolomeo
rettore della chiesa di S. Stefano di Foligno, i quali confermarono la sentenza già
emessa, e trovandoli sempre resistenti ad obbedire privarono i monaci dei loro be-

nefici. Onorio III successo ad Innocenzo III incaricò poi lo stesso Abate Pietro, .
403 : L. BRUNAMONTI TARULLI

poi inviato delegato apostolico (an. 1225), insieme all' arci-
prete del nostro S. Lorenzo, presso il Potestà di Città di Ca-
stello, il quale aveva minacciato gravi pene a chi avesse ar-
dito di scomunicare i capi del suo Comune. La scelta dei
due perugini nel comporre il grave dissidio sorto: fra i Ca-
stellani ed il proprio Vescovo, poichè le minacce erano ri-
volte soltanto contro costui, dimostra l'animo di Onorio III
disposto a benevolenza verso di essi, i quali non potevano
trovare migliori difensori dei due nominati dal Papa, avendo
la nostra città, a cui si erano da tempo sottomessi, il dovere
di tutelarli in ogni controversia che potesse sorgere con chic-
chesia (1).

- Ma all'infuori di ciò, niente altro è possibile ricavare
dai documenti rimasti intorno a quello.che c' interessa. Merita
invece di esser rilevato che nessuno degli atti, almeno per
quelli di cui’ ho potuto prender notizia, fatto nell’ interesse
del monastero sia stato mai steso per mano dei monaci,

quello di S. Silvestro del Monte Subasio, l'altro di S. Giustina d'Amelia ed il Po-

destà d' Assisi d' immettere al possesso di detta chiesa di S. Apollinare e di altre
ancora Nicolò Abate di Sassovivo (V. CRISTOFANI nelle Storie d? Assisi, Assisi, 1866,
e BiN1, op. cit.). Riesce interessante il:notare come il cappellano del Vescovo di

Perugia, un tal Filippo, avesse il titolo di maestro. >

(1) I rapporti di buon vicinato fra Perugia e Città di Castello rimontano a tempi
‘antichissimi, sebbene non si riscontri nessun documento nell'Archivio decemvirale
prima del luglio 1180 (Codice #8), nel quale anno si trova registrato l'atto di sotto-
missione di quella città alla nostra. Un altro atto analogo si ha nel 1202 compiuto
col consenso del Vescovo e dei chierici (V. PELLINI, De Historia di Perugia, vol. I,
Venezia, 1664 pag. 229). I castellani poi conchiusero nuovamente lega coi perugini,
nel 1219, per opera specialmente del Card. Ugolino Conti legato di Perugia. Erano
però questa volta restii ad unirsi a noi e Gherardo Caporsacco, Potestà di' Castello,
pregò il Vescovo tifernate Giovanni a cooperare insieme a lui per riuscire a stabilire
l'accordo. Il Vescovo, pro bono pacis et civium Castellanorum... salvo iure et omnt
4urisditione Castellani Episcopatrs, intervenne e la lega fu conclusa. Ora essendo
in dissidio con i suoi concittadini, che volevano togliersi dalla sua dipendenza, me-
more di aver contribuito a stringere buoni rapporti fra Perugia e Città di Ca-
stello, il Vescovo si rivolse ad Onorio III ottenendo che questi eleggesse l'Ar-
ciprete di S. Lorenzo e l'Abate di S. Pietro come mediatori, E così avvenne con un
breve del 12 febbraio 1225. Ma l'accordo non si concluse dai nostri, ma sibbene per
mezzo di Guido arcidiacono e Salinguerra Borgognoni castellani (V. Muzt, Memorie
di Città di Castello, vol. I, pag. 38).
APPUNTI STORICI, ECC. 403

mentre é notorio che questi in altri cenobi, forse anche di
minore importanza del nostro, stipulavano come pubblici no-
tai. Difatti uno dei rogiti più antichi e più importanti (in

data 4 Ottobre 1058, sotto Bonizone Abate, con cui Adam

abbas monasteri S. Angeli de Limisano comitatus assisiensis de
consensu et voluntate suorum monachorum et pro redemptione
anime sue et abbatis Adami bone memorie consanguinei sui offert
B. Petro Apostolo suoque monasterio perusino in quo est Bonizo
Coangelico Abbas se et omnia bona, trovasi scritto per mano di
Guinizone Scrinarium sancte romane ecclesiej come pure dello
stesso notaro è l'atto contemporaneo con cui Saracenus Bernar-
dus et Albericus, Signori del luogo, rinunziano, in vista di
questa donazione, omnibus iuribus sibi competentibus in mona:
sterium. predictum S. Angeli et in bona ipsius (1). Tutto questo
non credo affatto che possa far supporre i religiosi di S. Pie-
tro ignoranti delle leggi civili, iu quei tempi ben conosciute
ed interpretate dai notari; piuttosto potrebbe far peusare che
i nostri fossero piü ubbidienti degli altri alle prescrizioni
della curia:romana, che proibiva l’ esercizio . del notariato ai
chierici, solo perchè me in mnegotiis laicorum cum dedecore
immiscerentur, e non già perchè i Papi li volessero ignoranti
di tutto quello che non avesse stretta relazione colle cose di
chiesa (9). -

(1) V. Codex: diplomaticus perusinus ecc. Un altro atto di non minore impor-
tanza dei due indicati, con cui (an. 1130) Rinuccino di Tebaldo, Bernardino ed Uber-

tino d'Alberico di Ridolfo, Vibiano di Viero, Tommaso, Guiduccio e Bernardo di Frug-

gerio e Rolandino di Roberto fanno donazione in solidum della chiesa di S. Salvatore
e del Castello di Montevibiano e di tutti i loro beni in quel distretto al monastero
di S. Pietro, é rogato da Oddo giudice (V. Archivio cass. XIV).

(2) Negli annali camaldolesi sono riportati parecchi esempi di monaci che di-
simpegnarono l'ufficio di notaio. Ed é curioso il vedere come anch'essi dovevano
prestare il juramentuin fidelitàtis de arte notariatus ingenue evercenda, dopo il
quale cun. anulo, penna et calamario atque osculo pacis erano dichiarati pubbliei
notai. Fu Innocenzo III, uomo dottissimo nella scienza delle leggi, che proibì cleri-

cis, presbiteris, diaconis et subdiaconis exercitia tabellionatus ne in negotiis laicorum è

cum dedecore immiiscerentur. Questo Papa, recatosi più volte in Perugia, é probabile
che ai preti ed ai monaci perugini ricordasse che si dovesse obbedire ai suoi or-
dini. Nell'Archivio di S. Pietro gli atti anche di stretta relazione con le cose interne
-" — —— —À — — P

401 E L. BRUNAMONTI TARULLI

Né si ha maggior fortuna nel porre insieme delle no-
tizie in un secondo periodo che va dal 1245 al 1270. Sap-
‘piamo solo che in quest'epoca s'iniziano le riforme in parte
desiderate dai monaci, che si eleggono ad Abate Giacomo
del convento dell'Avellana, uomo di santa vita, seguace di
S. Romualdo; in parte imposte dai Papi, specialmente da Gre-
gorio IX (1) il quale, non soddisfatto dei monaci di S. Pie-
tro, dove era stato con la sua corte per circa due anni,
incaricó due suoi cappellani, Maestro Giovanni di S. Ger-
mano e Raimondo di Pennaforte, di modificare le vecchie
norme monastiche perché poco conformi alla regola di S. Be-
nedetto (2). Conosciamo eli Statuta edita auctoritate Pape Gre-

del monastero, sono stesi per mano dei vari notari secolari alla dipendenza del
«monastero stesso.

(1) Gregorio IX successo ad Onorio III venne nella nostra città nel 1228, trat-
tenendovisi in questa circostanza per circa due anni. Cercò di far pace fra i nobili ed
i popolari, donando alla città novemila ducati d'oro (V. PELLINI, op. cit., Vol. I). Vi
tornò anche altre volte; vi era nel 1235, mostrandosi molto benevolo ai perugini.
Ma non é esatto, come alcuni ritengono, che fondasse il nostro Studio, mancando
in proposito qualsiasi documento (V. MarIorTI. Saggio di memorie istoriche peru-
gine, vol. 3, pag..431).

(2) Non é senza qualche interesse il rilevare come le riforme per il nostro S. Pie-
tro venissero ordinate e compilate da questi due personaggi altamente benemeriti de-
gli studi del diritto canonico. Gregorio IX viste aumentate le costituzioni pontificie
e le disposizioni prese dai concilii, le quali ultime non si trovavano raccolte nel De-
cretum Gratiani, perché posteriori a questo (il monaco Graziano aveva anche la
sciato di comprendere nella sua opera qualcuna delle prime di molta importanza),
ordinò a Raimondo di Pennaforte di codicificare il nuovo materiale che si era venuto
accumulando in parecchi anni. L'antico allievo e poi maestro dello Studio bolognese
ben corrispose all' incarico avuto, compilando una nuova collezione detta delle De-
cretali di Gregorio IX (an. 1234) con il plauso di tutti i dotti di allora. L'anno dopo
furono redatti gli statuti per il nostro S. Pietro. Il Mariotti crede che, per le pre-

mure di Raimondo di Pennaforte, Gregorio istituisse nel convento di S. Domenico ^

lo Studio (V. MARIOTTI, loc. cit., pag. 433) ; il quale, fondato circa il 1233, addivenne
famoso per uomini valenti per dottrina, i quali aprirono ben presto pubbliche
scuole. Uno dei primi lettori fu un tal Fr. Perusinus del 1240: poscia il B. To-
masillus perusinus discipulus Sancti Thome. Dopo di lui un tal Nicolaus Bru-
nativs condiscepolo di S. Tommaso nella scuola di Alberto Magno. Questi così
scrive del suo allievo in una lettera indirizzata al Capitolo Generale: Zemitto vobis
Fr. Nicolaum Perusinusm, alterum Fr. Thom de Aquino sciens tpsum esse tn divina
pagina plenissime doctum et idcirco merito commendamus. Non si poteva fare mag-
giore elogio al dotto domenicano (V Appunti manoscritti del Mariotti in Biblioteca
«comunale).

——

M:
NT —

TESTI UU S POCO or Sr y

APPUNTI STORICI, ECC. SURE 405

gorii noni pro reformatione et bono vegimine monasterii S. Petri
Perusie.. (an. 1235), custoditi nell’ Archivio, che hanno tutto
laspetto non già di nuove costituzioni totalmente differenti
dalle prime, ma di semplici richiami all'osservanza della re-
gola, dalla quale parve ai riformatori che i monaci si fossero
allontanati più specialmente in alcuni punti. Cosi si vede che
il primo ammonimento rivolto a quei religiosi è quello di
attenersi a quanto prescrive la regola di S. Benedetto, a

cui tutti dovevano essere ossequenti, dovendo essa rimanere:
sempre il fondamento della vita di ciascuno. Precipio, cosi or-

dina l'Inquisitore Giovanni, Abbati, Monachis, Conversis et Oblatis

Monasteri S. Petri de Perusio... ex eiusdem Domini (papae) parte

ut universi ‘et singuli relicta prava consuetudine quo Regule
Beatissimi Benedicti obvia censenda est verius corruptela se-
cundum ipsius Regule statuta vivatis. Poi si scende ai parti-
colari e si stabilisce che si viva presertim în abdicatione proprii
obedientia continentia jejunio qualitate ciborum et forma ve-
stium silentio Claustri observantia hospitalitate infirmorum prov-
visione officio dormitione et aliis regularibus institutis. Si fanno
inoltre altre ingiunzioni raccomandandosi che ommes et singuli
Monachi et Conversi omni tempore lectioni orationi meditationi
sancte ac operibus manuum vacent ut dum semper aliquid operis
facerent..; colla aggiunta che si debba badare alla distribu-
zione delle ore per i vari uffici fissata dalla regola, conclu-
dendosi che gli statuti ut.. melius memorie commendentur semel
in mense in Capitulo recitentur. Ma in tutto questo, come nel
resto, nessun accenno speciale agli studi. ues

E che ora si studiasse e con profitto, non credo che si
possa neppure mettere in dubbio. Il monastero di S. Pietro
era stato scelto come dimora del Papa, e questa non poteva
essere un luogo soltanto sicuro e fornito delle maggiori co-
modità, ma doveva anche offrire delle garanzie d’ordine più
elevato, perchè il Capo della Cristianità non vi stesse a di-
sagio. A molte cose quindi avran certamente in antecedenza
pensato e provveduto gli incaricati della faccenda, certo piena
i —— ———— ————À

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406 ; L. BRUNAMONTI TARULLL.
di responsabilità non lievi, e la compagnia di monaci ignoranti
dovette essere senz'altro esclusa, anche perché il personale ,
delle scuole papali composto di uomini i più illustri del clero,

ed i due cappellani di Gregorio IX di cui ci sono noti i nomi lo
dimostrano, accompagnava sempre il pontefice nelle frequenti |
peregrinazioni, continuando ad insegnare nei vari luoghi dove
la corte si fermava (1). Se gli inquisitori nulla ebbero a
modificare a tal riguardo, vuol dire che agli studi si atten-
deva con vive premure, come prescrivevano le norme fissate
da S. Benedetto, alle quali essi così spesso si richiamano.
E la riforma avvenne quietameute in tutto il resto, senza
opposizioni e proteste, appunto perchè i monaci di S. Pietro
non erano così corrotti, come quelli di altri conventi dell Um-
bria (2); anzi con viva soddisfazione di Gregorio, il quale,
dopo avere in cinque Bolle riprodotti tutti gli antichi pri- |
vilegi, che la diligenza dell’ Abate Giacomo volle fossero !
di nuovo trascritti, essendo perdute o guaste dal tempo le

vecchie pergamene, concesse, come premio, che le rendite
del ricco priorato di S. Apollinare andassero a tutto vantag- ».
gio del monastero, il quale aveva, per riparazioni delle sue
fabbriche, sostenute spese non lievi in questi anni, dichiaran-
dolo ancora una volta sottoposto all'immediata dipendenza

della Sede apostolica. -

.A questo periodo di tempo si riferisce un fatto che turba,
sempre per poco, la buona armonia fra il monastero e la
città e. che io rammento soltanto, sebbene non attinente
alle presenti ricerche, per fare meglio conoscere quanto .

(1) Bini, Memorie storiche della perugina università degli studi, ecc. pag. 60. —
Perugia, 1816. :

(2) Il DEGLI Azzi in Aneddoti di vita clavstrale In due monasteri umbri del
secolo XIII, (Bull. della R. Deputazione di Storia Patria ecc., vol. XI, pag. 247) parla
di fatti non molto edificanti avvenuti nel cenobio di S. Maria di Oselle ed in quello
di S. Jacopo di Città di Castello, che stanno a dimostrare la vita scorretta di quei »
religiosi. E non sono purtroppo questi i soli esempi; per cui i Papi più volte ordina-
rono anche nei monasteri dell’ Umbria le riforme, le quali però non sempre porta»
rono effetti durevoli. Pabblichero in breve per intero le dette riforme del 1235.
vmm ny TT PETE quoto " IPTE PEDE te tom vtt tpm mem nmm Mm itr , : :

Yon epe cm

i
APPUNTI STORICI, ECC. 407
vivo sia stato sempre fra noi il desiderio della libertà, e
} ‘come mal si tollerasse che non tutti del contado godessero
di quelle franchigie che la città da lungo tempo possedeva.

Ù

Anche gli scrittori di cose patrie su di esso non si sono gran
che trattenuti. Alludo alla parte presa da Perugia nella lotta
fra gli uomini di Casalina e gli Abati di 5. Pietro, i quali
pare che fin dal 1047 possedessero questo luogo come feudo (1).
I perugini non dovettero trascurare nessuna occasione per
dimostrare le proprie simpatie agli abitanti di quel castello,
se gli Abati, vedendo che questi volevano sottrarsi ad ogni
costo alla loro dipendenza, ricorsero più di una volta ai Papi
perchè ammonissero il magistrato perugino a non voler più
prestare aiuto e difesa ai castellani, chiamati col titolo di
ribelli. I Papi scrissero ripetutamente, delegando persone au-
| torevoli ed amiche a consegnare le lettere pontificie in mano
| . dei capi della città, in difesa dei monaci, minacciandoli anche

della scomunica se non avessero obbedito. Ma tutto questo

non servi a nulla. Perugia aveva ospitato entro le sue mura
AC i fuggiaschi di Casalina, che ricusavano di coltivare i terreni
e di pagare i tributi; e la lotta non ebbe fine, finché, conciliata
ogni vertenza sotto l'Abate Raniero Coppoli, fu stipulato con
grande solennità, mercè le premure di un tal Rinaldo di Sa-
lomone di Deruta, nell'agosto del 1270, an atto, letto da Jacopo
notaro nella chiesa del monastero in Casalina, col quale gli
uomini del castello furono dichiarati liberi, incominciando da
quel giorno a chiamarsi Momines franchi de Casalina.

Ed eccoci al periodo più importante per noi che va dal
Ù - 1270 al 1436. In questa lunga serie di anni gli Abati ap-

c

(1) Delle condizioni in cui si trovavano. gli abitanti del castello di Casalina
‘ sotto il governo degli Abati di S. Pietro, delle lotte sostenute in varie epoche con-
tro questi e dell' accordo conchiuso nel 1270 parlo diffusamente in altro mio lavoro pie
» dal titolo: Laudum et compromissum fra Raniero Coppoti Abate di S. Pietro e gli
uomini di Casatina, che spero di presto pubblicare e nel quale riprodurrò per in-
tero l'atto stesso, già da me trascritto, atto importante anche per alenne conside-
razioni giuridiche a cui esso dà luogo,
408 L. BRUNAMONTI TARULLI

partengono tutti alla nobiltà perugina; ed é caratteristico il
vedere come i monaci scelgano fra: questa il capo del mona-
stero, quando la maggioranza degli individui appartenenti a
famiglia de prole militari è colpita da severe condanne. Molti
altri esempi consimili si trovano. nella storia della nostra
città in quei tempi; il che mentre addimostra nei nobili abi-
lità non comuni nel presiedere ai pubblici negozi, fa pur fede
che possedevano essi pessime qualità e sopratutto un’ ambi-
zione smodata nel governare il Comune, di cui desideravano
addivenire i soli padroni, congiurando continuamente a danno
dei popolari, altrettanto benemeriti della repubblica, al punto
che i magistrati si videro obbligati assai spesso di fare a
loro danno leggi che ora appaiono ingiuste, ma in quei tempi
il più delle volte furono utili (1).

Raniero II appartenente alla famiglia dei Coppoli, così
classificato per distinguerlo da un altro che governò l'Abazia
circa il 1065, è il primo della serie. Di lui, Abate fin dal
1270 ‘e forse anche prima, sappiamo che dopo aver, ricono-
sciuti alcuni diritti agli uomini di Casalina, mediante l'atto
di cui si è fatto cenno, continuando delle divergenze, senza
attendere il giudizio del Priore di S. Rufino d'Assisi da Cle-
mente IV incaricato di trattare le varie questioni, distrusse
manu armata dictum Castrum asportando seu asportari faciendo
erinde omnia bona mobilia hominum predictorum. La veste del
monaco non aveva modificato gran che l'animo feroce del
nobile Signore. Come finisse questa controversia non c'é
noto. Si sa solo che Giovanni XXI spedi un monitorio a detto
Abate (13 dicembre 1276) perché comparisse, infra octo dies

(1) V. ANSIDEI, Alcuni appunti per la storia delle famiglie ‘perugine Baglionie
Degli Oddi, pag.11 e segg. - Perugia, 1901. « I nobili, non distratti da altre industrie
come i popolani... erano peritissimi.nell'arte militare, e assai valorosi. Anch' essi...
si dedicavano allo studio delle leggi e spesso congiungevano alla spada la toga;
onde le ambascerie e le cariche militari per tacere delle altre erano tutte per loro;
e non vi ha carta antica che non confermi questo fatto. Di che non é a dire quanto
si prevalessero i nobili per ingannare ed opprimere il popolo » (V. Bonazzi, Storia
di Perugia, parte I, pag. 540).

LI

bed APPUNTI STORICI, ECC. 409

post veceptionem presentium quas tibi per nostrum cursorem pro-
prium destinamus, avanti il suo cappellano Pandolfo della /Ta-

‘bura per rendere ragione del suo operato (1). Forse il Cop-

poli potè giustificarsi ampiamente. Certo non ebbe a su-

bire alcuna pena, e neppure i Perugini ebbero a far nulla

questa volta a favore degli uomini di Casalina; la qual cosa
fa supporre che il torto fosse probabilmente dalla parte di
costoro. Ma vi ha di più, risultando che i Canonici di S. Lo-
renzo (2) per ben due volte lo designarono a Vescovo della
città; il qual fatto dimostra come la stima dei suoi cittadini
non fosse venuta meno, sebbene avesse compiuto quell’ atto
crudele. Il Coppoli però non volle saperne (3), desiderando
di rimanere soltanto Abate del suo monastero, a cui dedicò
ogni pensiero, (4) ospitandovi signorilmente personaggi illu-
stri che si recavano-tra noi a trattare negozi-di molta-im-
portanza, fra i quali è da annoverarsi la pace con Foligno
e la sottomissione di questa città alla nostra, a cui inter-
venne con alcuni monaci insieme al Vescovo, ai canonici di
S. Lorenzo e ad altri molti (5).

(1) V. Laudum et compromissum ecc.

(2) I canonici avevano il diritto di proporre il loro candidato al Papa, il quale
per solito confermava la scelta da loro fatta. Dopo si procedeva alla consacrazione
ed il nuovo eletto prendeva possesso con grande pompa, offrendogli il magistrato
in questa occasione ricchi doni. Riferendosi nella crónica del 1308 al 1355 (Fa-
BRETTI, Cronache della Città di Perugia), la questione fattasi nel consiglio maggiore
per dare un successore al Vescovo Francesco di Lucca morto nel 1330, si dice: « non
era ben fatto di tor l'autorità dell'elezione ai canonici ».

(3) I canonici di S. Lorenzo prima di nominare Giovanni V di Campagna (1289)
avevano pensato al Coppoli Abate di S. Pietro (V. BInI, Memorie storiche del mona-
stero ecc. pag. 37). Alla morte di Giovanni tornarono’ nuovamente a far premure
presso l'Abate, ma, avendo questi ricusato di nuovo, fu eletto ai 28 Gennaio 1291: M.
Bolgaro dei signori di Montemelino (PELLINI, op. cit., pag. 309).

(4) Nel 1286 fece fondere pel campanile del suo Monastero una campana di libbre
2769, nel labbro della quale si leggeva « I nomine domini Amen Anno domini
MCCLXXXVI Venerabilis Religiosus Vir Dnus Ranerius de Coppolis Abbas S. Petri
Hoc opus... Campanar. fieri fecit fabricator fuit magister Ioannis de Pisis (V. Libro
diversi, N. 29, pag. 99).-Un altro maestro Pisano di nome Puccio venne a fare il mar-
tello alla campana grossa del palazzo (an. 1296) et. pro acconciniine dicte. campane
Si trattenne fra noi 12 giorni (Annal. segn. B. f. 266 e 267).

(5) Per cercare di comporre le vertenze sorte fra Perugia e Foligno, il Papa
Niccolò IV (an. 1289) aveva spedito lettere ai Perugini perché sopr: assedessero nel-
one se — gp —

410 L. BRUNAMONTI TARULLI

A Raniero Coppoli successe il monaco Orlandino (circa
il 1290) che sembra appartenesse ai nobili di Montevibiano (1).
L'unanimità dei suffragi con cui venne életto dimostra in
quanta considerazione fosse presso i suoi. religiosi, i quali -
dovevano essere in gravi preoccupazioni per le discordie che
già si facevano vive nella città nostra, dalle quali temevano
gravi danni. Fu ‘quindi savio accorgimento quello di aver
rivolto tutti i voti su Orlandino, unito da rapporti di amicizia

l'inviare un esercito a danno dei Folignati, promettendo di mandare dei legati che
avrebbero stipulato un accordo fra le due città. Difatti vennero il Cardinale de Rossi
(forse il Card. Matteo Orsini detto il Rosso) ed il Card. Benedetto Gaetano (che fu
jonifacio VIII), prendendo dimora in S. Pietro. Difticili e lunghe furono le trattative,
anche perché i legati si ricusarono di trattare col Consiglio speciale composto di 25
cittadini, fra i quali erano molti dottori, volendo invece discutere col Consiglio gene-
rale, sperando così di potere ottenere maggiori favori per i loro protetti. I Perugini,
che in numero di 500 si erano condotti al monastero, decisero di rimettersi, per es-
ser cortesi coi rappresentanti del Papa, a quanto questi avessero stabilito. Ma es-
sendo state le deliberazioni prese totalmente a loro contrarie, sicuri del loro diritto,
fissárono di far guerra ai Folignati, avvertendone contemporaneamente i Cardinali
che erano partiti e si erano condotti a Spoleto. Venne la guerra; si combatté va-
lorosamente da ambo le parti; ma i Folignati, vedendo di non potere resistere a
lungo, mandarono ambasciatori a trattar la resa. Questa ‘conclusa, furono spediti
messi a Perugia per stabilire i capitoli della sottomissione della città che ebbe
luogo fan. 1239) nella piazza ai piedi delle scale del duomo, presenti il Vescovo di
Perugia, l'arciprete con i suoi canonici, l'Abate di S. Pietro con aleuni monaci, il
Vieario del Vescovo e molti cittadini di Foligno, di Camerino, di Todi, insieme a dei
religiosi « delli primi quattro ordini » (V. PELLINI, op. cit., pag. 303, 305). Pochi anni
prima i Perugini Guelfi s'erano ugualmente condotti ai danni dei Folignati di parte
ghibellina, stringendo la città di duro assedio e deviando il corso del fiume Topino
per privarla di acqua (an. 1253). Anche allora Foligno dové arrendersi e li capitola-
zione fu decisa in una adunanza tenuta nella Chiesa di S, Feliciano (an. 1254) e com-
piuta non a Perugia ma al campo dei Perugini, avanti al potestà loro Giacomo da
Fonte. (BRIGANTI, Della guerra tra Perugia e Foligno, Boll. di St. pat., 1904).

(1) Per la scelta del proprio Abate i monaci si riunivano nella sala capitolare,
nominando gli serutatori che dovevano raccogliere i voti degli aventi voce in capi-
tolo. Gli serutatori nominati questa volta furono: Egidio di Buongiovanni, Buonla-
voratore, ed Angelo di Alberto. Egidio, forse perché il più anziano, rese pubblica
l'elezione di Orlandino Vibi avvenuta ad unanimità di voti, stendendo il relativo
decreto che fu inviato per la conferma al Papa Niceolò IV. Il Vescovo di Perugia,
Eletto, fece premure presso la Curia perché la conferma fosse a lui devoluta. Ma
Niccolò, che ben conosceva quanto i monaci tenessero alla indipendenza dal Vescovo
locale, fatta esaminare l' elezione da tre Cardinali e visto che era avvenuta secondo -
le loro costituzioni, confermò la nomina con Bolla 31 Marzo 1290 (V. Bini, Memorte
del Monastero ecc., pag. 38). APPUNTI STORICI, ECC. 411

e devozione ai Baglioni che insieme ai Degli Oddi partecipa-
vano ai pubblici uffici, ponendosi cosi sotto la tutela di una
delle più autorevoli famiglie. E per aver prescelto il partito
dei nobili, allora più che nelle epoche successive fra loro
concordi contro i raspanti, (1) ebbero subito vantaggi notevoli,
venendo fatte per conto del Comune spese non indifferenti
a loro beneficio. Ma probabilmente alla morte di quest’ A-
bate nel periodo in cui i monaci si trovarono sotto il governo
del Priore claustrale, dovettero accadere seri disordini, non
sappiamo con precisione quali, se si vede che il magistrato
interviene direttamente negli affari interni del monastero or-
dinando. che nessuna persona civis vel forensis audeat ingredi
vel intrare audeat ‘dm. monasterium pro turbatione status ipsius
monasterii et monachorum sine licentia di. Dni Capitanei; e
stabilendo quod ipsis monachis expensis di. monasterii prestetur
vita per bonas et ydoneas personas eligendas per dominum Ca-
pitaneum et Priores (22 febb. 1306) (2).

Però la calma ed il buon ordine tornano sotto Ugolino
dei nobili Guelfoni da Gubbio, eletto dopo Orlandino (3).



(1) Sulla fine del sec. XIII e sui primi del successivo non esistevano leggi spe-
ciali contro i nobili, e molti appartenenti alle famiglie più ragguardevoli per nascita
e per censo uniti ai popolani prendevano parte alla cosa pubblica. Fra i primi nel
1308, come uno dei componenti il consiglio generale, trovasi il nobilis et potens mile
dominus Gualfredutius domini Johannis domint Balionis (annal. 1308, fol. 32), la eui
presenza in Perugia é dichiarata piü tardi (an. 1310) nimium fructuosa, et absentia
eius a civitate predicta, hoc tempore Comuni et populo perusino posset esse dam-
pnosa (annal. 1310, fol. 67 e 68). Era stato in quest'anno eletto a Fermo come Po-
testà. Questo Gualfreduccio è padre di Don Uccio Baglioni monaco di S. Pietro e
Priore di S. Maria di Fonte, di cui avremo da occuparci più tardi.

(2) Annali decenv., D. f. 236t. e 238.

(3) Il Bini, con molta ricchezza di dati, stabilisce chiaramente la differenza fra
Ugolino dei Guelfoni di Gubbio, che resse l'Abbazia di S. Pietro fino al 1330, anno
in cui fu eletto Vescovo di Perugia, ed Ugolino Vibi dei Signori di Montevibiano,
che fu soltanto Abate di S. Pietro dal 1330 al 1302 circa. Alcuni storici perugini sono
caduti in errore confondendo l'uno con l'altro Ugolino, facendo anche succedere
all'Ugolino Guelfoni. l' Ugolino Vibi nel Vescovato di Perugia (V. CRISPOLTI, Perugia
Augusta, pag. 265). Anche l'A. della cronaca del 1308 al 1355 pubblicata dal FABRETTI
(Cronache della città di Perugia) distingue bene i due personaggi. Difatti a pag. 20
si legge « Morì messer Francesco da Lucca vescovo di Perugia (an. 1330)..... onde i
canonici e capitolo di S. Lorenzo... elessero per vescovo un messer Ugolino da Gub-
412 i L. BRUNAMONTI TARULLI

Neppure di lui, che governó fino al 1330, anno in cui i Ca-
nonici di S. Lorenzo lo designano a capo della diocesi, sap-
piamo molto. |
Ienoranti pertanto od anche semplicemente poco dotti
non potevano essere i nostri monaci, se entro breve spazio
di tempo per bén due volte viene fra loro cercato il Vescovo
della eittà! E notisi che ora sono molti appartenenti alle
famiglie piü illustri, i quali ambiscono di avere questo po-
sto, che la tradizione ed i documenti attestano tenuto sempre
da persone eminenti; al punto da essere cagione di conflitto
(an. 1330) fra i Desli Oddi, propugnatori dell'elezione cano-
nicamente avvenuta nella persona di Ugolino, ed i Baglioni,
venuti in aiuto di Vinciolo Vincioli, che sostenevano Fra A-
lessandro, appartenente a questa famiglia, Cavaliere geroso-
limitano e personaggio ragguardevole, in favore del quale si
era tentato che fossero spedite al Pontefice, da parte del Co-
mune, lettere commendatizie, a danno dell'altro carididato (1).
Ugolino fu sempre accetto al magistrato, il quale per-
mise più d'una volta a lui ed ai componenti il suo seguito
di portare armi dentro e fuori di Perugia, cosa a tutti proi

bio... che fece l’entrata in Perugia con gran. solennità (an. 1331)... Essendo stato
eletto da Perugini per Abate di S. Pietro... Messer Ugolino di Montebiano ». L'errore
del cronista sta solo in ciò che non furono i Perugini ad eleggere Ugolino Vibi di
Montevibiano, ma sibbene i monaci.

(1) I cronisti parlano diffusamente della grave controversia sorta nel Consiglio
fra Vinciolo Novello dei Vincioli, sostenuto da Baglione Baglioni, e Oddo di Longaro
Degli Oddi. Alcuni fanno Alessandro Vincioli dell'ordine dei minori. (Cronaca dal 1308
al 1355 pubblicata dal FABRETTI in Cronache della città di Perugia), altri dei Cavalieri
Gerosolimitani che dimoravano a S. Luca, presso porta S. Susanna. Il PELLINI (pag. 511)
dà anche ragione dell'interessamento di Vinciolo per detto Alessandro dicendo che
questi « o era suo figliuolo o almeno di sua famiglia ». Alessandro ebbe dal Comune
parecchi incarichi, fra cui quello di ambasciatore alla corte d'Avignone nel 1322,
« affinché havesse a dar conto al Pontefice (Giovanni XXII) delle cose d'Ascisi et di
Spoleto, et che non dasse credenza all'imputazioni che si davano alla Città sua da
Ghibellini Spoletini.. ma che aiutasse e abbracciasse i Perugini come veri sudditi
et difensori di S. Chiesa ». Il Vincioli dovette rimanere qualche tempo in quella
città, trovandolo noi insieme a F. Monaldo Perugino frate minore, nome assai caro
ai Perugini ed al Papa, nello stesso anno presso la Corte papale (PELLINI, pag. 460,
461, e 464). Re e LIS ETE GUERRERO ORC ONEVSUTEIESSATOm MINIMUM at.

APPUNTI STORICI, ECC. 5418

bita in quei tempi di discordie cittadine (1). Curó le sorti del
monastero, i documenti non ci dicono in che modo, al punto
che i monaci ed il suo successore si credettero in dovete
(an. 1335 e 1331) di gratificare in varia maniera la sua fa-
miglia in compenso dei benefici dallo stesso ricevuti (2). Al
nostro Ugolino, insieme al Vescovo di Perugia e all’ Arci.
prete di S. Lorenzo, il Papa Giovanni XXII, assai beneme-
rito dell’ Università nostra, indirizza ai 30 di agosto 1321 un
Breve (3) con il quale, soddisfacendo ai desideri della città,
ordina che tutti i chierici, anche senza licenza degli Ordinari
e dei Capitoli, possano recarsi in Perugia allo Studio, conti-
nuando a godere il fruttato delle loro prebende. Non credo
che questo privilegio, concesso per un decennio e poi esteso
per altrettanto tempo, fosse solo per i chierici forestieri,

“come qualcuno ha ritenuto e come si potrebbe stabilire stando

al senso letterale del Breve stesso. Difatti in questo si parla
di omnibus et.singolis personis ecclesiasticis in. Civitate ipsa insi-

Stentibus studio litterarum... di lontananza di costoro dalle pro-

prie Chiese ecc. Ma è da notare anche che se il Papa si-mostra
da un lato ben disposto a favorire la città di Perugia (4), chia-
mata fervida devotione et preclara fidelitate, per compensarla
delle tribolazioni.e delle persecuzioni sostenute pro 1em-

(1) Item supradicti priores.... providerunt ordinaverunt et deliberaverunt quod
familiares et illt de famuliis venerabilis patris domini Episcopi perusini et domini
Abbatis monasterii Sancti Petri licite possint deferre per Civitatem comitatum et
districtum perusij omnia arma defensivilia et o[fensibilia impune Et quod de ipsis
et pro ipsis armis et portatione ipsorum non possit ab aliquo accusari vel denun-
tiari nec contra eos per potestatem vel Capitaneum et eorum offitiales vel alios of-
fitiales comunis inquiri nec aliquis processus fiert.... Così in Annali decem., 1314,
f. 320 t.

(2) V. appendice n. XIII e XVI.

(3) V. RossI, Giornale di erudizione artistica, vol. IV, p. 279. - Perugia, 1875.
“‘.. (4) Non lievi erano i vantaggi che avevano le città dove sorgeva uno Studio.
I professori che vi si recavano ad insegnare colla fama della loro dottrina rende-
vano non solo più noto il nome di esse, ma venendo insieme agli studenti, spesso da
lontani paesi, tutti accompagnati dalle proprie famiglie, vi portavano anche un au-
mento considerevole nel benessere materiale, che era tanto più forte quanto più
grande era il numero di quei che venivano dal di fuori.
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414 Li. BRUNAMONTI TARULLI

poris malitia, avendo essa sempre serbato fede imniutata

erga dictam ecclesiam, dall'altro si scorge ben chiaro il de-
siderio del Pontefice che tutti i chierici indistintamente col-
tivino gli studi, accrescano la propria cultura col frequen-
tare le pubbliche scuole, togliendo ai medesimi tutte le dif-
ficoltà che loro si potevano presentare dinnanzi per impa-
rare. Analoghe concessioni si riscontrano per quelli che
frequentavano altri pubblici Studi. E dello Studio perugino
Giovanni XXII non aveva che a lodarsi, come risulta dall'a-

r

vere esteso in questo stesso auno (18 febbraio 1321) il privile-
gio di addottorare anche 2n inedicinali scientia et artibus, mentre
la prima volta lo aveva dato soltanto per addottorare 27 jure
canonico et civili (1 agosto 1318) (1). Ne è da credere che i

i soltanto contento dei Perugini, per aver questi promosso

(1) H Papa non er:
ai medesimi.validi

col massimo interessamento gli. studi, ma anche per aver avuto d
aiuti nelle lotte politiche e religiose che combatteva nell'Umbria. Perugia é chia-
mata pure da Giovanni XXII figlia di benedizione ed é preseelta come luogo piü sicuro
per custodire i tesori papali che dovevano essere trasportati d'Assisi, venendo inca-
ricati della difficile missione.oltre che il Rettore del Ducato di Spoleto anche Ugolino
Abate:di.S. Pietro.
Johannecto ultramontano (28 aprile 1329), per quem misit (leggi il Rettore del Ducato)
sibi dirigebantur pro parte ipstus et d. Abbatis Sancti Petri
existente in Asisio Perusium
amento del-

licteras d. n. pp. que
de Pervsio super traslatione fienda. de thesauro E.
quomodo non poterat. fieri. Si trovano anche due altri mandati di pag
Vanno innanzi: il primo (9 nov. 1328) per Bonifatio de Servallo quem misit (sempre
lo stesso Rettore) ad d. Abbatem Sancti Petri de Perusio, ad conferendum cum eo de
. traslatione fienda, de thesavro R. E. eaistenti in Asisio secundum tenorem lictera-
rum d. n. pp. ipsts dd. Rectort-et. d. Abbati trasmissurum ; il secondo (17 nov. 1328)
per dompno Bartholo, quen inisit Perusium ad dictum d. Abbatem una cum Jaco-
vucio de Spoleto dicta de causa (V. Fut, 4 Registri del Ducato di Spoleto, ecc., pa-
gine 516-547. Perugia, 1897). Non era certo una cosa di poco momento il porre in salvo
il tesoro della Chiesa, ed ecco perché lunghe furono le trattative fra i vari perso-
naggi. E parimenti per noi riesce importante di rilevare, in modo molto sommario
per ora, come in quest
piü volte interessato dai vari Pontefici (
per es., sia nel richiedere una scorta usque Senas pro thesauro ad ipsum summum
pontificem deferendo et pro thesauro deponendo in loco beati Francisci de Astsio
usque ad Astsium ; Sia per domandare sv/ficientis gentis armigere presidium a di-
sposizione del Rettore del Ducato di Spoleto per castigare pure i ribelli Assisani ;
come per ottenere che venissero restituiti bona mobilia et immobilia, appartenenti
al detto tesoro, che si diceva fossero nella città e nel distretto di Perugia. Cortesi
sempre le parole dei Papi indirizzate ai Perugini, rispettose ugualmente quelle di

risposta da parte di costoro.

Clemente V, Giovanni XXII, Benedetto XII),

denm tttm nempe ATTICI uve remite UU
e

Cio si rileva da.un mandato di pagamento. emesso à favore di ..

a faccenda anche il magistrato della città nostra venisse

iii : : APPUNTI STORICI, ECC. : ; 415

Cchierici di: Perugia avessero occasioni migliori degli altri
. per istruirsi più facilmente. Uguali da per tutto, nelle linee

piü generali, erano i pesi inerenti ai benefici ecclesiastici. E
così anche i nostri dovevano risiedere presso le chiese sparse

‘qua e là nella città e nel territorio; recitare, se si trovavano
aggregati ai Capitoli.ed ái monasteri, in ore stabilite l'ufficio

divino, stando anche sottoposti per il resto alle norme di-

‘ seiplinari ivi in vigore. Essi, e lo stesso dicasi per i chierici

delle città dove erano i pubblici Atenei, avevano questo solo
di vantaggio sugli altri venuti dal di fuori, e non era certo
piccola cosa, che non dovevano fare viaggi, alcune volte

lunghi e pericolosi, né spendere molto denaro possedendo in

casa propria lo Studio; ma niente altro di più importante. I

“provvisti di prebende, distribuite su vasta scala tanto ai pro-

mossi agli ordini sacri maggiori e minori, come a coloro che
vestivano semplicemente l'abito clericale, godevano quindi in
genere una libertà assai ristretta; fatto questo posto anche
meglio in rilievo dai numerosi permessi chiesti, per lo piü

al Papa, quando si allontanavano dalle loro residenze, sia per

affari personali, come per occupare altri uffici in luoghi lon-
tani da esse, permessi concessi solamente ad #riennium, ad

* quatriennium ecc, difficilmente per un tempo illimitato. E se

qualeuno mancava ai propri doveri correva il rischio di

'avere un processo, di perdere le rendite, che venivano date
. ai più diligenti,.come capitò, per citare qualche esempio, ad
un tal Dolce Ranieri di Corbaro, Orvietano, investito di un
‘priorato di pertinenza del nostro monastero (1). Avendo esso.

abbandonati gli studi per darsi al bel tempo, deposto l’abito
da chierico, trascurato il servizio della propria chiesa, male
amministrati i beni a questa uniti, su ricorso dell'Abate Oddo
Graziani, fu privato del beneficio che godeva da Eugenio IV
nel 1433, dopo una sentenza emessa dal Priore dei Canonici
del S. Sepolcro di Perugia, il quale era stato incaricato di fare

(1) V. Arehivto, Cassetta VII, N. 56 e 57.

po €



RENDEMENT oro ro. ro c-————m——T—___ n iL nei

JO -—
416 L. BRUNAMONTI TARULLI

una inchiesta intorno alle accuse mosse dal detto Abate al
suo. sottoposto. Ed allora occorreva moltissimo tempo per
attendere agli studi, parecchie essendo le ore ed i mesi di
lezione, non pochi gli anni di corso, seri gli intendimenti
della scolaresca, e forte in questa il proposito e l'aspirazione.
di apprendere (1). Di più si potrebbe aggiungere, che il magi- -
strato cittadino non avrebbe, nè chiesto, nè visto di buon:

occhio una condizione di favore esclusivamente largita a pro

dei forestieri, geloso come era del benessere di tutti i. suoi
amministrati, fra i quali naturalmente erano compresi quelli
del clero. Nè vale il dire che per costoro, tanto della. città
come del contado, vi erano le scuole presso i numerosi con-
venti e presso la canonica di S. Lorenzo, che avrebbero po-
tuto frequentare con maggior comodo. Perugia in questo
momento attraversa un periodo di attività febbrile per infon-
dere nuove energie e dare un assetto duraturo al proprio -
Studio. É una gara da parte di tutti per possedere non solo
i migliori insegnanti, ma anche per avere il maggior numero
di scolari, ai quali si largiscono privilegi, immunità eec. ; ben
conoscendo quanto giovasse alla rinomanza del medesimo: il
sapersi, undique per civitates et loca convenientia, che veniva
frequentató da molti. Chierici e laici, nobili e popolani, amici
e nemici, in ciò solo concordi, considerano questo centro di .
vita intellettuale come la maggior gloria della città. Esso è
chiamato nelle vecchie pergamene precipua corona et decus
unicus civitatis ; quindi nulla di strano che gli uomini di chiesa
sentissero vivo in loro stessi non solo il desiderio di recar-
visi, ma ne vedessero la necessità, spinti dall'esempio degli
altri ed attratti dalla dottrina di pubblici lettori, dei quali
non pochi, specialmente in alcune discipline, superavano di
gran lunga quelli che insegnavano nei chiostri. Più probabile .
quindi il ritenere la concessione papale estesa a tutti i chie-
rici, forestieri e cittadini, venendo compresi fra questi anche

(1) SCALVANTI, Il seminario giuridico ecc., pag. 479.
APPUNTI STORICI, ECC. 417

‘quelli di S. Pietro. In tal guisa ci potremo anche meglio
‘rendere ragione del perchè la Bolla venisse diretta a questo
Abate, che non ebbe mai la benchè menoma ingerenza in-
torno alle cose riflettenti lo Studio. Fin da quest'epoca quindi,
a me sembra, che si potrebbe fissare avere i nostri monaci
‘acquisito il diritto di frequentare 1’ Università di Peru-
gia (1).
Si è fatto poc'anzi parola di provvedimenti speciali presi
‘dai Priori contro i religiosi di S. Pietro in data 22 febbraio
1306, deducendone che gravi disordini dovevano essere scop-
piati in mezzo a loro. Una Bolla di Clemente V indirizzata
ai 2 gennaio dello stesso anno, cioé soltanto un mese circa
prima, al Cardinale Giacomo Colonna, ci conferma in tale sup-
posizione (2). Da essa apprendiamo come il Papa nominasse
a suo delegato questo prelato, nel quale riponeva piena fiducia,

coll' incarico di tenere, sia direttamente come anche per mezzo.

di propri rappresentanti, l'amministrazione di detto monastero
- (che rimaneva sempre alla dipendenza immediata della Chiesa
romana) in spiritualibus et temporalibus, tam in capite quam
in membris..., venendo tolto, de apostolice potestatis plenitudine,
a chiunque altro ogni potere, che veniva tutto concentrato
nelle mani del Cardinale. Cosi questi era autorizzato. perci-
piendi plene et libere fructus, redditus et proventus eiusdem ‘mo-

(1) Fra quelli che frequentavano lo Studio e quindi sottoposti alla giurisdi-
‘zione del Rettore trovansi indicati negli. Statuti del 1457 (una riforma di Statuti
universitari molto più antichi) religiosos aut clericos quoscumque qui in iure artibus
aut medicina operam dant, quantumcumque sint positi in dignitate (Rub. 9, Lib. I).
Costoro quindi non studiavano soltanto le leggi civili e canoniche ma anche l'arte
salutare. È da credere però che ora di questa scienza imparassero soltanto poche
«nozioni seguendo il corso di filosofia, dove lo studio della fisica, che comprendeva

un po' di medicina, aveva un qualche sviluppo. NEL
(2) V. Regestum Clementis Pape V ex Vaticanis Archetypis ecc. Romae ea tipo»
graphia Vaticana 1887, vol. I, pag. 170. Di questa pubblicazione fatta da aleuni mo-
naci benedettini, quanto mai importante per la storia, io presi eognizione soltanto
quando i primi due fogli di stampa erano già stati condotti a termine, mercé la
gentilezza del sig. D. Gregorio Palmieri uno dei compilatori della medesima. A_que-
sto dotto monaco i sensi dell'animo mio grato.

"C

1 Mor Severi
KNEE HNNMENCHMNMCUMMM E. JO ge M MU MP rOSEUITINMEUENNUINE, ase gas c UN NEPCONNUUS NNNM ccos ae e DE eee D li ea
418 L. BRUNAMONTI 'PARULLI

nasterii, et in usus proprios convertendi ac disponendi. de illis

come a' lui fosse piaciuto: et libere instituendi et destituendi,
visitandi et. corrigendi personas ecclesiasticas eiusdem, monasterii, :
et subiectas eidem, percipiendi quoque statuendi et ordinandi, que
ad. salubrem. statum. ipsius monasterii pertinere cognoveris... Ve-
nendo in pari tempo dichiarate nulle electiones, postulationes i. b.
et provisiones quascumque abbatum. priorum, et ceterorum prela- — "
torum ac ministrorum seu officialium... Punizioni queste tutt'al-
tro che di poca importanza, le quali ci fanno intravedere
colpe non lievi, senza peró riuscire a comprendere quali esse :
fossero. Ma vi é ancora qualche cosa di piü che interessa il
nostro Ugolino. Non obstantibus, cosi continua .il Papa, quod WE IE
in dicto monasterio due dicuntur electiones una videlicet de fratre
Ugolino Abbate monasterii Sancti Donati Eugubine dyocesis et
altera de fratre Petro Henrrici priore sancti Montani Perusine
dyocesis in. discordia celebrate. È fin dal 1305 dunque (e pro-
babilmente al terminar. di quest'anno) che sj era formato un
partito fra i monaci a favore di Ugolino per averlo ad Abate.
Ma Clemente non vuole per ora nominarlo e perché la sua
volontà sia meglio nota a tutti, oltre alla Bolla indirizzata
al detto Cardinale una cousimile ne invia al Priore ed al
convento di S. Pietro ed una terza a tutti i vassalli e coloni
da' questo dipendenti. Non sappiamo per quanto tempo i mo-
naci rimanessero senza il loro capo naturale, quali gli atti
compiuti dal legato del Papa, quali i benefici o gli svantaggi
che ne ebbero. Nel 1310 (24 marzo) si ha una seconda Bolla
dello stesso Pontefice, in cui si legge che essendo vacante I' À-
bazia di S. Pietro per mortem quondam Alexandri abbatis eiu-
sdem monasterii, tres fuerunt ibidem, una de te (cioè di Ugolino) .
abbate monasterii s. Donati de Pulpiano sive s. Bartholomei de
Petrorio ad dictam ecclesiam pertinentis dicti ordinis, Eugubine .
diocesis, a majori etiam numero et saniori parte conventus ipsius
monasterii S. Petri canonice, et alia de fratre Pero, ‘priore .
s. Montani, ac reliqua de Grigiolo, monachis prefati monasterii
APPUNTI STORICI, ECC. LU 419

S. Petri, electiones in discordia celebrate (1). Era pertanto stato
eletto, cessato il governo del Colonna, un altro Abate di nome
Alessandro, alla morte del quale il partito dei monaci devoti
sempre ad Ugolino, formanti la parte più eletta del convento,
era tornato in maggior numero della volta passata ad affer-
marsi sul suo nome (2). Ma la vittoria non fu senza contrasti e
non sorrise ad essi se non dopo trascorso qualche tempo. Si
iniziò un giudizio avanti alcuni prelati nominati dal Papa a
risolvere la questione. I concorrenti eran stati tre, ma due soli
si presentarono per sostenere la propria candidatura. Il monaco
Grigiolo non ne aveva voluto più sapere. Esso ad interrogatio-
nem eiusdem cardinalis (Arnaldo Cardinale diacono di 3. Maria
in Portico, uno dei giudici)... presentibus te (sempre l'Abate Ugo-
lino) ac dicto fratre Pero (il Priore di S. Montano) rispose de-
liberatamente se nolle prosequi electionem huiusmodi de se fac-
tam. Si scelsero dei procuratori da una parte e dall altra.
Maestro Giovanni de Rocca fu nominato da Ugolino e mae:
stro Rinaldo de Setia da Frate Pero. Ambedue presentarono
le loro difese in iscritto: i» aegotio ipso libellis exhibitis. Si
prese nota con molta premura di quanto le parti avevano
desiderio e necessità di dire: auditis quoque ac plenius intel-

lectis que partes ipse coram eis (cioè i delegati) dicere, allegare.

et proponere voluerunt. Finalmente i giudici sententialiter. pro-
" nuntiarunt dictam electionem de dicto fratre Pero celebratam, non
esse nec extitisse. canonicam, ipsique fratri Pero super abbatia
dicti monasteri S. Petri perpetuum imposuerunt silentium (3). Ugo-

(1) V. Regestum ecc., vol. V, pag. 242. Nella serie degli Abati del nostro mo-
nastero dopo Orlandino Vibi va quindi posto questo Alessandro, di cui non cono-
sciamo altro che il nome: ed a lui successe I' Ugolino Guelfoni. In questo senso va
dunque rettificato quanto si è detto a pag. 411: e la modificazione é stata potuta
fare ora solamente per la ragione indicata. Il Bini nella sua storia non fa affatto
cenno nè del governo del Cardinale Colonna, né di quello dell'Abate Alessandro,

(2) Un'altra ragione per cui i monaci volevano per Abate Ugolino potrebbe es-
sere trovata nella parentela esistente fra la famiglia dei Guelfoni e la famiglia Vibi.

(3) Di questo Frate Pietro o Pero (probabilmente la stessa persona) emulo del
Guelfoni nel 1305 e nel 1310 non sappiamo nulla. I documenti ci dicono che era Priore

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lino aveva vinto: ed a lui Clemente indirizza la detta. Bolla
del 1310, nella quale il Papa, dopo aver riportato la sen-
tenza dai giudici emessa, ratifica quanto da costoro era
stato deciso, concedendo al neo eletto licentiam ad ipsum
monasterium S. Petri transeundi. Nello stesso senso il Ponte-
fice scrive al Priore ed ai monaci.
Quello che si disse quando i Canonici di S. Lorenzo, per
ben due volte, scelsero l'Abate Coppoli a Vescovo di Perugia
si potrebbe ripetere ora per Ugolino: che cioè ben nota do-
veva essere la fama che questi riscuoteva peri suoi meriti,
se con tanta insistenza veniva, dai migliori del nostro mona
stero, indicato come la persona più adatta per reggerne le sorti.
Sebbene scarse e frammentarie sieno le notizie intorno a lui,
fino a noi giunte, pure sappiamo che Giovanni XXII, successo
a Clemente, lo circonda di grande stima e di speciale deferenza

‘affidandogli, fra le altre cose, l’incarico, insieme a Matteo di

Ungaro lettore dei Frati Minori, di fare un'inchiesta (an. 1327) sul

‘conto di Frate Pietro di Mino da Siena, che, smesso l'abito fran-

cescano, si era unito ai Fraticelli riparati in Sicilia, divulgando
labiis suis larata licentia. falsa et mendosa in detractionem sedis
(apostolicae) (1). L'anno susseguente lo'stesso Pontefice gli af-
fida il compito, ancora più difficile, d istruire, insieme al Ve-

scovo di Perugia, un altro processo a carico di Frate Umile, cu- .

stode della provincia di S. Francesco, il quale nel Capitolo di
Perugia aveva severamente censurato le deliberazioni prese
dallo stesso Giovanni XXII contro Frate Michele da Cesena,
ministro generale dell'ordine dei Minori, lettore nello Studio di

di S. Montano e niente altro. Questo era uno dei tanti benefici dipendenti dal mo-
nastero di S. Pietro. Fu ai monaci ceduto a titolo di enfiteusi, con il canone di 12
soldi perugini, da Bernardo VIII Abate di Farfa circa il 1050, e confermato da Ales-
sandro II nel 1065 e poi da Rolando Abate del monastero di Farfa nol 1147. Nel 1441

Giovanni Abate farfense libero il nostro S. Pietro da tutti i pesi decorsi e da decor- .

rere, stabilendo che i nostri monaci pagassero per una sola volta 8 ducati d'oro,
che dovevano servire per gli arredi sacri della sua sagrestia. .
(1) V. FUMI, Eretici e ribelli nell Umbria ecc., pull. della R. Deputazione di

storia patriu ecc., vol. V, pag. 220.
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APPUNTI STORICI, ECC. 491

Parigi, commentatore famoso dei Sacri Testi, uno dei capi piü
autorevoli del movimento in difesa della povertà francescana.
Questi godeva grandissima stima da per tutto e per lui si
interessarono presso il Papa i Priori della città di Perugia,
) il Vicario del Vescovo di Terni, Roberto Re di Napoli, che
L3 ‘mandò il proprio medico per curarlo, avendolo saputo ma-
33 - lato (1). Grande dottrina, molta prudenza, non poca energia
doveva avere il nostro Abate per essere stato scelto a com-
battere questo personaggio così illustre (al quale facevano
capo eretici e ribelli) proprio nell'Umbria, dove era sempre
vivissimo il ricordo della vita menata da S. Francesco e dai
"suoi primi seguaci. A lui inoltre, come giudice ecclesiastico,
sono portate per essere risolte anche le questioni sorte fuori:
di Perugia, come risulta da un ordine di pagamento emesso
dal Rettore del Ducato di Spoleto a favore di Cieculo Vitalis
de Gual. Capt. quem misit Perusium ad Abbatem Sancti Petri

super facto questionis, quem habebat coram eo pro E. R. cum
. Epo. Spoletano super facto plebis de M. F. (an. 1325) (2).
(oc In nulla si modifica il carattere. di Ugolino dopo la sua
elezione a Vescovo della città nostra. Occupato questo posto
eminente esso continua a vivere estraneo alle gare citta-.
dine, alimentate per lo più da ambizioni personali e da dis-
sidî di casta, più che da ragioni politiche, Perugia rimanendo
sempre di parte, guelfa; nessun desiderio di potere lusin-
gando mai l'animo suo, inspiratosi sempre a sentimenti di fra-
.tellanza e di pace. Forse nei primi tempi del suo episcopato;
. non possiamo stabilire l’ epoca precisa, egli chiede ed ot-
tiene in prestito dai suoi confratelli alcuni oggetti e più
ila specialmente alcuni libri, a garanzia dei quali offre un ca-
vallo (ne aveva avuti due in dono dal magistrato per la sua
“consacrazione (3)), di cui il buon Prelato si priva ben volen-
tieri, come oggetto di lusso, pur di continuare ad avere

——————————— Tw

| i (1) V. FUMI, Eretici ecc., Bull. ecc., vol. V, pag. 237.
(2) V. Fumi, Registri ecc., Bull. ecc., vol. II, pag. 528.
(3) V. PELLINI, op. cit., pag. 512.
423 i L. BRUNAMONTI TARULLI

presso di sè gli antichi compagni delle lunghe veglie nella
sua cella di monaco. Questa notizia di libri chiesti ed otte-
nuti, soltanto dietro una buona cauzione, e ridomandati, in-
sieme alle altre cose prestate, con viva premura dopo la sua
morte dal sindaco del monastero al Vicario; al Capitolo, ai
varî Economi dell’episcopio, ci fa subito pensare che fossero
di un certo valore e di una qualche importanza; e che nella
biblioteca del convento ve ne fossero parecchi, tanto che .i
religiosi poterono senza loro grave incomodo cederli all'an-

tico superiore e maestro, al quale rimanevano sempre affe- -

zionati e riconoscenti. Così pure da questo particolare ci sem-

bra poter dedurre che la canonica di S. Lorenzo fosse meno ‘
provvista di libri che il monastero di S. Pietro, e che ora

Ugolino pensasse all’ istruzione dei suoi preti, come in passato
aveva pensato a quella dei suoi dipendenti. E se si potesse
andare anche più in là nelle congetture diremmo che pro-
prio sotto questo Vescovo, il quale nell'animo di monaco
conservava sempre l'amore ai codici, avesse maggiore in-
cremento la « modesta » biblioteca capitolare, che pochi
anni dopo si arricchi di un prezioso materiale mercé il
generoso dono fatto da Niccoló de Romanis di Osimo, proto-

notario apostolico, seeretario di Urbano V e Gregorio XI,
, o i D A

una volta Canonico nella chiesa perugina, il quale lasció ad
essa, con testamento fatto il 26 novembre 1313 in Avignone,
Breviarium meum quo utor, et quod in domo mea vocatur magnum,

et Psalterium meum glossatum, et Epistolas Pauli glossatas, videli- ..

cet pulchriora quae sunt Auximi et librum Mamorecti quem habeo
Avenione, coll'obbligo che si conservassero in perpetuo (1). A
meglio ricordare il nostro Ugolino si unisce infine il fatto che

esso fu uno dei primi Vescovi di Perugia a decorare titulo magi- :

sterij gli scolari del nostro Studio, privilegio da Giovanni XXII

(1) VERMIGLIOLI, Bibliografia storica perugina, pag. 30-31. — Perugia 1823. Que-
sto A. anzi vorrebbe che i primi tre codici sieno quelli che si conservano ancora
nella biblioteca capitolare.

e

Lc APPUNTI STORICI, ECC. E 7493.

concesso Episcopo Perusino et successoribus eius... qui erunt pro ..
tempore... vel ei quem, ad hoc dictus Episcopus duxerit - depu-
tandum (1) Era il Papa che, per antica consuetudine, concen-
trava in sé il diritto di concedere la laurea rivolgendosi a
lui le città che desideravano gli ambiti privilegi di uno Stu-
dio. Ed il Pontefice, dopo avere annuito, nominava. i suoi
rappresentanti, che erano i Vescovi, a conferire le insegne
della laurea dottorale, simbolo del grado di cui i laureandi
venivano ad essere investiti; grado conquistato dopo lunghe :
fatiche, superati esami difficili, e che dava ad essi più spe:
cialmente il diritto, almeno nei primi tempi, d’insegnare
tanto in pubblico che in privato; il che voleva dire aprire.
una scuola, che era sempre un nuovo focolaio di cultura.

Ma è sotto Ugolino dei Signori di Monte Vibiano, suc--
cesso all’ Ugolino Vescovo, che il monastero di S. Pietro rag- :
giunge il più alto splendore intellettuale e materiale, mercè
gli impulsi di quest’ uomo mirabile per ingegno ed accor-
tezza nel governo dei monaci, tenace nei propositi, inclinato

a magnificenza. Eletto nel 1331 resse l'Abbazia fino a circa.

il 1360. Tardando il Papa ad approvare la nomina. fatta
dai monaci, questi chiamano come loro Vicario generale un
suo congiunto, Oddone dei nobili di Monte Vibiano, Abate
di S. Maria della Farneta nella diocesi di Cortona (2); che a
sua volta delega altri religiosi dello stesso S. Pietro per il
disbrigo degli affari ordinari (3). Ugolino frattanto si reca in
Avignone (4) allo scopo di togliere ogni indugio, e per oi-
tenere più sollecitamente dal Pontefice la bramata conferma.
In questa attesa esso governa ugualmente per mezzo di let-

(1) V. Rossi, op. cit., vol. IV, pagg. 186, 251.
(2) V. Appendice, doc. I. .
(3) V. Appendice, doc. II. ‘ x :
. (4) V. Cronaca dal 1308 al 1355 già citata, pag. 21. Il Pellini (op. cit., pag. 512)
così scrive: « M. Golino (parlasi di quello eletto Vescovo di Perugia nel 1330) non
fosse de Vibij ma da Agobbio; et che M. Golino Vibij fosse creato Abbate di S. Pie-

- tro, dopo la promozione dell'altro al Vescovato e che... tornasse d'Avignone... ».

=
494 e .L. BRUNAMONTI TARULLI

‘ tere, munite del sigillo abbaziale, in cui è rappresentato colla

mitra e col pastorale, distintivi del suo grado, inviate ai suoi

‘ Vieari, ordinando per mezzo di esse che venga ammesso

alla professione monastica Balioncello di Ermanno di Ugo-
lino suo favorito (1). Giunte le desiderate Bolle, per le quali
spende somme ingenti di denaro, che pone a carico del mo-
nastero, torna in Perugia e circondato da una eletta schiera
di personaggi, appartenenti quasi tutti alla famiglia Baglioni,

‘suoì amici e protettori, si reca nel piazzale avanti la chiesa

di S. Pietro, dove, per mano di Ser Andreuccio notaro del
cenobio (2), in presenza del Priore claustrale, del Capitolo e di
molti testimoni, è aperto e letto il Breve (16 giugno 1331),
con cui Giovanni XXII nomina il Reverendo uomo Ugolino
di Nunzio Abate del monastero, ingiungendo che ad esso tutti

prestino obbedienza e riverenza come Abate e Pastore. Il

nuovo eletto poscia si reca col seguito nella chiesa, dove as-
siso nello scanno abbaziale, riceve solennemente l'obbedienza
del Priore claustrale, dei Priori delle ‘chiese’ e cappelle alla
sua dipendenza, che genuflessi pongono, in atto di suddi-
tanza, le loro mani in quelle sue (3); compiendosi la stessa

cerimonia, da parte dei monaci interni e degli oblati, nei giorni
successivi, nella sala del Capitolo coll'intervento di pochi testi-
moni (4). Il primo pensiero di Ugolino è quello di migliorare
lo stato economico del monastero in quei momenti assai dis-

sestato. Così ai 19 di giugno, cioè soli tre giorni dopo la sua
presa di possesso, aduna il Capitolo per stabilire quello che
si dovesse deliberare super facto debitorum; ed ai 21, sempre
dello stesso mese, si fissa da tutti, dietro sua proposta, una

-

(1) V. Appendice, doc. III.

(2) Questo é uno dei notari, secolari al servizio del monastero. Ecco come si
firmava, per solito, nei vari atti che redigeva: Ego Andrutius Magistri Francisci de
Perusto porte sancti Petri et parochia:sancti Stephant Impertali auctoritate iudex
ordinarius et notarius et nunc (11 Sett. 1331) noturius offitialis et scriba dicti. Mo-
nasterii... V. Lib. dei contratti, N. 2, pag. 40.

- (3) V. Appendice, doc. V. :

(4) V. Appendice, doc. VI e VII.

"5.
APPUNTI STORICI, ECC. 425
equa distributio debiti inter capitulum et membra (1). Ai primi del
luglio successivo inoltre. fa nominare è revisores offitialium
nelle persone di due religiosi ad revidendas rectifichandas cal-
culandas et eraminandas omnes et singulas ractiones omnium
et singulorum offitialium videlicet tam monachorum quam et.

oblatorum, clericorum et laicorum. et aliorum quorumcumque fa- :

iniliarium dicti monasterij et membrorum suorum ...; e nello
stesso giorno i revisores ecclesiarum che sono altri due monaci,
'eoll incarico ad eunduin et revidendum et rectifichandum et inve-
stigandum ac diligenter examinandum onmes et singulas ecclesias
prioratus capellas et benefitia ipsius monast. et priores rectores et
capellanos... (2). Regolate in tal guisa alta meglio le finanze

del convento, da poter far fronte ai bisogni. più urgenti (più :

tardi altre deliberazioni ancora di maggior gravità si pren-

dono in proposito) cerca di mantenere buoni rapporti fra

il magistrato cittadino ed i suoi dipendenti, appartenenti, come
si vedrà dopo, quasi tutti alle famiglie nobili della città,
eovernata dai popolari (3); ordinando che nessuno dei ban-
diti e dei condannati dal Comune potesse essere ricevuto né
di giorno né di notte entro S. Pietro. Chiunque avesse trasgre-
dito a questo comando, fosse monaco, oblato o familiare, in-
correva nella scomunica (pena sempre gravissima in quei

tempi per tutti, ma più specialmente per i religiosi) ed anche . .

espulso (4). Soddisfa i desideri dei Priori della Città, fin dove
sono conciliabili con lindipendenza del monastero, secon-
dando peró sempre le premure che questi hanno nell'abbel-
lire Perugia, come accadde un anno dopo la sua elezione,

(1) V. Lib. dei contratti, N. 2, pag. 11 t.
(2) V. Lib. dei contratti, N. 2, pag. 14 t.

(3) Erano già al potere i popolari i quali stabilirono subito pene contro i no- —

bili ehe volevano esercitare, come si è detto, un'illecita ed esorbitante influenza
sulle cose del Comune. Il Vibi, e con lui altri monaci, tollera assai a malincuore
questo governo, Esso però racchiude entro di sé i propri risentimenti, cercando
invece ehe buon sangue corra fra i capi della città ed il suo monastero.

(4) V. Lib. dei contratti, N. 2, pag. 10.

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2N

426 3 S L. BRUNAMONTI ,'ARULLI.

coll’ ordinare che si colmasse ‘e si spianasse il campo quod
dicitur frontone sancti petri, incaricando, come padrone del
luogo, a presiedere i lavori un tale Frate Tommaso, suo fa-
‘ miliare- (1).

. , Intanto.un grave fatto commuove la città. Oddo degli
Oddi assai stimato in patria e fuori, esperto e valoroso capi-
tano, viene ucciso (1 dicem. 1331) da don Uccio di Gualfre-
duccio Baglioni, Priore di Fonte, che ha complici il fratello
Filippuccio e Cecchino di M. Vinciolo (2). Non valgono le be-

nemerenze del padre dell'uccisore verso di tutti, per calmare
le ire del partito popolare, che si agita per un delitto cosi.

È grave. E la calma non torna se non quando i congiurati
vengono condannati alla morte. Ugolino ed i suoi monaci
dovettero essere in gravi angustie, non solo perchè devoti
"alla famiglia Baglioni, ma perchè uno degli autori dell’as-
Sassinio era ‘monaco, investito del priorato di Fonte. Che
:S. Maria di Fonte fosse alla dipendenza dell’ Abate di S. Pie-
tro, prima come priorato e poi come beneficio semplice, lo
- si-desume da parecchi contratti registrati nei libri-dai no-
tari: che don Uccio fosse monaco lo deduciamo ugualmente
dagli stessi istrumenti di quell’ epoca. Difatti nell'atto (28
aprile 1381) con cui Oddone della Farneta viene incaricato
delle funzioni di Vicario, tra i religiosi che lo nominano tro-
vasi Ucciolus dni Gualfredutij prior ecclesie sancte Marie de
Fonte; e così fra i Priori che promettono ubbidienza all'Abate

. (1) V. Appendice, doc. XII.

(2) Gli storici sono concordi nel ritenere che il movente del delitto fosse oltre
che l'odio che dividevai Baglioni e i Degli Oddi, anche il risentimento suscitato nei
loro animi per i fatti avvenuti nel 1330 per l'elezione del Vescovo. Don Uccio ed i

" complici, compiuto il misfatto, si salvarono nella chiesa di S. Domenico. Essendosi
però risaputo in città che gli assassini dovevano. essere riammessi in patria, forse
per scolparsi avanti al potestà « fu tanto rumore e sdegno fra il popolo di questa
voce che corso con grande impeto alla piazza et indi al palazzo non prima se ne
volse partire che non fosse detto priore con gli altri suoi seguaci et compagni che
furono ventiquattro condannati per la contumacia in pena della vita, cet Ceechino
di M. Vineiolo in pena pecuniaria » iV. PELLINI, Op. cit., pag. 510).
1

> APPUNTI STORICI, ECC. 427

dT,

camino nella cerimonia solenne del 16 giugno 1331, si rinviene

lo stesso individuo collappellativo di Frater: Fr. Ucciolus dni
Gualfredutij de Balglonibus prior ecclesie sancti Marie de Fonte.

‘Ma vi ha di più. Questo figlio di Gualfreduccio non si chia-

mava a dire il vero Ucciolo, ma sibbene Oddo.. Ciò si

rileva da un istromento di vendita in cui dompnus Oddo

alias dictus Ucciolus, quondam Domini Gualfredutii de, Balioni-

bus de perusio, monachus supradicti monasterii sancti petri de
perusio et prior ecclesie sancte marie de fonte perusine dyocesis, ad

ipsum Monasterium pleno iure spectantis, per se suosque succes-

" sores nomine et vice ipsius ecclesie, presente volente et consen-'

- tiente dompno Phylippo Rubei monacho ipsius monasterii et syn-

dico et procuratore dominorum Abbatis monacorum, capituli et
conventus.. vende e dà ad un altro ommes et singulos fruclus
redditus et proventus della detta chiesa. Questo atto: notarile .
redatto dal solito notaro Andreuccio fu stipulato ai 20 novem- ^ . .
bre 1331 in porta Sancti petri in claustro domorum Domini
Dalionis. novelli et fratris eius (1). :

Non si sa di positivo se Ugolino favorisse la fuga del:
l’uccisore, ma tutto fa crederlo, compiendo questo atto, certo
con molta prudenza, per non attirare sopra «di sè e sopra
i suoi religiosi le ire dei raspanti (2). Comunque è certo
che esso non lasciò di proteggerlo. Dedit licentiam, sempre
l'Abate Ugolino, dompno luce paulitij monacho dicti monaste-
rij presenti et intelligenti quod possit assumere et acceptare s
mandatum ipso dompno luce concessum per mobilem virum dom- .
pnum Oddutium seu Ucciolum quondam domini Gualfredutij de
balionibus de perusio monachum ipsius monasterij et priorem
ecclesie sancte marie de fonte... (3). L'incarico, affidato al monaco

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(1) V..Lib. dei contratti, N. 2, pag. 83.

(2) « Si ritirarono i malfattori in Porta s. Pietro e poi si salvarono dalla furia
del: popolo in S. Domenico, donde fur tratti salvi da alcuni amici loro » (V. Cronaca
dal 1308 al 1355 già cit.). Notisi che in Porta S. Pietro i Baglioni avevano delle case.
di loro proprietà e così i Vibi. ;

(3) V. Lib. dei contratti, N. 2, pag: Lr

x
428 L. BRUNAMONTI TARULLI

- Luca, Priore di S. Andrea della Fratta, per curare gli inte-
‘ressi del Baglioni, è del 19 gennaio 1332. Era quindi don
Uccio riuscito a scampare dalla pena di morte coll’ esilio.
E di questa premura non verso uno solo, ma verso tutti,
si trovano prove ad ogni pié sospinto, non soltanto durante
alcuni momenti difficilissimi che attraversa il monastero ma
per tutto il tempo in cui governa l'Abbazia. Sono sempre di-
nanzi alla sua mente le ristrettezze di questa e quelle dei sin-

goli monaci, che aiuta quanto meglio sa e può, dando ai mi-.

gliori come ricompensa lauti benefici, pur volendo la stretta

‘osservanza alle costituzioni monastiche. E per conoscere pro-

prio de visu le necessità di ciascuno, come per osservare se
i diritti della comunità ed i privilegi fossero ovunque ri-

»spettati (1), qualche anno dopo la sua conferma ad Abate

(an. 1335) inizia la visita delle chiese, (2) dei. priorati a lui
soggetti, ottemperando anche in ció a quello che la regola be-
nedettina prescriveva, e quando ne é impedito delega a rap-
presentarlo l'antico Vicario Oddone, con cui é sempre stretto
oltre che da vincoli di parentela da quelli di antica e costante
amicizia; ordinando, quasi tutto ció non bastasse, ad un mo-
naco espertó nelle legei, di studiare ed esaminare cón cura
i numerosi contratti finora conclusi, onde modificarli ed an-
che annullarli se risultassero fatti non secondo giustizia e a
danno del monastero. Come risultato di questo controllo,
compiuto con tutta diligenza, egli nomina a suo procuratore
Stefano di Guglielmo perché tratti con il Vescovo Ugolino

(1) Riferisco due particolari (desumendoli dal Libro 3° dei contratti, pagg. 47 e
48) i quali attestano la premura costante dei monaci, perché rimanessero sempre ri-
spettati i loro privilegi e sopratutto perchè fosse mantenuta l'indipendeénza del mo-
nastero dall'autorità vescovile. Visitando Ugolino la chiesa di S. Cassiano nella dio-
cesi di Todi, il Vescovo Ranuccio vi si recò per rendere omaggio all'Abate. Questi
pure manifestandosi lieto di ciò, elevò per mezzo del suo notaio una formale pro-
testa per essere il Vescovo entrato nella sua Chiesa. Tutto tornò tranquillo dopo
che questi assicurò che vi si era condotto non come Vescovo, ma come privato.
Analoga risposta fece il Vescovo di Perugia, quando entrato in S. Pietro si vide
avanti un sindaco dei monaci che gli ricordò esser essi solamente soggetti al Papa.
(2) V. Lib. dei contratti, N. 3, pag. 48 t.; Lib. id., N. 4, pag. 15 e 29.

re An

APPUNTI STORICI, ECC. |. 499

(an. 1337), l'antico Abate, e con qualsiasi collettore o sotto--
collettore, come pure con qualunque altro ufficiale della Cu--

ria romana a ciò deputato, super restitutionem decime actenus
solute per ipsum Monasterium et per dictam ecclesiam Sancti
Apolenaris (1), riuscendo ad ottenere più tardi per mezzo di

lettere papali, che venissero restituite ancora una volta queste.

stesse decime, che si vede erano state di bel nuovo tolte a
S. Pietro, insieme a quelle di S. Salvatore dei Pozzuoli, i prio-
rati più ricchi che vi erano, Der erogarle a vantagg io dei
monaci (2).

E nell’ampliare ed abbellire il monastero, nell’ erigere

‘dalle fondamenta prope Castrum francorum de Cassalina un

ricovero, pur essendovene un altro (3), allo scopo di racco-
gliervi i poveri, pauperes ibi colligendo, e per esercitarvi i doveri
dell’ospitalità, ac Aospitalitatem et alia pietatis opera ibi obser-
vando (4), uno dei precetti più importanti lasciati da S. Be-
nedetto, che il Vibi lascia un’ imprenta duratura dell'animo
suo grande e generoso. Difatti modificate e riparate le vec-
chie fabbriche, ne costruisce delle altre, come si rileva da
un prestito di 500 fiorini d’oro fatto ai 25 ottobre del 1337,
per sopperire in parte anche alle gravi spese di muratura, so-

(1) V. Appendice, doc. XVII.

(2) V. Lib. dei contratti, N. 4, pag. 73. Il monastero di S. Pietro aveva un censo
di libre 5090, il priorato di S. Apollinare di libre 500, quello di S. Salvatore dei Poz-
zuoli di libre 300.

(3) L'altro ospedale di Casalina era quello di S. Lazzaro e dai documenti si

rileva che fosse situato nelle pertinenze di Ripabianca. A favore di questo ospedale :

Cola di Angelo di Petrignano nel 1342 fa donazione di sé stesso e dei suoi beni (V.
Libro dei contratti, N. 3 pag. 106) e nello stesso anno Margarita, Giovanna di Nuc-
cio, Chiara di Pietro e Giglia Ponzolt infecte et oblate dicti Hospitalis costituiscono
in loro procuratore D. Angelo di Ceccolo Rettore del medesimo ospedale insieme a
Petruccio di Ceccolo suo fratello a poter agire contro gli eredi di detto Cola di An-
geluccio nomine et occasione cuiusdam infectionis sive obligationis quam. olim Cola
filius dicti Angelutit de dica villa (di Petrignano) fecit de persona sua et omnibus
bonis suis in manibus dictt D. Angeli pro hospitali ecc. ... Intorno a questa dona-
zione ed alle persone interessate parlo nel predetto mio lavoro 7 medici ecc.

(4) V. Appendice, doc. XIV. ;
— — Qa Qaod

Wear

— ———— MÀ€À

430. . CRI BRUNAMONTI TARULLI

stenute negli anni precedenti (1), e come si deduce da una

quietanza (28 dicembre 1337) rilasciata all’ affittuario della
‘ fornace di S. Costanzo per mattoni adoperati, pro opera palatii
‘novi nuper facti iuxta ecclesiam dicti monasteri (2). Ed essendo

cresciuti i monaci che egli puó ammettere quoties, quando et

«quomodo eidem: domino Abbati placuerit et ei visum- fuerit conve-
Aire, privilegio a lui concesso dai suoi sottoposti attendentes

magnitudinem dilectionis et fidei qua prefatus dominus Abbas et sui

— "omines semper habuisse... et habent, ac in futurum habere speran- |
.-tes circa honorem statum et incrementum eiusdem monasterii (3);
. ingrandisce nell anno successivo le costruzioni già esistenti.
I più bei nomi appartenenti alla nobiltà perugina, trovansi ora.

fra coloro che egli vuole siano ammessi a far parte. della
congregazione benedettina, mostrandosi abile nella scelta, ve-
nendo i-nuovi eletti dichiarati iuvenes bone conditionis et ho-
neste conversationis et fame, qui tam per se ipsos quam etiam

| per progenitores et majores ipsorum prefatum | monasterium în

capite et in membris poterit tueri, poterit ac de bono in melius

augmentare (4). Pensiero costante questo che si rileva in ogni

atto compiuto dal solerte Abate. Per i nuovi lavori da compiere

super claustro ipsius monasterii egli chiama (an..1338) dalla:

vicina Torgiano (5) abili maestri, che portano con sé ope-
rai, manovali, i quali debbono /aborare et sculpere, eseguendo

il tutto. con eleganza e con gusto artistico, prout magnificen-

tie dicti operis viderint convenire ac etiam exigetur. Condotta a
termine quest'opera, nove anni dopo (an. 1347), rivolge la sua
mente. al campanile, forse troppo modesta cosa in confronto

(1) In quest'epoca fu fatta una procura per trovare 500 fiorini d'oro allo scopo
di far fronte alle spese delle fabbriche del monastero, a: quelle del vitto e vestito
dell'Abate e dei monaci, essendo state vendute l’ entrate per pagare al Papa ed ai

‘. Cardinali le loro provvisioni.occorse per la nomina d'Ugolino ad: Abate. V. Lib. dei

contratti, N. 4, pag. 80.
"^ (9) V. Appendice, doc. XIX.
.. (3) V. Appendice, doc. XX.
t (4): X. Appendice, doc. XXI.
(5) V. Appendice, doc. XXII.

A ere i APPUNTI STORICI, ECC. 431

di tutto il resto, ma più specialmente della Chiesa, conservata
in quell'epoca, a quel che pare, tale quale era stata costruita
nel secolo decimo, bella nella sua elegante semplicità, ras-
somigliando molto alle prime basiliche cristiane (1). Man-
cando però i denari pro reparatione, acconcimine, et opera cam
panilis dicti monasterii S. Petri da in enfiteusi a Cola del fu
Guglielmo di Niccola da Casalina un pezzo di terra posto
nelle pertinenze di Ripabianca, onde procurarsi i mezzi ne-
cessari (2). Non sappiamo chi fosse l'incaricato a dirigere
1 lavori e quanto tempo questi durassero. Il silenzio dei do-
cumenti (almeno per quello che mi risulta) fa ritenere che l'ar-
chitetto fosse scelto proprio fra i monaci. Non vi erano ora
molti quattrini da spendere: quindi è difficile che si pensasse
a chiamare dal di fuori qualcuno che riscuotesse grande fama.

Una miniatura tolta dalla matricola del Collegio della Mer-
canzia eseguita nel 1377 e che io qui riproduco, ci pone sott'oc-
chio la figura del campanile di S. Pietro esistente in questa
epoca, facendoci apprezzare tutti i pregi dello splendido monu-
mento, che l'artista reputò degno di fissare col suo pennello (3).
Per me nessun dubbio che questo sia proprio quello riparato ed
abbellito nel 1347. Manca è vero il documento sincrono che lo
attesti, ma alcune considerazioni fanno ritenere non azzardato
il presente modo di vedere. Dal 1347 al 1388 nessun indi-
zio nè fra le carte del monastero, nè altrove, sia di restauri,
come di nuove costruzioni attorno al campanile del Vibi.
Questi è Abate fino a circa il 1360: naturale che durante il

(1) La chiesa dal 963 a forse tutto il 1451 non fu né ingrandita né abbellita. I
monaci la conservarono in questo lungo periodo di tempo quasi tale quale era nei
primi tempi della sua costruzione (V. Cez0 storico ed artistico della Basilica di
S. Pietro in Perugia, in L’Apoltoretico, pag. 455. Perugia, 1865). :

(2) V. Lib. dei contratti, N. 3, pag. 260.

(3) Debbo ringraziare sentitamente i Signori componenti questo Collegio che
permisero la riproduzione della miniatura per questo lavoro: ed insieme a loro il
cóllega dott. Raniero Gigliarelli, che mi favorì il cliché della medesima, da lui fatto
eseguire per una sua pubblicazione interessantissima per la nostra città, che viene
ora vedendo la luce dal titolo: Perugia antica e Perugia moderna. Perugia, Unione
Tip. Coop., 1907.

29
fn Mim E RES ———À

132 L. BRUNAMONTI TARULLI

suo.governo all'opera da lui compiuta non si portassero dei
cangiamenti. Dal 1560 al 1377 lo stato economico del mo:
nastero versa sempre in gravi condizioni. Fin dal 1358 i

monaci avevano dovuto creare un nuovo debito di 2000 fio-

rini d'oro, somma per quei tempi considerevole, per far fronte
a passività esistenti e per riscattare il podere di Bagnara,
uno dei migliori che avevano, e del quale si era impadronito
con prepotenza il Comune, che navigava esso pure in pessime

acque (1). È pertanto assai verosimile che i religiosi non pen-
sassero a fabbriche nuove od a riparazioni costose, causa
non ultima del loro dissesto economico, continuando anche
posteriormente al 1377 a vivere così, attendendo essi dopo, più
ai propri iuteressi che a quelli-del loro convento. Aggiun-
gasi che fino al 1388 non vi furono. ragioni speciali da in-
durre i monaci od il loro capo a trasformazioni radicali nel -
campanile. Ció avvenne alla fine di quest'anno, in cui s'inco-
minció ad adattarlo a luogo di difesa sotto il governo del
l'Abate Guidalotti, uno dei capi più battaglieri del partito dei
raspanti, vissuto quando le gare di partito avevano raggiunto
"un massimo d'intensità e di ferocia da esser lecito, da parte
di tutti, di compiere ogni delitto. Nella cronaca, detta del
Graziani, si legge che (an. 1388) « lo Abbate de San Pietro
figliolo de Simone de Ceccolo dei Guidalotti, homo astutissimo
fece levare de là cima del campanile de San Pietro una statua
overo fegura de metallo orato a figura e statura de San Pietro
quale era de altezza 7 piey; et quando ebbe fatto buttare a
terra la dicta fegura, fece scarcare el dicto campanile quasi
fino al mezzo, et fu armurato et fatto el tetto alla ghirlanda
de sotto » (2). Un'altra cronaca conferma lo stesso fatto colla
sola variante che la statua era della « misura di duo piedi » (3).
Il campanile diroccato non poteva essere quindi che quello

(1) V. Lib. dei Contratti, N. 6, pag. 37-39.
(2) V. Cronaca ecc., pag. 232.
(3) V. FABRETTI, Cronache della città di Perugia, pag. 47.
APPUNTI STORICI, ECC. 433

raffigurato nella matricola. Dopo tutto ciò, nulla di arri-
schiato il ritenere che la costruzione del Vibi rimanesse im-
mutata per circa 40 anni, fino a che una mano vandalica
non ebbe a distr uggerla, privando così la chiesa ed il mo-
nastero del loro più bell’ ornamento esteriore.

Molto più difficile è lo stabilire quali fossero i fabbricati
di cui risultava formato il convento ai tempi di questo Abate.
Lasciando da un lato quanto si può ricavare dalla detta mi-
niatura, dove è riprodotta anche la facciata della chiesa
. col suo portichetto, e dove si vedono due parti di un ampio
fabbricato con grandi finestre bifore elegantissime, un istro-
mento del luglio del 1331 letto în sala palatij veteris ed un
altro del 10 settembre dello stesso anno redatto in /oya pa-
latij novi ci attestano che vi erano due costruzioni grandiose,
chiamate una palazzo vecchio e l'altra palazzo nuovo, senza
poter riuscire a ben stabilire se quest'ultimo sia lo stesso del-
l'altro di cui si ha ricordo nel 1337 e che si dice in quest'anno di
recentissima costruzione, e situato vicino alla chiesa. Si aggiunga
a: questi due palazzi il chiostro ingrandito nel 1338, ed ecco
tutto quello che di più preciso è stato ritrovato nell'Archivio,
intorno a questo punto che non è certo di scarsa importanza
“per ‘la storia del monastero. A rendere più difficile la presente
indagine vi contribuisce il fatto che i Perugini, come me-
glio vedremo in seguito, per vendicarsi dell'assassinio di
Biordo Michelotti commesso da Francesco Guidalotti Abate
di S. Pietro: (an. 1398), saccheggiarono il convento, appic-
candovi il fuoco, rispettandone solo la chiesa. Non è però
da credere che ogni cosa venisse distrutta. A parte le di-
sposizioni prese in epoche varie, le quali proibivano severa-
mente che nei tumulti si demolissero i fabbricati, disposizioni
queste sempre di un valore assai relativo, Perugia, come del
resto tutte le città, aveva sempre molto a cuore i propri mo-
nasteri. Gravissimi quindi i danni, ma non tutto demolito,
anzi molto, io credo, risparmiato. La porzione più antica del
monastero che attualmente rimane è l'ampio chiostro, il più

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134 L. BRUNAMONTI TARULLI

grande dei tre che possiede ora 5. Pietro, con un pozzo nel
mezzo; costruzione quanto mai pregevole appartenente alla
fine del secolo XV ed ai primi del successivo, in massima
parte deturpata da lavori assai posteriori. Detto chiostro
di forma quadrata risulta composto di parecchie parti: un
loggiato, un piano superiore a questo ed un altro ancora
più in alto. Nel primo piano la volta è modellata a crociera
e nella facciata che prospetta il chiostro si vedono bene le
vestigia di ampi loggiati, l'uno diviso dall'altro da colon-
nine snelle di pietra incastrate ora nel muro. E nel con-
tratto fatto nel 1338 coi maestri Bartolo e Minuccio figlio
del maestro Puccio de Castro Torsciani si parla di facere et
laborare quatuor cruceria de matonibus super claustro ipsius mo-
nasterij..., promettendo gli artisti omnes fenestras que intra-
bunt et erunt faciende in pariete anteriori versus dictum. clau.
strum... laborare et sculpere de colupnellis et aliis laborerits
condecentibus... Mi guarderei bene dal dire che questi due dati,
della volta a crociera, e delle finestre con colonnine sieno
più che bastanti ad affermare essere questo in modo certo il
chiostro nel quale gli artisti di T'orgiano lasciarono l'impronta
del loro valore. Tutto però fa crederlo; aggiungendo che su
di.esso si fecero piü tardi i nuovi abbellimenti, elegantissimi,
quando i monaci pensarono a provvedere ai guasti portati
dai Perugini nel 1398.

Alcuni storici del nostro S. Pietro sono piü recisi di
me intorno a questa questione, asserendo inoltre che il chio-
stro ampliato dal Vibi veniva chiamato fin da tempi remoti
chiostro delle Scuole (1). Anche attualmente sopra gli stipiti

(1) V. BINI, Memorie storiche ecc. Questo chiostro era anche detto del Capi-
tolo, poiché da esso si accedeva per mezzo di una porta alla sala dove i monaci si
adunavano ogni tanto per vari motivi. Dei restauri compiuti nella sala capitolare si

ha notizia nel 1485 e l'incarico dei medesimi fu affidato ad un tal m. Fino d' Ugo-

lino che ebbe il suo compenso « per giustare e acconciare lo Capitolo e fare la
scala appresso esso capitolo ed altre cose ». M. Fino era in grande stima presso i
Perugini essendo stato scelto nel 1481, con altro artista di gran pregio, a valutare i
lavori del Palazzo, che doveva servire di residenza al Capitano del Popolo, eseguiti

an Imma ar QU
APPUNTI STORICI, ECC. : 195

di tre porte, situate in un braccio del medesimo, parallela-
mente ad una navata della chiesa, si trovano incise le parole
logica, theologia, philosophia, potendosi cosi dedurre chiara-
mente .che proprio in quelle stanze si insegnavano queste
materie. Nessun dato però .ci-autorizza a fissare in che epoca
ciò avvenisse e molto meno che questo fatto avesse luogo ai
tempi dell'Abate Ugolino, sebbene fosse uso antichissimo che
nei conventi le scuole venissero poste in luoghi, ai quali si
poteva accedere dal di fuori con grande facilità, venendo
questi scelti o in vicinanza dell'ingresso del monastero, o
in prossimità della chiesa, come era proprio fra noi, perché
le lezioni di teologia e di filosofia erano frequentate oltre
che dai religiosi anche da scolari esterni, per dirla con un
vocabolo moderno.

Ma lasciamo di rintracciare il luogo dove s' insegnava,
e fermiamoci ad indagare quello che s' imparava. Certo che
la teologia dovette anche in S. Pietro occupare il posto di

da Gasparino di Antonio e Leone di Matteo, lombardi. La port: | elegantissima e le due
finestre sempre della sala del Capitolo, non che la parte ornamentale della detta

scala fatta da m. Fino, furono eseguite da un altro non meno valente di lui, cioé-

da Francesco di Guido lapicida fiorentino. Difatti nei libri del monastero si legge:
« 1505. M. Francesco deve havere... f. 179 ... che tante glie se fanno boni per doi fine-
sire e la porta facte al Capitolo verso el Claustro e doi finestre de travertino facte al
detto Capitolo e peducce 14 fatti al detto Capitolo... ». « 1508. M. Francesco... f. 145,
2,2 .. che tanti gli si fanno boni per tutte le pietre lavorate per la scala nuova a
capo el dormitorio a lato alla nostra Ecclesia, Colonne Quatriscelli, Archi grandi e
. piccoli, peducci e mensole, sottomani-e golette... ». Questo se arpellino da Firenze si
si condusse in Perugia avanti il 1487, prendendovi stabile dimora, ammogliandovisi
e comperando una casa a Porta S. Pietro con alquante terre. L'aver preferito que-
sto luogo della città ad un altro, dimostra come molti fossero i lavori a lui com.

messi dai monaci. E difatti molti ne troviamo un po' da per tutto: nella chiesa, ©

nel monastero, in molte parrocchie alla dipendenza di questo, nelle rocche di Ca-
salina e di S. Apollinare (V. Cenno storico eec. in L'Apologctico ec... pag. 261, 305).
Perugia in quei tempi ospitava un gran .numero di artisti specialmente lombardi
d'indiscusso valore. I monaci, premurosi sempre del loro convento, spinti ora dallo
zelo dei muovi Abati introdotti per la riforma di Eugenio IV, alcuni dei quali ave-
vano uno squisito sentimento artistico acquistato con il dimorare ora in una Badia
ora in un altra, ricche sempre di grandi tesori d’arte, li presero ai loro servizi, ab-
bellendo, mercé l'opera loro, quello ehe era rimasto dopo il sagcheggio compiuto.

* nel 1398.
nx

LE: 136 L. BRUNAMONTI TARULLI

onore fra gli insegnamenti, come accadeva in tutti i conventi — ^
d'allora. Né poteva essere diversamente. « La scienza di Dio
a cui tutte le altre sono ancelle » rimase esclusa, fatta qual-
i, che rara eccezione, per lungo tempo dai pubblici Atenei, cioè
^.finoa circa la seconda metà del secolo XIV, abbracciando
l'insegnamento universitario più specialmente le leggi civili e
canoniche e la medicina. E finché essa non poté entrarvi a
far parte, con diritto di conferire i gradi accademici, come le al.
tre sue consorelle, venne inseguata nelle cattedrali e nei mona-
steri, dove furono Studi teologici famosi, frequentati dai laici

e dai chierici. Prima però di arrivare alla logica, alla filosofia,
alla teologia, una specie di corso superiore, che si cercava
venisse impartito dai migliori del monastero, bisognava avere.
imparato la grammatica, la rettorica ed altre materie secon-
darie, corso di assai minore importanza in confronto dell’altro
e frequentato solo dagli interni. Quello che si può affermare

indubbiamente si è che sotto il governo del Vibi tutto con-

correva a far sì che agli studi si attendesse con vero pro-

fitto. Vi contribuirono anche senza dubbio le sollecitazioni

dei Cardinali, e di altri personaggi della corte papale, che

assai di frequente erano ospitati nel monastero; non avendo ,
ricusato; forse, qualcuno di costoro, dietro vive premure del- |
l'Abate, di commentare i Libri Sacri, Aristotile, Graziano, . |
| i nelle stesse scuole dove insegnava il monaco lettore, din- |
È das d naazi ad un uditorio più numeroso e più vario del con- |
| sueto (1).

(1) Che la venuta in Perugia di alcuni fra i più autorevoli personaggi eccle-
siastici giovasse in vari periodi di tempo a far progredire gli studi nel mona-
stero è più che attendibile. Il Mariotti così scrive su tale argomento: « Non è dif-
ficile il persuadersi che la dimora di più pontefici e del fiore della corte ecclesia-
stica in Perugia, contribuisse moltissimo a far sì che in essa in qualche onore sa-
lissero anche gli studi sacri... I papi più dotti di questo. secolo (XIII) dimorarono
| fra noi: ed é ben ragionevole il credere che in loro compagnia vi fossero molti
i Il dotti Teologi,i quali non avranno trascurato di spargere i buoni semi della loro
cultura (V. Appunti sulle storia della cultura e degli studi in Perugia. Ms. bibl. !
com.). i 1
APPUNTI STORICI, ECC. - 437

Il diritto civile ed il diritto canonico facevano essi parte

dell'insegnamento monacale in S. Pietro? Per il primo non

vi è da crederlo, non interessando direttamente nè i chierici
nè i monaci. Qualcuno lo avrà studiato per proprio diletto

od anche per i bisogni della comunità, più particolarmente
«in qualche summa, che si trovava sempre nelle biblioteche

monastiche. Non così per il secondo, poichè sebbene venisse
insegnato nei Ginnasi pubblici, pure costituiva sempre un
elemento importantissimo della cultura del clero, e lettori va-
lenti si trovavano nelle scuole clericali. Ed é per questo che
noi troviamo i nostri monaci solleciti nel provvedersi di libri
appartenenti a questa disciplina, come risulta da un contratto
fatto in data 30 giugno 1336 (1) con Antonio di Maestro Gio-
vanni, il quale si obbliga di glossare per conto di Fra Marino
di Cristoforo librum sex. Bonifatij de meliori seu de equa bona
lictera et glossa quam idem Antonius fecit et facere incepit in
primo dicti libri.., promettendo lo stesso Fra Marino dal canto
suo di somministrareli il vitto e di ricompensarlo un tanto
per petia (2). Intorno a questo monaco che per il primo ci
comparisce dinnanzi, come unc degli studiosi del diritto cano-
nico ecco quello che è stato possibile raccogliere. Esso fa parte
del monastero fin dal 1331, ed è nel gruppo di quelli che adu-

nati capitolarmente eleggono a proprio Vicario Oddone della

Farneta. Nessun accenno della stima e della fama che po-
teva riscuotere presso i suoi confratelli. Non lo si trova nep-

pure investito di qualche priorato, moltissimi ne aveva sem-

pre il nostro S. Pietro concessi e tolti ad ipsius domini Ab-

batis beneplacitum; la qual cosa farebbe supporre che il Vibi

(1) V. Appendice, doc. XV. i
(2) Col nome di pecie 0 petiv s'indicava una specie di misura mercé la quale

‘erano fissate le dimensioni di ogni manoscritto. Ogni peti« risultava di sedici co-

lonne, ognuna delle quali conteneva sessantadue linee e ciascuna linea trentadue
lettere. Il qaraternzs era ordinariamente composto di sedici pagine, ma poteva va-

‘riare a seconda della carta e del carattere. E nella stazione vi era un elenco in cui

era fissato il nolo di ciascuna petia, il quale variava a seconda dell’ importanza del
libro (V. Coppi, Le univ. ital., pag. 162. Firenze, 1886).
n

ER iem het IE NT UY

438 L. BRUNAMONTI TARULLI

avesse avuto bisogno dell'opera di questo religioso per de-
volverla a tutto vantaggio degli altri, al punto da richiederne
la continua dimora nel chiostro. Si puó tuttavia fissare che
grande fosse ed indiscusso il suo valore scientifico, veden-
dolo incaricato (an. 1337) ad eseguire con fedeltà e piena li-
bertà d’azione (notisi che sono sempre al potere i nemici di
Ugolino) omnia et singula sibi commissa per Comunem perusij
circa studium et cathedre studij perusini, come il tutto risultave
da un rogito del notaro dei priori Ermanno di Ranaldolo,
poco tempo prima che si riaprissero le scuole; approvando

e ratificando l Abate omnia et singula gesta per eum pro

ipso studio (1). Inoltre sui primi dell’ anno susseguente lo
stesso Fra Marino riscuote (dopo averne ottenuto il permesso
come aveva fatto per l’altro negozio) a Comune perusij et a

quibuscumque offitialibus dicti Comunis omnem pecunie quantita-

tem quam recipere teneatur et debet a diclo Comune pro suo sa-
lario occasione offitij actenus sibi commissi a dicto Comune super
conducendis et eligendis doctoribus ad studium et im studio’ pe-
rusino... (2), non comprendendo con molta chiarezza da

(1) V. Appendice, doc. XVIII. La commissione fu data ai primi di ottobre ed
anche da noi, come negli altri Studi, l'anno scolastico incominciava in questo mese,
nel giorno di S. Luca, compiendosi l'inaugurazione del medesimo con solennità e
con l'intervento delle varie autorità e degli studenti.

(2) Appendice, doc. XXIV. 4 meglio comprendere l'incarico aflidato al nostro
Fra Marino riportiamo qualche altro esempio. Nel maggio del 1322 Fra Giovanni di
Benvenuto e Fra Pisello di Angelo ambedue dell' ordine della Penitenza, insieme a
Marino di Giacomo notaro, vengono prescelti a veri e legittimi sindaci, procurato-
res, actores, factores nuntios speciales ud eligendum et conducendum pro”Comune
Perusij probos et famosos doctores et lectores unum vel plures vel semet vel pluries
et in eo inodo quo et quando eisdem sinducis et cuilibet eorum in solidum videbi-
tur et placebit tam in Iure canonico quam civili et in extraordinariis et in medi-
cinalibus et in Philosophia et in qualibet scientia et facultate et pro tempore quo
eisdem sindacis et cuilibet eorum in solidum videbitur et placebit. Le stesse parole
eligendun et conducendum si riscontrano nel documento che riguarda Fra Marino.
I due Frati della Penitenza hanno però un mandato più ampio di quest'ultimo,
Difatti essi sono anche autorizzati a fissare pro mercede et pro eorum labore...
illud salariuin vel salaria et quantitatem] pecunie che ad essi sindaci fosse sem-
brato conveniente, da pagarsi dagli stessi Frati della Penitenza, che erano o7/iciales
super blado, una metà iv festo nativitatis domini, e V altra metà in festo resurre-
—— à

te

APPUNTI STORICI, ECC. 439

questo documento se i compensi fossero per un solo incarico,
quello dell'ottobre 1337, ovvero anche per un secondo, che po-

la 3)

teva esser quello del febbraio 1338. Così i monaci di S. Pietro,

trovansi associati ad altri personaggi, e non sono pochi, in-.

caricati dalle autorità cittadine a ricercare lettori per l' Uni-
versità (3).

ctionis Di secundum forinam statutorum...; a promettere che detti lettori sareb-

bero tenuti tamquam. veri Cives perusini in civilibus et criminalibus, convenendo
che avrebbero dovuto insegnare secundum morem consuetudinem et stilum Civi-
tatis. Bononte, senza potersi allontanare dalla Città sine licentia dd. Priorum Ar-
tium et Rectoruin Universitatis scolarium Civitatis Perusij... (Annale 1322, fol. 106).

(1) Scorrendo i vari documenti riguardanti lo Studio troviamo, specialmente
nelle prime epoche, persone diversissime colla missione di cercare i lettori, quali
per es. un mercante, un bidello, degli scolari, dei giudici, dei religiosi, per lo più i
Frati della Penitenza (come si é visto), che appartenevano al terzo ordine di S. Fran-
cesco, incaricati anche di altri uffici delicatissimi. Si deve però subito pensare che

di tutta questa gente i meno dotti non avessero altro compito che di stabilire le
‘condizioni materiali del contratto, od anche mandare ad effetto quelle in antece-

denza fissate, mediante le quali i lettori 24m. etectt dovevano recarsi presso di noi.
Gli altri invece, cioé i più colti (e si noti che tra i Frati della Penitenza vi erano
anche dei dottori: v. PELLINI, loc. cit., p. 385) avevano da espletare un mandato più

ampio ed elevato, mandato che importava una grave responsabilità, dipendendo la.
rinomanza dello Studio dalla fama dei docenti che venivano scelti. Fra i vari nomi
| registrati negli annali decemvirali né ricordo ancora uno, assai più autorevole degli

altri, quello di Oddo degli Oddi, il quale ai 9 settembre 1308 fu incaricato, insieme
ad un altro, di recarsi a Bologna ad preces interponendum quod Comune Bononie
amore et gratiu comunis perusij et populi quod per Comune bononie detur. licentia.
eidem domino Iacobo belviso de morando et stando in Civitate perusij ad legendum.
Nessun meglio di Oddo poteva compiere la difficile missione, essendo ritenuto oltre
che valente nell'arte della guerra, molto abile nel trattare gli affari civili, ponendo
in ogni ufficio grande dottrina, acutezza di mente, serenità di giudizio e avanti tutto
e sopratutto affetto profondissimo verso la patria sua. E notisi che era stato il Bel-
viso, il più gran luminare delle scienze giuridiche dei suoi tempi, a chiedere che
si inviasse una solenne ambasceria al Comune di Bolognia per ottenere di rimanere,
venendo con premura ricercato da questa città, sua patria. Non sappiamo quale fosse
il risultato di questa missione. Quello che certo si è che nell'agosto dell’anno suc-
cessivo il grande legista era sempre a Perugia, venendo ai 25 di questo mese in un
consiglio dei Priori presa in attento esame una lettera delle autorità di Bologna,
colla quale lo si richiedeva a tuttii costi, minacciandolo, se non ubbidiva, di gravi
pene. Vos, dice il Potestà bolognese, cu; tota vestra familia exbanpniri popolo
faciemus, et bonorum et domorum omnium funditus dirui, et cuncta. comuni bononie
upplicari... Il magistrato perugino, desiderando che esso continuasse ad essere
doctor in Civitate perusij dum viverit, gli propone ‘di risarcirlo di ogni danno,
stabilendo che s' inviino nuovamente solenpaes ambariatores ad Comune Bononie...
qui rogent et intercedant quod contra eum nullus processus fiat... E se il Belviso

acconsentiva di ritornare a Bologna si stabilisce quod per suos scolares vicissim Cu- -

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440 : L. BRUNAMONTI TARULLI

Fra Marino, sebbene ris zuota tanto buon nome, allo scopo
di soddisfare l'ardente brama che ogni mente non volgare ha
di sempre piü apprendere, non isdegna di andare alle pub-

. bliche scuole in compagnia di Fra Balioncello, occasione studij

proseguendi. E questo desiderio era ampiamente giustificato,

| perché l'insegnamento universitario aveva raggiunto in que-

st'epoca fra noi un ampio sviluppo, con professori numerosi,
classificati in pubblici e privati, divisi anche in ordinari e stra-
ordinari a seconda dell importanza della materia che professa-
vano; frequenti le ripetizioni e le dispute scolastiche a cui
prendevano parte e dottori e.studenti, nobile palestra orga-
nizzata con alti ideali, dalla quale chi riusciva vittorioso po-
teva aspirare a divenire pubblico insegnante, meta agognata
da molti, ma soltanto raggiunta dagli ingegni più poderosi. Non
si sa quando questa licenza venisse concessa. Si trova sol-
tanto la revoca della medesima, fatta per mano del notaro
del monastero (lautorizzazione dovette essere concessa alla
stessa maniera) in data 1 aprile 1338 (1); risultando da questo
atto che di essa i detti monaci ne avevano fino a questo tempo
usufruito, e che si toglieva ai medesimi, perché il recarsi in
città era motivo di discursus sul loro conto, il che disdiceva

‘al buon nome Zpsius monasterij et dictorum monachorum.

rialiter custodiatur... Splendido esempio delle premure della città per avere i mi-
gliori lettori. Il Belviso quantunque minacciato del sequestro della sua persona, nel
1310 non era però più a Perugia, ed in sua vece troviamo eletto Raniero Vibi. La
sua assenza da Perugia é di breve durata, riscontrando negli annali del 1311 per il
mese di ottobre (poco prima che si riaprissero le scuole) la nomina di Lillo bidello
degli scolari incaricato ad representandum domino Iacobo Belviso civi bononienst
legwm doctori dignissimo electionem de dicto domino Iacobo factam per dominos
Priores Artium... ad legendum. ordinarie juria civilia in Civitate Perusij... et ad
promittendum eidem salarium ordinatum in electione predicta cc. fl. auri pro lec-
tura proximi anni... et ad promittendum solutionem. dd. fl. faciendam in hunc
modum. videlicet medietatein in festo nativitatis domini nostri yesu christi et aliain
medietatem in pascate resurrectionis. Il Belviso era chiamato a leggere pro «n0
prozxine inchoando in mense novembris prorime venturo. (Annal. 1331, f. 144). Più
tardi l'anno scolastico invece incominció, come si é detto, nel mese di ottobre, il
giorno di S. Luca.
(1) V. Appendice, doc. XXV.

LM. AS Mea De EREDITA PAPER ua) A Mae t P -——
APPUNTI STORICI, ECC. 441

L'animo del Vibi dovette rimanere profondamente addolo-

rato per questi fatti. Però egli non ha il coraggio, tanto ama
che i suoi monaci s'istruiscano, di proibire che abbandonino

per sempre lo Studio. Toglie solamente la facoltà di uscire a.

loro beneplacito fuori del monastero occasione dicti studij vel
alia quacumque..., permettendo solo che vi si possano recare
domini Abbatis expressa licentia et mandato. Forse i due mo-
naci studenti avran preso parte a qualche tumulto, a cui
non rimanevano estranei gli stessi insegnanti, cosa frequen-
tissima nelle città dove essi erano in buon numero. Ma an-

che altre ragioni’ dovettero intervenire, da ricercarsi nelle

tristi condizioni della città sempre in lotta fra i due partiti,
se troviamo che lo stesso Abate, pochi mesi dopo, estende la
proibizione di recarsi in Perugia ai monaci claustrali e conven-

tuali ed agli ecclesiastici (1), e poscia l anno successivo ai

chierici ed agli oblati. del monastero (2), i quali tutti non
obbedendo incorrevano ipso facto nella pena della scomunica,
riserbando a sè od al suo rappresentante il diritto di conce.

dere la licenza, quando si fosse stimato conveniente di darla.

Siamo in un periodo di tenipo in cui gravi deliberazioni
si prendono dai vari partiti, l'uno contro l'altro armati, che
si contendono il potere in Perugia; e fin dal 1333, in odio ai
nobili, i raspanti avevano commesso ai Frati della Penitenza
la compilazione del « Libro Rosso », dove si registrarono i
nomi degli appartenenti alla nobiltà, non già a titolo di onore,
ma perchè venissero meglio indicati al pubblico disprezzo e
perchè fosse più facile il colpirli all'occasione. opportuna.

A malincuore però i monaci stanno lontani dalle pub:
bliche scuole e con più vive sollecitazioni domandano di.

ritornarvi. Nuovamente Ugolino soddisfà questi desideri, e
considerando che i religiosi sono in obbligo di studiare e
d'apprendere, dovendo la loro sapienza rifulgere sicut gemma

(1) V. Appendice, doc. XXXIV. ,
(2) V. Appendice, doc. XXXVII.

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449 L. BRUNAMONTI TARULLI

fulgida resplendet in anulo, ai 17 ottobre 1338 cioè pochi
giorni prima che si riapra lo studio, sempre per atto nota-
rile, habito consilio et assensu dictorum monacorum et capituli
et conventus... dedit et concessit licentiam... fratribus Marino

| Christophori, Balioncello hermannj, "et..Ugolino domini. petri...-

humiliter supplicantibus et petentibus, di tornare a studiare il
diritto canonico i» studio perusino, a patto che nei giorni di
festa e nei giorni solenni nei quali tacevano le lezioni fosser
presenti nel coro, a tempo della messa e della recita delle ore
diurne, colla ingiunzione espressa che ne sub pretextu eiusmodi

studij discurrere andeant per plateam et palatia Comunis pe-

rusijj, non dovendo andare in città se non per imparare. Il
permesso veniva tolto immediatamente se per altri scopi
vi si fosser condotti (1). Analoga concessione vien fatta lo

. stesso giorno a Fra Corrado monaco, Priore della chiesa di

S. Donato di Montefrondoso, il quale chiedeva eundi ad scolas
juris canonici studij perusini colla raccomandazione ipsum stu-
dium viriliter et utiliter proseguendi tam in ipsa scientia et iure
canonico, come anche in quelle, altre discipline che allo stesso
fosse sembrato più conveniente di apprendere (2). E
Eccoci dinanzi ad un nuovo e più vigoroso risveglio in-
tellettuale fra i nostri benedettini; anzi sembra che per i
medesimi non vi sia più per l'avvenire alcun impedimento
di frequentare l'Università (nel 1557 abbiamo in proposito
un permesso ancora più esplicito dell’ Abate Vibi) (3), rima-
nendo però sempre in vigore le disposizioni, alle quali soli
pochi ubbidiscono (4), con cui si ordina di non uscire dal mo-
nastero senza il permesso del capo del medesimo o del suo
rappresentante. Cosi continuano pure le commissioni per tra.

. scrivere i libri di diritto canonico. E lo stesso Vibi (agosto 1539) -

stipulante pro eodem monasterio e non nel proprio interesse,

( 1).V. Appendice, doc. XXXV.

(2) V. Appendice, doc. XXXVI.

(3) V. Lib. dei contratti, N. 5, pag. 83.
(4) V. Appendice, doc. XXXVIII,
can

APPUNTI STORICI, ECC. 443

fa un contratto con Guglielmo da Bologna, il quale promette di
scrivere de bona. et legali lictera lecturam hostiensis editam su-
per V libris decretalium, di continuare il lavoro senza inter-
ruzione, consegnando .XJJ petias scriptas et completas de opere
predicto ogni mese, dietro un certo compenso per ognuna,
oltre al vitto, alla carta, all'inchiostro; convenendosi fra le
parti che l'Abate potesse esser citato anche coram dompno...
Rectore Universitatis studij perusini (1) se avesse mancato ai
patti contrattuali. Un altro ne stringe (ottobre 1339) il monaco
Fra Marino con Tommaso inglese che doveva ricopiare me-
dietatem Novelle domini Iohannis Andree vel tantundem alterius
operis ad beneplacitum. ipsius Marini, et consegnare sibi quo-
libet mense X petias stationi de boni et legali lictera usque ad
complementum: dicte medietatis ipsius operis, vel altérius.. , men-
tre il committente promette di acquirere ei exemplar et dave

(1) V. Appendice, doc. XL. Il documento dell'esistenza certa del Rettore degli
scolari nello Studio perugino è del 15 ottobre 1304, cioè tre anni avanti che Cle-
mente V lo dichiarasse perla prima volta Studio perpetuo e generale in ogni facoltà
(V. Ross, loc. cit., vol. IV, p. 51). Anzi nel documento non si fa menzione di un solo
Rettore ma di più, i quali fin d'allora s' interessano direttamente dei propri maestri
col volere che si conducessero i doctores graanatice et l0jce collo stesso stipendio fis-
sato per i doctores ii ivre. Era un contracambio di cortesia questo per le premure po-
ste dai lettori nel 1296, i quali avevano chiesto che gli studenti forestieri con i propri
famigliari godessero dei privilegi concessi agli altri Studi. Quanta stima e quanta
affezione reciproca fra docenti e discenti, formanti una sola famiglia più che una
associazione! Avevano gli scolari nel 1304 un Rettore per gli ultramontani ed uno
per i citramontani, come avvenne in epoche posteriori, ovvero soltanto uno per
i legisti ed uno per gli artisti? Si può sicuramente affermare che in Perugia gli
iscritti alle arti non godessero nei primi tempi gli stessi diritti, compreso quello
di eleggersi il proprio capo, come ‘gli altri iscritti alle leggi. A Bologna tutti gli
scolari dello Studio indistintamente ebbero uguali privilegi soltanto nel 1316, e lo
stesso avvenne dopo quest’ anno nelle altre Università. Inoltre pensare che molti
fossero in Perugia gli stranieri nei primi anni non par verosimile. Ma comunque
fosser le cose ai tempi di Ugolino, cioè se vi fossero uno o più Rettori, certo si è
che questi esercitavano una estesa giurisdizione civile sopra tutto quello che aveva
attinenza colle scuole. Naturale quindi che si fosse convenuto nel contratto con Gu-
glielmo da Bologna e con Tommaso inglese di richiamarsi a quanto il capo delle
medesime avesse deciso in caso di controversia, trattandosi di ricopiare un libro
scolastico. Della autorità del Rettove in scriptores correctores et mintatores et li-
gatores tibrorim. si parla chiaramente nella rubrica 9° del primo libro degli Statuti

universitari del 1457.

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MES 441 L. BRUNAMONTI TARULLI

cartas et inconstrum ed ogni altra cosa necessaria per scri-
vere, pensando alle spese giornaliere, e dando un tanto per
petia; patti che lo scrittore non ritiene per validi se non
sono ratificati dall' Abate (1).

Riesce a questo punto interessante di indagare in che
| modo provvedessero i religiosi di S. Pietrc alle spese occor-
SR E pe renti per frequentare lo Studio. Per quel che riguarda Fra

zl Ta Marino e Fra Ugolino ed altri, di cui non ci sono giunti i
nomi, nulla sappiamo; ma è probabile che vi pensasse il mo-
nastero, qualora fosse ai medesimi mancato ogni cespite di
entrata, mentre Fra Corrado poteva provvedervi con i pro-
venti del suo priorato. Non è così per Fra Balioncello. Questi
.é un nobile signore: recepimus nobilem virum Balioncellum her-
mann) de perusio in monachum et in fratrem... Così scriveva I A-
È bate Ugolino al suo Vicario Oddone (Mag. 1331). Quindi nulla
| egli deve chiedere ad alcuno, impedendoglielo l'orgoglio di
| casta, che difficilmente scompare anche al disotto del saio
monacale. Prima di farsi monaco Balioncello ha ceduto ai
suoi fratelli la proprietà del suo patrimonio, ma di questo
st é riservato in vita sua il fruttato, le rendite, i proventi,
. che ora, ottenuto il permesso di studiare nelle pubbliche
362 scuole, chiede di amministrare e di adoperarli per quel tanto
che gli potrà occorrere. E l'Abate in vista che ipsum studium :
Jil] o7 2 7 0 absque magnis sumptibus utiliter, prout affectat, prosegui non
: LES valeret, dopo essersi consigliato con i suoi monaci capitolar-
È Li a i mente convocati e trovatili tutti concordi, concede (febbraio
i] . ©. 1338) allo stesso Balioncello la facoltà fructus redditus et pro-
T : ventus dispensandi et convertendi in suas mecessitates tam pro
libris et aliis expensis opportunis ad. supradictum studium pro-
sequendum, quam etiam pro quibuscumque aliis suis necessitatibus
rilevandis et pauperibus et consanguineis ut sibi placuerit ero-
gandi... (2); e più tardi (agosto 1339) anche di recarsi in città

(1) V. Appendice, doc. XLI.
i > (2) V. Appendice, doc. XXIII.
APPUNTI STORICI, ECC. : 445

causa habendi consilium alicuius vel aliquorum iurisperitorum,
sempre per i suoi particolari interessi (1).

Non ci deve far punto meraviglia se appaiono cosi
grandi le spese per gli scolari di quei tempi, da venire im-
piegata gran parte della. rendita d'un patrimonio. I mag-
giori denari erano adoperati per l'acquisto dei libri, che
costavano sempre moltissimo, tanto che chi ne ereditava in
buon numero, specialmente se avevano appartenuto a qualche
famoso dottore, addiveniva ricco. Si era cercato dal magi-
strato perugino (2) di favorirne la diffusione col dichiarare
prima esenti dall'imposizione della libra i libri legali dei
giudici e notai, più tardi dalla gabella quelli dei dottori fo-
restieri che venivano a leggere e quelli dei scolari che ve-

nivano a studiare, ordinandosi successivamente che. fosse ‘

severamente punito chi avesse portato fuori della città i libri

il) V. Appendice, doc. XXXIX.

(2) Nello Statuto del Comune del 1279, che come é noto raccoglie statuti più
antichi, si dice che devono- essere esenti dalla collazione della libra le torri, i pa
lazzi, le case, il vino, i panni, le masserizie, £ libri legali dei giudici e dei notavi.

‘Nella gabella del 1379-1391 si parla di libri ecclesiastici, di medicina che debbono

passare senza nulla pagare, come pure di libri dei dottori forestieri e degli studenti
che venivano a Perugia. Negli Statuti del 1415 è poi stabilita in modo ben chiaro la
pena per ogni volume che venisse estratto dalla città dai dottori e dagli scolari
senza permesso (100 libre di denari) La stessa ingiunzione é ripetuta nel 1433, col-
l'aggravante della perdita dei libri, il cui prezzo doveva essere diviso fra quelli
che li ritrovavano e la Camera apostolica. Erano poi tutti autorizzati a fare ricerche

in proposito, perché in quest'anno era stato cancellato ogni permesso di estrazione. .
Negli Statuti degli scolari del 1457 però troviamo che gli studentes et matriculati
in perusino studio possint et valeant libere sine aliqua gabellae vel pedagii solutione

libros suos sive sint textus. sive lecturae, et omnia alia eius bona extrahere ad eo-
rum ibitum et voluntatem de civitate et comitatu Perusii, praemissis primo tribus
bandimentis in locis consuetis, tribus diversis diebus, habita licentia a domino re-

ctore si fuerit, et si non fuerit. a. priore collegii cuius rectoris vicen [gerit]... E que-

sto permesso doveva valere anche per i dottori e maestri di ciascuna facoltà con-
do ,ti in Perugia (rub. 26 lib. 3.?). Ciò dimostra che forse ora non vi era più tanta
penuria. di libri come per il passato. Con tutto questo il magistrato cittadino si pre-
occupa sempre del timore che essi vadano dispersi. E così nel 1482. sapendosi che
nel convento di S. Domenico sit quedain libraria valde nobilis et pulcra et multo-

rum Ubrorum copiosa ordina che se ne faccia l'inventario (V. Rossi, loc. cit,, vol. IV,

pag. 381). Di questa libreria si. hanno notizie fin dal 1300 (V. VERMIGLIOLI in Memo»
ria di Jacopo Antiquari). Altre disposizioni di eguale importanza si trovano in epo-

. Che successive.

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— —— M — OP PRIN ONE Y nn Ti CIN I t a o —— — ——- ———
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ni
446 L. BRUNAMONTI TARULLI

senza licenza, imitando anche in questo gli Statuti di Bolo-
ena (1) Tuttavia i prezzi erano sempre elevatissimi, ed il
commercio dei medesimi rimaneva, si può dire, circoscritto
fra i più dotti ed i membri delle Università. Di più il bi-
sogno d'averne si faceva ogni giorno maggiore ed urgente,
‘non--solo per imparare quello che i lettori insegnavano, ma
anche per prepararsi alle dispute, alle ripetizioni che avevano
luogo frequentemente durante l'anno scolastico. E chi non
aveva mezzi sufficienti per comperarli od anche semplice-
mente per prenderli a prestito dagli stazionari (2), dai bi-
delli ed anche dai professori, mediante adeguati compensi,
fissati nei cataloghi esistenti in ogni stazione, non si faceva
scrupolo di rubarli e frequentissimi erano i furti dei libri a
danno dei professori e degli scolari più facoltosi. Sebbene ai
tempi di Ugolino i pubblici maestri venissero pagati dal Co-

mune, di solito col prodotto della vendita del grano e della.

gabella del vino, pure ad altre spese non lievi andavano in-
contro i nostri studenti, nei lunghi anni di dimora allo Studio.
Il corso di diritto civile durava otto, quello di diritto cano-
nico sei; e le spese più gravose erano quelle per iscriversi alla
matricola, per pagare i bidelli che facevano delle collette due
volte l'anno in epoche stabilite, guadagnando così assai ;. per
i compensi dovuti in occasione dell'esame privato e di quello
pubblico, in cui si prendevano le insegne dottorali con erande
solennità în majori ecclesia perusina. Per questa circostanza
specialmente occorrevano (almeno fu così per qualche tempo)
somme vistosissime, in parte erogate per pagare il collegio dot-
torale, i promotori, il Vescovo, il Rettore, il bidello, il notaro
degli scolari e quello della curia vescovile, il campanaro,
i quali percepivano laute propine stabilite dagli Statuti uni-

(1) V. Stat. Bolognesi, lib. T, pag. 25, indicati dal GurnAnDaccI, in Storia. Boto-
gnese, lib. XXI, pag. 117.

(2) Negli Statuti universitarl del 1457 si fa esplicita menzione in varie rubriche
dei peztari, degli stazionari, dei legatort di libri, indicandosi chiaramente i doveri
di ciascuno. Tutti dipendevano dal Rettore dell'Università.
D —

rie diii a A i e uii ttp Bene

APPUNTI STORICI ECC. : 447

versitari; in parte per i ricchi donativi che si facevano alle
varie autorità che intervenivano con grande pompa, e per
le feste a cui dava origine il conferimento della laurea
stessa (1) L'istruirsi quindi, e più ancora il giungere’ ad
apicem doctoratus, poteva dirsi quasi un privilegio dei ricchi

.e chi non provvisto di largo censo frequentava i pubblici

Studi, trovavasi alle prese cogli usurai, fra i quali non di
rado qualche professore, che prestava ad essi denaro ad un

saggio elevatissimo, costringendoli poi a prendere alloggio

nella propria casa, altro mezzo molto opportuno di guada-
gno (2).

(1) Anehe da noi ingenti erano le spese che si sostenevano da molto tempo
tam in privato examine quam in publico. Si cercò pertanto di ridurle, allo scopo di

‘togliere lo sconcio che molti propter graves et immoderatas evpensas, si allonta-

nassero da Perugia. E così nel 1389 in apposita rubrica (rub. LXXXXiij) di uno Sta-
tutello (pubblicato dal Rossi in op. cit. Vol. VI pag. 318) si fissal'ono i compensi da
dare ai singoli individui, che prendevano parte all'esame privato ed a quello pubblico,
cella penalità di cento libre di denari da pagarsi o dal dottore o dal laureando (cow-
ventandus) che trasgrediva tale legge. Potendo così tutti sostenere le spese occor-
renti, si volle togliere l’altro inconveniente, che non aveva più ragione di essere, che
cioè molti studenti dopo l'esame privato venissero promossi al dottorato secreta-
mente (et secrete et clandestine doctoratus insignia recipiebant) e non pubblicamente
nella chiesa di S. Lorenzo, ritornando ciò iz »Ónagnan verecundiam dicte. Civitatis
et in magnum dedecus pervsini studij. Si stabili pertanto (Rub. LXXXXiiij di detto
Statutello) che nessuno scolare cittadino o forestiero dovesse esser promosso al
dottorato nisi huiusiodi publicam et publice faciat in dieta maiori Ecclesia peru-
sina, pena la multa di cento fiorini d'oro, da imporsi dal Comune. Altre disposi-
zioni che riguardano i laureandi si trovano sempre in questo Statuto, come per
esempio quella assai liberale che chi #2 «Uo studio quam perusino fuerit erami-
natus in aliqua scientia vel facultate, et in privato examine approbatis per do-
ctores, quando ciò risultasse da pubblico istrumento, poteva esser promosso al dot-
torato, senza ripetere l'esame sostenuto altrove. Manca però, almeno per le ri-
cerche finora da me fatte, in mezzo a tanti savi ordinamenti, una nota simpatica,
quella cioè di addóttorare gratis et amore dei un dato numero di studenti poveri,

- cittadini e forestieri, mentre ciò accadeva in altri Studi.

(2) In ogni città dove trovavansi degli studenti vi erano degli incaricati a pre-
star denaro ai medesimi. Anche fra noi abbiamo (an. 1304) un tal Boscolo di Arezzo
qui mutuat et mutare debet pecuniain scolaribus in civitate perusij studentibus pro
Aonore dicti comunis et studio conservando in civitate predicta, il qual Boscolo ve-
niva esonerato dalle pubbliche prestanze, finché dava denaro agli studenti, e cosi
anche da qualsiasi gravame. Nessun accenno di questi individui negli Statuti del
1457, il che fa pensare che gli studenti nei loro bisogni ora ricorressero a chi me-
glio faceva loro piacere, trovandosi così liberi di non capitare sempre sotto le unghie
di uno stesso usuraio. Dove gli studenti aflluivano in gran numero, i cittadini stan-

30

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il
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448 . L. BRUNAMONTI 'TARULLI

L'essersi recati i monaci con tanto interessamento allo
Studio, fa pensare che oltre ad un numero considerevole di
lettori ve ne fossero alcuni, specialmente nel diritto canonico,
assai valenti. Scorrendo anche soltanto la storia della nostra
Università, dal suo inizio che fu modesto all'epoca che ci
interessa di esaminare con qualche dettaglio, si osserva che
vennero fra noi ad. insegnare i cultori più: rinomati non solo
nella giurisprudenza canonica, ma anche nella civile, e poi
anche nella medicina, Peró non avvenne sempre cosi, sebbene
ogni volta che si doveva provvedere alla nomina dei doctores
legentes, che erano per solito dei forestieri, i Savi dello studio, i
Priori, gli scolari (i quali ultimi non si stancavano di ricordare
ai primi il dovere che avevano di richiamare im civitate pe-
rusij copia doctorum et magistrorum qui moribus fama et scientia
alios antecedant) ponessero ogni cura per possedere i migliori (1).
Numerose erano già le Università e quindi grande la ricerca di
pubblici insegnanti. Questi, non di rado, mettevano nei contratti
condizioni non accettabili, domandando fra altre cose com-
pensi cospicui, che non si potevano sempre pagare con facilità,
specialmente quando le finanze del Comune erano esauste,
come spesso accadeva a Perugia, impegnata a spendere in-

. genti somme per le continue guerre. Per il 1338, in cui quasi
a metà d’anno Ugolino richiama dallo Studio i suoi religiosi,
d’un solo lettore canonista abbiamo notizie certe, cioè di Fe-

ziavano somme non indifferenti che davano a mutuo con saggio modesto, perché con
esse provvedessero ai loro bisogni. Anche questo era uno dei tanti mezzi adoperati
per richiamare un gran numero di scolari.

(1) Coll'autentica Habita di Federico I (an. 1158) gli iscritti alle Università pro-
- fessori, studenti e moltissimi altri ebbero i loro privilegi ed ogni città ove sorgeva
uno Studio emulava le altre nel conferirne in maggior numero. E Perugia nulla
trascurò in ogni epoca per stabilire importanti condizioni di favore per i lettori e
per gli scolari forestieri, fissando assai per tempo (an. 1296) per es. pubblici stipendi
per gli insegnanti, con grande soddisfazione dei medesimi, che vedevano così assi-
curato in modo certo il loro guadagno, e con grande sollievo degli studenti che in
tal guisa non pagavano più i propri maestri: chiamando tanto gli uni che gli altri
a godere degli stessi diritti dei cittadini; autorizzandoli ad aver tre giudici di loro
Scelta (an. 1306) nelle cause civili e facendo altre concessioni, che non erano di mi-
nore importanza di quelle stabilite da altre città.

ym
APPUNTI STORICI, ECC. 419

derico Petrucci, senese, ricordato dal sommo Baldo coi nomi
di pater recolendae memoriae e di dominus meus, e dichia-
rato da questi precipuus decretorum. doctor inter cunctos, che
avrebbe insegnato dal 1333 al 1343. Bastano queste parolé per
. conoscere di quanta stima e rinomanza fosse circondato questo
insegnante. Il titolo di dominus veniva dato dagli scolari a
quei professori che essi seguivano fedelmente, accompagnan-
doli nelle varie città dove erano invitati, dividendo con loro
i disagi, non che i privilegi e le franchigie. Il maestro chia-
mato con l’altro di dominus meus era poi il preferito fra
tutti. Se ne frequentavano assiduamente le lezioni, raccolte
in volumi.e diffuse fra i dotti; se ne accettavano senza. esi-
tanza le opinioni, conservate con premura e tramandate in-
variate da scuola a scuola, mostrandosi in pari tempo gli
studenti particolarmente ad esso affezionati, ricordandone il
nome con venerazione quando alla loro volta salivano la cat-
tedra. Per il 1339 invece la matricula scolarium et universita-
tis scolarium et doctorum Studii perusini ci indica che quattro
sono i lettori per il diritto canonico, (per il civile sono solo
tre) ossia: Dnus Symon de Vicentia, Federicus de Senis, Ar-
naldus de Senis, ed un tal Archidyaconus Yspanus, i quali
tutti probabilmente insegnavano anche nel 1338, durando
ora le condotte assai più d'un anno. Scarsi sono i dati per
stabilire il valore di ciascuno di questi tre nuovi dottori.
Si può però ritenere che fossero ugualmente valenti quanto
l’altro, per il numero notevole di coloro che frequentano in
quest’anno lo Studio, specialmente i corsi del diritto canonico,
che ha ora un numero d'insegnanti maggiore di quello fis-
sato dal magistrato nel 1306, che era solo di due. E fra
gli studenti, ve ne sono stranieri ed italiani. Si può dire che
ogni regione d’Italia vi sia rappresentata. Così pure troviamo
un Paulus Monachus Scte Crucis Fontis Avellanae un Michael Mo:
nachus scii Teofidi Avignonis Dyocesis, un Nicolaus de Bononia
Monachus Scte Marie de Pescia, un Frater Blarius de Ite-
rane, un Ferandus Johannis Canonicus Avinionis, un certo
450 L. BRUNAMONTI TARULLI

Archydyaconus de Cathalogna ed un Frater. Bonsulanius ed
un rater Leo ambedue di Boemia dell'ordine di $5. Bene-

detto. I nostri di S. Pietro non potevano desiderare una com. .

pagnia migliore e più omogenea. E notisi che. i centoqua-
rantadue iscritti (questo è il numero preciso che risulta dalla
detta matricola) non sono tutti gli scolari dello Studio in
quest’ anno, mancando non solo quelli della città e del con-
tado, che per disposizione degli Statuti universitari aon
intelligantur esse nec sint de universitate nostra (1), sebbene
essi pure frequentassero le lezioni, ma anche molti altri
appartenenti alla medicina, e quelli che seguivano i corsi di
filosofia e della logica, di cui non si ha indizio alcuno, per
trascrivere i quali il notaro dell’ Università aveva lasciato
in bianco una pagina intera d'un ampio foglio, che faceva

parte dei protocolli dell’associazione, alla fine del quale tro-

vasi il suo nome colla sua qualifica (2).

Ma non è soltanto il numero rilevante dei lettori e la
fama di qualcuno di essi che tien vivo nei monaci. il desi-
derio di udirli, di frequentarne con'assiduità le lezioni. Vi
contribuiscono anche gli stimoli e le sollecitazioni continue
dell'Abate, che cerca di trasfondere nei loro animi l'affetto

(1) Et quod scolaribus qui sunt et qui pro tempore erunt in civitate perusij sit
licitum vniversitatem constituere et sibi rectores eligere qui vectores habeant ilud
officium et illam potestatem quam habent vectores in studiis generalibus, Così deci
ceva il magistrato cittadino nei primi anni dello Studio (an. 1306). Il concedere che
eli studenti si organizzassero in società era uno dei primi atti che compiva il Co-
mune a vantaggio del medesimo e dei primi venuti. Erano però i soli forestieri (fo-
renses, advenae) che godevano questo privilegio. Nella forza che proveniva dall'as-
sociazione a cui appartenevano, i cui Statuti dovevano essere in antecedenza ap-
provati dai Priori, essi trovavano le energie in difesa dei loro diritti. Gli studenti
cittadini avevano le proprie leggi e queste erano più che sufficienti a garantirli
in ogni evenienza. Della esclusione dei secondi da questo grande corpo scolastico
trovasi esplicita memoria nei citati statuti del 1457. Addimus etiam huic statuto quod
scholares cives perusini vel comitatentes non intelligantur esse, nec sint de uni-
versitate nostra, nec in ea aliquid habeant participium nec in aliqua congregatione
universitatis interesse possint, nist per rectorem ct consiliarios essent vocati... (Rub. 9;
lib. 3). E tale distinzione fra studenti forestieri e cittadini durò fino al secolo XVII.
(V. CRISPOLTI, Perugia Augusta, pag. 38). :
(2) V. Rossi, loc. cit., vol. V, pag. 180 in nota.

— É E À——
c: — M ———— —

APPUNTI STORICI, ECC. 451

che esso nutre per questi studi. Ugolino fa parte di una
famiglia di dotti. Raniero di Andreuccio legum doctor de
cuius lectura scolares contentantur (1) (il più bello elogio che
si poteva fare ad un insegnante), che fa scuola di diritto ci-
vile in mancanza di Iacopo Belviso e di altri dottori fore-
stieri nel. 1310; e dal 1313 al 1316, e suo figlio Andrea, lettore

. nel 1342 (2), appartengono ai Vibi. Onofrio d'Andrea (an. 1316),

Giovanni (an. 1378) ambedue del castello di Monte Vibiano, ed
altri della stessa provenienza sono dei doctores legum, che oc-
cupano uffici pubblici di grande importanza. E l'Abate Vibi
non é certo inferiore a tutti questi, come cultore del diritto
canonico. Difatti esso viene nel 1331, cioè appena divenuto
capo del monastero di S. Pietro, nominato dal Papa Giovan-
ni XXII giudice nella causa d’appello tra Luca di Andreuc-
cio, Michele di Giraldo ed il Priore con i Canonici della
Trinità di Preggio (3); e nel 1332 è prescelto a conservatore
e giudice del monastero di S. Croce dell’Avellana, insieme ad
altri due Abati delegati-dallo stesso Pontefice. Non potendo
però accettare questa incombenza, assorbito com'era da molte
cure, ed. essendo anche afflitto da egritudine corporali, per-
mettendoglielo le lettere papali, presentate da Francesco di
maestro Guido, monaco e sindaco del detto monastero, no-,
mina in sua vece un altro valente canonista cicé reveren-
dum et probum virum Dominum petrum de Terrafinis de Bono-
nia decretorum doctorem archipresbyterum Ferrariensem perusij
residentem (4). Nel 1346 è incaricato di visitare il monastero di

(1) V. Rossi, loc. cit., vol. IV, pag. 90. Il nome di Rariero di Andreuccio nel

. « Libro rosso » vedesi seguito dal titolo di judex, il.che dimostra che nel 1333 eser-

citava l'ufficio di giudice. Tredici anni prima aveva esercitato quello di potestà a
Castiglione del Chiusi; e del 1319 fu uno dei prescelti a definire una grave que-
stione. Bartolo, che certo lo: conobbe di persona,.lo chiamò uomo recolendae ;ae-
mortae. i

(2) Dominus Andreas Ranerius de monte ubiano legum doctor trovasi fra i giure-
consulti che risposero al dubbio proposto da Federico Petrucci sotto il numero
CCXXiiij dei suoi Consigli (V. Ross, loc. cit., vol. V, pag. 304).

(3) V: Appendice, doc. VIII. :

(4) V. Appendice, doc. XI.

"wu iu j r uS. ZUWrOKTPT C Mn
459 L. BRUNAMONTI TARULLI

S. Paolo iu Val di Ponte, insieme a. Vesciano Vescovo di Gub-
bio e Pietro Vescovo di Città di Castello e nel 1347 l'altro
di S. Giuliana di Perugia, compito questo affidatogli da Ber-
trudo Prete Cardinale del titolo di S. Marco (1). Né mancano
privati cittadini che ricorrono all'opera intelligente di Ugo-
lino per i loro particolari interessi, e fra essi alcuni delle
famiglie più distinte per nobiltà e per censo, come i fratelli
Angelo, Pietro, Giovanni, Marchesi del monte di S. Maria,
figli di Guido, i quali, avendo da comporre delle controversie
sorte fra loro, danno eidem domino Abbati eorum arbitro ple-
nam licentiam et liberam ac plenariam potestatem et faculta-
iem, promettendo di rimettersi a tutto quello che il detto ar-
bitro avesse deciso (an. 1341) (2).

Ecco quello che è stato raccolto intorno al nobile e re-
igioso uomo Ugolino di Nunzio di Filippuccio di Monte Vibiano,
cittadino perugino, di porta S. Pietro e della parrocchia di
S. Silvestro, la cui opera durata quasi un trentennio fu di-
chiarata dai religiosi, fin dai.primi anni del suo governo
(an. 1338), magnifica, grandia, utilia et honorifica. Molte altre
cose si sarebbero dovute aggiungere, qualora si fosse voluto
scrivere un lavoro completo intorno a questo Abate, e l'ar-
gomento si presentava attraente ed utile per la storia del mo-
nastero. Ma questo non era il mio compito, quindi tutto
quanto non aveva una qualche relazione colle presenti inda-
gini è stato abbandonato, certo con molto rincrescimento.

Prima però di continuare nella ricerca che c' interessa
per le epoche successive al Vibi, non sarà discaro al let-
tore di conoscere un po’ più da vicino gli scrittori ai quali
ricorsero i nostri monaci, limitandoci a vedere se essi fos-

(1) L'Abate Ugolino nella qualifica di deputato, visitatore, correttore e rifor-
matore del monastero di S. Giuliana in Perugia nomina alla sua volta due procura-
tori per comparire, nella causa d'appello promossa dalle monache di detto, mona-
stero e da altri, avanti Francesco Abate di S. Bartolomeo di Camporeggio della Dio-
cesi di Gubbio (V. Lib. dei contratti, N. 3, pag. 256 tergo).

(2) V. Lib. dei contratti, N. 3, pag. 68).
Cus: CREE. PRIA

APPUNTI STORICI, ECC. ; 453

sero. stati dei semplici copisti, ovvero se anche un poco dotti
nelle leggi. Indagine ben ristretta pur troppo, ma altre più
importanti intorno a costoro non è stato possibile fare per
la deficienza di documenti, altre volte lamentata. j

Paolo di Guglielmo olim de Bononia nunc (an. 1339) habi-
tator in Civitate perusij e Tommaso del fu Adamo scriptor de
Anglia et nunc (an. 1339) habitator in Civitate perusij erano dei
semplici amanuensi, che facevano il mestiere ben retribuito di
trascrivere non solo le lezioni dei lettori dello Studio, ma an-
che di copiare i codici per conto dei privati. Per essi non
vi è alcun dubbio, perchè i contratti sono molto chiari in
proposito. ;

Lo Sealvanti illustrando gli Statuti della Societas Ger-
manorum et Gallorum in Perugia, parla di molti artisti stra-
nieri venuti in questa città circa il quattrocento, non ‘solo
per ricamare, possedendo noi una scuola famosa di ricama-
tori in quell'epoca, ma anche per miniare e per copiare i ma- .
noscritti (1). Anzi l'illustre professore ricorda una società
cittadina, composta di abili miniatori, nella quale circa il 1308
si pensava di introdurre dei cangiamenti. Di quelli che in Pe-
rugia vendono, prestano, conservano, copiano, miniano e rile-
gano libri, si fa esplicita menzione negli Statuti dell’ Univer-
sità degli scolari del 1457, i quali non sono niente altro che
una riforma di Statuti assai più antichi redatti forse anche
prima del 1342 (2). Comunque nessun dubbio che a tempo di ,
Ugolino Vibi si trovassero degli amanuensi cittadini e fore-

(1) SCALVANTI, Statuto della Societas Germanorum et Gallorum in Perugia ecc.
(Bull. della R. Deput. di storia patria ecc., vol. V, an. 1899). Dei numerosi copisti che
erano in Perugia poche sono le notizie rimaste, ma se ne trovano sempre in tutte
le epoche. Così per il 1270, una delle più remote, st ha che un tal Accomandolo di
Bonasperanza scrive parecchi libri legali per incarico avuto da Pietro Cappello,
giudice agli stipendi del Capitano del popolo. Lo scrivano finita l'opera sua emette
un atto di quietanza, per mezzo di notaro, a favore del committente essendo stato
soddisfatto di quanto gli si doveva per le opere trascritte, che sono indicate nel-
l'atto stesso (V. Rossi, Nuova serie del giornale di erudizione, pag. 84).

(2) Guino PADELETTI, Contributo alla storia dello Studio di Perugia net secoli
XIV e XV — Bologna 1872. i :
DIETE AI wil:

454 L. BRUNAMONTI ''ARULLI
stieri, in discreto numero, facenti o no parte della corpora-

zione scolastica poco importa, (anzi a dire il vero parrebbe
che anche i nostri copisti riconoscessero nel Rettore degli

scolari una speciale autorità sopra di loro stessi), ai quali

amanuensi si ricorreva, come meglio piaceva, quando si vo-
leva far ricopiare un libro (1). E la scelta cade, da parte dei
monaci, proprio sopra due forestieri. È facile comprendere
perché venisse preferito Paolo. di Guglielmo da Bologna.
Questi si era recato in Perugia sicuro di fare affari, sa-
pendo che lo Studio era rinomato e frequentato da nume-
rosi scolari. Avrà forse trasportato le sue tende in mezzo a
noi, in una di quelle emigrazioni scolastiche così frequenti e
così -carattéristiche di quelle età, durante le quali si allon-
tanavano da uno Studio, spesso per ragioni che ora sem-
brano di poca importanza, mentre in quei tempi avevano
grande valore, professori, studenti ed anche alcuni addetti
ad una stessa Università, come pure tutta una intera Uni-
versità; od anche semplicemente venuto in compagnia di
qualche lettore bolognese, il quale avrà poi pensato a porlo
in buona vista presso gli studenti e presso i cittadini per
farlo guadagnare lautamente. Già il solo fatto di appar-
tenere -ad..uno Studio, che. rimaneva. sempre il centro scien-
tifico più importante di tutto il mondo, sebbene ne fossero
sorti molti, e sulle cui costituzioni scolastiche si modellavano
tutti gli altri (ed i citati Statuti universitari del 1457. stesi

(1) Sempre in questi Statuti del 1457 (rub. 34. lib. 1) si fa menzione di un gruppo
di copisti ai quali era stato proibito di ricopiare i libri. Librorum vel petiarum
stationarius qui petias ad scribenduim vel corrigendum vel aliquod opus faciendum
crediderit alicui privato vel interdicto, postquam. nomen illius per generulem bidel-
lum per scholas fuerit publicatum.... incorreva in una data pena. Inoltre si dovevano
i nomi omnium scriptorum, correctorum, ininiatorum et ligatorwuim privatorum vel
interdictorun tenere affissi nella stazione. Identiche disposizioni si riscontrano ne-
gli Statuti dei Giuristi di Bologna (an. 1347 rub. XXXVII e rub. XXXII an. 1487). Co-
storo erano certamente quelli che avendo per gravi ragioni demeritato di apparte-
nere all'Università, ne erano stati espulsi. Magri assai dovevano essere pertanto-i
guadagni per questa gente. La severità delle pene era in relazione con l'impor-
tanza che avevano raggiunto le associazioni degli studenti in ogni pubblico Studio.

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ide APPUNTI STORICI, ECC. 455

|| sulla falsariga di quei bolognesi:ne sono un’esempio), era
il motivo di garanzia intorno alla perizia di questo scrit-
l tore. Ma quali potessero essere le ragioni a favore. del se-
| condo, cioè di Tommaso inglese, non è facile indovinare, se
non ammettendo che gli stranieri fossero in genere piü abili
degli italiani nel ricopiare e quindi ricercati con maggiore
| interessamento. Non era una impresa cosi semplice, come oggi
| parrebbe, quella di trascrivere i codici, ed occorrevano abilità
| non comuni per godere una certa fama fra gli stessi ama-
| nuensi: éssere, per esempio, abili nel disegno e nell'arte del
miniare, venendo spesso gli stessi scrittori incaricati anche
di far ciò (1), nel qual caso se ne faceva chiara menzione nel
contratto; e quando non si miniavano. i libri, si volevano

almeno ornate di fregi eleganti alcune lettere iniziali, sparse
nel volume, che poteva essere anche un libro di scuola, ado-
perandosi o il nero o il rosso, ovvero il turchino: conoscere i
rari generi di scrittura che erano parecchi, fra i quali anche
quello inglese (litera anglicana): aver nome di trascrivere senza
errori gli esemplari, che ordinati, corretti ed approvati si
trovavano presso gli stazionari, di cui si ha memoria anche ai
tempi di Ugolino: essere assidui al lavoro: disimpegnare con
sollecitudine le commissioni avute e non prendere nuovi im-
pegni finché non fossero esauriti i vecchi, vietandolo espres-
samente gli Statuti universitari. Né si deve ritenere che a
chiusi occhi si sciegliesse questo o quel copista, essendo
| molto esigenti coloro che davano tali commissioni, volendo

esser serviti bene ogni qualvolta dovevano pagare assai; ed
anche perchè chi possedeva un del libro passava oltre che
per un ricco signore per un personaggio dotto. Un esempio
di queste trascrizioni fatte con molta diligenza da uno stra-
niero, un tal Corrado di Wychenfelt, con caratteri nitidissimi ci

(1) « Da una carta antica del 14 marzo 1385 esistente nell'Archivio perugino ri-
sulta che i miniatori e gli scrittori formavano un solo collegio » (Fabretti in nota
alla Cronaca del Graziani pubblicata in Arch. Stor. It. pag. 239). Anche da questo
fatto si può dedurre l'affinità fra le due arti.

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456 L. BRUNAMONTI TARULLI

viene offerto da un codice (sec. XIV), contenente alcune lezioni
del famoso Bartolo, custodito nella nostra biblioteca comunale.

Le cose non sono altrettanto chiare per Antonio di mae-
stro Giovanni da Perugia, che per ordine di tempo sarebbe
stato il primo ai servigi del monastero. Esso promette, come
s'è visto, a Fra Marino di glossare... librum sex. Bonifatij de
meliori seu de equa bona lictera et glossa... et facere sibi de dicto
opere et scriptura XXXitij petias... II lavoro che compie lo
scrittore questa volta pare che sia duplice, di scrivere cioè
e di glossare. Le glosse costituivano l’ esponente dell’ attività
degli insegnanti, ed erano commenti che andavano dalla sem-
plice interpretazione di qualche passo o parola di difficile
significato, anche dal lato filologico, per dirla con una parola
moderna, all'illustrazione ampia del testo oggetto di studio,
ricca di confronti, per la quale occorreva un'aceutezza di
mente non comune. Perugia in questo periodo di tempo aveva
dei cittadini espertissimi i» dure canonico et civili et etiam in
medicinalibus, i quali, se per disposizioni statutarie non pote-
vano essere lettori pubblici (1), avevano sempre il diritto d'in-
segnare privatamente, purchè non trasgredissero alcune di.

‘ sposizioni poste a garanzia degli altri; quale, per esempio,

(1) Nella deliberazione presa dal magistrato nel 1306, con cui si stabiliva che
in Perugia dovesse essere uno Studio continuo, deliberazione che il Rossi giusta-
mente chiama la prima costituzione dello Studio perugino, parlandosi dei vari let-
tori che dovevano insegnarvi si dice che essi sint omnes forenses et sint et esse de-
beant de doctoribus forensibus tam electts per scolares et rectores ipsorum scolarium
et eorum sapientes una cum prioribus artium... (V. Rossi loc. cit. Vol. IV pag. 54).
Questo era il concetto a cui si informarono i Priori ed i Savi dello studio perugino.
Esso non rimase però sempre immutato, non trovandosi in ogni epoca insegnanti fo-
rastieri di un qualche valore che venissero in Perugia. E quando (doctor) forensis
idoneus haberi (non) possit s'incaricavano i migliori dottori della città, i quali, perché
erano conventati in suis scientiis et facultatibus, avevano il diritto d'insegnare. Anzi
l'elezione dei professori cittadini fu (solo per poco tempo) affidata agli scolari, men-
tre quella dei forestieri rimaneva sempre un diritto dei Priori, dei Savi, ai quali era
affidata la piü estesa balia sopra gli stipendi e la condotta degli insegnanti. Nello
Statuto del 1366 alla rubrica Ordinamenta Studij non si trova più il divieto per i
cittadini d' insegnare. E le riforme introdotte nel 1389 ci dicono che era divenuta
abitudine costante di nominare degli insegnanti della città, senza permesso speciale,
richiedendolo le esigenze dello Studio.

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APPUNTI STORICI, ECC. 457

quella di non far lezione in ore in cui erano aperti i corsi
ufficiali, potendo anche .riscuotere un qualche compenso dagli
studenti, che erano autorizzati a pagarlo. Rappresentavano essi
i liberi docenti dell’ età nostra e come questi erano di stimolo
al professore pagato dal Comune, perchè facesse meglio il pro-
prio dovere. Del corpo insegnante facevano parimenti parte
altri dottori, chiamati col titolo di concorrenti, i quali, al pari dei
lettori privati, giovavano moltissimo all’ insegnamento. Di que-
sti abbiamo notizia sicura per il 1322 (e tutto fa ritenere che
vi fossero in altre epoche), leggendo. che i Priori in quest'anno
promettono sapienti viro domino Osberto de Cremona legum doc-
tori conducto per comune perusij ad lecturam ordinariam in iure
Civili... che nessuno durante la sua condotta concurrat nec
concurrere posset cum ipso domino Osberto in lectura ordinaria,
preter dominum leonardum de urbe qui posset concurrere sì vel-
let, essendo tutto ciò stato stabilito nelle convenzioni fissate
per mano di notaro (1). Questo patto messo da Osberto, che
riusciva a tutto danno della scuola, dovette essere soltanto

_e molto a malincuore tollerato dal magistrato cittadino; e

forse non fu il solo imposto dai lettori forestieri, i quali non
si facevano scrupolo di dettar leggi, sicuri che sarebbero ‘co-
munque accettati. Che il nostro glossatore e scrittore appar-
tenesse ad uno di questi due gruppi di dottori? Non oserei
affermarlo. Nè maggior luce ci viene dal sapere che suo pa-
dre Giovanni aveva il titolo di maestro. Il Sarti, l' illustre
storico dell’ Università bolognese, ritiene che quando la pa-
rola magister è posta innanzi al nome, come nel caso nostro,
abbia il significato di dottore in legge, se dopo, di dottore

(1) Ecco altre notizie intorno ai concorrenti che si davano ai vari lettori. Nello
Statuto del comune di Perugia del 1366, alla solita rubrica intorno agli ordinamenti
dello Studio, si legge: « Et quod quilibet doctor qui legit ordinarie habeat- concur-
renteni si sapientibus studij videbitur expedire ». Nella matricola dei conservatori
della moneta del 1389 s' indica il numero dei professori nelle singole discipline ed
il numero dei concorrenti. Nello Statuto a stampa del 1526 i sapientes studtj avevano
il diritto di nominare più professori di quelli ivi fissati ed anche dare concurrentes
ai medesimi. *

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458 ; L. BRUNAMONTI TARULL!

nelle arti (1). Quindi il nostro Antonio sarebbe stato un
giurista, seguendo i figli, per lo più, la stessa professione del
padre. Ma non credo che si possa convenire con quanto scrive

‘questo valente ricercatore, trovandoci in un epoca troppo

lontana da quella a cui esso si riporta, e più specialmente
perché la. parola magister ebbe a..significare cose diverse
nelle varie età del medio evo. Così ai tempi dell'Abate Ugo-
lino Vibi erano chiamati maestri molti artisti (certo i più
provetti, presso i quali si recavano ad imparare i più gio-
vani, che non portavano questo nome), fra cui i miniatori
e gli scrittori. E poichè siamo a parlare di questa gente
agli stipendi dei monaci, ricorderò come magister Martinus

domini Thomasinj de Mutina, nunc habitator in Civitate peru-

sina... et Flornavellus frater eius et Andreas Martinj alias
dictus Martius de perusio.., nel 1338, sempre per incarico
avuto dal Vibi, rappresentato in questo contratto dal mo-

.naco Stefano di Tito, si obbligarono di far scrivere un bre-
«viario “monastico ‘a Nicoluzio di Cola. perugino; chiamato

nel contratto semplicemente scriptor. Per compenso di ogni
quinterno, che dovevano consegnare dopo averlo control-
lato e corretto coll’ originale, ricevevano una certa somma

-di denaro e di più cartas atramentum | vernicem et cinabrum

opportunum operi prelibato (2). Ed ora se si dicesse sempli-
cemente che il nostro Antonio fosse stato un amanuense piü
dotto degli altri, da essere in grado di fare qualche com-
mento ai libri di legge che trascriveva, forse si sarebbe più
nel vero, in attesa che altri documenti illustrino meglio que-
sto personaggio.

‘ Dopo la morte di Ugolino il monastero trovasi per breve
spazio di tempo, sotto la dipendenza del Priore claustrale.
Poscia viene eletto Abate Filippo discendente dalla famiglia

(1) SARTI, De claris Archigymnasy Bonontensis Professoribus, part. I, pag. 52.

(2) V. Appendice, doc. XXVI.

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APPUNTI STORICI, ECC, 459

Vibi, Priore di S. Salvatore dei Pozzuoli, beneficio ricevuto

dallo stesso Ugolino, che lo aveva goduto prima di essere
Abate (1). Si trova scritto che fosse valente in filosofia ed
in matematiche (2) e che godesse molta autorità in patria:

vir summi ingenii et maxime auctoritate in patria (3). Altro

documento importante della dottrina dei monaci di allora.
Peró se Filippo fu dotto non fu egualmente prudente nel
governare come il suo predecessore, il quale, pur rimanendo
devoto al partito dei nobili, non compromise mai né se. né
i suoi religiosi col prendere una parte troppo attiva alle
lotte che travagliavano Perugia. :

I Baglioni condannati nel 1332 per l'uccisione di Oddo
degli Oddi erano tornati in patria con altri nobili nel 1352,
e sebbene il magistrato avesse imposto a tutti i cittadini la
pace, sotto pena di gravi multe per i disturbatori della pub-
blica quiete, pure essi, appena rientrati in Perugia, si posero
di nuovo a congiurare, mettendosi fra l'altro d'intesa con Ur-
bano V che, tornato d'Avignone, cercava in tutti i modi di ri-
conquistare il dominio perduto sopra molte della città della
Chiesa, che ora si reggevano a repubblica. L'Abate Filippo s'u-
nisce a loro, spinto più dal desiderio di dimostrare la propria
devozione al Pontefice, che dalla volontà di giovare i nobili, i

(1) Non è facile stabilire con esattezza l’anno in cui Filippo Vibi successe ad
Ugolino. Abbiamo un documento (V. appendice, doc. XLIV) dal quale si rileva che ai
22 settembre 1362 l' Abbazia era vacante. Difatti il Priore della Chiesa di S. Maria di
Fonte, Giovanni di Bindolo, con premura domanda al Priore claustrale, Martino di
Biagio, che si aduni il Capitolo dei monaci onde porre riparo agli affari assai scon-
certati del monastero. L'Abate soltanto poteva riunire capitolarmente i monaci, es-
sendo questo uno dei suoi diritti. In mancanza di lui il Priore ne faceva le veci.

2) « Filippo Vibi essendosi ritirato dalla vita secolaresca alla vita monastica di-
venne famoso nella filosofia; e nelle matematiche e fu eletto abate di S. Pietro. Edi-
ficò la rocca di Casalina. La sua madre fu Bianca dei Baglioni ». (V. Cesare Alessi.
Notizie di uomini illustri perugini. Monas. nell'Arch. di S. Pietro). Non è esatto
però il dire che Filippo edificasse la rocca di Casalina. Essa esisteva già fin dal 1347.
Difatti l'atto con cui Cola del fu Guglielmo prende in enfiteusi aleuni terreni del mo-
nastero, di cui si è fatto cenno, è redatto nella sala grande della rocca di Casalina
(V. Lib. dei contratti, N. 3, pag. 260).

(3) V. MarIOTTI, monas inv. Bellucci, N. 1460.

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i. 460 L. BRUNAMONTI TARULLI

quali, animati dalla cupidigia di spadroneggiare, cercavano aiuti
da ogni parte, fino ad unirsi con alcuni malcontentifra i popolari,
loro costanti nemici (1). Scopertasi peró la congiura (an. 1368)
il Vibi fugge con alcuni suoi monaci, più degli altri compro-
messi, insieme a Balioncello e Pietro suoi fratelli, e con al-
tri della casa Baglioni. Tutti sono dichiarati ribelli e nemici
della patria, ed al posto dell’ Abate di S. Pietro, o meglio

forse al solo possesso delle rendite che questi godeva, viene :

dai Priori messo quello di Marsciano, il quale, perchè inviso
ai ministri del Papa, aveva perduto quest’ Abbazia. Era la
prima volta che il capo del monastero veniva colpito con
una pena così grave é sostituito con un altro non eletto nè
dal Papa né dai monaci, ma scelto dai laici « ancorchè alla
maggior parte degli uomini paresse cosa ridicola et vana
che i Priori conferissero l’ Abbazie » (2). Niente di strano
adunque se nulla si trovi che testimoni aver Filippo atteso,
come era suo dovere, con qualche premura, alle gravi cure
impostegli dall’alto ufficio che ricopriva, compresa quella
dell istruzione dei suoi religiosi, né prima né dopo l'esilio,
che cessò solo quando fu conclusa la pace col Pontefice, nel

(1) La città era sempre sotto il governo dei raspanti, ma non tutti ne erano
contenti. Alcuni di questi si unirono, e non furon pochi, a messer Oddo di messer

- Baglione dei Baglioni uno dei capi più autorevoli del partito di nobili. Si tenne un

convegno in Petrignano d'Assisi, dove, fra gli altri, intervennero lo stesso messer
Oddo, il Duca di Spoleto, Alberto Tedesco, capitano della guardia in Perugia. Fu
stabilito che di notte molti soldati forestieri si sarebbero introdotti nel monastero
di S. Pietro, avendone l'assenso dell'Abate Vibi, uno dei congiurati, attendendo che
gli altri, che erano entro la città, avessero fatto tumulto ed aperto le porte. En-
trati dovevano recarsi alle case dei raspanti, ucciderli e dichiarare Perugia sog-
getta al Papa. Il magistrato ebbe sentore del convegno e sebbene i Baglioni si fos-
sero recati al Consiglio per discolparsi con fierezza, pure i Priori, avendo saputo.
che il pian di Bettona era pieno di soldati, ritenuto il fatto per vero, decisero di
punire colla pena di morte i colpevoli, fra i quali furono posti i Baglioni ed i loro
aderenti. Alcuni ebbero modo di fuggire, ma quattro di loro furono presi ed uccisi.
Urbano V ne rimase indignatissimo, e dopo avere in un Breve aspramente rimpro-
verato la città di aver fatto - strage « dei devoti Chiesa », così chiamava i suoi al-
leati, fece arrestare tutti i Perugini che gli capitarono sottomano, lanciando infine
l’interdettto sopra Perugia.
(2) V. PELLINI, loc. cit., pag. 1062.

ves APPUN'TI STORICI, ECC. 461

1370 (1). Lo troviamo piuttosto occupato ‘nelle cose citta-
dine, lottare a sostegno dei nobili e delle pretese del Papa,
fortificare la rocca di Casalina, valido luogo di difesa contro i
propri nemici, che non diminuirono dopo essere stato fir-
mato l'accordo, dimenticando così di esser capo di una con-
gregazione religiosa, e tornando di nuovo uomo battagliero
e partigiano ardente, come lo era stato prima d’aver rive-
stito la veste monacale (2).

Ancora più tristi si fanno le sorti della Badia alla

morte di Filippo Vibi, avvenuta in Pisa nel 1374, mentre si

recava in Avignone a trattare con Gregorio XI e procu-
rata, si disse, col veleno dall’ Abate Gherardo di Monmag-
giore, Vicario generale e Rettore della Città di Perugia,
geloso dell’ autorità che godeva il Vibi e sospettoso dei no-
bili da questo favoriti (3). Manca anche ora, appena i monaci

(1) Perugia aveva deciso di far la guerra ad Urbano V. Ma gli sforzi compiuti
in difesa della libertà non furono coronati da lieto successo. I nobili erano sempre
uniti con esso; il partito della plebe decisamente avverso alla guerra; le città,
le terre, una volta soggette a Perugia, ora in rivolta e sottomesse al Pontefice. Tutto
ciò contribuì ad accettare le gravose condizioni poste da questi, potendosi solo ot-
tenere, e ciò fu merito di Baldo degli Ubaldi, che la città continuasse a reggersi net
suo solito modo di governo venendo i priori fatti vicari della Chiesa. Ciò accadde
nel novembre del 1370. I nobili fuorusciti tornarono e con essi l' Abate Filippo Vibi,
venendo tutti reintegrati nei loro beni confiscati. Fu tanta l' allegrezza per la pace
conclusa che si ballò per le vie e per le piazze non solo dai laici, ma anche dai chie-
rici. Fu anche tolto l’interdetto e tra coloro incaricati a ribenedire la città furono
Andrea Buontempi Vescovo, Bartolomeo degli Oddi Priore del Santo Sepolcro, che ri-
siedeva nella chiesa di S. Luca in porta S. Susanna (dal Graziani e dall'A. della cro-
naca-del 1352 al 1398 detto, non so perché, Abate di S. Pietro) e l'Abate di S. Maria
in Val di Ponte, insieme ad altri ecclesiastici.

(2) La presenza dei capi dei due partiti in città continuamente in guerra fra
loro doveva necessariamente essere occasione di continui tumulti. Fra le voci sparse
vi fu quella che i Michelotti avessero fatto venire da 400 a 500 soldati che tenevano
racchiusi nelle loro case: altrettanti si diceva che ne tenesse racchiusi nel mona-
stero di S, Pietro l'abate Vibi. Certo che a tutti i mezzi ricorrevano i nobili rimpatriati
per riavere il governo della città. I raspanti hanno le case incendiate: alcuni dei
più autorevoli confinati, e fra questi sono compresi molti dei Michelotti (an. 1371).
Con gli esilii e con le confische dei beni il Cardinale Burgense, legato di Grego-
rio IX, successo ad Urbano V, rendeva sicuro ai nobili il possesso della città.

(3) V. PELLINI, loc. cit., Vol. II, pag. 1135.

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462 L. BRUNAMONTI TARULLI

Sono.senza capo, chi fra essi possa prendere le redini del go-
verno abbaziale per dirigerli.con mano vigorosa e ricondurli
all'osservanza della regola e delle costituzioni monastiche, le
quali prescrivevano che si utilizzassero le singole energie dei

. componenti il monastero ad esclusivo vantaggio di questo e

non a. profitto di altri. Ne essi si curano di trovare qualche
personaggio autorevole al di fuori del proprio convento, come
si era fatto altre volte, e come lo permettevano gli ordina-
menti interni, mostrandosi stanchi di stare sotto la dipendenza
di qualsiasi Abate, anzi desiderando che l'Abbazia vachi lun-
gamente. Decidono invece che il monastero sia retto dal
Priore claustrale, incaricando per tutelare i propri interessi
vari sindaci scelti nel loro seno, che si rinnovano frequen-
temente, non volendo piü nessuno tenere un'ufficio divenuto
difficile per la cattiva amministrazione delle proprietà, che
pure sono sempre numero:e (1).

Alla cacciata dell’ Abate di Monmaggiore (an. 1375), ope-
ratosi per volere concorde di tutti, parve. che rifiorisse una
novella vita nella città nostra, venendo la pace conchiusa fra
nobili e popolari, suggellata con l'abolizione delle leggi con-
trarie ai primi, e col permettere che questi in ogni magi
strato dei Priori vi fossero equamente rappresentati. Così i
Baglioni e i Degli Oddi, costantemente rivali e sempre cordial-
mente nemici .fra loro, tornarono ai pubblici uffici, come pre-
mio dell’opera comune spesa a liberare Perugia dall’odiato go-
verno dell’ « Abbate cattivo » (2). Ora un solo pensiero anima

(1) Ai 7 marzo 1377 il Priore claustrale aduna il Capitolo nella sala superiore
del monastero. In questa adunanza due monaci eletti procuratori del convento agli
ll gennaio 1376 rinunziano al loro ufficio. Il Priore ordina che nel giorno seguente
tornino di nuovo ad adunarsi i monaci per eleggerne altri due. I nuovi eletti com-
mettono ad altri le loro veti per mezzo di atto notarile. Ai 10 marzo si adunano
ancora una volta i monaci vocali, i quali eleggono altri procuratori e sindaci. In
questa adunanza é detto che l'Abbazia vaca e si spera che vachi lungamente (V.
Lib. dei contratti, N, 8, pagg. 14, 15, 73.

(2) La storia ha registrrto tutti gli atti compiuti da questo Prelato francese
à danno di Perugia i quali giustificano ampiamente perché il suo nome rimanesso
tristamente famoso in mezzo a noi. Ecco quello che si scriveva di lui in un me-

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ABBAZIA DI SAN PIETRO NEL 1377 (da una miniatura della matricola del Collegio della Mercanzia).

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APPUNTI STORICI, ECC. 463

tutti, (an. 1376), quello d'unirsi alla lega già formatasi con-
tro. il Papa, della quale Firenze, pure essendo città guelfa,
era l'anima ispiratrice ed il più valido aiuto, « per lo sdegno
che s'era preso generalmente contro di lui per le insolenze
ed estorzioni che havevano fatto a popoli i ministri suoi che

'erano stati per lo più francesi »-(1)..Fra le deliberazioni. prese

dopo l'accordo intervenuto ‘tra i nobili ed i raspanti, vi fu
che Giovanni di Ceccolo, Priore di S. Maria di Fonte e mo-
paco di S. Pietro dovesse tornare a godere il fruttato della
sua prebenda, di cui fu privato tempore quo offitiales Romane
ecclesie statum et libertatem comunis et populi perusini per vio-
lentiam occupavere, essendo stato expulsus de civitate perusii et
pro ribellis ipsius ecclesie habitus et reputatus et etiam ut ribellis
et bapnitus et condepnatus... privatus et spoliatus tenuta et pos-
sessiones ipsius ecclesie et Iurium et bonorum et possessionum
‘ecclesie supradicte... (an. 1377) (2). E non era stato questo mo-
naco solo ad esser cacciato da Perugia (an. 1371) dopo con-
chiusa là pace col Pontefice Urbano V; altri della sua fami

moriale indirizzato ai Priori della città ai 13 febbraio 1380 da un popolano un tal
Iohannes Lucas Agnelini del Beccuto barbiere: vir iniquitatis dnus Geraldus Abbas
Majoris Mon. Tuon. indigne gubernator vel potius subversor Civitatis Perusij. An-
nal. decem., 1380, fol. 26. È

(1) V. PELLINI, op. cit., pag. 1152. Fra le deliberazioni prese in questa occasione
contro la Curia romana ve ne è una che interessa lo Studio e che io riporto: Anno
1376. Ordinamentum pro offitialibus studij. Die eodem XVI mensis februari. Domini
priores artium Civitatis perusij omnes X pr esentes et in concordia evístentes în

palatio eorum solite habitationis ex arbitrio auctoritate baylia et potestate eis in.

hac parte concessis ac tributis a Consilio Camerariorum artium dicte civitatis prout
supra patet manu mei notari infrascripti. Et ex omni alio arbitrio auctoritate et
potestate quod et quam habent super manutentione et gubernatione popularis status
dicte Civitatis et omni modo via iure et forma quibus melius potuerunt, Elegerunt,
nominaverunt et deputaverunt in offitiales et pro offitialibus super studio perusino
infrascriptos cives perusinos hoc addito et adiuncto et expresse deliberato inter eos
quod dictt infrascripti offitiales non possint conducere aliquem qui fuisset offitialis
Ecclesie in Civitate perusij quocunque modo nec concedere alicui aliquod. salarium
expensis comunis per usij nec intelligatur habere vigore electionis vel conductionis
fiende per eos sed absque aliquo salario legere teneantur et pro conductis habeantur,
Aliquo in contrarium loquente non obstante... (c qui seguono i nomi dei savi). (Az-
nat. decem., 1376, fol. 32).

(2) Annal. decem., 1377, fol. 98.

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464 M Ee L. BRUNAMONTI TARULLI,

glia, appartenti tutti al partito dei raspanti, avevano preso
con lui la via dell’ esilio. si

Ma il buon volere dei più, e la maggioranza dei Cittadini
era perchè all’interno si vivesse tranquilli per essere forti con-
tro i nemici del'di fuori, rimase, come spesso accade, sopraffatto
dall’ ambizione di pochi. Tornano negli animi dei Perugini
(an. 1378) i sospetti originati in parte dai trattati secreti e poi
svelati, conchiusi ora da questo ora da quello del partito dei
nobili con « gli amici della Chiesa »; in parte provocati da
false voci ad arte diffuse nel popolo dai raspanti contro il
partito contrario, ai quali sospetti fanno seguito tumulti in.
città, stragi, incendi ed esili. Ma tutto questo non basta.

Gli stessi monaci sono in gravi dissensi fra loro, ripercuo-. :

tendosi fin dentro le loro mura y! eco delle discordie citta-

' dine. Destino comune in quei tempi a parecchi conventi

d'Italia! Quindi frequenti i litigi (1), che si convertono qual-
che volta in veri pugilati nelle adunanze capitolari, tenute
per conferire i benefici di loro dipendenza, ed alterchi per .
trattare anche gli affari d'ordinaria amministrazione. Que- :
sto stato di cose fa presto dimenticare nei piü l'osservanza
dei propri doveri, primo fra tutti quello di una vita parca

— e- modesta, fondamento essenziale.del vivere claustrale, ve-

nendo dissipate ed erogate, in massima parte, a proprio
vantaggio le rendite già scemate della comunità. In tal
guisa (an. 1378) mancano i mezzi per pagare le imposte gravo-

sissime (2) messe dal magistrato a carico di tutti i cittadini,

(1) Riunito il Capitolo ai 30 settembre 1378, ed avendo il Priore conferito il
beneficio di S. Clemente al chierico del monastero Stefano di Cola, alcuni monaci, :
con vive proteste si oppongono a tale collazione, domandando invece che il beneficio
venisse concesso a Don Fazio di Ciuzio Priore di S. Montano (V. Lib. dei contratti, n. 8,
pag. 94). Un'altra volta Don Pietro di maestro Puzio, chierico professo, per ragioni non -
troppo ben note, picchiò di santa ragione Fra Placido Vignatoli monaco, incorrendo
nella scomunica, da cui fu assolto da Don Giovanni di Ceccolo di Bindolo, FFIORS
claustrale. (V. Lib. dei Contratti, N. 8, pag. 41).

(2) La città era in grave penuria di denari per la guerra col Papa. Questi aveva
mostrato (an. 1377), nelle trattative cogli ambasciatori perugini, che desideravano di
venire ad un accordo, eccessive pretese, al punto da essere del tutto compromessa
: APPUNTI STORICI, ECC. 465

^

non esclusi i chierici, che sono piü degli altri duramente

. colpiti, al punto da dovere i nostri impegnare gli oggetti

preziosi della loro chiesa. A migliorare questo stato mise-
rando i più ossequenti alla regola riescono alla fine di con.

. vocare il Capitolo. E questa. volta, in una loggia situata nella.

parte superiore del monastero, si adunano i monaci ed i be-
neficiati, tanto intrinseci come estrinseci, ossia tanto quelli
che risiedevano nel convento, come gli altri che ne stavano
fuori, dimoranti presso le chiese di cui erano i rettori, allo
scopo di nominare i loro rappresentanti da inviare ad Ur-
bano VI, che aveva concluso delle convenzioni con la città
(an. 1379), la quale, in questo periodo, era ora in pace ed ora
in guerra col Pontefice. I due eletti furono Niccoló di Cec-
carino ed Angelo di Giacomo. Questi, fra le altre cose,
avevano il compito tutt'altro che facile di aggiustare col
Papa le cose del monastero e prima di tutto di ottenere per

"loro un capo che fosse accetto alla città « de Rectore. idoneo ..

et sufficienti ac accepto et benevolo Communitati. Civitatis Peru-
8îî ». I desideri dei nostri benedettini furono solo in parte
soddisfatti. Urbano toglie il governo di S. Pietro al Priore clau-

la libertà della repubblica se venivano accettate. Anche i Fiorentini, capi della lega,
di cui faceva parte Perugia, avevano rieusato di intendersi con Gregorio XI. Per
continuare la guerra fu ordinato che si vendessero tutti i beni appartenenti agli
ufficiali della Corte papale (uno dei tanti mezzi di rappresaglia in uso in quei tempi)
e s'imponessero nuove tasse sopra i laici ed i chierici. Anche i monaci di S. Pietro
non furono risparmiati, e tale fu la violenza nel riscuotere le imposizioni che alcuni
di essi furono arrestati e condotti nelle carceri. Eletto Urbano VI (an. 1378) fu pos-
sibile un accordo, mercé i buoni uffici di Giacomo Orsini Cardinale e protettore di
Perugia alla Corte pontificia, e del Vescovo Buontempi nominato, quasi subito dopo
l'elezione del Papa, Cardinale. Conchiusa la pace, il primo pensiero dei magi-
strati fu quello di occuparsi dello Studio (an. 1379), però con ordine espresso che,
data la ristrettezza del bilancio comunale, non si conducessero lettori con stipendio
fisso, ad eccezione di un medico che doveva esser retribuito assai meschinamente.
I Savi dello Studio indussero però i Priori a migliori consigli, dimostrando come
da questa deliberazione nessun vantaggio poteva venire all'Università, ed otte-
nendo invece che si fissasse un minimo di 1500 fiorini d'oro, chiamandosi i vari in-
segnanti con quella quantità di denaro che fosse creduta sufficiente per avere i
migliori. i
460 L. BRUNAMONTI TARULLI

strale, peró non dà subito un Abate ma un protettore, che
viene scelto nella persona del Cardinale Simone di Milano,
il quale a sua volta delega come suoi rappresentanti dei Vi-
cari, che sono don Corrado Berardelli monaco ed un tal
don Giovanni canonico e più tardi don Tommaso da Preggio
dottore in legge (1). :

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( Continua). L. BRUNAMONTI TARULLI.

(1) Altre cose avevano chiesto i monaci ad Urbano VI, fra le quali quella di
poter riunire i beni di alcune chiese, andate distrutte per le guerre, alla mensa del
monastero: la conferma di antichi privilegi smarriti e più specialmente l'esenzione
dalla giurisdizione dei Vescovi e degli Arcivescovi: che si dovessero mantenere se-
parate le rendite del convento dalle rendite dell'Abate, il quale possedeva la rocca
di Casalina ed il territorio ad essa adiacente: che infine il numero dei monaci venisse
fissato a 25. (V. Libro dei contratti, 8, pag. .106). Nel 1363 circa, nel periodo di tempo
in cui l'Abazia vacò per la morte di Ugolino Vibi, il Priore ed i monaci di S. Pietro
avevano fatto istanza ad Urbano V che per le tristi condizioni economiche in cui
essi si trovavano per le continue guerre, venisse il loro numero fissato a 12.

-

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—-

461.

-- QUALE POSTO CONVENGA AL DIPINTO DI STRONCONE

NELLA SERIE DELLE FONTI PER LA ICONOGRAFIA FRANCESCANA

In due riviste di storia e di letteratura umbra ho già

‘parlato brevemente del convento di S. Francesco presso

Stroncone e del ritratto ivi dipinto in affresco, raffigurante
il Patriarca delle povere genti (1).

E sebbene la correttezza del disegno e la bontà della
tecnica. facciano .sospettare «che quella. pittura. possa essere
stata compiuta nello scorcio del XIV secolo, tuttavia, se si
deve aggiustar fede ai documenti, sembrerebbe invece che
fosse stata condotta negli ultimi anni del precedente.

Non mi soffermerò a descrivere il dipinto, giacchè me
ne dispensa la riproduzione che ne offro; ricorderò soltanto
come questo affresco, citato da un antico cronista dell’ordine

‘ a testimonianza della vetustà del convento, fosse in origine

ricco anche di altre figure e come nel 1550 fosse traslato

nel luogo ove attualmente si vede per opera di maestro Gia-

como da Collescipoli, che lo danneggiò facendone cadere una
parte e disperdendo così anche il ricordo dell’anno nel quale
era stato compiuto. es

.. Il Gonzaga fa menzione di questa immagine sotto l’anno
1328; il giorno 8 agosto dell’ anno precedente, eran lassù con-
venuti otto vescovi e concedevano alcune indulgenze ai fe-

————— ——M—--

(1) L'Umbria, Perugia, anno I, 1898, pag. 73 e segg. — Augusta Perusid,
anno I, 1906, pag. 7 e segg.

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468 L. LANZI

deli che in varie solennità dell'anno avessero pregato in
quell’ altare; Nicolò IV, con breve dato da Orvieto il 5 giugno
1291 aveva già largito altri privilegi al culto di quella maestà:
e queste date e la tradizione religiosa della speciale devozione
che circondava l'antica pittura, giungono sino a noi con
ininterrotta sicurezza, a traverso le cronache di oltre sei se-

Jo. non disconosco che la critica artistica non sarà per
sancire così facilmente le date che con tanta concordia ci
vengono fornite dai cronisti del convento e che assegnano
quest opera alla seconda metà del XIII secolo; ma, comun-
que, egli è certo che noi ci troviamo di fronte ad una im-
magine assai antica, che per la sicurezza del segno e per la
vivacità della espressione, non può esser giudicata dipinta
a maniera.

come termine di confronto la notissima descrizione lasciataci
; da Tommaso da Ce.
lano (2), il ritratto di
Stroncone dovrebbe
esser preso nella più
alta considerazione,
perché esso effettiva-
mente mostra benigno
il viso, statura piccola,
barba rada, faccia
protesa, labbra scarse
e sottili, occhi sem-
plici, dita affusolate,
ft; A 7 unghie lunghe e per-
Uil fino orecchie e soprac-
- ciglia diritte!

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della traslazione dell'affresco e per quella dei documenti che

le due citate pubblicazioni.

Se gli studiosi della iconografia francescana accettano
QUALE POSTO CONVENGA AL DIPINTO DI STRONCONE, ECC. 469

. I prototipi dell'icone di S. Francesco sono ancora troppi
e troppo diversi fra loro, perchè, nel classificarli, ci siamo di-
scostati dalla testimonianza del Celanense e, per seguire le
tradizioni, abbiamo confuso con i ritratti del santo quelle
immagini fantastiche che erano state ispirate e dipinte quasi
come allegoria dell’ austero apostolato di lui e non come ri-
cordo della sua umile e benigna figura.

Conviene dunque ricorrere ad una coraggiosa selezione,
passando in rassegna quelle rappresentazioni di lui che l'an-
tichità, la tradizione ed anche il giudizio degli agiografi hanno
fino ad oggi additate specialmente alla nostra attenzione come

le più famose, e che io credo di poter raggruppare in due

periodi: da Tullio Perugino (?) a Giunta Pisano, da Cimabue
a Giotto.

Primo, in ordine di data, é un ritratto che il Mariotti
vide riprodotto in rame nel 1788 (1) che il sac. Traina se-
gnaló a Castronovo nel 1899 (2), che il march. Guglielmo de
Stefano crede di possedere nell'originale in Napoli e che
ha testé pubblicato in una bella tavola a colori (3).

Il quadro, cosi me ne scrive il predetto sig. marchese,
misura cm. 32 X 25 circa, è su seta, originalmente attaccato
su tavola, assai mal ridotto, ma ora rifoderato in tela e fu
trovato abbandonato e confuso tra parecchie altre tele antiche
su di una soffitta, che apparteneva all’ ultimo discendente di
S. Chiara.

(1) A. MARIOTTI, Lettere Perug., Baduel, 1788, pag. 15-17.

(2) G. TRAINA, Un ritr. di S. F. d'A. di Tullio da Perugia nel « L'amico del
popolo », Roma, 1899, pag. 37, e negli « Annali Francescani », Milano, 19 luglio
1899, num. 14. i

(3) Circol. alle Case dell'O. M., 1° aprile 1903 — « La Croce », Napoli, 9 ago-
sto 1903, num. 321.

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QUALE POSTO CONVENGA AL DIPINTO DI STRONCONE, ECC. 471

L'Augelini-Rota in:un articolo pubblicato su questo ar-
gomento (1), ritrova nell'icone sublacense i lineamenti de-
scritti da fr. Tommaso, ma a me duole di dover dissentire
da lui, che nello scritto citato ha pur condensate delle bel-
lissime cose. i

Parmi innanzi tutto non si possa sperare di aver potuto
ottenere un ritratto da un artista rudimentale fino a quel
grado. L'arte cosi bambina che deve evitare lo scorcio, che

colloca le ombre a caso, che ignora i segreti della riprodu-

zione dal vero, non può darci che un'immagine, direi quasi
un' allegoria del personaggio che volle rappresentare; il ri-

tratto per essa è impossibile e il cercare quello di S. Fran-

cesco nel dipinto di Subiaco a me sembra sia come il di
dere quello di Teodora ai mosaici di Ravenna.

Da questa pittura esulano infatti il volto benigno, gli
occhi mezzani, lo sguardo semplice, la statura piccola, i piedi
brevi, e l'effigie serafica risulta perfettamente diversa .da

.quella che il documento ricordato ha fissata nelle nostre

menti.

Dunque (me lo perdonino gli agiografi che nell' icone di
Subiaco videro il prototipo francescano e che riconobbero nel
monaco orante il frater Oddo che l'avrebbe dipinta) dunque
la vera effigie di S. Francesco deve altrove cercarsi.

Seguirebbe a questo punto il mosaico del 1228, che nel
1652 fu restaurato e, dall'atrio del convento di Aracoeli fu
trasportato al palazzo Colonna; ma oltreché la figura in esso
effigiata è imberbe ed assolutamente priva del minimo par-
ticolare che possa darle carattere di ritratto, il ch. comm.
G. B. de Rossi dimostró che nella iscrizione appostavi in
occasione del restauro, dimenticando il mosaicista una C,

(1) L'Ordine, Ancona, 21-22 agosto 1901.

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QUALE POSTO CONVENGA AL DIPINTO DI STRONCONE, ECC. 473

tuttavia io dirò che non vidi mai più torva e truce fisono-
mia, nè uomo di più colossale statura, nè tipo più difforme
da quello che ci viene descritto dal Celanense. =:

Nel S. Francesco di Pescia si acutizza Y espressione se-

vera e direi quasi terrifica, che ritroveremo poi alquanto

mitigata nella cappella de’ Bardi a Firenze, nei ritratti di
Assisi e nei numerosi derivati di questi dipinti. i

Ma il caso più tipico della confusione si presenta in As-
sisi, dove le immagini del Serafico si moltiplicano all'infinito.
Soffermandoci a S. Maria degli Angeli, siamo accompa-
gnati da un frate nella cella dove il santo mori; ivi la no-

stra guida ci addita la bella statua di Luca della Robbia.

(1388-1439) assicurandoci che vediamo in essa il vero ritratto
del patriarca, perchè quella testa fu modellata sulla ma-
schera di lui. La figura è veramente bella, mite, piccola
semplice, spirante compunzione dolcissima, condotta con quel
sentimento e con quell'arte che fecero di Luca uno dei no-
stri più gloriosi maestri, ma la notizia della maschera non
è attendibile, né a noi conviene di soffermarcì più a lungo
per le nostre ricerche sopra quest'opera che fu compiuta
dopo circa due secoli dalla morte di S. Francesco.

E si va innanzi. Entrati nella sacrestia, in una celletta

a destra del corridoio che adduce alla Cappella delle rose, il -

frate stesso, dopo averci assicurato che il ritratto robbiano era
il più esatto ed autentico, ci ripete senza scomporsi che ora
abbiamo dinnanzi l'effigie vera e palpitante del santo po-
verello di Assisi e qui ci mostra la famosa tavola di Giunta
da Pisa, dipinta nel 1236.

Il ch. prof. Scalvanti (non indegnamente appiattato sotto

il glorioso pseudonimo di fra Bevignate) commentando in un
414

NY Ss

QRS

ria-del santo, di.cui.diremo..in. appresso; questa. pittura egi,

vola. di Giunta esistente invece nella sa-
crestia di S. Francesco, nella quale alcuni
riconoscono effigiato il serafico: Dottore,
altri il discepolo di lui, frate Elia.
Comunque, le conclusioni del valente
eritico calzano assai bene, a proposito di
queste due tavole, poiché scrive che « i

SL. LANZI

suo articolo una mia lettera su questo argomento (1), ricorda.

due dipinti di: Giunta in S. Maria degli Angioli, ritraenti .

S. Francesco: il primo è quello da noi
qui sopra citato, eseguito sopra la ta

vola,..che, secondo.la tradizione,. ser.

viva di giaciglio al santo; Yaltro egli
dice condotto in fresco presso la poría
della così detta infermeria dove 5. Fran:
cesco mori, (7
.lo veramente dubito che l egregio
amico, nei fugaci appunti pe suoi aríi-

1
H

ticoli di giornale, in questo

uogo non

=3 = x RITA #3 a "1% niin Y*v^ Yr zs
sia stato esattissimo: accanto alia porte

la tempera descritta dal Curaitoli e di

pinta sul coperchio della cassa mortua-

»
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a mio credere, deve aver confusa colla ta-

4

*

due dipinti si assomigliano, ma nel senso
però che entrambi hanno ben pochi tratti
propri della figura umana. Il cranio è
aguzzo; gli zigomi rozzamente toccati;
le mascelle sfuggenti in guisa da costi
tuire al mento un angolo acuto; la bocca
tracciata da due linee rette senza cenno
di veruna ondulazione ». — Manca un

{li Untone Liberule., Perugia, 26 ag. 1901.

hu REM

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:
È
;
Ì
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(SUA POSTO CONWVISGA AL DIPINTO DI BIROECONE, £00. 455)

AA «VATI E MILIARI ARA FATTY I LIS UM CA :
ure, Cho G0Vvrenne O550Y picCina,,raszgiunge mvoeco dalle
p * Le dw] Le

E 117 " 4% ^31 ef z^
!0 nie 11 maschere.

Coieste tavole del Giunta possono sul serio chiamarsi il

i t wt * 47% 6 , ° d
wet rutas tts FLU rr 4^ YX* vy't^u lE o gout è ^ Af vett un t n
tirato {Gli mm, 4TAICOSCO ? — lo dico assolutamente di no.

Fra gl insigni monumenti che rendono nel mondo vene-

È

senta S. Francesco d'Assisi. 75; ;
La figura sta eretta, solenne, ‘benedicente, mentre colla

sinistra stringe al petto la Regola; un enorme cappuccio ne

incornicia il volto, ricadendo con so-

verchia ricchezza sull omero sinistro..

Lo sguardo è immobile e austero, il viso . —_
117^ P T T PAS zs PI PEE YYY I ic A.
allungato, smunto e discretamente bar-. 7

ato, la statura sviluppata oltre il nor-
enti quadretti recano le istorie
della vita del santo e nella interseca-
zione delle. linee, su diecisette tondi,

1

sono effigiati altrettanti | frali, forse i

primi compagni di lui.
Alcuni apposero questa tavola a Ci-

mabue, altri a Margaritone e noi volen- 7
teri accettiamo il parere degli ultimi |

NV

perchè, confrontando con essa special-
mente i dipinti di Assisi, non troviamo
elementi per attribuirla al primo dei ri-
cordaii maestri. .

Nella. tavola fiorentina, che. deve
essere stata condotta fra il 1260 e il
1200, noi ritroviamo alquanto ingentilita la tetra icone di
Berlinghiero, e anche nella composizione del quadro termi-

xe

NS

emere era "

7
A.

nante a timpano, ríconosciamo qualche non trascurabile remi-

^ Demo c * Mezza prac ERR EEELOCEWEN: api PIERI NVITSNPRP REESE E

imo non inutile particolare, e cioè cbe la statura delle.

rato e famoso i.tempio di S. Croce a Firenze, non ultimo è.
$777

- 416 < L. LANZI ene I 5 [

niscenza di essa, come ad esempio nei due angeli che, sulla
tavola intera, fiancheggiano la testa di S. Francesco e nel
quadretto in cui egli è rappresentato intento a curare i leb-
brosi. La pittura è veramente preziosa per la storia dell'arte
francescana, ma'il ritratto di S. Francesco non v'6 (1) Ri
‘chiamate alla vostra memoria la descrizione del frate da Ce-.
lano e ne dovrete convenire sicuramente ! PDT, di |.

*

«Lassù nell'alpestre romitaggio di Greccio si ammira una
‘piccola tela a tempera fissata su tavola, ritraente S. France. c
z "sco, volto di terza a sinistra in
atteggiamento di muoversi, ter-
gendosi le lagrime con un bianco
lino; il capo, di proporzioni mag.
giori di quelle che comporie.
rebbe la piccola figura, è raw 0"

P
7 ll
7 |

j
pre scan

volto in un ampio cappuccio; i È
viso è smunto dal dolore, gli oc-
chi rosseggiano per le lagrime, |

la bocca è tumida e piccina, la |
barba è nera e non folta.
Questo dipinto, che si dia
se eseguito per commissione di
Giacoma da Settisoglio (2), non
7 può essere assegnato che al prin-
% z cipio del XIV secolo o allo scor-
cio del XIII; esso esce dal tipo S

; | {1} Tra le più interessanti derivazioni sincrone di questa tavola e di quella

di Pescia va annoverata quella di Pistoia, che taluni attribuiscono a Margaritone,

‘altri, forse sulla fede del Vasari, a Lippo Memmi, Un restauro del 1614 ha. deturpata
l'epera insigne! :

— Una copia fedele della tavola:dei Bardi, condotta in tela nel secolo XV. mz

£
1

puriroppo barbaramente ritoccata pochi anni (n e mutilata nella parte inferiore,

, conservasi nella chiesa di S, Francesco in Acquasparta,
(3 H. MarROon, Le stinva, di S, F. nella vapres. pui antica che st conos06,
^in Miscell. Pranc., Foliguo, 1906, vol. X, pag. 13, >
;
m E
"y

ina

‘di esse può vantare i caratteri che vengono fissati dalle pa- .
role di fr. Tommaso. WISI Ue A

stituissi alle sue.

QUALE POSTO CONVENGA AL DIPINTO DI STRONCONE. ECC. 477

dei ritratti fino a questo punto esaminati, sia perchè as
sume una movenza meno ieratica e più umana, sia per le
proporzioni della figura, sia per la espressione del volto,
che sotto le linee alterate dal dolore e dal pianto lascia.
intravedere una espressione mite e gentile. e rau

Il grave cappuccio, però, e qualche altro particolare in- :
verosimile od esagerato, ci hanno consigliato ad assegnarlo
a questo primo gruppo che chiudiamo con esso, concludendo
che se le immagini che abbiamo brevemente esaminate co-
stituiscono un tesoro per la storia dell’arte, non giovano pe-
raltro a risolvere la questione iconografica, perché nessuna

>

*
* *

A questo punto la tradizione derivanteci dai bizantini è .
già tramontata e un’arte nuova imprime alle manifestazioni
della pittura movenza ed anima; é l'al- ! i
ba di una rinascenza che irradia il no-
stro cielo dalla fertile costa di Assisi e
che ci condurrà gradatamente alle ma-
donne di Pinturicchio e alle glorie di
Raffaello.

Nel tempio magnifico che fr. Elia
fece sorgere per l'apoteosi del venerato
Maestro, convengono i più famosi arti
sti del tempo, e Cimabue, nel grande
affresco della chiesa inferiore, eftigia il
serafico Padre dandogli finalmente sen-
timento e vita.

Il collega Scalvanti descrive così
efficacemente questa pittura, che io de- . E
frauderei il lettore se altre parole so-

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: 478 L. LANZI

« Il s. Francesco, egli dice, che sta come umilmente in

.« disparte, alla sinistra del quadro, ha tutto il calore del
.« Vero, é un ritratto non condotto sul naturale, ma model-
« lato su ciò che della fisonomia e della persona del santo
« Si conosceva o per prove dirette o per tradizioni. Prevale

- « dunque nell'immagine .di lui-un' impronta di realismo .che

.« invano si cercherebbe nelle altre figure. E diciamo di rea-
'« lismo perché: quella. è una figura dettagliata, espressiva,’
« animata dalle linee eloquenti e severe, mentre quella del
.« Giunta, che si vede pure in S. Francesco d'Assisi (1), vuoi

.« che rappresenti il serafico. Dottore o il compagno frate

« Elia, in sostanza non é vera e non rappresenta nessuno,
« in quanto solo per pochi tratti noi possiamo collocarla fra
« i più brutti esemplari della razza umana. Eppure si dice
.« abbia l’artista pisano dipinto ritraendo al naturale!

« L'opera del Cimabue, pertanto, con questa nota di rea-
« lismo richiama veramente alla memoria la descrizione di

^ Tommaso dà Celano »^ (2)

. A me sembra invero che lo Scalvanti abbia forse visto
troppo del Celanense nel dipinto di Cimabue.

Ec TE . Venanzi riprodusse, anzi restaurò questa famosa fi-
gura, per ornarne il prezioso libro del Sabatier (3), facendone
scomparire gli oltraggi che sei secoli di vita hanno potuto
arrecarle, e_tale operazione, ravvivando quella fisonomia,
modellandone meglio -i particolari, la ravvicina al tipo tra-

mandatoci dal biografo, ad onta che la statura sia ben altro

che piccina, le sopracciglia fortemente arcuate, il naso nè
eguale, né sottile, nè retto, ecc.
. Con questa rappresentazione si apre, a mio giudizio, là

‘seconda brevissima serie dei ritratti del Poverello, nella quale.

si | deve trovare l'effigie di lui più vicina al vero; effigie che

.(1), V. pag. 474.
(2 Unione Liberale, Perugia, 19 agosto 1901.
(3) Le vie de S. Francois. Paris, Fischbacher. — La stessa, tradotta da Gmpr-

GLIA e PONTANI, Roma, Loescher; 1896.
ER

, QUALE POSTO CONVENGA AL DIPINTO DI STRONCONE, ECC. 419

invano ricercammo prima e che cercheremmo inutilmente |

. più tardi, dappoiché lo stesso Giotto, non solo non segue più

‘la tradizione del Celanense, ma, lasciando maggior campo

alla fantasia che alla realtà, dipinge S. Francesco con diversa
fisonomia, talora imberbe talota no, qua sorridente e sereno, :
à accigliato e severo, a seconda del concetto predominante
nella sua composizione.

E questa maniera che trascura ogni elemento iconogra-
fico e che tende ad ottenere soltanto l’armonia della ispira-
zione, diviene comune a tutti i pittori posteriori a Giotto,
. dei quali noi non ci occuperemo, perché niun vantaggio po-

'trebbero arrecare al nostro argomento.

| "Cito un esempio per tutti: Nicoló da Foligno, che effigiò
parecchie volte il Patriarca dei minori, ci ha lasciate due
. figure pel nostro caso veramente caratteristiche: una nella
tavola di Deruta, l’altra nella tela di Terni; nella prima
S. Francesco partecipa alla gloria della Vergine ed è rap-
presentato in aspetto di giovane imberbe, sereno, direi quasi
elegante, colla tonaca sottilmente stretta alla vita e perfino
colla divisa nella pettinatura! Nell’altra assiste alla morte di
Gesù e voi lo vedete barbato e smunto, dagli occhi stravolti,
dai lineamenti tutt'affatto diversi, spirante tristezza, compun-
zione e dolore; una figura non ha comune VOLO GE: che ap-

| pena Dimprone delle stimate!

* ' SOR 2 »

Il ch. prof. ‘Luigi Carattoli nel 1886 dava annunzio di pos-
sédere l’immagine di S. Francesco dipinta sul coperchio
della sua primitiva cassa mortuaria (1).

. Nell'illustrare il rarissimo dipinto, che credo di avere
ravvisato testé in Assisi presso la cappella dove S. Francesco
spirò, e nel dimostrarne l'autenticità con sodi argomenti, egli

(1) Misc. Francesc., ird 1888, vol. I, pag. 45.
32
AA AAA

Simone
riore di Assisi e precisamente presso

&SO

Le LANZI

va SIE . Se Stage n TÀ PRANDI PALI ETNIA È SETTA SVI SS ASA
riferisce il giudizio di Silvestro Valeri e di aliri pittori, che

riconobbero

SS

7777,

A

Accanto a queste figure trova il
suo posto il mezzo busto dipinto da
Memmi nella basilica infe-

l' ingresso della cappella di S. Martino.
E opera appartenente al periodo piü
perfetto del Maestro che, a giudizio
del ch. collega prof. Cristofani, fu
eseguita fra il 1320 e il 1325.

a

A

Gb

di

P

v

SESS

in questa tempera la maniera di Giunta da Pisa,

quindi, secondo loro, questo sarebbe il

prototipo dal quale Cimabue avrebbe

tratta la ispirazione pei ritratti del santo,
da lui nei vari affreschi eseguiti.
Pure inchinandomi all’ autorità dei

valenti artisti che il Caratioli cita, non

mi persuaderó mai che quella, tavola

possa giudiziosamente apporsi al Giunta
o ala sua scuola; chiunque può agevob |

mente vedere come tra questa e i così-

detti ritratti del pittore pisano qui ripro:

dotti alla pag. 474, non si riscontra nem»
meno la più lontana relazione, poichè
questa figura è tutt'affatto difforme per

statura, per sembianza, per sentimento
e per tecnica!

e^
be

Li

rapporto che esiste tra questa tempera è ©

l'affresco del Cimabue, tantochè i due

soggetti sembrano la copia uno dell'altro ed è perciò che li
ho collocati ambedue in questo gruppo, perché il valore arti.
stico e iconografico di queste due opere si compenetra e si.
confonde come in uno stesso dipinto,

NS

444

I

E invece evidentissimo' lo stretto

Ou s" QUALE POSTO CONVENGA AL DIPINTO DI STRONCONE, ECC. 481

La barba rada, il naso lungo e sottile, le orecchie diritte,

le dita affusolate, fanno veramente di questa immagine una

delle più rispondenti al tipo che noi ricerchiamo; ma nelle
ciglia arcuate e nello sguardo essa non ha la dolce espres-

.Sione che ci viene indicata dal biografo e la proporzione del

busto accenna .àd una statura superiore a quella che ci è
data come una caratteristica della persona del santo.

*

DGRGE

Ed ora torniamo alla pittura di Stroncone.
Quand’ anche si volesse ritenere che la bolla di Ni-

eoló IV (5 giugno 1291) non si riferisse a questo dipinto,

tuttavia io credo per fermo che esso debba almeno esser
collocato in questo gruppo; e se alla stregua della testimo-
nianza ripetutamente invocata di fr. Tommaso, noi ci fac-

ciamo ad analizzàre i particolari delle quattro opere in que-
st'ultima parte ricordate, il ritratto di Stroncone è certamente

quello che meglio di ogni altro risponde alla descrizione del
biografo Celanense. |

Peró, se queste pitture furono condotte circa un secolo
dopo la morte di S. Francesco, possiamo noi affermare che
in esse possediamo finalmente il suo vero ritratto? — Pur-

troppo no, ma egli è certo che in queste opere gli artisti -

del tempo fissarono quanto di meglio si conosceva ancora
circa l' icone del Poverello, e il magistero dell'arte rinata
compensò in parte, mercé loro, la deficienza dei precursori
e la distanza che ormai li separava, sia pure di poco, mà
irremissibilmente, dal venerato soggetto che vollero coi loro
pennelli eternato.

Assisi, 93 settembre 1906.

Luic1 LANZI.

bd -

e ee»

i
3
483

COMUNICATI

e Un codice poco noto della Visione del B. Tommasuei

DA FOLIGNO

Non ho bisogno — ne son sieuro — di spiegare agli egregi
"Consoei dell'Umbria chi fosse il B. Tommasuccio da Foligno e in
‘che cosa consista la sua Visione. La quale, se gli appartiene come

‘ fatto, è dubbio che gli appartenga anche come scrittura, essendovi

. delle forti ragioni, tratte dal testo istesso, per crederne- autore

"piuttosto un altro següaceé' di S.-Fráncéseo conteniporaneo del pró- ^ "^

feta umbro, frate Giusto della Rosa che ci lasciò anche una Leg-
genda del beato Tomasuzio. i

Ora io non so quale importanza storica possa avere codesto
racconto in prosa del ’300, poichè confesso di non essere abba-
stanza versato negli studi francescani per poterlo stabilire. Ma so
che la Visione del B. Tommasuccio è un documento francescano

che Ludovico Jacobilli (1) ed altri credettero degno della stampa .

e che tanto il compianto Mazzatinti nel suo pregevole studio su

.. *« Un profeto umbro » (2), quanto il Faloci-Pulignani nel suo ampio

ed erudito lavoro su « Le lettere e le arti alla corte dei Trinci » (3)
illustrarono con acuti confronti ed osservazioni. E ricordo anche
di aver letto in proposito alcune parole del prof. Vittorio Rossi
dell’Università di Pavia, dalle quali appariva chiaramente il suo
desiderio ed augurio che qualcuno indagasse « le relazioni tra
codesta Visione e la leggenda del beato, tribuita a frate Giusto

(1) Cfr. la sua Vita del B. Tommasuccio (Foligno, 1626), pagg. 66-93.
(2) In Propugnatore, nuova serie, vol. I (1888).
(8) Cfr. l'ed. di Foligno, Salvati, 1888; pagg. 79 e segg.
484 E. FILIPPINI

della Rosa (1) ». Non dev'essere quindi opera del tutto vana ren-
dere più nota di quello che non sia oggi per le stampe, una re-
dazione importante per quanto incompleta del suddetto documento.

Fino al 1894, della nostra Visione non si conosceva altra re-

dazione manoscritta che quella d'un codice miscellaneo del sec. XV

posseduto dal Faloci-Pulignani e da lui stesso illustrato nel suo « Sag-

gio bibliografico sulle Profezie del B. Tommasuccio » (2) e in più -

note del lavoro sopra accennato (3). Ma essendosi, appunto in quel-
l’anno, pubblicato 1’ « Inventario dei manoscritti della Biblioteca U-
niversitaria di Pavia » per le cure dei sigg. De Marchi e Bertolani, si
vide che una seconda redazione dell’ operetta era contenuta nel
cod. 67 di quella Biblioteca (4). Fu a proposito di questo mano-
scritto che il Rossi, facendo una esatta relazione delle cose più
notevoli dell’ Inventario pavese, scriveva le parole surriferite. Ed

è questa la redazione di cui intendo qui occuparmi brevemente

lasciando ad altri i confronti con quella di proprietà privata e con

le stampe. ; :

I due egregi redattori dell’ Inventario pavese si limitavano a
dire che il cod. mise. 67 contiene da c. 32 a c. 42la Visione del
b. Tommasuccio scritta da Giusto della Rosa (?) del sec. XIV,
mutila in principio e in fine. Ma questo era troppo poco in verità
per un simile componimento antico, di cui non si conosceva fino
ad allora che una sola redazione e in tempi come i nostri in cui
gli studi francescani sono così coltivati da rivaleggiare quasi con
quelli danteschi. Per questo mi parve conveniente qualche tempo
fa di prendere in mano il codice pavese ed esaminarlo nella parte
che più ci riguarda, per informarne meglio non solo i cultori della
letteratura francescana in genere, ma anche gli studiosi di quella
ricca fioritura di visioni che il Medio-evo ci ha dato. Ed ecco ora
il frutto del mio esame.

Il cod. 67 (5) è in piccolo formato ed è scritto in due carat-

(1) Cfr. la Rassegna bibliografica ecc. del D'ANCONA, ann. 1894, pag. 194. 4

(2) Fu stampato a Foligno, 1881.

(3) Cfr. op. cit., pagg. 78-82.

(4) Cfr. il vol. I (Hoepli, 1894), pag. 3l.

(5) Esso proviene certamente da un convento francescano di Pavia come pa-
recchi altri codici di materia francescana che sono registrati nell’ Inventario (cfr.
pagg. 60, 138, 249, 262 ecc.).
dr AL

UN CODICE POCO NOTO DELLA VISIONE DEL B. TOMMASUCCIO, ECC. 485

teri diversi: la prima parte, consistente in alcune orazioni, è in
carattere minuto comune del sec. XV; la seconda, consistente nella
Visione, è in gotico piuttosto grande e sproporzionato con le di-
mensioni del volumetto, ma certamente più antico. Mentre nella

“prima parte a. conferma del. giudizio sul tempo della trascrizione. -

Si legge anche la data 1455, nella -seconda-non appare -data di
| sorta; .forse..per le mutilazioni subite in principio .e in fine; ma

“chel vide in -paradixo: ica E Mai evt eg 7 HIRED See roi

. questo non impedisce che essa si possa assegnare senza alcun dub-

bio al sec. XIV. L'operetta incomincia. nel r. della c. 32 con le pa-
role: sole. E lo bento thomasuzio propheta cum lacrime se gitò eco.,

‘che provano la prima mutilazione. Tutto il resto è diviso in più

capitoli non numerati, ciascuno dei quali ha il suo titolo o som-
mario. Il corpo dei capitoli è in inchiostro nero: i sommari e le
lettere iniziali d’ogni capitolo sono in rosso. Ecco il testo dei som-
mari completi che si leggono nel codice dopo il primo brano in-

completo :

— Como lo beato Thomasuzio cuntava a li COMPAGNE la pinta

— Como Justo da la rova pregava el beato Thomasuzio che.li
recuntasse la sua vesione per servirla (sic).

— Como lo beato Thomasuzio COEN) a cuntare cas sua visione
de parte in parte. *

— Questa si à la prima visione che vité lo beato Thomasuzio
in paradixo. ue

— Como l'angelo e lo beato Miao viteno venire l’angelo
Gabrielo. ;

— Como l’angelo e lo beato Thomasuzio viteno venire l’angelo

-Raphaello cum li serafini.

— Como l'angelo e lo beato Thomasuzio staveno insema a con-
templare e viteno venire noè patriarca cum la sua compagnia.
Como li supra scripti staveno à contemplare e viteno venire
Abraam propheta cum grande legione de santi.

. — Como l’angelo e.lo beato thomasuzio staveno a sedere e vi-
teno venire duy fratelli zoue moyses et aron cum una compagnia
de Santi.

— Btagando li sopra scritti a sedere in paradixo viteno venire
lo Re David propheta cum tuti li. profeti.
Dopo questi dieci sommari e i relativi capitoli, nel v. della

j
486 E. FILIPPINI

c. 42 si legge in fondo il principio d'un altro sommario: Como
l’angelo, e nulla più. |

Dalla traserizione dei sommari si comprende già abbastanza
la forma corretta di questo raro testo del trecento. Ma affinchè si

possa valutare anche meglio il pregio filologico della redazione

pavese, ne trascriverò anche qui tutto un capitolo, che è precisa-
mente quello che segue al secondo dei sommari surriferiti e che
è il più importante per riconoscere il vero autore della VZsione.

Alora disseno i suoy compagni o beato thomasuzio noi te pre-
gemo (sic) per lo amore de dio che tu ne dige (sic) qualche cossa
de quella festa dé tuti li santi e le cosse che tu ay veduto in pa-
radixo. e con lacrime pregava Iusto da la roxa sopra tuti li altri.
disse e io servirò zo che tu dirai de le sante cosse del paradixro e
de quella santa e granda festa de tutti li santi, e fazone uno libro
a zo che de questa visione sia memoria infra li fedeli cristiani in
questo mondo che se trova ne la scriptura de quella bella visione
Santa.

Ognuno può vedere da questa esatta trascrizione come il co-
dice pavese, sebbene mutilo, si avvantaggi di molto su quello
folignate, che il Faloci-Pulignani stesso dice scorrettissimo (1). Ed
io chiudendo la mia breve relazione auguro al manoscritto uno
studioso accurato che metta in maggiore evidenza i suoi pregi e
l’importanza storica della Visione del B. Tommasuccio da Foligno.

ENRICO FILIPPINI.

(1) Cfr. Le arti e le lettere ecc. già citate, pagg. 78 e 80.
481

lj

DI UN SANTUARIO FRANCESCANO IN PERICOLO.

Il Monteluco di Spoleto, cantato. dal Giustolo con mirabili
versi, il sacro e bellissimo monte, rivestito di lecci secolari, aveva.
alla sua base e al suo fianco due abbazie ben note ai cultori
di studi storiei. Quella di S. Giuliano che rammenta i santi uo-
mini venuti dalla Siria a portar primi tra noi il eristianesimo;
l’altro di S. Marco ove fu l’abate Eleuterio onde diffusamente
parla S: Gregorio Magno nei dialoghi. La prima, monumento sotto

tutti gli aspetti pregevole, ad onta di una causa vinta dal Comune

e dal vicino parroco, rimane in balia dei venti, dell’ intemperie,

deposito di fieno e stalla di animali immondi. Della seconda resta - :
il ricordo in una cappella pressochè abbandonata; e taluni scavi.

pratieati con buon risultato per rintracciare le vestige, furon ben
presto sospesi. : i A

Fra questi due centri della primitiva vita monastica, era na- .

turale che l'ombroso bosco attirasse uomini di mistiche tendenze,
i quali impressero al monte (sacro un tempo alle deità pagane),
il carattere religioso cristiano che tuttora conserva.

Poteva S. Francesco non stimarlo tra i più acconci ad acco-
gliervi i suoi seguaci? Tanto più, se non fosse tutta leggenda l’a-

ver egli avuto appunto in Spoleto il primo pensiero della sua con-

versione.

Egli, secondo la tradizione ci narra, vi fece con vimini, fango
e rami di alberi, sette anguste capanne da servir di ricovero a sè
e ai suoi compagni, vicine alla piccola chiesa di S. Caterina a lui

| ceduta dai monaci di S. Giuliano. Era il punto meno ridente,

poichè non vi si gode la bella vista che rende ameni tutti gli altri

»
488 : P. CAMPELLO DELLA SPINA

eremitaggi, già sin da allora abitati da persone devote, riunite
qualche secolo dopo con regola comune.

. Ben presto le capanne cederono il posto al piccolo ospizio di
cui conservasi ancora il corridoio con celle angustissime. Gli usci
-non--misurano; i più-alti; che. un.metro e-40-e due di-essr un-metro .
e 30. Dappoichè: in--quel singolare-corridoio -deserivente-una linea

. curva; nulla manifesta un. prestabilito disegno. - "LER

Io non ho bisogno di aggiungere quanta viva impressione fac-
cia la vista di quel primitivo convento, documento vivo dell’attua-
“zione sincera della predicata povertà. In esso venne il santo di
Padova e S. Bernardino da Siena, che portava la pace ove erano
innanzi cruente lotte cittadine, e questi volle accrescere le celle,
senza renderle meno disagiate. Che meraviglia, il soggiorno di

- questi astri maggiori facesse senza indugio ascrivere il rozzo edi-

ficio e la modesta chiesa nella categoria dei più Govok santuari
serafici?

Ma io chiamo l’attenzione del lettore non tanto sul beato An- .-

erre otonto”»'Figrini da -Pisa;-di-cui-oggi-si diseute Ia eausa; quanto: Sopra"
ovre ^-altro--franeescano- egualmente ivi sepolto; «di: cui ‘ho rinvenuto

- negli “scritti inediti del Campello; autore delle istorie di Spoleto,
notizie, pel ricordo dei personaggi che alla sua vita s'intrec-
ciano, di qualche intéresse. Scrive egli: « Come nel 1448 al Go-
verno. di Spoleto fosse chiamato Cesare Conti, lucchese, potente
signore di Carfagnano e marito di Caterina sorella uterina di Ni-
colò V. Condusse seco la sua donna ed Andreola madre comune di
essa e del pontefice, prendendo stanza nella rocca edificata dall’ A1-
bonoz, dove insino al presente si godono opere. magnifiche co-
strutte nel tempo del suo governo. Andreola fu presto attratta
dalla fama di questo frate Francesco da Pavia della nobile fami-

glia Beccaria, di cui narravano meraviglie. Egli dopo essere stato .

fortunato condottiero di cavallerie col duca di Milano Filippo Vi-
sconti e dopo aver militato anche col re di Francia, era entrato
nella milizia serafica ». à
Taccio la leggenda del suo incontro con un povero « cui egli
cedè i suoi calzari e della vita penitente da lui vissuta sul monte »
per dire come la madre del Pontefice già di malferma salute, tro-
vasse in Spoleto il maggior sollievo in questo frate Francesco da
lei pregato a discéndere frequentemente per assisterla e confor-

-
"
RT sores

DI UN SANTUABIO FRANCESCANO IN PERICOLO 489

tarla, finehé un grave malore lo mise in fin di vita. « Avvenne,
seguita lo storico, la sua morte il 16 agosto 1449, con grande
fama di santità, confermata da molti miracoli. Il suo corpo per
istanza che ne fece Andreola, aecompagnato dal desiderio del po-
polo, fu eon grande venerazione portato a Spoleto, e dopo solenni
esequie seppellito avanti la porta nella ehiesa di S. Simone; ese-
quie celebrate con numeroso concorso di cavalieri e di altri no-
bili della città e di gran popolo. 2s à

« Fu non molto dopo riportato allo stesso Monteluco e ivi ri-
posto avanti alla cappella di S. Bernardino, com'egli aveva prima
di morire predetto; dalla quale. nello metà del. secolo XVII. fu
trasportato dentro la chiesa di S. Francesco ivi prossima e col-
locato in più decoroso sepolero ». Fin qui il nostro storico. An-
che oggi si vede la semplice urna che lo racchiude con sopra,
entro cornice.a stucco, la sua effige a buon fresco, non condotta.
secondo la maniera di quel secolo sibbene ricopiata da ritratto-
assai probabilmente della. sua epoca. Andreola due anni appresso
lo seguì nella tomba, e fu deposta nella cattedrale spoletina, non
lungi dall’ altar maggiore. Il coperchio di marmo bianco si vede
ancora nel medesimo luogo, ma l’immagine della veneranda donna
che ha ai piedi un bambino, simbolo di maternità; consumata
dallo stropiccio dei piedi va scomparendo. Non par credibile non
riesca a porre in salvo il prezioso ricordo addossandolo ad una
parete ! : pice :

Nè sarà ozioso a proposito di questo sepolero di grande im- .
portanza, rammentare l'errore in cui eadde il cardinal Mai, e po-
tranno cadervi altri di lui meno dotti, affermando che il corpo
della madre di Niccolò V ha sepoltura in Sarzana, come un’ er-
ronea iscrizione farebbe credere.

Questa iscrizione dice: « il corpo di madonna Andreola; a cura
del figlio Filippo, arcivescovo di Bologna essere stato trasportato
in patria ». Ma il manoscritto citato della parte inedita della storia
di Spoleto dice: « Due secoli dopo il sepolero aveva ai piedi una .
piccola iscrizione esprimente il nome, la patria e i figli avuti
dalla defunta. Da capo erano le armi di Filippo Calandrino car-
dinale di Bologna che lo aveva fatto fare. Questo monumento fu
aperto pochi anni sono », egli scrive, « cioè circa il 1640, nell’oc-
easione della fabbrica della chiesa spoletina, e levato il marmo e

wA, 6
..490 . P. CAMPELLO DELLA SPINA

OE 5 semplice cassa di cipresso, apparvero le ossa e le ceneri
involte in orrida massa tra laceri avanzi, che dopo duecento anni
a gran fatica dovevano riconoscersi dai putridi vestimenti (1,37) ».
Ed ora vedendo tanta poca cura pei ricordi delle insigni ab-
MES pel jun della madre He un papa così Bononie SO
‘minacciose ‘circolanti in Spoleto, che venga | profadátó" e distrutto
il sepolero del frate-guerriero da mè rammentato, insieme all'au-'
‘stero convento che dopo quello delle Carceri sul monte Subasio, è
il più idoneo a rivelarci la povertà francescana dei primi tempi.
È: Giova sperare che l’ acclamato nuovo Direttore Generale della
antichità, l'illustre Corrado Ricci, inizi un'éra nuova a vantaggio
dei tesori d’arte e di storia, i i quali formano il primo e il più
invidiato ornamento della patria nostra.

Li salvi da mani rapaci e ignoranti. Questo è il voto che tario,
. e in questo voto mi lusingo incontrare il desiderato ed autorevo-
lissimo assentimento di tutti i soci della nostra Regia Deputazione.

PAOLO CAMPELLO DEDLA SPTNAT" ^^
491

AMNBLLIA |
sotto la dominazione del Re Ladislao, e del Tartalia da Lavello

- Nel 1314 avveniva un'altra invasione degli Stati Pontificî per .
parte del Re Ladislao, e le sue truppe avevano già occupato molte’
città del patrimonio. Al veder ciò gli Amerini cominciarono a
temere per la loro città, e spedirono al Cardinale Oddone Colonna,
Rettore dello stesso patrimonio un tal Franco Conchi (1) affinchè
venisse in loro difesa. Il Cardinale però, considerando come la.
loro città fosse incapace d’una energica difesa, stante le sue torri
atterrate, giudicò funesta la resistenza, onde potea derivare il to- 5 a
tale esterminio della stessa città. Quindi, accordava agli Amerini pt
le facoltà di venire a patti cogl' invasori, minaccianti ruina, pro-
curandone il meglio possibile, anche venendo alla dedizione. Eb-
bero occasione ben presto gli Amerini di prevalersi pur troppo
delle facoltà e del prudente consiglio del Cardinale. Imperocchè
fra non molto per parte del condottiero della truppa del Re veniva

alla città l'intimazione d’arrendersi, e divenire suddita di La-
dislao. Ai 6 di luglio di detto anno si convoca d’urgenza il consi- ..
glio per decidere sul da farsi (2).

Pietro Archilei sostenne dovesse cedersi con una ita ar-
ringa. « Sono pronti, diceva, ad invadere il nostro territorio due
eserciti, quello di Malacarne, e quello di Tartalia da Lavello. Ma-
lacarne poi accampato nel territorio di Narni, se dentro oggi stesso,
non gli venga risposto, inviandogli un sindaco con universale e
speciale mandato di sottomettersi al regio potere, farà pagar caro

(1) Rif., d. a., p. 207. S

(2) Rif., d. a., p. 209.

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499 2 B. GERALDINI

il rifiuto ai Narnesi; minaccia poi, e dichiara che il giorno appresso
sarà per invadere il nostro territorio, e metterà a ferro ed a fuoco
le nostre campagne. Se per resistere a questo recente malanno, a
questa peste vicina, fosse necessario di sottostare a questi non solo,

ima a qualunque altro siasi male, sarebbe tollerabile, e li soppor-
teremo con animo equanime,.chè anzi per lo Stato. della- Chiesa .....
‘incontriamo pure volonterosi il carcere e la morte. Ma al .caso

nostro, non vi ha dubbio che dopo aver subito tali guasti, dopo
avere incontrato incalcolabili. danni, saremo costretti lo stesso a
soggiacere a questo servile gioco; sarà per noi meno male, se così
a voi piaccia, di sottostare a questa servitù,. restando noi salvi
nelle nostre cose, e nelle nostre persone. Anche il rev.mo Cardi-

. nole Oddone Colonna, come vi venne riferito dal nostro cittadino

Francesco, così ci consiglia ». Venne abbracciato il parere dell’Ar-
chilei, e si decise di passare sotto la dominazione del Re Ladislao.
Il quale esercitò in Amelia degli atti di giurisdizione, confermando
a podestà Francesco de Cagris eletto dagli Anziani (1). Si deputò
dagli Amerini un loro rappresentante presso lo stesso Re. Anche

rini.un ben grave sacrifizio. Tartalia suo.locotenente induceva
alla devozione ed ‘obbedienza del medesimo il potente uomo Ber-
nardo d'Alviano, e per gli articoli del concordato, che con esso
stipulava, lo immetteva^nel possesso di Porchiano, di cui gli Ame-
rini eran stati sempre gelosi, impugnando anche le armi per con-
servarlo. Or bene ad una tal concessione del luogotenente, eglino
si mostrarono del tutto restii, e cacciarono Bernardo da Porchiano,
commettendo contro di lui delle ben gravi ostilità. Avutone di
ciò reclamo il Tartalia, scriveva loro una lettera ben grave e mi-
nacciosa di cui noi riporteremo qualche brano (2):

« Egregiis fratribus etc. ... El magnifico Ser Bernardo che nui
havemo ridutto alla devotione, et obedientia della Maiestà de lo
re, gentil’ uomo di Alviano e con loro (sic) avemo capitolato etc.

Ma ho sentito con grande displacientia, come direto la conclu-

sione dei Capitoli fatti con noi, avete tolto Porchiano, loro locho

.arso, bruciato lo grano, e fatto il peggio, che avete potuto. De la

(1) Rif., p. 225.
(2) Rif., p. a., p. 211.

per. accettata. sudditanza.al.Re di Napoli..si.richiese..dagli..A messe... a
AMELIA SOTTO LA DENOMINAZIONE DEL RE LADISLAO, ECC. . 493

qual cosa, se certo, forte maravigliamo, e deploramo che cosi poco -

onorato, ed in questa forma vilependito, non aspettava da nissuno
servitore della Maestà del Re. Pertanto prego e strengo per quanto
abbiate cara la grazia del Re, che a dieti gentil’ uomini d’ Al-
viano senza eccezione vogliate fare rassegnare il detto Castello de
Porchiano, e per nulla forma non loro offendere nè fare offendere,
anzi vieinare con loro come con voi servitori della maestà dello
Re. Dato in campo presso Caninum 7 Iulii ».

Tuttavia di tale ingiunzione pare certo, che quei dA a
non ne facessero conto, perchè in appresso, come vedremo, nel 1415
lo stesso Tartaglia richiedeva al Comune d'esercitare sopra Por-
ehiano una speeiale giurisdizione. Senonché la dominazione di
Ladislao sopra Amelia fu assai breve, perché, vittima dei suoi di-
sordini, .cessava di vivere in Napoli ai 6 d'agosto 1414. ^

Tuttavia non cessava per Amelia la sudditanza ad estranei,
chè invece restava ancora soggetta allo stesso Cristoforo Tarta-
lia. Difatti troviamo registrato nelle Riformanze, come Gregorio
Marcellino di Roma, ed il milite Bernardo da Sayano tenessero

le veci di Tartalia, Rettore del Patrimonio. Se costui giustamente .

potesse arrogarsi questo nuovo titolo dopo morto Ladislao, gli è
cosa ben difficile a dimostrarsi, fatto stà ed è che esercitava in
Amelia il suo potere, forse anche per esser passato coi suoi uo-
mini al servizio di Fortebraccio, invasore dello .Stato della Santa
Sede (1). i SS
Ricaviamo ancora dalle stesse Riformanze come avendo egli
dimostrato desiderio « di commandare specialmente nel castello di
Porchiano, ben tosto ne fu condisceso, per la ragione ch’ era ben

giusto, che tenendo il governo sul Capo [ossia sulla Città d'Ame- -

lia] lo ritenesse anche sulle sue membra » (2). Esso destinó a po-
destà di Amelia il nobil'uomo Battista. ;

In appresso gli Anziani spediscono una lettera al de Lovello
per ottenere la facoltà di eleggere il podestà, cosa che ottennero,
trovandosi in appresso nelle Riformanze, che Tartalia eonfermó
l'elezione a podestà di Bernardo da Sexano (3).

(1) Rif., 1415, p. 1.
(3) Rif., d. a., p. 6.
(2) Rif., d. a., p. 20.

dali io E "ae. RURANCRA TE RT VIVAS LA et PLC cm i
494 - XT | s. P. GERALDINI

: Avendogli il Comune inviato ambasciatori per regolare certe
- vertenze con S. Gemini, ei rispose per lettera di volere piena-
^ mente attenersi a quanto gli stessi Anziani, ed il suo locotenente
‘cavalier Bernardo avessero conchiuso, come difatti rettificava del
- tutto il trattato di pace, che avevano stipulato coi S. Geminesi (1).
.Con- altra-lettera il Tartalia cassava il processo intentato da-

gli Amerini a carico dei nobili Claravallesi. |
Essendo poi essi in rotta coi Narnesi, i quali ben sovente
. facevano delle cavalcate nel territorio di Amelia, cagionandovi
. dei ben gravi guasti, Paolo Orsini, istituito dal Papa suo Vicario
in Narni, seriveva al Comune la seguente lettera per rimettervi
le paci ai 16 decembre 1416 (2): « Vi notifichiamo come sono in
Nargne, se voi volete essere servitori. di S. Chiesa, piacciavi di
volere stare come servi di S. Chiesa. Se questo volete fare l’ in-
tenzione nostra è di vivere, e vicinar bene con Vui; piacciavi di

. diehiarare la vostra intenzione ». È
Gli Amerini risposero esser loro intenzione di ben vicinare
con tutti, massime coll’Orsini essendo servo ed amico della Chiesa.
‘’Ma’poichè essi si trovavano’ sotto il governo del magnifico capitano
Tartalia, a lui avrebbero notificata la sua lettera. Si dolevano intanto
“dei modi tenuti in quei dì dai Narnesi, coi quali amichevolmente

vicinavano, con patti fermi, e coi loro suggelli, ed essi mortal

guerra avevano loro mossa, non guardandosi neanché dal rapire
le loro femmine. à

Il Tartalia trattò di per sè stesso coll’ Orsini su tale invito;
venendo ad un accordo favorevole agli Amerini; non mancò egli per
lettera di avvisarli d’andar sicuri nel territorio di Narni, avendo
fatto dei patti con Paolo Orsini, Vicario del Papa.
am Come si vede il dominio di questo avventuriere non riusci tanto
| ‘grave, come si temeva in Amelia, ed anzi fu piuttosto vantaggioso,

essendosi mostrato il de Lavello colla città conciliante e condi-

scendente. Però alla fine del 1425, se non fu ai principî dell’anno
. seguente, essendo fatto decapitare dallo Sforza il misero Tartalia,
s'intesero intimare gli Amerini la cessazione del suo governo col-

(1) Rif., 1415, p. 19.
(2) Rif., 1416, fol. 61.
7 EINST ELEME

AMELIA SOTTO LA DENOMINAZIONE DEL RE LADISLAO, ECC. 495

l’ ingiunzione di ritornare sotto il dominio della S. Sede con una

lettera di questo tenore (1):

« Nobilibus et egregiis viris, Potestati Civitatis Amelie, amicis
carissimis V. Rector Patrimonii — Amici carissimi per questa
vi avvisiamo che il Tartalia, com’è piaciuto a Dio è stato morto

dallo Sforza, e per.giusta rascione N.'S. hà mandato Lodovico

Colonna, e Orlanno con comissione ad nui provedesmo, che le

terre tenute dal Tartalia non vengano ad altrui mano. Pertanto

oggi al nome di Dio andamo al campo a Toscanella, con quella
gente avemo potuto adunare perla Provincia. Pregandovi che per

| stato di N. S. mandiate presto quella quantità d'uomini potete,

ed questo N. S. l'avrà grato. Insuper avvisatici se alcuna novità
sentiste si facesse di là. Dato festinanter Viterbii die VII Februa-
rii in aurora ».

Tuttavia in quanto all’ intimazione che non passassero ad altre
mani le terre dominate dal Tartalia, gli Amerini non ne fecero
conto che per pochi anni, assoggettandosi invece nel 1434 ad altro
padrone, come racconteremo fra poco in altra comunicazione.

B. GERALDINI.

(1) Rif., 1422, p. 305.

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491

DOCUMENTI

HL. - BRICIOLE DI STORIA ASSISIATE
. MI. - Circa il riordinamento dell’antico Archivio Giudiziario di Perugia.

: (Comunicazioni fatte al Congresso della R. Deputazione di storia patria per l'Umbria in Assisi -- Settembre 1906)

COMUNICAZIONE I. — Di una lite di confini tra Perugia e
Urbino per due ville nel territorio di Assisi. — I documenti
- ehe vengono ora segnalati, e che son custoditi nel R. Archivio
di. Stato in Firenze, Sezione di Urbino, Cl. I, Div. A, f. 2,
"ec. 108 e segg. sino a cc. 848, hanno un-paárticolaré inte "^ ^ eni
resse per la storia del territorio perugino e assisiate sullo
scorcio del secolo XVI, e perciò credo far cosa grata agli
studiosi di cose umbre dandone loro notizia.

Con sentenza 29 Nov. 1595 fu definita una lunga coritroversia di
confini tra il C. di P. e il Duca d'Urbino pel dominio delle « ville o
balie delle Coltraticce e di Montevillano » in quel di ‘Valfabbrica, terri-
torio di Assisi. La lite peró durava sempre nel 1608.

Ebbe origine da una cattura di certi Flaminio e Bartolomeo di
Roca, dimoranti al Palazzo di Roca alle Coltratiecie: cattura che voleva
eseguire la Corte del Governatore di Assisi, mentre si affermava non po-:
terlo fare per esser quei luoghi sotto la giurisdizione del Duca d'Urbino.

Negli atti di.questa causa son ricordati vari documenti, tra cui:

. Un libro d'atti criminali del Capitano di Valfabbrica, del 1564-
1572: Capitano nel 1608 era Orazio Chioccio, o Chiovio, notaio di Gub-
«bio (ve ne son moltissimi e lunghi estratti). |

Altro come sopra del 1565-1592.

« Liber inventionum officialium damnorum datorum Castri Vallis
Fabrice dominij ser.mi D. N. Ducis Urbini », 1564-1597.

Altro del 1564-1605.
G. DEGLI AZZI
Libro di Atti Civili tra sudditi, avanti il Cap. di Valfabbrica (1565-

Altro d'atti civili di forestieri contro sudditi (1570-1603).
Libri de’ Massari (« In Dei nom. Am. In castro Vallis Fabr. di-
tionis ser.mi D. N. Urbini Ducis consuevit ab immemorabili tempore
citra, et nunc viget consuetudo quod per binos menses eliguntur qua-
tuor Massarij, per quos magistratus munus geritur, e£ res omnes pu-
blice administrantur »), (1552.1588).

Libri di Consigli di Valf., 1571-1606.

Libri de' Gualdari (Pei danni dati), 1571-1580.

Assegne di boeche e grani e decime di Valf., 1564-1585.

Stime de' danni dati, 1590-1602. i

Vi son pure estratti dagli Statuti d'Assisi (senza data). Seguono va-
rie sentenze di condanna rese dal dott. Ottavio Spacciolo, luogotenente
del Duca d' Urbino in Gubbio contro il conte Marcantonio da Sterpeto ed
altri, sudditi d'Assisi, i quali nel feb. 1556 in numero di 400, armati di
archibugi, lancie e spade, direttisi da Assisi verso Valfabbrica, in certi
boschi dov’ erano a cacciare per ordine del Duca d’ Urbino alcuni di
lui sudditi, capitanati dal conte, si precipitarono loro addosso al grido
di « Amazza, amazza! Carne, carne! Assisi, Assisi! Conte, conte! Calla,
calla ! »; e tolti loro reti, caprioli, lepri, ecc., li fugarono e ferirono, ece. ;
onde fur dannati nel capo e ne’ beni; e poi in parte graziati.

COMUNICAZIONE II. — Un regolamento di Guidantonio da
Montefeltro per S. Maria degli Angeli. — Dal ricco Archivio
d'Urbino ho pure tratto questo inedito Regolamento prescritto
alla chiesa di S. Maria degli Angioli dal conte Guidantonio da
Montefeltro nella sua qualità di Vicario d'Assisi, e lo pubblico
ritenendo che tale documento abbia importanza per gli stu-
diosi di cose francescane, di cui son molti e valorosi tra noi.

»
[Archivio d'Urbino, Cl. I, Div. B, f. VIII, c. 2 bis].

« Cum omni humili reverentia et religione: Ego Guidantonius
Chomes Montisfeltri et Vicarius Sancte Matris Ecclesie super civitatem
Assisij, ete.: ob reverentiam Dei et sue matris gloriose Virginis Marie
et beatissimi patris nostri Francisci, ob cuius devotionem me filium
reputo et sui Ordinis Minorum, etc.: institui et ordinavi ad hoc ut in
ecclesia prima predicti Ordinis nuncupata Sancte Marie de Angelis prope
Asisium et Conventum Saneti Francisci eiusdem civitatis et Ordinis sit
BRICIOLE DI STORIA ASSISIATE, ECC. 499

semper inter fratres mutua dilectio et firma compositio, nec aliqua
questio divisio vel murmuratio :

Primo: quod per Patrem Generalem Ministrum ibi semper duo-
decim fratres Regule observatores meliores Ordinis de Observantia po-

^manturi.neé aliquis proprietarius-vel:de Asisio vel etiam:de illa patria

vel provincia ibi pro prelato Guardiano vel Vicario unquam ponatur

- ad hoe ne ex coniunetione consanguinitatis parentele vel amicitiis scan-

dalum mortale vel reale de aliquo possit supervenire, nec aliqua su-
spicio.

Secundo: quod pro bono statu illius civitatis et patrie ordinetur
quod per totum Ordinem fiat semper cotidie una commemoratio ut Deus
dignetur predictam civitatem et ipsam regentes defendere ab omnibus
periculis et conservare cum omni pace et dilectione.

Tertio: quod fratres in conventu Saneti Francisci existentes non
impediant se de illis bonis fratribus de aliquo vel in aliquo, nec au-

deant ipsos quoquo modo-scandalizare verbo : quod si contrarium (quod:
"ebsit)-per-atiquem attentatum: fuerit, ipso facto sit; si prelatus-est;-pri----

vatus omni officio ; et, si subditus, actibus legitimis, etc.

Quarto: quod Communitas Assisij teneatur omni anno eligere
unum: vel duos proeuratores-et sindicos, qui omnia relieta habeant re-
cipere tam loci de Santa Maria quam de conventu Sancti Francisci, et
refutationes facere; nec aliquo modo valeant commutationes testamen-
torum vel relietorum ad petitionem alicuius facere; sed sieut eis datur,
sic puro modo expendant: et si contrarium per eos factum fuerit, te-
neantur omnia restituere.

Quinto: de introitibus Capelle Sancte Marie, fratres qui ibi per-
manent et permanebunt omnia quam [sic] ad ceram et comestibilia re-
cipient, retinebunt et dispensabunt sicut, secundum Deum, eis videbitur.

De. pecunia autem non se intromittant, sed semper decima pars pecunie

per proeuratorem reservetur, nec in aliquo expendatur, nisi pro apta-
tione reparatione et conservatione ipsius loci Sancte Marie et necessi-
tatibus fratrum ibi commorantium, ete.

Exceptis tribus diebus privilegiatis ipsis fratribus Conventualibus

per Papam silicet. in die Indulgentie, Assumptionis gloriose Virginis.

Marie et Annunciationis Dominice, in quibus tam ceram [sic] quam com-
500 G. DEGLI AZZI

mestibilia et pecuniam preter decimam partem erit | conventus San-
eti Francisci sola decima pars, peeuniam ipsi proeuro ores reservabunt
pro neeessitatibus Sanete Marie et fratrum ibi commorantium.

Sexto: quod de qualibet provincia eligantur et ponantur duo
fratres in eonventu Assisij, tamquam loco et conventu principaliori

Ordinis.
COMUNICAZIONE III. — Z'Archivio storico giudiziario di
Perugia e il suo recente riordinamento. — Adempio a un gra-

dito dovere dando ai Colleghi succinta notizia del riordina-

mento testé compiuto dell’antico Archivio Giudiziario di Peru-
gia: notizia ch'è opportuno far precedere da un brevissimo
cenno storico sulle vicende toccate alle carte che lo costitui-
scono. Nei secoli XVII e XVIII gli atti di quasi tutte le
amministrazioni giudiziarie civili di Perugia erano affidati

al locale Collegio de’ Notai, che li teneva confusamente am-

massati nel suo Archivio, detto è Registro, situato in prossi-
mità del Palazzo pubblico al Corso Vannucci. Nel 1787 prese
a riordinarli l'eruditissimo nostro Giuseppe Belforti, che in
sci. anni d'assiduo lavoro li distribui ordinatamente in serie,
redigendone un accuratissimo inventario che andò poi smar-

Mito; onem

La bellopera dell'infaticabile studioso perugino ebbe
peró disgraziatamente breve durata: poiché ripetuti cambia-
menti di sede, eseguiti da gente mal diretta e mal pratica, e
due incendi parziali ridussero quel prezioso nucleo di carte nel
più desolante disordine, e fecero andar dispersi tutti gli in-
dici generali e particolari. Solo il voluminosissimo repertorio
alfabetico de’ processi civili compilato dal Belforti in 165
quaderni, che si credè per molto tempo perduto, fu da me
quasi‘ integralmente ritrovato tra informi cumuli di carte

guást* ^l umidità e dal fuoco; che nell’ affrettata opera di
estin^---^'dellineendio mani inesperte avevano riuniti e le-
gati : saccio.

Dopo la caduta del potere teocratico l’ Archivio era
BRICIOLE DI STORIA ASSISIATE, ECC. 201

passato alla Cancelleria del Tribunale di Perugia, che lo cu-
stodiva in un ampio salone a terreno del Palazzo di Giustizia, |
vietandone gelosamente l'accesso ai ricercatori :d' antiche
memorie. In questi’ ultimi tempi, avendo l'Autorità Giudi-
-Ziaria dimostrata l'intenzione di disfarsene cedendolo ad un
Archivio di Stato, la solerte. Amministrazione Comunale .di .
Perugia, efficacemente coadiuvata dalla nostra Deputazione
di Storia Patria e dall'egregio Prefetto della Provincia com-
mendatore Ernesto Dallari, chiese ed ottenne che una si
pregevole suppellettile documentaie non fosse tolta alla città,
ma venisse affidata ai funzionari dell'Archivio Storico Mu-
nicipale e messa a disposizione degli studiosi. A me fu dal
superiore Ministero dell'Interno commesso l' onorevole inca-
rico di distinguere le carte riservate per legge dalle altre
che potevano rilasciarsi in deposito all'Autorità Comunale: e
queste, assistito con intelligente interessamento dai preposti
all'Archivio Civico, conte dott. Vincenzo Ansidei e dott. Fran-
cesco Briganti, riordinai e distinsi in serie, compilandone un
dettagliato inveutario. |

L'Archivio consta di circa 4500 tra filze e. registri, di-
stribuiti cronologicamente in 29 serie, tra cui importantis-
sima è quella de’ Processi Civili, che comprende quasi cento
mila fascicoli processuali, di cui molti interessano cospicui
personaggi perugini ed umbri e la storia delle. famiglie e
quella letteraria ed artistica della regione. La consultazione
di questa serie è mirabilmente agevolata dal repertorio bel-
fortiano, che non solo rende possibile qualsiasi ricerca, ma
dà anche modo di poter constatare qual sia l’entità del ma-
teriale oggi perduto. Nella seconda serie dei Jura diversa son
raccolti, per lo più in originale, gli atti più disparati, tra cui
abbondano le « scritte » in volgare per allogagioni d' opere
ad artisti. =

Non è qui il caso d’ indugiar dell’ altro in descrivere il
contenuto storico di questo deposito documentale, poiché una
più ampia notizia ne pubblicherò tra breve negli Archivi

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502

G. DEGLI AZZI

della Storia d’Italia, che il nostro diletto collega Mazzatinti
condusse già sino al IV volume, e di cui, in omaggio alla
memoria di lui, ho ripresa testè la continuazione. Mi basta
per ora averne fatto cenno ai soci della-Deputazione, perché

sappiano come — mercè la condiscendenza governativa e

lo zelo spiegato dall'Autorità prefettizia e municipale nella
difesa del nostro patrimonio storico — sia tornato oggi a loro
disposizione un ricco e prezioso materiale di studio, che of-

frirà ampia mésse di notizie e di scoperte alle loro amorose -

e diligenti ricerche.

. G. DEGLI AZZI.

CTS init : 503.

PER LA SEPOLTURA
di BRACCIO BAGLIONI e di BRACCIO FORTEBRACCI

IN PERUGIA :

Cirea due anni or sono, essendosi rinvenuta nella Sagrestia

della Chiesa di S. Maria dei Serviti in Perugia una cassa mortuaria .

con entro uno scheletro umano in,perfetto stato di conservazione,
si volle conoscere a qual personaggio appartenessero quei resti
mortali. Il sarcofago spoglio di ogni ornamento era stato deposto
sopra il cornicione della porta nell’ interno della Sagrestia, e, ap-
poggiata all’ ornamentazione in intaglio di fronte alla cassa stava
una targa in legno colla semplice scritta — Brachius II — là col-
locata per memoria dell’ illustre perugino di cui si conservava il
cadavere. ;

Anche senza avere altra indicazione su quel feretro era facile
comprendere che il luogo, dove fu recentemente-rinvenuto, non
era stato quello destinato alla sua prima conservazione e custo-
dia. I Padri Serviti dovevano averlo deposto colà trasportandolo
da altra onorevole sede, e coll' intendimento di assegnargliene al-
tra non meno decorosa.

Prima di esaminare diligentemente il contenuto della cassa

mortuaria giudicammo che la targa colla scritta — Brachius II —

fosse di assai recente fattura, non certo anteriore al secolo XVI.
Pure, volendo dare una qualehe fede anche a cotesta iscrizione,
ei venne in mente che il corpo custodito nell'urna fosse quello di
Braccio figlio di Malatesta di Pandolfo Baglioni, ossia di uno dei
più illustri Capitani di Perugia e dell’ Umbria, celebre non solo
per il valore nelle armi, ma anche per le azioni diplomatiche,
con cui seppe più volte evitare alla sua patria e ad altre repub-
bliche gli orrori di guerre fratricide. La sua memoria inoltre è a
TILES

a

504 O. SCALVANTI Se

noi pervenuta come quella di un signore magnifico e mecenate
intelligente delle arti. E perchè io pensassi a Braccio di Malatesta
e non ad altri discendenti della nobile famiglia Baglioni e in ispe-
cie a Braccio di Griffonetto sarà manifesto tra breve. Intanto io

- doveva incominciare le mie ricerche nella Chiesa e nel monastero

-dei-Serviti-per vedere-se. qualche ricordo vi fosse di quel" sarco-
fago. Furono ricerche vane; giacchè nulla o ben pocó' esiste ormai
dell'antico arehivio-dei Serviti. Nel sepoltuario della Chiesa poi
non trovai nessuna menzione di un sepolero appartenente a Brae-
cio di Malatesta Baglioni. Resultavano invece da una Vachetta
delle sacre funzioni uffici divini celebrati in memoria di Braccio
Baglioni, e di questo documento ci occuperemo in appresso. Altro
dunque non esisteva che la targa colla scritta surriferita, la tra-
dizione che ci aveva attestato alcuni anni prima un vecchio par-
roco della Chiesa. dicendoci esser quello il corpo dell’ insigne
Braccio di Malatesta, ed una breve nota del Siepi, in cui si legge
— « che sull'armadio o portale della facciata inferiore della sa-
grestia è un'urna di legno dorato, ove si conservano le ossa del

| celebre Braccio H- Baglioni tanto benemerito dei Serviti » —: Ma^

quello che non potevamo trovare nel tempio poteva esistere al-
rove, e perciò non maneammo di assumere informazioni all’ Ar-
chivio antico del Comune, nel quale furono deposti i mss. e carte
delle soppresse Corporazioni religiose. Anche qui le nostre inda-
gini non ebbero esito fortunato. Avemmo allora ricorso all’ Archi-
vio del Demanio, ma nulla vi trovammo che avesse riferimento

. al secolo XV, in cui visse e morì Braccio di Malatesta o comun-

que alla storia dell’ Ordine. Poche notizie ma di data posteriore
ci vennero da quell’ Archivio fornite, e di queste terremo parola
altrove.

La inutilità delle nostre investigazioni era spiegata prima dal
fatto che i Serviti si trasferirono dalla loro antica sede di Porta
Eburnea all’attuale residenza verso la metà del secolo XVI,.e
quindi in tale occasione potè andare dispersa molta parte del loro
Archivio; ed era spiegata altresì dall’altro fatto, che la Chiesa di
S. Maria Nuova e il suo monastero furono oggetto di devastazione
e di saccheggio in uno dei moti politici del secolo scorso. Tor-

nando ora a considerare quel ‘ricordo colla iscrizione — Bra-

chius II — noi dobbiamo notare che indubbiamente esso Si rife-

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PER LA SEPOLTURA, ECC. 505

risce al cadavere rinvenuto nella sagrestia. Infatti all’arca di legno
in cui esso giace si adatta perfettamente il sarcofago pure di legno
rivestito di seta, velluto e galloni d’oro che si ammira nel nostrò
civico Museo e proveniente dalla Chiesa dei Serviti. In un atto
del giugno 1869 da me ritrovato nell’ Archivio demaniale trà gli
oggetti inventariati a cura del Governo come memorie di arte e
di storia, è fatta menzione — di una cassa funebre di Braccio

Baglioni coperta di broccato appartenente alla Chiesa di S. Maria

Nuova. — La quale cassa reca il noto stemma due volte ripetuto
della nobile famiglia Baglioni consistente in una fascia d’oro in
campo azzurro. :

Ma altre prove non mancano per stabilire con certezza che il
cadavere rinvenuto è quello di Braccio di Malatesta Baglioni e
non quello di Braccio di Grifonetto morto nel secolo XVI.

Premettiamo brevemente qualche notizia intofno alla discen-
denza dei Baglioni derivati da Pandolfo il vecchio. Questi ebbé
due figli, Nello e Malatesta. Da Nello nacquero due figli: Galeotto
e Pandolfo, il primo dei quali ebbe per figlia Atalanta e il secondo
Nicolò detto il Barcollo. Con questi due soggetti la linea di Nello
di Pandolfo si estinse. Da Malatesta invece discesero i figli Brae-
cio detto II, Carlo, Sforza, Guido e Ridolfo. A noi rileva seguire
la linea proveniente da Braccio poco importandoci di notare quali
fossero i discendenti degli altri fratelli suoi. Braccio II ebbe per
figlio Grifone, da cui per il matrimonio con Atalanta -Baglioni,
figlia di Galeotto, nacque Grifonetto morto nel tragico modo che
ognun sa nel 1500. Lasciò egli tre figliuoli in tenera età, Brac-
cio III, Galeotto e Sforza. Braccio di Malatesta fu dunque il bi-
savolo di Braccio III. Il primo nacque nel 1419 o 1420 e morì nel
1479, il secondo vide la luce nel 1494 e morì nel 1559.

Tenuti presenti questi vincoli di parentela vediamo se vi son
prove efticaci a sostegno della nostra opinione. Intanto si sa che
Braccio di Malatesta fu sepolto in S. Maria dei Serviti di Porta
Eburnea, e che Braccio di Grifonetto sembra fosse inumato in
S. Maria di Porta Sole. Una prima domanda dobbiamo rivolgerci.
Colla denominazione di Braccio II si è veramente inteso di indi-
care Braccio di Malatesta ovvero Braccio di Grifonetto ? Concor-
demente gli storici diedero il nome di Braccio II al figlio di Ma-
latesta e di Giatoma sorella di Braccio Fortebraccio da Montone.

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506 O. SCALVANTI

Nè si può credere che tale appellativo derivasse a Braccio di
Malatesta per esservi stato tra i suoi antenati un soggetto che
avesse portato lo stesso nome. Il ricordo di un Braccio Baglioni
vissuto nella prima metà del 400 e diverso dal nostro si ha solo
«nel Vermiglioli, il quale ne parla molto dubitativamente nella n
Introduzione alle poesie inedite di Pacifico Massini, senza che altri . ^
RR lo abbia ripetuto e dimostrato conforme a verità. Del resto se.
Ei |: : cotesto Braccio viveva, come il Vermiglioli scrive, nel 1421 qualche. |
A traccia si troverebbe del suo nome nelle cronache perugine accu-
ratissime e in quel tratto di tempo assai complete. Qui dunque
o si tratta di un equivoco, perchè nel 1421 già era nato a Mala- Y
testa il figlio Braccio, o si tratta di un’erronea indicazione trovata |
e seguita dal Vermiglioli in quella fuggevole nota. Piuttosto noi
possiamo conoscere da altra ed autorevole fonte il motivo pel quale
Braccio di Malatesta potè essere dagli storici indicato col nome di
Braccio II. Il Maturanzio che recitò 1’ orazione in lode dell’ estinto |
. Capitano, e le cui attestazioni son quelle di un personaggio contem-
e poraneo. bene informato, dopo aver detto che Braccio nacque dalle.
nozze di Malatesta di Pandolfo con Giacoma dei Fortebracci so-
rella del gran condottiero, ci spiega il motivo per cui al primo-
genito di queste nozze fu imposto il nome di Braccio — « Tradunt
matrem uterum. ferentem vatum--quorundam praedictionibus na-
sciturum ex ea admonitam, qui primum postea in patria teneret |
locum, qui rei militaris gloria, prudentia, fide, integritate aliisque |
bonis artibus polleret; quare magnam hac vaticinatione de infante
di | > spem parentes concepisse, quae minime eos fefellit. Cum vero Ma-
j al : latesta pater aliud infanti nomen imponi vellet, fieri mater non
| substinuit, delataque ad fratrem re, ut quod vellet ipse, illud im-
HE : poneret; rogavit, suo illi nomini vocari placuit ; quasi jam tum
|! | | divino quodam praesagio haud fore avunculo dissimilem porten-
1, deretur » (1. — In questa narrazione del Maturanzio noi non
terremo conto del vaticinio, ma del fatto, che doveva essere a
! conoscenza non solo del dotto umanista ma di altri famigliari di
| | |! Tr | | casa Baglioni dinanzi ai quali egli recitava la sua orazione funebre
i il : in lode di Braceio. Resulta quindi che nato dissenso fra Malatesta
ill ili fio e la moglie circa il nome da imporre al neonato o nascituro che

(1) FABRETTI, Bioyr. dei cap. dell' Umbria. Note e documenti.

TENUIT e

PER LA SEPOLTURA, ECC. 507

fosse (volendo forse il padre chiamarlo secondo il costume, col
nome dell’ avo Pandolfo) la madre volle parlarne al fratello, e
questi manifestò il desiderio che il nipote rieevesse il nome suo
medesimo, ossia il nome di Braccio, e ciò come augurio che egli
avrebbe degnamente continuato le imprese di parte braccesca.

Per tal modo Braccio di Malatesta fu considerato dagli storici
come il continuatore delle gesta di suo zio Braccio da Montone,
e perciò lo dissero — Braccio II —.

Nè si può pensare che quella denominazione debba attribuirsi
a Braccio III. Questi, sebbene uomo valoroso e tenuto’ in assai
conto dai principi e dai suoi concittadini, non si guadagnò l’ alta
riputazione del bisavolo. Fra i cronisti alcuni nemmeno registrano
la sua morte avvenuta nel 1559. Il solo Bontempi rammenta con
le lagrime negli occhi — « che nel di 8 novembre di quell’ anno,
fu fatto il funerale a Braccio, dove ci andarono tutti li religiosi,
preti e frati et anco li magistrati, dove fu molto onorato e fu por-
tato a Santa Maria oggi chiamata S. Maria dei Servi » —. Ma
Braccio III fu veramente sepolto in questa Chiesa? Ecco il dubbio,
cui danno ragione alcune ricerche da me fatte. Bisogna pensare
che nel 1559 i Serviti, come vedremo fra poco, avevano abban-
donato il loro antico tempio di Porta Eburnea, e si erano trasferiti
nella Chiesa dove attualmente si trovano. Ora se egli fosse stato

sepolto in S. Maria dei Servi come mai nessun cenno si trova di:

ciò nel sepoltuario della Chiesa, e come mai non v’ è traccia nè
in Chiesa nè nel chiostro di una lapide, di uno stemma che ricordi
la famiglia Baglioni? Può darsi che il corpo fosse, come narra il

cronista Bontempi, portato a S. Maria Nuova, dove esistevano i resti -

mortali del bisavolo Braccio di Malatesta di cui portava il nome,
per il rito funerario, come lo stesso cronista avverte, e che dopo
le esequie ricevesse sepoltura in S. Francesco, ove era il sepol-
creto dei Baglioni. Certo è che della sua sepoltura in S. Maria
non esiste vestigio di sorta, nè mi sembra da ammettere che la
tomba sia stata demolita per la erezione di qualche fabbrica vicina
al tempio, come, ad esempio, l’ Oratorio del Crocifisso, nè che
andasse dispersa pei nuovi cambiamenti introdotti nella Chiesa
stessa nel decorso secolo. Un qualche ricordo doveva rimanere
insieme a tanti altri di data più remota.

Tornando a Braccio di Malatesta, non sarà mestieri ch'io
BOB S ERU ‘0. SCALVANTI

narri le gesta di lui, per le quali doveva meritarsi dagli storici
di essere appellato -Braccio II per la memoria dello zio materno,
così valoroso condottiero. Il Baglioni fu prode nelle armi, avve-
duto nei consigli della pace, generoso e munifico. Una macchia
sola nella sua vita, quella di aver preso parte alla congiura con-.
tro Pandolfo .é "Nieolo; “Suoi congiunti; di eui ebbe à ramipogiüarlo
severamente e fieramente il vescovo Giovanni Antonio Campano.

‘ Oscuri tempi, nei quali il desiderio di vendetta; l’odio implacabile

‘e le maledette rivalità di famiglia penetravano anche nell’anima
dei migliori. Ma venendo agli anni prossimi alla sua morte diremo
che nel 1469, quando si accese la guerra fra il pontefice Paolo II
e Roberto bastardo di Sigismondo Malatesta per l' occupazione di
Rimini, Bracco Baglioni fu capitano nel campo della Chiesa (di
cui era commissario l’ Arcivescovo di Spalatro) insieme a Napo-
leone degli Orsini, ad Alessandro Sforza, a Giulio da Camerino e
ad Ercole di Ferrara. Nei combattimenti che si svolsero fra Rimini
e Cesena, assai probabilmente il Baglioni riportò una grave ferita
alla spalla con arme contundente, onde narra il cronista — « se
amalò dé una infirmità; cioiè de una doglia in una spalla, che

glié durò per spatio de un mese, e stavà a pericolo de morte; di

poii se-parti la detta doglia e. venegli una febre flematicha [de-

rivata da flemmone o ascesso] quale li soprabundava molto forte,
onde che per la ditta malatia se. partì da S. Agnielo, e venesene

a Pesaro dove stette molto gravato, per tanto che schrisse a Guido
suo fratello qui in Peroga e a Cesaro deli Arceprete e a Berar-
dino de Gostantino de' Ruggiere, li quali andaro subito a lui a

‘Pesaro, dove lo trovaro gravatissimo, e menaro maestro Nofrio de
- folignie famoso medico » (1) —. Questo racconto dimostra che

negli ultimi dell'anno 1469 Braccio ammalò gravemente, di guisa
che il fratello stimò opportuno recarsi a Pesaro insieme al ce-
lebre' Onofrio degli Onofri folignate, che dal 1452 appartenev
al collegio degli insegnanti medicina nell’ Ateneo di Perugia. E
il caso della sua malattia era veramente così grave, che il cro-

nista aggiunge: « Il fratello e gli altri accorsi al letto de Brac-
cio stettero in casa. de Alexandro Sforza a Pesaro per uno mese

(1) SCALVANTI, Crofidva di Pietro Angelo di Giovanni giù detta del Graziani
in Boll. della R. Dep. Umbra di storia patria. Anno 1903. :
PER LA SEPOLTURA, ECC. 509

e mezo circha, e pigliaro partito de. volere remenarlo qui a Pe---:
roga, et fecero fare una lettiga coperta de legniame cum doj ;
stanghe, et il ditto Segniore Alexandro mandò in compagnia del
ditto Braccio quaranta suoi provisionati, quali lo dovessero por- :
tare in su le stanghe da loco a loco su le braccia a spese del ditto:
Signiore Alexandro. La qual lettiga era de sopre coperta de pano

cl de arazzo, et lo condussero per fino qui in Peroga, e gionto che
fu in fonte novo li se fecero incontro quasi tutto el popolo grande
e piccoli, et lo acompagniaro perfino a casa sua renchresciendo a
ciaschuno dela sua malatia, et ralegrandose dela sua tornata. E°
quelli provisionati che lo recaro restettero per tre di in casa de
ditto Braccio, e ala partita loro li donò parecchie braccia de vel-

| luto pavonazzo e quarantuno pari de calze ala sua divisa, e anco
li donò parecchi denari d'oro, e gionse Braccio in Peroga adi 6 T

de genaio che fo in sabeto ». ; ;

. Egli andò migliorando della sua malattia, ma ebbe d'uopo di
assidue eure tanto che nel maggio dello stesso anno 1470, narra È
il cronista; — « andò ali bagni de S. Chasciano per la infermità Le
quale avea auta questi dì passati » —.

E se Braeció aveva anche prima dato prova del suo spirito re- pute
ligioso (1), dopo il fatto occorsogli a Rimini pensò di rendere gra-
zie a Dio per lo seampato pericolo. Infatti poco tempo dopo, e
: cioè nel 4 dicembre 1471 per mano del notaio Angelo di Tom-
" maso di Angelo del Conte ed alla presenza del teologo servita
Andrea di Angelo, Braecio Baglioni donava ai padri Servi di Maria
Y Î centoventi ducati larghi — « cum conditione intentione et pacto,
videlicet quod fratres dicti loci teneantur et debeant quam pri-
mum potuerint construj, fabricarj et edificarj in dieta Ecclesia...
unam capellam ad similitudinem et formam Capelle de la Madonna
dele gratie (sic) facte et costruete in Ecclesia Saneti Francisci de
Perusio » (2) —. Questo è un primo segno della speciale vene-
razione che Braccio aveva per l'Ordine dei Serviti, ed in ciò egli...
si conformava allo spirito pubblico di quel tempo, perchè molte
erano le attestazioni di stima e di PISPOLIO che i Sa di Maria

(1) Vedi MATURANZIO, Orazione funebre per Braccio Baglioni in FABRETTI, Cap.

e venturieri ecc., vol. III.
(2) Arch. Not. di Perugia, Atti del notaio Angelo di Tommaso, c. 67.

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510 O. SCALVANTI

ricevevano da insigni personaggi, Corporazioni di arti e mestieri,
Associazioni o Università degli scolari e artisti stranieri e dal pa-

trio Comune. E di vero nel tempo in cui cotesto Ordine religioso:

ebbe la sua Chiesa nel rione di Porta Eburnea concorsero al de-
coro di essa e delle sacre funzioni il Collegio dei fabbri erigen-
;,dovi-la.statua -di:.S.- Eligio; la, Corporazione. -degli artefici. della
. nazione lombarda col simulacro di S. Giuliano loro-protettore-e

..eolla costruzione di un altare, nel quale figurava-una :tavola.rap- -

presentante la Vergine col Putto in trono e quattro Santi, opera

insigne che taluno attribuì all’ Ingegno di Assisi, ed altri a Gian-

nicola Manni. La Confraternita di S. Benedetto contribuì al decoro
della Chiesa col magnifico gonfalone dipinto da Benedetto Bonfi-
gli nel 1471, la Societas germanorum et gallorum vi pose la sua
sede fino dal 1441 inalzandovi un bell’altare colle statue di S. En-
rico I e S. Luigi, la Compagnia dell’ Annunziata, istituita nel 1466
(e che qualcuno crede con ragione fondata dal Collegio dei legisti),
- pensò a farvi dipingere uno stendardo, ed in ogni anno il 25 di
. marzo cotesto Collegio muovendo da S. Maria del Popolo si re-
cava-a-S.Maria»dei Servi-pek-dono delle torcie. II Comune poi
nel 1480.sussidiava VOrdine dei Serviti con 30 fiorini d'oro, af-
finché: provvedesse alla costruzione di un nuovo organo.

Noi qui abbiamo tenuto conto solo delle più note circostanze
del tempo, in cui Braccio visse, per dimostrare che questi trovava
nell’ alta considerazione di molti enti cittadini verso i Serviti un
motivo per essere anch’egli munifico benefattore del loro Ordine.
Nulla diremo dell’ ossequio tributato ad esso dai particolari cit-
tadini. Basta aprire le cronache di Perugia per sapere quanti il-
lustri personaggi della città vollero il loro sepolero in S. Maria
dei Serviti. Può dirsi quindi, senza tema. di errare, che dopo la
Chiesa de’ Minori Conventuali di S. Francesco, ove si adunarono
così preziose memorie di Perugia e de’ suoi più cospicui perso-
naggi, quella dei Servi di Maria tiene il primo posto per le ono-
ranze che ricevette e per la custodia dei resti mortali di giuristi
e medici dottissimi e di cavalieri noti per valore, per fama e per
ricchezze, quali Claudio della Penna, Antonio Martelli, Orazio Mo-
naldi, Ermanno di Montforte, Benedetto Monaldi, Angelo Maria
Berardi, Feliciano Della Penna, i celebri professori di medicina
Andrea Chirurghi da Montesanto, Luca. perugino ecc.

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à
Sa m

PER LA SEPOLTURA, ECC. i -511

Pertanto la Cappella ordinata da Braccio coll’ atto del 1471
fu effettivamente eretta, e v'ebbe collocamento un antico crocifisso
poi dal tempio di Porta Eburnea trasferito nella Chiesa attuale,
ove tuttora si venera.

‘Quello ehe il Baglioni operasse dopo cotesto anno è noto. Per

.. qualche. tempo egli. attese a riposarsi,. e solo-nel 1474 si..torna-a

parlare di lui-per nuove imprese nelle armi, cui diede mano dopo
il. convegno- del 17 maggio in Foligno con Federigo di. Urbino e

. Giulio della Rovere. Ma se egli si dedicò col massimo zelo alla

difesa di Perugia minacciata dalle schiere di Carlo Fortebracci, di
Roberto da Rimini e di molti fuorusciti che infestavano e saccheg-
giavano i castelli e le città vicine, i quali avvenimenti si svolsero
nel 1479, dalle cronache apparisce assai chiaro che egli non potè
più col consueto ardore occuparsi in ragguardevoli operazioni di
guerra. Laonde trovandosi ad ora ad ora minacciato di prossima
fine, nel 1478 attese a far testamento per mano dello stesso notaio
Angelo di Tommaso (1), dandovi novella prova della sua devozione
all'Ordine Servita. Il testamento reca la data colle seguenti parole:
—- «Sub anno MCCCCLXXVIIJ, pontificatu Domini Domini nostri
Sixti divina providentia Pape IV, et die XIIJ mensis julij in Sa-
erestia Eeelesie S. M. Servorum de Perusio porte Eburnee pre-
sentibus venerabilibus patribus 'Theologie professoribus Magistro

Andrea Angeli [quello stesso che nel 1471 era stato presente al-

l'atto di fondazione della Cappella] et magistro Sebastiano Thome
de burgo dieti Ordinis Servorum Sanete Marie de Perusio, fratre
Iosepho Iohannis, fratre Iohanne Baptista Mattioli testibus ete. » —.

In questo atto di ultima volontà si legge quanto appresso: — « Re-

liquit... pro remissione peccatorum suorum Ecclesie Sanete Marie
de Servis de Perusio ordinis Servorum Sanete Marie pro dote ete.
vineam positam in territorio perusino in contrata pontis Saneti
Iohannis [segue la indieazione di altri tenimenti, quali unà vigna
nel subborgo di Porta San Pietro e parte di aleuni poderi situati
in Panieale eec.] cum hae obligatione et onere, quod qualibet die
in dieta eapella dicatur una missa saltem et divinum offitium ce-
lebretur pro anima et remissione peccatorum ipsius testatoris et

(1) Arch. Not. di Perugia, loc. cit. c. 80.
34

Je I ZE RI TL CR

TU PITORA
' LAI I” VISA ^ 512 O. SCALVANTI

suorum mortuorum, et eum quo diete misse non celebrentur ut
diete due vinee et tertia pars poterum sint. et esse debeant pleno
jure hospitalis Miserieordie de Perusio » —.

Nulla ehe interessi i rapporti fra Braccio e l'Ordine dei Ser- ,
viti si incontra nel Codicillo, che egli fece poco dopo (1). Invece
è provato ehe nell’ anno appresso, e cioè nell’ 11 agosto 1479,
quattro mesi prima della sua morte, ai rogiti dello stesso notaio,
Braccio provvide alla costruzione di una Chiesa in onore di Maria
fuori della Porta S. Pietro, e che anche oggi si chiama comune-
mente la Madonna di Braccio (2). Pure in quest’ atto è la prova
della inalterabile stima e considerazione in che egli tenne i Padri
Serviti, giacchè il fondatore dispone che la nuova Chiesa o Cap-
pella venga da loro officiata. Anche di questo nuovo tratto della
pietà e munifieenza del Baglioni: ci parla il Maturanzio nel fu-
nebre elogio — « Templa religiosa attollebat: testis gloriosae Ma-
tris Dei in Saneti Petri suburbio perusino nuper condita aedes » —.

Agli 8 dicembre di, quello stesso anno 1479 Braeeio mori,
come narra il citato cronista, de sciesa o ascesso. E se noi con-
frontiamo quanto si legge nella cronaca di Pietro Angelo di Gio-
vanni con ciò che scrissero altri cronisti, e cioè che Braccio morì
di febre, è facile conchiudere che egli fu vittima dello stesso
morbo che lo aveva sorpreso a Rimini nove anni prima. I cronisti
del tempo dicono che della morte di lui — « fo grandissimo danno
ala. città, perchè esso. era. omo. de gran fama.et..era conosciuto. e
amato da gran prencipi e segniori. Et a dì 11 de ditto [mese] in
sabeto fo fatto el corotto per la morte sua lì in piè de la piaza,
e se vestiro de nero circa sessanta infra suoi destretti e famiglie
di casa, et anco molti altri gentilomeni e cettadini suoi amici se
vestiro de nero (3) » —. Al giorno trigesimo dalla morte, secondo
il costume, e cioè agli 8 di gennaio del 1480 — « fo straginato
per la città de Peroga 37 bandiere de fanteria e 7 stendardi [de
cavalleria], quali for posti in Santa Maria dei Servi (4) ». Il decorso

(1) Arch. Not. di Perugia, Rog. 1478, c. 86.

(2) Arch. Not. di Perugia; c. 92 t.

(3) Cronaca dt P. A. di Giovanni, già citata.

(4) Contro quest' usanza di lasciare appese le bandiere nei templi, ove si sep-
pelliva il corpo, i predicatori spesso fieramente insorsero. È memoria di un frate
Roberto, che nel 1448 dichiarò esser peccato mortale il porre tali vessilli nelle
PER LA SEPOLTURA, ECC. Dun 513

di trenta giorni dalla morte ai solenni funeri, che si facevano alla
presenza del cadavere, ne rendeva indispensabile la imbalsama-
zione. E difatti il corpo di Braccio apparisce ance’ oggi essere stato
imbalsamato riempiendo le cavità toracica e addominale di so-

stanze aromatiche e disinfettanti. Il principale ingrediente usato.

per tale operazione fu l' alloro (l&wrus nobilis), é il materiale ac-

cessorio venne fornito dal rosmarino e forse da altre piante con-

simili di cui non è rimasta traccia, mentre delle prime ‘si son
trovati resti evidentissimi. L'imbalsamazione riuscì perfettamente
eon questo metodo, ehe era in uso a quel tempo, tanto che aleune
parti del corpo si trovano in stato di semi-mummificazione.

È facile ora argomentare, che nell’attesa del trigesimo dalla
morte, la salma di Braccio fu custodita sopra terra racchiusa in
una cassa e questa deposta nel sarcofago, di cui abbiamo già fatto
parola. Esso è rivestito di una stoffa, il cui fondo apparisce tessuto
a lamina d'oro, su cui s'intrecciano fiorami ed ornati in velluto
della medesima tinta del campo. Questa decorazione è anteriormente
divisa in tre parti incorniciate per ogni lato. da bande di velluto
rosso fissate con eleganti borchiette dorate in forma di rose. Nel
centro è applicata sul fondo giallo una croce pure di velluto rosso,
e ai due lati è ripetuto lo stemma Baglioni formato di seta az-
zurra. Una banda di stoffa tessuta in oro, e seta gialla attraversa
lo seudo, e gli ornati che ne formano la cornice sono di stoffa
‘riportata e dipinta con colori sfumati.

Gli stemmi perfettamente eguali sono fissati esteriormente con
un cordone d’oro e con piccole borchie dorate. In basso gira at-

torno il sarcofago una gala di velluto in color legno con larghe i

centine rotonde contornate da una piccola frangia in seta e oro.
Per quanto l'urna apparisea rigca e ben ideata pei partiti orna-
mentali e per le diverse tinte, pure si comprende che essa venne
eseguita in fretta dovendosi apprestare senza indugio per la cu-
‘stodia del. cadavere. In questo sarcofago fu dunque deposta la

E

Chiese, talché ad esortazione di lui furono tolii da S. Lorenzo, da S. Agostino e da
ogni altra Chiesa. Sembra però che l'usanza continuasse perché trent'anni dopo ve-
diamo, alla morte di Braccio, essere state poste (come dice la Cronaca di P. Az9elo
di Giovannt) o appese (come più precisamente scrive il De Veghi) le bandiere al
sepolero di lui. Il tempo o la incuria o nuove disposizioni proibitive valsero a di-

sperdere queste preziose memorie degl’ illustri perugini.

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514 O, SCALVANTI

salma di Braccio, la quale, dopo i solenni funeri, sarà stata inu-.

mata nella cappella, che, come abbiamo già detto, egli stesso fece
costruire in S. Maria dei Serviti a Porta Eburnea.

Se non che nel 1540 il pontefice Paolo III per erigere la rocca
volle barbaramente abbattute molte chiese e più di cinquecento
case; e, strana coincidenza, nello stesso momento e per là stessa
citisa doveva esser abbattuta la Chiesa ove Braccio aveva onorata
sepoltura, e il palagio eretto da lui con ingente spesa e finissimo
gusto d’arte (1). Il cronista Bontempi non dimentica di notare che
fra le chiese da radersi al suolo vi era quella di S. Maria dei
Servi, che ricorda subito dopo aver fatto parola delle case di Brac-
cio pure abbattute. Forse la strana coincidenza da noi sopra no-
tata non sfuggì all’animo sinceramente addolorato «del pio Bon-
tempi (2). Il quale ci narra ancora che si ebbe disegno di scari-
care la Chiesa e il convento di S. Giuliana — « la quale cosa,
aggiunge, fu molto strana, e quello è un monastero dei più belli
che siano a. Perugia, eccetto S. Pietro » —. L’indignazione di
tutta la cittadinanza arrestò l'opera vandaliea, e il mirabile mo-
numento fu così salvato dal piccone distruggitore: I Serviti per-
tanto dovettero com sofunmo rammarico abbandonare la loro chiesa
di Porta Eburnea e trasferirsi a S. Maria Nuova occupata fino
allora: dai PP. Silvestrini. Uscirono dal monastero di pieno giorno

processionalmente portando essi stessi le suppellettili sacre in mezzo

zl

“al popolo muto e indignato.

Nella nuova sede i Padri trasportarono, collocandola nel ricco
sareofago che aveva servito pei solenni funerali, la salma del loro

insigne benefattore, che da sessanta anni era custodita nel loro

antico tempio di Porta Eburnea; e poichè in S. Maria Nuova man-
cava una cappella che dal nome dei Baglioni potesse aver titolo,
e in cui fosse conveniente deporre il feretro di Braccio, esso venne
deposto nella sagrestia. L’ ispezione del cadavere dimostra. che
egli era stato vestito, secondo l’usanza del tempo, di una tonaca
da terziario dell’Ordine,.sotto la quale si notano due camici di

DI

tela finissima. L’età è quella di uomo presso i 60 anni, il eui

corpo era gagliardo e di bellissime proporzioni tanto da far ri-

(1) Conf. FABRETTI, Capitani venetuvieri netU Umbria nella Vita di Braccio Ba-
ylioni.
(2) Arch. St. It., vol. XVI, parte II, pag. 384 e 385.

t —
———



PER LA SEPOLTURA, ECC. 515

pensare alla viva descrizione datane dal Maturanzio: — « Corpus
ille adeo pulehrum, adeo elegans et venustui contigit, tanta oris
reliquorumque membrorum dignitate eonspieuum, ut qui eum prius
non nossent, cum intuerentur, regem esse aliquem facile crede-
rent. Taceo robur, agilitatem, bonam valeditudinem » —.

Sopraggiunta la non lodevole smania di comporre ad ogni
costo collezioni di cose antiche, il sarcofago fu portato al civico
Musco lasciandosi indecorosamente custodito il cadavere in una
vecchia cassa di legno senza coperchio.

Da quanto esponemmo resulta che a Braccio Baglioni deve
esser data onorata sepoltura in S. Maria dei Servi riponendo la
salma nell’ urna antica e collocandola in guisa da poter rimanere

‘ esposta alla vista di tutti. Così avrebbero termine le peregrina-

zioni dolorose della salma di Braccio. A tale partito sembra di-
sposto il patrio comune, il quale per le seguenti considerazioni

. potrebbe fare opera degna e completa trasferendo nella stessa

Chiesa le ossa di un altro illustre figlio dell’ Umbria, ossia di
Braccio Fortebraccio da Montone. Questi (che fu zio di Braccio
Baglioni) com’ è noto venne mortalmente ferito all’ Aquila nel giugno
del 1424 avendo al suo fianco Malatesta Baglioni, che cadde
prigioniero. Il celebre capitano spirava il cinque di quel mese.
Martino V trionfava finalmente del poderoso nemico, e del suo

odio verso Braccio diede prova ordinando che il suo eorpo fosse”
sepolto in Roma fuori della porta di S. Lorenzo e in luogo pró:-

fano. Fu solo dopo otto anni che Nicolò Fortebracci ottenne da
Eugenio IV di poter trasportare le ossa del grande condottiero a
Perugia. Il 3 di maggio del 1432 esse giunsero alla città, e dopo
breve sosta alla Chiesa di S. Costanzo fuori della Porta S. Pietro,
e' dopo l’ ufficio dei morti celebrato in S. Domenico, con grande

concorso di ogni ordine di cittadini vennero trasportate il giorno.

di poi a S. Francesco dei Minori conventuali in Porta S. Susanna.
È interessantissimo il racconto dei cronisti intorno. alle funebri
onoranze tributate al Fortebracci in Perugia. La cassa coperta con
un pallio di velluto azzurro e broccato d’ oro con bande intorno
e con grifoni, insegne della città, e montoni ch/erano le armi di
Braccio fu. accompagnato da quaranta cavalieri tutti vestiti di
zendado con bandiere nere e gialle. Tre famigli preeedevano mon-
tando superbissimi cavalli: uno dei quali portava lo stendardo del

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516 — O. SCALVANTI

Comune, lo scudo e l'elmetto di Braccio con l'insegna del gri-
fone tutto d'argento a rilievo, un altro teneva il vessillo col leo-
pardo donato dal Bentivoglio al grande condottiero, un elmetto
alzato a cesello in oro, ed il terzo recava lo stocco e le altre
armi di -Braccio.. Seguivano altri cavalieri trascinando. le bandiere

in -segno-di-mestizia e di"lutto. Indi i religiosi “e novantotto fa-

migli con torce di cera inastate. Il feretro era portato dai Consoli
della Mercanzia e dagli Auditori del Cambio, e il baldacchino che
lo ricopriva era sostenuto dai dottori dello Studio, intorno ai quali
stavano cento gentiluomini con fiaccole, indi i Priori e una folla
immensa di cittadini. A S. Francesco Padre Angelo del Toscano,
insegnante di teologia recitò la orazione funebre in lode dell’estinto.
Il giorno seguente poi fu fatto il solennissimo ufficio per |’ anima
di Braccio, mentre le botteghe e i fondaci della città erano tutte
chiuse in segno di lutto. Intanto i magistrati ordinarono che le
ossa del prode venturiere si collocassero in un mausoleo di marmo,
che era stato eretto a spese pubbliche, e che si trovava dalla
parte destra di sopra al coro. Lo storico Pellini, che scriveva alla
“metà del secolo XVII, ci è testimone che ai suoi tempi si vedeva
‘ancora il sepolero di Braccio, sebbene non ci fossero più gli sten-
dardi attese le proibizioni, che erano state rinnovate.

. Se non che per le vicende ormai note la chiesa di S. Fran-.:

cesco nel 1737 subì radicali mutamenti; l’antica architettura gotica
fu cambiata internamente per modo da ricoprire del tutto le pa-
reti, in cui dovevano trovarsi i sepolereti delle illustri famiglie
| perugine. E qui sorge il problema interessantissimo a studiarsi da
quanti amano la storia e l'arte umbra. Il rivestimento interno
secondo il gusto dell’architettura settecentesca, valse assoluta de-
molizione dei preziosi ricordi che l'antieo tempio conteneva, op-
pure essi sussistono ane'oggi, forse mutilati, dietro il rivestimento
stesso? È cosa che può agevolmente riscontrarsi. Intanto non mi
pare inutile osservare che mentre dei ricordi marmorei collocati
nei chiostri alcuni sono stati da me rinvenuti (1), nessuna, proprio
nessuna traccia si ha dei moltissimi che erano custoditi sotto le
navate e nelle pareti del tempio. Rimangono solo le lapidi tom-
bali finamente scolpite in marmo che si trovavano nel pavimento

(1) Cfr. SCALVANTI, Notizie sulla vita e sulle opere di Paolo Lancellotti. Peru-
gia, 1900. :

BEIC Web EL A ————————

————— ——
re

PEB LA SEPOLTURA, ECC. DIT

della chiesa, e che, avuto riguardo allo stato di demolizione del
tempio, dovrebbero essere già raccolte nel musco civico della città.
Ora come mai dei sepolereti eretti, non nel chiostro, ma nella
chiesa non è indizio di sorta? Dove andarono le vestigia, per ci-
tarne uno, del monumento di Bartolo, il cui disegno ci ha lasciato
Sigfrido Rybisch (1) nella sua nota collezione dei mausolei degli
insigni personaggi? È o no legittimo il dubbio, che tra il rivesti-
mento interno praticato nel '700 per dar nuova forma alla chiesa
e i vecchi muri della fabbrica antica, vi sia uno spazio, e che in
quello spazio si trovino i monumenti, in tutto 0 almeno. in parte
conservati? È un ' indagine che deve farsi.
Intanto è d'uopo osservare che in seguito alle mutazioni su-
bite dal tempio nel 1737 le ossa di Braccio Fortebracci vennero
trasportate nella sagrestia. Curiosa coincidenza anche questa! Il
corpo di Braccio Baglioni nepote del Fortebracci era stato. tra-
sferito dal tempio di Porta Eburnea alla chiesa di S. Maria Nuova,
e deposto nella sagrestia; e più tardi i resti mortali di Braccio
da Montone finivano anch’essi nella sagrestia del tempio dei Con-
ventuali. Ma qui non ebbero termine le peregrinazioni della salma
dell’ illustre condottiero. La chiesa francescana per ragioni di.sta-

tica e più per l’incuria degli uomini venne scaricata della volta, .

e manifestandosi uno stato di vera demolizione in tutto l’edificio,

si pensò di salvare dall’ultima rovina i resti di Braccio traspor-

tandoli nel civico Museo. Lascio al lettore il giudizio su tale prov-

vedimento, pel quale le ossa del Fortebracci venivano ad. essere

esposte irriverentemente alla curiosità degli stranieri visitatori
delle nostre raecolte medioevali. : T
Ora io penso che se per debito di coscienza e E Dario TIE

.il corpo di Braccio Baglioni deve trovare degna sepoltura. in

S. Maria dei Serviti, che egli onorò .della sua benevolenza, al-
trettanto deve farsi della spoglia mortale di Braccio da Montone,
prima per toglierla da un luogo ove non fu convenientemente tra-
sportata (2), secondo perchè, date le condizioni del tempio fran-

(1) Monumenta clarorum doctrina DIGI toto orbe terrarum virorum col-
lecta. Francoforte sul M. 1589. vd ; i

(2) A Bologna, che ha dato esempio encomiabile della cura delle memorie ‘pa-
trie nel restauro dell'insigne basilica francescana, dovuto in massima par te alla
valentia ed allo zelo del meritissimo cav. Alfonso Rubbiani, si pensa di trasportare
518 : — 10. SCALVANTI,

cescano che impediscono di riporvi la salma, essa può essere più

decorosamente custodita in S. Maria Nuova presso al ricordo mar-

moreo del nipote Baglioni, cui il grande condottiero volle imposto
il suo nome. L'una e l'altra tomba troverebbero luogo nella pa-
rete interna ed inferiore della Chiesa entro due nicchie dipinte

:«poste.ai. lati..della -porta maggiore di- recente scoperte. Purtroppo
- di molti illustri perugini non-si conosee il sepolcro, nè se ne ha
=» piùtraccia. È doveroso quindi. che. almeno: per questi due celebri
| personaggi si compia un'opera.di riparazione, tarda è vero, ma pur

sempre capace di attestare l' animo memore e grato dei cittadini.

E la Chiesa di S. Maria dei Servi è ben degna di accogliere e
conservare i resti mortali anche di queste due glorie umbre. È essa
uno dei templi meno alterati nella loro generale struttura. Infatti
la tribuna, la crociera e le due navi laterali sono ancora nello stato
della primitiva costruzione che risale al 1376, quando la Chiesa fu
riedificata ed assunse il titolo di S. Maria Nuova. I restauri più
notabili sono del Rinascimento, poichè appartengono al 1450. La

. Chiesa attualmente ha il vólto a cordoni gotici tranne nella nave

centrale rinnovata :nel-1568. con: fasce e lunette, e ‘con ‘otto»archi
divisi da pilastri: corinti con rispondente cornicione a-dentelli. Gli
altari. son. decorosi, ed alcuni di raro valore artistico, come quello
del Crocifisso. Il coro di recente restaurato è mirabile per archi-
tettura e per motivi ornamentali. Chiesa e Sagrestia contengono
sepolture o memorie di cospicui personaggi.

Ora se si conservasse alla vista dei visitatori la tomba di Brae-

.cio Baglioni, e si trasferissero in questo tempio le ossa del For-

tebracci potrebbe dirsi che gli avanzi dei due illustri capitani umbri
dopo tante peregrinazioni, hanno ricevuto finalmente degna sepol-
tura. Il patrio municipio ha dimostrato di essere favorevole a questa
proposta, che ci spiace però di non vedere ancora eseguita (1).

O. SCALVANTI.

nel tempio, dopo compiuti altri lavori di ripristino, i sepoleri dei dottori dello Stu-
dio che sono ora in parte al Museo ed in parte alla Certosa.

(1) La R. Deputazione nel Congresso di Assisi del 1906 fece ardentissimi voti
per l'accoglienza di questo progetto, come può vedersi negli Atté pubblicati nel pre-
sente fascicolo. (N. D. D.).

D

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519

VARIETÀ

Un quatermario politico ed altre poesie inedite

di Francesco Melosio da Città della Pieve (1)

Tra vecchi libri di casa (in Pergola, provincia di Pesaro)
rinvenni, or è qualche tempo, un codice di piccolo formato,
(260 X 185) legato in pergamena.

Delle 90 carte che lo compongono, la prima è bianca, la se-
conda porta il titolo: « Composizioni diverse del Melosi », la terza
una intestazione: « Al lettore », del resto è bianca, come pure
bianco è il retto della quarta. Sul verso di questa comineia un
quaternario che occupa tre carte, scritto per le 2 prime dalla stessa
mano che tracciò il titolo (forse sec. XVIII) e sulla terza da mano

anteriore (sec. XVII). La quale prosegue, salvo le carte 20 verso

e 21 retto, che sono-bianche, fino al verso della 52: poi ancora
la mano più recente sino al foglio 67. La carta 68 porta sul retto
un nuovo titolo: « Varie composizioni di diversi autori » seritto
dalla mano anteriore la quale continua fino alla carta 73: da
questa alla 79 nuovamente l'altra mano. Seguono sette carte bianehe
ed alla 87 comineia un « Indice delle canzone e sonetti » che va
fino all'89. L’ ultima carta è bianca.

Il cod. è composto di sei quaderni, ciascuno di un numero di

fogli che varia dai 14 ai 18.

(1) Sul Melosio v. tra gli altri: D. GNOLI, Un freddurista nel seicento in Nuova
Antologia, A. XVI, S. II, v. XXVI, 575-505; A. BELLONI, Il seicento, 242-435. M. SCHE
RILLO, La commedia dell'arte in Italia, 'Torino, 1884, 14-15, F. NOVATI, Recensione
all' op. cit. dello Scherillo in Giorn. st., V. 278, n. 1.

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vagione d'ognt poesia, II, 316.

I. NORRERI

La numerazione che è tutta della mano posteriore, comincia
sul retto del terzo foglio e prosegue fino a pag. 160.

Nei due primi quaderni molte pagine, soverchiamente smar-
ginate in basso, hanno P ultima riga tagliata a metà: essa tuttavia

si può leggere traseritta in cima alla pagina seguente dalla mano

posteriore che rimedio, qua e là, anche ad altri guasti.

Il codice contiene 46 sonetti uno dei quali caudato, 10 reei-
tativi, 7 quaternari, 2 capitoli; la maggior parte editi (1).

Fra gli inediti menzioneró due sonetti intitolati « Ad un fa-
moso architetto » pp. 60-61, ove l'autore difende Gian Lorenzo
Bernini contro gli « emoli suoi » (2) i quali dicono :

Ch' ha storpiata la faccia al buon Longino
E la faeciata al successor di Cristo,

-

e

Che di stampelle ha il campanil provvisto (3)
Quasi nel suo pensier fatto indovino
Ch' ei debba gir tra poco a ponte Sisto.

Conelude che veramente « stroppihto è il campanil di Pisa » (?)
e i eritiei del Bernini sono essi « stroppiati » di cervello.

Editi, ma con diverso titolo sono due sonetti uno « Al si-
gnor Ignatio Trotti (4) che leggendo all'autore alcune composi-
tioni sopra i morti gli cagionò sogni spaventosi » (p. 81); nelle
edizioni intitolato: « Ad un cavaliere di casa Trotti ecc. »; l'altro

(1) Delle edizioni che cita lo Gnoli.non som riuscito a trovare, per quante ri-
cerche ne abbia fatte, quella del 1704 per Andrea Foletti. Ho esaminate tutte le altre.
Leggo però in BorLErTI Notizie storiche di Città della Picve. Perugia 1830, 277: « Le
opere di questo letterato [il Melosio] furono raccolte da D. Bambini e date alle stampe
in Venezia nel 1704 per Andrea Poletti ».

(2) Principale, come si sa, Francesco Borromini che Innocenzo X sostituì a Gian
Lorenzo in tutte le più importanti costruzioni di Roma.

(3) È il famoso campanile che il Bernini aveva incominciato a costruire fin dal.
1638 e che nel '46, ad istigazione de' suoi implacabili nemici, fu demolito.

(4) « Ignazio Trotti ferrarese valoroso poeta morì in Parigi l'anno 1650. Le sue
poesie. furono stampate in Ferrara per il Suzzi nel 1646 ». Così il QUADRIO, Storia €

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; UN QUATERNARIO POLITICO, ECC.

ste, che hanno purtroppo importanza come sintomo sociale (1):

quindi i molti discepoli del Botero adoprarsi perchè la vitalità e

il pensiero d'Italia ognor più s’ immedesimassero con la reazione
cosmopolita del Papato e della Spagna (2);lo stesso Testi chia-

mare questa nazione « gloriosa nutrice d’ eroi » e tale da potere

« con saper profondo reggere in regno epilogato il mondó ».
Si voleva la pace e in nome di quella si biasimava qualunque

tentativo di riscossa. Infine s' aveva paura: di Traiano Boccalini
si diceva, d'altri si sapeva con certezza ch’ erano stati vittime

dell’ odio iberico.
Ora anche nel nostro Melosio troviamo l’eco di questi senti-
menti:

« Se è vera una sentenza ch’ io leggei, (3)
Là dove il ben, la patria ivi si pone » (4).

(1) Se si può affermare col Croce (Intorno al Comunismo di T. Campanella,
Napoli 1895) che il comunismo vaghéggiato dal frate di Stilo come fondamento del
regime teocratico non sia documento di aspirazioni diffuse nella società d' allora, il
contrario è da dirsi per il suo ideale cosmopolita.

Il cosmopolitismo fu, specialmente nella prima metà del sec. XVII, la bandiera
sotto cui, in buona o in mala fede, si schieravano uomini politici, nobili, plebei,
tutti i sostenitori della Spagna, e non erano pochi.

Come prova della popolarità di questo ideale, contrapposto al patriottico, valga
uno dei soliti battibecchi (che secondo il BELLONI [Un dialogo politico nel sec. XVII,

Padova 1889] va riportato al "23 circa), tra Pasquino e Marforio, « nel quale si esami- .

nano 1 disegni degli Spagnuoli alla monarchia universale, i fondamenti che n’hunno

gettati et li progressi loro ecc. ». Sostenitore della monarchia mondiale Spagnuola,,

creduta mezzo « per l'augumento della fede cattolica » è in questo, come in altri
simili dialoghi, Marforio, rappresentante della maggioranza di fronte a Pasquino il
patriota, al quale dispince « vedere Zl mondo tanto sciocco in credere che l'oggetto
degli Spagnuoli sia la religione et il suo augumento » e non piuttosto « ridur la
Chrestianità in servitù ». .

La scoperta poi dell'America; le invenzioni della stampa, del fueile ecc. sono

fatti nuovi che per il Campanella e nei più valenti teologi e. filosoft suoi contempo-

ranei, com' eali fa dire all' E. M. della Città del Sole, vengono naturalmente ad ap-
poggiare l’idea vecchia delP wione del mondo tutto ad una legge la quale, al prin-
cipio del sec. XVII, non poteva essere se non legge Spagnuola.

Onde mi pare che il Croce abbia torto di staccare così completamente il pen-
siero del frate calabrese dall' ambiente in cui visse, e di non distinguere (mi riferisco
specialmente alle pagg. 17, 18 op. c't.) comunismo da cosmopolitismo SOLCHE

(2 G. FERRARI, Corso sugli scrittori politici italiani, Milano, 1862, 387.

(3) Forse in CICERONE: « patria est ubieumque bene est » Tusc. V, 37, o in St-
NECA, De remediis fortuitoruin, VIII, 2. p. 450 ed. Haase Lipsia, 1853. Cfr. del resto
anche BoccaLiNI, Bilancia politica, 11 « Dove altri gode beni, onori e fortune, ivi ha
la sua patria ... ».

(4) Ed. cit., parte I, p. 28.

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024 I. NORRERI

E nel « Lamento di Marinetta moglie di-Masaniello capo delle
sollevazioni di Napoli nel 1647 »:

« Quante volte ci dissi;
Marito mio bada alli fatti tuoi,
Non t'entriear eon sti Hiudi Marani;
Che tu no sai nó puoi
Drizzar le gambe ai cani ». (1)

Ma quest’ eco non è tale da non permetter al freddurista di
chiamare « insopportabil soma » il dominio Spagnuolo e di porre
in bocca a Marinetta parole come queste:

4? morto dunque Aniello
E non se mette ancor Napole a sacco
E de’ nemici no’ se fa macello?
O città sconoscente, o patria ingrata!
Cada sopra di te l' ira del cielo,
La giustizia spagnola
Pagar ti faccia il dazio
Perfin d’ogni parola » (2).

Così appunto per un certo senso del giusto, non scevro forse
da cortigianeria (3), egli erasi più d’ una volta rallegrato delle di-
sfatte toccate agli Spagnuoli nella guerra contro i Francesi e i
Piemontesi di Madama Reale collegati.

Una di tali manifestazioni di piacere trovo nel seguente so-
netto del cod. Miscell. Rieeardiano 2869 (4).

Nel soccorso di Casale con la rotta dei Spagnoli
C'è pur data alla fin la volpe Ibera,
E '1 fiero Gallo annuntiator del giorno
E stato a lei, che l’uccellava intorno
Apportator d’una cattiva sera.

(1) Ed. cit., parte II, p. 410,

(2) Ivi, p. 409-410.

(3) Il Melosi trovavasi in questo tempo ai servigi del marchese Villa, capitano
lelle milizie ducali.

(4) Ch. 48 r.
UN QUA'l'ERNARIO POLITICO, ECC.

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[3T

.Di Pluto alla potentia horrida e nera
Gir de los ombres l’ombre a far soggiorno,
E un sol Casale, oh vituperio, oh scorno
Fece scasare una provincia intera.

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Sta di sangue in un mar fino alla gola,

e a —

E se il notare 'é-proprio del legeiero,
Si affogherà la. gravità spagnuola. (1)
È rotto il Giove Ispan;.tu biondo arciero
Che con l’arco di pace a lui ten vola,
‘E alla rottura sua fanne un brachiero.

A Casale, presidiata dai Francesi, avea posto assedio ‘con
grande apparato di forze l'8 aprile 1640 il- Leganes governatore
di Milano, aiutato dai principi Tommaso e Maurizio. Ma in soc-
corso della piazza sopraggiunse il 28 dello stesso mese il conte di
Harcourt accompagnato dai marchesi Villa e Pianezza che condu- |
cevano i Piemontesi della Duchessa. Sebbene molto superiori di |
numero, gli Spagnuoli furono sconfitti con gravi perdite.

A questa fazione deve riferirsi appunto il sonetto; fazione di

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conseguenze gravissime, che permise all' Harcourt di mareiare
sopra Torino in cui si trovava Tommaso, cingerla d' assedio e co-
stringerla, dopo circa 4 mesi, a capitolare.

‘Altra poesia antispagnuola del Melosio è appunto il quater-
nario del mio codice; tutto intessuto di motivi comuni alla poesia
antispagnuola anteriore, come ho cereato di mostrar nelle note:

(1) E questo il motivo più comune della letteratura antispagnuola nel Seicento.
— Il Melosi, vedremo, ci torna sopra altre volte. — Ma più: desta meraviglia che
anche nella poesia non propriamente politica di questo tempo si trova modo di fru-
stare o deridere la burbanza iberica, e non di rado l'epiteto « spagnuolo » vale ad
esprimere la quintessenza del sussiego.

«...laecorto Ibero
senza denari e pane anco potrai
trovarlo sì, senza sussiego mai ».

F. BRACCIOLINI, Scherzo IX, M.
oil TASSONI, descrivendo l' incesso di Giove che va a concilio coi ventosi numi:
« Andava con sussiego a la spagnuola ».
Secchia rapita, II, 43
526 I, NORRERI
A Dio alli Spagnuoli nell'uscire dalla cittadella d'Asti.

A Dio Spagnoli a Dio, gite felici (1)
Ne' vi spiaccia lasciar luoghi sì belli
Che s' altrove spiantate i ravanelli (2)
Non dovete piantar qui le radici.

Volgete pur i vostri passi pronti

A rupi incolte, a sassi inhabitati ;
Forse via più, ch'in questi verdi prati
Godrà 'l vostro monton (3) di star su’ monti.

(1) Già Pasqualin de Mazorbo nella Fischiada navarinesca sopra a fuga degli
Spagnuoli da Verrua aveva cantato allegramente nel 1625
« Torné done al vos Miran
E dessì a qui vos maran
Che ve fagan di lasagn
E vi dagan di castagn » ecc.: efr. F. GaBOTTO, Per la
storia della letteratura civile dei tempi di C. Emanuele I (Rendiconti dell'Accad. dei
Lincei, vol. III, 582). ;

(2) « Narra uno scrittore contemporaneo [di Urbano VIII (papa 1623-4 t] che es-
sendo andato ufa volta l'ambasciatore spagnuolo, marchese Castel Rodrigo, a vedere
le maschere sul corso, una di queste, in abito di Coviello, lo chiamó per nome mo-
strandogli un ravanello; il marchese se ne rise. Ma ripassando la medesima ma-
schera la seconda volta e facendo il medesimo. atto, egli castigò l insolente col farlo
bastonare ben bene ». BELLONI, Il Seicento, 296.

l'aecorto Ibero
Che va lontan dalla paterna soglia
. Per dimostrarsi altrui nato all' impero
E con un ravanel pasce na voglia
serra Ter CDOT
F. BRACCIOLINI, Scherno IX,.14.
La coniglio che adesso ci comanda
Fu nostra serva e di gente villana
Usa a ber l'acqua e a masticar la ghianda. V. GABOTTO, Di una
parafrasi francese delle quartine di F. Testi in lode di C. Emanuele Ie di altre
poeste politiche del sec. XVII. Estratto dalla bibl. delle scuole italiane, N. 4, vol. IV,
Verona 1891. :
Io quando sento dire: « Egli é Spagnuolo »
Faccio per conseguenza: « Id est un tristo
Un furfante affamato, un contadino ».
Rua, Per la libertà d? Italta, cap. III, 101.
(3) Che tosoni, che pecore, che becchi!
In mal'ora, al bordello!
ANONIMO in GABOTTO, Di una parafrasi, ecc.

Qui è l'imprecazione agli oppressori e l' incitamento a liberarsene; nel nostro

il piacere per il fatto compiuto, il desiderio appagato. ect
ho
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UN QUATEKNARIO POLITICO, ECC.”

E se scacciati alfin da giusta guerra
Più non avete ove posar le piante,
Vuol dir che la vostr' aquila volante (1)
Deve in aria regnar, e non in terra.

Caricatevi pur ciò che v' avanza
Dal breve si, ma violente assedio,

E non vi venga il grave peso a tedio
Che ’1 gir con gravitade (2) è vostra usanza.

E poichè manca a poco a poco e cade
Pieno di mal francese il vostro regno
Nè li basta una canna per sostegno
Portate due cannoni in caritade.

Ma per mar di sudor (3) giungere in porto
Parmi ch'irato il ciel già vi contrasti
E sento già su l’alte torri d’Asti
Le campane per voi sonar a morto.

- Già ’1 vostro fine presagir si mira
Fiamma accesa colà donde partite,
E par che voglia il nero dio, di Dite
A’ vostri corpi preparar la pira..

Forse l'ira schivar del rio destino
Con maturata (4) fuga alfin credete?

E dove il debol piè rivolgerete,
Se vi nascon le fiamme in sul camino ?

(1) Il D'Ancona, op. cit., nell’ Appendice bibliografica; p. 83, cita una « Sentenza
di Giove tra l'Aquila e il Leone », sonetto che trovasi in una preziosa miscellanea
posseduta dall'Accademia delle Scienze di Torino (D. D. III. 27). Esso comincia: « E
chi sei tu che formidabil tanto ». La sentenza di Giove é che l'Aquila — Austria —
regni pure nell'aria, il Leone — Venezia — in mare e in terra.

(2) Cfr. il sonetto pel soccorso di Casale, nota 1.

(3) Al castel de Verruva

Che ghe fà ben sudà la coa.
: F. GaBorTO, Per la storia ecc.

(4) Intendasi maturata per affrettata, precipitosa (alla lat.: efr. il virgiliano Ma-
turate fugam. Aen. I, 137). Avrebbe il suo precedente nell’ Ariosto Orl. Fur. VII,
st. 25: i!

Navi apparecchia e munizion da guerra
Vettovaglie e danar maturamente.

ET I
598 Br: RUE NORRERI ics 58)

Ma s'ognuno di voi sempre:è fumoso (1):
L'incendio vostro io non vuo’ dir fatale:
Sete fabri voi sol del vostro male (2) :

Perchè ognor sotto il fumo è '1 fuoco ascoso.

= Capitolazioni . degli Spagnuoli ad Asti, nel torno di tempo che
il Melosi passò in Piemonte, ve ne furono: due: la prima del 30
aprile 1643; r altra (essendo la città rieaduta per tradimento in
mano del Gonzales) sulla fine del luglio 44. Ma vero e proprio
assedio e patti di resa, ai quali sembra alludere.il nostro col verso
« portate due cannoni in caritade »,-vi furono solo nel primo caso.
Nel secondo pare che gli Spagnuoli non avessero neppure il tempo
di fortificarsi e che fossero ricacciati dalle milizie ducali senza
troppe difficoltà. Credo pertanto poter affermare con sicurezza che
il quaternario si riferisca alla fazione del ‘43; molto più che in
essa si segnalò grandemente il machese Villa ai servigi del quale,
come abbiam detto, trovavasi in questo tempo Francesco Melosio (1).

I. NORRERI.

(1) Niuna cosa offusca più la fiamma e la luce della grandezza che il fumo della

superbia. TASSONI, Risposta al Soccíno, 107, Le Monnier, Firenze, 1855.
« nazione di gran fumo e poco ABLosto »
‘“©hiamo la Spagna anche Salvator Rosa (f, 88)

(2) « L'esequie della reputazione di Spagna è una satira sorta spontaneamente
dal fatto che commenta ... In Parnaso giunge notizia che la reputazione di Spagna
è morta improvvisamente nelle campagne d'Asti. Perché ? di qual morbo? I medici
che Apollo suole raccogliere alla sua mensa sono di pareri diversi. Chi la dice
morta di dolori. colici cagionati dal vento dell’ ambizione e della superbia ... ». —
RUA, 0p. cit., 181 È
« Ch'an ben mo”imparà a i so spes

A voré far del gradas ». : M
GABOTTO, Per la st. ecc,

(3) Il tradimento che precedette e motivò la seconda cacciata è poi talmente
comico, almeno come lo racconta il CLARETTA, Storia della Rassegna, parte II, 109,
che se fu, e ben dovette essere, noto al Melosio, par difficile ch'egli si lasciasse
sfuggire una così bella occasione d'annaspar quattro freddure. Data l'abitudine del-
l'uomo, anche l'argomento ex silentio ha il suo peso.

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NOTIZIE SUI MONUMENTI DELL' UMBRIA

La HR. Deputazione, nell'Assemblea Generale del 19 settembre
1905, su proposta del socio prof. Scalvanti, deliberava di pubbli-
care, nel Bollettino, un Notiziario degli scavi, del ritrovamento di
oggetti di interesse storico artistico, dello stato di conservazione dei

monumenti ecc., della nostra Regione. Alla proposta e alla delibe- .

razione savissime, seguirono, ben presto, la presentazione e la stampa .

di-varie, importanti monografie su tali argomenti ; le quali, senza
dubbio, accrebbero pregio e interesse al Bollettino. à

Era, però, nella mente di chi fece la proposta, e nell’ animo
dell’Assemblea che l’ approvava, come risultò dalla breve discussione,
che la nuova rubrica si limitasse ad un vero e proprio Notiziario.
E ciò perchè, mentre riusciva dannoso e sconveniente di lasciare
completamente ab buio, i lettori, intorno a quanto si opera mella
Regione, a riguardo dei monumenti, degli scavi e degli oggetti di
arte, che pure sono tanta parte della nostra storia; d'altro canto
non sarebbe stato utile e nemmeno possibile invadere, con la nuova
rubrica, il campo chiuso delle particolari Riviste, dove più oppor-
tunamente debbono trovar posto illustrazioni, discussioni e rilievi
tecnici. E a questo determinato concetto, ci sembra che abbia ri-
sposto assai bene il socio Sordini con la seguente comunicazione
fatta in Assisi, nell'Assemblea Generale del 23 settembre wu. s., e
riguardante il lavoro compiuto a Spoleto, in quest'anno 1906.

Abbiamo ciò voluto notare affinchè i soci, nel fornire il mate-
riale, che deve essere denso, vario e possibilmente completo per tutta
la Regione, da inserire in questa rubrica, tengano conto, il più
stretto possibile, del fine utilissimo ma circoscritto, al quale mira-
rono e il Proponente e l'Assemblea nell’istituire la nuova rubrica.

LA DIREZIONE.

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LUC TM! SIENTE RR ET, XU IO soe I RCRUM

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BIO CTR 0 a- SORDINI
SPOLETO.

Nuovi lavori nel Duomo. — Nell' anno passato, a Città di
Castello, mi ‘occorse di intrattenervi, forse troppo lungamente, in-
torno' ai lavori eseguiti nel Duomo di Spoleto, una gran parte dei
"quali mirava'& scoprire le ‘cause della seria e grave minaccia di
rovina, manifestatasi in quell’edificio. L'importanza, però, del
problema statico da risolvere, e l'interesse che tutto il mondo ci-
vile prende alle sorti del Duomo di Spoleto, ehe tante e tanto
cospicue opere e memorie d'arte e di storia in sé rinserra, valsero
ad ottenermi la vostra benevola attenzione.

Quest'anno, sarò brevissimo.

I lavori, continuati, più o meno interrottamente, dal settembre
dello scorso anno ad oggi. si sono limitati, per ragioni che è inu-
tile accennare, a due trivellazioni, e allo scavo di un nuovo pozzo.
Questo è ancora in corso «di esecuzione: quindi si rende inutile
parlarne.

Dei risultati delle trivellazioni, invece, e interessante prender
nota, da chi voglia seguire lo sviluppo dei lavori coll’ intento di
farsi un'idea esatta dei mali che sovrastano a quell’edificio e dei
rimedi che saranno necessari. e |

La Commissione ministeriale, cui accennai lo scorso anno, sta-
biliva che, in sussidio di altre trivellazioni, già eseguite dal Mu-
nicipio di Spoleto, se ne facessero -due nuove: una a m. 28,50, e
una a m. 112 dall’estremo lembo posteriore del Duomo, a valle,
nella proprietà Minzolini.

La prima, quella a m. 28,50, fu intrapresa a m. 17,57 sotto
il piano di riferimento di tutte le altre misure che, come ricorde-
rete, venne stabilito nel pavimento del Cappellone di S. Ponziano.
Essa, traversati m. 10,10 di terra di riporto e m. 1,25 di breccione,
trovato subito dopo la detta terra di riporto, si addentrava in
un banco di argilla di m. 15,95 di spessore, diviso appena da
un nuovo ma leggerissimo strato di breccione, fino a m. 26,57. A
. questo punto, incontrato nuovamente un grosso strato di breccione
acquifero, venne esso perforato con gli imperfetti mezzi che erano
“a nostra disposizione, soltanto per m. 1,73. Dopo di che, la tri-
NOTIZIE SU] MONUMENTI DELL’ UMBRIA 531

vellazione fu dovuta arrestare a m. 28,30 per l' impossibilità ma-
teriale di eontinuarla.

Le seeonda trivellazione, quella stabilita a m. 112 dal Duomo,
venne iniziata a m. 55,27 sotto il consueto piano di riferimento,
e fu spinta a m. 35,64, interrotta anche questa, a quel punto, per
insufficienza di mezzi meccanici, dopo aver percorso uno strato di
terra vegetale di m. 1,75; m. 4,10 di argilla giallognola; m. 1,75
di breecione acquifero; m. 2,40 di sabbia gialla acquifera, ‘eun
banco di argilla ocracea e bigia di ben 25 metri e centimetri 64!

Dire delle difficoltà incontrate in questi due, in apparenza,
semplicissimi lavori, sarebbe inutile. Le cifre esposte, però, val-
gono a dimostrare quanto sia varia e aeeidentata la natura del
suolo su cui sorge il Duomo di Spoleto, e quanto difficile la so-
luzione del problema del suo consolidamento.

Nessun nuovo fatto allarmante si è manifestato in quest’ultimo
periodo dei lavori; ma il movimento capillare delle parti perico-
lanti continua sempre, lievemente accentuandosi nelle scosse si-
smiche che, a quando a quando, infestano la regione. Infatti, non
solo le biffe di vetro, di stucco e di cemento, poste in varie parti
del vasto edificio, si sono spezzate; ma sì ancora quelle di marmo,
una delle quali si rinvenne rotta in tre pezzi!

Di questo posso, intanto, dare piena sicurezza: che la vigi-
lanza nostra è oculata, continua, assidua; e che ora, alacremente
si spinge innanzi la escavazione dell’ultimo pozzo, allo scopo di
avere tutti i dati indispensabili per redigere un serio progetto di
consolidamento, che valga, attuato, a conservare in vita, ancor:
per secoli, un edificio che, attraverso infinite vicende e trasfor-
mazioni, non sempre felici e necessarie, pur rappresenta un pe-
riodo storico ininterrotto di, forse, duemila anni.

(Questo è il voto che, condiviso certamente da tutti voi, io
faccio non tanto come Spoletino, quanto come Italiano e come mo-
desto cultore degli studi storici.

Di un grandioso edificio pubblico romano di recente
scoperto. — È noto che la odierna Piazza del Mercato in Spoleto,

311
mnieiia

segna il luogo in cui si allargava il Forum principale di quella

" — Án Red QNT: DE TIZI ANI ER 1
LA? FTT CER TORRENT 7E AAA TRES: RUE, REUNIR: GDDT. Gg Ir PR NE O
532 G. SORDINI

città, nei tempi romani Tanto è ciò vero, che quella loealità non
solo conservò, fin quasi ai nostri giorni, la sua primiera destina-
zione di punto di convegno per la cittadinanza. ma, in tutto il
Medioevo ne portò anche il nome nella curiosa appellazione di
Piazza de Foro.

Dopo le felici scoperte del lato meridionale di quella Piazza,
da me compiute negli anni scorsi, le quali mi condussero a ri-
mettere in luce il grandioso basamento di un tempio romano,
parte dei muri della cella, le basi, una colonna e la trabeazione
di marmo di quell’ edificio, nonchè il fianco dell’ arco di Druso e
Germanico, la pavimentazione delle vie adiacenti al tempio, e
parte di quella del Forum; e dopo le casuali scoperte (V. Notizie
1898) di ricchise'mi edifici privati nel lato occidentale della stessa
Piazza, in quest'anno, tratto profitto di alcune favorevoli oeca-
sioni, mi é stato possibile di tentare aleune fecondissime esplora-
zioni nell’ angolo Nord-Ovest della ricordata Piazza del Mercato.
Così che la topogratia del Foro spoletino, completamente ignorata
fino a pochi anni fa, può essere oggi stabilita, con tutta sicurezza,
nelle sue linee principali.

Il barone A. Sansi, nel suo libro Degli edifici e dei frammenti
storici delle antiche età di Spoleto, accennò per il primo, se non
erro, agli avanzi di un portico esistente sotto la bella casa quat-
trocentesca, oggi di proprietà Benedetti e Pulcini, un tempo dei
Carosi, e prima, in origine, dei Gentiletti: quest’ ultima. ricca,
potente e nobile famiglia spoletina. Ed espresse l'opinione che
tale portico fosse un resto del famoso Palazzo Ducale di Spoleto,
e, anche più sicuramente, del Palazzo che alcuni storici asserirono,
in quella città, innalzato da Teodorico, e passato poi ai Duchi
Longobardi. La grandiosità di tali avanzi, le modinature delle
cornici identiche a quelle del Teatro romano di Spoleto, da me
scoperto nel 1890 (V. Notizie 1891), e altre osservazioni non la-
sciavano dubbio, invece, che si trattasse di opera romana e dei
migliori tempi.

Ma, quei resti, per quanto grandiosi, non dovevano essere i
soli superstiti dell’antico edificio al quale avevano appartenuto.
Era facile, infatti, notare che, in quel punto, e cioè tra la Via
del Palazzo dei Duchi e di Fontesecca e la Via del Mercato, la
costa su cui si alegSdoato non pai segue l' andamento di declivio

I
NOTIZIE SUI MONUMENTI DELL' UMBRIA 533

ordinario, ma forma: quasi una gibbosità, resa evidente a chi per-
corra il Vicolo S. Filippo, che si apre tra le vie sopra ricordate.
Questa gibbosità, ehe permette di accedere, come ad un pianter-
reno, al primo piano del Palazzo quattrocentesco edificato dai
Gentiletti, doveva certamente nascondere altri resti del grandioso
edificio romano.reso noto dal Sansi.

Infatti, guidato da questa osservazione, già da molti anni

avevo potuto accertarmi della esistenza di alcune stanze, una

parte delle quali interamente riempite di terra, che formavano un
tutto omogeneo e continuo con il portico ricordato. Pensare ad
una esplorazione qualsiasi, di questo edificio, fu per molto tempo
impossibile, opponendosi difficoltà quasi insuperabili. Di recente,
però, una gran parte di quello stabile, essendo stata acquistata

. dal sig. Aurelio Pulcini, avuto subito dal novello proprietario il

più largo e cortese assentimento, con mezzi forniti dalla beneme-
rita Accademia Spoletina, rimisi alla luce quattro stanze e un
lungo corridoio. Le stanze e: il corridoio sono tutte costruite: in
pietra, rivestite di opus reticolatum e coperte da volte formate di
pezzi informi di calcare poroso, legati con calce.

Due di queste stanze ebbero, posteriormente alla loro costru-
zione, un rivestimento di mattoni in piano, sopra il quale fu di-
steso quel.rozzo intonaco caratteristico delle conserve d’acqua. E
gli angoli arrotondati dimostrano chiaramente che quei due vani,
comunicanti tra di loro per mezzo di una porta ad arco, insieme
ad altri prossimi, non ancora riconosciuti per intiero, furono tra-
sformati in conserve d’ acqua o piscine.

Il più grande dei vani scoperti, attiguo ai due rammentati di
sopra, chiuso interamente da tre lati, si apriva nel quarto per
mezzo di un grande arco, di grossi cunei di pietra, sostenuto da
due pilastroni, ugualmente di grandi pietre, terminanti con ca-
pitelli identici (ne rimane visibile uno solo) a quelli del portico
ricordato dal Sansi. Dell'areo, avanza soltanto una metà, e dei
pilastri uno soltanto è scoperto. i

La stanza attigua, non,interamente sterrata, doveva avere la
stessa lunghezza della precedente, ma venne, in epoca moderna,
divisa a metà con un muro, per farvi un pozzo che raccoglie acque
sorgive di ignota provenienza, ma delle quali è ricchissimo il sotto-
suolo di Spoleto. Di fronte al muro della cisterna, nella parete antica,

it PORTONE VORO CREA 17" VGROBE STENTO CURIE UAR ene TI SAI EINIE: Iene

POUR I 531 : Ex. G. SORDINI
e in continuazione dell’arcone accennato di sopra, si apre una
grande porta a sesto acuto, chiusa con muro, segno evidente che
questa stanza, benchè oggi sotterranea, fu accessibile da un piano

. più basso dell'odierno, fino a tempi abbastanza recenti. E il livello
della soglia di tale porta dice che, fino a quel punto, il riempi-
mento sottostante non può essere posteriore al XV secolo.

Da tale stanza, si ha accesso al corridoio. Questo, riscavato
interamente, ha riserbato a noi le maggiori sorprese. Mentre nelle
. altre stanze non si trovarono tracce della vecchia decorazione, né
della vita che, nelle vicende dei tempi, in esse dovette pure agi-
tarsi, qui, invece, poco oltre la soglia dell’ ingresso odierno, a
meno di un metro di profondità si rivennero alla rinfusa, i resti di
dodici scheletri umani. Esaminati dall’ Ufficiale Sanitario di Spo- :
leto, dott. Saverio Massi-Benedetti, dai crani e dallo sviluppo delle
- ossa, questi giudicò trattarsi di avanzi scheletrici di uomini e donne,
di vecchi e di giovani e, financo di due ragazzi dagli otto ai dieci
©anni. Nulla vi era che valesse ad identificare quei resti; ma non
. deve troppo meravigliare tale scoperta, se si considera che av-
venne nei sotterranei del Palazzo dei Gentiletti, la storia dei quali,
verso la meta del XVI secolo, fu oltremodo tenebrosa per le san-
guinose lotte da essi sostenute contro i Berardetti, altra nobile e
potente famiglia spoletina, con divisione dell’ intiera città.

Ma, anche più di questi miseri e tristi avanzi, fu interessante
e importante un’altra scoperta fatta in questo stesso corridoio.
Proseguitosi innanzi lo sterro, e visto che il piano del pavimento
(ora mancante) presentava una non lieve pendenza, verso la fine
del corridoio, si cominciarono a trovare frammenti di svariati
marmi antichi, serviti per decorazioni di pareti e per pavimenta-
zione, nonchè cornici di marmo, di varie forme e dimensioni. Non
è esagerazione dire che se ne trassero fuori almeno un paio di
.metri cubi! E tra tanti marmi decorativi, si ricuperarono tre
frammenti di una bella iscrizione in marmo, con lettere rubricate,
le quali ci ricordano una pubblica Magistratura, il Quatuorvirato,
e il nome di uno di tali Magistrati.

A destra del corridoio, verso l'angolo, si apre di sbieco una
porta di media grandezza, composta di soli quattro enormi pezzi
di travertino : pilastri, soglia, architrave.

Questa porta, ma più ancora la pianta di quanto è stato sco-
"Jc

Lis. D MISI ORIANA APRO V IEPISE GOA RESO MITIS NIC

. NOTIZIE SUI MONUMENTI DELL'UMBRIA 5595

perto, e la gibbosità del terreno, ricordata di sopra, ne assicurano
che la massima parte di questo vasto edificio romano, giace an-
cora nascosta sotterra tra le Vie di Fontesecca, del Palazzo dei Du-
chi e del Mercato, fin verso il Corso Vittorio Emanuele. Infatti, è
ricordato anche dal Sansi che nel Vicolo S. Filippo, sotterra,; nel
tratto avanti alla porta laterale della chiesa di S. Gregorio della
Sinagoga (volgarmente S. Gregoriuccio), verso la metà del secolo
scorso, si trovarono pavimenti in musaico di varî colori. E al-

euni muratori raccontano ancora, di aver viste, in occasioni di

lavori per condutture, colonne di granito giacenti trasversalmente
sotto quella via.

Nè tali notizie devono sorprendere perchè, naturalmente, le
parti dell’edificio meglio conservate sono, certamente quelle sotto-
stanti alle aree di dominio pubblico, dove l'avida mano dei pri-

"vati cittadini più difficilmente potè arrivare.

Basi di monumenti romani. — Erano appena chiusi i lavori
precedenti, quando, sul finire di luglio, si seppe che nel costruire
una piccola fogna, nella via brevissima che dalla Piazza S. Donato
mena a Piazza del Mercato, angolo Nord-Est dell’antico Forum,
gli operai, durante lo sterro, alla profondità di pochi centimetri
‘dal suolo, si erano incontrati in una grossa pietra che sbarrava
trasversalmente la strada, e, come purtroppo è loro pessima abi-
tudine, l'avevano spezzata. Allargato, di poco, lo scavo, si vide
che altre pietre erano accostate alla prima, continuando una spe-
cie di muro da una parte e dall’ altra.

Avvertito subito, per mia cura, il sindaco di Spoleto dott. Do-
menico Arcangeli, questi diede ordine immediato per una più am-
pia esplorazione, come P importanza del luogo e la qualità dei
materiali, evidentemente antiehi, richiedevano. Purtroppo, i ri-
sultati non furono quali erano da aspettarsi; ma anche qui si fe-
cero importanti osservazioni e si raccolsero interessanti frammenti.

Iniziato lo scavo a ridosso della casa detta della fontana, dove
una pietra sporgente dal sublo, sembrava dare indizio di antico
rudere, à soli cinquanta centimetri dal livello stradale, si mise in

luce un piano, formato da quattro travertini, della massima lun-

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536 G. SORDINI

ghezza di oltre due metri, e della larghezza di due metri e 23

centimetri. Im ognuna di tali pietre si notava un buco di forma

elittiea (tre nel senso della lunghezza e uno nel senso della lar-
ghezza), quasi sempre nel centro delle pietre, dove fu imperniata
un’opera quasi certamente di bronzo. Questo piano di travertini
è sostenuto da un blocco isolato di rozza muratura che si profonda
sotterra per m. 2,74, come si potè verificare scavandone il lato
Nord. Dal lato Sud, la escavazione a ridosso del blocco fu impe-
dita da un piano inclinato formato di lastre di colombino, assai
guaste dal fuoco; piano inclinato evidentemente posteriore, che
senibrava condurre, mercè un gradino, .al piano dei travertini. Io
non credetti di rimuovere tali lastre, che sarebbero andate in fran-
tumi, le .quali, in una più ampia esplorazione avvenire, potrebbero
dare indizio del carattere assunto dal monumento nello svolgersi
dei tempi e delle vicende subite dal Foro spoletino.

Il terreno, intorno, era un impasto di argilla e di frammenti
di terrecotte, frammisti a grandi pietre di calcare spugnoso. Lo
strato vergine parve potersi determinare, verso Nord, a m. 3,12
dal livello stradale odierno; ma nessun indizio di pavimentazione
si rinvenne in quel punto. : ,

Tra la terra furono raccolti tre grossi pezzi di un lastrone di
marmo lunese con incisa la forma di due piedi umani, assai più
grandi del vero, con tre buchi circolari per le imperniature della
statua di bronzo che sopra vi fu posta. i

Si raccolsero pure, oltre due pezzi di terrecotte ornamentali
e varî di marmi e di buecheri cinerei, tre frammenti di un fregio
di marmo, identico a quello rinvenuto nella trabeazione del tem-
pio scoperto a S. Ansano, fregio che, come per. primo io ebbi già
a notare, l’ immortale Filippo Lippi riprodusse identico nell'abside
del Duomo di Spoleto, da lui affrescata.

A monte, alla distanza di soli 53 centimetri dal ciglio del
piano di travertini, si scoperse un muro, composto di tre grandi
pietre, il quale va ad incontrare e si congiunge ad angolo retto
coll’altro muro di pietre visto dagli operai durante la costruzione
della fogna di scolo. Sostiene, questo filare di travertini, un muro
di grandi massi, in parte di calcare poroso, e, più sotto ancora,
un muro a sacco.

Evidentemente, come è dimostrato dall’ apertura dell’ angolo,
IRUTEEIWITTLTAAWEUNTIUS OT

NOTIZIE SUI MONUMENTI DELL' UMBRIA 5231

questi due muri formano parte di un vano a monte, che non si
potè esplorare internamente, per non distruggere il lavoro di pub-
blica utilità testè eseguito, e per non chiudere, sia pure provvi-
soriamente, il necessario passaggio per quella via; ma non è
improbabile che questo edificio fosse intimamente collegato con il
basamento descritto di sopra.

. Di tutto feci levare piante.e disegni che verranno quanto prima
pubblicati.

Ripristino della chiesa di S. Gregorio maggiore. — A
differenza di altre regioni, l' Umbria ha la fortuna di avere molte
sue chiese medioevali datate. Una di queste è la chiesa intitolata
al prete e martire spoletino Gregorio: vasta chiesa, a tre navi
absidate, con presbiterio elevato, e cripta sottostante; la qual chiesa
sorge nella parte bassa di Spoleto.

Benchè si abbiano memorie che esisteva molto prima del mille;
pure-l’.edificio. attuale. in. massima parte della fine-.dell. XI. se-

.colo (fu cominciato nell’ anno 1079), come si legge in una lapide

sinerona. E tutto l’ edificio si conserva quasi intatto, mascherato
soltanto da.un lago di calce e di pessimi stucchi, gettatovi sopra
nel decimottavo secolo.

D'accordo con la Fabbriceria di quella chiesa, da anni, sotto
la mia direzione, ne venne iniziato il ripristino. Sgombrata la
fronte dell’ edificio dalle superfetazioni settecentesche, e restaurata
la bella cortina in pietra, si attende ora al completamento della
caratteristica trifora della facciata, in base al progetto studiato
con.grande amore, sotto la mia direzione, dal valente Architetto
sig. Guido Fondelli.

E in quest’ anno, ho pure ottenuto di procedere a un saggio
di scoprimento delle pitture che decoravano 1’ abside maggiore.
Mercè tale saggio, sono tornate in luce alcune figure di antichi
Santi umbri, conservate soltanto nelle parti inferiori, tra le quali
figure si notano S. Vincenzo e S. Fortunato, come si legge ai piedi
di esse. Questi dipinti non sono certamente posteriori alla prima
metà del XII secolo (la chiesa venne consacrata nel 1141), e po-
trebbero essere anche più antichi.

H " m vn VR TERI RZ EET" RIDI RNA PNE O ND
NUREVTEREY TET VC NEI >" EESTI (ONE GAETA UTI ARE RR
538 G. SORDINI

Una teoria di figure, quasi intatte, di Santi, esiste ancora,
come ho potuto aecertarmi, dietro il moderno dossale del Coro. E
da augurare che questo venga presto rimosso, ridonando all’ am-
mirazione degli studiosi una così antica e preziosa opera d'arte.

Nel centro, poi, dell’ abside, è stata rimessa in luce una Ver-
gine in trono con il Putto, contornata di Angeli suonanti. vari
istrumenti musicali: bel fresco sebbene un po’ guasto, del XV se-
colo, sovrapposto agli altri più antichi dipinti.

Un voto mi sia permesso anche qui, ed è di veder presto re-
stituita questa chiesa alle sue forme originarie, nell’ interesse della
storia delle arti pittorica e architettonica dell’ Umbria, sulle quali
il singolare edificio della chiesa di S. Gregorio maggiore di Spo-

leto, potrà gettare molta e, forse, inaspettata luce.

Grande cuniculo romano, sotto la chiesa di S. Gregorio
della Sinagoga. — Narra un’ antica, pia leggenda che S. Gre-
gorio Prete spoletino, martirizzato sotto Diocleziano, fosse rinchiuso
in un carcere sopra il quale sorse poi la piccola chiesa, già par-
rocchiale, di S. Gregorio della Sinagoga, chiesa ancofa esistente.
E il Sansi eredette di vedere un resto di quel carcere, in un muro
che fiancheggia la chiesa suddetta, nella Via omonima; muro che,
sebbene costruito in gran parte di materiali romani, è però, si-
curamente, medioevale. i

Non ha guari, essendo stato alquanto abbassato il piano stra-
dale, si volle imprendere, con pessimo consiglio, anche la demo-
lizione di una considerevole muratura a sacco, che sottostava al
muro dal Sansi creduto romano, e che si avanzava nell’ area pub-

blica. Mentre si dava termine a tale demolizione, proprio in quel .

punto, a piedi del muro medioevale, si determinò una piccola
frana.

Datomene subito avviso dagli operai, fatto cautamente allar-
gare il buco, e visto un vano al di là, volli calarmivi dentro e
farne una sommaria ricognizione. Il vano è a volta, oblungo, ed
era riempito di terra e di ossa umane e di casse mortuarie, fin
quasi all’ imposta di quella. I muri che sostengono la volta, nei
2 j Bast NOTIZIE SUI MONUMENTI DELL'UMBRIA 539

punti in cui affioravano, presentavano indubbiamente i caratteri
di una bella costruzione romana a grandi pietre squadrate.
Ottenuto immediatamente il permesso di sgombro dall’ Autorità
ecclesiastica, il Sindaco di Spoleto dott. Domenico Arcangeli, da
me pregato, fatti trasportare i resti umani al Camposanto civico,

yveocce ordino la riapertura, di. una- porta &ià.murata, che dalla. via mette,
“al sotterraneo, e di questo fu.subito. impreso lo sterro.

^ s«H.sotterraneo,.come..oggi vedesi, è lungo metri 18,80: largo
m. 3,20 a Sud; m. 2,02 a Nord. Ha, quindi, pianta trapezoide,
ed era certamente piü lungo, essendo, à Sud, tagliato obliquamente
da un muro costruito con grandi pietre, fra cui si notano sei pezzi
di cornicioni romani, di eleganti e notevoli dimensioni. A Nord

e ostruito dalla scala di accesso e da un muro moderno, che lo
divide da un’altra proprietà.
.A tutt'oggi non è ancora terminato lo sterro; ma ho di già
potuto fare alcune importanti osservazioni. La volta, originaria-
mente costruita con pezzi di travertini porosi, come quelle del
prossimo edificio sottostante alle case Pulcini e Benedetti, di sopra
ben e deseritto;--venne-restaurata quasi-interamente. con..tegole:rTOMane,.;;.. ees j
messe, come. dicono. i. francesi, ..a .encordellement. I muri, sopra cui
imposta la volta, sono di belle pietre conce, a filaretto; il pavi-
mento di opus spicatum di piccoli mattoncini laterizi, discende
Ra notevolmente da Sud a Nord, e presenta una inclinazione anche
da Ovest ad Est. Lungo tutta la parete Est, fino ad ora scoperta,
corre un muricciuolo, a guisa di sedile, ‘coperto di fine intonaco, t
come di intonaco doveva essere rivestita la parete soprastante.
Nel muro che è ad Ovest, si nota una sensibilissima inelinazione
a valle, dovuta forse alla eccessiva spinta della volta e alla man-
canza originaria o posteriore di contrafforti.
Nello sterro si son trovati, fino ad ora, un tronco di colonna
di pietra seanalata ; uno scheggione di colonna che sembra di gra-
nito bigio ;. qualche raro pezzo di marmo e\molti frammenti ‘di
anfore, due lucerne fittili e altre terrecotte.
La pianta trapezoidale del corridoio, la notevole inclinazione
del suo pavimento farebbero pensare che esso avesse appartenuto
a un edificio circolare, sin anfiteatro o teatro. E il grande disli-
vello di un prossimo cortile moderno, esistente dietro l'antica casa

i Pontani, parrebbe dar credito a questo pensiero.
$i

S
FI SAL VE SEO SA CLI ROIO I RITORNO DT RN TEST 1s
G.

SORDINI

Ma, sono ben note oramai, a Spoleto, le rovine del Teatro,
da me seoperto nel 1820, e le rovine dell'Anfiteatro, del quale già
da tempo, ho potuto rimettere in luce la parte maggiore e meglio
conservata; edifiei cospicui per mole e per riechezza di ornamen-

"

tazione. E benchè sia pur nota l' importanza di Spoleto all’ epoca

romana, e non manchino esempî da citare, pure riesce difficile,
senza una prova più evidente, fermarsi tranquillamente su quel
pensiero. E d’altra parte, a quale forma di edificio antico può
convenire un così vasto corridoio, di pianta trapezoide e col pa-
vimento inclinato ?

Fogna e colonna romana. — Pochi giorni or sono, cavan-
dosi il terreno per costruire una fossa morta, a metà cirea di
quel tratto del Vicolo dei Tribunali che passa tra le proprietà Sa-
batini e Poli, nel centro di Spoleto, a un metro di profondità, gli
operai si imbatterono in un tronco di colonna di travertino poroso,
rivestito di finissimo stueco bianco. Era abbattuto, e attraversava
la via. Fattolo estrarre e depositare nelle Collezioni archeologiche
municipali, ho veduto che misura m. 0,75 di altezza; m. 0,45
di diametro da un capo, e dall’ altro un poco meno. La colonna
della quale faceva parte era, quindi, leggermente rastremata. AI-
l ingiro presenta quattordici sfaccettature, tirate a stucco, come
ho detto, finissimo. 5

Approfondato, di poco, lo scavo, si rinvennero i materiali di
una fogna romana in disordine : grossi blocchi parallelepipedi di
colombino, parecchi dei quali vennero estratti. Vidi chiaramente
che la fogna romana aveva la stessa direzione del vicolo, e notai
che dentro di essa, in tempi posteriori, ne era stata costruita
un’altra più piccola e assai rozza. Tra la terra raccolsi un grosso
frammento di vaso etrusco -campano a vernice lucida, un grosso
operculum, imbutiforme, di terracotta, frammentato, e un pezzo
di una grande tegola romana.

Basilica di S Salvatore. — L’ illustre Collega e carissimo
amico, il conte Paolo Campello della Spina, con la comunicazione
—M

Ù ; MBULHMEISILZAR T PAGE. ut, 8-1, DE: LARA RE VORO BIET. ETIAM SIC ERO

NOTIZIE SUI MONUMENTI DELL’ UMBRIA 541

fatta nello scorso anno, a Città di Castello, intorno ad Alcune opi-
nioni di storia umbra manifestate dagli stranieri, mi obbligò,
quando io meno me lo aspettava, a parlarvi della Basilica di
S. Salvatore presso Spoleto, per chiarire le ragioni in forza delle

«quali. non si erano ancora potuti rendere di pubblica ragione i
risultati dei miei studi su quella insigne Basilica, e per dare la
buona notizia che l'ing. Fausto Morani, con atto mai abbastanza

lodato e degno davvero della più larga imitazione, aveva sponta-
neamente offerti i mezzi necessari per eseguire i lavori occorrenti
ad uno studio definitivo del celebre, ma anche troppo discusso,
edifieio spoletino. Voi, chiarissimi Colleghi, faceste vivo plauso a
quelle mie povere parole, non di certo per il loro modestissimo
valore, ma per le cose giuste, vere, lodevoli che significavano. E,
di quel plauso, ho fede che non avrete a pentirvi.

Esaurite tutte le formalità necessarie, e avuti i debiti per-
messi dal Governo e dal Municipio, alla metà di febbraio, fu pos-
sibile cominciare i lavori.

.« Tolto..via, dai venerandi muri della Basilica spoletina, l'im- .
bratto di un intonaco modernissimo, già distesovi sopra nel suo

niveo, ma non immacolato, nè grato candore, a forma di bugne,
nemmeno regolari, ricomparve subito la struttura originaria della

di innesto della nave con il muro di facciata e con i muri soste-
nenti lareo trionfale. E si vide che la forma organica era iden-
tica a quella dei muri del presbiterio, dove appariva ancora la
struttura, come io avevo intuito, dei matronei: quivi chiusi, per
ragione di rito, e, forse, nella navata centrale aperti, perchè da
essi le donne potessero assistere alle sacre funzioni.

Dico forse aperti, perchè questa osservazione di fatto non è

‘ancora pienamente stabilita.

x

Ma la identità delle due strutture è resa evidente, nella nave
mediana, e dai resti degli archetti di scarico sopra la trabeazione,
in corrispondenza degli intercolunni, e dai pilastrini divisori, e,
infine, dalla loro trabeazione che continuava sulla parete interna
del muro di facciata della Basilica, chiarendo così quella strana
sporgenza orizzontale sotto le finestre, sporgenza che nessuno, fino
ad ora, aveva saputo spiegarsi.

Così è venuto a risultare pure che, alla nave centrale, oltre

IE AEST (0371 VADE TRITT ERIT CORN HORSE VRUHEOA eri vA
VR RN ORE RAZOR" SR SESIA CU ARE CETT Nus NASA ANSE O NE a

.nave.mediana, testimoniataei.dai residui.ancora.esistenti nei.punti......
PEA

ties

549 G. SORDINI

le tre finestre di facciata, davano luce altre diciotto finestre, so-
vrastanti ai diciotto intereolunni. E sono riuscito anche a stabilire,
sicuramente, che il tetto della nave principale, con il soffitto di
legno, quasi certamente a lacunari intagliati e scolpiti, poggiava

in un punto superiore al culmine del tetto attuale, fornendo, con

questo prototipo classico, una spiegazione di fatto incontestabile
delle eccessive proporzioni, fino ad ora inesplicabili, che si ri-
scontrano, riguardo all'altezza, in. certe chiese dell’ Umbria, e
particolarmente di Spoleto.

Tolto l'intonaeo alle pareti esterne delle navi laterali, in
quella di destra, sono riapparse, ehiarissime, quattro antiche fine-
stre e due altre: nelle cappelle ai lati dell’ abside; cosicchè noi
oggi sappiamo che questa meravigliosa fabbrica riceveva aria e
luce da ben trentanove finestre, e vi si penetrava da cinque porte:
tre di facciata, e due di fianco presso il presbiterio. ;

Quando altro maneasse, questa vera prodigalità di luce, di
aria, di accessi, sarebbe già un grave argomento dell’ alta anti-
chità dell’ edificio. Ma, non fa bisogno davvero di questo! Vi è
ben altro. |

Appena liberate le pareti dall’ intonaco, detti opera subito alla
demolizione di un altare barocco di marmi bianchi e rosso, che
l' abside tutta ingombrava e nascondeva. L'altare si sarebbe dovuto
rimuovere ad ogni modo, perche ingombrante, e stonato terribil-
mente con l’edificio; ma io yolli affrettarne la demolizione perchè,
avendo notata la dissimmetria di molti dei pezzi che lo compo-
nevano, sospettai che l’ artefice potesse avere utilizzati vari marmi
dell'antiea Basilica. Nè mi ingannai. Man mano che l’altare si
veniva scomponendo, si rieuperavano rocchi di colonne, antichi
pilastri e cornici, rovesciati e rilavorati; marmi veramente pre-
ziosi per la reintegrazione della insigne Basilica. Ma, dove la mia
stessa aspettativa dovette confessarsi vinta e. sorpassata di gran
lunga, fu nel discoprimento del muro dell’ abside. Questo, benchè
malconcio, in varî punti, da costruttori e restauratori antichi e
moderni, pure sotto l’ultima intonacatura presentava chiaramente
quattro ordini di preziosi dipinti, sovrapposti uno all’ altro.

Il più moderno risale alla prima metà del XVI secolo, e rap-
presenta il Crocifisso tra la Vergine, San Giovanni . Evangelista,
S. Concordio e S. Giovanni Battista; vengono poi alcuni laceri

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NOTIZIE SUI MONUMENTI DELL’ UMBRIA 543

avanzi del quattrocento; un grande dipinto con la Vergine, il
Bambino, un Angelo e un Profeta di carattere bizantino; e, infine,
nel centro dell'abside, in una nicchia a fondo piano e ad arco
tondo rialzato, demolita la muratura che tutta la ostruiva, non
senza viva emozione dei presenti, emozione indipendente da ogni
sentimento e da ogni idea religiosa, riapparve, dopo tanti secoli,
dipinta sul fondo piano una grande e. bella eroce gemmata, dalle
braccia della quale, per mezzo. di catenelle dipinte - anch’ esse,
pendono le simboliche lettere Alpha ed Omega. Questa croce, ar-
ricchita alle estremità di grossissime perle dipinte, certamente la
più antica. di tutta l' Umbria, assomiglia in modo particolare a
quella, in musaico, che splende nella conca dell’ abside di Santa
Pudenziana in Roma.

E una decorazione pittorica coeva, si stende semplice e ca-
ratteristiea, attorno a quella croce, nella grossezza del rineasso e,
per non breve tratto, nel muro dell'abside, rappresentante intarsi
circolari di marmi colorati chiusi entro quadrati. E debbo dire
ancora che mi risulta da indizi di fatto non lievi, come tutto il
presbiterio almeno, avesse una consimile decorazione pittorica,
sulla quale spero di volgere, tra breve, i miei studî e le mie
indagini. : |

Due altri importanti fatti sono, poi, riuscito a determinare:
la forma del presbiterio, a guisa di podio romano, la quale spiega
la strana opinione di quelli che vedevano, appunto nel presbiterio,
gli ipotetici avanzi di una cella di tempio pagano ; e alcuni degli
elementi costruttivi della cupola primitiva, sopra i quali non è,
qui, il caso di insistere, richiedendosi per essi un’ ampia dimo-
strazione.

Certamente, è iattura grande che negli ultimi restauri, sia
stato demolito l’arco trionfale e sostituito con un goffo arco mo-
derno; ma ne compensa, in parte, l’esistenza degli archi a doppio
anello delle navi laterali, in corrispondenza di quello trionfale,
ora scoperti e messi a nudo.

Si è potuto pure stabilire che le due cappelle ai lati dell'ab-
side, in origine, furono chiuse, e che il grande arco attuale di
accesso venne aperto nei restauri seicenteschi dell’antica Basilica.
E importanza non lieve, nella determinazione dell’ epoca in cui
venne costrutta la nostra Basilica, ha anche la cornice di cotto,

REA NI RR AVRO CCEPIT 7 TREO RICE, PE LIRE: a E XT SD
544 G. SORDINI

vagamente impressa di conchiglie e forme tridentate, cornice che
gira al sommo delle due cappelle, certamente il diakonikon e la
prothesis, alle quali si accedeva per mezzo di piccole porte ora
scomparse.

Ma, io abuserei troppo. della vostra pazienza, Se.t;.':o dovessi

«accennare le scoperte fatte. Basti dire che sono stati trovati, oltre
.le cose già accennate, uno splendido, conservatissimo . capitello
".della facciata; parte dei pilastri marmorei di questa ;. i pilastrini

elegantissimi che reggevano i cancelli del presbiterio ; che è stata
rimessa in vista la parte interna di una delle porte laterali, e che
l’altra sarà anch'essa, ben presto, liberata da uno scalone in mu-
ratura, dal quale è nascosta interamente; che sono stati staccati
e assicurati all' ammirazione degli studiosi due interessanti affre-
schi: uno, già in venerazione sull’ altar maggiore, del trecento,
e un altro assai interessante e di forme antichissime, rappresen-
tante S. Concordio, scoperto in una delle cappelle laterali, e sal-

..vato mentre era per cadere in frantumi.

Benchè. molto. siasi. fatto in questi. pochi. mesi,.pure.moltissimo

resta ancora a.farsi ;.nè sono morte nel nostro cuore. le speranze
- di ulteriori trovamenti e conquiste. Difficoltà da superare, ne re-
«stano ancora. e. non lievi, per risolvere, in ogni sua parte, l'arduo
problema ;: ma-io-mon-verrò-meno-al-mio-compito;-erazie-all'aiutor

generoso dell’ ing. Fausto Morani e, debbo dirlo, alla cortesia del-

- l'Eeonomo Spirituale di quella insigne Basilica, padre Carlo Fauro.

Il quale, non solo sopporta, senza muover lamento, gli infiniti fa-
stidî che io gli arreco necessariamente con le mie ricerche e con
i miei lavori; ma anzi, esempio in Italia, purtroppo assai raro,
e questi e quelle favorisce con tutto l’entusiasmo di un animo di
artista. La lode sul mio labbro non è sospetta. All’ ing. Morani e
al padre Fauro, i veri benemeriti della insigne Basilica spoletina,
vadano, carissimiColleghi, il vostro plauso più vivo, la più intensa
nostra gratitudine.

G. SORDINI.

rn

e.
—————— 48 Tee tic

545

Chola Pictor

Una delle più attraenti caratteristiche di Assisi sono quei ta-
bernaeoli o maestà decorati d'affreschi, che si vedono coperti da
tettoie a mensola sulle fronti delle minori chiese della città, OV-
vero entro niechioni a rineasso, come sopra la porta della Con-
fraternita delle Stimate. S. Crispino, S. Gregorio, S. Stefano,
S. Rufinuccio e S. Lorenzo conservano più o meno intatte queste
nicchie dipinte, opere per lo più di artefici umbri del XIV e XV
secolo, interessanti per le loro rappresentazioni, preziosi quando
recano, il che è raro incontrare, la data in cui furono eseguiti,
preziosissimi se ci danno il nome dell’artista. Di questi ultimi la
città nostra conserva uno solo, quello che sovrasta la porta delle
camere dell'antiea confraternita dei SS. Lorenzo ed Antonino alla
Rocca: ridotto in pessime condizioni di conservazione, tanto che
appena una metà è rimasta intatta, raffigura la Vergine seduta in
trono col Putto ritto sulle ginocchia benedicente: a destra di chi

guarda, S. Francesco in piedi raccomanda alcuni confratri genu-:

flessi, coperti alcuni il viso dalla buffa e con le spalle nude di
flagellanti; la figura di S. Lorenzo, che era a sinistra, è intiera-
mente rifatta e quasi scomparsa. Nell’ intradosso dell’archivolto è
dipinto l'Eterno Padre benedicente entro una gloria di serafini;
sulla spalla destra si vede entro una nicchia un S. Vescovo, forse
S. Rufino protettore della città; l’altra di fronte è similmente per-
duta, come anche la decorazione del soprario, della quale avan-
zano traccie di mosaici cosmateschi con mezze figure di Santi
entro formelle mistilinee. Sul fondo azzurro d'oltremare, in alto
ai lati del trono di Maria è scritto a grandi lettere gotiche do-
‘ate: CHOLA: PICTOR. Nelle vecchie guide della città l'affresco
viene ricordato come opera di Cola dell’Amatrice, il Cavalcaselle

i AOP NT RS

INS
la

46:95 G. CRISTOFANI

e

ed il Crowe (Storia della Pittura Ac., vol. IX, pag. 121) la dicono
rozzamente dipinta secondo lo stile umbro, ma probabilmente non
di mano dell’Alunno, nel novero delle cui pitture la collocano fa-
cendone menzione; il Guardabassi (Indice-Guida ecc., pag. 31) vi
nota maniera ed abilità simile ai Memmi. Dunque le varie attri-

"buzioni-oseiHano tra il. XIV. ed. il. XVI ^"seeolo,^um po" troppo. a

|

| :
[nir iei m ia rum at Esp
i

|

"nr

dir vero,-specialmente se si vogliano considerare i caratteri stili-'
".'stiei del dipinte.che-ci danno agio- di. fissarne -l'epoca «in modo

meno: approssimativo ed impreciso. Cominciamo dall'eseludere Ni-
cola Filottesio dell’Amatrice, architetto e pittore fiorito in pieno
Cinquecento, al quale non può per nessun conto riferirsi il nostro

affresco, che appare evidentemente condotto in tempo di molto

anteriore anche alla prima rinascenza. Escludiamo assolutamente
Nicolò Alunno, del quale nessuno potrebbe riconoscere una delle
caratteristiche così schiette ed originali, che lo fanno distinguere
a prima vista tra tutti i nostri quattrocentisti. Il Guardabassi andò
più presso al vero, rilevando nel pittore qualche somiglianza con
l’arte di Simone Martini, quantunque l'affreseo di cui parlo ricordi
molto lontantimente-tarte senese. Chiediamo-intanito=qualehe-sus:

"sidio- alla: storia; dalla quale- si -sa-che-la-Confraternita ei. SS. Lo-
‘renzo ed Antonino fu fondata nel 1384 (Cristofani A., Storia di

(0

Assisi; 9" ed.; pag. 198). La fabbrica della Chiesa infatti dimostra

‘il gusto delle costruzioni della finé del '300, il tabernacolo è stato

messo in opera contemporaneamente al muro sul quale aggetta e
perciò non è ardito dedurre che la pittura sia stata condotta sul
declinare del secolo. Essa ha tutti i caratteri di quella pittura

umbra che muoveva i primi passi sulla via tracciata dai grandi

toscani i quali avevano tanto lavorato nel nostro bel S. Francesco ;
non è così rozza, come giudicò il Cavalcaselle, nè tanto fine quale
parve al Guardabassi. I tipi delle teste sono energici ed espres-
sivi; le figure hanno proporzioni piuttosto larghe e grosse, il con-
torno è segnato con cura e senza durezza; la vita dei devoti ge-
nuflessi è tanta che danno l’aria di ritratti studiati e sentiti dal
vero. Ma il maggior pregio dell’affresco è nel colorito; un colorito
caldo, diafano, d'una limpidità d'aequarello ; l'esecuzione è quella
tutta propria dei miniatori, fine e meticolosa, specialmente nei
capelli e nelle barbe, condotti con mirabile morbidezza. Caratte-
ristico è il rieco trono della Vergine, rieco di marmi policromi,
CIHOLA PICTOR 541

di mosaiei, di leoni accosciati e di figurine nude nei tabernacoletti
della spalliera. La Madonna è bella di volto spirante una grazia
severa e soave al tempo stesso; il Bambino invece è goffo nelle
forme, troppo accigliato, quasi burbero. Il S. Francesco ricorda
molto quello del Martini nella Cappella di S. Martino nella nostra
Basilica, mentre l'Eterno è un bel vecchio dalla barba fluente che
preannuncia la Rinaseenza. Chi fu il nostro Cola? I documenti
non ne parlano; solo sappiamo che il tabernacolo della Confrater-
nita di S. Rufino con l' Ineoronazione della Vergine era opera sua;
ciò si rilevava anche dai pochissimi frammenti che fino a qualche
anno fa era dato di scorgere. A lui attribuirei anche il tabernacolo
quasi scomparso interamente sul fianco della chiesa del Beato Pie-
tro in Bevagna, e suo è un frammento di fresco distaccato, ora
alla Properziana, con alcune figure di Santi. Che se almeno vo-
lesse spiegarsi come mai la tradizione abbia attribuito a Cola del-
l’Amatrice Abruzzese il dipinto, potrebbe forse trovarne la spie-
gazione nell’epigrafe segnata sopra una delle tombe medioevali
nel cimitero di S. Francesco:
Sepulcrum magistri Nicolay Bartholomei dicti Calabrese.

Chi sa che quel Maestro Nicola Calabrese non sia il nostro
Cola, pittore e che poi si sia preso il suo nome per quello del-
l'Amatrieiano a lui posteriore di due secoli ?

Ho creduto di dover ricordare quest'oseuro e non spregevole
artefice, perchè è l’unico pittore trecentista che abbia firmato in As-
sisi, dove il trecento ha pure lasciato tante e così mirabili opere.
È necessario che si conoscano e si studino le opere certe anche
per assottigliare al possibile la schiera enorme degli Anonimi e
nella prossima Mostra di Perugia io mi auguro che abbia a figu-
rare il nostro Cola, il cui affresco dovrebbe essere distaccato, per-
chè a breve andare sarà interamente perduto. Io ebbi l’idea dieci
anni fa di trarre un grande disegno del dipinto ed in dieci anni
questo è così deperito da far pietà. Voglio sperare che la mia co-
municazione riesca ad ottenere l'effetto desiderato e che il pre-
gevole dipinto sia assicurato all'ammirazione degli artisti e degli
studiosi.

G. CRISTOFANI.

DEus SIA

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CY DISPENSE SEDI i MEE a - NONE - - T . = 23

Vane A
Del « Giudizio Universale » di Rieti

e de suoi autori

Nel 1824, in una lettera a stampa all’amico Gio: Gherardo
de’ Rossi, per primo Angelo Maria Ricci indicava all’ammirazione
degli amatori e cultori di Belle Arti un grandioso affresco cinque-
centesco, rappresentante il « Giudizio Universale » ed esistente
ignorato fin allora e negletto nell’antico Oratorio di S. Pietro M.

presso il convento di S. Domenico in Rieti. Da allora in poi, men-

tre unanime e ripetuto fu il grido che tale affresco dovesse, con
acconci e solleciti restauri, salvarsi da estrema rovina, .vari fu-
rono i pareri degli intelligenti circa il valore, l’epoca e gli autori
di esso. Cali

Quanto al valore, si ritenne dai più che le pitture della volta
e delle pareti laterali fossero condotte con singolare maestria e
diligenza, laddove quella della grande parete di fondo fosse, in
molte parti, visibilmente tirata via.

Quanto all’ epoca, il Ricci, ritenendola della scuola di Raf-
faello, giustamente la pose nella prima metà del '500 e lo stesso
altri, dopo di lui, ripeterono, sebbene non mancasse chi, per una
cert' aria di ingenuità arcaiea, spirante: sopra tutto nella volta,
desse quest’ ultima per eseguita sul cadere del '400 e il resto più
tardi. Ma non si pensò che, quando si deve stabilire 1’ epoca di
un’ opera d'arte di centri minori di civiltà e di cultura, bisogna
proceder molto cauti e tener sempre presente che in essi l'arte
trovasi quasi sempre arretrata d' un mezzo secolo e forse anche piü.

Tutti poi convennero, e anche a un profano appar chiaro, che
la grande composizione fosse opera di più mani, ma discordarono
nel proporre il nome degli autori: e mentre taluno non si peritò, 550 A. SACCHETTI SASSETTI

per la squisita bellezza di aleune parti, di fare il nome perfino
di qualche artista famoso, il Cavaleaselle 1’ attribuì a Jacopo Si-
ciliano e il Magni, non so su quali fondamenti, ‘credette di ravvi-
sarvi la mano di Vincenzo Pagani da Monterubbiano nelle Marche
e a lui, senz’ altro, la diede.

‘ Stando così le cose, in mezzo a pareri così dubbi e discordi,
mmi parve utile e necessario ricorrere alle pazienti e rigorose .ri-
cerche di archivio, delle quali‘ non può assolutamente far a meno
chi voglia autenticare opere d’arte di secondo e terzo ordine, che
non presentino i caratteri stilistici dei grandi maestri, ma di questo
o di quello qua e là risentano e a questo o a quello faccian vol-
gere la mente del critico d'arte.

. Gli archivi del Comune e del Capitolo del Duomo non mi ave-
vano dato alcun lume: rimaneva ancora inesplorato, ricchissima
e intatta miniera, l' archivio notarile e allo spoglio di questo pa-
zientemente attesi per oltre un anno, registrando, pel periodo che
va dalla fine del ’300 alla metà del '600, tutte le notizie che tro-
vavo di pittori, scultori, architetti, figuli, orefici, lapicidi, fondi-
tori di campane e fabbricatori di organi e perfino di maestri mu-
ratori lombardi e maestri di ferro o legname, i quali avessero la-
vorato in Rieti o nei paesi vicini.

Le mie fatiche furono coronate da ampio e insperato successo.
Non..solo-mi- fu. dato-di.raecogliere una ricca. messe. di documenti
utili alla conoscenza della storia dell’ arte in Rieti ne’ secoli XV,
XVI e XVII, ma di trovare l' atto originale di allogamento. del
« Giudizio Universale » che, lo dirò subito, fu condotto a termine
nel 1554 da Lorenzo e Bartolomeo Torresani da Verona.

I trenta documenti reatini, che si riferiscono a questi maestri
veronesi, vanno dal 1525 al 1555 e ci informano che i pittori, in
questo lasso di tempo, eseguirono non meno d’una dozzina di
opere, oggi perite o ridotte a miseri avanzi, per le chiese o pei
privati cittadini di Rieti e di qualche paese vicino, lavorando as-
sociati o da soli secondo le circostanze e le necessità. Ma, se il
resto perì, fortunatamente l’opera più grande e più importante, il
« Giudizio Universale », condotta nella piena maturità artistica,
sta ancora a bellamente testimoniare del loro valore.

In un documento del 1541 Bartolomeo Torresani è chiamato

« cittadino di Narni » e in un altro del 1547 « abitatore di Narni >».
DEL « GIUDIZIO UNIVERSALE » DI RIETI, ECC. 551

Ciò mi indusse facilmente a credere che anche a Narni avessero

i fratelli Torresani operato, e a ricercare che cosa ancora vi si

» . cea 1 M ? ^nT » . . . .
. eonservasse di loro. L’opera del benemerito Giovanni Eroli sopra

Le chiese di Narni mi fu di guida sicura nelle mie indagini: e

infatti trovai che un maestro Lorenzo veronese aveva nel '500

istoriata la cappella di S. Sebastiano nella chiesa di S. Agostino
. Fosa Y 1 H Alia nmt 1 H

di quella città, Se non.che l'Eroli aggiunge chiamarsi - Lorenzo

della Costa l’autore, assicurando che il. nome e la patria si. trovano

segnati in una cartella.recata da.un angelo nella seconda storia
a man dritta e il nome e il cognome in due punti della volta.

Questo fatto un po’ strano, che cioè un pittore si firmasse in
due modi diversi nella stessa opera e il fatto anche più strano
che il Guardabassi nel suo Indice-Guida desse bensì l operà di
Narni a maestro Lorenzo da Verona, ma poi, nell'elenco dei Pit-
tori firmati nelle opere, registrasse Lorenzo da' Verona (Costa), mi
fecero nascere naturalmente il sospetto che il chiaro narnese non
avesse letto bene, e, ad un tempo, il desiderio di vedere coi miei
occhi le firme.

L'Eroli, supplendo ad alcune lettere corrose dal tempo e dal-
l'umidità; che tutta la cappella-ha ridotto-in squallido.stato;.così
leggeva nella. cartella. portata dall’angelo :

« benchè richo di cor e v[olontà io] Lorenzo veronese foi pur
constreto per povertà lasar esta opera diserta, onde ne ho dolor ».

‘Invece, recatomi sul luogo; potei leggere, senza grande stento,

tutta l'iscrizione, e di essa anche le lettere alquanto corrose. Essa
è scritta in carattere corsivo e suona così:

benchè richo di cor el
Toresan Lorenzo
ueronese foi pur
constreto per pow
ertà lasar questa
opera diserta

onde ne ha dolor.

Dove si vede che la parola Zoresan, abbastanza intelligibile,
non riuscì a leggere l’Eroli, perehé non sapeva il cognome del
pittore, e che questi parla in terza, giusta l’uso più invalso, e non

37

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059 A. SACCHETTI SASSE'TTI

in prima persona, per non dire di qualche altra variante di poco
momento. i

Nella volta, in due punti delle raffaellesehe della prima ero-
ciera, a destra, entro due targhe, si legge distintamente in carat-
teri epigrafici: L. D. LACOSTA e non, come dice l'Eroli, Lo-
renzo della Costa. Come si spiega ciò? Ecco. L'illustre ‘erudito
narnese aveva per primo notate due mani nell’ opera, ma aveva
altresì assicurato esser tutta la volta e le due storie ai lati del-
l'altar maggiore opera di Lorenzo, il resto d'un valente pittore
anch’esso, che l'avrebbe finita, quando il veronese fu costretto per
povertà a lasciarla interrotta. Ma non s’accorse l’Eroli, nell’ intima
persuasione che il Lorenzo Veronese e il della Costa fossero una
stessa persona, che la parte della volta firmata da quest’ultimo,
cioè la prima crociera, è manifestamente differente dal resto e che
appunto sotto questa prima crociera, a destra di chi entra, trovasi
una di quelle storie (S. Sebastiano al bersaglio) che l’Eroli stesso
attribuiva al successore di Lorenzo. Quindi, una volta letto anche
il cornome Torresani accanto al nome di Lorenzo veronese, si
deve coneludere che continuatore di questo fu proprio il della
Costa, che, a scanso di errori, sentì il bisogno di apporre due
volte la sua firma a quella parte dell’opera che era sua e si studiò

d’ imitare il predecessore e forse, per darle un aspetto uniforme,

ritoccò tutta la volta.

Eeco adunque rivendicata a Lorenzo Torresani un’ altra opera
pregevole : di Bartolomeo, invece, che per aver avuta la cittadi-
nanza di Narni, deve aver molto lavorato colà, non posso per or:
dir nulla, sebbene due affreschi del Duomo, uno dei quali reca la
data del 1547, sappiano meravigliosamente della sua maniera, Ma
di ciò, dopo gli opportuni raffronti e le ricerche d’ archivio, mi
propongo di parlare nella memoria documentata che vado appa-
recchiando da qualche tempo su questi pittori. Qui mi resta a
dire che I ultima opera, abbastanza ben conservata, apponibile ai
Torresani è il « Giudizio Universale » di S. Maria di Legarano
presso Aspra in Sabina che ha la data del 1561 e, in proporzioni
molto minori, arieggia in modo assai spiccato quello di Rieti.

. Donde vennero? dove finirono i 'lorresani? Allo stato pre-
sente dei documenti non mi è dato rispondere a questi due quesiti
di eapitale importanza. Ed io ho appunto sentito il bisogno di

ca uS — e "MMC —— Pn

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DEL « GIUDIZIO UNIVERSALE » DI RIETI, ECC.

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er

fare l'odierna comunicazione, di natura prettamente storica, nella
speranza che, se qualche collega o studioso, ricercando negli ar-
chivi dell' Umbria, trovi notizie in proposito, me ne voglia dare
cortese partecipazione.

Chiudo con l’ annunzio di cosa che farà piacere a tutti gli

amatori dell’ arte e a quelli tra i colleghi, in special modo, che

nel Congresso Storico del 1901 ebbero agio di ammirare il « Giu-

dizio Universale » di Rieti. A un mio appello, a fine di restaurare

quella magnifica pittura murale, la città di Rieti ha risposto con

generose elargizioni che ammontano già a mille lire: il Ministero
della P. I. e il Municipio, dinanzi a sì bella e nobile manifesta-
zione di eiviltà, han promesso di contribuire alle spese di restauro:

sicchè questo, entro l' anno venturo, sarà una cosa com iuta. .E
E 3 )

se la bella Narni seguirà 1’ esempio di Rieti, presto i nomi dei
fratelli "l'orresani, finora ingiustamente oscuri, pel « Giudizio Uni-
versale » e per la cappella di S. Sebastiano soltanto, potranno, a
buon dritto, essere rivendicati, non che alla gloriosa scuola ve-
ronese, alla storia dell’ arte italiana.

A. SACCHETTI SASSETTI.
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M 1

ANALECTA UMBRA

Dos ZONE EDO EEUU CCCII

G. Degli Azzi. — Di alcuni lavori inediti di G. Mazzatinti.. —
[Relazione al Congresso della R. Deputazione di St. Patria in Assisi]. —

le
pi «Il compianto collega professor Giuseppe Mazzatinti lasciava morendo I.
molti ed importanti lavori inediti, di cui io diedi per primo più ampia
notizia nella bibliografia pubblicata in appendice alla commemorazione, (a
che di lui feci il 17 giugno 1906 nel Civico Teatro di Gubbio.

Figurano tra questi, opere veramente cospicue per importanza e | «
per mole, come la Bibliografía Leopardiana, già pronta per la stampa,

c

I' Epistolario di Verdi e di Garibaldi (1), la Bibliografia Storica Generale

del Risorgimento: Italiano, ed altre ancora di cui non è qui il caso par-

fi lare, perchè non s' attengono in modo particolare agli studi della no-

stra regione. Ma di quelli che hanno speciale riferimento alla storia

nostra, e che potrebber essere utilissimo contributo alla storia umbra,

credo opportuno dir brevemente, perchè vediate se sia il caso di pub-

blicarli negli atti della nostra Deputazione, rendendo così un affet-

tuoso omaggio alla sapiente operosità dell'amico estinto e un segnalato

servigio agli studiosi delle cose nostre. È
Il primo di tali lavori è una conferenza su due benemeriti eruditi.

eugubini, già quasi (e troppo indegnamente) dimenticati, Pietro e Ode-

risi Lucarelli. Prendendo le mosse dal munifico legato che Pietro Lu- x

carelli fece della sua biblioteca al Comune di Gubbio, il Mazzatinti

— premesso un largo e dottissimo studio sulle condizioni e sulla cul-

tura del tempo in cui vissero i due Lucarelli — pone in rilievo i

(1) Alla preparazione di questi due Epistolarî il M. ebbe collaboratore un
illustre studióso della storia del nostro Risorgimento, AnLESSANDRO Luzio, che con
| cura amorosa prosegue e — ci auguriamo.— presto porterà a compimento l'opera
iniziata eon il M.

n ^ ARE TAI PO TS WX. M ACETO EUNT VER CUORE
RETORICA, RISATA SCI APT x00 ug m QI I Agios, ÉL OL
SCIE LI I MIE DE NPI Y IO

556 ANALECTA UMBRA

grandi benefiei da essi recati alla storia civile ed artistica della città
natale e « la partecipazione spirituale » loro alle vicende e al solenne
affermarsi dell’Italia.

Ricorda un identico cospicuo dono fatto della sua biblioteca al Co-
mune nel 1684 da Vincenzo Armanni, altro benemerito insigne de’ no-
stri studi; e passa quindi a tratteggiare un efficacissimo quadro della
cultura purista e neoclassica del principio del secolo scorso, e dell'am-
biente storico, politico ed intellettuale in cui si svolsero le attività di
Pietro Lucarelli, esaminando l’opera sua in rapporto a quel fervore
scientifico e a quella tendenza (che il Mazzatinti opportunamente chiama
Muratoriana) di trascrivere e raccogliere documenti, lasciando ad altri
il facile compito di trarne vantaggio per una felice sintesi storica:
tendenza che il Lucarelli ebbe comune con altri studiosi del tempo come
il Belforti a Perugia e a Gubbio stessa il Bonfatti.

Di Oderisi Lucarelli illustra l’opera principale, che costò quasi
10 anni di lavoro preparatorio al suo autore e che « tutta comprende
la storia di Gubbio nelle sue fasi »; la confronta con altri tentativi di
storie locali fatti da vari scrittori, con metodi e intendimenti diversi,
dimostrando l’eccellenza del metodo del Lucarelli, che al fervore della
fantasia e al vano entusiasmo retorico sostituì con sana critica lo spo-
glio e l'esame rigoroso e diligente de’ documenti. :

Questa conferenza, ridotta convenientemente in forma di mono-
grafia, oceuperebbe meno che un foglio di stampa, e costituirebbe un
contributo assai ragguardevole agli studi storici e letterarî dell' Umbria
nostra e d'Italia.

Di più largo e generale interesse è l'altro lavoro su « Gubbio sotto
i Duchi d'Urbino », splendido per contenuto e per forma, di cui troppo
in lungo mi trarrebbe il riassunto, ma del quale l'importanza e il
valore voi stessi potete arguire cosi dall'enunciazione dell'argomento,
come dalla ben nota valentia dell'autore.

Dello studio storico-artistico sul Palazzo dei Consoli in Gubbio il
Mazzatinti aveva già dato un saggio (che limitavasi peró al solo spo-
glio de’ documenti) fin dal 1888 nell'ArcAhvio storico per le Marche e
U,Umbria. E di quest'altro lavoro, ch'ó un ampio e larghissimo rifaci-
mento di quello, il Mazzatinti stesso diè breve cenno nel fase. I del
nostro Bollettino. E a voi che dalle brevi note con cui egli, sempre
infinitamente modesto, diè conto dell'opera sua, sapeste già adeguata-

mente comprenderne e ammirarne il singolarissimo pregio, non è d'uopo.

ch'io lo rilevi altrimenti, raccomandandovi di decretarne la stampa.
D'argomento artistico generale, ma in gran parte d' interesse um-

bro, è l'altra conferenza « Per le fonti delle ispirazioni. raffaellesche »
, : ?

"rs V

UM NER MEE ey,

CINA PORRI os ge aC Y Aa ORE t eut ERN UU T REIS LANI IS EINE IE

ANALECTA UMBRA 551

che il Mazzatinti lesse la prima volta per le feste centenarie del divino
Sanzio in Urbino, e che gli fruttò amplissime lodi da critici non so-
spetti e autorevoli per quella solenne occasione là convenuti Il mano-
seritto che or ne rimane è la redazione definitiva che dovea forse ser-
vir per la stampa.

Trascrizione di documento con brevissima illustrazione storica è
quella' dello « Statuto dell' Arte de’ Fabbri in' Gubbio », del 1546; docu-
mento ehe sarebbe indubbiamente utile: portare a cognizione del pub-
blico oggi che lo studio di siffatti statuti delle Corporazioni operaie si
è rivelato così vantaggioso e indispensabile alla conoscenza sicura e

profonda delle nostre organizzazioni democratiche medievali.

Questi, in brevi parole, i lavori interessanti la storia umbra che
del Mazzatinti restano inediti: a voi che troppo bene lui conosceste,
ammiraste ed amaste, sarebbe inutile aggiungere esortazioni perchè
vogliate prender a cuore ed accogliere la proposta ch'io vi presento,
da cui indubbiamente dovrà ridondare vantaggio agli studi nostri e
onore non poco alla eara memoria di lui ».

G. DEGLI Azzi.

x^. Il prof. Enrico Filippini; in un opuscolo per nozze Grasso-

Enrico, dal titolo A proposito di una sedicente cosmografia medievale
in- versi italiani (Menaggio, Daragiola, 1906) torna di nuovo, e con
magegiore ampiezza, su di. una questione che riguarda l'autore del
Quadriregio. A lui invero, sulla fede di ur codice della Nazionale di
Parigi, era stata attribuita la detfa opera; mentre il Fontanini scoprì
che il codice conteneva il Dittamondo di Fazio degli Uberti. Il Filip-
pini chiarisce l'equivoco che era stato alimentato dal desiderio di at-

trvibuire al Frezzi un'altra opera, oltre quella a tutti nota, e precisa- '

mente da Giustiniano Pagliarini, presidente dell’Accademia folignate
dei Rinvigoriti.

Lo stesso prof. Filippini continua i suoi studi sul testo del Qua-
driregio, che speriamo preludano a un'edizione critica di questo, pub-
blicando ne La Bibliofilla diretta da Leo S. Olschki uno seritto, in
continuazione (disp. 9 dell’a. VIII), su « Le edizioni del Quadriregio ».
Ne parleremo a lavoro compiuto.

Nello scorso mese di febbraio, nella Libreria Dante di O. Gozzini
(Firenze), fu in vendita wa edizione rara del poema del Vescovo foli-
gnate; « Quatriregio, libró?ehiamato Q. del decorso della vita humana
in terza rima. Impresso in Venetia per maestro Piero da Pavia, 1501.

Fol. a due col. ».

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558 ANALECTA UMBRA

Spigolando dallo stesso Catalogo, troviamo data come molto rara
un'opera di Manzi Francisci Hispellatis Minoritae, dal titolo « Franci-
sciados Libri VIII. Nune primum in lucem editi per Cosmum Medicem.

Florentiae, Pertinarium, 1571, in 8° ».

,*, Il prof. Adolfo Padovan, per i tipi Hoepli, pubblica in una
nüova edizione i Fioretti di San Francesco e il Cantico del Sole. Quan-
tunque edizione dedicata più ehe altro alle scuole, e che per i Fioretti
riproduce il testo già dato dal Cesari, ne teniamo parola perché il testo
è preceduto da una prefazione, arricchita di sei incisioni, che riprodu-
cono i monumenti più notevoli di Assisi e dei luoghi atti a illustrare
la vita francescana. ES

Notiamo tuttavia un errore in cui il Padovan è caduto, allor-
quando dice essere i Fioretti « mirabile ‘accolta di un anonimo del
quattrocento », mentre sono, come è noto, un, volgarizzamento trecen-
tesco da un più antico testo latino. — Il Cantico del Sole è dato se-

condo la lezione del Faloci-Pulignani.

,*, Come è noto a ognuno, Gubbio, oltre i suoi mirabili monu-

. menti architettorici, possiede preziose opere d'arte, tra cui non vanno:

dimiénticati pregevolissimi affreschi (basti-per tutti quello delizioso--del
Nelli, cui l'ufficio dei Monumenti dovrebbe far togliere il baldacchino dal
colore di casa penale, e che turba la contemplazione serena del soave
dipinto). Tra quelli è notevole uno che appartiene al ‘sec. XIV, e che

testé diede occasione a un-dotto-dibattito-tra l'arehiatra pontificio. dott.:

Lapponi e mons. Faloci-Pulignani.

Il primo credette di dover ravvisare in esso una rappresentazione
della leggenda francescana sul miracolo delle rose, mentre il secondo,
esaminando attentamente il dipinto, ha concluso, in un articolo pub-
blicato nella Rassegna Gregoriana (a. VI, fasc. 1-2), che « rappresenta
la Madonna nell’atto di ordihare agli angeli di prendere la sua casa
da Fiume, e di portarla nella selva di Loreto ». Il Faloci aggiunge
che « spera di spiegare altrove » come il dipinto « nell'anno 1399 era
già conosciuto », e che rappresenta la seconda traslazione, non la prima,

da Nazaret a Fiume. E in fine dell'articolo dà la buona novella che,
« dopo il grido d'allarme dato in proposito sulle cattive condizioni
"dell’affresco, il cav. Dante Viviani, Direttore in Perugia dell’Ufficio

regionale per la conservazione dei monumenti, ha provveduto a restau-

rare ed a custodire il prezioso cimelio ».

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ANALECTA UMBRA 059

xfx Il prof. Giuseppe Manacorda, in. una larga e ben nutrita -

Rassegna degli Studi nell’antico insegnamento italiano, pubblicata nel
fase. 145 (a. XXV) del Giornale Storico della Letteratura italiana, giu-
dica che « fra i molti studiosi di storia delle università nostre spetta
senza dubbio la palma ai professori Brugi di Padova e Scalvanti di
Perugia, l'uno e l’altro infatieabili nell'investigare ed illustrare le me-
morie dell’ateneo che essi onorano con quella dottrina storica e giuri-
dica che li fa eccellere ».

Il prof. Manacorda ricorda un collegio istituito nel 1575 a Peru-
gia da un canonico Bertolini per i Lucchesi, come a Bologna era sorto
per i Lucchesi stessi quello dei Sinibaldi; dipoi cita gli Statuti degli
studenti tedeschi a Perugia, pubblicati dallo Scalvanti nel nostro Bol-
lettino (vol. V, fasc. 3), e passa poi a ricordare il ‘discorso inaugurale
tenuto dallo stesso Scalvanti, « nel quale, mirando a dimostrare come
le origini dello Studio perugino risalgano più su del 1308, dopo aver
indagato l’esistenza di scuole di diritto nel m. e. e dopo aver posto
in rilievo come dalle scuole cattedrali perugine trassero origine quelle
comunali, avanza.l'ipotesi che già Gregorio IX, ospite nel 1234 dei
Perugini, largisse loro il privilegio dello Studio, il quale presto fiorì
per le prospere condizioni del Comune perugino nel secolo XIII ». Il
Manacorda aggiunge inoltre che « questa tesi a lui cara » lo Scalvanti
« conferma con più severa indagine » in Alcune « riformanze » inedite
della Facoltà giuridica nell’ Ateneo Perugino, in Annali dello. stesso; e
tra queste riformanze « veramente notevoli » enumera quella del 1428
« per la quale si assolvono dal delitto di spergiuro quei dottori che,
contro il giuramento dato, avevano presentato alla laurea studenti che

non avevano compiuto l’intero corso che era, come a Pavia, di sei-

anni » ; quella del 1448, « con cui si delibera di costruire un coro con
eleganti stalli, ove sedessero i dottori del collegio per conferire pub-

blicamente le lauree », ed altre.

5*4 Secondo la comune tradizione, non sorretta tuttavia dalla eri-
tica, nello scorso Natale si sono compiuti sei secoli da che vide la luce
il beato Jacopone da Todi, « il gran padre della lirica religiosa ».

A questo avvenimento e all’arte del poeta l’Augusta Perusia de-
dicò l’ultimo numero (nov.-dic. 1906), pubblicando uno seritto del suo
direttore, il quale con brevi cenni enumera i vari lavori che, dopo il
rinnovamento critico e storico, hanno veduto la luce sul poeta tuderte.
Il fascicolo contiene anche uno scritto di Piero Misciatelli, che altro ne
diede al Giornale d’Italia (27 dic. 1906), col titolo « Il primo . poeta
francescano » : il testo della conferenza che su Jacopone tenne Giulio

"TUTCEGENQENTURERT ERO TU EET REL € PEREAT 7" RECENTE CREER RSGED. ILL agi ma I RET

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SERIE

lie
560 ANALECTA UMBRA

Navone a Roma, e infine un articolo di Giulio Bertoni, che dà notizia
di due laude contenute in un ms. della Estense; e di una terza, che
manca alla ediz. Tresatti, dà il testo.

Questa comincia coi versi:

« Signor mio io vo languendo
per ti retrovare — De! non cire da me fugendo
che me fai penare — ».

E delle.altre due; la prima (1a 3* del lib. V della ediz. Tresatti):
« O libertà suceta — Ad ogni criatura »,

e la seconda (15°, lib. VI, Tresatti):
« Amor de caritade — Perché m'ai sì ferito ».

Il prof. A. Momigliano, nell’ Italia moderna (IV, II, 19) inserisce
uno scritto di carattere estetico sulla celebre lauda iacoponica

° « Donna del Paradiso ».

“Anche la Civiltà Cattolica (n. 1348) ha dedicato un articolo, di na-
tura divulgativa; al poeta tuderte.

Non si può dire adunque che, tranne lo' studio del Tennéroni,
comparso nella Nuova Antalogia, e di cui demmo notizia nell'ultimo
fascicolo di questo Bollettino, che la ricorrenza del centenario iacopo-
nico abbia acquisito alla storia critica delle nostre lettere alcun ele-.
mento nuovo e notevole. Tuttavia anche gli scritti da noi enumerati,
composti con intenzione divulgativa, valgono a rinverdire presso le
persone colte la fama del robusto e caratteristico poeta tuderte, la cui
figura tuttavia rimane in gran parte quale ce la tratteggiò A. D'An-
cona.

. Nel fase. 142-43 (a. XXIV) del Giornale Storico della Lettera-
tura italiana Umberto Cosmo ci offre una ricca « Rassegna francescana »,

della quale dovranno- prender conoscenza quanti, e sono legione, si
occupano di questi studi.

x4 Giuseppe Sordini, in un opuscolo estratto dall’ I/ustratore fio-
rentino del 1907, ritesse, con abbondanza di particolari desunti da un
documento sincrono, l'episodio della tragica morte di Pierleone Leoni,
« il famoso medico di Lorenzo il Magnifico » ; particolari tutt'altro che
inutili, pur dopo quanto ne serissero L. Frati nell’ Archivio Storico Ita-
liano e A. Della Torre nella sua Storia dell’ Accademia platonica.

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3 € : » , D TOP TR if EDI IE v1; Cult d afl LAM LN ITI PIRA SET

ANALECTA UMBRA 561

Il Sordini negli Annati manoscritti di Ser Francesco Mugnoni da
Trevi (Vaticano, ms. Capponiani, n. 178), già trascritti dal compianto
prof. Francesco Pagnotti, ha trovato notizie precise sul come « il tra-
gico avvenimento » si svolse. « Dalla morte di Pierleone, scrive il Sor-
dini, corsero subito due versioni: una proclamava altamente il suicidio ;
, J »j lv: D fo zo Ay ieidi » H
l'altra attribuiva la morte a scellerato omicidio, consumato per ordine

Li >»: + , j1* 21 LI 4 . . = " LJ * "»
di Piero de’ Medici, figliuolo di Lorenzo. I più prudenti, e furono po-
chi, si tennero sulle generali, registrando solamente la notizia della
morte ». Fra questi ultimi non fu certo il cronista trevano, il quale
scrisse che « Perino figliolo del dicto Lorenzo, reputato homo bestiale et
senza prudentia, ordinó che Pierleone fosse ucciso ».

Il Pierleone fu trovato morto in un pozzo; il suo corpo fu dipoi
trasportato a Spoleto, e sepolto nella chiesa. di S. Nicolò, in cappella
sua, scrive il Mugnoni, et în nel tumolo lui prima avia ordinato.

Aveva dunque ragione il Sannazaro, conclude giustamente il Sor-
dini, scrivendo di Pierleone.

. mal mio grado io fui sospinto e morto
Nel fondo del gran pozzo orrendo e cupo.

2% Per i tipi dell'Hachette (Paris, 1906) ha veduto testè la luce uno
di quei volumi di viaggi dei quali gli scrittori francesi posseggono il
segreto mirabile, e che ha per titolo « Petites villes d'Italie ». Queste
appartengono alla Toscana, alla Lombardia e al Veneto; ma gli ac-
cenni all'Umbria sono così frequenti, che il volume si può dire un utile
complemento all'Ombrie di René Schneider. Ne è autore André Maurel.

Egli, scrivendo di Prato, rievoca l’arte e le avventure di Filippo
Lippi, che dalla sua patria segue fino a Spoleto, dove muore nel 1469,
dopo lasciato un poema di luce nel coro della cattedrale.

In Padova tornano alla mente del Maurel tutti i suoi « souvenirs
ombriens » e Giotto « le maitre de tous les maitres, l’ancètre unique
de tous les peintres, le Giotto de Santa Croce et de San Francesco ».

In Bergamo la cappella Colleoni gli ricorda « la facade de San.

Bernardino à Pérouse » ; e il Maurel aggiunge: « Le marbre blanc de
Carrare, le marbre rouge de Sienne, le marbre vert de Prato se sont
retrouvés iei encore, et sous le ciseau du maitre.de la Chartreuse, en
ce nord gothique, e'est une joie de recevoir ce salut toscan et péru-
gien ».

P.UDSM.

—— > —44——————

&
EM OEIL A © mm

«BRACCIO

TATULA DE NOME DE PERSONE E DI LUOGHI

.

AMELIA, V. Scalvanti O., v. Ge-
raldini P.

ANSIDEI V., I codici delle som-
missioni al Comune di Perugia,
271. '

AssIsi, v. Degli Azzi G., v.
Cristofani G.; 314, 558, 560.

ATTI della Regia Deputazione, ys:
fasc. I, pag. v, e fasc III, pa-

gina I.

BAGLIONI Braccio, Per la
sepoltura di, v. Scalvanti O.
BALLERINI FABRIZIO viag-
giatore perugino, v. Tommasini-
Mattiucci P. >

BELLUCCI A., Il castello di Col-
dimancio, 324.

BERNARDINI G., Le pinacote-
che comunali dell’ Umbria, 321.

Bordo S. SEPOLCRO, Il vi-
cariato di Niccolò Fortebracci a,
v. Scalvanti O.

FORTEBRACCI,
Per la sepoltura di, v. Scalvanti
0.

BriGANTI F., L’antico Comune
della Spina, 311.

FCTCSERIRTUERRETSRUS TUE AT; TREO

Mita MAFIA Cult. d aa Ce ie o Qa MR (COPPIE 0

.

BRUNAMONTI-TARULLI L.,
Appunti storici intorno ai nio-
naci benedettini di S. Pietro in
Perugia, 385.

CAMPELLO DELLASPINAP.,
Di un santuario francescano in
*spericolo;- 487.

"detto il, v. Morici M.
CHoLA PricTon, v. Cristofani
G.
CITTÀ DELLA PIEVE,v. Nor-
reri I.
CiTTÀ D1 CASTELLO, v. Ni-
casi G.; La Biblioteca di, 309;
:816.
CoLDIMANOCIO, v. Bellucci A.
COóMPAGNONI-NaATALI G.
B., La biga di Monteleone di
Cascia in relazione alle origini

e all'arte arcaica italica, 311.

CrISTOFANI G., Chola Pictor,

545.

cutaneo e * L
CANTALICIO, G. B. Valentini

D'AwcoNA A. Rispetti um- .

bri, 321.
DEGLI Azzi G. Bibliografia
WEXCIVETUROSANI SET X17 0r unt DIE ERAT NET
="

LI

564 TAVOLA DEI NOMI DI PERSONE E DI LUOGHI

degli scritti di Giuseppe Maz-

zatiuti, 153; Briciole di storia

assisiate, 497; Circa il riordina-

mento dell’antico Archivio Giu-
diziario di Perugia; 497; Di al-
cuni lavori inediti di.G. Mazza-

tinti, 555.

PM FALOCI-PULIGNANIT.M., Del
Palazzo Trinci in Foligno, 133.
FiLIPPINI E., Un Codice poco

noto della visione del B. Tom-

masuccio da Foligno, 483; La

materia del Quadriregio, 310;

901.

FORTEBRACCIO NICCOLÒ,
v. Scalvanti O.

FRANCESCO (s.), 315, 558; v.
Padovan A.

FREZZ1i FEDERIGO, v. Filip-
pini E.

FoLIGNO, v. Faloci- Pulignani
"M.; v. Lugano P.; v. Filippini
E.; 316.

Fumi L., Una ispezione agli Ar-
chivi civili di Gubbio, 291; Ap-
pendice alle Ephemerides Urbe-
vetanae, 317.

GERALDINI P., Amelia sotto la
dominazione del Re Ladislao e
del Tartalia da Lavello, 491.

GuBBIO, v. Pellegrini, v. Fumi

L., v. Trabalza C.; 558.
3 b

HETEREN (vAN) W., Due mo-
nasteri benedettini più volte se-

colari (Rieti).

JACOPONE DA TODI, Pel cen-

tenario di, 319, 559.

LADISLAO, Amelia sotto la do-
minazione di Re, v. Geraldini P.
LANZI L., Di due, antichi ri-

cordi esistenti sotto il portico

della cattedrale di Terni, 197; '

Quale posto convenga al dipinto
di Stroncone nella serie delle
fonti per la iconografia france-
scana, 467; Ancora su l’antica
cripta della cattedrale di Terni,
313.

Lopovico iL Bavaro, I
Ghibellini di Amelia e, v. Scal-
vanti 0. :

LuGcGaANoO P., Delle Chiese della

. città e diocesi di Foligno, 173,
321.

MANACORDA G., Rassegna de-
gli Studi nell'antico insegna-
mento italiano, 559.

MAUREL A., Petites villes d'I-
talie, 561.

MAZZATINTI G., Bibliografia
degli seritti di, 153; Di alcuni
lavori inediti di, 555.

MELOSIO FRANCESCO, v. Nor-
reri I.

Monaci E, Poeti antichi pe-
rugini, 321.

MONTELEONE DI CASCIA,
v. Compagnoni-Natali G. B.

MONTELEONE DI SPOLETO,

v. Campello della Spina P.

esi.
(ie Co Cut di nal Lu c o qa SRI 4t 2s

TAVOLA DEI NOMI DI PERSONE E DI LUOGHI 565

Morici M., Il Cantalicio in
S. Gimignano, 312.
MorrOoONI ToMmmMASO, v. Sac-

chetti-Sassetti A; 318.

NICASI G., Dei segni numerici
usati attualmente dai contadini
della Valle di Morra nel terri-
torio di Città di Castello, 267.

NORRER1 I, Un quaternario
politico ed. altre poesie inedite
di Francesco Melosio da Città
della Pieve, 519.

ORviETO, v. Fumi L.

PADOVAN A., I Fioretti e il Can-
tico del Sole, 558.

PELLEGRINI A., Gubbio sotto

i conti e i duchi d'Urbino, 135.

PERUGIA, v. Ansidei V.; v. Bru-

namonti-Tarulli L.; v. Degli Azzi.

G.; v. Scalvauti O.; 311; 818.
PINTURICCHIO, dll.

RIETI, v. Heteren (van) W.; v.

Sacchetti-Sassetti A.; v. Morici :

M.

SACCHETTI-SASSETTI À.,
La famiglia di Tommaso Mor-
roni e le fazioni in Rieti nel
sec. XV, 81; Del « Giudizio U-
niversale » di Rieti e de'suoi
autori, 549.

SALZA A., Spigolature Coppet-
tiane, 311, 318; su Cesare Ca-

porali e la monografia di Gal-
lenga R., 312.

SCALVANTI O., I Ghibellini di
Amelia e Lodovico il Bavaro,
239; Il Vicariato di Niccolò For-
tebraccio a Borgo s. Sepolero,
299; Per la sepoltura di Braccio
Baglioni e di Braccio Fortebracci
in Perugia, 503, 559.

SorDINI G., Di alcuni
eseguiti nel Duomo di Spoleto
dal 6 gennaio 1904 a tutto l’ a-

lavori

gosto 1903, 141; Di un sunto
inedito-di storia spoletina scritto
nel sec. X, 357; Nuovi lavori.
nel Duomo di Spoleto, 530; Di
un grandioso edificio pubblico
romano di recente scoperto, 531;
Basi di monumenti romani, 535 ;
Ripristino della chiesa di S. Gre-
gorio Maggiore, 537; Cunicolo
romano sotto la chiesa di S. Gre-
gorio della Sinagoga, 233; Fo-
gna e colonna romana, 540; Ba-
silica di S. Salvatore, 540; In-
torno .alla morte di Pierleone
Leoni, 560.
SPINA, v. Briganti F.
SPOLETO); v.Sordiui G.; v. Cam-
pello della Spina P.; 318.
STRONCONE, v. Lanzi L.

TARTALIA DA LAVELLO,
Amelia sotto la domiuazioue del,
v. Geraldini P.

TERNI, v. Lanzi L.

Toni, 319, 559.

HS rA ee BI en ABIDE Lc RM. RR OA MR OA TT IDE) NE 1 perdi, 8

water Tes qiu rom]
566 TAVOLA DEI NOMI DI

TOMMASINI MATTIUCCIP.,
Un viaggiatore: perugino del se-
colo XVI (Fabrizio Ballerini),
223.

TOMMASUCCIO (Beato) da Fo-

ligno, v. Filippini E.

TRABALZA C., Corredo nuziale.

, eugubino, 310.
TRINCI, v. Faloci-Pulignani M.

PERSONE E DI LUOGHI

UMBRIA, 320; v. Bernardini G.;
v. Maurel A.
UrBINO, Conti e Duchi di, v.

‘Pellegrini A.

VALLE DI MORRA, v. Nicasi

G.
*—-—

ES
x

c Ve OEIL HAE tc Cut VANI fl L1 d i Ri IC) PVI

INDICE DEL DODICESIMO VOLUME .

Atti della Regia Deputazione.

Adunanza del Consiglio del 16 settembre 1905 in Città di Ca-
stello nella sala dell’Accademia dei Liberi (fasc. I). Pag: 5Y;

Adunanza del Consiglio del 17 settembre 1905 » Pag. vi e xxHI
Assemblea Generale del 17 settembre 1905 > » IX @XXIV, seg
Adunanza del Consiglio del 22 settembre 1906 in Assisi nella

sala del Palazzo comunale . : (fasc. III) s Pag; I
Assemblea Generale del 23 settembre 1906 >» Sta VI
Assemblea dei Soci del 23 settembre 1906 » : ; » XXXII

Memorie e Comunicazioni.

Gubbio sotto i conti e duchi d' Urbino (1384-1632) (A. PeL-

LEGRINI) : : - : : È : = *Pag: i
Due monasteri Benedettini più volte sebolari, in Rieti (W.

VAN HETEREN) . i : È : 3 AES ; » 51
La famiglia di Tommaso Morroni e le fazioni in Rieti nel

secolo XV (A. SACCHETTI-SASSETTI) . 3 ì : » 81

‘ Delle Chiese della città e diocesi di Foligno nel sec. XIII

(D LUGANO)N de i int tic cus Pagine. 113-092
Un viaggiatore perugino del sec. XVI (P. Tommasini-MaT-

TIUOCI). Ru. : È : 1 : : à i. Pag. 923
I Ghibellini di Amelia e Lodufico il Bavaro (0. SCALVANTI) » 923b
Dei segni numerici usati attualmente dai contadini della valle

di Morra nel territorio di Città di Castello (G. NICASI). 2:901
Di un sunto inedito di storia spoletina scritto nel sec. X (G.

SORDINI) . : : : ; È : x : » 397
Appunti storici intorno ai monaci benedettini di S. Pietro in
Perugia fino ai primi del secolo XV (L. BRUNAMONTI Ta-

l 20h

RULLI) . : È : i dalia , : È : » 9389
Quale posto convenga al dipinto di Stroncone nella serie delle

fonti per la-iconografia francescana (L. LANZI) : È » 467

38
AE CS RASO ORE 0 LR RSA O III APC XL. cuc mi eT 5 Ain, È
EE

SES:

568 INDICE DEL DODICESIMO VOLUME

Documenti. :

Briciole di Storia Assisiate. Circa il riordinamento dell’antico

Archivio Giudiziario di Perugia (G. DEGLI Azzi) . :
| Varietà.

\ Un quaternario politico ed altre poesie inedite di Francesco

Melosio da Città della Pieve (I. NORRERI) 3

Inventari e Regesti.

I codici delle sommissioni al Comune di Perugia (V. ANSIDEI)

Comunicati.

Una ispezione agli Archivi civili di Gubbio (L. FUMI) . :
Il vicariato di Nicolò Fortebraccio a Borgo S. Sepolero (0.
SCALVANTI) . : : = E e i; : OPES
Un codice poco noto della visione del B. Tommasuccio da
Foligno (E. FILIPPINI) : : 3 : À è 3
Di uu santuario francescano in pericolo (P. CAMPELLO DELLA
SPINA) . : È : à ; : : : ;
Amelia sotto la doll nazione del Re Ladislao e del Tartalia
da Lavello (G. GERALDINI) : : ) 3 ; è

Per la sepoltura di Braccio Baglioni e di Braccio Fortebracci
in Perugia (0. SCALVANTI) 3 È :

Notizie sui Monumenti del? Umbria.

Di due antichi ricordi esistenti sotto il portico della Catte-

drale di Terni (L. LANZI) . ; È 3 ; : :
Del palazzo Trinci in Foligno (M. FALOCI-PULIGNANI) . :
Di alcuni lavori eseguiti nel Duomo di Spoleto (G. SORDINI)
Spoleto. Nuovi lavori nel Duomo (G. SORDINI) ; è i
Di un grandioso edificio pubblico romano di recente scoperto

(G. SORDINI) : : È 3 3 : ; i
Basi di monumenti romaui (G. SR Y t 3 ;

Ripristino della chiesa di S. Gregorio Maggiore (G. SORDINI)
Grande cunicolo romano, sotto la chiesa di S. Gregorio della
Sinagoga (G. SORDINI) i : i i j

EIPETIEVASDENTOONRAT

Pag. 491

519

Î
3

4 t ioi oc po ri CAP pl CS v ci VIETRI Ru MM v cmn ix od abide (15

INDICE DEL DODICESIMO VOLUME 569

Fogna e colonna romana (G. SORDINI)

: : 7 ; . Pag. 540
Basilica di S. Salvatore (G. SORDINI)

à : 2 » 540
Bibliografia.
Bibliografia degli. scritti del prof. G. Mazzatinti (G. DEGLI
LI . . . LÀ

Azzi) . : : ; à : :
Analecta Umbra (P. TonassiNI-MaATTIUCCI, G. DEGLI Azzi) Pa

eo

15
g. 309 e 555

Necrologio.

Giuseppe Mazzatinti (G. DEGLI Azz1) > : : ; . Pag. 158

* KT EC. Vx AMA N

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7 Wes ca. TRESSTIO (IERI ORI ICONE TCR PRA N RE o de Irc

MURS e to ge PO AT TARRA MEL RI A ROI È
fre

511

PER IL SESTO CENTENARIO

DI

FRA JACOPONE DA TODI

Convenevole si stima e dovuto non meno all'alto ufficio delle
Lettere che all'affetto eittadino per le illustri memorie, il tributar
solenni onoranze civili a JACOPONE DA TODI, salutato Poeta in
quella nostra democrazia dei Comuni, che iniziò l’Aprile italico
della Lingua e della Poesia. E

Sei secoli compivansi, giusta la data prevalsa, il 25 decem-

bre del 1906 dalla morte di Jacopone, e il suo nome giunto a noi
attraverso una assai tarda leggenda, ma illuminato da' suoi ean-
tici sentenziosi e gagliardi e per l'unico documento superstite della
sua vita, la Protesta di Lunghezza, ben può dirsi trionfare del
tempo se vien oggi proseguito ancor meglio di ammirazione e ri-
conoscenza. Le quali avverte la storia doverglisi principalmente
in rispetto al singolar pregio originale della sua lingua e de’ suoi
versi, a volte naturalmente scabri, ma spontanei, animosi e colo-
riti in guisa che il Cardueei ebbe a giudiearlo « il maggior lirico
religioso della nostra antica letteratura ». Onde ancor bene si
eleva in un sentimento italiano il ricordo al Poeta di Todi, le cui
sparse eanzoni, tosto imitate e ridotte alle forme di principali dia-
lettij alimentarono assai lungamente tutto un genere di poesia
nato per il popolo. A Jacopone, il quale prima di Dante si valse
dello spregiato. volgare per alti eoncetti, ben venne rieonoseiuto
anche il merito d'aver dato cominciamento al Teatro italiano con
le sue laudi a dialogo, insigni di un vivace contenuto dramatico :

til ira litri n— na È d
LE ME ELT M— Á—— —— Bá X——- cul — — ce cl

— —Q a M MA d renne

C Gin sius

^l
ed a lui, inspirato cantore, antichi testi e moderni autori con senso

DI

di verità attribuiscono la sublime elegia: Stabat Mater. Lume egli

ed esempio ai rigidi compagni perseguitati nella libertà dello spi-
rito, ammonitor severo dei potenti e dei prelati simoniaci, sorto
eoi eardinali Colonna a protestare illegittima l'elezione di Boni-
fazio VIII, ebbe gli eremi e il carcere a rifugio ed ostello.

Appare inoltre non diseorde all’ora presente, in che sotto
forme novelle rigermina € feconda un operoso amore per gli umili,
l'evoeazione storica del poeta francescano, inneggiante alla povertà
volontaria, il quale pur trattando in rima argomenti mistici e
ascetici volle effondervi affetti e sentimenti. per le misere turbe
oppresse, in mezzo a cui amò vivere in ardore del prossimo, fug-
gendo fama di santità e spregiatore dispetto d’ogni vanità del
mondo.

Si come adunque è nei voti, ci è grato annunziare per la
prima quindicina del settembre 1908 la commemorazione secente-
naria di Jacopone, la quale ognun di noi deve attendersi avva-
lorata dal. precipuo suo carattere di ricordo nazionale delle ori-
gini» della: Lingua e della Poesia italiana. Abbiamo intanto affidato

“unanimi e sicuri al.valoroso scultore concittadino, cav. prof. Enrico

Quattrini, l’opera d’arte che perpetui nel bronzo l’eftigie del Poeta

tudertino, « Z"rater Jacobus Benedicti de Tuderto », tramandataci |

per l’affresco attribuito a Domenico Veneziano; e il desiderato
monumento che vedrem sorgere in armoniosa congiunzione all’arte
prospettica d’uno de’ nostri palagi medievali, verrà inaugurato
solennemente con l’intervento del Comitato Onorario e della regia
Deputazione umbra di storia patria. Altro. vivo omaggio ancora e
duraturo, ricco d'interesse storico letterario, intendiamo sia reso
al ‘nostro Poeta con la pubblicazione d'un volume di Studi sull’an-
tica poesia religiosa italiana e intorno l’arte umbra e la storia di
Todi al tempo di Jacopone. Di già alcuni chiari scrittori hanno
gentilmente promesso di collaborare a un tal libro, che noi daremo
in correspettivo delle offerte per il Monumento, Confidiamo quindi
che la nostra impresa, consigliataci eziandio da Letterati italiani
e stranieri, felicemente avvenga sì a decoro e vantaggio de’ rin-
novati studi letterarii, sì ad onore di Jacopone e della sua città
natale, augurandoci che come un giorno da quest'alto colle, offe-
rente i monumenti della 'eiviltà etrusca romana medievale e del

TIRI

can
513

rinascimento, dispiegarono le canzoni di lui il volo lungo e sicuro
in molte parti d'Italia, fecondandovi altri germi poetici, così qui
esse per le indette Onoranze al loro grande Autore ne tornino in

^ fraterne voci di plauso e grato consentimento dai diversi centri

di eultura italiana.

| Il Comitato Esecutivo
Cav. Pietro Paparini - Sindaco, Presidente. — Cav. Prof. Annibale

— Alvi Cav. Avv. Ercole Oreste. — Alvi Arcid. Cav. Pirro.
— Bianchi Umberto, Assessore Municipale. — Ceci Prof. Ge-
tulio. — Colarulli Prof. Can. Eliseo. — Comez Cav. Giuseppe.
.— Comez Prof. Odoardo. — Dominici Conte Prof. Girolamo. —
; Francisci Conte Carlo. — Francisci Conte Cav. Pietro. —
| Giannini Dott. Luigi, Assessore Municipale. — Latini Prof.
Giovanni. — Laurenti Can. Ignazio. — Mariani Dott. Ghino.
—,Mariani Dott. Cav. Vittorio. — Micheli Prof. Augusto, As-
sessore Municipale. — Morettini Dott. Ettore. — Orsini Ga-
spare, Assessore Municipale. — Pensi Avv. Giulio, Bibliot.
della Comunale. — Pica Cav. Ercole. — Quattrini Cav. En-
rico, Scultore. — Searaviglia Prof. Torquato.

Todi,.2 aprile 1907.

b. Segretario
Prof. PAOLO DOMINICI

i Tenneroni, Vice Presidente. — Cav. Clodoveo Retti, Cassiere..

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PUBBLICAZIONI
DELLA |
R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER L’UMBRIA

che si vendono anche separatamente presso la medesima

Inventario e spoglio dei Registri della Tesoreria Apostolica. di Città
di Castello, dal R. Archivio di Stato in Roma (a cura di L. Fu-
mi). Perugia, Unione Tipografica/Cooperativa, 1900. Un vol. in
parma rano; CiSpage: XEVAOD ^ UR Coto AD gu

Inventario e Spoglio dei Registri della Tesoreria Apostolica di Pe-
rugia e Umbria, dal R. Archivio di Stato in Roma (a cura di L.
Fumi). Perugia, Unione Tip. Coop., 1901. Un vol. in carta a mano
Gi: HNENCCDXVIILA00. eni in 12:50

I Registri del Ducato di Spoleto della. serie « Introitus et exitus »
cella Camera) Apostolica presso l'Archivio Segreto Vaticano,
Excerpta e documenti per la storia civile, politica ed economica
della provincia del Ducato di Spoleto (a cura di L. Fumi). Peru-
gia, Unione Tip. Coop., 1901. Un vol. di pagg. 350. . I. 8 —

Indici del Bollettino della R. Deputazione Umbra di Storia Patria,
dall'anno 1895 all'anno 1901 (a cura di L. Fumi e G. Mazzatinti).
Perugia, Unione: Tip. Coop., 1903. Un vol. in carta a mano, di
pagg. XXV-114 . DECIDO SEO cR MENU E TA no

Cronaca inedita Perugina di Pietro Angelo di Giovanni in continua.
zione di quella di Antonio di Guarneglie, già detta del Graziani
(a cura del prof. O. Scalvanti). ii Unione Tip. Coop., 1903.
Un vol. di pagg. XV-162; VI-219 . . eus 15 10;50

Le Relazioni tra la Repubblica di Firenze e l'Umbria nel secolo XIV
secondo i documenti del R. Archivio di Stato di Firenze (a cura
di G. Degli Azzi-Vitelleschi) Vol. I — Dai icc un.vol. di
pagg. 327. Perugia, Unione Tip. Coop, 1904 .. . . . L. 7,50

Di prossima pubblicazione il II vol. delle Relazioni tra le Repubblica
di Firenze e l'Umbria nel sec. XIV, a cura di G. Degli Azzi.

Un’annata del Bollettino . : : : < d : I5

Un fascicolo separato . ] : i : : ^ PESO

Rivolgere le domande al Segretario-Economo sig. prof. OSCAR
. SCALVANTI — Perugia.