LI A ^
: TE 4 :
ius :

"uad

Pe. a

AS ^ d SUR
P
H
È
È
È
:
H
È
}
» BS
|
È
i
[
'
ANNO XII. | FascicoLo l.

BOLLETTINO

DELLA REGIA DEPUTAZIONE

STORIA PATRIA -

PER L'UMBRIA

— ei ——--

VoLUME XIII.

"MuBpixoi.... tà ÉSv0g.... nav péya tt
xxi dpyatov.

DION. D' ALICARN. Ant. Rom. I, 19.

GEO
ENERISOA
2 m Y pu

£
dica

jj em er

oS 5
È SIA e

| PERUGIA
UNIONE TIPOGRAFICA COOPERATIVA
(PALAZZO PROVINCIALE)

1:9:9
APPUNTI STORICI
intorno ai monaci benedettini di S. Pietro in Perugia

FINO AI PRIMI DEL SECOLO XV

(Continuazione vedi Vol. XII, fasc. III, pag. 335 n, 84).

Più particolarmente sotto Francesco Guidalotti, da alcuni
definito « homo pieno di malizia et de inganni » (1), da altri
con piü.sereno giudizio « uomo alle cose d’ armi più che
alla disciplina monastica inteso :»» (2), il nostro S. Pietro
attraversa giorni tristissimi. Francesco è figlio di Simone di
Ceccolo, uno fra i migliori del partito popolare, al quale
sono affidati uffici di sommo interesse da parte del Comune.
Esso viéne nominato Abate da Urbano VI nel 1381 « a in-
tercessione et preghi degli ambasciatori perugini », tanto
che « parve convenevole a Magistrati di ringratiarnelo et di
scriverne al Papa et alcuni Cardinali che per tal cagione si
erano affaticati » (8), reggendo l'Abbazia fin’ oltre il 1398.
Nei primi anni nulla si trova che indichi come i monaci
continuassero a prender parte alle lotte cittadine, il che fa
giustamente pensare che, sopite le discordie, fossero tornati
anche agli studi, essendo il Guidalotti « huomo molto singolare
et di costumi et di lettere ». Nella mente di costui doveva ri-
manere, come una dolce eco lontana, il ricordo del governo

(1) V. Cronaca del GRAZIANI, Arch. Stor. ecc., pag. 263.
(2) V. Genno storico ecc. in L’Apologetico ecc.
(3) V. PELLINI, loc. cit., pag. 1259.
Nr

L. BRUNAMONTI TARULLI
6
abbaziale temperato e tranquillo di Ugolino Vibi (1), e forse
sperò che lo stesso potesse avvenire sotto di lui, sentendosi
disposto a far cose utili per i suoi sottoposti, godendo, in-
sieme a quelli della famiglia, il favore dei capi della città (2)

1) In un elenco di monaci, trascritto nel Libro dei contratti segnato N. 5, in
data 6 gennaio 1379, trovasi il nome di Francesco di Simone, Priore della chiesa di
S. Biagio. Non poteva essere questo monaco il futuro Abate Guidalotti ?

2) I Guidalotti appartengono ad una delle famiglie piu illustri di Perugia. Gui-
dalotto Iudewx et Syndicus Communis Perusij (an. 1259) è uno dei giuresperiti piü va-
lenti. I suoi discendenti prendono parte attivissima al movimento politico della no-
stra città, mentre é più fiera che mai la lotta fra nobili e raspanti. Oltre a Simone
di Ceccolo, a Francesco suo figlio Abate di S. Pietro, deve essere ricordato Alberto
di Nino Guidalotti, personaggio autorevolissimo. Nel 1376 viene eletto ambasciatore
ad Civitatein Bononie. Negli Annali del 1379 (f. 204) si legge che fu, insieme al sommo
Baldo, lettore allo studio di Padova. « Nobilis miles et l. doctor D. Albertus Nini de
Guidalottis et egregius U. I. Professor D. Ubaldus Magistri Francisci Civis honora-
bilis perusini Padue commorantes ». Nel 1386 trovasi! fra gli incaricati a mantenere
la pace fra i cittadini ed a sedare i tumulti (annal. decem. 1386, f. 88). Nel 1387 am-
basciatore a Lucca (29 luglio), onde toglier dall'animo del Pontefice Urbano i sospetti
suscitati Contro di noi dai nemici di Perugia, e per accompagnarlo nella sua venuta
nella nostra città. Ai 6 di agosto anzi non essendo ancora partito, si fanno premure
perché solleciti a compiere la sua missione (annal. decem. 1387, f. 107, 108, 109). Nel
1388 é insegnante nello Studio di Perugia, ed in quest'anno scrive a Bartolomeo di
Biagio lettore allo Studio di Siena intorno ad alcuni manoscritti di Bartolo e Baldo. che
dovevano essere ricopiati in Perugia e dei quali Bartolomeo aveva bisogno. (V. Zde-
hauer, Tre lettere di M. Alberto Guidalotti-lettore allo studio di Perugia a M. Bar-
tolomeo di Biugio lettore allo studio di Stena, Siena, 1898). In queste lettere si trovano
notizie di alcuni copisti che erano fra noi a servizio di molti. Nel 1389 é primo
Priore del Collegio dei Mercanti per i mesi di marzo e di aprile. Nell' anno in cui
Alberto Guidalotti é nominato a comporre gli animi dei Perugini ed in quello prece-
dente (an. 1385) tristi volgevano le sorti del nostro Studio, trovando che i Savi avevano
eletto ad insegnare diritto canonico un tal Agabito di Ser Matteo, sebbene non fosse
addottorato. Questi si erà obbligato di sostenere l'esame pubblico nell'anno succe s-
sivo alla sua nomina, ma non avendo trovato dottori sufficientemente istruiti per
esaminarlo (non potrémmo garantire intorno a ciò l'esattezza di quanto Ser Matteo
asserisce), né potendo farli venire dal difuori, essendo addivenuto pericoloso il
viaggiare, per le guerre con cui era impegnata Perugia, domanda ai Priori una pro-
roga. (Esisteva sempre il diritto di rappressaglia, sebbene venisse ora applicato assai
più di rado del passato e sospeso in circostanze speciali, come avvenne nel 1387 per
la venuta in Perugia di Urbano VI. Annal. decem. 387, fol. 128). Non é questo il solo
esempio di pubblici lettori che insegnavano senza esser laureati, ai quali però s'impo-
neva sempre di porsi in regola entro un dato periodo di tempo. Tuttavia questi
fatti costituivano un indizio di decadimento del nostro Ateneo. Ecco il documento
relativo a questo lettore: Sub die 28 Jultj 1386... Item cum pro parte egregti viri
Domini Agabbiti S. Matthey Civis Aon. perusini substantialiter luerit. postulatum
quod cwm. tempore conducte de eo facte per sapientes studii de anno preterito ad

legendum. in itre canonico in studio perusino ipse se obbligaverit ad. assumen-
APPUNTI STORICI... ECC.

T
In questo frattempo, poco dopo la sua elezione, certo con
grande soddisfazione del proprio animo, don Oddo di Fazio,
cittadino perugino, monaco e Priore della Spina è chia
mato a governare l'Abbazia di 5. Giovanni di Marzano nel
territorio di Città di Castello (an. 15382) (1). Due anni dopo
i Priori della Città, che si erano dati premura di scrivere let-
tere di raccomandazione alla Curia Romana per questo nuovo
Abate, parimenti decidono quod dicto sumpno pontifici videlicet
domino Urbano pp. VI et cardinalibus suis et sancte Ecclesie
Romane scribi possit licteras recomandigie ex parte comunis pe-
rusij... à favore di un altro monaco, di cui c’è ignoto il nome,
che era camerlengo del monastero, il quale domandava, forse,
di esser meglio proyvisto di ecclesiastiche prebende (2).

dam pubblicam doctoratus per totuin presentem. mensem. Et cum in Civitate Perusij)

non sit doctor in iure canonico sufficiens magis. Et ad presens propter viarum pe-
ricula aliunde doctores forenses haberi non possint. Quare de speciali gratia digna-
rentur Domini Priores et Camerarti sibi terminun prorogare. Supradicti dd. Prio-
‘res et Camerarii etc. informaverunt «quod prefatus Dominus Agabbitus habeat et
habere debeat et sibi ea
doctoratus usque ad Kal. Septembris prox,
satisfieri possit et debeat iuccta, et secundum formam sue electionis ecc. (Annal. 1386,

Agabito lo riscontriamo Doctor utr iusque iuris Menus chi anni dopo.

nune prorogaverunt terminum ad assumendam pubblicam
futuri ecc. Et quod de suo salario sibi

p. 158). Questo A

(1) V. PELLINI, loc. cit. pag. 1296.

(2) L'interessamento verso questo monaco si desume da una deliberazione
presa dai Priori ai 25 maggio 1384 e che io ora riporto. Ordinamentum quod scri-
batur suinpno pontifici et suis cam dinalibus per licteras recomandigie pro camer ario
monasteri sancti petri perusij. Die XXV dicti inensis maij. Etiam cum pro parte
Abbatis Sancti petri de perusio. Et etiam pro parte cuiusdam
sumpno pontifici Episcopatum. Assisi) [fuerit supplicatum.
si) scribatur per licteras recomandigie sumpno pontifici

Camerarij domini 4
qui impetravit coram
quod ex parte comunis peru
prelibati et quibusdam car dinalibus Curie Romane recomandando ipsos ea parte
' dicti comunis pervsij super impetrationem predictorum. quorumcumque benefitio-
wm etc. Prefatique domini pr iores et Camerari) existentes ut supra collegialiter ad
consilium congregati e: ahibitis consiliis et habita deliberatione inter: eos ut supra die
precedenti inter ipsos dominos qn «ores, et die sequenti inter ipsos dominos pr iores
et Cainerarios et misso et facto partito inter eos ad scrotinium secretum et ad bus-
sulas et fabas albas et nigras secundum formam. et erigentiam statuti et ordina-
menti comunis perwsij et omni inodo et forma quibus melius potuerunt, prov iderunt
statuerunt ordinaverunt et refor maverunt quod dicto- SUMpPNO pontifici videlicet do-
mino Urbano pp. VI et cardinalibus. suis et sancte Ecclesie Romane scribi possit

licteras recomandigie ev pur te. comunis perusij prout petitum est semel et plur ies
om

L. BRUNAMONTI TARULLI

Nulla sappiamo se, nella dimora che Urbano VI fece in
Perugia per circa dieci mesi, l'Abate di S. Pietro ottenesse
privilegi e concessioni per i suoi religiosi. Certo che molti
e gravi furono i negozi trattati dai cittadini con il Pontefice
(disposto a benevolenza verso Perugia) (1) i quali non man-
‘arono di difendere i propri diritti e di tutelare la propria

recomandando ipsos apud maiestatem et sanctitatem sua ocasionibus antedictis
prout et sicut oportunum. fuerit. Aliquo non obstante... (Anal. decem. 1384, f. 114.).

Da questo documento si rileva come i Priori non fossero solo invitati ad inte-
ressarsi per il canierlengo del monastero di S. Pietro, ma anche per un tale che
desiderava il Vescovato d'Assisi. Chi fosse costui non c'é noto. Anzi ci sembra assai
strano che si facessero premure per ottener questo posto, quando nella città d'Assisi
nel 1384 vi era il Vescovo. Il Pellini scrive che nel 1381 Urbano VI aveva «il Vesco-
vato d'Ascesi messo in persona di M. Aldovrando de’ Michelotti a intercessione et
preghi degli ambasciatori », tanto che Perugia scrisse al Pontefice parole di ringra-
ziamento, come aveva fatto per Francesco Guidalotti. (V. loc. cit. pag. 1259). Nel-
l'elenco dei Vescovi d'Assisi il Michelotti sarebbe il quarantasettesimo ed in alcune
pergamene di questa città é chiamato col nome di Odoguardo e Odovardo. Questi
era figlio di Ceccolino e prima era stato Canonico del nostro S. Lorenzo. Apparte-
neva ai raspanti e nel 1371 fu esiliato insieme a Ceecolo: di Bindolo, al Priore di
S. Maria di Fonte, ed a moltissimi della sua famiglia. Il nostro Aldovrando sicura-
mente nel 1383 si trovava ad esser Vescovo di Assisi, risultando ciò da copia autentica
di un testamento, esistente nell'Archivio priorale di questa città, fatta de mandato
sapientis et discreti viri domini Thomae de Maevania Prioris Sancti Silvestris de
Maevania R. in X. P. et D. D. Odoguardi Episcopi Asisinat. Vicarii generalis. E pa
carta del
l'Archivio suddetto, nella quale é chiamato Odovardo de Michelotti di Perugia.

rimenti continuava nel Vescovato ai 13 dicembre 1384, secondo un'altra

(V. Disamina degli scritti e dei monumenti riguardanti S. Rufino Vescovo e Mar-
tire di Asisi. Asisi an. 1707, pag. 295). Per spiegare come mai altri pensasse ad
avere il vescovato di Assisi, quando ne era investito il Michelotti si puo fare un
ipotesi, del resto assai fondata, che cioé questo Prelato si fosse schierato fin dal 1383
dalla parte dell' antipapa Clemente VII e che per questo fatto il Papa Urbano lo
avesse deposto. Certo che non pochi della famiglia Michelotti aderirono allo scisma
ed Aldovrando fu uno di quelli. Perduto il vescovato si ritirò a vita privata e solo

sotto Bonifacio IX si riconciliò con la Chiesa, venendo da questo Pontefice eletto
Vescovo di Chiusi, poi di Perugia dove morì.

Notisi ancora come i Priori parlando del Papa sentano il bisogno di specifi-
care chi esso fosse, videlicet domino Urbano... E questo perché per Perugia, come
anche per quasi tutta l'Italia, il vero Papa fu sempre Urbano VI « e bisogna dire
che questo burbero pontefice fu umanissimo con noi ». (V. BONAZZI, Storia di Pe-
rugia, vol. I. pag: 493). Il documento da noi riprodotto infine ci induce
rettifica nella Storia del BiNi. Questo A

S.

à fare una
-, Sempre tanto diligente, del camerlengo di
Pietro e di quello che aveva richiesto il vescovato d'Assisi, fa una sola persona,
che stabilisce essere Aldovrando dei Michelotti. Invece come si é visto Aldovrando
non era monaco di S. Pietro e per lui nel 1384 non si scrivono lettere.

(1) Urbano venne in Perugia nell'ottobre del 1387, ricevuto con moltissimo

onore, et pro sua ct suorum mansione pro tune deputavit (cioè la città) Palativm

A Vr in ht IX 0000.
APPUNTI. STORICI, ECC.

indipendenza (1); e non vi ha dubbio alcuno che il Guidalotti
non avesse grande parte nelle trattative corse, essendo stato
per due volte eletto ambasciatore insieme ad altri Perugini,
meno autorevoli di lui, alla Corte papale (2).

Ma le simpatie scompaiono e le benemerenze si dimen-
ticano al ritorno dei nobili fuorusciti, favoriti prima dai
Fiorentini, che nou si stancavano di raccomandarci che si
vivesse uniti, e poi dallo stesso Urbano VI. In vista di nuove
lotte il Guidalotti nel 1388 demolisce il bel campanile del
monastero, forse per consiglio dello stesso suo padre, uno
degli arbitri sopra la guerra, ambedue preoccupati degli eventi,
che incalzano ogni giorno più. L' anno successivo esso non
viene raccomandato alla Corte romana dagli ambasciatori
perugini, inviati per congratularsi col nuovo Pontefice Bo-
nifacio IX successo ad Urbano, mentre lo sono molti ec-
clesiastici, fra i quali Andrea Buontempi Vescovo di Peru-
gia (3), Niccolò Merciari Vescovo d'Orvieto (4) e l'Abate di

Episcopale apud inajorem Ecclesiam, Perusinam, et in Palatia Perusina. Ne ripartì
il mese di agosto del 1388. (V. MARIOTTI, Saggio di memorie ecc., pag. 482).

(1) I Perugini, i quali non si stancavano di ripetere che volevano rispettati i
loro diritti e che nulla si dovesse far mai contra libertatem publicam. Reipublicae
Perusinae, si mostravano soddisfatti del Papa, che aveva dichiarato in iscritto per
mezzo del Cancelliere del Comune, presenti i Priori ed il loro notaro, che rima-
neva ad essi sempre affezionato, confermando i privilegi e le grazie già concesse.
In contracambio di queste cortesie la città stabilisce che omnes et singuli curiales
qui vere morantur vel in posterum morabuntur in civitate perusij, stante in dicta
civitate romana curia, habeantur et tractentur in civilibus et criminalibus causis
pro veris et originavriis civibus, et tamquam veriet originarii cives civitatis perusij.
Gli stessi erano poi esenti, sempre mentre la Corte papale era in Perugia, « solu-
tione pedagiorum.. (Annale 1388, f. 73).

(2) L'Abate Guidalotti (Pellini, loe. cit., pag. 1349) era andato a Lucca per in-
vitare il Papa a venire fra noi, ed a pregarlo à non fare nessuna mutazione nel go-
verno della città. L'ambasciata era composta di 20 cittadini, scelti 4 per porta, ed
il Guidalotti era uno di quelli per porta S. Pietro.

(3) Il Vescovo Andrea Buontempi aveva sempre goduto le. simpatie della città.
E come ora lo vediamo raccomandato al Papa per Fl affezione che nutriva verso la
città sua; così nel 1378 esso è definito selutorem pacifici et popularis status Civita-
tis perusij. Il Vescovo si era unito agli ambasciatori perugini andati a Roma per
rallegrarsi con Urbano VI eletto in quest'anno, e per cercare di concludere la pace
con esso.

(4) Niccolò Merciari perugino era stato canonico del Duomo, poi fu Vescovo di
Città di Castello nel 1375, poi di Orvieto e di Cagli.

e

ITM——M—————— ——————2-

DI

> te;

eerc,——Pr——_r 2

—— —MÀ

|

= = un

p.

—— eir
*r

a :

"

ME

M

L. BRUNAMONTI TARULLI

5. Maria in Val di Ponte (1). Siamo alle prime avvisaglie di
un conflitto non lontano, che ci fanno intravedere come ogni
rapporto sia rotto fra il Guidalotti ed il magistrato della città,
della quale si è impossessato Pandolfo Baglioni, uomo turbo-
lento, nemico accanito dei raspanti, in grandissima parte per
opera sua esiliati. Più tardi si pone mano ai gastighi e lo
Stesso Abate è dichiarato ribelle contra statum et libertatem Co-
munis et populi perusij, perchè si era recato con fanti e
cavalli in aiuto degli uomini di Deruta, che si erano ribellati
(an. 1590) (2). Ed eccoci di fronte ad una lotta aperta ed
accettata da ambo le parti. I Perugini mandano soldati per
ricuperare il castello, mentre il Guidalotti, insieme ad altri
raspanti (e non erano pochi quelli che si erano a lui uniti)
vi si rinchiude ed oppone valida resistenza (3). Ma il valore ed
il numero degli assalitori è maggiore, e Francesco è costretto
a ritirarsi, e rifugiarsi a Casalina, da dove pure si allontana,
perchè anche qui mal sicuro, affidandola a Giovanni di M. Ori-
spolto, acciò la tenesse a nome della Chiesa (an. 1390) (4).
Così vediamo il Guidalotti, per la prima volta, farsi partigiano
palese dei diritti che il Papa vantava sopra Perugia e sul
territorio, più per ragioni di opportunità, io credo, che per in-
timo convincimento e per vera devozione verso di lui, avendo

1) V. PELLINI, loc. cit., pag. 1377.

2) Essendo stati per ordine di Pandolfo Baglioni, che fu l'anima dei tumulti
che afflissero Perugia dal 1384 al 1393, presi ed uccisi alcuni uomini di Deruta (anno
1890), che si recavano in città onde aggiustarsi con i Priori, avendo commessi degli
omicidi, tutto il castello si ribellò « et mandarono subito (i Derutesi per lo Abbate
di San Pietro, cioé per lo Abbate Francesco dei Guidalotti, el quale incontinente ce
andò et entrò dentro, poi ce giunse quasi subito Michilogo dei Michilotti con 200
cavalli et altri e si accamparono a Deruta ». (V. Cronaca del GRAZIANI. pag. 248.

(3) Quei di Deruta si stancarono presto di stare sotto l'Abate, e temendo guai
grossi da parte della città per l'atto di rivolta (aleuni del partito dei Guidalotti che
avevano tentato di entrare in Perugia erano stati sconfitti dai nobili, aiutati valida-
mente da Bartolomeo di Angeluecio di Giacomo degli Oddi detto il Miccia. uomo
audace e battagliero) mandarono a dire ai Priori che sarebbero tornati all obbe-
dienza della città se avessero mandato dei soldati per cacciare i ribelli. E fu così
che venne spedito un forte nucleo di truppe contro l'Abate.

(4) Cronaca del Gu AZIANI, pag. 251.
11
APPUNTI STORICI, ECC.

fno. allora combattuto per il libero Comune, insieme alla
erande maggioranza del partito popolare. I Perugini non
si fidano del nuovo castellano e presa la rocca vi collocano
una buona guardia, tenendola .peró solo per poco tempo,
trovandovi nel 1392 racchiuso nuovamente l Abate con Si-
mone suo padre ed altri fuorusciti, ai danni dei quali si porta
Pandolfo Baglioni ed Andrellino Torta con numerose lance,
i quali peró non riuscirono questa volta niente altro che a
devastare le circostanti pianure, proprietà della mensa ab-
baziale.

. Intanto Perugia, stanca delle gravissime angustie in cui
la ponevano i ribelli, venuti alle porte della città con a capo
Biordo Michelotti ed altri Capitani di ventura, ed i nobili,
divisi fra loro per l'aanbizione che ognuno aveva di coman-
dare, nella speranza di godere maggior tranquillità, viene ad
un accordo con Bonifacio, mediante il quale si stabilisce che
questi dovesse recarsi a dimorare in Perugia colla sua Corte,
dove sarebbe stato accolto come Signore, allo scopo princi-
pale di rimettere in pace i cittadini e sopire ogni rancore (1).
Alla venuta del Papa (17 ottobre 1392), accompagnato da
mille cavalli e da numerosi Cardinali, si riprendono le trat-
tative iniziatesi in Roma da Niccoló di Galeotto Baglione
nobile e Filippo Pellini raspante, e poi sospese, per vedere
se si dovessero riammettere o no i fuorusciti, che ora sono
i popolari, esiliati fin dal 1384. Questa era la controversia piü
grave, gli altri capitoli essendo stati accettati, per risolvere
la quale si fissa come luogo di convegno Bettona (maggio
1393), potendovisi tutti recare con molta comodità (2). I ra-

(1) Fra le condizioni stabilite dal Commissario del Papa, che fu l' Arcivescovo
Tropiense, ed i Perugini prima della venuta di Bonifacio vi fu quella, che tutti i
palazzi della città, quando fosse piaciuto al Pontefice, potessero essere riservati ad
uso suo ed a quello della Corte, come anche il monastero di S. Pietro, luogo salubre
e Drovvisto di giardini. (V. PELLINI, pag. 36, vol. IT).

(2) Il Pontefice aveva mandato ‘i suoi delegati a Gubbio per intendersi con i
fuorusciti. Questi riunitisi nell'Abbazia di Val di Ponte fissarono Bettona come luogo
di congresso. (V. MarIoTTI, Saggio di memorie istoriche, parte III, pag. 506).

j
U
']
BRUNAMONTI TARULLI

spanti inviarono Simone di Ceccolo Guidalotti, Francesco
di Nino Guidalotti (1), Veragino Michelotti, Vannolo di Mon-
nuccio (2); gli altri il Vescovo di Fermo, come delegato del
Papa, Borgaruccio Ranieri e. Pietro di Mastro Paolo, rappre-

sentanti della città. Dopo lunghe discussioni, venuto a man:

care ogni accordo, combattendo aspramente i nobili il ritorno
di tutti i popolari, condizione voluta assolutamente dal Papa,
allora imparziale con tutti, si stabilisce di rimettere ogni cosa
nelle mani di Bonifazio, il quale ordina (20 maggio 1393) che
si condoni ogni pena agli esiliati, senza distinzione di partito,
con molta allegrezza del popolo che crede in una pace du-
revole. Ma la fiducia manca nello stesso Pontefice, il quale
temendo « che si facessero ancora novità » lascia il palazzo
deiPriori (20 giugno), stato finora la sua dimore: , per recarsi in
5. Pietro per passarvi l' estate, dopo aver ordinato che si mu-

nisse il monastero di erandi fossi e di grossi bastioni, che si de-
molisse un’altra parte del campanile, e dopo aver collocata la

sua gente in questo borgo (3). L'Abate, tornato esso pure dall'e-

1) Nella matricola dei conservatori delle monete del 1389 trovasi Z'ranciseus
Nini de Guidalottis auditor. Cambii. Francesco di Nino in questo stesso anno é no-
minato insieme a Niccoló di Galeotto Baglioni, ‘a Petrozzo di Massolo, ambedue del
Collegio della Mercanzia, con Antonio di Giacomo, ad reformandum introitus et e-
«itus comunis perusij et cameras conservatoruam massariorum abundatie salaria
€t ad. alia ordinamenta que ad bonum publicum. cognoscitur opportuna. Nel 1390
invece esso devastava il territorio perugino, prendendo varie fortezze, quali Monte
l'Abate, la Fratticciola, giungendo flno a Ponte Felcino e facendo molti prigionieri.
Un fratello di Francesco, Paoluecio, era stato ucciso dai nobili.

(2) In data 11 aprile 1382 trovasi un mandato di 50 fiorini da pagarsi egregio
Legum doctori Domino Baldo Magistri Francisci de Perusio P. S. P. olim ambaria-
tori dicti Comunis electo per ipsum Comunem una et simul cum nobilibus viris Ni-
colao Ceccolini de Micheloctis, Simone Ceccoli domini Simonis de Gvidaloctis, domino
Nofrio domini Andree de Monte Vibiano et Vannolo Monutti, i quali tutti erano an-
dati ambasciatori a Carlo Imperatore pro bono et pacificu statu dicti. Comunis. Ve-
ragino dei Michelotti, valente guerriero, nel 1390 lo riscontriamo alla conquista del
castello di Pacciano con 290 soldati.

(3) « Adi 17 di novembre (1392) si levó rumore, di cui fu capo Pandolfo Baglioni,
gridandosi: viva la Chiesa e muoiano i raspanti; furon morte sei persone, Il Papa et
i cortegiani ebber paura... Cessato il rumore il Papa avendo sospetto di qualche
nuovo tumulto si partì di palazzo et andò a stare a S. Pietro cireondandolo di gran

fossi e grossi bastioni et la sua gente l'alloggib tutta in porta S. Pietro (V. Cronaca

X 4 Wr i:
13
APPUNTI STORICI, ECC.

silio trascorso nella rocca munita di Casalina, accoglie onore-
volmente, con i suoi monaci, Bonifacio ed i Cardinali, facendo
ora promesse di fedeltà, ed esprimendo i sensi dell'animo ricono-
scente. E nel monastero si recano i fuorusciti a prestare omag-
gio ed obbedienza al Pontefice, prima di entrare in città, ed
ivi si eleggono e si pubblicano i nuovi Priori (1 luglio), che
furono cinque gentiluomini e cinque popolari.

La tregua conclusa fra nobili e popolari ha però breve du.
rata. Il Papa ingannato dai Baglioni, i quali non si stancavano
di ripetergli, che tornati i raspanti la città si sarebbe di nuovo
sottratta al suo dominio, si era pentito di averli riammessi (1).
I nobili, veri padroni di Perugia per circa nove anni, non po-
tevano pensare a lasciarne il dominio, anzi cercavano di raf-
forzarlo con nuovi atti di dispotismo, sperando così di inti-
morire i meno audaci e di tener tutti sottomessi. Un futile
pretesto è causa di una rivolta generale. Tutti prendono le
armi (30 luglio). Si combatte nelle vie, nelle piazze, al grido
di Viva la Chiesa e muoiano i raspanti, a cui si risponde con
eguale ferocia Viva la Chiesa, muoiano i gentiluomini. Acca-
nita è la resistenza che oppongono i belligeranti. Scorre da
per tutto molto sangue. Lo stesso Pandolfo Baglioni è ucciso
vicino alle sue case di Colle Landone, che sono distrutte. Ai
popolari finalmente sorride la triste vittoria, guadagnata con
la uccisione di molti cittadini, Così sono cacciati un’ altra volta

dal 1352 al 1392, pag. 50). Il Mariotti (loc. cit., pag. 521) dice che il Papa si recò in
S. Pietro ai 20 giugno 1393, poiché sotto questa data trova registrato un Consiglio
generale £z» Palatio habitationis et residentie Domini Pupe in domibus Monasterij
S. Petri de Perusio in quadam habitatione et residentia dicti domini Bonifacii Papae
(Annale 1393, fol. 20). A dir vero il consiglio poteva essersi tenuto in quel giorno e.
landata del Papa aver avuto luogo assai prima. Lo stesso Mariotti ritiene che il
bisogno di cambiar aria, essendo Bonifacio caduto malato, avesse spinto questi a
mutar residenza. In questa occasione il Papa volle consultare il valente medico An-
gelo Dominichelli della Pergola, lettore nel nostro Studio fin dal 1382, sebbene a-
vesse con sé il medico di Corte, Franeesco di Fara.

(1) La pace eon i fuorusciti fu conclusa da Bonifacio ai 20 maggio, ma i bandi,
con i quali si ordinava che tutti potessero tornare in Perugia, furono pubblicati solo
piü tardi.

e TN

sirio
BRUNAMONTI TARULLI

i gentiluomini « nel qual tempo regnarono... inganni, rapine,
omicidii, assassinamenti, latrocinii. adulterii, violenze, sacri-
legii e violenze d’ogni male » (1).

Triste spettacolo fu certo quello che si offerse in quel mo-
mento dinnanzi al Papa Bonifazio. Questi, sebbene fosse stato
sopraffatto dagli intrighi dei nobili, che avevano adoperato
ogni mezzo per averlo loro amico e ligio ai propri voleri,
ed avesse manifestato la ferma volontà di avere Perugia sotto
il suo dominio, senza tenere in nessun conto le antiche libertà
statutarie, alle quali con fierezza tenevano sempre i Perugini,
pure si era adoperato a tutt'uomo, in un primo periodo di tem-
po, per comporre gli animi discordi, fino a chiedere aiuti alla
vicina Firenze, nostra alleata ed amica (2), Indignato quindi
dell'accaduto, prima anche che cessino i tumulti, durati ben
quattro giorni, quantunque avesse accolto il padre dell'Abate,
persona sempre molto bene accetta, inviato ambasciatore dal
magistrato popolare per pregarlo a rimanere. colla promessa
che si sarebbe fatto quanto a lui fosse piaciuto, di notte, dal
30 al 31 luglio, si allontana da S. Pietro colla sua Corte per
recarsi in Assisi. In questa città lo raggiungono altri messi,
dei quali é capo nuovamente Simone Guidalotti, che aveva
con se gli ambasciatori fiorentini, venuti fra noi appena eb-
bero avviso di quanto era accaduto in Perugia, nella speranza
di rendere più benevolo il Pontefice. Ma questi non si rimuove
dai suoi propositi. Vive sono le preghiere che eli si rivol-
gono, ed erano forse sincere, poiché anche ora i più dei cit-
tadini volevano una buona volta cessate le ire di parte, che

erano sempre stata occasione favorevole per soddisfare la

(1) V. Cronaca dal 1352 al 1398, pag. 52.
(2) Il Papa aveva mandato a Firenze « messer Niccola da Cannamorta a far co-
noscere il bisogno che aveva di due Savi per far cessar le discordie che travaglia-
vano Perugia. Gli ambasciatori spediti e chiesti in ispezialità furono Tommaso di
Neri di Nippo e Andrea di Niccolò Minerbetti », (V

. nota in Cronaca, del GRAZIANI,
pag. 257).

iai

TT sO Rua tate tei cri anta — S - 7 i
tri ica c SMS TNA JEN. m s, i r4 n 4 Prato. Jh E — - dis APPUNTI STORICI, ECC.

libidine che avevano molti di comandare (1). Bonifazio però
non dà che promesse, e poco dopo scrive ai Priori che sarebbe
tornato solo quando per sicurezza della sua persona il mona-
stero di S. Pietro fosse ridotto a vera fortezza, con una rocc:
ben difesa, dichiarando ancora una volta di voler soggetta la
città e ristretta quell'autorità che il magistrato s'era attri-
buita. Amara risposta per quelli che speravano sarebbero
stati presto dimenticati i gravi fatti accaduti !

Uscito Bonifacio da. Perugia vi entra subito Biordo (9
agosto) con numerosi soldati. Esso addiviene.il personaggio
piü influente e molte terre vicine gli si offrono spontanea-
mente. A lui si da ampio mandato (settembre 1393) per
stabilire un intesa col legato del Papa, che era rimasto
con noi; a lui soltanto il compito di premiare quelli che
pro recuperatione presentis popularis status summis et exqui-
sitis studiis se et sua exposuerunt. Accanto a quest' elenco di
cittadini, dichiarati benemeriti, se ne fa un'altro di ribelli (2)
dei quali, non bastando di condannarne la memoria, si di-
struggono le case ae unquam possit in dictis domibus aliquis
habitare, distribuendosi i beni fra i nuovi padroni, che fino à
poco tempo fa erano stati essi pure esiliati. E Biordo Michelotti
ha la sua porzione e la migliore, sebbene avesse in antecedenza
dichiarato, quando era al confine, che esso desiderava di tor-
nare in Perugia solo per rivedere la patria (3). Le onoranze

(1) V. PELLINI, Vol. II, pag. 51. Alcuni Cardinali erano rimasti dopo il tumulto
in Perugia, e fra questi il Cardinale di Ravenna come legato del Papa. Il nuovo
magistrato per ricordare la cacciata dei nobili ordinò che si dessero in perpetuo in
quel giorno 500 libre di denari ai poveri cella città, da distribuirsi dal Guardiano
dei Frati del Monte.

(2) Si scelsero dei cittadini, fra i quali Simone di Ceccolo, e a capo di tutti fu
posto Biordo, coll'incarico d'indicare i più pericolosi per il nuovo ordine di cose,
onde mandarli a confine. L' elenco compilato ai 17 giugno 1394 (altri erano stati esi-
liati in anteeedenza, cioé alla fine del 1393) é lungo e risulta formato da nomi ap-
partenenti quasi tutti alla famiglia Baglioni. Le condanne furon tanto severe che
poco dopo i conservatori della pace (agosto 1394) in parte le tolsero ed in parte le
resero più miti. (V. Ansidei, loc. cit., pag. 36).

(3) Fra i compensi fissati dalla città per Biordo vi fu il possesso dei castelli di
Montalera e di Renabianca. Le proprietà di Renabianca erano state date dal Comune

ig

P iu

o — WAT.

——— RR

|
i
|
|
|
|

aee TA

>> CU

corner

e
L. BRUNAMONTI 'TARULLI

(an. 1597) che gli vengono rese in occasione del suo matri-
monio con Giovanna figliuola di: Bertoldo di Aldovrandino
Orsini, Signore di Soano, sono un vero. trionfo per il valoroso
Capitano, a cui tutti s'inchinano non solo per le virtü mili-
tari, ma anche per l'alto senno politico che addimostra nel
governare (1). Nessun principe, anche di piü estesi territori,
le ebbe piü spontanee e piü grandi (2). Ma l'invidia, la ge-

losia suscitate per tanta fortuna, il timore di essere un bel
giorno cacciati per sempre dall’ ambito governo della città,
di cui Biordo voleva essere assoluto Signore, spinge non po-
chi, fra cui vecchi compagni d’arme e di congiure, a feroci
propositi contro di lui. I Guidalotti sono ora fra i suoi più
fieri nemici. Francesco di Simone si unisce ad essì ed ai 10
marzo 1598, lasciato il monastero insieme a Giovanni ed An-
nibaldo suoi fratelli, cavalcando silenziosamente sul far del
giorno, per non destare sospetti, si reca nelle proprie case
poste nel Colle di Landone, dove altri lo attendono: Quivi si
prendono gli ultimi accordi e si riafferma con nuovi eiura-

a Oddo Baglioni, che pure aveva goduto i favori e le simpatie dei cittadini. proprietà
confermate a lui in parecchie occasioni.

l) Tra quelli che offrirono doni vi furono i Guidalotti. « L'Abate di Val di
Ponte gli fece un grandissimo dono, et il simile fece l'Abate di S. Pietro: e il figliol
di Simone Guidalotti gli fece un singolarissimo dono ». (V. Cronaca dal ‘1352 al
1398, pag. 52.

2) Biordo era caduto subito in disgrazia di Bonifacio, il quale non si stancava
di favorire i nobili. A dire il vero la città nostra (an. 1394) stava in guerra più che
col Papa coi vari Capitani di ventura, che la;opprimevano e la dissanguavano. Biordo
persuade questi a divenire da nemici nostri amici e difensori. Così fra Perugia,
Brandolino ed il Broglia, valenti condottieri. si stabiscono dei patti quanto mai
onerosi per noi. Scaduto il tempo della ferma, le convenzioni non si rinnovano ed
i Priori sono costretti, per trovare altri soldati da opporre ai difensori del giorno
innanzi, di metter tasse nuove. Tristissime sono le condizioni di Perugia che trova
un po' di sollievo nella pace che concluse col Pontefice (an. 1396). Agostino Vescovo
della città successo nel 1391 ad Andrea Buontempi, Simone di Ceccolo Guidalotti e
Pietro Angelelli furono gli incaricati a trattare il diffieile negozio. Essi spedirono
lettere da Roma per mezzo di corrieri, dalle quali si apprese che la pace era con-
clusa fra il Papa e Biordo. I Priori ordinarono che al corriere del Pontefice spedito
dal Vescovo si dessero 15 fiorini d'oro, a quello spedito da Simone di Ceccolo 5 lio-
rini. (18 marzo 1396. Annale 1996, f. 64, t
la patria sua.

J. Nuove benemerenze del Guidalotti verso

4.3 4 Wr ix 3t!
APPUNTI STORICI, ECC.

ru
menti il truce proposito di uccidere il Michelotti. Si discute
per stabilire l'ora più opportuna onde compiere il misfatto e
si conviene che miglior cosa era sorprenderlo quando la
maggior parte dei Perugini si trovavano in chiesa ad ascoltare
la predica. A gruppi si allontanano i congiurati e per vie tra-
verse si conducono nel monte di Porta Sole alla casa di Biordo,
dove, tutti simulando sensi di amicizia, lo circondano inerme
e lo ammazzano (1). Alla notizia di un delitto così efferato un'on-
da di sdegno, una sete ardente di vendetta invade gli animi
dei cittadini. Ogni speranza che il popolo si unisca ai congiu-
rati, che gridano nella piazza « è morto il tiranno », si dilegua
in un baleno, ed Andreucciolo della Stella uno di loro, rima-
sto nella piazza per suscitare il tumulto, sbigottito fugge verso
S. Pietro, dove l'Abate insieme agli altri si erano già rifugiati.
Quivi ciascuno è in affannosa attesa degli eventi. Ma gli au-
tori del delitto vedendo le proprie case in preda alle fiamme e
ritenendosi mal sicuri nel monastero, che pure era un luogo
ben difeso (2), vanno a racchiudersi a Casalina. Intanto nella
città è un ripetersi continuo « muoiano li traditori, ammazza,
ammazza li traditori », E si va in cerca « per lo Abate et
per gli altri Guidalotti per volerli occidere et tutti corrono

(1) Tutti i cronisti descrivono con vari dettagli il delitto commesso, per il quale
generale fu l'indignazione, anche perché i Guidalotti erano uniti a Biordo oltre che
da vincoli di grande amicizia anche da quelli di parentela. « Era comune opinione
che a questo tradimento avesser tenuto mano moltissimi cittadini et si mormorava
che si fusse ordinato di farlo in S. Pietro con occisione di molti altri». (V. Cronaca
come sopra, pag. 59).

(2) Altre notizie della trasformazione del monastero in luogo munito si hanno
nel 1398, in cui si sa che il campanile era divenuto una specie di forte, a custodia
del quale vi era un castellano, nominato dai Priori. Ecco il documento. An. 1398
a dì 5 novembre. Promissio et fideijussio Castellani Campanilis S. Petri. Andreas
Iacobi de Perusio de Porta et Pavochia S. Petri futurus Castellanus Campanilis S. Petri
pro tempore wnius mensis cras incipientis et finientis ut sequitur constitutus coram
prudentibus viris Christoforo Angeli et Martino Bartolini duobus ex DD. Prioribus
supradictis et me Philippo q. S. Bernardi N. infrascripto... pro Dno Comuni pro-
misit dictum Campanile et eius possessionem tenere custodire et salvare pro Comuni
Perusiae bene legaliter et sollicite toto tempore praedicto et dicto tempore durante
et in fine dicti mensis dictum Campanile in possessionem ipsius dicti Communis et
eius successoribus etc. restituere etc. (Annal. decem. 1398, f. 194 t.)

i x E

rr —r——-@—_—____m@ucr

mm M PX

|
|
gon

"d

gr";

— tr
1 "m

L.

BRUNAMONTI TARULLI
18

verso le case loro li al Colle de Landone et alle case delli
loro seguaci » che sono distrutte. Molti si recano a S. Pietro
che si saccheggia e s'incendia « a ciò che non ce Stesse più
Abate » (1). Pareva che fosse ciunto l'ultimo giorno per la
Badia, e non è a dire quale cuore avessero i poveri monaci
dispersi e perseguitati, A tanta rovina aveva condotto il par-
teggiar furioso di Francesco Guidalotti « che mosso da in-
vidia et da desiderio di far se grande con l’ altrui rovina, si
mise nellanimo di uccidere Biordo et dare la città di Pe-
rugia in mano al Papa, sperando per questa strada di esser
fatto cardinale » (2). I/Abate scampó dalla morte con la

l) Biordo fu ucciso la domenica mattina del 10 marzo. « I

ja domenica. et el lu-
nedì sempre si rubbò grano e biada alla

badia di San Pietro et il martedì ce fu
- però che diceyano se trovava in scripto che più volte nella dicta Ba-
dia ce sono stati

messo fuoco..

ordinati tradimenti contro de lo Stato de Peroscia e

t però ce fu
messo fuoco per tutto salvo nella Chiesa.

Et martedì che fu a di 12 del dicto fu de-
terminato di scarcare la rocca di Santa Apolenare quale era de la dicta jadva ».
(V. Cronaca del GRAZIANI, pag. 263). Questa rocca era nei possessi che costituivano
il priorato di S. Apollinare, beneficio, come si é detto altra volta, dipendente da
S. Pietro.

2): V. Cronaca del GRAZIANI, pag. 263. Nessun documento prova una intesa qual-
siasi, anche la piü lontana, tra Bonifacio e l'Abate Guidalotti nel

delitto da questi
commesso. Anzi

risulta che ii Papa appena avuta notizia dell’ accaduto
M. Francesco da Montepulciano, antico Cance
tario particolare del Pontefice

inviasse
lliere della città (an. 1393) e poi segre-
; per condolersi della morte di Biordo. Un altro compito
aveva anche il messo papale ed era di rammentare ai Perugini, che solo quando
fossero tornati ad essere suoi sudditi ubbidienti e fedeli, ]

à pace interna della città
avrebbe durato lungamente. 1

2 anche vero pero che. i Guidalotti dopo l'assassinio
commesso nulla perdettero delle simpatie che godevano presso la Corte papale. Così
jonifacio spedisce una bolla in data del 1398 con cui l'Abate
rizzato a rilasciare dei salvacondotti, medi

vediamo che 1 é auto-
ante i quali i privilegiati potevano recarsi
loro piaciuto. Più tardi, conclusa la pace fra il P
un breve a favore

dove fosse ontefice e Perugia, invia
dei Guidalotti, lamentando: in esso che si era, contro le
fatte, di nuovo proceduto contro di costoro,
duti dall'Abate

promesse
danneggiando i beni di Casalina (go-
Francesco Guidalotti) e quelli di altri suoi fedeli:

ingiungendo
che se non si desisteva dalle

ingiurie e se non si risarcivano i danni, Bonifacio: a-
vrebbe preso delle:severe misure. Le minaccie, à dire il vero, non incutono gravi
preoccupazioni, tanto che con una nuova Bolla a pochi mesi di distanza (ottobre
1399) si fanno vive preghiere (nuovo mezzo ora adoperato per raggiungere lo scopo)
perché con l’Abate, coi fratelli di lui e con altri fuorusciti, si concluda 1
caricando Marino Tomacelli, «

scordie. Con tutto questo i P

à pace, in-
castellano della rocca ‘di Spoleto, a comporre le di-
erugini conservano sempre un. odio feroce contro tutti

gli uccisori di Biordo. Nella decisione presa di porre la città: sotto il dominio dei

iI SIA PIA
APPUNTI STORICI, ECC.
19

fuga, insieme ad alcuni dei suoi, ma tutti furono condannati
in ere et persona, e le loro effigie dipinte ad portas et ad po-
stribulum. i

Toccò ad Oddo di Fazio della famiglia dei Graziani,
eletto Abate circa il 1400, il compito tutt'altro che facile di
restaurare il monastero dai danni sofferti e di rinfrancare
gli animi dei monaci sbigottiti. Nei gravi e tristi momenti
in cui Francesco Guidalotti si trovava ad essere tanta parte
delle congiure cittadine, il Graziani non era semplice monaco,

ma sindaco e procuratore, deputato a riscuotere dalle chiese

i dovuti tributi; alti uffici che attestano la stima che godeva
presso gli altri religiosi. In poco tempo si pone mano ai ri-
medi più urgenti per il volere concorde di tutti, avendo i
Priori ordinato che si restituisse quanto era stato tolto nel
saccheggio, ad eccezione dei beni dei Guidalotti che rimane-
vano sempre confiscati; ed essendosi ottenute da Bonifacio
bolle di scomunica per coloro che erano in possesso delle
proprietà .del monastero, delle scritture, dei codici rubati.
Magro compenso a tante sventure, dovute niente altró che

alle discordie interne! E cosi alla tempesta succede la calma, -

che dura lungamente correndo ora buon sangue fra il Co-
mune e l'Abate, specialmente perchè questi è nelle. grazie
dei popolari (1). i

La lotta peró continuava sempre fra i Perugini ed il
Papa. Gli accordi stabiliti in Roma, dove si era conclusa la
pace tra « el Papa ed il Comune di Peroscia » (an. 1399)

non avevano prodotto effetti benefici durevoli; tanto che il.

magistrato credé cosa buona di spedire ambasciatori al Duca
di Milano cum arbitrio et potestate plenissima faciendi perpe-

Visconti, si stabilisce che questi non dovessero mai restituire i beni confiscati ai
Guidalotti, e parecchi anni dopo l’uccisione di Biordo, tornato Annibale Guidalotti
in patria, viene accolto assai male, tanto che « molti pochi citta ini usavano né
volevano usar con lui». (V. Graziani, pag. 308). j

— (1) M. Paolo dei Graziani di porta S. Pietro e Matteo di Pietro dei Graziani
sono inearicati di difficili missioni per conto del Comune, in varie epoche.

nac vosesun oes mcs MU IODICE EMEN UAN NAS RAN UIS TES NE SUIS SE star Oi n LUE Qr Stato SS vere T d

— MÀ

m

di
Ri,
n"
H
|

ì
(B
t

1
|

= =

coon cre
as

"Y

a allea. — è
SUSE
A.

mei

1,

uU

n

L.

BRUNAMONTI TARULLI

20

trandi et concludendi omnia et singula que ad statum wnionem et
preservantiam utilia seu necessaria fare cognoverit quovis modo.
Questi i primi indizi del prossimo accordo fra Perugia e
Gian Galeazzo Visconti, che aveva mandato in mezzo a noi
persone a lui fedeli per trarre dalla parte sua molti dei ra-
spanti. Ceccolino Michelotti subito si dié a fare grandi pro-
messe, per conto proprio e degli-amici suoi, al Duca, aeli sti-
pendi del quale era stato come soldato, mantenendosi anche
di poi, secretamente, partigiano suo ardente. Si spesero molti
denari: « tazze d'ariento e altri gioielli assai » insieme a
molti oggetti si offersero in dono per corrompere i cittadini.
A dire il vero però non in tutti rimaneva sopito l’amore al
natio loco. Furon pochi, ma pur ve ne furono di quelli che
nel generale consiglio (19 gennaio 1400) tentarono di prote-
stare contro la proposta fatta di dare la città al Duca di
Milano « che sempre la terrebbe in pace, e in buono stato e
grande ». Si era cercato d' insinuare negli animi di tutti che
da questa sottomissione un’ era di pace, apportatrice di grandi
prosperietà sarebbe a noi venuta, ma quei coraggiosi « consi-
gliaro e dissero, che a loro pareva che per la loro cittade fosse
miglior consiglio quello che diceano gli ambasciatori Fioren-
tini che allora erano in Perugia, li quali consigliavano. che
li Perugini si reggessero a libertà, come grande tempo ave-
rano fatto; e diceano che la città reggendosi a libertà sa-
rebbe stata buona terra e laudabile reggimento; e ancora
diceano e prometteano loro gli ambasciatori Fiorentini che
se si reggessero a libertà che il comune di Firenze gli aiute-
rebbe e difenderebbe con tutte le loro forze da ogni persona ».
La forza però di resistere validamente mancò infine anche
ad essi. Ebbero « paura dei maggiori », ossia dei più e vedendo
che inutili rimanevano i loro tentativi ben presto « tacet-
tero ». Pochissimi altri consigliarono di darsi al Papa « ma
poco funno uditi ».(1) Così fu deciso di sottomettersi al Si-

(1) V. Cronaca del Graziani, in nota pag. 275.

Ci | A_II Rio PI

Tata

AN APPUNTI STORICI, ECC. : 21
gnore di Milano, venendo ogni avanzo d'indipendenza in tal
guisa distrutto dagli stessi cittadini, i quali piuttosto che ve-
nire ad un intesa coi ribelli antichi e recenti, Perugini essi
pure, e dividere con loro un potere effettivo, sacrificarono la
libertà della patria ai rancori di parte, contentandosi di con-

servare sopra di essa niente altro che una parvenza di do-

minio. Ed al nuovo Signore mandarono in.dono uno stendardo
colle armi del Comune ed una spada d’argento in segno di
dipendenza, dopo aver consegnato le chiavi ed il sigillo
della città (1).

Bonifacio, preso da forte sdegno per la dedizione di Peru-

gia al Visconti, addivenne aperto sostenitore dei nobili esiliati.
Nuove speranze, nuove energie tornarono allora negli animi
di costoro, che, uniti à Giannello Tomacelli, fratello del Papa,
Capitano generale delle genti della Chiesa ed ai soldati spe-
diti contro di noi da Firenze, nemica della potenza del Vi-
sconti, « assediarono la città intorno si che non poteva uscire
persona », prendendo molti castelli (2 ottobre 1402).

I monaci sgomenti della nuova -bufera che stava per
scaricarsi sopra la città, temendo assai anche per loro stessi,
devoti come erano alla maggioranza ché ne reggeva le sorti,
avevano già scelto (2 maggio 1402) un protettore nella persona
del Cardinale Angelo dal titolo di S. Lorenzo in Damaso, dando
al medesimo una pensione di 40 fiorini d’oro. Tuttavia ciò non
è sufficiente per porli completamente al sicuro ed il Gra-
ziani, perchè bene viso al partito popolare, è privato, insieme
ad altri ecclesiastici, dei beneficî, che non gli vengono resti-
tuiti se non dopo l’intesa conclusa fra Perugia ed il Papa

(an. 1403) (2).

(1) V. ANSIDEI, loc. cit.

(2) Fra i capitoli di pace fissati con Bonifacio vi era che si dovessero resti-
tuire tutti i benefici, prelature e dignità tolte dai Priori ai fedeli seguaci del Papa
(non erano state poche le deliberazioni prese durante la guerra da parte del magi-
strato cittadino contro costoro), dal 1399 al momento dell'accordo (an. 1402). Il Pon-
tefice da parte sua annullava tutti i processi e le sentenze emesse contro M. Oddo
Graziani Abate di S. Pietro e contro l'Abate di Marzano (V. Pellini, pag. 140). Inoltre

VIP NES Aca
=: =

i D—————— A I

à

mpm

US

« ei

^

—— ennt

ENEMWENMCscu

Eu

CR
[E $a

4

|
L
è
i
:
i
Za BRUNAMONTI

L. TARULLI

Così anche i nostri respirarono, traendo anzi maggiori van-
taggi dalla ratifica delle convenzioni stabilite con la città,
ratifica che ebbe luogo (an. 1405) sotto Innocenzo VII, suc-
cesso a Bonifazio, col tornare in possesso di alcuni loro beni
tenuti fino allora dalla città. Curiose condizioni di quei tempi,
specialmente per i chierici, i quali, se parteggiavano per il
Comune in guerra col Papa, venivano da questi privati dei
propri beneficî, se si mostravano a lui favorevoli erano pu-
niti dal magistrato cittadino.

Delle buone disposizioni dei monaci verso Perugia i Priori
sì mostrano sinceramente riconoscenti, e come premio della
loro fedeltà accordano sussidî in denaro, non potendo essi da
soli sostenere urgenti spese per i restauri del monastero. E
si noti che lo stato finanziario della repubblica era gravissimo
al punto da non aver mezzi sufficienti per pagare i lettori
dello Studio (1), il quale fu sempre oggetto, anche nei periodi
i più burrascosi, di cure speciali da parte di tutti. L’ inte-
ressamento dei capi della città verso il monastero da ora
innanzi prosegue per lungo tempo ininterrotto. Così volendo
i religiosi nel 1406 chiedere al Papa di relinquere et depo
nere habitum pannorum mnigrorum quem munc ferunt et adsu-

fra Perugia ed il Papa fu convenuto quod studium manutenere debeat in Civi-
tate Perusij cum salariis et expensis consuetis secundum formam. statutorum |. Ci-
vitatis predicte (Annale 14)3, f. 173 t.). Nel 1400 omnes studentes tam. cives quam
forenses se assentaverunt timore eptdemie. Cessato questo pericolo eran tornati gli
scolari a frequentare le nostre scuole.

(1) Ai 7 settembre del 1403 fu stabilito nel Consiglio generale quod doctores
Perusini conducti ad legendum in Civitate perusij non habeant salarium. et ab eis
tollatur salarium pro uno anno et pro tempore unius anni, ed anche per un tempo
maggiore se avesse continuato la guerra col Papa. Nel 1411 trovasi una analoga de
liberazione, colla quale si ordinava al tesoriere della comunità che per sop
perire alle spese occorrenti si togliesse il salario assegnato « pro Aoc anno
Doctoribus, medicis, aliisque Civibus ad legendum. conductis per sapientes studij pe-
rusini per formam statutorum et ordinamentorum dicti Comunis Perusji, salario
tantum magistrorum Grammatice et Abbaci tantummodo excepto. Gli interessati
convennero intorno a quello che aveva deciso il magistrato, nominando alcuni loro
rappresentanti în actores factores et certos nuntios speciales presentes et acceptantes
ad consentiendwm suprascripte legi et ordinam. fact. per Priores et Camera-
rios de salario eorum, et cuiuslibet eorum et ipsam legem et ordinamentum ratifi-
candum... Quanto amore di patria in ogni classe di cittadini !

X. 34 Wr vx 5^4.
APPUNTI STORICI, ECO. 23

mere et se induere de panno coloris biffi, quod ipsorum, antecesso-
res portari fuerunt hactenus consueti (1) si rivolgono ai Priori,
i quali promettono il loro appoggio, che si concede parimenti
nello stesso anno per un altro oggetto che non conosciamo,
essendosi decretato in ambedue le circostanze quod scribi
possit et debeat pro parte dominorum priorum et camerariorum
artium civitatis perusij in servitium ipsius domini Abbatis do-
mino nostro pape et suis fratribus cardinalibus et camerario suo
in forma utili et honesta recomandando ipsum (cioè l'Abate)
prout melius fuerit opportunum... È poiché era stata avanzata
rispettosa domanda nell'anno successivo (an. 1407) pro parte
venerabilis ac egregii decretorum Doctoris Domini Gausparris Mo-
naci monasterii S. Petri de Perusio, onde si scrivesse al Ponte-
fice ed ai Cardinali pro conseguenda dignitate Episcopatus Ari-
miniensis, si stabilisce di inviare commendatizie alla Corte pa-
pale, attestandosi che questo monaco concivi nostro è multis
iustis a nobis et ab hac tota Comunitate de causis predilecto,
aggiungendosi che il medesimo era diu et nunc actu legenti
famosissimi in hoc... Studio perusino (2). Ed ecco che da questo
particolare vien fuori la prova della continuazione della buona
tradizione degli studi fra i monaci di S. Pietro, anche in quei
tempi calamitosi.

Sebbene l’opera dell'Abate Graziani sia lodata dalla città
ed additata al Pontefice Martino V per essere encomiata
(an. 1428), pure continua la cattiva amministrazione del mo-
nastero, i monaci dissipando le rendite e giovandosene nel
proprio interesse. Eugenio IV, successo all’ altro nel 1431,
aveva pensato di dare in commenda l'Abbazia, punendo così
quei religiosi, ai quali si toglieva un diritto, a cui tenevano
moltissimo come segno della propria indipendenza, quale era
quello di scegliersi il proprio capo. Neanche questo però era
il rimedio più adatto, perchè in S. Pietro tornassero tempi
migliori, come tutti desideravano con sollecite brame. For-

(1) V. Annal decem., 1406, fol. 3.
(2) V. Annal. decem., 1407, fol. 7.

n-——————P'—

——

TEE gum. OLO, INTE ZEB:

|
|
|
|
I

ont men i o

==

m —À— c

Sa

snai
DA L. BRUNAMONTI TARULLI

tunatamente il Papa muta consiglio, forse per le premure del
magistrato cittadino, che ben sapeva quale destino fosse ri-
serbato alle chiese ed ai conventi passati in mano di per-
sone estranee. Non si evitano però le riforme, sebbene si fac-
cia ogni tentativo per impedirle, volendo i Perugini che nel
monastero nulla sia cambiato di quel regime, con cui i mo-
naci si erano governati per tanti anni. Dai Priori si era
fatto di tutto per soddisfare questi desideri, inviandosi, tra
l'altro, Polidoro Baglioni, personaggio assai abile nel maneg-
gio degli affari e caro al Pontefice, alla Curia romana, per di-
fendere gli antichi privilegi dei monaci (1). Il Papa intanto a-
veva già nominata una commissione, composta di Alberto degli
Alberti Governatore di Perugia e di un Vescovo domenicano,
coll'incarico di visitare e di riformare S. Pietro in capite et in
membris... cum pleno mandato disponendi tam de statu Monasterii
quam de persona Abbatis et Monacorum eiusdem ut in dictis litte-
ris plenius dicitur contineri (2). Costoro appena eletti si erano
posti all'opera, prendendo il Vescovo dimora entro il convento
a ‘spese. dell'Abate « et dice che questo vescovo aveva el
mandato dal Papa de privarlo della badia, et anco auctorità
poterlo refermare, peró che questo Abbate era stato acu-
sato in corte che tractava male la badia; et cosi stando in
5. Pietro regulò alcune cose e fra le altre fece e concesse
che li monaci potessino portare la capuccia, derieto che prima
andavano come fosseno scolari (3) ». Inutili quindi riuscirono
le difese del Baglioni, il quale, fra le altre cose a discolpa dei
monaci, riferì che il magistrato li sapeva insieme all’ Abate
diffamati e che non era vero che il Graziani avesse menato
« vita incontenente e disonesta, ancho è manifesto el con-
trario che l'ha tenuta honesta quanto Prelato veruno altro

(1) Eugenio IV, poco tempo dopo la sua elezione, in data 30 maggio 1431, seri-
veva al magistrato perugino di aver incaricato Polidoro Baglioni di alcune commis-
sioni, aggiungendo che la città dovesse ubbidire a quello che avrebbe ordinato il
delegato papale.

(2) V. Appendice, doc. XLV.

(3) V. Cronaca, del GRAZIANI, pag. 406.

41.3 4 Wr i-e 4*
APPUNTI STORICI, ECC. È i 25
già lungo tempo sia stato in questa Città », mentre, « i pre-
dicti Monaci nel habito e nella vita loro se offeriscono re-
ligiosamente et honestamente vivere e servire nel dicto mo-
nasterio ne i divini offitii come se conviene a Religiosi » (1).
I cambiamenti introdotti dai commissari papali produs-
sero invece subito effetti benefici. i
Gli spiriti infiacchiti si sollevarono, ridestandosi nei mo:
naci nuove energie, che pareva fossero spente - per. sempre.
Cessarono gli attriti e le discordie interne. Non si parteggiò
più o per l’una o per l’altra delle fazioni, in cui era divisa

sempre Perugia, ed ogni pensiero fu rivolto alle cure interne .-

del monastero ed in particolar modo alla chiesa. « Adi 21
de decembre (an. 1436) de vienardi, in San Pietro, fu ‘levato
lo altare grande che era de fuore dalla tribuna, e nella tribuna
era el coro... », rinvenendosi in questa demolizione « li ossa
de Santo Stephano e de Santo Pietro Abbate », le quali furono
messe «in un altare dirieto al coro, nel mezzo fra le colonde
del ditto coro, e di là e de qua le inmagine de 5. Pietro e
de S. Pavolo arlevate » (2). Questo il principio delle opere di

abbellimento e d'ingrandimento ordinate dai nostri benedet- -

tini, continuando essi anche in seguito a rendere più son-
tuoso ed elegante il loro tempio e la loro dimora, col chia-
marvi sempre maestri famosi in architettura, pittüra, scultura,
scelti fra i migliori, i quali lasciarono ricordi imperituri del

proprio valore, specialmente nel cinquecento, in cui raggiun--

sero la piü grande perfezione. Non fu certo merito esclusivo

delle riforme se la Badia di S. Pietro rimase popolata di

monumenti di pregio grandissimo. Eravamo giunti in questo
momento « per una specie di lenta e inconscia elevazione
delle plebi a concepimenti di : bellezza », ad un periodo in
cui gli artisti producevano senza sforzo, raccogliendo gli

(1) I Perugini rimasero alla fine soddisfatti dei provvedimenti presi da Euge-
nio IV. Ciò risulta da una Bolla inviata pochi mesi dopo, cioè nell’ agosto 1436, ai
Priori di Perugia. V. Appendice, doc. XLVI.

(2) V. Cronaca del GRAZIANI, pag. 410.411,

pre S P TU

per re

i
[!
|
N ia
* f
|
i
*
|
1
]
|
$

NR oae nti
26 i. BRUNAMONTI TARULLI

elementi abbondanti ed omogenei dell arte (1) vivendo
molti di questi grandi nell’ Umbria e più specialmente in
Perugia, alcuni anche non paesani, venuti da altre regioni,
dove il movimento artistico era stato più sollecito che da
noi. Ed il gusto e l' entusiasmo per il bello andavano adagio
adagio insinuandosi negli animi di tutti i cittadini, i quali
chiedevano a questi forti ingegni nuovi lavori per decorare
la propria città, le proprie chiese. La quiete ed il raccogli
mento, imposti dalle nuove costituzioni, quindi non fecero
altro che portare un più valido aiuto, perchè le diverse forme
dell’arte giungessero nel nostro S. Pietro ad un massimo
di sviluppo, contribuendovi direttamente i monaci, sia col-
leseguire alcuni lavori, come col presiedere ad altri con
fine sentimento ‘artistico, riconosciuto in essi dagli stessi
sommi maestri, con cui si trovavano in comunione di pen-
sieri e d’ ideali da raggiungere.

Ed anche ora si pensa al campanile in modo particolare,
chiedendosi al Comune aiuti in denari per gli opportuni re-
stauri. Nella domanda, che a tale scopo l'Abate don Luca di
5. Benedetto di Firenze rivolge ai Priori nel 1463, non si fa
menzione delle condizioni in cui esso si trovava, accennan-
dosi solo che gravi danni aveva riportato dai fulmini, insi-
stendosi sulla necessità di porvi riparo con sollecitudine (2). È
certo che fino a tutto l'anno 1399 il campanile era stato in
mano della città, come luogo di difesa, o meglio come luogo
di vedetta, dal quale potevansi ben scoprire i nemici che si
fossero avvicinati, riscontrando che anche in questa epoca i
Priori ex omnibus arbitriis eisdem dominis prioribus concessis vel
ac tributis super custodiam dicte civitatis et super presevationem re-
bellium et super conservationem. boni pacifici et presentis status ci-
vitatis perusij... elegerunt nominaverunt et deputaverunt ad ‘custo-
diendum dictum campanilem Sancti petri pro uno mense proxrime
venturo fideles cives... dei quali nell' Annale si riportano i nomi (1).

(1) V. MARIA ALINDA BONACCI BRUNAMONTI, Discorsi d'arte, pag. 12.
(2) V. Annal. decem., 1463, fol. 86.

41. 3 4 Wr i A 0 0.
[E
-

APPUNTI STORICI, ECC.

Per gli anni successivi mancano altre nomine ed altre notizie,
il che fa pensare che il campanile venisse restituito ai monaci,
i quali lo avranno ridotto, alla meglio, all'antico uso. Ma non si
puó affermarlo con certezza dovendosi giungere al detto anno
1463 per riuscire a saperne qualche cosa di ben sicuro. Ottenu-
tasi una risposta favorevole, l'Abate invia incaricati speciali «a
Choragnano per aver consiglio de lo Campanile » da Pietro
da Firenze. Questi si reca a Perugia non solo per dare istru-
zioni intorno a quello che si doveva fare, ma anche per of-
frire il disegno, ricompensandolo i monaci lautamente « per
sua faticha quando venne da choragnano a qui ».

È probabile che i lavori, eseguiti da un altro fiorentino
Giovanni di Betto, maestro di scalpello, s' incominciassero su-
bito, trovandoli condotti. à termine nel 1468. I due artisti do-
vevano essere vecchie conoscenze dell'Abate don Luca, il
quale, consapevole del valore di ambedue, li aveva chia-
mati per restaurare un monumento, a cui i monaci tene-
vano sempre moltissimo, riuscendo di grande ornamento alla
chiesa ed al monastero. E la scelta, a dire il vero, non
poteva essere migliore, tanto che ultimata la fabbrica, ese-
guita con sollecitudine e riuscita di generale soddisfazione, si
pensó di gratificare il capo mastro col dargli oltre al « suo sa-
lario di mesi 5 a ragione di duc. VII doro al mese che lui a
lavorato con dui altri garzoni ... ducati 2 di chortesia per li
suoi buoni portamenti et hutilità fece al monasterio », e tutto
questo « per mandamento dell'Abate », ricompensandosi lo
stesso Giovanni di Betto con « duc. 4 '/, per le Spese quando
venne da Fiorenza a qua per lavorare » (2).

Cosi tornó a dominare l'umbra valle laguzza piramide,
avente sulla cima non più una statua dorata, ma una sem-
plice palla di ferro, sormontata da una croce, e la figura
snella di tutto il campanile si rivide ai fianchi del tempio, aven-
dovi i monaci spesi ben 4000 fiorini d'oro, di cui 1400 ricevuti

(1) V. Annal. decem., 1399, fol. 158.
(2) V, Cenno storico ecc, in L’Apologetico ecc,

Pi
— iw
#

E

, "
sd atl ig md — À À— — M a ire

culi e irem NIU GI cri

4^
d

v e RÀ s

:
"|
i

i

|

,

Á

P
A

1
1

A
d I

IU

L
n

è SL

occasion

i

V Co e a M ai lu à rtr

vr

ii s
98°
28 L. BRUNAMONTI TARULLI.

in prestito dal Comune, che li riebbe eritro tre anni, riscuo-
tendo in correspettivo un'adeguata quantità di grano (1).

TRASLAZIONE DEL CORPO DI S. ERCOLANO. — Dipinto del Bonfigli nella Cappella
dei Priori. — La facciata della chiesa di S. Pietro é quella con il portico, avente
a lato il campanile.

Il campanile così restaurato, anzi si potrebbe dire quasi
completamente rifabbricato, lo troviamo insieme alla facciata

(1) Dopo il 1468 il campanile non subì più mutazioni d'importanza che alte-

‘rassero l’opera compiuta dai due artisti Fiorentini. {Quello che si fece fu solo per

conservare il bel monumento, che poté giungere in tal guisa fino a noi. Così nel vici

em cx

, ^ 7
——mÜ pi E n ny

APPUNTI STORICI, ECC. 29

li

della chiesa, a tempî, palazzi, attualmente o non più esistenti, o
nella massima parte deturpati, in un affresco, rappresentante
il trasporto del corpo di S. Ercolano a S. Pietro, situato in una
piccola porzione di parete vicino alla finestra sinistra della
Cappella dei Priori del palazzo comunale e che io ho ripro-
dotto, perché il lettore abbia sott'occhio questo nuovo monu-
mento, certo non inferiore per eleganza all’ altro, eseguito ai
tempi di Ugolino Vibi, di cui parimenti ci siamo occupati.

Benedetto di Bonfiglio, ammirato per la potenza dell’ in-
gegno e per la bellezza dei suoi lavori, eseguiti in patria e
fuori; e che ebbe la fortuna di essere stato in Perugia il primo,
se non il solo, maestro del sommo Pietro Perugino, è autore
dell'affresco. In tutte le epoche i nostri maggiori si erano dati.
premura, perchè la dimora del magistrato cittadino fosse
quanto mai splendida ed anche dopo aver condotto a termine
la costruzione del nuovo palazzo comunale, qualche cosa si
fece sempre, continuando a decorarlo sia internamente come
al di fuori. Così ai tempi del Bonfigli i Priori avevano deciso
che la loro Cappella, che non doveva più col tempo esser
cambiata di posto, si adornasse con belle pitture, come si
conveniva ad un luogo, dove essi si adunavano assai di fre-

E

"
ed anti tit ctm —À e — M

———————
b

SISSI TIGE. cabra Nes im at
n dA
q

P m pM DI

1498 essendo stato gravemente danneggiato da un fulmine i monaci decisero di
spendervi molti denari per ripararlo. Fu in questa occasione che.si stipulò un
contratto (an. 1513) coi fornaciari maestro Pietro di Pietrino e maestro Appolonio
detto Calabria, i quali promiserunt et convenerunt reverendis pp. dopno placido de
padua hodierno patri abbati et dopno Ioanni de-arbi cellerario dicti mon. S. P. or-
dinis S. Benedicti. congregationis cass. alias S. Iustine ... pro facendo fabbricando et
costruendo campanile dicti monasteri ... laboreria de terra cotta invetriata ab uno
latere coloris albj viridj giallj et azurj bonj optimj et finj coloris ad usum bonj
axrperti magistrj facta laborata bene conducta. stasionata et copta ... videlicet 2000
piede de quadre invetriate da una banda de più colori — 300 piede de quadre de
altra sorte invetriate da una banda — 120 bechetelli invetriate bene copte colorite
de più colorj dove bisogna — 140 piedi de cordonj invetriate e colorite di pii colori...
Sembra però che questo progetto non venisse eseguito perché i mattoni non riu.
scirono bene. Allora i monaci incaricarono nello stesso anno un altro capo mastro
Biagio Allovigi, che fini di restaurare il campanile nel 1514, anno in cui Pompeo di :
Anselmo pose sulla,cima della guglia-la palla e la croce dorata. Nel 1718 minac-
ciando rovina tutta la torre fu consolidata con forti fasce e ‘chiavi di ferro e nel 1788
armata di parafulmini (V. Cenno storico ecc. in l'Apologetico ecc.).

E E s È
A i
alot ie

= a m

=>

Sr

n ni

Aere gi tp e SAS

E

d

EGMAELLLLLLLLLLLSGLAAALLLORGiiniil C o ———

30 L. BRUNAMONTI TARULLI

quente, oltre che per pregare, anche per prendere importanti
deliberazioni nell' interesse della patria. Ed a questo artista,
primo fra quelli che erano in Perugia, con deliberazione in
data 30 novembre 1454 fu affidato l'incarico di dipingere
« la mità de la capella del palazzo dj Signore la quale se
vuole pigniere cum quiste mode pacte et condizione... », fra
cui quella che il lavoro finito dovesse essere giudicato da
uno dei tre maestri i più rinomati di allora: Fra Filippo
Lippi, Domenico da Venezia, e Giovanni da Fiesole, cono
sciuto più comunemente col nome dell'Angelico, ben noti fra
noi per avervi lasciato pitture pregevolissime. Il Bonfigli
esegui la commissione in due periodi di tempo, ultimando la
prima parte nel 1461, come risulta da un documento, che ci fa
sapere essere venuto nella nostra città Fra Filippo Lippi, chia
mato in arte pictorum Magister excellentissimus, in quest'anno
agli 11 di settembre, per emettere il laudo super picturis fa-
ctis in capella, laudo che fu favorevole al pittore perugino.

È chiaro come il nostro dipinto non possa appartenere
a questa prima epoca, poichè si è visto che il campanile fu in-
cominciato solo nel 1463, ed ultimato nel 1468. Appartiene
quindi alla seconda, che ha principio nello stesso anno 1461,
poiché il secondo contratto, pro pictura totius dicte capelle, fu
concluso proprio nello stesso giorno in cui furono collaudate
le prime pitture. Fra le convenzioni stabilite ora fra le parti,
trovasi che la città si obbligava di pagare per tutta l'opera
400 fiorini larghi fiorentini; che i temi per i nuovi affreschi
dovevano essere suggeriti dal cappellano e che ognuna delle
quattro storie dovesse ultimarsi in un semestre. I Priori
avevano cercato in vari modi, che questo secondo lavoro non
andasse tanto per le, lunghe come l'altro, per il quale il
Bonfigli impiegò sette anni circa. Con tutto ciò l'artista
nel 1469 non aveva dato che « assai di rado qualche pen-
nellata », giustificandosi col dire che gli era mancata la lena
per proseguire, non essendo stato pagato dell' ultima rata dal
cappellano e minacciando di abbandonare ogni cosa se non

"SAN d 3 UIS Bi o. T
APPUNTI STORICI, ECC. 31

n
Pe

4 ea " (
——— ——— — m alt è nc s

veniva soddisfatto del tutto. In data 7 novembre 1469 per-
tanto il magistrato, impensierito delle minacce, attenta potis-
simum pulcritudine picturarum et fama et ingenio dicti Mag.
Denedicti ; et si res ipsa non deducatur ad finem, redire in
ignominiam totius Reipublicae Perusinae, decise, quasi ad una-
nimità di suffragi, di contentare il maestro, ottenendo pero
da questi l’ esplicita dichiarazione che le pitture dovessero es-
sere fatte da lui e non da altri e nel tempo stabilito.

Sebbene a questa ripresa di lavori appartenga l’ affresco,
che è stato da me riportato, pure non si può riuscire a sta-
bilire con precisione se venisse compiuto entro i due anni
indicati nel contratto e quindi nel 1471, ovvero entro uno spa-
Zio di tempo maggiore. Comunque anche ritenendolo uno de-
gli ultimi lavori del Bonfigli, (che mori agli 8 di luglio del
1496) certo breve intervallo decorse dal restauro del campa-
nile alla riproduzione del medesimo, eseguita con tanta fe-

i

E3

1
|
1
j

= ts

deltà da dire che il bel monumento fosse proprio fotogra-
fato. Nè sembri esagerato il presente modo di pensare. I
critici d'arte sono concordi nell'ammettere che il nostro pittore
sia stato uno dei pochi, i quali con somma cura ritraevano
chiese, personaggi, strade come erano di fatto, tanto che eli
affreschi della Cappella dei Priori debbono ritenersi quali
preziosi ricordi per la storia dei monumenti e dei costumi
perugini di quei tempi. E si potrebbe, volendo, dallo stesso
affresco ricavare le prove di questa grande diligenza. Cosi
per esempio, la base su cui si eleva il campanile è raffigu-
‘ata tale quale è anche ora. Di più un esame accurato del-
lantica facciata della chiesa, nascosta dall’ attuale fin da
quando si pose la fronte del tempio in linea parallela alla
parete interna di un lato del chiostro, che venne a pren-
dere il posto del portichetto, che fu demolito, ci pone sot-
tocchio gli avanzi di antiche pitture. Il tempo ci ha lasciato
ben poca cosa di esse, poichè a sinistra della porta non si
trova più nulla; però a destra si vede sempre una figura
centrale, seduta, rappresentante la Trinità, con ai lati due

ri T
+ o4
^ vy e e

c

ex

ui

pa ierat
32 L. BRUNAMONTI TARULLI

Santi in piedi e dei quali uno visibile solo in parte, tanto
da potersi ritenere con ogni sicurezza che l'antica facciata
del tempio era istoriata, come ce la fa vedere il Bonfigli. E
via di seguito (1). Del resto. nessuno meglio di lui era in

1) Non mi é stato possibile rintracciare finora nell'Archivio del monastero do-
cumenti relativi alle pitture, che adornavano l' esterno della chiesa di $5. Pietro.
Tutto ciò che ne sappiamo ci viene da quanto rimane dell'antica facciata dipinta e
da quello che si vede nell'affresco del Bonfigli nella Cappella priorale. Questi ha ripro-
dotto istoriata la sola metà sinistra della facciata stessa, dove si scorge un Santo
col bambino sul braccio, ed altre figure quasi irriconoscibili. Anche la lunetta so-
pra la porta della chiesa sembra dipinta, vedendosi invece assai bene sopra il por-
tichetto lo stemma papale, sostenuto dal grifo e dal leone. Nell' altra metà, cioé in
quella di destra, che il Bonfigli non ha riprodotto, avendovi egli collocato davanti
il campanile, noi troviamo la figura di un personaggio con tre teste, ciascuna con
l'aureola, perfettamente somiglianti fra loro, tanto nell’ espressione dolce del viso
quasi femminile, come negli altri dettagli, personaggio avvolto in ampio paluda-
mento, seduto in un trono aj forma cuspidale col fondo dipinto a mosaico, colla
mano destra che benedice, mentre tiene la sinistra riposata sopra un libro semi-
aperto posto sulle ginoechia. Di qua e di là due Santi in piedi, parimenti coll'au-
reola; quello di destra, figura intera e ben conservata, in atto riverente, quello di
sinistra forse nella stessa posizione. Ben poco però ci é rimasto di lui, una metà
del viso e parte della persona. A che epoca appartiene questo dipinto? Senza dub-
bio al secolo XIV. Quindi esso è anteriore al Bonfigli; che lo vide come adesso lo
vediamo noi, non essendo stato toccato da nessuno in epoca posteriore. E poiché
non é verosimile che le due porzioni della facciata, quella di destra e quella di si-
nistra, sieno state dipinte in momenti diversi, cosi é logico lo stabilire che quanto
il Bonfigli riprodusse nel suo affresco della Cappella priorale sia coevo a quello
che é rimasto. E se si dicesse che Ugolino Vibi nel restaurare il campanile nel 1347
avesse anche incaricato qualche valente maestro di pennello a decorare la facciata
della sua chiesa, non credo che si emetterebbe un ipotesi molto inverosimile, es-
sendosi dimostrato ampiamente come questo Abate fosse stato verso i monaci ed
il monastero munificentissimo.

Poche cose restano a dirsi intorno. alla figura con tre teste, concezione ar-
tistica che oggi sembra tanto strana. Essa era invece il simbolo adoperato dai pit-
tori in quei tempi: quando volevano rappresentare la Trinità. E di queste figure
se ne trovano in molte chiese di Perugia, che hanno pitture appartenenti al se-
colo XIV, figure che si differenziano l'una dall’ altra solo per la maggiore o mi-
nore eleganza con cui sono state eseguite. Ed anche in un codice miniato della
nostra biblioteca comunale) del secolo XV, che contiene trascritta la Divina Com-
media, nella pagina, dove incomincia il primo canto del Paradiso, in un tondo + do-
rato, ho visto tre testine barbute di squisita fattura, riunite fra loro, in mezzo ad
una raggiera. Così pure. in un polittico, appartenente al. Comune di Pietralunga,
eseguito nel 1403 dal pittore eugubino Ottaviano Nelli, allievo di Gentile da Fabria-
no, nella porzione mediana della cuspide ‘centrale si trova la solita figura, però
non intiera, con tre teste anche qui barbute, avente nella mano sinistra un libro

aperto, dove é scritto: Ego sum lux mundi via et veritas. La stessa frase si legge

A_I dei AL
D2

APPUNTI STORICI, ECC. 38

condizioni da ricordare e fissare anche i più minuti partico-
lari della facciata e del campanile, non solo perchè abitando
presso la porta di S. Pietro aveva occasione di vederli e di
ammirarli, si può dire, ogni giorno, ma anche perchè men-
tre il fiorentino Giovanni di Betto attendeva ai restauri, egli
lavorava nel monastero « come dipintore di vetri », ese-
guendo alcune figure nelle finestre della Sagrestia (costruita
circa il 1451 e che si veniva abbellendo con altre opere
d’arte) come risulta da note di pagamento, emesse a favore del-
l'artista nell'aprile 1467. Più tardi nel 1483 conduceva a ter-
mine nella stessa chiesa « un palio di altari, il quale è co la
figura de la madonna ». Anche ad altri lavori egli attese in
questo spazio di tempo, rendendoci così ragione del perché
gli affreschi della Cappella priorale venissero eseguiti con
molta lentezza. Cade pure in tal guisa, in gran parte al-

MR SI > dea aC

, "
"n

P.

—o———

= 19

sn ame

meno, l' accusa di pigrizia nel dipingere, da alcuni fatta al
Bonfigli.

Con questi brevi cenni, intorno all’ opera dei monaci
nel secolo XV a vantaggio del monastero, terminano le pre-
senti ricerche, che ci autorizzano a stabilire come la Badia
di S. Pietro di Perugia fosse nell’ età di mezzo una delle
più importanti dell’ Umbria, dove tutti attendevano con
pari zelo alle salmodie, all'azienda dei campi, alla cultura
della mente. Durante i quattrocento e più anni, in cui si
resse con costituzioni proprie, vivendo una vita autonoma
senza essere unita in federazione con altri cenobî, come av-
venne più tardi, la sua storia registra lunghi periodi, nei
quali raggiunse il più grande splendore, trovandosi i monaci
e gli Abati ubbidienti alle leggi monastiche, in nobile gara

bi
1

i

i

- Ly "
———————BráátÓ È

in un libro tenuto sempre nella mano sinistra da un uguale personaggio, dipinto
con molta rozzezza nella chiesa della Colombata, presso la porta di S. Susanna. Il
che dimostra quanto fosse diffusa questa maniera di rappresentare la Trinità, ma-
. niera vietata in seguito dalla Chiesa.


YT WC mena Mc no.
id 931 L. BRUNAMONTI TARULLI

E fra loro intenti a mantenerne alta la fama, affratellati dal
EE vincolo della carità e del lavoro. Anche per essa volsero
d] però giorni non lieti, in particolar modo quando le lotte di
Et partito avevano sconvolto gli animi di tutti i Perugini.
Fu per fortuna relativamente breve questo tempo, dopo il
quale tornò più luminosa a rifulgere nel nostro $5. Pietro
quella luce intellettuale, che lo spirito di S. Benedetto, il fon-
datore del monachismo' operoso d'Occidente, vi aveva fatto
| risplendere fin dal principio, conservatasi anche nei mo-
| menti burrascosi,in cui diminui ma non si spense del tutto,
ET ispiratrice e moderatrice in ogni epoca delle arti e delle

I

154i. scienze.

LB. /'TARULLLI.
I. — 1331, Aprile 2

I monaci di
S. Pietro, in at-
tesa che il Pa-
pa confermi la
nomina ad A-
bate da loro
fatta nella per-
sona di Ugoli-
no da Monte
Vibiano, eleg-
gono a loro Vi-
cario generale
Oddone Abate
del monastero
di S. Maria di
Farneto, nella
diocesi di Cor-
tona.

APPUNTI STORICT, ECC. 90

DOCUMENTI

Vicariatus Dompni Abbatis de Farneto.

Liber Contractuum Monast. S. Petri manu

Ser Andrutii Francisci ab an. 1331

usque ad an. 1332. Sig. N. 2, pag. 1.

Q

In primis quidem sub Anno domini Mille cccxxxJ.
Jndietione xIIJ tempore Santissimj patris dompni jo-
hannis pp. xxiJ, die xxvii mensis Aprilis. Actum fuit
apud Monasterium supradictum in solito capitulo ipsius
Monasterij presentibus Angelutio helemosine qui dicitur
Mezzamieus, Agustino helemosine et Chola paulutij om-
nibus de perusio testibus rogatis. Convocato et congre-
gato capitulo et conventu prefati Monasterij Sancti petri
perusini ordinis Sancti Benedicti in loco soliti capituli
eiusdem Monasterij de licentia et mandato Religiosi et
disereti viri dompni Ranutij Recabene monachi et prio-
ris claustralis eiusdem Monasterij ad sonum campanelle
ut moris est ipsum capitulum congregari. In quo ca-
pitulo interfuerunt tam monachi et fratres conventuales
et in ipso Monasterio residentes quam etiam benefitiati
et prebendati inferius nominati ad infrascripta specia-
liter peragenda. Videlicet idem dompnus Ranutius prior
claustralis, dompnus johannes Maffey, dompnus Savinus
Cemis, frater petrus Neroli, frater petrus johanelli,
frater Tanutius federutij, frater Marinus Xristofori, fra-
ter Geronimus Rubey, frater Donatus johannis, dompnus
Stephanus Tinti, frater Alanus Rubey, frater Corradellus

Berardelli, et frater petrus Ribaldelli, monachi conven-

tuales et in ipso monasterio residentes. Item dompnus.

^.

=

a HS

C—R— aT. .

2

1
|
i
|
/]
|

is
»

egerat tte

x
nn

— n

pit manuel ap o n.

qe LI
L. BRUNAMONTI TARULLI

Grigiolus Ciecoli prior Ecclesie sancte Marie de pithi-
gnano, Dompnus Conte phylipellj prior ecclesie saneti
Angeli de papiano, dompnus Conte Vegnatoli prior
ecclesie saneti Silvestri de Murcella, dompnus Grigiolus
Vannolj prior ecclesie sancti Petri de Montelagello, dom-
pnus Martinus Massinj prior ecclesie sancti Montanj,
dompnus Nichola putij prior ecclesie sancte Marie de Bal-
tignana, dompnus Lucas prior eeclesie sancti Andree de
fracta filiorum aczonis, dompnus Bindeus Enzegnutij prior
ecclesie saneti Petri de diruto, Vecciolus Dompni Gualfre-
dutij prior eeclesie sancte Marie de fonte, dompnus Meus
prior eeclesie sancti Johannis de Castilione Vallis, dom-
pnus Petrus prior ecclesie sancti Egidij de podio curia-
rum, dompnus Andreas prior ecclesie sancti Nicholay
de Spina, dompnus Jacobus prior ecclesie sancti Blaxy
de Valle, dompnus Cristallus prior ecclesie sancti Do-
nati de Agello et dompnus Bartholus prior ecclesie san-
cti Rufini de forcella. Omnes supradicti monachi dieti
Monasterij considerantes et diligenter attendentes quod
pro singulis causis et negotiis ipsius Monasterij pertra-
ctandis grave sit ipsum capitulum et conventum et mo-
nachos ad ipsum capitulum convocari, Et de parte Re-
verendi Viri Dompni Oddonis Abbatis Monasterij sanete
Marie de farneto Cortonensis dyocesis ipsiusque pru-
dentia fide et cireumspectione plenius confidentes, ha-
bito et premisso super his ad invicem diligenti tractatu
et deliberatione fideli tam suo quam ipsius Monasterij
nomine omni modo et forma quibus melius poterunt,
Voluerunt, consenserunt et ordinaverunt prefato dompno
Abbate de farneto presente, volente et consetiente quod
prefatus dompnus Abbas habeat ex nune plenam ge-
neralem et liberam potestatem, Eidemque dompno Abbati
presenti et recipienti dederunt tradiderunt et concesse-
runt plenam generalem et liberam potestatem in omni-
bus et singulis causis et negotiis ipsius monasterij et
membrorum ipsius, civilibus et criminalibus, spiritua-
libus; etto Mm posa bb uses a Ne,

4. 4 "rb tv ^
II. — 1331, Aprile 28.

L'Abate Oddo
delega a suoi
'appresentanti
per trattare gli
affari del mo-
nastero: Ranu-
zio Recabene
Priore clau-
strale, Pietro di
. Giovanello,
Conte di Ve-
gnatolo, e Cri-
stallo di Mae-
stro Angelo,
monaci.

APPUNTI STORICI, ECC. 3t

Syndicatus dompni Ranutij et aliorum.

Id. pag. 2 t. e 3r.

Eodem die loco et testibus. Prefatus dompnus Oddo
Vicarius monasterij antedicti ex auctoritate sibi con-
cessa et tradita a capitulo supradicto et omni modo
iure et forma quibus melius potuit existens in supradi-
eto capitulo fecit, substituit et ordinavit providos viros

dompnum Ranutium Recabene priorem claustralem di-

cti monasterij S. Petri et fratrem Petrum johanelli, mo- .

nachos conventuales et in ipso monasterio residentes et
dompnum Contem Vegnatolj priorem eeclesie Saneti
Silvestri de Murcella et dompnum Cristallum magistri
Angeli priorem eeclesie Sancti Donati de Agello, mona-
chos benefitiatos eiusdem monasterij, omnes ibidem pre-
sentes et acceptantes, ita tamen ut tres eorum in con-
cordia existentes possint omnia infrascripta libere fa-
cere sine quarto ipsius dompni Vicarij et totius capituli
et conventus prefati monasterij Sancti petri Veros et
legitimos syndicos et procuratores, actores, factores et
nuntios speciales, Ad reinveniendum, repetendum et exi-
gendum et etiam revidendum, ratiocinandum et calcu-
landum rationem et plenum ac integrum computum a qui-
buscumque monacis, conversis, oblatis et clericis ac etiam
a familiaribus monasterij prelibati, et a quibuscumque
aliis personis ecclesiasticis et secularibus de omnibus et
singulis offitiis que actenus habuissent in eodem et pro
eodem monisterio seu membris ipsius et omni pecunia
quantitate, blado, seu rebus aliis que ad eorum manus
pervenissent et quas qualitereumque administrassent
de bonis ipsius monasterij vel membrorum ipsius tem-
poribus retroactis. Commietens eis vel tribus eorum
in concordia existentibus in predictis et cirea predicta
plenarie vices suas. Promietens habere ratum et firmum
quidquid per eos vel tres ipsorum concordes factum ex-
stitit. Et non contrafacere sub obligatione bonorum mo-

nasterij supradicti.

d

rd

mo

el
;
i
1
|
y
3
1
i
——————— —

38

L. BRUNAMONTI TARULLI

Receptio et professio dompni Balioncelli monaci Monasterij S. pe-

tri perusij.

TI 1581

Ordine inviato
da Ugolino di
Monte Vibiano,
prima di aver
preso possesso
dell'Abbazia di
S.Pietro, ad Od-
done Abate di
S. Maria di Far-
neto ed a Ranu-
zio Priore clau-
strale perché
ammettano
alla professio-
ne monastica
Balioncello di
Ermanno, no-
bile cittadino
perugino.

Maggio 3. Id. pag. 6r. e t.

oo

In nomine domini Amen. Anno domini MOCOXXXJ.
Indictione x11J, tempore dompni johannis pape xxiJ, die
tertio mensis Maij. Actum fuit apud Monasterium sancti
petri perusini in ecclesia ipsius Monasterij presentibus
Reverendo Viro dompno Coppolo Abbate Monasterij
Saneti Archangeli perusine diocesis, sapientibus viris
dompno Symone dompni Guidaloceti, dompno Eugenio ma-
gistri dominici, Lello dominici Guidalocti, dompno Thoma
lelli, Chuco et Carlutio dompni Gualfredutij et fratre Ude-
risio Massoli omnibus de perusio et aliis pluribus testi-
bus rogatis. Pateat omnibus evidenter hoc instrumentum
publicum inspecturis, Quod Reverendus vir dompnus
Oddo Abbas Monasterij sancte Marie de Farneto Corto-
nensis dyocesis et Religiosus vir dompnus Ranutius
monachus Monasterij Sancti petri perusini et prior clau-
stralis eiusdem Monasterij Sancti petri exequi volentes
quasdam licteras Reverendi viri dompni Hugolini Abbatis
eiusdem dicti Monasterij saneti petri sigillatas quodam
sigillo pendenti de cera rubea, in cuius sumitate sigilli
erat impressa figura in modum beate Marie virginis glo-
riose filium tenentis in gremio, et ymago trium regum
similiter duorum stantium et alterius genuflexi offeren-
tium munera filio ipsius virginis gloriose et desuper
quedam Stella, Et infra dictas figuras erant sculte lietere
sic dicentes: Virginis in partu munera tria. Sub ipsius
vero licteris erant due ymagines in modum apostolorum
petri et pauli. Et infra erant alie lietere sic dicentes: dant
et adorant. In infima vero parte sculpa erat ymago cuius-
dam Abbatis mitreati genuflectentis cum baculo pastorali
seu Croecia in manu et in cireunferentia ipsius sigilli
sculpte erant hee lietere: S. [sigillum] hugolinj Abbatis
Monasterij Saneti petri perusini. Quarum lieterarum talis

est tenor. — In nomine domini Amen. Noverint universi

4 Wr awe ^l 2*^
APPUNTI STORICI, ECC. 39

presentes licteras inspecturi, quod cum Nos hugolinus
Abbas Monasterij Sancti petri perusinì ordinis saneti Be-
nedieti cum consensu nostrorum monachorum et con-
ventus recepimus nobilem virum Balioncellum hermannj
de perusio in monachum et in fratrem nostri monasterij
predicti habitus regularis qui dari ipsius monasterij
monachis consuevit traditione et dilatione dilata usque
ad nostrum et Abbatis qui pro tempore fuit arbitrium
beneplacitum et mandatum. Nos super hoc nostrum ar-
bitrium, beneplacitum et mandatum declarare volentes,
ne predietus Balioncellus super hoc dictum maneat in
suspenso, tenore presentium declaramus et dicimus quod
predietus Balioncellus recipiatur in predicto Monasterio
ad habitum supradictum et eidem tradatur et exhibeatur
habitus regularis predictus, prout aliis dieti monasterij
monachis est solitus exiberi et .. Maij proxime futuri
in ... ad ipsius petitionem et terminum ... quando ei-
dem Balioncello videbitur et placebit. Et super huius-
modi receptionem habitus etiam traditione et exibitione
predicto Balioncello facienda Reverendo .viro dompno
Oddonj Abbati monasterij de farneto Cortonensis dyo-
cesis et Religioso viro dompno Ranutio nostri mona-
sterij monacho et priori claustrali et cuilibet eorum in
solidum coniunctim tenore presentium vices nostras uf
predieta omnia et singula cum consensu nostri conven-
tus a predieto termino in antea possint et valeant plene
et libere et effectualiter expedire. In cuius rei testimo-
nium presentes lieteras fieri mandavimus nostri sigilli
appensione munitas. Datum apud monasterium Saneti
petri perusinj predicti. Anno domini mille cccxxxy die
ultimo mensis februari indictione xiuj tempore dompni
johannis pape xxiJ. — Habito prius consensu capituli et
conventus prefati monasterij Saneti petri, tam de tradic-
tione et exhibitione habitus regularis predieto Balion-
cello facienda iuxta dietarum continentiam licterarum,
quam etiam de receptione ipsius Balioncelli ad profes-
sionem in Monasterio et ordine predicto, Benedictisque

vestibus et habitu regulari prefati Balioncelli per eun-

—Ó— MÀ ei à

=

wm I

?

Zw

P

C—P—— rster).3——



"

brian De re, LIE

———

a
——
TINI

SEI

Fi
TIENE

FJ

v
a

40

Professione
monastica di
detto Balion-
cello.

IV. — 1331, Giugno 16.

Lettura fatta
da Andreuccio
di maestro
Francesco no-
taro, del mona-
stero in pre-
senza di nobili
cittadini peru-
gini, delle let-
tere papali, con
le quali Gio-
vanni XXII no-
mina Ugolino
di Nunzio A-
bate del mona-
stero di S. Pie-
tro, ordinando-

si nelle medesi-

L. BRUNAMONTI TARULLI

dem Reverendum virum dompnum Oddonem Abbatem
monasterii de farneto, Et premissis interrogationibus per
ipsum. dompnum Abbatem de farneto, Et subsecutis re-
sponsionibus factis per eundem Balioncellum, Ac omni-
bus et singulis secundum formam regule Beati Benedicti
ante altare majus dieti Monasterij sollempniter celebratis,
ut est moris, eundem Balioncellum flexis genibus ante
altare predictum humiliter et devote petentem atque vo-
lentem induerunt et eidem tradiderunt ac exhibuerunt
supradietum habitum regularem prout in dictis licteris
latius continetur, Qui frater Balioncellus novitius statim
et immediate post receptionem ipsius habitus ante tem-
pus sue probationis mihi sua sponte renumptians ante
altare predietum professionem expresse promisit dicto
dompno Ranutio priori, modo et ordine infrascripto.
Ego frater Balioncellus promitto stabilitatem et con-
versionem meorum morum, obedientiam et reverentiam
seeundum regulam sancti Benedieti Tibi dompno Raynu-
tio priori claustrali predicti monasterij saneti petri peru-
sini .... nomine Abbatis capituli et conventus dicti mo-
nasterij et pro ipso monasterio, Ad honorem omnipo-
et gloriose virginis marie matris eius et

tentis dei

beatorum petri et pauli apostolorum eius. Et super al-

tare predictum offero me et mea.

Lectura licterarum papalium.

Id. pag. 8.

In nomine domini Amen. Anno domini Mille CCCXXXJ
indietione xuiJ tempore dompni johannis pape xx1J, die
dominica xvJ mensis junij. Actum fuit perusij in porta
et parochia saneti petri ante crucem sitam prope fores
Monasterij saneti petri perusinj presentibus nobilibus et
sapientibus viris dompno johanne quondam dompni phy-
lippi de Biscina, dompno paulo quondam dompni Gui-
donis de Balionibus, Dompno Balione Novello nato quon-

dam Dompni Gualfredutij de Balionibus, Dompno Balione
E

me che i monci
lo ricevano co-
me tale e gli
prestino obbe-
,dienza come a
Signore ed a
Pastore.

APPUNTI STORICI, ECC. 41

quondam Dompni Guidonis dé Balionibus, Dompno Sy-
mone quondam dompni Guidaloceti judice, Dompno Euge-
nio quondam magistri Dominici iudice et Ciano magistri
Angeli notario et aliis pluribus testibus habitis et ro-
gatis. Lecte fuerunt per me Andrutium magistri fran-
cisci notarij infrascripti lictere Bullate vera et integra

Bulla plumbea papali pendenti ad filum canapis .inter

cetera sumarie continentes, qualiter Iohannes papa xxIJ .

significabat priori Claustrali, Monachis, capitulo et con-

ventui dieti Monasterij Sancti petri perusinj quod ibidem .

ad supradictam erucem in presentia Reverendi viri Do-
mpni Hugolini Nutij Abbatis ipsius Monasterij et in
presentia supradictorum testium et mei notarj infrascripti
constitutis nuper promovit eundem Dompnum Hugolinum
in Abbatem ipsius Monasterij et quod idem recipiatur

in Abbatem dominum et pastorem.

Promissio obedientie et reverentie.

V. — 1331. Giugno 16. Id. pag. 8r. e t.
Obbedienza Eodem die. Acetum in Ecclesia supradicti Monasterij

prestata nella
Chiesa dal Prio-:
re claustrale e
dagli altri Prio-
ri delle cliiese
dipendenti dal
monastero al
nuovo Abate
Ugolino da
Monte Vibiano.

Saneti petri perusinj in Choro ipsius Ecclesie presenti-

bus testibus antedictis ad hoc habitis et rogatis.

dompnus Ranutius Recabene prior claustralis prefati
Monasterij

dompnus Grigiolus Ciecoli prior sancte marie de piti-
gnano

dompnus jacobus Bartholomei prior sancti Blaxy de Valle

dompnus Nichola putij prior sancte Marie de Baltignana

dompnus Grigiolus Vannolj prior sancti petri de Mon- .

telagello
dompnus Meus pauli prior sancti Johannis de Castilione
Vallis

dompnus petrus Bonanogle prior sancti Egidij de podio

curiarum

dompnus Cristallus Magistri Angeli prior sancti donati

de Agello

1
i
|
Mi:

]

or

i
|
!
i
l
j
|
i
|
!

pier, pi

à ,
sten À t
L. BRUNAMONTI 'TARULLI

dompnus Andreas Amatutij prior sancti Nicholav de
Spina
dompnus Martinus Massinj prior sancti Montanj
dompnus Conte phylipellj prior saneti Angeli de papiano
Frater Ueciolus dompni Gualfredutij de Balglonibus
prior ecelesie sante marie de fonte
dompnus lucas paulutij prior eeclesie sancti Andree de
fracta

dompnus Conte Vegnatolj prior ecclesie sancti Silvestri
de Murcella

dompnus Benedietus Ensegnutij prior eeclesie sancti Pe-
tri de diruto

dompnus Savinus Cemis plebanus ecclesie saneti Con-
stantij

dompnus paulus johannis prior ecclesie Sancti Benedicti
de Abbatia

dompnus Bartholus johanellis prior ecclesie Sancti Ru-
fini de Forcella

dompnus Nichola johannis prior ecclesie saneti johannis
de fracta adamj

dompnus johannes Maffey prior crucis Saneti Martiri)

dompnus Ranerius hondedeus rector ecclesiarum Saneti

Damiani et sancti Angeli de Monte.

Omnes et singuli predicti monachi supradieti Mona-
sterij Saneti petri existentes ante presentiam Reverendi
viri Dompni Ugolini Abbatis predieti et in presentia te-
stium predictorum flexis genibus promiserunt humiliter,
clausis manibus singulorum inter manus ipsius dompni
Abbatis, obedientiam et reverentiam secundum regulam
Beati Benedicti et constitutiones ipsius Monasterij. Et
ex nunc eundem dompnum Ugolinum recognoverunt in

eorum et dieti Monasterij verum dominum et Abbatem.
Promissio obedientie.
VI. — 1331, Giugno 21. Id; pag. 11.

Die xxJ mensis junij. Actum apud dietum monaste-
rium, in capitulo ipsius Monasterij presentibus Vannu-

tio Nutij et phylippo petrutij testibus rogatis.
APPUNTI STORICI ECC. 43

EE

prestata nella dompnus Stephanus Tinti
sala del Capi- à i

tolo dai mona- — frater donatus johannis et
ci conventuali ]
alnuovo Abate — frater Corradellus Berardelli

Obbedienza ! monachi dieti Mona-

sterij existentes in

P

e

noi " PI.
,
j————— SE GET

presentia supradictj

Ugolino da

3 O dompni Abbatis,
Monte Vibiano.

humiliter flexis genibus clausisque manibus eorum inter
manus ipsius dompni Abbatis, promiserunt eidem obe-
dientiam et reverentiam secundum formam regule Beati
Benedicti et constitutiones monasterij memorati.

Obedientia promissa per oblatos.

VII. — 1331, Giugno 22. Id., pag. 12.

- oes ame

Obbedienza Eodem die et loco.
prestata dagli
oblati del mo- dompnus Ventura Leonardutij
nastero nella

sala del Capi- dompnus Johannes Angnolelli
tolo al nuovo

Abate Ugolino. dompnus Thomassus Corradellj

Mannutius Vangnotij

AER COST PERO Sere DI

Mathiolus dompni Barontij

Martinus Pacianellj

dn

Massanus Venture

Lellus Magistri Bartholi
Brunatius Michelutij
Vanutius Michelutij
Cianus juntolj

Chola Gratianj

ur
Jes

|
|
jJ

Mathiolus Gilgloli

Giliutius johannis

Bene Ceccoli et

petrutius Berlengherij

omnes predicti oblati dieti Monasterij ante presentiam
supradicti Dompni Abbatis, clausis manibus eorum inter
manus ipsius Dompni Abbatis, promiserunt eidem obe-
dientiam et reverentiam secundum regulam Beati Bene-
dieti et costitutiones ipsius monasterij, recognoscentes
eundem in eiusdem monasterij verum dominum et Ab-
batem.
VIII. — 1881, Giugno 28.

Ser Francesco
diSprenuzio no-
taro e sindaco
del Priore e del
Capitolo della
Chiesa della
Trinità di Preg
gio si presenta,
a nome dei suoi
clienti, avanti
l| Abate Ugoli-
no giudice di
appello, dele-
gato dalla Sede
apostolica per
trattare la cau-
sa che i Cano-
hici avevano
con Luca di An-
dreuccio di Mi-
chele di Giral-
do.

IX. — 1331, Novembre 14.

Richiamo al
chiostro, per
ordine dell' A-
bate, di Giovan-

L. BRUNAMONTI TARULLI

Syndici canonice de pregio.
Id. pag. 14,

Die xxvii mensis junij. Actum apud Monasterium
prelibatum in camera dieti Dompni Abbatis presentibus
venerabilibus viris dompnis Oddone Abbate monasterij
Sancte marie de farneto et Coppolo Abbate monasterij San-
eti Arehangeli, dompno Tiburtio Ninj de Montemelino et
Cecchino Loli de Spelle testibus rogatis. Constitutus
ser franciscus Sprenutij notarius, syndicus et procurator
dominorum prioris et capituli ecclesie Sancte Trinitatis de
pregio perusine dyocesis syndacario nomine ipsorum,
coram supradicto Dompno Abbate Monasterij Sancti pe-
tri de perusio iudice a sede apostolica delegato in causa
appellationis interposita pro parte dictorum dominorum
prioris et capituli alicteris et mandatis continentibus, quod
Lucas Andrutij Michelis Giraldi recipietur et admietetur
in canonicum et in fratrem dicte canonice et ecclesie
sancte Trinitatis, agitata coram predecessore ipsius dom-
pni Abbatis, Eundem Dompnum Abbatem judicem predi-
ctum cum instantia requisivit, quatenus ea ipsa reassu-
metur et in ea procedetur. Qui Dompnus Abbas Iudex
predietus respondit eidem Syndico quod cum ipse non
sit informatus de causa predicta, sitque novus in Ab-
batia et variis ipsius monasterij negotiis impeditus, vo-
lebat et intendebat informari in dieta causa. Et ex causis
predietis nune et hine ad xx dies proxime venturos non
potest nec intendit vacare cognitioni predicte cause.
Dictus vero syndieus protestatus fuit eidem dompno
Abbati et indici quod dictis dompnis priori et capitulo
sanete Trinitatis et sibi pro eis tempora prosequende

appellationis non currant.

Revocatio dompni johannis.
Id. pag. 81.

Item in eodem capitulo prefatus Dompnus Abbas

cum consilio et assensu dictorum Monachorum, capituli

An mn
APPUNTI STORICI, ECC. 45

ni di maestro et conventus revocavit ad claustrum dicti Monasterij
Elemosina, 0-

blato e rettore dompnum johannem Magistri Elemosine, oblatum dieti
della chiesa di .

S. Cristoforo di Monasterij, rectorem ecclesie Sancti Xristophori de Cum-
Compignano.

pignano eidem monasterio pleno iure pro medietate su-

biecte. Et eum ex nunc amovit ab omni eura et admi-

—— — erniten).- »—

nistratione spirituali et temporali ecclesie predicte.

a +

Institutio eiusdem dompni johannis.

T— €

X. — 1381, Novembre 14. Id. pag. 9t.
Investitura di Item in eodem capitulo prefatus Dompnus Abbas
un altro bene-

. ficio fatta dallo
stesso Abate al
medesimo Gio-
vanni di mae-
stro Elemosina,
colla cerimo-
nia dell'immis-
sione dell'anel-
lo al dito e del
bacio di pace.

sth

cum consilio et assensu dictorum Monachorum, capituli
et conventus instituit eundem dompnum Iohannem Ma-

gistri Elemosine, presentem et acceptantem in Rectorem

Dips

ecclesie Saneti johannis de Bonegio ipsi Monasterio pleno
jure subiecte, Comietens eidem ex nune curam et admini-
strationem ipsius ecclesie in spiritualibus et temporalibus
generalem, ad ipsius dompni Abbatis vel eius successo-

rum beneplacitum revocandam, ipsumque dompnum jo-

i
|
L)
E
E
i!

hannem de ipso benefitio et ecclesia per anulum suum,
interveniente pacis osculo, more solito, corporaliter in-
vestivit, Et comisit Vanutio Michelutij oblato dieti Mona-
steris inducendi eum in corporalem possessionem ipsius
eeclesie.

«3

Monasterij sante Crucis fontis avellane. f

?

XI. — 1822, Maggio 4. Id. pag. 118 r. e 119 t. i
Presentazione ... et existens religiosus vir dompnus franciscus ma- 1
fatta da Fran- i Lu
cesco di mae- f

IT ORO gistri Guidonis monachus, procurator et syndicus domi-
sir x - 5 Y

naco e ero
(e

wr
——LE— Sae.

norum.. Abbatis, monachorum, capituli et conventus Mo-

ratore dell A- "
paese uem nasterij sante Crucis fontis Avellane ad Romanam ecele- -7
aster del- i

DAL siam nullo medio pertinentis, ordinis sancti Benedieti,
no delle lette-
re papali, con
SER instromento publico scripto manu Ser Masini Oliverij de
ji ». ©, )

aveva nomina- Parma a me notario infrascripto viso et lecto plenius
to, insieme a

4

t

n ei

n

Eugubine dyocesis, ut de syndicatu et procura ipsius

aM dio
46

due altri Abati,
giudice e con-
servatore del
detto monaste-
ro dell'Avella-
na.

Non potendo
per varieragio-
ni l'Abate Ugo-
lino accettare
lU incarico di
giudice, nomi-
naasuorappre-
sentante Pietro
de Terrafinis di
Bologna, in
quel tempo re-
sidente in Pe-
rugia.

L. BRUNAMONTI 'TARULLI

constat, Coram Reverendo religioso viro Dompno hu-

golino de Monte Ubiani Abbate Monasterij sancti petri pe-

rusinj judice et conservatore, Una cum quibusdam col-

legis suis infrascriptis in omnibus et singulis causis, li-

tibus et... prefati Monasterij sanete Crucis, ut patet per

lieteras apostolicas infraseriptas sindacatio et prout no-

mine ipsorum dominorum Abbatis, monachorum, capituli

et conventus eiusdem Monasterij sante erucis, Represen-

tavit eidem dompno hugolino Abbati dicti monasterij

saneti petri quasdam lieteras papales, bullatas vera et

integra bulla plumbea papali, pendenti ad quandam cor-

dulam de canapo, in qua bulla ex una parte sculpta

erant duo capita ad imaginem Apostolorum petri et pauli

cum quedam cruce in medio. Desuper que capita erant

littere huiusmodi: S.PA. S.PE. et in cireumpherentia

erant quedam puncta. Ex alia vero parte ipsius Bulle

erant littere

sic

dicentes :

Iohannes

PPXXII.

Et simi-

liter in cireumpherentia erant aliqua puneta. Quarum

lieterarum talis est tenor. — Iohannes episcopus servus

servorum Dei. Dilectis filiis... saneti petri perusini et...

sancte crucis de Tripuzo, ac... sancti Savini Camerinensis

et Firmane dyocesum monasteriorum Abbatibus, Salutem

et Apostolicam Benedictionem (segue la bolla papale) Da-

tum Avinione kal. Iulij pontificatus nostri anno quinto. —

Et eundem Dompnum Abbatem prefati Monasterij saneti

petri conservatorem et judicem requisivit dictus syndi-

eus nomine quo supra, ut exequitioni lieterarum inten-

deret procedere. Predictus vero dompnus Abbas, eisdem

lieteris debita reverentia et humilitate perceptis, dixit

et respondit prefato Syndico quod tum corporali egri-

tudine preditus, tumque prefati sui monasterij variis et

multiplicibus curis ac sollicitudinibus oeceupatus exe-

quitioni dictarum licterarum ad presens intendere non

valebat. Et idcirco ex auetoritate sibi in eisdem licteris

tradita et concessa et omni modo, iure et forma quibus

melius et efficacius potuit, subdelegavit Reverendum et

probum virum Dominum petrum de Terrafinis de Bono-

nia, decretorum doctorem, Archipresbiterum Ferrarien-
XII. — 1332, Giugno 18.

Avendo i Priori
della eittà sta-
bilito di riem-
pire e di spia-
nare il così det-
to campo del
frontone di S.
Pietro, l'Abate
Ugolino, in a-
dempimento a
quanto era sta-
to stabilito, no-
mina Fra Tom-
maso di Cecco-
lo a soprastan-
te dei lavori
che si faranno,
come delegato
dell'Abate e del
Monastero.

APPUNTI STORICI, ECC. VELIS 47

sem, perusij residentem, licite absentem, Comictens ei-

«dem ad instantiam et petitionem supradicti syndici dieti

Monasterij sanete crucis fontis Avellane, et eodem syn-
dico presente, petente atque volente cirea exequitionem
dietarum lieterarum papalium totaliter et plenarie vices

suas donec eas ad se duxerit revocandas.
Electio fratris Thomassi.

Id. pag. 130.

Die xvnuJj mensis junij. Actum apud dietum Mona-

sterium in camera supradicti Dompni Abbatis eiusdem
Monasterij presentibus Nobili Milite Dompno phylippo
quondam dompni Guidonis de Corgna, dompno Conte
Vegnatoli monacho dieti Monasterij, dompno Stephano
Guilelmi, Guidutio Rigutij et Bucherio Nutij testibus
rogatis. Reverendus vir Dompnus Hugolinus. de Monte-
vibiano Abbas dicti Monasterij, Visa et diligenter inspecta
quadam Reformatione nuper edita per Dominos priores
artium Civitatis perusij super repletione et explanatione
‘ampi quod dieitur frontone sanci petri et scripta manu
Nicholay jacopelli notari eorum dictorum dominorum
priorum artium, ex auctoritate sibi concessa per dictos
dominos priores, ex forma dicte Reformationis et omni
modo, iure et forma quibus melius potuit, elegit, depu-
tavit et nominavit fratrem Thomassum Ceccoli fami-
liarem suum et dicti monasterij, ibidem presentem et
suscipientem in superastantem et offitialem ipsius Dòm-
pni Abbatis et Monasterij prelibati, ad faeiendum re-
pleri et explanari dictum campum, prout et sieut in
Reformatione predicta latius continetur, Et ad facien-
dum et exequendum in predictis et circa predicta omnia
et singula que idem dompnus Abbas facere poterat seu
posset, Comietens eidem in predietis et pro predictis to-
taliter vices suas quamdiu eundem fratrem Thomassum
duxerit revocandum.

i
Ì
1
|
'
b!
i
|

=

^y

LR IE ST

E

— c

o tliis





A

_ LIT .
e IURI P9. Sp
gor E o - x

o -—

TT

————— 3
I— Fur Y hu.

BRUNAMONTI TARULLI

L.

if] iil Liber Contractuum Monasterij Sancti Petri
| | de Perusio manu Ser Andreucij Fran-
Hd | cisci ab anno 1335 usque ad annum
| 1340. Sig. N. 4, pag. 3 bts t.

XIII. — 1335, Marzo 12.

| | E ; n : 1 1 1
| its In vista dei be- Eodem die loco et testibus. Item in eodem capitulo,
| nefici ricevuti
golino dei Guel- è : m
[LE foni; da Guel- nachi, capitulum et conventus, unanimiter et concordi-

i T | | dal vescovo U- prefati dompnus Abbas (Ugolino di Monte Vibiano), mo-

| fone di Fede. ; 1 : REA eere

| | ruzio, eda altri ter nomine et vice totius predicti capituli et conventus,

I jd della stessa fa- : È IDEE etat 225 à È
I INTO Ae zone Consideratis multiplicibus et gratiosis meritis ac sinceris

| Abate dona al

ege gn durus operibus Venerabilis in Xristo patris et domini Dompni
a quantità di :

EDO ed SEDI Hugolini presentis episcopi perusinj et olim Abbatis

altra cosa che 3

ll | 2 gli stessi Guel- eiusdem Monasterij et liberalibus servitiis eidem Mo:

il foni potevano x i

ritenere inde- nasterio per eundem dompnum episcopum et nobilem vi-

| bitamente e di SENSA

i provenienza rum Ghelfonum federutij eius nepotem et ceteros de

del monastero E :

stesso. domo Ghelfonum dudum exhibitis et impensis, Ne in in-



t dn È pi
" iQ * " X AU
SEMI MEAS PER Pa i gu dh i

b

gratitudinis notam incurratur, libere et plenarie remise-

h

runt, finierunt et refutaverunt et nichilominus donave-
runt et concesserunt, titulo donationis irrevocabilis inter

| vivos, pucciarello Scagnutij de Castro diruti comitatus

perusini, ibidem presenti et recipienti nomine et vice
supradicti Ghelfoni, et pro eodem Ghelfono et suis he-
redibus, omnem et totam summam Bladi et aliarum
rerum que et quas actenus indebite pervenissent ' ad
| manus dieti Ghelfoni vel alterius pro eo, apud Arcem
|l | Cassaline membrum dieti Monasterij, seu apud dictum
| | Monasterium, vel aliquem locum eius. Et hoc fecerunt

pro bonis meritis et gratis servitijs que confessi fuerunt

| dietum monasterium recepisse, ut superius est expres-
sum, Et quod sic eis placuit. Quam donationem, remissio-
nem, finem et refutationem promiserunt habere perpetuo
ratam et firmam ete. Et promiserunt quod nulli ius

Id datum est etc. Et promiserunt non movere de cetero

[M litem vel questionem ete. Ratifieantes exceptionem etc.
| i Et hec promiserunt attendere et observare, Et danpna

(Cf et expensas reficere, Sub pena dubli quinque librarum
denariorum ete. Et promiserunt facere confessionem co-

ram judice competenti ad petitionem dieti Ghelfoni.
———————— ——MÉÁ—

XIV. — 1336, Maggio 23.

L'Abate Ugo-
lino, fondatore
del. nuovo 0-
spedale di S.
Gualtiero in Ca-
salina, nomina
à suo sindaco
e delegato Van-
ne di France-
sco, indicando
allo stesso qua-
li debbano es-
sere gli uffici,
a cui deve at-
tendere.

—— d ———ÈPÈl|}1YÀRpRqBPm14+.€———_—__—_ e"

APPUNTI STORICI, ECC.

Syndicatus hospitalis de Cassalina.
Id. pag. 36.

Die xxii; mensis Maij. Actum apud dietum Monaste-
rium Saneti petri in camera infrascripti dompni Abbatis
ipsius Monasterij Saneti petri presentibus Reverendo
viro dompno Oddone de Monte Vibiano Abbate Mona-
sterij Sancte marie de Farneto Cortonensis dyocesis et
magistro Gentile medico et Cione Cioecij de perusio te-
stibus rogatis. Pateat evidenter omnibus presentibus
instrumentum publicum inspecturis quod Reverendus
Vir Dompnus Ugolinus de Monte Ubiano Abbas dicti
Monasterij Sancti petri de perusio, suo et ipsius Mona-
sterij nomine et tamquam patronus, fundator, constru-
ctor et hedificator hospitalis novi sancti Gualterij, siti
prope Castrum francorum de Cassalina comitatus pe-
rusij omni modo, iure et forma quibus melius potuit
fecit, constituit et ordinavit Vannem francisci, ibidem
presentem et suscipientem sui et prefati hospitalis ho-
et eustodem, syndicum

spitalarium et procuratorem,

actorem, factorem et nunptium specialem et dicti ho-
spitalis gubernatorem atque dispensatorem, ad custo-
diendum et gubernandum, manutenendum, et conservan-
dum dietum hospitalem, et res et bona ipsius hospitalis,
ipsaque bona ad coptumum et laboritium locandum,
pauperes ibi recipiendo et colligendo, ac hospitalitatem:
et alia pietatis opera ibi observando, ipsisque pauperibus
de bonis hospitalis subveniendo et ministrando et res et
bona dieti hospitalis fideliter custodiendo atque suas he-
lemosinas, iuditia, legata, successiones, hereditates et
donationes eidem hospitali concessas et relictas, aut
in futurum concedendas et relinquendas per Comune
perusij, seu per quamcumque spetialem personam, colle-
gium et universitatem, quacumque de causa et etiam
coptumum, laboritia et alia omnia, debita vel debenda
eidem hospitali, petenda et exigenda, tollenda et reci-

pienda et ad confitendum sibi pro dieto hospitali sati-

A9

Lj

73

smart

ri

"1

[^

— à DI

E

Vn a1

,

[a

linate

iss

Ru m

———

Flint

i
|
4
|]
"i
|
|

; + . po
cere tere — en È

x
m

a

e — i Mpeg gt,
XV. — 1336, Giugno 30.

Antonio di
maestro Gio-
vanni da Peru-
gia promette
di glossare e
trascrivere il
libro delle de-
cretali di Boni-
facio per con-
to di Fra Ma-
rino di Cristo-
foro, monaco
del monastero
di S. Pietro.

L. BRUNAMONTI TARULLI

sfactuin fore et finem. et refutationem faciendam cui.
eumque et quibuseumque solventibus de toto et parte
et prout sibi videbitur, jnstrumenta locationis et refuta-
tionis facienda eum capitulis oportunis, Et generaliter
ad omnia et alia et singula facienda in iudicio et extra, -
que in predictis et circa predicta fuerint necessaria,
utilia et oportuna et quod idem dompnus Abbas in
premissis facere posset, Dans et concedens ei in pre-
dietis et circa predicta ratum plenum liberum et gene-
ralem mandatum ad ipsius dompni Abbatis beneplacitum
revocandum, Ratum et firmum habere promittens etc.,
Et volens ipsum ab omni onere relevare promisit in notis

infrascriptis rec. etc.

Id. pag. 39 t.

Die ultimo mensis Iunij. Actum apud dictum Mo-
nasterium Sancti petri de perusio in camera infrascripti
fratris Marinj presente fratre Balioncello hermannj mona-
cho dieti Monasterij, Vannutio Magistri Crescij et Andrutio
Cresscioli quondam de paganis, omnibus de perusio et
paulo Guilelmi de Bononia testibus rogatis. Antonius
Magistri Iohannis de perusio de porta Sancti petri et
parochia S. Stephani, per se et eius heredes promisit et
convenit fratri Marino Xristophori monacho dicti Mo-
nasterij glossare ipsi fratri Marino librum sexti Boni-
fatij, de meliore seu de equa bona lictera et glossa, quam
idem Antonius fecit et facere incepit in primo dicti libri,
in capitulo quod incipit Statutum de rescriptis, in glosa
Recipit scilicet a paríbus. Et continuare et continue seri-
bere et procedere in opere predicto. Et facere sibi de
dicto opere et scriptura xxxi1jj petias, ad exemplar dicti
operis et plus et minus sieut complementum glose ex-
egerit dieti libri. Et perficere et perfectum habere dic-
tum opus hinc ad V menses proxime venturos complen-

dos. Et versa vice dietus frater Marinus promisit ei dare
XVI. — 1837, Febbraio 4.

Tenuto conto
dei benefici ri-
cevuti da Ugo-
lino Vescovo,
una volta Aba-
te del monaste-
ro, e da quelli
della sua fami-
glia (i Guelfoni)
l'Abate Ugoli-
no da Monte
Vibiano confe-
risce il benefi-
cio di S. Cle-
mente, soltanto
perlecosetem-
porali, a Fede-
ruzio di Guel-
fone pronipote
del Vescovo,
colla riserva
che detto bene-
fieio possa es-
sere tolto a pia-
coro dell’ Aba-
e.

APPUNTI STORICI, ECC. : 51
expensas seu vietum toto tempore predieto et dare sibi
et solvere decem florenos denariorum perusinorum pro
qualibet petia et solvere sibi quolibet mense pro rata.
Reservantes sibi invicem exceptis ete. Et hoc omnia
,et singula promiserunt diete partes sibi invicem tenere
attendere et observare, Et danpna et expensas reficere
sub pena L lib. denariorum perusinorum etc, Et pro-
miserunt facere confessionem coram judice comunis pe-
rusij et quolibet alio judice competenti ad petitionem

partis petentis.
Constitutio federutij Ghelfonj.
Id., pag. 54 t.

Die ruy mensis februari. Actum apud dictum Mo-
nasterium in camera infrascripti dompni Abbatis pre-
sentibus Magistro Bartholo Mancie notario, dompno Ste-
phano Guilelmi et Benedictolo Magistri phylippi testibus
rogatis. Convocato et congregato capitulo et conventu
dieti Monasterij Saneti petri perusinj, in camera infra-
scripti dompni Abbatis, ad sonum campanelle ut moris
est. Cui capitulo interfuerunt infrascripti monachi ......
In ipso quidem capitulo Reverendus Vir dompnus Ugo-
linus de Monte Ubiano Abbas dicti monasterij una cum
predietis monachis, capitulo et conventu et de ipsorum
consensu, Consideratis meritis ac multis servitiis actenus
receptis per dietum Monasterium Saneti petri a Vene-
'abili in Christo patre et domino dompno Hugolino olim
abbate dicti Monasterij et nune Episcopo perusino et
ab aliis de domo sua, Instituit nobilem virum federu-
tium filium Ghelfonj de Ghelfonibus pronepotem ipsius
dompni Episcopi ibidem presentem in Rectorem ecclesie
Saneti Clementis de Valle tiberis perusine dyocesis, ei-
dem. Monasterio pleno iure subjecte, Vacantis ad pre-
sens per mortem dompnj Egidij olim rectoris ipsius ec-
clesie. Ipsumque federutium corporaliter investivit de

ipsa ecclesia et bonis, rebus et possessionibus ipsius

È

p

Er al A

*
4

Fi
— e € nm

E

Hs. CR

^

1

sn amt

a”
d



i
|
4
2
2
j
|
XVII. — 18£

Nomina di
Stefano di Gu-
glielmo a sin-
daco e procu-
ratore del mo-
nastero per ri-
tirare dal Ve-
scovo di Peru
gia Ugolino e
da qualsiasi col-
lettore, o sub-
collettore o da
altro ufficiale
della Curia Ro-
mana le decime
che il mona-
stero, e la chie-
sa di S..Apolli-
nare, avevano
pagato.

37, Agosto 11. Id

BRUNAMONTI TARULLI

per anulum more solito, Commictens eidem curam et
administrationem generalem ipsius ecclesie et bonorum
ipsius in temporalibus tantum, ad ipsius dompni Ab-
batis et prefati capituli beneplacitum revocandam. Et
comisit fratri Octaviano predicto ut eum. inducat in te-
nutam et possessionem ipsius eeclesie et bonorum ipsius

corporalem.

Syndicatus dompni Stephani.

I
DO

pag.

Die xj mensis Augusti. Actum fuit apud dictum
Monasterium Sancti petri in camera sepedicti dompni
Abbatis presentibus Magistro Dutio Byancioli, Bene-
dictolo Magistri phylippi et petro leonardi de perusio
testibus rogatis. Convocato et congregato capitulo di-
eti Monasterij in camera prefati dompni Abbatis, de
ipsius dompni Abbatis mandato, ad sonum campanelle
ut moris est, in capitulo interfuerunt dompnj

In ipso Monasterio prefatus dompnus
Ugolinus de Monte Vibiano Abbas ipsius Monasterj, una
cum dictis monachis, capitulo et conventu, et ipsi mo-
naci, capitulum et conventus, una cum prefato dompno
Abbate, nullo diseordante, nomine et vice ipsius Mona -
sterij et etiam ecclesie Saneti Apolenaris, eidem Mona-
sterio immediate subiecte, fecerunt, constituerunt et
ordinaverunt dompnum Stephanum Guilelmi licite ab
sentem, eorum et dicti Monasterij ac ipsius ecelesie
saneti Apolenaris syndicum et procuratorem, ad peten-
dum et exigendum, tollendum et recipiendum a Vene-
rabili in Christo patre et domino dompno hugolino
episcopo perusino et a quolibet alio collectore seu sub-
collectore, vel a quocumque alio offitiale Romane curie
deputato super restitutionem decime actenus solute per
ipsum Monasterium et per dictam ecclesiam Saneti Apo-
lenaris manu cuiuscumque notarii et ad confitendum

ipsam decimam recepisse pro eodem Monasterio et pro
XVIII. — 133

BILE

Licenza con-
cessa al mona-
co Fra Marino
di Cristoforo,
dall'Abate Ugo-
lino, di uscire
dal monastero
per fare quello
di cui il Comu-
ne lo aveva in-
caricato, intor-
no allo Studio
perugino.

XIX. — 1837, Dicembre 28.

Quietanza fatta
dal sindaco del
monastero ad
Andruzio di Cu-
zio, detto Cal-
vigio, per l'at-

APPUNTI STORICI, ECC. 58
dieta eeclesia Sancti Apolenaris eam convertendi dictam
pecuniam in utilitatem et eiusdem melioramentum ipsius
monasterij et prefate ecclesie, secundum formam litte-
rarum apostolicarum nuper de ipsa curia directarum.
Ed de his que recepit finem et refutationem faciendam

cum capitulis oportunis...
Licentia data fratri Marino.

Ottobre 1. Id. pag. 19.

Die primo mensis Octobris. Actum fuit apud dictum
Monasterium in camera supradieti dompni Abbatis,
presentibus fratre Balioncello hermannj Monacho. dieti
Monasterij et Nino Iacopelli dieto scaccia et Nicola
dompni Iohannis de perusio testibus rogatis. Pateat e-
videnter omnibus hane paginam publicam inspecturis,
quod Reverendus vir dompnus Ugolinus Abbas predic-
tus dedit et concessit licentiam in his seriptis fratri
Marino Xristophori monacho dieti Monasterij licite ab-
senti, exeundi extra dictum Monasterium et plenarie
ac fideliter exequendi omnia et singula sibi commissa
per Comunem perusij, cirea Studium et occasione studi]
perusinj, ut plenius patere dicitur in sindicatu de facto
per dietum Comunem et scriptum manu Hermannj quon-
dam Ranaldoli notarij dominorum Priorum artium Ci-
vitatis perusij. Approbans et confirmans in totum omnia
et singula gesta per eum pro ipso Studio anno pre-
sente... et etiam facienda, gerenda et procuranda per

eum in posterum usque pro Studio prelibato.
Calvigij.
95.

Id. 4, pag.

Eodem die et loco, presentibus lello Benvenuti et
Mariano Chondei de perusio testibus rogatis. Item fuit

confessus dietus Syndicus (Stefano di Guglielmo) ha-

t o

^

dine ctn e

da

|
|

NL

>

sign

x

im —

Sta mend t ont nu.

Van a

^

oa

E

x

LE
D4

fltto della for-
nace di S. Co-
stanzo,in conto
del quale affitto
era stata data
della pietra

.concia e dei

mattoni,per la
costruzione del
palazzo nuovo,
eretto vicino
alla Chiesa.

XX. — 1338, Gennaio 5.

Licenza data
dai monaci di
S. Pietro al lo-
ro Abate Ugoli-
no di ricevere,
senzail consen-
so dei medesi-
mi, tutti quelli
che a lui fosse
piaciuto di ac-
cogliere nel
monastero, e
di ammetterli
alla professio-
ne monastica ;
e tutto .ciò in
vista dei gran-
di servizi che
lo stesso Abate
aveva reso, in-
sieme a quei
disua famiglia,
al detto con-
vento.

L. BRUNAMONTI 'PARULLI

buisse ab Andrutio Gutij dieto Calvigio porte et paro-
chie saneti petri solvente pro heredibus quondam Step-
hani Recabene per coptumum vinee et tegularij posite
in colle Sancti Constantij, pro duobus annis preteritis
finitis in festo omnium sanctorum proxime preterito,
sexagintas libras denariorum perusinorum, hoc modo
videlicet xxx. libras denariorum in petra mundata,
Et pro aliis xxx libris denariorum fuit confessus ha-
buisse matones pro opere palatij novi nuper facti iuxta
ecclesiam dieti monasterij, de quo coptumo pro dictis
duobus annis fecit ei recevutam pro dictis heredibus,

finem et refutationem etc.

Id. pag. 95 t. e 96 r.

e

Mille

3enedicti

In nomine domini Amen. Anno domini
cccxxxviij. Indictione vir tempore dompni
pape xij, die v mensis januarij. Actum fuit apud Mo-
nasterium sancti petri perusinj in

Abbatis

'amera infrascripti
dompni presentibus petro jacobi, Ceccarino
Nini et Bartholino Symoli de perusio et eius comitatus,
familiaribus infrascripti dompni Abbatis testibus roga-
tis. Capitulo et Conventu supradicti Monasterij sancti
petri ordinis Sancti Benedieti ad Romanam Ecclesiam
nullo medio pertinentis, de licentia et mandato Reve-
rendi ac religiosi viri Dompni Ugolini de Monte Vibiano
abbatis, ad sonum companelle more solito convocato
et congregato. Cui capitulo interfuerunt infrascripti mo-
nachi:claustralos:c D osea CUN TU RURAL,

In ipso quidem capitulo omnes supradieti monachi con-
siderantes et attendentes magnitudinem dilectionis et
et fidei quam prefatus dompnus Abbas et sui omines
semper habuisse probantur et habent, ac in futurum ha-
bere sperantur, circa honorem statum et incrementum
eiusdem monasterij, et quod se nimis laudabiliter gessit

usque modo in recuperandis ac reinveniendis eidem mo-
In vista della
licenza ottenu-
ta dai suoi re-
ligiosi, l'Abate
Ugolino . am-
mette nel mo-

nasterio nonnullis possessionibus, bonis et rebus, actenus

2
(>)

APPUNTI STORICI, ECC. 3

gone

—mnziart € IQ € LS

a nonnullis personis diversimode et in diversis parti-
bus et locis subtractis et distractis ac etiam usurpatis.
Nec non considerantes et attendentes: magnifica, gran-
dia, utilia et honorifiea opera eiusdem dompni Abbatis, i

habito et premisso inter se ad invicem super infascripta

#

diligenti tractatu et deliberatione sollepnj, tam nomine
ipsorum, quam et ipsius monasterij et totius predicti
capituli et conventus, omni modo materia et forma qui-

bus et melius et efficacius potuerint, Voluerunt et de-

*
P.

- i aul M ieu de m ÓRÁÀMMMe— e m —

creverunt, deliberaverunt et ordinaverunt, ac etiam una-

nimiter et concorditer consenserunt eidem dompno. Ab-

ti presenti, volenti et consentienti Quod idem dompnus

Abbas habeat et ex nune habere intelligatur plenam
generalem et liberam potestatem, Et eidem dompno Ab-
bati presenti et recipienti ex nunc dederunt et conces-
serunt et contulerunt plenam, generalem et liberam

potestatem, auctoritatem, facultatem et iurisdictionem

|

,

|

!

|
4
m

omnimodam et plenissimam, Monachos in dicto Mona-
sterio de novo eligendi, faciendi, creandi et recipiendi,
et eis habitum monachalem tradendi, ac eos ad profes-
sionem recipiendi, quos et quot, quoties, quando et
quomodo eidem dompno Abbate placuerit et ei visum
fuerit convenire, et prout et sieut de ipsius dompni Ab-
batis processerit voluntate. Et generaliter omnia alia
et singula facienda, gerenda et exercenda que circa re-
ceptionem et inductionem ipsorum Monachorum per eum
recipiendorum et novo... tantum dumtaxat ac eorum pro-

fessionem fuerint facienda, gerenda et exercenda, pro-

——— IIR

mittenda;et recipienda -. —. —— e

4
Ru
-—

Receptio Nutii et aliorum.

P
Tage a

Gennaro 22. Id:.pag. 97:r e t.

PON, 4

SHE" E a MUS

Die xxij mensis januarj. Actum fuit apud dictum
Monasterium Saneti petri perusini in camera infra-

scripti dompni Abbatis presentibus Magistro jacobo Be-

c'e eee

Cd nen dico Sem
D6

nastero, Nun-
zio di Giulietto
di Nunzio di
Filippuccio di
Monte Vibiano
cittadino peru-
gino; Giovanni
di Nino di Lel-
lo Guidalotti ;
Bonifazio detto
Fagino del fu
Ciuzio di Ve-
gnatolo di Mon-
tenero, citta-
dino perugino,
e Stefano di Gu-
glielmo ; tenu-
to conto delle
qualità perso-
nali di ciascu-
no di costoro e
dei meriti dei
loro maggiori.

Stefano di Gu-

glielmo era già
ai servizi del
monastero, oc-
cupando l’ uffi-
cio di sindaco
e procurotore
per trattare gii
affari dei mo-
naci.

‘ L. BRUNAMONTI TARULLI

venuti notario de perusio de porta Sancti petri et paro-
chia hospitalis, petro Ranaldi olim de pozoli et nunc
de perusio de porta Sancti petri et parochia Sancti Silve-
stri et petro jacobj olim de Castro plebis et Bartolo
putij olim de Nucerio, ambobus familiaribus infrascripti
dompni Abbatis testibus rogatis. Reverendus ac religio-
sus vir dompnus Ugolinus de Monte Vibiano Abbas
dieti Monasterij Saneti petri, Ex licentia et auctori-
tate sibi tradita et concessa a Monachis, capitulo et con-
ventu prefati monasterij Sancti petri, ut de ipsa li-
centia et auctoritate sibi tradita ab ipsis monachis, capi-
tulo et conventu, manu mei notari latius noscitur con-
tineri et omni modo, materia et forma, quibus melius
et efficacius de iure potuit, Considerans et attendens
quod Nutius filius Guiglieti Nutij phyliputij de Monte Vi-
biano, Civis perusinus de porta Sancti petri et parochia
Saneti Silvestri, et johannes filius Nini Lelli dompni Gui-
dalotti de perusio de porta sancti petri et parochia San-
cte lucie, et Bonifatius alias dietus faginus filius quon-
dam Ciutij Vegnatoli de Monte nigro, Civis perusinus
de porta sancte susanne et parochia Sancti Gregorii,
sunt iuvines bone conditionis et honeste conversationis
et fame, qui tam per se ipsos quam etiam per progeni-
tores et£ majores ipsorum prefatum monasterium in ca-
pite et in membris poterint tueri, poterint ac de bono
in melius augmentare, Considerans etiam fidelia, prom-
pta et diuturna servitia dudum prefato Monisterio et
eidem dompno Abbate per honestum virum dopnum
Stephanum Guilielmi, olim de Tuderto, solerter exhibita
et impensa, Ex nunc elegit, nominavit recepit et acce-
ptavit pro statu et honore dicti monasterij Supradic-
tos Nutium Guiglieti, Iohannem Ninj, Bonifacium alias
dietum faginum quondam Cinij et dopnum Stephanum
Guilielmi licete absentes, tamquam presentes et quem-
libet ipsorum in. monachos Monasterij prelibati, volens
et mandans expresse eos et quemlibet eorum effectua-
liter recipi debere in monachos dicti Monasterij, ac eis

et cuilibet eorum, ad petitionem ipsorum et cuilibet eorum
XXII. — 1338, Febbraio 3.

Contratto sti-
)ulato dall’ A-
)ate.. Ugolino
coi muratori di
Torgiano per
costruire la
parte superio-
re del Chiostro
con i suoi cor-
nicioni, colon-
nette ecc.

c ——Há

jt

-1

APPUNTI STORICI, ECC.

beati

Benedicti et constitutiones et observantias Monasterij me-

tradi habitum monachalem secundum regulam

morati.

eiusdem Monasterij et magistrorum de Torsciano.

Id. pag. 100 t. e 101 r.

Eodem die et loco, presentibus dompno phylippo de
Corgna, Guidutio Nutij phyliputij; dompno Stephano
Guilelmi, Benedictolo Magistri phylippi et petro jacobi
testibus rogatis. Magistri Bartholus et Manutius fra-
tres, filij Magistri putij de Castro Torseiani comitatus
perusj, asserentes se fore a dicto eorum patre emanci-
patos, ut apparet manu magistri Angeli notari, per se et
eorum heredes, quilibet eorum principaliter et in soli-
dum, obligantes se et omnia eorum bona, pacto promise-
runt et convenerunt Reverendo viro Dompno Ugolino
Abbati dicti monasterij, recipienti pro eodem Monasterio,
facere et laborare ad eorum magistros, manovales et
operarios quatuor cruceria de matonibus super clau-
stro ipsius monasterij Et omnes fenestras que intra-
bunt et erunt faciende in pariete anteriore versus dic-
tum claustrum promiserunt laborare et seulpere de co-
lunpnellis et aliis laboreriis condecentibus. Et promise-
runt facere filum exteriorem supradicti parietis, et
ghirlandam in plano voltarum infra de lapidibus scul-
ptis ad gravinam, Et filum interiorem ipsius parietis de
matonibus, a ghirlanda vero predicta supra promiserunt
facere dietum murum pariete pectorale et sedilia de ma-
tonibus, Item promiserunt facere quandam scalam, per
quam ascenditur ad planum dictarum voltarum, de la-
pidibus scorniciatis et politis ad gravinam decoris ct
puleritudinis prout magnificientie dieti operis viderint
convenire, ac etiam exigetur. Item promiserunt mastri-
care dietas voltas desuper, et etiam facere unum sedile
de matonibus in sala dieti operis super dietas voltas

ex parte muri palatij veteris. Item promiserunt reddere

e ner nna ima aie

C

NEPUY CE Y

<

|
i
i
%
i
|
|

eo! Vis m i
corn ae. —
XXIII. — 1338, Febbraio 3.

Mandato di pro-
cura emesso à
favore del mo-
naco Balioncel-

L. BRUNAMONTI TARULLI

et consignare dietum opus completum per totum men-
sem maij proxime venturi. Et in dicto opere et labo-
rerio continue et fideliter laborare, continuare et pro-
cedere promiserunt, Et ex adverso prefatus dompnus
Abbas promisit dare dietis magistris caleinam intrisam
prima vice et omnes lapides et mattones, lignamina pro
pontibus et totum aliud fornimentum, ferramenta que
intrarent in dicto opere et laborerio et totum astricum
intrisum et paratum ad ponendum in laborerio predicto.
Item promisit eis dare et solvere pro eorum salario
ducentas libras bonorum denariorum perusinorum hoc
modo, scilicet tertiam partem in principio dieti operis,
tertiam partem in medietate et aliam tertiam partem in
fine dieti operis. Item promisit eis dare unum flore-
num aureum: pro actandis et rebactendis martellis,
sealpellis et aliis eorum ferris actis ad laborandum.
Item promisit eis dare victum pro magistris et ma-
novalibus et omnibus operariis conducendis per di-
etos magistros in dicto opere, tam diebus laborati-
vis, quam et festivis. Hoc pacto apposito de partium
voluntate, Videlicet quod si dieti magistri non irent
bene de dieto coptumu secundum predietum salarium,
quod dietus dompnus abbas promisit et teneatur cis
providere ultra dietum salarium, sieut discretioni sue
videbitur convenire. Ratificantes dicte partes, excep-
tis ete. Et hoc promiserunt sibi invicem diete partes tene-
re, attendere et observare, facere et adimplere et non con-
trafacere vel contravenire, et danpna et expensas inten-
dere reficere, sub pena quingentarum librarum denario-
rum perusinorum etc. Et promiserunt facere confessionem
coram judice comunis perusij et quolibet alio judice

competenti, ad petitionem et terminum partis petentis.
.. mandatum fratris Balioncelli.

Id. pag. 101 t.

In nomine domini Amen. Anno domini Millesimo

ccoxxxviij. Indietione vr tempore domini Benedicti pape
lo, perché pos-
sa adoperare le
rendite edi pro-
venti della sua
quota eredita-
ria, la eui. pro-
prietà era stata
da lui ceduta
ai propri fra-
telli, avanti di
ricevere l'abito
monacale, a-
vendosi riser-
bato soltanto
lusufrutto,
inoccasione
della sua anda-
ta allo Studio
di Perugia per
apprendervi il
gius canonico.

APPUNTI STORICI, ECC. | = 59

xi, die tertio mensis februari. Actum apud dictum mo-
nasterium Saneti petri perusini in camera infrascripti
dompni Abbatis, presentibus Ceccarino Nini, Iacobo leo-
nardi et petro Iacobi, familiaribus ipsius dompni Abba-
tis testibus rogatis. Convocato et congregato capitulo et
conventu dicti monasterij, de licentia et mandato Reli-
giosi ac Reverendi viri Dompni Ugolini de Monte
Ubiano Abbatis eiusdem monasterij ad sonum campa-
nelle in camera ipsius dompni. Abbatis ut moris est,
Cui Capitulo interfuerunt infrascripti monachi claustra-
les et conventuales, capitulum in ipso monasterio fa-
cientes; videlicet. c Apr parte

In ipso quidem capitulo prefatus dompnus Abbas una
cum dietis Monachis, capitulo et conventu et ipsi mo-
nachi, capitulum et conventus, nullo discordante, una
cum prefato dompno Abbate, nomine ipsorum et totius
predieti capituli et conventus, Considerantes et atten-
dentes quod frater Balioncellus filius quondam Hermannj
dompni Ugolini de Castiglione Ugolini, Civis perusinus
de porta Sancti petri et parochia Sancte Marie de mer-
cato, monachus dieti monasterij Sancti petri, iam im-
petravit licentiam ab eodem dompno Abbate studendi
in jure canonico in Studio perusino, Et quod ipsum Stu-
dium absque magnis sumptibus utilitér, prout affectat,
prosequi non valeret, omni modo, via et forma, quibus
melius et effieacius potuerunt, Unanimiter et concordi-
ter dederunt et concesserunt licentiam, auctoritatem et
potestatem omnimodam eidem Fratri Balioncello, pre-
senti et humiliter supplicanti et acceptanti, libere utendi
et fruendi fructibus, redditibus et proventibus perci-
piendis ex omnibus et singulis bonis et rebus actenus
donatis et concessis per ipsum fratrem Balioncellum,
ante susceptionem habitus monachalis, Masscio filio na-
turali olim supradieti Hermannj et etiam Symonj, Nino,
Carlutio, Berto et Nicholao suis fratribus cárnalibus
ex utroque parente. Quod fructus, redditus et proventus
idem frater Balioncellus sibi reservavit in vita sua, prout

— QM Rm Da emma ue d

eir o

=_= - nuca

zv Um

TUE LANE

et P ——XÓ—— na

|
J
E
gm
|

— —— M Pဠpi

— (PI
60

L. BRUNAMONTI TARULLI

de ipsa donatione instrumento pnbblieo seripto manu

Uderisij Massoli notari a me infrascripto notario viso et

lecto latius continetur, Ipsosque fructus, redditus et pro-

ventus dispensandi et convertendi in suas necessitates

tam pro libris et aliis expensis oportunis ad supradie-

tum Studium prosequendum, quam etiam pro quibu-

scumque aliis suis necessitatibus relevandis et pauperi-

bus et consanguineis ut sibi placuerit erogandi. Et ni-

chilominus fecerunt, constituerunt et ordinaverunt pre-

dietum fratrem Balioncellum presentem et acceptantem

eorum et dicti capituli et conventus verum et legitimum

Syndieum, et procuratorem, actorem, factorem et nun-

ptium specialem ad tenutam et possessionem dictorum

fructuum, reddituum et proventorum capiendum, mit-

tendum et tenendum et ipsis fructibus, redditibus et pro-

ventibus utendum et fruendum prout sibi placuerit. Et

ad dandum concedendum et locandum et

dislocandum

ad coptumum seu ad laboritium et quocumque alio ti-

tulo terras, possessiones et bona predicta, totaliter seu

particulariter et domos, ad pensionem illi vel illis, uni

vel pluribus et pro illo coptumu, laboritio et pro illa

parte et pro ea pensione et per illud tempus et tempora

et sub illis pactis et conditionibus, prout eidem fratri

Balioncello videbitur et placuerit.

Licentia data Fratri Marino.

XXIV. — 1338, Febbraio 21.

Licenza data
dall'Abate Ugo-
lino al monaco
Fra Marino di
Cristoforo di ri-
cevere dei com-
pensi da parte

del comune .di

Perugia per a-
ver condotto e
scelto dei dot-
tori per lo Stu
dio e di rila-
sciare la rela-
tiva quietanza.

In

nomine

domini

Amen.

Anno

Id-;p. 101 t.

domini Mil-

le ccoxxxviij. Indictione vr tempore dompni Benedicti

pape xij, die xxj mensis februari. Actum apud dietum

monasterium Sancti petri perusini in camera infrascripti

dompni Abbatis presentibus Stephano Guilielmi, petru-

ciolo Cinj et pecciolo Ranaldj testibus rogatis. Reve-

.Monasterij, presenti et petenti, petendi et exigendi, tol-

rendus Vir dompnus Ugolinus Abbas dicti monasterij

dedit licentiam fratri Marino Xristophori, monacho dieti
Revocatio licentie fratrum

XXV.

Revoca di li-
cenza di anda-
re allo Studio
fatta ai-monaci
Fra Marino di
CristoforoeFra
Balione, e deci-
sione che i me-
desimi non e-
Scano dal mo-
nastero per re-
carsi allo Stu-

APPUNTI STORICI, ECC. 61
lendi et recipiendi a Comune perusii et
que offitialibus dicti Comunis, omnem pecunie quanti-
quam recipere teneatur et debet a dicto C
pro suo salario, ocasione offitii actenus
dieto Comune super c

tatem omune
sibi commissi a
onducendis et eligendis doctoribus
ad Studium et in Studio perusino, secundum declaratio-
nem consilij... ferendi seu ferende de pr

edietis per sa-
pientem virum dompnum Alexandr

um johannis judi-
cem de perusio, ad hoc per dictos pr

iores artium depu-
tatum, Et

ad confitendum sibi solutum fore
€t refutationem faciendam de toto et p
placuerit, cum capitulis oportuni

et finem
arte, prout sibi

s, ita quod bene valeat
de jure. Et etiam petendi et faciendi
niri, gray

cogi et conye-
ari et- detineri quoscumque offitiales dieti Co-
munis per dominos potestatem et C

apitaneum et eorum
familiares ad predictam

dum formam statuti et ordinamenta dicti Comunis lo-

quentium de salariis et expensis dandis et faciendis oc-

casione Studij prelibati. Et generaliter omnia et singula
facienda que in predictis et cire
saria, utilia et oportuna, et que idem dompnus Abbas
facere posset, Ratificans et approbans quiequid actum
et gestum est per ipsum fratrum

Marinum vel expedia-
tur fieri in futurum cor

am eodem dompno Alexandro,
Et ratum habere promietens quiequid per eum fiet in
à et non contrafecere, sub ypo-
atione bonorum dicti Monasterij.

predictis et circa predict
theca et oblig

Marinj et Balionis.

1338, Aprile 1.

Id. pag. 112 t.
Eodem die et loco, presentibus petro jacobi, Andrea
Ugolinj, petruciolo Scinj, et Nicolo Nie

ole, familiaribus
reverendi viri dompni Ugolini Abb

atis eiusdem Mona-
sterij testibus rógatis. Dompnus Abbas pre

dietus, con-
siderans cet

attendens quod licentia per.

eum actenus
data atque concessa fratri Marino Xr

istophori et fratri

5

€ ——Ó———

a quibuscum-.

solutionem faciendam, secun-

à predicta fuerint neces-

; : V GNA NER TEN C
UIN SP. SS
nie Y

|
)
!
|
|
|
|



vits
att STE a

B
Tw

E

2 PNE
ae i i a n t lg

Na a
a mw

«m ^

(UELLE

es

ù

EI


3
-
he»

62

dio, senza e-
spressa licenza
dell'Abate Ugo-
lino.

L. BRUNAMONTI TARULLI

Baliono hermannj monachis suis occasione Studij pro-
at eis ut plurimum causa discursus, Idcirco

t dictorum mo-

seguendi, er
o majore honestate ipsius ! Monasterij e

nachorum revocavit expresse omnem licentiam actenus

r eum datam et concessam eis et cuilibet
ripti vel alterius pro

pr

pe eorum. et

seriptam manu mei notari infrase
Studio et occasione Studi] prelibati et mandavit expresse

quod ex nunc extra septam dicti Monasterij exire non

asione dieti Studij ve alia quacumque, sine

debeant oce
Et

ipsius dompni Abbatis expressa licentia et mandato.

hoc presente dieto fratre Marino et absente eodem fratre

Balione.

Dompni Stephani et quorundam scriptorum.

XXVI. — 1338, Aprile 9.

Contratto per

trascrivere un
breviario mo-
nastico.

Id. pag. 113 t. e 114 r.

Actum apud dietum Mo-
et petrucolo

Die viiij mensis Aprilis.
nasterium presentibus Guiglieeto . . .
Berciolj de perusio et pellolo Nicoli et francischino
Mathei de villa Sancte marie de Valligemine comitatus
rogatis. Magister Martinus domini

perusini testibus
Civitate peru-

Thomasinj de Mutina, nunc habitator in
sij in porta Saneti Angeli, in parochia Saneti Martini de
Viridario et Flornovellus frater eius et Andreas Mar-
tinj alias dietus Martius de perusio de porta Saneti An-
Sanete Marie de Viridario, habitator in

Saneti Martini de Viridario pss

geli et parochia
dicta porta et parochia
heredes quilibet eorum principaliter et

arte una, Et dompnus Stephanus "Titi mo-
, Ad infrascripta

se et eorum
solidum ex p
nachus dicti monasterij ex parte altera

a et conventiones inter se onis pervenerunt,

paet
llus et

Videlicet quod dicti Magister Martinus, Flornove

Andreas promiserunt dicto dompno Stephano se ita fa-
cturos et curaturos cum effectu quod Nicolutius Co le de
Do-

perusio de porta Sancti Angeli et parochia Saneti

nati sive Saneti Fortunati faciet et seribet de sua ]
Breviarium

)ro-

pria manu eidem dompno Stephano Unum
———__m———_—__—___——@"@"@11@t@@r@r@@c@’

——— nro
———á :

APPUNTI STORICI, ECC. 63

E - zz

monasicum, de ea lictera vel equa bona prout incepit
et dimisit apud eundem dompnum Stephanum idem Ni-
colutius in quodam folio de carta edina que monstra sic

incipit, Ineipiunt festivitates sanctorum ete., Et finit sie,

ner

e, Etin opere dieti breviarij continue prosecutus con-
tinuabit et scribet veraciter et legaliter atque procedet,

'

E
| l

Et ipsum breviarium complebit de dicta scriptura, Et
completum habere ae etiam restituet, Et ipsi restituere
promiserunt eidem dompno Stephano hine ad unum an-
num proxime venturum complendum. Et finito de scri-
ptura predicta quolibet quinterno ipsius operis promi-
serunt ipsum quinternum diligenter aseultare cum orri-
ginali et exemplari suo de verbo ad verbum et corre-
ctiones corrigere et remictere inter lineas de equa bona
licera sicut incepit idem et secundum monstram de qua
supra fit mentio. Et sie ascultatum, correctum et remis-
sum sibi reddere et consignare, habita prius solutione
cuiuslibet quinterni inferius declarata. Et versa vice di-
ctus dompnus Stephanus promisit et convenit dictis Ma-
gistro Martino, Flornovello et Andree, dare et prestare
eis seu dicto Nicholutio exemplar monasticum ita ut de-
fectu ipsius exemplaris dietus Nicholutius seriptor non
vacet in prosecutione dicti operis, et si defectu huiu-
smodi vacaret aliquo tempore, Voluerunt concorditer di-
cte partes quod totum dietum tempus non computetur in
anno predicto sed supra et ultra ipsum annum debeat
computari. Item promisit eis dare et solvere pro mercede

diete scripture decem et octo florenos bonorum denario-

———

rum perusinorum pro quolibet quinterno, de quo pretio

iggriortot

et summa fuerunt confessi habuisse et recepisse ab eo-

A.

- Si

dem dompno Stephano tres florenos de bono et puro

auro et iusto pondere comunis perusij de quibus face-

NT

runt ei finem et refutationem. Item promisit eis dare
cartas, atramentum, vernicem et cinaprum oportunum
operi prelibato. Et pro his obligaverunt predieti Magi-
ster Martinus, Flornovellus et Andreas dicto dompno

Stephano iure pignoris et Ypothece omnia eorum bona

sig eg ng

et cuiuslibet eorum mobilia et stabilia ete. Que bona sibi

[64e mera a ent nu.
a

Pia, M
NERO SU A, MN I

£

È gm

4

P

64

L. BRUNAMONTI TARULLI

obligando se deinceps constat eius* nomine precario
possidere ete. Et dederunt sibi licéntiam eos et quoslibet
eorum conveniendi realiter et personaliter. Perusij, Asisi,
Fulginij, Senis, Florentie et ubique locorum ete. Sub-
mictentes se sponte et eorum heredes et bona comune
perusino, Asisinate etc. Ratificantes diete partes sibi
invieem exceptis etc. Et hec omnia promiserunt sibi in-
vicem dicte partes tenere, attendere et observare et non
contrafacere, Sub pena ducentarum librarum denario-
rum perusinorum ,etc. Et dicti Magister Martinus Flor-
novellus et Andreas corporaliter iuraverunt ad sancta
Dei evangelia tactis scripturis etc. Et de predictis fa-
cere confessionem coram iudice comunis perusij et
quolibet iudiee competenti ad petitionem partis pe-
tentis.
(In margine del foglio si legge)

prefatus Nicolutius non scripserit et fecerit dietum li-
brum ut superius dictum est promisit se scripturum,
quod dietus Magister Martinus de sua propria manu fa-
ciebat et faciet veraciter et legaliter et completum ha-
bébit et restituet dicto dompno Stephano in dicto ter-

mino sub modo et ordine anterius declarato.

Protestatio facta, Vicario et yconomo episcopatus.

XXVII. —.1

Protesta fatta
al Vicario ed al-
|' economo del
vescovato per
riavereil grano
i libri, le tazze
ed i cucchiaini
dati in prestito
al Vescovo U-
golino dal mo-
nastero di S.
Pietro.

338, Maggio 15. Idi: 117;
In nomine domini Amen. Anno millesimo ocoxxxviij.
Indietione vr tempore dompni Benedieti pape xIJ, die
xv mensis Maij. Actum in domibus episcopatus pe-
rusini presentibus Matheo Vannis olim de pistorio,
Capo Bartholonis et phyliputio Gilij de perusio testibus
rogatis. Existens dompnus Stephanus Guilelmi Syndi-
cus dompni Abbatis, capituli et conventus dicti Mona-
sterij saneti petri, manu mei notarij infrascripti, in pre-
sentia Reverendi viri dompni Tancredi canonici peru-
sini et Vicarius eurie episcopalis, nec non yconomi pre-

dicti episcopatus vacantis ad presens per obitum bone
XXVIII. — 1338, Maggio 15.

Uguale pro-
testa vien fatta
dallo stesso sin-
daco ai Cano-
nici della chie-
sa maggiore di
S. Lorenzo, i
qnali rispondo-
no che prima
si. dovesse re-
stituire il ca-
vallo e che po-
scia si sarebbe
pensato al re-
sto dagli eco-
nomi del ve-
scovato.

APPUNTI STORICI, ECC. 65

memorie dompni hugolinj olim episcopi perusinj, Requi-
sivit eundem dictum Tancredum vicarium et yconomuni,
ac eisdem cum reverentia protestatus fuit et dixit, quod
hine ad xv dies proxime venturos debeat luere et
recolligere quemdam equum pilei lyardi vel qui eiu-
sdem episcopatus, quem habet penes se Abbas et ca-
pitulum dieti Monasterij pro restitutione xxv corbarum
granj. actenus mutuati ut dicitur eidem episcopo per
ipsum dompnum Abbatem, et etiam pro quibusdam li-
bris et pro quibusdam tassis et coclearijs d' argento.
Quos libros, tassas et coclearia idem dompnus episco-
pus confessus fuit se habuisse in depositum de bonis
dieti Monasterij, ut dieitur apparere manu Andree Bu-
fecti notarij. Et quod ipsum granum, libros, tassas et
coclearia dieto Monasterio reddant et restituant cum
effectu. Aliter a dieto termino in antea stet et stare de-
beat dictus equus risicho, fortuna et periculo dicti epi-
scopatus cum dietum equum idem dompnus Abbas
elapso dieto termine vendere intendat et pretium ipsius
sibi retinere pro dicto Monasterio pro satisfactione re-

rum supra dictarum.

Protestatio facta capitulo perusino.
Id. p. 117 t.

Eodem die. Actum in choro ecclesie Saneti lau-
rentij majoris ecclesie perusine presentibüs supradicto
Matheo de pistorio, domino petro Bonaspene et domino
Bartholo Cresscij et Cola Angelutij de perusio testibus
rogatis. Existens dietus Stephanus Guilelmi Syndicus
antedictus in presentia canonicorum eí capituli ipsius

ecclesie perusine, ipsis congregatis ad capitulo ad so-

num campanelle in dieto choro ut moris est; de licentia

et mandato dompni Nicole prioris claustralis, Requisivit
eos et cum reverentia protestatus fuit eis ut supra la-
tius constat. Qui responderunt quod idem dompnus Ab-

bas debeat dictum equum ad ipsum episcopatum remic-

FE

£

i m,

x ^. SF. VE e

— ii

noti za

5

^de e read ara enu L. BRUNAMONTI TARULLI

tere et postea providebitur per yconomos dicti episco-
patus de his que petit idem dompnus Abbas. Ad quam
responsionem respondit et replieavit dietus dompnus Ste-
phanus quod prius redderentur predicta et postea re-

mictetur equus predietus.

Protestatio facta Marcolo scalaris

XXIX. — 1338, Maggio 16. Td: p: 1f: t.

Analoga pro-
testa fatta a
Marcolo seala-
ro, economo
del vescovato.

xx 1888.

La stessa pro-
testa a Dome-
nico altro eco-
nomo.

Lo stesso Stefano di Guglielmo Syndicus dieti Mo-
nasterij in presentia predicti Marcoli Maffutij scalari]
unius ex yconomis antedicti episcopatus perusinj, requi-

sivit eundem Marcolum..... et protestatus fuit ut supra.

Protestatio facta dominico.
Maggio 16. Id. pag. 117 t.

Fodem die. Actum in camera dominici Rigoli spe-
tiarij, posita secus plateam comunis perusij presente
antedieto Matheo de pistorio, et Lello francisci spetiario
de perusio testibus rogatis. Existens dictus Stephanus
Guilelmi Syndicus predietus in presentia dicti dominici
unius ex yconomis dicti episcopatus, requisivit eum et
sibi protestatus fuit ut supra. Qui respondit eidein
quod dompnus Abbas remicteret dietum equum ad ipsum
episcopatum et ipso relieto providebitur per eum et alios
suos conyconomos de predictis que petit sieut ei vide-
bitur convenire. Ad quem respondit dietus Syndicus
quod prius redderentur predieta eidem Monasterio et

postea remittebatur dietus equus ad dietum episcopatum.

Protestatio facta. Mathiolo.

XXXI. — 1338, Maggio 23. Id:pi-:118.
A Mattiolo Diese Existens dompnus Stephanus Guilelmi Syn-

uno degli eco-
nomi,

dicus antedietus in presentia Mathioli Gelinij mercato-
XXXII. — 1338, Maggio 23.

Protesta fatta
a Niccolò cal-
zolaro, altro e-
conomo.

XXXIII. — 1338, Maggio 23.

L' economo
Massolo si di-
chiara final-
mente pronto
a fare quello
che credeva
giusto nell'in-
teresse del mo-
nastero.

XXXIV. — 1338, Settembre 29.

Proibizione ai
monaci di re-
carsi nella cit-

APPUNTI STORICI, ECC. 61

ris de perusio yconomi dicti episcopatus fuit protesta-
tus eidem ut supra. Qui respondit quod equus reddere-
tur et eo reddito episcopatui ipse et alij yconomi sotii
sui intendebant providere super his que petebantur per
dietum dompnum Abbatem. Qui syndicus dicte respon-
sioni respondit et replicavit quod prius satisfieret per
eos dieto monasterio et postea reddetur equus superius

notatus.

Protestatio facta. Niccolo.
Id. p. 118.

Eodem die.... Existens dictus Steptanus Guilelmi
Syndicus predictus in presentia Niccoli finoli calzolarij
yconomi dicti episcopatus et in presentia mei notarii
et testium predictorum fuit protestatus eidem ut supra.
Qui respondit quod equus reddetur ut supra. Cui respon-

sioni dictus Syndicus respondit et replicavit ut supra.

Protestatio facta. Massollo.
Lib. pag. 118.

Eodem die... Existens dietus Stephanus Guilelmi:
Syndicus predictus in presentia Maffoli Rucholi ycono-
mi dicti episcopatus et in presentia mei Notari et testium
predictorum fuit protestatus eidem ut supra. Qui respon-
dit quod erat paratus pro parte sua omnia facere que
de iure fieri debet dieto monasterio per dictum episco-

patum.

Constitutio de non intrando Civitatem.
Id. pag..128.

Eodem die. Convocato et congregato capitulo et con-

ventu supradicti Monasterij sancti petri perusinj in ca-

MET.

ETUR

C. DGIO PEEMENL UP M

Zw

P

—P—— niter). .——

dam

ir " "
ua o s ———Á— —

|

|

| |
E.
|
H

|
L|
|]
|

|
i
I
:

A,

rente Sd aua VU

t

SI SCIE" AE

de vrrnand
UMP SP O I NE

68

tà, senza il per-
messo dell’ A-
bate o del suo
rap presentan-
te, sotto pena
della scomuni-
ca.

XXXV. — 1338, Ottobre 17.

Licenza con-
cessa dall’Aba-
le Ugolino ai
monaci Fra Ma-
rino di Cristo-
foro, Fra Ba-
lioncello di Er-
manno ed a Fra
Ugolino di Pie-
tro di recarsi
allo Studio pe-
rugino e di stu-
diarvi il diritto
canonico.

L. BRUNAMONTI TARULLI

mera Reverendi Viri Dompni Ugolinj Abbatis eiusdem
Monasterij de mandato ipius dompni Abbatis ad sonum
eampanelle ut moris est. Cui capitulo interfuerunt in-
frascripti monachi claustrales capitulum in ipso Mona-

sterio facientes, videlicet. È E

In ipso quidem capitulo prefatus dompnus Abbas con-
siderans et attendens quod ex nimio et inordinato mo-
nachorum et clericorum discursu inhonestas plerumque...
et fame dieti Monasterij plurimum derogatur, Constitu-
tionem et monitionem factam

actenus dum-

per eum
taxat presentialiter renovandam, Et de novo in eodem
capitulo constituit, decrevit ed ordinavit, Nee non sub
excomunicationis pena quam predictos monachos presen-
tes et alios monachos claustrales et conventuales ipsius
Monasterij et ecclesiasticos eiusdem Monasterij incur-
rere voluit ipso facto et sub virtute sancte obedientie
monuit dietos monachos et alios clericos . ETC

eis et aliis monachis claustralibus absentibus et aliis
ecclesiasticis conventualibus tradidit distinctius in manu
Quatenus nullus eorum audeat vel presumat perusina
Civitate intrare sine ipsius dompni Abbatis vel alterius

cui in hae parte vices suas comiserit licentia spetiali.

Licentia studij data quibusdum monacis

Id. pag. 129 t.

Die sabbatj xvij mensis Octobris. Actum apud die-
tum Monasterium sancti petri perusinj presentibus ja-
cobo leonardi, Matheo quondam Vannis et francischetto
Thomassi familiaribus supradicti dompni Abbatis testi-
bus rogatis. Convocato et congregato capitulo et con-
ventu supradicti saneti petri perusini in sala ^7palatij
veteris eiusdem Monasterij de mandato ipsius dompni
Abbatis ad sonum campanelle ut moris est. Cui capitulo
interfuerunt infrascripti monachi eiusdem. Monasterij ca-
pitulum in ipso Monasterio facientes, seilicet .

E . .
. . . . . . . . . " . . . . . . . XXXVI. — 1338, Ottobre 17.

Licenza con-
‘cessa al mona-
co Fra Corrado
priore della
Chiesa di S. Do-
nato di Monte
frondoso di re-
carsi allo Stu-
dio per impa-
rare il’ diritto
canonico e per
attendere a
quelle scienze
che a lui fosse
sembrato più
conveniente di
studiare.

APPUNTI STORICI, ECC. 69

In ipso quidem capitulo prefatus dompnus Abbas con-
siderans et attendens quod religiosorum et ecclesiasti-
corum prefatorum status et conditio per studia lictera-
rum et acquisitionem scire potissime decoratur et quod
scientia in religiosis et clericis sicut gemma fulgida res-
plendet in anulo, habito consilio et assensu dictorum
monachorum et capituli et conventus et premissa cum
eis deliberationi sollenpnj dedit et concessit licentiam
in his seriptis fratribus Marino Christophori, Balioncello
hermannj et Ugolino domini petri monachis superius
nominatis ibidem presentibus et humiliter supplican-
tibus et petentibus studendi in iure canonico in Studio
perusino et ad scolas redeundi et Studium ipsum con-
tinuandi et proseguendi, Dum tamen diebus dominicis
et sollenpnibus quibus non essent scolas introituri per-
aliter adesse debeantin choro dieti Monasterij tempore
misse et aliarum horarum diurnarum, Inibens eis ex-
presse ne sub pretextu eiusmodi Studij discurrere au-
deant per plateam et palatia Comunis perusij. . ad aliud
actum...... valeant ullomodo nisi dumtaxat quin aece-
derent occasione Studij prelibati, Quod si diseurrerent
aut quoque modo diu starent ultra et preter concessio-
nem diete licentie ex nunc prout ex tunc huiusmodi
licentiam penitus revocavit et per revocatam et nullius
efficacie haberi voluit.

Licentia data fratri Corrado.
Id. pag. 129 t.

Item dedit licentiam supradicto fratri Corrado mo-
nacho dieti Monasterij priori ecelesie sancti Donati de
Montefrondoso ibidem presenti et petenti eundi ad sco-
las iuris canonici Studij perusinj et ipsum Studium
viriliter et utiliter prosequendi, tam in ipsa scientia et
iure canonico, quam etiam in aliis scientiis prout sibi
videbitur convenire.

n i


Ag E dl ad

OT ———————— È

ARS 5

nie È,

|
:
«.]
adi
H

|
,|

a
E!

mo:
nm

.,
e

ie

nia

errat lia n

x

m a

“n
icy ED Wege Y.

i.

,

ir.

EP" "753
m
PAT

nr

-

L. BRUNAMONTI TARULLI

Constitutio quod clerici non exeant extra septam Monasterij.

XXXVII. — 1339, Agosto 17.

Deliberazione
dell'Abate ps
ché né i chie-
rici né gli o-
blati escano dal
monastero sen-
za «ordine del-
l'Abate o di chi
ne fa le veci.

Id. pag. 163.

Per ordine dell’ Abate si stabilisce che i chierici e gli

oblati, richiedendolo il decoro del monastero, in virtute

sancte obedientie et sub excomunicationis pena exire

non debeant extra septam dicti monasteri senza licenza

dell’ Abate o di chi era incaricato a rappresentarlo.

Absolutio quorundam clericorum.

XXXVIII. — 1339, Agosto 17.

Assoluzione
di alcuni chie-
rici, che erano
incorsi nella
scomunica per
essere usciti
dal monastero
ed entrati in
Città.

Id. pag. 163.

I]

Eodem die et loco. Presentibus dompno phylippo Ru-

bei monacho dicti monasterij et Ceccho servite familia-

ribus prefati dompni Abbatis testibus rogatis. Religiosus

vir Dompnus

Ugolinus de Monte Vibiano Abbas su-

pradieti Monasterij sancti petri de perusio ordinis Sancti

Benedicti

ad Romanam ecclesiam nullo medio perti-

nentis, auctoritate qua fungebatur absolvit a vinculo

excomunicationis qua incurrissent infrascripti sui clerici

et oblati dieti Monasterij exeundo extra septam dieti

Monasterij et intrando Civitatem perusij sine licentia

ipsius dompni Abbatis vel sui Vicarij contra formam

mandati per ipsum dompnum Abbatem facti et consti-

tutionis actenus edite per eundem, Videlicit
3

dompnum
dompnum
dompnum

dompnum

Hereulanum helemosine.

Thomassum Venture

Marinum somaxij

Ranerium

Matheum Giglioli et

ibidem presentes et fle-
xis genibus humiliter
supplicantes, Injun-
gens eis et cuilibet
eorum pro pena ut
extra septam dieti Mo-
nasterij non vadant,
sine sua vel sui in hac
parte Vicarij licentia

spetiali. APPUNTI STORICI, ECC. (1

Absolulio domini Balioncelli et domini Benis.

XXXIX. —

Assoluzione
data dall'Abate
Ugolino al mo-
naco Balioncel-
loedalchierico
oblato Bene di
Ceccolo per es-
sere incorsi
nella scomuni-
ca, essendo u-
sciti dal mona-
stero.

XL 1939;

L'Abate Ugo-
lino fa un con-
tratto con Pao-
lo di Guglielmo
da Bologna, il
quale si obbli-
ga di scrivere
la lettura del-
lOstiense.

1339, Agosto 19.

Id. pag. 164 t.

L'Abate Ugolino assolve dalla scomunica, in cui erano
incorsi. Balioncello di Ermanno monaco e Bene di Cec-
colo chierico ed oblato per essere usciti extra septam dicti
monasterij sine licentia ipsius domini Abbatis vel sui
vicarij, ‘ngiungendo dicto fratri Balioncello ut non ex-
eat extra septam dicti monasterij sine sua vel sui Vicarij
licentia spetiali nisi aecederet in Civitate perusij causa
habendi eonsilium alieuis vel aliquorum iurisperitorum

Domini Abbatis et pauli scriptoris.

Agosto 19. Id. pag. 165.

Eodem die et loco, Presentibus dompno Conte Ve-
gnatoli et fratre Marino Christofori monacis dicti Mo-
nasterij et Guidutio Nutij phyliputij de perusio testibus
rogatis. Paulus Guilielmi olim de Bononia et nunc ha-
bitator in Civitate perusij per se et eius heredes obli-
gando se et omnia sua bona pacto promisit et convenit
Reverendo viro Dompno Ugolino de Monte Vibiano Ab-
bati dieti Monasterij saneti petri, stipulante pro eodem
Monasterio, seribere sibi de bona et legali lictera le-
cturam hostiensis editam super V libris decretalium
et ipsum opus continue prosequere et super ipso fideliter
procedere sine intermissione et interpositione alieujus
alterius operis et scripture, Et reddere et consignare
sibi quolibet mense xiJ petias scriptas et completas de
opere predicto, Et dedit sibi licentiam eum conveniendi
personaliter et realiter Perusij, Senis, Florentie, Bononie
et ubique locorum et coram dompno... Rectore Univer-
sitatis Studij perusinj et coram quolibet alio audi-

tore et iudice clericali et laycali, submietens se sponte

} "
adi

nO i-e —-.. —————

È
adi
|
j
Á

—— — A À

£

— MT" pi

^
o Gui

—— MÀ

ul

I TOO

A
da

- = Pa

cent

ru

Cte ge a dia i ilg rm C
XLI. — 1339, Ottobre 18.

Contratto fat-
to da Fra Ma-
rino di Cristo-
foro monaco
con Tommaso
inglese scritto-
re, il quale si
obbliga di tra-
scrivere la me-
tà delle novel-
le di Giovanni
d’ Andrea, ov-
vero di qualche
altra opera a
beneplacito
dello stesso Ma-
rino.

L. BRUNAMONTI TARULLI

et suos heredes et bona comune perusino, senensi etc.,
Et hoc promisit et mihi corpoliter iuravit ad Sancta dej
Evangelia tactis scripturis hoe attendere et observare et
non contrafacere vel contravenire sub pena ducentarum li-
brarum denariorum perusinorum etc. Et hoc promisit ei-
dem pro versa vice prefatus dompnus Abbas promisit
eidem paulo dare sibi victum durante scriptura predicta
et dare sibi cartas rasas et atramentum, et etiam solvere
sibi decem florenos denariorum perusinorum pro qua-
libet petia dicti operis scripi in finem cuiuslibet mensis,
Et si plures petias quam x1J scripserit de opere predicto
pro mense promisit solvere sibi salarium suum pre-
dietum ad rationem predictarum, Ratificantes dicte par-
tes ete. Et hoc promiserunt attendere et observare, Sub
pena predicta ete. Et promiserunt facere confessi onem
coram iudice Comunis perusij ad petitionem partis pe-

tentis.
Thome et fratris Marinj
Id. pag. 172 t.

Die lune xviij dieti mensis. Actum apud dietum
Monasterium presentibus Balioncello hermannj monacho
et Laurentio Cola Oblato dieti Monasterij et Cola Cres-
sioli de perusio testibus rogatis. Thomas filius quondam
Adam seriptor de Anglia et nunc habitator in Civitate
perusij ex parte una et frater Marinus Christophori
monachus dieti monasterii ex altera ad talia pacta
concorditer pervenerunt, Videlicet quod dietus Thomas
promisit scribere dicto fratri Marino medietatem Novelle
domini Iohannis Andree vel tantundem alterius operis
ad beneplacitum ipsius Marini et consignare sibi quo-
libet mense x petias stationis de bona et legali lictera
usque ad complementum dicte medietatis ipsius operis,
vel alterius et non intermietere aliud opus sed conti-
nuare super opere predieto. Et pro his obligavit se et sua
bona, Et dedit ei licentiam ipsum conveniendi Perusij,

Senis, Florentie, Bononie et ubique locorum et terrarum

Tome p m —9Ásies

TUUM pee me n
al

tn

>
d A

APPUNTI STOR:CI, ECC. 13 :

Ew

et coram Rectore universitatis scolarium Studij perusinj

et coram quocumque alio iudice et auditore etc. Submi-

ri

einer po

| etens se sponte etc. Et versa vice dictus frater Marinus
| i promisit ei acquirere exemplar et dare cartas et inco-
! strum atque vernicem-et totum aliud fornimentum oportu-

num ad scribendum et etiam expensas et septem florenos |

denariorum perusij pro qualibet petia, Et si non dede: lie

rit ei expensas promisit sibi dare exemplar et cartas |
i tantum et duodecim florenos denariorum perusij pro |
t qualibet petia et solvere sibi in festo pascatis resurre- |
: ctionis dominici proxime venture pro toto opere pre-
dieto, videlicet sicut mictet pro rata eius operis quod
facerit et consignaverit sibi ad ratam predictam, Dum
tamen teneatur idem frater Marinus interea dare dicto
scriptori denarios pro indumento et caleiamento et etiam
È pro expensis si non dederit sibi expensas ut dietum est

supra. Et hec omnia voluit idem scriptor valere et te-

nere si reverendus vir dompnus... Abbas dicti Monaste-

rij promissioni et obligationi predicte facte per dictum

fratrem Marinum consentiet et ea ratificabit et aliter
nullum penitus fortiantur effectum. Ratificantes diete
partes exceptis etc. Et hec omnia promiserunt sibi invi-
cem diete partes tenere, attendere et observare et dan-
pna et expensas reficere sub pena centum librarum de-
nariorum ete. Et promiserunt facere confessi onem co-
ram judice comunis perusij et quolibet alio judice com-

petenti ad petitionem partis petentis.

Institutio Ser Deste.

TO E

A

XLII. — 1339, Novembre 5. Id. p. 178 t. > "

D
-——— n

Conferimen- Die... v mensis novembris. Actum apud dietum Mo-
to del beneficio
diSan Clemen- — nasterium sancti petri perusinjin camera Reverendi viri
ie, di spettanza ;
del monastero, | dompni Ugolini Abbais eiusdem Monasterij presentibus
;& Ser Desta di = x
Ser Matteo. ..... testibus rogatis. Convocato et congregato capitulo et |
chierico, avvo- da 3 |
puo e procura- conventu ipsius monasterij de licentia et mandato prefati
re dei mo- ;

naci. dompni Abbatis ad sonum campanelle ut moris est, Cui

. el

MEE t e a ege Le

De rem ia O wr
^"

"e
E

. À y : d Y. 1 j »

d

Al”

--

ds

XLIII. — 1340, Gennaio 25.

I monaci del
monastero di S.
Uberto di Mon-
tignano in quel
di Bettona, dio-
cesi di Assisi,
tenuto conto
della dottrina
e delle virtü di
Frate Balion-
cello lo nomi-
nano Priore.
L'Abate Ugoli:
no acconsente
che il suo mo-
naco vada a go-
vernare quel
monastero.

L. BRUNAMONTI TARULLI

capitulo interfuerunt infraseripti monaci videlicet ..... In
ipso quidem capitulo prefatus dompnus Abbas consi-
derans et attendens sollicita et grata servitia qua du-
dum impendit et non cessat impendere Ser Desta ser
Maffei clericus de perusio procurando et patrocinando
in causis eiusdem Monasterij, abito dictorum monacho-
rum et capituli consilio et assensu, instituit eundem ser
Destam presentem et humiliter supplicantem in Rectorem
Eeclesie sancti Clementis site in comitatu perusij prope
flumen Tiberis Monasterio predieto subiecte, vacantis
ad presens per obitum Federutij Ghelfoni olim Rectoris
eiusdem ecclesie, Comictens eidem curam ipsius ecclesie
et rerum ipsius in temporalibus generalem ad ipsius
domini Abbatis beneplacitum revocandam, Eumque in-
vestivit per anulum more solito et commisit fratri Ba-
lioncello predieto ut eum indicat in tenutam et pos-

sessionem ipsius ecclesie ac suorum jurium corporalem.

Licentiam Fratris Balioncelli.
Id. pag. 194.

In nomine domini amen. Anno domini Mille cccxL
Indictione viu tempore dompni Benedieti pape xir die
martis xxv mensis januari. Actum apud dietum Monaste-
rium sancti Petri perusinj in camera infraseripti dompni
Abbatis presentibus dompno Stefano Guilelmi et fratre
Guilelmo petri monachis dictis Monasterii et dompno
paulo deotesalve clerico et oblato dieti Monasterij testi-
bus rogatis. Reverendus ac Religiosus vir dompnus Ugo-
linus Abbas dicti Monasterij dedit et concessit licentiam
his scriptis fratri Balioncello hermannj monacho dicti
Monasterij licete absenti, Recipiendi et acceptandi ele-
etionem seu postulationem de eo factam pro capitulo Mo-
nasterij heremite S. Uberti de Monthyano districtus Bi-
ctonie et assisensis dyocesis de prioratu videlicet Mo-
nasterij heremite, Dummodo in nullo prejudieet dicto

Monasterio saneti Petri nec etiam idem Abbas aut di»

vx eme

5€—————— IT EE APPUNTI STORICI, ECC, 15

TE ad

ctum Monasterium saneti Petri tenenatur ad rationem
reddendam nec ad aliquid aliud.

£

inni €

Protestatio facta dompno Martino priori claustrali.

È XLIV. — 1362, settembre 22. Lib. V, pag. 348.
: Il Priore della Die xxij mensis sept "dis cT "
d SHiesá di S. Mà- J septembris... Dompnus Iohannes...

ria di Fonte fa — Bindoli monachus Monasterij sti i
AU h i h È 1 2! i £ 3f = l

premure pres- E J sancti de Perusio Rector
i soil Priore Cla- eeclesie sancte marie fontis membr ambris
| ustrale perché 5 embrum et de membris
s'aduniilCapi- Monasterij sancti petri de perusio cum i ia requisi-
tolo,onde porre Je Sa I I c istantia requisi

riparo agli af- vit et protestatus fuit dompno Marti cy
UMOR IDE p E I artino Blaky monacho

| del monastero. et priori claustrali dicti Monasterij presente... quatenus
È eum negotia dicti Monasterij male procedant et in pre-

judicium dieti Monasterij pertractantur quod ipse prior
claustralis faciat eapitulum dieti Monasterij congregari
ut possit in dieto capitulo de remedio et salute et com-

modo provvidere...

NTRIECHPTIEM

XLV. — 1436, Aprile 2. An. Xvirali, An. 1436, f. 39.

I Priori della Die secunda mensis Aprilis Anni MmcecccxxxvI. Col- |
città nominano

Polidoro Ba- legialiter congregati magnifici domini priores Artium |

} glioni amba- ia c

sciatore alla civitatis Perusie videlicet (seguono è nomi) ..... Omnes

f Corte papale E

| per gli affari decem presentes et in concordia in Cappella Palatii eo-

| del monastero

: di S. Pietro. I rum solite residentie. Cum per sanctissimum in Christo

È monaci però

i! dovevano so- patrem et dominum nostrum Dominum Eugenium Di-
| stenerne le
î spese. vina Provvidentia papam quartum facta fuerit quedam

commissio Reverendissimo in Christo Patri et Domino
È Alberto Protonotario de Albertis Perusie pro Domino
i nostro Gubernatori, nec non Reverendissimo in Christo
patri Domino B. Episcopo Angolicano visitandi et refor-
mandi Monasterium sancti Petri extra duas portas Perusie
ordinis sancti Benedicti in capite etin membris cum plena
auetoritate per patentes litteras Apostolicas et cum pleno
mandato disponendi tam de statu Monasterij quam de

persona Abbatis et Monachorum eiusdem, ut in dictis
L. BRUNAMONTI TARULLI

litteris plenius dieitur contineri. Cumque per prefatos
Commissarios fuerit ad nonnullos actus processum con-
tra Reverendum Patrem Oddonem de Gratianis de Pe-
rusia Abbatem dieti monasterij fuerit supplicatum dictis
magnifieis Dominis Prioribus ut dignarentur pro eorum
parte et dieti Communis Perusij mittere et destinare ad
pedes Sanetissimi Domini nostri Pape omnibus ipsius
Domini Abbatis sumptibus et expensis unum Civem Pe-
rusinum et presenti statui fidum Oratorem et Ambaxia-
torem, qui pro parte Communis et dictorum Dominorum
Priorum recomictat Sanctitati Domini Nostri prefatum
Dominum Abbatem et Monachos eo modo et forma qui-
bus prefatis Dominis Prioribus videbitur et placebit.
Volentes igitur precibus et supplicationibus ipsius Do-
mini Abbatis et Consanguineorum suorum et Monacho-
rum dieti Monasterij annuente obsequi et condescendere,
habitisque prius super predietis et infrascriptis quam-
pluribus et diversiis consiliis notabilium Civium Peru-
sinorum et huius presentis status zelatorum et omnibus
arbitriis potestatibus auctoritatibus et bayliis eisdem
quomodo libet concessis et attributis per formam quo-
rumcumque statutorum et ordinamentorum Communis
Perusie et omni meliori modo via iure et forma quibus
melius et efficacius potuerunt, misso inter eos partito ad
bussulam et fabas albas et nigras et solemniter obtento
secundum formam Statutorum Communis Perusie, Ele-
gerunt vocaverunt nominaverunt et deputaverunt spec-
tabilem et generosum Militem Dominum Polidorum de
Balionibus de Perusia presentem et acceptantem Orato-
rem dieti Communis Perusie ad pedes Summi Pontificis
et Sanctissimi Domini nostri Pape sumptibus et expensis
prefati Domini Abbatis et non Communis Perusie pro
illo tempore et cum illis equis salario et provvisione et
eo modo et forma et prout et sicut cum prefato Domino
Abbate fuerit in concordia, protestantes eidem Domino
Polidoro presenti et intelligenti quod nullum. salarium
habebit nec habere possit a dicto Communi Perusie oc-

'asione predicta. Qui Dominus Polidorus statim auditis

GÓC IR

T





ta rjr rte art een ma en cone pep etn

arse
PETITE et

APPUNTI STORICI, ECC. Lari

predictis iuravit ad Sancta Dei Evangelia et iurando
promisit omnia et singula sibi per prefatos Dominos
Priores in predictis committenda et imponenda fideliter
bona fide iuxta posse facere et adimplere et executioni
mandare et etiam occasione predicta et seu dependenti-
bus ab eadem non petere nec peti facere a dicto Com-
muni Perusie ullo tempore aliquod salarium vel mer-
cedem damna et seu interesse quod substineret et seu
sibi quomodo libet evenire possent sub pena centum
florenorum quibus quidem salario mercede damnis et
interesse quod et quam et seu que idem Dominus Po-
lidorus eidem Communi quomodo libet occasione predicta
et dipendenter ab eadem petere et exigere possit renun-
tiavit expresse, Rogantes me Notarium infrascriptum.

Puneta spectabili Militi Domino Polidoro de Balio-
nibus Oratori Communis Perusie predieto exponenda
per eum Sanctitati Domini Nostri Domini Eugeni Di-
vina Providentia Pape IV.

In prima raccomandare a li pieje de la Sua Sanctità
li Priori et Camerlenghi e tucto el presente stato fide-
lissimi servidore de la Sua Sanctità et de Sua Sancta
Ecclesia.

Item. Narrare como per la Sanctità sua è stato man-
dato qua lo Reverendo Padre B. Episcopo Angolicense
à la reformatione del Monastero de San Pietro una col
Reverendissimo Governatore Nostro e come fra l'altre
cose cie hanno dechiarato per parte de la Sua Sanctità che
el dicto Monasterio non venga in Commenda de la quale
cosa rengraziamo. la Sanctità sua per contemplazione di
questa Communità perché sono certissimi quando ve-
nisse en Commenda se desfaria en tutto e seria gran-
dissimo detrimento de quista Communità che tanto Mo-
nasterio venisse en desolatione.

Item. Perche a Noy è debito reccomandare quilli se
deggono a la Sanctità Sua maxime li Nostri Cittadini e
rendere testimonianza del vero quando vedessimo fosse
stata data informatione a la Sanctità sua de quello non
fosse, pertanto raccomandamo a la Sanctità sua lo Abbate

6

t M M!

e

dior soin

A
= ts n»
nd

srt

"d
Y

E
L. BRUNAMONTI TARULLI

de San Pietro quanto a Noy è possibile considerato
quello vedemo de che è stato diffamato in conspecto de
la Sanctità sua come alla Bolla de la Commissione fa-
eta sopra la dicta reformatione, se contiene non è vero
cioè che aggia vita incontenente e disonesta ancho è
manifesto el contrario che l’ ha tenuta honesta quanto
Prelato veruno altro già lungo tempo sia stato in quista
Città. Ancho non se trova secondo ciè stato riferito che
el dicto Messer l'Abate aggia alienato ei bene del dieto
Monasterio.

E ancho el raccomandiamo per respecto de li suoje
Parenti reputando omne benignità e omne gratia e omne
favore ragione se farà verso et dicto Abbate per la Sanc-

tità sua essere in gratia a Noy tueti servidore de la

"Sanctità Sua.

Item. Supplicare a la Sanctità del Nostro Signore
che li ditti Monaci al presente Profexe nel dicto Mona-
sterio non sieno contro loro volontà constrecti a fare
nel dicto Monasterio altra observantia monastica che
quella già doicento Anni o circha se sia observata per-
che i predicti Monaci nel habito e nella vita loro se
offeriscono religiosamente et honestamente vivere e ser-
vire nel dieto Monasterio ne i divini offitii come se con-

viene a Religiosi.

Eugenius PP. IIII Dilectis filiis salutem et Apostolicam Benedic-

tionem.

XLVI. — 1436, Agosto 8.

Breve di Eu-
genio IV in cui
si fa cenno co-
me la città ab-
bia visto di
buon occhio
la riforma in-
trodotta nel
monastero di S.
Pietro. Il Papa
si rivolge ai
Perugini per-
ché la strada
che conduce al
detto monaste-
ro, sia riparata.

Ex Tabal. S. Petri Cas. XV.

Renuntiatum est nobis quod libenter audivimus re-
formationem illam Monasterij sancti Petri Perusini Ordi-
nis saneti Benedicti Populo illius nostre Civitatis in dies
magis placere ac gratam esse. Hineque illud Monaste-
rium quotidie Populo frequentari. Sed dicitur viam que
a porta vestre Civitatis ad ipsum monasterium ducit cum
male sit lapidibus aut lateritio strata impedimento fu-

turam ne populus tam frequens eo se conferat, que in




cre Mc e em
- RITE ha

mte m tete ememe nennen meum nre

VPE Umm Rr rr ar nr p meme gt rt enam

APPUNTI STORICI, ECC. à 19

estate pulverulenta in hieme vero erit cenosissima. Pla-
cet ergo et volumus ut nisi forte aliqua incombat ne-
cessitas pro murorum Civitatis reparatione aut aliqua
re alia qua pericolosum aut damnosum nimis si obmi
titur fore iudicetis officialibus super ea re deputatis
mandatum. faciatis quod viam illam subito quampri-
mum eis possibile videbitur priusquam aliam viam sterni
faciant et cum effectu curent.
Datum Bononie sub anulo nostro secreto die vur
Augusti MmoccoxxxvI Pontificatus nostri anno sexto.
Y Blondus
Dileetis filiis Prioribus artium

Civitatis nostre Perusine

————— ty () *-— —

rta, pi
MT RA xor ad

EQ

L'EPISTOLARIO DELL' ARCIVESCOVO DI ROSSANO

NEL SUO PRIMO ANNO DI GOVERNO DELL’ UMBRIA

Interesserà gli studiosi della storia locale la conoscenza
del carteggio dell'arcivescovo di Rossano governatore di Pe-
rugia e dell’ Umbria nel suo primo anno (1559-1560). La storia
di Perugia, che in quel tempo non ha più cronache, nè diarii,
riceve uno spiraglio di luce da queste lettere scritte da un
uomo che andava fin d’allora per la maggiore. L’arcivescovo
di Rossano era Giovanbattista Castagna (nato in Roma ai 4
agosto 1521). Fu governatore di Fano e di là fu mandato a
Perugia. In seguito andò nunzio a Madrid, poi a Venezia, poi
governatore di Bologna e inviato in Colonia: finalmente car-
dinale di S. Marcello e quindi papa col nome di Urbano VII;
ma per soli 13 giorni (15-27 settembre 1590).

Dal carteggio si apprende che egli fu mandato a Perugia
in un momento piuttosto critico. Prima di lui fu governatore
Fabio Mirto Frangipane di Napoli, vescovo di Caiazzo (1537).
Del quale dice l'Ughelli (7t. Soc., VI, 453): « Umbriam sua vir-
tute fraenavit ». Questi dunque fu uno dei principali strumenti
della politica di ferro di Paolo III e costrinse i perugini a
stare in dovere sotto la minaccia dei nuovi terribili spalti
del forte paolino. Ma, con sorpresa di quanti leggeranno
questo sommario di lettere, il zelante mons. di Caiazzo in-
corse in gravi incolpazioni ed ebbe ordine di cattura, an-
dando forse per il primo a sperimentare la durezza della

— riter, »-—— NU,

iii nn

Lera car ae ii se

AETERNA Ty n erri: Em

2L: dn Jr

ori o

-——

B
SER

Pi
* e nr.
a i eM Gg raro t D m Ea -

© morali ro 82 L. FUMI

cittadella farnesiana. Mentre altri vorrà indagare e scoprire
la cagione di quel severo ordine, la esecuzione del quale fu
il primo atto di governo del Castagna non appena giunto in
Perugia, noi ricorderemo piuttosto il nome del Mirto legato
alla politica pontificia non senza fortuna negli anni appresso,
in fino ad esser nunzio in Francia per due volte; la prima
volta per ordine di Pio V e la seconda volta per ingiunzione
di Sisto V. Anzi, a proposito di lui nunzio la seconda volta,
è memorabile l’ aneddoto di papa Sisto quando allontanò
lambasciatore di Francia che portava il messaggio del re
Enrico IV contro la scelta del nunzio mons. Mirto; e il Mirto,
ciò non ostante, partì per la Francia; e non lasciato passare,
lambasciatore ebbe lo sfratto da Roma e dagli stati della
Chiesa, fino a tanto che il nunzio non fu accettato, come il
tenace carattere del papa riusci poi ad ottenere.

Del resto, mons. di Rossano si distinse per avere tolto
di mezzo le gravi differenze fra Spoleto e Terni per i confini,
e cosi vennegli fatto di comporre gli animi degli abitanti
delle due città per lungo tempo fortemente irritati. Non vo-
gliamo poi dir nulla del contenuto di questo carteggio, per-
ché parla da sè e da sé s' illustra.

L. FUMI.
L'EPISTOLARIO DELL'ARCIVESCOVO DI ROSSANO, ECC.

Arch. Seg. Vaticano, Vescovi, 8.

Registro di lettere, instrutioni, et altre cose
pertinenti al governo di Mons:r Arciv:°
di Rossano in Perugia, et Umbria,
dove detto Arciv:? arrivò
a d otto di Marzo
1509.

LIBER PRIMUS.
Di Perugia 1559 li 8 di Marzo. Al Signor Camillo.

Dice come appena arrivato, ha presentato il Breve, preso il giura-
mento dai«sig.ri Priori e dagli altri uffiziali, e ha condotto Monsi-
gnor Gaiazzo in Cittadella, consegnandolo al capitano bargello.

Di Perugia 1559. 10 Marzo. Al Sacro Conseglio.

Ha dato avviso al Sig. Camillo della cattura di Mons. Gaiazzo; ed
essendo il suo mandato di semplice cattura, dice che ha permesso a Mon-
sig.re di condurre seco un cameriere; non ha permesso però che altri
parli con lui. Domanda quindi come debba regolarsi col medesimo. Dice
che quelli di Chiusi vogliono pregare il sacro Collegio che non sia ven-
duta una quantità di grano, come il medesimo avea ordinato: poichè
dicono che il prezzo di quel grano è destinato in luogo di scudi 4090
che sono loro dovuti per la Tesoreria Apostolica, per la paga della Rota
di Perugia ecc.

Intanto il grano si venderà a prezzo giusto aspettando poi gli ordini
del sacro Collegio per disporne.
84 L.: FUMI

Mi AI’ Il.mo Cardinale summo Inquisitore (Pag. 2). Di Perugia
i e 1559, 16 di Marzo.

MS Rev.mo et Ill.mo Mons.r mio s.r. Colendiss.mo.

M « Hieri furono pigliati dui frati Carmelitani, ritrovati in una camera
i8 del Monasterio con una donna, che parimente è prigione. Hanno confes-

sato subito uno di haverla condotta, l'altro di aver consumato il delitto,
et questo fu poco da poi detta la messa da lui et di poi andó subito a

RELA confessare in chiesa. Ho cercato di farne mancho rumore che si può

tT EA 3 >
VL per honore de la religione et molto più per dare mancho scandalo a i
hs
[s secolari. Non ho voluto procedere a pena alcuna senza farne avvisata

V. S. R.ma et Ill.ma a ciò se li parerà caso appertinente a la S.ma Inqui-
Ì

sitione mi dia avviso di quanto comanda che si facci. Contra una vec-
chia che ha dato qualche sospetto di sortilegio ho trovato principiato un
processo: ho commesso che si finisca et si rimetta al padre Inquisitore : 1
la ritengo in questo mezzo nella prigione. Un'altro sciagurato inquisito È
de vitio, propterea quod cecidit ignis super filios diffidentie, si trova qui Hi

x H

prigione: non é peró fin hora chiarito. Anc'hora in questo desidero la

legge scritta et nelle sopradette cose et altre simili, io sono per obedire ».

Di Perugia 1559, li 17 di Marzo (pag. 2 t.). Al Sacro Consiglio. d
|

Si meraviglia e seute cou dispiacere che forse il sacro Consiglio
abbia preso qualche sospetto o di trepidezza nell’offictio commessogli o

di negligenza nel darne avviso. Dice che, secondo scrisse, il giorno se- |
guente ch'era partito da Roma a ore 28, fece quanto gli era stato co-
mandato. Riferisce che nella cattura di Monsignore gli fece riporre, in
sua presenza, tutte le carte in una cassa, la quale si trova ora nella |
cittadella e la chiave è conservata dal castellano. Chiede come debba

comportarsi. Non avendo altro ordine circa il processo di S. S. Pensa es- |
sere intenzione di S. S.ta che, prese le querele e le difese, si mandi al |

sacro Consiglio: ne chiede istruzioni e dice di aver pubblicato per la città |
con quanta libertà vuole S. B.ne che ogai uomo esponga le sue querele |
ecc.

Di Perugia, 1559 li 17 Marzo (pag. 3). Al Sig. Camillo.

Il sig.r Camillo gli ha mandato una nota di luoghi su cui dovrà |
estendersi la sua giurisdizione. Dubita (lo scrivente), ch'egli creda che
tutti quei luoghi seritti nella nota siano sotto questo governo: che se
It
E

EEA: ore erre I ———

L'EPISTOLARIO DELL’ ARCIVESCOVO DI ROSSANO, ECC. 85

così era una volta, ora non è più, perchè molti se ne sono smeinbrati,
principalmente perché i Poutefici, massime Giulio IIT, ne hanno fatto
grazia a questo o a quello. Gli rimanda quindi la nota con il segno a
quelli che sono ancora sotto questo governo. Gli mandi quindi istruzioni,
perché non sa come saranno accettati in altri governi gli ordini suoi, se
non sia loro comandato o da S. E. e dal sacro Consiglio, tanto piü che

dovendo stringere gli ebrei, non sa come poterlo fare in casa d'altri.

Di Perugia 1559, 20 Marzo (pag. 3 t.). AI Sacro Consiglio.

Per quanto appartiene alla comunità di Jettona, nel memoriale in-
cluso e di altre cose intorno a questo, fin ora si è presa non pota in-
formazione per la parte di detta comunità.

Di Perugia, l' ultimo di Marzo 1559 (pag. 4). Al sacro Consiglio.

Dà minute informazioni, siccome ne è richiesto.

Il 27 Marzo gli fu presentato un Breve Apostolico in data del 10
detto che confermava ms. Lazzaro Vestitello d' Arezzo nella Podestaria
di Trevi per altri 6 mesi.

Un altro Breve in data del 15 Marzo, con lettere del sacro Consiglio
fu presentato il 30 Marzo che creava Podestà ms. Pierloisi Riccio de Col-
liscipoli, senza far menzione del primo.

Domanda quindi gli dicano a chi si debba dare il luogo.

Informatione delle cose di Bettona (pag. 4 t.).

« La terra di Bettona fu dalla felice memoria di Leone X concessa a
Gio. Paolo Baglioue per debiti che aveva la Camera Apostolica verso di
lui, per ragioni di servizio. Quando Gio. Paolo fu decapitato, tutto il suo
Stato, compresa Bettona, si incorporó allo stato ecclesiastico. Ebbe poi
varie vicende fra gli eredi di Gio. Paolo. Da ultimo il sig. Generale
Gio. Ant. Toralto per ordine, dicesi, del Card. Carafa, occupò Bettona
e ne fu Governatore,

« La famiglia Crispolta è la principale di questa terra. È stata sempre
nemica dei Baglioni e desiderosa di star sotto la santa Chiesa. Onde
erano divisioni ogni volta che i Baglioni rientravano in Bettona. Il Ve-
scovo di Gaiazzo, Governatore di Perugia, per lettere del Cardinale Ca-
rafa del 27 Ottobre 1557 e del Duca di Paliano del 24 Novembre 1591,
prodotte nel processo per commissione di S. B.ne ebbe ordine che la terra

Lari LOS I a OE -

JN LA

P

om o

Pg pe re dEi
86 L. FUMI

di Bettona si dovesse restituire agli eredi del Signor Ridolfo Baglione,
e consegnarla al Card. Vitelli come Governatore di essa.

« Monsignore volle eseguire l’ordine ricevuto e mandò a Bettona il
suo Auditore criminale. La terra intanto aveva mandato suoi ambascia-
tori a Roma, che erano stati carcerati: e quelli di Bettona con pretesto
di attendere la risposta di Roma non vollero aprir le porte all'Auditore.
Esso fece un processo sub pena rebellionis: ma le porte non furono aperte.
Il vescovo mandó poi l'artiglieria e Bettona cedette, fuggiti peró i Cri-
spolti coi loro seguaci, e cosi il procuratore dei detti eredi ne ebbe il
possesso.

« Sopra eió fu fatto processo per ribellione, aleuni furono banditi,
altri giustiziati, altri confiscati.

« Onde ora ne vengono a me molte querele.

« Non si sono intese ancora le giustificazioni del Vescovo, ma si crede
che quelle saranno il processo contro i Bettonesi medesimi.

« Circa quelli che sono stati sforzati a comprare i beni confiscati, il
vero è che essi hanno pagato e non hanno ricevuto terreno, perchè si
seppe poi che i terreni appartenevano al Capitano Faustino Crispolti, che
per essere assente non era in colpa.

« A quelli che avevano pagato fu destinato il prezzo che si sarebbe
ricavato da altri beni, ma ciò non ha ancora avuto effetto.

« Dicono gli uomini di Monsignore che proveranno non aver egli fatto

‘alcuna cosa che non si provi da lettere o brevi essergli stato ordinato ».

Informatione circa il maritare la figliuola naturale del sig. Asca-
nio de la Cornia a ms. Nicolo Gratiani Perugino (c. 6).

Al tempo di Giulio III il sig. Ascanio de la Cornia cercò di maritare
una sua figliuola naturale al sig. Nicolò Graziani. Il sig. Ascanio poi si
ribellò alla Chiesa. Allora il Card. Carafa indusse Nicolò a dargli sicurtà
di 1000 scudi che non avrebbe fatto tal parentado. Ora si domanda al
sacro Collegio che voglia sciogliere il Sig. Nicolò da tale sicurtà.

Dice sembrargli che si possa fare, giacchè se si proibisce per timore
che il sig. Ascanio acquisti potenza, egli sa per certo che non facendo
questo parentado, potrebbe il sig. Ascanio farne uno con famiglia assai
più potente, siccome sa che ne è richiesto.

Informatione delli denari exatti per causa della fortificazione
(CR):
Dice esservi in quel contado certi castelli che in premio di essere
stati fedeli in una ribellione vanno esenti dalle imposte. Aggiunge poi che

=
L' EPISTOLARIO DELL’ ARCIVESCOVO DI ROSSANO, ECO. 87

il sig. Paolo Orsino di guardia in quella città nel 1556 ebbe ordine di fare
fortificazioni. A tal uopo mise delle imposte speciali. I denari ricavati
però non: furono impiegati per le fortificazioni, ma in cose diverse e parte
da Mons. Gaiazzo furono posti in servizio della Camera Apostolica. Do-
manda quindi quella città che questi denari siano compensati a suo be-
neficio nel debito ch’ ella ha con la medesima Camera per conto de l'un
per cento.

Informatione del lago detto il Tencarone (c. V t.).

Perchè il lago di Perugia fosse abbondante di pesce la Camera Apo-
stolica aveva posto un ufficiale il quale dovesse far rimettere in lago,
appena presa, tutta la tinca inferiore a 4 oncie. Questo ufficiale era scelto
tra gli uomini onesti della città. Dopo la rivoluzione i Pontefici scelgono
chi loro piaccia meglio, ed ora si dice che sia ms. Biagio Gallo Came-
riere di S. S.tà. Chiedono i Perugini che si ritorni al primo costume di
sceglierlo tra i cittadini.

Informatione sopra il memoriale dato in Conseglio del Capitano
Annibale d'Assisi (c. 8).

Questo Capitano é ereditore de la Camera per opere imposte da lui a
servizio della cittadella e per provvisioni cavate di commissione di
mons. Gaiazzo. Gli si è risposto di mostrare i mandati di Monsignore,

.€ di provare ch'egli ha fatte veramente le cose che dice. Permessogli

un colloquio con Mons.re, non ne trasse nulla; disse, anzi, Monsignore
di avergli dato denari a conto delle manifatture di certe munizioni. Dice
quindi (lo scrivente), ch'egli non pagherà, se non ne riceverà ordine.

Di Perugia li 3 di Aprile (c. 8). Al Governatore di Roma.

Serive di non poter far nulla di quanto esso gli dice circa Oliviero Gi-

gante, giacchè si trova alla Matrice, che non è sotto la sua giurisdi-

«zione. Dice di aver saputo che ms. Artideo e Cesare Artemii fratelli

sono sbauditi di Spoleto loro patria. Si rallegra infine con Mons.re del-
l'onorato luogo che S.S.tà gli ha dato.

Di Perugia, 1559, 3 Aprile (c. 8 t.).

Dice che ms. Artideo Artemi ch’era Podestà di Bastia e Cesare ser-
vitore di Mons, Gajazzo si fuggirono la sera ch' egli arrivó, e che Ar-

pari SO ad IMA

nta
88 L. FUMI

tideo fu commissario nelle confiscazioni di Bettona. Aggiunge che il Ve-
scovo della Cava aveva voluto esser sindacato, ma tal sindacato non
era ancora finito. Tuttavia egli ha dato il bando con le trombe per il
sindacato di Mons. Gaiazzo e che le querele e le difese sono accolte da
ms. Felice Achilleo e ms. Francesco Buoninsegni, auditori (mandati dal
sacro Consiglio) in presenza di due notai in pubblico.

Di Perugia, 1559, 7 Aprile (c. 9 t.). Al Sacro Consiglio. È

Dice essergli giunto un mandato di Città di Castello con notizia che
da tre giorni è cominciato tumulto a cagione di una preeminenza fra il
medico fisico e chirurgo. Egli partirà subito a quella volta.

Quanto alle cose del sindacato di Mons.r Gajazzo, vanno avanti,
ma ha avuto qualche sentore d'imbrogli circa l’ affare del danaro.
Nelle cose di Chiusi si fatto qualche provento a beneficio proprio 0 È
dei ministri più che de la Regia Camera. Prega quindi gli si mandi un
uomo pratico in contabilità.

Frattanto gli vien detto che è occorso già omicidio e il tumulto è

grande. È
Di Città di Castello, 1559, li 7 Aprile (c. 10 t.). J

Dice di non haver trovato errore alcuno in Città di Castello, non
però che non vi sia pericolo. Dice il tumulto esser nato da ció che con
l oecasione di certi medici aleuni giovani si sono sollevati dimandando
agli Otto di mandargli un ambasciatore il quale lo pregasse a recarsi
quà e gli dicesse che era loro volontà star soggetti alla S. Sede.

Però, dice, che loro intenzione è di mutar governo, perché pare che
sotto gli Otto i signori Vitelli abbiano troppa influenza nelle cose
pubbliche; che gli esporranno i loro desiderii, e che vorrebbero si con-
gregasse uu Consiglio Generale, non de gli Otto solamente, per richiedere
che sí muti quell' ordine e modo di Magistrato. Dice, infine, che è una
specie di tumulto pacifico, risolvendosi il tutto in processioni e messe

allo Spirito Santo.
Di Città di Castello, 10 Aprile 1559 (c. 11). Al Sacro Consiglio.

Riferisce come non sia seguito alcun dànno in Città di Castello.

Si sono persuasi a mandare ambasciatori a S. B.ne. Dice che gli am-
basciatori saranno presto dinanzi al Sacro Collegio, il quale esortasi a
voler contentarli per la grande sommissione che v'é in Città di Castello
alla Sede Apostolica e per mantenersi questa Città posta al confine.
Sei pier rad dere npe

ameno

L' EPISTOLARIO

DELL'ARCIVESCOVO DI ROSSANO, ECC. 89

Di Perugia 1559, 14 Aprile (c. 12). Al Cardinal di Spoleto.

È una lettera d' accompagno per gli ambasciatori di Città di Ca-

stello, nella quale si dice il fine di questa ambaseiata, di riformare cioé
i Magistrati loro.

Di Perugia 1559, 14 Aprile (c. 12 t.). Al Cardinale di Tranj.

Come la precedente; gli ricorda di più quanto un'altra volta gli
scrisse circa l' absolutionem a juramento ad effectum agendi.

Di Perugia 1559, 14 Aprile (c. 121.). Al Sacro Consiglio.

Dice come in Città di Castello vi siano due case de' Vitelli, 1’ una
del Cardinale, l’altra del sig. Chiappino e Paolo Vitelli in discordia
l'una con l’altra, però tutte e due soggette alla Chiesa. Riferisce come
i passati giorni fu licenziato un medico chirurgo. Alcuni giovani si pre-
sentarono agli Otto pregando che non fosse licenziato. Fu loro risposto
ch’ essi nulla potevano. I giovani andarono in casa del sig. Isacco fra-
tello del Cardinale, il quale promise che li avrebbe aiutati, quando vi
sopraggiunse la madre (1) che con sue aspre parole accese d' ira i giovani
i quali in maggior numero si riunirono e mandarono ambasciatori a
lui il quale si trovava già presso la Città. Dice quindi che questi non
fecero altro che assicurarlo della loro sommissione alla Sede A posto -
liea e che volevano un nuovo ordinamento de' magistrati loro per non
esser soggetti a quelle Illustri Case nelle cose pubbliche. Nota del resto
che quei giovani sono di ottima intenzione, che tutti si sono confessati
e comunicati e nulla è seguito di male, ma ben può accadere se non si
pone un rimedio.

Avverte in ultimo che gli ambasciatori ricercheranno anche di la.
sciare le pene alla loro Comunità, ma che è meglio non conceder ciò per
quiete di quella Città.

Di Perugia, 16 Aprile 1559 (c. 14 t.). Al Card. Alessandrino.
Dice di aver veduto da una lettera del Vicario dei Cappuccini che

D. Pietro Paolo perugino nón ha fatta professione in quella religione.
Domanda come debba regolarsi.

(1) La famosa Angela Rossi Vitelli.

— — -——— E:
90 L.- FUMI

Di Perugia, 1559, 16 Aprile (c. 15). AL sig. Gio. Antonio Or-
sino. i

Si rallegra del luogo che V. S. gli ha dato e domanda che la tassa |
di XV giulii al mese ch’ egli ha comandato che paghi questa provincia,
debba solo compartirsi fra i luoghi che sono rimasti sotto questo go-
verno (giacchè molti che prima vi appartenevano, ora non vi apparten-
gono più), ovvero si ha da compartire per tutta la provincia dell’ Umbria.
Poi dice come il signor Camillo ha stabilito che gli ebrei paghino quattro
scudi al mese a ciascun capitano, ma che questa tassa non è venuta È
mai a fine, perchè gli ebrei del suo governo sono pochi e tutti straccioni.
Domanda quindi se possa dar ordine ai capitani di farsi pagare dagli

ebrei del loro compartimento.

Di Perugia, 18 Aprile 1559 (c. 15 t.). Al Card. di Trani. Al
Card. di Spoleto separatamente.

Presenta con questa lettera l'ambasciotore di Perugia che va per
trovar. modo di pagar la Ruota. Dà avviso che il signor Ascanio della
Cornia si trova a Cortona, confine tra Firenze e questa provincia.

Di Perugia, 21 Aprile 1559 (c. 16). Al Cardinaie di Trani.

2 Lo ringrazia di essersi occupato presso N. S. di lui, per la facoltà
di concedere quelle assoluzioni delle quali gli aveva scritto.

Di Perugia, 21 Aprile 1559 (c. 16). Al Sacro Consiglio.

Dice come, volendo il sig. Candido Zitelli, Castellano della Roeca di
Castiglione del Lago. rimuovere colui che serve in suo nome, ne è fatta
istanza a lui. Ma esso non vuol far nulla senza consiglio delle SS. LL.
Ill.me, essendo la Rocca di molta importanza.

Inoltre avendo ordine di far pagare il governatore di Foligno se-
condo gli antecessori suoi, e avendo alcuni di questi antecessori (ma non
tutti) ricevuto oltre il salario dieci scudi dal Tesaurini di Perugia, do-
manda come debba fare. Osserva d’altronde che il vivere è caro e il solo
salario non potrebbe bastare.

. Dice che il sindacato di Mons.re Gaiazzo sta quasi a termine per

spedirlo.
L'EPISTOLARIO DELL’ ARCIVESCOVO DI ROSSANO, ECC. 91

Di Perugia, 1559, li 18 Aprile (c. 16 t.). Al Sig. Gio. Anf. -

Orsino.

Dice esser per lui consolazione al dolore per la morte del signor Ca-
millo che il: Sig. Gio. Ant. Orsino sia elevato allo Stesso posto che il
predetto signor Camillo occupava. Lo prega a voler sovvenire la Rota
di Perugia.

Ripete quanto dice nella lettera antecedente de’ 18 aprile (15 t.).

Di Perugia, li 28 Aprile 1559 (c. 17 ) Alla Signora Angela
Vitelli.

Permetto, per far favore a lei, che Ventura «ebreo rimanga sicuro in

Città di Castello per tutto il mese prossimo maggio, perchè possa ren-
derle i suoi conti.

Di Perugia 1559, 28 Aprile. (c. 17). Al Sacro Consiglio.

Dice di nou aver ricevuta una lettera che le SS. LL. Ill.me e Rev.me
dicono di avergli mandata, la quale diceva che dovesse mandare un Au-
ditore per comporre le discordie tra Cascia e Monteleone. Essendovi
molti sbanditi tra Cascia e Spoleto, ha ordine di mandare il suo bargello
quando ne sia richiesto dai governatori di quei luoghi. Ora peró che
ne ha avuto ordine manderà il suo Auditore, come le SS. LL. coman-

dano, ma non é sicuro che quei luoghi siano per obbedire cosi facil-
mente.

Di Perugia, 1559, 28 Aprile (c. 17 t.). AL Sacro Consiglio.

Dice che per far cosa più breve invece di una copia, manderà l’ori-
ginale stesso del processo di Mons. Gaiazzo col notaio stesso che l’ha
fatto il quale potrà dar loro schiarimeuti.

Di Perugia 1559, 98 Aprile (c. 18). Al Sacro Collegio.

Lettera di accompagnamento pel: signor Adriano detto Bino il quale
presenterà i conti di molti servizi di poste che gli hanno da esser pa-
gati, e che il Tesaurini non vuol pagare.

,
i-i rites -»—— Liegi —

^
cage”,
L. FUMI
Al Card. Alessandrino (c. 18 t.).

Dice che i libri dei librai Veneziani furono sequestrati prima che
gli giungesse la sua lettera, e che il commercio fu subito proibito e le
lettere consegnate all’inquisitore, e gli stesso ordiniha dati per Foligno.

Dice di aver fatto prendere un frate de’ canonici regolari di S. Pie-
tro in Vincoli in Roma, perchè portava un archibusetto sotto la veste e
accusato per conto di donne (il che non si può provare) e di averlo ri-
lasciato per paura delle pene stabilite per chi sottrae uno al suo tribu-
nale. Domanda cosa deve fare.

Di Perugia, 1559, 24 Aprile (c. 19). All' Arcivescovo di Firenze.

Dice di aver visitato il Juogo de la Pescaria e le case di ms. Ba-
glione Baglioni. Peró per essere debole il muro della pescaria non si puó
fabricarvi sopra, anzi per pubblica utilità sarebbe anche meglio gettar
via il muro.

Di Perugia, 15590, 1 Maggio (c. 19). A F. Tomaso Scoto comissario
de l' Inquisitione.

Gli manda il processo contro i falsi questori il quale S. S. gli aveva
richiesto.

Di Perugia, 1559, li 5 Maggio (c. 19) Al Sacro Conseglio.

Ha ricevuto oggi dall'Auditore che aveva mandato a Cascia la let-
tera delle SS. LL. che scrisse di non aver ricevuta. Spera che col tempo
fra Cascia e Monteleone tutto si possa accomodare.

Dice che il sig. Gio. Ant. Orsino gli ha comandato di far distribu-
zione proporzionata al sussidio triennale in quella provincia di 150 scudi
il mese per 100 cavalli che sono in Roma a servizio di S. B.ne. Ne av-
visa le SS. LL. perchè prevede che perverranno loro lagnanze.

Di Perugia, 1559, li 6 Maggio (c. 19 t.). Al Vescovo Thilesio.

Gli raccomanda il latore della lettera. Lo prega che avverta quelli
Ill.mi Signori come a Montepulciano, luogo del Duca di Firenze, si vanno
adunando gente per riacquistare i luoghi dello Stato di Siena posseduti
ora dai Francesi.
‘ Di Perugia, li 8 di Maggio 1559 (c. 20). Al Card. Alessandrino.

‘ Dice di tener prigione un tal don Vico da Sassoferrato che era stato
per 10 anni nella religione di S. Francesco e ordinato diacono e suddia-
cono, poi dopo la bolla di S. B.ne contro gli apostati era fuggito. Ora

mentre nascostamente rientrava in Sassoferrato, fu riconosciuto. Domanda
che debba farne.

|. Di Perugia, 1559, li 15 Maggio (c. 20 t), ‘Al Sacro Conseglio.

Dice di essergli giunto a notizia che le liti tra Cascia e Monteleone
sono per non essersi mai determinati i confini tra quei luoghi. Crede che.
sarà necessario ch'egli stesso lo faccia, quando abbia esaminate le sen-
tenze altre volte su ciò pronunziate, e avuta facoltà dalle LL. SS.

Avvisa poi essere altra controversia di molta impor tanza quella tra
Assisi e il castello di Bastia.

Aggiunge esser giunto iersera ms. Ottavio, mandato dalle SS. LL.
al governo di Città di Castello, il quale se ne va contentissimo per esser

tutto quieto in Città di Castello, e di aver veduto la istruzione sulla
riforma della città.

i Di Perugia, 1559, 15 Maggio (c. 21 t.). Al sig. Gio. Ant. Or-
i sino.

Fa-sapere che la tassa delle 100 celate è stata messa e che da per
tutto vi son ricorsi.

————u—À

Di Perugia, 1559, 15 Maggio (c. 21 t.). Al Card. Alessandrino.

Dice che Cornelia dello Schiavetto non si potè prendere, perchè era
fuggita, che il frate canonico regolare è stato richiamato, che Gaspare de
Ursis bolognese è stato preso e che i testimoni di Francesco da Cornara
I i
| non sono ancora terminati di esaminare.

I
|

Di Perugia, 1559, li 19 Maggio (c. 22). Al Sig. Thesauriero.
. Dà il ragguaglio degli Offizi della Camera.
D Di Perugia, 1559, li 19 Maggio (c. 23). Al S. Conseglio.

i . .' Trasmette l'istruzione ricevuta circa la riforma di Città di Castello
. con le aggiunte che ha credute utili.

L'EPISTOLARIO DELL’ ARCIVESCOVO DI I ROSSANO, ECC. 93

som
i w^ = Tnm o
- C H
È
k * y
_— ——@—m—_————————É SS — —— ——— ini
-_—=""= === e==@-—j{ i... e E spore aree E
1 í A S ?

=_=

— TT

94 Li FUMI

Comincia: « Quod eligant quadraginta cives... » eec. fiuisce col bando

dei Vitelli a venti miglia dalla città.
Di Perugia, 1559, li 19 Maggio (c. 25). Al Card. Alessandrino.

Dice che avendo trovato una lettera della sacra penitenzieria in fa-
vore di un Ludovico da Sassoferrato, non lo rimetterà in prigione come
gli aveva comandato, ma aspetterà nuovi ordini. Parla del modo di man-
dare a Roma il prigione maestro fr. Ieronimo Piacentino.

Di Fuligno, 1559, li 26 di Maggio (25 t.). A F. Thomaso Scoto
comissario de la Inquisitione.

Dice che per mancanza di esecutori bisognerà il detto fra Ieronimo
sia condotto a Roma, facendolo accompagnare ciascun signore fino al

termine della sua giurisdizione.

Di Perugia, 1559, li 26 Maggio (c. 26). A Gio. Ant. Orsino.
Dice che la tassa de’ cavalli si esige con gran malcontento del popolo.
Di Perugia 1559, li 2 di Giugno (c. 26 t.). Al S. Consiglio.

Assicura di aver fatto quanto le SS. LL. comandano circa la commis-
sione di ms. Baecio Ghino da Cortona commissario apostolico sopra la
frode che si pretende esser fatta nel lago. Dice che circa il processo
contro ms. Vincenzo Baccile da Fermo, fu tutto mandato al governatore

di Fermo.
Di Perugia, 1559, li 3 Giugno (c. 21 t.). Al S. Consiglio.

Essendovi in Perugia una cappella della Beata Vergine alla quale
i cittadini hanno sempre nominato un prete o frate per custodirla, ora
vi è questione tra quello scelto dal popolo e quello che l'ha impetrata
da S. S.tà.

Di Perugia, 1559, li 9 Giugno (c. 28). Al sacro Consiglio.
Ha ricevuto avviso che l'Umbria debba contribuire scudi mille pel

rassettamento del porto d'Ancona, però domanda se tal somma si ha
da pagare per tutta l' Umbria o da quei luoghi solamente che sono sotto

y- SSR E
p ATL) Lat NC SRI

C CHENEEERIIC.

L'EPISTOLARIO DELL'AROIVESCOVO DI ROSSANO, ECC. 95

questo governo. Dice di aver ricevuto anche ayviso, per le lettere man-
dategli per l'ambasciatore di Città di Castello, di recarsi là ad esaminar
meglio lo stato delle cose. Avvisa che Cascia è ancora in tumulto, non

però per le cose di Monteleone, ma per cose sue private, onde vi man-
derà un auditore.

Informazioni sopra il Bussolo (c. 29).

Nel 1553 nel mese di Ottobre fu rifatto il bussolo di tutti gli offici
della città di Perugia. Mandato a Roma per ordine di Giulio III, vi fu-
rono aggiunti molti ufficii. Tutti gli Offici furono pubblicati man mano,
ma quelli dei capitani e castellani sospesi. Ora il bossolo fini e dovette
rinnovarsi. Mons. Gaiazzo volle rinnovare anche gli offiei dei capitani e

castellani. Ma i capitani o castellani vecchi dicono che Mons. Gaiazzo
non poteva far ció.

Informazioni per il castello di Sterpeto (c. 30).

Il feudo di Sterpeto apparteneva ai conti Cesare e Marcantonio
Fiumi. Il figlio di Cesare commise un omicidio in chiesa. Fu condan-
nato insieme al padre che se ne credette l'istigatore. Il feudo fu loro
confiscato. Marcantonio, convenuto col fiscale e con mons. di Gaiazzo,
lo ricomperó. Accusato Marcantonio di disonorar le donne dei vassalli o
trattar male questi, condannato in contumacia, fu spogliato del feudo.
Si vorrebbe ora che gli altri figli di Cesare rimanessero privi del feudo.

Dice il governatore che a lui non sembra cosa giusta, ma che si so-
spenda fino alla età loro di ventieinque anni.

Di Castello, 1559, 15 Giugno (c. 31 t.).

Osserva che in Città di Castello bisogna porre rimedio a tre mali:
l.? I debiti da cui è aggravata: 2.» Impedire che per l'avvenire rifac-
ciansi debiti: 3.° Rendere i magistrati indipendenti dalle famiglie, benchè
potenti.

Al primo provvederà in qualche modo. Al secondo provvederà li-

mitando le spese e togliendo esenzioni di tasse alle quali il Card. Vitelli

è già convenuto. Al terzo porrà 40 magistrati per 4 anni. Poi un con-
siglio di credenza il quale dovrà solo giudicare, composto se di dieci o
dodici non si sa ancora.

Finisce così:

« La Signora Angela non è già più giorni qui: si sta in un castello
suo detto Cisterna, sei miglia discosto di qui, et sta, per quel che s'ode,
96 . OL. FUMI,

molto quieta, et non s'intrometté in cosa nissuna; se parerà alle SS.
VV. Ill.me lassare così, finchè deliberano altramente, bene, et se persi-
stano ch’ ella si parta, come già ho cominciato con buon modo farli ve-
nire a l’ orecchio, avvisino che si eseguirà quanto comandaranno ».

Di Castello, 1559, li 18 Giugno (c. 34). Al S. Gio. Ant. Or-
sino.

Dice che incontra gran difficoltà ad esigere la tassa dei cavalli vivi,
perchè dicono che non è stata imposta a tutta la provincia dell' Umbria,
ma solo a una parte. Per Todi poi che non è del suo governo, bisognerà
‘che provveda il Card. di Napoli sotto cui si trova.

Di Castello, 1559, li 18 Giugno (c. 34 t.). A Mons. di Thilesio.

- Lo prega che comunichi al sacro Consiglio come quella mattina si
sia radunato il Consiglio e abbiano eletto otto cittadini che assistano il

legato nella riforma della città.
Comunichi al sacro Consiglio che si farà un consiglio [di 100 per le

cose piü gravi, ed uno di 40.
| Di Città di Castello, 1559 li 22 Giugno (c. 35 t.). AL S. Con-
| siglio. na
Lo ragguaglia dei lamenti del Sig. Orsino, perchè non si può esiger
la tassa dei cavalli vivi a cagione della distribuzione che è stata fatta

in una sola parte dell’ Umbria.

Di Città di Castello, 1559, 27 Giugno (c. 36). A ms. Fabritio
i Gentili Auditore del Criminale.

Gli commette, per ordine ch’ egli ha dalla S.ta Inquisizione, di car-
cerare ms. Bulgarucci de’ Ranieri.

Di Perugia, 1559, 80 Giugno (c. 36 t.). A. Mons. di Thilesio.

Gli dice di comunicare al Consiglio che ha posto fine ai nuovi ma-
.' gistrati di Castello.

Di Perugia, 1559, l'ultimo Giugno (c. 36 t.). AF. Thomaso
. Scoto commissario dell’ inquisitione.

Avvisa che la cattura di ms. Bulgaruccio Ranieri fu eseguita.
oo mtm mme

bene loro e della eittà.

*

L'EPISTOLARIO DELL'ARCIVESCOVO DI ROSSANO, ECC. 91
Di Perugia, 1559, 3 Luglio (c. 36 t.). A Ant. Orsino.
Domanda se ha ricevuto i pochi denari esatti.
Di Perugia 1559, 3 luglio (c. 37). Al s. Consiglio.
Dice che ha posto fine ai nuovi magistrati di Castello e manda la

costituzione. Spera buon esito, benchè da 80 anni non avesse la città
sofferto più alcun mutamento. Circa la sig.ra Angela, dice che la mag-

gior parte della città la disama, più ancora adesso; perchè coloro che.
le si sono mostrati odiosi temono l’ ira sua. Però egli stima bene, che,

assicurando il cardinale suo figlio ch’ ella non farà male a nessuno, non
si discacci dalla città, e lo stesso la sig.ra Gentilina.

Segue :

.« Reformationes vero, de quibus in superioribus literis fit mentio,
sunt infrascripta » : « Cum experientia » etc. (c. 38 t.).

« De Consilio Generali.

« De Consilio Regiminis.

« Forma juramenti per Consiliaros.

« De Consilio eredentiae.

« De Antianis seu Prioribus.

« De poenis.

« De alienationibus aeris publici.

« De capserio, seu depositario, vel thes.rio Comunitatis.

« De cancellario.

Di Perugia, 1559, 3 Luglio (c. 46). Al Card. di Napoli.

Ripete circa la sig.ra Angela quanto disse nella lettera precedente.

Dice di aver ordine dal Card. Alessandrino di procedere severamente
contro frati scandalosi. Glie ne fu accusato uno de’ canonici regolari, di
cui egli (il Card. di Napoli) è protettore. Incarcerato prima, lo rilasciò
tenendone sicurtà. Poi dovette procedere contro la sicurtà, ma essendoglisi
messo innanzi il nome di esso Card. di Napoli, lo rilasciò aspettando
lettere. Lo prega a scrivergli qualche cosa per non essere ripreso dal
Card. Alessandrino sommo inquisitore.

Di Perugia, 1559, 3 Luglio (c. 47 t.). Al Card. Vitelli.

Lo prega a voler porre pace tra le due donne delle case Vitelli per.
L. FUMI

Di Perugia, 1559, 7 Luglio (c. 48). Al Sacro Consiglio.
Parla di alcuni offiei de’ portinari, per gli acconcimi dei tetti, ecc.
Di Perugia, 1559, li 9 Luglio (c. 49). Al Card. Alessandrino.

Lettera di accompagno per Bolgaruccio Ranieri il quale avea dato
sicartà di 5 mila ducati per essere scarcerato ed ora si presenta.

Di Perugia, 1559, li 10 Luglio (c. 49). Al Card. Alessandrino.

Dice di non saper nulla di un frate Andrea d' Alessandria, a meno
che non sia un tale del quale il generale di S. Francesco gli disse che
teneva prigione come ladro in Assisi.

Di Perugia, 1559, li 10 Luglio (c. 49 t.). A fra Thomaso Scoto
commissario d' Inquisitione.

Dice di Bolgaruccio Ranieri quel che scrive nella lettera 9 Luglio.
Parla dei rimedi per purgare la città dal nefando vizio in cui è im-

mersa.
Di Perugia, 1559, li 10 Luglio (c. 50). A Mons. T'hilesio.

Parla della rocca della Fratta sulla quale tre accampano diversi di-
ritti. Dice che veramente in Cerreto ci sono banditi, ma forse si trovano
in un luogo di Spoleto detto Ponte che per essere in montagna non si
può prendere se non con buona forza, mentre questa manca.

Dovrà giungere, portato dal suo bargello, un omicidiale da Cascia.

Di Perugia 1559, li 13 Luglio (c. 51 t.). Al Sacro Consiglio.

Ha dato subito esecuzione al breve mandatogli: è andato a Bet-
tona, ha radunato Priori e officiali; ha preso il possesso in nome di N.
S.re, il giuramento dei Priori ed ha mutato ufficiali, mettendo il nuovo
che avea seco.

Di Perugia, 1559, 14 Luglio (c. 52). Al s. Cons.
Un figlio di ms. Giulio Montesperello ha ucciso con assassinio un
figlio di ms. Tindaro Alfani, e da questo fatto pare siano per derivar
discordie gravi con dauno della quiete della città.
TNETONTT

E
è

d
E.
i

L'EPISTOLARIO DELL'ARCIVESCOVO DI ROSSANO, ECC.
Di Perugia, 1559, 14 Luglio (c. 53). Al s. Consiglio.

Messer Francesco Buoninsegni suo auditore mandato a Gualdo si é
alfine abboccato con l'auditore di monsignor gov.re della Marca, ma
non si sono accordati.

Sono stati presi i tre fratelli Candini di Spoleto con tre altri omici-
diali.

Mons.r govern.re di Spoleto glie ne domanda 4 che sono di quella
terra: egli crede far bene a consegnarglieli. A Cascia è preso un altro

omicidiale.
Di Perugia, 1559, 14 Luglio (c. 54). Al Card. di Napoli.

Nel fatto dell'assassinio del figlio di ms. Alfani il predetto sig. Giu-
lio fu ritenuto prigione per averne la legittima, giacchè le parti erano
con sicurtà.

Gli fu presentata inibizione dell’ Auditore di S. S. Illl.ma che si ri-
lasci il prigione. Prega quindi il Cardinale a far ritirare detta inibizione

altrimenti le parti farebbero da loro vendetta.
Di Perugia, 1559, 19 Luglio (c. 55). Al Govern.re della Marca.

Si meraviglia come i due auditori in fatto non abbiano concluso uulla,
e dice che è giusto il sequestro dei grani e altri frutti ordinato dal saero
Consiglio finché penderà la live. Siccome la controversia è anche per certe
selve, dice di sapere che quelli di Fabriano le vanno bruciando. Egli
quindi penserebbe di sequestrare i frutti e far dare alle due comunità

sicurtà di non offendersi. Aspetta da lui una risposta.
Di Perugia, 1559, 21 Luglio (c. 56). Al Thesauriero generale.

Dice che ora è tutto accomodato circa il dazio delle carni.
Di Perugia, 1559, 21 Luglio (c. 56 t.). Al Sacro Consiglio.

Domanda se Bettona debba avere lo stesso trattamento dei castelli
e luoghi dei signori Baglioni circa le entrate, le pere salace ed altri
frutti giurisdizionali.

Dice non esser vero che il Massilla abbia voluto procedere nel pro-

cesso senza un aggiunto.
Aggiunge di aver preso per mezzo del suo bargello due dei capi dell'in-
100 5 ce L. FUMI

sulto fatto al commissario di Cerreto. Fa le lodi del bargello. Dice che
gli auditori di Gualdo e Fabriano non hanno fatto nulla, ed espone la
lettera che scrisse al governatore della Marca.

Di Perugia, 1559, 21 Luglio (c. 58). A Mons.r D. Thilesio.

Dà informazioni di ms. Rinaldo Ridolfi che è un dottor di legge
perugino di buon nome e tiene onorato luogo in Pisa con grosso sa-
lario.

Fu una volta accusato di aver fatto un capitolo, dove diceva male
di quasi tutti della città. Ebbe perciò cinque o sei lievi ferite da due
figli dei Baglioni.

Di Perugia, 1559, 24 Luglio (c. 58 t.) Al Generale dei minori
conventuali.

Eseguirà quanto gli scrive, quando sarà là condotto frate Andrea
d’Alessandria.

Di Perugia, 1559, 24 Luglio (c. 58 t.). A Mons.r Viceregente de
la: Camera.

Avvisa esservi fatti i libri degli appaltatori del Lago. Gli manda
copia del processo di Silvio Vascellaro da Baschi.

Di Perugia, 1559, 28 Luglio (c. 59). A fra Thomaso Scoto com-
missario dell’ Inquisitione.

Dice che circa l' estirpare il nefando vizio, ha fatto pigliare un gio-
vane, ma non ha trovato persona che dicesse cosa contro di lui. Di
quelli che S. R. gli indicava, nessuno si trova in Perugia.

Di Perugia, 1559, l'ultimo di Luglio (c. 59 t.). A Mons.r di Thi-
lesia.

Non ha avuto risposta circa una lettera che scrisse riguardo ai porto-
nari, per il capomastro che deve tener conci i tetti della cittadella ecc.
Lo prega voglia sollecitare il Sacro Consiglio a rispondergli qualche cosa.
L'EPISTOLARIO DELL'ARCIVESCOVO DI ROSSANO, ECC. 101

Di Perugia, 1559, l'ultimo di Luglio (c. 60 t). Al Card. Ales-
sandrino.

Quel certo D. Pietro Paolo de’ cappuccini ha dato fede di aver rice-
vuto gli ordini minori e maggiori, non essendo frate. Dice che D. Ales-
sandro Turino non si trova nei luoghi del suo governo.

Di Perugia, 1559, li 4 Agosto (c. 61). AL Sacro Consiglio.

Non ha saputo mai niente dell'insulto recato al Governatore di Ca-
stel della Pieve. Dice che si recherà a Gualdo quando sarà avvisato ehe
mons. governatore della Marca si trovi in Fabriano. Aggiunge ancora
che gli par bene che le LL. SS. Ill.me mutino il governatore di Terni,
perché è malveduto dalla città. Alcuni uomini banditi da Bettona al
tempo di mons. Gaiazzo, lo pregano per rientrare.

Di Perugia, 1559, 7 Agosto (c. 62). A fra Thomaso Scoto.

Sta in cerea di quei sei di cui gli serisse. Uno ne ha preso prigione,
certo Ercole di Turino.

Di Perugia, 1559, 6 Agosto (c. 62 t.). A la Comunità di Fabriano.

Conferirà con mons. governatore della Marca e farà il possibile per
adempiere tutti i loro desideri.

Di Perugia, 1559, V ultimo di Luglio (c. 63). Al Governatore
della Marca.

Vuole essere avvisato quando dovrà recarsi in Fabriano per conferire
e concludere qualche cosa di reale.

Di Perugia, 1559, 4 Agosto (c. 63 t.). A Mons. Governatore della
Marca.

Non volendo i Fabrianesi innovazione alcuna gli sembra meglio e
più decoroso non recarsi là affatto, che recarvisi e non concluder nulla.

Di Perugia, 1559, li 7 Agosto (c. 63 t.). AL Sacro Consiglio.

Verificato il male di mons. di Gaiazzo, se ne è presa sicurtà e gli si

cre
= ——ritirtt=;

rec

102 L. FUMI

è dato per carcere il monastero di S. Pietro. Ringrazia le LL. SS. della
confermazione che hanno fatta dezli ordinamenti di Città di Castello.

Di Perugia, 1559, 7 Agosto (c. 64). Al Card. Alessandrino.

Il caso di D. Pietro Paolo è semplicissimo, giacchè non compiè
l’anno della probazione, ma dopo due mesi venutagli la sciatica, fu dagli
stessi frati rinviato a casa.

Dice che per il frate di S. Pietro in Vineuli il convento stesso vuol
pagare la sicurtà.

Di Perugia, 1559, 11 Agosto (c. 64 t.). A Mons. di Thilesto.
Parla di un credito di ms. Alberto Franchini.
Di Perugia, 1559, 11 Agosto (c. 65 t.). A Mons. Thilesio.

Conviene mutare il governatore di Terni. Mons. della Marca gli ha
risposto che presto verrà in Fabriano. Il disordine di Castel della Pieve
é che un esecutore, venuto alle mani con uno della terra, fu ferito.

Di Perugia, 1559, 11 Agosto (c. 65 t.). Al Sacro Consiglio.

Avvisa che fu eseguito l’ ordine di porre mons. Gaiazzo nel mona-
stero di S. Pietro.

Di Perugia, 1559, 14 Agosto (c. 66). Al Sacro Consiglio.

Ha fatto sequestrare i libri appartenenti a la gabella del quattrino
de la earne di ms. Baldo Cagli, di Innocenzo Battaglia e Gio. Ant. di

Vincenzo suo ministro e si é assicurato delle loro persone. Lo stesso
farà negli altri luoghi.

Di Perugia, 1559, 14 Agosto (c. 66 t.). A Gio. Ant. Orsino.

Presto finirà di riscuotere e manderà la tassa dei cavalli vivi: Todi
però non ha mai pagato nulla, perchè non è sotto la sua giurisdizione.

Di Perugia, 1559, 14 Agosto (c. 67). Al Card. Alessandrino.

Dei 200 scudi della sicurtà del frate regolare disporrà.il Card. di
Napoli, come (il Card. Alessandrino) gli ha scritto. Di fra Nicolò da Li-
CNN

;

L'EPISTOLARIO DELL'ARCIVESCOVO DI ROSSANO, ECC. 108

migiano dell'ordine di S. Agostino dice. che aveva avuto licenza di vi-
vere fuori del chiostro; e che, per confessione sua, egli ha confessato
e celebrato, pur sapendo della bolla di S. S.tà, ma ignorandone il tenore.

Di Perugia, 1059, 14 Agosto (c. 67 t.). Al Card. di Napoli.

Gli dice che non essendosi presentato quel frate di S. Pietro in Vin-
culi, si è dovuta esigere la sicurtà di 200 scudi; che però il Card. A-
lessandrino dà facoltà a S. Em.za di disporne come vuole, essendo pro-
tettore di quell'Ordine.

Di Perugia, 1559, 14 Agosto (c. 68 t.). Al Card. di Napoli.
Ha fatto quanto desiderava in favore di Marcantonio suo paratre-

niere. Ora venutagli una intimazione che la città di Perugia ha lo ius
eligendi in detto officio, non l’ ha accettata. Domanda che debba fare.

Di Perugia, 1559, 18 Agosto (c. 68). A Mons. di Thilesio.
Vengono fuori molti creditori del tempo di mons. Gaiazzo. Domanda
un ordine preciso.
Di Perugia, 1559, 18 Agosto-(c. 68 t.). A Mons. Thilesio.
Parla di qualche inconveniente circa alcuni pagamenti.
« Questo di 19 di Agosto 1559 a hore 20 incirca venne avviso per let-

tera del Sacro Consiglio di 18 del medesimo che Papa Paolo quarto era
ridotto a termine che si giudicava che potesse sopravvivere poche hore ».

Di Perugia, 19 Agosto 1559 (c. 69 t.). AL S. Consiglio.

Prega a volergli dare licenza di pagare coi denari del sussidio quelle

cose che son necessarie.
Di Perugia, 1559, li 19 Agosto (c. 69 t.). Al s.r Gio. Ant. Orsino.
In questo frangente si rifiutano a pagar la tassa dei cavalli vivi.

Prega lo autorizzino a servirsi di ciò che riscuoterà per l’uso e la quiete

pubblica.

d

mM

3 SL. 4 ; n
stimano re

P

M E D

e meet n. oi

ux
%

"35
35

sp”

— tr
i 2 v
loi

F

Mi

Pd”

10£- L.. FUMI

Di Perugia, 1559, 20 Agosto (c. 70 t.). Al Sacro Collegio.

Avuta notizia della morte del pontefice, riconosce come suo vero -

superiore il sacro Collegio, e gli dà speranza di poter mantenere quella
città e provincia alla devozione della S. Sede, ove egli abbia i denari
per le necessarie provvigioni, di che potranno anche sentire dal Card.
di Perugia.

Di Perugia 1559, 20 Agosto (c. 71). Al signor Braccio Baglioni.

Lo prega voglia avvisarlo ogni volta abbia notizia che si macchini
dalle parti di Firenze qualche cosa a danno della città di Perugia.

Di Perugia, 1559, 20 Agosto (c. 71 t.). Al S. Collegio.
Subito saputo che il pontefice si- trovava agli estremi, temendo del

Chiusi, mandò certi uomini alla rocca di Castiglion del Lago. Questi però
la trovarono già occupata dal sig. Ascanio della Corgna. La rocca era

stata concessa con breve al sig. Candido Zitelli da Norcia che vi tenesse

un castellano, ma allora non v’ era nessuno.
Il signor Ascanio poi scrisse al sacro Collegio offerendosi al suo ser-
vizic.

Di Perugia 1559, 21 Agosto (c. 72 t.). Alla Comunità dell’ Isola
Maggiore.

Dà ordine di guardare il loro luogo e non prestare obbedienza ad
altri.

Di Perugia, 1559, 21 Agosto (c. 73). Al comune di Passignano.

Loda la sua diligenza e fedeltà. Gli dice che ritiri le barche man-
dandole all’ Isola Maggiore, che ritenga le vettovaglie e faccia guardia
alla terra, non potendo credere che il sig. Ascanio faccia violenza alla

S. Sede.

Di Perugia, 1559, 21 Agosto (c. 73).
Ordina al podestà di Bettona che dica al capitano Pantaleone di re-
carsi da loro.

Al capitano Paolo Romano ordina di entrare in Bettona eon 40 o 50
uomini.

RIZZI
TEC

Di Perugia, 1559, 21 Agosto (c. 74). A li Priori di Castel. de
la Pieve. PX i

Li esorta à continuare nell' obbedienza e fedeltà. -

Di Perugia 22 Agosto ordina al podestà di Bettona di vigilare gli
atti del capitano Pantaleone.

Manda al castellano della rocca di Beccatiquelli 10 scudi perché si
trattenga ivi e si mantenga fedele. Dice che per gli uomini che desi-

dera, ha scritto a Panicale che gli vengano dati.

A la comunità di Panicale dà questo stesso ordine.

Al conte Cesare di Sterpeto (c. 75) scrive, che faccia desistere i suoi
fattori dal far violenza al vicario, e prenda provvedimento contro i banditi.

Dà notizia al Vicario di Sterpeto di quanto serive al conte Cesare
Fiumi.

Invita il sig. Braccio Baglione a venir da lui per servizio da com-
mettergli.

Al sig. Ascanio della Corgna dice che venendo egli per forza, non in
grazia del Sacro Collegio, egli dovrà resistergli.

Prega i Priori di Assisi a mandare (c. 76) in Perugia quanti più
uomini possono.

Al Podestà e Priori della Bastia dà lo stesso ordine.

Al capitano Paolo Romano dice di lasciare un suo fidato in Bettona

e venire con quanti più uomini può.

Di Perugia, 1559, 23 Agosto (c. 76).

Al sig. Braccio Baglione dice esser rimasto contento della sua de- .

cisione.
Al Commissario di Panicale raccomanda che sia vigilante e non ri-

sparmi fatiche o spese.
Raccomanda a li Priori di Bettona che in mancanza del capitano Paolo

si eleggano un capo.
Di Perugia, 1559, 23 Agosto (c. €t).

Al Card. Camerlengo: et separatamente il medesimo per eadem

verba al s.re Gio. Ant. Orsino.

Dice che per aver avuta tardi notizia della morte del Pontefice, non
ha potuto impedire che il signor Ascanio occupasse la rocca di Casti-

iglione del Lago. Questi poi se ne è andato a Castel della Pieve ‘ed ha

detto che vuol venire a Perugia. Gli sono stati mandati due ambascia-

L'EPISTOLARIO DELL’ ARCIVESCOVO DI ROSSANO, ECC. 105.

I E nii

ri

unt a,

dre

mu
e

m 4

Ls

4

À

106 L. FUMI

tori ai quali ha detto che non vuol venire a Perugia, ma andare a Roma.
Ora è voce di nuovo che voglia venire a Perugia. E dice di non aver
mezzi bastanti alla difesa e sente la mancanza di consiglio da parte del
sacro Collegio.

Di Perugia, 1559, 24 Agosto (c. 79). Al sig. Ascanio.

Ricordagli che l’ intenzione sua non dev’ essere che di far bene, come
appare dal memoriale che dice: « L'Ill.mo signor Ascanio da la Corgna
prometterà a me et a la mag.ca città di Perugia di lassar star li grani
et minute raecolte nel Chiusi del presente anno, et non li levar, né far
levare di Castiglione Chiugino et del Chiusi, fino a ordine del Saero Col-
legio o del nuovo pontefice. Io prometterò di lassarli stare, et non farli
muovere, nè consentire che altri de la mia giurisdizione lo levi, eccetto
che detto S. Collegio » ecc.

Nota che egli ha preso tutte le raccolte del Chiusi con danno grande
di quella regione.

Di Perugia 59, li 1525 Agosto (c. 79). A li Priori di Bettona.

Manda ms. Francesco suo uditore che mostri l'ordine di vendere a
nome degli eredi del sig. Ridolfo Baglioni le "possessioni di detta terra
al Card. Vitelli e di conservare lo stesso podestà. Li esorta a dare il pos-
sesso al procuratore di detto Cardinale.

Di Perugia, 1559, 25 Agosto (c. 79 t.). Al Podestà di Bettona.

Ripete le medesime cose della lettera precedente e conferma il podestà.

Al Cap. Paolo Romano ordina di aiutare (c. 80) ms. Francesco Buo-
ninsegni nelle incombenze che ha.

AI Castellano de la Rocca della Fratta avvisa che manda il cap. Baldo
per visitare e munire la rocca.

Di Perugia, 1559, 25 Agosto (c. 80). Al Card. Camerlengo.

Annunzia che le genti che si radunavano in quel di Firenze son par-
tite verso Romagna e che il sig. Ascanio è partito per Roma ed ha la-
sciato il grano del Chiusi, volendo però che non si tocchi se non per or-
dine del sacro Collegio: onde son manifeste le sue buone intenzioni.

Avvisa ché ha dato possesso della terra di Bettona al proeuratore- del
Card. Vitelli.
TUE

L'EPISTOLARIO DELL'ARCIVESCOVO DI ROSSANO, ECC. 107

Perugia, 1559, la notte del 25 Agosto (c. 81). Al Cardinal Ca-
merlengo.

Avverte di aver avuto notizia che il signor Paolo si trova dentro Città
di Castello senza gente d'arme e il signor Chiappino a Montone con la
cavalleria. Si teme perciò che vogliano impadronirsi di quel castello che
è litigioso tra il nepote del cardinal Vitelli e questi due signori.

Di Perugia, 1559, il 26 Agosto (c. 81 t.). Al signor Annibale
Ranieri.

Gli dà l’incarico della difesa della Fratta.

AL Castellano de rocca de la Fratta (c. 82) dice che riceva il signor
Annibale Ranieri, avvisandolo dell’ ordine che gli ha dato.

Al Commissario de la Fratta dice di non aver mai avuto il minimo
sospetto del cardinal Vitelli, ma d’aver fatto solo per sicurezza le prov-
visioni alla rocca della Fratta.

Perugia, 1559, 29 Agosto (c. 82). Al Castellano de la Citta
della di Perugia. .

Commettegli di dare in prestito alcuni archibugi ai Priori di quella
città.

Al Castellano della rocca della Fratta ripete che lasci entrare il
cap. Ranieri per munirla.

Lo stesso dice a/ cap. Baldo de la Fratta.

Di Perugia, 1559, 30 Agosto (c. 83). Al Commissario di Cortona.

Dice che farà del tutto per prendere i banditi che si riparano in
Piazzano. Gli duole di non poter dareva lui licenza di passare il con-

fine.

Di Perugia, 1559, 1° Settembre (c. 84). Al Podestà di Nocera,
Ordina di prender subito informazione del caso avvenuto in per-

sona di Pasquino e di un altro ferito.

Di Perugia, 1559, 3 Settembre. Al Cap. Ranieri a la Fratta.
Vuole che ritiri tutte le cose che si trovano dalla parte di Montone

(come masserizie ed altri mobili) per paura delle correrie della gente

di quel paese.
108. AE L. FUMI

Di Perugia, 1559, 4 Settembre (c. 84 t.). A li conti Pirro et Giu-
lio da Sterpeto.

Ha inteso con dispiacere che son rientrati in Sterpeto, che han le-

vato il vicario e. ripresi i libri dei malefizi senza ordine di Roma. Co-
manda loro di desistere dal far ció.

Di Perugia, 1559, 4 Settembre. Al signor Paolo Vitelli.

Accetta la promessa che gli fa di non molestare alcun luogo della
sua giurisdizione.

Di Perugia, 1559, 4 Settembre (c. 85 t.). Al Cap. Ranieri Con-
soli a la Fratta.

Approva la risposta che ha dato al trombetta del sig. Chiappino e
vieta che dia vettovaglie.

Idem. — Al Governatore di Città di Castello (c. 86).

‘Vuole obedisca al signor Palantiero e si accomodi con lui.

Idem. — Al signor Paolo Vitello a Città di Castello.

1

E dispiacente di non poterlo contentare circa il passaggio dei sol-
dati, giacchè diverse sono le intenzioni del signor Palantieri commissa-
rio apostolico.

Idem. — AL Sacro Collegio (c. 86 t.).

Paolo e Chiappino Vitelli si sono accampati presso Montone, di-
chiarando però di non molestare alcun luogo di questo governo.
È giunto ms. Alessandro Palantiero e al sig. Paolo Vitelli sarà ne-.
gato il passaggio e la vettovaglia pei soldati.

Di Perugia, 1559, 6 Settembre. A ms. Alessandro Palantieri
4 Montone (c. 87 t.).

Manda.ms. Bastiano che gli parli in nome suo.

==
L'EPISTOLARIO DELL’ ARCIVESCOVO DI ROSSANO, ECC.
Idem. — A Mons. governatore di Spoleto.

Ha ordine di mandare a quella volta tutti i condannati a morte ed
alla galera; e intanto glie ne trasmette quattro. i

Idem, — Al Card. Camerlengo (c. 88).

Dice di far quanto può per esigere le tasse, e che domani si man-
dano scudi 2200. Avvisa di aver cominciato a mandare alla volta di Ci-
vitaveechia i condannati a morte e alla galera. Tra questi un certo Buc-
celli il quale non doveva essere giustiziato senza avviso delle LL. SS.
Illustrissime.

Idem. — A ms. Allessandro Palantieri. Commissario del S. Col-
legio a le cose di Montone (c. 88 t.).

Riferisce esser giunto un gentiluomo per mostrare una lettera per lui
indirizzata al sacro Collegio, ma non avendolo trovato, glie ne lasciò co-
‘pia ed egli glie la manda.

In essa i slgnori Paolo e Chiappino espongono al Sacro Collegio le
loro ragioni. Dicono che Giulio III per collera e per sdegno abilitò un
bastardo del signor Camillo che potesse succedere in questo luogo. Morto
il signor Camillo, essi volevano far valere le proprie ragioni, ma non fu-
rono mai intesi. Ora dicono di voler prender Montone per poi conse-
gnarlo al papa futuro onde averne il possesso. Pregano infine le LL.
SS. che vogliano ascoltare il Cap. Niccolò Ranuecini da loro mandato.

Di Perugia, 7 Settembre 1559 (c. 91). A ms. Alessandro Palan-
fieri. |—

Vuole che gli chieda cose precise e non vada troppo per le gene-

rali, giacchè egli non sa che intenzioni si abbia.

Idem. — A la signora Angela Rossa de Vitelli (c. 91 t.).

Le si offre per servirla in ciò che potrà. Dice però che l’incaricato

‘è ms. Palantieri, e che non farà nulla che non voglia il Sacro Collegio.

Perugia, 1559, 8 Settembre (c. 92). A ms. Alessandro Palantieri.

di aver ricevuto avviso della presa di Montone.

RITA
‘'L. FUMI
Idem. — Al Signor Paolo Vitelli (c. 92).

Ha ricevuto avviso della presa di Montone, e si duole che queste
due illustrissime famiglie siano venute a tali termini.

Idem. — Al sacro Collegio (c. 93).

Avvisa di quanto segui in Montone, e come il sig. Paolo mandó via
le sue genti per togliergli ogni sospetto che volesse occupar la Fratta.
(Segue poi la lettera del sig. Palantieri che dice le medesime cose).

Idem. — Al signor Cardinal Vitelli (c. 94).

Dice di aver scritto più volte che i Vitelli si preparavano contro
Montone e di non aver ricevuto mai risposta. Riferisce della venuta del
commissario Palantieri, degli aiuti che gli chiedeva e della presa di Mon-
tone prima che (a cagione della brevità del tempo) gli uomini potessero
esser pronti.

Di Perugia, 1559, 23 Settembre (c. 95 t.). Al sig. Paolo Vitelli.

Gli promette di far presso il Palantieri quanto desidera.

Idem. — Al Cap. di Cortona.

Si duole che egli abbia fatto prendere alcuni uomini nella sua giu-
risdizione e lo prega a volerli riconsegnare.

Di Perugia, 1559, 28 Settembre (c. 96). Al Duca di Fiorenza.

Annunzia che il Cap. di Cortona senza sua licenza è entrato nella
sua giurisdizione per prendere certi rei. Lo prega a volerglieli far ricon-
segnare.

Di Perugia, 1559, l'ultimo di Settembre (c. 97). A Mons.r
Thesaurario Generale in. Roma.

Dice che farà il possibile per esigere il sussidio triennale e con la
minima spesa.

v
L'EPISTOLARIO DELL'ARCIVESCOYO DI ROSSANO, ECC. 111

Di Perugia, 2 Ottobre 1559. Al Thesauriero Generale.

Ripete quanto sopra.

Idem (c. 98). A Mons. Tesauriere generale.

Risponde alla sua lettera (del Tesoriere generale) dove questi si la-
gna che gli usurpi la sua giurisdizione. Si scusa dicendo che alcuni si
lamentano per qualche esecuzione e vanno da lui a lamentarsi, perchè
certo per pochi giulii non converrebbe loro di recarsi a Roma. Lo prega
di mandargli una lettera nella quale gli comandi di rimandare quelli
che fanno simili lagnanze: così con questa lettera potrà giustificarsi.

Di Perugia, 11 Ottobre 1559 (c. 99). Al Duca di Fiorenza.
Temendo che non gli sieno giunte le lettere nelle quali lo pregava

a lasciar liberi alcuni rei presi dal Commissario di Cortona dentro la
giurisdizione ecclesiastica, ripete la domanda.

Perugia, 12 Ottobre 1559 (c. 99 t.).
Ringrazia il signor Ascanio della Cornia di avergli mandato ms.

Vincenzo Grotto con la notizia della sua venuta, con le buone nuove
di lui o con le notizie di Roma.

Di Perugia, 1559, Otttobre 12 (c. 99 t.). A la Communità de la
Pieve.

Gli dà notizia che volendo messer Agostino Dacrino partire di là,
vi sarà mandato ms. Lodovico Cantagallina dottore di Perugia.

Perugia, 1559, Ottobre 18 (c. 100). Al signor Ascanio della Cor-
gnia.

Gli presenta Giulio Bidelli che deve riverirlo in suo nome.

Perugia, 1559, Ottobre 23 (c. 100 t.). A Mons. Thesoriere Gene-
rale.

Gli dice che la mattina gli ha inviati scudi mille e duecento piü
ne ha riscossi.
112. | E. FUMI:

Di Perugia, 1559, Ottobre 24 (c. 100 t.). Al Commissario di Ca-
stel de la Pieve.

Vuole che prenda ogni provvedimento per sgombrare il paese da

alcuni uomini armati.

Di Perugia, 1559, Ottobre 27 (c. 101). Al sig. Mattheo Standardo.

Gli manda il sig. Giovanni suo uomo che gli esporrà quanto gli oc-

corre.

Di Perugia, 1559, Ottobre 27 (c. 101 L) Al Sig. Ascanio da la
Corgna.

Lo ringrazia dell’avviso intorno al signor Matteo intenzionato di tor-
nare in Castel della Pieve e lo assicura di avergli mandato precetto di

non recarvisi.

Di Perugia, 1559, Novembre 6 (c. 102). A Mons. Thesauriere
Generale.

Gli dà notizia della morte di Mons. Leone Baglione in Perugia. Av-
visa inoltre che non essendo subito andato Benedetto Bruno commissario,

egli mandó il fiscale a fare l' inventario, ma poi venne Benedetto Bruno
e comandó al fiscale di lasciarne a lui la cura.

Di Perugia, 1559, Novembre 10 (c. 102). Al Sig. Ascanio della
Cornia.

In Castiglion del Lago sono stati. presi tre banditi assai notabili :
Simone Negro da Castel del Piano. Gotto di Ciano e Battista del Senese
da Mugnano. Lo prega di rimetterli &1 suo foro per aver commessi i

delitti nel perugino.

Di Perugia, 1559, Novembre 13 (c. 103). Al Thesauriere ge-
nerale. i

Lo avvisa esser partito la mattina un vetturale con mille e cinque-
cento scudi d'oro.

TACE SIONE " ML SERM —e(9’9»_y1@@—_____@o@o@@cevrurg91rt1!-@@r@rrg1tg1rt9t[ggggGGr1.;316

XVUPVOPATHTUNSENTOINR ott oreet ime
L'EPISTOLARIO DELL’ ARCIVESCOVO DI ROSSANO, ECC. 113

Di Perugia, 1559, Novembre 13 (c. 103 &) A li Reverendissimi
deputati del sacro Collegio.

Smentisce esservi banditi ed omicidiali in Perugia. Anzi mai come
ora fu la città così quieta. E quantunque scarso il numero di fanti, egli
sa tuttavia esercitare in ogni caso la giustizia. Quanto all’ Abbazia dice

di non aver saputo niente prima e che ora farà quanto le LL. SS. Ill.me
e R.me comandano,

Di Perugia, 1559, Novembre 13 (c. 105). Al Card. di Perugia.

Ripete le cose della lettera precedente ed aggiunge dolergli molto
che dinanzi al sacro Collegio lo abbia imputato di poca cura nell'officio
suo.

Di Perugia, 1559, Novembre 29 (c. 107). Al Thesoriere Ge-
nerale.

Avvisa che manda scudi 1500 riscossi.

Di Perugia, 1559, Decembre 4 (c. 107 t). Ai signori Cardinali
deputati del Sacro Collegio.

Avvisa che per aver egli pochi fanti, facendo far la guardia agli
uomini della città, accadde che una notte ms. Ranieri Crispolti con la
sua squadra sorprese un certo Giomo da Arezzo armato sulla piazza. Piü
volte lo pregó a ritirarsi, ma invece di andarsene, venne incontro con
l'arme al Cap. Ranieri. I suoi uomini allora gli furono addosso e feri-
tolo alla testa e alla coscia, lo imprigionarono. Questo malfattore frequen -

.tava la casa di Marcantonio Graziani detto della Cirignola, il quale preso

a male il fatto del Ranieri, lo ha ferito ieri in piazza malamente nel viso.
Da ciò (essendo le due famiglie nobili e potenti) é stato per sorgere tu-
multo. Egli é riuscito ad impedirlo, ma il pericolo dura tuttora, e se
qualche cosa accadesse, egli con la poca gente che ha non potrebbe far

nulla. Chiede quindi aiuti.

Di Perugia, 1559, Decembre 4 (c. 109). Al sig. Gio: Ant. Orsino.

Gli óice le medesime cose della lettera precedente, e lo prega ad
interporsi presso il sacro Collegio perchè gli mandi aiuti.
114 L. FUMI

Di Perugia, 1559, Decembre 3 (c. 110). Al Card. di Perugia.

l—

Ripete le medesime cose che dice all' Orsino.

Di Perugia, 1559, Deeembre 11 (c. 111 t.). Al Card. Camerlengo.

Ha ricevuta la sua lettera (dove gli comandava che lasciasse ese- E
guire la tratta dei grani di Bozzuolo dal sig. Alessandro) dopo ricevuto
ordine dal sacro Collegio di non far uscir grano dalla provincia. Si rac-
comanda quindi che non lo ponga in condizione di disubbidire a lui o

al sacro Collegio.

iN Di l'erugia, 1559, Decembre 11 (c. 112). All’arcivescovo di Fi-
RI renze.

Ha ricevuto dal Sacro Collegio la proibizione dell’ estrazione dei
grani, ma niente altro; nemmeno le lettere che accennavano avergli

mandato. Tuttavia ha cominciato a scrivere ai vari luoghi della provin-

cia, che si faccia la descrizione dei grani. Sassoferrato è stato per affa-
marsi, ma egli vi ha un poco provveduto.

Di Perugia, 1557, Decembre 11 (c. 112 t.). Al Sacro Collegio.

Lo ringrazia dell'aiuto mandatogli e dice che con questo terrà più
quieta la città.

Perugia, 59 Decembre 12 (c. 113 t.). Al fiscale di Roma.

SM CT Risponde alcune parole circa la causa dei carcerati di Trevi.

Perugia, 59 Decembre 18 (c. 113 t.). Al Sig. Ascanio de la Cor-
gna.

Gli sono stati mandati solo due dei prigioni e manca il meglio, cioè
dE Simon Nero, bandito in questa corte di circa cinque bandi capitali.
ed Prega di fargli avere anche questo.

1 Di Perugia, 1559, Settembre 21 (c. 114 t.). Al Thesoriere ge-
| INE nerale di Roma.

i sea

Aveva già dapprima spedito scudi 600 seuza alcun avviso, aspet-
L'EPISTOLARIO EELL' ARCIVESCOVO DI ROSSANO, ECC. 115

tando, per avvisarlo, di mandargli questi altri mille che sono stati ri-
scossi.

Di Perugia, 1559, Decembre 31 (c. 115). A. la signora, Angela
de Vitelli.

La prega a far vendere parte del suo grano in Città di Castello, es-
sendovene grande penuria in quella città.

Di Perugia, 1559, Decembre 31 (c. 115 t). A li priori di Città
di Castello.

Li avvisa che manderà, per l'omicidio avvenuto, ms. Fabrizio Gentile
suo auditor criminale.

Di Perugia, 1559, Decembre 31 (c. 115 t). Al Governatore di
Città di Castello,

Ripete la medesima cosa che ai Priori.

Segue l'istruzione data a ms. Fabrizio auditore criminale di quanto
è da fare a Città di Castello, ove è andato questo di 1° di Gennaio 1560.

Di Perugia, 1560, Gennaio 22 (c. 117). Al Duca di Urbino.

Avendo i suoi esecutori fatta contravvenzione di certi frutti o legumi
che si cavavano di contrabbando da certi di Gubbio dalla Fratta, questi,
mentre portavano le some a Perugia, furono assaltati e costretti a
lasciar le some. Il capo degli assalitori era un tal Lodovico Accorambono.
Prega il Duca a voler prender provvedimento.

Di Perugia, 1560 Gennaio 26 (c. 118). A monsignor Ill.mo Bor-
romei.

Quanto si contiene nel memoriale che gli ha mandato é tutto ad
istanza del Fiscale di Roma, ed egli scriverà direttamente a questo
quanto verrà facendo.

Di Perugia, 1560, Gennaio 26 (c.118 t.). Al fiscale di Roma.

Ha mandato subito un uomo sensato a Foligno il quale trova che
quel Boccaguzza non è in paese. Quanto al Conte Bernardino dell'An-
eT
"E

Indi

M

===

-——————

TEIL ee -

116 / T. FUMI

tignola, pare si sia recato nello stato di Firenze. Ha un fratello il quale
è padrone del castello libero dell'Antignola e per essere uomo dabbene,
sembra che non ve lo farà capitare.

Si sa per Fuligno che quel Boccaguzza si è trovato a un omicidio
in Roma.

Di Perugia, 1560, Gennaio 26 (c. 119). Al presidente de la Ca-
mera.

Si offerisce ai suoi servigi.
Perugia, 1560, Gennaio 29 (c. 119 t.). Al fiscale di Roma.

Lo informa che il conte Bernardino dell'Antignola sl trova nel ca-
stello di Sorbello, nel fiorentino, ai confini della Chiesa. Il luogo è forte
e n'é padrone ms. Lodovico da Sorbello.

Perugia, 1565, Febbraio 9 (c. 120) Al Cardinale Borromeo.
Nella vaeanza della Sede i popoli non han voluto pagar la tassa dei

cavalli vivi nella speranza di esserne liberati. Ora peró che S. S. Ill.ma
e R.ma lo vuole, si esigeranno dette tasse.

Perugia, 1560, Febbraio 10 (c. 120. t.). A.....

Bi rallegra con lui per la sua nomina al governo di Castello. Ri-

manda a lui la causa di Corrado Rosetti che spetterebbe allo scrivente.

Di Perugia, 1560, Febbraio 12 (c. 121 t.). Al sig. Arcivescovo
di Firenze et al sig. Alessandro Sforza.

Parla della vendita del grano del signor Prior di Roma.

Di Perugia, 1560, Febbraio 12 (c. 122). Al Cardinale Borromeo.

Dice ché è stato fatto quanto desiderava in favore di Todi.
Di Perugia, 1560, Febbraio 16 (c. 122). AV Fiscale di Roma.

Gli manda la informazione di un fatto avvenuto in sede vacante.

SISTER TIFO PITT TT

——-
nia ati dba r

L'EPISTOLARIO DELL'ARCIVESCOYO DI ROSSANO, ECC. 117

Per essere questo nuovo e grave assai, istantemente lo prega dei suoi
consigli. :

Segue la informatione.

« Nel tempo de la sede vacante passata, per manutentione de la Città
di Perugia a la sede ap.ca et de la justitia et del quieto et pacifico vi-
vere de gli huomini di essa, non trovandosi il Governo presidio et forza
di genti, come l'altre volte era solito, fu sforzato valersi de gli huomini
de la città; onde de sua comissione fu ordinato in consiglio publico un
numero di cento huomini de primi et piü nobili de la città i quali doves-
sero assistere giorno et notte per le predette cose. Et da questo ordine
è uscito molto buono effetto. I quali cento huomini giurorno esser fedeli
obedienti, mantenere la Città per la S.ta Sede ap.ca et ad obedientia
de superiori et per lo quieto et pacifico vivere; et una parte di essi notte
et giorno assistevano ne la piazza, et negli altri luoghi della Città, re-
mediando a molti inconvenienti che potevano nascere ec.

« Ora avveniva che sotto questo pretesto si formavano altre quadri-
glie di armati che spessó noi su la piazza cacciavano l'armi e venivano
in questione, cou pericolo di gravi disordini. Allora il Governo fece un
bando che non si potesse cacciar mano all'arme sotto pena di rebellione
e confiscatione di tutti i beni. Questo fece gran terrore e raffrenò non
poco gl'insolenti ».

Segue il fatto narrato nella lettera con U' indicazione :

Di Perugia, 1559, Decembre 4 (c. 107 t.), p. 58.

Di Perugia, 1560, Febbraio 16 (c. 126 t.). Al Cardinale Bor-
romeo.

Gli manda ragguaglio minuto degli offici della provincia, dei luoghi
che sono ora ed anche di quelli che prima erano sotto questo governo,
col nome dei possessori e il titolo in forza del quale posseggono.

Informatione de gli officii de la città di Perugia, mandata al
V Ill.mo. Cardinale Borromeo.

« La Tesoreria rende all'anno. : : ; : : scudi 18,000
« Il Sussidio triennale all'anno. © . : : ; È » 36,000
« La cancelleria prima dello smembramento della provin-

cia valeva un mese per l’altro intorno a scudi i » 40
118 L. FUMI

« Ora incirca 3 i : : 5 è 3 ; ; scudi > 20
« Il Notariato Criminale al tempo di Paolo IV fu ven-

duto a vita a ms, Biagio Gallo per . i i . » 3,000
« Questo l’ ha locato all'anno per . : : ; ; » 400

Informatione de luoghi rimasti sotto il governo (c. 129 t.).

« Nel eontado di Perugia sono distribuiti per li castelli 46 offitiali
detti vicarij o commissarij quali sogliono havere, sottosopra, per ciasche-
duno circa tre scudi in sei mesi che dura l'offieio loro.

« La città di Terni ha il governatore con salario di scudi 14 il mese,
la cancelleria al tempo di Paolo IV fu venduta ad un ms. Emilio Pe-
trucci da Todi, in vita, per scudi 300: rende scudi 5 il mese in circa.

« Il Bargello ha scudi 10 il mese.

« Valtopina ha il visconte, frutta in tutto da scudi 5 il mese.

La città di Nocera ha il podestà con salario di scudi 6 in circa il
mese, nette da certe retentioni che si gli fanno.

« La terra di Sassoferrato ha il Podestà detto Commissario : il salario
suo è di scudi sette in circa il mese netti. Vi è il notariato de’ male-
fiu e danni dati, può fruttar scudi 9 il mese in circa netti.

« Castel de la Pieve ha governo con salario di scudi 12 e mezzo il
mese: la sua cancelleria può fruttar scudi 15 il mese circa.

Luoghi dello stato detto de’ Baglioni.

« Spello ha il podestà con salario di scudi due il mese.

« Canara il simele.

« Colomancio il podestà con salario di seudi 1 e mezzo il mese.
« Colazzone il medesimo.

Informatione de' luoghi ch' erano già sotto questo governo.

« Fuligno è hora in governo del Card. Strozzi. Haveva di salario
scudi 32 e mezzo il mese. I Legati pro tempore ne ritenero scudi 22 e
mezzo che ora li ritien la Camera Apostolica. Ne rimane scudi 15.

« Ha un giudice detto Podestà che depende da la comunità con sa-
lario di scudi .... La Cancelleria del Governo è venduta: può fruttar
scudi 10 il mese, la Cane.ria del Podestà rende scudi 3 o 4 il mese.

« Assisi è ora in governo del Card. Arriano: ha di provvisione
scudi 24 il mese. La Cancellaria è venduta a ms. Lucio da Trievi per
scudi 300. Città di Castello ha il Governatore; hoggi il Vescovo di Costac-
L'EPISTOLARIO DELL’ ARCIVESCOVO DI ROSSANO, ECC. 119

ciaro suole havere di provvisione scudi 33 il mese. La retentione che
ne fecero i Legati fu di 19. Il Governatore passato ne fu reintegrato
dal sacro Consiglio di quel tempo.

« Ha il giudice de le prime istantie provvisionato da la comunità di
scudi 10 il mese. La Cancellaria del Governatore può fruttar scudi 20 in
circa il mese. La Cancellaria del Giudice intorno a scudi 8, il Bargello
ha scudi 12.

« Amelia è hora in governo del Card. di Messina, soleva dar intorno
a scudi 8 il mese al Podestà di salario. La cancelaria non è di momento.

« Cascia è hora in governo del Card. Vitelli. Il Governatore so-
leva havere il mese scudi 22, ma se gli ritenevano da’ legati scudi 15,
quali si ritengono da la Camera. La Cancellaria è venduta. Il Bargello
non ha provvisione, ma risponde esso al Governatore del luogo circa
scudi 10 al mese.

« Trievi è in governo hoggi del Card. di Carpi. Haveva il Podestà con
13 scudi il mese: levato dui per le tasse de’ secretarij, restano undeci, la
Cancellaria intorno a scudi 3 il mese.

« Montefalco, in governo hora del Card. Simoncello, il simile eec.

« Cerreto è hora in governo del Card. Capizucca. Soleva havere il Co-
missario con scudi 14 incirca il mese: sogliono dare a li governatori de
la provincia scudi cento l’anno. La Cancelleria ha poca importanza.

« Montelione, hora in governo del Card. di Piacenza, soleva dar al
suo officiale scudi 10 d’oro il mese. La Cancellaria di poca importanza.

« Le cancellarie non vendute sono di poca importanza, fuorchè
quella di Città di Castello. De le vendute n'appar li contratti in Camera
ap.ca.

« Sono nel contado di Perugia certe roche, quali si sogliono dare a
chi pare a S. S.tà. Hanno un certo emolumento l'anno, solito pagarseli
da la Comunità di Perugia, di scudi 4090, che suole haver ogni anno da
la R. Camera ap.ca, come de li medesimi si pagano altri offici precipui
de la città, de li quali bisognando si darà anchora informatione ».

Di Perugia, 1560, Fevvraio 19 (c. 131 t.). Al fiscale di Roma.
Dice che l'indomani manderà a Panicale per quell'Andrea di Donato.

Quel tale che si trovava in Sorbello è poi partito pel Monte S.ta Maria,
e si dice che ripari in Valfabrica, castello del Duca d' Urbino.

Perugia, 1560, Febbraio 19 (c. 152). Al Cardinale Borromeo.

Assicura che obedirà in far pagare i 1000 scudi pel porto d'An-

it
E

Ll

d de -

FI

trp h

RI 7S deux
y
fos

=

bel

- stre

120 L' FUMI

cona. Però, per i luoghi che non sono sotto quel governo, egli non può
nulla ecc.

Perugia, 1560, Febbraio 23 (c. 132 t.). A Monsignore Viceregente
de la Camera.

Gli manda la fede autentica che fra sei giorni Andrea Donati da
Panicale si recherà innanzi a lui.

Perugia, 1560, Marzo 1 (c. 133). AU’ Arcivescovo di Firenze.
Obedirà a quanto gli ordina nella lettera.

Perugia, 1560, Marzo 1 (c. 133 t). Al Cardinale Borromeo.
Riferisce avere scritto al Fiscale circa il fatto avvenuto in Sede

vacante. Lo prega ad intendersi con esso, molto più che la parte rea
vuol venire a qualche composizione.

Perugia, 1560, Marzo 4 (c. 134). Al Duca d' Urbino. -

Lo prega voglia comandare sia preso un omicidiale che si trova in
Gubbio.

Perugia, 1560, Marzo 6 (c. 134 t.). Am. Gio: Batta Venturini.

Dice che ha mandato a tutti i luoghi della provincia il motuproprio
di Sua Santità. |

Perugia, 1560, Marzo 6 (c. 135). Al governatore di Castel
della Pieve.

Gli repliea che non manchi di far la rassegna de' grani, biade e le-
gumi.
———mmmrrrrrrrrr/Ò&4
L'ARCHIVIO, LA BIBLIOTECA E | SACRI ARREDI

del Monastero di Sassovivo

S. Croce di Sassovivo, presso Foligno, fu un Monastero
Benedettino noto ai cultori di storia monastica e di storia
umbra (1). Dallo splendore primitivo purtroppo oggi è ridotto
ad un semplice ricordo, ma la rinomanza che ebbe una volta

fu tale, che anche presentemente se ne studiano le memorie
con interesse e con simpatia.

Si ignorano le origini precise di Sassovivo; si sa solo
che nell XI secolo era già un Monastero importante, che
crebbe assai nel XII e XIII secolo, ma che poi decadde |
tanto nella disciplina, che Innocenzo VIII fu costretto nel 1486 x
di affidarlo agli Olivetani perché lo riformassero. Paolo II |
peró nel 1467 ne aveva trasformata la natura, dandolo in
commenda ai Cardinali, sicché la riforma non poté produrre
l’ effetto desiderato. In seguito le cose andarono alla peggio.
Nel 1798 i Monaci di Sassovivo, non piü sicuri, prese con
loro le Reliquie dei Santi che veneravano nella Chiesa, si riti-
rarono nell altro Monastero di S. M. in Campis, e tornativi
nel 1816, ne partirono definitivamente nel 1830. Da quel
tempo la solitudine e l abbandono regnarono sovrane, ove

(1) JACOBILLI L., Cronica del Monastero di Sassovivo, Foligno, 1653; MABBILLON,
Annales Ordinis S. Benedicti, vol, V, lib. LXVI, $ XCI, p. 215, ecc; FALOCI PULIGNANI
D. M., Il Chiostro di Sassovivo, Foligno, 1879; Dr COSTANZO A., Odeporico (Nell'Ar-
chivio Storico per le Marche e per V'Umbria, Foligno, 1885, vol. II, p. 618); LUGANO
D. PLACIDO, Gli Abati di Sassovivo, e di S. Maria in Campis, Foligno, 1903.
122 M. FALOCI-PULIGNANI

per tanti secoli aveva fiorito la vita e la cultura monacale.
Finalmente, dopo il 1860 il locale passò in altre mani, e tutto
il venerando edifizio, meno il Chiostro e poche altre cose, si
ridusse quasi ad un cumulo di ruine, le quali colla voce
nove volte secolare pare che invochino una mano intelli-
gente e pia che le faccia rivivere.

Sassovivo ebbe ed ha tuttora un Archivio ricchissimo,
numerosissimo, che nel 1424 fu, come vedremo, trasportato
dal : Monastero in una casa che avevano i monaci in Foli-
gno, e da qui, quando il Monastero, non più ai Cardinali,
ma fu dato in commenda ai Vescovi di Spoleto, il che av-
venne nel 1820, fu trasferito in una stanza dell’ Episcopio
Spoletino, ove si conserva tuttora.

Di esso fece fare un inventario nel 1643 il Cardinale
Commendatario Antonio Barberini, al qual uopo, fattolo tra-
sportare in Roma, lo fece descrivere dal sac. Piersimone Ma-
rinucci di Urbino, canonico di S. Maria Maggiore, il quale
lo divise in 142 fasci, e in 1811 numeri, che però rap-
presentano solo una parte dei documenti, poichè spesso, sotto
un numero solo, si trovano anche trenta o quaranta perga-
mene, senza alcun segno o registro. Aggiungendo poi molti
fasci di pergamene non registrate affatto, perchè probabil-
mente il Marinucci non le vide, si può conchiudere che
l'Archivio di Sassovivo si compone di un numero di perga-
mene e di atti, dall’ XI al XV secolo, ben superiore a tre-
mila (1).

(1) Di questo inventario l'Archivio di Sassovivo conserva due antichi esem-
plari, uno dei quali, che é il migliore, é rilegato in pergamena collo stemma dorato
dell’ Em. Barberini, é preceduto da un eccellente indice alfabetico, ed è aggiornato
con le carte e i documenti che entrarono a far parte dell'Archivio stesso sino alla
prima metà del XIX secolo. I due grossi volumi hanno il titolo seguente: « Summa-
rium, ei Inventarium scripturarum ad Abatiam et Monasterium sanctae Crucis de
Sassovivo Ordinis sancti Benedicti nullius seu Fulginatensis Dioecesis ac Sedi Apo-
stolicae immediate subiectum, eiusque membra et Ecclesias spectantium et pertinen-
tium, ex dicta civitate Romam delatarum, partim ac Scripturis minutis in cartis
pecudinis existentium, et partim a libris protocollis, catastis, et quinternis ligatis
L'ARCHIVIO, LA BIBLIOTECA, ECC. DI SASSOVIVO 123

Il Marinucci sotto il numero 1420 registrò un fascicolo
di poche carte intitolato così: A. D. 1424 Inventario de beni
mobili et scritture asportate da l'Abbazia di Sassovivo nel pa-
lazzo della suddetta Abbazia in Foligno del anno 1424. Letto
il documento e trovatolo di importanza, lho trascritto, e qui
lo pubblico come monumento prezioso, che ci fa conoscere
le ricchezze sacre, letterarie ed artistiche di quel Monastero.
Perchè allora quella preziosa supellettile fosse portata via
da Sassovivo, il documento non lo dice, come nessun altro
documento ci dice che fine fecero tante cose pregevoli, delle
quali non ci resta altro che il nudo ricordo. Da esso rile-
viamo che i libri, quasi tutti ecclesiastici, erano più di
cento, nè è detto che questi fossero tutti. Rileviamo che le
stoffe dei parati sacri erano disegnate con floribus et volu-
cribus, altre erano distinte signo grifonis, una tonacella era
ucellata ad pavones. Più pregevoli i reliquiarii, e le piccole
Cone o Sacre Immagini, fra le quali una ve ne era cum XV
figuris ossi sive eboris, ed una cassetta cum duabus crucibus de
cristallo, cum figuris Crucifixi, et certis aliis laboreriis argenti
et auri, et una crucepta parva argenti, cum una forcella cri-
staldi, ornata argento, et auro, et cum duobus pettis cristalli in
forma manubrii.

Maggiori notizie troverà il lettore intelligente nell’ in-
ventario stesso, che qui si pubblica integralmente.

In Dei nomine Amen. Anno eiusdem a Nativitate mecccxxmi In-
dictione Ir, tempore pontificatus Domini Martini Pape quinti, die xx1m
mensis Octobris. Hoc est Inventarium rerum et bonorum mobilium Mo-
nasterii sancte Crucis de Saxovivo Fulginatensis Diocesis inventarum

desumptum. et extractum, nec non de ordine et mandato Eminentissimi et Reve- .
rendissimi Domini Card. Antonii Barberini S. R. E. Camerarii, dictae Abbatiae
perpetui Commendatari, et Administratoris praesenti anno 1643 Romae con[e-
ctum, et compilatum, cura et diligentia admodum, Illustris. et Revendissimi Domini
Petri Simonis Marinutii Urbinatis Basilicae sanctae Mariae Maioris de Urbe Ca-
nonici, ac praelibati Eminentissimi, ac Reverendissimi Domini Cardinalis Economi
et generalis Agentis in hoc opere adhibitis ».
124 M. FALOCI PULIGNANI

in quibusdam Cassis et coffinis, factum per honestum virum Fratem Gre-
gorium Andrioli de Fulgineo, que res et bona fuerunt ad sui manda-
tum tamquam Camerarii dicti Monasterii apportata ad Civitatem Ful-
ginei in presentia infrascriptorum . Monachorum, videlicet ad palatium
dieti Monasterii. Que res et bona inferius sunt scripta, videlicet.

Imprimis, una Cassa signata A. cum infrascriptis rebus, videlicet
cum uno libro psalterii dispositi, sic incipientis Incipit prologus super
psalmos a magistro . Petro compositus.

Item uno libro appellato: liber sententiarum prout in fine apparet.

Item uno libro intitulato: de Individua Trinitate.

Item uno libro intitulato: Incipit prologus figurarum sacre scrip-
ture.

Item uno libro intitulato : Incipit tertius fratris Bonaventure super
sententias.

Item uno libro intitulato: Incipit summa Raynaldi fratris Pre-
dicatorum.

Item uno libro intitulato: Im nomine Domini Iesu Chisti Rubrica
de heredibus et falcidia, etc.

Item uno libro intitulato: Incipit prologus Epistolaris, Incipit ysto-
ria scolastica, Incipiunt capitula libri Genesis.

Item uno libro incipiente: n nigra parabole solomonis.

Item uno libro initulato: Incipit quartus liber fratris Bonaventure
super sententias.

Item uno libro intulato : Incipit prologus in Pentateuco Moysis.

Item uno libro intitulato: Incipit Commentariwm Iohannis Episcopi.

Item uno libro intitulato : Incipit prologus beati Gregorii pape ad
Marianum Episcopum.

Item uno libro intitulato: Incipit Epistola ad Romanos.

Item uno libro intitulato : Decretalia.

Item uno libro intitulato : Incipit prologus in libro sintillarum.

-. Item uno libro intitulato : Sequentia sancti Evangelii secundam
Mattewm, etc. :

Item uno libro intitulato : Qui non. habtit, etc.

Item uno libro qui dicitur: Casus decretorum. sine titulo.

Item uno libro qui, prout apparet in cuperta sunt quaestiones in
libro Geneseos. *

Item uno libro qui intitulatus est: De summa Trinitate et fide ca-
tholica.

Item uno libro qui intitulatus est. sic: Incipit liber sancti Ambrosii
super Lucam. |
L'ARCHIVIO, LA BIBLIOTECA, ECC. DI SASSOVIVO 125

Item uno libro qui continet in principio: In prima Dominica de
Adventu.

Item uno libro qui est sine titulo, tamen in fine dicitur quod est
liber Baruch, etc.

Item uno libro qui per rubrum: Imprima.

Item uno libro qui incipit: Ex%t qui seminat, etc.

Item uno libro qui intitulatus est: Incipit liber expositionis Apo-
calisis, ete.

Item uno libro qui intitulatus est: Incipiunt capitula Pauli, Yere-
mie, etc.

Item uno libro qui incipit: Beatus vir, etc.

Item uno libro qui in fine continet quamdam legendam sanctorum.

Item uno libro incipientem : In principio creavit Deus celum. et ter-
ram, etc.

Item uno libro intitulato sic, videlicet: Incipiunt capitula libri
sancti Cessarii episcopi.

Item uno libro intitulato : Incipit ordo ad captacuminum faciendum.

Item uno libro qui in fine continet: Explicit ars metrica.

Item uno libro qui incipit: Sancta máisterii perfectio, etc.

Item uno libro qui incipit: Incipiunt sermones super Evangeliis, ete.

Item una alia Capsa, signata B. cum infrascriptis rebus et bonis.
In primus uno libro qui sic incipit : Incipit tractatus de psalmo CXVIII
sancti Ambrosii Mediolanensis Archiepiscopis et cum pluribus aliis libris,
qui non erant alicuius importantie, et quam pluribus et diversiis aliis
scripturis et cartis membranis et bonbicinis.

Item unum coffinietum signatum C, cum infrascriptis rebus, vi-
delicet, uno coffinicto in quo dixit esse certas reliquias sacras.

Item eum uno coffinicto, in quo asseruit esse similiter certas sacras
reliquias.

Item cum una bussola eburnea acta ad tenendas reliquias.

Item cum duabus ampullis argenti et quatuor ampulis vitrii, et
una raminis, et una casseptina parua stagni.

Item cum undecim corporalibus, et.tribus domibus pro ipsis con-
servandis.

Item cum uno pari caleiamentarum actorum ad divina celebran-
dum.

Item unum coffinum ferratum signatum D, cum rebus et bonis
quampluribus, videlicet scripturis et scartabellis minime relevabilibus.
126 SEE M. FALOCI PULIGNANI .

Item unum coffinum ferratum viride, signatum E, cum rebus in-

frascriptis, videlicet, cum uno libro sie intitulato, videlicet: Incipit U-

ber sextus Decretalium etc.

Item uno libro intitulato sie, videlicet: In nomine Domini Nostri
Yesu Christi. Constitutio prima de heredibus et falcidia.

Item uno libro sie incipiente: Im Aoc libro continentur collationes
XXIIII.
Item uno libro sic incipiente: Incipiunt capitula de vita Pauli here-
mite, etc.

Item uno libro sic incipiente: Incipiunt legendae sanctorum.

Item uno libro sic incipiente: Paulus servus, etc.

Item uno libro sic incipiente : In Cristi nomine. Incipit Epistola
sancti Gregorii pape, etc.

Item uno libro sie incipiente: In nomine sancte et individue Tri-
nitatis. Incipit liber testimoniorum, veteris et nom testamenti.

Item uno libro qui dicitur: Evangelia et Omillie.

Item uno libro qui sic incipit: Retractatio librorum, etc.

Item uno libro qui sic intitulatur : Incipit ynnus per totum annum.

Item uno libro qui sie intitulatur, videlicet: Simbolum quem di-
ctavit sancte memorie Dopnus Gregorius, etc.

Item uno libro qui sic incipit in rubro: In Christi nomine. Inci-
pit, ete. ;
Item uno libro qui sic incipit: Benedicto salis, etc. qui vocatur Ma-
nualictus.

- Item uno libro qui sic intitulatur: Incipiunt sermones fratris Iacobi

de Nor.,.etc.

Item.

Item unum coffinum ferratum coloris quasi gialli, signatus F, cum
rebus quampluribus, videlicet scripturis publicis et privatis, scriptis in
cartis bombicinis, videlicet, partim in libris sive quaternis, partim in
foliis cartarum simplicibus.

Item unum coffinictum parvum stremum signatum C. cum quam-

pluribus Instrumentis pubblicis, in cartis membranis, et diversis scri-
ptus in eartis bombicinis.

Item unum coffinum figuratum signatum H, cum quam pluribus
bastardellis et scripturis simplicibus, iacentibus in ipso.

Item unum coffinum ferratum signatu I, plenum privilegiis ap-
parentibus in cartis pecudinis.
L'ARCHIVIO, LA BIBLIOTECA, ECC. DI SASSOVIVO 127

Item unum coffinum ferratum K signatum, cum infrascriptis li-
bris.
Imprimis uno libro, qui sie intitulatur: De primatu sancte Romane
Ecclesie.

Item uno libro sic intitulato: Incipit Epistola Theutmiri Abbatis.

Item uno libro sic intitulato : In nomine domini nostri Jhesu Chri-
sti. Incipit tractatus Bede presbiteri super Apocalipsis, liber primus.

Item uno libro sic intitulato : Incipit consuetudo offici secundum
quod in monasterio sancti Petri de Perusio, etc.

Item uno libro sic intitulato : Incipit prologus im libro sintillarum.

Item uno libro sie intitulato: Incipit liber qui vocatur speculum
mentium.

Item uno libro sic intitulato et incipiente : Quam quidem tue vi-
sionis, etc.

Item uno libro sic intitulato : Initium sancti Evangelii secundum
lohannem, ete.

Item uno libro sic intitulato : Incipit liber ynnorum.

Item duobus libris, quorum quilibet vocatur summa Raymundi.

Item uno libro vocato fectus super decretalibus.

Item uno libro sic intitulato : Incipit liber sancti Ambrosi Episcopi
de penitentia.

Item uno libro intitulato: Incipiunt capitula Henhiridion ete.

Item uno libro incipiente: Paulus servus Christi Yesu, etc.

Item uno libro incipiente: Item prologus soliloquiorum, etc.

Item uno libro incipiente : I» llo tempore cum appropinquasset, etc.

Item uno libro incipiente: I» septuagesima ponuntur libri Moysis,
etc.

Item uno libro incipiente: Evangelica lectio, ete.

Item uno libro incipiente: Quomodo obscuratum est, etc.

Item uno libro incipiente : Cum omnis vite bone, etc.

Item uno libro incipiente: Fuerunt signa în sole, etc.

Item uno libro incipiente : Incipit Flos divinarum, ete.

Item uno libro incipiente : Satis libenter, etc.

Item uno libro incipiente : Vocans genus humanum, etc.

Item uno libro sic intitulato : Incipiunt deviationes, etc.

Item uno libro sic incipiente: Domnus noster Jhesus Christus na-
tus est, etc.

Item uno libro sic incipiente: Comparatus sum luto, etc.

Item uno libro sic intitulato : Incipit Uber Pantegni, etc.

Item wo libro qui sic incipit: Nulla que în hoc mundo, ete.

Item uno libro qui sie incipit: Prologus sequentis operis, etc.
M. FALOCI-PULIGNANI

Item uno libro qui sic incipit: Domino Ubaldo pio ac Venerabili,

etc.
Item uno libro sie incipiente : Dei Omnipotentis aspiratione, etc.

Item unum coffinum ferratum signatum L, plenum diversorum

scartabellorum scriptorum in cartis bombicinis.

Item unam capsam signatam M, cum infrascriptis libris.

Imprimis uno libro incipiente : In finem nomine significare Domi-
num Salvatorem.

Item uno libro sic intitulato : Incipit viaticus, etc.

Item uno libro sic intitulato : Incipit prologus regule sanctorum
Patrum.

Item uno libro sic intitulato : Incipit prolugus Dominis Guiglelmi.

Item uno libro sic intitulato : Incipiunt sermones totius circuli
anni.

Item uno libro sic intitulato : In hoc corpore continetur tractatus,

ete.

Item uno libro sic intitulato: Incipit liber testimoniorum veteris
testamenti.

‘Item uno libro sic incipiente : Septemtrionalis, etc.

Item uno libro sic incipiente : Liber sancti patris Tobie, etc.

Item uno libro sic intitulato : Geronimus contra, etc.

Item uno libro sic intitulato : Incipit nocturnale a Pasca, ete.

Item uno libro sic intitulato : Incipit nocturnale ab Adventu, etc.

Item uno libro sic incipiente : Ad fe levavi, etc.

Item uno libro sic intitulato : Incipit ordo ad captacuminum, etc.
cum certis aliis libris carentibus titulis et nomine.

Item unam capsam signatam N, cum infrascriptii paramentis in-
frascriptarum colorum.

Imprimis unum par paramentorum pauonatis sive cagna coloris,
videlicet, planete, dyamatice et tunicelle.

Item uno parum paramentorum coloris viridis, videlicet pluvialis
planete, dramatice et tonicelle.

Item uno parum paramentorum coloris albi videlicet, planete dia-

matice et tonicelle.
Item uno parum paramentorum coloris violatii, videlicet, pluvia-
lis, planete, diamatice et tonicelle.
L'ARCHIVIO, LA BIBLIOTECA, ECC. DI SASSOVIVO 129

Item uno pluviali vocatus Diaspero cum floribus et volucribus de-

signatis ibidem.
Item uno parum paramentorum alborum videlicet diamatice et

tonicelle.
Item uno parum paramentorum coloris rubei, videlicet unius dia-

matice et tonicelle.
Item uno parium paramentorum coloris albi, videlicet. diamatice

et tonicelle.
Item uno parium paramentorum coloris rubei videlicet planetae

et diamaticae.
Item una planeta rubea foderata de zandado viridi.
Item uno pluviali rubeo fracto.
Item una diamaticha et una tonicella de valesse albo.
Item una tonicella utellata ad pavones.
Item una diamatiea ad eadem signa.
Item undecem bendis a cruce et calice et crucibus computatis bo-

nis et fractibus.
Item triginta octo tubagliecte ab altari computatis sanis cum

fractibus.

Item unam capsam signatam O cum infraseriptis rebus videlicet.

Imprimis cum tribus cupertoriis magnis, albis, ab altare.

Item uno eupertorio albo magno, ab altare.

Item vir camisiis fulcitis cingulo, stola, admictis et manipulo.

Item quatuor camisiis cum duobus admietis.

Item una fodera pro guanciali a libris.

Item una tabula cum certis reliquiis.

Item una cona cum signis virginis Mariae et Dei Patris.

Item una cona sancti Luce cum uno cristallo faleito argento.

Item una cona cum xv figuris ossi sive eboris.

Item una cona eum immagine Virginis Marie et Saneti Antonii
et Saneti Nicolai.

Item una cona cum figuris Adnunptiate et Saneti Angeli cuperta
argento.

Item una cona cum figura Virginis Marie et Filii, ossis sive
ebaris.

Item una cassepta cum duabus crucibus de cristallo cum figuris -
Crucifixi et certis aliis laboreriis argenti et auri, e& une crucepta parva
argenti, cum una forcella cristaldi ornata argento et auro, et cum duo-
bus petiis cristalli in forma manubrii.

Item una Domo mossa ad aurum cum uno corporali intus, et uno

muccichino.
M. FALOCI PULIGNANI

Item.

Item unum librum magnum sic intitulatum: Incipit liber sermo-
num et Epistolarum, etc.

Item unum librum qui dicitur Anthiphonarium.

Item unum alium librum qui dicitur similiter Antiphronarium.

Item unum librum qui dicitur Bibia.

M. FALOCI-PULIGNANI.
AAA. È

131

Relazione fatta nell’anno 1595 dal vescovo di
Amelia Anton-Maria Graziani dal Borgo S. Se-
polcro sullo stato della diocesi in occasione
della « VISITATIO LIMINUM APOSTOLORUM ».

Intorno al principio e allo sviluppo della istituzione della

« Visitatio liminum Apostolorum » serisse una dotta: monografia,
alcuni anni or sono, il Saegmiiller (1), il quale ritiene che il
nome di « visitatio » derivasse dai pellegrinaggi che sacerdoti e
laici, monarchi e vescovi del mondo cattolico solevano fare, in
grandissimo numero, a Roma, per pregare dinanzi ai sepoleri dei
principi degli Apostoli Pietro e Paolo, per venerare il capo della
Chiesa ed avere da lui aiuto e consiglio. Si chiamò siffatto viaggio
« ad limina Apostolorum proficisci, limina Apostolorum visitare
ecc. » perchè eol nome di « limina Apostolorum » erano indicate pre-
cisamente le basiliche di S. Pietro e di S. Paolo (2). Ma, veramente,
la « visitatio », cioè la periodica peregrinazione a Roma dei ve-
scovi, trae origine dagli antichi sinodi provinciali Romani, coi quali
ha materialmente e formalmente molta rassomiglianza. Queste adu-
nanze, alle quali intervenivano in certi tempi stabiliti i vescovi
d'Italia e delle isole vicine, sottoposti immediatamente al papa
quale loro metropolita, per dargli conto della loro amministra-

(1) SAEGMIILLER, Die Visitatio liminum ss. apostolorum bis Bonifaz VIII, Theo-

logische quartalschrift, tom. 82 (1900) pag. 69 e segg. Cfr. inoltre: SAEGMILLER, LeAr-
buch des katholischen Kirchenrechts, pagg. 651 e segg. Freiburg, 1904; LUCIDI A.,
De visitatione sacrorum liminum ecc., ediz. IV di LUGARI L., Roma, 1899. Quest'opera
più che valore storico critico ha pregio come manuale contenente le norme pei
vescovi, che visitano i limni.

(2) Cfr.: Lettera del ch. sig. abate Francesco Cancellieri sopra la visita de?
sacri. limini delle basiliche Vaticana ed Ostiense, Roma 1821 3 MoRONI G., Dizionario
storico ecclesiastico, vol. 38 (Venezia 1846) pagg. 221 e segg.
132 G. MAGHERINI GRAZIANI

zione (1) avevano lo scopo principale di confermare l’ unità della
credenza e della disciplina e di rendere più salde le relazioni colla
sede Apostolica (2). Ma non prima dei tempi di Pasquale II ci si
presenta la istituzione come indipendente dal Sinodo Romano, cioè
non prima che quel pontefice imponesse agli arcivescovi di obbligarsi
con giuramento alla « visitatio liminum » nel ricevere il pallio,
che, fino dalla metà del secolo XI, dovevano recarsi a prendere in
persona. Quindi l' obbligo fu esteso ai vescovi, allorchè venivano
ordinati dal papa o da un suo delegato: cosicchè dal secolo XV, cioè
da quando la confermazione e consacrazione episcopale fu comu-
nemente fatta dal capo della Chiesa, i vescovi tutti furono tenuti
alla « visitatio ». Essi, al pari degli abbati, fino allora esenti da
tale ingiunzione, dovevano compiere, pel giuramento di obbedienza
prestato, la visita ogni anno: ai più lontani accordavasi talvolta
maggiore intervallo di tempo. La « visitatio » consisteva nella vi-
sita ai sepoleri dei prineipi degli Apostoli, nel fare atto, in per-
sona, di riverenza e di obbedienza al papa, informandolo dei

negozi della diocesi, e talvolta nell’ offrirgli un dono in denaro;

il ehe eostituiva la eosiddetta « visitatio realis » (3).

Nei particolari, la storia dello sviluppo della « visitatio limi-
num » non è ancora studiata: o per meglio dire, manca un esame
riassuntivo della storia della « visitatio » dagli ultimi due secoli
del medio evo in poi.

Ma da una Bolla di Sisto V si vede chiaramente che i tor-
bidi della Riforma facevano trascurare assai l'osservanza della
« visitatio », e sembra che a tale trascuranza contribuisse il grande
seisma: probabilmente anche l'impossibilità di compiere la « vi-
sitatio » nel ristretto limite di tempo prescritto.

(1) Per tale partecipazione dei vescovi suffraganei al Sinodo Romano era già
prescritto nel secolo VIII il termine : « praesentari Apostolorum Petri et Pauli limi-
nibus ». Cfr. NÙRNBERGER, Synodus Romanus, p. 9, c. 4, D. XCIII.

(2) SAEGMÜüLLER, Die visitatio Uminum etc. 1. c., p. 78.

(3 La maggior parte dei vescovi era «bbligata soltanto alla « visitatio verba-
lis », la quale non imponeva loro il dovere di alcun dono. Cfr. su ciò KirscH I. P.,
Die Finanzverwaltung des Kardinal- Kollegiums im 13 und 14 Jahrhundert, pp. 22
e segg., Muenster 1805; BAUMGARTEN P. M., Untersuchungen und Urkunden ‘ber
die Camera, collegii Cardinalium, pag. CXXI, Leipzig 1808; BERLIÈRE U., Znwentaire
analytique des libri obligationum et solutionum des Archives Vaticanes, pag. XVII,
Rome-Paris, 1904.
RELAZIONE, ECC. 133

Di ciò fornisce, secondo me, la prova una petizione di ve-
scovi fatta a Paolo III nel 1540, colla quale domandavano, per
non trascurare i doveri pastorali, che loro venisse accordato un
termine di tre anni per gl'Italiani e di cinque per gli ultramon-
tani per la visita periodica « liminum » (1). Tuttavia non prima
della costituzione « Romanus pontifex » di Sisto V (20 dicem-
bre 1585) (2) furono in diritto stabilite dal pontefice le norme
dell’ istituzione.

Nell’ introduzione, questi fa risalire la cagione, il principio e
l’accrescersi dell’ eresia alla trascuratezza dei vescovi nel compier
la visita dicendo che se egli fosse stato informato da loro, a voce,
della gravità delle cose, probabilmente sarebbe riuscito a soffo-
care in tempo quel fuoco pericoloso. Confermando quindi l’antica
istituzione dei suoi predecessori (3), stabiliva che tutti i vescovi
prima della loro consacrazione dovessero con giuramento obbli-
garsi alla visita personale « liminum », e che solo in caso d’im-
pedimento ed indiean-done i motivi, potessero mandare in loro
vece un procuratore preso dal Capitolo della cattedrale, un altro
dignitario o almeno un chierico o un monaco della diocesi.

Quanto al tempo della visita fissava un periodo di tre anni
per i vescovi d’ Italia e delle isole vicine, di Dalmazia e di Grecia;
di quattro anni per le diocesi di Germania, Austria, Ungheria,
Polonia, Belgio, Francia, Spagna, Portogallo, Inghilterra e le
isole del Mediterraneo; di cinque per tutte le rimanenti diocesi
d’ Europa e del Nord-Africa e per le isole di qua dal continente
d'America; di dieci anni per tutte le altre.

I vescovi dovevano fare una relazione al papa, e Sisto V or-
dinava (4) che le « Relationes status ecclesiarum » contenessero
l' esposizione di tutta 1’ amministrazione episcopale, dello stato

(1) Cfr. Concilium. Tridentinum, tom. IV Actorum pars prima (edidit ST. EHSES)
pag. 484, Friburgi, 1904.

(2) Stampata nel Bullarium Romanum, tom. VIII (edit. Taurin.) pag. 641, e
presso Lucipi, l. c., tom. III, pag. 1.

(3) Già qualche anno prima, nel Sinodo provinciale di Milano, tenuto nel 1582
fu nuovamente ingiunto ai vescovi di compiere la visita. Cfr. Acta ecclesiae Medio-
lanensis opera et studio A. RATTI, tom. II pag. 756, Mediolani 1890. Lo stesso fece
anche Pio V, Ofr. Iulti Pogiani Epistolae et Orationes, tom. IV, pag. 284, Romae 1758.
(4) Nella sosprannominata Costituzione.

ue apt n cg
134 : : G. MAGHERINI GRAZIANI

‘delle chiese, delle condizioni religiose e.morali del clero e del
popolo.

Due anni dopo, l' esame analitico ed il sunto di dette rela-

eT zioni fu affidato dal papa alla Congregazione inearieata dell' ese-

euzione e dell' interpretazione degli editti del Concilio di Trento,

dandole così più ampie competenze (1). La Congregazione doveva

Meet formulare una risposta alla relazione del veseovo, la quale, presen-

| tata al papa, veniva eonsegnata al vescovo medesimo o al suo pro-

curatore insieme con la testimonianze della visita compiuta. Nella

risposta erano date disposizioni consultive o deliberative sulle

questioni eontenute nella relazione (2).

- Ordinata e rimessa in vigore da Sisto V la « visitatio limi-

num », cominciarono i viaggi regolari a Roma dei vescovi o dei loro
IBI x » LI . . . LI . J

Hi ‘ mandatari. Della visita compiuta alle due basiliche doveva for-
nire la prova un attestato ufficiale da consegnarsi alla Congrega-

zione del Concilio. L' udienza personale dinanzi al papa oltre ad
X essere rinnovazione di obbedienza, aveva altresi lo seopo di rife-
rirgli oralmente circa lo stato della diocesi, e di ricevere da lui
le ammonizioni opportune in conformità delle riforme Tridentine.
Al vescovo che mancasse di fare la visita era inflitta la sospen-
sione, ma nei tempi posteriori furono più volte accordate facili- ;
tazioni e dispense. I vescovi più lontani solevano, per lo più,
farsi rappresentare da procuratori (3), per motivi di età, di sa-
lute, di officio o di tempi pericolosi. La mancanza di sacerdoti

reos. . idonei nella diocesi, costringeva talvolta i vescovi ad inviarne
alcuno delle diocesi vicine, oppure di affidare il mandato ai loro

agenti di Roma: in qualche caso bastarono le sole relazioni

ki scritte. In queste relazioni consisteva, fino da quando furono sot-
toposte all'esame e alle decisioni della Congregazione del Concilio,
il valore principale di tutta l'istituzione: si trattava di avere

| (1) Costituzione « Immensa aeterni « (19 febbraio 1587) stampata nel Bullarium
dM | : i Romanum, tom. VIII, edit. Taurin, pag. 985. Cfr. pure: Lucini, l. c. tomo III, pag. 13.

! 7 : (2) Cfr. BANGEN I. H., Die Roemische Curie, pag. 179, Muenster, 1854; HiNs-
| s 2 OSE CHIUS P., Kirchenrecht, tom. I, pag. 464, Berlin, 1869.
| .(3) Tali mandatari dovevano essere muniti di una speciale procura fatta dal
a vescovo. Per i motivi d'impedimento si rogava un atto notarile. L'esempio di un
tal mandato di procura si ha nei Nuntiaturberichte aus Deutschland 1585-1590, Erste .
Abteilung, erste Haelfte, bearbeitet von St. Ehses und A. Meister, pag. 316, Pader-
born, 1895.
RELAZIONE, ECC. i 135

uno specchio fedelissimo dell’ amministrazione di ogni diocesi
per viepiù uniformarle tutte allo spirito dei decreti di Trento.
Le norme, secondo le quali dovevano essere stese le relazioni,
furono indicate, nel secolo XVII dal canonista Prospero Fagnano.
Egli vuole che vi si faccia distinzione tra lo « Status materialis »
e quello « formalis » della diocesi (1). Ma non ostante furono com-
. pilate e mandate relazioni alcune troppo prolisse, altre troppo ge-
neriche (2).

. Per togliere questi inconvenienti, il segretario del Concilio,

Prospero Lambertini, poi Benedetto XIV, secondo l’incarico avu-

tone da Benedetto XIII, nel Sinodo diocesano del 1725, propose
una Istruzione speciale « super modo conficiendi relationes statuum
ecclesiarum », la quale Istruzione (3) fu raccomandata ai vescovi
come norma delle loro relazioni.

Era pure necessaria una riforma circa al modo da tenersi
nel trattare, in seno alla Congregazione, delle suddette relazioni.
Ma gli affari ad essa spettanti erano tanto cresciuti che molte re-
lazioni erano messe da parte senza che fossero esaminate e di-
seusse (4). Perciò Benedetto XIV, appena eletto pontefice, creò
una sezione speciale della Congregazione del Concilio, la « Con-
gregatio particularis super statu ecclesiarum » (Concilietto), la
quale d’altro non doveva occuparsi, se non di esaminare le re-
lazioni e di sbrigare gli affari relativi alla visita (5). Contempo-
raneamente estese l’obbligo di questa pure ai prelati con quasi
giurisdizione episcopale: per l’Italia, le isole e le provincie vicine

(1) FAGNANI PROSPERI, Commentaria in quinque libros Decretalium, Romae,
1661, cap. de iureiurando, pag. 217.

(2) Cfr. Lucini, l. c., tomo I, pag. 38.

(3) Stampata nel Benedicti XIV Bullarium, tomo I, pag. 617, Prati, 1845: dal
Lucini, l. c., tomo I, pag. 38, e dallo SCcHULTE-RICHTER, Canones et decreta concilii
Tridentini, pag. 614, Lipsiae, 1853. Spiegazioni ampie su questa istruzione, scritte
dal papa stesso, si trovano nella sua ben conosciuta opera: De Synodo dioecesana,
tomo II, pag. 142 e segg., Romae, 1806. Cfr. pure: Concilium Romanum in sacro-
sancta, basilica Lateranensi celebratum anno 1725, pagg. 43 e 195, Romae 1725. Una
riforma della istruzione di Benedetto XIV, conforme allo spirito de’ tempi, fu ideata
nel Concilio Vaticano, ma poi non fu eseguita. Cfr. MARTIN C., Omnium concilii Va-
ticani documentorum . collectio, pag. 125, Paderborn, 1873.

(4) Cfr. Lucini, l. c., tomo I, pag. 35.

(5) Costituzione: « Decet » 23 novembre 1740 nel Benedicti XIV Bullarium,
tomo I, pag. 19 e appresso Lucipi, l. c., tomo IIT, pag. 20.

errem niet
136 G. MAGHERINI. GRAZIANI

doveva esser fatta ogni tre anni, per tutti gli altri paesi ogni cin-
que (1). Dipoi l'istituzione non subì mutamento sostanziale (2).

Le « Relationes status eccleriarum » forniscono molte notizie
sicure per la storia della Chiesa, del diritto. e della cultura dei
diversi Stati e paesi, sull’ erezione, i limiti della giurisdizione, i
privilegi e i proventi delle diocesi, sullo stato delle cattedrali, dei
capitoli, delle collegiate, delle parrocchie, delle cappelle private,
monasterî, spedali e confraternite; sulle fondazioni, luoghi pii,
seminari ed altri istituti scolastici; sull’ adempimento dei do-
veri d'offieio e di consuetudine del clero secolare e regolare, non-
chè sullo stato religioso e morale e talvolta economico delle po-
polazioni, delle quali spesso veniamo a conoscere il numero con
dati statistici.

Frutto di esperienza e di cognizioni sicure raccolte nelle visite
pastorali nei sinodi diocesani e nella continua comunicazione colle
parrocchie (3), le relazioni dei vescovi servono molte volte a com-
pletare od a chiarire le nozioni storiche già scientificamente cono-
ciute, o almeno ad ampliarle e a meglio fondarle. Certo, in molti
punti delle « Relationes », dove, secondo quanto era ingiunto,
i vescovi:dànno conto del modo col quale si comportano, è ne-
cessario per lo storico e pel critico un esame prudente ed oculato,
purchè a tutti quanti i vescovi premeva di porre in evidenza se
non di vantare dinanzi alla Curia Romana l'opera propria, espo-
nendola sotto una luce più che fosse possibile a loro favorevole.
Le relazioni episcopali vanno perciò messe a confronto con quelle
dei Visitatori Apostolici, dei Nunzi o Legati, che, al contrario,
qualche volta appariscono troppo severi censori. La misura e il
giusto criterio per giudicare secondo verità lo stato delle diocesi
e delle chiese non possono esserci offerte che da una critica
investigazione e comparazione di ambedue queste fonti.

(1) Costituzione « Quod sancta » 23 nov. 1740, nel Bullarium cit. tomo I, pag. 15;
e presso LUCIDI, tomo III, pag. 6.

(2) La odierna forma del giuramento di consacrazione dei vescovi (efr. Ponti-
ficale Romanum) è ancora modellata sulla costituzione di Sisto V dell’anno 1585.

(3) Già sono state incominciate alcune pubblicazioni su queste fonti, impor-
tanti specialmente per la storia locale. Cfr. Linea M., Kulturgeschichte der Dioezese
und Erzdioezese Bamberg auf Grund der Pfarr- Visitationsberichte, 1900 der JUNGNITZ
Visitationsberichte der Dioesese Breslau, 3 vol, Breslau, 1902-1907.
RELAZIONE, ECC. 137

Con questa breve nota illustrativa ho ritenuto opportuno ac-
compagnare la prima « Relatio status ecclesiae Amerinae » fatta
da Monsignore Anton Maria Graziani, la prima che egli fece dopo
avere assunto quel vescovado, e la « Risposta », che a nome della
Congregazione del Concilio gli dette il cardinale Girolamo Mattei,
in data del 22 giugno 1595, la quale risposta basta a far conoscere

quanto anche dalla Congregazione medesima fosse apprezzato lo
zelo e riconosciuta l’ abilità amministrativa del dotto prelato di
San Sepolero.

G. MAGHERINI GRAZIANI.
G. MAGHERINI GRAZIANI

Relazione del vescovo A. Maria Graziani (1).

Visitatio Liminum.

Exacto triennio post initum a me Amerinae ecclesiae episcopatum
susceptumque munus consecrationis (2), ut scitum Sixti Quinti ponti-
fieis maximi lege est, Beatorum Apostolorum Petri et Pauli limina
templaque adivi; ad aram, quae in basilica vaticana subterranea in
cella est ubi conditae sacrae eorum reliquiae dicuntur, rem divinam
feci, Deum pro catholicae ecclesiae propagatione, pro Sanctissimi Do-
mini nostri incolumitate ac pro populi salute curae ac fidei mei com-
mendati rogavi, ipsosque maxime divos Apostolos deprecatores adhi-
bui. Inde ad Sanctitatis Suae osculandos pedes admissus, illius pater-
nis sermonibus sapientibusque consiliis magnopere instructus atque con-
firmatus sum. Nunc qui status ecclesiae sit, cui regendae me Sua San-
ctitas praeposuit, breviter exponam, et rationem pastoralis officii mei,
ut eadem lex iubet, reddam ; et si quid mihi imperatum fuerit, apo-
stolicis iussis obedienter obtemperabo.

Amerina urbs in Umbria ad confluentem Naris et Tiberis, qua

inter utrumque flumen terra veluti in cuneum porrigitur, edito in monte

conspicitur, quem fertiles circa colles, vitibus atque oleis consiti et
frumenti quoque feraces, ambiunt; nee propinquorum amnium halitus
salubri officere coelo ereditur. Eam urbis vetustatem esse ferunt, ut
ipsa antiquior Roma origo eius habeatur, et quando et a quibus con-
dita sit, obruta tam profundo aevo rei memoria, haud satis constet.
Praecipuum cum vetustatis tum dignitatis monumentum ipsa sunt
moenia, immanibus extructa sais, opus non solum non praesentis te-
nuitatis, sed vel opulentissimo populo magnificum et sumptuosum.

(1) Secondo la minuta originale che si conserva nell'Archivio Graziani a Città
di Castello.
(2) Antonio Maria Graziani fu eletto vescovo di Amelia il 17 febbraio 1592. nm E

- RELAZIONE, ECC. UT C TO

Ecclesiae quoque antiquissima primordia memorantur, ut, quam-
quam qui primus ei opiscopus.praefuerit ob vetustatem ignoretur, ta-
men, quantum existimari coniectura potest, ab ipsis institutam apo-
stolis autumant, siquidem Hymerius Amerinus episcopus, quem. mon-
stris ac miraculis affirmata religio et sanctitas in coelestium numerum
retulit, ad episcopatum sacris illis exurgentis ecclesiae temporibus a-
scitus est, cum episcopi non tam hominum sententiis suffragiisque erea-
bantur quam piis populorum precibus impetrabantur a Deo, accipie-
baturque qui manifesto eius numine monstratus esset. Quod de Hyme-
rio memoria proditum est. Cum enim Amerinus populus clerusque in
locum amissi episcopi novum a Deo pastorem supplicibus precibus ex-
poscerent, coelesti admonitu Hymerium proeul inde in maris insula
inter anachoritas agentem petere episcopumque sibi asciscere iussi
sunt. Atque ille quidem ita divino de se indicio respondit ut unus
maxime Amerinam ecclesiam sanctitatis suae gloria illustrarit, non so-
lum dum eam vivus rexit, sed etiam postquam vita perfunctus in coe-
lum abiit. In quam enim praesens tot caritatis atque pietatis exempla
ediderat, eam etiam e coelo maximis ac frequentibus miraculis clario-
rem ac celebriorem fecit. Eius corpus, per multa saecula Ameriae in
cathedrali ‘ecclesia religiose cultum, Loyzus episcopus Cremonen-
sis cirea annum DCCCCXL Cremonam abstulit, permittente Amerino
episcopo, ut per Loyzi gratiam, quae summa apud Othonem Primum
imperatorem erat, imperatoris ipsius animus iratus infensusque sibi

placaretur. Corpus hodie quoque Cremonae in cathedrali ecclesiae san-

ete habetur. Ne illud quidem antiquitatis dignitatisque huius ecclesiae
postremum argumentum fuerit, quod, concilio Romae apud basilicam
sanctae Mariae Maioris ab Hilario Primo pontefice maximo Galliae

atque Italiae episcoporum habito, in quo eutichiana haeresis damnata

est, Hilarius Amerinus episcopus interfuit MCXXX ab hine annis, ut

credibile sit etiam latius multo jius ditionemque huius ecclesiae olim

patuisse; quae nune perangustis finibus concluditur.
Cathedralis eeclesia ipso sita montis cacumine est, cuius undique

clivam urbs ipsa aedificiis complectitur; isque etiam locus divinitus
eléetus creditur; cum enim sanctorum Firminae et Olimpiadis martirum.

corpora, admonito per quietem Paschali episcopo, inventa, comportare
Ameriam ac veteri templo inferre populus religione accensus vellet,
eaque unde effossa erant nulla humana ope amoveri possent, idem epi-
Scopus coelesti spiritu instructus plaustro imponi atque ei geminas iu-
vencas iungi imperavit, summotisque ductoribus, arbitrium trahendi
quo vellent vaccis permitti, quae, ducente nemine, ad octo millia pas-
suum sponte progressae, Ameriam intrarunt, perque ardua collis con-

— M MÀ ——
140 G. MAGHERINI GRAZIANI

nixae, cum in summum iugum evavissent, locum ecclesiae aedificandae
commostrasse creditae sunt: statimque eius fundamenta sunt iacta,
idque accidit cirea annum DCCCXX ; et quo inde sacris reliquiis plus
honoris haberetur, in eam cathedralis sedes est transalata. In hae igitur
ecclesia maiori sub ara haud dubia fides est condita Firminae atque
Olimpiadis corpora esse, qui, Diocletiano imperatore, constanter pro
Christi fide ac nomine opetita morte, martirii palmam adepti sunt, ec-
clesiaque ipsa sanetae Firminae nomine nuncupatur; et utrumque mar-
tirem populus praesidem ac patronum sibi adoptavit, eorumque tutelam
saepe gravibus ac difficilibus civitatis temporibus sensit.

In ea eeclesia tres dignitates sunt: Prior, Archidiaconus et Prae-
positus, canonici duodecim, quorum tres, quia parochialibus ecclesiis
praesunt, apud eas commorantur, duo etiam aliena in diocesi. Nullus
praeterea mansionarius, nullus capellanus, nullus omnino clericus, nisi
pauci pueri voluntariam operam choro sacrifieantibusque sacerdotibus
navantes. His ipsis canonicis adeo tenues reditus erant, ut coactus
fuerit episcopus, qui ante me ecclesiam administravit, omnia prope sim-
plicia beneficia canonicorum .collegio adiungere, ut illi mercede illeeti,
quae quotidie singulis de more distribuitur, divina officia celebrarent,
ac ne sic quidem fructus singulorum canonicatuum ad triginta in an-
num seuta perveniunt. Canonici tamen, partitis inter se ex disciplina
diebus temporibusque, ecclesiam sacraque et canonicas horas quotidie
obeunt. Id episcopi consilium beneficia canonicorum collegio contri-
buendi, sicuti ad cultum divinorum officiorum prope necessarium fuit,
ita clerum urbis exhausit et ad magnam ac prope pudendam paucitatem
redegit, cum antea multi, spe adipiscendi illa ipsa beneficia et vitam
inde honeste tolerandi, clerici fieri in clericalesque ordines recipi ap-
peterent, qui, iis sublatis, animum alio nunc transferunt. Canonici
communi sumptu quatuor capellanos conducere, assignata iis stipendii
loco certa agrorum parte, consueverunt, qui pleraque in ecelesia offieia
obibant; verum, quia amoveri illi canonicorum arbitrio poterant ae
saepe amovebantur, ut incertum et alienae libidini obnoxium subsidium
sperni est coeptum. Accedit ad haec Sixti Quinti pontifieis maximi
sanctio de iis qui in sacris initiandi sunt, quae adeo arete episcoporum
in ea re facultatem constringit, ut, cum neque beneficia sint quorum
titulo sacerdotes ereentur et qui ordines appetunt plerique angustia pa-
trimonii excludantur, incredibile sit quanta Ameriae cleri inopia labo-
retur, ut vix ac ne vix quidem episcopus solemnibus sacris operari
necessario cum ministrorum apparatu possit, ac saepe minus dignitatis
eius maiestas ministrorum paucitate videatur.

Parochiales ecclesiae in civitate sunt quindecim, sed propter earum
RELAZIONE, ECC. soup

summam egestatem, pleraeque, aut fractae ac ruinosae aut plane col-
lapsae et dirutae et quibusdam quia nulla prorsus bona, nullos fruetus

habent, parochi quoque nulli sunt. Sacramenta ob id non alibi quam.

in ipsa cathedrali asservantur atque inde ab omnibus petuntur, quod
decentius nec ullo populi incommodo fieri videtur. Propria autem cura
‘ animarum in ipsa cathedrali prioratui adiuncta est. Praeter canonicos
perpauci sunt in urbe sacerdotes.

Regularium duae intra moenia sunt ecclesiae, altera Augustinia-
norum, altera Franciscanorum, eorum qui conventuales dicuntur. In
utraque par prope numerus decem duodecimve fratrum alitur. Horum
ecclesiae, quia in iis urbis regionibus sunt ubi frequentiora aedificia

frequentiorque populus habitat, etiam praeter caeteras frequentantur -

celebranturque. Extra moenia ad iactum sagittae est parva alia fratrum
s.ti Francisci, qui observantes nuncupantur, ecclesia; est et Capucci-
norum aedis [sic] duo ab urbe miliaria in maxime abdita ac remota

parte saltus, ubi novitii ac nuper in disciplinam traditi ordinis eius in- :

stitutis imbuuntur; et. alia item aeque longe distans, quam monaci
s.ti Bernardi incolunt eius generis qui Romae apud sanetam Puden-
tianam habitant. Est quoque in urbe aedes sacerdotum qui prima chri-
stianae doctrinae rudimenta pueris tradunt. Hi etiam ludum excercent,
accepto eius rei causa stipendio quod civitas pendere ludimagistro erat
solita.

Hospitalia sunt duo, quorum alterum ad ecclesiam s.ti Antonii
pertinet, quam Romae prope sanctam Mariam Maiorem Gallorum natio

tenet; aliud a civibus Amerinis laycis administratur; ex episcopi tamen .

auctoritate pleraque aguntur et expensi acceptique rationes ad eum
referuntur. Neutrius domus magnopere est hospitalis, partim tenuitate.

fructuum, partim peregrinorum infrequentia, quod Ameriam, extra viam -

regiam sitam, raro quisquam divertit. In es tamen hospitali quem [sic]
eives administrant interdum egentes aegri curantur atque aliquot expo-:
Siti pueri aluntur, reditusque omnes satis pie integreque administrantur.
Laieorum sodalitates in urbe sunt undecim, quae ad publicas sup-
plieationes suo quaeque cum insigni conveniunt. Harum aliae ferendis
ad sepulturam cadaveribus iisdemque humandis operam praebent; aliae
vinetis et carcere clausis collecta stipe subveniunt et supplieio damnatos
solantur, deducunt ac demum etiam eorum corpora terrae mandant.
Aliae honestos homines qui, [sic] cum in summa egestate versentur à -
mendicando tamen pudor deterret, ope qua possunt ex collecta item
" stirpe iuvant. Aliae aliis piis officiis dant operam, et quae a sanctissimo

Sacramento nominatur ad eius cultum cereos comparat delatumque ad .

aegros officiose comitatur.

PE iet nmn ete ny
e

142 : G. MAGHERINI GRAZIANI

Monasteria monialium in “civitate sunt quinque: s.tae Catherinae,
s.ti Stephani, s.ti Manni, s.taàe Monieae, s.tae Elisabet; tres priores
[sic] ordinis s.ti Benedicti, aliud s.ti Augustini, aliud s.ti Francisci,
earum quae tertiariae vocantür, quae tamen in parem cum reliquis
clausurae disciplinam redactae sunt. Ex his mioniales quae s.ti Manni
dicuntur curae monacorum Cassinensium et abbatis s.ti Pauli extra
moenia urbis Romae sunt commendatae. Aliae ad meam curam perti-
nent, egentes omnes, omnes cum summa paupertate luctantur: qua re
fit ut diffieillime ad conferendum in commune quod quaeque privatim
aut labore parant aut a propinquis accipiunt adigantur; difficilius se-
pta ipsa ita claudi atque aedificari, ut ratio disciplinae postularet, pos-
sint, quamquam nonnihil ad utrumque diligentia atque studio meo pro-
fectum esse videatur.

Praeter haec quinque monialium monasteria, novum aliud ex sua
domo ut aedifieetur Flavius Chysolinus [sic] amerinus civis testamento
instituit, legatis huic operi omnibus bonis suis, quorum aestimatio se-
piem millia scutorum non excedit, quae summa aedificando monasterio
atque alendis quindecim monialihus, quas Flavius eó includi mandavit,
sufficere non videtur posse, ac si maxime possit, urbi non frequentis-
simae, quae his quinque monasteriis sustentandis non sit, in tanta cleri
et confessorum inopia, supervaeaneum mihi quidem videbatur; sed ci-
vitati ut rata Flavii voluntas habeatur a me contendenti negare tion
potui. Ita novo monasterio aedifieando, magis permittente quatn pro-
bante me, insistitur.

Sunt praeterea Lugnani in diocesi mea duo monialium monaste-
ria, Annuntiatae et s.tae Clarae, atque huius quidem procuratio est
fratrum Minorum observantium ; novum utrumqüe et paucis ante anis
institutum, utrumque supervacuum aut certe non magni oppidi populo
non magnopere nessarium. At quemadmodum prava inter se oppidano-
rum contentione faetum est ut non ünum, quod utilius aptiusque fue-
rat, extructm, sed scissa deductaque in duo sint, ita ipsae moniales
muliebribus inter se odiis atque obtreetationibus assidue concertant,
ut neque monitis et cohortationibus sedari aemulatio possit, et in eadem
studia etiam oppidanos trahunt. Alitur dissidiüm non ipsarum solüm
mulierum linguae intemperantia assidue sibi invicem obloquentium ma-
ledicentiumque, sed etiam imprudentia canonicorum et fratrum, quo-
rum curae atque procurationi monasteria ipsa eomméndata sunt, qui
et ipsi muliebriter dissident, nam monasterium Annuntiatae a collegia-
tae ecclesiae canonieis regitur, ut periculum sit ne eX hac dissensione
incommodae aliquae inter oppidanos discordiae aliquando erumpant.
Quod si utrumque monasterium in unum conferri (quando etiam aedi- È
È
È
È

va e

o

RELAZIONE, ECO. 143

ficiis iunguntur) posset, meo quidem iudicio haec simultatum semina ex
illo oppido auferrentur et monialium saluti magnopere consuleretur,
quarum animi assiduis malevolentiae atque obtrectationis stimulis agi-
tati a gravis culpae diserimine abesse non videntur, aut certe caritatis
offieia studiaque, vel praecipuum virginalis vitae ornamentum, ample-
cti non possunt.

Seminarium in mea ecclesia neque est ullum neque ulla inveniri
ratio potest qua id inopi et maxime ministrorum indigenti ecclesiae
subsidium pasetur, quo quidem uno muniri fulcirique divini cultus rite
administrandi et sacerdotum sobolem aliquam propagandi spes posse
videretur: quando quod unicum tantae difficultati egestatique subve-
niendi; et seminarium, rem huie ecclesiae saluberrimam, instituendi
consilium occasioque pene divinitus oblata erat, non mea culpa amissa
est. Nam mihi quidem ex bonis à Chrysolino, de quo supra mentionem
feci, ad novum condendum monasterium relictis, condi instituique se-
minarium et totidem in eo pueros ali educarique placuisset, quot ille
puellas in suo eoncludi monasterio mandaverat. Quo consilio neque
magnopere ab ipsius voluntate Chrysolini diseedi et eius beneficium
cum fructu utilius tum caritate erga eives suos latius ampliusque eva-
surum videbatur. Sed haec sententia cum ad eos relata esset penes
quos ius eius saneiendae est, scilicet cardinales qui congregationi Re-
gularium praesunt, laudarunt magis eam quam eomprobarunt, et cives
ita in hoc toto negotio varii inter seque discrepates fuerunt ut ego, qui
monasterii aedifieationem ut supervacuam penitus reieceram, eonsen-
tientesque mecum optimum quemque civium et eos maxime qui sapere
aliquid videntur habebam, dare tandem manus coactus sim et morem
magistratui, id a me populi nomine petenti, gerere, et ut novum mo-
nasterium aedificetur pati, si modo iidem, penes quos ius et potestas
huius rei est, permisserint.

Dioecesis omnis quatuordecim cireum Ameriam adiaeentia castella
complectitur, quorum nomina haee sunt, Lunianum, Livianum, Vardeia,
Portianum, Fractucia, Attilianum, Iovis, Penna Montecampanum, Ma-
chia, Fornolis, S.ti Focetuli, Foce, Collieellum.

Finitimos episcopos habet Tudertinum, Narniensem, Balneoregien-
sem et Hortanunt.

Luniani collegiata ecelesia est quatuor eanonicorum, quorum caput
est archipresbiter, penes quem et capitulum est animarum cura.

In singulis locis institutae sanctissimi saeramenti et aliae praeterea
societates sunt. Ac Luniani etiam duo sunt fratrum conventus, alter
Observantium, alter Capucinorum; ed inter Penna et lovem est item
alius Observantium fratrum conventus.
144 G. MAGHERINI GRAZIANI

Ameriae capita hominum ad quinque millia censentur 5000

Luniani 930
Leviani 521
Portiani 685
Attiliani I 300
Vardeiae . 338
Iovis 815
Pennae 429
Montiscampanae 495
Machiae 282
Fornoli 161
S.ti Focetuli 134
Fractuciae 291
Focae 399
Collicelli 320

Sacristia pro eeclesiae tenuitate Ameriae satis videtur necessaria
supellectili instructa, nihil ut sacerdotibus ad divini sacrificii aliorumque
sacrorum obeunda officia desit, et habet sacristia ipsa proprium vectigal,
ex quo ad sexaginta scuta quotannis ad eam perveniunt; aliis item in
locis, quantum ecclesiarum inopia patitur, necessaria supellex suppetit.
Episcopatus redditus fere ceterae tenuitati ecclesiac respondent, aegre
ut scuta mille romanae monetae ex omnibus eius fructibus, aut ne
aegre quidem conficiantur.

Atque haec de ecclesia deque illius statu.

Quod ad me ipsum pastoralisque officii mei munus attinet, equidem
non possum nisi imperitum, ineptum et oneris gravitati plane imparem
me confiteri. Verum Dei benignitate adiutus plus pene quam imbecillae
vires ingenii mei possunt praestare conatus sum.

Primis statim diebus quibus ad ecclesiam veni, diocesim omnem
visitavi, castella obivi, lustravi ac recognovi omnia, tam in urbanis
quam in aliis ecclesiis: ubique et statui multa ex optimi cuiusque au-
ctoris disciplina, et maxine ex Mediolamensis eeclesiae actis excerpta,
et quae statui, ut in consuetudinem usumque inducerentur (quantum
ecclesiarum facultates tulerunt), curavi.

Tot in urbe parochiales ecclesiae, orbae aliae rectoribus, aliae pene
iam dirutae, cum offendere aspectu ipso oculos bonorum viderentur nec
ad eas instaurandas et nova dote ad earum cultum augendas adigi po-
pulum nisi difficili, invidioso ac demum etiam irrito conatu posse in-
telligerem, satius esse duxi alias aliis adiungere et, profanatis quae
fractae atque ruinosae sunt, omnes ad quatuor tantum redigere, quam-
quam ne sie quidem fore arbitror ut earum competitores inveniantur:
ATE! RIRZIIMERIII nda

RELAZIONE- ECC. 145

PRE,

tanta non singularum modo sed universarum etiam exiguitas redituum

est.

PO ar eges 1

Statui item ut congregationes parochorum singulis mensibus tam
in urbe quam in diocesi habeantur, in quibus de rebus ad. animarum

TIA

curam pertinentibus inter ipsos consultetur.
In cathedrali ecelesia, quod antea non fiebat, ut missae sacrificium

È quotidie cantetur utque sacerdotes omnes omnibus dominicis et festis
| diebus idem sacrificium faciant institui.

Canonicos, qui ob non editam fidei professionem fructus non fe-
cerant suos gravisque delicti laqueis constrieti tenebantur, venia eius
rei a S.mo Domino Nostro ac poenae remissione impetrata, liberavi.
Cum e quatuor cappellanis, quos conducere canonici consuerunt,
ut traditum supra est, saepe ex levi altercatione, orto dissidio, modo
hune modo illum expellere et alium asciscere, ut cuique libuisset, in
more haberent, eaque re fieret ut non invenirentur qui suscipere illud
munus vellent, ego capellanias ipsas perpetuas feci; cui rei canonici
quoque haud inviti assensi sunt; atque ita non defuturos posthac spero MH
! qui capellani fieri velint, cum certum perpetuumque iam illud subsi- |
3 dium, non libidini cuiusquam obnoxium esse intelligant.

Quae prima in cathedrali ecclesia vacavit praebenda eam poeni-

tentiariam perpetuo esse iussi, poenitentiariumque creavi ipsum vica-
rium meum, virum honestissima familia Ameriae natum et non scentia
modo iuris, sed morum quoque ac vitae laudibus spectatum. Theologalis
praebenda institui propter tenuitatem reddituum non videtur posse.

"Theologia ut in ecclesia doceatur institui, doctorem a fratribus

S.ti Augustini mutuatus, qui etiam casus conscientiae bis in hebdomada
interpretatur, ac poenam statui saecularibus clerieis omnibus omnium
ordinum qui ad eam audiendam non convenerint, utque etiam pudo-
rem omnibus rem omittendi incutiam, ego ipse eandem lectionem obire
paremque doctori operam dare consuevi.

Festos dies, quod prava licentia pene iam in desuetudinem abierat,
coli et in iis ab omni servili opere cessari iussi, mulctatisque aliquot,
iam ad pristini sanctae ecclesiae instituti morem res rediit.

Marmoreum vetusti atque obsoleti operis tabernaculum, in quo
Sanctissimum Sacramentum asservatur, e loco parum decenti ubi erat
in proprium sacellum transtuli, quando in summo altari propter inha-
bilem eius molem formamque collocari commode non potuit; in quod
tum demum refertur, cum novum aptiori forma comparandi facultas
erit. i -

Alia praeterea multa, pro ea industria quam praestare tenuitas
146 G. MAGHERINI GRAZIANI

mea potuit, ordinavi et quoad licuit ad priseae disciplinae usum re-
vocavi.

Cum in cathedrali ecelesia episcopalis sedes nullo ornatu, nulla
veste, nullis eminens gradibus, vetusta et cariosa esset, nee satis de-
corum episcopo in ea considere videretur, illa amota, novam sedem
aedifieari quaternis gradibus ex disciplina imponi, parietem a tergo se-
rieo auleo tegi, supra eaput eminere tentoriolum seu baldachinum, se-
dem eodem serico omnem convestiri, gradus laneis pannis eonsterni
iussi gemino ornatu, viridi altero, altero rubeo colore. Atque haec nullo
eeclesiae ipsius sumptu sed omnia mea pecunia paravi.

Cum pauca antiqui atque communis operis in summo altari can-
delabra essent, ego sena Romae fieri ex auriealeo, scapis basibusque
ex recenti usu affabre aedifieatis, atque in eodem altari colloeari iussi.
Ad eireumferendum sanctissimum Eucharistiae sacramentum, solemni
praesentim die Corporis Christi, eum non aliud quam veteris item et
obsoleti operis, et iam rubigine ac vetustate indeeorum tabernaculum
in ecclesia esset, ego novum argenteum, romano ritu, rotundo ac ra-
diato opere, quod argenteo item scapo ae triangulae basi imponitur, in
cuius medio orbe lunari lamina illita auro saera hostia excipitur eri-
stallinisque orbibus eoneluditur, fabricari Romae mea pecunia, idque
solemnibus ae eelebrioribus diebus adhiberi iussi.

Crueifixi simulaerum in cathedrali ecclesia sub ipso fornieis areu,
qua altare maximum tegitur, erigi transversoque et utrinque nixo im-
poni iussi.

Ad vetus aquae benedietae marmoreum vas aliud eadem forma
eodemque marmore adiiciendum euravi.

Episeopales aedes, inter quas et ecclesiam tantum publica via in-
teriieitur, cum perangustae, humiles, paucis parvisque conelavibus es-
sent ut neque familiam neque ipsum eapere episeopum possent, tantum
abest ut locus in eis ullus hospitibus vacaret, prorsuque ab episcopo
pro eius dignitate non habitarentur, eas ego primo statim anno aedi-
fieare meo sumptu aggressus sum iamque opus eo perduxi ut non spe
ciem modo foris speetantibus laxae ac splendidae domus praebeat, sed
intus etiam pereommode ae, pluribus aedifieis et scienter partitis cubi-
eulisque laqueatis ferme omnibus, habitentur, nec episcopum solum fa-
miliamque eius eapiat sed recipiendis etiam decore hospitibus sufficere
videatur. :

Monasteriis monialium, quae per eorum paupertatem potui, reme-
dia adhibui; nonnulla sarciri aedificarique ad certiorem clausurae cu-
stodiam iussi. Quod antea liberum erat, ne quis adire alloquique mo-
niales sine seripta eius rei facultate possit, providi. Cum in singulis
RELAZIONE; ECO. 147

monasteriis multo plures invenerim moniales quain quot alére eoruin
redditus possint, elemosinam; quam dotem appellant, ab his quae mo-
niales fiunt duplicem afferri iussi, ut, cum antea centum et quinqua-

posse decrevii et cum indüetum in morem esset ut ea pecunia momniá-
les fruimentum alique ad vietum necessaria sibi eoemerent, monasteriis
ex elemosinarum aut dotium collatione nihil praeter numeruni monia-
Hum quotannis aecresceret, quare faetum est ut in hane egestatem an-
gustiamque prolapsae sint qua nune laborant; hunc ego abrogavi prof-
È sus morem abiecique, et ea pecunia, quae dotis aut elemosinae nomitte
affertur, certos emi reditus vectigaliaque institui. Quod cornsiliüm, et

si saluberrimum ae pene unicuin urgentis paupertatis monasterioraum -

i remedium esse constet, tamen grave civibus molestumque ageedit; qui,
dum numtlis suis privatim parcant sumptusque in filias quas mona-
steriis Claudunt quamminimum faciant, nihil praeterea pensi habent.
Verum ego propositum tenui, civium querimoòniis preeibusque pariter
f'eiectis spretisque. Puellis, quae educandi causa in monasteriis haberi-
tur, pretium quod pro vietü solvere debent statiti; easque intromitti
sine permissu sacrae congregationis vetui; quamquam id antea ad epi-
scopi unius arbitrium referri soleret. Motiasteriis omnibus certas con-
stitutiones legesque, ex optimis excerptas auctoribus, ad religiosae vi-
tae disciplinam sanciendam dedi.

Verum, quod unum ad universam constituendum sanciendamque
ecclesiasticam disciplinam in mea ecclesia desiderari videbatur, ani-
mum ad diocesanam sinodum habendam eo studiosius mihi esse adii-
ciendum statui, quod triginta per annos, post celebratum Tridentinum
concilium, habita hac in diocesi synodus non esset. Itaque quantum
studio ae diligentia coniti potui, evolutis lectissimorum auctorum ac
sacrorum canonum voluminibus, omnia, quae ad saerorum disciplinam
moresque condendos maxime clericorum pertinere visa sunt, collegi,
omnia ad concilii Tridentini normam regulamque direxi, atque omnia
ita distinguere, partiri et in certa distribuere conatus sum, ut cuiusque
rei argumenta prompta omnibus ad manusque sint, et quae quove
modo praestanda cuique sint nemo ignoret; que quidem ut diocesanae
Synodi auctoritate sanciantur et inde re atque usu praestentur, ma-
gnae mihi curae erit. Sinodum vero ipsam cogere ac celebrare statim
cum ad ecclesiam meam rediero, Deo bene invante, constitui. Cuius
exemplum continuo ad sedem Apostolicam mittam, et qua debeo fide
ae reverentia illius iudicio arbitrisque cuncta subiiciam.

Sanctorum martirum Firminae et Olimpiadis, ecclesiae meae prae-

sidum ac patronorum, vitam mortemque pro fide et nomine Jesu Chri-

ginta scuta romünae monetae daretur, trecenta dari, nec aliter reeipi:

— € RR EE ER. TIT VII RI

148 i G. MAGHERINI GRAZIANI

sti oppetitam, partim ex vetusto eodice, partim ex aliis probatis au-
etoribus collectam, seripsi, et utriusque officium et canonicas horas ad
formulam romani breviarii, propriis antiphonis, propriis hymnis pro-
priis lectionibus orationibusque auctas, ordinavi, solemnibusque canti-
bus ac cerimoniis in eorum festo die peragi ac celebrari iussi; eorum
quoque corporum inventionem et praeterea sancti Secundi martiris et.
sancti Hymerii confessoris et Amerinae ecclesiae episcopi officia cano-
nicasque horas pariter ad eandem romani breviarii rationem ritumque
confeci et dicatis ipsorum sanctorum celebritati diebus recitari conci-
nique mandavi.

Plurium episcoporum, qui Amerinae ecclesiae ante me praefuerunt,
nomina, quantum res nimia vetustate obruta passa est, ad conservandam
memoriam eorum qui eeclesiasticam rem bene ac sancte administrarunt,

.ne ineuria atque oblivione hominum prorsus intereat, collegi.

Atque haec habui quae de me deque ecclesiae meae statu nunc
quidem renuntiarem. Reliquum est ut, si quid à me vel per negligen-
tiam pretermissum, vel secus per inscitiam actum est, de eo admonear,
mihique quod sanctissimi Domini Nostri et vestrarum Illustrissimarum
Amplitudinum voluntatis fuerit iniungatur. Nam earum iussis pari a
me studio atque fide in omnibus rebus obtemperabitur.
RELAZIONE, ECC.

Risposta data dal cardinale Girolamo Mattei nel
nome del Concilio al vescovo Graziani in data
22 giugno 1595 (1).

Nos Hieronymus tituli Saneti Pancratii S. R. E. Cardinalis Mat-
thaeius, nomine sacrae Congregationis Ill.morum Patrum Tridentini
concilii interpretum, fidem facimus et attestamur, R.mum in Christo
Patrem episcopum Amerinum, proximis superioribus diebus, ut fel. rec.
Sixti V constitutioni obtemperaret, Beatorum Apostolorum limina pro
tertio triennio visitasse deque Ecclesiae suae statu ad eandem congre-
gationem multa distincte atque exacte retulisse; idque valde congre-
gationi placuisse; sicut etiam placuit quod Episcopus congregationem
parochorum ad casus conscientiae discutiendos instituerit, sanctorumque
martyrum Firminae et Olimpiadis Amerinae ecclesiae patronorum vitam
conscripserit. Voluerunt autem ipsi Patres episcopum admonitum, dio-
cesanam synodum primo quoque tempore esse celebrandam, praesertim
cum iam ipse episcopus quae in ea statuenda sint ex lectissimis aueto-
ribus decerpserit atque in capita distribuerit. Ut in monasteriis monia-
lium, quae intra moenia civitatis sunt, clausura restituatur et conser-
vetur, diligenter ab ipso curandum atque efficendum esse. Novum vero
monasterium ut ex Flavii Chrysolini testamento aedificetur haud plane
sinere episcopum debere, nisi a sacra congregatione Regularium negotiis
praeposita obtenta fuerit licentia. Porro voluerunt iidem Patres eum in
Domino cohortari ut in Tridentini decretorum observationem quotidie
studiosius ineumbendo, pastoralem suam industriam ac diligentiam
magis augeat, curetque ut (adiuvante Domino) vigilantia ac solicitudo
in grege sibi commisso custodiendo ac curando nusquam desideretur,
saepius cogitatione repetendo se positum pastorem regere ecclesiam

(1) Secondo l’ originale nell'Archivio Graziani a Città di Castello.

pn

—— tc

DET
150 - G. MAGHERINI GRAZIANI

Iesu Christi quam acquisivit sanguine suo. Itaque omni caritatis zelo
provideat ut populus suae pastorali vigitantiae creditus verbo Dei, sa-
lutari animarum alimento, quam frequentissime et uberrime pascatur,
sana doctrina sanctisque praeceptis imbuatur et secundum Deum in-
struatur. In eo autem praecipua versetur eius cura et solicitudo ut ea
qua-decet reverentia, munditia et decore divinus cultus peragatur, con-
servetur augeaturque. Cleri vero sui, qui ceteris studio pietatis, san-
ctimonia et christianis virtutibus praeluere debet, vitam et mores ita
componat ac reformet, ut inde reliquus populus sumere exempla et
quotidie uberius in viam Domini progredi ac proficere queat. Praeterea
piorum locorum, et praesertim hospitalium eo impensius curam suscipiat
quo magis in dies experientia novimus maiori ea loca indigere vere
christiani hominis opera, integritate ac fide; ab administratoribus ipso-
rum singulis annis rationem requirat operamque det ut redditus. eorum
locorum in usum pauperum et eorundem utilitatem tantummodo insu-
mantur: ilud pro certo habens, cum huiusmodi loca ad pauperum,
calamitosarum et miserabilium personarum sustentationem ac fomentum
fuerint instituta, hane praecipue Christi causam esse, qui nobis pau-
peres tantopere commendavit. Illud quoque sui muneris esse intelligens,
omittere non debebit ut iurisdictionis, immunitatis et libertatis eccle-
siasticae se defensorem praebeat, atque ut adversus bonorum ecclesiae
et piorum locorum usurpatores occupatoresve sua naviter utatur aucto-
ritate. Postremo et illud praestare non obliviscatur ut, antequam ela-
batur tempus, quod eadem Sixti V constitutione ad quartam sanctorum
Apostolorum liminum visititationem statutum est, quodque die xx mensis
decembris anni MDxciiij incoepit et desinet ad xx diem decembris
MDxciiij, munus hoc suum impleat. Quae omnia de episeopi pietate
atque in Apostolicam sedem perspecta devotione sperantes. Deum ro-
gamus ut illum diutius incolumem servet. In quorum fidem has nostras
literas, quibus propria manu subscripsimus, fieri et sigilli nostri im-
pressione muniri mandavimus.

Datum Romae die 22 iunii 1595.

UEUTEPOESSESXS

v

—— — AUR REIR I

TY

vr
vA
Sim
mm
>—T io)
S E
e m
aq 2
FE
9
i
Z s
DI
—D'
Uo d
c o
o cm
E

n ELL SIR Alert
|

Summe nmmmmm v È N — SR

» At v CZ z z |
ME clcademinze Sulginatto 2.
í $ £Q orm und De.Comuttibu. dFulttlldScribendr.£E parte lia!

|
|

| eren Academ cus. Julgtnas. 4. S. Donna MDCCLXI. |

nr —6T_=<<—_——-—-.AF«A&rrr"r”*©*ao«)Kogdfi'ifi'ccbici ETT
M nature We IRA TIVA : ZUEJGU aT.

Ritratto di SIGISMONDO DE COMITIBUS, dipinto da Raffaello

e fatto incidere dall'Abate Nicolini nel 1701 in omaggio all'Accademia Fulgtnia.

i

—— Rmo

-d
E
|
et
]
VITA DI SIGISMONDO DE GOMITIBUS

scritta dall’Abate MENGOZZI

Quando si scriverà la storia della rinascenza in Foligno
(e ne verrà fuori assai bello ed utile libro), il nome di Sigi-
smondo de Comitibus vi figurerà non solo come uno dei let-
terati più colti, come uno dei cittadini più benemeriti del
tempo suo, ma verrà anche ricordato per la reputazione
grandissima che lo accompagnò vivo, e lo seguì dopo morto,
tanto che puó dirsi con verità che i posteri ebbero quasi un
culto. per lui. E la ragione vi è. Godendo egli la familiarità
dei Pontefici, potendo valersi di essa per beneficare larga-
mente la patria, essendo grande amico del Bembo, di Raf
faello e di altri sommi, poté unire col loro il nome suo, e
Così questo rimase circondato da un'aureola di celebrità
che dura tuttora.

Molti scrissero di lui, e delle cose sue: Casimiro Ro-
mano (1), il Buonamici (2), il Marini (3), il Melchiorri (4), il
Leoni (5), il Ciampi (6), il Racioppi (7), il Cerruti (8), il Gre-

(1) Memorie storiche della Chiesa e Convento di S. Maria in Aracoeli. Roma, 1756,

“p. 142.

i (2) De claris Pontif. Epist. Script. Roma, 1770, p. 216.
(3) Archiatri pontifici. Roma, 1784, vol. II, p. 266.
(4) Questi, come si sa, fu l'editore del primo volume della storia di Sigismondo»
(5) Notizie intorno alla vita di Sigismondo di Conti. Perugia. 1864.
(6) Dei-libri: Historiarum. sui temporis, di Sigismondo De Conti da Foligno
Firenze, 1878. 1 i :
Set Nella prefazione alla stampa della storia di Sigismondo.

(8) Archivio storico italiano. Firenze, 1883, vol. XIII, p. 205-213.
152 i M. FALOCI- PULIGNANI

gorovius (1) il Pastor (2), ecc. e qualche cenno ne detti io
stesso parlando della stampa delle sue storie (3), ma una
biografia completa, che tutto ci dica quanto di lui si cono-
sce, e che raduni in un quadro solo la sua opera di citta-
dino, di letterato, e di diplomatico, questa biografia non fu
scritta ancora, sebbene sia grande in chi scrive e negli a-
mici suoi il desiderio di leggerla. Gli Archivi di Roma e
quelli del suo Comune, le Biblioteche di Roma, di Firenze,
di Lucca, di Milano, di Perugia, di Foligno custodiscono copie
dei suoi libri, la stampa di questi richiamó l'attenzione del
Passionei, del Mansi, del Borgia, dello Zaccaria e di altri,
sicchè non manca materiale a chi voglia completare gli
studi fatti, a chi voglia colorire senza lacune la sua bella
figura.

Chi si provó, e assai lodevolmente, all impresa, fu un
letterato della Republica di S. Marino, l'Abate Giovanni Men-
gozzi, maestro di lingua latina nel Seminario di Foligno,
autore, come vedremo, di pregiate monografie istoriche, morto

‘in detta città nel 1783 (4). Quando egli venne in Foligno fio-
(en) e

riva l'Accademia Fulginia, della quale facevano parte i mi-
gliori ingegni della Città. Auspice Mons. Maffei Vescovo della
Diocesi, gli Accademici si proposero verso il 1770 di stam-
pare le storie di Sigismondo, e si distribuirono il lavoro cosi.
Il Marchese Nicolini di Firenze, Accademico Fulginio as-
sai generoso, e che, per aver acquistato dei latifondi presso
la città, viveva spesso nel suo palazzo in Foligno (5), avea
fatto incidere la tavola di Raffaello, detta la Madonna di Fo-

(1) Storia della città di Roma. Venezia, 1876, vol. VIII, p. 388.
(2) Storia dei Papi dalla fine del medio evo. Trento, 1891, vol. II-III passim.
(3) Archivio storico per le Marche e per v Umbria. Foligno, 1884, vol. T, p. 638-649.
(4) Nel Necrologio della Confraternita della Morte in Foligno, sotto il giorno
22 gennaio si legge la seguente memoria: 1783. Sig. Don Giovanni Mengozzi di
S. Marino Professor di lettere latine in questo Seminario. Sulle opere di lui vedi:
MENGOZZI ANTONIO. Biografia di Don Giovanni Mengozzi. Rimini, 1834.
(5) Per le benemerenze e i rapporti del Niccolini con Foligno vedi PROSPERI A.
In lode dell’ Abate Antonio Niccolini. Foligno, 1771.

PIANORO E pa SERI ALITO

EAST EAST RI vy TE EDO LIE

IE UCET FINZIONE TETI.

VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC. 153

ligno dove è il ritratto di Sigismondo, ed in un rame a parte

il ritratto di Sigismondo stesso: Angelo Savelli Priore di |

Belfiore dovea preparare la dedica al Papa (1): Il P. Zacca-
ria, che tanti rapporti aveva in Foligno dove era il suo edi-
tore Tomassini, dovea annotare il volume: l'Abate Mengozzi
dovea scrivere la vita dell'autore. Il Niccolini, per la parte
sua fece eseguire i rami, che qui, come ricordo, vengono
riprodotti in più piccola misura (2): il Mengozzi scrisse la
vita, ma non sembra che gli altri facessero più nulla, e i
rami, specialmente il ritratto di Sigismondo, rimasero inope-
rosi, sicchè la vita di lui scritta dal Mengozzi non fu stam-
pata più.

Chi riprese in mano la cosa fu un monaco Cassinese di
Foligno, D. Tommaso Roncalli Benedetti, editore benemerito

‘dei più antichi cronisti del medio evo, e che nella Patria

sua gode poca celebrità in confronto di quello che me-
rita (3). Egli, memore degli studi preparatorii fatti mezzo
secolo prima sulle opere di Sigismondo dagli Accademici del
suo paese, volle affrontare da solo un impresa, alla quale non
erano riusciti gli altri, e cominciò a radunare studi e copie per
conto suo, cercando di profittare del lavoro di quelli che lo
avevano preceduto. Al Filippini di Foligno, Segretario del-

(1) Quando si farà una bibliografia completa degli scrittori di Foligno, il nome
del Savelli vi figurerà con onore, come autore di opere bibliografiche umbro - foli-
gnate, scritte in una lingua latina elegantissima, come poeta, letterato, ecc. Egli
morì il 7 maggio 1779.

(2) Il rame che rappresenta tutta la tavola di Raffaello misura 33 per 32, sicché
non dovea servire per la stampa del libro, ma come cosa dedicata all Accademia
Fulginia é degna che in questo luogo si ricordi. Il rame del ritratto di Sigismondo
misura 27 per 18 e di esso ve ne sono centinaia di copie nell’ Archivio dell’ Accade-
mia, oggi unito all'Archivio Comunale di Foligno.

(3) Egli radunò e stampò criticamente in due grossi volumi Vetustiora Lati-
norum Scriptorum Chronica. Padova, 1787. Questi volumi precedettero la stampa
dei Monumenta Germaniae Historica e per quanto non siano immuni da difetti (e
quale opera non ne ha ?), fanno grande onore al dotto Monaco, che nel prepararli
non ebbe affatto i grandi sussidi, i grandi mezzi, le grandi facilitazioni che oggi
agli studiosi somministrano i Governi e le Accademie.

qmm ow I. c

——Ó a
154 M. FALOCI PULIGNANI

l Accademia, chiese il concorso di essa, ed ecco la risposta
che ne ebbe:

Sti.mo Sig.re D. Tommaso

Foligno 28 Nobre 1815.

Mi sono dato tutta la premura di rincontrare nell’ archivio dell’Ac-
cademia Fulginia, quanto vi esiste dei scritti del nostro concittadino
Decomitibus. I Sig.ri Accademici con loro sorpresa hanno veduti man-
canti una gran parte di questi Originali, ed, a parlarle con tutta la
schiettezza dell’ amicizia, credono che questi possano esistere in sue
mani, ed in caso mi hanno incaricato di reclamarli. Nel suddetto Ar-
chivio esistono al presente i cinque primi libri soltanto Originali, e
due copie molto corrette dell’ opera intera. La prima di dette copie è
divisa in quindici libri, e la seconda in dicissette libri: avendo fatto il
confronto dei principj e delle finali dei libri suddetti, trovo che real-
mente quello diviso in quindici libri è mancante di due. Di più nel-
| ultima copia divisa in dicissette libri come dicevo, osservo una
correzzione, giacchè l'ultimo libro era intestato in origine libro vigesimo
e poi è stato corretto Lib. 17: allora onde essere al giorno di questa
corrézzione, ho riandata la progressione dei libri, ed ho trovato che il
copista aveva sbagliato intestando col titolo di Lib. V ciò che doveva
essere Lib. 8, tutto questo potrà molto influire sulla questione della di-
versa divisione dei libri di quest’ Istorico; perchè poi possa esaminare
se il suo testo è intero, ecco come termina la suddetta istoria « Itaque
Ludovicus, Principes Christianos, sollicitare vehementius coepit, ad
indicendum Generale Concilium in quo Iulio Pontifici potestas abro-
garetur ».

Quanto poi alla seconda sua richiesta dei rami tirati che saranno
sicuramente oltre il migliaro, l'Aecademia non ricuserà forse di darli,
ma é necessario di convocare il Concilio dei dodici Conservatori che
solo potrebbero disporne. Io che mi trovo nel numero di questi non
mancherò di favorir la sua eausa, vedo però che gli accademici per
puro atto gratuito, non lo faranno, e per interesse sarà difficile. Sento
che trova anche difficoltà per l’ impronti che devono farsi per questa
stampa, ed io in questo caso azzardarei un progetto. L' aecademia Ful-
ginia ha certamente molte cose in archivio che possono esser necessarie
per questa stampa, ed è fra le sue istituzioni il procurare che le opere
dei suoi concittadini siano date alla stampa. Gli Accademici oltre i
suddetti rami che sono un capitale vistoso, ed i predetti Originali, pos-
sono dare un numero molto grande di Associati, ed allora assicurato
TUI EXESTTUMHPG de bee rp

che sia lo Stampatore della spesa occorrente mediante la suddetta as-
sociazione resterebbero molti originali vendibbili con profitto tanto suo,

che dell’ accademia, sù di che dovrebbe convenirsi. Quando non piacesse .

questa società, e che non avesse bisogno di associati, allora ne faccia
una petizione formale all’ accademia Fulginia. Io glie ne farò diriger
la risposta d' Officio, che inserirà nel suo Sigismondo, acciò vi figuri
l'Accademia Fulginia, ed il Genio letterario di Foligno, sicuro che ne
farà menzione nella sua dedicatoria, e nel titolo dell’ opera, ed in
questo caso credo che la sua gratitudine non ricuserà di dare una
copia gratis per ogni officiale del Collegio che si ridurrà a venti copie
circa, sacrificio ben piccolo per un migliaro, e più di rami tirati in
sesto grande, dell’ Originale di Raffaele. Sù questo mi dirà il suo sen-

timento, ma l’ ultimo progetto sembra più combinabile. Ho ritirato dal

sig. Balduino Barnabò il suo Cronaco di Ermanno contratto con la mo-
neta, il primo lo riceverà da Adriani, la seconda la troverà in seno di
questa per ritornarla al suddetto sig.mo Barnabò dopo che l' avrà os-
servata.. ...

Intanto rinovandole i saluti di casa Pagliarini con sentimenti di
vera gratitudine per la parzialità con cui si compiace di riguardarmi,
passo all’ onore di ripetermi di Lei Signor D. Tommaso sti.mo.

Umil.mo Dev.mo Servitore Obbl.mo
GiusePPE FILIPPINI.

Sembra da questa lettera che il lavoro fosse già avanti,
ma non era così. Il Roncalli radunava elementi, e preparava
la stampa con serietà di intendimenti, quindi andava piano.
Sui primi del 1816 scrisse, per aver notizie, al Follini, Bi-
bliotecario Magliabecchiano in Firenze, e ne ebbe la se-
guente risposta :

Molto Rnd. Sig. Sig. Proc. Colm.

Le mie molte occupazioni mi hanno impedito di rispondere alla gen-
tissima del di 22 Gennaio, vengo farlo adesso, sodisfacendo nel miglior
modo che io posso alle sue dimanda. E prima di tutto mi congratulo
seco della ricuperata salute, e la prego a restituire i miei ossequi al
degniss. sig. Gio. Battista Vermiglioli.

Acquistai già la sua. opera dal Padre Bonaventuri, consegnando
ad esso il valore della medesima, e non mancherò di sollecitarlo per
procacciarle lo smercio di altri esemplari.

VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC. 155 .
156 : M. FALOCI-PULIGNANI

Quanto al Mecenate della opera che ella pensa di stampare, non
saprei proporgliene aleuno, essendo io molto alieno, anco nelle cose
mie, di cerear Mecenati, persuaso che i Mecenati più propri ad incorag-
gire un autore sieno i molti Lettori dell' opera che sicuramente fanno
il vantaggio di chi stampa.

Nell’ edizione delle Opere del Platina Venezia p. Gulielmum de
Fontaneto de Monteferrato 1518 in fol. nel fine, tra i panegirici del Pla-
tina vi è un Elegia di 36 distici di Sigismondo Fulginate segretario
Apostolico della quale il primo verso è

Vatis ad exequias vatum pia turba venite.

E I ultimo

Carminaque- in laudes dicere plura iuvet.

Non veggo chiaro in ció che mi richiede sul Codice di Lucca del
Mansi, né, senza una a me piü intelligibile spiegazione, saprei sodi-
sfarvi.

Dei Rami non ne só il destino, e solo conosco le copie tirate sui
medesimi. Il primo rappresenta l'intiera tavola di Raffaello, e l’ altro
il solo ritratto di Sigismondo fatto dalla Tavola medesima.

Altro non saprei dirle per sodisfare ai suoi desideri, ed auguran-
domi l'onore de’ suoi comandi passo a dichiararmi con perfetta stima

Di V. S. Ill. Rend.

Firenza Li 27 Marzo 1816 dalla Pubb. Imp. A. Libraria Magliabe-
chiana.

Devotiss. ed Obb.mo Sen.
VINCENZIO FOLLINI.

Assai più importante è una lettera avuta da Roma in
quell’anno da Angelo Battaglini, il quale avea fatto per lui
delle utili ricerche nella Biblioteca Vaticana. Siccome que-
sta lettera dà preziose indicazioni sul De Comitibus, è bene
pubblicarla testualmente.

Mio Sig. Pro.ne Colmo.
Premetto, che ho scorsi tutti gl’ Inventarii, ed Indici della Biblio -

teca Vaticana per vedere gli opuscoli del celebre Sigismondo de Cont
da Foligno. Ora dietro la car.ma sua comunicatami dal P. Belmonti

TERRAZZE

ESITI FARM ZA
eret



VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC. 151

posso assicurarla, che nel Cod. Vaticano n. 294, non v'é nulla di lui;
così anche nel Cod. 1934. Bensi nel Cod. 2934, pag. 591, c’è « Sigi-
smundi Fulginaris scriptoris Brevium | Apostolicorum ad Sixtum IIII.
Pontificem. (Oratio) pro secretariis. Comincia. Commodius fecissent Bea-
tissime Pater Advocati Concistoriales quiescere ».

Nel Cod. Var. della Regina di Svezia n. 1527 non v'é che l'epi-
gramma Qu? bene munificus etc.
Bensi nel Cod. Vat. 28/4, pag. 199, trovo un' epigramma.

Sigismundi Fulginatis

Si muta quae duro facies est marmore ducta
Ad se oculos traxrit, lector amice, tuos,

Quid vivam, fecisse putas? cum dulce micarent
Sidereique oculi, purpureaeque genae :

Cum pudor ornaret formam, cum blanda sonaret,
Quae poterat saevas flectere lingua feras.

Effigiem vultus tacitam, sibi reddere coelum
Artificis potuit, coetera non potuit.

Non si hauno altre opere di Sigimondo nella Vaticana. Trovo presso
gli serittori citati XIX libri della storia da esso scritta de' suoi tempi,
che credo il Bonamici abbia malamente intitolati Commentarios in De-
cades Flavii Blandis (De Pontifice. Epistol. Seriptor, p. 197). Bisognerebbe
confrontare l'originale di quest'opera per vedere se sono libri XIX o
XVII. Non mi ricordo dove abbia letto, che si aveva in Milano, e se
ciò fosse vero, recherebbe più meraviglia, che non lo pubblicasse. Ora
veggo nel Fabricio che trovasi nell’ Ambrosiana di Milano, e forse è
diversa cosa, che i Commentarii sulle Decadi di Biondo. Io ho queste
Decadi del Biondi, ma per quanto le ho scartabellate, non essendovi
indice, non ho potuto trovare ove parli di Sigismondo. Anzi mi pare
difficile che Flavio Biondi, che morì nel 1463 potesse scrivere di Si-
gismondo ancor giovane « edidit multa carmina utraque lingua, et
plures doctas epistolas ». Poco diverse sono le parole di Lilio Grego-
rio Gyraldi De Poetis Nostri. temporis. Dial. 1 composto sotto Leone X
negli ultimi anni della Vita di Sigismondo. Io non dubito che ella ab-
bia veduto quanto di Sigismondo hanno scritto gli antichi, e i moderni,
accennati tutti del P. Casimiro da Roma nelle Memorie Storiche della
Chiesa e Convento di S. Maria in Araceli p. 142 e 143 il Lancellotti,
Poesie Italiane, e latine di Monsig. Angelo Colocci p. 67 il Bonamici
nella succitata opera, e il dottissimo Gaetano Martini negli Archiatri
Pontifici Vol. 9», p. 206 e 256, ove pubblicò una di lui lettera in ri-
sposta a Jacopo Antiquario del 1505. Altre due lettere di Sigismondo
La letta M. FALOCI PULIGNANI

del 1492 all'Antiquario pubblicò pure il Sig. Gio. Battista Vermiglioli
nelle Memorie di Jacopo Antiquarj, p. 407 e 408. Stimo bensì che sia
necessario di meglio ordinare le notizie di questo uomo singolare. A
questo aggiungo con sicurezza, ch'ei viveva sino dal Pontificato di
Pio II in somma riputazione. Nella Vaticana v'è un volume ms. cart.
in 4°, n. 1670 di poesie, e prose di Porcellio de’ Pandoni intitolato
« De Felicitate temporum Div. Pii II Pont. Max. » e fra le altre una
Elegia « Divo Pio II Pont. Max. de Illustribus Poetis, et Oratoribus

sui temporis ». Ecco come scrive di Sigismondo :

Nec te fulgineum, mirae convivia cenae
Qui miro pingis carmine, praeteream

Nam si vera ferunt afflati ab apolline vates
Sismunde archadicae dignus honore lyrae es.

Sin qui riguardo a Sigismondo, e al poco che di lui esiste in Va-
ticano. Riguardo all'edizione della di lui storia, prima di esibirne la de-
dica al S. Padre, avrei ben considerato, se le verità, che annunzia l'au-
tore, il quale fu integerimo, pio, ed attaccatissimo ai Sommi Pontefici,

potevano stamparsi, o no in Roma, e nello stato della Chiesa pruden-

zialmente, essendosi mutate di molto le circostanze politiche, ed il
pensare dal Sec. XV. e XVI. al Sec. XIX. nella corte romana, e ciò,
che fu un tempo indiferente, ora in Roma non è più tale. Io sarei di
opinione che ridotte a compimento le notizie dell'autore, cedesse con
qualche utile l' impresa di pubblicar l’opera a qualche letterato di Lom-
bardia sopprimendo il di lei nome. L’opera avrebbe un sicuro spaccio,
giacchè è desideratissima da tutti. Lo stamparla in Roma ineontrerebbe
sicuramente difficoltà, molto più considerando i revisori, chi ha agito
sino ad ora per lei, ed il sospetto, in cui si è posto il P. M. del S. Pa-
lazzo giustamente per altre opere. Per gli altri Cronici tenterei anche
l'edizione fuori dello Stato Romano. Ma se i Cronisti saranno univer-
sali dubito, che possano avere un grande incontro, e molto piü se
fossero in sostanza semplici migliorazioni di testi. Ci vogliono cose ine-
dite, interessanti, di buona lingua, se sono in italiano, e se in latino
parziali come sarebbe appunto la Storia di Sigismondo da Foligno, che
in ogni modo dev'Ella sollicitare acciò sia prodotto. Questi sono i miei
sinceri sentimenti. Ella mi comandi, e mi creda pieno di stima e ri-
spetto
Roma 10 Luglio 1816.

: Ob.mo Dev.mo Ser.re
ANGELO BATTAGLINI.

iero
VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC. 159

Si rileva da questa lettera, che il Roncalli volea dedicare
il libro al Papa, e giudiziose sono le riflessioni che lo scrittore

romano facea al monaco cassinese sulle misure prudenziali

che dovevano presiedere a quella stampa. Il Roncalli però
non credè recedere dal suo proposito, anche perchè avea
forse bisogno di rendersi accetto al Pontefice, verso il quale
si era politicamente compromesso nelle vicende passate (1).
Continuò quindi a preparare il lavoro, e scrisse la lettere
dedicatoria, della quale possiedo l'autografo. Ci sembra bella
cosa il conservarne la memoria, publicandola-in queste pa-
gine.

Sanctissimo D.no N. Pio VII. Pontifici O. M.
Thomas :Roncallius Mon. Cassinas.

Quonam praecipue consilio, Sanetissime Pater, Sigismundi de Comi-
tibus Fulginatis libros editurus, qui usque ad hanc diem in Bibliothe-
cis Mss. delituerunt, et historias sui temporis ab anno 1475 ad annum
1512 complectuntur, eos tibi in Cathedra D. Petri ad universae Eecle-
siae bonum, et tutelam sedenti commendare voluerim, et tuis auspiciis
fultos prodire curaverim, non ignoras, et eximià eà, quá polles, beni-
gnitate probasti.

Hie enim ille est Sigismundus Fulginas, qui, cum in Aulá Ro-
manà integerrime vixerit, et quinque Summis Pontificibus e Secretis
summà fide servierit, ad Romanum Pontificem suo jure redit, petitque,
Sibi, quamvis mortuo, liceat Apostolicam Sedem tueri, et Romanos
Pontifices ab inimicorum hominum calumniis vindicare; cumque Flo-
rentinorum exposculationes, et Francisci Philelphi in Sixtum IV Ponti.
M. eriminationes, quibus virus acerbitatis suae evomuit, lucem adspexe-
rint, exorat, ne diutius oblivione premantur quas ipse unius verita-
tis amore ductus historias conscripsit, quibus huius Summi Pontificis,
aliorumque fama sarta tecta servatur. Nec tantum veritatis amor,

quae est Historiarum omnium fundamentum in hie Libris elucet, sed

et Religio, et Pietas, et Fides, et summa apud Apostolicam Sedem ob-

servantia, quae omnia ejusmodi sunt, ut hoc Opus Tibi, Beatissime

Pater, maxime acceptum fore pro certo habeam.

(1) FALOCI PULIGNANI M., Storia della deportazione dei Sacerdoti dello Stato
Pontificio in Corsica. Foligno, 1899, p. 16-19.

5

—— (muti dm 7 -

M ire tri o Fe e m i

,

n. ou. 160 M. FALOCI-PULIGNANI

Tibi, inquam, qui ad regimen totius Ecclesia divinitus assumptus,
miserrimis propé temporibus Petri naviculam undaquaque errorum, et
dissensionum fluctibus jactatam, et pene obrutam mirà felicitate Divini
Numinis instinctu, afflatu, et ope ad optatum portum perduxisti. Quod
unum omnibus Ecclesiae filiis in precibus, et votis erat, et a Te unice
sperabatur. Hine quae fuerit profecto Christiani orbis Terrarum exulta-
tio, quae publiea omnium ordinum laetitia, quae meliorum eventuum
expectatio, ubi innotuit Sanctitatem "Tuam in Petri sede constitutam,
non verbis enarrare, sed vix animo quisquam mortalium assequi po-
tuit. Hanc exultationem, laetitiam, expectationem, et certissimam spem
mirum in modum confirmasti, dum optimos selectos Viros doctrinà, et
moribus praeclaros a primo statim Pontificatus ingressu in laborum,
et sollicitudinum Tuarum societate adscivisti; illud enim Velleii dic-
tum Tuo obversabatur animo : magna megotia magnis adjutoribus
agere.

Alii alia de Te vere et meritó praedicabunt; ubi enim virtutum
omnium chorus residet, ac maxima rerum gestarum amplitudo menti
confestim occurrit, nulli unquam . . . . . praeconii materies.
Ego pacem Ecclesia redditam, et diri schismatis semina radicitus evulsa,
et exineta Tuis maximis laboribus, et curis, nunquam desinam su-
spicere, at admirari. Vere misericors, vere pius, qui illud D. Augu-
stini da Baptismo contra Donatistas lib. VI. Cap. XXII effatum in
corde, et prae oculis habeas : omnia bono Pacis, et Unitatis esse toleranda,
praescindendaeque unitatis nullam esse unquam justam necessitatem, ac
Depositum Fidei Tibi concreditum totis viribus custodisti, et Patris cha-
ritatem relaxando, quae salvá Fide, et moribus relaxari poterant, osten-
disti, vicem Te gerere, et vivam praeseferre imaginem illius summi,
et mitissimi Pastoris, qui ovieulam deperditam suis humeris ad ovile
reduxit.

Haec sunt, Sanctissime Pater, quae e loculentà, et fere immensá
'Tuarum' laudum segete seligere placuit. Nam ea sunt praesertim, quae
tuum Pontificatum non viventibus modo, sed omnium saeculorum po-
steritati charum, acceptum, venerabilem reddent, et ad coelum perenni
famà, et immortali glorià extollent.

Alio me vocant, quae recenter faustissime evenerunt, et veluti
rapiunt. Tu, Sanctissime Pater, durissimum exilium perpessus, Tu in
maxima pericula, et in extremum penè diserimen adductus, repente,
et subito e Gallià redux animo obversaris meo. Quae felix rerum mu-
tatio illieb subsecuta est! Vix acepto optatissimo nuncio revixit antiqua
fides, vel potius ejusmodi domestici, nativique sensos, quos aegre tam-

è
161

VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC.

diu compresserat temporum iniquitas liberius emanarunt, et Te omnium
populorum votis, Te fere totius Italiae humeris Romam reportatum
fuisse verissime praedicari potest. 7
Cum igitur tanta sit, et tam justa Orbis Christiani laetitia, et gratu-
latio, qui te Pastorum Ecclesiae universae Maximum, Optimumque di-

vinitus Sedi suae restitutum conspicit, et miratur, atque Omnipotenti Deo
qui facit mirabilia magna solus gratias agit, et ab eo in dies meliora
sperat, eum enixe precatur, ut quae misericorditer coepit in bonum
t Eeclesiae suae potenti virtute excelsi brachii sui perficiat et confir- |

met, nemo mihi culpae tribuat, nemo indignabitur, si eadem vota

"
LIAE ECC

i promam, et eádem laetitià et voluptate perfundar, eàdemque spe eri-
È

F gar. Licet enim minimus sum, tamen Ecclesiae filius, cuius si malis
i angor, et excrucior, bonis delector, et exulto videns, quam certum
sit illud Praedecessoris Tui affatum: Non minuitur persecutionibus Ec-
clesia, sed. augetur. S. Leo Ser. l. in Natali App. Petri, et Pauli.

1 Fruere igitur diu, Sanctissime Pater hisce, et majoribus Ecclesiae

inerementis, et Te eius gubernacula moderante omnes errantes rever-

lantur ad Dominum, intelligentes, utar verbis ejusdem S. Pontificis in
Octav. App. Petri et Pauli; mirabilia, quae in nobis dignatus est ope-
rari, et liberationem nostram, non sicut opinantur impii, stellarum effe-

ctibus, sed ineffabilis omnipotentis Dei misericordiae deputantes, qui corda

furentium barbarorum mitigare dignatus est.
At Sigismundum, ejusque libros immortalitati commendabit tan-
tummodo inscriptio Nominis Tui; ad cujus historias edendas hoc unum

———

me compulit, quod sic majorum amplissimi Tui, meique Ordinis lau-

We»

data instituta sequor, et honesta vestigia premo. Nam (ut abssit invi-

dia verbo, textu utor alieno) quicquid est (ait Gravenson Histor. Eccles.
T. II, pag. 76) apud antiquos eruditum, ac scitu dignum, quicquid apud
Patres pium, et sapientia plenum, quicquid in Conciliis sanctum, quic-
quid in Libris sacris divinum est, totum id per Monachorum Benedi-
chinorum manus ad haec usque tempora pervenerunt. Haec sunt huius
sancti, ac antiquissimi Ordinis laudes, haec vera decora, quibus si ad-
dantur Pontifices complures tum Santitate, cum omnium Scientiarum

AIRES

luminibus conspicui ex hoc ordine assumpti, qui in maximis Ecclesiae

Rein

periculis, et perturbatis Orbis motibus impendentes procellas, et ex-
: citatas turbulentissimas tempestates providis consiliis depulerunt, quid
amplius diei potest, ut suffundantur pudore homines vel crudeliter

ingrati, vel boneficiorum immemores, qui Monachis obtreetant ?

Neque dubitandum est, quin Divinà providentià contigerit, ut
Tu ex Monachorum Benedictinorum Ordine ad regendam Ecclesiam

Christi nune maxime eveharis, cum fallaces, et iniquae opiniones ho- SF
162 M. FALOCI PULIGNANI

minum in Monachos debaccharentur tamque Ecclesiae, et ipsi civili
Societati, si non noxios, certe quidem inutiles. Voluit Deus, ut per
Te Monachum ad summum, et difficillimum munus sublatum pristina
exempla intermortua, et oblivioni tradita renovarentur, Ecclesia con-
sisteret, Religio confirmaretur, et humanae Societatis vincula, quae
penitus dissolvebantur, novum robur, et majorem quamdam solidita-
tem acciperent, et ita os iniquorum obstrueretur.

Accipe igitur, Sanctissime Pater, laeto vultu, et benigno animo mu-
nusculum, quod Tibi antequam eapereris, obtuleram, et me, meaque
studia, quibus Ecclesiae, et societati comodo, quo tenues ingenii mei
vires sinunt prodesse conor . . tu favore prosequere . . . . eri
potest, ut ad Vetustiora Chronica, quae edidi, alia, quae paraveram
et temporum iniquitate, atque injuriis intermisi, accedant quae nostra
tempora attingunt et Tui Pontificatus laudes compleetantur. Dum autem
Tuum Paesidium, validumque Patrocinium humillime imploro, et ad
Tuos provolutus Pedes Apostolicam Benedictionem toto animi affectu
peto, a Deo O. M. ardentissimis votis, et enixis precibus diuturnam in

terris, aeternam in Coelis Sanctitati Tuae felieitatem adprecor.

Malgrado tante buone disposizioni, anche questa volta il

lavoro falli, essendo morto il Roncalli nel 1818 (1), e come

liniziativa del Passionei nel 1731, quella del Mansi del 1740
circa, quella dell’Accademia Fulginia del 1774, anche questa
del Roncalli nel 1817 non fu che uno sterile tentativo. E fu
male, poiché il Roncalli, che con i poderosi volumi delle Ve-
tustiora Chronica avea mostrato il valore del suo ingegno e
della sua volontà, non avrebbe lasciata sospesa la cosa, e se

la morte non lo avesse colto nel piü bello, avrebbe dato in

luce con gli scritti del suo concittadino, la biografia del Men-
sozzi. Questo onore non toccò ad un Folignate, imperocche
verso il 1840 ripresa in esame la cosa, al Marchese Mel-
chiorri di Recanati riuscì di iniziare praticamente un im-
presa, sulla quale da oltre un secolo pesava quasi una fata-
lità. Naturalmente il Melchiorri dovè far capo ai lavori pre-
paratorii fatti.in Foligno, onde rivoltosi per aiuto al Conte

(1) Manca tuttora una di lui necrologia.
COESCUEL

UTPHEDMÁ3OTY

VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC. 163

Orfini, e chiedendo i manoscritti di Sigismondo, e la biogra-

fia del Mengozzi, ne ebbe la risposta seguente:

Sig. Marchese Gent.

Le rimetto il tanto desiderato Ms. della Vita del nostro De-Comi-

"tibus che per gli estremi che lo accompagnano può ritenersi per quello

del Mengozzi, di cui egli stesso parla nella Dissertazione a stampa sulla
zecca e Moneta di Fuligno e favorito dalla gentilezza della sig. Teresa
Dini Ved. Piermarini che ne ha fatto redigere l’ acclusa Copia; la
quale è stata da me collezzionata per cortesia dei s.ri Dott.ri Bra-
gazzi e Sgariglia che nell’ assenza della prelodata Signora ne erano
stati dalla med. facoltizzati. Potrà pertanto esaminare il d. lavoro Men-
gozzi che essendo stato eseguito dal med. per l'Accademia Fulginea,
di cui allora era Principe l'Abb. Niccolini, e la quale si proponeva ren-
dere di pubblica ragione la Storia dell'illustre Concittadino, potrà sem-
brarle meritevole di qualche schiarimento o Nota, massime in ordine
alle susseguenti vicende della famosa Tavola della Madonna di Fuligno,
la eui incisione a contorno sarebbe, a mio credere, di complemento
alla bella edizione che la Republica letteraria riconoscerà delle pa-
zienti, lunghe sue indagini e non comune erudizione e dottrina. Ho
fatto assicurare la sig. Piermarini, a suo nome, che darà cenno della
gentile partecipazione dalla Med. del Ms.

Nella compiacenza di avere potuto corrispondere ai suoi desideri,
con sensi di distintissima stima e pari servitù mi onoro esserle

Foligno 21 Ag. N. 46.
Dev.mo Servitore
ALLESSANDRO ORFINI.

Sig. Mar.se Giuseppe Cav. Melchiorri
Pres. al Museo Capitolino
Roma

Il Melchiorri stampò la prima parte dell’opera, la quale
comparve in un bel volume in 8, colla data. tipografica

- Roma, tipografia Camerale, 1853, ma non fu mai messa in com-
‘ mercio. La seconda parte fu pubblicata dal Racioppi in un

volume eguale al primo, che ha la data Firenze, tipografia
Barbèra 1888, ma in nessuno dei due volumi comparve la
164 | (M. FALOCI-PULIGNANI

biografia del Mengozzi. La causa deve trovarsi probabilmente
in un criterio di ordine poco elevato, scelto dal Melchiorri,
e poscia continuato dal Racioppi, nello stampare quei volumi.
Gli scritti di Sigismondo, dettati in un latino classico, subi-
rono l’onta di esser pubblicati colla versione italiana a fronte,
quasi che non fossero dettati per i dotti. Potevasi quindi ac-
cettare una prefazione latina, dal momento che gli editori ri-
tennero incapaci i lettori di conoscere la lingua di Cicerone?
Certo, il Mengozzi non disse di Sigismondo tutto quello che
potea dirsi, ma ne disse tanto quanto occorreva per cono-
scerlo sufficientemente, e per giunta lo disse così bene, che
non doveva essere lasciato da parte. Gli accademici di Fo-
ligno, che avrebbero sicuramente stampato quelle storie
senza l inutile e non decorosa versione, videro invece che
era dignitosa e armonica con tutto il resto una biografia pro-
emiale scritta nella lingua stessa di Sigismondo. Latine le
istorie, latina dovea esser la vita, latina la dedica, cosa que-
sta che avea anche conosciuto lo stesso Padre Roncalli, il
quale avea scritta in latino la dedica sua.

La stampa della biografia di Sigismondo, che oggi vede
la luce, è una riparazione doverosa alla noncuranza che la
tenne inedita finora. Si pensi, nel giudicarla, che quando fu
scritta, non esistevano Archivi di Stato nè Periodici di Storia
Patria, che le biblioteche erano assai scarse, difficili i viaggi,
sicchè il Mengozzi scrisse privo di moltissime comodità che
abbiamo noi. E nondimeno, anche per la elegante latinità
che adoperò, mise in così bella vista la persona del De Co-
mitibus, che il suo Commentarium, come egli lo chiamò, sarà
letto con vero piacere da chi al culto della storia unisce
l’amore alle belle lettere.

Il Mengozzi illustrò la sua patria adottiva anche con
altre utili produzioni. Egli fu l’autore della assai erudita
dissertazione archeologica sulla città di Plestia (1), egli col

(1) Dè Plestini Umbri, del loro Lago, ecc. In Foligno, 1781. Fu poi ristampato
del CoLucci, Antichità picene. Fermo, 1781, vol. XI.

cil

ce

Enne

È
K
ím
i

TUTROVUNPOTLOWERITIEPCAS T cnn e RN
Th UIS AE TAN FETI NN

éviter mr LI

VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC. 165

marchese Barnabò illustrò degnamente la Zecca e le monete

di Foligno (1), egli radunò buone notizie sopra una pittura
di Raffaello che si trovava allora in questa città, ma a pochi
era nota (2), e con altri studi, e con dissertazioni, e coll'in-
segnamento assiduo delle lettere latine nel Seminario, acqui-
stò stima e fama assai. Non già che il dente dell’ invidia non

lo mordesse, onde un anonimo, che si nascose sotto i nomi-

gnoli di F%latete e di Filopatride lo attaccò con una di quelle
satire ingiuste e violente, colle quali chi non fa suole ag-
gredire chi fa (3). Ma i più e i meglio ebbero di lui alto con-
cetto, e a lui, che colla voce e collo scritto avea tanto coo-
perato per diffondere in Foligno la cultura storica, letteraria
ed artistica, il Magistrato, a nome della città, conferì la cit-
tadinanza onoraria col seguente lusinghiero diploma:

Confalonerius, et Priores Illmae Civitatis Fulginiae

Praestantissimo Viro Abbati Joanni Mengozzio Sammarinensi in Semi-
nario Fulginate Eloquentiae Professori eximio Salutem

Est profecto, Vir praestantissime, cur Nobis magnopere gratulemur,
quod cum superioribus annis Te inscium, ac nihil tale cogitantem, per-
multae Urbes, ac praesertim Assisinates ad se advocassent, proposi-

- tisque novis emolumentis, atque honoribus allicere, et quodammodo

impellere studuissent; Ipse tamen omnium Ordinum, ac praecipue Se-
natus nostri vota precesque humanissime excipiens, Fulginatem con-

ditionem deserendam minime duxeris. Quid enim Nobis utilius, quid

gloriosius, quam apud Nos Virum omni Doctrinae genere excultum
versari, ab aliis Urbibus summo studio expetitum? Ex cujus optima
disciplina, ac docenti ratione, qua merito ubique praedicaris, tot aeque

(1) Dissertazione epistolare sulla zecca e sulle monete di Foligno. Bologna,
1775. Vedi meglio questa Dissertasione riprodotta in ZANETTI, Nuova raccolta delle
monete d* Italia. Bologna, 1779, vol. II.

(2) Sta nell'Antologia. Roma, 1777, vol. III, p. 321-325, ed ha il titolo Lettera ad

un amatore delle Belle Arti in Roma.

(3) Lettera di Filatete ad Areteo con le Osservazioni di Filopatride alU Epistole

'. de Diis Topicis Fulginatium del Sig. Iacopo N. Lucca, 1763. La censura ebbe occa-

sione da alcune lodi fatte al Mengozzi dal Bianconi nella Epistola, De Diis Topicis

-Fulginatium. Foligno, 1701.

19

==

e

iv


renza -—

TITEL
pix

A

yi

KENT

E.
A

166 M. FALOCI-PULIGNANI

Nostri, ae Exteri Adolescentes uberrimos quotidie fructus retulerunt.
Toties autem elegantissimi ingenii tui vel privatis, vel publicis Acroa-
Sibus, specimen dedisti, ut jure Te omnes laudibus efferant, studiis
prosequantur, ac sincera demum benevolentia complectantur. Edita
vero a Te nuper eruditissima Dissertatione; qua non modo antiqua
nostra Monetalis Officina, ejusque Nummi, verum etiam vetusta, nobi-
lissimaque nostrae Urbis monumenta egregie illustrantur (quae omnia
in tenebris fortasse jacerent, nisi eximiae doctrinae tuae lumen acces-
sisset) adeo omnium animos Tibi devinxisti, ut cum nulla alia ratione
Senatus noster immortalibus Tuis in se, Urbemque universam meritis
respondere posset, antiquorum Romanorum exempla sequutus, qui re-
rum suarum Scriptoribus saepe Civitatem impertiebantur, in Generali
Concilio externa die de more habito, incredibili omnium plausu, cun-
etisque suffragiis, Te honesto loco natum, moribus suavissimis prae-
ditum, atque Familiam Tuam Civitatem donaverit, Teque, Tuosque in
Civium Fulginatium numerum ultro, libentissimeque retulerit. Iis itaque
immunitatibus, iisque honoribus, quibus caeteri Cives nostri utuntur,
Te, atque Tuos uti, ac frui posse fas esto. Accipe igitur ea, qua praestas
humanitate, Vir doctissime, hoc nostri grati animi monumentum, Ti-
bique suade perpetuam Tui nominis Tuorumque beneficiorum memoriam
apud Nos futuram. Ut vero hoc Senatus Consultum, quantum in Nobis
situm est, omnibus innotescat, ac aeternae Posterorum memoriae com-
mendetur, has Patentales Literas majori nostre Civitatis Sigillo mu-
nitas per Secretarium Nostrum dari mandavimus. Fulginiae ex Priorali
Palatio XV. Kalend. Octobris 1775.
Loco t Sigilli
Regist. a c. 175. N. 88.

FRnANOCISCUS-LEMMIUS Seer. Prioralis.

hesta da ultimo un cenno sulla sorte del manoscritto
del Mengozzi, e sul modo col quale lo abbiamo stampato.

La lettera del conte Orfini, 21 Agosto 1846, dice che
l'originale stava presso la signora Teresa Dini Piermarini,
colta e pia Signora, alla quale deve molto Foligno. Dall ori-
ginale lo trascrissero il dottor Bragazzi, del quale parleremo
appresso, e il sig. Sgariglia, che deve certamente essere quel
benemerito sig. Innocenzo Sgariglia di Foligno, assai amante
del paese suo, morto in Perugia l' 11 febbraio 1892. In questi
ultimi tempi l'originale trovavasi presso il conte Serafino

esordi darti i
VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC. 167

Frenfanelli, che gentilmente mi permise di esaminarlo a mio
agio (1), ed una copia assai bella stava nella Biblioteca Ia-
cobilli del Seminario di Foligno.

Il Bragazzi suddetto, istorico di Foligno, continuando le
tradizioni letterarie degli Accademici Fulginei, non solo pre-

parò una buona notizia biografica di Sigismondo, della quale '

ha sotto gli occhi il primo abbozzo (2), ma, chiamati attorno
a sé dei volonterosi, propose ad essi di stampare il Commoen-
tarium del Mengozzi. Ricordo bene che negli anni della mia
gioventù, in una sala della Biblioteca Dini Piermarini, oggi
sperduta, nel Palazzo Roncalli ove ha sede la Cassa di Ri-
sparmio, si radunavano ad onesta conversazione letteraria
col Bragazzi suddetto l'avv. Cherubino Bartoli, già Gover-
natore Pontificio (2), il Canonico D. Bernardino Palestini,
eruditissimo (4), il Canonico D. Francesco Spezi (5), il Ret-
tore del Seminario D. Gaetano Mancini (6), ed altri, i quali
deliberarono, fra le altre cose, di mettere a stampa il mano-
scritto del Mengozzi. Il Canonico Spezi lo esaminò teologica-
mente, non trovando in esso, malgrado la sua nota ed esem-
plare ortodossia, che degli appunti insignificanti: il Rettore
del Seminario, colla sua competenza letteraria, fece ad esso
lievissimi ritocchi di poche parole, e trascrittolo in buona
forma, si era disposti a pubblicarlo per le stampe. Ma le pe-
ripezie che accompagnarono la pubblicazione delle opere di

- (1) Archivio storico per le Marche e per Umbria, vol. I. Foligno, p. 643.

(2) Il Bragazzi, publicando nel 1858-59 il suo Compendio della Storia di Foli-
gno, nella copertina annunzia questo opuscolo così: Gentile da Foligno, Federico
Frezzi e Sigismondo de Comitibus, loro secolo, opere.

(3) Morì il 3 luglio 1896. Vedi sue notizie nella Gazzetta di Foligno, 4 e 11 lu-
glio di quell’anno.

(4) Morì il 13 gennaio 1887. Vedi la sua necrologia nella Gazzetta di Foligno
del 14 gennaio 1887. Possiedo i suoi numerosi manoscritti teologici, biblici, lette-
rarii, ecc.

(5) Morì il 24 settembre 1891. Vedi l'elenco dei suoi scritti e la sua necrologia
nella Gazzetta di Foligno del 28 settembre di quell’anno.

(6) Morì il 9 maggio 1896. Vedi un cenno della sua vita nella indicata G«s-
setta. Anche di lui possiedo i manoscritti e l'elenco delle publicazioni messe à
stampa.

d
ba di "en

v —ÀÁÀ€$
I rasta tele

ME
168 M. FALOCI-PULIGNANI

Sieismondo, accompagnarano anche la pubblicazione della
o ? :

sua biografia. Morti quei valentuomini, e spezzata con essi
quella società che univa spiritualmente nei migliori cittadini al

«culto della storia e delle lettere il culto ossequente delle tra-
dizioni religiose, non si parlò più nè di Sigismondo nè del

Mengozzi, e l'operetta di questi forse rimarrebbe ancora
inedita, se non mi fosse capitato in mano l'apografo del Man-

ini, sul quale è condotta la stampa presente.

La quale io molto lietamente divulgo, sia perchè mi ri-
porta col pensiero all’ epoca aurea di Sigismondo e dei suoi
‘contemporanei, sia perchè mi ricorda quel modesto ma non
inglorioso focolare di cultura che era l'Accademia Fulginea (1)
‘sia specialmente perchè mi ha dato occasione di fare il nome
di quei onorandi cittadini, che ho testè nominato, il consor-

Zio dei quali stimolò e disciplinò l'animo mio agli studi se-

veri della storia.
D. MicHELE FALOCI-PULIGNANI.

(1) Questa Accademia, fu fondata nel 1760 ed ebbe vita non lunga, ma onorata.
Wedi le Leggi dell’Accademia Fulginia. Foligno, 1760. BRAGAZZI, Op. cit., p. 127-130.
Essa si chiamò così da una celebre iscrizione romana dedicata alla Dea Fulginia,
la quale avea dato occasione ad alcune Rime anacreontiche di Benedetto Pisani
Patrizio Veneto Accademico Rinvigorito. Venezia, 1723, intitolate Iulginia.

———
È
È
È
È
[

È
È
|

k

È

VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC.

COMMENTARIVS IN VITAM

CL. VIRI SIGISMVNDI DE COMITIBVS

Famiglia di
Sigismondo.

FVLGINATIS

Equidem beatos puto, quibus Deorum munere
datum est aut facere scribenda, aut scri-
bere legenda; beatissimos vero, quibus.
utrumque.

C. PLIN. II Epist. 16. Ad Tacitum, Lib. VI.

I. — Sigismundus de Comitibus natus est Fulginiae
Anno Rep. Salutis 1432. Patre Astorello Antignani et
Coccorronii Comite (Matris adhuc genus et nomen la-
tent) loco nobili et inter suos ferme principe (1). Hu-
jus enim familia ab antiquis usque temporibus a po-
tenti Trinciorum gente profecta (2), quorum olim impe-
rio Fulginia, Nuceria et complura Umbriae vetustissima
Oppida suberant, adeo semper opibus et gloria flo-
ruit, ut summum quasi, Trinciis sublatis, et gratiae
et dignitatis gradum florentissimo in Municipio obtinue-
rit. Longum autem persequi singulos, qui vel bellica
virtute praestantes, ab Imperatoribus, quorum suscepe-
rant partes, gravioribus rebus praepositi sunt (3), vel
qui morum elegantia, ac doctrina popolis et Pontificibus

gratiosi Ecclesiasticis titulis praefulserunt (4). Quum vero

(1) DURANTES Donius, Hist. Gentis Trinciae, Lib. 3, p. 128.

(2) Idem, Lib. 3, p. 101 et seg.

(3) Plures ex hac Familia strenui viri ab Historicis recensentur ; prae coeteris
vero Monaldus Militum Praefectus pro Federico I. Caesare, Raynaldus ejus frater
Ghibellinorum in Umbria dux, Prothonotarius Camerae ejusdem Federici ac structor
epularum Enrici VI et Napoleo Raynàldi filius Octonis IV. tribunus Militum (Dun.
Don. Lib. 3. Lupovicus IAconBiLLIUS, Bibliothec. Umbriae, p. 252).

(4) Sex Antistites ex Comitia Domo prodiisse, tres scilicet Nucerinae Ecclesiae
Praepositos, quartum Amerinae, quintum Fulginati, extremum denique Interamnesi,
testantur Dun. Dom. Lib. 3. LUD. IACOBILL. Biblioth. Umbriae p. 252. FERD. UGHELL.

Ital. Sacr. de Epis. Nuceriae, 1. p.? n. 19 et 27, de Epis. Fulginii n. 27.

ioni

s

peer eranmeremei o. =
- —— =
n anni

E

ir up ste -9— -E ci

"


170

Penuria di
sue notizie.

_M. FALOCI PULIGNANI

generis claritas, Maiorumque honos ex eo juris genere,
quod Feudum appellant, uberius hauriatur, non est, cur
hujus Familiae dignitas in dubium revocetur, quum
perspicuum cuivis esse possit, hanc ab Imperatore Fe-
derico I, praeter Antignanum et Coccorronium, Civitel-
lae, Ciriani Sanetae Mariae in Laurentio, Fossiani, Gal-
liolis et Turricellae Comitatibus cum in Spoletano, tum
in Tudertino Agro auctam fuisse ac condecoratam (1).
Ex quo faetum est, ut ipsi de Comitibus nomen inditum
esset.

II. — Ex hac praeclarissima Familia, cui tantum
rebus tum domi, cum militiae gestis gloriae accessit, cele-
berrimus prodiit Sigismundus vulgo dietus Fulginas cujus
faeta et vitam in adspeetum lucemque proferre institui-
mus. Invito autem animo hane nobis arduam provinciam
suscipimus; quo enim magis tanti viri dignitas atque am-
plitudo et scriptorum auetoritate et iis honorum gradibus,
ad quos vectus est, etiis tandem literarum monumentis
elucet, quae ad praeclaram eloquentiae formam elabo-
rata, quoad Saeculi ratio ferebat ejus testantur doctri-
nam; eo temporum injuria neseio an hominum ignavia
factum, ut iis careamus testimoniis, quae integrum no-
bis ejusdem vitae curriculum subiiciant: ut cum multa
ex ejus faetis nos fugiant, tum aliqua praeterea in am-
biguo sint relinquenda. Verum quoquo res modo sit fu-
tura, id saltem consequar ut Academicis Collegis, quan-
tum in me situm est, gratus videar et illius potissimum
memoriae, qui eum in vivis degeret et principem inter
nos locum merito teneret, auctor mihi ad hoc gravissi-
mus extitit, et qui ea, quae nostrae erant Academiae

summo studio semper fovit atque curavit (2).

(1) Lun. TACOBILL., Biblioth, Umbr., p. 252.

(2 Abbas Antonius Nicolinius ex Marchionibus Pontis Sacci et Castri Camu-
liani in Etruria, Academiae olim Princeps, in quem .percommode cadit Plinianum
illud de Titinio Capitone ad Minicianum — Vir optimus et inter praecipua Saeouti
ornamenta numerandus : colit studia, studiosos amat, fovet, provehit, multorum,
qui aliqua componunt, portus, sinus, praemium, omnium eremplum., C. PLIN. Ep.

ad Minician, lib. 8.

TTT RIETI POTEVA

VERRA RIE ENTRA
WES

RE

ATA

m

NIV Gne ntn

rome

ARN em t

PERSIANI ZIA

Nascita di Si-
gismondo.

Suoi primi
studi.

Va a Roma.

VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC. 171

III. — Ortus est-igitur Sigismundus, ut ad rem re-
deamus, A. rep. Salutis 1432 septennio antequam per
celeberrimum Cardinalem Ioannem Vitelleseum Euge-

nii IV de latere legatum Fulginio caeterisque, quibus

antea, potiebatur in Umbria locis, Corradus Trincius de-
pelleretur. Domus in qua natus est Sigismundus sita
est in Societate Spavaliorum (1) prope forum Divi Do-
minici, et ea ipsa empta postea a Sebastiano Spinola
Savonensi, in dominium tandem concessit Nobilis Fa-
miliae de Gentilibus, quae eam adhue inhabitat, quae-
que universas Spinolae fortunas haud sane exiguas con-
secuta est haereditario jure Flaminiae unicae Sebastiani
Liberae, quae Ioanni Baptistae Gentilio nupsit. Nune
etiam marmori incisum gentilitium Sigismundi Stemma
in Cisterna ejusdem domus apparet, quod in campo ru-
bro aureum Leonem praesefert stantem pede uno et
gladium vagina vacuum arripere gestientem.

IV. — Quo die, quove mense lucem Vir tantus ad-
spexerit, adhuc incompertum est nobis. Annum tan-
tummodo ex eorum, quos vixit, ratione deprehendimus.
Nactus ingenium, quo nihil etiam in abstrusioribus di-
sciplinis abditum atque arduum quod non facile pervi-
cerit, prima studiorum elementa domi posuit ut ferme
fit;, quumque ad naturam eximiam etiam disciplina ac-
cessisset, tantum profecit, ut et parentes et Patriam in
spem erexerit maximam.

V. — Ut vero ex pueris primum excessit atque ab
iis artibus quibus puerilis aetas ad humanitatem infor-
mari solet, Astorello Patre curante Romam contendit,
ut in celeberrimo illo literarum domicilio politioribus
disciplinis animum excoleret et doctissimos illius aetatis
Viros docentes audiret, qui sicubi fortasse erant ad Ur-

bem plerumque confluebant (2). Quum enim Historia-

(1 Aucta anno 1291, novis moenibus Fulginia, Urbs tota in septem supra de-
cem divisa est Societates, quibus singulis suum ad tributum est nomen. Lup. Iaco-
BILL. Cod. M. S. de Memorabilib. Fulgin, p. 256.

(2) « Nicolao V. Pontificatum tenente pulcherrimae omnes disciplinae majorem

assumpsisse vim atque existimationem videntur... ad quam doctrinae et eloquen-

á
— C —— gir

——— ——————Á— Suoi maestri.

M. FALOCI PULIGNANI

rum suarum Lib. III ipse Andream Vallensem et Lae-
lium Santacrucium utrumque Advocatum, ut vocant,
Consistorialem, utrumque eloquentiae studiosum sua
memoria floruisse commemoret, quos longe antea e vi-
vis decessisse videtur innuere (1), hine adducor, ut cre-
dam adolescentem adhuc Romam se recepisse. Huc
etiam accedit Alexandri ab Alexandro Iurisperiti Nea-
politani testimonium, qui Lib. VI. Genial. dier. Cap. I
sibi cum Sigismundo Fulginate Viro docto et multarum
rerum cognitione claro veterem a prima adolescentia con-
suetudinem fuisse testatur. Quid porro verisimilius quam
quod vetus haec amicitia. Romae intercesserit ubi doc-
tissimus Iurisconsultus humanioribus disciplinis jam tum
a puero operam navavit?

VI. — Qui vero potissimum delecti fuerint ut faces
Sigismundi virtuti praeferrent, quum ex ejus scriptis
erui nequeat, nec ab aliis memoriae proditum sit, af-
firmare non ausim. Facili vero negotio conjieimus doctis
eum in primis usum fuisse viris, quum Graecis Lati-
nisque Literis apprime instructus et omni scientiarum
laude clarus praedicetur. Quamquam si quod conjectura
assequor, in medium proferre licet, quum tunc temporis.
Romae florerent immortalis nominis Viri, Georgius Tra-
pezuntius, Ioannes Platina, Iovianus Pontanus, Theo-
dorus Gaza, Hermolaus Barbarus, Paullus Cortesius,
Raphael Valaterranus aliique plurimi, non abs re du-
xerim ut istorum aliquos legentes audiverit, alios quae-
stionibus propositis, ut inter doctos in more positum
est, exercuerit; et id potissimum caussa fuerit, cur

inter se totius vitae amicitia et officiis conjungerentur.

tiae fama praestantes certatim homines aut sponte aut ab eo invitati confluxerant ».
PHILIPPUS BoNAMICIUS de CI. Pontif. Epistol. scrip., p. 88; 89. Vide etiam Nicolai V vi-
tam ab eruditissimo Praesule Dominico Georgio conscriptam.

(1) Licet a Carolo Cartario in Syllabo Advocator. Consist. Andreae obitus ad
annum 1471 protrahatur; aliter tamen sentiet qui Sigismundi locum consulet; est
enim sermo de jurgio quod inter Andreae et Laelil posteros anno 1471 excitatum est,
quum Sixtus IV renunciatus est Pontifex; Non enim dixisset Sigismundus — In ets
(nempe familiis) mea memoria eminebant Andreas et Laelius — si eodem anno eo-

rnm alter vita functus esset.

V SEA De SIT A

TUVUMUTUTYUSURUPUE tre? ima

reno
IINNSUUenrs-

ERPUE Are t? pmi SEAT OR ISTIS

————

VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC. 118

Hoc saltem conjicere detur, dum certi nihil aliunde sup-
petit. His igitur ducibus totum se literis obruit totumque
ad veterum Auctorum scripta se contulit, ut uberrima .
sibi eloquentiae caeterarumque disciplinarum praesidia
compararet. Cujus rei argumento vel maximo nobis sunt
ejus opera, in quibus ea veterum imitatio passim elucet,
ut quae vel in ipsis Historicis, vel Oratoribus, vel Poetis
melioris notae summa sunt exhausisse videatur.
. Matrimonio VII. — E vivis anno 1472 sublatus est Sigismundi
di Sigismondo. :
Frater natu major Monaldus (1); ex quo factum est,
ut quam ipse ab initio vivendi rationem instituerat, im-
mutaverit et hortantibus amicis atque propinquis (2)
animum ad nuptias converterit. Moleste porro hi fere-
bant familiam ad unum Sigismundum redactam penitus
interire: Baptista namque et Gentiles Sigismundi Patrui,
vel non amplius vivebant, vel non ii certe erant ut
genus per ipsos propagaretur. Sigismundus itaque ut
suam ab interitu familiam vindicaret, lectissimam no-
bilissimamque foeminam Allegritiam de Actis sibi ma-
trimonio sociavit, cujus domus etiam a Trincia gente
derivata (3), et splendore generis et divitiarum copia
inter Fulginatium praecipuas jure habebatur (4). Tres
ex hoc conjugio quod sciam suscepit filios, Ioannem
Franciscum scilicet, qui acceptam a Patre gloriam su-
stinuit virtute atque industria sua. Fuit enim illi in
munere scribendi epistolas Pontificias successor (5). Pra-

xillam, quae primum Marchioni Elmio Patritio Fulginati,

(1) Errat vehementer Donius, qui Lib. 3, p. 127 ejus obitum anno 1460 con-
stituit; ex publicis enim tabulis eum 1472 naturae concessisse manifeste deprehen-
dimus.

(2) DUR. Dor., Lib. 3, pag. 124.

(3) Idem. Lib. 19. Lupovicus IAcOBILL. in Annatlib. Uimbr. M. SS. ad annum 773.

(4 Actia Gens apud Fulginates in primis nobilis fuit fortibus ae sapientibus
Viris foeta semper, in quibus non defuere tum Sanctimonia Vitae, tum insigni doc-
trina viri praestantes. FERD. UGHELL., Ital. Sacr. de Epis. Fulgin., tomo I, p. 738, n. 20.

(5) Hoc Donius, Lib. 3, et IACOBILL., Biblioth. Umbr., testantur; hoc et plenius
et a publicis Fulginatium tabulis eruitur, quibus' Magnificus D. Ioannes Franciscus
ex Comitibus Nobilis primarius Fulginas Secretarius Scriptorque Apostolicus dignis-
simus appellatur: quod fortasse praeteriit Cl. Bonamicium.
Suoi uffici in
patria.

M. FALOCI PULIGNANI

eoque defuncto Comiti Caesari Bentivolio Eugubino nu-
psit; et Ceciliam, quam Sigismundus Pater nobilissimo
Viro Troilo Boncompagno connubio junxit quaeque paulo
post vita cessit (1). Paucis igitur post Monaldi Obitum
interjectis annis, Uxorem sibi Sigismundus adscivit. Vix
enim adducor ut credam tamdiu post Monaldi interitum
Sigismundum a nuptiis abhorruisse, ut quod Iuvenis
spreverat senex et capulo proximus amplecteretur; quum
nempe quos ei virtus et fortuna amplissimos honoris
gradus spoponderat conjugium auferre potuisset: Quidem
(inquit Casimirius et post illum Bonamicius) Cardénalis
futurus omnino nisi conjugium impedimento homini fuis-
set. (2).

VIII. — Quandiu apud suos versatus est, saepe
suprema Civitatis munera obivit; nam plurius renun-
ciatus est ut ajunt, Confalonerius (3), qui summus apud
Fulginates Magistratus habetur et non semel Orator ad
Viros Principes deputatus a suis (4). Vir itaque apud
Municipes in primis gratiosus ac nobilis quum multa et
maxima excellentis ingenii et prudentiae documenta quo-
tidie daret, adeo omnes in sui venerationem traducit,
ut ad eum rerum summam deferre numquam dubitent (5);
nihilque earum rerum, quae ad Viros praeclaros hone-
standos adhiberi solent, in eo praetermittatur. Non diu
tamen nec ante neque post conjugium in Patria stetit.
Ipse enim Lib. X. Historiarum suarum duodecim ante
insudasse annos fatetur in dictandis seribendisque Pon-

tificiis Litteris, quam a Sixto IV Pont. M. inter Apo-

(1) Filiam quoque Plautillam nomine Durantes Dorius Sigismundo adscribit,
quam Petro Gabriellio Fanensi primum mox Comiti Caesari Bentivolio Eugubino
nuptam asserit. Verum quum apud Nobiles Gabriellios nullum de hac monumentum
et neptem hoc nomine Sigismundo ex Ioanne Francisco Filio fuisse comperiam, quae
primum Marchioni Elmio Patritio Fulginati, comiti deinde Bentivolio nupsit; hinc
Dorium faclle in errorem inductum opinor.

(2). CASIMIRIUS, Mist. Aracoelitani Coenob, p. 143 et seq. PHILIPP. BONAMIC. de
Cl. Pontif. Epist. Scrip., p. 216 et seq.

(3) Annis seilicet 1483, 1486, 1494, 1495 ut ex publicis tabulis.

(4) Dun. Don., Lib. 3, p. 128.

(5 Pridie Kal. Septem 1464.

TESTE sepas Mrs

amen
EROTICI TE TARRA CIRIE TI?

È nominato
scrittore Apo-
stolico.

(1) PETRUs BEMBUS in Dialogo de Guido Ubaldo et de Elisabetha Gonzagia Ur-
bini Ducibus. Venet. edit. per Franciscum Hertihauser, 1729.

(2) Ut per Sixti Chirographum, quod infra dabitur.

(3 Quum Innocentius VIII Collegium Seriptorum horum UGDiGE angustias Ae-
rarii bello exhausti venale habere instituisset ; ampliavit illud quidem ut essent vi-
ginti quatuor (quum autem triginta adnumeret Sigismundus noster hic ideo errorem
latere crediderim) multisque et commodis et ornamentis locupletavit; at visus est
doctrinae quodammodo aditum illum obstruere quem pecuniae aperuerat. PHILIP.
BowaMIG., De Cl. Pont. Epist. Scrip., p. 201, 202.

batur ei Pontificii Seribae munus vix Urbem ingresso
demandatum, licet summa omnia de eo fama praedi-
caret. Duceta igitur Uxore rebusque domi bene consti-
tutis Romam reversus est Sigismundus. Huic enim jam-
pridem, ut mitissimo erat ingenio et omnia scribendi
genera noverat, quum ex veterum lectione Orationis
genus arripuisset perspicuum et grave, et quod magis
ejus, qui scriberet, eorumque, ad quos literae dabantur
esset conditioni accomodatum (1), facile aditus ad Aulam
et Principem patuerat, qui gravissimorum virorum te-
stimonio, virtutum, quibus hic omnino pollebat certior
factus, eum sibi ab epistolis constituit. Quot vero annos
Paullo Pontifici hoc in munere operam impenderit suam
obscurum est, quum ex ejus scriptis erui non possit quo
tempore a Sixto ad insignem Apostolici Scriptoris gra-
dum fuerit evectus. Id unum nobis perspicuum sit in
ea luce orbis terrarum,
adeo studium et diligentiam suam sapientissimo probasse
Pontifici, ut hoc etiam nomine fuerit a Sixto landibus
ac beneficiis auctus (2).

IX. — Apostolicorum Seriptorum Collegium, ut Si-

gismundi verbis utar,

esset ab Innocentio VIII;
haberi coepit (3), industriae, fidei et eloquentiae tantum
dabatur. Quum enim in hoe adscitus est Sigismundus,
eo jam potiebantur Gaspar Blondus et Andreas Trape-
zuntius Patribus suis clarissimis et doctissimis Viris,
quorum loeum suffecti fuerant,

laterranus Vir doctus et prudens, Ioannes Petrus Arri-

VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC

stolicos cooptaretur Scriptores. Nec mihi quidem pro-

gentium sede

quo sane tempore venale

, lacobus Vo-

————-— —Arstevnb-9———-

Pa

-

“n 4 ^ è
er. Mero t ee A
Accompagna
in Francia il
cardinale della
Rovere.

(
(3) Iulius II.
(

vabenus magno ingenio et consilio, stylo praeterea eru

M.

FALOCI PULIGNANI

dito et gravi, et Ioannes Laurentius Venetus Graecis
Latinisque literis instructus (1). Cui igitur par in Sigi-
smundo Virtus non fuerit quum talibus tantisque Viris
eum Pontifex adnumerandum putaverit? meque enim,
inquit Plinius, augeri dignitate, quam aequari. bonis
gratius (2).

X. — Nee vero quam de ipso Pontifex imbiberat
animo opinio fefellit. Non enim in Literis modo scriben-
dis Sigismundi fidem, auream eloquentiam, et nativam
latini sermonis elegantiam periclitatus est Sixtus; sed
tanti etiam in rebus agendis hominis prudentiam, consi-
lium, solertiamque duxit ut iam fere primas eidem tribue-
rit, quod de Hortensio est a veteribus memoriae proditum,
tamquam Phidiae signum, simul adspectus atque probatus
fuerit. Sic autem in omnium bonorum ore versabatur et
oculis, ut, ad maxima quaelibet plane factus videretur.
Quum itaque de viro deligendo ageretur, qui Cardinali

Iuliano Ruvereo Pontificis Nepoti, qui postea Pontifica-

tum adeptus est (3) comes iret ac veluti adjutor in Gal»

liam, quo, jubente Patruo contendit, ut pacis foedera in-
ter Ludovicum Francorum Regem et Maximilianum Au-
strium Burgundiae Ducem componeret unum Sigismun-
dum tum Pontifex, cum Nepos caeteris anteponendum
duxerunt (4). Nihil enim sibi suaserat Pontifex non sa-
pientissime facturum Nepotem, quum omnia ex sapientis-
simi Viri consilio faceret. Non exiguus sane hoc ex iti-
nere Sigismundo fructus obvenit; cum enim non Galliam
solum verum etiam Belgium perlustrasset eique facilis ad
omnes patuisset accessus, si quando vel Virorum Doctri-
na, vel Urbium nobilitas ad cognitionem vocaret, omnia
summo studio inquirere ac diligentissime serutari conatus
est; simulque illud assequutus ut multarum magnarum-

que rerum diuturna tractatione ac consuetudine tot na-

(1) SIGISMUNDUS DE COMITIBUS, Híst. Lib. 10.
2) C. PLIN. SECUND., Epist.

4) Laurentius Abstemius de Complurib. Verb. Commun. in Praefat.

gerent oH AS
1 5 Stima che ne
1 aveva Sisto IV.

INGOUEDENanc enn

UH

VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC. 177

tionum moribus et institutis cognitis, magnum verum
agendarum usum magnamque prudentiam haberet.
XI. — Quo vero loco apud Sixtum sui dexteritate

ingenii esset, clarius aperuit Pontifex ipse, cum manus

longe arduum ac maximis implicitum difficultatibus ei

demandavit; quod ut plenius appareat res paullo altius

est repetenda. Inierat Sixtus consilium Ferdinandum

Aragonium, quem multis de causis merito oderat, Nea-

politano Regno dejiciendi; verum ne irrito incepto di-
scedere cogeretur, Venetos in belli societate vocandos
putavit, quos magna proposita utilitate allexit. Nam. ut
in Herculem Estensem Ferrariae ducem male, ut ajebat,
tam de Republica quam de Sede Apostolica meritum,
moverent, auctor extiterat, sibi gratissimum fore affir-
mans, Ferrariam, si bello obtinerent, in eorum dietio-
nem concedere quum gloriosius Romanae Ecclesiae fu-
turum diceret, Venetos quam Herculem Vectigales ha-
bere. Controversia demum, Veneto Senatu inconsulto,
clam cum hoste composita, ut afflietae res patiebantur,
ex socio et amico repente hostis factus, Venetorum Vi-
ctoriae cursum inhibet (1); quumque eo deducta res es-
set ut Hereules gravi et diuturno bello labefactatus, nec
castra castris conferre, nec loco consistere, nec jam
moenia amplius tueri posset, tanta subito per Sixtum re-
rum conversio facta est, ut non solum Urbem illam suis
ereptam faucibus doluerint Veneti, sed pauMo post etiam
in dignitatis diserimen venerint. Arduum sane Venetis
Patribus videri poterat, qui bellum hoc, Sixto non so-
Ium probante sed hortante susceperant, quum laborum
periculorumque fructum capturi essent, manibus sibi vi-

ctoriam, quae tot suorum sanguine steterat, extorqueri.

Verum ita Pontifieatus ratio ferebat: Depressum Sixtus,

quam oppressum Estensem malebat, ne suo sepulchro

Ferrariae in servitutem "Venetis traditae titulus inseri-

beretur (2). Ei tamen in Votis erat, ut hoc Veneti quam
fieri posset minus moleste ferrent.

.(1) SIGIS. BE CoMiT., Lib. 3.
(2) Idem., Lib. 3.
178

È mandato
dal Papa a Ve-
nezia.

Ottiene favori
per la sua Pa-
tria.

M. FALOCI FULIGNANI

XII. — Huic interim tam arduo difficilique negotio
praefectus est Sigismundus, quem sapientissimus Pon-
tifex ingenio et prudentia antecellere et parem rebus
agendis eloquentiam praestare posse judicavit. Paucis
Lib. IV Historiarum suarum est orationem complexus,
qua Ioannem Mocenigum Venetiarum ducem et Patres,
ut quae a Pontifiee de pace acta atque instituta fuis-
sent in bonam partem reciperent, totis viribus hortatus
est, quaque eos opinione gloriae lenire conatus. Contigit
autem tune quod in magnis ac diffieillimis rebus usu-
venit, ut tanti moliminis negotium haud statim feliciter
cesserit (1); quod quidem mihi silentio praetereundum
et Ludovico Iacobillio aliud omnino affirmanti (2) con-
cedendum putassem, nisi id mihi susceptum esset ut de
illius vita non de laude dicerem. Adeo enim acerbe tulit
Senatus Venetus immutatam Pontificis voluntatem ut
omnia infanda experiri, quam turpiter de sententia de-
cedere malle affirmaverit. Infecta igitur re Sigismundus
discedit ea tantum spe fretus, ut pacis fundamenta quae
jecerat (pacatis enim Patribus usus fuerat) quam pri-
mum perficerentur, quemadmodum Innocentio VIII Pon-
tifice factum est, quo sane tempore ab armis recessum
est paxque constituta.

XIII. — Quamquam vero usu receptum sit apud
homines, ut honesta consilia, vel turpia prout male aut
prospere cesserint, ita vel probentur, aut reprehendan-
tur (3); tantum tamen abfuit ut Pontificis in Sigismun-
dum amor imminueretur, ut auctum potius dixerim.
Tanta enim apud eum gratia fuit tantoque honore, ut
nihil umquam postularit quin perfecerit ac fuerit con-
secutus: quod certe Sigismundo pulcherrimum, siquidem
gravissimi Principis judicium minoribus etiam in rebus
consequi pulchrum est. Hujus itaque eaussa Fulginates

amore et.beneficiis complexus, eorum Civitati cum ve»

(1) Idem., Lib. 3.
(2) Lun. IACOBILL., Biblioth. Umbr., p. 252.

(3) C. PLIN., Epist, 21, ad Rufum., Lib. 5.

TTHUIFRINIOPLDQE Hire i

——
9

"PE

VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC. 179

teres adseruit immunitates (1), tum etiam non medio-
erem pecuniae vim, qua moenia vetustate corrupta re-
stituerentur, animo libentissimo est elargitus. (2). Ut
ipsi vero Sigismundo quanto eum studio quantaque be-
nevolentia complecteretur aperiret, publica Cancellarii,
ut vocant, et Secretarii munera in patria, munera sane
eo tempore quaestuosa et praeclara, utpote quae a no-
bilissimis gerebantur civibus, ut per alium obiret donec
in humanis degeret, ultro libensque concessit (3). Longe
vero majus benevolentiae argumentum, quod altera ejus-
dem Pontificis Bulla, ut ajunt, continetur. Hae siquidem
ab omnibus fructuum vectigalibus, quae quotannis pen-
duntur a Civibus, quum fruetus ex agris domum adve-
huntur et quae moliturae ratione exiguntur a publicanis,
non ipsi modo Sigismundo, sed ejus etiam colonis libe-
raliter immunitatem creavit; quae omnia ex ipsius di-
plomatis verbis satis abunde innotescunt, quod heic
subjicere operae praetium putavimus (4).

Sixtus Episcopus Servus Servorum Dei dilecto filio
Magnifico Sigismundo de Comitibus de Fulgineo Scriptori
et familiari nostro Salutem et Apostolicam. Benedictionem.
Dum praeclara tua merita et laudabilia servitia illibata
fide et jugi studio Nobis et fel. record. Paulo Papae II
immediato Praedecessori nostro per te hactenus impensa
et quae solitis studiis in Palatio Apostolico adhuc continue
nobis impendere non desistis ...... quoque mobilitatem
tuamque sinceram devotionem ad Nos ac Romanam Ec-
clesiam praeclaras et virtutes. alias, quibus illarum lar-
gitor Dominus personam tuam, insignivit, debita medita-
tione pensamus, dignum, quin potius debitum censemus
. ut te specialibus favoribus et gratiis prosequamur. Prae-
missorum. itaque consideratione tuis in hac parte suppli-
cationibus inclinati, te, qui et commensalis noster et, ut

(1) Dun. Don., Anmnal. Fulginat. M. SS. Tomo 7, p. 69.

(2) Ibid. :

(3 Ex Diplomate dat. VIII Kal. Sept. Anno 1471. Pontificatus sui Anno I. In Ta-
bulario Fulginate.
(4) Ibid.

» 4 Y *
"S —B E

j

Cii ARIES ME Sam FR, DUREE II

^" n

M. FALOCI-PULIGNANI

asseris, de nobili genere procreatus existis, nec non omnia
bona tua praesentia et futura, quoad. vixeris ab ommi
onere et solutione gabellarum . Civitatis nostrae Fulginei,
tam ratione fructuum annis singulis in eamdem, Civita-
tem intromittendorum, quam alias quomodolibet ad te
legitime. spectantium, auctoritate Apostolica praesentium
tenore penitus et omnino exhimimus ac totaliter libera-
qms. eei ita quod tu et coloni possessionum tuarum ra-
tione quorumcumque. fructuum ..... ad solutionem alicujus
gabellae in portis dictae Civitatis exigi solitae aut moli-
turae aut alterius oneris ...... quovis modo aut quaesito
colore a quocumque cogi seu compelli vel occasione il-
lorum. aliqualibet molestari nequaquam. possitis mec de-
beatis ...... Datum Romae apud S. Petrum anno Incar-
nationis Dominicae 1478. VI Kal. Decembris Pontificatus
Nostri anno VIII.

Fiducia di In- XIV. — Defuncto Sixto Pontifice (1) eumdem apud

nocenzo VIII, di :

Alessandro VI Innocentium VIII, qui ei successit (2) locum Sigismundus

e di Giulio II

per lui. obtinuit, eademque apud ipsum gratia floruit ; praefectus

: enim Epistolis et Brevibus, ut antea, adeo in hoc mu-

nere enituit, ut nihil unquam desideratum sit illi ne-
cessarium, cui maxima summorum Principum negotia
per literas tractanda committuntur. Quum igitur hic
Pontifici cumulatissime satisfaceret. magno etiam ab eo
in pretio habebatur. Quum vero post Innocentii, obi-
tum (3) renunciatus fuisset Pontifex Maximus Alexan-
der VI (4) difficillimis temporibus, difficilique in munere
sic eidem satisfacit, ut cum probatissimus semper ipsi
fuerit tum ejus sine offensione perpetuam benevolentiam
retinuerit. Facta tamen Sigismundi industriae visa est
maxima aecessio, quum datus est Pontifex (non enim
de Pio III loquar, cujus Pontifieatus ad paucos sane
productus est dies (5)) Iulius II (6). Nemo enim magis

(1) Prid. Id. Aug. 1484.

(2) IV, Kal. Sept. 1484.

(5) Obiit VIII Kal. August. 1492.
d

(5) Sedit dies 27 juxta nostrum Historicum.

) VI kal. Sept., 1492.
(0) IV. Idus Novemb. 1503.

TM
LiT -

— ——

sr OTT

e RETTE

RETAIL

OPP SITA

CESIUETESMSR

SEZ
nea eee

rare me PRIDeSUR Se SD 8

HUISUUPMEMMCUTE MUNERE TENOR IT

REP TICYM MUT

m mmy mte

EATER

Molteplici sue
occupazioni.

fi

VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC. 181

ex omnibus Pontificibus quibus Sigismundus operam
praebuit, quam hie eum in deliciis habuit: nam illi
semper ab ineunte aetate carissimus fuerat non minus '
illustri morum elegantia quam caeteris suis virtutibus
plurimis et maximis. Et quamquam propter bellicas oc-
cupationes durior ad haec studia videretur, ita tamen
Sigismundi doctrina delectatus est, ut qui animi sui
sensus majori verborum splendore complecteretur, non
inveniret. Itaque tamquam de suo delectu, de sinu atque
complexu suo esset, tanti eum fecit, ut quotidie apud se
haberet nec nisi valetudine impeditus ab eo Sigismundus
distraheretur (1), quod quidem haud ambigue nobis de-
clarat Petrus Bembus, quum in Dialogo de Urbini Du-
cibus haec memoriae prodidit : Nam zs (Iulius scilicet II.
Pont. Max.) et Sigismundum unice diligit apud seque
habet atque in scribendis Epistolis praeclara ejus opera
utitur; in quo difficile dictu est quantum unus omnes
excellat, cum scriptionis elegantia et candore styli, tum
plane diligentia et fide (2). Quod quidem unum Sigi-
smundo pulcherrimum, ac maximae laudis instar merito
Cl. Bonamicius putavit (3).

XV. — Vix autem diei potest quanta rerum mole,
quantis, hoc Pontifice, detineretur laboribus Sigismundus
An ignoras (inquit idem Bembo ad Guidi Ubaldi Fe-
retrii historiam seribendam hortanti) (4) am ignoras cui
addictus Pontifici sim ? quam. occupato Domino? quam
omnium prope nationum, omnium gentium, salutis, quietis,
incolumitatis procurationem mente versanti, studio agenti,
labore contentioneque obeunti serviam? Itaque quae me ne-
gotia circumsepiant, qui circumstent semper cogitationem
meam, quasi montes scribendarum Epistolarum non vides?
Ut mihi quidem multo saepius sommi et cibi capiendi
tempus desit quam adsit horae spatium, wt mihi libitum

est, sic vivendi. Atque hoc quidem dici quod vobiscum

(1) PETRUs BEMBUS in Dialogo de Urbini Ducibus, p. 298.
(2) Ibid. p. 274.

(3) PHILIP. BONAMICI, de Cl. Pont. Epist. Script., p. È
(4) PETR. BEMB, in Dialog. de Urbini Ducib., p. 298.

do
-—
nil
Vantaggi che
ottenne per Fo-
ligno.

. Sue occupa-
zioni lettera-
rie.

(1) Aberat Pontifex in Ostiensi.

M. PALOCI-PULIGNANI

consumo, qui sic consumerem si bona valetudine uterer,
profecto non haberem ; essem. enim una cum illo profe-
ctus (1), ut soleo semper, quum mihi vecte est. Qua-

mobrem non modo hercle mihi novas ad res atque historias

capessendas adhibere animum cogitationemque non licet,

sed ne illam quidem quam aliquot jam annos cudo quam-

que ipse commemoras, conformare penitus atque conficere
possum.

XVI. — Hoc sedente Pontifice, passus non est Si-
gismundus aciem suae Auctoritatis hebescere et quantum
gratia apud eum valebat (valebat autem plurimum) in
Patriae decus, commodum atque praesidium convertit.
Acceperat enim ex Plinio pulchrum esse et magna laude
dignum amicitia Principis in hoe uti et aliorum hono-
ribus experiri (2). Eo enim Sigismundi caussa Pontificis
lenitas atque clementia in Fulginates deducta, ut Pon-
tificatu vix inito, se novum hunc supremumque honoris
gradum adeptum Fulginates admonuerit, ut ipsi quam
par erat animo caperent voluptatem (3). Paucis inde post
diebus, per aliud Breve Fulginatium fortunam misertus,
qui ab Alexandro VI grandi pecunia nihil tale merentes
muletati fuerant, tertia vectigalium parte :xigi quotannis
solita civitatem donavit (4). Iussit praeterea Clementis-
simus Pontifex ut quae a Fulginatibus debebantur sti-
pendia Areis custodibus in Oppido Gualdi Captaneorum
in annos singulos ex Aere Apostolicae Camerae, ut
ajunt, deinceps solverentur (5); quo faetum est, ut
Fulginates recreati ac relevati viderentur.

XVII. — Etsi vero, quum his inserviret Principibus,
adeo esset occupationibus distentus ut vix ullum libe-
tamen quidquam

rum spiritum ducere posset (6), saepe

temporis ad sua recolenda studia offendebat. Is (Ale-

PETR.

(2) C. PLIN, Epist. ad Cornelium Titianum. Lib.
"i Dung. Don. Annal. Fulgin. M. SS. Tomo VII, p. 132.

(4) Ibid.
(5) Ibid.

(6) PETR.

BEMB., Dialog. de Urbini Ducibus, p. 208.

BEMB. in cde de Urbini Ducib, p. 215.

UTR TE Ti

sven sare en e
— C ERE

— aad:

Amicizia col
Bembo.

VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC. Ua 183

xandri ab Alexandro testimonio utar) quamquam, multis.
rerum actionibus, plurimisque muneribus apud. Pontifices -
magno usui foret; si quando tamen negotiis pausa fieret"
(quod vix illi contingere poterat, ut in tanta mole rerum
ab immodico labore conquiesceret) id, quod otii dabatur,
lectioni. clarorum. Virorum aut suorum temporum. scriben-
dis Annalibus rebusque vel pace vel bello gestis perlibenter
exhibebat (1). Non raro cum Amicis in amoenissimam

villulam quam sibi paraverat in Ianiculo secedebat (2).

Ibique tamquam in Academia quisque ponebat de quo

audire vellet, atque ad id, ut de Tullio dietum est a

doctissimo Viro Iacobo Facciolato (3), aut sedens aut

ambulans disputabat. Aderant frequentes apud eum stu-

diosi aeque, atque honesti Adolescentes, latinae grae-

caeque eloquentiae Professores, quibuscum de Literarum

studiis libentissime sermocinabatur, et quos ipse variae

eruditionis quaestionibus diversimode exercebat; aderant

demum literati quicumque viri wf illius sermonibus et

congressu spectatae virtutis ac pacis artibus et ingenio

clari Viri diutius perfruerentur (4).

XVIII. — Omnes itaque qui aliquid de ingeniis po-
terant judieare, hune non cognitione modo, verum omni
laude atque honore dignissimum existimabant, ejusque
judicio opera sua libentissime subjiciebant. Prae caeteris
vero ejus ingenii aciem plurimi Petrus Bembus fecisse
videtur: hie namque in Libro quem de Urbini Ducibus:
couseripsit, non solum primas potioresque partes huic
tribuit, sed ne ipsum quidem opus, nisi prius ipsi pro-
latum, in lucem prodire velle constantissime professus
est. Librum, quem de Guido Ubaldo. Urbini Duce deque
Elisabetha Gonzagia ejus uxore nuper a me confectum. ad
te his cum literis attulit Iacobus Sodoletus meus, peto abs
te, ut diligenter perlegas : quaecumque tibi quacumque de

caussa non probabuntur vel deleas ipse vel corrigas. Nolo

(1) ALEXANDER AB ALEXANDRO, Gen. Dier., Lib. VI, Cap. I.

(2) Ibid.

(3) IacoRUS FaccroraTUS in Vita Literaria Ciceronis, p. 23.
(4) ALEXANDER AB ALEXANDRO, Gen. Dier., Lib. V1, Cap. I.
Occupazioni
nella sua vec-

chiaia.

(
(

M. FALOCI PULIGNANI

exeat in lucemque prodeat misi tu cum prius expenderis
adhibuerisque limam judicii tui. Quem te laborem. susci-
pere propterea erit aequissimum, quod primas potioresque
partes eo în Libro sustines. Id autem eo feci quum ut
tua gravitas atque persona scriptis afferret nostris
auctoritatem ; tum vel maxime ut omnibus hominibus
testatum facerem quantum tibi et doctrinae tuae tri-
buam quantumque te amem (1).

XIX. — Ex iis vero quae a Sigismundo afferuntur
in eodem dialogo ejus animum ae voluntatem jamdiu
ad quietem inclinatam videre mihi videor (2). Petierat
fortasse saepius secedendi facultatem vel in suam Villu-
lam, vel apud Fulginates suos, tum ut Historiae ultimam
manum imponeret, cum praeterea ut quod reliquum vi-
tae erat sibi soli viveret. Noverat enim fortasse ex Pli-
nio (3) prima vitae tempora et media Patriae et Prin-
cipi, extrema sibi impertiri aequum esse, quum vel
ipsae leges majorem annis sexaginta otio reddant. Ve-
rum ea non erat Iulii mens, ut quem tantopere amabat
cujusque egregia ae singulari opera utebatur a se ab-
strahi atque divelli pateretur. Factum est itaque ut ae-
tate jam pene effoetus, laboribus ae vigiliis confectus,
imbecilla et non raro afflieta valetudine conflictaretur :
ut quemadmodum ipse inquit, quum paullulum deam-
bularet, vel staret, tamquam opere aliquo magno fun-
etus videretur (4). Quumque ipsi per aetatem nec le-
etioni nee scriptioni operam ad animi voluptatem, ut
antea, dare liceret, ut huie mederetur incommodo, ado-
lescentes aliquot suorum studiorum socios atque adjuto-
res adhibebat, quibus id erat propositum, ut eo vel de-
ambulante vel sedente legerent, vel dictante conscribe-

rent (5).

1) PETR. BEMB., Epistolam. Familiar., Lib. XIX, V, Epist. 2.
2) Idem., Dialog. de Urbini Ducib., p. 298.

(3) C. PLIN., Epist. ad Pomponium Bassum, Lib. 4.
(4) PETR. BEMB., Dialog. de Urbini Ducib., p. 276.

(5) Ibid., p. 296.

PUUEREBESETNUDUERDTAN :
Sua morte.

Data precisa

di essa.

VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC. 185

XX. — Hae igitur ratione quum fere ad extremam
seneetutem (octogesimum enim annum attigerat si Do-

rio eredimus (1)) non minus dignitate, quam gratia for-

tunaque erevisset (ingentes enim divitiae ex Pontificum
liberalitate ei obvenerant) senili implicitus morbo tan-
dem pie, sancte ac pacate, ut sapientem ac probum de-
cet, diem Romae obiit supremum VII Kal. Martias anno
rep. Salutis 1512 (2). Elatus est incredibili omnium bo-
norum moerore et ipsius praesertim Pontificis, cujus in
animo haec diu aegritudo insedit, quod forte in magna
talium Virorum penuria quantum incommodum ex ejus
obitu accepisset quotidie magis intelligebat. Sepultus est
in Templi Aracoelitani Choro ejusque monumento mul-
tis post annis Nepotis ex Filio curantibus haec addita
Epigraphe
GISMUNDO DE COMITIBUS
FULGINATI NOSTRI TEMPORIS
HISTORIOGRAPHO CELEBERRIMO
IULII SECUNDI PONT. MAX
SECRETARIO MERITO AC
UNANIMITER LUDOVICO
NEPOTI ADOLESCENTI VITA
FUNCTIS ANNO DOMINI
MDXLVII . D. XXII AUGUST.
MONUMENTUM PIISSIMAE SORORES POSUERE
CUMQUE EX CONCILII DECRETO LICITUM FORET
HOC PARVUM OB MEMORIAM RESTAURARUNT
ANNO SAL. MDLXV IDIB. APRILIS

XXI. — Inscriptio haec ut ob inelegantiam tanto
Viro prorsus indigna, ita errori obnoxia quadratarii, ut
arbitror, vitio. Nam ut ab eruditissimo Casimirio obser-
vatum est (3), si anno marmori insculpto Sigismundus

decessisset, deducta temporis ratione, quo a Paullo II

(1) DuR. Don., Hist. Gentis Trinciae., Lib. III, p. 129.
(2) Ex Codice Vaticano Bibliothecae num. 3920.

(3) CASIMIRIUS, Hist. Aracoelitani Coenobii, p. 143 et sequent.

- Fe z IA

L3

máster .,——



LI

Ms

—:
Sua genero-
sità. :

(1) Ibid.

M. FALOCI-PULIGNANI

ad conscribendas epistolas, adscitus est, longe ultra sae-
culum vitam produxisset, quod de homine studiis dedito
tantisque fracto laboribus diei vix posse putamus. Sed
quum de ejus obitu inter omnes conveniant qui de eo
scripserunt, tum praeterea nullum dubitandi locum U-
xoris supremae tabulae anno 1521 exaratae nobis relin-
quunt, quarum priora verba sunt haec. Prudens, Ma-
gnifica et Venustissima Mulier Domina Allegritia relicta
quondam Magnifici et Clarissimi Viri D. Sigismundi de
Comitibus. de Fulgineo (1). Unum hae in re discrimen
oecurrit, nam Dorius, Iacobillius et Casimirius (2) ad
d. XII Kal Martias Anni 1 12 Sigismundi Obitum con-
stituunt, quum interea in Codice Vatieanae Bibliothe-
cae, qui nobis potius probatur, ad diem VII Kal. ejus-
dem mensis referatur.

XXII. — Quae plura ex testamento jussisse tam
commodo Cathedralis Ecclesiae Fulginatis, quam Basi-
licae Divi Petri de Urbe, scribit Durantes Dorius (3),
qui etiam ejusdem Fabricae, ut vocant, praefecturam
Sigismundo adscribit, quod non satis mihi explorata
videantur (4), absque locupletiori teste affirmare non
ausim. Hoc unum ex publicis Fulginatium Tabulis ex-
pressimus post Ludovici Nepotis obitum, qui anno 1545
elatus est (ex quo agnoscas licet alterum Inscriptionis
vitium) in ejusdem Basilicae commodum Sigismundi
haereditatem magna ex parte concessisse, ex qua tria
millia aureorum Fulginati Cathedrali adsignata. Ex pa-
eto enim concordiae a Fabricae praefectis inito cum
Guido Antonio Seggio Patritio Fulginate, cui Cecilia Si-
gismundi Neptis ex Filio uxor obtigerat, et ex ipso

Paulli III. P. M. Chirographo haereditatem hane eidem

(2 Dun. Don., Hist. Gent. Trínc., Lib. 3, p. 129. LuD. IAcoBILL., Biblioth. Umobr.,
p. 252. CASIMIR., Hist. Aracoelit Coenob., p. 143 et sequent.
(3) Dun. Don., Hist. Gent. Trinc., Lib. 3, p. 129.

(4 Nullam de Aujuscemodi Sigismundi praefectura in Fabricae ejusdem ci-
meliis monumentum extare testatus est pluries per epistolas ad defunctum Mar-

chionem Nicolinium Egregius atque Amplissimus Praesul Marcolinius, tunc ipsius

Fabrieae, nunc autem $8. Congregationis quam Consultam dicunt merito a secretis.

"oyESDG 7

VUUTTEDUNRITNERQS
VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECO. — 187

Fabricae adtributam fuisse exploratissimum est (1). Ex
quo propterea irritum factum. est Ioannis Francisci
Testamentum quo ne aliter fortunarum suarum fructum
impenderentur, quam in alendis pauperibus cautum fue-
rat (2). Ioannes Franciscus, qui Patris dignitatem ac
munerá obtinuit (fuit enim ab Epistolis Iulio II, Leoni
X et Clementi VIT) quum duorum ex tribus Filiis super-
fuisset funeri, quos ex altera Conjuge, nempe Violante
Nieolai Filia ex Comitibus Maurutiis de Tolentino su-
sceperat (ex prima namque Lucretia scilicet Buffalinia
Tiphernate tres tantum liberas progenuerat) pluribus
apud suos muneribus functus obiit Fulginii XIII Kal.
Martias 1534 (3) defunctoque.undecim post annis Ludo-
vico tertio nato, ut dictum est, penitus quoad mares
vetustissima haec Familia interiit.

XXIII. — Rebus interim ab eo gestis dum vixit

Suoi scritti.

commemoratis, nunc ingenii monumenta atque otii fructus
attingere operae praetium est. Plures eruditas epistolas
tam otii ad alendum ingenium quam negotii caussa ad
Amicos (eas enim pratereo quae ab Apostolico exaran-
tur Seriptore) Sigismundum scripsisse auctor est Livius
Giraldus (4), Iacobillius (5), Fabricius (6) et quotquot
hos sequuti de ipso loquuntur. Verum si unam aut al-
teram excipias, caeterae quae plurimae esse deberent,
vel adhuc latent, vel potius omnes periere. Primam, quae
brevis est, quaeque edita fuit cum epistolis et commen-
tariis Iacobi Picolominei Cardinalis Papiensis, ad quem
data est, hic integram subjicere non abs re erit; ex ea
namque et Sigismundi cum literatis Viris familiarissi-
mam consuetudinem et veteres Romanorum ritus per
jocum ad ipsis instauratos deprehendimus

(1 In Cimeliis Tabularii Fulginat.

(2) In iisdem Cimeliis. -

(3 Dur. Don., Hist. Gent. Trinc., Lib. 3, p. 129. LuD. IACOBILLI, Biblioth. UMbr.,
p. 252.
(4) Livius GIRARDUS, Dialog. de Poetis suor. Tempor, tom. 2, p. 534.
(5) LUD. IACOBILL., Biblioth. UMmbr., p. 251.
; (0) IOAN. ALBERTUS. FABRIC., Biblioth. Lat. Med. et infim. aetat., p. 182. Patav.
1754.

attenti IE 4

,

"
—€— —PGP 2 € —ED
188

Sue lettere.

Suoi versi.

M. FALOCI-PULIGNANI

Sigismundus de Comitibus Fulginas
Cardinali Papiensi

Quod me regem his saturnalibus esse oportuit, enitor
omni studio et diligentia ut personam mihi a sorte impo-
sitam non inconcinne videar sustinere. Comparo me ita-
que ad Regnum acturus de summa rerum crastino ve-
spere. Et quoniam nihil Massano (1) Massanique Secta-
toribus sive serio sive joco sine Papiensibus potest esse
jucundum, Sigismundusque et Rex est et ex Massanis
praecipuus tui Numinis Cultor te orat, Papiensis, ut duos
ex tuis ad se venire sinas. Delegi Iacobum Volaterranum
et Forteguerram homines scitos et ad tuendum Regnum
nostrum aptissimos. Benevale. In Palatio Nostro ante co-
ronationem.

XXIV. — Quo anno haec scripta fuerit prorsus nos
latet: Mensem tantummodo, vel etiam diem coniicere
possumus quum XVI Kal Ianuarias Saturnalia celebrari
solita nos doceat Festus. Quum porro hisce diebus
in more positum esset apud Gentes Munera invicem
missitare, regna quoque sortiri inter aequales et tam-
quam Reges imperitare (2); hine est, quod ritus iste
inter literatos amicos ad honestam animi remissionem
quotannis renovaretur. Altera, quae data est Romae,

IV Idus Matias 1493, quamque accepimus a Cl. Ioanne

Dominico Mansio amplissimo Lucensium Archiepiscopo

nuper summo literariae reipublicae detrimento e vivis
sublato, Franciscum Picolomineum Cardinalem Senen-
sem obitu Antonii fratris Melphitensium Dueis moeren-
tem, Sigismundus solatur.

XXV. — Plura quoque iisdem Giraldo et Iacobillio

(1) Hoe nomine neminem designari alium praeter Leonardum Datum Floren-
tinum hominem ingenii praestantia et morum suavitate atque elegantia commen-
dabilem, qui Paullo II ab Epistolis XVI Kal. Sept. 1467 Massae in Episcopum assum-
ptus est, quique 1472 Romae decessit, Auctor mihi gravissimus est celeberrimus vir
et Praesul Amplissimus Comes Iosephus Garampius olim a secretioribus Notis, nunc
vero Apostolicus ad Sarmatarum Regem Legatus.

(2) ALEX. AB ALEX., Gen. Dier., Lib. 2, Cap. 22.
Carme di lui
ricordato da
L. Abstemio.

VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC. 198

testibus conscripsit Carmina (1) ut proinde a Scriptori-
bus inter praecipuos illius temporis Poetas merito recen-

seatur (2). Sed haec quoque vel vetustate absumpta, vel ^

in aliud tempus (quod Dii faxint) servata. Extant tamen
aliqua hetrusca lingua exarata carmina (3) ex quibus
quam in hoc seribendi genere excelluerit, satis apparet.
Extant quoque nonnulla ejsdem latina Epigrammata in
Codieibus Bibliothecae Seminarii Fulginatis (4), et aliud
plane venustum et aurea Augusti aetate dignissimum
in funere Ioannis Quinterii Laudensis, quod expres-
sum ex Codice Vaticanae Bibliothecae (5) nobis perhu-
maniter communicavit doctissimus Vir D. Maurus Sar-
tius Camaldulensium Abbas, quem pariter infelici lite-
rarum fato morte ereptum dolemus; et tandem aeque
longa atque eximia Elegia ad Calcem Historiae Platinae
in Vitis Pontificum, qua ipsius Platinae Mortem lugu-
briter deflet (6).

XXVI. — Aliud quoque Sigismundi Carmen in A-
loysium Tuscanum (7) commemorat Laurentius Abste-
mius Federici Urbinatum Ducis Bibliothecae Praefectus
in Operis Praefatione inscripti De compluribus verbis com-
munibus, quod eidem Sigismundo nuncupavit, cujus verba
in mediüm proferre lubet, ut qua polleret Sigimundus
inter litteratos auctoritate clarius aperiamus : T'bi autem

hunc libellum inscripsi Sigismunde Vir doctissime at-

(1) Liv. GiRALD, Dialog. de Poet. suor. tem., tom. 2, p. 534. LUD. IACOBILL., Bi-
blioth. Umbr., p. 251.

(2) CASIMIR, Hist. Aracoelit. Coenob., p. 143 et sequent. PHIL. BONAMIC, de CI.
Pont., EPIST. SCRIPT., p. 217.

(3) Duo Sigismundi italica Epigrammata, vulgo Sonetti in lucem prodiere Ful-
ginii anno 1629, per Augustinum Alterium parvo, volum., p. 55, 56.

(4) In Codice M. SS. cui titulus. Carmina diversa multorum Auctorum a Ludo

| vico Iacobillio Fulginate excerpta.

(5) Num. 2874.

(6) Edit. Colonien. apud Maternum Cholinum anno 1574.

(7) Ioannes Aloysius Tuscanius Mediolanensis, Adolescens adhue a Sixto IV,
inter Advocatos, ut vocant, consistoriales primum, mox in Camerae apostolicae Au-
d tores adlectus, ita jurisprudentiae facultatem addidit poeticam et oratoriam ut in
ejus numismate Memoriae proditum sit « Incertum jurisconsultus, orator, an poeta
praestantior » Sex de ipso Numismata protulit tom I sui Musaei Cl. Vir. Comes Io-

annes Maria Mazzuchellius p. 96.

irm Se

em

TTT. ===>

= - =

ma rie font re urge

LJ

eng. trei Mr i og o t in

PP.
fi
E BS Lodi che ne
Ss dice il Cam-
| T pano.

M. FALOCI-PULIGNANI

que eloquentissime, ne me -putes oblitum illius temporis
quo in Galliam. proficiscens cum Iuliano tunc, nunc Iulio,
tunc Cardinali, nunc Pontifice Maximo Carmen tuum
in laudem | Aloysii Tuscani et principium Historiarum
Tuarum mihi tunc. Bibliothecario Federici Clarissimi Du-
cis Urbini recitare dignatus es. Praeterea, cum doctissi-
mus sis et longo tempore in optimorum Auctorum, lectione
versatus, quod Historiae tuae a te summa eloquentia et
arte conscriptae satis declarant, mihi persuasi, nisi mea
mens me fallit, te a mea opinione non abhorrere proque
Abstemio tuo jampridem tibi dedito, quum opus erit, Cly-
peum tuae Auctoritatis opponere. Vale Vir doctissime et
facundissime.

XXVII. — In amoenioribus igitur studiis tantum
iugenio valuit, ut Latine non minus quam Hetrusce, non
minus soluta, quam numeris adstricta Oratione et feli-
citate certe non dispari scripserit. Nil itaque mirum si
Ioannes Antonius Campanus Terami Antistes et Ful-
giniae Praefectus, scriptor pro suorum temporum ratione
doctissimus, Sigismundo nostro tertium inter Umbriae

Vates locum adsignat.

Nec sola Roma est, quae proferat ingenia.
Una duos olim nobis dedit Umbria Vates,

Umbria ab irriguis fontibus apta lyrae
Callimaco accessit (1), vicitque Propertius illum,

Tertius et nomen nunc Sigismundus habet.
Sic illi tenero versu deflentur amores

Et duro clangunt horrida bella sono (2).

Quae sane omnia nobis indicio sunt vel maximo in
poetica facultate plurimum hune impetu ratione et pru-
dentia valuisse, ac se pluribus argumentis exercuisse ut

amatoria et seria metro tractaverit.

MW ss : (1) Caius Callimaeus Mevanas Orator et Poeta celeberrimus et ipsi Octaviano
Augusto, cuius erat familiaris, acceptus. Lun. IACOBILL., Biblioth. Umbr., p. 80.

M Peri (2) IOANNES ANTONIUS CAMPANUS, Epistolar., Lib. VI. Epist. I ad Gentilem Urvi-
| natem, p. 49. Venet. Edit, per Bernardinum Vercellensem.
XXVIII. — Utinam vero quae soluta oratione utra-
Sue prose. que lingua comprehendit ad nos pervenissent ! Non enim

ut caetera omittam Commentarios desideraremus, quos
super Flavii Blondi conscripsit decades (1), quorum ja-
etura Fulginatibus praecipue lugenda. In his enim for-
tasse nactam sibi oecasionem. crediderim ridiculam sane
ejusdem Blondi, qui ut ait eruditissimus. Bonamicius
« neque in historia fidem neque in scribendo elegantiam
omnem servavit (2) opinionem serio refellendi, qui Ful-
ginium ex Fori Flaminii ruinis excitatum somniavit (3).
Quod quidem figmentum cum ex antiquis marmoribus,
quae large suppetunt, ex praestantissimi Palearinii Notis
ad quadriregium Fretii (4), tum praeterea funditus cor-
ruit ex iis, quae in Urbis Fulginiae descriptionem eru-
dite admodum atque sapienter congessit eximius ac
praeclarissimus Vir Abbas Alexander ex Marchionibus
Barnabó Reipublicae Literariae Umbrorum Dictator, quo
duce multa hausimus publicis Cimeliis ipsis Dorio vel
Iacobillio ignota, a quo utpote patriae rerum peritissimo
commentariolum ipsum impetravit Abbas Caesar Or-
landius Perusinus, cujus egregios conatus ad italicas
Urbes illustrandas jam nunc Italia ipsa admiratur. Fer-
dinandi quoque Hispaniarum Regis praeclare gesta lit-
teris commendare decreverat « sed hujus optimi (inquit
idem) ae pientissimi Regis res gestas proprio volumine,
si Deus annuerit, prosequi cogito (5) » Utrum vero quae
animo meditatus est Vir doctissimus, reipsa perfecerit,
obseurum est. Aliud praeterea ejusdem eloquentiae mo-
numentum suppeditat nobis Vaticanae Bibliothecae Co-
dex (6),in quo Sigismundi extat Oratio hoe titulo. Sigi-
smundi Comitis Fulginatis Scriptoris Brevium Apostolico-

(1) FRANCISCUS SANSOVINUS, Hist. Familiae Ursinae, Lib. I, pag. 26. Lup. IAco-
BILL., Biblioth. UMbr., p. 251.

(2) PHILIP. BoNAMIC., De Cl. Pontif. Epist. Script., p. 87.

(3) FLAVIUS BLONDUS., Ital. illustrat.,in Regione quarta Umbriae seu Ducatu
Spoletano. :

(4) Iustinianus Palearinus in notis ad quadriregium Fretii, p. 141 et seg.

(5) SIGIS. DE COMIT., Histor., Lib. III.
(6) Num. 2934.

VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC. 191

EVEN fre oed i nisseno

——— n p__—- Dede do”

,

—MááÓ — salienti f

TA

> "
ESSERE è. B x

M. FALOCI-PULIGNANI

rum ad Sixtum IV Summum Pontificem pro Seeretariis
Apostolicis » qua quidem Collegii sui jura contra Advo-
catos, uti vocant, Consistoriales, uberius tuetur, qui
veterem contentionem, jam tum Ioanne XXIII Pontifice
excitatam, rursus in medium protulerant utri utris di-
gnitate antecederent, quamque primum Leonardus Are-
tinus Scriptor Apostolicus robusta ad Pontificem epistola
sustulerat.

Le E dei XXIX. — Inter caetera vero Sigismundi opera prin-
x n cipem sibi locum merito vindicant sui temporis Historiae,
Vossio licet vix notae in libro de Historicis Latinis, ut-
pote quae eruditissimorum hominum plausus jam tum
sibi compararunt, quibus in XVII Libros distributis
omnia, quae ab anno 1475 usque ad annum 1510 me-
moria digna acciderunt, plene complectitur (1). In has
siquidem quidquid artis et judicii habuit Sigismundus
contulit, ut absolutam planeque perfectam suorum tem-
porum Historiam conficeret. Ut enim de Stylo sileam
qui floridus et perpolitus videri cuilibet poterit, maxime
si ejus aetatis ratio habeatur, qua omnes ita scribebant,
ut potius ad Superiorum temporum barbariem, quam
ad posteriorum diligentem elegantiam accederent; id
certe, quod caput est, veritatem nempe potissimum est
prosecutus. Illud certe (inquit ipse) quod primum et maoi-
mum. in Historia esse scio, sedulo me facturum, polliceor,
ne quid falsi dicere audeam, ne quid veri non audeam ;
liberrimo enim animo ad scribendum, accedo, et in rebus
notissimis versor, quarum partem ipse vidi, partem ab
his audivi, qui non solum quid, quo loco factum, sed
etiam quo ordine et consilio administratum fuerit, cogno-
verunt; ut nihil im ambiguo sit relinquendum (2). Opus
hoc, quum nondum esset absolutum, probatum est omni-

bus quotquot aderant Sigismundo Literati Amici. T'uwuwm

(1) Perperam sane Iacobillius ad annum obitus sui nempe 1512 Historiam pro-
duxisse Sigismondum eamque in novemdecim libros distributam affirmat; nec enim
Autographus Fulginas nec Ambrosianus Codex ultra 1510 nec supra septemdecim
libros procurrunt.

(2) SiG1s. DE ComIT., Hist., Lib. I in principio.

NEO FEVETTTIT TA]
Autografo di
queste storie.

Elogio delle
3 sue virtù.

———————

193

VITA DI SIGISMONDO DE COMITIBUS, ECC.

est, inquit Bembus (1), qui horum temporum res gestas com-
plectendi protendique literis suscepisti, nostri quoque Ducis
(scilicet Guidi Ubaldi) Azstoriam aggredi ...... Qua in re
non vereor, ne ille, si haec sentit, aeternitati suae optime
prospectum iri non sit extimaturus ; nam qui te melius
facere id possit nemo sane est: nemo in hac scribendi? ra-
tione majori quam tu dignitate, atque praestantia est
versatus. Felinus quoque Sandeus tantum huie tribuit,
ut de his, quae inter Sixtum IV et Ferdinandum Nea-
polis Regem disceptabantur, ad hujus nostri auctoritatem
provocare non dubitet « Ut ex Historia Moderni Cla-
rissimi Historici Sigismundi de Fulgineo » (2). Ne vero
hac in re longior sim quam par est, eorum erit judi-
cium, qui historiam percurrerint.

XXX. — Autographum hujus Historiae Codicem ac-
ceperat olim a Durante Dorio Ludovieus Iacobillius
Patriae rerum et universae Provinciae investigator acer-
rimus, et pluribus editis operibus clarus. Hie itaque
quum familiae suae finem jam imminere prospiceret
magnorum Virorum exempla sequutus, ut suorum Civium
Commodo consuleret, exquisitam Bibliothecam pluribus
etiam iisdemque vetustis extructam M. SS, quam grandi
sibi aere paraverat, Fulginati Seminario hac lege legavit,
ut studiosis omnibus pateret; quumque hoc M. S. jam
pene vetustate attritum in perniciem rueret, Mario Ma-
phejo Fulginatium Antistite Academiae, et omnium opti-
marum Artium Patrono Munificentissimo hortante, in
hominum manus nostra ipsa Academia emittendum pu-
tavit.

XXXI. — Sed ut eo tandem unde discessimus re-
vertamur restat, ut quae reliqua sunt de hominis mo-
ribus cognoscamus. Summa extitit in Sigismundo pietas,
summa vitae religio, ut nihil ab eo nisi moderate, nisi

caste, nisi ex hominis gravissimi et sanctissimi disciplina,

Esc. (1) PETR. BEMB., Hist. Dialog. de Urbini Ducib., p. 298.
(2) Felinus Sandeus in epit. de Regib. Sicil. et Apul. Cap. 29.

"

^"

IM, Te

A
194 M. FALOCI-PULIGNANI

ut de hoc proinde quod de Scipione Aemiliano Vellejus
Paterculus, quod nihil nisi laudandum aut fecerit, aut
dixerit, aut senserit (1). Quod nobis satis abunde ejus
scripta testantur, in quibus nihil omnino deprehendas
quod in eo integerrimam vitam, modestissimos mores,
fidem, innocentiam, non declaret. Neque haec ficta aut
specie tantum fucata, quam personam plerique ut eo
perveniant, quo cupiunt sibi callide imponunt. Inerat
enim, ut inquit Plinius de Tito Aristone (2), magni-
tudo Animi quaedam, quae nihil ad ostentationem,
omnia ad conscientiam refert, recteque facti non ex po-
puli sermone mercedem, sed ex faeto petit. Accedebat
etiam divinarum Seripturarum singularis quaedam et
exquisita cognitio, non scientiae et ostentationis sed
vitae et disciplinae Causa comparata, ad quarum prae-
cepta animumque mentemque referens omnes suas co-
gitationes, consilia, vitam denique omnem conforma-
verat atque direxerat. Hie plura silentio praetereo,
quae si minus necessaria, quum tamen sunt prolata
laudantur. Monumenta enim literarum testantur, ut non-
nulla et Fulginii et Romae templa ejusdem pietati ac
religioni propria accepta retulerint ornamenta (3) Ut
domos quas vocant pias suis largitionibus juverit, pu-
blicam pauperum inopiam sublevaverit, ae totus in ea
cogitatione defixus ut quibuscumque rebus posset, aliis
prodesset, auctoritate, consilio et fortunis nulla in re
libentius uteretur quam in deprecandis vel Amicorum
periculis vel incommodis, ut tandem plures honestas
aeque ac erumnosas familias enutrierit et Virginum pu-
dori eujus inimica est Paupertas liberalissime prospe-

xerit (4).

(1) Vellejus Paterculus. :

. (2) Epist. 22, Ad Coecilium Terent., Lib. I.

(3) Sacellum Divae Annae Sacrum ad Divi Francisci Fulginiae Sigismundus ere-
xit suisque insignibus exornavit; Dur. Dor. Hist Gent. Trinc. Lib. III. p. 128 nunc
vero penitus immutatum atque in elegantiorem formam redactum per Nobiles Bo-
logninios, quorum juris est.

(4) DuR. DoR. p. 128.

—rr—ee
' Tavola da lui

‘(comm essa a
| Raffaello.

Parsimonia di
ui.

* VITA DI SIGISMODO DE COMITIBUS, ECC. 195-

XXXII. — Nullo vero modo omittendum alterum
Sigismundi pietatis Monumentum pulcherrimum, insi-
gnis nempe Tabula, quam, eo curaute, pinxit olim
omnium gentium omnium saeculorum memoria Vir CI.
Raphael Sanetius Urbinas (1), quicum summa eidem
intercessit necessitudo eo, ut opinor, deducta, quod
ambo eidem inservirent Pontifici, ambo, ingenio et vir-
tute congruerent. Haec primum Romae Aracoelitano
Templo, mox Fulginiae in Ara Maxima Ecclesiae San-
ctimonialium Divae Annae constituta, ut ex verbis ta-
bulae coronae appositis : Questa tavola. la fece dipingere
Misere Gismondo Conti — Secretario Primo di Iulio Se-
condo — Et è dipinta per mano di Raphael de Urbino —
et Sor Anna Conti — Nepote del ditio Misere Gismondo —
U ha fatta portar da Roma, e fatta mettere a questo —
Altare nel 1565 adi 29 de Maggio. Hanc itaque, quae
omnium exterorum, qui aliquod in hac re judieium
ferre possunt, admirationem sibi vindicat, nuper deli-
neatam et aeri mirifice incisam integram Fulginatium
reipublicae, seorsim vero Sigismundi Effigiem ex eadem
expressam nostrae Academiae nuncupavit Abbas An-
tonius ex Marchionibus Nicoliniis modo vita functus,
quem virum genere, doctrina, humanitate, liberalitate
atque omni literarum laude vere summum iterum honoris
caussa nomino.

XXXIII. — Frugalitate vero et temperantia, quam
virtutem maximam judicat Cicero, ea fuit, ut nihil un-
quam ejus victus ratio insolens praeseferret, vel quum
hilaritatis et voluptatis caussa libere pateretur. Prae-
stabat (inquit Alexander ab Alexandro) nomnumquam
nobis ipse coenulam ut non nimis insolentem sic profecto
sobriam et modestam ac temporibus consentaneam ; et ut
erat ipse comis facilisque natura, ita facilem nobis victum
non exquisitis valde obsoniis apparabat; siquidem. Aspa-

ragos altiles acido vino et pipere conditos cum jusculo

(1) Anno 1505. Dun. DOR., p. 128. GEORGIUS VASARIUS, de Pictoribus Ilustribus in

Raphaelem Urbinatem.

" "
a-— —

"o
M. FALOCI-PULIGNANI

tepidulo ac ferculum cucurbitae cum immatura uva ibidem
expressa et decocta largo succo quibus perlibenter vesce-
batur obsonia nobis exhibebat. Addebat etiam pirum po-
mumque persicum miro odore fragrantia (1).

Qualità del- XXXIV. — Quum itaque sibi omnibus in rebus

l’animo suo. i ;
modum proposuisset, elegans, non sumptuosus habitus

est, et munditiam, non affluentiam affectavit. Nec vero

Amici apud eum umquam coenabant quin saltem, mensis
remotis, locus lectioni daretur, aut disputationi, ut non
minus ventre quam animo convivae delectarentur. Eos

enim admittebat, quorum mores a suis non abhorrerent.

Et quum summorum Pontifieum benevolentia non pa-

rum, ut diximus, fortunas auxisset suas, tantum abfuit
ut insolentius vixerit quam antea instituerat, ut in
utraque fortuna quod de Tito Pomponio Attico dietum
est a Cornelio Nepote pari.fastigio steterit (2).

Stima univer- XXXV. — Licet autem ea semper gravitate uteretur,

sale che godet-
te.

ut nihil in se fractum, nihil molle, sed omnia potius
firma, omnia severa praeseferret; tanta tamen acce-

debat humanitas, comitas tanta, ut eam Bembus ad seri-

bens incredibilem appellavit: Incredibilis est enim in eo

Viro, ut scis, summa cum morum. animique -severitate

comitas, aequabilitasque conjuncta (3). Tot igitur orna-

mentis instructus, tot virtutum praesidiis commendatus

quum esset, nil mirum tantam ei cum doctissimis om-

nibus sui temporis viris consuetudinem intercessisse,

ut neminem fortasse reperire fas sit, qui aliqua literarum

laude floreret, vel talem videri vellet, qui Sigismundum

nostrum vel amicitia devinetum non teneret vel non di-

scuperet; ut merito de hoc quod de Archia Tullius quod
eum non solum colebant qui aliquid percipere aut audire
studebant, verum, etiam si qui forte simulabant (4).

(1) ALEX AB ALEX., Gen. Dier., Lib. 0:: CR T
(2) CORNEL. NEP., in vita T. Pomponti Attici.
(3) PETR. BEMB., Dialog. de Urbini Ducib.

(4) Cic. pro Arch Poet. n. 8.
È " = Sign
En ct dor — DESEE CI Su e oM EE oet i s T EISE Lem EE iu z

SU ES ETT E ri "

io alla Città di Foligno.

aello

I ULI e£
sin omagg

Ji
Ht iA

CITA

VII.

è
[e|
iz
o
ez
D
Lai
=
o
[e
Lo
a
4
e
e
eo
a
<
ÀG
"m
S

e dall'Abate Nicolini nel 1761

= 702 8/1».
*. "n
PAY | LISCA EAT
euir
guir

n

dai tertela

e

ione fatta ese

ULT ASIA

1Ineis
SIRIA A RIAD ico m

ARI TAI

|

===
DOCUMENTI

Estratti dalla Gronaca di fr. Giovanni di Matteo del Caccia

domenicano di Orvieto

Nell'antichissimo convento de’ Predicatori di Orvieto,
uno dei primi eretti in Italia (12 233), con la prima chiesa
dedicata a S. Domenico e consacrata da Urbano IV (1264),

si aveva una cronaca dell’ Ordine in pergamena, scritta nella
metà del secolo XIV da fr. Giovanni del Caccia da Orvieto,
cronista non citato dall’ Echard, e ai più sconosciuto, e con-
tinuata da altri fino al’ secolo XVI. Ora la cronaca è pos-
Seduta dalla casa generalizia a San Bastianello in Roma: io
— potei, molti anni fa, consultarla per gentilezza di quei reli-
giosi e trarne estratti, che qui è utile pubblicare. Il codice
membranaceo è coperto in asse, e consta di carte numerate,

F 3 Tetto e verso, 101. Vi é applicato sopra un cartellino a
stampa che dice così:

« Codex membranaceus ex antiquo tabulario con-
ventus Praedicatorum Urbisveteris medio saeculo XIV
conscriptus a fratre Ioanne Mattei dicto Caccia urbeve-
tano, abinde ab aliis successive exaratus. Continet cro-
nicon tripliciter divisum: primo res Ordinis, de-
inde provincie Romane, tertio conventus
Urbevetani, referens nomina fratrum, qui scientia

14

Lu rstevb 9 ——-— JE Án

» È ;
SH e GIA

——— —

'
irta
L. FUMI

et pietate et dignitate floruere, eujus codicis meminit
fr. Thomas M.... (1) in prefatione ad primum tomum

Annalium Ordinis ».

Alla intestazione di Cronica fratris Iohannis dicti Caccia
de Urbeveteri, a carte 1, segue una nota dei Capitoli generali
celebrati nella provincia Romana. A. C. 2 è riportato il rito
liturgico della benedizione del sale e dell’acqua. A c. 4,
d'altra mano, si ha la leggenda di S. Domenico con la mi-
niatura del Santo seguita da quelle dei maestri dell'Ordine:
a c. 25 le notizie dei cardinali domenicani con i loro ritratti:
a c. 37 i frati della provincia Romana assunti a vescovi.
A c. 45 comincia a leggersi la Cronaca, dove i frati sono
registrati dietro un numero ordinale che va fino al numero
151. Gli ultimi frati, registrati da una mano del sec. XVI,

sono Giovanni da San Gemignano, Angelo da Soncino e Gre-

sorio da Como, morti nel 1518.
Fa meraviglia non veder citati nomi di domenicani illu-
stri che fiorirono nel detto convento, nè fatto un cenno di
fr. Giacomo Scalza autore di un volume di Sermoni, pro-
mosso da Urbano IV vescovo di Sulmona. Della famiglia
orvietana del Caccia è memoria nella denominazione di una
a, detta vicolo del Caccia, nel quartiere di San Gio-

piccola vi
casa. La nobile famiglia dei Polidori

venale dove
prese origine da questa stirpe.

Noi abbiamo preso nota delle persone che interessano gli
studiosi orvietani, i quali vi troveranno non solo notizie bio-
grafiche sopra i principali soggetti dei primi tempi dell Or-
dine, ma qualche accenno alla storia civile e una notizia
«d'arte relativa alla origine della bella tavola trecentesca
che ornava l’altar maggiore di 5. Domenico e che oggi si ha

aveva

scomposta nel museo del Duomo.

(1) Non si legge chiaramente il cognome. Se dica Malumbra, si tratterebbe di
i cui sono perdute le opere (Cfr. ECHARD, Script. Ord.Praedd., t. II,
sarebbe autore degli Annali (Annalum sacri Ordinis
Lazari Scorigii, 1027 in fol. cfr. op. cit., pag. 495.

. uno scrittore d
pag. 337). Se dica Malvenda,
Praedd. Centuria prima. Neapol.,

M PTOIIOT S
ESTRATTI DALLA CRONACA, ECC. 7: 199

A c. 25. Primus cardinalis de Ordine Predicatorum.

primus cardinalis ordinis fratrum predicti. Qui floruit in

SB

D sancta vita et scientia; nam, cum fuit doctor eximius
E in sacra theologia et magister Parisius, longo tempore
tenens katedram magistralem, qui totam bibliam [ex-
planavit?]. Et quia sie in Dei gratia claruit et bonitate
nimia, dominus Innocentius pp. quartus, eum promovit

ad sedem cardinalatus Sancte Sabine. Hic pater vene-

rabilis fuit sui Ordinis amator et quam plurimum ma-
gnus zelator, suum affectum fratribus ostendens. De

Romana Curia vadens ad Capitulum generale ob devo-

d x tionem Ordinis, quod tune temporis fuit celebratum Flo-
1 . rentie, sub an. M.CC.LvirI. Qui in Urbeveteri migravit ad
Les dominum sub annis domini w.cc.LxinJ (1) decimanona

die martii, requiescens apud locum eiusdem Ordinis in
D ecclesia patris sui beati Dominici, in cuius tumba isti
subscripti versus sunt annotati :

È (Miniatura

con mitra e
cappello rosso

Eclipsis patitur sapientia, sol sepellitur.

Felici fine sancte quoque Cardo Sabine.

— soprapposto).
Iste fuit per quem potuit doctrina sophye.
Preconio Dei, doctor fide cittarista Marie.
Hugo sibi nomen et Chardo presbiter omen.
Patria natalis Burgundia, Roma localis.
| Solvitur in cineres Hugo, cui si foret. heres.
i In terris unus, minus esset flebile funus.
Postea eius corpus fuit translatum Burgundia et hono-
| rifice sepultum in Ecclesia patr. predicatorum ete.
Secundus cardinalis ord. predd. — Frater Anibaldus
romanus de Anibaldensibus, nobilissimo genere ortus,
OU ab ipso puerili evo Dominicum est secutus, ordinem .

ingrediens fratrum predd., qui fuit secundus sui or-

(1) Cfr. ECHARD, Script. Ord. Praedd., I, pag. 197, dove l'anno della morte di
Ugo é riferita al 1262, vecchio stile, e 1203, stile nuovo.

— Frater Hugo de Sancto Caro, natione burgundus, fuit
LJ

n —ÓÀ—

UPS RR E i e n



s
(Ritratto con
cappello ros-
so).

(Ritratto con
mitra e capp.).

L. FUMI

dinis cardinalis, in quo habuit celebre nomen de vite
sanetitate: profecit etiam quam plurimum in sacra pa-
gina, in tantum quod Parisij legit licentiatus magister in
theologia, sicque ex premissis ad dignitatem meruit Car-
dinalatus XIJ apostolorum promoveri: qui in tanto cul-
mine consistens, non est elatus, nec elevatum est cor
eius, sed extitit ut prius dum erat in Ordine fratrum,
seilicet profunde humilitatis, singularis pietatis, coronate
devotionis et ad pauperes Xpi. et fratres sui Ordinis fer-
ventis caritatis, pro posse benefaciendo eisdem. Cui domi-
nus notum ei fecit finem suum et infirmitate gravatum
permictendo vexari, quam ipse tulit in patientia magna,
et mundus et purus et totus sanctus quasi angelus mi-
gravit ad dominum. Diem quoque clausit extremum in
Urbeveteri et sepultus est in Ecclesia fratrum suorum
iusta altare maioris cappelle. In cuius tumulo sequen-

tes versus sunt annotati (Obiit anno d. M.CC.LXXVIJ):

Urbs genitrix, genus Anibalum, sors presbitero card...
Dominici fons divinus prelatio card...
Quem decorat titulo duodecim apostolorum.

A o. 20. Cardinalis — Frater Robertus

quartus card. ord. predd. natione anglieus. Fuit excellens

Quartus

in theologia et prior provincialis Anglie, demum archie-
piscopus charturiarensis. Hic dum esset in Ordine, ut
ceteri fratres, in magna gratia fuit apud regem Anglie,
nec non apud comites et barones ipsius rengni. Qui
tum propter scientie plenitudinem, tum etiam propter
vite eius sanctitatem, ad cardinalatum portuensem me-
ruit sublimari. Habuit namque in se inter ceteras virtu-
tes ommimodam humilitatem, nam cardinalis existens,
cappa fratrum Ordinis utebatur, ut prius, per civitatem
urbevetanam, ubi euria residebat, pedes ambulando et
cum eappa brevi duobus domicellis contentus et totidem
fratribus comitantibus, eum eques eundo vel peditando
per romanam curiam. Qui obdormivit in domino apud
Viterbium, et in loco fratrum sepultus sub M.CO.L.

D mem
ESTRATTI DALLA CRONACA, ECC. 201

A c. 33. (Fr. Matteo romano, 14° Card., era stato

priore provinciale nel convento d' Orvieto).

A c. 38. (Vescovi). De Urbeveteri — Fr. Constantinus
Romane provincie, quando unita erat cum provincia regni,
fuit episcopus Urbevetanus, qui sub MCCLV per papam
Alexandrum missus est pro legato in Greciam et ibidem
defunctus, cuius corpus delatum est Perusium (1). — Fr.
'Transmundus d. Spinelli de Monaldensibus fuit epus. sua-
nensis — (Obiit an. dom. 1330. D'altra mano del sec. XVII).

— Fr. Matteus d. Faffutii de Medicis fuit epus, clusi-

nus (a Bonifatio vrit facetus. 1298) — Iacobus de Clusio
fuit epus. apud Tarsum Cilicie. — Fr. Tramus d. Cor-

radi de Monaldensibus fuit primo epus. in Balneoregio,
electus scilicet et confirmatus per summum pontificem et
postmodum factus est episcopus Urbevetanus (Obiit A-
vinioni an. d. 1345). — (Nota quod iste fr. Tramus domini
Spinelli non est dicendus domini Spinelli, sed domini
Corradi, it. non idem cum fr. Tramo d. Conradi, qui
prope finem libri dicitur fuisse epus. primo Balneoregii et
postea Urbisveteris, nec est verum quod obiit an. d. 1330,
sed obiit an. 1345. D'altra mano, del sec. XVII in fine

alla carta).

A c. 45. In nomine domini, amen. Sub M.CC.XXXI}
fuit in Urbeveteri receptus loeus fratrum predicatorum,
ubi defuncti sunt et alibi sieut domino placuit subseripti
fratres de civitate et eius dyocesi, quam etiam pertinen-
tes ad predictum Urbevetanum Conventum.

Fr. Angelus Ghotii sacerdos et predicator et bonus
clericus, qui ubique fuit gratiosus in verbo et precipue
in propria patria contra morem predicantium in terra
sua, Salvatore actestante, qui ait in evangelio: Nemo
propheta acceptus est in patria sua. Hie fuit prior Ur-
bevetanus et tam Deo, quam fratribus plurimum gratio-

sus et in tantum gratus omnibus, quod singulos cives

(1) Costantino de’ Medici di Orvieto e non di Firenze, come vogliono alcuni,
fu autore dell'ufficio e della leggenda di S. Domenico.

IPIE

=
L. FUMI

huius terre inter se discordias et inimicitias habentes
redduxit ad unitatem dilectionis et pacis, pacificando
eosdem in obsculo saneto. Qui in eodem conventu diem '
clausit extremum pergens ad Deum ornatus virtutum

meritis et dierum bonorum plenus post paucos annos

ad receptionem memorati Urbevetani Conventus (Qui

fuit ad Ordinem receptus per beatum Dominieum Rome
— Fuit primus prior est receptus ad Ordinem per bea-

tum Dominieum Rome. Obiit 1242) (1).

Fr. Latinus Urbevetanus (2). Hic primo intravit Or-
dinem pro fratre converso [receptus Rome per beatum
Dominicum. [D'altra mano, sopra abrasione|. Fuit enim
sancte vite et tempore beati Dominici, sequens. eius
vestigia in iustitia et sanctitate, qui meruit interesse
miraculo, quod Deus operatus est meritis patris no-
stri beati Dominici, quando pànis fuit ei oblatus ce-
litus, fratrum supplens inopiam. Hic enim frater per
Capitulum provinciale in mandatis recepit, ut Conven-
tum reciperet pro Ordine in Civitate Tuderti, qui illuc

pergens, ex gratia, quam habuit et prudentia, qua

pollebat, pro Conventu fratrum datum est ei monaste-

rium saneti Fortunati, ubi cum fratribus suis est diebus

pluribus demoratus, fratribus tamen paueis numero,

sed postmodum fratres renuentes annullare conati sunt

(1) In altra cronaca conservata nel convento di Orvieto si leggeva: « Conven-
tus S. Dominici de Urbeveteri erectus est a beato patre fr. Angelo Gotio de Ur-
beveteri anno 1233. Ecclesia constructa est anno 1264 et prima in toto orbe dedi-
cata ad honorem sancti patris nostri Dominici per Urbanum papam quartum ». E
ancora: « Beatus Angelus Gotii de Urbeveteri, fundator et primus prior huius con-
ventus, qui accepit habitum a Sanctissimo patre nostro Dominico et interfuit Ro-
mae apud Sanctum Xystum miraculo panum. Hic sanctissimus vir fuit et in patria
sua bona fecit, nam cum civitas in partes esset divisa et omnes discordarent, ipse

sua oratione et exhortatione omnes conciliavit. Obiit in hoc conventu Urbevetano
et hic est sepultus an. domini 1242 » (MALVENDA, Op. cit., 521).
(2) In altra cronaca: « Beatus Latinus de Urbeveteri conversus, qui primus
fuit conversus acceptus in ordine a sancto patre Dominico et interfuit. miraeulo
. panum Romae apud sanctum Xystum una cum beato Angelo, qui, licet conversus,
nihilominus ob eius sanctitatem praeceptum ei fuit in quodam Capitulo provinoiali,
ut reciperet conventum in civitatem Tudensi (séc), prout et recepit. Qui obiit Ur-
‘beveteri et ab omnibus sanctus reputatus est, prout erat. Eius imago eum albo sca-
pulari cernitur in capitulo conventus » (MALVENDA, Op. cit., 521).

eit idc din quod faetum fuerat per predictum fratrem conversum.

Deinde per comune Tudertinum monasterium saneti

Leutii fratribus est oblatum cum omnibus possessioni- :

bus pertinentibus ad predictum. Qui fratres, ut vere xpi
pauperes, redditus renuentes, acceptaverunt tantummodo
loci sytum ubi nune morantur et male non modicum
tum propter loci artitudinem, tum etiam propter inmen-
sitatem ventorum concutientium nocte dieque ipsum no-
strum Conventum. Qui frater Latinus obiit in senectute
bona eum multa devotione et ab omnibus, qui eum no-
verant, reputatus est sanctus (Iste fuit in mensa cum
beato Dominico quando fecit miraculum de panibus). —
:Fuit etiam b. Pancratius de Urbeveteri, qui fuit primus
qui habitum conversorum reciperet a sancto patre no-
stro Dominico et habitum reciperet clericalem ; quo su-
scepto, mandatum recepit.

Fr. Alexander de Urbeveteri fuit prior in suo Ur-
bevetano conventu. Sacerdos et bonus predicator, in
conversatione autem tam fratribus, quam secularibus
extitit quam plurimum gratiosus etc.

F. Joahnnes Luce. Hic fuit sacerdos et predicator
et prior in conventu urbevetano etc.

F. Iacobus Raineri Lodierii, sacerdos et predicator:
de Parisijs reddiens, ubi pluribus annis studens extite-
rat, et pro provincia missus, obiit Pisis, ubi actu cele-
brabatur generale Capitulum sub annis d. M.CC.LXXVJ.

F. Petrus de Aquapendenti, sacerd. et predicator.
Hic fuit in arte physice bonus medicus et peritus non
modicum, qui obiit in Urbeveteri.

F. Hugolinus etiam de Aquapendenti: fuit sacerdos
et predicator: et hic obiit Viterbii.

F. Angelus Ammannati sacerdos et predicator et
in verbo quam plurimum gratiosus, nec non et bonus
cantor, qui in Urbeveteri obdormivit in domino.

F. Rogerius de Marescoctis. Hie fuit dyaconus et bo-
nus cantor, qui apud Urbemveterem diem clausit ex-

tremum.

ESTRATTI DALLA CRONACA, ECC. 229085

t
(Sec. XIII).

L. FUMI

F. Bartho sacerdos et predicator: hic fuit supprior
in Conventu Urbisveteris et ibi requievit in domino,

F. Aceursus sacerdos et predicator: hic fuit supprior
in Aretio, diem claudens extremum in Urbeveteri.

F. Ambrosius diaconus etc.

F. Ioannes Xpofori. — F. Petrus de Aquapendenti.
— F. Phylippus dyae. — F. Petrus Lupicini conver-

sus etc.

A c. 25. F. Raynerius Petri domini Iohannis de Al-
bericis sacerdos et predicator et bonus clericus, fuit
primus lector de nostro urbevetano conventu, qui obiit

Anagnie.

A c. 36. F. Raynerius de Bulseno, sacerdos et pre-
dicator gratiosus, fuit solide vite ac fame preclare, quieti
animi, etiam compositos mores habens, in tantum, quod
se reddidit amabilem universis, qui obiit Rome apud

Sanctam Mariam super Minervam.

A c. 38. F. Ambrosius d. Iacobi Karomis suddia-

conus etc.

A c. 47. F. Petrus Bernardi sacerdos et predicator
fuit supprior conventus urbevetani, qui ex Dei devo-
tione et bono zelu ductus sui conventus, Bibliam suam,
quam de proprio patrimonio emerat, vendidit eiusque
pretium, cirea libras centum, in crucem argenteam de
super aureatam conventu donans, eamdem sacristie no-
stri conventus perpetuo sui ad divinum cultum extol-
lendam. Qui, ut vérus pauper Xpi, missus extra ad
predieandum, totum quod sue persone dabatur ad par-

tem largiebatur conventui, qui et in Ordine vixit an. XL.

A c. 49. F. Riva de Clusio, predicator gratiosus et
bonus clericus, fuit supprior in Conventu Urbevetano
et visitator in Conventibus Tuscie, migrans ad domi-

num dum esset aetu prior proprii Conventus, tempore
È (Ritratto).

ESTRATTI DALLA CRONACA, ECC. 205

quo pp. Nicholaus quartus in Urbeveteri residebat, vi-

vens in Ordine an. xr.

A c. 65. Fr. Iohannes, dictus Cistone, conversus, lau-
dabilis vite ac bone fuit religiosus et fame: hic multis
annis conmoratus est eum ven. patre et domino Fe-
derico cardinali penestrino Epo., origine Urbevetano,
religiose et gratiose nimis se habens in Curia domini
supradieti, qui de sua pecunia ad proprium usum de-
putatas duas ampullas argenteas emit, donans eas sa-

cristie nostri conveutus et alia jocalia utilia ,et neces-

saria procuravit ad utilitatem comunem, nec non, dum -

esset chanaparius, sicut officialis discretus et prudens,
fieri fecit ducentos urceolos stanneos pro nostro con-
ventu. Qui obiit Rome et apud S. Sixtum sepultus, ubi

erat Conventus, habens in Ordine an. xxxvj.

A e. 74. F. Andreas Lighi de nobilibus de Rotaca-

stello sudiaconus.
A e. 80. F. Katalanus Nerii de domo de Salamariis.

A c. 83. F. Masseus domini Faffutii de Medicis, cleri-
cus bonus et predicator gratiosus, fuit lector in pluribus
Conventibus ac etiam bonus cantor et per d. Bonifatium
pp. vuj ad episcopatum clusinum est adsumptus, qui
ex sua sagacitate et industria plurimum augumentavit
in magnis possessionibus et et redditibus, et licet fuerit
sibi et sue familie nimium parcus, nec non et suis con-
sanguineis, suum tamen condidit testamentum, multa re-
linquens pro Deo et anima sua, tam in Urbeveteri, quam
etiam in partibus clusine dyocesis. Obiit autem in ca-
stro, quod dicitur Clancianum, ubi honorifice est sepul-
tus in die S. Thome apost. sub m.ccc.viij. (Obiit 1311
temp. Clements v an. pont. 6., ut apparet in eius testa-

mento in archivio Conventus).

A c. 84. F. Oddorisius Bertrami de S. Apostolo, sa-

cerdos et predicator, morum honestate ornatus, humilis

mE



E

rat app

EE CERES

T rr I a n rr

TG

VOADERUSDGCSEHMED rn
BY

ces root ="
——— 3
i Pri mesa o ri).

L. FUMI

et pacificus et aliis prerogativis in tantum dotatus, quod
fratribus et secularibus cum eo conversantibus se redidit
gratiosum. Fuit multis annis cappellanus rev. fratris
Napoleonis card. de Ursinis, qui existens legatus a latere
summi pontificis in Tuscia et Lombardia et in partibus
Dalmatie, ipsum promovit ad episcopatus dignitatem,
Epum. faciendo in civitate, que Pedina nominatur. Qui
fratres suos cupiens visitare, existens in itinere, volens
Urbemveterem redire et cum fratribus suis conmorari
ad tempus, in via graviter infirmatus. migravit ad Do-
minum in civitate, que Pola dicitur, et sepultus in loco
fratrum minorum, quod fratres sui ordinis locum non
habebant ibidem. M.CCCx.

F. Petrus Boneguide, sacerdos et predicator, fuit
prior et lector in Urbeveteri, quam etiam Aretii, et vi-
sitator in Conventibus Tuscie, dulcis in conversatione,
laudabilis in vita, mundissimus habitu, qui exteriori-
bus et interioribus se redidit gratiosus. Fuit ... morum
gravitate compositus et Deo devotus et verecundus ex-
titit et pudicus, et quia sic erat imbutus virtutibus et
gratiis, meruit esse Ordinis procurator, qui longo tem-
pore exercens offitium, tam summis pontificibus, quam
cardinalibus et R. Curie offitialibus fuit plurimum ac-
ceptus et gratiosus, huius procuratione pp. Benedictus
monasterium S. Pauli de Urbeveteri concessit fratribus
predd., eorum cure et correctioni subiciens, de predicto
vero offitio proeurationis Ordinis adsuntus est ad pro-
vincialatum romane provincie, electus unanimiter et
pacifice, nemine discrepante, qui et tante fuit exem-
plaris religionis, quod in refectorio, in mensa come-
dens, uunquam cibum gustabat nisi primo verbum Dei
a lectore mense esset prolatum. Qui in Ordine vixit
an. XL. duobus. Diem vero clausit extremum die s, Marci
evangeliste, sepultus in testimonium sincerissime vite
et oppinionis preclare ante ostium sacristie, in cuius
tumulo ad eius preconium extollendum subscripti ritmi

fuerunt adnotati etc.
ESTRATTI DALLA CRONACA, ECC.

Cluditur hic tumulo morum lionestate preclarus

Petrus vocatus Bonaguide congnominatus,

Hie prior lector Romane provincie rector, : ?

Ordinis totius extitit et hic procurator.

Ergo quem tantum gratia divina sic fuit

Collocet in celis et nostri misereatur Lum

Ad Deum migrando sub annis domini M.CCC.XIJ.
(Fuit alius Procurator nempe fr. Petrus de Urbeve-

teri, 1301).

A c. 89. F. Jacobus Maghalocti, sac. .... supprior,
nec non et cappellanus fuit pluribus annis d. Johannis

Cardinalis de Bochamatiis ... * 1314.

A e. 91. F. Simon d. Franeisci filiorum de Greca,
sac. pluribus donis et gratiis dotatus, fuit bonus pred.
et cantor lector, etiam castellanus Narniensis, Tudertinus
et Urbevetanus annis pluribus .... Fut prior Cortonensis,
Senensis, quam etiam in Urbeveteri bis et diffinitor in ca-
pitulo provinciale et Romane Provincie vicarius. Passus
est autem diuturnam infirmitatem ; prior actu existens
in patientia, qui propter laudabilem vitam, quam habuit
et generositatem suorum, meruit habere in exequiis fu-
neralibus venerabiles patres et dd. Archiepiscopum Be-
nevetanum, Urbev. Epum. et alios prelatos ac religiosos
civitatis. Traditusque est sepulture iusta gradus maioris
'appelle in die s. Helisabet. Vixit autem in Ordine annis

XL sub MOOOXVIj.

A c. 94. F. Federicus d. Zacharie, sac. et pred., fuit
nepos carnalis ven. patris d. Tederiei de Urbeveteri ti-
tuli penestrini Epi. Card. Hie, gratia sui patrui, plurium
Cardinalium extitit domicellus. Qui et uxorem duxit de
nobili prosapia de Civitate, aspectu venustam ac morum
honestate honoratam: qui, tactus dolore intrinseco de
preteritis, siquid mali egerat contra Deum, habitum re-
ligiosum adsumsit et cingulum militare, faetus milex mi-

litie B. Marie virg., pluribus annis existens in domo

" "
E

ta

ine

za
—— sta

Cervara mers

L. FUMI

paterna cum sua uxore et nunquam diem pretereundo,
in quo offitium tam diurnum, quam nocturnum diceret
sollicite et devote in breviario Ordinis, nec non omni die
nostra ecclesia visitabat. Qui et perfectionem vitam agere
volens, consilium servavit Salvatoris dicentis: qui non
relinquit patrem, matrem etc. cuius consilium tenens
ut preceptum, quam citius potuit executioni mandavit.
Nam suos genitos, nondum provecte etatis adultos, se-
eulo derelinquens ac suam coniugem sanctis exortatio-
nibus inducens, ipsam reclusit pro moniali in monasterio
s. Pauli nostri Ordinis. Fecit etiam et quidam merito con-
mendandum pietatis opus; nam quamdam juvenculam,
nobilem genere sed omni modo divitiis destitutam et ex
utroque parente orbatam, de bonis propriis dotando pa-
riter cum sua coniuge in supradicto monasterio collo-
:avit. Et modico tempore, quo in Ordine fuit, et ante in-
gressum, plurimas et largas elemosinas pauperibus ero-
gavit. In domino autem requievit apud Viterbium sub

M.CCC.XVIj, qui et in Ordine vixit annis VII).

A c. 96. F. Iohannes Raynerii dietus Bachecce de

domo filiorum Rubei sac. ete. ete. Y 1520.

A c. 97. F. Guido d. Aringerii de Phylippensibus,
ante ingressum ad Ordinem, de insigni genere duxit
uxorem, et ex ea duos procreavit filios, qua subtracta
de medio per mortis ochasum, ad ipsos suos, natos pro-
pter Xpum. mitigavit affectum, eos seculo derelinquens,
nee tamen in etate adultos, qui soli Deo cupiens mi-
litare, nostrum intravit Ordinem, vivens inter fratres
pacifiee et devote, tempus suum ducens precipue in
obsequium infirmorum ; demum facetus sacerdos, cotidie
celebrabat, de virtute in virtutem proficiens usque ad
terminum vite sue. Vixit autem in Ordine an. xj, re-

quiescens Viterbji de mense augusti sub M.CCC.XX.

A c. 101. F. Hugolinus Gentilis d. Tancredi de Be-
rizeschis seu dietus de Arce, fuit supprior Urbevetanus...
T 1313,
ESTRATTI DALLA CRONACA, ECC. 209

A c. 105. F. Tiburtius Mei Raynutii de Provenzanis,

sac..., fuit lector Tuderti.

A c. 111. F. Iohannes Petri Rodeloossa, sac. et pred.,
fuit supprior Urbevetanus. Libellum edidit devotum et
pulerum, quod sic intitulavit: Liber de meditationibus
fratris Ioh. Rodeloossa ete. Obiit tamen in senectute bona

Perusii... 1139.

A c. 112. F. Iohannes de Paganutiis fuit juvenis bone
yndolis et comscientia sincerus, moribüs venustus et ve-
recundus extitit et pudicus, qui ab infantia usque ad
mortem virginitatem et innocentiam servavit et-ab omni
peccato mortali se conticuit, sicut firma sui confexoris
et magistri sui novitiatus in sua fide affirmando asse-
ruit. Nam scolaris existens in studio gramaticali, in-
ter .ccC. sotios suos scolares omnibus melior repetitor
fuit eorum. Postmodum vero ad scientiam sacrarum
legum se transtulit, in qua scientia plurimum profecit,
sui doctoris lectiones sufficientissime repetens, ita quod
inter paucos annos effectus est bonus jurista et magne
reputationis, tam in Urbeveteri, quam etiam Perusii, ubi
florebat studium generale huius scientie juris. Et per ef-
fectum patuit pluries convocando legum doctores religio-
sos et clericos ad suas lectiones seu sermones. Et quia
sua vita et fama omnibus erat in exemplum, factus est
offitialis Urbevetani Comunis ad regimen Civitatis, fac-
tus unus de vij prioribus artium, quod offitium exequi
debebat in kalendis martii: ipse vero presciens, ut homo
spiritu sapientie et intellectus repletus, soli Deo militare
volens, nostrum Ordinem est ingressus pridie kalendas
mensis prefati, receptus a fratribus cum gaudio et le-
titia magna, et indutus habitu Ordinis per patrem no-

strum priorem provincialem, ex eo quod magna prero-

gativa ex predictis preditus, et ut Deo et anime sue me-

lius vacare valeret, eligit sibi Conventum senensem, ut
studio lectionum et orationi insistendo, magis esset in-
tentus. Qui vocatus est a d. Jhesu Xpo de hoc mundo

€"—€—

cr

A LL
Eccles, cap. LI.

bevetani conventus eum elegerunt in suum priorem et

L. FUMI

ad celestia rengna in die s. Barnabe ap., adhuc novi-
tius existens, anno primo ad ingressum Ordinis, ita quod
merito dicere potest quod seribitur in libro sapientie
Modicum laboravi et inveni mihi multam requiem: et hoc

sub annis d. M.cco.xxviij.

A c. 115. F. Bernardinus da Montepoliciano fuit ex
utroque parente nobiliter genitus, qui in iure civili com-
petenter instruetus, cappellanus extitit annis pluribus
rev. patris et domini d. Iacobi de Colupna cardinalis.
Veniens ad Ordinem, studuit Colonie et Parisii, qui red-
diens ad provinciam, factus est lector, legens annis duo-
bus Fulginei et prior fuit Urbevetanus annis pluribus.
Per cuius bonitatem et procurationem sollicitam multa
bona evenerunt nostro conventui. Qui fuit in sua conver-
satione gratus et affabilis quam plurimum apud man-
gnates et seculares personas, boni sensus et capitis et
mangmni consilii, et bonus dictator ac gratiosus predi-
cator, et quia sic imbutus fuit tantis donis et gratiis,
meruit eonmorari cum serenissimo principe et domino
d. Henricho imperatore..., sub annis d. w.ccoc.xnj, suus
'arus cappellanus existens et confexor, qui linguam
gallieam optime noverat, ut suus dominus antedietus de
hoe seculo migrans ad Deum in civitate Aretii, ubi sin-
gulariter refulgebat in gratia apud mares et mulieres et
sua laudabili predicatione et grata conversatione sub
M.CCC.xX nono, die xv mensis aprilis. Qui et in Ordine

vixit annis XL.

A c. 123. F. Transmundus d. Spinelli, de insigni
et preclaro genere Monaldensium traxit originem, qui
nostrum Ordinem est ingressus in iuvenili etate, profi-
ciens in scientia, quam etiam pollens virtutibus et gra-
tiis. Nam studens fuit Bononie et Parisij, qui utrobi-
que et ubicumque fuit, exemplaris extitit sue religionis

et preclarissime fame. Et idem. est quod fratres sui Ur-
(Ritratto)...

ESTRATTI DALLA CRONACA, ECC. . : 211

patrem, ante quam de studio parisiensi redivit. Qui ad
tempus actu prior existens, et post a prioribus offitio
absolutus, factus est lector in nostro conventu, et prior
pluribus annis et postmodum bis prior viterbiensis et
etiam bis prior romanus apud sanctam Mariam super Mi-
nervam, nec non prior arectinus, pistoriensis et lucanus
et vicarius in parte nostre provincie et diffinitor in plu-
ribus capitulis provincialibus. Qui et de sibi appropriatis
fuit quam plurimum liberalis, honorando fratres hospites
et prelatos maiores Urbemveterem venientes. Qui et
sui Ordinis zelator mangnus fuit et ad suum conventum
nimium affectuosus, sicut patuit per effectum ; nam suos
parentes et genealogiam sibi magis propinquam ad af-
fectum et dilectionem Ordinis traxsit in vita pariter et
in morte, pro quibus fabricari in nostra ecclesia fecit
gloriosum sepulcrum, ubi sui parentes et congnati pro-
pinqui sunt traditi sepulture ob sui gratiam et amorem.
Ad Ordinem vero traxsit plures sua predicatione et de
sua stirpe duos ad nostram religionem induxsit, nec
non suam uterinam sororem tres et neptes carnales
habitu patris nostri et interventricem apud Deum bea-
tam Mariam. Magdalenam, cuius diem affectu et effectu
venerabatur quam plurimum, celebrans ipse missam
quando poterat et fratres exortando, quod offitium tam
diurnum, quam nocturnum peroptime cantaretur die: qui
in conventu ad sancte prefate laudem et honorem fecit
pietantiam consolatoriam et pinguem, istam devotionem
continuatam habendo per Lv annos, et quare floruit in
fama preclara et sancta vita et scientia bona electus
est in Epum. Suanensem, qui in sua katedra exaltatus,
fuit lucerna super candelabrum ardens et lucens, silicet
in se ipso servanda omnimodam honestatem et super
Xpi. pauperes gestans viscera pietatis, faciens elemosinas
largas in vita sua. Cui dominus notum fecit finem suum,
moriturus in brevi. Et ideirco per omnes ecclesias et
monasteria civitatis nostre et per omnes sacerdotes huius
terre dispersit et dedit de sua pecunia in quantitate non

modica. Nostro vero conventui, dum mentis sospitate

.
L. FUMI

et sue persone gauderet, licet corpore esset debilis, ut

homo longevus, pro fabrica ecelesie dedit lib. mille vel

circa, item unum calicem pretiosum et pulerum valoris
[s lib c., tabulam etiam pingi fecit pro altari maioris cap-

pelle, expendens in ipsa flor. c., libros autem suos, eo

vivente, apponi fecit ad catenas armarii pro utilitate
comuni, scilicet Summa Saneti Thome et inj" Evan-

gelia ex... et plures alios libros de sacra theologia cum

Biblia in duobus voluminibus. Qui quidem libri exti-

mati fuerunt valoris mille lib. usualis monete. Epi-

scopatum vero suum, prout scivit et potuit, augumen-

tavit edifitiis construendis, tam in suam, quam etiam
in aliis partibus sue dyocesis, nec non procurando ma-

iores proventus seu reditus sui episcopatus pro utilitate

et consolatione suorum antistitum successorum. Qui et

nolens decedere intestatus, pro nostra ecclesia constru-

enda pecuniam legavit quantitate non modica (Tem-
pore prioratus istius fratris Transmundi, sacristia, que

fuerat combusta, fuit renovata et restaurata, que prius

erat sub tecto .M.CCOXj), ipsam dispensandam prius quam

de hac luce migrasset. quod executioni mandatum est

et bene fecit suum optatum effectum. Iohanne igitur xxrj 1

summo pontifice presidente in orbe, rxxrij etatis sue anno,

TERNURA

episcopatus autem xvIlj, apud Procenum, dyocesis sue

È i 'astrum, cum debita devotione susceptis salutaribus sa- |

(IT cramentis, migravit ad dominum Ihesum Xpm. in sene-

IHR E ctute bona, plenus dierum bonorum, et in sua plebe, que

Saneta Maria dieitur, est sepultus, convenientibus ad

eius honorabiles exequies funerales religiosis et elericis

de longinquis partibus et propinquis, in die sancti Fran-

cisci sub annis d. M.ccc.xxx. Est etiam perpetue me-

Mess morie cum diligentia commendandum, quod antedictus

il ven. pater, ante sue mortis ochasum, centum flor. auri

| : donavit monasterio s. Petri nostri Ordinis et Civitatis,

= cum isto pacto et conditione apposita, quod emeretur pos-

di i sessio de cuius fructibus et proventibus perpetuis tem-

poribus fieret pietantiam in nostro conventu in festo s.
ESTRATTI DALLA CRONACA, ECC. 213

Marie Magdalene, obligando se monasterium expendere

in ipsam pietantiam florenos iiij" boni et puri auri.
A c. 194. F. Andreas de Tertia T 1343.
A c. 125. F. Katalanus de domo de Salamare T 1332.

A c. 126. F. Andreas subdiaconus, uterinus preno-
minati Katalani t 1332.

A c. 127. F. Symonectus diaconus, de domo de Ter-
tia T 1333.

A. c. 129. F. Chola Nalli de domo de Salamare T 1335.

A c. 181. F. Taneredus de Bechariis .... in studiis
generalibus, seilicet Neapolim, in Montepesulano et Pa-
risiis reputatus .... T 1338.

A c. 133. F. Ambrosius de Clanciano castro, Clu-
sine dyocesis, ex utroque parente terre sue, sed suam
genealogiam de maioribus et potentioribus traxit origi-
nem: hie, infantulus xinj etatis sue anno, Ordinem est
ingressus, qui minime otium est septatus et inerptiam,
set ab ipso sue pueritie evo amplexatus est studium
scientiarum, in tantum quod effectus est sollempnis cle-
rieus, et inde est, quod fuit lector eugubinus, spoletanus,
anagninus et urbevetanus, viterbiensis et romanus a-
pud sanetam Matriam super Minervam, quam etiam ba-
chillarius et magister studentium Florentie, ubi viget et
floret studium generale. Et quod pollebat mangna di-
scretione et sensu et prudentia multa, fuit diffinitor in
Capitulo provinciali et prior eugubinus, urbevetanus,
viterbiensis et romanus apud sanctam Sabinam. Fuit
etiam egregius predicator, placens ubique sua populo
predicatio et ad clerum admodum sermocinator gratio-
sus, et quia tantis erat preditus gratiis et bonitatibus ac

bona religione et fama preclara, meruit conmorari cum

E

15

— ————

Terri

re o e

nr Ó'

===

e A 4 S ARI Ct Ap dh ^^
STAT " ——— por
cene 'UPRTONSEE CONSID

Pi

ari ee

M ———— n n

mein
lari di vita santa e penitente, fattosi poi domenicano):

L.

FUMI

ven. patre et d. d. frate Tramo Epo. Urbevetano, suus
viearius existens generalis in spiritualibus, et gratiosus
autem quam plurimum in sua conversatione, tam fratri-
bus, quam etiam secularibus, propter sue probitatis me-
rita memorata. Qui vicinam mortem congnoscens, est
gravi langore vexatus, mente tamen extitit sanus, cum
maxima devotione petens et suscipiens sacramenta
salutis. Et inde est quod, portata sibi sacra eucharistia
per nostrum priorem, descendens de lecto, in terram hu-
militer se prostravit et capud suum cinerem consper-
gens, locutus est cum multa compuntione et lacrimis
verba magne edificationis coram astantibus fratribus
et secularibus ad reverentiam sacri corporis Xpi et pro
sua salute, in hoc prebens omnibus saluberrimum exem-
plum, quos omnes provocavit ad fletum, et de luce mi-
grans ad dominum vj die septembris sub annis domini

M.CCC.XXXIX.

A c. 134. F. Jacobus Karomi, ex utroque parente
nobilem originem traxsit et nepos carnalis b. m. fr. An-
dree d. Iacobi militis de Karomis prenominati. Qui fa-
etus fuit chanonieus per d. Papam Nicolaum quartum in
maiori ecclesia nostre Civitatis, serviens ipsi eeclesie ut
vere chanonicus per annos XL, cum debita devotione
optime dicens offitium ecclesiasticum et sua hora cha-
nonica, ut plurimum. Et quia florebat in fama et oppi-
nione preclara, b. m. d. episcopus Leonardus fecit eum
suum vicarium generale: qui sic existens in sua ecclesia,
de suis proventibus fecit in ecclesia antedieta ad perpe-
tuam rei memoriam chapellam ob reverentiam SS. apost.
Petri et Pauli et pro anima sua, ipsam dotando frumento,
vino et aliis necessariis, prout expediens erat ad vietum
sacerdoti sue sacre chapelle ministro. Et idem fecit in
ecclesia s. Andree apostoli, ubi extiterat chanonieus an-
nis pluribus, faciens ibidem chapellam ad venerationem

SS. Angelorum, instituens ibidem sacerdotem pro sua

. salute et ei relinquendo ad vitam necessaria (Partico-

ce site sola
crus iz)
ESTRATTI DALLA CRONACA, ECC. 215

A c. 185. F. Iohannes Oddonis de parochia s. Ma-
rie t 1343.

È A c. 136. F. Jacobus Nalli de parochia s. Iuvenalis
"e de stirpe et domo de Floreta t 1343.

A c. 138. F. Hugoliuus de Aviziano, seu de Arce,
nob. genere de Berigeshis f. Tancredi d. Hugoli et fr.
carnalis fr. Rostichelli superius memorati T 1344.

F. Nicholaus Manfredi, sacerdos, ex sua genealogia
nobilem et illustrem traxit originem, videlicet quia ca-
rus et astrictus consanguineus fuit comitis Tolosani et
Dalfini et per consequens regis Roberti. Et idem est
quod Rex Manfredus, dum prosperitate polleret, patri
suo donavit castrum, quod dicitur Pitillianum de Ma-
ritima Ildribandesca, sed postmodum, morte subve-
niente prenominato ipsi regi, prefatum castrum devolu-
tum est ad comune Urbevetanum, suo patre Manfredo
renuntiante ad omne ius, quod haberet in dicto castro,
ista conditione apposita et pacto, quod esset civis urbe-
vetanus et uxorem duceret de civitate de nobili et mi-
litari prosapia. Quod [factum] est: et Comune donavit
ei possessiones mangnas et .... quod sufficientem tenere
E posset duos bonos equos ad utilitatem urbevetani Co-
Am munis.

F. vero prefatus utroque parente orbatus, nostrum
ordinem est ingressus etatis sue anno xvj, de cuius pro-
ventibus noster Conventus percepit vj milia lib. usualis
b Phu. monete vel circa. Vixit autem hie frater b. m. in Ordine
: annis Lvrj, qui fuit semper bone conversationis et homo
quietus et pacificus, nulli displicentiam faciens, qui sin-
gulari devotione venerabat B. V. Mariam, quatuor vigi-

TRE lias suarum. sollempnitatum ieiunando in pane et aqua,

et multo tempore continuavit dicere omni die psalterium
ad laudem Dei et pro sua salute. Migravit autem in se-
nectute bona, plena dierum, habens in etate annos Lxxv,
sub annis d. MCCOXLHI}, qui terminum posuit dierum
vite sue qratuor diebus ante natale dominico.
au

S. me

M

nostri b. Dominici tumulatus, convenientibus ad eius

L.

FUMI

A c. 141. F. Tramus d. Conradi de Monaldensibus,
dum esset in sua juventute lector Urbevetanus, fuit
primo factus prior Florentinus, et postomodum prior
Urbevetanus et Perusinus et diffinitor in pluribus Capi-
tulis provincialibus et elector magistri Ordinis, nec non
diffinitor Capituli generalis Parisiensis, Qui propter suam
laudabilem conversationem fratribus gratam, electus est
et confirmatus in nostrum priorem provincialem una-
nimiter et pacifice. Cuius bonitas declarata et praecla-
rissima fama in nostra patria, ecelesia Balueoregiensi pa-
store vacante, electus est iuridice, nullo canonico disere-
pante, eiusdem ecelesie in episcopum et pastorem, Cuius
eletionis decretum sibi praesentatum, ut in ipsam elec-
tionem consensum praeberet et acceptaret, omnino renuit
talem electionem de se factam, ipsam minime acceptando.
Nihilominus summo pontifici decretum tale et quod postmo-
dum in prefata electione fuerat processum sibi innotuit,
providens romanus pontifex casibus et periculis suorum,
compulsum est et choactus de civitate exire, qui vadens
Avinionem, ubi summus pontifex dominus Clemens pp. vj
residebat, ibidem moram contraxit per annum, susceptus
ab eo paterne. Qui fuit corpore magnus et decorus
aspectu et bonorum morum honestate venustus. Suum
autem episcopatum augumentavit quantum scivit et po-
tuit, ad pauperes autem et egenos semper gessit viscera
pietatis, faciens eis elemosinas in secreto, potiusquam
in publico, vitare volens gloriam inanem. Infirmatus
autem corpore et mente sanus, notum fecit ei dominus
finem suum; quod ecclesiastica omnia sacramenta cum
devotione debita et devota suscepit, et auctoritate summi
pontifieis in confexsione secreta ab omni peccato a culpa
pariter et a pena absolutus. In suo autem testamento,
quod condidit fratribus cum eo residentiam facientibus mi-
nime fuitingratus, relinquens eis bonum legatum. Domino
igitur Clemente pp. vj presidente in orbe, Lxvj etatis sue
anno, episcopatus autem xvij, apud Avinionem migravit

ad dominum et in ecelesia suorum confratrum patris

PERS
ESTRATTI DALLA CRONACA, ECC. 217

honorabiles exequias funerales presentialiter: qui fuere
xvij venerabiles patres et domini Cardinales et quasi

mana Curia residebant, sub annis domini MCCOXLY.
(Segue appressa ad un segno di richiamo che non ha cor-
rispondenza la giunta che riportiamo senza poter pre-
cisare il luogo certo nel cenno biografico di fr. Tramo,
ove si possa ricollegare).
que fuit filia unica et heres d. Berardi de domo domini
Raynaldi Comitisse, qui erat patronus una cum suo
germano domino Morichello ecclesie s. Crucis. Nota,
propter multa bona que iste ven. pater dedit ipsi con-
ventui, cum successerit conventus in omnibus bonis et
parte hereditatis sue, quod fratres predicatores de Ur-
beveteri habent in ecclesia S. Crucis de Urbeveteri ius
patronatus, nam d.ns Conradus d. Ermanni d. Cittadini
de Monaldensibus habuit in uxorem d. Odolinam filiam
d. Berardi de domo Comitisse, de qua habuit tres fi-
lios superstites, scil: fratrem Tramum, d. Hermanum
(a quo descenderunt Conradus et Lucas et filii Benedi-
E cti) et d. Berardum (a quo descenderunt Monaldus Be-
rardi Corradi (?) Berardi d. Hermanni de Montorio). Et
2 sic fratres predicatores de Urbeveteri, occasione fratris
i Trami, idem ius patronatus habent in ecclesia s. Cru-
| cis et de bonis que habent filii et descendentes d. Her-

manni et filii et descendentes d. Berardi.

A c. 145. F. Laurentius Hugoli de Paganutiis de

parochia s. Angeli + 1346.

A c. 148. F. Nallus de parochia s. Iuvenalis, dum
I ,

esset Bononie ete.

(Dopo fr. Nallo segue una nota di nomi, a capo de! quali

è F. Johannes Mactei qui compilavit eronicam).

L. FUMI.

. LE . . LI . Li ?
omnes patres nostri et alii prelati mitrati, qui in Ro-

ME

^

2, . R
Jen E

die Aud

Y sacra
VARIETÀ

DI ALCUNE INFEUDAZIONI NELL'UMBRIA

nella seconda metà del secolo XIV

Nella seconda metà del secolo XIV, pochi anni dopo la re-
staurazione della sovranità pontificia per opera dell’ Albornoz,
il feudalismo cominciò a riprendere nello Stato ecclesiastico, per
un complesso di cause che non è qui luogo ad esaminare, uno
sviluppo considerevole.

Le concessioni furono sovratutto numerose in quella parte
di Umbria che era annessa al Patrimonio, specie nel comitato di
Sabina, il che è pure degno di rilievo. — Aspra, Tarano, Torri,
S. Polo, Collevecchio, Stimigliano, Selei, Montasola, Foce, Miranda,
Lugnano, Porchiano, furono, nel volgere di pochi anni, sottoposti
al regime feudale. ì

Di alcune di queste infeudazioni intendiamo dare qui breve no-
tizia, come contributo alla storia di quei piccoli castelli, tuttora
centri abitati della nostra regione, premettendo qualche cenno sui
rapporti dei medesimi colla Chiesa negli anni anteriori.

Stimigliano, Collevecchio, Selci, Torri,
S. Polo, Montasola..

)

Questo gruppo di.eastelli sabini fu dato in feudo, il 16 ago-
sto 1368, da Urbano V a Francesco e Buccio Orsini figli di Gior-
dano, a seconda generazione mascolina, ed, in mancanza, femmi-

24
E" a IT EE
o

desi —

*
Puc

in. ig SS

" NETT -—-

2 . X

220 . M. ANTONELLI

nina, eoi patti seguenti: esereizio del mero e misto impero e d'o-
gni giurisdizione spettante alla Chiesa sui medesimi: licenza di
riparare e fortificare i detti castelli, nonostante qualunque divieto
di legge (1); pagamento di un annuo censo di un fiorino per cia-
secun castello al tesoriere del Patrimonio: appello al rettore del
Patrimonio dalle sentenze dei feudatari e de’ loro officiali: ob-
bligo d'intervenire al parlamento generale della provincia, agli
eserciti e alle cavalcate che faranno gli offieiali di questa, con
quel numero d'uomini per cui ciascun castello è tassato: contri-
buto, in proporzione, ai sussidi generali che potessero imporsi:
adempimento di tutti gli altri obblighi feudali, secondo il diritto
e la consuetudine : la prestazione del giuramento e del ligio omag-
gio da farsi, nella forma consueta, nelle mani del camerlengo
papale (2).

Delle dette terre, nei turbolenti anni che precedettero la re-
staurazione albornoziana, alcune aveano dato prova di grande co-
stanza nella fedeltà, altre di spiriti costantemente ribelli. Fra que-
ste ultime Stimigliano, che continuò nella ribellione anche dopo,
tanto che il rettore del Patrimonio, nel 1357, ne ordinò lo sman-
tellamento delle mura, oltre alla distruzione di tutte le case dei
ribelli. Il comune fu poi condannato in cento fiorini per aver
eletto in proprio notaro e officiale uno sbandito della curia, mae-
stro Gianne di Cagno da Montasola. — Collevecchio invece restò alla
Chiesa devota, anche quando, nel 1352, quasi tutta la Sabina ribellò.
Tentarono sì i narnesi di occuparla, ma la buona custodia che vi
si faceva frustrò le loro mene. — Ugualmente Selei. — Torri al
tempo del Bavaro, quando tutta la Sabina era invasa da nemici,
soffri danni enormi, ma non cedette. Chiese in compenso al papa
di farle sentir meno il peso dell’ autorità provinciale, col vietare
a questa, come in molti comuni si osservava, di procedere in al-
cuni malefici quando dall’ autorità comunale fosse in ciò preve-
nuta; eollimporle di dare a chi si gravava di essa nel corso di
qualche giudizio un probo uomo e non sospetto che il giudizio
terminasse; come pure di non procedere per privata inquisizione,

(1) Le costituzioni provinciali proibivano ai privati qualunque opera di fortifi-
cazione.
(2) Doc. in appendice.
DI ALCUNE INFEUDAZIONI NELL’ UMBRIA, ECC. 221

senza far palese il nome del denunciante. Fedele si mantenne an-
che nel 1352. Su essa, come su altre terre di Sabina, vantava di-
ritti il comune di Roma, le cui milizie nel 1350 invasero il comi-
tato. Torri accolse allora un podestà romano in persona di Sancio
di Angelo. — Montasola fu terra spesso ribelle, e sbandita perciò
dalla curia sabinese: venne poi in potere di Luca Savelli. — Del
minuscolo S. Polo si ricorda una tempestosa adunanza consigliare
del 1351, in cui trattandosi di dare per sei mesi la podesteria del
comune alla Chiesa, Paolo di Maestro Gianni con altri insorse
contro la proposta, e levò rumore in consiglio, per cui fu pro-
cessato (1).

I feudatari Francesco e Bueeio Orsini, erano figli di Giordano,
che per dodici anni (1352-1364) era stato rettore del Patrimonio,
ed in tempi quanto mai difficili, specialmente per la guerra che
dovè sostenere contro il prefetto di Vico, e il nuovo assetto da
dar poi alla ricuperata provincia. Clemente VI nell’ eleggerlo, e
Innocenzo VI nel confermarlo nell’ufficio, gli avevano promesso, a
suo tempo, congrue ricompense per sè e per i suoi (2). Urbano V
pertanto, colla concessione di cui è parola, non fece che adempiere
in qualehe modo le promesse dei predecessori in riguardo ai figli,
i quali pure, Francesco in specie, avevano personalmente ben me-
ritato della Chiesa per i prestati servigi e la provata fedeltà.

Di Francesco ecco quanto possiamo dire in aggiunta a quanto
ne scrisse il Savio in questo stesso Bollettino (3).

Nel febbraio 1353 ha ordine dal padre di richiedere i nobili
romani per la guerra contro Narni, e venire subito con essi in

Sabina: poi di accorrere, colle genti che aveva raccolto in Galera,

in soccorso di Miranda assediata dai narnesi (4). Nella seconda
metà del 1355 è senatore di Roma insieme con Luca Savelli (5).

(1) Tutte queste notizie sono tratte da documenti da noi publicati in questo
Stesso Bollettino, vol. IX e X, col titolo Notizie Umbre ecc. — Cf. anche P. FABRE,
Un registre cameral du cardinal Albornoz en 1364, in Melanges d’archeologie et d^hi-
stoire, vol. VII.

(2) Cf. ANTONELLI, Vicende della dominazione pontificia nel Patrimonio, in Ar-
chivio della R. Società Romana di Storia patria, XXVI, p. 335 ; XXVII, p. 142.

(3) F. SAVIO, Le tre famiglie Orsini, vol. II, p. 104.

(4) ANTONELLI, Notizie Umbre, cit. — TUEINER, Cod. diplom. dom. temp. S. Se-
dis, II, p. 377, 378..

(5 GREGOROVIUS, Storia di Roma (ediz. Venezia), VI, p. 438.

M —

— —
m

rn

»———

á

nta

,

"
RIE pro nate pif ape t
Nell’aprile del 1357 il padre

222 M. ANTONELLI

dovendo andare al parlamento con-
voeato dall'Albornoz a Fano lo laseia eome suo luogotenente nel
Patrimonio, nel quale uffieio si mostra assai vigilante (1). Nel 1363
ha la eariea di eonservatore nella eittà di Siena, ed anehe in questo
ufficio è utile al padre che a lui si rivolge per notizie sicure sulla
grande compagnia che era in quel comitato, e per assoldamento
di milizie onde far fronte alla medesima nel Patrimonio (2). Per
le successive sue contestazioni coi prefetti Di Vico v. il Savio nel-
l’accennato lavoro.

Francesco nel 1374 era già morto, e gli erano succeduti i figli
Giovanni e Poneello, i quali avendo, insieme allo zio, occupato
Narni e altre terre della Chiesa, e prestato aiuto ai nemiei di
questa, deeaddero dal feudo, e non vi furono riammessi se non

dopo di essere tornati all'obbedienza della Chiesa stessa, il che fu

sulla fine del 1377 (3).
Nel 1405 Innocenzo VII conferma la concessione ai due sud-
detti, essendo morto Buccio (4).

II.
SE Aspra, Tarano e Foce.

Questi tre castelli, dei quali i primi due esistenti in Sabina,
il terzo presso Amelia, furono nel 1322 dati in feudo a terza ge-

(1) ANTONELLI, Vicende della dominazione pontificia, ivi, XXVII, p. 145.
(2) Arch. Vatic. Collectorie, n. 177, c. 42.
(3) GREGORIUS, etc. — Dil. filiis nob. viris Bucciolo quondam Jordani et Jo-

hanni ac Poncello quondam Francisci de Ursinis natis domicellis Romanis, salutem,
Riassume la bolla d'infeudazione ed aggiunge: « Cum autem postmodum vos, Buc-
ciole et Poncelle, ab huiusmodi feudo et eius iure cecideritis, et predicta castra ad
nos et pred. eccl. reversa fuerint, pro eo quia postmodum civitatem Narniensem et
nonnullas alias terras nobis et dicte rom. eccl. subiectas occupastis, ac nonnullis
nostris et pred. eccl. hostibus contra nos et eand. eccl. prebuistis auxilium consi-
lium et favorem ligas etiam iniendo cum ipsis, nos attendentes quod vos nuper du-
cti saniori consilio ad obedientiam et devotionem nostram et ad gremium prefate
eccl. humiliter redeuntes ad pacem et bonam concordiam per nos recepti et ad-
missi estis, ac firmiter sperantes quod tanto ferventius et fidelius ed honorem et
statum dicte eccl. promovendum soliciti eritis, quanto nos reppereritis in gratia-
rum exhibitionibus largiores, vestris in hac parte suppl. inclinati, huiusmodi feudi
concessionem . .. reintegramus. .. ». Ripetano però il ligio omaggio e il giura-
mento di fedeltà nella forma che loro trasmette — Dat. Rome ap. S. Petrum, XVIII
kal. Jan. a. VIL Arch. Vatic. Reg. Aven. Greg. XI, vol. XXIX, car. 432-433,

(4) SAVIO, Op. cit., ivi, p. 105.

MYERS UNSERES E IER

€—MÁ—D
emm Rai i in i gini ti) GLi DIM AMNEM I IEEE TIE PIANTI

DI ALCUNE INFEUDAZIONI NELL’ UMBRIA, ECC. 223

nerazione mascolina, rispettivamente ai nobili perugini Nicola di
Pone de’ Ranieri, Francesco degli Arcipreti e Giacomo di Conte
degli Arcipreti.

Aspra era comune di qualche importanza. Aveva nel suo pic-
colo distretto il castello del Monte dei figli di Ugo e il castello di
Caprignano; a quest’ epoca disabitati (1); il secondo per acquisto
fattone dagli abitanti stessi nel 1303 (2). Ebbe frequenti contese
con Tebaldo di S. Eustachio, signore dei vicini castelli di Forano,
Cantalupo e Poggio Catino. Alla Chiesa fu in genere ossequente;
ma si attirò processi e condanne dalla curia, specie per ricetta-
zione e favoreggiamento di banditi, reato assai comune in quel
tempo, e per violenze contro i vicini. Così nel 1359 fu condannato
in una multa di centocinquanta fiorini per aver omesso di pre-
sentare alla curia di Sabina tre famosi ladroni, Angelo di Sange-
mini, Damiano di Narni e Antonio di Capponia, presi d’ ordine
della curia stessa e in Aspra detenuti; e poi in altri centocinquanta
fiorini per avere senz’altro rilasciato il detto Antonio di Cappo-
nia (3). E nel 1366-69 fu processato per offese recate, insieme alle

(1) P. FABRE, op. cit., ivi.

(2) Per questa ed altre notizie di Aspra v. lo spoglio dei documenti di quel-
l'archivio comunale fatto dal ToxETTI in questo Bollettino, vol. VII, p. 571 e segg.

(3) « Recepi (ego thesaurarius) a comuni castri Aspre condempnato in .CL. flor.
eo quod fuerunt negligentes et remissi in presentando et presentari faciendo co-
ram domino Andrea de Bictonio vicario Sabinensi et curie eiusdem Angelum de
Sanctogemino, Damianum de Narnia et Anthonium de Capponia et quemlibet ipso-
rum captos in dicto castro Aspre et detemptos mandato officialium curie Sabinen-
sis tamquam publicos et famosos latrones fures homicidas et robatores stratarum
et publicarum viarum pro enormis malleficiis et furtis et robariis per ipsos et ipso-
rum quemlibet factis, ad hoc ut supradicti Andreas etc. non punirentur ipsorum de-
lietorum, detracta per iudicem dicto comuni quarta parte totius pene que erat
arbitrio iudicis .CC. flor. propter confessionem syndici dicti comunis, et detracta
dicto comuni quarta parte totius pene quia solvit infra terminum .XV. dierum post

‘latam sententiam, secundum formam novarum constitutionum .C. flor. videlicet .

pro medietate dictorum .C. flor. .L. flor. ».

« Item recepi a comuni castri Aspre cond. in .CL. flor. eo quod dietum co-
mune et universitas dicti castri habito consilio inter eos, in verecundiam romane
eeclesie, dimiserunt et deliberaverunt ac etiam relassaverunt Anthonium de Cap-
ponia publicum et famosum latronem et hominem male fame conditionis et vite,
qui captus et detemptus erat per dictum comune Aspre in dicto castro pro certis
furtis et baractariis et aliis malefaciis factis in dicto castro et aliis partibus, et
mandatum fuerat vicario consilio et comuni dicti castri pro parte officialium curie
Sabinensis per patentes litteras transmissas eisdem, in quo mandato continebatur

,

"
Lett i A s gr gr >
224 M. ANTONELLI

genti dell’ Aniehino, a Magliano e Roceantiea; e condannato in
millecinquecento fiorini per altre violenze su uomini di Monte
S. Maria dell’abbate di Farfa. Anche dal comune di Roma ebbe
condanne e condoni, per l'affare della grascia.

Più importante per posizione e popolazione era Tarano, situato
nel centro della Sabina, ed avente sotto di sè i castelli di Monte-
buono, Cicignano e Fianello (1). Nobile e popoloso castello è detto
in una lettera di Benedetto XII al rettore del Patrimonio, del 13
settembre 1341, in cui si chiedono informazioni sopra un fortilizio
o rocca da costruirvisi per difesa del comitato di Sabina, oltre che
del castello stesso (2), che i narnesi avevano più volte tentato di
occupare (3). La rocca vi fu eretta: danneggiata poco dopo dal
terremoto del 1349 si provvide subito a restaurarla con una spesa
di trecento fiorini (4). Essa però, se salvò Tarano dai ribelli

quod ipsum Anthonium sub fida custodia ducere deberent apud curiam Sabinen-
sem, detracta etc. (ut supra) .L. flor. ». (Arch. Vatic., Collectorie, n. 247 « Liber the-
saurarii Patrimonii », c. 41).

. (1) P. FABRE, Op. Cit.

(2) « Rectori Patrimonii — Tua insinuatione percepto quod diversa castra et
fortalitia sita in Patrimonio b. Petri in Tuscia, cui rector existis, ad nos et eccle-
siam romanam immediate spectantia, que propter sui vetustatem et negligentiam
hactenus circa custodiam ipsorum commissam reparationibus, antequam amplioribus
subicerentur periculis, indigerent; quodque in comitatu Sabine nobis et eidem ec-
clesie immediate subiecto est castrum Tharani utique populosum et nobile, in quo
iam dudum aliqui rectores dicti Patrimonii precessores tui disposuerunt fortalitium
pro ecclesia memorata construere pro defensione comitatus predicti ac incolarum et
habitatorum eiusdem, nos volentes super predictis et eorum circumstantiis plenius
informari, discretioni tue per apostolica scripta mandamus, quatenus, solerti et fi-
deli adhibita diligentia, super premissis.et eorum singulis te informans, nos et ca-
meram nostram de predictis castris reparatione indigentibus, ac qualiter reparari
possent utilius, quantumque decostabit reparatio singulorum, nec non et pro quanto
pretio posset construi fortalitium competens in castro Tharani, queve utilitas exinde
poterit eidem romane ecclesie provenire, aliisque circumstantiis circa hec atten-
dendis efficere particulariter et distincte studeas certiores. Dat. Avinion. Id. Sept.
a. VI » (Regest. Vatic., n. 136, c. 74 v.). Anche nel 1331 si era parlato della costru-
zione di una rocca in Tarano, trovandosi detto in una lettera papale dell’ 11 febbraio
al rettore del Patrimonio « Consultationi tue, qua quid super construenda rocha in
castro Tharani .. vellemus inter cetera quesisti, tibi ... respondemus, videlicet,
quod si homines castri predicti Tharani velint rocham ipsam construere placet no-
bis, et si forsan ad hoc petant camere nostre subsidium, expressa illius quantitate,
providebimus, sicut nobis videbitur oportune » (Reg. Vatic., n. 116, c. 119 v.).

(3) ANTONELLI; Notizie Umbre, cit.
(4) FUMI, 7 registri del Ducato, in questo Bollettino, VII, p. 123.
DI ALCUNE INFEUDAZIONI NELL’ UMBRIA, ECC. 225

esterni, non fu freno bastante agli interni in quel memorando anno
1352, in cui quasi tutto il Patrimonio- e la Sabina si sottrassero
all'obbedienza della Chiesa. Tarano ribellò nell’ agosto. Aecorse
subito il maresciallo del Patrimonio a ricuperarlo; non vi riuscì.
Fece allora dare il guasto alle campagne, e cavalcare anche su
Montebuono e Fianello. Alla fine, nel novembre, ambasciatori del
comune si presentarono al rettore in Montefiascone a chieder pace;
il rettore acconsentì a trattarla, ordinando frattanto a Latino Or-
sini, capitano di guerra in Sabina, di sospendere le ostilità (1). La
pace fu fatta: e Tarano fu poi uno dei luoghi di Sabina, in cui
si fece tranquillamente incetta di biade per l'approvigionamento
dell'esereito contro il maggiore dei ribelli del Patrimonio, Gie-
vanni Di Vico (2). — Come tutti i comuni in quest'epoca, anche
Tarano fu lacerato da gravi discordie intestine, e per le vie corse
il sangue. Ai più facinorosi, perchè non venissero alle armi e non
turbassero più oltre lo stato della terra, furono dal vicario di Sa-
bina assegnati certi confini, che avendo poi oltrepassato pagarono
al vicario stesso una vistosa multa (3). Tarano, dopo l’ erezione
della rocca, fu il luogo dove la curia di Sabina tenne più a lungo
la sua residenza.

Su Foce si arrogava molti diritti e giurisdizioni il comune di
Amelia, che una volta, nel 1332, per qualche inobbedienza forse
a’ suoi comandi, lo fece barbaramente saccheggiare e dare alle
fiamme (4). Risorto dalle sue ceneri, non fu mai in buoni rapporti

colla sua potente vicina. Per causa di confini specialmente ebbe

ome

con essa lunghi contrasti, i quali nel 1375 essendosi acuiti al punto
da far temere assai gravi scandali, il pontefice a tagliar corto,
mandò al rettore del Patrimonio di decider egli secondo giustizia
la controversia (5). Alla curia del Patrimonio Foce fu obbediente,

(1) ANTONELLI, Notizie Umbre, cit.

(2) Cf. ANTONELLI, Vicende della dominazione pontificia nel Patrimonio, in Ar-
chivio della R. Società Romana di Storia patria, XXVI, p. 125.

(3) ANTONELLI, Notizie Umbre, cit.

(4) Per maggiori dettagli su questo fatto v. FUMI, Ereticî e ribelli nell’ Umbria,
in questo Bollettino, V, p. 40 e seg.: ANTONELLI, Vicende della dominazione pontifi-
cia nel Patrimonio, in Archivio cit., XXV, p. 278 e seg.

(2) Nel breve relativo del 24 maggio diretto « Nicolao de Ursinis comiti Nolano
‘rectori Patrimonii » si dice « Nuper ad nostrum pervenit auditum, quod inter dile-
ctos filios commune civitatis Ameliensis ex parte una, et commune castri nostri

ee

iena

print E gini lu t emen yn
è

226 M. ANTONELLI

e pagò puntualmente il focatico e la « tallia militum » nella mo-
desta somma di dieci lire cortonesi l uno, e venti lire paparine
l’altra (1). Nel 1357 avendo assunto a proprio signore (Giannotto
d’Alviano, contro il divieto delle costituzioni della curia, pagò per
composizione cinquanta fiorini (2). Godeva della libera elezione
del ‘podestà, ma la curia del Patrimonio vi aveva giurisdizione su
tutte le cause (3).

L'infeudazione dei tre castelli ai tre nobili perugini surri-
cordati fu fatta dal card. Pietro di S. Maria in Trastevere, vica-
rio generale della Chiesa per le cose temporali in Perugia, nel

atrimonio e in altre terre, con facoltà molto ampie per gl’ inve-
stiti; tanto ehe Gregorio XI, nel dare la richiesta conferma, vi
fece delle riserve. Volle cioè che il mero impero co’ suoi emolu-
menti, come pure la custodia e la « nova tallia militum » rima-

‘nessero alla Chiesa. Quanto al resto, i patti da osservarsi dagl'in-

vestiti dovevano essere i seguenti: pagamento di un annuo censo
di dieci fiorini al tesoriere del Patrimonio il giorno della festa
degli apostoli Pietro e Paolo; appello al rettore del Patrimonio
dalle sentenze del feudatario o de’ suoi officiali, esercenti per lui
il misto impero: sindacato, e, se del caso, punizione dei detti uf-
ficiali da parte del feudatario, o, in sua mancanza, dal rettore
del Patrimonio: obbligo di andare al parlamento generale della
provincia, ed anche al parlamento del rettore di Sabina (per Aspré
e Tarano), e di mandare uomini agli eserciti e alle cavalcate che
faranno i rettori stessi « secundum taxationem computum et or-
dinem hominum et focularium » di ciascun castello « prout in
libris camerarum dietorum provincie et comitatus noscitur conti-

Focis Ameliensis diocesis, que quidem civitas et castrum de provincia nostra Pa-

trimonii b. Petri in Tuscia existunt, ex altera, maxima de finibus territoriorum ci-

vitatis et castri predictorum lis seu controversia est orta, ex quibus inter prefata
communia temporibus retroactis multa scandala orta fuerunt, et in futurum maiora
et graviora verisimiliter oriri timentur, nisi super hoc provideatur de remedio
oportuno etc. » (Reg. Avenion. Gregor. XI, vol. XXIV, c. 11).

(1) FABRE, Op. cit. — ANTONELLI, Una relazione del vicario del Patrimonio a
Giovanni XXII in Avignone, in Archivio della Società Romana di Storia patria,
XVIII, p. 464.

- (3) ANTONELLI, Notizie Umbre, cit.
(3) FABRE, Op. cit.,.ivi,
DI ALCUNE INFEUDAZIONI NELL’ UMBRIA, ECC. 227

neri »: divieto di edificare rocca o altro fortilizio: divieto d’im-
porre agli abitanti nuovi dazi e gabelle, o gravarli di altre inde-

bite prestazioni: fare ciò a cui sono tenuti tutti gli altri feudatari:

dare idonea cauzione di restituire, finito il tempo, il castello alla
Chiesa. La prestazione del giuramento, nella forma consueta, do-
veva farsi nelle mani del suddetto Pietro. I brevi pontifici, a ciò
relativi, sono del 2 marzo 1372 (1).

Pochi giorni dopo però, il 18 marzo, lo stesso pontefice, con
lettere al rettore Nicola Orsini, toglie la riserva del mero impero
e della custodia, ordinando al medesimo, di farne cessione a vita
ai feudatari con tutti gli emolumenti relativi, con divieto bensì di
aumentare le pene ed i bandi e di gravare gli abitanti contro gli
statuti e le consuetudini locali e contro le costituzioni della pro-
vincia; e con obbligo di prestare su ciò nuovo giuramento, e di
sottostare al sindacato del rettore stesso (2). Gregorio XI si dice
a ciò indotto dalla circospezione, giustizia e lodevole esperienza
dimostrata dagl’ investiti nell’ esercizio di altre cariche; ma, se-
condo me, la ragione vera di questo nuovo atto pontificio, a così
breve distanza dal primo, è la seguente. Il pontefice vuole che la

(1) Reg. Avenion Greg. XI, vol. XV, c. 194, 202, 204.

(2) « Dit. filio Nicolao de Ursinis .. Patrimonii rectori etc.

« .... Attendentes dicti Jacobi (Contis de Archipresbiteris) cireumspectionem
et iustitiam ae laudabilem experientiam in aliquibus officiis que habuisse asseritur
laudabiliter comprobatas, et quod, ut speramus, merum imperium in dicto castro
et eius pertinentiis per ipsum Iacobum commode et utiliter poterit exerceri, et ca-
strum ipsum etiam custodiri, tibi, ad quem ratione tui officii rectoratus provincie
Patrimonii, cuius rector existis, exercitium meri imperii in castro et pertinentiis
supradictis ac custodia eiusdem castri spectare noscuntur, committimus et manda-
mus, quatenus dictum J. ad vitam suam in eisdem castro et pertinentiis officialem
ad exercendum per se vel alium virum ydoneum dictum merum imperium, et super
custodia supradicta, suis tamen sumptibus et expensis... constituas et concedas, sibi
pro huiusmodi exercitio et custodia omne emolumentum, quod ex eisdem mero
imperio et custodia, secundum consuetudinem in hiis servatam hactenus poterit
provenire, sive illud camera dicte ecelesie, sive tu et predecessores tui rectores
eiusdem provincie consueveritis recipere, ita tamen quod idem J. condempnatio-
nes seu banna non valeat augmentare, nec in aliquo gravare homines dicti castri
contra consuetudinem prelibatam vel statuta ipsius castri et constitutiones provin-

-cie memorate. Volumus autem quod idem J. solitum super hoc iuramentum... pre-

stare procuret et quod ipse J.. per te sive alium officialem, ad hoc in dicta pro-

vincia Patrimonii deputatum consuetis temporibus sindicetur... Dat. Avenion. XV...
. hal, aprilis, a II ». (Reg. Avenion. Greg. XI, vol. XV, c. 193). Seguono uguali lettere

per Nicola di Pone, e Francesco degli Arcipreti.
998 M. ANTONELLI

importantissima concessione del mero impero sia ed apparisca atto
spontaneo della sua sovrana autorità; e vuole ancora, mal tolle-
rando la soverchia ingerenza del vicario Pietro, che non questi
sia l’esecutore de’ suoi ordini, ma il rettore del Patrimonio, cui
spettano per ragion dell’ ufficio l’ esercizio del mero impero e la
custodia, e la cui autorità era stata troppo dal vicario messa in
non cale. Ed anche quando succede a Pietro, nel frattempo, Fi-
lippo di Cabassolles vescovo di Sabina, questi ha sì l’incarico
d'immettere gl'investiti in possesso del feudo, ma col solo misto
impero, che dell’altro non era affar suo (1).

Nel 1375 succedette a Nicola di Pone de’ Ranieri, nel feudo
di Aspra, il figlio Borgaruccio: ed il pontefice mandò al rettore
del Patrimonio di rinnovare a lui la concessione del mero impero,
che era stata fatta, come si disse, non a generazione ma a vita (2).

In quell’istesso anno si ha notizia di una querela del feuda-
tario di Foce, Giacomo degli Arcipreti al pontefice, perchè gli uo-
mini del castello si rifiutavano, contro la consuetudine, di pagare
il vicario da lui deputato all’ amministrazione della giustizia: il:
pontefice incaricò di rendergli ragione il rettore del Patrimonio (3),

Tanto Giacomo degli Arcipreti quanto Francesco, feudatario
di Tarano, si querelarono poi al pontefice di esser troppo vessati
e gravati dagli officiali della Chiesa « occasione meri imperii et
custodie predietorum eastrorum, ac in visitationibus sindicationibus
angariis et perangariis ac diversis aliis exactionibus » e quello di
Tarano specialmente « in exactione pedagii » : Gregorio XI scrisse
subito ai-medesimi di desistere dai detti gravami (4).

M. ANTONELLI.

(1) Reg. Vatic. n. 268, c..132, breve del 18 aprile 1372.

(2) Reg. Avenion. Greg. XI, vol. XXV, c. 35, breve del 13 febbraio 1375.

(2) « Exhibita nobis » dice nel breve relativo del 24 maggio « pro parte dilecti
filii nobilis viri Jacobi Contis de Archipresbiteris domicelli Perusini petitio conti-
nebat, quod licet antequam castrum Focis et eius territorium eidem J. concedere-
mus, homines dicti castri salarium vicario in dicto castro pro iustitia ministranda
deputato debitum solvere consueverint a tempore cuius contrarii memoria homi-
num non existit, tamen homines ipsius postquam predictum castrum eidem J. con-
cessimus, huiusmodi salarium vicario per dictum J. ibidem ad ministrandam iusti-
tiam deputato solvere recusarunt et recusant de presenti in ipsius J. preiudicium
non modicum et gravamen. Quare etc. » (Reg. Aven. Greg. XI, vol. XXIV, c. 11).

(4) Reg. Aven. Greg. XI, vol. XXIII, c. 375 B — breve del 10 giugno 1375.
DI ALCUNE INFEUDAZIONI NELL' UMBRIA, £CC.

APPENDICRE

Reg. Vatic. n. 281, c. 41.

Dil. filiis nob. viris Francisco et Butio quondam Jordani de Ursinis
natis militibus et domicellis romanis salut.

Eximie devotionis sinceritas qua vos vestrique predecessores erga
sanctam romanam ecclesiam claruistis, grataque obsequia que dicte im-
pendistis ecclesie et vos amplius impensuros speramus imposterum
merito nos inducunt ut personas vestras nobis et aplice. sedi amabiles
condignis honoribus et favoribus presequamur. Vestris itaque supplica-
tionibus inclinati vestras volentes honorare personas et ad instaurationem
et augmentum infrascriptorum castrorum et incolarum eorumdem inten-
dentes, de fratrum nostrorum consilio, vobis et utrique vestrum ita quod
alter alteri suecedat, vestrisque posteris ex vobis legitime descendentibus
usque ad secundam generationem, ita tamen quod existentibus masculis
femine non succedant, sed deficientibus masculis ex altero vestrum
posteri alterius in totum succedant, omnibus vero masculis deficientibus
succedant femine dummodo non nubant aliis quam viris catholicis ec-
clesieque romane fidelibus et devotis, alias si inimicis et rebellibus vel
aliis eiusdem eccl. merito suspectis nupserint sint feudo ipso iure pri-
vate, Turrii, Saneti Pauli, Collisveteris, Stimigliani, Sicilis et Montisa-
sulis castra Sabinensis diocesis ad nos et dictam ecclesiam immediate
spectantia cum omnibus territoriis pertinentiis et districtibus, aquis et
aquarum decursibus molendinis pascuis possessionibus districtibus red-
ditibus proventibus bonis et iuribus quibuseunque nobis et eidem eccl
neenon mero et immisto imperio et omnimoda iurisdictione ad eecl.
prefatam spectantibus in eisdem, in feudum damus concedimus et do-
namus, in tamen quod vos iidemque vestri descendentes dicta imperium
et iurisdictionem vice et nomine diete eccl. exerceatis, ac vobis dictisque
vestris descendentibus instaurandi reparandi ac fortificandi dicta castra,
non obstantibus.prohibitionibus constitutionibus bannis seu aliis con-
trariis quibuseumque, que quantum ad hee per presentes irritamus et
.anullamus tenore presentium licentiam impartimur, sub censu annuo
unius flor. auri brevi ponderis pro quolibet dietor. castror. in festo Aplo-.
rum. Petri et Pauli thesaurario provincie Patrimonii b. Petri in Tuscia

qui erit pro tempore, ubieumque ipsum esse contigerit infra provin-

| ciam prelibatem aut in aliis terris que per rectorem dicte provincie

16

re vene ener
messi

resto

Hd n
x
= ET: EIA =
È ———

ELI

=

lI

£

Luigi



È *
in d

dy _ CIA

iz
230 : M. ANTONELLI

gubernabuntur, ita tamen quod si per triennium continuum a solutione
dietorum censuum vos vel dicti vestri posteri cessaveritis, sitis non
solventes secundum iuris dispositionem a feudo et concessione huiu-
smodi ipso facto privati Salvis insuper et retentis romanis pontificibus
et eccl. repedicte in eisdem castris territoriis et districtibus et perti-
nentiis iure superioritatis et directo dominio eorumdem, et quod a vobis
eisdemque vestris posteris ac vestris et eorum officialibus ad Rectorem
dicte provincie qui pro tempore fuerit pro eadem eccl. valeat appellari
et provocari. Quodque vos iidemque vestri posteri ibitis seu mittatis ad
parlamentum generale diete provincie, ac vos et iidem posteri et homi-
nes dictorum castrorum facietis cavalcatam el mittetis gentes dictorum
sastrorum ad exercitum generale pro rata contingente in dictis castris
sieut faciunt alii de provincia prelibata, et teneamini vos et dieti ho-
mines pro dicta rata contribuere in subsidiis generalibus, si qua im-
ponentur pro tempore in dicta provincia, in illis videlicet in quibus
contribuent illi qui ab eadem eccl. feuda seu civitates castra et terras
alias simili modo tenent. Quodque vos et iidem posteri vestri et homines
dictorum castrorum non teneamini solvere vel subire alia onere imposita
vel imponenda debita vel consueta exhiberi camere dicte eccl. seu re-
ctori vel thesaurario prelibatis preterquam superius reservata occasione
alterius exationis, nec etiam alia onera realia et personalia vel immista
que forsan subibunt pro tempore alii de provincia supradicta, sed ni-

chilominus vos dictique vestri posteri cetera alia singula ad que feu-

datarii seu vassalli tenentur de iure vel consuetudine teneamini facere
cum effectu. Adicimus insuper quod finita secunda vestra generatione
castra ipsa cum arcibus et fortelliciis suis omnibusque aliis in presenti
concessione contentis ad romanam eecl. absque retentione vel repeti-
tione aliqua expensarum in eis factarum libere revertantur. Volumus
insuper quod coram camerario nro. recipienti nomine eccl. supradicte
teneamini pro feudo predicto in forma consueta ligium homagium et
vassallagium ac iuramentum fidelitatis prestare et cetera alia facere que
feudatarii dominis suis tenentur facere de consuetudine vel de iure, et
quod vos in camerarii predieti et iidem vestri posteri in camerarii qui
pro tempore fuerit, si curia in Italie partibus esse contigerit, alias in
Rectoris diete provincie qui erit pro tempore manibus in creatione
summi pontificis, seu vobis decedentibus vel aliquo ex vestris posteris
prelibatis ille ad quem iuxta concessionem premissam successio devol-
vetur infra tempus a iure statutum renovetis et prestetis fidelitatis de-
bitum iuramentum, eique unum. accipitrem assignetis. Nulli ergo ete.
Dat. Rome, apud S. Petrum. XVI kal. Mai. a. VI.

125871 lis, a e AE v LEE E
NT

P
a

. 231

RECENSIONE BIBLIOGRAFICA

PANICONI Ing. ENRICO. — Monumento al cardinale Guglielmo de
Bray nella chiesa di S. Domenico in Orvieto. — Rilievo e
studio di ricostruzione. Roma, 1906, di pag. 14 in f. con 25
tavole.

ERRATA CORRIGE

A pag. 231 linea 3a si legge ospitato invece si deve leggere capitato.

il meno possibile dalla malfatta ricostruzione esistente, essendo
probabile che la memoria o la tradizione avranno servito di
guida all’ artefice che nei limiti dalla sua capacità e delle con-
dizioni speciali in cui si trovava, l'ha eseguita », dichiarando
che da essa si allontanò solo quando varianti ed aggiunte erano
rese necessarie e dall’ esame dei pezzi in opera e di quelli fuori
d' opera e dalle considerazioni che essi suggerivano. Ora que-
sta dichiarazione noi avremmo desiderato che provasse inversa-
mente. Avremmo voluto che l’egregio ingegnere fosse partito, in-
vece, dal concetto di una massima diffidenza, in grazia della
ATA

. 931

RECENSIONE BIBLIOGRAFICA

PANICONI Ing. EnRrICO. — Monumento al cardinale Guglielmo de
Bray nella chiesa di S. Domenico in Orvieto. — Rilievo e
studio di ricostruzione. Roma, 1906, di pag. 14 in f. con 25
tavole.

Guglielmo di Bray cardinale di S. Marco, ereato da Urbano IV
in Viterbo nel 1262, venne a morte il 29 aprile 1282 in Orvieto,
quando in questa città era ospitato per visitarvi Martino IV. Eret-
togli un superbo monumento marmoreo nella chiesa di S. Dome-
nico, questo dovette subire, col tempo, gravi peripezie, per modo
che o non mai intieramente compiuto, o disfatto nella immane
caduta del tetto della chiesa antica, o mal ricostruito poi quando
la chiesa nel secolo XVII fu rifatta a stile moderno e finalmente
di eontinuo malmenata da soldatesche che vi ebbero quartiere,
non si presenta che frammentario. Veramente superbo si può dire
per il magistero del lavoro architettonieo e seultorio e per la
riechezza dei mosaici che lo adornano. È opera firmata di Ar-
nolfo: « Hoe opus fecit Arnolfus ». Il Paniconi nello studio di
ricostruzione si è lasciato guidare dal « concetto di allontanarsi
il meno possibile dalla malfatta ricostruzione esistente, essendo
probabile che la memoria o la tradizione avranno servito di
guida all’ artefice che nei limiti dalla sua capacità e delle con-
dizioni speciali in cui si trovava, l’ha eseguita », dichiarando
che da essa si allontanò solo quando varianti ed aggiunte erano
rese necessarie e dall’ esame dei pezzi in opera e di quelli fuori
d’ opera e dalle considerazioni che essi suggerivano. Ora que-
sta dichiarazione noi avremmo desiderato che provasse inversa-
mente. Avremmo voluto che l’egregio ingegnere fosse partito, in-
vece, dal concetto di una massima diffidenza, in grazia della

IDE e

_©u_——__mgs_tcost

TRITT

===

ME

_—_T==

Me?

arr ren ——

ee ttm

LT
2 Pi Ce
emette:

77 pini
232 L FUMI

-

quale avesse potuto procedere con tanta cautela e eircospezione,

‘da nulla accettare se prima non fosse stato dalle analogie con al-

tri monumenti coevi assicurato che le parti appartenevano vera-
mente a quel corpo monumentale. Ciò dico non perchè io. possa
giudicare del valore tecnico di questo studio, il quale si presenta
come frutto di un grandissimo amore, degno del massimo eneomio;
ma perche io temo ehe in questo monumento le grandi difficoltà

-di ricostruzione sieno rese grandissime da un grave sospetto che

può venire allo studioso osservatore. Si sa che nella chiesa di S. Do-
menico non fosse questo del Bray il solo monumento sepolerale
insigne. Nella rovina della chiesa chissà quale confusione avvenne
dei rottami, e quello che si potè salvare chissà come fu accoz-
zàto insieme! Una attenta osservazione ci fa distinguere frammento
da frammento, ci fa ravvisare una grande diversità di disegno,

di tecnica e di scalpello ; quindi è necessaria la maggiore circo-

spezione per attribuire al grande seultore, anche coi frammenti
ricomposti, altri frammenti giacenti di sepolereto. Giuseppe Sacconi
invitato da me a prendere a cuore la ricomposizione di questa
insigne opera, ne fece uno schizzo a penna che egli peraltro non
avrebbe anche dopo un lungo studio voluto mai eseguire, se non
in gesso, nelle parti mancanti e ricostrutte idealmente: quando poi
ijo gli feci sapere che 5. Domenico ebbe altre tombe illustri e che
qualcosa di esse poteva essere entrata nel rabberciamento secen-
tesco, lo vidi impensierirsi. Lodiamo il Paniconi del suo studio,
ma procedasi guardinghi, difüdando e perciò allontanandoei %
più possibile dalla malfatta ricostruzione esistente, e nulla inno-
vando se non per continuo studio di confronto e di ravvicinamenti

opportuni.

L. FUMI.

rr RE”
ANALECTA UMBRA

Umbria. — Per una spiacevole omissione commessa nell’estratto
del verbale inserito nello scorso numero del Bollettino e relativo al
Congresso della R. Deputazione tenuto nell’ anno passato ad Assisi, non
si fece parola di una iniziativa che, pure, ha avute liete conseguenze
per la nostra Umbria. A ciò ripariamo in qualche modo, oggi, in questa
rubrica.

Nell'Assemblea generale del 23 settembre 1906, esaurita la parte uf-
ficiale della cerimonia, il socio ordinario cav. Sordini, chiesta la parola,
molto opportunamente disse :

« Prima di dar corso alle nostre comunicazioni, io credo di dover

^

fare una proposta: ed è di inviare in nome della R. Deputazione e

^

di questa eletta Assemblea, un telegramma di felicitazione e di au-

^

gurio a CorRrapo Ricci che, se non erro, ieri l'altro ha assunto l'alto,

A

delicato, spinoso ufficio di Direttore Generale per le Antichità e per
le Belle Arti.
« A me pare che, sotto migliore auspicio, non potremmo impren-

A

A

dere la comunicazione dei nostri lavori, anche perché dobbiamo con-

^
A

fidare che all'Umbria nostra, finalmente, da lui verrà resa giustizia.

« Qui non parla l'amico personale, né il funzionario dello Stato:e-

Aa

tutti, che mi conoscono, sanno quanto sia lontana dall’ animo mio
« ogni servile piaggeria.

« La mia voce, nel fare questa proposta è, principalmente, la voce
« di un Umbro offeso in uno dei più vivi e delicati suoi sentimenti. Io
« non so se e quanto, a voi tutti, sia noto che l' Umbria è vittima di
« una enorme ingiustizia. Una legge, che io non voglio qualificare,
« fortificata da un regolamento giudicato come merita da tutti i cultori
« delle Antichità e dell'Arte, ha uffieialmente negata, all' Umbria nostra,
una propria personalità artistica, archeologica, monumentale. Infatti,

reco tests

,

— —— €

T— ——— —— ^

^

A

A

A

^

A

A

A^
A

234 ANALECTA UMBRA

dalla legge 12 giugno 1902, l'Umbria, quasi fosse una regione di
poco o nessun conto artistico e archeologico, per gli Scavi venne ag-
gregata alla Toscana, per le Gallerie a Roma, per i Monumenti alle
Marche e alla provincia di Teramo.

« Certamente, coloro i quali dettero forma e vita a quella legge e,
più ancora, chi redasse il regolamento, non conoscevano nemmeno
lontanamente l'immenso tesoro di arte, di archeologia e di storia che,
da secoli, giace disseminato a piene mani in questa nostra Umbria,
detta già in lontani tempi, da Dionigi d’Alicarnasso, come voi ben
sapete, antica e grande.

« Corrado Ricci, invece, conosce perfettamente questi nostri tesori:
li conosce e li ama. Egli, quindi, è in grado di porre termine alla
enorme ingiustizia, facendo riconoscere ufficialmente all'Umbria quella
sua spiccata personalità artistica, archeologica e monumentale, che
centinaia di scrittori italiani e stranieri, da mezzo secolo almeno,
vengono illustrando e magnificando.

« Significhiamo dunque a lui la nostra viva soddisfazione per il
suo elevamento all'alto ufficio ; e, francamente, manifestiamo a lui,
che ha mente e cuore d’artista, la nostra giusta aspettazione; aspet-
tazione che si compendia tutta in quattro parole: Giustizia anche per
Umbria! ».

L'Assemblea intera applaudì vivamente e, seduta stante, fu inviato

seguente telegramma:

« Corrado Ricci
« Direttore Generale Antichità, Belle Arti
« Roma.

« Regia Deputazione umbra Storia patria, riunita annuale Con-
gresso Assisi, unanime applaude vostra nomina Direttore Generale
Antichità, Belle Arti, esprimendo fiducia che mercè vostra, cui l'Um-
bria non é ignota, sia resa dovuta giustizia questa regione, ottenendo
abrogazione ingiuste, umilianti disposizioni legislative, regolamentari,
riconoscimento propria indiscutibile personalità artistica, archeologica,
monumentale ».

« Presidente
« MAGHERINI-GRAZIANI.

Il comm. Corrado Ricci, mentre con un cortese telegramma rin-

graziava sentitamente la R. Deputazione, chiedeva, in pari tempo, che

gli venisse riassunta in uno scritto tutta la grave questione, assicu-

rando del suo interessamento e buon volere per un’equa soluzione.

STRO
ANALECTA UMBRA 235

Aderendo al desiderio manifestato dall’ illustre Direttore Generale
delle Antichità e Belle Arti del Regno, la R. Deputazione si dette pre-
mura di svolgere, in un promemoria, le ragioni che militano a favore
dell’ Umbria, per un più equo trattamento, nella distribuzione degli
Uffici destinati alla tutela del patrimonio artistico e archeologico na-

zionale. Il comm. Ricci accolse benevolmente la nostra iniziativa e,-
trovate più che giuste le nostre ragioni, all’ Umbria venne concessa,
nel disegno di legge che allora si preparava, una Sovraintendenza

i propria per i Monumenti, liberandola dalle Marche e dalla provincia
di Teramo; ed una Sovraintendenza propria per le Gallerie, renden-

i dola indipendente da Roma.

3 Purtroppo, rimane ancora insoluta la questione relativa agli Scavi,
3 poiché, secondo la nuova legge, l'Umbria é sottoposta alla Sovrainten-
x denza di Firenze, costituendo così, con tutta la Toscana, l' enorme giu-
È risdizione territoriale di circa trentaquattromila chilometri quadri, con

amalgama di territori di carattere archeologico ed etnico diversissimi.
Ma le ragioni in favore dell'Umbria, su questa materia, essendo anche
più gravi e impellenti che non in materia di Belle Arti e di Monumenti,

e poichè tale disposizione di legge è in aperto, stridente contrasto con
lo spirito della legge stessa e con le dichiarazioni esplicative di S. E. il
Ministro della Istruzione Pubblica, possiamo esser sicuri che il Governo
saprà ben presto prendere quei provvedimenti che valgano ad accon-
tentare le giuste aspirazioni, e a soddisfare i sacrosanti interessi della
: nostra regione, anche sotto l'aspetto archeologico.

Di questi fatti, per l’importanza loro e per fedeltà storica, non do-

veva mancare un cenno nel Bollettino: e noi all'involontaria omissione

E incorsa nell'estratto del Verbale, abbiamo creduto di riparare in qual-

| d che modo, facendone qui ricordo.

TI eue TREAT I UST Ss ia GESPERRT DRUMS ta eti iret Ter ce

TR

4^4 W. Heywood. The little flowers of the glorious messer st. Francis

= dI

TX0-— ^ 2 se
PRO SN

and of his friars done into english with notes: with an introduction
by A. G. Ferrers Howell. — London, Methuen $ c., 1906. In 8°, di
3 pp. xxviij, 202 con 40 ill.

a

Ed

fi Non è una delle solite traduzioni dei Fzoretti di san Francesco,
i ma un lavoro degno veramente di tutta l’ attenzione e di tutte le lodi
3 | degli studiosi. La profonda conoscenza, che ha il traduttore, della lin-
r gua italiana e dei principali testi del secolo XIV, le prove egregia-

mente datene nella notevole traduzione degli Assempri di fra Filippo
ed in numerose opere riflettenti la storia della Toscana e dell'Umbria

d

e principalmente di Siena, la vasta erudizione storica, per la quale è
E . stato annoverato fra gli scrittori stranieri più dotti delle vicende del-
236 ANALECTA UMBRA

l'Italia centrale nei secoli di mezzo, lo indicavano specialmente a vol-
gere in inglese la narrazione dei principali eventi della vita del Po-
verello d’Assisi e dei suoi frati; ed egli ha compiuto l’opera, rendendo
nell’ idioma. suo natio persino le sfumature della nostra lingua, inaf-

ferrabili talvolta a molti di noi, senza pretermettere i passi scabrosi e

voltare le difficoltà, come si erano ingegnati di fare anche i più va-
lenti dei suoi predecessori. Certo, per ottenere tale risultato, l’A. do-
vette sottoporsi a paziente e lunga fatica; penetrare nell’ intimità dei
discorsi, delle parole e dei fatti; sottometterli a severa critica storica,
senza far pompa d’ erudizione, se non nelle sobrie, suecose e inte-
ressanti note, nelle quali spiega la ragione del suo modo di tra-
durre e talora illustra fatti storici o rileva errori dell’ autore. Perchè
meglio riuscisse il lettore. a vedere come, accanto all’ opera dello
scrittore, la fantasia degli artisti si foggiasse ed illustrasse i fatti
medesimi, ricordati nei Fioretti, egli ha riprodotto, come commento
perpetuo, in 40 splendide tavole, le immortali pitture di Giotto, di Be-
nozzo Gozzoli, di Fra Angelico, del Sassetta, di Raffaello ecc., sicchè
può dirsi egli abbia compiuto una vera opera d’arte, che gioverà gran-
demente ad estendere in Inghilterra la conoscenza di S. Francesco, del
suo apostolato e della storia dei suoi tempi.

A completarla ha provveduto, in una sobria introduzione, il si-
gnor'Ferrers Howell; il quale ha, per sommi capi, ritessuta la vita del
figlio di Pietro Bernardone, ricordato la influenza della sua opera, i
primi scritti sopra di lui, e l’ essenza dei Fioretti, nonchè le migliori
edizioni dei medesimi.

C.

,*, In tanto germoegliar rigoglioso di riviste e di studi francescani
n e e tolo) ,
italiani e stranieri, 6 spuntato, nella nostra terra umbra, un simpatico
, , , I
fiore; un libriecino, adorno di nitide illustrazioni, il quale è guida sa-

3 ) , | =
piente- e piena di grazie per chi voglia conoscere i luoghi che nel con-
tado ternano sono degni di essere visitati da quanti amano e studiano

i o 1
la leggenda francescana, sempre più fresca, sempre più viva.

Ne è autore Luigi Lanzi, anima eletta di artista, mente severa-

=) 3 9
mente nutrita di buoni studi (Escursioni francescane. - Perugia, Unione
Tipografica Cooperativa, 1907).

Il Convento di S. Francesco presso Stroncone, quello dell’ Eremita
presso Cesi, il Santuario di Greccio, lo Speco di S. Urbano, il dipinto di
Stroncone ed il suo posto nella serie delle fonti per la iconografia fran-
cescana sono altrettanti capitoli di questo volumetto.
"—— "e" — P——

taxi Ela p e ra

ANALECTA UMBRA 237

Nel primo, dopo una adeguata descrizione del luogo (riprodotto in
una bella veduta panoramica), il Lanzi ci intrattiene sul tesoro artistico
che ancora si conserva nell’ antico cenobio, « che pur dovette subire
tante procelle: l' invasione dei soldati del Contestabile di Borbone, poi
quella dei repubblicani francesi e finalmente, nello spazio di appena
50 anni, i trafugamenti, gli abbandoni, i danni e i ladronecci di due
soppressioni ». Oltre cose di minor valore, come un san Sebastiano
(bella scoltura im legno), quattro paliotti seicenteschi e un bel quadro
rappresentante san Diego, il detto tesoro è costituito da un affresco rap-
presentante san Francesco, e un altro, di Tiberio d’Assisi, « nel quale
il valente artista ha veramente trasfusa tutta l’ unima sua, e porta la
data del 1509, ed è forse il capolavoro di lui ». Nell’ affresco france-
scano il Lanzi nota che l’immagine del Santo « perfettamente risponde
al più antico e più autentico documento della iconografia francescana,
alla descrizione, cioè, che del Santo ci ha lasciato fr. Tommaso da Ce-
lano, che le sacre lane vesti dalle mani di lui, che lo segui nelle tor-
mentose peregrinazioni e che ne assistette l’ agonia ».

Sulla iconografia francescana torna il Lanzi nell’ ultimo scritto ; e
mette a confronto l’ immagine che si conserva nel chiostro di Stroncone
con le altre più antiche che a noi sono pervenute; come quella di Su-
biaco, di Pescia, di S. Maria degli Angeli, di S. Croce in Firenze (Ci-
mabue o Margaritone), di Greccio, di Assisi, nel maggior tempio ; e di
tutte dà nitide illustrazioni, che, così insieme riunite, sono utili anche
agli storici dell’ arte.

Nel secondo scritto, che aveva già veduto la luce nell’ Augusta
Perusta (I, 5), il Lanzi, insieme a una delicata pittura del paesaggio.
rievoca quei ricordi storici che a lui sono suggeriti dai diversi punti
che visita o vede in lontananza; dal deserto di Cesi, la cui piccola cap-
pella fu ceduta forse dai benedettini a S. Francesco; da la Via Flaminia,
all’ incontro della Signoria di Spoleto con Lucrezia Borgia.

Nel terzo scritto ritesse l’ itinerario che S. Bernardino da Siena
fece da Stroncone, per Greccio e Rieti, fino all'Aquila, dove mori. Ma
ciò gli dà occasione di soffermarsi nel santuario di Greccio, dove una
iscrizione ricorda che quivi San Francesco, nella notte del 25 dicembre
1225, tornando dal convegno di papa Onorio, « volle rievocare la scena
di Betlem, istituendo la rappresentazione del presepe ». La mistica ce-
rimonia ci è tramandata in un affresco, di cui l'A. dà una nitida ri-
produzione, il quale « per la iconografia del presepe francescano è un
cimelio di straordinaria importanza, perchè ci riproduce al vero e nella
sua grande semplicità la intima cerimonia che S. Francesco legò ai
frati suoi, perchè ogni anno, in quella notte fredda, nevosa e pur ri-
— si —_ eee

risalire alle fonti ».

boccante di tanta poesia, commemorassero in tal modo l'umile com-
parsa del Redentore di tutte le genti ».
a confronto con quello di Giotto in Assisi e con quello di Benozzo

ANALECTA UMBRA

L' affresco di Greccio è posto

Gozzoli, e VA. conclude che « per ritrovare la espressione genuina di
questo momento lirico nella vita del Santo, conviene ancora una volta

Una visita allo Speco di S. Urbano, posto fra Stroncone e Narni
3 I 1

loro apostolato ».

dà agio al Lanzi di ricordare un miracolo compiuto dal serafico pove-
rello di Assisi, la memoria del quale è eternata in un affresco giottesco
del XIV secolo. In questo speco, « dopo il periodo aureo dell’ èra fran-
eescana », vissero « Antonio da Padova, Bernardino da Siena e altri
famosi minoriti, che vi cercano il riposo ristoratore alle fatiche del

Questo il contenuto del volumetto, di cui ho voluto render conto

4» Nell’ ultimo f

*

pone da Todi, « salutato Poeta in quella nostra democrazia dei Comuni,

Queste p

Queste consisteranno

la leggenda francescana e per la storia dell’ arte.
E il pregio del libriecino è accresciuto da una lettera di P.

la caractéristique de la vie de cette région bénie ».

che iniziò l'Aprile della Lingua e della Poesia ».
arole traggo dal manifesto a st

eoo

con una certa ampiezza, perchè denso di fatti nuovi, notevolissimi per

Sa-

batier all'Autore; una lettera tutta delicatezza, tutta affetto, che suona
approvazione piena all’ opera del valente critico umbro; e l’ illustre
francese esprime la fiducia, la quale si fa desiderio in quanti leggono
le belle pagine del Lanzi, che « bien nombreux seront ceux qui, sui-
vant vos traces, prendront le báton de pélerin, s'en iront dans les
tranquilles solitudes franciscaines et comprendront la sérénité, la poesie,
le mysticisme tempéré de clarté, de gaieté et de bonté, qui sont comme

ascicolo della Bibliofilia (Firenze, Leo S. Olsehi)
il prof. Enrico Filippini continua il suo studio sulle varie edizioni del
Quadriregio di F. Frezzi.

impa, saggio squisito di
ottima prosa italiana, col quale il Municipio della marzia Todi annunzia
le onoranze che a Jacopone, nella prima quindicina di settembre del
1908, saranno tributate.
nella inaugurazione di un' « opera d' arté
che perpetui nel bronzo l' effigie del Poeta tudertino, Frater Jacobus
Benedicti de Tuderto, tramandataci per l’ affresco attribuito a Domenico
Veneziano ; e il desiderato monumento che vedrem sorgere in armo-
ANALECTA UMBRA 239

niosa congiunzione all’ arte prospettica d’ uno de’ nostri palagi medie-
vali, verrà inaugurato solennemente con l' intervento del Comitato Ono-
rario e della R. Deputazione Umbra di Storia Patria ». Sarà dunque,,
come chi dicesse una festa di famiglia, oltre che una solennità nazio-
nale; chè giustamente lo scrittore del manifesto osserva: « bene si
eleva in un sentimento italiano il ricordo al Poeta di Todi, le cui
sparse canzoni, tosto imitate e ridotte alle forme di principali dialetti,
alimentarono assai lungamente tutto un genere di poesia nato per il
popolo. A Jacopone, il quale prima di Dante si valse dello spregiato
volgare per alti concetti, ben venne riconosciuto anche il merito di
aver dato cominciamento al teatro italiano con le.sue laudi a dialogo,
insigni di un vivace contenuto drammatico: ed a lui, inspirato cantore,
antichi testi e moderni autori con senso di verità attribuiscono la su-
blime elegia, Stabat Mater. Lume egli ed esempio ai rigidi compagni
perseguitati nella libertà dello spirito, ammonitor severo dei potenti e
dei prelati simoniaci, sorto coi cardinali Colonna a protestare illegittima
l elezione di Bonifazio VIII, ebbe gli eremi e il carcere a rifugio ed
ostello ».

Ai nobilissimi intendimenti del Comitato ne va aggiunto un altro,
quanto mai opportuno e lodevole: « altro vivo omaggio ancora e du-

'aturo, rieco d'interesse storico letterario, intendiamo sia reso al nostro .

Poeta con la pubblicazione di un volume di studi sull'antiea poesia
religiosa italiana e intorno l' arte umbra e la storia di Todi al tempo
di Jacopone ». Il Comitato ne avverte che « di già alcuni chiari serit-
tori hanno gentilmente promesso di collaborare a un tal libro. ».

Vice Presidente del Comitato è il prof. Annibale Tenneroni (Pre-

sidente ne é il Sindaco, cav. Pietro Paparini); e il suo nome, che va

congiunto con i più severi e dotti studi su Jacopone e l’arte sua, come
quello sullo Stabat Mater e l’ ultimo inserito nella Nuova Antologia, ci
» arra sicura che il volume riuscirà veramente degno del Grande che
si vuole commemorare « omaggio » veramente « duraturo ».

4", Per i tipi dello Stabilimento Lapi, da un programma a stampa,
ci è annunziata la pubblicazione, per opera del nostro socio cav. Vit-
torio Corbueci, di una « Antologia de' Poeti e rimatori umbri dal se-
colo XIII ai giorni nostri, con note biografiche, bibliografiche ed illu-
strazioni artistiche ».

Buona l'idea, e che siamo certi avrà degna attuazione. Ma fer-
miamoci un poco sul titolo stesso dell’ Opera. Si dice « poeti e rimatori »;
ma l'egregio compilatore, quale significato intende dare a queste due
parole? quando, e perchè il rimatore assurge a poeta? e quando l' ar-

ED

AIT

P

"

iig A er 1. ttr nir

aree iam E guit it a m emen yn M

ue

A
" y

ci

uo

240 : ANALECTA UMBRA

tefice in rima, oltre il valore storico e filologico che a lui può derivare
dal tempo e dal vernacolo in cui scrive, ha tali pregi d' arte pura, da
uscire della volgare schiera de’ rimatori, per elevarsi nel più spirabil
aere? i

E poeti, nel senso che il compilatore sembra dare a questa parola,
ne ebbe molti l' Umbria? Dopo Jacopone, quanti altri meritano quel
nome? Forse il Moscoli, il Ceccoli, il Caporali, il Coppetta? Non sa-
rebbe dunque stato assai meglio intitolar l’ opera Antologia poetica ?
E la mole immane di mille pagine non ci fa temere una raccolta far-
raginosa, impari al posto che alla nostra terra spetta nella produzione
poetica attraverso i secoli? Con questa proporzione, diecimila pagine
sarebbero bastanti per la Toscana? Pertanto non sarebbe miglior avviso
attenersi a una ponderata, giudiziosa scelta di pochi ma buoni? E per
buoni intendo dire interessanti sotto il rispetto dell’arte in sè, della
storia, della lingua e delle arti figurative; in una parola, non sarebbe
miglior avviso limitarsi a una vera Crestomazia? Ma l avv. Corbucci
nel programma ci fa sapere che « quasi ogni comune dell' Umbria ri-
troverà in ciascun secolo molti de’ suoi poeti o rimatori »; dunque, molti
poeti, in ciascun secolo, in quasi ogni comune dell’ Umbria.

Confessiamolo: per quella modesta conoscenza che abbiamo del-
l’arte poetica umbra nei diversi secoli, i molti preannunziati ci destano
un vero senso di maraviglia. In ogni modo, attendiamo con vivo desi-
derio : fino adesso per noi queste parole hanno del miracolo : i volumi
lo mostreranno.

Ma.l'avv. Corbucci è amantissimo de’ buoni studi, nè gli fa certo
difetto il senso dell'arte; per il che si terrà lontano da ogni esagera-
zione.

Però ci permettiamo ricordargli che, in questo genere di lavori,
il pensiero di popolarizzare (com' egli si esprime) i prodotti letterari può
condurre a mali passi. Si limiti adunque a una scelta rigorosa; e dei
rimatori, i cui versi siano insignificanti per ogni rispetto, dia soltanto
il nome, insieme a molto parche notizie biografiche e bibliografiche.
Così il lavoro riuscirà del pari completo, e non ingombrante, come oggi

si suol dire.

‘4 Santorre Debenedetti, nel n. IX delle « Notizie biografiche dei
rimatori italiani dei secoli XIII e XIV » (Giornale storico della Lett. it.,
XLIX, 314-42), ritessendo, su documenti tratti dogli Archivi di Fi-
renze, la vita di Matteo di Dino Frescobaldi, ricorda la congiura scop-
piata in Firenze nel 1340 contro il governo dei popolani grassi e con-
ANALECTA UMBRA 941

tro il Capitano di Guardia e Conservatore di Pace Jacopo Gabrielli da
Gubbio, uomo erudele e rapace ».

Di lui Giovanni Villani (Croniche, XI, 118) lasciò scritto: « ....
elessono e feciono ritornare in Firenze messer Iacopo de’ Gabbrielli
d'Agobbio, uomo subito e crudele e carnefice, con cento uomini a ca-
vallo e dugento a piedi al soldo del comune, ed egli con grosso sala-
rio ... Il quale, a guisa di tiranno, e come esecutore di tiranno, pro-
cedeà di fatto in civile e in criminale a sua volontà, ... senza seguire
leggi o statuti, onde molti innocenti condannò in avere e in persona,
e teneva i cittadini grandi e piccioli in grande tremore ...; non ricor-
dandoci noi fiorentini ciechi, ovvero insegnandoci egli di ricordare di
quello male ch'avea operato il detto Jacopo in simile ufficio nell’anno
1335 .... ». Messer Jacopo era tanto crudele, quanto in quella congiun-
tura fu vile: « si stava armato in sulla piazza colla cavalleria, con
grande paura e sospetto, sanza usare alcuno argomento o riparo di
savio e valente capitano, e stette infino alla notte come quasi stupe-
fatto ; onde molto ne fu biasimato ».

Nella citata « Notizia » il Debenedetti, traendone memoria dai

« Decreti e ordinamenti del Duca d’Atene » (Balze, 1-2, c. 8), ricorda
anche la Pax Bostichorum et Freschobaldorum, che Gentile d’Assisi,
« imperiali auctoritate notarius », infiorò di tutta la sua pomposa re-

torica.

4*4, Achille Beltrami nel fasc. 146-47 (XLIX, 349-357) dello stesso
Giornale pubblica dal cod. Queriniano di Brescia B. VI, 18 « una lunga
lettera latina di Tommaso Moroni, umanista e venturiero Reatino 2n-
credibilis memoriae excellentisque ac divini prope ingenii, sul quale già
scrissero il nostro Sacchetti-Sassetti in questo Bollettino (XII, 1906), il
Segarizzi, il Gabotto e il Fumi.

La lettera è scritta da Siviglia, al cardinale Prospero Colonna, e
in essa, con molta ricchezza di particolari, il Moroni narra le vicende
del suo viaggio attraverso la Spagna. Il documento, nota il Beltrami,

« non è privo d'importanza, perchè di un viaggio del Reatino in Ispa-

gna sinora si hanno soltanto notizie vaghe, e precisamente un passo
della nota invettiva di Poggio Bracciolini « Peragrasti Hispanias et
Galliae finitimas regiones », e due documenti dell’Archivio di Stato in
Genova.

La lettera non reca indicazione della data, « ma non v'è dubbio
che sia del 13 giugno 1489 ». Da essa, aggiunge il Beltrami, emergono
le seguenti circostanze : « I. A questo viaggio in Ispagna il Moroni
potè essere indotto anche dalla speranza di poter rimpannucciarsi spil-

M €

»——-

4

———MBÀ

,

4 "
inni pm

VELEZ 249 i ANALECTA UMBRA

lando danari a principi e signori che ancor non lo conoscevano, come

gli rinfaccia il Bracciolini nella sua invettiva; ma lo scopo precipuo
dovette essere una missione diplomatica. — II. In questo tempo il Mo-
roni era già assai noto per sua dottrina. — III. Il Morroni doveva go-
dere fama anche come soldato. — IV. Il Reatino aveva con sè due no-
bili pavesi ». Queste le conclusioni che dalla lettera trae il Beltrami,
e alle quali ho soltanto accennato, mentre egli ne illustra i motivi ;
e, come conclusione finale, scrive: « Certo i prodigi di erudizione,
di memoria e di coraggio sono stati esposti dall'ambizioso umanista
al suo munifico signore con qualche esagerazione; ma, ad ogni modo,
il documento Queriniano getta nuova luce sopra la vita avventurosa
e la fama del Moroni ».

x Del Moroni ha testé pubblicato il Fumi una lettera da Car-
rara agli Anziani di Lucca in data 8 gennaio 1468 (v. Fumi, Carteggio
degli Anziani di Lucca, vol. IV, Lucca, 1907, pag. 316). In essa si dice
« Reate Comes ». Risponde ad uffici fattigli per lettera esibitagli dal
lucchese Nicolao Lilii.

‘4°, Venceslao Santi in « La storia della Secchia Rapita » (parte I), ha
modo di alludere alle note che il Tassoni unì al suo poema eroicomico
sotto il nome di Gaspare Salviani, figlio di Ippolito, l' umanista tifer-
nate, archiatra pontificio e autore della nota Storia dei pesci. Già prima
del Santi, vari storici delle nostre lettere avevano sostenuto l’opinione
che le suddette note fossero da ascrivere al Tassoni, pubblicate sol-
tanto sotto il nome del Salviani. Il Santi conferma questa opinione, e
il saperla ribadita da un conoscitore profondo delle opere tassoniane
e della vita modenese nel seicento ci toglie ogni dubbio in proposito.

«^4 Nella seconda edizione che Giulio Salvadori, cedendo al desiderio
di molti, ha pubblicata del suo Saggio « Sulla vita giovanile di Dante »
(Roma, Società Dante Alighieri, 1907), due appendici interessano più
specialmente gli studi della nostra regione.

La prima di esse, che porta nel volume il numero sette, ha questo
titolo: J/ prologo della ‘Comedia. Per chiarire la seconda strofe della
canzone Donne che avete, il Salvadori cita un poemetto drammatico di
Jacopone e investiga pure se Dante dette al poeta di Todi qualche al-
tra ispirazione. .

Nella seconda appendice, l'undicesima del volume, l' Autore ravvisa
nel trionfo della Castità, frescato nella chiesa inferiore di San Fran-
cesco in Assisi, gli stessi concetti che Dante esprime nel simbolo della
E
3

ANALECTA UMBRA 243

visione finale del Purgatorio. E siano o no di Giotto, come “ora il Ven-
turi opina, le famose vele, dalle parole del Salvadori appare sempre

più manifesto il grande influsso che il pensiero di Dante ebbe su quelle *

composizioni pittoriche.

4*4 Nell’ Archivio Storico Italiano (XXXIII, 4, num. 244) si legge
uno scritto di Felice Tocco, Le fonti più antiche della leggenda france-
scana. È inutile dire che in esso si riscontrano gli stessi meriti per cui
il Tocco va giustamente noto tra i più profondi conoscitori della ma-
teria medievale, specialmente in quello che si attiene a questioni di
religione, di credenze, di eresie.

4*4, Enrico Filippini pubblica nella Rivista delle Biblioteche e degli
Archivi (XVII, 8-10) « Alcuni frammenti inediti di lettere del Muratori
e di Apostolo Zeno », i quali riguardano il Quadriregio.

47, Soltanto un cenno diamo del quinto volume della Storia dell? Arte
di A. Venturi, mentre meriterebbe che se ne notassero i pregi insigni
e l'ausilio mirabile che dà, insieme agli altri volumi, alla conoscenza
della mèsse artistica della nostra regione. Basti soltanto dire che in
questo volume il Venturi tratta a fondo delle pitture nel maggior tempio
di Assisi; e che in un altro capitolo sono date notizie preziose sull’ arte
di alluminare.

«5, Pirro Alvi pubblica (Todi, Foglietti, 1906) alcunni Cenni sto-
rici su Jacopone da Todi, utili per chi voglia acquistare notizie sul
poeta del quale in quest’ anno si celebra solennemente il centenario.

4*4 « Sul fiume del tempo » (Napoli, Ricciardi, 1907) è un volume di
scritti già apparsi in periodici diversi, e nei quali Angelo Conti, il Di-
rettore della Pinacoteca di Napoli, ha voluto « fissare... le impressioni
e i sentimenti che le cose vedute » fanno « nascere nel suo spirito ».

Forse è fuori luogo il citar qui questo volume, considerando il
dispregio eccessivo nel quale il Conti tiene la coltura, « mezzo per
soddisfare l'umana curiosità, ... bagaglio di notizie »; tuttavia le Vi-
sioni wmbre (pag. 141-157) meritano di essere ricordate, come pagine
d'arte e di poesia, nelle quali il 'Conti, innamorato delle bellezze ar-
tistiche e naturali, segma le sue impressioni .e i suoi sentimenti di-
nanzi al S. Francesco e agli affreschi di Giotto in Assisi (Apparizione
di Giotto in Assisi. - Nel tempio d'Assisi dopo il tramonto).

la —pstev) gp A

5

"
— nm



———Á—Á mey Mi
944 ANALECTA UMBRA

E sul « Duomo Scintillante » serive pagine di ammirazione e di
entusiasmo: « Il mondo qui é lontano; ed é presente la luce che non
ha tramonti. Le pitture di Luca Signorelli e le vicine immagini del-
l Angelico aiutano a comprendere la vera essenza del Duomo d' Orvieto,
del quale la facciata scintillante « clara micante auro, flammasque imi-
tante pyropo », é un inno innalzato dal genio umano alla luce eterna,
alla Ince inestinguibile ».

4^. Come è noto agli studiosi, il Pontano scrisse un'orazione lau-
datoria indirizzata a Carlo VIII; la quale gli fu rimproverata fin dai
tempi del Guicciardini, che lo tacciò d'ingratitudine verso il suo $s0-
vrano Ferrante II. — F. Satullo, in una pubblicazione edita a Palermo
(Corselli, 1907), intitolata appunto L'Orazione di G. Pontano a Carlo VIII,
ritorna sull' argomento, che fu trattato quattro anni fa da A. Segre in
una memoria inserita nell’ Arch. st. lombardo (1908, fasc. XL, 116). Il
Segre provò (vedi Giorn. st. d. Lett. it., fasc. 146-41), « pubblicando
un documento sinerono attestante che proprio il Pontano aveva tenuto
- quella tale orazione, ma senza ombra d'infamia », come « egli agiva
per un accordo antecedentemente preso con re Ferrante II, fuggiasco
e speranzoso di ricuperare presto, col trono, le ricchezze paterne ».

47, Guelfo Taviani, rimatore della prima metà del secolo XIV, anzi
tra la fine del XIII e il principio di quello, è stato ora identificato
da Aldo Francesco Massera, nel volume che ha testè veduto la luce
‘(Bologna, Zanichelli, 1906), e che dà la desiderata edizione critica delle
rime di Cecco Angiolieri. Secondo le ricerche del Massera, l’oscuro ri-
matore, che, contro « il bizzarro spirito senese », prese le difese di
Dante, fu « un Guelfo di M. Stamollo de’ Taviani, pistoiese, il quale
nel 1307 fu eletto da’ Senesi all'uffieio delle generali gabelle ».

Ci interessa questa identificazione, giacche di Guelfo Taviani si
legge un sonetto di corrispondenza con Nerio Moscoli (vedi P. ToMmma-
SrNI-MaATTIUCCI, N. M. da Città di Castello, antico rimatore sconosciuto,
in questo Bollettino, vol. III, fasc. 6°, pag. 90-92) nel noto codice dei
Poeti Perugini, già Barberino XLV-130.

i Sul tempo in cui fu scritto il sonetto del Taviani all’ Angiolieri,
che il Massera vuol fissare al 1307, mentre il D’ Ancona lo voleva
« verso il 1303, quando egli aveva trovato lo primo suo refugio e'l primo
ostello nella corte dei signori di Verona » (Studi di critica e storia let-
teraria; Zanichelli, 1880, pag. 139); é utile vedere quanto serive Ghino
Lazzeri in Rassegna bibl. d. Lett: it., XV, 141 e 142. Riportare à qual-
che anno indietro, come fa il Lazzeri col D' Ancona, la data del so-
ho

ANALECTA UMBRA i 245

netto, non è forse argomeuto trascurabile per fissare il tempo in cui
si svolge l'attività poetica dei Poeti Perugini,in ispecial modo del Nuc-
coli, del Ceccoli e del Moscoli, che, fra quelli, sono i più importanti:
per numero di.rime e per contenuto poetico.

«4^4 Quale diffusione avessero nel secolo XV le opere degli umanisti
tifernati Gregorio e Lilio, ci è attestato dal Catalogo della Biblioteca che
il Marchese di Santillana, uomo provvisto di vera coltura umanistica e
gran mecenate, raccolse nel secolo XV, e che ora si conserva nella
Biblioteca Nazionale di Madrid. Del primo, cioè di Gregorio, vediamo
menzionata un'omelia di Grisostomo, De poenitentia, da lui latinizzata,
e del secondo, cioè di Lilio, una epistola în laudem Constantinopolita-
nae civitatis. Queste notizie ricaviamo dal volume di Mario Schiff: « La
bibliothéque du Marquis de Santillane » (Paris, Bouillon).

4*4 Un ANécolaus de Spolitis doctor scolarum S. Pauli in Venezia è
ricordato in un documento del 5 giugno 1324, che viene riferito in « En-
rico Bertanza e Giuseppe Dalla Santa, Documenti per la storia della
cultura in Venezia, vol. I. Maestri, scuole e scolari in Venezia fino al
1500 ». Venezia, 1907. — Cfr. Giorn. st. d. Lett. it. XXV, 154 e segg.

+ Una delle più belle commemorazioni che siano state tenute sul
Carducci, è senza dubbio quella di Francesco Torraca, nostro illustre
socio (Napoli, Perrella, 1907). Questo bel volumetto contiene in appen-
dice una conferenza che il Torraca stesso tenne a Salerno nel 1904, e
che porta per titolo « L'Ode alle fonti del Clitunno », nella quale, come
scrisse il D'Ancona, « l'anima del popolo italiano dalle molte vite si
agita e freme », e in essa « il corso del fiume imperiale di Roma è
salutato e vaticinato presso alle umili scaturigini ». Hl Torraca, in un
dotto e ricco excursus, ricorda quante volte le memorie storiche del-
l'Umbria e del suo paesaggio ispirarono la poesia sublime del Cardueci ;
e bellamente e giustamente osserva: « Non una sola. volta le memorie
eil paesaggio dell' Umbria ispirarono il Carducci; — anche un'altra
volta la fusione delle impressioni attuali, del sentimento moderno, con
le impressioni delle reliquie e tracce de' tempi andati, col sentimento,

che vorrei dire storico, si compiè felicemente nella sua fantasia. Ciò fu a:

Perugia, su la bella spianata alta ed ampia, dove la rocca di Paolo III
stette minacciosa fino al '59, sino al giorno che il popolo, insorgendo,

labbatté al suolo. Di lassù l'occhio spazia intorno intorno, e ne gode,

a una infinita distesa di pianura, di colline, di monti. Dentro questa

stupenda cornice, la grande e bella varietà de’ paesi, de’ luoghi, degli .

417

5

LS de a n m na ^7»

m

EP.

i05
E 9t

^ "-——— ———— À— 400

*

"n

246 | ANALECTA UMBRA

edifici e de’ ricordi con essi congiunti, si compose a mirabile unità,
in una magnifiea serié di tocchi pittoriei e di evocazioni storiche, sino
al prorompere dell'ammirazione del poeta in un grido alto e giocondo ».

Benedetta la storia, anche quando, di più dà vita. a divine crea-
zioni fantastiche ; e benedetto tre volte il Poeta /

sf, Pur dopo quella del Sabatier, dobbiamo registrare due nuove
Vite di S. Francesco: 1. P. Giuseppe Fratini, Vita del Serafico Padre

S. Francesco d’ Assisi. Assisi, Tip. Metastasio, 1906. — 2. Gustavo ©
Sehnürer, Francesco d'Assisi. Versione dal tedesco pel sacerdote pro-
fessor Angelo Mercati. Firenze, Libr. ed. fior., 1907. — La prima è in-

formata a un largo eclettismo, come quella che vuole unire insieme il
racconto del Celanese nelle sue due Vite, de' tre Compagni e di Bo-
naventura; la seconda è opera di un cattolico, come l'altra, « ma,
come scrive U[mberto] C[osmo] nel Giorn. St. d. Lett. it., XXV, 189-91,
d'un cattolico nutrito di scienza e d'intelligenza, che non nasconde i
fatti, non si spaventa di essi, ma cerca di subordinarli, alla sua con-
cezione ». La quale, secondo il Cosmo stesso, si puó riassumere in questi
due punti capitali: « il rilievo magnifico in che egli mette la natura
cavalleresca del santo », ela negazione « di ogni comunanza di Fran-
cesco con quel moderno soggettivismo, onde molte anime elette sperano
si abbia ancora a rinfiammare il sentimento religioso e che gli intran-
sigenti dell'ortodossia temono invece come la rovina sicura di questa ».

,*, Guglielmo Volpi, in Rime di trecentisti minori (Firenze, San-
soni, 1907), ripubblica la canzone del Sacchetti Non « posso tener più
, )3 FI }

ch'io non dica a Giacomo di Conte da Perugia.

4*4 O. Nardi ha pubblicato i Verse del Tebaldeo che sono conte-
nuti in un manoscritto della Biblioteca comunale di Gubbio (Perugia,
Squartini, 1906); codicetto che appartiene al Fondo Armanni, e già se-
gnalato dal Mazzatinti, dovette provenire dalla Biblioteca dei Duchi di
Urbino. — Il Cavicchi, in una. Varietà del Giorn. st. d. Lett. it. (XXV
19-81), determina quanto di inedito contiene il volumetto del Nardi.

2, I numeri più recenti di Augusta Perusia sono dedicati quasi
esclusivamente a illustrare i tesori d’arte che sono raccolti nella Mostra
d'Antica Arte Umbra, divenendo così più che una guida, viva e pre-
ziosa, a chi visiti quella. Nell'ultimo numero ci interessa più special-
mente uno scritto di Vincenzo Ansidei, dal titolo « Le miniature alla
mostra d’A. ANALECTA UMBRA 941

lustrazioni, tratte dalla Matricola dei Notari del 1403, da quella della
Mercanzia, del Cambio (1310), dagli Annali Decemvirali (1504) e da V An-
tifonario di G. Caporali (1473). .

dads Giovanni Spadoni, raccogliendo Il contributo delle Marche alle
origini della letteratura italiana (Rivista Marchigiana illustrata, novembre
1906), attribui alla sua regione nativa la Formola di confessione del
sec. XII, trovata in un codice già del monastero di S. Eutizio presso
Norcia, e illustrata da Giovanni Flechia (Arch. glott. it., VII, 199 e segeg.).
Il Monaci però la restituisce all’ Umbria, scrivendo: « nulla presenta
che dia diritto di toglierla al luogo donde proviene, che é nell'Umbria
e non nelle Marche ». L' affermazione del maestro illustre è così recisa,
da non doversi ammetter più alcun dubbio in proposito.

È, questa, contenuta in un AZendiconto all'Accademia dei Lincei,
col titolo « Antichissimo Ritmo volgare sulla leggenda di Sant'Alessio »,
(Roma, 1907). Al testo seguono un « Prospetto dei dialettalismi » e un
« Lessico », nei quali si hanno vari riscontri tra il dialetto marchigiano
e quello umbro, che hanno tra loro tanti punti di contatto.

4^, Per nozze Poderini Patrizi, V. Corbucci pubblica (Città di Ca-
stello, S. Lapi, 1907) tre sonetti, ai quali egli fa precedere questa nota :

« ... tratti di su un codice umbro, da me posseduto, / eredo fin qui
inediti, da attribuirsi, secondo la segnatura « Saxo », per alcune mie (?)
ragioni che non è qui il caso di esporre, non al modenese Panfilo Sasso,
ma al perugino Cristoforo Sasso, insigne umanista della prima metà
del secolo XVI.

4'4, Per le stesse nozze il prof. Tommasini Mattiueci ha pubbli-
cato in fac-simile un documento del 1849: un ordine cioè inviato da
un comandante austriaco all’avo di lui, Amilcare T. M., allora Gon-
faloniere, di arrestare i briccanti garibaldini, che da Roma volgevano
verso la Romagna. Al documento seguono alcune note illustrative sto-
riche.

na d'Arte» di Mi-
lano (fase. 7° del 1907, e in estratto di pag. 12): « Di una ignorata
Cappella dipinta in Spoleto da Giovanni Spagna ». È questa situata
nella Chiesa di S. Ansano. Il Sordini scrive: « Sotto una brutta tela
settecentesca, si celavano fino a poco tempo fa, nella parete di un al-
tare della chiesa di S. Ansano in Spoleto, i resti di un grande affresco

*, Giuseppe Sordini ha pubblicato nella « Rasseg

di Giovanni Spagna... Di recente, fatta nuovamente rimuovere la tela

4 SPIE

" ri
— A E

i. |

"uq

]
i
mt

"IS

ES

"65
4
id

248 : .— ANALECTA UMBRA

^ d

pua

settecentesca per vedere se l’ asserita opera di uno scolaro dello Spagna
meritasse particolare considerazione, con sorpresa mi sono trovato di
fronte ai resti di una vasta e bella opera di quell' insigne quanto sco-
nosciuto e, purtroppo, assai spesso calunniato maestro, che fu Giovanni
Spagna ». Giovanni di Pietro detto lo Spagna, fu, secondo gli storici
dell’ arte, di nazionalità straniera, allievo del Perugino, « colorista abile,
tenero e dolce di sentimento, pieno di energia e profondità »; e morì
a Spoleto nel 1530 (?). Il Sordini tuttavia restituisce proprio allo Spagna
il dipinto della detta Cappella, giacchè « mostra un fare largo, evoluto,
una modellazione forse anche eccessiva nel putto, e, caratteristica par-
ticolare dello Spagna, una grande profondità di sentimento », e ne
fissa la data di composizione tra il 1526 e il 1528, immediatamente dopo
le pitture di S. Giacomo presso Spoleto.

Il Sordini ha il merito di aver trovato nella biblioteca del Conte

Paolo Campello un documento sincrono (i Commentari di G. B. Brae-

ceschi) nel quale é fatto appunto ricordo del detto dipinto, con le pa-
role: « In santo sano. Alla capella dei lombardi dipinta dallo Spagna ».
L'opuseolo, prezioso per la storia dell'arte, e specialmente di quella
umbra, é arriechito da due nitide incisioni; la prima riproduce la Ma-
donna eol Bambino, la seconda un particolare di questa.

4*4 Contro un opuscolo dell'avv. Raffaele Foglietti, nel quale que-
sti volle dimostráre che all'antico Castrum. Felicitatis corrisponde la
moderna Macerata, e che Celestino II è nativo di questa città, il cano-
nico G. Mambrini ha pubblicato un altro opuscolo (Città di C., Grifani-
Donati, 1906) per rivendicare a Città di Castello e il nome medioevale
e la patria del pontefice, che secondo la tradizione, avrebbe donato
alla sua città nativa il celebre paliotto romanico in lamina d’argento,
che è uno dei più preziosi cimelî che figurino nella esposizione d’arte
antica in Perugia, e che è posseduto dalla Cattedrale di Città di Ca-

‘stello. Il can. Mambrini, esaminando i documenti medioevali già pub-

blicati e illustrati dal Magherini-Graziani (cap. 1°) e sulle opinioni de-

‘ gli storici (eap. 2°), prova, a parer nostro luminosamente, che il Ca-

strum Felicitatis dei Longobardi è proprio Città di Castello, e che
Celestino II ebbe qui i suoi natali.
Lo stesso can. Mambrini, in altro opuscolo (Città di Castello, Tip.

| Cooperativa, 1907) ha tessuto la biografia dell'abb. G. B. Storti, nato

nei pressi di Città di Castello; morto pochi anni fa, e ben noto nel
mondo romano per la sua dottrina, specialmente nelle scienze archeo-
logiche. G. B. De Rossi e il Marucchi lo ebbero carissimo e lo tennero
in conto. « Il can. Monaco La Valletta attestó: Io sono stato condi-
ANALECTA UMBRA 249
‘scepolo dello Storti e vi posso assicurare che per ingegno pochi lo su-
peravano, per memoria forse nessuno. Gli amici poi lo chiamavano,
‘celiando, una biblioteca ambulante ». Nell’ opuscolo del can. Mam-
"brini spira sempre vivo l’ affetto verso il dotto estinto, ed egli ha bene
meritato tessendone le. giuste lodi.

«^, Non si può dire che la nostra regione, l'Umbria, venisse percorsa
sovente, e descritta dai viaggiatori stranieri che scendevano in Italia i 3i
durante i secoli XVII e XVIII. Dopo il Montaigne, che la attraversó, Gui
in parte, sulla fine del secolo decimosesto, e ne scrisse a lungo nel suo
Journal (tuttavia non vide né Assisi né Perugia) bisogna scendere, in
ordine di tempo, al Goethe, per trovare un autore illustre che l’ abbia

visitata, ma senza sentire ancora tutta la mistica poesia che emana dal ce cs MP

paesaggio e.dai ricordi della nostra Umbria. Scritto in tedesco e non H4
ancora tradotto in italiano, il Viaggio del Goethe è poco noto in Italia. ^^ - Hu
Il prof. Zaniboni ne promette prossima la pubblicazione col seguente

volume: « L'Italia alla fine del secolo XVIII, nel Viaggio e nelle altre xd il

opere di W. Goethe, con uno studio di B. Croce ». Intanto nei fasci-
coli IV, V e VI dell’anno I dell' Augusta Perusia, egli ci ha. dato tra-
dotto e illustrato, con la scorta d'altri viaggiatori stranieri, quella :
parte che si riferisce all' Umbria. Le città eiluoghi visitati dal Goethe E
furono Perugia, Assisi, Foligno, il Clitunno, Spoleto, Terni, Narni e
Otricoli, e ovunque egli rievoca e ammira di preferenza i ricordi e i
monumenti classici. A giudicare da questa prima parte pubblicata, si
puó affermare che il Viaggio del Goethe ha finalmente trovato un illu-

i

rcs

ce . SAR sat 3 Put

stratore dotto, accurato. E il giudizio puó esser confermato da quella kh

parte che si riferisce al T'rentino, e che ha testé veduto la luce. (Na-
poli, R. Ricciardi, 1906).

#5» Nell'ultimo numero della Grande Revue, Gabriel Monrey, con
un suo articolo che porta il titolo di Regards sur V àme ombrienne, ri-
cerca appunto l'anima della nostra Umbria nei ricordi d’arte e di sto-
ria medievali; così come fece René Schneider nel suo noto volume.

4“ Il desiderio ripetutamente manifestato dagli studiosi, di avere
una edizione completa e critica del Diario del Burchard, il noto ceri-
moniere pontificio del secolo decimoquinto, sta per essere appagato.
In questi giorni hanno veduto la luce nella collezione muratoriana
(diretta da V. Fiorini), -a eura di Enrico Celani, le prime pagine di
esso, le quali portano il nome di Liber Notarum. In questo primo fa-
scicolo troviamo ricordati Bartolomeo Marasca, maestro dei SS. PP.,

5 CI
— ———

o SIE SEITE

SR O DI

rc

ire ERA
m

ET cw WIE
mb id

250 ANALECTA UMBRA

eletto vescovo di Città di Castello il 15 luglio 1474; Bernardino de Cup-
pis de Montefalco, scriptor apostolicus, maestro di casa del cardinale di
Recanati; e Ardicino della Porta, refere ndario dei SS. PP., eletto ve-
scovo di Aleria (Corsica) il 22 febbraio 1475 , poi cardinale jl 9 marzo
1489, il quale con tutta probabilità Rd aila nobile famiglia dei
Della Porta di Città di Castello. Il Burchard, come scrive egli stesso
nelle prime righe del suo Diario, fu appunto « receptus... in clericum *
ceremoniarum per r. mum in Christo patrem d. Ardicinum episcopum

aleriensem ».

. Il conte G. L. Passerini, nell’ ultimo numero del Marzocco, (21
foglio: 1907) getta l'allarme sul pericolo che corre il « convento france-
scano » di Monteluco, presso Spoleto. Fino ad ora ha subito l'incuria
degli uomini, ma ora sembra deva andare incontro a una sorte di peg-
gior gravità: quella cioè di esser trasformato o in una fattoria o in
un sanatorio o in un albergo. Il conte Passerini scrive che non sa e
non glimporta di sapere quale di queste tre sorti sia riserbata al ve-
tusto convento; « ma quel che è indubitabile è questo : che con là
ruina o la trasformazione di quelle umili celle, così piene di poesia e
di memorie, sparirà per sempre la testimonianza che ancor ci rimane,
dopo il convento delle Carceri sul monte Subasio, più notevole e ca-
ratteristica, delle antiche comunità e della semplice vita de’ france-
scani de’ primi tempi ».

Uniamo la nostra voce a quella del letterato toscano e del conte
Paolo di Campello per protestare contro questa nuova profanazione e
distruzione di quanto forma l’anima e la storia della nostra regione.
Un sanatorio sia pure costruito, in sulla cima del verde bosco, in quel-
l’aria balsamica, ma col patto che la chiesetta e il convento france-

scano siano serupolosamente rispettati.

4*4, La « Rassegna bibliografica della Lett. it. » nei num. 5-7,
rende conto di un volume del P. Teofilo Domenichelli su La famiglia
di San Francesco (Firenze, Barbéra): « materia assai disputabile, oltre
che disputata, ma nell’ opuscolo che annunciamo è esposta con molta
chiarezza ».

Nella stessa Rivista è preso in esame il volumetto del prof. Rr
Satullo (Palermo, Corselli), nel quale viene discusso se il Pontano
scrisse veramente e indirizzò la nota orazione a Carlo VIII, e si con-
clude affermativamente.

er”

—m

EAT NY
EM

SALVATE



TTE

FA

ANALECTA UMBRA 251

Sono anche segnalate le relazioni dei viaggi che il perugino Fa-
brizio Ballerini fece in varie regioni d'Italia, durante il secola XVI,
fermando l'attenzione degli studiosi su quella « che si riferisce alle'
feste che si celebrarono a Firenze nel 1588 per le nozze tra il Duca
Ferdinando e Cristina di Lorena ». (Cfr. in questo Bollettino, fasc.33 i
P. Tommasini-Mattiucci, Un viaggiatore perugino nel sec. X VI).

£^. William Mercer nell' Academ; del 22 giugno (1907), in un breve
articolo espone le irrefutabili ragioni per le quali, colla scorta dellIn-
dice dei disegni civili e militari, compilata da N. Ferri nel 1855, egli è
indotto ad affermare con sicurezza che la Chiesa di Santa Maria della
Consolazione a Todi non è opera del Bramante, secondo l’opinione di

tutti gli storici dell’arte, ma si bene del Sangallo.

44 Il fase. 21 (maggio 1905) dell' Archivio paleografico italiano del
prof. E. Monaci pubblicò i fac-simili di aleune pergamene Ortane fra
cui le due seguenti :

Tav. 92. Pergamena dell’ottobre 957 molta danneggiata dall’umi-
dità e tagliata nei margini inferiore e superiore. Contratto con cui
Benedetto miles e sua figlia Benedetta abitanti în vico Mestriano nel
territorio di Orte, vendono una terra a Franco e Martino, Monaci della
cella di S. Liberato nel comitato Ortano che accettano in nome di Pie-
tro abate del Monastero dei SS. Elia ed Anastasio di Nepi (Del vico
Mestriano non si hanno notizie, ma può congetturarsi che occupasse la
località che attualmente costitusce il castello di S. Liberato ; castello
già appartenente al Comune di Orte, ma passato poi al Comune di
Narni. Ora S. Liberato è una frazione di Narni).

Tav. 94. Frammenti di un passionario del sec. XII contenente la
fine della Passio S. Marci ed il principio della Passio Natalis S. Iuve-
nalis (S. Giovenale fu vescovo di Narni).

+ Giuseppe Ferretti nel num. 6 ottobre 1907 del Fanfulla della
Domenica pubbliea, traendole dal carteggio farnesiano in Parma le note
di viaggio che Giovan Filippo Alessandri di Spello andava notando
man mano che da Roma procedeva verso Parma. Questa sorte di diario
appartiene. all'anno 1569, e l' Alessandri « ci fa sapere come si com-
piesse, nel secolo XVI, un viaggio a cavallo da Roma a Parma, attra-
versando, perla via di Siena e di Firenze, tutta l'Italia centrale; quale

DR SRI

L

"

m ——————— mono m

AE
Ey

puc CORBO sd

‘POI 1 —— ANALECTA UMBRA

fosse l'itinerario, quanto il tempo impiegato, quale la spesa, quali le
« hostarie » alle quali si faceva sosta più spesso ». G. F. Alessandri,
« musico spellano », fu cappellano alla Corte del Duca Ottavio Farnese.

«x Mons. Faloci- Pulignani ha pubblicato, nella collezione. di
C. Ricci (Bergamo), uno splendido volume su Foligno. Ne parleremo.

4*, Continui sono gli accenni alla storia e all'arte umbra nel vo-
lume che René Schneider ha dedicato a Roma (Complexité et harmo-
mie); alcune pagine sì possono considerare come un complemento a
quelle dello stesso autore sull’ Umbria: pagine di poesia e di schietto
entusiasmo. i

P. TOMMASINI-MATTIUCCI.
DI ALCUNI STATUE]
DELLE CORPORAZIONI DELLE ARTI

E NEL COMUNE DI GUBBIO -

D

Le Corporazioni delle arti nella Costituzione e negli ordina-
menti amministrativi del Comune.

Sicure memorie delle Corporazioni delle arti in Gubbio
troviamo nella seconda metà del secolo XIII, quando la città
ampliata e poi cinta di forti mura, aveva estesa signoria
sulle castella (1) fino all’ opposto versante del Catria. I/ in-
fluenza delle Corporazioni nella costituzione stessa del Co-
mune, si accrebbe nel periodo della prevalenza di parte
guelfa, che cominció nel 1263, e che dette alla città prospe-
rità e pace fino al 1300: nel quale anno, per l' unione dei
Marioni, dei Raffaelli e d' altri fuorusciti ghibellini con Uguc-
cione della Faggiola, risorsero in armi le antiche fazioni.

Nello statuto vecchio della città (1338), che il 15 aprile
1354 ebbe, in nome della Chiesa, 1’ approvazione del cardi-
nale D'Albornoz, è stabilito: (Lib. I. Rub. LXI) che i capi-
tani delle arti ed i consoli dei mercanti debbano convenire,

(1) CANTALMAGGI, Dominio di Gubbio, ms. esistente nella Sperelliana. RAN-
3 GHIASCI, Palazzi munipali e pretorio. LUCARELLI, Memorie e guida storica di Gub-
È bio, pag. 61 e 62. Città di Castello, 1888.

18

F1

Pitta gp n < s
254 T. CUTURI

nel consiglio del popolo, per Y elezione di otto probiviri per
formare il bossolo dei nuovi gonfalonieri. La quale disposi-
Zione é pure confermata nella Rub. LXIV: De auctoritate
consilii et de mumero necessario in propositis faciendis.

Il minor Consiglio del Comune, o de? cinquanta, era eletto -
dai consiglieri che scadevano e dai capitani delle arti e dai
consoli dei mercanti con cento del popolo scelti fra i citta-
dini di maggior nome. I gonfalonieri ed i consoli, nel ter-
mine di cinque giorni, dovevano sindacare e correggere
l opera di questa assemblea, e poi il Capitano del popolo
doveva egli pure esaminare se regolare fosse stata l' elezione,
e se fosse stato scrupoloso, o no, il sindacato dei gonfalonieri
e dei consoli.

Gli eletti dovevano essere guelfi, dimoranti nella città,
dovevano aver compiuti gli anni 25, ed avere un censo di
XX libre.

. Spettava pure ai capitani delle arti il concorrere con i
consoli e col gonfaloniere alla vigilanza sui mercati, sulle
provviste dei generi alimentari e sull’ acquedotto (1), ordi-
nando le spese necessarie a mantenere nella città abbon-
danza d’ acqua.

Da queste disposizioni statutarie è manifesto che le Cor-
porazioni d’ arte ebbero in Gubbio un' influenza politica mi-
nore che in altre città dell Umbria: il che ritengo si possa
spiegare per la costante prevalenza dell’ elemento rurale e
delle famiglie dell’antica nobiltà, proprietarie di estesi e fer-
tili terreni. Le arti vivevano dei bisogni di questa classe
facoltosa, le industrie si riducevano a manifatture, non ave-
vano l ordinamento di grandi imprese, non esportavano in
paesi lontani, non potevano accumulare tali ricchezze da
prevalere nel libero Comune.

(1) Rub. LXX. Quod domini confalonerius et consules, cum capitaneis artium,

possint providere supra abundantiam acque, et teneatur, quolibet mense, rividere
aqueduetus. '

TT, —————( -
EE d Eia Ui ZZZ AI ER IONE DETTI DINE CI
DI ALCUNI, STATUTI, ECC.

Nell'antieo statuto troviamo la solita proibizione di dare
effetto ad ordinamenti che non fossero approvati dai gonfa-

Hi .lonieri e dai consoli. Rub. LXXXXI: statuimus quod nulla ars
P per se sola faciat nec facere possit aliquod ordinamentum cor-
EB. ‘ rectionem vel provisionem, et si fecerit non valeat nisi fuerint

adprobata per dominos confalonerios et consules. E di tempo
in tempo, per bando del capitano del popolo, ai capitani delle
arti era intimato di comparire innanzi ai gonfalonieri ed ai
E consoli per esibire i loro brevi.

Ai consoli e al podestà era pure imposto di vigilare che
gli esercenti arti, mestieri e commercio s' inscrivessero nelle
rispettive corporazioni e che gli statuti fossero osservati.
Onde ‘nella rubrica LXXXX, é detto: « quod non habeatur
pro artifice, nec possit esse capitaneus artis qui artem non exer-

F cet vel in ea non est scriptus ». Il quale principio è severa-.

3 mente confermato nelle rubriche LXXXXVI e LXXXXIIII.
- « De approbatione brevis artis mercatorum et eorum observantiis.
De approbatione artis lanae et guarnellorum ».

» Notiamo .che anche a Gubbio le arti non erano corpo-
E razioni chiuse, né privilegiate pei soli cittadini. Chiunque
: doveva esservi ammesso, purché dimorasse nella città e pa-
* gasse una tassa d'entrata, e dopo era tenuto solamente alle
È periodiche contribuzioni secondo che fosse garzone o mae-
E stro (1). Anzi la corporazione nulla poteva deliberare contro
i chi non vi fosse inscritto, poteva solo farne reclamo al po-
i — destà o ai consoli (2). Proibito severamente ad ogni Corpo-
i razione di far monopolio de' suoi prodotti, e di fare alcun

ordinamento dannoso ai monasteri, che erano numerosi e

ricchi, e che dovevano dare continuo lavoro a quelli ar-
tieri (3).

(1) Rub. LXXXVII.

(2) Rub. LXXXVIII. Quod non possit per artem aliquam aliquid ordinari in
praejudicium alicuius qui non sit de arte.

(3) Rub. LXXXVIIIT. Nella: Cronaca di Fra Girolamo Maria da Venezia, leg-
giamo: « era ancora in quel tempo, cioé nell' anno mille doi cento ventisei, tanto
ampliata la città da ogni canto giü nel piano che gli avevano fatte dodici porte prin-
256 T. CUTURI

I capitani ebbero giurisdizione, ma limitata a cose del-
l arte: cioè a rapporti tra garzoni e padroni, a questioni che
potessero insorgere sull’ uso delle materie prime e degli
stromenti del lavoro, e sulla qualità e quantità del pro-
dotto, e sui diritti e doveri verso la corporazione. Ma fu
loro impedito qualunque provvedimento per sottrarre i loro
debitori alla giurisdizione ordinaria (Rub. LXXXVIID. Né
lo statuto derogó a questo principio nemmeno per l'arte dei
mercanti, perché nella Rub. LXXXVI, riconobbe la giurisdi-
zione dei consoli solo per le controversie mercantili, fra gli
inscritti nella matricola, e fra essi ed i mercanti di fuori.
Le cause si dovevano trattare con procedimento sommario,
sine strepitu et forma judicii, e, nei limiti di tale competenza,
il podestà ed il capitano del popolo, dovevano dare aiuto ai
detti consoli, anche con la loro famiglia per qualunque oc-
correnza e, particolarmente, per l'esecuzione delle sentenze (1).

In queste condizioni le corporazioni delle arti poterono
continuare nei loro ordinamenti anche dopo la volontaria de-
dizione della città ad Antonio di Montefeltro (marzo 1384),
i cui successori rispettarono sempre gli ordinamenti del Co-
mune, e si studiarono anzi di migliorare le condizioni eco-
nomiche della città. Il nuovo regime infatti non toglieva loro
una preminenza politica che non ebbero mai, e le libertà
comunali non furono dai Montefeltro talmente diminuite che
quelle corporazioni venissero a perdere l'influenza che lo
statuto consentiva loro negli ordinamenti economici. I nuovi
signori, e poi i Della Rovere, ebbero tutto l'interesse di
favorire le classi popolari contro le antiche famiglie della
città, ricche di possedimenti fondiari, e forti d'armi nei
loro castelli. E quando Antonio di Montefeltro dichiarò ri-
cipali ; e dieci anni dappoi si numeravano fra la città e il contorno alle mura, nelli
borghi undici monasteri di frati, e venti doi monasteri di suore, delli quali molti
sono stati fatti dappoi (MURATORI, Rerum italicarum scriptores, nuova ediz. cu-
rata da Carducci e Fiorini. Tomo XXI, parte IV, pag. 99).

(1) Ivi. Quod potestas et capitaneus populi debeant dare dictis consulibus au-
xilium et favorem, et familiam pro predictis, ad eorum petitionem.
IuDPMRSDMBDREURUE

DI ALCUNI STATUTI, ECC. 251

belli e cacciò in esilio alcuni dei grandi che ancora gli re-
sistevano, e quando uno ne mandó al supplizio non cedendo
alle preghiere dei nobili che invocavano il perdono, fu pre-

prio la folla degli artieri che gridò: viva él conte, muojano

li nemici (1).

I capitoli della dedizione del 30 marzo 1384 pei quali
la città conservò gli statuti e il diritto di nominare tutti
i suoi magistrati, furono di tempo in tempo confermati e con
aggiunte di altre concessioni relative alle imposte, alle fiere,
ai benefizi ecclesiastici. E, in sostanza, il potere dei duchi
d’ Urbino fu soltanto politico, si esercitava nel tener la
guardia della città e de’ suoi castelli, nel nominare il po-
destà con due giudici, quattro notari, quattro donzelli, due
cavalieri e venti famigli, pur rimanendo al Comune la no-
mina del giudice delle appellazioni; nel regolare i rapporti
del Comune con gli altri stati, dovendo i cittadini di Gubbio
aver per nemici i nemici del duca e fornirgli denaro ed armi
per la guerra (2).

Sostanziali modificazioni nella costituzione del Comune
lentamente s’ introdussero, con la tendenza a ridurre il po-
tere nei cittadini censiti e nei nobili, quando furono indebo-
liti ed ossequenti all’ alta signoria ducale. Ne abbiamo il ri-
flesso negli Statuta civitatis Eugubi, auctoritate serenissimi Fran-
cisci Mariae II ducis confirmata, compilati da Iacopo Beni e
stampati in Gubbio da Marco Antonio Triangoli il 1624 (3).

(1) Diario di Simon Paolo, pag. 21 e LUCARELLI, Op. cit, pag. 93 e 94. ARMANNI,
Della famiglia Bentivoglio, pag. 71 e 72, Bologna, 1682. PELLEGRINI nel Bollettino
della R. Deputazione di Storia patria per l'Umbria. Anno XI, pag. 162 e 163.

(2) PELLEGRINI, l. c., pag. 142 e seg. Il Duca era rappresentato da un luogo-
tenente il quale, « cum primum advenerit, praestito juramento in forma in mani-
bus cancellarii Communis, omnem diligentiam adibeat pro pacilico et quieto statu
civitatis et ejus territorii ». Nello statuto del 1624 Rub. XI, gli sono attribuite le
funzioni giudiziarie per le cause non eccedenti i venti fiorini e per le liti tra mise-
rabili che doveva definire oretenus sine scriptis. Era poi divenuto il giudice d'ap-
pello per tutte le cause civili criminali o miste affidate in primo grado al podestà.
Vedasi pure il Lib. III, pag. 103 e seg.).

(3) Questo statuto é divenuto molto raro. Fu consultato nella Biblioteca nazio-
nale di Firenze ove ha la segnatura X, 2, 104.

roi

le-_——t'aròp—- L > cen 4

SI n EE

he

m T. CUTURI

Il Beni, nella prefazione, scrive al Duca: celsitudo tua
illud. nobis inviolabiliter servari saepe benignissime mandavit :
opusque supervacaneis ex antiquo codice amputatis nec non in-
vicem pugnantibus et iis quae in desuetudinem obierunt, omni
studio ac diligentia non longo temporis spatio, divina fervente
gratia, ad publicam civium utilitatem in sex libros certo distin-
ctoque ordine redegi. E nel Lib. I. alla Rub. XXIII, mentre
è manifesto che il gonfaloniere e i consoli: sono sempre a
capo del Comune, e ricevono il giuramento del luogotenente
e del podestà, troviamo che da tempo, e cioé dal 1529, quando
il primo Francesco Maria era governator generale delle armi
de' Veneziani, la moglie, duchessa Elisabetta Gonzaga, reg-
gente del Ducato, con suo rescritto .al conte Guido Beni,

aveva ordinato che il gonfaloniere fosse scelto soltanto fra.

i nobili (1).

Del resto a noi preme notare che il bossolo degli eli-
gendi non si faceva più come nell’ antico statuto. Convocato
il generale consiglio nel mese di novembre, il magistrato
uscente riceveva il mandato di scegliere otto probi uomini,
due per quartiere, scelti soltanto fra i nobili e fra i bor-
ghesi agiati (2), i quali dovevano fare il bossolo dei cittadini
che reputavano piü idonei all alto officio e il bossolo va-
leva per quattro anni (Lib. I. Rub. VI) Lo statuto avverte
che s'operava cosi per antiche istituzioni, il che vorrà dire
soltanto che praticavasi ormai da tempo: ma certo non eran
queste le regole dello statuto del secolo XIV. Il consiglio
poi era eletto senza il concorso dei capitani delle Corpora-
Zioni: infatti nella Rub. XXIII « Je electione consiliariorum
et aliorum officialium, troviamo: « Novum consilium eligetur
« a magistratu et deputatis in principio mensis Decembris
« et in electione deputatorum talis ordo observandus est:
« ut ex tribus cujuslibet quarterii duo, singulis annis, mu-

(1) PELLEGRINI. l. c., pag. 225.
(2) Octo probos ac discretos viros ex primo et secundo gradu dumtaxat.

C SEES

DEP NES ELA I TINI EIA OIL RE E SR IGIATIAI
DI ALCUNI STATUTI, ECC. . . 259

« tentur. Unus scilicet, antiquior in ordine: reliqui vero po-
« nantur ad partitum a magistratu et deputatis; et qui per
« plures palloctas fuerit confirmatus in officio, remanere de-

*« beat; alter, vero, exclusus censeatur, et eorum locum to-

« tidem cives ejusdem condictionis, more solito nominandi,
« eorum scrutinio sobrogentur.

« In electione vero consiliarorum talis ordo observandus
« est: ut nempe ex tresdecim cujuslibet quarterii tres an-
« tiquiores in ordine, singulis annis, mutentur: sed ex quar-
« terio gonfaloneri tunc in officio existentis, quatuor toti-
« demque a magistratu nominandi bonae ac non infimae
conditionis, solito scrutinio, eorum loco substituantur. Qui-
bus omnibus sic de novo electis et-a serenissimo duce
adprobatis, juramento in forma a cancellario deferatur ».

Ai capitani delle arti ed ai consoli dei mercanti fu dun-
que tolto ogni potere in tale elezione, e nessuna traccia di
un'azione politica diretta noi troviamo in favor loro in questo
statuto riformato, il quale, invece, nel Lib. V, regola con
minuziose disposizioni le funzioni d'ordine economico dei
collegi delle arti coordinandole col diritto pubblico del Co-
mune e subordinandole ad esso.

Ma per questo non dobbiamo ritenere che le classi po-
polari fossero del tutto escluse dagli offici del Comune. Pro-
babilmente era difficile il conseguirli agli artefici del popolo
minuto che attendevano a semplici opere manuali, ma non
ai maestri e lavoratori di notoria capacità. Infatti il Libr. I
dello Statuto, riferendosi all'elezione di molti officiali da sce-
eliersi per quartieri, esige soltanto che siano cittadini, ag-
giungendo talora: discreti et integrae opinionis, e solo per gli
offiei maggiori dice: eligantur cives primarii, oppure: cives ec

A

^

^

primo vel secundo gradu (1).

(1) Gli offici non si potevano recusare senza grave e legittimo impedimento.
Lib. I. Rub. LXII. Quilibet civis electus et deputatus ad aliquod officium sive
admistrationem comunis, munus sibi injunetum alacriter suscipiat ac fideliter exer-
ceat. Qui vero, cessante legitimo impedimento, illud recusaverit, ultra privatio-

ni armi I ENSE ee nre È
T

CUTURI

L'arte più importante fu quella della lana, quae nutrix
et praecipua est im civitate (Ivi: Rub. I). Lo statuto impone
di esporre liberamente e di vendere in buona fede i panni
(Vedasi nel Cod. giustinianeo il tit. LIX del Lib. IV); impe-
disce la concorrenza sleale contro i mercanti forestieri, e
vuole che i panni siano bene misurati. « Nec amplius men-
« surare debeant ad banderam, prout hactenus contra com-
« mune aliorum usum, non sine emptorum querela, factum est.
« Sed illis positis et extensis super tabula vel banca, ducendo
« cannam sive passettum, de brachio in brachium, mensurare
« debeant super panno vel sagula, directo per unum quartuni
« intra pannum. Et qui contrafecerit puniatur in libris qua-
« draginta: eujus pene quarta pars sit accusatoris, alia exe-
« cutoris, residuo vero fisco serenissimi applicetur ».

Lo statuto, con le sue particolari disposizioni, dà pure
l'elenco delle arti che erano nella città.

Dopo l'arte della lana, i Merciai (Rub. III) La loro
corporazione, come vedremo, é del secolo XVI, e il loro sta-
tuto .poco interessante e, contrariamente agli altri, tendente
a ridurre l'arte in pochi, e cittadini; per quanto lo statuto
del Comune a loro pure imponesse di non impedire il com-
mercio ad estranei e di ammetterli nella loro università.
« Exteros venientes ad vendendum in civitate Eugubii ad-
« mittant faciendo eis statim bullettam juxta eorum capitula ».
Furono pure obbligati ad andare sulla piazza grande a ven-
dere le loro merci nella fiera di S. Ubaldo.

I Calzolari (Rub. IV) sono obbligati ad eleggere i ca-
pitani tra i piü periti dell' arte e, al tempo stesso, idonei ad
amministrarne il patrimonio. Il Comune deve vigilare sugli
scopi di beneficenza che la corporazione si proponeva, « pau-
« peribus dictae. artis subveniant, peregrinos et infirmos in

nem officiorum et honorum Communis, poenam quinquaginta scutorum incurrat
fisco serenissimi Ducis et comunis pro parte applicandam. De causa autem legitima
locumtenens, adhibitis advocato et procuratore communis, summarie, sola facti ve-
ritate iuspecta, cognoscat et judicet.
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 261

« eorum domo, sive hospitio, recipiant, illisque, pro viribus, pie
« subveniant: ut in dies praedictae facultates augeantur, cu-
« rent, pro majori credito et commoditate, habere locum am-
« plum et magis aptum ad praedicta omnia facienda et exer-
« cenda ». Essi pure devono non impedire la concorrenza sul
mercato, e lo statuto del Comune pronunzia la solita formula:
« exteros ad vendendum admittant,"non solum in die mer-
« cati sed etiam quocumque alio tempore, facta eis statim
« bulletta, iuxta eorum constitutiones et capitula.

1 sarti (Rub. V) devono essi pure seguire lealmente e
praticare le loro costituzioni, contenti della consueta mercede
o fattura. Puniti di cinque libbre se s'approfittano della
stoffa; puniti del doppio se le stoffe o le vesti avessero date
in pegno oppure se le avessero commodate. « Sed teneantur
« eas restituere illi personae a qua habuerint, vel in defe-
« ctum illarum praetium, sive aestimationem, de qua stetur
« juramento domini. Si vero, vestes male inciderint, cogi
« possint et debeant a judice ad reficiandam earum aesti-
+ mationem parti, arbitrio peritorum ».

Fabbri ferrai e manescalchi (Rub. VI) Obbligo ai
fabbri e manescalchi che volessero far fucina in luogo abi-
tato di eseguire a loro spese le opere di muratura perchè il
muro comune non ne avesse alcun danno: « teneatur quili-
« bet faber propriis expensis facere murum latitudinis unius
« lateris et altitudinis trium pedum supra focinam, et faciat
« caminum in loco ne laedat vicinos, ad poenam V libra-
« rum et demolitionis sive restitutionis in pristinum, ». I
manescalchi fanno pure da veterinari e s'impone loro di at-
tendere alla medicina con buona fede.

Anche ai fabbri la solita imposizione di lasciar libero il
mercato. Exteros etiam ad vendendum admittant facta bulletta
juota eorum. constitutiones.

Ai falegnami (Fabri lignaminis) (Rub. VII) è imposto
di adoprar buona materia e di stare alle consuete tariffe.
« Quod si discordent de praetio, revideri et extimari faciant
262 "oT. CUTURI

« per alios peritos ejusdem artis, qui, eorum juramento, prae-
« tium declarare debeant ».

I Vasari (Rub. VIII) non devono costruir fornaci fra
le case, ma in luoghi aperti, a meno che non diano cauzione,
da determinarsi ad arbitrio del giudice, a coloro che potreb-
bero subire danno. Vietato loro di bruciar nelle fornaci le
feci essiccate, a meno che non siano lontani anche dai bor-
ghi della città. Qui pure si raccomanda di adoperar buona
materia, e di non impedire in nessun modo ai forestieri di
portare in città vasi e stoviglie, nè di venderli liberamente.

Pei Muratori (Rub. IX). Fu regolata la giornata di la-
voro dal levar del sole al tramonto. « Summo mane, quando
« fuerit fenita prima missa, quae dici solet in ecclesia S. Ma-
« riae Servorum vel S. Dominici, debeant adesse in loco aedi-
« ficii conducti, cum omnibus ferramentis et instrumentis ad
« fabricandum necessarii, et ibidem operari tota die usque ad
« solis occasum, sive ad sonum avemariae, et donec non com-
« pleverint laborerium conductum, non possint, sine licentia
« conductoris, recedere et operari cum alio, dummodo primus
« conductor subministret necessaria ad fabricandum, sub pena
« V librarum pro quolibet et qualibet vice, et nihilominus te-
« neantur complere fabricas coeptas, conductore volente, nisi
« ex aliqua iusta et rationabili causa infirmitatis, rixae sub-
« secutae, vel simili, judicis arbitrio excusandi essent ».

Nei casi di lavoro ad appalto o a cottimo, sono imposti

la misurazione e il collaudo.
Se poi i muratori sono presi a giornata, sono obbligati
solo pel tempo pel quale vengono pagati.

La eonsueta mercede puó subire un aumento dall'aprile
all ottobre, « et si partes dissentiant magistratus illam ta-
« xare et declarare debeat ». In tutto il resto si regolino
con le loro costituzioni.

I Maceltari (Rub. X ed XI) sono divisi in due classi,
come appunto in altri Comuni ove si distinguono il macello
maggiore ed il minore. Lo statuto chiama macellari quelli

UE E ULM T nto
tit

—Ám

mm

‘DI ALCUNI STATUTI, ECC. 263

che ammazzano bestie grosse e piccole e che hanno uno
spaccio grande; chiama spezzatori di bestie, o venditori di
carne spezzata quelli che si uniscono per macellare una d
due bestie e venderne i quarti, specialmente nei giorni di
mercato. Ond'é che occupandosi de macellariis, prescrive
l'obbligo di tenere ben pulite le botteghe dal sorger del sole
ad un'ora di notte; di tenere le carni bene esposte e bollate,
e di esercitare l'arte loro lealmente e secondo i capitoli del
loro statuto. Non osino mai vender carni fuori delle botteghe
« ad poenam .quadraginta solidorum, qualibet vice incurren-
« dam ».

Trattando poi de quartegiantibus bestias, a prevenire litigi
che potevano avere funesto esito, la rub. XI statuisce: « quar-
« tegiantes non possint emere nisi duas bestias pro quolibet
«in die qua fit mercatum, et nisi in mercatali magno et
« non alibi, et, excoriata bestia, factaque divisione illius
« in quatuor partes, debeant ponere sortem super quartis, et
« cuieumque quartum, quem sors dederit, assignare, et pro
« eorum labore habeant solum ventrem et sanguinis, prae-
« tium, que ab emptoribus exigant juxta illud quod fuerit
« solutum ab eis pro praetio bestiae, detracto valore pellis,
« quam ad dictum effectum vendere teneantur, et si petatur,
« super praetio jurare debeant, ad poeuam contrafacienti de-
« cem librarum qualibet vice incurrendam ».

Gli albergatori (hospites et. tabernarii, Rub. XII). Fu
loro impedito di fare incetta di viveri sul mercato per farne
poi rivendita, e furono determinate le loro responsabilità pei
depositi necessari nei locali dell'albergo. « Volumus etiam
« quod omnes hospites teneantur diligenter custodire vali-
« sias et quascumqué alias res sibi consignatas ab advenis :
« etsi eorum culpa vel negligentia deperdantur, illos teneri
« ad totale interesse damnum passi, ejus juramento compro-
« bandum ae judicis taxatione confirmandum. Equos ad ve-
« cturam locari solitos cuilibet instanti dare teneantur, solita
mercede recepta. Sicut etiam in eorum hospitiis commo-

n ——— QM N ^ d

4

,

PERSE PESCAIA iis, COBRE

E

E "B

‘Degli

a

je HC pes EU E:
LPS. LIP ay

ciano il pane a richiesta di chiunque, e, sopratutto, che lo

264 T. CUTURI

« rantes bene tractare, nec liceat eis post quam aliquis intra-
« verit aliquod hospitium, eum vocare seu derivare a dicto
« hospitio, ad poenam solidorum quadraginta pro qualibet
« vice. Possint tamen retinere res et si illae non sufficiant,
« personas ipsas arrestari facere, donee eis de eorum mer-
« cede fuerit integre satisfactum ».

Pollajoli e oliandoli (1) (Tricolae et venditores olei,
Rub. XIII) Fu loro proibito di fare incetta nei giorni di
mercato e fu loro imposto di attenersi ai prezzi tassati dal
Comune, adoperando sempre misure giuste e bollate. Erano
sottoposti ai prefetti dell'olio, eletti uno per quartiere per un
anno: i quali dovevano, in particolar modo, provvedere di-
ligentemente « quod in civitate oleum nullo tempore deficiat,
« sed illum purum absque mixtura alterius cujuscumque i
« rei, boni coloris et saporis, per venditores ab illis depu- |
« tandos, omnibus vendatur, juxto pondere ac precio per eos
« ponendo et declarando. Item advertant quod dicti vendi-
« tores oleum servent in vasis, sive orceis, bene conditionatis
« et in mensurando utantur justis mensuris notatis bulla com-
« munis, ad poenam contrafacienti, quocumque casu, libra- E
« rum decem, qualibet vice incurrendam et remotionis si |
« eis placuerit » (Ivi Lib. I. Rub. XXXXII). È notevole che
avessero facoltà di provvedere anche ad un magazzino di
deposito e di custodia per gli olii che si vendevano nella
città: « eligere etiam possint et debeant idoneum deposita-
« rium ad praetium exponendum et solvendum, cum solita
« et moderata mercede, qui singulis mensibus, dictis prae-
« fectis, rationes reddere teneatur, et omnia alia observari 3
« faciant, secundum eorum capitula ». |

Pei Fornari, (Rub. XIII) lo statuto provvede che cuo-

(1) Vendevano polli, piccioni, tacchini, cacciagione, uova, ricotte, cacio, agnelli,
capretti, majale, e taluni anche olio, aceto, stoppini, spago, corde. Vedansi pure
Statuta populi et Communis Florentiae, editi a Friburgo il 1778. T. II, pag. 307 e 308.
Rer ame nr

ge mpg ata



DI ALCUNI STATUTI, ECC. 265

cuociano bene, ad poenam librarum decem, plus et minus ju-
dicum et magistratus arbitrio, e che abbiano misure giuste e
bollate, e qualora facessero rivendita d'olio li sottopone ai
detti prefetti. I fornai non costituivano una corporazione,
erano invece riuniti in università i Mugnai. Di essi tratta
la Rub. XV, particolarmente per stabilire gli obblighi loro
verso chiunque portasse grano a macinare. « Molendinarii
tenentur salmas frumenti custodire, quam primum molere,
« qui primo frumentum vel bladum portaverit, et si malam
« farinam fecerint, permutaverint, vel, aliquo modo, dete-
« riorem reddiderint, teneantur emendare damnum passum
« et poenam X librarum vice quadam incurrant. Pro mul-
« tura vero habere debeant libras quatuor pro quolibet
« centinario et non ultra, et si contigerit eos repercutere mo-
« lam, debeant prius tantum molere de suo frumento quod
« sufficiat, ne alterius farina de lapide sentiat. Crivellos ad
« expurgandum granum habeant, nec salmas farinae pro-
« stratas sive distentas in terra vel alibi tenere debeant, sub
« eadem poena. Teneantur etiam frumentum et farinam ad
« pensam destinatam afferre et bullettam macinatus ab of-
« ficiali deputato recipere, et. alia juxta eorum capitula obser-
« vare ». Ogni anno, dal maggior consiglio del Comune do-
veva essere eletto un cittadino di buona fama, che doveva
custodire e tutto il giorno far funzionare la pubblica bilancia
del Comune per la pesatura del grano e delle farine (Lib. I.
Rub. LII) « Assistere debeat, tota die, in loco pensae et di-
« ligenter ponderare frumentum et alia blada quae ad mo-
« lendum adsportantur et illorum pondus, nomen domini, et
« molendinarii, statim scribat in libro cartulato; et cuicumque
« petenti teneatur de pondere facere apodissam; deinde pon-
« deret farinam ad callum pro multura quatuor librarum
« pro quolibet centinario. Quod s? quid pluris reperierit de-
« ficere, debeat incontinenti reponere debitam quantitatem de
« sacculo proprio molendinariü, ad id propterea a quocumque
ipsorum detinendo, alias, de proprio reficere teneatur. Et haec

,

E RN DE

-
2e 266 i T. CUTURI

« omnia facere debeat cum solito emolumento a magistratu
« taxando ». | : i

Abbiamo già notato che agli artefici s' impedisce di fare
incette, di allontanare i forestieri dal mercato, in altre pa.
role, il Comune vuole libertà di produzione e di vendita, e
tanto insiste su questi principii che lo Statuto vi torna in
alcune rubriche speciali del libro V. Così nella Rub. XVII

impone agli artefici di vendere a chiunque i loro prodotti, e

nella Rub. XXI chiaramente impone « ut rerum omnium
« Copia quantum fieri potest in civitate manuteneatur, mo-
« nopolia omnia in singulis artibus omnino prohiberi volu-
« mus, et. qui ea fecerint per judices repellantur et, facti
« qualitate inspecta, eorum arbitrio puniantur ». E perché
negli statuti delle corporazioni non fossero disposizioni con-
trarie anche a questi provvedimenti, ogni anno, nel consiglio
generale, dovevano eleggersi due uomini probi e periti per

farne accurata revisione (Rub. XX).

. Nell esercizio dell’ arte loro mercanti e artefici sono sot-
toposti-alla giurisdizione ordinaria e puniti per qualsiasi frode -
o falsificazione. (Lib. IV. Rub. XLIX). « Nullus mercator sive
« artifex audeat suam artem, sive exercitium falsificare, quod
« si secus factus fuerit, et rem pro re, fraudolenter vendiderit,
« sive aliquid contra ordinem et naturam artis dolose immi-
« scuerit, puniatur in libris quinquaginta et etiam majori
« poena judicis arbitrio statuendo juxta qualitatem delicti,
« pro qualibet vice et re amissa, ad omne dannum et inte-
« resse emptoris condemnetur. Iudex vero tam ad accusa-

« tionem et denunciam cujuslibet personae, quam etiam per

« inquisitionem procedere valeat et teneatur ».

Gli speziali (aromatarii) costituivano essi pure una
corporazione. Lo statuto sottopone la loro inscrizione ad un
esame di capacità dato innanzi al protomedico della città, e
subordina il loro esercizio professionale alle ordinazioni dei
medici. (Lib. V. Rub. II). « Nullus in posterum admittatur
« ad aromatariae artem exercendam nisi prius diligenter exa-
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 267

« minatus et adprobatus fuerit a prothomedico civitatis Eu-
« gubii (1); et deinde describatur in matricula, praevio tamen
« juramento de bene et legaliter dictam artem exercendo, et
« debeat, omni diligentia adhibita, et fraude remota, simplicia
« componere et medicinas facere. Nemo etiam audeat alicui
« dare medicinam purgativam, pillulas et similia sine licentia
« et absque ordinatione alicujus medici doctorati et experti,
« sub poena librarum XXV, et pluris etiam arbitrio judicis,
« considerata qualitate casus ».

Date poi aleune norme sulla fabbricázione e sul com-
mercio della cera e della carta, che erano allora prodotti di
notevole pregio, lo statuto assicura ai farmacisti una sollecita
assistenza del magistrato per ottenere il pagamento di quanto
fosse loro dovuto per l’ esercizio dell'arte. « Nec etiam audeat
« (nullus aromatarius) facere torceas, faculas, et candelas
« nisi ex pura cera, et papiro ex puro bombicine, absque
« aliqua mixtura, et non dare unam speciem pro altera, sed
« illa omnia vendere justo praetio, cum justis mensuris et
« ponderibus sub poena librarum decem et caetera omnia
« observare iusta eorum constitutiones. J//osque iudices, im
« emigendis creditis, summarie expediant ».

In questo tempo solo i mercanti dell'arte della lana eb-
bero giurisdizione oltre i limiti delle piccole vertenze fra
gli iscritti alla matricola; ma il loro tribunale fu notevol-
mente modificato essendo imposta l' opera di un consultore
giurisperito per le cause civili che presentassero delle diffi-
coltà, ed essendo obbligati ad attenersi al voto del pretore
per quelle criminali che importassero pene afflittive o pe-
cuniarie, o l'esame del reo mediante la tortura. (Lib. V.

(1) Della elezione di questo medico e del suo sostituto tratta la Rub. XXXIII
del Lib. I, affidandone la cura a quattro cittadini. eletti nel consiglio generale.
Erano tali medici pagati dal comune, e, se richiesti, dovevano curare gratuitamente
gli infermi della città e del subborgo. Fra gli altri obblighi, il protomedico « te-
« neatur etiam gratis videre urinani cujuslibet comitatini et ordinare quae ad ejus
« curationem sunt necessaria ».

m ruat Anm EET git edit ont eme ey e Mi
268 T. CUTURI

Rub. I). « In jure vero reddendo notarium habeant expertum,

«

«

«

«

qui bis saltem in hebdomada de mane, assistat, in eorum
tribunali, petitiones et querelas recipiat, acta et processus
instituat, ut deinde ab eis (mercatoribus artis lanae) lites
et causae terminentur. Consultorem etiam eligant jurispe-
ritum, eujus consilio, cum opus fuerit, in civilibus utantur.
In eriminalibus autem causis, in quibus agitur de poena
corporali, vel pecuniaria, sive quaestionibus et tortura reis
inferenda, adhibito eorum notario, cum voto praetoris, cau-
sae ab eis terminandae erunt, et judices requisiti, auxilium
et brachium illis pro justitia praestare teneantur ».

I mercanti dell'arte della lana e tutti gli altri, compresi

gli artefici che tenevano officina o bottega, dovevano avere

il
e

libro giornale regolarmente bollato col timbro del Comune,

vi dovevano scrivere diligentemente e cronologicamente

ogni partita, esprimendo la quantità e ia qualità della cosa
venduta, il prezzo, il pagamento o l' acconto, e descrivendo
ogni altra loro operazione. (Lib. II. Rub. LXXIV). « Dictisque

«

«

«

«

«

«

«

libris plena fides adhibeatur in judicio et extra, usque ad
summam florenorum sex, pro qualibet partita, de credentiis
per eos (mercatores et artifices) factis, et de aliis rebus
concernentibus eorum mercaturam vel artem duntaxat, et
pro dicta quantitate judices, ad eorum instantiam, cognito
prius de debito, teneantur dictas partitas exequi facere
usque ad integram satisfactionem. Ultra vero praedictam
summam usque ad florenos decem credatur dictis libris
cum duobus testibus vel unico, saltem omni exceptione
majore, dictam partitam comprobantibus, vel etiam si manu
debitoris sint subscriptae, quae deinde contra debitores,
sive eorum heredes, executioni demandentur. Et praedicta
locum habeant Zw libris mercatorum sive artificum bonae con-
ditionis et famae. i

« Quod si quis fuerit deprehensus in aliqua fraude in
dictis libris, nulla fides eis adhibeatur, sed cadat a jure
sui crediti in quo fraudem commisit. Declarantes etiam quod

EMEN
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 269

« per dispositionem praesentis statuti, non intelligatur dero-
« gatum constitutionibus et capitulis mercatorum artis lanae ».

Nella vecchiaia del duca Francesco Maria II, cominció
il governo della Chiesa; alla morte di lui, Urbano VIII del
territorio del ducato costitui la provincia metaurense che fu
governata da un delegato apostolico, ma, in sostanza, la città
continuó a reggersi con lo statuto del 1624, che il pontefice
approvò con breve del 3 febbraio 1632.

LE

Degli statuti delle Corporazioni de' Falegnami, de' Ferrai,
de' Calzolari e Conciapelli, degli Speziali e dei Merciai.

Nelle indagini che feci, più volte, in Gubbio, mentre in-
segnavo nell Università di Perugia, potei trovare soltanto
gli statuti dei falegnami, dei ferrai, dei calzolari, degli spe-
ziali, e dei merciai. Nel correggere le bozze di stampa di

questo lavoro mi fu scritto che carte della corporazione dei .

lanari erano state trovate nell'Archivio della Congregazione
di Carità, e vorrei sperare di poterne dare notizia. Ma ormai
questi statuti devono essere pubblicati e posso esprimere sol-
tanto una speranza.

Lo statuto dei notari incompleto è nell’ archivio del Co-
mune. Comincia con parte del cap. VI e a metà della prima
pagina è la rubrica del cap. VII. « De motarüs dicti collegii
non cogendis ad aliquod offitium communis acceptandum et. de
poena cogentis ». Gli studi miei si fermarono solo alle cor-
porazioni dei lavoratori e bottegai, e non mi occupai di tale
statuto che era fuori del tema che mi ero proposto.

Per quante ricerche io facessi non mi fu possibile tro-
vare altri statuti, nemmeno nell'archivio vescovile; ma, fran-
camente non rimasi molto persuaso delle risposte che mi fu
rono date.

Lo statuto dei falegnami potei leggere, riassumere e tra-

94

> "
— eM

—— HB E

id 270 T. CUTURI

scrivere in parte, dopo molte istanze e per l’ interposizione
di Armanno Armanni, allora insegnante nella scuola tecnica,
e del buon Magni egregio disegnatore e ceramista eugubino.
Trovai tale statuto presso un buon vecchio, maestro fale-
ename, certo Costi Raffaele, se ben ricordo, che n'era gelo-
sissimo custode.

Gli ordinamenti dei calzolari, corporazione tutt’ ora flo-
rida, si conservano con molti altri preziosi documenti, nella
sede loro, che allora era a porta Metauro, e sarebbe desi
derabile che fossero meglio ordinati e depositati nell' archivio
del Comune.

Gli statuti de’ ferrai e de’ merciai sono nell’ archivio
comunale e così pure quelli degli speziali.

Avverto che gli spogli da me fatti dello statuto dei fer-
rai furono pure confrontati con la trascrizione parziale che
ne lasciò il Mazzatinti, la quale comprende solo le rubriche
scritte in volgare nel 1346 ed è conservata con altre carte
di lui in Firenze presso la signorina Fanny Manis.

‘ Nell’ archivio del Comune oltre lo statuto de’ merciai
compreso in pochi fogli di un codice membranaceo, senza
rubriche, v'è pure un codice cartaceo sugli ordinamenti di
questa università, nel quale, verso la fine del secolo XVIII,
furono trascritti bandi relativi agli interessi de' merciai, ed
i processi verbali delle ultime loro adunanze.

Statuto de’ Falegnami. — Non abbiamo il primo sta-
tuto dell arte, e soltanto nell' archivio Armanni si trovano
aleuni fogli dello statuto riformato nel quale si legge: « In
« nomine Cristi amen. Hoc est breve artis magistrorum li-
« gnaminis factum, conditum, et renovatum, per discretos
« viros magistrum Bacarum Accanroli et Massolum Johanoli,
« capitaneos dicte artis, et Parolum Nigri, Benctalum Puc-
« cioli, Santutium Junte, Recolum Binutii, Nicolaum Capel-
« lani, Lucolum Recchi, Massolum Tomassoli, Ceccolum Ac-
captoli, Ceccolum Benectoli, et Massum Petri Cersidonis
DI'ALCUNI STATUTI, ECC. 211

« et Cecholum Bonnominis, positos et electos ad renovan-
« dum breve predictum ». Continuano poi subito tutte le
costituzioni in fine delle quali si legge l'approvazione dél
gonfaloniere e dei consoli del Comune: « In nomine domini
« amen. Ejusdem nativitatis millesimo tercentesimo trigesimo
« quarto, indictione secunda, tempore Johannis papae XXII,
« die XII mensis januari ». Nel 1565 e poi nel 1378, il 17
febbraio, il breve fu ancora riformato e vi si legge che il
gonfaloniere ed i consoli approvano tutti i capitoli aggiunti
e corretti.

Questo statuto si mantenne in vigore per molto tempo,
e solo imperando Francesco Maria II, subi nuove modifica-
zioni. Ecco infatti il preambolo dell’ esemplare da me esa-
minato.

« Questo è il breve dell’arte delli maestri di legname
della città et contado di Agobbio, quale contiene in sé gli
ordinamenti, statuti della detta arte fatti già del anno 1365,
fatto per maestro Antonio de Bartolo, e maestro Giovanni
de Casa, capitani di quel tempo e renovato l’anno del Si-
gnore 1618 per maestro Felice Bellotti et Jacomino Capulli,
capitani di detta arte con il consenso degli infrascritti, mae-
stro Jacomo Ciotti et maestro Ardrea Danesi, ordinati dal
Conseglio di detta arte: fatto nel claustro di S. Francesco,
luoco ordinato, et fatto prima tra di loro lungo discorso et
matura consideratione (communiter, concorditer, nemine discre-
pante), hanno stabilito et ordinato per augumento et conser-
vatione della predetta arte l'infrascritti capitoli, li quali, per
lavvenire, da tutti quelli essercitanti e sottoposti alla detta
arte si habbino inviolabilmente a osservare ».

Dal Cap. I rileviamo che l'arte cemprendeva falegnami,
nel senso proprio della parola, bastari, segatori, zoccari 0 zoc-
colari, bigonzari, tornari o tornitori, ed arcellari. Erano tutti
obbligati d’inscriversi nella matricola e dovevano contribuire
al mantenimento e al benessere della corporazione pagandole
i tributi che fossero regolarmente ordinati, sotto la pena im-

E fL. CAI

" Pi
Kevin gin

£

e e e rg[tmag{2 rsu. E kl

oe e me ett s

" n T

212 T. CUTURI

posta nel breve, caso vi sia espressa, altrimenti d'uno scudo
per ogni volta, da applicarsi in beneficio dell'arte. « Qual
« pena devino li capitani che saranno per tempo, riscuoterla

« di fatto e sommariamente senza strepito e figura di giu-

« dizio ». ;

I segatori forestieri erano esonerati dalle imposte del
l'arte quando non avessero permanente dimora nel Comune.
N'erano pure esonerati « li contadini che fanno trave, ver-
goli, scale, martelli, imbottatore, et cannelle da botte, me-
scole, decorrenti, perticari, aratri, zocchi, arcioni, sedie,
cestelle, virgoli, pale, pesi, se però non facessero bottega
formata delle. cose suddette o alcuna di esse, lasciando che,
per la riconitione dell’arte, essi concorrino con quella ca-
rità e cortesia che parerà a loro, senza che li capitani
possino essere forzati di tanto o quanto: s? possa anco dalli
forastieri o altri liberamente vendere cose di ligname li sab-
bati (1) e fiere di S. Ubaldo e S. Angelo, senza pagare cosa

aleuna, non intendendo però essentarsi che non paghino

la bottega conforme a questo capitolo ». Cioè se tenevano
bottega in Gubbio o nel contado dovevano entrare nell' arte
e subirne gli oneri; ma non se vendevano liberamente nei
mercati settimanali sulla piazza e nelle due grandi fiere, le
quali, come in ogni altro luogo (2), coincidevano con solen-
nità religiose.

Gli offici dell’arte erano: due capitani come regolatori e_

rappresentanti, un camerlengo economo e amministratore; un
notaro come cancelliere e segretario; il podestà di Gubbio
come consultore legale. E questa è una particolarità vera-
mente notevole, e che non ho trovata in altri Statuti. (Cap. Il).
Nel Cap. III è statuito come si debba preparare l’ elezione
degli ‘officiali dell’ arte. I consiglieri ed i capitani in officio
dovevano fare un bossolo « nel quale si possa inpolizzire (sic)

(1) Erano i giorni del Mercato.

(2) HUVELIN, Essai historique sur le drott des marches et des foires. Cap. IX,

pag. 240, Paris 1897.

NO o
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 218

li nomi delli maestri di detta arte scritti nel presente breve
e che quella essercitano, quali siano però habili atti et
idonei a fare tale offitio di capitano, ponendo doi delli detti
nomi in ciascuna polizza ». Il bossolo era custodito dal
camerlengo e i capitani, otto giorni prima che scadesse l'of-
ficio loro, dovevano adunare l’arte nel ‘chiostro di S. Fran-
cesco « ed ivi far cavare a sorte una polizza del bossolo ».
« Et quelli li nomi de’ quali si trovino inscritti in detta polizza
così estratta sieno e devino essere capitani della detta arte
un anno continuo, incominciando il loro- officio a calende
maggio, dichiarando che il detto bossolo non possi durare
più di quattro anni per volta, ma che, finito detto tempo,
e per qualsivoglia altra cagione finito il detto bossolo, si
debba rifare dalli medesimi offitiali, che per il tempo se-
ranno, e nel medesimo modo ».

Nello statuto riformato di questa corporazione si riflette
il sistema ormai prevalente nello Statuto del Comune e cioè
che la elezione degli officiali avvenisse sempre o per opera
degli stessi officiali maggiori uscenti, oppur di quelli di nuova
elezione, o per opera di delegati scelti nell'assemblea. Cosi
abbiamo veduto che i consiglieri ed i capitani fanno per quat-
tro anni il bossolo per sorteggiare i capitani, ed ogni anno i

capitani che entrano in officio si scelgono quattro consiglieri

(Cap. IV), i quali devono prestar giuramento di esercitare
bene, fedelmente e con diligenza l’officio loro, facendo osser-
vare i capitoli dello Statuto (Cap. V). Il Camerlengo, come ho
accennato, tesoriere ed amministratore, doveva tenere la
cassa, riscuotere le imposte dell’arte, custodire il breve
(Capitolo XXXVII) e curare che il notaro tenesse in per-
fetto ordine il libro dell’ entrata e della spesa, ed insieme
ai capitani era obbligato, anno per anno, al rendiconto

(Cap. VI, VII ed VIII) ai nuovi eletti, e non più tardi di |

quindici giorni da quello della elezione. Le imposizioni
dovevano pure essere deliberate dai capitani e dai consi-
elieri (Cap. IX e X) e non superare complessivamente il va-

"mira:

lega dai È
re rrenemenense?

SAL ELA
274 T. CUTURI

lore di un fiorino per ciascuno e per ciascuna volta. Con-
tro gli artieri morosi i capitani dovevano procedere « som-
mariamente et de facto, tanto nel far tór pegni, quanto nel
far vendere detti pegni come piü parerà a loro ». Tali
pegni erano custoditi dal Camerlengo (Cap. VI e XI) Gli
esattori del contado erano persone di fiducia dei capitani e
da loro delegati, e dovevano subito versare al Camerlengo
le somme riscosse (Cap. XII).

Liberissimi i capitani di convocare i compagni quando
lo avessero creduto necessario nel comune interesse. Il
Cap. XIII dice: «, Hanno statuito et ordinato che li capitani
di detta arte, durante il loro. offitio, possino a lor benepla-
cito, quando occorresse secondo il bisogno dell arte, co-
mandare l adunanze alle quali devono intervenire li mae-
stri principali loro, figli o fratelli, o compagni, in difetto
di quelli della città e borghi e non altri garzoni, sotto
la pena di cinque grossi per ciascuno e per ciascheduna
volta, d’ applicarsi in benefizio dell’arte e li capitani de-
vino riscuoterla di fatto dalli inobedienti ».

È mantenuta la giurisdizione dei capitani per piccole
cause determinate fra gli inscritti nella matricola dall’ eser-
cizio stesso dell’arte. Il Cap. XIV provvede che li capitani
possino conoscere le cause civili fra gli uomini dell’ arte. « Hanno
statuito et ordinato che li capitani di detta arte abbiano
facoltà di conoscere tutte le cause fino alla somma di cin-
que scudi che per occasione di manifatture dell’ arte pas-
sassero fra gli artegiani et falegnami suddetti, et quelle
decidere et terminare, visto solo la verità del fatto, senza
strepito e figura di giudizio, fra un mese dalla predetta
citazione, e se alcuno si sentisse gravato della sentenza
de’ capitani, possa appellarsi al signor Luogotenente di
Gubbio (1), quale con la stessa sommarietà deva decidere

T

e rivedere la sentenza delli capitani ». E poichè essi

(1) Statuto del Comune di Gubbio del 1624, Lib. I, De o/ficio locumtenentis.

eee — p cz 3 :
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 27

erano dei probiviri che difficilmente avrebbero potuto ri-
solvere una questione di diritto, la quale, indipendentemente
dal valore della causa, si presentasse con difficoltà notevoli,
e anche per evitare inimicizie fra maestri della stessa arte, do-
vevano avere per consultore il podestà del Comune. Cap. XV:
« Hanno statuito et ordinato, acciò le cose che occorreranno
all'arte e le differenze che nasceranno fra gli uomini di
detta arte siano sanamente e rettamente vedute e considerate,
che li capitani che per il tempo saranno, debbino eleg-
gere per consultore e giudice dell arte il podestà come
di sopra si é detto, con il salario che da essi capitani,
di consenso peró dei consiglieri, gli sarà promesso ». E
cosi, mantenendo il diritto antico di comporre e di giudicare
la vertenze fra compagni, la Corporazione trovó modo di
fare intervenire il magistrato ordinario, tutte le volte che
o la questione per sé stessa, o le condizioni personali dei
contendenti, o i loro rapporti coi capitani, lo rendessero ne-
cessario. Talchè, in pratica, l'officio dei capitani, si sarà ri-
dotto alla conciliazione e al definire quelle sole vertenze
che erano di facile esame.

Fu pure commesso ai capitani « d'eleggere un notajo
il quale debba scrivere tutti gli atti e comparse Ghes:si
faranno avanti li detti capitani; per le quali scritture esso
notajo possa pigliare quella mercede che si piglia . dalli
notari del banco del podestà di Gubbio ». Aveva poi un
salario a parte pel libro dell’ entrata e della spesa e pei
processi verbali delle adunanze sociali (Cap. XVI). Per.ci-
tare e per fare gli atti d’ esecuzione, i capitani dovevano
eleggere un balio o famiglio (Cap. XVII) e se taluno gli
avesse fatta resistenza e si fosse opposto al pignoramento
doveva esser punito ad arbitrio « e si aveva per piena prova
il detto del balio e di qualaltro officiale con loro giura-
mento, dovendosi procedere sommariamente e di fatto, sen-
Z altra contradizione » (Cap. XXII).

A riscuotere i pegni v'era tempo otto giorni, passati i

, "
SE SEI gf a t

5
non possino, né devino, alla pena di cinque grossi per cia”

2

6 T. CUTURI

ponere al entrata de l' arte se per tal conto sarà stato
tolto, o vero pagare a quello ad istanza del quale sarà
stato tolto, per quella quantità che sará creditore e per le
spese, e se ci sarà sopravanzo si renda al padrone di
esso ». Ed a coloro che non avevano abitazione ferma il
pignoramento poteva esser fatto in qualunque giorno, fatta
eccezione per le feste solenni e pei giorni di mercato e di
fiera. Troviamo infatti nel Cap. XXIII: « Hanno statuito et
ordinato che quando alcuno dell'arte che fosse in virtü
del presente breve tenuto a pagare la sua rata dell'im-
poste, che, per tempo metteranno et che si absentasse o fu-
gisse il pagamento di esse, possi essere pegnorato di fatto,
non ostante le ferie, eccetto quelle in onore di Dio, li sab-
bati, et il tempo della fiera di S. Ubaldo e di S. Angelo ».

I capitani dovevano rigorosamente curare che tutti gli
artieri intervenissero alle feste religiose ed alle adunanze
(Cap. XIX e XX), ed inquisire che tutti i capitoli del breve
fosssero osservati sotto pena di cinque grossi se fossero stati
negligenti. (Cap. XVIID. Era pure obbligo loro di vigilare
che niuno esercitasse l'arte se non fosse inscritto nella ma-
tricola, (Cap. XXIV), e perciò, a tale inscrizione erano te-
nuti anche i forestieri che avevano dimora permanente nel ter-

ritorio del comune, non quelli che liberamente venivano a.

vendere nei giorni di mercato e nelle fiere.

La corporazione era costituita dai maestri, ma ad essa
erano soggetti anche gli apprendisti o garzoni, e i loro rap-
porti con i maestri erano regolati dallo Statuto.

Condizioni per l’ immatricolazione erano: l'essere da
cinque anni apprendista, o l'esser giudicato abile ed esperto
dai capitani.

Cap. XXV. « Che non s'inscriva alcuno per mastro nel
breve che non sia sufficiente ed esperto ».

« Hanno statuito et ordinato che per il tempo saranno,

quali, « li capitani li debbino far vendere ed il ritratto farlo
T

sime

n———

DI ALCUNI STATUTI, ECC. 277

scheduno, ammettere all’ offizio del mastro in. detta arte, nè
per tale o come tale farlo scrivere nel breve, se non è suffi-
.ciente et esperto in tale esercizio e da essi capitani comune-
mente approvato, dichiarando che tutti quelli che saranno
stati per cinque anni continui assalariati con altri mastri di
dett'arte, s'abbino per sufficienti et idonei, et si possino
scrivere nel presente breve, senz'altra approvatione d'essi
capitani ». Gli inscritti dovevano subito pagar 5 grossi per
l'entrata. (Cap. XXVI).

Notevoli sono le disposizioni sul contratto di locazione
d'opera tra maestri e garzoni.

Anzi tutto niuno doveva andare ad opera con chi « teme-

rariamente et de facto esercita l’arte senz' essere inscritto

nel breve ». (Cap. XXVID.

Stipulato il contratto con chi fosse regolarmente imma-
tricolato, doveva essere rigorosamente eseguito. Cap. XXVIII:
« Hanno statuito et ordinato che ciascuno operante et eser-
citante detta arte il quale havesse promesso di stare con
altri a servire et esercitare in dett'arte per alcun tempo
determinato e con certo salario, e che da quello al quale
haverà promesso si partirá senza giusta cagione o espresse
licenza, senza che sia finito il tempo tra essi dichiarato,
possa e debba per vigore del presente capitolo dalli ca-
‘pitani di detta arte in ciaschedun giorno essere de fatto
punito nella pena di cinque grossi se sarà maestro e doi
carlini se sarà garzone, fin che averà per il tempo debito
servito (1) o in aleun modo accordato detto suo padrone,
volendo che, intanto, nessuno nel presente breve descritto

debba né possa tal contrafaciente, in alcun modo, nel suo :

lavoro per operario o manuale accettare, senz' espressa
‘licenza dei capitani di dett'arte da ottenere in scritto, e,

contrafaciendo ancora, ne la pena di 5 grossi per ciascuno

‘e ciascuna volta. Dichiarando inoltre che anco li patroni,

(1) Si esamini la legge 12 8 9 Cod. De aedificiis privatis, VITI, 10:

- a crie)

de

» È ;
SRI TESI Lon, LIE 278 T.. CUTURI

versa vice, licenziando li garzoni senza giusta cagione, prima
che sia, fenito il tempo, incorrino ne la medesima pena, e
che nessuno de l’arte possa, sotto la pena di cinque grossi,
andare a lavorare con loro sinchè non haveranno concordati
detti garzoni ».

Lo stesso rispetto è imposto nei contratti fra commit-
tenti e maestri dell'arte del legname, i quali poi, tra loro,
devono astenersi da inframmettenze sleali. (Cap. XXIX).

« Che nessuno entri nel lavoro d'altri sin che quello
che l'ha cominciato non è soddisfatto ». « Hanno statuito
et ordinato che se alcuno dell’arte havesse preso a fare
qualche lavoro et non osservasse quanto ha promesso ov-
vero nel tempo convenuto non lo compisse, se però non
havesse giusto impedimento da dechiararsi dalli capitani,
senza mettere penna in charta, subito possi il patrone del
lavoro mettere altri maestri a compito, et, in tal caso, de-
vino eleggersi doi a stimare il lavoro cominciato e deva
stimarsi fra quattro di e, non lo facendo, li estimatori ca-
schino in pena d'uno scudo per ciascuno da riscuotersi
defacto dalli capitani, altrimenti non possa alcuno dell arte
entrare nel lavoro d'altri in modo alcuno sotto la mede-
sima pena d'uno scudo, e se il padrone del lavoro si sen-
tisse gravato della dechiarazione delli estimatori, devino
eleggersi altri doi al lodo dei quali devono le parti quie-
tarsi e non reclamare ».

I capitani erano in obbligo di provvedere all'elezione
di tali stimatori o periti dell'arte se mai occorresse dare un
giudizio su opere prestate o su lavori incominciati, e non
potevano recusare l’officio. (Cap. XXX e XXXI) Del resto
questa si puó ritenere una regola generale dallo statuto del Co-
mune passata in quello della Corporazione. (Cap. XXXVI). (1)

Fu proibito a chiunque di comprare ferri usati dell'arte
anche se il venditore non fose sospetto (Rub. XXXII).

(1) Vedansi anche nello Stat. del 1624, nel Lib. VI, le Rub. II, III, IV e segg.
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 279

L'arte doveva osservare 35 giorni di feste che sono
enumerati nel Cap. XXXIII, nei quali il lavoro poteva es-
sere permesso solo in casi di necessità. Alle feste presiede-
vano i capitani, i consiglieri e il camerlengo, il quale, ogni
prima domenica del mese, doveva far celebrare una messa
in onore di S. Ubaldo. (Cap. XXXII, XXXIV). Alle ono-
ranze religiose, si coordina l’obbligo di assistere i compagni
e d'accompagnare i morti. (Cap. XXXV).

Tutte le disposizioni statutarie dovevano essere osser-

vate con tal rigore che era proibito persino il discutere del-

lefficacia di esse; « eccetto però quando apparisse discor-
dare dagli ordini di S. romana chiesa e dalli decreti e sta-
tuti del serenissimo duca d' Urbino nostro patrone e della
magnifica Comunità di Gubbio, nel qual caso s'abbino per
non scritti e non fatti, e per cassi e nulli e invalidi e di
nessun valore ». (Cap. XXXVIII).

L'ultimo Capitolo (XXXIX) pone la regola che tutte le
pene, tranne particolare disposizione, dovessero andare per
metà all’arte e per metà alla camera ducale.

Poco dopo l'approvazione di questo statuto furono ag-
giunte alcune disposizioni in favore dei bastari, i quali, avendo
bisogno di cardatura, di stoppa e d’altre simili materie, ot-
tennero che non fossero esportate senza prima farne offerta
ai capitani dell’arte.

Segue la copia di un bando del 17 maggio 1597 per

assicurare l acquisto di tavole e di vergoli, e, in genere, di
legname da opera.
E dopo nel Codice sono soltanto approvazioni ed imma-

tricolazioni fino ai giorni nostri.

Così: a di 15 agosto 1868 fu ascritto per maestro dell’arte

de’ falegnami Nazzareno Spogli del vivo Gaetano in forza di
risoluzione consiliare del 9 agosto predetto.

Seguono altre iscrizioni nella medesima forma. L/ ultima
da me trascritta è del 12 giugno 1887 a favore di G. B. Maz-
zagrelli e di Domenico Pompili. Il cancelliere aggiunge:

cdrom ni RT A i iii iii AM AR ii li

— E git cmt au gono orge
da c om

WENT

2 Du
—— B

"17

E—

2


^

280 T.' CUTURI

« l'uno e l'altro prestarono giuramento nelle forme di prat- :

tica e si sottoscrissero il solo Mazzagrelli e non Pompili,
perché si dichiarò analfabeta ».

Arte dei fabbri. — Il « breve artis ac fraternitatis fa-
« brorum, civitatis Eugubii » fu fatto ed ordinato al tempo del
nobile e potente cavaliere Bonifazio da Orvieto podestà, es-
sendo capitano del popolo Ugolino degli Adinari di Firenze (1).
Erano capitani dell'arte Bartolello di Lolo del quartiere di
5. Pietro e Ceccarello, « pontis Brunicti », del quartiere di
S. Giuliano, i quali formarono lo statuto con otto maestri
dell’arte, quattro dei quali erano ex parte orientis, e gli altri
quattro ex parte occidentis.

Il codice è membranaceo in 4° grande, di fogli non nu-
merati, legato in assi coperte di pelle, con borchie metalli-
che: nel centro di dette coperte sono incisi su due targhe
di ottone gli stemmi dell’arte e del Comune. Presentemente
il Cod. è nell'Archivio Comunale, scaffale I, scomp. 4, n. 11.

.Nel.1346 lo statuto comprendeva 46 capitoli, che Vanni
di Donato, notaro eugubino, rogatus a capitaneis et sapientibus
dictae artis, trascrisse nei primi dodici fogli del volume, e
che il Consiglio del Comune approvò il 20 giugno di quel-
l'anno. Alla sua insufficienza i capitani dell'arte provvidero
dal 1549 al 1372, e v'aggiunsero i successivi capitoli fino
al LXXXIII, discussi ed approvati in varie adunanze. Il
Mazzatinti opina che allora fosse compilato l'indice .in vol-
gare, che si legge nei primi tre fogli del Codice. Completo
la mia trascrizione, riportando da quella del Mazzatinti dalla
rubrica XLIII in poi alcune date delle successive aggiunte.
Traserivo pure tutte le rubriche per l'importanza ch’ esse
possono avere anche per la storia dela lingua, e partico-
larmente delle forme dialettali di questa parte dell' Umbria.

(1) Nel secondo semestre del 1346. Bonifatius de Rainerius de Urbevetere é ri-

cordato.come potestà in un istromento del 19 ottobre 1346, rogato da Niccolò di
Vanni da Gubbio ed esistente nell'Arehivio della cattedrale. — Così nella trascri-
zione del Mazzatinti. Cfr. LUOARELLI, Guida di ‘Gubbio, pag. 175.
de
o

fave

DI ALCUNI STATUTI, ECC. 281

Al nome di. Dio amen, queste sono le robriche e i capitoli

enfrascricti del brieve dell'arte di fabbri de la cetà d'Ugubio.

Em prima chi capitani della dicta arte deggano fare
l'adunanza deli uomini de la dicta arte ello palazzo del Co-
muno d'Ogubio a fare li electori che deggono eleggiare i
nuovi capitani. Rub. I.

De l'alectione e del giuramento del Camorlengo. Rub. II.

De l’alectione del notajo. Rub. III.

De l'alectione del messo. Rub. IV.

Che nisciuno se debba partire deladunanza e degga
conselliare ricto stando. Rub. V. (

Che se deggano sovegnire li poveri dela dicta arte.
Rub. VI.

Che se deggano visitare e guardare li infermi. Rub. VII.

Che ciasscuno artifico dela dicta arte degga fare l'arte .

sua bene e fedelmente senca fraude. Rub. VIII.
| Che nisciuno dela dicta arte se degga entromectare ad
alcun mercato. Rub. VIIII.

Che nisciuno non degga tenere alcuno discepolo de suo
compagno. Rub. X.

Chi capitani dela dicta arte siano tenuti de dare al po- .

destà e al capitanio, gonfalonieri e consoli consellio a buona
fede. Rub. XI.

Chi capetani del'arte predicta siano tenuti enfra octo
di onnî cosa che verrà a lor mano dela dicta arte deggano
deponare apo il camerlengo dela dicta arte. Rub. XII.

Che nisciuno de la dicta compagnia degga soctrare o
vero somunire alcuno discepolo de suo compagnio. Rub. XIII.

Che s'aleuno ferro o vero artifitio acto al'arte de la fa-
breccia pervenisse ale mano de nisciuno dela dicta compa-
enia, esso el degga dire ai suoi companni. Rub. XIII.

Chi capetani possano ponere bando ali omini dela dicta
arte e fare l'asecutione per fine em quantità de s. X, e de
chi non se lassasse pignorare. Rub. XV.

p A 4

latta v) —— E

F1

,

Lecci piece

B
—€—2 glone et per cagione dela di

282 T. CUTURI
Che se alcuno prestasse o vero aracomandasse alcuna

cosa a suo compagnio che 'l degga restituire. Rub. XVI.

Che nisciuno non degga gire o vero mandare de fuore

a comparare carbone. Rub. XVII.

dai mura de la città
a li uomini dela dicta

Chi capitani deggano certificare
arte le feste da guardare. Rub. XVIII.

Che s'aleuno lavorante non volesse pagare le factione

del’arte, ch'el maestro degga pagare del suo salario. Rub.
XVIII.

Di pegnora che se deggono arcolliare. Rub. XX.
Che se alcuno discepolo tolesse l’anno XX libre o più,
a factione del'arte. Rub. XXI.

degga pagare per maestro l
siano costrecti

Chi devetori eli uomini dela dicta arte
a pagare. Rub. XXII.
Che se tenga ragione ai carbonajoli contra li uomini
dela dicta arte e cusi ad altrui contra de loro. Rub. XXIII.
Chi capetani dela dicta arte possino conosciere dele ra-
cta arte per fine em quantità

de X libre, emfra li omini del'arte predicta e dei dy che se

deggono remectare. Rub. XXIIII.
Chi capetani possano chiamare
dicta arte. Rub. XXV. ;
carbone, sia tenuto de sovegnire
adomandasse. Rub. XXVI.

e aleggiare per loro con-

selieri octo huomini dela
Se nisciuno comparasse
li uomini dela dicta arte a chi l

Che nisciuno dela dicta arte non degga vendare chiave

senca seratura. Rub. XXVII.

Che nisciuno nun degga devergare ferro em forma d' a-
ciaio. Rub. XXVIII.

Che ciascuno de la dicta arte deg
icto e ferramenta e artifitia con suo
egniare e farlo po-

ga segniare suo ferro
nuovo quando serà fe
segnio per proprio: e il segnio degga as
nere allo brieve. Rub. XXVIII.

Come se de’ guardare el brieve dela dicta arte. Ru-

brica XXX.
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 283

Che nisciuno non dica parole engiuriose contra i cape-
tani. Rub. XXXI.

Che tucti quelli dela dicta arte aggiano pesi giusti.
Rub. XXXII.

De l’alectione di conselieri dela dicta arte. Rub. XXXIII.

Che nisciuno dela dicta arte non degga lavorare lo lu-
nedi o domane ennanti che suone a prima. Rub. XXXIII.

Che se degga gire colle facole ale feste emfrascripte
cioè en sancta Maria, sancto Giovanne, sancto Ubaldo, Sancto
Aló, e sancta Lucia. Rub. XXXV.

Che nisciuno non degga ferare somaio o vero somaia
elle domeniche de Pasqua, o vero elle sancte Marie. Ru-
brica XXXVI.

Che nisciuno non degga lavorare el sabbato po’ vespro.
Rub. XXXVII.

Che qualunqua volesse fàre la dicta arte sia tenuto ala
ubedienza de’ capetani e oservare el brieve dela dicta arte.
Rub. XXXVIII.

De le feste che se deggono guardare per li uomini dela
dicta arte. Rub. XXXVIIII.

Chi capetani possano procedere contra li uomini che
fanno contro el brieve dela dicta arte, e le pene deggano
vegnire a mano del camerlengo. Rub. XXXX.

Che nisciuno apusturato per fine che non fornisce el
tempo dela sua pustura possa fare nisciuno lavorio che s'aper-
tenga ala dicta arte per se o vero per altrui. Rub. XXXXI.

Che nisciuno non degga fare contra la forma deli sta-
tuti d'ugubio. Rub. XXXXII.

Chomo se deggono guardare le feste emfrascripte. Ru-
brica XXXXIII. (Adunanza dell' Agosto 1349; le feste indicate
sono: S. Barbara, S. Cecilia, S. Orsola, S. Lodovico, S. Aló,
S. Domenico).

De l'abitudine che deggono avere li capetani secondo
la forma de li statuti del comuno d'Ugubio e secondo la

- ais int ctr tozzo
n X di = Too
kde - Peres i

eA ded

Ue PE ud TA

"
"opc ees €

2

P se v RIT — Er c - ; Lu
p ms ci^ » Saas.

984 : T. CUTURI

forma del brieve dela dicta arte. Rub. XXXXIV. (Adunanza
del 25 Nov. 1349).

Che nisciuno dela dicta fraterneta degga comparare ne-
sciuno ferro o vero artifitio de niuno fabbro. Rub. XXXXV.
(Adunanza del 13 Decembre 1349).

Che se deggano guardare tutti li vienardi del mese de
Marco. Rub. XXXXVI. (Adunanza del 5 Gennaio 1354).

Che nisciuno non se degga scrivare elle brieve del’arte
senca la presentia d'amendoro li capetani e quactro conse-
lieri. Rub. XXXXVII. (Adunanza del 26 Nov. 1357).

Chi capetani colli loro consellieri aggiano pino arbitrio.
e libera potestà de correggiare, giongniare e scemare. (Ru-
brica XXXXVIII. (Adunanza del 25 Gennaio 1351).

Che tucti e ciascuno dela dicta arte deggano guardare
tucte le fesste le quale comanda sancta chiesa colle camore
chiuse. Rub. XXXXVIIII. (Adunanza del 13 Febbraio 1358).

Che nisciuno non possa essare capetanio se ’m prima
non vada doi anni depo' l’altro offitio del capitaneato. Ru-
brica L. (Adunanza dell'ultimo di Febbraio 1358).

Che nisciuno non degga ferare alle feste comandate se
no besti cavaline. Rub. LI. (Stessa adunanza).

Sopre le spese che se deggono fare alle feste de sancto
Ubaldo, de sancto Giovanne, e l'altre feste. Rub. LII. (Adu-
nanza del 5 Luglio 1359).

Delalectione deli alectori che deggono elegiare li ca-
pitani. Rub. LIII. (Adunanza del 6 Ottobre 1359).

Del Salario del Camerlengo. Rub. LIIII.

De l’alectione e del salario del notario. Rub. LV. (Stessa
adunanza).

Che nisciuno non se degga partire deladunanza senca
la licenca di capetanio: Rub. LVI. (Stessa adunanza).

Chi capitani possano conossciare dele questioni de li
uomini dela dicta arte. Rub. LVII. (vv).

Chi capitani possano chiamare e aleggiare octo conse-
lieri. Rub. LVII. (ivi).
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 285

Che nisciuno non debba dire parole engiuriose ai ca-
petani. Rub. LVIIII. (#02).

Che se alcuno dela dicta arte devesse dare ad alcuno
d’essa arte alcuna quantità, che sia costrecto a pagare. Ru-
brica LX. (206).

Che dove che dice che se deggano guardare le feste,
era pena V s., mo’ ello presente capitolo dice s. X. Rub. LXI.

Che nisciuno apussturato non possa né degga fare ni-
sciuno lavorio per se o vero per altrui. Rub. LXII.

Che si capetani o alcuno de loro fesse contro la forma
del dicto breve. Rub. L XIII.

Chi capetani nuovi deggano enquirare o vero enquisi-
tione fare si capitani vecchi avessero auto o vero facto con-
tra la forma del brieve. Rub. LXIIII.

Che qualunqua persona lavorasse per se o vero levasse
fucina, paghi secondo la forma del brieve. Rub. LXV.

Che qualunqua se fesse scrivare al dicto brieve per
maestro. Rub. LXVI.

Chi capetani che sono e per lo tempo seronno deggano
fare leggiare lo brieve dela dicta arte. Rub. LXVII. (Adu-
nanza del 7 Giugno 1368).

De le messe che se deggono dire per l'annema di morti.
Rub. LXVIII.

Che nisciuno de la dicta fraternita non degga lavorare
ovvero fare lavorare ella vigilia de le pentecosste, sancto
Ubaldo, e santo Giovanne, puoi che sarà sonato a nona a
sancto Francescho. Rub. LXVIIII.

Che ciascuno discepolo che tolle X fiorini, o da trenta
libre en su, degga gire ala lumenaria. Rub. LXX.

Chi maestri e i discepoli se scrivano de nuovo. Ru-
brica LXXI.

Che per la colta di discepoli e di lavorenti stia ella de-
scrictione di capitani che per lo tempo saranno. Rub. L XXII
{Adunanza del penultimo di Febbraio 1569).

Chi capetani nuovi deggano chiamare enfra el terzo di

30

SI LG

Litta pg

a z Pi
Tp

he Ei

Dre x
+ errare c6]

ITA =

CMEENETILIVIOI Santi di eai s ram
Ege six 2 II
TA

AF Siete

Alo.

286 T. CUTURI

depo' l'aceptazione del loro offitio uno buono maestro. dela

dicta arte per camorlengo. Rub. LXXIIL

Che nisciuno dela dicta fraternita non degga lavorare
o vero fare lavorare ella vigilia d'onia sancti puoi: che sarà
sonato a vespro ala caloneca. Rub. LXXIIII (Adunanza del
6 Nov. 1362).
. Chomo li capetani se deggono aleggiare dala parte d'o-
riente e dala parte d’ occidente. Rub. LXXV (Adunanza del
5 decembre 1366).

Del salario del notario. Rub. LXXVI.

Chi capetani colli loro conselieri aggiano arbitrio po-
destà e bailia sopre i dopieri dela dicta arte, sopre el car-
bone, e magniani de la festa de sancto Aló, e sopre i pe-
niora. Rub. LXXVII (Adunanza del luglio 1372).

Che nisciuno de la dicta fraternita non degga vendare
chiave senca seratura e obedire li capetani che mo' sonno
e che per lo tempo seranno. Rub. LXXXVIII. (Adunanza
del 10 luglio 1372).

Che nisciuno de la dicta arte non debba comparare carbo-
ne che sia più d' uno o doi sacca per bestia. Rub. LXXXVIIII.

Chi capetani che seranno de verno deggano dare e ren-
dare li dopieri facti e forniti a quelli de la state. Rub. LXXX.

.. Chome che se de' eire ala lumenaria elle fessta de san-
cto Aló. Rub. LXXXI.

Chi capetani che per lo tempo seronno deggano fare
‘le condannagione contra i fallenti, e deggano fare la ese-
cutione. Rub. LXXXII.

Chi vole stagire niuna cosa ad alcuno dela dicta arte o

' yero fare comandamento. Rub. LXXXIII. (Adunanza ante-

riore al 1378, per quanto non se ne conosca la data precisa).
Seguono altre deliberazioni del Consiglio dell’ arte che
nel volume devono essere state trascritte in tempo assai
posteriore perchè sono disposte nell’ ordine seguente: 1378,
1430, 1372, 1377, 1383, 1388, 1395, 1598, 1405, 1406, 1409 e
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 287

Dell’ anno 1397 abbiamo l'elenco dei signa magistrorum,

conforme alla disposizione della Rub. XXVIII. V'é poi una
parte della matricola: del 1461, e sono trascritti atti consi-
liari del 1412, 1415, 1421, 1439 e 1444. Segue la matricola
dal 1520 al 1541.

Trascrivo letteralmente alcune rubriche che hanno par-

ticolare rapporto con gli ordinamenti statutari del Comune.

«

Rub. XXXVIII: « ipsam artem facere et fieri facere bona.

«

«

«

Nella Rub. XXXII s'impone severamente ai mastri del-
arte di valersi di giuste misure. « Et debeant habere pon-
dera juxta et legalia et iusta et legali pondere in ven-
dendo et emendo ponderare et uti, et ea examinare et
adjustare et signare et sigillare et justa et sigillata tenere
et non alia ». Il giuramento degli immatricolati è nella

fide, sine aliqua fraude et obedire mandatis ipsorum ca-
pitaneorum et cuilibet eorum et observare omnia et sin-
eula capitula et ordinamenta brevis dictae artis tam facta
quam facienda: Et se facere scribi in breve dicte artis.
Et quilibet magister dictae artis teneatur et debeat juxta
ejus nomen scrictum in dicto breve facere poni et desi-
enare suum signum. Et si quis contrafecerit in praedictas,
vel aliquo praedictorum puniatur de facto per dictos ca-
pitaneos vel alterum eorum in quinque libras per quoli-
bet contrafaciente et qualibet vice. Et si quis reperietur
non juratus et non scriptus in dicto breve, teneatur jurare
et se scribi facere in tres dies postquam requisitus fuit
per parte capitaneorum vel alicujus eorum, pena X libra-
rum. Et nullus det ad laborandum alicui forensi ultra octo
dies nisi iuraverit ut supra continetur et solverit illam
quantitatem denariorum quae videbitur capitaneis ditae
artis usque in quantitatem XII denariorum ».

L'autorità dei capitani fu mantenuta sempre con rigide

disposizioni. Cosi nella Rub. XXXX dello statuto del 1346

è

«

scritto: « statuimus et ordinamus quod capitanei debeant

et possint inquirere et per inquisitores ex earum officio,

hi." " tm

gar p—P 2 e d

4 z Pi
"aue DEO He, at i, LIE

2.4" e
MUT 4 988 T. CUTURI

« et proprio motu et etiam per accusationem et denuncia-
« tionem procedere contra omnes et singulos qui contra prae-

n 5
-___

dieta ordinamenta et capitula hujns brevis faceret, com-

EAE
^

« mitterit seu committi faceret. Et inventum vel inventos I
« culpabiles condennare et punire de facto, juris ordine ser- |

« vato vel non servato, in poena vel poenis prout in sin-
« gulis capitulis hujus brevis.. et de ipsis poenis et bannis
« nullus compositiones vel diminutiones facere ullo modo ».

Ond'era logico che fosse nullo e inattendibile qualun-
que ordine dei capitani contrario al breve e agli statuti e
riformagioni del Comune (Rub. XXXXII) Ed a rafforzare 1

lautorità dei capitani ed a mantenere rigorosamente gli
ordinamenti della corporazione, in una riforma del 1359
dopo aver determinato il salario del Camerlengo, ed avere
minacciata una pena a chi si allontanasse dall’ adunanza,
dettero facoltà ai capitani di mutare e revocare i consiglieri,
se nell' interesse dell' arte fosse necessario.

. Nel 1368 fu deliberato di scrivere in volgare li statuti
e di leggerli in pubblica adunanza. Ma sembra che l'opera
non fosse compiuta oppure che si contentassero del sommario
che risultava dalle rubriche. Furono scritte certo le rubriche
che abbiamo letteralmente riferite, ma non v'é altra notizia

sul testo del breve. Anzi sembrerebbe che fosse rimasto co-
m'era, perche, il 9 aprile del 1559 Lelio Prestini, uno dei

capitani, propone all'adunanza che « per utile e honore della
fraternità e università del'arte de' Fabri saria bene di dare
qualche buona riforma al breve dela detta arte per essere vec-
chio, latino e malaccomodato, intricato e faria bisogno de
i ridurlo in lingua vulgare a ciò da tutti quelli de l’arte fusse
i ben inteso, e aggiungere qualche cosa che, secondo il viver

oo

moderno, nell'età che ci trovamo, si vedrà far bisogno e
a proposito. E in tutte quelle parti che non facesse a pro-

posito correggere e scemare secondo che piacerà ad essi i
huomini conseglieri e università dela detta arte ». La pro- |
posta fu accolta e, in quell'adunanza, furono deputati quattro
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 289

maestri ai quali fu data « piena autorità licenza e balia di vi
formare detto breve e correggere aggiungere e scemare secondo
che a loro parerà e piacerà e che conosceranno essere berie e
commodo, riducendo e facendo il tutto in lingua volgare. Ego
Bernardus Siracusanus publica apostolica et imperiali auctoritate
notarius et judex interfui, et rogatus scribere, scripsi, publicavi
signumque meum. consuetum. apposui >.

Nella seconda parte del volume, preceduto da due pa-
gine a colori sulle quali sono rappresentati la vergine col
bambino in mezzo a vari santi e lo stemma ducale, è tra-
scritto il breve riformato nel 1589 e confermato poi dal Duca
il 3 giugno del 1600.

Ed eccone il testo:
Rub. I. — Delli capitani e loro offitio.

« In prima hanno ordinato che si facci e che si tenghi
un bossolo nel quale si ponghino tenghino e conservino

scritti li nomi delli capitani e camerlenghi dell'arte de’

fabbri in questo modo, cioè: quando si fa el consiglio de
li uomini de la detta arte, come è solito di farsi per otto
giorni avanti il fine dell’offitio de’ capitani che sono per
il tempo, si debbano fare tante polizze ed imbussolare
quelli mastri di detta arte che saranno al proposito idonei
a fare tale offitio de capitano e camerario, o tutti o parte,
secondo che al conseglio piacerà e in ogni poliza si scriva
il nome de’ capitani, uno per la parte di levante e l'altro
per la parte di ponente, che siano di età almeno di XXV
anni, e anco ci si scriva il nome del camarlingo, e tal bos-
solo con dette polize sia tenuto sotto buona custodia ».

Rub. II. — Del Camerlengo o Camerario e del suo offitio.

Otto giorni prima di Kalendimaggio facevasi l' estrazione
dei capitani e del camerario per l' anno seguente comin-
TTI, SIIT UT I TEA REI ATI dT ea te e

990 ' T. CUTURI

ciando da dette Kalende. Essi dovevano subito prestar giu-
ramento in mano dei capitani uscenti, dovevano accettare
"LU officio, e uscendone « render buon conto de le cose per

‘loro amministrate, infra octo giorni al più, alli capitani È
nuovi cho succederanno ». Fu proibito tener l' officio per I

due anni consecutivi, « et quando accadesse che nella estra-

tione dela poliza mancasse uno, o che fusse morto, e, per
qualche altra causa, non potesse servire, a ciò sia il debito
numero de li offitiali, sia lecito di ponervi un altro in quel

TALI ARA

loco e così la poliza sara compita ». j
« Nel fine de l’anno e de l'offitio alli capitani e came- P

rario se li concedono soldi XXIV in tutto de li denari de
l arte, quali non possino applicarli per se, ma lassarlo per
benefitio de la cappella.

« Il Camerario doveva essere descritto nela medesima
polizza che saranno descritti li capitani ed estratto nel me-
desimo modo con essi ».

Rub. HI. — Che si vada all’ adunanza nè si parta senza licenza.
]

I soci devono andare alle adunanze e starvi ordinata-
mente ed in silenzio « ed ascoltar la proposta che si farà

dai capitani o da alcuno di essi di lor commissione, e,
fatta la proposta, essi uomini del consiglio et adunanza,

ad uno ad uno che successivamente toccarà, debbino dire

P il parer loro e consigliare in quel miglior modo che gli

|

| ; : ;

| parerá essere utile et honor del'arte, non uscendo de l’ or-
| dine de la proposta fatta dai capitanei o alcuno di essi o

i vero da altro di lor commissione sotto pena di soldi XXIV
per ciascuno e per ciascuna volta che contrafarà ».

Wr Rub. III. — Che là poveri de l'arte siano ajutati.

« Item hanno ordinato che quando alcuno di detta com-
pagnia et arte venisse in tale povertà (che Dio nol voglia)
TUE EM

DI ALCUNI STATUTI, ECC. i 291

che delle sue facoltà e fatiche non potesse vivere, quello si
debba ajutare e sovvenire delli beni della compagnia se-

Li

condo che dalli capitanei sarà ordinato ».

Rub. V. — Che si debbano visitar l infermi e accompagnare è

morti.

« Item hanno ordinato che tutti quelli alli quali sarà
comandato dalli capitani che vadino alla custodia d'alcuno
infermo di detta fraternita et arte, devino andarvi senza altra
eccettione e fare quanto sarà loro comandato dai capitani,
et ancora quando succederà la morte di alcuno di detta fra-
ternita et arte tutti quelli di detta arte debbino accompagnare
il morto, e con li doppieri de l’arte sino alla chiesa e ivi star
fermi sin che sarà tal morto seppellito, sotto pena per cia-
scuno che contrafarà, e per ciascuna volta, di bolognini XII ».

iub. VI. — Che cosa deve fare quello che vol entrar ne l'arte.

« Item che qualunque persona vorrà fare la detta arte
de' fabri sia tenuto e debba comparire e presentarsi avanti

li capitani che saranno per tempo di detta arte e conseglieri

e loro notario, et in mano del notario in prima giurare toc-
cando la scrittura di fare et anco far fare detta arte fedel-
mente e senza fraude alcuna, e obedire alli comandamenti
dei capitani che per il tempo saranno et osservare li capi-
toli del presente breve e tutti gli ordinamenti fatti e che per
lavvenire si faranno, e farsi descrivere in questo breve
del’ arte.

Et quando alcuno sia ritrovato che sia scritto in questo
breve, non servata la detta forma, si abbia per non scritto
e sia cancellato quando alli capitani e consiglio paresse che
non sia quel tale suffitiente per maestro. E se alcuno sart
trovato far quest’ arte e servire per maestro il quale non

havesse giurato et non fusse scritto nel breve sia tenuto giu-.

, 292 T. CUTURI

rare e ancora farsi scrivere infra XXX (1) giorni dal di che
sarà monito dalli capitani, servando l'ordine e la forma sopra
detta nel giurare e farsi scrivere ».

Rub. VIL — Che ogni maestro faccia il segno.

(Fu mantenuto per ogni maestro l'obbligo del marchio
o segno, sotto pena di XII bolognini per ogni volta che nei
ferri lavorati non fosse stato impresso).

Rub. VIII. — Che nessuno dia da lavorare a forastieri.

« Item che nessuno di detta arte possa né deva dar da
lavorare ad aleuno forastiero piü de otto giorni, eccetto peró
se sarà trovato tal forastiero per li capitani e conseglieri
idoneo e giurarà come sopra si contiene di far quest’ arte
diligentemente, senza fraude e sarà obediente alli capitani
e pagherà quella quantità di denari che parerà alli capi-
tani ».

Rub. IX. — Che nessuno debba intromettersi nel mercato del-
l'altro.

(Mantiene il divieto d'intromettersi nel lavoro e nelle
faccende mercantili dei compagni). :

Rub. X. — Che nissuno debba ritenere el discepulo de l'altro.
1

Mantiene pure il divieto di toglier discepoli ai compa-
gni aggiungendo « che quando il discepolo averà finito quel
tempo con il suo maestro, possa pigliare e ritenere detto de-
scepolo senza: timore d’incorrere in pena alcuna, e quando
un discepolo volesse partirsi dal suo maestro, dove non ap-

(1) Poco leggibile.
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 293

parisse prefisso nè determinato tempo alcuno, debba tal di-
scipulo notificare la sua partita al suo maestro un mese
avanti. In ogni caso delli sopra detti o appatuito o altro che
fusse obbligato qual mancasse de la sua promessa e secondo
il tenor de li patti fatti con il maestro, non gli sia lecito mai
partirsi finchè quello haverà effettualmente et interamente
satisfatto, et sempre sia tenuto all’ emendatione del danno
fatto e causato al maestro al quale era tenuto servire ».

Rub. XI. — Quando si dimandasse la remissione de" giorni persi.

« Item hanno ordinato che quando alcuno di detta arte,
scritto per maestro nel breve, si querelasse avanti li capi-
tani e dimandasse contra alcun altro, o maestro o disce-
polo che fusse stato con esso, che dovesse rimetter li giorni
persi in quel tempo che dovea servire, secondo la forma
de’ patti e conventioni fatte tra di loro, che li capitani deb-
bino astringere quel tale che havesse o che haverà mancato
a rimettere li giorni lasciati el tempo perso a quello che
aveva promesso et era obligato. Et si debba stare al detto
di quello che dimandasse o dimandarà la remissione e sia
creso con suo giuramento. E se alcuno lasciarà e perdarà
detti giorni senza licentia del suo maestro e che detto mae-
stro non fusse contento de la remissione delli detti giorni
da rimettersi o da farseli, sia punito in pena di soldi XXIV
per ciascun giorno, e quanto al danno sia creso similmente
il maestro con suo giuramento, ma questo non abbia luoco
e sia scusato quel che perdesse detti giorni per causa d'in-
fermità ».

Rub. XII. — Che se debbi fare un depositario.
(L'officio che nello statuto del 1346 aveva il camerlengo

affidarono ad un depositario dell'arte nominato per quel tempo
che all'assemblea fosse piaciuto. Egli aveva in custodia « le

Due UM Lin iomosmeg
e

294 s T. CUTURI

robbe e li denari dell'arte, doveva tener buon conto dell'en-
trata, e render poi ragione delle spese »).

Rub. XIII. — Che il depositario debba tenere tutte le robbe che
gli saranno date da li capitani.

« Item hanno statuito et ordinato che se un ferro finito
o non finito, fosse venuto nelle mani d’alcuno del'arte, debba
tener tal cosa o ferro appresso di se e diligentemente cer-
care di ritrovare il padrone o almeno darne notizia ai ca-
pitani e maestri de l'arte ad effetto che si sappia o si abbia
notizia di tal cosa. E, ritrovata la verità, si debba tal cosa
o ferro rendere al patrone non ostante che tal cosa fusse
venduta o impegnata, altrimenti li capitani faccino tal cosa
o ferro vendere et il prezzo ponere appresso il depositario. E
se aleuno comprerà o riceverà, contro la forma. e modo so-
pra detto, aleun ferro cominciato e non perfetto sia punito,
per ciascuna volta, in XXIV soldi et in maggior quantità
ad arbitrio dei capitani, havendo rispetto alla persona e
qualità del delitto ».

Rub. XIV. — Se qualche ferro venisse alle mano d'alcun de
l'arte.

Rub. XV. — Che li capitani possino poner le pene fino a XXV
soldi.

« Item hanno ordinato che li capitani di detta arte pos-
sino e gli sia lecito imponer pene sino alla somma di XXIV
soldi, e quelli riscuotere da tutte le persone de l'arte che
contrafaranno alli loro precetti e per tal effetto far pegno-
rare come anco per l'imposte, cólte e bandi, che si facessero
e faranno per causa de l'arte ».

Rub. XVI. — Pena a quelli che non si lasceranno pignorare.

(Chi si fosse opposto al pignoramento cadeva, ipso fatto,
ET e
Eme CD 3b 2715 ARI STI E VETTE ee

DENEN CR TREE RR

DI ALCUNI STATUTI, ECC. 295 E il
|
È: in pena di XXIV soldi, e, nondimeno, era tenuto a far l'ob- |

bedienza e a dare il pegno).

E Rub. XVII. — Che lj pignorati debbino riscuoter li pegni. |

(Nel termine di 10 giorni colui che aveva subito il pi-
gnoramento doveva pagare e liberare il pegno, altrimenti
un’altra multa di XXIV soldi, e la vendita del pegno per

ministero dei capitani).

Stia ia pela

Rub. XVIII. — Che se restituisca la cosa hauta in presto.
]

(Era pure obbligo dei capitani di costringere gli uomini
dell'arte a restituire le cose che avevano ricevute a pre-
stito o à commodato).

Hub. XLX e XX. —

(IL discepolo che aveva un salario di XX soldi doveva ill
. . A 2 t 1
pagare mezza imposta, e il maestro era tenuto per lui salvo |
1

a rivalersene sul salario. Nondimeno il discepolo era mul-
tato di V soldi).

Rub; XXI. — Che si debba far delli pegni per cagione dell im-

poste.

Le cose oppignorate o per le imposte e collette dell'arte
o per le pene, dovevano, senz'altro monito, essere riscattate
nel términe di dieci giorni, altrimenti « li capitani li faccino
vendere alli uomini de la detta arte, non servato alcun or- x li

dine di ragione, et il retratto si pona in mano del deposi- NX
tario ». : ii

I
Rub. XXII. — Che a quello de l arte si sovvenisca del carbone. 7 I

(Chi avesse comprato carbone era tenuto à sovvenirne
il compagno di mezzo sacco, se ne aveva comprato uno, e
296 T. CUTURI

di un sacco se ne aveva comprata una soma, cedendolo per
quanto lo aveva pagato).

Rub. XXIII. — Che si faccia ragione alli carbonari.

« Item hanno ordinato che quando alcun carbonaro fosse
creditore di alcun dell’arte per carbone vendutogli, li ca-
pitani di detta arte ad ogni requisitione di detti carbonari,
debbano farli satisfare d’ogni lor credito astringendo il de-
bitore sommariamente senza lite e spesa. Et ancora quando
il carbonaro o quello che vende il carbone fosse creditore
d’alcuno di detta arte per cagione de carbone vendutoli, et
un altro de l’arte fusse creditore di tal carbonaro, sia lecito
a tal creditore del carbonaro far sequestrare li denari che
il carbonajo havesse d’avere dal detto suo debitore e fare
che si tenga tal credito del carbonaro in sequestro finchè
tale suo creditore sia satisfatto da esso carbonaro, et li ca-
pitani debbano procedere summariamente e senza lite e
spesa deffinire tal cose (1) ».

Rub. XXIV. — Che li capitani conoschino la cause tra quelli
de l’arte.

« Item che li capitani di detta arte possino et debbino
conoscere le cause questioni et differenze tra gli uomini
di detta arte e per cose spettanti a la detta arte sino a

(1) Abbiamo già notato che lo Statuto del Comune provvide ehe il carbone
non fosse esportato se prima gli uomini dell’arte non ne fossero forniti.

Con disposizione del 24 aprile 1569 i magnifici gonfalonieri e. consoli della
Città, avevano provveduto perché i sacchi del carbone fossero di giusta misura, fa-
cendo bandire: « che tutti quelli de la città e distretto di Gubbio che fanno car-
« boni per vendere debbino e siano tenuti per l'avvenire venderlo a misura, cioè a
« ragione di una mina e mezza il sacco e darlo a quel pregio che a loro (gonfalo-
« nieri e consoli) parerà, sotto pena d'un florino e con perdita della robba da. ap-
« plicarsi per la metà alla camera del Comune e il resto all'aceusatore ». Questo
bando fu trascritto nel volume dello statuto de’ Fabbri.
SOTTILI IONI AMA EORRCIVUT ERSTE ACE BR RL

m

DI ALCUNI STATUTI, ECC. 297

la somma di dieci fiorini e quelle decidere terminare e
diffinire summariamente, senza lite e spesa, et che nessuno
di detta arte ardisca ne presuma declinare il foro e giuri-
sdittione delli prefati capitani nè tirar alcuno ad altra curia
o foro sotto pena di soldi XXIV ».

Rub. XXV. — Che li capitani possino eleggere li consiglieri.

I consiglieri, liberamente scelti dai capitani, furono ri-
dotti a due, uno per la parte di levante ed uno per quella
di ponente, « e tutto quello che per le occorrenze dell’arte
sarà fatto, stabilito et ordinato da essi, dovrà tenersi per
fermo come se da tutta luniversità fosse deliberato ».

Rub. XXVI. — Che si deve custodire il breve.

(Obbligati i capitani a custodire il breve sotto pena d'una
multa e di farlo ricopiare a loro spese).

Rub. XXVII. — Che nessuno dica parole ingiuriose alli capi-

tani.

« Item hanno ordinato che nessuno di detta arte ardi-
sca ne presuma de dire alcuna parola ingiuriosa contro de'
capitani, nó rampognare in modo alcuno, sotto pena di soldi
XXIV per ciascuno e ciascuna volta che contrafarà, la qual
pena detti capitani o tutti due ovvero l'uno o l'altro capitano
riscuoterà de facto ».

Rub. XXVIII. — Che si tenghino li pesi e misure giuste.

« Item che tutti li maestri di questa arte siano tenuti et
obbligati tener li pesi e misure giuste, sigillate, bollate, e
con quelle vendere e comprare e non con altri, sotto pena
di soldi XXIV per ciascuno contrafaciente e ciascuna volta,
e li capitani, almeno una volta nel loro offitio, debbano farne
diligente inquisitione sotto pena di soldi XXIV per ciascuno
di essi capitani se saranno negligenti ».
298 T. QUTURI

Rub. XXIX. — Che non si contravvenghi a^ decreti e statuti.

(Che nulla si debba fare contro il breve né contro i
decreti dell'arte, né contro gli statuti della città, né contro
i decreti del serenissimo duca).

Rub. XXX. — Che li capitani procedino contro li delinquenti. .
pet |

« Item che li capitani che saranno per tempo di detta
arte possino siano tenuti e debbano procedere per virtü del
loro offitio per accuse, inquisitioni, e denuncie contra tutti
quelli che contrafaranno o faranno contravvenire in qual-
siasi modo alli capitoli del presente breve e far pagare le
pene che nelli capitoli alli suoi luochi si contiene e summa-
riamente de facto, sanza alcuno ordine di ragione, né si
possa né si deva in modo alcuno delle pene far compositione
in maniera che intieramente si paghino. Dichiarando che
dove non farà mentione in che modo si hanno a pagar le
pene, per il presente capitolo si dichiara che tutte le pene
si debbano porre in mano del depositario di detta arte e si

applichino universalmente per uso de la cappella del'arte ».

Rub. XXXI. Che nessuno appatuito possa far cosa alcuna mentre

dura il tempo.

« Item hanno ordinato che nessuno qual stesse appa-
tuito con alcun maestro del’arte che sia obbligato a tempo
o a mesi et anni o giorni ardisca, presumi, in modo alcuno
né per sé, né per altri, né di giorno, né di notte, né in giorni
festivi, né di lavoro, eccetto che per il mastro et in casa o
in botega di esso mastro, palesemente, né privatamente la-
vorare né alcuna opera fare o lavoro.....(1) sotto pena di soldi
XXIV per ciascuno e ciascuna volta che contrafacesse et

4 148 APR altos: NR, ESI

(1) Inintelligibile per effetto dell’ umidità.
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 299

nondimeno sia tenuto e debba rifare e pagare il danno al

- maestro col quale è obligato o sia obligato. Il maestro sia

creso' con suo juramento e s'abbia per evidente prova ».
Rub. XXXII. — Che non possin comprare ferri rubbati.

« Item hanno ordinato che nessuno di detta arte ardisca
né presumi comprare né far comprare alcun ferro d'altro
artefice spettante all'arte, o che fusse o che sia. stato rob-
bato ad alcuno dell'arte sotto pena per ciascuno contrafarà
d'essere privato del'esercitio perpetuamente, di modo che
né in la città di Ugubbio, né suo contado e distretto possa
in aleun modo esercitarlo ».

Rub: XXXIII. — Quel che deve pagare chi vuole aprir bottega.

« Item hanno ordinato che quando alcuno vorrà aprir
bottega o da sè o in compagnia con altri mastri debba pa-
gare a l’arte in mano del depositario soldi XL e per farsi
descrivere nel breve soldi VIII ».

Rub. XXXIIII. — Della Magnani.

« Item hanno ordinato che tutti li magnani che vorranno
adoperare in qualsivoglia modo l'arte de la fabreccia ovvero
dele chiavi nella città contado e distretto di Ugubbio siano
tenuti e debbano avanti che operino o faccino detto mestiero
o quello esercitino in alcuno di detti luoghi comparire per-
sonalmente ..... (1) giurare toccando la scrittura di fare ed
esercitarsi con buona fede puramente e senza alcuna fraude
o malizia secondo la forma del breve et obedire alli capi-
tani li quali sono e saranno per tempo siccome fanno e sono
tenuti di fare gli altri artefici e maestri, e pagare in mano
del depositario per contribuire alle spese che occorrono per

(1) La parola é cancellata dall'umidità.
Ld! 2 i

c
mu^

TE 4

300 T. CUTURI

ciascun anno a requisition de' capitani che saranno per tempo,
soldi XVI l’anno, e più o meno secondo che parerà ai ca-
pitani, sotto pena di XXIV soldi per ciascuno che contraffarà
e per ciascuna volta in alcuna de le predette cose ».

Rub. XXXV. — Che si faccino pagar le pene.

« Item hanno ordinato che li capitani che saranno per
tempo di detta arte siano tenuti et obbligati e debbino pro-
cedere contra li delinquenti e contrafacienti al tenor del
breve capituli et ordini contenuti nel Breve, et quelle cose
che li capitani havessero comandato per vigore del loro of-
fitio, e le condennazioni eseguire e riscuotere al più longo ‘
infra termine di doi mesi, sotto pena di soldi XXIV se sa-
ranno negligenti e nondimeno faccino anco pagar la pena a
quello che fusse cascato in pena alcuna per vigore del breve
e suoi capitoli.

Dechiarando che si fussero fatte condennazioni e non
fussero esseguite nel ultimo mese del loro offitio li nuovi
capitani siano tenuti dette pene e. condennationi riscuotere
infra doi mesi dal di che haveran preso l'offitio e se saranno
detti capitani negligenti paghino di pena soldi XXIV per
ciascuno.

Rub. XXXVI. — Feste che si hanno a riguardare.

Vi si enumerano le feste nelle quali si devono tener
chiuse le botteghe. Sono 42 giorni, oltre le domeniche e le
feste mobili, più il venerdì santo e tutti i venerdi di marzo.
I capitani erano obbligati d'avvisarne i. maestri un giorno
prima per mezzo del balío o messo dell'arte. « Possino li
capitani in tali giorni dar licentia a chi li piace di poter
lavorare eccetto ne la festa di S. Aló che non sia lecito di
fare aleuna cosa, in alcun modo, né ferrare, né tenere aperte
le botteghe; negli altri giorni sia lecito ferrare, medicare,
rn e

Te

DI ALCUNI STATUTI, ECC. 301

senza timore di pena alcuna ». E poi aggiunsero: « che in
tutti li giorni festivi nelli quali li altri artegiani dela città
lavorassero sia lecito alli huomini di detta arte di lavorare
eccetto ne la festa di S. Aló, S. Luca, S. Barbara, 5. Tllu-
minata e li venerdi di marzo ».

Rub. XXXVII. — Quali persone siano comprese in questo breve.

« E per tor via ogni dubbio e per chiarire quali persone
siano soggette e comprese in questa arte, si dichiara che tutti
li fabri, marescalchi, spadari, calderari, magnani, chiavari, sta-
gnari, lanternari et tutti quelli che hanno fucina et incudine
e martelli, s'intendino essere compresi et siano della frater-
nita e arte de' fabbri et siano tenuti et obligati tutti andare
alle luminarie che si fanno alle quali l'arte, università, e
fraternita de’ fabri è obbligata, massime quelli che se ritro-
vano in quei tempi ne la città e siano obbligati a pagare
le spese che occorrono per rata come gli altri di detta arte.
Dichiarando che i battiloro et orefici non s'intendino com-
presi in detto capitolo. »

« Item che tutti quelli che tengono ferramenti lavorati
o nuovi o vecchi di qualunque sorte siano, o che vendono
al minuto o all'ingrosso siano obbligati a riconoscer l'arte
et pagare in mano del depositario di detta arte, cioè quelli
de la città bajocchi X, et li altri forestieri che vengano a
vendere, bajocchi IV per ciascuno, li quali debbano levare
la bolletta da i capitani e li serva per un anno et non la
facendo paghino un giulio ».

« Item hanno ordinato che tutti quelli che portano o
tengono carbone per vendere, siano obbligati e debbino ven-
derlo a misura tanto la mina, overo facendo a sacchi sia
una mina e mezzo il sacco, a ció nessuno resti ingannato,
ma che abbia il suo dovere secondo il bando che è nel
breve vecchio: dechiarando che nessuno possa comprare
carbone per rivendere, come si dice 2ncamorare, sotto pena

24

SPIE» SM TA

a-PT—tten@

Z5
PI

ido QM. a rente E
reni p^

X cw

i

"7
d

e — tr I 2s x -X t puc
d p Sua
Pea E

m.

302 T. (CUTURI

d'uno scudo per sacco; intendendo tanto de’ fabri, quanto
d'altre persone fuor del’ arte d'applicarsi per la metà alla

camera ducale e l'altra metà alla cappella de l'arte ».

« Item che tutti li calderari, chiavari, stagnari, lanter-
nari che vorranno lavorare o vendere o alcuna opera fare
spettante a detta arte per la città o suo contado o distretto
e qualsivoglia sorte di lavoro siano tenuti et obbligati a pa-
gare un posto (alcune righe corrose e inintelligibili) ».

« Item che se alcuno di detta arte incorresse in neces-
sità, o per malattia, o per altri accidenti, sia tenuto la com-
pagnia ad ajutarli di quello che sitrovasse in mano del detto
depositario de le pene esatte o quando non vi fosse con che
ajutarli sia tenuto ognuno a contribuire a detto ajuto secondo
che poterà e non altrimenti ».

Ma questo punto viene meglio determinato, con una suc-
cessiva deliberazione che poi entra a far parte di tal ru-
brica dello statuto.

« Item che il dichiarare le forze per il suddetto aiuto
si spetti alli capitani che saranno per tempo ».

« Item che la detta dechiarazione non si possa recla-
mare, ma ciascuno debba stare tacito e contento ».

« Item che ognuno possa essere forzato a contribuire
quanto sarà dichiarato come sopra, de fatto ed a volontà di
detti capitani ».

Il 27 giugno 1599 furono delegati i maestri Agricane
Restori.e Giuseppe Prestini per presentare il breve, cosi ri-
formato, all'approvazione del serenissimo Duca d' Urbino, fu
poi scritta la nuova matricola, alla quale segue l'approva-
zione del Duca il 3 giugno 1600..

Alcuni anni dopo i capitani fecero ricorso al Duca per-
ché costringesse i magistrati a render loro ragione pei loro
crediti senza lungaggini e senza spese, e n’ ebbero il.se-
euente rescritto che fecero inserire dal notaro nel volume
degli statuti. |
DI ALCUNI STATUTI, ECC.
« IL DUCA D’URBINO.

« I fabbri ferrari di questa città di Gubbio hanno fatto
ricorso a noi dolendosi di trovare difficoltà nell’ esigenza
de’ loro crediti, per occasione dell’arte loro, e ne ricercano
d’opportnno rimedio per non essere straziati con lunghezze
e cavillazioni: onde vogliamo che tutti i giudici ordinari de’
loro debitori, alli quali li suddetti fabbri o alcuno d’essi fa-
ranno ricorso e faranno constare de’ crediti loro, astrenghino
senza lite e spesa alcuna e senza mettere penna in carta
li debbitori sodetti al dovuto pagamento conforme alla giu-
stitia, non ostante le ferie. Tanto dunque asseguiranno. Da
Gubbio li 13 luglio 1626 ».

Sorse questione tra la corporazione, e i fabbri e calde-
rari di Cantiano per l'iscrizione alla matricola, e il Presi-
dente Pasquale. d’ Acquaviva di Aragona, rescrisse, in favore
dei cantianesi, al luogotenente ducale in Gubbio dichiarando
che i ferrai di Cantiano non avevano obbligo d’iscriversi
nella matricola di Gubbio.

sono poi notevoli nel volume del breve alcuni atti di
inscrizione nel secolo XVIII dei quali ci limitiamo a trascri-
scrivere questi due:

« A di 16 febbraio 1775.

« Maestro Giovan Maria Spinucci di Serravalle di Ca-
merino, dimorante in questa città fin da anni 5 compiti,
presente e personalmente costituito avanti Maestro Giuseppe
Gostinucci, uno de’ capitani esercenti di detta Università, e
dal medesimo esperimentato idoneo, ha creduto necessario,

attesa ancora l'apertura della bottega concessagli dai capi-

ani pro tempore allorchè venne in questa città, come sopra,
et fu descritto nel presente breve:e giurò di osservare tutti
capitoli in esso contenuti. Cosi è. Anton Nicola Tei segre-
tario pubblico di Gubbio e cancelliere ducale ».
REN Lo rA caen ue reae a arene

*-— x
{ «CR >»

T. CUTURI

« 27 settembre 1786.

« Giovanni Antonio Pedrazzoli, maestro calderaro di
Trento, presente e personalmente costituito avanti li capitani
esercenti dell’ Università de’ fabbri, ai quali fu data tutta la
facoltà dal consiglio dei XII fin dalli 21 corrente, essendo
stato ammesso da detti capitani ‘e consiglierl nell’arte e uni-
versità suddetta. e avendo perciò pagato in mano di essi
capitani tre zecchini e mezzo effettivi, giuró a tenore dei
Cap. VI e VIII, e fu descritto nel presente breve. Cosi è.
Nicola Tei ecc. ecc. ».

Sembra dunque che fosse stata accresciuta la tassa d'im-
matricolazione, e che il relativo atto dovesse essere ricevuto
dal segretario del Comune e cancelliere ducale, come ancor
si chiamava. Ma non parlandosi d'alcuna speciale solennità,
e riferendosi l'atto soltanto alle ordinarie disposizioni del
breve, dobbiamo ritenere che il decidere dell'idoneità fosse
lasciato sempre alla prudenza dei capitani e dei consiglieri.
Osservo che lo spirito liberale degli statuti eugubini si man-
teneva ancora, e che i forestieri erano immatricolati come
i cittadini. Le prove si facevano subire soltanto quando i
maggiorenti dell’arte l'avessero credute necessarie. |

Sembra persino che sulla tassa da pagare per l'imma-
tricolazione si potesse trattare e venire ad accordi con i ca-
pitani. È notevole, a tal proposito, quest'atto d'inscrizione.

« Die 3 nov. 1189.

« Avanti li capitani esercenti, e in virtù de la risolu-
Zione presa nel consiglio dei XII, celebrato il 25 scaduto
ottobre, presente e personalmente costituito Polidoro Rossini

- ealderaro Perugino, giurò l'osservanza del breve, e venne
in esso descritto, ef avendo convenuto coi medesimi signori ca-
pitani rapporto alla somma per l'apertura della bottega ».

L'ultima immatricolazione scritta nel volume del breve
è del maggio 1790.
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 305

Università o arte de’ Calzolari. — Lo statuto dei
calzolari e conciatori e lavoratori del cuojo di cui ci resti
memoria più remota, fu approvato durante il pontificato di
Benedetto XII, (1334-1342) essendo podestà il nobile cavaliere
Camillo dei marchesi di Massa e capitano del popolo Gio-
vanni di Tuscolo.

L'originale andò perduto, e ne rimane una copia, in co-
dice membranaceo fatta dal notaro Baroncini, a cui s' anda-
rono poi aggiungendo le successive riforme.

« Haec est copia sive exemplum brevis artis confrater-
« nitatis domus calceariorum civitatis Eugubii exemplatum
« per me ser Corinthum Baroncinum de ordine spectabilium
« virorum Lorentis de Cortonis, et Iosephi De Boettis capi-
« taneorum, Dominici Nicolae, Francisci Brunorii, Venturae
« de Passaris, Francisci Benedicti Fornari, Gulini de Gulinis,
« Iohannes Antonii Calderini, Vincentii Tarlini, et Alexandri
« Vincentii Decatoris consiliarorum, et magistri Leonardi
« Serluce solicitatoris ».

Lo statuto, seguendo l'esempio di quello del Comune,
tratta anzitutto dell'ordinamento della corporazione e della
elezione de' suoi officiali.

I capitani, otto giorni prima d'uscire del loro officio,
dovevano per pubblico bando convocare l'arte. L'adunanza
era valida se v'intervenivano 50 maestri, i quali, per vota-
zione segreta dovevano eleggere 12 buoni uomini dell arte
e maestri, cioè tre per quartiere, in modo che fossero sei
della parte orientale e sei della occidentale della città. E
questi dodici, insieme con i capitani uscenti, dovevano eleg-
gere i due nuovi capitani, uno della parte orientale e l’altro
della parte occidentale della città e l’officio loro durava sei
mesi.

iii iii citi i AT A ZA II iano alzi Á— H

: "
STIA O i o t

4

—u—— ita, oa F :

,

SA A

A

A

<

«

^

«

^

«

^

«

A

«

^

«

^

x fuerint, teneantur et debeant ultimo mense eorum officii,

.electi, una cum dietis capitaneis, teneantur et debeant,

T. CUTURI

Rub. I. — De electione novorum capitaneorum.

« Nos capitanei prudentes predicti in primis statuimus
et ordinamus quod capitanei qui sunt et qui pro tempore

octo dies ante exitum eorum officii, facere bannire per
civitatem Eugubii, in locis consuetis, dictam artem cal-
ceariorum et ipsam artem congregari facere ubi consue-
tum est congregari, in qua congregatione sint et esse
debeant ad minus quinquaginta magistri de dicta arte, et
in dicta congregatione debeant vocare et eligere et vo-
cari et eligi facere ad brevia sive palloctas prenominatas
dicte artis et qui sint magistri de dicta arte et scripti
in brevi ipsius artis, et non per discipulos, duodecim bo-
nos viros magistros de dicta arte hoc modo, videlicet:
tres pro quolibet quarterio ita quod sint sex ex parte
occidentis civitatis predicte, et dicti duodecim magistri sic

vinculo juramenti, eligere et vocare duos bonos et suffi-
cientes capitaneos magistros et de dicta arte pro mensibus
futuris, hoc modo, videlicet: unum ex parte orientis et
alterum ex parte occidentis, quorum offitium duret per
sex menses. Et dicti capitanei cum dictis consiliariis te-
neantur et debeant electionem novorum capitaneorum fa-
cere incontinenti, post quam fuerint sic electi et ante quam
descendant de loco ubi fiet dicta congregatio, et esse de-
beant in concordia duae partes ipsorum ad minus, ad di-
ctam electionem faciendam. Et si alio modo fieret dicta !
electio contra praedictam formam non valeat nec teneat E
ullo modo et sic electio contra praedictam formam sit ipso,
jure cassa sive nulla. Qui capitanei sint et esse debeant
guelfi et de parte guelfa et magistri de dicta arte, sint et
esse debeant etatis XXV annorum ad minus et debeant

habere etiam omnes et singulas habitationes quas habent
consiliarii dicte civitatis, et si alio modo fierent non va- «

«

Rub. III. — De arbitrio capitaneorum circa capitula hujus brevis.

«

. DI ALCUNI STATUTI, ECC.

leant ullo modo. Hoc addito huic capitulo quod nullus pos-.

sit esse capitaneus dicte artis qui non juraverit pro dicto
brevi et fuerit scriptus in eo, et qui non operaverit seu
operari fecerit dictam artemi pro majori partis anni. Et
si dicti capitanei electores negligent predictam formam
depnent per capitaneos futuros vel alterum eorum qui pro
tempore fuit in XX solidos pro quolibet, de facto et sum-
marie, sine strepitu et signo judicii, cujus condepnatio et
pars sit communis Eugubii, alia tertia dicte artis et reliqua
tertia sit dictorum capitaneorum ».

Rub. II. — De juramento capitaneorum dicte artis.

« Statuimus et ordinamus quod capitanei predicti veteres
coram quibus facta est electio supradicta teneantur et de-
beant, vinculo juramenti, ea die qua facta erit, mittere
predietis capitaneis novis electis qui coram eis persona-
liter compareant, et ijdem novi capitanei teneantur ed
debeant, vinculo juramenti coram dictis veteribus capita-
neis infra etiam diem a die electionis sic facte, persona-
liter comparere ad jurandum ad sancta Dei evangelia,
corporaliter tactis scripturis, faciendi eorum officium le-
ealiter, bona fide, et exercendi in posterum fideliter omnia
et singula ordinamenta hujusmodi presentis brevis pro uti-
litate et honore artis prefate, nec non servandi seu faciendi
observare predicta ordinamenta per homines artis sub
pena XX solidorum romanorum pro quolibet contrafaciente,
que pena eis vel eorum alteri contrafacienti, de facto et
summarie sine strepitu judicii per capitaneos veteres au-
feratur ».

« Statuentes ordinamus quod capitanei artis predicte
qui pro tempore fuerint teneantur et debeant vinculo ju-

307.

ur — i anh o F >

,

hr

$2. 7 45
P. P Ee E
A

«

«

: plenum et liberum arbitrium ac si per totam artem factum

: rum, vincolo juramenti, contra delinquentem vel delin-

T.

CU'TURI

ramenti attendere et observare et observari facere omnia
et singula ordinamenta in presenti brevi contenta et in

posterum per ipsam artem facienda. Et in predictis habeant

esset. Et ut possint punire culpabiles et contrafacientes
predictis ordinamentis hactenus seu in presenti factis sive

in posterum faciendis ea pena seu hiisdem penis que in-
fligende in presenti brevi ordinantur sive continentur.
Immo teneantur et debeant dicti capitanei vel alter ipso-

quentes procedere per inquisitionem seu per acta et per
omnem modum et viam quibus melius eis vel alter eorum
videbitur convenire et eum vel eos punire summarie et
defacto, et sine strepitu et figura judicii. Et possint ipsi
capitani et quilibet eorum pro praedictis observantiis con-
trafacientes pro qualibet vice ac pro eorum offitio exer-
cendo et ex ipsorum offitio contra baylia, ultra poenas in
dictis ordinamentis contentas in contrafacientes, bannum
imponere usque ad quantitatem viginti solidorum, et ipsum
a contrafacientibus exigere de facto, sine aliqua conden-
natione vel scriptura pro ut eis vel alteri ipsorum vide-
bitur convenire. Dictos antem viginti solidos et quamlibet
aliam poenam pecuniariam inflictam seu infligendam in
posterum in contrafacientes praedictos teneantur et debeant,
vinculo juramenti, dicti capitanei, seu quilibet ipsorum,
infra diem, poni facere inter alios introitus dictae artis.
Quod si dicti capitanei vel alter ipsorum fuerint negli-
gentes in mittendo dictos denarios ad introitum dicte artis
ut supra expressum est, condemnentur per capitaneos fu-
turos sequentes in centum solidos romanos pro quolibet et
qualibet vice: cujus condemnationis tertia pars sit Communis

Eugubii, et alia tertia pars sit dicte artis et reliqua sit

dictorum capitaneorum ».
m—— M M

A

A

^

A

^

«

^

«

A

^

^

A

A

^

A

DI ALCUNI STATUTI, ECC. 309

Rub. IV. — De electione consiliariorum | dicte artis et ipsorum

officio et ipsorum. capitaneorum arbitrio.

« Statuimus et ordinamus quod capitanei qui pro tempore
erunt teneantur et debeant eligere pro bono dicte artis
principio eorum officii duodecim consiliarios magistros de
dicta arte qui sint de melioribus dicte artis et qui operentur
ipsam artem per majorem partem anni, hoc modo videlicet:
quod capitaneus qui erit ex parte orientis eligat et vocet
sex consiliarios de dicta arte ut sibi videbitur convenire,
qui sex consiliarii debeant esse ex dicta parte orientis. Et

: capitaneus qui erit ex parte occidentis, simili modo, vocet

et eligat ex parte occidentis de civitate sex consiliarios
de melioribus, qui érunt ex parte sua, prout sibi melius
videbitur convenire, quorum offitium duret per totum tem-
pus dictorum capitaneorum. Qui consiliarii, sic electi jurent
et jurare teneantur et debeant coram ipsis capitaneis vel
altero eorum infra etiam diem a die electionis de eis

- facte, ipsorum officium pro bono et utile dicte artis fa-

cere et exercere, et interesse in consiliis per totum dictum
tempus, quoties ubi et quando pro parte dictorum capita-
neorum vel ipsorum alterius vocati seu citati fuerint, et
consulere semper melius et utilius dicte artis vinculo
prestiti juramenti, et sub pena quinque solidorum roma-
norum pro quolibet et qualibet vice et qualibet contrafa-
ciente ad voluntatem dictorum capitaneorum vel ipsorum
alterius pro libito sue voluntatis. Que pena per ipsos ca-
pitaneos vel alterum ipsorum possit tolli de facto sine
aliqua scriptura et mitti facere ad introitum dicte artis.
Qui capitanei et consiliarii sic electi habeant omnen juris-
dictionem, arbitrium, potestatem et balíam in factis et ne-
gotiis diete artis quam habet tota ars praedicta; possint
que pro bono et utile dicte artis ordinare, deliberare, pro-
videre firmare omnia et singula que ipsis utilia et bona
videbuntur pro utilitate dicte artis. Et si necesse fuerit

rotanti

pi
m—— M og È

,

Y *
EPA atr e Aere i Mr e t

mtl

acer et
310 T. CUTURI

pro utilitate et commoda dicte artis, possint colta con-
erua ponere et exigere et exigi facere et fieri facere prout
et sicut oportebit per tempus, et quod camerarii dicte
artis ad petitionem dictorum capitaneorum, vel majoris
partis ipsorum, teneatur et debeant de omni pecunia, quae
esset penes eos camerarios de dicta arte, solvere prout et si-
cut praedictis capitaneis vel majori parti ipsorum videbitur
convenire. Et si contrafactum fuerit, praedictae formae,
per predictos capitaneos et consiliarios, vel per alterum
ipsorum, tam in ponendo, tam iu exequendo, condemnen-
tur contrafacientes vel contrafaciens per successores capi-
taneos dicte artis in quadraginta solidorum de facto et
summarie et sine aliqua scriptura vel condemnatione: cu-
jus condemnationis III pars sit Communis Eugubii, alia
tertia sit dicte artis, et reliqua dictorum capitaneorum
condemmantium ».

Rub. V. — De electione balivorum dicte artis et eorum salario.

«

«

«

^

« Statuimus et ordinamus pro bono et commodo dicte
artis, quod capitanei qui sunt et pro tempore fuerint, pos-
sint et debeant ex eorum officio et voluntate eligere duos
bonos et sufficientes baiulos, videlicet unum ex parte orien-
tis, et alium ex parte occidentis dicte civitatis quorum
officium duret tantum per sex menses. Qui baiuli te-
neatur et debeant facere omnes et singulas citationes,
commissiones et ambaxiatas eis et cuilibet eorum impositas
et commissas vel committendas per dictos capitaneos vel
alterum ipsorum et habeant pro qualibet citatione vel com-
missione ab hominibus dicte artis pro eorum salario et mer-
cede denarum unum solidorum romanorum, et pro quolibet
pignore, sine tenuta, denarios duos romanos, et etiam ha-
beant pro eorum salario a camerario dicte artis de pecu-
niis artis prefate solidos quinque romanos ».
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 311

Rub: VI. — De electione camerarii dicte artis et de ejus salario.

«

^

« Statuimus et ordinamus, quod quando celebratur ele-
ctio novorum capitaneorum, semper unus bonus et suffi-
ciens de magistris dicte artis eligatur camerarius ad pal-
loctas per hunc modum qui solum per magistros et non
per alios eligatur.

« Et quando unus camerarius erit ex parte orientis,

: alius, in alia nova electione fienda de novis capitaneis sub-

sequentibus, ex parte occidentis camefarius eligatur, et
sic de sex in sex menses procedatur. Quod si aliter fieret
ex nunc, prout ex tunc dicta electio evanescat, et eligens
in viginti solidos per capitulum condepnetur de facto. Ca-
merarius autem sic electus infra dictam diem a die ele-
ctionis jurare teneatur et debeat, corporaliter tactis scri-
pturis, coram capitaneis dicte artis dictum cameriaratus
offieium bene, bona fide et legaliter exercere ac omnia et
singula, quae ad ejus manus pervenerint in pecuniis sive
rebus ad dictam universitatem spectanetia seu que sunt
ipsius universitatis dicte artis, salvare, custodire, post-
quam ad ejus manus pervenerint, ad introitum dicte ar-

tis mittere sive ponere et nullam expensam facere contra

formam dictorum capitulorum unius brevis et sine licentia
capitaneorum dicte artis pro tempore existentium : quod
si aliter facere attentaverit intelligatur fecisse de suo pro-
prio.

« In fine autem dicti sul officii sex mensium teneatur et
debeat, vinculo juramenti, et cogatur per novos capitaneos

: successores reddere rationem de administratione sui of-

ficii ac omnes et singulas expensas per eum factas in par-
tita scripta assignare; et si aliqua in pecuniis vel rebus
ad universitatem dictae artis spectantia apud se habuerit,
ea omnia dictis.capitaneis et novo camerario electo te-
neatur vinculo juramenti restituere infra quintam diem a
die depositionis sui officii sub poena centum solidorum:

ur — ne -—— — — de

,

A etre o i de in a t

n

dA
A

«

«

«

«

312 T. CUTURI

quae poena ei tolli possit de facto sine aliqua. seriptura
per capitaneos supradictos cujus poene tertia pars sit
Communis Eugubii, alia III pars sit dictae artis et reliqua

dictorum capitaneorum ».

Rub. VII. — De electione notariorum dicte artis et ipsorum salario.

«

« Statuimus et ordinamus quod capitanei dicte artis, qui
sunt et pro tempore fuerint habeant plenariam potestatem
et licentia eligendi ac vocandi duos bonos idoneos et suf-
ficientes ac peritos notarios de Eugubio, qui notarii tenean-
tur et debeant scribere in publica scriptura omnes et
singulos introitus et exitus dictae artis prout et sicut
eis vel ipsorum alteri per capitaneos et camerarium
ipsius artis extiterit assignatum. Item teneantur omnia
alia et singula utilia et necessaria pro bono et utile dictae
artis facere et exercere ac interesse omnibus et singulis
adunantiis seu consiliis ipsius artis legere et alia facere ut
dictum est quandocumque et ubicumque dictis capitaneis
vel eorum alteri videbitur oportere. Praedicti autem no-
tarii habeant et habere debeant a camerario dicte artis
de pecuniis mercede solidos decem romanos pro quolibet.
dictorum notariorum ».

Rub. VIII. — De electione confalonerii dicte. artis.

« Statuimus et ordinamus quod annuatim de mense Junii
et Decembris capitanei dicte artis, qui pro tempore fue-
rint, teneantur et debeant vinculo prestiti juramenti facere
congregari ipsorum et dicte artis consiliarios una cum qui-
bus prout eis melius ac utiliter videbitur expedire, eligant
et eligere debeant ex magistris dicte artis unum bonum
et sufficientem confalonerium dictae artis qui approbetur
per duas partes ipsorum ad minus, aliter non valeat electio.
Eius autem officium duret tantum per sex menses.. Et
«

DI ALCUNI STATUTI, ECC.

313

quando confalonerius prefatus erit ex parte orientis, tunc

in subsequentibus sex mensibus, ut supra, teneantur eligere

alium ex parte occidentis Eugubii, ac simili modo in po-
sterum observetur.

Rub. IX. — Qwod capitanei teneantur in primo mense eorum

«

«

« et reliquum sit dictorum capitaneorum sic condemnan-
« tium ».
Rub. X. — De legalitate operantium dictam. artem, et pena com-

<

A

«

«

officià congregari facere dictam artem.

« Statuentes ordinamus quod capitanei dicte artis qui
pro tempore fuerint, teneantur et debeant vinculo jura-
menti primo mense ipsorum officii congregari facere totam
artem et universitatem calceariorum, et in ipsa congrega-
tione proponere debeant quid placeat dictae arti provi-
dere, ordinare et firmare, pro bono et pacifico statu dictae

artis. Quod si dicti capitanei fuerint negligentes in praedictis

vel in aliquo predictorum puniantur et condemnantur per
capitaneos subsequentes vel eorum alterum in XX solidos
pro quolibet de facto eis auferendos. Cujus condepnationis
tertia pars sit communis Eugubii, alia tertia sit dicte artis,

mittentium fraudem in dicta arte.

« Statuimus et ordinamus quod quicumque fuerit in hac
et de hac fraternitate, seu societatis artis prefate, teneatur
et debeat vinculo juramenti dictam artem facere et operari
bona fide, sine fraude, et fieri facere bene et legaliter, ac

nemini dare vel vendere unum corium pro alio, nec dare
vel vendi facere operatum vel non operatum, et si requi-
situs fuerit ab emptore omnino dicere veritatem unde sit
corium sive calceamentum et de quo animali fuerint dicta
coramina. Qui autem contrafecerit puniatur per capitaneos

: dictae artis vel alterum eorum qui pro tempore fuerint in

,

te i M i e a t

^

As

o exte o E
814. T. CUTURI

«

«

^

A

A

A

^

^

A

A

A

«

X libr. pro qualibet vice qua contrafactum fuerit, ac in-
super talis delinquens privetur de arte praedicta per de-
cem annos: ita ut nec ipse delinquens nec alius pro eo
per dictum tempus in civitate nec in communitate Eugubii

- artem prefatam facere nec operari possit sub poena prae-

dicta. Et quilibet denunciare possit hujusmodi praedictum
delinquentem, sive delinquentes eosque accusare coram

capitaneos dicte artis vel ipsorum altero cum probatione
. unius testis bone. conditionis et fame, qui accusans vel.

denuncians habeat et habere debeat medietatem banni.
Predicti autem capitanei et quilibet eorum qui pro tempore
fuerint, possint, imo teneantur, et debeant vinculo prestiti
juramenti, sub pena decem librarum Romanarum, eis au-

- ferendarum per subsequentes capitaneos dicte artis de

facto de predictis et quolibet predictorum, inquisitionem
facere et contra delinquentes per inquisitionem procedere et

« culpabiles punire et condemnare ad dictam poenam eosque

privare de facto ut supra et summarie, ac 'ipsam penam
exigere, non obsante quod in predictis non fuerit observata
solemnitas juris. Hujusmodi vero condemnationis tertia pars
sit communis Eugubii, alia III dicte artis, et reliqua II
sit praedictorum capitaneorum sic procedentium et condem-
nantium ».

Rub. XI. — Quod nullus de dicta arte emat coria sicca vel

A

pelles siccas a quatuor supra.

« Statuimus et ordinamus quod nulli de dicta arte liceat,
nec possit emere coria sicca, vel pelles siccas a quatuor
supra, nisi prius venditor faciat emptori pactum quod sì
post ipsam emptionem vitium aliquod seu defectus aliquis
reperiretur vel appareret in eis coriis seu pellibus, teneatur
et debeat venditor dicto emptori reficere et restituere me-
dietatem totius dapni quod esset in dictis coriis sive pel-
libus occasione ipsius vitii seu defectus qui reperiretur in
A

A

«

A

«

A

«

^

«

A

«

^

«

^

^

A

^

^

A

A

A

DI ALCUNI STATUTI, ECC. | 462815

‘eis a duodecim denariis supra cujus vitii et defectus Dan-

num possit et debeat declarari et examinari per capita-
neos artis prefate qui per tempus fuerint et ipsorum ar-
bitrio et voluntate: et hoc intelligatur in civitate et comi-
tatu Eugubii tantum et a quatuor pellibus seu coriis su-
pra: qui capitanei teneantur et debeant, vincolo juramenti,
tam respectu emptoris, quam respectu venditoris, dicere
et judicare damnum vitii praedicti seu defectus bona fide,
sine fraude et possint et debeant acapare et acapari fa-
cere per camerarium dictae artis pro existimatione de-
cimas pro dicta arte seu duodecim denarios pro libra, vide
licet sex a venditore et sex ab emptore. Et qualibet de-
dicta arte qui emit pelles vel coria, ut dictum est, teneatur
et debeat petere ipsum pactum, de quo pacto appareat pu-
blicum istrumentum vel saltem presentia unius testis,

- quando ipsorum pellium vel coriorum conventio vel pro-

missio facta fuerit. Hic autem non vindicet sibi locum inter
artifices dicte artis. Qui vero de arte prefata contrafecerit
puniatur et condepnetur pro qualibet vice per capitaneos
dicte artis vel eorum alterum in centum solidos romanos,

: summarie et de facto, et nullo juris ordine servato, prout

eis vel alteri eorum placuerit, et ipsam condemnationem a
quolibet contrafaciente exigere possint et debeant prout
eis vel ipsorum alteri visum fuerit. Hoc addito quod nullus
de dicta arte possit aliquo modo vel ingenio emere vel emi
facere aliquod corium bovinum ab aliqua persona ad pondus
vel.sine aliquo (osse, cornibus, cacioppa, vel zampa sub
poena decem solidorum romanorum pro qualibet vice et quo-
libet corio. Et capitani dictae artis qui pro tempore fuerint,

teneantur et debeant, vinculo juramenti, culpabiles con-

demnare et condemnatos exigere sub poena centum soli-
dorum ab eis auferendorum per capitaneos dicte artis suc-
cessores. "Insuper capitanei praedicti vinculo juramenti
teneantur et debeant de predictis et. quolibet predictorum in-
quirere et per inquisitionem procedere summarie. et de.fa-
: cto ac culpabiles condemnare prout supra dictum est. Qui-

916 T. CUTURI

libet autem possit aecusare et denuntiare coram dictis
capitaneis vel eorum altero et sufficiat ad probandum exa-
men unius testis bonae conditionis et famae. Hujus vero
banni medietas sit accusantis et reliqua communis Eugu-
bii et dictorum capitaneorum et artis prefate. »

Rub. XII. — De juramento prestando et de pena mon juran-

e ^ ^ ^ ^ A ^

^

A

«

^

«

tium dictam artem.

« Statuimus et ordinamus quod omnes et singuli dicte
artis calceolaris ipsam operantes et fieri facientes dictam
artem, teneantur et debeant jurare ad sancta dei Evangelia,
corporaliter tactis scripturis, ipsam artem facere et .fieri
facere, et omnia et singula capitula hujus brevis facta et

- fienda per ipsam artem, in posterum observare et obser-

vari facere bona fide et sine fraude. Quicumque autem

: exercens dictam artem in civitate vel comitatu Eugubii

repertus fuerit non jurasse in breve dicte artis modo pre-
dicto, ipse requisitus a capitaneis artis prefate vel ab eo-
rum altero, teneatur et debeat infra etiam diem post quam
requisitus fuerit, jurare modo predicto, faciendi scilicet
ipsam artem secundum formam capitulorum presentis bre-
vis, et quicumque operans vel exercere faciens dictam
artem recusaverit jurare, ut dictum est, sit exclusus et
remotus a dieta arte per capitaneos et condemnatus in
quadraginta solidos romanos, quae poena de facto aufe-
ratur.

« Item prohibemus sub vinculo juramenti et sub poena
XL solidos romanos in contrafacientis auferenda, de fa-
eto sine aliqua scriptura per capitaneos dicte artis, vel

alterum eorum, nec ullus de dicta arte possit nec presu-

mat partecipare seu tractare de aliquo negotio ipsius ar-
tis, vel ad ipsam artem spectante, neque possit negotiari,
nec dare nec prestare sibi in dicta arte, opus, auxilium,
«

À

^A

^

^

A

A

DI ALCUNI STATUTI, ECC. - NC. 317

vel favorem, sed ab his omnibus sit omnino exclusus quo

‘usque ad mandata capitanei dicte artis venerit et jurave-

rit, ut superius est expressum : et hoc capitulum sibi lo-
cum vindicet in preteritis; presentibus et futuris: predicte
autem condemnationis tertia pars sit Communis Eugubii,
alia tertia dicte artis et reliqua dictorum capitaneorum.

Rub. XII — Quod nullus de dicta arte immisceat se foro al-

terius ipsius artis et de pena contrafacentium.

« Statuimus et ordinamus quod nullus de dicta arte au-

: deat vel presumat convenire seu judicare aliquem de dicta

arte super aliqua mercantia spectante ad dictam artem,
neque possit sive non presumat se immiscere foro ipsius,
ipsum impediendo, sive retardando abemptione aut ven-
ditione spectante ad dictam artem, sive quandolibet co-
gendo ipsum ad sibi vendendum, sive aliis dandum sub

tali pretio, sive quemlibet alium actum judicii vel jurisdi-

ctionis: in ipsum exercenda bona fide circa forum alterius
de dicta arte. Haec omnia prohibemus sub poema centum
solidorum exigenda de facto per capitaneos dictae artis
vel alterum ipsorum. Possint quincumque dicte artis in-
terfuerint dicto defectui, partem petere et habere a socio
mercatore, qui sibi ipsa dare teneatur dummodo petens
ipsam partem solvat ibidem incontinenti in pecunia nu-
merata sub dicta pena. Cujus pene III pars sit commu-
nis Eugubii, alia III dicte artis, et reliqua dietorum capi-
taneorum ».

Fin qui lo statuto è in latino ed è la trascrizione del

breve approvato nella prima metà del secolo XIV. Le ru-
briche seguenti sono in volgare. Sono probabilmente una ri-

| forma dello statuto-antico e comprendono poi successive ag-

giunte fino alla seconda metà del secolo XVI.

Zar

di rc



de

T4 % *
de - SIA dn I

5:
318 T, CUTURI

Rub. XIV. — Della pena di quelli che comprano corame o
pelli incalcinate da alcuno che non sia di detta arte.

Nessuno dell’arte doveva comperare o far comprare co-
rame o pelli incalcinate da chi non fosse inscritto all’ arte
sotto pena di 100 soldi romani. Data facoltà ai capitani di
procedere per inquisizione e di punire i colpevoli subito.
Nella pena stessa incorrevano i ‘capitani colpevoli di negli-
senza. « E ciascuno de le cose predette possi accusare e

denuntiare avanti detti capitani o alcuno di essi col giura-
mento e prova di un testimonio di buona conditione e fama,
e si abbia per piena e legitima prova. De qual parte di
detta condannatione un terzo sia di detta arte, un terzo del
Comune di Gubbio, et il resto di detti capitani condannanti ».

Rub. XV. — Del sovvenire alli poveri dell’arte.
]

Confermó l'obbligo di provvedere col denaro depositato
presso il camerlengo a sovvenire quei dell’ arte venuti in
tale povertà da non potersi sostentare (1).

Rub. XVII. — Della pena di quelli che conciano cuoi e corame

contro la riforma del capitolo infrascritto.

« Statuimo et ordinamo che nessuno di detta arte col
mezo del giuramento possi nè debba per sè o per altro in
alcun modo conciare o far conciare alcun cuojo o pelle ad
alcuno che non sia di detta arte o non averà giurato di os-

(1) Da tempo Gubbio ebbe ospedati pei poveri, e fra gli altri fu importante
quello de’ calzolari. « Era in tanto magnificata essa città in quel tempo, che dentro li
da essa e nelli borghi erano fabbricati dicidotto ospedali in servitio de’ poveri, li
quali poi tutti, eccetto quello de' calzolari nella foce, furono in un solo uniti ed in-
corporati, quale é quello della fraternita de' bianchi del mercato, da Papa Giulio IT,
nell'anno del Signore 1508 ». Cronaca di ser Guerriero da Gubbio, nei Rerwm ita li-
carum scriptores del Muratori, Tomo XXI, parte 1V, pag. 99, n. 37. Nuova edizione
Città di Castello, 1902.
atf a Stier S

DI ALCUNI STATUTI, ECC. 319

servare i capitoli di questo breve, e nou haverà esercitato
quest’ arte per la maggior parte di un anno ne la città o
contado, e se aleuno contrafarà sia punito e condannato dalli
copitani che saranno per tempo o da alcuno di essi per
ciascheduna volta in libre X romane, sommariamente, de
facto e senza figura di giudizio, qual condennatione si ri-
scuota come meglio gli parerà. (Fn qui si ripetono sostan-
zialmente le. disposizioni della Rub. X). Con questo aggiunto
in questo capitolo, a ciò non si commetti fraude, che non
ostante alcun vantamento o vendicazione fatta da alcuno
non sottoposto o non soggetto a detta arte, se parerà ai
capitani, essa vendicazione essere stata fatta in fraude di
questo presente capitolo, o vero del’arte, detti capitani pos-
sino siano tenuti e debbino, sotto vincolo di giuramento,
punire li detti fraudanti con pena di lire XXV per ciasche-
duno, ne la quale condannatione, se detti capitani saranno
negligenti, siano puniti dalli capitani successori. Inoltre detti
capitani possino e ancora siano tenuti, sotto vincolo di
giuramento cercare tutte le concie dell’ arte, due volte il
mese almeno, per tutto il tempo del loro officio e nelle
predette cose cercare e per via d'inquisitione è d'accusa
procedere, e quelli che saranno colpevoli siano condan-
nati alla detta pena e perdita de li cuoj e pelli le quali si
vendino per detta arte da li capitani. E ciascuno de le
cose predette possi accusare e denuntiare avanti detti ca-
pitani, o aleuno di loro, e basti per provare un sol testimo-
nio. di bona fama e conditione con il giuramento: e l’ accu-
sante e denuntiante abbi la quarta parte de la condanna-
tione e robbe predette e il resto al Comune di Gubbio, al-
l'arte e alli capitani suddetti si applichi.

Rub. XVIII. — Della pena di quelli che lavorano cuoi di asini.

« Statuimo et ordinamo che niuno ardisca tingere o far
tingere cuojo o corame nessuno d'asino raso, per il suolo
solamente ».
320 T. CUTURI |

« E chi contrafarà sia punito e condannato dalli capitani
di dett'arte o da alcuno di essi in cento. soldi romani di
subbito. E delle cose predette detti capitani, o alcune di
essi siano tenuti e debbano, sotto vincolo di giuramento e
sotto pena di dieci libre romane per ciascheduno da torsegli
dai loro successori, cercare e per via di inquisitione proce-
dere e punire li colpevoli e condannarli in detta pena, quale
de fatto si ricuota senza osservarsi alcun termine di raggione
e come meglio a loro e ad alcuno di essi parerà. E ciascuno
possi accusare e denuntiare i delinquenti con un testimonio
di buona fama e conditione, qual facci pieua e legittima

prova ».
Rub. XIX. — Fu dato facoltà ai capitani di fare ordinanze per

il bene dell’arte e per l'esecuzione del breve e d'imporre
particolari pene ai contrafacienti, oltre quelle minacciate nelle

rubriche del breve stesso.

Rub. XX, — Che nessuno ardisca cavare alcuno per metterlo
ad altra corte fuori che quella di detti capitani.

« Statuimo et ordinamo che nissuno di detta arte ardi-
sca nè presuma cavare alcuno di quella, nè di esso farne
querela per alcun debito fatto o da farsi tra detti uomini et
artefici, per qualsivoglia mercanzia spettante a detta arte
se non avanti detti capitani o alcuno di loro. E detti e cia-
scheduno di essi che saranno per tempo, sotto vincolo di
‘giuramento, possino e debbano intendere e decidere dette
cause e quistioni con far pagare alli creditori o creditore
sommariamente, de facto, senza farsi libello o petizione in
giudizio, e quelle per i debitori o ciascuno di loro ai quali
ordineranno, si paghi in miglior modo che gli parerà con-
venire talmente che, fra dieci giorni, siano tenuti e debbano
‘mandare al dovuto fine tutte le cause che avanti a loro 0 1 ;
ciascuno di essi pervenissero. E nessuno di detta arte ardi- È
DI ALCUNI STATUTI, ECC.

sca o presuma proporre eccetione o declinatione dalla giu-
risditione di detti capitani o alcuno di loro, e se faranno tal
cosa, non siano intesi nè in alcun modo vagli, anzi debbano
esser condennati de facto da detti capitani o da alcuno di
loro in soldi XL romani da torseli subbito senza scritti, e
devano pagare al creditore quella quantità che da alcuno
di detti capitani sarà ordinato si paghi. De la qual condan-
natione la terza parte sia del comune di Gubbio, l’ altra terza
di dett'arte ed il resto di detti capitani (1). Con questo ag-
giunto a questo capitolo, che se il creditore vorrà il suo da
qualsiasi debitore debba dimandarlo avanti li offitiali o ca-
pitani di Gubbio, e quelli riscuoterli con licenza di detti ca-
pitani (2) o alcuno di loro e non altrimenti, sotto pena di
cento soldi da torseli subbito, qual licenza sia scritta per
mano di notaro ».

Rub. XXI. — Della pena di scrivere alcuno nel breve contro la
predetta forma.

« Statuimo et ordinamo che chi esercitarà dett’ arte per
la maggior parte de l'anno e vorrà essere scritto in questo
breve, et intra li artefici di quella, sia tenuto e debba com-
parire avanti detti capitani e conseglieri, alla presenza de’
quali stando, dimandi essere descritto per mano del notaro
de l'arte in questo breve. Quale cosi dimandando alla pre-
senza delli sopradetti sia tenuto giurare e premettere di
obedire alli ordini delli capitani che per tempo saranno e
di osservare tutte le altre cose che nel capitolo del giura-
mento di sopra detto sono espresse (3), e niente di meno il
detto dimandatore paghi al camerlengo, che pigliarà per
l’arte, soldi X.

(D Fin qui si riproduce, ma in forma semplice e chiara la Rub. XIII.

(2) L'aggiunta si riferisce agli aiti esecutivi. Di questa licenza dei capitani si
tratta anche nella Rub. XXVIII.
(3) Anche questa è un’ aggiunta alle Rub. II e X, e più oltre vedasi Rub. XXVII

latita E

4



«2 . A
URSUS: es ME

a
ein e itii lau t gem ny Mi è


(Ho

CU'TURI

Ed i capitani predetti o alcuno di loro non possino né
debbano col giuramento scrivere o far scrivere alcuno con-
tro la predetta forma, sotto pena di cento soldi: la quale di
facto si tolghi al contrafaciente per li capitani successori
di detta arte, o per alcuno di loro, senza scritture o con-
dennagione alcuna, e chi sarà scritto in detto breve contro
la forma predetta, si habbi per non scritto. Con questo che
li capitani o conseglieri de l'arte o alcuno di loro che sa-
ranno per tempo, non possino ne debbino sotto vincolo di
giuramento e sotto pena di X libre per ciascuno, e ciasche-
duna volta da togliersi senza remissione alcuna dalli capitani
o da alcun di loro o dalli successori, scrivere ne far scri-
vere alcuno in detto breve che non haverà esercitato o
fatto esercitare dett'arte, per la maggior parte de l'anno,
(come si é detto ne la città o contado di Gubbio solamente),
non possi ne debba havere alcun officio o beneficio di detta

arte, e quello che l'eleggiarà sia punito e condannato dali.

capitani o da alcuno di loro in XX soldi romani da torseli
senza remissione alcuna e l'eletione fatta non vaglia in
modo aleuno. E le cose predette non abbino loco ne li no-
tari e balij de l'arte. De le suddette condannagioni poi la
III parte sia del Comune di Gubbio, l' altra III di dett' arte
e il resto di detti capitani ».

Rub. XXII. — De l' arbitrio delli capitani ne le cause.

« Statulmo et ordinamo che li capitani dell'arte e cia-
scuno di loro che saran per tempo possino et abbino pieno
arbitrio e podestà di decidere e terminare tutte le cause
vertenti fra detti huomini, de le robbe e mercanzie spet-
tanti a quella, che saranno proposte avanti loro o alcuno di
essi fino alla quantità di dieci libre romane e da dieci in
giù: de facto e sommariamente si procederà e come meglio
gli parerà convenire. E ancora ciascuno di loro sia tenuto
e debba pigliare le decime per dett' arte dall’ una e l’altra

sini di cic Qr Li DI ALCUNI STATUTI, ECC. 323

parte, cioè sei denari per ciascheduna libra e far rifare dal
perdente tutti li danni e spese, quali detto vincitore o al-
cuno per detta causa haverà fatte e patite. Et a ciò che le
predette cose da eseguirsi habbino il loro effetto ed intento,
i detti capitani o alcuno di loro possino imponer pene e
quelle senza remissione ne condennagione alcuna riscuoterle
purché detta pena non ecceda la quantità di XX soldi ro-
mani ».

Rub. XXIII. — Impone l'obbligo di accompagnare i morti e di

recitare alcune preghiere.

Rub. XXIV. — Che li lavoranti e conciatori debbano lavorare

a chi haveranno promesso.

« Statuimo et ordinamo che se alcuno conciatore lavo-
rante 0 discepolo di dett'arte sarà condotto da alcuno di
dett'arte a lavorare alcuna opera o a tempo, sia tenuto e
debba lavorare essa opera al conduttore bene e fedelmente
e senza fraude e stare tutto quel tempo che avrà promesso
per quel prezzo che si sarà concordato con il padrone o
conduttore, a la pena di XX soldi senza remissione oltre il
compensare doppiamente ilBD danno al padrone o conduttore
e stare con esso finché haverà compito il suo lavoro o tempo
promesso. E nissuno di dett'arte possi né debba detto lavo-
rante, senza licenza del suo padrone ritenerlo né dargli da
lavorare sotto pena di 10 soldi romani, da torseli da detti capi-
tani o da alcuno di loro senza remissione alcuna. De la qual
condennazione la terza parte sia del Comune di Gubbio,
l'altra terza di detta arte ed il resto di detti capitani ».

Rub. XXV. — Che li capitani di dett'arte siano tenuti procedere
contra tutti quelli che trasgrediranno gli ordini di questo

breve.

« Statuimo ed ordinamo che li capitani che saranno pro
tempore e ciascheduno di essi siano tenuti e debbano contro

1 1
324 T. CUTURI

qualsivoglia persona di detta arte che cont 'averrà agli ordini
di questo breve contro loro e ciascheduno di essi procedere
per via d'inquisitione e d’accusa ed i colpevoli punirli e con-
dannarli alle pene contenute nei detti ordini, e le pene e
condennazioni predette subito ed incontinente si debbano ri-
scuotere senza servarsi alcun ordine di raggione. E siano
tenuti e devino pigliare da qualsivoglia persona tutte le ac-
cuse e denunzie che si proporranno avanti loro o alcuno di
essi contro alcun delinquente di dett'arte e sopra esse o al-
euna di quelle procedere secondo la forma delli capitoli di

questo breve sotto pena di dieci libre Romane; la quale si :

riscuota dalli capitani successori o da alcuno di essi subbito
"subbito. Della qual pena la III parte sia del Comune di Gub-
bio, l'altra III di dett'arte, ed il resto di detti capitani con-
damnanti. ».

.Rub. XXVI. — Dell’andare con li doppieri o facole nelle feste
infrascritte e della pena.

« Ogni maestro è obbligato ad andare con un doppiere o
facola di cera nel mercato con gli altri compagni, per pro-
cedere poi umilmente « sino a la chiesa dei santi Ubaldo,
« Giovanni, Maria Vergine e Catarina ».

Rub. XXVII. — Delli pegni da darsi e della pena di quelli che
non li daranno.

« Statuimo acció li capitani di dett'arte o alcuno di loro
dalli huomini che esercitano dett'arte siino obbediti e per
evidente necessità e comodo di dett'arte, et ordiniamo che
ogni volta dalli capitani predetti o da alcuno di loro sarà
dato mandato, o licenza civile, o criminale, ad alcuno balio
per far pegno, hauta licentia da essi o da alcuno di loro
| scritta per mano di notaro andarà a pegnorare alcuno che
eserciti dett'arte, allora quello o quelli da pegnorarsi incon-

E
DI ALCUNI STATUTI, ECC.

tanente siano tenuti e devino assegnarli a darli pegno suffi-
ciente et idoneo. Il qual pegno da torsi detto balio, deve

domandarlo senza alcuna: contradizione controversia o ma-:

lizia. E chi contrafarà paghi in nome di pena o bando, senza
alcuna condannazione o scrittura ‘al camarlengo di dett’arte
subbito da dieci soldi fino a quaranta romani. E come a detti
capitanei o ad alcuno di essi pararà espostone alli predetti
querela come si conviene. E chi dell’arte sarà pegnorato per
occasione della colta, condennatione, del bando, o del pre-
cetto impostogli, ovvero per altra causa a requisitione delli
capitani, o alcuno di essi, o per il loro officio da esercitarsi
siano tenuti, e devino il pegno tolto farlo riscuotere fra cinque
giorni prossimi dal giorno nel quale fu esso pegno preso,
sotto pena di dieci soldi romani. La qual pena subito si paghi
al camarlengo dell’arte senza alcuna condannazione e con
perdita del pegno, qual termine passato che sarà si possa
liberamente vendere detto pegno. Della qual pena la terza
parte sia del Comune di Gubbio, l’altra terza di dett'arte, ed
il resto di detti capitani ».

Rub. XXVIII.

« A ciò che li furti e le cose mal tolte e le fraudi in
dett'arte cessino nellavvenire, statuimo et ordinamo che
nessuna persona di qualsivoglia conditione ardischi ovvero
presuma pegnorare ed in pegno dare o pigliare o far -pi-
gliare pelli, cuoi, schiene, cambiere, scarpette, suoli ed altre
cose simili appartenenti a dett'arte di calzoleria e della
propria arte senza licenza delli capitani o di alcuno di loro.
Che se alcuno contrafarà si nel dare come nel pigliare, siano
condannati dalli detti capitani o da alcuno di loro da XL
soldi romani, insino a cento come a loro gli parerà conve-
nirsi, havuto riguardo a la qualità del delitto e delle per-
sone. E se alli detti capitani che saranno per tempo, gli
parerà dimandare l'ajuto del maggiore offitiale, siano tenuti
326 T. CUTURI

e devino, avanti il Signor podestà o capitano del popolo de
la città di Gubbio, darne querela, ed il podestà, capitano,
od alcuno di loro, avanti del quale sarà data la querela, alla
dimanda di detti capitani od alcuno di loro, sia tenuto e
deva punire i detti delinquenti e condannarli siccome com-
porterà la qualità del negozio. Inoltre detto signor podestà
o capitano del popolo de la città di Gubbio sia tenuto e
deva a detti capitani o alcuno di loro, per esercitare il loro
officio, dargli ajuto consiglio e favore, quante volte saranno
dimandati e a detti capitani parerà necessario. Della qual
condannatione la terza parte sia del comune di (Gubbio,
l'altra terza di dett' arte, ed il resto dei capitani di dett'arte ».

Rub. XXIX. — Della pena di quelli che conciano nel modo in-
frascritto.

« A ciò li conciatori levino le malitie statuimo col pre-
sente capitolo ed ordinamo che nessun conciatore di dett’arte,
né alcun altro in una concia possi né deva. conciare o far
conciare da sei cuoi e da trenta pelli in giù. Chi contrafarà
per li detti capitani di dett'arte sotto vincolo di giuramento
debbino condannarli di fatto in XL soldi romani. E delle
cose predette detti capitani o alcuno di loro, ciascun mese
del loro officio siano tenuti e devino cercare ed i colpevoli
punirli e de fatto la condannazione riscuotere come meglio
gli parerà. Della qual condannatione la terza parte sia del
comune di Gubbio e l’altra terza parte sia di detta arte e
il resto di detti capitani ».

Avvenivano aspri litigi pei luoghi da occupare il sabato sulla
piazza grande del mercato, onde la

Rub. XXX. — Che li capitani siano tenuti dare i luoghi alli
huomini di dett/ arte il sabbato mella piazza del comune di
Gubbio.
« A ciò cessino le liti e clamori per li luoghi con il pre-
sente capitolo statuimo cho li capitani di dett’ arte che sa-

—— m Dese.
DI ALCUNI STATUTI, *ECC. 321

fanno per tempo, e ciascuno dalla parte sua, siano tenuti e
devino in ciascun sabbato dare ed assegnare i luoghi nella
piazza di Gubbio alli calzolari ed huomini dell'arte che vor-
ranno vendere le loro scarpe in detta piazza com'é solito.
Nessuno poi di dett'arte ardisca o presuma pigliare il luogo
d'altri sotto pena di V soldi romani. La quale pena da detti
capitani o da alcuno di loro de fatto e subbito si riscuota
senza scrittura alcuna ».

Rub. XXXI. — Della pena di quelli che, non sottoposti all'arte,

operaranno scarpe di corame di quella.

« Per evidente utilità e commodo di dett'arte, statuimo
ed ordiniamo che nessuno di dett'arte ardisca ne presuma
fare oyvero far fare alcuna sorta di scarpe o suoli da alcuna
persona che non sia di dett'arte di corami, o suoli a tali
non soggetti a dett'arte se detti cuoi schiene o suoli non
sono bollati con il bollo di dett'arte o di alcuno capitano di
quella, quali si debbino bollare a chi dimandarà, e chi con-
trafarà sia punito e condannato da detti capitani o da al-
cuno di loro in soldi X romani. Con questo aggiunto che
ciascuno dell'arte al quale verrà nelle mani alcun cuojo o
schiena non bollata, sotto vincolo di giuramento e sotto pena
di X soldi romani sia tenuto e deva presentare avanti detti

capitani o aleuno di loro quel che gli pervenirà alle mani

non bollato fra il secondo giorno prossimo da assegnarseli,
la qual pena da detti capitani o alcuno di loro subito si ri-
scuota. Della qual pena la III parte sia del Comune di Gubbio,
l'altra terza di detta arte ed il resto dei detti Capitani ».

St fecero alcune innovazioni sull'ammissione al arte e sulla
conseguente inscrizione nella matricola e sugli obblighi che ne

provenivano, ma sono di poco momento com'è evidente dalla
y , [ 1
328 T. CUTURI

Rub. XXXII. — Che nessuno possi esercitare dett'arte se prima
non haverà giurato e fattosi scrivere come si dirà.

« Quelli che vorranno fare l'arte della calzolaria a suo
tempo nella città e contado di Gubbio, devono ubbidire come
si conviene, alli capitani di dett'arte. Circa la qual cosa ordi-
niamo che nessuno della città o contado di Gubbio ardischi
o presuma far esercitare o esercitare dett'arte di calzolaria
se prima, avanti i capitani di dett'arte o maggior parte de’
consiglieri che saranno per tempo non giureranno per mano
di notaro di esercitare o fare esercitare dett’ arte con buona
fede, senza fraude e di ubbidire li capitani de l’arte, pagare
l'imposta e fare quel tutto che dispongono li capitoli di que-
sto breve sotto pena di quaranta soldi romani; la qual pena
a ciascun contrafaciente si possi torre cioè riscuotere subbito
dalli capitani o aleuno di loro che saranno per tempo senza
scrittura alcuna, con questo che quelli che fanno dett' arte
nel contado di Gubbio tre miglia lontano da la città debbino
portare i doppieri o facole nelle feste con gli altri di det-
t'arte >.

Pur troppo si nota la tendenza ad aumentare il numero

delle feste imponendo a tutti U obbligo di tener chiuse le botteghe.
Rub. XXXIII. — De le feste da quardarsi.

« Ringraziando el S. D. N. e la santissima vergine Maria
col mezzo loro possiamo santificare le feste, perchè gli artefici,
col mezzo de’ suoi santi, vadino di bene in meglio, statuimo
ed ordiniamo che tutti dell'arte siano tenuti e devino guar-
dare e far guardare dalli loro manefattori, con le botteghe
serrate, tutte le feste infrascritte, e cioè:

Natale del Signore con tre feste ed ottava.
l'epifania del Signore.
tutte le domeniche.
DI ALCUNI STATUTI, ECC.

li quattro dottori.
li SS. Giovan Battista, Mariano, Giacomo ed Ubaldo.
S. Benedetto abbate.
Il venerdi Santo.

La pasqua di ressurrezione con li doi giorni seguenti.
S. Gregorio.
S. Michele arcangelo. Bi
La Pasqua rosa con le doi feste. AM
S. Anna. E
S. Francesco.
S. Maria Madalena. i
: S. Martino Vescovo. |
1 Le quattro feste della Madonna.

i Tutte le feste delli apostoli ed evangelisti.
3 S. Antonio abbate.



CE Mr e t

de

d SP.

S. Agnese. bh |
S. Ercolano.

3 S. Pietro martire.
S. Vilano vescovo.
L/'ascensione. t
Il Corpus domini.

re

S. Lorenzo.

S.ta Margherita.

La festa di tutti li santi col giorno seguente.
S. Catarina.

S. Nicolò vescovo.

5. Barbara vergine i dm
5. Lucia vergine. » "m

Rub. XXXIV. — Di alcune cose da osservarsi nelli sabbati da
detti uomini.

« Perchè spesse volte nelli giorni di sabbato accadono le
feste solenni col presente capitolo statuimo et ordinamo che
nessuno di dett'arte ardischa o presuma andare o stare nella
T.

CU'TURI

piazza di Gubbio a vendere le loro scarpe e far mercanzia
di sabbato quando in detto giorno sarà alcuna festa solenne,
delle infrascritte cioè la natività del signore con l’ottava,
l'Epifania, la Nunziata, l'assunzione della madonna, le feste
delli apostoli, S. Giovan Battista, S. Ubaldo, e la festa di
tutti i santi. Negli altri giorni di sabbato quando si va in
piazza, inteso il suono della campana di S. Francesco a hora
di sera, siino tenuti incontinente con tutte le loro robbe ed
arnesi partire da detta piazza, e ciascheduno di dett'arte
incontinente, intesa la detta campana ad hora di sera, cia-
schedun sabato, sia tenuto e deva riporre tutti li suoi ar-
nesi, che ha in banco o in pertica, fuori della sua bottega,
e detta bottega serarla e non lavorare né far lavorare.

E chi contrafarà in alcuna de le predette cose, dalli
detti capitani o alcuno di loro senza scrittura e subito sia
condannato in dieci soldi romani e li predetti capitani o al-
cuno di loro siano tenuti in ciaschedun sabbato fare cercare
per la città e borghi, e quelli che saranno trovati colpevoli
condannarli in detta pena ».

Rub. XXXV. — Della pena che incorrono li capitani non os-

servando li capitoli del breve e del loro salario.

« A ciò l'arte e ciascun artefice di quella con meglio
comodità si conservi statuimo et ordinamo che tutti li capi-
tani presenti e futuri siino tenuti, possino et devino procedere
contro li trasgressori per via d'inquisitione, e, ritrovati li
colpevoli condannarli e punirli subito in pena o pene come
nelli capitoli sopra detti et infrascritti. Che se alcun capitano
sarà negligente in aleuna de le dette cose sia punito da li
successori o da alcuno di loro de fatto in cento soldi romani,
e de facto venghino al camerlengo dell'arte. Della qual
pena la terza parte sia del comune di Gubbio, l'altra di
dett'arte ed il resto di detti capitani. Quali debbino havere
dal camarlengo di dett'arte per loro salario soldi XX ro-
DI

DI ALCUNI STATUTI, ECC. 331

mani per ciascheduno, quali detto camerlengo sia tenuto
pagarli de qualsivoglia denaro dell’arte. E questo capitolo

vogliamo si osservi inviolabilmente ».
Rub. XXXVI. — Della colta da imporsi.

« Sapendo che il salario dovuto alli offiziali secondo la
forma de’ capitoli si deve pagare con le altre spese che bi-
sognaranno farsi alla giornata da detti huomini, e sapendo
noi che non si possono pagare se non si mette la colta sut-
ficiente, perciò statuimo ed ordiniamo che li capitani pre-
senti con li loro consiglieri o maggior parte di quelli e così
gli altri che saranno per tempo successivamente, visto i sa-
lari di ciascheduno e spese fatte nel tempo del loro officio,
nell'ultimo mese e dell’anno, come meglio gli parerà possino
alli maestri ed uomini di dett'arte mettere la colta e quella
riscuotere e farla riscuotere come meglio gli parerà. La
quale imposta o colta debbino farla bandire dalli trombetti
di Gubbio a ciò tutti lo sappino e a far ciò debbino asse-
gnarli dieci giorni perentori e faccino pagare la pena dupli-
cata a quelli che non vorranno pagare fra detto tempo al
camarlengo di dett’ arte. E quando a detti maestri si farà
pagare sei denari li detti maestri ne faccino pagare tre alli
garzoni e quattro alli garzoni di conciatori. E quando glie
ne toccarà otto, allora alli garzoni quattro et alli garzoni
de’ conciatori sei denari romani, e così si debba procedere
nelle maggiori o minori somme e colte quali somme e colte

si faccino pagare come sopra. Li maestri però per li loro:

garzoni si sforzino e se saranno negligenti ritenerli il pagato
nel loro salario e quelli mandarli via da la loro bottega e
non darli più da lavorare come anco di levarli da l'arte. E
chi contrafarà caschi subbito subbito in pena dello spergiuro,
e dalli capitani o alcuno di loro di fatto sia punito e con-
dannato in X soldi romani, e così nell'avvenire si osservi
nel metter la colta ed imposta, la quale non si possi imporre
332 Ti OUTURI

se non una volta in sei mesi, e se altrimenti si farà, non
valghi in modo alcuno ».

Rub. XXXVII. — Che li capitani dell’ arte procurino che li
. denari e robbe di quella vadino nelle mani del camerlengo,
e debbino render conto di quello haveranno amministrato

nel loro officio.

« Essendo giusto e conveniente che li denari e robbe
di dett' arte vadino in mano del Camarlengo, perciò statuimo
ed ordinamo che tutti e singoli di dett’ arte e li capitani o
alcuni di loro, che saranno per tempo siano tenuti e devino
sotto vincolo di giuramento tutti li beni, condennazioni e
denari che riscuoteranno o faranno riscuotere, ordinare che
il camarlengo li metta al libro dell’ entrate, e li pegni e
robbe prese per occasione dell’ officio, infra tre giorni pros-
simi farle consegnare al camarlengo, e nel fine del loro
officio siano tenuti ciascuno di loro, fra un mese prossimo
avanti li novi capitani successori render tutto quello che
sarà venuto alle loro mani durante il loro ufficio, e fatti li

conti se alcuno si trovarà havere a restituire niente a detta

arte, fra cinque giorni prossimi debbino tutto ciò haver re-
stituito al Camarlengo che sarà per tempo. E che li capi-
tani novi sotto vincolo di giuramento debbino forzare li vec-
chi ed anco il Camarlengo a far la sopradetta cosa. Che se
li capitani vecchi non facessero restituire, come si è detto,
de facto dalli capitani novi, siino puniti senza mettere penna

in carta, in cento soldi romani per ciascuno. E se detti ca-

pitani saranno negligenti in eseguir ciò, dalli successori o
alcuno di loro siano puniti con la detta pena. La terza parte
sia del comune di Gubbio, l’ altra terza dell’ arte e il resto
delli capitani condennanti ».

Tali sono gli ordinamenti dell’arte fino alla seconda metà
del secolo XV. Nuove riforme furono deliberate nell'adunanza
del 30 Marzo 1495 (pag. 94 del Codice). Anzi tutto fu modi-
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 333

ficata la Rub. XXXIII diminuendo i giorni festivi e fu im-
posto di seguire lo statuto del comune ed i decreti dioce-
sani. Fu proibito di ricusare gli offici dell’ arte.

Fu imposto che i capitani ed i consiglieri, nell’ en-
« trare in officio, dovessero subito eleggere « doi discreti
« maestri de l’arte presenti deputati per sindacatori, cioè
« uno per la parte di ponente l'altro di levante, quali hab-
« bino piena autorità di giudicare e condannare i delinquenti
« e negligenti uffiziali passati fino a XL soldi e più o meno
« come gli piacerà, purchè non passino L ‘soldi e li detti de-
« linquenti e condennati si scrivino dal notaro de l'arte, e
«li capitani novi mandino in esecutione la condannatione
« de facto, qual pena vada in mano del Camarlengo rice-
« vente per l'arte e la riscossione tocchi alli capitani novi ».

Regolarono l'ispezione delle concie per sapere quante
e quali pelli ivi si conciassero. Imposero di pulire i calci-
nari almeno una volta il mese (pag. 98 del Cod).

Il 5 sett. 1538 da Elisabetta Gonzaga, duchessa d’ Ur-
bino, i maestri dell'arte ottennero che non fosse esportato
il catollo « perchè s’ adoperava in buona quantità per con-
« ciare il corame grosso e peloso, e l’arte ne pativa ca-
« restia perchè molto ne andava fuori » (Pag. 99 del Cod).

Nell'adunanza del 15 febbrajo 1568 i maestri « vedendo
le cose de l'arte andare in peggio, proposero si riformasse
il breve, per essere molto antico e per la longezza del
tempo molte cose scritte in esso non in osservanza e molte
hanno bisogno di riforma, e che, perció, saria molto a pro-
posito di aggiungere al detto breve alcune cose per utile
e beneficio de l'arte che si convengono e si adattano al
tempo d'oggi e poi di fare autenticare il breve dal sere-
nissimo Signor Duca nostro signore, ed anco da la magni-
fica comunità di questa città per maggior fermezza del breve
e mantenimento dell'arte nostra ».

Fu data prima autorità e balia ai capitani ed a quattro
maestri dell'arte (pag. 108 del Cod.) con l'intervento del Ca-

93
384 i T. CUTURI

merlengo, « i quali, invocata primieramente in ajuto la grazia
.< de lo spirito santo, dalla quale i figli di Dio sono retti e
« governati, dopo lungo discorso e con maturo consiglio,
« deliberarono:

I. — Ridurre ad otto i consiglieri, cioè quattro per la.
parte di levante e quattro per quella di ponente.

II. — Dar facoltà ai consiglieri di eleggere « due man-
« tenitori, maestri de l'arte per il governo della casa de l'arte
« predetta, che siano buoni e sufficienti in tal cura e go-
« verno, cioè uno per la parte di levante, e l'altro per quella
« di ponente il quale officio duri un anno intiero e non si
« possi ricusare sotto pena di V scudi d’oro per ciascuno ».

III. — Fu rimesso ai consiglieri, dopo l'elezione dei man-
tenitori, di scegliere « un sindico per la casa di detta arte
« il quale sia idoneo a detto offitio, nel quale duri un anno
intero ». L'officio di lui si riferiva, in particolar modo, al
sindacato sull’ azienda patrimoniale della corporazione, e
come allora dicevano, de la casa de l'arte, e, in particolar
modo, « circa le venditioni e permutationi compre, e ponere
ovvero levare lavoratori nelli poderi, arboreti, e campi
della casa ». Egli doveva in tutti i provvedimenti sentire
i due mantenitori, e qualora si fosse con loro trovato in di-
saccordo, doveva rimettersene ai consiglieri dell'arte (pag. 114
a 117 del Codice). :

IV. — Fu imposta una multa ai maestri che non anda-
vano alle adunanze.

V. — Fu imposto il piü rigoroso rispetto ai capitani.

VI. — Fu rinnovato l'obbligo di assistere alle luminarie

in alcune feste religiose.

VIL — Fu pure rinnovato severamente il precetto di
intervenire alle esequie « che si fanno ordinariamente per
l'anime de’ morti dell'arte ».

VIII — Furono aggravate le pene contro coloro che
in piazza avessero preso altro luogo di quello indicato dai
. DI ALCUNI STATUTI, ECC. 935

capitani. (Si richiama la Rub. XXX del breve. La pena fu
elevata a cinque grossi, pag. 122 del Codice).

. 1X. — Rinnovato pure il divieto ad ogni maestro di
prendere garzoni o lavoranti che si fossero partiti arbitra-
riamente da un'altra bottega, (Ivi, pag. 123) se prima non
avessero eseguiti tutti gli obblighi loro col maestro. Anzi se
al nuovo maestro fosse stato notificato che il garzone era
in debito, doveva subito licenziarlo, altrimenti, a titolo di
multa, doveva pagare il debito di lui.

X. — Ogni maestro fu lasciato libero di osservare, o
no, le prescrizioni del breve quanto all'ora del chiuder bot-
tega il sabato, e di lavorare dopo il vespro.

XI. — Fu impedito a chiunque di vendere pellami fuori
delle porte della città.

XII. — Fu impedito di esportare dal territorio del co-
mune pelli non conciate (ivi pag. 127).

XIII. — Proibito al conciatore e al calzolajo « di met-
tere a mollo pelle o cuoi se prima non haverà levata la
bolletta dalli capitani che saranno per tempo e giurato che
il corame sia suo »: sotto pena di due scudi « da applicarsi
per un terzo alla camera di S. A. serenissima, l'altro terzo
all'arte, e l'altro all'uffiziale che farà effettualmente 1’ ese-
cutione ».

—. XIV. — Per conciare le pelli ed i cuoi dovevano essere
pagati al camerlengo tre denari per cuojo e !/, denaro per
pelle (üvé-pag. 129).

XV. — Fu confermata la Rub. XVII del breve sull'ob-
bligo dei conciatori d'essere inscriti alla matricola e d' eser-
citare l'arte bene e in buona fede, senza frode alcuna. E fu
proibito di trarre argomento da qualsiasi altra deliberazione
per giustificare qualunque violazione dei doveri imposti nel

. breve.

XVI. — Si confermarono antiche regole sulla buona con-
ciatura delle pelli, e fu lasciato al prudente arbitrio dei ca-
pitani di provvedere nel modo migliore.

reati —— in ecs)

,

Sg — pei
ir
m.

ki

T È

citi

Te =_=

336 T. CUTURI

« Item, essendo che per li capitoli del breve si dispone
che non si possa lavorare corame asinino e che non si
possino mettere a mollo li cuoi di qualsivoglia sorte se
prima non sono stati sei mesi sulla stanza a sciugarsi e
sei mesi nel concime, e ricordandosi che per la mancanza
non si possono puntualmente osservare li detti capitoli,
però rimettiamo allarbitrio di detti capitani che saranno
per tempo che possino e debbino sopra ció fare quelle
provvisioni che a loro pareranno secondo la qualità de'
tempi > (vi pag. 131 e 132).

XVII. — Fu tolto ogni dubbio sulla giurisdizione de’ ca-
pitani, anche nei castelli e nelle ville del territorio del co-
mune, sulle vertenze fra gli inscritti nel breve e secondo le
disposizioni di esso (V. sopra, Rub. XXII e XXV), e fu impo-
sto ai maestri dimoranti nella campagna, nelle ville e nei
castelli, « di venire, per cose pertinenti a l'arte a raggione
a Gubbio avanti ai capitani de l'arte ».

XVIII. — Fu pure loro imposto di venire personalmente
a Gubbio due volte l'anno, e cioè a metà d'Aprile ed a metà
d'Ottobre per pagare le imposte o collette dell'arte (vi, pa-
gina 133).

XIX. — Furono obbligati 2? mantenitori di visitare il so-
cio infermo, « ed essendo povero, sovvenirlo di quello della
cassa in detta malattia ». E fu pure rinnovato per tutti i
maestri l'obbligo di accompagnare i morti alla sepoltura e
di recitare alcune preci ($vi pag. 134 e 135).

« Item che li molto illustrissimi signori locotenente, con-
falonerio, potestà et altri offitiali della città e contado di
Gubbio che sono e saranno per l'avvenire, siano tenuti e
devino con effetto dare e prestare alli capitani ed altri uf-
fiziali de l’arte predetta ed a ciascuno di essi ad ogni loro
richiesta ajuto consiglio e favore durante il loro uffitio sotto
la pena che si contiene nelli statuti della città ». E questa
deliberazione presentata al duca fu approvata con rescritto
del 10 Aprile 1568 dato da Pesaro.
4
i

‘Che trascriviamo dal folio 140 del breve.

DI ALCUNI STATUTI, ECC. 337

XXI. — Fu confermato il divieto di esportare cuojo
conciato, se prima l'arte non ne fosse provveduta. Il duca con
ordinanza, registrata nel Ubro delle riforme del 1561 aveva
già concesso che le precedenti disposizioni statutarie fossero
fatte osservare dagli officiali del comune, e di nuovo prov-
vide con rescritto del 25 Giugno 1574. « E perchè ci pare
agionevole che la città resti provvista di quelle cose che
in quella si fanno, prima che siano cavate e portate in
altro luogo, perciò vogliamo che li caligari di questa città
e l'altre persone non possino cavare da essa sotto pena
di contrabbando, alcuna sorta di corami se prima non ha-
veranno offerta alli capitani de’ calzolari della città per
il prezzo honesto ed aspettato la risposta e risolutione per
otto giorni, e trovandosi qualche calzolaro che li voglia
comprare o tutti o parte, il galigaro o altro padrone delli
corami sia tenuto darglili per il prezzo conveniente da
essere dichiarato in caso che il galigaro o altro con il
calzolajo non fosse d'accordo, da doi periti da essere eletti
dal magistrato della città, di anno in anno, a ció che il
prezzo possi essere senza altra difficoltà dichiarato. E non
si trovando chi li voglia, passati li detti otto giorni, il gali-
garo o altro, possa, secondo il solito, cavar fuori de la città
li detti corami ».

XXII. — Fu mantenuto il divieto del vendere e del
comprar pelli fuori della cinta della città, e tal divieto fu
confermato da ordinanza ducale del 25 Febbr. 1575 (pag. 146
a 149 del Cod.).

XXIII. — Rinnovato il divieto d'esportare il catollo
(pag. 139 del Cod.).
XXIV. — Proibito severamente a chi non fosse inscritto

nel breve di far concia di pelli, o di conciarne in qualsiasi
modo.

Questi capitoli furono pubblicati dai banditori del Co-
mune e furono approvati dal Duca, con la formula seguente

,

22, P
SIE II dv LIE ig

-i

dade
Pre

WT

a. 3

T',

CUTURI

« Supradicta omnia et singula capitula in fine, et cu-
juslibet scriptum apparet, confirmamus et approbamus
« donec nobis placuerit, quatenus sacris canonibus et nostris
« decretis non contrarientur.
« Franciscus Maria Dux. Pisauri die 25 Februarii 1575.
GASPAR LOTTUS
ALEXANDER MARSILIUS ».

Un'ordinanza del luogotenente di Gubbio dell'8 Gennajo
1575 aveva esonerato i conciapelli dalla tassa imposta per
l’erario ducale (pag. 142 del Cod.), e il duca stesso confermò
l'esenzione con sua ordinanza al luogotenente di Gubbio
comprendente esenzioni per altre corporazioni d'arte. Ecco
il documento che fu trascritto a pag. 145 nel Codice che
esaminiamo.

Luogotenente,

Noi continuamo sempre ne la bona volontà di fare
ogni cosa che possiamo per bene et ajuto di quella nostra
città tutta, e vedendo quanto ha desiderato che si rimet-
tesse l’arte de la lana, il pagamento de’ panni e come ha
riconosciuto gratamente la suspensione di esso, e di quel-
l’altro datio de’ porci fatto alli giorni passati, ci siamo ri-
soluti, non guardando a nessun nostro bisogno e neces-
sità, di rivocare in tutto non solo questo datio de panni
e dé. porci, ma anco di più él pagamento imposto sopra le
pelli che si conciano: e così, per questa nostra, li revochiamo
e dichiariamo che, per l' avvenire, si habbino per revocati
e levati via. Farete sapere questa nostra risoluzione alla
comunità delli mercanti, dalla quale tanto più si accerte-
‘anno dell’ animo nostro verso loro, rendendosi certi che
sì come hanno veduto e vedono sempre, come gli è stato
detto, effetti del buon animo e dell'amore che li portiamo,
così siamo per vedere noi all'incontro ogni buona demo-
strazione di vera e ferma fede e di sincero amore verso
noi, come sono stati ed hanno fatto sempre professione.
DI ALCUNI STATUTI, ECC. È È 339

Fate pubblicare questa concessione e registrare come
gli altri ordini nostri, a ciò possa sempre apparire, e co-
mandate che si eseguisca e state sano (1). s

Di Pesaro a di 19 Gennaio 1573.

GIDOBALDO ».

Altre riforme dello statuto ed alcune aggiunte furono .
deliberate il 4 Giugno 1589. |

Adunata, come di solito l’arte, « fu proposto dalli capi-
tani che saria bene per l' avvenire che li mantenitori e sin-
dico non possino vendere, comprare, permutare, levare e
porre lavoratori senza licenza del consiglio. Il che messo
a bossolo e pallotte fu ottenuto ».

« Item, sotto il di medesimo fu proposto dalli medemi
capitani, che sarebbe di bisogno di fare di novo alcuni ca-
pitoli e decreti, massime intorno alle lane che li conciatori
fanno e cavano dalle pelli ed alcune altre cose, per.il che
bisognerebbe fare alcune spese. Per accordo, a voce viva,
fu risoluto. Fu inoltre deliberato che nessuno de l arte po-
tesse nè in città, nè in contado comprare scarpe per riven-
derle. Item fu risoluto di fare alquanti capitoli molto utili e
necessari alla dett'arte, il tenore dei quali è come qui sotto: .

I. — Obbligar gli uomini dell’arte ad udire messa can-
tata nella cappella dell’arte in S. Francesco la seconda do-
menica. d'ogni mese.

II. — Osservare con solennità la festa de’ S.S. Crispino
e Crispignano.

III. — Eleggere due visitatori quando si provvede agli
altri officiali «i quali debbano visitare tutti li poveri infermi
dell'arte ed a quelli far dare dalli mantenidori quello che
giudicheranno essere necessario, purché non ecceda la somma
di grossi cinque per settimana e per ciascheduno. infermo:
ordinando che li mantenidori siano tenuti accettare le bul-

(1) L'ordinanza é di Guidobaldo II che mori l'anno dopo cioé nel 1574.
5 z T

340 T.. OUTURI

lette delli detti visitatori ed eseguire quanto da loro o da
uno di essi in ció sarà ordinato, sotto pena, per la prima
volta, di grossi cinque, la seconda uno scudo, d'applicarsi a
beneficio de' poveri e distribuirsi fra loro a beneplacito di
detti visitatori, e la III volta, della privazione dell' uffizio
(pag. 159 del Cod.) ».

IV. — Che s'eleggano due sagrestani per curare la cap-
pella ed il culto « e stribuire a loro volontà tutti li denari
che entrano in detta cappella tanto per quanto per limosine
o per qualsivoglia altro modo, e del tutto tenere e rendere
buon conto al fine dell'officio loro ». (Ivi pag. 160 e 161).

V. — Imposto ai mantenidori di ricevere su regolare in-
ventario dai loro antecessori « li libri, scritture, denari
erano, vino, frutti, massaritie e mobili d'ogni sorte e, final-
mente, ogni altra cosa e tutte le robbe della casa e, nel
modo istesso farne consegna ai successori ».

VI. — Quando s'eleggevano gli offiziali, eleggere pure
« doi sindacatori o revisori ai quali, insieme con li capitani,
gli offiziali e ministri vecchi siano obbligati rendere minuto
e buon conto delle cose da loro fatte ed amministrate du-
rante il loro uffizio ».

VII. — « Ordinamo che li mantenidori siano obbligati,
durante il loro uffizio, riscuotere et haver riscosso qualsi-
voglia cosa che havessero data in credenza a chiunque sia,
altrimente siano tenuti et obbligati a pagarla del loro proprio,
subito, senza dilatione alcuna nel rassegnare dell’ offitio loro ».

VIII. — « E perchè l'esperienza insegna che l'autorità
altre volte concessa alli mantenidori e sindico dell'arte di
poter comprare e vendere permutare i beni de la casa, mu-
tare i lavoratori, ritorna a danno de la casa, però, in rimedio
di tale inconveniente, statuimo et ordinamo che per l’avve-
nire a detti mantenidori e sindico non sia lecito vendere,
comprare, permutare, o, in qualsivoglia altro modo, alienare
li beni de la casa, né mutare lavoratori o casenghi, nè fa-
bricare in detti beni senza espresso consenso e licenza del
SELLER

DI ALCUNI STATUTI, ECC. 341

conseglio, e contrafacendo, sia nullo e di nessun valore tutto
quello che faranno e vada a spesa ed a conto loro proprio.
Possino però spendere nelli bisogni et occorrenze per nian-
tenere le case, restaurarle, fino alla somma di V scudi e
non più senz’ altra licenza e consenso ».

Provveduto così sull’ esperienza ad un organico ordina-
mento dell’ amministrazione del patrimonio dell’ arte, ridotti
gli economi o mantenitori ai soli offiei dell’ ordinaria ge-
stione, e data al Consiglio, con l’ajuto dei sindacatori, l au-
torità direttiva e sindacatrice, fu possibile estendere e ren-
dere più efficaci i soccorsi alle famiglie dei soci. Così l'11
Luglio 1593 in una solenne adunanza i maestri dell’arte de-
liberarono: « che ogni anno, per l’avvenire, dell'entrate de
la casa si cavino scudi C da darsi a quattro zitelle honeste
e figliole sorelle o nepoti discendenti da maschi descritti
nell’arte da maritarsi o monacarsi, talmente che quelle che
saranno maritate li loro mariti devino assicurare la casa
che, se moriranno senza figliuoli, la casa predetta ricuperi la
dote sudetta. E se avverrà che se ne maritassero più di dette
quattro zitelle in detto anno e non havessero cosa alcuna
da detta casa, nel presente partito venghino comprese le fi-
gliuole di Orsello Orselli da Gubbio (pag. 91 del Cod.) ».

In altre successive dichiarazioni seguendo i principii d’or-
dine morale affermati ne’ loro statuti, e sull'esercizio onesto
dell’ arte, e sulla lealtà della concorrenza, e sull'assistenza ai
compagni infermi o bisognosi, e sull’onoranze ai defunti, e sul
rispetto ai principii religiosi, aggiunsero quest'altra afferma-
zione sulla notoria onestà delle fanciulle che in tal modo dove-
rano essere soccorse. « Con dichiaratione ancora, a ciò que-
Sta carità non si converta in abuso ed in danno de le per-
sone meritevoli, che non possa concedersi a dette figliuole
se non fossero honeste, di buona vita e fama: nel che ordi-
niamo si habbia particolare cura ».

Seguono nel breve le approvazioni ducali, l’ultima delle
quali è del 20 febbrajo 1611.

-—

m. Lt oA

E SIA DE

he

MS ER
RL 8 SII de I 'T. CUTURI

Nell'anno seguente e, precisamente, il 1 Decembre 1612,
il Duca confermando precedenti esenzioni in favor della casà
de’ calzolari, concede pur quella dalla tassa del grano e del
vino per la quantità di 2 fiorini e 10 carlini. Per il di più
i fratelli di detta casa dovevano pagare come tutti gli altri.
Il documento ha la forma di lettera al luogotenente, datata
da Casteldurante e controfirmata da Francesco Belluzi.

Tali ordinamenti, con queste riforme, furono in vigore
fino al secolo XVIII. Ma, allora, riconoscendosi che non tutte
le disposizioni si adattavano alle condizioni della corpora-
zione, e che era necessario dar ordine ai capitoli, toglierne
il superfluo e farvi alcune aggiunte, nell’anno 1740 furono
deputati due maestri per correggere il breve e. procurarne
poi l'approvazione pontificia.

Lo statuto riformato, con i documenti che ad esso si
riferiscono, fu pubblicato in Roma nel 1741 nella stamperia
di Girolamo Mainardi unitamente ad alcuni nuovi capitoli
aggiunti nel 1740, ma è divenuto rarissimo.

— Osserviamo i caratteri principali di queste riforme.

Cap. I. — JDell' elezione de’ capitani e de' Consoli.

Fu mantenuta la forma antica dell’ elezione dei capitani
o consoli e dei consiglieri, e fu soltanto aggiunto che il ca-
pitano o console ed i quattro consiglieri della parte orientale
della città dovessero eleggere, per l'anno successivo, il ca-
pitano ed i quattro consiglieri di quella parte della città, e
così dovessero fare per l'altra, cioè per quella d'occidente,
il capitano ed i quattro consiglieri che ad essa appartene-
vano. Duravano tutti in offieio un anno, ma ogni capitano
o console aveva la rappresentanza e l' autorità dell'arte per
sei mesi. Erano rieleggibili e l'officio non si poteva ricusare.

Cap. Il. — Del giuramento de° nuovi capitani 0 consoli.

I capitani o consoli dovevano giurare il giorno stesso dell'e-
lezione, e il giuramento fu mantenuto secondo l'antico statuto.
DI ALCUNI STATUTI, ECC.

Cap. HI. — Dell’arbitrio o facoltà de’ capitani o consoli.

343,

I capitani rappresentano la corporazione e provvedono

a tutti gli interessi di essa « e possono per gravi urgenze
dimandare ed esigere i conti da ogni offiziale ancorchè fuori

de’ tempi determinati. Hanno il pieno e libero arbitrio so--

pra l'osservanza delle cose contenute nei capitoli come

se.

operasse tutta larte in corpo, e possono punire i colpevoli
e contravventori con quella pena o quelle pene che si tas-
sano ne’ luoghi proprii. Son tenuti a procedere contro i de-

linquenti per via d'inquisizione e per altra via che parrà

più spediente al lor giudizio e punirli sommariamente e

senza strepito o figura di giudizio. Di più possano i mede-

simi capitani, in vigore del loro uffizio, oltre le pene pre-

scritte ne' capitoli, procedere per ogni volta contro i delin-

quenti predetti, esigendo una pena arbitraria fino alla quan-

tità di bajocchi venti, ossia di pavoli due romani, peraltro

senza scrittura e senza condanna giudiziale ».
Rafforzata e accresciuta così l'autorità dei capitani,

stabilito che le multe andassero alla cassa dell’arte, e fu ri- .

fu

gorosamente proibito di tentare di sottrarsi alla giurisdizione

di detti capitani o consoli. -

« Nessuno dell’arte ardisca ricorrere ad altro giudizio
per alcun debito fatto o da farsi tra gli uomini de la me-
desima (arte) per ragione di artifizio o di qualsivoglia ma-

terià o mercanzia spettante all’arte, ma ognuno sia tenuto

ricorrere e produrre le querele avanti i medesimi capitani,

i quali per obbligo de la loro carica dovranno sommaria-

mente, senza memoriale o istanza, in giudizio udire il ricorso

e decidere tutte le cause o le quistioni con far pagare chi
sarà debitore in modo che, fra dieci giorni, habbino termi-
nate tutte le cause o vertenze che si produrranno avanti di
loro e niuno ardisca proporre eccezione o declinazione dal

giudizio de’ capitani, ne’, riclamando, siano ascoltati, ne’

sia

valida tal riclamazione; anzi, persistendo ostinati, siano con-

————— mutua € À— À7À 2 4 21

be

} 4 E , *
ad P Lr 3 as
"

944 T.- CUTURI

dannati da’ capitani alla pena di pavoli cinque da torseli
nella forma consueta ».

Cap. IV. — Delle obbligazioni dei capitani 0 consoli.

Ai capitani fu mantenuta l’autorità di mandare bandi
pel territorio di Gubbio, di ricevere denunzie da chiunque
e di punire i trasgressori alle disposizioni del breve, di più
fu loro imposto « di adunar l’arte nel primo mese dell’offi-
cio loro ed in essa congregatione proporre cosa sia in pia-
cimento di detta università di provvedere ordinare e stabi-
lire pel bene e pacifico stato dell'arte medesima, e, man-
cando in questo, siano puniti dai capitani successori in pena
di bajocchi trenta o vero di tre paoli romani, che dovranno
pagare del proprio e s'incorporeranno alla cassa dell'arte ».

In detta adunanza dovevano pure far leggere i capitoli
del breve perché « niuno possa allegare ignoranza di ció
che debbe sapere ».

Dovevano dar consegna e conto ai mantenitori della casa
delle entrate annue e di quanto fosse stato riscosso per con-
danna, e vigilare che li stessi mantenitori tenessero i conti
in ordine. Dovevano far consegnare al sindaco i pegni, nel
termine di tre giorni, e vigilare che fossero custoditi bene.

Quando uscivano d'ufficio dovevano dare la ragione dei
conti ai capitani nuovi nel termine di due mesi.

Cap. V. — Dell’ elezione, facoltà ed obbligazioni de Consiglieri.

I consiglieri s'eleggevano come prima e nello stesso
numero, e dovevano prestar giuramento, tutt’ al più, il giorno
dopo l'elezione. « Uniti insieme coi capitani abbiano tutta
la giurisdizione arbitrio e facoltà che ha tutta l' arte in corpo,
ne' suoi fatti e negozii, e possano per bene e vantaggio del-
l’arte ordinare deliberare e provvedere e stabilire tutte le
cose parranno al loro giudizio spedienti e profittevoli all’ arte

CERT
si ri colte x
ignore

DI ALCUNI STATUTI, ECC. 345

medesima. Potranno anche di piü fare e far fare tutte le
spese che saranno necessarie pel bene comune, e, perciò, si
comanda a' mantenitori dell'arte che saranno pro tempore
che ad istanza de’ capitani e conseglieri o della maggior
parte di essi debbano sborsare i denari che si troveranno
presso di loro ».

Cap. VI. — Dell’ elezione, autorità ed obbligazione del sindico.

Allelezione de' capitani e dei consiglieri doveva seguire
immediatamente quella del sindaco dell'arte, come per il
passato, e durava un anno in officio. Era eletto una volta
nella parte d'oriente e una volta nella parte d'occidente
delia città.

Doveva assistere alla stipulazione di tutti i contratti:
doveva provvedere per levare e mettere lavoratori ne' po-
deri e in altri terreni della casa, secondo il voto del Con-
siglio ed eseguendone le deliberazioni.

Doveva giurare nella forma consueta, di amministrare
fedelmente, di vigilare sui lavoratori e di curare la manu-
tenzione dei fabbricati.

Cap. VII. — Dell’elezione ed offizio de mantenitori.

Eletto il sindaco, i capitani ed i consiglieri dovevano
eleggere i due mantenitori, nel modo solito, uno per la parte
di oriente ed uno per quella di occidente. Dovevano essere
capaci, abili, e d’ età non inferiore a 25 anni. Dovevano ac-
cettare l’ officio sotto pena di cinque scudi d’oro. Fu aggiunto
che il consiglio poteva eleggere un vice mantenitore, pel
caso che alcun di loro fosse ammalato 0, comunque, impedito.

Fu poi notato che da molti anni era stata trascurata
l'osservanza della Rub. VI del breve e, cosi, tralasciata l'ele-
zione del camerlengo affidando l' officio di lui ai mantenitori.
S'impose loro di esercitarlo regolarmente e, in particolare,

,

he

Lodi ae a irt er II

3 Li
con la pena di bajocchi quindici per ogni volta, d’ applicarsi

346 T. CUTURI

fu loro commesso di « ricevere, tenere in custodia, e notare
in distinte partite tutte le cose della casa o consistano in
denari o in altre robbe comestibili: e siano tenuti, nel termine
di due giorni, d'incorporare tutte le dette robbe con l'altre
robbe dell'arte sotto pena del costo di esse. Similmente sa-
ranno tenuti registrare tutte le spese che faranno affinché
consti, in fin d' anno l’entrata e l'uscita ».

Fu ripetuto il divieto di fare spese senza una delibera-
zione del consiglio, altrimenti si doveva intendere che le
avessero fatte in proprio, e fu richiamata una deliberazione
del 4 Giugno 1589 per limitare l'iniziativa loro neile spese
al valore di cinque scudi « ne’ bisogni ed occorrenze per
mantenere le case e restaurarle » purchè i due mantenitori
fossero d'accordo, altrimenti dovevano rimettersene al con-
siglio anche in questo. caso.

Ai nuovi capitani ed ai revisori dovevano render conto
nel termine di due mesi dalla scadenza dell officio.

Essi dovevano ricevere tutti i beni dellarte regolar-

mente facendone riscontro sull'inventario, e nello stesso modo

dovevano riconsegnarli ai nuovi mantenitori.

E se cose dell'arte fossero, per qualsiasi ragione, presso
maestri o garzoni od altre persone, dovevano riprenderle
prima d'uscire d'officio, adoperandovi la massima diligenza.

Fu poi loro severamente rammentato « d'aver cura e
carità cristiana ai poveri infermi dell’ arte alla cura dei quali
anticamente si deputavano due visitatori, che, in oggi, non
si costumano piü, avvertendoli d'essere loro obbligo di an-
darli a visitare ed essendo poveri in tale stato che siano
privi e destituti d'ogni sussidio, somministrarli quello che
giudicheranno necessario purché non ecceda la somma di
bajocchi quindici per settimana a ciaschedun infermo, e, non
facendolo, siano gastigati da Iddio al quale dovranno rendere
strettissimo conto di ció, e siano anche puniti da i capitani
DI ALCUNI STATUTI, ECC. + 347

‘non come le altre pene ‘alla casa dell'arte, ma ai medesimi
infermi da loro defraudati della prescritta limosina ».
Cap. VIII: — Dell’ elezione ed offizio di sindicatori o. revisori

dei conti.

Quando il consiglio eleggeva gli officiali dell' arte doveva
pure provvedere a due sindacatori o revisori dei conti, scelti,
come al solito, uno della parte di levante e uno di ponente,
« uomini provetti d'età, di maturo consiglio e di approvata
eiustizia, e siano anche buoni maestri dell'arte periti e pra-
tici delli uffici dell' entrate e dell uscite e di ogni cosa con-
cernente l'arte medesima, e, quando non habbino le dette
qualità, sia nulla la loro elezione ».

Duravano nell officio un anno e non lo potevano ricu-
sare sotto pena di cinque scudi romani.

Jap. IX. —

In questo capitolo fu mantenuta l'elezione del sagrestano.

per aver cura della cappella dell’arte.

Cap. X. — Dell’elezione obbligazioni e salario del motaro del-

l’arte.

Fu confermato lo statuto quanto alla elezione di un pe-
rito e capace notaro eugubino dimorante nella città, e fu-
rono meglio determinati gli obblighi suoi. « Il medesimo no-
taro dovrà stipulare tutti gli stromenti dell’arte e fare tutte
quelle scritture le quali o per forza di legge o per consue-
tudine richiedono la mano del notaro, con invigilare che le
cose dell'arte vadano bene, particolarmente che con buon
ordine e regola si notino le partite dell'entrata e dell uscita,
‘a ciò che per ignoranza di qualche officiale non nasca con-

fusione e pregiudizio all’ interessi dell’arte. Di più sarà ob-
348 i T. CUTURI

bligato d'intervenire a tutte tre le processioni de l' arte, ed
a tutte l'adunanze o Consigli, con leggere la lista dei mae-
stri, descrivere quelli che si registrano o arruolano all'arte,
ed in somma far tutto ciò che parrà necessario ai capitani
all’ arbitrio dei quali si concede col presente capitolo di po-
ter rimuovere dall' uffizio il detto notaro e chiamare un altro,
quando conoscano che non adempia le parti del suo dovere
e non sia fedele al mantenimento e profitto dell'arte ». Il
salario fu fissato in una doppia di trenta paoli romani, ma
fu aggiunto: « se non si trovasse notaro per tal prezzo si
elegga tuttavia e si paghi, per ogni volta, a ragione de la
sua scrittura secondo lo stile de la città in cose simili.

Cap. XI. — Il messo o donzello o balio prende nome di man-
datario dell arte.

Viene eletto dai capitani per quel tempo che crederanno.
Deve portare ordini, fare comunicazioni verbali, e notificare
le citazioni.

Cap. XII. —

Mantenute le disposizioni statutarie in ordine alle feste
ed alle luminarie.

Cap. XII. —

Lo stesso per gli offici religiosi e pei funerali ai com-
pagni defunti.

Cop. XIV. —

Fu mantenuto l obbligo di sovvenire i poveri dell'arte,
e, Se ve ne fossero stati i mezzi, anche gli estranei.
Per le doti fu mantenuta la deliberazione dell 11 Lu-

a EASY,
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 349

glio 1593. Si dovevano cioè inscrivere nel bilancio 100 scudi
d’ Urbino, pari a 66 romani e 60 bajocchi. Il conferimento
delle doti doveva essere sospeso solo nel caso che l’arte fosse
in gravi condizioni finanziarie.

Cap. XV. —

Mantenuti gli obblighi d’intervenire alle adunanze e di
tenervi un contegno rispettoso verso i capitani, anzi lo sta-
tuto nuovo impone la modestia nel parlare.

Di più aggiunge che si scrivano i processi verbali dal
notaro dell’arte e che li capitani li conservino in buoni e or-
dinati registri. S'impone loro di tenere tutte le carte del-
l’arte diligentemente in ordine e chiuse nell’ archivio.

Cap. XVI. — De pegni da farsi da darsi e da riscuotersi.

Sembra che gli uomini dell’ arte fossero molto ostili
ai pignoramenti, e che i capitani difficilmente volessero as-
sumerne l'odiosità. Onde fu statuito che se fossero insorte
opposizioni al messo per riscuotere le tasse e le multe i ca-
pitani « rilascino subito il mandato scritto per mano del no-
taro dell'arte contro il debitore o debitori in mano del man-
datario e questo vada immediatamente ad eseguire la pegno-
ratione sotto pena di essere subito rimosso dall uffizio. Si
avvertono peró icapitani di non procedere precipitosamente
in tali pignorazioni e di avere riguardo tanto alla qualità del
delitto, quanto alla qualità delle persone, anzi del pacifico e
giusto successo dei pegni. Si ordina che oltre quelle cose che
non possano pegnorarsi secondo le leggi comuni, non si fac-
cia mai pegno di cose appartenenti all’ arte, come sarebbero
pelli, cuoi, suoli, scarpe e cose simili senza licenza espressa
di detti capitani, e se il mandatario eccederà i termini della
sua commissione sia nulla la pignorazione ed egli licenziato
subbito dall’ uffizio ».

5

RIE EIA ite, III

i
350 T. CUTURI

E Il pegno doveva essere riscattato. nel termine di cinque
a giorni, altrimenti, d'ordine dei capitani, era venduto dal szn-.
dico. Avvenuta la vendita «si riteneva quant' era necessario
al pagamento e il rimanente si restituiva al proprietario della
cosa, >».

Cap. XVII. — Dell’ Aggregazione all’ arte.

Anche il governo pontificio volle mantenere le antiche
disposizioni contro i possibili monopoli e perciò non furono
fatte innovazioni. Chiunque poteva inscriversi, o cittadino o
forestiero, facendone dimanda ai capitani e maestri dell’ arte
e dando prova di esercitarla per la maggior parte dell’anno
o in Gubbio o nel suo territorio, e d’essere stato almeno
buon lavorante per attestato del suo maestro. Fu meglio de-
terminata la prova di capacità professionale dichiarando: « e
dovrà anche soggettarsi di essere riconosciuto dai capitani
con la sperienza del taglio alla banca, altrimenti 1 arruola-
‘zione sia nulla ». Ottenuta l’immatricolazione doveva aprir

TIECINEN

bottega, e sarebbe stato cassato andando come lavorante
presso un altro: maestro. Mantenevano l'iscrizione quelli che
; avessero tralasciata l'arte o per infermità, o per vecchiezza
Eee o per povertà.

Fu imposto di tener le matricole in un libro speciale e
proibito d'intercalarle nel breve.

Cap. XVIII. — JDell'esercizio dell'arte.

Vi si confermano gli obblighi dell'iscrizione all'arte e
di esercitarla sempre in buona fede. « Che se mai alcuno si
lascierà trasportare dall'interesse a fare il contrario, sia pu-
nito dai capitani indispensabilmente e senza replica con la
pena di pavoli cinque per ogni volta, quando consti di tal
suo delitto, dichiarando che basti anche un testimone di
buona fama e maggiore di ogni eccezione insieme col de-
DI ALCUNI STATUTI, ECC. SHE

IEEE same

TUTRRIDY

TITRES IERI 00 o

nunciatore, il quale dovrà avere la metà della pena suddetta,
e l’altra metà alla cassa dell’arte. Che se gastigato il delin- È ; IRI -
quente per tre volte del sopra detto delitto non si emenderà i) Il 3
in pena della quarta volta sia cancellato ed escluso dall'arte il ilii E
per 10 anni, né possa nel medesimo tempo, esercitare o fare. po lr | i |
esercitare l'arte nella città o comunità di Gubbio ». |

Cap. XIX. — Del rispetto e convenienza fra gli uomini dell arte. il |
l ]
« Poiché gli uomini dell'università debbono amarsi l'un S BERE a

l’altro con amore fraterno e con scambievole premura deb- WAHRE fi
bono ugualmente procurare i vantaggi degli altri, che i pro- ; ME d

[e] tere) o ? i i Hut I ni
pri, si condanna la pratica di certuni i quali, scordati del

dovuto rispetto, e convenienza, usando ogni arte per mino-
rare gli interessi degli altri e si ordina che quando un uomo
dell’arte, imprende qualche compra, vendita di robba spet-
tante all'arte medesima, niun altro ardisca d'impedirlo o di

ritardargli l'utile in modo alcuno, o sia con screditarlo o sia

con persuasione che alcuno non vada alla sua bottega, o sia

cele mnc MM 7 Tz ===

con qualunque altro maligno attentato, e constando a’ capi-

tani un tale invidioso, perfido procedere, condannino .e .con-
seguentemente gastighino il delinquente con la pena irre-
missibile di uno scudo d’oro d'applicarsi alla cassa dell'arte.

Perché talvolta non mancano de' maestri i quali voglion
godere il frutto delle fatiche ed incomodo degli altri senza
menomo riguardo, senza creanza e contro ogni dovere per-

suadendo i garzoni o fattorini e lavoranti a partire da quel
maestro che ha sudato forse molti anni ad insegnarli l’arte
ed invitandoli alle loro botteghe. Si proibiscono onninamente
tali procedure proprie degli uomini vili, che non stimano la
loro riputazione, non mai di uomini bene accostumati che
sempre osservano gli atti di convenienza, e si comanda che
quando anche i garzoni e lavoranti andassero spontaneamente
ad offerirsi non li accettino mai a lavorare nelle loro bot:
teghe se prima non ne averanno fatto consapevole. il mae-
——rrmTrm_ymno

ITUMELIE

TIEXCC DIES

352 T. CUTURI

stro, dal quale detti garzoni o lavoranti vorranno partire,
e chi farà altrimenti o persuadendo od accettando come so-
pra, sia condannato e punito da' capitani con la pena di due
scudi d’oro da applicarsi come sopra. In caso poi che gli
accennati garzoni o lavoranti avessero debito col maestro dal
quale saranno partiti o vorranno partire, niun altro maestro,
senza licenza de’ capitani, potrà riceverli a lavorare ».

Qui finisce la riforma del Breve.

Furono poi aggiunte alcune altre deliberazioni dell’anno
1740. Così fu statuito che se taluno non fosse stato appro-
vato come maestro dai capitani, e perciò non fosse stato
immatricolato potesse appellarsene al generale consiglio del-
l'università, il giudizio della quale era definitivo.

Con supplica separata al pontefice Benedetto XIV i mae-
stri dell’arte esposero « che siccome uno dei pregiudizi più
sensibili dell arte deriva dalla quantità non meno de' fore-
stieri che vanno alla detta città di Gubbio e suo territorio a
vender scarpe, che dei paesani i quali le introducono per ivi
rivenderle, per ció l'università supplicava di un conveniente
riparo non con proibire l’ accennata introduzione e con ciò to-
gliere consecutivamente la libertà del commercio, ma bensi di
imporre sopra detta mercanzia forestiera un leggero peso
con obbligare tanto li forestieri quanto li paesani che l'in-
trodurranno per vendere, o per rivendere, rispettivamente,
nella detta città di Gubbio e suo territorio, al pagamento di
un baiocco per ciascuna libbra di suddetti lavori ». Bene-
detto XIV con breve datato dal Quirinale il 27 Sett. 1740
ammise il dazio e ne destinò i proventi a beneficio e comodo
del Monte di Pietà di Gubbio. 10 Dec. 1740.

Il Motuproprio di Pio VII dell'’11 Marzo 1801 soppresse
in tutto lo Stato pontificio le corporazioni delle arti, e il
patrimonio dell arte de’ calzolari, doveva, come quello di
tutte le arti, essere devoluto alla Camera apostolica. Fu
merito particolarmente dell’ avv. Seb. Ranghiasci se lo po-
terono salvare mediante una trasformazione dell’ ente se-
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 353

condo i principii del diritto pubblico di quei tempi. I docu-
menti su questo periodo di gravissime vicende per la cor.
porazione ci sono conservati nell'archivio dell’arte in*un
codice cartaceo con la segnatura E. 59. C.

I calzolari non avevano sciolta mai la loro associazione.
Il 12 Novembre 1802 avevano esposte le loro lagnanze al
cardinale Della Porta per implorarne il patrocinio, e nella
generale adunanza del 28 Nov. 1802 i capitani fecero le di-
chiarazioni seguenti:

« Al moto proprio del sommo regnante pontefice Pio VII
delli 11 marzo 1801 in cui ordinò l’abolizione di tutte le univer-
sità e corpi delle arti di Gubbio e di tutto il suo dominio pon-
tificio, venne pubblicato editto delli 16 Decembre dell’anno
parimente scaduto, analogo ad esso moto proprio, in cui re-
starono abolite le università e corporazioni tutte dipendenti
dal detto ecclesiastico dipartimento. I beni tutti delle sopra-
dette università e corporazioni restarono, per necessaria con-
seguenza, aggiudicati alla Camera apostolica. Per la -esecu:
"zione delle aecennate sovrane leggi fu in questa città di
Gubbio incombensato il nobil uomo Signor Sebastiano Nuti,
subcollettore de’ spogli, con lettera di sua Eccellenza Reveren-
dissima Monsignor tesoriere generale di Roma, in data 31
caduto mese di Luglio, a ciò con la massima sollecitudine,
notificasse a tutte le università, formanti corpo, che esistono
sotto la di lui giurisdizione, i riferiti sovrani comandi ed in-
viare in Roma, nel tempo medesimo, lo stato attivo e passivo
delli detti corpi di arte e con nota separata distinta in-
dicare i pesi di opere pie a cui fossero soggetti ».

« Si degnò il lodato Signor Nuti far chiamare noi capitani
e sindaco e ci manifestò gli ordini positivi ad egli ingiunti,
ad effetto dovessimo dargli pronto adempimento. Ci sorprese
invero l'acceunato comando ed inteso il timore degli ordini
ci apprestammo come veri ubbidienti sudditi a fare una cosa
e non tralasciare l’altra ».

« Commettemmo a vista al nostro cancelliere la formazione

è
—u——— nia o. — FP

5

ec tt A en e rr i em ITEDLCDIEN MIT — PP rcr@ffr@<"@

354 T. CUTURI

esattà dello stato attivo e passivo della nostra casa (1), quale

formato e da noi sudditi sottoscritto e legalizzato, lo presen-

tassimo uniti al sig. subcollettore de’ spogli; raccomandando
nel tempo stesso, la nostra causa alla di lui efficace prote-
zione. Operammo, da altra parte, incessantemente ad ottenere
quel breve, che, in si critiche circostanze, si poteva sperare :
al quale effetto ordinassimo conseguentemente allo stesso
nostro cancelliere, che raccogliesse l'origine, il progresso e
stato delle cose, della nostra università, e rilevare che, quasi
tutte le rendite de’ nostri beni, vengono erogate in opere as-
solute di pietà e di religione, scopo e fondamento principale
della mente del sovrano, manifestata e nel moto-proprio e
nell’ editto esecutivo, e che alli detti fogli vi unisse eziandio
una raggionata supplica per farla oppurtunamente presentare
al sublime trono del sommo nostro pontefice ».

« Compiute esattamente tutte queste opere ci mettemmo
in pratica per rinvenire un soggetto abile per l'esecuzione

‘e rivolgessimo per la mente, anche col parere e consiglio di

qualcuno di voi, di supplicare il nostro benemerito nobile
signor avvocato Sebastiano Ranghiasci, pregandolo con tutta
l'efficacia. a degnarsi a voler prendere in sè tale assunto ».

ll breve ottenuto nel Nov. del 1802 fu cosi tradotto e
letto all'adunanza dal notaro dell’arte Giuseppe Alessandro
Ansidei:

« Copia del breve suriferito, in lingua italiana tradotto
ad istanza de’ Capitani e consiglieri da me notaro e cancel.
liere infrascritto dell’arte de’ calzolari ».

« Pio papa VII a perpetua memoria.

Fecero poc'anzi li calzolari della città di Gubbio esporre
e rappresentare a noi che essi (come asseriscono) in pas-
sato uniti sotto una sola corporazione dell arte, formassero
università. Ora poi, siccome fu promulgato l’ editto di nostro

(1) La possidenza della Corporazione trovavasi inscritta nel Catasto piano del
Comune al libro maestro lettera U per la somma di scudi 7514 e bajocchi 20.
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 355

motu proprio con cui ordinammo l' abolizione di tutte l'u-
niversità dell’ arti, il corpo della sua università come disciolto
ed affatto tolto, tutti abbandonarono. :

Ma aleuni di voi sono stati lasciati all'amministrazione
provvisoria delle cose, i quali, avanti la comandata abolizione,
agivano ed avevano carico delle cose stesse. La ricordata
università, come che possidente di non pochi beni comprati
ed acquistati, da doni ed offerte per lungo spazio di secoli
da alcuni calzolari volontariamente offerti, erogava le rendite
di questi beni a pagare i frutti de' censi a riparare e man-
tenere i pericolanti fondi, alla soddisfazione de’ pesi camerali
e comunitativi, allo spedale de’ pellegrini, e ad altre annue
pie cause.

Siccome è molto a cuore degli esponenti di conservare
in perpetuo le cose che riguardano la religione e la pietà, e .
delle quali cose sollecita premura si raccomanda per il pa-
ragrafo IV di detto motu proprio, cosi essi 'calzolari perció
rivolsero nell'animo e pensarono una nuova disposizione di
cose, le quali, come dicono, in niuna maniera, sono contrarie
al detto motu proprio, le quali sono state ordinate e disposte

come segue.

Nuovo piano per Uamministrazione de beni dei
calzolari di Gubbio. — A tenore del motu-proprio di nostro
Signore papa Pio settimo, felicemente regnante:

I. — Tutti i beni spettanti all’ estinta università dei cal
zolari di Gubbio saranno di proprietà perpetua della cappella
laicale ed altare del santissimo crocifisso, ossia della Pietà,
da due secoli e più eretta dai medesimi calzolari nella chiesa
dei minori conventuali di detta città.

II. — La medesima cappella ed altare sarà di perpetuo
gius patronato degli artieri calzolari di detta città.
III. — Questa cappella ed altari rimarrà sotto l'imme-

diata protezione dell’ eccellentissimo cardinale Gian Francesco
Albani, già protettore dell’arte de’ calzolari; dopo la di cui
356 T. CUTURI
morte, che Iddio tenga lontana, passarà sotto altro cardinale,
da eleggersi in protettore delli stessi calzolari.

IV. — L'amministrazione de' medesimi beni si farà da
due priori con ministro e depositario da eleggersi, di anno
in anno, dagli stessi calzolari per il primo di Novembre.

V. — Che i suddetti priori e ministri in fine d'ogni
anno, debbano rendere esatto conto dell'entrata ed esito: di
ciò debbasi formare tabella da presentarsi all eccellentissimo
protettore, onde ottenere la necessaria approvazione.

VI. — Il ministro e il depositario debba avere, annual-
mente, il solito emolumento di scudi otto grossi.
VII. — Il frutto annuo di scudi 500 del censo imposto

dallo spedal grande di Gubbio a favore dei calzolari, debba
presentarsi ogni anno in perpetuo alla reverendissima camera

apostolica che diverrà proprietaria anche dell'intiera sorte

di detto censo nel momento della nuova amministrazione.

VII. — Dovrà impiegarsi una somma corrispondente al
bisogno del mantenimento de' fondi di anno in anno e loro
necessari beneficii.

IX. — Verranno soddisfatte le gravezze alla camera apo-
stolica e comunità. |

X. — Altra somma si eroghi in pagamento de’ frutti
de' censi passivi.

XI. — Scudi 50 s' impieghino per la solita festa di S. Cri-
spino e suo consecutivo uffizio per i defunti dell arte.

XII. — Nella detta festa si conferirà una dote di scudi

sedici ad una zitella figlia di un artiero calzolaro, secondo
il solito.

XIII — Alli padri conventuali di S. Francesco si fisserà
la solita elemosina di paoli venti all'anno e le solite mine
sel grano, e some quattro mosto.

XIV. — Alli padri mendicanti si passerà la solita ele-
mosina di paoli 30 l’anno.
XV. — Sarà provveduta sempre la stessa cappella dei

necessari suppellettili, cera ed ogli.

ene
LOTHAR. - ' "

DI ALCUNI STATUTI, ECC. 351

XVI. — Continueranno a mandarsi li soliti doppieri alle
pubbliche processioni, e vi interverranno li calzolari a quelle
di S. Ubaldo, S. Giovanni e Curpus domini. .

XVII. — Ogni defonto calzolaro sarà associato, secondo
il solito, dagli altri artieri al tumulo, innanzi la divisata loro
cappella con i consueti suffragi.

XVIII. — Si spianeranno mine 15 grano, da distribuirsi
in tanto pane a poveri nel di di S. Crespino.

XIX. — Lo spedale dell'arte dovrà mantenersi, secondo
il solito, di pagliacci, coperte e biancherie.

XX. — Le adunanze de’ calzolari si faranno nella sa-
crestia de’ padri minori conventuali a Novembre e Maggio,
ed i Priori e depositario dureranno ad amministrare.

XXI. — Se vi saranno avanzi delle rendite dovranno
impiegarsi in estinzione delli debiti e in mantenimento de’
poveri artieri calzolari vecchi ed invalidi.

XXII. — Nell'anno santo, ossia ogni venticinque anni,
si darà la solita offerta alla chiesa di S. Ubaldo per mante-
nimento della mede-ima nella somma di scudi 100, per es-
sere il lodato santo protettore di Gubbio.

Ad effetto poi che fermamente sussistano ed ottengano
il bramato effetto questi soprainserti capitoli ossiano articoli,
bramano ardentemente quegli espositori che da noi rati e
validi si abbiano e si dichiarino, perciò umilmente ci espo-
sero supplica affinchè nelle cose premesse ci fossimo degnati
di opportunamente provvedere e con benignità apostolica,
come sotto, condiscendere. Noi adunque, volendo con spe-
ciali favori e grazie contentare li detti esponenti e singolar-
mente le persone di essi esponenti inclinati e indotti dalle
medesime suppliche col tenore delle presenti li assolviamo
e vogliamo averli per assoluti da qualunque scomunica, sOo-
spensione e interdetto ed altre ecclesiastiche sentenze, cen-
sure e pene dal gius o dall'uomo, per qualunque occasione
o cause promulgate, se mai in qualunque maniera avvinti
ne;
5

III ZI ri TEM

358 ? T. CUTURI ,

si trovassero, ad effetto soltanto di conseguire presenti be-
neficenze. ' i

Col tenore delle presenti con autorità apostolica tutti: e
singoli li soprascritti capitoli o siano articoli, che, come si
è avvertito, non sono repugnanti col detto motuproprio, ap-
proviamo e confermiamo ed a quelle cose aggiuntiamo di
fermezza apostolica e plenariamente facciamo e suppliamo
tutti i difetti di ragione e di fatto, se mai fosse accaduto
essere questi superiormente intervenuti. Dichiarando le me-
desime presenti lettere essere e che saranno ferme, valide
ed efficaci e che sentiranno ed otteranno il loro plenario ed
intiero effetto, ed a quelli alli quali pro tempore spetta, 0,
in qualsivoglia modo apparterrà in futuro inviolabilmente
verranno osservate. E così, nelle cose premesse, per qualsi-
voglia giudice ordinario e delegato, anche uditori delle cause
del palazzo apostolico, cardinali della santa romana Chiesa,
legati a latere, tolta ad essi ed a ciascheduno di essi qualun-
que autorità e facoltà di giudicare e d'interpretare altri-
menti di doversi interpretare e definire, ed irrito e nullo, se
diversamente sopra le suddette cose scientemente e ignoran-
temente, da chiunque, con qualsivoglia autorità, accada di
attentare, non ostante le costituzione e ordinazioni apostoli-
che ed altre qualunque cose in contrario. Vogliamo poi che
oltre il protettore cardinale della reverenda chiesa, sia an-
cora convisitatore per le cose premesse l’ ordinario, pro tem-
pore, del luogo, giusta il medesimo metodo al presente vi-
gente appresso la compagnia laicale di Gubbio, chiamata
della misericordia.

Dato in Roma appresso S. Maria apostolica maggiore,
sotto l'anello piscatorio, questo di 19 Nov. 1802, anno terzo
del pontificato.

Romualdo Cardinale Onesti Braschi ».

L'antica corporazione degli artieri con le: sue funzioni
Sociali, e con i suoi fini economici era estinta, ma si salvó
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 399

mantenendo i fini della mutua assistenza, della beneficenza
e del culto, trasformandosi, almeno nell’ ordine del diritto
pubblico, in una corporazione laicale per cause pie. Lo di-
chiararono gli stessi capitani dell’arte nella lettera che il 3
Decembre 1802 scrissero al cardinale Albani:

« Eccellentissimo e reverendissimo principe

« Il motuproprio del glorioso regnante sommo pontefice con
il consecutivo editto ordinante la soppressione delle università e
corpi d’arte posero la nostra università ed artieri calzolari in un
estremo dolore. Pensammo ricorrere, umilmente ricorrere al trono
sovrano e dimostrarle che le rendite della casa de’ calzolai i di
cui capitali furono da più secoli acquistati col proprio denaro,
venivano erogati in opere di pietà e di religione, e in mantenimento
di uno spedale per l'alloggio de’ pellegrini, opere tutte analoghe al-
l’accennato editto e, perciò al motuproprio non contrarie. Ricono-
sciuta dal S.to padre la verità dell-'sposto, con atti di esimia pa-
terna clemenza si degnò concedere all’arte la continuazione perpetua
di amministrare i propri effetti, colla formazione di. più articoli
quali fece inserire nel breve spedito il 29 ora traseorso mese di
Novembre ete,

Non tardarono a manifestarsi gravi dissensi fra i calzo-
lari per coordinare i tradizionali loro statuti ai gravissimi
mutamenti determinati dal breve di Pio VII: nel 1805 ne se-
guirono ricorsi al cardinal Della Porta, protettore della cor-
porazione, e furono risoluti con l'aggiunta di cinque capitoli
al breve pontificio.

Il 12 Agosto 1805 il Cardinale stesso comunicava ai

priori dell’arte le risoluzioni sovrane, allegando un « foglio

de relazione per l'udienza della santità di nostro Signore dei
12 Agosto 1805 » «con le proposte seguenti:
I. — Siano esattamente osservati in avvenire i capitoli

‘inserti nell’accennato breve dei 19 Nov. 1802 e per il tempo

passato dovranno i priori dell'arte che sono stati in officio
rimettere alleminentissimo protettore le tabelle di loro ren-

| P.

id P IERI

"5 H
aie ap 360 T. CUTURI

diconto, nel termine di un mese per ottenerne l’approvazione.

IL. — I priori ultimamente eletti si confermano e si ap-
provano sebbene eletti secondo l'antico statuto, e dovranno
assumere immediatamente l’esercizio del loro officio, osservan-
dosi, in avvenire, per l'elezione de’ nuovi priori, ed altri mi-
nistri ed officiali, quanto si prescrive al Cap. IV dei capi.
toli inseriti nel Breve.

III. — Essendo ridotto al ristretto numero di 15 individui
soltanto il consiglio attuale dell’arte, sarà aumentato fino ai
numero di 30 da scegliersi in avvenire, nei casi di posti va-
canti, dal consiglio medesimo, il quale nella scelta dovrà
aver sempre in vista le buone qualità personali e la quali-
fica di capo di bottega: per questa prima volta, in aumento
di 15 mancanti, si scelgono e si ammettono per consiglieri
gli infrascritti, cioè: Giusppe Becchetti, Ubaldo Battazzi, Ar-
cangelo Pupi, Ubaldo Farneti, Pietro Ciuccioli, Carlo Mafissi,
È Luigi Santini, Vincenzo Del Dottore, Antonio Giovagnoli, Gio-
vanni Levalatti, Francesco Minelli, Giuseppe Stirati, Sante
Battazzi, Alessandro Scapicchi e Sante Marinucci.

UUTDTCIUIENUCTU E eO

| IV. — Il consiglio, ossiano le adunanze, degli artieri cal-

| i zolari che dovranno tenersi nella sacrestia dei P. P. minori
WIL conventuali, in conformità del Cap. XX dei capitoli inserti
nel suriferito breve, non potranno tenersi senza la presenza
3 IE di persona da stabilirsi e deputarsi ad arbitrio dell'eminen-
il p^ tissimo protettore, a cui si conferiscono tutte le facoltà di

|
| (Il presiedervi per il buon ordine, e per invigilare sull’osser-
| | [ 2 . vanza di tutte le disposizioni prescritte prescegliendo e de-
E. | In putando ora la persona del nobile Signor Sebastiano Ran-
à | | ghiasci.

V. — Per la validità dell'esecuzione de’ nuovi priori,
INK. ed altri ministri ed officiali e delle deliberazioni di qualunque
MI - . affare da proporsi in Consiglio, dovrà, in avvenire esservi

WES intervenuto al Consiglio medesimo il numero non minore di
| E 20 consiglieri.

' MI HELP JADRE ACD S

1 | | ; « Ex audientia santissimi. Die 12 Augusti 1805 ».

cette nnn ems - n tabe EEE TI tn
n LEE FRA

DI ALCUNI STATUTI, ECC. 361

« Santitas sua omnia in praesenti folio consenta benigne
approbavit et exequi mandavit dispositione statutaria abo-
« litae universitatis sutorum, aliisque in contrarium non
« obstantibus, et praesens rescriptum voluit haberi ac si
« essent litterae in forma brevis ».:

Dopo l'occupazione francese degli stati pontifici, e, pre-
cisamente, con decreto emanato da Napoleone imperatore da
Vienna il 2 Aprile 1808, Gubbio fu riunita all impero francese
e formò parte dei dipartimenti del Metauro. E allora il pa-
trimonio dell’arte de’ calzolari fu esposto a nuovi pericoli,
perchè il carattere prevalentemente religioso che aveva avuto
dal breve del 19 Nov. 1802, lo assoggettava alle leggi di
soppressione. Di qui nuove suppliche, per dimostrare invece
che i fini della beneficenza e dell'assistenza agli operai po-
veri dovevano considerarsi come prevalenti e dovevano avere
un'influenza decisiva contro la devoluzione al demanio.

Lo deduciamo chiaramente da un'istanza che il 2 No-
vembre 1808 i calzolari peesentarono al generale Lemarois,
comandante dei dipartimenti del Metauro la quale non ebbe

A

esito favorevole.

Con la seconda restaurazione e per opera della segrete-
ria di Stato, tornó in vigore l'ordinamento proveniente dal
breve di Pio VII del 1802 (1).

(1) Agli eccellentissimi e reverendissimi signori deputati sull'amministrazione
de' beni così detti della pia istituzione per la università de calzolari di Gubbio, a’
di 15 Giugno 1814.

Si accorda all'arte la restituzione dei capitali che gli appartengono e che non
siano stati alienati, non meno che l'intiera percezione dei frutti. che scaderanno
da oggi in appresso, riservandosi a disposizione di Sua Santità quelli già scaduti
per sentirne le sue sovrane determinazioni. Ed al Signor amministratore generale
della delegazione di Pesaro, per l'esecuzione del presente rescritto.

A. Rivarola
prefetto della Cancelleria di Stato. Reg. 334.

Il 19 luglio 1814 fu ordinata l'esecuzione di tale rescritto alla congregazione ge-
nerale amministrativa dei beni ecclesiastici nella delegazione di Pesaro imponen-
dosi all'affittuario ed a qualunque detentore e debitore di riconoscere i diritti del-
l'Università de' calzolari.



a:

L A

è
ko E LC Lr oe — 362 AT CUIURI

Statuto dell’ Università dei Medici e Speziali di Gubbio —
Anno 1480 (Archivio Comunale di Gubbio - Scansia 1% Seom-
partimento 5° N. 10). — E una compilazione isullo statuto an-
tico dell’arte, del quale pochi capitoli rimanevano nel secolo X V,
e su quello dei medici e speziali di Perugia.

« A] Nome De Dio Amen. L'anno del Signore MCDLXXX.
Indittione et Pontificato de Papa Sisto quarto il primo di Luglio.

A honore e reverenza dell’ Onnipotente Iddio di Beata Maria

- Vergine sua Madre, del Beato Gio: battista, delli Beati Martiri

Mariano et Giacomo, dell’ Eee.mo confessore Ubaldo, sotto il pa-
trocinio de’. quali vien custodita la Città d’Agubbio, et d' altri
Santi e Sante, come di S. Madre Chiesa. Congregati li medici e
spetiali di detta Città in casa della confraternita di Maria Ver-
gine di commissione di Mastro Davitte capitano dell'Arte de Spe-
tiali sopradetti.

Cap. I. — Che l’Arte di Spetiaria abbia un Capitano, un Camer-
lengo et un Consegliero, et come si devino questi eleggere.

Hanno determinato et ordinato che gli huomini dell’ Univer-
sità de Medici e Spetiali d’Agubbio habbino et devino havere un
capitano et un camerlengo de gli huomini di detta Arte da eleg-
gersi nella pubblica adunanza, per gli huomini di detta Arte, à
bulettini, in questo modo, cioè che si faeeino li bulettini à suffi-
tienza tra quali ve ne siano doi seritti et altri non scritti: in
uno sia scritto il nome del Capitano: et nell’ altro il nome del
Camerlengo, et li detti bulettini si mettino in un capello, qual
deva tenersi dal Capitano di dett'Arte, che sarà per tempo, et
ordinatamente nominando gli huomini di detta arte, nel cavar de
bulettini, et a chi toccarà il bulettino del Capitano, deva con buona
voglia accettarlo et ministrarlo : l'istesso si diee del Camerlengo.
Et la detta elettione deva farsi quindici giorni avanti il lasciar
dell' Offitio delli dd. Capitano, et Camerlengo. L'Offitio de' quali
duri solamente sei mesi, cominciando al principio di Giugno, et
terminando al principio di Decembre seguente, et gli altri sei
mesi così da Decembre cominciando, et sino à Giugno termi-
nando. Et che il Capitano, et Consegliero nuovi per tempo, siano
tenuti eleggere un Confaloniero degli huomini di d. Arte per sei
mesi.alhora seguenti, principiando l' offitio nella festa di S. Gio:
B.tta del Mese di Giugno, insino alla festa. di S. Giovanni Evan-
DI ALCUNI STATUTI, ECC. CE 363

gelista; et così seguendo l’altro Confaloniero dalla festa di S. Gio-
vanni Evangelista, sino a S. Gio: B.tta di Giugno, et sempre in

tal maniera si prosegua. Aggiungendo, che ciascuno, che sarà:

stato in aleuno di dd. offitij non possa essere nel med.mo offitio
de li à un’ anno da computarsi dal dì dell’ eletion’ fatta, et fa-
cendosi altrimente, 1’ elettione sia nulla.

Cap. II. — Che il Capitano durante il suo Offitio possa imponer
bandi spettanti à quello.

Hanno determinato et ordinato che qualunque sarà Capitano
della d. arte possa imporre e riscuoter bandi durante il suo offitio
da gli huomini de la detta arte et da qualsivoglia di essi per
adempire il suo offitio sino alla quantità di 5 soldi R. La terza
parte de" quali bandi sia del Comune de Ugubbio la terza parte
del d. Capitano et l' altra parte deva applicarsi all’ università di
d. arte.

Cap. III. — Del giuramento del Capitano.

Statuiscono ancora et ordinano che ciascuno sarà per tempo
eletto Capitano di d. arte, tra XV giorni dopo l’ elettione fatta
di esso sia tenuto a richiesta del Capitano alhora reggente, giu-
rare l’ Officio di Capitano et accettarlo overo repudiarlo. Et se
averà che l’ accetti, sia tenuto fra detto tempo chiamare et eleg-
gere doi conseglieri de gli huomini di detta arte con li quali
possa trattare, ordinare, et esseguire le cose che conoscerà appar-
tenersi per honore e giovamento di detta arte. Et questo s'in-
tenda delle cose che si contengono nel presente Breve. Et ciò che
sarà fatto per esso Capitano insieme coi detti conseglieri, overo
uno, sia ben fatto, come se tutta l' Università fusse intervenuta.
Et il Capitano che sarà per tempo, sia tenuto fra d. termine ri-
cercare il nuovo capitano così eletto, che giuri il d. offitio et che
l’ accetti overo recusi. Et se detto Capitano sarà negligente in ri-
cercare che il nuovo Capitano così eletto fra d. termine accetti,
overo recusi, sia punito in XX soldi da rescuotersi dal primo
Capitano di detta arte che succederà dopo. Aggiungendo a questo
Capitolo che nessun Capitano di detta arte possa fare, et esse-
guire cosa alcuna per utilità, et honore d’ essa, oltra, e fuori di
quanto si contiene nel presente. Breve, se però non fusse il con-
senso di tutta l'Università, ó di essa la maggior parte, et facen-
dosi altrimente, sia di nessun valore.

——— ——

PISTE ee MON "PIRE Dip phe 5f

à ° Pi
5 ea

4^5

a
p-———— Jw nitevb.--——— -JE ur

4

à € TERA - 3
TEX
=" t

————————Ó

===

——

m—

364 T. CUTURI

Cap. IV. — Che volendo alcuno esercitare l'Arte de Spetiaria e
cera, debbia giurare.

Hanno anco determinato, et ordinato, che ciascuno che in Agub-
bio vorrà essercitare, et fare l’arte di spetiaria, sia tenuto à re-
quisitione del Capitano che sarà per tempo, giurare d'essereitarla
con buona fede e senza fraude et osservare al possibile tutti e sin-
coli capitoli del Breve d’ essa. Et se alcuno recusarà d’ esserci-
tarla in questa maniera, non possa giurare in modo alcuno dopo
che dal Capitano dell’arte gli sarà stato prohibito. Et nessuno
debbia ricettare in camera alcuno che recusi di giurare, et con-
trafacendo per ogni volta si condanni dal Capitano in 40 soldi R.

Cap. V. — Che tutte l’entrate venghino in mano del Camerlengo.

Hanno determinato et ordinato che tutte l’ entrate di detta
università debbino venire in mano del Camerlengo d’ essa. Et
quello sia tenuto spendere per utilità dell'Arte, et come gli sarà
ordinato dal Capitano che sarà per tempo con consenso delli Con-
seglieri, è d'uno d'essi almeno et non altrimente. Et il detto Ca-
merlengo sia tenuto di dette entrate renderne conto al Capitano
successore. Et se haverà havuto cosa alcuna delli beni di detta
Università rassegnarla et restituirla al nuovo Camerlengo come
anco tutte le scritture spettanti a detta Arte fra termine di cinque
giorni dopo il fine del suo offitio. Et se detto Camerlengo sarà
negligente nelle cose predette, sia per ogni volta condannato dal
Capitano in XX soldi R. da compartirsi nel modo predetto, et
nella restituzione che haverà delle cose dell’arte suddetta.

Cap. VI. — Che li discepoli de Medici e Spetiali siano tenuti di

giurare.

Hanno determinato, ed ordinato che tutti li discepoli de Me-
dici, come de Spetiali debbino giurare d'essereitare e fare con
buona fede la lor'arte.

Cap. VII. — Che il Capitano sia tenuto ogni mese far congregare
l’Università di detta Arte.
Hanno statuito ancora et ordinato che qualsivoglia Capitano
di detta arte che sarà per tempo deva e sia tenuto una volta al
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 365

mese durante il suo offitio congregare e far congregare gli huo-
ì mini di detta arte in casa della Confraternita di S.ta Maria del
È mercato per provedere et ordinare tutte e singole cose che à gli
huomini di detta arte pareranno convenirsi et esser di giovamento.
Et il Capitano, quale non farà le cose predette, per ogni volta
possa, et deva condannarsi dal Capitano successore in X soldi di
denari.

: Cap. VIII. — Che melli giorni infrascritti nessuno habbia ardire
tener’ aperta la bottega.

1 Hanno in oltre stabilito et ordinato che ad honore e reve-
T renza dell' Onnipotente Iddio, di Maria Vergine sua Madre e Santi
e Sante della Celeste Corte, nessuno dell'Arte predetta ardisea,
ò presuma in alcuno de gl'infraseritti giorni, dopo terza, et
avanti vespro, tener la porta della bottega aperta, et chi contra-
farà, sia per ogni volta condannato in einque soldi R. dal Capi-
tano che sarà per tempo. Et à provare le cose predette sia ba-
stante che il Capitano è balio dell'arte, habbia visto la porta
della bottega aperta del trasgressore in detti giorni dopo terza
et avanti Vespro.

Cap. IX. — Che il Capitano sia tenuto adunare l’Università.

Hanno stabilito et ordinato, che il Capitano dell’arte suddetta
che sarà per tempo nei primi cinque giorni dell’ intrata nell’ of-
fitio del suo Capitanato debbia e sia tenuto sotto vincolo di giu-
ramento far adunare nelle case di Santa Maria del mercato 1’ Uni-
versità degli huomini e persone di detta arte di spetiaria e cera
et in detta congregazione et adunanza farli giurare di essercitare
e far l’arte della spetiaria e cera, legalmente con buona fede,
e senza fraude, et osservare tutti gli ordini scritti nel presente
Breve, et pagare ogni quantità da imporseli per detto Capitano
et Conseglieri per occasione di detta arte, et il Capitano che sarà
negligente in esseguire le cose predette sia dal Capitano che suc-
cederà condannato.

Cap. X. — Che tutti li professori di detta arte fatto a essi il com-
mando per parte del Capitano devino congregarsi nel luogo
solito.

1 Hanno: ancora ordinato e stabilito, che ciascuno degli huomini
di detta arte di spetiaria e cera à richiesta del Capitano che

25

" "
— €

—— Ht

4

he 366 T. CUTURI

sarà per tempo, subito dopo il comandamento è richiesta, deva
"E congregarsi nelle case della Confraternita di S. Maria del mercato,
Ii a sentire quelle cose che volesse ordinare e dire in detta adu-
| nanza sotto la pena del pergiuro e di einque soldi R. ne quali
ognuno che contraverrà deva per ogni volta esser condannato dal
Capitano dell'Arte.

Cap. XI. — Che tutti li Professori dell'Arte vadino con il Capi-
tano alle Processioni.

il | | e Ad honore e reverenza di Dio Onnipotente di Maria Vergine,
| TR di S. Giovanni battista, dei SS. Martiri Mariano e Giacomo et
| j IL | ece.mo confessore S. Ubaldo, hanno ordinato che gli huomini, che
i | essereitano dett’ arte, tanto della Città quanto del suo distretto,

j devino e siano tenuti andare con il Capitano, al tempo che vanno

III l’altre arti della Città di Gubbio, processionalmente alle luminarie
MT - infrascritte, cioè nella vigilia o festa di S. Ubaldo, nella festa
| del Corpus Domini, et nella festa di S. Gio: battista del mese di
TERI Giugno, con le faeole di cera, et accompagnare il Capitano, non
INIST: partendosi da quello, mentre si finirà la luminaria et sin dove an-
I | drà la processione, come è costume. Et chi contrafarà, paghi XX
IMS S Soldi per ogni volta all’ arte. Operi nondimeno il Capitano, che
li sarà per tempo di far citare gli artisti suddetti aleuni giorni
ERE | prima ehe devino eon le facole di cera andare col Capitano alle
| luminarie suddette. Il ehe se non farà detto Capitano, sia tenuto
pagare all'arte cento soldi di denari.

ii

Cap. XII. — Della pena di quelli che falsificano la cera.

, Perchè tutte le leggi detestano le falsità, che confondono la
IS speranza del vero et de gli huomini che fedelmente operano, e si

defrauda del suo debito l' intenzione con l’ astutie de gli huomini
fallaci, acciò dunque nell’ arte predetta, questo per 1’ avvenire
non succeda, ma nelli professori di essa sempre apparisca l’ istessa
verità, ordinamo, et che in perpetuo si osservi, che nessuno ar-
disca, è presuma vendere, overo far: vendere cera falsa, overo in
alcun modo falsificata, ne con cera far mescolanza alcuna di sego,
ò d’ olio. Et se alcuno contrafarà sia tenuto pagare all’ arte, per
ogni volta in nome di pena, venticinque libre di denari et la cera í
così falsificata e mescolata, si abbrugi in luogo: pubblico pubbli-
camente et il nome del contrafaciente si levi e cassi dalla matri-
1-73

——— MM RES

. DI ALCUNI STATUTI, ECC. 367

cola di detta Arte. Et nondimeno il venditore sia tenuto rendere
al compratore il prezzo di essa cera ch’ haverà preso.
: : ?
Cap. XIII. — Pena di chi vende alcuna quantità di cera di buona
apparenza fuori e dentro falsificata.

Hanno ancora ordinato, che se aleuno comprarà qualche quan-
tità di cera nova da qualehe persona, et che in apparenza detta
cera paresse buona, et poi dentro si ritrovasse cattiva, e falsifi-
cata con sego, olio, o qual altra si voglia falsità, paghi il vendi-
tore, o simile falsificante, in nome di pena, et per ogni volta
XX libre di denari. Et che il Podestà della Communità di Gubbio
à richiesta della camera di dett'arte ó d'altra persona, sforzi,
et astrenga, et così deva e sia tenuto di fare, il venditore real-
mente, et personalmente alla restituzione del prezzo di detta cera
al compratore intieramente et alle pene predette condannarlo, et
procedere contra li delinquenti.

Cap. XIV. — Che non si mescoli con la nuova la cera vecchia.

Hanno stabilito con il presente capitolo, che ciascuno di detta
arte di spetiaria, et cera, che per lavenire farà, overo vorrà fare
doppieri, facole, ó candele, sia tenuto, e deva fare essi doppieri,
facole e candele, et farle fare in tutto di cera nuova, overo in
tutto di cera vecchia, et non mescolare in alcun’ modo una con
l’altra, sotto la pena del pergiuro e di cento soldi di denari per
ognuno, et ogni volta, nelli quali devino esser condannati per il
Capitano di detta arte che sarà per tempo.

Cap. XV. — Che li lucignii si faccino di bombage.

Hanno in oltre determinato, che ciascuno di detta arte di
spetiaria e cera, che farà, overo farà fare, per l’avenire doppieri
facole e candele di cera, sia tenuto e deva in essi doppieri e. fa-
cole, et candele fare li lucigni di bombage, in tutto, et non d’al-
tra cosa, sotto la pena del pergiuro, et di cento soldi R. per cia-
scuno; et ogni volta nelli quali per il Capitano di detta arte, che
sarà per tempo, deva condannare.

Cap. XVI. — Come le candele, facole e doppieri si devino sigil-
lare.
Hanno determinato, et ordinato, che qualsivoglia di detta
arte di spetiaria e cera ehe per lavenire farà, o farà fare dop-

HOUR IE! SECRETS. pun

5

SRM = IR

368 T. CUTURI
pieri, facole e candele, deva, e sia tenuto sigillarli con il suo pro-
prio sigillo, cioè che nel mezzo di esso sigillo sia la prima lettera
del nome del maestro, che farà i detti doppieri, facole e candele,
overo farà fare, sotto la pena del pergiuro e di cento soldi R. per
ciascuno, et ciascuna volta, nelli quali per il Capitano che sarà
per tempo deva condannarsi.

Cap. XVII. — Che ciascuno di detta arte come devano farsi le
candele, che si danno per un’ denaio.

Che ciascuno di detta arte di Spetiaria, e cera, che per l'a-
venire farà, ò farà fare candele minute deva, e sia tenuto farle
o farle fare in maniera, che siano tante in numero che li vendi-
tori di esse à minuto le possino vendere à ragione d'un denaio
luna, di quattro soldi R. oltra la commune stima e valore della
libra di esse candele, et non piü, sotto la pena di cento soldi R.
e del pergiuro per ciascuno, et per ciascuna volta, nelli quali ogni
contrafaciente sia condannato dal Capitano che sarà per tempo.

Cap. XVIII. — Che si rivedino le dispensationi et confettioni che
si ordinaranno.

Quello ehe sarà Capitano di detta arte, sia tenuto per vigore
del presente statuto, e deva rivedere, e prevedere tutte le dispen-
sationi et confettioni che si ordinaranno alcuno artefice di
detta Arte. Et che nessuno artefice possa le cose da mettersi in
detta dispositione, overo confettione, mettere overo tritare è far
tritare, se prima tutte le cose da mettervisi non saranno viste, e
previste per detto capitolo sotto la pena per ogni volta di cento
soldi R.

per

Cnp. XIX. — Che il Capitano riveda tutte le camere, et le cose
à quelle spettanti.

Che il Capitano predetto sia anco tenuto, et deva almeno una
volta il mese rivedere le camere, ò botteghe di detta arte et le
cose pertinenti alla detta arte. Et se trovarà alcun’ defetto, lo
deva riferire al camerlengo, et alli doi conseglieri di detta Arte
tra doi giorni dopo che haverà ritrovato. Et il Camerlengo, fatta
detta relatione, insieme con li detti conseglieri, sia tenuto rive-
dere li detti mancamenti ritrovati per il Capitano, et approvarli,
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 369

o ributtarli, come li parerà; et fatta la rebuttatione per detto ca-
merlengo et conseglieri, il detto capitano con il Camerlengo, e
conseglieri possino imporre la pena à detto Artefice, che sarà
stato ritrovato in defetto secondo che alla maggior parte di essi
concordante parerà, et piacerà. Et che ogni artefice di detta arte
à richiesta delli detti Capitano et Camerlengo, che recusasse, et
contradicesse, ò non permettesse, che le cose della sua bottega
fussero reviste, per ogni volta che contrafarà tale artefice paghi
in nome di pena libbre XXIV. R. Et se una cosa sola, e due, e
tre e più non permettesse, che gli si rivedessero da detto Capi-
tano, per ogni cosa, et per ogni volta, paghi in nome di pena
cento soldi R. da torseli di fatto per detto Capitano. Et che detto
capitano sia tenuto far un libro separato delle cose che ritrovarà
non esser buone et anco delle dispensationi da concedersi per
essi.

Cap. XX. — Che nessuno compri cose corrotte e guaste.

Con il presente Capitolo si ordina, che nessuno di detta arte,
compri, ò faccia comprare cose corrotte, e guaste, ciò sapendo,
ne anco le venda ad alcuno. Avertino ancora gli artefici di detta
arte di non vendere, ne far vendere una cosa per un’altra. Et
contrafacendo in alcuna delle cose predette, per ogni volta, e per
pena sia tenuto pagare all’ università di detta arte, soldi ein-
quanta R. Et il Capitano dell'arte, che sarà per tempo, possa,
gli sia lecito, e sia tenuto e deva ricercare, et proceder somma-
riamente eontra tutti, e ciascuno, che si reputasse colpevole delle
eose predette, et ritrovatili tali, punirli in dette pene.

Jap. XXI. — Pena di chi non permettesse esser gravato.

Qualunque artefice di detta arte, che non permettesse d’ es-
ser gravato, ó pegnorato dal Balio di dett'arte, ó da altro, che
fusse mandato, et andasse di commissione d'esso Capitano di detta
arte, gli si tolga per pena in sino alla quantità di XX soldi R.
sicome à esso Capitano piacerà, considerata la qualità del delitto
et la conditione della persona, et delle cose predette si stia, e si
creda al detto, e relatione del Balio di detta arte. Ma se altri,
che il Balio fusse mandato, stiasi, et credasi alla relatione di esso
eon il giuramento; che il Capitano di detta arte non possa to-
gliere, ne ricevere minor pena di cinque soldi R. dal contrafa-
faciente.

'

y 4
—— — Ó—— À——— ————

4

iem oap ah piu M ^n 1

5

1 "
——— 9

To jr 2 i E

: E d

"7%
»

v ERIT Ky
Pg 5 È
LÀ d i f — © _ So

Pre

E. -

hi.

»

310 ^ T. CUTURI

Cap. XXII. — Tutti gli Artefici di detta Arte vendino con giusti
pesi et sigillati.

Tutti che esercitano la detta arte siano tenuti, e devino sotto

legame di giuramento, comprare e vendere le cose spettanti a
. detta arte, et altre che comprassero, et vendessero, con giusti

pesi sigillati, et agiustati, secondo il marco e forma, che comprano
et vendono, et devono comprare, e vendere gli altri artisti della
Città di Gubbio et se alcuno contrafarà, paghi per ogni volta in
nome di pena all’ arte suddetta cento soldi R.

Cap. XXIII. — Della pena di chi vende con li pesi di piombo.

Vogliono ancora che nessuno ardisca, ne presuma, per sè, ne
per altri, vender o far vendere cosa alcuna pertinente a detta
arte, con alcun peso di piombo, ne ritenere detto peso, o avendo
in banca, o sotto banca, overo in bottega, ma solamente con pesi
di metallo sigillati, et con quel sigillo, che più piacerà al Capi-
tano di detta arte. Et in oltre che habbino, e siano tenuti avere
tutti li pesi giusti, et legali, et anco le bilance. Et chi contrafarà
sia punito per ogni volta, et per ogni peso, in cinque soldi di de-
nari. Et il Capitano insieme con il Camerlengo di dettta arte sia
tenuto almeno due volte nel tempo nel suo offitio, revedere i
detti pesi, e bilance, et se ritrovarà alcuni colpevoli, li punisea
in detta pena. Facendo con tutto agiustare et sigillare li detti pesi
e bilance.

Cap. XXIV. — Che non si vendino le cose spettanti à detta Arte
se non per mano dell’Artefice e suo discepolo.

Hanno in oltre determinato, che nessuno di detta Arte venda,
ne faccia vendere cosa pertinente all’arte, se non per se stesso,
e per mano de suoi discepoli in detta arte, et alcuno che contra-
facesse per ogui volta sia puuito in XX soldi Rh.

Cap. XXV. — Se sia buona la compra fatta dal Discepolo non
scritto.

Hanno stabilito ancora, che se il discepolo di qualche arte-
fice di detta arte comprasse, o vendesse qualche cosa spettante
à detta arte, non ostante che tale discepolo non fosse scritto in
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 311

detta arte, niente di meno essa vendita vaglia e tenga, come se
fusse fatta per il capo di bottega, e maestro, della qual vendita,
e compra esso discepolo possa esser sforzato, et astretto all’ osser-
vanza: Il che si recusasse di fare, overo non fusse habile, et ido-
neo al pagamento, alhora il suo maestro et padrone con il quale
stesse e dimorasse, sia tenuto et obligato per esso discepolo à
tutte e singole cose sopra dette, per esse vendite, e compre de
cose spettanti A detta arte, et al commandamento del Capitano
d'essa arte, sia tenuto licentiarlo con esser anco obligato e sfor-
'zato qualsivoglia maestro à pagar la pena, et pene, quale, e quali
fusse tenuto pagare il suo discepolo per quello havesse fatto con-
tra la forma degli ordini di detta arte. Sia di piü tenuto qualsi-
voglia maestro dar’ in scritto al Capitano di detta arte nel prin-
cipio del suo offitio à qualsivoglia Capitano, li nomi de suoi di-
scepoli, à richiesta, dimanda, et comandamento del capitano, sotto
la pena à chi contrafarà di XXV soldi R. per ogni volta. Et il
Capitano di detta arte sia tenuto, e deva far giurare tutti li di-
scepoli di detta arte à diligentemente custodire, e salvare le cose
de lor maestri, et osservare gli ordini di detta arte tanto fatti
quanto da farsi, et essercitare tutte, e singole cose di detta arte
spettanti, bene et legalmente. Et se il capitano nelle cose predette
sarà negligente, sia tenuto pagare in nome di pena XX soldi.
Item che ritrovandosi alcuno artefice di detta arte, haver

venduto qualche cosa spettante a detta arte et non haver dato il
giusto peso, il Capitano possa, et deva punirlo, per ogni volta in .

pena di cento soldi R. e più e meno secondo parerà alla diseret-
tione del Capitano convenirsi, et secondo la qualità della cosa
venduta.

Cap. XXVI. — Che il Capitano et Camerlengo s'interponghino
alla concordia tra li discordi et contendenti.

Determinorno ancora dicendo, che occorrendo nascere (che
Dio non voglia) tra quelli dell’arte alcuna discordia o scandalo,
per qualunque cagione. Il Capitano et Camerlengo s° interponghino
con ogni sforzo à concordare, et pacificare li discordi, li quali
siano tenuti obedire ad essi Capitano et Camerlengo. Et essendo
inobedienti, possino il Capitano et Camerlengo à quelli impor’ la
pena, per ogni volta et per ciascuno di XX soldi: et possino per
detta occasione in un’ medesimo giorno fare più precetti, come
gli parerà opportuno, la qual pena possino riscuoter de fatto, senza
processo, sentenza, e serittura.

5

rt € QQ—P €

r- *
I SITI e

$m
(29 T. CUTURI

Cap. XXVII. — Che il Discepolo non compri cosa alcuna senza

licentia del suo maestro.

Nessun’ discepolo possa fare aleuna mereantia di cose spet-
tanti alla detta arte mentre sta con alcun artefice di detta arte,
senza espressa licenza del suo maestro, sotto pena di cinquanta
soldi per ogni volta. Et siano tenuti, et devino li diseepoli obe-
dire al Capitano, et al Camerlengo. Et l'inobedienti aleuno spe-
tiale non gli ritenga sotto la pena à chi li ritiene doppo il co-
mandamento fattoli dal Capitano di eento soldi per ogni volta, et
per ogni eomandamento. Non possa aneo aleuno spetiale ritenere
aleun' discepolo, se prima non haverà osservato al primo maestro,
col quale sarà stato, tutte le cose che per esso dovesse fare, sotto
la detta pena, anzi sia tenuto scacciarlo: et deva fra otto giorni
doppo il comandamento fattoli dal Capitano, sotto la detta pena,
et della restituzione di tutto quello che il discepolo fosse tenuto
fare al primo maestro.

Cap. XXVIII. — Della pena di chi non crevella il pepe, et zenzero.

Se alcuno venderà, ò farà vendere ad alcuno artefice di detta
arte, pepe et zenzero, sia tenuto farlo erevellare se vorrà il com-
pratore, sotto la pena di cento soldi per ciascuno et ciascuna volta,
qual pena de fatto senza alcun processo per il Capitano si deva
far torre a chi non volesse crevellarlo.

Cap. XXIX. — Che nessuno esserciti detta arte se non sarà ap-
provato.

Perchè non senza sospetto manifesto è chi vuole ingerirsi in
cosa, che non gli appartiene, et non istrutto, può generare alli
corpi humani pericoli irremediabili et ruinare e fraudare chi seco
negotia, volendo remediare a queste cose, hanno ordinato che à
nessuno artefice sia lecito essercitare è fare essercitare la detta
arte per cagione di vendere, se prima unitamente dal Capitano,
et Camerlengo non sarà approvato. Se alcuno contrafarà in nome
di pena sia tenuto pagare per ogni volta XXV libbre R. Et nes-
suno spetiale con esso negotij in comprare e vendere cose perti-
nenti a detta arte, sotto la pena sopradetta.
Cap. XXX. — Che nessuno venda cose mortifere à persona inco-

DI ALCUNI STATUTI, ECC. 918

gnita et sospetta.

Nessuno di detta Arte venda o faccia vendere ad aleuna per-
sona sospetta ed incognita alcune cose mortifere et velenose, senza
espressa licenza di qualche medico come di cose spettanti all’arte
di medicina, overo ancora senza licenza di qualche marescalco
delle cose pertinenti all’arte di marescalcaria, sotto pena per ogni
volta di cento soldi R. da ritenerseli per il Capitano.

Cap. XXXI. — Che nessuno venda confetture, con animo di ri-
comprarle.

Guardisi ognuno che essercita simil'Arte di vendere o far ven-
dere, alcuna quantità di confetture ad alcuna persona, le quali
poi ó dal medemo compratore, ó da altra persona deva ricom-
prare, ne pigliare, sotto la pena di XX soldi R. per quello che
ricomprarà, ò ripigliarà. Et che il Capitano che sarà per tempo

sia tenuto delle cose predette farne essecutione sotto la pena di

XXV libbre di denari se vi usarà negligenza, qual pena si deva
ritenere dal suo suecessore infra otto dì dal primo del suo offitio
però havendone prima fede per testimonio idoneo.

‘ap. XXXII. — Che nessuno Artefice corregga la scamonea che
prima non l'habbia mostrata al Capitano.

Similmente aleuno che professi l'arte, non possa ne deva in
alcun modo tritare, pestare, ne mettere à correggere scamonea se
prima et avanti ogni altra cosa non la mostri e consegni al Capi-
tano, et Camerlengo di detta arte e senza il lor consenso sotto la
pena di 40 soldi R. per volta et per ciascuno che contrafar:

Cap. XXXIII. — Nessuno Artefice faccia mescolanza della gomma
del Pino con l'Incenso.

Deliberorno ancora, che nessuno artefice di detta arte di
spetiaria ardisca, ne, presuma sotto alcun quesito colore, vendere,
ne far vendere alcuna quantità di gomma di pino ad alcuno can-
delaio, ne ad altri per esso, per cagione di farne incenso, per
vendere, overo con l’incenso mescolare detta gomma di pino; ad
effetto, che l' incenso sia buono, et odorifero, quando si celebra il

» tant — — RET

,

: "
MU tnr d e a s ig 314 DAR T. CUTURI

Divino Offitio al Sig.re Iddio Nostro, e suoi Santi, sotto pena a
ciascun artefice contrafaciente di X libbre R. per ogni volta. Et
che nessuno eandelaio, ò altro possa vendere incenso mescolato
con detta gomma di pino, ò in altra maniera non buono, et caschi
in pena di cinque soldi R. per ogni libbra d’ incenso così ritrovato
per vendere, non buono, et nondimeno deva brugiarsi.

Cap. XXXIV. — Che Nessuno venda alcuna cosa pertinente à que-
st’Arte se prima non sarà stato matricolato.

Hanno determinato che nessuno artefice possa vendere a mi-
nuto da XX soldi in giù, cosa spettante a detta arte, et non ad
altra, se prima non sarà matricolato in detta arte, et averà pa-
gato per la matricola cinque soldi, et così deva, se vorrà matri-
colarsi, et chi contrafarà paghi in nome di pena XX soldi per
ogni volta che sarà contrafatto.

Cap. XXXV. — Che si deva credere a i libri de Spetiali.

Hanno statuito ancora, et ordinato, che alli libri di spetiale
huomo da bene et legale, che contenghino il dare, et havere, et
vi siano, il dì, mese, anno e causa, si dia piena fede sino alla
somma di cinque fiorini di moneta, à lib. 40 R.

Cap. XXXVI. — Che il Capitano possa conoscere e decidere le liti
che vertono tra spetiali.

Hanno reformato in oltre, che il Capitano che sarà per tempo,
possa conoscere, decidere e terminare tutte le liti, e questioni, che
avanti esso vertessero, tra qual si voglia di detta arte, di cose
spettanti à essa, è con seritura, o senza, purchè non aparisca pu-
blico istrumento, sommariamente, semplicemente, et de plano,
senza figura, e strepito di giuditio, risguardata solo la verità del
fatto: et in questo modo cioè, che se alcuno si lamentasse avanti
il Capitano per qualunque cosa à detta arte spettante, et contra
alcuno di detta arte, et fusse citato da parte del Capitano ad istanza
della parte che dimanda, una, o due volte, et non comparisse, ma

fusse contumace, non comparendo avanti detto Capitano, esso,

overo altri per lui ad allegare le cagioni della sua absenza, se
fusse absente, overo à defendere con pieno mandato, alhora et in
quel caso, veduta la detta contumacia, si comandi al detto citato,

?
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 375

come si è detto, che debbia haver pagato al suo creditore il de-
bito dimandato, dichiarato avanti esso Capitano per il detto ere-
.ditore in termine di X giorni. Et se fra detto termine non haverà
pagato, alhora in quel caso si dia la licenza contra detto debitore
di pegnorarlo, gravarlo, catturarlo, et pigliar posesso de suoi beni
per la quantità dimandata, et dichiarata avanti esso Capitano. La
qual tenuta, se il debitore non ripigliarà tra X giorni dal giorno
della tenuta presa, sia citato il debitore, che fra dui giorni la ri-
pigli, et se non la ripigliarà, si bandisca tre volte, in diversi giorni,
chi vuol comprare detta cosa presa in tenuta, et si dia a chi più
offerisce ; et non comparendo alcuno a promettere, si dia in pa-
gamento al ereditore per l'istesso debito, per il quale fu data la
tenuta, et per le spese legitime fatte nella eausa, da tassarsi dal
Capitano, come à esso parerà. Et se il debitore comparirà et con-
fessarà il debito, gli si dia il termine à pagare, ad arbitrio del
Capitano di detta arte; et se il debitore negasse, gli si dia il
termine à provare, e si proceda nella causa, .come al giuditio del
Capitano parerà che si deva procedere.

Cap. XXXVII. — Che alcuno non aprovato nell'Arte, possa ven-
dere à minuto.

Hanno statuito, et ordinato, che alcuno, che non sarà ap-
provato nella detta arte possa vendere alcuna eosa à minuto, per-
tinente à detta arte, et non ad altra, da XX soldi in giü. Et chi
contrafarà, paghi per pena, per ciascuna volta, che haverà con-
travenuto, XX soldi.

Cap. XXXVIII. — Cose spettanti a detta Arte.

Le cose spettanti a detta arte sono l’ infrascritte, cioè: cera
lavorata, Miele, Zuccaro, Confettioni, Confetti, Pepe, Garofali,
Zenzero, Cinamomo, Zafferano et altre cose simili pertinenti, come
di sopra.

Copia della commissione fatta al Sig. Luogotenente in vigore della
supplica con il rescritto Ducale.

Espongano à V. E. Ill.ma li fedelissimi Servi della medesima,
il Capitano et università de’ spetiali della vostra Città d' Agub-

*

bio, dicendo, et narrando, che longo tempo è che il Breve et or-

——— Srl tendine n

pin
316 T. CUTURI

dinamenti di detta università furno tolti, et levati via, et da poco
in quà, se ne riebbe alcuna parte, ma non tutta, si come era, et
è necessario all’ università predetta, et così molti anni sono stati
senza gli ordinamenti predetti in grandissimo danno del Commune
d'Agubbio, et de particolari persone, et non senza nota, e bia-
simo di detta università, et arte de spetiali, non havendo potuto
molti anni, andare alle luminarie di vostra Città ordinate à ho-
nore, et reverenza de suoi Santi; oltra che in detto tempo non è
stata fatta previsione de revisori, et correttori delle cose di spe-
tiaria e cera se siano di buona è cattiva qualità. Et havendo
con diligenza cercato di havere et havuto la copia del Breve, et
ordinamenti de spetiali di Perugia, qual hanno appresso di loro,
ricorrono a V. E. Ill.ma che si degni commettere al Sig. Luogo-
tenente o ad aleun altro esperto in detta Città, come piü parerà
a V. E. che veduti gli ordinamenti, quali hanno riavuti, et la
copia di quelli di Perugia ordini et componga un Breve per detta
Università, che grandissimo giovamento ne ridonderà al Commune
d'Agubbio, et alle persone particolari, et commandare, che le cose
da ordinarsi per il detto deputato da V. E. s'osservino, et devino
osservarsi sotto le pene da inserirsi in detti capitoli, non ostanti al-
cune reformationi, statuti ed ordinamenti. Et ciò dimandano per
gratia singolare da V. E. Ill.ma la quale Iddio Onnipotente con-
servi felicemente, accresca, et sublimi à desiderij d' essa.

RESCRITTO :

Il nostro Luogotenente d'Agubbio veda detti ordinamenti, et
quelli che saranno conformi alla ragione, honesti et leciti, gli
confermi, et confermati, che s'osservino come si dimanda.

Federico duca.

Dato in Agubbio alli 7 di Giugno 1480. Per mano di Sigi-
smondo della Pergola Cancelliero dell’ Illustrissimo.

Pier Antonio Colle da Sanseverino Dottor di Legge, et Luo-
gotenente de Agubbio per l’ Ill.mo Sig. Federico Duca d' Urbino,
Capitano Regio Generale, et Confessore di S. R. Chiesa. Veduta
la soprascritta supplica, et Rescritto dell’ Ill.mo. Veduti ancora,
e ben considerati et essaminati singolarmente et da per se li sud-
detti Statuti, et ordinamenti, con la sopradetta commissione in
fo)

DI ALCUNI STATUTI, ECC. 307

virtù del rescritto, et la commissione in viva voce, circa il capi-
tolo et ordinamento del dar fede alli libri di spetiali, ha confer-
mato li suddetti Capitoli et Ordinamenti, volendo, et comman-
dando, che si tenghino per confermati, et in virtù del detto
rescritto si osservino, come in esso et supplica si contiene. Dato
in Agubbio l' anno del Signore 1480 li XXV di Luglio.

f.to Severino Cancelliero med.?

Statuti d 10 Università dell’arte de’ Merciai. — I
merciai solo nel secolo XVI si costituirono in corporazione.
Il loro primo statuto è dell’anno 1540, inditione XIII, « tem-
« pore pontificatus sanctissimi in Christo patris et domini,
« domini Pauli, divina providentia papae tertii, die vero
« XXII Aprilis. Infrascripta capitula et ordinamenta facta in-
« stituta et edita fuerunt per universitatem artis merciario-
« rum civitatis Eugubii et per prudentes viros magistrum
« Iohannem Bergamaschum et Iohannem Bernardinum Bat-
« tellum capitaneos universitatis ejusdem artis, exhibita et
« producta correpta pariter et confirmata ac per dominos
« confalonerium et consules eugubinos comprobata fuerunt
« prout infra latius continetur et ad hoc ut majoris roboris
« firmitatis sortiantur effectus recursus habent praefati ca-
« pitanei ejusdem artis ad praedictam excellentiam vestram
« iterum eidem supplicando humiliter quatenus sua innata
« clementia dignetur infrascripta capitula et ordinamenta
« confirmare et approbare ac pro confirmatis et approbatis
« habere, mandare etc., et hoc de singulari gratia et dono
« reportabunt praedicti capitanei et universitas merciariorum
« eugubinorum a praedicta excellentia vestra ».

Segue nel codice l'istanza al duca d' Urbino.

« Al nome sia de lo onnipotente Dio e de la sua glo-
riosa madre sempre vergine Maria, et de tucta la sua trion-
fante corte celestiale ».

« All Ill.mo et eccellentissimo signore il Signore Guido-
baldo Feltro de la Rovere duca d' Urbino ».

aria : moe re

ó
ac o

,

e € mem IIT UU i

PSP SENA T e Pai Qr A.

378 T. CUTURI

« Essendo che ciascheduna arte de la sua città de Eu-
gubio abbia li suoi statuti, capitoli, breve et ordinamenti,
excepto li suoi fedelissimi sudditi et università de l' arte dei
merciari de la prefata sua città, et desiderando che detta
loro arte se debbi esercitare con quelli meliori modi et or-
dini che sia possibile, hanno li capitani de la detta arte, con
lo parere et consentimento de la loro università, instituito et
ordinato li infrascritti capitoli et ordinamenti lecti et dili-
gentemente examinati da quattro egregi cittadini, dal predetto
conseglio de la predetta sua città eugubina electi e particu-
larmente deputati, e, finalmente, da quelli in qualche parte
correpti et comprobati. E perché la predetta università è
solita ogni anno in la. vigilia della festività del glorioso santo
Baldo difensore e protettore del popolo, e cioé de la suddetta
città et suo distretto, fare e con effetto far portare uno delli
tre cerii soliti, singulis annis, offerirsi a quello glorioso Corpo
di S. Ubaldo, se supplica hora all’ eccellentia vostra per parte

de li devoti oratori capitanei, homini et università de la

detta arte de li merciari eugubini, fedelissimi sudditi e ser-
vitori di quella, qualmente se voglia degnar de volerli per
sua innata clementia e per umile invitu delli presenti oratori,
confermar li predetti presenti capitoli et ordinamenti a ciò
possino antecipare de imponere tra loro artigiani la spesa
da farsi per fabbricare il detto cerio a laude et onore de
l’onnipossente Iddio et del glorioso santo Baldo, quali salvino
e mantengano longo tempo quella con tutta la sua corte in
buona valetudine et felicissimo stato ».

Dall’ elenco che è nella Rub. II s'induce chiaramente
quali commercainti fossero compresi nell’ università.

Rub. I. —

Si limita all'istanza al Duca di tenere nelle botteghe le
merci enumerate. |
DI ALCUNI STATUTI, ECC.

Rub. II. —

Le quale robbe sono: :
Saye
berette
guarnelli
tela de lenza
tela de ortiglia
tela de Sangallo
tela de Costanza i
Veluti Tucte
Damaschi | d'ogni sorte
'asi e mezzi rasi
Ermosini
tafetà da le corde
flanelle
seta lavorata e non lavorata
fonigello o filugello lavorato e non lavorato
Veli a formichino
Veli de seta a quadretto
zenzalina venesiana
velo de seta negra o bianca
bende de filugello dogni sorte
pighè de seta
bambagie d’ogni sorte
coragli d’ogni sorte
corone de ogni sorte
buratte da camore
oro filato d'ogni sorte
pano de lino d’ogni sorte
corda d’ogni sorte
coltricile e pagliarina
anelli e verghette d'ogni sorte
spade e daghette e fodre d'ogni sorte
coltelli d'ogni sorte

AT 4r. SIIT :

È T
——— P Ó——À €. i

yr e 80 ; T. CUTURI

forbice

filo di ferro et d'ottone et de ramo
. filo da cetara e da monocordo

E aguti d'ogni sorte

|: bolette d'ogni sorte

| pontali e cucie d'ogni sorte

pale de ferro

lucerne d'ogni sorte

Is speroni e striglie d'ogni sorte

Aedui

Mats chiave da porte

i magliette, spille e achi d'ogni sorte

| bande de ferro stagnato

piombo

doppielle de cassa

stagno de ogni sorte

centure da spada

| campanelle e sonagli

j ferro e acciaro lavorato et non lavorato d'ogni sorte

E

ottone lavorato et non lavorato d'ogni sorte

de: fibbiame d'ogni sorte

5 arme d'ogni sorte

ogni sorte de ferrareccia lavorate e non lavorate

( sovattolo d'ogni sorte
| spicciatori d’ogni sorte E

| borse d'ogni sorte |

t ochiali e spechij d'ogni sorte
hio mastade d'ogni sorte

refe d'ogni sorte

bisace d'ogni sorte

scarpette 'd'ogni sorte

spago et corda pisana
francie de zagaglie

berette et capelli d'ogni sorte
camoscio d'ogni sorte

specciatoj
DI ALCUNI STATUTI, ECC.

- FE

scatole

budelli de lana

staccie ;

pilliccioni d'ogni sorte

pelle dal pelo d'ogni sorte

quanti d'ogni sorte

penne da berrette e da servitori

staffe et morsi d'ogni sorte

ostadino

et non solamente tucte le sopradette robbe, ma ogni altra
robba appartinente a l'arte de la merciaria.

$
-u——— misce -——

tana



SII e GI

Rub; HL .— u |

« Che chiunque voglia esercitare l'arte debba aver casa
in Gubbio ed abitarvi di continuo. Item che se nessuno fo-
rastiero volesse venire a fare fondaco qui con sue merce, è 6.
sia tenuto et obbligato a comprar qui per cento scudi di
stabile, et condurre qui la sua famiglia et abitare de conti-
nuo in dicta città. Et caso che mancasse de dicta obbliga-
zione cada in pena di XXV scudi da applicarsi alla camera
ducale per una quarta parte, a la fabbrica di S. Baldo per
un'altra quarta parte, a l'abbondanzia eugubina, e per l'al-
È: tra quarta parte all'offieiale che ne farà executione ».

Rub. IV. —

« Che l'adunanza generale si tenga il XX Aprile nella re-
sidenza dei gonfalonieri di giustizia e dei consoli del Comune
e che allora si eleggano gli officiali ».

Rub. V. —

« Item che nessun merciaro forestiero possa venire in
questa città nè in lo suo contado a vendere robbe de fuor de

26
TREE Un reme PPM a a -
_mggGcgGrrTtPrr e:

. tarlo al predetto S. Baldo a laude et honore di Dio e di esso

382 i T. CUTURI

la fiera de Santo Ubaldo, senza licentia de li capitani de di- |
cta arte, e caso che fossero colti a vendere senza licentia |

cadino in pena di uno scudo e perdita de la mità de la robba».

SRUDGVL

« Item che li macelli de la comunità Eugubina possino
cavare de ogni sorta di pelli eccetto pelle de capretti sotto

pena de doi soldi d'oro per ciascuna volta e per ditta pelle ». D.
Rub VHS == È
« Item che se alcuno de la predetta città volesse prin- 1
cipiare dicta arte sia obbligato di farsi scrivere in lo breve i
de dicta arte e paghi prima cinque grossi per alhora, e, di È

poi, paghi quel tanto che gli sarà imposto alla fiera di S. U-
baldo dalli homeni de dicta arte per fare il cerio. per por-

santo glorioso ».
Rub: VII. —

« Item se aleuno forastiere principiasse dicta arte sia
obbligato di farsi scrivere in dicto breve infra termine di
un mese dal di che comanzarà e paghi per allora un fiorino,
e di poi quel tanto che gli sarà imposto per fare il dicto
cerio alla festa di S. Ubaldo: e mancando delle predicte cose
cada in pena di.doi scudi da applicarsi come sopra tanto
per quelli che si trovano al presente, quanto per quelli da
venire ».

Rub. IX. —

« Item che veruno forestiero possa venir qui in la pre-
detta città a vender panni de lino a minuto da braccia diece
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 383

in giù, ma ben possa vendere in grosso da dicti diece brac-
cia in su, e facendo il contrario, cada in pena de uno scudo
e de la perdita del panno da applicarsi come sopra ».

Rub. X. —

« In occasione al tempo che se haverà da fare il cerio et
che cavino li capitani e li impositori e conseglieri e che
detti impositori debbiano ponere le imposte e li capitani le
debbiano riscuotere per far detti cieri, e caso, dal minimo
al grande, alcuno recusasse pagare a loro, li prefati capitani

E. debbiano accusare alli magnifici confalonieri de justitia e
L consoli del popolo de la predecta città di Eugubio ricercando
| lor signori faccino fare immediate le executioni a li mal pa-
I canti ».

È Bub xl

« Item che tutti li uomini exercenti dicta arte della pre-
detta città eugubina siano obbligati de farsi scrivere in lo
sopradicto breve dal cancellier de la comunità altramente
caschino in pena di grossoni cinque da applicarsi come so-
pra e sia tenuto a pagar bolognini doi per ciascheduno che
se farà scrivere in esso breve dal predetto cancelliere. »

Rub. XII. —

« Item che li capitani de la dicta arte siano obbligati
a far condurre il ditto cerio a le mano de li maestri ad ef-
fetto che se faccia diligentemente arrecconciare al tempo
solito a ciò che ’1 se possa far portare bene acconcio e
bene ornato in la vigilia del glorioso santo alla sua chiesa
con gli altri cerii al modo consueto, e caso che ditti capi-
tani mancassero di mandare ad executione quanto è detto
disopra cadano immediatamente in pena di fiorini cinque per
ciascuno da applicarsi a la fabbrica de la sopradetta chiesa ».

ur n pe 2 o

mm neo ant ca S ET c ae

,

de

; "
NU aure i a me qi o t 384 2: |. OUTURI

Rub. XIII. —

« Item che li predetti homini de ditta arte habbino uno
notaro che tenga el bossolo de li homini de essa arte, e che
ditto notaro sia obbligato quando serà ricercato al tempo so-
lito di cavar li capitani e impositori e conseglieri, e che el
suo salario sia bolognini X per anno ecc. ».

RUbEOXIVS

« Item che li libri de dicti merciari che exercitano la
dicta arte siano cresi per fiorini doi per ciascuna partita,
purché decta partita sia scritta al libro del giornale, et poi
al libro grosso in forma mercantile, quali siano cartolati e
intitolati e bollati con la bolla de la città eugubina, e per
mano del cancelliere de la predicta comunità ».

Rub. XV. —

« Item che li capitani insieme con li impositori e con-
siglieri de dicta arte non possino dar licentia per piü tempo
che per tre anni a forestieri che volessero vendere le loro
robbe e caso che li facessero licentia per più cadono in pena
de uno seudo per uno da appliearsi come sopra ».

Rub. XVI. —

« Item che se alcuno merciajo vendesse della mercia-
ria ad alcuno castello del territorio di Eugubio sia obbli-
gato e debba osservare tutti li sopradetti capitoli con li altri
merciari di detta città alla pena di uno scudo da applicarsi

come sopra ».
Rub. XVII. —

.« Item che nessuno officiale de dicta città de qual con-
ditione se sia possi ne debba procedere contro li trasgres-
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 385

sori de dicti capitoli, o alcuno di essi se non ad istantia
delli predicti capitani de dicta arte o di alcuno di essi ».

LJ

Rub. XVIII. —

« Item perchè dicta arte pate molto per cavarsi fuor
del districto eugubino pelle crude, se proibisce per questo
presente capitolo che non sia persona alcuna de qualsivogli
conditione che ardisca né presuma di cavar fuori del dicto
districto pellame crudo spettante et appartenente alla dicta
arte sotto pena di doi scudi d'oro per ciascuno e per cia-
scuna volta se contrafarà et de la perdita de dicte pelle da
‘applicarsi come sopra.

Il 19 Marzo 1569 un bando del luogotenente vietò l'estra-.
zione delle pelli di capretlino e di agnellino.

Nel 1578 nell'adunanza generale dell'arte « essendo ri-
conosciuto, secondo il parere di molti, che gli ordini capitoli
e breve di detta arte in molti luoghi e parte di quelli difet-
tino, di maniera che hanno di bisogno de corretione e riforma
e dechiarazione, et anco di qualche aggiunta di più, secondo
che il tempo e l’esperienza n’insegna e il tenore de li ca-
pitoli di detto breve dimostra e scuopre », ne dettero il
mandato a Damiano Tondi ed a Giuseppe Battelli e per pre-
sentare i capitoli alla conferma ducale deputarono Girolamo
Gambocci.

Ed ecco, in compendio, quali sono le riforme:

I. — Mantenuto l'obbligo dell'adunanza generale dell' arte
nel mese di Aprile, e mantenuta la forma dell' elezione degli
officiali, aggiunsero l'obbligo ai capitani di convocare l'adu-
nanza generale ogni volta che occorresse. |

IL — Nuove raccomandazioni ai capitani per far bene
preparare il cerio nella festa di S. Ubaldo.

III. — Imposto ai capitani di tenere una regolare con-
tabilità delle cose dell'arte, dell'entrata e dell'uscita e di
‘dare la ragione dei conti. :
T. CUTURI

IV, Ve VI. — Stabilita una particolare imposta pel
cerio ed obbligati i capitani ad esigerla non più tardi del
Maggio.

VII. — Aggiunsero che il notaro custodisse il bossolo
dei maestri eleggibili agli offici dell’arte.

VIII. — Chiunque volesse aprir bottega di merciajo do-
veva iscriversi nella matricola, nel termine di un mese.

IX. — Furono nominati due riveditori per esaminare i
conti dei capitani e per sindacarne la gestione.

X. — Fu permesso ai mercanti di tenere e vendere ne

le loro botteghe tutte le merci e robbe « senza contraditione
di persona alcuna di qualunque grado, mestiero o arte si
vogli ». (Evidentemente dovevano essere insorte controversie con
altri artigiani e con loro protettori).

XI. — Chiunque altro volesse vendere le merci speci-
ficate nel breve doveva di subito notificarlo ai capitani di
detta arte « da’ quali li sia data licenza di poterla vendere ri-
conoscendo essa arte, secondo il valore e portione di dette
loro merci e uso e costume osservati e da osservarsi fra li
detti merciari: e sendo colto alcuno a vendere dette robbe
senza la licenza delli detti capitani, cadono in pena di doi
scudi per ciascuna volta, d’ applicarsi per la mità alla ca-
mera di S. S. e un quarto ‘all’ esecutore e l'altro quarto a
la fabrica di S. Ubaldo ».

XII e XIII — Fu pure mantenuta la licenza ai fore-
stieri di vendere liberamente sulla piazza anche fuori della
fiera di S. Ubaldo, ma fu limitata a tre giorni, e fu deter-
minata la tassa che dovevano pagare.

Non vi sono dunque riforme sostanziali e le aggiunte
sono di poco conto.

Nel breve sono riferiti i bandi ducali del 10 e del 27
Aprile 1522, del 14 Sett. 1538 e del 24 Aprile 1546, contro
chiunque vendesse merci senza essere inscritto nella matri-
cola dell'arte, e contro chi esportasse pelli d'agnello e di
capretto.
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 387

Questi bandi si rinnovarono il 4 Luglio 1663. Il giorno
9 dello stesso mese i maestri dell’arte deliberarono di eleg-
gere un solo capitano non essendo più l’arte numerosa per
mancanza di affari.

sembra che il luogotenente avesse data un’interpreta-
zione restrittiva al breve sottraendo alla giurisdizione degli
officiali dell’arte o di quelli del Comune da essa delegati, i
venditori ambulanti o merciai aventi un piccolo banco in
piazza (spiazzini). Il capitano dell’arte deve averne fatto re-
clamo al Cardinale legato Altieri, il quale da Pesaro il 10
Dec. 1674 mandò al luogotenente il rescritto seguente:

« Non potendosi ingerire alcuno de li officiali della città
nelle cause de’ merciari, come dispone il XVII capitolo del
breve ottenuto da l università dell’ arte, voi lasciarete che
queste sian conosciute dal confaloniere che n’ è giudice (1)
astenendovi di passare più avanti in quelle de li spiazzini
per non praticar costi novità.». « All' arcivescovo di Damasco
vicelegato, luogotenente di Gubbio ».

Segue nel breve una curiosa vertenza tra i mercanti di
Gubbio e quelli di Cantiano, i quali negavano d’ essere sog-
getti alla corporazione eugubina, e adducevano le loro ra-
gioni interpretandone restrittivamente lo statuto, e dimo-
strando che Cantiano non era compreso nel territorio del
Comune (2).

Il 9 Luglio 1663 i merciai chiesero al Cardinale legato
Bichi che anche i triccoli fossero tenuti a pagar l’ imposta
quando nelle loro botteghe vendevan robbe dell’arte loro. (È
il Doc. IV nel Cod. Cartaceo conservato nell’ Archivio co-
munale con la segnatura II, 12°, 3).

L'8 Ottobre 1707 troviamo trascritto uno dei soliti

(1) Come l'arte de' falegnami aveva eletto a proprio giudice il podestà, può
darsi che i Merciari, seguendo tale esempio, avessero nominato il gonfaloniere del
Comune. ^

(2) Trovo che tal questione fu di nuovo sollevata nel Decembre 1707, come dal
Doe. VII che è nel Cod. Cartaceo, sugli statuti de' Merciai nell'Archivio del Comune.
388 T. CUTURI

| | bandi contro chi esercitasse l'arte senza essere: immatrico-
aU lato. E qui finiscono i documenti su questa corporazione, la
| | quale, continuó con queste riforme sino ai primi del secolo
| decorso, come possiamo dedurre da altro Cod. cartaceo (detta
segnatura II, 12°, 3) che è nell Archivio comunale e che si
chiude con un verbale dell'adunanza del 21 Decembre 1802.

razioni eugubine fu, probabilmente, ch’ esse ebbero sempre
un carattere più economico che politico e furono costante-
mente soggette allo Stato o avesse la costituzione libera del

il La principale ragione della lunga vita di queste corpo-

| | comune, o fosse ordinato in principato.
| | Il comune e poi i duchi seppero sempre mantenere su
| Ri .di esse la loro autorità nell’ interesse generale.

| VR | Il principio di diritto che s' avesse come nullo qualun-
| que statuto, qualunque atto contrario agli ordinamenti del
comune, principio che troviamo in tutti i brevi e dovunque
in Italia, non. poteva riuscire efficace quando le corporazioni

|
|
|
| stesse prepotevano nel comune e ne regolavano la vita se-
| | i condo i loro interessi soltanto e secondo il prevalere delle
loro fazioni.

| Notiamo invece negli statuti eugubini la ferma costante

opera del comune, e, poi, di esso e del governo ducale, nel-
l| impedire che le corporazioni potessero nuocere anche ai
RI soli interessi economici d’ordine generale. Basti rammentare
le disposizioni statutarie contro qualsiasi tentativo di mono-
| polio, e contro la concorrenza sleale, e basti osservare con
| quale timidezza le corporazioni invocano | intervento del
RUE principe per qualche provvedimento soltanto protettore.

| Si osservi pure che le arti eugubine non sono corpora-

TRE R TU IRE UNTEETN AA CCP OM ALUDI E UETTERTRREBET ETE n
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 389

zioni chiuse. Anche i forestieri vi devono essere ammessi,
ed abbiamo notato alcuni di loro tra i capitani (1).

Ai magistrati ordinari furono sottoposti commercianti
ed artieri nelle cause che potessero avere coi cittadini e coi
forestieri per l'esercizio delle loro aziende; furono guaren-
| tite col prudente intervento del podestà, del gonfaloniere o
| di un giurisperito le decisioni delle stesse controversie, di
P qualche importanza, fra gli immatricolati nell'arte.

E Gli abusi del potere corporativo, del potere sindacale,
B come si scrive ora con frase francese, furono impediti si *
- contro il comune e sì contro i privati. Il principio della
| buona fede nella esecuzione dei contratti fu costantemente
5 imposto e difeso: anzi fu proclamato negli statuti con tali
; frasi e con tali sanzioni, che apparisse come un principio
sacro, necessariamente inerente alla stessa convivenza civile.
| E chi trasgredisce non solo è punito, ma è come pro-
| scritto, come' soggetto ad una specie d'interdetto finchè non
È dia prova di sicuro ravvedimento. Il lavoratore non sia accet-
| tato da alcuno, l'imprenditore non trovi chi vada a lavorare
con lui: in altre parole, o la buona fede nell’esecuzione del
contratto di lavoro, o l'interdizione dal lavoro o dall'esercizio
dell'azienda. La proclamazione di tali principi che troviamo
: costantemente in tutti i brevi e in tutte le riforme, e poi in
| tutte le disposizioni sull’ esercizio onesto dell arte, e sulla
| esclusione di chiunque, per spirito di lucro, male operasse
E o nel lavoro, o nella scelta delle materie prime, o nel ven-
| dere i prodotti, giovarono senza dubbio alla morale profes-
sionale ed all'educazione giuridica dei lavoranti e dei maestri.
Mentre poi, d'altra parte, la rappresentanza organica delle
| varie classi operaje innanzi al Comune e allo Stato, provve-

FRATI ZLI TARE LE

(1) Negii statuti delle città lombarde invece la cittadinanza, era, generalmente,
condizione essenziale per l'ammissione all’ arte. Così pure in Firenze per l’arte del
“cambio. — Sulla tendenza ad escludere i foranei dalle corporazioni e sulle ragioni
economiche e sociali di essa, si consulti: ARIAS, Il sistema della costituzione econo-
miea e sociale italiana nell'età dei Comuni. Torino-Roma, 1905.

27
TUIR 390 T. CUTURI

i deva continuamente alla difesa de’ loro interessi, come pos-
| siamo anche argomentare dalle istanze spesso rivolte diret-
| tamente al Duca senza mendicare ajuti di funzionari,. anzi
| talora evidentemente contro le ripulse dei maggiorenti eu-
| B IIl gubini, e contro le prepotenze locali.

| Lo spirito religioso e caritatevole, sempre favorito negli
| statuti, mantenne sentimenti di fraterna solidarietà, e favori

it la educazione morale di quegli artieri.
MILL Gli offici dell'arte dovevano essere conferiti ai migliori
INIT . e per capacità e per notoria rettitudine. Gli statuti lo im-

MILI pongono, più e più volte, senza badare né all'origine del so-
| dr cio nè al tempo dell’ iscrizione, come invece avveniva altrove
MO. 11 e nell Italia superiore e nell' Italia centrale (1).
| Poche disposizioni abbiamo osservate sui lavoranti e su-
| Ii gli apprendisti, e sono particolarmente dirette alla leale esecu-
WIR zione del contratto di lavoro: ma bisogna osservare che allora
MET il lavorante apparteneva allo stesso grado sociale del maestro:
| ‘ spesso, anzi, era della famiglia di lui. Di più il periodo del
| Bid lavoro salariato per un giovane bravoe volonteroso durava
li pochi anni, ed egli stesso diveniva maestro e capo o socio
li della piecola azienda. E, appuuto, la previsione di tale eleva-
ME mento contribuiva a rendere i lavoratori fedeli alla corpora-
zione ed impediva in Gubbio ed in ogni altro centro di piccole
| manifatture e di piccole aziende le coalizioni permanenti, e,
EH spesso violente, dei semplici salariati. Nemmeno bisogna di-
| menticare che, allora, maestri ed operai non locavano sempre
| l'opera loro ad imprese industriali, ma direttamente ai loro
TE clienti, i quali, talora, provvedevano i materiali e s'ingerivano
HERR. perfino della vigilanza nell'esecuzione delle opere. Quanto ai
TRIN prezzi dovevano essere seguite le tariffe ormai fissate nell'uso o
VOI negli statuti, o in particolari deliberazioni dell’antorità Comu-
{lai nale. Poichè in quei tempi la politica economica era pur di-

|

|

|

Il | ; (1) PERTILE, vol. II, 190, 22. — LATTES: IL Diritto commerciale nella legislazione
| statutaria. Cap. I, in fine, nota 84.

| ;
DI ALCUNI STATUTI, ECC. 391

retta ad assicurare ai lavoratori un salario conveniente, e
ad impedire, al tempo stesso, prezzi di monopolio contro i
consumatori. Le Corporazioni ricorrono al Duca stesso quando
sia necessario impedire un ribasso eccessivo dei prezzi e
dei salari, e il Duca provvede, poichè « è di buon governo
ed è giusto l'assicurare agli artieri un reddito conveniente
secondo i guadagni consuetudinari delle loro industrie ». Così
la corporazione, in quella società ed in quelle condizioni
economiche, provvedeva agli interessi di tre elementi che,
nei tempi nostri, sono spesso in conflitto: gli imprenditori,
gli operai ed i consumatori. Né faccia meraviglia ch'io parli
dei consumatori, perchè dagli Statuti è manifesto che i ca-
pitani delle arti divenivano come funzionari del comune,
anche durante il principato, per difendere tutti i cittadini
dalle adulterazioni, dalle frodi, dalla concorrenza sleale, dalla
mala fede nell'esecuzione dei contratti, dall’ abusivo rialzo
delle mercedi o dei prezzi. Ond' è che la corporazione non
solo dirigeva e coordinava l’ operosità dei produttori di qual
siasi grado in un'industria e nelle industrie affini, ma doveva
dirigere l’azione sua agli stessi interessi generali come or-
gano del comune e coordinarla alle funzioni di esso. Così
ebbe struttura e caratteri che nettamente la distinguono dalle
unioni operaje dei tempi nostri. Date le condizioni della so-
cietà comunale, specialmente nell’ Umbria, e considerate le
condizioni economiche delle imprese industriali nei minori
centri fino alla seconda metà del secolo XVIII si possono
davvero ripetere, a proposito, le parole che l’imperatore Si-
gismondo scriveva nel 1434: « I nostri antenati non sono
stati degli sciocchi. Le arti ed i mestieri sono stati ideati a
questo scopo: affinchè ciascuno guadagni per mezzo di essi
il suo pane quotidiano, ed affinché nessuno s'immischi nel
mestiere dell’ altro. Con ciò il mondo si libera dalla sua mi-
seria e ciascuno può mantenersi da sè (1) ».

(1) GOLDASTI, Constitutiones imperiales. T. IV, pag. 189.
T. CuTURI.
EE

INDICE PER ORDINE ALFABETICO CON RIFERIMENTO ALLE PAGINE È

A.

Abolizione delle Corporazioni nello
Stato pontificio, 393 e seg.

Albergatori, 263.

Adulterazione di prodotti, 373, R.
XXXIII.

Adunanze dell’arte, 281, 284, 290,
305, 313, 334, 365, 381.

Ajuti fra uomini dell’arte, 282, R.
XXVI 9295, R. XXII, 901.
Amministrazione del patrimonio

dell'arte, 293, 294, 340, 341, 346.

Ammissione all'arte, 255, 276, 283,

287, 291, 299, 301, 313, 318, 321,
827, 355, 359.

Apprendisti e garzoni, 276, 277,
281, 285, 292.

Approvazione degli Statuti delle
arti, 376 (vedi pure: Zforme).

Arbitrio dei capitani, 278, 274, 275,
281, R. XV, 282, R. XXV, 283,
R. XXXX, 284, R. XXXXVIII,
286, pr. LXXVII, 307, 320, 322,
339, 335, R. XVI, 343.

Arcellari, 271.

Arte della lana, 260, 267 (1).

Artefici del popolo minuto esclusi
dai maggiori offici del Comune,
259.

(1) Nuovi documenti importanti sull'arte della lana non sono stati trovati. Men-
tre rivedevo questo lavoro ebbi notizia d'aleuni documenti dell'archivio della Con-
gregazione di Carità: ma essi nulla alterano del contenuto di questi studi, si rife-
riscono più alla storia della città che. agli ordinamenti giuridici ed alla funzione

economica delle corporazioni.

T. CUTURI

B.

Balivi delle arti: al singolare tro-
vasi pure il nome Balio, 275,
310, 311, 348.

Bastari, 271, 279.

Battiloro, 301.

Bigonzari, 211.

Bollatura dei lavori eseguiti dagli
artieri, 327, Rub. XXXI.

Buona fede nell’ esercizio dell’arte,
266, 268 in f. 278, 313, 314, 325,
885, R. XV, 350, Cap. XVIII,
351, 913.

Bossolo degli eligendi all'offieio di
gonfalonieri del Comune, 253,
254, 258.

Bossolo per eleggere officiali delle
arti, 272 (vedi Offici dell’ arte).

TUMUES

C.

Caleinari,nelle concie delle pelli,
333.

Calderari, 301, 302.

Calzolari, 260, 305 e seg.

Camerario, 311.

Camerlengo, 273, 281, 285, 289,
392, 311.

Capitani delle arti, 253, 254, 259,
INDICE PER ORDINE ALFABETICO, ECC. 393.

‘260, 272, 981, 984, R. Le LIII,
285, R. LXIIII e LXVII, 287,
288, 989, 296, 297, 305 a 308,
342, 344, 360, 362, 363, 383.

Cappella dell’arte de’ Calzolari,

Carbone e Carbonai, 282, R. XVII
e XXIII, 286, R. LXXXVIII,
301.

Catollo, 333.

Cera, obblighi dei fabbricanti 0
cerajoli, 366, 367, 368.

Cerii in onore di S. Ubaldo, 284,
388, 385, n. II, 386.

Chiavari, 301, 302.

Colta o imposta, 331.

Concia delle pelli, 318, 326, 328, 335.

Conciliazione, 311.

Concorrenza, 265, 278, 281, Rub.
VIII, 286, R. LXXXVIIII, 292,
327, 337, 341.

Confaloniere dei calzolari, 312.

Confetture, 373.

Comune di Gubbio e suoi rapporti
con le corporazioni delle arti,
254 e.seg., 388 e seg.

Consiglieri delle arti, 272, 273, 282,
284, R. LVIII, 297, 305, 308,
309, 334, 344, 359, 360.

Consiglieri del Comune nel secolo
XIV, 254. Nei secoli XVI e XVII,
257, 258, 259.

Contabilità dell'arte, 385, n. III.

Contratti, 278, 285, R. LXII, 298,
R. XXXI, 323, 328.

Convocazione dell’arte (vedi Adu-
nanze).

Corporazioni d’arte in Gubbio nei
secoli XIII e XIV, 253 a 258,
388 e seg.

Crediti degli artieri, 302, 303.

Cuoi, 314, 319, 336.

D.

Depositario dell’arte de’ ferrai, 293,

Depositi necessari presso gli al-
bergatori, 263.

Deposito dell'olio, 264.

Discepoli dell' arte, 256, 216, 271,
281, R. X e XIII, 282, Rub.
XVIIII e XXI, 285, R. LXXII,
292, 323, 364.

Discepolo nell'arte degli speziali
che vende cose dell’arte, 370,
372.

Discepolo che compra senza licenza
del maestro, 372.

Donzello dell’ arte (vedi Balio).

Doti a figlie d' artieri, 341, 348 in f.

Duchi d’ Urbino, loro rapporti con
le corporazioni, 256, 297, 258,
269, 271, 303, 304, 333, 331 in
f. 338, 342; 376, 377, 386, 388 e

seg'., 391.
E:

Elezione dei capitani, 273, 306, 342
(vedi la voce Capitani). .

Esenzioni, 338, 342.

Esercizio dell'arte, 313 (vedi Iscri-
zione nella. Matricola).

Esportazione di materie prime utili
all’ arte, 279, 333, 337, 385, R.
XVIII, 386 (vedi Materie prime).

Fi

Fabbri, 261, 301, 280 e seg.

Fabbricazione della cera, 366,
368.

Falegnami, 261, 270 e seg.

Ferri rubati, 299.

Feste solenni per gli artieri, 279,
283, 285, 300, 324, 3928, 329,
339, 343, 365. i

Fiera di S. Ubaldo, 276, 381 in f.,
e 382.

Torestieri ammessi a lavorare e a

quali condizioni, 292.
Forestieri ammessi a vendere merci

1t nen ni
ade

i sh € CI

Ap

Xy" 7
È «4

NE QUE

BE.

pubblicamente e in quali con-
dizioni, 384, R. XV, 386, XII
e XIII.

Forestieri ammessi nell'arte, 255,
260, 261 (Fabbri e manescalchi),
301 in f., 308, 304, 382, R. VII,
384, R. XV.

Forma dell'ammissione nell'arte,
284, 291, 321, 372 (vedi Iscri-
zione nella matricola).

Fornai, 264.

Foro (declinataria del) 317, 343.

Funzione economica delle corpo-
razioni eugubine, 255 e seg. a
269, 388 e seg.

G.

Giuramento dei capitani (vedi Ca-
pitani) e più 307, 342, 363.
Giuramento degli inscritti all’arte,
287, 316, 321, 342, 363, 364,

Cap. VI.

Giurisdizione dei capitani, 256, 267,
274, 282, R. XXIII, 283, 287,
296, 298, 300, R. XXXV, 317,
322; 898, 836, R. XVII, 343,
374, 384, R. XVII.

Igiene, 263, 264, 265, 266, 267, 333,
368, Cap. XVIII, XIX e XX.
Impositori nell’ arte de’ merciai,

384, R. XV. ..

Imposte dell’arte, 272, 273, 300,
301, R. XXXVII, 331, 335, R.
XIV.

Inscrizione nella matricola dell’ar-
te, 255, 276, 283, R. XXXXVII,
287, 291, 299, R. XXXIII, 301,
813, 316, 321, 327, 328, 337, R.
XXIV, 374, 881, 382, R. VII,
383, R. XI, 386, VIII, 388 pr.

Ispezione delle concie, 333.

394 T. CUTURI

L.

Lanternari, 301, 302.

Lavoranti, 256, 276, 313, 320, 323
(vedi Discepoli).

Lavoratori non iscritti all'arte, 321.

Lemarois generale comandante il
dipartimento del Metauro, 361.

Libri di commercio, 268, 314, 384,
R. XIV.

Locazione di opera fra garzoni e
maestri, 277, 292.

M.

Macellari, 262.

Magnani, 286, 299, 301.

Magazzino di deposito dell’olio, 264.

Mantenitori del patrimonio de’ cal-
zolari, 934, 336, 340, R. V e
VII, 345.

Marescalchi o maniscalchi, 301.

Materie prime per leindustrie delle
Corporazioni, 279, Cap. XXXIX
(vedi pure le voci Carbone, Pelli),
295, 333, 335, 337, 385.

Matricole delle arti, 348, 350 (vedi
Inscrizione nella matricola).

Mercanzie, loro qualità, 369, 372,
378 a 381, 386, X e XI.

Mercato (posti destinati agli ar-
tieri), 326.

Mercato aperto ai forestieri, 304.

Mercato e feste solenni, 330, 335,
R. X.

Merciai, loro statuto, 260, 377.

Merciai dei castelli, 384, 387.

Misure giuste, 287, 297.

Monopoli severamente proibiti, 259,
301 in f., 388 e seg.

Morti (onori funebri), 279, 285, R.
LXVIII, 323, 348.

Mugnai, 265.

Muratori, 262.
i rt

INDICE PER ORDINE

N.

Noleggio di cavalli presso gli al-
bergatori, 263.

Notari, loro corporazione, 269.

Notaro dell’arte, 268, 275, 284, R.
LV, 291, R. VI, 312, 347, 384,
R. XIII.

Nuti Sebastiano sub-collettore de-
gli Spogli. Suoi rapporti con la
corporazione de’ calzolari, 353.

O.

Obbligo di avere proprietà immo-
biliare in Gubbio per potere
inseriversi all’ arte de’ merciai,
381.

Offici delle Corporazioni d’arte se-
condo lo Statuto del Comune
del 1338, 253, 254 e seg.

Oliandoli, 264.

Offici dell’arte, requisiti per otte-
nerli, 2/72,. 213, 281, 282, 290,
291, 305, 322, 331, 390 (vedi pure
le voci Capitani, Consiglieri,
Camerlengo, Camerario, Con-
faloniere, Mantenitori, Balivi,
Notaro, Sindaci, Stimatori Vi-
sitatori).

Onesti Braschi Romualdo, cardi-
nale. Suo reseritto in favore
dell’arte de’ ealzolari, 358.

Operai ammalati, 291, 302 (vedi
Soccorsi ai poveri dell'arte).

Orefici, 301.

Ordinamenti dei calzolari, 305, 344.

P.

Parte Guelfa in Gubbio, 253.
Patrimonio dell’ arte (vedi obbe
dell’ arte), 332, 340, 341, 346.
Pelli secche e cuoj, se ed in quanto

.Si possano comprare, 314 e 315.
Pelli incalcinate, 318.

ALFABETICO, ECC. 395

Pesi giusti e sigillati, ‘283, 287,
297, 370.

Peso pubblico, 264.

Pignoramenti e pegni, 275, 281 in f.,
282, 286, R. LXXXIII, 294, 295,
324, 325, 369.

Pio VII. Motuproprio abolitivo delle
corporazioni delle arti, 352.
Polizia municipale, 261, 262, 263,

264, 326, 329, R. XXXIV, 333.

Pollajoli, 264.

Potestà di Gubbio, consultore le-
gale de’ falegnami, 272, 275.
Poveri dell’arte, 260, 290, 313, 318,

339, R. III, 346, 348.

Prestiti fra uomini dell’ arte, 282,
R. XVI, 285, R. LX, 295, 343.

Prevalenza dell’ elemento rurale
nel Comune di Gubbio, 254.

Privilegio degli albergatori, 264.

Procedimenti contro gli artieri, 256
(vedi Giurisdizione dei consoli
o capitani), 3!7, 320, 323.

Processioni (vedi Feste), 366.

Protomedico del Comune, 266, 267,
372.

Prove per l’iscrizione all’arte, 276,
277, 350, 372 (vedi Inscrizione
nella matricola).

R.

Ranghiasci avv. Sebastiano. Suoi
rapporti con la corporazione dei
calzolari, 352 a 362.

Revisori dei conti, 347 (vedi la voce
Sindacatori) Nell’arte dei mer-
ciai sono chiamati rivedztori,
386, IX.

Restaurazione del governo ponti-
ficio, 361. :

Riforme dello statuto de' ferrai e
fabbri, 280, 288, 289 e seg., 303.

Riforme dello statuto de’ calzolari,
317, 332 in f., 333, 339, 342, 353
e seg.
Riforme dello statuto de’ merciai,
385.

Rispetto fra gli artieri, 351.

Rivarola A., cardinale. Suo re-
scritto in favore dell’ arte dei
calzolari, 361.

Robbe dell’ arte, 293, 294, 331, 332,
346, 355, 386, X, 370.

S.

Sagrestani dell'arte, 340, R. IV,
341.

Salario dei capitani, 330 (vedi Ca-
pitani delle arti).

Sarti, 261.

Scamonea, 313.

Scarpe lavorate dai non iscritti
nell' arte, 327, 339.

Sindaci o sindacatori o riveditori,
334, 340, R. VI, 345, 347, 386,
R. IX.

Segatori, 271.

Segni o marchi dei ferrai, 282, Rub.
XXVIIII, 283, 287, 292; degli
speziali e dei cerajoli, 367, Cap.
XVI.

Soccorsi ai poveri dell’arte, 281,
290, 291, 302, 313, 318, 339, 340,
R. III e VIII, 841, 346, 348.

Spedale dell'arte, 357.

Speziali, 266.

Stagnari, 302.

Statuti del Comune di Gubbio (del
1338) 253, (del 1622) 257.

Stimatori o periti dell'arte, 278

in f.

396 T. CUTURI

Stranieri, e loro ammissione nelle
Corporazioni d'arte, 255 (vedi
Forestieri).

T.

Tornari o tornitori, 211.
Tributi degli artieri verso l'arte
(vedi Imposte, Colta), 331, 338

U.

Uguecione della Faggiola ed i fuo-
rusciti eugubini, 253.

V.

Vasari, 262.

Veleni, obblighi dei farmacisti e
speziali per la vendita di essi,
373.

Vendita dei pellami fuori delle por-
te della città, 337, 335.

Vendita di prodotti delle spezierie
per opera di un discepolo del-
l’arte, 370, 371.

Vendite a minuto di prodotti te-
nuti dagli speziali, 315.

Visitatori e loro ufficio, 339.

Z.

Zenzero, come doveva essere ven-
duto, 312.
Zoccari o zoccolari, 271.
DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO

PREFAZIONE

« Quanta varietà di governi nell Italia del 1300! Di
fianco alla monarchia siciliana fondata sul volere dei sudditi
e reggentesi coi parlamenti ed alla monarchia angioina del
Napoletano di carattere più assoluto, il governo teocratico
a Roma, molti liberi Comuni nella media ed alta Italia, e
fra questi le due città più floride e più ricche, Firenze e
Venezia, ordinate l'una a democrazia, l'altra ad oligarchia;
mentre nella gran pianura padana sorgevano da ogni parte
signorie, le une sulla rovina dei liberi Comuni, le altre come
semplice continuazione e trasformazione del regime feu-
dale » (1).

Di tante e cosi diverse forme di governo esistenti in-
torno al 1300, la comunale sopravviveva principalmente nel-
l’Italia media, sebbene anche qui fosse prossima a trasfor-
marsi in signoria. Si presenta ricco di problemi e d'alletta-
menti lo studiare quel periodo di transizione per cogliere le
cagioni del mutamento. Questo avvenne in molti luoghi in
modo simile, ma sempre differente nei particolari. Ne con-
segue che, per raccogliere in un quadro vasto il trapasso
lento da un reggimento all’altro, occorre prima aver certa
conoscenza dei fatti che si svolgevano in ciascun Comune.
Sotto tale aspetto anche una piccola città può offrire notizie

(1) P. ORSI, Signorie e Principati, ed. Vallardi, p. 9.

n "
——

Serre

E ——ÁÁ— QM

398 G. PARDI

utili a comprendere le leggi di quel grandioso fenomeno. Ho
avuto occasione di compiere questo studio per Orvieto, la
quale, del resto, ebbe. in quel tempo, com'é noto, importanza
politica e fioridezza maggiori che non $' arguisca dalle sue
condizioni presenti. Il gioiello marmoreo della sua cattedrale
non avrebbe potuto innalzare una popolazione scarsa di nu-
mero e di risorse, mancante del gusto artistico sviluppato da
una civiltà già avanzata. Proprio mentre quel miracolo d'arte
e di fede cominciava a slanciarsi verso il cielo, intorno ad
esso ferveva la battaglia degli interessi sociali, che trasforma
incessantemente le nostre istituzioni.

I. — Le condizioni politiche e sociali, il governo, à partiti.

Orvieto intorno al 1300 era il centro politico di una re-
pubblica comunale. Fra i territori di Siena, Arezzo, Perugia,
Todi, Terni e Viterbo si stendeva un territorio formato dalle
.valli del Paglia, del Chiani suo affluente, del Tevere presso
alla confluenza del Paglia, e del lago di Bolsena; limitato a
nord dallAmiata, dalla montagna di Cetona e dal lago di
Chiusi, ad est dal corso del Tevere oltrepassato in alcuni
tratti, a mezzogiorno dai confini dell’attuale provincia di Roma
allargati in modo da comprendere parte dell’odierno manda-
mento di Bagnorea, ad occidente dalle colline lungo cui scorre
la Fiora.

Orvieto, essendo l'unica città abbastanza forte e popo-
losa in tutta questa estensione di terre, se ne era fatta
padrona, acquistando lentamente il contado ora con la forza
delle armi, ora per mezzo di patti stretti coi nobili feudali
residenti in forti castella sulle montagne circostanti. Domi-
nava, oltre che sul territorio che ne costituisce l'odierno cir-
condario, paesi in quel di Perugia, di Siena e di Roma.

Come succedeva quasi sempre tra città confinanti in
quell’età, si può dire, di anarchia, si impegnò ben presto
una lotta tra Senesi ed Orvietani. Fortunatamente per i se-
DD RENNES
PUT

DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIELO 399

condi, i Fiorentini ebbero essi pure da guerreggiare, da quella
parte, con Siena, per il contrastato possesso di Montepulciano,
e trovarono utile ai loro disegni l'alleanza con Orvieto 'con-
tro la comune rivale.

Quest'alleanza con Firenze, capo di parte guelfa, forma
per il Comune umbro la linea direttiva della sua politica e-
sterna, ed anche all interno lo sospinge di continuo verso il
guelfismo. Esso ha quind'innanzi vicende simili a quelle del
glorioso Comune toscano e, come un astro minore, ne segue
il corso e ne imita quelle istituzioni che corrispondevano
bene al suo assetto sociale. Cosi Firenze nel 1250 elegge un
capitano di popolo per contrapporlo al podestà favorevole ai
nobili e infrenare la potenza di questi; Orvieto ne segue
lesempio pochi mesi dopo.

Adunque verso la metà del sec. XIII gli Orvietani vanno
modellando i loro ordinamenti politici su quelli dei Fioren-
tini; quantunque siano alquanto diverse le condizioni sociali
delle due città, perché, pur cosi differenti, imprimevano un
medesimo indirizzo ai partiti.

Espongo qui in succinto una teoria, che mi propongo di
svolgere meglio in un'apposita Memoria. Benchè, in generale,
la forma repubblicana abbia prevalso un tempo negli Stati
piccoli e la monarchica in quelli grandi, le condizioni eco-
nomiche e sociali formano non di rado le basi delle costitu-
zioni politiche. Prendiamo in esame l'Italia e l'Europa sulla
fine dell'Evo medio. Le città industriali, dove esiste un gran
numero di operai e predominano essi ed i capi delle fabbri-
che, si ordinano più facilmente a repubblica democratica:
così Firenze ed i Comuni dei Paesi Bassi. Le città commer-
ciali, dove la ricchezza e il potere si accentrano nei grossi
mercanti, si costituiscono a repubblica aristocratica: cosi
Venezia e le città della Hansa germanica. I paesi agricoli

con vasti latifondi, dove la nobiltà feudale è l’unica classe .
ricca ed autorevole, sottostanno alla monarchia feudale: così

Napoli ed i regni di Boemia, Ungheria e Polonia. I paesi
400 G. PARDI

dove si sviluppano insieme agricoltura e industria o com-
mercio, e si forma una classe di cittadini borghesi, alcuni dei
quali ricchi, interessati a sostenere un capo contro la nobiltà,
costituiscono la monarchia libera da vincoli feudali: la si-
gnoria a Milano, il governo costituzionale in Inghilterra. I
paesi poi, dove predomina la pastorizia, che è una forma di
industria, principalmente a causa della loro povertà, si reg-
gono spesso a repubblica democratica: così S. Marino e i
Cantoni Svizzeri.

Vediamo ora quali erano le condizioni economiche e so-
ciali di Orvieto, valendoci del catasto del 1292, già da me
illustrato (Vedi Boll. d. Soc. umbra di St. p., vol. II, fasc. 1).

Nel territorio del Comune prosperavano abbastanza agri.
coltura, pastorizia ed allevamento del bestiame. La più parte
degli abitanti della città erano piccoli proprietari di terreni
che essi lavoravano ordinariamente da sè. I possessi più nu-
merosi valevano da lire 2,600 a 13,000 di nostra moneta. La
proprietà poi era straordinariamente frazionata: su circa
30,000 abitanti, 14,000 appartenevano a famiglie proprietarie
di fondi rustici (mi riferisco a cifre riportate in quel ‘mio
studio a p. 22 e 45 degli Estrattr).

Le maggiori industrie non vi avevano preso sviluppo,
ad eccezione di quelle della lana e della concia delle pelli,
anch'esse poco rilevanti. Invece le industrie minori o mestieri
vi erano molto esercitate e rimunerative. Divenuta Orvieto
centro politico ed economico di un territorio abbastanza esteso,
la gente che in quello abitava, faceva capo alla città per
feste sacre e civili, cerimonie del culto, pagamenti di tasse,
liti, affari, acquisti di merci ed oggetti vari. In conseguenza
lavoravano molto e si arricchivano gli artigiani cittadini. Non
si troverebbero facilmente altrove, come esistevano ad Or-
vieto nel 1292, 6 costruttori di funi, 6 ortolani, 6 barbieri,
7 mugnai, 7 muratori, 11 fabbri, 11 sarti, 13 scalpellini, 15
legnaioli e 17 calzolai, tutti possidenti, qualche volta di ter-
reni valutati somme non indifferenti (p. 35 degli Estratti cit.)
te caecei

* Pact eco uoo ii

T

DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 401

Dall'essere poi cosi frazionata la proprietà conseguiva che i
grossi proprietari non erano molto numerosi e mancava quella
riechezza insolente che si riscontra nei paesi dei latifondi.

In Orvieto adunque, essendo non molto numerosi i no-
bili e divisi in due parti avverse, i borghesi grassi non ec-
cessivamente ricchi, e abbastanza agiata la restante popola-
zione, si controbilanciavano le forze delle varie classi sociali.
Tuttavia quasi assoluto predominio esercitavano gli artigiani
per il numero, l'utilità della loro funzione sociale al centro
di un vasto contado, e la discreta ricchezza.

Si capisce da quanto:ho esposto sopra che assai diffe-
renti erano le condizioni di Firenze e di Orvieto: in quella
avevano il predominio incontrastato mercanti, padroni di fab-
briche, capi-fabbrica ed operai delle arti maggiori, in que-
sta prevalevano, anche per la salda organizzazione delle arti,
i mestieranti. Ambedue le città dovevano peró tendere verso
la repubblica democratica. Adunque non tanto per imitazione
degli ordinamenti dell'alleata città toscana, non escludo che
vi abbiano influito, quanto per effetto delle condizioni pro-
prie, Orvieto nella seconda metà del sec. XIII si reggeva a
democrazia, anche meglio di Firenze, perchè quivi i padroni
delle fabbriche e i capi-fabbrica sopraffacevano gli operai,
mentre là vi era maggiore uguaglianza tra gli esercenti feli
stessi mestieri.

Verso il 1300 nel Comune umbro i capi erano i Signori
Sette come in quello toscano i Priori o Signoria; avevano
funzioni molto somiglianti nell'uno e nell’altro il podestà ed
il capitano di popolo; mancavano però nel primo il gonfalo-
niere di giustizia, incaricato nel secondo di far eseguire gli
Ordinamenti di giustizia del 1293, ed alcuni dei numerosi con-
sigli, da cui a Firenze dipendevano le pubbliche delibe-
razioni.

Il potere legislativo ed esecutivo spettavano principal
mente ai rappresentanti delle arti, ai Sette, il cui numero
corrispondeva alle sette arti più antiche.
Le

(ar

ES

Ai og:

so go

10.

di petrarius, latomus, caementarius, DU CANGE)

11. Sensali (procacciantes)

12. Tavernieri

13. Pizzicagnoli

14. Legnaioli

15. Mugnai

16. Venditori d'olio e sale (oliarii et salaioli)
| 17. Funai (funarii)

18. Osti o albergatori (albergatores)

19. Ortolani (camagnasoli)

20. Barbieri

21. Fabbricanti di calcina (calcinar)

29. Fabbricanti di vasi in terracotta (vascellari)

23. Fabbricanti di tegole (fegularii, qui tegulas faciunt,
Du CANGE)

| 94. Fabbricanti di macine (macinarii)

25. Vetturali o mulattieri (victurales, DU CANGE: « Vec-

turalis, mulio ex italico Vetturale, colui che guida bestia da

soma »).
Confrontando le arti orvietane con le fiorentine si com-

prendono meglio le accennate differenze tra le due città nelle
industrie e nel commercio. Non compariscono ad esempio |
nell'elenco di quelle le arti di Calimala o ratfineria dei panni,
del Cambio, ossia dei banchieri, della seta, dei medici e spe-

Calzolai.

G. PARDI

arti intorno al 1300 erano 25:
Giudici e notai

Mercanti o negozianti nu catores)
Lanaiuoli

Bottegai o merciai (merciantes)

Macellai

Fabbri

Conciapelli (pelliparii, qui pelles parant, Du CANGE)
Sarti .

Muratori e scalpellini (petra?oli, per petrarioli dimin.
T

MU

DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 403

ziali ecc. L'arte della lana era in Orvieto ancora poco pro-
gredita.

I Sette avevano attribuzioni simili ai Priori di Firenze,
ma, notevole differenza questa, si eleggevano a turno tra
i consoli di tutte le 25 arti e non soltanto delle maggiori e
mediane. Duravano in carica due mesi appunto come /a Sì?-
gnoria. « Quel rimutarsi continuo della rappresentanza popolare
— osserva il Lanzani (1), — ond'era dischiusa la via al po-
tere ad ogni cittadino capace e operoso, dovea suscitare in
tutti le feconde ambizioni del bene e dare uno slancio gran-
dissimo alla pubblica vita.. Né la breve durata dell'ufficio,
provvedimento efficacissimo contro le private ambizioni, era
un ostacolo al regolare proseguimento di utili imprese ».

Allontanati dalle loro case e dai loro negozi, costretti a
dimorar di continuo in un apposito palazzo, non potendo
uscirne se non in compagnia di altri colleghi, né entrare
nella casa di un nobile o di un ecclesiastico, né parlare con
parenti o con nobili se non nel palazzo del Podestà o del
Capitano di popolo, i Sette prestavano opera incessante ed
efficace al governo del Comune, senza trovarsi nell'occasione
di venir subornati o corrotti. Trattavano tutto quanto con-
cerneva lutilità, la pace e la conservazione del popolo e dello
Stato: potevano perfino, quando lo stimavan necessario, pren-
der possesso degli edifici, delle torri e delle fortezze tanto
nella città quanto nel contado. Contro le loro decisioni non
c'era appello. Con gravi multe si punivano le offese recate
ad essi con parole o percosse o ferite, e il reo, che non po-
tesse pagare, incorreva nel taglio della mano destra, nel car-
"eere a vita e nella perdita dei beni. E il padre non poteva
tutelare le proprietà del figlio, né il figlio quelle del padre!

Il Podestà e il Capitano di popolo, le cui attribuzioni
non differivano da quelle che avevano in altri Comuni, prin-
cipalmente a Firenze, dividevano il potere esecutivo con i

(1) Fr. LANZANI, Storia dei Comuni italiani, ed. Vallardi, 1882, p. 7

x
.dei quali ingrassarono le due famiglie, (forse popolari in

| piuttosto per interesse o per cupidigia di potere. Il popolo,

404 G. PARDI

Sette, possedevano l'autorità militare ed amministravano la
giustizia.

Anche in Orvieto, retta cosi da un governo democratico
fondato sulla salda organizzazione delle arti minori predomi-
nanti, esistevano pur troppo quelle fazioni che turbavano,
quasi da per tutto nella penisola, il benessere e la pace. Non
già che la massa popolare dei piecoli proprietari e artigiani
sentisse il desiderio di farsi ammazzare per l'Impero o per
la Chiesa, per i nomi, incompresi dai piü, di Guelfi o di
Ghibellini. Ma furono spinti alla lotta da interessi materiali
prima, e poi dall' amore di libertà. Per allargare il contado e
render sicure le. vie al commercio, sottomisero i feudatari, e
questi, venuti ad abitare in città almeno per qualche mese
dell'anno, vi vollero predominare. Allora la lotta combattuta
per l'innanzi intorno alle rocche feudali si riaccese nelle vie
cittadine; un'altra volta il popolo riuscì vincitore e perseguitò
e spogliò di parte dei loro beni i nobili vinti. Le ricchezze

origine, o appartenenti alla classe dei nobili minori) dei Mo-
naldeschi e dei Filippeschi, ed altre ancora. Sorgeva così 0
s'arriechiva Za nobiltà nuova, meno sospetta della vecchia e
perciò più pericolosa per la libertà dei cittadini.

Quando una fazione trionfa, si scinde facilmente in due
o più, per le discordie che scoppiano tra i capi, non frenati
ormai nelle loro ambizioni dalla paura degli avversari. Così
ebbero origine i partiti dei Monaldeschi e dei Filippeschi, i
primi mantenutisi guelfi e gli altri dichiaratisi ghibellini per

accampare un pretesto apparentemente onorevole — questa 1s
supposizione non é infondata — ad una lotta combattuta

che si lascia tante volte ingannare dalie apparenze e illu-
dere dalle frasi sonore, anche e tanto meglio se incompren-
sibili alla sua ignoranza, si lasció trascinare anche questa
volta a seguire una delle due opposte bandiere, e versó an-
cora il suo sangue per assicurare il trionfo all' una o all' altra
DAL COMUNES ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 405

famiglia. Ma, poiché la massa popolare era stata sin allora
guelfa dovendo combattere i nobili per lo più ghibellini, si
mantenne in maggioranza del partito dei Monaldeschi, ‘che
si diceva appunto guelfo. Cosi questo fu più forte ed ebbe
grande probabilità di vittoria, benchè dovesse lottare contro
avversari audacissimi, cui non spaventarono il bando, l'esilio,
le sconfitte, le distruzioni delle case e delle torri,le miserie
e le stragi non infrequenti di loro parenti e seguaci. La
lotta fu lunga e accanita, come ha narrato, in un'opera di
indole popolare, il Fumi (1). L/ eco delle battaglie sanguinose
dalle balze dell’ Umbria si ripercoteva lontano e giungeva,
nelle castella di Lunigiana, alle orecchie di Dante. Egli, la-
mentando l’ anarchia successa in Italia per l'assenza del su-

premo capo politico e le sanguinose lotte cittadine, additava

ad esempio quelle dei Monaldeschi e dei Filippeschi in Or-
vieto (2), che anche noi chiameremo dei Guelfi e dei Ghi-
bellini, non tanto perchè persuasi che queste famiglie par-
teggiassero sinceramente per la Chiesa o per I Impero, quanto
perchè così designano i cronisti le due fazioni.

Come in Orvieto, quasi da per tutto nella penisola, il
partito ghibellino, sempre più, a cominciare dal tempo della
morte di re Manfredi, piegava alla forza soverchiante dei
Guelfi. In Toscana, dove la lotta tra le fazioni fu accanita,
Firenze predominava, Siena si era fatta guelfa anch'essa,
Arezzo e Pisa giacevano prostrate dalle sconfitte. D'improv-
viso i Ghibellini riprendono coraggio ed anzi confidano nella
vittoria all annuncio che il nuovo Cesare germanico, En-
rico VII, cala nella penisola. Ma quel povero imperatore
tanto ingenuo quanto buono e cavalleresco, che. capiva
così poco le nostre condizioni politiche, così scarso di da-

nari e ‘di milizie, non poteva tenere degnamente il posto
. del Barbarossa e di Federico II. Ben meschina figura faceva

(1) Orvieto. Note storiche e biografiche, Città di Castello, 1891, p. 86 sgg.
(2) Non v'ha dubbio che i Monaldi, ricordati nel canto VI del Purgatorio, sono
i Monaldeschi d' Orvieto.

28

tena mI X CPP RECENTI
=,

E ——
Em

^ TE

en

ERA RED a 7 x release
p A È È
er L p Sas 1

406 G. PARDI

a Roma, non riuscendo a impadronirsi del Trastevere e a
coronarsi in S. Pietro, costretto ad uscire dalla città come
per fuga; e ben dura umiliazione gl’ infliggeva Firenze con
la sprezzante noncuranza dell esercito imperiale accampato
sotto le mura, lasciando spalancate le sue porte e conti-
nuando la sua vita operosa come in piena pace!

Parve rialzarsi la sorte dello sventurato principe, già
malato di spirito e di corpo per gl'insuccessi e le indefesse
fatiche del campo, quand’ egli, rifornito d'uomini e di da-
nari, ai primi d' agosto del 1313, mosse da Pisa alla testa
di un fiorito esercito, 4000 cavalli e 10,000 fanti, per andare
contro Napoli. Allimpresa contro il re Roberto, capo dei
Guelfi, cooperavano la flotta siciliana e navi genovesi e pi-
sane. Il 12 agosto Enrico VII era a Pancole presso a Mon-
taperti a 4 miglia da Siena. E il 18 si presentava con tutto
lI esercito sur un poggio vicino alla città, sperando che i
Ghibellini di dentro gliene aprissero le porte: trascorso il

giorno nella vana aspettativa, dovette ritirarsi. Però la sera

stessa vedeva con gioia giungere al suo campo il conte Fe-
derico da Montefeltro e Uguccione della Faggiuola con 200 ca-
valli e 2000 fanti d'Arezzo e d'altre terre. Per 4 giorni l' eser-
cito cosi ingrossato rubava, devastava, incendiava il contado
senese. Il 16 muoveva il campo da Pancole verso mezzo-
giorno, verso Orvieto. Ma quivi già precipitavano le sorti
dei Ghibellini, e questa volta per sempre.

I Filippeschi e consorti si tennero quieti nel 1312 e non
tentarono di profittare, a scopo di riscossa, del passaggio
delle milizie imperiali a non grande distanza dalla loro città,
tanto all’ andata di Enrico VII a Roma quanto al ritorno.
Nel viaggio di ritorno l’imperatore attraversò i territori di
Todi e di Perugia e guastò, in quest’ ultimo, la terra di Mar-
sciano situata presso il confine orvietano; ma non fece nes-
sun atto ostile contro il Comune d’ Orvieto. Soltanto mandò
quivi ambasciatori, che: furono accolti onorevolmente, per
far valere i diritti dell'impero sul castello di Cetona e altri
DRIN TT

DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 407

luoghi in dominio del Comune medesimo. E l8 di settem-
bre, da Arezzo, richiese gli uomini di Cetona che gli man-
dassero fanti e cavalli (1). Gli Orvietani non opposero’ un
deciso rifiuto alle pretese imperiali, ma procurarono di ti-
rare in lungo la cosa per regolarsi a seconda degli avveni-
menti.

Forse in occasione di queste trattative rimise il piede
nella sua città l'orvietano Buccio de’ Beccari, che teneva la
carica di ostiario presso Enrico VII. Egli, pare, rinfocoló l'ar-
dore dei Ghibellini e li indusse a promettere che avrebbero
consegnato la città al suo principe, quand’ egli sarebbe pas-
sato per il territorio orvietano nella spedizione su Napoli.

Già l’imperatore si era mosso da Pisa, già minacciava
Siena e ne guastava il contado. Oramai i Filippeschi nutri-
vano piena fiducia nella vittoria sugli avversari; ed invece
i Monaldeschi e seguaci, sentendo le notizie del grande eser-
cito imperiale e del suo avvicinarsi, stavano sbigottiti e tre-
manti.

Occorre notare che degli avvenimenti decisivi e san-
guinosi svoltisi in Orvieto in quei giorni, dal 16 al 20 ago-
sto 1513, esistono due differenti narrazioni nelle cronache e
frammenti raccolti dal Fumi sotto il titolo di Annales urbde-
vetani (2): la 1* fredda e concisa, la 2* accalorata e abbon-
dante di particolari. Quest’ ultima, evidentemente, fu scritta
da un Guelfo con ispirito partigiano; anzi la frequente cita-
zione di passi biblici, la religiosità dei sentimenti e il tuono
enfatico, come di un predicatore, lasciano supporre che ne
sia autore un ecclesiastico o un frate. Se ciò non vale ad
infirmare la sostanza del racconto, che del resto concorda
con l’altra fonte, è un buon argomento per non accettarne
ciecamente tutti i particolari.

(1) Annales urbevetani, p. 178, n. 8a (pubblicati da L. FuMI in appendice alle
Ephemerides urbevetanae nella nuova edizione dei R. I. S. t. XV).
(2) Citati sopra. Nuova ed. dei R. I. S. t. XV, p. 178 e 187.
rs bore €

rc
& È

Val

NE up VOLA hun

NL QUE

P.

408 G. PARDI

L'anonimo cronista, dopo aver riferita la sentenza del-
lapostolo S. Giacomo: « Deus superbis resistit, humilibus
autem dat gratiam », e narrato, con una certa compiacenza,
che i Ghibellini erano insorti più volte in passato non rica-
vandone che sconfitte e diserzioni; prosegue dicendo che essi

imbaldanziti per il reiterato favore dell'imperatore, gli pro-

misero di farlo entrare in città, e ció in seguito a trattative
condotte da Buccio di Nino Beccari, ostiario imperiale. E qui,
naturalmente, osserva che la città era di dominio pontificio.
Riprende poi à raccontare che i Ghibellini intendevano di
sottomettere i Guelfi e andavano, a tal fine, dicendo che vole-
vano entrasse in città l' imperatore, perché questo era deside-
rio di lui. I capi dei Guelfi, i Monaldeschi, venuti a conoscere
le intenzioni degli avversari e atterriti per l'appressarsi del-
l esercito cesareo, si recarono in persona dai capi del par-
tito contrario, e con tutta umiltà e vivissimamente (perfino
devotamente!) li supplicarono di desistere dal proponimento
funesto di dar la città in potere di Enrico VII, invitandoli
piuttosto ad assumere il governo, che essi per un certo tempo
avrebbero loro lasciato senza contrasto, dando anche cau-
Zione per garantire il mantenimento delle loro promesse —
Che brava gente quei Monaldeschi, cosi zelauti d'amor di
patria e così noncuranti del proprio svantaggio! — Ma gli
ostinati Ghibellini risposero che non potevano ritirare la
promessa fatta all'imperatore, e che, se i Guelfi si fossero
opposti, li avrebbero uccisi.

Il giorno 16 cominciò un'aspra battaglia tra le due fa-
zioni. I Guelfi, avendo mandato fuori della città le mogli e
i figli bambini e le robe di valore (questo particolare non
sembra molto probabile), sebbene spaventati, si difesero di-
speratamente, invocando l aiuto di Dio e di Maria e com-
battendo giorno e notte. I Ghibellini cacciarono a viva forza
il Capitano di popolo dal palazzo del popolo, e i Guelfi il
Podestà da quello del Comune. Essendo giunti rinforzi dal
di fuori ad ambedue le parti, il giorno 19 i Guelfi, forte-
DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 409:

mente lottando coi Ghibellini presso il palazzo del popolo e
nella contrada di Postierla, centro delle forze ghibelline, vin-:

sero gli avversari e ne costrinsero un gran numero ad uscire .

dalla città. — Anche questa vittoria e la conseguente uscita
dei Ghibellini dalle mura sembra poco probabile, in contra-
sto anzi con quanto segue. — Frattanto giungeva in soccorso
dei Filippeschi Bindo signore di Baschi con genti di Todi,
Spoleto, Narni, Amelia e Terni, circa 800 cavalli e 3000
fanti — cifre certamente esagerate —. Ricevuti cosi rile-
vanti rinforzi, i Ghibellini non facevano più alcun conto
degli avversari e asserivano che questi avrebbero abbandonato
la città nella notte seguente, senza combattimento. Allora i
magziorenti tra i Guelfi, il Vescovo di Orvieto e parecchi ec-
clesiastici, li supplicarono di assumere pure il governo della
città, ma di cessare dal desolarla. — Ripetizione di un fatto
già narrato e poco attendibile —. Risposero gli esaltati Ghi-
bellini: o uscissero dalle mura o li ucciderebbero. E la mat-
tina del 20 con gagliardo sforzo cominciarono a ributtare i
nemici dalle posizioni occupate e li volgevano in fuga fuori
delle porte, quando si sente una voce dal cielo: O voi, che

fuggite, tornate indietro sicuri; ecco milizie di Perugia a_
difendere la città della Vergine Maria. — Questo racconto mi-

racoloso mostra, meglio d'ogni altro, la natura della fonte e
l'intento religioso dello scrittore. — Giungevano infatti 1200
cavalieri e 1200 fanti perugini — anche queste cifre sono esa-
gerate: l'altro cronista dice 300 cavalli e molti fanti —. Si
rincorano i Guelfi che combattevano per le vie cittadine,
ributtano gli avversari e ne uccidono il capitano Bindo di
Baschi, che però umanamente seppellirono nella chiesa di
5. Francesco. I Ghibellini elessero capitano, invece di lui,
Bernardo degli Acerbi, esule fiorentino; ma anch'egli fu
ammazzato in piazza di S. Domenico insieme con l’ ostiario
imperiale Buccio Beccari, autore di tanti mali. « Qui fodit
foveam, incidit in eam » : si compiace di ripetere qui l'ano-
nimo cronista. Anche un terzo capitano, Lippotero conte di

nt res << Boma are M ite Porpora tera - : è vi " TERE . 3
TRATTA " " um - ru ninni - ^ 1S mero =
e c e + va bs i xx ds f.
Ee H CX COME

te ra

IS La
CER o

SER LIRA ir
410 G. PARDI

Castelvecchio, cade trafitto dinanzi alla chiesa di S. Mar-
gherita. I Ghibellini, perduta ogni speranza, abbandonano
fuggendo la città e molti di loro, tra cui donne e fanciulli,
son precipitati giü dalle rupi. In questi combattimenti sa-
rebbero morti più di 4000 uomini e si sarebbero bruciate
piü di 300 case: cifre certo esagerate.

Il racconto termina, come una predica, con sentenze
bibliche (ad esempio la seguente: « Deposuit potentes de
sede et exaltavit humiles ») e con l'esortazione ai dilettis-
simi Guelfi di rendere grazie a Dio della vittoria, che essi
avean conseguita non tanto per proprio valore quanto per
grazia di lui.

Questa ed altre precedenti osservazioni valgono a di-
mostrare l] intendimento manifesto nello scrittore di esaltare
la vittoria del partito chiesastico, ma facendone ridondare
tutto il merito al favore della divinità. Dal che siamo auto-
rizzati a rifiutare i particolari troppo favorevoli ai Guelfi o
inverosimili, non parlo di quelli miracolosi. Ma la sostanza
del raeconto puó essere accettata, fatte le debite eccezioni,
principalmente in quanto concorda con l'altra fonte suac-
cennata.

I Filippeschi erano stati vinti in modo da non poter più
tentare una riscossa. Il loro partito scompare e resta arbitr:
delle sorti della città la famiglia dei Monaldeschi, capi dei
Guelfi.

II. — Il governo nobilesco dei Cinque.

Parve questa ai Monaldeschi occasione molto opportuna
per impadronirsi del governo. Ció che non osavano in pre-
senza dei Filippeschi minacciosi, col popolo vigilante in tempi
quieti, e sospettoso non gli si strappasse il potere conqui-
stato a prezzo di sangue, potevano ardire ora che quelli erano
parte morti e parte in fuga, che parecchi dei popolani piü
ardimentosi eran caduti nellaccanita battaglia civile o fug-
DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 411

giti insieme con i Ghibellini, e che i restanti artigiani sta-
vano sbigottiti dalle vicende sanguinose degli ultimi giorni
e forse sentivano il bisogno di stringersi attorno ai nobili
capitani per timore di una riscossa dei Filippeschi con l’aiuto
dell'esercito imperiale, che si avvicinava ad Orvieto.

Se la vittoria fosse stata preveduta, forse l'uno o l’altro
dei più accorti Monaldeschi avrebbe tentato di formare una
signoria per sè solo; ma, poichè giunse inaspettata, si costi-
tui, probabilmente il giorno dopo la vittoria (21 agosto), un
governo dittatorio di cinque membri, tutti nobili.

Scarseggiano purtroppo ad Orvieto i documenti di que-
sti anni. Negli Atti del Consiglio delle Riformagioni, fonte pre-
ziosa per la storia cittadina, mancano quasi tutti i fascicoli
del 1313 e 1314. Perirono o si fecero sparire molte tra le
carte che si riferivano al governo dei Cinque. Però un no:
taro, Giovanni di Pietro Paolo, ebbe nel 1327 la buona idea
di trascrivere alcuni atti di quella signoria nel cosidetto /;-
bro rosso, che forma il volume XIII delle Riformagioni. Tac-
ciono anche le cronache: gli Annales urbevetani non fanno
neppur cenno dei Cinque; cominciano da una data poste-
riore (rispettivamente dal 1333 e dal 1340) la Cronaca di Fran-
cesco di Montemarte pubblicata dal Gualterio, e le Ephemeri-
des Urbevetanae edite dal Muratori nel t. XV dei R. I. 5.

Il governo dei Sette esisteva tuttora il giorno 11 agosto,
come prova una pergamena dell'archivio d'Orvieto, che porta
questa data, e probabilmente anche il 16. Ma non sappiamo
che sorte abbiano avuto quei magistrati, eletti per il bime-
stre luglio-agosto, durante il combattimento sanguinoso dal
16 al 20. I loro nomi compariscono in alcuni fogli volanti
inseriti nel volume n. XII delle Riformagioni. Erano un fab-
bricante di calcina, uno di vasi di terracotta, uno di tegole
ed uno di macine, un vetturale, un mercante ed un rappre-
sentante dei giudici e notari. Fatto sta che ad essi furono
sostituiti i Cinque, o ad arbitrio dei Monaldeschi o con il con-
'senso del popolo sbigottito e atterrito in mezzo ai loro par-
— eee

419 i G. PARDI

tigiani armati, con le tracce innanzi agli occhi di una strage
immane. Il pretesto alla elezione della nuova magistratura
straordinaria, fu che questa dovesse provvedere a ricondurre
la pace nella città e nel Comune, e a difendere l'una e l'al-
tro dai nemici.

Infatti essi si fecero chiamare « domini Quinque ad sta-
tum pacificum civitatis et Communis Urbisveteris praepositi »,
oppure « Quinque Sapientes ad defensionem Communis prae-
positi ». Si potrebbe supporre, non senza fondamento, che
fossero un comitato di guerra, nominato dai Guelfi durante
il combattimento, a cui si affidasse poi anche il potere ci-
vile.

Si sostituirono ai Sette e ne usurparono tutte le attri-
buzioni. Si capisce poi che dal loro partito ebbero princi-
palmente l incarico di bandire i Ghibellini, di farne abbat-
tere le case e le torri, di confiscarne i beni, di completare,
insomma, l'opera di distruzione di quella fazione.

Secondo un documento riportato nei Commentari historici
di Monaldo Monaldeschi (1) i primi Cinque sarebbero stati:
il conte Farolfo di Montemarte, appartenente a famiglia di
antica nobiltà e di tradizioni guerresche che trasse il co-
gnome dal castello omonimo, Rinaldo dei Medici, la cui fa-

(1) Venezia, 1584, c. 74 sgg. Veramente i documenti che questo antico storico
orvietano riporta sui Cinque sembrano autentici; ma non li ha letti bene. Ad
esempio, il nome di uno tra i Cinque lo trascrive: « Septem Catalani de Monald. »,
mentre era probabilmente Cepte o Cipta, diminutivo di Ciptadinus o Cittadino.
Tra i nomi poi dei Sedici, di cui si dirà tra poco, legge ZLippianum de Albericis
invece che Lippum, Ugolinum Lupaccini invece che Lupicini, Nerium de Turti
forse per de Tertia. Nel documento stampato si legge anche: « existentibus in d.
Consilio nobili viro Ugolino de Alviano capitaneo dictae terrae ». Ora il FuMI scrive
(n. 1, p. 179 della nuova ed. delle EPHEMERIDES URBEVETANAE nel t. XV; parte V,
dei R. I. S.) che io ho equivocato (nella Serie dei supremi magistrati d" Orvieto,
Perugia, 1895, p. 50) ponendo a capitano Ugolino d'Alviano. Ben diversa da quella
che egli vi assegna é la ragione del supposto equivoco, cioè la testimonianza di un
documento che pare autentico, sebbene possa essere stato male interpetrato. Anche
il FuMi si affida spesso al Monaldeschi, da cui trae brani di cronache (evi, p. 183
sgg.). In questo caso poi, che Ugolino d'Alviano fu capitano di Orvieto almeno fino
al decembre 1313, risulta anche da un documento pubblicato dal FUMI stesso nel suo
Codice dipl. di Orvieto, Firenze, 1884, p. 4ll.
DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 413

miglia possedette un tempo il castello di Bisenzio, e due o
tre Monaldeschi, cioè Bonconte di Ugolino, Bonuccio di Pie-
tro e Cittadino (?) di Catalano. ;
Insieme con i Cinque si adunarono (riferisco ancora dal
documento dato dal Monaldeschi), il giorno 29 agosto, il Con-
siglio generale e speciale dei Consoli delle arti e degli An-
ziani di Orvieto. È probabile questo fatto? Mi sembra di

si. I Cinque, sebbene violassero la sostanza della costituzione, .

vollero rispettarne la forma e aver l'approvazione di quel
Consiglio alla elezione di particolari consiglieri, che stimavan
bene di aggiungersi. Ma é verosimile che indugiassero sino
al 29 a tenere quella adunanza, lasciando passare infruttuo-
samente 7 o 8 giorni? Mi pare anzi molto verosimile, perché
subito dopo la vittoria i Guelfi temevano ancora una riscossa
dei vinti con gli aiuti di Enrico VII; e acquistarono la cer
tezza che nessun pericolo li minacciava più, soltanto quando
seppero che l'imperatore era morto a Buonconvento il 24
agosto. Passó certo qualche giorno prima che la notizia della
sua fine giungesse ad Orvieto. Ció spiega il ritardo ad agire
da parte dei Guelfi.
Adunque, nel consiglio del 29 agosto, su proposta di
Lippo degli Alberici, si elessero 16 uomini, 4 per ogni quar-

tiere, i quali decidessero insieme con i Cinque della sorte

dei Ghibellini e stabilissero che si doveva fare dei loro beni.
Fra i Sedici compaiono ben 5 Monaldeschi: Ugolino di Bon-
conte, Manno di Corrado, Cecco di Ciarfaglia, Vanne di
Masseo e Vanne di Montanaro; e inoltre un membro delle
famiglie Lupicini, Della Greca, Ranieri e Alberici. Come. si
vede, anche i consiglieri dei capi del governo, sostituiti agli
antichi consiglieri popolari, son tutti nobili.

Il primo consiglio di questo, direi quasi, tribunale di
guerra costituito per decidere della sorte dei vinti, si tenne
il giorno dopo, 30 agosto. Il Monaldeschi storico ci ha con-
servato pure un documento, in cui si dà il resoconto della
seduta. In questa Manno di Corrado, uno dei Sedici, propone
414 G. PARDI

che i Filippeschi si considerino come ribella e si bandiscano,
si abbattano dalle fondamenta le loro case e torri, si confi-
schino a vantaggio del Comune i loro beni. Si faccia ecce
zione soltanto per un Filippeschi, suocero di un Alberici, le
cui sostanze passino alla moglie. La proposta è accolta a/-
l'unanimità e la deliberazione si eseguisce subito. Le case di
un'intera via nel quartiere di Postierla, il più vasto della
città, son rase al suolo.

O non avrebbero fatto meglio i vincitori a confiscare e
vendere quegli edifizi? Una tale pratica deliberazione poteva
forse prendere un consiglio di mercanti o di artigiani. I no-
bili aspiravano alla vendetta distruggitrice; si assicuravano
così che gli avversari, se mai un giorno dovessero tornare in
patria, non vi troverebbero più i loro nidi e le loro fortezze;
volevano dare un esempio che colpisse la fantasia della mol-
titudine, lo spettacolo ammonitore della rovina irreparabile.
D'altra parte, essi avevano i propri palazzi e le proprie torri,
il popolo si accontentasse de’ suoi tuguri.

Un'identica deliberazione fu presa il 6 marzo 1314 per
riguardo alle case e fortezze dei Ghibellini poste fuori della
città. Dal documento, che dà il resoconto della seduta (non
originale nemmen questo, ma copia trascritta nel 1327 nel
vol. XIII delle Ziformagioni) si apprende che i Sedici, cre-
sciuti di numero, si erano tramutati nei Ventiquattro, e che
una medesima persona sosteneva le due cariche di podestà
e capitano di popolo. Anche questa volta fu Manno di Cor-
rado a fare la feroce proposta. La distruzione doveva essere
eseguita, entro 15 giorni, dagli uomini dei pivieri, nei quali
si trovavano gli edifizi. Il medesimo propose pure che tutte
le concessioni sui beni dei ribelli, fatte per cagion di doti o
di debiti, si revocassero; si leggesse in consigiio l'elenco di
queste concessioni, redatto da persone incaricate della fac-
cenda, e si deliberasse caso per caso. L'intenzione del pro-
ponente era, si. comprende, di favorire gli amici, danneggiare
più che fosse possibile i nemici, spaventare gl’ interessati ti-
LISI LAZISE

ESE ALIA

DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 415

midi o irresoluti. Le proposte furono approvate da tutti i
presenti, meno uno. Ci sarebbe da rallegrarsi di trovare un
uomo di cuore in un consiglio di guerra, se non si potésse
supporre in lui un genero o creditore dei proscritti.

Lo stesso giorno 6 marzo '14, i Cinque ed i Ventiquattro,
per acquistare la maggior sicurezza che le prescrizioni sui
ribelli -si osservino da tutti senza contrasto, riconfermano le
deliberazioni di pubblicare di nuovo i bandi contro di loro
prese nei giorni 25 ottobre, 5 e 28 novembre 1313, e ancora
solennemente stabiliscono che quelle persone si considerino
come banditi e cancellati dai ruoli della popolazione del Co-
mune (1). Il tribunale di guerra non si sazia di condannare
e ricondannare, bandire e ribandire i nemici. Voluttà della
vendetta!

Eppure eran gente cristiana, anzi devota. Avean pro-
clamato protettore della città san Bernardo, la cui festa ri-
correva nel giorno della grande vittoria, e stabilito di donare
ogni anno ai frati di san Bernardo certa quantità di grano
e una somma di danaro, ricavati, s'intende, dai beni dei
ribelli (2).

Le sostanze dei Ghibellini erano state confiscate a van-
taggio del Comune. Ma per quanto numerose, principalmente
quelle delle maggiori casate. come i Filippeschi, i Miscinelli
e gli Ottimelli, fruttavano poco. Parte se l' erano indebita-
mente appropriata i vincitori, parte rimaneva incolta, perchè
pochi avevano il coraggio di prender le terre in affitto per ti-
more della vendetta degli antichi proprietari, e nemmeno tutti
i redditi delle terre affittate entravano nelle casse del Co-
mune, per cagioni che non si stenta ad immaginare. Lo con-
statava con rammarico il podestà di Orvieto, il quale pre-
siedeva la seduta del consiglio dei Cinque e dei Ventiquattro,
tenuta lI 11 ottobre 1314: « Cum turres, domus, palatia,

(1) Riformagioni, parte I, serie 8a, vol. XIII, c. 11.
(2) Ivi, ivi, n. XIII bis, c. 8.

———
Ax
Ia

Dm

rA

QAPR LL rA

y;

416

G. PARDI

vinee et alie possessiones et bona rebellium... videantur pa-
rum fructificare Comuni predicto, et maxime quia alique
possessiones. per aliquos detinentur indebite et superpre-
hense sunt, et alique sint inculte, et etiam fructus aliqua-
rum possessionum ... non omnes deveniant in Comune » etc.
Si noti che nel documento (trascritto nel vol. XIII delle Z-
formagioni) si parla di torri, case e palazzi. Ció dimostra
che la deliberazione di abbattere gli edifizi posti nel contado
non era stata eseguita, come si puó verificare nel catasto
dei beni dei ribelli, compilato tra il 14 e il '15 che anche
oggi si conserva nell archivio di Orvieto. Vi si registrano,
infatti, parecchi edifizi di campagna e, tra gli altri, un pa-
lazzo ed una torre in Salci appartenute ad un Pietro di Ca-
staldo.

Tornando alla seduta dell' 11 ottobre '14, in questa Vanne
di Masseo Monaldeschi propose di vendere tutti i beni dei
ribelli revocando ogni concessione fatta sui medesimi, e di
intimare, intanto, ai detentori di quelle terre di restituirle
entro 5 giorni sotto minaccia di grave multa, e di costrin-
gere con la forza a farne la consegna chi non obbedisse
prontamente. La proposta fu approvata. Si nominò poi l 11
febbraio del ’15 una commissione, che dovesse procedere
alla vendita (1). Questa venne eseguita e, con una certa
umanità, si rispettarono anche i debiti e le doti garentite
sulle sostanze in parola. In tale occasione, come facilmente
s'immagina, si dovettero arricchire sempre più i capi dei
Guelfi con compere a prezzi bassissimi. Tuttavia parte delle
sostanze rimase invenduta, si suppone, perchè chi avrebbe
acquistato temeva la vendetta degli antichi proprietari. Que-
ste terre la signoria fece coltivare a spese del Comune, ed
elesse un camarlingo che ne custodisse i prodotti e li ven-
desse. I frutti del suolo si riponevano in una casa di Neri
di Zaccaria ed in un'altra di maestro Buccio di Martino

(1) Rif., n. XIV.
DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 417

Guiducci (1). Si vendevano per soddisfare i debiti del Co-
mune (2) o per fornire pane e altre cose necessarie alle mi-
lizie ecc. (3) o si distribuivano ai cavalieri dell’ esercito’ co-
munale (4), ma soltanto ai Guelfi.

Dopo aver così ridotti alla miseria gli avversari, spo-
gliati dei terreni, delle case, dei. mobili e perfino dei ca-
valli (5), la signoria li riammise in città, forse per impedire
che, indotti dalla disperazione, recassero, numerosi com’erano,
guasti alle campagne. Ma li ricacciava in esilio ogni volta
che si temevano novità. Li distinse in 3. categorie, secondo
che parevano più o meno ferventi di spirito ghibellino (6).
Se vi era il più lieve sospetto di turbamenti, si bandiva la
prima, se il timore era maggiore la seconda o anche la
terza. La deliberazione di sbandire le due ultime si prese,
su proposta, anche questa volta, di Manno di Corrado, nella
seduta del Consiglio tenuta il 9 agosto 1315 (7); si capisce
che la prima era già in bando. Ma l 11 ottobre si accordò
a tutti i proscritti di tornare liberamente in Orvieto (8). Essi
vi erano poi riammessi ogni volta che cadessero ammalati (9):
provvedimento questo abbastanza umano.

In città venivano trattati in modo ben diverso dalla ‘

legge comune. Ad esempio, i medici stipendiati dal Comune
dovevano curare soltanto i Guelfi, e non i Ghibellini (10). Un
Ghibellino uccisore di un Guelfo sottostava ad una’ pena

(1) Ré/., ivi, deliberazioni del 15 febbr. e 20 lug. 1315.

(2) Uno fu contratto con Manno di Corrado. Rif. XIII bis, c. 47.

(3) Per mandare 50 staia di grano alle milizie spedite contro Montefiascone,
per dare le paghe ai soldati che presidiavano le fortezze del contado. Rif., n. XIV,
deliberazioni 27 nov. e 1 dec. 1315.

(4) Rif., n. XIV, c..43.

(5) Ivi, n. XIV, deliberaz. 8 mag. '15.

(0) Ivi, c. 13, deliberaz. 9 apr. '15: « De dictis confinatis fiant tres cerne sive
tres gradus. Et prima cerna... fiat... de illis Gebellinis qui plus sunt focosi et fer-
ventes ad partem gebellinam » etc.

(7) Rif., l. 9, c. 10.

(8) Ivi, l. 9, c. 26.

(9) Ivi, deliberaz. 20 lug. '15.

(10) 7vi, deliberaz. 7 e 26 giugno "15.

SERE SONO!
Puc ue

" seri
—" LS À

a

DN

x

Ry"

dt

Y: A E uw

E.

T^

PR

418 G. PARDI

doppia degli altri cittadini; e metà de' suoi beni spettava
agli eredi dell' ucciso e metà era devoluta al Comune (1).

Ma lasciamo lo spettacolo di miserie senza nome, pas-
sando ad esaminare la politica esterna dei Cinque, tutta in-
tesa a completare l'opera condotta cosi bene innanzi allo
interno: l'abbattimento del partito ghibellino ed il trionfo
assoluto dei Guelfi.

Se anche prima del 1313 esisteva in Orvieto spirito
chiesastico, si fece molto più ardente dopo la grande vittoria.
Una prova n'é la rinnovazione della lega con Perugia, centro
del guelfismo umbro, avvenuta il 13 ottobre 1313 in Castel
della Pieve, lega che si doveva riconfermare ogni 10 anni. Il
preambolo del documento contiene le frasi seguenti: « Ad ho-
norem et reverentiam sancte romane Ecclesie et summi pon-
tificis.. et dominorum Cardinalium fratrum suorum... et...
domini Roberti illustris regis Jerusalem et Sicilie... ad con-
servationem omnium fidelium s. r. Ecclesie et sequentium
. ipsorum, et ad confusionem et destructionem inimicorum et
rebellium s. r. Ecclesie et civitatum ipsarum » (2).

Nel decembre di quell’anno gli Orvietani ottennero la
" revoca dell interdetto scagliato contro di loro per l'invasione
di alcune terre nella valle del lago di Bolsena. L’ interdetto
durava oramai da parecchi anni, la qual cosa veramente mal
si concilia col supposto spirito chiesastico dei cittadini (3).

Era stabilito nei patti della lega con Perugia, che tutti
gli anni, per l'Epifania, si dovessero riunire in un luogo da
destinarsi gli ambasciatori delle due comunità per trattare
le faccende di comune vantaggio. Perciò con lettera del 5
gennaio 1315, gli Orvietani invitarono gli alleati a fissare il
luogo e il giorno della riunione (4).

Nell'ottobre del 15 stesso fu firmato il trattato di una

(1) Rif., n. XIII, c. 16.

(2) FUMI, Cod. dipl. d" Orvieto, p. 411.
(3) Ivi, p. 416.

^) Rif, XIV, c. 8.
DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 419

grande lega guelfa, a cui parteciparono Orvieto e Perugia,
Foligno, Camerino, Spoleto, Assisi, Cagli, Gubbio, Sassofer-
rato, Spello, Bevagna, Bettona, Montefalco, Trevi e i castelli
di Normandia. L'alleanza aveva la durata dal 1° decembre
del ‘15 al 1° aprile del '16. Le comunità che la contrassero
si assumevano l'obbligo di assoldare un certo numero di
mercenari in proporzione della rispettiva importanza politica.
Venuto a cognizione di ciò re Roberto di Napoli, si offerse al
Comune di Perugia disposto ad assoldare dei mercenari oltre-
montani per conto della lega. I Perugini comunicarono agli
Orvietani l' ambasciata del re, e questi rimisero a loro la de-
cisione. Ma, non essendosi fatto niente di questa proposta,
gli Orvietani stipendiarono Cecco della Torre di Spoleto con
33 soldati, forniti di 33 cavalli e altrettanti ronzini. Nelle
Riformagioni si registrarono i patti conclusi con questo ca-
pitano e le paghe assegnate a lui ed alla sua compagnia (1).

Dopo la grande vittoria Orvieto, cresciuta in considera-
zione degli altri Guelfi, viene spesso richiesta, e da diverse
parti, di consigli, di favori, di àrbitri per le contese e di
aiuti militari. Curiosa, ad esempio, una lettera dei Fioren-
tini ai Capitani della parte guelfa in Orvieto, per pregarli
di costringere, anche con la violenza, il concitttadino Neri di
Zaccaria dei Ranieri, uomo di grande energia, ad accettare
.l’ufficio di Esecutore degli Ordinamenti di giustizia del po-
polo fiorentino (2). i

Nel 14 Manno di Corrado e Neri Guidetti vanno, per in-
carico della signoria di Orvieto, a rimettere la pace tra il
Comune dell’ Abbazia di S. Salvatore e alcuni paesani con-
dannati dal medesimo. Nel '15 si recano a Siena ambascia-
tori orvietani per tentare la pacificazione delle discordie tra
i Salimbeni e i Tolomei, che potevano non solo recar danno

(DUO ceto 05851131056, 4150160;
(2) G. DEGLI AZZI-VITELLESCHI, Le relazioni tra la repubblica di Firenze e U Um-
bria mel sec. XIV, vol. I, Perugia, 1904, p. 13. Ranieri di Zaccaria, poi nominato po-
destà di Firenze, condannò Dante per la terza volta all'esilio.
‘420 G. PARDI

ai Senesi, ma anche indebolire la parte guelfa in Italia. Nello
stesso anno 13 saggi uomini di Orvieto sono eletti ad appia-
nare le discordie tra alcuni cittadini di Chiusi; e il Comune
s'interpone. per mettere pace, a preghiera dei conti Farnese,
tra loro e la città di Viterbo, e poi tra i Farnese ed il Ret-
tore del Patrimonio. Le quali cose risultano tutte dagli atti
delle Riformagioni ad ann. |

Continue le richieste di aiuti militari. Nel novembre del
'14 Pietro d’Angiò, fratello del re Roberto, che si trovava
in soccorso di Firenze per la guerra contro Uguccione della
Faggiuola e i Pisani, manda ambasciatore il conte Bulga-
ruccio di Marsciano a sollecitare rinforzi. Nel febbraio del
'15 Firenze domanda aiuti e più insistentemente con lettere
del 26 aprile e del 28 maggio: le furono inviati 100 cavalli,
che si trovarono a mal partito a Montecatini, contro Uguc-
cione della Faggiuola. Anche Orte si rivolge al Comune di
Orvieto e ottiene 25 soldati nel giugno. Il 27 di questo mese

.giunge un’ambasciata di Filippo di Taranto, altro fratello del

re Roberto, per chiedere ai carissimi amici Orvietani una
schiera di soldati che combattano sotto il suo comando con
la bandiera del patrio Comune. Inoltre, questo, il 15 luglio,
decide di mandare 25 uomini d'arme al Capitano del Patri-
monio e il 21 ottobre di assoldare 100 mercenari per difen-
dere le terre dei Farnese dalla parte del territorio orvietano.
Le quali cose risultano pure dagli atti delle £formagioni,
ad ann. :

Il governo dei Cinque, come si vede, sorto per la vio-
lenza delle armi; a causa della sua stessa origine non lesi-
nava soccorsi di soldatesche ai Comuni guelfi, alleati o amici,
anzi faceva ogni sforzo per il trionfo del partito chiesastico,
che doveva rinsaldare il suo dominio in Orvieto. Un' ammi-
nistrazione popolare, anche se guelfa, sarebbe stata meno
proclive ad imprese guerresche e ad un simile continuo
spreco di somme per il soldo di mercenari, quantunque ‘ab-
DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 491

bondassero i danari, vale a dire i proventi della vendita di
beni- ghibelliui.

Questa politica dei Cinque, che avrebbe dovuto assicu-
rarne il dominio, ne causó invece la rovina. Già la sconfitta
dei Fiorentini a Montecatini, dove combattevano anche schiere
orvietane, aveva fatto sorgere malumori in città. Un altro
insuceesso, piü diretto e conosciuto in tutti i suoi partico-
lari perché avvenuto in una località vicina, fece insorgere
addirittura il popolo contro la signoria aristocratica.

Narrano gli Annales Urbevetani (1) che, scoppiata a Vi-
terbo la guerra civile tra le due fazioni chiesastica e impe-
rialista, i Cinque mandarono, in soccorso del loro partito, un
piccolo esercito, che restò a presidiare la cittadella di Mon
tefiascone. Ma il 29 novembre 1315 ivi giunsero inaspettati
e vi penetrarono gli esuli ghibellini di Orvieto, il Prefetto
di Vico, i conti di Santafiora, Guittuccio di Bisenzio e i no-
bili di Baschi. Le soldatesche del Comune d' Orvieto, temendo
di dover incontrare in Montefiascone la stessa sorte dei Fi-
lippeschi nella giornata del 20 agosto del ’13, fuggirono senza
combattere abbandonando armi e cavalli. « Et tota camera
Comunis balistarum et pavesorum remansit ibi »! Molti fu-
ron catturati, tra cui Monalduccio di Catalano Monaldeschi,
ed altri uccisi, tra cui Cecco di Farolfo dei conti di Monte-
marte.

La colpa dell'insuccesso vergognoso ricadeva sui Cinque:
la loro politica imprudente e belligera aveva condotto a mal .
partito la città, la quale, per di più, rimaneva scarsa di di-
fensori e di armi a cagione dei soccorsi prodigati dalla si-
enoria ai Guelfi di mezza Italia. Intanto si temevano scor-
rerie nel contado e forse un assalto alla città da parte dei
Ghibellini vittoriosi a Montefiascone. Si mandarono presidî
alle castella di fuori e, di dentro, si commise a 300 cittadini
armati di far continuamente buona guardia sotto 4 capitani,

(1) Nuova ed. dei R. I. S., t. XV, p. V, p. 180.
499 G. PARDI

uno che stesse in permanenza sulla piazza del popolo con la
sua gente, e gli aitri 3 alle porte. Si viveva adunque in
grande apprensione e timore. I cittadini, in tale stato di
animo, rimpiangevano certo il perduto predominio politico e
la prudenza della signoria popolare. Il giorno 13 decembre
si cominciò a gridare: viva è governo di popolo! (« Vivat po-
pulus!») I Monaldeschi si spaventarono a quelle grida e,
dopo aver ben riflettuto ai casi propri, decisero di rinunciare
al potere, per evitare mali peggiori. Se i Ghibellini avessero
assaltato la città mentre il popolo insorgeva contro di loro,
erano perduti: non si potevano aspettare sorte meno spaven-
tosa di quella toccata ai Filippeschi. Meglio perdere il do-
minio che perdere tutto.

Il giorno dopo, 14 decembre, si convocò il consiglio dei
Cinque, dei Ventiquattro, dei Quaranta e dei Consoli delle
arti nel refettorio del convento di S. Francesco; e fu proprio
un Monaldeschi, Sceo di Vanni, a proporre il ritorno all'am-
ministrazione popolare, che dovesse durare n perpetuo, con
a capo i Sette come per l'innanzij e che si nominasse di
nuovo un capitano di popolo, poiché questa carica era stata,
durante il governo dei Cinque, se non soppressa, esercitata
dal podestà. Ma un altro consigliere, meno atterrito o meno
compromesso dei Monaldeschi, un certo Ugolino Pierini, pro-
curò di salvare almeno le apparenze e consigliò che i Cinque
rimanessero in carica per tutto decembre e governassero
insieme con i Sette da nominarsi per questo mese. Poi, dal
1° di gennaio in avanti, si eleggerebbero i soli Sette. Pro-
pose anche la conferma della grande lega guelfa e la con-
ferma di tutti i processi, i bandi e le condanne dei ribelli,
nonché delle confische e delle vendite dei beni loro.

Se i nobili perdevano l' autorità politica, che in un mo-
mento meno sfavorevole a loro speravano di riacquistare,
salvaguardavano almeno i propri interessi materiali, vale a
dire il possesso delle sostanze confiscate ai fuorusciti e com-
perate probabilmente a prezzi irrisori.
DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 423

Il popolo orvietano sarà stato certamente affezionato alla
Chiesa, non lo contesto, ma lo era più al suo governo de-
mocratico : malediceva quindi alla signoria nobilesca subita
per 2 anni e 4 mesi, che aveva distrutto una delle più belle
vie della città, lasciata sfrenare la insolenza aristocratica,
turbata la pace e impedito cosi il raccolto dei campi e i lauti
guadagni degli artigiani. Una prova ne è il fatto che il Con-
siglio delle Riformagioni deliberò il restauro della storica
campana del palazzo del popolo, che tante volte aveva squil-
lato per chiamare alle armi il popolo contro la nobiltà; e
sulla corona metallica si fecero incidere, ad attestare la so-
vranità delle arti, gli stemmi di queste corporazioni e una
leggenda che comincia così: MENTEM SANCTAM SPONTANEAM
HONOREM DEO ET PATRIE LIBERATIONEM. La frase liberazione
della patria suona condanna a quel feroce governo, di cui
rimasero a lungo le vestigia in mucchi di rovine ammoni-
trici (1).

I Cinque, concludo, non si sostennero, perchè danneg-
giarono gl'interessi dei cittadini e se ne attirarono l'odio con
la prepotenza. Invece, è molto probabile, si sarebbe soste-
nuto un solo Signore che, governando con spirito democra-
tico, sapesse riuscir caro e vantaggioso al popolo, procurando
la pace, la sicurezza del lavoro agricolo e dei commerci, te-
nendo a freno l’insolenza oligarchica.

Durante quei due anni e mezzo si erano svolti dei fatti,
che dovevano agevolare il costituirsi di una signoria. Si
ebbe cioè un mutamento anche nelle condizioni sociali: ri-
dotto, almeno di un terzo, il numero dei proprietari di ter-
reni, cresciute a dismisura le ricchezze di alcune famiglie,
sopra tutte dei Monaldeschi, diminuita invece, con lo sce-
mare dei guadagni per lo stato di guerra quasi continuo,

(1) Maggiori particolari di questi fatti e gli stemmi delle corporazioni delle
arti, disegnati sul calco eseguito con la stagnola sulla campana, si trovano in un
mio lavoro giovanile: IZ governo dei signori Cinque in Orvieto, ivi 1804.
494 G. PARDI

la ricchezza e l'importanza della classe artigiana, che prima
esercitava un incontrastato dominio sulla città.

Inoltre avvenne la spogliazione di una parte della po-
polazione a vantaggio dell'altra. Perché questa potesse man-
tenere i beni acquistati, doveva stringersi attorno ad un capo.
risoluto e capace, che impedisse lo riscossa dei vinti, ma,
nello stesso tempo, non facesse pesar troppo gravemente il
suo governo sui vincitori.

Una tale condizione di cose era favorevole al sorgere di
una signoria.

III. — La casata dei Monaldeschi e Manno di Corrado della
Cervara.

Se le condizioni di Orvieto erano favorevoli, fin dal 1316,
al costituirsi di una signoria, non mancava l uomo capace
di fondarla: Ermanno Monaldeschi, chiamato comunemente

. Manno di Corrado. Tuttavia passarono ancora 18 anni prima

che egli osasse dichiararsi padrone. Le cause principali, che
gl’ impedirono di cogliere prima il frutto da tempo maturo,
furono a mio giudizio le seguenti:

1.* la tradizione repubblicana, l'attaccamento dei cit-
tadini alla forma, oramai antica, del governo popolare (la
tradizione, si sa, generalmente si mantiene anche dopo mu-
tate le condizioni, nelle quali si forma e si svolge un ordi-
namento politico);

2. la cautela, con cui doveva procedere chi voleva
imporre la sua signoria, quando non era possibile farlo con
un violento colpo di Stato, preparando cioè a poco a poco
le basi della sua potenza, governando indirettamente prima
di assumere direttamente il potere;

3. l'opposizione di famiglie appartenenti allo. stesso
partito del futuro signore, come i conti di Montemarte e gli
altri rami della casata Monaldeschi.

Tra le cause esposte, l’ultima ha maggior peso. I conti
RECENSORE

Sa a paio cma Redes.

c aA

"DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 495

di Montemarte, gente guerresca e di antica nobiltà, ebbero
parte principale nella cacciata dei Filippeschi, ma dopo il
‘15 passarono in seconda linea di fronte ai Monaldeschi; di
nobiltà recente, ma più numerosi, più ricchi e più accorti.
Di ciò quelli si crucciarono e combatterono aspramente l'al-
tra casata, prima alleata, ora avversa. Questa poi, troppo
numerosa, si scindeva in quattro famiglie in lotta per il
predominio politico. Il che spiega a sufficienza il ritardo nel-
lafferrare il potere da parte di Manno di Corrado.

In parecchie città, quando una fazione riusciva vincitrice,
induceva il suo capo ad assumere la signoria. In Orvieto,
invece, il futuro Signore trova la più gagliarda opposizione
negli altri capi del suo partito, anzi in coloro stessi che por-
tano il medesimo cognome. È costretto, quindi, a rifare un’al-
tra base alla sua potenza, a costruire più saldo fondamento
al suo edificio politico nella stima e nell’ ammirazione del
popolo, conquistata con la prodezza in campo e l'assenna-
tezza nei consigli. |

Troppi.erano cupidi di afferrare il potere e gli uni im-
pedivano agli altri di cogliere il frutto maturo, finché al piü
abile fra tutti non riusci di piegare alcuni a secondarlo
e sostenerlo, e di sbarazzarsi dei più avversi con l aiuto
di forze nuove. Tutto questo si svolge negli anni 1316-34:
lotta sorda, a colpi ora di spillo ora di coltello, non com-
presa abbastanza dai cronisti e che esula dai documenti uf-
ficiali.

Per comprendere bene quanto stiamo per dire, occorre
far conoscenza con le diverse famiglie dei Monaldeschi e
con i loro membri più ragguardevoli. Ciò sembrerà facile,
perchè possediamo un’ ampia esposizione della discendenza
dei Monaldeschi. Ma l’ ha composta, niente meno! Alfonso
Ceccarelli (1), famoso inventore di frottole e falsificatore
di documenti. Non c'è dunque da fidarsene. Meglio saper

(1) Del Historia, di Casa Monaldesca, Ascoli, 1580.

er i ^ z

SII 426 G. PARDI

poco, ma con certezza, valendoci soltanto di documenti. Con
l’aiuto dei quali ho potuto ricostruire la genealogia, sebbene
incompleta, di alcuni rami della storica casata.
CASATA MONALDESCHI
I. — Ramo della Cervara
(1) Monaldo
(2) Pietro 4- 1238

(3) Beltramo

|
(4) Cittadino (a) Trasmondo

(5 Ermanno

| | |
(6) Corrado 4- 1300 (e) Monaldo (7) Cittadino

| | |
(b) Guido (c) Spinello (d) Ranuccio

|
(7) Manno 4 1337 (g) Berardo (h) Tramo

| | | |
(8 Benedetto (9) Torto (10) Monaldo (11) Corrado

| | |
(1) Monaldo (m) Manno (n) Pietro Moscio

(1) Monaldo di Pietro di Cittadino Monaldeschi ricordato in un documento del
1216 in FUMI, Cod. dipl., p. 74.

(2) Pietro di Monaldo consigliere del Comune nel 1208, console nel 1212, nel *19
e nel ’20. Muore a Siena nel 1238, essendo stato fatto prigioniero dai Senesi a Sar-
teano (FUMI, Cod. dipl., p. 56, 63, 86, 88, 89. Chronica Urbevetana pubbl. dal GAMUR-
RINI in Arch. st. it., S. V, t. III, p. 9 degli Estratti). Era stato anche podestà a Siena
nel 1226 (SrTokvis, Manuel d? histotre, Leida 1890-93, II, 832).

(3) Beltramo é ricordato come padre di Cittadino nei documenti che concer-
nono il figlio. 3

(4) Cittadino di Beltramo prigioniero dei Senesi nel 1235, sindaco del Comune
nel '51, Priore nel '59, Capitano di popolo nel '60. Fumi, Cod. dipl., p. 147, 191-93,
220 e 227. Secondo la Chr. Urb., anche Podestà nel 1240, p. 13.

(5) Ermanno di Cittadino Podestà a Firenze nel 1266 (Chr. Urb., p. 19), Capitano
di popolo in Orvieto nell’ 84 e nel '97 ambasciatore presso la Curia romana « pro
arduis negotiis ». FUMI, Cod. dipl., p. 827 e Riformagioni ad ann., c. 5 t. Egli tenne
onorevolmente la carica di conte di Romagna negli anni 1288-89, si alleò con Mala-
testà da Verrucchio, raccolse un esercito da tutta la Romagna ecc. (P. CANTINELLI,
Chronicon nella nuova ed. dei R. I. S.} t. XXVIII, p. 57-59).

(60) Corrado di Ermanno visconte del castello di S. Venanzo, podestà di Viterbo
negli anni 1295 - 96 (Studi e Docum. di Storia e Diritto, a. XVI, 1894, p. 358) e nel
1299 Capitano di popolo in Firenze. Riformagioni, a. 1300, c. 63.

(7 Di Manno parleremo in seguito.

(8, 9, 10, 11) I figli di Manno presero parte attiva alle lotte cittadine. Cfr. EpAe-
merides Urbevetanae nei R. I. S. XV.
2 Em aee LAT

ET ES

NEL Acuto AUGE cO AEREE

iaeca dan ARE

DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 427

II. — Ramo della Vipera
(1) Bonconte
|
(2) Ugolino : E

|
(3) Bonconte

| | |
(4) Ugolino (5) Monaldo (6) Benedetto

(1) Bonconte di Monaldo consigliere del Comune nel 1239, console più volte,
rettore di Orvieto nel '69. FuMI, Cod. dip. p. 163, 170, 209, 210, 283, 205. Secondo la
Chr. Urb. p. 16 fu anche Senatore di Roma nel '55. Secondo lo Sro& vis, II, 856 si legge
che un Bonconte Monaldeschi fu Senatore di Roma negli anni 1222, 1225 e 1254-55.

(2) Ugolino di Bonconte ricordato nel Catasto di Orvieto del 1292 come posses-
sore di terreni stimati lire 33.844. Ambasciatore presso il Papa nel 1300, Riforma-
gioni ad ann. c..138 t.

(3) Bonconte di Ugolino uno dei Signori Cinque nel 1313, docum. aut. ripro-
dotto in MONALDESCHI C. 74.

(4) Di Ugolino di Bonconte, competitore e poi alleato di Manno di Corrado, par-
leremo in seguito.

(5) e (6) Monaldo e Benedetto di Bonconte prendono parte attiva alle lotte cit-
tadine. Cfr. Ephn. Urb.

III. — Ramo del Cane

(1) Monaldo
|

(2) Pietro Novello

| | | | |
(3) Monaldo (4) Nallo (5) Pepo (6) Pietro (7) Napoleuccio

(1) Monaldo ricordato in documenti concernenti il figlio Pietro Novello.

(2) Pietro Novello uno dei Cinque e Capitano di parte guelfa (Riformagioni del
mag. 1314 e del 1315) ambasciatore presso il Papa nel 1300 (ivî, ad ann. c. 138 t.) e
capitano dell’ esercito mandato in soccorso di Firenze nel 1315. FUMI, Cod. dipl.
p. 425.

(7) Napoleuecio di Pietro Novello fu avversario di Manno di Corrado. Ne par-
leremo in seguito.

Roin peers

EE

pento:
42

8

G. PARDI
IV. — Ramo dell’Aquila
(A) (B)
Cittadino (1) Masseo
|
Ciarfaglia (2) Vanne
|
| | [ (3) Sceo
Corrado Monaldo Monalduccio Cecco

Cinque (Riformagioni, sett. e nov. 1314) più volte ambasciatore del Comune (ivi, a.
1310 c. 4, 1314 c. 47, 1315 c. 43 e 1316 c. 7) nel 1325 uno dei cittadini scelti a diriger

(A) Il più notevole in questa famiglia è Cecco, Signore di Montorio, 2 volte dei

la guerra contro Viterbo. FUMI, Cod. dipl. p. 460.

(B - 1) Masseo è degli Otto di guerra nel 1309, Riformagioni ad. ann. c. 61.

Probabilmente era stato Podestà di Lucca nel 1308. STOKVIS, II, 837.

(2) Vanne di Masseo era giudice e leggeva diritto in Orvieto, come risulta

dalle Riformagioni dell’anno 1309, c. 291. « Vir sapiens dnus Vannes dni Massei de

Munaldensibus iudex, qui continue legit leges in civitate Urbisveteris tam in pre-

senti anno quam tempore venturo legere intendit, quod satis ad exaltationem dicti
Comunis spectat, pro suo feudo et salario habeat et babere debeat, quolibet anno
... quo leget in civitate Urbisveteris leges, vigintiquinque florenos auri ». Vanne
per il suo senno e la dottrina fu tra i consiglieri piü ascoltati nel consiglio delle
Riformagioni, uno degli otto cittadini incaricati di trattare con la Curia romana la
quistione dell'interdetto scagliato contro Orvieto (ivi, a. 1307, c. 175) procuratore

del Comune per rinnovare la lega con Perugia nel 1313 (FUMI, Cod. dipl. p. 411) dei

Cinque 2 volte, cioé nel settembre '14 e nel febbraio '15. (Ré/., ad ann.).

Capitano di popolo a Gubbio nel 1304, Podestà di Lucca nel 1310, Gonfaloniere di

(3) Sceo di Vanne, signore del castello di Marano, Podestà di Moiana nel 1298,

una cavallata nell’ 11, castellano di Collelungo nel '14, uno dei Cinque nel '15, ca-
stellano di Civitella d'Agliano nel '17 e capitano dei balestrieri d'Orvieto nel '21

(Rif. del 1298 c. 1, del 1304 c. 24 e 208, del 1311, 1. 101, c. 22 e 1. 11, c.

c. 47, del 1315, l. 11, c. 17). Capace e stimato uomo di guerra, di sentimenti meno
oligarchici de' suoi consanguinei.

più tardi, le denominazioni del Cervo o della Cervara, della
Vipera, del Cane e dell'Aquila, per aver soprapposto, rispet-

I quattro rami della casata Monaldeschi presero, sebbene

tivamente, una testa di cervo, una vipera, un cane ed un'a-
quila all'arme comune, in cui figuravano tre rastrelli turchini
in campo d'oro. Ma, per ottenere maggior chiarezza, mi valgo
già di queste denominazioni, chiedendo venia di tale antici-
pazione storica.

Il ramo della Cervara parrebbe il più ricco e potente.

Corrado di Ermanno, a quanto narra lo storico Monaldeschi,

avrebbe sposato Latina dei Visconti di Campiglia imparentan-

111, del 1314
SONA TUE MAT De

DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 499

dosi con questa nobile famiglia e sarebbe entrato nelle grazie
di Bonifacio VIII quando il papa venne ad Orvieto nel 1297,
ottenendo per sé il governo di Acquapendente e delle. terre
del lago di Bolsena, e per il figlio Manno la mano di una
figlia di Benedetto Gaetani, fratello del pontefice.

Mortogli il padre nel 1300, ucciso in un combattimento,
dai Ghibellini di Radicofani, Manno ne ereditó la maggior
parte delle sostanze e l'autorità, che gli veniva anche dalle
potenti parentele, da un animo fiero e da un' intelligenza non
comune.

Nel 1302 dette prova di valore riuscendo a penetrare a
viva forza in Acquapendente, a capo di una spedizione or-
vietana. Si legge infatti negli Ann. Urb. « Mannus dni Cor-
radi intravit Aquapendentem, expulit Gebellinos inde, et plu-
res fuerunt occisi et robati » (1). Il Monaldeschi (2) afferma
che in quest' impresa il giovane fece vendetta della uccisione
del padre. I Ghibellini di Radicofani, non potendo piü soste-
nersi nel nativo castello per esser venuto loro a mancare un
valido aiuto con la morte del conte Guido di Santafiora, si
eran ritirati in Acquapendente. Quindi Manno, facendo strage
dei Ghibellini in quella terra, avrebbe punito anche gli uc-
cisori di suo padre.

Due anni dopo ottenne il medesimo successo a Bagno-
rea (3) e sarebbe stato nominato Signore dj questa cittadella,
come afferma il Monaldeschi e come fanno supporre alcuni
documenti (4). In seguito, adunque, alle due fortunate im-

(1) Nuova ed. dei R. I. S. t. XV, parte V, p. 173.

(2) Op. cit., p. 66.

(3) Chr. Urb., p. 299: < Mannus d.ni Corradi cepit Balneoregium et expulit inde
Gebellinos ». Veramente nel passo corrispondente degli Amm. Urb., p. 175 si legge
cessit invece di cepit; ma qui, per il senso, parrebbe migliore la lezione data dal
GAMURRINI se nel codice originario non si leggesse chiaramente: cepit.

(4) FUMI, Balneoregensia, Orvieto, 1895, p. 10, atto del 1316 dec. 29. Inoltre il 9
giug. 1318 Manno fece. üna dichiarazione di sottomissione al Comune di Bagnorea
del castello della Cervara, allora in costruzione, ed ivi espresse le sue relazioni con
gli abitanti della terra: « Considerans sinceritatis et dilectionis affectum, quem pro-
genitores sui et fratrum, ac ipse et dieti sui fratres et alii de domo sua ab anti-
petet eit tinm n edu i

d ———— Ó€

430 G. PARDI

prese acquistó fama di soldato e capitano valoroso, ed anche
una maggiore potenza.

Nei documenti del 1309 si rinvengono prove della con-
siderazione, di cui godeva nella sua città. Il Prefetto di Vico
con Ghibellini di Viterbo, Corneto e altre terre, fece una
incursione sul territorio del Contado aldobrandesco e vi predò
un gran numero di pecore, di bovi, di bufali e di altri ani-
mali (1). Gli Orvietani mandarono ambasciatori al Papa a
chieder giustizia contro il Prefetto, e così pure a Viterbo e
a Corneto per domandare una riparazione. Ma intanto eles-
sero sedici cittadini a metter in pronto l’esercito, tra cui era
anche Manno di Corrado. Poi lo inviarono a Viterbo a chie-
dere il passaggio per il territorio di quel Comune al loro
esercito, che doveva marciare contro il Prefetto. E nel con-
siglio dei Sedici di guerra si ascoltavano con gran deferenza
le fiere proposte del Monaldeschi, intese a far uscire con
onore i cittadini da quella briga (2). E si accoglieva poco
dopo anche la proposta, da lui caldeggiata, di rappresaglie

‘contro Viterbo (3). Nello stesso anno lo vediamo far parte

della commissione incaricata di stabilire i patti per la sot-
tomissione al Comune dei nobili d'Alviano ecc.

Nel 1313 Manno prese parte principale alla battaglia
civile dell'agosto e sarebbe stato lui a guidare le schiere
guelfe a impossessarsi del palazzo del Comune (4), come più
tardi fu lui a proporre il bando dei (Ghibellini e l' abbatti-

quis retroactis temporibus et'semper gesserunt et gerunt ad Comune et homines
civitatis Balneoregii, ac affectans et volens affectum ostendere non solum verbis
sed potius per evidentiam facti, recognovit quod castrum Cerbarie, quod inceptum
est aedificari ... est situm et positum in districtu, tenimento et iurisdictione Comu-
nis et hominum dicte civitatis Balneoregii ». (Arch. notarile mandamentale di Ba-
gnorea, pergamena originale). Cfr. anche Boll. d. Soc. umbra di st. p., I, 625.

(1) Ann. Urb., p. 195.

(2) Rif., ad. ann., c. 33, 61, 83 e 288

(3) Ivi, c. 367, doc. del 28 dec. 1309.

(4) Risulta da una domanda rivolta ai Cinque da un mercante, in cui afferma
che le chiavi del magazzino, ove teneva le merci, erano state date, durante il com-
battimento, « Manno d.ni Corradi ut mictere possit homines ad capiendum palatium
Communis in honorem partis guelfe ».
DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 431

mento delle fortezze e delle case loro tanto in
nel contado.

Nel 1314 tenne per due mesi l'ufficio di Capitano di
popolo e di Podestà come vicario di Benedetto Gaetani (1).
$ L’anno innanzi era Podestà dei castelli delle Grotte e di
Montacuto (2) ecc.

Espulsi che furono i Ghibellini dalla città e caduto il
governo dei Cinque, il nostro Monaldeschi, fornito di ade-
renze e parentele, ricco, valoroso, audace, intelligente, aspi-
rava alla signoria; ma, come è già stato osservato, gli attra-

città quanto

versavano il cammino i Montemarte ed i suoi stessi parenti:
Ugolino di Bonconte della Vipera, più maturo in età e più
esperimentato, Pietro Novello del Cane, fornito di molta ric-
chezza, e Sceo di Vanne dell’ Aquila, assai pratico di cose
militari.

. Bisognava, dunque, mutar rotta politica, procurando di
salire piuttosto con l' appoggio del popolo che dei nobili. Su-
bito nel 1316 egli si mette per la nuova via, ora consigliere
È assennato, ora soldato, ora capitano, all’ occorrenza banchiere
disinteressato del Comune.

sulle milizie di Orvieto, ne invadono il territorio e occupano
terre e castella devastando predando uccidendo. Il capitano
di guerra, Poncello Orsini, muove alla riscossa e assalta il
castello di Bisenzio e devasta il territorio di Viterbo spin-
gendosi fin sotto questa città e attaccando quivi il combat-
timento. Nell'esercito si trova anche Manno di Corrado (3)
che, inoltre, è uno dei Dodici di guerra (4). Iniziatesi trat-
tative di pace, vien mandato ambasciatore a Viterbo e rie-
sce a concludere l'accordo con patti onorevoli per i suoi

(1) PARDI, cit., Serie dei magistrati d?Orvieto, p. 50.

(2) Arch. com. d'Orvieto, pergamene del 12 e 13 ag. 1313.
(3) Ann. Urb., p. 181.

(4 Rif. ad ann., c. 7.

I Ghibellini, dopo la vittoria riportata a Montefiascone :
, I |

he

È ’ *
Rep e II 432 G. PARDI

cittadini (1). Nello stesso anno fa parte della commissione
dei quattro incaricati di rivedere la gravezza detta Lira e
di sgravare i troppo aggravati. Donde si deduce che posse-
deva anche competenza finanziaria e. godeva fama di onestà
e imparzialità, come occorreva per un incarico così delicato.

Ma un fatto principalmente dimostra la grande stima,
che il popolo aveva di lui. Nella spedizione sopra ricordata
gli Orvietani eran penetrati nel castello di Bisenzio facendo

prigionieri due giovanetti, figli di Guittuccio di Bisenzio, uno:

dei nemici più ostinati. Questi, per rappresaglia, dette alle
fiamme, valendosi di barche leggere, un galeone, che Orvieto
aveva armato nel lago di Bolsena. La ciurma si salvò a nuoto.
Ma i cittadini, ritenendo che fosse perita, cominciarono a
gridare: morte ai figli di Guittuccio! e abbattute le porte
del carcere dove stavano i due infelici, li trascinarono sulla
piazza del popolo e ne fecero scempio. Poi accesi dalla brama
di una vendetta anche più esemplare, mostrando di aver fi-
ducia soltanto in Manno come condottiero di guerra, lo sol-
levarono sulle braccia e lo portarono così al palazzo del po-
polo, gridandolo Capitano di popolo: « Deinde ceperunt cla-
mare: Vivat Mannus, vivat Mannus et sit capitaneus populi. Et
portaverunt eum ad palatium per brachia in aera cum ve-
xillo populi super caput. Et fuerunt ablate claves portarum
Poncello [Ursino] et date Manno dni Corradi die XX octu-
bris de sero » (2).

Quando una popolazione dimostra per un uomo una tale
fiducia, un tale entusiasmo, lo incoraggia a sentire un legit-
timo orgoglio ed a formare disegni ambiziosi. Chi accuse-
rebbe di soverchia ambizione il nostro, se, dopo un fatto di
questo genere, aspirò alla signoria della patria in un momento,
in cui da per tutto si formavano nella penisola le signorie?
Ma egli resistette ancora alla tentazione, non volle precipi-

(1) Rif., ad ann., e. 47; FUMI, Cod. dip., p. 439; Ann. Urb., p. 181: « Quam
pacem ordinavit Mannus ».
(2) Ann. Urb., p. 181.
DAL COMUNE "ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 433

tare gli avvenimenti, vedendo troppi ostacoli sul suo cam-
mino. E continuò a prestare ai suoi cittadini utili servigi,
in apparenza disinteressati. ;

Nel 1317 va ambasciatore al Capitano del Patrimonio,
unitosi ai nemici d'Orvieto, per trattare la pace con lui e
riesce a concluderla. Poi ritorna presso di quello, inviato dai
suoi cittadini a fargli onorevole scorta attraverso le terre
affidate al governo di lui (1). Contemporaneamente esercita
gli uffici di Castellano delle Grotte (2) e di Podestà di S.
Lorenzo (3). i

Nel '18 va a Chiusi ad intimare a quella città ribellatasi
di sottomettersi al Comune orvietano (4). Nel '19 è Podestà
d'Acquapendente (b). Nel '26 mutua al Comune 500 fiorini
d'oro (6). Nel '27 é incaricato di comporre le differenze tra
i conti di Marsciano e i visconti di Campiglia, stabilire i ter-
mini tra i possessi delle due famiglie e proporre perfino i
matrimoni da contrarsi tra i membri di esse, perché possa
sempre regnare in seguito la concordia fra loro (1). Nel 1550
impresta al Comune altri 1000 fiorini.

Mentre il nostro andava spianandosi là via al potere e
indirettamente lo esercitava già, influendo sulle più importanti
deliberazioni della signoria e dei consigli cittadini, si trovò
di fronte un nuovo e audacissimo avversario, che poco mancò
non ne prendesse il posto: Napoleone Monaideschi, figlio di
Pietro Novello del Cane, detto comunemente Napoleuccio o
Pauluccio.

Questi, mostrando viva intelligenza e ardimento, riuscì
a divenire, in giovane età, capo di un forte partito. Il ero-
nista Francesco di Montemarte, con l'acciecamento prodotto

(1) Réf., ad ann., l. 29, c. 83, 1. 3», c. 54, 1. 40, c. 27.
(2) Ivi, l. 20, c. 53.

(3) Arch. com. d’Orvieto, pergamena del 4 febbr. "17.
‘ (4) Réf., ad ann., c. 81.

(5) Arch. com. d’Orv.; pergamena. del 12 febbr. 1319.
(6) Rif., ad ann., l. 39, c. 60..

(7) Ivi, ad ann., l. 2°, c. 14.

Ai
—— A degne mico

mr iene I ca P

F1

p nita vd) E du 7

m—X SEAT

434 G. PARDI

dall'ira di parte, lo dice « il maggior cittadino e signore di
Orvieto ». Ma egli odiava Manno di Corrado, contro cui suo:
padre aveva cospirato, ed inclinava ad esaltarne l' avversario.

Napoleuccio era capo di una fazione, che si potrebbe
chiamare dei Guelfi moderati, e forse anche dei Neo-Ghibel-
lini, composta dai Montemarte, dai Monaldeschi del Cane e
della Vipera, dai Ranieri e dagli antichi Ghibellini. Questi
ultimi non potevano più sperare di primeggiare, ma sì di
vendicarsi e ottener la restituzione di parte dei beni. Odia-
vano Manno, che aveva sostenuto nei Consigli la necessità di
esiliarli e di confiscarne le sostanze; contro Napoleuccio non
provavano avversione, perché egli nel ‘13, ancor troppo gio-
vane, non sì era mescolato alla lotta e alle persecuzioni.

Manno della Cervara restava a capo del partito guelfo
e poteva contare sulle famiglie di maggior potenza e ric-
chezza dopo i Monaldeschi, come i Della Greca e i Della
Terza, e sul popolo guelfo. Anche i popolani piü sospettosi
e attaccati all'ordinamento repubblicano, preferivano lui, ve-
ramente guelfo e di tendenze democratiche, a Napoleuccio
trescante con i Ghibellini e meno abile a dissimulare 1’ or-
.oglio nobilesco.

Le forze dei due avversari parevano controbilanciarsi,
ma il nostro seppe, nel momento decisivo, attirare a sé Ugo-
lino di Bonconte della Vipera, già suo accanito oppositore,
con grandi promesse, forse anche di dividere con lui il po-
tere. E si assicuró la vittoria.

La guerra civile scoppió nel 1333. Napoleuccio del Cane,
con improvviso e audace atto, s'impadroni di Chiusi, contra-
stata tra Perugini e Orvietani, in apparenza per sostenere i
diritti della sua città, ma in realtà per farne il centro delle
sue forze, la base della sua potenza (1). Manno di Corrado,
affermando che quegli voleva farsene padrone, sarebbe ve-

(1) Secondo il MANENTE, Historte, p. 227 ed il MonaLDEScHI l'occupazione di
Chiusi fu compiuta da Napoleuccio ; secondo gli Ann. Urb., (brani tratti dal Cod.
Vatic. Urbin. 1738) p. 192, da Pietro, suo fratello.
DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 435

nuto in armi contro di lui, ma sarebbe stato rotto e costretto
a mordere il freno e a lasciare Chiusi in signoria dell’ av-
versario (1). :

Pure, non ostante questo insuccesso, restava ancora il più
forte. Lo dimostra l'epilogo sanguinoso di quella lotta civile.
Il 20 aprile 1334 per una via di Orvieto si azzuffarono i capi
. delle due fazioni con numerosa schiera di seguaci. Dell’ una
parte si trovarono al combattimento Napoleuccio del Cane,
Nallo suo figlio naturale ed alcuni loro familiari; dell’altra
Ugolino di Bonconte della Vipera, Corrado figlio di Manno
della Cervara, tre della famiglia della Greca ecc. (2). Napo-
leuccio restò morto sul terreno. Il suo avversario non era
presente al fatto e non si può quindi far risalire a lui con
certezza la colpa dell uccisione. Se lo scontro avvenne per
caso, come parrebbe, non ricade su lui alcuna responsa-
bilità; se invece fu effetto di una trama o di una imbo-
scata, sarebbe difficile scacciare il sospetto che egli l'abbia
ordita o preparata. Ma non possediamo in proposito elementi
sicuri di giudizio.

La vittoria fu completata dal partito cervaresco con l'e-

spulsione da Orvieto. dei capi degli avversari: Pepo e Nallo-

del Cane, fratelli di Napoleuccio, Leonello conte di Titignano
ed un Mazzocchi.

Di fronte ad un fatto delittuoso di questo genere, la si-
gnoria di Orvieto avrebbe dovuto infliggere una punizione
esemplare ai colpevoli, che se ne vantavano e non si nascon-
devano. Invece il capitano di popolo ed una commissione di
33 cittadini eletti a giudicare i rei credettero miglior partito

di assolverli da ogni pena, condannandoli soltanto ad una

(1) Queste cose raccontano MANENTE e MONALDESCHI, ma non se ne fa menzione
nel loc. cit. degli Ann. Urb., dove si ricorda pure la presa di Chiusi. Ciò induce, se
non altro, a ritener sospetta la notizia. Quanto alla data, preferiamo accettare quella
del 1333 dagli Ann. Urb., che del '32 dagli storici succitati.

(2) Questi particolari risultano in modo positivo da una deliberazione auten-
tica del consiglio delle Riformagioni, pubblicata dal GuALTERIO in Appendice alla
Cronaca del MONTEMARTE. Torino, 1846, IT, 163.

« 2 i2 Ki

5
BI DIUINUM AES Situ, I
436 G. PARDI

multa, sebbene abbastanza elevata, di 1500 fiorini d’oro. Per-
misero anche di tornare in città ad essi, che per un certo
rispetto se ne erano partiti. A giustificare questa deroga dalle
leggi e dagli statuti addussero il pretesto che la punizione
sarebbe stata difficile ad eseguirsi e dannosa alla città « pro-

pter multitudinem peccantium et eorum potentiam », e che,
‘d’altra parte, i 1500 florini tornavano assai utili alle o

del Comune in quel momento!

La debole condotta della signoria in questa occasione di-
mostra o che era favorevole a Manno o che non aveva co-
raggio di combatterlo.

La parte contraria e tutti i cittadini attaccati al governo
repubblicano biasimarono l’ indulgenza soverchia verso gli
uccisori dr Napoleuccio; compresero che questi, se rimane-
vano impuniti, si potevano considerare come padroni della
città; e fecero un ultimo inutile sforzo per colpirli, e colpire

. cosi di fianco il loro capo.

Il nuovo capitano di popolo, Giacomo de'Bardi di Fi-
renze, appena prestato giuramento, il 9 maggio convocó il
consiglio delle Riformagioni e chiese ai consiglieri quali de-
cisioni intendessero prendere per il vantaggio, la pace, e la
sicurezza della città. Uno dei consiglieri propose di mandare
in bando gli uccisori di Napoleuccio; ma con essi anche i
fratelli e i principali partigiani di questo, e tutti i Ghibellini
dichiarati ribelli in passato. Un altro consigliò di accrescere
la guardia del capitano di 25 cavalli e 75 fanti (1). Gli av-
versari, adunque, si limitavano ad esigere, non la punizione
degli omicidi; ma soltanto l’ allontanamento dalla città; e si
mostravauo riguardosi per i Cervareschi, perché richiede-
vano anche l'esilio dei capi dell'altro partito e dei Ghibel-
linij che ne formavano il nerbo. Le proposte, benché. assai

‘temperate, tuttavia non passarono senza opposizione. Vota-

rono contro alla prima 18 consiglieri ed 11 alla seconda.

(1) Rif., ad ann., c. 135-30.
DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 491

Ma ormai era giunto per Manno il momento di gettare
la maschera e di agire con l'ardimento necessario. Se la-
sciava andare in bando i migliori amici, mostrava una' de-
bolezza, che questi non gli avrebbero perdonato. D'altro lato,
essendo perito il suo piü temibile competitore, era sicuro
della vittoria. Il popolo in gran parte stava per lui, prefe-
rendo la pace sotto un signore, alla lotta e al disordine in
una repubblica. I partigiani del governo democratico erano
coraggiosi, ma pochi.

Pure i Monaldeschi, per correre il.minor rischio possi-
bile, avevano chiesto, anche prima, e in previsione, del
Consiglio surriferito, aiuti di milizie al Capitano del Patri-
monio, che sollecitamente li guidó in persona ad Orvieto.
Avuto questo rinforzo, la mattina dell 11 maggio fecero
levar rumore per le vie e le piazze e convocarono il con-
siglio, strappandone il consenso al Capitano di popolo, il
quale però si rifiutò di assistervi. E qui si spiegò tutta la
loro grande abilità. Non chiesero già limpunità di cittadini
colpevoli o la revoca. della precedente deliberazione legal-
mente presa; ma misero innanzi una proposta, che seppero
presentare come ispirata dallinteresse della città, mentre

implicitamente conteneva quanto non si aveva coraggio di

domandare, ed anche assai di più e di meglio a proprio van-
taggio. Poiché alcuni nobili ghibellini avevano occupato parte
del Contado aldobrandesco, fecero proporre di stabilire i mezzi
piü opportuni per ricuperare quelle terre; e chiedere se si
credeva utile, allo scopo anzidetto e per evitare lotte civili,
di compiere una riforma nell'ordinamento politico del Comune.
Uno della famiglia Della Terza, fautore di Manno, consiglió
di abrogare tutti quei capitoli della Carta del popolo (e ac-
cortamente li designava ad uno ad uno con le parole del
principio e della fine, senza esporne il contenuto), che sta-
| bilivano il governo popolare; ma non già di sopprimere i
Sette, quasi un simbolo oramai del potere del popolo, sibbene
di nominare una commissione di Dodici, che insieme con loro

30
438 G. PARDI

prendessero le deliberazioni più importanti. La proposta fu
approvata quasi all’ unanimità, con 102 voti favorevoli e 5
soltanto contrari (1). E i fautori del governo democratico che
fecero? perchè non si oppesero ? O ebbero paura o furono
sgominati non tanto dalla forza quanto dall’ abilità sorpren-
dente dei Cervareschi. Nella commissione dei Dodici entra-
rono, naturalmente, i più accesi ed accorti partigiani di Manno
di Corrado. E tre giorni dopo seppellivano già la libertà co-
munale senza accordarle nemmeno l'onore di un discorso
funebre. Riunitisi i Dodici e i Sette a consiglio, senza la pre-
senza del Capitano di popolo invano invitato ad intervenirvi,
elessero Manno di Corrado Gonfaloniere a vita del popolo e
della giustizia, affidarono a lui e ad Ugolino di Bonconte il
potere di ordinare quanto stimassero utile per la sicurezza
della città e del contado, accordarono al medesimo, al figlio
Corrado, al nepote Monaldo di Berardo e ad Ugolino di Bon-
conte il diritto d’intervenire al loro Consiglio e ad ogni altro
della città con le attribuzioni di qualsiasi consigliere (2).

Il nostro Monaldeschi era ormai signore di Orvieto, ma
non assumeva questo titolo, preferendo quello di Gonfaloniere
di giustizia, che avrebbe destato minori sospetti ed appariva
più conforme alle tradizioni democratiche dei cittadini; come
aveva preferito di conservare i Sette, la vecchia magistra-
tura repubblicana, per cullare ancora il popolo con l'illusione
che nulla o ben poco era mutato nella forma di governo.

La lunga lotta politica aveva termine con la trasforma-
zione del Comune in una signoria.

IV. — Tre anni di governo a signoria (3)

Era impresa meno difficile fondare una signoria che
consolidarla. Ai nuovi signori non dava « carattere di legit-

(1) R4f., ad ann., c. 137-43.
(2) Ivi, ad ann., c. 145-47.
(3) Ho rielaborato in questo capitolo,in forma più sobria, emendandolo e com-
pletandolo, un lavoro giovanile, intitolato: La Signoria di Ermanno Monaldeschi
DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 439

timità né l'antichità del loro dominio nè l’ unanime consen-
timento dei sudditi » (1). Non potendo essi basare la loro
potenza sulla tradizione, ne cercavano i sostegni o nella forza
delle armi, o nel vantaggio dei sudditi, o meglio con ambe-
due questi mezzi. E Manno Monaldeschi spiegò non comune
ingegno nel conservare il potere, come dimostrano i suoi
atti.

1. Politica interna

Procurare benessere ai cittadini con la pace, l'ordine e
la sicurezza, da cui derivava la prosperità del paese, era il
miglior modo per assodare il dominio. E il nostro seppe far
ciò ristabilendo con energia la quiete in una città turbata
da lunghe discordie. « Cum magna pace rexit civitatem Ur-
bisveteris »: conclude su lui il suo giudizio l'anonimo scrit-
tore di una cronaca contenuta nel codice vaticano -urbinate
n. 1738 (2). Nessun disordine si avverò quand’ egli soppresse
la repubblica, non un tumulto nè una battaglia civile nè una
rivolta avvenne mai durante il suo governo. Si ristabili la
sicurezza nelle campagne e si poterono lavorare i campi:
l'unica guerra combattuta sotto di lui si svolse in un terri-
torio spopolato e lontano, all'estremità occidentale dello Stato.
Per la pace e l'amicizia ristabilite o mantenute con le altre
città dell'Umbria, si riattivò il commercio.

Ma il vantaggio dei sudditi non poteva un signore pro-

eurare se non con un'opera, lenta di necessità; occorreva:

intanto premunirsi contro i pericoli di una insurrezione del
partito avverso: rassicurare gli amici e intimorire i nemici.
Ecco i provvedimenti che il nostro prese a questo fine.

in Orvieto, pubblicato nel periodico: Studi e documenti di Storia e Diritto, anno XVI.
Ivi sono riprodotti, in parte o per intero, parecchi tra i documenti citati più sotto
nelle note :

(1) CIPOLLA, St. d. Signorie it., ed. Vallardi, p. 2.
(2) Ann. Urb., p. 192.

ilari " è x
haces

i VW

Pdl

m. NND

S oo

» 5 AD a

a

440 | G. PARDI

La milizia cittadina si componeva di 800 balestrieri, 200
per quartiere, guidati da due capitani. Bisognava assicurar
sene la fedeltà e affidarne il comando a persona fidatissima.
Subito il giorno dopo la sua elezione, il Gonfaloniere, il 15 mag-
gio, fece nominare capitano a vita dei balestrieri un suo
partigiano, Giannozzo di Giannuzzo Avveduti. Per impedire
poi che, in un eventuale tumulto, quella milizia si potesse
schierare contro di sé, procuró di tenerla a freno con dispo-
sizioni severe. I balestrieri, sotto minaccia di gravi multe,
dovevano prestar cieca obbedienza al loro capitano; chi di-
sobbediva a lui e non aveva mezzi di pagar la multa, incor-
reva nella pena della mutilazione di una mano o di un
piede (1).

A scopo di sicurezza, per premunire la città da un im-
provviso assalto, egli fece subito murare due porte, forse mag-
giormente esposte a pericoli, rafforzare in alcuni punti con
muraglioni le rupi che formano l'esterna difesa e scavare
una fossa presso la porta S. Maria ecc. (2). E fece nominare
ser Andrea, un notaio di Firenze, ufficiale preposto alla cu-
stodia della città « magistrato che non si eleggeva fuori che
in tempi sospetti » (3); tutti i cittadini dovevano obbedire ‘ai
suoi ordini, per ció che concerneva la guardia di Orvieto, di
giorno e di notte; i disobbedienti eran puniti con una multa
non leggera (4).

Contribuiva anche alla sicurezza personale di Manno e dei
piü intimi suoi la licenza di portar armi per la città e per i
sobborghi, accordata dai compiacenti amici del Consiglio a
lui, a suo figlio Corrado, a suo nepote Monaldo, a Ugolino
di Bonconte della Vipera e a Monaldo fratello di questo, a
tutti i componenti la famiglia della Greca e a un certo nu-
mero dei loro rispettivi servi (5).

(D Rif, n. XXXV, c.. 151.

(2) Ivt, n. XXXV, c. 154, 17 mag. '34.

(3) GUALTERIO, Op. cit., II, 18.
(4)
(5)

4) Rif., n. XXXV, c. 154.
5) Ivi, n. XXXV, c. 150.
DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 441

Prese che ebbe, appena salito al potere, queste prudenti
disposizioni per allontanare ogni pericolo, Manno volle porre
in tutti gli uffici uomini ligi e devoti a sè, rimuovendone i
contrari. Fece quindi stabilire che tutti i nobili, i quali eran
considerati come popolani o per qualche capitolo della Carta
del popolo o per qualche speciale concessione, e avevano o
potevano ottenere cariche del Comune, si considerassero in-
d'innanzi come nobili e lasciassero gli uffici che reggevano.
Tra gli altri fu deposto, perché ghibellino, il giudice ser Ni-
cola di Angelo (1).

La capitania di popolo, magistratura per eccellenza de-
mocratica, non si conciliava con una signoria, se non era
esercitata da persona pieghevole e non attaccata al governo
repubblicano. Invece, il Capitano d'allora, Giacomo dei Bardi,
si mostrava-ostile al Monaldeschi: aveva tentato invano d'im-
pedire l'affermarsi della sua signoria e di colpire di nullità
eli atti del consiglio che la stabili, non intervenendovi, men-
tre la sua presenza era necessaria per la legalità, secondo
una precisa disposizione della Caría del popolo. Intraprese
anche un processo contro gli uccisori di Napoleuccio del
Cane, ma dovette lasciarlo a mezzo. Manno, non curandosi
affatto di lui e agendo senza consultarlo anche quando
avrebbe dovuto, lo costrinse a dimettersi (2). Vacato l'ufficio,
fece affidare à sé stesso e al Consiglio dei Sette e dei Do-
dici l'elezioni dei futuri capitani. Cosi assicurava meglio il
suo potere ed evitava ogni possibile conflitto, dando quella
carica a persone di sua fiducia.

Come non aveva soppresso la capitania di popolo, per
lasciare ai cittadini l'illusione che nulla o ben poco era mu-
tato nell'ordinamento politico, cosi non pensó nemmeno ad
abolire i Sette. Questi venivano eletti dalle corporazioni ar-
tigiane, che in generale erano favorevoli a lui ed eleggevano

(1) Rif., n. XXXV, c. 159.
(2) Ivi, n. XXXV, c. 165 e 168.
449 G. PARDI

persone del suo partito. Ma anche se gli fossero stati con-
trari, tutti o in parte, aveva modo di neutralizzare la loro
opposizione per mezzo dei Dodici, che egli stesso eleggeva
insieme con i Sette (1). Inoltre potevano assistere al Consi-
glio e prender parte alle discussioni ed alle votazioni lo
stesso Manno, che tuttavia non v'intervenne mai, suo figlio
Corrado, suo nepote Monaldo, l'intimo suo Ugolino della Vi-
pera e idue Capitani della parte guelfa, ufficio tenuto pure
da amici suoi. Poi il Consiglio dei Dodici e dei Sette fu
reso segreto, e i suoi membri si obbligarono al silenzio, su
quanto trattavano nelle adunanze loro, sotto minaccia della
destituzione da ogni ufficio e di una grossa multa (2). Infine
si adunavano non più a richiesta del Capitano di popolo,
bensi dello stesso Manno: « de consensu et expressa volun-
tate Vexilliferi iustitie » (3).

Era necessario riformare e correggere la Carta del popolo
per legittimare i mutamenti introdotti nel governo. Pertanto
il Monaldeschi fece affidare a sè, ad Ugolino di Bonconte ed
ai Sette la facoltà di nominare una commissione per la ri-
forma di quegli antichi statuti popolari. La nuova compila-
zione, assai diversa dalla precedente, a causa di moti suc-
cessi nel 1340 « andò sommersa nel gran naufragio delle pub-
bliche scritture » (4).

Assicuratosi il dominio pur serbando parte delle forme
esteriori del vecchio reggimento, senza troppo offendere l’a-
mor proprio del partito popolare, e potè governare col consen-
timento quasi unanime dei cittadini, nella massima quiete.
Gli amici lo stimavano e lo sostenevano; i nemici lo teme-
vano e mordevano il freno. « Cum magna pace rexit civi-
tatem Urbisveteris »: ben dice adunque di lui il vecchio
cronista.

(1) Rif., n. XXXVII, c. 10.
(2) Ivi, n. XXXV, c. 170; 23 mag. 1334.

(3) Formula usata dal 1335 sino alla morte di Manno Monaldeschi.
(4) FUMI, Cod. dipl., p. 132.
DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO

2. Politica esterna

Nella politica esterna il Monaldeschi si tracciò subito una
linea direttiva ben dritta e precisa, in conformità delle in
terne condizioni politiche. Lui sostenevano i Guelfi puri ed
osteggiavano i Ghibellini. Gli premeva, dunque, di tenersi
amiche le città guelfe dell'Umbria e principalmente Perugia,
centro del partito chiesastico nella regione. Al contrario gli
gioverebbe abbattere o indebolire la potenza dei nobili ghi-
bellini confinanti col suo Stato, che erano uniti d’aspirazioni
e d’interessi con i suoi nemici orvietani. In conseguenza il
suo programma doveva essere: alleanza con Perugia e le al-
tre città chiesastiche dell’ Umbria, e guerra alle città ed ai
nobili imperialisti: programma concepito chiaramente ed ese-
guito con vigoria e costanza.

Ma l'accordo con i Perugini lo portava a risolvere la
spinosa quistione di Chiusi, pretesa da quelli ed occupata da
Napoleuccio del Cane per Orvieto. Mantenere la città ad ogni
costo era rendersi nemica irreconciliabile Perugia, del cui
appoggio vedeva la necessità per assodare la sua signoria,
che metteva le prime radici, e per lottare contro i Ghibel-
lini; sarebbe poi stato lo stesso che riconoscere i meriti del
suo infelice avversario, Napoleuccio del Cane. Adunque ra-
gioni politiche e ragioni personali si accordavano per indurlo
alla restituzione di Chiusi.

Però avrà certamente riflettuto: gli Orvietani staranno
quieti all'annunzio di questa rinuncia, che parrà una grande
viltà? Non erano forse state rovesciate altre signorie dall’ ira
popolare in causa appunto della cessione di terre o castella,
anche di poca importanza? Non ostante questi argomenti
in contrario, Manno non esitò a far deliberare quella re-
stituzione. Ben aveva previsto che ad Orvieto non sarebbe
successo alcun moto contro di lui, quantunque non dovettero
mancare mormorii e sdegni. In compenso, quind' innanzi egli
poteva contare sopra un’alleata sicura e potente. Molti lo

=

rr—ittarò pe P ek

F1

,
— — À—— HMM ——À
444. G. PARDI

hanno biasimato per questo atto, stimato non necessario, ma
forse non hanno ben considerato i motivi seri, che ve lo
indussero.

Si noti poi che il suo programma politico e la stessa
opinione pubblica lo spingevano ad intraprendere una guerra
da tutt' altra parte.

Poco tempo prima che cadesse il governo repubblicano,
i nobili ghibellini Guido Orsini conte di Soana, Bartolomeo
Vitozzi ed i conti di Santafiora e di Montemarano invasero
alcune terre della Maremma orvietana e se ne impadroni-
rono. Il Monaldeschi volle intraprendere una guerra di ri-
conquista per attuare il suo programma politico, ed anche
per far passare senza opposizione e rivolte la cessione di
Chiusi. Naturalmente poi .riteneva più facile riportare dei
successi contro i nobili di Maremma che non contro Perugia;
e sapeva bene che il popolo s'entusiasma facilmente per
qualche scaramuecia vittoriosa.

Per ottenere aiuti dalle città del suo partito, fino dal
30 maggio ’34, mandó ambasciatori alle città di Pisa, Siena
e Montepulciano, Perugia, Gubbio, Assisi, Foligno, Todi, Narni,
Amelia, Viterbo e Montefiascone, « pro adiutorio et subsidio
habendis a dictis Comunibus in exercitu nuper in Dei no-
mine fiendo per dictum urbevetanum Comune contra comitem
Guidonem de filiis Ursi » (1).

La guerra. doveva esser rivolta principalmente o sol-
tanto contro l Orsini. Di fatti gli Orvietani vennero quasi
subito ad accordi con i conti di Santafiora e di Montemarano,
anzi li presero agli stipendi per la lotta imminente. Lo stesso
Giacomo di Santafiora rappresenta il Comune in una con-
venzione con i conti di Morrano, conclusa il 28 luglio, per
la quale essi s'impegnavano a combattere contro 1’ Orsini
con le loro persone, le famiglie e le genti d'arme (2). Lj i-

(1) Réf., n. XXXV, c. 119.
(2) Ivi, n. XXXVI, c. 39.
DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 445

dentico impegno contrassero con Corrado di Manno rappre-
sentante del Comune d’ Orvieto, il 24 agosto ’34, i conti Gia-
como e Guido di Santafiora, Ugulinuecio di Montemarano,
Pietro e Cola e Pietruccio di Nino Farnese ed altri baroni
del contado orvietano (1).

Armata la milizia cittadina, assoldati più di un centinaio
d’ uomini d’arme, radunate le forze ragguardevoli di tanti
potenti baroni, il Monaldeschi intraprese, con un vigore che
ha pochi esempi nella storia municipale d' Orvieto, la guerra
per il riacquisto della Maremma contro Guido Orsini. Questa
durò 4 anni e portò di conseguenza la risottomissione dei
Comuni di Orbetello e di Manciano (avvenute, rispettiva-
mente, il 17 giugno ed il 28 luglio ’35) ed il riacquisto delle
terre occupate dall’ Orsini.

Dunque, se da un lato il Monaldeschi acconsentiva ad
una diminuzione del territorio dello Stato con la cessione di
Chiusi, dall'altro procurava un compenso con l’ estendere i
confini fin al mare e col rassodare il dominio nelle terre di
Maremma, che era stato sempre debole e incerto. Non criteri
ristretti o soltanto personali diressero la sua politica esterna,
ma il desiderio di far valere l'autorità del governo in tutto
il territorio del Comune, anche là dove questa non si era
esercitata se non debolmente e a sbalzi. Il solito cronista si
esprime bene a questo riguardo dicendo: « Ipse Mannus do-
minatus est potenter super civitatem et comitatum et Vallem
lacus, Montem Meate, Comitatum Ildribandescum et Sancte
Flore, super Balneoregium et circumquaque » (2).

3. Esercito

Durante il breve dominio di Manno, Orvieto ebbe un
esercito abbastanza numeroso e potente, quale non aveva

(1) R4f., ivi.
(2) Ann. Urb., p. 192.

,

IEEE

"
vM
446 G. PARDI

posseduto mai se non, per qualche mese, al tempo dei Cin-
que, quando i redditi dei beni confiscati ai Ghibellini face-
vano le spese delle spedizioni. Lo componevano le milizie
cittadine, il contingente dei nobili del contado e soldatesche
mercenarie.

Il Comune d’ Orvieto armava 800 balestrieri. Di questi,
800 restavano generalmente a guardia della città e 500 pren-
devano parte alle spedizioni.

Le genti d’arme dei baroni dovevano essere assai nu-
merose, principalmente quelle dei Farnese e dei conti di San-
tafiora. Il Monaldeschi, assoldandole, le teneva impegnate in
una guerra per suo conto e impediva che si potessero vol-
tare contro di sé in occasione di una sommossa o di un ten-
tativo ghibellino, come avean fatto più volte in passato i
Santafiora, contro la sua famiglia, in soccorso dei Filippeschi.

I mercenari assoldati superarono il numero di 100 ca-
valli. Nel maggio '34 veniva agli stipendi del Comune un co-

pmestabile di nome Guiglionetto con una schiera di armigeri;

nel giugno Anichino Sciflet di Alemagna con 25 buoni ca-
valli forestieri (1), nel luglio 10 cavalli e Giovanni Grande
di Provenza con 25 balestrieri (2); altri mercenari nel set-
tembre (3) ed altri nel decembre, tra cui Giovanni di Cione
di Brettucone Salimbeni da Siena, Piovano di Viterbo e Gio-
vagnolo di Valle di Siena (4).

Capitano generale dell’ esercito fu Carlo di Monteapone
di Massa, Gonfaloniere del popolo Corrado di Manno, Gonfa-
loniere dei soldati Monaldo di Berardo della Cervara, Gon-
faloniere del Comune Petruccio di Lello di Angelo Monal-
deschi, Capitani della parte guelfa Bonuccio di Pietro Monal-
deschi e Guccio di Cecco di Ranieri della Terza (5).

)

2) Ivi, c. 29.

(3) Ivi, n. XXXVII, c. 4.
(4) Ivi, n. XXXVI, c. 95.
5) Ivi, c. 10-12.
DAL SIGNORIA IN ORVIETO 447

COMUNE ALLA

Si noti che le milizie mercenarie son caratteristiche del
tempo delle signorie. Ben dice a questo proposito il Cipolla:
« Le armi mercenarie straniere, non legate alle nostre fazioni,
combattenti pel denaro, pel saccheggio e per la preda, di-
ventano le armi dei nuovi signori come le milizie cittadine
erano state le armi dei Comuni >».

4. Finanze

Anche prima che assumesse la signoria, Manno, per la
grande abilità negli affari, era spesso incaricato di trattare
le quistioni finanziarie del Comune e di regolarne l'ammi-
nistrazione finanziaria. Divenuto Signore, mentre in altre
cose non volle ingerirsi direttamente nè mai trattare da solo
negozi dello Stato, per rispetto alla forma del passato go-
verno, invece la cura dell’ erario l'assunse tutta su di sé, o
per dirigere a suo talento la guerra, o per condurre a ter-
mine opere importanti di pubblica utilità, o soltanto perchè
nutriva minor fiducia negli altri che in sè stesso.

Nel ’34 Manno propose che s'imponesse una gravezza da
esigersi immediatamente per far fronte a spese gravi ed ur-
genti, ne determinò la somma e si riservò anche di stabilire
il modo dell’ esazione, nominar le persone incaricate di ri-
scuoterla, fissarne il salario ecc. (1). Egli dava gli ordini al
tesoriere del Comune p:r la spedizione delle paghe all’ eser-
cito della Maremma e per la misura delle paghe stesse (2).
Ebbe facoltà di nominare il capitano di guerra, i suoi con-
siglieri, con quegli ufficiali, servi e cavalli che credeva utili
e sufficienti, e di determinarne gli stipendi (3). Si fece ac-
cordare il diritto di disporre a suo piacimento di una somma
di cento fiorini, di cui si ignora l’uso (4). Fu invitato nel 36

(1) Rér., c. 18.
(2) Ivi, n. XXXV, c. 192.
(3) Ivi, XXXVII, c. 1-2.

(4) Ivi, n. XXXVI, c. 9l.

e eir arit p RET LT A
448 G. PÁRDI

a determinare il valore della marca d'argento, per riguardo
a una condanna di 50 marche inflitta dal Capitano di popolo,
ed egli dichiaró che ciascuna marca si doveva computare
19 lire di denari cortonesi (1).

Potrei citare anche altri esempi per dimostrare l'asso-
luta padronanza da lui esercitata nella gestione finanziaria
del Comune. !

Le entrate di questo erano fornite principalmente dalle
gabelle o ufficio della colletta (che comprendeva il dazio con-
sumo, la dogana, la vendita al minuto degli oggetti ecc.) e dal-
la lira o imposta sulla proprietà fondiaria, il cui valore era
ragguagliato alla lira cortonese, unità di moneta ad Orvieto.

Per le spese ingenti della guerra non bastavano le ri-
sorse ordinarie dell’ erario. Il Monaldeschi ricorse ad im-
prestiti fezati. II 80 maggio ’34 fece imporre a 10 tra i
più ricchi cittadini un mutuo immediato di 1000 fiorini
d'oro, 100 per ciascuno. Si capisce che, col sistema seguito
da altri signori, tra gli altri da Cosimo, de' Medici, avrà pre-
ferito colpire i suoi avversari, anche per istremarli di risorse
e renderli cosi meno temibili. Fu stabilito poi un altro pre-
stito di 5000 fiorini da ripartirsi tra i più facoltosi abitanti
della città e del distretto, che verrebbero determinati da
una commissione di 4 membri. Il cronista Montemarte si sca-
glia contro il Monaldeschi per le imposte generali (lire) piut-
tosto gravose (ad es. una di 4 fiorini per ogni 1000 lire cor-
tonesi di possessi) e sopratutto per le prestanze forzate da
riscuotersi in poche ore. Ed egli aveva anche ragione di
strillare, perche i Montemarte, avversi a Manno, dovettero
essere tra le oche più spennacchiate. Ma si capisce meno
il perchè ripeta queste accuse il Gualterio, che fu uomo di
Stato e dovrebbe comprendere le ragioni degli atti politici
e le necessità, talora assai spiacevoli, che sono conseguenze
delle guerre. Si concilia male la lode da lui data al nostro

(1) R DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 449

per aver intrapreso così vigorosamente il riacquisto della
Maremma, ed il biasimo inflittogli perchè si procurò, come
potè meglio, i mezzi necessari a questa impresa.

Il medesimo afferma pure, ma non lo dimostra, che «le
prestanze forzate non erano dirette che contro pochi, ai
quali volevasi fare danno e vergogna (1) ». Se, del resto,
Manno avesse profittato delle pubbliche necessità per inde-
bolire gli avversari, gli riuscirebbe certo più d'onore che di
biasimo l’averlo inconsapevolmente imitato in questo un ge-
niale banchiere fiorentino, Cosimo de’ Medici. Quando si tratta
di assodare una forma di governo, questi mezzi non sono
forse tra i più riprovevoli. i

Si capisce che quand’ uno studia o pubblica un’ opera
altrui, s'imbeve un poco dello spirito dell'autore e non sem-
pre riflette che i giudizi di lui possono essere dettati da animo
partigiano o da interessi personali.

Non si può, in nessun modo, disconoscere la grande abi-
lità finanziaria del Monaldeschi.

5. Opere di pubblica utilità

Disponendo liberamente il nostro dell’ erario del Comune,
se ne valse per compiere non poche opere di pubblica uti-
lità.

Il solito vecchio cronista ricorda che e’ fece raddrizzare
e selciare la strada lunghissima, che percorreva tutta la valle
del Paglia, da Orvieto a Chianciano, una delle più importanti
per il commercio orvietano; che fece selciare la strada che
menava al piviere di Petroio, ed altre ancora (2). Il Ma-
nente (3) gli attribuisce d’aver selciato la via da Orvieto a
Sarteano, la fondazione della torre di Pecorone, la fortifica-
zione di Monte Giove, della Torre (o Torre Sansevero o Torre

(1) GUALTERIO, Op. cit., II, 21.
(2) Ann. Urb., p. 192.
(3) Op. cit., p. 280.
450 G. PARDI

Alfina) e di altri luoghi. Nelle iformagioni poi son registrate
somme spese allora a riattare il selciato della via presso
Porta Maggiore (1).

Non pochi ponti furono riparati al tempo di Manno. No-
tevoli i lavori al ponte di Santa Illuminata sul Paglia. Ne-
cessitando condurli presto a fine, all'avvicinarsi della cattiva
stagione, per non perdere il frutto di quanto era stato fatto,
si decise di darli in cottimo a dei valenti capimastri, che
furono il fratello ed i figliuoli di Lorenzo Maitani, il grande
architetto del Duomo, « che trapiantava da Siena ad Orvieto
la sua famiglia, lasciandola erede dell’arte sua, ad eserci-
tarla in quella città che possedeva la più bella delle sue
creazioni » (2). Nelle Riformagioni si trova ricordo di paga-
menti fatti a maestro Antonio di maestro Lorenzo per i la-
vori di riattamento al ponte di S. Illuminata (3). Si esegui-
rono in quel tempo anche riparazioni e migliorie a diverse
fontane.

La costruzione del magnifico Duomo si continuó pure
molto attivamente. E poco prima della morte di Manno, nel
'57, si affidó ad Ugolino di Vieri senese l'incarico di co-
struire lo stupendo reliquiario del Corporale, sulla superficie
esterna del quale l'artista incise in modo finissimo i fatti
leggendari del noto miracolo dl Bolsena (4).

Ben dice anche questa volta il vecchio cronista (D):
« Fecit dirigi et selciari stratam ab Urbevetere usque Clan-
cianum; fecit etiam selciari stratam Petrorii et stratam Paie
saneti Iuliani. Fecit etiam apfari fontes et reparari pontes.
Fecit fieri tres arcus novos pontis sancte Illuminate ».-

Mai piü nella storia d' Orvieto si ricordano tante opere di

(1) Rif., n. XLII, C. 17.

(2) GUALTERIO, II, 22.

(3) Rif., n. XLII, c. 18. : j

(4) Cfr. FUMI, 71 Duomo d° Orvieto e € suoi restauri. Roma, 1891, p. 363.
(5) Ann. Urb., p. 192.
DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIETO 451

pubblica utilità condotte a termine in si breve tempo, in
soli 3 anni.

6. L'uomo e il principe

In Manno Monaldeschi si riscontrano qualità che si tro-
vano raramente congiunte: attività e riflessione, coraggio e
prudenza, attitudini militari, politiche e finanziarie.

Rimasto in giovane età a capo di una famiglia potente,
in un momento così decisivo per l'avvenire della sua città
e della famiglia stessa, dovette riflettere profondamente ai
mezzi più adatti per trionfare delle difficoltà, e acquistò co-
noscenza del cuore umano ed esperienza della vita. Mentre
maturava la mente, operò e combattè a viso aperto, sempre
nelle prime file, con grande coraggio e con la fiducia nel
successo anche quando pareva inevitabile la rovina del suo
partito. Così fu tra i più strenui lottatori nella battaglia del-
l' agosto 1313. Dopo la vittoria, si rende ragione degli ostacoli,
insuperabili per allora, al coronamento del suo sogno ambi-
zioso, non perde la calma, non precipita, ma attende con
pazienza a ricostruire le basi della sua potenza.

Guida alla vittoria le schiere del Comune e s'impone
nei Consigli con la conoscenza dei congegni finanziari, con
la percezione dei migliori strattagemmi politici.

Ingegno pronto e tenace, carattere forte, uomo capace ‘

di dominare gli altri e sé stesso.

Non ebbe scrupoli. Ciò non costituisce un demerito per
l’uomo di Stato, ma denota un senso morale deficiente. Dopo
la sconfitta dei Ghibellini non esita a proporre il bando e
la spogliazione degli avversari e la distruzione delle loro
case e torri, che empie di rovina e di desolazione una città.
Senza pietà perfino verso le. donne, non vuole, si suppone
almeno, rispettati i diritti dotali se non a vantaggio di per-
sone non avverse alla sua famiglia. Non esitò forse nem-

rg card ”

— — SI

ii


452 ? Gi PARDI

meno a consigliare, od. approvó, o tolleró la violenta sop-
pressione del suo competitore nel dominio. |

Come uomo, adunque, abbonda dei pregi dell ingegno e
del carattere, manca di un elevato senso morale.

Come principe, é degno di ammirazione, perché ebbe
piena coscienza della necessità d'ordine, di sicurezza e di
pace; tracció uh programma politico chiaro, preciso e adatto
alle condizioni del suo Stato, sebbene non molto vasto e non

senza rinuncie; diresse con energia indefessa una guerra di

riconquista, impresse un impulso vigoroso a numerose opere
di pubbliea utilità e superó con genialità, recando danno
soltanto ai nemici, le difficoltà finanziarie del suo programma.

A lui non hanno potuto addebitare gravi errori o colpe
nel governo breve ed operosissimo, e gli hanno voluto attri-
buire quelli dei suoi successori. Egli, è vero, per la troppo
breve durata del suo potere, non poté trasmetterlo, solida-
mente costituito, al figlio Corrado; per la qual cosa Orvieto
ripiombó di nuovo in funeste lotte civili. Ma dell essere egli
mancato così presto ad una città, che per lui risorgeva a
nuova vita di pace e di prosperità, di chi la colpa, se non del
caso ? Dunque, far risalire ad esso la causa di azioni com-
messe dopo la sua morte, è, se non altro, una maniera assai
strana di ragionare.

RIEPILOGO

In Orvieto verso il 1300 le condizioni sociali erano molto
favorevoli ad un governo democratico. Vi predominava in-
fatti la classe dei mestieranti o artigiani, numerosi, agiati,
generalmente concordi, organizzati fortemente nelle corpo-
‘razioni delle arti. Invece i nobili stavano divisi in due campi,
che si combattevano e s' indebolivano a vicenda. La bor-
ghesia grassa, quasi direi, non esisteva, perché le arti mag-
DAL COMUNE ALLA SIGNORIA IN ORVIBTO 453

giori, come la lana, la raffineria dei panni, la seta, il cam-
bio ecc. non ebbero sviluppo in un piccolo centro di una
regione agricola e montuosa.

Nel 1313 avviene un fatto decisivo: uno dei due partiti
nobileschi, il ghibellino, resta vinto in modo definitivo. La
nobiltà guelfa si trova ora concorde e ricca al doppio, essen-
dosi impadronita dei beni confiscati agli avversari. Al eon-
trario il partito popolare diminuisce di numero per i molti
morti durante la guerra civile e per taluni cacciati in bando
con i Ghibellini; scemano i guadagni dei mestieri durante la
lotta; lo spettacolo dei combattimenti, della strage, delle rovine
incute terrore e produce un indebolimento morale nella
massa del popolo. Approfittano del momento favorevole i no-
bili guelfi e afferrano il potere istituendo un governo aristo-
cratico, formato da cinque Signori, assistito da un consiglio
di 24 trai maggiorenti della loro fazione.

Ma un tale ordinamento politico riesce contrario alle
condizioni sociali. Se il popolo non può esercitare più un
dominio incontrastato come prima, perchè più debole e po-
vero, mentre i nobili hanno acquistato maggior forza, ardire
e ricchezza, si mostra ancora capace di tener fronte agli
avversari e forse di superarli quando eventi esterni ne favo-
riscano la riscossa. Perciò doveva cadere, e cadde, il go-
verno aristocratico dopo una durata di quasi tre anni.

bi attua di nuovo il regime democratico, ma in condi-
zioni mutate per la cresciuta ricchezza, potenza e prepotenza
dei nobili, per l’indebolimento della parte popolare e per
essere divenuto interesse generale di ambedue le fazioni lo
stare uniti anche a difesa dei beni confiscati, contro gli spo-
gliati anelanti alla riscossa e alla vendetta con l’energia della
disperazione. Non può quindi il popolo tenere a freno gli
aristocratici come nel periodo anteriore.

In conseguenza le condizioni appaiono ora favorevoli al
governo a signoria, al dominio d’un solo che assicuri i van-
taggi della vittoria guelfa e, appoggiandosi alla parte demo-

31

V e
E
— |

ht

——— pei
454 i G. PARDI

| cratica, impedisca i soprusi e le violenze dei nobili, procu-
I us. rando pace e benessere ai cittadini.

L| | | Ma l'uomo fornito delle qualità necessarie a. fondare il
| nuovo ordinamento, che parrebbe quasi la risultante delle
forze e delle condizioni sociali, politiche ed economiche, trova
opposizione in altri capi della sua fazione, non meno ambi
| ziosi di lui, e deve attendere ancora a lungo il momento di
DE afferrare il potere. Getta intanto piü salde basi all'edificio
TUI M A della sua potenza e infine con l'aiuto del popolo e di una
i parte della nobiltà guelfa, vince l’altra parte trescante con
i Ghibellini. i

Il novello Signore governa con saggezza e vigore, ma
| per tre anni soltanto. La morte immatura gl'impedisce di
E assodare il dominio della sua famiglia sulla città e di tra-
| smettere la successione al figlio senza turbamenti. Quindi si
scatena ancora la battaglia civile tra i capi della nobiltà
aspiranti al potere.

Ma oramai il nuovo ordinamento politico é assicurato:
non si torna piü indietro, non rivivrà piu il governo popo-
| lare. Piuttosto la piccola signoria entrerà a far parte di una
Be più vasta, seguendo la tendenza generale che si va mani-
festando nella penisola.

Ferrara, 5 novembe 1907.

. PARDI.
Li

LA PRETESA DESCRIZIONE DEL PALAZZO DUCALE DI SPOLETO

SCOPERTA E PUBBLICATA DAL MABILLON

Quando, nel 1685-86, Giovanni Mabillon, il grande Be-
nedettino francese, percorse trionfalmente l'Italia per rac-

cogliere nuovi documenti, allo scopo di arricchire le sue

opere immortali, andò anche a Farfa, a visitarvi l'Archivio di
quella celebre Abbazia, non ancora immiserito e sconvolto
dalle armi rivoluzionarie dei suoi stessi concittadini (1). E da
quell’ Archivio trasse, tra le altre, una carta contenente la
descrizione di un sontuoso, vastissimo Palazzo, la quale egli
poi pubblicò nei suoi Ammales Ordinis S. Benedicti, sotto la
data di febbraio dell’anno 814, dichiarando che era la de-
scrizione del Palazzo Ducale di Spoleto.

Come mai il dottissimo Mabillon la desse per tale, non
si comprende davvero, sembrando accertato, da indagini po-
steriori (2), che la descrizione da lui rinvenuta nell'Archivio
Farfense, non recasse indicazione alcuna.

(1) E noto il gentile epi-odio del Monaco Benedettino che gittossi ginocchioni
e piangente sulla soglia della porta del celebre Archivio, scongiurando invano gli
invasori a rispettare quel sacrario della storia. A. SANSI nel suo libro: I Duchi di
Spoleto (Foligno, Sgariglia, 1870), a pag. 42, in nota, dice: La scimitarra della Rivo-
luzione francese ruppe nel 1799 anche le porte di questo celebre Archivio e quella
tanta dovizia di Documenti fu derubata e dispersa. E dopo aver descritta la con-
dizione dell'Archivio nel 1880, quando vi studiò Carlo Troya, aggiunge: Jo saliz, nel-
VOttobre di quest? anno (1870), il verde e ombroso poggio Acuziano..... Cercaá dell’Ar-

chivio, ma anche quel poco che v' era nel 1830, n° è stato tolto, e trasportato alla:

Fara. La stanza, testimone delle veglie di tanti studiosi è ridotta a granaio !
(2 FATTESCHI G. C., Memorie istorico-diplomatiche riguardanti la serie dei

Duchi e la topografia dei tempi di mezzo del Ducato di Spoleto, (Camerino, Gori,
1801, pag. 166), asserisce che, al suo tempo, come veniva assicurato dal Priore del- :

Vara ZA sites iodio mE

^

— ———— PCR m pd

vor

ug — kan] o

e

- SEC
i a ate TE ha sic EV

X

n
3h
d

d -

MRZER a "7
È LS " I
"T

G. SORDINI

Comunque, essa venne senz'altro accettata dal Muratori,
che la ripubblicò negli Ammali d'Italia sotto la data mede-
sima: e, da allora ad oggi, tutti, più o meno, la considera-
rono come vera e autentica descrizione dell’ antico Palazzo
Ducale di Spoleto. Discordarono dal Mabillon e dal Muratori,
che io sappia, soltanto il letterato Monsignor Suaresio (1), il
quale dubitò che potesse trattarsi, invece, del Palazzo Late-
rano; il Fatteschi (2), che, prudentemente, disse non sapersi
a quale Palazzo corrispondesse; Carlo Promis (3) che la dette
come descrizione tipica della casa romana; il De Rossi e il
Lanciani (4) che la riconobbero come un’ antica descrizione
del Palazzo dei Cesari in Roma, e a quel Palazzo la riferi-
rono tanto sicuramente, da non esitare a identificarne, con
essa alla mano, la maggior parte (5).

l'Abbazia Pietro Lodovico di Costanzo, la famosa descrizione si leggeva in un co-
dice di miscellanee sacre; ma nè prima, nè poi evvi una parola, onde presumere
che tal descrizione sia quella del Ducal Palazzo di Spoleto.

(1) Così é citato dal Fatteschi. E non era facile intendere, tra tanti Suarez
scrittori, più o meno celebri, a quale si riferisse la citazione del Fatteschi. Dopo
ricerche non poche però sono riuscito a stabilire che trattasi di Giuseppe Maria
Suarez vissuto nel secolo XVII, e che l’opera cui allude il Fatteschi è il Cod. Bar-
ber. Lat. XXXVIII, 100, ora Vat. Barb. Lat. 3084, cartaceo in f., intitolata — Josephi
Mariae Suaresti inscriptiones variae vel autographae, vel ab aliis eremplatae, et
inter schedas eiusdem, inventae. Le parole del Suarez riferentisi alla nostra descri-
zione, citate anche dal De Rossi, sono queste sole: .... forsitan haec est Latera-
Aensis palatii descriptio.

(2) FATTESCHI, Op cit., pagg. 165-07.

(3) Promis C., Vocaboli latini di architettura posteriori a Vitrurio etc. citato
dal De Rossi.

(4) DE ROSSI G. B., Piante icnografiche e prospettiche di Roma anteriori al se-
colo XVI, (Roma, Salvucci 1879). In questo volume il De Rossi ricorda, tra l'altro,
che trattò della famosa descrizione anche nella Roma sotterranea, Tom. III,
pagg. 458, 459; avverte che crede di dover ripetere e svolgere l'argomento; e sog-
giunge, da ultimo, l' edizione critica del testo /ino ad ora, come egli scrive, poco e
male inteso,

(5) Il DE Rossi, Op. cit., dopo aver sentenziato: Opino che questa descrizione
sta del Palazzo imperiale nel Palatino, ne dà le seguenti ragioni. La descrizione
non é di qualsivoglia palazzo, ma di un palazzo, imperiale o regale, ove si discute-
vano le cause nel consistorium del principe; è di tipo antico, non barbaro, com-
prendendo anche il gymnasium e Y ippodromo ecc.

Anche il LANGIANI nel suddetto volume del De Rossi, pagg. 125 e 127, dichiara
di ravvisare il Palazzo dei Cesari e le sue parti fino ad oggi sterrate, nella descri-
zione farfense. Anzi, fino alle setae aestivales, ritiene che tutto coincida rigorosa-
LA PRETESA DESCRIZIONE, ECC. 457

Cosa stupenda invero, poichè, in particolare al sommo
De Rossi, dottissimo in agiografia e archeologia sacra, non
avrebbe dovuto sfuggire la vera origine di una tale déscri-
zione; origine che gli avrebbe, subito, fatto intendere come

ogni riferimento di quella descrizione ad una cosa reale, si

risolvesse in un puro, quanto inutile sforzo di fantasia.

Che un Palazzo Ducale abbia veramente esistito in Spo-
leto, oltrechè dalla ragion naturale, è proclamato da ben
ventotto documenti contenuti nel Regesto Farfense. Ma, come
fosse, e financo dove quel Palazzo sorgesse, non è ancora noto.
E la descrizione scoperta dal Mabillon nell'Archivio di Farfa,
io posso ‘assolutamente affermarlo fin da ora, non solo non
è del Palazzo Ducale di Spoleto, o del Laterano, o di quello
dei Cesari, ma è la descrizione di un Palazzo immaginario,
e che non ha mai esistito in parte alcuna del mondo.

Nè il lettore si stupisca di così straordinarie afferma.
zioni, che qui pongo a guisa di premessa, poichè la dimostra-
zione della verità del mio asserto non ha bisogno di troppe
parole.

Diamo uno sguardo, innanzi tutto, a questa famosa de-
scrizione.

Di essa, cosa già avvertita dal Fatteschi (1), esistono
varî antichi testi. Il De Rossi nel noto volume: Piante icno-

mente con la pianta del palazzo dei Flavî. Naturalmente però, cade in imbarazzo
quando cerca di determinare l’ epicaustoriwm, le terme, il ginnasio, la cucina e il
columbum.

(1) FATTESCHI, Op. cit., pagg. 166-67, osserva che di somiglianti descrizioni di
Palazzi signorili varie se ne trovano in diversi Codici antichi; tutte però uni
sone nel ripartimento delle parti essenziali dell’ edifizio, composto sempre degli
stessi appartamenti, coll’ istesse divisioni, e nomi. E ne cita tre diverse: quella Far-
fense e due altre comunicategli da un dotto spoletino amante delle antichità della
sua patria Sig. Francesco Ferrari, al presente Uditore di Monsignor Vicelegato di

Ferrara. Di queste ultime due comunicategli dal Ferrari, la prima é nell’ ultima

pagina di un codice, del decimo o undecimo secolo, esistente nell’ Archivio della
Basilica Vaticana, già segnato col numero XXIV; la seconda trovasi in Oderico Vi-
tale, scrittore del secolo XII. E il Fatteschi pubblica la prima in appendice, e la
seconda nel testo dell’Opera citata, appunto perché il lettore, egli dice, possa con-
frontarle con la Farfense che è la più estesa. Cf. DE Rossi, Op. cit.

goes o P

he

"
E. denis ai iil, OQ

E |
ASBI e |. .G. SORDINI

grafiche è prospettiche di Roma anteriori al secolo XVI (Roma,
Salvucci, 1879), ne pubblicò quattro diverse redazioni; ma
le differenze, consistenti, come notò lo stesso De Rossi (1),
in esplicazioni più o meno ampie dei vocaboli designanti le
‘varie parti del Palazzo, sono di così poco conto che, per la
- nostra dimostrazione, possiamo anche trascurarle. Anzi, io
lascerò da un canto i testi del De Rossi, e ne produrrò, qui,
un quinto (2), inedito, da me trovato nei Lezionar? del Duomo
di Spoleto; testo identico agli altri, nella sostanza, ma che

(1) DE Rossi, Op. cit., riprodotte le quattro redazioni da lui conosciute della
famosa descrizione, molto ragionevolmente a pag. 125 dichiara che: 2 ultima più
semplice mi sembra presentare la genvina forma delle indicazioni icnografiche :
le varie giunte delle tre prime colonne sono commenti di glossatori del medioevo,

(2) Lo chiamo quinto per la nuova fonte da cui emana, non già perché si dif-
ferenzi in alcuna maniera dal testo n. 4, che è il più breve e il più antico, pubbli-
cato dal De Rossi (Op. cit.). Affinché, però, il lettore possa farsi un' idea chiara
anche degli altri testi, riprodurrò qui sotto, quello scoperto dal Mabillon nell'Ar-
‘ chivio di Farfa, e che è il più ampio di quanti si conoscono. Così, senza ricorrere ad
opere rare o troppo voluminose, il lettore potrà vedere da sé che la maggiore am-
piezza del testo è dovuta soltanto, come notò anche il De Rossi, ai commenti dei
glossatori medioevali.

Eeco il testo farfense:

I. — In primo proaulium, id est locus ante aulam.

II. — In secundo salutatorium, id est locus salutandi officio deputatus, juata ma-
iorem domum. constitutus.

III. — In tertio consistorium, id est domus in palatio magna et ampla ubi lites et
causae audiebantur et discutiebantur; dictum. consistorium @ consistendo,
quia ibi, ut quaelibet audirent et terminarent negotia, iudices vel officiales
consistere debent.

IV. — In quarto trichorum, id est domus conviviis deputata, in qua sunt tres or-
dines mensarum ; et dictum est trichorum a tribus choris, id est tribus ordi-
nibus commensantium.

V. — In quinto zetae hiemales, id est camerae hiberno tempori competentes.

VI. — In sesto setae aestivales, id est camerae aestivo tempore competentes.

VII. — In septimo epicaustorium et triclinia accubitanea, id est domus, in qua in-
censum et aromata in igne ponebantur ut magnates odore vario reficerentur,
.àn eadem domo tripertito ordine considentes.

VIII. — In octavo thermae, id est balnearum locus calidarum.

IX. — In nono gymnasium, id est locus disputationibus et diversis exercitationum

! generibus deputatus.

X. — In decimo coquina, id est domus, ubi pulmenta et cibaria COQUUNIUY.

XI. — In undecimo columbum, 1d. est ubi aquae influunt.

"XII. — In duodecimo hypodromum, id est locus cursui equorum in palatio deputatus.
LA PRETESA DESCRIZIONE, ECC. i i 459

agli occhi miei ha il pregio particolare di avermi posto sulla
buona via per veder chiaro nella presente questione.

Nel volume II, c. 39 verso, dei Lezionarî del Duomo di
Spoleto, si legge adunque: /n primo proaulum. In secundo sa-
lutatorium. In tertio consistorium. In quarto tricorum. In quinto
zetas yemales. In sexto estivales. In septimo eucaustorium et tri-
clinia cubitalia. In octavo thermas. In nono gimnasium. In de-
cimo quoquina. In undecimo colimbum et aquarum lacus influen-
tium. In duodecimo ypodromum et per girum arcus deambu-
latorios (1).

Non vi é dubbio: salva l'ortografia e una maggiore bre-
vità, rispetto a tre dei quattro testi conosciuti, questa de-
scrizione dei Lezionar? del Duomo di Spoleto, è identica a
quelle pubblicate dal De Rossi e dal sommo Archeologo
romano, insieme allillustre Lanciani, attribuite al Palazzo
imperiale del Palatino, come dal Mabillon, dal Muratori, dal
Cadolini, dal Gregorovius, dal Sansi ecc. (2), erano state già
prima credute del Palazzo Ducale di Spoleto; il Suarez la
ritenne, dubitandone peró, del Palazzo Laterano; e il Promis
di una casa romana tipica. In tutte lo stesso numero di edi-
fici, la stessa disposizione delle parti!

E il numero degli edifici e la disposizione delle parti si
rivelano, a prima vista, per una cosi straordinaria concezione
costruttiva, da rendere ben chiaro, a chi vi ponga mente, che
essa, anziché ai Longobardi, popolo rozzo e dedito alle armi,

(1) Avverto il lettore che i brani di latino medioevale, qui allegati, sono da

.me riprodotti esattamente come li trovo scritti, con tutti i loro errori. Poiché io

non intendo di dare un'edizione critica dei testi, ma soltanto di sviscerarli nel loro
contenuto storico, mi é sembrato sempre questo il metodo migliore.

(2) CADOLINI G. I., Spoleti. Orazione accademica ; Spoleti, Bassoni, 1836, pag. 17;
SANSI A., Op. cit. pag. 31; GREGOROVIUS F., Storia della città di Roma nel Medioevo,
Venezia, Antonelli, 1873, vol. III, pag. 646 (Lib. VI, cap. VII, parag. 4) per dare una
idea delle case romane del decimo secolo, compendia a descrizione scoperta dal
Mabillon, ed anch'egli la crede di un palazzo che esisteva a Spoleto; ma giusta-
mente avverte, ché ci risospinge ai tempi antichi, o, per lo meno, all’età bizantina.
E, in nota aggiunge, dopo aver detto dei vari testi da lui conosciuti, che, Net? es-
senziale v' è concordia ; si è all’oscuro per quanto al tempo.

ii
ii
it
il

é

rg @ >

,

ri
y e e

he

did Po

— Ó———ÓMÁ— meg

prat

amm mira o S Ti

Fante

3

"t.

-i

= er os
d WF

460 G. SORDINI

i quali non ebbero un'arte costruttiva propria, né ideali ar-
tistici di qualche importanza, può convenire appena al mi-
glior tempo dell'Impero romano o, piuttosto e assai meglio,
al fasto e alle ricchezze orientali. E orientale, infatti, essa è
veramente.

Il lettore si sarà già domandato come mai una descri-
zione, essenzialmente profana, qual é quella di un Palazzo
civile, possa trovarsi nei Lezionar? del Duomo di Spoleto (1).
È notorio però, che gli antichi Lezionarî o Passionarî, sono
informi raccolte di vite e di leggende di Santi, di brani della
Bibbia, di Omelie ecc. Ora, appunto nell’ accennato volume,
tra le vite di Santi locali e non locali, autentiche e ricono-
sciute come tali dalla Chiesa cattolica, e non autentiche, e
perciò rifiutate dalla stessa Chiesa, vi è anche la leggenda
apocrifa di S. Tommaso detto il Didimo, creduto Apostolo
delle Indie: ed è in essa, che la nostra descrizione appa-
risce la prima volta. Narra tale leggenda che l Apostolo
S. Tommaso, mentre evangelizzava le Indie, andò un giorno
al Re Gundaforo. E, senza preamboli, il Re gli disse: uoi
tu fabbricarmi un Palazzo? L/ Apostolo si affrettò a rispondere
affermativamente; e il Re allora, mostratogli il luogo a ciò
destinato: Fammi conoscere, riprese, £m che ordine lo potrai
costruire. E S. Tommaso, senz'altro, apprehendens arundinem
cepit metiri et dicere: Ecce ianuas in isto loco dispono et ad
ortum solis ingressum. E continuò: Im primo proaulum. In se-
cundo salutatorium... e, giù giù, fino a recitare tutta intere
la descrizione riportata di sopra. Dopo di che, aggiunge il
nostro testo, il Re Gundaforo, ben considerata ogni cosa,
disse allApostolo: Vere artifex es et decet te regibus ministrare.
S. Tommaso, ricevuta dal Re Gundaforo questa specie ‘di con-

(1) Di questi preziosissimi Lezionar? della chiesa spoletina, detti io stesso una
notizia sufficientemente ampia nel mio lavoro: Dé wn sunto inedito di storia spole-
ttna scritto nel X secolo, inserito nel volume XII, fasc. III, pagg. 357 383 del presente
Bollettino.
LA PRETESA DESCRIZIONE, ECC. 461

sacrazione artistica, se ne partì e, sempre secondo la leggenda,
continuò ad evangelizzare le Indie (1).

Ecco, dunque, la vera, originaria fonte da cui venne tolta
di pianta, nell’alto medioevo, la descrizione che ha dato tanto
a fantasticare, dai tempi del Mabillon ai nostri giorni! Non
si tratta, come vedono i lettori, nè del Palazzo Ducale di
Spoleto, nè di quello Laterano, nè di quello dei Cesari, né
della casa tipica romana; ma semplicemente di una conce-
zione leggendaria, orientale, di cui la descrizione trovata dal
Mabillon, e da lui per primo pubblicata come fosse un do-
cumento isolato, forma, invece, parte integrante. Ma, si po-
trebbe obbiettare: A quale epoca rimonta essa, questa leg-
genda? E quale è mai il suo valore nel campo storico ?

Mi sia lecito di richiamare alcune notizie, a maggior
chiarimento dei fatti, notizie che gli studiosi, volendo, po-
tranno facilmente da se stessi riscontrare (2).

È notorio che, nei primi secoli del Cristianesimo, furono
molto in voga dei veri romanzi religiosi, composti dagli scrit-
tori del tempo, per soddisfare con invenzioni alla insaziabile
curiosità dei fedeli, od anche per insinuare dottrine eretiche.
E la leggenda di S. Tommaso Apostolo delle Indie, come
molte altre di tali narrazioni apocrife, appartiene appunto
alla categoria dei romanzi religiosi con intenti eretici. Essa

(1) A. proposito di questa leggenda che, come vedremo, entrò a far parte della
Historia ecclesiastica di Orderico Vitale, Le PREVOST a pag. 318, vol. I, dell'edizione
che citerò più avanti, scrive: « Ces actes de saint Thomas n'ont point été empruntés
« directement au faux Abdias, mais à quelque autre légendaire intermédiaire qui en
« avait modifié plusieurs parties et tronqué la fin. Nous avons cru inutile de relever
« en détail ces variantes entre deux récits aussi peu d gne d'attention l'un que
«l autre. La tradition de l' Église, à l'epoque d'Origéne, était que saint Thomas
« avait porté la foi chez les Parthes, et peut-étre dans la partie de l'Inde qui en
« est voisine. On n'en sait encore rien autre chose, malgré la prétention de Por-
‘« tugais d'avoir retrouvé des traces et des monuments de son séjour sur la cóte de
« Coromandel ». Ed è, appunto, perché di S. Tommaso Apostolo non restò memoria
alcuna che Bardesane, o un discepolo di costui, volle scriverne una storia fantastica
per diffondere le dottrine bardesaniche !

(2) Chi volesse consultare una estesa bibliografia su tale argomento non ha
altro a fare che procurarsi: BARDENHEWER O., Patrologia (Trad. Mercati) Roma,
Desclée Lefebvre e Comp., vol. I, 1903, pagg. 111-112 e 133-35.

Tu nien 9 ET LL ie

[^ P
SY SID ePi, GN
469 dk G. SORDINI

anzi, come risulta da numerose investigazioni, già da tempo
pubblicate, é di origine gnostica, tardi e con molte varia-
zioni, passata poi ai cattolici: fu scritta, originariamente, in
siriaco da Bardesane o da un suo discepolo, nella prima metà
del secolo III di Cristo, e, cioè, più di tre secoli innanzi la
fondazione del Ducato di Spoleto! Qualcuno crede pure: che
tale leggenda, nobilitata anche col titolo di Att, fosse ori-
ginata dalla relazione di una missione Buddistica, volta poi in

senso cristiano; ma ció non sembra provato.

| Certamente, il Re indiano Gundaforo, che, secondo la
leggenda, si sarebbe servito dell'Apostolo Tommaso per fab-
bricarsi un Palazzo, è un personaggio storico, vissuto nel
primo secolo di Cristo, e già noto per mezzo di monete e
di iscrizioni. Ma senza dubbio, né lui, né altri al mondo, so-
gnò mai di fabbricare un Palazzo come quello di cui cie ri-

masta la omai famosa descrizione.
Peró, se un tal Palazzo non venne mai costruito, la leg-
genda non fu scritta invano: ché, anzi, essa dovette avere
larghissima diffusione; e, di certo, la descrizione del sontuoso, I
vastissimo Palazzo, che S. Tommaso avrebbe disegnato per |
i | 4l Re Gundaforo, contribuì non poco ad accendere le ingenue
.- . * ^ . fantasie dei Monaci e dei letterati dell'alto medioevo, i quali |
di quella descrizione si innamorarono talmente, da trarne e il

.eommentarne le copie particolari giunte fino a noi. Ed è ciò

così vero che, « la troviamo incastrata, avvertiva già Isidoro
Del Lungo (1), in una Cronica monastica d'un frate inglese
vissuto fra il secolo XI e il XII, che ne fa sponitore ad un
re dell’India l’apostolo Tommaso ». |

Il frate inglese, cui accenna l'illustre Del Lungo, è, di I
certo, Orderico Vitale, (2) nato il 16 febbraio 1075 e morto |

(1) DEL Lungo I., Dino Compagni e la swa Cronica, Firenze, Successori Le
Monnier, 1879-1887, vol. I, pag. 477. TE

(2) ORDERICI VITALIS angligenae, coenobii uticensis monachi, HISTORIAE EC- :
CLESIASTICAE libri tredecim; ex veteris codicis uticensis collatione emendavit et 3
suas animadversiones adjecit Augustus LE PREVOST. Parisiis, Renouard, 1838 (So-
dopo il 1141; il quale, oltre varie altre cose, scrisse una

Historia ecclesiastica, nella cui narrazione intrecciò gli avve:
nimenti del suo tempo e dei tempi a lui prossimi, e.com-
pendió tutto quanto riusci a sapere di fatti storici e di leg-
gende intorno alle origini e ai progressi del Cristianesimo.
Naturalmente, anche la apocrifa leggenda. di S. Tommaso
Apostolo delle Indie, conosciuta dal buon frate per mezzo
di una compilazione derivata dal falso Abdia, primo Vescovo
di Babilonia, entró a far parte dell'opera di Orderico; non
già come cosa degna di fede, sed ut quaecumque scripta sunt
de apostolis, aliisve beatis, studio priorum cwm subtilà cautela
discutiatur ad fidei munimentum et aedificationem morum. Il
che fa molto onore all’acume critico e al sapere di Orderico,
il quale, a quei tempi, riusciva già a distinguere il vero e
il verosimile dal falso. Ma che la descrizione del famoso Pa-
lazzo sia riportata nella Historia ecclesiastica di Orderico Vi-
tale, data l'origine e gli intenti di quell'opera, non deve tanto
sorprenderci, quanto il trovarla sul limitare stesso della sto:
ria letteraria d'Italia, in uno scritto di ben diversa ragione.

In su gli albori del glorioso trecento, un Poeta fiorentino
cantava in Firenze:

Savete voi, ov' ella fa dimora
La donna mia? în parte d’ Oriente.

In una ricca e nobile fortezza
Istà la fior d'ogni biltà sovrana,
In un palazzo ch° è di gran bellezza :
Fu lavorato a la guisa indiana.

' ciéte de U histoire de France). Le PREVOST a pag. 311, come commento alla .Descrí-

zione della quale ci occupiamo, scrive: « Nous ne pouvons mieux commenter cette
« curieuse énumération des parties constituantes d'un palais, déjà fort différente
« de la distribution antique, qu’ en citant la description suivante du palais des dues
« de Spoléte vers 814, à laquelle elle nous parait avoir été visiblement empruntée ».
E riportata la Descrizione secondo il testo scoperto dal Mabillon, soggiunge: « Cette
« curieuse description, publiée par Mabillon et par Muratori, a été reproduite par
« Mazois (Ruines de Pompeia), qui nous a puissamment aidé à en déterminer le

« sens précis ».

' LA PRETESA DESCRIZIONE, ECC...’ 463 -

—u ote ou. n ^s - 4

, ri
undue PE

ni

icd G. SORDINI

L’ alto palazzo è di marmo listato

La porta sta diritta

al sol levante ;

Proùulo à *l1 secondo c' uomo appella

Verone, ed è d'un’overa assai bella,

C'a la gran sala fu posto davante.
Lo terzo loco è lo salutatorio,

E quel logh’ é la grande camminata

Di gran larghezza; ov'é "1 gran parlatorio,

E lo sacreto loco è concestorio.

. . . .

Tricorio in quarto loco si divisa,
Ov' arde l’ aloé che rende aulore.
In quinto loco è da verno la zambra,
Ove fuoco si fa pur di fin ambra:

.

.

Lo sesto loco si è zesa estivale,
Ch’ é fatta quasi a modo di giardino,
Che per lo grande caldo molto vale:

.

H .

E ’l settimo si è la sagrestia,

Là dove stanno li arnesi e ’1 tesoro,

.

Una cappella v' ha che si uficia,

Molte reliquie sante, altare e coro ;

.

. .

E balsamo vi s' arde in sagro stallo ;

Ed àvvi ricco e nobil dormentoro.
Evvi loco, triclino ché s’ appella,

Fra noi cenacol, molto spazioso.

L'ottavo loco termas è chiamato,
Secondo lo latin de li Romani;
E per volgare si é stufa apellato,
E in molti lochi i bagni Suriani.

Ginnasium ^? è ch? èe lo nono loco ;
Fra noi é scuola, ov’ è d'uom sapienza,

(t . .

Cellarium cella è, non presso al foco,

Uh'è lo decimo grado in sua essenza.

Quivi si son le veggie del sapino,

Dov'à vernaccia, e greco, e alzùr vino,

Riviera, e Schiavi di grande valenza.
Epidromo st è lo loco undecimo,

Là dove vegnon l’ acque per condotti :

si sta ^n loco duodecimo,

Lacucina

Ov' arde cerro.a li mangiar far cotti;

.
LA PRETESA DESCRIZIONE, ECC.

Torniam al loco ove son li disdotti ;
Là dove son gl' intagli e le pinture,
Evvi la rota che dà l'aventure,

Che tai fa regi, e tai poveri arlotti. E

,

Non occorre dire che questi versi sono tolti dall’ Zntelli-
genza (1) il famoso poemetto attribuito a Dino Compagni;
e che il Palazzo di gran bellezza, lavorato a la guisa indiana,
posto in una fortezza, ?n parte d'Oriente, è il Palazzo di Ma-
donna Intelligenza, la fior d’ogni biltà sovrana. Ma questo Pa-
lazzo, ognun vede, non è creazione del Poeta dell’Intelli-

(1) Anche questo raffronto della famosa Descrizione, venne fatto noto da I.
DEL Lungo (op. cit., vol. I pag. 477), come l' altro riguardante la Storia ecclesiastica
di Orderico Vitale. Di ambedue, però, il Del Lungo dà il merito al venerando pro-
fessore A. D'ANCONA, dicendo che tali raffronti gli vennero indicati dall'illustre pro-
fessore dell'Ateneo, Pisano. Non avendone, però, trovata traccia nelle opere del
D'Ancona, e desiderando di averne notizia sicura, mi rivolsi all’ illustre uomo, il
quale, con cortesia grande e di cui gli sono e gli sarò gratissimo, mi rispose subito
che ebbe veramente intenzione di fare un lavoro sulle fonti dell’ Intelligenza, ma
che, non avendo potuto raccogliere tutto il materiale, ne smise il pensiero. E ag-
giunge che, quanto al Palazzo Ducale di Spoleto, ricavò la notizia dalla Storía di
Roma nel Medioevo del GREGOROVIUS.

Notevolissimo è quanto dice I. Del Lungo (op. cit., vol. cit., pag. cit.) a proposito
della riproduzione, nell’ Intelligenza, della famosa Descrizione scoperta dal Mabil-
lon, e sulla costui fede, da lui e dagli altri ritenuta del Palazzo Ducale di Spoleto,
com’ era nel IX secolo: .... « é agevole, scrive il Del Lungo, il riconoscere in essa
« l'antica casa romana, con cambiamenti o di denominazioni o anche di cose, portati
« dalle costumanze dell' età bizantina. Ma tutta suppellettile dell'Autore dell’ Intel:
« ligenza sono, come la confusione tra l'Aypodromwus e il colymbus accusatrice
« della non intelligenza di quelle parole, e lo avere (in grazia di chi sa qual lettura
« o interpetrazione, e forse per la conformità dell’ ardervisi balsamo) convertito
« Y epicaustoriwum con i triclinia accubitanea in sagrestia e cappella con dormentoro
« e tricino (tricino, ambedue i codici) o cenacolo ; così lo avere nel loco ove son li
« disdotti, ossia nel concestorio, collocata con bizzarro pensiero la ruota che dà
« l'aventure, cioè quella ch'e nel Libro di Sidrach è detta la ruota della. stolomia e
« se ne descrive prolissamente il congegno e gli usi, ma nell’ Intelligenza ha solo
» un distico di arguzia, secondoché già notammo, tutta fiorentinesca; e così pure
«le particolari note distintive apposte con più o meno larghezza, e a proprio ta
« lento, a ciascuno di que’ dodici luoghi, una delle quali apposizioni, quella al
« concestorio, degl'intagli nella volta del palazzo, prepara gli episodi storici, che
« subito succedono nel Poemetto, raffigurati appunto in cotesti intagli ».

Per le fonti della Mtelligenza, il ch. amico prof. Della Giovanna mi avverte
che sarebbero da consultare GELLRICH, Die Intelligenza ecc., Breslau, 1883; e CEN-
ZATTI G., sulle fonti dell’ Intelligenza, Vicenza, 1906, che, però, io non sono ancora
riuscito a procurarmi,

á

—— P— P FE

ht

un md L0. a e s pF a .4606 .. G. SORDINI

genza, come si credette finora, sibbene è copia, pressochè
esatta, di quello che l' Apostolo S. Tommaso avrebbe imma-
ginato per il Re indiano Gundaforo. Strana influenza di una
leggenda religiosa orientale che, ripudiata a buon diritto
dalla: Chiesa cattolica, pure si perpetua e si trasforma attra. ‘
verso i tempi e le letterature, nella parte riguardante una
grandiosa concezione costruttiva!

Concezione. costruttiva veramente grandiosa, ma .che
avrebbe fatto addirittura strabiliare, se i copisti dell'alto me-
dioevo, al. brano descrittivo del Palazzo, avessero aggiunte
alcune parole che pur sono nella leggenda di S. Tommaso
Apostolo delle Indie. Nam, continua la leggenda, anima mea
ducta est in celum ab angelis et ostensum est michi palatium
quod tibà thomas fabricavit. Eo quidem ordine quo ipse disposuit
esse instructurùm, SED TOTA FABRICA EX LAPIDIBUS ZMARAGDI-
NIS ET IACINTINIS ET CERAUNIS (1) ET ALBIS CONSTRUCTA EST
INTUS ET FORIS (Lezionarî del Duomo di Spoleto, vol. cit.
. €. 401)!

Noi, di certo, non possiamo essere molto grati agli stu-
diosi dell'alto medioevo, i quali con la descrizione estratta dalla
leggenda di S. Tommaso Apostolo delle Indie, lasciataci senza
alcun richiamo alla fonte, ci hanno obbligati a credere, fino
ad oggi, che riguardasse il Palazzo Ducale di Spoleto, o quello
Laterano, o quello dei Cesari. Ma, gratitudine viva e sincera
noi ad essi dobbiamo per la omissione di queste ultime pa-
role, le quali ci avrebbero logicamente costretti a ritenere,
nientemeno, che quei Palazzi, oltre essere vastissimi, fossero
costruiti tutti, dentro e fuori, di pietre bianche, di smeraldi, di

(1) È curioso notare che in ORDERICO VITALE mancano queste parole, non so
se per effetto dell’ indubbio buonsenso che, relativamente ai tempi, ebbe questo
scrittore, o perché mancassero già nella leggenda di cui egli si servì nella compi- :
lazione della vita di S. Tommaso Apostolo delle Indie, per la sua Historia ecclesia-
stica. Ad ogni modo, questa osservazione di fatto mi sembra che abbia un qualche
interesse per la storia dell’ errore durato fino ad oggi.
LA PRETESA DESCRIZIONE, ECC. 467

giacinti e di frecce silicee preistoriche, cadute dal cielo, volgar-

mente dette fulmini (1); chè tanto vale la parola cerauneum !

Né, qui giunto, il buon lettore si addolori troppo,' come
spesso accade, della novella delusione che la. mia coscienza
‘di studioso ha dovuto procurargli, negando e dimostrando,
con questo breve cenno, che la famosa descrizione, scoperta
e pubblicata dal Mabillon, non ebbe mai corrispondenza. al-
cuna con cose reali e nemmeno, quindi, con il Palazzo Du-
cale di Spoleto. Non si addolori troppo il buon lettore, chè
io stesso, tra breve tempo, spero di manifestare, a mezzo
della stampa, tutto intero il mio pensiero sull'antico Palazzo
spoletino: Palazzo che, se non fu vasto e sontuoso come
quello immaginato da Bardesane o dai suoi discepoli nella

prima metà del terzo secolo di Cristo, pure esisté e non .

dovette essere di troppo piccola mole, né ignobile edificio,
se, una volta, come attestano i documenti Farfensi, bastó
àd ospitare contemporaneamente un Duca e un Re, insieme
alle loro corti, mentre pur custodiva l'Archivio dello Stato,
e in esso si pronunciavano pubblici giudizi.

G. SORDINI.

(1) Cerauniù e Ceraunium vale pietra caduta dal cielo. L. PiconiNr nel Bul-
lettino di Paletnologia italiana, serie IV, Tom. II, a. XXXII, n. 1-5, rendendo conto
di aleune scoperte paletnologiche avvenute in Capri, riportando un'opinione di Sa-

lomone Reinach, scrive: « A giudizio suo, Svetonio con le parole arma herowm
« non alludeva alle ascie neolitiche levigate, imperocché queste dai Latini erano
« dette cerawniae e considerate quali pietre prodotte dal fulmine. Né può dubitarsi
« che Svetonio non seguisse la comune opinione, narrandoci egli, come osserva
« Iohn Evans (Le ages de la pierre de la Grande Bretagne, traduz. francese 1878),
« che si-ebbe un presagio dell’ assunzione di Galba al trono imperiale nelle dodici
- « ascie trovate in un lago della Cantabria colpito dal fulmine ».

———xo-_
LA ROCCA DI MONTEFALCO
E I PARERI TECNICI PER LA SUA COSTRUZIONE (1324)

Giovanni papa XXII circondato da gravi difficoltà per
il governo del ducato di Spoleto, dove la ribellione e l' anar-
chia avevano messo tutto a soqquadro, e dove non si senti-
vano sicuri gli avignonesi reggitori di quella provincia, anzi
potevano temere, nell'impeto di una rivolta, di un massacro
da un momento all'altro, pensó di metterli in salvo, edifi-
cando per gli ufficiali della Chiesa una forte rócca fuori di
Spoleto e in luogo che fosse come a cavaliere della valle
dell'Umbria, per dominarla, e di difficile accesso, perché vi
si potesse riparare tranquillameate. Scelse Montefalco che e
in posizione dominante sulla vallata di Spoleto e pare la ve-
detta naturale dell Umbria. Ivi si volle costruire un gran-
dioso palazzo per la residenza del rettore o duca, per ac-
cogliervi la tesoreria e custodirvi gli archivi della Santa Sede
che giacevano nel convento di S. Francesco di Assisi e si
volle fortificarlo, munendolo di tutti gli argomenti piü validi
di difesa militare. Se quella rócca fosse ancora in piedi, sa-
rebbe oggi certamente uno dei monumenti più singolari di
architettura guerresca dei primi del secolo XIV.

Sorse questa nella pieve di S. Fortunato della terra di
Montefalco sulle rovine del convento, per ciò abbattuto, dei
frati minori, ai quali furono assegnati varii compensi per la
espropriazione del luogo e poi per rifare la pieve stessa, dopo
che il papa fu avvisato da Gentile di Nicola da Macerata,

32

uf

n
N catre it rmi qnd co t

tar 9——--E 2 ek 470 L. FUMI

spedito ad Avignone ambasciatore del rettore di Spoleto, che
quella provincia, propter guerras et rupturas contrate, era in
mala disposizione e dovevasi ad ogni costo metter mano a
pronti rimedi (1320). Il papa, carattere energico e battagliero,
rimandó indietro il maceratese con lettere speciali alla corte
di Roberto re di Napoli e particolarmente al duca di Cala-
bria, e forse per consiglio di questi e di Cante Gabrielli ca-
pitano di guerra, fra le altre cose, volle tosto trasferita la
curia a Montefalco ed elevatavi la fortezza. Ordinó quindi a
Rinaldo di Sant'Artemia rettore e a Giovanni d'Amelio teso-
riere del Ducato di annettere alla Camera apostolica la pieve
:di S. Fortunato, scorporandola dalla diocesi di Spoleto, e per-
ché ivi non si trovavano a sufficienza abitazioni per gli uf-
ficiali, né vi era un fortilizio, commetteva la costruzione e
la spesa delle une e dell'altro.

Né erano passati sette mesi da questa ordinazione, che,
informato degli indugi ad intraprendere la fabbrica, se ne
dimostrava sorpreso, e rimproverati gli ufficiali di poca cura
a porvi mano, tornò loro ad ingiungere più fortemente, vi
dessero opera senza indugio ed avvertendoli di non lasciarsi
più riprendere di negligenza. Non dovevano esser poche le
difficoltà per piantare una rócca sullaltura di Montefalco,
tra per gli scoscendimenti del monte, tra per la vicinanza e
sovraeminenza del castello. E quindi assai opportunamente
suggeriva il papa doversi sentire il consiglio dei periti di
tali fabbriche per attenersi a quel che fosse il migliore e piü
atto partito (melius et commodius de consilio peritorum de ta-
libus).

Non si mancó di chiamare a consulto il piü rinomato
costruttore di quelle parti, cioè quel Lorenzo Maitani da
Siena architetto del duomo di Orvieto, già chiamato a con-
sultore del duomo di Siena e delle maggiori opere allora in
costruzione in Perugia. Egli venne nella primavera del 1323
accompagnato da due famigliari e da due frati, uno dei quali
era frate Egidio da Assisi e dette molti consigli. Nei registri
471

LA ROCCA DI MONTEFALCO, ECC.

camerali il ricordo del Maitani è accompagnato dall’ espres-
sione: Reputabatur multum peritus în arte sua et multa con-
silia dedit.

Con tutti i pontificii eccitamenti, le prime spese per lo
scavo dei fossi e delle strade intorno a questi e per le de-
molizioni delle vecchie case non sono registrate che dopo
circa cinque mesi (gennaio 1324). A soprastanti stettero
messer Giovanni di Giovanni da Spoleto, messer Marzocco
Monalducci pure da Spoleto, fra Giolo di mastro Masseo e fra
Masseo di Michele da Foligno.

Tolsero a costruire a cottimo i maestri Giovanni Puzzoli
dell'Abate e Vignozzaro di maestro Masseo con Vuturo Cor-
raducci da Foligno a ragione di 64 lire a misura di pertica,
con materiali di pietra e di mattoni. Le prime provvisioni,
di circa ottanta migliaia, sono della primavera del 1324. Nel.
l'estate di quell’anno sono già a lavorarvi, con muratori, an-
che scalpellini, falegnami e fabbri.

Perchè gli spiriti dei ribelli dell Umbria spintisi a novità
sempre audaci, cominciavano fin dal bel principio dei lavori
a congiurare a danno del forte (1521) e facevano temere che
si volesse mettere ad effetto il proposito di dar addosso al
rettore in Montefalco e sgominarlo fin nel suo nuovo ricetto, si
era per questo voluto affrettare nei lavori non solo, ma nelle
stesse misure di difesa, munendosi di corazze, di barbute e di
elmi, di gambali e di cosciali, di gorgiere foderate di panni cl-
tramontani, di guanti, di maniche, di falde e di corsetti. E i
lavori dovettero prendere una alacrità non piccola, se pote-
vasi già fare uso degli edifizi per quello scopo cui venivano
ordinati, cioè ad accogliere la Curia e a munirla di difese
militari. Era stato nuovamente chiamato il Maitani, il quale
multa bona consilia erhibuit atque dedit, et multum repu
tatur expertus et sufficiens et singularis in arte sua; e ció
dopo che fu avvertito che i lavori fatti fin allora non pre-
sentavano tutta la solidità necessaria e minacciavano; onde
il papa aveva commesso a Falcone da Sistarico, nunzio apo-
yc ——
NUM

x

NN

» $ ,@

472 L. FUMI

stolico, di provvedervi in un col tesoriere ducale, chiamando
a sé aliquibus personis fidelibus et peritis im talibus, infor-
matione habita pleniori. Raccomandavasi che si procedesse
con prudenza e vantaggio. Ma veduta bene la cosa, non
parve poi cosi grave il pericolo, come era stato detto al
papa, perché se qualche cattivo effetto si vedeva nella
fabbrica, questo era dovuto all'affrettamento soverchio dei
lavori, alla crudezza del verno e all'abbondanza delle pioggie
cadute, non a difetti di costruzione. I maestri chiamati a
visitare l’opera furono Bianco Giovagnoli, già soprastante
di essa, insieme ad Andrea di Passaro di Spello, con altri
di Spello, Foligno e Assisi. Essi assicurarono che non vi era
da ridire nulla, ma pure consigliarono certi consolidamenti
i quali rivelano, pure a traverso alle belle parole, che non si
stava molto in gambe. Ecco il parere:

« Testificati fuerunt quod predictum palatium et ipsius fabrica
in totum vel pro parte ruynosa non sunt, et quod illa modica
ruyna, que anno preterito, yemali tempore, intervenit, contingit
et intervenit propter festinantiam operis fabricati et pluvie habun-
dantiam, dietaque modica ruyna nullum dieto palatio et alii fa-
brice et operi dieti palatii prestitit nocumentum vel impedimentum,
neque prestat, nec prestabit in posterum. Item... quod fabrica dieti
palatii et ipsum palatium, quod fabricare inceptum est, et muri
et parietes eiusdem sunt boni, constantes, sufficientes et abiles ad
voltas subportandas in dieto palatio noviter fabricandas et ultio-
rem et altiorem fabrieam faciendam super muris predietis et ad
perfeetionem ipsius palatii, ita quod dietum palatium honorabiliter
et laudabiliter sit perfeetum. Item... quod muri et parietes ipsius
palatii et ipsum palatium fuerunt matura, provida et sincera ope-
rositate et laboriositate et deliberatione et ordinatione fabricati, et
quod illa modiea ruyna, que anno preterito, yemali tempore, in-
tervenit, non accidit vitio operis vel defectu vel provisione incauta
facientium opus vel fieri facientium, sed propter festinantiam operis
fabricati et pluvie habundantiam, et quod dieta modica ruyna
posset modico pretio reparari, quod pretium ultra quantitatem vi-
gintiquinque flor. de a. verisimiliter non exeedetur. Item... quod
TERRE aen >

LA ROCCA DI MONTEFALCO, ECC. 473

pro superhabundanti cautela constructionis palatii supradicti et ut
dietum opus fiendum fiat solidus et cautius, licet necessarium non
existat in fabrica dieti operis et perfectione ipsius palatii, hoc
modo per ordinem denotatur: vid., quod infra dietum palatium
fiant cosse lapidum unius pedis cum dimidio in qualibet parte
eosse, super quibus fiant volte palatii supradieti. Item, quod in
muris vel infra muros ipsius palatii noviter fabricandos, ponantur
et murentur ligna querceas pro solidiori ipsius operis ligatura.
Item, visa fabrica camere nove noviter fabricate, que est iuxta
eameram veterem prope palatium antedietum visisque muris et
parietibus ipsius camere intus et extra, et ipsis cognitis, palpatis
et examinatis modis omnibus necessariis et utilibus ad investi-
gandum qualitatem et essentiam fabrice antedicte, asseruerunt efc.
quod fabriea prelibata bona est et utilis atque firma, et quod
caute, prudenter et perite facta fuit et est ad perpetuam, firmam
et bonam stabilitatem et constantiam dictorum murorum et di-
etarum parietum et quod super dietis muris potest secure et firmiter
et constanter et perfecte superhedificari et murari in altum, pro
complemento diete camere, honorabiliter et decenter ».

(Arch. Vatic.. Instrum. miseell. caps. an. 1324, aprile 25).
\ , ? ,

Ma altri, sovracchiamati, parlarono più chiaro. Questi fu-

rono fra Corrado di Cencio e fra Nicola di Ventura conversi
domenicani, mastro Elemosina Andreucci, mastro Nallo e
mastro Merlino fratello di Iacopo da porta S. Pietro e della
parrocchia di Santo Stefano di Perugia e un altro Merlino con
mastro Giovanni da San Gemini muratore. Questo ultimo,
ammalato, non potè presentarsi, ma anch'egli convenne nel
parere degli altri. Si trovarono, dunque, tutti d'accordo in

un giudizio molto severo.

Constatarono non essere né forte, nè atto ad una róeca

il luogo di San Fortunato, posto su suolo molto mobile e fa-

cile a scoscendimenti.
La porta grande di primo accesso e la porta posteriore,
dove era la pendice e dove il terreno declinava, non poteva

t voga = :



SII TI a o t

non correr pericolo di ruina. Dal punto strategico non si
"5
jd
Áo.

]

LACE

è; 2 APO

E

y
AP. Ted

474 L. FUMI

poteva considerare favorevole, facile come era a circondarsi
da assedio per ogni parte, a batterla con trabocchi ed espu-
gnabile intorno intorno. Verso il castello, come punto più ele-
vato della rocca, si poteva danneggiare anche dall altezza
della via che discendeva fino a S. Fortunato, recandovi tra
bocchi ed altre macchine da guerra. Dalla parte che guar-
dava la valle del ducato, un'altra prominenza ampia, piana
e uguale di superficie al San Fortunato offriva bene il de-
stro di prender la rocca, da ogni parte circondata da punti
più elevati, laddove avrebbe dovuto sovrastare a tutto il
paese attorno. Un altro grave difetto era la mancanza di
acqua, non essendovene a sufficienza, perchè il fosso era
stato scavato non ampio abbastanza in larghezza e profon-
dità e si rendeva sottoposto, al di fuori, all'espugnazione: sca-
ricandosi il luogo, sarebbe andato distrutto. Era necessario
farne un altro per causa del terreno mobile e disadatto a
tenere. Mancava lacqua nei pozzi per un tratto di balista

.e quella che v'era andava soggetta ad essere presa. Alla ma-

gnificenza della Chiesa Romana e alla sicurezza del Ducato
non era quello un luogo conveniente e ben disposto a tener
testa ad una ribellione.

Questa la sostanza dei pareri di alcuni. Da altri poi si
diceva, che le fabbriche dei palazzi e dei muri e anche i
fossati sarebbero stati ben disposti ed ordinati a servizio di
abitazione di un prelato o di un signore che, a cercar quiete
e riposo, vi si fermasse a diletto e amenità sua, ma non per
un fortilizio che dovesse sostenere una difesa e resistenza ai
trabocchi, perché i muri non avevano lo spessore sufficiente.
Mancare le torri; le porte indifese, perché prive di antiporte
o di porta levatoia; le finestre e le porte più da palazzo, che
da fortezza; fossati non abbastanza larghi e profondi da re-
sistere e difendersi dai trabocchi; fondamenta non tanto pro-
fonde, quanto ci volevano per il palazzo maggiore, né cosi
ampie. ed erte per una buona fortezza, in proporzione della
elevazione della fabbrica, né bene costrutte, perché sotto terra
"TS

LA RÓCCA EI MONTEFALCO, ECC. 475

avevano uguale grossezza che sopratterra e perchè a soli cin-
que piedi di profondità. Passi (dicevano) per un palazzo, chè
questo allora può sollevarsi sopra quindici piedi da quello che
è già murato sopratterra e in tutto, così, può elevarsi fino
a venticinque piedi: ma anche i muri dei palazzi sopra ai
fondamenti, per malo ordine e disposizione di costruzione,
non possono sopportare edifici da fortezza; e se sì elevassero
molto alti, come converrebbe, vi sarebbe pericolo. L'arena

molto grossa e terrosa; la calce scarsa; buone le pietre e.

anche i muri ben fatti, sebbene le pietre, come si vedeva
dal di fuori, non ben connesse fra loro. Le mura poter du-
rare qualche poco, purchè sì riparino e sorreggano con
buoni legni di quercia e con altri lavori opportuni, non
senza grave spesa. Nulla poter dire della disposizione in-
interna dell’edificio, perchè fu loro vietato d'entrare; ma do-
vevano essere costruite le camere con barbacani e con altri
argomenti a difesa: invece ne sono prive; non finestre co-
mode per balestrare, non porte robuste, non la levatoia a
fortificazione maggiore.

Dato che la costruzione e il sito suo fossero atti ad un
fortilizio e non fossero difettosi, dissero che per il modo onde
erano sorti il palazzo maggiore e il palazzo minore, l’edificio
non poteva ricevere riparazioni e riforme senza grandi spese,
perché dovevano interporsi altre costruzioni allo scopo che i
due palazzi e i muri ricevessero la resistenza necessaria.
Costerebbe più riparare il palazzo maggiore che non aveva
costato l'edifizio tutto intiero; perché a voler bene e solida-
mente riparare e fare il fortilizio, a volere una resistenza
salda all’ assalto e all’ azione di trabocchi e macchine, era
necessario fondare sei torri solide e forti e costruite con buona
calce e migliore arena, cioè piantandole ad ogni angolo e nel
centro, e assai ben murate da sostenere la spinta dei fianchi
del palazzo e da rafforzarlo contro i colpi delle macchine.
All urto sarebbe stato troppo debole 11 muramento fatto, da
poterlo conservare, e quindi dovevasi rifarlo dalla parte di
à 5 AL :

x
-

[uk

x

^

A

NN

"um E

4A 5 0g T IR ^ @

476 L. FUMI

fuori assai più grosso, congiungendolo col muro vecchio e
prolungandolo fino al fondo dei fossati, anch’ essi da rifarsi,
scavandoli in maggior profondità e dilatandoli: Et ad hoc ut
subsisterent, fieri oporlet una schifa de bonis lapidibus bene mu-
ratis; et cum toto hoc resisti non potest uni obsidioni et exercitui
volentibus dictum locum expugnare, quin cavaretur dictus locus.
Le quali riparazioni, tutto ben ponderato, verrebbero a co-
stare più della costruzione. Meno costerebbe a ridurre tutto
ad abitazione, e allora basterebbe congiungere i muri con
legni di quercia e ferri: ma non si potrebbe elevare la fab-
brica al di sopra di quindici piedi senza grave spesa. Sarebbe
stato meglio e più solido e più bello ricominciare da capo,
spendendo una somma pari a quella che aveva importato il
lavoro fino a quel giorno. Tutto costava già lire seimilacin-
quecento, pari alle nostre lire italiane 56,784.

Se ne dovette agevolmente persuadere il papa stesso, al
quale furono comunicate queste proposte; tantoché egli ri-
spose nei seguenti termini al nunzio, al rettore e al tesoriere:
si richiamassero i primi periti: o continuare, o rinunziare alla
costruzione che si dovesse, subito lo avvisassero.

« Vidimus consilia per vos, ut aecepimus, habita super hedi-
fitio palatii nostri Montisfaleonis et per vestrum singulos in diversis
cedulis nobis missa; sed quia consistunt in facto, nee quis posset
nisi re subiecta oculis recte super hoe iudieare, vobis respondere
quid agendum in hae parte sit utilius non valentes, discretioni
"vestre per ap. reseripta mandamus, quatenus,.ilie cum quibus
prius deliberasse, super predietis dicimini, et aliis fidelibus et pe-
ritis in talibus, de quibus expedire videritis, convocatis, reque
subiecta per vos et ipsos oculis diligenter scrutemini, ut seieatis
plenius an procedi valeat utiliter super edifieio memorato ; quod si
matura et cireumspecta deliberatione, ut premittitur, prehabita, id
reperiretis expedire, procedi, iuxta consilium, quod concorditer
super hiis habueritis, faciatis, aliter et alias desistentes, nobis fi-
deliter reseripturi quiequid in predietis duxeritis faeiendum. Dat.
Avin. mnJj. Id. maij, an. 8? ». (Ivi, capsa an. 1324, luglio 26).
LA RÓCCA DI MONTEFALCO, ECC. 4TT

I periti, dunque, che avevano giudicato la prima volta,
tornarono una seconda volta. sul posto, ed ecco il sunto del
loro nuovo atto. :

1324, agosto 7, 8. . Instrum Miscell. 1324, n. 28.
Parere di periti per l'opera della pieve di Montefalco.

Chiamati dal rettore del Ducato Giovanni d’Amelio i sotto-
seritti a consiglio, e cioè M.° Bianco Giovagnoli, già sovrastante
della ròcca di Montefaleo e M.° Andrea Passari di Spello con
altri di Spello, Spoleto, Foligno, Assisi, maestri e artisti muratori,
periti e buoni fra gli altri del Ducato, « qui alias super opere dieti
palatii juraverunt, dixerunt et consuluerunt », nonchè due altri
maestri muratori periti e fedeli, e frate Andrea, priore degli Ago-
stiniani di Montefalco con fra Guiduccio da Foligno degli Agosti-
niani di Foligno, « qui in arte muniminis expertissimi reputantur
et ad quamplura construi faeienda edificia interfuisse », dettero il
seguente parere:

« Qui fratres et magistri omnes predieti, viso dieto palatio et
ipsius fabrica, muris et parietibus dieti palatii intus et extra et
opere ipsius palpatis et diligenter examinatis, habitaque inter eos
comuniter, pariter et coneorditer deliberatione sollempni et matura,
et perscrutatis et examinatis omnibus et singulis, que ad investi-
gationem veritatis super predietis, prout artis ipsorum peritia exigit
et requirit, comuniter, pariter et concorditer, uno verbo et eodem
sermore, dixerunt et asseruerunt, quod fabrica dieti palatii et ipsum
palatium, quod fabrieari inceptum est, et muri et parietes eiusdem
magistraliter, utiliter et artificiose, secundum lapides et arenam
eontrate Montisfalehonis, eonstrueti et faeti sunt, et quod sunt boni,
eonstantes et utiles ad voltas supportandas in dieto palatio noviter
fabrieandas et ulteriorem et altiorem fabrieam faeiendam super
muris predietis et ad perfeetionem ipsius palatii, ita quod dietum
palatium honorabiliter et laudabiliter sit perfectum, et quod utiliter
procedi valet super edificio memorato et expedit procedi in ipso,
dietumque edificium est ita bonum, stabile atque firmum et tale,
quod super ipso ulterius procedi valet et superedifieari utiliter et

e
rt inni ———

pui a X

A

ee AU a
TE 4

y
"mw

^ E,

e; @

478 L. FUMI

secure et solide usque ad perfeetionem palatii supradieti. Verum
pro superhabundanti cautela construetionis palatii, licet nullatenus
sit necessarium vel oportunum, nee expediat ullo modo, tamen,
ut dietum opus fiat eautius, dixerunt quod in perfectione ipsius
palatii, ad eautelam indubie superhabundantem, hoe modo proce-
datur: videlieet, quod infra dietum palatium fiant cosse lapidum
trium semissuum in qualibet parte eosse, super quibus fiant volte
palatii supradieti, et quod in muris vel infra muros superedifi-
fieandos in ipso palatio noviter fabrieandos ponantur et murentur
lingna quereus insimul alligata et iuneta pro solidiori ipsius operis
ligatura...

« Actum in elaustro domorum Anthonii, residentia dieti do-
mini Corati Judieis positorum in vocabulo Plebis S. Fortunati de
Montefalco ». (1324, agosto 14). (Ivi, Istrum. miscell., 1324, n. 28).

Così, prevalsa l’idea di riprendere la costruzione, fu chia-
mato a dirigerla maestro Giovanni da S. Gemini, qui re-
putabatur valde solempnis. I ribelli del Ducato mal vede-

«vano quest’ opera che era diretta a'loro danni e presero di

mira l'architetto. Ghibellini di Todi, appostatolo, gli furono
addosso e lo conciarono di percosse a morte, onde dovette
per dieci giorni curarsi a Montefalco, senza che gli avesse a
riprendere la voglia di ritornarvi; perchè, pochi mesi dopo,
sì trovarono a presiedere i lavori altri artisti, ricercati da
diverse parti fra i migliori, ma dei quali si ignorano i nomi.

Le ostilità della provincia crescevano sempre contro la
Chiesa. Il Rettore era sollecito ad informarne il papa, il quale
persisteva a volere compiuta la rocca di Montefalco. Una
lettera del papa che risponde. alle informazioni del rettore
ci dà una qualche idea delle cure di questi a reprimere le
ribellioni continue, non sempre d'accordo col tesoriere per
le spese che egli richiedeva per il forte. Ci piace darla per
disteso.
479

-. «LA ROCCA DI MONTEFALCO, ECC.

[1328] maggio ... Secret. Ioan. XXII, vol. VI, c. 1390.

Lettera di Giovanni XXII a Giovanni d' Amelio Rettore del Du-
cato responsiva a n. 8 capitoli propostigli da questi.

« Reetori. — Per diversas lieteras tuas insinuare nobis, que
secuntur, inter cetera curavisti; primo, vid:, quod tenere continue
in terris Montanarum decrete tibi provincie Capitaneum, qui causas
maiores ducali Curie referat et per se minus expediat ex eo expe-
diens et utile reputabis, qua terrarum ipsarum incole, qui contra
E. consueverunt de faeili rebellare, nune, Capitaneo ibidem presente,
eontinue obedientes existant et nichilominus minora emolumenta,
propter presentiam Capitanei, de dietis terris nostre Camere. per-
veniunt, sicut asserit facti evidencia comprobari. Et insuper Ca-
pitaneum, quem ibi tenes presencialiter, de fidelitate, probitate et
industria commendasti.

« Secundo, quod, licet cirea custodiam fortalitii plebis sit
magna diligentia, hoe presertim tempore, adhibenda, possetque for-
talieium predietum, habundans satis in proventibus, eum sex homi-
nibus, quorum quilibet unum florenum auri pro mense quolibet re-
ciperet, custodiri secure, Thesaurarius tamen ducatus Spoletani tibi
parere ae intendere super hoe contradicit, nolens etiam, quamvis
per te requisitus instanter fuerit, expensas pro complemento dieti
fortalici ministrare.

« Tertio, quod idem Thesaurarius in tuorum et aliorum of-
fieialium dieti ducatus solutione stipendiorum se reddit continue
diffieilem et molestum, tuis et ipsorum officialium pertinaeiter
obtemperare consiliis renuendo.

« Quarto, quod reparationem murorum ae vallorum eastri
Montisfaleonis, ubi tuam tenes Curiam, eum habitatoribus loci,
quos ad hoe proruptos reperisse asseris, fieri ordinasti.

« Quinto, quod sedato tumultu dudum in castro Bictonii
[impetuo|se suborto indeque confinatis suspectis...., [de] excessu
ibidem commisso veritatem [inquires, ad|modum procedere ad illius
punitionem [et correctio]nem intendens, quodque circa custodiam
[Spoletani] dueatus maiorem solito diligeneiam, [iuxta] maliciam
temporis, adhibes, vigintiquinque stipendiarios in servieium duealis
Curie [conducendo].
L.

FUMI

« Sexto, quod nune Cassianenses, qui tibi const[anter et
fildeliter, presertim circa domandam Nucerinam superbiam, astite-
runt, in diversis offieiis, ut for[tius conro]boretur eorum devotio,
posuisti.

« Septimo, [quod] compositiones facte cum eisdem Nuce-
rinis [rationem? contra] eos debere inter cetera solvere quibusdam
[merca]toribus de Montefalcone vij * rxiJ [floren. au]ri pro expensis
faetis in exereitu dudum faeto [contra] eos, ultra ea, que merca-
tores ipsi a Co[munitatibus] dieti ducatus receperant, descripsisti.

« Oetavo et ultimo, quod supersedere ad presens a co[m-
pulsione] et molestatione Comunis et hominum Montis S. Martini
ratione restitutionis dieti [castri?, ad| quam eondempnati fuerunt,
tibi exped[iens, pensi]tata presentis temporis malicia, videbas.

[Nos] autem, premissis plene intellectis, ad ea [omnia bre]viter
respondemus.

« Ad primum seilieet, quod tenere eontinue in terris Monta-
norum predictis Capitaneum..., premissis existentibus, placet nobis.

« Super seeundo vero eapitulo, tibi et eidem thesaurario
jam [dieto] per litteras nostras seripsisse meminimus inter cetera

'eontinentes, quod nisi dietus thesaurarius vellet expensas mini-

strare necessarias, ut posses illas [expendi] moderate, quod iterum
ut precaveatur... perieulis, refrieamus, volentes nichilominus, ut
thesaurarius tuis et offieialium predietorum [aequi]eseat consiliis
utilibus et vobis exhibeat [stipen]dia deputata; tuam diligentiam

‘ circa fortificationem locorum et custodiam ae punitionem et eorre-

etionem exeessuum debitam commendamus.

« Ceterum, super [pena?] et compositione Nucerinorum nostre
camere debita, tibi et eidem thesaurario seripsisse [meminimus],
sicut in nostris lieteris plenius continetur.

« Capitulo autem ultimo, de supersedendo, quantum ad
presens, eompulsioni Comunis et hominum Montis $8. Martini, [quod]
scripsisti, satis expediens, propter presentis condictionem temporis,
tu vero sie te prudenter super hiis et aliis gerere studeas et ma-
ture, ut merito debeas commendare.

« Dat. Avinion... maij, an. XII ».

Nel 1333 un trattato che si scopri contro Montefalco
consiglió il rettore a levarsi di là e ritirarsi a Spello. Vi

Ti
LA ROCCA DI MONTEFALCO, ECC. 481

entrarono gli usciti della terra. L'esercito ducale corse a
cavalcarla. Nel 1336 si rivelò una congiura. Nel '39 un ten-
tativo di sollevazione è animato dalle grida di morte ‘ai fo-
restieri! Era un saluto diretto ai caorsini della terra. I quali
risposero con la ripresa dei lavori di fortificazione. Molte mi-
gliaia di mattoni provvedute poco dopo ce ne dànno la prova,
e le spese alle torri, alle bertesche, agli antemont delle torri
e alle munizioni indicano che si doveva essere presso alla fine.
Una era già coperta della sua capanna fin dal 1333: ma
nel 1335 se ne fondò un'altra e si lavorava pure a ripa-
rare pitture, a finire la guardaroba e le cataratte di esse.
Nel 1340 le provvisioni per le baliste, le spese al ponte, la
decorazione del portale con sacre immagini dipinte a oro
potranno farci credere che l'assetto della ròcca fosse ormai
completo.

E meglio ce ne persuade la notizia che, in quell’anno
stesso, fatta ormai sicura dagli assalti, accolse l'archivio
della Santa Sede, trasportatovi dalla sacrestia del convento
di San Francesco di Assisi.
L'ACCADEMIA DEI «RINVIGORITI» DI FOLIGNO
E L'OTTAVA EDIZIONE DEL « QUADRIREGIO »

Dopo ció che é stato detto anche recentemente sulla ri-
stampa del Quadriregio curata nel 1725 dai Rinvigoriti di Fo-
ligno (1), credo che nessun critico delle lettere nostre ignori
quale valore essa abbia fra le altre edizioni precedenti e po-
steriori dello stesso poema frezziano. Ma nessuno certamente
conosce ancora la storia di questa ristampa che coinvolge
l'attività di diversi letterati e riassume in sé tutta, si puó
dire, la vita di una delle piü fiorenti accademie del se-
colo XVIII: i numerosi documenti sui quali essa si può ri-
costruire, o sono passati inosservati nella stampa, o giacciono
tuttora, dopo quasi due secoli, sotto la polvere delle nostre
biblioteche.

Di questa storia appunto io narreró qui le interessanti
vicende, valendomi di tutti i sussidi ancora disponibili, ché
certamente non tutto il materiale necessario per tale rico-
struzione ci è stato conservato (2). A ciò mi conforta la si-
curezza che la mia narrazione contribuirà, oltre che a illu-
strare uno dei periodi più belli della fortuna del Quadriregio,
a mostrare altresì lo stato della coltura umbra e specialmente
folignate al tempo dell’ Arcadia.

(1) Cfr. i miei appunti storico-bibliografici su Le edizioni del Quadriregio pub-
blicati in « La Bibliofilia » del 1906 e del 1907, e precisamente le pagg. 5-13 di que-
st' ultima annata. |

(2) Nello studio e luogo ora citati io stesso promisi che mi sarei occupato di
questo argomento.
484 E. FILIPPINI

Ma prima di entrare in argomento occorre dire che cosa
fosse l'Accademia dei Znvigoriti, che nella storia dell'ottava
edizione del poema frezziano ebbe la parte principale. Quindi
io comincierò dal fare un quadro della dotta Società folignate
dalla sua istituzione fino all’epoca più importante della sua
vita: anche questo è un soggetto non ancora trattato e non
privo d'interesse, sebbene per esso scarseggino di più i do-
cumenti.

Al principio del secolo XVIII Foligno che fino dal me-
dioevo, aveva dato alle lettere, all'arte e alla scienza una
lunga serie di più o meno illustri cultori e di opere più o
meno importanti, non era nuova al fenomeno delle accade-
mie o associazioni di dotti. A prescindere infatti da quella
così detta dei Concili che vi fu fondata dal vescovo Frezzi

. nei primi anni del '400 (1), da quella senza titolo, ma meno

speciale e con carattere filosofico - letterario, che vi fioriva
verso la metà del ’500 e di cui sarebbe stato principe il noto
poeta folignate Petronio Barbati (2), e da quella Medica di cui
nel 1579 era magna pars Girolamo Baldolo (3), parecchie ne
vediamo sorgere e morire fra le mura della piccola città
umbra nel secolo XVIII con programmi forse poco diversi
l'una dall'altra e con soci aventi i nomi ora pomposi, ora
alquanto modesti di Fulgenti, Fantastici, Ritirati, Ardenti ed
Incogniti (4). Non fa quindi meraviglia che dopo una simile

(1) Cfr. M. FALOCI - PULIGNANI, Le arti e le lettere alla corte dei Trinci (Foligno,
Salvati, 1888), pag. 132.

(2) Cfr. S. FRENFANELLI- CIBO, Le accademie di Foligno, in « Fulginia », strenna
per il 1900 (Foligno, Campitelli, 1900), pagg. 10 e 12.

(3) Cfr. G. BRAGAZZI, Compendio della storia di Fuligno (Fuligno, Tomassini,

1859) pag. 126. Questa Accademia non é ricordata dal FRENFANELLI-CIBO nello st. cit.

(4) Parla-brevemente di tutte codeste accademie il FRENFANELLI-CIBO nello st.
cit., mentre il BRAGAZ/ZI ricorda; soltanto quelle dei Fulgenti e degli Ardenti. Aggiun-
go qui qualche altra notizia a quelle raccolte dal FRENFANELLI-CIBO, All'Accademia
dei Fulgenti si riferiscono due sonetti che si leggono a pagg. 84-85 delle Rime sacre
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI- FOLIGNO, ECC. 485

fioritura e quando la mania accademica cresceva dappertutto
con la fondazione dell'Arcadia, i dotti folignati si raccoglies-
sero in una nuova associazione. Ma giova dir subito che i Rin-
vigoriti non furono una propaggine dell'Arcadia: una colonia
sorse bensì anche in Foligno, come a Perugia e a Rieti, ed
ebbe il nome di /w/gînia, ma sorse parecchi anni dopo la
costituzione della nostra Accademia e — quel che più im-
porta — per iniziativa e col concorso degli stessi fondatori
di questa (1).

Secondo il Quadrio, l'Accademia dei Rinvigoriti di Foligno
« era in fiore fin nel secolo XVI » (2). Più tardi anche il Ti-
‘raboschi, seguendo le orme dello storico valtellinese, pose
questa fra le altre società italiane di dotti del ‘500 (3). Ma
fu un errore di cui non so spiegarmi l'origine, perchè nes-
suno degli storici precedenti da me consultati parla d’una
Accademia che si sia fondata a Foligno con tal nome prima
del ’700: neppure l'autore della prefazione che precede il Ca-
talago degli Accademici Rinvigoriti di Foligno con le loro costi-

.

e morali di diversi Autori (Foligno, Alterij, 1629) e sono il 1° di Romano Romani
« Tempra i suoi moti Clitia al gran Pianeta » e il 2» di Girolamo Duranti « Ergi ra-
pido omai gran Febo il volo ». Dall’ intestazione di questo secondo sonetto si ap-
prende che fu protettore dall'Accademia Mons. Severino Elmi di Foligno. Del resto
essa oltrechè dal QuapRIO in Storia e ragione d’ogni poesia (Bologna, Pisarri, 1739)
l. L, pag. 71, é ricordata anche dal Zanon, Catalogo ecc. in Dell’ utilità morale, eco-
nomica e politica delle Accademie di agricoltura, arti e commercio (Udine, Gallini,
1771). L'Accademia degli Ardenti prima che dal Quanrio e dal Zanon (opp. e ll.
citt.) si trova registrata nell’ Index Accademiarum Italiae omnium che si leege
in fine allo Specimen. Historiae Accademiarum ete. di M. I. IARCKIUS (Lipsia, 1725),
Dei Far:tastici e dei Ritirati (come anche dei Fulgenti) fece menzione anche 1’ au-
tore della Prefazione ad un Catalogo del 1719 che dovrò citare in seguito più volte,
ma senza aggiungere nulla a quello che ne dice il FRENFANELLI-CIBO.

(1) Infatti tutti i 13 soci arcadi della Fulginia che si trovano nominati nel-
l’ Istoria della volgar poesia di G. M. CRESCIMBENI, vol. VI (Venezia, Basegio, 1730),
pag. 433, li ritroveremo fra i Rinvigoriti. Quanto alla data della fondazione, il Qua-
DRIO e il ZANON (opp. e II. citt.) cadono in un piccolo errore fissandola nel giorno 6
dicembre 1717, mentre in due luoghi del CRESCIMBENI (vol. cit., pagg. 291 e 433) si
legge che la colonia folignate fu fondata il 16 dicembre di quell’anno. Del resto
dovrò tornare ancora su questo argomento.

(2) Cfr. op. e 1. citt.

(3) Cfr. la sua Storia di lett. ital. (Milano, 1823), tomo VII, p. I., pagg. 221-222.

33
486 E. FILIPPINI

tuzioni e capitoli, stampato a Foligno dal Campana nel 1719,
il quale accennando ad altre precedenti accademie, affatto in-
dipendenti da questa, non avrebbe potuto certamente tacere,
se fosse esistita, di quella che le avrebbe lasciato in eredità
il nome di battesimo. Invece il nome di Anvigoriti, che per
Foligno era nuovo, fu preso a prestito, come vedremo fra
poco, da altre aecademie di fuori, e la sua scelta non fu
fatta senza ragione. Ma ora vediamo come e quando preci-
samente sorse la nuova Società folignate.

Le accademie del '600 che avevano avuto esclusiva-
mente carattere poetico, erano tutte morte l'una dopo l'altra
prima della fine di quel secolo: l’ ultima pare che fosse quella
degl /ncogniti, che secondo un documento ms. riferito dal Fren-
fanelli-Cibo, era ancora viva nel 1685 (1), ma dopo non diede
più alcun segno della sua esistenza. Erano morte dopo una
vita più o meno breve, « per manco di vigore » e senza
rendere alcun sostanziale vantaggio alla letteratura e al
paese. Erano morte materialmente, ma non moralmente, poi-
ché avean lasciato un chiaro ricordo di sé in qualche cata-
logo di soci e soprattutto in quella ricca messe di componi-
menti poetici che, dopo essere stati letti nelle adunanze,
erano stati o lanciati al pubblico nelle stampe d'occasione o
inseriti nelle miscellanee edite ed inedite del tempo (2). Né
Foligno al principio del secolo XVIII mancava di spiriti colti
e di letterati che non sentissero la forza di quei ricordi ; anzi
la nostra città non ebbe forse epoca piü fortunata di questa
per numero di menti fornite di bella e varia coltura. Le il-

(1) Cfr. scritto cit., pag. 13.

(2) Di tutto ciò parlano il CRESCIMBENI in Commentari ecc., l'autore della ci-
tata prefazione e il FRENFANELLI-CIBO nello scritto citato. Ma quello che più importa
notare é che la biblioteca del Seminario di Foligno possiede, come il FRENFANELLI-
CIBO dice, aleune Miscellanee mss. contenenti poesie inedite di quegli accademici ;
anzi egli aggiunge opportunamente che « il gittarvi un occhio forse non sarebbe
« fatica al tutto perduta, se non altro a trarvi partito per la storia aneddotica e per
« i costumi di quel secolo » (pag. 13). Certo uno studio di quelle poesie gioverebbe
molto alla conoscenza della coltura di Foligno nel ’600.
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 481

lustri famiglie dei Barnabó, degli Elmi, dei Barugi, dei Gre-
gori, dei Vitelleschi, dei Cirocchi, degli Onofri, degli Orfini,
dei Roncalli, dei Gerardi-Morotti, dei Pagliarini, dei Gigli,
dei Boncompagni, dei Nuccarini, dei Bolognini, dei De Angelis,
dei Porfiri ed altre davano un'eletta schiera di dottori che,
dopo le patrie scuole secondarie, avevano frequentato le Uni-
versità di Perugia, di Macerata e di Roma e fra le cure do-
mestiche e pubbliche coltivavano con amore le lettere e la
scienza.

Aggiungansi a costoro alcuni dotti forestieri che si tro-
vavano a Foligno per ragioni d'impiego e vivevano con essi
in una geniale comunione di spirito si da dar luogo a un fe-
condo scambio d'idee che talora si convertiva in qualche alta
e nobile iniziativa. Io in seguito avrò modo di nominare ed
illustrare parecchi di quei cittadini e forestieri: qui mi con-
tenterò di osservare che in mezzo a tante menti illuminate
il fatto di parecchie accademie che si erano succedute in
quel piccolo centro e di cui leggevano numerosi ricordi nei
libri, non poteva non essere oggetto di discussione; nè esse si
potevano considerare soltanto come inutili fucine di strabi-
lianti sonetti e di enfatiche orazioni in lode di qualche per-
sonaggio o a ricordo di qualche avvenimento più o meno
notevole. Le accademie precedenti, con tutto il vuoto dei
componimenti recitati nei rispettivi ritrovi, rappresentavano
bene per quegli spiriti eletti un fatto storico non trascura-
bile, cioè la coltura locale del tempo. Considerandole sotto
questo aspetto essi giudicarono non si dovesse interromperne
la tradizione e così pensarono di fondare anch’ essi la loro
Società « in memoria di tali Accademie », come dice l’auto-
revole scrittore della prefazione già citata. La frase per me
non può avere altra spiegazione; ma mentre i nuovi soci si
proponevano di perpetuare il ricordo delle vecchie accademie
folignati, non ne sposavano certamente i concetti e cercavano
di dare alla loro istituzione basi più solide e forza maggiore
che quelle non avevano avuto.
FILIPPINI

HB.

Con questi intendimenti generali sorse ]' Accademia dei
Rinvigoriti di Foligno. Ma a chi si deve propriamente la sua
fondazione? La prima idea non puó essersi affacciata con-
temporaneamente a tutte quelle menti elette che allora ono-
ravano Foligno con la loro dottrina, per quanto tutte cono-
scessero la storia delle accademie precedenti. La massa fu
attratta da uno o due uomini autorevoli e non. più. E ap-
punto, secondo il Mazzuchelli, (1) il Bragazzi (2) e il Frenfa-
nelli.Cibo (3), la nuova Società avrebbe avuto un solo fonda-
tore, e questo per i primi due storici sarebbe stato il Boccolini,
per l'altro il Pagliarini. Chi di essi abbia ragione dirò più
tardi: intanto vediamo chi erano questi due personaggi, tan-
to più che non sono molto conosciuti. Nè io li biograferò in-
teramente, non permettendomelo l'indole di questo lavoro:
mentre mi riservo di parlare in seguito della loro attività
letteraria nei rapporti che ebbero con l' Accademia, qui mi
limiterò a presentarli nelle loro qualità principali.

Poco o nulla si sa finora della vita di Giustiniano Paglia-
rini, perchè nessuno ne ha scritto, che io sappia, una vera e
propria biografia (4). Eppure esistono di lui, oltrechè varie
opere a stampa, copiosi documenti manoscritti che lo illustrano
assai bene. Se infatti le biblioteche di Foligno non ci offrono in
proposito- alcun materiale utile, possiamo ricorrere con pro-
fitto a quelle di altre città, e specialmente di Ravenna e di
Modena. La Classense conserva del Pagliarini un grosso vo-
lume di lettere scritte «ll’ Abate D. Pietro Canneti tra il 1707
e il 1729 (5): altre lettere sue si trovano inserite in due Mi-

(1) Cfr. Gli scrittori d? Italia (Brescia, Bossini, 1768), vol. II, pag. 493 in fondo.
(2) Cfr. op. cit., pag. 73.
(3) Cfr. op. cit., pag. 14.

(4) È strano che nessuno si sia ancora occupato del P., a cui il BRAGAZZI (0p.
cit., pagg. 47-48) dedica cinque sole righe di biografia: neppure nelle Enciclopedie
si trova alcun cenno che lo riguardi.

(5) Questo volume, ricordato anche dal MAZZATINTI, Imventari ecc. (vol. V, pag. 22)
ha per titolo: Lettere originali del sig. Giustiniano Pagliarini di Foligno al Padre
Abate Canneti intorno al Quadriregio, Poema di Monsig. Federico Frezzi ed ha la
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 489
,

scellanee della medesima biblioteca (1). L' Estense di Modena
nella copiosa raccolta di lettere dirette al Muratori ne ha
diciotto stese dal nostro Pagliarini, che vanno dal 1712 al
1730 (2). Da codeste sillogi io ho estratto le lettere che ri-
tenevo più importanti per il presente lavoro e le ho allegate
in appendice. Ma non presumo con questo d'aver ritrovato
tutti i documenti relativi al Pagliarini, chè anche in altre bi-
blioteche ricche di carteggi del sec. XVIII non sarebbe diffi-
cile rintracciarne di nuovi.

Nato di famiglia folignate intorno al 1667 (3), era cre-
sciuto d'ingegno vivace ed avido di larga e soda coltura. I
suoi studi avevano determinato in lui una spiccata tendenza
alle ricerche archeologiche e storiche; ma egli era anche molto
versato nelle lettere e nella scienza del diritto. Stimatissimo
per questo e per la bontà rara del suo carattere in città,
ebbe presto cariche pubbliche importanti, come quella di se-
gretario del Municipio, che tenne fino alla morte (4). Que-
st ufficio di non lieve peso non gl’impedì di esplicare la sua
attività intellettuale negli studi prediletti, di attendere a la-
vori geniali e di pubblicarli per i tipi della sua città natale.
Il Pagliarini che cerca di fornirsi d'una ricca e preziosa

segnatura: Lettere mss. busta 36, fasc. 6. Contiene in tutto 245 lettere non sempre
disposte iu' perfetto ordine cronologico. Ma il MAZzaTINTI erra dicendo che esse
vanno dal 1697 al 1729.

(1) La prima segnata: Misc. XXVI é un Carteggio' di diversi (tra cui anche il
Pagliarini) sulla Dissertasione Apologetica dell’ Abate Canneti ; la seconda segnata:
Mob. 3. 5. L? contiene tra le altre anche alcune lettere del Pagliarini intorno ad ac-
quisti d'incunaboli e manoscritti. Sono ricordate anch’ esse dal MAZzatINTI (op. e
I. citt., pag. 16, n. 651, e pag. 42, n. 827); ma solo una, del 1728, porta la firma del P.

(2) Queste lettere, di cui parla anche L. V. in Archivio Muratoriano (Modena,
Zanichelli, 1872), pag. 392, si trovano nella filza 74 dell'Archivio Soli-Muratori.

(3) Il BRaGazzt (op. e l. citt.) dice infatti che il P. morì nel giugno 1740, di
anni 73.

(4) Questo risulta da varie lettere del Boccolini al Canneti, e precisamente da
quelle in data 15 maggio 1716, 30 gennaio 1719, 14 giugno 1723; ma le lettere non
dicono di quali cariche si tratti: solo il Canneti nelle sue Osservazioni etimologi-
che ecc., in Quadr. del 1725, vol. II, pag. 341, lo chiama degnissimo Segretario del
Comune di Foligno. Del resto ho domandato schiarimenti in proposito all'Archivio
Comunale di quella città, ma non ho avuta risposta.
. Stesso: vi accenna poi anche nella lettera allo stesso in data 7 febbraio 1724, dove

490 E. FILIPPINI

biblioteca privata (1), che studia e sviscera attentamente le
patrie memorie, fa versi e corrisponde coi principali dotti
dell Umbria e dell’Italia, non potrà raggiungere la prodi-
giosa attività letteraria del suo illustre concittadino Ludovico
Iacobilli, che fu una delle menti più erudite e più produt-
tive del nostro seicento (2); anzi resterà a grande distanza
da lui per copia di lavori letterari. Ma il futuro scrittore
delle Osservazioni istoriche sopra alcuni passi del Quadrire-
gio (3), il futuro commentatore dei Fragmenta Fulginatis hi-
storiae di Bonaventura Benvenuti e Petruccio Unti (4), I illu-
stratore dell’opera poetica di Giacomo da Imola (5), del Bar-

(1) Si sa per es. che egli possedeva un cod. dantesco del sec. XIV e un cod.
delle Epistole di Ovidio tradotte in 8* rima da Domenico da Monticiello (cfr. il Quadr.
del 1725, vol. II, pag. 349) nonché un ms. delle poesie di F. M. Rivi da Foligno (cfr.
CRESCIMBENI, Istoria d. volg. poesia, vol. V, pag. 272). Il cod. dantesco forse era
quello stesso cod. miscell. di cui il P. parla nella lett.-al C. in data 5 aprile 1717
e che in un’altra del 22 dello stesso mese ed anno dice di avere spedito al C.

dice di volerlo cambiare con un cod. del Quadriregio posseduto da un « Prussiano »,
il quale non poteva essere altri che quel Filippo Stoschio, che poi lo vendé invece
al Card. Ottoboni (cfr. il mio studio su I codici del Quadr., pag. 24). Si sa anche che
il P. possedeva dei libri rari, come una copia del Quadriregio fiorentino senza data,
su cui cfr. il mio studio su Le edizioni del Quadr., pag. 9. Del resto anche il Bra-
GAZZI accenna alla importanza della biblioteca privata di G. Pagliarini (cfr. op. cit.,
pag. 131).

(2) Cfr. il lungo elenco delle sue opere da lui stesso inserito nella Bibliotheca
Umbriae (Foligno, Alterij, 1658), pagg. 187-190.

(3) Cfr. il vol. II del Quadr. del 1725 dalla pag. 127 alla 220, e il mio recente
studio su Le edizioni del Quadr. in « Bibliofllia », fasc. 1-2 dell’anno IX, pagg. 5-13.

(4) Cfr. il Tomo I dei Rerum Italicarum. Scriptores (Firenze, 1738) del Mura-
TORI, coll. 842-872. Questi fragmenta però non furono annotati soltanto dal PAGLIA-
RINI, ma anche dal Manni: la prefazione in latino è del MunaATOnI.

(5) Cfr. il vol. 38 della Raccolta di Opuscoli scientifici e filologici curata da
D. ANGELO CALOGIERÀ. Il Pagliarini aveva trascritto dal cod. Boccoliniano la canzone
di Giacomo da Imola « Nell’ ora che la bella concubina », il sonetto dello stesso al
Petrarca « O novella Tarpeia in cui s' asconde » e il sonetto responsivo del Petrarca
a lui « Ingegno usato alle question profonde »: aveva accompagnato i tre compo-
nimenti con una sua lettera illustrativa portante la data del 15 ottobre 1729, e aveva
spedito il tutto al Can. Francesco Mancurti imolese, chè forse lo avea richiesto di
notizie suli' antico poeta della sua patria. Il Mancurti tenne lungamente per sé
questa comunicazione finché nel 1746 ne fece dono al p. Girolamo Lombar.li, che
due anni dopo la faceva inserire insieme con una lettera del Mancurti stesso nella
Raccolta citata.
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 491

bati (1) e del Cotta (2), l'autore infine di parecchi altri scritti
minori sparsi qua e là nelle stampe del tempo (8), era già

a

(1) Di questa edizione delle Rime di PETRONIO BarBATI parlerò più opportuna-
mente in altro luogo del presente studio.

(2) Cfr. la lunga prefazione di 42 pagine al Dio di G. B. CorrA stampato a Fo-
ligno dal Campana nel 1733. Essa é un notevole saggio critico. del Pagliarini sui
famosi Inni sacri del poeta di Tenda, che vedremo essere stato suo amico.

(3) Distinguo fra questi i prosastici dai poetici. Tra i primi cito subito in or-
dine cronologico:

1.° Una RELAZIONE | del solenne Ottavario celebrato nella Città di Foli-
gno | per la Coronazione della Miracolosa Immagine | della | MADONNA DEL PIAN-
TO | Fatta con le Corone d? Oro della Sacrosanta Basilica Vaticana | li 14 Maggio 1713 |
dalla Venerabile Confraternita | Secolare sotto U invocazione di detta Beatissima |
Vergine, e di S. Leonardo | Dalla medesima consecrata | AU’ Eminentissimo e Reve-
rendissimo Principe | IL Sig. Cardinale | PIgTRO OTTOBONI | Protettore di detta Com-
pagnia | Scritta da Giustiniano Pagliarini Accademico Rinvigorito | et uno de? Fra-
tell della medesima |. In Foligno | MDCCXIII | Per Pompeo Campana Stampator
Pubblico | . Con Licenza de’ Superiori. Questa Relazione, preceduta da una dedica
al Cardinale Ottoboni, lunga due pagine e firmata dai Fratelli della Confraternita,
è in 48 pagine in ottavo e contiene particolari interessantissimi, prima sulla storia
del culto dei Folignati per la Madonna del Pianto e poi sullo svolgimento delle fe-
ste di quell’anno che durarono dal 14 maggio al 5 giugno e non furono religiose
soltanto. Io dovrò accennare più volte nel corso del presente lavoro a questo do-
cumento che ho trovato nella Nazionale Centrale di Firenze e per questo ora non
dico altro del suo contenuto. Aggiungerò che ad esso accenna lo stesso P. nella
lettera al Canneti in data 3 luglio 1713, ne parla il Giornale dei Letterati d’Ita-
lia, brevemente, a pag. 439 del vol. XV, e ne riporta un lungo brano il BRAGAZZI
a pagg. 110-111 dell’ op. cit.

2.° Una lettera scientifica del 5 marzo 1721 al march. Maffei, stampata nel
vol. XXXIV del Giornale dei Letterati d’Italia, pagg. 236 246, in cui si parla di un
caso di esplosione gassosa avvenuta in Foligno che avvalorerebbe una scoperta
recente fatta dallo stesso Maffei sull'origine del fulmine e che perciò ebbe l'onore,
secondo dice il CorTA (vedi op. cit. pag. 269), di essere inserita anche in un trattato
di fisica del Richter.

3." Un'altra lettera, storico-letteraria, del 10 luglio 1731 allo stesso CoTTA,
inserita nel volume delle Poesie diverse di questo poeta (Nizza, soc. tipogr. 1782,
pagg. 152 154) in cui il P. parla d'illustri Folignati dei secoli precedenti, fornendo
opportune notizie bibliografiche intorno ad essi da servire per annotare l’ edizione
prossima del Dio. Un altro lavoro in prosa, ma che conferma la sua attitudine
alla critica letteraria, 10 citerò ed esaminerò in seguito e in luogo più opportuno,
essendo strettamente legato alla storia dell’Accademia folignate.

Quanto poi ai versi del P., ce n° è di editi e d' inediti. I componimenti finora
conosciuti per le stampe sono undici sonetti, una canzonetta e uno sciolto. Cinque
sonetti si trovano raccolti nel vol. II. delle Rime di poeti illustri viventi pubblicate
da P. A. BupRIOLI (Faenza, 1729-1724, pagg. 313-315) in un ordine che non é eronolo-
gico. Riferisco qui quelli estranei all'Accademia :

]." Ecco il Lazio, ecco il Tebro, Ernesta, alfine
2» Quant’Alme forti invida morte al Rio.
Sono tutte e due del 1717, ma il primo fu scritto dal P. in lode della contessa Er-

imminente pn —

Reino

———
499 E. FILIPPINI

una bella speranza per la sua città natale. E se nel primo
decennio del ‘700 non si è ancora reso noto fuori del suo

nesta di Dietrichstein e tolto dal BuprioLI da una Raccoltu di Componimenti Poetici
stampata a Foligno in quell’anno, e che descriverò meglio in seguito. Il P. ne parla
nella lettera al Canneti in data 19 marzo 1717 e in quella del 29 marzo successivo,
dove accenna ad una variante poetica. Il secondo fu scritto per un' adunanza del-
l'Accademia perugina degli Irsersati sul problema: Utrum ad comparandum sa-
pienti gloriam magis fortuna conferat an virtus: lo riferisce con questo partico-
lare il Pagliarini stesso nella cit. lett. al C. in data 29 marzo 1717; ma il testo del
BuDpRIOLI presenta qualche variante, rispetto a quello ms. inserito nella lettera, dove,
per es., si legge: Quant’ alme forti ebbre di gloria, O Dio. Due altri sonetti dovet-
tero apparire in una raccolta poetica di Comacchio dedicati a S. Cassiano: lo dice
il P. stesso nella cit. lett. al C. del 29 marzo 1717, dove si lamenta anche dei molti
errori tipografici che li accompagnano ; ma io che non ho trovato questa stampa,
di cui parla anche il B. nella lett. al C. in data 20 gennaio 1717, non so che. valore
abbiano, né come comincino perché il P. non li inserisce nella lettera. — Due altri
sonetti comincianti coi vv.:
1.° Quel industre vivace almo colore
2.9 Pieno cosi di quel pensier tenace.
che si trovano anche inseriti nella iett. del P. al C. in data 1 ottobre 1725, furono
pubblicati in una raccolta poetica arcadica di quell’anno, di cui dovrò ancora par-
lare. Gli altri sonetti si riferiscono all'Accademia folignate e saranno indicati a loro
tempo. — La canzonetta comincia col v.:
Dio ti salvi, o chiara Stella,

* continua in strofe tetrastiche ottonarie a rime accoppiate parafrasando 1 « Ave

Maris Stella » e si trova intera a pag. 30 della Relazione sopra illustrata. Lo stesso
P. dice ivi d' averla fatta per la festa dell’ Incoronazione della Madonna del Pianto,
e perciò essa appartiene al 1713. — Il componimento in versi sciolti parafrasa una
selva latina del Can. Giovan Angelo Guidarelli di Perugia, già apparsa in una pub-
blicazione intitolata Ad Serenissimum Principem Eugenium Carmina (Romae, Sal-
ioni, 1717). La parafrasi del P. fu pubblicata a spese dell'autore (cfr. in proposito
la lett. del P. al C. in data 12 novembre 1717), col testo latino a fronte e con questo
titolo : AD SERENISSIMUM | PRINCIPEM | EUGENIUM | Fulginiae, MDCCXVII | Typis Pom-
peij Campanae Impressoris Pubblici | Superiorum facultate (8 pagine in ottavo).
Essa comincia col v.:
Germe eccelso d? Eroi, d° og altro Eroe

e prosegue per altri 75 versi (mentre i latini sono in tutto 40) celebrando le vittorie
del Principe sui Turchi e incoraggiandolo a nuove imprese militari per cacciarli
del tutto dall’ Europa, come avean cantato altri poeti del tempo. La parafrasi é lo-
devole: in fine reca la firma del P., il quale parla di essa nella lett. al C. in data
22 novembre 1717, in quella al Muratori del 29 novembre successivo e finalmente in
un’altra al C. del 25 febbraio 1718, dove accenna anche a una variante.

Quanto ai versi del P. inediti ed estranei all'Accademia, giova qui notare che
nella lett. sua al C. in data 26 aprile 1715 si parla di due sonetti fatti pel Predica-
tore P. Benincasa gesuita, ma ignoti: nella lett. dello stesso allo stesso dei 22 aprile
1717 si accenna a un altro sonetto che il P. avrebbe scritto sul tema: Degli errori
dei sensi e spedito a Perugia, ma ignoto anch'esso: nella lett. dello stesso allo
stesso dei 24 gennaio 1718 é inserito un sonetto arcadico del P. cominciante col v.
Vanne, Evrilla gentil, vanne dal cuore.
L'ACCADEMIA DBI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 493

paese con alcuna pubblicazione, egli non tarderà molto a
dar saggio del suo sapere e del suo buon gusto, sì da en-
trare prestissimo nelle più rinomate accademie e da aver
giudizi assai lusinghieri dai dotti del tempo (1). Fra la gio-
ventù studiosa di Foligno il Pagliarini teneva allora certa-
mente il primo posto.

Giovan Battista Boccolini primeggiava invece tra i fore-
stieri residenti in quella città, ma gareggiava col Pagliarini
per educazione e cultura. La sua figura ci è meno ignota,
perché ha avuto la fortuna di essere. variamente illustrata
dal Mazzuchelli (2) dal Vecchietti (3), dal Lombardi (4), dal
Bragazzi (5) e dal Carini (6). Tuttavia non si può dire che
le biografie dateci da codesti scrittori siano complete e del
tutto esatte, perchè in genere sono basate sull’ esame di pochi

(1) Entrò in Arcadia (come vedremo) nel 1717 col nome di Mintauro Ponziate.
Appartenne anche all'Accademia degl’ Insensati di Perugia, come dice il BUDRIOLI,
op. cit., l. cit. Da una lettera poi del Pagliarini al Muratori in data 12 maggio 1730
conservata in originale nell’ Estense di Modena e da me allegata in appendice, ri-
sulta che egli fu ascritto anche all'Accademia degli Assorditi di Urbino.

Quanto ai giudizi dei letterati il FRENFANELLI-CIBO (lav. cit., pag. 14) dice che il
Muratori lo chiamava dottissimo ; ma io, pur non dubitando di ciò, non so donde il
F. abbia raccolto la notizia. Inutile parlare del Boccolini che, come dirò, gli era
amico carissimo e ne faceva grandissima stima. Il CANNETI lo cita più volte come
erudito nella sua Diss.; e il Cotta (op. cit.) conoscendone gli scritti e sapendolo
possessore della tavola selenografica del Doppelmaier (pag. 159) ed esecutore di
un'esperienza sul fulmine (pag. 269) lo dice « per pregio di letteratura e scienza
riguardevolissimo ». Anche lo Zeno e il Crescimbeni harino per lui parole che atte-
stano una stima illimitata.

(2) Cfr. l'op. cit., pag. 1402, dove alle poche notizie biografiche aggiunge l'e-
lenco delle opere del B.

(3) Cfr. la sua Biblioteca Picena (Osimo, Quercetti, 1790-1793, Tomi I e II). Il
VEccHiETTI parla del Boccolini in vari luoghi dell’ opera sua: ne parla anzitutto
nella dedica del 1v tomo a Mario Compagnoni-Floriani possessore d' alcuni scritti
del B. stesso: poi ne parla più distesamente nella Pre/azione come autore d'un'opera
inedita uguale alla sua, che vedremo in seguito: da ultimo ne fa la biografia nel
tomo II a pagg. 284-286, dove accennà anche alle opere edite e inedite del B., cor-
reggendo e completando quello che aveva detto il MAZZUCHELLI.

(4) Cfr. la sua Storia di lett. ital. nel sec. XVIII (Venezia, Andreola, 1832), vol. VI,
pag. 137.

(5) Cfr. op. cit., pag. 73, dove aggiunge sul B. altre notizie importanti.

(6) Cfr. op. cit., pagg. 129 130, dove ricade in qualche vecchio errore, come fra
poco vedremo.
_—

494. E. FILIPPINI

documenti e nessun biografo finora s'é valso delle copiose
lettere da lui scritte ai letterati d'Italia suoi amici e conservate
in buon numero nelle nostre biblioteche. Nella Classense,
per es, si trovano 69 lettere autentiche del Boccolini all'Ab.
Canneti, che chiariscono molti momenti finora oscuri della sua
vita e ci fanno meglio conoscere in lui l' erudito e il lette-
rato (1). A questa raccolta che contiene molti elementi utili
allo svolgimento del presente lavoro, ho attinto parecchi do-
cumenti che allego in appendice dopo quelli del Pagliarini.
Ma veniamo ora alla origine del Boccolini.

Qui ci si presenta subito una questione importante. Il
Budrioli (2), il raccoglitore delle rime degli Arcadi (3), il
Cinelli-Calvoli (4), Apostolo Zeno (5), il Mazzuchelli (6) ci
dànno tutti il Boccolini come nativo di Foligno. Ma il Vec-
chietti per il primo, credo, nel 1791 corresse l'errore dichia-
rando che « da sicure notizie risulta ch'egli ebbe i suoi natali
« in Camporotondo, luogo dello stato e diocesi Camerine-

se (7) ». Veramente il benemerito autore della Liblioteca Pi-

cena avrebbe fatto meglio a documentare la sua affermazione ;
ma io non posso dubitare qui della sua veridicità, o, meglio,

(1) Questa é la raccolta di lettere boccoliniane più copiosa che io conosca:
furono annunziate anzitutto dal MAZZATINTI, Inventari ecc., vol. V, pag. 37, n. 790,
ed hanno la segnatura: 4. G?. Esse vanno dal 1716 al 1726 ed hanno per titolo: Let-
tere originali del signor Gio: Battista Boccolini di Foligno al P. Abb. D. Pietro Can-
neti intorno al poema de° Quattro Regni di Mons. Federico Frezzi. Un’ altra lettera
del B. già segnalata dall’ autore dell’ Archivio Muratoriano, pag. 299, si trova nella
Filza 55 deli’ Archivio Soli-Muratori presso l’ Estense di Modena. Di tutte queste let-
tere boccoliniane ho allegato le più importanti in appendice. Ma. altre se ne do-
vrebbero trovare in altri carteggi: una, per es., ne cita il VeccHIETTI nella nota 4^
a pag. XIV dell’ op. cit.

(2) Cfr. op. cit., indice.

(3) Cfr. op. cit., vol. IX, pag. 14.

(4) Cfr. la sua Biblioteca, Volante continuata da D. A. SANCASSANI (Venezia, 1734-
1747, Albrizzi) vol. I, pag. 173.

(5) Cfr. le sue Dissertazioni Vossiane (Venezia, Albrizzi, 1753), vol. I, pagg. 258
e 358, vol. II, pag. 154.

(6) Cfr. op. e 1. citt.

(7) Cfr. op. cit., tomo II, pag. 284. La stessa cosa il VEccniETTI aveva affermato
anche nella Prefazione cit., pag. XIV.
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 495

non ho prove da addurre in contrario, tanto più che questa
notizia è confermata in qualche modo anche da altri bio.
grafi. Il Lombardi, pur attingendo dal Mazzuchelli, non cade
nel suo errore (1). Il Bragazzi che considerava il Boccolini
come « un letterato estrano che ha onorato Foligno », lo
chiamò Piceno senza ‘determinare il suo luogo di nascita:
ciò che dimostra che egli non si valse dell’opera del Vec-
chietti (come appare, del resto, anche da altre circostanze
che indicherò in seguito), mentre egli stesso dice di aver
attinto le sue notizie da una fonte latina, di cui cita anche
alcune parole e che io non conosco (2). Ma la cosa più strana
è che dopo queste rettifiche il Carini, pubblicando nel 1891 il
primo volume della sua Arcadia, non ne tenne alcun conto
e tornò ad affermare l'origine folignate del Boccolini, ciò che
si spiega soltanto coll’ aver egli ricorso alla sola autorità del
Mazzuchelli (3). Pare che causa prima dell’ errore sia stato lo
stesso Boccolini che in un Avviso al Pubblico relativo ad
un’opera di cui farò menzione fra breve, si dichiarava foli-
gnate; ma questo forse era nient'altro che la conseguenza
della cittadinanza avuta per la sua lunga dimora in Fo-
ligno (4).

Nato quindi a Camporotondo nel 1675 (5), venne a Fo-
ligno, già istruito e addottorato, nel 1706, quando ebbe la
nomina di professore di eloquenza nel locale liceo, dove do-
veva rimanere per ben 21 anno, venerato da tutti i suoi
scolari (6). Poeta e critico, sentiva maggior inclinazione per
gli studi filologici e letterari; ma attendeva anche con pari

(1) Egli non dice dove nacque (cfr. op. e 1. citt.).

(2) Cfr. op. e 1. citt. Il BRAGAZZI accenna alla sua fonte con queste semplici
parole in parentesi: « dice il manoscritto da cui prendiamo le notizie della sua
« vita ». s

(3) Cfr. op. e 1. citt.

(4) Lo dice lo stesso VeccHIETTI (cfr. op. e l. citt.).

(5) Desumo questa notizia, che, del resto, nessun biografo ci dà esplicitamente,
da un calcolo molto semplice che si può basare sull’ età e sull'epoca della morte
del B. stabilite dal BRAGAZZI (op. e l. citt.) come ho fatto anche pel Pagliarini.

(6) Lo dice il Bragazzi in op. e l. citt.

T

5
MEI MI Pn, RIS UNICI E
"a dt

va

496 B. FILIPPINI

profitto a ricerche storiche (1). Neanche egli aveva pubbli-
cato nulla fino ad allora, ma a chi si preparava con tanto

(1) Dirò più innanzi dei suoi lavori (ilologici e storici: qui mi piace raccogliere
tutto quello che egli scrisse in latino e in poesia italiana.

Quanto al latino, lo stesso suo amico G. PAGLIARINI nelia Relazione sopra ri-
cordata riferisce a pag. 21-24 tuttociò che il B. dettò nell’ occasione di quelle feste
in onore della Madonna del Pianto. Si tratta anzitutto di due lunghe epigrafi da
appendere su appositi cartelloni in Duomo per la nota Incoronazione. Più impor-
tanti sono i 12 distici latini in lode delle virtù della Madonna, che furono posti an-
ch’ essi a caratteri cubitali nell’ interno della Cattedrale torno torno. Ma il componi-
mento latino più complesso che il B. abbia scritto risale al 1717 ed é collegato con
la storia dell’Accademia: per questo rimando il lettore a quel che dirò dell attività
di essa in tale anno.

Ugualmente scarsa è la sua produzione poetica italiana, come del resto era
da supporre in un temperamento più critico che altro. Quattro sonetti di lui si
leggono nel vol. II della citata raccolta del BuDRIOLI, pagg. 191-192: ne riporto qui
i capoversi nello stesso ordine :

l. — Dolce pensier che vai di parte in parte.

2. — Iniquo usurpator, perfido Trace.
3. — Ecco al viver mio caduco e frale.
4. — Uno de? miei pensieri il più felice.

Il Bup®ioLI dice nell'indice in quale occasione furono fatti questi componi-
‘ menti, eccetto il primo, ma non donde li estrasse e se furono letti in qualche Ae-
cademia. Vedremo che anche qui l'ordine non risponde alla cronologia. Un altro
sonetto del B. si legge nel vol. IX delle Rime degli Arcadi, Tomo I, pag. 14, Roma,
De Rossi 1722, e comincia col v.

Fia sol suo pregio e non fia giù minore.

È un sonetto encomiastico appartenente alla « Corona poetica rinterzata offerta
a Innocenzo XIII dalla Ragunanza d'Arcadia e dalle sue Colonie» e quindi appar-
tiene ai suoi lavori arcadici di cui si parlerà piü tardi. ;

È strano che di questi componimenti poetici del B. nessuno dei suoi biografi
si sia occupato, neanche i più copiosi di notizie, come il MAZZUCHELLI e il VECCHIETTI:
solo il BRAGAZZI (op. e l. citt.) dice in generale che «i suoi carmi fecer l'onore delle
molte Accademie cui fu ascritto ». E un altro suo componimento si trova in una mi-
scellanea nuziale, che ora descrivero perché vi ebbe una parte importante, quella
cioé di direttore.

La lettera sua del 29 gennaio 1717 al C. ci parla di una raccolta di versi di pa-
recchi poeti italiani, di cui si stava preparando la stampa in Foligno allo scopo di
celebrare le nozze principesche dell’Ambasciatore Cesareo principe di Gallas e la
Contessa Ernestina di Dietrichstein. Un amico del B. avea raccolto già 30 componi-
menti e pur desiderando d'arrivare a 50, avea affidato a lui la direzione della rac-
colta. La quale apparve entro l'anno col lungo titolo seguente: Raccolta | di comgo-
nimenti poetici | per le nozze | Dell’ IMustrissimo, ed Eccellentissimo Signore | Go.
VINCESLAO | DI GALLAS, | Det Sac. Romano Impero Conte del Forte Campo e di Torre
Libera, Duca | di Lucera, Signore Ereditario di Friedland, Gravenstein, Richem |
bergh, Wustung, Neydoff, Ebersdoff etc. Ambasciadore | Ordinario alta Santa Sede
per S. M. Cesarea, e Cattolica | Con U Illustrissima ed Eccellentissima Signora | ER-
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 497

corredo di cognizioni storiche, filologiche e letterarie a
pubblicare ed illustrare le opere teologiche della B. Angela
da Foligno (1), a dichiarare la lingua di Federico Frezzi (2), i
.& scrivere una Biblioteca del Piceno e dell'Umbria, intorno a aur

cui lavoró assiduamente per lunghi anni, senza peró riu-
scire a pubblicarla (3), per non parlare qui che dei suoi E

NESTINA | CONTESSA DI DIETRICHSTEIN | Primaria Dama d’Onore dell’Augustissima
Imperatrice Regnante. | In Foligno, MDCCXVII. | Nella Stamperia Pubblica, Con Li- [ERA
cenza de’ Superiori. Il volume in 4° piccolo e in 80 pagine tra numerate e non nu-
merate contiene: anzitutto una lettera di dedica all'’Ambasciatore, portante la data |
di Foligno 19 giugno 1717 e firmata dall'editore Pompeo Campana: poi un'avver- i i
tenza al lettore, in cui si rende conto della distribuzione della materia poetica e si | |
spiega il ritardo della pubblicazione: un Indice di 57 autori coi relativi richiami di SW
pagine : 64 componimenti poetici, tra cui una canzone, 58 sonetti, 3 epigrammi latini,
un'elegia latina e un' ode anch'essa latina: e finalmente un Indice dei capoversi dei SES
singoli componimenti coi nomi e titoli dei rispettivi autori, disposti in ordine alfa-
betico delle lettere iniziali. Gli autori sono quasi tutti non folignati: tra i pochi
folignati che vi contribuirono ci fu il Pagliarini, il cui sonetto già accennato si trova
a pag. 17 della parte numerata: altri li vedremo in seguito. Il componimento del
3occolini che é un sonetto, si trova a pag. 23 della parte numerata, comincia col v. :
In osio Amore arco tenendo, e strali,
e si aggira intorno al concetto che a quelle nozze presiedettero i « Geni onesti », non
l'Amore voluttuoso che perciò ha spezzato arco e saette. Questa pubblicazione che
io ho potuto consultare nella copia posseduta dalla Marciana di Venezia, fu subito
annunziata dal Giornale dei letterati d’Italia (cfr. vol. XXVIII, 1717, pag. 422) in
una corrispondenza da Foligno con le seguenti parole: « Con molta nobiltà è uscita

« dai torchi di questa pubblica stamperia in 4°, pag. 72, senza le prefazioni e l'indice
« degli autori, la Raccolta dei componimenti poetici per le nozze ecc. La distinta , iB
« nobiltà degli sposi é pareggiata dal loro merito e i componimenti qui pubblicati 4
« sono degni della loro grandezza ».

Altri componenti lirici fatti dal Boccolini per l'Aecademia di Foligno, li ve-
dremo in seguito.

Il Boccolini poi dovette lasciare parecchi versi inediti, di cui nessuno parla.
Nella lettera al C. in data 29 gennaio 1717 accenna a due strambotti e ad alcuni
versi latini di sua fattura, giudicati favorevolmente dal Canneti stesso, e di altri
versi italiani, di cui parlerò a miglior luogo.

(1) L'opera fu pubblicata a Foligno nel 1714: questo basti per ora, ché di essa
dovrò parlare più oltre.

(2) Cfr. il vol. II del Quadr. del 1725, dove le pagg. 221-360 contengono le sue
Dichiarazioni di alcune voci del Quadr.; cfr. anche il mio cit. studio su Le edizioni : jc de
del Quadr. LER pi |

(3) Quest’ opera é rimasta in gran parte inedita: é noto che alcune biografie xod
scritte dal B. furono, inserite nel vol. VI delle Antichità Picene dellAb. GIUSEPPE |
CoLucci (Fermo, 1789) dove nella pag. I si legge questa intitolazione: Memorie degli
uomini illustri del Piceno raccolte da G. B. Boccolini e lasciate inedite, acquistate
dal sig. D. Andrea Arciprete Lazzari e da lui corrette ed accresciute, finalmente
498 PILIPPINI

lavori di maggiore importanza (gli altri li vedremo più ol-

NC

tre), non poteva mancare la stima profonda della Foligno
colta che l'ospitó,e specialmente del Pagliarini che si strinse

pubblicate con moltissime giunte dall’ Autore delle Antichità Picene con ordine alfa-
betico dei nomi propri. L' inserzione va dalla pagina I alla CXII, fra le quali sono
comprese 64 biografie; ma nella Prefazione del volume é detto che sono del B. sol-
tanto le biografie 2-35, che occupano una cinquantina di pagine, né si può sapere
fin dove si estenda in esse il lavoro di correzione e di aggiunzione fatto da altra
mano. Sicché qui non abbiamo che un saggio, e neanche autentico, dell opera del
B. che, come vedremo, doveva essere molto complessa.

Di essa parlano tutti i biografi ricordati; ma chi ne parla più a lungo é il
VECCHIETTI, che solo un anno dopo del CoLucci pubblicava la sua Biblioteca Picena
già da me citata. Orbene, egli a pag. XIV della sua Prefazione comincia col rilevare
che il Boccolini attendeva ad essa mentre lo stesso lavoro (rimasto inedito) faceva
per conto suo un altro marchigiano, Clemente Antonio Bonfini, col quale egli cercò
di mettersi d'accordo, senza forse riuscirvi. Poi continua con queste importanti pa-
role: « Esercitando il Boccolini in detta città di Foligno circa il 1721 l'onorato im-
« piego di maestro pubblico di Eloquenza, volle accoppiare all’ altre sue cure lette-
« rarie ancor quella di raecoglier le notizie degli Scrittori Piceni ed Umbri. Vi si
« applicò egli di fatto con tal calore, che dopo qualche anno trovossi in istato di
« pubblicar colle stampe la prima Parte del suo lavoro, a cui premise il seguente
« titolo: Degli Scrittori e letterati Piceni. Parte Prima, di G. B. Boccolini ecc... Che
« l'opera di questo scrittore fosse già prossima ad uscire in luce, si dimostra in
« primo luogo da due Prospetti, o Notificazioni, a tal effetto divulgate, una dai
« torchi di Feliciano e Filippo Campitelli di detta Città di Foligno: (e sarebbe l'av-
« viso in cui, come ho detto dianzi, il B. stesso si sarebbe spacciato per Folignate)
« e l’altra del 21 gennaio 1726 da Pompeo Campana, impressore :ncor egli della
« Città medesima. Più chiaramente poi risulta dall’ essere stato il Ms. esibito per la
« necessaria approvazione tanto al Vescovo Giosafatte Battistelli, da cui si appose
« l'Imprimatur ai 26 di marzo del divisato anno, quanto al P. Fr. Tommaso Maria Mas-
« serotti, Inquisitore di Spoleti, che ne commise la revisione al Conte Francesco Maria
« Campelli, dal quale fu segnato il favorevole suo voto ai 24 di giugno dello stesso anno.
« O che il Boccolini non trovasse poi un numero di Associati che il rilevasse dalla
« spesa oceorrente, o piuttosto, che prevenuto dalla morte, siccome opino P. Ruele,
« (cfr. Bibl. Vol. di G. CINELLI, pag. 39) non poteva effettuare il suo disegno, il vero
« sié che l'opera non fu mai pubblicata, da lui, e il MS. originale si possedeva qual-
che anno addietro da una nobile famiglia Maceratese, da cui ottenemmo di trarne
« copia » e che era quella di Giovanni Maria Ranaldi, come dice lo stesso V. nella
biografia del B., Tomo II, pag. 286. Narra poi lo stesso autore della Biblioteca Picena
che il CoLucci si valse di un agografo del lavoro boccoliniano, e che era poi quello
del Lazzari, e ne pubblicò una parte con un certo disordine e con qualche falsa
interpolazione. Aggiunge (e questo per noi è più importante, perché egli parla. col-
lautografo del B. davanti) che la prima parte dell'opera, cioé quella relativa al Pi-
ceno, contiene 103 biografie e la seconda, quella cioé riservata agli Umbri letterati,
era ancora allo stato di un abbondante e indigesta collezione. Da ultimo il V. si
professa grato al B. che gli ha fornito un materiale utilissimo, sebbene incompleto,
per comporre la sua Biblioteca, ed anche al Mons. Pompeo Compagnoni che annotò

*
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO; ECC. 499

a lui in grande amicizia e l'ebbe poi attivissimo collabora-
tore. Animo mite e gentile a tutta prova, si preparava a
rendere segnalati favori ai migliori letterati d'Italia e ad
averne in compenso attestati di grandissima considerazione
e simpatia (1). Animato da una grande passione umanistica

con efficaci osservazioni il ms. boccoliniano. Tutte queste notizie del V. servono a
ricostruire la storia di un importante ms. che é stato tanto consultato e che ora
non sappiamo dove si trovi. Dopo il V. infatti mi pare che nessuno n° abbia più par-
lato, e di più vengo ora a sapere dall’egr. avv. R. Foglietti di Macerata che la famiglia
Ranaldi si estinse verso la metà del secolo scorso e che le sue carte andarono
disperse. A me é possibile solo dimostrare che il lavoro cominciato prima del 1721
costo molte fatiche e dolori al B., come il lettore vedrà dalle lettere qui allegate in
appendice del 17 novembre 1719 (donde appare che volea pubblicarla nella Pasqua
seguente) del 10 maggio, 5 agosto e 25 settembre 1720, 10 agosto e 25 settembre 1222,
19 e 22 novembre 1723, 16 novembre e 3 dicembre 1725 (da cui risulta il piano del-
l’opera e gli avvisi pubblicati e da pubblicare) 8 luglio e 2 agosto 1726, nelle quali
ultime si parla anche del disegno dell'opera e dell'imminente pubblicazione. Da
una lettera poi del Pagliarini al C. in data 16 maggio 1728 apprendiamo che egli si
proponeva di pubblicarla per sottoscrizione; ma non sappiamo perché non man-
tenne poi la promessa.

Il V. (tomo II, pag. 286) fa anche menzione d'un'altra opera inedita del
BoccoLINI, intitolata Notizie 4storiche spettanti all’ Accademia dei Catenati del-
UIU.ma Città di Macerata e aggiunge che una copia ne possedeva allora il Conte
Mario Compagnoni-Floriani con in fine questa memoria: « Io Gio : Battista Boccolini
« donai l'originale delle Notizie storiche ecc. all’ istessa Accademia il dì 12 agosto
« 1718, incominciando fin dal 1574 ». Ma di questo lavoro non parla alcuno degli al-
tri biografi, neppure di quelli posteriori al V. Lo stesso avv. R. Foglietti mi scrive
che fra gli Atti incompleti di quell’ Accademia non ha mai saputo che si trovi la
nota storica del B., la quale pare non sia neanche ricordata in un discorso di Carlo
Ercolani, sulle Memorie di quell'Accademia, stampato a Macerata nel 1820.

(1) Questo afferma anzitutto il MAzzucHELLI (op. e l. citt.) riferendosi a due
luoghi della cit. op. dello ZENO, ad uno delle sue note alla Biblioteca dell’eloquenza
italiana di G. FONTANINI, e a due del suo « Giornale dei letterati d'Italia », nonché
ad altri cinque dell’ Istoria ecc. del CRESCIMBENI. Ma non furono soltanto il CRE-
SCIMBENI e lo ZENO che si giovarono degli aiuti del Boccolini: tutta la corrispondenza
di lui che riferisco in appendice, dimostra quanto questi fosse largo di continue in-
dicazioni, suggerimenti e informazioni letterarie anche col Canneti. E del resto i
luoghi in cui lo ZENO e il CRESCIMBENI ricordano con vera deferenza il nome del
Boccolini sono ben di più che il M. non creda. Vediamo intanto qui quelli dello
ZENO: a pag. 258 del vol. I delle Diss. Voss. é detto che il B. gli fornì molte impor-
tanti notizie tratte dal ms. di Durante Dorio intitolato Le Cronache di Gualdo e con-
servato nella Bibl. del Seminario di Foligno, che servirono allo ZENO per ritessere
la vita di Nicolò Perotti di Sassoferrato, e specialmente gli trascrisse dallo stesso
codice la lunga lettera del Perotti che il letterato veneziano riporta per intero in
cinque colonne e mezza di stampa; a pag. 358 dello stesso volume è detto che il B.
avea comunicato allo ZENO il vero cognome di Antonio Tudertino, che era Pacini; e a
"i

i

side wt È

" È; X

"7

y
am.

NL È

500 E. FILIPPINI

per la ricerca dei codici e dei libri rari, ne acquisterà al-

euni con grave sacrificio (1), ne studierà il contenuto, lo

pag. 154 del vol. II é detto che lo ZENO sapeva esistere presso il B. un codice a penna
del 1533 intitolato Amorum libellus e contenente alcune elegie di Alessandro Bracci
fiorentino indirizzate a Iacopo di Poggio Bracciolini, e ciò, com’ é evidente, per. co-
municazione epistolare dello stesso B. In tutti questi luoghi lo ZENO esprime sem-
pre la sua altissima stima pel B.; come nella nota a pag. 309, del vol. T della cit. op.
del FONTANINI (Venezia, Pasquali, 1753) a proposito delle illustrazioni del Quadrire-
gio stampato nel 1725, e in diversi luoghi del Giornale citato, per es. nel vol. XI
pag. 156, nel vol. XVIII pagg. 332 e 333, e nel vol. XIX pag. 412. Quanto al CRESCIM-
BENI, egli ebbe dal Boccolini parecchie notizie di cui si valse per i suoi Commentari
e precisamente quelle riguardanti il Quadriregio a pag. 27 del vol. IV, quella di una
lettera di Feliciano Silvestri di Foligno a pag. 201, quella relatíva alla morte di B.
Degli Onofri di Foligno a pag. 237, quella della data della morte di Flavio Flaviani
di Foligno a pag. 255, tutte quelle relative ai codici della Biblioteca del Seminario
di Foligno così spesso nominata nello stesso volume; ed altre che vedremo nella
nota seguente; e dappertutto anche il CRESCIMBENI usa parole assai rispettose pel
Boecolini.

(1) Poco sappiamo dei libri rari del B.; tuttavia ne vediamo qua e là accen-
nati alcuni come un Prisciano (efr. lettera del B. al OG. in data 20 settembre 1720), un
Quintiliano (cfr. lett. id. 9 ottobre 1722), un Lipsio (cfr. le lett. id. 24 gennaio, 7 e 21
febbraio, 11 marzo, 29 luglio e 8 agosto 1718, 30-gennaio 1719) e un Vossio che ebbe una
storia assai triste, poiché, quando esso era già stato spedito in prestito a Giuseppe
Tiraboschi di Sinigaglia, questi dichiarò di non averlo ricevuto e poi si seppe che
era rimasto lungamente presso la dogana di quella città ed era stato gravemente
danneggiato, sicché si dovette pensare a un cambio con un altra copia della stessa
opera posseduta dalla Biblioteca del Seminario di Foligno per rendere meno sen-
sibile il dolore di quel danno all’ animo per altre ragioni angosciato del Boccolini,
(cfr. le lett. del B. al C. in data 25 gennaio, 19 e 23 aprile, 31 maggio, 21 giugno,
13 e 30 agosto, 20 settembre 1723, 22 agosto 1724, 16 novembre 1725, 2 agosto 1726,
nonché le lettere del Pagliarini al C. in data 15 gennaio, 30 marzo, 7 maggio, 18 giu-
gno, 1 ottobre 1725 e 22 marzo 1726).

Quanto ai codici del B., uno ne abbiamo già visto citato dallo ZENO, in Diss.
Voss. ecc.: altri sei o sette ne registra il CRESCIMBENI (op. cit., vol. V, pagg. 201,
208, 222 e 227) a proposito del Silvestri, del Verucci, di Paolo da Foligno e del Zi-
telli. Ma più copiose notizie troviamo nelle lettere del B. al C.; in quelle del 30 ot-
tobre e 6 novembre 1716 egli annunzia un suo codice seritto nel 1480 e contenente
le opere latine di Gregorio di Città di Castello e di Basinio da Parma, e alcune tra-
duzioni da Pindaro, da Claudiano, da Ausonio e dal Biondo fatte da Niccolò della
Valle: in quella del 22 novembre successivo ricorda quattro altri codici contenenti
traduzioni ed altre cose di Leonardo Aretino, e alcuni scritti di Pio IT, Iacopo Zeno, Fran-
cesco Patrizio ecc.: nella lettera del 16 novembre successivo deserive un altro suo
codice contenente un commentario: delle opere di Orazio, fatto dal Maestro Vescon-
tino da Pescia con proemio latino:in quelle del 29 luglio e dell' 8 agosto 1718 parla
del codice del B. Odorico, di cui era molto geloso: in quella del 23 gennaio 1719
dice di possedere fogli originali di Giovanni Matteo Savi da Tolentino: in quelle del
luglio 1719 e del 18 dicembre dello stesso anno, del 10 gennaio 1721, 2 novembre 1722,
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 501

farà conoscere a chi ne avrà bisogno (1) e legherà il suo
nome ad una raccolta manoscritta di antiche poesie in, vol-
gare (2). L’Arcadia lo accoglierà presto fra i suoi pastori
provinciali più laboriosi (3) e non poche altre accademie lo
acclameranno loro socio (4): il suo nome si diffonderà dap-
pertutto e l'autorità dei suoi giudizi letterari sarà general
mente riconosciuta (5) ed apprezzata vicino a quella del Pa-

12 febbraio e 12 marzo 1723, 8 luglio e 2 agosto 1726 parla di due codici di lettere
che egli possedeva e dava a prestito al Canneti : in quella del 20 settembre 1720 ac-
cenna a un prezioso ms. mutilo della Geografia di Tolomeo. Inoltre il B. possedeva
un codice del Quadrigerto che oggi si trova a Firenze e pel quale cfr. il mio studio
su 7 codici del Quadr., pagg. 24-28; e un’altra diecina di codici egli stesso registra
in fine alle citt. Dichiarazioni del Quadr. (ediz. 1725, vol. II, pag. 349), compresi però
quelli del B. Odorico e di Paolo da Foligno già accennati qui sopra: uno di questo
gruppo é quello ora posseduto dal FALOCI- PULIGNANI e contenente la Visione del
B. Tommasuccio da Foligno (cfr. il mio studio recente Per una Visione francescana
del Trecento, in « Bibliofilia », vol IX, disp. 6-7).

Del resto, sulla biblioteca del B. cfr. il-BRAGAZZI, Op. cit., pag. 131, nonché
quel che dissi già io in una nota a pag. 27 del mio studio cit. su I Codici del Quadr.,
e quel che dice anche il Pagliarini nelle sue ultime lettere al Canneti del 16 mag-
gio, del 21 giugno, del 26 luglio, del 13 e 24 settembre 1728 e 23 dicembre 1729, dalle
quali apprendiamo che essa era molto ricca e che prima e dopo la morte del B.
andò dispersa fra diversi compratori, fra cui anche il Canneti.

(1) Vedi sopra i servigi letterari da lui resi al CRESCIMBENI, al CANNETI, allo
ZENO.

(2) Alludo specialmente ad un cod. misc. contenente poesie di 50 e più poeti
italiani, cit. dal CRESCIMBENI (op. cit., vol. V, pagg. 5, 12, 18, 24, 215, 220) sempre col
nome di Boccoliniano e compreso anche nel cit. Catalogo dei mss. del B. (cfr. Quadr.
del 1725, v..II, pag. 349).

(3) Non sappiamo quando entrasse in Arcadia col nome di Etolo Silleneo, ma
certo prima del 1718, come dirò più oltre: la sua attività arcadica è dimostrata dai
servigi resi al Crescimbeni, da qualcuna delle poesie sopra riferite e dal Compendio
della vita di Girolamo Monti da Terni che si legge nel Tomo I delle « Notizie degli
Arcadi morti » a pagg. 354-56, e che è ricordata fra le altre sue opere dal Mazzu-
CHELLI e dal BraGAzzi (cfr. opp. e Il. citt.): uno scritto senza importanza.

(4) Egli fu infatti tra i Filoponi di Faenza, gl’ Imsensati di Perugia, gli Assor-
diti di Urbino, i Catenati di Macerata, gli Operosi (di Lubiana ?), i Muti di Reggio,
i Riformati di Cesena, gli Arsiosi di Gubbio. Io non ho esaminato gli atti di tutte
codeste Accademie; ma il BUDRIOLI (op. cit., Indice) attribuisce tutte codeste iscri-
zioni accademiche al B. Se è vero quanto dice il raccoglitore faentino, il B. avrebbe
appartenuto a un numero di Accademie-molto maggiore che il Pagliarini: alla qual
cosa poté contribuire.la sua fama anche maggiore nel campo degli studi letterari,

(5) È inutile illustrare questa affermazione dopo ciò che ho detto nelle note
precedenti: il Crescimbeni, lo Zeno, il Canneti, il Mazzuchelli ecc. lodano dapper-
tutto la sua operosità, erudizione e diligenza critica.

34

A È

prf. Pe

"

he

Pi SE
a I» 7 P ac Zu À 4 L4 f
fi 1222
È
502 E. FILIPPINI
gliarini e dei migliori letterati umbri. In mezzo a tanti

onori lo colpiranno purtroppo domestiche disgrazie (1), che
lo ridurranno a darsi al sacerdozio (2); ma egli non cesserà
per questo di lavorare e nel lavoro si farà sorprendere dalla

morte precoce (3).

Il Pagliarini e il Boccolini, per quanto diversi di età e
di nascita, andavano all’ unisono perfetto per carattere e
sentimenti e s'integravano a vicenda per coltura e per
studi: il loro accordo completo era anche nella modernità
delle idee e delle iniziative. Ma in mezzo a loro cominciava
già a brillare un altro spirito folignate altrettanto moderno
e colto, e poiché anche lui fu dei primi Zinvigorit e acqui-

(1) Narra il BRAGAZZI che rimase vedovo ancor giovane e che questo lo decise
poi al sacerdozio (cfr. op. e l. citt.). Ma egli non dice quando avvenne la morte della
moglie. Questo particolare risulta chiaro dall esame della corrispondenza del Pa-
gliarini e del Boccolini stesso col Canneti. La lettera del P. in data 19 ottobre 1725
ci dice che la moglie del B. allora era gravemente malata di idropisia, e quella del 15
ottobre successivo ci parla della sua malattia come di un caso disperato. Con altra
lettera del 29 ottobre il P. avvisa il C. che la signora Boccolini era già morta da
due giorni, e quindi il 27 dello stesso mese. Da queste due lettere poi e da quella
del B. al C. in data 16 novembre si apprende la triste condizione in cui egli si venne
a trovare per questa disgrazia, con sette figli in casa (4 femine e 8 maschi), con
una salute malferma e in gravi strettezze finanziarie. Il B. aveva allora 50 anni.

(2) Di questa sua decisione si parla già nella lettera del P. al C. in data 5 aprile
1726, dalla quale appare anche P opposizione del vescovo Battistelli. Ma ad onta di
ciò il 28 ottobre successivo il B. era già sacerdote, come ci attesta l'altra lettera
del P. in data dello stesso giorno.

(3 Tutti i biografi precedenti al BR AGAZZI dicono che il B. morì tra il 1726 e il
1723: anche il CARINI, op. e l. citt., lo dice morto prima del 1733. Ma, secondo il
BRAGAZZI (op. e l. citt.) egli morì il 21 aprile 1728, e quindi un anno e mezzo dopo
la morte della moglie: ciò è confermato dalla lettera del P. al C. in data 26 aprile
successivo. Da altre lettere precedenti: apprendiamo che la sua malattia fu peno-
sissima : il P. fin dal 14 ottobre 1726 informava il C. che il B. soffriva di difficoltà di
orina e di mal di pietra, e nella lettera del 17 febbraio 1727 parla di un aggrava-
mento del male e della incapacità del B. a sostenere la necessaria operazione chi-
rurgica. Secondo poi le lettere dell'8, del 12, del 22 e del 29 marzo e del 5 aprile il
tormento del B. era divenuto sempre maggiore, sicché poi in quella del 16 aprile si
fa prevedere come prossima e irreparabile la morte del B., il quale pochi giorni
dopo, come si é visto, soccombeva lasciando 6 figli, poiché una figlia si era già ma-
ritata a Tolentino come appare dalla lettera cit. del P. in data 28 ottobre 1726. Le
ire lettere poi del B. stesso al Canneti posteriori à quella cit. del 16 novembre 1725
dimostrano che egli attese sempre in questi ultimi mesi di vita ai suoi studi e al»

l'opera sua principale.
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 503

stò subito un posto importante nell'Accademia, non voglio
tardare a farlo conoscere ai lettori. Era costui Antonio Ba-
rugi, nato in Foligno da famiglia borghese nel 1684 e perciò
molto più giovane del Boccolini e del Pagliarini. Mente agile
ed aperta alle soddisfazioni del sapere, avea studiato priva
tamente le lettere sotto la guida del dotto canonico G. B.
Calcioni, allora professore nel seminario di Foligno, sì da me-
ravigliare per i suoi rapidi progressi lo stesso maestro (1). Poi,
avendo evitato per miracolo di attendere alla mercatura (2),
era andato all’ Università di Macerata per frequentarvi i corsi
di retorica e filosofia; ma al quarto anno sopravvenutagli la
morte del padre, avea dovuto lasciare a mezzo i suoi studi
per ritornare in patria e assumere il governo della famiglia
e la direzione degli affari paterni. I suoi ideali scientifico-
letterari non tramontarono per questo, poichè egli che si sen-
tiva fortemente inclinato alla poesia, si mise a scrivere versi
latini, e proprio in quel tempo sorgeva l'Accademia folignate
che molto s’ aspettava dal suo ingegno. Il Pagliarini avea
per lui una grandissima stima, come dimostra l’ affettuosa e
assai lusinghiera biografia che egli ne scrisse dopo la morte (3)
e dalla quale io ho tratto queste notizie: a ciò forse si deve
se noi troviamo associato il nome del Barugi a quello del
Pagliarini e del Boccolini fin dalle origini dell’Accademia.
Ma torniamo a questa. Chi dunque ebbe la prima idea
di fondare la nuova Società? E quando fu fondata? Alla
prima domanda sol uno fra tre storici risponde col nome del
Pagliarini: basterebbe questo per far ritenere che il fonda-
tore vero sia stato il Boccolini, secondo l’affermazione con-

(1) Il MAZZUCHELLI (op. cit.) dice che egli studiò lettere nel Seminario di Foli-
gno; ma egli interpretò male, in questo luogo, la fonte a cui attingeva e che dirò
presto quale fu.

(2) Pare che in ottener questo dalla volontà contraria del padre lo aiutasse
molto lo stesso canonico Calcioni.

(3) Cfr. l'elogio di A. B. nel I tomo delle Notizie istoriche degli Arcadi morti
(Roma, De Rossi, 1720), pagg. 92-96, sottoscritto da Mintauro Ponziate che, come ab-
biamo visto, era il nome arcadico del Pagliarini.
VGA
dl ed

HL A

X
E:



m 9

".

A".

504 E. FILIPPINI

corde degli altri. Ma poiché anche questo potrebbe essere
un giudizio fallace, vediamo se non ci siano delle testimo-
nianze piü antiche che ci possano in qualche modo illumi-
nare su tale questione. In mancanza di documenti mano-
scritti, io ricorro alle stampe del tempo e trovo che l'au-
tore della prefazione ormai più volte citata non parla di un
solo fondatore, ma di « alcuni gentili spiriti della città
nostra » a cui « piacque stabilir la presente (Accademia) »:
così egli sfugge alla nostra inchiesta accennando ai soci più
antichi e tacendo il nome di chi primo lanciò l'idea in mezzo
ad essi. Lo scrittore era troppo modesto per dire che era
stato lui il vero fondatore della Società, poichè io credo che
quell' opuscolo con tutta la prefazione si debba al Boccolini.
Ma il merito di quest' iniziativa non poteva essere che suo:
ce lo attesta assai chiaramente lo stesso Pagliarini in un
luogo che dev'essere sfuggito all'acuta osservazione del Fren-
fanelli -Cibo. Infatti nella biografia del Barugi testé accennata
è detto che «la fondazione dell’Accademia de’ Anvigoriti in
« restaurazione d’altre antiche già decadute, è un vantaggio
« che la città di Foligno il debbe al nobil genio di G. B.
« Boccolini celebre Professsore di lettere umane, che ha la
« gloria’ non solo d'esserne il Fondatore, ma ecc. » (1). Que-
sto periodo del Pagliarini pubblicato l'anno dopo di quello
del Boccolini sembra una correzione e una rivendicazione
che non ammette più dubbi nè smentite: come tale lo con-
sideró il Mazzuchelli accennando direttamente alla fonte che
lo conteneva, e il Bragazzi mettendosi forse sulle sue orme (2),
e come tale dobbiamo considerarlo noi, anche per un'altra
ragione che esporrò fra poco e che si collega con la data
della fondazione.

(1) Cfr. op. e 1l. citt., pag. 94.

(2) Dico « forse » perché non si sa a quale fonte abbia attinto la notizia il BRA-
GAZZI; ma non credo che abbia avuto presente lo scritto del Pagliarini per il fatto
che egli non dedica neppure una riga al Barugi nel suo Compendio della storia di
Fuligno:
505

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

Quanto a questa, gli scrittori non parlano tutti con la
chiarezza desiderata. Se interroghiamo infatti il Jarckius ed
il Zanon, apprenderemo soltanto che l'Accademia dei nvi-
goriti fioriva nel 1715: è troppo poco (1). Né mostra di saperne
di più il Frenfanelli-Cibo quando ci annunzia che « sul prin-
« cipio del secolo XVIII vediamo sorgere a Foligno i Anvigo-
riti » (2). E sì che il Mazzuchelli aveva già fissato l'anno 1:07
come quello in cui fu costituita la Società folignate, ma l'aveva
fissato in una breve biografia, quella del Barugi, a cui pare
non si sia data troppa importanza. Ma molto prima di lui
avea stabilita questa data il nostro Pagliarini nella sua no-
tizia storica sullo stesso Barugi (3), e molto piü tardi era
stata confermata dal Bragazzi (4). Cosi l'Accademia sorse un
anno dopo della venuta del Boccolini a Foligno: ció che per
me è una prova di più per ammettere, se ce ne fosse biso-
gno, che l’idea prima della fondazione si debba a lui e non
ad altri.

Io ho cercato anche di sapere in quale mese e in che
giorno del 1707 fu inaugurata la detta Società, e neanche
per questo ho dovuto ricorrere a documenti manoscritti. Una
stampa ancora più antica dell’accennato lavoro biografico del
Pagliarini, il Catalogo cioè del 1719, ci dice che l'inaugura-
zione avvenne il 25 novembre di quell’anno (5): e certamente
nessuno poteva saperlo meglio del Boccolini o di chi com-
pilò il Catalogo sui registri accademici.

A questa solenne adunanza dovette partecipare ‘il fior
fiore della cittadinanza folignate, ed un’ eletta schiera di
uomini dovette far corona al Boccolini, al Pagliarini e al Ba-
rugi, che io immagino raggianti di soddisfazione. Ma noi non
sappiamo chi fossero i primi a stringersi intorno a questi tre:

(1) Cfr. opp. e ll. citt.

(2) Cfr. scritto cit., pag. 14.
(3) Cfr. op. cit., pag. 94.

(4) Cfr. op..cit., pag. 126.

( *. Op. cit., pag. 13.

oem n Bec sanctis Cice anh
506 E. FILIPPINI

i soci più antichi si trovano confusi cogli altri più recenti
nel Catalogo pubblicato parecchi anni dopo, senza alcuna in-
dicazione di tempo che accenni al loro ingresso nell'Acca-
demia (1): solo potremo fare delle induzioni tenendo conto
delle stampe che fra il 1707 e il 1719 registrano i nomi di
alcuni Rinvigoriti. Non sappiamo neanche chi tenne l'imman-
cabile discorso inaugurale e se vi si recitassero altri componi-
menti letterari, com'è naturale che si facesse. Certo però in
questa adunanza si cercò di fissar bene il carattere e lo scopo
della nuova Società e le si diede un nome di battesimo che
stabilisse la sua differenza con quelle che l'avevano pre-
ceduta.

I soci fondatori consideravano ormai l'Accademia come
un'antica istituzione locale che aveva avuto varie fasi ed
aspetti, secondo i tempi e le persone, e che ora era misera-
mente caduta. Per farla risorgere a miglior vita essi non
continuavano l'opera d'una determinata Società precedente,
ma, come poi dimostrarono coi fatti, pensavano a dare al-
l'istituzione nuovi e più forti alimenti. Per questo i moderni
accademici credettero di non potersi dare un titolo più ri-
spondente al comune intendimento che quello già assunto da
altre accademie lontane di Bologna e di Cento in Romagna (2),
e si chiamarono Znvigoriti. Ed invero nessun titolo era più
adatto di questo a qualificare quelle sane e dotte coscienze
che stanche ormai degli acrobatismi poetici del secolo XVII,

(1) Vedremo in seguito man mano quali s-mbrano gli altri soci più antichi.

(2) Il FANTUZZI in Notizie degli scrittori Bolognesi (Bologna, 1781), vol. I, pag. 18,
parla di un’Accademia bolognese detta degli Imnvigoriti che sarebbe sorta nel 1614.
Il QuApRIO poi (op. cit., 1. I, pag. 63) dice che un’ Accademia dei Rinvigoriti di Cento
fu sostituita nel 1694 a quella più antica detta del Sole, con leggi stese dal segreta-
rio F. A. Bagni: queste leggi furono riformate e pubblicate nel 1732 in Bologna dal
principe dell’ Accademia Girolamo Barruffaldi. Io non ho visto questa pubblicazione,
che del resto non può essere per noi molto importante, non potendosi forse su di
essa sceverare il testo più antico dal moderno. Il Quaprio ci dice anche che l' im-
presa dell’Accademia centese era un vaso di fiori posto sopr.i una mensa col motto:
Alit viresque ministrat.
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 501

aperte ai nuovi soffi della dottrina e della critica, univano
le loro forze per rialzare le sorti della coltura locale (1) e
si volgevano a seri ed utili studi storico-letterari.

(Continua). E. FILIPPINI.

(1) Il PAGLIARINI nella cit. biografia del Barugi, lodando l’opera del Boccolini
come fondatore e sostenitore dell’ Accademia, accenna all’utile che questa faceva
alla gioventù « la quale co’ letterari esercizi ha ripigliato l’amore per le belle
< arti » (cf. pag. 94).
DI UN GROSSOLANO ERRORE TOPOGRAFICO

NELLA STORIA UMBRA

DELL'ALTO MEDIOEVO

È notorio che, nel Regno longobardo, subito dopo l'auto-
rità e la giurisdizione del Duca, veniva l'autorità e la giu-
risdizione del Gastaldo: una specie di pubblico ufficiale giu-
diziario - amministrativo - militare, la cui nomina e la cui revoca
spettarono, in origine, al Re, e poi ai Duchi, quando il potere
regio venne soverchiato dal potere ducale. Ed è pure assai
noto che i Ducati longobardi furono divisi in Gastaldati, a
ciascuno dei quali presiedeva un Gastaldo (1).

Anche i vasti e potenti Ducati di Spoleto e di Bene-
vento ebbero, come gli altri, i loro Gastaldati, di molti dei
quali rimane non solo chiara memoria, ma, si ancora, ab-
biamo elementi tali, da poterne determinare, con tutta sicu-
rezza, l'estensione. E tra i più ampi, nel Ducato di Spoleto,
fu senza dubbio quello di Castro Pontano, il quale compren-
deva tutto il territorio dell’alta valle del Nera, con Norcia e,
quasi certamente, in origine, Cascia, fino a confinare con
l’altro Gastaldato non meno vasto e celebre di Rieti (2). Anzi,

(1) SCHUPFER F., Delle Istituzioni politiche longobardiche, Firenze, Le Monnier,
1863, lib. II, cap. 39, pag. 309 e segg.

(2) Per la nostra questione non importa una delimitazione, più o meno rigo-
rosa, di confini. Però, volendo occuparsene, bisogna tener conto delle oscillazioni
verificatesi nello sviluppo dei vari centri abitati, di un dato organismo politico od
amministrativo. Altrimenti, si va incontro al comune difetto di riguardare tali orga-
Ei

d
^N

RO

i DE A

P.

S, eir ,

510 G. SORDINI

taluni insigni scrittori, dal Galletti al Troya, allo Schupfer,
al Sausi, hanno ripetutamente affermato che il Gastaldo di
Castro Pontano estendeva la sua giurisdizione fino a Otricoli.

Fu mai possibile?

A metà strada circa, tra Spoleto e Norcia, sulla sinistra
del Nera, si eleva un verde, caratteristico poggio, che ha
forma di un perfetto pane di zucchero, dominante la piccola
valle che l’accerchia. Sopra una lingua di terra che unisce
quel poggio, da un lato, ad uno dei monti circostanti, torreg-
gia, da secoli, una splendida chiesa romanica, tutta di pietre
conce, dentro e fuori, con un magnifico rosone di marmo nella
facciata. A questa chiesa fanno corona alcune povere case
moderne. Poco più oltre, a metà costa circa, havvi un antico
villaggio, munito di porta fortificata; villaggio che si svolge,
per un buon tratto, lungo una strada che sale ad elica at-
torno al poggio. La disposizione delle case è singolarissima
poichè, costruite tutte a monte, si protendono anche a valle
per mezzo di grandi arcate sotto le quali passa la via pub-

blica: sulla cima del poggio sorgono ancora, dal suolo, i ru-

nismi, durati anche qualche diecina di secoli, come tanti punti matematici o come
organismi fossilizzati. Per il che si fanno spesso dottissime e lunghissime discus-
sioni, perfettamente inutili. Ma, tornando al nostro argomento, di certo, Norcia fu
soggetta al Gastaldato di Ponte, fin quasi alla estinzione del Ducato di Spoleto: i
documenti lo dicono chiaro, e la desolazione di Norcia, nell' alto medioevo, lo spiega.
Quanto a Cascia o, per meglio dire, al suo territorio, la cosa é un po' diversa. Dopo
il mille, i documenti ci dicono che esisteva un Gastaldato o Ministerio Aequano o
Equano, e in quei documenti sono nominati Maltignano, Ocosce, Atino, Clavano,
Aventida, Atri, Fogliano ed altri villaggi ancora esistenti nei dintorni di Cascia (Vedi
in Notizie: G. SORDINI, Scoperte di antichità avvenute in Cascia e nuovi studî sulle
epigrafi del suo territorio, Settembre 1893). Parrebbe, quindi, che, dopo il mille al-
meno, il territorio di Cascia avesse una giurisdizione propria, chiamata ora Ministerio
ora Gastaldato, forse filiazione di quella di Ponte; il quale Ponte, però, estendeva,
certamente il suo dominio anche a Primocaso e Vepia (Vespia?), luoghi prossimi e
compresi, oggi, nel territorio di Cascia. Il Gastaldato o Ministerio Aequano o Equano
fu, quindi, un vero e proprio Gastaldato fino dall'origine del dominio longobardo o,
piuttosto, una subripartizione posteriore, determinata da ragioni a noi ignote, e
sempre, più o meno, dipendente dal Gastaldato di Ponte? A noi basti avere accen-
nata la questione. Chi avesse vaghezza di conoscere quali arruffate opinioni siano
state in voga sul Gastaldato Equano,° legga il FATTESCHI, Mem. Istorico diplomatiche
del Ducato di Spoleto, Camerino, Gori, 1801, pagg. 211-245.
DI UN GROSSOLANO ERRORE TOPOGRAFICO, ECC. DIL

deri di una piccola rocca, nel centro della quale si veggono
i resti di una ben munita torre.

È questa, come ancora chiamasi, la terra di Ponte, il
Castrum Pontanum dell'alto Medioevo; il luogo che, dalla in-
vasione longobarda almeno, fino a dopo il mille, ebbe giu-
risdizione sulla Montagna di Spoleto; giurisdizione estenden-
tesi da Norcia ai confini del Reatino.

D'onde sia venuto a quella terra il nome di Ponte, nes-
suno sa: forse a questa denominazione non è estranea la sin-
golare disposizione delle case che rassembrano ciascuna un
ponte gettato sopra una pubblica via, quando non sia piuttosto
un'eco lontana delle acque del Nera che, certamente, quivi un
tempo formarono un lago, dalle quali, come isola, emergeva
il poggio aguzzo; oppure non venga da un foro a valle, eseguito
dalla natura o dall’arte, per dare sfogo a quelle acque: foro
oggi scomparso e diventato un gorgo per necessità stradali.

Ponte, che ebbe già Comune proprio, di cui si vede an-
cora l'antica residenza, è oggi frazione del Comune di Cerreto
di Spoleto. Conta 200 abitanti circa, e non ha altra importanza
all'infuori di quella che gli viene dai ricordi storici e dalla
sua splendida chiesa parrocchiale, alla quale ho accennato
più addietro.

Come mai, potrà domandare il lettore, un così piccolo
luogo che certamente non ebbe importanza alcuna al tempo
romano (1), potè, nell'alto medioevo e fino ad epoche relativa-
mente recenti, essere il centro di una così vasta giurisdizione?
La ragione di questo fatto, a me sembra esclusivamente to-
pografica. Quel poggio a pan di zucchero, quasi completa-
mente isolato e circondato da corsi d’acqua, è luogo per
natura fortissimo, di facile difesa, anzi addirittura imprendi-
bile con armi bianche. Inoltre, esso sta a cavaliere e nel

(1) Per quanto io abbia cercato, non mi è avvenuto mai di trovare, sul poggio
di Ponte, un miriimo frammento di arte 0 di industria romana; mentre, come é noto,
frammenti di quel genere sono tutt'altro che rari nelle innumerevoli ville sparse
nella Montagna di Spoleto.

DIE s comes

" "
SE SII Se GEA
PO

we

E

y"

X.
P.

o,
"m w^ i d

TENTE.

519 G. SORDINI

centro dell’alta valle del Nera; domina gli sbocchi delle valli
di Poggiodomo e di Sellano, ed ha facile accesso alle valli
del Corno e del Torbidone, cioè di Cascia e di Norcia. Ora,
chi non ignora che, appunto, attorno a Norcia, Cascia, Pog-
giodomo, Sellano, Monteleone di Spoleto, Cerreto di Spoleto,
Vallo di Nera, S. Anatolia di Narco, Scheggino, tutti capo-
luoghi di Comune, innumerevoli ville sono disseminate, al-
cune delle quali assurte e mantenutesi, fino a tempi recenti
nel grado di Comuni di qualche importanza, comprenderà
facilmente la sapienza pratica di quei Barbari che, riunita
tutta la Montagna di Spoleto in un solo Gastaldato, scelsero
come centro e residenza del Gastaldo il poggio su cui, forse
essi stessi, edificarono il Castrum Pontanum (1). E, infatti,
sfogliando soltanto il Regesto di Farfa (2), troviamo nominate
come appartenenti al Gastaldato Pontano: . Norcia (Vol. IV,
Doc. 862, an. 1057, pag. 251-58); Campo Norcino (Doc. 870,
an. 1058, pag. 265-66); Pescia (castello nella montagna di

Norcia), (Doc. 899, an. 1059-60, pag. 293); Savelli, Monte Ca-

vallara, Acquapalombo (Doc. 981, an. 1067, pag. 360-61): e
ancora Pescia (Doc. 858, an. 1056 - DT (?), pag. 254-55); Val-
caldara (Doc. 866, an. 1058, pag. 261); San Pellegrino (Doc. 867,
an. 1058, pag. 262-63); Primocaso (Vol. V, Doc. 1050, an. 1080-81,
pag. 50-51); Vepia ( Vespia?), Nortosce (Doc. 1101, an. 1084-86(?)

(1) Si potrebbe pensare che la celebre famiglia dei Pontano, la quale ebbe ra-
mificazioni a Spoleto, a Napoli, a Perugia e altrove, abbia dato il nome al poggio e
alla rocca (Castrum Pontanum), poiché le più antiche e sicure memorie di questa
famiglia, la fanno originaria di Cerreto di Spoleto, dove certamente nacque il più
famoso dei Pontano, Giovanni Gioviano. Ma é da credere il contrario e, cioè, che
i Pontano, antica e nobile famiglia, assumessero il cognome dal Castello di Ponte,
sopra il quale un tempo essi ebbero, forse, giurisdizione, come appunto, per non
uscire dall'Umbria, i Campello, i Pianciani, gli Ancaiani, gli Arroni, i Frenfanelli ecc.
È noto che Ponte non solo fa parte del Comune di Cerreto, ma sorge in vista e vici-
nissimo a quell’ antico: Castello; né va trascurato il fatto che le antiche case dei
Pontano, con lo stemma della famiglia, si vedono ancora, non entro il Castello di
Cerreto, ma nel Borgo, a metà via tra Ponte e Cerreto.

(2) Mi valgo della splendida edizione della Società Romana di Storia Patria,
curata da I. GIORGI e U. BALZANI. Auguriamo di veder presto pubblicato l'ultimo
volume, che viceversa è il primo, senza del quale i volumi finora pubblicati non of-
frono tutta l’ utilità che se ne potrebbe trarre.
DI UN GROSSOLANO ERRORE TOPOGRAFICO, ECC. 513

pag. 100-01). Nè deve far meraviglia se il Regesto Farfense

non ci dà anche più ampie indicazioni topografiche, riflet-
tendo che esso non è un trattato di topografia, ma, principal-
mente, una raccolta di atti di privilegio e di donazioni, fatte
alla sola Abbazia di Farfa, e giunte fino a Gregorio di Catino,
che ebbe il buon pensiero di assicurarne la cognizione ai po-
steri (1). Però, anche il poco che abbiamo potuto vedere, lascia
indubbiamente argomentare l'estensione e l’importanza del
Gastaldato Pontano: ma non fino al punto di poter credere
che in esso venisse compresa Otricoli.

Otricoli dista, dal Castello di Ponte, la bellezza di oltre
ottanta chilometri; e, posta fra Narni e Civita Castellana,
non ha alcuna attinenza, alcun rapporto territoriale, nem-
meno lontanissimo, con la Montagna di Spoleto. E, quel che
è peggio, per giungere dal Castro Pontano a Otricoli e vi-
ceversa, nell’ alto Medioevo, bisognava passare Sopra la ca-
-pitale stessa del Ducato, Spoleto; sopra il Gastaldato di Terni,
ricordato anch'esso chiaramente nel Regesto Farfense (Ediz.
cit, vol. V, doc. 1122, ann. 1090, pag. 121-92); e sopra il
Gastaldato di S. Gemini che comprendeva anche il contado
di Narni (doc. 1184, ann. 1119, pag. 184-85): a meno che non
si voglia supporre che da Castro Pontano si distendesse una
specie di enorme tentacolo territoriale, lungo il Nera, per

(1) PATRIZI-FORTI F., Delle memorie storiche di Norcia libri otto, Norcia, Micocci,
1869, a pag. 100, così scrive di alcuni dei luoghi prossimi a Norcia, da me indicati,
appartenuti, insieme à questa città, al Gastaldato di Ponte: L’anno 749 dell’ E. C.
trovavasi giù stabilita in questi nostri luoghi la Cella di S. Angelo di SAVELLI di
spettanza della celebre Bazia di Farfa. E richiamando i monumenti Farfensi sog-
giunge: Pietro figlio di Dodone ed Oliva sua consorte donarono le loro sostanze
alla Cella suddetta situata nel Castaldato di Ponte, e precisamente nel territorio
nursino in Vocabolo Valle della Pesia (Pescia è il nome di un castello di Norcia).....
Bono figlio di Isa donava alla Badia di Farfa in loco qui dicitur Saneti Peregrini
(S. Pellegrino è la denominazione di una nostra Villa). Finalmente un’ ultima do-

nazione appella ad alcuni fondi 0 terreni posti in Valle Caldaria (Valcaldara è pa-
rimenti la denominazione di una nostra Villa).

Per questa e per molte delle altre località da me indicate, vedi anche la Guida
di Norcia, Spoleto, Tip. dell’ Umbria, 1906, pubblicata con felice pensiero, dal mio
egregio amico Cav. VINCENZO PARIS, Maggiore a riposo, stato molti anni Sindaco di
quella città.

x

" "
C
X E
; Hi
ui
NI
Hi
€ Bn
M
Hi
i


TE

VIE
d tra

de m

a"

T

X

514 G. SORDINI

andarsi a collegare con Otricoli al di là del Tevere! Ma,
perché ? A quale scopo ?

Peró, non é da credere che gli illustri uomini i quali
hanno affermato che Otricoli fosse compresa nel Gastaldato
Pontano, abbiano semplicemente lavorato di fantasia: no!
Sono stati indotti in errore, a mio giudizio, da uno dei tanti
easi di semi-omonimia, ai quali l' imperfetta conoscenza dei
luoghi dà, troppo spesso, erronee parvenze. E, diciamolo
pure, dalla fede cieca e frettolosa con la quale si raccol-
gono, di sovente, i materiali necessarî alla costruzione di
voluminose opere; fede cieca e frettolosa che ingigantisce
addirittura, se quei materiali hanno il conforto dell’ autorità
di un nome illustre. Ed è così che si perpetuano per secoli
errori grossolani, che, ad una semplice occhiata critica, di-
leguerebbero.

Nel citato Regesto Farfense, vol. IV, pagg. 265-66, e
pagg. 360-61, vengono riportati, come abbiamo visto, due
documenti sotto i numeri 870 e 981, il primo dell’anno 1058
e il secondo dell’anno 1067, nel primo dei quali si legge che:
Adenolfo prete, Azone ed Aiulfo figlio di Rocco, donano al Mo-
nastero (di Farfa) alcuni beni situati nel Ducato spoletano nel Ga-
staldato Pontano, e cioè... im ducatu spoletano im castaldatu
pontano et loco qui dicitur OCRICLUM et în eorum vocabulis.
De aecclesiae sanctae Mariae nostram portionem et de sancto
laurentio, et de sancto stephano et de sancta cruce... Et in alio
loco ad ipsum campum mursinum quinque petias de terra.

Actum. in ponte feliciter.

E nel secondo si legge ancora, ommesso l'argomento,
che non ha per noi interesse alcuno... i» ducatu, spoletio, in
castaldatu pontano, et in loco qui dicitur ORICCLUS. In ipso
colle a sancto silvestro... platea sancti silvestri... alio loco ad
aquam palumbi. Et de aecclesia Sanctae Mariae de.OCRICCLO...
Et in capo (campo?) de Nursia. Et in alio loco in Sabelli... Et
in ipso monte de cavallara.

Actum in ponte feliciter.
DI UN GROSSOLANO ERRORE TOPOGRAFICO, ECC. 515

Letti questi brani è facile comprendere come qualeuno,
fermatosi ai vocaboli Ocriclum, Oricclus, Ocricclo abbia pen-
sato a Otricoli. Ma, lasciando da parte che la forma» clas-
sica di Otricoli è Ofriculum e Ocriculum e non Ocricclus, os-
servazione che trattandosi di latino medioevale puó venire
anche trascurata, era pur necessario di trovare una qualche
ragionevole attinenza con il territorio in cui l'atto affermava
esistessero i beni stabili che venivano ceduti ai Monaci di
Farfa, e con i vocaboli che, di Ocricclo e dei beni ceduti,
determinavano i confini. Necessità di prudenza questa, che,
in particolare nelle scritture medioevali, non deve far mai
difetto, se non si vuole abbandonarsi a voli fantastici, occa-
sionati da fortuite assonanze e somiglianze di nomi di luoghi
e di persone.

Primo, se non erro, fu Monsignor Galletti, nel suo Gabio,
pag. 35, a identificare Ocricclus con Otricoli (1). Vennero poi
Carlo Troya, lo Schupfer e ultimo il Sansi, per non dire di altri
molti (2). Più prudente, invece, il Fatteschi, nelle sue Memorie
Istorico - Diplomatiche del Ducato di Spoleto, pag. 231, non volle
compromettersi, e riportando gli atti relativi alla topografia
del Gastaldato Pontano, lasció la interpetrazione di essi al
lettore. E quando una volta dovette dare forma italiana ad
Ocricclum, tradusse Ocrido!

(1) GALLETTI P. L., Gavio, Roma, Puccinelli, 1757, pag. 35 nota 4a, dice: Del Ca-
staldato Pontano niuna menzione si vede fatta nella carta d’ Italia del medio evo
pubblicata dal Muratori in fronte del X tomo de scrittori Italiani. Dalle notizie che
somministrano i sunti delle carte, che io qui riporterò si vede che egli era ben am-
pio, mentre probabitmente comprendeva Norcia ed Otricoli. Il Galletti non poteva
essere più chiaro, né più prudente coll’ accenno, in nota, ad una probabile identità
fra Ocricclus e Otricoli. Eppure, da questa semplice probabilità, accennata di volo
in una nota, ha, senza dubbio, avuta origine la recisa affermazione degli scrittori
posteriori: i quali si sono limitati a copiarsi l un l’altro, senza nemmeno rileggere
i documenti, né la noticina del Galletti. E chissà dove si sarebbe arrivati per questa
china, poiché scrittori di grande fama e merito, più di una volta, hanno anche
scambiato Gabdio con Gubbio! È proprio vero che gli errori sono come le ciliege!

(2) TRovA C., Codice Diplomatico Longobardo, Tom. IV, 622; SCHUPFER F., Op.
cit., pag. 311; SANSI A., I Duchi di Spoleto, Foligno, Sgariglia, 1870, pag. 35.
f

y
"mw

T

Ps

"ewm

"uu

G. SORDINI

Ma, per bene intendere il valore topografico di Ocricclus,
non c'è bisogno di Ocrido e molto meno di Otricoli.

A sette chilometri a sud di Norcia, in una insenatura di
monti, ad 800 metri circa dal livello del mare, si annida un
paesello, oggi frazione del Comune di Norcia, paesello che
porta il caratteristico nome di Ocricchio. Conta centocinquanta
abitanti circa, ed è costituito da una chiesa parrocchiale,
attorno alla quale si aggruppano una venticinquina di case.

Il suo aspetto è completamente moderno; e moderna 0,
meglio, ammodernata è la chiesa, nella quale, però, si notano,
a prima vista, rafforzamenti non pochi, e tutto un lavorio di
ricostruzioni, durato per secoli.

Ocricchio è uno di quei felici paesi che non hanno sto-
ria (1). Nessuna menzione infatti, mi è avvenuto' di trovarne

(1) Il sig. Cesare Lalli di Norcia, discendente del famoso poeta Giambattista,
da me pregato di fare ulteriori ricerche intorno ad Ocricchio, cortesemente mi
scrive: Per quante ricerche abbia io fatte, pochissimo posso dirle di Ocricchio. Nel
libro più antico dei nati e dei morti di questa Frazione, esistente nel nostro Co-
mune, dell’anno 1611, apparisce che la chiesa è intitolata a S. Maria. Più tardi si
legge: Santa Maria e S. Eutizio. Nella Relazione dei terremoti del 14 gennaio e 2
febbraio 1703 (da me posseduta), edita da Lucantonio Chracas e dedicata a Mons.
Pietro De Carolis Governatore di Terni (Roma 1704) si leggono queste poche parole:
« Ochricchio divastato, Famiglie ed: 7; Anime 75, morti 17; Chiesa cadente ». Più
tardi, nella Relazione storica statistica dei diversi luoghi dell? Umbria, fatta 1° 11
sett. 1181, dall'Avv. Angelo Bonucci (manoscritto che si conserva nell’Archivio co-
munale di Norcia) Ocricchio viene annoverato tra i castelli e ville subordinati a
Norcia. Siano rese grazie al cortesissimo sig. Lalli.

Sul punto di licenziare alle stampe questo lavoro, il cav. Paris mi scrive:
« Di Campo Norcino non si conosce l'ubicazione. Suppongo, però, che possa essere
« il terreno adiacente alla Madonna della Quercia, denominato Capo del campo,
« dove anticamente si tenevano le fiere, per comodità dei cittadini trasportate poi a
« Norcia. Questa supposizione potrebbe essere avvalorata dal fatto che il suaccen-
« nato Capo del Campo trovasi a sinistra della grande via Norcia- Savelli - Pescia e
«in prossimità di Valcaldara. — Pescia antico castello del quale sussistono i ru-
« deri, a Sud, Sud-Est di Norcia, distante da questa città chil. 15. È frazione del Co-
« mune di Norcia e conta 260 abitanti. — Savelli, frazione anch'esso di quel Comune,
« nella stessa direzione, conta 287 abitanti e dista da Norcia chil. 8. Del castello re-
« stano pochi ruderi. — Monte Cavallara è, forse la località che oggi si chiama
« Macchia Cavaliera a 15 chil. da Norcia. — Acquapalombo, a Nord-Est e a chilo-
« metri 41/, da Norcia. È il nome di una sorgente che scaturisce quasi alla base
« della Costa Selvalarga in prossimità della valle di Patino. — Valcaldara, frazione
« del Comune di Norcia, a 7 chil., verso Sud-Est. Conta 159 abitanti. — S. Pellegrino,
DI UN GROSSOLANO ERRORE TOPOGRAFICO, ECC.

nelle storie di Norcia. Però, la sua. origine deve essere an-
tica, perchè, nel territorio di Norcia e dei paesi circonvicini,
non è raro imbattersi in castelli e villaggi distrutti, ma non
si ricordano paesi di moderna fondazione. E l'azione terri-
bilmente devastatrice dei terremoti che mise in forse, piü
volte, l'esistenza stessa di Norcia, spiega abbastanza il fatto
dell'abbandono di luoghi già abitati. e fiorenti. Ma chi cono-
sce la tenacia, in generale, dei montanari nel conservare i
luoghi aviti, particolarmente poi quando presentino qualche
comodità alla vita, comprende subito come il piccolo villag-
eio denominato Ocricchio, posto in alto, ma riparato dai venti
in modo che anche linverno vi é mite, non possa avere una
origine recente (1).

Ora é chiaro che, volendo dare una veste latina alla pa-
rola Ocricchio, essa si presenta naturale nella forma Ocricclus,
Ocriclus, come si legge appunto nei documenti citati di sopra;
ma questa forma non va confusa con Ocriculum e Otriculum,
che è ben diversa.

« ad Est-Sud-Est, distante chil. 7. Frazione del Comune di Norcia, con 546 abitanti.
« — Primocaso, oggi comunemente Poggio Primocaso, ad Ovest Sud-Ovest distante
« da Norcia 19 chil. Questo villaggio, ora appartiene al Comune di Cascia, ed è una
« delle sue frazioni. — Vepia, se, come appare molto probabile, deve intendersi
« Vespia, è località notisima, anche oggi, con questo nome, e ricorda le parole
« di Svetonio (in Vespasiano): Locus etiam nunc ad sextum miliarium a Nursia
« Spoletum euntibus in monte summo appellatur Vespasiae, ubi Vespasiorum com-
« plura. monimenta, extant, magnum indicium splendoris familiae, et vetustatis.
« Oggi appartiene al Comune di Cascia. — NMortosce, dista da Norcia 24 chil. ad O-
« vest, verso Ponte. Ora, appartiene, infatti, come Ponte, al Comuue di Cerreto di
« Spoleto ». — E grazie vivissime anche al cav. Paris.

(1) Argomento molto serie della vetustà di Ocricchio, sono, senza dubbio, gli
antichi frammenti che quivi si rinvengono. Io stesso ho veduto murato, come co-
pertura di un muricciolo, nella piazza della chiesa parrocchiale, un lastrone di tra-
vertino scorniciato (0,47 per 0,50 per 0,21) con alcune lettere incise: .. RISO .. | MA-
TRI. Evidentemente è un resto di iscrizione funeraria romana. Non avendo il IX
volume del C. I. L., non so se vi sia riportato. Mi é noto, però, che vi si legge una
altra iscrizione, ancora esistente nella Fonte di Ocriechio, che io non vidi perché
interrata. Anche questa Fonte deve essere opera romana, se è esatto quanto mi
disse il Parroco, che, cioè, la volta è tutta costuita di grandissimi massi, squadrati
e accuratamente commessi, di travertino. Certo, l'architrave della Fonte, da me ve-
duto e misurato, è lungo m. 2,44.

35

DOT! RACER ZIE

T

MIU e tt i Ai ge

, 518 G. SORDINI

Del resto, più e meglio della forma Ocricclus, Ocriclum, |
gioveranno a darci lume per la identificazione del luogo, i vo-
caboli che distinguevano le terre donate all’ Abbazia di Farfa.
Abbiamo veduto, dunque, che Z» ducatu spoletano, in castaldato
pontano et loco qui dicitur ocriclum, erano posti i beni che, nel
1058, Adenolfo prete, Azone e Aiulfo figlio di Rocco donavano:
e, precisamente, consistevano nella loro porzione della chiesa
di S. Maria, di S. Lorenzo; di S. Stefano e di S. Croce. Ora,
appunto la chiesa parrocchiale di Ocricchio è dedicata a
S. Maria. La più antica menzione che ne ho trovata nei libri
di Sacra Visita della Diocesi di Spoleto, nella qual Diocesi
furono comprese fino al 1820 (1), Norcia, Cascia, Visso e tutto
il territorio soggetto oggi al Vescovato Nursino, non va più
in su del 1571, ed è in un volume di Decreti (pag. 166 v.)
resi dal Visitatore Apostolico Pietro De Lunel Vescovo di
Gaeta. Questo Vescovo annotò chiaramente: In Villa Ochrichi
in ecclesia Parrocchiali sanctae Mariae. Viene poi la Sacra Vi-
sita del Vescovo spoletino Pietro Orsini, il quale, il 10 set-
tembre 1587: visitavit parochialem ecclesiam Sanctae Mariae
Ville Ochichj Comitatus Nursiae (Fasc. XII, Frammenti). E il
Vescovo nota, come già esistenti in quell'epoca, in Ocricchio,
due altre chiese: una intitolata a S. Maria di Loreto, ed una
a S. Maria della Villa. Ma, più importante ancora è il ri-
cordo della Sacra Visita del Lascaris. Questo dotto Vescovo,
in data 1° agosto 1712 (Vol. 1° c. 260-61) annotava: Castrum
vulgo dictum Ocricchio alias Ucricchio, quod fuit multum quas-
satum et depopulatum a terremotibus an. 1703... Ecclesiae,
quarum prima sita est intra: Castrum, et sacra B. M. V. As-

(1) PATRIZI-FORTI F., Op. cit., a pagg. 667-68, scrive a questo proposito, le se-
guenti notevoli parole: « L' anno 1820 il Pontefice Pio VII con la Bolla « Ad tuen-
« dam, ripristinava, e qualora fosse duopo erigeva di nuovo la Sede Vescovile di
« Norcia » ecc. Queste parole, punto sospette, dovrebbero essere seriamente meditate
da coloro i quali fantasticarono intorno alla soppressione di un’ antica Diocesi che,
molto probabilmente, non é mai esistita prima del 1820, o che, se anche ebbe un
qualche inizio, per la miseria dei tempi sopravvenuti, dovette avere vita brevis-
sima.
DI UN GROSSOLANO ERRORE TOPOGRAFICO, ECC. 519

sumptae... Habet... Altare Assumptionis DB. M. V. Titularis
cum statua lignea eiusdem ..., altare e statua di legno che
ancora esistono nella chiesa parrocchiale di Ocricchio, come
io stesso ho avuto agio, recentemente, di vedere. E anche
il Lascaris cita le due chiese dedicate a S. Maria della
Villa e di Loreto. Peró, debbo dichiarare lealmente che nes-
sun ricordo ho trovato delle chiese di S. Lorenzo, di S. Ste-
fano e di S. Croce, le quali pure erano zm loco qui dicitur
Ocriclum. Ma, i terremoti cui accenna il Lascaris e che, pur-
troppo, non si limitarono all'anno 1703, e il malvezzo di cam-
biare i titoli delle chiese, seguendo l'andazzo delle devozioni
di moda, come potrebbe essere quella della Madonna di Lo-
reto, tolgono importanza a questa lacuna.

E lo stesso documento dell’anno 1058, dice ancora: E?
in alio loco cinque pezzi di terra ad ipsum campum nursinum.
La denominazione di campo norcino non lascia dubbio che si
tratti di una località presso Norcia. Orbene a pochi chilometri
da Norcia, presso la chiesa dedicata alla Madonna della
Quercia, si conserva ancora il vocabolo Piè di campo. E non
è da far meraviglia se per gli abitanti di Norcia quel luogo
ha perduto l’appellativo di Norcino.

Ma ben più chiaro, e concludente in modo assoluto, è il
secondo documento. In loco qui dicitur ocricclus, vi doveva es-
sere un colle denominato da S. Silvestro e una piazza di S. Sil-
vestro (In ipso colle a sancto silvestro... platea sancti silvestri...).
Orbene, a trecento metri da Ocricchio, sorge un colle, sulla
sommità del quale si veggono ancora le rovine di una chiesa
di S. Silvestro, che il parroco di Ocricchio, Don Filippo Mi-
cucci, mi indicò subito e mi condusse a vedere, non appena
io gliene feci domanda. E a proposito di questa stessa dona-
zione, nello stesso documento, è rammentata, in alio loco,
Acquapalombo (ad aquam palumbi) che è località nota anche
oggi, distante da Norcia chilometri quattro e mezzo circa. E,
più sotto, abbiamo di nuovo S. Maria de Ocricclo e in capo
(campo?) de Nursia, che è, forse, Piè di campo, già nominato
E

Gi
z a

ER

y
Pa!

9: un

X

Lacco

du T e

NN

520 G. SORDINI

di sopra, e, im alio loco în sabelli che è il moderno Savelli,
frazione del Comune di Norcia, distante da questa città soli
otto chilometri; e, infine, il Monte di Cavallara che. dista
anch’ esso chilometri quindici circa.

Ora, se tutti questi vocaboli: Cavallara, Savelli, Campo
Norcino; Acquapalombo, S. Silvestro, Nortosce, Vespia, lrimo-
caso, Valcaldara, Pescia ecc. sono anche adesso noti e con-
servati in gran parte nel territorio di Norcia o nelle vicinanze
e alcuni presso Ocricchio, come è possibile pensare a Otri-
coli e non identificare Ocricclum con Ocricchio? A me pare,
dopo quanto ho detto, che non vi possa essere ombra di
dubbio; poichè oltre la distanza enorme, l' interposizione
della capitale del Ducato, Spoleto, dei Gastaldati di Terni
e di S. Gemini, i vocaboli che si riscontrano nei documenti

rimastici del Gastaldato di Ponte, si ritrovano anche oggi,
tutti, più o meno vicini, intorno a Ocricchio.

L'ipotesi, dunque, sia pure dubitativa di Monsignore Pier-
luigi Galletti, la quale ha tratto in inganno tanti valentuo-
mini, che vollero valersene senza troppo pensarci e vagliarla,
deve essere omai per sempre scartata; e l’Ocricclus dei mo-
numenti medioevali si leggerà» e si intenderà non altrimenti
che Ocricchio, attualmente frazione del Comune di Norcia e
da Norcia distante chilometri sette.

Nella, omai troppo lunga, attesa della pubblicazione del
primo volume del Regesto Farfense, nel quale tante di queste
questioni dovranno essere svolte e risolute, non sia discara
al discreto lettore la dilucidazione presente, la quale varrà,
giova sperarlo, a togliere di mezzo, definitivamente, uno dei
più grossolani errori topografici che abbiano mai inquinata
la storia umbra dell’ alto Medioevo.

G. SORDINI.
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA

NEL PERIODO COMUNALE

Quando la libertà comunale venne a sorridere alle no-
stre terre, preparando giorni men tristi alle sventurate po-
polazioni, Gubbio non era che una piccola città, ricostruita
alla meglio poco lungi dalle rovine dell antico « îkuvium >
e sguarnita quasi del tutto di difese, che la preservassero
dagli assalti dei nemici. Pure restava sempre interessante per
il suo territorio, che vasto spiegavasi fra i frastagliati gio-
ghi dell'Appennino, fortificato di molti castelli, dove l’esausta
popolazione aveva cercato un asilo ed una difesa, nelle tem-
pestose vicende in cui allora versava l'Italia.

Le città che l' attorniavano non eran certo in condizioni
più fiorenti: la tempesta era stata fiera ed uguale per tutte.
Alcune anzi, come Cagli, Nocera, Assisi erano avvilite ancor
più: pari a lei Città di Castello: l’unica, che si serbasse an-
cor forte, era Perugia, predominando con l'antica gagliardia
dalla vetta del suo colle, su cui trovasi elevata.

Con questa città la Contea di Gubbio era a contatto per
una vasta zona di territorio dal lato di mezzogiorno: dal
punto in cui il fiumicello Asino gettasi nel Tevere, sino
dove il fiume Chiascio sbocca dagli Appennini nell’ ubertosa
valle dell Umbria. Quest'esteso contatto dei confini dei due
comuni, portava di natura sua le due città ad un contatto
di mutue relazioni, che avrebbero potuto essere sempre pa-
cifiche, e fonte di benessere, ad entrambe, se lo sfrenato
FX

vu

«7
da

4
mm

T

Xx

Dido F
TE 4

b

"AE A

599 P. CENCI

desiderio di dominio ed una brama focosa dell armi, che
ferveva nel cuore di tutti, non avesse alle volte sviato le
due città dal cospirare al comune benessere, inducendole
allodio ed al sangue. Stimolo non piccolo a coteste civili
discordie furono alcuni feudatari, cui gl’ imperatori di ol-
tr' Alpi avevano donato brandelli di queste infelici contrade.
Nei confini dei due comuni, noi ne troviamo parecchi, fa-
mosi per l armi, e temuti, perchè fortificati entro le mura
delle loro castella, che su i comignoli dei colli dominavano
lavito feudo. Più illustri per fama erano i conti di Cocco-
rano, i quali comandavano su vasta zona di terreno su la
riva destra e sinistra del Chiascio: quindi in una lunga
linea, sempre presso i confini di Perugia, noi troviamo i
conti di Val Codale, di Febino, di Colcelli, di Carpiano, di
S. Cristina, di Valmarcola, di Poggio Manente, di Civitella,
i quali sottoposti a Gubbio, mal volentieri ne subivano il
dominio, ma spesso per vendetta si staccavano da lei, per
donarsi a Perugia, cospirando poi, o segretamente, o in pa-
lese, ai danni ora dell una, ora dell altra città. Quindi le
relazioni che corsero fra Gubbio e Perugia nel periodo co-
munale, ci si presentano ricolme di attriti, di discordie, di
scorrerie, di saccheggi, di guerre, che poi finivano, il più
sovente, con l umiliazione della città più debole, per dar
poi di nuovo luogo a maneggi, a federazioni con altri co-
muni, per trovarsi. forti e capaci di tentare una rivincita,
scuotendo il giogo imposto negli umilianti trattati di pace.

Non mi è stato sempre possibile seguire l’ esatta storia
di questi avvenimenti, I nostri archivii son provveduti di
memorie, solo dagli ultimi anni del secolo XII, lasciando il
restante nell'oscurità, o tutto al più, affidandolo a qualche
laconica frase di incerto cronista.

Se dobbiamo prestare fede al Pellini, (1) risulta che
Gubbio trovossi nel secolo XI quasi sempre alleata con Pe-

(1) PELLINI P., Storia di Perugia, Venezia, 1664.

LEET 1
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC. 523

rugia e che con lei prese l'armi per la difesa del territorio
della Chiesa. Così, nel 1065 l’esercito unito delle due città
fece scorrerie nel territorio Folignate perchè sottoposto al-
l impero: nel 1066 fu stretta alleanza fra Perugia, Gubbio
ed Orvieto (1); nel 1081 Perugia e Gubbio andarono unite in
aiuto di Firenze, assediata da Enrico IV; nuovamente le
due città, nel 1091, mossero ai danni di Foligno, per cac-
ciarne lantipapa Clemente, che vi si era rifugiato, ed en-
trambe lo inseguirono a Todi, che per avergli dato ospitalità
da esse fu stretta d'assedio (2). Sembra pure che nel 1108
Gubbio abbia aiutato i Perugini in una guerra contro Siena (3).

Queste operazioni militari fatte in comune dalle due
nostre città, ci farebbero logicamente supporre che prima di
questo tempo fra entrambe sia corso un trattato, o convenzione
di alleanza. Furono peró sempre costanti coteste pacifiche re-
lazioni? Venne mai nessuna discordia a turbare la fraterna
amicizia che univa le due vicine? A noi non consta se non
incertamente. Uno storico locale eugubino, del secolo XVII,
che dice avere attinto le sue memorie da altre cronache
più antiche (4) ricorda due dissensi sorti sul finire dell’ XI
secolo e nel principiare del XII, che peró non si svolsero di-
rettamente fra le due città.

Il primo sarebbe accaduto dopo l' anno 1080, in occa-
sione di una discordia nata fra Gubbio e Città di Castello,
a causa del forte di S. Benedetto di Monte Pelio, presso
Pietralunga. Perugia avrebbe sposato la causa di Città di
Castello, e nel riprendere le armi dopo una tregua, Gubbio si
sarebbe rivolta pure contro essa. Il dissenso finì solo dopo
tre anni. Quali ne siano stati i particolari, mi è impossibile
determinarli, giacchè lo storico, onde ho attinto la notizia,

(1) Ibid., par. I, lib. 3°, pag. 162.

(2) Ibid., pagg. 165, 166.

(3) Ibid., pag. 171.

(4) PicoTTI, Storia ms. di Gubbio dalle origini al 1259, Arch. Arman., III, F. 10.
d.

a

E

m.m a Si

^L. Y E

y

&

“er

P. CENCI

dice di non averli trovati nella cronaca da lui consul.
tata (1).

Il secondo caso sarebbe dell’anno 1106: anche questa
volta non è fra Gubbio e Perugia che si dichiara la lotta,
ma con Assisi a causa dei confini. Pareva agli Assisani che
Gubbio avesse esteso i suoi possessi troppo vicino a quella
città. La discordia portò alle armi: furon fatte scorrerie e
saccheggi in entrambi i territori; Perugia, qui pure, avrebbe
aiutato gli Assisani, ma non si sa a che cosa si sia ridotto
il suo intervento, e se per questo abbiano subito un arresto
le pacifiche relazioni che allora correvano fra entrambe. È
molto presumibile che queste discordie abbiano durato ben
poco, nè siano state di grave entità, mentre la loro memoria
non venne raccolta da altri storici, nè quelle guerre impe-
dirono che le due città agissero di comune accordo nei fatti
d’ armi ricordati dal Pellini.

Silenzio ancora più oscuro noi troviamo per un altro

. trentennio. Pure un fatto, di natura sua religioso, viene a

scoprirci uno spiraglio di luce, bastante almeno per supporre
che fra le due città restasse la consueta amorevolezza. Era
venuto a morte nell anno 1126, Gennaro, vescovo di Peru-
gia. Clero e popolo si adunarono per dargli un successore.
Essi scelsero appunto il priore della chiesa Cattedrale di
Gubbio, Ubaldo Baldassini, illustre per la fama di sue virtù (2).

: Il Baldassini non andò a quella sede vescovile: il papa ac-

colse la sua preghiera, ed egli restò nella sua patria. Nel

(1) Ms. cit. Il Pellini riferisce che nel 1081 Gubbio con Perugia prestò aiuti a
Firenze; se l'avvenimento ricordato dal Picotti é vero, dovrà porsi per certo dopo
quell’anno. Noto qui per esattezza di critica, intorno al ms. del Picotti, che a me
ha sembrato molto attendibile, vedendovi costantemente riprodotti i doc. non solo
dell’ Arch. di Gubbio, ma pure delle altre città, e singolarmente di Perugia. Vi ho
riscontrato solo qualche errore cronologico. Ad ogni modo quelle notizie che rife-
risce questo storico e che non hanno riscontro in cronache, documenti, o in altre
storie, verranno da me riferite citandone la fonte.

(2) Cf. TEoBALDO, Legenda S. Ubaldi in Acta SS., ad diem 16 Maii, cap. VII.
+

LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC. 525

1138 tuttora perdurava il mutuo accordo, mantenendosi
Gubbio fedele alla Chiesa, ed unita a Perugia e Spoleto (1).

Una prima discordia, che poi condusse. ad una guerra
fierissima contro Gubbio, si ebbe fra il 1140 ed il 1160. Le
cause precise di questa rottura non mi é stato possibile rin-
traeciarle. E molto facile che Perugia da lungo tempo va-
gheggiasse di estendere il suo territorio fin oltre ai vecchi
confini: forse bramava sottometter Gubbio, ed attendeva
solo un'occasione propizia per coglierne il destro. E l' oc-
casione, se dobbiamo prestar fede al Picotti, fu appunto una
discordia cittadina.

Era questa sorta nel momento ip cui cettavansi fra noi
le basi dell organizzazione comunale. L'elezione dei consoli
non piacque ad una classe di cittadini, che scese armata nella
publica piazza, e con la violenza tentò imporre il suo consi-
glio. L'atto ardimentoso fu il segnale d’una sedizione che
avrebbe finito in un massacro, se non l'avesse sedata, con
ardire generoso, il Vescovo Baldassini (2). La sua voce però
se potè arrestare la strage, non potè trattenere le autorità
municipali dal prendere severa vendetta. I promotori della
sedizione furon colpiti con sentenza di esilio: essi dovettero
lasciare la loro patria e portare altrove l'odio che covavano
in seno contro i propri concittadini, invitando tutte le città
vicine a prenderne vendetta. Esse non se lo lasciarono ripe-
tere. Ben 7 città si unirono in federazione: Perugia a capo;
quindi Assisi, Fabbriano, Cagli, Urbino, Spoleto e Città di Ca-
stello: con esse Sassoferrato, Bettona, i conti di Fossato ed
‘i conti di Val Marcola.

L'esercito dei collegati marciò tosto sul territorio Eugu-

(1) PELLINI, op. cit., pag. 178.

(2) Acta SS., loc. cit., cap. XI. Siccome trattavasi di inaugurare il governo po
polare, è probabile che causa della sedizione siano stati i nobili; ciò spiega ancora
come le città vicine, abbiano prestato orecchio alle loro lagnanze, e siano sorte
in armi contro Gubbio. Dovette accadere allora ciò che un secolo appresso accadoe

a Perugia.
M
4
^
e
T
h
x
»
ri
A
y

IF

1

526 P. CENCI

bino. Lo spavento degli abitanti fu indicibile. Essi inviarono
ambascerie a Siena e Firenze con cui trovavansi in lega, per
chiedere aiuto; ma ebbero in risposta solo vaghe promesse,
perchè i loro eserciti erano impegnati in una lotta intestina.
Restati così soli, essi ricorsero a tutti i mezzi che la dispera-
zione poteva loro suggerire. Proposero al com. di Perugia la
restituzione di Nocera (1): ma invano. Allora cercarono rin-
saldare le opere di difesa, raccogliere vettovaglie, prepararsi
a sostenere nel miglior modo un lungo assedio: ma neppure
ciò era possibile; in pochi giorni l’esercito dei collegati aveva
espugnato tutti i castelli che erano sparsi per il territorio, de-
predato ed arso le campagne, ed infine, accampatosi poco lungi
dalle mura, attendeva a preparare fosse e steccati, sicuro

della riuscita.

Ai Perugini, che erano in maggior numero e più fieri, fu
di nuovo proposta la cessione di una vasta zona di territorio,
sino al fiume Saonda (2). Le trattative andarono a rilento e non
approdarono a nulla. Il dissenso fra gli assedianti intanto potè
più delle armi. I collegati si trovarono presto discordi nel
dividere i castelli del territorio conquistato, e sopratutti quelli
di Burano e di Montebreve, che volevano per sè e i Castel-
lani e i Cagliesi ed i Perugini. A ciò si aggiunse la fiducia
inconcussa dei collegati che fra pochi giorni Gubbio si sa-

" dl

rebbe resa a discrezione, mentre non era più in forze per
sostenere l'assedio.
Fu in questo stato di cose che il vescovo Baldassini

k /
» EU
Hi
[ Ò il
|
NIE
j|
[ ; e i
| :
| 4
, (|
E li
1
n M
SR
È

Van

cercò con la sua parola ed il suo consiglio rinfrancare i po-
veri suoi figli. Egli aveva studiato un ultimo tentativo, che
peró pose intieramente nelle mani del Cielo. Divise l'esercito
in due schiere: l'una, la migliore, fece uscire di nottetempo

n €

y
af

^ o.

(1) Il PicoTTI, an. 1140, narra che Nocera era stata dai Perugini ceduta a Gub-
bio in garanzia di un forte prestito, e che poi Gubbio non l'aveva voluta restituire
anch’ essa per bramosia di accrescere il proprio potere. Da ciò un avversione più
intensa dei Perugini contro la città vicina.

(2) Il fiumicello Saonda corre in fondo alla pianura eugubina.

9:

x.
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC.

dalla città, da quel lato che guarda il monte, e che difeso
dalla rocca, non era stato circondato dai nemici, ed era mu-
nito di un semplice steccato. Essa doveva girare i colli vicini
e sorprendere l’esercito nemico alle spalle, quasi fosse un
aiuto ‘inatteso inviato da qualche città alleata. L'altra, che
rimaneva in città, doveva agire di concerto con la prima,
quando questa avesse attaccato i nemici.

L'eroismo dei miseri cittadini fu coronato da inattesa
vittoria. L'esercito dei collegati fu messo in fuga, atterrito dal
ümore che fossero sopraggiunti nuovi rinforzi, e lasciò nel
campo armi e bagagli. I Gubini, dopo aver inseguito i nemici,
tornarono festanti nella loro città, rendendo gloria al proprio
vescovo, alle cui preghiere attribuirono il merito di questa
vittoria (1).

Essa però non dovette essere così piena come il biografo
di S. Ubaldo vorrebbe far credere. Sembra che parte dei ca-
stelli sparsi per il territorio siano rimasti in mano ai nemici:
così Assisi si ebbe quello di Colpalombo e di Giomisci: Pe-
rugia quello di Montanaldo e di Agnano. Gli Eugubini per
allora non poterono azzardarsi a ricuperarli: pensarono in-
vece più opportuno di cingere la città di nuove mura.

Una seconda sciagura parve soprastasse a Gubbio al
giungere di Federico I, nel 1154, ma mercè una deputazione,
presieduta dallo stesso vescovo S. Ubaldo, si potè piegare
l'animo dell’imperatore e renderlo benevolo. Da quel giorno
Gubbio addivenne ghibellina e, salvo rari cambiamenti, tale
restò per tutto il secolo successivo. Fu allora che tentò ri-
cuperare i castelli perduti nell'ultima guerra e li riebbe. Anzi,
se è esatto ciò che a noi riferisce il Picotti, Gubbio si fece
giurare fedeltà anche dai conti di Fossato e di Val Marcola (2).

(1) Questa guerra é riferita, oltreché dal Picotti, con gli stessi colori, sebbene
con minor ricchezza di particolari, nella citata leggenda di S. Ubaldo. (Acta SS. loc.
cit. cap. XV). ALFIERI A. Storia di Fossato di Vico, assicura che Senesi e Fiorentini
aiutarono i Gubini in questa guerra: realmente però non risulta da documenti.

(2) PIcOTTI, op. cit., fog. 33.
E

"1.7 cà
^

p

a E

V

o m

WENT

M— ii

98 P. CENCI

Per assicurarsi ancor meglio l'amicizia di Federico, e cosi stare
più tranquilli nel possesso dei proprii possedimenti, i consoli
Eugubini inviarono nel 1163. un'ambasceria in Lodi, dove al-
lora Federico teneva il campo, per chiedergli un diploma di
conferma nel possesso di tutto il territorio. Federico accon-
sentì, e nel lusinghiero diploma, dato il 25 ottobre di quel-
l'anno, Gubbio non solo è dichiarata esente da ogni giurisdi-
zione che non sia limperiale, ma inoltre gli è confermata
la libera elezione dei consoli, ed il possesso di tutti i castelli,
dei quali i principali fronteggiano il territorio di Assisi e Pe-
rugia (1). Tornati in patria gli Eugubini, fecero tosto noto il
conseguito privilegio, e se ne valsero per crescere in stima
dinanzi alle città vicine e per tenere a freno i propri vassalli.

Durante l’ impero di Federico le nostre città serbarono
a vicenda relazioni amichevoli. Solo prima della battaglia di
Legnano, sembra sorgesse del malumore perchè il conte di
Fossato pareva protendere per Perugia, maneggiandosi con
astuta altalena, per non urtare nessuna delle due città, ed in
fatto, per non dipendere da nessuna. Motivo poi per rom-
perla con Gubbio, Perugia lo trovò nei confini, e precisamente
nella giurisdizione sul castello di Fratta, posseduto dal Mar-
chese Ugolino, che allora era propenso agli Eugubini. La di-
scordia per il momento non giunse sino alle armi; ciò av-
venne solo dopo il 1180.

Avendo Perugia vinto C. di Castello e costretto quei
cittadini a firmare un trattato di pace molto umiliante, che
poteva dirsi una sottomissione assoluta di quel comune, fu
tentato altrettanto con Gubbio. Gli Eugubini divisi da lotte
intestine, abbandonati dai feudatarii vicini, ebbero la peggio
e furono costretti ad assoggettarsi anche essi come la vi-
cina Castello a chieder la pace, il che significava sottomet-
tersi a Perugia. Le condizioni furono le stesse che tre anni
avanti erano state imposte -a Castello: i Gubini promettono

(1) Arch. Com. Eugub. Perg. Busta I.
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC. 529

di essere con i Perugini in perpetuo « ad facendam pacem
et guerram et hostem et parlamentum » e con i nemici di
Perugia, non far pace o tregua senza il consenso dei «Peru-
gini stessi. Gubbio presterà aiuti a Perugia in caso di una
guerra; lo stesso impegno assumono alla lor volta i Peru-
gini. Ad ogni elezione dei nuovi consoli, i Gubini giure-
‘anno fedeltà ai consoli di Perugia entro un mese dacchè
saranno. richiesti. Anzi, volendo, gli stessi consoli di Perugia
potranno intervenire nell’ elezione dei consoli di Gubbio. Ai
Gubini spetterà mantenere i consoli e gli ambasciatori di Pe-
rugia; qualora si recheranno in Gubbio per un interesse delle
due città. Infine, di tuttociò che Gubbio acquisterà di nuovo,
darà la metà ai consoli di Perugia, ed altrettanto farà Pe-
rugia nel contado di Gubbio. Gli Eugubini si sottopongono
alla pena di 1000 libbre di argento qualora non osservassero
la presente convenzione. L'atto fu approvato oltrechè dai
consoli, dal Vescovo di Gubbio e da tutto il clero e popolo:
un gran numero di cittadini poi confermò i patti con giura-
mento (1).

Come vedesi manifestamente, l'indipendenza e lalibertà del

comune di Gubbio erano state vulnerate in maniera ben grave.
Si apriva in questa guisa una via di predominio al comune
di Perugia, per cui avrebbe potuto molestare e sfruttare la
città vicina a suo piacere, senza che gli Eugubini se ne po-
tessero lamentare. Fortunatamente però questi patti, che in
apparenza dovevano essere perpetui, e che erano stati con-
fermati dal più santo dei giuramenti, in realtà erano i più
labili, e duravano soltanto sino che linteresse della patria
ne esigeva l'osservanza.

Il Picotti riferisce che nell’ anno seguente gli Eugubini,
approfittando del ritorno di Federico in Italia, nuovamente

(1) 2 Codici delle Sommissioni, Bullettino di Stor. Pat. per U Umbria, an. I, fasc. I,
pag. 141. Ivi è riferita un'appendice alla convenzione surriferita, come spettante ad
essa: in realtà però appartiene all'anno 1217, e ad un altro trattato di pace stipu-

lato in quell’anno. Cf. lo stesso fasc., pag. 151.
VE
Á/

3:

po
(e è

^

ye :

d x

al.

du T he.

ELM

530 P. CENCI

si staccarono dalla soggezione a Perugia (1). Questa notizia
però è contrariata da una frase che noi troviamo nel 1208
nei Libri delle Sommissioni al com. di Perugia. Avendo in
quell’anno questa città stretto alleanza con il com. di Todi,
fra le altre condizioni per parte del com. di Perugia fu im.
posto « che i Todinati rispettassero i trattati di alleanza già
stipulati con i comuni di Città di Castello e di Gubbio » (2).
La notizia del Picotti forse deve intendersi d’una certa tra-
scuranza nell’ osservanza di quel trattato, trascuranza che
bene si spiega con l’ avversione che più o meno velatamente
Gubbio ebbe fin da quel tempo con Perugia. .

Lo stesso appoggio, che gli Eugubini avevano ottenuto
dall'imperatore Federico, chiesero al suo figlio Enrico. Questi
nell’ estate del 1186, trovandosi nell'Italia centrale, venne in
Gubbio. I Perugini colsero quel momento per inviare a lui
una loro ambasceria per chiedergli una conferma dei propri
diritti, come anch’ essi l’ avevano già chiesta a Federico. Il
diploma datato « in campo Eugubii » fu rilasciato il nove
agosto 1186.

‘Per il momento Gubbio non si occupò di questioni esterne,
e visse in una quiete apparentemente amichevole con i suoi
vicini. Dopo la morte di Federico, 1190, si ebbe una sedi-
Zione, suscitata forse da qualche inviato del papa, e favorita
dal partito guelfo, per cui si cercó di ribellare la città al-
limpero e renderla al pontefice. La rocca eretta in vetta
all’ Ingino, dove forse i ghibellini eransi ritirati, fu presa e
smantellata. Ma tosto se ne provò il pentimento; ed incoro-
nato imperatore Enrico VI, gli Eugubini cercarono solleci-
tarne il perdono, assieme alla conferma degli antichi possessi
e delle libertà comunali. In questo nuovo diploma, che porta
la data del 5 giugno 1191 (3), troviamo aggiunti due altri

(1) PICOTTI; op. cit., fog. 39. i
(2) I Cod. delle Sommissioni, Bull. cit., an. VIII, fasc. I, pag. 142.
(3) Arch. Com. Eugub. Perg. Busta I.
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC. .991

castelli che innalzavansi poco lungi dalla frontiera Perugina:
Castiglione Ildobrando e Val Marcola. Rassicurati cosi gli
Eugubini dalla parte dellimpero ripresero le consuete di-
scordie con i comuni vicini.

E proprio in quegli ultimi anni del secolo XII veniva
addensandosi materia di odio contro il com. di Perugia.

Oltre la soggezione giurata di mala voglia nel 1183, agli
Eugubini era dispiaciuto sommamente che nel 1189 il Marchese
Ugolino avesse sottomesso a Perugia i suoi castelli com-
preso quello di Fratta dei figli di Uberto (Umbertide) (1),
mentre sino allora essi avevano riconosciuto quel Marchese
per uno dei loro concittadini, ed i suoi feudi, affidati alla
protezione di Gubbio. L' odio andò sempre più condensandosi
al vedere i manifesti tentativi con cui i Perugini cercavano
sottrarre alla soggezzione di Gubbio la piccola città di Cagli.

Dopo una breve ma sventurata campagna, combat-
tuta fra Eugubini e Cagliesi nel 1199, questi ultimi avevano
dovuto dimandare la pace e sottomettersi alla città rivale.
Con quest atto di sottomissione ratificato in Gubbio nello
stesso anno, Cagli veniva a perdere con suo dolore la propria
indipendenza: quindi tosto dovette sospirare un'occasione e
l’aiuto di qualche città per provocare una rivolta. L/ occa-
sione non si fece attendere a lungo. Nocera che era unita
anch’essa in una lega di una tal quale dipendenza con Gubbio,
cercava scuotere il giogo. Perugia, già in lega con Foligno,
era pronta ai suoi aiuti; quindi Gubbio si trovò costretta a
prender le armi nel 1201 contro i Nocerini. Circostanza mi-
gliore non poteva presentarsi ai Cagliesi: essi tosto, incitati
principalmente da due esuli Perugini, Gatebolgo e Gogo, si
ribellarono a Gubbio.

I due capi della ribellione, per assicurar meglio l’ esito

(1) 2 Cod. delle Sommissioni, Bull. cit., an. I, fasc. I, pag. 144. Il Picotti pone
questa sommissione nell’ an. 1198: è facile vedervi lo scambio di posto di una cifra.
Lem



atn

a.

e

È

ELA EDI

e pe

è

x
A

-

i

532 P. CENCI

della loro impresa, chiesero a Perugia buon nerbo di gente (1).
Gubbio, posta nell'alternativa, non esitó nella scelta. Abban-
donó per il momento la guerra con Nocera, piü facile ad
avere potenti aiuti da Perugia perchè più vicina, e preferì
rassicurare il suo dominio su Cagii che realmente da lei di-
pendeva: dopo breve, ma aspra lotta, riuscì a domare i ri-
belli: Cagli dovette nuovamente chieder pace, e, l'8 giugno
1203, inviò a Gubbio i cittadini più autorevoli per giurare
la nuova sommissione (2). Questa pace, che saggiamente
Gubbio concluse a miti condizioni, concedeva il perdono a
quanti con Cagli avevano preso le armi, salvo però ai due
che ne erano stati causa: Gatebolgo e Gogo.

Negli ultimi giorni dell’anno precedente accortisi, i No-
cerini che le cose di Cagli volgevano in male, e che Gubbio
era per trionfare, pensarono bene di prevenire il momento
in cui questa città, vittoriosa dei Cagliesi, avrebbe rivolto
le sue armi contro la loro, e quindi decisero di affidarsi in-
tieramente alla protezione di Perugia. Mandati colà anche
essi i loro ambasciatori, il 2 decembre 1202, stipularono
l'atto di sommissione. In questo i Perugini, nel promettere
difesa ai nuovi sudditi, dichiararono che li seguirebbero in
una guerra contro gli Eugubini (3). Questa nuova perdita
dispiacque sommamente a Gubbio, il quale ogni giorno più
accerchiato dalla potenza di Perugia, ne inferiva danni gra-
vissimi per la propria indipendenza.

È molto accettabile ciò che noi apprendiamo dal Picotti
intorno alla guerra che si accese fra Perugia ed Assisi negli
anni 1203, 1204; Gubbio avrebbe prestato aiuti a quest’ ul-

(1) PICOTTI, Op. cit. L'intervento dei Perugini in questo caso dovette essere
velato; certo però risponde molto bene al desiderio che aveva quella città di esten-
dere il suo dominio e ridurre sempre più Gubbio ad un’ umile soggezione.

(2) Gubbio, Arch. Com. Liber Privilegiorum, pag. 44.

(3) I Cod. delle Sommissioni, loc. cit., pag. 145. Che Nocera realmente spettasse
agli Eugubini, risulta pure dalla pace stipulata fra Gubbio e Perugia nel 1217, nella
quale, per prima condizione è imposta a Gubbio la cessione di questa città e suo
territorio. Strana quindi deve parere la dichiarazione surriferita. A mio avviso fu
posta solo per frenare i moti intempestivi di Nocera ai danni di quella città.
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC. 538

tima; ma anche questa speranza di nuocere a Perugia andò
delusa: il 5 agosto 1205, Assisi dovette arrendersi (1).

Tre anni appresso anche Gualdo si sottomise a Peru-
gia (2, e ne seguì l'esempio Fossato, il cui proprietario, il
vecchio conte Bulgarello, unito ai suoi due figli, Raniero e
Bernardo, stanco di tante scorrerie con cui lo molestavano i
vicini, non trovaudo difesa nei suoi vecchi protettori, gli
Eugubini, aveva deciso porsi sotto la protezione di Perugia (3).

La cerchia dei possedimenti onde questa stava cingendo
Gubbio, sempre piü veniva stringendosi e paralizzava i mo-
vimenti e le mire ambiziose di questo popolo. Fu allora che
i Consoli di Gubbio per preservare da possibili scorrerie
quel lato di territorio, e singolarmente la pianura, acqui-
starono dai monaci di Alfiolo la porzione del castello di
Branca, che era di loro proprietà, per edificarvi una fortezza,
che unita ad altre due già innalzate dai signori della Branca,
servisse a difesa del territorio. Altrettanto fecero dal lato di
ponente, occupando con un improvviso fatto di armi il ca-
stello di Certalto, proprietà della Badia di San Salvatore di
Monte Acuto, e fortificatolo, vi posero buon nerbo di soldati
a tutela dei propri confini.

A noi riferisce il Picotti, che in questo tempo, mercè
l’opera saggia e conciliativa del potestà di Perugia, le rela-
zioni fra-le nostre città tornarono più amichevoli. Vennero
riconfermati i vecchi patti per cui non solo Gubbio tornò
amica di Perugia, ma da ghibellina che era, si piegò al par-
tito della Chiesa. Questo fatto, sebbene non l'abbia potuto
raffrontare con qualche documento di archivio, pure è pie-
namente accettabile, giacchè vi troviamo esplicata indiretta-
mente l’opera attiva di Innocenzo III, che cercava rassodare

(1) Bonazzi L., Storia di Perugia, Perugia, Tip. Santucci, vol. I, pag. 261.

(2) I Cod. delle -Sommissioni, loc. cit., pag. 147.

(3) Ibid., Bl. cit., an. VIII, fasc. I, pag. 143. L'atto porta la data del settem-
bre 1208. In esso apertamente si promette a Bulgarello di difenderlo, spetialiter ab
Eugubinis. Ofr. pure ALFIERI, Op. cit., appendice.

36

ICT ERORUTUTSERNTFRUCOTASINC EPI VES NA TEE DOSI Cc PRISENTI VPI ONE SPE TRA
RE

EM

"
E 7 2:

I^ T he.

3:

Ps

X

is

Dedit r
a.i

249

9 4.

n
&

534 P. CENCI

nel miglior modo la sua autorità su le città del suo stato.
Però le buone relazioni tornarono di nuovo a freddarsi,
quando Gubbio, venuto in Italia Ottone IV, cercò di accat-
tivarne l'animo, e dopo avergli profferto buona scorta di
uomini, inviò a lui come ambasciatori, il potestà Ermanno
« Salinguerre » Stanziolo Giudice ed i due consoli, chiedendo
la conferma dei privilegi rilasciati dagli altri imperatori. Ot-
tone non negò questa prova di sua benevolenza, ed il nuovo
diploma del 1211 valse a far tornare Gubbio al partito ghi-
bellino. Perugia alla nuova di questi avvenimenti entrò in
diffidenza verso Gubbio.

Le relazioni tese delle due città finirono in aperta osti-
lità per un'interna discordia degli Eugubini. Pare che allora
si rinnovellasse ciò che era accaduto intorno al 1150.

Come abbiamo visto in principio, il territorio Eugubino
verso Perugia era in potere di alcuni feudatari. Il potestà
di Gubbio: voleva togliere loro questi castelli, che il comune
di Gubbio vantava per suoi e che erano stati innalzati a
spese del publico erario, per ridurli quindi a fortezze di cui
il comune se ne potesse servire in ogni possibile evento. I
proprietarii al contrario rifiutavansi, sostenendo i propri di-
ritti. Quelli maggiormente irritati erano i Signori di Poggio
Manente, Ridolfino della Serra, Gualtiero di Val Marcola, Ugo-
lino di Coccorano, Transerico di Metula. Costoro, d’intesa con
altri, improvvisamente si recarono a Perugia, chiedendo aiuto,
e facendo a quella città profferta dei loro castelli. Giunto
il fatto a cognizione del popolo Eugubino, fu un generale
agitarsi per sdegno e furore.

Improvvisamente tutti corsero alle armi, e, senza atten-
dere nè ordini nè consigli, marciarono alla volta di quei di-
sgraziati castelli. Quelli che pacificamente si arresero vennero
rispettati: tre però, che osarono opporre resistenza, furon
presi con la forza, arsi e distrutti sino alle fondamenta. Furon
questi il castello di Pisciano, che apparteneva a Ridolfino di
Ranaldo Signore della Serra, il castello di Metula e quello di
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC. 535

Campeto (1). Altrettanto sarebbe accaduto di Val Marcola,
ma i Perugini vi mandarono buon presidio, onde i feudatari di
quel luogo, Gualtiero e Girardino di Rainuccio di Malguardo
in nome loro e del fratello Raniero di Ugone sottomisero
se ed il castello a Perugia, con il patto che Perugia non
avrebbe fatto. nè pace nè tregua con Gubbio, senza prima
comprendervi i possessori di Val Marcola. Ciò accadeva il 10
febbraio del 1216 (2).

Oramai era impossibile evitare una guerra. Entrambe le
città si prepararono nel modo migliore. -Gubbio oltre le genti
di Cagli, cercò l' alleanza di Città di Castello, ostile a Pe-
rugia. Ugualmente i Perugini imposero ai castelli e città da
lei dipendenti di tener pronte le loro milizie, nel mentre
che inviava i suoi ambasciatori per chiedere l’ appoggio di
altre città, ed in breve potè avere ai suoi ordini aiuti da
Spello, Todi, Spoleto, Bettona, Cortona, Nocera e Gualdo,
oltre quelli che a lei davano i feudatari ribelli a Gubbio.
Per indebolire l' appoggio che questa città poteva attendersi
da Castello, Perugia inviò buon numero di soldati contro
Montone, che fu costretto ad arrendersi, giurando i suoi rap-
presentanti in Perugia (10 marzo 1216) che avrebbero fatto
guerra contro « chicchesia, ma in particolar modo contro
Città di Castello e Gubbio » (3). Mentre ciò avveniva, un’ al-
tra ambasceria era partita, diretta ad Arezzo, per chiedere
a quella città la sua alleanza esclusivamente « ai danni di
Città di Castello » (4).

Non era da far pronostici su l' esito della guerra. I Pe-
rugini mossero per primi penetrando nel territorio eugubino,
ed inoltrandosi lungo il corso del Chiascio la cui destra era

(1) Queste notizie sono del Picotti; egli però le ha desunte dallo stesso lodo
che nell’anno successivo venne pronunciato dal potestà di Perugia per pacificare
le parti, e di cui sarà parola in seguito. :

(2) I Cod. delle Sommissioni, Boll. cit., an. VIII, fasc. I, pag. 153.

(3) I Cod. delle Sommissioni, Boll. cit., an. I, fasc. I, pag. 150.

(4) Ibid., Bo. cit.,'an. VIII, fasc. I, pag. 155.

we

aspra ze

NEST

PI LATE,
DIPTROIVETAOYA

i

pauci tt) ue Pn
1

536 P. CENCI

protetta dalle genti e dai Castelli di Ugolino conte di Coc-
corano; posero l'assedio a Vaccheria, forte poco lontano
da Colpalombo. Gli Eugubini poco sperando in quel punto,
si contentarono di difendersi alla meglio: invece portarono
le loro opere di difesa dal lato opposto, fortificando i ca-
stelli di Monte del Vescovo e di Agnano. Durante questi av-
venimenti giungeva in Perugia il pontefice Innocenzo III,
che recavasi a Pisa per comporre le contese sorte fra quella
repubblica e l'altra di Genova e per indurre entrambe a
prendere le armi per una nuova crociata. Gli Eugubini, che
più nulla speravano da Ottone IV, allora colpito da scomu-
nica, si lusingarono che il Pontefice avrebbe potuto molto nel-
l'opera di pacificazione, ed a tal uopo inviarono a lui un'am-
basceria di distinti cittadini. Ma sventuratamente il papa venne
a morte, e nulla si concluse (1). Furono riprese le armi con
ferma volontà di finirla una buona volta. Perugia riusci ad
espugnare il forte di Vaccheria, indi quello di Castiglione
Aldobrando. Gli Eugubini peró riuscirono a riprenderli en-
trambi, anzi si inoltrarono nel territorio Perugino: ebbero
Fratticiola con altri castelli dei dintorni, e tutti distrussero.
Però in questo momento sopraggiunsero ai Perugini gli aiuti
inviati da Todi e Spoleto: questi decisero della sorte delle
armi. Gubbio ogni giorno perdeva maggior numero di soldati
né aveva come riparare le perdite. Certo d'ambo le parti
si cercó arrecare il maggior danno al territorio nemico ; fu-
rono devastate le campagne, arsi i castelli, fatto ricco bot-
tino, con buon numero di prigionieri, ma finalmente il piü
debole dovette soggiacere. Ignoro se vi sia stato un combat-
timento decisivo fra i due piccoli eserciti: è da presumersi,
mentre il cronista anonimo di Perugia dice che in quest'anno
« furon rotte le genti di Gubbio » (2). E veramente dovette

(1) PrcoTTI, op. cit. È da supporre che in quesio momento i combattenti ab-
biano fatto una breve tregua, per dar tempo agli Eugubini di proporre un accomo-
damento.

(2) BONAZZI, op. cit., vol. I, pag. 250,
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC. 22D

trattarsi di una sconfitta irreparabile, poiché le condizioni
con cui Gubbio chiese la pace, fan ritenere per disperata
la sua posizione. Nell’ agosto del 1217 fu inviata a Perugia
la consueta commissione di cittadini, presieduta dallo stesso
potestà Ugolino « de Sancto Paulo ». Il Consiglio di Perugia
scelse a suo rappresentante il proprio camerario Bonifacio
« Coppoli ». Entrambi poi elessero per loro arbitro della
composizione lo stessa potestà di Perugia, Pandolfo « de Fi-
gura » Console Romano (1).

A qualunque termine fossero giunte le cose pure resta
sempre inesplicabile come gli Eugubini abbiano acconsentito
ad avere per arbitro delle loro sorti il primo magistrato
della città nemica; da lui potevano solo attendersi condi-
zioni umilianti, e tali furono di fatto.

Innanzi tutto Pandolfo volle assicurare alla sua città il
possesso di tutti i castelli e luoghi che a lei si erano sotto-
messi; quindi impose che gli Eugubini cedessero al sindaco
di Perugia ogni loro diritto su Nocera e suo contado, sul ca-
stello di Val Marcola e di Monte Fiore e loro distretti, su
quello di Civitella dei Conti, su Poggio Manente, su i ca-
stelli delle Portole, di S. Cristina, di Colcelli, di Febino, di
Codale compresi i loro distretti. Altrettanto si impose agli
Eugubini riguardo ai castelli di Coccorano e di Giomisci, il
cui proprietario, il conte Ugolino, d'ora in avanti doveva es-
sere dipendente dei Perugini. I castelli di Monte del Vescovo
ed Agnano, che Gubbio aveva fortificato per resistere a Pe-
rugia, dovevano essere rasi al suolo entro tre mesi, con la
formale promessa di non più riedificarli, anzi fu vietato agli
Eugubini di potere innalzare qualsiasi castello su i colli che
elevansi su la frontiera Perugina. Impose inoltre lo stesso
Pandolfo di reintegrare in tutti i suoi beni Gualtiero di Val
Marcola. Vietò pure qualsiasi rappresaglia contro i popoli
summentovati i quali avevano prestato aiuti a Perugia nella

(1) Arch. Com. di Gubbio. Perg. Busta VIII.
598 P. CENCI

guerra, nonchè a tutti quei feudatarii che, ribellatisi a Gubbio,
avevano indotto Perugia a prendere le armi.

Venne proibito agli Eugubini di molestare quei cittadini
di Perugia che avessero beni nel loro territorio. Per i danni
e spese di guerra d'ambo le parti doveva rinunciarsi ad un
indennizzo. Quanto ai tre castelli che gli Eugubini avevano
diroccato nei primi assalti che fecero contro i feudatari ri-
belli, fu stabilito che quello di Pisciano non verrebbe rico-
struito, ma in compenso il comune verserebbe 500 marchi
d'argento ai proprietari di quel feudo, Rodolfino e Rainaldo
conti della Serra. Al contrario, sempre a spese del comune
di Gubbio doversi ricostruire, e munire i due castelli di Cam-
petro, appartenente a Frate Leone, e l'altro di Metula spet-
tante a Transerico. Inoltre i nobili che Gubbio aveva inviato
a chiedere la pace furono obbligati a giurare. di nuovo
lantico trattato. d’ alleanza, o meglio, di sommissione, del-
l'anno 1183 (1).

L'unico favore che ne ebbero gli Egubini, fu la resti-
tuzione dei prigionieri di guerra, che ammontavano a circa 200;
ma tanto poco era appena paragonabile ai danni subiti.

Giurato il tutto su gli evangeli, furono imposte per pena
agli Eugubini, qualora contravvenissero ai patti, 1000 libbre
di oro purissimo. L'atto in pubblica forma fu stipulato dal
notaro « Deotesalvi» alla presenza di illustri testimoni d'ambo
le parti, e comunicato pure al potestà di Gubbio.

Tornata di Perugia la commissione eugubina, e cono-
sciutesi da questo popolo le condizioni della pace, fu un
grido generale di protesta e di lamento, che minacciava di
scoppiare in aperta rivolta ed in sedizione di sangue. Gli
uni accusavano di tradimento gli stessi ambasciatori; gli al-

(1) Cio é confermato non solo dall'atto di sommissione del 1183 il quale porta
in appendice il giuramento di tutti i cittadini Eugubini che intervennero al lodo del
1217, ma anche da questo secondo documento il quale impone di accettare il nuovo
arbitrato « deditionem strumento antiquo conservando ». L'istrumento antico non
può essere che la sommisione del 1183.
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC. 539

tri inveivano contro i nobili del contado, che erano stati
causa di tanta rovina: volevasi ad ogni costo rompere il
trattato e riprendere le armi con l'ardire della disperazione:
ma i più saggi cittadini cercarono frenare questi moti intem-
pestivi; facevano notare che un gran numero di giovani eran
caduti prigionieri dei Perugini, e che dall’ossservanza dei
patti dipendeva la loro libertà; inoltre accampavano che il
mancare al giuramento verrebbe giudicato per vile slealtà.
Quindi non si venne subito all'esecuzione del lodo. Il Picotti
attribuisce quest’esitazione dei Perugini ad un loro occulto
desiderio di potere in breve ridurre gli Eugubini ad una più
piena sudditanza, dopo aver fiaccato Città di Castello, e sot-
tratto alla loro fedeltà i Cagliesi. Invero ciò era facile, poi. 1 A
ché gli Eugubini, per rendersi piü fedele questo popolo ave- n
vano a lui restituito la custodia delle proprie rocche. Anche
essi, d'altra parte, speravano nel tempo: si lusingavano che
le. città amiche a Perugia si stancherebbero della sua al-

leanza, la quale ad esse non portava alcun profitto; spera-
vano ancora che in quegli anni gravidi di foschi avveni-
menti, anche ai loro nemici ne toccherebbe qualcheduno, e
quindi, affidati all'avvenire, soprassedettero nell'esecuzione
dei patti. Frattanto peró richiamarono i Cagliesi per ricon- E
fermare il giuramento di fedeltà. Hi

Cagli, come accadeva allora alla comune delle piccole
città, quando due più potenti ne contendevano il possesso,
esitava. Elesse un suo procuratore che andasse in Gubbio

per prestare il giuramento, ma d'altra parte dette segreta-
mente a lui facoltà di trattare anche con il Consiglio di Pe-
rugia a quelle condizioni che giudicasse migliori (1). Per il
momento il procuratore di Cagli non giudicò opportuno di
tradire l'alleanza già firmata con Gubbio.

Frattanto Perugia preparava nuove armi: si accattivò

(1) Z Cod. delle Sommissioni, Bull. cit., an. II, fasc. I, pag. 132. L'ambascia-
tore Bartolo « Bernardoli » eseguì questa seconda parte del suo mandato l'anno
seguente.
540 P. CENCI

l'animo del papa, facendo a lui conoscere come Gubbio non
volesse sottostare alla Chiesa, ma ribelle favorisse l’ impero.
Onorio per facilitare ai Perugini la sottomissione di Gubbio,
concesse con apposita bolla di potere imporre le collette
nella città e nel territorio, per far fronte alle spese di guerra
che incontrerebbero in quest'impresa (1). Di più, in prepa-
razione alla nuova campagna, Perugia cercò assicurarsi ancor
meglio la fedeltà dei feudatari che a lei si erano sotto-
posti; e per intimorirli ricorse pure alla severità, condannando
così, Fongolo ed Agnolo di Ranuccio, conti di Val Marcola per
avere male amministrato il proprio castello. Rinsaldò i trat-
tati d'alleanza, e poichè sembrava che Todi volesse discio-
gliersene, mandò ambasciatori per rinnovarlo, ed il nuovo
fu poi firmato nel settembre del 1218. In questi preparativi
passò la prima metà di quell’anno. In quel momento, per
una tacita convenzione, non si volle scendere in campo per
non danneggiare i raccolti, che formavano l’unica speranza
delle grame popolazioni (2).

Al giungere della primavera pareva che tutto fosse de-
ciso per una nuova campagna. Perugia aveva finalmente
avuto l'assoluto dominio di Cagli, che, a mezzo del già citato
Bartolo « Bernardoli », le si era sottomessa il 30 maggio 1219,
e con determinato patto avevano stabilito vicendevolmente
di prestarsi aiuto e difesa contro gli Eugubini ed i Castel-
lani (3). Anche Castello fu presto dominata, poichè Perugia
seppe destramente unirsi ad Arezzo e con questa città at-
tacarla e vincerla. Era l’ultima alleata, e l’ultimo aiuto che
veniva a mancare agli Eugubini! (4)

Il grave pericolo che minacciava Gubbio, persuase il
consiglio di questa città a cercare un protettore che ne

(1) I Cod. delle Sommissioni, Bull. cit., an. VIII.
(2) PICOTTI, op. cit., fog. 5l.

(3) I Cod. delle Sommissioni, loc. cit.

(4) BoNAZZI, Stor. cit., vol. I, pag. 272.
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC. 541

sposasse la difesa. Questi fu appunto il Legato apostolico per
la Marca, il quale riusci a riamicare Gubbio con Perugia, ed
ottenne che questa si contentasse del solo Val Marcolà e di
Cagli, lasciando agli Eugubini i restanti castelli (1). Sembra
che il Vicario della Marca Anconitana abbia con tanto inte-
resse favorito la pace delle nostre città, per trar profitto de-
eli Eugubini nella guerra che quegli aveva mossa a Fabriano,
per ridurre pure questa città alla dipendenza di Roma.

Pochi avvenimenti importanti trovo sul nostro argomento
nel primo periodo di lotta, che sorse fra Federico II ed i pon-
tefici Onorio IV e Gregorio IX. Questi due papi cercarono con
la persuasione e con le minaccie di tenersi Gubbio fedele, ma
in ciò nulla ebbe a vedere Perugia.

Nell'anno 1223 avvenne in questa città la terribile se-
dizione per cui furono banditi dal popolo tutti i nobili, che
ardenti di vendetta, si rifugiarono nelle vicine città, e prin-
cipalmente in quelle ostili alla lor patria, cercando cospi-
rare ai danni di questa. Il Bonazzi fra le altre, annover:
pure Città di Castello e Gubbio. Sebbene non mi risulti da
appositi documenti, pure è bene accettabile tale supposizione,
giacchè nessuna città poteva esser maggiormente lieta del-
lumiliazione di Perugia, quanto queste due, che proprio al
lora tanto avevano sofferto per la potenza della loro rivale.

Nel sessennio, 1223 - 1229, quanto duró la lotta civile in
Perugia, gli Eugubini, coadiuvando i fuorusciti, fecero scor-
rerie nél territorio perugino, rifacendosi in tal guisa, dei danni
patiti. Anzi, osarono fin riprendersi Val Marcola, persuasi che
i nuovi signori per lungo tratto di tempo avrebbero ben altre
cose a pensare. Anche Cagli osó ribellarsi a Perugia, tentando
di governarsi da sola. Gubbio fiutó la preda: abbisognava peró

(1) PICOTTI, op. cit., fog. 52.

LI

i

docu coo arre mis gine p, t 542 P. CENCI

fortificare i confini per impedire in apparenza ostili incursioni,
ma in realtà per concentrarvi le proprie forze nel caso in
cui occorresse resistere ad un tentativo di riconquista. A tale
scopo edificò il castello di Cantiano al di quà dell'Appennino,
su la via Flaminia; e ad oriente di Cagli, nel 1233, il forte
castello di Pergola. In questo, Gubbio raccolse, non solo molte
famiglie emigrate dalla città, ma tutte quelle dei vicini ca-
stelli, che erano restati distrutti negli ultimi avvenimenti.
Tali fatti indubbiamente costituivano una provocazione, e
tanto più aspra, quanto più importanti erano le nuove co
struzioni (1). Cagli sopratutto ben si vedeva minacciata, e per
ciò decise di opporsi con energia, prima ancora che le for-
tezze fossero giunte a compimento. Occorreva un appiglio:
non poteva addursi quello del territorio, perchè era degli
Eugubini; Cagli si attenne a quello degli abitanti venuti a
stabilirsi in Pergola e che prima erano suoi sudditi. Innanzi
tutto i Cagliesi espressero ai Perugini il loro rammarico per
una tale usurpazione fatta da Gubbio, e ne chiesero l'appog-
gio delle armi. Perugia accondiscese, e mandó tosto buon nu-
mero di soldati. Cagli inoltre riusci ad entrare nella lega delle
città della Marca Anconitana, ed ebbe promesse di aiuto da
Ancona, Pesaro, Fano, Urbino e Iesi. Ció avveniva sui primi
del 1234. Gubbio tentó prima con l'appoggio di Rocca Con-
trada e di Assisi di dar battaglia all' esercito di Cagli quando
ancora questa città aveva il solo aiuto di Perugia. Ma i ne-
mici seppero ritirarsi a tempo, sicuri della vittoria al giun-
gere degli altri alleati.

I Magistrati Eugubini decisero allora di fare appello al
Pontefice: inviarono a lui un'ambasceria in Viterbo, pregan-
dolo di interporre la sua autorità perché gli alleati di Cagli
si ritirassero. Gregorio IX, che in questa sua intromissione
vedeva una buona oceasione per rassicurarsi la fedeltà degli

(1) Per il solo castello di Pergola Gubbio spese 100.000, libbre di moneta. Arch.
Com., vol. Vertenza per la Pergola.
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA; ECC. 543

Eugubini, accondiscese volentieri alle preghiere. Nei primi
del novello anno trattò in Perugia direttamente con i capi
di quella repubblica e li indusse a ritrarre i presidi inviati,
a condizione però che Gubbio rilasciasse il possesso di Val
Marcola, dai cui abitanti il territorio di Perugia aveva avuto
tante molestie e che gli Eugubini si erano ripresi con mene
fraudolenti. Il papa non volle dire apertamente che il ca-
stello sarebbe restituito ai Perugini, ma scrisse ingiungendo
di porlo nelle sue mani entro il termine di 15 giorni: egli
poi avrebbe pensato di. restituirlo a Perugia (1). Gli Eugubini
non si fecero certo pregare: desiderosi di non intralciare per
così poco il bello avviamento che avevano preso i loro inte-
ressi con Cagli dettero al Pontefice il possesso del sopra
detto castello. Intanto Gregorio aveva dato lettere ai po-
testà delle città collegate con Cagli perchè desistessero dal
prestare aiuto a quella guerra. Le città però non dettero
ascolto. Anzi, partito Gregorio da Perugia (1236) riuscirono
a riportare questa in favore di Cagli e proseguirono nelle
ostilità. Gli Eugubini inviarono una nuova ambasceria a Vi.
terbo, lamentando la mancata fede di Perugia e delle altre
città. Il Papa allora inviò ordini severissimi al suo Vicario
in Spoleto, imponendo lo scioglimento della lega. Scrisse al
Potestà di Perugia, notificandogli di aver comandato al ve-
scovo di Assisi, di fulminare l'interdetto su Perugia stessa
qualora non si ritraesse dalla lega rinnovata con Cagli. Al-
trettanto comunicó ai Magistrati delle altre città (2). Questa
volta l'intento fu ottenuto: e gli altri alleati abbandonarono
Cagli, ed essa dovette a suo malincuore lasciar crescere vi-
cino a lei il fiorente castello.

L'intromissione del Pontefice valse ai nostri due comuni
molto più che non il semplice abbandono delle ostilità, giacchè

(1) Arch. Com. di Gubbio. Perg. B. II, n. 15.

(2) Ibid., num. 1, 9, 19, 22. Le memorie e i documenti di questa vertenza furono
x pubblicati da GENTILI LUCANTONIO nel 1737, Tip. Recutti, Venezia, in una « Lettera
delle memorie storiche di Pergola ».

a tpa irt. Toit

he 7 Pi
"Y. SS FIA In SICA 544 P. CENCI

nell’anno appresso, uniti a Todi e Fuligno, strinsero una lega
di mutua alleanza, che poteva dirsi realmente la prima lega
guelfa dell’ Umbria, poichè ad essa potevano aderire non solo
città limitrofe, ma quante avessero voluto prendervi parte
in avvenire, eccettuato soltanto che per le avversarie di cia-
scuna delle città già alleate, occorreva il consenso di que-
sta (1). Nel nuovo giuramento di vicendevole amicizia noi
troviamo che Perugia, circa le promesse di aiuto, negava
di prender le armi contro la Chiesa Romana e quindi Roma,
contro Nocera, Città di Castello, Cortona, Gualdo e Cagli.
Circa quest’ultima poi, il potestà di Perugia si riserbava
il diritto di definire e conciliare qualsiasi questione che
potesse sorgere fra lei e Gubbio, alla condizione però, che
quest’ ultima avesse sempre il possesso di Pergola. Gubbio
poi eccettuava oltre la Chiesa, le città di Castello, Assisi e
Fano (2). Quanto all'ammettere nuove alleate, noi troviamo che
fra le ostili a Perugia era Terni e Narni; Cagli fra quelle di
Gubbio, per cui prima di accettarle nella lega. occorreva
per. esse il consenso di quelle. Perchè poi il trattato avesse
maggior vigore, fu stabilito che d'ambo le parti venisse giu-
rato da 50 cittadini; ed a taie scopo ciascun potestà dei due
comuni si recò nell'altra città, per ricevere il detto giura-
mento, registrandone poi i nomi di chi lo prestò, in calce
al trattato stesso, in duplice colonna.

Con una convenzione pci particolare fu deciso di appianare
tutte le difficoltà che potevano porre in pericolo la stabilità
della pace. Quindi il potestà di Perugia fece quietanza di
quanto lo stesso comune poteva essere in credito con il co-
mune di Gubbio (3). Inoltre, siccome gli Eugubini non ave-
vano ancora ubbidito al comando fatto da Gregorio IX circa

(1) Ibid., B. VIII. Cf. I Cod. delle Sommissioni, Bull. cit., an. VIII, fasc. I. Il
trattato porta la data del 26 agosto, 1237. Nel 16 nov. dello stesso anno venne rin-
novato, perché nella lega entrò pure Spoleto.

(2) I Cod. delle Sommissioni, loc. cit.

(3) Arch. Armanni. Perg., fasc. X, n. 2.
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC. 045

il castello di Val Marcola, ma anzi se lo erano acquistato
comprandolo da Ranuccio di Malguardo signore di quel luogo,
ed ivi come sempre lasciavansi ricoverare i peggiori nemici
di Perugia, fu deciso di toglierlo di mezzo. Prevedendo che
Gubbio non se ne sarebbe spogliata senza prima avere un
forte compenso, si decise di lasciarglielo, obbligandola però
a distruggerlo. D'altra parte dopo che Gubbio avesse adem-
piuto la promessa, Perugia avrebbe cassato ed annullato l' ar-
bitrato di Pandolfo di Figura, pronunciato nel 1217. Le con-
dizioni piacquero ad entrambe le parti.

Gubbio si obbligò a distruggere intieramente il citato
castello con le sue torri, le mura e gli altri edifici, rispar-
miando soltanto una piccola chiesuola con il suo campanile,
promettendo con giuramento, che mai in avvenire avrebbe
riedificato alcun fabbricato, neppure la stessa chiesa, se fosse
venuta a cadere. A queste convenzioni prestarono il loro giu-
ramento i cinquanta cittadini (1). Giunto à cognizione del po-
testà di Perugia, Enrico « de Castilione » di Milano, che
Gubbio aveva realmente atterrato Val Marcola, egli alla sua
volta, alla presenza degli stessi procuratori di Gubbio, si af-
frettò ad annullare l’arbitrato di Pandolto, facendo stipulare
per man di notaro l'atto di radiazione (2).

Narra il Picotti che le prime gesta dei collegati fu di
aiutare. Assisi assediata da un distaccamento dell'esercito di
Federico, che si recava in Roma. Gl'imperiali furono co-
stretti a lasciare l'assedio e proseguire il loro viaggio (3). Il
comune di Perugia offri di nuovo i suoi buoni uffici in fa-
vore di Gubbio, in una vertenza sorta fra Raimondo e Abru-
namonte signori di Sioli, Città di Castello e Gubbio per il ca-
stello di Certalto. Pare che i tre contendenti vantassero uguali
diritti su lo stesso castello e che Gubbio per troncar tutte

(1) Ibid., n. 5.
(2) Ibid., Perg. B. IV.
(3) PICOTTI, loc. cit., fog.

oT.
546 P. CENCI

le liti, avesse in animo di distruggerlo. Perugia riuscì a ri-
muovere quest'ultimo divisamento e ad ottenere una tregua
di due mesi fra Castelio e Gubbio onde nel frattempo riu-
scissero a comporre la vertenza (1).

Nel 1242 la lega delle città umbre, nel lungo interregno
succeduto dopo la morte di Gregorio IX, si fortificò, entrando
in alleanza con la stessa Roma, la quale strinse un trattato
con la città di Perugia nel marzo dello stesso anno, invi-
tandola a combattere l’imperatore, ed a non far pace con lui,
senza il suo consenso (2).

Non posso accertare che Gubbio con la sua condotta sia
restata ognora fedele ai patti che univano i collegati. Anzi
un documento interessante ce la fa vedere riavvicinata al-
l’imperatore Federico nel 1241, poiché allora appunto que-
sti inviò agli Eugubini un suo diploma di privilegio per
la città. Che se i fieri capi Guelfi erano riusciti nel 1240 a
cacciare in bando tutti i Ghibellini, questi poco a poco erano

. tornati, ed il popolo seguendo la fortuna della vecchia casa
imperiale, li aveva di nuovo chiamati alle prime cariche comu
nali. Quindi tacitamente Gubbio venne a distaccarsi dalla
legazdelle città guelfe, appoggiandosi all'amicizia ed al fa-
vore di Federico II. In pochi anni ebbe da lui tre diplomi
che confermavano il possesso di tutti i castelli. Fin dal primo
di questi, Federico attestava di averli rilasciati per è servigi
prestati dalla città di Gubbio alla sua causa, e per la fedeltà
dei suoi cittadini (3).

Questo brusco abbandono che Gubbio aveva fatto della
causa del guelfismo non dovette per certo piacere alle città
alleate, fe molto meno a Perugia. Neppure però dovette far
meraviglia, poichè nelle lotte del tempo precedente, Gubbio si
era di rado disgiunta dai Ghibellini. Avvenuta la morte di Fe-

(1) Arch. Arm. Perg., fasc. X, n. 5.

(2) BONAZZI, Op. cit., pag. 291.

(3) Arch. Com. di Gubbio. Perg. B. I. I diplomi sono degli anni 1241, 1244, 1248;
di Pergola si parla solo in quest' ultimo.
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC. 9047

derico II, gli Eugubini si decisero di cercare nuovi amici,
per trovarsi, nel caso di un conflitto, muniti di forze. Questi
li ebbero fra le città della Marca. Quindi nel 1251, strinsero
un trattato con Urbino e Fabriano; dopo qualche guerri
glia, pure con Cagli; più tardi anche con Iesi (1).

Intanto accadeva un fatto che dovette eccitare in ma-
niera ben grave Perugia, poiché ridondava a suo affronto
più che a suo vero danno. Raniero di Bulgarello, suo potestà,
con il fratello Berardo, con la moglie ed i propri figlioli
vendettero nel marzo del 1251 al comune di Gubbio il proprio
feudo di Fossato, dipendente da Perugia, per il prezzo di
4000 libbre. Non so proprio spiegarmi un tale atto, che deve
dirsi un tradimento compiuto dal potestà di Perugia nel mo-
mento stesso in cui questa lo aveva onorato della suprema
delle cariche (2). Certo è che la gelosa repubblica dell’ Um-
bria restó vivamente offesa per tale violazione dei suoi di-
ritti, e meditò fin d'allora di riconquistare quel brano del
suo territorio. Appreso che Gubbio aveva cercato appog-
gio presso altre città, giudicò prudente di assicurarsi dei
suoi sottoposti, chiamandone i sindaci a giurare nuovamente
a lei fedeltà: primo fu Gualdo nel febbraio del 1251, quindi
Nocera nel luglio dello stesso anno. In questi nuovi patti di
sottomissione, non solo non si fa piü parola di non prestar
soccorso a Nocera contro Gubbio, ma anzi apertamente
viene dichiarato di volerlo fare (3).

Però la guerra non divampò tosto in quell’anno, poichè
venne in Perugia il pontefice Innocenzo IV e quindi i Peru-
gini furono tutti occupati nel fare festose accoglienze al-

(1) Arch. Arm.; fasc. XII, n. 5, 7, Arch. Com., B. IX, n. 12.

(2) Siccome prima ancora che finisse il semestre di quell’anno noi troviamo
un altro potestà, sembra a me più accettabile che i Perugini abbiano, per un mo-
tivo a noi ignoto, cacciato il potestà Raniero, e che questi siasi vendicato vendendo
a Gubbio il proprio castello. Quanto all’ atto di vendita ef. I Cod. delle sommissioni
Bull. cit., an. II, fasc. I, pag. 141. Così pure, ALFIERI A., Op. cit., pag. 24 e seg. Ivi
in appendice sono riferiti i principali documenti intorno a questa vertenza.

(3) Z Cod. delle Sommissioni, Bull. cit., pag. 143.
548 P. CENCI

lospite illustre. Questi, desideroso di tenersi fedele non solo
Perugia, ma anche Gubbio, cercó rimuovere ogni lite, proi-
bendo ad entrambe, sotto la minaccia dell'interdetto, di far
guerra a qualsiasi città (1). Ma gli Eugubini non erano tran-
quilli, e quindi venivano provvedendo alla difesa, nel caso
d'una possibile guerra. A questo scopo, su la frontiera Pe-
rugina, avevano riedificato il forte di Castiglione Aldobrando,
luogo strategico e di difficile accesso al nemico.

I Perugini avvertirono l'intenzione ostile dei propri vi-
cini, e senza ricorrere alle armi, preferirono rivolgersi ad In-
nocenzo IV, perché con la sua autorità si interponesse a che
quel castello venisse diroccato. Ed il papa, grato alla città
che lo aveva ospitato, dette tosto il mandato al Card. Pietro
di S. Giorgio, Vicario apostolico del ducato di Spoleto, di far
diroccare quel castello, che gli Eugubini avevano riedificato
contro la convenzione avuta già con Perugia (2).

Intanto neanche il consiglio di questa città perdeva il
. tempo, ma innanzi tutto volle che il papa ratificasse l'acqui-
sto del castello di Val Marcola, mentre a lui apparteneva in
qualche modo, in forza della cessione che gli era stata fatta
dagli Eugubini, nel 1235. Però in Gubbio si ebbe per non
intesa l’ingiuuzione di distruggere Castiglione, perchè un tale
atto avrebbe valso solo ad indebolire la città, non a rimuo-
vere una guerra.

In questo tempo, o poco prima, un’altra villa era ve-
nuta a sottoporsi a Gubbio: Sigillo, Pare che la costruzione
di questo castello datasse da pochissimi anni (1247), e che
non ostante il comune di Perugia l' avesse autorizzata, pure
scorso appena un lustro, spontaneamente fosse venuto a sot-
toporsi a Gubbio che l’accettò con piacere, sapendola un
nuovo appoggio, sia pur piccolo, da valersene per. resistere
ai nemici (3).

(1) PICOTTI, op. cit., fog. 62.

(2) 1 Cod. delle Sommissioni, an. X, fasc. I, pag. 63. La convenzione di cui qui

si parla é certo del 1217.
(3) PICOTTI, op. cit., fog. 59.
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC. 549

Ma questi acquisti potevano essere contestati a Gubbio
in nome dell'autorità pontificia. Molti dei feudi infatti a lei
Spettanti e lo stesso Fossato, dipendevano dalla Sede Apo-
stolica. Perugia avrebbe potuto chiedere la condanna di que-
Sta città come usurpatrice dei diritti papali; pertanto, venuto
in Gubbio il Card. Giovanni Compatre, Vicario apostolico del
ducato di Spoleto, gli Eugubini, a prevenire gravi pericoli,
lo pregarono a rilasciare al loro comune una concessione di
quei luoghi. Egli lo fece volentieri, sperando con ciò di ami:
carsi sempre più questo popolo; quindi concedette a lui è di-
ritti e le rendite che la Chiesa Romana poteva avere in Fossato
e nel contado di Gubbio, per lo spazio di tre anni, comin-
ciando dal maggio 1255, purchè Gubbio pagasse l' annuo ca-
none di 200 libre ravennatensi ». L'atto fu stipulato il 10
maggio dello stesso anno, nell’ episcopio di Gubbio (1).

Un fatto intanto accadeva ai confini, nel lato opposto a
Perugia, che però si riallacciava alle relazioni di cui ora. ci
occupiamo. Sassoferrato, al pari di Cagli, aveva visto di
mal'occhio l'erezione del forte castello di Pergola, presso ai
propri confini.

Lo sdegno dei Sassoferratesi si accese maggiormente per-
ché molti abitanti di un altro piccolo castello, chiamato Doglio,
di loro spettanza, abbandonando le proprie dimore si erano
trasferiti.ad abitare in Pergola. Perugia dovette certo mo-
Strarsi propensa a quei reclami; e mercé il potestà di Sas-
soferrato, che era perugino, procurare aiuti al piccolo pae-
sello che non temeva affrontare una guerra con Gubbio.
Peró la sorte delle armi non poteva essere dubbia: nel
marzo del 1256, Sassoferrato dovette concluder la pace, sot-
tomettendosi a Gubbio. Con tale atto anche questa terra en-
trava a far parte della lega ghibellina delle altre città della
Marca. Peró non poteva negarsi che la nuova sottomissione
non fosse un nuovo affronto che si faceva alla repubblica

(1) Arch. Com. di Gubbio. Perg. B. VI, n. 1.

be

ld €
————— MEE
550 P. CENCI

Perugina, poichè quel comune era a lei sottoposto (1). Per-
suasi gli Eugubini che la guerra era ormai imminente, de-
cisero di costringere i soliti feudatari a lasciare i propri ca-
stelli a libera disposizione del comune.

Questo privarsi dei propri possessi però a molti non
piacque: e quindi, se altri accondiscesero, altri si opposero
risolutamente. Fra questi eravi Tommaso di Monaldo di
Suppolino Signore di Compresseto e Guido suo fratello Si-
enore di Casa Castalda. Essi, abbandonata la città, si ritira-
rono nei propri feudi per difenderli, spargendo intanto la
voce che se Gubbio avesse osato di muovere loro guerra,
avrebbero sottomesso se ed i loro castelli a Perugia. Gli
Eugubini non si atterrirono per questa minaccia, ma invia-
rono il proprio esercito sotto il comando del Capitano del
Popolo a Compresseto per impadronirsi del luogo. Tommaso
dopo avere invano tentato difendersi, di nottetempo se ne
fuggi a Perugia per fare offerta a quella città del suo
feudo assieme al suo vicino Ioanuccio di Bartolo, Signore
di Frecco, che fece altrettanto.

Gli Eugubini intanto appreso che presso Nocera tro-
vavasi l' esercito di Perugia coadiuvato dai Folignati, si av-
viarono a quella città; peró, tolte piccole scaramuccie non
si ebbe alcuno scontro; forse perché entrambi gli eserciti
erano pari di forze, mentre gli eugubini avevano al proprio
aiuto le genti di Cagli, Urbino e Fabriano. Per non essersi
mossi inutilmente, questi ultimi vollero avanzarsi verso No-
cera, saccheggiandone il territorio, e tentando di porle l' as-
sedio (2). i

In questo mezzo sopraggiunse Tommaso a. Compresseto
con uno stuolo di soldati avuti dai Perugini, cui prima aveva
fatto promessa di tenere il feudo ad onore e potenza del detto
comune(3); egli riuscì a riconquistarlo. Gli Eugubini non appena

(1) Ibid., B.
(2) PICOTTI, op. cit., f. 65.
(3) Ibid., pag. 66. I Cod. delle Sommissioni, Bull. cit., ann. II, fasc. 1.
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC. DDI

lo seppero corsero alle case di Tommaso poste in città, e le
arsero intieramente. Il vecchio padre se ne fuggi da Gubbio
e si ritirò in un altro suo feudo, chiamato Giomisci. Quanto
al fratello di Tommaso, Guido, mentre anch’ egli tentava tor-
narsene a Casa Castalda per ricuperarla, cadde in un’ imbo-
scata tesagli dagli Eugubini avvertiti del suo ritorno; onde
perdute tutte le sue forze, dovette fuggirsene solo in Pe-
rugia (1). Due mesi appresso a questi fatti che ora ho nar-
rato, egli costretto forse dal bisogno, invece che serbare il
possesso del suo feudo a nome della repubblica di Perugia,
come aveva fatto il fratello, lo vendette definitivamente per
la somma di 1050 libbre.

Gli Eugubini per essere più sicuri della buona riuscita
della guerra, avevano cercato un valente capitano, e me-
diante le alleanze strette con le città della Marca, lo avevano
trovato in Monfeltrano di Urbino, che elessero a loro potestà.
Sotto il comando di costui, nel finire dell’anno 1257, Gubbio
potè vincere l’esercito Perugino con cui era venuto a bat-
taglia presso Nocera, e ne riportó per profitto la conquista
di questa città.

Frattanto vennero iniziate dai Perugini alcune trattative,
che, se fossero riuscite appieno, avrebbero dato a loro la
vittoria senza colpo ferire.

Inviati alcuni messaggi al nuovo pontefice Alessandro IV,
lo richiesero che donasse alla loro città il contado di Gubbio.
Forse come ragione avranno essi addotto lo spirito ribelle di
questa città che mai aveva ubbidito fedelmente alla Sede Ro-
mana, nonché l'assurdità della concessione fatta dal Card; Gio-
vanni, che non era valsa ad altro se non a fortificare un nemico.
Alessandro IV accondiscese di buon grado. Professando aper-
tamente che ad una città fedele come Perugia nulla si poteva
negare, fosse pur grande quello che chiedeva, scrisse tosto
il 23 decembre 1257 da Viterbo al Rettore della Marca An-

(1) PicorTI. loc. cit.

tant p S et ai]

,

= : ri
E mo ais ecce a t
552 P. CENCI

conitana, imponendogli di aiutare del suo meglio il suo in-
viato speciale Uberto « de Cocaneto » perchè per la durata
di un quinquennio, da cominciare il 1 gennaio 1258, cedesse
a Perugia il contado di Gubbio. Nello stesso tempo poi an-
nullò la concessione già fatta a Gubbio dello stesso contado
dal Card. Giovanni, eletto di Anagni (1).

L'inviato pontificio chiese tosto che il com. di Perugia
nominasse un suo procuratore per ricevere il possesso dello
stesso territorio. Le condizioni erano che Perugia pagasse
alla Camera apostolica 200 libbre senesi, che ricuperasse da
chiunque lo pessiedeva o lo avesse invaso, il contado in pa-
rola, e che lo conservasse « iu buono stato ed a favore della
Chiesa ». Nuovamente in questa cessione fu ripetuta la ra-
diazione dell'atto emanato dal Card. Giovanni, « mancante
di ogni valore, perchè fatto all'insaputa del Pontefice » (2).
Furono con celerità eseguite altre pratiche curiali su la
concessione, ma praticamente non furono di alcun profitto:
non era ancora il tempo, in cui con un tratto di penna si
potessero violare od infrangere i diritti o la libertà di un
popolo: gli Eugubini a queste molteplici intimazioni, e mi-
naccie di ecclesiastici anatemi, rispondevano risoluti: se vo-
lete il nostro territorio pigliatevelo con l'armi: noi vi aspet-
tiamo. Questa precisa risposta dette il Potestà di Gubbio al
procuratore del Vescovo di Perugia, quando à nome di
Uberto intimó a lui che entro cinque giorni rendesse il terri-
torio spettante alla Chiesa (3). I Perugini accettarono la sfida.

Le condizioni di Gubbio non erano però più le stesse:
a capo del suo esercito non era piü quel Monfeltrano, ma
Gherardo « Pii » uomo intelligente si, ma non molto esperto

(1) I Cod. delle Sommissioni, Bull. cit., an. X, fasc. I, pag. 74. Col nome di co;
mitatus Eugubinus, si intendeva all’ incirca il solo territorio posseduto dai feuda-
tari; ciò mi sembra poterlo indubbiamente asserire, dietro un attento esame dei do-
cumenti. In vero, nel trattato di pace del 1259, io trovo un comitatus alius, distinto
dal contado spettante al papa.

(2) Ibid., pag. 75.

(3) Ibid., pag. 81.

mi, Tri
-

LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC. 553

nell’armi. Di più si aggiunse che quasi tutti i feudatari ri-
peterono la ribellione compita nel 1216. Ciò avvenne al dire
del Picotti perchè il consiglio di Gubbio anche a loro aveva
imposto di rendere i forti che tenevano. Una multa di 600
libbre imposta dagli Eugubini al conte di Coccorano ci fa
presumere, che fosse stata la pena a lui inflitta per aver
rifiutato aiuti alla loro città (1). Quindi questi feudatari, pre-
saghi della fine che avrebbe avuto la guerra, stimolati da
un segreto rancore con il partito dominante di Gubbio,
nonchè dai molti amici.che avevano in Perugia, cedettero a
questa per tutto il tempo che durava la guerra i propri
castelli.

Primo fra essi fu Nicoluccio « di Andrea delle Portole »
il quale il 2 maggio recatosi in Perugia cedette a Gallo « di
Irimbello, Capitano del Popolo di quella città, il suo feudo
con tutto il distretto. Cinque giorni appresso fu Ugulino di
Albertino di Coccorano che ne segui l' esempio, a nome pure
dei propri fratelli, Corrado, Bonconte, Rainaldo, nonchè di
Iacopo del fu Ugulino, e cedette allo stesso Capitano i ca-
stelli di Coccorano, della Biscina, di Petrorio, di Collalto e
di S. Stefano « de Arcellis » insieme alle famiglie che in detti
castelli e terre dimoravano. Il 6 luglio fece altrettanto il si-
gnore di Poggio Manente, Stefano di Spagliagrano: ed infine
la stessa sottomissione ripeté Raniero da Monte Fulgano per
il suo castello e territorio di S. Cristina (2).

Le condizioni di queste momentanee sommissioni erano
ben chiare. I feudatari aiuteranno Perugia nella sua impresa
contro Gubbio e faranno pace e guerra a piacere di quella
comunità. Questo dovere durerà soltanto per il tempo della
detta guerra. Perugia d'altra parte prenderà i detti luoghi

(1) Ibid., pag. 79.
(2) Ibid., fasc.-X. Negli stessi codici son ricordate le sottomissioni di alcuni
castelli del territorio di Nocera, che se ebbero lo stesso movente, non però uguali
condizioni, mentre dipendevano intieramente da Perugia. Sembra però che il ca-
stello di Rocca Appennina appartenesse agli Eugubini.

ur ttarò sm FS - i. c

LI



-
Mudo Ae — triti gg
554 P. CENUI

sotto la sua protezione e difesa: restituirà terre e castelli
appena conclusa la pace con Gubbio. Non stipulerà trattato
alcuno di tregua o di pace senza avervi compresi i feudatari
sumentovati. I signori di Coccorano poi chiedevano per loro
conto d’ essere risarciti d'ogni danno subito in occasione
della guerra, e rimborzati dalla multa di 600 libbre di cui
abbiamo parlato. Perugia poi si obbligava in loro favore a
mantenerli con le entrate del comune, ed a non far pace
con Gubbio se prima non venisse resa ai detti conti la sesta
parte del castello di Giomisci, dopo averne distrutte quelle
opere che gli Eugubini vi avevano innalzato ai danni degli
stessi conti e di Perugia. Queste condizioni così privilegiate
usate per i signori di Coccorano fanno giustamente supporre
che Perugia tenesse molto alla conquista della loro amicizia,
che nel presente caso, voleva dire, spogliare Gubbio del va-
lido presidio dei castelli, che costeggiavano il corso del
Chiascio.

Con queste defezioni il territorio di Gubbio veniva man
mano smembrandosi, e la città veniva a mancare dei suoi
aiuti; pure gli Eugubini non si avvilirono. Proseguendo sem-
pre a fare guerriglie e saccheggi, senza curarsi, anzi mani-
festamente studiandosi di non venire alle mani e di non
troncar la lotta con una guerra definitiva, passarono tutto
l' anno. 1258 (1).

Al cominciare. dell’anno seguente giunse agli Eugubini
una speranza inattesa. Il re Manfredi, a mezzo del suo vi-
cario Percivalle Doria, aveva fatto sapere che tenessero forte
che avrebbe loro dato degli aiuti. Dopo avere peró accet-
tato Gubbio nella sua fedeltà e donatogli un ampio di-
ploma (2) si adoperò perché le due città venissero ad un
accordo, ed infatti fu accettata una tregua che doveva poi

(1 Fra i saccheggi o razie va ricordato quello fatto presso la Fratta o la Badia
di S. Salvatore di Monte Acuto, in cui quei coloni furono spogliati di tutti i loro
bestiami. Cf. in seguito arbitrato di pace, pag. 55 e seg.
(2). Arch. Com, di Gubbio. Perg. B. I.
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC.

dare il tempo per concludere le trattative. Gubbio e Perugia
rimisero il tutto ad un arbitrato; elessero i propri sindaci,
in una adunanza tenuta nel monastero di S. Maria di Val di
Ponte (Montelabate), e risultarono scelti per parte dei Peru-
gini, Guidalotto dottore in legge e giudice; per parte degli
Eugubini Tiberio di Ugone.

L'arbitro doveva essere assegnato dal consiglio di Città
di Castello, a cui fu devoluta la causa, e nelle cui mani
Gubbio rassegnò tutto, le chiavi stesse di Fossato. Entrambe
le città si erano accordate su Castello per circostanze par-
ticolari. Perugia ne sperava bene in proprio favore, sa-
pendo essere Perugini e il Potestà di quella città, Bolgaruccio
di Raniero Bolgari, e il Capitano del Popolo, Blanco del fu
Pietro Tudini. Gubbio al contrario, sperava un giudizio a sé
favorevole, ricordando come Città di Castello fosse stata
sempre a lei alleata, ed unita da un vincolo di speciale ami-
cizia.

Il consiglio di Castello in una solenne adunanza elesse
larbitro nella persona del giudice Tiberio di Ranaldo de
Valcelli. Il Picotti riferisce che i feudatarii Eugubini, temendo
una sentenza a loro sfavorevole, abbiano fatto pressioni
perchè l’ arbitrato risultasse favorevole ai Perugini, e che
altrettanto abbia cercato il comune di Perugia, che addu-
ceva fra le altre sue ragioni, la disubbidienza degli Eugubini
al comando di Alessandro IV (1). Certo è che il sindaco perugino
accampò delle esigenze bene ardite, che mostravano appieno
il sentimento di predominio che animava la città da lui rap-
presentata. Chiese innanzi tutto che Gubbio restituisse il ca-
stello di Fossato, che aveva usurpato contro ogni diritto al
comune di Perugia. Quindi la restituzione di Nocera e del
suo territorio, che Gubbio aveva preso e riteneva con ma-
nifesta ingiuria e danno di Perugia stessa. Con Nocera ve-
niva pure Cagli che i Perugini vantavano per se; Monte

(1) PICOTTI, loc. cit.

er -- -—- — rt

"
- PUB SEE QURE NIM dst. TIED
556 P. CENCI

Episcopale, in quel di Cagli; Sasso Ferrato ed il castello
Dollio; quindi la terra di Gualdo, e le ville di Sigillo, di
Ghera, di S. Croce « de Culiano », di Colle Basciano, di
S. Pietro, la rocca di Appennino, terre tutte della diocesi
di Nocera e che Gubbio nella guerra or ora ricordata era
riuscita a conquistare. Dal lato poi di mezzogiorno, su la
frontiera di Perugia chiedeva che fossero rasi al suolo i ca
stelli di Castiglione Aldobrando, di Agnano, di Monte lo Ve-
scovo, riedificati contro il trattato di pace fatto negli anni
addietro. Quanto ai feudatari ribelli impose a Gubbio, che
riparasse tutti i danni loro arrecati nei beni e nelle persone
sottoposte, e che fossero lasciati con le loro terre sotto il
dominio di Perugia, assolvendo il conte di Coccorano dalle
600 libbre di multa avuta dal comune di Gubbio. L'inden-
nità di guerra poi doveva consistere in 100.000 marchi di
argento buono e puro! aggiungendovi 200 libbre di denari per
i danni arrecati ai coloni di S. Salvatore di monte Acuto.

.Il Potestà poi ogni anno doveva recarsi a giurare fedeltà

dinanzi al Potestà di Perugia, a norma della pace anti
camente firmata. Gubbio su alcuni punti non rispose: in-
sistè però nel richiedere che tornassero a dipendere da
lui tutti quei nobili che in occasione della guerra si erano
ribellati, rammentando al sindaco di Perugia che essi in oc-
casioue del trattato di alleanza fatto fra le due città erano
stati riconosciuti per cittadini di Gubbio e le loro terre per
sottoposte a Gubbio. Chiese pure il possesso libero di Fos-
sato e Castiglione Aldobrando su cui Perugia non aveva alcun
diritto. Monaldo poi di Suppolino, padre di Guido, già signore
di Casa Castalda, chiese le 1050 libbre prezzo del detto
castello (1).

(1) Si vede che entrambi si riferivano a trattati precedenti. Il sindaco di Pe-
rugia parlando del giuramento da farsi ogn'anno dal potestà di Gubbio, dovette
certo riferirsi alla sommissione fatta da questa città nel 1183; il sindaco di Gubbio
dovette riferirsi più giustamente ai trattati di pace del 1287.
951

RA

LE RELAZIONI FRA GUBBIO .E PERUGIA, ECC.

L'arbitro, Tiberio « de Valcellis », nel pronunciare il
suo lodo, non prestó certo ascolto a tutte le esigenze dei
primi, ma in gran parte fu avverso agli Eugubini. Egli im-
pose à questi ultimi la perdita di Fossato, la distruzione di

Castiglione Aldobrando. Ingiunse che i Conti di Coccorano,

Nicoluccio delle Portule, i Signori di Poggio Maneate, i Si-
gnori di Carpiano, quelli di S. Cristina, Venciolo di Abruna-
monte, con i loro castelli di Coccorano, Biscina, Portule,
Podio Manente, Civitella dei Conti, S. Cristina, Carpiano,
Colcelli e rispettivi territori, che dai propri Signori erano
stati sottoposti a Perugia, restassero di questa, né Gubbio
potesse vantarci alcun diritto.

Impose inoltre a Gubbio l'osservanza della volontà di
Alessandro IV circa al territorio, in modo, che i prefati ca-
stelli restassero sotto la protezione di Perugia, il restante
appartenesse pure a Gubbio, ma del canone di libbre 200 da
pagarsi alla Camera Apostolica, ciascuna città ne desse la
metà. Perugia finito il quinquennio della concessione dovesse
rendere quei beni alla Sede Romana.

La sentenza peró non piacque al sindaco di Gubbio. Egli
levatosi in piedi fece sapere che su tutto avrebbe potuto ac-
condiscendere, non però sul rendere Fossato, del che. non
voleva neppure sentirne parola. Frattanto inviò un messo al
Potestà di Gubbio per chiedergli istruzioni. La meraviglia con
cui gli Eugubini appresero la notizia del lodo non è a ridire:
tosto fu respinto un messaggio a Tiberio di Ugone invitan-
dolo a lasciare Castello senza punto accettare la sentenza.
Il popolo pieno di furore non potendo con le armi aver ra-
gione di due città, ricorse all'insulto, e fra gli altri scrisse
su la porta della città che conduce a Castello « a fide Casier.
lana libera nos domine ».

I Perugini decisero di fare ben altro, perchè di questo
arbitrato non dovesse ripetersi quello che era accaduto del-
l’altro di Pandolfo di Figura. Recatosi a Castello il procuratore
Perugino il 14 luglio 1259, chiese a quel magistrato che tosto

a" M E *
I4 CRESCA I RIA

,
558 P. CENCI

venisse all'esecuzione del lodo, dando a lui in mano le chiavi
dei due castelli, Fossato e Castiglione, che gli erano state
consegnate dagli Eugubini. Il Potestà di Castello accondiscese
tosto, ed anzi, accompagnò egli stesso a Fossato il procura-
tore di Perugia; che con buona scorta di forze, andò per
prendere a nome della sua città il possesso di quel castello.
Non fu però così facile: Pietro di Berardello, capitano di quel
luogo, rispose che non avrebbe mai accondisceso, perchè egli
doveva ricevere molti mesi di stipendio dal com. di Gubbio,
ed avrebbe solo ceduto il castello, dopo che fosse stato sod-
disfatto pienamente (1). I commissari di Perugia prima di
ricorrere alle ostilità, decisero ritentare la via pacifica delle
trattative; mandarono a Gubbio Pietro di Egidio di Oddo,
con l’incarico di consegnare copia dell’ arbitrato, ed invitare
gli Eugubini ad eseguirne le ingiunzioni. Pietro cercò del suo
meglio di adempiere il mandato: trovò però gli animi di-
scordi; alcuni, come Oddone di Febino, Sasso di Raniero,
Benincasa di Bentivoglio, uomini eminenti della città, furono
di parere di accettare il compromesso: al contrario il giudice
Alberico di Guidone si oppose energicamente, facendo cono-
scere che cedere in quel momento, sarebbe stata una rovina
irreparabile. Il suo voto fu accolto con entusiasmo dal con-
siglio dei cento; l’ ambasciatore fu rimandato con la magra
scappatoia, che nulla avevano da cedere poichè tutto er:
nelle mani dei Castellani; ad essi spettava il darne possesso
ai Perügini.

La volontà degli Eugubini quindi era di opporsi in tutti
i modi all'esecuzione dell’ arbitrato, ed occorrendo perciò
un buon’ esercito, si rivolsero nuovamente al Re Manfredi,
il quale ordinò al suo vicario della Marca « Percivalle
Doria » che inviasse a Gubbio una compagnia di tedeschi (2).

(1) PicoTTI, op. cit.; f. 69. Pietro di Berardello era stato pregato da un'occulta
ambasceria di Eugubini a rifiutare la consegna del castello.
(2) PicoTTI, fine della sua storia.
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC.

Ecco quindi nuovamente in armi le due nostre città: le
cronache non ne registrano però fatti importanti: dovettero
proseguire le consuete scaramuccie ed i vecchi saccheggi,
che in realtà nuocevano maggiormente agli estranei alla
guerra che non agli stessi combattenti.

In tale triste condizione trascorsero ben tre anni, finchè
gli avvenimenti generali dell’Italia non cambiarono intiera-
mente le sorti della nostra città. Il giungere di Carlo d’Angiò,
costrinse il re Manfredi a richiamare presso di sè tutte le
truppe: Gubbio si vide sprovvista di aiuto; i capi del par-
tito ghibellino esitarono, mentre i guelfi tornavano al co-
raggio. Questi, nei primi del 1263 dovettero per certo ec-
citare in Gubbio una sommossa, che seguita dal popolo, valse
a sbalzare dal seggio del comando i ghibellini ed a costrin-
gerli a cercare lo scampo nei propri castelli.

Questa pagina importantissima della storia eugubina è
chiusa per lo storico: niun cronista si degnò di raccogliere
e narrare gli avvenimenti che accompagnarono la caduta di
questo ardito partito che per più di un secolo aveva domi-
nato su Gubbio, ne aveva protetta l'indipendenza ed osato
lottare con la lega guelfa dell’ Umbria, capitanata dalla po-
tente Perugia. D'ora in avanti i ghibellini sprovvisti d'un
nome a cui stringersi, perdettero ogni ardire; a rare riprese
tentarono riconquistare il posto perduto, ma per esserne tosto
sbalzati. La loro caduta però segna in Gubbio pure il primo
passo sul declivio che lentamente condusse alla completa
estinzione della libertà comunale.

I due magistrati eugubini, Oddo di Leonardo conte di

Febino, potestà, e Boso di Guido Raffaelli, capitano del po-

polo, inviarono un’ ambasceria al pontefice Urbano IV, che
allora trovavasi a Montefiascone, per umiliargli la soggezione
di Gubbio. Il papa l' accolse volentieri; e con fine politica,
dimentico dell’avversione con cui Gubbio aveva respinto il
suo dominio, perdonò l'atto ribelle d’essersi alleata con i

—-—-— p ten) -—— — L^ 0

«2 è ;
SI TI GIO
560 P. GENCI

nemici della Chiesa (1), e volentieri restituì a Gubbio i ca-
stelli che aveva perduto durante le ultime vicende (2).

Sembra che in questo tempo il papa, onde assicurarsi
meglio il possesso di Gubbio, senza che si ripetessero le de-
fezioni degli anni scorsi, abbia ivi messo un nuovo magistrato
col titolo di Vicario pontificio, mascherando l'intenzione sotto
le apparenze di una prova di affetto, giacchè in tal guisa
esentava Gubbio dalla soggezione ul duca di Spoleto (3)! Proba-
bilmente questa carica venne presto a riunirsi nella persona
del Vescovo, seppure non sparì del tutto, mentre solo dopo
un secolo, ne torna traccia nei documenti.

Non ostante però i diplemi concessi dal pontefice, Pe-
rugia non volle sentir parlare della restituzione dei castelli
tolti a Gubbio nell’ ultima guerra; essa arrogava di poterli
tenere in virtù della concessione di Alessandro IV, di cui
abbiamo già parlato. Ma sostenendo ciò, nol faceva che in
via giuridica, poichè fra le due nostre città omai non si

‘parlava più di contese, mentre in entrambe predominava lo

stesso partito guelfo.

Dal 1263 sino al 1298, Gubbio visse in uno stato di re-
lativa tranquillità: con Perugia poi non ebbe nulla a ridire;
qualche convenzione fra le due città, che tuttora ci resta,
denota l’ accordo vicendevole (4). Abbiamo anche in questo
frattempo una guerra con Cagli, ma Gubbio, facendo ciò,
agiva per espresso comando avutone dal papa, da cui ne

(1) Arch. Armanni. Ms. Angelini, Diplomi pontificii ed imperiali, I. F. 1., 2 feb-
braio 1263. Mi piace notare che é inesplicabile come in quest’ anno il potestà ed il
capitano del popolo siano stati, non due nobili di altra città, come esigeva lo sta-
tuto, ma due feudatari eugubini. Il vedere poi per potestà un membro d'una nota
famiglia guelfa, quale erano i conti di Febino, e capitano del popolo il ghibellino
Raffaelli, dà giustamente a supporre che fra i due partiti sia corso un compro-
messo.

(2) Ibid., 20 aprile dello stesso anno; questo 29 diploma è riportato da Repo-
sati R. nella Zecca di Gubbio, 1772, vol. I, pag. 35.

(3) SARTI M., De Episcopis Eug , Pesaro, pag. 156.

(4) Cf. Arch. com. di Gubbio. Perg. B. VIII, n. 12. Convenzione fra Gubbio e
Perugia per evitare ogni contesa in materia finanziaria, 1275.
561

LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC.

aveva avuta l'investitura; né Perugia poteva risentirsene (1).
Anzi, sorto un nuovo dissenso fra queste due città per ra-
gione dei confini, fu Perugia stessa l' arbitra che li deter-
mino. (2).

Quanto ai castelli eugubini posseduti da Perugia, sap-
piamo che Gregorio X scrisse al vescovo di questa città
perché li restituisse al ducato di Spoleto assieme con Nocera
e Gualdo, e che pagasse 1000 libbre di denari per il canone
pattuito da Alessandro IV; ma Perugia nulla volle saperne :
si contentó di guadagnar tempo collinviare messaggi al
Rettore di Spoleto; non cedette neanche quando il papa
stanco di pazientare, pronunciò l'interdetto contro quei ma-
gistrati (3).

Nel 1287 gli Eugubini avendo violato la proprietà del
conte Giacomo di Coccorano, ne ebbero reclamo presso i
magistrati di Perugia, che imposero loro di restituire i beni
tolti; e perché essi nol fecero, furono permesse contro loro
le rappresaglie (4). Però questo piccolo incidente non turbo
la pace delle due città. Perugia anzi tornó a fare da paciera
in una seconda vertenza sorta fra Eugubini e Cagliesi (5).

Un'improvvisa nube, che veniva a turbare le quiete re-
lazioni delle due città, si presentó all'orizzonte nel 1298.

Ne fu causa il castello Dolio o Montegarde, già ricordato
in addietro. Gli Eugubini avevano tentato appropriarselo. Sas-
soferrato, che lo aveva sempre posseduto, ne espose lagnanze
a Perugia ed i magistrati di questa città inviarono pronta-
mente un messo a Gubbio con l'ordine di lasciare in pace
quel territorio, che dipendeva da un loro alleato; nello stesso
tempo mandarono a quel castello una scorta militare, che
agendo assieme a quella di Sassoferrato, riuscì a riprendere
(1) Biccur, Annali di Cagli, pag. 123.

(2) Ibid., pag. 238.
(3) PELLINI, lib. IV., pag. 284.
(4) Ze rappresaglie erano il permesso di nuocere ai sudditi di una città ne-

mica, senza che questa ne potesse giuridicamente esigere riparazione alcuna.
(5) PELLINI, ibid, pag. 299.
562 P CENCI

il castello usurpato, facendo alcuni prigionieri Eugubini. Avve-
nuto ciò, per rimuovere ogni vertenza e per comporre le
cose secondo giustizia, Perugia propose per arbitro il pro-
prio Potestà, o due altri a scelta. La cosa allora parve
quietarsi, ma non fu vero: gli Eugubini irritati contro gli
abitanti di Sassoferrato, improvvisamente, nel mese di marzo
dello stesso anno, fecero una cavalcata su quel territorio,
devastandone le campagne, e, distrutti i vigneti, misero a
ferro e a fuoco ogni altra cosa che loro venne fra mani.

Al nuovo reclamo di Sassoferrato, Perugia sali su le
furie; ordinò che tutti i cittadini sorgessero in armi; dette
il bando a quanti Eugubini trovavansi nel suo territorio,
lasciando loro appena tre giorni per rimpatriare. Gli Eugu-
bini che in nessun modo si sentivano pronti ad una guerra,
inviarono a Perugia alcuni ambasciatori, con l’incarico di
comporre ogni divergenza e far desistere della guerra.
I Perugini si piegarono volentieri, a condizione però che
Gubbio non molestasse mai più Sassoferrato per tal motivo,
e che venissero dagli Eugubini riparati i danni arrecati. Una
commissione incaricata di valutarli, ne fissò l' importo a libbre
14000 di buona moneta. La decisione era grave, ma gli
Eugubini dovettero assogettarsi a riceverla. Pagarono subito
metà della multa: per il restante si rivolsero a Bonifacio VIII,
sperandone un giudizio più mite. Bonifacio dette per arbitro
il Card. Matteo Vescovo di Porto e S. Rufina; questi approvò
le decisioni date dai giudici di Perugia; volle solo che la
multa gravosissima venisse ridotta d'una metà, cosicchè agli
Eugubini non restò più nulla a pagare (1).

L'alba del nuovo secolo fu per Gubbio turbata da una
fiera rivoluzione. I ghibellini, che da circa 40 anni erano
stati esiliati dalla città, tentarono riafferrare il potere guidati

(1) PELLINI, loc. cit., pag. 320. Arch. Com. di Gubbio. Perg. B. II, N. 2. La
sentenza del Card. Pietro é del 22 giugno, 1299. In questa nuova contesa, mi sembra
giustamente di vedervi la mano del partito ghibellino, che in quel torno veniva ad
essere nuovamente forte nella città di Gubbio.
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC. 563 .

dal celebre Uguccione della Fagiola. La congiura fu condotta
con segretezza ed ardire. I Marioni, i Raffaelli, capi del par-
tito, riuscirono a formare un accordo con gli altri ghibellini
delle Marche, fra i quali Federico e Galasso da Montefeltro;
nonchè con i ghibellini di Rimini e di Arezzo. L'assalto alla
città fu guidato dallo stesso Uguccione. I Guelfi, colti all’im-
provviso, non furono capaci a resistere; Gubbio fu presa il 23
maggio 1300; i vinti dovettero cercare la salvezza nella fuga.
Potestà di Gubbio fu nominato lo stesso Uguccione (1). Ma
questi trionfi furono ben fugaci. I Guelfi banditi, dei quali a
capo era il celebre Cante Gabrielli e Pietro Conte della
Branca, corsero a chiedere aiuto al Pontefice, ed a quante
città vantava il suo partito. D'ordine di Bonifacio VIII, andò
il Card. Napoleone Orsini a Perugia per accordarsi con quei
magistrati, ed uniti, marciare alla riconquista di Gubbio.

. Questa seconda spedizione giunse inattesa e trionfò con ro-

vina irreparabile degli sventurati ghibellini.

I vinti di ieri riprendendo il comando addivennero ti-
ranni. Le famiglie dei capi ghibellini vennero formalmente
esiliate e confiscati i loro beni: degli altri fu fatto un elenco,
a quartiere per quartiere, portante il titolo « dei ghibellini o
traditori » e rinnovato di sette in sett’ anni, da servirsene,
come le antiche tabelle di proscrizione, per tener lontano da
ogni pubblico ufficio, gli sventurati dei quali ivi si leggeva
il nome (2).

Il servizio prestato da Perugia al partito guelfo di Gub-
bio, aiutandolo a riportar trionfo degli avversari, bastò a
cementare una novella era di pace che durò ben mezzo se-
colo. Nei 50 anni che corsero da chè Cante Gabrielli espulse
dalla sua patria il partito avverso, sino a che un suo di-
scendente, per amore di ambizione, disertando dal partito

(1) MURATORI L., Rerum Ital. Scrip., vol. XIV, Annali Cesenati, colon. 1120.

(2) Di questo avvenimento trovasi memoria in tutti gli storici locali. Degli elen-
chi poi, il 1o é del 1301; il 2» del 1307; il 3o del 1315: Fu ricopiato più tardi, pure
negli statuti. Cfr. Arch. Com. Perg. B. XVI.
en

64 P. CENCI

che aveva reso illustri i suoi antenati, tentò addivenire si-
gnore di Gubbio, noi troviamo questa città sempre a fianco
a Perugia con le altre della lega guelfa. A rendere stabili
le buone relazioni riallacciate con il ritorno del partito guelfo,
dovette per sicuro correre un trattato in scritto fra le nostre
città: io non ne conosco che il dispositivo: in base a que-
sto, Gubbio doveva somministrare ogni anno a Perugia un
determinato numero di lancie; Perugia ne prometteva in
compenso la difesa, anche contro le pretenzioni della stessa
Roma (1).

E veramente durante questi 50 anni Gubbio non ebbe
a lamentare piü guerre sul suo territorio. I cittadini peró po-
terono dirsi seripre in armi. Dovunque la lega guelfa por-
tava le sue schiere, erano presenti con gli altri pure gli
Eugubini: quindi noi troviamo nei libri delle Riforme che
ogni qualvolta veniva una richiesta di aiuti per parte di
Firenze, l ingiunzione veniva comunicata pure a Gubbio.
. Uscirei dal mio compito se volessi ad uno ad uno narrare

tutti gli avvenimenti cui Gubbio prese parte, come compo-

nente la lega stessa: sarebbe un dover narrare la storia
di gran parte dell'Italia Centrale. Mi limiterò invece a ri-
cordare rari punti, dai quali più apertamente risultano le
relazioni di intimità che corsero fra Gubbio e Perugia in
questo periodo di tempo.

Nel 1317 giunse notizia a Gubbio che il partito ghibel-
lino di Cagli, capitanato da Federico conte di Montefeltro,
aveva sopraffatto intieramente gli avversari. I capi di questi,
fra i quali il potestà Muzio di Cante de Gabrielli, ritiratisi
per difesa nella rocca, si trovarono a pessime condizioni e

(1) PELLINI, lib. VL, p. 463. Nei libri delle Riforme del Com. di Gubbio trovasi
ogni anno notata una somma, che il com. stesso doveva pagare a Perugia per il
mantenimento dei detti soldati di ventura. Nel 1341 poi, é indicato che Gubbio,
come stipendio di quattro mesi per la taglia dei soldati, doveva al com. di Perugia
1080 fiorini, cioé 270 al mese. Era una pace armata non troppo a buon mercato per
un semplice comune! Cf. Libri Reform., vol. II, fog. 52».
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC. 565

uel pericolo di cadere in mano ai nemici. Cagliesi ed Eu-
gubini assieme inviarono a Perugia un’ ambasceria, chiedendo
pronti soccorsi. Perugia fu fedele: inviò un forte esercito
al comando di Oddo di Ungaro degli Oddi, e giunto a Cagli
riuscì a liberare i prigionieri e restituire loro il comando
della città (1).

Nella guerra che sostenne Perugia contro i ghibellini
di Assisi negli anni 1319-1322, noi troviamo non solo pre-
senti gli Eugubini, ma affidato il comando generale dell’eser-
cito a Cante Gabrielli. Lo stesso noi troviamo a capo delle
milizie collegate dei guelfi, nella guerra che fu sostenuta
contro Spoleto nel 1322. In quest'anno il Rettore del ducato

di Spoleto, non avendo potuto mai ottenere che Gubbio pa- o

gasse la tassa dovuta alla Camera apostolica, aveva fulmi-

nato linterdetto. Gli Eugubini si rivolsero tosto a Perugia

pregandola di prenderne le parti. I magistrati di questa
città, con a capo due dei Priori, inviarono una commissione
al Luogotenente che allora trovavasi a Montefalco, onde pe-
rorare la causa degli Eugubini e liberarli dalla pena cano-
nica, da cui erano stati colpiti. Dopo varie trattative fu otte-
nuta la revoca dell' interdetto.

Con questo mezzo secolo di pace e di amichevoli rela-
zioni fra le due nostre città, chiudesi il periodo dell indi-
pendenza comunale per Gubbio. Pur tuttavia essa non si
spense in un istante, ma andó languendo in una penosa e
lenta agonia per altri trentaquattr' anni, in cui, dalle mani
di un tiranno cittadino essa andó a cadere fra quelle del-
lAlbernoz, che la cedé a due altri tirannelli suoi rappre-
sentanti, che a differenza del Gabrielli, l'opprimevano va-
lendosi del nome della Chiesa, per tornar poi in potere di

(1) PEL:.IN1, loc. cit., pag. 425.

,

SP. — pm
566 P. CENCI

un quarto tiranno a cui i cittadini la tolsero di mano, per
venderla definitivamente ai duchi di Urbino.

Le relazioni tenute dalle nostre due città in questo ul-
timo periodo della vita comunale, non furono, nè poterono
essere sempre amichevoli. Il 7 agosto 1350 Giovanni di Can-
tuccio Gabrielli, aiutato da molti congiurati, circa un’ ora
di notte si proclamò signore di Gubbio. Nei giorni succes-
sivi egli cacciò della città tutti i suoi nemici di parte guelfa,
assieme ai suoi parenti, e prese a governare da solo. L’ im-
provviso avvenimento turbò l'animo dei suoi avversari, e
Giacomo Gabrielli, governatore pontificio del patrimonio,
tentò tosto ricuperare Gubbio alla Chiesa.

Giovanni prevedendo queste mosse, oltre all’ appoggio
di molte famiglie Eugubine, fra le quali degli Ubaldini, cercò
quello del Vescovo di Milano, Giovanni Visconti, principale
sostegno in quel momento del partito ghibellino italiano. Frat-
tanto, a miglior sicurezza, volle allontanare da Gubbio la
guardia militare che Perugia sembra vi tenesse per meglio
assicurarsene la fedeltà. Però non fu buona questa sua mossa:
i magistrati perugini, offesi per un tal procedere, accolsero
la preghiera che loro aveva presentato Giacomo Gabrielli
d’ associarsi a lui nel muover guerra agli Eugubini, ed im-
mantinenti marciarono su Gubbio.

Il tiranno temette le forze unite di questi due potenti
avversari e con destrezza cercò la salvezza nell’ inganno.
Propose subito al consiglio di Perugia di far pace ; dimandò
anzi alla città che in avvenire serbasse con Gubbio le stesse
amichevoli relazioni che aveva avuto per l addietro, e che
inviasse un' ambasceria per trattare di questa nuova alleanza.
I Perugini caddero nel tranello teso dallo scaltro Giovanni,
e richiamarono l esercito mentre inviavano gli ambasciatori
richiesti. Ma Giovanni non si scopri tosto: cercó guadagnar
tempo, destreggiandosi nell'eludere le loro proposte « e co-
mincioli prima convitare, dice il Villani, e tenerli in desi-
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC.

nari, e in cene e tranquillarli d’ oggi in domane » (1). Ri-
chiesto con più insistenze, egli rispose che non avrebbe
lasciato il comando di Gubbio, se prima non allontanavansi
le truppe del suo parente Giacomo; fu fatto pur questo : ma
allora pure aveva nuovi appigli, pur di rifiutarsi di rinun-
ziare al comando. Gli ambasciatori indispettiti pel triste
giuoco, tornarono in Perugia, e di comune accordo decisero
il proseguimento della guerra. Il comando delle truppe fu
dato a Ricciardo dei Cancellieri di Pistoia ed a Tommaso
d'Alviano. L’ esercito entrato nel territorio di Gubbio andò
ad accamparsi alla sinistra della città, lungi un quattro chi-
lometri, in un luogo detto la Badia d’Alfiolo (2). Ma accortisi
che stando là, nulla si sarebbe concluso, decisero accostarsi,
e traslocarono il campo nel lato opposto, presso S. Donato,
e poi poco lungi dalle mura, presso l’ ospedale dei lebbrosi.

Furon fatte parecchie scaramuccie, ma di un combat-
timento decisivo non si parlava. Dopo corso appena un mese,
giunse un ordine inaspettato ai due capitani che togliessero
il campo e partissero alla volta di Firenze per portarle
aiuto (9 agosto 1351). Presto si seppe che quest’ improvviso
abbandono delle ostilità era stato deciso per correre in aiuto
di Firenze dove il partito ghibellino dell’ Italia centralè ca-
pitanato dall'arcivescovo Giovanni, si preparava ad una lotta,
che poteva dirsi decisiva.

Il Gabrielli colse il momento. Raccolti attorno ai sol-
dati inviatigli dal Visconti circa 500 altri Eugubini, marciò
. Verso il territorio Perugino, facendo prede e saccheggi nei
dintorni di Montelabbate, e Castiglione dei figliuoli di Azzo,
castello che distrusse ed arse intieramente. Alcuni giorni
più tardi fece altrettanto alla Fratta, dove penetrato nel ca-
stello, commise ruberie e saccheggi non pochi. Non contento
però di questo solo depredare, egli pose l'occhio su l’ in-

(1) VILLANI MATTEO, Historie Fiorentine, lib. T, c. 81.
(2) Erroneamente il Pellini ed il Bonazzi, (op. cit.) scrivono « S. Maria del Fi-
gliuolo ». È
568 P. CENCI

terno stesso di Perugia. Pare che mediatore in quest’ im-
presa sia stato Bevignate di Tile di Vinciolo, abbate di San
Pietro in Gubbio, il quale persuase di entrare nella congiura,
sotto aspetto di giovare ai fuorusciti Perugini, i suoi parenti
Cecchino e Lodovico Vincioli. Siccome però mancavano de-
nari, i Vincioli proposero a tutti i congiurati di raccogliere
quanto oro più potessero ed inviarlo a loro in Perugia perchè
avessero potuto, mediante questo pegno, procurarsi a prestito
i mezzi necessari. I tesori raccolti in Gubbio furono portati
in Perugia dallo stesso abbate Bevignate, uniti a quelli del
suo convento e di altre chiese. Però seco stesso portò chi
avrebbe svelato ogni cosa. Aveva per suo famiglio un tal
Sancio, cui soleva comunicare tutti i suoi segreti, e che aveva
posto a parte pure della congiura. Venuto con lui a contesa
per un futile motivo, il servo per vendetta andò tosto dai
Priori di Perugia e rivelò l’attentato.I Vincioli, non escluso

l| abbate, furono arrestati e giustiziati nel palazzo del Ca-

pitano del Popolo. Gli altri nobili, partecipi della congiura,
dovettero esulare da Perugia, e molti, che per loro sventura
caddero in mano dell’ autorità comunale, subirono la stessa
fine infelice dei Vincioli. Però le genti di costoro, nello stesso
anno, assieme al tirannello di Gubbio, per tradimento del
castellano. Morgaglione, penetrarono nel castello di Monte-
labbate, detto della Badia, ed ivi fatti prigionieri i soldati
che lo difendevano, presero a fortificarsi, mentre l’ abbate
se ne era fuggito per le mura (1). Saputo ciò i Perugini
cercarono raccogliere quante più forze poterono per ripren-
derselo, ma indarno: Giovanni stesso venne con la sua ca-
valleria a difenderlo. L'ardire con cui sostenne l' attacco
un tale Armanno, capitano di ventura, decise della lotta.
Egli presso un ponte trattenne cosi a lungo il Gabrielli, che
dette campo alla cavalleria Perugina di arrivare in tempo:
sì venne ad aspra battaglia; i soldati del Gabrielli furono

(1) VILLANI, Hist. cit., lib. II, c. 44.
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA, ECC. 569

dispersi; gli altri chiusi nel castello, privi di viveri, prefe-
rirono arrendersi, con l'unica condizione di aver salva la
vita e serbare le armi.

A questa sconfitta si aggiunse il malcontento degli Eu-
gubini contro Giovanni, e le tristi notizie che giungevano
intorno alle sorti della causa del Visconti:il Gabrielli preferi
un accordo definitivo. Fece inviare ambasciatori a Perugia, a
nome del municipio di Gubbio, per trattare della pace. Fu-
rono accolti di buon grado, e concluso l'accordo con le
condizioni a noi riferite dal Villani. In queste, si stabiliva
che i fuorusciti dovessero tornarsene in città, eccettuato
Giacomo Gabrielli, che allora trovavasi in Cantiano: i beni
confiscati dovevano essere resi ai proprietari: per due anni
era dovere di Giovanni d'eleggersi a Potestà, un cittadino
di Perugia, chiunque egli fosse: passati i due anni, la città
tornava a reggersi liberamente; Perugia frattanto ne aveva
la protezione, non però la giurisdizione (1). Giovanni adempi
subito l'obbligo assunto ed elesse a Potestà, Nino di Lello
de’ Guidalotti di Perugia.

Nel 1354 Giacomo Gabrielli si rivolse al Card. Albernoz
per riacquistare Gubbio alla Chiesa. Giovanni lo seppe e lo
prevenne: in Viterbo rassegnò nelle mani di questo Vicario
del papa la signoria di Gubbio. L'Albernoz, accettando, fece
sapere che avrebbe rispettato e mantenuto le libertà comu-
nali: anzi egli stesso ne confermó gli statuti. Peró in realtà
la libertà comunale non era più quella di un giorno: accanto
al Potestà vedevasi un Vicario Pontificio, che d' ora in avanti
doveva dirsi il supremo magistrato (2).

Durante questo periodo non sembra che fra le nostre
città vi sia corso alcun chè di importante. Quando Perugia,
seguace di Firenze, e memore degli antichi spiriti repubbli-

(1) VILLANI, ibid.
(2) Rerum Italicarum script., vol. XXI. Cronaca di Ser Guerriero dei Campioni.
Il Vicario fu Brasco figlioccio del papa.
570 P. CENCI

cani, si ribellò alla sopraffazione del governo della città
fatta a nome del Pontefice, Gubbio non ebbe forza di se-
guirla. Anzi da una Bolla di Urbano V risulta come ai re-
clami avanzati dagli Eugubini per i danni subiti durante la
guerra di Perugia, il pontefice rispondesse « pazientate, noi
pure soffriamo tanto » (1). Fu allora che il genio d’un archi-
tetto Eugubino cooperó, non certo per odio a Perugia, ad in-
nalzare la fortezza che doveva per incarico del triste Abbate
di Monmaggiore, Gherardo Dupuis, servire a tener sotto-
messi i valorosi Perugini. Gubbio vi concorse pure con il
denaro, pagando come altre città, una tassa speciale pro con-
structione cittadelle Perusii (2).

Nel 1376 però anche Gubbio si riscosse a libertà. Ad
un grido entusiastico di viva è popolo, viva la pace, morte agli
oppressori, la repubblica Eugubina tornò a rivivere. I fuoru-
sciti di tutte le città alla nuova inattesa, cercarono riparo
fra le sue mura, e fra questi, molti Perugini. « Erano più di
2000 forestieri, ed era un giusto e santo governo e la città
stava in maggior trionfo che fosse mai stato » (3).

Ma questa riscossa non poteva aver durevole effetto. Il
monaco avellanita Gabriello Gabrielli di Necciolo, eletto Ve-
scovo di Gubbio fu quegli che soffocò la rinata libertà. Du-
rante: la sua tirannide, che cominciò velatamente ed a nome
della Chiesa nel 1379, ma poi apertamente e per suo conto
nel 1381, i magistrati di Perugia interposero i loro buoni
uffici per frenare la prepotenza del novello. despota. Con-
tinue ambascerie andarono e vennero fra le due città, tutte
dirette a riconciliare i cittadini con il Vescovo Gabrielli, ed
a salvare più che fosse possibile la libertà di Gubbio. In un
trattato di alleanza, che fu l’ultimo, noi troviamo che gli
Eugubini acconsentivano ad aver per cinque anni un Po-
testà Perugino e che a Perugia affidavano la custodia delle

(1) Arch. Com., di Gubbio. Perg. B. IV.
(2) Arch. Cattedrale di Gubbio. Perg. fasc. XLVIII.
(3) Rer. Ital. Scrip., Cron. e loc. cit.
LE RELAZIONI FRA GUBBIO E PERUGIA 2 511

due rocche imminenti alla città; per potestà accettavano il
| fratello del Vescovo, Francesco Gabrielli, e concedevano ai
| fuorusciti Eugubini il ritorno in patria. Anima di questi ac-
| cordi fu Pauluccio di Nino de Guidalotti di Perugia (1).

Ma siccome neanche dopo questo trattato tornó in Gubbio
la pace, il com. di Perugia non riposó fino a che non riusci
nell’ intento. Dopo aver ottenuto l'esilio da Gubbio, del triste
Vescovo, che si racchiuse in Cantiano, nel 1383 aiutarono a
portare a termine definitivamente l'accordo con i fuoru-
sciti (2).

E l ultimo servizio amichevole che Perugia presta ad
una libera città vicina. Un anno appresso gli Eugubini stre-
mati dalle discordie, dalla miseria, dalla fame, già dimentichi
dell' antica libertà, sacrificarono questo eccelso pregio d'un
popolo fra le mani di Federico conte di Montefeltro. Egli
entró nella loro città il 30 maggio 1384. Con questa data la
storia di tre secoli é chiusa, la libertà comunale spenta per
non piü risorgere; Gubbio non piü libero comune addiviene
un feudo signorile, che con Perugia non avrà più relazioni
se non in quanto ed in quella forma che vorrà il suo novello
Signore. Occuparsi di queste non è più compito mio nè -in
alcun modo rispecchia la vita e la volontà dei due popoli
indipendenti.

P. CENCI.

(1) PELLINI, op. cit., lib. IX, pag. 1261.
(2) PELLINI, Ibid., pag. 1304.

TD

——— Pu pitevbh -.—— E Da”



n "
RP ctae A amis cfe goo t
SPIGOLATURE DALL’ARCHIVIO
DELLA BASILICA DI S. FRANCESCO DI ASSISI

L'Archivio del sacro convento di Assisi è andato quasi
tutto disperso fin dal tempo anteriore all’ ultima soppressione
delle corporazioni religiose. Per discorrere delle arti nella ba-
silica francescana, gli scrittori sogliono tutti far capo al Va-
sari, come quello che è reputato il meglio informato, servi-
tosi delle descrizioni e delle osservazioni del Doni, il più vi-
cino ai tempi antichi, continuatore delle tradizioni popolari,
artista valente e di fine giudizio. Forse al Doni non mancò la
fortuna di potere attingere a documenti contemporanei alle
opere di arte che descriveva per conto del Vasari, sebbene
il poco rimasto delle sue descrizioni non accenni alle fonti
di Archivio. Alle fonti attinsero, prima, il Fea che stampò la
Descrizione ragionata della sacrosanta basilica di S. Francesco
di Assisi (Roma, 1820); poi il Papini che pubblicò il libro
intitolato Notizie sicure della morte di S. Francesco (Foligno,
1824) e la Descrizione di quanto è più notabile nei magnifici so-
vraposti templi di S. Francesco (Assisi, 1835). Lascio poi di ri-
cordare molti altri che seguirono, fino al Fratini, autore della
Storia della basilica e del convento di S. Francesco d' Assisi
(Prato, 1882), al Tode nell’ opera Franz von Assisi und die an-
faüge der Kunst der Renaissance in Italien (Berlino, 1885) e al
Venturi.

Dall’opera del Papini si può facilmente rilevare che an-
che ai suoi tempi l'archivio riducevasi a ben poca cosa. Se

Se caaretra ntn

— der
cin n e

sue
514 L. FUMI

antecedentemente a lui doveva esservi una serie bene ordi-
nata, come lo dimostrano le indicazioni di catalogo sopra
qualche codicetto da lui citato, questa serie era già perita
prima di lui: ne é prova il richiamo che egli fa di un solo
codice che aveva la segnatura G. e che è poi l’unico di serie
rimasto fino ad oggi.

Quel poco che io potei trovare nel 1887 si riduce a po-
chissimi codicetti dal secolo XIV al secolo XVI, fra i quali
non più si ritrovano il libro Inventario di sacrestia cominciato
il 15 febbraio 1358, il libro di Memorie del 1505 e gli altri
riferiti dal Papini. Fecero loro pro di siffatti avanzi di ar-
chivio il Fratini e il Tode per trarne notizie di opere e di
autori, quando con accennare alla presenza di documenti,
quando con darne il contenuto.

— Il mio còmpito, adesso, si restringe a racimolare le no-
tizie trascurate dagli altri o date da loro inesattamente. È
ben poco, ma pure del massimo interesse per la storia del

. grande e caro monumento, per quanto riguarda ai documenti:

per quanto poi concerne descrizioni, queste non sono inutili
dove si accenna a opere ora perdute o di cui sono diminuite
le tracce.

L. FUMI.
SPIGOLATURE DALL’ ARCHIVIO, ECC.

1. — 1344, maggio 17.
1347, maggio 9, 17. — Fr. Martino dipinge il refettorio e il per-
gamo della chiesa di sopra.

[Inventarium 1338 - 1413].

Anno domini M." ccc.° xLviJ die rx madii reassignavit frater Mar-
tinus pietor fratri Stephano sacriste xvJ uncias de azurro et duas libras
et x uncias de cinabro coram fratre Michaele custode, fratre Johanne

Loli, fratre Oddutio, fratre Bartholomeo et Johanne Tabarie.

Item habuit frater Martinus pictor de azurro sacristie pro pergulo
ubi predieatur in superiori ecclesia tres uncias. Et hoc fuit de volun-
tate custodis, vicarii et plurium discretorum.

Item anno dieto M.° coc.? xLIIT die xviJ madii habuit frater Mar-
tinus pietor de azurro quindecim uncias. Et hoc de mandato et volun-
tate fratris Thome Vagnoli custodis ipso presente et fratribus Jacobo
Carnumis, Stephano dompne Pacis, Jacobo Jannis pro pictura refectorij.

(ce. 3).
2. — 1354, dicembre 17. — Spese per Pace pittore.
[Giornale dal 1352 sino al 1364].

Tempore fratris Petri Ciccarelli custodis Assisii infrascripte sunt
expense facte per Genovinum procuratorem sacri Conventus, ete. ...
Pro sex salmis de musto et xviJ pitictis, empto per fratrem Jaco-

bum et non soluto Paci pietori. — xxv libr. et 1J sol.
3. — 1354, dicembre 21. — Spese per il pulpito nella piazza del Co-

mune (Maestro Nicola da Bettona).

Magistro Nicolao de Bictonio pro opere pulpiti platee Comunis As-
sisii. — InJ flor. et xIJ sol.

Item ipsa die Giliutio cementario pro duobus diebus pro ipso
opere. — XXXVI sol.

Item ipsa die Johanni flaschario pro xLv libr. de plumbo pro ipso
opere. — J flor.

It. ipsa die Andrutio Venturelle pro portatura lapidum pro ipso
opere. — xv sol.

It. ipsa die Vagnutio Nardi pro spragis et cavigliolis pro dicto
opere. — x sol.
516 L. FUMI

It. ipsa die filio Morici ferrario pro 1 libra acciarii pro dicto opere. —
vJ sol.

(e. 8).
4. — 1355. — Pittura dell' armario di sagrestia.
Item in coloribus pro armario saeristie. — 11 lib.
(c. 12).
50. — 1355. — Lavori nel campanile.

It. Gentili Putii pro v diebus quibus laboravit in campanili. — LV sol.
(e. 12).
6. — 1355. — Cappella per S. M. degli Angeli.

It. Geronimo procuratori n.° (nostro), quos prestitit de pecunia,
quas habuit pro capella fienda in loco Sancte Marie de Angelis. —
XI flor. et nJ libr.

(e. 13).
1. — 1355. — Cappella di S. Martino.
It. Puciarello Garugloli et Stephano pro duobus diebus, quibus ju-

vaverunt ad laborandum in cappella Saneti Martini. — xxvii sol.
(C: -19^ 0).
8. — 1356, aprile 10. — Voto di una imagine d' argento mandato dal

conte di Sanseverino.
Mino famulo G(eneralis) ministri pro aportatura unius ymaginis de

argento, quam misit dominus Comes de Sancto Severino. — J flor.
| (c; 91:t,);
9. — 1359, novembre 8. — Spese per saldatura di finestre nella chiesa

di sopra.
It. in stagno et pice pro fenestris superioris Ecclesie. — x sol. v. den.
(e. 73 t.).
10. — 1362, giugno. — Spese per finestre.
Pro operibus fenestrarum Ecclesie superioris et camere Generalis
et fovee S. Marie etc.
(e. 18 t.).
11. — 1363. — Vico scalpellino e sepolcro di M. Giovanni da Spello.
Vico scultori lapidum pro uni lapide sculto super sepulerum ma-
gistri Johannis de Spello (1).
(e. 49).
12. — 1451, dicembre 31. — Tetto di tribuna (Stefano da Perugia).
[Libro dell'entrata 1451 - 1454].
Mastro Stefano da Peroscia ave per parte de pagamento del cotimo
delli archi del tecto della tribuna — lib. xr. (e. 28 t.).

(1) Giovanni da Spello fu tesoriere e luogotenente del ducato di Spoleto.
SPIGOLATURE DALL’ ARCHIVIO! ECC.

13. — 1452, gennaio 10. -- Tetto della chiesa (Jacopo da Norcia e Ni-
colò da Gubbio).

Mastro Jacomo da Norsia et

Mastro Nicolò d'Agubbio avere per resto de pagamento del tecto

2

della chiegia, cioè per octo cavalli che óno facto. — L. CXVJ, S. XV.
(e. 24 t.).
14. — 1452, maggio 15. — Tabernacolo del camoscio (dall'orafo Matteo

da Foligno).
Macteio orfo de Foligni ave per uno tabernacolo comparato da lui
per collochare el chamosso, quale sancto Francesco portava sopra la
piagha del costato levatone per saneta Chiara, et per lo dicto taberna-

colo ave fiorini sessanta dell'entrata della sagrestia. — L. ccc.
(6:21. 5-).
15. — 1452, novembre 21. — Chiavi per armadi di coro e fuori di coro.
It. paghae a uno chiavaio doie per lo armario de chuoro et una
per lo armario de fore del coro — L. 1, s. x.
(e. 36).
16. — 1452, — Tavole tolte dalle fenestre del coro.
Per secte taole tolte per le fenestre de chuoro: è tucto — L. vis.
(e. 36).
17. — 1452, dicembre 21. — Spese per la detta fenestra.
Arcangelo de ser Mactei fabro ave per dui gangani per le fenestre
del ehuoro. — L. 1,12.
(c.. 36).
... Piombo per le decte fenestre — sol. xir.

(e. :36. t).
... Per tre chiovolecte per le fenestre del chuoro et altre ferri. —
I. ILS X:

18. — 1458, gennaio 1. — Idem.

Mastro Nicolò d'Agubbio à auto dicto dì per facietura de .tre finestre
del ehuoro fio. tre, quale mese opere vinte et quatro. — Lib. xv.

It. ave Gaspare de Bovolino per le zeppe quale fe' per fenestre del
vetro. — L. 1. (e. 88).

Franeesco de Gaspare de Sancto Fiordo ave per che ruppe el muro
per fare le fenestre per empiombare le chiovole per le fenestre del

choro. — Sol. vij. (e. 38 t.).
19. — 1453, maggio 2. — Spese di pittore.

It. fuoro paghate per colore et colla et altre chuose ave el pentore. —
L. v3, sol. v.

— — P m
[51]
-d
[9 2]

L. FUMI

It. ave el pentore per suo fatighe, Fior. uno.
1454, settembre 22.

It. per ova. per li maistri che laoraro nella chiegia de sopra. —
Sol. 17, den. xvj.

20. — 1454. — Spese di falegname (Nicolò da Gubbio).

M. Nicolò d’Aghubio ave per 45 opere, cioè per lo legio della chiegia
de sopra et per lo pergolo et per trippede et banchi nella chamora del
papa et per l'infermaria et en più luoche. — L. xxxuJ, sol. xv.

21. — 1467. — Coro della chiesa di sotto (Paolino di Giovanni da Ascoli).
[Fabrica, dal 1467 al 1498].

Qui se farà mentione de tucti li denari se pagaranno per lo coro
da farse a maestro Paolino de mastro Giovanni da Ascoli, quale ha
promesso de fare el coro in la chiesia de socto, secondo el desegno
avemo da lui ete., come appare per una scripta de’ pacti facti fra dicto
mastro. Paolino et li frati etc.

Avemo dato et pagato al decto mastro Paulino sexanta ducati ve-
nitiani, computati ducati otto aviva auti prima per parte de pagamento
del decto coro per lui da farse.

(Seguono acquisti di tavole di noce per il coro).

DO
DO

— 1467, dicembre 20. — Idem (Appollonio da Ripatransone).

A di 20 de dicembre 1467 pagammo in sacristia a mastro Apollonio
de Giovanni dalle Ripa transune, el quale à tolto ad fabricare el coro
aviva promesso fare mastro Paulino, fiorini diece ad bolo. quaranta per

fiorino per parte de salario del decto coro. — L. 40.
(GT
23. — 1468, giugno 13. — Idem (Crispolto di Pietro da Bettona).

A di dieto pagammo in sacristia a Crispolto de Polto da Bectona
compagno de mastro Apollonio maestro del coro da farse (per tavole di
legname per il coro e per parte di pagamento di suo salario) — (Quercia
e. noce)...

(c. 12 t.).
24, — 1468, novembre 6. — Idem (Tommaso d'Antonio da Firenze).

Maestro Tomasso da Fiorenza deve avere per quadri trentauno de
rimesso et prospectiva deve fare alle spalliere del coro allocate insieme
da mastro Apollonio maestro del decto coro et noi operarii, fiorini tren-
taotto, oltra le spese, delli quali noi ce obligamo pagare fiorini quattor-
dice ad bol. quaranta per fiorino. Et per resto maestro Apollonio pre-
deeto promette pagare della prima allocatione a lui da noi faeta efc.

(c. 14).
SPIGOLATURF DALL’ ARCHIVIO, ECC.

25. — 1469, gennaio 18. — Idem.
. . Et per colla, verderame, terra roscia date p«r Jo coro...
(e. 14 t.).
26. — 1469, novembre 16. — Idem. i
Item, bolognini vinti doi per lername negro per lo coro portato da
Bectona — L. 2, s. 14.
(e. 1b-t.)
27. — 1470, luglio 16. — Idem (Appollonio d. e Andrea da Montefalco).
A mastro Apollonio fiorini sette, quali die ad Andrea da Montefalco
per faetura de tarsia, pagati in sacristia presente efc. — L. 34.
(e 17 4)
28. — 1470, agosto 19. — Idem.

Per dopielle per le sedie del coro, uno fiorino per parte de pagamento.

(eL 70):
29. — 1471, gennaio 9. — Idem.
... Et per doi taole de pero per lo decto coro.
(c.-18.t.):
tH ES 1470, novembre 30. — Finestra del campanile (Francesco da

Sanfiordo e Simone, scalpellini).

A Francesco da Sanfiordo et Semone suo compagno fiorini doi et
mezo per doi capetelli et doi base per remettere in una fenestra facta a
colondelli nel campanile — L. 12, s. 10.

(e.- 23. t:).
31. — 1471, giugno 1. — Finestra della chiesa di sopra e del dormitorio).

A frate Benedetto de Mennico fiorini otto per parte de pagamento

delle finestre de vitrio della chiesia de sopra da deverse refare, et per

una fenestra facta nel dormitorio de sopra — L. 40.
(c. 25).
32. — 1472, agosto 31. — Campanile e finestra di S. Bernardino (An-

tonio e Bernardo, lombardi).
A mastro Antonio et mastro Bernardo lombardi compagni insieme
fiorini cinque et bol. due per factura de uno campanile in la chiesia de
San Bernardino et per una finestra remurata in dicta chiesa, et per mat-
tonatura accanto al mattonato facto in la strada de sopra alla scala va
in la spiazza de sopra etc. — L. 25, sol. 5.
(0::2D:30:);
33. — 1468. — Antiporto alla chiesa di sotto.
Qui se farà. mentione de quanto se spendarà per le volte da farse in
la spiazza del convento nante la porta della chiesia etc.
(02:39).



k *
sirmione pe tt
P:

hers

y
m



nl ie

ubi

580 L. FUMI

94. — 1468, ottobre 24. — Idem.
A Francesco de Gaspare de Sanfiordo et Semone suo compagno per
quattro colonde per le volte da farse — Fior. undice et bol. vintiquattro.
(c. 40).

35. — 1469. febraio 14. — Idem.
A maestro Ambrogio lombardo per la sua previsione del coprire
delle volte et murare de mattoni sopra all'archi de nante, et per remu-
ratura de doi fenestre alla facciata delle volte verso l'orto del eonvento

et certe opere nella retta della chiesia, etc. — L. 25.
(c. 43).
36. — 1468, agosto 12. — Porta di mezzo al moviziato (Tommaso da
Firenze).

A mastro Tomasso da Fiorenza fiorini nove et bol. quiudice per fac.

tura de una porta al novitiato laorata de remesso — L. 46, s. 17, d. 6.
(e. 44 t.).
31. — 1471, febbraio 15. — Pittura nel coro (Pinturicchio).

A Bernardino da Perosia depintore.per depentura et mettere oro et
argento al eoro fiorini tre et bol. trentaquattro — L. 19, s. 5.

(c. 53).
38. — 1471, maggio 7. — Pagamenti definitivi per il coro .( Appollonio
suddetto e Pietro da Foligno pittore).

A mastro Apollonio de Giovanni dalle Ripe.transoni maestro del coro
per resto del suo salario facta ragione et caleulo efe. in tucto fiorini
sexantasei et bol: sedici, computatoce fiorini trenta, quali fuorono donati
dalli frati del convento secondo fo ordinato in loro capitolo sopra al sa-
lario ordinato — L. 332.

Item di a Libberatore Giovanni et Antonio lavorante del decto mae-
Stro nel decto coro per collatione diseretamente ordinato per bene andata
fiorini uno et mezo — L. 7, sol 10.

A di otto de maggio.

A Nanni dalle zeppole per doi serature cum quattro chiave poste
alle predole del coro dove sonno doi cassettine — L. 1, s. 15.

A di 13 de maggio.

A mastro Giovanni lombardo bol: vinti per doi fondelli de mattoni
facti a canto el coro — L. 2, s. 10,

A di 7 de giugno.

Antonio lavorante de mastro Apollonio maestro del coro, quale re-
mase ad fornire de servare el coro da doi lati denante per sua fatiga et

provisione bol: undeci — L. 1, s. 7, d. 6.
Item a mastro Pietro pentore da Foligno per stelle fatte d'oro per
lo coro — L. 10. (c. 54).
SPIGOLATURE DALL’ ARCHIVIO, ECC. 581

Hie ponitur ealeulum omnium rationum efc. Summa omnium expen-
sarum a 1467 ad 1475 L. viu, cccccce Il. x vij s. x. (e. 55).

a

39. — 1484, dicembre 17. — Finestre restaurate nella chiesa di sotto
( Valentino da Udine).

Mastro. Berardino alias Conte na auto bolognini di cesette per la
noratura delle verghette de ferro per le finestre de vitrio reaconce per
mastro Vallatino da Udene — F. 1, bol. 11. (691-05.

A mastro Valentino da Udene, quale racconcia le fenestre de vitrio
della chiesia de sotto per parte del suo pagamento — F. 3, bol. 30.

40. — 1485, marzo 28. — Idem.
Mastro Valentino da Udene ha auto fiorini quattro, de li quali tre
ne rendie a frate Federico et uno se retenne per lui — F. 4.

41. — 1485, aprile 21. — Idem.
Maestro Valentino predecto ha auto bol. vinti per comparare vitrio
bianco in piastre per le finestre — F. 0, bol. 20.

42. — 1485, giugno 21. — Idem.
Ha auto el sopradecto maestro Valentino per parte del suo salario
florini sei — F. 6.
(6.99):
43. — 1485, ottobre 5. — Idem. Ultimo pagamento.
Mastro Valentino da Udene ha auto resto del suo pagamento delle

fenestre de vitrio della chiesia de sopto, secondo el pacto facto tra lui e -

il convento, ducati d'oro septe et ducati doi per suplemento de certe

opere date sopra el decto coptimo d'aecordo — F. 15, bol. 30.
44. — 1486, giugno 4. — Finestra della chiesa di sopra (opere di scal-
pellino).

Mastro Beltramo ... ha auto per parte della finestra della chiesia de
sopra per refare el colondello et el compasso, fiorini quindice a bol. qua-
ranta per fiorino — F. 15.

(e. 95).
45. — 1486, maggio 8. — Idem (Valentino da Udine).

It. fo pagato fiorini doi et bol. otto a Geronnimo de Bartolomeo per
stagno et colori tolse maestro Valentino per le finestre de vitrio — F. 2,
bol. 8.

(e. 96).
46. — 1486, ... — Idem.

Cottimo de mastro Valentino da Udene delle fenestre della chiesia de

sopra. Fo facto per ducati cinquanta. — (Seguono i pagamenti dal 4 mag-

gio 1486 all'ultimo aprile 1488). (e. 97).

39

cia
aerea

EE EI

T

OK EE REEL

sede Dini rina feat genio ig!
i

E

4,7
2

a

rca. aie d
a.i

582 L. FUMI

47. — 1486, maggio 8. — Antiporto della chiesa di sotto ( Francesco di
Bartolomeo da Pietrasanta).
In nomine etc. Qui de soeto se farà mentione del pagamento se farà
a maestro Francesco de mastro Bartolomeo da Pietrasaneta del coptimo a
lui dato dello hedificio se deve fare nante la porta della chiesia de socto
de saneto Francesco, secondo el disegno facto et come appare per una
scripta faeta de mia propria mano de li pacti facti infra el convento et
el deeto maestro Francesco. — (Seguono le partite di pagamento per i
lavori dell’ arco sulla porta od antiporto).
(c. 98).
48. — 1486. — Organo per la cappella di Sant'Andrea (Tommaso di
Matteo da Lanciano). i
Qui se noterà tucto el pagamento da farse a mastro Tomasso de
Matheo da Lanciano, el quale promette de fare et fabricare uno organo
da collocarse in la capella de sancto Audrea, ete.
(62:99).
49. — 1491, marzo 29. — Pagamento parziale a Valentino suddetto per
le finestre della chiesa di sopra. i
Mastro Valentino da Udine fenestriere ha auto fiorini sette per
parte de pagamento delle finestre invitriate della chiesia de sopra. —
IT. b. 0; (c:::90^ t.

500. — 1487, dicembre 31. — Spese per le medesime.
Francesco Sciantiello à auto bol. quattordece perché fece certe basi
in la finestra invitrata al cuoro de sopra per mettere le verghette de

ferro — F. 0. bol. .16. (e. 101).
91. — 1488, giugno 10. — Campana; croce di rame per il ciborio sopra
ia porta della chiesa di sopra.
Per refacetura de una campana da stillare et una croce de rame
posta nel ciborio sopra la porta della chiesia de sopre — F. 2, bol. 2.

(c. 109).
92. — 1488, settembre 7. — Spese per le finestre suddette.

Per comparare stagno in verga per le fenestre invetriate se refanno
iu la chiesia de sopra — F. 8, bol. 8. (c. 109 t.).

D3. — 1489, ottobre 25. — Idem.

Mastro Valentino fenestriere ha auto fiorini doi et mezo per reaccon-
ciare el colondello de una finestra invitriata in la chiesia de sopra. —
F. 2, bol. 20. (c. 112 t.).

04. — 1490, dicembre 6. Candelieri rifatti da Nicotò Busichio orafo del
Borgo.
Mastro Mariotto Manni d'Asisi ha auto fiorini tredice et bol. trenta
SPIGOLATURE DALL’ ARCHIVIO, ECC. 583

per resto del pagamento delli candelieri refatti da maestro Nicoló Busi-
chio orfo dal Borgo — F. 13, b. 30.
Kc. E19;

59. — 1491, aprile 13. — Ultimo pagamento a M.° Valentino per le fi-
nestre della chiesa di sopra.

Maestro Valentino finestriere ha auto fiorini tre et mezo, et prima ne
aviva auto uno fiorino, si che é pagato integralmente, per refare uno co-
londello per una fenestra invitriata in la chiesia de sopra — F. 4, bol. 20.
(e. 122 t.).

96. — 1495, ottobre 23. — Coro della chiesa di sopra (Domenic8 da
Sanreverino, scrittore).

Maestro Domenico d'Antonio fa el coro have a di 23 de octobre... —

E-1..bol..32; j (c. 138).

OT. — 1484, marzo 9. — Precetto a m. Gasperino d' Antonio da Lugano
di rifare i lavori del tetto male riusciti.
[Introito ed esito 1485 al 1492].

Prima condempnamo maestro Gasparino efc. efc.

14.» — Et più eondempnamo el decto maestro che le capelle verso el
campanile, ciò è el tecto, debia raconciare et fare da novo tucte le re-
seghe bisognano del deeto tecto, et nel cantone ad presso al decto, cam-
pauile, cioè alla grondara, levare un pezzo di legno, et li voltare uno
archo et più da presso al decto campanile. mutare uno legno, el quale
non è recipiente del decto tecto etc.

15.° — Et più condempnamo el decto maestro che debia alle capelle
verso la sepoltura delli frati et tucte quelle che sonno ad presso ad esse
debia conciare tucti canali di preta (pietra), per modo che non facciano
dampno et raconciare tuete le reseghe et farne da novo, per modo che
nou facciano dampno dal piovere. Et sopra la capella di San Ludovico
rimettere el cavallo di preta, che è rutto, como antiquamente era.

16.9 — Et più condempnamo el decto maestro che debia adpianellare
tucto el tecto della eapella de sancto Antonio abate, como che stanno
nelli eapituli.

17.9 — Et più che debia adpianellare el tecto della capella de sancto
Johanni Baptista etc.

20.° — Et più che debia mettere capitelli al campanile, como sta nelli
capitoli, della capella de sancto Bernardino.
584 L. FUMI

21.° — Et per questo condempnamo el decto maestro Gasparino che
debia, nella loggia scoperta, al canto della chiesia di sopra, adconciare i
canali, per modo che non faccia dampno l’acqua alle mura efc.

58. — 1484, maggio. — Coftimo della copertura della chiesa di sopra.
[Foglio volante]

In nomine ecc. Infraseripta sunt capitula et pacta cum infrascriptis
capitulis e£c. facta circha coptumationem canalium ponendorum in Ec-
clesia superiori ad latera eiusdem Ecclesie etc.

In primis che li decti Maistri siano tenuti et debiano porre li canali
da ogni lato della chiesia disopra, incomenzando dalla capella de S. Zo-
vanne per fine al fine de dieta chiesia, per ricolgliere tutta l’acqua del
tecto de decta chiesia da loco in loco, como de socto se narra, in bona
et utile forma, ad uso de bono maistro, et conducere l’acqua caderà in
dicti canali de turrione in turrione, in modo che la decta acqua esca de
fore et cada in quelli arce atachati alli decti turrioni tondi, sì che la
decta acqua cada in lo inchiostro alla prima porta dello intrare del con-
vento. Et aconciare ie dieti archi cum petre a scarpello concie, in modo
che l’acqua possa correre per li decti avchi et non dampnificare le ca-
pelle sonno da quello canto. Li quali canali si metano cum astrico et
bona calcina et siano coperte con mattoni. o vero quadrelli dalla faccia
de fora, et de sopra siano coperte con tegole o co’ cepi li saranno dati,
in modo che nè l’acqua, nè il giazato li possa nocere.

Item che a quello torrione tondo; quale è allato al campanile, se faccia
uno conducto, dove l’acqua possa abelmente correre senza danno et che
non dampnifichi al tecto de quella capella è lì. Et recoprire el decto
torrione, quale è stato longamente scoperto et murare con calcina per
modo che l’aqua o venti non lo possa dampuificare. Et così recoprire
tueti l'altri torrione, quali sonno da trambidui li lati della decta chiesia
a tribuna con lastre de sopra a calcina. Et como è decto de sopra, se
mettano anchora dall'altro lato de decta chiesia, dal lato verso lo Tessio,
pur che cada l'aqua de torrione in torrione in quelli archi aconci nello
modo predecto de sopra, como nell’altro lato verso le capelle de San Mar-
tino, in modo che l' aqua caderà su li archi non possa dampnificare alla
capella de saneta Catarina nè alle altre, quale sonno da quello, facendo
tutte queste cose fldelmente in perfectione ad uso de bono maistro.

Item che li decti maistri siano tenuti et debiano fare uno conducto
al torrione... derieto a) campanile, con tumbuli... saranno consignati, per
lo quale conducto abelmente possa [entrare] l’acqua nel decto tecto se
dirizarà in modo che non dampnifichi alle mura nè al tecto, el quale
giace, la quale aqua se conduca nello inchiostro socto porta...
SPIGOLATURE DALL’ ARCHIVIO, ECC. 585

Item che li decti maestri debiano fare uno altro conducto all’altro
torrione sequente, nel quale al presente è uno canale de pietra esportato
in fora, e l’acqua, la quale hora cade, molto dampnifica al tetto della
sacristia, el quale conducto sia fondato in una volta da farse infra lo
decto torrione e '| muro della chiesia de sopra, per modo che sia stabile
e possa abilmente recevere tucta l'aqua se dirizzarà in esso, et defenda
lo tecto per modo che l’aqua se dirize et cadesse senza danno dal decto
tecto et esca nello decto inchiostro.

Item li decti maistri facciano uno altro conducto dall'altro lato dalla
chiesia verso lo Tessio infra lo torrione, lo quale è tra la capella de
Sancta Maria Madalena et quella de San Nicolò e '| muro de deeta chiesia
per modo che abelmente possa ricivere tucta l'aqua che se dirizarà in
modo che non damnifichi alle deete capelle, et che esca et che cada
detta aqua nell'orto del cimiterio, et lo decto conducto sia bene fondato,
si che sia stabile ad uso de bono maistro.

Item che avendose a fare decto lavoro et mettere li decti canali, é
bisogno se mova tucto lo tecto della sopradecta chiesia, che siano tenuti
li sopradecti maistri scoprire el ricoprire et reassectare a debita et con-
venieute forma et ragione del decto tecto per rispecto delli canali se
ànno a mettere, come de sopra é detto, alzando lo muro della chiesia
dove bisognasse e nelli archi et iu ogni altro locho, si che tochi lo deeto
tecto. Et questo capitolo et tucti li altri in deeto lavoro observare et fi-
delmente lavorare efc.

59. — 1486, luglio 18. — Pietro Perugino.
[Introito ed esito 1485 al 1492].
Exponuit procurator in ova pro magistro Petro de Castro Plebi pin-
tore sol. 3.

60. — 1486, dicembre 13. — Lettera del generale fr. Francesco Sansone.
[Fabrica 1461 -1498].

Dilecti in Xpo filii salutem in domino. Ve mando per frate Andrea
mio nepote ducati de camera ducento vinticinque, ció é per la volta et
arco ordinammo et facemmo el coptimo del mese de maggio proximo
passato a maestro Francesco da Petrasancta, li quali voglio che per
questo lavoro vadino, et quelli che erano deputati per questo de denari
della bona memoria de frate Angelo fatene altro in sua memoria. Nel
frontespitio dell’ arco fatili mettere l'arme de l'ordine cum la corda de
Saneto Francesco et dentorno fatili queste lettere: Frater Franciscus
Sanson generalis minister fieri fecit. El custode attenda ad gubernare bene
secondo Dio, quia dies mali sunt. Et sapete quanto i bigozzi observano.

,

r ,
SII PERIZIA DIT it, III
586 L. FUMI

Portative bene, et che maestro Gasparrino fornisca quel che è debitore
de fare, se non, fate intrare sopra suoi bieni che sonno in quel de Asisi.
Non altro: bene valete. Die xii decembris 1486. Servati questi denari
in sacristia cum diverse et contrarie chiave, l'una ne tenga el custode
et l’altra li sindici del convento. Vester in Xpo pater generalis manu
propria. (e. 18 t.).

61. — 1491, agosto 3. — Quietanza del Sanseverinate.
(Miscellanea 1491 al 1498].
Qui de sotta se farà mentione de tucti li denare che el patre R.mo à
dato per lo coro della Ecclesia de sopra pagati per sua mano et etiam per
mano de magistro Cristofano et operarii sopra al decto coro. In primis:
Magistro Dominico d'Antonio da Sanseverino ha avuto dal patre
R.mo dueati d'oro de camera sexanta. D.ti 60. (E segue fino a di 18 di
novembre 1498, dove è la seg.te ricevuta: Io Domenico d'Antonio da
Sanseverino maestro del coro recevieti la soprascripta quantità, ciò è
ducati vintieinque d'oro larghi et de peso, anno, mese et di predecto,
come mastro Luca ha seripto in questa scripta de sopra ecc.).

62. — 1477 1479. — Conto delle finestre.
[Miscellanea.- Fabrica 1472-1523].

Denari del papa da spenderse per le fenestre de vitrio della chiesa
de sopra, et primi:

A di 13 maggio 1477.

Frate Francesco da Terranova ducati trenta de camera (Segue fino
al 1479, in tutto ducati 196.50).

Denari del papa. Al nome di Dio, amen.

Qui appariranno tucti li pagamenti facti et da farse per lo taberna-
culo farà mastro Alisandro orfo et mastro Gaspare orfo da Foligne, et
per argento da compararse (dal 1478 al 1480).

(c. 96).

Brani di descrizione del monumento.

1. — Occhio sulla porta della Chiesa inferiore.

+... V'é anco un occhio che dà lume alla chiesa fra le dette porte
fatte con fogliami. Il detto occhio fa un triangolo, nel quale gli è un
S. Francesco di mosaico con il suo habito in quel modo et a quel tempo
lui era solito portare. Nella mano destra tiene una croce et nella sinistra
un libro et medesimamente stigmatizzato. E opinione di molti che sia il

ritratto al naturale, perché dieono esser de mano de Cimabó, et in questa

chiesa non é altro mosaico in figure eccetto questo ».
SPIGOLATURE DALL’ ARCHIVIO, ECC. 581

(Nota. da attribuirsi al Papini).

« Le dette due porte furon fatte a spese di Mons. fra Ottaviano Pre-
coni di Messina del nostro Ordine, ma in tempo che era vescovó di Mo-
nopoli, e l'altra essendo arcivescovo di Palermo nel 1563. Il lavoro è
bello e di buon artefice intagliatore in legno.

« La figura di S. Francesco in mosaico, forse, è opera di F. Giacomo
da Torrita in Toscana, nostro frate, tanto celebre mosaichista nel secolo
XIII etc. etc.

(c. 29).
2. — Cappella di S. Martino.

... « In questa cappella gli è un ciborio sopra quattro colonne,
opera tedesca, et con quattro ciborii alli canti, sopra alle colonne, dentro
S. Martino con la mitra et veste sacerdotale, nella sinistra mano la croccia:
con la destra piglia la sinistra mano il polso del Cardinale, et sta in gi-
nocchioni vestito da Cardinale, et tiene la mano destra appresso la gola,
cioè al petto etc.

(c. 32):
9. — Campanile e campane.

« Appresso il pilastro, sotto il d.o pulpito, gli è la porta del campa-
nile con scaloni che entrano dentro d.a porta: nel vacuo, overo corpo
del d.o campanile, sotto gli è la sacrestia secreta, così detta : il suo vacuo
è circa cubiti 16, in tutto de pietra bianca et quadro: ogni faccia è circa
cubiti.... La sua altezza è cinque volte quauto la sua larghezza, il muro
grosso circa cubiti 4!/,; è fatto con bell’ ordine, con la strada commoda
in spiaggia, ma a piano quasi, et tale sino alle campane: di larghezza
circa cubiti 2. Ancora il detto campanile havea una cima di otto faccie
altissima et bellissima con una gran palla et una croce. La detta cima
par che minacciasse rovina: per questo rispetto fu disfatta: gli sono cor-
nige; di fuora, intorno, sporgono: sono scornigiate con bellissimi partimenti.
Frate Elia vi fece sette campane in memoria delle sette hore canoniche:
medesimamente in segnificatione del canto composto di sei et sette note
i, ut, re, mi, fa, sol, la, fa dulcis; dove al presente gli ne sono due:
una sona all’ hore principale, cioè a matutino, all'Ave Maria nell'aurora,
ma solo dà un segno solo. Il simile fu a Peruscia, Todi. A matutino, a
messa grande et a vespro sonan due campane: l'altre serve per sonare
il secondo con lettere che dican così: A. d. 7. 2. 3. 9. (Anno domini 1239),
ecc, (Le iscrizioni sono riportate dal p. Fratini, op. cit. pag. 47).

(e. 33).
4. — Della Chiesa superiore (Nota del Papini?)

« La Chiesa superiore è descritta diffusamente da fra Ludovico da Città

di Castello nel suo libro G. foglio 20, 21, 22, segno nel principio della




"
t I n s gi gn >
588 L. FUMI

descrittione et fine X. Li fogli si numerano a piè dei foglio. È descritta
anco diffusamente da m. Dono Doni d'Assisi pittore eccellente che di-
pinse la vita di S. Francesco ne’ claustri. Il cui ritratto al naturale è
nel muro della cappella di S. Ludovico vestito di color berrettino in un
suo libro composto e scritto da lui a foglio 15.

(Il libro G. è un manoscritto di F. Lodovico di Città di Castello,
altrimenti tifernate detto il Filosofo, morto in questo convento di S. F.
d'Assisi circa il 29 agosto 1580).

(c. 34).
5. — Coro inferiore.

Comineiato nel maggio 1467. Autore m. Apollonio di Giovanni da
Ripatransone. Tommaso fiorentino intagliatore e intarsiatore chiamato da
m. Apollonio ai 28 nov. 1468.

Sedili in alto 31, in basso 20. Nel mezzo, leggio per conservare i
libri a sei faccie con 6 figure. A sinistra del coro si legge: Opus Ap-
pollonii de Ripatransone completum de mense aprilis 1471.

M. Apollonio ebbe in fine un regalo di 33 fiorini (Ristr. della deser.
a c. 2).

6. — Altare di S. Francesco. (e. 3).

« Alli quattro cantoni del 2.° gradile ci sono in ciascun canto
una colonna de pietra di 6 faecie, opera dorica; et medesimamente nel
mezzo gli sono due colonne tramezzate sin appresso opera dorica; ma
tonde, per causa che vi è la porta di ferro da ciascun lato, dall'oriente,
oecidente, mezzogiorno et settentrione. Dalle due colonne, dove sono le
porte, gli è la grata del medesimo fatta da m. Gasparino; opera a car-
toccio, talehè sono dodici colonne et quattro porte. Et dette colonne sono
con base et capitelli, dove si posa una cornige d'altezza un cubito et
larga un cubito et mezzo; et perciò nella festa di S. Francesco et Na-
tale celebransi in ambedue queste notti le messe a mezza notte dopo
detto matutino. Et ci sono in detta cornige ferri per mettere facole;
sonvi anco alli canti quattro colonne di pietra sopra detto cornigione
molto belle, dove si acendano cinque torcie in ciascuna. Intorno a detto
cornigione ci sono queste parole: Franciscus vir catholicus et totus ap-
postolicus ecclesie... Nel piano del 4.° et ultimo gradile dalla banda
della nave della chiesa verso l'intrata gli è una pietra assai grandotta
overo tavola, sotto la quale gli è un sepolero overo grotta quasi sotto
appresso all’ altare; il vacuo è di longhezza circa 3 cubiti et quarti 3;
di lunghezza due cubiti ; di altezza 2, dove di continuo gli arde la lam-
pada, et questo giova a molte infermità. Si accende la lampada per una
finestra più longa che larga nel ultima, et è nel mezzo del gradile o sca-
SPIGOLATURE DALL’ ARCHIVIO, ECC. 589

lone, quali sono larghi et per ogni verso tanto dal pilastro al scalone,
quanto all'altro. Nel ultimo gradile di d.o altare che è spazioso si va a
torno all'altare due o tre persone comodamente. : (e. 4).

« Inoltre avanti all’ altare gli è una grata di ferro fatta a rose
quasi opera tedesca, et nel mezzo di detto altare, overo grate, gli è un
sportello con chiave. La detta graticola fatta per piü rispetti; prima per
conservatione dell’ altare; 2.° per conservatione del palio che se orna
l’altare d’ avanti. Aprendo quello sportello et alzando il palio si vede
quella colonna differente dall’altre, dove gli è un breve in una tavo-
letta con queste parole: Sub altari sancti Francisci, quod nuncupatur
maius et in honorem eius erectum. fuit, in inferiori ecclesia requiescit
corpus S.ti Francisci fundatoris ord. fratrum minor. sacris stigmatibus
insignitum.

« Inoltre questa detta colonna appresso il pié dell'altare sotto la mensa
o tavola è differente dalle altre 20 ritonde, perchè è scannellata, et é tra
il piede et l’altre colonne e concava; nella quale si trova un'ampolla
di christallo, nella quale é una costa di S. Gio: Batta, la quale papa
Innocenzo quarto vi pose con le sue proprie mani etc. (e. 4).

« Quanto poi alla tribuna et pitture che sono sopra nel detto sotto-
quadro del detto altare, nella volta principalmente, vi è un erociero come
si è detto, etc. etc...

« Nella cuppola o nicchio overo tribuna sopra il choro, gli è un prin-
cipio di pittura su nel colmo: in mezzo gli è un Crocifisso con ale due,
sopra la testa, del quale sono tre circoli finiti in un campo tanè chiaro
con l’ombra dal mezzo in su et quasi tondo come un mappamondo; li
detti circoli sono a foggia d'astrolabio commessi l' uno ne l’altro; ma
quello nel mezzo è d'oro con 17 pietre pretiose ornato; gli altri due
sono di colore di tanè oscuro, et ciascun circolo dalle bandi ha due ale
piccole del color del suo cerchio. Gli sono ancora lettere; nel mezzo delli
due circoli I.N.R.I.; dentro a quel d’oro gli è scritto vi: ta; di fuora a
quel d'oro che viene ad essere dentro alli due: A. et O. efc. A piedi
del detto Crocifisso è un tondo a foggia d'un mondo, in mezzo del
quale è un segno de similitudine d’ un coperchio di toribulo, sono due an-
geli distesi: dimostrano con le mano tenere il detto tondo solo con una
mano per uno: tengono il detto tondo uno di quà et di là; sotto gli è un
san Francesco con le braccia et manto largo al filo della centura : sì dal
lato destro, come dal sinistro, per ciascuna parte, sono circa 40 busti,
cioè teste de frati, suore, huomini, femine, molti huomiui...: a man destra
gli è un vescovo, cioè il 4°, o 5°, ma assai giovane et tutti con le dia-
deme; ma un frate a man sinistra con la diadema al paro del vescovo
incontro sopra la mano o braccio destro par che venghi dal cielo col

40

vun Ban mt tries vr da

P

Ke cct ATI i p Mg
590 L. FUMI

capo in giù, quale in mano destra ha un calice come coppa, poi un
altro par che tenga una corona da Re, uno altro par che scriva con la
penna in mano. Poi un tondo senza niente nel fregio. Dall’ altro canto
sinistro nel medesimo modo et a un filo gli è un angelo et nella mano
destra tiene una chiesa et nella sinistra un tondo, come uno specchio,
come un Volto Santo, l’altro un panigello, l’altro una sedia. Poi un
tondo nel fregio con la figura a sedere in nuvola la mano sinistra sopra
del ginocchio sinistro, sorge la mano col pugno over braccio. Nel fregio
che fa ornamento intorno sono nel partimento mezzi angeli in foggia di
cherubini circa 6, tre per banda: e tutti tengono variate sorte de chiese:
nelle mani avanti il petto et ancora nelle spalle hanno 6 ale; nel volto
sotto il cordone nel fregio, et fa ornamento a torno, sono nel partimento
mezze figure. Quadri per traverso sono quattro per lato; dal settentrione
un vechio con le ale, un libro et specchio. Più a basso un giovine con
le bilancie; sotto un vecchio armato, sotto et ultimo un giovine et meschia
acqua. Verso il mezzogiorno un vecchio con specchio et libro in mano,
poi più a basso un giovine con le faretre; più a basso una donna con
torre in capo; più a basso et ultimo una donna con due ampolle in mano.

« Questa opra della detta tribuna alcuni dicano non esser di mano di
Gotto, ma più presto de Puccio Cappanna d'Assisi, qual fu poco dopo
Gotto; gli ornamenti de Gotto essere questi medesimi. È ben vero che
queste teste sono molto megliore che le altre che fece Gotto: però si va
dubitando che sieno sue et non de Puccio; perchè Puccio Cappanna pare
che venisse poco dopo Gotto, il che si dimostra che vivesse poco, il di-
mostra per le poche opere che si vedono di lui. (X69 985

« Nella tribuna del Coro vi sono figure, ma non compite, come... molti
angeli a torno, sotto il Crocifisso, un Serafino et San Francesco... da molte
figure de’ santi dell' Ordine, monstrando S. Francesco con un m[antello]
abbracciar detti santi. (e. 2).

(Nota da attribuirsi al Papini). (c. 13).

« Nel mese di maggio 1738 capitò in Assisi il sig. Giorgio Stampa
milanese intelligente di ripulire tutte sorte di pitture. Il padre don Fran-
cesco M.a Benedetti d’Assisi maestro di Cappella gli fece ripulire le due
facciate dell’arcone dalla parte delle relique, e le due facciate dell’ a-
cone dalla parte della Concezzione, che non si conoscevano più, in par-
ticolare dal mezzo in su.

« Come anche tutte le pitture della tribuna di S Francesco e tutti gli
archi, a’ quali non si conosceva cosa vi fosse, ed in particolare l’ arco
di prospettiva dell’Altar Maggiore.

« Parimente fu ripulita la cappella di S. Niccolò e di S. Martino ».

——_— eXae..-—__
VARIETÀ

LUCCA E SAN FRANCESCO
lettera del prof RODERIGO BIAGINI al prof, REGOLO CASALI

Chiarissimo professore,

Credevo per verità che la quistione della origine di S. Fran-
cesco dalla nostra città fosse morta e sepolta. Mi pareva che già
prima ne avessimo tanto in mano, cioè il silenzio che si tenne in
Lucca dai cittadini, i quali avrebbero dovuto sapere essere disceso
da loro quel Santo così caro ed amabile, e quello, assai più no-
tevole dei Moriconi, fra i quali sarebbero stati e zii e cugini
del celeste cantore dolla natura, viventi in Lucca quando il nome
del nipote e cugino era sulle bocche di tutti in riverenza e bene-
dizione. Ma dopo gli studj suoi, egregio e carissimo Professore,
dopo quanto Ella ebbe ritrovato e messo in luce, non avrei mai
pensato che si potesse tornare sull’ argomento e difendere daccapo
quella origine lucchese del poverello d'Assisi. Come al P. Mar-
cellino da Civezza, così al P. Domenichelli io so buon grado del-
l'affetto, che hanno avuto alla città mia; e da buon lucchese mi
terrei a grandissimo onore di potere chiamar nostro colui

la cui mirabil vita
meglio in gloria di ciel si canterebbe (1);

ma poichè la verità va innanzi a tutto, e l'amicus Plato, magis
amica veritas (2) è regola santissima, che tutti dovrebbero tenere,

(1) DANT. Par., XI, 95-6.
(2) Si vedano li Adagia, Pauli Manucii.



4
S. SII ISIIIBIA af P, QD

R1 eae Duas
592 R. BIAGINI

però debbo dire che non posso dar ragione nè anche al buon pa-
dre Domenichelli. Se a lui dispiacque che altri contraddicesse al
suo Marcellino, non è certo da biasimare per questa cagione;
ma è pure il vero che l’affetto di discepolo gli ha fatto. velo al-
l'intelletto, onde non si è avveduto che le ragioni, con le quali
si argomenta di puntellare l'edifizio del suo maestro, che cam-
pato in aria serepola da ogni parte e fa pancia, quelle ragioni,
dico, non tengono, nè gli si possono menar buone.

Il padre Teofilo vuole ancora propriare che san Francesco ve-
nisse da Lucca, appicicandogli, come il Waddingo, il cognome dei
Moriconi. Di che egli non ha migiiore argomento che una certa
genealogia, che reca in mezzo il Waddingo dicendo di averla
avuta da un nobile Assisiate, diligentissimo ricercatore degli anti-
chi fasti del proprio paese, la quale il Waddingo giudicò compo-
sta non molto dopo la morte del Santo (1). Ma santa Vergine delle
poverine chi era mai questo nobile Assisiate? perchè il Waddingo
non ebbe la compiacenza di dircelo, tanto che sapendo di lui e
chi egli fosse e di quanta fede egli fosse degno, si potesse di co-
testa genealogia far qualche caso? S'egli era così diligentissimo
ricercatore degli antichi fasti del proprio paese, tanto maggior-
mente valeva il pregio che ce ne sapesse dire il nome; così i po-
steri gli avrebbero fatto onore, ed al suo documento aggiustato
fede. Io dico però che a tanta diligenza di cotesto ricercatore non
ci credo proprio nulla. Che razza mai di diligenza fu quella, di
inviare al Waddingo una scrittura di tanto momento senza fargli
motto nè della sua provenienza, nè del luogo dove si custodiva,
nè di nessun’ altra di quelle notizie, che dell’ autenticità d'un do-
cumento sono testimoni necessarissimi? Certamente che se il no-
bile Assisiate di tutte coteste cose lo avesse informato, non le
avrebbe taciute il Waddingo; il quale è manifesto che facendo
molto alla buona prese anche troppa fiducia di quel nobile, chiun-
que si fosse, ed avuta quella notizia l'abboeeó senza pensarci
nemmeno. E di cotesta genealogia leggesi nel Waddingo che l’era
stata compilata. non molto tempo dopo la morte di san France-
seo (2); ma domandasi per l’ autorità di chi lo affermò l’annalista
(1) P. TEOFILO DOMENICHELLI La Famiglia di san Francesco, pag. 9, Firenze,
Barbera 1907.

(2) Non longe a Francisci mortem descriptam accepi.
LUCCA E SAN FRANCESCO 593

inglese? Non per la sua di sicuro; pereioeché in questo caso

avrebbe dovuto di necessità avere in mano il codice autentico di

cotesta genealogia con tutte quelle notizie, che abbiamo accennato
qua sopra, e da savio e giudizioso scrittore ne avrebbe fatto men-

zione nella sua storia; la qual cosa e’ non fece altrimenti. Lo af-
fermò dunque per l’ autorità del nobile assisiate, che ci è al tutto

ignoto come quel suo documento, che non si sa dove sia. Ben è

vero che il Waddingo s? fermò lungamente in Assisi, interro-
gando frati e secolari, e conpulsando (1) Biblioteche ed Archivi,
apertigli con generosa larghezza (2): per la qual cosa potrebbe
dirmi il padre Teofilo che quello storico e vide co’ propri occhi
il codice autentico di quella genealogia, e lui proprio e da sè la
giudicò poco lontana dalla morte di san Francesco. Ma se questo
gli si conceda, addio P Annalista diligente e coscenzioso (3), non
ci si potendo mai dare ad intendere che avendo veduto quel co-
dice e saputo per conseguenza in quale archivio o biblioteca, vuoi
pubblica o vuoi privata, e’ si teneva riposto e si custodiva, non
dovesse reputare suo debito il notarlo e informarne i lettori del
tempo suo e di quello avvenire. Ma ciò che soprattutto farebbe ma-
'aviglia è l'avere scritto, recando in mezzo quella genealogia,
non longe a Francisci morte descriptam. accepi (4). Ma che accepi,
o che non accepi; avrebbe dovuto dire, se non era un grullo,
vidi, trovai, mi fu mostrato o fatto vedere: se dunque egli serisse
che ricevette, e non che vide o gli fu fatta vedere, non può trarsi
altra conseguenza se non ehe gliene fu inviata una copia. Per la
qual cosa non ha cotesta genealogia altra fede ed autorità che
quella di un ignoto assisiate; il quale per esser nobile e del se-
colo decimo settimo ci fa tanto più dubitare: perocchè verso il

(1) Non s'abbia a male il P. Domenichelli se per amore dell'Italianità gli fo
notare che anche nel Voc. del Rigatini e Fanfani il compulsare dei legali, per for-
zare a comparire in giudizio è bollata di brutta vociaccia; e se qui ancora gli tra-
scrivo ciò che si legge nel lessico dell’infima e corrotta italianità; « Crediamo che
« dovrebbe anche (la lingua italiana) bastare a certi accademici e a certi letterati
« che ti stiantano: Per trovare quell? esempio compulsò gli scrittori del cinquecento.
« I compulsati dovreste esser voi, o accademici e letterati, per rammentarvi Cercare,
« Ricercare, Sfogliare, Scartabellare ».

(2) Opusc. cit., pag. 10.
(8) Opusc. cit. pag. 9.
(4) Wadd. Annal. App., tomo I, S III, n. III.

ST ENS AT Eee

RAISI
594 R. BIAGINI

1500 una nobilissima famiglia di Assisi, che furono i Bini Mori-
coni, si levò a sostenere che san Francesco era della loro casata,
e proprio perchè avus paternus fuit Bernardonus Morico (1), come
dicevasi in quella serittura. Alla quale se aggiustò fede il Wad-
dingo e vuol tenerla per vera il Domenichelli, poco o nulla ci
posso fare; se non quanto posso liberamente rispondergli che nes-
sun critico, il quale s'intenda punto punto di questi studj, farà
mai caso di cotesta genealogia.

Per cotesto scritto, che non ce’ è nè mai s’è saputo dove si
fosse, ne abbiamo quattro, i codici dei quali si conservano ancora,
e recano tutti la genealogia di san Francesco. Nè anche per sogno
vi si ricorda un Morieo, che appioppato a Bernardone dai Moriconi
d’Assisi verso la fine del 400, diede origine alla burletta del
nobile Assisiate al Waddingo e di Libertà Moriconi ai Lucchesi.
Ora mi pare che.la conclusione sia manifesta; che cioè la fami-
glia di san Francesco non ebbe altrimenti il cognome dei Mori-
coni, ed egli non discese nè da quegli di Assisi nè da quei da
Lucca, Ciò aveva Lei dimostrato tanto bene, egregio Professore,
che il contraddirle era assai difficile; la qual cosa apparisce più
chiara dal non esservi riuscito il padre Domenichelli, contuttochè
se ne sia ingegnato quanto poteva lui, e vi abbia messo tutto 1’ a-
nimo e il cuore. Ed ora qui mi potrei restare, perchè erollato il
fondamento va da sè a terra tutto l’edificio. Ciò nondimeno pa-
rendomi che sotto la scorza di certe lodi vi sia di molto biasimo,
esi voglia apporre a quanto Ella ha scritto, noterò anche le altre
cose, che secondo me non tengono punto (2).

Mi piace rifarmi dall’ osservazione intorno alla genealogia, che
Ella trasse fuori dal codice dell’ Indulgenza. Perocchè di cotesta
genealogia, secondo il padre Teofilo, si vorrebbe far più caso che
delle altre, mentovandovisi altri fratelli, oltre Angelo che nelle
altre si legge. La qual cosa, dice lui, risponde maravigliosamente
a ciò che si legge nei tre Compagni, cioè che la madre Pica amava
Francesco più che gli altri figliuoli, a modo come Giacobbe volea
più bene a Giuseppe che agli altri undici. Il qual fatto sarà ve-

(1) Wadd. 7. cit.

(2) Il prof. Regolo Casali pubblicò due importanti lavori nel Bollettino della
Deputazione di Storia Patria per 1° Umbria, voll. VIII e XI, oltre parecchi articoli
sul giornale lucchese Il Progresso.
LUCCA E SAN FRANCESCO 595

rissimo, e donna Pica avrà dato alla luce anche altri figliuoli; ma
di ciò non sono buon argomento le parole dei tre Compagni, cioè
sopra gli altri figliuoli (1); perchè è un modo comune di parlare,
nè si bada in usandolo se uno ha due figliuoli appunto, o ne ha
dodici come Giacobbe: tanto meno se ne può concludere senza
dubbio che morissero piccini e per questa cagione non se ne facesse
alcuna memoria nelle varie genealogie. Ben so che il Domenichelli
afferma coteste cose in grazia dell’ albero, del quale parliamo,
dove secondo lui sono mentovati altri fratelli di san Francesco;
la qual cosa a me non mi pare, come stimo non parrà ai lettori,
‘ dopo averlo bene osservato nella topia, che ne fo qui (2):

Bernardus avus B. Francisci

Dominus Petrus Pater }

Madonna Picha Mater | DARDADCIBOE
|

| |
Santus Franciscus Angelus Germanus B. Francisci
|
: TEE |
Francecutius, Ciccoli Picardus continens Ioannes
Ioanni, Angeli germani |
Beati Francisci Ciccolus Pater istorum univit
| | | ji | | |
France- Sora Clara Frater Petrutius Bernar- Frater Ioannes
schina Badessa France- dutius Antonius
maritata Pantii cutius OS. M.lettor
Guar.»* Parisii

S. Damiani

et ulterius non Processit genealogia B. Francisci deficiens in mortalitate.

Il padre Teofilo ha trovato in quest'albero degli altri fratelli
di san Francesco, leggendo in quelle specie di note, che sono di
qua e di là fuori dell’ albero, Francecutius, ciccoli joanni, an-
geli germani B. Francisci. Ma non ha posto mente che se i nomi
descritti in questa nota dovevano significare altrettanti fratelli del
Santo, com’ è il primo così tutti gli altri sarebbero stati in caso
nominativo, cioè sarebbe stato scritto Francecutius, Ciccolus, Io-
annes, Angelus germani B. Francisci. All'incontro Ciccoli joan-

^

ni (s) angeli sono tutti genitivi, e genitivo è anche per conse-

(1) DOMENICH. pag. 8.
(2) Di quest’ albero fu pubblicata una copia, che riproduce l'originale esatta-
mente, nella stessa forma e caratteri, dal prof. Regolo Casali.
596 R. BIAGINI

guenza germani, il quale non può riferirsi a tutti cotesti nomi se
non se ne faccia un nominativo plurale, come non c’è caso che
si possa fare. Non ci vuol di molto ad intendere che quella nota
non vuol dir altro se non che Franceschino, o Franceschetto fi-
gliuolo di Ciecolo o Ceccolo, che fu figlio di Giovanni figlio che
fu di Angelo fratello del B. Francesco, e risponde maravigliosa-
mente alla serie genealogica descritta nell’albero, e non altrimenti
alla leggenda dei tre Compagni. Forse altri potrebbe domandare
perchè si notò anche a parte 1’ ascendenza genealogica del Guar-
diano di S. Damiano. Veramente non è cosa molto facile il con-
getturarlo; se non quanto può dubitarsi che vi si volesse notare
di lui qualehe cosa, ma per mancanza di spazio si lasciasse il
discorso a quel modo sospeso. Ma per qualsiasi cagione vi si ap-
ponesse quella nota, il non poterla intendere non sarà mai ragione
che tenga per passare sopra il modo della sintassi, o per riputare
errori di penna l’i per us in Ciccoli ed Angeli e V i(s) per es nel
nome joanni(s).

Mi passo dei due discendenti Antonio e Bernardo Riccardi,
che non fanno punto al nostro proposito, e del documento recato
. dal celebre, diligente e coscienzioso annatista (1); il qual documento
per dire il vero, datando al tempo del Waddingo da men d’un
secolo, ed essendo per conseguenza di non ardua verificazione, co-
testo così diligente storico, che si fermò lungamente in Assisi, in-
terrogando Frati e secolari e compulsando biblioteche ed Archivi (2)
a tal segno che di quattro geneologie, che a’ tempi suoi erano in
quegli Archivi non ne trovò nè pur una, ci poteva dire in qual
Archivio lo trovò e lo lesse e ne trasse la copia, che pubblicò ; se
cioè in quello del Comune o del sacro Convento, o in qualche altro
d’Assisi. Anche dirò che il Domenichelli fa molto alla buona,
poichè imbastisce questa sua storia con documenti che non si tro-
vano, e recò in mezzo il Waddingo; il quale non trovò nè vide
co’ suoi occhi quelli che c'erano ed oggi si son trovati. E dirò
pure che eotesti due Antonio e Bernardo, se pure s’ avessero in
qualche conto gli atti del Comune d’Assisi, sarebbero per lo meno
sette gradi lontani dallo stipite comune, cioè da Pierbernardone:

(1) DOMENICH., pag. 9.
(2) Idem., pag. 10.

È
LUCCA E SAN FRANCESCO 597

e a questo punto ogni parentela la si tiene come finita. Ma lasciamo
andare e vediamo piuttosto d’intendere che cosa ha voluto dirci
il padre Teofilo affermando che Z documenti recati non ci permet-
tono, nella linea ascendente, di oltrepassare Bernardo, avo del Se-
rafico Padre (1). Io mi penso, ed egli più avanti me lo conferma,
che al pietoso discepolo di Marcellino molto stia a cuore l’ origine
non assisiana di S. Francesco; e con quelle sue parole vorrebbe
dire che nè bisavolo nè tritavo non potevano essere stati in Assisi.
Ma l'argomento, che è tratto dagli atti notarili e dagli alberi, i
quali rifannosi tutti dall’ avo e non vanno più addietro, pare a
me che non tenga di molto. Perchè negli atti notarili non v'era
'agione e non era usanza di nominare gli avi e i bisavoli; e ri-
spetto alle genealogie s’ ha da por mente come furono compilate
a quel tempo che dei nobili assisiati e dei Libertà Moriconi non se
n'era ancora impastato nessuno e non ci avea chi di S. Francesco
volesse fare un nobile, o un cittadino d’ un’ altra città. Per la qual
cosa si volle fare la genealogia del Poverello d'Assisi per ragion
d'esso e non altro, e secondo che era l’ usanza di quelle età, si
pose il nome del padre e per rispetto di questo anche dell’ avo. E
chi non sa che in coteste genealogie come nei pubblici Atti nomi-
nandosi uno, sempre dicevasi ossia si scriveva il tale del tale,
Pietro di Bernardone? La serqua degli avoli, de’ bisavoli, degli
arcavoli, in somma de’ più antichi maggiori, la si faceva e si
metteva insieme, scavigliolandola chi sa di dove come Libertà Mo-
riconi, quando s’ aveva il baco d'un'antichissima nobiltà, e si
bistieciavano due famiglie fra loro e piativano anche, per farsi
più antiche l'una dell'altra. Aggiungasi che san Francesco non
ebbe punto nobile origine; ed ella, Professore, lo mise tanto bene
in chiaro ed in sodo, che il padre Teofilo ha dovuto darle piena
'agione. Ora sfido lui e chiunque altro a trovare in quei -secoli i
bisavoli e i nonni di questi; e più indietro peggio palaia: però
l'origine di quelle famiglie che non avevano i quarti della nobiltà,
ossia erano popolane, si piglierebbe per pazzo chi si perdesse a
cercarla. Peroeché scartabellando i libri parrocchiali di quel tempo
non trovi altro se non che a tanti d'un mese nacque un Tizio e
fu battezzato, o se ne andò all’altro mondo un Sempronio, e non

(1) DOMENICH., pag. 10.

"

ÈSSIRI n II


598 R. BIAGINI

ti vien fatto d’ approdare a nulla. Ora poniamo caso che una fa-
miglia, in un dato tempo, fosse venuta in qualche fama per detto
e fatto di qualcheduno de’ suoi, ehi direbbe di costui che non
può esser nativo d'una o d' un'altra città, per cagione che non se
ne trova il bisavolo od il tritavo? L'argomento del padre Dome-
nichelli per negare a Bernardone la patria Assisi non tiene adunque
più che quello della virgola, messa di. sua testa nella genealogia
ritrovata alla Comunale di Assisi nella Miscellanea N. 558. Quella
genealogia comincia così: De cognatione Sancti Francisci. Fran-
ciscus autem filius Petri Bernardonis filii Bernardonis de Assisio
fratrem habuit Angelum nomine. Lo avrebbe veduto Cimabue, che
avea gli oechi foderati di panno, come il de Assisio è unito per
naturale collocazione e per logica relazione con Bernardonis, e
da esso poi a Pietro e Francesco. Ha voglia il padre Teofilo di
porre la virgola fra Bernardonis e de Assisio: la virgola è sua,
che a dispetto del senso comune ha voluto ficcarcela per la in-
cocciatura di difendere il maestro a torto o a ragione; ma come
non si entra in paradiso a dispetto de’ Santi, così cotesta virgola
la non potrà essere lasciata entrare dove la starebbe molto a di-
sagio, e da dove, se il compilatore di quella genealogia facesse
capolino su dalla tomba, griderebbe che fosse cacciata. E se il
padre Teofilo volesse propriare che lì dovrebbe porsi la virgola,
e che il de Assisio dee riferirsi a san Francesco e non punto a
quegli altri, e' gli darebbe sulla voce con questa semplice ed ovvia
osservazione, che cioè se avesse voluto dire esser d'Assisi san Fran-
cesco, perchè egli era nato in questa città, ma non lavo nè il
padre, essendochè fossero nati altrove e ad Assisi vi fossero pio-
vuti, non avrebbe messo il de Assîsio proprio li dopo il nome
dell’ avo, filii Bernardonis, ma ben l’ avrebbe posto nel titolo: De
cognatione Sancti. Francisci DE ASSISIO.

Ma siamo sempre li, che il padre Teofilo vuol dar le paeche a
Lei, Professore egregio, e per conseguenza la famiglia di san Fran-
cesco non deve essere originaria d'Assisi. Ed ora s'afferra al
Papini, dottissimo e sagacissimo storico, e mette in ballo un quasi
consiglio di famiglia che Pierbernardone, melle sue vertenze col
figliuolo, ebbe a radunare, al quale convennero vicini ed amici. E
cita il convocatis amicis et vicinis della Leggenda, e il convoca-
lisque amicis et vicinis del Celano. Ora egli, che come chi affog:

penna. "A EE. Ft;
LUCCA E SAN FRANCESCO 599

s’attaccherebbe ai rasoj, e poco dopo ricorda le dissipazioni gio-
vanili di Francesco, citando il sermo a convicinibus fieret della
stessa Leggenda e 1’ admirantibus convicinis del Celano,* perchè
egli col suo Papini così sagace non ha notato come parlando delle
vertenze col figliuolo e Y una e l'altro hanno detto amicis et vicinis,
e nell'altro luogo all'incontro tutti e due convicinis? Se i vieini
convocati dal Padre erano i casigliani e quelli delle case intorno,
o come dieesi della contrada, perché non gli hanno chiamati cir-
eonvieini? Il Papini ed il padre Teofilo fanno una stessa cosa dei
vicinis e circonvicinis; ma come la Leggenda e il Celano differen-
temente li chiamano in un caso e nell’ altro, e nello stesso caso
in un modo e in uno stesso nell altro tutte e due, così non può
dubitarsi che fra l'un vocabolo e l'altro non ponessero differenza.
E la differenza io eredo la fosse appunto qui, che il padre ehia-
masse a consiglio domestico e familiare gli amici e i parenti, e
ciò volessero dire con l’ amicis et vicinis, laddove delle marachelle
del giovane Francesco se ne mormoraya fra i casigliani e quelli
della contrada, onde fu detto sermo a convicinibus fieret dalla Leg-
genda, e dal Celano più grammaticalmente admirantibus convicinis,
La quale osservazione m'ha l'aria d'esser più vera e accettabile
che non quella del Papini intorno il cognatos et notos del Celano;

il qual Papini, cui dava impaccio il cognatos, volle tirarlo, ma

proprio eoi denti, ai padrini del battesimo e della Cresima. Ed
anche il Domenichelli se avesse posto mente che il cognatos et
notos rispondeva all' amicis et vicinis non se ne sarebbe passato
così leggermente gabellando quelle parole per frase rettorica im-
plicitamente disdetta dal Celanese: il quale in verità non disdisse
niente e ‘confermò per avyentura l uno con l'altro i due luoghi
citati. E poco monta altresì che narrando quel fatto 1’ autore della
Leggenda e gli altri, citati dal Domenichelli (1), non mentovassero
i parenti o cognatos, perchè uno fra gli altri, che è san Bonaven-
tura, parla solamente dei genitori, ond’io, argomentando alla sua
maniera, potrei affermare che san Francesco non ebbe fratelli.
Io dico ora, seguitando, che le frasi rettoriche, appioppate al
Celano il quale scrisse in un tempo che a srettoricare non ci
pensava nessuno, le frasi implicitamente disdette da lui e dagli

(1) DoMENICH., pag. 12, n. 1.

4
ins

e e ao Tot SEU"

Uy E79: RITO DCI

LIETA
600 R. BIAGINI

altri copertamente sconfessate, sono sì fatti ripieghi da farci cre-
dere che si sia voluto far celia de’ suoi lettori. Il Papini, il Wad-
dingo e gli altri storici, chi più chi meno saranno dotti, onesti,
sagaci, o che altro se ne voglia dire di meglio; ma il Celano,
per l'età che visse e che scrisse, non è storia soltanto ma è do-
cumento. Ed a me la non mi può entrare che dal padre Teofilo
si faccia tanto scalpore, non mica per un documento autentico, ma
per /a memoria di un documento (1), e non si voglia poi dare
importanza a ciò che scrive il Celano, narrando di san Francesco
che volea dare ad un Sacerdote il denaro per risarcire la Chiesa
e del Sacerdote che non lo volle. Eppure un documento, dal quale
la cosa non dimostravasi ma sembrava, e che il Frassen accenna
e lo chiama antico manoscritto, ma non ci fa sapere come e dove
lo vide, presso qual archivio od altro luogo si conservava, non
ce ne descrive i contrasegni della verità ed autenticità, ha di do-
cumento così poco, e direi proprio nulla, che una critica giudi-
ziosa e discreta certamente non ne fa conto. Ben fa caso delle
parole cognatos et notos del Celano, e « gli autorevoli personaggi
« che, compiacenti al Casali ne tennero le conclusioni in conto di
« re Judicata (2) » sorrideranno udendo dire di Lei, Professore ca-
rissimo, che ha raccolto molti documenti e molte genealogie,

A

« dando così la prova che i nostri antichi si sono molto occupati

^

di raecogliere e conservare le memorie delle origini del grande
« eroe della povertà »; ma « per dimostrare l’antica origine As-
« sisiana della Famiglia di san Francesco, non che fornire qualche
« argomento di probabilità, sembra che abbia avvalorato 1’ opi-
« nione eontraria (3) ».

Lei mi fa celia, Professore; ma com’è andata la cosa? che
in verità mi par così strana da non ci eredere. Ma ecco in qual
modo argomenta il padre Domenichelli. Il Casali non è riuscito a
rinvenire un cenno, una traccia un indizio qualsiasi della preesi-
stenza in Assisi dei parenti di san Z'rancesco, fuori solamente
dell’ avo Bernardone (4): pare adunque certo sino a documenti

(1) DOMENICH., pag. 12, testo.

(2) Idem, pag. 11.

(3) Idem, pag. 11, 12.

(4) Della madre e della sua origine mi passo qui, perché fosse d'Assisi o delle
Provenza, poco rileva.
LUCCA E SAN FRANCESCO 601

espliciti în contrario che Bernardone sia venuto in Assisi da altri
paesi (1). Ma questo è davvero argomento negativo, e non. do-
vrebbe tenere nè anche per il padre Teofilo, che poche pagine
dopo rinfaccia al Casali d' aver negato che la famiglia di san Fran-
cesco fosse de’ Moriconi perchè i documenti, a suo dire, ne tac-
ciono: sarebbe questo argomento negativo (2). Dico per conseguenza
al padre Teofilo, che questo è il giuoco dei fanciulli, quello del-
| uccellino vivo o morto, che il giocatore vuol sempre aver ra-
gione, e se l'altro dice che è morto, apre la mano ed è bello vivo,

x

se dice che è vivo. datagli graziosamente una stretta, e aprendo
la mano, il poverino gli è morto.

Ben è vero che del pecoreccio di cotesto argomento negativo
se ne cava si bene il padre Teofilo, che proprio è una meraviglia.
Egli dice così: « data l’ antica diligenza di raccogliere e di conser-
« vare, data la passionata e starei per dire febbrile ricerca d'oggidi,
« quest’ assoluta mancanza di documenti ha, non si può negarlo,
« un gran valore positivo (3) ». Il mal’è che tutto ciò e si può
negare e lo nego anch'io. Quell' antica diligenza di raccogliere e
di conservare (4), immaginata, o per dir meglio fantasticata dal
Domenichelli per suo uso e consumo, apparisce manifesta, mas-
sime rispetto alla successione delle famiglie, e giù giù per ordine
alle loro generazioni, dalle pergamene diplomatiche e dagli atti
dei rispettabilissimi notari imperiali, dove d’ogni cattivello, che
vi si mentovava, si aggiungeva il nome del padre, e non di rado
quello dell'avo, e fermi li; ma più chiaro e lampante che mai
dai registri delle parrocchie, nei quali l'antiea diligenza notava
così esattamente, poniamo caso: è morta la moglie di Priamo, che
stava al pozzo di santa Sita; oggi è stato battezzato Bartolommeo
di Michele calzolaio. Ma c'è un'altra ragione, e cioè il non aver
mentovato nè il Celano nè la Leggenda i parenti, dove sembra che
ei sarebbe caduto di necessità; con la qual ragione pare al Dome-
nichelli d’ averci messo il capo fra i licci. Lasciamoglielo parere,
perchè a lui che non suol badare tanto avanti, nè gli fa punto

(1) DOMENICH., pag. 12.

(2) Idem, pag. 14.

(3) Idem, pag. 12.

(4) Come si possa pensare e scrivere la diligenza di raccogliere ecc. più tosto
che la diligenza nel raccogliere, ovvero la cura di raccogliere, non lo so davvero.

"

ri
cH ttr i A ni ga e m
602 : R. BIAGINI

caso se in un luogo è detto notis et vicinis, e nell'altro amicis
et convicinis, non fa specie che paia quel che non è, e noi per
conseguenza non dobbiamo prendereela nè ci confondere; che
parere e non essere è come filare e non tessere. Non è da ripetere
qui ciò che ho detto qua dietro di questo vicini e circonvicini, ma
sì da aggiungere che se pure i vicini convocati da Pietro Bernar-
done o Pierbernardone non si vogliano credere i parenti, nè noi
ci daremo ai cani, nè il padre Teofilo avrà da ringalluzzare; pe-
rocchè non si trattò mica di andare dinanzi al pretore a tener
consiglio di famiglia, nè a tenerlo in casa, da volerci i parenti,
nè averci punto che fare gli amici e i vicini del padre Teofilo ;
nè anche per idea, ma il padre, che già gli era corso incontro
schizzando fuoco quando, stato più di rimpiattato in una fossa,
si mosse per tornarsene a casa; che strascinatolo in casa gliene
disse di tutti i colori e poi gliene dette quante ne volle e così te
lo serrò in casa come in prigione (1), il padre, che tornato d'un
suo viaggio in Francia, dopo aver detto un sacco di villanie alla
moglie Pica, che avea lasciato andar san Francesco, vedendo di
non poter piegare l’ animo del figliuolo, se ne volea disfare cac-
ciandolo di casa, e facendolo rinunziare dinanzi al Vescovo ad
ogni diritto e porzione dei beni, il padre, dico, non avendo bi-
sogno per questo di consigli o non consigli di famiglia, ma solo
di scagionarsi cogli amici e con la gente cui doveva parere molto
male di tutto quel mal talento, non ci cadeva punto necessaria la
menzione dei parenti. Lasciamo stare le dissipazioni giovanili,
ossia il donar largamente per amor di Dio (onde non avrei, cer-
tamente in italiano, detto dissipazioni come fa il padre Teofilo,
sonando quella voce qualcosa di tristo o di poco savio), peroeché
se di ciò correva qualche romore per la contrada, e chi forse ne
mormorava (2), chi se ne faceva le maraviglie (3), nella narra-
zione di questo fatto i parenti ci entravano come il prezzemolo
nelle polpette. Per la qual cosa ha fatto molto bene il Domeni-
chelli a non esagerare la forza di questo argomento, che non si

(1) « Relicta foveo at abiecto pavore, versus civitatem Assisii iter aggressus est..
« Pater accurrens.... omni miseratione subtracta, pertractum domi primo verbis,
« deinde verberibus et vinculis angit ». 5 Bon. Vit., san. Fran., cap. II.

(2) « Sermo a convicinibus fieret ». Legg. cap. I.

(3) « Admirantibus convicis ». Cel. II., n. 3.
LUCCA E SAN FRANCESCO 603

regge molto bene in piedi; e meglio ancora se di cotesto argomento
non avesse fatto un cannone della portata non so di quanto (1),
non essendo arme che faccia paura.

Da tutto ciò se ne trae queste conseguenze: che il non esser
nominati, sia nelle genealogie, sia negli atti dei Notari, nè proavi
nè tritavi non è argomento che tenga per poter affermare che Ber-
nardone non fosse originario d’Assisi: non è nè anche la man-
canza di documenti delle precedenti generazioni, perchè a grande
fatica si ritrovano per le famiglie nobili di quell’ età. Non fa nulla
che i tre Compagni e il Celano, narrando certi fatti, non vi ab-
biano mentovati i parenti, perchè o non ci avevano che fare, o
tutt’ al più allo stesso modo che gli altri. Non « pare adunque
certo che Bernardone sia venuto in Assisi da altri paesi (2) ». An-
cora nella genealogia della Comunale d’Assisi, n. 558 della Mi-
scellanea, l' avo Bernardone è detto di Assisi, de Assisio (ai mi-
'acoli delle virgole, se ci erede il padre Teofilo, non ci credo io,
nè lei, Professore, nè uomo alcuno savio e giudizioso), il Celano
parla di cognatos et notos, cui non fanno punta noia nè le stirac-
chiature del Papini, nè le frasi rettoriche affibbiate al Celano dal
Domenichelli, e fino agli ultimi anni del secolo XV ed ai primi
del seguente nessuno mai si sognò di pensare e di dire che l’avo
e il padre di san Francesco non fossero d’ Assisi ma capitati qui
da altri paesi; « pare adunque certo, sino a documenti espliciti
in « contrario che Bernardone » non venne da altri paesi in
Assisi.

Non ci sarebbe ora bisogno di confonderci dietro all’ avo di
Pierbernardone e bisavolo di san Francesco ; ciò non ostante vo-
gliamo dirne qualche cosa, perchè ci pare che il padre Teofilo
abbia fatto troppo a fidanza con certi documenti, che non tutti
riconoscono per buoni. Ed io lascio da parte la quistione dell’arte
della seta e di quella della lana; contuttochè non faccia nè possa
far caso della differenza, che sembra fare il Domenichelli fra mer-
cante e fabbricante: non mica perchè queste due parole non dif-
feriscano fra loro, ma perchè non fa punto al caso nostro se a
Lucca vi erano fabbricanti e mercanti di stoffe cosi di seta come

(1) DOMENICH., pag. 11, capoverso primo, dove usasi la voce portata con meta-
fora non molto bella.
(2) Idem, pag. 12.
604 R. BIAGINI

di lana, e se i mercanti lucchesi trafficavano all’ estero, special-
mente in Francia (1); dappoichè di coteste fabbriche e di traffi-
canti siffatti ve n'era in molte altre città: onde se trattandosi
d’una famiglia di mercanti di drappi e mercanti che trafficavano
all’ estero (2) al padre Teofilo ed al suo Marcellino Z4 nome di
Lucca ricorre immediatamente al pensiero (3), perchè all’ uno e
all’ altro sono andate proprio al gusto le fantasticherie di Libertà
Morieoni, non ricorre davvero al pensiero degli altri, che non
sono soliti abboecare ogni cencio, per quanto vengano dalle sacre
mani d'un canonico reverendissimo. E se il Le Monnier (4) da
questo solo dedusse che la famiglia di san Francesco fosse luc-
chese (5) l'ho molto caro; ma con buona pace di lui e del padre
Teofilo dico che quel dabben uomo ha dato saggio di poco accor-
gimento e di assai leggerezza.

Ma dice il padre Teofilo che molto maggiore autorità avreb-
bero le memorie autentiche, di. cui lo Spader ebbe notizia da un
canonico di Lucca (6). Eh via, la lo dica chiaro che coteste me-
morie le sono così autentiche come può esser l’ araba Fenice, e
se ne può dire come si disse di questa « che vi fosser lui lo dice,
dove sian nessun lo sa ». Che è che egli esce fuori con un avreb-
bero, cioè con un periodo, che oggi chiamano grecamente ipote-
tico? Ma il padre Teofilo ha avuto buon naso, perchè a coteste
memorie ci potrebbe credere quel gonzo di Apella, giudeo super-
stizioso, che tornava in trastevere, e che Orazio se ne prende
celia nella satira quinta (7). Se non quanto il buon naso non gli è
tanto bastato, che non sia voluto tornare a gabellarei per istorie
le fantasticherie di Libertà Moriconi. Ed egli si rifa dal gridare la
croce addosso a chi s'6 preso celia di queste memorie autentiche (8)
del dabben canonico, e a Lei massimamente, egregio Professore :
il quale, se pur fosse vero che non avesse risparmiato ingiurie ed
insinuazioni ingiuste, potrebbe rispondere che vim vi repellere

)

)
)
)
)
5)
)
)
)
LUCCA E SAN FRANCESCO 605

licet: e anche può consolarsi, che il padre Teofilo, dopo aver ten-
tato sonarlo di santa ragione con quelle ingiurie ed insinuazioni
scritte sulla rena che il vento disperde (1), gli fa poi uua carezza,
e lo predica «omo che ha mente e cuore di pari eccellenza (2). Ma
passi lo scherzo, che è poi la più cortese risposta a certe invet-
tive, e amoto quaeramus seria ludo (3). Il padre Teofilo è con-
vinto, convintissimo che se non gli basta l' anima, come per amore
del suo padre Marcellino gli basterebbe il cuore, di affibbiare a
san Francesco il cognome dei Moriconi, tutto questo castello in
aria se ne va in fumo. E però, volendo propriare che il santo
aveva questo cognome, la prima cosa reca in mezzo l'edizione
della Vita et Fioreti de sancto Francesco compiti (4); ma tenendosi
‘contento a citarla, punto non vi discorre intorno, come volevasi

fare. Lo farò io, recando le parole seguenti, che si leggono nel
capitolo terzo: Anchora quando era venuto da la scola com mai-
stro Alerandro da Foligno suo preceptore, faceva qualche altare, .
come fanno li puti. Lo padre suo messer pietro Bernardone de id
Murigoni... (5). Ma chi può avere questa vita e fioreti per docu-

mento che ci faccia affibbiare a san Francesco il cognome di Mo-
riconi ? Non io certamente nè critico alcuno, il quale sia savio e
giudizioso; e nè anche il padre Teofilo. Non io, perchè se l'editore,
o egli fosse un frate minore, come sembra assai probabile al Fa- E.
loei Pulignani, o fosse pur altri, volle rimendare e corrigere quel- ii
l'opera e non perdonando a faticha ne stento Y ebbe rimendata e :
adiuncto tutto quello chi manchava (6), o si recò ad Assisi ovvero
scrisse colà per aver notizie della famiglia di san Francesco, e
colà era la nobilissima famiglia dei Bini Moriconi, i quali venuti
in possesso della casa, ove il Santo era nato, già l’ avevano fatto
della famiglia loro e annoveratolo fra i loro antenati. Ma nè anche i

(1) DOMENICH., pag. 14.

(2) Idem, pag. 14.

(3) Hor. Sat. I, 1, 27.

(4) Questo libro fu stampato a Milano per Magistro Ulderico Zeinsenseler a di
primo de Decembre M. CCCC. e XXXXV, e ristampato da Angelo Giovanni Zein-
zeuzeler nel 1516. Fu veduto e consultato in Firenze presso il noto libraio e biblio- ;
filo sig. Olschki da Mons. Michele Faloci-Pulignani, Miscellanea Francescana, vol. IX, 21
pag. 75-76, settembre-ottobre 1902.
(5) Dalla citata Miscellanea Francescana, pag. 76.
(0) Miscell. cit.

— e$
sr OB. ©
N
|
1 l
MARINAIO
|
N
WM

ta z

CAREER MESE S

^

606 R. BIAGINI

il padre Teofilo avrà quella vita con tutti li adéunct? per un do-
cumento, se gli verrà fatto di considerare quello che è scritto nel
secondo capitolo, cioè che fu messer Pietro de li più nobili DE LA
città DI Assisi, et de li più richi merchadanti de la Toscana.
Dove non e’ è caso di cacciare una virgola, nè anche a dispetto del
senso comune, e c'è da prendersi in santa pace una tiratina d'oreechi
da quell'Assisi benedetta, messa, in barba al padre Marcellino, in
Toscana. Ma lasciamo andare, e torniamo al cognome; per il quale
tanto è da prestar fede a questa vita et fiorecti compiti, quanto
agli alberi di casa i Bini Moriconi.

Che cosa poi debbo dire di quella filza di nomoni, come di-
ciamo una filza di fandonie, che a udirla solamente mette paura?
Non va forse dagli ultimi scorcj del secolo XVI alla fine del XIX?
Che ne dice ella, professore mio? non cantano tutti fuori di coro?
Il padre Teofilo ci squaderni davanti dei bravi documenti del se-
colo, che visse il santo Patriarca, o anche, se vuole, del secolo
appresso, e noi, se autentici e genuini, ci leveremo tanto di cap-
pello e ai documenti ed a lui; ma fino a tanto che ci viene da-
ranti col Tossignano, col Waddingo, con lo Iacobilli, con lo Cha-
lippe, lo Sbaraglia, il Papini, e peggio palaia con quelli di poi,
gli faremo per cortesia il più garbato inchino, che devoto valletto
facesse mai, e ce n’andremo pe’ fatti nostri. Ma poi facciamoci a
intendere: ehe dice mai il Tossignano, ossia Pietro Rodolfo (1)?
Bernardonus Asisias ex honesta, ut ferunt, Moricorum familia at-
que optimae inter cives conditionis fuit beati Francisci avus. Po-
trei dire che il Waddingo si duole di lui, perché non era stato così
oculato nel raccogliere i dati; ma questo, a detta del padre Mar-
cellino e del suo discepolo, è di que’ peccatucci che li beccano le
galline, e a loro non fanno noia; dirò invece o che non intendo
più nè anche il latino di Merlin Coccaio o del Maestro Stoppino,
o il Tossignano scrisse Moricorum, che vorrebbe dire dei Moric.
Ma forse il padre Teofilo ha delle lenti tutte particolari, e fanno
vedere nelle parole anche delle sillabe che non ci sono; e così il
Moricorum del Tossignano, per virtù di coteste lenti, diventa Mo-
riconorum.. Comunque sia, il Tossignano non parla di suo, ma
scrive ciò che ha sentito dire dai Bini Moriconi, s! intende, o da

(1) Historicarum seraphicarum libri tres. 1586.
LUCCA E SAN FRANCESCO 607

altri; fra i quali era corsa la voce dei Bini, ut ferunt (1), o an-
che lo aveva letto nella vita et Fioreti compiti; ma quanto a do-
eumenti non ne seppe*buccicata, e non ne vide uno straccio, che
se no li avrebbe citati nè coll’ ut ferunt si sarebbe posto con le
spalle al muro, per non avere dai critici le nerbate.

Se Lodovico Iacobilli nelle vite de’ Santi e Beati dell’ Umbria
scrisse che il padre di san Francesco si chiamava Pietro di Ber-
nardone di Mòrico Moriconi, si fidò del Waddingo, che due anni
prima aveva pubblicato il suo libro; ma quanto il Waddingo sia
veramente autorità di gran peso (2), col suo albero avuto da un
nobile Assisiate (3), V ho detto qua dietro, discorrendo degli al-
beri genealogici, che male a suo uopo ha recato in mezzo il Do-
meniehelli. E da ciò si dimostra che in verità, come dice il padre
Teofilo, cotesti scrittori non copiano l'uno dall’ altro material-
mente, senz'esame; ma proprio su questo punto s’indugiano con
originali ricerche (4), le quali non hanno fatto trovar loro quei do-
eumenti, che ha trovato lei, professore, e che hanno sfatato la
vecchia storiella dei Bini Moriconi e dei canonici longobardi (5).

Ma il padre Teofilo gli scaraventa addosso il constat dello
Sbaraglia. La si badi per carità, Professore, o la faccia civetta, se
no, con quel po’ d’argomento non lo vorrei vedere. Ella però non
tentenna e sta li fermo, impalato com’ un tedesco: capisco, non
era colpo da far paura, perchè quel constat dello Sbaraglia é but-
tato là dallo scrittore, senza fargli fondamento nessuno; tanto che
si argomenta di scavarglielo il padre Teofilo in un supposto codice
del Trium Sociorum, che egli immagina esistesse in Assisi (6), e
che sarà stato per avventura più intero e completo di quello, che
egli pubblicò e per cagione del quale il Faloci Pulignani « gliene
diè cento e non sentì le diece ». E dico a questo modo, perchè
il presupporre ehe lo Sbaraglia dicesse constat così în modo asso-
luto (7), in forza dell’ albero del 1381, che non si trova, ma leg-
U

»

e

PM

-— <

x

T. n

Pe

608 R. BIAGINI

x

gesi presso i Bollandisti e presso il Papini, è farsi celia d’ ogni
lettore, che abbia tre dita di comprendonio; perchè il documento,
se pure e’ è stato mai, nè anche si sogna di gabellarlo dei Mori-
coni, e albero di questi diventò solo nel cervello del padre Papini.
Ma le memorie autentiche di Libertà Moriconi? Ecco, dopo
aver posto in sodo, come a me mi pare di aver fatto, che nè Ber-
nardo, nè Pietro Bernardone, nè i figliuoli di questo, nè i nepoti,
nè i bisnepoti, e chi più n’ ha più ne metta, non ebbero affatto
il cognome dei Moriconi, non ci sarebbe nè anche da confondersi
con le ingenue burlette di quel buon canonico. Ma poichè il padre
Teofilo, pure di sfogare la bizza che per amore del suo dabbene
maestro ha preso con lei, professore, ne ha detto di grosse ed ha
fatto più spropositi che parole, mi lasci dirne qualcosa: quantun-
que so che Ella per ismaltire l'uggia di certi giornacci, che a
tutti ne capitano, ha tolto a far conoscere al pubblico le papere
di quel povero canonico. Eccone uno, anzi il primo di cote-
sti spropositi; ed è quello di credere che noi lucchesi, i quali pi-
gliamo in barzelletta le fiabe archeologiche del canonico di san-
gue Regio de" Bavari o di Baviera (1), noi lucchesi dubitiamo se
vi avesse in Lucca la famiglia dei Moriconi. Lo sapevamo, e lo
sappiamo ancora che era famiglia assai antica e nobile fino dal-
LU XI secolo, di torre e corte (2), nè accadeva che il padre Teofilo
e il canonico Guerra prima di lui, portando acqua al mare o ci-
vette ad Atene, si sciupassero a dimostrarcelo. Ma se ciò più che
un errore, s' avrebbe da chiamare un falso giudizio, un errore del
padre Teofilo, che non gli si deve passare, è quello di venirci
fuori anche lui con la pergamena del Petrugallus, e di arrovel-
larsi con lei, professore, il quale serisse; ed ebbe cento ed una
ragione di scriverlo, che il Guerra fw tratto in errore dalla let-
tura di quella pergamena (3). Se non quanto Ella, avendo letto
di quella pergamena nell’ opuscolo del canonico Guerra, e voluto

(1) LIBERTÀ MORICONI, Albert e descrizioni di Famiglie Lucchesi, Manoscritto
n. 1589, pag. 21, Bibl. Pubb.

(2) BERNARDINO BARONI, Famiglie Lucchesi, Tomo III, pag. 181, in Arch. di St.
in Lucca, Bibliot., ms. 126.

(3) R. CASALI, Notizie e Documenti per comprovare la Genealogia di san Fran-
cesco d'Assisi; nel Bollett. della R. Deput. di St. Patr. per i" Umbria, Vol. XI, Fa-
scicolo III, n. 31.
LUCCA E SAN FRANCESCO 609

vedere co’ propri occhi cotesto documento (1), si pensò che l’ er-
rore lo avesse fatto questo bravo e dotto canonico; ma per me il
Guerra trasse quella notizia dai manoscritti di Libertà Moriconi (2),
dove leggesi: Petrugallo fil. B. M. Moriconis si legge im Vesc.to
nel 1118 per Ser Araldo r&. P. 91. nel quale Instr.o conpra Beni
in Saltocchio. Non è però vero che il Guerra non interpretasse
nulla, perchè interpretò quello che Libertà Moriconi aveva inter-
pretato; perchè Libertà nell’ albero, che segue a cotesta notizia,
fece il sno Petrugallo figliuolo d'un Bernardo Moricone e questo fi-
gliuolo di Giovanni detto Moricone anche lui: ed è però manifesto
che interpretò il fil. B. M. Moriconis figlio di Bernardo Moriconi
di Moricone. Egli insomma credette di aver preso un Turco per
un baffo, avendo trovato il cognome Moricone nel 1118! Non ci
crede il padre Teofilo ? Ebbè, mi dica allora perche il dabbenis-
simo canonico Libertà il b. m, con lettere minuscole, se lo scrisse
con due maiuscole tanto fatte. B. M.? Io lo intendo senza fatica,
perchè cioè il bonae memoriae, che voleva dire pietosamente, che
il babbo del Petrugallo di Libertà, se n’ era ito alle ballodole, di-
ventasse un nome ed un cognome, e in questo modo anche lo Zo-
annes, qui dicebatur Morico, che leggesi in un'altra pergamena
del 1061, si tirasse a valere similmente un nome e cognome, non
un nome e un nomignolo, ovvero soprannome, come s’aveva da
intendere. Con questa borra la creda pure il padre Teofilo che
tutti gli sforzi per appuntar di falso le memorie autentiche (3) di
Libertà Moriconi cadono indarno (4)! Al quale canonico pia-
cendo più un gallo che una patata (5), e cui non piacerebbe di
più? e’ pensò meglio di addoleire l'aspro c di Petrucallo, che si
legge nella pergamena in un g molto piü soave, per poter man-
dare il suo Petrugallo là per la Francia, dove incontrandosi con
Bernardo, avo del santo Patriarca, se lo facesse fratello, o vi sa-

(1) Arch. arcivesc. di Lucca, perg. n. 91.

(2) MoRICONI ece., Notizie della Famiglia Moriconi, (scritte l'anno 1070), pag. 15,
t. In Arch. di Stato in Lncea, Bibliot., Ms. Legato Cerù, n. 73.

(3) DoMENICH., pag. 15.

(4) Idem, pag. 15. Bellina questa frase! Se dunque cadono indarno, ciò vuol
dire che il loro cadere non giova alla trista causa, ch'egli ha tolto a patrocinare,
e per quanto cadano cotesti sforzi, le memorie di Libertà restano quello che sono,
un monte cioé di corbellerie.

(5) È noto che in Toscana i calli si chiamano per ischerzo patate.

p-— — nitenbb.»-—-—-.-



LJ

nn tte nef a m

NR
610 R. BIAGINI

lutasse Pietro nipote carissimo; per far comodo qualche secolo
dopo a Libertà Moriconi, che di ruffa o di raffa gli avrebbe cac-
ciati nell’ albero dei Moriconi di Lucca.

Ci voleva un asino di bibliotecario per iscrivere nel catalogo
dei manoscritti, sotto il venerando nome del dabben canonico, da
consultarsi con precauzione perchè beveva grosso (1)! Io, il quale
ho veduto che non solo beveva grosso ma grossissimo, se fosse
vivo quel bibliotecario, gli vorrei far dare una buona dose di ner-
bate dalla parte di tramontana, e non mica eon un querciuolo ma
colla bambagia, e per paura dei mierobj eol cotone degli speziali.
Ma le pare, professore mio bello, scrivere quella nota all’ autore
di coteste memorie autentiche, le quali hanno tanto poco le carat-
teristiche di fattura d'womo che beve grosso, che sino a qui, dopo
tante scoperte, non hanno potuto esser convinte di false im nessuno
dei particolari che esse contengono (2)! È il vero che a nessuno mai
è saltato il grillo di farlo, nè anche a quel bibliotecario che vi
appose quella noterella; perchè nessuno ha avuto voglia di sciu-
pare e tempo ed ingegno intorno a si fatte capestrerie. So però
anche ehe Ella, professore, si và ora prendendo questo spasso sul
giornale lucchese è Progresso, come ho detto sopra; e fa bene per-
chè mi pare che per certi tempi e per certi cervelli sia proprio
il caso di prendersi cotesta fatica e fastidio. Per conto mio mi ba-
stano i galli per le patate, e alcuni luoghi di quelle antiche me-
morie, che reco qui sotto, con qualehe breve commento, dove mi
paia opportuno; le quali dedico al padre Teofilo Domeniehelli, che
se li legga e consideri.

« Giovanni detto Moricone ebbe tre figli, Bernardo, Moricone
« et un altro di cui è incognito il nome, Padre di Guido Moriconi
« Cardinale, come si mostra nell’ albero. Bernardo messe casa in
« Assisi. Quello incognito andò ad abitare a Vico Pisano: Mori-
« cone restò in Lucca e tutti fiorirono nel 1100 » (3).

Questo si legge nelle illustrazioni o commenti che seguono
l’ albero compilato da lui in questo primo lavoro, seritto il 1670.

(1) R. CASALI, luog. cit.

(2) DOMENICH,, pag. 15.

(3) Notizie della Famiglia Moriconi di Libertà Moriconi, in Arch. di St. già cit.,
pag. 12 e t.
LUCCA E SAN FRANCESCO 611

Or ecco che qui ei dice che Giovanni detto Moricone ebbe tre
figliuoli, e poi nell’ albero ne pone quattro, Bernardo, Moricone,
Guido e un altro Moricone, Che pasticcio è questo? e che cos! è
quel terzo figlio incognito, che fu padre di un Cardinale? Un Car-
dinale di padre ignoto! non l’ avrebbero fatto Cardinale. Se questo
non è bever grosso, non so che cosa mai possa essere. Segue:

« Di questo Bernardo di Moricone del 1100 mi ha data as-
« soluta e certa notizia il magnifico signor Gio: Batta. Orsueei
« diligentissimo antiquario, quale 1’ ha letto e veduto ne' manu-
« scritti del P. D. Eugenio Gamurrini per l'estratto da esso fatto
« di tutti gli Arehivi di Assisi; il ehe non distrugge ma molto
« corrobora l' opinione che la famiglia dei Moriconi di Assisi, dalla
« quale discese il Padre S. Francesco, si diramasse da questa no-
« stra di Lucca » (1).

Di Bernardo adunque, ossia dell' avo di san. Francesco il dab-
ben canonico non sapeva nulla, perchè gliene diè notizia l’Orucci,
e questi l aveva letta nè manuscritti del Gamurrini. Oh il nostro
Libertà beveva grosso davvero! mi fa celia professore; per aver
udito da un altro certe notizie, lette per avventura una volta sul
manoseritto d'uno studioso, fosse pure il Gamurrini, abboccar la
cosa senza pensarci nemmeno, e andare fantasticando ora un modo
ora un altro, come tirare nella propria genealogia questa o quella
persona, cui fino allora non aveva pensato nessuno, e nemmeno
lui! Io non mi maraviglio per conseguenza che in coteste memorie
autentiche, il gran Palladio del Domenichelli, vi siano tante con-
traddizioni, che ciò che disse nel 1670 disdicesse poi quel dabben
uomo nei venti anni dipoi, che seguitó a scartabellare pergamene :
dove se trovava un Morico, lo voleva cacciare fra suoi antenati ;
e se v'era per caso nominato il padre, dava questo per figliuolo
a chi per ragione dell’ anno o data della pergamena, gli pareva
meglio probabile, se no, trovava lui al Morico che gli capitava
quel padre che più fra gli arcavoli suoi gli piaceva. Quindi quel
ripetere spesso e volentieri, questi dovette essere figliuolo del tale;
penso che questi andasse a Pisa, quegli ad Assisi, l’altro în Fran-
cia, messer Petrugallo poniamo il caso, e un altro magari a casa

(1) Notizie cit., pag. 12 e t.

ren i
imt doa Y 2s da

e inp AUS, X
etm

QUSE DEC NL Ga RAT

dt

de

MI mmie ni

M
612 R. BIAGINI

del diavolo : quindi nell’ ultimo lavoro, nel quale consumò la bel-
lezza di vent’ anni (1), quanti ne spese Virgilio per abbozzare
| Eneide, quel fare e disfare, quel dir prima in un modo è più
avanti in un altro, quell’ abbacare d’ ipotesi non trovando quello
che non poteva esserci, cioè documenti, e cento altre cose di que-
sta maniera. In somma, secondo Libertà, quanti furono, o sono
Moriconi in Italia dalla punta del Monte bianco al capo Passero,
tutti, sto per dire, discenderebbero dai Moriconi di Lucca. Ma di
quello che maggiormente rileva, chi cioè si recasse da Lucca ad
Assisi, e per diretta linea pervenisse fino al santo Trovatore, che
fece echeggiare de’ suoi canti d’ amore tutto celesti le pianure
dell’ Umbria e le foreste d’Ascesi, non una prova ci dànno, non
un documento ci recano in mezzo le decantate memorie autentiche
di Libertà Moriconi. Il quale, proprio per detto suo, ebbe le no-
tizie dall’ Orsucci, e questi dai manoscritti del Gamurrini: l’opera
del quale (2) se non fu veduta da Libertà nel primo lavoro, tut-
tochè fosse stata pubblicata già da due anni, fu veduta da lui
senza dubbio nei venti anni che sudavit et alsit (3) intorno al
secondo.

Al qual proposito, a costo che le faccia dire, professore caris-
simo: l'é lunga la camicia di Meo! non posso tenermi dal notare
un'altra contraddizione del nostro Canonico. Il quale nel primo
lavoro mette in ballo l' Orsucci, e poi nella prefazione al secondo
scrive così (4):

« Il padre D. Eugenio Gamurrini Monaco Benedettino in po-
« chi mesi che stiede in Lucca avendo trovato un Morico di Ro-
« paldo del 1061, pensò subito che fosse il primo stipite della no-
« stra famiglia Moriconi, e tale lo collocò nel suo primo tomo
« delle Genealogie alla famiglia Moriconi di Lucca. Ma prese un
« grande errore ecc. (5) ».

(1) « Adesso doppo 20 anni di studio in simili materie, cioé dal 1670 al 1690,
« appresento al mio Lettore quest’ultimo Albero ». Can. Lib. Mor., Alberi e descriz.,
pag. 11, in Bibl. pubbl.

(2) La citata Istoria genealogica delle Famiglie nobili Toscane et Umbre, Fi-
renze, Onofri, 1668.

(3) Hor., Ep., ad Pis.

(4) Alberi e descriz. già cit., pag. 11.

(5 Eh lo credo, perché Libertà Moriconi discendeva da sangue regio de? Ba-
vari o di Baviera! LUCCA E SAN FRANCESCO 613

Il padre Gamurrini pubblicò la sua istoria genealogica il 1668,
due anni prima che Libertà compicciasse il primo lavoro, che ciò

fu il 1670. Or bene il Gamurrini stiede a Lucca qualche anno prima

del 1668; o come va che il nostro canonico non lo vide, non ci
parlò, non andò per lui? O che allora non gli andava per il capo
la sua discendenza da san Francesco? Eh veda il padre Teofilo
(e lo direi pure al suo Maestro, se non fosse andato a ricreder-
sene col suo Padre santissimo) veda quale e quanta memoria si
serbava a Lucca in casa i Moriconi di così gloriosa a santa pa-
rentela! Che è poi quell’estratto di tutti gli Archivi di Assisi fatto
dal Gamurrini, il quale cita nel suo libro, alla buona, s’ intende,
o, dirò meglio, alla carlona come il nostro canonico, documenti
luechesi? Queste mi paiono, anzi sono veramente inesattezze e con-
tradizioni, le quali mostrano evidentemente che le memorie auten-
tiche hanno tanto poco le caratteristiche di fattura d'uomo che beve
grosso (1)! Ma seguitiamo un altro poco queste memorie.

« Giovanni fu l’autore de’ Moriconi d’ Assisi per mezzo di

A

Pietro notaio suo nepote, dal quale discese Bernardo Pannario
« Avo del P. S. Francesco. Questo (sic) messe casa in Assisi
« et ivi si chiamò Bernardone (2) ».

« Moricone o Morico del q. Bernardo si legge testimone nel
« 1100 ad una vendita di una vigna fatta da Bonizzo di Carbon-
« cello in Assisi; e questo a mio credere sarà figlio di Bernardo
« di Pagano, appresso il quale essendo già vecchio e senza figli
« sarà andato Bernardo di Moricone suo congiunto, e questo sar
« Bernardone di Morico o Moricone avo di san Francesco (3).

Oh che razza di memorie autentiche tutte imbastite di a mio
credere, di sarà, e di ipotesi come quella che Pagano di Bernardo,
il quale non si sa donde sbuchi fuori, fosse già vecchio e senza
figli, le quali cose tornerà il canonico antiquario a provarcele dal-
l'altro mondo; e appresso il quale sARÀ andato Bernardo dé Mori-
cone suo congiunto (quando ce l' avrà dimostrato) e questo SARÀ
Bernardone! Ma poi senta qua, egregio professore. Giovanni, che
Libertà e il Gamurrini fanno fiorire il 1060 fu l’autore de’ Mori-

(1) DOMENICH., pag. 15.
(2) Alberi e Descr. sop. cit., pag. 43.
(3) Alberi ec., s. cit., pag. 44.

rr 9ufd @ Á— "=_= RE

IAA

*

è

et

F1

———Eq—— n nstevb-.;

————Ó€9€

%
feu

A,
i x.
int

sel


614 R. BIAGINI "

coni di Assisi per mezzo di Pietro suo nepote dal quale discese
l'avo di san Francesco: or bene o col discese ha voluto dire il
dabben canonico che Bernardone fu figliuolo di Pietro, ed allora
subito appresso si contraddice facendo Bernardone figliuolo di un
Moricone. Ovvero ha voluto dire che ne fosse, poniamo, . nipote
o pronipote; ed allora considerando che Giovanni sarebbe stato
per lo meno zio di Pietro Notaio, e fiorito quarant’anni soli prima
del 1100, e che dopo Giovanni si dovrebbero contare cinque gene-
razioni, cioè Pietro notaio, Morico o Moricone (supponendolo figlio
di Pietro notaio), Bernardone, Pietro e per ultimo san Francesco,
a qual anno, dico, dovrebbesi giungere per far nascere san Fran-
cesco? Ce lo dirà, se rinasca, Libertà Moriconi. La mi creda,
professore, che ci è da ridere, e avranno riso i Bini Moriconi di
Assisi, se avranno mai saputo di queste corbellerie; e riso di
cuore sapendo che nei documenti dell’ Archivio capitolare di As-
sisi si trova un Morico di Guido nel 1066, un Murigus de Raino
de Bina nel 1111, e un Morico console d’ Assisi nel 1112 (1). Ed
ora dopo tutto questo vediamo la conclusione di tutte coteste note ed
osservazioni, cioè l’albero genealogico, non più soggetto a variazioni

per la grandissima ragione che non sapeva più che vedere (2).
Martino (3) Dov'è ito mai quel Pietro notaio, zio per lo meno

Cosperto di Bernardone? Forse egli va qualche generazione
Martino avanti a Martino, che fu babbo del signor Co-
Giovanni sperto ? Certamente che se per mezzo di questo
Martino Pietro notaio i Moriconi di Assisi sono congiunti
Bernardo dal canonico Libertà a quelli di Lueca col dar-
Bonio celo per nipote di Giovanni detto Moricone, è
Bernardo duopo aggiungere almeno un’altra generazione,
Moricone cioè questo Pietro, poniamo caso che fosse fi-
Bernardo gliuolo di un fratello del detto Giovanni. Il quale
Pietro essendo fatto fiorire (4) nel 1060 e san Francesco

S. France- essendo nato il 1182, nello spazio di un secolo e
sco, Angelo. poco più avremmo la bellezza di 13 generazioni

(1) CASALI, Della genealogia di san Francesco d’Assisi, Bollettino R. Deputa-
zione di Storia Patria per l'Umbria, Vol. VIII, n. 22.

(2) Alberi ec. già cit., pag. 1l.

(3) Quest'albero é alla pag. 45 t. e 46 degli Alberi ecc., già cit.
(4) La frase é del Gamurrini.
LUCCA E SAN FRANCESCO 615

l’una dopo l'altra, senza contare. il ceppo vecchio, ossia Giovanni
detto Moricone. È bravo davvero chi ci si raccapezza, e tanto più
se legga quello che scrive il Canonico nel secondo lavoro (1) e
dice così:

« ACCONSENTENDOSI che possi discendere da questo albero an-
« tecedente (cioè la prima parte, avendo per necessità, dice lui,
« della carta diviso l’albero în due parti o pagine) la Famiglia
« dei Moriconi di Assisi COME HA DEL PROBABILE nel modo che è
« formato il detto albero, li due figliuoli di Bono e di Bernardo
« haverebbero dato l'origine alli Moriconi d'Assisi e di Pisa ».

Ma ora attento, Professore, ehe viene il bello, ed Ella non
solo farà bocea da ridere, ma dovrà fare la bocea fino agli orecchi,

« La famiglia Morieoni hebbe la sua prima origine dal Ve-
« seovo Telesperiano (voleva scriversi Talesperiano), il quale avanti
« fu ammogliato (avrà forse trovato i registri dei matrimonj della
« seconda metà del 600, o secolo VII) et hebbe molti figli (avrà
« trovato per avventura anche il registro dei battezzati di quel
« tempo ma’ mat) tra li quali fu Ghisolfo che si diceva ancor
« Ghiso, padre di Fermuso detto alias Marico, Marisco e Maricione.
« Fiorì Ghisolfo circa il 720 e Marico suo figlio circa il 760 (2).
« Anzi rintracciando più a dietro li Antenati del detto Telesperiano,
« che fu figlio di Pertarito, venghiamo in cognitione che Pertarito
fu figliuolo di Gondualdo Duca d’Asti e fratello d'Ariperto primo
« re de' Longobardi, essendo che Gondualdo padre di Ariperto
« era figlio di Garibaldo re de’ Bavari hoggi li Duchi di Baviera,
« come: il tutto racconta il Sigonio De regno Ital. 705 e seg. Onde
« questa mia Prosapia ha le radici ancor più profonde che da

«

^

« Telesperiano, (ma era Talesperiano), e con ragione si può dire di
« sangue Regio de' Bavari o di Baviera (3) ».

(1) Alberi ec. pag. 46 t.

(2) È degno di nota questo divario di 40 anni della data posta al nome del padre
e a quella del figlio: perché Libertà Moriconi, come qui, cosi in tutti gli Alberi e
note pone sempre ai nomi una data e sempre col divario di 40 anni appunto da una
generazione all'altra. Prova infallibile di certezza nella cronologia di Libertà Mo-
riconi e dell' autenticità delle sue memorie. Lo noti il padre Teofilo per valersene
in un altro opuscolo.

(3) Alberi ec. già cit. pag. 21. Non so se Libertà Moriconi leggesse mai una
pergamena dell’ Arch. Arc. di Lucca (K. 64) dove il Vescovo Talesperiano si sotto-
616 R. BIAGINI

Queste adunque sono le memorie autentiche di Libertà Mori-
coni; il quale può vantarsi ciò nondimeno di avere fatto colle sue
scempiataggini tanto scrivere e discorrere, quanto certamente non
valeva il pregio di fare. La conclusione è questa, Professore chia-
rissimo, che la famiglia di san Francesco non ebbe punto il co-
gnome dei Morìconi, che fu nativa di Assisi, e se i Lucchesi ed
anche i Moriconi, fino a quel beatissimo canonico, mai non si
fecero vivi, non ebbero torto. E il padre Teofilo, che dà a Lei
pienissima ragione della non punto nobile condizione del santo
Patriarca, si convinca che si è dato della zappa sul piede, negando
lui stesso l'origine lucchese di san Francesco, per essere stata la
nostra famiglia dei Moriconi delle più nobili di Lucca, come quella
che fu di torre e di corte; e che per negare /'origine lucchese
della famiglia di san Francesco (1) ci è prove e documenti di
avanzo.

Lucca il 16 di settembre del 1907.
Suo dev.mo
Can. R. BIAGINI
Segr. della R. Accademia Lucchese.

scrive rogatus a filio meo Ursone, e non vuol dir altro che figlio spirituale (v. Mem.
e Doc. per servire alla storia di Lucca, Vol. IV. p. I. pag. 310 e vol. V. p. 2. pag. 8).
Se fosse così sarebbe una prova sempre maggiore del suo valore archeologico e del
suo criterio storico e critico !

(1) DOMENICH., pag. 16, ultimo capoverso.
NOTIZIE DEI MONUMENTI DELL'UMBRIA -

SPOLETO.

Supellettili preistoriche. — Anche la preistoria di un paese
‘appartiene alla storia di esso: ed è tanto più doveroso tenerne
conto quando ci si presenti con rivelazioni e notizie di fatto ve-
ramente straordinarie, le quali valgano ad aprire un inaspettato
spiraglio di luce, là dove era buio completo.

Fino ad ora, se si voleva accennare alle origini di Spoleto e
dei luoghi circonvicini, non si poteva che ripetere la vecchia
quanto insipida frase che esse si perdono nella notte dei tempi.
E ciò per la mancanza, quasi assoluta, di supellettili preistoriche;
cioè, di quelle testimonianze che ne assicurano della esistenza e
dell’essere dei primi abitatori di un dato luogo.

Oggi, non più. Alla interessante notizia della scoperta dell’uomo
preistorico nella valle di Spoleto, data dal Prof. Arpago Ricci del-
l’Istituto Tecnico Giovanni Spagna, fin dal 1885, e ripetuta poi nel
1888 (vedi: ATTI dell’ Accademia Spoletina, MDCCCLXXXVIII),
oggi possiamo aggiungere la indicazione di un materiale prezioso
e fino ad ora unico, scoperto a Spoleto e nei dintorni, in questi
ultimi tempi.

Mi trovavo un giorno a Campello sul Clitunno, parecchi anni
or sono, nella villa del nostro illustre collega e mio carissimo
amico il Conte Paolo Campello della Spina, quando un contadino
del luogo, certo Menechella come lo chiamano, di professione brac-
ciante, domandò di me, e disse di volermi mostrare alcuni lumi
a mano, da lui trovati sotterra in un campo prossimo.

Accorsi subito, e mentre mi aspettavo di vedere le solite lu-
cerne romane ‘monolicni, eomunissime anche nell’ Umbria, dalle
quali discendono direttamente quelle che i contadini della regione
chiamano lumi a mano, con mia infinita sorpresa, mi furono, invece,
618 G. SORDINI

presentate alcune fibule di bronzo, semplicissime, del noto tipo à
navicella vuota. Non credendo quasi ai miei occhi per la novità,
nella valle spoletana, di quel trovamento, cominciai a tempestare
di domande il contadino, per sapere che cosa avesse fatto del resto
della supellettile funebre, che non poteva mancare: ed egli inva-
riabilmente mi rispondeva di non aver trovato altro. E siccome
non era difficile notare nelle parole del mio interlocutore una certa.
aria di sincerità mista a rammarico per il mancato tesoro, così gli
domandai: Ma, almeno i cocci c'erano? — Cocci? egli rispose ; di
cocci ne ho trovati un monte! — E che ne hai fatto? — Quelli?
li ho rotti e li ho gettati via!

Mi feci subito indicare il luogo del trovamento, che è un campo
alle falde del monte di Campello, prossimo alle fonti del Clitunno,
dietro all’ antica chiesa di S. Cipriano. Si chiama 2L campo di
Perfetti, dal nome della famiglia del luogo che lo possedeva.

Reeatomi sul posto, vidi alcuni formoni scavati a scopo agri-
colo, e nel mezzo di uno di essi un ammasso di terra nera sparsa
di cocci neri. Nel fondo del formone, notai sulla terra l' impronta
di cerchi seanalati concentrici: evidentemente quell’ impronta era
stata lasciata da uno dei vasi spezzati e dispersi dal contadino de-
luso nelle sue speranze. Raccolsi subito tutti i cocci che potei:
tornai più volte a raceoglierne e trovai anehe un grosso anello di
lamina di bronzo, diviso in due cerchi concavo-convessi, una fi-
bula di bronzo serpeggiante, un pezzo di aes rude, vari frammenti di
piastrina di ferro e un frammento di fibula pure di ferro.

Portai tutto questo materiale a casa mia e, non nuovo in simil
genere di lavori, mi detti a tutt'uomo a trovare un nesso fra quelle:
migliaia di frammenti fittili svariatissimi, per conoscere la forma
originaria dei vasi. ;

Il lavoro, estremamente faticoso e delicato, compiuto tutto da
me solo, mi ha condotto a ricomporre una serie di vasi della più
alta importanza, poichè aleuni di essi non hanno riscontro, che io
sappia, nè per la tecnica, nè per la forma, in nessuno dei vasi
fino ad ora conosciuti e conservati a centinaia di migliaia nei pub-
blici Musei.

Ero ancora intento a questa ricomposizione, quando, un giorno,
venne a casa mia, in Spoleto, il Dott. Domenico Arcangeli, e mi
avvertiva che in un suo podere, a sud della città, presso la chiesa
x

NOTIZIE DEI MONUMENTI DELL'UMBRIA . 619

di S. Pietro extra moenia, facendo egli eseguire le forme per pian-
tagioni, erano apparsi molti cocci. Corremmo assieme sul luogo
e mi accorsi subito ehe il trovamento era in rapporto strettis-
simo, di tecnica e di tempo, con quello delle fonti del Clitunno.
Raccolsi diligentemente e feci raccogliere, anche qui, tutto quello
che la terra restituiva e gli uomini non contesero, e ne ebbi, con
il gentile assenso del proprietario, varie lance in ferro, aleuni fram-
menti in bronzo e parecchi vasi da me ricomposti, anche più gran-
diosi di quelli del Clitunno, oltre uno ziro in terracotta, aneh'esso
tutto in frammenti.

Quasi contemporaneamente, seppi dall'egregio e carissimo amico
mio, Ing. Del Bene Luigi, già direttore delle miniere di lignite di
Spoleto ehe, presso il fosso di Cinquaglia, sulle due sponde, furono
trovate, nel 1887, alcune centinaia di sepoleri, andati miseramente
e completamente distrutti e dispersi. Nel 1893, nella stessa località
sene trovarono altri, e di questi, almeno, potei avere un roechetto
di terracotta; una piccola e rozza mano umana con peduncolo e
foro per appenderla come amuleto; tre fibulette a navicella vuota;
due cerchi a bastoncino; tre anellini e due monete conservatis-
sime: il tutto di bronzo.

Dalle indicazioni favoritemi dall’Ing. Del Bene, come dal sag-
gio degli oggetti, non vi ha dubbio che anche questa necropoli si
colleghi, per ragioni di tempo e di arte, con le due precedenti,
benchè io non sia ancora riuscito a rintracciare un solo frammento
del numeroso vasellame quivi rinvenuto e distrutto. Giovi, però,
il rieordo della cosa e del luogo.

Nè qui dovevano arrestarsi le notizie intorno alle necropoli
arcaiche spoletine, ignorate per tanti secoli, e che ora riapparivano
in gruppo. Nel 1905, eseguendo i lavori di saggio nel sottosuolo
del Duomo di Spoleto, per accertare le cause della minacciata ro-
vina dell’insigne edificio, mi imbattei, quando meno me lo aspet-
tavo, negli indizi di una quarta neeropoli identica alle altre,
estendentesi sotto lo stesso Duomo di Spoleto. E di tali indizi,
detti subito un cenno in questo stesso Bollettino (Vol. XII, fasci-
colo 1°, n. 32, pag. 147).

Non è quiril luogo per addentrarsi in un esame anche som-
mario dei fatti accennati: qui basta notarli. Però non eredo di do-
ver trascurare due altre interessanti notizie.
620 G. SORDINI

Mentre mi studiavo di trovare un rapporto tra i vasi delle ne-
eropoli spoletine e quelli eonoseiuti, un giorno, visitando in Perugia
la splendida eollezione paletnologiea del nostro illustre collega e
carissimo amico, il Prof. Comm. Giuseppe Bellucci, vidi, non senza
sorpresa, tra i tanti e tanto svariati oggetti di cui si compone la
Collezione Bellucci, un pieeolo frammento che sembrava tolto dai
vasi che formavano argomento del mio studio. Chiestane la pro-
venienza, il Comm. Bellucci mi rispose averlo avuto da Bevagna.

Rivolte, allora, le mie indagini a Bevagna, in alcune escur-
sioni fatte insieme al mio giovane amico il Dott. Guido Boccolini,
ebbi la gioia di raccogliere vari frammenti fittili identici a quelli
delle necropoli arcaiche spoletine.

Resta così assodato, per quanto finora ci è noto, che il tipo
dei vasi da me rinvenuti, è particolare alla valle di Spoleto, es-
sendosi trovati a Spoleto, alle fonti del Clitunno, a Bevagna, e
mai, che si sappia, fuori di questa valle. Il che, se dà loro un
pregio maggiore, maggiormente obbliga, chi vive in quei luoghi,
ad una assidua vigilanza, affinchè nuovi, fortuiti trovamenti non
passino inosservati, in attesa che il Governo fornisca i mezzi ne-
cessari per un'ampia sistematica esplorazione che allarghi questo
primo, casuale spiraglio aperto nella preistoria dell’ Umbria.

Come apparisce dalle modeste fotografie che presento, i vasi
principali non sono che olle cinerarie di terra mal cotta, ad im-
pasto artificiale, anteriori alla invenzione della ruota da vasaio,
coperte, esternamente, da ingubbiatura nerissima, che, pulita e stro-
picciata appena, acquista subito un bel lucido. Hanno grandiose
proporzioni, sono di bel disegno, ed ornate di scanalature concen-
triche, o di semplici incavi, alcuni dei quali riproducenti sche-
matiche figure antropomorfe.

Tutto questo materiale che verrà convenientemente illustrato
altrove, venne da me. offerto in dono all’ ACCADEMIA SPOLETINA,
nelle collezioni archeologiche della quale, ora, si conserva e si
ammira.

*
* *
Anfiteatro romano. — Tra i monumenti romani di Spoleto,

il più vasto, senza dubbio, è l’Anfiteatro, già compreso nei Mona-
steri di S. Maria della Stella e del Palazzo, dopo l’ultima soppres-
NOTIZIE DEI MONUMENTI DELL’ UMBRIA 621

sione trasformati in Caserma, alla quale, recentemente, si è voluto
imporre il nome di Severo Minervio. i

Secondo le misure date dal Sansi, quell’edificio ha un asse di
m. 119 X 90: il che importa un'area vasta quanto la metà, circa,
del Colosseo. Nè la cosa deve sembrare incredibile, visto che il
Teatro romano di Spoleto, da me scoperto nel 1890, ha una corda
accertata di m. 114 (Vedi: Notizie, febbraio 1891).

Fino a non molti anni or sono, dell’Anfiteatro spoletino si co-
nosceva soltanto un piccolo tratto delle arcate verso ponente, assai
guaste, ma libere da ingombri. Nessuno, però, sospettava che la
parte più importante fosse quasi interamente sepolta, ma di con-
servazione mirabile. Avuto modo di accertare anche questo dato
di fatto, e percorso tutto 1’ ambulacro esterno, mi avvidi che il
massimo ostacolo a che esso ambulacro potesse visitarsi, veniva
da due latrine, le cui fosse morte, costruite in elevazione, in due
punti diversi dell’ambulacro stesso, lo ostruivano e lo réndevano
inaccessibile a causa di pestilenziali filtrazioni.

Preso in esame il grave inconveniente, e studiato un progetto
sommario per rimuoverlo, feci presenti l’uno e l’altro al Ministero
della guerra; e, in quest'anno, con l’aiuto efficacissimo del M. Ge-
nerale Chiaiso, fino all'Aprile scorso Ispettore Capo di Sanità mi-
litare, ho potuto ottenere la soppressione di una delle latrine, e
la riforma dell’ altra, congegnandola in modo da permettere la co-
struzione della fossa morta fuori dell’ambito dell’Anfiteatro. Così
l'ambulaero rimarrà. perfettamente libero; e, quando si volesse,
con uno sterro assai facile e non troppo costoso, si potrebbe ri-
mettere in luce un monumento romano di primo ordine.

Ma, l’ Anfiteatro di Spoleto, anche meglio che come monu-
mento romano, benchè vastissimo e di ammirabile struttura, ha
grande importanza per un fatto poco noto. Nell'anno 546, narra
Procopio di Cesarea (Traduz. di Domenico Comparetti, 1. III, c. 23),
I Goti allorchè, dietro la resa di Erodiano, ebber preso Spoleto,
aveano accuratamente ostruiti ‘gl’ ingressi del luogo che dinanzi alla
città era destinato alle caccie urbane, detto anfiteatro, e aveanvi
posta una guardia di Goti e di disertori romani, perché custodisser
quelle località. Non è qui il caso di accennare nemmeno ai tradi-
menti e alle stragi di cui quell’edificio, tolto e ritolto ai Greci e
ai Goti, fu teatro intorno alla metà del sesto secolo. Quello che,

42

Fiet T ARM THESE] iS IORUNETNI VIE GUT WII PUTIN TAPRCSCWIAASUS CANT PAVIA
622 G. SORDINI

qui, invece, dobbiamo considerare con attenzione, è che nell’ An-
fiteatro romano di Spoleto, certamente, debbono rinvenirsi, almeno
in parte, le costruzioni per mezzo delle quali Totila lo cangiò in
fortilizio: fortilizio durato fino alla metà circa del decimoquarto
secolo. Se queste costruzioni si rinvenissero, poichè sono sicura-
mente della metà del sesto secolo, ‘avendolo attestato Procopio,
scrittore di quell’epoca e, forse, testimonio di vista, esse sareb-
bero preziosissime, poichè risulterebbero uniche; e fornirebbero
un termine di confronto per altre fabbriche, che oggi è impossi-
bile assegnare, con qualche sicurezza, ad un dato tempo.

Ebbene, io credo di trovarmi in grado di additare una parte
almeno di quelle costruzioni.

Sotterra, verso levante, dentro l’ambulacro massimo, si veg-
gono ancora diciassette arcate ostruite con una rozza muratura di
pietre a falde, tenute insieme da grossi strati di calce di pessimo
impasto. Nel mezzo di ognuna delle arcate si osserva una feritoia
a strombo, alta m. 1.20, larga, internamente m. 0.42. Nulla può
dirsi della struttura dello strombo, essendo tutte ostruite da capo
a fondo.

Queste murature, per la rozzezza loro, per la profondità in
cui ora trovansi, per essere tutte munite di feritoie, e costruite,
come è facile rilevare, quando 1’ Anfiteatro era già in rovina, a
‘me pare che non possano avere altra origine che quella indicata
da Procopio. E la cosa sarà appieno manifesta e provata, cred' io,
ilgiorno in eui si proeederà allo sterro, almeno, di tutto l'ambu-
laero. Il che è da augurare avvenga presto per opera del Governo;
il quale certamente non può non prendere in considerazione un mo-
numento che non ha pari nell’ Umbria, così per vastità, come per
la sua duplice importanza storica e costruttiva.

Intanto, mi sia permesso, qui, di ringraziare vivamente e il
Generale Chiaiso che fu intermediario cortese, efficacissimo, e la
Sotto Direzione del Genio militare provinciale che seppe eseguire
i lavori con tutta sollecitudine e con massima perizia.

Chiesa di S. Gregorio maggiore. — Il 16 maggio di que-
stanno, è stata compiuta la ricostruzione della trifora che adorna
NOTIZIE DEI MONUMENTI DELL’ UMBRIA 623

la facciata della chiesa, già collegiata, ora semplice parrocchiale,
di S. Gregorio maggiore in Spoleto. Appena compiuto il lavoro,
la trifora venne subito scoperta al pubblico, che vede con soddi-
sfazione ridonata alle caratteristiche originarie forme, questa an-
tica chiesa spoletina.

La ricostruzione di questa parte interessantissima della fac-
ciata, è riuscita così perfetta, da rendere possibile l’utilizzazione,
senza ritocco, di alcuni frammenti della vecchia trifora, ritrovati
nelle demolizioni delle murature settecentesche, dalle quali era
stata rovinata e ostruita completamente. i

L'architetto Fondelli, al quale si deve principalmente l'ottima
riuscita di questo lavoro, non solo per lo studio preventivo che ne
fece, ma altresì per la amorosa assistenza con la quale ne diresse
l'esecuzione, ha già disegnato la balaustrata che dovrà coronare
il portico cinquecentesco addossato alla chiesa dell’undecimo se-
colo: balaustrata della quale abbiamo. avuta la fortuna di ritro-
vare tutti gli elementi costitutivi. E tra poco si metterà mano an-
che allo studio della cornice di coronamento della facciata; coro-
namento che, dato l'evidente sforzo di imitazione tentato in questa
facciata (e non nella sola facciata) per renderla simile a quella del
Duomo di Spoleto, io penso che non possa dal tipo di essa allon-
tanarsi. Nè è improbabile che la demolizione della brutta cornice
settecentesca, attualmente esistente, ci fornisca incontrastabili ele-
menti di ripristino, anche di questa parte. Il che' faciliterebbe di
molto il nostro compito: di ridonare, cioè, a quella caratteristica
facciata l’originario suo aspetto, in attesa che i mezzi necessarî
permettano di ripristinare tutto l'interno, nascosto sotto un in-
gombro di intonaco e di pessimi stucchi, nonchè i fianchi e il lato
posteriore guasti da rozzi rifacimenti. E con ciò, non soltanto un
organismo architettonico medioevale, datato, importantissimo, tor-
nerebbe in luce, ma sì ancora si discoprirebbe una preziosa serie
di affreschi che, dalla prima metà del XII vengono fino al secolo
XVII. I

Chiesa di S. Giuliano. — Sopra un poggio, attiguo al bel
Montelueo che, a ridosso di Spoleto, erge, sparsa di ville, La ver-
dissima cupola nel sole, torreggia la chiesa di S. Giuliano, a tre navi,

ii ii

STI SN SAENTA LS PI
624 G. SORDINI

con cripta, e torre campanaria sorgente sull’ angolo destro della
facciata. È una chiesa costruita intorno intorno al mille, con fram-
menti di sculture assai interessanti e molto più antiche. La sua
primitiva fondazione risale ai primi tempi dei Goti in Italia, e fu
ricchissima Abbazia Benedettina, soppressa da Alessandro VI, con-
cessa poi ai Canonici Regolari e passata, infine, nelle mani dei Li-
guorini. Leone XII, nella riforma delle Parrocchie di Spoleto (1825)
la riunì alla Parrocchia di S. Pietro extra moenia, con obbligo al
Parroco di officiarla e mantenerla.

Usurpata, dopo il 1870, da un privato, il Comune di Spoleto,
per mio consiglio e dietro mie insistenze vivissime, unitamente al
Parroco di quel tempo, sostenendo gli oneri di una Causa giudi-
ziaria durata quattordici anni, la rivendicò ed oggi è novellamente
in possesso del Parroco di S. Pietro.

Ridotta recentemente a fienile e a ricovero di animali im-
mondi, lasciata aperta e senza custodia, impoverita di tegoli e di
pietre, è prossima ad una irreparabile rovina. Il che si risolve-
rebbe in una grande iattura, essendo. quella chiesa, per la mole
cospicua, per le linee architettoniche, per la struttura di pietre
conce a filaretto, dentro e fuori, per le antiche sculture, per le
interessanti pitture del XV secolo che tutta ne ornano l’ abside,
nonchè per le memorie storiche, uno dei più cospicui edificî reli-
giosi dell'Umbria meridionale.

Il pericolo massimo è, oggi, nel tetto, del quale rovinava
testè buona parte, e in alcune murature già da tempo sconnesse.
Il Ministero ha ordinata una perizia dei lavori occorrenti; ma è
nella convinzione di molti che se non si provvede immediata-
mente, in via straordinaria, di quell’ edificio, in breve, non ri-
marrà che la memoria.

Basilica di S. Salvatore. — Lo studio, i rilievi e lo sco-
primento di questo insignissimo tra i monumenti cristiani primi-
tivi del mondo, hanno notevolmente progredito anche nel corrente
anno. Benchè alcune nuove costruzioni nel caseggiato annesso,
rese necessarie dalle demolizioni occorse per mettere in luce tutto
il prezioso edificio, abbiano impegnato gran parte del tempo e dei
mezzi che erano a mia disposizione, pure è stato eseguito lo scavo
dell’area innanzi alla Basilica, già occupata dal portico, in modo

NOTIZIE DEI MONUMENTI DELL’ UMBRIA

625

che è stato possibile determinare e rilevare le murature delle va-

rie epoche, ancora esistenti sotterra; vennero studiate con cura

particolare le tre porte e le tre finestre della facciata, delle quali,
ora, l’architetto Fondelli sta eseguendo i disegni in grandi pro-

porzioni; si è potuto stabilire che la trabeazione interna della

porta principale era tutta coperta di finissimi stucchi, dei quali

si sono trovati i resti, e che, sopra questa trabeazione, con bel-

lissimo partito architettonico, poggiava quella delle navi laterali,

ricorrente anche sulla parete interna della facciata. Nuovi marmi,

e di molto pregio, sono venuti in luce; ma ciò che avrà vera-
mente un interesse straordinario, è l’ aver potuto accertare, con
tutta evidenza e sicurezza, che, non soltanto i fregi, in cui spicca
la croce foliata, sono di arte cristiana, come, fin qui, tutti ave-
vano ritenuto, dall’ Hübsch al De Rossi; ma che tutta la scul-
tura e delle porte e delle finestre e delle cornici, e di alcune colonne

e delle basi della cupola, è ugualmente di arte cristiana primitiva.

Nel gocciolatoio della cornice superiore della porta principale, li-
berato dai licheni e dai muschi che ne ottenebravano la fine bel-

DI

lezza, è

riapparsa, nel centro, la eroce di rilievo. Ed è scolpita in

modo, questa croce, che non si può nemmeno lontanamente sup-

porre che sia una giunta posteriore.

Anche il rilievo ienografieo è stato già eseguito dall’ Archi-
tetto Fondelli, nonchè gran parte del rilievo generale della fac-
ciata, secondo lo stato attuale.

Se, come è da credere, nessun ostacolo verrà a frapporsi ai
nostri lavori, io nutro fiducia che nell’anno prossimo, potrò tor-
nare in seno alla R. Deputazione con il lieto annuncio che il grave
enigma storico e archeologico presentato dalla Basilica di S. Sal-
vatore e dal Tempietto sul Clitunno, si è sciolto, finalmente, in
ogni sua parte.

Collezione di calchi. — A cura e spese dell’ ACCADEMIA
SPOLETINA, è stata iniziata una collezione di calchi, la quale me-
rita di essere segnalata all’ attenzione del pubblico studioso.

In generale, dagli scrittori di cose spoletine, viene a risultare
rem dirae

626 G. SORDINI

questo assurdo storico: che a Spoleto si sarebbero conservati i mo-
numenti preromani, come la primitiva cinta urbana e i muri in-
terni, a retta, di opera poligonale; gli edifici pubblici e privati
dell’epoca romana, più o meno guasti e nascosti, ma indubbia-
mente esistenti e riconoscibili; i monumenti, infine, posteriori al
mille. Ma nulla ci sarebbe rimasto del periodo che va dal sesto
secolo al mille; dall’epoca, cioè, nella quale i potenti Duchi di
Spoleto, con le arti della politica e con l’impeto della guerra,
dettero straordinaria ampiezza di dominio a quella città,

Anche concedendo tutto che si voglia alla rozzezza dei primi
tempi del Ducato, al paganesimo semiselvaggio da cui era, in ori-
gine, dominato, è semplicemente assurdo pensare che per oltre
quattro secoli, un così potente organismo, rimanesse completa-
mente privo del sorriso dell'Arte, pur avendo cangiato, piü, volte,
indole e dominatori. E che sia un assurdo, irrefragabili documenti
scritti ce lo provano. Onde io sono pienamente d'accordo con chi
saggiamente affermava che i monumenti di quel tempo non li co-

mosciamo o non sappiamo riconoscerli: tanto è il buio di quei se-

coli! Nè si obbietti che, qua e là, in altri luoghi, qualche fram-

mento di opera d'arté è venuto affiorando, pur nella generale
, [e]

sommersione di opere che, fino a non molti anni or sono, si rite-
nevano dell’ alto medioevo; poichè tali e tanti sono i dispareri,
meglio ehe i pareri, di uomini competentissimi, intorno ad essi,
da rendere. maggiori il buio e la confusione.

Ora, una collezione di calchi di tutti i frammenti artistici del-
l'alto medioevo esistenti entro una ristretta e determinata cerchia,
mentre riuscirà a mettere in evidenza opere sconosciute ai più e
ne assicurerà meglio la conservazione, sottraendole alla ingordigia
speculatrice, permetterà riavvicinamenti, confronti e studii fino ad
ora troppo difficili, se non affatto impossibili. D'onde si potrà ri-
salire, poi, ad un tentativo di classificazione cronologica, basata
non soltanto sulla impressione soggettiva, come ora accade quasi
sempre, ma sulle indefettibili ragioni tecniche e storiche.

Ed io sono lieto di annunciare che una tale collezione, dalla
quale possiamo riprometterci i migliori frutti, per quanto riguarda
Spoleto, è già tanto innanzi, da rendere evidente, anche ai più
scettici, la incontestabile utilità sua. Auguriamo all’ ACCADEMIA
SPOLETINA di poterla presto compiere.

LO AINSI
NOTIZIE DEI MONUMENTI DELL’ UMBRIA

Fogna, iscrizione e moneta romane, e strada medio-
evale. — Il 26 novembre scorso, cavandosi lungo la Via Pierleone
per fondare il muro di facciata della Palazzina municipale desti-
nata ai trasformatori elettrici, proprio dinanzi al Vicolo del Teatro,
a sei metri di profondità circa, si rinvennero i resti di una fogna
romana del tipo spoletino, già da me fatto noto (Vedi Notizie,
Gennaio 1898). L'asse della fogna era perpendicolare a quello
della Via Pierleone, e continuava certamente dai due capi. Un
poco più a valle, la stessa trincea, per le fondazioni della facciata,
rimise in luce il lastricato, a grandi falde di focaro (una durissima
arenaria locale) della via medioevale sottostante alla Via Pierleone
circa- sei metri. Rimosse quelle lastre, fu trovato capovolto e in-
terrato un frammento di lastrone di travertino con iscrizione ro-
mana dedicatoria ad Ercole.

Nel fondare il muro opposto, a nove metri di distanza, sulla
Piazza XX Settembre, ad una profondità non potuta precisare, si
è rinvenuto un bronzo di Agrippina.

Chiusura dei lavori di saggio nel Duomo. — Quattro
anni or sono, in seguito alla improvvisa, imprevedibile caduta
di un tratto delle mura urbane di Spoleto, sorti più vivi i timori
per la minacciata rovina di una parte di quel monumentale edi-
ficio che è il Duomo di Spoleto, il Governo ordinava un serio
studio, per scoprire e determinare le cause di tanta iattura. E io
sono venuto ogni anno, in seno alla R. Deputazione, a render
conto, più o meno ampiamente, delle ricerche eseguite insieme ai
miei colleghi Prof. Arpago Ricci e Ing. Luigi Del Bene.

Oggi debbo dire che i lavori di saggio, giunti al loro termine,
sono definitivamente chiusi; ma, purtroppo, non ho il conforto di
dare formale assicurazione che il pericolo, la minaccia possano
essere allontanati in modo assoluto e scongiurati per sempre. La
Commissione ministeriale è stata unanime nel riconoscere la gra-
vità, forse insanabile, di quelle cause, le quali possono compen-
diarsi nella instabilità del terreno argilloso e nelle infiltrazioni
628 G. SORDINI

delle acque sorgive, di cui è ricchissimo il poggio su cui siede
Spoleto, e delle acque piovane.

Io, però, nutro, personalmente, fiducia che, con una serie di
saggi provvedimenti e di lavori, dei quali non mi dissimulo l'onere
finanziario e la gravità tecnica, il Duomo di Spoleto potrà resi-
stere ancora per molti secoli, senza ulteriori minacce e pericoli,
all’ inesorabile azione dissolvitrice del tempo, quando, però, non
si abbia fretta eccessiva, e si adoperi tutta la prudenza necessaria.
Questo debbono desiderare e volere tutti i buoni cittadini, tutti i
cultori dell’arte.

Per la storia del luogo e del monumento, gli ultimi saggi, due
nuovi, interessanti fatti hanno messi in luce.

Un notevole movimento di depressione nel centro della rozza
platea esistente dietro l’ abside del Duomo, con conseguente rial-
zamento dei bordi laterali, ha dimostrato fino all’evidenza che, in
quel punto, sotterra, esisteva ancora un grande vuoto, certamente
artificiale, fosse questo un pozzo o una cisterna, come se ne ha una.
qualche tradizione; o fosse un sotterraneo scavato in servizio del-
l’ Episcopio, anteriore al mille, che, quivi, come ho dimostrato
‘altrove, sorgeva. Il che spiega chiaramente l’ esistenza della grotta
naturale da noi rinvenuta sotto la colossale sostruzione dell’ abside
del Duomo, e il masso erratico di breccione trovato nel pozzo da.
noi scavato a ridosso della sostruzione stessa.

L'altro fatto consiste nel rinvenimento di una pavimentazione
romana laterizia di opus spicatum, rinvenuta a sud-est del Duomo,
presso la Cappellina Eroli, e ancora în situ. Questo pavimento ro-
mano, composto dei soliti piccoli mattoncini, riposa sopra un piano
artificiale costituito da un masso dello spessore di m. 0,85; il
qual masso, a sua volta, poggia direttamente sull’ argilla. Consi-
derato che questo pavimento romano, ancora in situ, è attiguo al
muro a retta che sostiene il taglio del colle a monte, è necessario
coneludere, il che, del resto, era stato da me già avvertito per
altri indizî, che la spianata artificiale su cui sorge il Duomo di
Spoleto, esiste almeno fin dal tempo romano.

L'importanza di questi due nuovi fatti, tanto per la storia
quanto per la conservazione dell’ edificio, non potrà sfuggire ad
alcuno.

Mi auguro di venir qui, ancora una volta a intrattenervi in-

— NOTIZIE DEI MONUMENTI DELL’ UMBRIA 629

torno ai provvedimenti che saranno presi per la salvezza del

Duomo di Spoleto, e a darvi il lieto annuncio dell’incominciamento
2

dei lavori.

Tre antiche cripte. — Spoleto è la città delle sorprese ar-
tistiche e archeologiche. Esisteva già, da moltissimi anni un noto
e notevole gruppo di monumenti; altri, da un buon quarto di
secolo, ne vengo io stesso scoprendo. Eppure, quel fecondo terreno
presenta sempre nuove, inaspettate sorprese.

Nessuno ignora come le chiese di Spoleto e del suo territorio,
abbiano quasi tutte la loro cripta, più o meno ampia, più o meno
ricca ed antica, ma sempre assai interessante. Ora, a quelle già
conosciute bisognerà aggiungerne altre tre, ancora esistenti, benchè
ostruite da oltre quattro secoli.

In un libro di Appunti e Decreti della Sacra Visita di Pietro
De Lunel, Vescovo di Gaeta, deputato dal Papa in qualità di De-
legato Apostolico, a visitare la Diocesi di Spoleto, libro manoscritto,
conservato nella Cancelleria Arcivescovile di quella città, trovai,
molti anni or sono, chiaro ricordo di tre cripte da quel Vescovo
fatte murare nel 1572.

In una recente accurata ispezione, mi sono potuto convincere
che tali cripte esistono tuttavia, e non vennero più aperte dal-
l’epoca in cui ne fu murato l’accesso. E ognuno facilmente com-
prende la grande importanza che possono avere monumenti di quel
genere, in particolare se salvi dalle trasformazioni e decorazioni

seicentesche, come debbono essere queste di Spoleto, poichè ven-

nero murate nella seconda metà del cinquecento.

Queste cripte trovansi sotto le antiche chiesuole urbane di
S. Sabino, di S. Alò (S. Eligio) e di S. Omobono (già S. Vincenzo).

Appena esaurite tutte le dovute formalità, l'AccApEMIA SPo-
LETINA, a proprie spese, rimetterà in luce questi tre monumenti
che possono avere notevole importanza storica e artistica, nonchè
religiosa, essendovi qualche indizio che in essi vi siano ancora
sepolti corpi di Santi.

,

——— Qa

A
930 G. SORDINI

*
»*

Il Capitolo dei Domenicani. — Nell' ex-convento di S. Do-
menico, a piano terreno, in una stanza oggi compresa nei locali
del Gabinetto di Chimica dell’ Istituto Tecnico Giovanni Spagna,
si vede un grande arco di pietre conce, entro il quale si svolge
una delicata architettura a colonnine e trafori. È questo l’ingresso
dell’ antica sala capitolare dei Domenicani, sottostante alla chiesa,
e da me illustrato or sono molti anni. Ora, avendo posto mente
ad alcuni resti di affreschi ornamentali assai antichi, che si veg-
gono sulla fronte del grande arco, e che io stesso feci salvare al-
lorchè avvenne la trasformazione del locale, sono dovuto giun-
gere alla conclusione che, certamente, la sala capitolare, oggi
nascosta, doveva essere dipinta, secondo l'uso comune dei Dome-
nicani. E se si pensi ai grandi pittori che, a Spoleto e nell'Umbria,
nei secoli XIV e XV, ornarono gli edifiei religiosi; e si rifletta
che anche a Spoleto, in quei tempi, fioriva una scuola pittorica
locale, di cui ci rimane appena memoria nel nome di qualcuno
dei Maestri che la fecero fiorire, la riapertura di quella sala ca-
pitolare potrebbe costituire un avvenimento artistico di straordi-
naria importanza.

Purtroppo, di quella sala capitolare, non solo fu murato l’in-
gresso, ma venne altresì trasformato l’ interno in sepolture. Non
è improbabile, quindi, che i dipinti in essa esistenti, abbiano
sofferto danni non lievi. Ad ogni modo, fare un tentativo è utile
e doveroso; ed anche a questo provvederà l' ACCADEMIA SPOLETINA,
non appena ottenuti i debiti permessi.

Pu

Madonna del massaccio. — Nella bella chiesa della Ma-
donna del massaccio, illustrata da Laspeyres, posta a pochi metri
dalle mura urbane, a sud di Spoleto, sono indubbiamente nascoste,
sotto il bianco di calce, pitture insigni del buon tempo dell’arte.
Nei Commentarî del Bracceschi, ho trovato ricordo di un dipinto
esistente in quella chiesa, rappresentante S. Giovanni Arcivescovo
e recante la data 1514. E poichè da altri documenti inediti e igno-
rati, mi risulta che Giovanni Spagna ebbe a lavorare per quella
em

GEL CSAR PIAN treni

NOTIZIE DEI MONUMENTI DELL’ UMBRIA 631
chiesa, così è molto probabile che il dipinto del 1514 sia opera di
quel Maestro che l’ avrebbe eseguito nel pieno sviluppo della sua
personalità artistica, nello stesso anno, cioè, in cui dette vità al suo
capolavoro, all’ affresco della Pinacoteca di Spoleto. E vi è ragione
di credere ciò, anche per il ricordo fatto dal Bracceschi di quel-
l’opera d’arte, poichè il Bracceschi tenne conto particolare di
Giovanni Spagna e delle opere di lui.

Eseguite da me alcune indagini sommarie in quella chiesa,
ho notato, in modo particolare, un intero nicchione, tutto affre-
seato, come sembra, da ottimo pennello. E non è improbabile che
altri niechioni siano dipinti, benchè coperti dalla moderna bar-
barie con il bianco di calce.

È da far voti che, presto, si possano ritornare anche queste
opere d’arte all’ ammirazione degli studiosi.

G. SORDINI.



"

n j La
FA. LIE SIR TIBIA on ASSE

XX 1
P.
Tea
m

Umm eei at
Un ritratto di fra Jacopone da Todi

Il nome di Andrea Polinori, pittore todino della scuola carae-
cesca, non è ignoto agli eruditi della pittura umbra nel seicento,
il secolo pittorico italiano che in mezzo a tanta applicazione in-
ternazionale di analisi sui precedenti aspettasi ormai da’ nostri
critici l'esame e le rivendicazioni del suo svolgimento artistico
‘estetico.

Del Polinori, nato il 1593 e morto a 55 anni, pubblicò i
cenni biografici e un elenco di lavori Adamo Rossi nel 2° vol. del
Giornale d’ Erudizione Artistica, copioso di accurate notizie in-
teressanti. Congiunse Andrea al suo nobil talento per il disegno
e il colorito la cultura letteraria, vital nutrizione anche agli artisti,
della quale ben si giovò in alcuni suoi quadri ed affreschi. La-
vorò molto per le chiese, e pur di suo genio dimorando quasi
sempre a Todi, donde non volle mai trasferirsi altrove per quanti
inviti lusinghieri gli giungessero da alti personaggi, vivendovi
innamorato dell’ arte e delle belle donne che vi si eleggeva a
modelle, potendo lungi spaziarvi lo sguardo sott’ azzurro cielo
per il vasto orizzonte magnifico, splendido di tramonti, e bearvisi
consapevole ansioso della gaia armonia delle tinte, nella divina
insuperata armonia della Chiesa del Bramante, per la quale di-
pinse i Santi del Confiteor. Pur qui rimanendo, non gli mancarono
le ambite ordinazioni dei cardinali Lanti, Carpegna, e Maiolano,
di un barone tedesco, che comperavagli i dilettosi Dodici mesi
dell’anno e in ultimo di un principe. napolitano.

I suoi contemporanei che l’ ebbero in singolar pregio, ne am-
miravan la maniera eclettica, riavvicinandola a quella del mae-
stro Annibale Caracci. Dedito genialmente a’ suoi quadri, non
634 A. TENNERONI

riuscì ad accumulare altr’ oro che quello risonante nel suo titolo
cavalleresco dello Speron d’oro, regalando ei sovente, da generoso

spirito bizzarro, i prodotti del suo pennello. A lui commisero i
nobili Benedettoni, gens Benedictonia, il grande quadro d’ altare
in onore del loro illustre antenato fra Jacopone, beato a voce di
popolo, da ornarne la propria cappella, a sinistra dell’ abside nel
gran tempio italo-gotico di San Fortunato, ove, trasportatevi so-
lennemente dall’ anno 1433, e riposte il 1596 dal vescovo Cesi in
sarcofago di marmo, riposano le ossa e conservasi, ostensibile in
un’ urna, il teschio del poeta di Todi.

Figurò Andrea di maniera in un tela d’ altare, alta m. 2,92,
larga m. 2,03, il beato Jacopone, a mezza età, vestito dell’ abito
cinerizio di Minore conventuale, indulgendo così a quei frati cu-
stodi del tempio, in un atteggiamento di estatico contemplativo,
additante in alto il Redentore, cioè l’Amor de karitate, sì ardente-
mente dal poeta implorato in codesta laude bellissima da attin-
gervi l’ estremo di un misticismo erotico.

A destra il cielo e il deserto, a sinistra l'interno di un tem-
pio; nel centro, di faccia allo spettatore, Jacopone con viva mossa

. elegante, sebbene impropria al tipo tradizionale di lui rigido asceta

filosofante, spregiatore dispetto del mondo e severo dei grandi am-
monitore. Ai lati S. Girolamo e santa Romana vergine e martire
tudertina, bionda, rivolta a santa Chiara, reggente l’ ostensorio,
onde fugò i barbari da Assisi, ambedue vaghe di sembianze e nei
toni delle carni : in fondo, leggente sotto una lampada, S. Antonio
di Padova, la prima mente dell’ Ordine; a piè del beato, due
capponi su di una pietra sepolerale. Ideato conforme lo spirito
francescano e il gusto. del tempo, si giudica il quadro di buona
disposizione, ligio al senso dramatico e del colore della scuola,
con effetti e contrasti di luci; ma indarno in alcune figure, non
altrimenti che in tanti classici dipinti, vi si cercherebbero le va-
rietà di tempo e di carattere volute dalla critica.

Un particolare interessante per noi si è il ricordatovi aned-
doto leggendario del paio di polli, che Jacopone a manifestare
umiltà fattosi servo pubblico, invece di portare a casa del citta-
dino che glie li aveva consegnati, sarebbe andato a deporli entro la
sepoltura di lui a San Fortunato. Pur siffatta stravaganza reli-
giosa, se bene non inverisimile o assurda, come altre ugualmente
cfr a germe

E E

Rtessvae cem pre eparina esa

NOTIZIE DEI MONUMENTI DELL’ UMBRIA 635

ascrittegli dalla tarda leggenda oddiana, e derivate a parer nostro
dal bisogno di spiegare a menti grossolane con invenzioni mate-
riali il suo canzoniere mistico teologico, ricollegasi direttamente
ad una delle sue più gagliarde e diffuse laudi a dialogo, l’unica
passata negli antichi laudarii umbri, e che abbiamo rinvenuta per
il nostro REPERTORIO DI LAUDI (1) in non meno di 55 codici, spet-
tanti a regioni diverse,

Quanno t’alegri, omo, d’altura,
Va, pone mente alla sepultura:

aspra d'ironiei rimbrotti per antitesi all'omo mondano che in-

tento
a comparar terra et far gran chiusura

non pensa, il folle, che finirà messo in granne strettura.

Sicehè il Polinori sentendo da còlto artista tutta la poetica pas-
sione e il carattere veemente delle due laudi predette, volle da esse
principalmente inspirarsi a ritrarre il celebre poeta suo concitta-
dino. Ben considerevole adunque ci si offre questo dipinto nella
iconografia jacoponiana, che vuolsi tutta oggi illustrare, comin-
ciando dall'intera figura in affresco al duomo di Prato, creduta
per mano di Domenico Veneziano (m. 1461), rigidamente ascetica,
espressiva, consentanea in buona parte al tipo di Jacopone, quale
appunto ne concedono di imaginare il canzoniere e la sua leg-
genda. i

Dei moltissimi codici contenenti le sue rime due soli, che si
sappia, il Riccardiano 2762 e l'Ashburnham 1072, spettanti alla
numerosa famiglia quattrocentista toscana, furono adorni di figure
del poeta francescano, ambedue quasi intere, aventi il libro delle
laudi fra le mani; l'una è però di vecchio con barba divisa
fluente, l’altra di giovin frate paffutello. Così pure idealmente,
ma con segno di arruffato penitente, qualche ruga, e il mento forte
volontario come nel fresco pratese, genuflesso a mani giunte di-
nanzi alla regina del cielo, venne effigiato nella xilografia, che

(1) REPERTORIO di Laudi e d? altre poesie religiose italiane nel Medioevo con
QuaADRO dei Codici che le contengono a cura di ANNIBALE TENNERONI, in corso di
stampa presso l’ editore comm. L. OLSCHKI a Firenze.
636 A. TENNERONI

ammirasi dinanzi alla prima scelta delle sue poesie, fatta a Fi-
renze nel 1490. Barbato e a mani giunte vedesi entro l'iniziale
della ediz. veneziana del 1514. >

Precesse in Todi all’ icone del Polinori, rimastaci purtroppo
offesa in più parti dall’ umidità, il mezzo busto di Jacopone, già
vecchio, di mediocre usitata fattura agiografica, dipinto ad olio su
pietra e collocato in fronte al suo sepolero. Tra questo e quella
si avvertono naturalmente delle somiglianze in alcuni tratti del
volto.

Seguironvi nella seconda metà del sec. XVII e nel XVIII altri
quadri e ritratti a fresco del Beato, ma di verun conto artistico. In
una cappella, che pur da lui s’ intitola, alla Nunziatina, vi è ri-
tratto in abito di Minore, contemplante per i suoi scritti il Cro-
eefisso; nell’ oratorio di Spogliagrano venne poi figurato supplice
dinanzi alla Vergine, in atto di seriver lo Stabat assegnatogli con
senso critico di verità. Lamentasi oggi la perdita del cassone di
legno in forma d’arca, il quale racchiuse per oltre un secolo e
mezzo le sue ossa, recante sul coperchio dipinta una sua imagine
antichissima, con gli splendori in testa e barba rasa, da cui si
. trassero il ritratto ad olio su pietra e un altro in tela mandato
nel 1599 al card. Federico Borromeo, e conservato oggidì nella
biblioteca Ambrosiana. Nulla intanto ci è dato asserire di stori-
camente preciso intorno al ritratto di Jacopone, mancandoci ogni
accenno della sua caratteristica persona. Su di quest’ attraente
fra le diverse questioni jacoponiane, pressochè tutte intricanti
delle altre spesso non minori, speriamo valgano i nostri cenni ad
invogliar qualcuno de’ nostri egregi cultori della storia dell’ arte
ad altre ricerche.

A. TENNERONI.

ecu cote eia xo erm CN REVOIR ORIS 11007392277 1:590 2 RA

creer 2:
RECENSIONE BIBLIOGRAFICA

UwBERTO GnoLI. — L'Arte umbra alla Mostra di Perugia (con 251 illu-
straz.). Bergamo, Istituto italiano d’arti grafiche. (L. 5).

Nell'anima di quanti hanno visitato, negli scorsi mesi, l’ Esposi-
zione di Antica Arte Umbra in Perugia, permane come una visione
indimenticabile di grazia e di bellezza; e nella mente dura il ricordo
di tante opere evocatrici e ammonitrici. La maggior parte di queste
opere, in chi le mirava, suscitavano innumerevoli ricordi del passato ;
e dinanzi ad esse rivivevano nella fantasia i diversi momenti storici
che le nostre città hanno attraversati: il misticismo ed il terrore oltre-
mondano ; il furore bellico e le lotte fratricide; il sorgere e l'assodarsi
delle fortune nei cambisti e nei mercatanti; la potenza e l’amore per l’arte
nei nostri liberi Comuni e nei venturieri tiranni; il lusso, la gaiezza
e la gioia spensierata delle nostre piccole Corti. La notte paurosa del
medioevo lascia passare scintille serene e feconde, che si sprigionano
dall’arte degli architetti romanici e dei dipintori, che di fiori ancora in
parte senesi e fiorentini, abbellano pareti e tavole, sulle quali, come in
nitido specchio, si riflette il mite solenne paesaggio umbro; la triste
monotona laude del penitente, verbale adorazione di Dio e dei Santi,
affannata espressione vocale del terrore umano e terreno, cede il luogo
alla adorazione plastica e rappresentativa della Divinità, della Vergine;
alla serena contemplazione e alla pura manifestazione della gioia di
vivere. I mercanti e i cambisti chiedono ai maestri di legname, ai di-
pintori e agli orafi l'ausilio dell’arte, smentendo, per loro conto, l'espres-
sione del secol vil che mercanteggia. Il fosco dramma di cui furon per-

sone e il Bargiglia e Simonetto e Grifone e Giampaolo e Astorre e:

Guido e Gismonda e Zenobia e Atalanta e Grifonetto ; la « novità che
Perosa ha fatto », secondo l’espressione rapida e nuda del Sanudo, ebbe
forse « un divin -testimonio »,

talun nomato Rafaele Sanzio ?

ri
er At s gag

he

he SIE HI
RECENSIONE BIBLIOGRAFICA

Il grido di « Griffa, Griffa » risuona forse ancora negli orecchi
atterriti, e la visione di Grifone insanguinato e morente si riflette an-
cora negli occhi lagrimosi della Vergine e della giovane Maddalena?

Questo mondo, così vario, così ricco, a volte divinamente bello e
terribile, era riapparso, come per incanto, tutto in una volta, e tutto in
un luogo, nella superba magione dei Perugini Priori. Accanto ai pa-
ramenti che la tradizione assegna a Benedetto XI, s’ammirava un cas-
sone nuziale; presso i pallia coi quali Giacomina de’ Settesoli coprì il
feretro di Francesco d’Assisi, un arazzo del secolo XV con la figura
dello stesso Santo, e una tela di rensa ; presso il paliotto di Celestino II,
quello di Sisto IV; presso un calice e una patena di Cataluccio da Todi,
una lancia o uno scudo; presso gli stalli intagliati della cappella del
Bonfigli, le maioliche di Deruta; presso l'antico modello della Chiesa
di S. Maria della Consolazione, le caratteristiche tovaglie perugine ;
presso uno strumento di terribile offesa o di difesa, un pastorale o una
croce; e al disopra di tutti questi oggetti, preziosissimi per valore e per
le cose e i fatti che significano, le tavole dell'Alunno trionfatore, del
Nelli soave e di Matteo da Gualdo, i gonfaloni del Bonfigli, del Capo-
rali, del Manni, il Cristo crucigero di Fiorenzo di Lorenzo (1), le Ma-
donne del Pintoriechio e del Perugino ; dalle quali tutte, insieme alla
visione mirifica del paesaggio, traspira una nota soave di pace, di se-

LI

‘ renità, e s'eleva un inno delicatamente mesto di grazie. E stata dunque

come una rinascita, un ridestarsi da un sonno secolare dell’ antica vita
nelle nostre città, della vita pubblica e di quella privata.

Sorta l’idea della Mostra nella mente del Faloci Pulignani di Fo-
ligno, questa cedè nobilménte il campo alla maggior consorella, a Pe-
rugia, che trovó nel suo primo magistrato degnissimo, il Conte Valen-
tini, intelletto acuto e volontà audace e ferma,.e nello Scalvanti, nel
Gallenga, nell'Urbini, nel Viviani e in altri molti anime aperte ai più
nobili entusiasmi. E la civica rappresentanza perugina ha dato un
esempio nobilissimo alle altre città. Compiendo un’opera di vita, in un

(1) Questa tela, esposta dal monastero della Beata Colomba di Perugia, e sco-
nosciuta del tutto agli studiosi; è attribuita da alcuui a Fiorenzo di Lorenzo, da altri
al Perugino. Lo Gnoli scrive: « Da un manoscritto della Biblioteca Comunale si ri-
cava che questo Cristo portacroce era già dipinto nel settembre del 1497, ed é forse
un'opera della prima maniera di Pietro, quando era ancora sotto l'influenza di
Fiorenzo. A niuno sfuggirà l'importanza di questa bella figura, che è nuova nelle
tradizioni dell’arte umbra, per il movimento che l' anima, ed è certo fra i più co-
spicui ornamenti di questa Mostra ». Due tavole fuori testo ne dànno, nel volume,
una ben nitida riproduzione (tav. 123 e 124, particolare). Antonio Munoz l'attribuisce
senz'altro a Fiorenzo di Lorenzo, e osserva: « l'arte umbra non troverà forse al-
trove un aecento piü sincero di dolore e di rassegnazione ».
f RECENSIONE BIBLIOGRAFICA 639

tempo in cui moltissime amministrazioni comunali intristiscono nella
routine burocratica, o si baloecano in personali gare infeconde, o im- |
perversano in lotte che per eufemismo s'appellan politiche, ha innal- DE
zato sé stessa e la propria città a una visione ideale dei piü alti do- |
veri umani e alla glorificazione dello spirito. Per ciò ho affermato più
sopra, che la recente Mostra, come ha avuto una virtù evocatrice, cosi
ha esercitato una funzione ammonitrice.

Degna cosa è adunque che il ricordo d'un avvenimento cosi im- |
portante non illanguidisca in coloro che poterono goderne, e che la
conoscenza di esso si limiti soltanto a questi, che pur furono migliaia.

A ciò hanno provveduto, con la consueta ben nota signorilità,
l’Istituto Italiano d’Arti Grafiche in Bergamo, e il conte dott. Umberto
Gnoli, per il quale i tesori dell’ arte umbra non hanno segreti.

Dopo il volume sul « Palazzo Pubblico di Siena e la Mostra d’ an-
tica arte senese », dovuto alla penna magistrale di Corrado Ricci ; dopo
i volumi su Gubbio del Colasanti, quello del Gallenga su Perugia e
l’ultimo del Faloci- Pulignani su Foligno, nelle ottime Collezioni arti-
stiche di Bergamo, non poteva mancarne uno sulla esposizione umbra;
e autore e editore hanno fuso i loro nobili sforzi in armonia mirabile

per darci un volume, che durasse specchio lucidissimo infrangibile, com-
mento perenne e dotto di quella. Pertanto editore e autore hanno,

materna Darm ei iti etr leoni vigono cy

quasi direi, ripercorso lo stesso cammino, e sono pervenuti alla stessa
méta degli artisti, le cui opere avevano destato si grande grido di am-
mirazione. Come i secondi ebbero, con esse, la virtù di renderci pre- i
sente, intera e completa, la vita pubblica e privata, nelle sue molte- jd.
plici manifestazioni, del popolo umbro; così i primi hanno il merito di |

rappresentarci, l' uno con illustrazioni scritte, l'altro grafiche, quasi
tutti i tesori della Mostra.

Il testo é costituito da nove capitoli (La Pittura, L'Oreficeria, Le
Miniatore, Seultura, intaglio e tarsia in legno, La Ceramica, Tovaglie
perugine, Tessuti, ricami e merletti, Topografia, Varia), ai quali pre-
cedono una Prefazione e alcuni cenni storico - artistici sul Palazzo dei
Priori, dove appunto la Mostra trovò nobilissima sede.

Non scenderò a particolari, chè dovrei rifare a passo a passo tutto
il cammino percorso dal dotto, geniale e acuto illustratore. Solo accen-
nerò che, dei nove capitoli, i più importanti sono i primi due ; quello o
sulla Pittura, perchè in virtù di questa la produzione artistica del- AXE
l'Umbria va più meritamente famosa, e perché lo Gnoli dà notizie e
giudizi nuovi; e quello sulla Oreficeria, poco nota sino ad ora, mentre,
come in quella di Chieti, nella mostra perugina vennero rivelati tesori,
che in parte si ricollegano con l'arte d'Abruzzo.
ee ra

640 RECENSIONE BIBLIOGRAFICA

Il primo è diviso in tre parti: una studia le Scuole minori, una i
Gonfaloni (notevole, pur dopo gli articoli del Bombe) (0), l’ultima la
Scuola perugina. A proposito di questo primo capitolo, ricchissimo di
tavole intercalate nel testo, non posso tenermi dal muovere all’ A. un
appunto, che è di massima, come si suol dire in gergo amministrativo.
La mostra pittorica era formata di due parti, distinte sì, ma tali che
luna completava l'altra. La prima era costituita dai cimeli inviati dalle
diverse città dell’ Umbria e da alcune di altre provincie; la seconda,
dalla preziosissima Pinacoteca comunale. Ebbene, l’ A., di questa non
tiene parola, rendendo, per questo solo fatto, necessariamente manche-
vole la sua trattazione, allo stesso modo, ad esempio, che non si può scri-
vere compiutamente della letteratura del trecento, facendo astrazione
dall'opera di Dante. L'egregio autore mi obbietterà che dei quadri della
Pinacoteca esiste già un Catalogo a stampa (Guerra, 1903), e che essi
possono essere sempre visitati con poco disagio; ma tutti, io credo,
sentiranno il rammarico di non averne una degna illustrazione nella
dotta prosa dell'A. e nelle nitide riproduzioni dell'Istituto Grafico.

Questo é il solo appunto che sentivo di dover fare allo splendido
volume; volume che, per la ricchezza e la copia delle tavole, per il
valore del testo, non puó mancare sul tavolo di nessuna persona colta,
per poco che sia amante delle più fulgide glorie della patria nostra.
Quanti poi hanno visitato la Mostra perugina non per semplice snobi-
$mo, non vorranno restar privi di questo volume, che servirà mirabil-
mente a render loro quella visione di bellezza di cui godettero negli
scorsi mesi, e a procacciar loro sempre nuovi momenti di vero godi-
mento intellettuale.

— Mi sia in fine permessa una osservazione di fatto. Lo Gnoli, a
proposito della pala d’ altare, rappresentante il S. Sebastiano del Signo-
relli, scrive: « dipinta forse nel 1498 »; e: « Le figure in basso piene

1
di espressione e di forza (aleune peró non finite) ricordano quelle di
Orvieto, e sono certamente del maestro di Cortona, ma il S. Sebastiano,
un po' convenzionale e non modellato con quella bravura che ammi-
riamo nelle figure degli arcieri, come tutta la sua parte superiore, deve
ascriversi ad uno dei suoi allievi ». Ecco una affermazione, nella quale,
io eredo, nessun critico d'arte vorrà consentire, come fino ad ora mai

erano stati sollevati dubbi in proposito. L'anno in cui il quadro fu

(1) A proposito dei Gonfatoni, il dott. Gnoli giustamente conclude : Nella loro
ingenuità, nella loro grazia primitiva, nella monotonia dei soggetti ricordano i vec-
chi canti religiosi cantati ancora con lunghe cadenze in queste campagne. E alla
Storia dell'arte stanno come i canti popolari alla storia letteraria », (pag. 47).

LIED IS AL ANS

PI OSTRA 32 2t SERM IC C

T-91} 408 eau MALE A a rt

RECENSIONE BIBLIOGRAFICA 641

composto è tutt’ altro che sicuro: i più propendono per il 1497; e nel
Vasari, non smentito mai da alcuno, si legge: « Al Monte a S. Maria
dipinse a quei signori una tavola, un Cristo morto; e a Città di Ca-
stello, in S. Francesco, una Natività di Cristo; ed in S. Domenico, in
un’altra tavola, un S. Bastiano ».

Città di Castello, febbraio 1908.

P. TOMMASINI-MATTIUCCI.

Vixcenzo CASAGRANDI. — I codici cartacei Messinesi e Perugino sulla
leggenda della francescana suor Eustochia da Messina. — La strage
dei Calafato catanesi sotto Martino I secondo la leggenda eusto-
chiana (1392-1394). — La genealogia dei Calafato di Sicilia (Mes-
sina-Catania) spiegata con un documento svevo. Seguito alla leg-
genda di Suor Eustochia, Catania, Tip. Giannotta, 1907-1908 (Estratti
dall'Archivio Storico per la Sicilia Orientale, anno IV, fasc. II e III
e anno V, fasc. I)..

Or sono aleuni anni, il prof. G. Maeri compieva opera altamente
utile agli studi storici e linguistici, dando alle stampe la « Leggenda
della beata suor Eustochia da Messina » scritta subito dopo la morte
della Beata, che avvenne l'anno 1486, da Suor Jacoba Pollicino, e a
pubblicarla si valeva di un ms. della seconda. metà del secolo XVIII
esistente nel Monastero di Montevergine di Messina, del quale Suor
Eustochia prima e Suor Jacoba poi furono abbadesse. Il ms. è munito
di una autenticazione del notaro della Curia vescovile di Perugia, G.
Silvestrini, in data del 1778, colla quale si attesta essere la lezione del
detto ms. in tutto uguale a quella di un antico codice, che allora (1778)
trovavasi nel Monastero di Monteluce di Perugia.

Il prof. V. Casagrandi della R. Università di Catania, prendendo
argomento dalla accennata pubblicazione, in un interessante articolo,
che si legge sotto il titolo « I codici cartacei messinesi è perugino sulla
leggenda della francescana Suor Eustochia da Messina », s’ intrattiene
sul codice perugino : questo, che passò dal Monastero di Monteluce
alla Comunale di Perugia, è la copia tratta dall’ autografo Pollicino
di mano d'una Suor Felicita, che attese alla copia medesima per in-
carico avutone da Suor Cecilia abbadessa del Monastero di S. Lucia
di Foligno, e la condusse a termine nel monastero perugino di Mon-
teluce il 25 maggio 1510. 11 Casagrandi dimostra con efficaci ragiona-
menti come il codice perugino sia quello che più avvicina la dizione
della leggenda eustochiana al suo archetipo, cioè al ms. della Pollicino
642 RECENSIONE BIBLIOGRAFICA

malauguratamente andato perduto, e a questa conclusione giunge anche
mercè il raffronto di cinque brani del ms. perugino con quelli corri-
spondenti di un altro ms. dovuto alle suore Geronima e Cecilia, che
conservavasi nel Monastero di Montevergine e del quale si valsero nel
secolo XVI gli agiografi Maurolico e Caetani nelle « Vitae Sanetorum
Siculorum » e nelle « Animadversiones » alle vite stesse.

Non v'ha pertanto alcun dubbio che il codice perugino, che fu
studiato anche dal Wadding e servi di testo per la copia, sulla quale
il Macrì ha fatto la pubblicazione, sia il primo apografo dal ms. Pol-
licino e che quindi, in mancanza di quest’ultimo, abbia un grande va-
lore sia dal lato linguistico, sia da quello storico. Lo scopo del Macrì
fu quello « di mostrare come in Sicilia fino dal quattrocento si scrivesse
talvolta a garbo la lingua italiana », ma il Casagrandi osserva giusta-
mente che neppure il codice perugino rappresenta in tutto la lingua
dell’archetipo- messinese « per la semplice ragione che l'umbra trascrit-
trice suor Felicita deve averlo fatto così suo da renderne in molta
parte toscano il costrutto siciliano ».

In due successivi articoli intitolati « La strage dei Calafato cata-
nesi sotto Martino I secondo la leggenda Eustochiana » e « La genea-
logia dei Calafato di Sicilia spiegata con un documento svevo », il
Prof. Casagrandi tratta nel primo della importanza storica della leg-
genda di Suor Eustochia, che discendeva appunto da uno dei Calafato
scampati all'eecidio, e riporta ed illustra nel secondo con molto acume
critico il diploma dei privilegi confermati nel 1921 al Conte Giovanni
Calafato di Messina da Federico II Imperatore: il chiaro autore, va-
lendosi di questo documento edito fin dall'anuo 1880 dal Winkelmann
negli Acta imperii inedita seculi XIIl, Urkunden und Briefe zur Ge-
schichte des Kaiserreichs und des Künigreichs Sicilien in den Jahren
1198 bis 1273, ricostruisce l’albero genealogico della famiglia Calafato
derivante dalla nobiltà imperiale di Bisanzio e trasferitasi in Sicilia
sotto i primi principi normanni. — L’indole regionale del nostro pe-
riodico non ci consente di occuparci diffusamente di queste altre parti
delle dotte ricerche del Prof. Casagrandi, e ci limitiamo ad unire il
nostro al voto dell’ illustre Professore, che cioè sul codice perugino
sia quanto prima curata una nuova edizione della leggenda eusto-
chiana; questa, se ha un valore grande per la storia della Sicilia,
ne ha uno non minore per la lingua, imperocchè (riferiamo l'autore-
vole giudizio del Giornale storico della letteratura italiana) « la prosa
di quel racconto rivaleggia per candore e schiettezza di dettato con le
migliori prose ascetiche italiane ».

VA,

fumeur pur DELIA

S EN
ANALECTA UMBRA

Nel fascicolo cinquantaduesimo dei Rerum italicarum scriptores
hanno veduto la luce gli « Annales Patavini » nella « Redazione Par-
mense ». Da questi apprendiamo come Padova, nei secoli XIII e XIV,
chiamasse dalla nostra regione numerosi podestà, rimanendo così con-
fermato una volta di più quanto era già noto, che la maggior parte di
essi fiorivano e migravano dalle regioni centrali, cioè dalla Romagna,
dalla Toscana e dall’Umbria. (Non credo fuori di luogo ricordare come
le consuetudini padovane, per ciò che riguarda il podestà, furono rese
note agli studiosi più specialmente da due pubblicazioni del Gloria: I
Podestà in Padova anteriori alla dominazione carrarese, Padova, 1859, per
nozze Papafava-Cittadella; e Il giuramento dei più antichi Podestà di Pa-
dova, ivi, 1875, per nozze Ritalli-Parroloni). Secondo uno spoglio da noi
fatto su i detti Annales Patavini, appartennero all’ Umbria i seguenti :
Ungaro degli Oddi di Perugia (1298); Guarniero degli Oddi di Perugia
(1307); Francesco di Bitonio di Assisi (1308); Marino della Branca, di
Gubbio (1309); Gentile dei Fillippensi di Gubbio (1310); Merulo di As-
sisi (1815); Gherardo della Cornia di Perugia (1316); Tebaldo di Ca-
stelnuovo di Perugia (1322 e 1325); Dominus Rubeus de Civitate Ca-
stelli, per sex menses (1304). Rivestiti, costoro, della stessa dignità per
cui si rese tristamente famoso in Firenze, per Bonifazio VIII e il Valois,
messer Cante Gabrielli da Gubbio; dagli Annali Patavini non risulta
che essi lasciassero traccia durevole, per imprese e fatti personali, del
loro ufficio nella nobile città di Antenore. Tuttavia, per la storia delle
famiglie umbre, merita che il loro nome venga ricordato.

«5 Il prof. Enrico Filippini, in un opuscolo che ha per titolo « Da
un poeta folignate ad un. altro » (Foligno, Stab. Artigianelli, 1907),
riprende un argomento già da lui trattato nel Giornale Storico della
Lett. it. (XLVII, pagg. 266-73). Un sonetto : « Signor, che per salvar
| human legnaggio », era da una Antologia poetica del sec. XVII at-
ERE
iL

na

BRA
a

644 ANALECTA UMBRA

tribuito al Frezzi, mentre il Canneti ne faceva autore qualche ignoto
secentista. Il Filippini aveva intuito da tempo la verità; che cioè il
sonetto appartenesse a un cinquecentista; e dopo vario tempo ne ha
trovato testimonianza sicura in una silloge poetica che i Rinvigoriti
di Foligno apprestarono negli ultimi mesi del 1711. Essa contiene il
detto sonetto, e l’ attribuisce al folignate Petronio Barbati, del quale
dà altri 155 componimenti poetici. Il Barbati è ricordato dal Fla-
mini tra quei « non pochi rimatori, i quali ci si presentano (nelle varie
raccolte di rime cinquecentesche) con un buon gruzzolo di poesie » ;
e il Filippini aggiunge che il Flamini avrebbe assegnato al Barbati un
posto migliore, se avesse conosciuta la rara stampa del 1711. Ma
questo rimatore merita di uscire dalla volgare schiera? Su ciò tace il Fi-
lippini, e noi temiamo che il Barbati non sia che uno dei tanti abita-
tori del Parnaso. Tuttavia, per chi volesse conoscerne qualche dato
biografico, il Filippini (n. 1 a pag. 5) ci dice che, ignoto l’anno della
nascita, il Barbati morì a Roma, segretario del card. Gaetani di Ser-
moneta, nel novembre del 1554. « Dottore in giurisprudenza, coltivò
soprattutto la poesia, scrivendo, oltre a molte liriche, due commedie
e chiosando le rime del Petrarca ». Il Filippini ci dà anche la biblio-
grafia del rimatore folignate.

‘ 2%, Nel Catalogo dell'Asta Libraria di U. Franchi (Firenze, n. 22)
sono segnati come molto rari i seguenti volumi di autori umbri : 1.
Iacobilli Lodovico, Cronica della Chiesa e Monastero di S. Croce di
Sassovivo, Foligno, Alterij, 1633. — 2. Pontanus Iovianus, Opera, Na-
poli, per Sigismundum Mayr Alemannum, 1505.

Inoltre sono notati altri volumi di scrittori umbri: 1. Titi Placido
perugino, Tocco di Paragone onde evidentemente appare che l'Astro-
logia nelle parti concesse dalla Chiesa è vera scienza, naturale, nobile
e utile quanto la filosofia. Pavia, Magri, 1665. — 2. Bontempi Angelini
perugino, Historia dell’ orgine dei Sassoni. Perugia, Costantini, 1697. —
3. De Aromatariis Iosepho Assisinate, Disputatio de rabie contagiosa
cui praeposita est Epistola de Generatione Plantarum ex Seminibus.
Venetiis, Sarcinam, 1625.

«^4 In occasione della Mostra d'Antica Arte Umbra, i signori A.
Briganti, M. Magnini e G. Locatelli hanno pubblicato, a cura del Co-
mitato di essa, una Guida di Perugia (Tip. già Santucci, 1907). Gli
autori hanno premesso alla Guida vera e propria alcuni « Cenni sto-
rici », i quali vanno dalla memoria che Catone lasciò su Perugia nelle
Origini, alla erezione del Palazzo della Prefettura sul baluardo farne-

appeso (testo

dA DR c



So Yt aree age

ANALECTA UMBRA 645

siano. Brevi cenni, che tuttavia riassumono con molta chiarezza e pre-
cisione le ‘vicende di Perugia attraverso i secoli; romani, medioevali
e moderni. La Guida forma una specie di itinerario per i diversi rioni
in cui é divisa la città: Porta S. Angelo, Porta Sole, San Pietro,
Porta Eburnea e S. Susanna. Man mano che s' incontrano in qualche
monumento d'arte e di storia, gli AA. ne dànno notizie brevi, ma
complete e precise: escono poi nei pressi di Perugia, e si intratten-
gono sull'Ipogeo dei Volunni, sulla Chiesa di S. Prospero e sulla Torre
di S. Manno. In fine del volumetto è inserita una utile bibliografia
delle « Opere consultate ». Quantunque questa piccola Guida abbia la
sua origine da un'oecasione, per quanto grande, puó sostituire util-
mente la piü antica del Rossi-Seotti, che crediamo esaurita.

4*4, Per solennizzarne il venticinquesimo anno d’insegnamento,
gli scolari di Guido Mazzoni hanno pubblicato (Firenze, Tip. Galileiana,
1907) due grossi volumi miscellanei, che contengono pregevoli studi su
i nostri principali scrittori o su fatti che sono di grande interesse per
la nostra storia letteraria. Da uno scritto di Ramiro Ortiz, « De avinen
parlar en domnas ensenhadas », a uno di Edoardo Piva, « Lettere e
versi inediti di un martire di Belfiore », fino all’ ultimo del secondo vo-
lume, di Rosolino Guastalla, :« Uno fra gli scritti minori di F. D. Guer-
razzi »; si può dire quasi che nessun autore e nessun argomento della
nostra letteratura sia stato trascurato. Lambertuccio Frescobaldi (S. De-
benedetti), Frate Guido da Pisa (F. P. Luiîso), Fra’ Iacopo Passavanti
(C. Di Pietro) F. Petrarca (Lazzarini, A. Della Torre, D. Magrini), G.
Boccacci (Traversari), L. Da Vinci (Solmi), L. Ariosto. (F'usai, Salza),
T. Tasso (Belloni), G. Parini (Pasini), U. Foscolo (Benelli), A. Manzoni
(Lizier) hanno nei due volumi valenti ricercatori e degni illustratori.

E in essi non mancano accenni a cose e a persone umbre. Uno
dei trentasei studi è dedicato ad autore nato nella nostra Umbria; vo-
glio dire quello di Benedetto Soldati, dal titolo « Improvvisatori, can-
terini e buffoni in un dialogo del Pontano » (Vol. I, pagg. 321-42).
L’argomento stesso generale, a prescindere dal Pontano, ne ricorda una
costumanza assai diffusa, oltre che a Firenze, nella Perugia medievale.
Basti ricordare il noto scritto del D'Ancona (I canterini dell’antico Co-
mune di Perugia) e quello del Novati (Le poesie sulla natura delle frutta
e à canterini...)

Nel principio del suo Studio il Soldati nota la differenza che con-
tradistinse 1’ Accademia Pontaniana (di Napoli) da quelle di Firenze e
di Roma. « Le due ultime ebbero ciascuna un proprio campo di studi
interni, speciali: la fiorentina, il rinascimento del Platonismo; e la ro-

he » ; "
Ernici ene i -

mE

nà etti rie

4

ENT

2 Y: :
646 ANALECTA UMBRA

mana, il rinnovamento archeologico dell’antichità ». Mentre la Ponta-
niana, se pure ebbe prevalente, ma « non.. mai una condizione neces-
saria », l’Aristotelismo: fu aperta, col Portico che dava sulla pubblica
via, « agli ospiti di tutti i paesi e quasi alle idee di tutte le scuole, ai
costumi di tutte le città italiane e forestiere : onde quella notevolissima
frequenza di contrasti e prevalenza della satira e dell’arguzia, quel con-
tinuo affermarsi dell’elemento artistico e, sto per dire, drammatico nelle
discussioni ». Di questa vita che turbinava nel Portico, il Pontano ci
lasciò un documento storico scritto, nei cinque dialoghi: il Caronte,
l’Asino, l'Azio, V Egidio e V Antonio. Nell’ ultimo, « fra tutti il più vario
e il pià oggettivo », oltre il viaggio del Suppazio, « rassegna degli usi
e costumi, specialmente letterari delle varie città italiane », è conte-
nuto « un importantissimo accenno a quella poesia popolare che anche
ad altri finissimi latinisti (al Poliziano, per esempio) era parsa degnis-
sima d'osservazione ». Alla fine del dialogo si presenta un canterino,
che, recando con sé la viola, intona una canzone d'amore; a lui suc-
cede subito dopo un cantastorie, seguito da una turba di scamiciati,
da un buffone, che funge da Prologo, e da un trombetta o araldo.
« Al popolo seduto parla prima il buffone, raccomandando l'atten-
zione..., quindi espone l'argomento della storia di quella giornata.
Sale. allora in panca il poeta, e per un’ora racconta imprese guerresche,
urto d'eserciti, battaglie e sfide. Succede un intervallo di riposo, col-
mato dalla voce lepida del buffone; poi il primo ripiglia, e recita per
un'altr'ora, finché la narrazione viene dal tempo, non dal tema, tron-
cata, per esser ripresa il giorno seguente ».

Questo dialogo, la cui composizione il Soldati reputa doversi asse-
gnare al 1488, è grandemente utile « a chi voglia studiare il fenomeno
dei cantori del popolo, dei quali i nomi, le vicende, i repertori cono-
sciamo da molti documenti venuti in luce in questi ultimi anni, ma i
costumi artistici forse non furono ancora abbastanza illustrati ». Il Sol-
dati ama paragonare il poeta pontaniano « all’ araldo o canterino sti-
pendiato di Perugia e di Firenze, alloggiato nel pubblico palagio e
regalato dai Priori e dal Podestà di ricche vesti, « ut honorabiliter
appareat », con l'impresa del Comune, che solo in caso eccezionale
avrebbe potuto deporre »; ma canterino, araldo e cantastorie ponta-
niani eran venuti dal nord, a Napoli, « senza invito, spinti dal bisogno
forse, tramiti inconsapevoli di quella espansione della poesia cavalle-
resca che, dilagata dal nord, dovea scendere fin dove ancor oggi è più
viva, in Sicilia ». Ma il poeta del Dialogo, invece di una storia dei
paladini di Francia, amannisce agli adunati del Portico un classico epi-
sodio della guerra spagnuola fra Sertorio e Pompeo. Questo fatto il
gira nio Fels ege n nd te

ANALECTA UMBRA 641

Soldati spiega col ricordare che il Pontano aveva « quasi certamente
abbozzato un poema di tipo virgiliano..., forse intorno alle imprese di
Pompeo Magno, o più probabilmente intorno a Sertorio, che anche nel
brano inserito nel Dialogo mostra d'esser l'eroe prediletto dell'autore ».
Così, rimasto sempre incompiuto il poema vagheggiato, egli ne inseri
i versi già composti nel dialogo intitolato l'Antonio.

Un altro Studio nella silloge mazzoniana è dedicato (Vol. IT, pa-
gine 935-59) a scrittore che dai più è reputato appartenere all’ Umbria.
Ha per titolo « Un poeta- editore del settecento (Notizie su Paolo Rolli) ».
L’autrice, Ida Luisi, accetta il giudizio che del Rolli diede il Carducci,
« quando paragonando il Rolli al Metastasio, ambedue d' origine umbra
e contemporanei, pensava esser questi — concittadino di S. Francesco
che al secolo intonava ballate d'amore per le vie e in religione l’inno
al sole dal letto, concittadino l’altro di Iacopone che per varietà di
versi e di metri fu quasi il Chiabrera del secolo XVIII — ». Ma il felice
improvvisatore di versi, come ci avverte l' A. stesso, nacque in Roma
da Filippo Rolli, architetto borgognone e da un’ Arnaldi di Todi il 13 giu-
gno 1687; per cui non ci sembra molto esatto che la Luisi continui a
dire che il Rolli fu « d’origine umbra ».

Gioverà piuttosto che accenniamo a un altro Studio, quello di Al-
fredo Galletti (Vol. 1, pagg. 253 -78) su « Una raccolta di prediche vol-
gari inedite del card. Giovanni Dominici ». Questi, predicatore e lettore
di teologia nel convento di S. Zenepolo in Venezia, fu dalla Serenissima,
nel 1399, bandito per cinque anni da tutti i territori veneti. Egli allora
si rifugiò nel convento domenicano di Città di Castello, e di là fu in-
vitato a predicare per l'Avvento e per la successiva Quaresima iu Fi-
renze, dove era nato ». Ardente seguace di Caterina Benincasa, animo
fiero ed ardente, « a Venezia, a Chioggia, a Città di Castello ricon-
dusse parecchi conventi all’osservanza delle antiche regole ». A lui fu
restituita, come è noto, la Lauda spirituale a Maria, « Dì, Maria dolce,
con quanto disio — Miravi '1 tuo figliuol Cristo mio Dio — », che era
stata da molti attribuita a Iacopone da Todi. Ora il Galletti, di su di
un codice riceardiano, il 1301, pubblica due altre laude del Dominici,
inedite, delle quali diamo la prima strofa. Una comincia:

Figliuoli miei diletti
quando voi digiunate,
fate che voi non siate

come ipocriti tristi maladetti.

L' altra:
Essendo il buon[o] Yesue

cho’ discepoli allato
in Carnafau entrato,
per gratia venne alluj centurione.

,

: "
e, RR EE
ANALECTA UMBRA

+”. Una poesia di fra Iacopone offre tale interesse ad ogni per-
sona colta, che non mette il conto di provarlo ». Con queste parole il
prof. G. Tomassetti inizia la illustrazione di « un'invettiva » del poeta
tuderte, che egli pubblica nel n. 1 del Fanfulla della Domenica (1908),
da « un codice cartaceo del secolo XV, ch'è in sue mani, e che con-

tiene numerosi altri componimenti di Iacopone, alcuni, come questo,
non esistenti nelle edizioni delle sue laudi, come il chiarissimo prof. Ten-

neroni gl ha affermato ».
Eccone la prima strofe:

« La sancta vita de religione
principalmente fu da Dio trovata
e poi confirmata
per huomini con gran divotione ».

Il Tomassetti osserva che « le solite declamazioni contro Costan-

tino imperatore e contro il lusso della Chiesa confermano la nota dot-
trina della povertà apostolica nei frati della parte francescana ribelle.
La chiusa di questa satira è terribile, cioè: non ti fldar di chi cherica

porti ».

4^, E. Teza, nel fascicolo novembre-dicembre (1907) dell’ Augusta

Perusia, ha un molto notevole articolo, che porta il titolo « Le laudi

di Fra Iacopone cantate nel Portogallo e nella Spagna ». Fu un frate
trecentista a diffonderle; un padre Vasco, che, calato in Italia. giovi-

netto dal suo Portogallo, vissuto per trent'anni in Siena, discepolo

amoroso di frate Tommaso Succi, e « tornato in patria, nel convento
di Penalonga, che egli aiuta a fondare, vi insegna e diffonde le can-

zoni italiane, nella lingua che diede loro la vita, via via sciupandole

e lasciandole sciupare, come avviene ad ogni parola che, uscita di casa

sua, vada peregrinando nel mondo ». Più tardi frate Vasco passò nella
Spagna, dove « rinasce il Salterio della Buona Novella, l'innario del-

l'Umbria, istigando le menti, e nutrendo gli affetti

». Fra Josè da

Sigüenza ci ha lasciato memoria « di questo piamente festoso agitarsi
nelle fraterie del secolo XIV »; e ora G. C. Garcia ci ridà la sua Zi-

storia de lo Orden. de san Jeronimo, uscita una sola volta nel mondo,
nel 1600. ( Nuova Biblioteca de Autores Espannoles bajo la direción de

M. Menéndez y Pelayo. Madrid). Il Teza molto giustamente osserva:
« Versi umbri, imparati in Toscana, portati da un forestiere tra i fo-

restieri, perdono corpo e colore » ; tuttavia « un editore voglioso di

dare tutto di tutti.., avrebbe a tener conto anche del manoscritto di
Córdova ». Per intanto il Teza mette a riscontro due laudi (O buon

lesu poi che m'hai 'nnamorato, — Vita de Jesu Christo), secondo la
Rs eS

8

ut

n deris cis cuiii ge
MU T EE

yz eate ders

ANALECTA UMBRA 649

lezione data dalle storie del Sigüenza e quella del Tresatti, che, come
è noto, « non volle fare da vecchio poeta umbro, ma da piü recente
grammatico toscano ». Il Teza avverte inoltre che il Sigüenza tradusse
in endecasillabi sciolti il cantico Troppo perde il tempo chi non t'ama,
ma. tralasciandone alcune strofe; e questa sarebbe « una prova che si
scriveva solo ciò che i nuovi cantori rammentavano delle celebrate can-
zoni ». Infine conchiude: « È come una gioia di famiglia il vedere che
le cose nostre trovassero fervidi ammiratori fra gli stranieri: lo zelo
religioso del trecento e del cinquecento si assomiglia per una parte
allo zelo letterario dei nostri tempi ». Da parte nostra ci uniamo di
buon grado al Direttore della ottima Rivista nell'augurare che l’ illustre
Teza torni con maggiore ampiezza sull'argomento e dia anche la stampa
degli inni citati dal Sigüenza, come ha dichiarato di avere in animo.
L’argomento è davvero importante, degno delle cure che potrebbe ad
esso apprestare l'insigne umanista.

,*, Santorre Debenedetti, in uno scritto pubblicato negli Studi
Medievali diretti dal Novati e dal Renier (vol. II, fase. III) e in estratto
(Torino, Loescher, 1907), ha reso conto di alcune ricerche da lui com-
piute negli archivi fiorentini « Sui più antichi doctores puerorum a Fi-
renze ». Il Debenedetti osserva che, mentre sulla istruzione pubblica
ci hanno lasciato copiose e minute informazioni gli Statuti e gli ordi-
namenti cittadini, le cancellerie, i bullettini dei consigli e i libri dei
Camarlinghi; « i maestri liberi, rari, e con grande fatica, levano ti-
midi il capo dai protocolli e dalle pergamene ». Fra questi maestri rari
dobbiamo notare: « Ciuccius, doctor puerorum, fil. q. Monaldi de Pe-
rugio, qui moratur Florentiae, in pop. S. Georgii ».

Questo maestro é ricordato in un protocollo del 1295; e « vien
dall' Umbria, osserva il Debenedetti, da quella terra che nel medio evo
doveva popolare Firenze d'un esercito cosi numeroso d'impiegati d'o-
gni genere e d' ufficiali ». Quale era l'istruzione impartita da cotesti
magistri puerorum, secondo il dotto studio del Debenedetti? «... s' in-
cominciava... coll'alfabeto, che s'apprendeva, ostentando ai bimbi certe
tavolette scritte da imitare, e si riduceva alla memoria con ordine, in
virtü, io credo, di quelle serie proverbiali, ehe furono illustrate dal No-
vati, piecole sentenze che col senso del ritmo... infondevano anche nei
teneri cuori principj elementari di umana saggezza. Gli camminava di
conserva il Salterio, quel prezioso libricciuolo contenente alcuni Salmi,
che doveva costituire il primo principio della coltura religiosa... Ve-
niva quindi la lettura del Donato, ch'era posto nelle mani dei giovi-
netti,non appena essi avevano preso qualche pratica del leggere ». Nel

mi m PIS

»$.»——— WES M

mita

DURER RI Peri ra cie speri

d

—— E
TOS pier
650 ANALECTA UMBRA

medesimo Studio si trova citato un frate Angelo da Perugia, vicario,
nel 1299, di Francesco vescovo di Firenze.

«5 I. Masetti Bencini, nella vista delle Biblioteche (luglio-ago-
sto 1907), ha scritto un articolo sulla Battaglia che nel 29 giugno 1440
fu combattuta in Anghiari dalle milizie della repubblica fiorentina con-
tro quelle di Filippo Maria Visconti, capitanate da Niccolò Piccinino.
Celebre, questa battaglia, per il poema eroicomico del Nomi (Il Ca-
torcio) e per il disegno di Leonardo da Vinci; molte città dell’ Umbria
parteggiarono per Firenze, tra le quali Città di Castello. Dei priori di
questa il Bencini cita parecchie lettere, esistenti nell’ Archivio fioren-
tino, e una ne pubblica in nota, del seguente tenore: « Noi abbiamo
inteso per nostro messo proprio mandato fino al campo di Niccolò Pic-
cinino per informatione dei suoi andamenti et gesti novella che n’ à
afflieto fino a l' anima cioè che i Malatesti ànno facta concordia con
esso N. P. et ulterius che à facta fare pare intra essi Malatesti et conte
d’ Urbino et idem avemo da uno messo venuto da Citerna la qual cosa
se è vera veduti i termini nostri quali ne ritrovamo senza cavallo o
fante alehuno, con la plebe povera et afflicta deduce noi d'ultimo ex-
cidio et ruina se la V. I. S. non provvede de le gente vostre et maxime
dei. fanti » ete. (YR Di Balia, Responsive, N. 13, c. 116).

+ La utile pubblicazione « Gli Archivi della Storia d'Italia »,
fondata da G. Mazzatinti, è ora continuata dal dott. G. Degli Azzi
(Rocca S. Casciano, Cappelli). L' ultimo fascicolo (III-IV del vol. V) dà
notizie particolareggiate sulle pergamene e sui documenti conservati
in due archivi di Gubbio, quelli della Cattedrale e di San Marziale (del-
l'ordine di San Benedetto).

Il primo contiene buon numero di pergamene, la cui « parte mag-
giore... è costituita da atti privati; poche sono le bolle pontificie. Sono
tutte raccolte in 81 fascicoli, entro 32 buste, delle quali le prime 22
spettano all’ antico fondo della Cattedrale; altre alla fraternita dei
Laici di S. Maria dei Bianchi; altre alla famiglia Porcello di Carbo-
nara ». P. Cenci, cui è dovuta la erudita rassegna, dà « notizia som-
maria » delle pergamene storiche : la prima porta la data del 1015.

Ottavio Nardi dà l'inventario del secondo archivio : le memorie
che si conservano in questo vanno dal.secolo XIV al XVIII.

4*4 Il prof. Adolfo Simonetti, pei tipi della Tipografia dell’ Umbria
(Spoleto), preannunzia la pubblicazione di un suo libro intitolato L'Um-
bria nella poesia. « L' autore, entrando nell’ Umbria dalla parte della

fe "RIOGIERDREOUEI NP IROSE ISKCOPTHRESTIE



aiat:

ACE

YEN

ANALECTA UMBRA 651

Toscana, percorre ogni terra della bella regione riportando i passi dei
poeti, che, dai tempi più antichi fino ai nostri giorni, trassero dai, sin-
goli luoghi motivo d'ispirazione ». Questi gl'intendimenti dell'A.; e
certo non dispiacerà aver raccolti in un solo volume i carmi ispirati
ai poeti di tutte le età dalla storia, dall’ arte e dal paesaggio dell'Um-
bria. Se non andiamo errati, l'idea del prof. Simonetti, qualora sia
attuata, è destinata a integrare l'altra, già espressa dal Corbucci, e
della quale facemmo parola nel fascicolo scorso. I due volumi, del Si-
monetti e del Corbucci, saranno due antologie rivolte a un fine comune,
quale é quello di far meglio conoscere la nostra regione: una di poeti
umbri, l'altra di soggetto umbro.

I due AA., non ne dubitiamo, si limiteranno a una scelta rigorosa;
a ciò che sia più notevole e più caratteristico.

«* Il fasc. 53° dei Rerum italicarum scriptores (dir. V. Fiorini)
contiene il « Diario del Notaio de Antiportu », a cura del prof. Dio-
mede Toni, che il Muratori aveva pubblicato nel 1734. Il novello edi-
tore è riuscito a identificare il nome del finora anonimo diarista : Ga-
spare Pontani, notaro e appartenente al. rione di Ponte. Il Diario
comprende undici anni della storia di Roma, dal 1481 alla morte di
Innocenzo VIII. Come il Volterrano, Paolo dello Mastro, il Bur-
chard, l’Infessura e i Vaschi, Gaspare Pontani ci ha tramandate
minute e copiose notizie sugli avvenimenti di Roma e degli stati cir-
costanti durante il secolo XV. Nè mancano accenni a fatti e a persone
dell’ Umbria. Nel 1482 troviamo Vicecamerlengo della Chiesa Bartolo-
meo Marasca, vescovo di Città di Castello, che nel 1483 è in armi, in-
nanzi la piazza di San Celso, per difendere papa Sisto da ogni malvo-
lere del duca di Calabria, che era smontato in Hostia; e « a di primo
[1484] venne la nova come lo vicecamerlengo con lo Signor Paolo Or-
sino, messer Giorgio Santacroce, con tutta la guardia del papa e Gio-
van-Francesco sacchigiorno e spianorno Albano ». All’ anno 1482, il 20
di giugno, troviamo la notizia che Niccolo Vitelli, nipote di Vitellozzo
e fuoruscito dalla patria sin da quando questa, da lui difesa, era ca-
duta in potere di Sisto IV (1474), « era entrato nella Città de Castello
con quattro squadre de cavalli et èrace lo signor Constanzo de Pesaro »
(lo Sforza); e alli 16 (luglio) « venne la nova come la Città de Castello
era in tutto perduta per la Chiesia et che messer Nicolò Vitelli et Fio-
rentini haveano havute tutte doi le rocche per denari che haveano dati
alli castellani: ad uno ducati 4 mila et all’altro ducati 1500 ». Allo
stesso anno, il 23 settembre, viene citato un « Nicolò Morelli da Riete »,
che condusse fino al porto di Tordinona « un burchio con 32 botte di
652 ANALECTA UMBRA

vino », di questo essendo allora grande penuria in Roma. Sempre nello
stesso anno, Lorenzo Giustini di Città di Castello, senatore di Roma
nel 1464 e nel 1470, al soldo di Sisto IV e di Ferdinando d’Aragona
dal 1479, ueciso nel 1487 da Paolo Vitelli, figlio di Niccolò; è in Roma
con i suoi uomini d’arme, insieme a Giovanni della Rovere, al Riario,
| al Varano. Infine, al 15 ottobre 1482 « venne la nova come la rocca
de Cisterna /ma Citerna] è perduta per la Chiesia, et hanola pigliata
Fiorentini per denari che dettero al castellano, quale era d'Imola ».
Della presa di Citerna tennero parola anche Sigismondo dei Conti,
l’Ammirato e Antonio de’ Vaschi.

«5 Nella stessa Raccolta il dott. Paolo Piecolomini pubblica per
la prima volta il Diario Romano di Branca Tedallini, che va dal 3 mag-
gio 1485 al 6 giugno 1524. Questo Diario non era rimasto sconosciuto
agli storici, e lo pose già a profitto anche il nostro A. Fabretti nelle
sue illustrazioni alla Cronaca di Francesco Matarazzo; ma il dotto edi-
tore ne ricostruisce il testo critico su dieci codici che lo contengono
per intero e su altri sei che ne conservano dei frammenti. Nella Pre-
fazione, lavoro mirabile di critica dei testi e ricchissimo di dati biogra-
fici, il Piecolomini conclude che il Diario del Tedallini « ha valore
d’integrazione ». Due ricordi abbiamo in esso trovati di personaggi
appartenenti all’ Umbria. Il primo su Vitellozzo Vitelli, al tempo della
campagna mossa da Alessandro VI contro gli Orsini: « Vitellozzo
de Castello fece gente de arme et fantasia assai, et venne contra lo

campo dello papa, et comenzaro a fare fatto d'arme insieme, et fu
rotto lo campo dello papa, et fu presone lo duca de Urbino de casa
Orsina ». (pag. 291). Il secondo si riferisce allo stesso Vitellozzo : « A
di 6 dello detto mese /6 gennaio 1503] venne la nova come lo duca
Valentino pigliàsse Peroscia et Castello, che era de Vitellozzo, che gli
tagliàsse la testa; era capo de parte di questa terra ». (pag. 302). Per
la esattezza storica, noteremo, come ne avverte lo stesso Piccolomini,
che Vitellozzo fu strozzato, e non decapitato, come sui primi era corsa

voce.

4^, Il prof. Eliseo Colarulli ha pubblicato (Todi, Foglietti) la con-
ferenza che egli tenne in Todi su Iacopone, La Satira « O Papa Bo-
nifazio molt' ay jocato al mondo » e La Sequenza « Stabat Mater ».

«4*4 Ottimo pensiero è stato quello della Direzione delle « Ferrovie
dello Stato » di pubblicare una Guida dell’ Umbria, in cui fossero con-
tenute le notizie principali sulle città e i paesi dell’ Umbria: concise Si lare riri

ANALECTA UMBRA 653

notizie storiche e artistiche, integrate da nitide incisioni, riproducenti
i monumenti più notevoli. Ottimo pensiero, che tuttavia, ci spiace il
doverlo constatare, non ha avuto del pari ottima esecuzione. :
Ad esempio, per limitarci a poche cose, sotto Città di Castello è
detto che il palazzo comunale racchiude « una pinacoteca di gran pregio

che contiene affreschi di seuola umbra », mentre non sappiamo dove

i compilatori abbiano pescato questa notizia falsa di pianta: la Pina-
coteca è situata nell'ex convento dei Filippini, e il Palazzo Comunale
non ha e non ha mai avuto affreschi, mentre la fronte, dovuta a An-
gelo da Orvieto, è sì di « ammirevole stile gotico ». Della Chiesa di
San Domenico « di puro stile gotico », mentre ha subìto gravi rifaci-
menti, è detto che « ha un chiostro con affreschi di un certo pregio e
contiene tele di non poca importanza », mentre tele e affreschi esistono
soltanto nella fantasia del compilatore: si ammira tuttora un bel chiostro,
ora, ahime! adibito a magazzino di legname. Nel novero dei palazzi
Vitelli (che furono signori della città anche in parte del secolo XVI,
non già nel solo XV, com’è affermato) andava ricordato quello ora ap-
partenente ai principi di Piombino, rieco davvero di opere d’arte, e
che arieggia le ville romane del diciottesimo secolo.

E gli errori di fatto, anche gravi, non mancano, ad esempio, ri-
guardo a Terni, che, per essere città così nota, meritava certo maggiori
riguardi. Nè, anche per questa, sarebbe mancato chi, come il cav. Lanzi,
avrebbe potuto fornire notizie precise ed esatte qualora fossero state
richieste. Il compilatore chiama vestigia di affreschi le pitture murali
della Cappella dei Paradisi in S. Francesco, ormai note universalmente
agli studiosi e agli artisti; confonde il palazzo di Michelangelo Spada,
architettato dal Sangallo, colla casa dei Mazzancolle, opera d’ ignoto
costruttore del secolo XIV, e quivi descrive un loggiato superiore a due
rampe, mentre i loggiati sono tre, e la scala una sola; afferma inoltre
che ivi soggiornasse Pio II e vi morisse Antonio da Sangallo, mentre
queste due notizie sono inventate. Riguardo alla Cascata delle Mar-
more, ripete la fiaba che il Ponte Regolatore non lascia passare in tempo
di piena se non una determinata quantità di acqua, respingendo l’altra
verso le sorgenti (?). Di Ferentillo, borgo puramente medioevale, è af-
fermato esser « ricco di ricordi dell’ epoca romana »; e che a 200 metri
da esso sorge l’abazia di S. Pietro, mentre si sarebbe dovuto dire a
4000 metri. Così è detto che Cesi « sorge sulle balze della Rocchetta »,

mentre è questa a profilarsi sulla vetta del monte, ai piedi del quale
giace il paese, che-non è patria del duca Federico Cesi, nato a Roma
e morto in Acquasparta.

Così, a proposito di .Amelia si legge: « Della antica Ameria, ove

44

REL YN GUI NCISURGUNDUL SEM

SUP JUGUM GER" GR TIMERE n dua ara da

*
— rÓ—
ol

VSXRESU TUE Mind

TII CIEN

FRS

654 ANALECTA UMBRA

Cicerone tenne la sua orazione pro PRoscio ...... ». Sesto Roscio era si
Amerino, ma chi non sa che l’eloquenza di Cicerone tonava nel Foro
Romano? Viene dipoi affermato che nel territorio di Santa Maria, a
9 km. dall’abitato, sorgono dei ruderi di edifici a più vani, di costru-
zione estrusca ; ma ruderi etruschi non sono mai esistiti, se non nella
fantasia del compilatore. La Cattedrale è opera moderna, e, tutt’ altro
che ricca, è nullatenente in fatto di buone tele. Delle vie sotterranee
non esiste che la tradizione, la quale ha bisogno di conferma. La mi-
sura della cinta poligonale è inesatta; così la data del campanile (1050)
è assai discutibile.
È proprio il caso di dire, che ab uno ... disce omnes.

xx Il prof. Santorre Debenedetti, nel fase. I del Giornale Storico
della Lett. it. (in estratto, Torino, Loescher, 1907) ha pubblicato « Nuovi
studi sulla Giuntina di Rime antiche ». Egli porta il suo esame sulla
nota tenzone di Dante da Maiano (Provedi, saggio, ad esta visione), cui
risposero Chiaro Davanzati, Guido Orlandi, Salvino Doni, Dante, Ricco
da Varlungo e Cione Baglioni. Il Debenedetti si domanda: « Chi erano
questi poeti del cenacolo di Dante da Maiano, e chi era lui, il ponte-
fice, cui tutti, o quasi, si inchinavano riverenti? ». Egli risponde che
« l'omonimia, quella vile arte onde i documenti si vendicano dell’ im-
placabile curiosità del genalogista », ha colpito più d’uno di questi
poeti; e il Baglioni è stato tutt’ altro che risparmiato.

Di Cione Baglioni si leggono alcune rime nel codice dei Poeti
Perugini, già Barberino e ora Vaticano, e non mancò il Tommasini
Mattiucci di darne quelle notizie che allora gli fu possibile di rintrac-
ciare. (Cfr. Nerio Moscoli, in Boll. della R. Deputaz. Umbra, Y). Il De-
benedetti riprende in esame quanto espose il Tommasini-Mattiucci, e
propende a credere che il Cione Baglioni, collega in rima di Dante da
Maiano, fosse fiorentino. Porta a sostegno di questa sua opinione al-
euni documenti d’ archivio; non diciamo che egli abbia torto, ma non
crediamo che su questo argomento non si possa ancora dire ulteriore
parola. E nel prossimo fascicolo di ‘questo Bollettino cercheremo di
darla, fornendo nuovi dati biografici inediti sul Moscoli, per mo-
strare come il giudizio dei critici spesso erri. Questo tuttavia non di-
ciamo nei riguardi del Debenedetti, il quale nel suo Studio, offrendo
nuovi dati, quasi sempre sicuri, sui poeti dei primi secoli, dà prova
novella del suo acume nelle ricerche e della sua diligenza serupolosa
nelle affermazioni.
*

Eit



NODCHPSH NET IE SÉ

— —
ena ELTE

— ———
TEMP Age mper

3

rj
"
P

in

x.

REM

SIRO, REIS NES

ANALECTA UMBRA 655

4*4, Il prof. Domenico Guerri (Giornale dantesco dir. da G. L. Pas-
serini; vol. XV, quad. VI, pagg. 151-161), in uno seritto intitolato « Le
Rime antiche della Giuntina », riprende in esame le opinioni espresse
dal Debenedetti; e nell’ Appendice A s'intrattiene sulle note sestine (Amor
mi mena tal fiata a l'ombra e Gran nobiltà mi par di vedere a l'ombra),
che alcuni ascrissero a Dante, equivocando sulla attribuzione fattane
dai Giunti, che invece si erano limitati ad asserire di averle « ritro-
vate insieme con la sestina di Dante » (cioè nel cod. Laur. Med. Pal.
119, come ha mostrato il Debenedetti). Il Guerri afferma non esistere
alcuna prova positiva, mentre, per non attribuirle a Dante, c' è il fatto
che il codice che le contiene ha due sonetti caudati (e non ballate, come
parve ad altri), che sono dell'autore delle sestine ; e queste non pos-
sono esser di Dante, perchè egli non ci ha lasciato nessun esempio
di sonetti caudati: dunque neanche le sestine sono di Dante ». I due
sonetti caudati, come nota il Guerri, hanno stretta relazione con la
violenta canzone di Dante « Così nel mio parlar voglio esser aspro »,
e, per la materia e per le parole-rime, ci richiamano le Pretrose. « Ora,
osserva il Guerri, un poeta ch’ abbia avuto anch’ esso la sua pietra,
c'è: Nerio Moscoli ; il quale, proprio nei suoi Sonetti pietrosi, mostrava
di credere che « sofrendo se trova mercede » e professava che per
conto suo si sarebbe ben guardato dal « vilaneggiar » nei suoi versi,
a malgrado della durezza di sua donna. Sarà lui l' autore dei due so-
netti e delle due sestine? L' ipotesi apparisce seducente, e il confronto
dei sonetti e delle sestine con le rime del Moscoli, offre più elementi
a rincalzo ch'io non abbia addotti; ma non mancano obiezioni come
quella della forma metrica, valida anche pel poeta umbro ».

,*, In un grosso fascicolo, ricco di illustrazioni, estratto dalle No-
tizie degli Scavi, anno 1907, fasc. 10 (Roma, Tip. dei Lincei, 1908),
A. Pasqui e L. Lanzi rendono conto delle « Scoperte nell antica ne-
eropoli a Terni presso l'Acciaieria ».

Non da oggi datano le prime scoperte nel territorio ternano, che
risalgono al 1885; e già ne furono pubblicate relazioni nelle Notizie del
1896 e in quelle del 1891, ma, da poi che la Società Veneta, da cui
dipendono gli opifici della Acciaieria, ha ceduto la parte di suppellet-
tili funebri rinvenute, e della quale era ancora in possesso, al Muni-
cipio di Terni; in questo fascicolo sono riassunte « la scoperta avve-
nuta nel 1887 e quelle recenti ». Queste seconde consistono più spe-
cialmente in « un nucleo importantissimo di tombe, che offrono inoltre
particolarità di costume, e, in conseguenza di tempo, notevoli e non
avvertite ». Il Pasqui e'informa che « il ch. prof. Lanzi, R. Ispettore

Siri rt et e gine au i gm ry

i art
IN Ge MEE ue

TY eiua ir

e TEN

vara ^ Eom
656 ANALECTA UMBRA

dei monumenti e degli scavi, si propone di riunire e di riordinare in
locale appositamente scelto tutto quanto di antico trovasi qua e là va-
riamente disgiunto » ; e noi non possiamo che tributare le più vive lodi
al nostro consocio per il suo nobile proposito, che, siamo certi, metterà
in atto, presto e bene, com'egli suol fare. Giacchè si tratta di un com-
plesso di fatti, che hanno grande importanza storica, e le Notizie non
sono a tutti accessibili, stimiamo opportuno intrattenerci alquanto su
di essi. Il Pasqui così ne rende conto: « la necropoli si estende verso
il piede del colle di Pentina, sulla destra della Nera, e forse appartiene
ad una città che non aveva sede nell’odierna Terni; conserva con rito
costante gli allineamenti a filari, l'orientazione di questi, la disposizione
dei cadaveri e della suppellettile e la copertura dei ciottoli in forma di
piccoli tumuli; appartiene a quel periodo in cui usavasi l' inumazione;
conserva le traccie di un periodo antecedente d' incenerimento, in modo
che sempre piü viene a confermarsi l'opinione, da me altra volta e-
spressa, che nel costruire le fosse siansi distrutti i puticoli, ma reli-
giosamente conservate le ceneri ed anche qualche cinerario disponen-
dolo entro la medesima tomba ed ai piedi dal cadavere inumato ».
Nelle tombe é stata trovata, insieme agli scheletri, grande quantità di
oggetti, che tutti in questa Memoria vengono diligentemente descritti,
e di. aleuni sono date anche le incisioni: dolii, cinerari, ciotole, tazzine,
lancie, patere, collane, anelletti, armille, fibule, foderi di spada, culter,
tripodi, olle, spade, pugnali, eéc. La Memoria conclude col notare che
ancora molto resta da fare, perchè gli scavi possano dirsi compiuti,
specialmente « di là dalla via di Collestatte fino al margine della Nera,
ed anche nel terreno limitrofo a quello ultimamente esplorato, in di-
rezione degli Alti Forni e della Fossa di ser Simone. Quivi special-
mente si hanno per lungo tratto testimonianze di seppellimenti crono-
logicamente successivi a quelli descritti, fino ai sepolcri monumentali
romani e, più lungi, fino ai sepolcri d’età cristiana ».

In ultimo il Lanzi rende conto di « Scoperte nel suburbio », le
quali si riferiscono al luogo dove la tradizione dice che sorgessero i
sepoleri di Cornelio Tacito, di M. Claudio Tacito e M. Annio Floriano
(gli scavi confortarono l'esattezza della tradizione circa la esislenza dei
tre monumenti); su alcuni scheletri [sotto i piedi di uno di essi furono
rinvenute undici lance in ferro; il che fa affermare al Lanzi che « il

1

cadavere evidentemente era stato disteso sopra un letto formato dalle
sue armi; il legno delle aste era scomparso col volgere del tempo e
non restavano ad attestar questo rito che le punte di ferro rivolte na-
turalmente dal basso in alto »]; e su una via sotterranea, che metteva
in comunicazione l'interno della città con la valle che la circonda.

RED tI “zocor OA

ANALECTA UMBRA 657

4" Negli ultimi mesi dell’anno decorso ha veduto la luce in Pa-
rigi (ed. Sansot) un altro volume dedicato alla nostra regione. Ne è
autore Gabriel Faure, e porta il titolo di « Heures d’Ombrie ». È diviso
in otto capitoli, che portano rispettivamente i titoli seguenti: « En
route, Du Giardiuo di Fronte, Dans les rues de Pérouse, la Fonte Mag-
giore, A la Pinacotheque, L'Umbria verde, La Colline saerée, Monte-
falce ». Rimarrebbe deluso chi, accostandosi a questo nuovo volume,
ispirato dall'Umbria verde, cercasse in esso cose nuove o giudizi nuovi;
ma lo spirito del lettore che ne scorre le pagine, viene gradevolmente
conquiso dalla delicatezza e dall'armonia quasi carezzevole della poe-
tica forma.

Il libro è come una visione ininterrotta di bellezza, null’altro. Per
limitarci a una delle prime pagine, l’A., a proposito del giardinetto di
Perugia, fa questa strana, erronea osservazione: « Presque toutes les
cités de Toscane et d'Ombrie ont ainsi des terrasses admirablement

situées d’où l'on domine la plaine et qui, plus que pour l'attaque ou.

la défense, furent choisies pour la joie des yeux ». Troppi secoli di sto-
ria bisognerebbe dimenticare, per giudicar giuste queste parole del
Faure, il quale, così dicendo, mostra d'ignorare una delle caratteristi-
che piü salienti del popolo umbro, nell'evo antico e nel medio: lo spi-
rito guerriero.

+5 Luigi Fumi continua gl'importani volumi di Zegesti del R.
Archivio di Stato in Lueca. Il vol. IV, cui precede una sobria prefa-
zione, belle pagine di storia medioevale, contiene il « Carteggio degli
Anziani », dall'anno 1430 al 1472. Restaurata la libertà lucchese nella
sua pienezza, intorno agli anni 1442 e 1416, gli « Anziani seguitarono
a reggere la repubblica, e ad averne la rappresentanza officiale. Così
il carteggio è tenuto sempre da loro, come negli anni avanti alla si-
gnoria di Paolo Guinigi ». L' Archivio di Stato in Lucca è, come è
noto, uno dei più importanti d’Italia; e perchè quella repubblica ebbe
lunghi contatti, o di guerre o di amicizia, con Firenze, coi Visconti,
con Genova, coi duchi d’Este, col papa; è naturale che nei documenti
conservati nell'Archivio s'incontri bene spesso il nome di personaggi
appartenenti ad altre regioni d’Italia. Uomini e città della nostra Um-
bria sono ricordati con grande frequenza, maggiore di quello che si
potrebbe immaginare: Perugia, Spoleto, Gubbio, Città di Castello,
Narni, Todi, Trevi, Assisi, Nocera, Citerna.

Un copioso indice alfabetico, che rimanda ai diversi anni del te-
sto, rende assai facili le ricerche. Parecchi interessano la vita privata
e i costumi, come quelli sulle schiave fiorentine (432, 437, 462, 474, 543,
658 ANALECTA UMBRA

1073), su Bartolomeo da Pontremoli, confessore di monache (a. 1227), su
Bandini Gaspare, per certi velluti da consegnarglisi ecc. Un documento
del 1448 ci dà ragguagli minuti sulla predicazione fatta in Lucca da
Bernardino da Siena. Ma le notizie, che hanno valore storico, sono
tante, che sarebbe necessario riportare l’ Indice per intero. Ci limitiamo
ad augurare che tutti gli Archivi d'Italia possano avvantaggiarsi di
pubblicazioni consimili. Anzi, dirò meglio, il vantaggio sarebbe tutto
per la storia generale d' Italia.

4", Una buona notizia, che riuscirà accetta a quanti amano l’arte
e le memorie gloriose del Rinascimento, si rileva dal discorso che il
Ministro della Pubblica Istruzione ha tenuto nello scorso novembre,
nella adunanza della Commissione centrale per i monumenti e le opere
di antichità e di arte (Bollettino Ufficiale, 28 nov. 1907). Si sapeva già
che il Governo aveva concesso un primo fondo di trentaduemila lire
per i restauri più urgenti al Palazzo Ducale di Gubbio, che minac-
ciava rovina. Ma ora, secondo le parole del Ministro, « il Ministero
sta studiando, e spera di poter attuare, un progetto per cui la splen-
dida dimora dei Montefeltro dovrebbe ospitare il Museo civico di Gub-
bio >. Affrettiamo col desiderio il compimento di questa promessa. Ne
esulterà anche l’anima del nostro compianto Mazzatinti, che tante volte
usò parole roventi contro la spoliazione e l' abbandono vergognoso in
cui era tenuto l’ insigne monumento architettonico.

4", Fedele Romani nel (Giornale Dantesco diretto da G. L. Passe-
rini (vol. XV, quad. IV-V) passa in rassegna, paragonandoli fra loro,
i « Concetti e ricordi danteschi nelle figurazioni plastiche del Limbo ».
Oltre quelle di una miniatura francese del secolo XIII, di Cristofano
Allori e del Duomo di Torcello, delle quali dà nitide riproduzioni,
ricorda anche quelle di Terni e di Assisi. Sulla prima, che formò
già oggetto di studi da parte del nostro Lanzi, il Romani così si
esprime: « Il Limbo della cappella Paradisi nella chiesa di S. Fran-
cesco a Terni (affresco del 1350) è messo accanto al Purgatorio e al
Paradiso, ma non in una composizione così unita e organica come
quella del Duomo di Torcello ». La seconda appartiene a Puccio Ca-
panna, che la freseò nel San Francesco in Assisi; e anche di questa
il Romani offre una bella riproduzione. Quantunque breve, questo scritto
è notevole per le doti proprie al Romani in misura singolare: acume
critico e finezza di espressione.

DANA FA 227 mut

DLE LLLI peas odo $ A " "

— stra meat Qn com op iu oam S

JC UBER opes nam Mo Mun reine DEBT La

ei I

ANALECTA UMBRA 659

4*4 « L' Oreficeria abruzzese alla Mostra d’Antica Arte Umbra » è
il titolo di un brevissimo scritto dovuto a P. Piccirilli, e che si legge nel
fase. XII (dicembre) della Rivista abruzzese. L' autore esamina tre éroci
di metallo dorato del secolo XIII (n.ti 1, 2 e 3), che erano esposte dal
Vescovo di Rieti e dal Comune di Poggio Mirteto in una vetrina della
prima sala al primo piano, e conclude che « tutte e tre sono opere di
orafi sulmonesi ». E continua: « Nella chiesa di S. Nicola in Cavuecio
(Teramo) sono custodite due croci sulmonesi dello stesso secolo..., una,
la meglio conservata, è adorna di dischi di rame con figure di Santi
in smalto o champlevé di una singolare importanza. Or la eroce n. 1
della Mostra perugina ha molti pezzi analoghi a quelli della croce di
Cavuecio. Le altre con i n.ri.2e 3 mostrano alcune parti eseguite con
stampi usati per croci dugentesche sulmonesi autentiche. Altre due
opere del sec. XIII, uscite pure dalle officine di Sulmona, si ammirano
nella sala dei cimeli della Pinacoteca, e sono due croci, le cui lamine
che rivestono il corpo di legno sono di metallo dorato... Nel terzo piano,
sala X, è esposta una grandiosa croce astile di scuola guardiese della
seconda metà del XV secolo. E di argento dorato... Proviene da Visso.
La linea d'insieme è quella delle croci di Guardiagrele. La tecnica è
mediocre. La modellazione delle figure non é cosi diligente come quelle
delle opere note del gran maestro. Bello l'ornato nei eampi delle la-
mine, splendidi gli smalti ».

,", Alle stesse conclusioni del Piccirilli era pervenuto Antonio
Mulioz in un notevole articolo del Fanfulla della Domenica (17 novembre
1907), intitolato « Arte Umbra ». Quasi estinta la scultura dopo il fio-
rente periodo romanico ; tranne le stoffe e le maioliche prodotte dalle
fabbriche di Gubbio e di Deruta; « l’intaglio in legno o in avorio
non dimostra che nell’ Umbria esistesse una produzione speciale ».
Nella oreficeria la nostra regione fu tributaria di altre regioni; « così
molte croci e pastorali tradiscono l’ imitazione di Nicola da Guardia-
grele, e gli smalti sono in genere d’ importazione senese ». Mentre la
sola arte che ebbe veramente vita nell’ Umbria è la pittura. Tuttavia,
osserva il Muiioz, « i confini geografici tra le varie regioni d'Italia
non corrispondono ai confini delle varie scuole artistiche »; tanto vero
che « i rapporti tra le Marche e l’ Umbria sono innegabili ». Gentile
da Fabriano ricorda Allegretto Nuzzi, del quale furono allievi il Nelli
e il Ghissi. Ma gli artisti umbri sentirono potentemente l’ influenza di
Benozzo Gozzoli, che nell’ Umbria « portava la grazia dell'Angelico
rivestita di forme più forti..., i sorrisi del Beato da Fiesole, ma spi-
ranti l’amore umano ». Dal Gozzoli deriva in gran parte l’Alunno. Il

GRUT EC IE

S si

Trana
660 ANALECTA UMBBA

più antico maestro perugino è Benedetto Bonfigli, « che derivò in gran
parte dalla scuola folignate, non rimanendo esente da influssi toscani
e veneti ». Con Fiorenzo di Lorenzo s’ inizia la vera, la grande arte
perugina ; il Cristo della Colomba « si può chiamare a buon diritto
uno dei capolavori della pittura umbra »; e con lui, « maestro del
Perugino e del Pinturicchio, la vera arte umbra caratteristica, desti-
nata più tardi con Raffaello a dominare tutta l’Italia, ha detto la prima
parola di bellezza e di vita ».

4^, Contro quanto aveva affermato il Muiioz nel citato articolo,
Giovanni Spadoni, nella Rivista Marchigiana illustrata (n. 10 e 11), af-
ferma che « ben distinte dall' arte umbra devono essere le scuole pit-
toriche che fiorirono nelle Marche dalla seconda metà del 300 ai primi
del 500 ».

xx Nel fascicolo di novembre (n. 2) della splendida rivista te-
desca (Lipsia) Zeitschrift für bildende Kunst, W. von Seidlitz tratta dif-
fusamente e accuratamente delle pitture di Cimabue in Assisi, istituendo
un lungo e dotto esame tra quelle della Chiesa inferiore e quelle della
superiore.

Nello stesso fascicolo è iniziato un elenco, arricchito cen splen-
dide illustrazioni, dei cimeli di cui fu ricca la Mostra d'Arte Antica
in Perugia.

«^4 Nel Bollettino d'Arte (dicembre) la signora Isabella Errera passa
in rassegna i preziosi e numerosi tessuti che il barone Giulio Fran-
chetti donava testè al Museo Nazionale del Bargello; e in una stoffa
ritrova i broccati d'oro a melograni, quali si vedono nei quadri del
Bonfigli.

La stessa signora Errera pubblica, pei tipi Lamartin di Bruxelles
(1907), il Catalogue d’etoffes anciennes et modernes esposte nel Museo di
Arti Decorative a Bruxelles. In esso, secondo quanto si legge nel primo
fascicolo della splendida Rivista senese « Vita d'Arte antica e moderna »,
si vedono riprodotti in 600 nitide illustrazioni i saggi più caratteristici
dell’arte tessile, dai tempi più remoti ai giorni nostri: notizie sobrie
e precise dànno a queste illustrazioni vita e colore.

La conoscenza delle stoffe più in uso nei diversi secoli interessa
la storia della vita privata nelle diverse regioni d'Italia; e di ciò fece
fede la ricca collezione che potemmo ammirare nella perugina Esposi,
zione. : che

aia S Des D n

aoa B emit qu. NEC

"Thé:

€ tid

ADPNCETR AS Phe

aiia ric

ANALECTA UMBRA 661

4, In Asciano, presso Nocera, è stato scoperto ultimamente un

LE:

affresco, rappresentante la Madonna in trono. Porta la data; sembra

del 1497. L’ affresco non ha nome d'autore, ma si vuole attribuirlo a
Matteo da Gualdo, di cui sarebbe l’ultima opera, se è giusta la data
del 1497.

45, I numeri VII-VIII (luglio - agosto) dell’ Augusta Perusia sono :
dedicati quasi totalmente alla Mostra d’Antica Arte Umbra. Il primo ar- i
ticolo, del prof. Scalvanti, porta il titolo « La tavola dell’ Annunciazione

di Casa Ranieri ». Questa piccola tavola, da attribuirsi a Pietro Van-

ernest en

nucci, presenta nello sfondo prospettico una qualche analogia « con
un quadretto delle storie di S. Bernardino attribuite a Fiorenzo di Lo-
renzo »; la qual cosa ha fatto dire ad alcuni che il Vannucci, venuto

in Perugia nella bottega di Fiorenzo, si valesse per la prospettiva « di
un disegno del maestro collocandovi poi le immagini dell’ angelo an- 'ì
nunziante e della Vergine ». Ma lo Scalvanti, riserbando ad altro la- ua ES
voro la dimostrazione di quanto ora espone, afferma « che Fiorenzo di
Lorenzo non fu il maestro ma forse il condiscepolo » del Vannucci.
Notiamo questa nuova opinione, pur dopo quella, da noi sopra accen- ig
nata, del Muiioz, che è quella universalmente accettata dai critici
dell’ arte. Lo Scalvanti combatte come errato il giudizio di alcuni che
vorrebbero ascritta la tavoletta a Giannicola Manni, e pubblicando una
nota tratta dal libro degli inventari di Casa Ranieri, che porta la data

del 1742, respinge l'opinione, « fantastica e cervellotica », espressa

dal Labò, che l Annunziata sia una falsificazione « disereta » del 1830.
Nello stesso periodico il Durand-Gréville ha un lungo articolo di

attribuzioni raffaellesche, sulle quali difficilmente troverà concordi i
critici; e Walter Bombe vi illustra, con la sua nota competenza, alcune
tavole di Gentile da Fabriano.

C. Cappelli passa in esame le « armi e armature », che figurarono i
alla Mostra. i È

In ultimo A. Bellucci completa il suo importante studio su « l’an- |
tico rilievo topografico del territorio perugino, misurato e disegnato dal
p. Ignazio Danti »; e ne pubbliea in bella incisione la « pianta topo-
grafica » del 1577.

4*4, Nei fase. IX- X (settembre- ottobre) della stessa Rivista, il Fa- Ü
loci-Pulignani ha un notevole scritto, ricco di numerose e belle inci-

sioni, su Nicolò Alunno, che fu il trionfatore nella Esposizione d'Arte
Umbra. L'A. osserva giustamente che « la grandiosità dell’ ambiente,

l'omogeneità dei dipinti, la sapiente disposizione di essi, e più di tutto
662 ANALECTA UMBRA

la bontà dei dipinti stessi attraevano intelligenti e dilettanti, non mia
stanchi di ammirare la varietà, la vita, la verità di quel centinaio di
fieure, le quali passavano dalla più pura spiritualità, alla severità più
impressionante: dall'idealismo più mistico, al verismo più prosaico:
dalle figure più ieratiche, alle forme quasi satiriche colle quali forse
l’arguto Maestro volle vendicarsi di qualche censore ». Forse mai prima
di ora erano state fissate così bene le caratteristiche dell’ Alunno, come
artista e come uomo. Egli « visse solitario a sè, non subì influenze da
nessuno, nè influì su nessuno. Vide gli splendori di Assisi, le meravi-
glie di. Perugia, ma fu inaccessibile alla modernità, sicchè nella sua
vecchiaia dovè apparire un ritardatario ». Se, in gioventù, si lasciò
influenzare da Benozzo Gozzoli, dipoi, « studiando, meditando, mi-
gliorò e perfezionò sè stesso, facendo dell’arte un ministero che piut
tosto esortasse a pensare, anzichè un trastullo che invitasse a godere ».
E i suoi concittadini, oltre che artista insigne, lo venerarono come
uomo di rigidi costumi, e più volte gli dettero pubblici offici e inca-
richi delicati ».

Il venerando E. Teza, a proposito del nome che Gentile da Fa-

briano tracciò nel nimbo del quadro pisano, ricorda che già trent'anni
fa vi aveva letto in caratteri arabici Fabr. Gen.

‘Il prof. Cristofani, in un notevole articolo su « Illustri france-
scani in un affresco, in un arazzo, in una tavola ed in tarsie del quat-
trocento », torna su l'arte dell'Alunno, dissentendo in parte dal Faloci-
Pulignani, là dove scrive che egli « ad una prima educazione locale
affinata dai modelli di Benozzo, innestò una forte derivazione di ele-
menti veneziani e specialmente vivarineschi, ai quali più tardi si ag-
giunse qualche influenza di Carlo Crivelli ». Il Cristofani conclude:
« .. mentre in Foligno, Venezia giungeva a traverso le Marche a far
penetrare alcuni principii della scuola squarcionesca, Perugia, dal canto
suo, più prossima alla Toscana ed in maggiori relazioni con essa, as-
similava elementi fiorentini per mezzo del Bonfigli ... ».

Ci piace, in ultimo, di segnalare uno scritto del prof. E. Filippini
su «I primi disegni del Piermarini ». Di quest’ autore del Teatro della
Scala, Foligno si accinge a celebrare il centenario.

4", Sulla statua in legno, rappresentante S. Sebastiano, di pro-
prietà del Municipio di Sangemini, e che figurò testè nella" umbra espo-
sizione, scrive uno studio il dott. A. Gottschewscki nella Zeitschrift
für bildende Kunst (Lipsia, febbraio 1908). Egli ha dimostrato che la

statua é opera dello scultore veneziano Antonio Rizzo, ritiratosi nel-
I' Umbria nel 1498, per sfuggire l'ira della Serenissima, nella quale era
ANALECTA UMBRA 663

incorso, perchè aveva sottratto diecimila ducati, nella sua qualità di
soprastante ai lavori del palazzo ducale. Quando giunse nell’ Umbria,
aveva circa settant'anni, e il Gottschewski crede che quivi si procu-
rasse l'assistenza di qualche scolaro, perchè anche un’ altra statua di
S. Sebastiano, esistente a Stroncone, ricorda da vicino la tecnica del

maestro.

,*, Su Bernardino di Mariotto, pittore « da tutti per lunghissimo
tempo ignorato ; da moltissimi, in seguito, trascurato ; da nessuno fi-
nora studiato in tutta la sua operosità, e quasi da nessuno apprezzato
per quel che pure, sotto certi aspetti, egli vale », e che il Burckhardt
appellò « uno strano uccello notturno »; pubblica un notevole scritto,
ricco di illustraziani, G. Urbini, nei num. XI-XII dell’ Augusta Perusia.
Bernardino di Mariotto dello Stagno, la cui attività artistica appar-
tiene alla 22 metà del sec. XV, ebbe « grande varietà di maniere », e
« forse in qualche lavoro si appropriò, e probabilmente per desiderio
stesso dei committenti, composizioni e forme de’ suoi celebrati concit-
tadini, il Pintoriechio e il Vannucci, che godevano d’una fama trion-
fale ». Visse lungamente nelle Marche, più specialmente a Sanseverino ;
poi tornò in Perugia, e le opere che vi eseguì sono conservate nella
sala X della Pinacoteca. La memoria di lui meritava di esser rinverdita,
e bene ha fatto l’ Urbini a darci descrizioni e riproduzioni dei suoi
quadri migliori, specialmente di quelli che sono disseminati nelle città
delle Marche. Lo seritto dell'Urbini è integrato da una compiuta biblio-
grafia, italiana e straniera, delle opere che trattano di B. di Mariotto.

Nello stesso fascicolo dell’ Augusta Perusia, G. Natali inserisce
una noticina di iconografia francescana. Restaurando in Pavia l’antica
Basilica di S. Teodoro (sec. XII), sono stati scoperti « molti affreschi,
che sono il più cospicuo saggio di antica pittura che sia in Pavia ».
Tra questi, si nota la rappresentazione pittorica di San Francesco e
di Santa Chiara; e l'autore della nota l'ascrive alla seconda metà del
sec. XIII, prima che in Pavia stessa fosse compiuto (1298) il bel tempio
gotico di S. Francesco.

4", Alessandro Chiappelli, prima nella Tribuna poi nel Marzocco
(22 marzo 1908), lamenta « il volo recente onde un'opera del Signorelli
da Città di Castello era stata trasferita alla National Gallery sulle rive
del Tamigi », e aggiunge che il volo avvenne « sette anni or sono ».
In sì grande numero di voli, antichi e recenti, non sappiamo con pre-
cisione a quale delle opere del Cortonese il Chiappelli alluda. Vuol egli

intendere della Adorazione, citata dal Vasari (« ... in S. Francesco, una

SAITTA
* —.
664 ANALECTA UMRRA

Natività di Cristo »), che la famiglia Mancini vendè per quindicimila
lire all’antiquario Bardini di Firenze, il quale poi la rivendè per il
doppio alla Galleria di Londra; e la cui predella, se non erro, deve
esistere nella Pinacoteca di Brera.? Ma la vendita fatta dal Bardini,
come si legge nell' Arte a Città di Castello, di G. Magherini Graziani
(pag. 198, n. 4); rimonta al 1882. Che si tratti di due tavole, se nel-
l' assegnazione della data del volo, da parte del Chiappelli, non esiste
errore? Tuttavia, o dell' una o dell' altra, facciamo proprie le osserva-
zioni del critico: « Il nostro tardivo lamento sarebbe vano, se non vo-
lesse essere anche incitamento per tutti a vigilare. Vigilate, ne intretis
im tentationem ».

» Giacchè cade qui in acconcio di notarlo, diciamo come, a cur:

dell’ Ufficio regionale, si stia ora restaurando l’ affresco, assai guasto
dal tempo, che Luca Signorelli condusse nell’esterno della torre che è
a lato del Palazzo Vescovile in Città di Castello.

xx « Pietro Ridolfi e Giovanni Spagna » è il titolo di un opuscolo
col quale G. Sordini (Firenze, Tip. Domenicana, 1907) offre notizie sto-
riche, cioè sul tempo di sua composizione, intorno a un dipinto mu-
rale, che è « la gemma più preziosa » della Pinacoteca del Comune di
Spoleto, e che è conosciuta dagli storici sotto il nome di Madonna dello
Spagna ». Eseguito, in origine, nell’interno della Rocca di Spoleto, su
una parete del pianerottolo che si allarga a metà della: scala princi-
pale, nel cortile di Niccolò V, dal Comune fu fatto distaccare e tra-
sportare, fin dall' anno 1800, nel proprio Palazzo, dopochè i soldati fran-
cesi della prima Repubblica lo avevano barbaramente spogliato ». Poi-
chè il dipinto, di cui l’ A. dà una nitida incisione, ha nel mezzo del
timpano semicircolare un grande stemma gentilizio, e questo .appar-
tiene ai Ridolfi di Piazza fiorentini, che lo mantennero inalterato per
cirea un secolo, a cominciare dal 1415; e poiché Piero di Niccolò Ri-
dolfi fu dal cognato Leone X investito nel 1514 del governatorato di
Spoleto, nel quale rimase fino al febbraio del 1516; il dipinto dello
Spagna dovette esser condotto « nella seconda metà del 1514 o, al piü
tardi, nella prima del 1515 ». Il Sordini è tratto a delimitar queste date
da considerazioni storiche; anzi, tenuto conto delle notizie che si hanno
sulla attività pittorica dello Spagna, egli è indotto a fissarla nella metà
dell’anno 1514. E con lui concludiamo ben volentieri: « è questo un
novello benchè tenue sprazzo di luce nella grande oscurità che regna an-
cora intorno alla vita e alle opere di Giovanni Spagna, él quale, biso -
E! ANALECTA UMBRA 665

gna pur ricordarlo, colori meglio che nessun altro di coloro che lasciò
Pietro (Vannucci) dopo la sua morte, come scrisse Giorgio Vasari.
L]

Per ora ci limitiamo a dare soltanto l'annunzio di altre pubblica-
i zioni, sulle quali porteremo il nostro esame nel prossimo Fascicolo :

AporLro VENTURI. — La Basilica di Assisi. Roma, Casa editrice de
« L'Arte », 1908.

M. FaLoci PuULIGNANI. — La S. Casa di Loreto secondo un affresco di
Gubbio. Roma, Desclée Lefebvre, 1907.

V. PAGLIARI. — Allegoria dell'affresco di Gubbio dipinto nel chiostro dei
M. C. Roma, Ferrari, 1907.

P. TOMMASINI-MATTIUCCI.

DONE SIA Ga RIE

"
— ——— prat
ALvi P., Cenni storici su Iaco-
pone da Todi, 238.

ANSiIDEI V., 246. — Vincenzo
Casagrandi : « I Codici Cartacei
Messinesi sulla leggenda della
francescana suor Eustochia da
Messina »: « La strage dei Ca-
lafato catanesi sotto Martino I
secondo la leggenda eustochia-
na »: « La genealogia dei Ca-
lafato di Sicilia spiegata in un
documento Svevo », 641.

ANTONELLI M., Di alcune in-
feudazioni nell' Umbria nella se-
conda metà del sec. XIV, 219.
— Indice onomastico: Notizie
umbre, tratte dai Registri del
Patrimonio di S. Pietro in Tu-
scia, 1.

Assisi, 518, v. Fumi.

BELTRAMI A., Tommaso Mo-
roni umanista e venturiero rea-
tino, 241.

BELLUCOI A., 661.

BIAGINI R., Lucca e S. France-
sco, DI.

BomBn W., 661.

TAVOLA DEL NOME DI PERSONE È DI LUOGHI

Bordo S.SEPOLCRO, 181, v.
Magherini-Graziani.

BRUNAMONTI-TARULLI L.,
Appunti storici intorno ai mo-
naci benedettini di S. Pietro in
Perugia fino ai primi del secolo
XV, b.

CAPPELLI C., Armi e Armature
alla Mostra d’Antica Arte Um-
bra, 661.

CASAGRANDI V., I Codici Car-

tacei Messinesi sulla leggenda
della francescana suor Eusto-
chia da Messina. — La strage
dei Calafato Catanesi sotto Mar-
tino I secondo la leggenda eu-
stochiana. — La genealogia dei
Calafato di Sicilia spiegata in
un documento Svevo, 641.

CavicCHI, I Versi di Tebaldeo
di O. Nardi, 246.

CELANI E., 249.

CELESTINO II, 248, v. Mam-
brini, v. Foglietti.

CzNCI P., Le Relazioni fra Gub-
bio e Perugia nel Periodo Co-
munale, 521.

ì
4
EN ancient gag

niet ro ipe iini eed enni gemi rec a

Sad TC TOI EI Ga IO 668 TAVOLA DEI NOMI DI PERSONE E DI LUOGHI

CorBuCccI V., Tre sonetti di
C. Sasso, sec. XVI, 241.
CorBucci V., Antologia dei
Poeti e rimatori umbri del se-
colo XIII ai giorni nostri con
note biografiche, bibliografiche
ed illustrazioni artistiche, 239.
CRISTOFANI G., Illustri france-
scani in un affresco, in un a-
razzo, in una tavola ed in tar-
sie del quattrocento, 662.
CuTUR: T., Di alcuni Statuti
delle Corporazioni delle arti nel
Comune di Gubbio, 253.

DANTE, 242, v. Salvadori.
DEBENEDETTI S., Notizie bio-
grafiche dei rimatori italiani,
240. — Sui piü antichi doctores
puerorum. a Firenze, 649.
DOMENICHELLI T., La fami-
glia di S. Francesco, 250.
DuRAND-GREÉVILLE, 661.

ERRERA IL, I tessuti donati dal
barone G. Franchetti al Museo
Nazionale del Bargello. — Ca-
talogue d'etoffes anciennes et
modernes, 660.

FALOCI-PULIGNANIM.,L'Ar-
chivio, la Biblioteca e i sacri
arredi del Monastero di Sasso-
vivo, 121. — Vita di Sigismondo
de Comitibus, scritta dall’abate
Mengozzi., 151, 252, 661.

FERRETTI F. 291.

FAURE G., Heures d’Ombrie, 657.

FILIPPINI E., Il Quadriregio di
F. Frezzi, c. 238. — L’Accade-
mia dei Rinvigoriti di Foligno
e l'Ottava edizione del Quadri-
regio, 483. — Da un poeta fo-
lignate ad un altro, 643.

FOGLIETTI R., Di Celestino II,
248.

FOLIGNO, 483, v. Filippini.

FRANCESCO (S8) D'Assrist,
234, 236, 243, 246, 250, 691, v.
Heywood, v. Lanzi, v. Tocco,
v. Domenichelli, v. Schniirer,
v. Fratini, v. Biagini.

FRATINI G., Vita del Serafico
Padre S. Francesco d' Assisi,
246.

FREZZI F., 288, 641, v. Filippini.

FuxriL. L'epistolario dell’ arci-
vescovo di Rossano nel suo
primo anno di governo nell' Um-
bria, 81. — Estratto della Cro-
naca di fr. Giovanni di Matteo
del Caccia domenicano di Or-
vieto, 197. — Paniconi ing. En-
rico : « Monumento al card. Gu-
glielmo de Bray nella: Chiesa
di S. Domenico in Orvieto »,
231. — La rocca di Montefalco
e i pareri tecnici per la sua co-
struzione, 469. — Spigolature
dell’ Archivio della Basilica di
S. Francesco di Assisi, 573. —
Regesti del R. Archivio di Stato
di Lucca, 657.

GALLETTI A., Una raccolta di

Mead eye eLoachosifiat sue

ES
FARE stesa

TAVOLA DEI NOMI DI PERSONE E DI LUOGHI 669

prediche volgari inedite del car-
dinale Giovanni Dominici, 647.

GNor1 U., L'Arte Umbra alla Mo-
stra di Perugia, 637.

GoTTSCHEWSCKI A., Sulla sta-
tua in legno rappresentante il
S. Sebastiano del Municipio di
Sangemini, 662.

GusBIO, 521, 253, v. Cenci, v.
Cuturi.

GuiDA DI PERUGIA, 644.

HeywooD W,., The little flowers
of the glorious messer st. Fran-
cis and of his friars done into

english with notes, 234.

IACOPONE (Fra Da TODI,
238. 633, 648, v. Tenneroni, v.
Tomasetti, v. Treza.

JACOBILLI Lopovico, 644.

LANZI LUIGI, Escurzioni Fran-
cescane, 236. — Scoperte nel-
l'antica necropoli a Terni pres-
so l'Aeciaieria, 655.

Lucca, 591, 657; v. Biagini R.,

v. Fumi.

MAGHERINI-GRAZIANI G.,
Relazione fatta nell'anno 1595
dal vescovo di Amelia Anton
Maria Graziani dal Borgo S. Se-
polero sullo stato della diocesi

in occasione della « Visitatio

liminum Apostolorum », 131.

MAMBINI G., Di Celestino II,
248. È
MASSERA A. F., Guelfo Ta-
viani, rimatore della prima metà
del sec. XIV, 244.
MAsETTI-BENCINII., Sulla bat-
taglia d'Anghiari tra le truppe
fiorentine e quelle di Filippo
Maria Visconti, capitanate da
Niccolò Piccinino, 650.
MAZZONI G., 645.
MEsRCER W., La Chiesa della
Consolazione a Todi, 251.
MonNACI E., 251.
MoNREY G., Regards sur l'áàme
ombrienne, 249.
MONTEFALCO, 469, v. Fumi.
MoronI E., 241, v. Beltrami.
Munoz A., Arte Umbra, 659.

NARDIO., I versi del Tebaldeo,
246.

NICOLAUS DE SPOLITIS,
245.

ORVIETO, 231, 397, v. Fumi, v.
Pardi.

PARDI G., Dal Comune alla Si-
gnoria in Orvieto, 397.

PASQUI A., Scoperte nell' antica
necropoli a Terni presso l’ Ac-
ciaieria, 655.

PERUGIA, (S. Pietro) 5, 521, 637,
v. Brunamonti-Tarulli, v. Cenci,
v. Gnoli.

PiccIRILLI P., L'Orificeria a-

SAUCE eel visa C rig
670 TAVOLA DEI NOMI DI PERSONE E DI LUOGHI

bruzzese alla Mostra d’ Antica
Arte Umbra, 659.
PICCOLOMINI, Il Diario Romano
di Branca Tedallini, 652.
PonTANO G., 244, 645, v. Sa-
tullo, v. Soldati.

SACCHETTI, 246, v. Volpi G.

SALVADORI G., Appendici alla
Vita Giovanile di Dante, 242.

SANTI V., La storia della secchia
rapita, 242.

SASSOVIVO, 121, v. Faloci Pu-
lignani.

SATULLO F., iL’ orazione di
G. Pontano a Carlo VIII, 244.

SCALVANTI O., La tavola del-
l'Annunciazione di Casa Ranie-
ri, 661.

SCHNEIDER R., 252.

SCHNURER G., Francesco d'As-
Sisi, 246.

SIMONETTI A., L' Umbria nella
poesia, 650.

SOLDATI B., Improvvisatori. can-
terini e buffoni in un dialogo
del Pontano, 645.

SORDINI G., Di una ignorata
Cappella dipinta in Spoleto da
Giovanni. Spagna, 247. — La
pretesa descrizione del Palazzo
Ducale di. Spoleto scoperta e
pubblicata dal Mabillon, 455. —
Di un grossolano errore topo-
grafico nella storia umbra del-
l’ Alto Medio Evo, 509. — No-
tizie di monumenti di Spoleto,

617. — Pietro Ridolfi e Giovanni
Spagna, 664.

SPADONI G., Il contributo delle
Marche alle origini della lette-
ratura italiana, 247, 660.

SPOLETO, 245, 247, 455, 617, v.
Sordini.

TEBALDEO, 246, v. Nardi.
TENNERONI A., Un ritratto di
fra Jaeopone da Todi, 633.
TEZA E., Le laudi di Fra Jaco-
pone cantate nel Portogallo e
nella Spagna, 648.

Tocco F., Le fonti più antiche
della leggenda francescana, 243.

Topnr, 251, v. Mercer.

ToMxMASINI-MaATTIUOCCI P.,
233, 241, 643. — Umberto Gnoli :
« l'Arte Umbra alla Mostra di
Perugia », 637.

TOMASSETTI G., Fra Jacopone,
648.

TONI D., Diario del Notaio de
Antiportu, 651.

URBINI G., Bernardino di Ma-
riotto, 663.

VENTURI A., Storia dell’ Arte,
V. 50, 248.

VorrPiCG., Rime di trecentisti
minori (Sacchetti), 246,

ZANIBONI, L'Italia alla fine del
sec. XVIII, nel Viaggio e nelle
altre opere di W. Goethe con
uno studio di B. Croce, 249.
Memorie e Documenti.

Appunti storici intorno ai monaci benedettini di S. Pietro
in Perugia fino ai primi del sec. XV (L. BRUNAMONTI-
TARULLI) . : E : ; : : È È :

L'epistolario dell'arcivescovo di Rossano nel suo primo
anno di governo nell’ Umbria (L. Fur) . $ È ;

L'Arechivio, la Biblioteca e i sacri arredi del Monastero di
Sassovivo (M. FALOCI-PULIGNANI) . : ; ;

Relazione fatta nell'anno 1595 dal vescovo di Amelia Aston
Maria Graziani dal Borgo S. Sepolero sullo stato della
Diocesi in occasione della « Visitatio liminum apostolo-
rum ». (G. MaAGHERINI-GRAZIANI) ; : 3

Vita di Sigismondo de Comitibus scritta dall’abate Mengozzi

(M. FALOCI-PULIGNANI) . : : - : :
Di aleuni statuti delle Corporazioni delle arti nel Comune
di Gubbio (T. CuTURI) È : :
Dal Comune alla Signoria in Orvieto (G. Piva) ; :
La pretesa descrizione del Palazzo Ducale di Spoleto sco-
perta e pubblicata dal Mabillon (G. SonDiNI) 3 È
La Rocca di Montefalco e i pareri tecnici per la sua co-
struzione (1324) (L. FUMI) ; ; :
L'Aeeademia dei « Rinvigoriti » di Polio e l'Ottava Edi-
zione del « Quadriregio » (E. FILIPPINI) > : :
Di un grossolano errore topografico nella Storia Umbra
dell'Alto Medio Evo (G. SORDINI) . i ; È ;
Le Relazioni fra Gubbio e Perugia nel Periodo Comunale
(P. CENCI) . È : 5 o . 3 ; 5
Documenti.

Estratto della Cronaca di fr. Giovanni di Matteo del Caccia

domenicano di Oryieto (L. Fuwr) . 1 : ; ;
Spigolature dall'Archivio della Basilica di S. Francesco di
Assisi (L. Fui). ; ; i : : : : :

INDICE DEL TREDICESIMO VOLUME.

Pag.

121

455

469

483

191

573
672

Varietà.

Di alcune infeudazioni nell’ Umbria nella seconda metà del
sec. XIV (M. ANTONELLI) . i :
Lucea e S. Francesco; lettera del prof. Roderigo Biagini al

prof. Regolo Casali

Notizie dei monumenti nell Umbria.

Spoleto : [Suppelettili Preistoriche — Anfiteatro romano —
Chiesa di S. Gregorio Maggiore — Chiesa di S. Giu-
liano — Basilica di S. Salvatore — Collezione di calchi
Fogna, iscrizione, monete romane e strada medioevale
— Chiusura dei lavori di saggio nel Duomo — Tre an-
tiche cripte — Il Capitolo dei Domenicani — Madonna
del Masaccio.] (G. SORDINI)

Un ritratto di fra Jacopone da Todi (A. POR

Recensione bibliografica.

Paniconi ing. Enrico: Monumento al card. Guglielmo de
Bray nella Chiesa di S. Domenico in Orvieto (L. Fuw1)

Umberto Gnoli: « L'Arte Umbra alla Mostra di Perugia »
(P. TOMMASINI-MATTIUCCI). : ^ x

Vincenzo Casagrandi: I Codici cartacei messinesi sulla leg-
genda della francescana suor Eustochia da Messina —
La strage dei Calafato catanesi sotto Martino I secondo
la leggenda eustochiana — La genealogia dei Calafato
di Sicilia spiegata in un documento svevo (A. V.)

Indice onomastico — Notizie Umbre, tratte dai Registri del
Patrimonio di S. Pietro in Tuscia (M. ANTONELLI)

Analecta Umbra (P. TOMMASINI-MATTIUCCI) . : . Pag.
Tavole di nomi di persone e di luoghi . ; : : i
Indice del Volume . ; : ; ; ; . ) .

e —_

Pag. 219
» 591
» 617
».:: (698
»rLSA9g]
» 637
» 641
» 1
233 e 643
Pag. 661
» 610
did Fidati marne on re b i TI igi jo

4 "^

EL ERE
+
hO ner

(Vedi vol. IX, fase. II-III, n. 25-26; vol. X, fasc. I, n. 27).

n)
(ele)
2
|a]
—_—
2,
[See]
emen
Ln] &5
prs
D
m
(arm
= <=
er,
9 E
=
E
E—
hl =
cx
[s]
cB
INE m
(mr
-—— i
EF E
2
CD
O =
cu
E
(m
E
——
E
—c
[ea

Avvertenza. — Il primo numero, romano, indica il numero d'ordine dei Registri.

Il numero successivo, arabo, il paragrafo di ciascun Registro.
| 7

INDICE ONOMASTICO

ABATE di Clugny, legato apostolico, X, 50.

ACQUAPALOMBO: non manda al parlamento presso l'Eremita, V, 22.

ACQUASPARTA: uomini di, rompono il pedaggio di Florentia, V, 24.

ACTONE di Terni, vicario del contado di Sabina, IV, 1.

AGOSTINO (frate) di Perugia, agostiniano, III, 40.

ALESSANDRO (maestro), notaro del rettore del Patrimonio, mandato
allegato a Spoleto a significargli le cose ordinate a San Ge-
mini, I, 99.

ALLERONA: occupata dagli usciti orvietani, poi dai soldati del Patri-
monio, VII, 3, 14.

ALVIANO: signori ed uomini di, VI, 2; Giannotto di, sbandito dalla cu-
ria, 4; occupatore di Amelia, VII, 1; signore di Foce, IX, 41;
signori di, hanno il dominio di Lugnano, 26; Tommaso di Ugo-
lino di, nell’ esercito contro Terni, VII, 55; Contuecio di Napo-
leone di, ferito e preso in detto esercito, 56; Pepo di Petrucciolo
di, ivi.

AMELIA: ordine di offenderla, perchè ribelle, I, 18; compone per
l'uecisione di Lucio di Pietro, Marco ed altri, IT, 2; vescovo di,
ivi; occupata da Iussio di mastro Oddone di Orte, 4; e dai
signori di Bomarzo, 5; cavalcata contro, 8; cospirazione ivi con
todini per togliere Sangemini e Lacuscello alla Chiesa, III, 3,4;
esecuzione contro, 9, 11; accolta ivi di gente d’arme, 10; eser-
cito contro, per punirla della distruzione di Foce, 18, 19, 22, 23;
vi entra trionfante il rettore del Patrimonio, 20; e la riduce al-
l'obbedienza, 24, 26; cacciata dei guelfi e di Matteo Orsini da,
27; provvedimenti circa il suo stato, 28, 29; reggimento ivi del

legato, 30, 31; rimborsa alla camera le spese dell’esercito, IT,:9

III, 32, 33, 34; esenzione di Foce da ogni giurisdizione di, 40, 43;

d i rites ag

*
1

,

———áÀ

——

n .
aree D tm C e POT
ANTONELLI

M.

nuova esecuzione contro, 48, 49; compone finalmente con 1320 fio-
rini II, 7; III, 50, 56; altre composizioni, VI, 1, 2; occupata da |
Giannotto d'Alviano, VII, 1; ribelle, 5, 6, 7; guerra contro, |
16-35; porte della chiesa e del vescovado distrutte, 35; tornata |
all'obbedienza, 29; trattato di concordia, 10; arringa di maestro |
Pietro di Lello in consiglio contro la giurisdizione della curia e
del Patrimonio, IX, 24; compone per tutte le colpe, tranne la
| soggezione a Giannotto d'Alviano, 25; Mannuccio Pisciarelli da,
| condannato per ingiurie al capitano del Patrimonio, 48; compo-
| sizione del comune per aver usato ordinamenti non approvati

dalla curia, 44; richiesta di custodi per Lugnano e Porchiano,

X, 54; rumore ivi durante la processione del Corpus Domini,

55: chiesa ivi di S. Maria de Grottulo, XII, 5; richiesta di genti

contro Canale, 13; e in difesa di Terni, XIII, 3.
AMERICO da Rocca Forte, stipendiario, III, 53.
— da Gabiano, vicario del contado di Sabina, IV, 1.
ANDREA, padre del vescovo di Todi, III, 23.
— (frate) da Perugia, agostiniano, III, 37, 38.
— da Bettona, vicario delle terre Arnolfe, V, 10, 15; fa bando contro

i blasfemi, 16; giudice della curia del Patrimonio, va a San Ge-

mini per la custodia, VII, 4, 15; nunzio ad Orvieto, 8; a Narni,
48; vicario del contado di Sabina, IX, 48, 49.
— (maestro) da Cesi, cementario, V, 31.
— di Iacomo da Bevagna, V, 44.
— da Cerreto, giudice della curia del Patrimonio, V, 45. |
— da Montefiascone, medico, cura i feriti nell'esercito contro Amelia, |
VII, 28. . |
— di ser Filippo da Messennano, IX, 10. |
— d'Amelia, prete, XII, 5. |
ANDREUCCIO della Rocca, III, 42.
ANECHINO de Mongardo, compagnia di, XII, 16. |
ANGELELLO VILANI, III, 51. |
ANGELO (maestro) da Montefiascone, presiede al trasporto dei tra-
buechi contro Amelia, VII, 17.
— (maestro) da Foce, VII, 32.
— da Cesi, VII, DI. |
— Tavernini, VIII, 2; tesoriere del Patrimonio, IX, 1; X, 1. |
— di Filippone da Poggio, IX, 8. |
— di Tino da Campo, IX, 11.
— de Jano, vicario di Stroncone, IX, 34. |
di Leonardo da Bagnorea, vice-tesoriere del contado di Sabina. |
—— dO —

INDICE ONOMASTICO

ANGELUCCIO da Bolsena, castaldo, III, 25.

— di Francesco da Terni, III, 64.

— di Pietro della Fonte, amerino, VI, 1.

— da Foce, VI, 2

— da Perugia, VII, 13. :

— di Pepo, mercante orvietano, chiamato dagli officiali del Patrimo-
nio.per la coniazione di una nuova moneta, III, 46.

ANGUILLARA (d’) conte Francesco, richiesto d’aiuti contro Amelia,
III, 23.

ANIZ de Bomberch, X, 13.

— de Osterich, XI, 13.

ANNIBALDI Ildibrandino, lega alla Chiesa la terza parte di Lacu-

scello, III, 13; Bertoldo suo nipote, 4.

ANTONIO di Caselluccio da Gallese, vicario di Otricoli, IX, 35.

— da Parma, X, 18, 42.

— dell'Amatrice, XII, 15.

ARCIVESCOVO di Milano; sue genti in Orvieto, X, 5; suo dominio
ivi, 6.

AREZZO : in guerra con Perugia, III, 52, 53.

ARIZIO : non manda al parlamento delle terre Arnolfe, IX, 31; sac-
cheggiato dal marescalco di Spoleto, XII, 4.

ARNALDO de Mamasio, conestabile posto a custodia di San Gemtat.
III, 2; mandato in servizio di Perugia, 52.

Segneri, 26.

ARNOLFI: terre degli, occupate dai todini, III, 48; nota dei luoghi
che pagano il fuocatico, ela tassa « pro cuminestit novi recto-
ris », V, 8, 15; uomini non intervenuti all’esercito contro Ame-
lia, 11; citati all'esercito sopra Orchia, 32; visitate dagli officiali
del Patrimonio, 37; sulla giurisdizione della Chiesa ivi, 41, 44;
vendita del pedaggio, 42; querele degli abitanti contro gli offi-
ciali, 50; tradimenti, IX, 9; parlamento, 31 ; custodia delle strade
per catturare gli ambasciatori di Bernabò Visconti, XIII, 2

ARTIMANNO de Franco, X, 13.

ARTINO di Viterbo, scrittore dei libri della curia del Patrimonio, IX, 44.

ASPRA : non manda al parlamento del vicario di Sabina, IX, 48.

ASSISI: vi va il tesoriere del Patrimonio a fare indagini sui registri
della Chiesa che sono ivi, 1, 6.

BAGLIONI Checco, III, 42.
BAGNOREA, I, 33; III, 29; VII, 80; XI, 20.

T
6 M. ANTONELLI

BANDO, notaro della curia delle terre Arnolfe, V, 49.

BARTOLOMEO, giudice della curia del Patrimonio, III, 39; V, 38.

— di Vanne d’Ursuccio da Montefiascone, VII, 7.

— di Iuzio d’Acquapendente, X, 56.

— di Lippo d'Arizio, XII, 9.

BASCHI : nobili di, contro Lugnano, III, 15; VII, 81; Bindoccio di, IX,
10.

BASCO, notaro del rettore, X, 6; mandato all’ esercito in Sabina per
ordinare la sconfitta dei narnesi assedianti Miranda, X, 32.

— di Sancio de Gomi, mandato a riformare Otricoli, X, 7.

— de Mosten, X, 9.

BAVARO (il) Ludovico, occupatore del contado di Sabina, I, 13.

BERENGARIO Blasini, tesoriere del Patrimonio, VIII, 1.

BERNARDO (maestro) da Tolosa, VII, 75.

BERTRANDO, famulo del rettore del Patrimonio, I, 30, 33.

BIAGIO di San Gemini, medico, V, 40; giudice' della curia del Patri-
monio, XI, 19.

— da Terni, X, 33.

— d’Arizio, XII, 13.

BISENZO: signori di; Vanne di Galasso e Cataluccio, di, citati all'eser-
cito contro Amelia, III, 23; Cataluccio, preso in Orvieto, X, 2.

BLONDELLO, famulo, I, 19.

BOCCA da Perugia, X, 17.

BOMARZO: signori di; Coluzia di Scolario di, oecupatore di Amelia,
IT; 5.

BUZELLO di Coccone da Stroncone, XII, 2.

CAMPIGLIA : signori di, citati all'esercito contro Amelia, III, 33.

CANALE, ribelle, XII, 12; offese contro, 13; riparazioni alla rocca
danneggiata dalle macchine dei todini, XIII, 7.

CANTUCCIO di Gubbio, capitano d'Orvieto, III, 39.

CAPPELLETTO, compagnia del, XIII, 9, 10.

CARENA, esercito contro, XI, 23.

CARLEO: conteso fra la curia del Patrimonio e Narni, I, 19, 20, 26;
decisione del legato, perchè si restituisca a Narni, III, 6, 8; gli
officiali del Patrimonio appellano dalla sentenza, ivi.

CAROSO da Orte, X, 22.

CARNAIOLA : tolta a Jacobuccio d'Orvieto, XI, 1.

CASELLA : castaldo, III, 45.

CASTEL DELLA PIEVE: l’Albornoz ivi di passaggio, XI, 18.

1$ — —— PR TREIA TENERA TI
pe

INDICE ONOMASTICO

CASTEL di Piero, X, 14.
CASTEL Rubello, X, 16; battifolle d’Orvieto, XI, 14; Pietruccio di Ja-
cobuccio, signore di, 20. © ;
CASTIGLIONE: comuni del castellato di, non intervenuti al parlamento
al Colle d'Aiano, V, 12; processato per la sottomissione a Spo-
leto, 49; non permette l'entrata al vicario delle terre Arnolfe,
IX, 30; non manda uomini al medesimo per udirne i comanda-

menti, 46.

— in Sabina, non manda al parlamento del vicario Andrea di Bet-
tona, IX, 48.

CATALUCCIO, famulo, I, 18.

CECCARELLO da Terni, V,728.

— da Orte, X, 16.

— da Perugia, X, 23.

CECCO da Gradoli, notaro della curia delle terre Arnolfe; ambasciatore
a Spoleto, V, 34, 37.

— di Galgano, IX, 30, 50; XII, 6.

CECCHINO di maestro Filippo da San Gemini, vicetesoriere delle terre
Arnolfe, IX, 36.

— di Andrea da Narni, X, 28.

— da Orvieto, economo del monastero di S. Lorenzo presso Orvieto,
X3«15516;

CECCONE di Angeluecio da Stroncone, XII, 2.

CELLO da Gualdo, vicario delle terre Arnolfe, entra a San Gemini,
I, 28.

CEPTO (maestro), III, 60.

CESI: preparativi di esercito contro, I, 15; compone per atti del suo
rettore in pregiudizio della giurisdizione della Chiesa, V, 4; grida
sediziose, 6; rumore, 18; torre e forno della rocca, 30; sentenza
contro, 33; processi contro maestro Pietro di Gianni, 45; vendita
del pedaggio, 48, 47; partecipa alla guerra contro Terni, VII,
67; ribelle, IX, 11, 12; maresciallo del Patrimonio ivi, Wists
sua rocca raccomandata dal capitano del Patrimonio a Rainaldo
e Franco di Todi, X,-52; vi risiede la curia delle terre Arnolfe,
XII, 6.

CESENA, X, 62.

CHIARAVALLESI, assoldano ungari per offendere Todi, X, 46; trat-
tano di ciò col prefetto di Vico, 63.

CICCIA : da Viterbo, XI, 17.

CIOLINO, castaldo, III, 35.

CIOLO di Ciante, da. Macerino, IX, 11. 8 M. ANTONELLI

CITTÀ DI CASTELLO : espugnata dai perugini, III, 55.

CIVITACASTELLANA, XI, 23.

CIVITELLA: preparativi per l'espugnazione, VII, 17, 20.

CIUCCIO di Cataccio da Portaria, V, 39.

CLEMENTE, castaldo, I, 5.

COBUCIO di Lorenzo da Stimigliano, IX, 4.

— da Porano, maestro cavatore, XI, 29.

COLA di Gregorio da Otricoli, pone in ribellione Otricoli, I, 9.

— Trialarchi di Amelia, VII, 35.

— da Soriano, X, 41.

COLCELLO: vi stanno i soldati della Chiesa per la guerra contro Ca-
nale e Lacuscello, XII, 12, 13.

COLLE D'AIANO: parlamento ivi, V, 12.

COLLESCIPOLI : ribelli di, I, 2.

COLLEVECCHIO : trattati dei narnesi per occuparlo, X, 29.

COLONNA Stefano, richiesto d'aiuti contro Amelia, III, 23.

COLUZIA, castaldo, I, 34.

— di Rosso d'Amelia, macellaro, XII, 5.

COMPARE da Civita, XII, 12.

CONTE, vicario delle terre Arnolfe, IX, 30.

CORBARA : signori di, chiesti di aiuti contro Todi, III, 16.

CORNETO : richiesta di aiuti contro Amelia, III, 9.

CORRADO di Pietro di Avigliano, vicetesoriere del contado di Sabina,
IX, 47.

COTTANELLO: vi è l’esercito reatino, IX, 33.

COVINO da Sugano, XI, 32.

DECANO, notaro. dell’uditore del legato, X, 55.

DEFENDOLO da Poggio, V, 51.

DOMENICO (maestro) da Amandola, III, 8.

— da San Polo, vicario della curia di Sabina, IX, 49.

— d’Asti, X, 25.

DUCATO DI SPOLETO: comuni del, richiesti di aiuti per il Patri-
monio, I, 8; vi è la grande compagnia, X, 64.

DURANTO, notaro del tesoriere del Patrimonio, III, 20.

EGIDIO da San Gemini; sue case custodite per la Chiesa, III, 3.
ELIA da Spoleto, vicetesoriere del contado di Sabina, I, 13.
ENRICO, eletto ascolano, cancelliere del legato, XII, 10.
INDICE ONOMASTICO

ENRICO di Francesco, da Napoli, XII, 12.

ERASMO, da Narni, X, 2. i

ERCOLANO da Perugia, III, 55. :
EREMITA: suoi uomini sbanditi, V, 5; vi si celebra un alia 20.

FANTO, castaldo, III, 23.

FARNESE, Cola d’Ancarano dei signori di, nominato podestà di San-
gemini, I, 32, 33, 34.

— signori di, chiesti di aiuti contro Todi, III, 16; e contro Amelia,
28; in lite con Orvieto, 47.

FAZIO da Selvadimini, frate in Tarano, ferisce il suo guardiano, XII, 7

FAZIOLO, armiere di Viterbo, VII, 30, 39, 44.

FEMMINELLA, mercante di Montefiascone, VII, 43.

FILIPPO di Cambarlhac, vicerettore del Patrimonio, III, 36.

— de Moret, conestabile di cavalleria, X, 13.

FIRENZE, X, 5, 6, 35.

FIAIANELLO, ribelle, X, 12.

FLORENTIA, cavalcata dagli uomini dell'Eremita, V, 5; compone per
i suoi eccessi, 9; multata per non avere mandato il fodro a Mes-
sennano, 13; e per avere mandato il pallio a Todi, 14, 28; pe-
daggio ivi della Chiesa, 24; non manda al parlamento, IX, 31.

FOCE: distrutta dagli amerini, II, 7, 9; III, 18, 22, 23; dichiarata
esente da ogni giurisdizione dei medesimi, 40, 43; vessata da Gio-
vanni arciprete e Rinaldo giudice di Lugnano, 45; vi va il teso-

riere per la costruzione di una rocca, 47; custodia, VII, 32;.

compone per aver data la signoria a Giannotto d’ Alviano, IX,
41; richiesta di genti per l’offesa di Canale, XII, 13; si fortifica
contro la compagnia di Anechino, 15.

FOIANO : eccesso degli spoletini contro, IX, 37.

FORANO: sbandito dalla curia, IX, 18.

FORLÌ, X, 50.

FORTUNATO di Rainaldo da Todi, custode della rocca di Cesi, X,:52.

FRANCESCO da Montegranaro, vicetesoriere del contado di Sabina,
IV

— da San Quirico, notaro della curia del Patrimonio, nunzio ad Or-
vieto, VII, 8; a Perugia, 12.

— (maestro) da Lugnano, castellano di Miranda, VII, 68.

— (maestro) di maestro Bonagiunta da Montefiascone, mandato pa-

ciero ad Otricoli, VIII, 5; X, 19.
da Firenze, X, 9.

SRI Ga
10 M. ANTONELLI

FRANCESCO di Naserio da Montefiascone, X, 53.

— di Sanzio da Castel s. Pietro, XII, 12.

FRANCIA di Palitto de Catinellis, spoletino, IX, 37.

FRANCIOLO da Cerro, IX, 11.

FRANCO di Masciolo da Todi, custode della rocca di Cesi, X, 52.
FRATTA: sconfitta ivi degli aretini per parte dei perugini, III, 53.
FALCONE, frate dell’ospedale di S. Maria d’Orvieto, I, 14.
FUSTINO di maestro Gianni Morelli, armiere da Viterbo, VII, 41.

GABRIELE da Parma, conestabile di cavalleria, X, 10.

GABRIELLI Giacomo da Gubbio, rettore del Patrimonio, VIII, 1; X, 1;
capitano di Todi, XII, 8.

GALEAZZO da Ferrara, notaro della curia del Patrimonio, preso ed
imprigionato a Todi, III, 63.

GALEARDO de Scleris, rettore delle terre Arnolfe, V, 2.

GALERIA,. X, 30. i

GALLESE, X, 59. |

GALLO da Perugia, XI, 18. 4

GANERIDO de Pristinio, famigliare del tesoriere, III, 7.

GEMINELLO da San Gemini, VII, 49.

GENTILONE da Poggio Azzuano, V, 33. e
— da Quadrelli, V, 38. i
GHIGLIONETO, conestabile, III, 54. |

GHIRARIO di Jacopone da Cesi, V, 4.
GIANNI di maestro Giovanni da Torri, I, 17.

— di Cagno, sbandito dalla curia di Sabina, IX, 51.
GILIETTO da Stoppio, V, 2. i
GIOVE, occupato dalla compagnia del Cappelletto, XIII, 10. !
GIOVANNI Roqueti, chierico, famigliare del rettore del Patrimonio, [

mandato in curia romana, I, 7. |

— (maestro) da Pontecorvo, III, 6, 8. |

— da Figuineo, abitante di Montalto, accedente alla curia romana,

III, 27. |
| — arciprete di Lugnano, III, 45. :
| — Bombar, corriere, III, 50.
— di Filippo da Portaria, ingiuria gli officiali delle terre Arnolfe, |
V, 17. *
— Bayle, castellano di Sangemini, VII, 1. 1
da Radicofani, vicetesoriere delle terre Arnolfe, VII, 1.
INDICE ONOMASTICO 11

GIOVANNI (maestro) di maestro Cepto, preposto ai lavori di carpen-
teria nell’ esercito contro Amelia, VII, 22, 84.

— di Pietro di Vitale da Stroncone, IX, 2. :

— di Raniero da Pruzano, IX, 12.

i Puecio da Spello, vicetesoriere di Sabina, IX, 13.

— di Andrea Vergati da Tarano, idem, IX, 17.

— di Minuta di Cerio da Otricoli, IX, 35.

— Nigro, ungaro, X, 46.

— da Cetona, X, 47.

— da Bettona, X, 49, 51.

— di maestro Angelo da Montefiascone, XI, 21.

— Farde da Viterbo, prete, XI, 15.

— (frate) da Tarano, guardiano ivi, XII, 6.

— di Guidotto da Montefiascone, XIII, 3.

GIOVANNETTO da Monte Urbiano, cursore del papa, a cui porta
nuove di S. Gemini, I, 31.

GIOVANNITTO di Giacomo, V, 2.

GIOVANNOTTO dell’ Isola, III, 8.

— nipote del rettore accedente alla curia con lettere sullo stato di
Amelia, III, 31.

GIUNTA da Radieofani, notaro, vicetesoriere, poi vicario delle terre
Arnolfe, V, 1, 10, 50.

GIUSTO, famulo, III, 21, 41.

GNORZIO da Bagnorea, carpentiere, VII, 57.

GRAZIA da Bologna, vicario delle terre Arnolfe, V, 19; ambasciatore
a Spoleto, 34, 36.

— da Viterbo, V, 32.

GREGORIO di Oddone da Portaria, V, 17.

GUBBIO : legato ivi, X, 43.

GUGLIELMO de Folcarolis, vicario del contado di Sabina, I, 13.

GUIDO d'Orvieto, X, 24, 28.

GUIDONE di San Germano, rettore e capitano del Patrimonio, del con-
tado di Sabina e delle terre Arnolfe, VII, 1; fa esercito contro
Amelia, 16; e contro Terni, 36.

GUINUTINO, corriere di Roma, III, 48.

GUISCARDO de Comborino, rettore del Patrimonio, VIII, 1.

em

JACOBITTO di-Giovannitto da Pruzano, IX, 9.
JACOBUCCIO da Rieti, III, 6.
— della Marca, VII, 3.

"REUS ial oun erue

DONE E — y

EU]
3 cnstilfi lins 12 M. ANTONELLI ‘Su

JACOBUCCIO di Giovannitto da Messennano, IX, 10.

— da Orvieto, seguace di Giovanni di Vico, XI, 1.

— da Castel Rubello, indotto a ribellarsi a Giovanni di Vico, e a
guerreggiare Orvieto, XI, 14.

JACOMO, rettore di Cesi, V, 4.

— di Gambaforte, vicetesoriere del Patrimonio, del contado di Sabina »
e delle terre Arnolfe, VII, 1.

— di Angelone da Selci, IX, 18.

— da Parma, mandato a trattare la concordia fra interni ed usciti
orvietani X, 3.

— di Luca da S. Quirico, ambasciatore al legato in Romagna, X, 48.

INQUISITORE dell'eretica pravità nel Patrimonio; suoi processi con-
tro i todini, I, 16.

ISBER d' Alemagna, X, 11.

JUZZIO di Vanne, castaldo, I, 21, 32.

LACUSCELLO: pervenuto alla Chiesa, per la terza parte, per legato
d'Ildibrandino Annibaldi, III, 13; custodito. per sospetti di Ber-
toldo Annibaldi, e degli amerini e todini, 4, 56; castellano Rai-
mondo de Ramis, VI, 1; ribelle, XII, 12.

LANDO Mattaliani di Lacuscello, occupatore di Amelia, VI, 1.
LELLO di fra Bartolomeo, frate dell' ospedale di S. Maria d' Orvieto, $
cospira contro il rettore del medesimo, I, 14. |

— di Morgaglione da San Gemini, IX, 1.
— di Cecco, podestà di Stimigliano, IX, 6.
— di Cirano da Tarano, XII, 7.
LELLUCCIO di Ciolo da Portaria, V, 2.
LOMBARDELLO da Brescia, X, 35, 37.
LORENZO di Pepo da Viterbo, mercante, VII, 62. ll
LOTTO, castaldo, I, 15. |
LUCARINO da Stoppio, V, 2.
LUCIO di Pietro d' Amelia, ucciso, II, 2.
LUCERTA da Perugia, X, 26.
LUCO (dioe. di Rieti): vi stanno i soldati di Bernabó Visconti per of-
fendere le terre della Chiesa, XIII, 1, 3, 4.
LUCO, ospedale di, nel contado d'Orvieto, X, 56.
LUGNANO: presidiato per offendere Amelia, III, 10; offeso dai nobili
di Baschi, III, 15; VII, 81; richiesto d’ aiuti contro Amelia, III, è
23; traditori di, VII, 77; compone per gli eccessi tranne la sog-
gezione ai signori d’ Alviano, IX, 26, 27; custodito contro la


i!
]
È
|
|
|
E:
i
|
E-

Hi
,

INDICE ONOMASTICO 13

grande compagnia, X, 54; richiesto di genti per l'offesa di Ca-

nale, XII, 13; e per la difesa di Terni, XIII, 3; si fortifica con- :

2

tro la compagnia di Anechino, XII, 15.

MACCABEO Tonti da Viterbo, vicario del contado di Sabina, IV, 1.

MACERINO, V, 23.

MAGLIANO: riammissione degli estrinseci, I, 10; uccisione dell’ arci-
prete, IV, 3; intromissione di ribelli, IX, 21; ricettazione delle
milizie romane, X, 57, 58.

MANCHO, famulo di Andrea di Campo di fiore, III, 36.

MANENTE, di Giovanni da Spoleto giudice del Patrimonio, I, 15,19;
vicario generale delle terre Arnolfe, V, 1.

MANNO di Berardo, famulo, I, 16.

— vescovo d' Amelia, II, 2.

MARCO d' Amelia, ucciso, II, 2.

MARSCIANO: Bernardino di, mandato da Perugia in ajuto ‘al rettore
del Patrimonio contro Viterbo, I, 11.

— 'Tano, conte di, XI, 1,

MATTEO da Cesi, posto a custodia di Lacuscello, III, 4.

—:da Spoleto, vicario del rettore delle terre Arnolfe, V, 17.

— (maestro) di Colluccio, medico da Viterbo, cura i feriti nell’ eser-
cito contro Terni, VII, 42.

— di Benedetto d’ Anastasio da Otricoli, IX, 35.

MATTEUCCIO di Sinuecio, camerlengo di Florentia, V, 9.

MATTELLO, figli di, da Stroncone, IX, 2.

— cursore X, 29, 30, 34, 36, 38, 40.

MATTIOLO di Raniero da Messennano, V, 8.

—-di Angelello da Messennano, IX, 10.

MELCHIONO di Nicola da Bologna, notaro, XIII, 4.

MENICUCCIO di Guercio da Proceno, X, 5. .

MESSENNANO: guerreggiato dai todini, e soccorso dal rettore del Pa-

trimonio, IIT, 16, 17; V, 27, 29, 30; cavalcata contro, V, 2; in-

r

quisizione contro aleuni, 7; compone per tutti gli eccessi, tranne

la sommissione ai todini; 8; processi, 39; tentativo di darne il

dominio a Bindoecio di Baschi, IX, 10; non manda uomini al
parlamento, 31.
MIMOIA : occupata da Bertoldo Orsini, VII, 78.
MIRANDA: informazioni sul suo stato, e sui diritti che vi ha la Chiesa,
III, 7; discordie, VII, 13 ; partecipa alla guerra contro Terni, 67;

- —Àà m-——

NEP ou (7
M.

ANTONELLI

68, 69, 70; assediata dai narnesi, X, 25, 31, 35; sconfitta di que-
sti, 36; richiesta di genti in difesa di Terni, XIII, 3.

MOGIO di Jacopone da Cesi, ghibellino, V, 6.

MONALDESCHI Monaldo, arcivescovo di Benevento ; suoi beni devo-
luti alla Chiesa, III, 16.

— Manno di Corrado, III, 16, 47.

— Napoleuccio, III, 41.

— figli di Ermanno e di Bernardo, sbanditi, VII, 10.

— Monaldo di Ermanno, VIII, 3.

— Benedetto di Bonconte, X, 2.

— Benedetto di Ermanno, X, 2; XI, 20; provisione datagli per com-
battere Giovanni di Vico, XI, 6.

— Berardo di Corrado, provisione datagli, come sopra, XI, 4; capi-
tano del battifolle presso Orvieto, 11; suo ritorno nel Patrimonio
creduto dannoso per Orvieto, X, 50.

— Bonconte di Ugolino, provisione datagli, come sopra, XI, 5.

MONALDO da Orvieto, notaro, VII, 10.
MONASTERO di S. Gregorio, vi si fa la mostra dell’esercito contro
Amelia, V, 11.
— di S. Lorenzo delle Donne, presso Orvieto, presidiato da Giovanni
di Vico, ed espugnato dalle genti della Chiesa, XI, 9; ridotto a
"battifolle contro Orvieto, 24 e segg.; emenda dei danni alle mo-
nache, 16.

MONTACHIELLO, X, 56.

MONTASOLE, sbandito dalla curia di Sabina, IX, 51.

MONTEBONO, ribelle, X, 12.

MONTEFALCO : occupato da Ugolino di Foligno, III, 54.

MONTEFIASCONE, I, 30; III, 5; fuoco sulla torre del palazzo in segno !!
di gaudio per l'entrata del rettore in Amelia, 20; casa della cu- |
ria iyl VII, 17,99;

MONTEFREDDO: occupato dagli usciti orvietani, poi da’ soldati del
Patrimonio VII, 3.

MONTE s. Maria: case e torri confiscate, V, 7; sbanditi, 43.

MUGNANO, III, 41.

T tg

dem cR eer mme: .

NARDUCCIO di Ser Nuccio di Boccio da Tarano, omicida, IX, 49.
NARNI: richiesta di ajuti ai romani contro, I, 3, 5; indagini sui di-
ritti che vi ha la Chiesa, 6; ridotta all’ obbedienza, 7; sussidia 1
il tesoriere del Patrimonio nel suo viaggio in Sabina, 10; è ri-
chiesta d'ajuti contro Viterbo, 11; e contro Tebaldo di s. Eusta-
ss
dii

INDICE ONOMASTICO 15

chio, 21, 22; ha questione colla curia per il possesso di Perticara
e Carleo, 19, 20, 26, 27; che il legato decide appartenerle, III, 6,
14; paga alla Chiesa un debito di 1419 fiorini, 5; richiesta» d' ajuti
eontro Amelia, 23; e del pagamento del censo, 57; e d' ajuti con-
tro Terni, VII, 48; suoi usciti contro Tarano, 46; si prepara a
resistere alla grande compagnia, VIII, 2; ghibellini osteggiati
dal rettore, 4; ribelle, IX, 1; rettore del Patrimonio ivi, 50; of-
fende San Gemini, X, 4; mira ad occupare Otricoli, 7, 45; ca-
valcata contro, 13; aduna genti per invadere le terre della Chiesa,
24, 26; assedia Miranda, cui il rettore invia soccorsi, 25, 35, 35;
vi va Pietro di Vico, 27; ha trattati di tradimento in Collevec-
chio, 29; sconfitta del suo esercito a Miranda, 36; offese contro,
37, 38, 39; caccia Pietro di Vico, 41; novità, XIII, 6.
NERIO di Cola di Ser Cincio, uscito orvietano; provisione datagli per
combattere Giovanni di Vico, XI, 5.
NICOLA da Bagnorea, vicario del contado di Sabina, IV, 1; VII, 46.
— de la Serra, rettore del Patrimonio, X, 1; sua morte, 3.
— da Roma, ambasciatore a Narni, X, 45.
— da Gualdo, X, 60.
NICOLUCCIO da Siena, 1, 8.
NUCIO da Trevi, VII, 8.
NUNZIO da Spoleto, VII, 50.

ODDONE di Saba di Otricoli, occupa la tenuta di S. Erasmo, V, 50.
— di Monalduecio da Viterbo, vicetesoriere del contado di Sabina,
IX, 8.
OFFREDDUCCIO di donna Clara di Acquasparta, V, 48.
ORLANDO da Perugia, giudice della curia del Patrimonio, III, 15, 19.
ORSINI Giovanni, card. di s: Teodoro legato, I, 19, 20, 26:975 11E;: 6;
reggitore in Amelia, 98, 29, 30, 31, 33, 34; suoi possessi in Or-
vieto, 53, 60.
— Matteo, espulso da Amelia ove reggeva, III, 27; VI, 2; richiesto
di ajuti contro Terni, VII, 52.
— Giordano, nipote del legato di Tuscia, III, 14; rettore e capitano
del Patrimonio, IX, 43; X, 8.
— Napoleone milite, richiesto d'ajuti contro Amelia, III, 23; non s'in-
trometta in Orvieto, 41.
— Andrea di.Campo di fiore, III, 36.
— Quido conte palatino, fa pace cogli orvietani, III, 47, 50; è nel
l’esercito contro Terni, VII, 55.

— ni and mu
16

M. ANTONELLI

ORSINI Ceccolo, figlio di Giordano, richiesto di venire in soccorso di

Miranda contro i narnesi; X, 30, 34, 35.

— Orso, X, 41.

— Bertoldo, occupa Mimoia, VII, 78.

— Latino, capitano di guerra per la Chiesa in Sabina, X, 21.
ORVIETO: manda ajuti al rettore del Patrimonio contro Viterbo, I, 11;

partecipa col medesimo al trattato di pace, 12; ospedale di s. Ma-
ria, 14; peso della moneta, II, 3; vi va il tesoriere per ajuti
contro Todi ed Amelia, III, 5, 16, 22, 23; Cantuccio di Gubbio
capitano, 39; novità per la morte di Napoleuceio Monaldeschi,
41, 42, 44; vi torna il tesoriere per la pace col conte Guido e i
Farnese, 47, 50; e per trattarvi col rettore la riduzione degli
estrinseci, 59; possessi ivi del card. Giovanni di s. Teodoro per-
venuti alla Chiesa, 58, 60; buoni uffici del rettore per la pace
interna, VII, 9, 12, 79, 80; mulino ivi della Chiesa, VIII, 3; no-
vità, X, 2; trattati di concordia fra interni ed usciti, 3; vi en-
trano le genti dell’ arcivescovo di Milano, che ne assume il do-
minio, 5, 6; novità, 15; vi entra il prefetto di Vico, 16, 17 ; usciti
orvietani indotti a fargli guerra, XI, 4, 5, 6; combattimenti presso,
9, 10, 11, 13, 14; abbruciamento della porta del borgo, 42; gua-
sto di un mulino, 43; campana della chiesa di s. Giorgio, se-
gnale di difesa, tolta dagli assedianti, 44; vi entra l' Albornoz,
15; che vi fa disegnare una rocca, 17, 22; rissa tra i soldati del
di Vico e quei della Chiesa, 12; l’ Albornoz ne riparte, 13; truppe
senesi nel contado, X, 51, 56; la grande compagnia nel mede-
simo, 53, 61, 64; voci di occupazione, XII, 10; sgombero dei
luoghi deboli del contado per timore della compagnia di Ane-
chino, 16; trattato contro la Chiesa, XIII, 5; vi si trasferisce,
richiesta dal comune, la curia del Patrimonio, XII, 11; XIII, 8.

| ORTE, III, 23, 24, 49; X, 28; vescovo di, X, 44.
| OTRICOLI: ribelle, I, 9; compone pei rumori e scandali, 23; suo vi-

cario Raimondo di Cardona, ivi; informazioni sul suo stato e sui
diritti che vi ha la Chiesa, III, 7; novità tra guelfi e ghibellini,
VIII, 5; vicario percosso, IX, 35; discordie seminatevi dai nar-
nesi per oeeuparla, X, 7; si cerca farla ritornare obbediente, 19;
compone per l'adesione a Giovanni di Vico, XI, 3; nuovamente
minacciata dai narnesi, X, 45; concorda colle milizie romane, 59.

PAGANICA: non manda al parlamento presso l'Eremita, V, 90; suoi

abitanti insidiano agli usciti spoletini, IX, 29.

————— A



COND THEN

i dl
="

INDICE ONOMASTICO 17

PALICA di Pietro da San Polo, vicetesoriere del contado di Sabina,
IX, 14.

PALITTO, marescalco di Spoleto, XII, 4. à

PANCRAZIO di Schiavo da Stimigliano, IX, 15.

PAOLO, notaro della curia del Patrimonio III, 49,

— di maestro Gianni da San Polo, IX, 5.
— di Lello da Colleveechio, vicetesoriere delle terre Arnolfe, XII, 3.

PAOLINO, castaldo, XIII, 3.

PAOLUCCIO, castaldo, III, 56.

PAPIGNO ribelli di, XII, 72.

PASCUCCIO Mancini da Tarano, IX, 19.

PASSARINO da Todi, mandato a Perugia per ajuti contro Viterbo, I, 11.

PASSO, castaldo, III, 14.

PATRIMONIO di s. Pietro in Tuscia; indagine dei diritti che vi ha la
Chiesa, fatta sui registri di questa in Assisi, 1, 6.

PEPO di maestro Bonagiunta di Montefiascone, I, 20; notaro della cu-

i ria generale, VII, 14, 54.

— figli di, da Orvieto, X, 18.
— Petrueeio di, uscito orvietano, XI, 1; provisione dategli per com-
battere Giovanni di Vico, XI, 5.

PERINO de Lavatort, X, 12.

PERUGIA : richiesta di aiuti per il Patrimonio, I, 8; manda Berardino di
Marsciano con una compagnia in aiuto contro Viterbo, 11; e al-
tre genti contro Amelia, IIT, 19, 23; inquisitore dell'eretica pra-
vità ivi, I, 16; espugna San Sepolero, III, 51; guerreggia con
Pietro Saccone e gli aretini, e li sconfigge alla Fratta, 52, 53;
espugna Città di Castello, 55; dà nuovi ajuti contro Amelia,
VII, 5, 6; ha la signoria di San Gemini, IX, 42; avvisata a
premunirsi contro il prefetto di Vico, X, 17; tesoriere del Patri-
monio ivi, 20; ajuta la Chiesa contro Narni, 23, 29, 33, 35, 38;
sue genti in Sabina per la Chiesa, 40; ajuta l'Albornoz contro
il di Vico, IX, 19; ne riceve ajuti contro la grande compa-
gnia, 13; truppe senesi nel contado, X, 51; la grande compa-
gnia presso, 62; vi si fa accolta di gente per occupare Todi,
XII, 8.

PERTICARA: vi sta il capitano del Patrimonio in esercito contro
Narni, I, 4; è contesa fra la curia del Patrimonio e Narni, 19,
20, 26, 27; il legato decide spettare a Narni, III, 6, 8; appello
dalla sentenza, 14. >

PETROIO : vi è sconfitto Giovanni di Vico dalle genti della Chiesa,

AI, 1$, 8.

nta nf a

ees tre iA mos pom Meg o eile
18 M. ANTONELLI

PETRUCCIOLO, castaldo, III, 39, 42.

PEYROTO da Peyra, III, 10.

PICCIOLO de’ Rotelli, X, 39.

PICIOCCO di Palino da Cesi, V, 4.

PIETRO d’Artois, tesoriere del Patrimonio, del comitato di Sabina e
delle terre Arnolfe, I, 1; va ad Assisi per indagini sui registri
della Chiesa, 6; e in Sabina e a Magliano, ove introduce. gli
estrinseci, 10; e ad Orvieto per la pace con Viterbo, 12; rettore
e tesoriere, va a San Gemini, e ne riforma lo stato, 29, 34.

— della Pieve, notaro della curia del Patrimonio, III, 15.

— di Ranieri, notaro di Montefiascone, mandato ad Amelia ad esplo-
rare segretamente ció che vi si fa, III, 30.

:— da Radicofani, podestà di San Gemini, III, 35.

— di Oderisio, famulo, III, 37.

—:Saccone, III, 52, 53.

— da Celleno, notaro, IV, 5

— (maestro) di Gianni da Cesi, processato, V, 38.

— di Tinerio da San Fetollo, occupatore di Amelia, VI, 1.

— di maestro Giovanni da Montefiascone, VI, 3; vice-tesoriere nelle
terre Arnolfe, IX, 28.

— de Chayraco, notaro della curia del Patrimonio, VII, 8.

— conte di Montemarte, VII, 9, 80.

— da Pontecorvo, notaro della curia del Patrimonio, VII, 15, 60, 67.
— di Francesco di Giovannuecio da Terni; palazzo distruttogli du-
rante la guerra, e riedificato a spese della camera, VII, 76.

— de Pince, vicerettore del Patrimonio, VIII, 1.

— di maestro d. dB Gallese, vicario e vicetesoriere delle terre
Arnolfe, IX, 7; X, 18.

— di Mannello, D di Poggio Azzuano, IX, 8.

— di Bartolomeo da Magliano, vicetesoriere delle terre Arnolfe, IX, 45.

— da Firenze, XI, 44.

— da Stroncone, XII, 1.

— dell'Amatrice, XII, 14.

PIETRUCCIO di Jacobuccio, signore di Castel Rebello, XI, 2

POGGIO : processo contro gli uomini di, V, 29.

POGGIO Azzuano : adattamento di case per residenza della curia, V, 31;
forche fra esso e Portaria, 59; tradimento ivi, IX, 8.

PONE di Guasta da Rádicofani, capitano contro Amelia, VII, 29; e
contro Terni, 55.

PONZIO da Montegiardino, quadrigliere, I, 2.

———á——Á

T ——————— nn

INDICE ONOMASTICO 19

PONZIO, vescovo d’ Orvieto e vicario di Roma, al governo del Patri-
monio, X, 8

PORCHIANO: rumori, VI, 8; suoi uomini accomandatisi a Giannotto
d'Alviano, 4; custodia contro la grande compagnia, X, 54; richie-
sto di genti per offendere Canale, XII, 13; e in difesa di Terni,

XIII, 3; persone che vi fecero tumulto, IX, 22, 23; si fortifica

contro la compagnia di Anechino, XII, 15.

PORTARIA, vi sta Manente, giudice del Patrimonio, I, 15; vi risie-
dono gli officiali delle terre Arnolfe, V, 48; forche tra essa e
Poggio Azzuano, IX, 8.

PUCCIARELLO de la Serra, vicario di Amelia, IX, 25.

RADICOFANI, nobili di, chiesti di aiuti contro Todi, III, 16; e contro
Amelia, 23.

RAIMONDO da Cardona, notaro del capitano del Patrimonio, I, 33
vieario di Otricoli, 23; III, 61. ,

— de Ramis, vicario delle terre Arnolfe, celebra un parlamento, V.
46, 51; castellano di Laeuscello, VI, 1.

RAINALDO, giudice di Lugnano, III, 45.

— giudice della curia del Patrimonio, III, 49; V, 38

— da Assisi, visconte del contado di Sabina, X, 29.

— Rettore del Ducato, richiesto di aiuti contro Viterbo, I, 11; fa
guerra contro Ugolino di Foligno, III, 54.

— del Patrimonio, si scusa con Perugia per non poterle inv jare soc-
corsi contro gli aretini, III, 61.

RICCIO, castaldo, X, 27.

RIETI: richiesta del censo arretrato di più anni dalla camera del Pa-
trimonio, I, 17; ed anche della taglia e del focatico, e di com-
porre per gli sbandimenti, III, 21; scomunica contro i riluttanti
al pagamento dei legati alla Chiesa, IX, 4, 5; suo esercito a Cot-
tanello, IX, 33; dà il sussidio di due Bandteró al legato, XI1-2:

ROCCA Guittonesca: rumori e grida sediziose, IX, 19, 20.

ROCCHETTE: non manda rappresentanti al parlamento del vicario di
Sabina, IX, 48.

ROGERO da Marcafana, sta a Lugnano per offendere Amelia, III, 10.

ROMA : richiesta d'aiuti eontro Narni, I, 3; e contro Amelia, III, 23;
sua misura adottata in Sabina, IV, 9; sue milizie a Magliano,
X, 57, 58:-ad Otricoli, 59.

.ROTENDEBO da Trevi, IV, 4.

RUBEO da Castello, X, 20.

p
X

Nu

BU ir ae Sa Va

Antig pat n hoan sica th Ca 20 M. ANTONELLI

SABINA eontado di: vi va il tesoriere del Patrimonio, I, 10; occu-
pato da Tebaldo di S. Eustachio colle genti del Bavaro, indi
ricuperato, I, 13, 25; suoi officiali, IV, 1; casa della curia e ri-
parazioni, 7, 8, 10, 11; vi si adotta la misura di Roma, 9; si
prepara a resistere alla grande compagnia, VII, 2; tutto in ri-
bellione, fuorchè Torri, Collevecchio e Rocca Antica, IX, 13;
Latino Orsini, capitano di guerra ivi, X, 21; minacciato d’inva-
sione dai Narnesi, 24, 26; vi si aduna l’esercito contro Narni,
32, 34; buona custodia contro gli stipendiari di Pietro di Vico, 42;
e contro le milizie romane, XII, 9.

SACCHETTO di Castelnuovo, posto a custodia di San Gemini, III, 3;
V, 35.

SALVATO di Tano da Orte, vicetesoriere del contado di Sabina, IX, 13.

SANCIO di Angelo da Roma, podestà di Torri, IX, 50.

— di Jacomo da San Lepidio, notaro del vicario di Terni, XIII, 2.

SANT’ ERASMO : rendite camerali, V, 1, 47; usurpazione del teni-
mento, 50.

SAN FICETOLO: suoi abitanti ingiuriano il castellano di Lacuscello,
XT, d.

SAN GEMINI: torna all'obbedienza e compone pei processi e con-
danne, I, 24; vi entra il vicario delle terre Arnolfe, e poi il ret-
tore del Patrimonio, 28, 20; che vi rilascia l'interdetto, 30;

riammette gli usciti e fa le paci, 31; e ne dà la podesteria a
| Cola d’Ancarano, 32, 33, 34; custodia per sospetti degli amerini

e todini, e per le interne scissure, III, 2; vi vanno il rettore e
il tesoriere per metter pace, 12, 35; podestà Pietro da Radico-
fani, 35; richiesta d'ajuti contro Amelia, 23; vi si custodiscono per
la Chiesa le case con torre già appartenute ad un tal Egidio, V, 35;
custodia e riparazioni della rocca, VII, 1, 2, 4, 15; vi sta il ca-
pitano del Patrimonio in esercito contro Terni, 48, 60, 67; ten-
tativo di sottomissione a Narni, IX, 1; composizione generale
del comune, esclusene alcune persone, 40; altra composizione
per aver dato la signoria a Perugia, 47; offesa dai narnesi, X, 4;
è in sovversione, 14; trattati di tradimenti, 20, 22; avvisata di
guardarsi da Pietro di Vico, 27; richiesta di ricettare gli offen-
sori di Narni, 39; di genti per l'offesa di Canale, XII, 13; e per
la difesa di Terni, XIII, 3; e contro Amelia, 23.

S. MARIA di Valverde, presso Orvieto, XI, 11.

S. POLO in Sabina: rumore, mentre vi si tratta di dare la podesteria

alla Chiesa, IX,.5; non manda al parlamento del vicario Andrea
di Bettona, 48.

wo-— INDICE ONOMASTICO

SAN SEPOLCRO : espugnato da’ perugini, IJI, 51.

SAN SEVERO, terziere di: occupato dagli spoletini, 36.

SAN VENANZO: occupato dagli usciti orvietani, poi dai soldati del
Patrimonio, VII, 3, 14; prigionieri di, in Orvieto, 8.

SANTOLINO di maestro Angelo da Montefiascone, XI, 17.

SBATO di Minello di Ciolo, da San Gemini, IX, 1.

SCANO, castaldo, III, 22, 39.

SERMOGNANO: occupato dagli usciti orvietani, poi da’ soldati del Pa-
trimonio, VII, 3, 14.

SIENA: sue genti contro Perugia, X, 51; predano bestiame agli or-
vietani, 56; suo vescovo, richiesto d’idonei maestri per dise-
gnare la rocca d’Orvieto, XI, 22.

SILVESTRO da Bologna, X, 6.

SIMEONE di Jacobello da Cerro, IX, 11.

SIMONE da Siena, XI, 17.

SIZZITER, bandiera di, XI, 11.

SORIANO, IX, 40.

SPOLETINO (ser), notaro della curia del Patrimonio, III, 9, 11.

SPOLETO, I, 19; richiesta di aiuti a difesa di Messennano e Florentia,
V, 27; e di restituire alla Chiesa le terre di S. Severo, 34, 36;
sottomissione di Castiglione a, 49; suoi usciti, IX, 29; suo ec-
cesso contro Fogliano, 37.

STEFANO Lascoutz, tesoriere del Patrimonio, del comitato di Sabina
e delle terre Arnolfe, II, 1; III, 1, 5; va a San Gemini per le
discordie, 12; a Lacuscello per prenderne possesso, 13; ad Or-
vieto, 5, 16, 28, 33, 34, 44, 47, 58, 59; di nuovo a San Gemini
per le discordie, 35; a Foce, 47.

STIMIGLIANO, IX, 6; tentativo di tradimento, 15; non manda al par-
lamento del vicario di Sabina, 48; condannato per aver eletto ad
officiale uno sbandito della curia, 51; distruzione delle mura e
'ase dei ribelli, X, 4T.

STOPPIO: non manda al parlamento delle terre Arnolfe, V, 21; né il
fodro richiesto a Messennano, 13.

STRONCONE: informazioni sul suo stato e sui diritti che vi ha la
Chiesa, III, 7; discordie, VII, 13; partecipa alla guerra contro
Terni, VII, 67; frutti del suo vicariato, IX, 34; gente d' arme ivi
contro i narnesi, X, 31; buona custodia contro gli stipendiari di

Pietro di Vico, 42; esercito contro, X, 49; tentativo di sovver-

sione del suo stato, XII, 1; sua condanna dalla curia del Patri-

monio, 2; richiesto di genti in difesa di Terni, XIII, 3.

— mái nd gu

rg

"5

UE

z^

D —X

aab rura Mam et Soit nda au ig y
29 M. ANTONELLI

TAGLIAVENTO, castaldo, I, 4.

TANUCCIO di Ugolino di Tano de Carda, assume il dominio di Or-
vieto per l'arcivescovo di Milano, X, 6, 15.

TARANO: novità ivi, IV, 2; pretende alcuni castelli dalla Chiesa, 6;
minacciato di oeccupazione, VII, 46, 59; non manda al parla-
mento del vicario di Sabina, IX, 48; persone di, che rompono i

confini, 49; vi sta il conte di Sabina, 50; ribelle, poi ricuperato
alla Chiesa, X, 9, 12; sulle trattative di concordia col rettore del
Patrimonio, 19, 21.

TERNI: vi sta il capitano del Patrimonio in euerra contro Narni, I
- 3 1
3; non manda genti contro Amelia, III, 25: risse di ternani a
? e b è) 3
Cesi, V, 18; genti d'arme ivi, VII, 15; X, 44; guerra contro,
VII, 36-76; rinnova l'atto di fedeltà alla Chiesa, 54, 75; si prepara

È
=—r—e=——errr—_n fi M

—À—
I

a resistere alla grande compagnia, VIII, 2; pace fra interni ed
usciti, 6; ribelle, IX, 16; novità, processi e guerra contro, X,
48; custodia delle strade per prendere gli ambasciatori di Ber-
nabò Visconti, XIII, 2; e della città contro le genti del mede-
simo, XIII, 3.
"TERRETTO di Jacobone, IX, 2.
TEBALDO di S. Eustachio, occupatore della Sabina colle genti del
. Bavaro, I, 13; richiesta di aiuti a Narni contro di lui, 21, 22;
sua composizione, 25.

TODI: processi dell' inquisitore contro, I, 16 ; cerca togliere alla Chiesa
San Gemini e Lacuscello, IIT, 2, 3, 4; richiesta dal rettore del
Patrimonio di non ajutare gli amerini ribelli, 11, 23; e di costrin-
gere i nobili di Baschi a desistere dai gravami contro Lugnano, A
15; fa esercito contro .Messennano, che sottomette, 16, 17; V, 8, |
27, 29, 30; proibisce la pubblicazione delle lettere della viceret- |
toria di Filippo di Cambarlhac, III, 36; istrumento della sua |
soggezione al tempo di Clemente IV, spedito al papa, 37, 38; Wi
occupa molti castelli nelle terre Arnolfe, 40; trattati per la sua |
riduzione all’obbedienza; 62; imprigiona ser Galasso da Ferrara,

notaro della curia, 63; rinvenimento di atti comprovanti la giu- ,
risdizione della Chiesa ivi, 64; riceve il pallio da Florentia, V,
19, 29; novità, 45; si teme che ajuti Terni ribelle, VII, 49; ve- |
scovo chiesto d'ajuti per Miranda, X, 25; processi contro, 43; 1
minacciata di occupazione dagli usciti Chiaravallesi e da altri,
46, 63; XII, 8, 14.
TOMMASO di Guiduecio da Fabriano, giudice, X, 64. 3
— da Bevagna, vicario delle terre Arnolfe, V, 40.
— di Monaldo, uscito orvietano, XI, 5.
INDICE ONOMASTICO

TORRE: vi stanno i figli di Pepo d’Orvieto, X, 18.

‘TORRI in Sabina, IX, 33; persone che vi posero rumore, 39; non

manda al P anto: del vicario di Sabina, 48; sua condanna,
50; provvedimenti di difesa contro le milizie romane, X, 60.
TOSCANELLA, X, 58. a
TRICCIANTE di Guiduccio da Cesi, preso e legato dal rettore di Cesi,
V, 4.
TROVATICIO da Montefiascone, X, 4.
TUCCIARELLO di maestro Cepto da Montefiascone, XI, 17.
TUCULO da Selci, IV, 1.
TUSCINO, castaldo, III, 32.
TUZIO Boccafuori, castaldo, I, 22.

‘ UGO d’Augerio, rettore del Patrimonio, III, 59; VII, 16.

— Cornuti, tesoriere del Patrimonio, del contado di Sabina e delle
terre Arnolfe, VI, 1; sua morte, VII, 1.

— de Manso, maresciallo della curia, VII, 5; ferito presso Terni, 38.

— da Foligno, notaro della curia, VII, 1T.

UGOLINO da Foligno, III, 54.

— di Bonconte, orvietano, VII, 9, 79, 80.

— di Pietruccio, uscito DESDE Adi

VALDILAGO : terre della, X, 53.
VANNE d’Ursuccio di Montefiascone, podestà di Narni, 1, 27.
— da Bettona, notaro della curia, VII, 5.
— di Gilio da Fiorenzuola, XII, 4.
VANNICELLO di Noccio da Bomarzo, occupatore di Amelia, II, 6.
VANNILLO, mandato da Terni al rettore ad annunziargli la pace,
VIII, 6.
VANNUCCIO delle Grotte, X, 31.
VENTURA da Torri, vicetesoriere del contado di Sabina, IX, 37.
VICO Giovanni di, prefetto di Roma, entrato in Orvieto, X, 17; tratta
coi Chiaravallesi per l'occupazione di Todi, 13.
— Francesco del Prefetto di; IX,-2f.
— Pietro di, va con milizie di Viterbo a Narni, X, 27; espulso da
Narni, 41; suoi stipendiari in Sabina, 42.
. VISCONTI Berisboi XIII. 2s c
| VITELLESCHI Manfredo, da Corio VII, 10.
VITERBO, I, 4, 12; X, 29.
VITORCHIANO, XI, 15.

,

^
4. SITO dn SOSIO

Tr
T PES Nur SR io udite

——À id TM a 2 -
bir ae ise dtm TE, — ND i

"d

ici ii scie — 5757 —
4 E SU IM
EA P dT. "um
^

EET MEE SEES I ^ cercle T s aT asus
pL du^ E à VN D m em
LE (uu É da lati he