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ANNO XVI. FascicoLo I-II.

BOLLETTINO

DELLA REGIA DEPUTAZIONE

STORIA PATRIA

PER L'UMBRIA

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VoLUME XVI.

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DION. D' ALICARN. Ant. Rom. I,

PERUGIA
UNIONE TIPOGRAFICA COOPERATIVA
(PALAZZO PROVINCIALE)

1910
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ATTI DELLA R. DEPUTAZIONE

———— ——.0

ADUNANZA DI CONSIGLIO
tenuta in Gubbio il dì 19 settembre 1909

in una sala del Palazzo Comunale gentilmente concessa

Ore 18,30.

Presenti i soci ordinari:

Comm. MAGHERINI-GRAZIANI, Presidente — LANZI cav. prof. LUIGI
— Tommasini-MarTIUCCI prof. cav. Pietro — SORDINI cav. GIUSEPPE —
DeeLI Azzi cav. dott. GirustINIANo — TIBERI prof. LEOPOLDO — SCAL-
VANTI prof. cav. OscAR, Segretario.

Il Segretario avverte che alcuni dei soci ordinari a
causa delle mancate coincidenze di treni non sono potuti
intervenire all’ odierna seduta.

La R. Deputazione delibera quindi di riunirsi in seconda
convocazione la mattina del 20 corr. a ore 7,30 ant.

IL PRESIDENTE
G. MAGHERINI- GRAZIANI.

Il Segretario
O. SCALVANTI,
VI

ADUNANZA DI CONSIGLIO
del dì 20 settembre 1909

Ore 7,30 ant.

Presenti i soci ordinari:

MAGHERINI-GRAZIANI, Presidente — Tommasini-MaTTIUCCI — Son-
DINI — TIBERì — DEGLI Azzi — LANZI — BELLUOOI GiUsEPPE — SCAL-
VANTI, Segretario.

Il Segretario dà lettura del verbale della precedente
seduta tenuta in Foligno nel settembre 1908, e resülta ap-
provato.

È scusata l'assenza dei soci ordinari Ansidei Vincenzo,
Vice-Presidente — Fumi Luigi — Tenneroni Annibale — Leto
Alessandri — Guardabassi Francesco — Sensi Filippo —
Faloci-Pulignani Michele — Bellucci Alessandro — Campello
Paolo — Cuturi Torquato — Filippini Enrico.

Prende la parola il Segretario Scalvanti per esporre che
i soci ordinari Tenneroni e Bellucci G. hanno chiesto che il
num. 3 dell’ordine del giorno, ossia la proposta di riforma
dell’art. 2 lett. A dello Statuto circa il numero dei soci
ordinari, venga rinviata ad altra adunanza, giacchè sembra
opportuno che un tale argomento venga esaminato con
molta ponderazione e discusso in una. seduta, in cui sia
maggiore il numero degl'intervenuti. Il Segretario dà lettura
delle lettere inviate dai soci Fumi e Tenneroni e della pro-
posta di rinvio fatta per iscritto dal socio G. Bellucci nel
senso suddetto.

La R. Deputazione approva che il num. 3 dell'ordine
del giorno sia rinviato alla ventura adunanza di Consiglio,
che sarà tenuta in Perugia prima dell'Assemblea Generale
del 1910, che sarà convocata, secondo le proposte già fatte
nel decorso anno, nella Città di Spoleto. cri a

VII

l. — Il Presidente comunica che in seguito alle pre-
mure del Consiglio di Presidenza e per il vivo interessa-
mento delle LL. EE. il Ministro Rava e il Sotto-Segretario
di Stato on. Ciuffelli, il Ministero della P. I. ha concesso per
il corrente anno 1909 un sussidio straordinario di L. 500.
Quindi dà la parola al Segretario affinché informi la R. D.
delle pratiche corse col Ministero a questo proposito. Ed il
Segretario espone che la R. D. nel corrente anno, come negli
anni precedenti, aveva insistito col Governo per l aumento
.dell'assegno ordinario di L. 900. E ciò per la considerazione
dei crescenti bisogni della R. D., della necessità in cui si
trova di intraprendere al più presto la stampa dei Fonti
Storici, e anche per il fatto che queste ragioni legittime
della R. D. trovano in massima consenziente il Ministero
della P. L,il quale da più anni le concede un aumento sotto
forma di sussidio straordinario. Dà lettura quindi di una
comunicazione di S. E. il Ministro Rava, nella quale mentre
si annunzia la concessione del sussidio straordinario in
L. 500, si lascia sperare che nel venturo anno 1910 il Mini-
stero del Tesoro possa aderire alla richiesta già fattagli dal
Ministro della P. I. per un conveniente aumento del sussidio
ordinario. Il Segretario promette che da parte dell’ Ufficio
di Presidenza saranno in tempo debito rivolte le più vive
premure al Governo per ottenere quanto si è più volte do-
mandato.

Il Presidente propone intanto che si mandino all’onore-
vole Ministro Rava e all’ on. Augusto Ciuffelli i più sentiti
ringraziamenti perla concessione del sussidio straordinario
in L. 500.

La R. D. unanime approva. |

Il Segretario comunica quindi agli adunati, che le pra-
tiche col prof. Pietro Sella per la stampa degli Statuti pe-
rugini del 1279 sono rimaste interrotte. Egli partecipò allo
Stesso. prof. Sella le condizioni che la R. D. poneva alla
stampa di quel Codice prezioso, e sembra che tali condizioni
VIII

non sieno state accettate. La R. D. delibera che, dopo la
pubblicazione dei documenti perugini anteriori alla codifica-
zione statutaria, si ponga mano a cure e spese della Depu-
tazione alla stampa del predetto Codice.

_2. — Sui compensi da darsi ai collaboratori del Bollet-
tino. — Il Segretario dopo aver ricordato che la R. D. da
tempo si era trovata unanime nel deliberare che un qualche
tenue compenso fosse dato ai soci, che colla loro collabora-
zione nel Bollettino accrescono lustro e decoro all'Istituto,
prega gli adunati a considerare che trattandosi soltanto di
una deliberazione di massima, l'Ufficio di Presidenza non ha
creduto di porla immediatamente ad effetto, perchè ciò di-
pende dalle condizioni del bilancio, che, per quanto non
disastrose, a suo giudizio non permettono ancora che si
prendano impegni coi soci rispetto al compenso per la loro
collaborazione.

Tuttavia l'Ufficio stesso, secondo le deliberazioni già
adottate dal Consiglio, ha consentito spesso agli autori un
numero maggiore di estratti e ha consentito del pari che in
gran parte a spese della R. D. si facessero le necessarie
illustrazioni in fototipia, e si compensassero i soci per le tra-
scrizioni dei documenti e per il loro riscontro sugli originali.

Quando il bilancio, in seguito agli aumenti dei sussidi
di cui ora la R. D. può disporre, si sia meglio consolidato,
sarà il caso di tradurre in atto la deliberazione di massima
già adottata dal Consiglio.

* La R. D. conviene nelle osservazioni del Segretario, ma
nel tempo stesso si augura che presto si abbia modo di
accordare anche un tenuissimo compenso ai collaboratori del
Bollettino.

3. — Norme per la stampa del Bollettino. — Il Segre-

tario espone che sarebbe opportuno si fissassero queste
norme dirette a non turbare l’ uniformità tipografica, sempre

En. CMM P - IX

osservata nelle pubblicazioni periodiche di carattere scien-
tifico.

Il socio Degli Azzi fa osservare che tali norme vennero
già stabilite in una Circolare inviata, agl'inizi della stampa
del Dollettino, dal Presidente comm. Luigi.Fumi a tutti i
soci. Il Segretario dichiara di avere ignorato una tale cir-
costanza, in quanto non facesse parte a quel tempo del
Consiglio della R. D. e propone quindi, che nel venturo
anno 1910 si comunichino nuovamente ai soci le istruzioni
dettate dal comm. Fumi, e delle quali farà ricerca, in Ar-
chivio.

4. — Provvedimenti intorno alla pubblicazione del Bol-
lettino. — Il Presidente invita il Segretario a riferire intorno

a questo argomento, che riguarda in special modo la dire-
zione del Bollettino. Il Segretario comunica agli adunati le
pratiche fatte dall’ Ufficio di Presidenza al comm. L. Fumi,
affinché non persistesse nelle dimissioni dalla carica di di-
rettore della nostra pubblicazione periodica, impostegli da
motivi di lontananza e dalle gravi cure nell'attuale suo
uffieio. E la R. D. confermando al comm. Fumi la sua pro-
fonda stima, e dichiarando che la direzione del Bollettino
ha bisogno dell'opera sapiente di lui, che fino dagl inizi
della Società di Storia Patria seppe dare alle nostre pubbli-
cazioni un impulso cosi vigoroso e cosi provvido per la
cultura storica dell' Umbria, a voti unanimi delibera di insi-
Stere presso l'illustre uomo affinché non voglia privare la
R. D. del suo efficace contributo come Direttore del Bollet-
tino.

D. — Sul sistema di pubblicazione degli atti sociali. —
Prendono la parola Degli Azzi e Sordini per esporre che,
dovendosi pubblicare gli Atti della R. D.in quella parte che
si riferisce alle Comunicazioni fatte in assemblea generale,
essi sono di avviso, che se tali Comunicazioni rappresentano

D
X

un lavoro degno di stampa, esse vedano la luce nelle varie
Sezioni, in cui è distinta la pubblicazione del Bollettino, e
altrimenti ne sia semplicemente annunziato il titolo negli
Atti.

Il Segretario Scalvanti è lieto che la proposta dell'Ufficio
di Presidenza sia stata benevolmente accolta dai colleghi.
Lo scopo a cui si mirava era quello di dare agli Ati una
forma piü semplice, e ció si ottiene senza dubbio colla pro-
posta concreta, che venne ora avanzata dai soci Degli Azzi
e Sordini. Fa notare peró che egli da qualche anno ha cer-
cato appunto di inserire le Comunicazioni, che più gli sem-
bravano meritevoli di una pubblicazione integrale, nelle varie
Sezioni del Bollettino, ponendo negli Atti un cenno di questa
inserzione.

Si delibera conforme alla proposta Degli Azzi - Sordini,
che delle Comunicazioni si dia negli atti soltanto il titolo,
salvo a pubblicare nel Bollettino quelle che la Direzione del
periodico crederà opportuno fare integralmente di pubblica
ragione.

Il socio Sordini osservando che per rendere più. utile e
feconda di resultati pratici la discussione sui temi svolti dai
soci in Assemblea, è necessario che essi sieno conosciuti per
tempo, propone, che l' Ufficio di Presidenza procuri di rac-
cogliere almeno un mese prima del giorno, in cui l’ Assemblea
avrà luogo, il testo delle Comunicazioni, quando esse rappre-
sentino veri e propri femi di studio.

sul medesimo argomento delle annuali Assemblee parlano
alcuni soci nel senso che si procuri affinchè tali riunioni
non abbiano luogo possibilmente in occasioni di feste citta-
dine; e che, ad ogni modo, si cerchi che le adunanze di
Consiglio si convochino in altre epoche dell'anno in Perugia,
sede della R. Deputazione. Il Segretario Scalvanti è lieto di
queste proposte, che trova giustissime, e il Presidente di-
chiara che dal canto suo farà di tutto perchè le adunanze XI

di Consiglio non cadano negli stessi giorni in cui si tengono
gli annuali Congressi.
La Deputazione approva.

6. — Sulla pubblicazione dell’ Appendice al Bollettino. —
Il Segretario riferisce intorno alla proposta del socio Ten-
neroni circa la stampa in Appendice dei Laudari umbri che
si trovano nel Cod. della Vittorio Emanuele di Roma, e la
R. D. approva in massima di por mano a tale pubblicazione,
- riservandosi di prendere in esame il progetto concreto quando
venga dal socio Tenneroni presentato.

( e 8. — Resoconto finanziario e normale della gestione
1908. — Il Segretario dà lettura della Relazione sul Con-

suntivo 1908, e di quella dei Revisori Tiberi e Degli Azzi.
La R. D. approva i resultati del conto stesso.

Ma poiché da parte dei Revisori del Consuntivo veriva
sollecitata una riforma nel metodo di esazione delle tasse
sociali, per evitare la formazione degli arretrati, il Segretario
Economo espone che l'Ufficio di Presidenza aveva già prov-
veduto allo studio di un metodo di riscossione, che recherà
certo ottimi risultati. Esso consiste nell’ affidare l'incarico
di esigere la tassa a persone di pubblica fiducia e dimoranti
nelle varie città dell’ Umbria. Col sistema attuale il socio
deve sottostare non solo al pagamento della tassa, ma anche
al fastidio di fare per mezzo di posta la spedizione della
somma all’ Economato di Perugia. Tale inconveniente sarebbe
tolto colla riforma che si propone e che la R. D. approva.

Prende la parola il socio Degli Azzi per svolgere a
nome anche dell'altro Revisore prof. Leopoldo Tiberi la
proposta fatta nella loro Relazione circa il compenso da as-
segnarsi al Segretario-Economo per l’opera che egli dedica
a vantaggio della R. D. Ricorda come da qualche anno il
Consiglio abbia stanziato tali compensi, ed è lieto che le
condizioni del bilancio permettano anche in questo esercizio
XII

di fare una consimile proposta. Si dovrebbe assegnare quindi
al Segretario-Economo il tenue avanzo della gestione, atte-
standogli in pari tempo che la R. D. é dolente di non potere
assegnargli una somma maggiore.

Il Segretario prof. Scalvanti ringrazia, ma insieme di-
chiara, che come non ha voluto percepire fino ad ora la
somma stanziata a suo vantaggio dalla R. D. cosi praticherà
anche per quella oggi destinatagli. Riconosce che l’ ufficio di
Segreteria è assai gravoso, e quindi non si oppone alla pro-
posta deliberazione, sebbene egli non intenda di usufruirne.
Essa introduce una lodevole consuetudine, che potrà assicu-
rare alla R. D. l’opera di zelanti segretari anche quando il
lavoro di ufficio sarà considerevolmente aumentato. Il pro-
fessore Leopoldo Tiberi è d’avviso che la R. D. debba prov-
vedere allo stanziamento della somma proposta allogandola
nelle spese straordinarie. Ove poi il Segretario non creda
opportuno di dar corso alla deliberazione in parola, ciò si
risolverà a profitto dell'Istituto e l'atto cortese e disinteres-
sato del prof. Scalvanti costituirà un nuovo titolo di bene-
merenza verso la Regia Deputazione.

Il Consiglio approva lo stanziamento.

9. — Nomina di nuovi soci. — Indi la R. D. provvede
alla designazione dei nuovi soci, secondo le varie Categorie,
da portarsi all'Assemblea generale per la necessaria con-
ferma.

Soci aggregati :

BALDELLI - BoMBELLI DEMETRIO — BaLDACCINI GiULIO — BRI-
GANTI ANTONIO — DeLLA TonRE ENRICO — GiovagnoLI ENRICO — Gur-
DACCI DE PaoLis Ascanio — GnoLI UMBERTO — LEONARDI EVBLINO
— Massixr-NicoLAr Filippo — MANETTI ALFREDO — MATURO ANTONIO
OpoarDo — MontI Luiar — PagLiari VrrTORIO — PiRRI PIETRO —
PoLizzi SALVATORE — Rosst LANCIOTTO — VENANZI Gino — SALVA-

poni PaLEOTTI CARLO — VITELLESCHI GUSTAVO. XIII

Soci corrispondenti:

PERUG: GiusepPE Lopovico — MorIcI MEDARDO — ANNIBALDI
CESARE.

La R. D. delibera poi di proporre all'Assemblea gene-
rale la promozione da Soci aggregati a Soci collaboratori dei
signori: Nicasi dott. Giuseppe — Morini dott. Adolfo — Cenci
don Pio.

Il Segretario osserva, che tra breve sarà pronto il di-
segno del diploma di nomina a socio della R. D., opera affidata
al socio Iraci, esimio pittore, talché ritiene che col venturo
anno 1910 potrà inviarsi a tutti i soci il diploma stesso arti-
sticamente lavorato.

Il socio prof. Giuseppe Bellueci propone che il Consiglio
prima di dar termine alla sua seduta odierna esprima al
benemerito suo antico Presidente conte Campello Della Spina
il più vivo rammarico per la sua assenza dovuta a ragioni
di malattia, e gli invii i più sentiti auguri per un pronto
ristabilimento in salute.

Tutti i soci presenti si uniscono al comm. Bellucci in
questa sua proposta, che è approvata.

Infine il socio Lanzi propone agli adunati di inviare a
nome della R. D. sensi di vivo ringraziamento a S. E. Ciuf-
felli, nostro socio benemerito, per il vivo interessamento di-
mostrato nel proteggere quella incomparabile bellezza della
nostra Umbria, che è la Cascata delle Marmore.

Il Consiglio approva.

Non essendovi altri affari da trattare, l'adunanza è
sciolta.

n

IL PnESIDENTE
G. MAGHERINI- GRAZIANI.
Il Segretario
O. SCALVANTI.
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XIV

ASSEMBLEA GENERALE
tenuta in Gubbio il dà 20 settembre 1909

nella sala del Consiglio Municipale gentilmente concessa

Presiede il comm. Magherini-Graziani. Assiste il Segre-
tario prof. cav. Oscar Scalvanti.

Sono presenti i soci:

Prof. cav. Tommasini-MATTIUCCI — LANZI cav. prof. Luigi —
SORDINI cav. GiUsEPPE — DeGLI Azzi cav. dott. GrUSTINIANO — Tir-
BERI prof. LEoPorLpo — BELLUCCI comm. prof. GrUsEPPE — COLASANTI
prof. Giovanni — SACCHETTI- SASsETTI prof. ANGELO — PERALI dot-
tor PERICLE — ANTONELLI avv. MERCURIO — VIVIANI cav. arch. DANTE
— CeNcI don Pio — PIRRI don Pietro — MORINI avv. ADOLFO —
BRIGANTI dott. FRANCESCO — MorICcI prof. MepARDO — NovELLI SEBA-
STIANO — Nicasi dott. GrusEPPE — PAGLIARI VITTORIO — BRIGANTI
ANTONIO.

Il Sindaco cav. avv. Giuseppe Gatti porta ai congressisti

il saluto di Gubbio gentile, che è onoratissima di ospitarli

per l'opera efficace che la Regia Deputazione di Storia Patria

dedica all'ineremento delle ricerche storiche nella regione
Umbra. Egli desidera che il fiorente istituto, il quale tiene
in quest'anno la sua assemblea in' Gubbio, spenda la sua
autorevole parola affinchè tanti tesori d’arte e di storia che
formano l’orgoglio della città, vengano presi in maggiore
e più sollecita considerazione da parte del Governo. L’ ora-
tore dimostra come i monumenti eugubini, di cui si domanda

‘ la migliore conservazione, si intreccino alla storia di Gubbio,

di cui accenna le principali e gloriose vicende. Si indugia
a rilevare le benemerenze delle antiche Corporazioni, alcune
delle quali esistono anche al presente. La fiducia che gli
eugubini ispirarono nell’età più fulgida dei liberi comuni è
dimostrata dalla partecipazione che essi ebbero al governo
di repubbliche potentissime, come Firenze, Bologna, Genova

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e Siena, dove i principali personaggi di Gubbio ebbero le
alte funzioni di Podestà o di Capitani del Popolo. Parla degli
uomini più illustri che acquistarono gloria e rinomanza alla
vetusta città nelle arti, nelle scienze, nella politica, nella
guerra, e chiude col ricordo della visita di S. M. la Regina
Margherita di Savoja ai monumenti di Gubbio, che ebbero
non solo ammiratori ma anche cooperatori per la loro
conservazione uomini di fama indiscussa nelle lettere e nelle
arti, come il Sacconi, il Panzacchi, il Monteverde e Sua Ec-
cellenza Ciuffelli.

Prende quindi la parola il Presidente della R. Deputa-
zione, ringraziando gl'intervenuti ed il Sindaco in special
modo per le benevole espressioni rivolte all'istituto che egli
è orgoglioso di rappresentare. Ricorda che tra i più bene-
meriti della R. Deputazione Umbra di Storia Patria, fu il
compianto Giuseppe Mazzatinti, al quale Gubbio riconoscente
inaugura oggi un ricordo marmoreo. I meriti dell'amico e
del compagno di lavoro son noti, né importa ricordarli qui.

« Col monumento a Mazzatinti — egli dice — Gubbio
aggiunge una nuova e bella pagina, a quelle che narrano la
sua antichità, le sue glorie, la sua civiltà; pagina che né
tempi, né eventi varranno a cancellare.

E documento di gratitudine, di alto sentire, è constata-
zione dei meriti di un uomo, dell’ affetto e della riconoscenza
di un popolo, è prova indubitata che non morirà giammai chi
della patria seppe, come Giuseppe Mazzatinti, ben meritare.

Consuetudine e dovere d'ufficio, vorrebbe che io pro-
nunciassi un discorso.

E dovere di gratitudine verso il Magistrato Municipale
e verso tutti i cittadini che così benevolmente ci onorarono
con l'invito loro, e cosi benevolmente ci hanno accolto, vor-
rebbe che io esprimessi con degne parole i sensi della rico-
noscenza mia e di tutti gli amati e valorosi. miei colleghi
della Deputazione.

Ma giova meglio tacere, ed uniti in un solo sentimento
XVI

di affetto fraterno muovere di qui riverenti (quasi a mesto
ed amoroso pellegrinaggio) là dove il popolo di Gubbio si
appresta ad inaugurare il monumento destinato ad eternare
le nobili sembianze di G. Mazzatinti, nel nome del quale si
concentrano tante dolei memorie e tanto vivi affetti.

Cosi sodisfacendo ad un piü stretto dovere, piü degna-
mente saranno inaugurati nel nome di Giuseppe Mazzatinti,
quì nella sua patria, i nostri lavori ».

I ‘congressisti, unendosi alle autorità ed alle associazioni
cittadine, si recano quindi ad inaugurare il monumento a
Giuseppe Mazzatinti, e tornati alla sede del Congresso, il
Presidente invita il Segretario a dare comunicazione delle
autorità e dei soci che hanno scusato la loro assenza.

Il Segretario legge le adesioni e i saluti al Congresso
di S. E. Rava, ministro della P. I., di S. E. Ciuffelli e di
S. E. Pompilj, dell' on. Cesare Fani, del Prefetto dell’ Umbria,
del Presidente della Deputazione Provinciale conte commen-
datore Giuseppe Conestabile Della Staffa rappresentato al
Consiglio dal Deputato Provinciale comm. Ferdinando Nanni-
Seta; del comm. Carlo Calisse presidente della Società Ro-
mana di Storia Patria, del Sindaco di Città di Castello rap-
presentato dal prof. cav. Pietro Tommasini-Mattiucci socio
ordinario, del Comune di Terni rappresentato dal socio ordi-
nario cav. prof. Luigi Lanzi, del R. Provveditore agli Studi,
della Direzione dell'Archivio Storico Italiano e dell'Archivio
di Stato a Firenze, rappresentati dal socio ordinario dot-
tore cav. Giustiniano Degli Azzi-Vitelleschi, del Comune di
Foligno, il cui Sindaco conte Frenfanelli-Cibo è rappresentato
dall’on. Fazi e dal dott. Filippo Accorimboni.

È poi scusata l' assenza dei soci conte dott. cav. Vincenzo
Ansidei, Fumi comm. Luigi, Tenneroni cav. prof. Annibale,
Guardabassi prof. cav. Francesco, Cuturi prof. cav. Torquato,
Filippini prof. Enrico, Fani prof. dott. Angelo, Bellucci pro-
fessore Alessandro, Pontani prof. Costantino, Verga dottore
cav. Ettore ecc. i XVII

Indi il Segretario legge la sua Relazione sull'opera della
R. Deputazione durante l’anno 1908.

Sull'opera della R. D. nel 1908.

« Nel rendervi conto dell'opera della R. D. durante il 1908
mi studieró di esser breve, giacché a voi preme sopratutto
di udire dai miei egregi colleghi quelle Comunicazioni di
carattere storico, alle quali si dedicano con cure sapienti
e con incomparabile zelo.

Per ció che si riferisce all'ufficio di Presidenza e a tutto
il Consiglio debbo ricordare prima di ogni altra cosa, la
partecipazione del nostro Istituto al Congresso storico inter-
nazionale di Berlino, nel quale la R. Deputazione Umbra fi-
gurò tra le prime. per copia di saggi inviati all'importante
riunione. Già i nostri soci Dott. Giustiniano Degli Azzi e
Dott. Walter Bombe informarono i soci della R. Deputazione
adunati in Foligno nel decorso anno dell'esito oltremodo lu-
. singhiero della loro missione, ed io, a nome del Consiglio
torno ad esprimere a questi nostri valorosi colleghi i sensi
della più viva gratitudine per aver saputo rappresentare
cosi degnamente l'Umbria e il nostro Istituto storico a quella
solenne assemblea di dotti.

Sempre nell ordine degli studi la R. D. che con ogni
cura ha cercato di comporre un'assai ricca biblioteca parti-
colare di opere storiche e di miscellanee preziose, volle nel
decorso anno acquistare la magnifica ristampa dei Zerwum
italicarum scriptores del Muratori, ai quali aggiungono merito
e valore documenti nuovi dovuti anche alle erudite ricerche
di scrittori umbri.

E poiché nostro principale scopo è quello di concorrere
efficacemente alla cultura storica italiana dando in luce al-
cuni volumi di Fonti, la R. Deputazione avvisò al modo di
concretare, al più presto possibile, l'inizio di quelle pubbli-
«cazioni. Uno dei documenti più importanti e che giace an
XVIII

cora inedito nel ricco Archivio di Perugia, è certo lo Statuto
di quel Comune approvato nel 1276, e non meno pregievoli
sono quelli anteriori a cotesta epoca, e dei quali per opera
del Conte Vincenzo Ansidei e di alcuni valenti suoi colla-
boratori è ormai apparecchiato il Regesto. Se non che, ri-
spetto allo statuto perugino del secolo XIII, fu proposto dal
raccoglitore di tutti gli statuti italiani, di inserire anche il

nostro nella sua ricca collezione. Il Consiglio della R. D.

però: non volle che ciò si verificasse senza le necessarie
guarentigie, atte a tutelare la intrinseca bontà della compi-
lazione e il nome dell'Istituto, che già aveva divisato di
pubblicare l'importante documento.

Quando se ne presentó l'occasione, cercammo di venire
in aiuto di quelle grandiose opere d'arte e di storia, che
debbono essere oggetto di cure assidue e sapienti da parte
dei Comuni, di altri Enti e dello Stato. E perciò solleci-
tammo dal Governo le provvidenze opportune per salvare
dall’ultima rovina il magnifico Palazzo de’ Trinci a Foligno,
e, mercé l'iniziativa, l'ardore e l’infaticabile zelo del socio
Luigi Lanzi, curammo affinchè anche da parte nostra venisse
assicurata all’Umbria la conservazione di quel miracolo di
bellezza che è la Cascata delle Marmore. Le premure della
Deputazione non furono senza frutto, ed io credo che tutti i
miei colleghi ed in specie l'esimio Cav. Lanzi debbano esser
lieti di avere appreso in questi giorni dalla bocca di S. E.
il Sotto-Segretario di Stato alla Pubblica Istruzione, on. Ciuf-
felli, le più esplicite assicurazioni intorno a questo argomento.
Le parole pronunziate dall’ illustre uomo nel Consiglio pro-
vinciale dell'Umbria sono affidamento certo, che le ragioni
dell'industria dovranno conciliarsi con quelle delle naturali
bellezze e del grandioso spettacolo di quella Cascata, cosi
storicamente celebre e superba di bellezza divina.

Nel 1908 la R. D. si occupò di concorrere insieme alla
Società romana di Storia Patria all’opera, da ogni parte in- XIX

vocata, circa il deplorevole e capriccioso mutamento nel
nome delle vie e piazze delle città. i

L'uffieio poi cercó, per quanto gli era possibile, di ri-
cercare documenti, che fossero degni d'illustrazione .o di fa-
cilitarne le indagini, mantenendosi in corrispondenza con
soci o con studiosi estranei al sodalizio, ogni volta che ad
essi piacque di interpellarlo sulle questioni di cui si anda-
vano occupando. E frattanto, insieme al Bollettino, la R. D.
mandava innanzi il 2° Volume dell’ opera sui — Rapporti
fra la Repubblica di Firenze e Perugia — dovuta alle instan-
.eabili ricerche del socio Giustiniano Degli Azzi.

E per dirvi qualche cosa di particolare intorno alla pro-
duzione scientifica dei nostri soci nel 1908, io noteró anzi
tutto, che in questo breve cenno non mi é possibile far men-
Zione di quei libri o di quegli articoli che egregi colleghi
pubblicarono in altre Riviste o in volumi separati. ‘Vi basti
sapere, che sono molti i colleghi egregi, che, oltre a dar
l'opera loro al nostro Bollettino, fregiarono di interessanti
monografie o di pregievoli comunicazioni altre raecolte scien-
tifiche. i

Rispetto all’attività del nostro sodalizio in materia di
studi, parmi sia da rilevare la copia e diligenza delle ri-
cerche riguardanti i codici di leggi o statuti. Alcuni ne fu-
rono già pubblicati, come quello di Gaiche rintracciato dal
D.r Francesco Briganti, e quelli frammentari ma oltre ma-
niera preziosi di Città di Castello del secolo XIII, editi dal
nostro illustre Presidente, ed altri se ne trascrivono e se ne
studiano con animo di pubblicarli o di darne una sufficiente
notizia ai cultori della nostra storia.

Detto di questi documenti statutari, veniamo a quelli in-
teressanti la storia delle politiche vicende dell’ Umbria. In
questo tema del più grande interesse pel maggior numero
degli studiosi, scrisse l’ illustre Comm. Luigi Fumi una Nota
dall'Archivio di Stato a Milano, intitolata « Ragguaglio della
ribellione di Perugia contro Paolo III ». È un documento,

—————— ee nc a
XX

che ci narra in modo, se vuolsi, un po' appassionato, ma
interessante, i tristi casi di quel conflitto tra la Curia romana
e i perugini. Essa ci descrive con ogni cura le fasi della
vertenza, intorno alla quale si adoperó inutilmente il Vice-
Legato pontificio non scegliendo i mezzi migliori e più
adatti a comporla.

Lo stesso Comm. Fumi pubblicó, del pari togliendoli
dall'Archivio milanese, cui è meritamente preposto, alcuni
documenti circa il viaggio di Girolamo Riario Visconti a
Perugia nel 1481. Sulle cause di questa venuta del cognato
di Lodovico il Moro nell'Umbria poco seppero i cronisti di
Perugia, e quel che seppero o scrissero non era tutta la
verità. Orbene le lettere pubblicate dal Fumi rivelano le:
cause vere di quel viaggio, col quale Girolamo Riario, inchi-
nevole ad accostarsi ai Veneziani, voleva: col suo pellegri-
naggio nell’ Umbria stornare i sospetti del Moro, il quale
però, trapelato l'inganno, si diede alla più assidua vigilanza
sulle azioni del malfidato congiunto.

Interessanti gli Episodi della Rivoluzione francese nell’ Um-
bria dell’egregio Sanna, tratti dagli Archivi della cessata
Delegazione pontificia e del Comune di Perugia, nei quali
sì espongono le misure di precauzione, che il governo del
Papa usò tra il 1790 e il 1792 contro la diffusione delle
idee rivoluzionarie nell'Umbria, e lo stato della emigrazione
francese nel nostro suolo.

Per mezzo di inedite deliberazioni di magistrati e di un
carteggio avuto dal Comune con Francesco Sforza, mons.
Giraldini ci ha parlato della dominazione di quel prode con-
dottiero in Amelia, e il prof. Alfieri nei Frammenti Storici
ci informa di uno stemma vescovile nel Polittico dell'Alunno
in Nocera Umbra, di Varino Favorino Camerte e del pas-
saggio di truppe alemanne per lo stato pontificio nel 1707.

Ed alla storia degli istituti giuridici, economici e sociali,
che noi vedremmo volentieri coltivata anche da un maggior.
numero di studiosi, affinchè il passato potesse essere, anche
XXI

in questo ramo dell'attività cittadina, meglio conosciuto che
non sia al presente, appartengono la geniale trattazione del
Fabbri sul Monte di Pietà di Spello, e il lavoro dell' Antonelli
sopra alcune infeudazioni nell' Umbria alla seconda metà del
secolo XIV. La sobrietà dell' esposizione, il valore reale dei
documenti e l'opportunità dei temi raccomandano in modo
speciale queste due pubblicazioni ‘alla ricerca diligente degli

studiosi, che hanno desiderio di apprendere la storia di

\

quelle importanti istituzioni dell'età di mezzo.

Un notevole servigio alla storia della Università di Pe-
rugia e della città di Foligno ha reso Placido Lugano col
suo scritto Gentilis speculator da Foligno e le sue ultime volontà,
egregiamente composto con documenti inediti di pregio sin-
golare. Ed alla parte biografica va riferito del pari il lavoro -
del Filippini, in cui l'esimio nostro collega parla degli scrit-
tori, che per i primi trattarono della vita dell’ architetto
Piermarini di Foligno.

Al ramo delle ricerche genealogiche o storia delle più
illustri famiglie umbre appartiene il lavoro del nostro Vice-
Presidente conte Ansidei sui — Ricordi nuziali di casa Ba-
glioni — che muovono dal secolo XIV, e ci fanno menzione
delle : donne di insigne lignaggio che andarono spose ai
principali personaggi di Casa Baglioni. Queste notizie sono
suftragate da documenti, e hanno termine con un accuratis-
simo albero genealogico parziale della famiglia Baglioni lar-
gamente e opportunamente illustrato con documenti tratti
dai libri catastali, dagli annali decemvirali, dai contratti o
da passi di cronache.

Di storia letteraria ha continuato ad occuparsi il socio
Filippini col suo lavoro « L'Accademia dei Rinvigoriti di
Foligno e l’ VIII edizione del Quadriregio » della quale opera
ebbi occasione di parlare altre volte.

Molti furono i lavori pubblicati in storia dell’arte. Il
Fumi comunicò alcune lettere degli anni 1496, 97 e 99 tratte
dall'Archivio di Stato in Milano, su « Pietro Perugino e il
XXII

quadro della Cappella di S. Michele della Certosa di Pavia »
dalle quali notizie è facile rilevare l'altissimo grado di stima,
in cui Pietro Vannucci fu tenuto da Lodovico il Moro.

Né meno preziosi documenti intorno a Raffaello d' Ur-
bino e alle sue tavole di S. Nicoló da Tolentino e dello Spo-
salizio, ci diede il Presidente Magherini- Graziani. Da quei
documenti risulta il nome del committente di quella prima
tavola e quello di Evangelista da Pian di Mileto, collabora-:
tore del giovine Sanzio. Alcune lettere del 1571 ci informano
dei tentativi fatti da Guidobaldo duca di Urbino per avere

lo Sposalizio della Vergine dell’ Urbinate, e. ci rivelano il

nome della famiglia Albizini, che commise quel dipinto a
Raffaello per dotarne la Chiesa di S. Francesco di Città di
Castello.

Il Conte Campello della Spina, sempre colla scorta di
documenti inediti, i quali dimostrano errate le affermazioni

di alcuni critici d'arte prova che fra Filippo da Campello

fu l'architetto che portò a termine la basilica francescana di
Assisi.

La cappella magnifica dei Paradisi in S. Francesco di
Terni è stata oggetto di una diligente illustrazione dantesca
da parte del socio Luigi Lanzi, il quale con un’indagine ac-
curata ed estesa ha saputo dimostrarci come quei dipinti
siano stati ispirati dalla Divina Commedia, onde felicemente
conclude, che dalle rime del Moscoli e del Frezzi, dalle pit-
ture di Assisi, dalla edizione fulginate della Commedia, dalla
Cappella di Terni, checchè ne dicano i novissimi critici, resta
dimostrato, che, innanzi ad ogni altra terra d'Italia, l'Umbria
fu la prima a sentir l'influenza del poema immortale.

A voi è noto come il nostro Bollettino si sia più volte
occupato dell'ieonografia francescana; sul quale argomento
è tornato nel 1908 con uno squisito lavoro il Lazzareschi, il
quale dopo una minuta rassegna degli antichi dipinti, che
riprodussero le sembianze del Santo di Assisi, conviene col XXIII

nostro Lanzi, che né in Cimabue né in Giotto si puó ricer-
care l'icone di S. Francesco.

Il dott. Adolfo Morini comunicava alcuni documenti ri-
guardanti la Chiesa della Madonna della Stella in Cascia; e
ci dava ragguaglio di alcune opere d’arte che essa contiene.

E notizie preziose di archivistica, e di atti di magistrati
offrivano ai lettori del Bollettino Pio Cenci, parlandoci di
due pergamene del secolo X in Gubbio sino ad ora scono-
sciute, e che potremo vedere esposte nella raccolta dei ci-
meli eugubini e il comm. Fumi collo spoglio dell’ Iter Urbe-
vetanum et perusinum del Garampi, nel quale sono registrati
utilissimi rilievi fatti da quell’ erudito nei vari Archivi del-
l'Umbria durante il suo viaggio del 1752; e colle notizie
tratte dalle più antiche sentenze criminali del Podestà di
Orvieto.

In ultimo i soci Luigi Fumi, Tommasini-Mattiucci, Ma-
naresi, Filippini, Degli Azzi e Bombe dettarono numerose
recensioni bibliografiche e le Analecta del Bollettino.

Questa l'opera, feconda di ottimi resultati, che compi-
rono i nostri Soci nel decorso anno. E così cospicue prove
di senno, di dottrina e di attività hanno richiamato 1’ atten-
zione del Governo il quale, compiacendosi dei servigi resi
dalla R. D. Umbra alla causa dei buoni studi, si degnava
concedere ad essa un sussidio straordinario, che in quest'anno
non solo confermava ma accresceva a dimostrare sempre più
il suo vivo interessamento per la prosperità del nostro Istituto.

Il quale però, ad intraprendere la serie della pubblica-
zione dei Fonti storici, di cui vi ho già parlato, fa appello
a tutti i soci, perchè vogliano continuargli il loro valido
aiuto.

La R. D. deve adempiere a questo suo obbligo, di dare
in luce i monumenti della storia umbra in volumi separati,
e a sostenere la spesa ingente di questa pubblicazione non
ci venga meno la volonterosa cooperazione di tutti. Di che
XXIV

non è a dubitare, sapendo quanto amore voi portiate alla
vostra terra ed ai suoi gloriosi, ricordi ».

Il Segretario comunica al Congresso i resultati della ge-
stione finanziaria 1908 approvati nell'ultima adunanza di
Consiglio e comunica quindi l' elenco dei nuovi soci proposti
dal Consiglio medesimo, e che é approvato. |

Si passa quindi alle comunicazioni di indole storica:

1, — LANZI L. — Baldo di Mastro Giorgio da Gubbio
ed altri mercanti alle fiere di Terni.

2. — Id. — Un episodio della rivoluzione di Gubbio
avvenuta sotto il breve governo di Gioacchino Murat.

39. — PERALI P. — La città, la tribù e le tre razze ma-
ledette nelle Tavole Eugubine.

4.° — Id. — L'etimologia del nome di Orvieto.

5." — COLASANTI G. — La ricerca perimetrale dell’ an-

tica Reate.
6.° — CENCI P. — L'origine dello statuto di Gubbio.
1. — Id. — Una zona archeologica da riconoscere nei
pressi di Gubbio.

Il Cav. Sordini approvando quanto è stato detto dal so-
cio P. Cenci sulla convenienza di riconoscere una zona geo-
logica nei dintorni di Gubbio, rileva che oltre a stabilire
coteste zone é necessario che si proceda a diligenti studi
per mettere in luce il prezioso materiale archeologico. Ora
ciò non gli sembra possibile, se l' Umbria non riesce ad otte-
nere una Sopraintendenza autonoma per gli scavi. Finché essa
dovrà dipendere dalla Sopraintendenza di un'altra Regione,
l’opera degli scavi archeologici nell’ Umbria non potrà pro-
cedere speditamente.

Propone quindi che si facciano premure al Governo in
questo senso, e l'Assemblea approva.

SCALVANTI O. — L'apologia di Marco Antonio Bonciario
diretta al Lombardelli di Siena.

MoRINI A. — GU affreschi nel coro monastico di S. An-
tonio Abbate in Cascia. : XXV

MORINI A. — Di alcuni lavori della bottega di Antonio
Rizzo a Cascia.

Idem — La Chiesa delle Capanne a Collegiacone a Cascia.

SORDINI G. — Due statue di Andrea della Robbia sco-
perte recentemente a Norcia.

RANIERI E. — Sulla cronaca eugubina scritta nei primi
del secolo XIV da Greppolino di Valeriano.

MoRICI M. — Documenti editi ed inediti riguardanti i
Vescovi e la Cattredrale di Nocera.

PENNACCHI F. —' Alcuni documenti ed atti pubblici dei
primi anni del secolo XIII riguardanti il Comune di Assisi.

ZAMPA R. — Contributo alla illustrazione dei castelli

dell'Umbria: « Petroja nell’ Eugubino ».

Il prof. Giuseppe Bellucci comunica di aver pronti per
la stampa uno spoglio della « Cronica » eugubina di Damiano
di Domenico Tondi, la quale comprende il periodo di storia
dal 1560 al 1597, e alcune leggende trasimeniche riferibili
al tragitto sul Lago e permanenza all’ Isola Maggiore di
5. Francesco d’Assisi, alla battaglia di Annibale, alla Torre
di Vernazzano ed alla Torre Fiume.

Quindi prende la parola il prof. Oscar Scalvanti per di-
mostrare, che le pratiche iniziate da tempo tra il Comune
‘di Foligno e il Governo per la tutela e per le opere di re-
Stauro e di ripristino da farsi nello storico Palazzo Trinci di
quella città non hanno per ora sortito effetto pratico e con-
creto. Nel decorso anno la R. D. si interessò col Ministero
della P. I. per una sollecita risoluzione di questa vertenza
e da parte di quel Dicastero si ebbero le più vive assicu-
razioni. Ma sembra che siano sorte difficoltà circa alla per-,
muta proposta tra il Palazzo Trinci che verrebbe ceduto al
Comune e alcuni edifizi che il Comune cederebbe allo Stato
per collocarvi gli uffici che ora si trovano nello storico mo-
numento. Vorrebbe quindi si insistesse per la sollecita appro-
razione di questa permuta.

Il socio. arch. D. Viviani, sopraintendente dell’ Ufficio dei
XXVI

Monumenti, risponde che alcune opere urgentissime sono
state già compiute nello storico Palazzo, e che le difficoltà
sorte per la permuta non sono derivate dal Ministero della
P. I. Certo é che se il monumento non viene liberato del
tutto dagli Uffici, che ora vi si trovano, non si possono inco-
cominciare le opere che il Comune, d'accordo col Governo,
intende condurvi, non solo per impedire la rovina dell’ edi-
fizio, ma anche per restaurarlo convenientemente. Urge quindi
che la permuta sia approvata senz'altro indugio.

L'Assemblea delibera quindi di inviare ai Ministri della
P. I. e delle Finanze, a S. E. Ciuffelli e al Direttore gene-
rale delle B. A. comm. Gorrado Ricci il seguente telegramma :

« XV Congresso Deputazione Umbra di storia patria
udita la Relazione del prof. Oscar Scalvanti e le dichiara-
zioni del sovraintendente dell’ Ufficio Regionale per la con-
servazione dei monumenti sulle pratiche per la permuta dello
storico Palazzo Trinci al Comune di Foligno, mi incaricava
interessare V. E. perché la permuta stessa possa avvenire
il più sollecitamente possibile affinché il Comune sia posto
in grado di iniziare il promesso desiderato restauro impor-
tante monumento umbro.

IL PRESIDENTE DELLA Rh. D.
MAGHERINI- GRAZIANI. i PE
"HE" v
Mubie MEMORIE E DOCUMENTI
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO
E L'OTTAYA EDIZIONE DEL « QUADRIREGIO »

(Continuaz. e fine v. Vol. XV, fasc. III)

Ora bisognava far arrivare in porto anche le Dichiara-
zioni del Boccolini che eran già pronte da qualche tempo e
le Osservazioni istoriche del Pagliarini che, per quanto fos-
sero state condotte innanzi con istudiata lentezza, dovevano
essere pressoché finite di ricopiare. Noi non sappiamo quando
alle note pagliariniane fosse data l'ultima mano, poichè ci
manca la corrispondenza epistolare del Pagliarini e del Boc-
colini col Canneti dal febbraio al maggio 1724 (1). Ma ab-
biamo ragione di credere che per questo occorresse tutto
il mese di marzo e che.ai primi d'aprile l'uno e l'altro
commento fosse messo a disposizione dei revisori di Foligno
e di Spoleto per le necessarie approvazioni. Infatti il 19 aprile
fu concesso ad entrambi l'Zmprimatur del Vescovo Battistelli,
a cui dovette seguire a breve distanza quello dell’ Inquisi-
tore (2). Dopodichè io credo si desse subito principio alla com-
posizione tipografica delle Osservazioni pagliariniane, che erano
destinate a prender posto dietro alle Ammnotazioni dell’ Arte-
giani (3). Il doppio lavoro da questo momento non subi altre
alterazioni notevoli (4): possiamo quindi giudicarne qui il
valore senza temere di doverci correggere.

(1) Questa lacuna nell'epistolario del Pagliarini va dal 25 febbraio al 1 maggio .

1724: in quello del Boccolini è anche più lunga e va dal 22 novembre 1723 al 22 ago-
sto 1724. :

(2) Cfr. il vol. II del Quadr. del 1725, pag. 360. Ma è strano che I Imprimatur
dell’ Inquisitore non abbia data, pur essendo preceduto dal parere di due revisori.

(3) Cfr. il vol. II del Quadr. del 1725, pag. 127 e segg.

(4) Non così si può dire della Diss., come si vedrà più tardi.
4 E. FILIPPINI

Il Pagliarini intitolava il suo commento: Osservazioni
istoriche ... sopra alcuni passi del Quadriregio e nelle prime
linee chiariva subito il suo pensiero così: « Moltissime istorie
« tocca il Nostro Poeta, e non poche sono le persone antiche
« e moderne, ch’ egli introduce nel suo Poema. Ma perchè
« il voler di tutte anche in succinto recar qui le notizie e
« tutti spiegare i fatti ivi accennati non sarebbe che un
« trattenere con poco profitto e con molta noia il lettore,
« per esser in gran parte le istorie notissime, ci restringe-
« remo ad osservare que’ soli passi, ove opportuna può esser
« l'illustrazione a render più chiaro l'autore e la sua opera,
« non meno che a fermar l epoca del tempo in cui esso
« fiori e può conghietturarsi ch’ ei componesse questo suo
« poema » (1). Per questo senso di discreta e giudiziosa eco-
nomia il commentatore salta a pie’ pari tutti i primi 17
capitoli del primo libro e si ferma a illustrare tutti i nomi
locali e personali che offre il capitolo XVIII, a cui dedica
ben venti pagine di commento storico. Esso è infatti uno dei
capitoli più importanti per l'accertamento della patria dell'au-
tore: si comprende quindi come il Pagliarini abbia ad esso
dedicato una così larga e minuta illustrazione. Con la stessa
larghezza spiega numerose allusioni storiche contenute negli
altri tre libri del poema frezziano, addentrandosi spesso in eru-
diti confronti di testimonianze e in spinose discussioni cri-
tiche. Ma soprattutto egli si diffonde nel mettere in rilievo
l importanza dei luoghi, delle persone e degli avvenimenti
umbri accennati dal poeta, mostrando in ciò tutta la sua
profonda conoscenza della storia e della bibliografia regio-
nale e tutto il suo fine discernimento nell’ uso delle fonti e
nell’ interpretazione dei documenti. Il Pagliarini poi, come

.del resto egli stesso ha già detto, profitta di tutte le occa-

sioni per dedurre dai fatti illustrati indizi sicuri dell’ epoca
in cui visse l'autore del Quadrîregio e in cui fu elaborato

(1) La stessa dichiarazione fa anche in fine alla pag. 220. L'ACCADEMIA DPI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 5

questo poema (1); sicchè il suo ricco commento integra in più
luoghi la Dissertazione cannetiana. Così egli riesce a darci
una spiegazione più o meno ampia e documentata di 71 passi
storici del poema frezziano (di cui 9.del 1. I, 23 del II, 11 del
III, 28 del IV) scrivendo ben 94 pagine di stampa in ottavo
grande. Certo, questo commento, qua un po’ frondoso (2), là
un po' mancante (3) e talvolta anche troppo riservato (4), è
meno completo di quello dell'Artegiani; ma non è perciò
meno esatto, meno accurato e meno utile. Il Pagliarini, che
pure scrisse parecchie cose, come abbiam visto a suo tempo,
ci diede in queste Osservazioni la sua opera più importante
e la prova più evidente della sua larga erudizione e della
sua speciale attitudine all’ indagine storica.

Indole affatto diversa dai due commenti fin qui esami-
nati aveva quello del Boccolini, che perciò procedette anche
con metodo del tutto differente. Egli nelle sue Dichiarazioni
di alcune voci del Quadriregio, abbandonato il sistema del-
l'ordine progressivo e della citazione dei versi frezziani, di-
spose alfabeticamente le parole che egli illustrava seguite
ciascuna dai richiami numerici della pagina e della linea in
cui si trova e dalle relative notizie lessicali, letterarie e bi-
bliografiche. Non premise alcuna avvertenza, ma non tra-
lasciò per questo di far conoscere i criteri da lui seguiti:
infatti nell'ultima pagina del suo commento si legge: « Que-
« sto è quanto ho creduto dover notare in dichiarazione non
« di tutte, ma di alcune voci, meno comuni, che s'incon-

(1) Cfr. quello ehe il P. dice a pagg. 157, 171, 175, 183-184 ecc. e che del resto
aveva già detto in qualcuna delle sue numerose lettere.

(2 Per es., non tutto quello che il P. scrive ad illustrazione di qualche luogo
del cap. XVIII del l. I era assolutamente necessario.

(3) Cfr. specialmente i vv. 19-48 del cap. VI, il v. 80 del cap. VIII, i vv. 5-8 del
eap. X del l. III ed i vv. 145-153 del c. XI e i vv. 109-116 del cap. XX del. l. IV che,
pur contenendo allusioni storiche tutt'altro che chiare, non furono illustrati dal
Pagliarini.

(4) Cfr. quello che il P. dice di Ser Vagnone a pag. 164, di Bencio Benci a
pag. 178 ecc.
we

«

«

E. FILIPPINI

trano nel Quadriregio, per dimostrare che queste non sono
da rigettarsi, nè biasimarsi nel nostro Autore; poichè erano
praticate nel secolo del suo fiorire da altri poeti e prosa-
tori contemporanei, de’ quali si sono riportati gli esempi,
o pure erano proprie del dialetto di Foligno e dell'Umbria,
dal che si accrescono gli argomenti in riprova che l'Au-
tore fu veramente. folignate e non d'altra nazione, che è
stato uno de’ principali motivi di questa mia debole fatica.
Se poi in qualche parte mi sono forse dilatato più di
quello portava la necessità di questa intenzione, mi pro-
testo d'averlo fatto non per dar regole in materia di lin-
gua, lasciandone la giurisdizione e la gloria ai dottissimi
Accademici della Crusca (1), ma per esercizio litterario e
per secondare il buon genio alle lettere, risvegliato da al-
cuni anni in questa città (2), e che si va avanzando in
tre Accademie, cioè in quella degli Agitati, che valorosa-
mente promove anche lo studio de' Sacri Concilj, istituito
per la prima volta dal nostro Monsig. Frezzi ... (3), in una
Colonia Arcadica denominata Fulginia (4) e nella nostra
Accademia de’ Rinvigoriti. — A queste mie debolezze ho
aggiunto alcune Osservazioni etimologiche di poche voci
fatte dal dottissimo: P. Abate D. Pietro Canneti Camaldo-
lese (5), quali ho voluto riportare separatamente qui in
fine, acciò distinto apparisca il pregio delle medesime e
del celebre autore » (6). Con codesti intendimenti che mo-

(1) Il Boccolini si appella più volte al Vocabolario della Crusca, chiamando

« dottissimi » quegli Accademici (Cfr. le pagg. 241, 257, 282, 308).

(2) Dacché, s' intende, fu istituita l’Accademia dei Rinvigoriti.
(3) Di questa Accademia degli Agitati il FRENFANELLI CIBO (studio cit., pag. 14)

non ci dice altro se non che sorse quasi contemporaneamente a questa dei Rinvi-
goriti, ma con l' intento speciale di « promuovere gli studi di sacra erudizione » ed
ebbe per impresa una Nave col motto « Commota resistit ».

(4) Cfr. cio che ho detto nella prima parte del presente lavoro sotto l anno

1717 e nello studio speciale: L'istituzione deW' Arcadia in Foligno, già cit.

(5) Sono tre note sulle parole manza, orca e verrette-verrettone, che erano

state illustrate anche dal Boccolini.

(6) Tutta questa dichiarazione si legge tra le pagg. 333 334 del II vol. del Quadr.
del 1725. :
-1

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

strano chiaramente il legame che le Dichiarazioni boccoli-
niane hanno con la tesi della Dissertazione del Canneti,
l'autore illustra con abbondanza di citazioni (1)e con notevoli
osservazioni filologiche 644 parole e modi di dire adoperati
dal Frezzi, in 112 pagine di stampa. Ció indica l'importanza
generale di questo commento: alla quale peró risponde per-
fettamente anche quella speciale, poiché il B. procede con
metodo più rigoroso e più semplice degli altri illustratori e
ci offre cosi un glossario comparato che ben pochi autori
avevano avuto fino ad allora, e contemporaneamente un pre-
zioso saggio dello stato del dialetto folignate ed umbro ai
tempi del commentatore. Il Boccolini che non era folignate
e che si era messo con grande titubanza all' opera assegna-
tagli, onorò grandemente il Quadriregio e Y Accademia foli-
gnate con queste Dichiarazioni che, esaminate attentamente,
ci dicono quanta pazienza, quanto amore e quanta bontà di
preparazione egli avesse per riuscire nel nobile intento.
Mentre il lavoro tipografico intorno ai due commenti
pagliariniano e boccoliniano procedeva piuttosto lentamente,
la stampa della Dissertazione del Canneti che doveva pubbli
earsi prima, non era spinta oltre con maggiore speditezza.
Alcuni fatti nuovi erano venuti a turbare non poco la vita
già abbastanza agitata dell’Accademia folignate. Intanto il
Canneti, dopo parecchi anni che era stato a Fabriano e
quindi a pochi passi, si può dire, da Foligno, cambiava sede
e andava a reggere il convento di S. Salvatore a Forlì (2).
Questa decisione presa nel Capitolo Generale di Faenza pare
non andasse molto a genio dello stesso abate, che sperava

(1) Basta dire, per rendersi conto di questa copiosa esemplificazione, che il B.
cita ben 157 testi tra stampati e mss., come si apprende da un catalogo che aggiun-
gerà al commento.

(2) Cfr. la lett. del P. al C. in data 19 maggio 1724. In che tempo avvenisse
precisamente il trasferimento del Canneti, io non so precisare per la lacuna sopra
accennata. Noto però che la lett. ora cit. é diretta a Forlì come tutte le altre che
seguiranno. Aggiungo che non é possibile trarre alcun indizio dalla lett. del 1°
maggio, perché essa manca del mezzo foglio su cui doveva essere l’ indirizzo.
8 E. FILIPPINI

un ufficio più importante; ma dispiacque assai di più al Pa-
gliarini, che vedeva allontanarsi un appoggio così valido al-
l'impresa della sua Accademia e non sapeva quando e come
avrebbe potuto rivedere il dotto frate e conferire con lui su
tante cose riguardanti il Quadriregio (1). A consolare in parte
il Pagliarini di questo disappunto venne il P. Giovanni Bat-
tista Cotta, che essendo capitato a Foligno pel Capitolo Pro-
vinciale degli Agostiniani di quell’anno, ebbe modo di vedere,
lodare senza reticenze e presagire molto bene di tutte le
' eure dedicate dall'Accademia al Frezzi, che egli stimava « in
alcune parti superiore a Dante » (2). Ma ecco che anche in
mezzo a queste soddisfazioni egli dovette bere un po’ di
amaro, poichè lo stesso P. Cotta, dopo aver esaminato il largo
commento del poema frezziano preparato dai quattro noti
accademici, vi scoprì delle lacune che egli stesso si esibì di
colmare con delle annotazioni ad alcuni passi di carattere
scritturale, non esaminati dall'Artegiani, e di più osservò che
in nessun luogo si era accennato ai meriti letterari del Mar-
chese Giovanni Giuseppe Orsi di Bologna, che avea per uso
di « parlare con disprezzo di quell'opere moderne nelle quali
egli non fosse nominato » (3). E se il Pagliarini, d’ accordo
col Boccolini e col Canneti, potè facilmente parare questo

(1) Cfr. la lett. ora cit.

(2) Cfr. la stessa lett. Quanto al personaggio, che forse entrò in questa occa-
sione nell'Accademia dei Rinvigoriti, cfr. ciò che ho detto di lui verso la fine della
della prima parte del presente lavoro, sotto l'anno 1725. Di lui parla anche il Boc-
colini nella lett. al Canneti in data 28 settembre 1724.

(3) Cfr. per tutte e due le quistioni la lett. ora cit. Quanto al letterato bolo-
gnese (1652-1733) é noto che egli appartenne all’ Arcadia col nome pastorale di A-
larco Erinnidio, seguì il Duca Rinaldo d’ Este a Roma e a Modena, dove mori dopo
aver pubblicato vari scritti poetici e prosastici, tra cui é celebre quello intitolato
Considerazioni sopra il famoso libro francese: « La maniere de bien penser » etc.
(Bologna, Pisarri, 1703). Di lui parlano il MuraTORI nelle Memorie intorno alla vita
del March. G. G. Orsi che precedono le sue Rime stampate a Modena nel 1735: il
FANTUZZI in op. cit., tomo VI, pagg. 197-209 e il CARINI in op. cit., pag. 359 e segg.
Ma il FANTUZZI che riassume la monografia del Muratori, dice del carattere dell'Orsi
questo: « Nato con temperamento bilioso, era facile a prender foco » (cfr. pag. 204) ;
ma nulla che accenni alla sua ambizione.
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 9

colpo con brevi citazioni laudative degli scritti del preten-
sioso Marchese inserite qua e là nella Dissertazione e nelle
Dichiarazioni (1), dovette a- malincuore rinunziare al com
mento scritturale del Cotta, che non essendo pronto avrebbe
ritardato di troppo la pubblicazione di tutta l’opera (2).

Ma lavvenimenio che mise in maggiore agitazione i
Rinvigoriti nel bel mezzo del 1724, fu l'elezione del nuovo
Pontefice, che cadde precisamente nella persona del Cardi-
nale Vincenzo Maria Orsini, a cui il Canneti aveva dedicato
la sua monografia e voleva fosse dedicata anche tutta la
nuova edizione del poema frezziano. Anzi il Canneti per ot-
tenere meglio il suo scopo, dopo aver appreso dal Pagliarini
i suoi dubbi sulla impressione che avrebbe prodotto a Spo-
leto e a Roma la dedica del poema al Duca D'Este (3), avea
scritto al Muratori per una dichiarazione più esplicita di
quella fatta nell'agosto dell’anno precedente; e questi l’ 11
maggio gli aveva risposto quasi negli stessi termini: « Fac-
« ciano que’ signori di Foligno quanto loro piace per la de-
« dicazione del Quadriregio, purchè il Quadriregio una volta
« vegga la luce ». Ed aveva aggiunto: « A me dispiace il
« fastidio che ne sarà venuto all’onoratissimo sig. Pagliarini,
« al quale la prego di portare i miei rispetti in prima occa-
« sione » (4): il Muratori con queste parole mostrava d’aver
capito lo stato d’ animo del dotto folignate in tutto quell’af-
fare, in cui il Canneti gli aveva fatto fare una figura non

(1) Cfr. il prg. XXXV della Diss., dove l'Orsi é chiamato « valoroso sostenitore
dell’ italiana letteratura », e le Dichiar. ecc. sotto le parole « dilicanza » e « turba-
tivo », dove é qualificato « dottissimo » e « celebre ».

(2) Cfr. il poscritto alla cit. lett. del 19 maggio 1724. Così noi non sappiamo
neppure quali fossero i passi che Il Cotta voleva illustrare e sebbene il Pagliarini
dica che lo aveva impegnato, in mancanza del commento, di fare qualche lezione
espositiva sullo stesso argomento, dobbiamo ritenere che questo rimanesse un pio
desiderio, perché non si conosce alcuna lezione del Cotta sul Quadr.

(3) Cfr. ciò che ho detto poche pagine indietro, a proposito della lett. del P. in
data 17 dicembre 1223.

(4) Cfr. il cit. Epist. pubbl. dal CAMPORI, vol. VI, pagg. 2381-82, dove é riportata
la lettera del M. al C. in data 11 maggio 1724, diretta non so come a Foligno.
10 E. FILIPPINI

bella e gli avea tolto il coraggio di rivolgersi a lui diretta-
mente. Sicuro quindi il Canneti dell'assenso del Muratori a
veder soppresso del tutto il nome del Duca di Modena dalla:
nuova edizione, si preparava a servirsene quando giunse la
notizia che nel conclave del 29 maggio 1724 il suo dedica-
tario era stato eletto Papa col nome di Benedetto. XIII (1).
Il dotto Cremonese non poteva essere in questo maneggio
più fortunato, come dovette riconoscere anche il Pagliarini (2);
ma mentre egli avrebbe forse desiderato modificare la dedica
della Dissertazione volgendola al Papa anzichè al Cardinale,
dovette rassegnarsi a conservarla tal quale l'avea prima con-
cepita, perchè ne era già stampato il frontespizio con la data
del 1723 (3). Di questo il Canneti non si curò più che tanto ;
ma non rinunziò peraltro al suo disegno di vedere nella
prossima edizione del Quadriregio la stessa dedica del suo
lavoro speciale, tanto più che ora quel dedicatario aveva as-
sunto, salendo all’altissimo onore della tiara, una così grande
importanza e oscurava nella sua mente qualunque altro prin-
cipe della terra. Certo, ci voleva dell’abilità a condurre la
cosa senza far comprendere la riposta intenzione; ma il Can-
neti non era uomo che potesse perdersi per questo.

Io non so se il Fontanini, dopo aver approvato la pro-
posta della doppia dedica, e dopo il fatto nuovo che si era
determinato, gli scrivesse ora direttamente mostrandogli la
inopportunità e la sconvenienza della dedica al Duca di Mo-
dena, o se il Canneti provocasse da lui una lettera in questi
stessi termini: ma ciò che non si può mettere in dubbio è.
che il Canneti entro il giugno 1724, disinteressandosi per ora
della sua Dissertazione, informava il Pagliarini dell'avviso del

(1) Cfr l'opera intitolata Arte di verificare le date dei fatti storici, delle iscri-
zioni, delle cronache ed altri antichi Monumenti innanzi Vera cristiana (V enezia,
1832-45), Parte II, Tomo II, pag. 253.

(2) Cfr. la lett. del P. al C. in data 2 giugno 1724.

(3) Cfr. la stessa lett. ora cit. e la stampa isolata della Diss., di cui riporterò
più oltre il frontespizio.
L'AOCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNÓ, ECC. 11

Fontanini recentemente manifestatogli, gli si mostrava molto
preoccupato delle conseguenze che avrebbe potuto avere la
dedica all'Estense e proponeva quindi di sopprimere questa
come qualunque altra in fronte all opera intera (1) Forse
anche gli spedi in questa stessa occasione la lettera del Mu-
ratori, se già non gliel' avea spedita prima (2). Il Pagliarini,
seccato per tante contrarietà, non volle piü oltre avvelenarsi
il sangue e rinunzió per conto suo a quella dedica che egli
per il primo aveva concepito, riservandosi d' interpellare sul-
l'argomento gli Accademici interessati nella ristampa del
Quadriregio. Ma egli, prima ancora che il Canneti scoprisse
la sua vera intenzione, ebbe l’idea di sostituire in questo
atto il nome del nuovo Pontefice a quello del Duca e la co-
municò al Canneti, ma circondata di non pochi dubbi e dif
ficoltà, poichè egli non voleva offendere in alcun modo per.
sonaggi a cui si sentiva profondamente grato e a cui aveva

(1) Così si desume dalla risposta del P. in data 30 giugno 1724. Dal principio di
questa lettera si trae un altro indizio per credere che « l’amico di Roma » a cui si
rivolgeva il Canneti per consiglio sulla dedica, non era che il Fontanini, poiché al-
legoricamente il P. vi accenna al « fiero turbine che più che mai sentesi fischiare
dal Friuli », cioè dalla regione dove era nato il Fontanini. Del resto, la certezza as-
soluta di questa identità si potrebbe avere soltanto dall'esame del carteggio che il
Canneti ebbe col Fontanini; ma sembra che il Canneti abbia distrutto gran parte
delle lettere avute da questo suo doito amico, poiché la Classense non conserva che
due lettere del Fontanini dirette una del 1717 al Canneti e l' altra del 1730 al P. Fiacchi,
e la prima non parla affatto del Quadriregio. Inoltre per ricerche mie speciali tra le
carte del Fontauini che si conservano a S. Daniele del Friuli, posso dire che non si
trovano le lettere mandategli in questi anni dal Canneti, e nessuna ne fu stampata dal
nipote ab. DOMENICO FONTANINI tra le Lettere scritte a Roma al Sig. ab. Giusto Fon-
tanini intorno a diverse materie spettanti alla storia letteraria ecc. (Venezia, 1762).
E poiché il NARDUCCI in Notizie storiche della biblioteca comunale di Sandaniele del
Friuli (Venezia, Visentini, 1875) e il MAZZATINTI in op. cit., Inventario dei mss. di
S. D. del Friuli, vol. III, pag. 108, dicono che imss. del Fontanini alla sua morte an-
darono dispersi e aleuni capitarono e si conservano ancora nella Capitolare di Udine,
e tra questi molte lettere e risposte sue e di altri personaggi illustri, così io ho
voluto fare le mie indagini anche: in questa biblioteca. Ma siccome al momento di
licenziare alla stampa questa parte del mio lavoro non ho potuto esaurire la lunga
ricerca, sono costretto a rimandare a un’ appendice i risultamenti di essa.

(2) Certo é che il Pagliarini l'ebbe in mano, come dimostra la lett. sua al C. in
data 3 luglio 1724, in cui dice che gliela rimandava.
M

12 EB. FILIPPINI

già fatto il torto di non mantenere un'esplicita promessa.
Si rimetteva insomma al discernimento del suo dotto amico,
al quale chiedeva anche se in qualunque modo egli avrebbe

" dovuto scusarsi per lettera col Muratori dopo un anno e mezzo

che non gli aveva più scritto (1): e cosi facendo non s’accor-
geva di fare il giuoco del Canneti, che non desiderava altro
che questa sua remissività per trascinarlo più facilmente
al suo volere e che di li a poco finse di accogliere il disegno
pagliariniano della dedica al Papa come se egli non ci avesse
mai pensato, togliendo naturalmente ogni incertezza dall a-
nimo del suo amico, affinché questi lo mettesse subito ad ef-
fetto. Lo esortó anche a scrivere al Muratori, di cui chiese in
restituzione l'ultima lettera. Ed il Pagliarini accettó il doppio
consiglio non senza far comprendere che per la dedica avea
ceduto, più che alla volontà del Canneti, a quella del Fon-
tanini; ma egli non ci dice se ebbe bisogno per questo del-
l'approvazione degli altri accademici interessati. Ormai non
era più il caso di frapporre nuovi ostacoli al compimento
dell'opera; né del resto, contento il Pagliarini di quella de-
dica, potevano esserne scontenti gli altri Ainvigoriti. Solo
egli volle che la lettera dedicatoria fosse stesa dal Canneti
e non dall’ « amico di Roma », come forse avrebbe deside-
rato il Canneti stesso, per non dargli troppa soddisfazione (2);
ma il Canneti, abilmente anche questa volta, cercò di esimersi
da tale incarico e indusse il Pagliarini a stenderla lui e man-
dargliela per le opportune aggiunte e correzioni (3). Quanto
poi al Muratori, il Pagliarini che avea promesso di ripren-
dere con lui la corrispondenza interrotta pel doloroso inci-
dente della dedica rientrata (4), mantenne la parola e pro-

(1) Cfr. la Jett. cit. del 30 giugno 1724.

(2) Cfr. la lett. del P. al C. in data 3 luglio 1724. È strano però che il Canneti
abbia potuto credere, come appare da una frase di questa lettera che il P. avesse
sperato qualche favore dalla corte di Modena.

(3) Cfr. la lett. del P. al C. in data 21 luglio 1724.

(4) Cfr. la cit. sua lett. al C. in data 3 luglio 1724.
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 13

fittò dell'occasione per dare libero sfogo all’ animo suo an-
cora contristato. La lettera di scusa che gli scrisse dopo un
mese, dimostra chiaramente come egli avea cercato di resi-
stere in tutti i modi, anche dopo l’ascensione del Card. Or-
sini al papato, alla pretesa di negare una dedica già concer-
tata, e che avea ceduto a questa, violenza solo quando
aveva visto che il Muratori e il Duca di Modena non con-
sideravano la cosa come un’ offesa alla loro rispettabilità,
e desideravano di veder presto compiuta la ristampa del
poema frezziano tanto aspettata (1). Così avvenne che la
Dissertazione isolata si pubblicò di lì a poco con la dedica
al Cardinale Orsini e il Quadriregio apparve l’anno appresso
dedicato in due modi diversi allo stesso personaggio, poi-
chè mentre il frontespizio del primo volume che si riferisce
a tutta l'opera porta il nome del Papa Benedetto XIII,
quello speciale della Dissertazione posta in fine del secondo
volume conserva ancora il titolo che l’Orsini aveva nel 1723.

Dopo la nomina del nuovo pontefice il Canneti doveva
sentire un interesse maggiore ad affrettare la pubblicazione
della sua monografia frezziana, la quale nel mese di luglio
non era ancora finita di stampare. Ma egli che era sempre
animato dal desiderio di perfezionarla (2), sul più bello avea
ricevuto una lettera che lo obbligava a fare un'appendice
alla sua Dissertazione prima di licenziarla alla crescente cu-
riosità del pubblico erudito. Infatti il Canneti che in essa
avea già parlato dell'illustre umanista folignate Niccolò Ti-
gnosio come di una testimonianza sicura della paternità frez-
ziana del Quadriregio (3), si era affidato per le notizie bio-
grafiche di lui alla nota Biblioteca dell’ Umbria di Lodovico

(1) Cfr. la lett. del P. al Muratori, in data 4 agosto 1724.

(2) Cfr. la lett. cit. del 2 giugno 1724, dove si parla in generale di alcune cor-
rezioni: tra queste forse doveva essere anche quella che riguardava il titolo del-
l’opera frezziana, di cui si parla nell'ultimo prg. della Diss. nonché nella lett. del P.
al C. in data 9 agosto 1724.

(3) Cfr. il prg. XVIII della Diss.
14 EB. FILIPPINI

Iacobilli (1), senza sapere che nel convento francescano di
5. Croce fuori di Pisa esisteva ancora il sepolcro dello stesso
personaggio con un'epigrafe che suonava alquanto diversa
per le date dalle affermazioni iacobilliane. Di questa iscri-
zione gli mandò una copia. il P. Guido Grandi Abate di
5. Michele in Borgo di Pisa e professore di matematica in
quella Università, che, come è noto ai lettori, era già Acca-
demico Rinvigorito fino dal novembre 1719 (2) e che dianzi
aveva fatto nel Capitolo Generale di Faenza una prima co-
municazione della cosa (3). Di questo era stato subito infor-
mato il Pagliarini, il quale consigliò il Canneti a farsi mandare
una copia a penna di quel monumento dal p. Grandi (4).
Ma questa copia accompagnata da una lettera del Grandi
stesso, che si conserva tuttora nella Classense di Ravenna (5),
giunse troppo tardi perchè il Canneti potesse in base ad essa
modificare il testo del cap. XVIII della sua monografia, che
era: già tutto stampato. Quindi dovette rassegnarsi a scrivere
un'Aggiunta e correzione insieme e la mandò entro il giugno
al Pagliarini affinché la facesse stampare in fine della Dis-
sertazione non appena fossero venute alcune risposte che at-
tendeva e che gli avrebbe subito comunicate (6). Una di
queste era del Fontanini, a cui aveva chiesto il suo parere

(1) Cfr. op. cit., pag. 212.

(3) Cfr. la prima parte del presente lavoro, sotto l'anno 1719.

(3) Cfr. la lett. del P. al C. in data 9 agosto 1724, dove si fa la storia di tutta
la pratica. j

(4) Cfr. la cit. lett. del P. al C. in dsta 2 giugno 1724.

(5) Essa però non si trova fra i carteggi del Canneti, ma é aggiunta alla copia
dell'edizione del Quadr. del 1725 posseduta dalla Classense in un solo volume rile-
gato in cartone e cartapecora, con dorature esterne e ben conservate. In fine di
questo volume si trovano attaccati l' autografo del p. Grandi in un foglio ripiegato
e scritto da una sola parte con la data di Pisa 4 Agosto 1724, e il disegno del monu-
mento in un foglio più piccolo, fatto parte a matita e parte a penna da altra mano.
La lettera comincia con le parole: « Eccole il dissegno del monumento consaputo
ecc. », e contiene delle indicazioni ad esso relative e delle avvertenze sul modo di
farlo intagliare e su certi segni poco chiari dell' iscrizione.

(6) Cfr. la lett. del P. al C. in data 3 luglio 1724, e quella or ora cit. del 9 ago-
sto successivo.
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 15

intorno ad alcune lettere puntate dell'iscrizione, e che gli
rispose prima del 16 luglio, giorno in cui il Canneti tornò a
scrivere al Pagliarini (1). Ma in questa lettera, all’ intenzione
di riferire, come riferì, nell’ appendice l’ intera iscrizione spie-
gata in tutte le sue abbreviazioni, associava l'altra di ripro-
durre il disegno del monumento sepolcrale del Tignosio,
perchè esso ne conteneva anche il ritratto (2). Ed a ciò pare
lo consigliasse il Fontanini medesimo senza pensare alle dif-
ficoltà che la cosa presentava e agl’ indugi che imponeva:
difficoltà ed indugi, di cui però si rese subito conto il Paglia-
rini. Il quale pochi giorni dopo rispondeva al Canneti che
in Foligno il lavoro, per se stesso lungo e richiedente la mano
d’un artista esperto, non si poteva eseguire e che era meglio
rinunziare a quest’ ornamento della Dissertazione: intanto pro-
poneva di acquietare il Fontanini col fargli credere che
l'Aggiunta fosse già stampata secondo il primo getto: ad ogni
modo attendeva ordini precisi prima di consegnare il mano-
scritto allo stampatore (3). Il Canneti, un po’ seccato per
questa contrarietà, non rispose per qualche tempo (4); e poi
un bel giorno uscì dai gangheri e scrisse una lettera - che
dovette dispiacere alquanto al suo amico folignate, il quale in-
tanto si era recato a passare il colmo dell’ estate in Annifo (5).
Egli non rinunziando ancora all'incisione, si meravigliava e
si doleva contemporaneamente della lentezza con cui proce-
deva la stampa della Dissertazione, come se questo non di-
pendesse in gran parte da lui. Il Pagliarini che sapeva di

(1) Ofr. là stessa lett. del 9 agosto 1821. L'altra é la notizia dell'andata di Nic-
colo V a Fabriano nel 1449, di cui v. a pag. 34 e 80 della Diss.

(2) Cfr. le citt. lett. del 21 luglio e 9 agosto 1724.

(3) Cfr. le stesse lett. del 21 luglio e del 9 agosto 1724 in cui si parla chiara-
mente del Fontanini e del ripiego -proposto dal Pagliarini.

(4) Cfr. il principio della lett. del P. al C. in data 4 agosto 1724.

(5) Cfr. la cit. lett. del 9 agosto 1724, dalla quale apprendiamo che il C. scrisse
il 3 dello stesso mese, cioé un giorno avanti a quella ultimamente direttagli dal P.,
e che quindi s' incrociò con essa.
16 E. FILIPPINI

non aver tutta la colpa di questo ritardo, tornó a scrivere
mettendo le cose a posto e cercando di scaricarsi di quella
responsabilità che gli si voleva addossare: del resto, non po-
tendo egli per la sua assenza da Foligno oceuparsi diretta-
mente della cosa, lasciava arbitro di ciò il Boccolini, a cui
spediva immediatamente la lettera del Canneti (1).

Il Boccolini, il quale da qualche tempo non faceva più
parlare di sè, si era appena discretamente rimesso della
lunga e penosa infermità, per cui il Pagliarini non avea po-
tuto valersi per ben otto mesi del suo grande aiuto (2). E
pur trascinandosi a disagio fuori di casa per le esigenze della
scuola, si mise subito all’ opera per definire la questione del
Canneti. Pare che il Pagliarini gli avesse dato l’incarico di
interpellare gli associati alla ristampa del Quadriregio sulla
opportunità dell’ incisione in rame del monumento del Tignosio
e di rispondere direttamente all’ autore della Dissertazione sul
loro avviso. Ma il Boccolini non potè abboccarsi che con
alcuni di quelli, essendo la maggior parte in campagna per
la villeggiatura, e quelli gli si mostrarono poco o punto
propensi ad accettare questo nuovo motivo dilatorio. Tra
essi il Campana e come associato e come stampatore andò
addirittura in bestia, anche perchè il penultimo foglio della
stampa, quello della Aggiunta, già composto (ma non stam-
pato ancora) si sarebbe dovuto modificare per inserirvi
l incisione, mentre sperava di poterlo consegnare fra po-
chissimi giorni insieme con l'ultimo per la necessaria cor-
rezione degli errori tipografici e non pensarci più. Tutta-
via lo stesso Campana proponeva, forse perché così cre-
deva di perder minor tempo e perché egli disponeva d'un
buon intagliatore, di far eseguire l incisione in legno anzichè
in rame. Ed il Boccolini informava minutamente e sollecita-
mente di tuttoció il Canneti rassicurandolo e pregandolo di

(1) È la lettera appunto del 9 agosto, che ho più volte citata.
(2) Cfr. le lett. citt. del P. al C. in date 30 giugno, 3 luglio e 9 agosto 1724.
L'AOCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 17

dare subito anche lui le disposizioni che credeva piü oppor-
tune, ma non senza ricordargli tutta l'odiosità che un'opera
cosi lunga si era acquistata fra. gli interessati (1). E il Can-
neti, non so con quanto piacere, accettò la proposta del
Campana; ma quando si venne a metterla in pratica, sor-
sero nuove difficoltà sicché si dovette abbandonarla: il Boc-
colini non ci dice in che consistessero, ma c'é ragione di
credere che fossero di carattere finanziario e venissero
da altra parte che da quella dell’ editore-associato. (2). Certo
è che non si potè far altro che dar corso all'Aggiunta come
era prima, con di piü l'iserizione, che fu eseguita con ca-
ratteri di legno fatti a posta (3). Ma non per questo si potè
compiere il lavoro della Dissertazione, perchè mancava la li-
cenza dell’ Inquisitore di Spoleto e questa non giunse prima
del 28 settembre (4), quando era già tornato da Annifo il
Pagliarini, il quale diede tosto l'ordine di stampare gli ultimi
due fogli. Così solo nei primi giorni del seguente ottobre la
monografia cannetiana si poteva dire completamente e defi-
nitivamente stampata (5).

- Ora si doveva trattare del numero delle copie da tirarne
e della ‘loro distribuzione: anche di questo si occuparono il
Pagliarini e il Boccolini d’ accordo. col Canneti (6). Il quale
si dimostrò più premuroso di mandarle agli altri, che di a-

(1) Cfr. la lett. del B. al C. in data 22 agosto 1724.

(2) Cfr. la lett. del B. al C. in data 8 settembre 1724, nella quale si allude alla
precedente lettera del C. a lui e si dice che se il Fontanini avesse subito accennato
all'ammontare della spesa dell’ incisione in rame, sarebbe stato più facile indurre
gli associati a sostenerla (?) :

(3) Cfr. la stessa lett. del B. ora cit.

(4) Cfr. la lett. del P. al C. in data 25 settembre 1724 e quella del B. al C. in
data 28 settembre 1724. È strano però che in un’ altra lett. del B. al C. in data 24
settembre 1724 non si accenni a questa pratica e invece si lasci sperare che fra
due o tre giorni si sarebbe compiuta la stampa e se ne sarebbero mandate le
prime copie a Forli.

(5) Cfr. il principio della lett. del P. al C. in data 2 ottobre 1724, donde appare
«che in quel giorno l'ultimo foglio era ancora sotto il torchio.

(6) Cfr. la lett. cit. del 25 settembre e del 3 novembre 1724.
18 EB. FILIPPINI

ver lui quelle che gli spettavano. Della Dissertazione non si
fecero piü di cento copie (1); ma dalla corrispondenza del Pa-
gliarini appare che il Canneti per la distanza e per la diffi-
coltà delle comunicazioni tra Foligno e Forli non ebbe la
soddisfazione di vedere la sua Dissertazione completa che
alla metà di dicembre (2), mentre già si era fatta una larga
distribuzione di copie in tutte le parti d'Italia (3). Anzitutto
si dovette pensare agli amici di Foligno, al Vescovo, al Vi-
cario ed ai revisori (4); poi si spedirono otto esemplari al
P. Lettore Onestini (b) a Roma per la presentazione al Papa
Benedetto XIII (6); quindi se ne mandarono o diedero diret-
tamente due al Fontanini, una al Crescimbeni, una a Mon-
signor Giudice (7), una al Generale dei Domenicani (8), una

(1) Cfr. la lett. del P. al C. in data 20 novembre 1724. Pare che se ne facessero
di due specie: sciolte o legate: cfr. la lett. del 25 settembre 1724.

(2) Cfr. le lett. del P. al C. in data 17 novembre, 4 e 15 dicembre 1724. Ciò é
bene strano se si pensa che il P. avea già preveduto il ritardo fin dalla lett. cit.
del 25 settembre 1724.

(3) Cfr. la lett. del P. al C. in data 3 novembre 1724.

(4) Cfr. la cit. lett. del 3 novembre 1724. Il Vescovo di Foligno era Giosafat
Battistelli, più volte nominato nel corso del presente lavoro: il Vicario non so chi
fosse: dei Revisori conosco soltanto il Can. Giuseppe De Torelli, che firmó col Ve-
scovo gli Imprimatur della Diss.

(5) Questo personaggio che vedremo nominato piü volte nelle lettere del P. al
C. di quest'anno, deve essere il p. Onesto Maria Onestini di Ravenna, dell' Ordine
Camaldolese, di cui si occupa piuttosto largamente il GINANNI nelle sue Memorie
storico-critiche degli scrittori ravennati (Faenza, Archi, 1769), tomo II, pagg. 116-121.
Era nato nel 1686 ed era stato vestito monaco camaldolese dal Canneti in Classe nel
1706. Scrisse poesie accademiche, orazioni e dissertazioni: coltivò, oltre le lettere,
la filosofia e la teologia, di cui fu anche insegnante. Appartenne all’ Arcadia col
nome pastorale di Estenio Clessidrio (cfr. anche in proposito il catalogo cit. del
Crescimbeni). Ebbe molte cariche ecclesiastiche e giunse anche al generalato del
suo ordine. Scrisse due opere registrate dal GINANNI, che del resto rimanda alla
biografia che ne scrisse e stampò D. Girolamo Ferri e agli Annali Camaldolesi.
Mori nel 1753. Il GINANNI non parla della sua dimora a Roma: per questo occorre-
rebbe vedere le fonti da lui accennate, Egli del resto ricorda anche un Don Rinaldo
Onestini, che non ebbe però fuori di Ravenna alcuna importanza, sebbene fosse
contemporaneo.

(6) Cfr. la lett. del P. al C. in data 20 ottobre 1724.

(7) Cfr. la prima parte del presente lavoro, sotto l’anno 1716.

(8) Doveva essere il P. Clemente Reginaldo Archibusieri, che firmò come tale
l'approvazione della Diss. L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 19

al conte Diamante Montemellini (1), una al Card. Cristiani
di Città di Castello (2), una a Mons. Monti di Bologna (3),
una al libraio Pagliarini di Roma (4), una al Salvini, una al
Marmi (5), una al Bianchini (6), una all’ ab. Niccolini di Fi-
renze (7), una al P. Cotta, una al P. Amigoni (8), una al
P. Zuti in Arezzo (9), una al Benvoglienti di Siena (10), una
al Muratori, una al Marchese Orsi, una al P. Artegiani, una

(1) Cfr. la prima parte del presente lavoro, sotto l'anno 1719,

(2) Cfr. la prima parte del presente lavoro, sotto l’anno 1719.

(3) Il P. nella cit. lett. del 3 novembre 1724 dice che questo: letterato si tro-
vava in quei giorni a Foligno e che trattò con lui di alcuni mss. rari e precisa-
mente del cod. boccoliniano del Quadriregio e del cod. dantesco posseduto da lui
stesso. Il FANTUZZI (op. cit., tomo VI, pagg. 89-90) registra un G. B. Monti nato a
Bologna nel 1688 e morto nel 1766, sacerdote, oratore, poeta e autore di parecchie
stampe. In una nota il FANTUZZI che avea detto aver egli appartenuto all’ accade-
mia dei Rinvigoriti di Cento col nome ddi Fluttuante, aggiunge: « Anche inj Foli-
gno havvi un' Accademia de' Rinvigoriti, e potrebbe essere che a quella pure il
nostro Autore fosse stato aggregato ». Ma cio non risulta dai Cataloghi del 1719
e del 1725. i .

(4) Vedremo che si tratta di Lorenzo Pagliarini libraio in Roma : il FUMAGALLI
nel suo Lexion typographicum Italiae non lo nomina, ma ricorda due suoi suc-
cessori Nicola e Marco a pag. 356. Il nostro Pagliarini nella stessa lett. del 3 no-
vembre 1724 dice che questo dono fu un mezzo escogitato per poter lanciare, con
l'influenza di quel libraio, la prossima edizione del Quadriregio sul mercato stra-
niero. E vedremo che egli fu molto utile in questo affare.

(5) Cfr. la prima parte del presente lavoro, sotto l’anno 1719.

(6) Era Giuseppe Bianchini di Prato, Accademico fiorentino, pastore d’Arcadia
(cfr. vol. VII delle Rime degli Arcadi) col nome di Znaste Dindimenio, autore di al-
cune lezioni pubblicate nel 1718, e divenuto poi Rinvigorito col nome di candido,
come appare dal Catalogo del 1719.

(7) Apparteneva alla Crusca e all'Arcadia, dove aveva il nome pastorale di Isarco:
passando per Foligno, ebbe un lungo colloquio col Pagliarini sul Quadriregio, di
cui pare fosse un ammiratore. Il Pagliarini profittò dell’occasione per tastare il ter-
reno e per conoscere come fosse disposta la Crusca verso il Frezzi; ma il Niccolini
pare che gli togliesse ogni speranza di veder considerato questo poeta quale « Au-
tora di lingua »: ciò che fece pensare al Pagliarini che sorgesse un rivendicatore
del Frezzi contro le pretese dell’Accademia fiorentina.

(8) Cfr. la prima parte del presente lavoro, sotto l’anno 1719.

(9) Era monaco e priore Cassinese, di nascita fiorentino, e apparteneva già
all'Accademia folignate col nome di valido: cfr. il catalogo del 1719. Appare anche
uno dei revisori delle Annotazioni dell'Artegiani nell’Imprimatur del vescovo Bat-
tistelli nel 1722 (cfr. il vol. H del Quadr. del 1725, pag. 125).

(10) Cfr. la prima parte del presente lavoro, sotto l'anno 1719.
20 E. FILIPPINI

al Pisani (1), una al « Giornale dei Letterati d’Italia », una
ad Apostolo Zeno, una al P. Collina, una al Martelli, una al
Baruffaldi, qualcuna al S. Uffizio e finalmente diciotto al
Canneti perchè parte ne tenesse per sè e parte le donasse
ai suoi amici (2): in tutto una cinquantina di esemplari (3).
A questo :numero si devono aggiungere le dieci copie che.

gli associati destinavano a ciascuno degli altri tre illustra-

tori del Qwadriregio, cioè al Pagliarini, al Boccolini e all'Ar-
tegiani (4), né le quattro che si dovettero mandare nuova-
mente a Roma per la perdita del primo involto (5). Cosi di
cento esemplari che si trassero della Dissertazione cannetiana,
non rimasero che una quindicina non collocati (6); gli al-
tri furono dati in omaggio a quasi tutti i letterati d'Italia
e andarono ad annunziare il lieto evento della pubblica-
zione (7). Vedremo fra poco come questa fu accolta: intanto
fermiamoci ad esaminarla esternamente ed internamente.

(1) Cfr. la prima parte del presente lavoro, sotto l’anno 1723.

(2) Veramente nella lett. cit. del 25 settembre 1724 il P. aveva pensato di spe-
dirgli 24 copie della Diss.

(3) Tutti codesti letterati, che in gran parte erano già o divennero poco dopo
Rinvigoriti (cfr. 'elenco che porrò in appendice), sono nominati nella cit. lett. del
P. al C. in data 3 novembre 1724. ;

(4) Cfr. la cit. lett. del 3 novembre 1724.

(5) Cfr. le lett, del P. al C. in date 13 e 17 novembre 1724. L'involto era stato
consegnato al vetturale Pezzese di Viterbo prima del 20 ottobre (cfr. la lett. del P.
in questa data); ma il Lettore Onestini appena tornato dopo una breve assenza a
Roma (cfr. la lett. del P. in data 3 novembre), scrivendo al P. prima del 13 novem-
bre gli diceva di non aver ancora ricevuto nulla; quindi il P. angustiato pensò di
fare per altro mezzo una seconda spedizione, riservandosi di aver notizie del primo
vetturale. Infatti le ebbe da un garzone di questo, che s’impegnò diricapitare l’ in-
volto (cfr. la lett. del 4 dicembre 1724).

(6) Cfr. la cit. lett. del 20 novembse 1724. Ma furono mandate più tardi ad altri
personaggi designati dal Canneti, come appare dalla lett. del P. al C. in data 4 di-
cembre 1724, donde appare anche che l'edizione era già esaurita, tantoché il P. non
avea potuto neanche mandarne una copia a un suo carissimo amico di Piacenza.
Così non si poté neanche contentare il Ca"d. Gozzadini, come appare dalla lett. del
P. al C. in data 15 dicembre successivo.

(7) Tutte queste spedizioni furono fatte per mezzo di mercanti o vetturali o
amici che si recavano da Foligno alle diverse città, per evitare le gravi spese po-
stali : cfr. in proposito la lett. del 13 ottobre 1724, dove si accenna a un ripiego
per non pagare il dazio sulla carta che il P. spediva contemporaneamente alle co- L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 21

L'opuscolo composto di 88 pagine in quarto piccolo era

uscito con questo frontespizio: DISSERTAZIONE | APOLOGETICA .

| di D. Pietro Canneti | Abate della Congregazione | Camaldo-
lese | Intorno al Poema de' Quattro Regni, | detto altramente il
Quadriregio, | e al vero Autore di esso | MONSIGNORE | FEDERIGO
FrEZZI | Dell’ Ordine de’ Predicatori, Cittadino | e Vescovo di
Foligno e Uno de | Padri del Concilio di Costanza, | In Foli-
gno, MDCCXXIII | Per Pompeo Campana Stampator Pub-

blico | Con licenza de’ Superiori. — A questo frontespizio se-

guiva Vl Indice de" Paragrafi che erano 45 e che occupavano
le pagine 3-6, e a questo teneva dietro tra le pagine 7-78 il te-
sto della Dissertazione preceduta dal lungo titolo e dalla dedica
seguenti: DEL POEMA | DE' QUATTRO REGNI, | detto altramente
| IL QUADRIREGIO, | e del vero autore di esso, | MONSIGNOR FE-
DERIGO FREZZI. | AU’ Eminentissimo e Reverendissimo | in Cristo
Padre Signore | FRA VINCENZO MARIA ORSINI | Dell’Ordine dei
Predicatori, Vescovo Por

tuense, Cardinale della Santa Romana |
Chiesa, e Arcivescovo di Benevento. — A pagg. 19-80 si trovava
l'AGGIUNTA E CORREZIONE sul Tignosio: a pag. 81 cominciava
l'INDICE | Delle cose più notabili contenute nella | Dissertazione
Apologetica, che andava in due colonne fino alla pag. 86 (1):
a pag. 87 si leggevano le approvazioni ecclesiastiche - e a
pag. 88 un breve errata-corrige (2).

Dopo ciò, vediamo di riassumere in poche e ordinate

)
parole lo svolgimento dell ampio lavoro cannetiano. L'autore
giustifica anzitutto la dedica della Dissertazione al Card. Or-

pie della Diss. al Canneti, e quella del 3 novembre successivo, dove si parla in ge-
nerale. Tuttavia il P. non potè fare a meno della posta, come appare dalla sua lett.
al C. in data 15 dicembre 1724, e forse dovette sostenerne lui la spesa. Certo é che
egli provò un grande disturbo per -*ques:e spedizioni, anche perché procedettero
molto lentamente, come é detto nella lett. ora citata.

(1) Nella lett. del P. al C. in data 9 agosto 1724 é detto che questo Indice, co-
minciato fin dall' anno precedente, secondo gli accordi presi, si era dovuto inter-
rompere per la malattia del Boccolini: forse lo finì il Pagliarini.

(2) Di questa stampa ho visto una copia completa e ben conservata nella. Bi-
blioteca Vittorio Emanuele di Roma.
929 3 E. FILIPPINI

sini, che apparteneva allo stesso Ordine del Frezzi e la nuova
edizione del poema opportunamente stabilita e curata dalla
Accademia di Foligno. Enumera poi ed illustra brevemente
le precedenti edizioni soffermandosi specialmente sulla prima
di Perugia e dimenticando la Milanese del 1488 (1). Riferisce
e commenta il favorevole giudizio pronunziato dal Corbinelli
sul Quadriregio e alcune postille apposte da Lodovico e Orazio
Ariosto sopra un codice di questo poema da loro posseduto.
Questo codice adespoto dà occasione al Canneti di dire che
Orazio Ariosto su di esso ritenne che il poema fosse opera
d’uno scrittore folignate: ciò che non impedì peraltro che
il Quadriregio fosse attribuito a Fazio degli Uberti. E conti-
nuando a parlare dei testi a penna, il critico accenna ai
primi tre che hanno servito a formare la nuova edizione e
poi descrive di su una relazione del Fontanini l'antico co-
dice Stoschiano che attribuisce anch'esso il poema a Fede-
rico Vescovo di Foligno. Quindi passa a fare la biografia
del Frezzi indicando manoscritti da lui già posseduti e ri-
trovati recentemente in Foligno, riferendo il testo della Bolla
pontificia della sua nomina vescovile, correggendo errori
commessi da alcuni suoi biografi, negandogli ogni altro com-
ponimento a lui attribuito all'infuori del Quadriregio e ap-
pellandosi a due testimonianze quattrocentesche della sua
attitudine poetica, cioè Nicola da Montefalco e Niccolò Ti-
gnosio, i quali lo citano nelle loro opere. Qui si apre una
lunga digressione sullo stesso Tignosio, che colpì ingiusta-
mente i Trinci signori di Foligno chiamandoli tiranni (2) e
poi si viene addirittura al nodo principale che aveva dato
al Canneti l'occasione di occuparsi di questo argomento e
che egli si proponeva di sciogliere. L' autore prende in esame
l'opinione del Montalbani che per quanto condivisa da altri

(1) Cfr. il mio studio cit. su Le edizioni del Quadriregio, cap. II, e la Diss.,
prg. V.
(2) Cfr. la Diss., prg. XIX. XD

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 28

Li

non era stata ancora discussa, e la mostra infondata prima
di tutto perchè l'età del Malpigli non concorda con l’ epoca
in cui sarebbe stato composto il Quadriregio, il quale risale,
secondo lui, al periodo 1380-1400 (e qui segue una seconda
digressione sulla facilità con cui negli antichi manoscritti le
opere d’un autore si trovano attribuite ad un altro) (1) e
poi perchè, conformemente ai dubbi sorti di poi nella mente
di alcuni seguaci del Montalbani stesso, il codice bolognese
su cui si basava quella presunzione, studiato attentamente
presentava le traccie d’una evidente alterazione del testo
commessa dal copista Tommaso Lioni, il quale fu anche fal-
samente creduto autore del Fior di vértà per averne fatta.
una copia. A queste ragioni che il Canneti svolge ampia-
mente e sicuramente, aggiunge quella della tradizionale at-
tribuzione del poema al Frezzi in tanti codici ed edizioni,
quella della citazione in esso di più luoghi e persone del-
l'Umbria, quella della stretta relazione tra le condizioni del
Frezzi e le dottrine svolte dal poeta, quella delle differenze
stilistiche che si riscontrano fra il Quadriregio e le poesie
del Malpigli, (e qui si nota una terza digressione sulle glorie
letterarie di Bologna che non restano punto oscurate dalla
negata paternità malpigliana del Quadriregio) (2) e finalmente
quella dell’ uso fatto dall’ autore di molti vocaboli e modi di
dire propri dell'Umbria in generale e di Foligno in partico-
lare. Ridonato così il poema al suo legittimo ideatore e com-
positore, il Canneti mette in evidenza i meriti poetici del
Frezzi come primo imitatore di Dante, lo difende dall’ aver
trattato di materia amorosa nel primo libro dell’opera sua
pur essendo egli un sacerdote, discute della natura speciale
del suo amore, parla dei nobili suoi intendimenti e traccia
a grandi linee il contenuto morale del quadripartito poema,
del quale in fine illustra la prossima nuova edizione spie-

(1) Cfr. la Dîss., prg. XXV.
(2) Cfr. la Diss., prg. XXXV.
94 E. FILIPPINI

gando i criteri ortografici seguiti dagli editori, ma senza ri-

cordare un severo giudizio di Sperone Speroni sull'autore

del Quadriregio (1); e dopo aver discorso del titolo da essi
prescelto finisce col rivolgere al Frezzi un' ultima lode.
Ora da questo riassunto ognuno può comprendere come
il lavoro del Canneti non sia nè una semplice Prefazione
quale prima s’ era voluto chiamarlo, nè una vera e propria
Dissertazione come la chiamò poi lo stesso autore, ma l'una
e l’altra cosa insieme, sicchè acquista piuttosto il carattere
d'un'ampia Introduzione critica intorno al Quadriregio, al suo
legittimo autore e alla sua prossima ristampa. Dato questo
carattere, sì comprende anche facilmente come non fosse
stata un’idea molto felice quella di distaccare un simile la-

(1) È strano che il Canneti qui o altrove non si occupi affatto di questo
luogo dell’Orazione in morte del Card. Pietro Bembo, scritta dal famoso critico
cinquecentista, in cui parlando dei meriti filologici del grande petrarchista e di
cendo che la lingua italiana non avrebbe alcun lume senza i suoi studi inge-
gnosi, biasimò la sciatteria degli scrittori ed editori precedenti e aggiun-e: « Miri
« chiunque vuol di ciò fede né testimonio, le stampe antiche, guaste e corrotte come
« i giudicii di quella etate; nelle quali senza regola di grammatica e senza legge
« d’ortografia scrittii libri di quegli autori divini vede ancora a dì nostri, chi le
« loro opre meravigliose così mal concie può sofferir di guardare. Dunque allora
« meritamente, quasi loglio, che per lo vizio della stagione vinca il grano che per
« mangiar seminiamo, le cinquanta e le settanta novelle, il Serafino e quegli altri,
« Quadriregio, Dittamundi, e mille mostri cotali usciti fuori di aleune anime disa-
« bitate ebbero ardire di comparere » (Cfr. il tomo III delle Opere eec. stampate a
Venezia nel 1740, pag. 163). Ora il Canneti che avea riferito il giudizio favorevole
del Corbinelli, non doveva trascurare questo dello Speroni, che sonava cosi diversa-
mente. Né poteva riuscirgli difficile discuterlo e respingerlo come non riusci diffi-
cile parecchi anni dopo ad Apostolo Zeno, che vedendolo accennato dal Fontanini
osservava giustamente: « Tutto il male che ne (cioé del Quadr.) dice lo Speroni si
« riduce al comun vizio di quell'età, nella quale si scriveva senza regola di gram-
« matica e senza legge di ortografia ; e però gli mette a canto le cinquanta e le
« settanta Novelle, il Serafino e il Dittamundi. Lo Sperovri non potea dar giudicio
« del Quadriregio, se non sopra le vecchie edizioni, che ne furono fatte verso il
« fine del sec. XV e il cominciare dell'altro, veramente malconcie e sfigurate; ma
« se avesse avuta sott'occhio la presente di Foligno in assai diverso aspetto e ve-
« stito raffazzonata e ripulita, avrebbe forse mutato sentimento e ne avrebbe diver-
« samente giudicato e scritto » (Cfr. La Biblioteca dell’ eloquenza italiana del FoN-
TANINI con annotazioni di Apr. Zeno - Venezia, Pasquali, 1753 - Vol. I, pag. 309, nota).
Senonché mi pare che lo Speroni non parli soltanto della forma sciatta, ma anche
del contenuto mostruoso del poema: e di questo neanche lo Zeno dice nulla. L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 25

voro dall'opera per cui era stato scritto, pubblicandolo prima:
uno studio siffatto non poteva aver luogo più acconcio che
alla testa della nuova edizione del poema. Noi sappiamo per
quale serie di circostanze si venne alla pubblicazione pre-
ventiva della Dissertazione cannetiana, e non ce ne meravi-
gliamo punto; ma non possiamo fare a meno di osservare
che se si voleva darla alle stampe separatamente dal poema,
bisognava toglierle quel carattere d’Introduzione ch'essa ha
e limitarla alla semplice trattazione critica della paternità
del Quadriregio. La quale è naturalmente la parte principale
e più importante di questo lungo lavoro (1).

Il Canneti, che aveva lungamente meditato e studiato il
suo soggetto, ed aveva avuto anche la forza di attendere
che la fortuna gli facesse conoscere le armi dei suoi avver-
sari, non lasciò intentato alcun mezzo per riuscire, con la
facile confutazione’ degli argomenti contrari, ad una esau-
riente dimostrazione del suo assunto. Nè egli poteva trattare
la questione con maggiore senso dell’ordine, con esattezza
più scrupolosa e con più sicura dignità di forma. Profonda
e varia è anche l'erudizione che il critico dimostra nello
svolgimento delle varie parti del tema, senonchè talvolta,
anzi spesso ella diventa ingombrante e appare un inutile
sfoggio di cognizioni bibliografiche, storiche e letterarie. Se
l’autore avesse cercato di evitare le troppo evidenti digres-
sioni che sono ben più di quelle che io non abbia notato
nel riassunto (2), se si fosse proposto una maggiore conci-
sione e avesse profuso minor numero di lodi a personaggi
viventi, l’opera sua potrebbe essere più apprezzata di quel
che realmente non sia. '

(1) Ad essa infatti sono dedicati il maggior numero dl paragrafi e precisamente
tut.i quelli contenuti fra i n. XVII-XXXVII.

(2) Cfr., per es., il prz. IV, dove si parla dell’ introduzione dell'arte della stampa
in Perugia e in Foligno e delle prime opere stampatevi, tra cui la Commedia. di
Dante; il prg. XXIV, dove si parla del Bambagiuoli e del suo poema delle Virtù
morali; e la nota Aggiunta finale sul sepolero del Tignosio.
26 E. FILIPPINI

Codeste lodi non si possono spiegare soltanto cogli usi
del tempo (1): esse dimostrano anche il tatto finissimo del-
l’autore. Infatti una parte di esse vanno all’ Accademia
di Foligno iniziatrice d'una nobile impresa (2) e ai tre

| principali collaboratori del Canneti, cioè il Pagliarini (3), il

Boccolini (4) e l'Artegiani (5), che egli non poteva, anche
o ) o 2

per gratitudine, dimenticare in questo luogo. Un altro buon

numero di lodi è rivolto a quei letterati che avevano

sostenuto pubblicamente l'impresa dell’Accademia, come il

Crescimbeni (6) e gli serittori del « Giornale » veneziano (1), o
che avevano in varie circostanze aiutato il dotto Cremonese
nelle sue ricerche, come il Muratori (8), il Beccari (9), il
Fontanini (10), il Vincioli (11), il Grandi (12), il Baruffaldi (13),
il Collina (14, e Apostolo Zeno (15). Ma il Muratori e il Fon-
tanini dovevano essere lodati anche perché un tempo essi
avevano sostenuto la paternità del Malpigli, e il Canneti
facendo la storia della questione non aveva potuto non no-
minarli tra i seguaci del Montalbani (16): nella stessa condi-
Zione si trovavano anche il Martelli e il Salvini, sebbene il
primo non avesse mai, come gli altri due, rinunziato pub-
blicamente alla sua opinione e il secondo non l'avesse ma-
nifestata che a parole: la lode in questo caso controbilan-

(1) Anche il Pagliarini e il Boccolini furono larghi di lodi ai letterati del tempo.

(2) Cfr. i prgg. I a principio e II. în
(3) Cfr. il prg. V in fine.

(4) Cfr. il prgg. X in fine, XVII in fine e XXXVII in principio.
(5) Cfr. il prg. XXXIV.

(6) Cfr. i prgg. XVI in fine e XXII in mezzo.

(7) Cfr. il prg. XXVI, per non dire di altri.

(8) Cfr. il prg. X.

(9) Cfr. i prgg. XXVII, XXXV e XLV.
(10) Cfr. i prgg. IX, XI, XXI ecc.
(11) Cfr. il prg. XXXIII.

(12) Cfr. la nota Aggiunta in (ine.
(13) Cfr. il prg. VII.

(14) Cfr. il prgg. XXVII e XXXV.
(15) Cfr. il prg. V.

(16) Cfr. i prgg. XXII e XXVI. n2
-

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

ciava la poco piacevole constatazione del loro errore (1).
Altri letterati poi, come l'Orsi, il Manfredi (2), il Bianchini (3),
il Marmi (4), il Bargiacchi (5) ecc. furono nominati e citati
‘in modo molto lusinghiero per semplice desiderio di acqui-
stare il favore di due ambienti difficili com’erano Firenze e
Bologna. Ed è per questa stessa ragione che il Canneti, pur
avendo scudisciato a sangue il copista Tommaso Lioni e giu-
dicato severamente il P. Orlandi suo biografo, lodò il Malpigli
come poeta e non ebbe parole aspre pel Montalbani, ma si
contentò di cogliere questo baldanzosamente in errore (6)
come fece anche con l| Echard (7), con lo Iacobilli (8) e col
Di Gregorio (9). Così la Dissertazione cannetiana se poteva di-
spiacere a qualche letterato vivente come l'Orlandi (10), si as-
sicurava l'applauso della maggioranza. Ben ponderata ed effi-
cace nella parte sostanziale, completa e dotta nella illustra-
zione del Quadriregio e del suo vero autore, vivace ed abile
nella sua condotta, essa era destinata ad un reale successo
nel campo degli studi letterari, ed il successo fu pieno ed
aperto.

Non fa meraviglia che per la lentezza con cui proce-
dette la consegna ai singoli destinatari delle copie spedite,
giungessero anche con un certo ritardo al Pagliarini e al
Canneti le risposte di quelli coi relativi ringraziamenti ed

(1) Cfr. pel primo i prgg. XXXI e XXXV e pel secondo i prgg. VI, XXXIX,
XLII ecc.

(2) Cfr. il prg. XXXV.

(3) Cfr. il prg. XXXVIII della Diss.

(4) Cfr. il prg. XXXII.

(5) Cfr. il prg. XXXII. Il dottore Niccolò Bargiacchi di Firenze era già accade-
mico Rinvigorito col nome di Schietto, come appare dal catalogo del 1719.

(0) Cfr. i prgg. XV, XX, XXI e XLV.

(7) Cfr. il prg. Xv.
8) Cfr. i prgg. XV, XVI e l’Aggiunia.
Cfr. il prg. XVI.
Egli infatti morì nel 1727: cfr. FANTUZZI, Op. cit.
hu

"A 23

mat mm

98 : E. FILIPPINI

elogi. Uno dei primi a compiere per lettera questi atti (1) fu il
Salvini; ma la sua lettera non si comprende se non si premette
che quasi contemporaneamente alla Dissertazione cannetiana
egli avea pubblicato un'esplicita dichiarazione in favore della
paternità frezziana del Quadriregio: la quale è talmente im-
portante dopo quel che avea detto d'una precedente e di-
versa opinione del Salvini sul medesimo argomento, che qui
non si può fare a meno di riferirla per intero. « Che Niccolò
« Malpigli bolognese scrittore Apostolico sia autore d’un
« poema in terza rima a imitazione di Dante, che perchè
« tratta di quattro regni, de’ quali il primo è il regno d'A-
« more, è intitolato Quatriregio (ma ha da dire Quatriregnio,
« come allora scrivevano cioè Quatriregno) (2) e che ne sia
« stato attribuito falsamente l' onore a un altro autore in
« una stampa del 1511, lo dice il Bumaldi nel Vocabolista
« Bolognese, senza addurne pur una pruova; e chiama questo
« un furto solennissimo letterario fatto da uno stampatore.
« Quello che asserisce Antonio Bumaldi, ovvero Ovidio Mon-
« talbani bolognese, lo rapporta sulla semplice parola di lui
« il sig. abate Fontanini a cart. 269 (del suo Aminta difeso)
« con iscoprire di più un'altra edizione fatta in Firenze da
« Pier Pacini da Pescia del 1508, che quella citata dal Mon-
« talbani del 1511 è di Venezia e ha per titolo: Quatriregio
« (leggo Quatriregno) del decorso della vita umana di messer

A

Federico fratre del Ordine di Sancto Domenico, eximio mae-
« stro in Sacra Teologia, et già vescovo della ciptà di Fuligno ;

(1) Il primo fu il p. G. Cotta, che ripeté per lettera quelle espressioni ammi-
rative, che gli erano uscite «di bocca quando avea visto la Diss. in Foligno, Cfr. le-
stratto della sua lettera in data 30 ottobre 1724 che si trova nella Miscellanea XXVI
della Classense, e la lett. del P. al C. in data 20 novembre 1724.

(2) Si accorda con queste parole ciò che anche il Canneti afferma nel prg. XLV
della sua Diss., dove dice che già per lettera il Salvini avea fatto conoscere al Pa-
gliarini questa sua congettura. Parecchi anni più tardi anche GIOVANNI BOTTARI
(Lettere di Fra Gwittone: Roma, De Rossi. 1745: Prefazione, pag. 219) segnalava
« la storpiatura del titolo del poema antico composto da Federico Frezzi intitolato
« Quadriregio per Quadriregno ». L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 29

il quale appella un falso titolo il sig. abate Fontanini, fon-
dato sull' autorità senza prova del Montalbani, la qual
prova era necessaria per levare il vescovo di possesso.
Ora oltre al lodare in esso poema la casa de' Trinci si-
enori di Fuligno, e fargli venire da Troia e lodare la città
di Spello e di Fuligno dicendo che Spello vuol dire Spec-
chio (quasi Speglio), che è curiosa etimologia, quando viene
dal suo.nome antico JAspellum; nel capitolo nono del
quarto e ultimo Regno delle Virtù si scuopre per cittadino
di Fuligno manifestissimamente. Poiché quivi la Prudenzia,
che é come la Beatrice di questo nuovo Dante, lo guida
al monte Elicona, ove vede molti valenti poeti dell'anti-
chità, e poi sale colla scorta della medesima Prudenzia al
monte Parnaso, dove la scuola filosofica era, dic' egli, dicendo
appresso questi versi: « Mentre io sguardava a quelle
erandi Scole .... Ch'io t' ho trovato in questo nobil regno ».
(Sono sette terzine, in parte da noi già conosciute, dove
si parla dell'incontro con maestro Gentile da Foligno).
Questo é quel Gentile Fulginate, medico famoso, che fiori
nel 1310 (1), che scrisse moltissimi libri in medicina, e tra
gli altri, Comentari sopra Avicenna in due tomi stampati
in Pavia (2). Ecco dunque mantenuto il proprio autore in
possesso, il cui poema, secondo il giudizio datone dal Cor-
binelli nella prefazione alla Bella mano di Giusto de' Conti
da Valdimontone, si stima non punto indegno d'ir dietro
a Dante, a imitazione della cui Commedia egli è composto ;
longo sed proximus intervallo. Questo poema pure attribuisce
a lui il nostro Ughelli nell’ Italia Sacra ne’ vescovi di Fu-
ligno; il quale fu del casato de’ Frezzi, casato cred’ io,
venuto da Eric, accorciato dal genitivo latino, che serve
in italiano di patronimico, Fedricî o Federici, e ’1 Ci pro-

(1) Veramente morì in Foligno nel 1348 (cfr. la Diss., prg. XXX).
(2) Su questo illustre me.lico folignate e sulle sue numerose opere cfr. il re-

cente studio del p. P. T. LuGano: Gentilis Fulginas speculator e le sue ultime vo-
lontà ecc. pubblicato nel fasc. II-III dell'anno XIV di questo Bollettino, pagg. 195-210.
30 E. FILIPPINI

« nunziato con Zeta. Del resto Niccolò Malpigli da Bologna,
« investito autore di questo poema dal Montalbani, si trova
« registrato nell'indice dei poeti italiani dall'Allacci » (1).

(1) Cfr. Della perfetta poesia italiana, ecc. di L. A. MURATORI con le annota-
zioni critiche di A. M. SALVINI, (Milano, tip. dei classici italiani), vol. III, pagg. 321-
323. É noto che la prima edizione di quest'opera muratoriana curata dal Salvini
apparve nel 1724 (cfr. la prefazione al primo vol. dell'ediz. milanese qui cit.); ma
essa era stata preparata fino dall'anno precedente, come appare dall: seguenti pa-
role che si leggono in una lettera del Muratori al Salvini in data 26 novembre 1723,
riferita dal CAMpori nel vol. VI dell'op. cit, n. 2216: « A me tocca il rendere vive
« grazie a V. S. illustrissima per l'onore fatto a quel mio libro con riputarlo degno
« delle sue applicazioni, e di esaminarne gl'insegnamenti. Mi avrebbe però fatto
« più servizio il padre Paoli, se avesse un po’ più differito una tale. edizione, per-
« ciocché restandone a me tuttavia molte copie della prima, io non saprò a che va-
« lermene più, se non a difendere il caviale dal freddo. Ma il colpo è andato. Fra
« le opere tutte belle di V. S. illustrissima ho speranza che il pubblico truovi que-
« sta più gustosa dell’altre ». Sebbene però la nuova edizione avesse avuto un così
lontano principio, essa non venne alla luce prima della fine e'ell'anno 1724: infatti
il CAmpORI nella Cronobiografia muratoriana inserita a principio del vol. VI del-
l'epistolario cit. registra dopo il 14 dicembre di quest'anno la pubblicazione in Ve-
nezia della ristampa Della perfetta poesia con le note del Salvini. Del resto va no-
tato anche che né il Salvini cita il Canneti, né il Canneti accenna mai a quest'opera
del Salvini; mentre vi accennerà più tardi il Boccolini nelle sue Dichiarazioni (cfr.
pagg. 292 e 304 del vol. II del Quadr. del 1725). — Ma come si spiega che tanto il
Muratori quanto il Salvini lasciarono passare senza alcun cambiamento in questa
edizione il passo del l. I clie più direttamente si riferiva al Frezzi e che io ho già
riferito nel principio di questa seconda parte del mio lavoro? Come mai né il Mu-
ratori si ricordò, dopo la sua ritrattazione scritta, di rivendicare al Frezzi un poema
che anch'egli seguendo l'opinione del Fontanini avea attribuito al Malpighi, né il
Salvini appose qui una nota che fosse in armonia con quello che diceva poi nel 1. III?
Più facile è spiegare questa seconda questione che la prima: é probabile che la
ristampa dell'opera muratoriana fosse cominciata in tempo in cui il Salvini ere-
deva ancora che il Quadr. appartenesse al Malpigli anziché al Frezzi e che quindi
egli lasciasse senza correzione il luogo del 1. I; ma poi pervenuto all. III quando
avea già cambiato opinione, non potendo più correggere il passo precedente pro-
fittasse d'una occasione qualsiasi per chiarire il suo pensiero. Ma resta sempre un mi-
stero la mancata correzione del Muratori. — Del resto, non senza un piccolo errore
che si spiega con la mancanza del testo, a questa Annotazione del Salvini allude
anche il Pagliarini nella lett. al C. in data 22 dicembre 1724, in cui gli chiede la
trascrizione d’un passo di quella, che egli mostra di aver letto di fresco, ma di non
ricordare esattamente. Io non conosco lo scopo di questo favore che il Pagliarini
chiedeva al Canneti, tantopiù che egli non ha mai nominato l'autore dell’ opera
Della perfetta poesia italiana né quello delle Annotazioni alla medesima. Ma mi
pare che le sue parole dimostrino una volta ci più che la ristampa dell’opera mu-
ratoriana non era avvenuta dopo la pubblicazioue della monografia del Canneti:
ché altrimenti il Pagliirini o non l'avrebbe potuta leggere così presto, o se l'avesse
anche letta, non avrebbe avuto bisogno di rivolgersi al dotto Cremonese per chie-
dergli ciò che poteva facilmente ricordare. ® L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 31

Ora come il Salvini fosse passato da una opinione ad
un'altra diametralmente opposta prima ancora di conoscere
le conclusioni del Canneti, di cui in quella pagina non é
alcuna traccia visibile (1), non è facile stabilire: si può sup-
porre che egli messosi a leggere il poema dopo le uitime
dichiarazioni del Crescimbeni e dopo le obiezioni del P. Ra-
‘vali, venisse pian piano modificando le idee dianzi attinte
dal famoso Vocabolista bolognese fino a convertirsi interamente
a favore del Frezzi (2). Comunque era naturale che in se-
guito a questo cambiamento di giudizio egli leggesse atten-
tamente la Dissertazione cannetiana e trovandovi la conferma
delle sue presenti convinzioni rispondesse coerentemente a
chi gliela aveva donata. E disse franco che il chiaro apolo-
gista del Frezzi avea fatto brillare la verità e trionfare la
buona. critica (3). Questa. lettera però del Salvini non ci è
stata conservata, mentre tante altre pervenute al Pagliarini,
al Boccolini e al Canneti furono affidate in originale, in co-
pia intera, e in estratto ad una preziosa Miscellanea della
Classense (4) e in alcune lettere dello stesso Pagliarini, che
ora andrò sfogliando per spigolarvi le notizie più importanti.

(1) Infatti l'aver citato il passo del Quadr. che riguarda Gentile da Foligno
senza parlare delle alterazioni ivi subite dal codice bolognese e di tutti gli altri
argomenti in favore del Frezzi rac olti dal Canneti, dimostra abbastanza chiara-
mente che il Salvini non avesse potuto ancora trarre profitto dalla Diss. canne-
tiana.

(2) E anche probabile che il Salvini entrato in corrispondenza col Pagliarini
subisse l'influsso delle sue idee in materia frezziana.

(3) Cfr. la sua lett. in data 4 novembre 1724, richiamata nella prefazione al primo
volume del Quadr., ed. nel 1725. :

(4) E la Miscell. ms. XXVI di quella biblioteca, che ho avuto già occasione di
ricordare. Qui giova aggiungere che nel r. del foglio di guardia di questa Miscell.
si leggono scritte di pugno del primo bibliotecario della Classense che era il p. Ma-
riangelo Fiacchi amico personale e ammiratore del Canneti, le seguenti parole: Car-
‘teggio del Sig. Giustiniano Pagliarini ed altri sopra la qui inserta dissertazione
del P. Abate Canneti. Infatti essa fra l’altro contiene anzitutto una copia della Diss,
stampata, poi una bozza di lettera latina del Canneti, e parecchie lettere di vari
riguardanti la stessa Diss. e scritte fra il 1724 e il 1725. Di queste lettere al-
cune sono autografe e dirette al Canneti e sono le. prime 16 scritte dai seguenti
autori nelle epoche rispettivamente segnate in parentesi: L’ arcivescovo di Na-
zianzo (25 novembre e 9 dicembre 1724), il Cardinale Paolucci (19 maggio 1725), . il
ad

yw
P,

39 E, FILIPPINI

Il Martelli nel disobbligarsi col donatore mostrava di non :
avere alcuna voglia di lodare l'erudita monografia, poiché
diceva di non averla ancora letta pel desiderio di darla su-
bito a legare (1). Ma è notevole questa sua dichiarazione
fatta al Pagliarini sulla Dissertazione connetiana: « Tanto
« meno poi io e tutti noi dobbiamo formalizzarci, quanto vi
« si tratta di restituire ad una nobite Città il suo Poeta,
« che gli era stato per cosi dire dalle braecia strappato.
« Ben è vero che chi l' ha creduto Bolognese merita scusa,
« essendo persuaso da un codice egualmante antico che gli
« altri con in fronte il nome ed il ritratto ottimamente mi-

.« niato dello stesso Malpigli. Di più ci sono alcune terzine

« inserte che lo mostrano Bolognese, ma l'impostore non ha
« havuta l'avvertenza, poiché voleva rubare a Foligno, di
« ben rubbare » (2). Del resto egli poco dopo tornava a
scrivere al Pagliarini e ringraziava l’autore della monogra-
fia « prima in nome della patria per aver a questa confer-

Card. Pipia (17 gennaio 1725), il Card. Bentivoglio (3 febbraio 1725), Ruggero Calbi
(9 febbraio 1725), Vincenzo Piazza (28 ottobre 1725), il vescovo di Perugia (16 settem-
bre 1724, 27 gennaio 1725, 3 gennaio 1726), l' Arcivescovo di Traianopoli (25 novem-
bre 1724), il vescovo di Roalling (?) (18 novembre 1724), G. B. Nuccarini (2 gennaio
1725), Girolamo Baruffaldi (20 dicembre 1724 e 8 gennaio 1725), Innocenzo Montini
(senza data). Altre che seguono, sono copie di lettere ricevute dal Pagliarini o dal
Boccolini, mandate poi dal primo al Canneti: eccone i nomi degli autori e le date
secondo l'ordine della Miscellanea: Bartolomeo Casaregi (14 aprile 1725), Pier Fran-
cesco Bottazzoni (15 dicembre 1724, 3 gennaio 1725), Ludovico Antonio Muratori (6
gennaio 1725), F. M. Amigoni (11 gennaio 1725), Lodovico Leonini (6 febbraio 1725),
Giovan Mario Crescimbeni (30 dicembre 1724), A. F. Marmi (novembre 1724). — Se-
guono poi due gruppi di estratti di lettere scritte dai seguenti autori nelle epoche
rispettive, fatti anch’ essi dal Pagliarini e mandati al Canneti; nel primo gruppo
appaiono Mons. G. Fontanini (2 dicembre 1724), Mons. Niccolò Giudice (2 dicembre
1724), il Nuecarini (2 dicembre 1724), il Generale dei Domenicani (9 dicembre 1724 ?),
il p. B. Collina (9 dicembre 1724?), P. I. Martelli (9 dicembre 1724); nel secondo
gruppo, preceduto da una lettera autografa del Pagliarini in data 27 novembre 1724,
si leggono i nomi di G. Cotta (30 ottobre 1724), V. Bianchini (13 novembre 1724), P.
I. Martelli (15 novembre 1724), B. Collina (18 novembre 1724).

(1) Cfr. la lett. del P. al C. in data 20 novembre 1724.

(2) Cfr. l' estratto della lett. sua in data 15 novembre 1724, inserita nella Misc.
XXVI della Classense. à L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 33

« mata la restituzione del Bambagioli (1) e poi in nome suo
« per aver fatta troppo onorevol memoria di luz » (2). Il
p. Collina invece, dopo aver lodato la Dissertazione ed il
Frezzi, che secondo lui « uguaglia Dante » per la sua dot-
trina « siccome lo pareggerebbe ancor nella fama se fosse
nato o prima o in tempi alla Toscana Poesia più favore-
voli », si proponeva di provocare un giudizio del Bottaz-
zoni » che si era messa la lancia in coscia a favore del
Malpigli » (3). E nello stesso giorno in cui il Martelli riscri-
veva al Pagliarini, lo informava anche lui di aver fatto dono
della sua copia della Dissertazione al Bottazzoni, il quale
promettendo di mostrare al più presto la sua gratitudine
agli editori di Foligno, avea intanto dichiarato, come l’unico
impegnato in causa, « che del tutto mantecatto sarebbe chi
« si provasse di opporsi al sentimento del P. Ab. Can-
« neti » (4). E pochi giorni dopo, avvisava di questa dichia-
razione del Bottazzoni anche il Canneti aggiungendo la si-
gnificativa esclamazione : « Veda forza della verità » (5). Ma
già a quell’ora il Bottazzoni, che dopo aver per un momento
‘ messo il mondo a rumore con la strombazzata sua Disser-
tazione sull’ autore di questo poema non avea più fatto par-
lare di sè da lungo tempo, avea mantenuto la sua promessa
e diretto al Pagliarini una lettera, in cui si dava per vinto
e s'inchinava alla verità così efficacemente dimostrata (6).

(1) Cfr. il prg. XXIV della Diss.

(2) Cfr. l'estratto della lett. sua in data 9 dicembre 1724, inserita nella stessa
Misc. della Classense. b

(3) Cfr. l'estratto della sua lett. in data 18 novembre 1724, inserita nella stessa
Misc. della Classense.

(4) Cfr. l'estratto della sua lettera in data 9 dicembre 1724, inserita nella stessa
Misc. della Classense.

(5) Cfr. la lett. del Collina al Canneti in data 20. dicembre 1724 che si trova fra
le sue 12 lettere già ricordate, e che non riferisco in appendice per amore di bre-
vità.

(6) Cfr. la lett. del Bottazzoni al P. in data 15 dicembre 1734 che riferisco in
appendice. Ad essa accenna anche il Pagliarini nella lett. al Canneti in data 22 di-
cembre .1734. :
94 E. FILIPPINI

Di li a poco il Bottazzoni, lodato per questo suo atto dall’ Ac-
cademia di Foligno e designato ad essere nominato Aénvigo-
rito, scriveva una seconda lettera in cui, mentre accettando
ringraziava dell’onore che gli. si voleva conferire dagli Ac-
cademici, prometteva anche che dovendo citare alcun passo
del Quadriregio in certe sue Lettere discorsive intorno agli
abusi della Poesia, avrebbe fatto « secondo la prossima ri-
stampa del poema » (1). Se a tutto questo poi si aggiunge
che il p. Collina nella lettera testè accennata si era reso
interprete presso il Canneti anche della gratitudine del Mar-
chese Orsi (2) e dell'ammirazione del Can. Conti che voleva
occuparsi del Frezzi e del Qwadriregio in una sua Conversa-
zione (3), il successo del Canneti a Bologna non poteva es-
sere maggiore e si comprende come egli, mentre riuniva
tutti i documenti laudativi che riceveva, non sapesse astenersi
dal comunicare la sua soddisfazione agli amici. Così infatti
scriveva.in quel medesimo tempo al Bibliotecario della Clas-
sense :« La mia Dissertazione fa da per tutto un gran fracasso...
« Ciò che più importa si è il darsi per vinto Bottazzoni con
« una lettera scritta al Pagliarini di Foligno e convinto della
« verità. L' Orlandi è un pazzo, e gli stanno bene le sferzate

(1) Cfr la lett. dello stesso Bottazzoni al P. in data 3 gennaio 1725 che riferisco
anche in appendice. Di essa fa. cenno il Pagliarini nella lett. al Canneti in data 15
gennaio 1725, Quanto poi alla promessa accennata in questa lettera, essa non fu man-
tenuta, poiché nella edizione postuma delle Lettere discorsive contro ad alcuni poe-
tici abusi pregiudizievoli sì al decoro della religione cattolica come alla buona mo-
rale cristiana del BorTAZZONI (Napoli, Moscheni 1733) non mi é riuscito di trovare
neppure un accenno al Quadriregio. Ma forse ciò dipese dalla morte che raggiunse
l'autore il 28 ottobre di questo stesso anno 1725, come dice il FaNnTUZZI nell’ op. più
volte cit.

(2) Ma il P. scrivendo al C. la lett. cit. del 29 dicembre' 1724 diceva di non aver
ancora ricevuto alcuna risposta dal march. Orsi. E in un’ altra del 2 marzo 1725 di-
ceva di non volergli più scrivere, perché non avea ancora risposto.

(3) Non so chi sia questo personaggio bolognese. Probabilmente sarà il nobile
Pietro Conti di quella .città, uomo di grande pietà e autore di opere ascetiche,
morto nel 1751, come dice il FANTUZZI (op. cit., tomo III, pagg. 202-203).

\ L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 95

« che ha ricevuto, se pur le sente al vivo, come merita.
« Chi leggerà tutta l'operetta, conoscerà ch'ho letto qualche
« cosa » (1).

Tutti i ietterati infatti facevano plauso all’ erudizione
del Canneti e alla bontà del suo lavoro. Oltre a quelli
già nominati, scrissero lettere di lode il Marmi che dopo
una così dotta apologia accettava senz’ altro la pater-
nità frezziana del Quadriregio (2), il Fontanini per: cui la
Dissertazione cannetiana faceva grande onore alla cospicua
città di Foligno (3), il Crescimbeni che ringraziava il Boc-
colini del prezioso dono (4), l'Amigoni che trovava la mo-
nografia « saporita, graziosa elegante e in forma probante >
e si rallegrava con Foligno e coi Anvigoritài « di un'opera
« così famosa finalmente vendicata alla loro gloria senza
« timore che niuno più ardisca. alzare una voce » (5). Ma
più notevoli ancora erano i giudizi e le dichiarazioni del
Baruffaldi, del Muratori. Il Baruffaldi, dopo aver detto al

Pagliarini che aveva addirittura divorato con infinito pia-

cere lo scritto del Canneti, dove vedeva fatto un così
largo onore al codice ariostesco del Quadriregio da lui pos-
seduto (6) si rivolgeva anche all'autore medesimo e gli ri-
peteva le stesse cose meravigliandosi peró che il Fontanini
avesse giudicato « un inutile scartafaccio » quel documento
.e proponendosi anche lui d'interpellare sul valore della Dis-
sertazione il Bottazzoni, che un giorno gli aveva letto un'apo-

(1) Cfr. nella Classense il vol. XI delle lettere mss. del Canneti a M. Fiacchi,
e precisamente la lett. in data 27 dicembre 1724. Quanto a ciò che dice dell'Orlandi,
cfr. la Déss. nei prgg. XXVIII e XXXII.

(2) Cfr. la copia della sua lett. al Boccolini in data del novembre 1724 da Fi-
renze, inserita nella cit. Misc. della Classense.

(3) Cfr. l'estratto della sua lett. al Pagliarini in data 2 dicembre 1725, inserito
nella cit. Misc. della Classense. :

(4) Cfr. la copia della sua lett. al Boccolini in data 30 dicembre 1724 da Roma,
inserita nella cit. Misc. della Classense.

(5) Cfr. le copia della sua lett. al Pagliarini in data 11 gennaio 1725 da Fa-
briano, inserita nella cit. Misc. della Classense.

(6) Cfr. il brano riportato nella lett. del P. al C. in data 29 dicembre 1724.
36 E. FILIPPINI

logia del Malpigli come autore di quel poema (1). E quando
il Bottazzoni gli ebbe confermato ciò che aveva già detto
al p. Collina e scritto al Pagliarini in omaggio alla verità,
egli si compiacque ancora di informarne il Canneti aggiun-
gendo la sua completa approvazione (2). Il Muratori dovette
essere uno degli ultimi a leggere la Dissertazione, sebbene il
Pagliarini gliene avesse mandata una copia fino dai primi
giorni del novembre 1724 e gli avesse poi anche scritto per
avvisarlo della spedizione (3). A quella lettera egli rispose
molto tardi con questa ancora inedita: « Non prima d’aver
« ricevuto la Dissertazione Apologetica intorno al vero autore
« del Quadriregio ho voluto rispondere al benignissimo foglio
« di V. S. Mi giunse dunque da Bologna e l’ho avidamente
« letta. Le ragioni sono evidenti ed ingegnosamente ed eru-
« ditamente schierate dal valorosissimo P. Ab. Canneti. Il
« processo è finito, la sentenza è data; e certamente niun
« saputello, non che barbassoro, ardirà di venir più a bat-
« taglia in questo stato di cose. Me ne rallegro con cotesta
« Città e col Pubblico, e a V. S. rendo infinite grazie per
« questo carissimo dono. Resta ora che io vegga comparire
« anche il Quadriregio sospirato e mi vo lusingando che non
« abbia a tardar molto.. Avró anche caro di sapere dove
« presentemente si trovi il predetto P. Ab. Canneti perché
« voglio che a lui pure giungano le mie congratulazioni » (4).

(1) Cfr. la lett. originale del Baruffaldi in data 20 dicembre 1724 da Ferrara,
che riferisco intera in appendice. Questa dichiarazione del Baruffaldi é importante
perché proverebbe che realmente il Bottazzoni avesse scritto la Dissertazione mal-
pigliana, di cui del resto avea informato nel 1713 anche lo Zeno, come abbiamo
già visto. Ma perché non Pavrebbe egli pubblicata se realmente l'avesse scritta?

(2) Cfr. la sua lett. originale al Canneti in data 3 gennaio 1725, inserita nella
cit. Misc. della Classense e da me non riferita in appendice per amore di brevità.

(3) Cfr. la lett. del P. al Muratori in data 24 novembre 1724 dell Archivio Soli-
Muratori dell' Estense di Modena. Il Pagliarini era molto impaziente di ricevere la
risposta del Muratori e lo dimostra nelle lettere al Canneti in date 15, 22 e 29 di-
cembre : forse temeva che il ritardo dipendesse dall’incidente della dedica rientrata.

(4) Questa lettera muratoriana che non fu pubblicata, é quella che si trova in
copia e con la data del 6 gennaio 1725 nella Misc. XXVI della Classense. Ad essa
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 37

Vedremo che il Pagliarini diede subito al Muratori 1’ infor-
mazione che gli chiedeva (1), e questi prima della fine del
gennaio 1725 avea già scritto al Canneti la lettera che si
era proposto di mandargli. Sebbene essa sia già affidata alla
stampa, vale qui la pena di riprodurla. « Non v'ha dubbio
« — diceva l'illustre poligrafo —; tutto il mondo degli eru-
« diti troverà la Dissertazione di V. P. reverendissima stesa
« con tale giudizio e uso di fina critica, con tale erudizione
« e maniera modesta di combattere, che di meglio non si
« potea fare; e questo solo pezzo è bastante a far conoscere
« che il di lei ingegno e valore si dee contare fra i primi.
« L'ho io letta con singolar piacere, e nulla v'ho saputo ritro-
« vare, che non cammini a meraviglia bene. Peró seco lei mi
« congratulo vivamente e l’ assicuro che m'é cresciuta di
« molto la sete d'altre cose; anzi credo ch'ella abbia a
« render conto al pubblico ed anche a Dio, perchè finora
« abbia dato si poco. Ci pensi e le venga scrupolo e poi si
« metta al forte, ché tutto ella può » (2).

Se questi giudizi e dichiarazioni personali dei letterati
italiani non potevano non soddisfare grandemente l’ amor
proprio del Canneti e del Pagliarini (3), dovevano piacere
molto maggiormente le espressioni di coloro che parlavano,
oltre che in nome proprio, in nome di tutti gli spiriti più
intellettuali delle città da cui scrivevano. Sono degne di OS-
servazione per questo due lettere, una di G. B. Nuccarini
di Foligno residente in Roma, l’altra di Bartolomeo Casaregi
professore a Firenze. Il primo che era da poco medico pon-

accenna il Pagliarini in un' altra lettera dell'Archivio Soli-Muratori di Modena che
gli diresse il 22 gennaio 1725, in cui ringraziandolo della sua approvazione. di-
chiara d'informarne il Canneti, e nello stesso tempo gli comunica il grande signi-
ficato delle due lettere del Bottazzoni sopra accennate.‘ La riferirò più innanzi.

(1) La vedremo nella lett. del 22 gennaio 1725 testé accennata.

(2) Cfr. la lettera del Muratori al Canneti in data 31 gennaio 1725, nel vol. VI
dell’Epistolario pubblicato dal CAmPORI, a pagg. 2421-2422.

(3) Del compiacimento del P. sono prova tutte le lettere di questo tempo che
egli scrisse al C. :
38 E. FILIPPINI

tificio e che aveva già scritto fin dal dicembre 1724 al Pa-
gliarini ringraziandolo del dono e annunziandogli l’approva:
zione del Papa per la ristampa della Dissertazione nella pros-
sima edizione del Quadriregio (1), scrisse un mese dopo an-
che al Canneti in risposta ad una sua lettera di congratu-
lazione per l'ottenuto ufficio in Vaticano, lodando l'opera da
lui spesa a vantaggio della natia Foligno e parlando « colla
« voce de’ più distinti letterati di Roma, che hanno avuto il
« piacere di leggerla. ed applaudirla » (2). Così il Casaregi,
che era stato aggregato di fresco all’ Accademia folignate e
che perciò aveva avuto anche lui una copia della Disser-
fazione cannetiana, mentre da una parte dichiarava « che
« non si poteva fare cosa in tutte le sue parti nè più ag-
« giustata nè più dotta nè più pulita » dell’ Apologia frez-
ziana e che egli la stimava uno « de’ bei libri che siano
« usciti fin qui nel nostro tanto purgato e delicato secolo »y
affermava dallaltro che questo era anche il parere « di tutti
quelli che (a Firenze) hanno goduto di cosi bella lettura »
e specialmente dei fratelli Salvini (3).

Poco dopo venne il responso del Papa, al quale il Can-
neti avea diretta una lettera latina in cui chiamava i Foli-
gnati « bonarum artiun cultores » (4) e con questa era
stata presentata la Dissertazione non so in quale momento e
da chi. Ma certo questa presentazione non dovette avvenire
molto presto se il Cardinale Paolucci tardó fino al maggio

(1) Cfr. l'estratto della sua lett. al P. in data 2 dicembre 1724, inserita nella
cit. Misc. della Classense.

(2) Cfr. la sua lett. originale in data 2 gennaio 1725, inserita nella cit. Misc.
della Classense e da me riferita in appendice.

(3) Cfr. la copia della sua lett. al P. in data 14 aprile 1725, inserita nella cit.
Misc. della Classense. Su questo erudito genovese cfr. quel che ho detto nella prima
parte del presente lavoro, sotto l'anno 1725. A lui accenna anche il Boccolini a
pag. 278 delle sue Dichiarazioni.

(4) La lettera, inserita in bozza nella cit. Misc. della Classense e indicata dal
MAZZATINTI al n. 476 del suo Inventario della Classense, vol. IV, pag. 247, porta la
data del 13 dicembre 1724.
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 39

1725 prima di dirigere al Canneti una lettera ‘anch’ essa la-
tina di congratulazione a nome di Benedetto XIII (1). Con
questa lettera sovrana si puó dire che si chiudesse il ciclo
delle numerose attestazioni di stima raccolte dal dotto Cre-
monese in tutta l'Italia: altre lettere posteriori contenute
nella Miscellanea XXVI della Classense, non hanno piü al-
cuna importanza.

Ma alle attestazioni manoscritte facevano riscontro le
stampate, per quanto in numero minore. E già nella seconda
metà del gennaio di quell' anno era apparso in un giornale
veneziano piü modesto di quello notissimo e autorevole dei
fratelli Zeno: cioè nei /oglietti letterarj di Almorò Albrizzi
che si firmava « libraio e stampatore veneto e compastore
della sceltissimo Accademia dell’Onore l’etterario di Forlì »
e che come diceva il Pagliarini « faceva commercio di li-
bri in Germania e fino in Moscovia » (2). Dopo aver rife-
rito il titolo della Dissertazione cannetiana, il relatore dice:
« Questo dotto, erudito e colto componimento che da’ Si-
« gnori Accademici Rinvigoriti si premette all'edizione già
« ultimata, del Quadriregio .... (3) è stato indiritto (sic) dal
« celebre Autore di esso, all’ Eminentissimo e Reverendis-
« simo Signor Cardinale Fra Vincenzo Maria Orsini, già
« Arcivescovo di Benevento ed ora di tutta la Cattolica
« Chiesa Sommo Pastore. Comprende 43. Paragrafi, nei
« primi 11 de’ quali si discorre delle varie edizioni e di
« molti codici a penna, di quell' insigne Poema; e negli al-
« tri dell' Autore di esso, che molti, seguendo la falsa opi-
« nione di Ovvidio Montal/bani, an potuto credere esser Nic-

(1) La lettera pontificia, contenuta in originale nella cit. Misc. della Classense
e indicata dal MazzaATINT! nello stesso luogo, porta la data del 19 maggio 1725.

(2) Cfr. una lettera del P. al C. in data 27 novembre 1724, che si trova in testa
al 2» gruppo di estratti nella cit. Misc. della Classense e in cui lo scrivente dice che
avrebbe tentato di far annunziare dall'Albrizzi la Diss.

(3) I Foglietti avevano già preannunziato la ristampa dei Quadr. assai breve-
mente a c. 105 del 1723 e a c. 178 del 1724.
M
== =_=

40 E. FILIPPINI

« Colò Malpigli, soggetto che col grado di Abbreviatore Ap-
« postolico vivea già nella Corte Pontificia l’anno 1424, e si
« dimostra co’ caratteri della maggior chiarezza che il vero
« ed indubitato Autore del Quadriregio, egli è Monsignor Fe-
« derico Prezzi Cittadino e Vescovo di Foligno » (1). Que-
sto annunzio, che appare proveniente da Foligno, non puó
avere l'importanza d'una recensione del lavoro cannetiano ;

‘ ma contiene quanto basta per dare pubblicità ad una stampa

venuta a luce in una piccola città. Né il giornale dell’ AI-
brizzi fu l'unico ad annunziare lavvenuta pubblicazione del
Canneti. Nel « Giornale dei letterati d'Italia », il Pagliarini
avrebbe voluto che si pubblicasse un estratto della Disser-
tazione e perciò avea interessato prima il P. Cotta (2) e poi
il P. Artegiani (3). Ma di questa larga recensione il P. Ar-
tegiani come il P. Cotta credette bene di non assumere
l’incarico dimostrando anche a nome dello Zeno l'opportu-
nità che l'articolo partisse dalla Accademia di Foligno, ed
allora il Pagliarini girò l'incarico allo stesso Canneti (4),
che naturalmente non ne fece nulla. Intanto però usciva
il vol. XXXVI del « Giornale » con la data arretrata del
1724, che conteneva la seguente comunicazione da Foligno:
« Mentre alla gagliarda qui si lavora intorno alla nuova
« aspettatissima edizione del poema di Mons. Federigo Frezzi,
« intitolato il Quadriregio, si è fatto alla stessa precorrere

(1) Cfr. Fogl. Lett. ecc., vol. III, fasc. del 22 gennaio 1725, pagg. 40-45. In una
lunga nota di questo annunzio si parla d'un bellissimo codice di Praga sul Concilio
di Costanza, a cui prese parte il Frezzi. Nel seguito dell’ annunzio si parla poi del-
l'Artegiani allora Reggente in S. Stefano di Venezia e dei suoi scritti intitolati Let-
tera d’un Accademico Rinvigorito ecc. e DelU Onestà, d?^Amore, nonché di Benedetto
Pisani e della sua Fulginia. L'annunzio si chiude con le seguenti importanti parole :
« Quest'Accademia trae ben di lontano la sua origine, ma comeché erasene veduta,
« qualche declinazione, fu perciò col nuovo titolo di Rinvigoriti ripristinata dal zelo
« de’ presenti virtuosissimi e illustrissimi per ogni riguardo Signori Accademici,
« che la compongono ».

(2) Cfr. la lett. del P. al C. in data 15 dicembre 1724,

(3) Cfr. la lett. del P. al C. in data 22 dicembre 1724,

(4) Cfr. la lett. del P. al C. in data 16 febbraio 1725. L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 41

« un'assai dotta scrittura del P. Ab. Canneti col titolo che
« siegue: Dissertazione... In questa Dissertazione l’ erudito apo-
« logista primamente annovera alcuni testi antichi a penna
« e a stampa, su’ quali è collazionato il poema per farne
« edizione presente; di poi dà varie notizie intorno a
« Mons. Federigo Frezzi, e varie opere sue, spezialmente
« intorno al poema del Quadriregio, di cui con argomenti
« evidentissimi fa vedere che ne fu autore quel dottissimo
« Prelato. Ma di questa .Dissertazione come pure del poema
« stesso e dell'erudite fatiche fattevi sopra per illustrarlo,
« ne ragioneremo con articolo particolare, in altro tomo » (1).
Purtroppo, questo articolo, come vedremo meglio in seguito,
non fu mai pubblicato e il « Giornale » veneziano che piü
volte avea annunziato i lavori dell’Accademia folignate, si
limitò a dire le poche parole che ho ora riferito in lode
dell’opera cannetiana (2).

Ma torniamo alla ristampa del poema che, secondo lo
stesso. « Giornale », si affrettava ormai verso il suo compi-
mento. Per tutto l’anno 1724, anche durante la stampa della
Dissertazione, non si era mai smesso di condurre innanzi
questo lavoro. Infatti dopo le Annotazioni dell'Artegiani e le
Osservazioni istoriche del Pagliarini si erano prese a stampare
le Dichiarazioni del Boccolini, le quali ai primi d'agosto di
quell’anno erano già per metà fuori dei torchi (3). Ma si
doveva ancora redigere la lettera dedicatoria al Papa, ed

(1) Cfr. vol. indicato, pagg. 347-349. Questo volume dovette uscire nella se-
conda metà del 1725, come si apprende dalla licenza dei Riformatori di Padova in
data 18 maggio 1725 che esso ha nelle prime pagine. Chi compilasse questo e gli
altri annunzi da Foligno pel « Giornale » veneziano, io non so; il PICCIONI in op.
cit., pag. 83 dice che fra i compilatori che lo Zeno avea fuori di Venezia (o cor-
rispondenti) c'era anche G. B. Boccolini, nostra conoscenza; ma a me non é riuscito
di verificare l'esattezza di questa notizia.

(2) Lo stesso dovette avvenire di quelle recensioni che il Pagliarini si lusingava,
secondo la lett. al C. in data 4 dicembre 1724, di poter vedere nei giornali d' oltre-
monti, poiché non se n' ha aleuna notizia.

(3) Cfr. la lett. del P. al C. in data 4 agosto 1724.
49 E. FILIPPINI

il Pagliarini che non vedeva l'ora di liberarsi, come diceva
lui, da questo taccolo, la stese in pochi giorni e poi la sot-
topose al giudizio del Canneti secondo gli accordi presi; se-
nonché restava a stabilire se si dovesse chiedere anticipata-
mente al Pontefice il permesso di questa dedica o se bastasse
quello già avuto per la dedica della Dissertazione. Il Pagliarini,
pur non sapendo quale fosse in proposito il parere del Can-
neti, credeva non fosse necessario un secondo permesso e
perciò pensava piuttosto a trovare persone degne della
presentazione di tutta l'opera, quando fosse finita, a Benedetto

. XIII (1). Erano allora a Roma due Anvigoriti di Foligno, che

potevano adempiere assai bene quest’ ufficio, quali il Mar-
chese Pietro Baldassarre Vitelleschi (2) e il dott. G. B. Nuc-
carini (3): e in mancanza di questi si sarebbero potuti incari-
care della delicata missione un figlio del Vitelleschi ed uno del
conte Domenico Giusti, anche questo Folignate e /invigo-
rito (4), entrambi abati e domiciliati stabilmente a Roma;
naturalmente però in qualunque caso occorreva l'appoggio
d'un personaggio più alto e conosciuto dal Papa, come il
Maggiordomo Mons. Giudice o Mons. Fontanini, che erano
ambedue Anvigoriti, o Mons. Lercari Medico di Camera
di S. S. (5). Ma passarono alcuni mesi senza che la questione
si decidesse da parte del Canneti, e intanto il Qwadriregio
che, secondo il Boccolini, si sarebbe potuto pubblicare entro
il prossimo novembre, (6) subiva un nuovo arresto che addolo-

D

(1) Cfr. la stessa lett. or. cit.

(2) Cfr. la prima parte del presente lavoro, sotto l’anno 1719.

(3) È quello stesso di cui ho parlato poco fa e che avea scritto le lett. del 2
dicembre 1724 al Pagliarini e del 2 gennuio 1725 al Canneti.

(4) Cfr. la prima parte del presente lavoro, sotto l'anno 1719.

(5) Cfr. le lett. citt. del 3 luglio e del 4 agosto 1724. Secondo il Monowt (op. cit.,
pag. 105 e segg.) Nicola Maria Lercari era genovese nativo di Taggia (Albenga) (1675-
1757) e andato a Roma e fatto sacerdote entrò nelle grazie del Vaticano e special-
mente «di Benedetto XIII, da cui ebbe missioni speciali nelle Marche e nell' Umbria
e poi fu nominato maestro di camera, segretario di Stato e cardinale (1720).

(6) Cfr. le due lett. del B. al C. in date 24 e 28 settembre 1724. L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 43

rava non poco il Pagliarini (1). Ai primi di novembre era
terminata soltanto la stampa delle Dichiarazioni boccoliniane
e con esse era pronto, si può dire, tutto il secondo volume
dell’opera: restava a completare il primo con la lettera de-
dicatoria che intanto doveva esser già tornata, e con altre
cose che ora vedremo (2). I

É già noto ai lettori che si era stabilito di aggiungere
in un elenco a parte le lezioni del codice bolognese, che
non si erano potute fondere con le altre messe in calce; ma
queste non erano state ancora stampate (3). Inoltre bisognava
concretare ancora il frontespizio generale dell’opera e una
breve avvertenza al lettore sul modo d’intendere le varie
lezioni marginali : di queste due cose, concertate in un’adu-
nanza degli Accademici, il Pagliarini redasse un abbozzo
che mandò a esaminare immediatamente al Canneti, perchè
senza di esse non si sarebbe potuto cominciare la stampa
della lettera dedicatoria, che doveva entrare nello stesso
foglio (4): così gli mandò anche l’ abbozzo d'un secondo fron-
tespizio, destinato al secondo volume dell’opera, non poten-
dosi di essa fare un unico volume (5). Finalmente era desi-
derio comune dei £invigoriti di aggiungere alla ristampa il
catalogo di tutti i loro nomi e qualità, e questo si sarebbe
dovuto inserire con l'elenco delle varianti bolognesi in un
unico foglio in fine del primo volume, dopo il testo del
poema (6) Forse il Canneti non era troppo favorevole a
questa vanitosa affermazione degli Accademici folignati, ma

(1) Cfr. il principio della lett. del P. al C. in data 3 novembre 1724. Sembra
però che il ritardo dipendesse dal fatto che il Canneti avea mandato a far vedere
la lettera dedicatoria al suo amico di Roma, come appare dalla lett. del P. al C. in
data 20 novembre 1724.

(2) Cfr. le lett. del P. al C. in date 13 e.17 novembre 1724.

(3) Cfr. la cit. lett. del 13 novembre 1724.

(4) Cfr. la stessa lett. del 13 novembre 1724.

(5) Cfr. la cit. lett. del 17 novembre 1724.

(6) Cfr. le due citt. lett. del 13 e 17 novembre 1724.
44 E. FILIPPINI

non osò opporsi recisamente al loro desiderio: e intanto
approvó con lievi modificazioni ed aggiunte tutto il resto (1).
Dopo ciò non mancava che il lavoro del tipografo per ter-:
minare la stampa dei due volumi; ma sul punto di chiudere
la grande e lunga fatica con la stampa del primo foglio
dell’opera, la deficienza di qualche risma di carta venne
ancora a ritardare l’ultima « tiratura » (2). Fortuna però che il
Canneti, non volendo forse che la pubblicazione del Quadri-
regio seguisse troppo vicina a quella della sua Dissertazione
Apologetica non ancora presentata al nuovo Papa perchè
l'averla di poco anticipata poteva dar luogo a qualche cri-
tica, ordinava che si aspettasse per essa ancora un mese,
cioè la fine del 1724 o il principio del 1725 (3).

Anche il Pagliarini, del resto, sperava che il poema
potesse essere presentato al Papa per le prossime feste del
Natale e se non pensava piü ai possibili presentatori nomi-
nati qualche mese prima, forse perché le proposte non eran
piaciute al Canneti, era deciso a servirsi per questo scopo
dell’ unico Mons. Lercari come forse egli voleva (4). Ma la
cosa prese una piega ancora piü lunga di quello che tanto
il Pagliarini quanto il Canneti non avessero preveduto. La
carta che era venuta a mancare e che si era dovuta fab-
bricare apposta, tardò ad essere consegnata al tipografo fino
alla fine del dicembre 1724; sicche il primo foglio dell’ o-
pera non potè esser //rato che nei primi giorni del gennaio
successivo (5) A questo che pareva dovesse essere l'ultimo

(1) Cfr. la cit. lett. del 20 novembre 1724. L'unica modificazione pare fosse quella
derivante dalla soppressione d'una frase del frontespizio che era già apparsa nel
titolo della Diss., e l'unica aggiunta quella di qualche parola rispettosa pel Canneti
stesso nell'avvertenza al benigno lettore.

(2) Cfr. la lett. cit. del 20 novembre 1724.

(3) Cfr. la stessa lett. ora cit.

(4) Cfr. la lett. del P. al C. in data 4 dicembre 1724. .

(5) Cfr. la lett. del P. al C. in data 29 dicembre 1724. Ciò si scorge anche dalla
data del 10 gennaio 1725, che ha la lettera dedicatoria al Papa, collocatà nel primo
libro. Questa lettera comincia col ricordare la dedica della Diss. isolata allo stesso
personaggio quando era ancora Cardinale, e le ragioni per cui il Canneti l’ aveva L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 45

lavoro tipografico, segui immediatamente la stampa e #ra-
tura del secondo frontespizio; e cosi il 15 gennaio 1725 il
Pagliarini scrivendo al Canneti poteva giustamente esclamare:
« Te Deum laudamus » (1). Nessuno in verità doveva sentirsi
più stanco e più soddisfatto di lui nel veder giunta finalmente
in porto una barca sbattuta nel suo lungo viaggio da tante
ondate e urtata contro tanti scogli, o, per continuare un’ imma-
gine già nota al lettore, nel veder finalmente varata una nave
che da tanto tempo si era cominciata a costruire e aspettava
ansiosa nel cantiere di essere liberata di tutti i suoi sostegni
e lanciata nelle libere acque del mare. Senza calcolare il lungo
periodo di preparazione, notiamo qui che il solo lavoro tipo-
grafico intorno al Quadriregio e al suo apparato illustrativo,
incominciato dopo la metà del 1720, era durato ben quattro
anni e mezzo. Meno male che tutto questo tempo richiesto
dalle strane circostanze che ho narrate fin qui, non andò
completamente perduto e servi a rendere sempre migliore
la importante ristampa mercè le cure amorose dei nostri
editori!

Sebbene ora il lettore già conosca il contenuto dei due
volumi, non sarà male che egli riveda qui appresso riunito
come in un grande quadro tutto ció che ha dato argomento
alla seconda parte del presente studio. Questa descrizione,
oltreché come riassunto, varrà anche come mezzo a fare
qualehe nuova osservazione (2).

messa sotto la di lui protezione: poi esalta i meriti dello stesso personaggio che
intanto è stato chiamato a occupare la cattedra di S. Pietro: finalmente dichiara a
nome dell’Accademia di seguire l'esempio dell’ autore della Diss. nel dedicare a lui
anche il « moralissimo poema de' Regni » e implora il suo « clementissimo gradi-
mento ». Il Pagliarini non vi accennó neppur lontanamente allungo contrasto av-

venuto fra lui e il Canneti per questa dedica, e fece bene; ma il suo umore s' in-

travvede nella forma fredda e senza entusiasmo, in cui fu stesa la lettera.
(1) Cfr. la lett. sua al C. avente questa data. Anche in questa lettera si parla
di Mons. Ercolani e della sua prima idea accolta dal Canneti di dividere 1a ristampa
in due volumi, come in quella del 24 maggio 1723, di cui ho parlato a suo luogo.
(2) Riproduco corretta e abbreviata quella già da me inserita nello studio
più volte citato su Le edizioni del Quadriregio, pagg. 25-27. Ripeto qui anche ciò
46: E. FILIPPINI

I due volumi in quarto piccolo, sono quasi di uguale
spessore: il primo è formato di 372 carte numerate, il se-
condo di 349 (1). Nella prima carta di quello si legge il se-
guente lungo titolo: IL QUADRIREGIO | O POEMA DE’ QUATTRO
REGNI | dî monsignore | FEDERICO FREZZI | dell'ordine de’ pre-
dicatori, | cittadino, e vescovo di Foligno (2), | corretto, e coll'aiuto
d’antichi Codici MSS. alla | sua vera lezione ridotto, | con le An-
notazioni del P. M. Angelo Guglielmo Artegiani Agostiniano, |
le Osservazioni Istoriche di Giustiniano Pagliarini, e | le Dichia-
razioni di alcune Voci di Gio: Batista Boccolini. | Aggiuntavi
in fine la Dissertazione Apologetica del P. Don Pietro | Canneti
Abate Camaldolese intorno allo stesso | Poema, e al suo vero Au-
tore. | Con Indici copiosi delle cose notabili e degli Autori | citati
nelle dichiarazioni delle Voci. | Pubblicato | DAGLI ACCADEMICI
RINVIGORITI | d Foligno, | e da essi dedicato | alla Santità di no-
stro Signore | PAPA BENEDETTO XIII. | In Foligno MDCCXXV. |
Per Pompeo Campana Stampator Pubblico. Con licenza de'Su-
periori. | — Segue nella seconda | e nella terza carta la lettera
dedicatoria al Papa portante la data di Foligno 10 Gennaio
1725 e firmata da Gli Accademici Rinvigoriti. Nella carta se-
guente si ha l'avvertenza al benigno lettore sui codici che
servirono alla formazione del testo e sulle note marginali ;

che dissi allora, cioé che é difficile trovare una descrizione accurata di questa ri-
stampa, forse perché é relativamente recente e la più comunemente nota fra le
edizioni del poema frezziano, e che una delle migliori é quella che si legge a
pag. 155 della Bibliografia dei testi di lingua a stampa citati dagli Accademici
della Crusca di L. RAZZOLINI ed A. BaccHI-DELLA LEGA (Bologna, Romagnoli, 1878);
ma non si può dire completa,

(1) A queste si devono aggiungere parecchie carte non numerate e parecchie
altre bianche. In tutto afferma il Pagliarini che s' impiegarono 105 fogli di carta per
copia (cfr. la lett. del 29 dicembre 1724), sebbene in una lettera precedente si fosse
limitato a 104 (cfr. la lett. del 17 novembre 1724). E dire che l’anno precedente lo
stesso Pagliarini avea creduto che si sarebbero dovuti impiegare poco più di 85
fogli per copia! (Cfr. la lett. sua in data 24 maggio 1723 e quel che dissi in proposito).

(2) Qui fu soppressa la frase: Uno dei Padri del Concilio di Costanza, che si
legge nel frontespizio della Diss. cannetiana isolata e che il Pagliarini avea ripe-
tuto nell'abbozzo manoscritto mandato al Canneti (cfr. la lett. cit. del 20 novembre
1724). L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 4T

essa non è firmata (1). Nella quinta carta comincia il poema
eon questa intestazione: IL QUADRIREGIO | DI FEDERIGO
FREZZI | da Foligno | LiBRO PRIMO | del regno d'Amore | CAPI-
TOLO I. | Come all'Autore apparve Cupido; e questi lo condusse
nel Regno di Diana, ove a preghi del medesimo feri la Ninfa
Filena. Segue il testo poetico che in questo e negli altri libri
è disposto in una sola colonna di dodici terzine per ogni pa-
gina intera. Il primo libro contiene 18 canti e si chiude con
le parole: Fine del Libro primo. A pag. 91 comincia il LIBRO
SECONDO del regno di Satanasso in 19 canti e finisce nello
stesso modo a pag. 180. I LIBRO TERZO | del regno de’ vizi
è diviso in 15 canti ed è compreso fra le pagg. 181-251.
Nella pagina seguente ha principio il LIRRO QUARTO | del
regno delle virtà in 22 canti, che si chiude a carte 360 con
le parole: IZ fine del quarto et ultimo Libro. Il testo è stam-
pato in caratteri rotondi comuni. Tutti i canti sono numerati
e rubricati (2). Molte varianti si trovano sparse qua e là
nei margini del volume (3). Alla fine di parecchi canti si
notano piccole silografie allusive, spesso, alla materia del
poema. A pag. 361 si leggono le VARIE LEZIONI del codice
bolognese precedute da un’ avvertenza: le lezioni sono date
in colonna con la rispettiva corrispondenza al testo stam-
pato preceduta dall’ indicazione della relativa pagina e linea :
questo elenco occupa sette pagine intere. Nelle pagg. 368-
371 è riportato il CaTALOGO | Degli Accademici Rinvigoriti di
Foligno secondo l'ordine alfabetico dei nomi (4). Finalmente
la pag. 312 contiene un breve Errata-corrige (5).

(1) Sulla nota che accompagna quest'avvertenza cfr. la stessa lett. ora cit. del
20 novembre 1724.

(2) Come siano queste rubriche ho già detto, sotto l'anno 1723.

(3) I richiami numerici di queste varianti precedono sempre le parole, a cui si
riferiscono. Anche di queste ho parlato sotto l’anno 1723.

(4) Cfr. ciò che ho detto su questo Catalogo nella prima parte del presente
lavoro, sotto l’anno 1725.

(5) Di questa Errata-corrige che non è completo, non è menzione nella corri-
spondenza del Pagliarini e del Boccolini col Canneti.
48 E. FILIPPINI

Il secondo volume si apre col titolo seguente: IL Qua-
DRIREGIO | O POEMA DE’ QUATTRO REGNI | d? Monsignore | FE-
DERIGO FREZZI | dell'ordine de’ Predicatori, | cittadino, e vescovo
di Foligno. | Tomo II | che contiene | Le Annotazioni, le Osser-
vazioni Istoriche, | le Dichiarazioni di alcune Voci, e la | Disser-
tazione Apologetica intorno allo | stesso Poema, e al suo vero
Autore, | E gl Indici delle materie, e degli Autori | citati nelle
Dichiarazioni delle Voci. | In Foligno MDCCXXV | Per Pompeo
Campana Stampator Pubblico. Con licenza de’ Superiori. —
Nel secondo foglio cominciano le ANNOTAZIONI | sopra alcuni
luoghi | del | QUADRIREGIO | di | FEDERIGO FREZZI | dell ordine
de’ Predicatori, | Vescovo di Foligno | fatte dal padre Angelo
Guglielmo Artegiani Reggente | Agostiniano, e Accademico Rin-
vigorito. Esse occupano le prime 124 pagine del volume e sono
divise per libri e per capitoli: ogni annotazione è preceduta
dalla terzina o dal verso relativo e dall' indicazione della pa-
gina e delle linee in cui si trovano. Nelle pagg. 125-126 si
leggono le Approvazioni ecclesiastiche riferentisi alle Annota-
zioni suddette. — A pag. 127 cominciano le OSSERVAZIONI ISTO-
RICHE | DI GIUSTINIANO PAGLIARINI | Accademico Rinvigorito |
Sopra alcuni passi | del Quadriregio, e vanno fino alla pag. 220.
Anche queste Osservazioni sono fatte con lo stesso sistema
‘delle Annotazioni. — Dalla pag. 221 alla pag. 341 seguono
le DICHIARAZIONI di alcune voci del Quadriregio | DI GIO. BAT-
TISTA BOCCOLINI | Accademico Rinvigorito ; esse sono registrate
secondo l'ordine alfabetico delle voci medesime accompa-
gnate dalle solite indicazioni della pagina e della linea rispet-
tive. — Fra le pagg. 342 e 349 si legge un CATALOGO | De' Libri
citati nelle Dichiarazioni | delle voci, e de' loro Autori | distinti
in stampe e manoscritti, i quali, in numero assai minore di
quelle, sono anch'essi divisi secondo il concetto della pro-
prietà. (1). -— Fra le pagg. 350 e 358 abbiamo l’INDICE | Delle

(1) Infatti dieci appartenevano al Boccolini medesimo e gli altri erano di di-
versa prevenienza, cioé tre del Canneti, due della Classense, quattro della Biblio- L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 49

cose più notabili nelle Annotazioni, nelle | Osservazioni Istoriche e

nelle Dichiara | zioni delle Voci in due colonne per pagina e in

ordine alfabetico. — A pag. 359 c'è un elenco di correzioni (1)

e a pag. 360 le Approvazioni ecclesiastiche relative alle Os-
servazioni Istoriche del Pagliarini e alle Dichiarazioni del Boc-
colini (2). — Qui la numerazione incominciata s’ interrompe, e
segue la DISSERTAZIONE | APOLOGETICA | DI D. PIETRO CAN-
NETI ecc. come nella stampa isolata di questa monografia (3).
Dopo questo frontespizio che occupa tutta una pagina,
si trova l’INDICE | DE’ | PARAGRAFI in corsivo, che va fino
alla pagina 6, e nella pagina seguente comincia la mono-
grafia preceduta dal’altra lunga intestazione: DEL POEMA |
DE QuaTTRO REGNI | detto altramente | IL QUADRIREGIO, ecc.
che abbiamo già visto anche nella stampa isolata. La mono-
grafia del Canneti é anche qui divisa in 45 paragrafi distesa
in 78 pagine. Seguono poi /Aggiunta e correzione al para-
grafo XIII in due pagine (79 e 80); l’ INDICE | delle cose più
notabili contenute nella | Dissertazione Apologetica in altre sei
pagine (81-86) e a due colonne per pagina, alfabeticamente
ordinate; le Approvazioni Ecclesiastiche a pag. 81, e a pag. 88
alcune correzioni tipografiche, con le quali si chiude il vo-
lume (4). y

Delle parti principali di questa ristampa e del loro ri-
spettivo valore ho parlato piuttosto lungamente nelle pagine
che precedono. Qui sarebbe da dire alcunchè sul nuovo testo

teca del Seminario di Foligno, uno del marchese P. B. Vitelleschi, uno della Con-
gregazione dell'Oratorio della stessa città e due del nominato G. Pagliarini.

(1 Anche di queste correzioni non si fa menzione nelle numerose lettere esa-
minate.

(2) La cit. Bibliografia ecc. della Crusca avverte esattamente che questa pagina
è segnata per errore col n. 260, ciò che non é avvertito nell’ Errata-corrige; ma
meno esattamente dice che questa è l'ultima pagina del vol. II.

(3) Manca soltanto in fondo |’ indicazione del luogo e dell’anno della pubbli-
cazione, che non si poteva riprodurre qual'era nella prima edizione, e che modifi-
cata era perfettamente inutile.

(4) Anche di queste correzioni non si è mai parlato nelle lettere del P. e del
B. al C.
50 — — E. FILIPPINI

del poema, a cui furono rivolte le cure degli editori prima
ancora di mettersi ad illustrarlo, ma che non fu completo
finchè non si stamparono le varianti bolognesi. Ma anche
del modo in cui esso fu costituito s'é detto abbastanza:
quanto poi al suo valore io dovrei qui ripetere ciò che
scrissi già altrove e perciò mi limiterò a rimandare il let-
tore al mio studio su Le edizioni del Quadriregio (1). Qui ac-
cennerò soltanto ai pregi ed ai difetti generali dell’edizione,
da aggiungersi a quelli speciali che ho indicato qua e là in
questa seconda parte del mio lavoro.

- E comincio dai difetti. La ristampa, per quanto abbia
occupato un tempo lunghissimo e per quanto sia stata rive-
duta e corretta, non uscì senza mende tipografiche, le quali si
sarebbero potute evitare facilmente. Nessuno degli editori ci
parla della struttura generale di quest'opera e della connes-
sione delle diverse parti del viaggio frezziano. Così se uno
di essi cercò di spiegare le allegorie parziali di cui è costi-
tuito il fantastico viaggio frezziano, nessuno s’ è occupato
dell’ allegoria principale e della sua relazione con quella
della Commedia dantesca. Spesso nei commenti si accenna
all’ imitazione del divino poema fatta dal Frezzi, ma in nes-
sun luogo si parla della parte veramente originale del Quadri

regio e specialmente del I libro, che serve come di antefatto

a tutto ciò che dà materia agli altri tre libri (2). In genere
i commentatori preoccupati dal bisogno di rilevare il signi-
ficato e il valore morale e letterario del poema, trascurano
di mettere in evidenza la ricchezza e l'opportunità delle
immagini, la forza descrittiva e rappresentativa, la bellezza

(1) Cfr. questo studio più volte cit., pagg. 30-32. Il FALOCI-PULIGNANI (0p. cit.,
pag. 103, nota) crede che, ristampandosi il poema, poco si potrebbe aggiungere a
questa edizione e che una correzione notevole potrebbe esser quella che, come ve-
dremo fra poco, propose il FONTANINI. Io credo invece che, prima di pronunziarsi
in materia, si debba aspettare una collazione di codici più larga di quella che non
fu fatta nel 700.

(2) Cfr, il mio studio cit. su La materia del Quadriregio. -

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. i 51

di certe espressioni e l'efficacia di certi versi ‘che si pos- i
sono qua e là notare da chi legga attentamente il poema
frezziano (1). In ultimo gli editori, e specialmente il Can-
neti, avrebbero fatto bene a darci anche un esatto riassunto
di tutta l'opera, che invogliasse i cultori delle lettere ad esa-
minarla e studiarla in tutte le sue parti. Ma essi, che dopo
aver letto e riletto il Quadriregio non fecero neppure un in-
dice generale delle cose notevoli in esso. contenute né dei
luoghi e delle persone ivi nominate, non potevano creder
necessario esporne ordinatamente la materia, credendo di
aver fatto abbastanza per attirare l'attenzione degli studiosi
sul quadripartito poema col presentarlo in forma assai mi-
eliore che nelle precedenti edizioni e col corredarlo di nu-
merose note erudite.

Certo, l'opera dei Anvigoriti non è perfetta, né si poteva
pretendere che fosse. I difetti sono molti, ma anche i pregi
non sono pochi. L'avere studiato il poema su diversi testi
antichi, e l'averne fatto la prima edizione critica per quanto
limitata a troppo pochi codici, l'aver risolto definitivamente
e trionfalmente la famosa controversia sulla sua paternità
con un'ampia discussione sulle varianti sfavorevoli al Frezzi
e con copiose e nuove notizie biografiche su questo poeta
folignate, l'aver cercato d'interpretare il suo pensiero con
tre speciali e ricchi commenti che ben pochi altri autori
possono vantare, e finalmente l'avere stampato il tutto nella
forma piü nitida allora possibile, sono tali titoli di beneme-
renza letteraria, che per essi i quattro editori non potranno
esser mai dimenticati nella storia della coltura umbra. In
questa laboriosa ristampa è quanto di più serio e di più
moderno potevano darci i membri meglio preparati d’un’Ac-
cademia del 700, come quella di Foligno e quanto. pochis-
sime altre Accademie del genere seppero produrre.

(1) Qualche spunto estetico, tuttavia, si osserva qua e là nei commenti dell’Ar-
tegiani e del Pagliarini, come a pagg. 24, 178-179, 209 ecc. del vol. II del Quadr. del

1725; ma sono osservazioni sommarie, fatte solo incidentalmente e non di proposito.
7
TUA AT IIT cere

d en xb o£ Blla2 ERR

59 ^ E. FILIPPINI

Questo è il giudizio che può pronunziare oggi il critico
spassionato d’una pubblicazione così importante di quasi due
secoli addietro. Ora vediamo come fu accolta in quel tempo.
S'intende che il primo pensiero del Pagliarini, appena finita
la stampa e la « tiratura » dei due volumi, fu quello di assicu-
rarsi la vendita delle copie che si sarebbero messe in com-
mercio, e per questo volle lanciare un avviso-réclame a tutti
i Rinvigoriti lontani, alle altre Accademie ed ai librai sul-
l'importanza dell'opera e sulle condizioni d’acquisto (1). Né
egli provvedeva alla vendita in Italia soltanto, ma anche
all’ estero, poichè il libraio Lorenzo Pagliarini già nel di-
cembre precedente, dopo aver ricevuto in dono una copia
della Dissertazione, avea promesso di valersi delle sue buone
relazioni commerciali in tutto il mondo libraio europeo a
favore del poema e si era impegnato per trenta copie
quando fosse uscito, salvo commissioni maggiori se la pub-
blicazione fosse stata bene accolta dai dotti (2). In pari tempo
l’erudito folignate fece allestire le copie da presentarsi al Papa
ed ai Prelati palatini spedendo entro lo stesso mese di gen-
naio a Roma non so quanti esemplari ancora sciolti che là
dovevano essere legati elegantemente dal libraio omo-
nimo, ed intanto preavvisò della spedizione Mons. Lercari ed
un amico che appena fossero pronti li ritirasse e li conse-
gnasse a lui. Contemporaneamente mandó due copie dell’ o-
pera a Venezia per il P. Artegiani e per i direttori del
« Giornale dei letterati d'Italia », e tre al Canneti con la
riserva di mandargliene ancora sette in seguito (3). La pre-

(1) Cfr. la lett. cit. del 15 gennaio I725. Questo avviso però tardò qualche giorno
a pubblicarsi, perché dovette esaminarlo prima il Canneti. (Cfr. la lett. del P. al C.
in data 16 febbraio 1725). Se ne trova la minuta col titolo di Notificazione nella cit.
Misc. XXVI della Classense. .

(2) Cfr. la lett. del P. al C. in data 15 dicembre 1724.

(3) Cfr. la lett. del P. al C. in data 26 gennaio 1725. Le altre, fra cui ne capita-
rono due guaste, furono spedite molto più tardi, come si desume dalle lettere del
P. al C. in date 30 marzo, 23 aprile, 7 maggio, 18 giugno, 15 luglio, 3 agosto e 21
settembre 1725. L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 53

parazione delle copie destinate al Vaticano'si temette che
potesse subire qualche ritardo per l’ inaspettata morte del
libraio Lorenzo Pagliarini, avvenuta nei primi giorni di feb-
braio (1); ma in effetto ritardo non ci fu, poichè la presen-
tazione di esse al Papa avvenne il 16 dello stesso mese nel
modo stabilito, con lettera latina scritta apposta dal Bocco-
lini: così si fece delle altre copie mandate a Roma (2). Alle
quali il Pagliarini ne aggiunse un’altra pel libraio Lodovico
Leonini di Foligno domiciliato a Roma e incaricato di legare
tutte le altre copie del Quadriregio; ma questa andò poi a
finire nelle mani dell’Ab. De Felici segretario di Mons. Giu-
dice e secondo il dotto Folignate « uno dei più eruditi sog-
getti che avesse Roma » (3). E fu appunto il De Felici, al-
lora uno dei 12 custodi d’ Arcadia, che ringraziando il Leo-
nini pronunziò il primo giudizio scritto sulla nuova edizione
del poema frezziano dicendo che mentre lo leggeva si sen-
tiva « impegnato ad esaltare per giustizia un'opera che
« farà onore alla Repubblica letteraria, all'autore dottissimo,
« alla sua patria e al Pagliarini » che avea disseppellito un
così celebre componimento (4). Poco dopo il Papa fece sa-
pere al Pagliarini per mezzo di Mons. Lercari il suo alto
godimento e così i Cardinali Barberini e Pipia e Mons. Giu-
dice, il quale si espresse, pare, in termini più obbliganti e
vantaggiosi degli altri a favore dell’Accademia folignate (5).
Tra le persone credute degne del dono non si era trascurato
il Fontanini (6), del quale conosciamo anche la lettera di

(1) Cfr. la lett. del P. al C. in data 9 febbraio 1725.

(2) Cfr. le lettere del P. al C. in date 16 e 23 febbraio 1725.

(3) Cfr. la lett. cit. del 16 febbraio 1725. Di questo libraio ricordo qui la copia
d'una lett. al Pagliarini in data 6 gennaio 1725, inserita nella cit. Misc. della Clas-
sense.

(4) Cfr. la stessa lett. ora cit. del 16 febbraio 1725.

(5) Cfr. la cit. lett. del 26 febbraio 1725. Del giudizio di Mons. Giudice si parla
anche nella lett. del P. al C. in dat: 2 marzo 1725, ma senza altri dati importanti.

(6) Ho già ricordato nella prima parte del presente lavoro, sotto l'anno 1719 e
precisamente in una nota illustrativa del Fontanini, la lettera accompagnatoria del
dono, che l'Accademia di Foligno scrisse a lui il 13 febbraio 1725 e che dev’ essere
54 E. FILIPPINI

ringraziamento per intero riferita nella sua eloquente bre-
vità dal Pagliarini. Egli chiama nobile il regalo ricevuto,
trova « dalla gran virtü (degli editori) ripulito e accurata:
mente illustrato » il poema giustamente restituito al Frezzi
e applaude a tanta erudizione e a tanto patriottismo (1).
Qualche mese dopo lo stesso Fontanini prometteva al Pa-
gliarini di citare la ristampa folignate in una nuova edizione
della sua Eloquenza italiana, che stava preparando (2). Elogi
ed applausi mandarono da Genova il Casaregi, chiamando
il Frezzi, dopo questa edizione, « glorioso imitatore di
Dante » (3): il Crescimbeni, affermando la sua inesplicabile
soddisfazione nel leggere la ristampa d'un poema « di gran
lunga migliore di quanti altri poemi furono scritti in quei

del Pagliarini, inserita in una biografia dell'erudito friulano. Quella lettera non fu
stampata esattamente, poiché non si può credere che il Pagliarini o chi per lui
scrivesse Frezza invece di Frezzi. È notevole in essa il principio così concepito:
« Siccome il pregio più ragguardevole che illustri la nostra Accademia, é il glorioso
« nome di V. S. Illustrissima e Reverendissima, così il primo nostro più vivo pen-
« siero nella pubblicazione ecc. é stato ed è di umiliarne nn esemplare in tenue
« tributo. della nostra venerazione al suo gran merito ecc. » È anche notevole il
fatto che oltre e più che il gradimento dell’opera lo scrivente spera di avere dal
Fonianini « quel vantaggioso credito che unicamente. può provenire (all'opera) dalla
« sua autorevole approvazione ». Del resto, io ho avuto anche la fortuna di vedere
la copia della ristampa che fu donata a questo erudito : essa si trova nella Biblio-
teca Comunale di S. Daniele del Friuli, patria del Fontanini, a cui furon legati per
testamento tutti i mss. e i libri da lui posseduti: essa è legata in pelle scura con
dorature sul dorso ed é splendidamente conservata.

(1) Cfr. la lett. cit. in data 2 marzo 1725.

(2) Di questa lett. fontaniniana non conosciamo né il testo néla data; ma essa
é ricordata in quella del P. al C. in data 18 giugno 1725. Vedremo poi come il Fon-
tanini mantenne questa promessa: qui dirò soltanto che della sua Eloquenza itu-
liana erano uscite finora le due edizioni di Roma del 1706 (la prima) e di Cesena
del 1724 (la seconda) che conteneva qualche correzione e aggiunta di quelle sugge-
ritegli da Apostolo Zeno, come dice il BaseGGIO nella biografia del F. inserita nella
raccolta del DE TipaLpo (vol. VIII, pagg. 438-450): allora stava preparando la terza
edizione che, contro quello che dice lo stesso BasEGGIO e come del resto vedremo
più oltre, uscì prima della morte del F. — Del resto, il Fontanini dovette esprimere le
stesse idee sul Quadriregio anche in qualche lettera al Canneti comunicata al Pa-
g iarini, come si può desumere da una risposta di questo in data 15 luglio 1725; ma,
come dirò meglio in seguito, la sua approvazione non era completa, né riscuoteva.
molta fiducia.

(3) Cfr. le lett. del P. al C. in date 30 marzo e 23 aprile 1725.

* L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. DD

tempi » e assicurando gli editori d’avere speso il loro tempo
« gloriosissimamente » (1): il Salvini, dichiarando l' edizione
« ricca e magnifica », ma soprattutto « dotte e giudiziose »
le Osservazioni pagliariniane, per quanto accompagnate da
un piccolo appunto (2).

Di alcuni altri a cui fu mandata in omaggio la ristampa
del Quadriregio, come il Beccari e il Bottazzoni che intanto
erano stati aggregati all'Aecademia dei Rinvigoriti (3), e il
Muratori che anche questa volta fu fatalmente uno degli ul-

(1) Cfr. la lett. del P. al C. in data 4 maggio 1725.

(2) Cfr. la stessa lett. ora cit.— Questo appunto riguarda una dichiarazione del
Boccolini, che spiegando la forma « colleggio » adoperata dal Frezzi per « collegio »
richiama il dantesco « imponne » come se questa parola stesse per «impone » (cfr.
Quadr. del 1725, vol. II, pag. 241), mentre il Salvini dice giustamente che sta per
«ne impone ». Ad altri appunti vaghi contro le illustrazioni in genere si accennava
nella lett. del P. al C. in data 23 aprile 1725 e nel principio di questa stessa lettera
del 4 maggio, dove si parla d'una critica fatta al Boccolini dal famoso « amico » di
Roma a proposito dell'autenticità d'una iscrizione gotica della casa Ubaldini di Fi-
renze ricordata in un'altra sua dichiarazione a pag. 328 del Quadr. del 1725; della
quale iscrizione si fa cenno anche nella lett. del P. al C. in data 18 giugno dello
stesso anno. Così alla fine della medesima lettera del 4 maggio si riferiscono due
osservazioni a quello che il Pagliarini dice a pagg. 183-184 del vol. II del Quad».
del 1725 su Uguccione Casali e a pagg. 201-205 dello stesso vol. su Bartolo da Sasso-
ferrato, fatte la prima dall'Arciprete Conte Lodovico Degli Oddi di Perugia, già Rin-
vigorito (cfr. la prima parte del presente lavoro, sotto l'anno 1719), l'altra del p.Fi-
lippo Meniconi, che non so chi fosse ; ma queste due osservazioni fatte privatamente
e garbatamente per lettera non ebb»ro altro seguito che due rispettive giustífica-
zioni, pur esse epistolari, del Pagliarini che ridussero al silenzio tanto l'uno che
l'altro critico, come é detto nella stessa lettera. — Finalmente pare che il Fontanini
non. fosse troppo contento delle Annotazioni dell'Artegiani, mentre approvava i com-
menti del Pagliarini e del Boccolini; ma anche queste osservazioni fatte al Canneti
e dal Canneti comunicate al Pagliarini nella lettera del 15 luglio 1725 pare che fos- .
sero riconosciute giuste da. questo, che tuttavia ricordava d’aver molto tagliato dal -
commento dell'Artegiani prima di darlo alle stampe.

(3) Il dono al Beccari e al Bottazzoni era già stato stabilito prima che la ri-
stampa venisse alla luce, come appare dalla cit. lett. del P. al C. in data 29 dicem-
bre 1724: anzi appare da questa lettera che fin da allora l' Accademia avesse stabi-
lito di nominare entrambi Rinvigoriti. Ma questo non avvenne subito, sicché non
li vediamo ancora comparire nel Catalogo del 1725: avvenne certamente poco dopo
la pubblicazione del Quadr., quando si potè loro offrire anche una copia di questo
e ne abbiamo la prova nel poscritto alla lett. del P. al C. in data 18 giugno 1725 che
ora riferirò. Li aggiungerò nell'elenco degli Accademici in appendice.
56 E. FILIPPINI

timi.a ricevere il desiderato dono (1) non sappiamo come
accogliessero l'opera e quale risposta dessero ai degni edi-

(1) Il Pagliarini nella cit. lett. al Muratori in data 22 gennaio 1725 di.eva fra
l'altro: « Con infinito piacere sento la benigna approvazione con cui si é degnata
« V. S. I. accogliere la Dissertazione apologetica del dottissimo P. Ab. Canneti, e vo-
« glia Dio che incontrino la sorte (non dico eguale, che sarebbe una temeraria
.« pretenzione), ma ristretta ad un cortese compatimento le poche fatiche fatte da
« noi altri Accademici intorno al Poema del Quadriregio che compitamente già re-
« sta fuori della stampa. Io sto in attenzione di spedirne un esemplare a V.S. I.
« con la copia de’ consaputi opuscoli (che il P. avea copiati per lui nella Biblio-
« teca del Seminario) e mi dispiace che la lontananza non mi permette di eseguirlo
« con quella sollecitudine ch'io desidero. Se mi capiterà occasione per Bologna
« l’avanzerò al p. Lettor Collina Camaldolese, a cui spero che sarà poi più facile
« di spinger l’involto costà in Modena. Ho comunicato al P. Ab. Canneti, che tro-
« vasi di stanza in Forlì, le grazie di V. S. I. e son sicuro che le riceverà con di-
« stinto giubilo e con molte obbligazioni ». E in un poscritto a questa lettera ag-
« giunge: « Gran forza della verità. Il S. Dottor Bottazzoni, che avea stesa in Bolo-
« gna una lunga Dissertazione a favore del suo Malpigli, appena letta l’Apologia del
« P. Ab. Canneti, che con cuor generoso e con ingenuità dl onoratissimo litterato
'« cede il campo, abbandona l'impegno e accorda la gloria del Poema al nostro Ve-
« scovo e Cittadino. Eeco (come dice V. S. I. finito il processo e data la sentenza
« anche con l'aecettazione della Parte. Io ho due lettere dello stesso S. Bottazzoni
che conservo come reliquie ». Ho riferito queste due parti della lettera che l'a-
more di brevità non vuole che io riporti intera in appendice, anche per completare
quel che ho detto di sopra. Ma tornando alla spedizione della copia del Quadr. accen-
nata nella prima parte, il Muratori il 24 febbraio successivo scriveva al Canneti : « Non
« ho peranche veduto il Quadriregio e l'aspetto bene con impazienza per vedere il
« buon lavoro fatto ancora da' signori letterati di Foligno. Intanto una bella gioia
« in fronte a quel poema sarà la dissertazione di V. P. reverendissima ecc. » (Cfr.
l’epist. del Muratori ed. dal CAMPURI, vol. VI, pag. 2427). Infatti il P. non gliel' avea
ancora potuta spedire; la spedizione avvenne poco dopo la Pasqua del 1725 per
mezzo d'un monaco che andava in alta Italia, insieme con una lettera d'accompa-
gnamento; ma il Muratori in giugno aspettava ancora i due volumi e se ne lamen-
tava quasi col P., il quale allora pregò il p. Collina di mandargli subito da Bologna .
una di quelle copie che dovea tenere presso di sé e informò di tutto lo stesso Mu-
ratori con la lett. del 22 giugno successivo riportata parzialmente in appendice. Ed
il 6 luglio 1725 tornava a dirgli: « Mi scrive il P. Lettor Collina da Bologna d’ aver
« già consegnata una copia del Quadriregio da avvanzarsi costà in Modena e mi fa
sperare che a quest'ora possa esser alle mani di V. S. I. e goderò di sentirne ef-
fettuato il ricapito; ma molto maggior piacere riceverò a suo tempo del suo pur-
gatissimo giudicio, come accenna di favorirmi, tanto intorno al Poema, che alle
poche fatiche che l'aecompagnano: le mie però che si restringono alle osserva-
zioni istoriche ben comprendo non esser né men degne del suo gentile compati-
« mento ». (Cfr. questa lett. nell'Archivio Soli-Muratori di Modena). Dopodiché pare
che la copia spedita a Bologna giungesse subito al suo destino, e il Muratori ap-
pena avutala ne informò il Pagliarini, ma pare anche che si riservasse a pronun-
ziare il giudizio che questi voleva da lui, a quando l'avrebbe fatta legare e letta:
così si apprende dalla lett. del P. al C. in data 3 agosto 1725. Ma prima di questa

A

^ ^ ^ *

A L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. DT

tori e donatori (1); ma certamente essi non poterono non
riconoscere il grande valore dei due grossi volumi editi a
Foligno, che andavano spontaneamente ad arricchire le loro
biblioteche private (2). Più strano è quello che avvenne in
questa circostanza fra l'Accademia folignate e la redazione
del « Giornale » veneziano, a cui, come ho detto, fino dal
gennaio era stata spedita una copia della nuova edizione.

Allora il « Giornale » non avea ancora annunziato l’avve-
nuta pubblicazione della monografia cannetiana, e il fascicolo
che doveva contenere questo annunzio era già sotto i tor-
chi (3). Ma oltre questo annunzio, il Pagliarini e il Canneti
volevano che il « Giornale » pubblicasse due estese recen-
sioni, una dedicata alla Dissertazione, l'altra alla ristampa del
poema (4): soltanto non sapevano a chi affidarne l’incarico,
e mentre il Canneti pensava di darlo al Fontanini, il Paglia-
rini che si fidava ben poco dello spirito critico dell’erudito
friulano e temeva che potesse censurare in qualche parte il
suo lavoro, propendeva piuttosto verso un altro recensore

lettera egli ne avea scritta un'altra al Muratori, da cui stralcio solo la parte se-
guente: « Godo sommamente del pronto ricapito della copia del Quadriregio fatto
«a V.S.I. dal P. Lettor Collina, e attenderò a suo tempo e con suo commodo il
« favore del suo sincero e purgato giudizio tanto intorno al testo, che intorno alle
« poche fatiche aggiunte se non per illustrarlo, per mostrare almeno il buon genio
« che ha la nostra Accademia di contribuire quanto può all'onore della patria, e
« se fosse possibile dell’Italia istessa e.al vantaggio delle buone lettere » (Cfr. an-
che questa lett. in data 23 luglio 1725 nell'Archivio Soli-Muratori di Modena).

(1) Infatti il P. non riferisce i loro giudizi nelle lettere successive al C., neppur
quello del Muratori che egli avea invocato più volte e che avea anche promesso di
comunicare al suo amico, quando lo avesse ricevuto (Cfr. la lett. cit. del 3 agosto 1725).

(2 Quanto al Muratori però abbiamo una lettera del Pagliarini a lui in data
21 settembre 1725, in cui lo ringrazia della sua approvazione: da questo apprendiamo
che il Muratori gli avea scritto il suo giudizio il 15 agosto precedente. — Da questa
. stessa lett. si apprende che su proposta del Muratori era stato aggiunto all’Acca-
demia di Foligno un altro socio nella persona di D. Ignazio Maria Como, che unisco
all' elenco in appendice, ma che non so-chi sia, avendone invano cercato il nome
nelle opere di consultazione e nell’ Epistolario muratoriano di quest’ anno, più volte
citato.

(3) Cfr. la cit. lett. del P. al C. in data 16 febbraio 1725.

(4) Cfr. la stessa lett. ora cit.
58 E. FILIPPINI

molto piü sicuro (1) Egli meditava e scriveva se

non fosse

più opportuno invitare a redigere gli articoli un altro Ca-
maldolese e precisamente il p. Floriano Maria Amigoni, noto
hk'invigorito (2), che, ammiratore del Frezzi, si era anche im-
pegnato poco prima, passando per Foligno, di fare come il
p. Cotta qualche conferenza sul Quadriregio nel seno dell'Ac-
cademia (3). Ma bisognava che la questione fosse risolta entro
due o tre mesi, prima cioè che un altro fascicolo del « Gior-
nale » seguisse a quello che era in corso di stampa (4).
A queste idee espresse dal Pagliarini il Canneti non si diede
. pensiero di risponder subito (5), ed intanto nella mente
del primo se ne presentava un'altra forse meno pratica, ma
che poteva piacere di più al suo dotto amico. Egli che avea
già aperto un carteggio col Casaregi di cui avea grandis-
sima stima, gli avrebbe scritto o fatto scrivere per la doppia
recensione della Dissertazione e dell'opera donatagli, se il
Canneti lo ‘avesse approvato: che se si fosse osservato che
il Casaregi era professore di filosofia morale a Firenze, am-
biente poco favorevole al Frezzi e all'Accademia, si doveva
anche pensare che non era fiorentino (6). Il Canneti, il quale
intanto era stato malato, rispose consigliando di rivolgersi a
quell'Ab. De Felici di Roma che aveva pronunziato recente-
mente un giudizio così lusinghiero sulla ristampa folignate ;
ma il Pagliarini non ne volle sapere (7) e avendo intanto
ricevuto dal Casaregi l’accennata lettera di ringraziamento
pel dono fattogli, si risolse senz'altro ad interessare il p. Cotta

(1) Cfr. la stessa lett. ora cit.

(2) Cfr..la prima parte del presente lavoro, sotto l' anno 1719. Ricordo qui an-
che la copia della sua lett. al Pagliarini, in data 11 gennaio 1725, inserita nella cit.
Misc. della Classense. ‘

(3) Cfr. la lett. del P. al C. in data 15 gennaio 1725.

(4) Cfr. la lett. cit. del 16 febbraio 1725. Egli non prevedeva che la regolare
pubblicazione del « Giornale » si sarebbe interrotta.

(5) Cfr. le lett. del P. al C. in date 26 febbraio e 2 marzo 1725.

(6) Cfr. la lett. ora cit. del 2 marzo 1725.

(7) Cfr. la lett. del P. al C. in data 5 marzo 1725. L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 59

che lo conosceva meglio di lui, affinché lo inducesse ad ac-
cettare l'incarieo (1). Senonché il p. Cotta, dopo aver tar-
dato parecchio a rispondere, si assunse lui direttamente
l'impegno di scrivere i desiderati articoli pel. « Giornale »
di Venezia, e il Pagliarini non poté far altro che raccoman-
darsi alla sua benevolenza e sollecitudine: intanto promise
al Canneti di sottoporre al suo giudizio le due recensioni
prima di mandarle al loro destino (2). E al Canneti questa
soluzione piacque (3); ma quando meno egli e il Pagliarini
se lo aspettavano, il p. Cotta, dopo un altro lungo indugio e
molte sollecitazioni (4), rispose che non poteva per ora oc-
cuparsi dell impresa che si era addossata (5). Pare infatti
che il p. Cotta fosse stato in questo momento trasferito da
Perugia ad altra sede e che fosse molto occupato per questo
passaggio (6).

Dopo ciò, è facile immaginare la nuova angustia del
Pagliarini, il quale avendo contato sulla parola del dotto
frate ed essendosi compromesso anche colla direzione del
« Giornale », ora vedeva già impossibile che il secondo
fascicolo dell'annata parlasse diffusamente delle due stampe
folignati, come aveva sperato. Gli tornarono a mente
tutti gli altri letterati di cui s'era parlato prima come
di possibili recensori; ma chi per una ragione chi per
un’altra dovette scartarli tutti (7). Pensò al Crescimbeni,
ma riflettè che egli era in troppe faccende affaccendato
per attendere a ciò che egli desiderava: e. del resto men-
tre comprendeva che era umiliante per l'Accademia an-

(1) Cf. la lett. del P. al C. in data 30 marzo 1725.

(2) Cfr. la lett. del P. al C. in data 28 aprile 1725.

(3) Cfr. il principio della lett. del P. al C. in data 7 maggio 1725.

(4) Cfr. il mezzo della lett. del P. al C. in data 4 maggio 1725.

(5) Cfr. il principio della lett. del P. al C. in data 7 maggio 1725.

(6) È detto nella stessa lett. ora cit: La nuova sede, secondo un’ iscrizione fur
nebre riportata nella cit. biografia di G. Della Torre (pag. 44), era Fermo, ciò che
vedremo confermato in una prossima lettera del P.

(7) Ora era lui che trovava poco opportuno rivolgersi al Casaregi, perché egli
stando a Firenze poteva intendersi coi « conceruscanti » e coi « condantisti ».
60 E. FILIPPINI

dare mendicando delle recensioni senza la mediazione di
qualche vera autorità nel campo delle lettere, non si nascon-
deva che esse erano necessarie per affrettare la vendita delle
copie della ristampa messa in commercio e per prevenire
qualunque pubblico attacco che egli non cessava di temere.
Pensò al Boccolini, ma questi era troppo malato per po-
tere non solo rispondere alle esigenze del momento, ma an-
che semplicemente aiutar lui se avesse trovato modo e co-
raggio di mettersi all'opera (1) Quindi non c'erano altre vie
d'uscita che pregare i direttori del « Giornale » di prov-
veder loro come meglio avessero creduto alla doppia rela-
zione, o mandar ora l'articolo sulla Dissertazione da compi-
larsi dal Canneti e riserbare l'altro ad un altro fascicolo, o
rimandar tutto a questo. Perciò chiese, al solito, consiglio
all erudito Cremonese non senza dolersi d'aver mandato
qualche ütile appunto al P. Cotta e di non averne conser-
vato copia per poter preparare in fretta e furia l'articolo
principale (2). E scrisse anche al.P. Artegiani a Venezia
informandolo di tutto e pregandolo di fare le sue scuse presso
lo Zeno per la mancata spedizione dei promessi articoli. Ma
la sua angustia crebbe quando dopo qualche mese vide che
né il Canneti né l’Artegiani gli rispondevano punto, e do-
vette far nuove sollecitazioni al primo (8). Finalmente tornò
a interessare il P. Cotta (4) che gli avea dato a sperare di
scrivere le recensioni a tempo migliore (5); ma questi dopo
ben tre mesi rispose che non godeva di buona salute a

(1) Il Boccolini, dopo quel periodo di tempo in cui si era potuto occupare della
stampa dell’Aggiunta alla Diss. del Canneti, era ricaduto nel suo male con poca
speranza di guarigione. (Cfr. le lett. del P. al C. in data 3 novembre 1724, 15 gen-
naio, 23 aprile, 7 maggio 1725). È notevole anche quello che il Pagliarini dice nella
lettera del 9 febbraio 1725, che ciò per causa della malattia del Boccolini egli do-
veva compiere da solo la fatica della spedizione delle copie della ristampa.

(2) Tuttociò è detto nella importante lett. cit. del 7 maggio 1725.

(3) Cfr. la lett. del P. al C in data 18 giugno 1725.

(4) Cfr. la lett. cit. del 7 maggio 1725.

(5) Cfr. la lett. del P. al C. in data 15 luglio 1725. L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 61

Fermo e che non avrebbe potuto applicarsi al lavoro desi-
derato prima di essersi ritirato definitivamente nella natia
Tenda, come pare avesse chiesto (1) Il Pagliarini ormai ne
aveva abbastanza per non fidar più nel suo aiuto e si di-
spose a scriver lui, appena tornato dai bagni di Nocera, gli
articoli che non poteva avere da altri (2).

Ma intanto usciva in gran ritardo il fasc. XXXVI del
« Giornale » con la promettente comunicazione da Foligno
che io ho sopra riferito, e con una nota concepita in questi
termini: « Di poi s'è anche finalmente pubblicata la nuova
« intera edizione di quest'opera col titolo infrascritto: 7/7
« Quadriregio ecc., in 4. ^ L'edizione s'è divisa in due vo-
« lumi: nel 1° sta il poema, il secondo è compilato delle
« sopraddette fatiche fattevi per illustrarlo » (3). Così i gior-
nalisti rimediavano al ritardo d’un annunzio che doveva
precedere e non seguire la pubblicazione della ristampa. Ma
gli editori di Foligno non potevano appagarsi di questo
semplice accenno, e il Pagliarini, assillato dall'idea che a
quel fascicolo ne sarebbe presto seguito un altro, non avrebbe
perduto tempo nel preparare le due recensioni se non fosse
stato distratto da altre inaspettate occupazioni e circostanze.
Venne infatti a distrarlo la collaborazione alla raccolta poe-
tica in onore dell’accademica affidata Maria Battista Vitelleschi
morta di recente (4), vennero i preparativi per un’adunanza

) Cfr. la lett. del P. al C. in data 3 agosto 1725.
) Cfr. la stessa lett. ora cit.
) Cfr. il tomo cit. del « Giornale », pag. 347.

(4) Cfr. quel che ho detto di lei nella prima parte del presente lavoro, sotto
l’anno 1719, e le lett. del P. al C. in date 1 ottobre 1725 e 8 luglio 1726. Sono lieto
di poter qui dichiarare d'aver visto, per un tratto di grande cortesia del conte Se-
rafino Frenfanelli-Cibo di Foligno che la possiede, una copia di questa importante
raccolta che è divisa in due parti, di cui la prima s’ intitola Sonetti | di donne illu-
stri | în morte | della nobile signora | Maria Batista | Vitelleschi | da Foligno | Acca-
demica Rinvigorita, Insensata | Assordita e Filergita | fra gli Arcadi | Nicori Denia-
tide | — In Foligno, MDCCXXV | Per Pompeo Campana ecc.; e la seconda s’ intitola
Rime | di uomini illustri |in morte ecc. come sopra. Questa raccolta compilata da
G. B. Pierantoni (come si vede dalle due dediche a Maria Orsola Vitelleschi Gabuc-
nd de Uy x T hard
62 E. FILIPPINI

solenne in onore di Mons. Giudice eletto Cardinale (1), venne
la morte della moglie del disgraziatissimo Boccolini (2), venne
un suo viaggio a Roma (3), venne tutto il da fare per la per-
muta d'una rara opera del Vossio posseduta dal Boccolini e
assai danneggiata in seguito al prestito fattone fuori di Fo-
ligno (4) e venne anche una malattia, di cui guarì nell’ ot-
tobre del 1726 (5). Per tutte queste ragioni solo negli ultimi
tre mesi di quest'anno il Pagliarini potè trovarsi in grado

cini sorella della defunta e a Benedetto Pisani, l'autore della Fwlginia in versi) con-
tiene in tutto 46 componimenti, di cui 10 sonetti formano la prima parte, 35 sonetti
e un’ode la seconda. Fra le rimatrici troviamo anche Gaetana ‘Passerini e Teresa
Grillo-Panfili ; tra i rimatori troviamo diversi Rinvigoriti folignati già noti, come
Apollonio Boncompagni autore del sonetto: i
Nel comune dolor di Voi, che tanto:
G. B. Boccolini autore dei tre sonetti:
Ferali Augelli, che fra cupi orrori.
Ma allor che piango, e fra dirupi e grotte.
E più immortal sen vive ora in quel Dio :
Giustiniano Pagliarini, autore dei due sonetti accennati nella sua lett. al Cauneti in
data 1 ottobre 1725 e nella mia biografia inserita nella prima parte del presente la-
voro; D. Marco De angelis, autore del sonetto:
Qualor rammembro il dì funesto e rio;
il p. Gentile Maria Bilieni (Nereo Aperopio), autore del sonetto:
Del basso Mondo Vincitrice al Cielo ;
Piermarino Barnabò, autore del sonetto:
Figlie del mio dolor, lagrime amanti ;
Pietro Baldassarre Vitelleschi, autore del sonetto:
Chi è costei, cui di gramaglia ornato.
Ma tra i rimatori troviamo anche parecchi altri Rinvigoriti d'ogni parte d'Italia già
conosciuti ed alcuni altri che non appaiono nei noti Cataloghi del 1719 e del 1725 e
che quindi devono essere stati nominati dopo la pubblicazione del Quadriregio.
Questi sono Francesco Aurelj da Perugia (autore di tre sonetti), PF. A. Liverani da
Faenza (autore d'un sonetto), Michele Toni da Faenza (autore d'un sonetto), Ales-
sandro Fagnoli da Faenza (autore dell'unica ode). Aggiungerò anche questi nomi
al catalogo generale in appendice.
(1) Cfr. la lett. cit. del 1 ottobre 1725. Mons. Giudice era divenuto Cardinale l'li
giugno 1725 (Cfr. Moroni, op. cit ).
(2) Cfr. la stessa lett. ora cit.
(3) Cfr. la lett. del Boccolini al C. in data 16 novembre 1725, in cui è detto che
il P. era già partito per Roma, e quella del P. stesso al C. in data 14 dicembre 1725,
in cui si legge che era appena tornato da Roma e vi aveva conosciuto il Fon-
tanini.
(4) Cfr. una nota apposta alla biografia del Boccolini nella prima parte del pre-
sente lavoro.
(5) Cfr. la lett. del P. al C. in data 14 ottobre 1726. L'ACCADEMIA DRI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 63

di attendere alle note recensioni (1). Le quali peró, nate sotto
cattiva stella, non apparvero neanche nel XXXVII tomo del
« Giornale » pubblicatosi in quel tempo (2), né eran pronte
alla fine dell’ anno, quando, ignaro per quali accordi, l’ eru-
dito folignate si era in ciò assicurata la collaborazione del
Boccolini divenuto sacerdote (3), dell'Artegiani e di Pier Ca-
terino Zeno (4). Furono esse compiute mai ? Io non so, perchè
non se ne parla più nelle rimanenti lettere del Pagliarini;
ma è da supporre che no, perchè anche i tomi del « Gior-
nale » dal XXXVIII al XL che sono gli ultimi e che usci-

rono à grandi intervalli l'uno dall'altro (5), non le conten- .

gono affatto. Ciò si comprende benissimo se si pensa che
al principio del 1727 il Boccolini era ricaduto nella sua
malattia per non più guarire (6) il Pagliarini poco dopo
avea il dolore di perdere una figlia di sedici anni (7), e lo

(1) Cfr. la lett. del P. al C. in data 8 luglio 1726.

(2) Questo tomo che riguarda le stampe del 1725, fu certamente pubblicato
dopo il 28 agosto del 1726, che é la data della licenza dei riformatori di Padova posta
nelle prime sue pagine: e fu l’unico di quell’anno, come avveniva già dal 1719
(cfr. in proposito il cit. lavoro del BoLoGNINI in « Studi maffeiani », pagg. 557-558.

(3) Cfr. la sua biografia nella prima parte del presente lavoro.

(4) Cfr. la lett. del P. al C. in data 13 dicembre 1726. Il p. P. C. Zeno é ricordato
anche nella lett. del P. al C. in data 6 gennaio 1727, che non metto in appendice per
amore di brevità, limitandomi a riferire qui le parole che ci interessano: « Giacehé
« V. P. Revma non ha carteggio col P. D. Catterino Zeno, farò che il P. Segretario
« Artegiani lo faccia stare in attenzione, che nel Ristretto della Dissertazione Apo-
« logetica, oltre a dar risalto a tutto ciò che in quella vi é di bello e di buono, si
« faccia spiccare (come é) per opera finitissima e decisiva della causa ».

(5) Il tomo XXXVIII fu diviso in due parti, di cui la prima uscì dopo il 18 agosto
1727 che é la data della solita licenza dei riformatori, e la seconda dopo il 2 luglio del
1733. La ragione di questo ritardo, accennata nella prefazione del Seghezzi inserita

in questa seconda parte, fu la malattia e la morte dl Pier Caterino Zeno avvenuta .

il 30 giugno 1732, come appare anche dall’ elogio di lui ivi anche stampato. Il tomo
XXXIX fu stampato dopo il 16 novembre 1739 ed il XL apparve nel 1740. Cfr. anche
su ciò che qui ho detto, il cit. studio del BOLOGNINI, in l. cit. pagg. 561-562. È inutile
poi parlare dei tre Supplementi al « Giornale », di cui il 1II venne alla luce nel 1726,
quando cioé non era ancora stabilito chi dovesse fare le due recensioni.

(6) Cfr. le lett. del P. al C. in date 17 febbraio 1727, 8, 22, 29 marzo, 5, 16 e 26
aprile 1728.
(7) Cfr. la lett. del P. al C. in data 23 maggio 1727.
È. ^ wr d 9 * Ó- j 1 uf pi VI LÀ
= - MENS Pordoi yo >
| 64 E. FILIPPINI
Zeno, anch’ esso ammalato, non potè più occuparsi del « Gior-

nale » dopo il volumetto che contiene la prima parte del tomo
XXXVIII (1). Del resto, sarebbe stato ormai inutile pubbli-
care qualunque recensione sopra una stampa già vecchia
di parecchi anni e dimenticata. Così la promessa fatta nel-
l'annunzio giornalistico del 1725 non ebbe, per forza di tante
circostanze, il suo adempimento, e il Quadriregio ristampato
con tanta cura dai dotti Rinvigoriti di Foligno, rimase senza
la consacrazione del più autorevole giornale letterario d'I-

talia.

La stessa sorte toccò alla ristampa del Quadriregio nelle
Memorie di Trevoux che fino dal 1713, come abbiam visto,
l'avevano annunziato. Il Pagliarini già nel dicembre 1724
pensava di servirsi di quella importante rivista straniera
per far conoscere all’estero l’opera che si stava stampan-
do (2). E con questo intendimento, quando essa venne fuori
dei torchi, non tardó a mandarne per mezzo della libreria
Pagliarini di Roma una copia alla direzione delle Memorie (3).
Cinque mesi dopo egli nutriva fondate speranze che quella
rivista bibliografica si occupasse largamente delle fatiche
sue e dei suoi collaboratori: e mentre stava in vedetta per
osservare l'uscita periodica dei noti volumetti francesi e per
ordinarne subito gli estratti manoscritti, pregava il Canneti
d’informarlo subito nel caso che lo prevenisse (4). Ma passò
tutto quell’ anno, passarono anche gli altri senza che l’attesa
recensione di Trevoux comparisse (5).

Altre copie dell'opera collettiva del Pagliarini, del Canneti,

(1) Cfr. ciò che ho detto in una nota precedente e il cit. studio del BoLOGNINI
in l. cit., pag. 561.

(2) Cfr. la lett. cit. del P. al.C. in data 15 dicembre 1724.

(8) Cfr. il poscritto alla lettera del P. al C. in data 2 marzo 1725.

(4) Cfr. la lett. cit. del P. al C. in data 3 agosto 1725.

(5) Io ho.sfogliato i Memoires de Trevoua fino a tutto il 1730 e non ho trovato
neppure una parola dedicata alla ristampa folignate. Mi duole peró di non aver po-
tuto vedere il Saggio storico. sulle Memorie di Trevoux, del SoMmMEVOGEL (Parigi,
1865).
P —

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 65

del Boccolini e dell'Artegiani erano andate, pel tramite della
stessa libreria romana, a Parigi, a Londra, ad Amsterdam (1).
Ebbene io non so se nei giornali e riviste letterarie di quelle
città e nazioni del tempo essa avesse maggior fortuna che
in quella dei gesuiti di Trevoux, come si lusingava 1o stesso
erudito folignate (2). Ma temo di no, perché il Pagliarini
che stava all'erta, non parla più di simili relazioni nelle
Sue lettere seguenti.

Forse questa fu una specie di congiura del silenzio
ordita contro gli editori di Foligno, che si estese anche in
Italia. Tuttavia qui non fu silenzio perfetto poiché, come il
P. Collina annunziò al Pagliarini verso la metà del 1725 (3),
della ristampa si era già occupato un giornale veneziano,
che non era quello dei fratelli Zeno, ma che noi già cono-
sciamo: quello di Almorò Albrizzi (4). Nel n. VII dei Fo-
glietti letterarj sì legge appunto questo ampolloso annunzio :
« Come già dissesi a c. 40 si è terminata la nuova edizione
« del Quadriregio, Poema famoso, di profonda dottrina, ma
« egualmente di gran chiarezza e di forte energia poetica,
« composto intorno al 1390 da Monsignor Federigo Frezzi
« dell'Ordine de’ Predicatori, Cittadino e Vescovo di Foligno,
« corretto e ridotto alla sua vera lezione coll'aiuto d'antichi =
« Codici MSS. da i Signori Accademici Rinvigoriti della me-
« desima Città, e da essi pubblicato da' Torchi di Pompeo
« Campana con Annotazioni, Osservazioni Istoriche e Di-
« chiarazioni di voci (5); aggiuntavi la Dissertazione Apo-

(1) Cfr. la lett. ora cit. del 3 agosto 1725.

(2) Cfr. la stessa lett. ora cit. È

(3) Cfr. la stessa lett. ora cit. Il p. Collina gli promise anche di mandargli l’e-
stratto dell'articolo, ma io ignoro se glielo mandasse realmente, poiché non ne ho
trovato traccia nei loro carteggi.

(4) È strano peró'che il P. nella lettera ora cit. sostituisca a questo cognome
quello dell'Erizz0, che costituisce un errore inspiegabile se si pensa che il P. si
era occupato dell'Albrizzi nella cit. lettera del 27 novembre 1724.

(5) Non so perché l’ editore o l'autore dell’ annunzio sopprimesse qui i nomi
dell'Artegiani, del Pagliarini e del Boccolini.
66 E. FILIPPINI

« logetica del chiarissimo P. Abate D. Pietro Canneti Ca-
« maldolese a favore di detto Monsignor Frezzi ivi pure
« riferita, che dà fine alla famosa controversia penduta nella
« Repubblica Letteraria intorno al vero Autore di detto
« Poema, e della quale si parla ne’ Commentari dell'Istoria
« della Volgar Poesia del celebre Signor Arciprete Giovan
« Mario Crescimbeni e nel Giornale de' Letterati d'Italia (1).
« Quest'Opera conferisce molto all'Istoria della Poesia Ita-
« liana, non solo per la detta controversia felicemente già
« terminata, ma perché dopo la morte di Dante Aligieri (sic)
« pel corso di cento cinquanta e più anni nella decadenza
« della Poesia e della Lingua non ha forse avuto l'Italia
« chi meglio e con piü decoro abbia sostenuto con un Poema
« compito il credito della Nazione, di questo Autore, che
« perció vien giudicato da chiarissimi e giudiziosissimi Let-
« terati degno seguace di Dante, più vicino a quel gran
« Poeta, anzi un nuovo Dante » (2). Chiunque sia l'autore
di questo annunzio letterario, è certo che esso contiene una
qualche esagerazione, la quale si spiega con l'aspettazione che
avevano saputo destare gli editori di Foligno e con l’im-
portanza della controversia che si era agitata intorno al
Frezzi e al suo quadripartito poema. Ad ogni modo, dopo
il coro di lodi epistolari di tanti dotti contemporanei, fu que-
sta forse l’unica soddisfazione toccata ai quattro laboriosi
editori nella stampa periodica del tempo.

. Se essi ebbero così poca fortuna nelle riviste letterarie,
non ne ebbero certamente una migliore nelle altre opere di
consultazione che intanto si venivano pubblicando o ristam-
pando. Solo il Fontanini che io mi sappia, ricordò, per l’im-
pegno già preso col Pagliarini, il Quadriregio del 1725 nella
terza e quarta edizione della sua Zloquenza italiana che ap-

(1) Si accenna ai luoghi di queste opere, che io ho già precedentemente rife-
riti e illustrati.
(2) Cfr. Fogl. lett. del 12 febbraio 1725, pagg. 74-75. L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 61

parvero poco dopo e dove chiama « bella » la recente ri-
stampa folignate (1) Ma il ricordo è tale, che non so quanto

potesse piacere al Pagliarini e ai suoi collaboratori, perché

il Fontanini citava la recente ristampa folignate del poema

frezziano non per altro che per proporre la correzione d'un

passo del testo che a lui sembrava addirittura errato (2). Non

aveva quindi il Pagliarini tutti i torti di diffidare, come

abbiam visto, dell' erudito friulano.

Ma se la critica stampata fu cosi avara di parole e cosi
ambigua nel giudicare l'opera faticosa del Canneti, del Pa-
gliarini, del Boccolini e dell'Artegiani, ebbero almeno costoro
il piacere di vedere vendute tutte le copie della ristampa
messe in commercio? Su questo argomento nulla io posso
dire di preciso, perchè non ve n'é traccia nelle lettere del
Pagliarini e del Boccolini al Canneti. In una delle quali,
precedente alla pubblicazione dei due volumi, si domandava
qual prezzo si sarebbe potuto stabilire per essi (3); ma poi

(1) Sebbene il BasEsGio (l. cit.) dica che la terza edizione dell’opera fontani-
niana apparisse quando il Fontanini era già morto, pure quella del 1736 non fu che
la quinta edizione, poiché dopo quelle già da me ricordate del 1706 e del 1724, se-
guirono le ristampe del 1726 (Roma) e del 1727 (Venezia) In questa che io ho
potuto vedere nella Comunale di Udine, si trova ricordato il Quadr. del 1725 a pag. 64.

(2) Ecco infatti le precise parole del Fontanini che, dopo aver citato i luoghi
in cui Dante ricorda il paladino Orlando e il traditore Gano, aggiunge: «Il Vescovo
« Federigo Frezzi nel libro II del suo Quadriregio a cap. XVI. mette pur Gano fra i
« traditori insieme con Giuda ;

« Quanti Gani son qui e quanti Giudi !

« Così credo che debba legg-rsi, e non Giani, come si legge nella bella edi-
« zione, fattane ultimamente in Foligno ». Questa é anche la correzione di cui, come
ho detto a suo tempo, parla anche il FALOCI-PULIGNANI.

Nelle edizioni posteriori poi dell' opera fontaniniana, e specialmente in quella
del 1753 curata da Apostolo Zeno, il Quadr. del 1725 fu ricordato a pag. 309 del vol. I
ira i poemi sacri coll' accenno alle opinioni del Corbinelli e dello Speroni, ma con
titolo incompleto, cioé senza il richiamo della Diss. del Canneti. La quale però giova
dire che è indicata a pag. 139 del vol. II, fra i componimenti storici, cioé poche pa-
gine prima della ritrattazione della paternità del poema, da me riferita in una nota.
di questa seconda parte del mio lavoro, sotto l’anno 1712.

(3) Cfr. la lett. cit. del P. al C. in data 29 dicembre 1724.
68 E. FILIPPINI

non troviamo accenno alcuno alla relativa risposta (1), come
non troviamo mai indicato il numero delle copie stampate
né di quelle vendute (2). Poco dopo avvenuta la pubblica-
zione, il Pagliarini si lamentava ancora delle « tante spese »
sostenute per essa (3); si sarà egli potuto compensare dei
sacrifici fatti? Chissà. Del resto, non si ha notizia di copie

| rimaste invendute a Foligno; ma se n'erano anche rega-

late molte.

I Rinvigoriti, licenziando nel 1725 la famosa ristampa,
avevano chiuso la prefazione a4 benigno lettore con queste
parole: « Se le poche fatiche fatte da alcuni nostri Accade-
« mici intorno a questa edizione incontreranno la sorte di
« un cortese gradimento, si prenderà motivo di proseguire
« altre applicazioni già intraprese ad illustrazione di questo
« Poema, che forse un giorno si pubblicheranno con una
« nuova edizione di tali letture accresciuta » (4). E certa-
mente se avessero mantenuto la modesta promessa avreb-
bero aggiunto nuovo lustro all’amorosa e importante opera
compiuta in quell’anno. Ma purtroppo essi non lo fecero,
non perchè fosse loro mancata l'approvazione generale dei
letterati d’Italia: altre cause dovettero contribuire a far loro

(1) L'avviso-rèetame lanciato dal P. nell'atto della pubblicazione di cui, come
ho già detto, si trova la minuta nella cit. Misc. XXVI della Classense, lascia la cifra
in bianco. Ma per fortuna noi possiamo desumerlo dall'annunzio cit. dell’ Albrizzi,
il quale continua a dire: « Tutta l’opera è distribuita in due Tomi in quarto, di fo-
« gli 104 in tutto, compresivi gl’ Indici, in carta fina mezzana grande. Si vende in
« Foligno dallo stesso Pompeo Campana Stampatore, e per i primi quattro mesi
< cioè a tutto maggio 1725 si ammetteranno i Compratori in forma di associazione
« al vantaggio del prezzo di uno scudo romano per tutto il corpo dei due tomi
« sciolti in Foligno, che non si goderà da chi vorrà farne la compera dopo detto
« tempo » (confr. l. citt., pag. 75) i

(2) Sappiamo soltanto che, oltre le 30 copie già impegnate dal libraio Paglia-
rini prima della sua morte secondo la lettera del P. al C. in data 15 dicembre 1724,
ne furono spedite 20 a Bologna e 30 a Venezia, come si apprende dalla lett. del P.
al C. in data 23 aprile 1725 e altre 20 se ne mandarono a Piacenza secondo la lett.
del P. al C. in data 3 agosto 1725, dove si ripetono anche le precedenti spedizioni.
Ma non credo che tutta la vendita si riducesse a queste sole 100 copie.

(3) Cfr. la lett. del P. al C. in data 9 febbraio 1725.

(4) Cfr. la pref. cit. in vol. I del Quadr. L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 69

dimenticare quelle parole e quel lodevole proposito: non
ultima tra esse la lunga fatica che era costata l'ottava edi-
zione del Quadriregio e che aveva pressochè esaurito le
energie dei due principali editori, il Pagliarini e il Bocco-
lini (1). Essi forse non pensarono mai a narrare le molteplici
e varie vicende del ponderoso lavoro, di cui si può trovare
soltanto qualche pallidissimo accenno nella Dissertazione can-
netiana. Ma se ci avessero pensato e ne. avessero fatto ar-
gomento d’un capitolo a parte della pubblicazione che pro-
mettevano nel 1725, i Rinvigoriti ci avrebbero dato uno dei
documenti più importanti della loro vita accademica, ci
avrebbero illustrato storicamente il periodo di maggiore
attività d'una delle più fiorenti accademie settecentesche
dell’Italia centrale. Forse non avrebbero fatto codesta rico-
struzione con l'esattezza ed imparzialità che sarebbero state
necessarie, ma certo con maggiore sicurezza di quello che
non sia stato possibile oggi dopo quasi due secoli. Ad ogni
modo io spero che anche dal mio lavoro, manchevole in
molte parti, appaia chiaramente quanto fosse utile la cono-
scenza d'un fatto così complesso che si svolge in una pie-
cola città del primo settecento e in cui si muovono tante
personalità di vario valore.

Foligno, in quel lungo periodo in cui l'Aecademia dei
Rinvigoriti aveva lavorato tanto intorno al Quadriregio e ne
aveva preparato la ristampa migliore, doveva sembrare una
piccola metropoli intellettuale. Adunanze accademiche, di-
scussioni storico-letterarie, letture esegetiche, consultazioni
di codici e di libri, prestiti e acquisti di documenti, richieste

(1) Però l'ottava ristampa del Quadr. ebbe l' onore di essere seguita ed imi-
tata dalla nona e dalla decima curate dall'editore Antonelli di Venezia nel 1839.
Cfr. il mio studio cit. sulle Edizioni del Quadr. pag. 32 è seg.
Il 70 E. FILIPPINI

Il : di studiosi, carteggi con tutti i più famosi scrittori d'Italia,
convegni, visite, ricevimenti d'illustri personaggi che passa-
M vano di là e s’interessavano alle sorti della nuova edizione,
trattative con tipografi e librai, impostazioni e ritorni di
manoscritti e di bozze, vendite e acquisti di lavori accade-
| mici, distribuzione di stampati in regalo, spedizioni di grosse
partite dei nuovi volumi per tutte le città d’Italia, per la
Francia, l' Olanda e l’ Inghilterra: tuttociò costituiva un mo-
vimento nuovo per quella cittadina di provincia, intenta più
che ad altro allo sviluppo delle sue industrie e de’ suoi
commerci. *

" | Anima di tutto questo movimento intellettuale fu certa-
| mente Giustiniano Pagliarini, la cui figura noi vediamo cam-
peggiar sempre nella storia dell’Accademia e della ristampa,
con la sua coltura, con la sua attività, con la sua pazienza,
| coi suoi scatti e coi suoi languori, con la sua serietà, coi
| suoi facili passaggi dal pessimismo all’ ottimismo e viceversa,
Il: con la sua onestà e col suo patriottismo. Vicino a lui spicca,
| ma non costantemente, la figura simpatica di Giovanni Bat-
| tista Boccolini, vero tipo di umanista, studiosissimo e pieno
| ; di premure per l'Accademia da lui fondata e di modesti ti-
| . mori per la riuscita dell’ impresa, collaboratore assiduo e
fedele del suo dotto amico finchè la. salute glielo permette.
Ma nessuno dei due, bisogna pur dirlo, nè tutti e due in-
sieme avrebbero saputo condurre la pesante nave in porto
| senza il braccio forte, la mente assennata e il carattere
| energico per quanto angoloso ed astuto di Don Pietro Can-
neti, uomo singolare per dottrina e forza morale, che nei
frequenti contrasti col Pagliarini finì quasi sempre col far
trionfare la sua idea. A lui si deve specialmente se per quasi
un ventennio l’attenzione di tutti gli uomini più eruditi di
Italia fu rivolta e legata a Foligno e se intorno ai lavori
| dell’Accademia folignate si destò una così grande aspetta-
Il: zione: a lui si deve soprattutto se la ristampa, pur avendo
tardato troppo ad uscire, venne finalmente alla luce in modo
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. T1

da meritarsi il plauso generale dei dotti, superando l’ attesa
comune: a lui infine e al suo umanistico spirito di conser-
vazione si deve quasi esclusivamente se sui numerosi docu-
menti da lui lasciati nella Classense di Ravenna (1) si é
potuto dopo tanto tempo riprendere dal principio la storia
dell'opera più pregevole d'una fiorente Accademia e illu-
strare così il momento più importante della fortuna del
Quadriregio (2).

Intorno a queste figure principali si muovono variamente
parecchie altre di folignati e non folignati, che ebbero una
parte meno notevole nell’ avventurosa storia che ho narrata ;
ma tra essi sono nomi più o meno illustri e famosi, come
quelli del Muratori, del Fontanini, del Crescimbeni, di Apo-
stolo Zeno, del Martelli, del Beccari, del Salvini, del Baruf-
faldi ecc., i quali con la loro non sempre nota presenza ai
lavori dei £nvigoriti ne accrescono certamente il valore.

Di quell’ epoca fortunosa, di quegli uomini e delle loro
fatiche letterarie Foligno si dimenticò troppo presto. Ma
l'ottava edizione del Quadriregio rimase come il ricordo più

(1) Colgo questa occasione per ringraziare qui vivamente il Municipio di Ra-
venna, il Bibliotecario della Classense e più di tutti il Vice-bibliotecario della me-
desima per avermi agevolato in tutti i modi le numerose ricerche da me fatte in
quella biblioteca e per aver messo a mia disposizione tutti i documenti ivi raccolti
che potevano esser necessari al compimento del presente lavoro.

(2) Se anche il Pagliarini e il Boccolini avessero lasciato alla Biblioteca del Se-
minario di Foligno tutte le lettere da essi ricevute dal Canneti, dal Muratori, dal
Fontanini e da tanti altri eruditi Italiani con cui furono in relazione epistolare,
come il Canneti lasciò alla Classense le loro, certamente questi studi sarebbero riu-
sciti meno imperfetti. È doloroso che i due preziosi carteggi pagliariniano e bocco-
liniano, rimasti forse nelle mani di eredi nemici della carta scritta e ignari del
grande valore che possono avere certi documenti personali, siano stati distrutti,
come suppongo dopo la lunga e vana ricerca che io n'ho fatta in Foligno. Anche
recentemente, prima di licenziare alla stampa quest’ultima parte del mio lavoro, feci
inserire nella Gazzetta di Foligno (aprile 1910) un comunicato per tutti coloro che
possedessero ancora i carteggi del Pagliarini e del Boccolini; ma non ho avuto al-
cuna informazione né proposta in materia.
13 : E. FILIPPINI

eloquente dell'attività dell'Aecademia folignate e come il
monumento piü saldo che questa potesse erigere a se stessa:
rimase come il documento più significativo della cultura di
quella città nel primo quarto del sec. XVIII e come l'omaggio
più grande che si sia reso finora a Federico Frezzi poeta (1).

E. FILIPPINI.

(1) Così vorrei che riuscisse degna di lui l'edizione critica del Quadriregio,
che spero di poter condurre sopra i migliori codici oggi esistenti, per la grande
raccolta de Gli scrittori d? Italia. APPENDICI

In tutti i documenti che seguono, registrati secondo l'ordine cronologico e riferiti
ora integralmente ora parzialmente, secondo le esigenze del lavoro, si sono
sciolte tutte le abbreviazioni meno chiare, si sono tolte le maiuscole e le h
non necessarie, si-sono sostituite rispettivamente le v e le z alle u e alle t, si
sono corretti gli errori di ortografia più gravi e si è aggiustata l'interpun-
zione dove pareva o soverchia o difettosa. — Si sono soppressi poi gl’ indi-
rizzi, le intestazioni e le firme, per amore di brevità: le date si sono conser-
vate in fine di ciascun documento: al termine poi di ciascuna appendice di
lettere sarà detto dove esse furono dirette.
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. . 15

APPENDICE I

Lettere di Giustiniano Pagliarini a don Pietro Canneti

(Dal vol. delle Lettere originali ecc., segnato Lettere mss.,
Busta 36, fasc. 6° della Classense di Ravenna).

Umilio tutto l’ ossequio della mia divozione in
pienezza d’auguri per le felicità di V. P. Rev.ma
nel ricorso del S. Natale, e spero, che la Divina Bene-
ficenza, che ha arricchito di tanti doni, e di mente e di
cuore la bell'anima di V. P. Rev.ma, le farà godere
il compimento delle sue grazie con l’ accrescimento d'o-
gni altra prosperità in pregio del merito, che Ella ha
saputo aequistarsene in grado sublime con una virtuo-
sissima cooperazione. Si degni intanto V. P. Rev.ma
continuarmi l' onore della sua stimatissima protezione,
e favorirmi di suoi spessi comandamenti che costitui-
ranno una.delle piü distinte felicità, che possa ambire
la mia divozione.

Ho finalmente trovato il Quadriregio di monsignor
Frezzi mediante la benignissima attenzione del signor
Conte Monte Mellini, et è di una edizione diversa e più
antica di tutte le altre indicate dal Iacobilli, dal Montal-
bani, e dal P. Fontanini, trovasi nella libreria Augu-
sta di Perugia, di carattere gotico stampato in Perugia
da Stefano Arns Alemano nell’anno 1481, sotto il titolo
di: Quadriregio di Federico Domenicano vescovo di Fo-
ligno. Spero che nella lettura di questa opera si sco-
prirà maggiormente la verità che l'autore di essa sia
detto monsignor Frezzi mentre ho riconosciuto da un
fragmento del capitolo 18 del 2° libro, riportato dal
Dorio nella sua storia di casa 'Trinci a carta 14: la
descrizione esattissima dell'arme di detta famiglia, et
76

E. FILIPPINI

altre particolarità della medesima, che fa molto a pro-
posito alla dedicazione di detto Quadriregio fatta ad
Ugolino Trinci signore di Foligno secondo la copia ma-
noscritta della Biblioteca Estense riferita dal P. Muratori,
carta 23 del libro 1° della perfetta Poesia italiana. Il
quale Ugolino fu contemporaneo di detto monsignor
Frezzi e ne ho in pronto le prove d' istorie, lapidi e brevi
apostolici.

Il S." abate Crescimbeni ha promesso nel nuovo Tomo
dei Commentarii della sua storia poetica di porre in
chiaro la verità di questo fatto. Intanto se V. P. Rev.ma
potesse darmi qualche lume in questo particolare, e se
avesse avuto fortuna di trovare il Vocabolista Bolognese
del Montalbani, accrescerebbe ad un numero infinito le
mie obbligazioni, con che resto facendo a V. P. Rev.ma
profondissima riverenza.

Foligno, 15 dicembre 1710.

Non può credere V. P. reverendissima la conso-
lazione che mi ha recato la sua compitissima con l'av-
viso tanto da me desiderato delle 2 copie, che ha
avuto fortuna di trovare del Quadriregio di M: Federico
Frezzi; ne può ricavare però qualche argomento dalla
premura con cui mi avanzo al godimento delle sue
grazie, mentre in questo stesso ordinario fo scrivere da
questo Mastro di Posta a quello di cotesta Città, che
riceva da V. P. Rev.ma un libro che gli verrà dalla
medesima consignato per trasmetterlo qua con la più
distinta diligenza. Supplico dunque V. P. Rev.ma a de-
gnarsi di sceglier quello dei due esemplari che stimarà
più proprio per la sua libreria; e l’altro farlo consegnare
alla Posta diretto al sig. Gio: Batta Bucciari, maestro
della Posta di Foligno, e col libro si compiaccia avvisarmi
il prezzo, che certamente sarà considerabile, attesa la
rarità del libro, acciò io possa sollecitamente rimbor:
sarla. Negli accidenti occorsi nel viaggio di V. P. Rev.ma L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. Ti

che hanno uniti i due esemplari del Quadriregio, non à
puó negarsi un gran tiro della Provvidenza, che va com-

binando tante ragioni disparate per produrre un effetto

di giustizia nella restituzione di quest’ opera al suo vero

autore; io peró ne ammiro uno sforzo dell' amore tutto

operoso di V. P. Rev.ma, alla quale ne protesto un peso

di infinitissime obbligazioni.

La copia ritrovata in Perugia, come le accennai
con l’altra mia, perchè sta nella Biblioteca Augusta non
può aversi a libera disposizione, onde io andava dispo-
nendo averne una copia manoscritta, che ora l’ ho fatta
sospendere.

Mi rallegra molto il giudicio che da del Quadriregio
il buon gusto di V. P. Rev.ma, ed io me ne saprò va-
lere a suo tempo.

Questo libraro Antonelli si scusa di non avere av-
vertita la mancanza delle 2 carte nell’ Amadigi per es-
sere stato pochissimi giorni in sua bottega, e si augura

. la sorte di poter servire meglio V. P. Rev.ma in occa-
sione che siano per capitargli altri libri buoni, chè sin-
ora non ne ha acquistati degli altri dopo la sua par-
tenza et io starò in prattica con tutta la vigilanza per
trovar manoscritti antichi per la sua libreria.

A questi giorni mi sono stati regalati da un amico
tre libri, dei quali prego V. P. Rev.ma darmi qualche
cenno del loro credito e valore, per corrispondere con
qualche proporzionata gratitudine a chi me ne ha fa-
vorito.

Un Petrarca in quarto con i commenti di Fran-
cesco Filelfo et Antonio da Tempo nel Canzoniero e
di Bernardo Illicinio ne Trionfi, impresso in Venezia da
Bernardino Stagnino 1513.

‘Il Morgante Maggiore di Luigi Pulci in 4 stampato
in Venezia con belle figure per Comin de Trino 1546.
Le trasformazioni di M. Lodovico Dolce in 4 per il Gio-
lito 1556, corretto però dalle censure che gli da Giro-
lamo Ruscelli nei suoi discorsi contro il Dolce stampati
in Venezia per Plinio Pietra Santa 1533.
(aa me "Tr "UN

E. FILIPPINI

Il S." Buccolini et il Priore mio fratello riveriscono
con pienezza d'ossequio V. P. Rev.ma, a cui sempre
più obbligato faccio umilissima riverenza.

Foligno, 19 dicembre 1710.

Un errore da me commesso involontariamente nel-
l| altre due mie lettere, mi obbliga a rinovare a V. P.
Rev.ma l'incommodo della presente per accusarle come
fo la ricevuta della moneta rimessami con troppa pun-
tualità da Perugia.

La contentezza di vedermi assicurata la copia del
Quadriregio mi occupò di maniera che mi scordai di so-
disfar questo debito; godo però in qualche parte del
vantaggio, che mi porta questo accidente, in rinovare
sempre più a V. P. Rev.ma gli attestati sincerissimi
delle mie infinite obbligazioni.

Il sig. abate Fontanini nel Catalogo de’ libri pub-
blicato col discorso intorno alla lingua italiana dà un
cenno di dover ristampare ampliato il suo libro dell’A-
minta Difeso, che è quello in cui toglie a M. Frezzi il
merito d’ essere autore del Quadriregio. Sto in qualche
pensiero di supplicare il signor Fontanini, col quale
ho carteggiato altre volte, a compiacersi d’ indagare
più attentamente il vero intorno all’autore di detta opera,
e communicargli le osservazioni, che si sono fatte e si
andranno facendo a vantaggio del Frezzi, per avere, se
fosse possibile, nella seconda edizione la correzione di
ciò che dice nella prima. Ne supplico de’ suoi pru-
dentissimi sentimenti V. P. Rev.ma, che in esercizio
della propria compitezza si degnarà condonare tanti
incommodi che io giornalmente le porto.

Ieri mi capitò un nuovo libro stampato in Roma
nel corrente anno, presso Francesco Gonzaga intito-
lato « Della scienza chiamata Cavalleresca: Libri tre
del sig. marchese Scipione Maffei », che so che ha avuto
un grande spaccio fra Cavalieri, ma non so quanto tro- L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 19

varà ne’ medesimi di credito con le sue massime, che A
sono distruttive di detta scienza: ho avvertito nel cap. 6
del libro 2, pag. 264, nella relazione degli scrittori ca-
vallereschi, che l’ edizione dell’Ariosto di Venezia 1566
per il Valvassori è stata valutata quattro doppie, per le
annotazioni che in essa si trovano col titolo di Pareri
in duello, ed ho goduto di veder con ciò compensata la
mancanza delle carte dell’Amadigi, senza pregiudicio
dell’obbligo dell’Antonelli a cui tengo nascosta questa
notizia. Il sig. Buccolini et il priore mio fratello con-
fermano i loro ossequii a V. P. Rev.ma ed io le faccio
profondissima riverenza.
Foligno, 22 dicembre 1710.

È capitato puntualissimamente l'involto con la
desiderata copia del Quadriregio, e col Vocabolista
Bolognese incontrato da me con quel giubilo, che può
immaginarsi V. P. Rev.ma, al di cui amore e genti-
lissima attenzione in favorirmi ne rendo umilissime e co-
piosissime grazie, accertando con tutta la più candida
ingenuità il mio riveritissimo P. Ab. Canneti che con-
servarò eternamente la memoria delle mie per questo
capo distintamente, oltre a tanti altri, infinite obbliga-
zioni.

Ho avvertito dalla qualità dell’ edizione fatta vera-
mente con amore (per quanto comportavan quei tempi)
che la copia inviatami è la migliore, che io pur desi-
deravo, e ne pregai V. P. Rev.ma che restasse per la
sua degnissima libreria, onde anche per questo motivo
le ne professo distintissime obbligazioni, che si accre-
scono di più per la bontà che ha avuto in far ricopiare
con tanta maestria la carta mancante che in verità è mi-
rabile per l' imitazione del carattere; in somma è quasi
disperata la mia devozione di poter mai corrispondere
a tante grazie di V. P. Rev.ma.

Ho scorso a precipizio non dico tutto, ma buona
LXNEDSCTMESAEM SEE:

"ese

E. FILIPPINI

parte del Quadriregio e già canto il trionfo contro il
Bumaldi e i di lui troppo creduli seguaci, onde mi ma-
raviglia della gran franchezza (per non dir peggio): con
cui nel Vocabolista Bolognese se ne fa autore il Mal-
pighi sino ad esagerarsi con enfasi a carta 38: ma notisi
una strana curiosità d' un furto solennissimo letterario
fatto da uno stampatore accaduto 100 anni doppo U età
del Malpighi havendo stampato il medesimo Poema sotto
un altro titolo di Quadriregio ed ascrittolo a diverso au-
tore del 1511.

Strana curiosità è quella del Bumaldi, ed egli ha
tentato di rubbare al Frezzi le gloria di quest’opera;
ma lode a Dio, la verità è troppo chiara e sinora ne
ho in pronto quattro riprove evidentissime nello stesso
libro : nel capitolo 18 della prima parte descrivesi l’ori-
gine di Foligno, e della famiglia de’ Trinci, e questi
dall’ autore chiamansi suoi signori, e lo stesso si replica
e conferma nel primo capitolo della seconda parte. Nel
capitolo settimo della quarta parte l'autore trova nel
regno della fortezza fra gli altri eroi Trincia Trinci si-
gnore di Foligno, padre di Ugolino, a cui è dedicata
la copia Estense, che sempre si accenna dall’ autore per
suo signore, descrivesi la morte di detto Trincia (che
fu creato da Gregorio XI General di S. Chiesa e Con-
faloniere del Ducato di Spoleto (Dorio, carta 168) come
capo della fazione Guelfa ucciso per difesa della Chiesa
Panno 1377 dalli Gibellini e dalle genti della Lega
della Libertà, e perciò dice l'autore che lo vide in
tempo che stava per salire al Paradiso, alludendo forse
a quel che scrisse dopo il detto Dorio, carta 171, cioè
che S. Catarina da Siena scrivendo a Giacoma vedova
di detto Trincia, che fu figlia di Niccolò di Obizzone da
Este, signore di Ferrara, la consola per la morte di
detto suo marito, accertandola che Dio l'avea fatto
morire in quel tempo perchè trovò in buona disposizione
l’anima sua per farla salva. Ma più chiaramente e
senza alcun velo nel cap. 9 di detta 4* parte parlando L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 81

di Gentile famoso medico di Foligno Commentator d'Avi-
cenna, mentre gli fu mostrato dalla Prudenza

Allhor Prudentia a me la man distese
Dicendo va, quello é Maestro Gentile
Del luogo onde tu se del tuo paese.

L' experientia, et lo ingegno soctile
Ch' ebbe nell’ arte della medicina

E poco dopo avanzatosi l' autore a parlare a detto
Gentile dice :

O Patriota mio, splendor per cui
Gloria, et fama acquista el mio Fuligno,
Dixi io a lui quando appresso gli fui.

La nuova edizione del Quadriregio spero che si
farà certamente a suo tempo dalla nostra Accademia
con la sua Apologia per istabilirne l'autore, e con la
‘ dedicatoria, che io medesimo voglio supplicarne il P. Mu-
ratori per averla dal manoscritto Estense; ma il punto
sta nelle annotazioni trattandosi di un libro di tutto
fondo di teologia, filosofia e di ogni altra scienza, sic-
chè vi vorrebbe una testa d’ altretanto peso, quale è
quella del P. Abate Canneti; or basta, ne farò sopra di ciò
in altro tempo, più distinto discorso con V. P. Rev.ma.

Io tengo quasi per certo che l'edizione inviatami
sia quella accennata dal Fontanini di Pier Pacini da
Pescia del 1508, poichè trovandomi io alcuni opuscoletti
poetici di Panfilo Sasso, di Niccolò da Correggio, di
Niccolò Liburno, di Bernardo Giambullari con alcuni
pochi sonetti del Benevieni e del Tibaldeo, il tutto in po-
chi fogli stampati da detto Pompeo da Pescia del 1510,
giurarei che sia lo stesso carattere.

Il Morgante Maggiore dell’ edizione di Comin da
Trino (che ho riscontrato nel Crescimbeni esser l’ unica
buona ed intiera) è del P. Canneti ed io trovarò occa-
sione di fargliela capitare e quando giudicasse che le
potessero servire anche i suddetti opuscoli li mandarò
annessi con detto Poema.

Ho scritto a Perugia per accertarmi meglio del ca-
rattere Gotico del Quadriregio dell’anno 1481, ma in-
82.

E. FILIPPINI

tanto ho riconosciuto fra i miei pochi libri una edizione
latina di Giuseppe Ebreo in foglio ben conservata fatta
dell'istesso anno 1481 di carattere tutto gotico, e per-
ché conosco che è una particolare erudizione di V. P.
Rev.ma questa delle stampe e. diversità dei caratteri,
pigliaró ardire d'inviargli anche detto libro per poter
mostrare sin da quell’ anno introdotto l’ uso del Gotico.

Un mio amico si trova un manoscritto antichissimo,
fatto certamente nel secolo 1400 di un copioso canzo-
niero di 500 e piü sonetti e di molte canzoni e sestine.
Il nome dell' autore non vi è scritto, né io ho potuto
ricavare dalla lettura se non che era sanese e vivea
l'anno 1466. La copia 6 fatta di un ben formato carat-
tere, ma con molte scorrezioni e con ortografia ine-
guale con le sue cifre di azzurro e di cremesi in ogni
prima lettera delle composizioni, delle quali le ne mando
un saggio nell' annesso foglio.

Io ho fatto tutto lo sforzo per avere il detto li-
bro, ma senza frutto posso peró averne copia o in tutto
o in parte, onde quando la gradisse V. P. Rev.ma ne
la farei restar servita con qualche poco di tempo, ed
intanto se dalla maniera di poetare e dalla notizia
della Patria e del tempo potesse scoprirne l' autore mi
piacerebbe di saperlo.

Io mi trovo a penna una copia del Poema del Carlo
Quinto del francescano Mario Santinelli, che non so che
sia mai stato dato alle stampe; quando sia vero e che
lo gradisca, le ne manderò una copia. Le mandarei
tutto me stesso, ma già ne ha in pegno il cuore; mio
fratello e il sig. Buccolino la riveriscono et io mi con-
fermo etc.

Foligno, 9 gennaio 1711.

Sono già molti giorni che il P. Segrebondi ha
in mano per trasmetterli a V. P. Rev.ma il Morgante
Maggiore del Pulci, e gli opuscoli di Panfilo Sasso, ed |
i)

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 83

altro, che le aecennai, et unito a questi in uno stesso
tomo in quarto l’ itinerario di Lodovico di Varthema Bo-
lognese nell' Egitto, India, Etiopia stampato in Roma
del 1510. Per mostrar poi l'introduzione nelle stampe
de’ caratteri Gotici ho stimato che non sia per riuscirle
discaro un altro libro in 4°, che a quello troverà annesso,
della vita di S. Girolamo in lingua toscana, stampato
l’anno 1480, che essendo in carattere tutto gotico fa
credere, che se ne fosse introdotto l’uso anche prima
di quel tempo, ed un altro di carattere tondo intitolato :
Memorabilia gesta virorum illustrium arboris Capitolini
f. Thome Ochsenbrunner, impresso in Roma del 1494,
ove si vede insino a quel tempo continuato il bel ca-
rattere antico romano. Il poco di questi libercoli non
soddisfa al gran desiderio e debito che io ho d'incon-
trare l' erudito genio di V. P. Rev.ma ; spero però che mi
darà campo di meglio servirlo questo libraio Antonelli,
che prima del fine della corrente quaresima vuol met-
tersi in giro per l' Umbria e Marca a pescar libri vec-
chi, dei quali quando gli capiti cosa di proposito ne
haverà per il primo i riscontri e le note V. P. Rev.ma.
Attenderó un cenno per la copia del Canzoniere an-
tico dell' incognito sanese, ed intanto continuerò a mo-
vere ogni pietra per avere se fosse possibile l'originale.
Si farà ancora la copia del Poema del Santinelli, che a
suo tempo farò capitare a V. P. Rev.ma.

All'ultima adunanza dei nostri Rinvigoriti seguita
nel fine di carnevale per l'occasione d'alcuni discorsi
problematici letti con lode dal sig. medico Nuccarini
e dal sig. Buccolini, nacque in tutti un concorde e vivo
desiderio di veder qualificata la nostra Accademia col
degnissimo nome di V. P. Rev.ma, che perciò con giu-
bilo universale e con sentimenti di riverenza e di stima
fu pienamente acclamato per direttore e protettore dei
nostri deboli studii. Io ho voluto prevenire con questa
riverente notizia la lettera del segretario per aggiun-
gervi come fo le mie suppliche acciò V. P. Rev.ma non
isdegni questa risoluzione veramente ardita a riflesso
———— ME

84 E. FILIPPINI

dei demeriti di questa nascente Accademia, ma si con-

tenti che la medesima possa indorare la sua viltà col

glorioso nome di V. P. Rev.ma. Io lo spero e ne attendo

un benigno riscontro dalla sua gentilezza, che imporrà

un carico d'infinite obbligazioni a tutti ed a ciascuno

degli accademici et a me piü d'ogni altro che ho so-

spirato con distinta ambizione il vantaggio di questo

| [Es onore,
| Ma veniamo al Quadriregio. Già si è risolta ferma-
|

| mente la nuova edizione in quarto che si crede una

forma decorosa quando non giudichi diversamente la

prudenza di V. P. Rev.ma, e posso quasi dire assicurato

tutto il capitale per la spesa, ma perle Annotazioni non

possiamo adularci. Non ha la nostra città, e lo dico con

> pena, chi abbia tanto capitale d’ erudizione e di lingua,

che voglia cimentarsi alla condottura di tal lavoro e che

possa ripromettersi di riuscirne con onore in un secolo

tanto oculato e critico e che ha la distinzione del vero

buon gusto nelle lettere. Conosco veramente esser que-

sta una contingenza da desiderarsi da chi ha fior di
senno trattandosi di un poeta non solo profondo ne' sen-

timenti, ma intatto all’altrui osservazioni et esposi-

zioni, che perciò dà un largo campo d' acquistarsi merito

e gloria appo al mondo erudito. Con questa riflessione

più d’ una volta sono stato in punto di farne un invito

alla virtù di V. P. Rev.ma, ma considerando gli im-

pegni che Ella ha di applicazioni più gravi e più pro-

prie alla sublimità dei suoi talenti, sono restato per qual-

che tempo in forse; ma alla fin fine stimolato da questi
signori Accademici ed animato dallo stesso P. Sebre-

gondi a cui ne ho comunicato il pensiero eccomi con
aperta libertà a supplicarla a voler fare godere a que-
sta città, anzi all’ Italia e al mondo il Quadriregio illu-

strato con le sue dottissime annotazioni. Potrebbe Ella
stenderle per divertimento nelle ore che le avanzano
da’ suoi eruditissimi studii e senza pregiudicio delle
altre, che va tessendo con tanto desiderio de’ dotti alle

aspettate Epistole del famoso Ambrogio Camaldolese. Di
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC, 85

qua se le comunicheranno tutte le notizie, che si po-
tranno avere intorno all'istoria e topografia di queste
parti per le persone e luoghi nominati nel Quadriregio.
Io attendo con batticuore le risoluzioni di V. P. Rev.ma,
et intanto non- manco di supplicarla a condonare il
mio ardire ed a crederlo un puro e giusto zelo per i
vantaggi della mia patria.

Per molti giorni sono restato privo del Quadrire-
gio per essere stato obbligato a comuniearlo ad un si-
gnore erudito mio gran padrone che ha voluto leggerlo,
onde non ho potuto applieare a ritrovare i vocaboli del-
l'Umbria che pur ve ne saranno in quest’ opera come
lo è Zazo in significato di stato vile per esser veramente
il Lazo nell’ Umbria una specie infima di panno da ve-
stire. Cap. 13, lib. 2, vol. 2 dove trattasi della fortuna

E questo é il giuoco mio, il mio solazo

Acterar quel da la parte superna

Et exaltare un vestito di i220.
Voce che non trovo in questo significato nel vocabo-
lario della Crusca e molto meno nel Bolognese. T'ene
e ancora none negativa con l’ aggiunta dell'e è idiotismo
non solo dell'Umbria, ma di Foligno. Tale non è strasci-
collo avvertito nell' ultima sua compitissima, sieché per
questa voce resta migliore la lezione dell'edizione di
Venezia, come lo sono tutte le altre lezioni dottamente
osservate in detto suo eruditissimo foglio.

Ma già manca la carta ed il tempo di più scrivere
stando in punto di partire il bolzettiere. Condoni V. P.
Rev.ma il tedio di questa, mi continui l’onore della sua
stimatissima grazia et unitamente col sig. Buccolini e
col priore mio fratello le faccio umilissima riverenza.

Foligno, 23 febbraio 1711.

6.
Mi avanzai. nell’ ultima mia .a V. P. Rev.ma

ad una supplica troppo ardita intorno all’ annotazioni
del Quadriregio, e veramente confesso che mi lascia
E. FILIPPINI

(sic) trasportare da un zelo forse indiscreto di vedere
illustrata quest'opera dall'erudizione e dottrina di V.
P. Rev.ma a vantaggio dell’ autore, e di questa patria
senza dare tutto il riflesso all'incommodo grande, che
dovrebbe recarle una si fatta applicazione; onde in que-
sta nuovamente pregandola a condonare il mio ardire
dichiaro di avere avuto intenzione, che ciò dovesse
aver luogo quando potesse concorrere in V. P. Rev.ma
un ozio virtuoso da applicarvi per divertimento nelle
ore destinate al sollievo dell’ animo in qualunque corso
di tempo, e quando Ella non isdegnasse abbassar la
sua penna ad un sì fatto lavoro. Per altro sempre più
sono obbligato a confessare il poco capitale, che può
farsi in questa città, mentre oltre al fondo dell’ erudi-
zione, ed alla franchezza della lingua considero che vi
abbisogna un giudizio prattico da ben discernere ciò
che debba porsi e lasciarsi per incontrare il gusto raf-
finato del mondo litterario. Et quis est iste ?

Mi ricordo che V. P. Rev.ma nel discorso che fece
meco l’agosto passato intorno alla traslazione delle Re-
liquie di S. Severo, mostrò genio di vedere la rela-
zione di quella fatta in questa città dell’anno 1673
per le reliquie del nostro protettore S. Feliciano; onde
essendomene capitata una copia mi do l'onore d'in-
viargliela assieme col disegno a bollino d’uno dei
Carri che comparvero in quella sacra funzione, eli ri-
ceverà V. P. Rev.ma in questo stesso ordinario in un
involtino franco per la posta. La relazione è stesa in
un’ aria che ha veramente dell'affettato, ma non per
tanto spero che dalla medesima e dal disegno concepirà
che fusse, come in fatti lo fu, un trionfo di tutta ma-
gnificenza e decoro.

Il sig. Buccolini ed il Priore mio fratello riveriscono
con pienezza di ossequio V. P. Rev.ma, a cui faccio
profondissima riverenza.

Foligno, 6 marzo 1711. »
E » ——— oz etna

————

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 87

IT DA

Per godere il continuato beneficio di questi ba-
gni di Nocera io mi lusingo che V. P. Rev.ma anche
quest'anno n'intraprenderà il viaggio nell’ imminente
stagione; e vivo con la speranza di poterla riverire
e servire in questa sua casa, ma non per un lampo
fugace come nell'anno scorso. Con questa misura farò
che per quel tempo sia compita la copia del Poema ma-
noscritto del marchese Santinelli, ed ho anche in pronto
alcuni pochi libri di poesia che mi sono capitati ed ho
creduto che non siano per riuscire discari a V. P. Re-
verendissima almeno per le edizioni che le suppongo
non facili ad incontrarsi. Quando V. P. Rev.ma si porti
a Nocera le ne farò la consegna in persona, altrimenti
troverò modo di farli capitare in Sinigaglia per la pros-
sima fiera e mi piacerà che mi insinui, quando sieno di

‘sua soddisfazione a chi dovranno colà consegnarsi, e
SONO :

— La Theseide di Messer Giovanni Boccaccio da
Messer Tizzone Gaetano diligentemente rivista con gra-
tia e privilegio in Vinegia:per me Girolamo Pentio da
Livio a 7 di marzo 1528, in 4.

— Astolfo Borioso, che segue alla morte di Rugiero
di tante e così varie materie tessuto, e contale magna-
nime prodezze di Cavalieri adornato che non è ad altro
libro di simili materie inferiore, per Messer Marco
Guazzo nuovamente composto e dato in luce con privi-
legio in Venezia a San Luca al segno della Cognitione
1540: per Comin da Trino. È l'istessa stampa e con le
stesse figure del Morgante Maggiore in 4.

— Il Mondo nuovo del S." Giovanni Giorgini da Iesi
all'Invitissimo Principe di Spagna e sue Serenissime
sorelle. In Iesi in 4? app.? Pietro Farri 1596.

— La Canzona d' Amoredi Girolamo Benivieni col
commento dell'Ill.mo Sig. Con. Gio. Pico Mirandolano.
In Venezia per Niccolò Zopino e Vincentio compagno
nel 1522 a 12 aprile in 8.
88 E. FILIPPINI

« Il Re Torrismondo tragedia del Sig. Torquato
Tasso al Serenissimo Sig. D. Vincenzo Gonzaga. In Vi-
terbo 1587, per Comin Ventura e Compagno con la

lettera dedicatoria sottoscritta dall’ istesso Torquato, che

disinganna l’ opinione di alcuni, che questa Tragedia

non fosse terminata dal Tasso.
E se altro mi capitarà, starò in attenzione di assicu-
rarlo per V. P. Rev.ma a cui professo tante obbligazioni.
L’Antonelli libraio non ha potuto fare il giro pre-
meditato onde resta sprovveduto di libri di proposito.

Mi avanzai finalmente a scrivere ai Sigg. Muratori

e Fontanini intorno al Quadriregio . . . (1).

Sicchè si vede contra l'opinione del Montalbani,

che anche prima delle stampe correva questo Poema col
nome del nostro Vescovo, dal cui titolo di Reverendis-
simo può forse congetturarsi che questa copia fosse
scritta in di lui vita.

Se V. P. Rev.ma si porta a Nocera haverò seco

molto da discorrere sopra la ristampa di questa opera,
et intanto rassegnandole il mio obbligatissimo ossequio
col Sig. Buccolini, e col Priore mio fratello, che divo-

tamente la riveriscono, resto facendole umilmente rive-

renza.

Foligno, 29 giugno 1711.

8.

Le gentilissime espressioni delle quali mi favorisce

V. P. Rev.ma, sono a me di rossore, perchè in verità

conosco di servirla debolissimamente sì in riguardo al
suo merito, che alle mie obbligazioni; mi basta però
che Ella creda ch'io conosco tutto il peso del mio de-
bito, e che staró sempre in precisa attenzione di darle
ogni possibile riprova di questa mia conoscenza.

Godo sommamente e me ne rallegro con V. P.

(1) Si omette qui un lungo brano che fu riportato nello studio cit. di E, FILIPPINI
su Alcuni frammenti di lettere del Muratori e di Apostolo Zeno in luogo cit., n.° I.
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 89

Rev.ma della sua rieuperata salute, e perché la desidero
sempre perfettamente sana, mosso dalla indicatione del
giovamento recatole dall’ uso della tintura di acciaio,
mi avanzo a suggerirle un’ aequa minerale vitriolata
che nasce in distanza di sole sette miglia da questa
città, detta l'Aequa Santa di Giano, di qualità deostru-
ente miracolosa, ed atta a sradicare molto più potente-
mente e con un fluido o veicolo lavorato dalla natura x
tutti quei mali a’ quali conferisce l’ acciaio. Per quanto
ponno giudicare l’occhio, il gusto e l’odorato, ha la stessa
o per dir meglio somigliantissima miniera (sic) dell’ac-
qua famosa di S. Maorizio ne’ confini de’ Svizzeri, e
per tale mi fu confermata anni sono dall’ Eccellenza del
Sig. Cristino Martinelli nobile Veneto che volle farne
il saggio. Io ne ho provato in me stesso effetti mirabili
con la total liberazione di una contumace vertigine, et
in una mia sorella col superare una gravissima infer-
mità di sette anni per affezioni isteriche degenerate in
un abito perfettamente cacetico (sic). Quando da i profes-
sori si giudichi di proposito, se non quest’anno, in altro
successivo (prendendosi come quella di Nocera nel colmo
della stagione più calda) per confermar la salute di V.
P. Rev.ma e premunirla da qualunque recidiva, che Dio
non voglia mai che succeda, io la farò servire in un
buon Convento di Agostiniani vicino al fonte, e quando
volesse trovarei il modo di farla capitare anche costà
in fiaschi ben sigillati ed a questo effetto le accludo
distinte in un foglio le virtù di detta Acqua communi-
catemi da un professore.

Infinita contentezza ha portato a questi signori Ac-
cademici ed a me la risoluzione di V. P. Rev.ma di
stender l’Apologia a stabilire il Frezzi autore del Qua-
driregio, ed inesplicabili obbligazioni le se ne profes-
seranno dalla Città tutta che riconoscerà sempre dalla
gentilezza sua il riacquisto di questo cittadino, e dalla
sua virtù il goderlo più nobilmente illustrato. Non
mancherò di fare ogni più attenta diligenza per le voci

Umbre e Folignate sparse per l' opera e per le notizie
90

tr — T iD T Ls Lec dL.

E. FILIPPINI

concernenti la topografia e le storie di queste parti ad-
ditate nella medesima. Il commento non si è appog-
giato ad altri, poichè niuno si è giudicato che possa
farlo più eruditamente di V. P. Rev.ma e perchè quando
Ella non possa per non cimentarsi al pericolo delle
suei ndisposizioni, non si vuol da noi far passo alcuno
senza le sue prudentissime direzioni. Ho già inviato a
Sinigaglia gli accennati libercoli ed una risma di carta
fina dell’ impronta della Palomba in un fagotto che starà
in mano del cassiere del negozio. del prete Giuseppe
Gregoris e Compagni, mercanti ben cogniti di questa città,
dal quale si compiacerà V. P. Rev.ma dare ordine per
farlo ricuperare. L’ altra carta grande non ho potuto
averla pronta all’ arrivo della sua gentilissima per in-
viarla nella partenza di detti mercanti. Se mi capitarà
altra occasione prima che termini quella fiera, la farò
capitare al medesimo cassiere, altrimente trovarò altro
modo per inviargliela. Si accerti che io pratticarò ogni
diligenza per averla buona, ma in qualche parte biso-
gna rimettersi alla buona fede degli artisti che spesso
è fallace, come con mia pena sento esserle accaduto
nella Carta provvedutale l'anno passato. Del prezzo
della Carta V. P. Rev.ma non s'incommodi a farne
fare il pagamento in Sinigaglia, anzi mi farà favore
quando possa riuscirle facile con quello provvedermi
una copia del famoso libro del Sig. Marchese Orsi delle
osservationi sopra il libro francese della maniera di ben
pensare che ho letto communicatomi da altri, ma non
ho potuto mai averlo in proprietà come ho l’altro delle
lettere del medesimo autore a madame d'Asier. (sic)
In prova che il consaputo Canzoniero sia opera di
un sanese accludo copia d'un capitolo che comincia :
« Con qual mia Musa, o qual faeondo ingenio »
scritto ad un coetaneo, e concittadino poeta chiamato
Giacomo che puol esser che fusse Giacomo Fiorini de'
Buoninsegni sanese che fiorì nel 1468: riportate nell’ I-
storia Poetica dal Sig. Crescimbeni. Per dar lume mag-
giore al Cav. erudito suo amico vi ho aggiunto un al- L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 91

tro capitolo in cui descrivesi il viaggio fatto dal conte
Giacomo l’iccinino a Milano e da Milano a. Napoli
l’anno 1465, dove al giorno di S. Giovanni Battista
fu fatto uccidere a tradimento dal Re Ferdinando di
Arragona re di Napoli. L' autore del Canzoniero serviva
il eonte Giacomo e l'aecompagnó in detto viaggio. Le
circostanze espresse nel Capitolo, V. P. Rev.ma le ri-
scontrerà con gusto nel fine del 30 e nel principio del
31 libro della Sforziade. Voleva aggiungere due altri
Capitoli uno in lode di Girolamo Riario marito, credo
io, di Caterina Sforza, e l’altro in lode di detto Re
Ferdinando, scritto prima della morte del Piccinino, ma
mi è mancato il tempo.

De’ libri accennatimi da V. P. Rev.ma qua non è
capitata che la notizia che ne porta il Giornale de’ Let-
terati, e col Sig. Buccolini e mio fratello resto facendole
umilissima riverenza.

Foligno, 13 luglio 1711.

di

Nello scaduto agosto ho ancor io quest'anno a
‘dispetto delle consuete occupazioni goduta la. villeg-
giatura d'un mezzo mese e perciò non ho potuto prima
rispondere alla compitissima di V. P. Rev.ma in os-
sequio della quale le rendo in primo luogo umilis-
sime grazie del grand’onore che si è compiaciuta
farmi godere nei pochi libri da me trasmessili, e del
prezioso dono che mi esibisce delle considerazioni del
marchese Orsi, del nuovo Petrarca del Muratori, e del
Catullo, Tibullo e Properzio del Volpi; io mi avanzai
a supplicarla del libro del marchese Orsi per darle
campo a favorirmi più spesso dei suoi comandi o in
commissioni di carta, o per qualunque altro impiego di
suo servizio, ma non aspettava mai di vedermi tanto
caricato dalle sue generose grazie ; non mi distendo in
altre espressioni, perchè penso poterli meglio indicare la
mia mortificazione con un riverente silenzio,

Sto in vigilanza di qualche opportuna occasione
92

IDA PILIPPINI

per Fabriano o per Pesaro per inviarle le rismette della
carta maggiore, con le quali riceverà forse aneera ii
Canzoniere ben copioro dell' anonimo senese: dico fors:
per qualche pensiero ehe ho di farne copiare qualche
parte de’ sonetti, chó per altro l' originale è cià venuto
in proprietà di V. P, Rev,ma essendomi già riuscito con
qualche onorato raggiro di farlo suo,

Io non so esprimere con qual sentimento di stima
e di obbligazione si è qua sentito da questi Signori Ae-
cademici Rinvigoriti l'alto onore di eui vuole V.

Rev.ma qualificarli nella lettera Apologetica intorno al

Quadriregio ; io intanto le accludo una nota di voci emule
e folignate, ed in appresso le farò capitare in aliro foglio
alcune osservazioni istoriche, che, se non m'imganmo,
provano concludentemente il tempo in cui l’automne com-
pose quel Poema, che fu intorno al 12900 pee dop

Tutto ciò che ha riportato il Crescimbemi dell Prezzi
nel quarto tomo de' suoi Commentarii l’ha fatto ad imsi-
muazione di questo Sig. Buccolini, suo amico, ma le
notizie mom furono esattamente giuste per esser cute
dal Dorio, © fatte ricalzare da argomentii prima cile si
amesse im mano la copia impressa, che im vini we
(eaQxo della sua generosità.

Circa alla ristampa del Quadiinegio, quando giu
dighi bene V. IP. Rev.ma ehe possa fünsii din allumm die-
gui stanpationi qii questa Gittttà im um huom quante ca-
pace di due colomme come somo Iper lla piùù ii Iuniosii del
Valgszisi la Fuxealha tradotta dall Welenaellü e simili si
fazà indubiamente, considererdola peu allno molbo diif-

ficile, quando debba farsi faex dii patina com l'impnomio
alla mano di tatto, il desazo, penne qui possono aversi
Molti vanfaggi e pex la casta e qom In stampatore,

Quando, dunque. V. Ph Rexma dm qui; dipende. tulilio

LAI TA 11 L]

quasto, infezesso, giudichi; hene di; dnine Il'aeseneo, mi
impegneng, io, pg In & 3pRS8s, Ghé n SALÒ Pere maneanim, aie
Gi i eris OSSIA. passa, continnaro oaaneggii?)

peli commodn, dij Mangsgzitti; della, libreria, Estense.

Quin sommamgnie della, sua, huong, salute, cha seme L'AGGADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, EOOC, 93

pre la desidero in istato perfetto, e rassegnandole le míe
somme obbligazioni le ripresento gli ossequii del sig,
Bueeolini e del Priore mio fratello e le faccio umilissima
riverenza,

Foligno, 4 settembre 1711.

10,

Negli annessi fogli riceverà V. P, Hev.ma diverse
notizie istoriche intorno alla famiglia de' Trinci, alla
città di Foligno et altri luoghi di questa valle spoletana
toccati nel Quadriregio.

Le mie continue occupazioni, la mancanza de' libri
e molto più la povertà de' miei meschini talenti non mi
permettono di far comparire senza rossore queste mie
freddure agli occhi di V. P. Rev.ma, onde la prego a
compatirne i difetti anzi per dir meglio i spropositi,
che mi sono caduti dalla penna.

Tanto della famiglia de’ Trinci, quanto di questa
città di Foligno ho dette forse molte cose più di quello
portava il bisogno non con animo che sieno riferite da
V. P. Rev.ma nella sua dottissima Apologia del Quadri-
regio, ma per mostrare la fatalità che ha avuta sinora
questa mia patria di esser contrariata in qualche suo
pregio più riguardevole. Le citazioni accennate in mar-
gine non ve le ho poste per suggerir motivi alla sua
erudizione, ma per allegirle (sic) l'incommodo di andar
cercando molte notizie particolari di queste parti.

In un altro foglio ho notate alcune istorie che mi
pare che provino concludentemente il tempo in cui fu
composto il Quadriregio, ma non ho avuto tempo di ri-
copiarle per aggiungerle in questo, come farò nel venturo.

Io intanto con l’attestato delle mie infinite obbli-
gazioni a V. P. Rev.ma, col Sig. Buccolini e col Priore
mio fratello, che ossequiosamente -la riveriscono, le
faccio profondissimo inchino.

Foligno, 21 settembre 1711.
—_z

- —— — =
== —TFwx

Leandro Al-
berti nella De-
scrizione d'I-
talia, pag. 16,
Ediz. Venezia
per Lodovico

degli Avanzi,
1563. 3

Alberti c. 16
a tergo Forest.
Mass. lstoriche
Tomo 4, parte
prima, c. 122,
Ediz. di Parma.

Quadr. lib, 2,
cap. 9, col. 4,
vers. 31.

Lib.2,cap. 11,
col. 4, vers. 13.
Lib.2, cap. 13,
col. 3, vers. 40.
mo, adesso,
adesso voce to-
talmente Um-
briotta, sinco-
ata da modo
atino.

E. FILIPPINI

E

Fra l’istorie accennate nel Quadriregio, una delle
più notabili è quella d'Antoniotto Adorno, per giudicare
del tempo in cui fu composto quel Poema dall’ autore
che dice al libro 2, capitolo 13, colonna 4, verso 19 de-
scrivendo la Fortuna

Et quel che sale al sommo, et è si presso
Tre volte ad quella ruota gira intorno
E su e giù tre volte serà messo.

Egli é chiamato Antoniocto Adorno,
Geriova bella nella quale é nato
Metterà ne' malanni, e nel mal giorno

Antoniotto Adorno fu creato la prima volta Doge di
Genova sua patria l'anno 1378, e governó per poche ore,
cioè dall’ ora di nona insino a compieta. Fu richiamato
a quella dignità nel 1384 ; nella quale si portó sei anni

con grandissima lode e poi gli fu surrogato Giacomo

- da Campo Fregoso. La terza volta fu eletto il medesimo

Antoniotto del 1391, ma deposto nell'anno seguente. E
queste sono le tre volte accennate dal nostro autore
ehe l'Adorno fu messo su e giü nella ruota della Fortu-
na. Ma oltre a queste fu richiamato lo stesso Antoniotto
al governo della patria anche la quarta volta dell’anno
1394. Sicchè, non facendo menzione il Frezzi di questa
guarta mutazione, pare che possa argomentarsi che il
Poema, almeno il secondo libro in cui tratta di dette
mutazioni, fosse composto prima di detto anno 1394.

Si. accrescono le conghietture, perchè quasi tutte
le istorie che si toccano nel Quadriregio, sono prima di
detto anno come sono :

Ugoccione della Fagiola tiranno di Pisa e di Lucca
morto del 1320.

Il Forteguerra da Lucca.

Barnabò Visconti e Gio. Galeazzo Visconti suo nepote

Quello è quel Milanese Barnabo,

Ma tosto mostrerà Fortuna il gioco
Come ella vuole e s'apparecchia mò. L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

L'altro che sale dietro a lui un poco
È suo nipote; il qual del Reggimento
El.caccerà e sederà in suo loco.

E quanto ad una cifra cresce un cento
Cotanto accrescerà el Biscion Lombardo
E di Toscana fie 'n parte contento.

Se non ch' el giglio rosso ch' ha lo sguardo
Sempre a sua Libertà contra lui opposto,
Farà ch'el suo pensier verrà bugiardo.

Barnabó Visconti fu dal nipote Gian Galeazzo pri-
vato del governo di Milano, preso e messo in prigione,
ove fini miseramente la vita l'anno 1386. Questo Gio.
Galeazzo uomo bellicosissimo accrebbe grandemente lo
stato, come accenna il nostro autore, ed ebbe il titolo
di Principe e duca di Milano dall’ Imperatore Vincislao
per 100 mila ducati l’anno 1380. Aspirò sempre al Re-
gno d'Italia che gli fu impedito dai Fiorentini con una
guerra di dodici anni, nella quale militavano per i
Fiorentini Gio. Aguto famoso capitano inglese e per
Visconti Giovanni d’Azzo nominati per vivi nel Qua-
driregio; anzi essendo morto Gio. Aguto intorno al-
l’anno 1397, secondo accenna il Platina nella vita di Bo-
nifazio 9°, si conferma che l’opera fu composta prima
di detto tempo.

Cola di Rienzo, tribuno di Roma, morto del 1354.

Giovanna prima Regina di Napoli, morta intorno
all'anno 1380.

Giovanni dell'Agnello Duca di Pisa del 1364. AI-
berti, carta 29.

O Cani, e Mastini della Scala

Del sexto Cerchio che tu sapper vuoi
Li sono posti i novelli Caini
Consumatori dei fratelli suoi

Quei dela Scala spietati Mastini
E più crudeli che rabbiosi Cani,
Ma tosto a terra caleranno chini.

Quel terzo n : A : 3

Fu de la Scala e fu crudel mastino
El suo fratel maggiore uccise pria
E poi fu del minore ancor Caino

Tareagn. I-
storie, Par. 4,
C. 211, Edizione
di Venezia, Va-
risco.

Loschi, Comp.
Ist. or., c. 131.

Tarcagn., c.
12.

Lib. 2, cap. 18,
col 4, vers. 4.

Lib. 2, cap. 13,
col. 4, vers. 8.

d.° cap. 13,
col. 4, vers. 38.

Lib. 2, cap. 13,
col. 4, vers. 31.

e cap. 16, col., 4
vers. 19.
96

Loschi, Comp.
Istor., c. 358.

d.» c. 356.

Lib. 2, d.» cap.
i: col.4, vers.
13.

Forest. Map-
pam. Istor., to-
mo 4, parte 2,
c. 547.

Lib. 2, cap. 16,
col. 3, vers. 43.

E. FILIPPINI

E seguita poi per molti versi a descrivere le cru-
deltà praticate dagli Scaligeri insino all’ estinzione
della famiglia:

E della Scala fu l' ultima feccia
Che si fuggì dal Veronese tempio.

La terminazione del dominio Scaligero seguì del
1387. Il crudel Mastino che nomina l’autore fu Cane
Signorio, che uccise Can secondo, fratello maggiore, e
poi per assicurare a i figli illegittimi lo Stato, con somma
fierezza in punto di morte volle che fosse fatto morire
anche il fratello minore Paolo Albino, come evidente-
mente il tutto è descritto dal medesimo autore in detto

capitolo 16.

Il Re Pietro di Cipro ucciso dal fratello del 1377 :

Fu re di Cipro chiamato Giachetto.
Al suo fratel maggior diede la morte
Quando a riposo si stava nel Letto.
Cioè al re Pietro, magnanimo e forte.

Questo Pietro, re di Cipro, dopo aver dilatato glo-
riosamente il suo regno fu chiamato in Roma da Ur-

bano 5 contro Barnabò Visconti e fu fatto
Roma, e Governatore dello Stato Ecclesiastico, ed allora

Senatore di

forse fu conosciuto e trattato dal nostro Autore; ma
poi ritornato in Cipro fu ammazzato dal fratello et al-
tri congiurati del 1377.

Giacomo d'Appiano che dominò Pisa del 1365. Al-
berti, Descrizione d'Italia, c. 29.

Tutte queste Istorie fanno credere che il Poema
fosse lavorato prima del 1394, come s'ó accennato di
sopra. Ben é vero peró che aleune altre mostrano che
arrivò al 1400 e forse 1401, overo due, dicendo :

Sappi che i suoi Pisan son si costrecti

Sotto quel giogo, ch' el denar lor mise,
Che i Gambacorti sono hor benedecti. L'AOCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 97

Poscia che il traditor d'Appiano uccise
Messer Pier Gambacorta e i figliuoli anche
Ad tradimento e piangendo ne rise;

Et uccise anche i primi degli Anfranchi
E gli vendette la città d’Alfea,

Sicché gli suoi Pisani hor non son franchi.

Giacomo Appiano segretario e favorito di Pietro UT invi

Gambacorta, signore di Pisa, tradì il suo signor con la berti, c. 29.
morte del medesimo e de’ suoi figli e si fece tiranno
della città. Dopo la morte di detto Giacomo Gerardo,
suo figlio vendè Pisa a Gio. Galeazzo Visconti duca di
Milano, e fu del 1399: secondo il Tarcagn., carta 215 :
a tergo in fine, sicchè dunque si dice che i Pisani sono
costretti sotto il giogo che loro mise il denaro, era già
seguita la vendita di Pisa, e così dopo il 1399: e lo
stesso conferma detto capitolo 16, colonna 3, verso 43.

Et lasciò dopo se avaro erede,

Colui che fé la bella Pisa schiava
Et per denar la dié che si possiede.

Si aecresce il motivo dall'istoria di Uguccioni ti- Lib. 3, cap. 8,

col. 2, verso 38,
ranno di Cortona mentre avendo trovato il detto Ugoc-
cione nell’ Inferno gli da parte l'Autore che la città
era governata in quel tempo da Francesco di lui suc-
cessore, le di cui armi erano celestine e d'oro come
in detto capitolo 8, colonna 2, verso 38 e seguenti.
Ugoccione o Uguecio Casali fu signore di Cortona l'anno
1386, e mori l'anno 1400, e gli succedè nel governo Fran-
cesco Casali, secondo di questo nome, che morì del 1407.
Sieché dunque se era morto Ugoccione e reggeva France-
sco, evidentemente apparisce che ciò seguì dopo il 1400.
L'arme dei signori Casali era ondeggiato in banda
d’azzurro e d'oro, et oggi la fanno i signori Baldac-
chini per concessione fattane da Uguccio nel maritare
una sua nipote in casa Baldacchini. L'arme e la parti-
cola della dote e di detta concessione la riporta il Ca...
nella, 2% parte delle Famiglie illustri della Toscana, et
98

E. FILIPPINI

Umbria, di cui presentemente non ho commodo di indi-
carne le carte.

Per ribattere poi l'argomento che nasce dall' istoria
di Antoniotto Adorno, accennata di sopra, crederei si
potesse dire che il numero delle tre volte espresso dal-
lAutore non sta ivi tassativamente, ma demostrati-
vamente, come dicono i Legali per indicare un numero
di più atti replicati, tanto più che dicendo nello stesso

luogo che Antoniotto

Metterà ne’ malanni e nel mal giorno

la Patria, sebene in tutte le mutazioni dell'Adorni provò
Genova de gran travagli, nondimeno il vero malanno e
mal giorno che diede Antoniotto alla: Patria fu ciò che
egli operò contra la libertà della medesima, soggettan-
dola al Re di Francia che succedè nel quarto go-
verno.

Compatisca il P. Canneti Rev.mo i miei spropositi
e con umilissima riverenza mi confermo con tutta fretta,
senza rileggere il foglio.

Foligno, 25 Settembre 1711.

12.

Con replicate mie insipidezze ho incommodato
negli ordinarii passati V. P. Rev.ma e pure ho man-
cato nella parte più essenziale, cioè nel confronto
delle voci Folignate et Umbre sparse nel Quadriregio,
con le opere d’altri Autori coetanei del Frezzi. La ve-
rità però è che di Foligno non abbiamo altre poesie di
que’ tempi che le Profezie del B. Tomassuceio, dalle
quali potei solo ricavarne una o due voci già accennate
a V.P. Rev.ma, ed in prosa o non si trovano Autori 0
si trovano in latino. Il B. Iacopone da Todi che pure
è Umbriotto, ha ripieni i suoi cantici di moltissime voci

Umbre ; da pochi giorni in qua mi sono questi capitati L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO,

alle mani dell' Edizione di Venezia in 49 del 1617 con
le annotazioni di fra Francesco Tresatti. In una breve
scorsa che ho data a salti a detti cantici mi è riuscito
di ripescare alcune voci di quelle usate dal Frezzi, che
notarò in piè di questa; molte più se ne troveranno
certamente con piü attenta ricerca, che faró dopo al-
cuni giorni che mi sarò disbrigato da alcuni interessi
sopraggiuntimi di non mediocre importanza.

Dalla nostra Accademia de’ Rinvigoriti si è risoluta
la stampa delle rime di Petronio Barbati altro Poeta
nostro concittadino che fiorì intorno al 1530, i di cui
componimenti trovansi registrati nelle più accreditate
raccolte del Secolo XVI; e con le rime ne saranno an-
nesse una quindicina di lettere scritte al nostro Au-
tore et in di lui lode da i più cospicui soggetti che
fiorirono in que’ tempi come il Varchi, il Tolomei, il
Domenichi, Alessandro Piccolomini, il Ruscelli, Fran-
cesco Torelli, e simili. Riuscirà un Libretto di 15 in 16
fogli in ottavo contenente per la maggior parte Sonetti,
alcune Canzoni, Egloghe e Selve, lavorati con qualche
buon gusto. Serà dedicato all'Adunanza degli Arcadi,
che ha fatto già l’onore di accettare l’offerta, e d’ap-
provare e lodare i Componimenti che tutti sono passati
sotto gli occhi del sig. Canonico Crescimbeni primo cu-
stode, particolarmente i non più stampati estratti dal
manoscritto originale dell’ Autore, che conservasi in
questa Libreria del Seminario. Ne communico questo
cenno alla P. V. Rev.ma che serà come Arcade uno dei
Comprotettori ed averò tutta l’attenzione di farlene ca-
pitare le prime copie anche prima che si facci pubblica
l’ edizione.

Sta a buon termine la copia del Poema del Santi-
nelli, che ha incontrato qualche lunghezza per man-
canza di copista di proposito; fo anche copiare per me
in parte i sonetti dell’ Anonimo Sanese per inviare poi
l'originale a V. P. Rev.ma forse con qualche altro li-
bro se averà avuto fortuna di trovarne di buoni l'An-

tonelli che sta in giro verso Rieti.

ECC.

99
100 E. FILIPPINI

Il sig. Boccolini ed il Prior mio fratello li rasse-

gnano il loro obbligatissimo rispetto etc.
Foligno, 5 ottobre 1711 (1).

13.

Ecco finalmente alla luce le rime del Barbati.
Tutto ciò che possono sperare in questa pubblica

comparsa dal mondo erudito, vengono ad incontrarlo

sotto i purgatissimi sguardi di V. P. Rev.ma, da cui
quando abbino la sorte di riportare se non l’ approva-

zione, il compatimento, si farà gloria, a questo solo

riflesso, la nostra Accademia del pensiero che ha avuto
di farne seguire l’ edizione. Io ho voluto per me solo

l'onore d'avanzarne sollecitamente a V. P. Rev.ma

uno de' primi esemplari, che riceverà franco per posta
in questo stesso ordinario, per dovernela successiva-

mente servire di quante copie ne vorrà per sé o per

suoi amici oltre a quella che le manderà anche a parte
: la nostra Accademia.
Il carattere della stampa ha defraudato il buon ge-

nio di chi desiderava molto migliore questa edizione ;

ma il poco assortimento di questi nostri stampatori ed

un fatale impegno d’alcuni Accademici hanno caegionato
o o

questo disordine. Servirà peró almeno per camminare

con passo piü accertato nella ristampa del Quadriregio,

che o si farà con le riprove anticipate de' caratteri e

carta da passare sotto l'approvazione di V. P. Rev.ma,

o se ne darà la commissione a Roma, a Venezia o dove
Ella giudicherà più di proposito.

: Per la trasmissione della consaputa carta e libri
(a' quali ho aggiunto le Rime del Petrarca con l'an-
notazioni del Brunioli et Poema del Peri) prego V. P.
Rev.ma ad accennarmi se va alcuno di cotesti mercanti

in fiera di Recanati, dove ho sicura occasione di farli

(1) Seguono alcune note di confronto sulle parole creso per creduto, nòne
per n0, DÒ per poscia, nanzi per innanzi, sta per questa, facìano per facevano,
daesse per desse o dasse del Quadriregio.
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 101

ricapitare; quando no in risposta, l'inviaró subito a Pe- :
saro secondo il cenno altre volte datomi: vi sarà il Can-
zoniere dell'Anonimo senese, ma non già la copia del
Poema del Santinelli, che per esser morto dopo una
lunga infermità di più mesi chi aveva preso l'assunto
di farne copia, sto adesso in diligenza di farla conti-
nuare e compire d'altro carattere, onde si compiacerà
compatirne l'ineidente e credere che questa tardanza
viene di molta mia pena.

Ho sommamente goduto dell'arrivo dei manoscritti
del Quadriregio ed augurando col Prior mio fratello e
col Sig. Buccolini a V. P. Rev.ma felicissime le pros-
sime feste del Santo Natale più col cuore che con la
penna, resto facendole umilissima riverenza.

Foligno, 21 Dicembre 1711.
14.

In sequela della dedica fatta delle Rime del Bar-

bati all’ Adunanza degli Arcadi, si è giudicato bene
da i nostri Coaccademici Rinvigoriti, oltre alle co-
pie regalatine in Roma al pieno Congresso, di man-
darne altre in dono anche alle Colonie, in mano de’
signori Vice-Custodi, da' quali ritornano universalmente
lettere compitissime non meno in lode del nostro Au-
tore, che d' impulso all'Aecademia per la ristampa del
Quadriregio accennata nella Prefazione. Ma perchè io
le temo caricate da una general cortesia, prego il mio
stimatissimo P. Ab. Canneti, a dirmi sopra dette Rime
con libera ingenuità il suo sentimento (prescindendo
sempre dalla Stampa, che non posso vederla senza an-
dare in collera) e distintamente accennarmi gli spropo-
siti della lettera dedicatoria e della prefazione, che è

toccato a me di distenderle e l’accerto che oltre a pro-

fessarlene distintissime obbligazioni, riceverò tutto sotto
i vincoli d'una stretta confidenza e d'un inviolabil si-
lenzio, ed unitamente attenderò il suo giudicio intorno

alle inserizioni antiche di questa città gia inviatele in
102 i .E. FILIPPINI

tempo della villeggiatura, ma con ogni suo maggior
commodo.

Ho detto di sopra che ci vengono impulsi per la
ristampa del Quadriregio, i più efficaci però sono quelli
del Sig. Muratori in una sua a me responsiva, e del
Sig. Apostolo Zeno all’ Accademia, delle lettere de’ quali
voglio qui registrarne le particole.... (1).

Dell’ Edizione di Bologna ne fa menzione il Iaco-
billi in Bibliotheca Umbriae, ma da noi non si è accen-
nata nella prefazione del Barbati, per non essercene
ancora assicurati con qualche copia come nelle altre,
che per altro ben consideriamo quanto possa contri-
buire a vantaggio del nostro Frezzi nella disputa co’
Signori Bolognesi, essendosi fatta questa edizione nella
loro città non molti anni dopo la morte del Malpighi,
non in di lui nome, ma del nostro Vescovo.

Se dopo il confronto delli manoscritti occorresse fare
altro confronto con l’Edizione di Perugia del 1480 che
è la prima, e molto lodata dal Corbinelli, V. P. Rev.ma
l’accenni che troverò modo da farlo o farlo fare atten-
tamente.

Torno a confermarle che la Stampa del Quadrire-
gio per accertarsi di un buon carattere si farà dove e
come comandarà V. P. Rev.ma.

Domani partirà un vetturale verso Pesaro, a cui
ho fatto consegnare un fagotto con gli infradetti libri
e carta: Due rismette di carta fina alla Genovese, l'Or-
rlando del Berni in quarto, il poema del Peri in quarto,
il Petrarca del Brunioli in ottavo, il Montefalchi de co-
gnominibus Deorum in quarto, rappresentazioni antiche
in quarto, il passaggio di D. Maria d'Austria in quarto,
descrizione del Battesimo (ch'é del Vasari) in ottavo,
scritture uscite in Francia in ottavo, tutti comandatimi
da V. P. Rev.ma, e più il manoscritto dell’Anonimo

Sanese, un Orazio in ottavo manoscritto in carta peco-

(1) Queste particole si omettono per amore di brevità, e per esse si rimanda il
lettore allo studio cit., di E. FILIPPINI su Alcuni frammenti]inediti di lettere del Mu-
ratori e di Apostolo Zeno, in luogo cit., n. II.
n L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. ‘103

rina scritto prima del 1428, che quando la puntatura ;
sia contemporanea alla prima scrittura sarebbe consi-
derabile per esservi le virgole e i punti, come, et ogni
altra puntata moderna oltre ad alcune sugose annota-
zioni marginali, et interlineato tutto di ottimo carattere,
la Vita del P. Gio. Batta Vitelli in 4, la Vita della M.are
Paola in 4, di Foligno, che non vanno con le vite de
Santi e Beati del Iacobilli. :

Quanto alli libri comandatimi troverò io il modo
che V. P. Rev.ma non abbia da trattenermi per l'av-
venire l' onore de' suoi stimatissimi cenni.

Serivo in fretta sul partir della posta senza tempo
di rileggere eió che ho seritto, onde pregandola a con-
donarmi gli errori resto facendole umilissima riverenza.

Foligno, 25 Gennaio 1712.

Lo;

Di tutto ciò che si è degnata accennarmi la P.
V. Rev.ma intorno all'impegno de’ Bolognesi per
sostenere il loro Malpighi per Autore del Quadriregio,
io ne avea già piena contezza dallo stesso Sig. Pietro
Iacopo Martelli, che ho avuto fortuna a questi giorni
conoscere e riverire nel suo ritorno a Roma, e già in
questo ordinario, anche senza la sua compitissima, io ne
ragguagliava V. P. Rev.ma. Egli si è trattenuto in Fo-
ligno quasi due giorni intieri, e fingendosi tutt'altro
che Bolognese è andato destramente indagando da que-
sti stampatori e dall’ Antonelli ciò che qua si operava
intorno al Quadriregio e ristampa di esso; sul tardi poi
del secondo giorno si diede a me a conoscere et intro-
dotto appena il discorso con molte lodi sopra le Rime

del Barbati si gettò subito al Quadriregio, ed in so-

stanza mi disse tutto ciò che a V. P. Rev.ma intorno al

Codice del Montalbani, col nome e ritratto del Malpi-
ghi ed alla corrispondenza di questi co’ Trinci, con ag-
giungervi che dalla lettura di detto Codice spera potersi

ricavare qualche argomento in riprova che l'Autore sia
104

E. FILIPPINI 4

Bolognese (che farebbe credere esser opera differente
dal Quadriregio), ma non toccò cosa alcuna del nostro
famoso medico Gentile. Disse bene d’avere ordinato
al Zannotti pittore una Copia di detta miniatura e ri-
tratto del Malpighi e mostrò o finse d’ esser solo nel-
limpegno per particolar attenzione di non comparir
bugiardo appresso al mondo per ciò ch'à detto nelle
sue opere d’aver veduto il Codice del Montalbani ca-
ratterizzato col nome del suo Bolognese. Io però ben
credo ch'abbia degli aderenti dal sentire che in Bologna
conservasi l’accennato manoscritto (non da Monsignor
Monti, che disse essere stato un equivoco, ma da altro
signore cognito al Zannotti) con infinita gelosia, e quasi
con diffidenza di communicarlo allo stesso Martelli che
esagerò, chè potevano pur mostrarglielo perch’ ei non è
Folignate. Considerò però molto bene l'edizione di Bo-
logna del 1494, col nome del nostro Frezzi, in tempo
che poteano esser vivi più conoscenti del Malpighi, di
cui negò d’aver contezza del tempo della morte, non
approvando ciò che ne riferisce il Crescimbeni ne’ Com-
mentarii dell’ Istoria Poetica. Io mi contenni in espres-
sioni di rispetto e di stima, che ha questa nostra città

e l'Accademia verso quella di Bologna, e la persona

‘ di esso sig. Martelli, rimostrandogli che la sua città

fornita di tanti insigni soggetti antichi e moderni po-
teva lasciar goder in pace alla nostra quest’ uno che
può renderle qualche lustro, ma gli confermai costante
la risoluzione di mantenere al mondo la promessa fat-
tagli nella prefazione del Barbati, della ristampa del
Quadriregio, senza stendermi più a lungo ne’ meriti
dell’Apologia.

Ma intanto che si conclude, dirà V. P. Rev.ma, che
si conclude ? Che l’ intendano pure come vogliono i Bo-
lognesi (per servirmi della sua medesima frase): la verità
dee prevalere a tutte le loro passioni; che la stima delle
grazie del Principe ch'ha permessa l'estrazione dei
manoscritti dalla sua Biblioteca ed i favori di chi li ha

procurati non permettono il ritardo dell’ edizione; che
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. ‘105

l’ impegno presone come ho detto, col mondo letterario ,
nella prefazione del Barbati e gli impulsi che ce ne
giungono ad ogui ora dalle principali Accademie e da
i soggetti più ragguardevoli d'Italia n’accrescono vali-
damente i motivi; che la necessità di non abbandonare
indifesa la Patria in una controversia tanto importante
già fatta pubblica con solletico d’ erudita universale cu-
riosità non lascia più campo a dubitazioni; insomma
che si ristampi il Quadriregio con le correzioni e varie
lezioni da ricavarsi da’ manoscritti Estensi, e con l'Apo-
logia in difesa del Frezzi e di Foligno; il tutto però
nelle maniere più placide e rispettose verso la città di
Bologna non meno che verso il Montalbani e il Martelli
e chiunque altri con loro ha avuto o averà interesse
in questo fatto. Che potrà mai seguirne? con ciò che
sinora ne hanno detto nelle loro opere, oltre agli accen-
nati Montalbani e Martelli, il Fontanini e il Muratori,
già restiamo troppo al disotto ; e poco ci giova il movi-

mento dubbioso che ne ha fatto il Crescimbeni ne’ suoi

Commentari dell’ Istoria Poetica.

Dieasi dunque francamente tutto ciò che si può a
vantaggio del nostro Frezzi, contestino al pubblico le
cinque e forse sei edizioni, i manoscritti Estensi ed un
altro, che ne ha il Baruffaldi, i passi dell’ opera stessa
posti al suo lume e con que’ risalti, che saprà ben dar
loro la virtù e prudenza del dottissimo P. Ab. Canneti,
e poi rispondano quel che vogliono i Bolognesi, restarà
il mondo giudice della contesa. Chi sa che questa (forse
felice) contingenza non sia per rendere un di famoso il
Poema del Quadriregio e per far giungere là 've restano
ancora incogniti, i nomi di Foligno e de’ Rinvigoriti. Non
ha sentimenti d'ambizione questa mia sincera espres-
sione, ma un puro zelo di far giustizia alla verità, verità
da me venerata con tanta fede, che arrivo a vederne quasi
i miracoli: e per lasciar da parte le duplicate copie del
Quadriregio ripescate in tanta loro rarità dalla diligen-
tissima attenzione di V. P. Rev.ma e lo scoprimento di

tante edizioni e manoscritti col nome di mons. Frezzi,
106 E. FILIPPINI

chi non direbbe un miracolo, che invece di perdere il
Quadriregio acquistasse Foligno col suo vescovo un
altro poema forse egualmente insigne ? Tant' è * Cosmo-
grafia in Rima terza di Federico de Foligno con varie
istorie e varii viaggi in diverse provincie » .....(1).
Ma io troppo allungo il tedio a V. P. Rev.ma senza
stringermi ancora al forte dell'ultima sua stimatissima
cioè a quanto pretendono i Bolognesi della confidenza
del Malpighi co’ Trinci chiamati suoi signori e padroni
dall'Autore del Quadriregio. Intorno a che io le dirò
ciò che risposi in due piedi al Martelli, cioè che avendo
noi il possesso per il Frezzi nato e vissuto sotto il do-
minio temporale di detti signori toccherà ai Bolognesi
di provare con documenti incontrastabili nel loro Mal-
pighi la pretesa qualità accidentale di servitù o con-
fidenza e tale che possa uguagliare e vincere il Zus
naturale che assiste al Frezzi. Potranno, non vi ha
dubbio, far dello strepito su la cittadinanza di Bolo-
gna confessata nel medesimo medico Gentile dal Iaco-
billi, ma non mi persuado che possino far credere al
mondo, che dicendo nello stesso luogo l'Autore « che
Gentile suo compatriota dà gloria et honore a Foligno »,
supposto l'Autore Bolognese, e tale anche per finzione
legale con la pretesa cittadinanza Gentile, abbia voluto,
come suol dirsi, lasciare il proprio per l'appellativo, cioè
dare tutto l’ onore a Foligno, e toglierlo a Bologna,
verso cui, come sua vera patria, doveva avere tutti gli
impulsi dall’ affetto e dalla giustizia; ma la pretesa cit-
tadinanza legale che forse potrebbe stirarsi a salvar la
voce di mio Cittadino, non potrà dare alcuna proprietà
all’ altra di Patriotta che non può verificarsi che con la
nascita naturale » e qui serà loro necessario di forzar
ben le carte per far Bolognese, com’ Ella accenna, Gen-
tile. Che altri insigni soggetti in diverse facoltà si sieno
denominati da un luogo benchè nati in un altro, cam-
(1) Si omette tutto ciò che riguarda questa questione, perché fu già ;riportato

e commentato da E. Filippini nel cit. suo studio A proposito d’una sedicente Co-
smografiia medioevale in versi italiani, pagg. 8-9.
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 107

mina bene quando la denominazione ha potuto recare ;
gloria maggiore al denominato, o che la lunga perma-
nenza o altra contingenza accidentale ne ha dato un
impulso efficace; ma è troppo sproporzionata la diffe-
renza tra Bologna e Foligno, e ben si sa che quell'uomo
famoso, ch' empi sempre le cattedre delle prime Univer-
sità d'Italia, in ogni luogo abitò più che in patria.
Starei per dire che goderei che si gettassero i Bolognesi
a questa pretensione, che quanto mostrerebbe più debole
la loro causa, tanto maggiore campo darebbe a noi di

convincerli della verità con le prove incontrastabili,

che ci assistono; e Quanto diligenti si mostrerebbono
in acquistare un poema ad un Bolognese, tanto si con-
fesserebbono d’ essére stati negligenti per quattro secoli
in lasciare usurpar da altri a Bologna la gloria di un
Autore di tante opere e tali, che sono valevoli ad illu-
strare non una città, ma più Regni. Anzi dirò di più,
che quando ‘anche, per impossibile, si provasse Bolo-
gnese Gentile, non può dedursi che fosse tale 1’ Autore
del Quadriregio, che, parlando come poeta al popolo,
dovea parlare, come ha parlato pur troppo chiaramente
di Gentile con la denominazione commune e popolare di
Folignate, non con la sottointesa o recondita di Bolo-
gnese; ed ecco sempre più confermato il Frezzi per
autore di quest’ opera.

Io troppo tardi mi avvedo d'abusarmi delle grazie
di V. P. Rev.ma e di parlar troppo con le riflessioni di
queste mie freddure a chi ha tutto il lume per distin-
guere il peso delle vere ragioni ed a chi forse più di
ogni altro ha l'attenzione ed il genio da porre in chiaro
la verità di questo fatto: onde non mi resta che sup-
pliearla come faceio riverentissimamente a degnarsi con-
donare il mio ardire, et a significarmi sollecitamente i
sinceri suoi sentimenti per mia quiete e degli altri Coac-
cademici, che tutti sospiriamo con impazienza i momenti
che ci faranno ammirare la desiderata Apologia e ci

daranno la consolazione di vedere ristampato il Quadri-
E. FILIPPINI

regio, per eui sarà pronta ad ogni cenno la moneta ne-
cessaria.

Sed de his hactenus. Godo del pronto ricapito del-
l'involto capitatole per la via di Pesaro e che la carta e
ilibri, che lo componevano, sieno riusciti di sua sod-
disfazione, rendendole ossequiosissime grazie dell' onore
di cui vuol fregiare il mio vil nome nell' Indice di co-
testa sua famosa Libreria pel Codice dell' Orazio in per-
gamena.

Riprotesto a V. P. Rev.ma tutta la mia piü viva
attenzione in ricerca de' libri aecennatimi nella sua
compitissima, e d'altri di qualché rarità che possino
capitarmi o manoscritti o stampati per rimostrarle con
questa benché esterna e debole dimostrazione la somma
stima che faecio dell' amore o padronanza di V. P. Re-
verendissima per cui conservo il tomo benché mancante
del Petrarea e Dante della stampa del vecchio Aldo
insino a tanto che trovi l'opportunità di dargli qualche
buon compagno nel viaggio a codesta volta.

Circa al rimborso che accenna per le due rismette
di carta la prego a ricordarsi che ne fu tra noi stabilito
il compenso col libro delle considerazioni del marchese
Orsi, di cui mi avanzai a supplicarla, onde non voglio
soggiacere allo scrupolo d'averne duplicato il favore.
Avrò bensì tutta la compiacenza di ricevere per la
posta i due tometti del Giornale dei Letterati d' Italia,
ottavo, e nono, a’ quali restringo le suppliche per l’ in-
commodo: di V. P. Rev.ma, mentre gli altri gli ho avuti,
e gli averó, benché un poco tardi, pel canale dell'An-
tonelli.

Il Sig. Buccolini e il Prior mio fratello riveriscono
ossequiosamente la P. V. Rev.ma, a cui faccio umilis-
sima riverenza.

Foligno, 25 Marzo 1712.

P. 8. — Mi é venuto un batticuore che i Bolognesi

ristampino prima di noi il Quadriregio ; la prego a farvi

sopra riflessione per sollecitudine.
L'AOCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

16.

Ricevo con infinito contento il tomo ottavo del
Giornale de’ Letterati, ed a suo tempo goderò d' avere
per lo stesso canale anche il nono (quando riporti,
come accennò il sig. Zeno in particolare articolo le
Rime del nostro Barbati) in accrescimento della con-
solazione, che provo ora in veder riferite le medesime
con soprabondanti lodi fra le Novelle Letterarie. Ma oltre

a questi due tomi non intendo di continuarne l’ incom-

modo a V. P. Rev.ma, bastandomi per le altre notizie:

d'avere i Giornali, benchè alquanto più tardi, per le mani
di questo Antonelli libraio. Ne rendo intanto a V. P.
Rev.ma umilissime grazie, e sto in attenzione di ripe-
scare qualche buon libro per compensarnele se non l'in-
commodo almeno la spesa.

L'impegno che con la pubblicazione del Giornale si
stringe sempre piü alla nostra Accademia per la ri-
stampa del Quadriregio, viene da Signori Coaccademici
e da me molto ben considerato, e si procurerà da tutti
certamente mantenerlo senza riguardo ad incommodo o
spesa. Tutto ció che mi avanzai a scrivere a V. P.
Rev.ma nell’ultima forse troppo ardita e mal pen-
sata mia lettera, non lo scrissi per alcun dubio ch’ ella
volesse rimoverci dalla risoluzione di detta ristampa;
ma solo ad effetto di confermarle sempre maggiore la
nostra costanza, anche a fronte delle difficoltà che s'in-
contrano con i signori Bolognesi. Conosco molto bene
l’incommodo grande e la fatica che si prende V. P.
Rev.ma in questo affare; ma può ella credere che
a misura di questa conoscenza le ne professerò con
l'Accademia e con la città tutta inesplicabili obbliga-
zioni. Tutto ciò che si degna communicarmi V. P. Re-
V.ma, si conserverà da me con inviolabile silenzio ;
ma considerando che stante l'impegno dei signori
Bolognesi possa ella avere molti giusti riguardi verso i
medesimi, col cuore aperto e con sincerità candidissima

le protesto che da me si desiderano le sue stimatissime

109
FILIPPINI

E.

grazie ne’ termini più ragionevoli e più discreti, e sic-
come non ho altro sentimento che in questa letteraria
contesa si ponga in salvo l'onore del Frezzi e della
patria, ma con tutte le rimostranze di estimazione verso
la città di Bologna, il Montalbani, ed il gentilissimo
sig. Martelli, così desidero che il tutto siegua con gloria
sì, ma con tutte le convenienze di V. P. Rev.ma.

Mi fanno arrossire le espressioni enfatiche del
sig. Martelli. Fu mia fortuna che non avesse a trattar
meco che per pochi momenti, ne’ quali non potè ravve-
dersi dell’ innocente ingauno che prendea delle mie de-
bolezze. Io procurai di mostrargli tutta l'aria di un
buon cuore, e di un cuore impegnato nella venerazione
del di lui merito, ma non per questo doveva o poteva
io sperare goderne un tanto eccesso di gentilezza.

Ecco le note delle Edizioni del Quadriregio commu-
nicate al sig. Buccolini dall'eruditissimo sig. Apostolo
Zeno:eec.-. i. (1).

Ad ogni suo cenno anderó in Perugia a farla col-
lazionare con l'edizione fatta in quella città del 1481,
non potendosi estrarre il Codice dalla Biblioteca Au-
gusta per farlo qua trasportare. Il sig. Buccolini ed il
Prior mio fratello rassegnano i loro obbligatissimi ri-
spetti a V. P. Rev.ma a cui io faccio umilissima rive-
renza.

Foligno, 18 Aprile 1712.

17.

In occasione che li giorni passati mi portai per
alcuni interessi alla vicina terra di Spello, trovai nella
Libreria del Sig. Francesco Passerini La Bellamano
di Giusto de Conti; e poiché da una stimatissima di
V. P. Rev.ma aveva io risaputo mancare a Lei que-

sto libro, stimai bene prender copia della Prefazione,

(1) Si omette tutto ciò che riguarda questo argomento perché fu già riportato
e commentato nello studio cit. su Alcuni frammenti di lettere ecc., n. III.
che l'aecompagna di Iacopo Corbinelli, in quella
parte ove tratta del nostro Frezzi e di altri autori an-
tichi perduti, o negletti o mal condotti nelle ristampe
delle loro opere; e questa particola la P. V. Rev.ma la
troverà nel foglio annesso, et in esso schierati ancora
tutti gli serittori che, a mia notizia, fanno autore del
Quadriregio il nostro Frezzi, che io aveva notati, con
la memoria di tutte le edizioni di quest’ opera, per mia
sola regola; e li lascio correre non perchè creda che
sieno per giunger nuovi a V. P. Rev.ma, ma perchè si
trovavano così registrati nel medesimo foglio.

È notabile la diversità delle opinioni intorno alla
morte e principio del governo del nostro vescovo. Con
tutte le più distinte diligenze non mi è riuscito di averne
in questa Città documento alcuno accertato, a cagione
che le antiche scritture andarono a male nel dominio
de’ Trinci (che fu tirannico negli ultimi anni) e nella
espulsione del medesimo seguita del 1439. Si è scritto
in Roma al primo Custode della Vaticana da un mio
amico, che ha seco tutta la confidenza per ricavarne
qualche certezza dall'Archivio Vaticano annesso alla Bi-
blioteca, ove credo conservinsi gli atti del Concilio di
Costanza, e che in essi possa essere registrata la morte
del Vescovo Frezzi, e di tutto che mi riuscirà di rile-
varne, ne terrò subito ragguagliata V. P. Rev.ma.

La pretensione de Bolognesi che il famoso medico
Gentile morisse in quella città, io la credo fondata su
l'assertiva di Giorgio Abraham Merchlino nel libro in-
titolato « Lindenius renovatus de scriptis medicis », ove
trattando del nostro Gentile dice che « obit Bonomie
cirea A. 1310, ibidemque apud P.P. Dominicanos sepultus
lacet cetatis sue ferme 80 ». Io ho fatte far diligenze me-
diante il P. Vicario Generale del S. Officio nel Convento
e Chiesa di S. Domenico di Bologna per risapere la ve-
rità di questa assertiva, e di là si accerta che nè in
Chiesa, nè in Convento, nè in Lapidi, nè in Scritture
vi è notizia alcuna di detta morte. Vi è bene in questa

Chiesa di S. Agostino di Foligno (come lo asserisce

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.
112

» | era jor. i
d i Papi 3 pà

E. FILIPPINI

anche il Iacobilli nel Catalogo de’ scrittori dell’ Umbria)
e leggesi in una Lapide di marmo antico in terra vi-
cino all’altar maggiore in carattere gotico assai buono
con questa inscrizione: « Sepulerum Egregi Medicine
doctoris Magistri Gentilis de Fulgineo civis Perusinus »,
senza l’ anno, ma vi è l'arme di detto Gentile. Ho con-
frontato la formalità del carattere con diversi caratteri
improntati in aleune Campane della Torre di questo
pubblico, gittate in diversi secoli, del 1300, 1400 e 1500
e lo trovo similissimo a quello di una campana fusa
del 1309 che mi fa credere esser veramente detta la-
pide del sepolero del famoso Gentile morto in detto
secolo, e sepolto in detta Chiesa, secondo il Iacobilli et
il Dorio.

Nella poca Libreria di questo Convento di S. Do-
menico ho trovato alcuni antichi codici in pergamena
comprati dal nostro P. Federico, e nel più antico vi è
notato l'anno MCCCLXXXVII, in uno composto l'anno
1398 vi si legge la qualità di Maestro in Sacra Theo-
logia, cioè: « Hunc librum emi ego fr. Federicus de Ful-
gineo in Sac. Theologia humls. Mag. ». 11 Codice contiene
una raccolta di decreti o Regole Ecclesiastiche d'Ivone
Epi. Canocensis, a similitudine de’ decreti di Graziano.

Questo stampator Campana che è molto più diligente
del Campitelli, ed anche l'Antonelli libraio si sono esi-
biti di far venire un carattere nuovo, e qualche torco-
liere prattico di Venezia per la ristampa del Quadri-
regio, onde prego V. P. Rev.ma a specificarmi la qualità
del carattere e la forma del sesto, che stima di propo-
sito, acciocchè si possa fare la commissione a dovere,
e si possa ordinare a posta anche la fabrica della carta
d’ogni miglior qualità.

Sinora sono cominciate a venire da Bologna a questi
mercanti le commissioni per le copie del Quadriregio,
ma io le credo esplorazioni per risapere ciò che si opera
per la ristampa di quello.

Corre una buona fortuna agli antichi poeti di questa

Patria, mentre a questi giorni fra certe anticaglie di L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

libri di una famiglia estinta si é ritrovato un volume
delle poesie del nostro Barbati, in cui oltre a i compo-
nimenti già impressi, che vi si leggono tutti sparsi pel
libro, vi saranno di più quasi 200 altri componimenti
non piü veduti, d' ottimo gusto, e fra questi molti sonetti
pastorali veramente leggiadri, elegie et altri componi-
menti di diverse specie, sicchè si potrà pubblicare il
secondo volume di queste Poesie, come si farà dopo il
Quadriregio, avendo in animo la nostra Accademia, se
non nasce qualche disastro di disunione, quod absit, di
restituire alla patria tutto il maggior lustro che si puó
col ravvivare la memoria degli uomini di qualche vaglia
che ne’ tempi addietro l’ hanno illustrata e fra questi
averà il suo luogo una famosa Istoria Latina di Sigi-
smondo de Comitibus segretario di quattro Pontefici,
che rapporta gli accidenti del mondo, e distintamente
quelli ne’ quali ebbe interesse la Sede Apostolica, con
molte notizie reconditissime dall’anno 1475 al 1510 in
circa, Di quest’ opera dice il nostro Barbati in una sua
lettera al Varchi, che monsignor Giovio la ricercó con
tanto impegno sino a farne pubblicare una scommunica

Pontificia per averla restando allora nascosta, ed oggi

trovasi in questa Libreria del Seminario. Intanto la mia -

Accademia ha risoluto per proprio esercizio nelle lezioni,
o discorsi che si vanno facendo farli tutti intorno alla
spiegazione di qualche passo del Quadriregio, o del Bar-
bati, ed a me, per cominciar dal più debole, toccò il
primo discorso, che lo feci li mesi passati in ispiega-
zione d'un passo del primo capitolo del Quadriregio, e
fra pochi giorni si farà il secondo dal sig. can. Car-
doni. Chi sa forse col tempo potrà uscirvi di ribalzo
qualche discorso che meriti il compatimento. Per in-
fervorar maggiormente tutti a questa plausibile fatica
gioverà molto quando si vedrà sotto gli occhi la stima-
bilissima Apologia di V. P. Rev.ma attesa con ansietà.

Con l'occasione che nell’ ottavo tomo del Giornale
che godo dalle grazie di V. P. Rev.ma ho avvertito nel-
l'articolo terzo, che riferisce il Giovenale del Silvestri si

113
[x u PET. Qm Li EON P T À.. ; "i
DII : E. FILIPPINI

considera con distinzione un basso rilievo di una sola
quadriga col suo carrettiere, ho preso motivo di commu-
nicare a V. P. Rev.ma una famosa tavola di marmo
bianco antichissima, che conservasi in questo Palazzo
Apostolico con un basso rilievo di un pieno giuoco cir-
cense, ove distintamente si vedono le mete, la spina
sopra la quale sono diverse urne, o cose simili, con

robbe sopra che credo fossero i premi per i vincitori ;

vi sono anche vicino alla medesima spina alcune per-

sone con in mano palme, e fiori o siano rami d' alberi.

Le carrette sono otto tutte quadrighe co’ loro carrettieri
che portano in testa berrettoni legati sotto al mento, la
forma della quadriga è simile ad un rostro di nave:
vi si vedono anche due persone a cavallo et altre in
diversi siti e positure. Dalla parte dove si comincia la
corsa vi si vedono diversi archi con i loro cancelli e
sopra gli archi il sito degli spettatori; e perchè questo
sito non ha altro ornamento di architettura, anzi fra gli
spettatori vi se ne vedono alcuni in figura di personaggi
sotto una tenda o padiglione, mi fa credere che questa
tavola rappresenti i giuochi più antichi ; fatti prima che

il circo ricevesse l’accrescimento degli ornamenti de-

scritti dal Panvino. Quando V. P. Rev.ma ne desideri

un diseeno, lo farò fare da qualcuno de’ mediocri pittori
SUO, 1

che qua si trovano. La tavola è di lunghezza palmi

cinque e mezzo romani, di altezza palmi due e mezzo.

Il lavoro per quello spetta al disegno è assai rozzo, con

qualche mancanza di qualche piede di cavallo o altra
parte minuta, ma lo eredo molto apprezzabile per l’ i-
storia dell’ antichità. Vi è nello stesso palazzo un altro
pezzo piccolo di marmo antico col basso rilievo di una
barca a due remiganti, d’ ottimo disegno, che non la credo
inverisimile essere un legno dell’ antiche naumachie.
Condoni V. P. Rev.ma il tedio che mi fo lecito por-
tarle con le mie inezie, e col Prior mio fratello e col
sig. Buccolini resto facendole umilissima riverenza.

Foligno, 30 maggio 1712.
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

18.

Ineontro con i piü vivi sentimenti d' obbligazioni,
e di stima le due compitissime di V. P. Reverendis-
sima degli undici e 14 del corrente, e con esse i tre
primi fogli del Quadriregio ridotti alla vera lezione.

Io ben considero e con me lo comprendono tutti
questi signori Coaccademici quanto d'incommodo porti
a V. P. Rev.ma la collazione di quest’ opera co’ mano-
scritti e coll' antiche edizioni per ridurla alla maestà e
vaghezza con cui brilla ne' fogli trasmessi; non rego-
liamo peró noi il peso e le misure delle nostre obbliga-
zioni da questo incommodo benchè grandissimo ; ma
bensi dal vantaggio, ed onore infinito, che resulterà alla
Aceademia ed alla città dalla pubblicazione non solo
del Poema, ma dalla difesa del suo vero Autore col di
lei dottissimo e venerabile parere molto ben destinato al
nostro nuovo Pastore. La confessione che io le ne fac-
cio anche in nome commune col rendimento d' umilis-
sime grazie, è una riconoscenza del nostro debito e
del mio piü di tutti, che ne soffriró sempre il peso
maggiore; ma ciò che non potrà compensarle la nostr:
debolezza, lo riceverà bene V. P. Rev.ma da tutto il
mondo erudito, che farà giustizia co’ dovuti applausi
alla di lei virtù e zelo pel vantaggio della verità e delle
buone lettere.

Ma che dirò del godimento del sig. Buccolini e
mio nella lettera e confronto dei fogli con l'edizione
che sta in mie mani? Il vederli spogliati non solo dalla
antica barbarie; ma dilucidati ed illustrati in tanti passi
ci ha recato una compiacenza infinita. Alcune minuzie
di difficoltà incontrate in questa collazione averei da
communicarle, ma per essere vicina la partenza della
bolzetta mi rimetto al venturo ordinario, in cui le man-
derò la mostra del carattere e mi stenderò più a lungo
intorno alla stampa, a cui si darà principio ad ogni
cenno di V. P. Rev.ma.

Attenderó dal sig. Canonico Guidarelli il nono Gior-



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116

ep. - à {cm Cai "pne "UM wy

E. FILIPPINI

nale ed a suo tempo per la posta il decimo, in cui cer-
tamente si riferirà l' articolo particolare delle poesie del
Barbati ; ma l’involto con gli altri libri che ella accenna,
non mi é capitato e non so dove volgermi per prati-
carne le diligenze, se non mi da V. P. Rev.ma qualche
cenno del canale per cui veniva.

Ne' primi giorni del vicino settembre anderemo il
sig. Buccolini ed io a riconoscere l'edizione del 1481
nella Libreria Augusta, e di ció che ci riuscirà d' osser-
varci di notabile, ne ragguaglierò subito V. P. Rev.ma.

Si sono avuti i riscontri accertati, che dal Sig. Car-
dinale Gualterio e dall'Abbate Passionei fu scritto a
Parigi per le notizie intorno all' opera esistente in quella
R. Biblioteca di Federico da Foligno, ma ancor non
tornano le risposte.

Quanto alle notizie di Roma fu scritto al P. Ab. Zac-
cagni Bibliotocario di S. Pietro, che per essere intanto
passato a miglior vita, anche queste sono mancate,

Ho pronte alcune copie del Barbati con lo schizzo
del marmo circense, che con prossima opportuna occa-
sione invieró a V. P. Rev.ma con la copia del discorso
da me fatto sopra il Quadriregio per riceverne la cor-
rezione ed in fretta mi confermo con umilissima rive-
renza.

Foligno, 19 Agosto 1712.

19.

Annesso riceverà V. P. Rev.ma un altro foglio delle
particolari osservazioni fatte in Perugia nella colla-
zione dei testi del Quadriregio: doveano esser due,
ma la necessità di ricopiarne uno mi ha ridotto all’ e-
stremo del partir della bolzetta senza averlo potuto
effettuare per le mie continue, ed indispensabili occu-
pazioni; nel venturo ordinario però, piacendo a Dio
averà il compimento di tutto il primo libro.

Da i dottissimi e gentilissimi sigg. Can. Guidarelli
e Conte Monte Mellini ricevemmo il Sig. Buccolini ed
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

io tutti i più distinti favori di cortesia e di assistenza

alla collazione del Quadriregio, col carico d'infinite ob-

bligazioni, e mi dispiacque che le occupazioni del Coro
non permisero al Sig. Canonico tutta la libertà partico-
» larmente nel giorno festivo di trattenersi lungo tempo
in quella Libreria Augusta, per aiutarci maggiormente
con le sue giudiciocissime riflessioni.
Tutto ciò che vien notato ne’ fogli che si trasmet-
tono si segna più per mostrare la varia che la miglior
lezione, perchè. 1’ elezione di questa deve sempre di-
pendere dal buon gusto di V. P. Rev.ma.
Non si lascia intanto dal Sig. Buccolini e da me di
venir confrontando il testo manoscritto che si avanza il
di costà con questa edizione che io ho da Fiorenza e |
di tempo in tempo communicherò a V. P. Rev.ma alcune [
notarelle che si vanno facendo. |
Ho trovato il libro dell' antiche poesie pubblicate
dall’ Allacci ed un esemplare antichissimo del Ditta-

mondo stampato in Vicenza sin dall'anno 1474, in ca-

i rattere tanto poco dissimile da quello ch'oggi chiamano

antico, ma molto scorretto e tutto ripieno di barbarie.

Gran fatalità! ha meritato l’ Uberti « non ostante minor
gentilezza di dire, minor fondo di sentimenti e minor

vaghezza di fantasia poetica d’arrivare all’ onore di

AR

AR

Autor di lingua, ed il povero nostro Frezzi è restato
« sempre sepolto in un angolo incognito o poco meno ». | |

Sentiró volentieri se il riscontro delle voci strane |
debba farsi qua ovvero debbano trasportarsi costà i libri
dell'Allaeei e dell’ Uberti, ché in questo caso bisognerà
che ne abbia licenza da i patroni che non vogliono pri-
varsi della proprietà.

Ho scritto per aver lume de’ due Perusini nominati
nel Quadriregio, e pratticherò ogni altra diligenza per
quanto sarà permesso alle mie debolezze di dilucidare
dè 3 altri passi oscuri. | :
Godo sommamente che l' involto de’ libri de’ quali

mi arriechisce la generosità di V. P. Rev.ma, sia giunto

in Fabriano, di dove spero di averlo sollecitamente, ma
E. FILIPPINI

intanto vado indagando altri libri da rimandarle in com-
penso. Mi é capitato un libro in foglio d'antiche iscri-
zioni raccolte e esposte da Monsignor Fabretti stampato
in Roma ex officina Dominici Antonij Herculis 1699 ;
quando V. P. Rev.ma non l'avesse, me l'accenni, che
gli l'invieró subito, e quando Ella ne fosse provveduta,
lo compreró per me; ma in questo caso la prego di un
cenno del giusto prezzo per non ingannarmi all'oscuro.

Io credo d' aver ritrovato l'Autore del Canzoniere
manoscritto anonimo, che io presi confidenza di trasmet-
terle ; ed è a mio credere Lorenzo Spirito Perugino che
fiori intorno all'anno 1470. I primi lumi li ricavai in
Perugia dal sig. Can. Guidarelli che mi disse ritrovarsi
nella Biblioteca Augusta un poema in terza rima im-
presso di detto Spirito sopra la vita di Niccolò Piccinino,
che poi ho risaputo dallo stesso Sig. Guidarelli che resta
legato in uno stesso volume con un' altra copia del Qua-
driregio dell’ edizione di Venezia del 1511. Ma poscia me
ne sono quasi accertato ne’ Commentarii della Storia della
Poesia Italiana del Crescimbeni, che fra le opere dello
Spirito annovera un Canzoniere col titolo di Fenice, as-
serendo conservarsene un manoscritto di carattere dello
Autore in detta Libreria Augusta. Io mi ricordo che nel
Canzoniere anonimo si dice l'Autore servitore del Pic-
cinino, chiama la sua amata « Fenice », nomina piü
volte la città di Perugia ed il tempo de' suoi amori in-
torno all'anno 1170 in cui fiori lo Spirito. Sottometto
tutto alle prudentissime riflessioni di V. P. Rev.ma
che quando desideri che ne facci fare più distinti ri-:
scontri in Perugia, la serviró subito.

Mi sorprende l'ultimo foglio di V. P. Rev.ma, in
cui mi dice non sentirsi totalmente bene; aspetto con
impazienza l'ordinario venturo, in cui spero sentirla
totalmente in salute che da me le viene sempre augu-
rata perfettamente felice e resto con umilissima rive-
renza.

Foligno, 16 Settembre 1712
EN L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC., 119

20.

Mi consola l’ultima compitissima di V. P. Rev.ma

nel sentire che lo star suo poco bene accennato nell’ al-

——————

» tra sia un solo riscaldamento di testa, e si compirà

ogni mia consolazione quando la sentiró perfettamente

restituita in salute, come desidero e glie l'auguro;

‘anzi la prego a contribuirvi dalla sua parte con mag-
gior attenzione, sospendendo ogni fatica, e particolar-
mente quella che veramente fu troppo grande intorno
al Quadriregio.

Io con questa riflessione sospesi di mandarle alcun
foglio nell’ altro ordinario, ma in questo non ho potuto
resistere alla tentazione di communicarle alcune notizie
circa alle pretensioni degli avversarii che vengono da
un religioso che sta in Bologna e si mostra o per dir
meglio si finge bene affetto a i Folignati. Ma io non me ne
fido e temo chesi faccia ogni arte per iscoprir campagna.

Ne' due fogli annessi troverà V. P. Rev.ma il com-
plemento delle osservazioni fatte sopra l'edizione di
Perugia intorno al primo Libro, per le quali intendo che
sieno sempre replicate le proteste degli altri fogli.

In fine poi troverà le notizie venute di Bologna, | v ser
con in margine alcune considerazioni da me fattevi
sopra debolmente che communico colla solita confidente
libertà a V. P. Rev.ma; ma non già al supposto amico
di Bologna, col quale non si è praticato nè si praticherà
altro. che un nudo ringraziamento.

Che il detto amico sia finto me ne accresce il so-
spetto il sapere che per altro canale « ha fatto ricono-
« scere la sepoltura del famoso medico Gentile in questa
« Chiesa di S. Agostino ed ha fatto prenderne copia
« dell' Iscrizione ».

Foligno, 23 Settembre 1712.

21;

i .
E più che.ragionevole qualche vacanza al copista,

ma non. basta di accordargli la sola vacanza; gli è
0

è » i
Es ni 1

E. FILIPPINI

dovuta per giustizia qualche recognizione alle sue
fatiche; e perchè io non ho notizia della qualità del me-
desimo; e se possa sdegnarsi di averla in denaro, prego
la P. V. Rev.ma a darmene qualche lume, perché altri-
menti troveró modo di fargli avere il compenso coi frutti
di queste cartiere.

Le vacanze autunnali mi privano del necessario
aiuto per la collazione del manoseritto del Quadriregio
col testo stampato, onde non posso aecluderle che un
solo foglio di osservazioni di varie lezioni che compren-
dono 15 capitoli del secondo Libro.

Io non lasciaró diligenza per trovar notizie in dilu-
cidazione de’ passi oscuri del Quadriregio ma Dio sa
ciò che potrà riuscirmi di quelle anticaglie. Si verranno
rincontrando il Dittamundi, il B. Iacopone, la Raccolta
dell’Allacci, la Raccolta de’ Poeti Antichi, stampata del
1532, capitatami a questi giorni per trovare esempi delle
voci strane del Quadriregio.

Il Sig. Canonico Guidarelli si trova in letto con flus-
sione di podagra onde non posso aver per ora la copia
de' primi sonetti del Canzoniero dello Spirito; con che
in fretta faccio alla P. V. Rev.ma umilissima riverenza.

Foligno, 7 Ottobre 1712. 5

DO

N

Nel foglio annesso riceverà V. P. Rev.ma alcune
poche osservazioni di varia lezione che compiscono li
29 fogli del Quadriregio già trasmessimi.

È molto a proposito il passo di Niecola da Monte-
faleo in prosa che il nostro Frezzi fosse poeta famoso,
e quel che più importa beneficato da i Trinci, ma non
può negarsi che non dia fastidio per la. storia e crono-
logia il dirsi che egli fu fatto Vescovo da Corrado e
non da Ugolino, come effettivamente seguì dell’ anno
1403: nel qual tempo viveva e dominava Ugolino.

De’ due ultimi Corradi di Casa Trinci che domina-
rono Foligno, uno cioè l’undecimo governò dal 1377



ua —

L'ACCADEMIA DRI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

sino al 1386 e questi potè beneficare il nostro poeta e
forse disporlo al Vescovado, che fu poi effettuato dal
nipote Ugolino; l'altro Corrado, cioè il duodecimo, prese
il governo del 1421 e così alcuni anni dopo la morte
del Frezzi. Queste sono le notizie istoriche che posso
communicare a V. P. Rev.ma, lasciando alla sua pru-
denza il servirsi, o no di questo passo, ed il dedurne
quelle illazioni, e conseguenze che le pareranno piü
proprie.

La ringrazio vivamente de’ passi communicatimi
del Canzoniero ereduto dello Spirito .e per assicurarsi
che sia tale manderó le medesime notizie al sig. Cano-
nieo Guidarelli subito che sarà riavuto dalla flussione
della podagra, per confrontarle con l'originale nella Bi-
blioteca Augusta ed intanto con umilissima riverenza
mi confermo. |

Foligno, 21 Ottobre 1712.

23.

Sono stato alcuni giorni sospeso se io doveva in-
dirizzare a V. P. Rev.ma l' incommodo delle mie lettere
o a Ravenna o a Savignano, perché sentendola ritirata
alla villeggiatura de’. colli riminesi mi persuadeva
a crederla non così presto restituita al Monastero di
Classe; ma riflettendo che nella sua stimatissima del
16 ottobre da Ribano, in cui mi comandava d' indirizzar
le lettere a Savignano, tassativamente diceva nel 19 or-
dinario e vedendo l’altra sua del 20 ottobre segnata da
Ravenna, a questa finalmente ho risoluto d'inviar la
presente, che se non più sollecita almeno, le capitarà
più sicura.

È capitata finalmente la notizia del Codice della Bi-
blioteca Regia di Parigi creduto del nostro Mons. Frezzi
Boo ss (D.

121

(1) Si omette tutto il lungo brano relativo a questo argomento e si rimanda
il lettore al cit. studio A proposito d'una sedicente Cosmografia medievale in versi

italiani, pag. 11-12.
122

E. FILIPPINI

Domenica il nostro mons. vescovo Malvicini fece il
suo pubblico ingresso con solenne cavalcata che in ve-
rità riuscì, ad onta dell'incostanza del tempo e sopra
ogni aspettazione, maestosa non meno che vaga e di
tutta gala.

Mi capita l’ occasione di poter servire V. P. Rev.ma
di alcuni libri, dei quali le accludo nota con pregarla
a specificarmi se alcuno le ne piaccia con segnarmeli
nelle note medesime, chè l' inviaró costà sollecitamente
con alcuni esemplari del Barbati, che tengo già all’ or-
dine col Petrarca e Dante d’Aldo vecchio,

Mi rallegro del bravo legatore della sua Biblioteca
e dove per il passato nell'inviarle qualche libro o
sciolto o mal legato l'ho fatto con rossore, per l'avve-
nire capitandomene l' apertura, lo faró ben di genio per
non guastar il buon ordine della sua libreria con le
stroppiature di questi librari. Il sig. Apostolo Zeno re-
plicatamente avea qua seritto et assicurato, che nel de-
cimo giornale vi sarebbe stato riferito il libro del nostro
Barbati, onde mi fa credere che l’ abbondanza d' opere
più importanti l'averà tenuto a dietro. Veramente ne
dissero tanto bene i nostri giornalisti nelle Novelle Let-
terarie, che non è da curarsi d' altro articolo particolare.

Di Bologna vengono continue ricerche a questi re-
ligiosi per aver notizie del Quadriregio del Frezzi e del
Medico Gentile che sempre più fan credere le premure
di quella Città a favore del Malpighi; ma vantisi pure
quanto vuole il sig. Bottazzoni, certo è che i veri fon-
damenti per il nostro Frezzi qua non si sanno che dal
sig. Buccolini e da me e nè dall’ uno, nè dall'altro sono
stati mai communicati ad alcuno. Saranno sue congiet-
ture, o considerazioni fatte su l’opera del Quadriregio,
quelle ch’egli dice di risapere delli nostri ragionamenti.

È facile che mi capiti occasione di scrivere al Si-
gnor Martelli; non so se venga bene dargli aleun cenno
della vicina stampa del Quadriregio, senza scoprirgli
altro, per mostrargli una tal quale buona corrispondenza,
e mantenerlo bene affetto. i
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI »*:DI FOLIGNO, ECC. 123

Il sig. Buccolini ed il Prior mio fratello riveriscono
ossequiosamente V. P. Rev.ma, a cui io faccio umilis-
sima riverenza.

Foligno, 4 Novembre 1712.
24.

In plichetto affrancato riceverà V. P. Reverendis-
sima due libretti delle poesie del Barbati, che tenevo
* in ordine con altri libri per inviarli a vettura cor-
rente, ma vedendo prolungarmene l’ occasione del tra-
sporto non ho voluto più trattenerli, acciò Ella possa
servirne il sig. Manfredi ed il P. che l’ assiste all’ opera
de] Quadriregio, verso cui sodisfarò in miglior forma
al mio debito. Annesso vi troverà fra i medesimi libri
copia del discorso da me recitato in questa Accademia
dei Rinvigoriti in ispiegazione d’un passo del Quadri-
regio. Le servirà per fare una risata delle mie freddure
e debolezze ; ma non si scordi d' usar meco liberamente
come la supplico la caritativa correzione de’ principali
difetti avvertendola che mi farà un sommo favore e le
ne professerò infinite obbligazioni.

Ho ricevuto di Perugia dal degnissimo Sig. Canonico
Guidarelli copia de’ primi tre sonetti dello Spirito con
alcune osservazioni del Canzoniere della Fenice, che è
in quella Libreria, come vedrà dal foglio accluso che è
copia della lettera del Sig. Guidarelli, che ritengo per
me troppo cara. Io tengo per indubitato che il mano-
seritto ch’ella ha, sia copia di detto Canzoniere dello Spi-
rito, anzi più copioso e scritto in tempo più antico della
copia che sta in Perugia. La nota de’ passi osservati
dove è nominata la Fenice, la manderò nel venturo.

Ho già comprati quasi tutti i libri delle note tra-
smessile che non sono in cotesta Libreria secondo il
suo cenno, e sono 40 pezzi che le mandarò costà solle-
citamente. In fretta mi confermo.

Foligno, 9 Dicembre 1712.
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E. FILIPPINI

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i Con altra mia inviai a V. P. Rev.ma copia di una
T lettera del dottissimo e gentilissimo Signor Canonico

Guidarelli intorno al Canzoniere dello Spirito ed in

Ii questa le aggiungo copia de’ passi confrontati su la
Él nota da lui tempo fa trasmessami; gli originali però
dii si contenteranno /'uno e l'altro di lasciarli restare in

mie mani facendo io la stima maggiore e possibile de'

loro preziosi caratteri, che conserveró sempre con glo-
ria fra le cose piü care.
Ricercai dallo stesso Sig. Canonieo Guidarelli qual-

ET BEI che notizia de’ due Perugini nominati nel Quadriregio,

LEE ma non ho potuto riportarne lume alcuno di proposito
| al nostro intento. L'una e l’ altra famiglia de’ Sensi e de”

|
| Vincioli sono nobili di Perugia, ma nella prima non si sa

che siavi stato alcun Batista famoso, nè può dirsi, che la-
sciando si estinguesse prima che scrivesse il nostro
Poeta, restando pur oggi vegeta; quando non voglia
dirsi, che qualche ramo, detto forse dall'abitazione di

S. Ercolano, patisse l’accennata estinzione, restando su-

perstite la famiglia nelle altre diramazioni, come è di
sentimento il dottissimo Sig. Abate Giacinto Vincioli,

che suppone restar ben provata con documenti pubblici

e con istorie la continuazione di secolo ‘in secolo prima

e dopo il tempo del Frezzi della sua famiglia, e mostra

un grandissimo desiderio che diasi di ciò qualche cenno
nella ristampa del Quadriregio, quando porti seco le

annotazioni : ed all'Accademia ed a me piacerebbe som-

mamente di secondare questa giusta richiesta, quando
dalla prudenza di V. P. Rev.ma si consideri esservi
luogo opportuno.

Ho risaputo che in alcuni luoghi della marca dove

anche oggi si usano certe balestre per ammazzar gli

uccelli, vi si adattano sopra a questo effetto certi pezzi
di canna bene acuti tagliati a guisa di frezze, che chia-

. x .
mansi comunemente dal volgo polze e polzoni. È veri-

simile che a tempo del Frezzi, che anche nell’ Umbria
cnn

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO,

si praticavano le balestre, vi fusse commune la voce
di polza perdutasi poscia col disuso di detto istrumento.
Mi consola l’ultima di V. P. Rev.ma con l'avviso

della sua buona salute e della buona grazia che mi

‘conserva, non meno che con la certezza della continua-

zione del lavoro intorno al Quadriregio.

Muove a riso anche me la premura gelosa dei si-
gnori Bolognesi ed il sentire che v' entrin per terzo an-
che i signori Fiorentini. È un riso peró il mio rispet-
toso e di sola compiacenza per veder tant' oltre impe-
gnato l'affare di questa controversia, che Spero in fine
sia per risultare a somma gloria della città di Foligno
mercè delle grazie della P. V. Rev.ma.

Ció che ha scritto ne' suoi Commentarij il sig. Ca-
nonico Crescimbeni l’ ebbe in notizia dal sig. Buccolini
prima che si fusse qua risoluta la ristampa del Qua-
driregio ed in tempo che ne' da lui, né da me si risa-
pevano appieno tutte le nostre ragioni.

Procurerò di ricuperare da Pesaro il X Tomo del
Giornale di cui le ne rendo preventivamente infinite
grazie e le farò capitare sollecitamente la balletta dei
libri già provveduti.

Mi disimpegno da ogni vano complimento per le
prossime feste, perché so quanto sono alieni da simili
ceremonie gli uomini d'alti affari o dediti allo studio
come V. P. Rev.ma e perché so che Ella é ben persuasa
che io la desidero sempre felice senza distinzione di
tempo e di luogo.

Il Sig. Buccolini ed il Prior mio fratello la riveri-
scono ossequiosissimamente ed io mi confermo con umi-
lissima riverenza.

Foligno, 16 Dicembre 1712.

Ricevo con tutta la compiacenza l'undecimo tomo
del Giornale de Letterati d'Italia ed alla gentilissima

bontà che ha avuta di favorirmi V. P. Rev.ma ne
hd

ECC.
E. FILIPPINI

rendo infinite grazie e ne professo innumerabili obliga-
zioni. La relazione che in esso si fa delie poesie del Bar-
bati ha sommamente consolato la nostra Accademia per-
chè non poteva desiderarsi più vantaggiosa per la me-
desima e per l'Autore. Il secolo in cui questi visse e fiori
vien giudicato più communemente il migliore della Poe-
sia d'Italia, se non per altro, almeno per l’ universalità
del buon gusto, che fu commune ai poeti ch' allora vi-
veano, che non meritarono altra censura, che di qualche
seccageine e di troppa religiosa osservanza nel ricalar le
vestigie del famoso Petrarca. Sarà dunque non poca glo-
ria del nostro Barbati l'esser dichiarato immune dall'uno
e dall'altro di detti difetti, e che abbia lavorato del suo
in un'aria spiritosa e brillante con pochi pari in quel
secolo. È stata anche, diró cosi, una gran fortuna l'avere
incontrata una piena approvazione appresso critici tanto
intendenti, ed oculati, quali sono i signori Giornalisti,
di tante cose che si dicono nella prefazione del torto
fatto al Barbati dal Dolci ed ammiro l’ ingenuità di
que’ Signori in confessar francamente l’ errore e mala
volontà d’ un loro concittadino.

Ma che diranno i signori Bolognesi della fran-
chezza con cui vien decisa a favor del Frezzi la contro-
versia del Quadriregio? o qui sì che rinnoverà le risa il
Sie. Muratori. ;

In occasione delle prossime feste io ho scritto a
Mons. Fontanini ed al Sig. Martelli: questi non mi ri-
sponde, suppongo io, per esser fuori di Roma, ma l’ al-
tro sul particolare da me ricercatogli del codice di Fran-
cia creduto del Frezzi mi scrive questa particola.... (1).

Ed in altra parte della lettera dice: Mi sono state
esposte le ragioni dei Signori Bolognesi dalle quali ho com-
preso esservi da dire per entrambe le parti.

Ho sentito con pena l' incommodo sofferto da V. P.

Rev.ma dalla febre catarrale, da cui godo sentirla sol-

(1) Si omette la particola che fu già riportata e illustrata nello studio cit. A

propostto d^wna sedicente Cosmografia medievale in versi italiani, pagg. 13-14.
d
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

levata, e la desidero sempre perfettamente sana ; ancor
io per grazia di Dio sto assai meglio e sono di molto
alleggerito dalla flussione reumatica che per una tal
quale influenza è commune quasi a tutti in questa Città
e luoghi circonvicini, e sento esser lo stesso anche in
Roma. Per i giornali prego la P. V. Rev.ma a non
prendersi altro incommodo per l'avvenire, perché avendo
soddisfatta la euriosità con la relazione del Barbati, gli
altri mi vengono in tempo pel canale dell'Antonelli, e
ringraziandola nuovamente di quelli trasmessimi staró
in attenzione di compensarli con altri libri a V. P.
Rev.ma.

Mi piacerà di sentire se le capitassero franchi per
la posta i due libretti del Barbati è la frascheria del
discorso da me recitato sopra un passo del Quadriregio,
che le inviai settimane sono.

CI Sig. Buccolini ed il Prior mio fratello riveriscono
ossequiosamente V. P. Rev.ma, a cui io faccio umilis-
sima riverenza,

Foligno, 6 del 1713.

Infinitamente mi ha consolato la stimatissima di
V. P. Rev.ma per la continuazione del lavoro intorno
al Quadriregio, ma molto più per l’ avviso della sua
migliorata salute per la quale sono stato veramente
in pena per mancanza de’ suoi stimatissimi caratteri,
ne mi sono arrischiato d'importunarla più co’ miei,
chè gli ho diretti per averne qualche notizia al Padre
Mastri in Bologna. Mi rallegro pertanto seco della re-
cuperata salute, che la desidero in tutti i tempi nello
Stato più perfetto, e la ringrazio dell'avviso che si è
compiaciuta di darmene.

Quanto al Quadriregio certo è che sarebbe sempre
meglio di farne la nuova edizione col commento o al-
«meno con note che dilucidassero i passi oscuri; ma so-

pra ciò e sopra ogni altra cosa spettante a quest'opera

:

7

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L

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E EE S

128

E. FILIPPINI

. . . Li

si compiaccia V. P. Rev.ma prendere assolutamente le
risoluzioni che stimerà piü proprie ed ordinare ció che
debba operarsi da questa parte.

Di notizie concernenti la vita del nostro Frezzi ho

trovati e riconosciuti originalmente due istrumenti in

carta pecora in questo: Monastero di S. Maria in Cam-
pis de Monaci Olivetani, in uno de' quali apparisce che
il detto Vescovo a di 2 Marzo 1404 ammise alla regola

et abito de’ Monaci del Corpo di Cristo (che era una.

Congregazione che allora fioriva in questi contorni) al-
eune pie donne, che si erano ritirate dal secolo e fon-
darono il Monastero detto oggi S. M.a di Bettelem ; nel-
l’altro si legge che il medesimo Federigo Vescovo a di
8 settembre 1409 eol Capitolo della Cattedrale liberarono
il detto Monastero di S. Maria in Campis da ogni giurisdi-
zione episcopale e lo fecero immune da ogni peso o col-
letta col solo pagamento d'una libra di pepe l'anno. Questi
istrumenti sono indicati anche dal Iacobilli nel libretto
intitolato Cronica di S. Maria in Campis, carte 15, 23.

Ma quel che più importa, tanto il detto Iacobilli
nel Catalogo de’ Vescovi di Foligno quanto l’ Abbate
Ughelli assegnano il principio del Vescovato del nostro
Frezzi all’ anno 1403; e pure lo stesso Iacobilli nella
Cronica del Monastero di Sassovivo, carta 152, rapporta
che Papa Bonifacio nono con suo Breve sotto li 8 Aprile
1393 deputó Amministratore, et Abbate Comendatizio di
detto Monastero il Cardinale Pileo Prasa (sic) Arcivescovo
di Ravenna e Camerlengo di S. Chiesa, denominato il Card.
di Ravenna, e che Federico Vescovo di Foligno come suo
Procuratore ne prese il possesso a di 20 di detto mese,
e si indica l’istrumento per mano di Ser Tomaso Va-
gnucci di detto anno 1393, che io sinora non l'ho tro-
vato, ma spero certamente di trovarlo quando non sia
falsa la citazione. Nella Cronologia de’ Vescovi di Fo-
ligno non vi è altro Federico che il Frezzi, sicchè ecco
anticipato a questi il Vescovato almeno per dieci anni,
e molto avvicinato al tempo di Corrado da cui suppone
il Poeta Montefalchese, che gli fusse detta dignità con- L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

ferita. Serive il Dorio a carta 179 che del 1386 Ugolino
Trinci succedesse a Corrado per la di lui morte, nel
dominio di Foligno e pure in un antico libro di car-
tapecora de' Statuti dell'Arte delle Funi li vedo intito-
lati unitamente del 1385 a Corrado et Ugolino Trinci
Signori di Foligno. Vi sarebbe molto da pescare, ma ho
poco tempo e minor capacità in queste materie crono-
logiche.

Non so se V. P. Rev.ma abbia avvertito ció che
serive il Mandosio nel Teatro de’ Medici Pontificii, carta
88, di Gentile famoso medico, accertandolo per Foli-
gnate.

Nel voltare il foglio mi si è lacerato, onde la
prego a condonarmi se non lo ricopio, mancandomi il
tempo e resto intanto con umilissima riverenza.

Foligno, 30 Gennaio 1713.

Tutto ciò che dalla superiore prudenza di V. P.
Rev.ma vien giudicato opportuno per la ristampa del
Quadriregio e per la pubblicazione delle ragioni del
Frezzi, si approva ad occhi chiusi da questi signori
Coaccademici e da me ; onde non solo si concorre da noi
col suo sentimento di prevenire con la stampa di qual-
che Apologia o lettura separata dal Quadriregio l’ edi-
zione della dissertazione del Sig. Bottazzoni, ma in
nome di tutti ne porto io le suppliche più riverenti e
più fervorose a V. P. Rev.ma: acciò segua colla mag-
gior sollecitudine possibile: ed a tanti favori che si
degna compartire all’Accademia et alla città tutta si
compiacerà di aggiungere anche questo di comandare
con assoluta libertà il luogo, il testo, il carattere della
stampa e tutt'altro che occorra, e quando la stampa
debba farsi altrove, si farà prontamente la rimessa della
moneta necessaria secondo i cenni di V. P. Rev.ma.

Svanisce a mio credere ciò che le accennai con l'ul-

tima mia intorno al prineipio del vescovado del Frezzi

129


E. FILIPPINI

col motivo del possesso preso dell'Abbate di Sassovivo
da Federico vescovo di Folegno come Procuratore del
Cardinale di Ravenna Comend. alli 20 Aprile 1393 con-
forme accenna il Iacobilli nella cronaca di detto Mo-
nastero. Io ho riscontrato I' Istrumento originale ne’ rogiti
di Tomaso Vagnucci e trovo benissimo sotto l'accen-
nato giorno il possesso in nome del Cardinale preso da

un tal Friderigo di lui Procuratore, ma non so vedere

d'onde cavi e come indovini il Iacobilli che fosse ve-:

scovo di Foligno : le parole dell’ Istrumento sono queste:

« Die Actum Ven.bilis Vir D.nus Fredericus de Fu
Qu pro. ex. . .- . D.ni Cardinalis Ravennae
« Comendatari Abb.ie et Monasterii p,ti acceden. ad
€. e . . Abb.iam et Mon. Saxivivi accepit et
« adprehendidit tenutam et possessionem d.e Abb.ie ».
Dopo la parola Fredericus de Fu resta lo spazio in
bianco, come si vede, senza esser terminata la parola Fu.
Io vado eongietturando che il notaro nello scrivere a
Protocollo questo istrumento in assenza del Priore vo-
lesse scrivere de Fulgineo; ma non sapendone forse ac-
certatamente la Patria la lasciò in bianco, che non si è
mai riempito e da ciò piu tosto può credersi che non fosse
Folignate oltre a che il titolo « Venerabilis vir D.nus » non
par proprio nè da Religioso, nè da Vescovo. Negli istru-
menti accennatigli del Monastero di S. Maria in Campis
silegge: « Reverend. in Xpto Pater, et D.nus D.nus Frede-
ricus Dei gratia Epus Fulgin: ete. ».Dopo la parola Proc.re
ve ne è un'altra che per non l'aver ben intesa l'ho se-
gnata. con una linea, ma piü che altro par che dic:
Economus, ma non l'aecerto, perchè detto notaro in al-
tri luoghi serive yconomus. Comunque siasi ho più a
caro che si conservi la Cronologia dei Vescovi, che col
retrotraere il Vescovado del Frezzi si faccia veridico il
poeta di Montefalco.

Il Sig. Buecolini ed il Priore mio fratello la riveri-
scono ossequiosamente ed io con umilissima riverenzt
mi confermo, i

Foligno, 3 Febbraio 1713.
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 181

291

Con infinito giubilo dei Signori Accademici e mio
si vanno ricevendo i fogli della copia corretta, e rifor-
mata del Quadriregio e con altrettanto e maggiore si
riceverà il parere di V. P. Rev.ma da pubblicarsi prima
che ci si levi la mano da signori Bolognesi.

Io non lascio d'andare osservando i fogli e notando
le diversità e le difficoltà che s'incontrano, che in ap-
presso manderó sollecitamente a V. P. Rev.ma ; io mi

avvedo che in queste osservazioni mi lascio alle volte

m

uscir dalla penna debolezze e freddure, ma non mi curo

di defettare in queste per non lasciare qualche osserva-

"
Sa —

zione che possa esser giovevole, benchè da me non con-

siderata per tale.

Intanto ammiro la fatica e l’attenzione che si ri-
cerca per stabilire la miglior lezione nel nuovo mano-
scritto del Quadriregio dal foglietto mandato con la
varia lezione de’ due terzetti 36 e 37 del cap. 13. I
terzetti copiati nel foglio trasmesso averanno in qual-
che modo preponderato nella savia mente di V. P.
Rev.ma; onde più che di buona voglia. vengono ap-
provati e preeletti da’ nostri Accademici, che vi rifletton
di più la forza di un sentimento più forte, perchè è più
debole il dire « che è duro guidar la breglia, c' uom non
cada tral quanto el quale nel pasto se molta virti attenta
non ci veglia » che il dire assolutamente: « cA è duro
guidar la breglia tral quanto el quale perchè l’uomo cade
se molta virtà attenta non ci veglia; nel primo modo
dicendo ceh’ è duro, cioè difficile guidar la breglia senza
l’assistenza della virtù, questa difficoltà non induce la
necessità di cadere, potendo l'uomo non cadere anche
senza l'assistenza della virtù, secondo detto sentimento,
ma nel secondo modo dicendosi assolutamente che Z’uomo
cade senza l'assistenza della Virtù e di molta Virtù che
attenta veglia, si rende quasi ragione della difficoltà di
ben guidare la breglia tral quanto el quale nel pasto,

ch'a mio credere è un sentimento più forte e più vero;
— a H—

E. FILIPPINI

ciò supposto ne viene in necessità anche l'accompagna-
mento del secondo terzetto e i verbi grade e bade non
ostante il latinismo e l’alterazione della natural desi-
nenza non disconvengono anzi si accomodano alla ne-
cessità della rima ed all'uso del secolo in cui visse
l'Autore. |

L'ordine dei capitoli stimo migliore quello osser-
vato negli stampati che ne' testi a penna; ció peró non
ostante in questo ed in tutta la libera elezione dipende
dal buon gusto e giudizio di V. P. Rev.ma al quale
inappellabilmente mi rimetto con tutti i Signori Coac-
cademici.

La voce Cambra per Camera non è certamente del-
l'Umbria, né so di qual altro dialetto de’ luoghi vicini
possa essere; è verisimile però che sia voce sincopata
per farla di due sillabe Camra alterata da Stampatori
o da altri con l’aggiunta del B.

La considerazione dei poeti antichi l’aveva io com-
messa ad altri sinora senza profitto, ma ne riassumerò
in me il peso con l'aiuto del sig. Buccolini e sarà il
nostro trattenimento pel vicino Carnovale, per commu-
nicar tutto a V. P. Rev.ma.

Mi piace la determinazione delle note invece del
commento al Quadriregio, che porterebbe troppa lun-
ghezza e fatica.

All’ottima considerazione fatta da V. P. Rev.ma
che il fondo della teologia e dottrina tomistica faccia
presumere l'autore del Quadriregio religioso Domeni-
cano, può aggiungersi l’altra, benchè non di tal peso,
che le molte similitudini pratticate in detta opera dal-
l’Autore d’atti religiosi, come di cantare alternativa-
mente nel Coro, dir le colpe in pubblico, chinarsi al-
l’antifona e simili fanno crederlo religioso piuttostochè
secolare.

Per le due difficoltà in riprova che il nostro Frezzi
fosse Poeta e Folignate di patria, è miracoloso vera-
mente quanto alla prima il passo del Poeta da Monte-

falco, ma credo che possa anche molto giovare il Codice L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECO. 133

di Parigi con l’attergo di Cosmografia di Federigo di
Foligno, perchè Federigo era poeta e chi ha scritta la
nota dal saper ciò e dal sapere che aveva composto
un Poema in terza rima credè facilmente che l'Autore
del Codice fosse lo stesso Federigo e giovarebbe forse
molto il sapere di qual secolo sia il carattere di detta
nota. Quanto poi al provare che fosse Folignate di patria,
quasi tutti gli autori, che di lui parlano, lo affermano,
ma credo che mirabilmente possa stabilirsi con le note
di proprio carattere del nostro Federigo ne’ codici ma-
noscritti in carta pecora della Libraria di questo Con-
vento di S. Domenico come dall'aecluso foglio scritto
in fretta e malamente; nel venturo le inviarò i titoli,
principii e fini di detti Codici, e se giudica bene ch'io
prenda un attestato pubblico dell’esistenza di detti Co-
dici e di dette note per salvarsi da ogni pericolo di
smarrimento, me l’avvisi; e nel venturo le manderò an-
che la succinta notizia dell’opera del P. Abbate Lucenti.

Favorisee V. P. Rev.ma con troppa gentilezza la
mia Lezione; io desideravo correzioni e non lodi; il con-
tinuarle in ispiegazione del Quadriregio è inaccordabile
con le mie molte occupazioni e poco intendimento. Chi
sa che forse col tempo non possa unirsene all'Accade-
mia un numero da far da sè un corpo competente da
potersi con l'approvazione di chi sa pubblicarsi separa-
tamente dal Quadriregio. Io per me meditava in quat-
tro lezioni spiegare i quattro amori del nostro Poeta, ed
in ciò comprendere tutto il primo Libro del Quadrire-
gio, e se Dio mi darà vita ed ozio opportuno non ne
abbandono affatto il pensiero.

Monsignor Fontanini in una lettera che mi scrive
per altri interessi mi persuade a compromettere la dif-
ferenza del Quadriregio con i signori Bolognesi con la
communicazione delle scritture hinc inde per stampare
solamente quella che si stimarà piü veridica. Consideri
V. P. Rev.ma se è partito da abbracciarsi; io gli ho ri-

sposto che essendo. il mondo letterato giudice compe-
134

E. FILIPPINI

tente in queste materie, non può restringersi ad un
giudizio particolare.
Condoni il tedio di questa mia; ringrazio Dio che
mi manca la carta et il lume; se no, Dio sa quando
finiva di tediarla.
Foligno, 16 Febbraio 1713.

D]

oU.

Annessi riceverà V. P. Rev.ma in due fogli la con-
tinuazione delle varie lezioni osservate nel confronto
del Quadriregio insino a tutto il Libro terzo. Seguitaró
a mandare anche quelle del quarto Libro che per quanto
vedo non saran molte, perché le più notabili sono mi-
gliorate in tal forma, che é vergogna di mettergli a
fronte le scorrezioni della stampa.

L'Abbate D. Giulio Ambrogio Lucenti Cisterciense
in un libro in 4 stampato in Roma pel Barnabo, 1703,
col titolo « Fulgor Fulginii in Splendoribus Sanctorum »,
dedicato alla Santità del Regnante Pontefice, porta in elogi
e note le Vite de' Santi e Beati della città di Foligno.
Dice ‘molte cose a vantaggio della città e della sua
antica origine, perlo più cavate dal Iacobilli ; ma sinor:
non ho avuto fortuna d'abbattermi in cosa aleuna di pro-
posito perle nostre differenze. Quando V. P. Rev.ma desi-
deri d'aver detto libro, lo farò venir di Roma e glielo farò
capitare; gli altri sono da molto tempo in ordine, e credo
che al principio di quaresima: s’inviàranno verso Pesaro,

Il Prior mio fratello ed il Sig. Buccolini riverisconó
ossequiosamente V. P. Rev.ma, a cui auguro felicissimo
Carnevale e faccio umilissima riverenza.

Foligno, 24 Febbraio 1713.
3l.

Annessi riceverà V. P. Rev.ma i fogli dell' errata-
corrige della Biblioteca dell'Umbria del Iacobilli et in
altro. foglio la nota distinta de libri inclusi nella cas-

settina mandata in Sinigaglia.

) L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

Sono a buon termine le osservazioni del Quadrire-
gio et in due altri giorni festivi penso di disbrigar-
mene per inviarle subito a V. P. R.ma a cui intanto con-
fermo il mio obbligatissimo ossequio, come fanno anche
il Sig. Buccolini ed il Prior mio fratello, o co’ medesimi
le faccio umilissima riverenza.

Foligno, 21 Luglio 1713.
32.

Eeco finalmente a V. P. Rev.ma le osservazioni che
mancavano del quarto libro del Quadriregio rincontrate
con le copie delle edizioni di Fiorenza e di Perugia,
che vengono in tutto e per tutto subordinate al di lei
prudentissimo giudicio.

Una combinazione fatale di moltissime gravi occu-
pazioni, di poca mia salute, d'infermità pericolosa del
mio bambino (superato tutto felicemente per grazia di
Dio) mi ha impedito sino a quest'ora la trasmissione di
questi pochi fogli, che doveano già da molti mesi esser
giunti alle mani di V. P. Rev.ma. Non è però che siasi
per questo raffreddato, o che sia per raffreddarsi ’1 fer-
vore di questi sigg. Accademici e mio per la ristampa
del Quadriregio, chè anzi con maggiore attenzione che
mai si desidera e si promuove. Ben è vero che siccome
il fine principale di questa risoluzione è stato il vendi-
car la patria dal torto fattole da chi ha preteso attribuir
ad altri la gloria dovuta ad un suo cittadino, così non
si vorrebbe deviare da questa direzione, nè separare la
ristampa del Poema da una qualche Apologia, o sia pa-
rere, che distintamente ponga in chiaro la verità e di-
singanni il mondo delle prevenzioni pregiudiciali im-
pressegli dall’autorità de’ moderni scrittori. Il motivo
accennatomi da V. P. Rev.ma d’esser secondo ad entrare
in contesa per aver il vantaggio di scoprir l'armi degli
avversari, è ottimo, non vi è dubbio; ma sarà tale an-
che per i sigg. Bolognesi. Dunque chi si moverà per

il primo? Quanto dovrà aspettarsi per godere di questo

135
136

E] i" di P. M 2

E. FILIPPINI

vantaggio? I sigg. Bolognesi stanno già al disopra per
ciò che ne hanno detto fra gli altri mons. Fontanini ed
il sig. Muratori, nè si cureranno di dare altro stimolo
al can che dorme bastando loro al più le diligenze che
va promuovendo sotto banca co’ letterati d'Italia il si-
gnor Bottazzoni. Ciò supposto, quando e con quale oc-
casione dedurremo noi le nostre ragioni? Certo è che
non vi sarà mai opportunità più propria di quella della
ristampa del Quadriregio. Si aggiungano l’aspettazione
che ne ha la repubblica letteraria, la promessa fat-
tane nell’ edizione delle Rime del Barbati e 1’ impegno
contrattone col sig. Muratori e con i sigg. Giornalisti
di Venezia. Che direbbe il mondo se vedesse uscire il
Quadriregio alla sordina, senza farsi parola della con-
tesa che pende? Che concetto farebbe delle nostre ra-
gioni? Stimerebbe debolezza, non elezione questo inop-
portuno silenzio. Qua si è creduto che la ristampa del
Quadriregio dovesse essere piuttosto accessoria che no
alla difesa del Frezzi, come che le più forti nostre ra-
gioni nascono dalla lettura del Poema, che per la sua
rarità non è alla mano d'ognuno; nè forse tutto l’ ap-
plauso riporterebbe il nudo testo nella nuova edizione,
senza qualche risalto, che lusinghi il genio critico del
gusto moderno.

Questi sono i motivi che fanno credere a i nostri
Accademici necessaria la pubblicazione unita della di-
fesa del Frezzi colla ristampa del Quadriregio, e mi creda
che fanno in loro tanta impressione, che mal si acco-
modano a sentir parlare di separazione. Più di tenere
in apprensione gli avversari stimano di mettere in salvo
se stessi. Finalmente poi, come altre volte ho scritto a
V. P. Rev.ma, non si vuol venire a capelli co’ signori
Bolognesi. Non è questa una contesa che ricerchi la
stretta formalità d’ attore e di reo sul formulario o le-
gale o cavalleresco. O prima o dopo dica ognuno ciò che
può, ciò che vuole, e si lasci all’ universale del mondo
il giudicio del vero.

Ciò premesso, qua si darà principio alla ristampa
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 137

quando comanderà V. P. Rev.ma, e con le formalità
del testo, della carta et altro che prescriverà il di lei
buon gusto, dal quale attendo anche le note delle varie
lezioni che meritano d’ essere osservate.

Il sig. can. Guidarelli vive in una somma gelosia
della continuazione dell’ affetto di V. P. Rev.ma. La
mancanza, da molti mesi in qua, de’ di lei caratteri lo
tiene in una smania amorosa: non sa concepire se qual-
che suo involontario mancamento sia stato cagione di
questa alienazione.

Io mi son preso arditamente l'impegno d’ entrar
paraninfo a riunire la corrispondenza fra due tanto miei
stimati padroni. Ne porto pertanto le suppliche più ri-
verenti a V. P. Rev.ma, perchè si degni di consolare con
suoi caratteri a dirittura il sig. canonico o dare a me
(quando non sia troppo ardire) un cenno del motivo di
qualche suo dissapore, sapendo io di certo, che il signor
canonico è pronto ad ogni riprova di sincerare la sua
stima e venerazione verso il merito di V. P. Rev.ma, a
cui io intanto faccio umilissima riverenza.

Foligno, 2 ottobre 1713.
33.

Godo sommamente in sentire che V. P. Rev.ma si
vada disimpegnando dalle applicazioni addossatele da
cotesto monsignor Vescovo, e che si rimetta in libertà
dei soliti studii letterarii e geniali, e distintamente della
prosecuzione del lavoro del Quadriregio.

Non so però così in due piedi approvare il motivo
che mi da nella sua compitissima di rimetter qua l’ ul-
tima rivista del testo di detta opera, perchè trattandosi
di dare l’ultima mano al lavoro che non può farsi che
con botte maestre, vi vuole fior d'ingegno, finezza di
giudicio ed un buon fondo di pratica di buona lingua
antica toscana, cose tutte delle quali io per me me ne
confesso totalmente sfornito, nè posso adularmi a credere

(abbia pure il suo luogo la verità) che vi sia nell’ Acca-
138 E. FILIPPINI

demia chi possa vantarsi di tutto il capitale per otte-
nerne l' intento. Comunicheró nondimeno i di lei senti-
menti al sig. Buccolini dopochè sarà rimpatriato ed agli
altri sigg. Accademici, ed a suo tempo ne comunicheró
le risoluzioni a V. P. Rev.ma.

L’ esemplare della vita della B. Angela fu da me

inviato sin da sabato scorso al gentilissimo sig. conte
Monte Mellini, a cui ne scrivo per il recapito credendo
che siasi trattenuto l’involto da Antonio dalla Bastia

vetturale, a cui ne fu fatta da me la consegna.

Dal P. Saruffillo da Loreto mi venne avanti ieri un

libro involto da cartoncino con soprascritto per recapito

a V. P. Rev.ma; mi dispiace che l’accennato solito vet-

turale della Bastia si trattiene da’ soliti viaggi da Pe-

rugia a Foligno per l’occasione della vendemmia; se mi
capitarà altra congiontura, non mancherò d' inviarlo su-
, bito. Questo libraio Antonelli non ha il tomo de heresi
del Farinaccio, nè tomo aleuno spezzato dell'Italia Sagra

dell'Ughelli. Ha bensi un corpo difettoso del Diana in

foglio d'impressione di Venezia. del 1678 a spese della
Società, in quattro.tomi o volumi, cioè tomo primo, che
contiene le parti prima, seconda, terza e quarta con
l'infraseritte mancanze, il foglio 6° dell'Indice dei Trat-
tati e risoluzioni della 2° parte, il foglio 1° dell’Index
rerum notabilium,.il quinternetto R. rr. di>fogli 3 della

4* parte; tomo secondo, che contiene le parti 5, 6, 7 con

la mancanza del foglio K? della parte quinta: manca

il quinterno K e gli altri che seguono sino al fine nella

sesta parte et il foglio Q? della parte 7; tomo terzo, che

contiene le parti 8 e 9, intiero senza mancanza; tomo 49,

che contiene le parti 10, 11, 12, manca il foglio dalla

prima alla parte undecima.

Mi piacerebbe in estremo che si potesse avere il co-

dice manoscritto del Quadriregio del sig. Baruffaldi.

. . . . . . . . H . "

Il prior mio fratello la ringrazia e riverisce con pie-
nezza d'ossequio ed io con umile riverenza mi confermo
Foligno 12 ottobre 1714.

0 ——

94.

Sono verissime le riflessioni che fa V. P. Rev.ma
sopra i caratteri e carta della stampa della vita. della
B. Angela; ma per quel che spetta all' illazione, che
può farsene per a nuova edizione del Quadriregio, deve
sapere che nella stampa del libro della B. Angela, seb-
bene tutte le fatiche si sono fatte dal sig. Buccolini, la
spesa nondimeno.si è fatta da questo Antonelli’ libraio,
che allettato dal maggior lucro o lusingato dal minor
danno si é servito della solita carta comune da stampa
senza la minima attenzione per la scelta, salvi pochi
esemplari trasmessi al sig. Card. Casini; ma non suc-
cederà così pel Quadriregio, accertandola io che. non
solo si averà tutta l’attenzione alla carta, a.i caratteri
ed ad ogni altra parte di quel lavoro, ma non si mo-
Verà passo senza aver prima la piena approvazione di
V. P. Rev.ma; e ratificandole il mio obbligatissimo
ossequio, geloso di conservarmi la sua buona grazia e
l’onore della sua padronanza, mi confermo con umilis-
sima riverenza

Foligno, 15 ottobre 1714.

Meritava veramente le preventive congratulazioni
di V. P. Rev.ma la missione del zelantissimo P. Cri-
velli, che fra gli altri buoni effetti delle sue apostoliche
fatiche ha lasciato qua un buon seme di cristiane virtù
particolarmente nella frequenza dei Santissimi Saera-
menti e nell’ accompagnamento del Venerabile agl'in-
fermi, che. si vede numerosissimo di cere con universale
edificazione.

Dopo terminata la missione sono stato imbarazzato
in molte occupazioni coll’ Eminentissimo Imperiali e
col sig. Tesoriero dell’ Umbria per interesse di questo
publico, e perciò non ho potuto seriver prima a V. P,

Rev.ma.

ECC.

159
140 E. FILIPPINI

Ricevo con mia infinita compiacenza la sua erudi-
tissima esposizione della voce manza ad illustrazione

del passo del Quadriregio, che ho già comunieato al

sig. Boccolini, che concorre con i miei sentimenti nella

piena stima della medesima ; la farò godere anche al

sig. Boncompagni ed al sig. Nuccarini dopo il suo ri-

torno da Roma, dove è stato chiamato per staffetta per

l’ infermità del sig. Principe D. Alessandro di Polonia;

in appresso mi spiegherò più distintamente del mio gu-
sto sopra detta esposizione, non potendo fare adesso per-
chè la posta sta nel partire.

Questa mattina nel rincontrare sul Quadriregio la
voce lazzo ho steso giù all’infretta in due piedi alcune

mie coffissime riflessioni sopra l’orieine della medesima.
D D

V. P. Rev.ma le legea nell’accluso foglio per farvi so-
oo P]
pra una solenne risata.

Una nuova e grande scoperta si è fatta a questi

giorni, che spero sia molto per giovare alla causa del-
l'autore del Quadriregio: un testo a penna molto antico
di quest'opera, trovato in una libreria di Foligno che
ha distintamente dagli altri gli argomenti e rubriche
latine de' capitoli e la denominazione presa dall'autore
e non dalla materia ad uso di Dante, cominciando In-

cipit Federicus e terminando Explicit Federicus Deo gra-

tias; e nell'Introduzione comincia: He incipit Liber

Federici Episcopi Fulginatis qui dividitur in quatuor

regna ecc., come dal foglio annesso ove si sono ricopiate
dal sig. Boccolini le rubriche latine del primo libro.

Nel venturo ordinario spero di mandarle le varie

lezioni almeno del 1° capitolo, ed allora mi spiegherò
intorno allo stabilimento del testo, mentre adesso appena

sono di tempo di sottoscrivermi come fo con profonda

sicurezza.

Foligno, 16 novembre 1714.

36.

Nel foglio annesso degli avvisi del Campana vedr?
V. P. Rev.ma il breve dettaglio della mostra delle carte
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 141

comandatomi nell' ultima sua stimatissima con quella
maggior espressione, che ha permesso l'angustia di po-
chissime righe accordate dallo stampatore.

Il Campitelli pure aveva promesso o per dir meglio
dato speranza di far lo stesso, ma o sia stata trascu-
raggine de’ lavoranti, o altro, il foglio si è pubblicato
senza detto capitolo: quando si giudichi essere in tempo
anche pel venturo ordinario, si farà e ne attendo un
cenno da V. P. Rev.ma.

Annesse parimente riceverà alcune strofette del
testo di! Dante del sig. Boccolini per la consaputa voce

amanza, intorno alla qual voce posso dirle che marsa

in significato di donna amata o di donna piacevole era

anticamente tanto propria del dialetto di Foligno, che

|
t

passó in nome proprio di donna ed io ho avuto fortuna
di trovarlo in persona di una gentildonna di casa Bo-
lognini, che viveva intorno all'anno 1540, chiamata
Mansa Bolognini, pronipote di Monsignor Antonio Bo-
lognini, che dalla sede Vescovale di Nocera fu trasfe-
rito a quella di questa sua patria da Eugenio Quarto,
«del 1444: so che questa notizia non riuscirà discara a
a V. P. Rev.ma.

Al sig. Boccolini ‘è capitata l’ occasione di alcuni
belli libri da vendersi, ma fuori come egli dice di que-
sta città; ne partecipa per mio mezzo la nota a V. P.
Rev.ma, per sapere se Ella inclini alla di loro compra.
Il padrone vorrebbe esitarli tutti uniti. Si compiaccia
Ella accennarmi i suoi sentimenti e quando non inclini
a tutti, specifichi quali desidera, perchè dovendosi disu-
nire possa Ella restar preferita.

To non so se mi espressi bene con l’altra mia in-
torno alla determinazione del testo del Quadriregio. Io
non intesi di dire che si desiderasse far qua la determi-
nazione delle voci, ma che se bisognava per alleggerire
la fatica a V. P. Rev.ma di andar notando le varie le-
zioni, si sarebbe fatto per lasciar poi lo sceglier le voci
migliori al di lei buon gusto e giudicio. Prima dunque

di mandare qua i suoi testi consideri se ciò sia per al-
149 E. FILIPPINI

leggerirle veramente l'incommodo e la fatica, mentre
sempre l’ultima mano dovrà aspettarsi dalle elezioni di
V. P. Rev.ma e di qua non potrà avere che schierate

le varie lezioni.

Sto in angustie per mandar la carta comandatami

ricusando ognuno portarla pel pericolo del contrabando ;

vado pensando di nasconderne una o due risme per

volta in qualche cassetta con l’apparenza d’essere altra

roba che carta.
Nell’ altre lettere credo d’essermi scordato di ri-

verire V. P. Rev.ma in nome del sig. Boncompagni,

del sig. Boccolini e del Prior mio fratello, l'eseguisco
riverentemente con questa, con protesta che mancando

di farlo in avvenire sia una clausola che sempre vi si

abbia per intesa nelle mie lettere, e con una riverenza
umilissima mi confermo.

Foligno, 30 novembre 1714.

Serivo dal letto, ove mi tien legato da cinque giorni

in qua una esacerbazione de’ vasi emorroidali con non

poco dolore ed incommodo e perciò sarò breve. Ho ri-

cevuto puntualmente da questo P. Cellerario de Cassi-

nensi l'involto dei due codici manoscritti del Quadri-

regio con una somma compiacenza e li conserverò con
quella stima e gelosia che meritano non meno il So-
vrano, dalla cui Libreria sono estratti et il di lui famo-
sissimo bibliotecario, che V. P. Rev.ma, il di cui merito

ha impetrato una grazia si segnalata. Subito che sarò

in libertà d'applieare, si darà principio al confronto
delle varie lezioni con detti codici e con l'altro di Fo-
ligno, che per quauto ho potuto considerare alla prima
veduta non cede forse d'antichità a niuno degli altri '

due, tanto per la formalità del carattere che delle mi-

niature e legatura in tavola mal coperta di pelle an-
tica con una affibbiatura in mezzo d'ottone col nome

Sant.mo di Gesü in un corpo di sole. Da ció si con-
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO,

vince che questo codice non fu scritto prima della causa
di S. Bernardino da Siena agitata per la venerazione
di detto S. nome sotto Martino quinto, ma forse si puó
conghietturare, che seguisse non molto dopo la deci-
sione di detta causa ex quo tempore Templorum foribus,
Domorum frontibus, et postibus cepit affigi sacratissi-
mum nomen. — Communicherò al sig. Boccolini il de-
siderio di V. P. Rev.ma intorno a’ consaputi libri da
vendersi, e ne sentirò qualche cosa in proposito.

Intanto auguro a V. P. Rev.ma con tutti gli affetti
più sinceri del cuore felicissime le prossime Sante Fe-
ste anche in nome del Priore mio fratello, e col mede-
simo resto facendole umilissima riverenza.

Foligno 17 decembre 1714.

Ho la consolazione di scrivere dal tavolino solle-
vato notabilmente dall’accennato incommodo sofferto
nella salute, che spero andar tuttavia meglio ricuperando
per impiegarla in servizio di V. P. Rev.ma, a cui rendo
umilissime grazie per l’ amorosa passione, che degna
prendersi per la mia conservazione.

Pare a me d'aver accennato alla P. V. Rev.ma che
lo stampatore aveva servito il sig. Conte Ferretti fuori
d'ogni motivo d'interesse, e che perció non doveva dar-
glisi aleuna recognizione; onde mi piacerebbe che il
testone, ehe aecenna, tornasse alla borsa del cavaliere,
quando possa farsi onorevolmente.

Prima che passino l'imminenti feste spero di dar
prineipio al confronto esatto de' testi del Quadriregio,
e si anderanno segnando con attenzione tutti i passi
degni d'illustrazione o per le voci o per l'istoria o per
altro come Ella accenna.

Le parole latine da me accennate intorno alla con-
troversia di S. Bernardo sopra il nome di Gesù, sono
del Waddingo ad. an. 1427 n. 3, ricopiate peró dall'i-

storia dell'eresie del Bernini, che le riporta in fine del
3

ECC.

143
144

è ] : TS
| nf” 2 P. 2 2

E. FILIPPINI

Pontificato di Eugenio quarto, Tomo 4, pag. 158 dell'edi-
zione in 4° del Baglioni, in occasione di riferire diffu-
samente e la prima controversia decisa da Martino V e
la 2^ terminata da detto Eugenio.

Foligno, 24 dicembre 1714.
89.

Ieri sera capitó finalmente il religioso camaldolese,
che da Roma vien costà a servire V. P. Rev.ma ; dal
medesimo riceverà le cinque risme di carta comanda-
temi, cioó una della impronta della palomba, una del-
l'ancora e l'altre tre della stella, incluse in una cassetta,
che per essere stata fatta ad altro uso, ha indotta la
necessità di sciogliere due delle risme della stella per
accomodarvela tutta, che forse porterà qualche piega-
tura a qualche quinternetto. Mi piacerà di sentire che
le sia giunta sana e salva.

Ho seritto in nome dell’Accademia al P.re Generale
de Domenicani per sapere, se si può, in quali anni fosse
provinciale il nostro Frezzi e in quali conventi avesse
o i governi o la stanza per cinque o sei trienni prima
ch e’ fosse assunto al Vescovato, e per aver qualche
lume di Pier d'Arborea. Io ho fatta ricerca nell'Ughelli
fra i Vescovi della Toscana, dell’ Umbria e di Lombar-
dia se vi fosse alcun Pietro sardo traslato a tre Vesco-
vati dal 1350 al 1400, nè ve ne trovo alcuno sardo di
nazione. Fra i vescovi di Populona al n. 29 trovo un
Pietro, che da Civitanova fu traslato a Populona e Massa
del 1380: e da questa chiesa a quella di Fano del 1389 ;
ma era nativo di Fano stesso. Un altro fra Pietro fran-
cescano tra i Vescovi di Novara n. 69 traslato a quella
chiesa dal Vescovato di Vicenza del 1388 e poi del 1402

fatto arcivescovo di Milano e indi Cardinale. Onde sem-

(1) Il resto della lettera tratta di acquisto di libri per la Libreria di Classe.

Questa lettera, nel volume da cui é presa, si trova erroneamente anteposta alla 36 e 37.
L'ACCADEMIA DRI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 145

pre più mi persuado che Pier d'Arborea avesse i suoi
Vescovati nell'isola medesima di Sardegna, ove sono
diverse chiese vescovali suffraganee di tre Arcivescovi
di Cagliari, di Sassari e di Oristagni, e questo an-
ch'oggi si chiama Archiepiscopus Arborensis. Io osservo
che l'Areivescovo di Pisa era Primate sopra la Sarde-
gna con facoltà di visitar quelle chiese, e 1’ Ughelli ne
riporta un breve d'Innocenzo 8° al n. 29 degli Arcive-
scovi Pisani sotto Ubaldo Lanfranco nobile di quella
città. E verisimile pertanto che il nostro autore che sarà
stato piü volte di stanza in Pisa, come mostrano le
molte istorie ch' ei ne riporta, andando o come teologo
o come convisitatore con l’Arcivescovo Pisano in quel-
l isola, potesse trattare con l'accennato Pier di Arbo-
rea e riconoscere i di lui cattivi costumi « che ’n tre
vescovati secco negli anni, nel peccar fu fresco ».

Nei fogli favoritimi da V. P. Rev.ma nella dotta
annotazione sopra Pier Farnese ‘osservo che coll’auto-
rità del Sansovino da il fiorire di Pier Farnese detto il

quarto del 1310: nell'Albero però genealogico di questa

illustre famiglia riportato dal Conte Alfonso Loschi ne’
suoi compendi istorici trovo un Pietro nominato pari-
menti il quarto, Capitano de’ Fiorentini del 1360 nella
guerra contro i Pisani: in una distanza di cinquanta
anni è difficile che il med. soggetto sia quello riportato
dal Sansovino e questo del Loschi: questo veramente
sarebbe assai più vicino e più facile ad essersi cono-
sciuto dal nostro Autore; ma sarà forse autore più ac-
ereditato il Sansovino del Loschi.

Copierò quanto prima e forse per il venturo ordi-

nario ciò che manca . . . . (1).

40.

3,

Non mi è riuscito di stabilire il partito degli ultimi
libri datimi in nota da V. P. Rev.ma con gli altri due

accennati nell’ ultima mia per prezzo in tutto di scudi

(1) La lettera è incompleta e senza data.
ds

ETT

reme TES porrum
———

146

zz zi pU P.

E. FILIPPINI

due conforme ella mi comanda, onde ho assicurata la
compra del solo duello del Fausto, e perché il padrone
non vuol darlo a meno di tre giulii mi ho riservata
l'approvazione di V. P. Rev.ma. Degli altri iibri vedrà
in piè di questi l' ultimo prezzo; se le ne piace alcuno
l'aecenni, perchè non vi è speranza di maggiore abilità.

Sento con sommo mio dispiacere l’ incommodo della
di Lei salute. Io la desidero perfettamente sana in tutti
itempi per suo bene, per consolazione degli amici e
servitori, e per vantaggio del mondo letterario, onde
la prego ad aversi tutti i riguardi ed a consolarmi con
migliori riscontri.

Godo delle sue dotte applicazioni intorno alle fa-
mose Epistole d’ Ambrogio Camaldolese, ma goderò
egualmente quando sentirò ripigliate a suo tempo quelle
intorno al Quadriregio.

Qua si avanza la collazione de’ testi, con le note
delle varie lezioni e de’ passi più osservabili.

Volesse Dio, che capitassero manoscritti dal signor
Boccolini che la riverisce con pieno rispetto, e da me
si sta in attenzione per servirne V. P. Rev.ma, a cui
faccio umilissima riverenza.

Foligno 22 marzo 1715.

4l.

Non risposi l’ordinario passato alla gentilissima di
V. P. Rev.ma, perchè stante l’assenza del sig. Bocco-
lini, che si era trasferito a Camerino, non poteva io as-
sicurarla dello stabimento della compra de’ libri espressi
nell’ultima sua nota, conforme l’assicuro con la pre-
sente avendogli già tutti appresso di me; onde nella
ventura settimana ne farò la spedizione a V. P Rev.ma
assieme con l’ Istoria del Giambullari, chè ha promesso
l'Antonelli darmela rilegata domani a sera.

Non faecia V. P. Rev.ma espressioni di ceremonie
quando si tratta di comandarmi, perchè io le attesto

con sentimento di candidissima verità che non ho mo-
L'AOCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO,

menti a mio genio meglio impiegati che nell'obbedienza
de' suoi stimatissimi comandamenti e non trovo lettura
più geniale di quella delle sue desideratissime lettere,
onde serva questa sincera espressione a V. P. Rev.ma
per tenermi spesso esercitato con i suoi cenni.

Già sono qua capitati al sig. Boccolini i Giornali
XVIII e XIX, ed ho veduto in essi riferito con lode
nelle Novelle Letterarie il libro della Satira Italiana
del sig. dott. Bianchini, e vi comparisce a buon lume
anche il nostro sig. Boccolini, che va compensando alla
città di Foligno le sferzate che riceve da signori Gior-
nalisti Lodovico Iacobilli. È fuori alle stampe il libro
del P. Orlandi Carmelitano, delle notizie degli scrittori
Bolognesi; ho un gran desiderio di vedere ciò che egli
dice del Quadriregio nel nominare il Malpigli, ma molto
più mi preme di risapere ciò che si dica del nostro
Frezzi nella Biblioteca degli Scrittori Domenicani che
ora si stampa in Parigi dal P. Iacopo Echard. Io non
mancherò di trovar mezzi, per averne di colà la notizia
se sarà possibile anche prima che ne giungano in Roma
gli esemplari.

È inserta nel XIX Giornale una lettera circolare del
Procuratore Generale dell’ordine de’ Predicatori a tutti
i Provinciali e Priori del suo ordine per «aver notizie
e materiali per il lavoro degli Annali della sua Religione
da compilarsi dal Padre Ruviere: anche in quest’ opera
potrà aver luogo il nostro Frezzi, ma suppongo che vi
sarà tempo da consultare il modo più proprio.

Si vanno da noi notando nel confronto de’ testi del
Quadriregio anche i passi che meritano qualche osser-
vazione, et intorno alle varie lezioni si pensa di stam-
parle col testo se non tutte quelle che si vanno segnando,
almeno quelle che si giudicheranno più notabili, quando
non giudichi altrimenti V. P. Rev.ma, da i di cui cenni
dipenderà sempre ogni risoluzione intorno alla stampa
di detta opera.

Il sig. Boccolini ed il Prior mio fratello riveriscono

ECC.

147
148

E. FILIPPINI

ossequiosamente V. P. Rev.ma, et io col cuor sulla
penna le faccio umilissima riverenza.

Foligno, 29 marzo 1115.
42.

In due righe accuso a V. P. Rev.ma la ricevuta dei
dodici primi fogli del Quadriregio, da’ quali sempre più
m'innamoro di quest'opera, ed ammiro come bene si ripo-
lisce dalla barbarie, da cui era stata ingombrata nella
stampa. Fra gli altri infiniti miglioramenti ricavati dal
manoseritto ho avvertito quello del cap. 18 verso 68
« Per V, et Go: e per quel nominollo » che nello stam-
pato dice per B. et Po, che mi cagionava una oscurità
impossibile a rischiararsi dalla mia debolezza, ch’ oggi
credo possa probabilmente intendersi per UGOlino Trinci,
ad esempio ed imitazione di Dante, che nel Canto 7
del Paradiso per B. e per ICE adombrò il nome della
sua Beatrice.

Il titolo riformato è bellissimo. Intorno alla voce
Quadriregio che ha alquanto del barbaro, come dotta-
mente accenna V. P. Rev.ma, il sig. Abate Anton Maria
Salvini, in occasione che gli mandai le rime del Barbati,
e lo ricercai se avea presso di sè alcuna edizione di
questo Poema mi scrisse ch’ egli credea dovesse scri-
versi Quadriregno o Quadriregnio e che per errore degli
stampatori fusse scorso il vocabolo Quadriregio, ma oggi
è bene di seguitar lo stesso, per esser divenuto, come
Ella saviamente dice, più noto e più celebre.

Domani il sig. Boccolini ed io, piacendo a Dio, sa-
remo in Perugia con probabile speranza di disbrigarci
in due giorni dalla collazione del primo libro, Nota-
remo minutamente tutte le varie lezioni che discordano
dal manoscritto venuto di costà e dalla stampa che io
ho di Fiorenza, e tutte le subordinarò alla prudenza di
V. P. Rev.ma, con alcune altre minute riflessioni fatte

col sig. Boccolini nel confronto degli ultimi fogli, ma
L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO,

con patto che V. P. Rev.ma non si rida delle mie insi-
pidezze, nè si sdegni dell’ ardire.

Ho ricevuto da Perugia il Giornale e ne rendo a
V. P. Rev.ma umilissime grazie, aspettando con anzietà
il decimo per leggervi la: relazione delle Rime del Bar-
bati, e mi persuado che i signori Giornalisti diranno
qualche cosa di più della nuova edizione del Quadri-
regio,

Il sig. Boccolini ed il Priore mio fratello divota-
mente la riveriscono ed io coll’ attestarle sempre: più le
mie infinite obbligazioni resto in fretta con una rive-
renza,

Foligno, 2 settembre 1715.
43.

Ecco svelati a V. P. Rev.ma i veri motivi della peraltro
impercettibile tardauza del confronto de’ testi del Quadrire-
gio: viene da me principalmente la cagione, ma senza mia
colpa. Iu tutta la state scorsa e per qualche parte dell' an-
tecedente primavera sono stato oppresso da tante fatiche
di corpo e di mente per interesse del pubblico, di parti-
colari e proprii, e da tali passioni d'animo, che ne con-
trassi una somma debolezza di stomaco e di testa con
una dissipazione e perturbazioue di spiriti in modo che
mi fece più volte credere d'esser vicino all'ultimo ter-
mine del mio vivere, e lo credevano con me molti dei
miei domestici ed amici. Mi convenne pertanto andar so-
spendendo anche le applicazioni più obbligate ed andar
procurando con qualche medicamento lenitivo e col bene-
ficio dell'aria della campagna di riordinare il sistema
della mia vita; e non senza fatica, per grazia specialmente
di Dio benedetto, da poco in qua mi trovo non solo mi-
gliorato, ma quasi totalmente reintegrato alla primiera
salute.

Or considerì V. P. Rev.ma, se io era in istato di pen-
sare al Quadriregio: vi’ pensava pur troppo, ma per ac-

crescermi l'afflizione: in mancanza mia, restava per dir

ECC.

i

149
150

E. FILIPPINI

così solo il sig. Boccolini, perchè il sig. Boncompagni et
il sig. Nuecarini che potevano dar mano al lavoro si sono
trovati in altri gravissimi impegni, cioè il primo di ser-
vire in Napoli da maggio in qua ove peranco si trattiene,
in posto di Mastro di Camera, la sig.ra Principessa Buon-
compagni Ludovisi, o l' altro nel dover servire da gennaio
in qua in propria casa la sig.ra Principessa Grillo Pan-
fili. Questa combinazione fatale d'impedimenti si va ormai
disciogliendo.

Prima di Natale tornerà il sig. Boncompagni, e re-
sterà anche libero dai suoi impegni il sig. Nucearini,
onde si riassumerà con più vigore l’ applicazione alla de-
terminazione del consaputo testo del Quadriregio.

Intanto terminerà le sue annotazioni intorno alle
Epistole del suo Ambrogio Camaldolese V. P. Rev.ma
cou cui vivamente e con cuor sincero mi congratulo che
abbia terminato, conforme si degna accenvarmi, il lavoro
principale della compilazione di dette Epistole.

Rendo poi infinite grazie a V. P. Rev.ma e altret-
tante le ne rende anche il sig. Boccolini del gentilissimo
dono della Filosofia in sonetti del sig. Calbi, che averà
sempre un gran merito con la Poesia Italiana per aver
inventilito con le sue Rime gli spiriti più duri delle
scuole filosofiche, ed ammiro il buon gusto dell’ autore
non solo nella testura dell'opera che nella scelta del
protettore dell’ opera medesima.

Mi conservi V. P. Rev.ma il suo stimatissimo amore,
mi comandi con piena libertà e resto con umilissima ri-
verenza.

Foligno, 22 novembre 1715.

LT o Ei
151

LA FAMIGLIA VITELLI

DI CITTÀ DI CASTELLO
E LA REPUBBLICA FIORENTINA FINO AL 1504

( Vedi continuazione, vol. XV, fasc. III, pag. 518).
CAPITOLO VIII.

Paolo Vitelli assoldato dai fiorentini a metà con il re di Francia.

Dopo la partenza dell'imperatore Massimiliano dall'Italia,
Lodovico Sforza, disperando di potere impadronirsi di Pisa
— che poteva oramai dirsi venuta sotto la dominazione di
Venezia — richiamó le proprie genti dal contado pisano,
lasciando ai veneziani il peso di continuare da soli la difesa
di Pisa contro Firenze. La partenza delle genti sforzesche
dette agio ai fiorentini di poter riprendere ai pisani i ca-
stelli delle colline (1) ed obbligò i veneziani a rafforzare

con altri 500 cavalli il proprio presidio in Pisa. A queste
nuove forze vollero i fiorentini opporre una parte dei bale-
strieri dei Vitelli, ma questi che, prima d'impegnarsi a fondo
nella guerra, volevano forzare Firenze a stringere condotta
con essi, addussero dei pretesti, e fecero « renitentia » a
mandare le proprie genti nel pisano. Tale contegno generó
nei fiorentini il sospetto che i Vitelli fossero in procinto di
passare al servizio di Venezia, e, per nascondere ad essi la
inferiorità del campo fiorentino di fronte ai pisani, scrissero,
il 6 novembre 1497, al commissario Luigi Della Stufa che,
sei i Vitelli non fossero ancora partiti, ne contromandasse
la partenza, perché erano giunti, in rinforzo al campo fioren-

(1) GUIGCIARDINI, Storia d" Italia.
2:08 ^ ts A

152 G. NICASI

tino contro Pisa, 60 balestrieri di Achille Tiberti, 50 del Ban-
dino, e se ne aspettava da Bologna altri 25 di Messer Ales-
sandro; di modo che le genti vitellesche sarebbero state
oramai superflue. A quella lettera i Dieci apposero ad arte

la data del 5 novembre, invece del 6 — che era il giorno
nel quale veramente era stata scritta — per far credere ai

Vitelli che, il contrordine della loro partenza, era stato dato
prima che si fosse potuto aver notizia a Firenze delle diffi-
coltà da essi accampate per l’invio dei propri balestrieri nel
contado pisano (V. Doc. 281).

La improvvisa diffidenza dei Dieci verso i Vitelli non
poteva sfuggire alla vigilanza del fido Cerbone, il quale im-
mediatamente avverti i padroni, come in Firenze correva
voce che essi « cercassero partito »; e Paolo Vitelli, il 25
novembre, in risposta a tali avvisi, ordinava a Cerbone di
far sapere, a chi avesse egli creduto opportuno, che i Vi-
telli, dopo aver preso condotta con il re di Francia, non
solo non avevano « cerco partito con homo del mondo »,
ma non avevano neppure « pensato cercarlo »; e quantunque
non potevano certo impedire che fossero loro fatte proposte
lusinghiere da altri potentati, erano peró deliberati opporre a
quelle un reciso rifiuto, finché non fossero « risoluti delle cose »
loro con i Signori fiorentini: tuttavia, « non resolvendosi
le promesse », avrebbero disdetto la loro condotta con il re
di Francia ed avrebbero preso quel « partito » che avessero
ritenuto più conforme ai loro interessi (V. Doc. 285) A
Paolo Vitelli non erano ignoti i tentativi che faceva la Leg:
per staccare Firenze dalla Francia, ora specialmente che
Carlo VIII si mostrava risoluto a scendere di nuovo in Italia,
e per ciò il Vitelli temeva che i fiorentini, un giorno o
l’altro, « potessero adaptarse cum la Lega », restando così
egli fuori di ogni condotta. Voleva quindi uscire dall’ incer-
tezza ad ogni costo; e, dopo aver fatto ripetute insistenze
presso i Dieci di Firenze per venire ad una qualche con-
clusione (V. Doc. 286, 290, 293, 294), ordinò a Cerbone, con
LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 153

lettera del 15 gennaio 1498, che venisse subito « alle prese »
con i Dieci, per obbligarli a fissare la condotta dentro quel
mese, con diffida che, se nel tempo dato non venisse con-
clusa, i Vitelli si sarebbero impegnati con altri (V. Doc. 295).

Nel frattempo i veneziani avevano assoldato, a difesa di
Pisa, Rinieri della Sassetta e gli avevano « dato 50 bale-
strieri a cavallo di condocta ». I Dieci di Firenze, temendo
che Rinieri — non per il numero delle proprie genti, ma per
essere Signore della Sassetta, « luogho forte et in un confine
tra Senesi et Piombino » e Firenze (V. Doc. 306), — avrebbe
potuto, spalleggiato dai veneziani, suscitare qualche pericolo
nelle Maremme fiorentine (V. Doc. 296), pensarono di chia-
mare a Firenze il padre di lui, messer Pierpaolo, che si di
chiarava estraneo alla condotta di Rinieri, per venire con
esso ad un accordo, onde garantirsi contro le mene del
figlio. Nel caso poi che il detto Pierpaolo non si volesse pre-
stare a rimediare « quietamente a ogni cosa », avevano i
detti Dieci stabilito di fare assalire improvvisamente il ca-
stello della Sassetta e farlo distruggere dalle fondamenta,
per spegnere « ogni fomite d’incendio da quella banda ».
Quindi scrissero, il 16 gennaio 1498, a Tommaso Tosinghi,
loro Commissario generale a Valiano, che, avendo essi « col-
lacato ogni » loro « fede et speranza in qualunque, impor-
tante cosa » sui « Magnifici Vitelli, per iudicarli homini di
grandi virtù et affectionatissimi alla Repubblica » fiorentina,
avevano « facto pensiero et ferma resolutione » — se il
detto Messer Pietropaolo « fosse pur renitente al solito
suo » — di affidare « la impresa et expugnatione » della
fortezza della Sassetta a Paolo Vitelli, sicuri che riuscirebbe
« non meno honorevole a lui, che utile » a Firenze. Per
ciò ordinarono al Tosinghi suddetto che si recasse subito da
Paolo Vitelli, e'lo esortasse a « mettersi totalmente in punto »
per potersi, ad ogni loro avviso, « muovere con tutti li suoi
cavalli leggeri, e con quel numero di fanteria che li saria di
presente ordinato » (V. Doc. 296). E siccome lo stesso com-

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154 G. NICASI

missario Tosinghi era stato dai Dieci incaricato, in antece-
denza, di condurre con Paolo Vitelli le trattative per la
condotta di lui, lo avvertivano che, per ora, mettesse in ta-
cere quella pratica, allo scopo di potere prima vedere come
lo stesso Paolo si mostrasse propenso ad assumere l'espu-
gnazione della Sassetta, « per potere da quello fare migliore
giudicio » sopra di lui; raccomandando per altro al Tosinghi
che cercasse intanto con destrezza sapere qual somma il
Vitelli avrebbe richiesto, e quali patti esigerebbe per fissare
la condotta con i fiorentini (V. Doc. 291). Accettó Paolo
Vitelli senza esitazione l'incarico di espugnare la Sassetta,
ed i Dieci, lietissimi « di questa sua prontezza d’ animo »,
gli ordinarono di recarsi subito a Firenze ad abboccarsi con
essi e di lasciare alle sue genti tali ordini che potessero es-
sere pronte a partire a qualunque chiamata (V. Doc. 298).
Paolo Vitelli si era recato intanto a Città di Castello (1) a

(1) Allorché i Vitelli presero parte a respingere da Firenze Piero dei Medici,
i fiorentini, in segno di grato animo, donarono ai Vitelli un leone vivo, che da questi
fn portato a Città di Castello. Cesara Borgia, allora cardinale, s' invogliò di possedere
quel leone e lo richiese ai Vitelli, i quali, non volendo scontentare il Borgia e, dal-
l’altra parte temendo dispiacere ai fiorentini col ‘cedere il leone ad altri, risposero
che sarebbero stati lieti di donare al Borgia il leone. purché ne avessero avuto il
beneplacito da Firenze, dove avrebbero scritto in proposito. Alla lettera di Paolo
Vitelli così rispose la Signoria fiorentina: (Vedi Archivio di Stato: SiaNoRI Missive,
vol. 51, pag. 28):

x

Paulo Vitellio Tifernati

Magnifice vir Amice charissime, intendendo noi la requisitione factavi dal
R.mo cardinale Borgia, et per la lectera di Sua Signoria et per la presente vostra,
et la affectione portate alle cose nostre vehementissima, ne havete ricevuta somma
commendatione da questa Signoria; et in questo rispectivo acto inolto augumentato
l'amore che a V. M.tia già lungo [tempo] quella ha con grande benivolentia por-
tato: et perché desideriamo, per la buona et antica amicitia, quale habbiamo sempre
tenuta con la R.ma S.ria del prefato Cardinale, che sua Signoria consegua in ciò
lo intencto suo, rimettiamo liberamente in Vostra M.tia la alienatione del leone,
che gratiosamente havesti da questa Signoria, la quale in questo caso vi si offerisce,
quando pure per nostro rispecto con qualche difficultà lo facciate, di usarvi di
buona voglia la medesima gratitudine per dimostrarvi quanto, per le virtù vostre
et per lo amore già perpetuato intra noi, siamo apparecchiati a farvi ogni piacere.
Della licentia che Vostra Magnificentia ne richiede per accompagnare la sua Ma-
I
c
[3]!

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

visitare Vitellozzo ammalato (V. Doc. 291, 292), e a dare
« sexto alle cose della città ». Tornato al campo e ricevuto
l'ordine dei Dieci di recarsi in persona a Firenze, « per
conferire il caso della Sassetta et per lo conto della condotta »,
rifiutò di partire; adducendo per ragione che, se i Dieci, per
la spedizione contro la Sassetta, volevano servirsi dei Vitelli
con tutta o parte della loro compagnia, dovevano prima
mandare ad essi i denari, che ancora dovevano avere per
il loro servizio fino a tutto il dicembre passato: in quanto
poi al parlare della condotta, era inutile la gita a Firenze
perchè, se i Dieci erano disposti a dare ai Vitelli 40 mila
ducati d'oro all'anno di provvisione ed il titolo di Capitano
generale a Paolo, la condotta poteva ritenersi conclusa; ma
in caso contrario, era meglio non parlarne (V. Doc. 299).

A queste dichiarazioni del Vitelli i Dieci risposero che,
quantunque le sue richieste fossero « molto in alto », pure —
ritenendo che egli dovesse « ragionevolmente havere il me-
desimo desiderio », che avevano essi, « di abboccarsi una
volta insieme per intendersi bene », — lo pregavano a « venire
immediate » a Firenze; tanto più che era giunto « Messer
Corrado Tarlatini homo suo, venuto de Francia », ed aveva
recato alcune proposte, intorno alle quali monsignor di
Gemel, mandatario del re di Francia — la cui venuta era
imminente — poteva « essere buono et apto istrumento ad
redurre alle cose honeste qualunque ne fussi in parte alcuna
discosto » (V. Doc. 300). E Paolo Vitelli partì allora subito
per Firenze (V. Doc. 302).

Contemporaneamente Vitellozzo Vitelli — che aveva ap-
preso dalle lettere di Corrado Tarlatini, quanto il re Carlo VIII
di Francia sembrasse infervorato di scendere prossimamente
in Italia — scriveva al proprio fratello Paolo, in data 29 gen-

gnifica Sorella non li rispondiamo altrimenti per essere cosa appartinente a Signori
Dieci, alli quali l' habbiamo facta intendere: che stimiamo che circa ad ciò pruden-
temente adopteranno quanto ne sia expediente. Ex Palatio nostro Die XXX Iannuarii
1497 (1498).
"m af Prose ili ha 2.

156 ; G. NICASI

naio 1498: « Son di parere che vostra magnificenza facci
omni opera che nui, per l'anno advenire, restiamo soldati del
Re, et cusi, come soldati del Re, testi Signori fiorentini se
habbino a servire di noi; peró pigliando essi il carico de li
40 mila ducati ». Inoltre consigliava lo stesso suo fratello
Paolo a suggerire al re di Francia « che mandasse Ubigni
et Ligni, cum duecento lancie et cum doi mila svizzeri, et
che portassino denari per mille cinquecento altri », che sa-
rebbero stati assoldati dai Vitelli; « huomini obedienti, ar-
mati et structi a la foggia di Svizzeri et boni come loro, si
per giornate, si per tutte altre opere belliche; quali siranno
causa che svizzeri staranno a segno e per loro disordini non
sequirà quello sequi l'anno passato ». Lo stesso Vitellozzo
raccomandava che « la maestà del Re per niente non lasci
el Papa, anzi venga seco ad omni cosa per haverlo; perché
el sirà quel mezo che farà fare acquisto de la impresa in
brevissimo tempo: et quando Sua Santità volesse da Sua
Maestà cose inoneste, che el non guardi al promecterle, cum
hoc che el sia obligato tenire, durante l'impresa, 400 homini
d'arme a li serviti soi, cum cautela di uno de suoi figlioli
in Francia ». In fine Vitellozzo proponeva un completo piano
di guerra, nel quale essi Vitelli avrebbero avuto gran parte,
assicurando essere « questa la via da farsi factione del Re-
gno [di Napoli] et de tutta Italia, et presto ». E Vitellozzo
concludeva la sua lettera raccomandando a Paolo che con-
fortasse il re di Francia à « mandare a Roma uno homo de
soi, et non sia preite, anzi homo da bene et di qualche
auctorità, a l' aviso del quale Sua Maestà habia da credere;
et così mandi uno simile a Firenze: che sono quelli homini
che a uno puncto preso aiutano assai »: ed in ultimo ag-
giungeva: « Io ho voluto fare un raguaglio di mio parere;
pure di tutto me rimecto a voi che siete in facto » (Vedi
Doc. 303).

Paolo Vitelli, giunto a Firenze, vi trovò Corrado Tarla-

tini, il quale aveva confermato ai Dieci che il re di Francia
LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 151

« era del tutto deliberato di seguire la impresa d'Italia a
ogni modo, et che infallanter la Sua Maestà a tempo nuovo
passerebbe in persona et con grande e potente esercito »;
ed aggiungeva che intanto Carlo VIII aveva inviato ai fio-
rentinij per alcune richieste da parte sua, Monsignor di
Gemel, che doveva da un giorno all'altro arrivare, perché
era « partito di Provenza » già da un mese, « in sulla nave
Maria et in conserva della nave Gabriella », la quale era
già da varii giorni giunta a Livorno (V. Doc. 301). Visto
peró che Monsignor di Gemel tardava ad arrivare, Corrado
Tarlatini, « in nome di Sua Maestà Cristianissima et sotto
sue lettere di credenza », fece intendere ai Dieci, avere egli
lettere del Re Carlo VIII a Gemel, insieme al quale doveva,
per ordine di Sua Maestà, eseguire certa commissione; ma
non essendo ancora detto Gemel comparso e sapendo che
« nella commissione », che aveva Monsignor Gemel per i
fiorentini, « inter cetera », eravi di richiedere ad essi « du-
cati 150 mila per pagare Vitelli et Orsini ete. », richiese
che, se i fiorentini, non avessero potuto « suplire all' entera

somma », «che, almeno », concorressero « a ducati 100 mila,
per intractenere decti Vitelli et Orsini et altri soldati del
Re in Italia ». A queste richieste i Dieci risposero essere
dolentissimi di trovarsi « in termine da non potere satisfare
alla domanda » del re di Francia; ma che se il Re, come
affermava, fosse passato in Italia « in persona», e con « po-
tente exercito », in modo che i fiorentini vi avessero potuto
conoscere « qualche sicurtà dello stato » loro, avrebbero
fatto il possibile per contentarlo: « peró, non havendo fino ad
hora havuto » dalla Francia « altro che parole, et perso,
socto una gran speranza, buona parte dello stato » loro, e
irovandosi « in pericolo del resto », non era possibile per
allora, « stancte li detti termini, potere rispondere altro »
(V. Doc. 304).

Tuttavia i Dieci, preoccupati dei continui armamenti dei
veneziani in difesa di Pisa, sapendo che i Vitelli — la cui
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158 G. NICASI

condotta si approssimava alla scadenza — erano « con
istantia ricerchi dai veneziani per condurli ai soldi loro con
la loro compagnia et con grande partito », credettero oppor-
tuno fare in modo che le genti vitellesche non passassero al
nemico, tanto più che ben conoscevano avere i Vitelli « la
più bella compagnia di gente d'arme et meglio ad ordine
che » si trovasse allora « in Italia ». Stabilirono quindi, i
Dieci, di concludere finalmente la condotta con Paolo e Vi-
tellozzo Vitelli, « a comune con il re di Francia », e « con
200 homini d'arme all'uso italiano, et 40 mila ducati al-
l’anno ». E perché Paolo Vitelli, per non avere ancora po-
tuto riscuotere il soldo della sua condotta dalla Francia,
temeva di essere, anche in avvenire, mal pagato dai francesi,
fu posto per condizione che i fiorentini fossero responsabili
« del pagamento di tutta la somma dei ducati 40 mila »
(V. Doc. 307). Fissati i patti della condotta, e steso il rela-
tivo contratto, vollero i Dieci che la validità del medesimo
sì ritenesse sospesa fino alla fine del prossimo mese di
marzo, per aver tempo di poterlo notificare al re di Francia
ed ottenerne da esso la ratificazione: e così si restò d'ac-
cordo. Paolo Vitelli subito partecipò al fratello le condizioni
della nuova condotta, e Vitellozzo rispose, il 5 febbraio 1498,
approvando quanto Paolo aveva fatto; ma avvertendolo di
stare in guardia acciochè, « sotto quel voler tempo di avi-
sare il Re », non rimanessero poi « in aria » (V. Doc. 305).

I Dieci di Balia fiorentini scrissero, il 14 febbraio, a
Giovacchino Guasconi, loro ambasciatore alla corte di Fran-
cia, che, « essendo stati richiesti dal re di Francia, per
mezzo di Corrado Tarlatini, di ducati 100 mila, per sotisfare
ai Vitelli ed altri soldati di Sua Maestà », non potendo sod-
disfare a quella richiesta, per le tristi condizioni finanziarie
nelle quali versava la Repubblica, avevano: voluto concor-
rere « a qualche parte della richiesta » medesima, con il
condurre i Vitelli a metà con il re di Francia. Per ciò lo
incaricavano di darne subito « notizia alla Cristianissima

ri
LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 159

Maestà », accioché, come essi malgrado le gravi spese si
erano sobbarcati, per il comune interesse, a pagare la metà
di quella condotta, ossia ducati 20 mila, cosi, all'altra metà,
dovesse provvedere il re Carlo VIII. E aggiungevano che i Vi-
telli — « conosciute le difficoltà di non potere essere pagati »
dalla Francia « del loro servito » insino al presente — inten-
devano di essere pagati dai fiorentini di tutta la somma dei
40 mila ducati; e per ciò era necessario che Sua Maestà,
« contentandosi di tal condotta », facesse dare « buono et
vivo assegnamento » al loro ambasciatore, per i 20 mila
ducati di sua parte, per tutto il tempo che i Vitelli doves-
sero prestare il loro servizio (V. Doc. 307). Inoltre, il 18 di
febbraio, gli stessi Dieci avvertivano per lettera il medesimo
Guasconi, che i Vitelli, « non volendo stare troppo tempo
sospesi », avrebbero aspettato, solamente « per tutto il mese
proximo de Marzo la ratificazione » della loro condotta, e
che, per ciò, era necessario « che, infra dicto tempo, la Sua
Maestà ratificassi a tale condotta, et provvedessi al paga-
mento » (V. Doc. 308). Il 9 di marzo 1498, avendo i Dieci
saputo che Monsignor di San Malo, d' ordine del re di Francia,
aveva risposto alle insistenze del Guasconi che la condotta
dei Vitelli « si determinerebbe venuti che fussino li perso-
naggi » che il Re avrebbe mandati a Firenze a trattare
anche altre cose, relative alla futura spedizione, scrissero di
nuovo al medesimo Guasconi di essere restati « poco sati-
sfatti » della risposta del San Malò, perché da quella si ve-
deva che il Re teneva poco conto dei « pericoli » nei quali,
per causa sua, si trovavano i fiorentini e gli altri amici suoi
d'Italia; e per ciò ripetevano allo stesso ambasciatore 1’ or-
dine di volere « a ogni modo, per tutte le vie et mezi pos-
sibili, operare si facci tale ratificazione (della condotta), et
con quelle conditioni », che gli erano state comunicate
(V. Doc. 311). Il 18 marzo i Dieci insistevano ancora presso
il Guasconi che, se la condotta dei Vitelli non fosse ratificata
dentro il mese di marzo, « sarebbe uno manifesto argumento
160 G. NICASI

et segno che Sua Maestà non pensa più alle cose d’Italia »
(V. Doc. 315). Altre raccomandazioni fecero il 22 marzo, ed
il 13 aprile (V. Doc. 316 e 322). Ma il 14 aprile giunse a
Firenze la lettera, con la quale il Guasconi notificava ai
Dieci « lo inopinato et admirabile caso dell'accidente sopra-
venuto, a di VII, al Cristianissimo re et di poi, la notte se-
quente, la sua morte » (V. Doc. 323). E quindi tutto restò,
per allora, sospeso.

Perduravano intanto le ristrettezze finanziarie della re-
pubbliea fiorentina, e troppo spesso si faceva mancare il pa-
gamento del soldo ai Vitelli, i quali, « fra i magli paga-
menti » che avevano « hauti dal re Cristianissimo, et li scarsi
pagamenti » che ricevevano dai fiorentini, si trovavano in
tali tristi condizioni economiche, da essere costretti « a votare
le borse a quanti amici » avevano. Per ciò non ristavano dal
tempestare di messi e lettere le autorità fiorentine perché
facessero il proprio dovere. (V. Doc. 309, 312, 313).

La Signoria di Firenze, per dare un sollievo all'esauste
finanze della Repubblica, aveva chiesto al Pontefice il per-
messo di potere applicare la decima anche sui beni eccle-
siastici, ed il Pontefice, non solo si era mostrato disposto a
dare la richiesta autorizzazione, ma prometteva di adope-
rarsi per fare restituire Pisa ai fiorentini, purché peró questi
consegnassero nelle di lui mani fra Girolamo Savonarola,
che, resistendo alle scomuniche lanciategli dal Papa, predi-
cava pubblicamente in Firenze contro le inaudite turpitudini
di papa Alessandro VI, ed invocava la riunione di un con-
cilio, unico mezzo, secondo lui, atto a salvare la Chiesa dalla
ruina. La Signoria, quantunque in maggioranza fosse avversa
al Savonarola, non poteva aderire apertamente alle richieste
del Pontefice, per non urtare la massa del popolo fiorentino,
ancora entusiasta, in gran maggioranza, del frate ribelle. Però
la base della potenza del Savonarola si andava sgretolando;
la lotta col papa gli suscitava sempre nuovi nemici, fra i
quali primeggiavano i Compagnacci, forte nucleo di giovani
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. LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 161

dediti a quei piaceri mondani, cui il Savonarola faceva nelle
sue prediche aspra guerra (1).

Paolo Vitelli certo non amava il Savonarola, che egli
chiamava semplicemente « il frate »; ma, legato da viva ami-
cizia e da riconoscenza al Valori, capo dei Piagnoni, si te-
neva in disparte dalle competizioni cittadine; ne seguiva
però le fasi con interesse, per aver modo di bene governarsi
tra quelle e procurarsene vantaggio. Il 17 marzo 1498, Paolo
Vitelli scriveva a Cerbone: « Harò caro me advertiate, dì
per di, de quello intendete costi (in Firenze) si dica, si
pensi, o stimi del frate, et che fondamento hanno tali cose,
et quello che altri et voi ne iudicate » (V. Doc. 313). Il 21
dello stesso mese replicava: « vorria intendere chi sono
questi della setta, che sono a l'opposito di frate Girollimo, et
quali sono li principali, et quali sono li sequaci; et di tutto
mi darete adviso » (V. Doc. 314). Il 28 insisteva: « avisate -
come stanno le cose in Firenze, et quale sia il iudicio vostro »
(V. Doc. 311). Allorchè poi, il 7 aprile, Paolo Vitelli seppe
da Cerbone l'assalto al convento di San Marco, la carcera-
zione del Savonarola e l'uccisione del Valori — ritenendo che

la propria amicizia verso l’ ucciso potesse essere ritenuta
dalla Signoria come giusto motivo di diffidare di lui — sceri-
veva: « Cerbone, restamo, per le vostre de 9, avisati de la
innovatione successa a Firenze, la quale ad noi non po’ se
non dispiacere et essere molesta, omni volta che la sia mo-
lesta et dispiaccia a cotesta excelsa Signoria. Quando la sia
a niuno suo proposito, o comodo, reputiamo che la sia anche
a nostro. Li farete intendere che, bisognando per interesse
dello stato loro, noi siamo in ordine et parati non solamente
con la compagnia, ma etiam cum li amici, a fare il debito
et l’offitio, et come soldati et come servitori » (V. Doc. 318).

Durante questi avvenimenti, i Conti — una delle prin-
cipali famiglie romane di parte orsina — avevano ripreso

(1) VILLARI, Savonarola ecc., l. c.

14
162 G. NICASI

ai Colonna la fortezza di Torre Mattia, che era stata già

2a posseduta da Iacopo Conti, cui fu tolta dal re di Francia e

donata ai Colonna. La perdita di quella fortezza suscitò le
ire dei Colonna, i quali, per vendicarsi, si unirono ai Sa-
velli, loro partigiani, ed assaltarono le terre dei Conti, alla
cui difesa accorsero gli Orsini e Bartolomeo d’Alviano. Cosi
si riaccese, più fiera che mai, la guerra tra i Colonna e gli
Orsini: il re Federico di Napoli aiutava apertamente i Co-
lonna, suoi soldati; ed il Pontefice — lieto di vedere le due
potenti famiglie, sue rivali, indebolirsi a vicenda — coadiu-
vava sottomano i Colonna e fomentava con grande arte la
discordia.

Altra grave contesa era sorta tra Guidubaldo, duca di

Urbino, e la Comunità di Perugia, per avere i Baglioni oc-

cupata la Torre di Bigazzino (V. Doc. 310), la quale — situata
sul confine dei due territori, perugino e urbinate, e ugual-
mente appetita dai due confinanti (1) — era stata recente-
mente ceduta dal suo. proprietario al duca di Urbino, con
evidente offesa ai diritti su quella accampati dai perugini.
Guidubaldo protestò vivamente contro quella occupazione e,
riuscite inutili le proteste, si apparecchiava alle armi, soste-
nuto dal cognato Giovanni Della Rovere, e coadiuvato dagli
Oddi e da tutti gli altri esuli perugini. ;

Paolo Vitelli vedeva di malocchio tutte queste discordie,
che potevano dar modo al Pontefice di tradurre in atto i
suoi malcelati propositi contro i baroni dello stato ecclesia-

stico; ma la contesa tra i Baglioni ed il duca di Urbino gli

era anche più molesta, perchè egli sapeva di essere, per
virtù di trattati, obbligato a soccorrere in caso di guerra il
duca di Urbino (V. Doc. 327), e perchè, legato da parentela,
interessi e comunanza di propositi a Casa Baglioni, vedeva
con dolore essere la potenza di quella non abbastanza radi-

(1) Vedi in proposito « La pace del 6 luglio 1498 fra Guidobaldo I, duca di Ur-
bino ed il Comune di Perugia » dup da V. ANSIDEI in questo Bollettino,
anno V, fasc. III, pag. 741.
VUL
E:

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. i 163

cata .in Perugia, da potere impunemente resistere alle con-
trarie influenze ed all'armi di tanti nemici (V. Doc. 320):
per ciò Paolo Vitelli, fino dal primo accentuarsi della con-
tesa, si era intromesso come conciliatore tra i due conten-
denti.

Anche i fiorentini — che erano alleati di Perugia ed ave-
vano al proprio soldo i Baglioni — si preoccupavano di questo
stato di cose, perchè, vedendosi oramai ineluttabilmente im-
pegnati in una guerra con Venezia per causa di Pisa, teme-
vano qualunque agitazione che potesse, presso i confini dello
stato di Firenze, suscitare « materia di nuovi scandali ».
Scrissero, quindi, il 6 marzo 1498, a Tommaso Tosinghi, com-
missario fiorentino a Valiana, che cercasse persuadere Astorre
Baglioni ad adoperarsi presso « li magnifici padre e zio »,
acciocché la torre di Bigazzino fosse restituita al duca Gui-
dubaldo, « con qualche condizionato modo, nel quale consista
la dignità, satisfatione et sicurtà dello stato perugino 33240;
se i Baglioni avessero dimostrato buona dispositione « ad
acquiescere a questo consiglio », dovesse, esso Tosinghi, di-
chiarare che i fiorentini erano pronti ad intromettersi come
paceri tra le due parti contendenti, ed a mandare un pro-
prio rappresentato « a tractare lo assecto et la composi-
tione » (V. Doc. 310). Inoltre i Dieci di Firenze, correndo
voce che gli esuli perugini raecoglievano gente contro i Ba-
glioni verso Castello della Pieve, scrissero, il 12 aprile, a
Paolo Vitelli che voltasse le genti sue a favore di Perugia
e dei Baglioni, con i quali Firenze voleva avere « ogni for-
tuna comune » (V. Doc. 320).

In quel medesimo giorno i Colonnesi erano venuti a
battaglia con gli Orsini, « a pié di Monticelli, nel territorio
di Tivoli » e, dopo un combattimento di quattro ore, gli Or-
sini erano stati « ropti et fracassati in tutto » (V. Doc. 321),
e Carlo Orsini era restato prigioniero in mano dei nemici.
Tale sconfitta però non abbattè gli Orsini, i quali, decisi a
fronteggiare con ogni lor possa l'avversa fortuna — mentre
ol. à a 1 eJ n » ON ud FSE TOU3T 2

164 ì G. NICASI

febbrilmente cercavano di raccozzare e riordinare le proprie
genti, e di asserragliarsi nelle più forti posizioni del loro
stato — assillavano, notte e giorno, con lettere e messi, gli
amici, i parenti e quanti aveano seguito la parte francese
in Italia, acciocchè accorressero per la comune salvezza in
loro aiuto.

I Vitelli ed i Baglioni (1), conoscendo chiaramente che,
« disfacti gli Orsini, subsequenter ne consequirebbe la ruina
loro », stabilirono di soccorrerli « con tucta la gente d'arme
et con ogni loro sforzo »: e per ciò, trovandosi, tanto i Vi-
telli quanto i Baglioni, al soldo dei fiorentini, spedirono i
propri rappresentanti a Firenze per chiedere licenza a quella
Signoria di potere tradurre in atto il loro proposito; « su-
biungendo pure ancora con parole modeste », che, se detta
licenza non venisse loro data, se la sarebbero presa ad ogni
modo (V. Doc. 324).

Se gli Orsini studiavano di procurarsi aiuto da ogni
parte, non meno attivi erano i Colonna per impedire che
detti aiuti venissero: non appena infatti appresero i propo-
siti dei Baglioni e dei Vitelli contro di essi, pregarono le
autorità fiorentine a volere negare a quelli la richiesta li-

(1 I Baglioni che, come abbiamo visto, si erano staccati dagli Orsini, durante
la guerra che questi ebbero con il Pontefice nel 1487, erano poi tornati nella loro
amicizia, dopo che Bartolomeo d'Alviano, cui era morta la prima moglie Bartolo-
mea Orsini, avea sposato in seconde nozze Pantasilea, figlia di Rodolfo Baglioni.
Questo matrimonio avvenne ai primi dell'anno 1498, come risulta dalla seguente let-
tera scritta in Perugia da Giovampaolo Baglioni ai Dieci di Firenze il 20 gennaio
1498: « ... Ulterius mandandose mia sorella, donna del Signor Bartolomeo d'Alviano,
a celebrare le nutie el primo giorno del proximo, et non essendo qua altro che io
expedito a cavalcare per tenerli compagnia, essendo Simonetto mio fratello andato
in Milano a visitare la sua sposa, non prehenderia audacia farli compagnia senza
bona licentia et gratia de V. Ex.se Signorie, quali prego et suppiico sieno contente
permettere, in questo caso, possa, cum voluntà de quelle, accompagnare mia so-
rella ... ». (Vedi nell'Arch. di Stato fioren., SIGNORI, Responsive, vol. 10, pag. 12).
Anche i Conti — causa della guerra tra gli Orsini ed i Colonna — erano parenti dei
Baglioni, perché Giovampaolo Baglioni aveva in moglie Ippolita Conti. (Vedi FAB-
BRETTI, Capitani di ventura dell’ Umbria).

_———_—————mT—@mm@__m__@@———cooeo@oaegRaue"r” @rrgggggGgugrrg8tgtguG LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 165 -

cenza, (1) e contemporaneamente eccitavano il Duca di Ur-
bino a non aecordarsi con i Baglioni, acciocché questi, mi-
nacciati nel proprio stato, non potessero accorrere in aiuto
degli altri. Angiolo Leonini da Tivoli, uomo di fiducia degli
Orsini, scriveva, in data 25 aprile 1498, a Paolo Vitelli che
i Colonna avevano offerto al Duca di Urbino — purchè non
si accordasse con i Baglioni — di consegnare nelle sue mani
il prigioniero Carlo Orsini, per la liberazione del quale lo
stesso duca avrebbe potuto riavere dagli Orsini i 40 mila
ducati, che aveva egli dovuto pagare ad essi per il proprio
riscatto dopo la battaglia di Soriano. Inoltre lo stesso An-
giolo da Tivoli notificava al Vitelli, che i Colonna avreb-
bero mandato Antonello Savello con 40 homini d’arme e
100 cavalli leggeri in Foligno, per metterli a disposizione

del duca di Urbino, qualora avesse voluto muovere guerra:

ai Baglioni, promettendo anche, allo stesso duca, di farlo

prendere in condotta dal re Federigo di Napoli, presso il.

quale « speravano farli havere bonissima conditione ». E
— perché i Colonna temevano che Giovanni della Rovere,
Prefetto di Roma e cognato del Duca, volesse, come antico
partigiano dei francesi, aiutare gli Orsini e, quindi, potesse
istigare il cognato ad accordarsi con i Baglioni — racco-
mandavano al duca suddetto di non lasciarsi « governare

né dal Prefetto » né dai Vitelli, « la intelligentia delli

quali » affermavano « essere dispiaciuta a sua maestà » il
re Federigo di Napoli (V. Doc. 325).

Paolo Vitelli era riuscito a persuadere i Baglioni a fare
qualche concessione al duca di Urbino; però Guidubaldo,
imbaldanzito dalle offerte dei Colonna, non solo rifiutò le
concessioni, ma provvide armi, denari, soldati agli esuli pe-
rugini e a quanti erano in fama di essere nemici dei Ba-
glioni, eccitandoli a rompere contro. Perugia (V. Doc. 326).

D

(1) Arch. di Stato flor.: X di Bala — Legazioni e Commissarie. Responsive,
vol. 26, pag. 53. Lettera di Domenico Bonsi da Roma ai Dieci in data 20 aprile 1498*
166 G. NICASI

I Baglioni tuttavia non si perdevano d'animo e si apparec-
chiavano ad ogni evenienza, non rinunziando per questo al
proposito di soccorrere gli Orsini: anzi messer Astorre fa-
ceva sapere, a nome di tutti, a Paolo Vitelli, che essi, o
con, o senza licenza dei fiorentini, si sarebbero uniti a lui
per aiutare gli Orsini, con tutte le proprie forze, se si fosse
potuto fare l’accordo con il duca, e con una parte solamente,
se il detto accordo non fosse avvenuto: per ciò pregava il
detto Vitelli a volere operare che « questa cosa se com-
pona » nel modo che egli avrebbe giudicato più conve-
niente (V. Doc. 327).

Perciò il Vitelli eccitò i fiorentini ad intervenire diret-
tamente come pacieri tra il duca di Urbino ed i Baglioni e
fece il possibile per persuadere i Dieci ad accordare la ri-
chiesta licenza ‘per soccorrere gli Orsini, mandando a tale
uopo agli stessi Dieci le lettere che aveva ricevute da An-

giolo da Tivoli e dai Baglioni, per dimostrare che dai Co-

lonna, dal Pontefice e dal re Federigo si tendeva, « non solo
a la ruina de casa Ursina », ma anche a quella dei Baglioni,
dei Vitelli e di tutti gli altri fautori dei francesi, non esclusi
gli stessi fiorentini (V. Doc. 328).

I Dieci di Firenze erano favorevolissimi a tentare un
accordo tra il Duca Guidubaldo edi Baglioni; erano invece
contrarissimi ad accordare la richiesta licenza a questi ed
ai Vitelli, per non provocare i Colonna ed i loro alleati, e
per impedire che le genti vitellesche e baglionesche — sulle
quali sole potevano al presente fare assegnamento, in caso

di bisogno, contro i veneziani — si allontanassero dalla To-
scana e s'impegnassero in una guerra a favore di quegli
Orsini, che pure recentemente avevano tentato di rimettere
in Firenze Piero dei Medici. Anzi le autorità fiorentine non
videro nella richiesta dei Vitelli e dei Baglioni che un ten-
tativo dei veneziani per togliere a Firenze i suoi alleati: e
per ciò subito notificarono a. Lodovico Sforza, duca di Mi-
lano — le cui intenzioni ostili ai veneziani erano oramai —_————T—————T—rrrrr=="=="="="<=" "=" s“s&===E.FGE=5&5

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LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 161,

manifeste — la richiesta fatta dai Vitelli e dai Baglioni per
andare in soccorso degli Orsini; ed asserendo che tale ri-
chiesta non poteva essere fatta che « ad istantia de’ Vini-
tiani », lo accertavano che, quando questo soccorso. « se-
quissi, manifestamente si tirerebbe drieto la ruina di Italia,
et per consequens lo augumento et grandezza dei vinitiani ».
Ad ovviare « a questo inconveniente » non vedevano i fio-
rentini altro mezzo che la sospensione delle ostilità tra gli
Orsini ed i Colonna; e per ciò pregavano il Duca a volere
adoperare la sua autorità, perchè questo avvenisse (V. Do-
cumento 324). Aderi il Duca.a questo loro desiderio, e per
mezzo di suo fratello Ascanio, cardinale, appoggiò presso il
Papa (V. Doc. 329) Domenico Bonsi, ambasciatore fiorentino,
che, per incarico dei Dieci, chiedeva ad Alessandro VI di
fare cessare la guerra tra i Colonna e gli Orsini. Il Papa
sì mostrò disposto a contentare i fiorentini (V. Doc. 331), e,
non solo promise di fare in modo che tra le due parti bel-
ligeranti si venisse ad un accordo, ma fece sperare che si
sarebbe adoperato a far restituire Pisa a Firenze; il tutto
però con la solita condizione che gli fosse mandato a Roma
il Savonarola, e gli fosse consegnato nelle mani. Dopo varie
trattative, finalmente i Dieci — consigliati dal Bonsi — ac-
consentirono di scrivere una lettera al Papa, nella quale,
premesso che, « sebbene desiderassero in ogni cosa compia-
cere sua Santità », pure, per le ragioni altre volte da essi
espresse, non potevano consegnare il Savonarola al Pontefice, e
dichiaravano che, se sua Santità avesse mandato un suo com-
missario a Firenze ad esaminare fra Girolamo, « essi ne
sarebbero contentissimi; et così poi se ne potrebbe pigliare
ogni deliberazione che fusse iudicata conveniente » (1).
Appena il Papa ricevette, il 7 maggio, questa lettera,
subito comunicò all’ambasciatore fiorentino di avere avuto
(1) La lettera proposta dal Bonsi, d'intesa di Alessandro VI, vedesi nell'Arch.

di Stato flor.: X di Balìa, Legazioni e Commissarie. Missive e Responsive, vol. XXVI,
pag. 49, in data 4 maggio.
Ta lud "YU VOTA «
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168 : G. NICASI

dai Colonna « pieno mandato di poter comporre fra loro et
li Orsini », e che, il giorno seguente, aspettava anche dagli
Orsini ugual mandato; dimodoché sperava « lo accordo se-
guisse » tra pochi giorni. Inoltre ricordò allo stesso amba-
sciatore che raccomandasse ai Dieci di fare al presente
« ogni sforzo contro Pisa, dando per tutto il guasto »; si
mostró dispiacente di avere saputo che i Veneziani avevano
mandato altri 300 cavalli a Pisa, facendoli passare per il
ferrarese; e fece comprendere di essersi risoluto a volere
con le proprie navi impedire ai veneziani di mandare vet-
tovaglie in Pisa (V. Doc. 338). Ma questi suoi entusiasmi per
i fiorentini e.tutte queste promesse non furono che parole.

Contemporaneamente a queste trattative, i fiorentini ave-
vano mandato a Città di Castello per loro commissario Pietro
Corsini, perchè, unitamente ai Vitelli, si recasse dal Duca di
Urbino e dai Baglioni per persuaderli a venire ad un ac-
cordo (V. Doc. 330). Però, dopo varie trattative, l'accordo,
malgrado la buona volontà degli intermediarii, non ebbe
luogo, perchè i Baglioni ritennero troppo per essi onerose
le condizioni proposte (V. Doc. 335).

Non cessava intanto il Vitellî di sollecitare presso i
Dieci il promesso accordo tra i Colonna e gli Orsini (V.
Doc. 333), e, in caso che questo non potesse avere effetto,
insisteva per avere al più presto la licenza di poter partire
al soccorso di casa Orsina. Inoltre, dubitando che i Dieci
fossero riluttanti ad accordare la richiesta licenza per ti-
more che gli Orsini potessero in avvenire, ancora una volta,
aiutare Piero dei Medici nei suoi tentativi di rientrare in
Firenze, Paolo Vitelli assicurava le autorità fiorentine che,
prima di mettere « il piè in staffa », avrebbe fatto in modo
di togliere loro qualunque dubbio in proposito (V. Doc. 334).
i Siccome però nè l’accordo si faceva, nè la licenza ve-
niva, nè i denari del suo servizio gli erano sborsati, Paolo,
anche a nome del fratello Vitellozzo, scriveva, il 6 maggio
1498, a Cerbone: « Bisogna che voi chiarite una volta co-

_—_—______——_T—_—_——T_T—_—_—_—T—rrgrg a cg[]]7]7pg LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 165

testi excelsi signori che cosi non possiamo stare, et che li
pregate che ci diano modo a posser mantener la compagnia,
havendola questa invernata cum tanta spesa nostra substen-
tata. La licentia si dà in più modi: quando il nostro servire
non fosse accepto, meglio sirìia de chiarirci, che lassare con-
sumare et ruinare et noi et la compagnia. Noi siamo al
tempo de l'imprestanza, et anche non havemo li serviti; et
havemo debito la vita, et non sapemo horamai dove ce vol-
tare per havere uno soldo. Pregateli, per dio, che non ci
voglino mancare » (V. Doc. 336).

Il fatto era però che i Dieci, per le gravi strettezze
economiche in cui versava la Repubblica, non solo non pa-
gavano i Vitelli, ma erano costretti a lasciare, spesso, privi
di denari anche gli altri soldati che avevano contro Pisa (1).
Inoltre le autorità fiorentine non erano completamente tran-
quille sulla fedeltà dei Vitelli, perchè questi si erano recen-
temente rifiutati di mandare a Valiano, contro i senesi, al-
cuni loro cavalli che erano stati richiesti da quel Commis-
sario, e anche perchè Pietro Fagioli, capitano fiorentino al
Borgo Sansepolcro, aveva in quei giorni accusato i Vitelli
di fomentare ad arte le discordie civili in quella città per
trovare occasione d'impadronirsene a tradimento.

Ecco di che si trattava: Sansepolcro, malgrado che nel
1440 fosse stata ceduta da papa Eugenio a Firenze, era
sempre restata sottoposta alla giurisdizione ecclesiastica del
vescovo di Città di Castello, dalla quale gli Abbati di San
Sepolcro aspiravano ad emanciparsi, sostenuti in ciò, più o
meno apertamente, dall’autorità fiorentine. I nobili del Borgo
parteggiavano per l'Abbate ed avversavano il vescovo tifer-
nate ed i Vitelli, i popolari, invece, per naturale reazione
contro il prepotere dei nobili, osteggiavano l'Abbate, soste-
nevano il Vescovo di Castello, e simpatizzavano per i Vi-

(1) Arch. di Stato fioren.: X di Balìa, Responsive, vol. 57, pag. 119 lettera del
Commissario Guglielmo dei Pozzi ai Dieci in data 8 maggio 1498.
170 G. NICASI

telli. Era. capo della fazione dei nobili messer Ciriaco Pala- -
midesi, noto capitano di ventura di quella città; capeggiava
i popolari messer Cherubino di Benedetto, dottore in legge
ed, egli pure, capitano di ventura. messer Ciriaco era al
soldo dei fiorentini; messer Cherubino militava sotto i Vi-
telli.

Le discordie si erano acuite anche per le interminabili
controversie che aveva suscitate la divisione del patrimonio
dei due fratelli Giovannibattista e Bernardino Giovagnoli, i
quali erano morti, l’uno laseiando un solo figlio, Filippo, che
divenne poi genero di Messer Ciriaco, l’altro una sola figlia,
Agnese, che fu presa in protezione da Messer Cherubino.
Nella lunga sequela’ di sanguinose lotte avvenute tra le due
fazioni, a Messer Cherubino erano stati. uccisi due dei cinque
fratelli che aveva, ed i superstiti aspettavano con ansia l'oc-
casione di vendicarsi. Nei primi dell’aprile del 1498 scoppiò
una sommossa, provocata dai fautori di messer Cherubino,
durante la quale fu ucciso, dai fratelli di questo, il genero
di messer Ciriaco, i cui partigiani dovettero asserragliarsi
nelle proprie case per difendersi dal furore dei nemici.

Il Capitano fiorentino in Sansepolcro, Pietro Fagioli, che
aveva delle preferenze per messer Ciriaco, dopo aver sedato
la rivolta, scrisse ai Dieci di Firenze che Messer Cherubino
ed i suoi si mostravano molto arditi, perchè avevano il
« caldo dei Vitelli »; aggiungendo che « per molti segni
« tristi » dubitava che « i Vitelli non facessero impeto, et
con l’adiuto di questa parte [messer Cherubino e compagni]
non: facciano qualche novità » (1). Nè di ciò contento, allor-
chè, il seguente 2 maggio, mandava all’autorità fiorentine più
precisi ragguagli sui casi successi al Borgo, lo stesso Fagioli
dava per certo che, « all’uccisione del genero di messer Ci-
riaco, intervennero 5 francesi soldati dei Vitelli », e con-

(1) Archiv. di Stato fior. : SIGNORIA, Responsive, vol. 10, pag. 95. Lettera di Pie-
tro Fagioli, in data 11 aprile 1498.

zz LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. : 171

cludeva: « dispiace questa cosa a questo popolo et pare a
ogni uno che costoro.(messer Cherubino e seguaci) habbino
tanto caldo da questi Vitelli, che universalmente si dubita
questa cosa non tiri dietro altra materia » (V. Doc. 332).
Cerbone, avuto sentore di queste accuse, ne avverti il
Vitelli, il quale rispose qualificando il rapporto del Fagioli
come « ciarlamenti borghesi », e dichiarando che nella loro
compagnia i Vitelli non avevano alcun francese, e, « non se
havendo, non sono potuti andare ad favore de messer Che-
rubino et fare tante cose quante allegano ». In quanto poi
al non avere mandato al commissario fiorentino di Valiana
i cavalli richiesti, scrisse averlo fatto perché, nella speranza

di avere da un giorno all'altro la licenza per recarsi con la

compagnia in terra di Roma, in soccorso degli Orsini, non
aveva voluto « dare quella stracca ai cavalli ». Infine con-
chiuse la sua lettera protestando la fedeltà dei Vitelli alla
Repubblica fiorentina, al cui stato essi « erano stati sempre
la siepe », e dichiarando di volere restare sempre, finché gli

durasse la vita, buono e fedele servitore di Firenze (V. Do-

cumento 3931). Queste assicurazioni calmarono i timori dei
Dieci, ma non valsero a dissipare, in Pietro Fagioli l'avver-
sione, ed in messer Ciriaco l'odio verso i Vitelli.
172 G. NICASI

APPENDICE II

281. (D. Imi. LIV. 191). 1497, Nov. 6.
Aloysio Stufe.

4. Habbiamo la tua de’ 5, data a hore VI di nocte, et inteso .il con-
tenuto et la renitentia che fanno li Magnifici Vitelli del mandarci li
cento balestrieri per le cagioni et ragioni che allegono, ci siamo reso-
luti per qualche buono respecto a rispondere et scriverti nel modo
vedrai per la lettera allighata: la quale sarà datata in hieri per mo-
strare più di havere facta quella resolutione prima, che si sia potuto
havere notitia della renitentia loro. Tu adunque farai intendere loro in
quell’ effecto che la lettera suona, ma con più celerità sia possibile,
affine che e’ siano più capaci si possa, che noi ci eravamo volti resolu-
tione per noi medesimi: et parendoti in modo alchuno di fare. loro
tornare agli orecchi che el cavallaro che porta questa lettera parti hieri
con quella, et ha messo più tempo non doveva nel camino per qualche
impedimento havuto per la via, come con epso cavallaro ti potrai in-
tendere. Tu se’ prudente et però userai in questa cosa tal destreza, che
la vadia necta: perchè a certi propositi è molto necessario il fare così.
Se e’ Vitelli havessero pure mutato pensiero o havessero mossi e’ cavalli
per mandarli, non adoprerai la lettera, alligata ma lasciali venire
avanti, non ostante che in epsa si dica che e’ si faecino revocare, perchè
quello è fatto a cautela, come puoi intendere.

Tenor licterae ad prefatum Aloysium sub data dicta.

Noi ti scrivemmo questa mattina quanto ci occorreva circa le ac-
tioni da coteste bande : et ti recordammo inter cetera il sollicitare li
Mag.ci Vitelli a mandarne con presteza li Cento Cavalli leggeri. Di
poi per qualche buono accidente hebbiamo pensato di mutare sententia
et servircene di costà, havendo maxime havuto Messer Achille Tiberti,
poi che ti serivemmo, con LX balestrieri, et Bandino prima era venuto
LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 113
con 50, et aspectandone da Bologna per ordine di Messer Alexan-
dro XXV. Et cosi alchun altro spicciolato, il quale numero ci pare assai
sufficiente per le cose di socto. Et per tanto, quando li cavalli predecti
de Mag.ci Vitelli non siano ancora partiti, vogliamo,che faccia inten-
dere a loro Magni.tie, che non é necessario per hora li mandino, né
che piglino tal sinistro ; et quando pure li havessi facti muovere, si
vuole in ogni modo ringratiare le Magnificentie loro, et ordinare che
quelli li revochino adrieto. Se pure achaderà haverne bisogno, al tempo,
si farà loro intendere con la solita confidentia...

282. (Ep. I. 43). Castiglione Aretino, 1497, Nov. 10.

Paolo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone, noi eredemo che a questa hora li Signori X e voi per
aventura haviate inteso la correria facta in quello. di Torrita per li

nostri, insieme al Conte Giovanni di Carpegna, per ordine del Commis-
sario di Valiano: hano predati circa 70 bestie grosse, forse altretanti
porei et certi pregioni. Noi stiamo ambigui dell' animo delli Signori X
in questo caso: et non sapemo se questo é facto solo per fare resentire
li Senesi senza andare piü oltre, forse per qualche proposito de' loro
Signori, o veramente pervenire totalmente alla guerra con essi. Et
quando questo fusse ci siria caro intenderlo, per fare di quelle provi-
gioni che sirieno expedienti alla impresa, et dolei che al Monte Sansa-
vino é la parte per la quale non ce se po' mandare genti d'armi: et
anche, gli omini di Foiano sono di tale natura che non ci ponno stare
soldati: perche, havendo a venire a roctura, giudicaremmo a proposito che
una delle persone nostre stasse in uno di quelli, essendo luoghi grossi
e capaci di gente e alli confini. Et sirla a proposito, non solo per di- n
fesa delle cose nostre ma etiam per offendere li inimici. Pure in ogni
modo sirà expediente finire bene quelli luoghi che sono piu a li confini
et non guardare alla rata che gli toccasse per l’ordinario delle genti
che se aloggiano, perchè a tempi della guerra bisogna che le genti siano
in quelli luoghi dove più fanno a proposito : et però tanto de fanti quanto
de cavagli, dove bisognasse, giudicaremmo a proposito finirli bene. Voi
intendarete dalli Signori X qual sia el disegno delle loro Signorie in
questo caso e avisaretici quanto più presto si pò, a cio non stiamo so-
spesi con l'animo in questo caso. Se i luoghi dei confini se sopracar-
casseno de gente, se potaria ordinare che i luoghi circumstanti non
concorressero a le spese per rata...
174 G. NICASI
283. (Ep..I. 47). Castiglione Aretino, 1497, Novembre 10.
Vitellozzo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone, voi sapete quanto caldamente ve ne parlai a Montemi-
giano del caso di Santorio : hora, essendo sostenuto (per quanto intendo
dal figliolo, cioè Billo, che sirà aportatore de questa) perchè vogliono gli
Otto che si faccia uno certo compromesso fra noi e Bernardo, vorria
che voi operaste ogni via e diligentia possibile per la sua liberatione.
Et fino da hora noi siamo contenti che el compromesso se facci e voi
costituite li uno procuratore che sia homo da bene, a ciò che li facti
nostri siano nostri et administrati per homini intelligenti, et liberisi
Santorio: et quando pure lo volessino retenire oltre el giusto, accorrite
bisognando ad la Signoria, dove anche ogni homo acorre, et maxima-
mente essendovi Paolo Antonio Confalonieri. Stimo non vi lassate fare
torto. Et insomma in questo caso usate ogni remedio opportuno.

284. (Ep. I. 60). Castiglione Aretino, 1497, Nov. 14.
Paolo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone, el caso de Faeta ci pista [?] grandemente per l’ honore, chè
noi non possiamo in s' piccole conditioni de non aiutare le cose nostre,
et difendere li nostri lavoratori che, contra omni honestà, siano omni di
stratiati per le prigione. Et quello stimavamo se facesse a quelli che
hanno narato, se fa alli nostri lavoratori per essere stati obedienti ali
comandamenti de li Superiori, che da noi fuero confortati da quelli non
deviare; feciaro la tregua per doi anni d'ordine de l'ofitio digli Otto : da
darsi malivatori per una parte e l’altra ; per la parte adversa è stata
rotta secondo la forma del contratto, et abruciati nostri.grani et fieni
‘et orzi che sono stati circa stara 140 intra grano et orzo et non jic-
cola quantità di fieno. La dimostrazione che ci è fatto intendere dali
nostri lavoratori è stata fatta: sia che essi nostri lavoratori sono stati
messi in pregione in Anghiari, et stati quindici di per commissione
dicono di le lettere digli Otto, et per exire de li è bisognato se diino
per mille ducati d'essere dinanzi alle loro Signorie per tutto di 11 del
presente mese: per li quali cose non possemo se non grandemente ma.
ravigliare, et dolire de simile ingiustitia: ma credemo tale volta sia per
Sinistra informatione et disfavore dato a nostri lavoratori : delche nostra
intentione si: ó che siate ad l'offitio de gl'otto: et ad li altri amici nostri :
et in tutti quelli luoghi che vi saranno necessarii et oportuni che ad
noi et a nostri lavoratori non ci sia fatto torto: et si nun fusse per
riguardo et honore che portamo a l'ofitio de li Signori Octo, l'altra parte
non si potaria vantare di averce tolto el nostro, et fare stare li nostri LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 175

lavoratori in prigione, che ci havarimmo proveduto de natura havaria
ricevuto el doppio de quello ci ha fatto a noi: ma, prima che intendemo
a questo adivenire, sarete per parte nostra a li Signori Otto et dove ne
parrà expediente che se habbia a provedere che et ad noi et a nostri
lavoratori non si habbia a comportare simili modi et ingiustitie, comme
sino in hora: et havarimmo da possere dolere grandemente che la fede
nostra et la nostra intentione verso de loro Signorie et verso de tésta
excelsa Repubblica non merita questo: bene che stimamo quando voi
havarete facto bene intendere omni cosa ci habbino a provvedere : et
a le cose nostre, et nostri lavoratori havere li debiti rispecti, che per-
mette la ragione et la giustitia et l'opera nostra verso di loro Signorie,
ale quali de continuo ci ricomanderete. ;

285. (Ep. I. 83). Castiglione Aretino, 1497, Nov. 25.
Paolo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone, io ho una vostra per la quale scrivete l'oratore di Fi-
renze havervi dieto comme ha inteso che noi cercamo partito, comme
hanno cerco degl'altri, et forze preso. Et che così ne aveste qualche
fama lì nella cità: et per questo farete iutendare a chi vi pare la causa
di simili materie, come noi, poichè fermammo con la Xi. M. del re, non
tanto havemo cerco partito con homo del mondo, ma non havemo pen-
sato cercarlo. Non potemo però tenere che non ci capiti a casa homini
che ci proponghino di quelle cose che stimano che siano ad proposito
nostro, ai quali tutti immediate recidiamo ogni ragionamento et pratica.
Et così contiamo di fare per fino che siremo resoluti delle cose nostre
con tésti Signori: faeta la resoluctione con epsi, non resolvendose se-
condo il proposito nostro et le promesse, ci resolvaremo subito col re,
visti anche i termini che usa con noi, et pigliaremo partito secondo giu-
dicaremo che sia a proposito nostro et delle cose nostre: ma prima
a questo tempo non se trovarà mai che cerchiamo nè pensiamo piglare
partito alcuno. Altro non ocorre se non che soleccitate la resolutione
delle cose nostre quanto più se pò, a ciò che sapiamo che sesto havemo
a dare alle cose nostre: et soleccitate li danari della paga di ottobre.
286. (Ep. I. 81). Castiglione Aretino, 1496, Nov. 26.

Paolo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone, io ho le vostre lettere et, alla parte della resolutione vo-
stra, mi piace la diligentia usata per noi et inaxime per mezzo de gl’a-
mici nostri, de intendare l’animo di tèsti Signori, et precipue per Piero
Guicciardini, le parole del quale, benché mostrino bone dispositioni, infe-
riscono tanta larghezza, che a me non piace. Vorria che dextramente,
116 : G. NICASI

non exasperando peró la cosa fora de misura, voi intendessivo, o fa-
ceste diligentia d'intendere, qualche cosa piü dare che dispositione,
perehé io dubbito che qualche volta loro potessono adaptarse cum la
Lega et noi poi potaremmo havere difficultà nelle cose nostre : et però
sirà buono siate con Franc. Valori, et diteli che, quando lo Stato depen-
desse solo da lui, noi staremmo contenti sotto una sua parola, ma essendo
questo stato populare com è, etiam potariali essergli preposto per-
sona della lega che l'aceptarieno et non essendo le cose resolute, se
poteariano havere contrarietà et difficultà. Et per questo non è bene
che ci tenghino sospesi a' questo modo: potariano resolvere darse, et
quando a qualche loro proposito volessoro che stesse secreto dui o tre
mesi, non ne parleremo, pure che sapremo di potere stare con l'animo
queto delle cose nostre. Voi sete infacto et so non mancato nè di pru-
dentia né di fede, governatelo comme vi pare, soleccitando peró piü che
si po la chíarezza. :

Con Messer Guidarello mi pare che doviate parlare spesso et dirli
di quelle cose che non amportano, mostrando conferire con seco, perché
con questo, essendo lui homo che poco tiene et intrinseco del' homo di
Milano, si potarà ritrarre delle cose a proposito.

' Delle cose di Siena intendendo altro ci aviserete.

Cirea el caso de la paga de ottobre, avertite che questi X non vo-
lessono solo fare lo stantiamento et il pagamento se indugiasse a l'altro
officio, che non savariano poi in uno mese fino che gli altri X si fussino
rasectati et però soleccitate che al tempo di questi s'abbia et li stantia-
menti et li danari; che non manchi.

Regratiarete Lorenzo per questa nostra delli 400 ducati prestatici,
dei quali al tempo ne siremo boni renditori. .... :

Pagarete il costo della resa a Gianni, che è la in Firenze, delli 400
ducati delli primi che sanno, et non manchi, secondo l'ordine che haves-
sono contro. ....

287. (Ep. I. 101). Castiglione Aretino, 1497, Dicem. 13.
Paolo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone carissimo. E’ non ce accade per questa ricordarvi cosa
che ce importi più che el retratto de nostri danari. Et però, come quella
cosa che non ce se scorda, la mectaremo in capo, pregandovi veggiate
se l'ingegno vostro fusse apto a fare che noi havessimo argento o oro
da spendere, che per dio non ne possiamo piü etc. Et oltre al starne ad-
mirati, ne habiamo dispiacere et passione grande. LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 171

Cosi etiam vorremo cavasse qualche bona resolutione de casi
nostri, che non habbiamo restare tuctavia in su queste bone opinioni
et speranza ete. ....

288. (Ep. I. 120). Ambois, 1497, Dicem. 23.
Corrado Tarlatini a Cerbone Cerboni.

Cerbone mio, voi vederite per questa inclusa in a che termine se
trovano le cose de qua: expectase cum desiderio la resposta dè Fiorenza
et stasse per alcuni suspeso non pocho per essarse tardata tanto, tuc-
tavia stimano la razone et la sigurezza de le cose loro vogla sia bona
et cusi piacerà a dio che sia.

Se havessaro praticha de asectare le cose loro cum la Lega, ve
piaccia darne qualche lume, a cio de qua possiamo resolvarne a li propo-
siti nostri et cusì ne date aviso se quella Signoria, per la richesta fatta
per questa Maestà, se conduce Signori Vitelli et Ursini; si de li 150
milia scudi in presto hanno voluto intendere da voi vostra intentione
cireha la condutta o pagamenti nostri, et cusì de Ursini; et che men-
tione hanno facta, o che motivi nelle cose nostre se protesta; ché si non
se fa retracto promise, de qua la vigo difficile : piacciave avisare del
tutto.

Apresso a li di passati io scripsi a li patroni nostri de la pretura de
Fiorenza; quando voi habiate comissione da lor Signori de parlare, voi
usarite el solito amore vostro verso a me cum lì amici li et maxime
eum Monsignor Reverendissimo el Vescovo de Volterra, cum lo Magni-
fico Pavoloantonio, et Piero suo fratello, cum Franc. Valori, Piero Guie-
ciardini, et de li altri amici de li patroni nostri: né ancora me extenderó
più oltra, cognoscendo dove site voi, per le cose mie, ve so io proprio.
Ad voi me ricomando.

289. (Ep. I. 105). Castiglione Aretino, 1497, Dicem. 28. VIII.
Paolo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone carissimo. Poi che «eostui viene verso Firenze, non voglio
restare di scrivervi questi versi, per i quali mi occorre dirvi, come in
verità assai mimeraviglia, che essendo passato el p.° 2° et 8° di Pasqua,
non siate adrivato qua, secondo le promesse, nè mandatoce denari, let-
tera, o inbasciata alchuna, et sapete pure che così non possemo più du-
rare per niente. Stimiamo non restiate di sollecitare, et fare ogni possi-

19
178 G. NICASI

bile opera, ma noi vorremo a un tracto non ci mancasse da vivere, che
senza denari non lo possiamo fare. Si che vidite un poco, sapiamo omnino
che pensiri fanno cotesti Signori de fatti nostri, et se ci vogliono mante-
nere effectualmente o non, che invero non è piu possibile reggersi
a parole per niente. Et di cio traete bona conclusione. Racomandateci
a li amici tucti et bene valete.

290. (Ep. II. 19). Castiglione Fiorentino, 1498, Genn. 1. I.
Paolo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone carissimo, hoggi havemo le vostre de heri responsive
alle prime nostre, excepto che non dite niente del panno del S. Bart.
et della berretta franzese et della taliana, nè se mandaste a la Corte
le ultime scerivemo per Bonavia etc. Di che vi preghiamo ce advisiate
‘per il primo et mandiate omnino le cose soprascripte et presto.

Come voi dite si vuole satisfare Giuliano Gondi et il camarlingo
vecchio, di quanto hanno havere et il resto mandate subito et sollici-
tate extremamente el ritratto de’ 4000 ducati della paga passata et,
come ne ritrahete niente, ce li mandate et non vi maravigliate se tanto
ve lo replichiamo che non possemo più indugiare et con tucto sapiamo
non mancate di diligentia, pure vi volemo pregare non restiate puncto
di sollicitare.

Circa i particulari nostri della riferma o condocta, hora che 'l
gonfaloniere é uscito di S.ria, porrete esserli attorno et destramente
sollicitarli et parlarite col Valore et con chi lui vi dicesse parlassi di
questo caso, perchè una volta se ne cavi conclusione et siamo presto
chiari di quello ha ad essere di noi. Et voi non pensate che per hora
vi possiamo removere, che non seria punto secondo el bisogno nostro,
et la stanza non serà lunga, perchè vogliamo vediate cavarne le mani
in xv 0 xx dì senza manco minimo; si chè adaptatevi a sopportare
l’aria questo poco tempo il meglio potete. Et se da noi volete cosa al-
chuna o per: voi, o per la brigata vostra che sta bene, avisatene che
non vi mancheremo di niente etc.

In risposta delle vostre non accade altro che ringraziarvi di tucte
le nuove datene et confortarvi al perseverare come sin qui havete
facto diligentemente et con sollecitudine. Racomando a tucti li amici :
che Christo vi guardi.

291. (Ep. I. 13). Valiana, 1498, Genn. 3.
Bernardo Ridolfi, Commissario, ai Dieci.

.... El Signor Pavolo Vitelli mi ha facto intendere che domactina
gli è necessario conferirsi insino a Castello, per tre o quattro giorni

———MÓ————Ó—M—M— LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 179

al più, per cagione del male francioso che ha Vitellozo suo fratello.
Et in suo piè lascia il Signor Bartolomeo da Ortona, accadendo chosa
alcuna: per adviso. Messer Astorre Baglioni et Giovanpavolo si truo-
vano a Castiglioni del Lago et al Boschetto, et le genti loro in questo
di Cortona, come per altra si dixe ad V.e S.e, et sono per ubidire a
quanto gli sarà ordinato

292. (Ep. I. 33). Valiana, 1498, Genn. 5.
Tommaso Tosinghi, Commissario, ai Dieci.

... Quando io arivai a Castiglione [Aretino], Pavolo Vitelli era
cavaleato a Castello per la malattia di Vitellozo, el quale comprehendo
sia molto agravato del suo male francioso, et fra due dì dovrà essere
di ritorno, et con lui conferirò nella forma rimasi con V.e S.e, et
darò aviso. i

293. (Ep. II. 4). Castiglione Aretino, 1498, Genn. 11. II.
Paolo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone car.mo., risponderemo per questa alla vostra de’ dì vj,
et prima, come semo consueti, vi ricorderemo il mandare danari presta-
mente et non possendo haverli hora et che voi veggiate sieno per tar-
dare ancora qualche dì al darveli, non havendo voi altro modo, togliete
di quelli di messer Antonio Albisini 150 ducati et mandateceli subito
per un fidato battendo, a ciò possiamo vivere, che pure con questi po-
chi ce temporeggeremo almeno 6-0 8 di el meglio potrimo. Et di questo
non manchate per niente, che non seria possibile vivessimo altrimenti,
et a messer Antonio si potranno rimectere come li ritrarrete costì da X.

El ragionamento vostro col Valore et suo con voi è stato buono,
ma e' bisognia un tracto siamo chiari et viviamo resoluti et vogliamo
risolverscene di presente, quia periculum est in mora et non vorremo
andare più in là per niente, che così come a loro S.rie non viene in
taglio et non pare a quelle di risolverci al presente, così ancora non
pare a noi, nè ci viene comodo, a nissun buon proposito, lo stare più
per niente, sì che, se cotesti S.ri sono in proposito di volerci, noi semo
in ferma dispositione di volerli ben servire et fare ciò che per noi si
possa. Ma volemo un tracto vivere chiari et non stare più sospesi etc. ....

Parlate hora voi col Valore, con Paulantonio, Bernardo, Piero et
chi pare ad voi, purchè una volta ne caviate prestissimo bona et certa

E aM UM c E
T ca vr

— eee a
= tua =
180 G. NICASI

conclusione et sapiamo a che termini ci troviamo et non habbiamo a
stare ambigui. Et circa ciò non diremo altro persuadendoce farete pru-
dentemente ogni cosa. Racomandateci a tucti li amici nostri et man-
dateci quel conto in modo lo intenda, che, quello mandaste a Castello,
nè Santi, nè io, lo sapemo mai intendere. Si chè mandatelo in bona
forma ....

Voi harete visto, per quella di messer Corrado, come desidera la
pretura di Firenze, et io li rispondo havere commesso ad voi ve ne
adoperiate dove bisogna perchè la ottenga ; et così farete con ogni in-
dustria. Ma vorrei bene, per non affaticare tanto cotesti S.ri, indusiaste
a domandarla loro, quando harete conclusi et fermi i casi nostri, a ciò
non li dessimo troppa molestia, et di poi la addimanderete in quel
miglior modo che alla prudentia vostra occorrerà, a cagione sia ser-
vito ete.

Scrivete a messer Corrado di quello che costi occorre, et inoltre
li dite come io ve ho seripto caldissimamente di questo caso et. che
voi ne farete ogni opera et sollicitudine et diligentia.

Se a l’hauta di questa non havete i denari in mano, non aspectate
più a torre 150 di messer Antonio, non obstante el modo seripto di
sopra et mandateci volando senza expectare una hora che ne habiamo
bisogno ....

294. (Ep. II. 3). Castiglione Aretino, 1498, Genn. 15.

Paolo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone, con questa sirà una lectera quale voi potarete mostrare
a tésti cittadini per la resolutione de’ casi nostri; factene capo con el
vescovo di Volterra, al quale ancho scrivo una lectera che sirà con
questa e con Francesco Valori, con Pavolo Antonio e Piero Guicciar-
dini e secondo il parere loro governatevene non mancando però di
stare fermo al tempo de la resolutione che ve scrivo nella lectera.
Advertite che, se voi fuste per retrare i denari fra uno o dui dì, retar-
date mostrare la lectera ; da dui di in tre, non retardate più. Doman-
derete per la conditione o vero provisione nostra quaranta milia du-
cati larghi d'oro in oro l’anno, cioè ducati 40000 larghi d'oro in oro,
non obstante che per l’ultima scrivessi d. 40000 v.

Parlarete col M.o degli schioppetti e diteli che quello che man-
daste per mostra haviva certi busgi nel tolare e a uno di quelli pro-
vando, s'é rotto ; che vegga nel tolare che venghino ben saldi a ciò
che restino al trare.
LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. ‘181
295. [Ep. II. 25]. Castiglione Aretino, 1498, Genn. 15.
Paolo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone, voi havete più nostri avisi che doviate resolvere le cose
nostre con tésti M.ci cittadini et per ancora, per quanto haviamo da
voi, non havete da loro retracto se non bone parole: et benchè noi
crediamo loro essere benissimo disposti verso noi, pure potaria essere
che el tenerci sospesi fusse a qualche proposito loro et non è ad al-
cuno nostro proposito, perchè a uno medesimo tempo ci potaremmo
trovare vituperati et disfacti. Sirete adonque con loro S. et venite alle
prese et fareteli intendere che noi siamo disposti esserli servitori, nè
per niente mancare, quando loro voglino i servitii nostri con quelle
conditioni che ve havemo avisato et che da loro altre volti c'è stata
data intentione. Et quando se resolvino a questo per tutto questo mese
che siamo, gli serviremo. Nè ce poteria essere più grato che servire le
S. loro, alle quali semo naturalmente inclinati ex corde servire. Quando
al dieto tempo non resolvino a contentarei di quanto è dicto, chiariteli
che, passato questo tempo, noi volemo cominciare a praticare i casi no-
stri et in quelli luoghi dove vedaremo havere recapito. Con questo
proposito, che quando havaremo dato intentione a qualchuno, per ogni
gran partito che ci fessero loro S., non retraetaremo cosa che havremo
promessa, perché, una volta havemo deliberato vivere liberamente, non
volemo fare mercantia di persona, ma solo havere tanto quanto la pro-
pria vertù ce darà. Con tutto questo però non mancaremo servirli con
quella fede et diligentia che havemo usata fino adesso, per lo tempo
che gl'avemo promesso, observandoci i pagamenti secondo ci sono ob-
bligati per li capituli. Verremo con. displicentia nostra a questo acto,
perchè, non tanto operare, non vorremmo pensare cosa che dispiacesse
a tésta Ex.sa S.ria: ma la conditione comme sapete ci costa troppo, ha-
vendoci messo, oltre la robba, tanto sangue sparso et dui fratelli de la
virtù che a tutta Italia è nota, et per questo perderla ci pare troppo
Strano et voleno pure fare ogni altra cosa honorevile che mancarla.
Et però quando veniamo a questo acto ci veniamo constrecti da ne-
cessità. Et così, quando per sorte ci toccasse essere con patroni che
havemmo a dispiacere a tésta S., non gli verremo mai contra di buono
animo, ma solo per lo debito de l’obrigo che noi havremmo con chi noi
| stessimo. Più grato ci sirà che se resolvino a contentarci, a ciò che
potiamo continuatamente mostrare la servitù nostra con loro et quanto
sia l'animo et bona nostra dispositione verso de epsa S. Et quando
altramente succeda, procedarà dal canto loro et noi siremo constrecti
fare comme potaremo. i

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182 G. NICASI

296. (D. Imi. LVII. 46). 1498, Genn. 16.
Thommasio Thosingho.

Noi intendiamo che Rinyeri, figlio di Messer Pietropagholo dalla
Saxetta, se n'é ito in Pisa et perché potaria per adventura disegnare
qualche opera contraria alli propositi nostri in quelle bande delle no-
stre Maremme, noi pensiamo di provvedere con ogni opportuno remedio,
che la sua legereza o malignità non possa sortire effecto contra di
noi: et per questo habbiamo mandato per Messer Pietropaulo suo pa-
dre, il quale monstra che la partita del figlio sia totaliter contra la
voglia sua, et se verrà come si può sperare, si piglierà tal forma con
lui, ehe sarà remediato quietamente a ogni cosa. Non di manco noi

,

pensiamo, quando pure e' non venissi, di volerei in ogni modo assicu-
rare di quella forteza della Saxetta ; perchè, fatto questo, è spento ogni
fomite de incendio da quella banda: et per havere noi collocata ogni
nostra fede et speranza in qualunche importante cosa in cotesti Mag.ci
Vitelli, per iudicarli homini di grande virtù et affezionattissimi alla
Rep.ca nostra, come quelli che per la grandeza del iudicio possono
etiam haber bene compreheso, non solo la nostra correspondentia
optima, ma ancora quanto bene la natura habbia proporzionata le qua-
lità loro et nostre ad andare da buon gambe nella conservatione et
aumento comune seguendo di grado, habbiamo facto pensiero et ferma
rosolutione, in ogni cosa che accader possa, mostrar loro questa no-
stra fermissima fede in loro, et per una arra di ogni cosa futura vo-
gliamo cominciare a darli questa che, se Messer Pietropaulo fussi pure
renitente al debito suo, il che fra due giorni sapremo de certo, noi
vogliamo che la impresa et expugnatione di decta forteza sia data alla
M.tia di Paulo, sperando che la sarà non meno honorevole a lui, che
utile a noi. Et per tancto vogliamo che, alla ricevuta della presente, tu
faccia de ritrovarti con la M.tia sua et li dia alleghata nostra di cere-
denza, et la exhorti a pigliare questa cosa con quella prompteza de
animo che noi indubitatamente speriamo et a mectersi talmente in
puncto, che a ogni altro nostro aviso si possa muovere con tutti li
snoi cavalli leggeri, che speriamo saranno abastanza, con quello nu-
mero di fanteria che li sarìa di presente da noi ordinata ; et speriamo
che in due giorni la S. M.tia ne harà infallanter honore. Gente d'arme
non crediamo siano necessarii che conduca, tanto per non s’ intendere
che de là possino havere gente d'arme a rincontro, quanto per la qua-
lità de tempi, et per penuria delli strami: alli quali strami per quello
numero de cavalli leggieri sarà de là benissimo provisto. Et non di
LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. : 183

manco, quando pure la S. M.tia iudicassi menare qualehuno delli suoi
huomini d'arme, noi sempre ce ne rimectereno a quella: et oltre alla
quantità de denari, che di proximo si sono loro dati, si provederanno
de qui l’altri in modo che potaranno restare contenti, perché in ogni
modo, sanza questa impresa, siamo in ferma disposizione di sati-
Bfarlis ad:

297. (D. Imi. LVII. 48). 1498, Genn. 18.
Thommasio Thosingho.

.... Havendo noi inteso il discorso che ha facto teco Paulo Vitelli
sopra la condotta loro etc., quantunque al presente non ci occorra ri-
sponderti altro sopra di ciò, maxime perchè la materia della quale ti
scrivemmo due di fa è di natura che ricerca vedere prima come Paulo
la piglia, che deliberare d’altro, per potere da quella fare miglior iu-
dicio ; non di manco ci pare ancora a proposito che tu in questo mezo,
come da te, faccia d'intendere bene che interpetratione si habbia a
dare alle parole di Paulo, il quale dice, secondo lo scrivere tuo, che
se bene non cercha crescere conditione, non è anche per volerla dimi-
nuire per havervi messo dentro due fratelli ete. Et noi non intendiamo
se lui intende parlare della conditione hanno havuta con el Re Chri-
stianissimo o de quella che hanno con epso noi; et inteso havesti que-
sta parte liquidamente et sanza demonstratione, ce ne darai aviso, et
noi potremo attendere alla resolutione .... ».

298. (D. Imi. LVI. 78). 1498, Genn. 20.
Thommaso Thosingho.

Havendo ‘inteso per la lettera tua de’ 18, ricevuta questa sera,
quanto liberamente et promptamente la Magnificentia de Paulo [Vi-
telli] si mostrassi parata al cavalchare et fare ogni opera nella im-
presa della Saxetta ete., vogliamo che, alla ricevnta della presente, tu
ti ritruovi con la prefata M tia S. et per nostra parte la ringratii quanto
più cordialmente alla tua prudentia occorrerà, facciendoli intendere che
saria difficile a potere exprimere quanto questa sua buona prompteza
de animo ci sia stata aceptissima et grata, et quanto ci paia che in
ogni cosa la S. M.tia corrisponda alla fede, che habbiamo in epsa, la
quale può essere ben certa che, seguendo la qualità della nostra Rep.ca,
non potrà al mondo collocarla in animi meglio riconoscenti et che

rene TI

n
H
|
184 G. NICASI

siano per esserne in ogni tempo piü grati; et dirli che per questo che
noi ci siamo resoluti in questa sententia, che la sua M.tia faccia stare
all’ ordine tutti li suoi cavalli leggieri et quegli altri 30, o 40 huomini
d'arme, che disegna condurre a quella impresa, con due cavalli per
uno, et in oltre dia ordine a Castello di havere là dugento buoni prov-
vigionati et ben per ordine d'arme. Ma nessuno, tanto della parte
cavalli leggere et huomini d'arme, quanto delli decti provigionati, si
muovino dal luogo loro, ma stiano parati di venire subito ogni volta
che bisognassi mandare per loro: et interim la M.tia di Paulo, quanto
piü presto li é possibile, si transferisca personalmente sino da noi:
perché desideriamo di parlare con epsa, tanto per questa materia della
detta impresa, quanto et per ultimare la pratica della conducta sua :
declarandoli che lasci et dia talmente li sopradecti ordini che, de qui,
se el bisognio sarà, le possa mandare et havere subito le decte genti,
sanza havere la persona sua a ritornare costà

... Ricordamoti che ogni provedimento che si fa per il Magnifico
Paulo de fanti o d'altro, sia secreto, et maxime per dove egli habbia a
servire; cosi ricorda a S. M.tia.

299. (Ep. II. 10). Castiglione Aretino, 1498, Genn. 23.

Paolo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone, io domenica passata mi transferii a Castello, sì per lo
caso di Vitellozzo, quale era opressato dalle sue dogle, sì per dare sexto
alle cose della cità, a ciò che, havendomi a operare, quelle fussano or-
dinate per suo tempo ;- sì etiam per rassettare quelle genti d'arme che
sono de le terre di tésti S. Fiorentini et così quelle fantarie che gli bi-
sognasse. Questa nocte passata, essendo lì, hebbi una lectera dal Com-
missario di Valiana, che subito all’auta di quella io per cose importan-
tissime mi transferisse a Castiglone, dove si trovaria anche lui per
parlarme et cosi subito so' venuto et ho parlato con seco. Lui me ha
data una lectera direttami da detti S. X., et lectome una che scrivono a
lui, la quale è di questo tenore: che io metti le genti d'armi a ordine
per poterle operare et io con la persona me ne venghi a Firenze, dove
mi voglono et per conferire il caso della Sassetta et per lo conto della
condotta nostra. Io ho resposto al commissario che per nessuno di
questi capi a me non pare necessaria l’ andata mia, perché per lo capo
della Sassetta io gl’ ó facto intendere quello sia il mio parere, et che
quando ci voglino con tutta la compagnia, che ci dieno il servito no-
stro di tutto dicembre et, dal di della receuta del danaro, otto di ter-
LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 185

mine, et noi andaremo. Quando ci voglino con manco gente, senza

tempo nessuno andaremo, pure che ei proveghino di denari, che potiamo
restituire quelli havemo acattati et levare epse genti d'armi. Per lo
capo della condoeta ancho non mi pare necessario venire, perché io
credo che haviate facto intendere a questa hora quale sia la nostra
intentione, et quando non l'aveste facta intendere, fatela intendere et
se non basta agli amici et particulari, fatela intendere al magistrato.
Et questa é, che ancora sia consuetudine de' pari nostri nel eondurse
retrare augumento di conditione, pure per al presente ci resolviamo
con le loro S. non dimandarla fino a tanto che non havemo per quelle
faeto qualche giornata o factione di natura che ai servitii loro, l'aviamo
meritata. Ma eon questo non volemo mancare di quella che fino adesso

havemo hauta, la quale haverno propter virtute, con sparsione di sangue

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i

et morte di dui fratelli, con gran fatiche acquistata. Et questo è che
volemo 40 m ducati d’oro larghi l'anno di provisione, con incarco te-
nere 300 homini d'armi et 200 cavagli leggieri alli servitii loro, con il
titulo del Capitaneato generale nella persona mia, il quale per molte
giornate honorevoli facte ai di miei me pare che rasgionivilmente si
convenga. Quando loro sieno disposti fare tutto questo, lo possono fare,
et non mancando a operare intenditione che per questo havemo a
postponere ogni cosa, sirà più a proposito mi lascino stare di qua, dove
'asettaró cose nostre, che da poi con l'animo più quieto potaró stare alle
expeditioni loro. Quando non se resolvino a fare tutto questo, anche è me-
glo che io non venga, perchè, venendo et partendomi incompleta la partita,
non poterìa essere se non con displicentia et con admiratione di chi
intendesse l'andata mia. Et oltra tutte queste raggioni ce n’è un’ al-
tra, et questo è che, havendose a fare questa condocta unita fra Vitel-
lozzo et me, meglo è che conferischino con voi et voi ce avisiate,
quando qualche sc*opulo nascesse, quale essendo insieme noi risolvaremo,
che quando io fussi là et Vitellozzo qua, non senza larghezza. di tempo
si potarìa fare. Tutto questo ho facto intendere al commissario, quale .
ha spacciato una staffetta: dove ve aviso a ciò che anche voi ne po-
tiate parlare et con gl’amici et bisognando in publico; con li S. X. pure,
quando loro se acontentino, andate per satisfarli, ma il parere mio è

quello che ho facto intendere per le rasgioni asegnate ....
300. (D. Imi. LVI. 82). 1498, Genn. 27.
Thomasio Thosingho.

Noi ricercammo la venuta qui del Mag.co Paulo Vitelli et reite-
ramone per la impresa della Saxetta, come ti serivemmo, et pensavamo
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186 G. NICASI

potere ancora alla presentia sua ragionare qualche cosa della conducta.
Di poi habbiamo visto quello che tu ci scrivi per la tua de XXIII et
circa la opinione de S. M.tia sopra la predetta impresa, et il discorso
ha facto teco per le conditioni della conducta, le quali invero sono
molto in alto: non di manco, perché qui pure si persevera nel propo-
sito del risolversi bene alla impresa, et anche si pensa che la M.tia di
Paulo debba ragionevolmente havere il medesimo desiderio che hab-
biamo noi, et questo è di abocharsi. una volta insieme per intendersi
bene, vogliamo .che tu li dica, per parte nostra, sia contento venire im-
mediate, lassando di costà l'ordine, s'è per altre detto, delli cavalli leg-
geri, homini d'arme et fanterie loro, in modo che a ogni minimo suo
aviso siano mosse: et tanto più è bene che la S. M. vengha, quanto di
nuovo ci accade essere insieme per alchune cose occorrenti al comune
proposito de qualche importantia, che ci ha rechato Messer Currado
Tarlatini, huomo suo venuto di Francia; et si potrà anche parlare della
condocta tanto più commodamente che, alla sua arrivata, qui doverrà
essere comparso Monsignor Gemel, il quale il predetto Messer Corrado si
maraviglia che non sia comparso d'un mese: ei potrà essere buono et
apto instrumento al ridurce alle cose honeste, qualunche ne fussi in
parte alehuna diseosto: siechè per ogni buono respecto ete. è bene che
la M.tia S. sanza altra replica se ne vengha; et cosi tu li dirai, per
nostra parte: et bene vale.

301. (D. le. XXII. 42). 1498, Genn. 27.
D.no Dominico Bonsio Oratori Romae.

.. Qui [a Firenze] é nuovamente venuto di Francia, et con cele-
rità, Messer Currado [Tarlatini] da Castello, stato qualche tempo alla
Corte del X.mo Re per questi Vitelli et per quanto lui ne riferisca et
mostri havere ritracto di là, la X.ma M.ta del tutto era deliberata al
sequire la impresa di Italia a ogni modo; et che infallanter la S. M.ta
a tempo nuovo passerebbe in persona, et con grande et potente exer-
cito; et a questo effecto si facevono tucte le provisioni necessarie et
del danaio et delle altre cose oportune; et che quelli che sino ad hora
sono stati renitenti et freddi ad questa impresa, havendo conosciuta la
firmissima dispositione della X.ma. M.ta in volere ad ogni modo pro-
seguire tale impresa, si sono mutati della opinione loro, et si mostrano
più caldi che li altri alla executione della impresa, et di farla in modo
che sia per riuscire loro il disegno. Lui parti a di .X. da Ambuosa et
dice che il Re partiva per a Torsi et che alla Candelóra sarà omnino
LA FAMIGLIA VITELLI, ECO. 187

ritornato a Molins et di poi per carnevale havea deliberato trovarsi a
Lione. Detto Messer Currado [Tarlatini] stimava trovare qui Mons. di
Giemel, il quale essendo partito di Provenza più d'uno mese fa in su
la nave Maria et in conserva della Nave Gabriella, la quale piü che di.
XX. fa arrivò a Livorno, et non si sapendo cosa alchuna della decta
nave Maria, ne stiamo con qualche amiratione et dispiacere; et ma-
xime, perché referendosi decto Messer Currado alle particularità della
commissione ha dicto Giemel, non intendendo di lui, non ci possiamo
risolvere a cosa nessuna. Et non di meno ci è parso darvi notitia di
quello riferisce dieto Messer Currado perchè siate di tueto informato et
ne possiate dare notizia al Cardinale di San Dionysi et al Procuratore
Regio, ricordando però che non ce ne alleghino auctori ...

302. (D. r. LIII. 120). Valiana, 1498, Genn. 29.
Tomaso Tosinghi ai Dieci.

Hieri a hore 21 per il Patena hebbi una di V. S. de’ 27, con-
tenente el sollecitare et fare opera che Paolo Vitelli si conferisse costi ;
el quale Paolo, pocho avanti al arivare della vostra, mi haveva scripto
che haveva di costi dal suo cancellieri, che le S. V. erano al tutto re-
solute che lui venisse a Firenze: et che era deliberato, come l'aviso ve-
nisse, montare a cavallo, et vistolo io resoluto, non mi parve necessario
andarlo a trovare personalmente: ma subito gli seripsi la intentione di
V. S. et mandaigli la lettera comunicabile, et questa notte ho havuto
risposta da lui, come questa mattina di buonissima hora si partirà scho-
nosciuto et domattina infalanter, che sarà martedi, sarà costi, et sopra
ciò non m'achade dire altro se non pregare l’ altissimo che vi lasci re-
solvere in quello che sia la salute della nostra Republica....

Delle cose di Montepulciano non posso dire altro a V. S. se non
che io tiro drieto a certe buone pratiche .... et peró ho ordinato a Paolo
Vitelli che mi provvegha insino in 50 pezi di schale da conmectere et
che me le mandi quì quam primum et più occultamente che sia pos-
sibile : et così me ha promesso fare ....

303. (Ep. II. 1). Città di Castello, 1498, Genn. 29.
Vitellozzo Vitelli a suo fratello Paolo.

Mag.co maior fr. hon. com. etc., viste le letere di messer Corado
et li riscaldamenti de la impresa, son di parere che V. M. faccia omni
opera che nui per l'anno da venire restiamo soldati del Re, et cusi
188 G. NICASI

como di soldati del Re tésti S.ri F.ni se habine a servir di nui; peró
piglando el eareo de li pagamenti nostri de li 40 milia ducati. Et que-
sto mi pare che sia el facto nostro per tucte le ragioni che so inten-
dete: siria anche di parere che V. M. fusse cum-tésti ciptadini et cum
quelle acomodate raigioni saparite adurre (che c’è el Campo largo) per-
suadarli a l'impresa, che veramente mi par che habino da ringratiar
dio haver questa ocasione di la bona dispoxitio del Re, et pensino molto
bene quanti ritraeti et di onore et di facultà son per ritrar da tale im-
presa; pariami ancora che voi confortassivo tésti S. a solicitare el Re,
che mandasse Monsignor de Ubigni et anche Legni, si come era stato
disegnato per prima, et cusì de li dui milia sovizari.

A presso saria di parer che V., M.tia, quando el sirà cum
Quella R.a M.a, in nome nostro li mostrasse un modo de la impresa,
cioè: che S. M. mandasse Ubigni et Ligni cum 200 lance et cum dui
milia sovizari et che portassaro dinari per mille cinquecento altri, i
quali li faremmo haver nui, homini obedienti armati et structi a la fog-
gia di sovizari et boni como loro, si per giornata, si per tucte altre opere
belliehe; i quali siranno causa che sovizari starano a segno; e per lor
disordini non seguirà quello seguì l'anno passato. A presso che V. M.
é di parer che la Maestà R.® per niente non lasci el papa, anzi venga
seco ad omni eosa per haverlo, perché el sirà quel mezo che farà far
aquisto de l' impresa im brevissimo tempo, et quando la S. S.ta volesse
da S. M.tà cose inoneste, ch'el non guardi al promectarli, cum hoc ch'el
sia obligato tenir durante l’ impresa 400 homini d'arme a li servitii soi
et cum cautela di uno di soi figloli in Francia. Item che S. M. chia-
risca li S. Ursini, che credo che quando li dia fino a 400 homini d'arme,
per amor de’ servitii loro, pur anco de li stati, per la ocasione dil batter
i lor nimici, dovariono star contenti, et che Hi 400 homini d'arme se le
spartischino a lor modo. Item che S. M.ta vega haver el Duca di Fer
rara et el Marchese di Mantoa, etiam che credo che S. M.ta, quando li
faccia qualche oferta di terra o di cità de la S.ria, che li havarà per
quello che voia. Di poi quella se spenga di qua da monti et stiase li,
che sirà cum sigureza di tutti; di poi nui, a la arivata di Ubigni et
Ligui, senza dimora ce unirimo insieme et cum artaglarle che porta-
ranno et cum quelle haranno li S. Fiorentini, ne voltarimo intorno al
contado di Pisa, et non dubito in 15 dì de lì le harin tolto, poi noi aten-
darimo a Pisa ; preso quel resto di contado che la prese, da se medesima
sirà asediata ; poi ce voltarimo a voltar lo Stato di Siena, quale im breve
sortirà. Et in questo medesimo tempo S. M. spenga le gente di asti-
giana in Lombardia; el Duca di Ferrara et Marchese di Mantoa rom:
pino di là et mons. di Ligni cum la gente di fiorentini voltarsi a
LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 189

Faentia, e£ nui cum Ubigni, cum le fantarie, cum le genti di la Chiesa,

Ursini, et prefecto, andarcene a la volta dil Regno: et non se cacci S.
M.tà in spesa di mare, che questa é la via da farsi patron dil Regno
et de tucta Italia et presto. Item che confo[rti] el Re mandar a Roma
uno homo di soi et non sia preite, anzi homo da bene, et di qualche
auctorità, a li avisi del quale S. M.tà habia da credare, et cusi mandi
uno simile a Fiorenza; che sono quelli homini che a un ponto preso
aiutano asai, et sforzise Messer Corado far ipso proprio questo ragio-
namento cum lo Re; et quando Messer Corado vega la cosa aviata, or-
dinateli faccia le due petitioni for disegnate per l'andata di Bartolomeo
di Cordone, cioè governo di S. et Stato di P. (1). Io vi ho voluto far un
raguaglo di mio parer; pur di tucto me rimecto a vo' che site in fatto ;
me paria anche che dicessivo et confortassivo tésti S.ri a far pratica
cum lo Duca d'Urbino et cum lo S. Savello, et per nui se faria perchè
siremmo sicuri di qua non haver ad aver in paese alteratione, et es-
sendo el Duca cum testa r. p. ad omni tempo facto, noi sempre hava-
rimo uno di due honorevili lochi et seco sempre convirimo bene: et
parmi debiate omnino disuader l'impresa de la Sassetta et che non
voglino, ad istantia d'una cosa minima, impedir una tanta Impresa.
Havarìa caro facessivo far 100 ferri di lance da sovizari e avisateme
quello s'à a fare di questi ferri piecoli che m'avite mandati ; altro non
me ocurre ; li fanti, li cacce, et tucto el ricordo di Vincentio, summa cum
diligentia spediró et teniteci di per di avisati.

Mando la dagbetta per messer Alberto; mi par che li pomi sieno
tropo picoli. Le scale se mandarano cum soma diligentia.

304. (D. le. XXXII. 44). 1498, Genn. 30.
Iachino de Guasconibus.

... Messer Currado [Tarlatini] da Castello, oltre a quello che ne
ha riferito delle cose di costà, in nome della X.ma Ma.tà et sotto sue
lettere di credenza, come diciamo di sopra, ne ha ancora facto inten-
dere come haveva lettere del Re a Giemel, et che insieme con lui havea
ad exequire certa commissione; ma non essendo ancora dicto Giemel
comparito et sapiendo che, nella commissione ha dicto Giemel a noi,

*

inter coetera è di richiederci di ducati 150 mila per paghare Vitelli et

(1) Probabiimente Vitellozzo intendeva di dire che si dovesse sollecitare
Carlo VIII a dare ai Vitelli il governo di Siena e lo stato di Piombino in compenso
della loro cooperazione alla conquista d' Italia per parte della Francia.
-— YQ I vcr qm

190 G. NICASI

Orsini etc. et non potendo soplire alla intera somma, ne ha richiesti che
almeno concorriamo a ducati 100 mila per intractenere decti Vitelli et
Orsini et altri soldati del Re in Italia. Alla quale requisitione habbiamo
risposto dolerci assai trovarci in termine da non potere satisfare alla
domanda sua et maxime stando le cose in questi termini. Ma che se il
Re passi in persona, come lui afferma, o manda si potente exercito in
Italia (2m cifra) che noi conosciamo qualche sicurtà dello Stato nostro, in
tal caso faremo tucto quello potremo. Ma non havendo fino ad hora ha-
vuto di costà [dalla corte di Franvia] altro che parole, et perso, socto una
gran speranza, buona parte dello stato nostro, et trovandoci in pericolo del
resto, non è possibile per hora, stanti li decti termini, poter rispondere
altro ....

305. (Ep. II. 31). Città di Castello, 1498, Febbr. 5, XVI.
Vitellozzo Vitelli a suo fratello Paolo.

Magnifice maior frater hon. etc., questa matina ho riceputa la vo-
stra a ho. 14 et, visto quanto V. M. scrive, ne piace tucto et maxime
quella risposta che non porìa essere stata più congrua; ben ne pare
che advertiate nel Capitulare che sotto quel voler tempo ad avisare al
Re, non remanessimo in arie; preterea abiate advertentia a quello che
per l'altre ve s’è seripto, cio è a le cose di Francia.

Mariotto et Buccio questa sera se partiranno.

Le cacciaigione serano ordinate, ma per li temporali tristi non s'è
preso nisun caprio ; le starne have anco le feste fatto tirar li scopie-
tieri, che è stato necessario Ciribichi ce se ritrovi, tamen quel che se
porrà non se mancarà.

Altro non ocurre, ad V. M. ne raccomandamo.

306. (D. le. XXII. 52). 1498, Febbr. 8.
D.no Franc.o Pepio Oratori Milani.

.... Intendendo che continuamente li Vinitiani mandano danari et
gran quantità di grani et biade, et per navi che hanno ricepto ne’ porti
di cotesto Principe [il Duca di Milano]; et oltre acciò nuove genti d’arme
a cavallo et a piè a Pisa, dove sono in modo ingrossati che aperta-
mente si conosce loro aspirare più oltre che a Pisa, la quale hanno
liberamente nelle mani, et si vede che continuamente tentano pratiche,
come è sequito a questi dì passati che hanno [cercato] di havere Ri-
LA FAMIGLIA VITELLI. ECC. 191

nieri di Messer Pier Paulo della Sassetta in Pisa et li hanno dato 50
balestrieri a cavallo di condocta et lui ha offerto che il potere et lo
stato loro sarà a ogni obedientia de Vinitiani, e£ benché lo stato loro sia
piccola cosa, non di mancho specto al sito, et essere la Saxetta luogo
forte et in su confini tra noi e Senesi et Piombino, conosciamo molto
bene che, quando quivi si riduchino Rinieri decto con li sua balestrieri
et qualehe numero di provigionati, come intendiamo il Provveditore
vinitiano disegnava mandarvi, potrebbero far danno assai ....

307. (D. le. XXII. 53). 1498, Febb. 14.
Ioacchino Guasconio oratori ad X.mam M.tem.

Sappiendo noi esserti noto, come é già cirea un anno che, trovan-
dosi questi Mag.ci Vitelli malcontenti per non havere potuto ritrarre
danari di eostà [dalla Francia] de' soldi loro, come era stato promesso
et data ferma intentione, -nè havendo modo ad poter mantenere et con-
servare le Compagnie loro, se non pigliassino qualche partito, come era
loro offerto, et cognoscendo noi che, quando cosi sequisser, era fuor
d'ogni proposito della X.ma M.tà, deliberammo di aiutarli et subve-
nirli di qualche somma di danaro in presto, acciocchè loro almeno si
potessino mantenere uno anno. Et essendoci loro debitori di assai buona
somma di danari et appressandoci al fine dell’anno, che ci è mancho
di tre mesi, et non havendo loro il modo nè da satisfarci, nè da con-
servarsi, et havendo loro Mag.tie inteso quello che haveva portato di
costà Messer Currado [Tarlatini] loro huomo, et la inchiesta fattaci che
servissimo almeno cotesta X.ma M.tà di ducati 100 mila, per satisfare
a loro et ad altri soldati di sua Maestà, come per le precedenti nostre
ti significhiamo et con le presenti ne mandiamo la copia, ci hanno
molte volte con grande instantia richiesto dobbiamo satisfare loro, et
accomodarli per la rata li tocchasse di tale richiesta. Ma havendo inteso
la risposta faeta, sopra di ciò, al dicto Messer Currado che per non
essere ancora comparito Gimel, del quale hora mai dubitiamo per tanta
dilatione, et non havendo potuto intendere quel che lui portasse in com-
missione dalla X.ma M.tà, né havendo epsi speranza di haver per hora
altro pagamento di costà, onde si potessino mantenere con le loro com-
pagnie: ritrahemo a questi di passati come, essendo con instantia ri-
cerchi dei Vinitiani per condurli a soldi loro con la loro compagnia et
con gran partito, per potersi, con loro et con li altri si truovano et
hanno nuovamente soldati, assicurare della venuta dei Franzesi in Italia,
quando passassino: et conoscendo che li decti Vitelli, quando non ha-
192 G. NICASI

vessino altra subventione et aiuto di danari, non havendo il modo da
loro medesimi da potersi conservare et mantenere et costrecti condursi
con decti Vinitiani, et con altri; parendoci che la cosa importassi assai
alla dignità et proposito della X.ma M.tà per piü rispetti, passando et
non passando quella [in 1talia], ci parse richiedere il Mag.co Paulo
Vitelli venisse qui et cosi ha facto, et ancora ci si trova. Dal quale
havendo per conclusione ritracto non essere possibile che senza danari
o partito si possi conservare loro et le loro genti; et che, quando final-
mente dalla X.ma M.tà, o da noi non habbi la sua consueta conditione,
è constrecto ad pigliar partito per non si perdere con la sua Compa-
gnia; et che era necessario risolversi presto, perchè, essendo vicino al
termine suo, non poteva nè voleva stare più sospeso, per non si trovare
senza partito et maxime havendo al presente chi lo ricerca assai et
honoratamente; onde conoscendo noi la sufficientia et qualità loro et
havere la più bella et francha compagnia di gente d’arme et meglio
ad ordine che al presente si trovi in Italia, judichiamo la X.ma M.tà
farebbe gran perdita, et maxime conducendosi co’ Vinitiani et che loro
farebbono grande acquisto alla potentia loro. Ci siamo ingegnati, dopo
alehune pratiche tenute con loro, ridurre la condocta loro, a comune
con la X.ma M.tà et noi, nel modo et forma che hanno havuto fino a
qui con sua X.ma M.tà, videlicet con 300 homini d’arme ad uso italiano
et 40 mila ducati l’anno, et per uno anno, o per dua, come paressi a
cotesta X.ma M.tà: ancora che loro desiderassino per più tempo, per
potere una volta posare et socto il nome et ombra di Francia, come è
loro desiderio. Et a questo siamo concorsi a qualche parte della ri-
chiesta factaci [da] Messer Currado, non potendo in alchuno modo
concorrere a maggior somma per le spese incompatibili, nelle quali ci
troviamo. Della. qualcosa è necessario che tu subito dia notitia alla
X.ma M.tà, mostrandole che a questo ci muove l'honore et interesse di
quella, et la comune salute, et che per questo siamo concorsi ad pro-
mettere di paghare la metà che toccha a noi di tal condotta, che sono
ducati XX mila, ancor che siamo soprafatti assai dalla spesa per l’al-
tre gente d’arme et per fanterie è necessario teniamo a nostri soldi,
che sono buon numero, per la defensione delle cose nostre; et che al-
l’altra metà, che sono altri ducati XX mila per anno, è necessario pro-
vegha la S. M.tà. Et perchè loro [i Vitelli], conosciuto la difficultà di
non potere esser di costà pagati dal loro servito insino ad hora, vo-
gliono, circa il paghamento di tutta la somma delli ducati 40 mila, ha-
vere ad far con noi, et non con altri, però è necessario, contentandosi
di tal condocta Sua M.tà nel modo predecto, ordini che a te in nostro
nome farci dare buono et vivo. assegnamento per li ducati XX mila LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 7s 98

tocchono, per quel tempo S. M.tà vorrà duri tal condocta. Et in modo
che, havendone tu li discharichi de Generali in mano per pagharsi
tempo per tempo, come si costuma, possi voltarli a qualche merchante
di costi per farne poi contracto, come ci occorressi. Et così è necessario
che sua M.tà chiarischa se vuole sia per due anni, o per uno, o per
piü, et che il pagamento di XX mila ducati li toccha per la parte sua, per
quello tempo durassi la sua condotta, ne dia lo assegnamento nel modo
predecto ; et in.somma siamo securi potersi valere de’ danari, chè altri-
menti la cosa non harebbe effecto. Et perché loro desiderano presto la.
resolutione di questa cosa, ci 6 parso, perché habbi questo adviso presto,
mandarti la presente lettera per il presente cavallaro a posta, et loro
anchora ne scrivano al loro huomo (1) si trova di costà, et li commet-
tano che, teco insieme, faccia diligentia di condurre la cosa nel modo
et forma vi si commette: allegando quelle ragioni et termini intorno
acciò che alla prudentia di ciascuno di voi occorrerà. Et sopratucto et
con maggior sicurtà del danaio sia possibile, per quel tempo si fermassi
la condocta. Et ingegnatevi expedire la cosa presto, perchè loro non
vogliono in simile pratiche aspectare più tempo che un mese.

.... Questi Mag.ci Vitelli dicono restare creditori di buona somma
di danari per loro servito vecchio, et commectono al loro huomo costi
che facci ogni opera di ritrarli, et se non tueti, almeno qualche parte,
et desiderano per te etiam si facci ogni opera a simile opera et effecto
et così per le presenti nostre ti commettiamo che con la M.tà X.ma et
dove bisognassi, con quelle ragioni che ti occorreranno, aiutarai et fa-
voreggerai questa cosa il più si può ..., havendo non di meno adver-
tentia che tale opera non impedissi la condocta etc. i

308. (D. le. XXII. 59). 1498, Febb. 18.
Ioachino Guasconio oratori ad X.mam M.tem.

Tu harai inteso, per la nostra de XIIII, lo appuntamento facto con
questi Vitelli per la copia de’ Capitoli mandatone: per li quali inten-
derai come il dubio havamo che loro non pigliassino altro partito fuor
d’ogni proposito della M.tà del Re, come erano sollecitati, et non po-
tendo satisfare alla intera somma de’ ducati centomila richiestoci [da]
Messer Currado [Tarlatini], deliberammo, et per lo interesse del Re et
per el nostro, fare la condocta con decti Vitelli a comuno con sua M tà

(1) Cornelio Galanti che, in assenza di Corrado Tarlatini, funzionava da rap-
presentante dei Vitelli alla corte di Francia.
194 G. NICASI

per uno anno o per due, come a quella parrà; et con 300 homini d'arme
et XL mila ducati di sole di soldo l'anno come havevono ultimamente
da sua Maestà. Et perché a loro pare ne' paghamenti passati del ser-
vito loro esser stati male tractati, non volevono consentire a tale con-
docta, se noi non promettessimo tempo per tempo paghare loro la in-
tera somma. Et per questo ti commectemmo che, havuto il consenso
della Sua Maestà a tale condocta a comune, et declarato per che tempo
vuole che tale condocta duri per la rata che li tocha de XX mila du-
cati, che la sua Maestà te-li facessi promectere a Generali di Finanza
in modo, che tu ne havessi le discariche o cedole di loro mano et in
forma che così si trovassi chi servissi sopra tale assegnamento ; et con
facultà di potere voltare tali promesse et obligationi a chi et come, a
qualunque tuo legittimo mandato, paressi. Et acciocchè più facilmente
si trovassi chi servissi sopra tali promesse, ti commectemmo ti inge-
gnassi havere obligationi da Generali in forma camerae apostolicae; ma
pure, quando ne fussi facto resistentia, pigliassi le promesse et dele-
ghationi in migliore et più valida forma potessi, et in modo che, chi
havessi a servire sopra quelle concessioni, poterle fare securamente. Et
perchè decti Vitelli non volevono stare troppo tempo sospesi, rima-
nemmo d’accordo si aspectassi per tucto il mese proximo di Marzo la
ratificatione della X.ma M.tà a tale condocta con le condictioni sopra-
decte. Et peró ti commectemmo dessi presto notitia alla S. Maestà di
quello si era concluso per honore et interesse suo et per la comune
utilità et commodità, e che facessi che, infra decto tempo, la S. M.tà
ratifieassi a tale condocta et provedessi al paghamento nel modo che
si dice. Et anchora che noi stimiamo le lettere et capitoli mandatoti
siano comparsi salvi, non di meno, a maggiore cautela havendo com-
modità del presente cavallaro, ti habbiamo succintamente per questa re-
plicato li effecti, acciocchè non havendo havuto le prime letere, sia per
la presente advisato del bisogno et provegha a quanto di sopra si
dice ....

309. (Ep. II. 68). Castiglione Aretino, 1498, Mar. 2.

Paolo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone, noi havemo expectato, doppo la partita nostra, ogni giorno
che ci mandiate denari et hora intendemo da voi non gl'avere anche
retracti. Et per questo farete intendere a tésti M.ci S.ri che noi cre-
diamo che a questa hora loro sieno chiari che non serviamo loro S. di
liste et quando non fussero bene chiari, che debbono essere, mandino a
LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 195

posta loro uno Commissario et noi gli faremo vedere che havemo in
faeto 180 homini d'armi et 200 cavagli leggieri da potere cavalcare
ogni hora. Et essendo cosi loro S. possono costatare che fino adesso
non se sono potuto mantenere con li denari che havemo hauti da loro,
anzi ci è bisognato votare le borse a quanti amici havemo et’ tutti gl'a-
vemo rescossi; hora non sapemo con che modo potere piü sostentare
la compagnia et, fra i mag.ri pagamenti che havemo hauti dal re X.mo
et li scarsi pagamenti loro, vedemo che sirà necessario che la compa-
enia se metta in desordine, il che non sirà a proposito nostro né loro; '
perché, quando ella sirà mancata et loro l'abbino a operare, non gli ba-
starà una prestanza a remetterla, nè se ne potaranno se non con tempo
servire. Et peró pregateli sieno contenti non ritenerce in dozzina con
gl'altri, ma cavarei del generale, comme anche l'animo nostro è, quando
ci abbino a operare, escire del generale, et voglino una volta cavarci
di parole ordinarie et darci i serviti nostri, a ciò che potiamo mante-
nere la compagnia in ordine per modo che, a ogniloro bisogno, se ne
possino senza intermissione di tempo valere et facendolo, oltra ehe fa-
ranno loro debito, faranno a proposito loro; quando faccino altramente,
gli resultarà danno per le casgioni asegnate, et noi non potaremmo ha-
vere maggiore displicentia.

310. (D. Imi. LVIII. 87). 1498, Mar. 6.
Thommasio Thosingho.

Noi intendiamo come havendo preso li Signori Perugini la torre
di Bighazzino, la quale, essendo di un privato perugino, pare che era
venuta con certo titulo in mano del Duca di Urbino, diche sua Excel-
lentia è per doversene molto risentire, il che parendo assai verisimile,
et giudicandola di presente cosa al tutto inpertinente et fuora de
propositi di quelli Signori di Perugia et anche nostri il suscitarsi ma-
teria di nuovi scandali da quella banda, ci pare condecente all’ inte-
ressi, confederatione, amicitia et benevolentia nostra con loro Signorie,
et per tenere anchora buona amicitia col prefato Signore Duca, d'in-
terporre ogni opera nostra per spegnere tutte le cause di tali incendii;
et per questo vogliamo che tu sia con la M.tia di Messer Astorre Ba-
glioni et con quelle pià aceomodate parole, che occorreranno alla pru-
dentia tua, li reduca per nostra parte in memoria quanti mali effecti et
quanti disordini et charichi potriano succedere da questa cosa, non solo
al particulare de’ Signori Perugini, etiam alle cose communi, confor-
tando la M.tà S. a volere, con la solita sua prudentia et maturità, fare
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= »- tra nni pr mey

196 G. NICASI

quella opera che si ricercha appresso li suoi Magnifici padre et Zio,
perchè questa materia si posi; et erederemo fussi buona via a posarla
che la torre si riponessi una volta in mano dal prefato Duca, con qual-
che conditionato modo, nel quale consiste la dignità, satisfactione et si-
curtà dello stato Perugino; il quale modo per certo si doverìa poter
trovare : et noi offeriamo ex nunc affaticharcene volentieri, quando in-
tendamo in quelli Signori Perugini quella buona dispositione di acquie-

-scere a questo consiglio, che l'amor nostro verso di loro ci induce a

‘darli del posare questo fermento di scandali: et per condurli la cosa

eon piü loro honore et satisfactione, quando intendiamo fermamente la
volontà loro, et che si disponghino di venire al decto particulare ef-
fectualmente, non ci parrà grave qualunche opera che si abbia per noi
a usare, etiam se bisognassi che noi mandassimo uno homo nostro a
tractare lo assecto et la compositione: et tucto si farà sempre con
quello affecto et amore, che si userebbe per li nostri proprii interessi,
per non reputare le cose loro altrimenti che nostre; et de quello che

‘succede ne darai aviso particulare: et bene [vale].

SH (D de. XXII. 74). 1498, Mar. 9.

Iohachino Guasconio oratori ad X. mam M.tem.

... Havendo inteso la risposta factati [da] Sua Maestà, haven-
doli tu comunichato quello era sequito della condocta de’ Vitelli, et
come ti havea rimesso a Mons. di San Malò et che Sua Signoria ti
havea decto che, di questa cosa et di molte altre insieme si determine-
rebbe, venuti che fussino li personaggi etc., non restiamo di tal risposta
punto satisfacti, per parerci che così stimino pocho le cose di qua, et
meno considerino a pericoli ne’ quali noi et li altri amici loro si truo-
vino per le loro cagioni. Non possiamo però credere che di poi Sua
Maestà, o con la presentia de’ personaggi o sanza, non habbi ratifi-
chato alla condocta di decti Vitelli nel modo et forma che tu se’ infor-
mato. Pure, quando alla ricevuta della presente non fussi facta tale ra-
tificatione, vedi a ogni modo per tucte le vie et mezi possibili operare
si facci et con quelle conditioni ti commectemmo ....

312. (Ep. II. 44). Castiglione Aretino, 1498, Mar. 16.
Paolo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone, sirà inclusa in questa una a li S. X., quale vi mando
aperta a ciò che la vediate et mostriatela a Frane.o Valori, Pavolo Ant.o,
Giovanni Baptista Ridolfi et a Luiggi della Stufa. Et parendo a loro
che la presentiate all'offitio, o no, ne farete il parere loro. LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 197

.Soleccitate i denari, perchè questi 400 ducati che ci avete mandati
sono una fraga in bocca a l’orso; è bisognato renderne una parte a
quelli da chi s'erono acattati, che hanno più necessità, et del resto suplire
qui et a Castello; si chè pensate come stiamo. Usate adonque ogni dili-
gentia oportuna, che con prestezza ci mandiate denari.

Allo augumento di Giovampavolo Baglioni farete ogni favore pos-
sibile. Et fate intendere al suo cancellieri havere questo ordine di me ....

313. (Ep. II. 64). Castiglione Aretino, 1498, Mar. 17. IV.
Paolo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone car.mo., alle vostre de’ viiij. x. xj et xvj del presente
non ci ricorda accaggia altra risposta. A quelle de’ xvj, ricevute sta-
sera, non risponderemo per hora, se non a la parte del denaro, pregan-
dove, quanto più cordialmente so et posso, lo sollecitiate in forma che lo
possiamo spendere di presente, che per nostro Dio omnipotente non
possemo stare più senza esso, et voi lo potete comprehendere benissimo
etc. Haró caro me advisiate di per di quello intendete costi si dica,
pensi o stimi del frate, et che fondamento hanno tali cose et quello
ch'altri et voi ne iudicate. Et cosi successive ce advisate di quello ere-
dete che piü ci satisfaccia. Bene valete.

314. (Ep. II. 51). Castiglione Aretino, 1498, Mar. 21.
Paolo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone, per un'altra nostra site advisato quanto noi desidera-
remmo fare cosa a questi de Foiano che ie sia im piacere ; pertanto per
questa vi se replica che refacciate omni favore, che havaremmo grande
à piacere che per mezo nostro havessaro el desiderio loro, et in questo
usarite omni opera et faritene omni favore ad voi sia possibile.

A presso vorria intendere chi sono questi de la setta che sono a
l’oposito di frate Girollimo, et quali sono li principali et quali sono li
seguaci, et di tucti mi darete adviso. Non altro.

315. (D. le. XXII. 78). 1498, Mar. 18.
lachino Guasconio oratori ad X.mam M.tem.

.... Aspettiamo tue lettere .... per intendere che il Re habbi di poi
ratificato alla condocta di Vitelli .... Maraviglianci assai che sua Maestà
non consentissi et ratificassi subito a tal condocta, essendone noi ma-
*

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————TTmTT——T666T@T@—P@P———.»i

C RUE ERE SEE

198 .. G. NICASI

xime stati richiesti da Messer Currado |Tarlatini] in nome di quella et
non ne sequendo hora lo effecto infra il termine ...., per tucto il pre-
sente mese ...., sarebbe uno manifesto argumento et segno che sua
Maestà non pensa più alle cose d'Italia, et che de tucto ne habbi ab-
bandonati, che è il contrario di quello che merita la fede et observantia
nostra verso di S. Maestà.

316. (D. le. XXII. 79). 1498, Mar. 22.

loachino Guasconio.

.... Aspeetiamo adviso da te che il X.mo Re habbi ratificato alla
conducta de Vitelli et provisto alla parte sua del soldo nel modo che
per più nostre ti si è commesso

317. (Ep. II. 62). Città di Castello, 1498, Mar. 28.
Paolo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Avisate dove se retrova el duca de Milano et come stanno le cose
in Firenze et quale sia el iudicio vostro. Et si nova havete da nisuna
banda, fatecene parte. Li denari non ve dementichino. Bene valete.

318. (Ep. II. 115). : Città di Castello, 1498, Aprile 10.
Paolo Vitelli a C-rbone Cerboni.

Cerbone, restamo per la vostra de’ 3 avisati de la innovatione
successa a Firenze, la quale ad noi non pò si non dispiacere et essere
molesta, omni volta che la sia molesta et despiaccia a .cotesta Ex.ma
S.ria. Quando la sia a nisuno suo proposito o comodo, reputasimo che
la sia anche a nostro. Li farite intendare che, bisognando per interesse
de lo Stato loro, noi simo in ordine et parati, non solum cum la con-
pagnia, ma etiam cum li amici, a fare el debito et l’offitio et come sol-
dati et come servitori et cusì a le S. Loro Ex.e ne offeririte et raco-
mandarite, pregandole non ce lassino mancare denari, a ciò possiamo
senza tempo, per omni bisogno potesse ocorrere, essere col piè in staffa.
Bene valete.

319. (Ep. II. 117). Città di Castello, 1498, Aprile 13.

Paolo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone, io vi mando qui inclusa la lettera nostra a monS.re
R.mo de Vulterra, legeritela et di poi la segellate et la darite a la

S. Sua .... LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. : 199

Li mille ducati a l'interesse anche trovarite si possibile é, perché
non possiamo fare de manco.

Qui inclusa sirà una lettera di don Biagio circa le cose de Faeta.
Noi per non mostrare de voler conculeare persona nisuna, havemo -
hauta tanta patientia che hora mai non poterimo mancare de non re-
sentirce : e ce togliano le posissioni havemo conperate da veri patroni
et pagate et ce turbano le posessioni de la casa liquide et senza dubio,
e ce hanno ferito il factore. In fine fate intendere a li amici che, si
sentissaro che noi facessimo demostratione de non essere femine ve-
dove, che non se maraviglino, perchè noi non volemo più tollerare. Al-
iro non ocorre. Avisatece de novo.

320. (D. Imi. LVIII). 1498, Aprile 12.
Paulo de Vitellis.

Intendiamo venire gente d'arme verso Castello della Pieve et
stimando noi questa venuta essere per dannificare li amici nostri, com-
mettiamo a V. M.tia che con le gente sue ne dia ogni favore, voltan-
dole in là,a fine che si faccia tale resistentia che e' nemici non pre-
valghino contro gli amici et confederati nostri, co' quali stimiamo ogni
fortuna commune. Ogni favore che vostra M.tia conferirà a Perugini,
amici et confederati nostri, in questo caso, lo stimeremo conferito nella
nostra città, ricevendolo a grande beneficio da V. M.tia.

321. (D. le. XXVI. 40). Roma, 1498, Aprile 12. V.
Domenico Bonsi ai Dieci.

In questo punto, che siamo a hore cinque, il Rev.mo Mons.re di
Colonna, per un suo camerieri, mi ha facto intendere, come lui hora
ha certissimo adviso che hoggi, circa a hore .XX.ti, e' Colonnesi con tueta
la loro gente si afrontorono con le genti Orsine, a piè de Monticelli, nel
territorio di Tibuli, et feciono un facto d'arme che duró hore 4, nelquale
finalmente li Orsini, che erano circa a 800 cavalli et fanti 2000, furono
ropti et fracassati in tueto et preso insino alle bandiere: et che hine
inde v'é morto gente assai, fra quali dice essere Bartholomeo d'Alviano:
et come ha certo essere usciti illesi il S.re Prospero et il S.re Fabritio
Colonna et Antonello Savello : e' quali mirabilmente si sono in eió ado-
200 G. NICASI

perati: di che m' è parso dare adviso a V. ex. S.rie; et intendendo la
cosa più particularmente, di subito ne darò adviso. .

322. (D. le. XXII. 90). 1498, Aprile 13.
Ioachino Guasconio oratori ad X. mam M.tem

.... Ci maravigliamo non havere adviso da te di quello si è re-
soluta la X.ma Maestà, circa la ratificazione della condotta de’ Vitelli,
facta a comune con quella, secondo fummo richiesti: la quale, non
essendo sequita, vedi si faccia ad ogni modo et nella forma si è advi-
sato
3823. (D. le. XXII. 91). 1498, Aprile 16.

Ioachino Guasconio.

.... Due dì fa, per le tue lettere del dì 6, tenute a dì 8, date in
Ambuose, intendiamo /o inopinato et admirabile caso dello accidente so-

pravenuto, a dì VII, al Cristianissimo Re et dipoi, la nocte seguente, della

sua morte ....

324. (D. le. XXII. 97). 1498, Aprile 25.
D.no Fran.co Pepio Milani.

Per le presenti ci accade significarvi come li Magnifici Baglioni
et epsi Vitelli, per loro expressi mandatarii, unitamente ci hanno facto
intendere come, essendo persequitati li Signori Orsini dalli Signori Co-
lonnesi con aiuto et favore del Papa et del Re Federico, et non essendo
epsi Orsini per loro soli bastanti ad resistere alle forze delli inimiei
loro, sono in gravissimo pericolo di perdere lo stato. Per questo epsi
Baglioni et Vitelli, per essere in antiquissima amicitia et confedera-
tione con decti Orsini, et più affinità contracta infra loro, si conoscono
essere necessitati et per honore loro et per conoscere etiam chiara-
mente che, disfacti li Orsini, subsequenter ne conseguirebbe la ruina
loro, sono ad ogni modo disposti di volere in tale loro extremità aiu-
tarli et con le presentie loro et etiam con tucte le genti d'arme et con

.ogni loro sforzo. Et essendo loro a soldi nostri, ci hanno richiesti di

otere esequire questa loro dispositione con buona gratia et licentia
p I ! 8
]

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 201

nostra, subiungendo, pure anchora con parole modeste, che quando
bene non obtenghino tale licentia. da noi, ad ogni modo per loro me-
desimi sono disposti ad non volere manchare alli Orsini dello aiuto et
favore loro. La quale requisitione parendoci di momento assai, per
trovarci ne’ termini siamo et spetialmente delle cose di Pisa, dove con-
tinuamente intendiamo ingrossar gente de’ Viniziani, come per le pre-
cedenti vi significamo, habbiamo preso tempo ad rispondere per con-
sultarla et examinarla bene et principalmente con la Ex.tia di cotesto
Signore per il mezo vostro. Et havendo in fino ad ora discorso et con-

siderato la importanza di tale requisitione et cognoscendo apertamente

che il concedere loro tale licentia offenderebbe principalmente la San-
tità del Papa, alla quale portiamo devotione et reverentia grandissima,
et alli Colonnesi, con i quali riteniamo strettissima amicitia, per questo
non siamo in proposito alehuno di consentirlo loro; et quando loro pi-
glino il partito per loro medesimi, come dicono essere in proposito di
fare, non sappiamo come per lo advenire ci potessino servire di loro.
Onde examinando quali potissimi remedii fussino quelli che piü presto
et meno difficilmente possino risolvere questa cosa con più sicurtà, non
‘solum nostra particulare, ma etiam di tucto il resto d'Italia, a noi
principalmente occorrebbe di procurare et aoparare, per ogni mezo et
via, possibile, che per hora il procedere più oltre contra li Orsini si
posassi, non perchè noi conosciamo la conservatione loro servire ad
alchun proposito della Città nostra, ma perchè manifestamente si vide
che, scoprendosi li Baglioni et Vitelli in loro favore sanza havere ri-
specto nè al Papa, nè al Re Federico, nè a cotesto Ill.mo Principe,
nè a a noi in particulare, essendo nostri soldati, non lo debbino nè
possino fare se non ad istantia de’ Viniziani. La qual cosa, quando
seguissi,manifestamente si tirerebbe drieto la ruina di Italia et per con-
sequens lo augumento et grandezza de’ Viniziani, per arrogarsi alle forze
loro quelle delli Orsini, de’ Baglioni et de’ Vitelli, che si può dire si
truovino hoggi, et marime li Vitelli, una bella compagnia di genti d'arme
et bene ad ordine. Et però concludiamo che, ad obviare a questo in-

conveniente et manifesto pericolo, come è dicto, per al presente a noi:

non occorre el più opportuno remedio che provedere che la persequtione
delli Orsini cessi per hora et se ne facci qualche bona conclusione. Et al
fare questo effecto noi non cognosciamo instrumento nè mezo di maggiore
auctorità et credito, che quello di cotesto ill.mo Principe. Et quando
così paresse alla Ex.tia Sua, potrebbe subito scrivere al. R.mo et Ill.mo
Mons. Aschanio suo fratello, che con la sua auctorità et prudentia
vedessi aoperare con la Santità del Papa che tale effecto sequisse, di

‘ mostrando li pericoli che ne soprastanno, quando così non sequisse e:

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202 G. NICASI

presto. Havendo la Sua Reverendissima et illustrissima Signoria altre
volte maneggiata questa cosa, et credito assai et con Colonnesi et con
Orsini, et auctorità etiam appresso la Santità del Papa, veramente non
li doverrà manchar mezo ad condurre ad qualche buon effecto et com-
positione per qualche tempo intra epsi Colonnesi et Orsini. Ma sa-
rebbe necessario tale opera si facessi sanza alchuna intromissione di
tempo, o almeno che di presente le offese intra loro si sospendessino
per qualche mese: et questo servirebbe assai ad proposito, chè non
essendo oppressati li Orsini, nè li Baglioni [nè li Vitelli] harebbeno
justificata cagione di fare movimento alchuno, et noi etiam più ardi-
tamente negare la requisitoni loro, con ricerchare da epsi la observan-
tia della fede et obligationi hanno con noi, essendo nostri soldati ete.

325. (Ep. II. 87). Perugia, 1498, Aprile 25.
Angelo Leonini da Tivoli a Paolo Vitelli

Illustre S. mio com., questa nocte hò adviso da Roma come li
Colonnesi hanno mandato dal Duca de Urbino con farli instantia vo-
glia intertenere et V. S.ria per quel modo che pote, et ancora questi
S.ri Baglioni, con non fare adcordo aleuuo con essi, solo perchè nè
quella, nè decti S. Baglioni, possano moversi alli favori dell’Ursini; et
in sua satisfactione li offerono el S. Carlo, quale lo S.r Fabritio dice
essere in suo potere rendere indreto lo suo rescatto de 40 milia du-
cati. Et più che fra pochi giorni inviaranno Antonello Savello con
40 homini d’armi et 100 cavalli ligeri in Foligni, dove starrà al ordine
de sua S., per offendere li Baglioni, monstrando, quando soa S. facia
le dui opere, primo retinere Vostre S., et movere guerra alli Ba-
glioni, ne seguiranno cose honorevoli assai per tucti et che, per dare
recapito alle cose soe, haveano pratiche colla M.tà de re Phederico de
condurlo con quella, et che speravano farli havere bonissima conditione ;
et ad questo effecto la prefata M.tà in brevi dì li mandarìa uno suo.
Et piü li reeordano che non se lassi governare né al parere del pre-
fecto né de Vostre S., la intelligentia delli quali dicono essere despia-
ciuta alla Soa M.tà. Questo è quanto io ho pr lli Colonnesi, cioè
[per] S Fabritio, esserli stato significato; le quali soe persuasioni V.
S., che se trovano li presso, possono ben sapere quale effecto habiano
facto. Una volta l'é da dubitare che ad tante offerte quel S. de facili
se possa lassar tirare, maxime che in dicti advisi se contenga tutte
quelle partite siano state conferite collo Ill.mo et R.mo Ascanio. Ad
mi pare ce habia prestato le urechie, havendose distolto dallo accordo LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 208

con questi S.ri peroscini, essendoli stato offerto per Vostra S. quanto
havesse mai desiderato. Per tanto, ancora che sapia quella essere cir-
cumspectissima in tutte cose, pure voglia avertire de che natura seria
quando lo prefato duca [se fusse] lassato tirare in dicta sententia del
S. Fabritio et quello ne portasse lo nocere questo stato, stabilito etiam
colle forze de casa vostra, et più lo comparire delle genti loro de qui;
che, pigliando decto duca la volta de re Federico, vostra S. non porria
aspectarne se no maleficio, non obstante ne sia inteligentia et confe-
deratione fermate fra quello et V. S., attenta la inimicitia che decto re
pretende tenere con quella et con tutti che sonno stati in favore de’
Frangesi.

Suplico adunche V. S. voglia, prevista la importantia de questi
manegi, fare ogne opera interomperli, perché, ultre ne seguirà commodo
ad tueti li nostri, ancora ne seguirà beneficio allo prefato duca, al quale
li saranno promesse de cose assai con nulla o poca ob servantia. Et,
per una delle prime opere, veder assectare questa differentia con questi
S.ri Baglioni, quali in omnibus se sonno remessi in quello V. S. iu-
dicarà, che ad tanto verranno ; non solo per posser essere expediti ad
questi presenti bisogni, quanto che hanno ad caro lo prefato duca et
li altri possano vedere quello V. S. po’ disponere de lor S.

Io heri per una mia scripsi ad V. S. li piacesse scrivere una let-
tera ad questi S.ri, volessero sollieitare la partita con Adriano, quale
ve dissi restarla per queste gelosie, quali tucta volta crescono per
dui advisi ho visto questa matina, siché quella voglia sedare le cose
da questi S., non solo per lla andata de Adriano, quanto perché tutti
lor S. possano venirsen^ con. quello, come hanno deliberato et venire
con tucte le loro forze, si come per uno loro V. S. intenderà. Et per
quello ehe io vedo, eosi sonno studiosi in omnibus obtenperare al pa-
rere et judicio de V. S., come de questi loro patri.

Ho inteso Vincenzo non heri l'altro venne da V. S., e non so con
che apontamento ; haverò caro intenderlo; pure, quando non fosse al
tenore de l'ultimo preso con quella, non se meravigli, perché spero, alla
arrivata che heri fece messer Francesco, quelli R.mi Cr.li responde-
ranno piü particolarmente.

Intendo lo Ves.co de' Pazi deve cavalcare ad Firenze per condure
le S. Prospero Colonna et Antonello Savello per ordine de Ascanio;
questo l'Ó per una lettera de messer Antonio de Spanocchi qui ad un
suo amico. Altro non ocorre ; subito hauta la resposta da Roma, verrò
da V. S., alla quale me recommando.

Li Colonnesi alle Celle hanno facta gran monitione de grani;
credo per desegno de nocere quelli lochi convicini.
-— m 42 VOTI N64

204 È - G. NICASI
326. (Ep. II: 110). |». Perugia, 1498, Aprile 25. XXIII.
Rodolfo Baglioni a Paolo Vitelli.

Magnifice affinis amatissime, comen. etc. Inteso quanto per il
nostro ser Valerio é stato referito circa la resposta della Ex.tia del
S. Duca, ne simo confermati nel primo nostro juditio, cioè che Sua
Ex.tia farà ogni opera per intertenere tucti li favori che potessero
concorrere per la Ill. Casa Ursina. Perché, condesciendo noy ad tucti
quelli mezi che Sua Ex.tia haveva dimandati et che per prima non ce
serriamo mai venuti se non per questo caso de' S.ri Ursini, et non ve-
nendo ad aeceptarli, si puó chiaramente comprendere ad che fine tende.

Le scuse de S. Ex.tia et che qua se parle di ley ete. per mia fe’
sono molto frivole, per le ragione ce dice epso ser Valerio havere assi-
gnate; a la parte del Catalano è proprio un sogno, perchè non è la
verità. che habbiamo may factoli intendere che habbi a essar mezo, ne
venir qua, per questo caso, né per altro, et questa é la verità.

Et per diverse vie comprendemo che questo S.re ha ad fare ogni
cosa per intraronpere che non se vade ad questi favori et già simo cer-
tifieati da Roma che i S.ri Colonnesi han mandato ad Sua Ex.tia ad
fare ogni instantia possibile ad questo effecto, offerendoli molti partiti.
Anco havemo tocho cum mano che quella fa instantia che Ieronimo
habbi a dar fastidio et li ha data polve, sayettime, lance et 300 ducati
et offeriscile fanti.

Havemo etiam adviso che, per conto de Ieronimo, forono levate
da Saxoferrato de questa septimana doy some d'inbracciature, altre-
tante de rotelle et corazine et messe in Civitella.

Item havemo di bon loco che de qui a otto di el conte de Ster-
peto deve intrare per la Rocha de Asese, cum 200 fanti de Sua Ex.tia
et 80 cavalli et devece dar fastidio et già hanno quelli da Valfabrica
cominciato ad rompere, che hiere admazorono a la strada tre nostri
contadini.

Havemo anco et simo certificati ch'e' fulignati, facta la treva, devono
ronperci ad istantia de’ Colondesi. Anco ad Chiusci se fanno ragunate
secretamente. Et ogni eosa cognosciemo farsi ad effecto de guastarci
questo desegno. Pregamo adonche la M. V. che facci ogni cosa per
trovar qualche mezo ch'] S.r Duca ci facci qualche assecuramento et
quando non cognosciamo, et intra Sua Ex.tia et questi, altri mezi et
cum qualche suspecto intestino, non serria securo andare a li favori de’
S.ri Ursini et lassar le cose nostre in tanto pericolo.

Ne la recuperatione che fece questo anno Giovanpaulo de Graffi-
LA FAMIGLIA ViTELLI, ECC... 205

gnano, intra l'altri un S.or de Monte Galvello li vicino, fece ogni de-
mostratione per epso Giovamp. et hora, credo per ordine de’ S.ri Co-
ondesi, quelli S.ri da Sipicciano, cum circa domilia fanti viterbesi et
circa 60 cavalli, sono andati ad ‘ampo a dieto Monte Galvello, loco
picholo et non molto forte; el che essendomi significato, per non lassar
l’amici, mandai subbito Giovanpaulo cum 50 cavalli et certi fanti ad
quella volta, cum ordine levare fanti da Baschye et da Alviano, per
soccorrere el detto S.re. Credo li leverà da canpo et poneralli in qualche
accordo et serà giuoco di pochi di.

Guido era andato a Spello per adviare et spengere inanzi Adriano
cum 50 balestrieri et 20 homini d’arme et subcedendo questi ad visi li
ha ratenuti. Pur mi credo che li balestrieri ogni modo anderanno et
alla M. V. mi racomando, et cusì mi racomandate al m.co Vitellozo et
ad messer Sante nostro.

921. (Ep. II. 76). Perugia, 1498, Aprile 26.
Angiolo Leonini da Tivoli a Paolo Vitelli.

Ill.re S. Mio Com., in questa hora ho receputa una de V. S., dove
diee non haver hauto mio adviso poi arrivai qui, de che molto me doglio
havendo già per dui volte seripto ad V. S. assai longamente, non solo
circa la dispositione de questi S.ri, quanto ancora per la ultima mia
de jeri de alcuni advisi havea hauti da Roma. La prima mia lettera
la portò un ragazo de Theseo de Redolpho della Petra; la seconda la
portò un homo aposta de questi S.ri, che venne da V. S. Me doglio ve
sia facto si malo servitio, potissime della presente.

Circa le dispositione de questi S.ri li replico che loro S.ri sonno
prontissime, non solo de mandarce, de venirce in persona tucte, et già
Adriano era adviato con 151 homini d'arme et 60 balestrieri ad. ca-
vallo: tutte queste provisioni erano alquanto sospese per la resposta,
portó messer Valerio, lo duca de Urbino havea facta alla S. V., che
havendo ancora piü reincontri del malo animo de Sua Signoria verso
questo Stato ed quanto studiosamente solliciti malignare per lo mezo
de Ieroninio della Penna, certo li dà da pensare alle cose loro de qui
dentro, potissimum che dicono parte delle vostre gente, per vigor de'
'apitoli faeti con il S. Duca, in quello caso le aspetariano contra.

Io, per haver vista V. S. studiosissima de ponere assecto ad queste.
loro cose col dicto duca, li ho confortati ne vogliano star de bona voglia
et che, havendo casa vostra facto tanto in beneficio de questo loro stato,
non lassaria procurare la conservatione d'esso, maxime per desiderare
206 G. NICASI

loro S.rie ne, venessero de compagnia in questa inpresa et per questo
volessero inviare Adriano colle gente deputate, quali darriano reinfre-
scamento alle cose nostre de la. Et ad questo effecto di novo questa
mane, havendo hauto Ja lettera de V. S., so stato con messer Hastorre et
de novo voluto intendere l’ animo loro quello erano per fare, me respose
in nome de tueti che io significassi alla S. V. che questi soi patri se
sonno resoluti una eon vostre S.; o venga licentia o no, venirne con
tucte loro forze, dummodo queste cose loro siano composte col duca
de Urbino; che quando decto acordo non sequesse, loro S.rie ceinvia-
riano qualche parte. Et per questo prega V. S., con quella piü instantia
che pote, quella voglia operare questa cosa se compona al modo V. S.
iudicarà, che tueto son per fare per posser essere expediti ad questo
bisogno. Et in questa mane s'é resoluto inviare Adriano colle decte
gente et cosi manda in questa hora li 25 homini d' armi la via de Tode,
et ad sancto Gemino trovaranno Adriano con certi fanti Spoletini, che
la comunità manda ad requesta de Guido, come messer Hastorre, et per
quello che mostra, tucti sonno paratissimi. Per tanto prego V. S. voglia
interponere le parti soe eol decto Signor Duca voglia venire ad questo
acordo, al quale la Excellentia del Duca de Milano intendo ne li ha-
varà scripto, et quando per casu lo prefato duca non volessi venire ad
dicto acordo, per quelle opere li comuni adversarii cercano con soa Signo-
ria, Vostra Signoria voglia pensare de quelli soliti soi modi, sì che questo
stato, formato con tanta gloria de casa soa, partendo quella dal paese,
resti assecurato et fermo, sì che questi Signori possino expeditamente
venirsene colla Signoria Vostra, la quale sia pregata sopra ciò farne
una risposta, in una mia lettera da posserla mostrare a Messer Hastorre.

Questi Signori, subito arrivato qui lo Magnifico Guido, scriveranno
quella lettera alla Signoria Vostra, che me disse procurassi de havere,
quale molto volentieri dicono volerla fare etiam per via di contracto pu-
blieo. Solo resta questo: che Vostra Signoria procuri questo assecto col
deeto Duca et, in evento che non sequisse, pense qualche expedito modo
perla loro secureza et del posserse levare de qui con animo queto : che
tutto lo spero per cognoscere V. Signoria sapientissima et la factura
de casa vostra volerla conservare, et più le antique amicitie ve studiate
mantenerle. Credo alla arrivata de questa V. Signoria haverà hauto
resposta de Firenze, o sia la licentia; et haverò caro intendere qual
chosa.

Heri ebi una lettera de Messer Francesco, data in Nargni alli 24
de questo, dove diceva quella sera seria ad Roma, et che con più cele-
rità possibile tornaria in qua. Subito che haverò adviso alcuno, lo signi-
ficherò per messo a posta ad V. Signoria, alla quale me ricomando. LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 207

328. (Ep. II. 75). Città di Castello, 1498, Aprile 28.
Paolo Vitelli a Cerbone Cerboni.

.... Cum questa siranno tre lectere, doi de messer Agnilo da Tigoli
et de la S.ria de Redolfo, quali vi mando a ciò intendiate, et lo possiate
fare intendere ad chi vi parerà, che '1 iudieio mio che se tenda, non solum
a la ruina de casa Ursina, ma sucessivamente de li Baglioni et nostra,
già comincia a verificarse, come apertamente se vede per la continentia
da diete lettere. Et però è bene che cotesti ex.i S.ri ne satisfaccino, che
ne seguirà etiam la securtà loro. Quando li Ursini, Baglioni et noi
fussimo ruinati, non se posarìa la cosa qui, come possete immaginare.
Bene valete.

829. (D. le. XXVI. 47). Roma, 1498, Aprile 29.

Domenico Bonsi ai Dieci.

Scripsi hieri a V. S.rie, mandate insieme pel fante ordinario con
altre mie sopratenute per non havere latore senza spesa. Dipoi stamani
fui al Rev.mo et Iil.mo Mons re Asch[anio] al quale comuniehai la
copia della vostra allo oratore nostro a Milano de’ 25, et pregailo gli
piacesse favorire il caso di che per la vostra de’ 26 mi commectete ; et
richiesilo di parere, mostrandoli tucta la fede nostra essere nella Ex.tia
del Duca di Milano et in sua Re.ma et Ill.ma S.ria. Monstró la cosa
essere d’importanza et momento grandissimo; commendando la delibe-
ratione et lettere di V. S.rie et domandandomi tempo a rispondere et
risolversi. Di poi hoggi mi fe’ intendere parergli essere optima con-
clusione che fra Colonnesi et Orsini si facesse qualche accordo, come
ne scrivono V. S.rie, et che di questo ne farebbe ogni diligentia: et
exortommi che io ne parlasse con la Santità di Nostro Signore. Onde
subito mi conferi’ a palazo per parlarne al Papa, secondo mi commectete
et come mi ricordò Mons. Asch[anio]. Trovai nella camera del pappagallo
Mons.re di Perugia: al quale conferi’ quello havevono richiesto e’ Vi-
telli et Baglioni, et la risposta di V. S.ria a loro facte. Mostrando aper-
tamente il pericolo, non solo nostro, ma di tucta Italia, ingegnandomi
con ogni mio studio persuadergli, questa essere impresa de’ Veneziani.
Affermò essere caso di momento assai et che di già lo haveva inteso
da varie persone private, che di costà diceva ne havevono havuto adviso,
. et che ne haveva di tucto conferito alla S.tà di n.ro S.re, il quale, se-
condo referi', giudichó essere d'importantia- gravissima et havere biso-
gno di celere remedio : Et da se medesimo mi dixe parer bene a questo
proposito che fra li Orsini et Colonnesi seguissi qualche buono ac-
chordo. Et che a questo effecto li pareva volto et fermo la S.ta di n.ro
————————— MM 7 -: n,

Il
IM
|

208 . G. NICASI

S.re et che non li pareva io altramente gliene dovessi parlare, dicen-
domi ancora che lui ne farebbe ogni diligentia : et nondimeno referi-
rebbe di nuovo a N. S.re tucto quello gliene havevo significato et
persuaso. Andai poi da Mons.re di Colonna et riferiigli tucto quello
che mi commectesti, parvemi rimanessi molto bene chiaro che contro
ogni nostra volontà harebbe ad essere la partita di questi Vitelli et
Baglioni da voi: Et nondimeno subiunse che, quando non si pigliassi
forma di compositione, loro harebbe tanete genti d' armi et fanti, oltre
a quelli che hanno de presente, che non dubitano, non che potersi di-
fendere da questo augumento de' Vitelli et Ballioni, ma poterli vali-
damente offenderli. Stimo doveranno essere, o domani o al più mar-
tedi, insieme il Papa, Mons.re Asch[anio[. Mons.re di Perugia et Colonna
et Savello: et che si farà qualche buona conclusione per levare le

armi fra queste due Chase o almeno per qualche tempo. Solleciterò

a questo effecto quanto potrò questa cosa et vi adviseró del seguito
330. (D. r. LVII. 102).

Pietro Corsini ai Dieci.

Gubbio, 1498, Aprile 30.

Magnifiei domini mei ete. Seripsi a V. S. da Chastello addi XXVI
del presente, et quello di mi transferi' qui et posi la commessione di V. S.
a questo illustrissimo Signore, el quale, per rispecto di quelle, mi vide
volontieri et mi fece grata achoglienza et continuamente mà' molto ho-
norato. Mostró havere molto grato che V. S. confidassino in lui et non
di mancho fece una lungha querela di quegli M.ci Baglioni, allegando
molte ingiurie ricevute da loro, di fatti et di parole, et non mancho di
parole usate in suo dispregio; et pareva al tutto resoluto volersi ven-
dichare hostilmente di tale ingiurie: pure mostrandogli io quello che
importa in questi tempi el muovere arme et che si debbe havere rispecto
ad maiora, tandem si risolvè a dovere aspectaré la venuta di questi
M.ci Vitegli, che già era restato d’achordo con Messer Churrado ci do-
vessin venire jeri, et chosì feciono: et parlando io con Pagholo et Vi-
tellozzo, avanti parlassino col Signore, restamo insieme e’ termini do-
vessino usare, et quello fussi da chonsentire al Signore che per decti
Baglioni si dovesse fare: et la difficultà non é solo della torre; chè do-
mandava cinque chose principali, che di tre ci achordamo che dicti Ba-
glioni le debbino consentire, et chosì di poi oggi tucti insieme ci ab-
biamo quasi ridocto el Signore al chonsentirle, et l’altre dua, che im-
portavano più, posarle. La prima di queste tre, che pare a questi Vitegli
che pe’ Baglioni si debbi consentire, è lo spianarsi la torre, et di questo
diehono sapere non ci sia difficultà : la seconda, che pe’ Baglioni si re-
stituischa tutte le cha stella havessino prese degli Asisani, et questo LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 209

n

illustrissimo Ducha è chontento fare el simile di quelle tiene lui: la
tertia, che Girolamo della Penna torni in Perugia, insieme con uno pa-
rente di questo Signore, quale è di pocho momento, et questi Vitegli
giudichano che il tornare di Girolamo sia molto a proposito de’ Baglioni,
per essere stato sempre della parte loro, et che, havendolo inimico, pos-
sino male tenere loro stato, el quale mostrano giudichare essere molto
deb le per molte cagioni et ragioni n’alleghano, et che se questo Signore
procedesse sechondo quello haveva disegnato, harebbono pocho remedio.
Et per vedere di posare questa chosa, questi Vitegli, et io insieme con
loro, habbiamo deliberato mandare, domattina, a Perugia a fare inten-
dere a decti Baglioni fino a che ci confideremo disporre questo Signore,
confortandogli et persuadendogli, monstrando loro e’ pericholi ete.

Io vi manderò el mio cancelliere bene instructo et con quella co-
missione mi parrà bene a proposito, et decti Vitegli, insieme con decto
cancelliere, rimanderanno un loro huomo praticho con tale Comissione,
che farà largamente loro intendere e' pericoli in che si truovano et qual
sia el bisogno loro. Credo doveranno essere di ritorno mercholedi, o
giovedi, al piu lungho, et allora conoscerò se si può sperare achordo
intra chostoro, et se vedessi la cura disperata, piglierò licentia da questo
Signore et torneromene a V. Signoria, ma, se vedessi fussi per sortire
effecto, staró, flno a tanto vegha di farne conclusione, et perché so la
mia Comissione non debba durare piü che tutto di septe di maggio,
non mi curerò soprastare dua di al giugnere costi, pure che quello ha-
vessi a concludere fussi drento a decto tempo: ma, mi forseró stregnere
con piu velocità mia sia possibile all’effecto.

Questi Magnifici Vitegli partiranno domani di qui per a Chastello :
hannomi preghato gli rachomandassi alle S. V. et maxime che sieno
provisti di qualche soma di danari, che più dì sono se’ nè dato loro inten-
tione. Questo Signore ha fatto loro grande dimostratione d affectione,
et molto honoratogli, et parlano molto honorevole et amorevolmente
luno dell'altro, et dimostrano havere ferma et intrinsecha amicitia infra
loro. Et decti Vitegli m'ànno mosso alchuni ragionamenti, e quali mi ri-
serberó a bocha a riferire a V. S. in gratia delle quali mi rachomando.

331. (D. le. XXVI. 48). - Roma, 1498, Aprile 30.
Domenico Bonsi ai Dieci.

Seripsi l'ultima mia a 29 a V. S.rie. Sono stato di poi hoggi con

la Santità del Papa et con Mons.re di Perugia, dove etiam era pre-

sente uno secretario di Asch[anio], per sollecitare la conclusione sopra

14
910 G. NICASI

questo caso de’ Vitelli et Baglioni, repetendo a sua Beatitudine tucto
quello me commectesti per le vostre de’ 26. Rispose di ‘tueto essere
benissimo informato per quello li haveva hieri referito Mons.re de Pe-
rugia et stamane el R.mo Mons.re Aschanio, il quale dixe non mancho
favorire questa cosa a beneficio comune di Italia et nostro, che se fusse
sua cosa propria: et che così disposto fare ancora è lui: Et poi mi

: dixe che V. S.rie in nessun modo dessino licentia a Vitelli et Baglioni,

ma la denigassino: come era certo haverete facto insino a qui, per
quello gliene havevo significato pel contenuto delle vostre lettere et
mostrò essergli capace le ragioni nostre a credere fussino mossi da-
Vinitiani: et che però tanto più conveniva haversi riguardo a facti no-
stri, dicendo che, se bene il Duca di Milano haveva dinegato el passo
a Vin.ni, stimava lo harebbono dal Duca di Ferrara, per non potere
cosi, resistere la sua Ex.tia: et per remedio dixe comanderebbe di pre-
sente a’ Colonnesi che deponessero l'armi, etil simile farebbe alli Or-
sini: et a Vitelli et Baglioni ancora comanderebbe che non venissino.
Ringratia[i]lo della sua buona dispositione mostrava: ma che era ne-
cessario fare remedii che tenessino, et presto; operando maxima che
per qualche tempo con ogni presteza almeno si suspendessimo le of-
fensioni fra queste due Illustri Case. Da che nascerebbe che a decti Vi-
telli et Baglioni mancherebbe la occasione di lasciarci: ad che con le
parole mostró essere inclinatissimo et che il discorso gli referi, havere
facto V. S.rie gli satisfacesse: vedrò hora di sollecitare che alle parole i

conseguitino e’ facti; che così piacia a dio
092 (Dr. LVII: 115). Borgo Sansepolcro, 1498, Maggio 2, XXIIII.
Pietro Fagioli Capitano e Commissario ai Dieci.

. Da Francesco Nerli haranno inteso Vostre Signorie la treghua
facta intra quelli di Messer Cryaco da una parte et quelli di Benedecto
d'Arezzo da l'altra, la quale sarebbe stata al proposito, quando questi
di Benedecto, che sono quelli hanno offeso, fussino stati et stessino a
termini loro. Ma epsi, non obstante la treghua, al continuo stanno con
l'armáta, et in casa al continuo hanno quanti sbanditi et huomini di
mala fama sono nel paese, et ogni giorno mi sono in sul palazo, che
è cosa invero vituperosa assai per cotesta nostra Repubblica. Et per-
ché V. Signorie habino di tucto notitia, alla morte di quello di Messer
Cryaco intervennero 5 franciosi, soldati de' Vitelli e' quali si ferono
andar via alla venuta di Francesco [Nerli]. Et questo giorno tucti e
cinque e' medesimi sono ritornati armati benissimo di scoppietti et al-
tre arme et passati a canto le case di quelli proprio amazorono, et iti-

EE .iiui— À—ÁÀ————— ——ÓÓÀ—ÀÀÉ € LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 211

sene adirictura a casa di Messer Cherubino. Et di poi montati a ca-
vallo, et corso per la terra da uno a l'altra banda, insieme con uno fra-
tello di Messer Cherubino, et li faciendo sosta. Di poi uno altro suo fra-
tello, che tucti si trovorono alli homicidi, con due francesi et altri ar-
mati, si conferirono qui proprio sotto al palazzo, tirando schoppietti et
facendo cose tucte disoneste. Di che dando notitia ad Messer Cherubino
et comandandoli li mandassi via, mi mandó a dire erano venuti per
fare feste et recrearsi seco, et niente di mancho ancora non sono par-
titi. E m'è parso di tucto dare notitia ad vostre Signorie perchè me-
diante costoro questa terra parà una spiloncha da ladri et dispiace que-
sta cosa a tucto questo popolo et pare a ogniuno che costoro habbino
tanto chaldo da questi Vitelli, che universalmente si dubita questa cosa
non si tiri drieto altra materia ....

333. (Ep. II. 125). Citta di Castello, 1498, Maggio 2.

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone, Io ho la vostra de’ 28 d’aprile per Carlo da Feghine
vecturale et per lui li 36 schiopetti et li doi fardelli de’ stochi et sto-
chetti et ferri; la valige de meser Corado et doi zanetti.

.... De nuovo havemo per la via de Roma che S.ri Colonesi hanno
preso Gavignano et tuctavolta seguitano la victoria et tendano a la
ruina de Casa Ursina. Dopo la quale, come vi ho facto intendere, segue
la nostra et io la vorria obviare et indutiare quanto potesse et per far
questo effecto ho cum tanta istantia insistito a la licentia per andare a
lo socorso de’ S.ri Ursini et reparare a la ruina nostra. Comprehendo
che cotesti ex.si S.si fanno fundamento in le pratiche de l’acordo et
iudicano per testa via habbia a sortire la salveza de casa Ursina; ma
li effecti se vegano in contrario. Donde proceda non so; so bene che
S.ri Ursini cusì non possano durare ad longum. Et in fine per qualun-
che modo se provedesse che casa Ursina non andasse in precipitio, ad
noi non inportaria o per via d’acordo o come se fusse; purchè una
volta la se salvasse, noi non cercarissimo altro; ma, come ho decto,
l'acordo va lento et la victoria se seguita gagliardamente et cum soli-
citudine et periculum est in mora. Solicitate, una cum chi vi parerà ex-
pedienti de cotesti ex.i magistrati, che, si nienti se ha a fare, si faccia
cum presteza, perchè, quando noi potessimo restare de l'andata nostra
in terra de Roma, lo fariamo volentieri per poterce voltare a li prepo-
siti et desegni de cotesta Ex.a S.ria, secondo simo desiderosi et obli-
gati. Bene valete.

!
Pi
LM UR ERGO Gi si PETI AT Gv

Sa < < n -— I 7*— YOUQ Yr.

MM - — x1

919 G. NICASI
334. (Ep. II. 128). Città di Castello, 1498, Maggio 3.

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone, ho la vostra de’ ij del presente et inteso vostro parere et
le ragioni mediante le quali vi movete a confortarne a soprasedere et
temporegiare l’andata nostra al securso de casa Ursina et presertim
iudicando che per opera de cotesti ex.i S.ri possa de facili seguire
qualche acordo. Respondemo che noi non desideramo altro, nisi la pre-
servatione de Casa Ursina et più presto per via d’acordo che andare
cum le genti d’arme a li loro favori, come per altre nostre havete pos-
suto intendare: quando questa abbia luogo, bene erit; quando no, noi
desiderarissimo, con bona licentia et gratia de cotesti Ex. S.ri, fare
questa opera che a iudicio nostro succederìa a comune preposito et
utilità. Et quando se dubitasse che la renatione (sic) de Casa Ursina
havesse a dare, per il mezo de Piero de’ Medici, alteratione a cotesta
Ex.a Repu.ca, ve se responde che, prima che se mecta il piè in staffa,
ce vorrimo molto bene chiarire et pigliare quelle cautele che se poterà
che tale dubitatione se toglia via et legaremo li S.ri Ursini in modo
costi, che non-poteranno per nisuno tempo calcitrare. Et lo apuncta-
mento et conclusione, che se facesse, se poterìa di poi stabilire, loco et
tempore, cum il mezo de la X.ma Regia M.ta. Infine l’ogetto nostro
siria de obviare che, Casa Ursina non precipitasse, per vedere derieto
ad quella la ruina nostra. Si per via de conpositione se possa fare, ne
piacerìa summopere. Quando noi desiderassimo farli favore cum tutte
quelle forze che sonno in noi, possendone cum bona gratia de cotesti
Ex.i S.ri, altramente malvolentieri ce acordaremmo a farlo.

Ce trovamo qua senza uno soldo. Curate per vostra fe’ de man-
dare qualche denaro, o per via de amen, o per conto de’ nostri soldi, o
per via d'interesse, come in fine se potesse, purchè havessimo qualche
subsidio. Et qui usate omni vostra diligentia. Et bene valete.

Post. scrietum. Solecitarite pure la resolutione de la licentia, perchè

‘ periculum est in mora. S.ri Ursini non possono durare in li termini

se retrovano et, chi ha cercato suspendere lo acordo intra li S.ri Ur-
sini et Colonesi, andarà derieto al desegno suo a ciò intravenga ali
S.ri Ursini quello che intraviene a uno corpo febricitante che, quando
el è atenuato et ha persa la virtù, bisogna che se resolva et non li
vale cose restaurative, et cusì intraverà a li S.ri Ursini, che essendo
oppressi, se non se li porge presto la mano, siranno necessitati a suc-
cumbere: ma in omnes eventus l'andata nostra è a proposito; si non’
ci sonno pratiche d’acordo cum animo -et intentione de concludere, noi LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 213

gli ne farimo venire voluntà, et omni volte che noi sirimo in camino
darimo sperone et aiutarimo la materia, et quanto piü presto ne aviamo
meglio e a ciò ; asettate che siranno le differentie de li baroni, possiamo
operarce ali propositi de cotesta Ex.a S.ria, che altro non desideramo,
a ciò cognoschino una volta che differentia sia dal servitio de’ meri
soldati, a quello de soldati, et servitori, come simo noi. A la mag.tia de
Thomaso Caponi ce racomandarite, per nostra parte li presentarite
uno panerello de prugnoli et farite nostra excusa che, si noi simo man-
cati mandare a la quatragesima, li temporali contrari ne sonno stati
causa. Hora che se ne cominciaranno a trovare, curarimo mandare più

spesso.
835. (D. r. LVII. 145). Gubbio, 1498, Maggio 4.

Pietro Corsini ai Dieci,

Magnifici Domini mei ete. L'ultima mia a V. S. fu a di XXX del
passato (aprile) et feci intendere della resolutione facta de mandare
el mio cancelliere, insieme chon uno huomo de’ questi Magnifici Vitelli, a”
Magnifici Baglioni, e quali trovarono molto dischosti a venire a achordo
alehuno, negando quasi tuete le conditione proposte loro, facendo molto
el ghagliardo : pure el 2° di si dimostrarono alquanto più chini et re-
solveronsi mandare'uno loro huomo a’ Vitegli, et jersera ritornò qui Mes-
ser Churrado et riferisce cho m’ e’ saranno chontenti rendere le terre de-
gli Ascesani et la torre et chosì del chaso di girolamo della Penna.non ne
fanno difficultà, parendo sia a loro proposito. Resta solo el chaso di
Bernardino, parente di questo Signore che non consentono per anchora
rimecterlo, del che habbiamo facto instantia deeto Messer Churrado et
io a questo Signore a dovere porre da parte per hora questa chosa di
decto Bernardino et non è suto possibile farglielo consentire et, per
quello ho racholto a questi dì chavalehando chon decto Signore et per
quello ha expresso di presente, si chonosce che decto Bernardino desi-
dererebbe che tale achordo non andasse innanzi et venire a roctura
con loro; pure, per sodisfare a V. S. et a que’ magnifici Vitelli, non è
per tornare indrieto di quello ha promesso. La chagione perchè mi
pare desideri procedere chontro di loro, sono che confida pocho di loro,
et dice che non gli observeranno pacto promectino, chome si veghono
puneto allentare dal pericholo. L'altra che gli pare vedere molto facile
‘a potere mutare quello stato. Et per fare ogni possibile che questo
achordo venga ad effecto, chonfortato da Messer Churrado per parte di
quegli Magnifici Vitegli, mando di nuovo decto mio cancelliere a Pe-
914 G. NICASI

rugia, insieme con uno huomo di loro Magnificentie, per vedere di chon-
cludere, per quanto si possa, per non manchare in questo chaso d'opera
a tale effecto, et più presto sarò chontento potere essere imputato da
V. S. de lo mio soprastare qui, che di manchare di diligentia. Et in chaso
che alla tornata di decto chancelliere questa chosa non sia conclusa,
subito tornerò a V. S. — Io ho atteso continuamente a dissuadere a
questi Magnifici Vitegli lo andare a favore de gli Orsini, chome da Cha-
stello seripsi a V. S. et chosì poi qui è nella venuta loro, et etiam
a messer Churrado, che più volte è ito in giu et in su allegando, tutte
quelle ragioni che largamente si possono alleghare et ho trovato decto
Messer Churrado havere molta consideratione et respecto a questo loro
pensiero. Et, per quanto mi sia paruto comprehendere, giudico gli abbi
sconfortati a tale impresa el simile so ha facto questo Signore. — Parte,
questa mactina, decto Messer Churrado per a Chastello, et per quanto
m'a accennato questo Ill.mo Signore, verra costi a V. S., mandato da’ pre-
fati Magnifici Vitegli. Conforterei V. S. a fargli buona achoglienza :
et satisfargli in ogni altra chosa, salvo el chonsentirgli el separarsi da
V. S., perche ritragho et chon buono fondamento, che infine molto pesa
loro quando pensano doversi o potersi discrepare da V. S.: et è per que-
sta chagione maxime che mé parso dover mandare questo fante a po-
sta a V. S., parendomi importi dare loro tale notitia. Rachomandomi a
V. S. quanto più posso.

336. (Ep- II. 135). Città di Castello, 1498, Maggio 6.
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone, havemo la v.ra de’ 4 de questo, per laquale restamo
avisati de l'arivata a Firenze de Nicolas Alamanni, cum lettere creden-
tiali de la X.ma M.ta Regia a cotesta ex.a S.ria et ad altri particulari
servitori di quella, et intra li altri, essendose recordata de noi,ne ha-
vemo preso grandissimo conforto Et peró rengratiarite, nomine nostro,
Nicolas de la inbasciata, la quale n’ è stata acepta sopra omui altra
cosa havessimo possuta intendere. Et non obstante che noi respon-
diamo per lettera nostra a prefata M.ta Regia et li faciamo intendere
el bisogno et desiderio n.ro, pur pregarite Nicolas che, tante volte
quante li occorre, ne racomandi a prefata M.ta Regia et a San Maló
et che li recordi la fede et servitù n.ra, da la quale non simo per de-
viare fin tanto ne durerà la vita, dimodo se faccino cum noi porta-
menti che possiamo persistere et continuare in preposito.

L'andata n.ra in terra de Roma, noi simo non tanto per differirla,
ma per removerla totalmente, omni volta che lo acordo segua intra li

- —— -— = — —
LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 215

S.ri Ursini et S.ri Colonesi; al che desiderarissimo cotesti Ex.ri S.ri
interponessino l’auctorità loro in modo ne havesse a seguire lo effecto,
a ciò se potessino in loro occurrentie servire de noi, ma dubitamo che
le pratiche de lo acordo, come per altre n.re havete inteso, non sieno
alfine tirate in longum, che li S.ri Ursini, non possendo durare in li
termini se trovano, se habbino a consumare et per consequens sienno
necessitati a succumbere et, vedendo noi la manifesta ruina nostra dopo
la loro, inique ferimus. Et quando la pratica de l’acordo non habbia
luogo, ne sirimo necessitati de nuovo a recercare licentia de possere,
cum bona gratia de cotesta Ex.ta S.ria, andare al socorso loro, che
come per l'altra vi fu sericto, ce acordarissimo mal volentieri a farlo
altramenti.

La solecitudine v.ra circa al retracto del denaro, non seguendone
altro effecto, ad noi é poco proficua. Infine bisogna che voi chiariate
una volta cotesti Ex.ri S.ri che cussi non possemo stare, et che le pre-
gate che ce dieno modo a possere mantener la compania, havendola
questa invernata cum tanta spesa n.ra substentata. La licentia se dà
in piü modi. Quando el n.ro servire non fusse acepto, meglio siria de
chiarirce, che lassarce consumare et ruinare, et noi et la compania. Noi
simo al tempo de l'inprestanza et anche non havemo li serviti et ha-
vemo debito la vita et non sapemo hora mai dove ce voltare piü per
havere uno soldo; pregatele per dio che non ce voglino mancare, per-
chè la siria l'ultima ruina n.ra ; overamente, come è di consueto, quando
el servitio n.ro non sia a loro preposito, non ce tenghino suspesi ; chiari-
schino la mente loro, che, poy che noi fussimo desfacti, ale S.rie loro
non poteria resultare né utile, né honore.

Li 300 ducati devemo a Pavolo Ant.o, sirimo contenti se compu-
tino al pagamento ha a fare et à conto de' n.ri serviti.

Al partito propone Iuliano Gondi, de pigliarce li detti de li con-
donati et de quelli hanno a fare la presta, non è a preposito n.ro;
non ve ne inpacciate.

Cum questa sirà la resposta n.ra a la X.ma Regia Maestà; da-
riteli recapito.

. Circa la causa di Loviggi de la Stufa, el S. Duca li scrive, e io li
mando quanto la Ex.tia me risponde, sirà e l'una et l'altra qui alli-
gata: dariteli la sua, et la mia li mostrarite,

De le cose de li S.ri Ursini non vi posso dare altro particulare
aviso, si non che vi chiarischo per una max.a che, non havendo altro
aiuto, non possano durare a longum. Bene valete.

Darite a Thomaso Caponi certi prugnoli, quali se mandano per lo
'aportatore et farite nostra excusa che questo anno se ne trovano pochi.
916 G. NICASI

337. [Ep. II. 140]. Città di Castello, 1498, Maggio 8.
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone, veduta et intesa la v.ra de’ vj del presente, risponderò a
le parti. Et prima del carico n’ è dato apresso cotesti Ex.si S.ri per le
controversie del borgo, circa le quali non havemo facti portamenti de
qualità che meritano — si le S.rie loro voranno intendere il vero, et chi
se trova al Borgo per quelle, et non andare derieto a ciarlamenti bor-
ghesi, che altramenti non li saparìa chiamare — una minima reprehen-
. sione. In la compania n.ra noi non havemo, come sapete, francesi; e’ è
solum uno alamanno. Non se havendo, non sonno possuti andare al
favore de m.er Cherubino et fare tante cose, quante se allegano. Pre-
terea per l’afectione et servitù portiamo a cotesta Ex.sa S.ria, non ha-
varissimo altro respecto all’ honore et interesse de quella che al proprio
et li modi tenuti per noi per lo passato, per tucto el camino, ne possano
rendere testimonio. Et si in li altri loro convicini è may cascata ge-
losia, o suspecto nisuno, per nisuno tempo, in noi non may ; simo sempre
stati la siepe da queste bande de lo stato loro et havemo facto sempre
capitale de la protectione de cotesta M.ca Cità, sotto la quale simo
nati et alevati. Et oggi lo facemo più che mai; et, se verrà cercando et
examinando, non trovaranno che servitori habbino al mondo ne passino
d’ afectione o fede, de le quali non mancarimo fin tanto ne durarà la
vita.

Si el s'é facta istantia d'obtenere licentia per andare al socorso
deli S.ri Ursini, onde iudicamo sia generata qualche ombrezza, non è
stato ad altro effecto, che per reparare a la ruina n.ra, la,quale vene in
consequentia dopo quella deli Ursini et parevane etiam ce fusse, come
invero c'é, lo interesse et comune proposito de cotesti Ex.si S.ri, perchè
omne volta che venisse la ruina n.ra, seranno necessitati a darce aiuto
et, dove tolto questo dubio se possano in omni loro abisogno servire de
le persone nostre, de la conpania et de li amici, bisognerà che, essendo
noi molestati, voltino de le genti d'arme loro a la defesa nostra, cum
ispendio et non senza periculo de le cose loro. Vedete mo' quello vene
a dire a conponere le differentie deli S.ri Ursini et quanto inporta. Et,
eome altre volte v'è stato facto intendere, ad noi siria summo a pia-
cere che le pigliassino più presto sexto per via d'acordo, che havere
a cavalcare cum sinistro de la conpania et periculo et afanno n.ro. Et
però, iterum atque iterum, racomandarite a cotesti Ex.i S.ri questo caso
et le pregarite che, cum omni studio et diligentia, usino tucti quelli mezi
pareranno loro expedienti, che questa pratica sortisca effecto, a ciò pos-' LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 217

siamo, come è nostro desiderio, essere a li prepositi loro dove bisognerà,
et demostrare l' animo nostro sincero, exponendo le facultà, lo stato et
la propria vita, al servitio loro et non stieno in dubio, quando mille
volte noy havessimo a cavaleare, che malvolentieri el farissimo, se non
cum bona licentia et gratia loro, may habbiamo a deviare da cotesto

cammino, né mancare de la servitü antiqua et fede havemo continuo:

portata et portamo a cotesta Ex.sa Repub.ca, si da quella non sia già
data urgentissima causa, che quando fusse, non poteria essere si non
cum summa displicentia n.ra et ne doleria per infine al core.

A la parte del Comissario de Valiana, e’ sonno più di che la M. Sua
ne scrisse per Bernardino da Foyano mandassimo x o xij balestrieri
per securtà de quello luoco. Et in ne l’ultimo de la l.ra se remecteva
a prefato Berardino, quale ne fece intendere che haveano desegnata una
cavalcata et che volevano magiore numero de cavalli et, facta la ca-
valcata, se possevano li x o xji balestrieri restare a Foyano, et li altri
tornare a le loro alogiamenti. Noi mandassimo a provedere la caval-
cata et, havendo terminato farla, el Comissario ne scrisse dovessimo
soprasedere, perché ne voleva fare un'altra da la banda de Monte Pul-
eiano de piü inportantia et che non li pareva expediente rompere cum
Senesi. Et havendola noy provista et conclusa, sopravenne la nova de
la rotta de' S.ri Ursini, la'quale essendo de momento grande a le cose
nostre et parendone havessaro bisogno de pronto socorso, mandassimo

subito a Firenza per cercare licentia de cavalcare a li loro favori et, -

sperando obtenerla, respondessimo al Comissario che per alhora non
era tempo de fare scorrarie et che ne ocorriva cavalcare, non li dicendo
altramente dove, et non mandassimo, perchè il tracto era però longo de
40 miglia o piü et non se veniva in taglio, stimando havere licentia de
andare in terra de Roma, de dare quella stracca a cavalli. Di poi la
M.tia del Comissario ne recercó li mandassimo 40 o 50 balestrieri, quali
alogiavano in quelle circunstantie, et questi non andaro, che havendoli
noi già remossi da li alogiamenti, dove non possevano piü stare per
penuria de' strami, et l'herbe non erano anche venute per li temporali
contrarij, et retiratole de qua, non ce pareva a proposito per le ragioni
preallegate mandarle; né anche 1o possevamo levare de qua senza qualche
poco subsidio: et facessimo intendere al Comissario per excusa nostra
che noi non ha. vamo in n.ra balya uno quatrino da poterle aiutare ; fin
tanto che noi havemo tanta comodità de qualche denaro, noy le havemo
aiutate et senza replica mandati dove è stato necessario. Et Thomaso
Thosinghi ce ne po’ fare fede che, al tempo che fu Commissario a. Val-
liana, non ce domandó may xx cavalli, che non ne havesse senza tempo
nisuno quaranta. Quello che se fece fu non per non volere obedire et

15
218 G. NICASI

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mancare del debito nostro, ma per le ragioni havete intese et per im-
possibilità, che gli è buon tempo che noy havemo hauto sì poco subsidio,



che, si non fusse che havemo inpegnato et y stessi amici et parenti, ne

sirissimo morti de fame: horamai non c’è più remedio, non sapemo

dove ce voltare più et maravagliamoce et ce dolemo de li portamenti
se fanno cum noy, che non ce pare la servitù et il servitio fedele ha
da noi hauto cotesta Ex.a S. lo meriti. Et per ciò siate pregato fare
omni conato et usare omni extrema diligentia de recavare denari. Et,

si non si po’ de presente a migliara, dienoce a centinaia, a ciò non
habbiamo a morire de fame cum questa conpanìa, quale havemo cavata
de l’invernata cum tanto despendio et interesse n.ro et conductola qui

STARTER SE PRIEST

in modo a ordine che se ne possano loro S.rie servire et farne omni

desegno, et avisate che speranza se possa havere et cum presteza, perchè
cusì non possemo infine più durare. Et questa è la summa.

Al particulare de la differentia verte intra la Ex.tia del S. Duca
de Urbino et S.ri Baglioni, non acade dire; da m.er Corado nostro in-

tenderite el tucto, chè è apieno informato et seco comunicarite questa,
’ | .
perché non li serivo altramente. Bene valete.

838. (D. lc. XXVI. 52)... Roma, 1498, Maggio 9.

Domenico Bonsi ai Dieci.

.... Stamane, de buona hora, presentai la lettera della Signoria al
Papa et, perchè fu concistorio, non pote’ parlargli et mi fu ordinato
tornassi hoggi a Sua Santità et così feci. Dove, poi che aspettai hore
tre, mi fe' chiamare; et alla presentia era Monsignore Asch[anio] et

Monsignore di Perugia et prima mise fori el tenore della lettera de’
nostri Excel.ri Signori, la quale disse havere comunicata a tutto il
concistorio, subjungendo che, benchè havesse desiderato haver qui [a
Roma] fra Gyrolamo, non di meno, et per le ragioni che in decta lettera
summamente si allegavano, et perche' desiderava assai piacere a' nostri
Ex.si S.ri, era contento che di costà si exequisse quello dicevono voler
fare e' nostri Ex.si S.ri, et per tale effecto manderebbe costi, fra due o
tre di, il Generale dell’ ordine de’ Fra Predicatori, et uno Messer Fran-
cesco Ramosino Ciciliano, auditore del suo ghovernatore, con piena au-
torità, come da loro di costà si intendeva. Ringratiai assai S. S.tà et

dipoi gli fece intendere tucto quello m' advisasti de’ Vitelli et Baglioni,
et de’ 300 cavalli mandati per Vinitiani a Pisa pel Ferrarese, et de’
presti remedi bisognava facessi S. S.tà, inducendo tucte le ragioni che
per le decte vostre mi significate. Risposemi prima che già da’ Colonnesi

rm ————__—r—r——————__—____—
LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 219

haveva havuto pien mandato di potere conporre fra loro et li Orsini:
et che hoggi Mons.r di Sanseverino era stato da lui et li haveva decto
che domani ci sarebbe il mandato dalli Orsini: et quando quello ci
fusse, come sperava, manderebbe per l’una e per l’altra parte et sfor-
zerebbesi che lo accordo seguisse: et nondemeno mi ricordò che ad
ogni modo dovessi scrivere a V. S.rie che conducessino a loro soldo il
Duca di Urbino: et che si facesse al presente ogni sforzo contro a
Pisa, dando per tucto il guasto. Mostrò dispiacergli esservi venute le
gente che advisate : et nondimeno che, quando si tenesse [modo] non
havessino victuaglie, era da spèrare potessi rihavere Pisa: et alla pre-
sentia mia commise si mandasse per Villa Marina per dargli commis-
sione che si rapresentassi a Livorno co’ suoi legni, per impedire Vinitiani
non rimandassino victuaglia in Pisa: et così richiese Mon.r Asch[anio]
che adoperassi con la Ex.tia del Duca di Milano che e’ Genovesi impe-
dissino, et con galee et con navi, non vi si potesse per Vinitiani mandare
victuaglie, nè altro per mare : et molto mi richiese vi scrivessi che vi
facessi ogni sforzo: et che sapeva e’ Vinitiani non restare di cercare
di darvi ogni molestia : et: che lo Oratore Vinetiano qui s’era doluto
molto della denegatione del passo haveva facto il Duca di Milano, et
delle dimostrationi che S. S.tà faceva verso di noi: et che haveva facto
intendere a S. S.tà, come il nuovo Re haveva scripto alla S.ria di Vi-
netia come ad amici, significando loro la morte del poverecto Re et la
sua felicissima successione a quello: et come a Vinetia s'era deliberato
mandarvi tre ambasciatori ...: et come loro s’aiutavano diligentemente
in ogni cosa, così dovavate fare voi et mandare presto e’ nostri oratori
electi alla S. M.tà, et che gli piacerebbe vi fussino prima che cotesti
de' Vinitiani. ....
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4
REA TE

RICERCHE DI TOPOGRAFIA MEDIOEVALE ED ANTICA

« Zapivor 8& ovev]v olmodaL x pay...
mÓAstg è’ Eyovoty diifag al tetanet-
VOnevag dLù Todg coveysig ToXgjovg,
’Apitepvov xal "Pe&ve, d TAiNoateL
*épr 'Ivvepoxpéa «xai tà sv KorwALtatc
Tryp Diata, dop dv xat Tivovor xat
epuaditovieg deparevoviat vócoUg ».

STRAB. V. pag. 228.

CENNO BIBLIOGRAFICO

— Sulle vicende geologiche della regione in cui sorge Rieti, scrisse
ampiamente ANTONIO VERRI: Studi geologici sulle conche di

Terni e di Rieti. — Reale Accad. dei Lincei, 1882-1883, pa-
gine 1-82. — Roma, Salviucci, 1883. Le conclusioni ivi esposte

furono poi raccolte ed emendate dall'A. nel suo seritfo: Un
capitolo della Geografia fisica dell'Umbria, in Atti del IV
Congr. Geogr. Ital. — Milano 1901.

— Prof. FEDERICO Sacco: Gli Abruzzi; schema geologico (con carta
geologica e cartina tettonica). - Roma, Tipografia della Pace
di F. Guggiani, 1907.
L’A. tratta della formazione geologica della valle reatina, of-
frendoci numerose informazioni al riguardo.
Tralasciamo di citare qui le opere di geografia generale, da
cui si hanno altri cenni ed altri particolari sulla regione.

— Il Regesto di Farfa di Gregorio di Catino, pubblicato da I.
GIorGI e U. BALZANI. — Vol. II, III, IV, V. — Biblioteca

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229 G. COLASANTI

della R. Soeietà Romana di Storia Patria; Roma, presso la
Società, 1879-1892.
I documenti dal sec. VIII vanno fin dopo il mille. E poichè

il monastero farfense fin dalla 2* metà del secolo ottavo cominciò

a possedere a Rieti, sulla destra del Velino, numerose sono le re-
lazioni (compre, vendite, permute, donazioni ecc. ecc.) che Farfa
ebbe con la nostra città. Da queste carte diverse si hanno accenni
preziosissimi per la topografia reatina.

Insieme alle carte farfensi, sarebbe per noi di somma impor-
tanza conoscere le carte degli archivi dei singoli conventi, che in-
torno al secolo XIII sorsero nella nostra città: ma esse sono

disgraziatamente perdute. Solo poche — provenienti dall’archivio
del convento di S. Domenico — sono raccolte nella Biblioteca

Comunale reatina.
Qualche altra, proveniente dall’ archivio del convento di
S. Francesco di Rieti, è raccolta nel Bullarium Franciscanum,

. vol. I, pag 381 ad ann. 1245; vol. I, pag. 516 ad ann. 1248; vol. I,

pag. 627 ad ann. 1252; vol II, pag. 471 ad ann. 1263 ecc.

— All’anno 1334 si riferiscono due processi della Inquisizione con-
tro tal Paolo Zoppo e contro il Comune di Rieti: efr. Eretici
e ribelli nell? Umbria dal 1320 al 1330 studiati su documenti
inediti dell’ archivio segreto Vaticano per L. Fumi. — In
Bollett. della R. Deputaz. di Stor. Patr. per l'Umbria, anno V,
vol. V, fasc. II, pag. 349-425. - Perugia, Unione Tipografica
Cooperativa, 1899.

: Trattandosi di processi su fatti svoltisi in Rieti, nelle depo-

sizioni dei testi si hanno importanti accenni di carattere topogra-

fico.

— Alla prima metà del trecento — secondo è chiaramente indi-
cato da alcune disposizioni (I, 129, 133; III, 99 ecc. ecc.) —
rimonta la compilazione degli Statuti di Rieti, di cui si ha
nella Biblioteca Comunale reatina un cod. membranaceo della
metà del sec. XVI (« die XI Julii 1548 » come si legge a piè
del primo foglio). Di questo cod. l'anno 1549 fu fatta una edi-
zione a stampa, che è l’unica che si abbia, dal titolo /Sta-
tuta sive Constitutiones Civitatis Reatae, super civilibus et cri- REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. ! 228

minalibus causis aeditae, nune vero primum typis excussae,
Romae, apud Antonium Bladum Asulanum MDXLIX.

Le disposizioni di questi Statuti ci danno numerosissimi ac-
cenni topografici, e talvolta mantengono il ricordo di antichissime
condizioni di cose, in seguito scomparse.

— Vengono con gli Statuti le Riformanze del Comune di Rieti,
conservate nell’Archivio della Biblioteca. Comunale reatina.
Esse cominciano fin dall'anno 1376 e sono ricche di dati e di
informazioni di carattere topografico.

— Gli Annales Reatini, noti anche sotto il nome di Cronichetta
reatina per opera del Galletti che se ne servì (Memorie di tre
antiche Chiese di Rieti ecc. p. 126-132), furono editi da L. C.
DETMANN in Monum, Germ. Histor. SS. XIX, pag. 267-268.
Il documento fu estratto da un cod. Vaticano (« è in alcuni

fogli di pergamena in fine del codice Vaticano 5994 » GALLETTI,

Op. cit. pagina 126) e — a partire dall’ anno 1148 fino all'anno
1377 — dà brevi ed interessanti notizie sulle vicende principali

dell’ abitato reatino.

— ALFONSO CECCARELLI raccoglieva, nell'anno 1563, alcune Memorie

inedite di Rieti in un volumetto ms. esistente nel fondo Plat- '

neriano della Biblioteca dell’ I. Istituto Archeologico Germa-
nico di Roma,
L’opera è divisa in nove parti, così: « p. I, gli autori che han
« trattato di Rieti; p. II, la storia reatina; p. III, gli uomini il-
« lustri di Rieti; p. IV, iscrizioni reatine; p. V, edifici storici
« p. VI, del Velino e del lago Velino; p. VII, dei pesci del Velino;
« p. VIII, delle famiglie reatine; p. IX, indice e spiegazioni ».
Questa opera non ha importanza alcuna, poichè l'A. anzichè
parlarei della città, come il titolo del lavoro e dei singoli eapitoli
lascerebbe supporre, tratta dei monumenti e delle opere compiute
altrove da personaggi reatini. i
A Rieti, quindi, consacra poco o nulla di tutta la trattazione.
Ed anche in questo magro accenno l’A. non porta alcunchè di
nuovo, ma ci offre le solite notizie leggendarie.
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* A

294 ; G. COLASANTI

: — L’anno 1566 (secondo una notizia di A. Colarieti, Degli uomini
più distinti di Rieti ece., pag. 45-50) fu redatta da MARIANO
VrrTORI la sua opera ms. De Antiquitatibus Italiae et Urbis
Reatis. L'A., il quale morì nel giugno del 1572 all'età di

87 anni, spese intorno a questa opera gli ultimi anni della sua

vita di studioso, impiegata in una continua produzione.

L'opera e in IV libri, di cui il I tratta della primitiva storia
della nostra penisola; il II delle prime invasioni e leggende ita-
liche; il III delle antichità sabine; il IV della storia della re-
gione reatina (gli Aborigeni a Reate; i primitivi abitatori di que-
sta città ecc.) con cenni sul Velino, sulla cascata delle Marmore eee.

Sul finire di questa IV parte, l'A. accenna all’antica città,
alla sua estensione ecc. E quantunque in gran parte indetermi-

nate o errate, le sue conclusioni sono tuttavia giovevoli per il
nostro scopo.

L’opera del Vittori — che sotto il riguardo storico è una
congerie informe di notizie assai spesso inattendibili — non è del

tutto priva di valore sotto il riguardo. topografico, poichè con-

serva notizia di nomi, resti ecc., in seguito scomparsi.

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Essa inoltre esercitò grandissima influenza sugli altri poste-
riori serittori locali, che direttamente o indirettamente le si ri-

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portano.
Dell’opera esistono parecchi esemplari mss., dei quali uno di
124 fogli nella Biblioteca Comunale di Rieti.

— De Quesitis per epistolam libr. III Aldi Manutii, Paulli f.
Aldi n. — Venetiis MDLXXVI.
Nella parte I lA. tratta De Reatina urbe, agroque, Sabinaque
gente ad M. Antonium Amulium Cardinalem (pag. 1-25).

DI

Tutta la trattazione non è che una raccolta di quanto l'A.
ha appreso dagli scrittori classici intorno a leggende, notizie storiche,

racconti meravigliosi ecc. riferentisi all’agro reatino. Par di leg-
gere — in proporzioni ridotte — l’opera del Vittori. Sulle anti-
chità della città, come pure sulla sua topografia antica, l'A. serba
assoluto silenzio.



—- Sessantatre anni dopo la morte del Vittorio, PowPEO ANGE-
LOTTI, nato sul finire del 1590 (COLARIETI, Degli uomini più
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 225

distinti ecc. p. 56-58) pubblicava una breve storia di Rieti
sotto il titolo Descrittione della Città di Rieti del Sig. Pompeo
Angelotti all’ Emin. e Reverendiss. Sig. Card. di Bagno, Ve-
scovo di Rieti. — Roma, appresso Gio: Battista Robletti, 1635.

L'A. stesso dichiara di non voler fare « un'Historia formata,
ma un sonetto con semplice dichiarazione: non essendo stato mio
intendimento di tesser annale Historia ... ma sommarie note, più
esemplari della mia Patria » (pag. 6).

Egli quindi — premesso un sonetto — prende di esso un
verso o un gruppo di versi e ne fa il titolo di ogni capitolo del
suo lavoro, che risulta formato di cap. IX.

Nel I cap. si espone la genealogia dei conti di Bagno: nel
II si fa l’elogio del cardinale Francesco Barberino, nipote di Ur-
bano VIII; nel III si tratta dell’agro reatino; nel IV del sito,
della salubrità-e della popolazione di Rieti; nel V dei conventi
francescani di Rieti; nel VI della dimora di alcuni papi in Rieti;
nel VII dell’origine di Rieti; nell’ VIII degli antichi illustri, na-
tivi di Rieti; nel IX segue la storia di Rieti e dintorni nei pri-
mitivi tempi.

Il lavoro dell’ANGELOTTI, specialmente per quanto riguarda
le notizie storiche ed archeologiche, dipende in gran parte dal
Vittorio, « ingegnosa penna » autrice della « storia manoscritta,
la quale succintamente ... restringerò » come l'ANGELOTTI stesso
senz'altro dichiara (pag. 84 efr. pure pagina 99. ove l'/A. ac-

cenna alla sua fonte). Alle informazioni, in tal maniera desunte:

dal Vittorio, l'ANGELoTTI fa delle aggiunte e delle modificazioni
tutte sue e quasi sempre senza fondamento: stranissime — quindi
— riescono le sue conclusioni su antichi templi, sulla loro ubi-
cazione e sulle divinità cui sarebbero stati consacrati.

La importanza dell’opera dell’ ANGELOTTI sta, adunque, uni-
camente nei particolari topografici ch’egli ci tramanda sulla città
qual’era al suo tempo, e nella descrizione particolare delle vie
principali e dei principali abitati.

— Informazioni su monasteri, chiese ed altri luoghi storici, si
hanno presso Lopovico IAcoBILLI, Vite de^ Santi e beati del-
l'Umbria ecc. — In Foligno, appresso Agostino Alterii 1656;
specialmente nel vol. II, passim.

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: 926 G. COLASANTI

— Notizie su Rieti furono accolte in una guida storica universale,
tradotta ed edita a Bologna per i tipi di Gioseffo Longo, l’anno
1674: Le relationi et descrittioni universali et particolari del
Mondo, di Luca di Linda et dal Marchese Maiolino Bisac-
cioni tradotte, osservate et nuovamente molto accresciute e cor-
rette.

Nel libro sesto, delli Principati, si parla di Rieti, della sua
posizione, della sua conformazione e dei suoi dintorni. Dopo altre
brevi notizie sull’ amministrazione, giurisdizione e storia della
città, si chiude con la lista dei Vescovi e delle nobili famiglie
reatine.

Secondo il carattere dell’opera, le notizie sono brevi e suc-
cinte: però non offrono alcun nuovo contributo e non fan che ri-
petere racconti e leggende sparse negli altri scrittori locali.

— Loreto MATTEI, nato a Rieti l'anno 1622, morto ad 84 anni

nel giugno del 1705, fu scrittore assai fecondo di poesia e di

)

letteratura. Noto nei circoli. arcadi eon il nome di Laurindo
Acidonio si diede, sullo seoreio della sua vita, allo studio della
storia della sua città. Compose un primo lavoretto, La Patria
difesa dalle ingiurie del tempo; discorso accademico istorico
sopra l’antichità di Rieti, pubblicato in Rieti a cura di Fran-
cesco Ferrari, per i tipi di Filippo Faraoni (1890 e 1892).

È in IV capitoli, di cui il primo tratta dell’ Antichità dell’ori-
gine - Fondatori di Rieti; il secondo dell’Amenità e fertilità dei
campi reatini; il terzo della Nobiltà di questa patria; il quarto
Della gloria e valore de’ nostri cittadini.

Il contenuto di questo “fascicolo ritorna in un’opera mano-
scritta, che lo stesso Mattei compose sul medesimo argomento, in-
titolandola Erario Reatino, cioè Historia dell’Antichità, stato pre-
sente e cose notabili della città di Rieti, ed oggi esistente nella Bi-
blioteca Comunale reatina.

È divisa in IV parti, di cui le prime due non fan che ripe-
tere le notizie e, può dirsi anche, i corrispondenti titoli della
prima opera.

Le parti III e IV trattano dello Stato presente della Città
circa il materiale cioè circuito, fortificatione, porte, strade, fiumi e REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 227

ponti (fol. 78 e segg.). Indubbiamente si contengono qui le infor-
mazioni che più ci riguardano.
Tacendo del valore storico delle due opere del Mattei (il

quale è vero figlio del suo tempo, sbrigliato ed immaginoso), dob-.

biamo pure riconoscere l'utilità delle sue notizie di carattere to-
pografico sulla città, su alcuni resti onomastici ece. Tutto ciò però
è confuso a notizie su ipotetici templi e monumenti e circhi, che
IPA. vede e sogna ovunque con una portentosa fertilità di imma-
ginazione.

— Una ricca fonte di notizie topografiche sono i documenti con-
servati nell’Archivio della Cattedrale Reatina. Di essi un
elenco, accompagnato da un breve trasunto, lo abbiamo nel-
l'opera del NAauDARUS Instauratio Tabularii Maioris Templi
Reatini, facta iussw et auspiciis Eminentissimi et Reverendis-
simi Domini Iohannis Francisci Cardinalis a Balneo Episcopi
Reatini. — Anno MDCXXXVIII.

— FAUSTO ANTONIO MARONI, delle Scuole Pie, pubblicava 1’ anno
1763 un Commentario sulla chiesa e sui vescovi reatini, in con-
tinuazione delle notizie raccolte dall'Ughelli. L’opera apparve
sotto questo titolo: Fausti Antonii Maroni ex Cler. Reg. Schol.
Piarum Commentarius De Ecclesia et episcopis reatinis in quo
Ughelliana series emendatur, continuatur, illustratur. — Ro-
mae, MDCCLXIII. In Typographia S. Michaelis ad Ripam
Tyberis.

Quest'opera — come dal titolo stesso è facile dedurre — non
tratta veramente delle questioni che possano direttamente interes-
sarei; ma solo indirettamente ci riguarda, per alcuni dati cronolo-
gici e storici.

— Di notevole importanza è il lavoro di Pier LuIGI GALLETTI
Memorie di tre antiche chiese di Rieti, denominate S. Mi-
chele Arcangelo al Ponte, Sant'Agata alla Rocca e S. Giacomo.
— In Roma, per Generoso Salomoni, MDCCLXV.

Intorno a queste chiese l'A. conosce molti documenti farfensi,

ma l'uso che ne fa è sovente errato; tuttavia, fra le opere di

autori locali, il suo lavoro può dirsi il meglio condotto e quello

che più soddisfa alle prime esigenze della critica.
T D --———- a "COD Wu

228 G. COLASANTI

Il Galletti però non ebbe alcuna conoscenza delle altre fonti
medioevali, e non intuì la questione topografica medioevale per la

quale troppi dati gli mancavano.
La sua opera — per molte questioni — resta ancora la più

autorevole.

— Pressochè' simile all'indole dell'opera del Maroni, è quella
della dissertazione di Mons. SAVERIO MARINI, vescovo di Rieti,
dal titolo: Memorie di S. Barbara Vergine e Martire di Scan-

driglia, detta di Nicomedia, protettrice principale della città e
Diocesi di Rieti etc. — In Fuligno, per Giovanni Tomassini, 1788.

In quest’opera, solo qua e là si incontrano brevi notizie che
b)

possano in qualche modo riguardarei: ma sono scarsissime ed in

genere di valore assai limitato (riguardano specialmente la catte-
drale e la sua storia, pag. 212-213).

— CarLo LATINI, nato a Collalto l'anno 1797, vissuto dal 1809 a
Rieti, ove insegnò diritto ed ove morì nel 1841, raccolse alcune

Memorie per servire alla compilazione della storia di Rieti, che
si conservano manoscritte nella Biblioteca Comunale di Rieti.
In esse l'A. si distingue per una grande cautela nell’ aeco-
gliere le notizie tramandate intorno a residui di mura, di edificii
ecc. ecc.; però la quasi assoluta deficienza di notizie intorno alla
documentazione medioevale gli impedisce di sostituire qualcosa di

proprio e di vero. Abbondano, nel lavoro, menzioni di nomi ed

altre indicazioni topograficamente importanti.

— Per i tipi di Vincenzo Gori si pubblicavano a Camerino, l’anno
1801, le Memorie istorico - diplomatiche riguardanti la serie de?

Duchi e la topografia de’ tempi di mezzo del Ducato di Spo-

leto, opera del Padre D. GrANcoLoMBINO FATTESCHI, cister-

ciense.

Là dove parla di Rieti (pag. 144-148; p. 280 app. XXXIII
ecc. ecc.), l'A. si limita a ricordare pochi documenti farfensi senza

offrire speciali determinazioni topografiche della città.

— Notizie su Rieti e sulle sue antichità sono state raccolte dal

L]
GuATTANI in Monumenti Sabini ecc. T. II. - Roma, Crispino
Puceinelli, 1828.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. © 229

Prendendo le mosse dal Vittori e dall'Angelotti, l'A. riporta
- informazioni fornitegli da eruditi locali, i quali non han fatto che
ripetere le solite tradizioni, assai spesso prive di fondamento e
quindi inattendibili. Il Guattani stesso cita, quali suoi informatori,
il cav. A. M. Ricci, letterato reatino, e L. Sehenardi che si occupò
piü tardi della sua città natale (II, pag. 277; 283).

— Lurci ScHENARDI dava alla luce per i tipi di Salvatore Trin-
chi, l'anno 1829, un lavoro sulle Antiche Lapidi Reatine di-
lucidate da L. S. professore d'eloquenza nel Reatino Ginnasio.

In esso l’A. tratta dei titoli lapidari della sua città, dandone

— insieme alla interpretazione — notizie circa la provenienza :

eosa per noi di grandissimo giovamento.

Qua e là emenda false conclusioni dalla errata interpreta-
zione delle epigrafi desunte, ma ripete anche dicerie infondate su
antichi edifici ecc.

— Trattando della Dimostrazione del terreno reatino, Amiternino
e Marsico riguardo alle strade antiche negli Annali dell’ Isti-
tuto Archeologico (VI, pag. 102-145), il BUNSEN si occupò di
qualche questione di topografia reatina, riguardante però il
territorio della nostra città.

A pag. 103-118 dà una descrizione dell’agro reatino allo
scopo di determinarne lo schema stradale. Quindi, basandosi sul
noto passo di Dionigi I, 14, cerca di determinare la ubicazione
delle città ivi nominate: segue un capitolo sui confronti storici
intorno a queste città aborigene.

— Degli uomini più distinti di Rieti per Scienze Lettere ed Arti,
cenni biografici dell’ avvocato ANTONIO COLARIETI. - Rieti,
Salvatore Trinchi, 1860.

Quantunque non si riferisca al nostro argomento, questo la-
voro è tuttavia utile per questioni cronologiche e intorno a serit-
tori e intorno ad opere di storia reatina.

— La Provincia dell" Abruzzo Ultra II. Discorso recitato nella Inau-
gurazione degli Studi del Liceo Ginnasiale dell’Aquila, per il
professore ANGELO LEosINI. - Aquila, Grossi, 1867.

Tratta solo per poco della regione reatina, e non ha alcuna
importanza topografica.
iiri — iu ia -—: e dum T XD er Taste TOU te

28000 G. COLASANTI

— Indice-guida dei Monumenti pagani e cristiani riguardanti l’isto-
ria e l’Arte esistenti nella Provincia dell Umbria, per MARIANO
GUARDABASSI. - Perugia, Boncompagni e C., 1872.

A pagina 250 VA. tratta dei monumenti reatini, offrendoei
dei dati utili intorno ad essi.

— In un lavoro, dal titolo Notizie storiche sopra il Tempio Cat-
tedrale, il Capitolo, la serie dei Vescovi, ed i vetusti Mona-
sterì di Iieti raccolte dal Canonico PAorLo DESANTIS. - Rieti,
Stabilimento Tip. Trinchi 1887, abbiamo una raccolta di in-
formazioni interessantissime per il nostro argomento. Special-
mente per quanto concerne i monasteri entro l’attuale cinta
murale e la cui posizione è spesso così intimamente legata
alla linea dell’antico perimetro, è per noi di un inestimabile
valore conoscere dei dati e delle informazioni che — non fosse
altro — ci fanno intravedere la esistenza di queste case reli-
giose in età lontana.

— Brevi cenni sulla Città di Rieti, raccolti dal professore FILIPPO
AGAMENNONE. - II Ed. riveduta dall'Autore - Rieti, Stab. Ti-
pografico Trinchi 1887. (Estratto dall’Enciclopedia Italiana ;
6' Edizione).

L'A. comincia con uno sguardo geografico, facendo qua e là
dei riscontri onomastici con il mondo antico (pag. 5-17).

Fa quindi un rapido cenno della storia antica della re-
gione e dei suoi primi abitatori (pag. 18-20). A pag. 21 comincia
la storia romana di Reate, che va fino a pag. 28.

Segue l’elenco dei vescovi reatini, quindi 1’ estensione della
diocesi reatina con i principali suoi luoghi religiosi, ed infine
l’ elenco degli uomini illustri di Rieti.

In genere l’A. non fa che raccogliere e sunteggiare le so-
lite leggende: qua e là dà tuttavia qualche informazione topogra-
fica, per noi di una certa utilità.

— NIccoLò PERSICHETTI, Viaggio Archeologico sulla via Salaria

; nel circondario di Cittaducale ecc. - Roma, Tipografia della
R. Accademia dei Lincei, 1893. i

Trattando di una strada che attraversava Reate, l'A. ha qual- REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 231

che accenno alla topografia reatina: ma è brevissimo, non en-
trando la nostra città nella sua zona di studio.

— Memorie storiche della città di Rieti e dei paesi circostanti dal-
L'origine all'anno 1560, raccolte da MicHELE MICHAELI. - Rieti,
Stabilimento Tipografico Trinchi, 1898, voll. IV.

Questo voluminoso lavoro, che pubblica moltissimi documenti
sulla storia di Rieti, è di grande aiuto, quantunque per molti par-
ticolari vada compiendosi oggi una più diligente opera di rifaci-
mento.

Il libro I, che va dai tempi più remoti alla caduta dell? im-
pero ‘occidentale, riguarda più da vicino il nostro argomento. L'A.
si rifà dalle antiche leggende e nel cap. IX studia, La città di
Rieti all’epoca romana. L’agro reatino. Il lago Velino ecc. (pagine
(50-66) : il Michaeli non ebbe una vera idea del problema topo-
grafico della sua città, di cui peraltro non intese occuparsi in
questo senso. A questo lib. I, seguono: i documenti relativi, cioè
citazioni e passi di scrittori; una raccolta — dovuta ad uno degli
editori, Fabio Gori — delle Antiche iscrizioni reatine con brevi e
non sempre giusti commenti. Dopo una prima appendice, conte-
nente le iscrizioni antiche del Cicolano e della Sabina — anch'essa
dovuta al Gori — viene una seconda su Tre erme ed una iscri-
zione greca illustrata da Fabio Gori.

— Sopra Due Monasteri Benedettini più volte secolari (Rieti), cioè
sulle case religiose benedettine in Rieti e sulla Badia di
S. Caterina di Città Ducale, pubblicò un breve seritto WILLI-
BRORDO VAN HETEREN nel Bollettino della Regia Deputazione di
Storia Patria per V Umbria, anno XII, vol. XII, fascicolo I,
pag. 51-80. - Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1906.
Insieme a documenti di valore ed importanti, l'A. mette
notizie e dà apprezzamenti completamente inattendibili ed infondati.

— Informazioni e particolari su scavi entro la città si hanno in
Vita Sabina: Rivista quindicinale di Letteratura Arte ed
Economia, anno II, n. III, Rieti 30 aprile 1900, in un ar-
ticolo di FABIO Gonr: « Delle ultime scoperte di antichità nella
regione Sabina: relazione di Fabio Gori ».
232 G. COLASANTI

— Sulla storia dell’antico Comune di Rieti, memoria di A. BEL-
Lucci, in Boll. della R. Deputazione di Storia Patria per
l'Umbria, anno II, vol. VII, fasc. III, 1901, pag. 389-445.
Oltre a buone notizie di carattere storico, si hanno informa-
zioni di carattere topografico, insieme ad una riproduzione del-
l’aspetto antico del ponte munito del Cassero (Tav. annessa tra
pag. 429 e 421). i

— A. SaccHETTI-SASSETTI, Le scuole pubbliche in Rieti dal XIV
al XIX secolo - Rieti, Tip. Trinchi, 1904.

L’opera, dovuta ad un profondo e coscenzioso conoscitore
della storia locale, si rende utile per accenni e notizie di carat-
tere topografico.

Di essa VA. pubblicò il primo capitolo nel Bollettino della
R. Deputazione di Storia Patria per l'Umbria, anno VII, vol. VII,
fasc. III, 1901, pag. 467-501.

Nello stesso numero del « Bollettino » si hanno altri scritti
di cose reatine, con qualche indiretto accenno di carattere topo-
grafico. Così quello di L. Fumi Cose reatine nell’Archivio segreto e
nella Biblioteca del Vaticano, pag. 503-547; e lo scritto di G. BEL-
LUCCI, Leggende della regione reatina, pag. 603-612.

— Una rassegna delle pergamene reatine fu iniziata da A. BEL-
LUCCI, Regesto delle Pergamene ; è pubblicato solo il I fase. di
pag. 128. - Rieti, Tip. Trinchi.

Altre notizie di minor conto, sparse in fascicoli, periodici, gior-
nali, eec., saranno indicate secondo le loro fonti, man mano che ne
avremo occasione, nel corso della ricerca. Lo stesso dicasi dei nu-
merosi documenti cartografiei, per noi importantissimi, e dei quali
si parlerà a loro volta. Di Reate si occuparono — entro i limiti
delle conoscenze di scrittori di geografia storica generale e quasi
affatto servendosi di fonti locali — il CLuveRIo (Italia Ant. II,
676 e segg.); l'abate CAPMARTIN DE CHAUPY (Decowverte de la Mai-
son de Campagne d’Horace, III, 107 e segg.); il NIssEN (Italische
Landesk. II, 1 passim; pag. 405, 435, 486, 469-470 ecc. ecc.).
Non essendosi però occupati della locale ricerca topografica, que-
sti scrittori non sanno dirci nulla sulla città classica, della quale
solo poche epigrafi e pochi resti essi conoscevano (serva per tutti
ciò che dice il NissEn, Ital. Land. II, 1, 476). REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC, 238

Il territorio, in cui si trova la città di Rieti, ha la forma
di una conca allungata, che si apre ad un tratto allo sguardo

di chi — venendo dalle Marmore attraverso conche minori
ed anguste valli — arriva sotto il Col di Kepasto di fronte

all'altura di Montisola.

Nella corona di monti, che da ogni parte la recingono,
si vedono, a nord, ad est ed a nord-ovest, le ultime dirama-
zioni dellappennino abruzzese; mentre nei rimanenti lati,
volti a mezzogiorno ed a sud-ovest, si avanzano le estremità
settentrionali del subappennino sabino.

Seguendo le prime, dopo l’altura, in cui sorge il piccolo
centro abitato di Colli di Labro (979 abit.), e che solo di
poco supera i 600 metri, cominciano elevazioni maggiori
lungo i contrafforti che si staccano dalla catena principale
dei monti Pozzoni, in cui sorgono il monte Corno (m. 1700)
sopra Morro e Rivodutri, ed il Terminillo (m. 2213), che do-
mina tutto il piano reatino.

Le ultime diramazioni di questi monti scendono lenta-
mente nel terreno attraversato dalla strada che da Vella
Troiana va a Cantalice, oltre la quale il suolo leggermente
si rialza in una serie di colli, che si avanzano verso Rieti.
Circoscritti dalla strada che da Rieti va a Cantalice ritor-
nando al punto di partenza per Villa Troiana, essì sì man-
tengono meno elevati nella parte occidentale (Forte del Gam-
baro m. 590), raggiungendo altezze maggiori verso la estre-
mità orientale (presso Castelfranco m. 664; con media alti-
metrica superiore ai 600 metri).

Prima di arrivare a Rieti, come abbiamo detto, questi
colli finiscono nella pianura, che verso la città forma come

1
ERN NIN

234 G. COLASANTI

un passaggio della larghezza da circa 2 km. a 500 metri,
con una quota altimetrica di oltre 390 metri: dalla conca
reatina propriamente detta (ad ovest di Rieti) si va per esso
in un piano ad est della città, minore della prima e che, nella
sua maggior parte, è noto col nome di Campo Lugnano.

A sud di questo passaggio, ricomincia subito il terreno
elevato.

Così, fino all’estremità orientale della città si avanza,
sulla destra del Velino, il Colle dei Capuccini (m. 500), e
sulla sinistra dello stesso fiume si fanno innanzi le estreme
propagini subappenniniche, che fiancheggiano da questa parte
lo sbocco del Velino.

I monti, in questo lato meridionale, sono divisi da val-
late longitudinali, attraverso cui corrono le principali vie di
comunicazione. Tra la estrema valle del Salto, la valle del
Velino (poco dopo la confluenza con il primo) e la valle del
Turano si avanza, disposto a cuneo, un terreno montuoso che
verso Rieti raggiunge i m. 841 e m. 853 nel Monte Belve-
dere e nel Colle Moro.

Dopo la valle del Turano, in una maggiore sezione di
terreno montuoso, limitato ad ovest dalla Val Canera, si ele-
vano il Monte Serra ed il Monte Itotondo, che raggiungono
891 e 892 metri.

Dopo la Val Canera,i monti divengono ad un tratto più
alti, superando in genere i mille metri; fino a Contigliano,
queste quote non abbondano lungo la periferia della conca.
Ma avvicinandoci a Greccio, i monti si elevano con nume-
rose cime fino oltre i 1200 metri (M. Macchia di Mezzo me-
tri 1215; M. La Cappelletta m. 1205, ad ovest ed a nord-
ovest di Greccio). Dopo di essi, le quote leggermente si ab-
bassano, mantenendosi peró relativamente alte nelle cime
che si innalzano lungo la stretta valle, dal cui lato opposto,
da Repasto cioè, noi abbiamo seguita la corona di monti;
abbiamo ivi il Colle Ciarro con 1053 m.; il Colle Tavola con
1099 m.; La Montagnola con 1060 m. ecc. ecc.
REATE, RICERCHE DI TO' OGRAFIA, ECC. , 235

In mezzo a questi monti si adagia la cosi detta conca
reatina, che da Rieti fino a nord di Montisola misura in linea
retta circa 14 km. di lunghezza; con una media larghezza
di circa 7 km. e con una totale superficie di circa 98 kmq.

Questa conca non é propriamente chiusa in ogni sua
parte all'intorno, ma — come già in parte abbiamo notato
— sboccano in essa delle valli più o meno ampie, recanti
dei corsi di acqua. Così nella estremità di nord-ovest, sotto
Repasto, mette nella conca quell'angusto passaggio che porta
verso Piediluco: considerato nella sua estremità orientale,
esso raggiunge circa 500 metri nei punti più larghi, e si
restringe fino a poco più di 300 metri, lasciando appena lo
spazio per la via carrozzabile, per il fiume e per la strada
ferrata.

Nella sezione settentrionale della periferia della conca
mancano sbocchi di valli di trapasso; si hanno ivi valloni
laterali, adagiati tra gli speroni della catena dei Pozzoni
(valle di Rivodutri ecc.). Ritornano però nella parte orien-
tale e sono notevoli nella sezione periferica meridionale.

Così, tralasciando quella specie di piccolo avvallamento
in cui corre la via di comunicazione tra Cantalice e Villa
Troiana, un passaggio, che ci richiama assai da vicino quello
occidentale sotto Repasto, si ha ad est di Rieti ed ai piedi
delle alture che si avanzano fino a due chilometri a nord
della città; nella sua massima larghezza misura circa 2 km.
e si restringe fino a circa 500 metri.

Per esso arriva a Rieti, dalle sue sorgenti di Sant? Elew-
terio, il fosso Cantaro, di cui avremo più volte occasione di
parlare, e per esso corrono la via ferrata e la via carroz-
zabile.

A sud del corso del Cantaro e dopo il Colle dei Cap-
puccini, sbocca la valle angusta del Velino, che poco a
monte si dirama nell’altra del fiume Salto; mentre, proprio
a mezzogiorno di Rieti, sbocca nella conca la valle del Tu-
rano che anch'essa più a sud si dirama in quella più angusta

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236 G. COLASANTI

percorsa dal fosso Lariana. Dopo di questa, incontriamo la
valle del fosso Canera, sotto Poggio Fidoni, e con essa fini-
scono le aperture e le comunicazioni periferiche della conca
reatina.

Le quote altimetriche dei punti di sbocco delle valli
orientale (percorsa dal Cantaro), meridionale (valle del Ve-
lino e del Turano) e di quella di sud-ovest (val Canera)
sono rispettivamente di m. 402, 390, 390, 392: questi punti
periferici a sud-est ci indicano la sezione più alta di tutta
la conca, la quale lentamente declina in direzione di nord-
ovest. L'altezza di tutta la conca è in media di 380 metri;
ma se tiriamo una linea da Greccio a Castelfranco, sulle
colline orientali, noi divideremo la conca in due sezioni:
quella a sud. della linea immaginaria, ha una media alti-
metrica di un 385 m. e raggiunge le massime quote intorno
all’abitato di Rieti (m. 400; m. 402); quella a nord della
medesima linea, con una media quota altimetrica di 375
metri, avente i punti più bassi verso nord-ovest in dire-
zione delle acque del. Velino. Non si creda tuttavia che
questa specie di piano inclinato sia uniforme: esso presenta,
qua e là, delle depressioni e dei rialzi. Depressioni ne ab-
biamo nella prima sezione, ad est ed a piè dell’altura di
Montecchio, ove in un terreno alto 381 metri si ha una de-
pressione circolare fino a 379 metri. Qualcosa di identico si
riscontra nella seconda sezione, nei punti occupati dai laghi
di Fogliano, Lungo e di AK?pasottile, i quali si trovano ad un
livello di 372 metri, mentre il terreno circostante, quello per
cui corre la strada che va al Ponte Crispolti, e quello in cui
scorrono le acque del Velino, raggiunge la quota di 375
metri.

Questi avvallamenti, già fondi di acque che qua e là
ancora rimangono a formare i laghi, hanno riscontro in al-
cuni rialzi di terreno, che concorrono anch'essi a rompere la
uniformità del piano. Tralasciando le elevazioni minori, ci
fermeremo su quelle più spiccate. REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 237

Ad est di Contigliano e quasi di fronte al paese, sulla
destra sponda del Turano, proprio a cominciare dal punto
della sua confluenza con il torrente Canera, si ha l’ altura
di Montecchio, di forma oblunga, da nord a sud: in un ter-
reno che ha quote altimetriche di m. 380 a sud; m. 379 ad
est; m. 378 a nord; e m. 381 ad ovest, essa si eleva fino
ad un’altezza di 482 metri (C. Montecchio).

A valle di Terria e presso la confluenza del Turano
col Velino, si eleva il Colle di S. Pastore, anch’esso di forma
oblunga, ma in direzione da oriente ad occidente; su un ter-
reno che ha una quota di m. 378, esso si innalza fino a
m. 412.

Sempre procedendo a nord, e quasi sotto la stessa lon-
gitudine delle due alture descritte, poco più di 500 metri
prima del lago di Ripasottile si incontra il Colle S. Balduino,
di forma quasi circolare e che, su una quota di 376 metri
recata dal terreno circostante, si eleva fino a 399 metri.
Meno di un chilometro e mezzo a nord-ovest del Colle S. Bal-
duino, sulla riva sinistra del Velino che la lambe e la limita
da tre parti, a sud, ad est ed a nord, si eleva in forma ge-
nerale oblunga, da nord a sud, l'altura di Montisola: su di
un terreno che ha in genere una quota di 375 metri, essa
sorge fino a m. 439 (Colle Cavaliero a m. 428).

Altre elevazioni interrompono il piano nella parte orien-
tale; ma sono in genere piccole e di nessuna importanza,
più che vere elevazioni potendo esser considerate come ir-
regolarità del terreno; notevole a questo riguardo è il Colle
Torretta, che sorge isolato per circa 14 m. sul terreno cir-
costante, poco più di 2 km. a sud del lago Fogliano.

L'inclinazione generale di questa conca reatina è —
come si disse — da sud-est a nord-ovest, secondo la dire-
zione delle acque che in essa si gettano e scorrono.

Uno sguardo generale alla sua idrografia ci mostra
come nella sua sezione di sud-ovest si trovano i mag-
giori fiumi; mentre nella sezione di nord-est si trovano

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288 G. COLASANTI

aggruppati i laghi, che ricevono le minori acque dei: monti
vicini e che comunicano coni principali corsi di acqua me-
diante emissari.

Il maggiore fiume della regione che descriviamo è il
Velino, che attraversa la conca in direzione da sud-est a
nord-ovest, da Rieti a Repasto.

Nasce presso Città Reale, passa per la forra di Antrodoco,
dopo la quale città percorre la pianura stretta e lunga tra
Borgo Velino e Cittaducale, detta pianura di S. Vittorino.
Dopo Cittaducale esce dalla provincia di Aquila, ed entrando
in quella di Perugia ha già una portata, in magra, di 30 me-
tri cubi al minuto secondo.

Dopo ricevuto il Salto, la sua valle lentamente si allarga
a forma di imbuto, finchè sotto Rieti comincia l'ampia conca
descritta: il Velino lambe l’ abitato di questa città, che in
parte allaga durante le sue alluvioni.

Dopo Rieti, il Velino, attraversata nel senso della lun-
ghezza tutta la conca, passando ad est dell’altura di Mon-
tecchio e di Montisola, ripiega a nord di quest’ultima, a
Repasto imbocca lo stretto passaggio e si avvia verso Pie-
diluco e Marmore. Dalla sua sorgente fino allo sbocco nella
Nera, il Velino raggiunge una lunghezza di 95 km., con una
portata minima di 39 metri cubi; il suo bacino è computato
a circa 2,200 kmq.

I maggiorì affluenti del Velino nella conca reatina
sono quelli di sinistra. Proprio sul confine delle due provin-
cie di Aquila e Perugia, a circa tre chilometri in linea retta
a sud-est di Rieti, esso riceve il fiume Salto, che nasce dalla
sponda occidentale dell’Appennino abruzzese e che nella pro-
vincia di Aquila sviluppa quasi interamente il suo corso.
Esso raggiunge una lunghezza di circa 165 km.; ha una
portata minima estiva, presso lo sbocco, di 800 litri al se-
condo, ed un bacino imbrifero di 800 kmq. Circa 7 km. a
valle di Rieti, poco dopo il ponte di Terria, il Velino riceve il
Turano ai piedi del colle di S. Pastore: esso sorge dal Monte REATE, RICEROHE DI TOPOGRAFIA, ECC. | 239

Tarino nei monti Simbruini del sub appennino romano, ha
un corso diretto da sud-est a nord-ovest e si sviluppa per
una lunghezza di circa 90 km.: la sua portata in magra è
di 700 litri ed il suo bacino imbrifero raggiunge i 650 kmq.
Il Turano segna dapprima — sotto il nome di fosso £iowo —
il confine tra la provincia di Aquila e quella di Roma: si
allontana quindi dalla linea di confine e scorre in provincia
di Aquila e poi in quella di Perugia, ove sviluppa il re-
stante corso di 56 km.

Tra i minori corsi di acqua subaffluenti del Velino, va
notato il torrente Canera, che sbocca nel Turano ai piedi
dell’altura di Montecchio. Esso si forma nei monti a sud di
Cerchiara, passa in una angusta valle sotto Poggio Fidoni,
quindi sbocca nella conca reatina. Dopo l'incrocio con la
linea ferroviaria, piega verso nord e raggiunge il Turano a
sud di Montecchio. Il suo corso è computato a circa 18 km.
e la sua portata minima estiva a litri 590.

Tra gli affluenti di sinistra va menzionato il fosso Can-

taro, che nasce presso Sant’ Eleuterio ad est di Rieti, e, dopo :

un corso diretto da oriente ad occidente e lungo circa 1500
metri, si getta nel Velino sotto l’abitato della città di Rieti:
la sua portata minima è di 350 litri al minuto secondo.

Al termine della conca reatina, nella sua estremità di
nord-ovest, il Velino riceve il fosso PF?wmarone, detto anche
di Santa Susanna.

Esso è formato dalle acque che scendono dai monti che
limitano a nord la conca di Rieti; riceve le acque del lago
Lungo, si getta in quello di Ripasottile, da cui esce dalla
parte di settentrione e quindi, con un corso quasi parallelo
a quello del Velino, si congiunge a quest’ultimo fiume poco
più di un chilometro e mezzo a monte di Repasto: esso ha
una portata costante di 5-300 litri al minuto secondo.

Con il fiumarone, noi siamo nella regione dei laghi che,
come vedemmo, occupano la sezione nord della conca.
Il primo che si incontra è il lago Lungo, che nella sua
240 i G. COLASANTI

parte meridionale dicesi anche lago ogliano: ad esso è
unito il laghetto ‘Sez/lo, a sud. Il lago Lungo ha uno sviluppo
di sponda di circa km. 4.900; è lungo m. 2500 e largo me-
tri 400, con una superficie di ha. 75. In esso si gettano le
acque dei monti vicini, che sono raccolte sopratutto dal
fosso di S. Liberato : il lago Lungo manda le sue acque nel
fosso di S. Susanna mediante il fosso Vargara, e quindi co-

munica con il lago di Ripasottile: a nord-est del lago Lungo

si trova un’altra piccola estensione di acqua, denominata
lago Vwuotone.
Circa un chilometro e mezzo ad ovest del lago Lungo,

si incontra il lago di Zpasottile, che è il più vasto di que-

sta conca: ha una periferia di km. 8; una lunghezza di
m. 2000, una larghezza di m. 500 ed una superficie di ha. 123.
La conca reatina, di cui abbiamo brevemente seguita la

conformazione e la distribuzione orografica; è nella sua quasi

totalità costituita da terreni quaternari olocenici, dovuti al-
l’opera di ricolmamento dei fiumi che hanno agito nell’antica
valle, innalzandone con i loro depositi il livello. Se tiriamo

una linea immaginaria, dal lago di Ripasottile andando ad

un dipresso in direzione di sud, noi otterremo di dividere

la parte orientale della conca reatina, che è di esclusiva
formazione quaternaria, dalla parte occidentale in cui, su di
una base prevalentemente quaternaria, restano qua e là
dei residui di terreni più antichi. Così, nell’altura già no-
minata di Montisola si hanno terreni terziari del pliocene
inferiore; e similmente terreni terziari, ma del periodo eo:
cenico, appaiono ad ovest dell’altura di Montecchio, tra il
Turano ad est e l’attuale via carrozzabile presso Contigliano
ad ovest.

Terreni più antichi si trovano proprio lungo la imma-
ginaria linea di divisione, a cui abbiamo accennato. Al se-
condario cretaceo appartengono le alture di Montecchio e
di S. Pastore, rispettivamente a sud e ad est della con-
fluenza del Velino e del Turano.
RÉATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 241

L'esame di questi terreni ha portato ad un relativo ac-
certamento delle vicende geologiche della conca di Rieti. La
quale, prima dell' interrimento, appariva come una valle la
cui apertura non era verso il nord-ovest, dove oggi i fiumi
hanno praticato un passaggio, ma verso sud ove continuava
con la odierna valle del Farfa. E per questa naturale dire-
zione le acque del Velino, del Salto e del Turano giunge-
vano al mare. Questo aspetto e questa idrografia si avevano
nel periodo pliocenico: durante il quale si svolse costante-
mente l'opera di interrimento da parte dei fiumi.

La valle fu lentamente colmata, e verso il finire dei
tempi pliocenici l'antico aspetto era ormai cambiato: il ma-
teriale trasportato dalle acque correnti aveva colmata la
valle e le sue discontinuità, formando come una superficie
pianeggiante, digradante verso la conca di Terni. Questo
cambiamento di inclinazione è facile ad essere spiegato con
i maggiori corsi di acqua che sboccavano dalla parte di
sud-est (Turano, Salto, Velino), dando maggiore impulso al-
"l interrimento.

Quest'opera continuò durante il periodo quaternario,
nel quale si ebbe l’ abbandono dell originario corso da
parte dei fiumi, due dei quali — il Turano ed il Salto —
prevalsero sul Velino, determinandone la direzione per
la valle di recente colmata. Sul materiale della colmata,
questi fiumi cominciarono allora a scavarsi un alveo, ed un
profondo vallone venne in tal maniera aperto là dove oggi
trovansi le Marmore: davanti a cui le acque della Nera
avevano nel frattempo operato anche esse lo stesso scavo,
sul materiale di ricolmamento della loro vallata. Questi due
valloni, aperti dal Velino e dalla Nera al loro punto di
confluenza, non erano all’attuale livello del letto della Nera,
ma circa un venti metri al di sotto di esso.

A questo punto subentrarono altri fattori, che lentamente
modificarono l’aspetto della regione.

L'attività vulcanica, di cui evidenti tracce restano qua
242 G. COLASANTI

e là nella regione reatina, si cominciò a ‘manifestare. Le
sorgenti, che alimentano il Velino e che oggi ancora sono
ricche di sali minerali, in quel periodo dovevano scaturire
potentemente mineralizzate, sì da lasciare abbondanti depo-
siti venendo all’aperto. Si formarono, adunque, incrostazioni
di piante, virgulti, rami entro e lungo il letto del fiume, le
cui acque, rotte da tanti ostacoli, aumentavano la loro po-
tenza incrostatrice. L’innalzamento stesso del letto del fiume,
dovuto ai depositi, produsse un allargamento delle acque,
che al maggior contatto con l'aria deposero in maggiore
abbondanza i loro sali. Resultato di tutto ciò, fu un energico
processo di incrostazione che ovunque, nella conca, si andava
svolgendo. Alle Marmore, ove il. Velino si era aperta una
gola di passaggio, i depositi delle acque e la petrificazione
di tronchi, rami ecc. costruirono lentamente una barriera,
che produsse un naturale rigurgito delle acque del fiume.
L’opera potente di queste incrostazioni è stampata ancor:
nelle rocce delle Marmore, composte di tronchi e di ogni
genere di materiale petrificato.

La conca reatina fu così invasa dalle acque, dalle quali la
liberò Curio Dentato, operando il taglio della barriera alle
Marmore ed inalveando le acque del Velino. La diminuita
potenza incrostante delle acque, che ai tempi di Plinio era
ancora grande, mentre oggi è percettibile appena, ha assi-
curato per l'avvenire l'opera di Dentato, impedendo nuove
formazioni calcaree che ostacolassero il precipitare del fiume.

Intorno alla conca reatina, messa tutta a grano e — in
proporzioni minori — ad ortaglie, si trovano i centri abitati
di Rieti, Contigliano, Greccio, Labro, Cantalice. Il terreno,
in cui è distribuito l’abitato della città della quale noi do-
vremo occuparci, richiama in parte qualche forma. già os-
servata in altri punti della conca: una leggera elevazione,
cioó, che poggia su di un terreno basso e piano.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. :

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Sopra ed intorno a questo colle, che sorge alla destra
del Velino, é sita la città odierna.

« La figura et ambito della sua pianta — scriveva un
« narratore di cose municipali sul finire del secolo XVII —
« rappresenta quasi un triangolo bislongo o come dicono i
« Matematici Isoscele, con la punta verso levante e la base
« a Ponente, in sembianza appunto di un Arpicordo; se non
« che da piè diramandosi in fuori con li due Borghi di là
« dal fiume, viene a figurare a chi per di fianco la mira più
« presto un gammaro brancuto o un biforcato scorpione » (1).

Strana similitudine, che trovò fortuna presso gli serit-
tori locali, fra i quali il Latini che, più di un secolo dopo,
parlando dell'aspetto della sua città, non trovava di meglio
che attenersi al vecchio paragone, vivo tuttora nella coscienza
popolare: « La sua forma non é tanto di un gambero
« quanto di uno scorpione, la cui coda è formata dal Rione
« detto di Porta d'Arci: e le cui branche consistono nelle
« due braccia, in cui dividesi il Borgo. Convien però figu-
« rarsi lo Scorpione non in una posizione retta, ma alquanto
« incurvata » (2).

Dallalto del colle ove si puó fissare, per cosi dire, il
centro storico di tutta la città, l'abitato si estende verso
oriente, verso mezzogiorno e verso settentrione e —- in pro-
porzioni minori — verso occidente, fino ai piedi dell'altura.

La maggiore quota altimetrica si raggiunge, lungo la
Via Garibaldi, presso il Teatro Comunale con m. 408,50; di
lisi scende variamente da tutti i lati, fino alla periferia del-
labitato: a Porta d'Arce si hanno m. 401,76; a Porta Cintia
m. 392,08; presso il Convitto Comunale, non lungi dalla sta-

(1) Loreto MATTEI, Erario Reatino ecc., c. 80.
(2) LATINI, Memorie ecc., fasc. II, cap. XIII.

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244. G. COLASANTI

Zione ferroviaria, m. 393,10. Quote piü basse si hanno in
tutto il lato meridionale: al Ponte si hanno m. 289,90, che si
riducono a m. 388,44 a Porta Romana, nella estremità meri-
dionale dell'abitato, al di là del Velino.

La parte alta della città, la « Contrada dell'alto » , come
la chiama qualche scrittore locale (1), planimetricamente ha
la forma di una ovale, ed è intersecata da due arterie prin-
cipali, che si incrociano nella Piazza Vittorio Emanuele.

La prima arteria, da oriente ad occidente, è rappresen-
tata dalla estremità occidentale di Via Garibaldi e dalla
estremità orientale di Via Cintia; la seconda, da N. a S. è
rappresentata da una parte di Via Pennina e dall inizio di
Via Roma. Fuori dei detti limiti, queste arterie continuano su
. per giü per la direzione iniziale, arrivando fino alla periferia
dell’abitato, che — quindi — risulta anch'esso diviso in quat-
tro parti.

L'abitato è oggi racchiuso in parte da una cinta murale,
in parte dal corso del Velino, in parte (quello sulla sini-
stra del fiume) da corsi d’acqua secondarî e derivati dal
fiume principale.

Nella estremità orientale la cerchia comincia dalla riva
destra del Velino e, con leggere: arcuazione, si dirige verso
settentrione. Dopo circa 240 metri, sopra un terreno ineguale
ed accidentato, si apre la Porta d' Arce, una delle più importanti
della città, da cui parte la via che mena, per Città Ducale
ed Antrodoco, ad Aquila. Dopo un 60 metri a N. di detta
porta, la linea perimetrale gira ad un tratto verso ovest
e, quasi in linea retta, arriva fino alla estremità occidentale,
oltre l’antico convento di S. Domenico, con una lunghezza
di circa m. 1300. In questo tratto settentrionale, dopo un
920 metri dall’estremo punto orientale, incontriamo la Porta
Conca; 160 metri dopo la quale, le mura sono interrotte da

(1) L. MATTEI, Erario Reatino ecc., c. 80-82.

ox
^

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 245

un largo che da accesso alla stazione ferroviaria. Indi la
linea perimetrale ricomincia di nuovo e, dopo 440 metri, si
incontra la Porta Cintia, altra importante e storica porta da
cui esce la via che mena a Terni.

A circa 180 metri dopo Porta Cintia, le mura cambiano
di nuovo direzione: vanno da N.-E. a S.-W. per un tratto di
circa 160 metri, fino ad incontrare di nuovo il corso del Velino.
Complessivamente, la lunghezza di tutto questo tratto murale
moderno può calcolarsi a circa m. 1760.

Nel lato meridionale, in genere, l’ abitato non tocca il
fiume che ad intervalli, scostandosene nel resto del suo corso.
Partendo dal punto occidentale ove abbiamo lasciata la cinta
murale, per circa 680 metri il Velino non ha lungo la sua
destra che terreni messi a coltivazione, e solo in qualche .
breve tratto (sotto il Palazzo di Giustizia) si accosta e tocca
l’abitato.

Finalmente quest’ultimo giunge al fiume, che costeggia
per circa 260 metri fino al Ponte, e per altri 240. metri a
monte di esso fino all'antico convento di S. Francesco, oltre
il quale gli spazi disabitati riappaiono e continuano fino al
limite orientale della cinta.

Di fronte a questo lato meridionale che si estende per
circa tre chilometri e mezzo, computati lungo il corso del
fiume, si trova il Borgo sulla sinistra del Velino. Limitato a
nord dal corso stesso del fiume, questo Borgo non ha negli
altri lati traccia alcuna di cinta murale, ma solo un fosso
in cui corre l’acqua nella cattiva stagione Il circuito, com-
putato lungo il fosso, può dirsi di un chilometro, e comples-

sivamente, computando il lato bagnato dal fiume, di circa

l chilometro e mezzo.

Cosicchè l’intero circuito della città, computando in
esso anche l'abitato al di là del Velino, può ritenersi di poco
piü di 4 km. :

Questo computo, che nel lato meridionale della città é
fatto da noi in base alla linea dei corsi di acqua assunti
246 G. COLASANTI

come confini naturali dell’ abitato, si differenzia notevol-
mente da quello offertoci da qualche scrittore locale. Dal
Mattei, ad esempio, che ritiene che « il ... circuito passerà
delle miglia anco cinque » (1), commettendo una delle sue
solite inesattezze, per la quale non è il caso neppure di cer-
care una attenuante nel fatto che, in tale calcolo, sono stati
compresi « i Borghi con tutto lo spazio di terre coltivate in
« horti, campi e giardini dalla banda verso il fiume che lo
« circonda » (2). Per contrario, con le cifre da noi date
siamo vicinissimi al computo fatto dal Latini, secondo cui « il
giro della Città, compreso il Borgo ... è .. appena di due
miglia e mezzo » (3); ove la differenza non grande si spiega
con il fatto che — non seguendo il Latini i confini naturali,
bensi il limite reale dell'abitato — si doveva necessariamente
riuscire ad un calcolo piü ridotto.

La menzione di questi scrittori locali richiama la ne-

cessità di dare — dopo questo sintetico cenno dell’ abitato
odierno — un brevissimo sguardo intorno allo schema gene-

rale della città nei diversi tempi, per vedere fino a qual'e-
poca ci sia possibile seguire la distribuzione e la forma del
perimetro moderno. A tale uopo abbiamo a nostra disposi-
Zione un buon materiale, rappresentato e da documenti car-
tografici e da notizie desunte da scrittori locali, editi ed ine-
diti: materiale che ci porta fino all'inizio del secolo XIV.

Allanno 1725 appartiene una Pianta della città di Rieti,
compilata e disegnata da Claudio Martigny nei mesi di gen-
naio e febbraio (4).

(1) Erario Reatino ecc., c. 80.

(2) Idem.

(3) Memorie ecc., fasc. II, cap. XIII.

(4) Detta carta, conservata nella residenza municipale ove noi l'abbiamo esa-
minata, reca questo titolo: Altra Pianta Unita per il Condotto Principale, dalla,
Porta d’Arci sin’ alla Fontana di Piazza, con li Bottini, Condotti, particolari,
Fiume, Strade ete, dell’? Ill.ma Città di Rieti. Le dette Piante, operazioni Relazioni
etc. Delineate, operate e scritte in Gen. e Feb.» 1725 da Claudio Martigny Inge-
gnere e Geografo.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 241

È una carta montata su tela, delle dimensioni comples-
sive di m. 1,15 X m. 1,00: di cui, la parte inferiore (ca.
m. 0,66 di altezza) è riserbata alla ‘appresentazione dell’ a-
bitato, mentre la restante parte superiore (ca. m. 0,34) ri-
produce una zona del territorio reatino.

È disegnata a colori diversi: accanto al verde della cam-
pagna, c'è l'azzurro riserbato ai corsi di acqua, il bianco
usato per le strade ed il rossastro per l’abitato. Ha il N. volto
al lato superiore, reca — nel suo angolo inferiore a sinistra —
la indicazione della scala secondo le canne ed i passi.

In essa l'abitato più importante, cioè quello della città
propriamente detta, è rappresentato sulla destra del Velino.
A partire dal corso di questo fiume nella estremità orientale,
la linea delle mura sale, leggermente girando, ed incontra
la Porta d'Arce, dopo la quale piega ad angolo, va diretta-
mente da oriente ad occidente. In questo lato, che astrono-
micamente è il lato settentrionale, la nostra carta nota due
porte: Porta Conca e Porta Cintia.

Dopo quest’ultima, le mura piegano in direzione da S. N.
raggiungendo di nuovo la linea del Velino, sotto il convento
di S. Domenico. |

Tutto il lato meridionale della città é lambito dal corso
del Velino, che ad un certo punto si biforca. Sul ramo de-
stro, che limita l'abitato nellato di S. W., la nostra carta pone
la Porta del Voto de’ Santi (P. Santa Lucia).

Prima della biforcazione, sul Velino è disegnato il Zonte
con la relativa porta, attraverso cui si va allabitato sulla
sinistra del fiume, cioè al Borgo. Questo nucleo suburbano
è anch’esso rappresentato secondo lo schema odierno. Cir-
condato da un ramo del Velino su cui si trovano tre porte :
ad est (Porta Arringo); a sud-est (Porta S. Antonio); a sud
(Porta Romana), il suo abitato mostra in tutto il resto una
distribuzione che richiama perfettamente quella moderna. Del
pari, simile all'odierna é la distribuzione dell'abitato interno
della città; ove, le due principali arterie (una, da est ad
===

248 G. COLASANTI

ovest, parte da Porta d'Arce e va a Porta Cintia; l'altra, da
nord è sud, parte dal ponte sul Velino e finisce presso la
chiesa di S. Liberatore, nel lato settentrionale delle mura)
si incrociano, incontrandosi, nella attuale Piazza Vittorio Ema-
nuele, posta sull'alto, nel centro dell'abitato. Le minori co-
municazioni con i loro particolari (fabbricati importanti,
chiese, conventi ecc.) corrispondono anch'esse alle odierne,
come meglio vedremo quando parleremo delle singole zone.

Se si toglie qualche divergenza di poco conto (per esem- ‘
pio la interruzione delle mura che oggi si ha. a Piazza Um-
berto I, presso la stazione ferroviaria, manca nella nostra
carta: presso il monastero di S. Paolo, la comunicazione tra
l'alto e la sottostante Piazza del Leone non è riferibile alla
odierna, che si deve ad un rifacimento recente eco.) la
Pianta del 1725 si riporta nel resto alla odierna distribu-
zione dell’ abitato.

Distribuzione odierna, che viene fuori da un altro docu-
mento cartografico, meno dettagliato però e meno chiaro di
quello già descritto. In una pergamena di m. 1,00 X m. 0,65,
è disegnata una Pianta de' confini di Riete con Civita Duc.le
et altri luoghi del Regno di Napoli, oggi conservata nella
Biblioteca Comunale di Rieti (fondo antico, Archivio del Co-
mune).

Su fondo giallastro, rappresentante il piano, il rilievo
reca un colore chiaro, a luce obliqua piovente da S.-E., cioè
dall’angolo superiore destro della carta, la quale ha supe-
riormente rivolto l'est. :

Le acque sono in colore azzurro, l'abitato in rosso. L’a-
bitato cittadino é rappresentato quasi nel mezzo del lato in-
feriore ; tutto il restante della carta, ai lati e nella parte

Superiore, è destinato alla rappresentazione del territorio.

Quasi nel centro della carta, è rappresentata la rosa dei
venti, mentre nella estremità destra (corrispondente al sud)
é riprodotta la scala di riduzione, in passi romani ed in

canne reatine. REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 249

Il margine inferiore della carta è riserbato alle indica-
zioni, le quali occupano una zona larga ca. m. 0,15: in fondo
a tutto si ha la firma dell'autore, Cesare Flachio, il quale
dové compilare la carta verso il principio: del sec. XVIII.

La parte che di questa carta maggiormente ci interessa
è quella rappresentante l'abitato reatino, in un piccolo spazio
rettangolare di circa m. 0,10 X 0,07.

Dato lo scopo della carta, la quale mirava a rappre-
sentare tutto l’agro reatino, l'abitato non ci si presenta na-
turalmente con una riproduzione nè esatta nè curata nei
particolari. Manca l'indicazione di alcune porte; mancano
molti nomi ecc.; tuttavia, le linee che possediamo sono senza
dubbio sufficienti a fornirci l’idea dello schema generale
della città, sia per quanto riguarda il suo perimetro, sia per
quanto concerne le principali arterie interne.

sulla destra del Velino — il cui corso ci appare bifor-
cato verso la estremità occidentale (corrispondente al lato
inferiore della carta) — è distribuita la città propriamente
detta.

Una linea murale — che dalla riva destra del fiume, nel
suo tratto orientale (corrispondente al lato superiore della
Carta), si dirige verso nord e, dopo breve tratto piega, an-
dando da est ad ovest, finchè volge di nuovo da nord a sud,
raggiungendo il Velino — limita l’abitato reatino nei suoi lati
orientale, settentrionale ed occidentale, nella carta corrispon-
denti relativamente al lato superiore, sinistro ed inferiore.

Il lato meridionale dell’abitato (corrispondente al lato
destro della carta) è limitato dal corso del Velino, sul quale

la nostra pianta nota due passaggi: il Ponte, corrispondente
all'attuale, ed il piccolo passaggio presso la odierna chiesa
di S. Nicola in Acupenco, recante all'isola Voto di Santo. Di
là dal ponte maggiore, è rappresentato l’abitato suburbano,
racchiuso entro il fosso diramato dal Velino, ed aperto nelle

sue tre porte, nelle quali ravvisiamo i tre noti ingressi ad
250 G. COLASANTI

est, a sud-est ed a sud. Mancano i nomi e di queste porte
e dei passaggi sul Velino.

Quantunque con poco dettaglio e con poca chiarezza,
l'abitato interno della città propriamente detta ci è indicato
distribuito nelle due arterie principali, che da opposte dire-
zioni muovono dalla periferia verso l'interno, incrociandosi
nel largo centrale, in cui ravvisiamo la odierna P. Vittorio
Emanuele.

Similmente, l'abitato del Borgo ci é indicato intorno alle
principali arterie, che dal ponte sul Velino recano rispetti-
vamente alle tre porte notate.

Intorno a queste due carte, le quali adunque riproducono
sostanzialmente lo schema generale della città quale oggi è
e quale in principio noi l'abbiamo sommariamente descritto,
si aggruppano le informazioni degli scrittori locali, che ci
indicano anch’essi — ora direttamente, ora indirettamente —
questa estensione e questa forma dell’abitato reatino.

I documenti cittadini del settecento ad ogni piè sospinto
ci rivelano la città quale noi la conosciamo, coi suoi limiti,
colle sue porte, e colle sue comunicazioni: e questa di-
stribuzione si manteneva rigorosamente, non molto dopo la
redazione delle due carte citate, allo scorcio del secolo
XVIII ed al principio del XIX, allorchè il Latini ce la de-
scrisse, fornendoci anche altre indicazioni (specialmente alti-
metriche ecc.) che non trovan posto nei due documenti car-
tografici precedenti. ;

Allora, come oggi, l'abitato era posto « parte ... nel
« piano e parte sopra una facilissima collinetta ... formato
« dalla Città propriamente detta e dal Borgo, il quale dalla
« Città è diviso dal bel fiume Velino » (1). Quale fosse il
perimetro della città a destra del fiume, con i suoi bastioni
e con le altre opere di difesa, ci è indicato particolarmente
così: « Lo stesso Velino serve di muro insieme e di fosso

(1) LATINI, Memorie ecc., fasc. II, cap. X.
REATE, RICEROHE DI TOPOGRAFIA, ECC. varo

« alla città dalla parte del sud e del sud-ovest ; verso l' ovest
« poi, il nord e l'est è cinta di muri elevati ad una certa al-
« tezza con merli e con frequenti torri ora quadrate, ora ro-
« tonde. Questi muri par che sieno opera del nono e decimo
« e tredicesimo secolo, fuorchè in alcuni punti ed in ispecie
« vicino alle porte, ove si veggono alcuni preziosi avanzi di
« muro costrutto secondo il gusto de’ tempi Romani. Vi aveva
« ancora lantemurale; ma ora è demolito, e sol ne rimangon
« le vestigia all'altezza di circa una canna da terra. Lo spazio
« che giace fra l'antemurale ed il muro serve oggidi di com-
« modo e tranquillo passeggio ... A piè dell'antemurale apri-
« vasi un ben largo fosso, che ora però vedesi in tutta la
« sua lunghezza ripieno quasi intieramente di terra ridotta
« a coltura » (1).

Lungo questo perimetro il Latini ci addita « cinque Porte:
cioè la Porta d'Arci, Porta Conca, Porta Cintia, Porta Voto
de' Santi, Porta di Ponte » (2) corrispondenti esattamente

alle attuali, di cui le due ultime van poste — come a suo
tempo vedremo — una presso la biforcazione del Velino,

l’altra sul Ponte odierno.

Il Borgo, dal Latini considerato come fuori della città,
Gi appare nelle stesse linee di oggi (3).

Entro questa cinta, il Latini ci descrive l'abitato. Dal
Borgo, per il Ponte, si entra in Via Roma, segnalataci,
come oggi è, per « una ben larga e retta strada, la più
« bella forse e la più popolosa della Città, fiancheggiata da
« buoni fabbricati, ornata in tutta la sua lunghezza di officine
« di artisti e di mercanti, per la quale si ascende alla Pub-
« blica Piazza ». La pubblica piazza (oggi P. V. Emanuele)
ci appare come il centro dell'abitato, in cui si incrociavano
le principali arterie, ornate di importanti fabbricati (4).

(1) Idem, ms. cit., I. c.
2) LATINI, ms. cit., fasc. III, cap. XVIII.
3) Idem, ms. cit., fasc. II, cap. XIII; fasc. IV, cap. XVIII.
4) Idem, ms. cit., fasc. II, cap. XIII e XV.
252 G. COLASANTI

Lontano da essa, verso nord-est, verso est e sud-ovest,
il nostro A. ci addita quel fabbricato in genere meschino
e povero che oggi ancora si osserva da P. Conca a P. d’Arce,
a sud-ovest di quest’ ultima porta, ed intorno alla chiesa di
Santa Lucia, nel Rione Valli (1).

Qualche decennio prima dei riferiti documenti cartogra-
fici, nella seconda metà del seicento. Loreto Mattei ci la-
sció, nel suo Erario Reatino, uno schizzo planimetrico
piuttosto sommario dell’abitato cittadino, quale era al suo
tempo. Lo riporta dopo la c. 94 del suo ms. citato, intito-
landolo « Disegno della Pianta et alzato della Città di Rieti,
in cui questa terza Parte del Mattei in luogo della solita
Poesia si termina con la Pittura ».

Lo schizzo — fatto a penna su di un foglio allegato —
occupa un campo rettangolare dis; ca: cm li Rai 12.
Senza riprodurre affatto la distribuzione interna dell’abitato
e lo schema delle vie, il Mattei si limita a delineare, per
altro esattamente, il tracciato perimetrale. La carta, con
il N. volto al lato superiore non reca indicazioni della scala.

Sulla destra del fiume Velino, il cui corso appare bi-
forcato nella metà occidentale, appare la città propriamente
detta, dal Mattei indicata col nome di Città di feti.

Il tracciato murale, che la racchiude ad oriente, a set-
tentrione e ad occidente, segue la linea a noi nota, ma delle
ire porte ne reca solamente due (P. d'Arce e P. Cintia) tra-
lasciando — sicuramente per dimenticanza -— la Porta
Conca (2).

Lungo il limite meridionale della città notiamo la Porta
Voto de’ Santi, sita sul principio del ramo destro del fiume;
ed a monte di essa, prima della biforcazione, la Porta di

(1) Idem, ms. cit., fasc. II, cap. XIII.

(2) Altrove, infatti, (ms. cit., carta 81) parla di cinque porte esistenti lungo il
perimetro cittadino. E poiché quelle segnate nello schizzo sono quattro, la quinta
sarebbe P. Conca, REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 258

Ponte, chiaramente indicataci — quantunque non registrata —
sull’ omonimo passaggio del fiume.

Sulla sinistra riva del Velino, di fronte quasi al ponte
maggiore, vediamo estendersi l’abitato suburbano, indica-
toci dal Mattei con il nome di Borgo. Circondato da una
diramazione del fiume, esso ci si mostra nello schema che
noi conosciamo, e con le tre note porte (P. Cerringo, P.
S. Antonio, P. Romana) nei punti in cui oggi ancora si man-
tengono o sono ricordate.

Questo schema grafico è dallo stesso Mattei — in altre
parti del suo manoscritto — integrato con chiari ed evidenti

accenni all’abitato della sua città. Lungo il cui perimetro
erano « lunghe et alte mura merlate e guernite di spessi
« torrioni, antemurali, terrapieni e fossa inondabile per tutto ;
« la qual munitione dal lato di Tramontana verso il Regno
« si stende in lunghezza molto più d'un miglio : il versante
« della città dalla parte di Mezzodì.... è tutto a bastanza
« circonvallato e munito dall'ampio letto e rapido corso del
« nostro Velino » (1).

Di là da questo limite si diramavano le abitazioni del
Borgo (2) e lungo l'intero circuito dell'abitato ci sono in-
dicate « otto Porte, tre nei Borghi e cinque nel suo. re-
cinto » (3).

L'abitato interno del Borgo, diviso nelle sue due parti
verso P. Romana e verso le altre due porte orientali dalla
largura centrale, corrispondente alla odierna P. Cavour, è al-
trove indicato come racchiuso da un braccio del fiume e dal prin-
cipale corso del Velino stesso (4). L'abitato interno della città

(1) Erario Reatino ecc , cart. 81. Questo limite della città fino al corso del Ve-
lino appare anche da alcune strofette, in cui del fiume si dice che Zi da’ muri. |
escluso ondeggia (ms. cit., cart. 92).

(2) Op. cit., cart. 80.

(3) Idem, cart. 81.

(4) Della via che entra per Porta Romana, il Mattei dice: « ... entra per la Porta
Romana in Rieti passandosi un braccio del fiume nel borgo di essa e poi per altro.
ponte munito d'un alta torre si passa il grosso di tutto il fiume ecc. (ms. cit. cart.
64-65).
04 G. COLASANTI

propriamente detta, sulla destra del fiume, è ,« tutto listato
« di strade per lo più piane, drittissime e capaci di tre car-
« rozze » (1), e il suo centro va ricercato nella « Piazza con
sua bella fontana » (2), cioè nella odierna Piazza Vittorio
Emanuele. La prima grande arteria, da oriente ad occi-
dente, era costituita dalla « Strada dritta » (Via Garibaldi),
che partiva « dalla prima Porta verso il Regno » (3), ossia

dalla Porta d'Arce. Essa « con un breve agevolissimo e

« quasi insensibil rialto si porta alla contrada dell'alto e pas-
« sando per la publica Piazza e quella del Duomo sino al-
« l'altra Porta della Città detta Porta Cinthia ecc. ». (4).
La seconda grande arteria cittadina partiva da Porta
Romana nel Borgo: indi « inoltrandosi ... per entro la città,
« con agevolisssima e quasi insensibile montata ... va a far
« capo su la Piazza in faccia al Palazzo del Magistrato » (5).

Di li, attraverso « una discesa di non molto declivio, detta

la Pennina » (6), raggiungeva le mura, terminando « su la
facciata della Chiesa di S. Liberatore » (7).

Tra queste arterie e lungo le loro diramazioni secon-
darie, l'A. ci indica fabbriche e chiese che richiamano quelle
attuali.

Questa città, così come la troviamo nelle sue linee
generali presso il Mattei, ci viene descritta circa un secolo
prima da Pompeo Angelotti. Sulla destra del fiume sorgeva
« la moderna città ... parte in valle, parte in bel rialto si-
« tuata, circondata da un lato da fortissimi bastioni, dall’ al-
« tro dal fiume Velino che sicura la rendono » (8). Di fronte
ad essa sorgeva « il Borgo ... circondato da un raro del

(1) Erario Reatino, cart. 80-82.
(2) Idem, l. c.; cfr. cart. 83, con la speciale descrizione della piazza stessa.
(3) Idem, et 80-82.
(4) Idem, cart. 80-82.
(5) L. MATTEI, mS. cit., l. c
(6)
(7) io I (oy

(8) P. ANGELOTTI, Descrittione eco, pag. 50.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 255 .

Velino » (1). Tutto questo abitato raggiungeva i limiti.a noi
già noti: andava cioè fino a Porta Cintia (2), « fin’ a Porta

Conca » (3) a settentrione e — attraverso il « venerabil
Monastero di S. Benedetto » che « confina con le pubbliche
mura » (4) — arrivava alla « chiesa di S. Leonardo », a

cui « è congiunta la Porta d'Arci » (5) nella estremità orien-
tale. Anche il Borgo aveva allora, nelle porte e nella esten-
sione, l'aspetto che già conosciamo (6). Centro dell'abitato
appare la odierna P. Vittorio Emanuele, « nel cui mezzo ...
in questi ultim’anni, per opera de’ Cittadini sorge un limpido
fonte » (7). Da questa Piazza diramano le strade a noi già
note: cioè « la diritta strada di Ponte ... (V. Roma) d'an-
« tiche e moderne fabriche fornita » (8); la strada che attra-
versa la « ben' habitata contrada fin'a Porta Cinthia » (9),
cioè Via Cintia; la via « che dalla porta (Porta d' Arce)
« alla Piazza et al Palazzo del Magistrato conduce » (10),
cioè la Via Garibaldi.

Un terzo gruppo di documenti cartografici ci indica la
estensione perimetrale e la distribuzione interna dell'abitato
reatino, verso la metà del cinquecento, e richiama anch'esso
intorno ai propri schemi le parole di qualche scrittore con-
temporaneo, che si occupò di Rieti.

In un codice cartaceo della seconda metà del secolo
NL in f grande (c. 42 x 28), già esistente alla Libre-
ria dei Duchi d'Urbino ed oggi conservato nella Biblio-
teca Nazionale Centrale di Roma (mss. 550), si contengono

(1) Idem, ibidem, pag. 22.
(2) Idem, ibidem, pag. 45.
(3) Idem, ibidem, pag. 46.
(4) Idem, ibidem, l. c.

(5) Idem, ibidem, pag. 46-49.
(6) Idem, ibidem, pag. 22.
(7) Idem, ibidem, pag. 25.

(8 Idem.

(9) P. ANGELOTTI, Descrittione ecc., pag. 45.
(10) Idem, ibidem, pag. 48 49.
256 G. COLASANTI

« Le Piante et i ritratti delle Città e terre dell' Umbria
« sottoposte al Governo di Perugia ». Le piante, accompa-
gnate da brevi ragguagli in genere sulle distanze, sono —
e nei disegni e nella scrittura — in bistro; furono levate
in gran parte col bussolo, sono prospettiche e geometriche
per ciascun luogo ed occupano due intere facce delle carte.

L'autore si firma, a carta 96v ed a carta 148 v, Ci-
priano Picciolpasso e dichiara (c. 2-6) che questo difficile la-
voro fu a lui affidato da « Jacopo Annibale Altemps, Generale
« di S. Chiesa negli anni 1559-1510 », offrendoci cosi i limiti

cronologici entro cui riportare questi documenti (1).

A c. 67-10 si hanno due piante di Rieti, una geome-
trica ed una prospettica.

A c. 67, sotto il titolo Confini di Rieti e sue vedute, Y A.
riporta alcune brevi indicazioni intorno ai centri abitati che
— rispetto a Rieti — si trovavano a « Tramontana, Po-
nente » (tra cui nomina Zi d' Utri, S. Susanna, Morro ecc.);
a « Ponente, a Mezzogiorno » (Contigliano, Poggio Fidone
ecc.); ed intorno ai centri « posti tra Mezzogiorno e Levante
« e tra Levante e Tramontana » (Civitaducale, S. Ruffina del
Regno; Cantalizio del Regno ecc.) Tutto ciò, in mezzo a
brevi notizie di altro genere (« questa città — eti — dicono
essere il mezzo d’Italia ») e tra nomi leggermente alterati (« il
fiume detto il Mellino »; « il lago di Piè di lupo » per Velino
e Piè di luco ecc.). Tralasciando per ora di occuparci di al-
cune altre annotazioni, che l'A. pone in calce alla stessa
c. 67 sotto le indicazioni riferite, diamo uno sguardo alla
pianta planimetrica di Rieti, contenuta nel verso della carta
stessa e nella faccia seguente.

Il disegno, che occupa una lunghezza di c. 55 ed un'al-
tezza di c. 26, riproduce solamente l'abitato sulla destra
del Velino, tralasciando del tutto il nucleo suburbano.

(1) Per tutto cfr. Catalogo ragionato dei manoscritti appartenenti al fu conte
Giacomo Manzoni redatto da ANNIBALE TENNERONI (Quarta parte) Città di Castello,
Lapi, 1894, pag. 124-125.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. \ 257

L'orientamento della pianta, indicatoci dai punti cardi-
nali scritti in carattere stampato grande, non corrisponde
rigorosamente alla realtà : specialmente nel lato meridionale,
verso il ponte maggiore, tanto la linea del Velino quanto
la linea dell'abitato seguono — nel Picciolpasso — un trac-
ciato leggermente diverso da quello offertoci da una levata
più esatta, essendo fatte quasi convergenti presso il Ponte, -
dove invece vanno in direzione parrallela da occidente ad
oriente.

I gomiti, poi, che il fiume forma a monte e — col suo
ramo destro — a valle del ponte, nella carta del Picciol-
passo non sono che accennati leggermente e non come do-
vrebbero essere; mentre, della diramazione del Velino intorno
al Borgo non è fatto cenno veruno.

Di più: il tratto dal ponte fin sotto Porta d’Arce, presso
il punto ove la linea delle mura tocca il fiume, è tirata

occhio — come l’A. dichiara —; sulla diramazione destra
del Velino — La Cavadella, come registra il Picciolpasso

— non è segnato alcun passaggio, che pure a quest’ epoca
esisteva (Ponte di S. Lucia); dell'abitato suburbano a sini-
stra del fiume
modo alcuno. Tutte queste inesattezze

come già dicemmo — non si fa cenno in
che, per quanto

concerne l’errato orientamento del lato meridionale, vanno
spiegate con la difficoltà incontrata dall'A. nella misurazione,
mancando ivi mura e strada (cfr. c. 68v: come più avanti
Vedremo) — ci richiamano insistentemente al pensiero la
fretta con cui queste carte furono eseguite dal nostro A.,
che in soli quattro mesi dovè compiere l'oneroso lavoro
(e. 2-6). Scaturisce da ciò il relativo apprezzamento, che di
questi documenti cartografici noi possiamo fare.

Dell'abitato cittadino — limitato esplicitamente sulla de-
stra del Velino, sotto il nome. Zeti — il Picciolpasso ripro-

duce, con lo schema periferico, qualche insignificante par-
ticolare interno. A partire dal tratto orientale del Velino,
le mura — interrotte da bastioni — seguono la direzione
258 G. COLASANTI

da S.-N. arrivando a P. d'Arce Dopo la quale, piegano in
direzione da oriente ad occidente, esponendo a tramontana
un lunghissimo tratto, in cui sono poste la 7. Conca e la
P. Cencia (P. Cintia). Ad ovest della quale, le mura piegano
di nuovo verso mezzogiorno e raggiungono il Velino nel
suo tratto occidentale. Seguendo, quindi, la riva del Velino,

-]a linea murale si estende per tutto il lato meridionale fino

alla estremità orientale.

Le mura — che, nelle carte di molto o di poco poste-
riori a questa che esaminiamo, non esistono lungo il lato
meridionale guardato dal fiume — sono in questo punto de-
lineate e chiaramente indicate dal Picciolpasso: il quale
nota che, per un buon tratto a sud-est, poco a monte del
ponte maggiore, erano al suo tempo rovinate.

Queste mura lungo il fiume — quantunque tracciate
con una linea doppia come nelle altre direzioni — appaiono

però senza quei bastioni o contrafforti che sono, invece, di-
segnati in quasi tutto l’altro tratto : il che potrebbe indicare

come, più che mura di cinta — nel senso vero e proprio
della parola — si tratti qui di una linea rappresentata o

dal fabbricato o da muri di unione tra una fabbrica e l'al-
tra o da recinti di terreni, come oggi ancora in qualche
tratto (specialmente a S.-W. ed a S.-E.) si vede.

Lungo il tratto meridionale è notata la P. de’ Ponti con
il Cassero. i

Nel lato orientale, settentrionale, occidentale, e per buon
tratto di quello meridionale è tracciato il terrapieno che —
con il fossato — guardava e rendeva più forti le mura.
L’A. le chiama fortificazioni di terra.

Gli accenni all’interno dell’abitato, racchiuso da questo
giro di mura, si limitano alla menzione di un piccolo
corso di acqua, o fogna, o conduttura (lA. non lo speci-

fica), che dal lato orientale, a sud di. Porta d'Arce, attra-

versa tutto il lembo meridionale dell abitato entro la cer-
chia, toccando di nuovo il Velino nella sua diramazione de-

Wt UETEEEEATTTTE —

I RTL ETSREETTT

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 259

stra, poco a valle del punto di biforcazione. Altro accenno

è costituito da una linea che — sempre ‘entro le mura —
indica qualcuno dei punti raggiunti dal caseggiato. Questa
linea è un arco di circolo, che da un punto presso la Porta
de' Ponti va al limite meridionale del tratto murale sotto
Porta d'Arce. Il terreno a sud di essa (corrispondente alla
zona che da S. Francesco va fin presso Porta d'Arce) é nella
nostra carta occupato da ortami; ad un dipresso come oggi.

Fuori dell'abitato e sulla sinistra del fiume Velino (Zl
Mellino fiume, ha il Picciolpasso), troviamo indicati i due
conventi di S. Fabiano e S. Antonio. Il primo, che ci for-
nisce con questa sua posizione un certo dato cronologico,
essendosi la sua comunità religiosa trasferita dentro la città
l’anno 1585 (1), è al suo posto giusto. Ma il secondo è rav-
vicinato troppo al primo, mentre è troppo allontanato dalla
zona in cui l'A. doveva mettere l’ abitato suburbano del
Borgo, di fronte al cui lato S.-E. oggi ancora il convento si
trova.

Una integrazione di questo schizzo planimetrico, som-
mario ed affrettato, il Picciolpasso ce la offre con la tavola
prospettica della città e del territorio all’ intorno, riportata

‘a carta 70. Essa è disegnata nelle due facce interne, è in

bistro e l’abitato occupa, nel centro del lato inferiore, un
campo di cm. 32 di lunghezza per cm. 8 di larghezza. Il
terreno è rappresentato con curve prospettiche, a luce obli-
qua piovente dall’ est, che corrisponde al lato destro della
earta. Tutta la tavola è orientata da nord a sud; ma vi sono
introdotti errori ed inesattezze nella riproduzione di qualche
parte dell'abitato reatino, cui è assegnata .una falsa orien-
tazione. Anche qui, la rilevata difficoltà della misurazione
fece sì che, nel lato meridionale, la linea dell’abitato e quella

(1) Cfr. DesanOTIS, Notizie Storiche ecc., pag. 122. La nostra carta, quindi, è an-
teriore a questo anno, come del resto le notizie altrove riferite ci avevano di già
indicato.
260 G. COLASANTI

del fiume. presso il ponte maggiore sia resultata sover-
chiamente ristretta e limitata all’ estremità sud - ovest, men-
tre in realtà essa si estende in pieno mezzogiorno. Questo
errore ne portò con sé un altro: la zona, racchiusa dalle due
diramazioni del Velino, e l’ abitato ad essa zona adiacente
sono stati spinti e disegnati ad ovest ed a nord-ovest, mentre
in realtà si trovano a sud-ovest. Con che si è ottenuto dal
Picciolpasso una estensione della linea cittadina occidentale,
che nel fatto è sproporzionata. La linea periferica a tramon-
tana e quella a levante sono più fedelmente riprodotte.

Cominciando da quest’ ultima, le mura si allontanano
dal corso del Velino e si dirigono verso nord, aprendosi
nella Porta d’Arce, indicata ma non registrata col nome, e
rese più forti dal terrapieno chiaramente disegnato. In tutto
il lato settentrionale, che comincia poco a nord della Porta
d’Arce, non troviamo notata porta alcuna tra i bastioni in
esso disegnati.

Il lato occidentale delle mura si vede chiaramente con
tutte le sue opere di fortificazione. Dopo di esso, è facile
seguire il limite del fabbricato (non racchiuso da una cinta
Vera e propria, come già dicemmo), che si estende per tutto
il lato meridionale, ora raggiungendo il fiume (a S. ed a
S.-W.) ora (a S.-E.) allontanandosene.

L'unica porta, in questo ultimo lato meridionale, è da
cercarsi sul ponte maggiore, rappresentato con i suoi due
archi e con il Cassero che ne guardava la testata sulla si-
nistra del fiume. Entro questi limiti, resi forti dal terrapieno
e dal fosso (entrambi qua e là indicati), si estende la città
propriamente detta, limitata cioè sulla destra riva del fiume
Mellino, secondo il nome dal Picciolpasso riprodotto.

In questa carta troviamo accenni alla distribuzione interna
dell’abitato. Il Picciolpasso non riprodusse lo schema delle
arterie cittadine, ma ci lasciò unicamente un rozzo trac-
ciato della estensione del fabbricato, in cui riconosciamo
subito alcuni edifici storicamente importanti (chiese e con-
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. m: 201

venti). Esteso ad occidente fin presso il fiume, l'abitato non
tocca costantemente a nord il limite murale già descritto :
ma se ne allontana presso un fabbricato, che noi riconosciamo
per il convento di S. Benedetto; ad oriente del quale notiamo
uno spazio libero, ad un dipresso come oggi. Similmente, un
terreno messo ad orti e qua e là scabroso è notato nel lato
sud-est, sotto Porta d'Arce. Sono gli ortami,indicati nella ta-
vola planimetrica, e che oggi ancora trovano riscontro nel
terreno basso e coltivato, che dal monastero di S. Chiara
va al limite orientale delle mura. Nel tratto a sud, la-
bitato mostra seguire più da vicino e più costantemente
il fiume.

In mezzo a questo caseggiato noi riconosciamo altresi
il convento di S. Agostino e quello di S. Domenico. Del
nucleo suburbano sulla sinistra del fiume, questa nostra carta
non fa alcuna menzione, tranne il disegno di un fabbricato
sito presso il ponte, e che non sapremmo se indichi o una
qualsiasi casa nel tratto occidentale del Borgo, oppure (leg-
germente ravvicinato al ponte) il fabbricato della vetusta
Chiesa di S. Angelo.

‘ Fuori della città, nella destra del Velino, sono posti i
due conventi di S. Mauro e S. Fabiano: sulla sinistra dello
stesso fiume — alquanto discosto dalla sua posizione esatta
— vediamo il convento di S. Antonio.

L'ultimo documento cartografico di questo terzo gruppo
ci è offerto da una pianta della città, contenuta in una ri-
produzione di Rieti e del suo territorio, esistente nella Bi-
blioteca Comunale di Rieti (fondo dell’antico Archivio Comu-
nale). Questa pianta, disegnata su tela verniciata ad olio,
misura m. 1,35 di lunghezza per m. 0,80 di larghezza. La
riproduzione è policromica: su fondo verdastro, il rilievo è
a colore più chiaro tendente al giallo; i corsi di acqua sono
in colore scuro, mentre le strade sono in rosso, ed in bianco
e rosso è riprodotto il fabbricato.

Tutta la pianta è orientata in modo che l'est corri
262 (778. COLASANTI

sponde al lato superiore, ed in relazione ad esso sono di-
stribuiti gli altri punti cardinali (l'ovest nel basso; il sud
a destra; il nord a sinistra). L'abitato della città si trova
quasi nel mezzo del lato inferiore di tutta la pianta, avendo
accanto a sé, a sinistra, l'indicazione della scala, che pe-
raltro non è leggibile.

La parte che maggiormente qui ci interessa — la ri-
produzione dell’abitato cittadino — occupa uno spazio ret-
tangolare di circa cm. 15 Xx em. 10; è disposto secondo l'orien-
tamento generale della pianta, quindi in modo da volgere.
verso il lato superiore la estremità orientale dell’ abitato
medesimo.

Il Velino — che segue un tracciato corrispondente,
nelle sue sinuosità, a quello reale — ci appare con le sue
due diramazioni: una, a monte dell’attuale ponte maggiore,
che circonda l'odierno Borgo; l'altra — a valle del ponte
che limita l'isola Voto de’ Santi, esplicitamente indicataci dalla

nostra pianta. In quest'ultima biforcazione, la pianta ci fa
distinguere eziandio il ramo maggiore (quello a sinistra) dal
ramo minore (quello a destra, detta « La Cavatella »), rap-
presentato più piccolo e più povero di acque.

Sulla destra riva del Velino e della Cavatella vediamo

. estendersi la città propriamente detta, indicataci dalla pianta
«con il nome di « RIETE », scritto in lettere stampate su linea

orizzontale. 1

Partendo dalla estremità : orientale del fiume (nel lato
superiore, secondo la pianta), le mura vanno da sud a nord
con bastioni e contrafforti, aprendosi nella Porta d’Arce,
dalla pianta registrata.

A nord di essa le mura piegano da est ad ovest, e per-
corrono una lunga linea esposta a tramontana, aprendosi
nella P. Conca e nella P. Cintia, esplicitamente notate. Dopo
quest'ultima, piegano da nord a sud fino a raggiungere, di
nuovo la riva destra del fiume.

In tutto questo lato — rivolto ad est, a nord e ad ovest — REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 263

la linea murale é costantemente seguita dal terrapieno, dise-

. gnato con tutte quelle sporgenze a semicerchio che ancor oggi

si vedono nella via esterna delle mura reatine. Verso il fiume,
la linea dell'abitato é disegnata in rosso — come la prece-
dente linea delle mura; ma l'assenza dei torrioni e dei ba-
luardi ci dimostra — come già dichiarammo — che in questa

direzione non si doveva avere un muro di cinta vero e pro-
prio. La linea del fabbricato si avvicina al fiume solo nel lato
presso il ponte; allontanandosene nel lato sud-ovest e nel
lato sud-est. Ció che corrisponde esattamente alle odierne

condizioni di cose, e che ci dimostra il valore e la esattezza

del documento che abbiamo tra mano.

Nell'interno dell'abitato, la pianta non rileva aleun parti-

colare: tralascia completamente la distribuzione dello schema

stradale e solo delinea il corso del Cantaro, rappresentato

secondo la sua vera direzione entro le mura.

Da questo abitato cittadino, mediante il ponte sul Ve-

lino (è quello corrispondente all’attuale passaggio maggiore;

poichè di altri la pianta non fa cenno) si comunica con il

nucleo suburbano, sulla sinistra del fiume.
Il Ponte — così è indicato — non reca la riproduzione

della sua porta nè quella del Cassero. :
L’abitato suburbano è distribuito fra le tre arterie prin-

cipali che fan capo alle tre porte, site nei punti in cui noi .

le conosciamo sul fosso, ma i cui nomi non abbiamo letti

nella pianta.

L'abitato verso oriente è indicato con il nome di Borgo

S. Antonio;

quello occidentale non reca denominazione.

Altri particolari sull'abitato mancano. Presso la porta S.-E.
del Borgo, vediamo rappresentato il convento di S. Antonio;

li presso è rappresentato quello di S. Fabiano; e final
mente, nell'isola Voto de Santi, presso il punto di biforca-
zione del Velino, vediamo un fabbricato, il quale non può

che riportarsi al vecchio monastero di Santa Lucia.
ager

264 G. COLASANTI

Tutto ciò offre, a chi ben consideri, dei dati cronologici
per l'assegnazione di questa pianta.

Già un primo ferminus ante quem ci era fornito dal fatto
che — poichè il corso del Cantaro entro la città è rappre-
sentato tutto scoperto —- non si poteva scendere dopo l'anno
1836, in cui detto corso venne in gran parte coperto (1). Ma
possiamo spostare di molto i nostri computi. Poiché il con-
vento di S. Fabiano ed il monastero di Santa Lucia sono posti
fuori della città, la nostra pianta va riportata prima del 1585
e prima del 24 febbraio 1566, allorché la prima e la seconda
comunità religiosa entrarono nella cerchia cittadina, sulla
destra del Velino (2).

Ci avviciniamo — come si vede — alla cronologia delle
altre due piante del Pieciolpasso: solo che per la nostra
ignoriamo il preciso terminus post quem ; il quale però in ogni
modo non può risalire oltre gli ultimi decenni del sec. XV,
poichè il convento di S. Antonio — dalla pianta menzio-
nato — fu cominciato a costruire nel 1479 (3). »

Un primo riferimento a questo schema di Rieti, quale
possiamo desumerlo dai tre descritti documenti cartografici,
lo troviamo nelle annotazioni stesse che il Picciolpasso fa
alle sue carte.

Dopo un accenno generico sull’amenità del sito di Rieti (4),
egli passa a darci qualche particolare ragguaglio dell’ abi-
tato stesso. ; i

Nota che «la Città vien offesa dalli doi colli detto l'uno
« san Fabiano et l’altro S.to Ant.o ... che l'uno batte per
« fianco et l’altro per cortina » (5), e che l’intero abitato cit-

(1) Vedi più avanti la fonte di questa notizia.

(2) DESANCTIS, Notizie storiche ecc., pag. 122, 121.

(3) Idem, ibidem, pag. 118.

(4) « Questo luogo ha si bello et cossì ameno sito e tenitorio quant'altro fin
d'hora ne abbiamo veduto ; ha la più frutifera e vaga campagna di tutta |’ Umbria
quivi abondantissimamente vi fanno tutti i frutti della Terra ecc. » (Cart. 67, in

‘calce alle indicazioni sui paesi e sui « Confini di Rieti e sue vedute »).

(5) Carta 67, l. c. La stessa indicazione vale per il passo che segue. REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 265

tadino « ha verso il mezzogiorno il Mellino fiume quale per
« aleun tempo non si puó guazzare ».

Verso questo medesimo tratto meridionale, non vi sono
« ne muraglia ne strada » (1), manca cioè una cinta vera e
propria: mentre una linea di difesa ci è indicata nella Ca-
vadella, cioè nella diramazione destra del Velino, che « fo
fatta per metar l’acqua d’intorno » (2). Nel restante tratto
ad ovest, a nord e ad est « le mura della Città non sonno
« molto buone, ha dintorno alla parte verso Tramontana
« alcuni forti di terra ma tutti ruvinati et altre parti ove
« non pass’ il fiume ». Entro l'abitato la città non possiede
« ne Rocca ne luogo forte da salvamento particulare ».

A questo stesso abitato si riferisce, qua e là nel suo
lavoro De Antiquitatibus Reatis, Mariano Vittorio, che scri-
veva contemporaneamente alla redazione delle carte del
Picciolpasso, ed ai cui tempi la terza delle carte dianzi de-
Scritte veniva composta.

Dal colle, posto alla destra del fiume e che dal nostro
autore é considerato come il centro storico di tutto l'abi-
tato (2), la città si estendeva fino ai limiti a noi già noti.
Così il Vittorio conosce una Porta Cintia (4), in cui va na-
turalmente veduta la nota porta della città e quindi la nota
linea perimetrale da questa parte. Che se, a proposito del
corso del Cantaro, che oggi scorre in parte entro l'abitato
orientale della città, il Vittorio ha: Canthari amnis qui
Reatinae urbis partem interluit, (D) non conoscendo noi una linea
perimetrale diversa dalla odierna che in età passate abbia
chiuso entro l'abitato un tratto di questo corso, dobbiamo

(1) « Alla parte verso il fiume non si opera bossolo né si misura per non vi
essar né muraglia né strada ». Cart. 68 v.

(2) Cart. 68 v. Ad essa si riportano anche i passi che seguono.

(3)«... Vero haud simile est Collem illum habitationi quam maxime como-
dum ... fuisse absque incolis » ms cit., c. 115.

(4) « Quod autem Urbis Portam, Cynthiam vulgo appellatam etc.» ms. cit.,
GX1165: cfr: c...100.

(9) Ms. cit., c. 100.
266 G. COLASANTI

concludere che le parole del Vittorio si riportano ad una
condizione di cose egualeall'attuale: in altri termini, esse ci
richiamano ad est una cinta murale sulla linea stessa di oggi.

Similmente : verso il lato meridionale, a proposito del
rione Valli, ad W. di Via Roma, il Vittorio nota che val-
lis quaedam erat, hortorum agrorumque cultura amoenissima ;
Civitate postea aucta nomen regioni portaeque servatum (1). Vuol
dire che l’abitato di questa città, ai suoi tempi, occupava

tutta la regione bassa fino a S. Nicola, in cui questo nome

Valli si trova localizzato : e poichè anche qui noi non cono-
sciamo altra linea. perimetrale che sia succeduta all’antica,

all infuori di quella stabilita, nel tratto presso il Ponte, dal

corso del Velino, ne viene che lungo questo fiume vada ri-
cercato il limite cittadino, cui il Vittorio si riferisce : siamo
cioè, di fronte ai limiti a noi già noti. La Porta di Valli si

"trovava a valle del Ponte odierno (Porta S. Lucia). Da que-

ste menzioni, con l' estensione dell'abitato vien fuori anche
il concetto della città propriamente detta, estesa e limitata,
anche al tempo del Vittorio, sulla destra del fiume: alla cui
sinistra si trovava il suburbium Velini flumini adiacens (2)
cioè il Borgo.

Per l'età anteriore a questi documenti ed a questi scrit-
tori locali, noi dobbiamo valerci di fonti indirette per rintrac-
ciare, fin dove ci sarà possibile, lo schema cittadino che fin
qui abbiamo seguito.

La prima fonte ci é data dai due noti processi della
Inquisizione contro fra’ Paolo Zoppo e contro il Comune di
Rieti, dell’anno 1334. Gli accenni topografici, di cui noi pos-
siamo far tesoro, sono parecchi in ambedue i processi;
ma poichè quelli contenuti nel primo si riferiscono in ge-
nere a località entro l’ abitato, spesso senza esatte deter-
minazioni topografiche, la importanza maggiore risiede nelle

(1) Idem, c. 124-125.
(2) Idem, c. 124-125. REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 261

menzioni contenute nel secondo processo, che sono veramente
preziose.

Occorre premettere che — in seguito ad un conflitto
scoppiato tra l'Inquisitore ed il Comune di Rieti — que-

st'ultimo prese severe disposizioni contro il primo, per cui
fu scomunicato, ed i suoi magistrati furon sottoposti a rego-
lare processo in contumacia. Il di 10 agosto 1334 il nunzio
dell'Inquisitore di Leonessa, tal Petrono loannicti, ch'era stato
inviato a recare un mandato di comparizione ad un testimone
entro Rieti (1) depone quanto gli era occorso alle porte
della città: Sed perveniens ad Portam Conche Civitatis Reatine,
ibi invenit custodes per officiales dicte Civitatis specialiter assi-
gnatos ad hoc quod non permitterent intrare aliquam. personam
cum aliqua lictera vel citatione ex parte ipsius Inquisitoris con-
tra personas speciales seu Comune Reatinum (2).

Di questa Porta Conca noi abbiamo negli stessi docu-
menti frequenti menzioni (3); e poichè di una Porta Conca

in posizione diversa dall’ attuale — e, per conseguenza, di
una linea perimetrale diversa da quella in cui detta porta
conosciamo — nè abbiamo notizie, nè siamo autorizzati a

supporne, ne viene che l’accenno dei riferiti documenti debba
essere riportato alla porta ed alla linea murale di oggi. Della
corrispondenza fra l'odierna linea murale a nord e quella
che doveva aversi nel 1334, abbiamo altre documentazioni
sempre della stessa provenienza.

Nello stesso processo, tal fr. Stefanus Petroni de Reate,
ord. Heremitarum S. Augustini (4) depone: Quod ipse te-
stis et alii fratres sui ordinis et Prior dictorum fratrum, per

(1) In Bollettino della R. Deputazione di Storia Patria per l'Umbria, anno V,
vol. V, fasc. II, pag. 384.

(2) Op. cit., pag. 384. :

(3) Si menziona altrove un Domp. Iohannes Archipresbiter S. Xpofori de Porta
Conche. Bollett. cit., pag. 389; « In presentia dompni Iohannis Petri Archipresbiteri
de la porta. de Concha. » .Bollett. cit., pag. 385.

(4) Bollett. cit., pag. 396.
268 G. COLASANTI

officiales Comunis Reat. et alios Reatinos sunt vetiti ei. prohibiti
quod non facerent aliquam ambasciatam, nec alicui dicerent vel
portarent verbo vel in scriptis în Civitate predicta. ex parte In-
quisitoris predicti etc. (1). Soltanto con un convento posto den-
tro le mura, ed il quale aveva quindi con il pubblico un
contatto così continuo che sarebbe stato difficile e quasi im-
possibile sottoporlo ad una rigorosa vigilanza, noi ci spie-
ghiamo questi avvertimenti. Giacchè per frati, che avessero
dimorato fuori della cerchia, bastavano la comune perquisi-
zione alle porte della città e la vigilanza durante il tempo
che fossero rimasti entro l’abitato: così era stato fatto per
il nunzio dell’ Inquisitore, e così si fece poi per altri. Queste
nostre osservazioni trovano conferma nella restante deposi-
zione di frate Agostino.

Il quale continua dicendo Quod dum ipse testis iret per
Civitatem predictam hostiatim pro elemosinis acquirendis, homines
Civitatis eiusdem comuniter eidem fratribus illud iddem dicebant,
et quod dum ipse testis rediret a Lama, districtus. Civitatis pre-
dicte, ad quam iverat pro elemosina canipe, ut sunt consueti, fuit
cercatus ad portam. dicte Civitatis, ne portaret dicti Inquisitoris
licteras pluribus vicibus etc. (2). Questa località Lama, men-
zionataci anche da documenti dell'archivio della Cattedrale
reatina (3), è nota agli Statuti (4), i quali anzi ce la indicano
come il sito stabilito per la macerazione del lino e della ca-
napa, in pieno accordo con le parole di frate Agostino.

(1) Idem.

(2) Idem.

(3) « ... totum id quod ... habuerunt in Lama aqua et Canucetis ac Pratis, iuxta
dictam Lamam » Naudaeus, Instawratio etc., pag. 34; il documento, che è un atto
di donazione, rimonta all'anno 1401.

(4) Già a proposito della corsa del pallio è fatto cenno di questa Lama (Zt atio
anno ponatur ad Leonem et curratur a Trigio Lamae I, 63), di cuisi ha ampia
menzione al cap. 30 del lib. IV, ove, tra le altre prescrizioni intorno alla Lama, si
ha: « quod quilibet habeat habilitatem ibi curandi canapam et linum ... et quilibet
possit ibi habere et spangere dictum linum et canapam ... in campis positis iuxta
. dictam Lamam etc. ». REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 269

Essa. va identificata a nord di Porta Cintia, lungo la via
che esce da questa e si dirige verso settentrione, presso il
casino di campagna dei sigg. Olivetti: qui oggi ancora vive
questa denominazione. Ora, se provenendo dalla località Lama
per toccare il convento di S. Agostino si incontrava una linea
murale, entro questa il convento si doveva trovare. Data la
lotta che ardeva, e poichè la perquisizione era stata operata
pluribus vicibus, è da ritenere che, se ci fosse stato il mezzo
di arrivare al convento ed evitare l’odiosa visita, cioè senza
passare per le porte della città, il frate lo avrebbe fatto.

Adunque, anche presso il convento di Sant'Agostino noi .
possiamo ricostruire il tratto murale sulla linea attuale. Degli
altri punti di questo lato nord — quantunque non abbiamo
nella fonte speciali accenni — non può esser messa in dub-
bio la corrispondenza con la odierna linea murale, dopo
quanto abbiamo visto per il tratto precedente.

Per il lato meridionale, il limite della città ci è comu-
nemente indicato nel fiume Velino.

Il nunzio Petrono Ioannicti depone che, dopo essere stato
perquisito alla Porta Conca, giunse al convento di S. Fran-
cesco (1) d'onde poco dopo dovè fuggire di nascosto, per
sottrarsi alle ricerche dei magistrati del Comune, che avevano
saputo come egli avesse portate lettere dell’ Inquisitoré : Ef
dixit, quod recessit non per portam Civitatis sed per flumen,
sotiatus per duos homines extra Civitatem predictam. forte spatio
unius miliaris ecc. (2). Si ponga mente alla posizione di
S. Francesco (V. Tavola): se il nunzio, per uscire dalla città
senza passar per le porte ove erano le guardie, dovè attra-
versare il fiume, vuol dire che fino a quest’ ultimo era di
già arrivato l’abitato cittadino.

(1) « Et post hee ipse vadens ad locum fratrum. mm. » Bollett. cit., pag. 385.
Quivi risiedeva l'Inquisitore: « Actum in loco ffr. mm. de Reate in cammera ipsius
Inquisitoris ». Bollett. cit., pag. 362; cfr. pag. 349-420 passim.

(2) Bollett. cit., pag. 385.
"CU We

270 G. COLASANTI

Similmente : il : guardiano del convento di Monteleone
depone che, essendosi egli recato per alcuni affari a Rieti, e
trovandosi a pranzo nel convento dei frati minori, venit ...

notarius Reformationum ... et dixit eis ...: Statim eatis extra .

Civitatem ...; et contra eorum voluntatem duxit eos ad portam
Civitatis etc. (1). Quindi, il convento di S. Francesco doveva
già considerarsi come incluso entro i limiti della città, che
per conseguenza s? estendeva fino al Velino.

Questi brevi riferimenti alla cerchia cittadina sono suf-
fragati ed integrati da altri, contenuti in una fonte contempo-
ranea della massima importanza, cioé negli Statuti reatini.
Nei quali, aecanto alla menzione del convento di S. Fran-
cesco, del convento di S. Agostino e della P. Conca, altre
ne troviamo riferentisi agli altri punti del perimetro reatino,
in tutte le direzioni.

Nel lato meridionale, sull'odierno ponte, gli Statuti co-
noscono una Torre di Ponte, posta a guardia dell'ingresso
della città da questa parte e custodita severamente come
uno dei punti più importanti. Torre e Porta, di cui la nostra
fonte fa esplicita menzione a parecchie riprese (2).

È chiaro che questa Porta di Ponte doveva allora rap-
presentare l'estremo limite dell'abitato cittadino a sud, che
quindi in questo punto — proprio come già conosciamo —
arrivava fino al corso del Velino.

Se l'antiea cinta era stata violata in questo tratto, ove

come nuovo limite naturale dell'abitato era stato assunto il

corso del fiume, il medesimo corso possiam ritenere che li-
mitasse ormai l'abitato cittadino negli altri punti a mezzo-

(1) Bollett. cit., pag. 308 399.

(2) « Item nullus ingomboret portam pontis ... etc. » Stat. III, 31. A questa
Porta di Ponte troviamo assegnati due portonarii stipendiati: « et sint dicti Porto-
narii duo ad Portam Pontis cum salario unius floreni quolibet mense » Stat. I, 135.

Sulla Torre di Ponte abbiamo: « Item statuimus et ordinamus quod custodes
Turrium Arcis et Pontis non audeant nec praesumant in dictis Turribus de die vel
de nocte aliquem alium immittere absque expressa licentia et mandato Guardiani

"Turrium ». Stat. III, 97. REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA. ECC. 271

giorno: deduzione logica e spontanea, convalidata del resto
da documenti. I magistrati reatini — preoccupati che il con-
tinuo impoverimento del ramo destro del Velino, a valle del
ponte, nuoceva alla sicurezza della città — decisero di man-
dare in esso un maggior volume di acqua: nella prescri-
zione relativa si parla di questo corso del Velino, che versus

civitatem fluebat, della minacciata sicurezza della città ecc.

facendo chiaramente intendere che il naturale limite dell'a-
bitato da questa parte era il fiume: Quia per aquam. flu-
minis Rheatini quae a Monasterio Sancte Luciae versus civitatem
fluebat est adeo diminuta, quod Rheatina Civitas longe debilior
est effecta etc. (1). Il monastero di S. Lucia si trovava allora
— come a suo tempo vedremo — sulla sinistra sponda della
diramazione destra del Velino; diramazione che si sarebbe
trovata tra detto monastero e la città, estesa quindi fino alla
sponda opposta.

Nè vale obiettare che, nelle parole della prescrizione
testè citata, il corso del Velino potrebbe essere stato consi-
derato non come il limite e quindi l’unica difesa dell’abitato,
ma come una prima linea di difesa, come una specie di grande
fosso naturale, oltre il quale sarebbe stata la cinta murale.
Poichè di questa ipotetica linea perimetrale — pur mettendo
da parte tutte le altre difficoltà di carattere pratico, che do-
vevano fare apparire come superflua una cinta in uno spazio
brevissimo, ove a poca distanza si aveva il fiume — noi non
abbiamo traccia o menzione di sorta.

La riprova di queste nostre osservazioni si ha nel fatto
che proprio su questo ramo destro del Velino troviamo men-
zionati altri piccoli ponti con le relative porte: evidente sin-
tomo, che essi dovevano trovarsi alla periferia della città.
Questi ponti — come meglio a suo tempo vedremo — erano:
uno presso il punto di biforcazione a valle del ponte mag-
giore, e recava il nome di Ponte di Santa Lucia; l’altro, più

(1) Stat., I, 155.
272 G. COLASANTI

a valle, dicevasi Ponte di Voto di Santi. Erano divisi da ap-
prodi o piccoli porti, distribuiti lungo questa diramazione (1).

Per il tratto del Velino a monte del ponte maggiore,
lo Statuto conferma quanto abbiamo desunto dalle fonti già
esaminate.

Tra i conventi reatini esso conosce la comunità di San
Francesco (2), la cui sede presso il fiume (Stat. III 65) ci
è chiaramente indicata dentro la città, sia allorchè prescrive
che i due bussoli, contenenti le sei schede per la nomina
del Priore, siano conservati n quodam scrinio in loco fratrum
minorum sancti Francisci de Reatae (3), sia allorchè stabilisce
che lo scrigno del Comune debba essere conservato nella
sacristia sancti Francisci (4).

Tutte incombenze, per le quali difficilmente si sarebbe
potuto scegliere una località fuori della città.

Verso occidente, il convento di S. Domenico — men-
zionato tra i conventi reatini (5) — ci appare incluso entro

la cerchia. Già da una prescrizione che nullus debeat fa-
cere aliquam sozuram vel stercora a porta veteris sanctae Agnetis,
citra versus Ecclesiam sancti Dominici (6), si desume la posi-
zione di S. Domenico al di qua, cioè dentro una porta, la
quale — come più avanti vedremo —. doveva trovarsi ad
ovest di Porta Cintia e di fronte all' antico monastero di
5. Agnese presso l'attuale ponte ferroviario.

(1) Idem, I, 129.

(2 Numerosi sono i passi. Così nel capitolo De Caereis Ecclesia wm (I, 81); nel
capitolo De favore prestando fratribus sancti Francisci (I, 100); nell'altro De sure
fiendo fratribus sancti Francisci (I, 131) ecc. Tra i ministri del culto che, in giorni
determinati, dovevano celebrare nel palazzo del Potestà, troviamo i fratres ... sancti
Francisci (I, 29) ecc.

(3) I, 24. La cassetta, che conteneva tutto ciò, doveva avere quattro serrature
con quattro chiavi. Delle quali una sit et esse debeat penes Guardianum Ecclesiae
sancti Francisci ecc., I, 33. Cfr. gli stessi Statuti, IV, 64.

(4) I, 62.

(5) I, 209 .. Fratres sancti Dominici. Altra menzione se ne ha altrove, I, 81; IV,
21 ecc.

(6) IV, 21.

o
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 218

Uma porta, e quindi una linea murale a nord e ad ovest
di S. Domenico, non puó farci pensare che ad una cerchia
la quale corresse sulla linea stessa del perimetro odierno.
A questo muro, infatti, gli Statuti si riferiscono esplicitamente
allorchè prescrivono alle autorità comunali di restaurare la
cerchia et maaime murum Sancti Apostoli usque ad flumen (1),
ed allorchè fanno stretto divieto di condurre imbarcazioni
sul fiume oltre l’altezza di questo muro (2), il quale rappre-
sentava l'estremo limite della città.

La sua continuazione — sempre secondo la linea odierna
— ci è, fino a S. Benedetto, indicata attraverso la Porta Cin-
tia e la Porta Conca, tra le quali altre minori aperture un
di si trovavano, e che furono in seguito abbandonate e
chiuse (3).

Dopo il monastero di S. Benedetto, le mura tagliavano
il Cantaro — proprio come oggi — nella estremità nord-
est, ove si apriva una portella in seguito murata (4); quindi,
attraverso la Porta d’Arce ed un’altra apertura di minore
importanza posta più a sud dell’altra, raggiungevano — sem-
pre secondo la odierna linea — il fiume Velino (5).

Questa linea murale, come si è detto, era tagliata a
nord-est dal basso corso del Cantaro che entrava nell’abitato
nel punto preciso in cui oggi ancora tocca la cinta (6), e
che alimentava entro la città alcune macine, in seguito an-
ch’esse mantenute (7). i

(1) I, 59. L’ antica chiesa di Ss. Apostoli era addossata a quella di S. Domenico.

(2) « Item quod nulla persona ... praesumant .. per ipsum flumen discurrere
quoeumque modo a muro sancti Apostoli etc. » I, 126.

(3) III, 31. Il passo sarà riportato ed esaminato a suo tempo.

(4) La Portella Sancti Leonardi, IV, 38. Circa la sua identificazione nel punto
in cui la poniamo, vedi più avanti. i

(5) « Et etiam a porta Sancti Benedicti usque ad portam Arcis et abinde usque
ad portam Cordalis et abinde usque ad flumen » III, 31. Vedi più avanti.

(5) Questa indicazione — fornitaci dal passo dello Statuto IV, 38 — sarà meglio
a suo tempo discussa.

(7) Lo indica espressamente il passo III, 57, che parla. di molendinis qui sunt
in Cwitate eic. Lo stesso valore occorre dare forse agli altri passi da riferirsi al
corso interno (entro cioè l'abitato) del Cantaro (Stat. III, 32; 60; IV, 34; 61 eec. ecc,).
274 G. COLASANTI.

Essa poi era rafforzata da fortilizi, da torricelle e da
steccati, che ne aumentavano la robustezza e la inaccessi-
bilità. Gli Statuti impongono al Notaro, preposto alla difesa
della città, qualibet ebdomada semel requirere omnia stecchata
circum Civitatem. ... et turricella posit. et ponendas in muris ci-
vitatis praedictae (1).

Entro questi limiti le nostre vetuste fonti ci mostrano
l'abitato, distribuito in genere secondo l'odierno schema a
noi noto.

Sull'alto, nel nucleo centrale, si apriva la Platea Statue
o Sancti lo. de Statua (P. Vittorio Emanuele); il cui nome
va riportato alla omonima chiesa adiacente all'attuale piazza (2).
Accanto ad essa e presso il Duomo, si aveva la Platea maio-
ris Ecclesiae, indicataci come uno dei luoghi piü frequentati,
ove dovevano gridare i pubblici banditori (3).

Da queste due platee irradiavano le quattro principali
arterie cittadine a sud, ad est, a nord e ad ovest, seguendo
il tracciato a noi già noto.

Presso la chiesa cattedrale scendeva, per i fianchi del-
l'altura fino a Porta Cintia, la odierna strada fiancheggiata
da vetuste fabbriche.

Dalla Platea S. Iohannis de Statua scendeva la Strata
Pontis ben mattonata e ben tenuta, adorna di fondachi e po-
polosa (4). Verso est, arrivava e passava per Porta Carceraria
(P. Carana) l'arteria orientale, che giungeva fino alla Porta
Arcis. Porta Carceraria — sull'incrocio dell'odierna Via Ga-

(1) I, 141. Una disposizione simile si ha altrove (I, 13).

(2) Stat., II, 31; III, 46 ecc.

(3) Stat., I, 67 ecc. Boll. Umbro di Stor. Patr., anno V, vol. V, fasc. II, pag. 355
e 369 ecc.

(1) Cfr. la prescrizione De strata pontis mactonanda, 1, 122, e l’altra circa Aa-
bentes domos vel apotecas in strata pontis ete., I, 130. Ad esse fa riscontro la pre-
scrizione quod nullus ingomboret portam pontis nec viam dicte porte usque ad pla
team Statue ete., II, 31; la quale ci fa dedurre come questa via andasse dal ponte
alla piazza soprastante, secondo il tracciato dell'odierna Via Roma. y

REATE, RICERCHE DI TOPOSRAFIA, ECC. ; 279

ribaldi con Via di Porta Conca — era uno dei punti più fre-
quentati, destinati al pubblico bando (1).

Verso il lato settentrionale si apriva la Platea Leonis,
con la sua fontana, destinata al pubblico mercato (2).

Nello stesso lato settentrionale, più scabrosa e più ri-
pida che non è oggi, la Via Pennina partiva dall’alto e po-
neva in comunicazione la piazza n Statua con la Porta
S. Giovanni o di S. Liberatore, che aprivasi lungo il tratto
murale a nord presso quest'ultima chiesa (3).

Tra questi schemi di vie e di piazze, incontriamo i con-
venti noti di S. Francesco, S. Domenico, S. Agostino (4): la
chiesa di S. Giovanni Battista (5), quella di S. Leopardo (6),
il monastero di S. Scolastica (() il Palazzo del Potestà (8),
la chiesa di S. Paolo (9) ecc. ecc. con cui si integra e si
completa la visione della città medievale.

Dalla quale, mediante il Ponte, guardato da una porta
e dal Cassero (10), si accedeva al nucleo suburbano al di là
del Velino, in cui l'abitato occidentale, intorno alla Via £o-
mana ed alla omonima porta, ci appare già formato e non
del tutto privo di importanza (11). L'abitato orientale si ridu-

(1) Stat., I. 67 ecc.

(2) Le menzioni sono numerosissime : efr. I, 47; 56; 99; III 44; 45: IV, 6; 67
ecc. Ad ogni pié sospinto incontriamo la menzione di questa piazza nelle Riformanze
più antiche dal 1376 al 1379 (I, cart. CLVI; c. CLXVII; c. CLXXVII; c. CLXXVIII;
c. CCXXIII ecc.) e per gli anni seguenti.

(3) Stat., I, 99. Altrove nello stesso Statuto (III, 31) é chiamata con nome di-
verso. Di. ciò e di altre questioni inerenti vedremo trattando della relativa zona.

(4) Stat., I, 67: 81 ecc.

(5) Bollettino Umbro di Storia Patria, anno V, vol. V, fasc. II, pag. 355.

(60) « Item dixit quod aliquando etiam existens ad carceres S. Leopardi etc. »
Bollett. cit., pag. 372.

(7) Bollettino Umbro di Storia Patria, pag. 350; 353; 364.

(8) Stat., I, 29 ecc. Riform. dal 1376 al 1379 (I, cart. CLVI ; c. £CLVII ; c. CLXX VII
ecc.) e quelle degli anni seguenti (II, c. XVIII; c. XLVII ecc.).

(9) Ad ogni pie’ sospinto se ne incontra menzione nelle più antiche Riformanze,
vol. cit., l. c. :

(10) V. gli accenni riferiti e quelli addotti nel punto, ove di detto ponte special-
mente si tratta.
(11) Stat., I, 67; III, 60; IIII, 19 ecc. Vedi più avanti.
276 G. COLASANTI

ceva probabilmente al fabbricato intorno alla celebre chiesa
di S. Angelo.

Un altro nucleo suburbano minore esisteva a S.-E. di
Porta. d'Arce, lungo il Velino ed a piè del Colle dei Cap-
puccini : dicevasi il Cordale (1).

Con questi ultimi documenti noi ci siamo spinti fino alla
prima metà del trecento; e fino a questo tempo noi possiamo
stabilire che:

a) salvo alterazioni di nessun conto, lo schema gene-
rale della città è nei nostri documenti pressochè identico al-
l’attuale, ed in tutti l’abitato cittadino è limitato sulla de-
stra sponda del Velino;

b) l abitato sulla sinistra del fiume è costantemente
considerato come un nucleo suburbano, fuori cioè dei limiti
della città propriamente detta.

Una domanda a questo punto ci si fa innanzi: anterior-
mente alla prima metà del trecento, la cinta reatina aveva
la stessa estensione di questa che abbiamo esaminata, oppure
esisteva uno schema perimetrale diverso, in seguito abban-
donato e sostituito da quello che conosciamo ?

Per meglio procedere nella nostra ricerca intorno al-
lantico perimetro reatino, divideremo in tre zone l'abitato
odierno.

La prima zona comprende la parte orientale dell’ abi-
tato ed ha per limiti: il Velino presso Santa Chiara; una
linea che da questo punto raggiunga l'incrocio di Via Ga-
ribaldi con Via di S. Francesco; indi il tratto di Via Gari-
baldi fino all'altezza del Teatro Comunale; da qui, una linea
che scenda direttamente alla stazione ferroviaria tagliando

(1) Stat., I, 67; III 31 ecc. Questo sobborgo era antichissimo, come meglio ve-
dremo. ; REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 277

la Piazza del Leone e Piazza Umberto I; indi la linea odierna
delle mura sino al fiume, il cui corso costituisce il limite
meridionale, fino al punto da cui siamo partiti.

Per le esigenze stesse della trattazione, occorre dare qui
una descrizione particolareggiata di questa zona, nella quale
dovremo in seguito aggirarci con la nostra ricerca. Essa può
dirsi costituita quasi da un rozzo rettangolo di circa 700 me-
tri di lunghezza e di 250 metri di lato. Dall’alto del colle,
presso il Teatro Comunale, ove abbiamo vista la maggior
quota altimetrica di tutto l’abitato odierno, si scende quasi
rapidamente nel basso.

Seguendo la Via Garibaldi, a destra, lungo il fiume, si
vede il terreno ad un tratto abbassarsi, formando la valle
in cui scorre il Velino. A sinistra, il terreno è in genere
piano; solo qua e: là offre qualche leggerissimo avvallamento
(presso la Porta Conca, ed immediatamente ai piedi dell’ al-
tura lungo la Via Garibaldi). In quest’ ultimo punto, ad
esempio, si ha una quota di 398,74 m., che a Porta d'Arce
sale a m. 401,76. ;

L'abitato — solo in piccolissime proporzioni distribuito
a sud della Via Garibaldi, ove predominano spazî messi ad

orti lungo il fiume — si estende nella massima parte nel

lato opposto, verso la cinta, dapprima irregolarmente e poi
disposto con regolarità maggiore. La più importante arteria
è la Via Garibaldi, che attraversa l'abitato da oriente ad
occidente, cominciando da Porta d'Arce: lungo di essa no-
tiamo dei fabbricati, che sono in parte tra i più cospicui
della città. Presso la Porta d’Arce, a destra di chi entra, si

vede la chiesetta del Suffragio e — dopo altri fabbricati —
si incontra la vecchia chiesa — abbandonata — di Santo

Spirito, di fronte al palazzo della Sottoprefettura. Sempre nel
lato stesso, segue una costruzione a portico, volgarmente
nota col nome di Volte di Mosca, dopo le quali si ha la
chiesa di Santa Caterina. Indi la strada sale e lungo essa
si notano la chiesa di S. Vincenzo ed il Teatro Comunale.
278 G. COLASANTI

Nel lato sinistro della stessa via, si comincia con un ca-
seggtato di poca importanza verso la Porta d'Arce: di rim-
petto alle Volte di Mosca si vede la chiesa abbandonata di
S. Lorenzo, dopo la quale viene la chiesa di S. Giuseppe.

L'abitato, tra Via Garibaldi ed il fiume, raggiunge la
maggiore estensione nella sua estremità orientale, ove di
notevole non si hanno che la chiesa di S. Eusanio, chiamata
oggi anche Madonna delle Stelle, ed una chiesetta abban-
donata, addossata alle mura, già nota col nome di 5. Barnaba
ed oggi detta // Cemeterio : intorno ad esse sono povere case
di agricoltori, con vie brevi, tortuose ed anguste.

Quasi tutti i fabbricati descritti e non descritti lungo il

lato destro di Via Garibaldi mettono — con il loro lato po-
steriore — sulla Via della Ripresa, parallela alla prima, la

quale comincia quasi dietro la chiesa di S. Spirito e finisce
poco dopo aver incontrata la Via di Porta Conca: è fian-
cheggiata da vn abitato povero o di poca importanza.

Ancor più modesta ci si presenta la Via Nuova — l’ul-
tima strada sotto le mura — che da Porta d’Arce, seguendo
il corso del Cantaro, che poi abbandona presso S. Bene-
detto, va parallela a Via della Ripresa. Dopo l’incrocio con
la Via di Porta Conca, arriva fino a Sant'Agostino, ove ha
termine, raggiungendo così uno sviluppo di circa 680 metri,
di fronte a circa 320 metri, che costituiscono la lunghezza
di Via della Ripresa ed a circa 900 metri, che costituiscono
la lunghezza di Via Garibaldi da Porta d’Arce a P. Vittorio
Emanuele. Nulla di notevole si ha lungo la Via Nuova, se si
eccettuano il vetusto monastero di S. Benedetto e la chiesa
di S. Agostino con l’ adiacente Convitto Comunale Umberto I
(V. Tavola).

Queste tre strade, nella loro parte occidentale sono riu-
nite dalla Via di Porta Conca, che comincia da Via Garibaldi
nel dosso dell’altura, e dalla Via di Sant Antonio Abbate, che
continua nella stessa direzione del tronco iniziale della prima
strada, la quale — ad un certo punto — piega quasi ad REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 219

angolo retto raggiungendo Porta Conca. Lungo queste estreme
arterie nulla di notevole si ha, se si eccettua la vecchia
chiesa di S. Antonio Abbate, lungo la via omonima ed a si-
nistra di chi va verso Piazza Umberto I.

Tra questo abitato scorre un piccolo corso di acqua, il
Cantaro. Esso entra nella città sotto il tratto murale a N. di
Porta d’Arce, dopo aver percorso non lungo tratto dal punto
della sua sorgente in una località detta la JBollica presso
S. Eleuterio, nella contrada di Campoloniano.

In città fiancheggia la Via Nuova fino al monastero
di S. Benedetto ove, dopo una leggera diversione, si na-
sconde: scorre indi coperto, dirigendosi verso Via Garibaldi,
che raggiunge presso l'antica chiesa di S. Spirito. Sempre
coperto, corre lungo il lato destro di Via Garibaldi, alimenta
con un ramo un mulino nel lato opposto della strada stessa,
con l'altro continua nella prima direzione, passando sotto
labitato della località Porta Carana, là dove comincia il
fianco del colle; indi si getta nel Velino, presso il monastero
di Santa Chiara. La lunghezza del suo corso, entro l'abitato,
può calcolarsi ad un di presso a 500 metri.

La cinta, che racchiude questo abitato — di cui più
avanti vedremo l'aspetto e la distribuzione nelle età pas-
sate — fin da tempi non recenti ci si presenta, come si

disse, secondo la linea attuale: qua e là è poi conservato
anche qualche tratto della vecchia costruzione — cioè della
costruzione medievale — in mezzo al prevalente rifacimento
posteriore.

Le vere e sostanziali differenze tra la moderna cinta e
quella medievale riguardano, in genere, qualche porta secon-
daria oggi chiusa. Se si astrae dalle porte principali, su
cui non può cadere incertezza alcuna per una serie di ra-
gioni connesse alla loro importanza, la conoscenza di tutte e
singole le porte minori, di secondo e terzo ordine, che ad
ogni tratto si aprivano lungo le mura, costituisce una que-

stione assai complicata per molte città ed in ispecie per
980 i G. COLASANTI

Rieti, per cui occorrerebbe compulsare i numerosi docu-
menti, in gran parte non ancora pubblicati e di difficile ac-
cesso. Per questo, ed anche perchè la questione nè ci ri-
guarda direttamente, nè costituisce un punto essenziale della
nostra ricerca, non abbiamo inteso affatto di affrontarla e
di risolverla: solo daremo al riguardo le notizie in cui ci
siamo imbattuti.

Per il tratto murale di questa prima zona, abbiamo no-
tizia di tre altre porte medievali, oltre le due tuttora esi-
stenti: in tutte cinque.

. A partire dalla stazione ferroviaria, la prima è la Porta
Conca, all'imbocco della via omonima. Essa mantiene an-
cora la sua impronta medievale. Risulta formata» di due
archi, di cui l’ esterno è il più basso e l'interno più alto e
più ampio, in modo da formare nella estremità superiore
come una lunetta, adorna di affreschi. Questo schema lo
ritroveremo nelle altre porte principali della città. Interna-
mente, nei due lati superiori, si scorgono ancora due grossi
e rozzi cardini di pietra, in cui giravano le pesanti porte :
nello spessore del muro si vede il solco, in cui scorreva la
saracinesca. Nel margine dell’arco esterno e nella grossezza
sì è mantenuta la costruzione medievale, scomparsa negli
altri punti.

Parlando di questa porta, gli scrittori locali la dicono
così chiamata dall’avvallamento che ivi mostra il terreno,
a mo' di piccolo bacino. « Chiamasi Conca dalla concavità »,
dice il Latini (1), riproducendo le parole stesse di Pompeo
Angelotti, che aveva scritto: « ... verso tramontana s’ apre
la Porta, dalla concavità del sito detta Conca » (2).

Gli Statuti di Rieti nominano una Porta Conche, mo-
strandocela come una delle più importanti della città e per

(1) Memorie ecc., fasc. IV, cap. XVIII.
(2) Descrittione ecc., pag. 46-49. A Loreto Mattei questa porta apparve situata
nel mezzo del lato settentrionale: « ... la Porta di mezzo della Città, detta Porta

Conca » Erario Reatino ecc., c. 80 82, REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 281

la quale passava una delle vie d'ingresso piu frequentate (1):
alla sua custodia eran preposti degli ufficiali, nominati dai
priori della città (2). La Porta Conca appare strettamente
sorvegliata nel documento riferentesi al processo dell’ Inqui-
sitore contro il Comune di Rieti; ove, il carattere stesso
della sorveglianza depone per l'importanza della porta (3)
della quale, sempre negli stessi documenti, si hanno qua e
là menzioni frequenti (4).

. Dopo la Porta Conca, gli scrittori locali non né ricor-
dano altra fino alla Porta d’Arce: ma in una prescrizione
degli Statuti, riguardante la viabilità lungo il tratto interno
delle mura cittadine, si nomina una Porta Sancti Benedicti.
Riferiamo per intero il passo, importantissimo :

Item omnes viae undique iuxta muros intra Civitatem. vide-
licet a porta Sancti Benedicti usque ad portam Conche et deinde
usque ad portam Leporariae et abinde usque ad portam Domini
Tomassi Celani et abinde usque ad portam Cinaculam et usque
ad portam Sancti Apostoli et deinde usque ad flumen. Et etiam
a porta Sancti Benedicti usque ad portam. Arcis et abinde usque
ad portam Cordalis et abinde usque ad flumen, sint et esse de-
beant libere et expedite etc. etc. (5).

Laseiando, per ora, da parte tutte quelle menzioni che
in questo passo non si riferiscono alla zona di cui qui ci

(1) Cfr. la prescrizione T, 135: « Quod Custos Portae Conchae non permittat ali-
quem intrare per ipsam. portam cum aliqua mercantia ». E

(2) « Ad Portam vero Conchae deputentur (Portonarii duo) per dominos Prio-
res » I, 135.

(3) Il messo dell'Inquisizione, arrivato a Porta Conca, vi trovo una rigorosa sor-
veglianza « ... sed perveniens ad portam Conche Civitatis Reatinae, ibi invenit cu-
stodes per officiales dicte Civitatis specialiter assignatos etc. » Bollett. di Storia
Patria per V Umbria, pag. 385.

(4) Così si. menziona un tal « dompni Iohannis Petri Archipresbiteri de la Porta
de Concha » BoUett. cit., pag. 385. Cfr. anche « Domp. Iohannes Archipresbiter
S. Xpofori de Porta Conche dioc. Reatine ecc. », Bollett. cit., pag. 389.

— (5) Stat., III, 31. Di questa porta ebbe notizia anche il Latini, Memorie ecc.,
fasc. IV, cap. XVIII, che però non insisté molto su di essa né si curò menoma-
mente di indagarne la ubicazione.

19
282 G. COLASANTI

occupiamo, è facile, valendoci del testo, stabilire la ubicazione
della porta in discussione.
La quale doveva trovarsi tra la Porta Conca — di cui

conosciamo la posizione — la Porta Arcis (Porta d’Arce) nei

pressi del monastero di S. Benedetto, con cui la comunanza
di nome ci fa stabilire un evidente nesso di vicinanza.

Lungo le mura, nel tratto esterno dopo Porta Conca, si
osservano le tracce di una porta murata, di dimensioni piut-
tosto piccole (circa m. 3,50 X m. 3,00); la nostra impres-
sione fu che non si avesse qui a che fare con la porta del do-
cumento riferito. Ed infatti, continuando l'esame delle mura,
poco oltre il punto citato, ci imbattemmo in un'altra porta
anch’essa murata, di proporzioni maggiori (m. 4,50 X_ 3,00),
con arco a pieno centro, e praticata in un bastione rettan-
golare,- che sporge per circa m. 3,00 dalla linea murale, e
che conserva in gran parte la vecchia costruzione a piccoli
blocchi di pietra viva, squadrati. Recatici nella parte interna
delle mura, in un sotterraneo del fabbricato del monastero
di S. Benedetto (la porta è congiunta a questo edificio),
potemmo constatare che all’ arco esterno un altro interno
era addossato, pià ampio e piü alto, che richiama in mente
lo schema già notato a Porta Conca: anche qui la costru-
zione medievale è abbastanza bene mantenuta.

La posizione e l'aspetto fan sì che la identificazione
di questa porta ‘con -la Porta Sancti Benedicti si imponga
da sé. i

Dopo di essa, nel citato passo dello Statuto nessuna
altra se ne menziona fino a Porta d’ Arce; ma altrove,
gli Statuti stessi fanno cenno di una Portella Sancti Leo-
nardi: Item statuimus et ordinamus quod via Cantari posita
iuxta Cantarum a Portella Sancti Leonardi usque etc. (1). Poi-
chè il nome di questa portella richiama il titolo della vi-

(1) Stat., IIII, 38. Ne ebbe sentore anche il Latini, Memorie ecc., fasc. IV,
cap. XVIII. © «lii

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 283

cina chiesa di S. Leonardo, oggi chiesa del Suffragio (1); e
poichè nel menzionare la via lungo il corso del Cantaro, gli
Statuti dicono « a partire dalla portella di S. Leonardo », noi
dobbiamo cercare la ubicazione di questa porta presso la
chiesa del Suffragio, e più precisamente verso il punto ove il
Cantaro tocca, entrando, le mura cittadine (2).

Quivi infatti, nella estremità nord-est del perimetro e
poco prima che la sua linea cambi direzione volgendosi da
est ad ovest, si vede una piccola porta murata, a fianco di
un bastione. È alta m. 3,00 X 2,00; e tanto essa, quanto il
tratto murale che la circonda, si riportano alla vecchia co-
struzione a piccoli blocchi squadrati. Internamente, nel giar-
dino annesso al monastero di S. Benedetto, questa porta non
è visibile, mascherata come è da una nicchietta.

Dopo la Portella S. Leonardi, viene una delle più im-
portanti e storiche porte cittadine: la Porta d’ Arce, posta
in capo alla grande via di comunicazione con l'Abruzzo. I
due archi a pieno centro, addossati l'uno all'altro, e di cui
l’esterno è il minore (circa m. 5,50 X 4,50); il solco per la
saracinesca, tracciato nella grossezza; gli antichi e pesanti
cardini di pietra; gli affreschi, di soggetto sacro, nella lunetta
dell'arco interno, ci richiamano il noto schema già altrove
osservato. Tutta la porta è praticata in un bastione massic-
eio, che mantiene in gran parte la vecchia costruzione, tranne
che nella parte superiore, ove è stata introdotta una costru-
zione recente.

Situata in un punto ove l’ abitato cittadino ha una storia
importantissima e remota, la Porta d'Arce partecipa anch'essa

a tale notorietà: alla sua torre di guardia eran preposti cu-

(1) Questo nome si conservava ancora al tempo di P. Angelotti che ha: « Ar-
rivasi per le Rive del Cantaro alla Chiesa di S. Leonardo... Alla medesima é con-
giunta la Porta d’Arci » Descrittione ecc., pag. 46-49.

(2) Occorre notare che — mentre la linea murale oggi é tale quale al tempo
degli Statuti — d’altra parte non abbiamo motivo per ritenere che il corso del Can-
taro abbia sofferti spcstamenti, né dal trecento in poi né per il tempo anteriore.
984 G. COLASANTI

stodi, con severissime prescrizioni: indice sicuro della im-
portanza di questa entrata (1) La storiografia locale, poi,
fece — come vedremo — una larga trattazione ed una in-
terminabile discussione intorno a questa porta, per scoprirne
l'etimo e l'origine del nome (2).

Dopo la Porta d'Arce, nel tratto- murale che va sino
al fiume, lo Statuto pone una Porta Cordalis (3). Il nome
Cordale è oggi dato ad una località, di fronte alla estre-
mità orientale dell’odierno abitato cittadino, a piè del Colle
dei Cappuccini e lungo la riva destra del Velino. Anche il
Latini, al suo tempo, notava che « alle falde ... di questo
colle (cioè dei Cappuccini) verso sud, è una via ed una pic-
cola valle terminata dal Velino, che chiamasi Cordale » (4):
questo nome non è recente. Già gli Statuti, tra le località
destinate per il pubblico bando, pongono è? triviî del Cor-
dario (D, ove il facile emendamento della forma alterata,
oltre a rimetterci di nuovo sotto gli occhi la denominazione
Cordale — nota del resto altrove allo Statuto — ci fa in-
tuire la esistenza di un nucleo abitato in detta località.
Nucleo abitato, al quale esplicitamente si riferiscono docu-
menti farfensi della metà del IX secolo (6) e della metà del
secolo VIII (7).

(1) « Item statuimus et ordinamus quod custodes Turrium Arcis... non audeant
nec praesumant in dictis Turribus de die vel de nocte aliquem alium immittere ab-
sque expressa licentia et mandato Guardiani Turrium ». Stat., III, 97.

(2) Di ciò vedremo particolarmente a suo luogo.

(3) Oltre all'aecenno citato, una Porta Cordalis è menzionata altrove dallo Sta-
tuto, III, 31.

(4) Memorie ecc., fasc. IV, cap. XX.

(5) « Et praedicti Praecones debeant bandire per loca consueta, et maxime in
Triviis Cordarii quo itur ad Sanctum Baronem » I, 67. La località S. Marone, sopra-
stante al sito del Cordale, trova menzione nei citati processi della Inquisizione, Bol-
lett. di Storia Patria per V Umbria, anno V, vol. V, fasc. II, pag. 359: « ... et scivit
a fratre Raymondo fraticello de Spoleto, qui fuit moratus in loco foreste de Reate
et loci S. Maronis vel Mari prope Reate ».

(6) Tale Audolfo cede a Farfa « ... terras et vineas nostras, seu casam quas
habemus in loco ubi dicitur Cordale etc. » apud GALLETTI, Memorie ecc., pag. 80.

(7) Il documento é del 764. Tacone riceve in permuta da Farfa « portionem in
. Casale qui dicitur Cordale in civitate reatina, a latere fluminis Mellini, una cum
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. . .985

Data la remota esistenza di questo documento toponoma-
stico in questa località, è logico che una prima indicazione

del sito della Porta Cordalis ci debba essere data dalla lo- ‘

calità ove troviamo 2/ nome ed il sobborgo del Cordale: la
porta omonima doveva prospettare questo punto.

Investigando il tratto murale, che dopo Porta d’Arce non
mostra che scarsissime tracce della vecchia costruzione,
presso il fabbricato della signora vedova Di Guido, ove le
mura formano due angoli, potemmo osservare una: porta,
murata, di vecchia costruzione. Essa è addossata alla chiesa
del Cemeterio, è ad arco a pieno centro e misura circa
m. 5,00 X m. 2,50. All’intorno, la parete murale serba qua
e là la costruzione a blocchi squadrati.

Siamo di fronte al Cordale, e la identificazione di que-
sta porta con quella menzionata dallo Statuto si impone da
sé, anche perché — mentre la esistenza della Porta d'Arce
non ci permette di porne un'altra ad essa troppo vicina
— d'altra parte gli avvallamenti del terreno, verso il fiume,
non ci permettono di spostare verso quest'ultimo una porta
che, per di più, sarebbe rimasta staccata ed allontanata dal-
l’abitato interno che neppure oggi arriva fino al basso.
| Dell'abitato interno e della sua distribuzione, nei tempi
passati, una esatta documentazione ci é fornita dalla citata
Pianta del 1725. In essa, la arteria principale corrisponde
alla odierna via Garibaldi, e le arterie secondarie corrispon-
dono, quanto ai loro schemi, all'odierno stato di cose. Cor-
rispondenti al moderno sono pure il limite e la estensione del-
l’abitato tra la cerchia ed il fiume.

Tutte queste indicazioni si riportano alla descrizione par-
ticolareggiata, che di questa zona ci lasciò Pompeo Angelotti.

Egli comincia da Piazza del Leone: « Quì vicino scor-
« gesi il Tempio del Gran Dottore e Prencipe de’ Teologi

casis, aedificiis, curtibus, hortis, vineis, territoriis, cultis et incultis etc. » Reg. di.
Farfa, II, pag. 83.

sca
e
t

Et
jJ
sl

—— HÓA

286 2:95 G: COLASANTI

« S. Agostino co’ 1 suo Convento fabricato alla forma di quelli
« de’ SS. Francesco e Domenico... Alla mano destra s' erge
« la Porta, dalla concavità del sito detta Conca: dalla quale
s | « Sin'a Porta d'Arci si estendono due vie nuove da’ Cittadini
« nuovamente di case abbellite ... Più avanti verdeggiano di-
« versi giardini, da' Ruscelli che fuggono dal fiume Cantaro
« inaffiati. Confina quivi con le pubbliche mura della Città il
« Venerabil Monastero di S. Benedetto, che in sito spatioso
« quasi in terrestre Paradiso racchiude devote verginelle: ar-
« rivasi per la riva del Cantaro alla Chiesa di S. Leonardo ...
« Alla medesima è congiunta la Porta d’Arci ... Lungo la via
« di Porta d'Arci ergesi ... la Chiesa al Spirito Santo dedicata,
« unita all'Hospitale Romano: nella cui piazza, il Fiume Can-
« taro: col suo corso divide per mezzo la strada, sin tanto che

« passata la Chiesa Parochiale di S. Lorenzo e S. Caterina,
« antico Monastero di Monache Benedettine, in due rivi si
« Sparte. Segue la chiesa di S. Bartholomeo nella contrada
« chiamata Acarana ... Di contro è la Chiesa di S. Leopardo,
« Parochiale. Quindi la strada cominciando a salire, in più
« parti si dirama. A mano sinistra si vede la moderna Chiesa
« di S. Chiara ... Alla destra compare la Chiesa di S. Basilio ...
« e di S. Vincenzo ... dietr' alla quale, dopo alcune case, è la
« Chiesa Parochiale di S. Giovenale » (1).

Del povero abitato, distribuito tra la Via Garibaldi ed
il corso del Velino, l' Angelotti dice: « questi contorni ser-
vono per habitatione à commodi Agricoltori, che per lo piü
attendono all'arte de' Guadi » (2); ed in esso nota « la Chiese
Parochiale di S. Eusanio » e quella di S. Barnaba (3).

Dopo quanto abbiamo detto sulla distribuzione dell’ abi-

> (1) Descrittione ecc., pag. 46-49.

(2) Idem, pag. 48.

(3) Descrittione ecc., pag. 48. Questo punto dell'abitato fu descritto anche dal
Latini come povero e senza importanza: la Contrada detta de’ Pozzi vicino a
Porta Arci ha la figura di un povero e quasi deserto villaggio. Ms. cit., fasc. II,
cap XIII. ;
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 281

tato, è facile identificare le singole località dall’ Angelotti
menzionate. E, solo per un desiderio di maggior chiarezza,
avvertiamo che le due vie nuove da’ cittadini nuovamente
di case abbellite corrispondono a Via Nuova e Via della Ri-
presa; che la Via di Porta d’Arci corrisponde alla Via Ga-
ribaldi; S. Leonardo alla Chiesa del Suffragio; la chiesa di
S. Bartolomeo all'odierna chiesa di S. Giuseppe lungo Via Ga-
ribaldi, quasi di fronte a S. Caterina. Finalmente, la Com-
trada chiamata Acarana corrisponde, all'ingrosso, al punto
ove il terreno comincia a salire, intorno all'incrocio di Via
Garibaldi con Via di Porta Conca.

Cosi chiarite, le parole dell'Angelotti ci serviranno di base,
quasi di punto di appoggio per risalire alle origini dei fab-
bricati più importanti sotto il lato storico e topografico, cioè
delle chiese e dei conventi, e veder quindi se fosse possibile
imbatterci in qualche notizia che, in una maniera o nell' altra,
ci scoprisse qualche lembo della quistione topografica.

Il convento di S. Agostino, posto nel lato orientale della
Piazza Umberto I, dopo la sua soppressione « fu destinato in
parte per le Scuole Elementari, in parte pel Convitto Nazio-
nale, aperto nel novembre 1865 » (1). Poichè una porzione del
vecchio fabbricato crollò e fu riedificata (2), l edificio perdè
il suo antico aspetto, mirabilmente conservato dall’ esterno
della magnifica chiesa romanica. Loreto Mattei pone questo
convento tra i principali e più ‘importanti fabbricati della
città, insieme al convento di S. Domenico ed a quello di
5. Francesco. Con un linguaggio pieno di improprietà, egli
così ne parla: « Dell’ istessa architettura Gotica come il Ve-
« scovato... sono anco tutte le altre fabriche antiche di case
«nobili e di Chiese, specialmente le tre principali di S. Ago-
« stino, S. Domenico e S. Francesco con i loro conventi molto
« grandi e claustri tutti rimodernati, massimamente quello

(1) DESANCTIS, Notizie Storiche ecc., pag. 119-120.
(2) Idem, pag. 120.
utu

288 G. COLASANTI

« degli Agostiniani, con colonne di bellissimo ordine Dorico
« tutte d'un pezzo: dilatando tutti le lor clausure, altro col
« fiume altro con le mura della città, et insomma di tanta ca-
« pacità e commodo, che soglion servire più volte per alloggio
« di Porporati et altri gran personaggi... Le loro Chiese poi
« sono vasi molto grandi » (1). Risalendo i numerosissimi
documenti locali, in eui si fa continua menzione di S. Ago-
stino, noi troviamo cenno di questo convento negli Statuti
che stabiliscono « quod fratres et Conventus ... sancti Au-
gustini ... habeant et habere debeant totam gabellam » (2);
al nostro convento apparteneva quel fr. Stefanus Petronis de
Reate ord. Heremitarum S. Augustini, citato come teste nel
riferito processo della Inquisizione contro il Comune di
Rieti; e li visse il beato Giovanni d' Amelia, spentosi nel-
l'agosto del 1343 (3). Sulla precedente storia di questo fab-
bricato religioso, che esisteva già l'anno 1334, cioé nei primi
decenni del XIV secolo e forse sullo scorcio del sec. XIII, e
nel cui portale maggiore troviamo, a pennello, la firma di
chi, verso la metà del trecento, dipinse la lunetta soprastante
all’ architrave (4) non si hanno informazioni ben precise.

Le notizie ed i documenti si fanno sempre meno certi e de-

terminati. La tradizione locale tace completamente intorno
‘al convento (5), mentre il rifacimento, che questo fabbricato

(1) Erario Reatino, c. 90% Cfr. anche c. 96: Le Religioni nella Città sono
sette ... Cioè Agostiniani, Domenicani ecc.

(2) Stat. di Rieti, I, 67.

(3) 1ACOBILLI, Vite de’ Santi ecc., II, pag. 70.

(4) La lunetta contiene un affresco riproducente « Maria col divin figlio ed ai
lati S. Agostino e S. Nicola: opera recante la data del MCCCLIIII » GUARDABASSI?
Indice-Guida ecc., pag. 251. La iscrizione si lascia mal decifrare: ma fondandosi sulle
lettere CRX, che in essa si leggerebbero, c'é chi interpetra construrit e riferisce
così la iscrizione non all'affresco della lunetta bensì alla costruzione del portale.
V. Bosco, La chiesa di S. Agostino, in La Buona Parola, Rieti, 10 ottobre 1909,
anno I, n. 14. A parte ogni altra questione di interpetrazione, di lettura ecc., rimane
sempre difficile riferire ad un portale una iscrizione fatta a pennello; l'idea del
Guardabassi ci pare, quindi, più accettabile.

(5) « Non si conosce il tempo preciso della costruzione del Convento » Dr-
SANCTIS, Memorie storiche ecc., pag. 119.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 289

subi in tempi posteriori (sec. XVI, XVII ecc.) ci toglie la
possibilità di servirci del documento architettonico.

Qualeosa, invece, ci dice lo stile esterno della chiesa al
convento annessa, restaurata oggi e purgata di molte mo-
dificazioni in essa perpetrate in età posteriori.

Diciamo, anzitutto, che a tal riguardo gli scrittori locali,
o che si siano valsi dell'argomento stilistico puro e sem-
plice, o che si siano usati della simiglianza fra lo stile di
S. Agostino e quello della facciata della chiesa di S. Fran-
cesco, intorno alla cui fabbrica era facile conoscere qualche
documento della metà del dugento (1), generalmente parlando
non si sono allontanati troppo dal vero ponendo nella fine del
secolo XIII e nel principio del XIV la costruzione di questa
chiesa.

La chiesa di S. Agostino — internamente alterata nei
rifacimenti posteriori — conserva — qua e là restaurato —
il suo schema romanico a croce latina, orientato da est ad
ovest: é ad una sola navata centrale, con una nave trasver-
sale, e terminata da un abside ottagonale, accanto al quale
due altri più piccoli se ne vedono, della stessa forma: in tutti
e tre, poi, gli spigoli hanno delle costolature. La facciata è
rettangolare, con leggera gola nella parte superiore, a mò di
cornice, sotto la quale si trova la solita finestra a ruota, di
rifacimento posteriore. Il portale, a smussi, ha colonne e pi-
lastrini intercalati (3 e 3), ed in due ordini sovrapposti. Le
colonnine ed i pilastrini inferiori hanno un plinto quadran-
golare, con base attica munita della foglia protezionale; e con
il fusto non rastremato. Il capitello ha un collarino assai spor-

gente, dal quale nascono delle foglie di acanto a basso rilievo,

Dalla linea di questi capitelli è sorretto l'ordine superiore,
che comincia con plinti circolari per le colonnine, e quadran-
golari per i pilastrini: le une e gli altri hanno base attica,

(1) Il documento, contenuto nel Boll. Franc., I, p. 381, sarà altrove riportato e
discusso.

m

(eee
290 G. COLASANTI

fusto non rastremato. I capitelli consistono in un collarino
sporgente con su un ricco fogliame disposto in due ordini.
Una mensola, che sporge su questo secondo ordine di colon-
nine, sorregge l'arco del portale: essa è ornata con fogliame
‘e con dentelli. L'areo, a pieno centro, è formato di nervature
concentriche, continuanti le colonnine ed i pilastri inferiori,
e variamente ornate: esso poi è racchiuso da una sporgenza
terminante a tetto, e poggiata nel punto stesso ove riposa
l’arco: la cornice di questo tetto è variamente adorna con
motivi romanici. Nel timpano, sotto le due falde e sopra l' arco,
c'è — in rilievo — l'agnello col vessillo, e sul culmine sorge
una piccola croce tozza, con le estremità lobate. L/archi-
trave del portale é sorretto lateralmente da due mensole a
fogliame, e reca superiormente una cornice simile a quella
posta sul secondo ordine di colonnine. II fianco destro o me-
ridionale di questa chiesa è, superiormente, ornato con motivi
ad archetti da cui, ad intervalli, scendono 11 lesene che di-
vidono la parete in campi rettangolari: in questi campi si
aprono due finestrine allungate, bifore, con aperture trilobate.

Questo fianco meridionale reca un avancorpo, di costru-
zione posteriore, in cui apresi un portale a smussi, con due
«colonnine e pilastrini alternati. Sul plinto, quadrangolare, si
ha una base attica e poscia il fusto non rastremato. Il ca:
pitello ha un collarino sporgente, con foglie allungate, di-
sposte in due ordini e con ornamenti a motivi circolari: esso
sorregge una cornice, formata da una sagoma terminata da
un listello, ed ornata anch'essa con motivi circolari. Que-
sta cornice gira anche sull'architrave sostenuto lateralmente
da due mensole, ornate con fogliame a rilievo assai basso.
L'arco è semplice e racchiuso da una specie di tetto, che
poggia sulle colonnine del portale: nel timpano si vede —
in rilievo — l'agnello con il vessillo. Nella seconda fac-
ciata di questa ala destra della nave trasversale si apre una
finestrina simile alle altre descritte. Dei tre absidi, quello
centrale è completo: dei laterali (che peraltro non erano

-
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 291

interamente sviluppati) si mantiene quello a destra: l'altro
è quasi del tutto scomparso. Nelle facce esterne dell'abside
centrale si hanno finestrine, che si aprono nel secondo, quarto
e sesto lato: di esse, le due laterali sono bifore e la cen-
trale è trifora, tutte secondo lo schema già descritto. L'abside
laterale mantenuto ha solo quattro lati interi ed.uno per
metà, dei sette risultanti dal suo schema. Nel quarto lato si
apre una finestrina semplice, allungata. Il campanile, rettan-
solare, con due ordini di finestrine bifore, è ‘posto .sull'in-
crocio dellala sinistra. o settentrionale con la nave cen-
trale.

Le particolarità stilistiche di questa chiesa sono —- senza
dubbio — cronologicamente assai ben determinate. Quella
ricerca di nuove forme, che nel complesso qui noi osser.
viamo; gli schemi poligonali degli absidi; la porta nell ala
laterale (1) oltrechè nella facciata principale; l' arco acuto,
che appare nelle aperture delle finestrine; le aperture lobate
di queste ultime e il fusto non rastremato; i due ordini di
colonnine e di pilastri; la esuberante e ricca ornamentazione
del portale, tutto, in una parola, ci fa pensare ad uno stile di

nsizione. In genere,i solo X è) — per alia — :
tra In genere,il secolo XIII é per l'Itali le
poca in cui questo stile fiori e noi crediamo che — quan-

tunque, spesso, per certe assegnazioni cronologiche occorre
servirsi di dati locali — questa data generale serva, tut-
tavia, per questa e per altre costruzioni reatine. Lo stile
della descritta porta laterale, ci richiama il portale della
chiesa di S. Francesco, la quale ci appare in costruzione
verso lanno 1245, e durante la seconda metà del secolo
XIII dové essere ultimata. Ora, trattandosi di due vecchie
chiese che si trovano nella stessa città, non urteremo certo
contro aleuna verosimiglianza se stabiliremo un ravvici-
namento cronologico tra la chiesa di S. Francesco e la porta -

(1) Questo portale trovasi oggi alquanto spostato dal sito originario, clie però
era sempre in quest’ala destra «ella nave trasversale.
299 G. COLASANTI

laterale di Sant'Agostino, la quale andrà riportata, ad un di-
presso, alla stessa età. Accanto alla porta laterale, il portale
principale di Sant' Agostino mostra delle forme stilistiche piü
elaborate, le quali — rivelando un’ arte più progredita — po-
trebbero farci discendere fino ai primi anni del trecento, pro-
prio quando il convento di Sant'Agostino comincia ad apparirci
già costituito ed importante. Questo termine cronologico —
racchiuso tra la seconda metà del dugento ed i primi de-
cenni del secolo XIV — noi stimiamo potersi fermare per
la costruzione della chiesa in parola.

. Con queste nostre conclusioni si accordano alcune no-
tizie, che troviamo sparse qua e là negli scrittori locali, i
quali però non ce ne indicano la fonte. Loreto Mattei — dopo
aver menzionato San Domenico, San Francesco e Sant’ Agostino,
dice che « furono da’ fondamenti rifabricate le dette Chiese e
Conventi nel medesimo tempo dopo la ... desolazione della
Città » (1); e poichè i disastri, che le guerre avrebbero
apportati a Rieti così di frequente dal finire del secolo XII al
principio del XIII (2), non trovarono termine che con la
morte di Federico II (3), alla metà di quest’ultimo secolo
daterebbero queste chiese e quindi anche quella di San-
t Agostino, per lo meno nella veste in cui noi la conosciamo.

Questa notizia la troviamo riprodotta nel Michaeli, il
quale — notando come dopo la morte di Federico II « ces-
sarono le apprensioni di nuove guerre » (4) — continua dicendo
che « si intrapresero allora nuovi edificii e si compierono
altri già prima iniziati; tra i quali le principali chiese e
conventi, che ancora si vedono » (5). Proprio in quest' anni,
infatti, noi assistiamo — come meglio vedremo, nel corso di

(1) Erario Reatino, e. 90.

(2) GALLETTI, Memorie di tre antiche chiese ecc., pag. 126; DESANCTIS, Notizie
ecc., pag. 12 e segg.

(3) MICHAELI, II], 36; DESANCTIS, Op. cit., l. c,

(4) MICHAELI, III, 36.

(5) Idem.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 293

questa trattazione — ad una vera rifioritura dell’ abitato cit-
tadino: il che viene a confermare il contenuto di queste
informazioni. Più indeterminatamente si riferisce allo stesso
dato cronologico il Desanctis, il quale mostra di aver tratto
profitto dalla comparazione stilistica con la chiesa di S. Fran-
cesco (1): più in giù scese, rimanendo però sempre in una
età vicina, il Guardabassi, che al principio del sec. XIV ri-
portò la origine della nostra chiesa (2).

Se noi fossimo storicamente sicuri che la chiesa di S. Ago-
stino sorse con questo nome, e fu fondata all’epoca cui lo
stile la fa riportare — lo stesso termine cronologico potrebbe
essere esteso al convento, che già ci appare fondato nei primi
decenni del trecento. Ma nulla di tutto ciò sappiamo: e,
d’altra parte, la tradizione è a tal riguardo incerta e con-
tradittoria. Così, accanto a coloro che più o meno espli-
citamente mostrano crederla sorta nel tempo già veduto (3),
il Michaeli pone S. Agostino tra gli edifici che furono com-
piuti nel detto tempo e la cui fabbrica — quindi — sarebbe
cominciata già prima; mentre, dalle riferite parole del Mat-
tei (« furono dai fondamenti rifabricate le dette chiese e con-
venti ecc. »), parrebbe di dover risalire molto più in su con
la origine di queste costruzioni. Con che mostra convenire
la strana opinione di coloro, che in questa chiesa vedono un'an-
tica chiesa de’ Templari (4).

Degli altri conventi, esistenti in questa zona orientale,
sappiamo ancor meno. Loreto Mattei pone S. Benedetto e

(1) Non si conosce il tempo preciso della costruzione del convento. La chiesa
è anch’essa, come quelle di S. Francesco e S. Domenico, lavoro del secolo decimo-
terzo. Notizie storiche ecc., pag. 119.

(2) « Conserva quasi per intiero la primitiva costruzione del XIV secolo » In-
dice-Guida ecc., pag. 251.

(3) DESANCTIS, Notizie storiche ecc., pag. 119. GUARDABASSI, Indice-Guida ecc.
pag. 251, ; $

(4) È riportata e notata dal DESANCTIS, Notizie storiche ecc., l. c.: « Da una Croce
emblematica infissa in un lato esterno taluni congetturano che essa in origine ap=
partenesse all'Ordine dei Templari ecc. ».
294 . . G. COLASANTI

S. Caterina tra i monasteri « ricchi e numerosi di Religiose
riguardevoli per nobiltà, esemplarità ed osservanza » (1),
senza peró darci ceuno alcuno intorno alla loro origine. Del
monastero di S. Caterina aggiunge solo, in altra parte del
suo lavoro, che la sua chiesa è tra quelle che — ai suoi
tempi — erano state « nobilmente rimodernate con magni-
ficenza e sontuosità grande massime si dentro come nelle
facciate » (2). Il Desanctis, dopo aver detto — a proposito
di questi monasteri — che « di nessuno restano memorie an-

tiche » (3), aggiunge sapersi solo che essi « furono rinnovati

nei luoghi medesimi, ove erano stati piantati in origine » (4).
Poiché il nostro A. confessa e dimostra di non conoscere
documento alcuno sulla storia di questi monasteri, vien
fatto di escludere che questo rinnovamento possa riferirsi ad
epoche lontane: quasi sicuramente il Desanctis intende allu-
dere ai restauri completi di cui fa parola il Mattei, e che do-
vettero estendersi anche al resto del fabbricato del convento.
Qualunque riferimento ad età diversa ha bisogno di essere
documentato.

Il van Heteren, che si è recentemente occupato di alcuni
di questi monasteri reatini (5), conosce S. Caterina fra i « tre
grandi monasteri di Benedettine » (6); riferisce delle piccole
tradizioni al riguardo (7), ma in sostanza neppur egli conosce
alcunchè di preciso e di veramente storico. Solo può asse-
rire che dei tre monasteri. di S. Caterina, S. Scolastica e
S. Benedetto, quello di S. Caterina « fu il primo a scompa-

(1) Erario Reatino, c. 96.

(2) Idem, c. 90.

(3) Notizie ecc., pag. 114,

(4) Idem.

(5 Due Monasteri Benedettini più volte secolari (Rieti) in Bollett. della R. De-
putas. di St. Patr. per V Umbria, Perugia, Unione Tip. Coop., anvo XII, vol. XII,
fasc. I, 1906, pag. 51-73.

(6) Op. cit., pag. 51-52.

(7) Così la leggenda intorno alla visita che S. Benedetto Labre avrebbe fatta a
Rieti e alle sue parole circa i conventi benedettini Op. cit., pag. 52.
RÉATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 295

rire » (1), e «divenne monastero di Francescane assai prima
dell'invasione francese » (2). |

Il restauro completo, che già al tempo del Mattei era
stato fatto di questi fabbricati e che oggi ancora si vede e
si conserva, fece loro perdere certamente l'antico aspetto
architettonico, che nessun autore e nessun documento ci han
tramandato. Non possiamo, quindi, neppure servirci del cri.
terio stilistico — come per la chiesa di S. Agostino — per
colmare in qualche modo tanto vuoto. Questo criterio, pe-
raltro, non risolverebbe sostanzialmente la questione: giacchè
occorrerebbe poi assodare se queste chiese e questi mona-
steri fossero sorti proprio al tempo, cui lo stile ci riporte-
rebbe, o esistessero già prima.

Il già citato van Heteren parla di documenti, intorno al
monastero di S. Benedetto, che risalirebbero all'anno 1309 ed
al 1308 (3). Ma egli si riferisce ad una fonte oscurissima (4),
astenendosi da qualsiasi altra indicazione. Non resterebbe che
fermarci ad una menzione degli Statuti reatini, ove troviamo
registrato un antico patto concluso con il monastero di S. Be-
nedetto, che qui riportiamo:

« Statutum in favorem sancti Benedicti.

(1) Op. cit., pag. 52. 5

(2) Op. cit., pag. 52. Questo monastero « fu soppresso sul principio del secolo
decimonono, con breve di Pio VII ». Così il LATINI, ms. cit., fasc. II, cap. XV.

(3) « Ma possiamo risalire fino al 1309. Il loagosto di quell’anno, un certo Obla-
tus Monasterti SS. Benedicti acquisto per esso la 16* parte «vel mulino delle cataste,
d'onde risulta che questo monastero esisteva già nel 1309 » op. cit., pag. 59-60. Più
importante sarebbe « il breve del 17 agosto 1308, col quale il Vescovo di Rieti Gio-
vanni Muti de’ Papazzurri concede 40 giorni d’ indulgenza a coloro che in qualsiasi
maniera contribuissero al compimento della fabbrica del monastero di S. Bene-
detto » op. cit., pag. 60.

(4) Del documento del 1309 il van HETEREN riporta un brano, senza però citarne
la fonte (op. cit., pag. 60. not. 1): « In praesentia ete. ... vendit religioso viro, Paulo
domini Petri, oblati Monasterii Saneti Benedicti de Reate, Ordinis S. Benedicti, sex-
tam decimam parte molendini Castasta positi in Populario S. Làurentii in Cantaro
ete. ». Qui neppur l'anno é riportato! Come possiamo tenerne conto? Il documento
del 13)8 lo ha desunto da un ms. dell’Agostiniano Orsini!, op. cit., pag. 60: come si
vede siamo di fronte ad una incognita maggiore.
——
—————

296 G. COLASANTI

« Petitionem quandam pro parte Ven. Domine Abbatissa
« et Conventus Mon. Sancti Benedicti de Reatae coram nobis
exibitam. Coram vobis providis et discretis viris statutariis
positis ad renovandum et faciendum statuta Communis ‘et
« Populi Reatae, supplicat exponit, et cum reverentia petit
« Abbatissa, et Conventus sancti Benedicti de Reatae quod
vigore Statut. per vos fiend. det. et concedatur intuitu dei Mo-
nasterio praedicto via iuxta portam post domum Ciminorum
et iuxta praedictum Mon. Et ipsa Abbatissa et Conventus
« Mon. praedicti det pro necessitate hominum inde transire
« volentium tantum de Territorio Ipsius Mon. quod sufficiat ad
« viam faciendam post ipsas domos iuxta Cantarum secundum
« quod videbitur sensalibus Communis largam cum ipsa via
« fienda sit Palchrior, et habilior et utilior hominibus. Et hoc
« petunt pro Deo; et quod de his per vos fiat statutum ad
« cautelam dicti Mon. Dei, et Pii Patris Beati Benedicti con-
« templatione et reverentia: ut iacet admittimus et praesens
« statutum firmamus etc. » (1).

Senza star qui ad occuparci delle strane conclusioni ti-
rate, intorno alla cronologia di questo passo, da autori di
nessunissima attendibilità (2), la domanda, avanzata dall Ab-

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(1) Stat. di Rieti, I, 135.

(2) Il vaN HETEREN pretende che negli Statuti reatini « i capitoli non sono di-
sposti secondo l'ordine delle materie, ma secondo l'ordine cronologico délla loro
apparizione » op. cit., pag. 58. Stabilito cio, egli fissa l' età del passo riportato, in
questa maniera: « Ora, il cap. 137, che precede immediatamente il nostro, contiene
una disposizione dell'anno 1329, ed il cap. 139 che lo segue ha un provvedimento
prese in favore de' ghibellini nel 1344; il nostro capitolo dunque deve esser posto
tra l’anno 1329 e 1344 ecc. » op. cit. pag. 58-59. Questa ipotesi sulla compilazione
degli Statuti é ben curiosa e non si accorda con quanto noi sappiamo, facendoci
assolutamente rigettare questa determinazione cronologica cosi particolare e pre-
cisa. Secondo il testo originario-degli Statuti, fornitoci da un ms. della Biblioteca
Comunale reatina, la disposizione in favore dei ghibellini à posta nel lib. I, cap. 129.
La disposizione dell’anno 1329 (una conferma di patti con tal Rainaldo di Magliano)
si trova nel lib.I, cap. 133. Il patto col Monastero di S. Benedetto si trova nel lib. I,
cap. 134! Cosicché tutta la teoria cronologica del v. Heteren va a gambe all’ aria,
poiché l'ordine di disposizione non corrisponde all'ordine cronologico! È, inoltre,
provato che il nostro A. non ha conosciuto direttamente lo Statuto ms., cioé l'unica
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 291

batessa di S. Benedetto, ai providis et discretis viris statu-
tariis, positis ad renovandum. et faciendum statuta. Communis,
si riporta all' epoca in cui le antiche usanze cittadine erano
raccolte, all'alba dell’incipiente vita della nuova città, cioè
nella prima metà del trecento, data già da noi fissata ed
accettata; oppure si riferisce ad un tempo posteriore? A
parer nostro non abbiamo dati per giudicare. Ma anche a
riportarci al primo termine cronologico, possiamo noi — dal
contenuto di questa petizione — desumere qualche conclu.
sione per la origine del convento stesso? Dal fatto che
l’Abbatessa chiedeva l'antica « via iuxta portam post do-
mum Ciminorum », è parso a taluno di poter concludere
che ciò si chiedesse per avere lo spazio necessario alle fab-
briche e, quindi, « che il nuovo fabbricato non era ancora
intieramente compiuto » (1). Ma — mentre i nostri docu-
menti non ci dicono nulla di tutto ciò — è facile capire
come la richiesta potesse anche essere consigliata da neces-
sità di carattere diverso: in tutti i modi ,6 sempre arbitra.
rio risalire, dalla notizia dello Statuto, all'idea dal van He-
teren adottata!

Concludendo: di queste importanti case religiose, che tro-
viamo distribuite in questa zona orientale da noi presa ad
investigare, nulla di preciso noi conosciamo circa il modo ed
il tempo di origine. Solo possiamo dire che già per tempo (al-
cune nel sec. XIV) le troviamo formate e sviluppate.

Con la impossibilità di conoscere la primitiva storia e

ed autorevole fonte, la quale ha per di più una numerazione che non corrisponde
a quella adottata — per citare i vari capitoli — dal v. Heteren. Il quale scrittore
mostra nienteme o di non essersi servito nemmeno di un qualche esemplare a
stampa che dello Statuto si fece nel 1549. In questa edizione (I' unica che abbiamo)
la disposizione intorno ai ghibellini, dell'anno 1344, si trova nel lib. I, cap. 133: quella
circa i patti con Rainaldo di Magliano si trova nel lib. I, cap. 137: il patto con S. Be-
nedetto si trova nel lib. I, cap. 138. La numerazione di qualche prescrizione non
corrisponde a quella seguita dal v. Heteren, mentre neppur qui l'ordine di disposi-
zione segue l’ordine cronologico. Così ha lavorato il v. Heteren!
(1) VAN HETEREN, op. cit., pag. 59.

^
298 G. COLASANTI

la origine di questi conventi, dobbiamo rinunciare altresi alla
probabilità di rilevare — attraverso i documenti, gli atti di
compra e vendita; le carte di cessione ecc. ecc. — tutta una
serie di particolarità topografiche (intorno alla posizione dei
conventi rispetto all'abitato; sull'aspetto dei dintorni; sulla
estensione dei fabbricati ecc. ecc.) che ci avrebbero po-
tuto rivelare la relazione in, cui essi si trovavano con l’ abi-
tato cittadino vero e proprio. Tuttavia, una prima conclu-
sione si lascia fin da ora travedere. Poiché in limiti non

molto ampli noi troviamo — circondati da chiese, di cui
qualcuna antichissima — tre importanti conventi, è facile
pensare — anzitutto — come, all'epoca in cui essi sorsero, in

questa parte si avesse dello spazio disponibile per le esigenze della
vita monastica. Come per Pinna (1) e per molte altre città
— anche per Rieti l'abitato cittadino, verso il mille, a stento
trattenuto entro la vecchia cerchia, era divenuto angusto
ed insufficiente al nuovo sviluppo; non era quindi possibile
trovar posto in esso per conventi e monasteri, i quali dove-
vano sorgere necessariamente fuori del perimetro cittadino. Ed
il loro sito ci offre, quindi, un primo generico dato per sospet-
tare che noi siamo tuori dell’ abitato tradizionale della città.

Questa, prima intuizione è suffragata da tutta una serie
di documenti. Si ricordi anzitutto l'importanza ed il valore
che attribuiamo — nei riguardi topografici — ai documenti
anteriori al mille, i quali rispecchiano assai spesso l’ antico
stato di cose, in seguito modificato e scomparso.

Di una antica località ad arces, menzionata da molte fonti
reatine (2), non ci è tramandata la esatta determinazione
topografica: ma, poichè in questi luoghi ad oriente, dai do-
cumenti stessi indicatici, noi conosciamo una denominazione

(1) Anche in questa città, i numerosi conventi sorsero intorno all'antico nucleo
cittadino e solo in seguito furono inclusi nella nuova cinta, in parte; in parte de-
caddero.

(2) I documenti sono altrove riportati.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 299

n2

che da tempi remoti vive e si mantiene nella coscienza po-

polare sotto una forma che richiama la prima (Porta d' Arce),
stabilire un nesso topografico tra i due nomi è quanto di più
logico e metodico si possa fare. Cosicchè, anche a prescin-
dere da altre indicazioni, secondo cui la località ad arci era
fuori la Porta Interocrina cioè ad est del declivio dell'altura (1),
in base al solo ravvicinamento onomastico noi possiam dire
che l'antica località ad arci doveva ad un dipresso trovarsi
presso il sito, in cui vediamo continuata la denominazione di
Porta d' Arce.

Quivi presso, del pari, doveva pure sorgere l' antichissima

basilica di S. Agata ad arces, senza però che neppur di essa

possa determinarsi il sito preciso (2).

(1) Dovendo ancora arrivare alla identificazione topografica della Porta Inte-
rocrina, è buon metodo non partire da un dato non ancora accertato, al punto in
cui siamo.

(2) In cambio di alcune terre date a Farfa, Ilderico, azionario, riceve « basilicam
beatae Christi martyris Agates, foris muros civitatis reatinae, una cum casella prope
ipsa basilica, cum curticella, et horto, vel aliquanta vinea, quae ad ipsam pertinet
basilicam » Reg. di Farfa, II, 54 ad ann. 761; cfr. GALLETTI, Memorie ecc, pag. 461.

— Ilderico chierico dona i suoi beni a.Farfa: « Reliqua vero mea portiuncula
idest aecclesiam Sanctae Agathes sitam prope civitatem reatinam locum qui dicitur
ad arci, cum casis, curtibus, et hortis et vineis qui prope ipsam aecclesiam ‘sunt »
Reg. di Farfa, II, 120, ad ann. 786. L'abate Ingoaldo concede l'usofrutto della chiesa
di S. Agata, e dichiara che « quidam hildericus de civitate reatina ... fecit cartulam
in monasterio Sanctae dei Genitricis Mariae pro anima sua de aecclesia Sanctae
Agathes quae posita est ad arces » Reg. di Farfa, II, 200, ad ann. 820: cfr. GAL-
LETTI, Memorie ecc., pag. 80-81. Farfa cede l' usofrutto « de aecclesia sanctae Aga-
thes, quae sita est ad arci iuxta civitatem reatinam cum omni pertinentia sua ».
Reg. di Farfa, II, 214, ad ann. 824. Numerosi continuano gli accenni e le men-
zioni di questa basilica nel Regesto farfense, ad alcuni scrittori locali noti fino al-
l'anno 982 (« l'ultima menzione... é dell’ anno 982 » GALLETTI, pag. 97: da cui il De-
sanetis « l’ultima menzione di S. Agata é del 982 in un placito » Notizie storiche
ece., pag. 113); noi però ne abbiam trovata menzione in un documento del 1084, con
cui Enrico IV conferma a Farfa — tra gli altri beni — « et aecclesiam Sancti Leo-
pardi. Et Sancti Gregorii. Et sanctae Agathae » Reg. di Farfa, V, 97, ed in un
elenco dei beni del monastero farfense compilato verso l'anno 1116: « In territorio
reatino... S. Agathes » Reg. di Farfa, V, pag. 301.

Dai documenti S. Agata é detta « basilica » o semplicemento « aecclesia » ;
e nulla in essi é riferito, che possa far pensare ad un « monastero ». Il Galletti però,
attratto probabilmente da un atto farfense, in cui si parla della donazione che di
questa « chiesa di S. Agata » (« ipsam Ecclesiam S. Agathes », così ha il documento)
A

G. COLASANTI

Della località ad arces, sappiamo che era posta fuori la
Porta Interocrina e fuori la città. Così in un atto di permuta,
contenuto in una carta farfense dell'anno 878, si ha « Unde
« in cambio recepi ... terram vestram quam habuistis foris
« civitatem. reatinam foris portam quae dicitur interocrinam,

faceva a Farfa una tale Guisperga « sanctimonialis foemina » (Memorie ecc., pag. 81),
concluse che « era senza dubbio questa Guisperga una di quelle monache che in
questi tempi vivevano fuori del chiostro » Memorte ecc., pag. 84. Tirare in ballo
il chiostro, era sbagliato poiché nell'uso più comune la parola « sanctimonialis »
escludeva ogni idea di voti monastici o di vita monacale, e soloindicava-wna donna
di santi costumi (Du CANGE, Glossarium etc., T. VI, col. 110 s. v. «Sanctimoniales »;

'« Sanctimonia »; « Sanctimonium » T. VI, col. 111). Ma l'idea, una volta adombrata,

fece fortuna. Così il Desanctis trovò che S Agata fosse un « monistero » ove « co-
minciarono... ad adunarsi alcune di quelle Monache, che a quei tempi vivevano
ritirate nella propria casa » Notizie ecc., pag. 112-113. Il vAN HETEREN, nel citato
suo lavoro su Due Monasteri Benedettini (Bollett. di St. Patria per V Umbria,
anno XII, fase. I, vol. XII), quantunque sappia che « in nessun luogo ... vien rife-
rito che S. Agata fosse in quel tempo un monastero di religiose » (op. cit., pag. 57),
conelude tuttavia « che oltre alla chiesa vi fosse pure veramente un monastero »
(op. cit., l. c.). Ma la difficoltà fu nel provare queste asserzioni. Difficoltà insupe-
rata: poiché delle prove addotte, due documenti — dal van Heteren riportati a
pag. 56, not. 2 ed a pag. 58, not. 1 — non parlano affatto di « monastero », ma
semplicemente di una « basilica di S. Agata » o di una « chiesa di S. Agata » ;
la espressione « sanctimonialis foemina », contenuta nel documento noto al Gal-
letti da cui lo apprese il van Heteren (pag. 58), non conclude nulla per il nostro
argomento ; finalmente, l'ultima prova desunta « dal fatto che l'altar maggiore della
chiesa di S. Benedetto é dedicato insieme a S. Benedetto ed alla celebre eroina
cristiana S. Agata » (op. cit., pag. 58), e che dovrebbe dimostrare che il monastero
di S. Agata sarebbe stata la prima sede di quelle benedettine che poi passarono
entro la città, nel convento di S. Benedetto (op. cit. pag. 57-58), potrebbe avere un
qualche valore; ma nuda e semplice come é, non puó aver diritto ad una seria
considerazione. Per questa identificazione tra l'antico monastero di S. Benedetto e
la basilica di S. Agata, abbiamo sospetto che siano servite alcune erronee interpre-
tazioni di fonti medievali. S. Agata é detta dai documenti «d arces: e poiché la
fonte del v. Heteren non conosceva un perimetro cittadino piü angusto dell'attuale,
concluse — dando a quell’ ad il significato di extra — che questa basilica st tro.
vava fuori di Porta d’Arce, cioè fuori del punto in cui vedeva il nome arce.
Primo errore, poiché mentre è indubitato che al tempo della Basilica di S. Agata il
perimetro della città non arrivava fino a Porta d’Arce, d' altra parte non è questa
la interpretazione da darsi a quell'ad Arces. Di più: da qualche documento essa aveva
saputo che S. Benedetto si trovava fuori Porta Carceraria, cioé fuori della vecchia
cinta che « correva lungo il dosso del colle ». Di questo perimetro la fonte nulla
conosceva: e poiché il quartiere, posto tra la linea della vecchia cinta e la Porta
d'Arce, portava un nome che ricordava la Porta Carceraria (rione di Porta Carce-
raria di fuori), essa identificò questa Porta Carceraria con la Porta d'Arce. Di questa
pi

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. " 801

« in loco qui dieitur arci » (1). E della basilica di S. Agata
sappiamo, similmente, che era foris muros civitatis reatinae,
iuxta civitatem. reatinam, prope civitatem reatinam ecc., in loca-
lità che dicitur ad arci (2), avendo cosi una conferma della
notizia topografica del documento dell'anno 878.

Di fronte a questi documenti parrebbe — a prima im-
pressione — di poter correre ad un sillogismo: la località

ad arces era apud civitatem, dunque l'estremità orientale dell'a-
bitato odierno, ove vive ancora l' antica denominazione, era fuori
del perimetro medievale. Eppure occorre esser cauti. Poiché,
‘infatti, dell'antichissima località ad arces e della basilica
di Sant'Agata noi non conosciamo la esatta ubicazione, ma
solo possiam dire che esse dovevano trovarsi presso l'at-
tuale Porta d'Arce dentro o fuori di essa, è chiaro che, uni-
camente nel caso che dette località si fossero trovate den-
tro Y attuale Porta d' Arce oppure avessero coinciso con il
sito di questa porta, noi, a rigore, potremmo escludere un
tratto più o meno grande dell’ estremo abitato odierno, ad
est, dalla città qual’ era al tempo dei documenti citati. Ma
nel caso che dette località si fossero trovate presso l’attuale
Porta d’Arce ma fuori di essa, allora i nostri documenti non
servirebbero a nulla, poichè quell’extra civitatem sarebbe. per-
fettamente giusto anche riferito ad una città, estesa fino ai
limiti moderni.

In quest’ultima maniera ha mostrato di interpetrare
| questa indicazione qualcuno che — non avendo cognizione
del problema topografico medievale, e credendo senz'altro la

porta si conoscevano altri nomi (P. S. Leonardo, degli Abbruzzi ecc.) eduno di più
non guastava. La conclusione fu che anche S. Benedetto sarebbe stato — come S. A-
- gata — fuori di Porta d’Arce. E poiché la fonte conosceva da tempo S. Benedetto
entro la città, occorreva creare un ipotetico antico monastero in seguito abbando-
nato. Arrivata a questo punto, dai documenti di S. Agata e dalla esistenza del fa-
moso altare, la fonte fu spinta a decidersi per la identificazione in parola.

(1) Reg. di Farfa, MI, 228. :
(2) Idem, II, 120. Cfr. gli altri passi già riportati.
309 G.': COLASANTI

cinta odierna eguale all'antica — di fronte all’ espressione
ad arcem non aveva che un’unica conclusione da tirare. Par-
lando di S. Benedetto, la fonte oscura, di cui il van Heteren si è
servito, dopo aver detto che, prima della sua edificazione nel
punto in eui lo conosciamo (1) questo monastero « in ori-
gine non era altro che l'antica cella o chiesa di S. Agata
ad Arcem» (2), passa alla identificazione topografica di que-
Sta chiesa. Quantunque di essa « difficilmente si ritrovereb-
bero oggidi le fondamenta » (3) la fonte ritiene — ed il van
Heteren accetta — che la basilica « si trovava fuori di porta
d'Arci, o ad Arcem »!! (4). Le prove di questa erronea interpre-
tazione della espressione ad arcem, la fonte del van Heteren
naturalmente non le adduce. Eppure, già altri scrittori lo-
cali avevano per lo meno evitate queste conclusioni, allor-
ché dichiararono come dell'antica basilica altro non poteva
sapersi, che « nell'ottavo secolo già era posseduta da' monaci
di Farfa > (5).

La indicazione topografica, relativa alla vecchia cerchia,
che non ci è stato possibile desumere dagli esposti docu-
menti, in sè troppo indeterminati, ci viene da un bellissimo
accenno contenuto negli Statuti di Rieti e riguardante una
prescrizione sul mantenimento del corso del Cantaro.

Noi abbiamo già visto questo rivo; entro il perimetro
dell’odierna città, nella parte piana ad oriente. Il tratto del
sno corso, che è lungo la Via Garibaldi e che oggi è co-
perto, per il tempo anteriore all’anno 1836 era invece sco-

(1) Cioé presso e dentro « le mura della Città » lungo « l’antica via che la ra-
sentava da porta d'Arce fino a porta Conca ». Bollett. cit., pag. 59.

(2) Op. cit., pag. 56.

(3) Op. cit., l. c.

(4) Idem.

(9) GALLETTI, Memorie ecc., pag. 77. Il DESANCTIS, Notizie ecc., pag. 112-113, ha:
« Questo Monistero (S. Agata) pare che stesse poco discosto da Porta -d'Arci ». mo-
strando anch'egli di cadere nel concetto stesse adottato dal van Heteren.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 305

perto (1) Mariano Vittori aveva così parlato di questo rivo:
« In ipsa autem agri Reatini planitie a dextra Aquilanae
« viae, Canthari amnis, qui Reatinae Urbis partem interluit,
« fons per subterraneos meatus a montibus vicinis eo perve-
niens emergit: aqua ita cruda ac frigida est, ut nec solis
« prospectu sub quo conspicua semper delabitur ... conca-
« lescit » (2. E del nome Cantaro volle cercare la spie-
gazione con ipotesi stranissime desunte dal mondo classico:
al qual fatto si deve, senza dubbio, la grafia Cantharus dal
Vittori accettata: « Nomen praeciosi vasculi quo Liberum
« patrem primum, mox C. Marium post victoriam Cim-

A

^« bricam eius exemplo potasse legimus, impositum illi fuit.
« Ratio qua hoc factum fuerit, nulla nisi laudi et victoria ali-
« cuius, occurrit. Non ignoro tamen navis genus, et muliebris
« euiusdam ornatus nomen apud Athenaeum Cantarum et
‘. dici » (3). Queste notizie — al solito — sono passate piü o
meno integralmente negli altri scrittori locali posteriori. Cosi,
Pompeo Angelotti non fa che aggiungere, alle informazioni
del Vittori, qualche particolare sul corso del Cantaro, che
« raggira una mola di grano, e poi fuori e dentro la Città,
« per lo cui mezo trascorre, fa girar’altre sei: negli estivi ar-
« dori innaffia con somma utilità degl’agricoltori li sogetti po-
« deri » (4). Anche Loreto Mattei dichiara di non dover « la-

(1) Questa data ci è offerta da una epigrafe, murata nelle così dette « Volte di
Mosca », una specie di rozzo porticato lungo Via Garibaldi, poco p ima di Santa Ca
terina: Comiti Hyacinthi . Vincenti . Mareri — Urbis . praef . A. MDCCCXXXVI
— quod — domui . viaeque . proaimam — frumentariam . pistrinam . solo . aequa-
rit — et — aquae . alveum . per . CCC . pedes . obtexerit — Francisca . Mosca . De
Nobilibus . Eusebi — cum . viro . Caesare . Viscardi . reat — regionis . voto . La .
Dp. —.

(2) Ms. cit., c. 100.

(3) Idem.

(4) Descrittione ecc., pag. 104. L'Angelotti desunse dal Vittori la notizia che
«in amena valle, tra ... due colli discendendo da’ vicini monti, per sotterranei meati
sgorga il Fiume (perciò da’ Greci detto Cantaro) oltre modo gelato », op. cit., pag. 104;
ove le stesse frasi rivelano chiaramente la dipendenza dal passo già riferito del

(Vittori.

^
804 'G. COLASANTI

« sciar in silenzio le pubbliche e private commodità che porta
« nella città un Rivo corrente, non men delizioso per la fre-
« schezza e chiarezza che utile e necessario » (1).

E ci descrive il Cantaro con parole che, per i loro nu-
merosi accenni di indole topografica, meritano qui di essere
per intero riportate. L'aequa del Cantaro « corre ... scoperta
« per tutta la strada di S. Benedetto per servizio del cui mo-
« nastero alquanta se ne divertisce: l'altra, tutta passando sotto
« à due mole, scorre lungo la strada detta le Volte di S.ta Ca-
« terina e, spartitone un ramo per commodo di un lungo e
« pubblico lavatore e d'indi ad un altra doppia mola detta le
« Canali, con tutto il resto del Corso giunta sotto la mia casa
« Si nasconde e coperta per tutta la strada di Porta Carana
« riesce a S.ta Chiara, dove voltando l' ultima mola .. se ne
« Scorre ad unirsi finalmente col fiume » (2). Tenendo a mente
che la casa del Mattei sorgeva proprio al cominciare del-
l’altura, noi abbiamo — da questa descrizione — un con-
cetto assai chiaro dell’antico aspetto del Cantaro, il quale —
sempre scoperto nel tratto dentro l’abitato — si nascondeva
solo nella sua estremità, là dove — prima di gettarsi nel Ve-
lino — scorreva sotto il leggero rialzo che oggi continua il
dorso orientale dell'altura. Il Mattei, poi, come l'Angelotti,

ritiene la derivazione greca del nome Cantaro da « Kùvapog,

Cantaro, che significa acqua coperta o pur d'occulta scaturi-
gine » (3): Spiegazioni che non parvero serie al Latini (4),

il quale altre sue proprie ne avanza, non meno ridicole e
strane (5).

(1) Erario Reatino ecc., c. 91.

(2) Idem.

(3) Idem.

(4) « Ma di grazia, qual relazione può aver questo ruscello colla tazza di Bacco?
Qual relazione colla gloria, colla vittoria di qualche eroe? » Memorie ecc., fasc. V,
cap. XXI.

(5) Egli cerca spiegare il nome dal costume che i cittadini avevano « di
gittare in esso tutte le immondezze delle loro case e vuotarvi i cantari, avanti che
ciò venisse dallo Statuto municipale espressamente proibito ». Ms. cit., l. c.; oppure
con il ravvicinamento di detto nome con il Mons Canterius di Varrone. Ms. cit., l. c.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 305

Di questo Cantaro — il cui nome non si lascia in modo

aleuno spiegare, nonostante le elucubrazioni degli scrittori
municipali — parlano piu volte gli Statuti reatini prescri-
vendo agli abitanti di tenerne pulite le aeque (1); dando
ordini per il mantenimento dei pubblici abbeveratoi (2);
provvedendo alla conservazione del suo corso ordinario, mi-
nacciato dalle continue derivazioni di acqua ecc. ecc. (3).
Una di queste prescrizioni ci offre un primo dato, importan-
tissimo per il nostro argomento.
i Ordinando «quod nullus faciat nec proiiciat sozuram ali-
quam in aqua Cantari », lo Statuto — dopo aver sancita una
pena viginti soll. per i trasgressori — continua: « Et quod
« omnes habitantes iuxta dictam aquam dictus notarius de-.
« beat iurare facere quod in dicta aqua nullam faciant pu-
« tredinem nec permittant facere. Sufficiat autem iuramen-
« tum domini et domine dicte domus vel saltem domine et
« familie ». Chiude determinando cosi la zona di sorveglianza
affidata al Notaro cittadino: Zt hoc locum habeat in burgo
arcis inclusive, usque ad pedem. dicte aque ubi asconditur (4).

Tutto il valore topografico del documento, in relazione
alla nostra ricerca, consiste in quest'ultimo passo e special
mente nella espressione in durgo arcis della quale oc-
corre — quindi — accertare la esatta interpretazione. SÌ
ricordi, anzitutto, che la città, al tempo degli Statuti, offriva
già la estensione perimetrale odierna; e che il corso del
Cantaro attraversava l’abitato nei punti stessi di oggi, solo

(1) « Et nullus aquam putredinem vel immunditiam proiciat vel faciat in aqua
Cantari, sed custodiatur et conservetur pura et nicta ». Stat. di Rieti, III, 32; una
prescrizione simile si ha altrove, III, 60.

I (2) « Item statuimus et ordinamus quod Notarius super viis debeat facere reac-
tare et vemondare abeveratoria Cantari ete. ». Stat. dé Rieti, INI, 34.

(3) « Item statuimus et ordinamus quod nullus audeat nec presumat aquam
derivare nec extrahere de cursu debito Cantari etc. » Stat. di Rieti, INI, 61.

(4) Per tutti i passi, vedi Stat. di Rieti, IIII, 18.
- 306

G. COLASANTI

che era tutto ‘scoperto lungo Via Garibaldi, tranne che nella
sua estremità.

Ciò premesso, che la zona di sorveglianza affidata al No-
taro, cioè il Borgo d'Arce, sia da cercarsi nei pressi della lo-
calità ove l’antica denominazione oggi ancora si conserva
(Porta d'Arce) ci pare indiscutibile dopo quanto sappiamo
ed abbiamo detto di questa denominazione stessa. Dobbiamo
porre il Borgo d'Arce fuori del perimetro odierno, ad est di
Porta d’Arce? Ciò è inammissibile per varie ragioni. Anzi-
tutto, della esistenza di un nucleo abitato, detto Borgo d’Arce,

, fuori dell’attuale Porta d'Arce, non abbiamo accenno alcuno

nei nostri documenti: accenno che pure non dovrebbe in alcun
modo mancarci, trattandosi di una zona a cui si riferiscono,
ad ogni piè sospinto, le nostre fonti. Di più: se questo pre-
teso nucleo di abitato suburbano costituiva la zona di ispe-
zione, affidata al Notaro cittadino, dove rintracceremo il punto
in cui il Cantaro absconditur? Non verso le sue sorgenti, ove
l’acqua — come dice il Vittori — « per subterraneos mea-
tus .. emergit », sia perché dovremmo estendere troppo in-
verosimilmente l'abitato di questo sobborgo fino alle sor-
genti del Cantaro, sia perché il nostro documento dice:
usque ad pedem dicte aque, facendoci pensare allo sbocco del
ruscello e non alle sue sorgenti, per le quali quando mai
avrebbe usata un’altra espressione:- « usque ad caput dicte
aque:» ad esempio (1). Verso la città? Ma dove, dal mo-
mento che il Cantaro, fuori e presso le mura, non corre mai
in condizioni tali da giustificare una simile frase? A meno
che non si voglia o pensare a qualche breve tratto, in cui
le acque fossero state incanalate sotto qualche tronco di strada

(1) La parola ges indica sempre la idea di estremità nel senso di « tratto in-
feriore », con tutte le sue accezioni. Cosi Pes montis, ima et inferior pars ecc. Cfr.
DU CANGE, Glossariwm ete., T. V, col. 397, s. v. Pes. L'idea di « principio » nel
senso di « parte superiore », « parte iniziale » ecc. nel frasario medievale è costan-
temente resa con la parola « Cano M efr. DU CANGE, Glossarium, ete , T. II, col. 270
e seg. s. v. Caput.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 301

(come oggi sotto la via posta fuori Porta d'Arce), o ammet-
tere delle ipotetiche divergenze fra il corso antico e quello
attuale, ed immaginare così una probabile spiegazione del
passo. Ma si pensi che — oltre all'obbligo di provare e ren-
dere in qualche modo credibile tutto ció — si dovrebbe poi
spiegare un'altra cosa. Se il tratto del ruscello, affidato alla
sorveglianza del Notaro cittadino, era fuori del perimetro
della città, il restante tratto del Cantaro, dentro questo perime-
tro, a chi mai era affidato? Lo Statuto non ne parlerebbe: e
sarebbe strano che mentré si darebbero delle disposizioni
per un tratto del ruscello fuori della città, non si facesse
affatto menzione del tratto del ruscello entro l'abitato, che
pure era il più esposto ad essere insudiciato. Si pensi che
il magistrato, incaricato della sorveglianza, è un magistrato
cittadino, la cui sfera di azione dobbiam porre, quindi, prin-
cipalmente entro la città. Tutto, in una parola, ci porta a
scartare l’idea di questo riferimento del passo citato ad
un ipotetico sobborgo fuori la cinta attuale, ed a pensare
piuttosto all'abitato posto entro l'attuale Porta d'Arce, lungo le
rive del Cantaro, che ivi scorre nel piano fino ai piedi dell'al-
tura. In una località, cioè, in cui — oltre alla completa spie-
gazione del nome Arcis — troveremmo anche la dichiarazione
delle altre particolarità topografiche; poichè, proprio sotto il
dosso dell'altura, il Cantaro — dopo un corso scoperto — si

nascondeva nella sua estremità inferiore (« ad pedem dicte :

aque ubi asconditur » ).

Fatta la identificazione del passo degli Statuti, non c'é
chi non ne veda la importante conseguenza. Se gli Statuti,
per menzionare l'abitato cittadino ai piedi della collina fin
verso la Porta d'Arce, usano la denominazione n burgo arcis,
come non riconoscere in ció un importante ricordo dell' an-
tico stato di cose, un ricordo della vera origine di questo
abitato, sorto fuori del perimetro della città, quale si conservava
fin dopo il mille, quando le costumanze — poi raccolte in un
.codice di Statuti — si andavano formando? Al tempo, in cui
308 G. COLASANTI

questi Statuti furono compilati, non era — adunque — tra-

scorso tanto da cancellare il ricordo dell’ antico schema topo-
grafico della città, di cui fu raccolta questa piccola ma pure
importante eco. Si rammenti che nella coscienza popolare —
tanto tenace nel conservare ricordi e nomi — vivono ancora,
dopo più di 8 secoli, tracce assai importanti dell’antico peri-
metro cittadino. La conclusione di tutta questa discussione è
che — secondo il passo riferito degli Statuti — l'antica città,
quale ancora si ricordava dopo il mille, va ricercata ad W. del
punto in cui il Cantaro si nascondeva, cioè alquanto ad occidente
della chiesa di Santa Caterina, poco prima della quale comin-
ciava il così detto sobborgo d' Arce.

Ciò vien confermato da documenti di altro genere.

In molte carte farfensi, dal secolo VIII fino al secolo XI,
si fa cenno di mulini esistenti presso le mura, fuori della città,
e sotto una /’orta Interocrina (1). I passi, riferiti in nota, ci
dan modo di fare una prima identificazione generale del sito
di questi mulini, anche a prescindere della ubicazione della
Porta Interocrina, che noi abbiamo già ritenuta e stabilita,
riserbandoci di provarlo quando sarà tempo. Poichè, infatti,
una Porta Interocrina ci fa pensare ad Interocrium (Antro-
doco), noi potremmo dire, prima di tutto, che la ubicazione
di questi mulini va cercata nel lato orientale della città,
che guarda Antrodoco. Tanto più che, se la località ad arci,
di cui abbiamo già -parlato, era « foris civitatem reatinam,

(1) « dono, trado atque concedo de rebus meis... res quas habeo a civitate
reatina, foris portam interocrinam ... terram cum ipso molino etc. ». Reg. di Farfa,
V, pag. 14, ad ann. 1073. « Excepto ipso molino, quod est suptus ipsa porta intero-
crina » Reg. di Farfa, III, 186; cfr. GALLETTI, Notizie ecc., pag. 120 e segg. ad
ann. 1008. « Et molinum suptus muros ipsius civitatis et suptus portam Interocri-
nam etc. » Reg. di Farfa, ad ann. 947. « Notitia brevis memoratorii facta qualiter
direx t Guinichis dux missum suum ... in reatem ut retraderet molinum suptus
portam interocrinam etc. » Reg. di Farfa, II, 170, ad ann. 802.805. « Seu et molinum
nostrum ante portam interocrinam etc. » Reg. di Farfa, II, 128-129, ad ann. 792.
«Seu molinum unum ante portam interocrinam etc. » Reg. di Farfa, pag. 215, ad
ann. 79] ecc. ecc.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 309

foris portam quae dicitur interocrinam » (1), questi mulini,
di cui abbiamo le stesse indicazioni e rispetto alla città, e
rispetto alla Porta Interocrina, debbono essersi trovati ad
un dipresso nella zona in cui abbiamo localizzata la denomi-
nazione ad arci, cioè ai piedi dell’ altura verso oriente.

In questa zona noi troviamo due corsi di acqua: il Ve-
lino ed il Cantaro. Porre sul Velino questi mulini — oltre
alla difficoltà proveniente dal corso d'acqua poco: adatto, a
"eausa delle inondazioni, allimpianto di stabili macine —
in alcuni casi non potremmo, perchè, essendoci indicati al-
cuni mulini davanti la Porta Interocrina, il finme sarebbe
troppo discosto per giustificare una simile espressione. E
poichè — a conferma di queste nostre osservazioni — qualche
documento farfense, quando ha voluto dare maggiori partico-
lari intorno a qualche mulino, ha espressamente nominato
il Cantaro in cui si trovava (2), vien fatto di concludere
che il riferimento topografico di questi mulini, o per lo
meno della maggior parte di essi, va inteso al corso del
Cantaro.

Noi già conosciamo l'aspetto di questo corso nel tempo
passato, prima della sistemazione che ne ha coperte le ac-
que in un gran tratto entro la città. Essendo difficile pen-
sare alla formazione naturale dell’antico tratto sotterraneo
del corso, noi crediamo che la copertura del ruscello, in
questo punto, sia da considerarsi piuttosto come il risultato
della formazione dell’ abitato e della conseguente necessità
di eliminare alla meglio possibile il dislivello del terreno,
in modo che dal basso si fosse andato all’alto gradatamente.

(1) Reg. di Farfa, lI, pag. 28.

(2) « Et in comitatu reatino iuxta ipsam civitatem ante portam intedocrina mo-
lendinum unum quod est de Cantaro etc. » Reg. di Farfa, V, 21, ad ann. 1011, A
questi mulini-sul Cantaro si riportano gli Statuti: « Item statuimus et ordinamus quod
nullus audeat nec presumat aquam derivare nec extrahere de cursu debito Can-
tari ... in preiudicium alicuius molendini ». IIIT, 61. Cfr. anche gli stessi Statuti, IIT,
57. Anche oggi, lungo il Cantaro entro la città, continuano a stare, nei posti tradi-
zionali, aleuni mulini.
310 G. COLASANTI

Necessità, la quale dovette già affacciarsi fin da tempo re-
moto, poichè o nell’antichità la esistenza in questo punto di
una delle principali porte dovè consigliare una conveniente si-
stemazione del terreno, o nell’alto medioevo la formazione di
un nucleo suburbano dovè apportare le modificazioni in parola.
Si noti, infatti, che i nostri più antichi documenti locali non
ci permettono di formarci un concetto diverso in proposito.

Ora, se il corso estremo di questo ruscello ci appare,
fin da età lontana, coperto, è chiaro che il tratto del Can-
taro, in cui possono essere localizzati i mulini citati, và fino
al punto in cui le acque si nascondevano, cioè fino ad W.
della chiesa di S. Caterina. E se si tien conto che questi
mulini si trovavano presso la città, sotto le sue mura — come
i documenti stessi chiaramente ci indicano con le loro espres-
sioni di suptus, ante portam interocrinam ecc., e come ci è
possibile desumere dalla continuazione di questo antico
stato di cose all'epoca degli Statuti, i quali menzionano al-
cuni mulini « qui sunt in Civitate », ed oggi ancora esi-
stenti (1) — non sarà difficile servirsi dei passi riportati per
una conclusione di carattere più particolare: che cioè la Porta
Interocrina, e quindi la cerchia della città medievale era di fronte
all’ estremo corso scoperto del Cantaro, cioè ad ovest di Santa Ca-
terina, presso cui i molini arrivano.

Ma occorre guadagnare ancora terreno in questa direzione
occidentale. A_ciò servono delle preziosissime indicazioni, ri-
guardanti la chiesa di S. Leopardo, della cui posizione lungo
la Via di Porta Conca, nel sito in cui l'abbiamo segnata nella
pianta, si è già fatta parola. Di questa « Chiesa di S. Leopardo,
Parochiale », come scrive l' Angelotti, abbiamo continue men-

: zioni nelle fonti locali (2). Scomparsa come parrocchia e come

(1) « Et hoc de ligando cum catena coppas ... dicitur habeat loeum in Molen-
dinis qui sunt.in Civitate etc. » Stat. di Rieti, III, 57. Lo Statuto continua distin-
guendo i « Molendina Civitat. » ed i « Molendina district. ». V. nota precedente.

(2) ANGELOTTI, Descrittione ecc., pag. 49; LATINI, Memorie ecc., fasc. IV, capi-
tolo XVIII, Menzioni del sec. XV le abbiamo nei documenti dell'Archivio della Cat-
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 811

chiesa, della sua costruzione altro non rimane che un misero
avanzo, addossato a fabbricati posteriori e con essi confuso.

In un atto di donazione al monastero di Farfa, dell anno
813, si nomina un Aortum suptus muros civitatis, qui est po-
situs iwxta aecclesiam sancti Leopardi (1); notizia che col-
lima —.quanto al suo valore topografico — con l’altra,
proveniente pure da una carta farfense, con cui tal Luci-
perto cede a Farfa una casa in Rieti: vi si menziona una
lerram nostram quam habemus suptus muros civitatis reatinae
iurta ecclesiam Sancti Leopardi (2).

La prima interpretazione che ci si presenta è senza

dubbio questa: che, cioè, questa terra e questo orto, insieme.

alla vicina chiesa di S. Leopardo, stessero sotto le mura della
città e fuori di essa. Ma poichè si tratta di una conclusione

per noi di grande importanza, occorre vedere — prima di
fermarci in essa — se altre per avventura non fossero pos-

sibili ed accettabili. ‘Anzitutto, l' espressione suptus muros ci-
vitalis va presa nel senso di fuori le mura, oppure dentro le
mura ed a piè di esse? La espressione suptus nei documenti
farfensi s'incontra — come è facile capire — assai di fre-
quente; e, senza pretendere di fare qui un elenco preciso
di tutti i passi in cui l'abbiamo, certo si è che nei docu-
menti riguardanti Rieti, il suo valore è quello di fwori le
mura della città.

Così, parlando dei mulini posti sul Cantaro, che in questa

zona occidentale era fuori la linea murale — come a suo .
tempo più dettagliatamente vedremo — i nostri documenti

hanno « suptus muros ipsius civitatis et suptus portam inte-

tedrale (NAUDAEUS, Tabularium ecc., pag. 46): « Venditio unius iunctae terrae cleri-
catus Matthaei Bucotii de Reate, clerici et beneficiati Ecclesiae S. Leopardi » ad
ann. 1449; nel noto processo della Inquisizione contro Paolo Zoppo si fa cenno della
chiesa di S. Leopardo e delle carceri ad essa vicine: « Item dixit quod aliquando.
etiam existens ad carceres S. Leopardi etc. » Bollet. cit., pag. 372.

(1) Reg. di Farfa, II, pag. 164.
(2) Reg. di Farfa, M, pag. 191-192, ad ann, 817.
312 G. COLASANTI

rocrinam » ecc. (1). Egual valore mostra avere questa espres-
sione, allorchè si tratta di case con orti, con spazi di terreno
libero, posti evidentemente fuori dell'abitato (2). Valore che
appare evidente in tutto il Regesto, il quale — quando ha
voluto stabilire una distinzione tra due località, poste l'una
dentro, l’altra fuori le mura — si è valso relativamente delle
espressioni intro civitatem e suptus muros civitatis ; oppure,

in luogo del primo modo di dire — e come piü preciso
contrapposto del secondo — si è valso della frase super

muros civitatis per indicare un sito entro la città (3). E fa-
cile comprenderne la ragione. Data la cinta murale me-
dievale, la quale girava. lungo i declivi del colle, le case
ed i fabbricati, racchiusi nel perimetro e distribuiti su di un
terreno che continuamente saliva fino alla sommità del colle,
potevano ben dirsi sopra le mura; mentre sotto le mura ap-
parivano gli altri, posti fuori della cerchia, in un terreno che
ovunque scendeva verso il piano.

Accertato così il valore della espressione suptus muros
civitatis, dai due documenti riportati in principio possiamo
concludere soltanto che questa terra e quest'orto erano fuori le
mura della città: ad essi, infatti, è principalmente connesso il
riferimento topografico del suptus.

Poichè non conosciamo il sito di questi terreni, è evi

(1) Reg. di Farfa, anno 937; III, 170, ad ann. 802-805, ecc.

i (2) « casas ... suptus muros civitatis reatinae ... et casam ... quae est posita ante
ipsam portam. Ipsas;casas cum hortalibus et curtibus etc. » Reg. di Farfa, II, 118-
119, ad ann. 786. — « Idest in primis portionem meam de casa ante portas civitatis
reatinae suptus muros » Reg. di Farfa, II, 139, ad ann. 801. — « ... terram suptus
muros civitatis reatinae quam habuimus suptus prata ». Reg. di Farfa, II, 148, ad
ann. 806. Cfr. pure Reg. di Farfa, II, 126-127; 131-132; 161; 164 ecc.

(3) « Et casam nostram intra civitatem. Seu terram suptus muros civitatis rea-
tinae quam habuimus suptus prata». Reg. di Farfa, II, 148, ove l'accenno ai prata
‘ci porta evidentemente fuori della cerchia. — « Et casam intro civitatem reatinam
cum terra vacua suptus muros civitatis etc. ». Questa notizia é contenuta nel do-

cumento stesso precedente e si riferisce. alla stessa donazione di beni: quel cum

quindi non va inteso nel senso di vicinanza, ma solo nel significato di insieme, cioè
di una semplice concomitanza. — « Unde ... recepimus in cambio ... casam infra ci-
vitatem ete.» Reg. di Farfa, II, 107. — « Casam nostram quam habemus super mu-
ros civitatis et turrem cum casa vetere ecc. » Reg. di Farfa, II, 190.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. . 313

dente che, per servirci dei riferiti passi, occorre vedere se
il valore topografico del « suptus » va esteso anche alla chiesa |
dài S. Leopardo, di cui noi conosciamo la posizione. In una pa- : il
rola, S. Leopardo — come le terre lì presso — era anch’ esso : |
fuori delle mura? Anche qui — quantunque la interpreta- |
zione prima e più spontanea dei documenti ci porti a con-
cludere, come si disse che jS. Leopardo eU orto, vicini tra loro,
fossero entrambi fuori le mura — occorre, di fronte alla impor- |
tanza della deduzione, vagliare tutte le possibili interpreta- |
zioni. Potrebbe credersi, ad esempio, che soltanto l’orto e la
terra in parola si trovassero fuori le mura, e che la chiesa di
5. Leopardo stesse o dentro o presso le mura o sopra di
esse, ma sempre vicino alla terra ed all'orto. Nel primo
caso le inura cittadine andrebbero rintracciate ad est del
sito in cui conosciamo la chiesa predetta; nel secondo caso,
nel punto stesso in cui si trova S. Leopardo. Avremmo sem-
pre un certo dato topografico. Il guaio si è, però, che queste i
interpretazioni non sono in troppo buon accordo con l’aspetto
del terreno.

S. Leopardo sorge nel piano, a piè della collina; e, far
passare per esso o ad est di esso la cinta della vecchia
‘città medievale, non si può senza contravvenire ad un cri-
terio topografico generale e di gran valore. Ad W. di S. Leo- Wu
pardo il terreno comincia a salire, formando i declivi del il |
colle: é impossibile resistere alla eloquenza di questo fatto,
e tenerci più oltre lontani dalla prima interpretazione dei
passi citati, che sempre piü ci appare come la giusta e la
vera. Siamo in pieno accordo con un altro documento far- ill
fense dell'anno 1084, in cui l’imperatore Enrico IV giudi- i
cava di aleuni beni in favore del monastero di Farfa, se-
dendo nella chiesa di S. Leopardo, éuata civitatem reati-
nam. (1).

» (1) « Dum in Dei nomine iuxta civitatem reatinam prope aecclesiam sancti he-
leopardi in iudicio resideret etc.» Reg. di Farfa, V, pag. 83: Cfr. GALLETTI, Op.
cit., pag. 140 e segg.

94
314 G. COLASANTI

Con questa nostra graduale ricerca nella zona posta nel
piano, a’ piè dell'altura, noi abbiamo — avanzandoci len-
tamente verso quest’ultima — guadagnato un definitivo dato
topografico: che, cioè, la cinta murale della città, qual'era an-
« cora intorno al mille, va rintracciata ad W. della chiesa di
« S. Leopardo.

Siamo noi in grado di stabilire ad est di quale punto vada
rintracciata questa stessa cerchia perimetrale? Se ci riuscisse
determinarlo, noi potremmo fermare i limiti della zona entro
cui dobbiamo cercare le mura.

Evidentemente, se per stabilire il primo limite, ci siamo
valsi di località indicateci suptus muros civitatis reatinae,
per fermare il secondo dobbiamo valerci di località poste
intro civitatem, e possibilmente vicine alle prime. Di indica-
zioni topografiche, che si riportino a luoghi entro la città,
ne abbiamo parecchie e svariatissime in tutti i documenti :
in gran copia ne troviamo nelle carte anteriori al mille, che
per noi rappresentano lo strato storico-topografico più impor-
tante e prezioso (1). Si tratta, in genere, di acquisti o ces-
sioni di ease ed altri fabbricati da parte del monastero far-
fense. Ma poiché, nella determinazione dei confini, si adottano
termini topografici per noi incomprensibili, e quindi di nes-
sun valore, non siamo al caso di valercene per determinare
la esatta ubicazione di questi fabbricati o la relazione con
Ja cerchia murale entro la quale si trovavano (2). Cosicchè,

(1) Reg. di Furra, II, 90; 107; 190; 243; 244. III, 17; 53; 156; 186; 189 ecc. ecc.

(2) Ne diamo qualche esempio: « Casam nostram quam habemus super muros
civitatis et turrem cum casa vetere ». Reg. di Farfa, II, 190. — « Unde recepi a vo-
bis ... de rebus iuris monasterii vestri quas habetis intus civitatem reatinam, in
loco ubi dicitur praetorius etc. » Reg. di Farfa, III, 76. — « Unde recepi ego ... res
iuris monasterii vestri quae sunt intra ipsam civitatem vel de foris ... Hoc est
ipsum casalicium ... positum de uno latere iuxta muros civitatis, de alio latere
iuxta terram quae fuit cujusdam Trasonis. In uno capite terra quae fuit cujusdam
Formosae et in alio capite iuxta plateas civitatis ». Reg. di Farfa, III, 53. In que-
st'ultimo passo nulla noi eomprendiamo della vera posizione di questo casalicio,
nonostante i numerosi dati topografici.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 315

la soluzione del problema avremmo potuto intravederla solo

incontrandoci nella menzione di qualche antico fabbricato,

che avesse conservata la sua ubicazione fino ai tempi sto-

rici: di qualche chiesa, ad esempio.

Orbene, in un atto di donazione dell'anno 192, con cui

tal Goderisio e tale Alda, di Rieti, offrono i loro beni a

Farfa, si ha menzione della chiesa di S. Giovenale: « Et

« portionem meam de aecclesia Sancti Iuvenalis intro Civi-

« latem cum dote sua de mea portione in integrum » (1).

Oggi, il titolo di S. Giovenale e S. Vincenzo, insieme, è
portato da una chiesa posta lungo Via Garibaldi, a destra di
chi viene da Porta d'Arce, sull'incrocio di detta strada con
Via S. Carlo. Però, la riunione dei due titoli è relativamente

recente, poichè risale alla metà del secolo XVIII: in tempi
anteriori questa chiesa ci appare sotto il solo titolo di S. Vin-
cenzo, come si desume dalla nota pianta del 1725 e dagli
scrittori locali, che di questa chiesa fanno menzione (2). Ed
il titolo di S. Giovenale, da quale chiesa era mai portato? La
citata pianta del 1725 — nel delineare l'isola del fabbricato,
in eui mette la chiesa di S. Vincenzo — pone, alla estremità
N.- W. della stessa isola, una chiesa di S. Giovenale. E poiché
le arterie stradali, grandi e piccole, di detta pianta corri-
spondono qui, come in genere altrove, alla distribuzione
odierna, il posto, assegnato a questa chiesa, corrisponderebbe
‘alla parte interna dell'angolo formato dalla Via dell’ Ospedale
e dalla Via Centuroni. Tale identificazione trova conferma e
nelle parole degli scrittori locali, anteriori al secolo XVIII,
| quali ci dicono che dietro la chiesa di S. Vincenzo, « dopo
alcune case è la Chiesa Parochiale di S. Giovenale, molto
divota e frequentata » (3); e nella persistenza del nome della

(1) Reg. di Farra, II, pag. 129.
(2) POMPEO ANGELOTTI così ne parla: « Alla destra (dell’attuale Via Garibaldi)
compare la Chiesa di S. Basilio della Religione di Malta e di S. Vincenzo ». Deserit-
tione ecc., pag. 50.
(3) P. ANGELOTTI, Descrittione ecc., pag. 50.
316 G. COLASANTI :

vecchia chiesa, nel punto in cui l' abbiamo detta situata. Non
può essere, adunque, dubbio alcuno su questo accertamento
topografico. Similmente, non è il caso di dubitare che la
chiesa di cui parliamo sia l'antichissima, dai nostri docu-
menti medievali continuamente citata (1). Orbene, se questa
chiesa di S. Giovenale dal riferito documento dell’anno 792
è detta « intro civitatem », vuol dire che la linea delle mura,
all’epoca del documento, va ricercata a settentrione e ad
oriente del sito di essa. E-poichè poco lontano da s. Giove-
nale, ad est, si trovava la chiesa di 5. Leopardo, che abbiamo
vista essere situata fuori della linea murale dell’ alto medievo,

cioè del tempo cui si riporta il documento riguardante S. Gio-

venale, è chiaro che noi abbiamo definiti i limiti entro i quali
occorre ricercare la linea del vecchio: perimetro. Il dato sto-
rico è quì in pieno accordo con il dato topografico poichè,
dopo il sito di S. Giovenale, il terreno lentamente declina:
comincia, cioè, il fianco dell'altura che a 5. Leopardo rag-
giunge il piano. Siamo in un terreno assai sintomatico e ca-
ratteristico per una linea murale, la quale — in quasi tutte
le città distribuite su di un’altura — tagliava di solito la di-
rezione più o meno scoscesa del pendio.

Tra la chiesa di S. Giovenale e quella di S. Leopardo,
in linea retta corrono un 80 metri: una maggior distanza con-
viene computare se si segue l'accidentalità del terreno. De
la chiesa di S. Leopardo, che era nel piano, si trovava fuori
della cerchia, non abbiamo ragione per ritenere che gli altri
punti li vicino, e posti anch'essi in un terreno eguale, aves-
sero una posizione diversa rispetto alle mura. Similmente :

(1) Tra le chiese urbane, elencate in una bolla di papa Anastasio IV a favore
della chiesa reatina, dell’anno 1153, si ha menzionata quella di S. Giovenale : « Ec-
clesiam sancti Iohannis ..., sancti Ruphi, sancti Iuvenalis ete. » ap. MICHAELI, Me-
morie Storiche ecc., II, pag. 206. Simile menzione incontriamo in una bolla di papa
Lucio II circa i confini della diocesi reatina, dell'anno 1182: tra le chiese urbane é
notata S. Giovenale: «... Ecclesiam S. Ioannis Evangelistae, S. Rufi, S. Iuvenalis,
S. Mariae etc. » ap. MIcHAELI, Memorie Storiche ecc., IT, pag. 271. REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 311

se la chiesa di S. Giovenale, posta su nell'alto poco prima
del declinare del colle, era dentro le mura, non abbiamo
ragione di dare una diversa assegnazione topografica agli
altri punti vicini, e posti anch'essi in un eguale terreno.
Quindi è che le conclusioni, raggiunte a proposito del terreno
posto tra S. Leopardo e S. Giovenale, possono estendersi an-
‘che ai punti vicini; e noi abbiamo così una zona larga un
80 metri (la distanza tra le due chiese riferite), la quale gira
per il fianco orientale del colle, e dentro i cui limiti va rin-
tracciata la linea perimetrale. Se noi non avessimo la pos-
sibilità di raggiungere qualcosa di più particolareggiato,
queste conclusioni ci offrirebbero certamente un dato per se
Stesso soddisfacente, e tale da ricompensare il nostro lavoro
di ricerca. Ma noi siamo in grado di fare ancora qualche
passo più avanti, e di giungere alla determinazione della
stessa linea perimetrale entro la zona stabilita.

In una estremità di quest'ultima, intorno al punto d’in-

erocio di Via Garibaldi con Via di Porta Conca — la tra-
dizione popolare ci conserva un nome di Porta Accarana
0 Carana, il quale — dato ad una località inclusa entro l'at-
tuale perimetro — non può assolutamente spiegarsi con le

odierne condizioni dell’ abitato, né con la linea della odierna
cerchia che si trova, lontano, verso oriente. L'idea di que-
Sta porta — contenuta nel citato documento toponomastico
— vien fuori da un altro documento dello stesso genere.
L'abitato, posto tra il sito in cui si localizza la Porta Ca-
rana e la Porta d'Arce, é detto dal popolo rione di Porta
Carana di fuori, cioè posto fuori Porta Carana; quello po-
Sto ad occidente del sito di Porta Carana, cioè da detto
punto nell'interno, verso l'alto, è detto rione di Porta Ca-
rana dentro, ossia dentro Porta Carana. Accanto a queste de-
nominazioni, esistono quelle — assolutamente identiche e pa-
rallele — di Porta Carceraria; Porta Accarana; Porta Car-
ceraria di fuori: Porta Accarana di fuori; Porta Carceraria
dentro; Porta Accarana dentro.

WT A in i AE n = E ni

Te
G. COLASANTI

Questi gruppi toponomastici tradizionali non sfuggirono
agli scrittori locali, i quali tuttavia. incorsero spesso in er
rori diversi quanto alla dichiarazione topografica ed etimo-
logica di essi. |

Prima dell aecenno datone dal Michaeli, il quale proba-
bilmente si era fondato su questo documento toponomastico
allorché parló di un' antica porta esistente in questo punto (1),
il Latini ne aveva così rilevata la esistenza: « Anche oggidi
« esiste la Contrada di Porta Carceraria dentro e Porta Car-
« Geraria fuori: ed è quel tratto di strada che giace fra
« la contrada di Porta Accarana e la Contrada di Porta
« d'Arci » (2). Ove, messo da parte l'errore di una iden-
tificazione della Porta Carceraria dentro nel punto in cui il
Latini malamente l’ha posta, facendola coincidere con la con-
trada di P. Carceraria fuori, la esistenza dei nomi (Porta
Accarana; Porta Carceraria fuori; Porta Carceraria dentro)
chiaramente appare. Senza qui fermarci agli scrittori che
non erano del posto, e probabilmente non dedussero da pro-
pria scienza ciò che registrarono (3) — Loreto Mattei co-
nosce anch'egli, nel sito a noi già noto, la orta Carana,

(1) « Da altro ponte nel tratto superiore del fiume si andava alla città pel sito,
ove in tempi posteriori fu la porta detta Interocrina ». MICHAELI, I, pag. 52.

(2) Memorie ecc., fasc. IV, cap. XVIII. SCHENARDI, Antiche Lapidiveatine ecc.,
pag. 84-85. )

(3) Il, VAN HETEREN rileva incidentalmente la « Porta Carceraria », ma aggiunge
xche essa era « detta pure porta Ss. Leonardi, porta d'Arci o degli Abbruzzi »! Bol-
let. cit., pag. 55. Per l'origine di questo errore vedi indietro, a proposito della 2«-
silica di S. Agata: — Il GUATTANI, Monumenti Sabini ecc., II, pay. 279, nota 4, conosce
una porta antica « d'onde é fama ch'entrasse (Ercole) trionfatore ed amplificatore delle
mura della Città e perciò detta anticamente Herculana, che oggi corrottamente chia-
masi Accarana ». Era « sotto la torre di S Basilio », op. cit., l. c., la quale chitsa si
trova presso il punto ove abbiamo identificato il nome di Porta Accarana. Altrove, il
Guattani nomina questa stessa porta; ci dice che « nella via urbica che conduce a
porta Accarana sta ancora in piedi una statua togata ecc. » op. cit., l.c. : è il Marmo-
Cibocco (una antica statua) che si trovava quasi ai piedi dell’ altura, lungo la Via
Garibaldi, cioé lungo la « via urbica » del Guattani. Porta Accarana stava quindi
più su; torniamo di nuovo nel sito solito. Le notizie del Guattani dipendono dallo
Schenardi, Antiche lapidi reatine ecc., pag. 84-86. REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA. ECC. 319

ove pone il primo ingresso della sua ipotetica cittadella (1), e
sotto la quale ci dice correre, nella sua estremità, ‘il Can-
taro, prima di gettarsi nel Velino (2). Pompeo Angelotti, nel
descrivere la via corrispondente all'attuale Via Garibaldi,
dopo menzionata la chiesa corrispondente alla odierna di
S. Giuseppe, salendo verso l'alto nota la contrada chiamata
Acarana, ove era situata una vecchia statua, detta Marmo-
Cibocco (3). La menzione di questa porta appare, infine, più che
mai esplicita nel Vittori, il quale parla senz’altro di una
Porta Accarana che si vedeva ancora ai suoi tempi (4).
Questa tradizione toponomastica, e sotto la forma Ca-

rana, Accarana, e sotto quella di Carceraria, risale — al di
là degli scrittori municipali — a tempi remoti. Un’antica

prescrizione, raccolta negli Statuti, ordina che uno dei luoghi
per il pubblico bando dovesse essere anche la Porta Carcera-
ria (D. Da un altro passo abbiamo cenno dell’abitato di
Porta Carceraria dentro e di Porta Carceraria fuori: tra i
buoni uomini, da scegliersi per Priores Civitat. Heat. ... de
qualibet porta, e due per porta cioè due per sestiere, allo
scopo di introdurre alcuni emendamenti nello Statuto, tro-
viamo « Ser Matteus Ludovici et Mannus Iacobi Liberati
« Por.Car. de intus : Antonius Iozi, et Matteus Martellonis Por.
« Car. foris » (6). E questa Porta Carceraria noi la seguiamo

(1) « Era il primo ingresso di questo recinto nella Torre ... detta Porta Carana
corrottamente, cioé Porta Hercolana ». Erario Reatino ecc., c. 85 e segg.

(2) « ... Si nasconde e coperto per tutta la strada di Porta Carana riesce a
S. Chiara dove ... se ne scorre ad unirsi finalmente col fiume Velino ». Erario Rea-
lino ecc., c. 91. Noi già conosciamo — ripensando all'antico aspetto del Cantaro —
quale era il suo corso coperto: corrispondeva precisamente al sito sotto il dosso
orientale dell'altura, dove abbiamo posta la Porta Accarana a cui il Mattei intende
riferirsi.

(3) Descrittione ecc., pag. 49.

(4) « Extat adhue Reati vetustissima Urbis porta quam Cives ... Accaranam
vocant » ms. cit., c. 115.

(5) « Et praedicti Praecones debeant bandire per loca consueta et. maxime ...
in Porta Carceraria etc. » Stat. di Rieti, I, 07.
(0) Stat. di Rieti, Additio I.
320 G. COLASANTI

su su attraverso i documenti della cattedrale reatina, fin verso
la metà del secolo XII (1). :

Mentre lo Statuto ed i documenti della cattedrale ac-
coglievano la forma dotta Carceraria, in documenti ad essi
contemporanei lo stesso nome entrava sotto una forma
che fin da ora noi possiam dire popolare e che, men-
tre da un lato richiama quella nota di Carceraria, si
mostra dall’ altro come l’ antecedente onomastico della
forma Carana, Accarana. Nel tante volte citato processo
della Inquisizione contro il Comune di Rieti, l' Inquisitore

— scomunicata la città — ordina il procedimento contro
i suoi magistrati. Tra i sei priori delle arti — corrispon-
denti ai sestieri della città (due per porta) — sono men-

zionati: « Angelutius Cistella de Porta Carcarana de foris,

Silvester d. Iannis de porta Carcarana intus ecc. » (2). Poi-

ché i rioni della città a quest' epoca erano sei, e degli altri
quattro noi. conosciamo sicuramente la posizione approssi-
mativa (3) a S., ad W. ed a N.-W. dell’abitato odierno (4), per
i due sestieri denominati dalla Porta Carcarana non resta
che l’abitato ad oriente ed a N.-E., ove proprio si estende la

‘zona che noi studiamo. E poichè, inoltre, la città allora —

(1) « Domus in Porta Carceraria » NAUDAEUS, Instauratio Tabularii etc., pa-
gina 34. « De uno casalitio, posito in porta Carceraria » ad ann. 1226, NAUDAEUS,

' pag. 13-14. « Instrumentum ... cujusdam domus, sitae in Porta Carceraria » ad ann.

1185, NAUDAEUS, pag. 3l. — « Casalicium unum, extra Portam Carcerariam » ad
ann. 1168, NAUDAEUS, pag. 33, ecc.

(2) Riportiamo il passo che serve nella discussione: « Sex Priores artium quo-
rum nomina sunt hec. Nardus not. Petri de Porta Romana desuper, Angelutius Ci-

‘stella de porta Carcarana de foris, Silvester d. Iannis de Porta Carcarana intus, Lau-

renzictus Berardi Laurentii de porta Romana desuctus, Ceo Stephani de porta Cenciola
de super » Bollett. cit., pag. 393; cfr. anche pag. 406, in cui l' Inquisitore pronuncia
Ia sentenza in contumacia contro gli stessi magistrati.

(3) Cioé di quelli di « Porta Romana desuper » e « desuctus »; « Porta Cezola
desuper » e « desuctus ».

(4) La esatta estensione delle denominazioni di questi rioni è quanto di più
complicato si possa immaginare. Però certi possiamo essere sulla loro determina-
zione topografica generale e — più che mai — sul loro riferimento originario alla
linea della antica cerchia, ove si aprivano le tre porte. Ma di ciò a suo tempo.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 321

come oggi — si estendeva fino alla Porta d'Arce, questi due
sestieri erano contenuti entro i limiti della cerchia odierna,
cioè entro i limiti orientali, meridionali e settentrionali della
nostra zona. Entro questi stessi limiti, noi conosciamo già i
due altri gruppi di denominazioni — Porta Accarana, Porta
Carana ; Porta Carceraria de foris, intus — indicanti un’ unica
cosa: e dei quali, anzi, quello di Porta Carana ci richiama
perfettamente il gruppo onomastico di Carcarana, con le sue
speciali determinazioni di fuori e dentro, di cui sembra quasi
la traduzione volgare. Data questa coincidenza; data la sin-
tomatica somiglianza fonetica che intercede tra Carana e
Carcarana; data soprattutto la impossibilità di pensare a
due diversi riferimenti topografici per questi gruppi di de-
nominazioni (1), la prima e logica conseguenza è che il
gruppo onomastico Carcarana, con le sue speciali determi-
nazioni di fuorî e dentro, debba coincidere con quello di
Porta Carana con le sue due speciali determinazioni di fuor
e dentro. La comune origine dei due nomi avvalora maggior-
mente questa coincidenza topografica.

Di questa comunanza etimologica nessuno aveva fino ad
ora sospettato o, per lo meno, nessuno ne aveva date tutte le
ragioni e le spiegazioni. Gli scrittori locali, i quali non eb-
bero una conoscenza esatta del problema topografico reatino,
di fronte alle varie denominazioni Carana, Accarana, Carce-

raria, non seppero come regolarsi, ed in genere si perdettero,

nelle solite elucubrazioni per cercarne l’ etimo. Il nome
Carceraria non poteva essere di dubbia origine, ed il suo
riferimento a delle carceri, esistenti in questa località, ap-
parve assai probabile a qualche autore municipale (2). Ma

(1) Non si dimentichi che siamo sempre sulla stessa zona.

(2) Dopo aver rilevato questo nome di « Porta Carceraria » con quegli errori
altrove notati, il Latini aggiunge : « sarà stata poi chiamata Carceraria dalle pub-
bliche Carceri che forse un dì esistevano in queste vicinanze » "Memorie ece., fa-
seicolo IV, cap. XVIII. Egli però non ebbe sentore di documento alcuno, riferentesi
à queste carceri.
322 G. COLASANTI

Carana ed Accarana ? Ci furono coloro che tentarono spiegare
queste voci risalendo ad un Herculana e pensando al culto del
dio Ercole, cui la porta sarebbe stata dedicata (1). Altri si
rifecero da un nome Interocreana, che in realtà noi troviamo
— in epoche antichissime — in questa località (2), ma che
non ha nulla a che vedere con Carana (3). Chi avanzò questa
ipotesi fu il Vittori (4), seguito al solito da altri scrittori locali.
Ed anche quando si incominciò ad esporre dei dubbi intorno
a queste strane asserzioni, si misero fuori però altre ipotesi
non meno inaccettabili e strane. Cosi il Latini — scartata come
inverosimile la derivazione da Herculana, e più credibile
ritenendo esser questo nome un termine corrotto d' Intero-
creana (5), si domanda se questa porta non potesse essere stata
così chiamata « dal Palazzo di qualche ragguardevole fa-
miglia posto nelle sue vicinanze » (6). E poichè in una
bolla di scomunica di Papa Urbano IV contro Manfredi
(bolla esistente nell'Archivio della Cattedrale) e contro al-
cuni signori suoi partigiani, si nominano i’ Dominos Roc-
cae Acarine (T), il Latini penserebbe ad un ravvicinamento
tra questi due nomi. Si affretta però a dichiarare che il suo
è un semplice sospetto, poichè occorrerebbe dimostrare che
« la famiglia Acarini non solo era della Diocesi di Rieti,
« ma che di più aveva il suo Palazzo in questa città nelle

(1) Di ciò meglio parleremo a proposito dei supposti resti di questo tempio

di Ercole.

(2) Vedi più avanti questi numerosi documenti.

(3) Anche di ciò vedi più avanti.

(4) Nel riferito passo, in cui parla di Porta Accarana, aggiunge la possibilità
di una derivazione di questo nome da Interocreana: « nos Herculanam aut Intero-
creanam putamus », ms. cit., c. 115.

(5) Memorie ecc., fasc. IV, cap. XVIII.

(6) Memorie ecc., fasc. cit., l. c.

(7) Il documento, cui il LarINI allude (Memorie ecc., fasc. IV, Cap. XVIII) é se-
gnalato dal NAUDAEUS (Instavratio etc., pag. 11) : « Bulla. Urbani IV qua Ioa'nem de
Marerio, Pandulphum de Alabro nec non Dominos Roccae Acarini, sententiae ex-
communicationis latae contra Manfredum ... et complices subiacere denuntiat ».
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 323

« vicinanze di S. Leopardo » (1). E si potrebbero aggiungere
altre difficoltà: come quella di far derivare il nome di una
porta da quello di un casato, quantunque nobile; e l’altra,
derivante dall’ assoluto silenzio, che tutte le fonti locali ser-
berebbero intorno a questa illustre famiglia.

Al di là di tutti questi ipotetici ravvicinamenti onoma-
stici, noi abbiamo dei documenti abbastanza chiari per la
esatta risoluzione del problema. Accertata, infatti, la con-
temporanea esistenza in una stessa località dei tre nomi di
Porta Carceraria, Porta Carcarana e Porta Carana o Accarana,
non è difficile andare, con un trapasso fonetico, dalla prima
forma all’ultima, attraverso la seconda. Le carceri, che do-
cumenti medievali ci dicono esistite presso la chiesa di
S. Leopardo (2), diedero il nome alla porta che era 1i presso.

Questo nome, mantenuto nella sua forma dotta presso lo Sta-

tuto ed altri documenti, sulla bocca popolare divenne, da
Carceraria, Carcerana, ridotta a Carcarana, per assimilazione
fonetica della e atona all'a tonica, che per di più costituisce
il suono predominante nella parola. L'aplologia produsse Ca-
rana da Carcarana, mentre le quotidiane alterazioni nella pro-

nuncia e nel dialetto diedero luogo alla forma — legger-
mente alterata — di Accarana (Porta Accarana da Porta a

Carana?; a dalla forma Porta Carana, pronunciata unita,
si generò Portaccarana indi Porta Accarana?). In tal modo,
come della forma Carceraria noi abbiamo seguito il filone
fin nel lontano medioevo, anche della forma Carana, Acca-
rana, rintracciamo le vestigia nel secolo XIV allorchè essa
era viva nell’ uso popolare.

Resta, inoltre, stabilito che questo gruppo onomastico,

(1 Memorie ecc., fasc. cit., l. c. ;
(2) Nel citato processo di Paolo Zoppo si ha « quod aliquando etiam existens
ad carceres S. Leopardi, accepit unam canem etc. » Bollett. cit., pag. 372. Il ricordo
di queste carceri perdurò anche nei tempi posteriori. Lo SCHENARDI, Antiche la-
pidi reatine ecc., pag. 18, parlando della epigrafe C. l. L. IX, 4077, nota che essa
« giacea fra le macerie presso le antiche carceri del Comune ».
324 G. COLASANTI

nelle sue varie forme (Carceraria, Carcarana, Carana, Acca-
rana) trae origine da circostanze del tutto locali, si riporta
cioè alla vita popolare della nostra città.

Per l'età anteriore, i documenti di Farfa ci parlano di
una Porta Interocrina, importantissima: menzioni numerosis-
sime, le quali dal tempo in cui già si mostrano formate le
denominazioni volgari precitate, risalgono su su fino al se-
colo VIII, nel cuore dell’ alto medioevo. In una carta del
finire del secolo XI, Enrico IV riconosceva, tra l'altro, a
Farfa « aliud molendinum in fundo intedocrino, quod mala
fide possident filii Burrelli suptus porta intedocrina » (1): e
da allora in dietro si incontrano, ad ogni piè sospinto, dei
riferimenti a questa porta reatina (2).

Di questa Porta Interocrina gli scrittori locali ebbero
una idea indeterminata o inesatta. Dopo il Vittori —- che,
pur spiegando il nome Accarana. con un antico Intero-
creana, (3) parve risalire alla primitiva denominazione, senza
peraltro aver conosciuti i relativi documenti, ma solo lavo-
rando sul nome esistente ancora al suo tempo — coloro che
seguirono, e che ebbero in qualche modo sentore del nome
medioevale (4), non seppero se rimanere nella identificazione
del Vittori, oppure porre questa porta lungo il fiume, a monte
dell'odierno passaggio, sopra un diruto ponte. Così, il Latini
fa buon viso alle parole del Vittori, che gli sembrano più

(1) Reg. di Farfa, V, pag. 83, ad ann. 1084; Cfr. GALLETTI, [Memorie ecc., pa-
gine 146 e segg.

(2) I passi del Reg. di Farfa, V, pag. 14, ad ann. 1073; IV, pag. 27, ad ann 1011;
III, pag. 186, ad ann. 1008; III, pag. 28, ad ann. 878; II, pag. 170, ad ann. 802-805 ;
II, pag. 128-129, ad ann. 792; V, pag. 215, ad ann. 791 ecc. li abbiamo già altrove ri-
portati. Altre menzioni, riferite però a località entro la cerchia ma sempre presso
la porta suddetta, abbiamo qua e là: « Intra civitatem reatinam ad portam inte-
rocrinam ». Reg. di Farfa, III, pag. 186-189, ad ann. 1008. — « Intus civitatem rea-
tinam prope portam Interocrinam ». Reg. di Farfa, III, 70, ad ann. 962, ecc. ecc.

(8) Cfr. ms cit., c. 115: il passo lo abbiamo già riportato.

(4) Per opera sopratutto del GatLETTI, Memorie di Tre chiese ecc., pag. 65;
146 e segg. TUE
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 925

credibili (1); e con lui è il Michaeli, pur nella sua indeter-
minatezza (2); mentre qualche altro non sa totalmente esclu-
dere la possibilità della seconda ubicazione (3).

Si tengano bene presenti i documenti altrove riferiti.
Il nome stesso Interocrina (da Interocrium); la località ad Arci,
che sarebbe stata fuori di questa porta; la posizione del Can-
taro, il quale dal documento farfense IV, pag. 27 ann. 1011
«si desume che scorreva fuori di questa porta, ci fan conclu-
dere anzitutto che la Porta Interocrina si trovava nella estre-
mità orientale dell'abitato cittadino vero e proprio.

Riflettendo ai passi riferentisi a’ mulini posti nel corso
del Cantaro, e richiamando alla memoria quanto in riguardo
abbiamo altrove detto, è facile dedurre che il nesso topo-
grafico, dai nostri documenti posto tra i mulini e la Porta
Interocrina, si risolve in sostanza in un nesso topografico tra
questa porta ed il corso del Cantaro: come in parte ab-
biamo già accennato. Se, allorchè questi documenti hanno
foris portam interocrinam, non è possibile farsi un concetto
sulla posizione di quest’ultima, poichè i mulini ed il Can-
taro sarebbero stati sempre fuori la porta, tanto supponendo
quest’ ultima li vicino, tanto supponendola più lontana; per
contrario, allorchè — sempre intorno ai mulini — si hanno

(1) L'A, propende a credere Accarana « piuttosto un termine corrotto d' Inte-
Tocreana », ms. cit., IV, XVIII.

(2) Il MicHaELI sa che da un ponte a monte dell'odierno si « andava alla città
pel sito, ove in tempi posteriori fu la porta detta Interocrina ». Memorie Storiche
‘ecc., I, 52: ma non aggiunge altro sul sito di essa.

(8) Richiesto da Niccolò Persichetti, il prof. F. Agamennone (autore di alcuni
« Brevi cenni sulla città di Rieti ecc. » già menzionati) rispondeva, sul sito della
P. Interocrina, così: « La Salaria usciva da Rieti dalla porta Interocrina, che era
sulla destra del fiume e che non era al certo l’ odierna porta d’ Arci. Alcuni vo-
gliono che la porta Interocrina fosse quasi testa del ponte sul Velino, che ora piü
non esiste ma che era parecchi metri sopra al ponte odierno.... Altri vogliono che
la Salaria percorresse nel bel mezzo della città e che la porta Interocrina fosse po-
sta nel punto stesso dove poi la si disse, nel medio evo, porta Carceraria; cioè al
declivio della Piazza Comunale al borgo Erculana corrotto poi in Accarana », ap. N.
PERSICHETTI, Viaggio Archeologico sulla Via Salaria nel Circondario di Cittaducale,
ecc., pag. 34, nota 1.
26 G. COLASANTI

dI

indicazioni di questo genere suptus portam interocrinam (R.
di F. II, 170; III, 186 ecc.) o ante portam interocrinam (R. di
PF. II, 128-129; IV, 121; V, 215 ecc. ecc), noi abbiamo de-
terminazioni sempre meno generiche e topograficamente piü

ristrette. La prima indicazione — poichè già conosciamo
il valore del suptus — ci fa rintracciare detta porta sopra

l'estremo corso del Cantaro; la seconda ce la indica di rim-
petto a quest ultimo. |

Dobbiamo più oltre tenerci lontano dall’ unica e lampante
conclusione, cioè dalla identificazione topografica di questa
Porta Interocrina nell’ unica grande porta ivi additataci da’
documenti medievali (P. Carceraria)? Non è neppure il
caso di esitare, anche perchè non è possibile ritenere la esi-
stenza di più porte in questa località. I documenti, che ci men-
zionano la Porta Interocrina, sono le carte farfensi, le quali
non fan mostra di conoscere altra denominazione: essi inoltre
risalgono fino all’ VIII secolo, allorquando la tradizione to-
ponomastica classica (che del resto visse ancora per molto)
era ancor verde nell'animo e nella mente di tutti. Noi cre-
diamo quindi — riconfermando, anche per questo caso, il va-
lore in cui teniamo i documenti toponomastici anteriori al
mille — di aver rintracciato per il nome della porta orien-
tale il filone classico, e di avere nel tempo stesso assolto il
primo nostro compito, che era quello di assodare la persi-
stenza e l'antichità della tradizione toponomastica intorno a
questa porta Carana. La sostituzione della primissima deno-
minazione, mediante il secondo gruppo onomastico protrat-
tosi fino ad oggi, è un fenomeno che si ricollega ad un altro
piü vasto e generale. |

Il.nome di Porta Interocrina, di fisonomia e di sapore
cosi classico, lo troviamo tra tutta una serie di altre denomi-
nazioni locali, le quali ci appaiono come il residuo di un. vec-
chio mondo che lentamente scompariva: gli è che, man mano
che noi ci avviciniamo al mille, la veste classica della no-
stra Italia sensibilmente e. completamente si cambia. Gli ele-
Rae

abi

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 327

menti della nuova vita, della nuova società e della nuova
cultura germogliano su di un terreno, che non è più il
sacro suolo calpestato e ricoperto dal turbinio delle inva-
sioni e dalla violenta convivenza di stirpi barbare e di-
verse. Dopo il mille, quando la fusione di questi elementi
fino allora cozzanti può dirsi compiuta, entro le vecchie città
murate cominciano gli albori della nuova vita cittadina: e,
con la vita borghese, si delineano nuove denominazioni, che
fan dimenticare quelle preesistenti. Tutto un complesso di
nomi, sbocciati daile consuetudini della vita locale.

Nel Comune reatino, che all'incirca verso questo tempo
si andava formando (1) vediamo apparire le prime iurande,
costituite tra gli abitanti intorno alle porte. A questi artieri
e piccoli commercianti, la porta orientale, intorno a cui abi-
tavano, più che nella forma classica, era nota nella volgare
denominazione, legata alla esistenza delle carceri: i loro se-
stieri presero anzi da essa il loro nome, e si dissero di
Porta Carcerana di fuori e di Porta Carcerana di dentro. En-
trati a far parte della vita politica del Comune, i sestieri
della città mantennero inalterati i loro nomi originari anche

quando ampliato l'abitato e scomparsa la vecchia cerchia
e, con essa, le vecchie porte — le antiche denominazioni

non avevano più alcuna ragione topografica di essere. Ri-
mase così annidato in questi residui onomastici il loro signi-
ficato originario, sussidio preziosissimo per risalire all’ antico
Stato di cose.

Nelle vicende del fabbricato, lo schema architettonico
della porta doveva certamente scomparire, e scomparve: ma
non siamo tuttavia al punto, che non si possa rilevare qual-
che sicuro documento del sito preciso ove essa si apriva.

Poichè abbiamo messa. in rilievo. la tenacia dei docu-
menti toponomastici riferentisi a questa porta, è naturale

(1) Bollett. di St. Patr. per UV. Umbria, anno VII, fasc. IIT, vol. VII: A. BELLUCCI,
Sulla Storia dell'antico Comune di Rieti, pag. 391 e segg.
in ipsa turre etc. » si ha nel Reg. di Farfa, III, pag. 189.

398 G. COLASANTI

che un primo dato sul sito di questa dovremmo averlo
nel punto ove le due denominazioni di Porta Carana fuori e
Porta Carana dentro si incontrano. Ma ognun vede quanto
dubbio affilamento possa dare da sola una simile prova, de-
sunta da nomi, i quali, se conservano la sostanza, non pos-
sono a rigore testimoniare esaurientemente per questioni
così particolari. Onde la necessità di provvederci di altre
documentazioni.

Gli scrittori locali parlano qua e là di una vecchia co-
struzione a mo’ di torre, esistente nel sito di Porta Carana.

Già il Guattani aveva fatto cenno di una forre di S. Ba-
silio (1) nella contrada Accarana (2) in pieno accordo con
il Mattei, che ai suoi tempi potè parlare della « Torre già
fortissima, hoggi smantellata, detta Porta Carana » (3). In
questo sito una torre ci è indicata da un remoto documento
farfense dell’anno 1008, in cui si accenna ad un placito te-
nuto « intra civitatem reatinam ad portam interocrinam in
ipsa turre (4) » e da qualche altro documento dello stesso
genere (5).

Il dato archeologico integra perfettamente questi docu-
menti di carattere storico.

Nel sito, a cui ad un dipresso accenna riferirsi il dato
toponomastico con il punto di divisione dei nomi dei due
sestieri cittadini, poco sopra l'incrocio di Via Garibaldi con
Via di Porta Conca, già una prima ispezione esterna ci aveva
mostrati dei grossi blocchi parallelepipedi, non sopraffatti
completamente dal fabbricato moderno. Spronati da legit-
timo sospetto, proseguimmo la indagine e, nella corrispon-

(1) Monumenti Sabini ecc. II, 279 nota 4. La Chiesa di S. Basilio si trovava li
presso. Vedi indietro.

(2) Idem.

(3) Erario Reatino ecc., c. 85 e segg. ì

(4) Reg. di Farfa, III, pag. 186. Cfr. GALLETTI, Memorie ecc. pag. 120 e segg.

(5) La stessa indicazione « intra civitatem reatinam ad portam interocrinam

I IAT PITT 0
. dente parte interna dello stabile, di proprietà della signora

RÉATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 329

fossi, verificammo la esistenza di una costruzione quadran-
golare di circa metri 8,00 di lato, formata di blocchi aventi
le dimensioni degli altri già altrove notati. Non ostante qual-
che insignificante rifacimento posteriore, fu facile persua-
derci di aver che fare con la parte inferiore di una torre
di cinta. Lo schema architettonico della base è stato sinto-
maticamente mantenuto anche nel rifacimento posteriore:
la nuova costruzione, dovendo sovrapporsi a quella demo-

lita, ne segui necessariamente la linea delle fondamenta e.

dei ruderi non del tutto caduti, e ne risultò un fabbricato a
torre quadrata. La posizione topografica e l'aspetto di que-
sto materiale architettonico non permettono di esitare circa
la identificazione di questi residui con la vecchia torre di
Porta Carana, dai documenti locali largamente citata. Di
simili torri di difesa sulle porte, noi ne incontreremo lungo
l’antica cinta, come ne incontriamo lungo la cinta che venne
a sostituire l’altra: gli è che erano consigliate da una im-

pellente necessità.

Dopo ció, e dopo la identificazione di questi residui ar-
chitettonici, noi abbiamo, si puó dire, raggiunta anche la
identificazione topografica della Porta Carana o Interocrina,
alla cui guardia si ergeva il torrione. Ma in qual punto pre-
cisamente la porta si trovava? A nord o a sud del torrione?
Se abbiamo bene interpretate le parole del Vittori, tracce
di essa dovevano vedersi nel secolo XVI (1); ma il nostro
autore non si dilunga troppo in particolari topografici. Ri-
spetto alla posizione de la vecchia torre, la distribuzione del-
l'abitato oggi è tale, che a sud di essa sale, rasentando i
residui della costruzione, la Via Garibaldi; mentre nell’ op-
posto lato settentrionale della torre stessa l'abitato, più o
meno interrotto da spazi messi a giardino, non ha però alcuna

(1) È il noto passo: « extat ad huc Reati vetustissima Urbis porta quam Ci-:

Ves ... ACcaranam vocant » ms. cit., c. 115.

22
330 * G. COLASANTI

via di comunicazione tra il basso e l'alto, né serba tracce di
comunicazioni scomparse, per buon tratto fino alla chiesa di
S. Giovanni di Dio. :

Se si considera che lo stato attuale,in questo punto, ri-
sale ad epoche lontane, non conoscendo noi uno schema
stradale che inverta o che in qualche modo alteri quello
odierno, non si stenterà a concludere che il posto della porta
debba esser ricercato lungo la Via Garibaldi, che fin nel
medioevo ci appare come la importante arteria di comuni-
cazione lungo il dosso orientale dell'altura.

Con la determinazione topografica della Porta Accarana
o Interocrina, noi abbiamo anche accertata la linea murale,
in cui questa porta si apriva: la vecchia cerchia in questo
tratto si stendeva, adunque, lungo i fianchi del colle, se-
guendoli naturalmente anche verso nord e nord-ovest. Im-
mediatamente vicino alla torre non ci è stato dato di rin-
venire delle tracce perimetrali, che però sono evidenti più
su, di fronte quasi alla chiesa di S. Giovanni di Dio: consi-
stono in un tratto murale, a cui è addossata una costruzione
a forma di torre. Il tratto murale, distribuito lungo i dossi
dell'altura da S.-E. verso N.-W., offre circa m. 2,830 di lun-
ghezza per circa m. 3,50 di altezza, e nel suo mezzo è pra-
ticata una porta di costruzione posteriore. La costruzione a
forma di torrione appare con materiale antico soltanto nella
sua parte inferiore, ed è visibile solo nel suo lato occiden-
tale, negli altri punti essendo coperta da fabbricati recenti.
Il lato visibile mostra una lunghezza di circa metri 6,00 e
mantiene il materiale antico per circa metri 3,50 di altezza:
nel suo mezzo si nota una porta rettangolare. Internamente,
si conserva la forma quadrangolare con residui di vecchio
materiale, che appaiono qua e là Tutto Il fabbricato è di
proprietà della famiglia del fu Luigi Olivetti. Sempre sulla
stessa linea di questi ultimi residui architettonici, ma più
verso occidente, sotto le cantine dell’ Ospedale cittadino,
e nel punto in cui l’abbiamo delineato sulla pianta, si osserva
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 931

un tratto murale, di grossi blocchi parallelepipedi. Misura
metri 12,00 di lunghezza per circa metri 450 di altezza;
è disposto da oriente ad occidente e mostra qua e là dei
piccoli rifacimenti posteriori. Dietro questo primo tratto,
circa metri 5,00 più dentro, ed al livello di circa mezza al-
tezza del tratto descritto, abbiamo osservati alcuni blocchi
antichi, spersi e sopraffatti dalla costruzione posteriore, ma |
che van forse considerati come miseri avanzi di un tratto | |
murale scomparso. Tanto più che sulla loro continuazione,
più verso ovest e sempre nei sotterranei dell’ Ospedale, si

osserva un altro tratto di forte costruzione, della lunghezza “nl

di metri 3,40 per metri 3,00 di altezza: esso mostra tracce i di

di rifacimento posteriore.

Osservando bene la distribuzione planimetrica di questi
tratti murali, vien fatto di vedere le tracce di uno schema
di costruzione che richiama quella di fronte alla chiesa di
5. Giovanni di Dio. La linea posteriore ci si mostra per la
linea murale, a cui era forse appoggiato un torrione del quale
non resta che il lato anteriore: i m. 5,00 di distanza tra
i due tratti non differiscono molto dallo spessore dell’ altro
torrione già esaminato. Questa nostra intuizione, oltre che
da tali riscontri, può essere suffragata anche dal criterio i dual:

{
analogico: poichè, di quando in quando, lungo l'antica cer- | il
. Ghia, noi incontreremo costruzioni simili, in parte mantenute | I!
ed in parte scomparse. LM

Tutte le costruzioni fin qui notate (la torre di Porta. Ca-
rana; il tratto avanti la chiesa di S. Giovanni di Dio; i
tratti sotto l'Ospedale) risultano di un materiale identico

per qualità, per forma e per dimensioni: sono cioè blocchi i
in calcare vivo, parallelepipedi e squadrati, di lunghezza li

varia (m. 0.90, 1.20, 1.30, nei tratti sotto l' Ospedale fino a
m. 1.90) ma di altezza quasi costante (m. 0.60).

Questo materiale, cosi caratteristico per le mura di cinta
delle nostre città, in quale precisarelazione topografica si trova
con la linea delle mura reatine dell'alto medioevo? Coinci-
399 G. COLASANTI

dono esattamente le due linee? O qualche piccolo divario
esiste ? A prima vista, una risposta affermativa alla prima
domanda ci sarebbe poco consigliata, e dalle notizie che ab-
biamo intorno alle continue peripezie, tra cui l’abitato cit-
tadino fu più di una volta pressochè distrutto (1); e dalla
mancanza di peculiari documenti sulle vicende della vec-
chia cinta, nella cui parte presumibilmente conservata —
anzi — tutta una serie di indizi manifesta rifacimenti po-
steriori (porte aperte nelle pareti murali; blocchi aventi
qualche breve iscrizione capoversa, come nella torre, avanti
la chiesa di S. Giovanni di Dio, ove si legge, rovesciato,
€. CALVIVS (2) ecc.).

Ma se si considera, tra l’altro, che senza ritenere una vera
e propria coincidenza tra i resti rilevati e la vecchia cerchia,
il mantenimento, entro l’abitato odierno, delle costruzioni a
torri (che evidentemente furono riedificate sui tradizionali
schemi preesistenti) difficilmente si spiegherebbe, tale coin-
cidenza finisce con il raccomandarsi, direi quasi con l’ im-
porsi da sè. Coincidenza, beninteso, topografica, e che esclude,
a nostro credere, la continuità della vecchia costruzione. In
ogni modo, poichè — accertata la ubicazione della Porta
Interocrina — la linea murale deve esser condotta presumi-
bilmente per un terreno sempre adatto, cioè lungo i fianchi
del colle ed entro la zona fin da principio determinata, il
divario, se lo si vuole ammettere, non può essere che di
qualche metro.

(1) Le relative notizie sono raccolte presso il GALLETTI, Memorie ecc., pag. 126;
e si riferiscono a vari anni, 1148; 1201; 1227; 1356 ecc. Il MicHAELI, II, 172 racconta
che Ruggero I, presa Rieti, « volle distrutta la città, facendovi appiccar fuoco da
ogni parte »; cfr. DESANCTIS, pag. 111. Un altro documento, dal Michaeli raccolto,
parlando del terremoto del 1298 dice: « In eodem tempore fuerunt terraemotus per-
maximi apud Reatem ... et multas turres Civitatis ruere fecit » III, pag. 60, nota 2,
ove si direbbe proprio della rovina delle vecchie mura di cinta. Cfr. anche Mon.
Germ. Hist., SS. XIX, pag. 267-268.
(2) C. I. L. IX, 4710.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC.

5tabiliti ed accertati così i vari residui dell'antica linea pe-
rimetrale, un tratto di penna, che dal punto della Porta In-
terocrina vada — sempre seguendo il fianco del colle —
per i resti esaminati avanti la chiesa di S. Giovanni di Dio
e sotto l'Ospedale, dovrà darci ad un dipresso la linea pe-
rimetrale quale essa era poco dopo il mille. Oltre l’ Ospedale,
cioè verso ovest, resti perimetrali veri e propri non esi-
stono, tranne blocchi sporadici dispersi per i giardini fuori

del loro posto originario. Ma una costruzione moderna a mo’

di torre, che appare nel fabbricato del palazzo dei signori
Stoli, e che la costruzione posteriore non è riuscita comple-
tamente a cancellare, ci indica la continuazione della linea
murale da questa parte: tanto più che, oltre ad essere sem-
pre nel fianco del colle, ci troviamo sulla continuazione oc-
eidentale della linea perimetrale già determinata fino al-
l’ Ospedale.

L'areo di circolo, che in tal maniera la vecchia linea
murale descriveva dalla. Via Garibaldi all’ angolo S.- E. di
Piazza del Leone, presso il monastero di S. Paolo, trova una

eorrispondenza nella antica strada interna — cioè l'attuale
Via Centuroni — che, seguendo la linea murale, ne ripro-

duce l'andamento in questo tratto.

999
G. COLASANTI

afo ate


Avanzandoci ora verso occidente, passiamo a rintrac-
ciare l'antica linea perimetrale nella seconda zona in cui
| abbiamo diviso l'abitato; limitata cioè a settentrione e ad
ili W. dalla odierna cerchia, a partire dalla stazione ferroviaria
2M Si fino al corso del Velino, sotto S. Domenico; a sud, dalla
| | linea di questo fiume fino al Palazzo di Giustizia, indi dalla
Il i Via Cintia fino alla Piazza Vittorio Emanuele; ad est, dal
i limite occidentale della prima zona già studiata.
| | | : In questo spazio, di forma rozzamente rettangolare, lungo

| circa m. 680 per m. 250 di larghezza, la configurazione del ter-
28 reno — che si lascia facilmente rilevare facendo astrazione
JI dall'abitato — richiama l'aspetto topografico della prima
Il : zona, salvo, beninteso, alcuni divari altimetrici. Dall'alto di
i| il Piazza Vittorio Emanuele si scende, piuttosto ripidamente,
| verso Piazza del Leone e lungo la Via Pennina, ove l'abi-

——— -——-

tato non é riuscito a dissimulare la natura scoscesa del ter-
reno; più dolcemente si procede verso la estremità occiden-

ill tale, lungo la Via Cintia, ove l'antica scabrosità, del colle
MI il fu eliminata per le esigenze della viabilità. Seguendo il pro-

| | filo di quest'ultima via, la quota altimetrica, che a Piazza
IE Vittorio Emanuele è di m. 406,85, scende a m. 401,25 sotto
ul . l Arco del Vescovo; a m. 397,06 sotto casa Ciaramelletti ed a
| m. 392,08 a Porta Cintia, estremo limite dell'abitato.

Salvo piccoli divari, quasi allo stesso livello della Porta
| Cintia si trova tutta la zona posta ai piedi dell'altura cen-
il trale, tra questa e le mura. Così, dalla porta suddetta si va
l- ii nel punto in cui Via S. Agnese s'incrocia con Via Cintia, ove
| | Si ha una quota di m. 394,20, e di li a Piazza del Leone
——

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 335

ove si ha una quota di m. 394,61. Questo aspetto del ter-
reno — se si eccettuano piccole modificazioni qua e là intro-
dotte (lungo Via Cintia, per esempio) — corrisponde in ge-
nere à quello dei tempi anteriori.

In questa zona l'abitato è oggi variamente distribuito.
Il suo maggior nucleo si trova nell'alto, lungo cioè la Via
Cintia; lungo questa stessa strada fino alla porta omonima;
e finalmente nel basso quasi presso la cinta murale. Per
contrario, lungo il fianco dell’ altura, e quasi ovunque ai
piedi delle mura prevalgono spazi disabitati, la cui esten-
sione — nelle altre parti limitata — diviene maggiore nella
estremità occidentale, intorno a S. Domenico.

Le arterie stradali, in cui è distribuito l’ abitato di que-
sta zona, richiamano — nella loro linea generale — lo schema
stradale della prima. Anche qui, infatti, a nord dell’ arteria
principale (rappresentata dalla Via Cintia) si aprono, in tre
lunghe linee rette, le arterie secondarie, unite — nella loro
estremità occidentale — dalla continuazione della Via Cintia.

Nella Piazza Vittorio Emanuele e lungo Via Cintia si tro-
vano i più importanti fabbricati, tra cui spiccano per impor-
tanza storica — il Palazzo Municipale, lY antica chiesa di
S. Giovanni in Statua, il Duomo con l’ Episcopio, la chiesa di
S. Giovanni Battista. Verso Porta Cintia, a destra, si nota la vec-
chia chiesa di S. Donato; a sinistra, l'antico convento — oggi
abbandonato — di S. Domenico: tutta la strada raggiunge
uno sviluppo di circa m. 500.

Ai piedi dell’ altura, a nord del primo tratto di Via Cintia,
si trova Via di S. Agnese che dall'incrocio con la Via Cintia
va ad oriente fino al Seminario, presso Piazza del Leone, per
una lunghezza di circa 360 metri. Lungo essa, quasi a metà,
si trova la chiesa di Sant'Agnese con il suo storico monastero.

Oltre questa strada, verso settentrione, si apre la via
Terenzio Varrone, che può dirsi la migliore strada dell abitato
posto nel piano e tra le più cospicve della città. Note-

voli sono i fabbricati che la fiancheggiano, tra cui merita

E AEREA


336 i G. COLASANTI

menzione l'antica chiesa di S. Scolastica, con l annesso mo-
nastero, oggi abbandonato, a destra di chi va verso Piazza
del Leone, ove la detta strada ha termine dopo aver per-
corso circa 400 metri dal punto d'inerocio con la Via
Cintia. Questa Piazza del Leone costituisce la più grande
largura entro l’abitato, dopo la Piazza Cavour nel Borgo: è
un grande spazio quadrilatero di 80 metri di lato, ridotto in
gran parte a pubblico giardino, e fiancheggiato da fabbri-
cati assai importanti, come il Seminario ad W. e il mona-
stero di S. Paolo nell'angolo S.-E. Nel lato meridionale la
piazza comunica, per due vie, con l'alto: mediante una strada
con forte pendenza, lungo la quale si osserva più di un re-
sto delle antiche costruzioni a blocchi parallelepipedi (Via
della Pescheria) e mediante una strada sostenuta da una
specie di rampa, di recente costruita a S.-E.

A settentrione della linea Via Terenzio Varrone-Piazza
del Leone, l'abitato si fa ad un tratto assai povero, conti-
nuando così una condizione di cose dal Latini rilevata circ:
un secolo fa (1): esso è distribuito lungo le due vie, di
Mezzo e di S. Liberatore, senza offrire nulla di molto notevole.
Lo sviluppo di queste due vie parallele — che, dall' incontro
con Via Cintia ad W., arrivano a Piazza Umberto I, che
le limita ad E. — è di circa metri 460, La via di S. Libe-
ratore, lungo e presso le mura, non ha quasi abitato: da que-
sto lato è notevole solo la chiesa di S. Liberatore, da cui la
strada derivò il nome.

Proprio di fronte a questa chiesa termina la Via Pen-
nina che, dalla Piazza Vittorio Emanuele, per i declivi ripidi
del colle giunge al piano, ove taglia Via S. Agnese, Via Te-
renzio Varrone e Via di Mezzo, sboccando in Via S. Libera-
tore. La sua linea é parallela a quella della estremità infe-
riore della Via Cintia e raggiunge circa i 250 metri.

(1) « Il fabbricato ... della via di Mezzo e di S. Liberatore da Porta Cintia a
Porta Conca, è assai meschino ece. » Memorie ecc., fasc. II, cap. XIII.
MÀ pure cm]

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 991

Lungo la linea murale, che limita questo moderno abi-
tato e che solo qua e là mantiene misere tracce della vec-
chia costruzione, si ha una sola porta, la Porta Cintia,
accanto alla quale nei tempi passati altre minori ne esiste-
yano, oggi chiuse o completamenle scomparse.

— Porta Cintia si apre all'estremità della via omonima e
— a differenza delle altre porte già descritte — ha perduto
il suo vecchio aspetto; poichè nel rifacimento odierno, di-
visa in due l’antica apertura, è risultato un ingresso fian-
cheggiato da costruzioni a torre. Questa porta ha notevole
importanza nei documenti medievali. Menzionata in non
poche carte segnalateci nell’ Archivio della Cattedrale rea-
tina (1), essa ci appare, negli Statuti, vigilata da portonar?i eletti
dai Priori della città (2). Indicataci nel sito stesso dai nostri
documenti cartografici del cinquecento, del seicento e del
settecento (3), ad ogni piè sospinto essa trova menzione presso
gli scrittori locali, che a lungo disputarono circa la origine

(1) In documenti del secolo XIV si parla di domos positas in Civitate Reatina,
in Contrada Pontis, seu Portae Zinzulae. NAUDAEUS, Instauratio etc., pag. 63. Altre
menzioni si riferiscono ad un tempo posteriore (sec. XV): « emptio domus sitae in
Porta Cinthia etc. » NAUDAEUS, Istauratio etc., pag. 58.

(2) « Ad Portam vero .. Cinzolae deputentur (Portonarii) per dominos Priores
ete. » Stat. di Rieti, I, 135. Altrove (IIII, 33) si ha: « Item faciat reparare viam a
Porta Giunciula etc. ». — Circa la identità topografica della porta odierna con quella
menzionata da questi documenti non è neppure il caso di dubitare. Il nome della
Porta ci appare, nei documenti, sotto forme diverse (Zinzula, Cinciula, Cinthia ecc.) s
ciò fece sì che qualche scrittore locale — pur sospettando che in fondo si dovesse
trattare di un'unica porta — credesse tuttavia alla possibilità di riferire queste de-
nominazioni a porte diverse: « Sarei di opinione — scrive il Latini — che la Porta
Cinzola fosse lo stesso che Porta Cinthia, chiamata Cinzola con termine corrotto. ...
Ma io non azzardo come certa questa mia congettura perché nello stesso Municipale
Statuto (I, 75) si nomina espressamente Porta Cintia, Portae Cintiae de suptus: lo
che impedisce di confondere Porta Cintia con Porta Zinzola ». Memorie eco., fasc. IV,
eap. XVIII. Ma, all'infuori di questa ipotetica prova — fondata sulla ignoranza dei
documenti, che ci offrono le varie forme del nome in questione — il nostro autore,
non adduce altra documentazione di quanto dice.

(3) Nella tela della prima metà del sec. XVI é indicata — nel sito odierno —
P. Cintia. Il Piccolpasso, nella pianta planimetrica, ha P. Cencia : e P. Cintia tro-
viamo di nuovo sia nello schizzo planimetrico del Mattei, che nella Pianta del 1725.
338 G. COLASANTI

del suo nome (1), e che ne posero in rilievo la notorietà e
l’importanza.

Accanto alla Porta Cintia, tra essa ed il fiume, il rife-
rito passo dello Statuto (III 31) pone una porta Sancti Apo-
stoli (2), la cui denominazione va evidentemente congiunta
alla chiesa di S. Apostoli, sita presso S. Domenico. Data la
scarsezza del caseggiato in questa estremità occidentale, e
data la mancanza di un nucleo abitato fuori. le mura da
questa parte, una porta sola, nel tratto da Porta Cintia al
fiume, appare più che sufficiente alle esigenze del transito.
Quindi nella menzione, che altrove lo Statuto fa di una
Porta veteris sanctae Agnetis (3) — la quale si trovava nel
tratto murale al di l@ di S. Domenico, ed era così detta
perchè guardava l'antico monastero di S. Agnese, li di fronte,
presso l'odierno ponte ferroviario — noi siamo inclini a
vedere la stessa porta Sancti Apostoli, sotto nome diverso.

Il sito di questa porta?

Notiamo, anzitutto, che da nessuno dei passi citati è pos-
sibile tirar fuori.una qualsiasi indicazione men che generica.
Se, infatti, una porta poteva prender nome dalla chiesa di
5. Apostoli pur trovandosi in un punto qualsiasi del tratto
murale che lì presso era, d’altra parte il trovarsi la chiese
di S. Domenico cra, cioè al di qua, cioè dentro questa
porta, non costituisce una indicazione più esatta e meno in-
determinata della prima. Nè più ci lascia desumere il nome

(1) VITTORI, ms. cit., c. 100; 116; 121 ece.; ANGELOTTI, Descrittione ecc., pag. 45;
90 ecc.; MATTEI, Erario ecc., c. 64; 80-82 ecc.; LATINI, Memorie ecc., IV, XVIII ecc. ;
GUATTANI, Monumenti Sabini ecc., II, pag. 279 e segg.

(2) —« ... et abinde usque ad portam Cyn: et usque ad portam Sancti A postoli
‘et deinde usque ad flumen » (III, 31).

(3) —« Et nullus debeat facere aliquam sozuram vel stercora a Porta veteris
Sanctae Agnetis citra versus Ecclesiam saneti Dominici (IIIIT, 21). S. Domenico era
citra, cioè a sud o ad est di essa, considerando la linea del tratto murale. Questa
porta fu nota anche al Latini (Memorie ecc. fasc. IV, cap. XVIII e XX).
TTT t emm mn renes m

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 339

dela porta, riferito all'antico convento di S. Agnese: poiché
esso è egualmente spiegato sia ponendo la prima proprio di
fronte al sito del convento, sia ponendola in un punto qual-
siasi di questo tratto murale che prospettava il monastero in
parola. La ispezione delle mura, dal canto suo, non ci fa
uscire da questa indeterminatezza, poiché, in questo tratto,
si conserva solo qualche misera traccia della costruzione
medioevale nel torrione d'angolo a nord-ovest, ed in quello
presso il fiume. È superfluo aggiungere che i nostri docu-
menti cartografici, anche i più antichi, né negli schemi pla-
nimetrici né nei disegni prospettici ci han lasciata indica-
zione veruna di questa porta.

Ad est di Porta Cintia, tra essa e Porta Conca, lo Sta-
tuto pone una porta Domini Tomassii Celani ed una porta

Leporaria.
Cominciamo da questa seconda, la quale — seguendo
l'ordine dello Statuto — doveva trovarsi ad est della prima

e tra essa e P. Conca. Con il nome di Leporara oggi si indica
volgarmente una zona, indeterminatamente posta fuori del
tratto murale a nord, nei pressi della stazione ferroviaria.
Conosce questa denominazione anche il Latini che, dopo aver
rilevato come « il terreno che giace presso le mura della
città da Porta d’ Arci a Porta' Conca e Porta Cintia è tutto
irrigabile e perciò ubertosissimo », aggiunge che « un buon
tratto di questa fortunata contrada chiamasi popolarmente
Le Poraria » (1). Questo nome vien fuori, in età remote, da
aleune carte segnalateci nell' Archivio della Cattedrale rea-
tina, ove abbiamo menzione di una contrada detta Leporaria
o Pararia, sita proprio in questo punto settentrionale (2).
(1) Memorie ecc., fasc.. IV, cap. XX: La notizia si ha anche presso lo SCHENARDI,
Antiche lapidi ecc., pag. 86, not. 1.

(2) « Tres donationes anni 1159, in Quarum prima Berardus concedit Episcopo
possessiones quas habebat in Leporaria » NaAUDAEUS, Mmstauratio etc., pag. 99. —
« Tertia est trium iunctarum terrae ad Parariam iuxta Cantarum etc. » NAUDAEUS,

Instawratio etc., pag. 39. La indicazione ivata Cantarum ci riporta allo stesso rife-
rimento topografico che del nome Leporara il Latini faceva al suo tempo.
G. COLASANTI

Seguendo tali indicazioni onomastiche, ed investigando
il tratto murale restato ancora ad W. di Porta Conca, si
nota — nel limite N.- W. della Piazza Umberto I, proprio
dove la cerchia ricomincia, dopo la interruzione — una vec-
chia porta murata. I suoi contorni e la parete in cui essa
si apre appartengono alla costruzione medioevale : le sue di-
mensioni sono di circa m. 2.50 per 3.00. La località, in cui
questa porta si trova; il non avere oggi alcun’ altra traccia
di una porta nei pressi di Porta Conca, e la distanza quasi
eguale di questo punto dalla Porta Conca e da un'altra porta,
che presto vedremo ad occidente verso la Porta Cintia, ci
raccomandano la identificazione della Porta Leporaria dello
Statuto: le sue modeste dimensioni corrispondono, in tutto,
al carattere secondario che i nostri documenti le danno.

Piü intrieato — non peró tale da impedire di arrivare
ad una soluzione soddisfacente — è il problema intorno al

sito della porta Domini Tomassii Celani, dallo Statuto .po-
sta tra la Porta Leporaria e la Porta Cintia: qui la natura
della denominazione, che ron ha lasciata di sé traccia al-
cuna nella tradizione locale, non offre veruna indicazione.
Poiché la riferita prescrizione dello Statuto menziona anche
le porte di pochissima entità (la /ortella S. Leonardi;
la Porta Cordalis e la Porta Leporaria), noi — facendo anche
conto della natura stessa della prescrizione — possiamo ri-
tenere che nel citato passo abbiano trovato posto tutte e sin-
gole le porte della cerchia cittadina: e che, quindi, tra la Porta
Leporaria e la Porta Cintia non doveva esistere, al tempo
dello Statuto, che la sola porta di cui si fa menzione. Ora,
se in questo tratto noi troviamo le tracce visibilissime di
una porta, in seguito — come le altre secondarie — murata;
che, come queste ultime, mostra evidenti vestigia della co-
struzione medievale; che offre ad un dipresso le dimensioni
stesse delle altre porte secondarie e che, infine, si trova ad
una certa distanza dalle due altre laterali, possiamo facil-
mente sottrarci ad un ravvicinamento tra questa porta e
|
|
|
È
[
|
i

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 941

quella dallo Statuto indicataci? La nostra idea si è che tale
ravvicinamento si imponga. Dalla parte esterna delle mura,
dietro la chiesa di ,S. Liberatore, a circa 260 metri da Porta
Cintia e a metri 180 da Porta Leporaria, si vede una vecchia
porta murata, delle dimensioni di circa m. 2.50 per m. 3.00: si
apre in un torrione, che mostra evidenti residui dell'antica
costruzione.

Entro questo perimetro, la distribuzione dell'abitato nei

tempi andati non offre divario notevole di fronte allo stato

presente. Come oggi, nella Pianta topografica del 1125 l'ar-
teria principale ci è mostrata nella Via Cintia, accanto alla
quale si notano le piazze corrispondenti alle attuali Piazza
Vittorio Emanuele e Piazza del Duomo. Ai loro fianchi sono
aggruppati e distribuiti i fabbricati più notevoli: la chiesa
di San Giovanni in Statua ; una chiesa della Trinità, ove oggi
trovasi l’ edificio del Ginnasio - liceo M. 7. Varrone; il Duomo,
con l'annessa chiesa di S. Giovanni Battista' e col vescovato.
Dopo il quale, sempre a sinistra, andando per la Via Cintia
verso la porta omonima, non son notati che due fabbricati
privati, mentre nel lato destro — dopo alcuni palazzi — ve-
diamo menzionata la chiesa di S. Donato.

Dall’ alto. scendono, lungo i declivi del colle, le comuni-
cazioni con il basso, in tutto corrispondenti alle odierne
(Via della Pescheria; Via Pennina; Vicolo Severi): lungo Via
Pennina, nel punto d'incrocio con Via dei Macelli Vecchi, è

notata una chiesa — oggi abbandonata — di S. Giacomo ;
ed un’altra chiesa, pure scomparsa — La Confraternità —

è posta a lato della stessa via, sull’incrocio con Via Terenzio
Varrone.

Le tre vie poste nel basso corrispondono, in tutto, a
quelle odierne già menzionate, e lungo esse si notano gli
stessi fabbricati già altrove descritti, salvo quelli che — come
dianzi si è detto — sono oggi scomparsi.

Circa un secolo prima, Pompeo Angelotti ci lasciava una
particolareggiata descrizione di questo abitato: noi, seguendo
342 G. COLASANTI.

il consueto metodo, la riporteremo per intero, prendendola

come base della nostra ricerca.

«

«

«

«

«

«

Nel mezzo della odierna Piazza Vittorio Emanuele « scor-
gesi un'antica colonna, vicin'alla quale... sorge un lim-
pido fonte, che indi in varie case...si dirama. S'erge con
egual magnificenza e vaghezza il Palazzo, parte da Mon-
signor Illustrissimo Governatore, parte dall Illustrissimo
Gonfaloniere e Magistrato habitato... Seguono due riguar-
devoli spalliere di ben intese fabriche, dopo le quali apresi
una nuova Piazza proporzionata all' Augusto Tempio, che
il Gloriosissimo San, Prosdocimo, discepolo di S. Pietro,
riconosce per fondatore... Questa è l'antica Cathedrale di
Rieti ». (Descrittione ecc., pagine 25-26). Dopo aver de-

scritto il palazzo episcopale, ed aver ricordate le antiche
fabbriche che ivi presso sorgevano (Descrittione ecc., pagina
44-45), l'Angelotti continua per la « ben habitata contrada
fina Porta Cinthia », presso cui scorge il convento con la
chiesa di S. Domenico (op., c. I, 45). Giunto cosi all'estremo
limite occidentale dell'abitato, egli si volge verso est: « Ri-

«

volgendosi hora da Ponente a Levante, scorgesi la chiesa
Parochiale del Santo Vescovo Donato: dopo la quale sie-
gue S. Agnese, Monasterio di Religiose dell'Ordine di
5. Catarina da Siena: piü avanti, la Chiesa e Monasterio
di S. Seolastica, dell' Ordine del Padre S. Benedetto. Dal-
l’altra banda si vede il Palazzo del Podestà, congiunto
con la Chiesa della Confraternità di S. Maria.... Di
rimpetto è il Colleggio nuovamente eretto dalla Città...
alle Muse, et all'ingegni Reatini.... Sotto questo, in un'
ampia sala dedicata a' spettacoli di tragedie, e Comedie,
eressero i nostri maggiori palco e scena stabili... per
honorato trattenimento, e ricreatione del Popolo. All’ 0p-
posto é la Chiesa di S. Liberatore, contro la quale in bel
rialto è una Chiesa de’ Santi Filippo e Giacomo.

« Passate queste strade, per lo piü da commodi artisti
habitate, avanti d'entrar nella gran Piazza del Leone, è

———
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA. ECC. 343

il Seminario... La Piazza, che qui vedesi, è campo aperto
per gl’ Esercitii Militari: detta del Leone dalla marmorea
E « figura di esso, che nel fonte si vede (Descrittione ecc.,
pag. 45-46). .

Non sarà difficile seguire, sulla pianta allegata, tutte le
località menzionate dall' Angelotti: per maggior chiarezza, ri-
cordiamo qui che «il Palazzo del Podestà congiunto con la
chiesa della Confraternità » corrisponde al punto che im-
mediatamente segue la località dell’ antica chiesa: fu. la re-
sidenza del magistrato dopo che l'antica sede, a Piazza del
| Leone, fu occupata dal Seminario diocesano. Similmente, il
Collegio, dal nostro A. ricordato, corrisponde al fabbri-
cato oggi detto él liceo vecchio, lungo la Via Pennina, circa
sull'incrocio con Via Terenzio Varrone: è noto anche ad al-

A

A

! tri scrittori locali (1). La chiesa dei SS. Filippo e Giacomo
| era lungo la Via Pennina, dietro quasi il Palazzo Municipale :
| oggi é scomparsa e solo se ne vede — in uno sterrato — la
| 2 traecia. Di questa chiesa si e fatto già cenno.

E 0 I fabbricati, storicamente e topograficamente importanti,
e tali che potrebbero fornire un primo dato per la soluzione
5 del problema perimetrale da questa parte, sono anche qui
| i monasteri: dei quali però non conosciamo esattamente i
documenti di origine. Il primo che incontriamo, verso l'estre-
mità orientale della nostra zona, è il monastero di Santa Sco-
lastica.

Questo fabbricato, oggi adibito in parte a carcere, è di co-
struzione recente : la sua chiesa « a forma di croce greca » (2),
rimonta al principio del secolo XVIII (3), allorchè fu sosti

(1) LonETO MaTTEI nota che la via Pennina, « giunta al piano passando avanti
al Collegio Reatino, intersega le tre già dette strade ecc. » Erario Reatino ecc.,
c. 80-82. ;

(2) Così il van HETEREN nel Bollett. cit., pag. 63.

(3) « Questo superbo edificio ... fu benedetto nel 1707 da mons. Bonaventura Mar-
tinelli vicario apostolico, e consacrato solennemente il 1^ maggio 1717 da mons. Gui-
nigi vescovo reatino ecc. » VAN HETEREN, Op. cit., pag. 63.

III TTI TTI
944. G. COLASANTI

tuita ad un' altra rimaneggiata già verso il cinquecento (3D).
Il suo abbandono parziale cominció con la soppressione del
1809, e divenne definitivo nell'agosto del 1860 (2). Ascritto
da Loreto Mattei fra i sette « Monasteri di sacre vergini
ricchi e numerosi di Religiose riguardevoli per nobiltà esem-
plarità et osservanza » (3), da qualche scrittore locale esso
ci è indicato come sorto allorchè — verso la metà del se-
colo XV — l'antico monastero di S. Margherita « già si
tuato in un predio dello stesso nome fuori di Porta Cintia,
fu eangiato in quello di S. Scolastica in città » (4); ciò sa-
rebbe avvenuto l'anno 1450 (5). Il Desanctis peró ci da
queste indicazioni in forma assai spiccia e senza additarne
le fonti: riesce quindi difficile sottrarsi all'impressione che
si abbia a che fare con notizie assai vaghe e di dubbio va-
lore. Ed, infatti, una prima loro rettifica noi possiamo averla
in aleuni documenti originali riportati dal van Heteren, ed il
cui valore — in questo caso speciale — deve essere rite-
nuto. Da uno di essi — conservato « nell' Archivio delle
Monache di S. Benedetto di Rieti », e datato « sub anno
Domini 1453, prima indictione, die penultima novembris,
pontificatus SS.mi domini nostri Nicolai divina providentia
Pape V, anno octavo» — abbiamo quanto segue : « Attentis
« igitur... Monasterii ... Sancte Margarite inopiam et pau-
« pertatem, et inde dicti Monasterii Sancte Scolastice desti-
« tutionem, monialiumque parvitatem, dictum monasterium
« et ecclesiam Sancte Scolastice... ac etiam dictum mona-
« sterium Sancte Margarite... ad invicem perpetuo et irre-
« vocabiliter unimus, annectimus et incorporamus, ita quod
« de cetero unum tantum monasterium atque Abbatia una

(1) VAN HETEREN, Op. cit., pag. 63.

(2) VAN HETEREN, Op. Cit., pag. 64.

(3) Erario Reatino ecc., c. 96.

(4) DEsANCTIS, Notizie Storiche ecc., pag. 114.
(5) DESANOTIS, op. cit., l. c.
Sepbecncciue eiiis nc

re

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 945

« dumtaxat censeatur, ad quod eo facilius libentiusque incli-
« navimus, quo honestius vos, abbatissa et moniales ante-
« dicte, que eandem regulam ordinemque, videlicet, Sancti
« Benedicti, cum dicta ecclesia et monasterio Sancte Scola-
« Stice servatis, dictum monasterium gubernabitis; ac de red-
« ditibus suis adjute, quietius et divinis officiis vacabitis et
« in Dei servitio persistetis ecc. » (1). Cosicchè, il monastero
di S. Scolastica preesisteva alla soppressione di' quello di
9. Margherita, avvenuta nel 1453 e non nel 1450. Di piü:
poiché, nel già noto processo della Inquisizione contro Paolo
Zoppo, si fa più volte menzione del monastero di « S. Sco-
lastica de Reate » (2), noi arriviamo alla prima metà del tre-
cento, in cui questo edificio religioso ci appare già formato.
Della sua storia anteriore, peró, e della sua origine nulla ci
è noto.

Del monastero di S. Agnese, dal Mattei ascritto tra le sette
importanti case religiose dentro la città (3), abbiamo informa-
zioni meno monche. L’ antica comunità si trovava « fuori di
Porta Cintia, poco lungi dalla Città, in un predio detto Fons
lani,oggi Fontiano » (4). Ad esso si riferiscono vari accenni,
che incontriamo qua e là nei nostri documenti: in alcune
carte segnalateci nell’ Archivio della Cattedrale reatina, del-

l’anno 1303 (5); nel processo contro Paolo Zoppo (6). e nello
6 b) /3

Statuto della città (7). Questo convento rimase fino allo

(1) VAN HETEREN, op. cit., pag. 54-55.

(2) Tra i testi, troviamo « Soror Ceccharella Tohannis Retinecte de Reate, mo-
nialis monasterii Sancte Scolastice de Reate » Bollett. cit., pag. 350; ofr. op. cit.
pag. 353: « in ecclesia monasterii Sancte Scolastice de Reate »; la stessa indicazione
si ha a pag. 864.

(3) Erario Reatino ecc., c. 96.

(4 DEsANCTIS, Notizie Storiche ecc., pag. 122.

(5) « Obligatio in forma depositi pro Monasterio S. Agnetis: de Reate facta sub
anno Domini 1303. Die ultima octobris ». NAUDAEUS, Instauratio etc., pag. 44.

(6) « Interr. de loco, R. quod fuit post sanctam Agnetem, in loco qui dicitur
Fonzianum ». Bollett. cit., pag. 373.

(7) È l'accenno contenuto nel lib. IIIT, 21 intorno alla « porta veteris sanctae
Agnetis », di cui abbiamo già parlato.

23
346 ; G. COLASANTI

scorcio del secolo XV, quando — distrutto l'edificio dal fuoco
e perita quasi tutta la comunità — per le superstiti suore
« i buoni Reatini vollero riedificato ...il Monastero in Città
nella stanza nativa, già cangiata in Santuario, della Beata

Colomba » (1) Il nuovo monastero sarebbe stato. « condotto

a termine nel 1545 » (2): abbiamo così i termini cronologici,

entro i quali porre l’origine dell’attuale monastero di Santa.

Agnese.

Queste conclusioni, forniteci dalla storiografia locale, po-

trebbero incontrare delle difficoltà (apparenti più che reali)
provenienti da un documento di carattere architettonico. Nella
brutta linea della odierna facciata della chiesa di S. Agnese
spicca un portale romanico. Negli smussi presenta due co-
lonnine e due pilastri alternati, poggianti su di una base di
cui oggi non si vede — sopra il suolo — che il toro supe-
riore: il fusto delle colonnine non appare affatto rastremato.
Le due colonnine, con il primo pilastrino che le divide, hanno
un capitello poggiato su di un collarino e formato da foglie
semplici, strette e lunghe, disposte in due ordini; su di esse,
nel mezzo ed agli angoli dell’abaco, sporgono dei bottoni
terminali. Questi capitelli sorreggono un abaco semplicissimo,
formato da una modanatura ovale, convessa, terminata da
un listello: l’abaco è tutto coperto con rosette circolari, e su
di esso poggiano l'arco del portale e quella specie di mo-
tivo a tetto che inquadra l' areo. La modanatura dell' arco
continua le due colonnine ed i due pilastrini laterali : è sem-
plice e senza decorazione. Il motivo a tetto è anch’ esso sem-
plice; solo nella cornice superiore, alquanto sporgente, offre
due ordini di ornamenti, a dadi ed a rette incrociate: sopra

(1) DESANCTIS, Notizie Storiche ecc., pag. 123. Trai monasteri cittadini il Mattei
ne conosce « uno di Domenicane che é S. Agnese la cui chiesa é fabbricata nel sito
dove fu la casa nativa della B. Colomba », Erario Reatino ecc., c. 96.

(2) DESANCTIS, Notizie Storiche ecc., pag. 123.
REATE, RICERCHE DI TOPOSRAFIA, ECC. 941

l'arco del portale, in una specie di piccolo scudo semi-ovale,
è rilevata una colomba, emblema della Santa.

Richiamando alla memoria il portale laterale della chiesa
di S. Agostino, è spontaneo un ravvicinamento stilistico tra.
esso e questo di S. Agnese. Ora, quest'ultimo è contempo-
raneo del primo, o é soltanto una sua imitazione posteriore?

Poiché di una chiesa preesistente all'attuale e rimon-
tante al principio del sec. XIII-XIV (termine ultimo per il
riferimento cronologico di questo stile in Rieti) né noi né la
tradizione abbiamo in aleun modo notizie, mentre anzi — rite-
nendo il moderno convento sorto nella « stanza nativa della
beata Colomba » (1) che viveva nel sec. XV-XVI — la sto-
riografia locale esclude ogni dubbio in proposito; poichè il
piccolo emblema che si vede nella parte superiore del por-
tale, riportandosi alla B. Colomba, non può farci risalire ol-
tre l'età in cui essa visse, non resterebbe che considerare
questo portale come appartenente ad un'altra chiesa e tra-
sportato in seguito in questo sito ove, nel suo frontone, fu
incastrato lo stemma della B. Colomba: oppure ritenere che
esso sia una imitazione, fatta nel quattrocento, dell'antico
stile Chi volesse rimanere nella prima ipotesi, potrebbe an-
che pensare che il portale appartenesse all' antico monastero
a Pontiano, la cui origine, ad un dipresso, risale alla fine
del secolo XIII ed al principio del XIV (2): ma siamo sem-
pre nel campo delle ipotesi. L'unica conclusione, per noi

di un qualche valore, è che — allo stato attuale delle no-
Stre conoscenze — noi non possiamo valerci di questo do-

cumento architettonico per risalire ad un’antica chiesa in
questo luogo, e molto meno ad un antico convento che ivi
avrebbe preceduto l'attuale: dato il valore topografico che

(1) DESANCTIS, Notizie Storiche ecc., pag. 123. Cfr. anche le parole già riferite
. di Loreto Mattei (Erario Reatino ecc., c. 96).
(2) DESANCTIS, Notizie Storiche ecc., pag. 122-123.
348 G. COLASANTI

il sito degli antichi conventi ha per la nostra ricerca, que-
sta conclusione non è del tutto priva di importanza.

Nella estremità occidentale sorge il maggiore e più
importante convento di tutta questa zona: il convento di
san Domenico, di recente soppresso (1). Esso occupa, con
la sua mole quadrangolare, lo spazio ad W. di Via Cintia:
al suo fianco è addossata la chiesa, ad una nave centrale
con una nave trasversale, orientata da N. a S.: sull'incro-
cio delle due navate, a sinistra, sorge il campanile. Ester-
namente, la facciata a tetto è mal ridotta, senza rosone
e senza portale evidentemente avulsi. Il fianco orientale
richiama la chiesa di S. Agostino: dai motivi ad archetti,
che corrono sotto il tetto, scendono sette lesene, tra alcune
delle quali (tra la quinta e sesta; e dopo la settima) si
aprono delle finestrine, in gran parte rovinate, dai contorni
trilobati. La sola nave centrale ha l’ abside quadrangolare,
sulla cui parete di mezzo, tra un arco, si apre una finestrina
allungata, fiancheggiata da due altre trilobe: ivi si nota pure
un’apertura a mostacciolo tra due aperture circolari. Inter-
namente la chiesa non offre nulla di speciale, poichè allo
stile originario troviamo sovrapposto un restauro assai po-
steriore. Le volte dell'abside e della nave trasversale sono
a crociera, con nervature poggianti su capitelli a foglie sem-
plici, allungate.

Allo stato attuale, non è possibile fare alcun confronto
tra lo stile di questa chiesa (evidentemente romanico, però)
e quello delle altre chiese reatine, per desumerne un qual-
che particolare dato cronologico. Per il quale scopo, tuttavia,.
ci soccorrono alcuni documenti.

Menzionato dagli scrittori locali tra le più notevoli case
religiose della città (2), già al tempo dello Statuto questo

(1) DESANCTIS, Notizie Storiche ecc., pag. 119.
(2) 11 MarTEI ne parla nel già riportato passo (Erario Reatino ecc., c. 90 e 96).
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC.

949

convento aveva grande importanza (1). Per il tempo ante-
riore al secolo XIV, aleune pergamene del vecchio archivio
di S. Domenico, ora nella Biblioteca Comunale di Rieti, ci
dànno modo di seguirne, pur lontanamente, la storia. Ai 24
di ottobre dell'anno 1295; il vescovo reatino Niecoló concede
indulgenze « omnibus... qui benefecerint sive pro opere
« hedeficiorum conventus sive pro necessitatibus quibuscum-
« que fratrum loci eiusdem ete » (2); segno non dubbio
che questo fabbricato religioso non si era ancora defini-
tivamente formato. Nel 1270 la chiesa ed il convento di
5. Domenico esistevano, poichè si fa parola esplicita dell una
e dell'altro presso un atto in quell’anno conchiuso e riguar-
dante la nostra comunità religiosa (3). Cinque anni prima,
con Bolla del 4 ottobre 1265, Papa Clemente IV dava per-
messo al Capitolo reatino di vendere alcuni beni ai frati di
5. Domenico, che ne avevano bisogno per costruire « domos
et officinas suis oportunas usibus » (4). Fin qui, adunque, la
comunità domenicana di Rieti ci appare già stabilita, ma
probabilmente (come lo indicano le continue costruzioni) da
tempo non lontano.

(1) Tra i conventi, a cui eran dovute dirette elargizioni, troviamo « fratres et
conventus ... Sancti Dominici », Stat. di Rieti, I, 67. Della chiesa del convento ab-
biamo notizia in un'altra prescrizione dello Statuto: « Et nullus debeat facere ali-
quam sozuram ... a Porta veteris Sanctae Agnetis citra versus Ecclesiam sancti
Dominici ecc. » IIII. 21. Passo che — per altri intenti — abbiamo altrove riportato.

(2) Pergamena dell'Archivio Comunale segnata col N. 47.

(3) È un atto di permuta tra « dominus Bartholomeus de Castilionibus » e « fratri
Bonifacio priori et Conventui loci fratrum praedicatorum de Reate etc. », datato
« Anno domini millesimo, ducentesimo, septuagesimo. Indic. XIII Ecclesiae romanae
pastore vacante, mense martii, die ultima ». L'atto fu concluso « Reate in Ecclesia
sancti Dominici ».

(4) « Sane dilecti filii fratres ordinis praedicatorum sicut accepimus in Civitate
Reatina domos et officinas suis oportunas usibus de novo inceperunt construere ut
ibidem cibum operari valeant qui non potest casu aliquo deperire. Verum cum
eisdem fratribus ad perfectionem domorum et officinarum hujusmodi aliquid de pos-
sessionibus ad vos filii Capitulum pertinentibus ibidem proximis sit ut asserunt plu-
rimum oportunum, super quo ipsi etc. » (Pergamena dell’Archivio Comunale nella.
Biblioteca reatina, segnata col N. 42).
G. COLASANTI

Infatti, a tergo di un documento datato « anno domini
MCCLIV, Ind. XII, Tempore Domini Innocentii papae IV,
mense aprilis die XVIII », e contenente un contratto fra tale
Giacomo Johannis Oddoline de Reate ed alcuni costruttori, per
una fabbrica da farsi in questi pressi, sotto un'antica chiesa
di 5. Apostoli, troviamo scritto: « Vide numeros I et 52 ubi
« de anno 1263 Riccardus Petri Anibaldi donavit nobis eccle-
« siam S. Apostoli cum hortis et sibi pertinentibus ex suc-
« cessione Dni Ioannis Oddoline » (1). Le carte, cui qui si
‘allude, non le conosciamo; ma è chiaro che l annotatore di
questa pergamena ci viene a dare una informazione sullo
stabilirsi della comunità domenicana in questo punto. I reli-
giosi occuparono, infatti, metà della chiesa di S. Apostoli,
una casa, il chiostro, il casolare con l'orto e con la vigna,
consegnati a frate Paolo, priore del convento domenicano di
S. Sisto in Roma: ciò risulta da documenti provenienti dallo
stesso archivio di S. Domenico di Rieti (2), e la notizia fu
riprodotta, durante il secolo XVIII, in una epigrafe che i
religiosi di S. Domenico di Rieti apposero internamente sulla
porta della loro chiesa (3).

(1) Perg. della Bibliot. Com. di Rieti, N. 142.

(2) I1 documento é riprodotto da V. Boscui nel suo lavoro sulla Chiesa e sul
Convento di S. Domenico (pag. 1), le cui bozze ci furono gentilmente comunicate
dall’ autore: al quale rendiamo qui sentiti ringraziamenti.

(3) « Aedes. ab. initio. SS. Apostolis sacra — A. Rom. Cons. Riccardo. Petri. An-
nibaldi. Maed. saec. XIII — Ordini. Praedicat. attributa — Tum. Amplificuta. ac.

D. Dominico. saec. XVI. dicata — Elegantius. instauratur. augetur. ornatur — -

ann. MDCCLXXXIV ». Questi documenti non furono noti agli scrittori locali. Il
DESANCTIS (Notizie Storiche ecc., pag. 119), in mezzo ad informazioni assai vaghe in-
torno a questa comunità religiosa, dice che il convento fu principiato nel 1242 e
la chiesa é « opera del secolo XIII » senza addurre, naturalmente, verun documento
al riguardo e senza parlar mai di S. Apostoli. La data 1242 dal Michaeli è invece
ritenuta per la fabbricazione della chiesa di S. Apostoli, poi dedicata a S. Domenico:
« La chiesa ... dei SS. Apostoli, ora di S. Domenico, fabbricata da un Annibaldi Ro-
mano e principiata verso il 1242» (Memorie Storiche ecc., III, pag. 36, not. 2). Neppur
qui, però, documento alcuno é addotto a suffragio di queste parole, che han tutta
l'aria di una cattiva interpretazione della epigrafe riportata. Quale sia la fonte di
questo dato cronologico del 1242, che ritroviamo presso entrambi i nostri scrittori,
non sapremmo.

EUM
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 351

Avendo presente la posizione della chiesa di S. Dome-
nico, quella più antica di S. Apostoli sarebbe sorta proprio
accanto alla prima; mentre sempre li presso si sarebbe
trovata quella casa donata, come prima residenza, alla co-
munità domenicana (1). Li vicino sorgevano i casali.

Dell’ antica chiesa di S. Apostoli, che non tardò ad es-
sere di completa proprietà dei Domenicani (2), abbiamo no-
tizie — ‘oltrechè nella citata pergamena del 1263 — nell’at-
to del 1254, ove leggiamo che il contratto per la fabbrica
in parola è concluso zn praesentia domini mathaei... praesby-
teri Sancti Apostoli, mentre il sito in cui si doveva fabbricare
era in orto subtus ecclesiam. sancti Apostoli (3). Per Y età ante-
riore, questa chiesa trova um cenno in una Bolla di Ana:
stasio IV dell'anno 1153 (4):
notizie.

oltre questo tempo mancano

Questi documenti, che noi possediamo intorno alla storia
dei descritti edifici religiosi, fino a qual punto possono illu-
minare il nostro problema topografico ?

Anzitutto, alcune valevoli deduzioni di carattere gene-

rale scaturiscono da quanto finora abbiamo esposto. L'abi-
tato occidentale della città, contenuto entro gli odierni limiti,
lo troviamo distribuito nel medio evo in due sestieri, di
Porta Cintia desuper e di Porta Cintia desuctus (5). Queste de-

(1) Il Boscur pone la chiesa dei SS. Apostoli presso l’ odierno campanile di
S. Domenico, che verso il secolo XVIII sorse « presso l'area dell'anti a Chiesa dei
Santi Apostoli » (op. cit., pag. 7). — La espressione stessa « subtus ecclesiam sancti
Apostoli » dei documenti citati indica il nesso di vicinanza tra la casa e la chiesa
(cfr. Boscm, op. cit. pag. 11).

(27 Quantunque i documenti che il Boscni adduce al riguardo (op. cit. pag. 13)
non siano persuasivi, é certo che i religiosi non dovettero tarda: e a rendersi esclu-
sivi proprietari della chiesa. ;

(3) Pergam. cit., N. 142. Cfr. pure V. BoscHI, op. cit., pag. 8, not. 5.

(4) V. BoscHI, op. cit., pag. 8.

(5) Nel processo contro il Comune di Rieti, l'Inquisitore procede — tra gli
altri — contro « Ceo Stefani de porta Cezola desuctus, Petrutius Iener magistri
Claudii de porta Cenciola desuper etc.» (Bollett. cit., pag. 393), nomi che altrove (op.
352 G. COLASANTI

nominazioni oggi sono completamente tramontate dalla co.
scienza popolare, e non sapremmo quindi determinare la loro
estensione topografica approssimativa. Tuttavia, qualunque
sia la ragione per cui, invece dei determinativi de foris e de
intus, riscontrati nella zona orientale per i due sestieri di
Porta Accarana, si siano qui adoperati quelli di desupra e
desuctus (1) certo si è che le denominazioni di questi due
sestieri si riferiscono alla porta ed alla vecchia cerchia,

cioè ad una linea di divisione posta entro i limiti odierni.

Di più: poichè l'aspetto del terreno, in questa zona occi-
dentale, in sostanza è eguale a quello della zona orientale ;
e poichè in quest'ultima abbiamo rintracciata la vecchia
cerchia lungo i declivi del colle, la prima idea che si affac-
cia alla mente si è che, nello stesso terreno ad occidente
e sulla continuazione della linea murale ricostruita nella
zona orientale, noi dobbiamo rintracciare il tratto murale.
Cosicchè — qualunque sia la determinazione esatta e par-
ticolare di questo vecchio perimetro lungo i dossi del colle
— fin da ora la relazione topografica dell'abitato posto
nel basso, rispetto alla vecchia cinta reatina, si lascia gene-
ralmente intuire. Tanto maggiormente valevole, adunque,

é — in questo caso — il criterio analogico, desunto dal sito
di questi conventi che — formatisi quasi tutti prima del

cit.,,pag. 406) troviamo sotto la forma di porta Cinciola desuctus e porta Cinciola
desuper. Nello Statuto di Rieti, tra 4 boni viri, scelti allo scopo di introdurre
alcune riforme, troviamo « Egregius Iuris Doctor Dominus Petrus Santes de Severis
et Stefanus Saxi Por. Cinthiae de super; Cola Sanctes Capellectae et Christophorus
Colae Mancini Por. Cinthia de suptus ». (Additio I).

(1) Si potrebbe pensare ad una ragione tutta topografica. Mentre il piecolo
dislivello o il graduale scendere del terreno nella zona orientale fecero sì che l'abi-
tato dalla cerchia diviso fosse indicato con i determinativi di fuori e dentro la Porta?
un dislivello maggiore in questa zona occidentale potrebbe aver fatto si che l'abi-
tato fuori la Porta apparisse piuttosto sotto la cerchia che fuori di essa: qualcosa
di simile sarebbe avvenuto per i sestieri di Porta Romana che — come vedremo —
hanno la stessa determinazione. Inutile dire che — in tanta oscurità — il campo
delle ipotesi e delle spiegazioni é tutt'altro che limitato. Del resto, ciò costituisce
un accessorio che non intacca affatto il significato originario della duplice denomi-
nazione di questi sestieri; e questo é per noi l' argomento sostanziale ed importante.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. . 358

trecento .— ci indicano come — nei luoghi in cui essi sor-
sero — non doveva estendersi il vecchio abitato della città

propriamente detta. Possiamo ben dire che la densità del-
l’abitato odierno, in questa zona, sia la massima raggiunta
di fronte al tempo passato; in cui i nuclei dovevano essere
assai più radi, dandoci l'aspetto di una vera e propria esten-
sione extra urbem. Con ciò concordano i nostri documenti
riferentisi ad alcuni punti, per esempio al terreno in cui
sorge S. Domenico.

Se — nella citata carta del 1295, con cui il vescovo
Niecoló concede indulgenze ai benefattori dei frati domeni-
cani — si parla « della chiesa e dei non pochi edifici an-
nessi al convento dei religiosi », noi pensiamo senz’ altro
alle esigenze della vita monastica, per la quale era impos-
sibile trovare spazio entro la cerchia cittadina, già angusta
di fronte al crescente sviluppo della vita. La stessa idea ci è
richiamata alla mente allorchè — nella citata bolla di Cle-
mente IV del 1270 — leggiamo che questi frati domos et offi-
cinas suis oportunas usibus de novo inceperunt construere; per
le quali avevano bisogno di occupare dei possessi del Capi-
tolo reatino.

Che se — risalendo ancora più in su — sappiamo. che
la donazione, fatta da Riccardo Annibaldi ai frati di S. Dome-
nico nel 1263, consisteva nella « ecclesiam S. Apostoli cum
hortis et sibi pertinentibus » — orti e spazi disabitati, che
ci appaiono nel riferito contratto del 1254 (1) — noi avremo,
da tutto ciò, una prova evidente dell'aspetto di questa loca-
lità nell'alto medioevo: qualche fabbricato, sperso tra spazi
messi ad orti o altrimenti coltivati. Simili dovevano essere
le condizioni degli altri punti intorno ai due conventi, posti
più ad oriente.

A queste documentazioni di carattere generale fanno

(1) Pergamena citata.
354 G. COLASANTI

riscontro alcuni specifici accenni — assai indiretti però —
alla linea delle vecchie mura cittadine.

Cominciamo da S. Scolastica.

Poichè le condizioni economiche di questo monastero
verso il 1500 erano tali che — come ha un documento del
tempo — « dieti monasterii fructus redditus et proven-
tus... ad monialium substentationem minime suppetunt » (1)
— con atto, in data del 28 Marzo 1500, il vescovo di Rieti
annetteva a Santa Scolastica la chiesa « S. Andree extra et
prope muros Reatinos nune vacante per obitum domini
Mariani Petroni presbyteri Reatini etc » (2); e stabiliva che,
per questa unione, il monastero non cambiasse peró il suo
vecchio titolo (3). Nella carta non esiste alcuno accenno,
che possa farci identificare il sito di questa chiesa di S. An-
drea. Però il van Heteren afferma che in un Pro memoria —
compilato intorno al principio del secolo XIX da una ba-
dessa, dopo la soppressione del monastero in parola, e da
lui esaminato — si dice che « questa chiesa si trovava in
un vicolo dietro il palazzo del marchese Vincentini » (4);
cioè, interpretando quel dietro nel senso di sotto, lungo il
primo tratto di Via di S. Agnese, dietro il monastero di
5. Scolastica: li di fronte, sul ciglio dell’altura, sorge il pa-
lazzo citato.

Dato il titolo della chiesa, extra et prope muros Reatinos,
questa identificazione ha per noi un valore inestimabile:
ma è attendibile?

Anzitutto, che il van Heteren non se la sia creata da sè,
ma che in realtà l'abbia attinta da questo Pro memoria, si
desume non fosse altro dal fatto che — se la identificazione

(1) Il documento, anche in seguito citato, è detto esistere in originale « nel-
l'Archivio delle Monache di S. Benedetto di Rieti », e fu pubblicato dal van HETEREN
nel Bollett. di Storia Patria per l'Umbria, anno XII, fasc. I, vol. XII, pag. 61-63.

(2) VAN HETEREN, Op. cit. l. c.

(3) «.dictum monasterium per hoc titulum S. Scolastice non mutet » OD: 0: 160.

(4) Op. cit. l. c. ;
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 900

fosse opera del nostro A., non conoscendo egli una linea mu-
rale reatina diversa dall’ attuale, con ogni certezza — dando
a « quell' extra et prope muros Heatinos » la interpetrazione
piü evidente — avrebbe posta o ricercata questa chiesa
fuori dell'odierna cerchia. Si ricordi che qualcosa di simile
è accaduto al nostro scrittore per la interpetrazione topo-
grafica del titolo ad arcem, portato dalla basilica di S. Agata.
Per lo stesso motivo, il titolo extra et prope muros Leatinos
‘ — accessibile, per molteplici ragioni, anche ad uno non.
esperto del latino — era tale che avrebbe persuaso chi com-
pilò il Pro memoria a pensare ad un sito fuori della cerchia
odierna: neppure questo nostro redattore, o redattrice, infatti,
poteva essere informato sull’ antica topografia reatina. Quindi
se — contrariamente al primo e più evidente significato delle
parole — il Pro memoria si ostina a riportare la chiesa in
un punto dentro la città quale era al suo tempo, vuol dire
che questa identificazione non è arbitraria, ma ha tutta
l’aria di continuare una tradizione locale. La chiesa di S. An-
drea sarebbe scomparsa in tempi recenti, quando fu costruita
la chiesa nuova che ancora rimane (1): chi conosce quanto
persistenti siano simili ricordi topografici, specialmente se
legati a chiese o ad edifici religiosi, non tarderà ad attribuire
una tal quale autorità alla identificazione tramandataci di
questa chiesa di S. Andrea.

S. Scolastica, presso cui quest'ultima chiesa si trovava,
sorge ai piedi dell'altura, lungo i cui dossi ci è stata già
lontanamente segnalata la continuazione della vecchia cinta
ricostruita ad oriente, e dove ci riporterebbe esplicitamente
questo documento di carattere storico: data, infatti, la con-
formazione del terreno, non è il caso di pensare ad altro

(1) H nuovo edificio rimonta alla fine del sec. XVII ed al principio del sec. XVIII.
La chiesa fu benedetta nel 1707 e consacrata nel 1717. (VAN HETEREN, Bollett. cit.,
pag. 63).
356 G. COLASANTI

punto intorno a Santa Scolastica, ove tutto il terreno è piano
ed eguale.

Sempre ai dossi dell'altura centrale ci mena un'altra
specie di indicazioni, ehe si riferiscono ad un punto posto ad
E. di Santa Scolastica. i

All'angolo N-W. della Piazza del Leone, all'imbocco di
Via Terenzio Varrone, si vedono ancora le tracce del Pa-
lazzo del Podestà, in seguito occupato dal Seminario dioce-
sano: all'angolo diametralmente opposto sorge ancora l' antico
monastero di S. Paolo, noto ai documenti medievali. Del Pa-
lazzo del Podestà abbiamo continue menzioni nelle Riformanze
del Comune, che ce lo indicano confinante con la Piazza del
Leone, con i beni di S. Paolo e con la carbonaria civita-

tis (1): questo terzo termine di riferimento — importante
per noi — ci è spesso meglio determinato per « l'antica

carbonaria della città » (2). Con il nome Carbonaria, il les-
sico medioevale intende delle fosse per fortificazioni esistenti
sempre lungo la/cinta murale (3); ed in questo senso tale espres-
sione è usata negli Statuti reatini, i quali parlano della Car-

(1) Nel vol. I delle Riformanze, dal 1376 al 1379, un atto in data 1377, ind. XV, ha
questa indicazione: « Actum fuit hoc Reate in dicto palatio (del Podestà) posito iuxta
plateam leonis, rem ecclesie sancti pauli, carbonariam civitatis », I, fol. XLVIIII: cfr.
vol. I, LXX ; CI1 con la stessa indicazione. In altre si hanno i termini di riferimento
invertiti, come in questa del 1378: « Actum fuit hoc Reate in dicto palatio posito
iuxta rem ecclesie sancti pauli, carbonariam civitatis, plateam leonis etc. », vol. I,
€. CXXXV; c. XLII; vol. II, XVIII; CLXVI con la omissione di qualche ter-
mine ecc. ecc.

(2) « Actum fuit hoc Reate in supradicto palatio posito iuxta plateam Leonis;
antiquam carbonariam civitatis, rem ecclesie sancti pauli », Riform.I, CCXXX Coni
termini di riferimento nell'ordine citato abbia0 altre indicazioni in Riform. I,
CCXLV: con termini invertiti in Pform. vol. I, CLVI ; CCXXIII ; II, XLVII, dall'an-
no 1379 al 1380. Con la omissione di qualche termine (la Platea Leonis) in Riform.
I, CLXXVII ; CLXXVIII ecc. ecc.

(3) Cosi il DU CANGE, secondo cui « Carbonarias ad urbium moenia extitisse non
semel produnt scriptores ... Charta Comitissae Mathildis an. 1072: una cum Ec-
clesia illa .. ibi consistente, una cum omnibus fossis, et Carbonareis, et muris et
turre ete. s. — Glossarium etc. T. II, colonn. 287, s. v. Carbonaria. Egual senso si
ricava dagli Statuti di Rieti, III; 49. .
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 351

bonaria civitatis sita lungo la cinta cittadina (1). Ora, la car-
bonaria limitrofa del Palazzo del Podestà non può riferirsi
alla cinta cittadina del tempo dello Statuto (che è eguale alla
odierna), poichè questo Palazzo dista troppo dall’ attuale

linea murale; non resta che — proprio secondo il suo attri-
buto di antiqua — riferirla all’antica cinta, lungo la quale

era stata già praticata, nel punto in cui era ancora ricor-
data. Il sito preciso di questa « antiqua Carbonaria » non
ci è determinato: ma poichè essa confinava con il Palazzo
del Podestà, possiamo estendere a quest’ultimo la relazione
topografica esistente tra la carbonaria e la vecchia cinta,
presso la quale, adunque, detto Palazzo si trovava. Poichè la
residenza del magistrato reatino è ai piedi della collina,
i cui fianchi cominciano poco a sud di esso, è più che evi-
dente come presso questo punto debba rintracciarsi il vecchio
perimetro. Quanto abbiamo detto in principio sulla linea-ge-
nerale seguita dall'antica cinta, e quanto abbiamo stabilito
per il sito del tratto murale sopra Santa Scolastica suffra-
gano queste nostre conclusjoni.

Senza dubbio a questo fossato (2), che aveva difesa la
vecchia linea perimetrale, si riferiscono gli Statuti, i quali
— nel dare prescrizioni al Notaro cittadino « contra omnes
et singulos proicientes aquas putredines et munditias in viis
vicinalibus stratis publ. ecc. » — fanno menzione dell’ antica
Carbonaria (3), distinguendola così dall’altra che girava intor-
no alla nuova cinta cittadina (4). Seguendo i piedi del colle,
la vecchia carbonaria, cioè l'antico fossato, doveva passare

(1) Nella prescrizione I, 146 « De fortificatione carbonariae civitatis », si ha:
« Pro maiori fortitudine civitatis Reath. provisum et statutum est quod Carbonaria

civitatis remondetur aptetur et fiat et fieri debeant barbacana circum circa muros
civitatis Reath. ».

(2) AI cap. 42 del libr. IIII, per regolare un corso di acqua, si parla di scavare
uma carbonaria seu fossatus : proprio secondo il concetto esposto dal Du Cange
nel passo riferito.

(3) Stat. IIII, 17.

(4) Lo Statuto ne parla qua e là: ma specialmente nel lib. IIT, 31 ove si danno
alcune preserizioni in proposito.
358 G. COLASANTI

tra laltura da una parte ed il convento di S. Scolastica,
quello di S. Agnese e quello di S. Domenico dall'altra. Un
accenno a ció va indubbiamente veduto in quel ferreno della
carbonaria, che i religiosi di S. Domenico ottennero in per-
muta dal Comune di Rieti l'anno 1297 (1), e che definitiva-
mente occuparono. Anche qui non può evidentemente trattarsi
della carbonaria nuova, cioé del fossato avanti le nuove mura
(quindi ad ovest o a nord del convento), perché esso faceva
parte della difesa della città e, come tale, era rigorosamente
guardato e custodito dal Comune; ma deve trattarsi del
vecchio fossato che, divenuto ormai inservibile per l' abban-
dono della vecchia cerchia e per l'ampliamento che allora
proprio si effettuava della cinta cittadina, fu concesso in
proprietà ai frati (2). Con la linea di questa carbonaria,
abbiamo la indicazione del punto in cui ricercare la vecchia
linea murale anche in questa estremità occidentale: ove, il
convento di S. Domenico era fuori del vecchio fossato, cioè
. fuori delle mura medievali.

Ripensando alla qualità ed alla quantità dei documenti
storici addotti per la zona orientale, noi non esageriamo
il valore e l’importanza di questi pochi qui raccolti, i quali,
in fin dei conti, han dovuto essere sottoposti ad una faticosa
critica perchè ci fornissero qualche lume per la nostra ri-
cerca. Ma che, tuttavia, le conclusioni, a cui per una via o
per l’altra, essi ci han fatti pervenire, siano esatte, ci è am-

(1) « Cambium cum communitate reatina quo cedit Conventui terrenum carbo-
narie ... et conventus cedit communitati terram quam habuit ab Ecclesia Catte-
drali » Perg. della Bibliot. Com. presso V. BoscHI, op. cit., pag. 16, nota 3.

(2) Ad essa carbonaria si riporta, con ogni probabilità, la Carbonaria civitatis
che il Michaeli (I pag. 51 not. 2) dice di attingere da documenti del sec. XIII, che
peraltro non nomina. E forse la linea di questo vecchio fossato fu continuata da
quella specie di cloaca, che le fonti locali ci indicano a pié del colle e di cui a suo
tempo faremo parola. — La vera linea di questa carbonaria antica, verso S. Dome- :
nico, fu sconosciuta a coloro (BoscHI, op. cit., pag. 16) che non ebbero una idea del- È
l'antica cinta cittadina e che si fermarono in sito diverso da quello da noi indicato. i
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 359

piamente provato dal documento archeologico, che compensa
qui la penuria della documentazione storica.

Lungo il dosso dell'altura occorreva, adunque, proce-
dere al rinvenimento del dato di fatto: ‘si ricordi frattanto,
che l’antica cerchia, nella zona orientale, è stata da noi
direttamente o indirettamente seguita fino alla casa ed al
giardino dei signori Stoli (presso l'angolo S.-E. di P. del
Leone).

; Come é facile vedere dalla pianta topografica, il declivo
del colle che, nella zona già studiata, si avanza verso nord,
ad un tratto — con Piazza del Leone

indietreggia, la-
sciando lo spazio che dà luogo a questa piazza; il lato me-
ridionale della quale costituisce la nuova linea di falda del-
l’altura, sotto la casa dei sigg. Marinelli. La differenza tra
le due linee può calcolarsi ad un 80 metri.

L'aspetto generale del terreno e del fabbricato, tra la
Piazza del Leone e S. Paolo, offre oggi qualche divario di
fronte a quello dei tempi andati. Prima che si costruisse
l’attuale rampa, che nell'angolo S.- E. di Piazza del Leone
sorregge la strada di comunicazione tra l'alto ed il basso,
esisteva ivi una via stretta e ripida, addossata al fianco
occidentale del fabbricato di S. Paolo, e limitata, nel lato op-
posto, da un muro. Essa scendeva, per buon tratto, fin quasi
al termine della sottostante piazza, ove toccava il basso. In
capo a questa strada — quasi in linea con l'attuale Palazzo
Marinelli — c'era un veechio fabbricato ora scomparso; era
« il Monte della Pietà, che a’ poveri pietosamente impresta
fromento » (1); l'imboecatura della strada, tra questo fab-
bricato e quello di S. Paolo, formava una stretta apertura,
ritenuta per una porta (2). Il sostegno di questa angusta
via era tutto artificiale; infatti, risultò formato di terriccio
ammassato e tenuto fermo dal muro, mentre la roccia è molto

(1) ANGELOTTI, Descríttione ecc., pag. 50.
(2) Tutto ciò appare evidente anche rella carta del 1725.
360 G. COLASANTI

più in dentro. Cosieché, l'aspetto topografico odierno, in
questo punto, meglio corrisponde al primitivo.

Dove le tracce della vecchia cinta si rilevano evidenti
è sotto la casa dei sigg. Marinelli, attigua alla rampa che
mena giù a Piazza del Leone e poco discosta dal punto
dianzi esaminato. Nelle cantine del fabbricato, a livello della
piazza summentovata, e nella parete meridionale della casa,
Si osservano importanti residui di costruzioni, formate di
blocchi calcarei, parallelepipedi, delle dimensioni a noi già note
(lunghezza varia di m. 1,00; 1,30 etc. per l’altezza quasi
costante di m. 0,60). Questo muro, che offre. qua e là tracce
di rifacimento posteriore, si estende da oriente ad occidente
per circa 35,00 metri, raggiungendo un'altezza di circa
1:23:00:

Innanzi a questa costruzione, esistono ancora pochi
avanzi di altre simili, pure a blocchi, ma isolate e che
— secondo i testimoni oculari — per il passato sarebbero
state addossate alla parete di fronte a mò di contrafforti.
Questi avanzi si trovano a circa m. 5,50 dal muro princi-
pale; sarebbero stati in numero di tre, di cui peró uno solo
oggi si mantiene, che ha uno spessore di m. 1,00 per
metri 2,00 di altezza. Sono i residui di qualche torrione ivi
addossato? Non é possibile, allo stato attuale, avere di ció
conferma alcuna (1). Superiormente alla parete murale dispo-
sta nel fondo, la costruzione continua e raggiunge il livello
della strada, con un'altezza media di circa m. 5,00: il suo
tratto visibile, nel fondo dei granai che sono soprapposti alle
cantine del pianterreno, si estende per circa 12,00 metri:
altrettanti ne andrebbero ricostruiti dietro una parete mu-
rata, ove ci si asserisce continuare la costruzione a blocchi.
Noi non l'abbiamo però vista.

(1) La distanza di queste due linee di costruzioni corrisponde, ad un dipresso,
allo spessore dei torrioni ricostruiti o supposti nella zona orientale e che incontre-
remo in questa zona occidentale: ma tale coincidenza non può da sola decidere,
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 361

Abbiamo testé accennato alla probabile identificazione
di un antico torrione in quei resti perimetrali che si trovano
di fronte alla parete posteriore. La ipotesi troverebbe forse
un suffragio in quanto sappiamo dell'aspetto di questi
stessi residui, prima che le opere di costruzione moderna
vi apportassero delle alterazioni. Allorché, nel giugno del-
l’anno 1854, si scavavano le fondamenta del lato setten-
trionale del Teatro Comunale (in un sito, quindi, solo qual-
che metro discosto dalla vecchia linea perimetrale), « alla
« profondità di circa undici buoni metri si rinvennero dei
« grandi massi di pietra informe, amontinati li uni sulli al-
« tri a guisa di muro, lavorato nell'istessa maniera, che
« S'internava nel terreno verso Demarco e lasciano cono-
« Scere essere stato un recinto di quattro ambienti quelli
« che apparivano aventi ciascuno circa tre metri di lar-
« ghezza. Rimosse queste pietre, che eran slegate e prive
« di calce, e proseguito lo scavo per circa un metro, fui
« avvisato dalli operai essersi trovata la terra vergine, ed
« avendone misurato la totale profondità, la trovai essere
« di metri quattordici » (1).

La casa Demarco, nominata in questo rapporto, corri-
sponde ad un dipresso all'attuale palazzo dei sigg. Marinelli:
non sarà quindi difficile ricostruire, con il muro e con gli
spigoli che si internavano verso di essa, una linea murale
(corrispondente alla parete di fondo) a cui era addossato un
torrione (da vedersi negli angoli del muro normale al primo).
Tanto più che la misura complessiva di questo torrione (di-
viso internamente in quattro ambienti di m. 3,00 di lar-
ghezza) corrisponderebbe, in sostanza, a quella delle. altre
opere simili che vedremo lungo la cinta (m. 3,00 x 3,00 ci

(1) Vita Sabina ecc , anno II, n. III, Rieti, aprile 1900, pag. 33-34: « Delle ultime
scoperte di antlchità nella Regione Sabina, Relazione di Fabio Gori ». Il rapporto,
ivi incluso, si deve a testimoni oculari. Le identificazioni topografiche (casa De-
marco ecc.) le abbiamo attinte da testimonianze locali.

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362 G. COLASANTI

danno una fronte di m. 6,00 misurata internamente, come dal
rapporto appare. Gli altri torrioni hanno, esternamente, una
fronte di circa m..8,00: ove, i due metri in più si spiegano
con la misurazione esterna. Un torrione, ancora esistente a
Piazza del Leone, offre — misurato internamente — dimen-
sioni pressochè simili a quelle del rapporto citato).
Continuando sempre verso ovest, dove comincia a salire :
la Via della Pescheria, lungo la linea del fabbricato odierno
si nota una costruzione rettangolare a grossi blocchi calcarei
parallelepipedi, delle dimensioni ormai note (m. 1,60; 1,20,
1,00 x 0,60). Questa parete, larga m. 8,00, raggiunge un'al-
tezza di circa m. 15,00, oltre cui comincia il fabbricato di
età posteriore. Essa mostra qua e là segni evidenti di rifa-
cimento, sia in alcune aperture (porta e finestre) praticate
tra i blocchi, sia negli interstizi dei blocchi medesimi.
Osservando i lati di questa parete, è facile notare come
essi siano formati da una linea quasi verticale, che li separa
e distingue nettamente dalle costruzioni e dai fabbricati
adiacenti: in modo tale, che la prima nostra impressione fu
che si trattasse di spigoli. Ed infatti, entrando nel terraneo,
che si apre nel bel mezzo della parete, ed ove si trova l'of-

-ficina di un fabbro, avemmo la prova che il muro esterno

faceva parte di una costruzione rettangolare, la cui pa-
rete interna (circa m. 7,00 distante dalla esterna, cui è pa-
rallela) si conserva per un tratto di circa m. 1,20 X 3,00,
e quelle laterali si conservano per un tratto di circa

m. 7,00 X m. 3,00: in ünaà di queste ultime — in quella a
destra di chi entra — ci si dice che fosse praticata un'aper-

tura, oggi scomparsa. Con la parete interna, noi siamo sulla
linea del tratto murale già descritto sotto casa Marinelli e
pochi metri distante dal punto in cui si trova questa costru-
zione, la quale evidentemente è un torrione — sul tipo di quelli
osservati o ricostruiti nella zona orientale — addossato alla
cerchia, e nel cui interno erano state probabilmente praticate
varie divisioni ed aperture.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 363

Sempre verso occidente, salendo per la Via della Pe-
scheria, la continuazione dell’antica cinta si nota sotto la
casa dei signori Ciancarelli, ove per altro i blocchi, aventi
le medesime dimensioni di quelli fin qui osservati, non
sembrano trovarsi nella loro posizione originaria: le vicende
del fabbricato hanno certamente causata simile alterazione,
la quale, tuttavia, non è tale da infirmare lo stretto nesso di
vicinanza tra questo antico materiale e la linea murale in
cui si trovava già composto.

Di fianco alla casa Ciancarelli, ad ovest. e nell’altro lato
della Via della Pescheria, là dove oggi si vede uno sterrato
di forma quadrangolare, esisteva fino a tempi non lontani
una costruzione rettangolare, di proprietà del Municipio. Era
costituita di blocchi parallelepipedi, delle solite dimensioni,
molti dei quali mostravano evidentissimo il rifacimento po-
steriore negli interstizi colmati di calce, e nelle aperture pra-
ticate per porte e finestre. L'aspetto di questa costruzione ci
è stato conservato in una riproduzione fotografica, che il locale
ispettore degli scavi e monumenti, prof. A. Sacchetti-Sas-
setti, si affrettò a fare eseguire. Il lato orientale — quello
cioè rivolto verso casa Ciancarelli — era il più manomesso;
poichè — scomparsi i blocchi — risultava formato quasi
completamente da mattoni, i quali solo verso lo spigolo an-
teriore davano luogo ai massi calcarei parallelepipedi. In

questo lato descritto — tra piccole aperture nella parte su-
periore — si aveva, nella parte inferiore, una porta rettan-

golare, tutta a mattoni. Il lato anteriore del torrione, quello
cioè volto a settentrione, ci appare il più ricco di vecchio
materiale; il quale anzi copre l’intera parete, ed è sostituito da
mattoni solo nella parte mediana della estremità superiore.
Questo lato nord recava tre aperture: due porte rettan-
golari, presso i due spigoli laterali, ed una finestra, posta
quasi superiormente alla porta occidentale. Il lato, volto ad
occidente, non ci è conservato dalla fotografia.
Le dimensioni e le relative misure di questa costruzione,
364 G. COLASANTI ©

delle sue aperture ecc. non ci sono conservate; non è tut-

tavia difficile ricostruirle. Il sito, in cui questo torrione
sorgeva, è oggi ancora visibilissimo: poichè è indicato

da un suolo sterrato, circondato in due parti — sud ed
ovest — da fabbricati; ed in due altre — est e nord —

dalla selciatura della strada. Seguendo tali linee, i lati
orientale ed occidentale e quelli settentrionale e meridio-
nale risultano di una lunghezza rispettivamente di m. 9,00
e di metri 8,00. Come si vede, ritornano ad un dipresso
le dimensioni altrove osservate per costruzioni simili. Le altre
misure si riferiscono a cose di minore importanza. Quanto
fosse alto originariamente questo torrione, non sappiamo: pri-
ma della sua demolizione, e nei punti più conservati, la vec-
chia costruzione raggiungeva circa m. 6,60. Infatti, lo spigolo
nord-est e quello nord-ovest ci appaiono formati da undici massi;
e questi blocchi — che ancora giacciono abbandonati lì presso
— mostrano la comune media altezza di m. 0,60 (0,60 Xx 11 =
m. 6,60). Delle aperture già descritte, la porta nel lato orientale
e la finestra nel lato settentrionale si trovavano in mezzo
ad una costruzione posteriore a mattoni, e quindi non sono
importanti. Le due porte nel lato settentrionale erano, invece,
praticate tra blocchi calcarei; valendoci dei blocchi, che in nu
mero di quattro ne costituivano i fianchi, mentre uno ne forma-
va l'architrave, può dirsi che queste porte raggiungevano
circa m. 2,40 di altezza, per un metro o poco più di larghezza.
La distanza tra porta e porta non è possibile calcolarla dai
massi, che ci appaiono di lunghezza varia: però, conside-
rando che tutto il fronte settentrionale raggiungeva gli otto

metri; considerando che queste due porte —- larghe poco
più di 1 metro — erano presso gli spigoli, da cui la ripro-

duzione ce le mostra distanti non più di un sessanta centi-
metri, la distanza tra le due aperture doveva essere ad un
dipresso di m. 4,40 (larghezza media di ciascuna porta
m. 1,20 = 2,40 per entrambe; 0,60 x 0,60 = 1,20 tra le
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC.

porte: e gli spigoli; complessivamente m. 3,60; m. 8,00 —
3,60 — 4,40).

Immediatamente dopo questo tratto, tracce perimetrali
. vere e proprie oggi non esistono; ma che il vecchio peri-
metro dovesse seguire la linea da noi tracciata, è con suffi-
cienza dimostrato e dalla natura del terreno (simile a quello
in cui fin qui constatammo i residui murali), e dal fatto che
la linea, ricostruita sino alla Via della Pescheria, ci addita la
direzione per cui dobbiamo continuare.

Ed infatti su questa linea, poco sotto il Vicolo Alemanni,

nella casa dei signori Battisti, si ricordano grossi massi, delie -

dimensioni a noi note, disposti in una costruzione rettango-
lare, sotto l' odierno fabbricato che si sarebbe sovrapposto
a quest’ultima. L'attendibilità delle informazioni forniteci
dagli abitatori dello stabile; le dimensioni indicateci di que-
sta antica costruzione, che corrisponderebbero a quelle ap-
prossimative dei torrioni a noi noti;le dimensioni dei blocchi
ecc. ci rendono piuttosto inclini a vedere in questo punto
un’altra delle costruzioni di difesa, addossata alla cerchia.
Con il gomito, formato ad W. dal Vicolo Alemanni, noi rag-
giungiamo un terreno chiaro ed evidente per la localizza-
zione della vecchia linea murale: i declivi del colle — che,
fino al limite raggiunto dal caseggiato, si mantengono più o
meno dolci — al di sotto di esso scendono scabrosi, e sono
formati da un terreno incoerente, sorretto da muri e messo
a giardini. Se si pensa che la linea del fabbricato, lungo il
ciglio di questa pendenza, faceva a prima vista intuire sotto
di questo o un terreno consistente (cioè la roccia, che costitui.
sce il nucleo dell’ altura, e su cui in gran parte vedremo
posta l'antica cerchia), o addirittura delle poderose costru-
zioni antiche, sopra le quali fossero state poggiate le fabbri.
che moderne, si comprenderà come tutto ci portasse a ve-
dere, nella linea dell’ odierno caseggiato, la probabilissima con-
tinuazione dell’antico perimetro. Il dato di fatto venne a cor-
roborare questa ipotesi. Riescita infruttuosa una prima ricerca.
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366 G. COLASANTI

sotto i fabbricati immediatamente a fianco del Vicolo Se-
veri, esaminammo un sotterraneo della casa di proprietà
dei sigg. conti Vincentini, rivolto verso Santa ‘Agnese: i
blocchi parallelepipedi, che sporadicamente vedevamo inca-
strati nelle fabbriche adiacenti, ci avevano dato motivo a
bene sperare. Ed infatti, nella parte interna del sotterraneo,
a livello del terreno con cui comincia l' orto, rinvenimmo
un tratto del vecchio muro di cinta, su cui è stato pog-
giato il fabbricato moderno: la sua lunghezza raggiunge
complessivamente i 15,00 metri e la sua altezza varia dai
m. 1,90 ai m. 1,10; è costituito di blocchi, aventi le solite
dimensioni (lunghezza varia: m. 1,20: 1,30: 1,60 X 0,60).
Questo tratto, assai bene conservato, mentre è in linea con
1 residui perimetrali osservati fino a Via della Pescheria,
giustificando così la delimitazione della cerchia da noi trac-
ciata sulla carta -— ci indica, con la sua direzione, quale do-
veva essere la sua continuazione verso occidente.

Poco oltre, sempre procedendo ad ovest, il ciglio del
terreno gira verso sud, formando l'esiremità dell altura da
questa parte. Le attuali condizioni topografiche rivelano
ancora la pendenza del dosso della collina, ma non danno
che approssimativamente un concetto dell’antico stato di
cose. Per averne una idea, si osservi che ai due lati della
Via Cintia, a partire dall arco del Vescovo fino al Palazzo
Ciaramelletti, le fondamenta dei fabbricati sono state messe

allo scoperto, e — a destra di chi va a Porta Cintia — si nota

ancora l antico livello del suolo al di sopra dell'attuale li-
vello della strada: il che, mentre indica chiaramente — come
già in principio dicemmo — che l'antica pendenza della
strada è stata corretta per le esigenze di una più comoda
viabilità. Il vecchio stato di cose, del resto, è ancor oggi ri-
cordato. Su questo terreno, o sui punti in cui esso si lascia
ricostruire, andavano ricercate adunque le eventuali tracce
murali. In fondo al giardino, annesso alla casa della signora Ma-
dricardi, sulla linea degli ultimi residui murali dianzi esa-
m

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. | 361

minati, esistono ancora pochi avanzi perimetrali i quali, pie-
gando ad angolo retto, abbandonano la primitiva direzione da
oriente ad occidente e corrono in senso normale alla Via Cin-
tia. Il tratto osservato occupa uno spazio di circa m. 3,00 X 3,00,
éd è costituito dei soliti blocchi, di forma e dimensioni a
noi già note (m. 1.60: 1,30 ecc. x 0,60).

Questi residui sono a destra di Via Cintia, andando verso
la porta omonima. Sulla sinistra della stessa strada, e sulla
continuazione dei resti descritti, la roccia affiora sotto il Pa-
lazzo Ciaramelletti e continua poi, lungo il lato sud, sotto le
cantine dei sigg. conti Vincentini. Poggiati su di essa si osser-
vano — sotto la casa Ciaramelletti — dei residui evidenti della
vecchia cinta, incastrati nella costruzione: sono disposti per un
tratto di qualche metro, e sono costituiti da blocchi aventi la
solita forma e le solite dimensioni (1,50 ecc. >< 0,60). Riunendo
con una linea questi ultimi residui — disposti in modo che
rivelano la loro continuazione da ovest verso est, prospet-
tando verso sud — e gli altri sul fianco opposto della strada,
noi veniamo a ricostruire un tratto murale che tagliava la Via
Cintia, e formava l'estremo limite perimetrale verso occidente.

Con quest'ultimo tratto, noi abbiamo ricostruita la vec-
chia linea murale a partire dal monastero di 5. Paolo fino
alla sua estremità occidentale. Alla poderosa parete noi ve-
diamo addossati — sopratutto nella prima sezione, da S. Paolo
à Via della Pescheria — ben tre torrioni, di cui si hanno
variamente residui o indiscutibili ricordi: essi ci appaiono
alla distanza di circa 40,00 m. fra di loro. Dopo Via della
Pescheria, i documenti e le tracce di questi contrafforti
si dileguano o divengono sempre piü incerti: e solo le no-
tizie, raccolte sulla esistenza di una costruzione quadrango-
lare sotto il fabbricato di Vicolo Alemanni, ci autorizzerebbero

a porre torrioni simili nel restante tratto murale e — pro-
babilmente — secondo il medesimo intervallo tra di loro.

In questo tratto di perimetro esistevano porte?
Poichè noi abbiamo visto essersi formato assai per tempo,
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368 G. COLASANTI

a nord di esso, quell'abitato che fin dal principio del se-
colo XIV fu racchiuso dalla odierna linea perimetrale, é
facile pensare come si imponesse allora la necessità di co-
municazioni tra il nuovo abitato nel basso ed il vecchio nel-
l'alto; comunicazioni, che dovevano quindi aprirsi lungo la
vecchia linea murale che andava in disuso. Si ebbero in tal
modo il varco dell'attuale Via Pennina, quello di Via della
Pescheria e quello aecanto al monastero di S. Paolo, che fu-
rono le principali comunicazioni, notate anche dai nostri
documenti cartografici e. che oggi ancora, con piccole va-
rianti, rimangono.

Gli scrittori locali, peró, in queste interruzioni delle vec-
chie mura vollero vedere delle porte vere e proprie, riferen-
.dole persino a porte antiche. L'ideadi due antiche porte ba-
lenó già nella mente del Vittori, il quale suppose la città
circondata da una cinta lungo il dorso del colle, con cinque
porte (1). Egli conosce bene il sito della porta orientale o Porta
Accarana (2); conosce — quantunque approssimativamente
— una antica porta occidentale (3); e nel lato sud — poichè
non conosceva altra comunicazione che quella costituita dal-
l'odierna Via Roma — su quest’ ultima dovè indubbiamente
pensare a porre una delle cinque porte. Le altre due? Poichè
verun’ altra interruzione notevole esisteva od esiste nell’abi-
tato in altre direzioni, convien credere che le tre inter-
ruzioni della vecchia cinta, a nord, richiamassero l’atten-
zione del nostro autore. Quali però di queste tre comunica-
zioni fossero ritenute come le rimanenti due porte delle an-
tiche cinque predette, il Vittori non lo dice nel suo laconico
‘accenno, che — anche perciò — si mostra basato su criteri

(1) « Portas non minus quam quinque habebat etc. » (ms. cit., c. 124).

(2) Ms. cit., c. 115.

(3) Ciò si ricava dall’ accenno che fa all' antica Porta Quintia (ms. cit., c. 100),
che doveva trovarsi lungo la cerchia, così come l’A. l' ha approssimativamente de-
lineata intorno al colle.

—:
L4

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 369

sufficientemente indeterminati. Gli scrittori posteriori giunsero
a maggiori specificazioni.

Il torrione, che si trovava sull'alto di Via della Pescheria,
fu erroneamente considerato come il forte laterale di una
porta; e questa credenza, elaboratasi nella erudizione locale,
fu resa nota al Guattani, il quale scrisse come una porta
era « nel fine della Via detta de’ Macelli, che conduce al
Seminario, ove ne restano ancora alcune antiche pietre » (1):
concetto accolto in seguito dal Michaeli, il quale parlò anch'egli
di una porta che « era superiormente all'attuale piazza del
Leone » (I, 25), presso « un avanzo di antiche mura » (I, 52, not.
2). È superfluo aggiungere come nè la interruzione murale, ne
la presidenza del torrione accanto all'apertura possono qui ri-
ferirsi alla esistenza di una porta vera e propria: si richiami
alla mente quanto sappiamo sulla natura di simili costru-
zioni.

Della seconda porta — che qualche fonte locale conosce,
e pone indistintamente presso quella supposta su Via della
Pescheria, senza maggiori indicazioni (2) — c'è chi, impron-
tando le proprie asserzioni ad una opinione alquanto divul-
gata nella erudizione locale, dà una più esatta determina-
zione, ponendola nel « clivo che dalla piazza del Leone con-
duce alla piccola Chiesa di S. Paolo » (3), cioè a fianco di
quest'ultimo monastero, tra esso ela vecchia costruzione scom-
parsa, nel punto ove poi fu costruita la odierna rampa. An-
che qui, però, è giocoforza riconoscere che nessun documento
valevole e buono è addotto. Tutto, anzi, ci induce a ne-
gare la esistenza di una porta cittadina, nel senso vero ed

(1) Mon. Sab., II, pag. 279, nota 4.

(2) Così il Michaeli, dopo menzionata la porta su Via della Pescheria, ag-
giunge : « Probabilmente a sinistra di questa porta erane un’altra, di cui ora è
difficile precisare il luogo » (Mem. storic. ecc., I, pag. 52). Forse da questa porta il
nostro A. faceva uscire l'ipotetica Via Reatina (op. cit., I, 61), nel lato nord dell’abi-
tato : via, la cui esistenza è basata su di una epigrafe falsificata (C. I. L. IX, 428).
(3) GuATTANI, Monumenti Sabini ecc., II, 279, nota 4.
rai erezonazio - Wee herr get vp oct "

——————O M ÓÓÓ

370 G. COLASANTI

ufficiale della parola, in questo lato settentrionale. Anzi-
tutto, la tradizione storica e toponomastica — che negli altri
punti della città ci ha mirabilmente conservati ricordi piü
o meno chiari dell'antica cerchia e delle antiche porte in
essa aperte — per questo lato settentrionale tace completa-
mente, mentre pure saremmo in diritto di avere un lontano
sentore di questo antico stato di cose, al modo stesso che ci é
stato serbato ricordo della linea della vecchia cinta murale. Di
piü: in quasi tutte le città antiche conservate nel medioevo,
ed in Rieti in specie, con lo svilupparsi dell'abitato si an-
darono formando, davanti alle principali porte e lungo le vie
che per esse entravano, dei nuclei abitati già prima del mille;
nuclei che sono un indice sicuro per risalire all'esistenza
e dell'antica porta e dell'antica via in quei punti determi-

nati. Per Rieti — ove questo fenomeno é confermato negli
altri lati e per le altre porte — veruna notizia abbiamo di

un nucleo abitato vero e proprio, formatosi di fronte ad un
qualsiasi punto del lato nord della vecchia cerchia, ove pure
il terreno era favorevolissimo. Di più, in Rieti le porte della
vecchia cerchia, con il loro abitato dentro e fuori di esse,
furono la base di formazione dei sestieri cittadini, rimasti
poi come la partizione ufficiale del Comune che da essi
prendeva alcuni magistrati: cosi i sestieri di P. Carana
dentro e funri; di P. Cintia dentro e fuori ; di P. Romana den-
tro e fuori. Tre questi nomi di sestieri, che ci conservano l'an-
tico ricordo topografico delle porte, non troviamo affatto quelli
riferentisi al lato settentrionale delle mura, riportandosi i
primi rispettivamente ai tre lati occidentale, orientale e meri-
dionale della vecchia cinta.

Riassumendo: se, alla completa mancanza dei documenti
storici e toponomastici, fanno degno riscontro tutte queste
conclusioni negative intorno all'accertamento di un nucleo
suburbano e dei sestieri medievali in questo tratto setten-
trionale, noi abbiamo già tanto da potere evitare l'ipotesi di

una porta lungo la veechia cinta murale da questo lato.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 971 RH

Tutte queste considerazioni ci conducono — al contra-
rio — ad accertare la presenza di una porta nell'estremo limite ;

della cinta, verso occidente. Di essa solo qualche scrittore
locale ebbe una vaghissima idea, tanto più indeterminata e
debole in quanto che ogni ricordo toponomastico era tra-
montato da questa parte. Il Vittori, che e dai resti architet- tel
tonici e dalla persistenza del nome aveva potuto riconoscere
il sito della P. Accarana, si trova bene impacciato per questa
porta occidentale. Di una antica porta in questa direzione i"
egli ha notizia, come si è visto. Quantunque egli dichiari che |
da una antica Via Quintia si denominó « feat? portam unam ...
quam hodie Cyntiam vocant » (ms. cit. c. 100; la idea e altrove
ripetuta c. 116 ecc.), le sue parole non debbono tuttavia far
credere che egli identifichi, topograficamente parlando, il sito
dell'antiea porta. con la omonima porta moderna. Giacchè
dal concetto generale, che altrove egli mostra di essersi fatto
dell’ antica Reate (« Urbis moenia Collem undique cingebant
ecc.» c. 124), scaturisce che anche l'antica porta doveva tro-
varsi nella linea murale /ungo il dosso del colle. Il suo sito però
— come il tracciato delle antiche mura da questa parte —
non é dal Vittori in modo alcuno determinato. Né una de-
terminazione parve possibile al Latini, il quale, da un passo
dello Statuto in cui si nomina la Porta Cintia di sotto, de-
sunse « che le Porte Cintie fossero due; una di sotto, ed una
« di sopra, ossia una nel luogo ov'é presentemente; e l'altra
« nell'interno della città, lungo la medesima strada dove
« forse anticamente terminava la Città stessa » (ms. cit. f.
IV c. XVIIT).

Qui, in sostanza, vediamo ripetuto il concetto del Vit-
tori, suffragato però da un'altra prova dal Latini desunta
da un accenno dello Statuto, e maggiormente determinato
con la indicazione della Via Cintia, lungo la quale tale porta
si sarebbe trovata. Manca però la determinazione del punto
preciso ove fermarci Determinazione, che parve opportuno
fare al Gori il quale, non conoscendo la vecchia linea murale
oi G. COLASANTI

nella sua estremità occidentale, cosi come noi l'abbiamo trac-
ciata; scambiando, anzi, i resti perimetrali ivi esistenti con re-
sti di un ipotetico anfiteatro, ed arbitrariamente interpetrando
quella costruzione ad arco detta Arco del Vescovo, credè che
quest'ultima avesse sostituita la triplice porta, difesa da Torri,
appellata nel medio evo Porta Zinzula o Cinciula, e sostituita
dal Quadriportico od Arco del Vescovo (Vita Sabina ecc. Anno II
n. V pag. 58).

Accanto a costoro, altri non ebbero neppure l’idea di
una diversità topografica tra le due porte — antica e mo-
derna — e quindi della diversa linea delle due cinte. Così,
fra gli altri, il Guattani al quale la moderna porta venne
indicata come la continuatrice di quella antica, con parole
che riproducono solo in parte il concetto del Vittori (1).

Seguiamo per nostro conto la ricerca.

Anzitutto — data la mancanza di una apertura in tutto
il lato settentrionale e nella metà occidentale di quello volto
a sud, verso il fiume — la necessità di una comunicazione in
questo punto, ac ovest, salta fuori da sè. Il terreno, che ivi —
pur essendo nel passato più ripido che non oggi — si mo-
stra tuttavia più agevole e più atto ad un transito, suffraga
la nostra ipotesi; si aggiunga la remota tradizione topogra-
fica di un’antica comunicazione (la V. Cintia) lungo il dosso
del colle, e si comprenderà come tutto ciò doveva farci in-
tuire che — al modo stesso che la Porta d’ Arce e la Porta
Conca sono la traslazione dell'antica Porta Carceraria; e l'o-
dierna Porta Romana è la traslazione della medievale Porta
di Ponte sul Velino, la, quale — a sua volta — è la trasla-
zione dell'antichissima Porta Romana sul ciglio meridionale
del colle — la odierna Porta Cintia corrispondesse a qualche
antica porta della vecchia cinta interna. Della cui esistenza,
un valevolissimo documento ci è altresì conservato nel

(1) « Molti sono di parere che la porta Cintia di Rieti sia corrotto vocabolo di
Quintia » (Monwm. Sab. I, 31, nota 1; ofr. pure II, pag, 379; 379, nota 3 ecc.).
REA'TE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA,. ECC. | 3753

nome-dei due sestieri occidentali dell’antico Comune: l'abi-
tato, esteso entro la cerchia comunale verso il limite occi-
dentale, poco dopo il mille costituì i due sestieri di orta
Cintia desupra e Porta Cintia desuctus, originatisi ai due lati
dell’antichissima porta, in seguito scomparsa.

Sulla esatta ubicazione di questa porta occidentale tac-
ciono i documenti medievali, e tace anche il ricordo topono-
mastico: persino i^nomi dei due predetti sestieri — come
già si è visto — sono oggi completamente tramontati dalla
coscienza popolare, togliendoci cosi anche la possibilità di
un qualsiasi orientamento al riguardo. Ma non tutte le vie
ci sono precluse per raggiungere l'intento. Si tenga ben pre-

sente il tracciato perimetrale, quale — in base ai resti ar-
cheologici — l'abbiamo delineato in questa estremità occi-

dentale; il terreno, lungo cui questo tratto di cerchia si
trova, oggi ancora si mostra tale che nè a nord nè a sud di
esso è possibile far passare una via principale e porre, di
consegyenza, una porta. Non a nord, ove — pur sotto il fabbri-
cato moderno — il terreno si rivela ripido e scosceso; non
a sud, ove la roccia sporge quasi a picco sul sottostante suolo.
Queste condizioni topografiche delle località in parola cor.
rispondono a quelle tramandateci per il tempo passato. In-
fatti, mentre verso sud e verso nord nè si hanno tracce
di vecchie comunicazioni stradali, praticate nel terreno e
nella roccia e poscia scomparse, nè conosciamo documenti
che ci autorizzino a ritenerle — d’altra parte è sempre dif-
ficile ammettere che un cambiamento simile possa essere av-
venuto, senza lasciare alcun sentore di sé. Si ricordi che gli
scrittori locali, quando parlano di « questa ben habitata
contrada fin'a Porta Cinthia » (1), ne riconoscono la. vetu-
stà (2), e mostrano di non avere affatto notizia di uno schema

(1) Così P. ANGELOTTI, Descrittione ecc., pag. 45. Qui, Contrada = Via.
(2) Il Mattei ci descrive questa contrada (= strada) « sempre ornata di nobili
habitationi e per lo più d’antica architettura » Erario Reatino ecc., c. 80-82.
374 G. COLASANTI

o di un tracciato stradale diverso dall’odierno. Con ciò con-

corda il fatto che, lungo questa Via Cintia — specialmenté
nel tratto posto nel declivo dell’altura — troviamo antichi

edifizi, che ci fan risalire fino a tempi non certamente molto
vicini (1). Per tutte queste ragioni, e considerando anche la
forma del tracciato perimetrale da noi ricostruito, che rende
più che mai logica la ricerca di una porta nel tratto verticale
che riunisce le due linee murali di nord e di sud, la ubica-
zione della vecchia porta perimetrale, lungo la Via Cintia e
nel punto in cui questa era tagliata dalla cinta, è completa-
mente giustificata. Nella estremità occidentale dell’ antichis-
sima arteria (V. Garibaldi — V. Cintia) che — andava da
un punto all’altro della cinta murale, la Porta Cintia guar-
dava verso occidente, nel sito diametralmente opposto a quello
della Porta Carcarana. Il caseggiato moderno, che quantun-
que appartenente ad un'età recente non ha potuto fare a
meno di seguire, in questo punto, le tradizionali tracce dei
fabbricati anteriori, mantiene, con la sua linea che si avanza
a mò di strozzatura lungo la via, visibile indizio della porta
antica (Palazzo Ciaramelletti).

Il nome di questa vecchia porta ci appare — nei do-
cumenti medievali — sotto due forme, la cui affinità per al-

tro si rileva a prima vista. Sotto la forma di Porta Cinthia, lo
incontriamo negli Statuti della città (2), nei documenti segna-
latici nell'Archivio della Cattedrale (3) ed in tutti gli scrittori
locali (4); scomparsa la À .— dovuta probabilmente ad una

(1) Così il vescovato, la cui costruzione, nella veste odierna, risale al sec. XIII
(DesaNOTIS, Notizie storiche ecc., pag. 43). Il MATTEI, col suo solito linguaggio, ne
ammira le ornamentazioni « alla Gotica » (Erario Reatino ecc., c. 88); P. ANGE-
LOTTI ne riconosce anch'egli l'antichità (Descrittione ecc., pag 45), come pure il Mr-
CHAELI (Memorie Storiche ecc., IIT, 49). Altri edifici rimontano al cinquecento.

(2) I, 75, Additio I ecc.

(3) NAUDAEUS, Instauratio etc., pag, 39, 58: questi documenti, altrove riportati,
sono del sec. XIII e degli ultimi decenni del sec. XV.

(4) Cosi il Vittori (ms. cit., c. 116; 100 ecc.), e così tutti gli altri autori a noi
già noti. i
REATE, RICEROHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 919

formazione posteriore — la grafia corrente di questo nome
(dato anche a tutto un rione) oggi è Cintia. Nei ricordati pro-
cessi della Inquisizione, in carte dell'Archivio della Cattedrale
ed altrove incontriamo la seconda forma, rappresentata da
un gruppo onomastico unico, con leggerissimi divari: Porta
Cenciola (1); Cinciola (2); Gingiula (3); Cinzola (4); Cezola (5);
Zinzula (6); Cencia (1). |

Il ritrovare questa seconda forma nei processi della
Inquisizione, ove anche a proposito di Porta Carana in-
contriamo riprodotta la dizione popolare Carcarana; ed il
fatto che in essa si ha il suono fonetico dialettale, variamente
reso con c o con z, fan credere che questo secondo eruppo
onomastico costituisca la forma popolare. Deriva esso da
un Cintia (Cintiola, Cinzula, ecc.) oppure (ipotesi assai più
difficile) il nome Cintia o Cinthia è una derivazione poste-
riore classicheggiante della forma popolare? L'ipotesi più
probabile (si noti che noi parliamo unicamente di potest,
poiché altro non ci é permesso asserire dato il materiale
di cui disponiamo) a noi pare la prima. Le domande ed i

quesiti non finiscono a questo punto. Il nome Cintia — pre-
sunta formazione anteriore — si riporta al filone classico

(come quello di Porta Interocrina, già discusso; e come
l’altro — che presto esamineremo — di Porta Fomana, a
sud), oppure (come il nome di P. Carana, Carcarana ecc.)
ha una origine tutta volgare, da porsi in età posteriore ?

Quest’ ultima cosa — senza tuttavia far questioni cro-
nologiche — sospettò il Latini. Il quale — avendo trovato,

1) Bollett. cit., pag. 393.
2) Idem, pag. 406.
3) Stat. di Rieti, VII, 33.
(4) Idem, I, 135.
(5) Bollett. cit., pag. 393.
(6) NAUDAEUS, Instauratio ecc., pag. 63 (anno 1317-1320). Nello Statuto abbia-
mo anche una strana alterazione « Cinacula » (III, 31) dovuta forse all’ amanuense..
(7) Così nella Carta planimetrica del Picciolpasso.

(
(
(
316 G. COLASANTI

in un eleneo dei documenti dell' Archivio della Cattedrale
reatina, una donatio facia Ecclesiae Reatine per Reatinum
Cinthii de bonis omnibus quae habet etc. (Naudaeus, Instauratio
ecc. pag. 34) — avanza l idea secondo cui « aleuni potreb-
bero credere che Cintia sia stata detta dalla casa Cinti »
(ms. cit., fasc. IV, cap. XVIII) Come si vede, sarebbe una
spiegazione simile a quella dall'A. avanzata a proposito di
Porta Accarana; e come questa non ha valore alcuno. Oltre
che i Cinti non appaiono — per quanto sappiamo — come
una famiglia nobile ed importante nella storia della città,
riesce sempre difficile, nel caso nostro speciale, riportare ad
una famiglia la denominazione di una porta. Vedremo presto
come, e da una serie di documenti appartenenti ad epoche
più remote e dall’analogia di quanto vediamo nelle altre
porte della vecchia cerchia, siamo spinti a scartare senz'altro
supposizioni simili a quella del Latini, per fermarci in altre
più verosimili e più fondate. L'autore stesso, del resto, non
si illuse molto intorno alla sua idea, allorchè aggiunse : « af-
« finchè ... questa congettura avesse qualche fondamento,
« converrebbe mostrare che la casa Cinti fosse ‘contigua o
« almeno vicina a questa porta » (ms. cit., fasc. IV, cap. XVIII).

In favore della origine volgare della denominazione sta-
rebbe pure la notizia contenuta in un documento dell’Archivio
della Cattedrale reatina. L’anno 1075 Crescenzio figlio di Asone
donava, con pubblico strumento, al vescovo reatino Rainerio
i beni « quae habebat in territorio S. Ioannis, in ipsa Civi-
tate Reatina et in campo item Reatino, foris, iuxta Portam
Spoletinam ete. » (1). Poichè il nome di campo reatino oggi
ancora indica la zona a N.-W. ed W. della città, nel punto
volto verso Spoleto, la determinazione topografica di questo
passo non incontra difficoltà: la Porta Spoletina — di
fronte a cuì si estendeva il campo reatino — si trovava

(1) NAUDAEUS, Instauratio ete., paz. 32.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 577

(come del resto era facile desumere dal nome della città
verso cui guardava) ad occidente. Se si tien conto che il
riferimento del citato passo è alla vecchia cerchia (della nuova
non é neppure il caso di parlare, in quest’ epoca), nel cui
tratto settentrioniale ed occidentale non abbiamo vista che
un’ unica porta, quella ad occidente, vien fatto di assimilare
a quest’ultima, che conosciamo, la porta del documento del
1015: la quale adunque — accanto al nome di Cinzia, che
ci appare assai dopo il mille — avrebbe avuto l'altro di
Spoletina, ancor vivo verso la metà del secolo XI. Le porte
reatine hanno talvolta più di un nome, dovuto in genere a
ragioni del tutto locali, senza alcun riferimento ad una tra-
dizione passata (1); ma l'età in cui troviamo — quantunque
in debolissime tracce — questa denominazione; 1’ analogia
con ciò che è accaduto nella porta orientale, ove il nome
volgare si è sovrapposto a quello classico, verso il mille (2);
l'analogia con i nomi delle altre porte reatine, desunti tutti
dalle denominazioni delle città verso cui guardavano, par-
rebbero conferire a questa nostra denominazione del 1075 un
grande valore tradizionale, mostrandocela forse come l'ul-

(1) Così per la Porta d'Arce abbiamo vedute parecchie denominazioni non
aventi alcun carattere storico vero e proprio. Simile a queste potrebbe ritenersi
l'appellativo di Porta sancti Dominici, contenuto in un atto di permuta tra il con-
vento di S. Domenico e tal Bartolomeo de Castilionibus, al quale i frati davano
« unam iunetam de terra dieti loci posita extra portam sancti Dominici de Reate
iuxta rem sancte Marie et viam publicam et rem dieti loci prout terminatum est
cum introitibus etc. ». — L'atto — proveniente dall’ Archivio di S. Domenico ed
ora conservato nella Biblioteca Comunale reatina — reca questa data: « anno do-
mini millesimo, ducentesimo septuagesimo. Indic. XIII Ecclesiae romane pastore
vacante, mense martii, die ultima ». Se nel 1270 la nuova cinta era formata, il rife-
rimento di questo passo è ad essa, quindi alla sua porta maggiore (P. Cintia) o a
qualeuna delle secondarie vicine al convento (P. Sancti Apostoli), le quali da que-
st'ultimo avrebbero preso il nome. Se il vecchio perimetro, però, ancora viveva,
noi possiamo pensare alla maggiore porta, che era di fronte a S.'Domenico (P. Zin-
zola). B

(2) La menzione di Porta Spoletina scende fino all' anno 1075: quella di Porta
Interocrina si mantiene viva nelle carte farfensi fin verso la stessa età, poiché an-
cora nel 1084 i documenti ne fanno un raro accenno (Reg. di Farfa, V, pag. 83 ecc.,
secondo il passo già riportato a suo tempo).

25
3978 . G. COLASANTI

tima e debolissima vestigia del nome classico. Peró, nono-
stante questi riscontri che potrebbero certamente allettare,
occorre esser cauti. Non si dimentichi infatti che, per con-
clusioni simili, fan d'uopo assai più documenti e prove mag-
giormente dettagliate di quell’ unica che noi possediamo. I
diversi nomi, che vediamo dati alle singole porte (per quella
orientale ne abbiamo visto più di uno; questa occidentale
vien chiamata P. Cintia; P. Sancti Dominici; P. Spoletina ecc.
ecc.), indicano che non a tutti va attribuita una origine che
vada oltre tempi a noi relativamente vicini: e quello di
P. Spoletina potrebbe essere tra questi. Di più: una volta
assimilata — quanto all’ origine — la denominazione Cintia
con quella di P. Accarana (origine volgare), non riuscirebbe
strano che della prima denominazione non si sia — contra-
riamente a quanto è accaduto per la seconda — conservato
neppure un documento o un lontano accenno storico o topo-
grafico, che ne indicassero l’ etimo? Eppure questa denomi-

nazione ba ed ebbe un estesissimo e quotidiano uso. La ipotesi
circa l'origine volgare e posteriore del nome Cintia si imbatte,
adunque, in tante difficoltà di vario genere: perchè non ci
fermiamo per un momento sull’altra, con cui si verrebbe a

riconoscere a questa denominazione una origine classica ?
Come presto vedremo, nel lato sud della vecchia cerchia il
‘ nome veramente antico della porta non è stato soppiantato da
alcuna denominazione posteriore, e su di esso si sono formate
le denominazioni dei sestieri cittadini. Non potrebbe essere
avvenuto qualcosa di simile per questa porta occidentale ?
Al mondo classico molti scrittori ricorsero, e cercarono la
spiegazione del nome Cintia negli attributi di qualche divinità.
Poichè il nome della città faceva pensare a Rea, si rico-
nobbe in questa divinità la protettrice di Reate, confortati in
ciò dal noto accenno di Silio Italico :

« magnaeque Reate dicatum
Caelicolum Matri » (1).

(1) Pun. VIII, 414-417.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 919

Data la identificazione di Rea con Cibele (1) quest'ultima
fu ritenuta la protettrice della città sabina (2); ed allora, il
nome Cintia fu creduto come una forma parallela di Cibe-
leia, attributo da riportarsi a Rea: cosi opinó il Vittori (3).
Questa spiegazione, che incontrava forti difficoltà, sopratutto
perchè l'attributo Cintia appartiene a Diana e non a Ci-
bele (4), fu accolta da Pompeo Angelotti il quale la rifini,
eliminando ogni intoppo. Poichè nel lessico mitologico egli
conosceva un attributo Berecintia dato a Cibele (5), gli fu
agevole passare da questo al nome della porta, che sa-
rebbe stata < così detta da Rea, madre di Sabo, che ancor
Berecinthia fu chiamata » (6). Questa spiegazione parve appa-
gare le esigenze della piccola erudizione locale, nella cui tra-
dizione continuò a vivere indisturbata. E fu posta innanzi
al Guattani, il quale anch’egli sa che « da una illustre donna,
dalla favola trasformata in Rea (Divinità confusa di poi con
... Berecintia, Cibele, Opi, Matuta), sia derivato il nome
di Rieti », come « bastantemente è provato .... da una porta
della città che di Cinthia ancor porta il nome » (7). Solo il
Latini osò dubitare di questa opinione, che non gli parve
« bastantemente solida », poichè, « sebbene Rea venga dagli
antichi sovente confusa con Berecintia, in Rieti però non mai

(1) DAREMBERG ET SagLIO, Diction. des Antiq. Grecq. et rom. s. v. Cybéle.

(2) « Cybelem Magnam Deorum parentem Reatinae Urbis patronam esse »
(VrrTORI, ms. cit., c. 121); ove, appare evidente il nesso con i riportati versi di Silio.
— « Nomen suum Reatina urbs videtur sumpsisse a Rhea Dea, idest Cybele ; cui etiam
dicatam fuisse ostendit Silius etc. », così A. MANUZIO (De Quaesitis etc., pag. 10) che
riproduce esplicitamente la notizia di Silio.

(3 « Urbis Portam Cynthiam vulgo appellatam, a Cybele Cybeleiam dictam
quidam existimant » (VITTORI, ms. cit., c. 116); « portam unam ... quam hodie Cynthiam
vocant ... alii Veluti Cybeleiam a Cybele Urbis quondam patrona vocatam esse ma-
liut » (VrrTORI, ms. cit., c. 100).

(4 DAREMBERG et SacGLIO, Dict. des antiq. grecq. et rom. s. v. Diana.

(5) RoscHER, Griech. und Ròm. Mythologie s. v. Berecyntia.

(6) Descrittione ecc., pag. 90; cfr. anche pag. 45: « Porta Cinthia, nome heredi-
tato da Rea, ancor Barecinthia chiamata ».

(7) Monum. Sabini ece., I, II, pag. 279.
-— - Tot acne Wo

380 * G. COLASANTI

col nome di Berecintia, ma col nome di Rea venne adorata ».
Ciononostante, fra le tante che giravano, questa ipotesi
parve al nostro A. la « meno inverisimile » (per tutto cfr.
ms. cit, fasc. IV, cap. XVIII.

Forse non sarà neppure il caso di dilungarci a mostrare
come le opinioni, testé esposte, non abbiamo fondamento in
alcuna vera ragione di carattere storico, ma siano dovute
alla necessità di trovare comechessia una spiegazione del
nome in discorso. Per il nome Accarana la storiografia lo-
cale amò ricorrere ad un antico tempio di Ercole, che sa-
rebbe sorto lì presso: questo motivo ritorna per il nome
della porta occidentale. Da qual documento mai si desume che
la porta occidentale fosse dedicata a questa Rea o Berecintia?
Qualche scrittore raccolse l’antica ipotesi di un tempio dedi-
cato a Cibele, il quale sarebbe esistito lungo i dossi occidentali
del colle, quindi presso il sito di questa porta (Cybelis fanum
nostrates inibi ex maiorum traditione fuisse asserunt ubi nunc
Nobilium familia degit etc., Vittori, ms. cit, c. 116). Ma ve-
dremo come tale tempio non sia esistito affatto, mancandoci
così ogni base di fatto desunta dal dato archeologico: ciò
che fu noto, del resto, allo stesso Vittori il quale, peraltro,
persisté nella probabile spiegazione del nome della porta
con quello della menzionata divinità (1). .

Peró, in genere, questi scrittori non si erano male ap-
posti allorehé nel mondo classico cercavano la soluzione
del problema: taluno, anzi, confusamente intravide quella
che a noi sembra la spiegazione più attendibile. Tra le vie
che mettevano a Reate, il Vittori pone una Via Nomentana,
che giungeva a Rieti dalla parte di sud, per l’attuale Porta
Romana, e ne usciva dall’ estremità occidentale dell’ antico

(1) L'A. riconosce nei resti non « Cybelis fanum sed Amphitheatrum quoddam »
(m.cit.; Ce 116). i t


REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA. ECC. 381

abitato, dirigendosi verso Spoleto (1): assegna cioé a questa
Via Nomentana, nel tratto prima di Reate, il tracciato che è
della Salaria. Poichè, inoltre, conosceva la notizia di Dionigi,
I, 14-16, su una Via Quintia che usciva da Reate, non tardò
ad identificare con questa la sua Via Nomentana (2): presso
il punto in cui questa via usciva da Rieti (lato occidentale
dell'abitato) si trovava il nome di Portia Cintia; veniva
da sè un ravvicinamento tra questo nome e l’ antica via
tramandata da Dionigi. Al nostro autore, che su tale argo-
mento aveva ventilata più di una ipotesi, questa parve
l’idea più verosimile allorchè scrisse: ab hac via (cioè Quin-
tia) Reati portam unam Quintiam, quam hodie Cynthiam vo-
cant, appellatam esse ego pro compertissimo habeo etc. (3).
Il Vittori non potè addurre altre prove per questa sua
ipotesi preferita: ed in seguito accadde qui quel che era
accaduto per la Porta Accarana. Per la quale, avendo il
Vittori accennato tanto ad una spiegazione erronea (Acca-
carana da Hercolana, con il relativo tempio di Ercole),
tanto ad una desunta da più veraci criteri — la storiografia
posteriore lasciò cadere questa seconda, dando sviluppo e
credito alla prima, come quella che appariva incomparabil-
mente più grandiosa e più estetica dal punto di vista
della retorica. Altri rigettarono la felice intuizione del Vittori
per falsi apprezzamenti di notizie monche. Così il Latini —
che non doveva conoscere se non in parte e confusamente
il passo di Dionigi, di cui sapeva solo il nome della Via
Curia emendato in Giunia (4) — scrisse che «l'opinione del

(1) « ... per Vallem Reatinam Reate perveniebat : ibique Salariae rursus incidens
per campum, qui septem Pontium nunc appellatur, sub Lucum primum, postremo e
Sabinis egressa Spolentinos Umbriae populos Flaminiae ibi admissa petebat » (ms:

""elt., c. 78).

(2) « Nomentanam viam Dionysius Halicarnasseus ex Varrone ... Quinctiam
vocat ... Ex eo co'stat quod ete » (ms. cit., c. 78).
(3) Ms. cit., c. 100; cfr. pure c. 116, ove rigetta definitivamente la derivazione

. dal nome di Cibele.

(4) Simile emendazione é — fra le altre molte della lezione originaria — nel
Cluverio, Ital. Antig., p. 682.
382 G. COLASANTI

Vittori non puó in verun conto sostenersi; mentre, secondo
Dionigi d’Alicarnasso, da questa parte non passava la Via
Quinzia ma bensì la Via Giunia » (1). Più cauto fu il Guat-
tani, il quale ben conobbe. le due strade nella menzione di
Dionigi (2), pur restando in una grande indeterminatezza )
circa la identificazione avanzata dal Vittori. Si limitò, infatti,
a notare che « molti sono di parere che la Porta Cintia di
Rieti sia corrotto vocabolo di Quintia » (3), altrove espri-
mendo un giudizio ancora più riserbato (4). Il Michaeli — che
quanto agli schemi stradali segue in genere il Vittori (5) —
conosce la Via Quinzia, che — secondo la sua fonte — fa
giungere a Rieti dalla parte di mezzodi (6), ma che non dice
uscire da Reate per la parte di ovest, ove, anzi,. propende
a porre la Via Curia (I, 60) dal Vittori taciuta. Quindi, non
fa parola del ravvicinamento del nome della via con quello
della porta occidentale della città. Ed in ciò fu seguito da
altri, i quali — continuando a vedere il tracciato della Quinzia
a mezzogiorno di Rieti « nell'attuale Strada Romana » (7), ma
non facendo (secondo l'idea del Vittori) proseguire questa è
via verso ovest, e conoscendo il più antico nome della porta |
occidentale sotto la forma di Zinzula o Cincula (8), — non

videro la opportunità del ravvicinamento onomastico accen-
nato dal Vittori.

Tale è la questione nella sua origine e nel suo sviluppo
presso la storiografia locale: noi ripetiamo che l'orientamento
del Vittori, verso il nome dell’ antica Via Quinzia, possa of-

(1) Ms. cit., fasc. IV, cap. XVIII.

(2) Monum. Sabini ecc., I, 29-31.

(3) Monum. Sabini ecc., I, pag. 31, not. 1.

(4) Monum. Sabini ecc., II, pag. 279, not. 3.

(5 Memorie Storiche ecc., I, 56-58.

(6) Op. cit., I, pag. 58. D

(7) F. GORI ap. Michaeli, I, 123 e not. 2. L'A. dice nel testo: « Questa via (Quinzia)
traversava al Ponte del Monumento il fiume Torano ecc. », specificando sempre
meglio la sua idea nelle note 2 e 3.

(8 In Vita Sabina ecc., anno II, N. V, pag. 58.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 389

frire la soluzione più attendibile, qualora si approfondisca
largomento valendosi di quella documentazione che al Vit-

tori — per ragioni diverse — non fu nota.
Il primo punto importante della questione — come si
vede — consiste nella identificazione della Via Quinzia.

Dionigi di Alicarnasso, sulla fede di Varrone (1) ci lasciò
memoria di tre principali strade che portavano a Reate:
di una Via Quinzia, di un'altra il eui nome fu emendato in
Curia, e di una Via Latina: $5«v div ©

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“‘Pedtov .... Kowvtiag 69800 TANSIOY (I, 14). Seguivano, presso la stessa
via, Tribola, Suesbola, Suna, Mefula, Orvinium. Ad 80 stadi
da Reate or ioo. &ix v Kovpias 8206 Sl incontravano Corsula, V'i-
sola di Issa, Marruvio e Septem Aquae (I, 14-16). Da Reate,
sulla Via Latina, («jw émi vii Awztve» &2óv) Sono menzionate al-
tre città come Batia, Tiora, Lista, Cotilia (I, 14-16).
Per tacere di emendazioni minori proposte alle parole
di Dionigi (2), la più notevole, per il nostro argomento, è
senza dubbio questa sul nome della seconda via da Dionigi
menzionata. Il testo recava Iovpiag; e già il Cluverio registró e
raccolse tutte le emendazioni proposte sulla strana lezione:
"Io)vixe ; ZaXuplac; Obarepiac ECC. (3), finchè lo Chaupy — tenendo
conto di particolari accenni topografici intorno alla direzione
di questa strada, che raggiungeva Septem Aquae attraver-
sando la vallata reatina, guadagnata all'agricoltura da Curio
Dentato — vide l’emendazione in Kovpiag, in ciò seguito giusta-
«mente da tutti gli altri (4).

(1) óc Oddppwy Tepévctog Ev dpyatoroyiars ypdpst (I, 14-16).

(2) BunsEN, Annali dell’Inst. Arch., VI, pag. 129.

(3) Ital. Antiq., pag. 682. Cfr. anche BUNSEN, Ann. dell’Inst. Arch., VI, pag. 130,
nota 3.

(4) «I' observerai dabord touchant cette voie ecc.» (Maison d? Horace, III,
pag. 117). BUNSEN, A7. dell’Inst. Arch., VI, pag. 130, not. 3; pag. 135 136. NISSEN,
Italisch. Landesk., Il, 1, pag. 475, nota 1: doch scheint die Verbesserung sicher u. s. W.
Il GUATTANI rimase fermo alla lezione Giuria, e rigettò l' opinione avanzata « dallo
antiquario francese » (Monwm. Sabini ecc., I, pag. 20-30).

n ini api p
4
384 G. COLASANTI

Di queste antiche vie, contenute nel riferito passo di
Dionigi, la storiografia locale aveva fatta una sua speciale
identificazione topografica.

Tale questione noi l'abbiamo in parte accennata dianzi,
& proposito della denominazione di Porta Cintia: qui occorre
esporla nei suoi termini più chiari e precisi. Mariano Vittori
si era formato, del tracciato stradale antico intorno a Reate,
il seguente concetto:

a) egli aveva riconosciuto che a Reate giungeva, dalla
parte S.-W_ cioè dalla Val Canera, la Via Salaria che — at-
traversata la città — si inoltrava subito verso oriente per
lagro vestino (1);

b) dalla parte di sud, cioè per la valle del fosso La-
riana, faceva giungere a Reate la Via Nomentana che —
dopo Reate — 2n internas Sabinorum oras tendebat (2). E poichè
le città, che Dionigi nomina presso la Via Quinzia, erano
« in agro Reatino », vien da sé — concluse l'A. — che, in
mancanza di altre strade, questa V. Quinzia debba corrispon-
dere alla Via Nomentana e non alla Salaria, che per poco
solo attraversava il territorio reatino (3).

Questa identificazione del tracciato della Quinzia passò
negli scrittori posteriori con qualche divario: essi infatti la
ritennero per il tratto a mezzogiorno di Rieti (4), identificando
il tratto a nord-ovest di Rieti o con una Via Giunia (5) o con
una Via Curia (6). Il primo tratto stradale — cioè quello rite-
nuto per Quinzia — fu con questo nome accolto dai compi-
latori della Carta Topografica dell'Istituto Geografico Militare,
nelle varie levate a 25,000 ed a 50,000, e quindi divulgato.

(1) Ms. cit., c. 78 ed 86.

(2) Ms. cit., c. 78 ed 86.

(3) Ms. cit., c. 78.

(4) MICHAELI, I, 56-58. Gori apud Michaeli, I, pag. 123, note 2 e 3: « dai topografi
Si ritiene comunemente che (la via Quinzia) sia l' attuale strada Romana ».
(5) LATINI, ms. cit., fasc. IV, cap. XVIII.
(6) MICHAELI, I, 60.

t-
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 385

Ciò che era il prodotto di una speculazione di eruditi recenti

(Vittori ed altri) passó come un vecchio ricordo toponomastico;

e come tale appunto dové essere accolto dal Nissen (1).
Per cominciare con ció che fu comunemente ritenuto

da tutti questi scrittori, diciamo che la identificazione della -

Via Quinzia con il primo tratto stradale, che per il fosso
Lariana giunge a Rieti, è errata. Si osservi il territorio intorno
a Rieti. A mezzogiorno della città, ove si riuniscono prima di
toccare l'abitato, oggi fanno capo due strade: quella che pro-
viene da sud, per l'angusta valle del fosso Lariana e per la
valle del Turano, imbocca in linea retta la Porta Romana.
L'altra, per la valle del fosso Canera, passa sotto Cerchiara
e Poggio Fidoni, sbocca nella valle reatina, ove piega a de-
stra e, risalendo per la estrema valle del Turano, si ricon-
giunge alla prima strada avanti alla Porta Romana. Lo sba-
glio fondamentale del Vittori sta nell’ aver commesso un
primo errore sulla identificazione del tracciato della Salaria,
che gli era noto passare per Reate: essa però correva se-
condo il tracciato della ipotetica Via Quinzia e non per la
Valle Canera, a S.-W. di Reate, come credè il Vittori. Il quale,
dopo questa prima identificazione, di fronte alla necessità di
procedere ad una. identificazione della vecchia strada che
conosceva per il fosso Lariana, protrasse arbitrariamente per
Reate la Via Nomentana, facendola tutt’ una con la Quinzia.

I nostri documenti dimostrano la erroneità della ipotesi
del Vittori. L’ Itinerario (2), seguendo la Salaria, pone tra
Roma e Reate complessivamente 48 miglia, pari a 72 km.:
la Peutingeriana pone, tra le due città, poco più di 45 miglia:
nelle quali peró é omessa la distanza tra Roma e Fidene.
Colmando tale distanza, i due schemi sono — quanto alle
misure — pressoché simili, poiché non divergono che per un

(1) Italisch. Landesk., II, l, pag. 475: si ricava dalle parole « die süd-strasse
heisst Via Quintia ».
(2) Ediz. PARTHEI-PINDER, pag. 145 146.
386 G. COLASANTI

miglio in più, che la Peutingeriana pone tra Ereto e ad Novas

(ove si hanno 15 miglia in luogo delle 14 dell Itinerario). -

Se si considera che tra Roma e Reate, in linea retta, pos-
sono computarsi 60 km., e che la differenza (12-60 — 12 km.)
trova plena giustificazione nella accidentalità del terreno e
nella linea, non sempre retta certamente, seguita dal tracciato
stradale, il valore dell'Itinerario non tarderà ad essere in
sostanza riconosciuto. Secondo esso, adunque, questa Salaria
giungeva a Reate per la via più breve, attraverso cioè il fosso
Lariana ela valle del Turano, per dove troviamo ancora una
vecchia via di comunicazione. Chi volesse far seguire alla
Salaria una direzione diversa — facendola girare, ad esempio,
per la. Valle Canera — dovrebbe certamente assegnare alla
strada una lunghezza assai maggiore, che mal si accorderebbe
con le indicazioni che possediamo: difficoltà questa, che fu
nota anche a qualche scrittore locale (1). Chela Via Quinzia
vada riconosciuta nel tracciato stradale per la Val Canera?
Ma si noti che; mentre una ipotesi simile non balenó neppure
alla mente degli scrittori locali, noi d' altra parte non abbiamo
ragione o documento alcuno per formularla o sostenerla.
E non essendo il caso di trarre in questione il lato sud-
est della città, sia per le ragioni dianzi esposte a proposito
della via di Val Canera, sia perché il terreno non permette

(1.« Il giro che il Vittori ... ed il Michaeli ... fanno fare per ... Valcanera alla
Via Salaria, è troppo lungo » così il GoRI (apud Michaeli, I, pag. 123, not. 2). L' er-
rore fu evitato dallo CHAUPY (Maison d’ Horace, III, pag. 106 e 114); dal BUNSEN (A7-
nali dell'Inst. Arch., VI, pag. 132-133); dal GUATTANI (Monum. Sabini ecc., T, pag. 29-31,
passim). Cfr. anche C. I.L., IX, pag. 582-584; X, pag. 438, e le carte storiche del SIEGLIN,
KiePERT ecc. Il PERSICHETTI (Viaggio Archeologico ecc., par. 34, nota 1) scrisse che
« la Salaria ... dopo essere passata per Fidene, Eretum e Vicus Novus, incontrava
una prima città, Reate. Entratavi dalla porta Romana ed uscitane ecc. ecc. ». E
questo concetto fu seguito anche dagli scrittori minori: così l'Agamennone (apud
PERSICHETTI, l. cit.) insiste particolarmente contro il tradizionale errore allorché
scrive che « la Salaria venendo da Roma penetrava a Rieti nelle adiacenze di porta
Romana e non già dalla parte destra del Velino dove si troverebbe oggi porta
Cintia »; ove, si suppone che la Salaria, secondo l'erroneo schema, dalla Val Canera
andasse diritta verso Reate.
RÉATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 1 2984

lo sbocco di una strada proveniente dal sud, noi siamo ri-
chiamati verso le altre direzioni del territorio reatino, e pre-
Cisamente verso ovest, verso settentrione e verso oriente
della città, ove si estende l'ampia conca: è qui che dob-
biamo ricercare — tra gli schemi stradali tramandatici da
Varrone — l’identificazione della Via Quinzia.

Come abbiamo già brevemente accennato, un primo dato
per la soluzione del problema fu offerto dal felice emenda:

mento che lo Chaupy propose della lezione è 76 ‘Tovpias 6200

in è 9g Kovpiag 8309, ponendo in bell’ accordo la ragione
storica del nome della via con le indicazioni topografiche
che, nel passo di Dionigi, ci additano il punto verso cui
la Via Curia andava. Attraverso un pais découvert par M.
Curius (1), cioè lungo la valle reatina, si dirigeva verso
ovest-nord-ovest partendo da Reate; ad ottanta stadii dalla
quale, cioè a più di 14 km., ricadono le prime indicazioni di
centri abitati (2).

Si ricordi la conformazione della conca reatina: trac-
ciata la Via Curia nella sezione nord-ovest, ci par difficile
portare per la stessa parte un'altra importante strada, quando
a nord e ad est abbiamo un esteso territorio a nostra disposi:
zione. Da alcune indicazioni topografiche (la vicinanza ad Ami-
terno di Lista, posta sulla così detta via Latina), è facile de
sumere come Dionigi, per la estrema sezione orientale di
questa pianura, conduca la terza delle vie nominate, quella
ch'egli chiama Latina (amò de '"Pedvou mai tiv eTi Aativnv ddòv
ioda).. Di maniera che per la prima via, cioè per la Quinzia,
non resterebbe che il territorio intermedio tra le due, che si
estende cioè a nord di Rieti. A questo territorio aveva con-

(1) Maison d’ Horace, III, pag. 117.
(2) BUNSEN (Annali dell’Inst. Arch., VI, pag. 180, nota 3, pag. 135-186): « Questa
via Curia ... andava alla regione de’ laghi dove oggi trovasi il lago di Piediluco e
Ripasottile ». Questa strada andava — adunque — verso nord-nord-ovest e non verso
le Nord de Reate, come scrisse lo CHauPyY (op. cit., l. c.), e come fu ripetuto dal
NisseN il quale parla di una Nord-strasse (Ital. Landesk., II, 1, pag. 475).
388 j G. COLASANTI

fusamente pensato il Vittori, allorché protrasse per questa
direzione la Via Nomentana o Quinzia. Egli peró, non avendo
notizia né concetto della Curia, assegnò alla Quinzia un
tracciato che corrisponde veramente alla prima. Essa an-
dava da Reate per campum qui septem pontium nunc appellatur,
sub Lucum primum, postremo a Sabinis egressa, Spolentinos
Umbriae populos Flaminiae ibi admissa petebat (ms. cit. c. 18).
Con maggiore precisione ne scrisse il Bunsen il quale, pur
nella difficoltà di offrire una sicura soluzione dell'im-
portante questione (Annali dell’Instit. VI, 133), intuì tuttavia
che la Via Quinzia doveva avere « una direzione settentrio-
nale verso Cantalice e Leonessa » (1); e fu seguito in ciò dal-
Guattani, che determinò meglio la idea del Bunsen indicando il
tracciato della via in quello che, su per giù, oggi è seguito
dalla principale comunicazione verso il nord (2).

Dalla Porta Cintia esce questa via che — con un retti-
filo di circa tre chilometri — raggiunge il punto detto le T're
strade: qui, un ramo continua a settentrione, per piegare poi
verso Cantalice e Villa Troiana, ritornando sulla strada che
entra a Rieti per la Porta d'Arce. L'altro ramo, a sinistra,
segue in direzione di nord-ovest e, passando tra il lago
Lungo e quello di Ripasottile, raggiunge il fosso di S. Susanna
e prosegue per i monti.

Il rettifilo, con la conseguente biforcazione, è però il ri-
sultato di un recente rimaneggiamento dello schema stra-
dale: la vecchia via andava più ad occidente, indi seguiva
verso il fosso di S. Susanna più o meno secondo il tracciato
odierno. Questa linea di comunicazione, in tale direzione, ci
appare fin da tempi non recenti. Le fonti locali (3) cono-

(1) Annali delU Inst. Arch., VI, pag. 138.

(2) « la Quinzia ... sembra esser ... una via che si staccava dalla Salaria per
servire nel territorio Reatino alla volta di Norcia, coincidente presso a poco a quella
che vi é presentemente » (Monum. Sabini ecc., I, pag. 31).

(3) GUATTANI, Monum. Sabini ecc., I, pag. 31. Da lui attinge il MrcHaELI che
però pone presso questo Monte del Gambaro la Via Curia (I, pag. 60). Nella pianta
planimetrica del Picciolpasso è tracciata con una linea questa strada, nota anche
al Vittori.
REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 171989

scono una nota via che passava presso il così detto Forte
del Gambaro (una prominenza a circa due chilometri in linea
retta a nord-est delle Tre strade); ivi pure gli Statuti cono-
scono una via di transito (1), indicataci altresì come una im-
portante arteria verso il nord dai documenti del principio del
trecento (2). Chi conosce la grande persistenza che, attra-
verso i tempi, hanno in genere gli schemi delle strade, non
troverà difficoltà a vedere, in questa nota via medioevale,
la continuazione di una vecchia tradizione stradale, tanto
più che siamo in un territorio ove, in ogni tempo, è stata
necessaria una comunicazione con l’alto paese del nord.

Orbene, data la direzione che doveva seguire la Via Quin-
zia per questo medesimo territorio, chi troverà eccessivo stabi-
lire — se non la piena corrispondenza — lo stretto nesso topo-
grafico tra questo vecchio schema stradale e la strada an-
tica nel vero senso della parola?

In capo a questa vecchia via — nella estremità occi-
dentale del vecchio perimetro reatino — noi troviamo un’ an-
tica porta, il cui nome di P. Cinzola è — foneticamente par-
lando — troppo simile al nome dell'antica via (Cinzola da
Quintiula), perché non si possa in esso vedere ancora una
prova della esistenza della strada che per essa usciva.
Con che noi abbiamo innanzi un'altra importante con-
clusione, a cui fin da principio miravamo: cioè la dichiara-
zione etimologica del nome della vecchia porta con quello
dell'antica strada, mantenutosi attraverso le età posteriori.
E tutto suffraga questa ipotesi. Si noti che i nomi di al
tre due antiche porte reatine trassero origine anch'essi da

(1) Il Monte Gambaro è menzionato al c. 52 del libro IIIT. A proposito delle vie,
che partivano « porta Giungiula, si prescrive altrove di « reparare pontem. vie in
pede montis gambari » (IIII, 33). i

(2) Nei citati processi della Inquisizione contro il Comune di Rieti, il messo
dell’ Inquisitore di Leonessa giunge a Rieti per la Porta Conca, mostrando così di
aver seguita questa strada settentrionale (Bollett. di Storia Patria per Umbria,
anno VI, vol. V, fasc. II, pag. 383-384).
I.

" bo rw A
w ^ —— -
Ta = A — UTE - =

T

Son G. COLASANTI

ragioni di carattere topografico: la Porta Interocrina da In-
terocrium, verso cui guardava, ela P. Romana, da Roma. Di
essi, quello della porta orientale fu dimenticato, sopratutto per-
ché — mentre l'antica denominazione, legata al nome di un

| oscuro oppido, facilmente tramontò dalla coscienza popolare con

il decadimento della notorietà di Interocrio, nei nuovi tempi
dopo il mille — lo sviluppo dell’ abitato, avanti alla vecchia
cerchia ed alla porta, aveva ivi creato un noto sito di rife-
rimento — le pubbliche carceri — che in breve sopraffece
ogni altro preesistente. Il nome della Via Quinzia, invece,
era — grazie alla persistenza ed alla notorietà dell antica
via — radicato nella coscienza popolare, che ne mantenne
il ricordo nel nome della porta da cui usciva la strada.
Qualcosa di simile — come vedremo — accadde per l’antico
nome della porta meridionale — P. Romana — rimasto
inalterato, o per la non mai affievolita notorietà di Roma
durante l' evo medio, o perchè la via, officialmente detta Sa-
laria e fino ad oggi in gran parte mantenuta, fosse dal po-
polo indicata con la denominazione di Romana.

Con tale nostra dichiarazione — alla quale peraltro non

intendiamo attribuire niente altro che una forte probabilità

ed un certo grado di verosimiglianza — il passo di Dionigi
ci apparirebbe chiaro sotto un altro riguardo. Una volta fatta
uscire la Via Quinzia dalla omonima porta occidentale, la
Via Curia — che la assenza di un'altra porta lungo il vec-
chio perimetro ci vieta di fare entrare direttamente nella
città — ci appare come una diramazione occidentale o sini-
stra della via principale (Quinzia) diretta a nord: qualcosa,
cioè, che richiama assai da vicino l'odierna distribuzione
stradale in questa regione. Ci spiegheremmo con ció come
Dionigi avesse menzionata prima la Via Quinzia, partendo da
Rieti, e poi la Curia.
(Continua). G. COLASANTI.

N. B. — La pianta topografica di Reate sarà pubblicata con la seconda parte del
lavoro.
———

391

DI UNA FALSIFICAZIONE CONTENUTA NELL'ANTICO “Regestum,,

DELLA CHIESA DI ORVIETO

1. — L'Archivio vescovile di Orvieto possiede un grosso
codice membranaceo che è il più antico dei Regesti dell’ e-
piscopio. Contiene atti che dal 1024 vanno fino al 1388.
È contrassegnato con la lettera B. Risulta di più quaderni
o registri che in origine separati fra loro, poi riuniti e cu-
citi insieme senza seguire l'ordine dei tempi, ebbero una
legatura moderna in cartone col dorso in pelle verde. Dà la
prova dei diritti delia mensa, riproducendo in copia auten-
tica atti rogati da molti notari.

I più antichi regesti e i più interessanti istrumenti, con
alcune note marginali contenenti notizie del vescovado rac.
colte e scritte dal vescovo Ranieri, sono stati pubblicati già
da molti anni sol per quel tanto che poteva entrare nello
scopo dell’ editore (1). Ora qui si vuol portare l'attenzione
sopra un atto che per i suoi rapporti storico-critici è il più
interessante di tutto il codice, sebbene a nessuno abbia mai
dato nell'occhio. Non è altro che un apocrifo, ma un apo-
crifo sul quale si riconnettono questioni storiche di alta im-
portanza agiografica.

Il notaio, per autorità imperiale, Guido Bruni, l' anno
1231 roga un istrumento di recognizione, sulle attestazioni
dei terrazzani di Bolsena, in diocesi di Orvieto, per i diritti
che in quella terra reclamava il vescovo. Era vescovo
quello stesso Ranieri di cui il marchese Marabottini, insigne
erudito orvietano del secoto XVII, così scrive: « Praeclarus

(1) FUMI, Cod. dipl. della città di Orvieto, Firenze, 1884.

cn nce -@@@@P@@@—@P@P@qrnnt
er ponga VOiQ Rt

392 L. FUMI

« hic Episcopus... inter coetera memorata digna episcopalia
«monumenta tabellionibus custodienda tradidit » (1). Vescovo
dallanno 1228 all'anno 1248, il suo pontificato si distinse
per zelo di religione, per risolutezza e vigoria di carattere,
come era proprio delle grandi anime di quel tempo che fu
testimone della mirabile vita di S. Francesco e della vigoria
di azione di S. Domenico, «l'un... tutto serafico in ardore »,
« l’altro... di cherubica luce uno splendore ». Dell’uno e
dell altro il vescovo Ranieri accolse « gli agni della santa
greggia » nella sua diocesi, fondandone i conventi che sono
dei primi d' Italia.

Consapevole della sua forza, contrastó nel foro ecclesia-
stico, fece la ricognizione dei censi, percosse la feudalità in-
vadente, fulminò l' eresia audace, contenne il clero corrotto,
rivendicò i diritti della sua mensa depauperata e languente.
Questa percepiva anche fuori della città proventi e rendite :
li percepiva da più luoghi. Erano le cosidette « domnicarie »
dovute da varî castelli: dal castello di S. Vito, dal castello
di Parrano, dal castello di S. Lorenzo, da Bolsena, da Santa
Cristina, da Sant’ Ippolito, dall’ Isola Bisenzina, da Bisenzo,
da Gradoli, dalle Grotte, da Acquapendente, dalla pieve di
San Giovanni di Montepagliano, da Ficulle, da San Donato,
da Morrano, da Silvola, da San Felice, da Santa Maria in Sil-
va, da Rasa, da Miniano, da Stiolo, da San Fortunato, da Porano
e Montelungo. Oltre alle rendite di tutti questi luoghi, erano
dovute prestazioni dagli uomini di Caio e di Appona. Con-
tuttoció, le entrate erano così assottigliate, che dalle rendite
delle stesse terre appena si ricavava tanto da vivere in epi-
scopio per tre mesi dell’anno, con la grossa famiglia che un
vescovo di quei tempi era obbligato a tenere e con gli ospiti
e pellegrini che facevano capo. al palazzo. Due erano le
cause di tanto impoverimento; la dispersione dei beni per

(1) MARABOTTINI, Catalogus Episcoporum Urbisveteris, Orvieto, 1667, pag. 14.
"=

DI UNA FALSIFICAZIONE, ECC. 393

essere stati alcuni dissipati (1) e donati ad altre chiese, e il
decadimento delle popolazioni: « cum paulatim ipsa loca

habitatoribus deserantur ». Tuttavia, il vescovo intese a ri-

vendicare i suoi diritti e, sebbene convinto di doversi poi
ritrovare ad un disinganno, ordinò la recognizione di tutte
le ragioni episcopali: « licet dictorum locorum fructus, red-
ditus et decimationes potius minui expectatur, quam augeri ».
Per tal modo, abbiamo una serie di atti dall'anno 1229 in

. poi, dove gli allodî sono recensiti, i canoni rinnovati sulle

attestazioni di uomini degni di fede, autenticate legalmente,
non perdonando a spese e a sacrifizi per questo. Arrivò ad
impegnare libri e suppellettili per trarne denari da avere
alla mano giorno per giorno. Come. per i luoghi ricordati più
sopra, così fece redigere istrumenti per gli allodî di Bolsena,
dove le case del castello di Ritopo, la parte alta che sopra-
stava al borgo, lungo il castello e la chiesa monumentale,
erano di suo diritto dominicale. Molte delle case intorno al
castello (« appenditie ») erano di suo allodio. Si procedette
alla legale recognizione, constatando, anzitutto, i diritti con-
suetudinarî mediante l esame testimoniale.

Il rettore o console del comune di Bolsena faceva ban-
dire a suon di corno che chiunque credesse aver diritti sul
castello di Ritopo si dovesse trovare l'indomani in confronto
coi testimoni che il vescovo avrebbe introdotti per la prova.
Venuto il giorno dell’ audizione, si presentò per il primo il
preposto della chiesa di Santa Cristina. Egli disse di ricor-
darsi bene che fino da quaranta anni indietro e più i pro-
curatori o agenti del vescovo (« nuntii ») venivano a ri-
scuotere le pensioni di tutte le case e dei casalini di Ritopo,
raccogliendo due denari per ogni casalino. Così disse delle
« appenditie ». Concordemente testimoniarono Marco Bufi,

(1) Il vescovo Rustico « fautoribus suis multa donavit bona episcopalia in .

Mealla, Vulsinis, Sancto Habundio, vallé Urbevetana et aliis locis » (Cod. dipl. Cil.;
pag. 27, doc. XXXIX, in nota).

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394 L. FUMI

prete Isolano e Bartolomeo Regis, quantunque non mancasse
chi dicesse di non esser tenuto a dar nulla per conto proprio.
Delle testimonianze fu redatto istrumento pubblico per mano
di un notaro che aveva nome Servusdei, nome che si ritrova
in un elenco di persone già condannate dal vescovo stesso e
poi assolute. L'istrumento ha la data del 16 marzo 1229. Con
altro istrumento, moltissime altre persone dichiararono te-
nere, in varie altre parti del castello e del distretto, case,
capanne, terre, orti, a titolo di fitto dalla amministrazione
vescovile, usando le espressioni « pro lare suo, pro foculare
suo, pro domo sua, pro casa, pro casalino ». Donde provenis-
sero questi diritti non è accennato. Facilmente potevano ri-
salire alla donazione che il conte orvietano Bernardo fece al
vescovo Guglielmo l’anno 1115 della chiesa di Santa Cri-
stina (1). à

Potevano bastare le attestazioni degli uomini piü autore-
voli e stimati: poteva bastare la dichiarazione raccolta da
un numero considerevole di altre persone. Se ne contano
oltre a centosettanta negli istrumenti pubblici del Servusdei.
Non parrebbe quindi dovesse esservi stato bisogno di un
nuovo atto testimoniale. Invece, di li a breve distanza, ap-

‘pena due anni dopo, si doveva tornare a sentire daccapo
?

dalle stesse persone la stessa cosa. Il medesimo proposto,
il medesimo prete Isolano, quelli stessi Marco Bufi e Bar-
tolomeo Regis, tutti testimoni escussi nel 1229, balzano
fuori di bel nuovo nel 1231 a contare la identica storia.
Un nuovo atto si redasse in questo anno così vicino all’ al-
tro, non più però a rogito del Servusdei, ma a rogito del
notaro Guido Bruni suddetto, per aggiungere anche le di-
chiarazioni del Console e di altri.

2. — Ponendo a fronte luno con l'altro atto (che in-
dichiamo con le lettere A e B) se. ne scorge la generica so-
miglianza tanto nel suo intrinseco, quanto nella forma. :

(1) Cod. dipl. cit., pag. 9, doc. XIV.

v
DI UNA FALSIFICAZIONE, ECC. 395

Archivio Vescovile di Orvieto - Co-

dice B, c. 64t.
Documento A.

In nomine domini Amen. Anno
eius Millesimo Ducentesimo vice-
simo nono. Die secundo mensis
Martii exeuntis. Indictione secun-
‘da. Testes producti a domino Ra-
nerio Vrbevetano episcopo super
allodio et proprietate Castri ritopii
et eiudem appendiciorum, contra
quemlibet possidentem et contra-
dicentem ex ipsis rebus.

Presbyter Tholomeus prepositus
eeclesie sancte xpine iuramento
dixit quod bene recordatur tem-
pore quadragintaquinque annorum
et plus quo tempore vidit assidue
annuatim nuntios episcopatus ur-
bisveteris colligere pensiones de
omnibus et singulis casis et casa-
linis positis in castro ritopii, et
colligebantur duo denarii de quo-
libet casalino ipsius castri quia
allodium est episcopatus urbisve-
teris. Item dixit quod omnes ap-
pendicie specialiter ex parte fossati
corvelli sunt de allodio episcopa-

tus, et filii pepucii publice dice-

Archivio Vescovile di Orvieto - Co-
dice B, c. 118t.

Documento E.

In christi nomine Amen Anno
eius nativitatis Millesimo ducente-
simo tricessimo primo die quarto
mensis iulii exeuntis. Domino Gre-
gorio papa nono residente Domino
etiam Frederico secundo Romano-
rum imperatore Regnante Indic-
tione quarta. Testibus productis
a domino Rainerio urbevetano Epi-
Scopo super decimis sulcatico col-
ligendis pro episcopatu urbevetano
et super allodio et proprietate burgi
saneti Iohannis de bulseno intus
et extra usque ad portam maio-
rem et eorumdem appendiciarum
contra quemlibet posidentem et
contradicentem ex ipsis rebus et
domibus.

Presbiter Tholomeus prepositus
ecelesie sanete Christine Juramen-
to suo dixit quod bene recordatur
a tempore .L. annorum et plus
quo tempore vidit asidue annua-
tim procuratores et nuncios epi-
scopatus urbevetani colligere de-
cimas sulcaticum de omnibus col-
lectis et fructibus tempore messis
et vindemie et sulcaticum tempore
nundinarum, et colligere pensio -
nes de omnibus et singulis Casis
domibus caselinis et ortis positis
in supradieto burgo incipiendo a
porta versus Sanctum Laurentium
usque ad portam maiorem ab utra-
que parte vie, et ab appendieiis
montium, videlicet, castri sancte
marie, podii fratrum et castri Ri-
topi usque ad muros antiquos.
Excepto quod a saneta maria us-
que ad plateam .sanete Christine
omnes domos casas et casalina

LL

Saar

lu mS ——

EDT WIL x

— (

el
396 T

bant quod ab episcopatu ipsas
habebant, et pensionem reddebant.
Item dixit quod pauci sunt qui
habeant aliquod in alis appendi-
ciis predieti castri de possessione
quos ipse testis non viderit inde
reddere pensionem nuntiis episco-
patus. quia sunt de allodio episco-
patus, non doctus, nec pretio du-
etus, nec odio vel amore, nec cum

aliquo sie dicere concordavit, et
aliud nescit.

Marcus bufi iuramento dixit
quod bene recordatur tempore XL,
annorum, quo tempore assidue
vidit nuntios episcopatus urbisve-
teris colligere pensiones ab omni-
bus hominibus qui aliquod habent
de possessionibus positis in castro
ritopii, et colligebant duos dena-
rios de quolibet casalino quia al-
lodium totius castri predicti est
episcopatus, Item dixit quod frater
eius Iacobus qui antiquior eo fuit
dicebat ei quod a domo bone bi-
fulei sursum sicut mittit via que
venit a porta erat allodium epi-
stops set nescit aliud, non doc-
tus, vel pretio ductus.

Presbyter Insulanus prédicte ec-

FUMI

sunt et, respondent ecclesie sancte
Christine, non dact: nec precio
ductus nec odio vel amore. nec
cum aliquo sic dicere concordavit
et aliud nescit.

Frederieus tholonarii rector et
consul comunitatis de Bulseno Ju-
ramento suo dixit quod bene re-
cordatur .XLv. annorum, quo tem-
pore assidue vidit nuncios urbe-
vetani episcopatus colligere pen-
siones ab omnibus hominibus qui
posidebant domos Casalena casas
et ortalia in burgo sancti Johan-
nis intus et extra et in eius per-
tinentiis quod est allodium urbe-
vetani episcopatus, a porta que
est apud ecclesiam sancti Johan-
nis et pro qua itur ad sanctum
laurentium usque ad portam ma-
iorem que est apud planitias ca-
stri Ritopii, et appendiciis castri
sancte marie podii fratrum et Ca-
stri Ritopii usque ad fossas ma-
gnas civitatis seu muros antiquos,
et similiter dixit continue vidisse
prefaetos procuratores et nuncios
colligere decimas integras tempore
mesis et vindemie et suleaticum
tempore nundinarum sanete Chri-
stine, et dixit quod à sancta ma-
ria usque ad plateam saneti glorii
saeu sanete Christine omnes do-
mus case et casalina respondent
eeclesie sancte Christine, non doct:
nec precio ductus nec odio vel
amore dixit nec cum aliquo sic
dicere concordavit et aliud nescit.

Iudex albertucii suo juramento
dixit quod bene recordatur tem-
pore .Lx. annorum quo tempore
continue et singulis annis vidit
nuncios episcopatus urbevetani col-
ligere decimas ab omnibus habi-
tantibus in Bu[l]seno et in burgo

*. a
clesie iuramento dixit, quod bene
recordatur tempore quinquaginta
annorum, quo tempore assidue vi-
dit nuntios episcopatus sine lite
aliqua colligere duos denarios de
quolibet casalino existente in ca-
Stro ritopia pro pensione allodii
episcopatus quia ipsum castrum
est de allodio episcopatus. Item
dixit suo iuramento, quod firmiter
credit quod omnes apendicie pre-
dieti castri sint de allodio episco-
patus Urbisveteris licet nicola pe-
tri boni, et filii pepucii et ecclesia
sancte xpine dicant se pensionem
non debere reddere, non doctus
nee pretio ductus.

Bartholomeus regis iuramento
dixit, quod bene recordatur tem-
pore XL, annorum, quo tempore
anuatim vidit nuntios episcopatus
Urbisveteris, colligere pensiones
nomine ipsius episcopatus de ca-
stro ritopia et colligebant .II. de-
narios de quolibet casalino, quia
allodium ipsius castri est episco-
patus, non doctus nec pretio du-
etus, non odio vel amore nec cum

aliquo sie dicere concordavit.

DI UNA.FALSIFICAZIONE, ECC.

991

et quod ipse et sui precedessores
semper solverunt decimam inte-
gralem episcopis vel nuncius suis
de omnibus fructibus suis et quod
similiter vidit ipsos nuncios col-
ligere pensiones et fictus domo-
rum casalenorum casarum et or-
torum, burgi sancti Johannis intus
et extra incipiendo a porta versus
tirum usque ad portam maiorem
versus Romam, quia omnes domus
possessiones ortalicia molendina
et ductus aque, que sunt infra has
duas portas, et apendicias castri
sancte marie podii fratrum et ca-
stri Ritopii, et muros veteres civi-
tatis sunt episcopatus et ecclesie
urbevetane, et de eius allodio Sed
est verum quod ab ecelesia sancte
marie versus viam de directo us-
que ad plateam sanctorum Chri-
stine et glorii omnes case casalena
et domus sunt de allodio sancte
christine non doct: nec precio duc-
tus nec odio vel amore sed pro
veritate dicenda. nec cum aliquo
sic dicere concordavit, et aliud
nescit.

Mareus bufi juramento suo di-
xit quod bene recordatur tempore
octuaginta annorum quo tempore
assidue vidit procuratores et nun-
eios urbevetani episcopatus colli-
gere colleetas decimas sulcaticum
et pensiones sicut dixerunt supra-
dieti testes examinati excepto .
quando bulsenenses habebant guer -
ram urbevetanis, non doct: nec
duetus precio etc.

Presbiter insulanus in sancta
christina Juramento suo dixit quod
bene recordatur tempore .xL. an-

.norum quod semper et singulis
.annis vidit colligere pro ut dixe-

runt prenominati testes.

Iacobus bufi dixit. suo jura-
398 L.

Ego servusdei imperiali aucto-
ritate notarius constitutus hos te-
stes recepi et eorum dicta ut supra
legitur ad memoriam perpetuam
conservandam scripsi et subscripsi.

Signum dicti servidei (segno)

Notarii.

FUMI

mento quod bene recordatur tem-
pore nonaginta annorum et quod
semper vidit colligere prout dixe-
runt allii testes suprascripti ex-
cepto quando bulsenenses facie-
bant guerram cum urbevetanis. »
Bartholomeus regis iurameuto |
suo dixit quod bene recordatur |
tempore .LxnH. annorum, quod |
similiter semper vidit colligere de- |
cimas pensiones et sulcaticum si- |
|

cut dixerunt supradicti testes.

Angellus aldromanducii Jura-
mento suo dixit quod bene recor-
datur tempore quinquaginta an-
norum, et quod semper et assidue
vidit nuncios episcopatus urbeve-
tani, colligere sicut dixerunt su-
pradieti testes.

Glorius lucii suo Juramento di-
xit quod bene recordatur tempore
.LX. annorum et semper' vidit col- |
ligere decimas collectas pensiones j
et suleatieum pro ut supra dixe- 5
runt, et quod multociens adiuvit
nuneios episcopatus colligere ipsas
decimas non doct: nec precio due-
tus etc.

Aetum apud Sanctum Glorium
in domibus episcopatus que dicun-
tur de la thure super allodiam in
qua comedit dominus Episcopus
presentibus Glorio Johannis cano-
nico sancte Christine. Orlando do-
mini Iohannis de Castelunchio Et
Salvatico fanii de Ritopio et plu-
ribus aliis testibus ad hee specia-
liter vocatis et rogatis.

Ego Guido brunonis auctoritate 1
imperiali Noctarius et in bulseno
Cancellarius constitutus hiis omni- »
bus interfui supradictis et de man-
dato domini episcopi Rogatus seri-
bere scripsi et subscripsi.

Signum dicti (segno manuale)
Guidonis Noctarii.
Uro fer ^ Ax 3$

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WALT

DI UNA FALSIFICAZIONE, ECC. 399

La somiglianza generica fra i due atti appare evidente;
ma pure è diversità specifica di redazione. I testimoni in A
dichiarano allodî del vescovo a) le cose di Ritopo, 5) le perti-
nenza di detto castello di Ritopo. I testi in B, invece, dichia-
rano che al vescovo sono dovute a) « decimas » e « sul-
caticum de omnibus collectis. et fructibus tempore messis et
vindemie; et sulcaticum tempore nundinarum », nonché le
« pensiones de omnibus et singulis casis, domibus, casalinis
et ortis »; b) che si devono da tutti, « ab omnibus abitantibus
in Bulseno et in burgo... et appendiciis montium castri
Sancte Marie, Podii fratrum et castri Ritopii ». Dal 5, quindi,
appare una assai maggiore estensione nella qualità del diritto
e una assai maggiore estensione nel fondamento topico del di-
ritto, cioè nel territorio dove il diritto si pretende. Non è il
solo castello di Ritopo, non sono le sue sole « appenditie »,
ma una zona assai piü distesa. Se ne precisano singolarmente
i confini: è tutto il distretto di Bolsena, salvo qualche pic-
cola parte, proprietà della chiesa di Santa Cristina. I tre
testimoni, i quali due anni avanti avevano dichiarato di ri-
cordarsi di quaranta anni addietro e dicevano in modo pre-
ciso che i diritti del vescovo si riducevano a: riscuotere due
denari per casa dagli abitanti del solo castello di Ritopo e
delle sole sue « appenditie », due anni dopo, chiamati a ri-
petere la testimonianza, ricordarono, invece, cose di ben
cinquanta anni addietro: riconobbero i diritti estesi anche
su tutte le case di Bolsena e del borgo, aggiungendo, oltre
alle. « pensiones », anche le « decimas » e il « sulcaticum »
su tutto il territorio distrettuale.

Se di tanta latitudine di territorio esaminiamo le deter-
minazioni di confini e certe denominazioni topografiche, può
sorgere il dubbio di un qualche artifizio impiegato nel desi-
gnarli. Sopratutto questo dubbio ci viene dal vedere indicata
una parte del castello con la designazione di « versus Ty-
rum ».

3. — La indicazione di questa località farebbe ritenere che

ee a meis ii as Án
400 L. FUMI

fuori di Bolsena siavi un luogo, o siavi stato un luogo appellato
Tyrum. Ma lYorigine di questo Tiro, città ideata presso al
lago dalla fantasia e dall’inganno, viene dalla confusione
degli antichi martirologi, dove si legge la menzione di Santa
Cristina martire. Nel martirologio di Adone e di altri si ha:
In Tyro, civitate apud lacum Volsinium, natalis Sanctae Chri-
stinae virginis et martyris. Si suppose il « Vulsinium » di
Zonara, di Plinio, di Vitruvio, di Frontino, di Valerio Mas-
simo, di Livio, di Dionigi d’Alicarnasso e di Procopio scam-
biasse il suo originario appellativo con quello di « Tyrum »,
«e ciò per fare omaggio alla martire del III secolo di G. C. E
come no? Non si poteva anche pensare che la verginella
Cristina si chiamasse, avanti il suo battesimo, per l'appunto
col nome pagano « Tyria »?... Ingegnosa supposizione messa
fuori per troncar di netto tutte le questioni critiche sul du-
plice ricordo di una Cristina nella Fenicia e di una Cristina
in Italia; poichè il martirologio più antico e autorevole,
quale è il Geronimiano, ponendo al 24 luglio la festa di Santa
Cristina segna così e non altrimenti: In Tyro civitate, natalis
S. Cristinae V. et M. Nulla dice il venerabile Beda, scrivendo
della Martire, in rapporto alla patria: il che nota sincera-
mente il grande fondatore della scienza archeologica cri-
stiana, G. B. De Rossi, è forte indizio che le incertezze di-
scusse dai moderni critici, erano già nate, verso la fine del
secolo VII, anche nella mente dell’ agiografo inglese. Nel
tempo stesso c' incontriamo nel Martirologio Romano piccolo.
Questo, che è il primo di quanti oggi ne conosciamo, scrive :
Circa lacum Vulsinium, in Italia, natalis Sanctae Cristinae
V. et M. Nel secolo IX Adone per il primo congiunse in una
le due note geografiche e ne fece la pretesa Tiro d'Italia
presso il lago di Bolsena: Apud Italiam, in Turo, quae est

circa lacum Vulsinium, natalis Sanctae Christinae, quae in,

Christo credens etc. Anche Adelmo, contemporaneo di Beda,
nel suo libro De laudibus virginitatis, dove fa Y elogio della
martire, tace, come il Beda, il luogo. Solamente. negli atti,

Vue Emm

-
DI UNA FALSIFICAZIONE, ECC. 401

in qualche codice, il titoletto accenna: Passio Sanctae Chri-
stinae V. et m., quae passa est in provincia Tyro. Nota mons.
Briganti che « la illegittima formula — n provincia Tyro —
rivela abbastanza la incertezza del luogo preciso e ci addita
la fonte di quella indicazione — de Tyro — scritta in prin-
cipio degli atti ». In altri codici l’autore del titolo, meno
attento e più franco, ha scritto: Passa est im civitate Tyro. Il
Pennazzi, volsiniese, nella Vita di Santa Cristina (cap. III,
n. 4) presta fede alla diceria della città di Tiro precipitata
nel fondo del lago... e dà tutto per certo quanto si favoleggiò
sulla vita della santa e sulle vicende dei suoi resti mortali.
Più avveduto l altro scrittore volsiniese, il canonico Adami,
nella Storia di Bolsena (Roma, 1737), fa le sue riserve pub-
blicando un marmo dove si leggeva in caratteri millenari:
F4 HIC REQE CORPUS SCE XPINE V. G. M. FILIA. URBANI DE
CIVITATE TrRI. E il marmo sarebbe scomparso! Vedasi caso
strano! Un marmo cosi interessante per la popolazione cri-
stiana di Bolsena, al quale fanno capo le prime tradizioni
della fede di essa, l'urna, cioè, del corpo di santa Cristina,
patrona del luogo, scompare senza il corpo di lei! E non si
pensó ad una mistificazione coll'annunzio di tale scomparsa.
Eppure, l'Adami quando riprodusse una iscrizione soprapposta
da Alessandro Donzellini alla porta della città di Bolsena,
senti per entro quelle frasi l'eco della voce di un celebre
falsario, del padre Annio da Viterbo (1434-1502). L'iscrizione
posta quasi un secolo dopo la morte del p. Annio, è la seguente:
AEDIFICIORUM QUAE TIRI PRISCAE
URBIS ANTIQUITUS ORNAMENTA
FUERE VOLS. MEMORES PORTAM IN HANC
AMPLITUDINEM CONSTRUXERUNT
A. D. MD.XCVIII.

L'erudito Adami doveva avere ragione. Non altri che
Annio aveva avuto l' audacia di venir fuori per il primo a
parlare di una città di Tiro in questi luoghi quando die la de-
signazione di (acus T'irensis per ricordare il lago di Bolsena,
S80 33 vor .4,,

409 L. FUMI

ossia quando manipolò il suo « decretum Desiderii ». L' Adami
non volle tacere quello che la tradizione aveva tramandato
fino a lui, dopo lo studiato rinvenimento del marmo di Viterbo,
e riferì alle trovate di quellinventore la espressione Tr?
priscae Urbis. Ma poteva a miglior ragione riferire totalmente
alle invenzioni del p. Annio anche la pretesa iscrizione del.
lI urna scomparsa, riportando la quale, avvedutamente faceva
le sue riserve.

Di certo il p. Annio conobbe, o anche vide, l'iscrizione
vera della piccola urna marmorea che chiude il corpo di
santa Cristina, conservato sotto l’altare della santa stessa.
Urna e iscrizione furono conosciute in occasione dei lavori
di restauro della chiesa che si fecero sotto l'episcopato di
mons. Briganti ed io ebbi la ventura di assistere con quel
pio e zelante vescovo alla effossione del tumulo; ne lessi per
il primo la iscrizione, la cui interpretazione fu poi approvata
e spiegata con largo commento dall’ illustre Giambattista De
Rossi. Quell’ urna gelosamente nascosta e murata sotto la
cripta era rimasta perfettamente ignorata fino allora : apparve
come una vera e propria scoperta. Ma il testo che si aveva
di essa dapprima mostra un raffazzonamento sulla vera; un
raffazzonamento fatto da chi solamente poteva avere inte-
resse ad accreditare il « decretum Desiderii ». La designa-
zione di santa Cristina con le espressioni « filia Urbani de
civitate Tiri » pare fatta apposta per risolvere.tutte le que-
stioni intorno all'origine di santa Cristinà. La vera iscrizione
da: me letta é la seguente:

Ossia: IC REQUIESCIT CORPUS BEATE XPINE MART. Dove
è la filia. Urbani? Dov’ è qui la de civitate Tiri?

Xi S eani CIT

DI UNA FALSIFICAZIONE, ECC. 403

Il naturale compiacimento municipale potè essere facil-
mente ridestato dalla rievocazione di un artifizioso ricordo.
Gli avanzi delle antiche costruzioni del Volsinio romano
provavano che una città vi aveva fiorito e accreditarono la
ipotetica esistenza di Tiro, la cui denominazione si prestava
ad assodare l' origine della santa patrona. Quanto la leggenda

di Cristina fenicia, della famosa Tiro, superba della sua por-

pora, possa conciliarsi colla tradizione volsiniese sarà sempre
una questione, e la questione torturò il forte ingegno del De
Rossi, non lasciandolo intieramente tranquillo della sua ar-
guta ipotesi, per la quale pensava che la designazione di
Tiro nel martirologio Geronimiano non fosse che l’effetto di
erronee interpretazioni operate nel secolo VIII (1).

5. — Ma come mai poteva un interpretatore qualunque
indicare una città di Tiro sulle rive del lago volsiniense, se
egli non si fosse trovato davanti una qualche memoria, anche
leggendaria, di una vera martire Cristina tirense? La igno-
ranza di cognizioni geografiche potè facilmente ingenerare
nel IX secolo il supposto che presso il lago di Bolsena fosse
esistita una città col nome di Tiro e, in tal modo, si dovet-
tero affacciare quelle incertezze che pur troppo appariscono
dal silenzio del ven. Beda. Insorte fin dal VII secolo, si fusero
in una le tradizioni, fissando nella diocesi orvietana tutti i
particolari attribuiti alla vita della eroica figlia del pretore
romano Urbano in Fenicia, Perchè avesse l'approvazione
della critica una tradizione sulla « Tiro » in Tuscia, biso-
gnerebbe che pur qualche traccia ne fosse rimasta in me-
morie del medio evo. Ma per quanto noi compulsassimo au-
tori medievali e carte di archivi, non troveremmo mai ri-
cordato quel luogo.

. Di Bolsena abbiamo frequenti accenni nelle carte del
vescovado. L'anno 1115 il conte Bernardo figlio del conte
Ranieri donava al vescovo Guglielmo la chiesa che era nel

(1) Roma Sotterranea, II, pag. XVIII).
s. T" , T27^T5 PIT

404 L. FUMI .

borgo, la chiesa dedicata a Santa Cristina con tutti i suoi
diritti. L'atto è stipulato « apud Vulsinium in ecclesia Sancti
Georii » (Arch. Vesc. Cod. B. c. 103 t). Con un altro atto
un tal Dono, il 1183, dava a livello un orto situato nel
borgo (ivi, c. 111 t.). Del lago il più antico ricordo che si
ha non é per attribuirgli il nome datogli dal marmo di Vi-
terbo, ma per dirci che si chiamava « lacu bisuntino », da,
Bisenzo, antico luogo di cui rimane ancor viva la memoria
anche per l'isola Bisenzina, la minore, ma la più prossima
alle rive. L'atto è del 11983 (ivi, c. 85). Ad una civitas si fa
puré aecenno nelle carte. Se questa generica indicazione di
civitas, anziché additare la vecchia Volsinio, avesse dovuto
rappresentare un'altra città diversa da quella, mezzo etrusca
e mezzo romana, secondo una felice espressione dell’ on. se-
natore Faina, che diede luogo a tante investigazioni dei dotti
anche moderni, non si sarebbe omesso di specificarne l' ap:
pellativo. La civitas. nel medioevo è la designazione del
nucleo più antico e più originario dell’ abitato, per distin-
guerlo dalle borgate. Vicina al distretto volsinese è la citta-
dina di Bagnorea, l'antica « Balneumregium », che nel medio
evo si distingueva in due centri, la Civitas (Civita detta anche
oggi) nucleo primitivo e più illustre, e la ota, che è la
parte aggiunta, oggi la Bagnorea vera e propria, ma che
non ha perduto la sua caratteristica di borgata, come la « Bor
ghiglia » o « Borgariglia » rispetto al centro della città nella
antica Montefiascone. Della primitiva « Civita» di Bolsena sono
rimaste traccie non dubbie presso all’ attuale cittadina ; traccie
di terme, di palazzi, di mausolei, delle quali fino al secolo
XIII è frequente la menzione. Abbiamo contrade distinte su
carte medievali in palazzolo, in palazolis, in moseo, museis,
musuleis, musucie (« in contrata que musucie nominatur de
districtu Bulseni ». Cod. B. cit., c. 63 t.). Altre contrade che
formarono il districtus Bulseni sono Abrella, Aquaperforte e
Acquaforte (e Laperforte) Bagaria, Bigaria, Bugaria (e Bau-
garia), Broilum, Canale, Cappanecto, Citerno, Coricolo, Corcel- DI UNA FALSIFICAZIONE, ECC. ! 405

lum, Mercatello, Kucello (Petrato Nucelle), Petronila, Podium
Ceppi, Pontenesa, Piazzano, Ponte roccolo, Ponte retto, Quercia
rotunda, Renario, Sepio, Valle anziarii, Vivarium. Mai una
espressione che possa avvicinarsi, anche per corruzione di
suono, al T'yrus. Altre contrade in prossimità del castello
sono indicate nella cronaca del trecentista Pietro Cornadi:
il Corniglio, la Rigutella, la Torricella, Ripaldana (?), Arbuglie,
Nochelli (le Nocelle di sopra), Poggio della Sala (1).

6. — Secondo il documento A, e il Giudice Albertucci, che
ricordava cose di sessant'anni indietro, i nunzi del vescovo usa-
vano raccogliere pensioni e affittanze di case e orti del borgo
cominciando « a porta versus T'yrum usque ad portam maiorem
versus Romam ». Non è propria delle carte del secolo XIII
una designazione di confini in questi termini. La terra me-
dievale era costruita sul poggio con la rocca in alto e sotto
di essa rocca il castello di Ritopo con la chiesa di S. Gio-
vanni. Si andó costruendo, ampliandolo via via, il borgo che,
muovendo dalle pendici del colle, veniva a far capo alle
chiese di S. Giorgio e di Santa Cristina. Le case addossate
alle pendici del castello erano cinte da un muro che fu detto
muro mediano. Questo muro mediano oppose resistenza agli
orvietani che a mano armata vennero a rivendicare i loro
diritti e lo vollero demolito nel 1295.

Dalle carte episcopali non abbiamo indizio che di due
porte, porta di Ritopo e porta di S. Giovanni. Due ne ricorda
pure il nostro doc. A., porta Maggiore (verso Roma) e porta
S. Giovanni (verso il castello di S. Lorenzo) e la dice verso
Tiro.

La cronaca succitata (che è del 1328) ricorda tutte le
porte di Bolsena in occasione di descrivere l’ assedio della
terra fatto dall'imperatore Ludovico il Bavaro e dall’ anti-
papa Niccolò V, e ce ne dà la topografia. L'antipapa era
davanti allo sportiglio, nell'orto dell’ Ospedale di S. Maria.

(1) FUMI, in R. I. S. ediz. Lapi, tomo XV, parte V, pag. 189-190, nota 2.
p g
406 L. FUMI

La battaglia si svolse dallo sportiglio fino alla porta del fos-
sato (Ritopo) alla porticciola. Altra battaglia sul poggio, alla
porta S. Giovanni e alla porta dello Scanceto. Dunque, due

porte al poggio e due altre alle pendici, note abbastanza .

coi loro nomi, senza bisogno di altri aggiunti per renderle
più note.

1. — Se nel 1328 il cronista locale non trovó necessario,
per farsi bene intendere, l'indicare la porta di S. Giovanni
con la espressione di porta versus Tyrum, non ere stato ne-
cessario nemmeno ai nostri che redigevano istrumenti anche
anteriormente. Noi troviamo quella espressione solamente in
un atto del 12931. È lecito pensare che la espressione conte-
nuta in questo atto non fosse la piü propria.e comune del
tempo. Da tale riflessione puó sorgere il sospetto che l'atto
del 1231 non sia intieramente genuino e che sia stato inter-
polato per somministrare la prova di un diritto che fosse
diritto più esteso di quello risultante dalle testimonianze date
poco prima in un altro atto. E allora ad eliminare contro-
versie, si dovettero. determinare, senza alcuna menzione o
riferenza all’ atto anteriore, confini di maggior latitudine,
adoperando designazioni di supposte località antiche. Se
quella ideale città di Tiro rimane sconosciuta affatto in tutto
il medio-evo, se non viene risuscitata che nel secolo XV, cioè
dal p. Annio, noi possiamo supporre che, in seguito ai mira-
coli del taumaturgo Annio da Viterbo, venisse in mente ad
un arguto interpolatore del tempo medesimo di Annio, di
poco posteriore, di segnalare la porta a Tiro in un atto che
avrebbe dato così tutta la parvenza di legittimità alla sua
sostanza e alla sua forma intrinseca. Le forme intrinseche
hanno veramente tutta questa parvenza. È incontrastato che
dalle carte del secolo XIII resultano a favore del vescovo
diritti di solcatico, diritti di decime e di pensioni di case;
che il vescovo Ranieri nel 1229 e nel 1230 si adoperò a ri-
vendicarli; che tutte le persone nominate nell'atto erano
conosciute e che lo stesso notaro che originalmente redasse >

DI UNA FALSIFICAZIONE, ECC. 407

e firmò l'atto, servi il vescovo medesimo di altri rogiti.
Quindi non parrebbe facile bollare di interpolazione un istru-
mento dove la sostanza si presenta vera nel suo intrinseco.
Senonché, quello che a prima vista si presenta come sem-
plice sospetto, acquista poi, con l'attenta osservazione sulle
forme estrinseche, una certezza assoluta.

8. — Sia pure evidente dal confronto dei due atti la so-
miglianza di forma fra loro. Nel documento 5 è uno stile del-
tutto improprio al secolo XIII. V'é l'abito alle copulative, lo
spostamento del pronome possessivo non accettato nella pratica
legale e la dimenticanza della forma forense dell’ interrogatus
che si usava premettere al dict, nella audizione dei testi-
moni. Nella sintassi grammaticale violazioni che sanno di ar-
tifizio studiato (testibus per testes, respondat per respondent);
arcaismi di parole, come sceu per seu; anacronismi di qua-
lificativi, come cancellarius aggiunto a motarius, Y ortografia,
allora impropria, di Christine per Xptine, di prefactos per pre-
fatos, alliis per aliis. Riscontrasi a colpo d'occhio l'anacro-
nismo evidentissimo nella grafia e nel sistema brachigra-
fico medievale, con frequente arbitrio. La forma del carat-
tere é una stentata imitazione della cosidetta gotica corsiva
notarile. Non mantiene quella uniformità di tendenze ver-
ticali che è prerogativa delle scritture del secolo XIII. Vi
sì scorge la spontaneità dell'inclinazione che è più propria
del ‘cancelleresco del secolo XV e dell’ aldino. La mano si
piega ad una imitazione che è più osservata nelle prime
parole e nelle prime righe, e poi, successivamente, sempre.
più stancandosi, si trasforma, per il crescente oblio d' imi-
tazione, fino a tradirsi, nel modo più evidente, nelle. forme
naturali della cancelleresca lettera ecclesiastica della fine
del quattrocento. Nelle abbreviature, osservando le contra-
zioni e i troncamenti si scorge 1.° l'uso non costante ma
saltuario, 2.° anomalia e varietà di forme. Ad esempio scdo
compendio di secundo senza il segno che è invece in Roano
per Romano, eordem per eo4d., così il segno del pro servito
408 DE L. FUMI

indifferentemente anche nel per. Le abbreviazioni per so-
vrapposizione come Jjur.fo per jur., M.a per Maria, man.to per
mandato. Improprî e non costanti i troncamenti delle desi-
nenze in us e degli infiniti dei verbi.

Confrontando il doc. B con l'altro doc. A scritto dal no-
taro Guido Bruni, le differenze di mano sono enormi, dal pa-
ragraphus alla croce del tabellionato, dalle prime alle ultime
parole.

Ma chi può essere l'autore di tale goffaggine?

Non altri che un cancelliere vescovile. Fu lo stesso can-
celliere che fra la fine del secolo XV e il principio del secolo
XVI si fece a ricomporre in un corpo solo i vari quaderni del
Cod. B. Cotesto codice ha nella prima carta, sul margine in
alto, a caratteri minuscoli romani, la seguente leggenda: SI QUIS
VULT HABERE NOTITIAM INSTRUMENTORUM HVIUS LIBRI SIGNATI
B. REQUIRAT PRINCIPIUM TABULE NOTATE AD CARTAS CENTUM-
TRIGINTA UNAS. Appunto ivi si trova la tabula omnium instru-
mentorum quae continentur in hoc volumine, scritta in caratteri
minuscoli cancellereschi della fine del secolo XV, si vede su-
bito a prima vista che sono uguali a quelli usati da chi scrisse
l atto B. Un'altra osservazione si deve fare, il codice B è
acarnario. La tabula comprende i fogli 130 t., 131r., 132 t.,
133 r., 134 t., 135 r., 136 t. Per l'appunto tutti questi fogli
nel registro, come carnarî, furono in origine lasciati in bianco.
E precisamente in un foglio, che è il 142, lasciato in bianco
perché carnario, fu interpolato il documento del 1231.

A dare alle persone pratiche la facilitazione maggiore
per giudicare l'atto A. paleograficamente, riproduciamo ac-
canto ad esso, per il confronto, anche l'atto C., uno dei molti
istrumenti autentici di Guido Bruni, contenuti nello stesso
codice, perchè se ne vedano le differenze e ci facciamo per-
suasi della infelice imitazione della mano di esso.

Milano, giugno 1910.
L. Fuwr.
L'UMBRIA NEI " LIBRI TAXARUM ,,

DI TUTTE LE CHIESE E MONASTERI

La pubblicazione degli antichi documenti finanziarii, fi-
scali, non curata certo abbastanza per il passato, sovviene
di dati positivi il nuovo orientamento economico degli studi
storici, illuminando ad un tempo le molteplici ricerche di topo-
nomastica e filologia. Larga messe di notizie topografiche e
di monete in allora correnti ci è stata offerta dal Liber censuum
della Chiesa Romana (Paris, 1905-1910), scritto il 1192 dal ca-
merario Cencio Savelli — che fu poi Onorio III (1216-1227) —
e proseguito da altri addetti fiscali alla fine del secolo XIII.
L'edizione, procuratane secondo i testi che meglio valsero a
ricostituirlo, e fornita all'uopo di dichiarazioni erudite da
Paul Fabre e da mons. Duchesne, il neo-accademico immor-
tale di Francia, mette ancor meglio in evidenza la singolare
importanza di coteste fonti storiche medioevali.

Agli antichi Libri censuum della Chiesa si presentano
collaterali e come in grado di continuità quelli delle tasse;
sì gli uni che gli altri danno campo a considerazioni diverse
e ad induzioni comparative, sulla ricchezza e potenza di
molte chiese e monasteri, sulla penetrazione e prevalenza
numerica di alcuni Ordini religiosi in date diocesi come pur
sui luoghi omessivi, siccome esenti per privilegio, diritto, o
povertà. A differenza dei luoghi censiti, fu adottata per i
tassati la riduzione e il ragguaglio delle monete locali, ad
una moneta unica, ai fiorini d’oro, i quali così poteronsi an-
che propagare per il tramite fiscale, sin dal principio del
secolo XIV, in tutto il mondo cattolico.
TCU du

- === 1 mel

410 -. A .TENNERONI

Dal Liber tararum contenuto nel cod. Sessoriano 1471 (46)

della « Vittorio Emanuele » (1), ho creduto non inutile ai

nostri lettori estrarre quanto vi si riferisce all'Umbria. Ap-
pare esso trascritto, e diligentissime emendato, non però
sempre nei nomi, secondo l'esemplare del Sacro Collegio, e
della Camera Apostolica, in sulla fine del secolo XV, o forse
anche ai primi anni del successivo, nonchè munito di ag-
giunte e postille per altre due mani diverse, ma di poco
posteriori.

L’esemplare del Sacro Collegio, derivato a sua volta dai
registri precedenti, era il testo fiscale delle tasse recante le
nuove giunte e modificazioni. V'hanno compresi nel suo or-
dine alfabetico alcuni maestri degli Ordini (Cruciferorum .de
Bononia, Humiliatorum, S. Mariae Mercedis captivorum Barcino:
nensis etc.) e, come tassabili, ancora i cardinali suburbicarii
(Ostiensis, Sabinensis, Portuensis, S. Rufinae, Albanensis) ma
in questi le cifre rimasero in bianco.

A meglio intendere con qualche raffronto le singole cifre
di tassazione nel seguente estratto dell' Umbria, si premettono
alcune delle maggiori tasse imposte dalla Chiesa romana a
principali chiese e monasteri dell'Italia e dell'estero.

a) Chiese e Monasteri d' Italia.

TERGESTINENSIS (Trieste) in Hystria, fiorini 300 — Tau-
RINENSIS (Torino) é# provincia Mediolanensi, fior. 466 2/3 —
ARETINENSIS (Arezzo) fior. 600 — BOoNONIENSIS (Bologna) fio-
rini 1000 — JANUENSIS (Genova) fior. 1000 — MESSSANENSIS
(Messina) Im Sicilia Metropolis, fior. 1000 (2) — CATHANIENSIS

(1) Membran. in fol., sec. XV ex XVI inc. di cc. 117. Scrittura cancelleresca
semiangolosa ed umanistica. Dal fregio miniato a c. 3r con appié un tondino
per lo stemma rimastovi vuoto, parrebbe il cod. trascritto per uso di qualche di-
gnitario ecclesiastico, lasciandolo anche supporre la legatura del tempo in pelle
rossa con fregi a secco, borchie e taglio dorato.

(2) È la diocesi che presenta il maggior numero di luoghi tassati, 26.

——— L’ UMBRIA, ECC. 411

(Catania) fior. 1200 -— PANORMITANENSIS, im Insula Siciliae
Metropolis, id. — BARENSIS (Bari) fior. 1500 — FLORENTINEN-

SIS (Firenze) fior. 1500. — VENETIARUM Ecclesia Patriarchalis,

fior. 1400 — PADUANENSIS (Padova) in Provincia Aquilegiensi,
fior. 2000 — NEAPOLITANENSIS (Napoli) Metropolis, fior. 2000
— MEDIOLANENSIS (Milano) Metropolis, fior. 3000 — TRIDEN-

TINENSIS (Trento) in provincia Aquilegiensi, fior. 3000 — Ra-
VENNATENSIS (Ravenna) In Romandiola Metropolis, fior. 4000.
Monasteri. — S. LAURENTII EXTRA MUROS (Roma) Ord.

S. Beuedicti, fior. 300 — CRIPTE FERRATE (Grottaferrata) fio-
rini 400 — S. SALVATORIS DE SEPTIMO, (nel Vald'Arno sotto
Firenze) Ord. Cistercensium, fior. 600 — S. APOLLINARIS DE
CLASSE (Ravenna) Ord. Camaldulensium, fior. 600 — CAYENSE
(Cava dei Tirreni) Ord. S. Bened., fior. 1000 — S. PAULI DE
URBE (Roma) Ord. S. Benedicti, fior. 1000 — S. MARIAE FAR-
FENSIS (Abbazia di Farfa) Ord. S. Bened., fior. 1000 — S. BE-
NEDICTI (Subiaco) Sabinensis diocesis, fior. 1000 — S. MARIAE
DE MORIMONDO Ord. Cistercensium, fior. 1000 — CLAREVALLIS
(presso Milano) Ord. Cistercensium, flor. 2000 — S. JUSTINAE
DE PADUA (Padova) Ord. S. Bened., fior. 2000 — VALLISUM-
BROSE (Vallombrosa) i» diocesi fesulana, fior. 9000.

b) Chiese e Monasteri dell’ estero,

ULIXBONENSIS (Lisbona) fior. 2000 — LONDONIENSIS
(Londra) fior. 3000 — AGRIENSIS (Erlau) im Ungaria et prov.
Strigoniensis, fior. 3000 ,— PARISIENSIS (Paris) im provincia
Senonensi, fior. 3500 — COMPOSTELLANENSIS (Compostella)
in Regno Castelle (Castiglia) Metropolis, fiorini 4000 — ALEXAN-

DRINENSIS (Alessandria) ultima mare Patriarchalis, fior. 5000

— CAMERACENSIS (Cambresis) în Francia prov. Remensi, fior.
6000 — LEODIENSIS (Liége) fior. 1200 — CANTUARIENSIS (Can-
terbury) im Anglia Metropolis, fior. 10,000 — AUXITANENSIS
(Auxonne) im Wasconia Metropolis, fior. 10,000 — SALZEBUR-
GENSIS (Salzbourg) in Alamania Metropolis, fior. 10,000.
412 A. TENNERONI

Monasteri. — S. RICHARH (S. Riquier) in pontino, Ord.
8. Bened. in episcopatu Ambianensi (Amiens), fior. 4000 — Con-
BIENSE (Corbie) Ord. S. Bened. in episcopatu Ambianensi. fio-
rini 6000 — MaroRrIS MONASTERI in episcopatu Tur onensi
(Tours) fior. 7000 — S. GERMANI IN PRATIS (Saint Germain
de Prés) Ord. S. Bened., fior. 8000 (1).

«In nomine Sancte Trinitatis Incipit Liber Ta-
carum omnium Ecclesiarum et Monasterio-
rum diligentissime emendatus ad exemplar
libri sacri Collegii et Camere Apostolice ».

AMELIENSIS [Ecclesia] in Ducatu Spoletano . flor. LXXX
Aucta est taxa dicte Eeclesie in florenos xx

propter unionem Monasterii Valliscanalis,

dicte diocesis.
Item in florenos octo propter unionem: ecclesie

S. Concordij (2).

AssiSSINATENSIS in Ducatu Spoletano . i ae CC
[S] Benedicti [Monasterium] de monte Subaxio,

Ordinis S. Benedicti . . : : E pgs qusc (oy
Unitum fuit mense episcopali et taxa debet au-

geri. ;
Trispoliti de plano butrini. Ord. 8. Benedicti . » LXXX
Nicolai de campolongo. Ord. s. Ben. . : £d T,
Mu ANHO Ord. is. Ben. (S. . -. |... CCXX
CIVITATIS CASTELLI ; Ra o» SECEM

Salvatoris et Bartholomaei. Ord. dir eRcioi » LXVJ *

(1) « Reducium fuit ad 113 m ger dominum Urbanum Y ».

(2) Nei Libri censuum degli anni 1192-s. XIII ex., Amelia è compresa in gatríi-
monio Tuscie e vi è censita per xv bras [cerae?].

(3) Alla diocesi di Assisi, negli antichi cit. Libri censuum, sono iscritti il mo-
nastero di S. Damiano, la chiesa di S. Francesco ciascuno per una libra di cera, la
chiesa di S. Umberto, il monastero di S. Paolo. La libra di cera ragguagliavasi al-
lora a 64 denari cortonesi, moneta molto usata nell'Umbria.

Liam ——— 1

N
L' UMBRIA, ECC.

Angeli de castro Zedaldi [Tedaldi]. Ord. S. Au-

gustini . j ; i ; ^ : È
Ioannis in burgo S. Sepulchri. Ord. Camaldulen-
sium

Marie de pretorio | Petrojo, Petroja]. Ord. S. Bened.
Scolacio (Scalocchio). Ord. S. Bened. :
Joannis de marsano (Marzano). Ord. S. Benedi-
eti (1) : : : - : i :
Unita fuit ecclesia parochie S. Martini de la vena
iuxta Lacum perusinum, valorum XXIIJ
Item eeclesia S. Marie ... (2).

EvavBINENSIS (Gubbio) in Ducatu Spoletano

Unita est ecclesia parochialis Sancti Erasmi va-
loris .c. augetur taxa in florenos xxxri !/,.

Item unitum est Monasterium Beate Marie d’ al-
fiolo 'Tax. cc.

Petri de Eugubio, ordin. S. Bened.

Bartholomei et Donati, Ord. S. Benedicti

Benedicti de Eugubio. Ord. S. Bened.

Unita fuit eeclesia sante Anastasie de Clasterna
valoris xii. augetur taxa in flor. 1n.

Verecundi, Ord. S. Bened. ; 5

Angeli de Ceserna [Chiasserna], Ord. S. Ben

Fontis auelane |Fonte Avellana] (3), Ord. S. Bened.

Bartholomei de Campugio, Ord. S. Bened. .

Emiliani, Ord. S. Benedicti .

Marie de Alfiolo, Ord. S. Ben.

Unitum fuit dictum Monasterium Mense Episco-
pali Eugubinensi.

Augetur taxa Ecclesie in florenos cc.

Bartholomei de petrolio, Ord. S. Bened.

flor. XXXIIJ !/,

flor.

LXXXIIJ
XXXIII 1/,
XE

L

CCCC

CLX

XLVIIJ
LX
M

LX

L

413

(1) Sotto la rubrica 4n Episcopatu Castelle, nei cit. Libri cens. figurano la chiesa
della Trinità censita per 1I) solidos lucensiwm, « Civitas Castelli » per rn tiras pi-

«Ssanorum, e un monastero di s. Maria in borgo, scomparso sin dalla fine del sec. XIII.

(2) Colmiamo la lacuna valendoci d'altro ms. posteriore conservato anch'esso
nella Vittorio Emanuele, il Gesuitico 1938, Magdalene et Sancte Crucis de Casti-
leno perusino, dicti valoris xVIIJ. Augetur taxa in florenos ximJ.

(3) Ove Dante ebbe asilo.
414 A. TENNERONI

Pulpiano de petrono. Ord. S. Bened. . 2flor uc
Benedicti de montepolio, Ord. S. Bened. (1). s res T

FuLGINATENSIS (Foligno) in Ducatu Spoletano . » C
Crucis Sacxivivi, Ord. S. Bened. à ; A MEC RS TOISIB
Fuit separata mensa Abbatialis a conventuali (2).

INTERAMNENSIS (Terni) in Ducatu Spoletano (3) . CXVIIJ

NARNIENSIS (Narni) in Ducatu Spoletano . s er»x OG
« Benedicti in fundis de Stronconio, Ord. S. Be- È

ned. » (4) : : E 3 : : odis ROOT
Angeli de Massa, Ord. S. Bened. à : pu E lE
Cassiani. prope Narniam, Ord. S. Bened. . LR
Unite sunt dieto Monasterio Ruralis Ecclesia

saneti Proculi terre Saneti Gemini, valo-

ris x. Et parochialis ecclesia Sanctorum

Thome et Ursi archipresbiteratus nuncupa-

tus ac s. Stephani de urbe in vicem pro-

pinquorum valorum cr. Augetur taxa in

florenos LIIJ !/,.
Nicolai de Sancto Gemino, Ord. S. Bened. . pes» de oxi
Gemini de Sancto Gemino, Ord. S. Bened. (5) . » L

v

NVCERINENSIS (Nocera) in Ducatu Spoletano. . » CCCXXX
Blasii de Crapulis, Ord. S. Bened.

Unitum est mense Episcopali Nucerinensi.
Marie de Cistria, Ord. S. Bened. : : sas 0G

(1) Nei eit. Libri censuwm, il monastero di S. Emiliano per ur solidos lucen-
stum, la Chiesa di s. Angelo di Chiasserna per id., il monastero di S. Ambrogio per
II soldos, di S. Donato per II solidos lucensium.

(2) I cit Libri Censuum attribuiscono al monastero di S. Maria in Valle Gaudio
1 libram, e a quello di S. Croce di Sassovivo, dal bel chiostro cosmatesco, 1 awrewm.

(3) Non figura l' Episcopatus Interamnensis nei predetti Libri Cens.: si sa che
dal 742 al 1218 restò vacante, propter inopiam pastoris. Dal cit. ms. Gesuitico 1938
della Vitt. Emanuele si aggiunge che il Monastero di S. Paolo dell' Ordine di S. Chiara
vi era tassato per 50 fiorini.

(4 Aggiuntovi per mano diversa e posteriore.

(5) All'unico monastero censito ncl vasto Vescovato Narniense, quello di S. Ni-
cola per una libra di cera, succedono nei pred. Libri censuum 18 paesi della diocesi
obbligati a un censo variánte dai 18 ai 100 soldi, dalle 6 alle 9 libre di cera, Baldoino
per 20 soldi, Collescipoli e Stroncone per 100 soldi, San Gemini e Calvi per 6 libre
4di cera etc.

Rt

c^

A —
rr Ry

L' UMBRIA, ECC.

Marie de Apperino, Ord. S. Ben. : ; HOT
Benedicti de galdo (Gualdo), Ord. S. Ben. . RENDERE E
Stephani de parano, Ord. S. Ben. ; : Vos uut
Pancratij, Ord. S. Bened. . : : : agio, woe
Angeli de monte Camiglano. Ord. S. Bened. (1). » XXXIII /j,

i Sere i . e[entum)
PERVSINENSIS (Perugia) In districtu Vrbis (2) . flor. VJ

Unita est parochialis ecclesia sancti Christophani

de pasignano valoris xr. augetur taxa in

florenos xuJ !/,.
Petri de Perusio, Ord. S. Bened. È ; UU» MQOG
Unitus fuit prioratus sancti Petri de Pozalo (Poz-

zale) valoris c. augetur taxa in florenos

NSGEIIU/.. :
Archangeli supra lacum, Ord. S. Benedicti. . » LXXXVIIJ
Benedicti de petraficta (Pietrafitta), Ord. S. Ben. » | LXXXIIJ !/,
Vallispontis (Ponte Val di Ceppi?), Ord. S. Bened. » (4C
Ioannis heremi montis herilis, Ord. S. Ben. . uud DOO BBIE
Unitum est mense episcopali perusinensi et au-

getur taxa ipsius ecclesie in dictos flore-

nos LXXXIIIJ.
Salvatoris de monte acuto (Monte Acuto), Ord. Ci-

stercen sium (3). . : : i : «cara
REATINENSJS (Rieti) in Ducatu Spoletano . cop» o
Marie in Basilica, Ord. S. Bened. : : SERI
Pastoris, Ord. Cistercens. |. . . 5 : Du EE ORTA US
Salvatoris de Reate. : È : à i secca QU
Quirici Ordinis ... (4). . 5 : : : CE cae

(1) I cit. Libri Cens. indlecano in questo Episcopato la Chiesa di S. Maria in Si-
tria (monte Catria?) censita per 3 soldi lucchesi e un monasterium Waldi (Gualdo).
(2) Nei cit. Lib. Cens. trovasi in ultimo al Ducato Spoletano.

— (8) Tributavano un censo al tempo dei cit. Lib. Cens. la chiesa di S. Maria di
Monte Tezio (nur solidos), di S. maria posta in Monte Feriolo (ul. denarios papienses
et 1 faculam) non ritrovata dal fisco pontificio, il castello di Fratta di Conizone
[Fratticciola del Vescovo?] (vi; solidos lucensiwm), le chiese di S. Maria in Villa

Gemina (11 marabotinos), di S. Giustino (1 bisaztiwm), lo spedale di Rivo Cenerario

[Rivo Cenerente] (111 solidos lucensium), il monastero francescano di S. Maria di
Monte Luce (1 libram cere) e il cistercense di Santa Giuliana (1 Ubram cere).

(4) Non trovasi negli antichi Lib. Cens. l Episcopatus Reatinus, che secondo

il Gams cominció dal 499.

DÀ *

taa

TATE
416 A. TENNERONI

SPOLETANENSIS. In districtu Urbis 3

Unita est parochialis ecclesia sancti Cipriani Ca- ,
stri Capelli valoris xij. augetur taxa in flo-
renos IIIJ.

Petri de Florentillo, Ord. S. Bened.

Monte marciano, 1d.

Silvestri, Ord. Camaldulensium

Euticij Mutij. alias Vallis Castoriensis.

Iuliani de monte, Ord. S. Bened.

Felicis de Jano, Ordinis ... (1)

TvDERTINENSIS (Todi). In ducatu Spoletano

Unita est ecclesia beate Marie de Colle canto-
nis [Cathonis] valorum xx. Item unita
sunt duo Monasteria Monialium valoris xv.
augetur taxa in florenos xJ */,

. Pancratij, Ord. S. Bened. à : 7

Unite sunt ecclesie rurales S. Marie casalata (Ca-
salalta) S. Martini de longobardis et S. Ana-
stasie de Castoveteri (Castelvecchio) valo-
ris xv. augetur taxa in flor, v.

Fidentiù et Colentii [Terentii] Ord. S. Bened.

Viti de Villa oppij (in Valdoppio), Ord. ... (2)

Petri in valle, Ord. ... È 7 : 5 ;

Marie de pantano, (in Pantano) Ord. S. Bened. (3)

VRBEVETANENSIS (Orvieto) in Tuscia
[S.] Sever? [Monasterium] ordinis premonstraten-

sium,

(1) Inseritti nei cit. Lib. Cens.: S. Pietro presso Spoleto (m solidos. lucenstum),
S. Spirito de Campana (1 libr. cere), il monastero di S. Pietro di Bovara tra Spoleto
e Foligno (v solidos lucensium), le chiese di S. Paolo in campo Salese (1 lbram cere),
di S. Paolo di Galleto nel ternano (1 libram cere), di S. Spirito (I libram cere), il

(SIA GE PT HA

flor.

M

C
XXI
E
XXXTIJ:- 5
XXXI U.

CCC

CCC

. LXXX

monastero di S. Maria in Valle Gloria presso Spello (1 tibram cere).

(3) « Viti de villis opij » nel eit. ms. Gesuitico, 1938.

(3) Inscritti nei pred. Lib. Cens. i monasteri di S. Alberto, distrutto nel sec. XIIT
(xi1 soldos lucensium), di S. Maria delle Cuti (Pontecuti) o di Monte Santo (1 Ubram
cere), delle monache di S. Lorenzo in Collazzone, ove fu accolto e morì Jacopone da

Todi (1 bram cere).

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-

419

*

DOCUMENTI TUDERTINI

Nella recente edizione delle Carte del monastero di San
Paolo di Roma (1) feci menzione di un certo numero di do-
eumenti provenienti da vari monasteri ed ospedali di Todi,
che separai dagli altri per dare loro una pubblicazione a
parte.

Come tutte le carte in pergamena, conservate nell ar-
chivio paolino, anche queste di Todi occupano un posto spe-
ciale (2). Dei centosessantaquattro documenti, segnati con
la lettera P., centosessantatre appartengono al detto fondo
tudertino (dal numero 21 al 27 e dal 39 al 165) (3); tredici
(1-13) al monastero di S. Maria di Canale in Amelia (4);
cinque (14-18) alla chiesa di S. Maria in Cosmedin di Roma
(5); ed undici (28-38) al fondo ravennate (6).

(1) Dal sec. XI a! XV per D. Basti.10 TRIFONE O. S. B. in Arch. della R. Società
Romana di Storia Patria, vol. XXXI (1908), p. 12 e 13, XXXII (1909), p. 103.

(2) Di questa disposizione mi occupai parlando dell’ archivio di S. Paolo nella
cit. ed. (v. p. 13 del vol. XXXI), la quale risalirebbe al tempo in cui l'archivista del
monastero, Cornelio Margarini (n. 159341681) viveva in S. Callisto di Roma, ove era
anticamente l’archivio che oggi conservasi in S. Paolo.

(3) Però ne mancano cinque di quelle che vanno fino al 1500, andate misera-
mente smarrite. Intanto potremo rilevare il loro contenuto da un Indice ms. che
conservasi nell'archivio Paolino, compilato dallo stesso Margarini, che porrò in Ap-
pendice. 3

(4) Questo piccolo numero di documenti ancora aspetta la sua edizione, che
sarà fatta quanto prima, allorché si pubblicheranno le carte del monastero di S. Ma-

‘gno di Amelia, a cui esso era unito.

(5) Vedi la notizia di essi neile Carte ... dî S. Paolo (doc. nn. XCIX, CLIII,
CXCII, XLIV) e la Concordanza ete. (p. 105, del vol. XXXII) alla lettera P.

(6) Editi dal prof. V. FEDERICI, Regesto di S. Apollinare Nuovo di Ravenna in
Regesta, Chartarum Italiae, Roma, 1907. Gli altri (P. 28, 29, 33-37) andarono smarriti,
però ci resta la notizia nel detto Indice ms. Il documento segnato con la lettera
P. 34 fu tralasciato inavvertentemente, ma sarà anch’esso pubblicato quanto prima,
T FESDE TCU HA

490 B. TRIFONE

Il nostro gruppo, disposto più o meno secondo gli anni,
contiene in maggior parte atti privati, e può dirsi l'unico

ricordo, oltre la notizia di altri documenti cartacei, andati

smarriti (1), che il monastero di S. Paolo conservi, della giu-
risdizione che il suo abbate esercitò su quella parte della
regione umbra; giacchè l’unico monastero di benedettine,
detto S. Margherita delle Milizie, che, almeno fin dai primi
anni del secolo XIII, gli era stato soggetto (2), sul princi-
piare del XVIII secolo cessava di vivere per la soppres-
sione napoleonica.

Di esso ci restano titoli di possesso, alcuni privilegi,
una gran parte dei quali proviene da altre comunità di bene-
dettine anche di Todi e da alcuni ospedali dei leprosi di
S. Lazaro gerosolimitano, militante sotto la regola di S. Ago-
Stino, che in diverso tempo avevano accresciuto il patri-
monio archivistico di S. Margherita e conseguentemente la
sua proprietà. Così abbiamo alcune carte dei monasteri
di S. Giorgio, di S. Benigno, di S. Bartolomeo e di S. Cate-
rina, degli ospedali di S. Maria Maddalena di Monte Nibio e
del Mortitio, che non risalgono più innanzi del secolo XIII,
ad eccezione di una bolla di Celestino III del 1195, diretta
al maestro della casa dei leprosi di S. Lazaro (3). Per la
qual cosa può arguirsi che il tempo della loro fondazione
non debba ascriversi ad un'epoca di molto anteriore a quella
fornitaci dai nostri documenti.

(1) Vedi l' Indice ms. sotto la parola « Tuderti ».

(2) La bolla di Innocenzo III (13 giugno 1203) che conferma al monastero di
S. Paolo i suoi beni e diritti, conferma per la prima volta anche « in civitate tu-
dertina monasterium S. Margaritae » (v. Le carte .. di S. Paolo, doc. n. XIII). Que-
sta bolla é la stessa di quella di Onorio III (15 maggio 1218) (v. ibidem n. XVI), per
cui preferii l’ edizione del testo originale di quest'ultima al testo autentico della
prima, aggiungendo in nota le varianti della bolla di Papa Innocenzo.

(3) Essa é in copia semplice; ma un documento originale più antico tra que-

^ sto gruppo di carte é la bolla di Innocenzo III del 31 maggio 1216, diretta all’ ospe-

dale dei leprosi del Monte Niblo.
Oltre alle accennate prevenienze del nostri documenti, v' é qualche carta che
proviene da altrove, come sarebbero le carte dei monasteri di S. Fortunato, di S. Ma-

ria di Camiana, delle monache delle Lucrezie, di S. Angelo di Fontanella, ecc. DOCUMENTI TUDERTINI 491

Se il patrimonio dell'ospedale di S. Maria Maddalena del
Monte Niblo e del Mortizio, con i suoi titoli, passò in pro-
prietà- delle monache di S. Margherita, nell'anno 1550, per
cessione di Napoleone de Botiis, al quale apparteneva l'o-
spedale per diritto di padronato (1), quello dei monasteri
invece innanzi d'essere unificato col patrimonio di S. Marghe-
rita delle Milizie, dovette subire prima varie trasformazioni.

L'abbate di S. Paolo, che godeva pieni diritti di giuris-
dizione su tutti quei monasteri che abbiamo ricordati, sia
per ragione di fondazione o di donazione che fosse, ottenne
da papa Giovanni XXIII la conferma dell’ unione del mona-
Stero di S. Bartolomeo con quello di S. Benigno (2), ove,
corrottasi l'osservanza, Sisto IV ne commetteva all’ abbate
di S. Paolo la riforma (3), la quale potè verificarsi solo sei
anni dopo, sotto il pontificato di Innocenzo VIII, il quale,
sopprimeva la dignità abbaziale ed univa i beni del detto
monastero a quelli di S. Margherita (4). Non ci consta perchè
in seguito gli altri due chiostri di benedettine, di S. Giorgio
Gioè, e di S. Caterina, si unissero anch'essi al monastero di
S. Margherita; potrà argomentarsi che forse la loro disci-
plina, poco o niente fiorente, ne sia stata la causa ; ció che
dovette indurre all'abbate di S. Paolo di commettere al Mo-
Scardi, vescovo di Todi, di incorporare tanto l'uno che l'al-
iro a quello di S. Margherita (5).

Così venne formandosi quel discreto patrimonio di beni,
che, amministrato da un monaco benedettino che ivi dimo-
rava, facendo le veci dell'abbate di S. Paolo, forni i mezzi
sufficienti, per la durata di due altri secoli, alla vita delle
monache di S. Margherita.

(1) Vedi archivio paolino, documento segnato P. 151, dell’ 11 settembre 1550.

(2) Vedi documento in questa edizione n. L, del 29 gennaio 1410.

(3) Vedi ibidem, doc. n. LXXXVII, del 22 novembre 1480.

; (4) Vedi MARGARINI, Bullarium Casinense, io. II, p. 396-7, e doc. in questa edi»
zione n. LXXXIX del 6 marzo 1480.

(5) Vedi LEÓNIJ, Cronaca dei Vescovi di Todi, Todi, 1889, p. 129.
499 B. TRIFONE

Limiterei l'edizione delle carte di questi piccoli fondi
fino all'epoca dell'unione degli ultimi due monasteri (1489) (1);
ma per confermarmi al metodo tenuto nell'edizione dei docu-
menti di S. Paolo, l'estenderó fino al 1500. Sarà sufficiente
una notizia, compilata in lingua latina, per avere una qual-
che conoscenza del contenuto di ciascuno di essi (2) Di
molti dei quali conservasi nella Biblioteca Vaticana la copia
fatta dall'infatieabile Pier Luigi Galletti (3), più una tra-
scrizione, però dei soli atti pubblici, nel Codex diplomaticus
basilicae et monasterii S. Pauli, fatta da un ignoto scrittore
del secolo XVIII, che conservasi nell'archivio paolino (4).

Due soli, per quanto mi consta attinsero documenti o
notizia da queste carte; il Margarini cioè, per il suo Zwlla-
rium Casinense (D) ed ultimamente il Kehr pel a Pon-
tificum Romanorum (6).

Roma, S. Paolo.

D. BasiLio TRIFONE O. S. B.

(1) Vedi Ibidem.

(2) Del solo documento P. 21, n. XXXVIII, darò il testo per intero.

(3) Codice Vaticano Latino, n. 7932, Parte I e II.

(4) Di questo Codex parlai nella prefazione a Le carte ... di S. Paolo.

(5) Vedi il documento della presente edizione segnato col n. LXXX VII.

(6) Vol. IV, Umbria Picenum Marsia, Berolini, MDCCCCIX, p. 42 « Domus lepro-
sorum S. Mariae Magdalenae de Monte Niblo ». In quest' opera abbiamo la sola no-
tizia della bolla di Celestino III (v. doc. n. I).
Q2

DOCUMENTI TUDERTINI 49

IOS) MCESTN- T 1

1r 26 settembre 1193.

In P. 144. Copia autentica del 19 luglio 1463 del notaio Grassia
del fu Antonio Dedoyono, ratificata dal notaio Gorio del maestro. Bar-
tolomeo Gorio di Foligno.

Traserizione: Codex diplomaticus basilicae et monasterii S. Pauli,
c. 89. Cfr. P. KeKR, Papsturkunden in Rom, p.130 e 193, documento
43; Hegesta Pontificum Romanorum, Italia’ Pontificia, IV, p. 42.

Celestinus pp. III Magistro et fratribus domus leprosorum
S. Lazari Hierosolimitani quae erant ab apostoliea auetoritate lar
gita confirmat. Datum Laterani, pont. an. rr. «Iustis petentium ».

TL 91 maggio 1216.

P. 39. Originale mancante della bolla.
Trascrizione: GarLETTI, Codice Vaticano Latino, n. 7932, P. I,
e. 125.

Innoeentius pp. III Leprosos de Monte Niblo, domum et bona
sub sua et b. Petri protectione suscipit. Datum Perusii, pont.
an. XIX. « Saerosaneta Romana eeclesia ».

III. 23 gennaio 1230.

P. 40. Originale.
Trascrizione: GaArLETTI, Cod. Vat. Lat., 1932, P. II, c. 144.

Restitutio terrarum duarum positarum in loco de Baliano faeta
presbitero Tudino S. Praxedis, yconomo ecelesiae S. Margaritae,
nomine Illuminatae abbatissae dictae ecclesiae, ab Arvorea uxore
Ranaldi Ugolini. Actum in domo dieti Ranaldi. Petrus S. R. Ee-
elesiae notarius.
424 B. TRIFONE
Ry ; 21.giugno 1246.

P. 42. Originale.

Examen testium in eausa iuris pertinentiae medietatis castri
Machi inter Albrieum ae Matheum Albrici et Rainerium, Nico-
lucium, Rogatam, Andream Grazalum, Ufreducium Ruberti de
Canale. Tuderti, in curia Nicolini iudicis sedendis pro tribunali.

V. : 14 settembre 1256.

P. 43. Copia autentica del 12 febbraio 1320 fatta dal notaio Gio-
vanni del fu Gerardo, e ratificata dai notai Giacomo di Giovannuzio
di Paolo e Masseo di Giacomo di Todi.

Mandatum procurae Christianae, rectricis eeclesiae S. Georgii
de Tuderto, Rustico Nicolae Selaravalle et Simoni Raynaldi faeta
ad recipiendam a Michaele abbate S. Angeli de Fontanellis loea-
tionem domorum, terrarum et plateae, quae ecclesiam S. Georgii
eireumstant, pretio .cc.x. librarum ravennatum. Actum in dieta
ecclesia. [Rusticus imp. auet. notarius].

VI. 14 settembre 1256.

In P. 43. Copia autentica ut supra.

Loeatio bonorum monasterii S. Angeli de Fontanellis a Mi-
chaéle abbate dieti monasterii facta procuratoribus monialium
S. Georgii de Tuderto. In ecclesia S. Angeli de Fontanellis iuxta
Tudertinam civitatem. Rusticus imp. auct. notarius.

VII. 30 ottobre 1257.

P. 44. Originale.
Trascrizione: GALLETTI, Cod. Vat. Lat., 7932, P. II, c. 182.

Emptio terrae positae prope civitatem Tudertinam, ante por-
tam Cannay, cuiusdam domus in regione S. Silverii, ac alterius
terrae iuxta dietam civitatem Massei Andreae Genay, qui voeatur
Massarutius, faeta a Masseo Bartholi Iohannis Sabbi, pretio .cco.LXv.
librarum denariorum ravennatum. Acetum Tuderti, in domo filio-
rum Iohannis Sabbi. Todus Boneventurae Ulixis S. R. Ecclesiae
auct. notarius. ;
DOCUMENTI TUDERTINI
VIII. 21 novembre 1251.

P. 45. Originale.

Emptio terrarum positarum in contrada Tuderti, in tenuta
villae Polzolanae, Philippi Blanei faeta ab Angelo Egidii Brunacii
Searpeete, pretio .LIN. solidorum florenorum argenti, quos Andrea
Pindilartis de summa .rv. librarum et .v. solidorum florenorum
dieto venditori debebat. Actum 'Tuderti in domo venditoris. Deo-
tesalvus Raynaldi S. R. Eeclesiae auct. notarius.

IX. 30 settembre 1263.

In P. 144. Copia autentica (v. doc. n. I.).
Trascrizione: Codex diplom., e. 106.

Urbanus pp. IV fratribus hospitalis S. Lazari Hierosolimitani
privilegium a predecessore Alexandro pp. III concessum de elee-
mosinis colligendis confirmat. Datum apud Urbem Veterem, pont.
an. rr. « Cum dilectis filiis ».

X. T ottobre 1263.

In P. 144. Copia autentica (v. doc. n. I.).
Trascrizione: Codex diplom., c. 109.

Urbanus pp. IV universos Christi fideles, ad instar fel. rec.
Alexandri pp. IIT, monet ut cooperatores sint, opera pietatis procu-
rent et grata subsidia fratribus hospitalis S. Lazari Hierosolimitani
praestent. Datum apud Urbem Veterem, pont. an. nr. « Si iuxta
sententiam ».

XI. 10 novembre 1267.

P. 46. Originale mancante del sigillo.
Trascrizione: GALLETTI, Cod. Vat. Lat., 7932, P. II, c. 186.

Mandatum procurae fratris Plebani abbatis monasterii Vallom-
brosae et eiusdem conventus Paulo et Guilielmo monachis mona-
sterii S. Angeli de Fontanella Tudertin. dioecesis directum ad con-
firmandum et ratificandum contractum locationis factae ab abbate
Michaéle, eius predecessore, Christinae abbatissae S. Georgii de

28
496 B. TRIFONE

Tuderto. Actum in capitulo Vallumbrosae. Primeranus qd. Bo-
nanni notarius.

XII. 21 novembre 1961.

P. 47. Copia autentica del 12 febbraio 1320 fatta dal notaio Gio-
vanni del fu Gerardo e ratificata dai notai Giacomo di Giovannuzio di
Paolo e Masseo del fu Giacomo di Todi.

Trascrizione: GaLLETTI, Cod. Vat. Lat., 7932, P. II, c. 188.

Confirmatio locationis domorum et terrarum factae Margaritae,
eleetae abbatissae monasterii S. Georgii de Tuderto, a Paulo et
Guilielmo, monachis S. Angeli de Fontanella, nomine fr. Plebani

- abbatis monasterii Vallisumbrosae, pretio .coL. librarum ravenna-
tum in utilitatem dietae ecclesiae S. Angeli id est in solutionem
debiti quod Bonifaeius qd. abbas S. Fortunati Maineeto et Iacobo
Rimbertini et Aringo Abadingi mercatoribus florentinis debebat.
Actum in dieta ecclesia S. Georgii, Rusticus imp. auet. notarius.

XIII. 6 ottobre 1219.

P. 48. Originale mancante della bolla.
Trascrizione: Codex Diplom., c. 126.

Nicolaus pp. III Magistrum et fratres hospitalis leprosorum
de Monte Nibio Tudertin. dioecesis sub sua et b. Petri protec-
tione suscipit et bona eorum confirmat. Datum Viterbii, pont.
an. II. « Saerosaneta romana ecclesia ».

XIV. 28 febbraio 1282.

P. 49. Originale.

Contestatio litis inter Massarellum Petri et Iohannem Tal-
glaferri, Cecculum ac Tellum Anibaldi super quasdam terras, po-
sitas in civitate Tuderti, in tenuta Rastani, quas Lititiola qd. Pe-
truezoli et Ienuatius Bencevegne promiserant dare Massarello pro
medietate .ccL. librarum denariorum cortonensium, recepta iure
pretii terrarum predietarum. Iohannes Ranerii de Santo Geminiano
iudex et assessor collateralis capitanei. Tempore nobilis viri Gerardi
Ugolini de Tornagucis de Florentia capitanei civitatis Tuderti. DOCUMENTI TUDERTINI ky 427
XV. 5 ottobre 1285.

P. 50. Originale.

Inventarium bonorum Melioranae qd. Sulimani, uxoris olim
Andreae Prindelartis, tutrieis et matris Iacobellae, Franciscae et
Andreolae. In domo qd. Andreae. Ianninus qd. Bonufatii de Col-
lango imp. auct. notarius.

XVI. 24 giugno 1989.

P. 51. Originale.

Conventio inter Iohannem Machabrini et Burnazzoluni An-
dreae, et Giliutium Buccoli, tutores Todorae Gualterii, super con-
servationem dietae Todorae quam dictus Giliutius detinet, tamquam
uxorem filii sui Accoli. Actum Tuderti ante domum Hermanni
Petri. Ugolinus Andreae imp. auct. notarius.

XVII. 30 gennaio 1296.

P. 53. Originale.
Trascrizione : ‘GALLETTI, Cod. Vat. Lat., 7932, P. I, c. 198.

Frater Matheus Portuensis et S. Rufinae episcopus N. episcopo
Tudertino, collectori decimae, mandat, nomine Bonifacii pp. VIII,
ne ullas decimas ab hospitali leprosorum de Ileis Tudertin. dioecesis
exigat, propter eorum inopiam. Datum Romae, pont. D. Bonifacii
pp. VIII, an. zm. [Sig.]

XVIII. 17 settembre 1305,

P. 55. Originale. :
Trascrizione : GALLETTI, Cod. Vat. Lat.,-(932, P. IE, c. 146.

Nicolaus. episeopus Tudertinus Christi fideles, pro nuper in
loco de Camiano monasterio constructo, sub vocabulo B. Mariae
V., exhortat ut monialibus in dieto monasterio degentibus eleemo-
sinas erogent, propter quod indulgentiam relaxat. Datum Tuderti.
« Personas que ». [Sig.]
— c if LL, O o II » {ea Jo —X À

498 B. TRIFONE

XIX. i 21 maggio 1307.

| P. 56. Originale.
Manca la firma del notaio perchè la pergamena è tagliata nella.
parte inferiore, sotto l’ actum.

Locatio ad sex annos duarum domorum positarum ‘in regione

Camuciae Gilii Iacobutii de dieta regione facta Manuae Vuveni de

| regione S. Silvestri, pretio .L. librarum denariorum cortonensium.
ES Actum 'Tuderti, in ecclesia S. Silvestri. [Paulus notarius].

||
| ; SCE 6 maggio 1308.

P. 57. Originale maneante della bolla.
Trascrizione: GALLETTI, Cod. Vat. Lat., 7932, P. I, c. 127.

Clemens pp. V Francisco Petri, canonico Interampnen., mandat
ut rectorem et fratres ac sorores hospitalis leprosorum de Monte
Niblo Tudertin. dioecesis et episcopum Tudertinum ad iudicium
compellat, ad litem ex dietis exortam dirimendam, super omni-
moda exemptione dieti hospitalis a iurisditione episcopali. Datum
Pietavis, pont. an. nr. « Sua nobis ». Iae. Mar.

XXI. 21 agosto 1309.

P. 58. Originale.

Apocha Rucoli Ranaldi de regione S. Praxedis Egidio Astan-
colli facta super .ox. florenis auri de summa .cc. florenorum et

.v. florenis auri de summa .xx. florenorum a, Bernardino Gilii
et Tello Iaeobi dieto Ruculo debita. Acetum in platea comunis Tu-
derti, ante apotecam Iohanelli Venture mercatoris. Munaldus Gen-
tilis de Tuderto imp. auct. notarius.

XXII. 12 maggio 1316.

: P. 54. Originale.

Monitorium Au. C. Bernardi Roiardi, archidiaconi Xanetonen,.
quo iudieium suspenditur, propter instantem vacationem Sedis
apostolicae, super appellationem Benevenuti de Mevania, procura-
DOCUMENTI TUDERTINI 499

toris hospitalis leprosorum de Monte Niblo Tudertin. dioecesis,
eontra Hereulanum Oradori et fratrem Nieolaum Oddonis de Tuderto

‘in eausa collationis capellae seu ecclesiae S. Mariae Magdalenae .

jn dieto hospitali sitae, per episcopum Tudertinum factae, ad hospi-
tale speetantis. Datum Lugduni, Apostoliea Sede pastore vaeante.

XXIII. 19 dicembre 1317.

P. 59. Originale.

Conventio inter Bartolam uxorem Martini Zutii, filiam olim
Munaldi Aetonis, et Bucium, Gratiam ac Ciecolum Nicolae heredes
Iueii Tinacii, super fructibus ex quodam tenimento Tuderti a
dietis heredibus Bartolae solvendis. Acetum Tuderti, in regione
S. Praxedis, ante plateolam Martini Zutii. Iohannes Gerardi Io-
hannis de Tuderto imp. auct. notarius.

XXIV. 13 gennaio 1323.

In P. 144. Copia autentica (v. doc. n. I.).
Trascrizione: Codex diplom., c. 209.

Iohannes pp. XXII archiepiscopis, episcopis, ete. mandat ut
nullatenus eontra Magistrum et fratres hospitalis Militiae S. Lazari
Hierosomilitani excommunicationis vel interdicti sententiam pro-
mulgare presumant, quod ipsi speciali prerogativa exemptionis epi-
seopalis, a Sede Apostolica concessa, gaudeant. Datum Avenione,
pont. an. Xr. « Cum dilecti filii ».

XXV. 26 aprile 1327.

P. 60. Originale.
Trascrizione: GaLLETTI, Cod. Vat. Lat., 7932, P. II, c. 147.
Querimonia abbatissae et monialium S. Margaritae Iohanni
pp. XXII faeta, pro defensione iurium monasterii immediate ab-
bati S. Pauli de Urbe subiecti, contra Codonem priorem ec-
elesiae S. Bartholomaei de Fusco, qui, uti executor Theodori dia-
coni eardinalis Apostolieae Sedis legati, abbatissàe dieti monasterii

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430 B. TRIFONE

mandavit ut Claram Gerardi inter moniales reciperetur, sub pena
excommunieationis. Actum in platea ecclesiae S. Angeli de Fon-
tanellis ante ecclesiam prope Tudertum. Franciscus qd. Silvestri
de Tuderto imp. auet. notarius.

XXVI. 24 febbraio 1331.

. P. 61. Originale.

Apocha Lueii Thomassi.de regione Collis Cieeolo Gineti de
regione Nidoli faeta, pro mutuo .ccc. florenorum auri. Aetum Tu-
derti in regione Collis in domo Blasioli Tudini quam habitat
Lucius. Matheus Colae de Tuderto imp. auet..notarius.

SEX 5 aprile 1331.

P. 63. Originale. Manca la firma del notaio perchè la pergamena
è tagliata.

Emptio terrae, positae in tenuta Noctulae et Valiani, Pandulphi
qd. Guidi Iohannis de regione S. Silvestri a Bartucio Massaroni
faeta, pretio .ccc.Lxr. librarum denariorum cartonensium. Aetum
in elaustro monasterii S. Margaritae prope Tudertum. [Paulus no-
tarius].

XXVIII. 20 marzo 1841.

P. 65. Originale.

Apocha Mannucii qd. Agnalelli Guidarelli de regione S. Sil-
vestri et parochia S. Nicolai et filiorum Petri, Santucii, Gilii et
Francischi de dicta regione et parochia cum, consensu matris
Rosae qd. Pucii Betii et Salvucii Ciccoli Oddutii de regione Ca-.
muciae nepotis Costini, Petrutiae facta, nomine dotis, idest; me-
dietatis unius domus Tuderti et .xxvI. florenorum auri, frue-
tuum pereeptorum terrae positae in castro Rosarii in vocabulo
Agelli. Aetum Tuderti ante domum Rosae. Marehus qd. Iacobi
Venturae de Tuderto auet. imp. notarius.

XIX. 19 gennaio 1342.
P. 41. Originale.

Emptio terrae positae in tenimento castri Quatri Titiae qd.
Valentini Bonapressi, uxoris Poli Symoncelli, de regione S. Pra- DOCUMENTI TUDERTINI 431

xedis, faeta a Nino, Pravo, Petro, Mannello ae Polello Beraldi
Buezali de regione S. Sylvestri. Acetum Tuderti in platea Comunis
iuxta palatium Priorum populi. Matheus qd. Iacobutii Philippi de
Tuderto auet. imp. notarius. ;

XXX. 6 agosto 1346.

P. 112. Originale mancante dei sigilli di diciotto vescovi. Si con-
serva nel nostro archivio un altro simile atto, segnato P. 127, peró dei
diciotto sigilli appostivi rimangono solo tre e i lacci serici di molti

altri.
Trascrizione: GALLETTI, Cod. Vat. Lat., 8099, P. I, c. 45.
Iohannes Corfien., Nerfen., Manalg. ...., Iohannes Tribunien.

archiepiscopi, Bertrandinus Adiacen., Augustinus Distillarien., Io-
hannes Delmiten., Valentinus Macaren., Thomas Tinien., Martinus
Ausaren., Benedictus Hinicen., Paulus Luacen., Gregorius Oppi-
den., Tadeus Caffen., Iohannes Tafelicen., Marcus Urbinen., Alber-
tus Cusman., Franciscus Virhen., Lucas Citen., episcopi, xL dies
indulgentiarum relaxant hiis fidelibus qui debite in omnibus festis
D. N. Iesu Christi, B. Mariae V., Michaélis archangeli, nativitatis
et decollationis S. Iohannis Baptistae, Ss. Petri et Pauli ac
omnium Apostolorum, omnium Sanctorum, in Commemoratione
animarum, Dedicationis, et octavarum omnium festivitatum pre-
dietarum, Ss. Stephani, Laurentii, Dominici, Petri, Thomae de
Aquino, Gregorii, Iovini, Fortunati, Luciae, Agnetis, Agathae et in
Dominicis, ecelesiam monialium S. Catherinae Tudertin. O. S. B.
visitaverint, aut manus porrexerint adiutrices. Data Avinione.
Nos Raynutius episeopus Tudertin. ipsas indulgentias concessas
plena auetoritate obtinere volumus. Datum Tuderti in nostro pa-
latio, anno M.CCOC.XLVI, ind. xiv, xx septembris.

XXXI. 15 dicembre 1349.

P. 66. Originale.

Donatio inter vivos in perpetuum terrae positae in tenuta
Villae Saneti Iannis et alterius in predicta tenuta nobilis et po-
432 B. TRIFONE

tentis viri fr. Thomassi Corradi de Tuderto de ord. Fratrum Mi-
norum b. Francisci, tempore sui novitiatus existentis, facta con-
ventu monialium S. Mariae de Cambiano, sito Tuderti, in burgo
Cupae, et fr. Iohanni Lucii rectori et abbati ecclesiae S. Laurentii
de Valle, eui monasterium predietum est subiectum. Actum Tu-
derti in elaustro ecclesiae S. Fortunati. Petrus qd. magistri Angeli
magistri Egidei de Tuderto imp. auct. notarius.

XXXII. 25 maggio 1351.

In P. 65. Originale.

Emptio terrae positae Tuderti, in vocabulo Putei, Mannucii qd.
Angelelli, Guidarelli de regione S. Silvestri et parochia S. Nicolai
faeta a Petrutia Angelelli Petri Gilii, uxore Sanctucii filii dieti
Mannueii. Aetum Tuderti in palatio Dominorum. Petrus qd. ma-
gistri Angeli de Tuderto imp. auct. notarius.

XXXIII. 13 gennaio 1352.

P. 144. Copia autentica del 19 luglio 1463 (v. doc. n. I.).
Trascrizione : Codex diplom., c. 236.

Clemens pp. VI privilegia Celestini III (v. doc. n. 1.), Urbani
IV (v. doc. nn. 1x, x), ae Iohannis XXII (v. doc. n. xxiv) Ma-
gistro et fratribus hospitalis leprosorum S. Lazari concessa, con-
firmat. Datum Avinione, pont. an. xr. « Devotionis sinceritas ».

XXXIV. 9 giugno 1353.

P. 61. Originale.
Trascrizione: GaLLETTI, Cod. Vat. Lat., 7932, P. II, c. 191.

Epistola gratiosa fr. Thomae de Argentina, prioris generalis
ordinis fratrum heremitarum S. Augustini, fratribus sui ordinis
directa, pro commendatione animae Franciscae Rucii Teodini de
Tuderto. Data in Generali Capitulo. [Sig.] DOCUMENTI TUDERTINI 433

MIXX: 29 dicembre 1356.

P. 68. Copia autentica del 5 aprile 1397 fatta dal notaio Francesco
del fu Puzolo Nucio di Todi. i

Apocha Colae Venturellae Alberti de villa Chionani Tuderti,
plebe S. Fidentii, et Berardi eius filii Pietiano Venturellae Bartoli
de regione Collis et parochiae S. Glorii, tutore filiorum et Petroni
Agnoloni, facta pro dote .cLxxv. librarum denariorum Cecchae
filiae dieti Pietiani. Acetum Tuderti, in domo Colae Raynaldi in
regione Camuciae et parochia S. Nicolai. Manfredinus qd. Andreae
Hertingelli de Tuderto de regione Camuciae et parochia S. Mariae
imp. auct. notarius et iudex ordinarius.

XXXVI. 24 agosto 1359.

P. 69. Originale.

Testamentum Barthucii qd. Valentini Iacobelli de regione
Collis et paroehia S. Glorii. Reliquit suum corpus sepeliri in ee-
elesia S. Fortunati de Tuderto; aliquot solidos cortonenses pro una-
quaque ecclesia S. Lucis, S. Augustini, S. Praxedis, S. Marchi,
pro loeo fratrum Corporis Christi, fraternitate de Schabellis, hospi-
tale charitatis, Franeischo reetore eeclesiae S. Glorii, Tinaccio Ni-
eholae de Villa S. Christinae, Blaxiae Iacobelli, Francischae Manucii,
Stephanueiae Mannueii, heredibus Tilli Nieholae de dieta villa,
Francischae Ciccholi Iohanutii, et Petrutiam qd. Matthei Iacobelli
uxorem in tutricem filii Iacobucii et usufructuariam et Iachobucium
'heredem universalem. Actum in domo testatoris posita in regione

1 Oollis. Vivianus Maetioli Mannatoni de castro Loreti, comitatus

Tuderti, imp. auct. notarius et iudex ordinarius.
XXXVII. 26 agosto 1361.

P. 10. Originale.
Traserizione: GALLETTI, Cod. Vat. Lat., 7932, P. II, c. 192.

Renuntiatio haereditatis ab intestato Ciecholi Gineti a. Ciolo
Pauli de Tuderto, procuratore fratrum S. Fortunati de Tuderto,
nomine heredis fr. Iohannucii.Ciecholi Gineti cum consensu fr. AI-
briehueii Mannueii Colae, guardiani fratrum dieti monasterii, faeta
434 B. TRIFONE

Franeisehae Rustici chietanae abbatissae monasterii S. Margaritae,
siti prope Tudertum. Actum in eeclesia S. Margaritae ante gratam.
Gervasius Pauli Ugolinelli de Tuderto et regione S. Praxedis et
parochia S. Laurentii imp. auct. notarius et iudex ordinarius.

XXXVIII. | Montefiascone, 27 luglio 1370.

Norme disciplinari stabilite da Esquino abbate di S. Paolo di Roma
per le monache dei monasteri di S. Catarina, di S. Margarita, di S. Be-
nigno, di S. Bartolomeo e di S. Giorgio di Todi, soggetti alla sua giu-
risdizione. :

P. 21. Originale.

Trascrizione: GarLETT!, Cod. Vat. Lat., 8099, P. II, e. 57; Codex
diplom., c. 253. Cfr. B. TrIFONE O. S. B. Serie dei Prepositi, Rettori ed
Abbati di S. Paolo di Roma, in Rivista Storica benedettina, anno IV ,
(1909:, p. 260-1.

Esquinus, miseratione divina humilis abbas venerabilis mona-
steri Saneti Pauli de Urbe, dileetis nostris in Christo filiabus ab-
batissis, et conventibus monasteriorum Sanete Caterine, Sanete
Margarite, Saneti Benigni, Saneti Bartholomei, Saneti Georgii de
Tuderto et earum .cuilibet, salutem in Domino et presentibus dare
fidem. Cum ad nos pertineat ea quae in predictis monasteriis
nobis immediate subiectis abhominabilia, et enormia quo ad Deum,
et mundum fore dignoscimus et abicias atque exeessus monialium
dietorum monasteriorum ceterarumque nobis subiectarum repri-
mere, et in bonum ipsa monasterio reformare, volentesque futuris
periculis obviare, quantum eum Deo possumus ex iniuneto nobis
pastoralis offieii regimine habitoque et super hiis consilio pro
bono statu dietorum monasteriorum duximus presentibus sta-
tuendum, et ordinandum prout subsequitur; quae statuta volumus
et preeipimus atque vobis, et vestrarum cuilibet mandamus in
virtute sanete obedientie, et sub excomunicationis pena, quam in
vos et vestrarum singulas ferimus in hiis seriptis, si mandatorum
nostrorum et statutorum huiusmodi extiteritis quoquo modo trans-
gressisses. Primo statuimus et ordinamus per presentes, quod
nullus clericus secularis vel religiosus ordinis tamen mendi-
eantium nee presbiter nec etiam laieus quicumque fuerint cuius-
eumque status, gradus et dignitatis existat, intret, nee intrare
DOCUMENTI TUDERTINI 435

ullo modo permictant abbatisse dictorum monasteriorum, nec etiam
moniales vel earum aliqua quaecumque fulgeat in suo monasterio
dignitate, infra septia monasterii, hiis qui secuntur, dumtaxat
exceptis videlicet dietorum monasteriorum servitores, nuneii, con- :
tinui, avus, patris, filii, frater carnalis, nepos carnalis, patruus, avu-
lus carnalis et consanguineus giermanus, et tune in casu neces-
sitatis, soli sine aliqua comitiva, et in presentia abbatisse, vel
duarum monialium monasterii, si abbatissa, presens esse non
possit, et eum voluntate et consensu abbatisse et duarum monia-
lium antiquarum monasterii; quod si eontra huiusmodi statutum fa-
cere contignerit illas tales contrafacientes vinculo excomunicationis
innodamus ipso facto, quarum absolutio nobis tantumodo reser-
vamus. Item statuimus et ordinamus quod nullus religiosus ordinis
mendicantium euiuseumque dignitatis existat, etiam si pontificali
prefulgeat dignitate intret, nec intrare permietant diete abbatisse
et moniales infra dieta septia monasterii nee eum ipsis ullo modo per-
severari, nec loqui nec ipsis confiteri, nec etiam missas per eosdem,
nec alia divina officia facere celebrari presumant diete abba-

tisse, et moniales, vel earum altera, sed per unum bonum sacer-
dotem secularem, bonum et honestum et bonarum vite et con-
versationis vel monachum faciant celebrari, qui sacerdos vel
monachus eis sacramenta ecclesiastica ministret et earum confes-
siones audiat et penitentias salutares eisdem ingnugat cui sacer-
doti provideant, sicut faciebant fratribus; quod si contra huiusmodi
statutum eos facere contignerit, excomunicationis sententiam in-
currant ipso facto, quarum absolutionem nobis reservamus. Item
statuimus ed ordinamus quod diete abbatisse et moniales vel

earum altera non preparent, nec preparare presumant alicui
religioso ordinis mendieantium aliqua cibaria nee eisdem religiosis
aliquid dent, promietant vel offerant per se, vel interpositam per-

sonam, quod si eontra huiusmodi statutum facere contignerit, ipsas
eontrafaeientes excomunicationis sententie ipso facto volumus su-
biacere, quarum absolutionem nobis reservamus. Item statuimus
et ordinamus quod in qualibet predietorum monasteriorum qua-
libet die per dietum earum sacerdotem celebretur una missa cum
nota bene et honeste prout dies exiget, quod si in hoc negligenter

esse contingerit, nisi magna necessitas eas excuset, de quo con-
scientiam Viearii nostri de Tuderto oneramus excomunicationis
436 B. TRIFONE

sententiam incurrant ipso facto. Item statuimus et ordinamus quod
moniales sint obedientes abbatisse et abbatissa moniales generose
traetant quod si abbatisse inobedientes fuerint, per abbatissam in-
eareerentur et stent in pane et aqua per tres dies, et plus prout
rebellio exiget, et una abbatissa ad exequendum ea iuvare de-
beat aliam. Item statuimus et ordinamus quod diete abbatisse et
moniales nihil alicui persone ecclesiastice vel secularis dent, pro-
mietant, vel offerant, nec etiam ab aliquo aliquod recipiant eo-
rum parentibus usque ad tertium gradum, dumtaxat exceptis, quod
Si contrafacere eas contignerit excomunicationis sententiam in-
eurrant ipso faeto, quarum absolutionem nobis reservamus. Item
eum in iure sit cautum quod moniales testari non possint, sta-
tuimüs et ordinamus, et, tenore presentis statuti, prohibemus
ne de cetero aliqua monialis seeundum nostri licentiam vel sue-
eessorum nostrorum, testari possit, nec aliquid legare, nee dimie-
tere earum amieis, vel parentibus possit, nec etiam alieui alteri,
quod si contrafacere eontignerit excomunicationis sententiam in-
eurrant ipso faeto, quarum absolutionem nobis reservamus. Et ut
huiusmodi nostra statuta perpetuo observentur illesa, mandamus
et preeipimus vobis et vestrarum cuilibet sub excomunicationis
pena, quam in hiis.seriptis ferimus, quatenus ipsa statuta in quo-

libet nostrorum monasteriorum in libris autentieis registrari, et.

eopiari faciatis, et de presentatione ipsorum instrumentorum, et
instrumenta confici faeiatis, quorum unum penes vos remaneat,
videlieet vel in quolibet monasterio reponendum in archiviis cuius-
libet monasterii et aliud nobis cum presentibus fideliter remictatis.
Et hoc in oeto dies proximos a tempore receptionis, mandati si
vero de premissis vos nimis oneratas sentiatis mandantibus nobis,
quedam, ut melius poterimus, mitigabimus. Datum apud Montem
Flaschonem, sub sigillo nostro, die xxvir iulii, anno D. M.000.LXX.

XXXIX. 30 agosto 1372.

P. 71. Originale. Manca la firma del notaio, perché la pergamena

*

é stata tagliata.

Emptio terrae positae in — Ylgliole — Petri Antonii Tadioli
Fredi de Tuderto, regione Nidoli et parochia S. Angeli, procura-
toris Cecchi Violantis Futii de Tuderto, de regione Camuciae et

ri - parochia S. Iohannis Bocchamilii, faeta a Tomasso Paldoni Pa-

nalfucii de Tuderto de regione Camuciae, pretio .L. librarum de-

nariorum eum onere, solvendo ecclesiae S. Nicolai, .v. denario-

rum cortonensium. Actum in claustro eeclesiae S. Nicolai de Cliptis

de Tuderto.

XL.

27 febbraio 1373.

P. 74. Originale. La pergamena è danneggiata in diverse parti.

Sententia Nicholai Rogerii de Aquila, canonici Aquilen. et
le) b)

viearii generalis Andreae episcopi. Tudertin., pro sepultura ecele-

siastica Tellucii Fatii propter eius mandatum restitutionis bonorum

extortorum mortis suae

quibusdam hominibus

commissum, in

artieulo, fratribus ord. Minorum, Andreae Francisci de T'uderto,

Francisco Pauli de Pisis ae Petro de Tuderto reetoris ecelesiae

S. Philippi. Datum Tuderti in episcopali audientia, pro tribunali

sedente ad solitum banchum...

XLI.

P. 72. Originale.

18 marzo 1313.

Trascrizione: GaLLETTI, Cod. Vat. Lat., 7932, P. II, c. 193.

Collatio eeclesiae S. Georgii de Tuderto, vacantis per renun-

tiationem Lelli Angneloeii, Nieholao Berardi de Fulgineo faeta

per Giorellam abbatissam et moniales dictae eeclesiae S. Georgii.

Aetum in eivitate Tudertin. in ecelesia predieta ante gratam fer-

ream. Thomas qd. Paulieti de Cesena imp. auet. notarius et iudex

ordinarius.
XLII.

P. 13. Originale.

96 ottobre 1313.

Traserizione: GALLETTI, Cod. Vat. Lat., 8029, P. I, c. 67.

Conventio inter episcopum Tudertinum et moniales S. Georgii
de Tuderto super iure confirmandi rectorem in capella dietae ec-

elesiae: qua statutum fuit electionem ac presentationem rectoris ad

conventus pertinere et confirmationem ad episeopum, sine preiu-

dieio exemptionis dieti monasterii abbati S. Pauli de Urbe imme-
pesi pv vU G4

438 B. TRIFONE

diate subieeti. Acetum T'uderti in domibus episcopalibus, in capite
sealarum antiquae audientiae quod hodie vocatur logia. Thomas
qd. Paulieti de Cesena, nune reetor S. Silvestri de Tuderto, imp.
auet. notarius, ‘et iudex ordinarius.

XLIII. 29 maggio 1314.

P. 75. Originale.

Testamentum Tudini qd. Oddutii Tudini de Tuderto: reliquit
corpus suum eeelesiae S. Fortunati de Tuderto, aliquot denarios
eortonenses conventui fratrum Minorum ae fratrum Predieatorum
ae heremitarum S. Augustini, fratribus ord. Minorum $. Mariae,
S. Marei de Tuderto, heredibus Poli Petruccini de castro Civitella
Moglomole, comitatus Tuderti, hospitali Montis Nibii, sito in strata
qua itur de Tuderto usque civitatem Ameliae, Torae, Taddiae,
Ciciliae, Symonectae filiabus, pro dote, ad voluntatem Ugolini et
Oddutii fratris carnalis, Tudini et Clarae uxoris ac Iacobuciae per
Franeisehum Io. Todini, ecclesiae S. Philippi de Tuderto pro
opere, Cutellae suae matri, Claram elegit et Ugolinum fratrem exe-
eutores testamentarios, Claram uxorem usufructuariam et filios
heredes. Actum in.domo testatoris. Agustinus qd. Puccii Vignutii
de Tuderto, imp. auet. notarius et iudex ordinarius.

XLIV. 12 giugno 1585.

P. 76. Originale.
Trascrizione: GALLETTI, Cod. Vat. Lat., 7932, P. II, c. 194.

Permutatio terrae positae Tuderti in tenuta Villae S. Martini
de Vastiano, plebatus S. Gregorii de Magia, eeclesiae maioris Tu-
dertinae faeta per Andream qd. Petri de Tuderto. capellanum ca-
pellae S. Pauli sitae in dieta ecclesia, nomine Vicarii et cum
eonsensu eanonieorum Dominiei Guidonis prioris ae Monaldi Colae
de Asissio, Roberti Porcelli de Canali et Francisci Colucii de Nar-
nia, cum altera terra, posita infra Senatos Tuderti in vocabulo
Fontanae de logis, Polionis qd. Tudini Oddutii de Tuderto, coram
Valentino Gemini de Scolariis de Viterbio, priore eeclesiae S. Ma-
riae de Collecatone, Tudertin. dioecesis, episcopalis curiae Tu-
dertin. vicario generali, pro Stephano, S. Marcelli presbitero Car-

" DOCUMENTI TUDERTINI : : 439

dinali eomendatario et gubernatore episcopatus Tudertin. Actum
Tuderti in choro dietae ecelesiae. Iacobus Francisci Nicolae de
Tuderto, regione Nidoli, parochia S. Angeli, imp. auct. notarius
et iudex ordinarius.

XLV. 15 settembre 1392.

P. 77. Copia autentica dell'8 novembre 1404 4el notaio Iese Cata-
lano Tuzio di Todi.

Professio obedientiae et castitatis Deo et B. Mariae V. facta
ante altare eeclesiae S. Spiritus a Consiglo qd. Mascii de Pontecutis
et Petrutiae olim Iucii in manibus Mannucii Petri Gebellini, pro-
curatoris hospitalis S. Mariae de Nibio, ae Nucii Iutii et Polioni
Tudini de Tuderto patronorum dieti hospitalis. Actum Tuderti in
eeclesia S. Spiritus, posita in regione Vallis et parochia S. Cleriei.
Iohannes Urselli Lueii de Tuderto, de regione Camuciae et parochia
S. Philippi imp. auct. notarius et iudex ordinarius.

XLVI. 13 gennaio 1393.

P. 18. Originale. La pergamena è in molte parti danneggiata.

Edietum alienationis terrae positae in territorio Villae S. Mar-
tini de Vastiano, in eomitatu Tuderti, Ugolini, Stephani, Angeli
et Iohannis pupillorum qd. Nofrii Lelli, nomine tutoris Antonii qd.
Lelli Ugolinelli de Tuderto, regione Pallis. Coram Nicolao Tebal- .-
dueii de S. Miniate, iudice Curiae comunis Tuderti et Silvestro qd.
Rossi de Florentia capitaneo civitatis, sedentibus pro tribunali in
palatio novo ad solitum banchum. [... de Tuderto. Vedi il doc.
seguente].

XLVII. 9 febbraio 1393.

In P. 78. Originale.

Emptio terrae de Vastiano Ugolini, Stephani, Angeli et Io-
hannis pupillorum faeta a Poliono qd. Tudini Oddutii de Tuderto,
pretio debiti a dietis pupillis solvendi. Acetum Tuderti in via pu-
blica in regione S. Praxedis ante hostium civitatis. ... de Tuderto
de regione Camuciae, parochia S.-Philippi imp. auct. notarius et
iudex ordinarius.
440 B. TRIFONE

XLVIII. : | 3 febbraio 1406,

P. 81. Originale. La pergamena è tagliata nella parte inferiore
per eui manca la firma del notaio.

Apocha Margaritae qd. Colae Iohannelli, uxoris olim Fostini
Pucciaroni de Tuderto, regione Camuciae et parochia S. Nicolai,
et filii Nectucii facta Maetiolo olim Petri de Tuderto, de regione
et parochia S. Praxedis, nune habitatori in civitate Spoleti, pro
mutuo .xxxvI. florenorum auri aecepto. Acetum Tuderti in domo
olim dieti Fostini.

XLIX. - 23 agosto 1408.

P. 82. Originale mancante del sigillo.

Unio monasterii S. Mariae Novae O. S. B. cum monasterio
monialium S. Mariae Magdalenae, episcopi tudertini iurisdictioni
subiectorum, facta per Franciscum Henrici de Astancollis et
Franeiseum de Claravallensibus, eanonieos tudertinos, Francisci
episeopi tudertini vicarios generales, propter pernities et guerras
ae mortalitates et pestes in civitate et dioecesi tudertina invalsas.
Actum Tuderti in dieto monasterio S. Mariae Novae in regione
S. Silvestri et parochia S. Nicolay. Anthonius qd. Lucae Gellis
de Tuderto, regione S. Praxedis et parochia S. Marci, imp. auct.
notarius et iudex ordinarius.

sb} 29 gennaio 1410.
P. 83. Originale mancante della bolla.
Trascrizione: Codex diplom., c. 301.

Iohannes pp. XXIII unionem monasterii monialium S. Bartholo-
maei de Burgo Cupe Tuderti eum monasterio S. Benigni per Io-
hannem abbatem S. Pauli factam, ob demolitionem dieti monasterii
S. Bartolemaei pro fortificatione areis tudertinae, confirmat. Datum
Bononiae, pont. an. I. « Sacre religionis sub qua ».

LI. 21 dicembre 1420.
P. 84. Originale.

\
Oblatio bonorum et personarum Anthonii Stephani Marcuiti,
olim de villa Porchiani, comitatus tudertini et nunc de villa Spa- DOCUMENTI TUDERTINI 441

glarani, et Sanetutiae olim Iutii Ceccholini de Tuderto facta mo-
nialibus monasterii S. Bartholomaei ae S. Benigni de Tuderto.
Aetum Tuderti in capitulo dieti monasterii. Petrus Paulus Nico-
laus Benvenuti de Tuderto imp. «auct. notarius et iudex ordi-
narius.

LII. [o

P. 80. Copia autentica del 6 febbraio 1422 fatta pel notaio Gio-
vanni di Antonio Cobuzio di Todi, tolta dal Catasto del Comune di
Todi fol. CCOLXXXII.

Inventarium bonorum Bartolelli Nutii seu D. Aldinae nobilis
de castro Collis medii, comitatus Tuderti, positorum in dieta te-
nuta Collis medii et in tenuta Casclabiti, Ripae bianchae ae castri
Galgletoli,

LIII. 12 giugno 1425.
P. 85. Originale.

Testamentum Margaritae qd. Iohannis Angelli de Tuderto,
regione Camuciaé et parochia S. Mariae: reliquit corpus suum
sepelliri in ecclesia S. Mariae de Camuciae et florenos aliquot
filiae suae Angelae, uxoris Mechiorris, Iohanni marito suo domum
positam Tuderti quem nominavit usufructuarium omnium suorum
bonorum et Angelam heredem universalem. Actum Tuderti in
ecclesia S. Mariae de Cammucia ante altare maius. Monaldus qd.
Benedieti Folielli de Tuderto, regione S. Silverii et parochia
S. Blasii, imp. auet. notarius et iudex ordinarius.

LIV. 2 febbraio 1428.

P. 86.. Originale. .

Éxemptio a quibusdam oneribus:a Prioribus Comunis et po-
puli civitatis Tuderti concessa Chionio et Severio fratribus filiis
qd. Iohannis Angelieti de castro Orianelli, comitatus Spoleti.
Actum in civitate Tuderti in secretario palatii solitae residentiae
dietorum. Iacobus Rosatus de Alatro apost. auct. notarius.

99
B. TRIFONE
LV. 26 gennaio 1429.

P. 87. Originale.

Laudum inter Iohannem qd. Nicolay Lelli de Tuderto, no-
mine Francisci Balducii de Tuderto, et Paulum qd. Lucae de Tu-
derto, nomine Blondae qd. Galgani Ciccholi de Tuderto, et uxoris
olim Mannueii Leonis de Tuderto, occasione dotis dietae Blondae.
Tuderti sedente pro tribunali in palatio novo et sala suprema,
Iohanne Sacchi de Tuderto. Brunorus qd. Colecobelli de Tuderto
imp. auct. notarius et iudex ordinarius.

LVI. 10 luglio 1429.

P. 88. Originale.

Laudum Paralfi qd. ..donarei et Iohannis Isacche Mactheucci
de Tuderto inter Petrum Iohannem qd. Iohannis Ceecholi de (Tu-
derto) et Christoforum qd. Vegnati Petri de Tuderto super termi-
natione quarumdam litium. Sedentibus pro tribunali in palatio novo
Comunis Tuderti posite in regione S. Praxedis et parochia S. Lau-
rentii. Andreas qd. Laurentii Andreae de Tuderto, regione Vallis
et parochia S. Quirici apost. auet. notarius et iudex ordinarius.

LVII. . . 13 marzo 1435.

P. 19. Originale.

Donatio euiusdam pecuniae et aliorum bonorum Camillae olim
Lucae Bastiani Guidi, uxoris Polionis Todini' de Tuderto, faeta
Lavinae filiae suae. Actum Tuderti in apotheca Peri Francisci
quam tenet Egidius Todini, posita in regione S. Praxedis et pa-
roehia S. Laurentii. Iacobus qd. Nieolay Iohannis de Tuderto de
dieta regione et parochia imp. auct. notarius et iudex ordinarius.

LVIII. | S marzos]440!

P. 22. Originale.
Trascrizione: Codex diplom., e. 8314.

Eugenius pp. IV Bartholomeo episcopo Tudertino committit
suppressionem monasterii monialium S. Benigni de Tuderto O.
DOCUMENTI TUDERTINI 443

S. B. abbati S. Pauli subiecti, in quo duae vel tres moniales vi-
tam minus laudabilem ducunt, et unionem ipsius cum monasterio
S. Salvatoris ordinis fratrum Heremitarum S. Augustini de Tu-
derto. Datum Florentiae, pont. an. .x. « Romanus Pontifex » A.
de Florentia. [Sig.].

LIX. d. 21 [..] 1[4)43.

P. 89. Originale. La pergamena è danneggiata.

Debiti eonfessio a Stephano qd. Paschutii de Beroso, comi-
tatus Spoleti, facta Pandulfi qd. Tomae de Tuderto. Actum Tu-
derti in platea magna civitatis Tuderti. Mabrinus Andreae Ray-
naldi de Tuderto, regione Camuciae et parochia S. Benedicti,
apost. auct. notarius et iudex ordinarius.

LX. 13 gennaio 1444.

P. 90. Originale, mancante del sigillo.

Collatio eeelesiae ruralis S. Luciae plebatus S. Fidentii faeta
Iohanni Petri de Montieello de Tuderto per Bartholomeum de
Alaleanibus, episeopum Tudertinum. Datum Tuderti, in palatio
episeopatus. Antenor Thyme Catalani de Actis de Tuderto, regione
Vallis et parochia S. Quirici imp. auct. notarius et iudex ordi-
narius.

LXI. 15 dicembre 1445,

P. 91. Originale.

Emptio terrae positae in tenimento villae Polzolani, comi-
tatus Tuderti, Angelae qd. Massaroni, uxoris Andreae Bartoli,
de eastro Massae Tudertin. dioecesis et plebatus S. Fidentii, faeta
a Petro Benedieti de castro Monticelli comitatus Tuderti, pretio
‘.IX. librarum denariorum. Actum in castro Massae, Tuderti in
domo Andreae Bartoli. Iacobus Ieli de Massa imp. auct. notarius
et iudex ordinarius.
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3 Lec 2.

444. B. TRIFONE

EXII: : 8 febbraio 1451.

P. 92. Copia autentica del 27 maggio 1463 del notaio Francesco del
fu Antonelli de Benedictionibus di Todi di un'altra copia autentica del
26 giugno 1462 del notaio Ludovico Cremonese.

Trascrizione: Codex diplom., c. 421.

Nieolaus pp. V privilegium protectionis ac eonfirmationis In-
nocentii pp. IV (Facit nos divina pietas ... Datum Avinione .vr. kal.
novembris, pont. an. .I.), hospitali S. Mariae Magdalenae extra
muros Therracinae concessum, confirmat. Datum Romae apud
S. Petrum, pont. an. v. « Ex apostolice sedis provisione ». Io.
Rocapetri. — Poggius.

LXIII. 14 dicembre 1451.

P. 93. Originale mancante della bolla.

Trascrizione: Codex diplom., c. 426.

Nieolaus pp. V Valerio episcopo Saonen., civitatis Tudertin.
Gubernatori, mandat ut occupantes bona et iura monasterii Ss. Bar-
tholomei et Benigni de Tuderto O. S. B. ad restitutionem inducat.
Datum Romae apud S. Petrum, pont. an. .v. « Significaverunt
nobis ». P. de Legendo.

LXIV. 26 dicembre 1451,

P. 94. Originale.

Donatio bonorum Baptistae qd. Antonii Ciechi de castro Ri-
puvoli, comitatus Tudertini, faeta Benedietae Angeli de T'uderto,
vicariae monialium monasterii Ss. Bartholomei et Benigni. Actum
Tuderti in elaustro monasterii S. Benigni siti in regione et pa-
rochia S. Silvestri. Marcus Fortunati de Tuderto apost. auct. no-
tarius et iudex ordinarius.

LXV. 17 luglio 1453.

P. 95. Originale.

Emptio terrae positae in tenuta Castri Fraete comitatus Tu-
dertini Bertoldi qd. Branchatii Antonii alias Grassi de Tuderto, DOCUMENTI TUDERTINI 445

regione Camuciae et parochia S. Iohannis Boceam. facta a Ma-
riano qd. Tini Cecchi de Tuderto, regione Camuciae et parochia
S. Nicolai, pretio .xxir. florenorum auri. Aetum Tuderti in platea
S. Iohannis de platea. Antonius qd. Heetoris Lucae de Stancollis
de Tuderto, regione S. Silvestri et parochia S. Iohannis, apost. et
imp. auet. notarius et iudex ordinarius.

LXVI. 9 novembre 1453.

P. 97. Copia autentica del notaio Cristoforo del fu Angelo di
Paolo di Todi, ratificata dal notaio Antonio del fu Ettore di Luca de
Stancollis di Todi.

Emptio terrae positae infra Senatus 'Tuderti, in voeabulo
S. Gervasii, monasterii tertii ord. S. Francisci, quod dicitur mo-
nialis D. Lucretiae de Tuderto, faeta a Lueagnolo qd. Nacciarini
de Diruto, pretio .xIv. florenorum. Actum Tuderti in dieto mo-
nasterio. Anthonius qd. Hectoris notarius.

LXVII. 10 febbraio 1457.

P. 98. Originale.

Donatio introitus et exitus per quandam stortellam ab Angelo
qd. Maethei de Tuderto faeta Alexandro qd. Bastiani de Tuderto,
regione Camueiae. Actum Tuderti in apotheca Petrifanis Iohan-
nis, posita in regione S. Silvestri. Antonius w£ supra.

UXVIII. j 28 giugno 1459.

In P. 114, Copia autentica del 27 aprile 1478 del notaio Giovanni
Braccio di ferro de Prinejo chierico Tullense.
* Trascrizione: Codex. diplom., c. 452.

Pius pp. IV privilegium Nieolai pp. V Antonio de Corduba
magistro hospitalis S. Mariae Magdalenae leprosorum therraci-
nensis (v. doc. n. .Lxir.) concessum, confirmat. Datum Mantuae,
pont. an. .I. « Provisionis nostre debet provenire subsidio ».

n
446 B. TRIFÓNE

LXIX. :; 2 maggio 1460.

P. 96. Originale.

Mandatum procurae Polidori qd. magistri Stephani de Pustis
de Tuderto, regione Camueiae, parochia S. Mariae Mambrino An-
dreae Rainaldi de Tuderto, Ricio Nutii, Rodulfo Gasparis, Palnicio
Monaldi, Lucae Iohannis, Sebastiano Iohannis, Antonio Hectoris
de Tuderto, Nicolao Iacobi de Pensanto direetum. Acetum Tuderti
in apotheea Iacobi et Andreae de Actis de Tuderto. Iohannes Be-
nedietus qd. Tomassi, de Tuderto, regione Camueiae et parochia
S. Nieolai, apost. auet. notarius et iudex ordinarius.

LXX. 16 Iuglio 1463.

P. 99. Copia autentica del notaio Grassia del fu Antonio nobile
de Dayono, ratificata dal notaio Gorio del maestro Bartolomeo Gorio
di Foligno.

Trascrizione: Codex diplom., c. 459.

Pius pp. II offieialibus S. R. Ecclesiae, comitatibus et subditis
quibuscumque mandat ut Paolo de. Paetis magistro generali S. Ma-
riae Magdalenae terracinen. ordinis militiae S. Lazari omnem
favorem et auxilium exibeant ad reducendos leprosos Status ec-
elesiastiei ad hospitalia, pro eisdem deputata. Datum Tibure, pont.
an. v. « Cum dileetus filius ». I. G. de Piccolomini.

LXXI. : 17 ottobre 1464.

P. 100. Originale.

Sententia Valmi de Malabailis, decretorum doctoris, admini-
stratoris monasterii S. Petri de Manzano O. S. B. Asten. dioecesis,
locum tenentis Au. C. Iacobi de Mucciarellis de Bononia, super
quibusdam pecuniis, inter Nieolaum Lellonei civem Tudertinum
et Sigismundum ac Hereulanum, heredes qd. Mathei Clementis
de Tuderto. Romae apud S. Petrum in palatio eausarum aposto-
lieo. Cincius Leonardi de Cinciis de Viterbio apost. et imp. auct.
notarius. [Sig.]
DOCUMENTI TUDERTINI 441

IXII, 11 marzo 1466.

P. 101. Originale.

Collatio hospitalis diruti S. Mariae Magdalenae — del Mur-
-tieio —, positi in comitatu Tuderti in vocabulo Morticii, faeta
fratri Iacobo Todino Polionis de Tuderto ordinis S. Lazari hiero-
solimitani per Paulum de Paetis de Neapoli, militem ac magi-
strum domus S. Mariae Magdalenae, sitae extra muros therraci-
nen. Datum Tuderti in domibus nostrae solitae residentiae. Pe-
legrinus qd. Aldrovannini de Iano imp. auct. notarius et judex

ordinarius.
LXXIII. 81 dicembre 1466.

P. 102. Originale.

Confirmatio collationis hospitalis S. Mariae Magdalenae lepro-
sorum de Monte Nibio et de Montitio, dioecesis tudertin., facta
Iacobo Tudini magistro hospitalium S. Mariae Magdalenae de
Tuderto per Antonium totius militiae S. Lazari hierosolimi-
tani ord. S. Augustini Magistrum generalem et militem hospi-
talium ae universorum loeorum visitatorem et reformatorem a
S8. Sede deputatum. Datum Tuderti apud ecclesiam cathedralem
S. Mariae. [Sig.]. :

"

LXXIV. 22 aprile 1461.

P. 103. Originale.

Traserizione: Codex diplom., c. 462.

Paulus pp. II Vicario episcopi Tudertini mandat ut litem com-
ponat inter Iacobum Tudinum, rectorem hospitalis S. Mariae Mag-
dalenae de Monte Niblo, cui hospitale de Mortitio est annexum,
et priorem eeclesiae Tudertinae. Datum Romae apud S. Marcum,
pont. an. .II. « Conquestus est nobis ». D. Limensis. [Sig.].

LXXV. 25 giugno 1468.
P. 104. Originale.

Monitorium Valmi de Malabailis, decretorum doetoris, abbatis
monasterii S. Mauri Taurinen. dioecesis, Au. C. Iaeobi de Muna-

E 1 ? E x . ce P». 4

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448 B. TRIFONE

rellis de Bononia locum tenentis, in causa inter Antonellum; Fran-
eiseum, Augustinum, Brunium Giorn. de Collelongo et Alexan-
drum de Oddis, Matheum Oddi de Oddis, Franciscum Angeli Mon-
tis de nobilibus de Ponte et Todinum Polionis de Tuderto. Actum
Romae in domo dieti Valmi. Bartholomeus de Piseia notarius.

LXXVI. 30 dicembre 1469.

P. 105. Originale mancante della bolla.
Trascrizione : Codex diplom., c. 469.

Paulus pp. II Tudertin., Laxenaten. episcopis mandat ut ad
restitutionem indueant occupantes bona Iohannis de Albarisanis
reetoris, prioris eeclesiae S. Luminatae, Tudertin. dioecesis, acoliti
et familiaris nostri in Artibus et Medicinae magistri, monasterii
S. Andreae de Carnano O. S. B., eiusdem dioecesis, commenda-
tarii. Datum Romae apud S. Petrum, pont. an. .vI. « Significavit
nobis ». G. de la Fiera.

LXXVII. 11 maggio 1472.

P. 106. Originale mancante del sigillo.

Sententia Au. C. Iacobi de Micciarellis de Bononia super
manutensione iurium Iacobi Todini qd. Polionis de Tuderto, rec-
toris* hospitalis S. Mariae Magdalenae de Monte Nibio. Datum
Romae apud S. Petrum in palatio causarum apostolico. Cineius
de Viterbio notarius.

LXXVIII. ' 12 febbraio 1473.

P. 107. Originale mancante della bolla.

Sixtus pp. IV constitutiones a Summis Pontificibus, Innocen-
tio III (v. doe. rr.) et Nicolao III (Magistro et fratribus leproso-
ram de Monteniblo ... Sacrosaneta Romana ecclesia ... Datum
Viterbii II nonas octobris, pont. an. .I1.) ae exemptiones ab omni-
bus honeribus, eidem hospitali S. Mariae Magdalenae de Monte-
niblo et de Mortitio concessas, confirmat. Datum Romae apud
S. Petrum, pont. an. .Ur. « Et si universe orbis ecclesie ». A. In-
gheramius.
DOCUMENTI TUDERTINI 449

LXXIX. 96 settembre 1413.

In P. 114. Copia autentica (v. doc. n. LXVIII).

Sixtus pp. IV Antonio de Corduba, magistro et fratribus domus.
S. Mariae Magdalenae leprosorum extra muros Terracinen. pri-
vilegia, dieto hospitali a suis predecessoribus concessa, confirmat.
Datum Romae apud S. [...], pont. an. .nr. « Sacrosaneta Romana
Eeclesia ».

LXXX. 13 gennaio 1474.

P. 108. Originale mancante del sigillo.

Collatio hospitalis leprosorum de Casalina, positi in territorio
de Ripablancha dioecesis Tudertin., faeta Iacobo Todino Polionis
de Tuderto per fratrem Antonium de Corduba preceptorem domus
de Boignaeo Militiae S. Lazari Hierosolimitani sub regula S. Au-
gustini, magistrum generalem, ob mortem hospitalarii et commen-
datarii Noelli de Cioletto de Tuderto. Datum Romae in eeclesia
S. Laurentii in Damaso. Iohannes Barre, clericus Redonen. dioe-
eesis, apost. et imp. auct. notarius.

BXeXXI. ; 2 ottobre 1415.

P. 109. Originale.

Emptio terrae positae Tuderti, in vocabulo Vaiolis, Petri qd.
Angeli Petrunaci de Tuderto, regione Camuciae et parochia S. Ma-
riae faeta a Petro Dominieo Nicolai de Tuderto, pretio .xxr. flo-
renorum auri et bononiensium denariorum. Aetum Tuderti in.
apotheea Michaelis de Focio. Iohannes Benedictus qd. Tomassi de
Tuderto apost. auct. notarius et iudex ordinarius.

LXXXII. 4 novembre 1475.

P. 110. Originale.

Emptio terrae cum medietate casellae et canalium, extra
senatus Tuderti in vocabulo Vagiole, Agustini qd. Nicolai Nan-
nis de Tuderto, regione Camuciae et parochia S. Mariae faeta a
Pier Dominieo qd. Nieolai de 'Tuderto, pro debito dieti Nicolai
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450 | B. TRIFONE

.XXIv. florenorum et .XLVIII. boloniensium, quod dietus Pier Domi-
nicus Honofrio qd. Iacobo de Tuderto creditori debebat. Actum
Romae in domo prothonotarii Cestrini canonici S. Petri. Io. Be-
nedietus ut supra.

LXXXIII. 30 dicembre 1475.

P. 111. Originale.

Emptio medietatis unius domus positae Tuderti in regione

‘Camuciae et parochia S. Stephani, Iohannis qd. Iutii Maghezzi de

Tuderto facta a Lucangnelo qd. Nacciarini Nacti de Tuderto, pre-
tio florenorum .vr. auri. Actum Tuderti in ehoro maioris ecele-
siae. Pancratius qd. Blasii Iohannis de Tuderto regione Nidoli,
parochia S. Pauli, apost. auet. notarius et iudex ordinarius.

LXXXIV. 21 febbraio 1476.

P. 158. Originale.

Apocha Brunutii qd. Fortunati habitatoris Tuderti in domo
Francisci Oddi faeta Dominico Lodovico qd. Nicolai de Tuderto
de .vr. dueatis auri debitis. Actum Tuderti in platea magna Co-
munis 'Tuderti in regione S. Praxedis et parochia S. Laurentii.
Lucas qd. Chechi de Tuderto, regione Vallis et parochia S. Qui-
rici, imp. auet. notarius et iudex ordinarius. i

LXXXV. 31 marzo 1478.

P. 113. Originale.

Emptio terrae positae extra Senatus Tuderti, in tenuta Ca-
stagnole, Peri qd. Benedicti de Tuderto facta a Lucangnelo qd.
Nueeiarini Naeei de Tuderto, pretio florenorum .vir. auri. Actum
Tuderti in apoteca magistri Menici Venantii de Tuderto, posita
in regione S. Silvestri et parochia S. Benedicti. Pancratius wt
supra.

LXXXVI. 20 gennaio 1480.

P. 115. Originale.

Emptio terrae, positae intra Senatus Tuderti in vocabulo de
Saneta Agata, Purae Caroli Antonii Corradi Violante de nobilibus

^A
-

E
DOCUMENTI TUDERTINI 451

. de Avigliano eivis Tudertini, uxoris Baptistae Petruannis Nardutii
de Tuderto, faeta a Lodovico Nicolai Dominici de Tuderto, re-
gione Camuciae et parochia S. Nicolai, pretio .xx. florenorum et
.XLV. boloniensium. Actum 'luderti in domo Bartholi Baptistae
Io. Benis de Tuderto in regione S. Praxedis et parochia S. An-

) Sis ds
geli. Berardinus qd. Ugolini Io. de Uffardutiis de Tuderto, re-
gione Camuciae et parochia S. Filippi, apost. auct. notarius et
iudex ordinarius. i
LXXXVII. 21 novembre 1480.
P. 24. Originale.
Trascrizione: Codex diplom., c. 488.
Edizione: MARGARINI, Bullarium Casinense, to. II, p. 380-1.
Sixtus pp. IV ... abbati monasterii S. Pauli de Urbe refor-
mationem monasterii monialium S. Benigni O. S. B., ei pleno iure
subieeti, committit. Datum Romae apud S. Petrum, pont. an. .x.
« Cum intellexerimus ». L. Grifus.
LXXXVIII. 28 novembre 1485.
?
P. 117. Originale.
Emptio terrae, positae extra Senatus 'Tuderti in vocabulo
Sanetae Agatae, Bartholomei qd. Iaeobi de Mediolano habitatoris
Tudertini, facta a Luchangelo qd. Antonii de Tuderto, pretio .xrr.
florenorum auri. Actum Tuderti in domo Iohannis Antonii de
Aretio in regione Camuciae et parochia S. Nicolai. Io. Benedictus
o
qd. Tomassi de Tuderto apost. auct. notarius et iudex ordinarius.
LXXXIX. ^ 6 marzo 1486.
P. 118. Originale mancante della bolla.
Trascrizione : Codex diplom., c. 501.
| E Edizione: MARGARINI, Bullarium Casinense, to. II, p. 396-1.
}

Innocentius pp. VIII monasterium monialium S. Benigni O.
5. B. dioecesis Tudertin. cum monasterio S. Margaritae Militia-
rum O. S. B. eiusdem civitatis, monasterio S. Pauli de Urbe
e x TR SI "CT f".

459 B TRIFONE

pleno iure subieetum, unit. Datum Romae apud S. Petrum, pont.
an. .If. « Decet Romanum Pontificem ». Hie. Balbanus. L. Maius.

XC. ' marzo 1487.

P. 160. Originale mancante del sigillo.

Dispensatio a defeetu natalium Elisabethae Antonii monialis
professae monasterii S. Benigni de Tuderto O. S. B. concessa per
Gregorium de Galoetis de Nursia, decretorum doctorem ae F ...
episeopi Tudertini vicarium generalem, sedentem pro tribunali in
palatio dieti episcopi. Sigismundus qd. Mactei Clementis de Tu-
derto, regione Camueiae ae parochia S. Benedicti, apost. auct. no-
tarius et iudex ordinarius.

XE 98 settembre 1488.

P. 119. Copia autentica.

Innoeentius pp. VIII hospitalem S. Mariae Magdalenae lepro-
sorum de Monte Nibio Petro Ritii clerico Tudertino, vacantem
per obitum Iaeobi Tudini ipsius hospitalis reetoris, confert. Datum
Romae apud S. Petrum, pont. an. .v. « Gratis in desideriis ».

XCII. 4 dicembre 1488.

P. 120. Originale.

Monitorium Au. C. Hieronimi de Porchariis, basilieae S. Pe-
tri de Urbe canonici, in causa inter Petrum Ritii et Hippolitum
de Cesis, viearium episcopi Tudertin., pro hospitali S. Mariae Mag-
dalenae de Monte Nibio et Mortitio. Datum Romae in domo ha-
bitationis dieti Hieronimi. Nieolaus Generis clericus Remen. dioe-
cesis apost. et imp. auct. notarius. [Sig.].

XOTE 2 ottobre 1489.

P. 121. Originale.

Emptio terrae, positae extra Senatus Tuderti in vocabulo
S. Laurentii Cerque Cupe, Thomassi et Maetei qd. Io. Honofrii
de Montenigro, comitatus Tuderti, facta a Luchangelo qd. Antonii

eM.
DOCUMENTI TUDERTINI 453

de Tuderto, pretio .xxvi. ducatorum auri. Aetum Tuderti in
domo heredum Angelae Ugolini, in regione S. Silvestri ae paro-
chia S. Nicolai. Io. Benedietus qd. 'Tomassi de Tuderto apost.
auct. notarius et iudex ordinarius.

XCIV. 5 marzo 1490.

P. 122. Originale.

Monitorium Au. C. Antonii de Brassis episcopi Tiburtin. in
eausa inter Petrum Ritii et Ludovieum qd. Melehioris et Hippo-
litum 'Thomae de Martollis elerieos, pro hospitali S. Mariae Mag-
dalenae de Monte Nibio et de Mortitio. Datum Romae apud
5. Petrum. Iulius de Bone clericus Bononien. dioecesis apost. et
imp. auet. notarius. [Sig.].

XCV. 9 marzo 1490.

P. 123. Originale.

Adeptio possessionis hospitalis S. Mariae Magdalenae de Monte
Nibio faeta per rectorem Petrum Ritii. Acta in dieto hospitali.

XCVI. 1 agosto 1491.

P. 124. Originale.

Mandatum procurae Iohannis de Columpna, diaconi cardinalis
5. Mariae in Aquiro, Mariano Prosperi de Interampne ac Ritio
de Bociis pro exigendis beneficiorum redditibus in territorio Tu-
dertino. Actum Romae in regione Trivii in camera dieti cardi-
nalis. Io. Baptista Io. Petri apost. auct. notarius.

XCVII. 16 febbraio 1494.

P. 125. Originale.

Fides collationis ordinum minorum et maiorum a Gabriele
episcopo Adiacen. in ecclesia S. Mariae de Grota de Urbe colla-
torum faeta per Raphaelem diaconum cardinalem S. Georgii ad
Velum aureum, Papae Camerarium, Petro Rieii de Botiis de Tu-

derto, clerico studente in collegio Capranieen. in Romana Curia,
454 B. TRIFONE

rectori ecclesiarum ruralium S. Mariae Magdalenae Montis Nibii
et Morticii, Tudertin. dioecesis. Datum Romae in camera apo-
stolica. Phy. de Pontecurvo.

XCVIII. 19 agosto 1496.

P. 126. Originale mancante del sigillo.

Monitorium Iohannis Vannulius Lucen., locumtenentis Au. C.
Petri de Vieentia episcopi Cesenaten., in causa inter Iordanem
Nicolai Nannis de Tuderto et Ludovicum Nicolai Dominiei de Tu-
derto. Datum Romae in domo habitationis dieti Iohannis. Iohan-
nes Desiderii de Badricuria clericus Tullen. dioecesis apost. et
imp. auet. notarius.

APPENDICE.

I. [P. 25]. « Donatio bonorum Catharinae de Vigliada seu Spe-
ranza ad favorem monasterii S. Margaritae Militiarum ».

II. [P. 26]. « Monitorium pro hospitali S. Mariae Magdalenae de
Monte Nibio ».

III. [P. 27]. « Confirmatio unionis monasterii S. Benigni de Tu-
derto cum monasterio S. Margaritae Militiarum ».

IV. [P. 62]. « Debiti confessio facta a Lucio Tomasi ad favorem
Ciccoli Gincti ».

V. [P. 64]. « Informatio pro visitatione monasterii monialium
S. Margaritae Militiarum Tuderti ».

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{

1230.

DOCUMENTI TUDERTINI 455

INDICE CRONOLOGICO
DEGLI SCRITTORI DELLE CARTE

Petrus S. R. Ecclesie notarius (III).

1256-67. Rusticus imp. auct. notarius (V, VI, XII).

1257.
1251.

1267.
1285.

1289.

Todus Boneventurae Ulixis S. R. Ecclesiae auct. notarius (VII).
Deotesalvus Raynardi S. R. Ecclesiae auct. notarius (VIII).
Primeranus qd. Bonami notarius (XI).

Ianninus qd. Bonufatii de Collango imp. auct. notarius (XV).
Ugolinus Andreae imp. auct. notarius (XVI).

1307-31. Paulus notarius (XIX, XXVII).

1309.
1517.
1327.
1331.
1341.

d @ 1342.

Munaldus Gentilis de Tuderto imp. auct. notarius (XXI).
Iohannes Gerardi Iohannis de Tuderto imp. auct. notarius (XXIII).
Franciscus qd. Silvestri de Tuderto imp. auct. notarius (XXV).
Matheus Colae de Tuderto imp. auct. notarius (XXVI).

Marchus qd. Iacobi Venturae de Tuderto imp. auct. notarius
(XXVIII).

Matheus qd. Iacobutii Philippi de Tuderto imperiali auctoritate
notarius (XXIX).

1349-51. Petrus qd. magistri Angeli magistri Egidei de Tuderto imp.

1356.

1359.

1361.

1313.

1314.

1385.

: 1892.

1393.

auet. notarius (XXXI, XXXII).

Manfredinus qd. Andreae Hertingelli de Tuderto imp. auct. nota-
tarius et iudex ordinarius (XXXV). :

Vivianus Mactioli Mannatoni de castro Loreti comitatus Tuderti
imp. auct. notarius et iudex ordinarius (XXXVI).

Gervasius Pauli Ugolinelli de Tuderto imp. auct. notarius et iu-
dex ordinarius (XXXVII).

Thomas qd. Paulieti de Cesena imp. auct. notarius et iudex or-
dinarius (XLI, XLII).

Agustinus qd. Pincii Vignucii de Tuderto imp. auct. notarius

et iudex ordinarius (XLIII),

Iacobus Francisci Nicolae de Tuderto imp. auct. notarius et iu-
dex ordinarius (XLIV).

Iohannes Urselli Lucii de Tuderto imp. auct. notarius et iudex
ordinarius (XLV).

eso. de Tuderto imp. auct. notarius et iudex ordinarius (XLVI,
XLVII).

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1499.
1435.
1443.
1444,
1445.

1451.

B. TRIFONE

. Anthonius qd. Lucae Gellis de Tuderto imp. auct. notarius et

iudex ordinarius (XLIX).

. Petrus Paulus Nicolay Benvenuti de Tuderto imp. auct. notarius

et iudex ordinarius (LI).

. Monaldus qd. Benedicti Folielli de Tuderto imp. auct. notarius

et iudex ordinarius (LIII).

. Iacobus Rosatus de Alatro apostolica auct. notarius (LIV).
. Brunorus qd. Colecobelli de Tuderto imp. auct. notarius et iu-

dex ordinarius (LV).

Andreas qd. Laurentii Andreae de Tuderto apost. auct. notarius
et iudex ordinarius (LVI).

Iacobus qd. Nicolay Iohannis de Tuderto imp. auct. notarius et
iudex ordinarius (LVII).

Mabrinus Andreae Raynaldi de Tuderto apost. auct. notarius et
iudex ordinarius (LIX). !

Antenor Thymae Catalani de Actis de Tuderto imp. auct. nota-
rius et iudex ordinarius (LX).

Iacobus Ieli de Massa imp. auct. notarius et iudex ordinarius
(LXI). |

Mareus Fortunati de Tuderto apost. auct. notarius et index or-

dinarius (L XIV).
1453-1. Antonius qd. Hectoris Lucae de Stancollis de Tuderto apost.

et imp. auct. notarius et iudex ordinarius (LXV-LXVII).

1460-89. Iohannes Benedietus qd. Tomassi de Tuderto apost. auct. no-

1466.

1468.
1412.
1474.

tarius et iudex ordinarius (LXIX-1LXXXII, LXXXVIII, XCIID.
Pelegrinus qd. Aldrovannini de Iano imp. auct. notarius et iudex
ordinarius (LXXII).

Bartholomeus de Pescia notarius (LXXV).

Cincius de Viterbio notarius (LXXVII).

Iohannes Barre clericus Redonen. dioecesis apost. et imp. auet.
notarius (LXXX).

1475-8. Paneratius qd. Blaxii Iohannis de Tuderto .apost. auct. nota-

1416.
1480.
1487.

1489.

rius et iudex ordinarius (LXXXIII, LXXXV).

Lucas qd. Chechi de Tuderto imp. auct. notarius et iudex ordi-
narius (LXXXIV).

Berardinus qd. Ugolini Io. de Uffardutiis de Tuderto apost. auct.
notarius et iudex ordinarius (LXXXVI).

Sigismundus qd. Mactei Clementis de Tuderto apost. auct. nota-
rius et iudex ordinarius (XC).

Nicolaus Generis clericus Remen. dioecesis apost. et imp. auct.
notarius (XCII).

iibi 1490. Iulius de Bone clericus Bononien. dioecesis apost. et imp. auct.

notarius (XCIV).

DOCUMENTI TUDERTINI

—-.

1491. Io. Baptista Iohannis Petri apost. auct. nofarius (XCVI).

1496. Iohannes Desiderii de Badricuria clericus Tullen. dioecesis apost. »

Hi HÀ FU CU Óu FU IU CU FU CU FU CU CU CU C FU CU CU CU UU fU CU Cu CU IX

et imp. auct. notarins) XCVIII).

DELLE SEGNATURE DELL'ARCHIVIO

COIY NUMERI DELL’ EDIZIONE

. 1-13. Di Amelia.

14-18. Di Roma.
19-20. Del 1500.
DIRE XXXVIII.
290: — TL VIIT.
23. Del 1500.

24, — LXXXVII.
25. — App. I.
20: — App. II.
21. — App. III.
. 98-88. Di Ravenna.
Bg — IT.

A20 — TIT.

41. = XXIX.
22 — IV.

ag — V. VI.
44, — VII.

2D. — VIII.

46. — XI.

Tí —— XII.

48. — XIII.

49. — XIV.

007 — XV.

DI, —— XVI.
..52-53. = XVII.

CONCORDANZA

FJ

RU veu UV M Utd UU cU fu "d Fu rg

XXII.
XVIII.
XIX.
XX.
XXI.
XXIII.
XXV.
XXVI.
App. IV.
XXVII.
App. V.

XXVIII, XXXII.

XXXI.
XXXIV.
XXXV.
XXXVI.
XXXVII.
XXXIX.
XLI.
XLII.
X
XLIII.
XLIV.
XLV.
XLVI, XLVII.

457
Mx
[37]
[9 9]

Hj CU fU CU HU FU Cu CU Cd Fd fd Cu CU CU CU IU Cu Cd CU fU Cu Cd CU "U Ju Jd fd fu

100.
101.
102.
103.
104.
105.
108.

LVII.
LII.
XLVIII.
XLIX.
Tr.
LI.
LIII.
LIV.
LV.
LVI.
LIX.
LX.
LXI.
LXII.
LXIII.
LXIV.
LXV.
LXIX.
LXVI.
LXVII.
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LXXI.
LXXII.
LXXIII.
LXXIV.
LXXV.
LXXVI.

LXXVII.

B. TRIFONE

3

107 = XXVII
TOS SEDE
100 RR
DIO ec TERNI
110 SERATE
VE = XX.
Ma = SV
114 — TVEH DXOXDXS
115. XXXVI
116. Del 1500.
di LXXVI
118 = MOST
119. — XCL
120. = XCII.
MON
192. = XCIV.
193. = XCV.
194. È XOVI.
95. = XCVII.
196. — XCVIII.
DI XXX
198-143. Del 1500.
144. TI IX, X, XXIV, XXXIII:
145-157. Del 1500.
i459: ES: XXXIV:
159. Del 1500.
160: —- XQ.
. 161-164. Del 1500.

HÀ Cd Cd CU ru to Cu PU CU CUL V Cd Cw CU CU Id Cu CU Cu Ju "d JU "d ld Id ito
E
|

Ps
ANALECTA E RECENSIONE ANALECTA UMBRA

Ora che, per il decoro d'Italia e per il bene dell'arte, le dimis-
sioni di Corrado Ricci dal suo alto ufficio sono scongiurate, sia lecito
anche a noi di congratularcene vivamente.

Se una divergenza teorica, di carattere amministrativo, fece per
un momento pensare che l’ illustre uomo fosse deciso a ritirarsi nella
quiete proficua de’ suoi studi prediletti, noi male potevano abituarci
al pensiero che la Direzione delle Belli Arti in Italia potesse rimaner
priva della altissima competenza di lui, e insieme dell’ardente pas-
sione, che già tanti frutti ha dati; di ricerche, di acquisti, di provvide
conservazioni.

Avere assicurato al patrimonio artistico nazionale la Fanciulla
d'Anzio e la bene avviata difesa dall’ estrema rovina del palazzetto di
papa Barbo, sono già tali meriti, che basterebbero a magnificare l’opera
di lui.

E l Umbria, che gli deve speciale gratitudine, della quale bene
si sono resi interpetri il nostro Lanzi e i suoi colleghi, ispettori ono-
rari dei monumenti nella nostra regione, si unisce di buon grado al
coro di lodi e di ringraziamenti verso il comm. Corrado Ricci per aver
egli consentito a conservare l'opera sua preziosa e infaticabile a pro
delle nostre memorie vetuste e dei nostri rari tesori, sempre piü espo-
sti a trafugamenti, come una volta alla noncuranza. E nessuno può
misurare l’ efficacia dell’ opera di C. Ricci; efficacia di ogni giorno, di
ogni ora, giacchè, a proposito della costante difesa che egli prodiga
ai nostro patrimonio artistico, si può ripetere il di qui non si passa.
.E quanti tesori avrebbero invece continuato a passar le Alpi e il mare,

qualora sventuramente, la intelligente vigile amorosa difesa di lui fosse
venuta a mancare !

x" Al vivo desiderio degli studiosi di avere una edizione delle
Laude di Jacopone da Todi, giacchè quelle del quattrocento e del cin-
REZZA ITA
]
V

"===".

462 ANALECTA UMBRA

È quecento difficilmente si potevano avere, ha provveduto la Soczetà Fi-
| lologica romana. A cura di Giovanni Ferri è stata pubblicata testè una
riproduzione della prima raccolta di poesie jacoponiche, edita da Fran-
cesco Bonaccorsi in Firenze nel 1490. E non è a dire quanto opportuna

RSS
| RE sia questa edizione della Filologica, giacchè è noto che il Bonaccorsi
lc « potè disporre di molti codici », e ne pose a profitto « specialmente
| due todini e assa? antichi, i quali si trovavano allora a Todi e rappre-
sentavano le raccolte più. ampie e più diligenti che si conoscessero ».
Cosi, come nota il Ferri, « la copia studiosamente cavata da quegli
i esemplari servi di fondamento all’ edizione principe; nella quale dun-

que dovremo riconoscere una raccolta resultante direttamente da ma-
È noscritti anteriori a tutti quelli che oggi possediamo e della stessa
città o regione ove sbocciarono i sacri ritmi del Poeta francescano »
i : (dei due todini 194 e 195, il primo è del sec. XV, il secondo è la rac-
IR : colta compilata da Luca Alberto Petti, protonotario apostolico).

Come è noto, l'edizione quattrocentina comprende centodue laude,
alcuna più di quelle che contengano i codici più antichi; ma, avverte

il Ferri, « l'imitazione jacoponica doveva esser già così ricca alla fine
| del XV secolo, che il Bonaccorsi sentì il dovere di mettere in guardia
i il lettore a riguardo del loro numero e della loro autenticità ». Fin da
Il allora l’ editore fiorentino tentò una classificazione delle poesie jacopo-
niche, ponendo prima le due della Madonna, « quale è porta et inven-
trice de ogni gratia », poi le più facile, cioè le piccole composizioni,
infine i componimenti di maggior mole, che l’ Ozanam chiamò teologici,

|
|
| e il Ferri preferisce denominare ascetici ; inoltre le satire si trovano
| ‘sparse qua e là, ma quelle di argomento politico formano un gruppo.
l

solo ed occupano il posto di mezzo.

| In quanto al valore linguistico della edizione fiorentina, il Ferri
ricorda come il Bonaccorsi dichiarasse esplicitamente di non aver vo-

cità et purità anticha secondo quel paese di Todi del modo di scrivere
et de vocaboli ». Il Ferri discute brevemente l’ opinione del D’ Ancona,
E che la lingua originale di Jacopone fosse il volgare di Todi, e osserva

|
| ZIA luto mutar nulla e nulla aggiungere affine di conservare « la simpli-
|
|
|

Wi che, volendo dare ad essa un valore assoluto, bisognerebbe convenire
che il testo della edizione del Bonaccorsi « qua e là si discosta notevol-
: mente da quello che doveva essere illinguaggio tudertino del due-
ea cento ».

Ma, aggiunge il benemerito editore della Zologica, quando si
pensi che il Bonaccorsi ebbe come base della sua edizione i due co-
i dici todini più antichi, e che le maggiori divergenze dall’uso umbro si

riscontrano nelle ultime composizioni, di dubbia autenticità, « vien da
ANALECTA UMBRA 463

pensare che il fondo idiomatico primitivo non abbia poi subito nel
testo bonaecorsiano troppo profonde modificazioni ». Ma c’è di più.
Jacopone fu, non c'è bisogno di dirlo, uomo colto ; aveva fatto gli
studj di diritto, forse a Bologna, aveva esercitato in patria l'avvoca-
tura, e « aveva fors'anco dettato componimenti in rima prima di darsi
a vita spirituale ed è lecito supporre che non gli fosse ignota la bella
fioritura della poesia lirica del suo tempo, è cui spunti e le cui imma-
gini sin troppo profane ricorrono con molta insistenza melle sue laudi-
ballate ».

Così difficilmente, per quanto in lui fosse vivo il disprezzo per
le vanità, avrebbe potuto far getto della sua coltura. E il Ferri ne con-
clude, che parlando Jacopone e componendo come solevano le persone
della sua coltura, « non sarebbe giusto rifiutare inesorabilmente come
alterazioni illegittime di amanuensi e di editori tutto ciò (e non è gran
cosa) che nel testo dell’edizione fiorentina del 1490 sembra discostarsi
dalle particolari caratteristiche del dialetto tudertino ».

Il Ferri non lo dice, ma scende come conseguenza necessaria dalle
sue osservazioni; che, perduti i codici più antichi, ben difficile, se non
impossibile, deve riuscire condurre una edizione critica delle poesie
jacoponiche, e che gli studiosi possono anche rimaner paghi alla bo-
naecorsiana, come quella che é la meno lontana dalla forma originaria.
E, éhe sia il vero, confrontiamo, ad esempio, la ricostruzione critica
che della celebre invettiva (O papa Bonifazio ...) ci ha data il Monaci
(Crestomazia, pag. 44), e vedremo che le divergenze tra quella e la
lezione del Bonaccorsi non sono molto forti.

Nella edizione del Ferri, al testo seguono un rieco accuratissimo
Prospetto yrammaticale e un copioso Lessico; nel quale non sono tra-
scurate neppure « le dichiarazioni dei vocaboli più difficili, proposte
dal Bonaccorsi, dal Modio e dal Tresatti ..., i più rispettosi commen-
tatori del Poeta e i più vicini a lui in ordine di tempo ».

Per concludere questa mia nota informativa, dirò che la presente
edizione è quale ci poteva esser data dalla Zilologica; tale cioè da sod-
disfare i più legittimi desideri degli studiosi.

M[ario] P[elaez], rendendo conto del volume del Ferri (Fanfulla
delia Domenica, 3 luglio 1910), così si esprimeva: La Società filologica
romana col presente volume ha iniziato la pubblicazione della serie
dei testi umbri. Presto ad esso terranno dietro le laude drammatiche
dei disciplinati, delle quali molti anni fa, come tutti sanno. diede la
prima notizia e la illustrazione Ernesto Monaci ». Notizia più grata
non poteva esser data a noi umbri e ai cultori in genere: delle nostre
lettere; e se con la discreta sua espressione il Pelaez ha voluto dire
ARISTON

464 ANALECTA UMBRA

CUGWAGEEA ATI IATA:

che editore delle laude drammatiche sarà il Monaci, che da tempo ha
trascritti tutti i più antichi codici di esse, potremo bene affermare che
l' illustre professore della Università romana coronerà degnamente
l’opera sua, con la quale rivelò l’importanza delle laude dei discipli-
nati, e nella lirica e nella drammatica.

RIZZI

E mi piace anche di dare la notizia, che la Filologica romana
pubblicherà entro l'anno il testo dei Poet? Antichi Perugini, cioè le
rime. profane contenute nel cod. Vat. 4036, già Barb. XLV-130.

enm Il Cian, pubblicando una « silloge ignota di laudi sacre »,
aveva avvertito che quelle genovesi, ed. Crescini e Bellini, quelle 2x
dialetto ligure antico, ed. Accame, e quelle del Piemonte, ed. Gabotto
e Orsi, « risalgono ad una fonte comune » ; e ciò avvertì sulla scorta
degli Inizii pubblicati da A. Tenneroni. Ora il dott. Ferdinando Neri,
Di alcuni laudari settentrionali (Estr. dagli Att della R. Accademia delle
Scienze di Torino, vol. XLIV), porta il suo esame su di un’altra serie
di laude, che ricorrono in altri mss., mal noti o sconosciuti, la quale
« attesta di certo l'esistenza di un laudario-tipo, di base umbra e to-
scana, divulgato nella regione subalpina ». I codici studiati dal chiaro
e competente A. sono un laudario di Saluzzo, uno di Bra, uno del Mu-

seo Civico ed uno della Biblioteca Reale in Torino.

Del manoscritto di Saluzzo dà la tavola, e pubblica diverse laude
da quello e da altri ms. Infine riscontra il gruppo subalpino con i
laudari friulani, che hanno comuni alcuni inizi, e ne arguisce, come
conclusione del suo studio, molto diligente e ricco di riscontri, « come

per piirrami, dalla Toscana (anche se di origine umbra) tali poesie si

sieno diffuse nell’alta Italia, e qui ridotte ad un — volgare illustre —
regionale, con iscarsi elementi positivi dei singoli dialetti ». x

Altra interessante pubblicazione sullo stesso argomento è quella
di G. Bertoni, IZ laudario dei battuti di Modena (Beihefte zur Zeischrift,
für romanische Philologie, fasc. 20). L'A. pubblica integralmente il
laudario, « uno dei piü preziosi cimeli della dialettologia dell alta
Italia ». Il ms. appartiene al sec. XIV, contiene cinquantanove componi-
menti, tra i quali aleuni umbri e toscani, né mancano di quelli che
sono attribuiti a Jacopone. Il testo è preceduto da un'ampia introdu-
zione, nella quale l'A. illustra le laude nel contenuto e nella lingua;
e in fine un glossario dà le voci degne di nota.

Nella Miscellanea Francescana (XI, 5) viene ripubblicata la disser-
tazione settecentesca di Ireneo Affò, De’ cantici volgari di S. Francesco
d’ Assisi, con la quale l’erudito emiliano volle dimostrare che a torto
sono attribuiti a S. Francesco i noti carmi.
ANALECTA UMBRA 465

Relazione con questo genere di studj ha la pubblicazione del Tor-
toli, Contenzione d’un’ anima e d'un corpo, testi del sec. XIV in prosa
ed in rima, aggiuntovi l’ originale latino. (Atti della R. Accademia della
Crusca, a. 1907-908, ma pubb. alla fine del 1909). In questa pubbli-
cazione è da vedere il Giornale Storico d. Lett. it., vol. LV; pag. 466
e seg.

Merita anche d'esser ricordato lo studio di D. Alaleona, Le laudi
spirituali italiane nei secoli XVI e XVII e il loro rapporto coi canti pro-
fani. (Rivista musicale it., XVI, 1).

Citerò infine lo seritto seguente: U. BeRLIBRE, Trois traités inédits.
sur les flagellants de 1349. (Revue Bénédictine, XXV, 8).

x'& La letteratura francescana, già così ricca, che, giusta l'espres-
"sione dell'autore d'uno dei seguenti volumi, ormaz non la cede nem-
meno alla Dantesca, si è in quest'anno arricchita di tre nuove pubbli-
cazioni, che meritano di essere in special modo segnalate. Intendo
dire le seguenti : Legenda Sanctae Clarae Virginis. Tratta dal ms. 83
della Bibl. Com. di Assisi,‘edita per cura del prof. FRANCESCO PEN-
NACCHI. Assisi, Tip. Metastasio, 1910 ; in Pubbl. d. Società Internaz. di
Studj Francescani in Assisi, n. 8. — I Fioretti di S. Francesco con in-
troduzione e commento per cura di ArnALDO DELLA Torre. Roma, Pa-
ravia, s. a. [ma 19:10]. — F. Tocco, La Quistione della Povertà nel
secolo XIV, secondo nuovi documenti. Napoli, Perrella, 1910; in Nuova
Biblioteca di Letteratura, Storia ed Arte diretta da F. ToRRACA, n. 5.

Ildebrando Della Giovanna concludeva, ora song diversi anni
(Giorn. St. d. Lett. it., XXXVII, p. 311), una sua dotta Rassegna Fran-
cescana : « .. confermiamo quello che, forti della tradizione dei ma-
noscritti e delle testimonianze del dugento, abbiamo sempre sostenuto,
doversi cioè considerare f. Tommaso da Celano il più antico e il più
autorevole dei biografi dell'Assisiate. Veritas magna est et (giova spe-
rarlo) praevalebit! » Tra i più acerrimi nemici della fama del da Ce-
lano va annoverato, come è noto, il Tamassia, contro il quale scrissero
il Faloci-Pulignani, il Cosmo e il d’ Alencon; nè il Sabatier gli diede
soverchio favore. Tra i difensori di lui va ora segnalato il prof. Pen-
nacchi, il quale, non pago di affermare che il da Celano esce illeso dal
colpo che i moderni critici gli dettero, aggiunge una novella fronda
alla sua fama. Secondo che scrive il dotto professore assisano, « l'umile
biografo ci è stato rivelato quale profondo conoscitore e abile assimi-
latore dei fiori della letteratura pagana e cristiana, e queste remini-
scenze bibliche e dell'evangelo, dei santi padri e dei pagani, egli sto-
rico e poeta, incastonò con profusione nelle sue Leggende ». Tra queste
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466 ANALECTA UMBRA

deve trovar luogo la Legenda Sactae Clarae Virginis, che il Pennacchi
ora pubblica e che, a parere di lui, « fu l’ultimo storico e poetico parto
del suo ingegno, che fu uno dei più vasti e profondi che vanti la let-
teratura chiesastica del medio evo ». È

Dopo i colpi demolitori di alcuni critici, ci appare che fortuna
cambi nei riguardi del da Celano. Da poi che Filippo Ermini gli ebbe
restituita la paternità del Dies irae, la maggior parte degli studiosi di
leggende francescane propende ad attribuirgli anche questa di S. Chiara,
che fino a pochi anni fa era creduta appartenere a S. Bonaventura. In
un primo capitolo della Prefazione, il Pennacchi dà le prove che se-
condo lui tolgono ogni dubbio sulla attribuzione della leggenda al da
Celano, e innanzi tutto mette a riscontro brani della leggenda di
S. Chiara con alcuni delle « altre dal Celano scritte molti anni avanti »,
e specialmente con la Legenda S. Francisci Assisiensis vita et miracula.
Riscontrata la quasi identità di essi, il Pennacchi ne deduce che « o
il Celano è l'autore della nostra leggenda, o questa fu scritta da un
suo confratello che nelle opere del Celanese aveva a lungo studiato e
ne aveva assimilato a maraviglia pregi e difetti ».

È inutile notare che l' A. si decide senza ambagi per la prima
delle due ipotesi, che-avvalora di altre dimostrazioni. La prima è di
carattere stilistico, giacchè il Pennacchi nota: il da Celano è « scrit-
tore di sequenze, autore del sublime e terribile Dies irae, in cui sono
sintetizzate reminiscenze bibliche, teologiche, ascetiche, con densità di
antitesi, di contrasti, di paragoni, per cui fa uso di uno stile tutto suo,
e spesso lo storico facendosi tentare dal poeta; esprime il concetto e
più concetti con una frase composta da un’assonanza ritmica’ che do-
veva essergli famigliare e di cui infiora tutte le sue leggende, e questa
più delle altre, perchè il vecchio padre raduna tutte le cure nel tenero
beniamino », che sarebbe poi la Legenda S. Clarae. Inoltre il prof. Pen-
nacchi avverte che già nella Legenda prima del.da Celano (1228) è
contenuto (cap. VIII) un elogio mirabile di Chiara, e che l'agiografo
« aveva divisato di scrivere una istoria del secondo ordine, ripartita
in sette capitoli principali; già ne ordisce la tela e chiude la sua espo-
sizione con queste parole che sono un impegno, un compromesso che
presto o tardi dovrà mantenere: Et haec ad praesens de virginibus Deo
dicatis et devotissimis ancillis Christi dicta sufficiant, cum ipsarum vita
mirifica et institutio gloriosa, quam a domino Papa Gregorio, tune tem-
poris Hostiensi episcopo, susceperunt, proprium opus requirat et otium ».

Non so come le cose procedessero, nel secolo XIII, presso l'érri-
tabile genus degli scrittori, ma, a giudicare da quanto avviene presen-
ANALECTA UMBRA 467

temente, e anche da quanto è avvenuto in tempi da noi più o meno
lontani; non pare che lo stabilire significhi sempre anche scrivere
un'opera. Né le altre prove addotte a dimostrare l'attribuzione della
Leggenda al da Celano mi pare che abbiano maggior peso. È noto
che specialmente nelle compilazioni medioevali, brani interi migravano
da un'opera ad un'altra, così come le eredità si tramandano di padre
in figlio; e i criteri stilistici appartengono a quella categoria di con-
siderazioni che troppo spesso danno luogo ad equivoci e a giudizi che
vengono distrutti ‘dai fatti.

Colla prima delle considerazioni messe innanzi dal prof Pennac-
chi resterebbe distrutta o quasi la classe appellata, ora a torto, ora
a ragione, dei plagiarj, e alcune pagine della storia del Giannone, ad
e., si direbbero appartenere a scrittori di secoli anteriori; e menando
buona la seconda non dovrebbero esser più tanto difficili le attribu-
zioni a quello o quell’altro poeta delle rime che furono tramandate
anonime nei nostri codici più antichi.

Coneludendo, non ci sembra che le prove addotte dal prof. Pen-
nacchi siano tali da togliere definitivamente qualunque dubbio sulla pa-
ternità della Leggenda; mentre ne mancano altre, che assolutamente
vietino di attribuirla al Da Celano.

Manifestato così il mio dissenso su di un punto capitale della
dotta Prefazione del prof. Pennacchi, mi piace di aggiungere subito che
il volume è tale da fare onore all'Autore e alla Società sotto i cui
auspicj è stata edita.

In due altri capitoli l'A. s'intrattiene sulla « Genealogia della
famiglia di S. Chiara » e su « Il monastero di S. Angelo di Panzo ».
Un altro di essi ne informa su « La prima regola delle Clarisse ». A
proposito di questa, l’A., discutendo e vagliando le più antiche testimo-
nianze e le opinioni espresse dai critici più recenti, conclude : « Chiara
ebbe da Francesco una regola fino dai primi giorni che fu rinchiusa
in S. Damiano: ... tutte le vicende che alterarono la detta regola, non
alterarono mai sostarizialmente la prima regola data a Chiara: ... In-
nocenzo III approvò, sia pure oralmente, questa regola che ampliata e
redatta definitivamente da Chiara, il IV Innocenzo sanzionò in modo
insolito colla sua firma a Chiara morente ». Un altro capitolo si rife-
risce a Federico II nelle sue relazioni con Assisi, e vi è ricordata la
leggenda di Chiara, che, praecedente eam cassa argentea, con le sue
preghiere liberò la città dall’ assalto di un’orda saracena, capitanata
da Vitale d'Aversa « Ma, osserva il Pennacchi, non sempre nefasta fu

l’opera e la presenza di Federico e di sua gente per Assisi: quando
frate Elia ebbe bisogno di un eccellente architetto che innalzasse una

EE EIC ÉD

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"m er Festa OT (6c.

468 ANALECTA UMBRA

basilica degna della celebrità ogni giorno crescente del santo amico e
fondatore dell’ Ordine dei Minori, ricorse a Federico che gli mandò
Lapo Tedesco »; ma non dimentichiamo che A. Venturi (La Basilica
di Assisi, pag. 32) lo appellò « un altro architetto enigmatico assegnato
alla basilica francescana ». Ed Elia, aggiunge il prof. Pennacchi,
« dette sepoltura nella nuova Basilica a Iolanda di Lusignano, prima
moglie dell'Imperatore »; ma, anche a proposito di cotesto sepolcro, è
da ricordare quanto osservò il Venturi (op. cit., pag. 89 e segg.). Nei
‘riguardi di Iacopo Tedesco e di Iolanda di Cipro, il Pennacchi mostra
di conservare le sue simpatie per la tradizione, che fu tramandata dal
Vasari, pure non ignorando i risultati cui sono pervenuti i critici più
recenti.

Un ultimo capitolo rende conto del metodo tenuto dall'A. nell’ ap-
"prestare questa edizione, che, come è dichiarato nel frontespizio stesso,
è condotta secondo il ms. 338 della Comunale di Assisi. Ma l’A. ha
tenuto presenti anche altri codici, dei quali dà in nota le varianti;
apparato critico che, date anche l’ antichità e la bontà del cod. preso
per base del testo, soddisfa le giuste esigenze degli studiosi. Aggiun-
gerò in fine che l’A. riproduce in Appendice alcune Sequentiae inedite.

Ed. ora dovremmo spendere parole sulla Leggenda; ma prefe-
riamo invitare ad avvicinarsi ad essa quanti amano rinfrescare il pro-
prio intelletto e nutrir .lo spirito con le più pure e recondite sor-
genti dell’ arte nostra, assicurando che, leggendola, una pace ristora-
trice e luminosa scende nel cuore anche dei più #bolati e degli assetati
dell’ ideale. E mi piace finire questo cenno con il constatare che l'Umbria
nostra detiene nobili energie di sapere e di dottrina, che, per essere
apprezzate quanto meritano, come quella del prof. Pennacchi, hanno
un solo ufficio, e diciamo anche dovere: quello di mostrarsi.

Il volume di A. Della Torre fa parte della « Biblioteca Italiana
ordinata per le Scuole Normali e Secondarie, Collez. Paravia ». Con-
.Siderando questa edizione, che di scolastico ha, diciamo così, soltanto
il titolo, e' é davvero di che rallegrarsi che un volume destinato alle
scuole sia così pieno di dottrina; e, paragonandolo con quelle ‘che una
volta erano in uso in esse, verrebbe fatto di credere che il livello in-
tellettuale degli scolari si sia di molto inalzato : invece è pur doloroso
il constatare che, quanto più docenti valorosi, tra i primi de' quali è
senza dubbio il Della Torre, si affaticano ad apprestare edizioni di
testi, le quali non lascino insoddisfatto desiderio alcuno ; essi, cioè gli
scolari, passano oltre, distratti o seccati. Constatato questo, tanto per
avvertire che il volume del Della Torre, non ostante appartenga a una
ANALE£CTA UMBRA 469

collezione di libri scolastici, merita almeno tutta quanta l' attenzione
dei dotti, passo a darne un brevissimo cenno.

Innanzi tutto diciamo che il testo preso a. base dall’A. è quello
curato dal Fornaciari per l’edizioncina Barbèra (1902). Riguardo al
commento e alle questioni che necessariamente dovevano via via pre-
sentarsi all'A., questi dichiara: « ... pur tenendo nel debito conto le
due vite del Celanese, e facendo ogni riserva: circa l'ultima -edizione
della Leggenda dei tre socii, dichiaro di non esitare punto a dare la
precedenza allo Speculum, Perfectionis. Non che io creda che la reda-
zione, nella quale esso ci è arrivato, sia cosi antica come vorrebbe il
Sabatier — la data del 1318, sostenuta dal Barbi, mi par la giusta, —
ma io, lasciando pure stare, per l'opera in questione, un’infinità di
altre ragioni, penso che nella letteratura agiografica la priorità, fra di-
verse leggende, spetti a quella che meno abbia in sè del meraviglioso :
e tale è appunto lo Speculum Perfectionis ».

Il Della Torre, spiegato il significato di toretti, Fiore, Fiorita,
che (aggiungo io) potrebbe accostarsi a quello moderno di antologia
(l'antico fece rivivere il Pascoli, con Fior da Fiore), passa a discutere
la « estensione » dei FZorett? francescani, a proposito della quale fissa
« sette gruppi di manoscritti ed edizioni ». Non ci è possibile seguire
l’A. nella sua diligente e profonda disamina : solo diremo come egli
determini il « contenuto originario » dei oret in « 53 capitoli e in
5 Considerazioni », valendosi, per ciò, degli studi del nostro compianto
. conte Luigi Manzoni. Dipoi l’A. si domanda se l’operetta, così come
a noi ci è pervenuta, fosse in origine scritta in volgare, oppure non
sia una traduzione dal latino. Anche in questo interessante particolare,
dopo avere esaminato e confutato le espressioni espresse da altri ante-
cedentemente, riconosce il merito che spetta a L. Manzoni, il quale per
primo « avventurò ... l'ipotesi che l' opera usufruita da Fabiano [Un-
garo, autore de l'Antiqua legenda) fosse il Floretum di Ugolino da
Montegiorgio, il quale, quindi, verrebbe ad essere il testo originale
degli attuali nostri ‘Fioretti ».

Il Della Torre accetta i risultati delle ricerche di Giunio Gara-
vani (Zl Floretum di Ugolino da Montegiorgio ecc.),i quali furono com-
battuti, come è noto, dal Van Ortroy e da U. Cosmo. Secondo A. Della
Torre, 24 processo formativo del Floretum di Ugolino, da cui derivano
i Fioretti, sarebbe appunto questo. Il processo condotto dai rilassati
contro Giovanni da Parma, capo dei zelanti, ebbe « una larga riper-
cussione », e dette, fra l'altro, « occasione di li a poco al Floretum di
« Ugolino da Montegiorgio. Nucleo formativo di questo io penso che
« siano certi capitoli, ora perduti, dove si descrive il processo di frate
Toe ge rp ^Y- It

470 ANALECTA UMBRA

Giovanni. Intorno alla narrazione di questi casi vennero poi aggrup-
« pandosi i brevi schizzi biografici dei frati marchigiani della 2* e 3*
« generazione, quasi a spiegare l' ambiente in cui l’ ammirazione per
Giovanni da Parma s'era venuta formando; ed a questi schizzi si

^

Aa

« accordò, come naturale appendice la relazione delle visioni cirea il

A

deterioramento. dell' Ordine, che si riteneva inevitabile, dal momento
« che i frati delle altre provincie eran di idee e condotta ben diverse
« da quelli marchigiani. Ma quegli schizzi, e indirettamente queste
« visioni, tratteggiavano nello stesso tempo un ritratto ideale del frate
« francescano; e per far vedere come un tal ritratto fosse copia fedele
« dell’ originale, che in questo caso era il Santo fondatore dell’ Ordine,
« venne naturale di premettere al tutto una raccolta di fatti caratteri-
« stici scelti dalla vita di lui e di quelli fra i suoi socii che erano i

Aa

rappresentanti genuini della sua dottrina. Un libro, formatosi in
« questa maniera con siffatti intenti e con tali materiali, non poteva

A

essere che un Zloretum, ossia un florilegio, cosi rispetto alla storia
generale dell'ordine, come rispetto alla storia individuale d'ogni

^

« frate ricordatovi ».

Di queste parole non si può dire che non siano Zngegnose, inteso
ciò nel senso buono; ma io non so capacitarmi che il F/oretwm e i
Fioretti fossero composti a proposito di un episodio, sia pur di capitale

importanza, come il processo di Giovanni da Parma, nella vita dei se-

guaci di Francesco d'Assisi.

I Fioretti come lo Speculum Perfectionis, e i due appellativi hanno
lo stesso significato, amo di continuare a crederli la espressione della
lotta, del dualismo che si accese tra le due classi dei seguaci di Fran-
cesco; tra i rilassati e gli zelanti, rappresentati da Frate Elia e da
frate Leone; tra coloro che davan mano a erigere la Basilica fastosa
e coloro che adoravano in ginocchio la Porziuncola.

Dipoi il Della Torre passa ad esaminare le fonti e il valore storico
del Floretum. Dissentendo in parte dal Trebbi, che glie ne attribuì uno
assoluto, e il Van Ortroy, che glie lo negò quasi del tutto, egli accetta
l’opinione del Sabatier, secondo la quale « vi è un valore storico che
è indipendente dalla realtà effettiva del fatto singolo, e consiste piut-
tosto nello spirito con cui quel fatto è rappresentato ». Orbene, con-
clude il Della Torre, 24 Floretum ha un altissimo valore storico rappre-
sentativo.

Sorvolando sul paragrafo 7.9, « Rimaneggiamenti posteriori del
Floretum, gli Actus b. Fr. e i Fioretti », concluderemo con l’A. « che
i Fioretti sono e rimarranno uno dei libri espressivi e caratteristici del
puro francescanesimo ».

pen ANALECTA UMBRA 411

Dovrei ora intrattenermi intorno la « Nota introduttiva sulle stim-
mate di S. Francesco », alle quali l'A. non nega fede, ma cerca di spiegarle
con le moderne dottrine scientifiche, e sul commento, nel quale è rac-
chiuso tanto tesoro di peregrina dottrina; ma spero che questo breve
cenno sia bastante a mostrare il posto davvero cospicuo che spetta a
questa nuova edizione dei F'/oreti?, la prima con commento, nella Let-
teratura francescana, che pure è così copiosa e ricca di notevoli pub-
blicazioni.

Chi non ricorda il cap. VIII dei Fioretti, cioè chome sancto Fran-
ciesco insengniò a frate Lione qual’è perfetta letizia (ediz. L. Manzoni,
Roma,f1902), e chi non ha dinanzi agli occhi la visione dello Sposalizio
di san Francesco con la Povertà, dipinto nelle Vele del maggior tempio
d'Assisi da uno scolaro di Giotto? Anche la Legenda s. Clarae virg.
contiene alcuni capitoli intitolati « de sancta et vera paupertate », in
uno dei quali è detto: « Tantum ... cum suncta paupertate foedus iniit,
amoremque contraxit, ut nihil praeter Dominum Christum habere vel-
let, nihil suas filias possidere permitteret ». Ma non di questa propria-
mente, considerata come la principale virtù e il primo dei doveri da
parte di Francesco e de’ suoi primi seguaci, tratta il Tocco nei suoi
Studi su La Quistione della Povertà nel Secolo XIV.

Questo nuovo volume, che fa degnamente seguito a quello degli
Studi Francescani (efr. questo Bollettino, vol. XIV, fasc. II, III), il
Toeco studia con ampiezza e con profonda dottrina la « quistione della
povertà », che ebbe una grande importanza e non solo nel primo fio-
rire del Cristianesimo, ma più ancora nell’alto e basso medio Evo, e
chi la lascia da parte come una qualunque quisquilia scolastica, della
quale non valga la pena di occuparsi, corre il rischio di non capir nulla
dei movimenti religiosi di quell'età ».

È noto come, subito dopo la morte del Santo, il sodalizio france-
secano si divise in due parti, degli zelanti, che volevano osservare la
regola in tutto il suo rigore, e di coloro che volevano temperarne le
asprezze secondo i casi della vita. Ma il dualismo non rimase circo-
seritto all'ordine: ben presto divampò e si allargò, producendo una
fiera lotta, specialmente tra i Minoriti e i Domenicani. Nella contesa
fu trascinata anche la Curia papale, ed è nota la sentenza di Gio-
vanni XXII, secondo la quale cadeva in eresia chiunque negasse che
Cristo avesse posseduto qualche cosa in proprio o in comune. Il Tocco,
pubblicando « uno dei più antichi documenti di questo incessante
duello », rifà la storia della grave contesa, sulla quale anche il Fumi
s'intrattenne lungamente in questo Bollettino, con Eretici e ribelli nel-

siero

p

=
CA ev TESTER "CUTE dco

419 ANALECTA UMBRA

VUmbria (vol. IIT, IV e V), econ Una epistola dei « Poverelli di Cri-
sto » al Comune di Narni (vol. VII).

Mi limito a' citare altre pubblicazioni che interessano gli studi
francescani :

1. L. Le MONNIER, Le stimmate di S. Francesco, in Miscellanea
Francescana, XI, 1; 2.. E. M. Giusto, Chi fu veramente l''architetto della
Basilica superiore in Assisi, in Rassegna d' Arte, IX, 6; 3. U. D'ALENQON,
Vie inédite de S. Francois d'Assise, in Etudes franciscaines, XXII, 198;
4. F. DELORME, A propos d'une Vie inédite da S. Francois d'Assise, in
Archivium franciscanum historicum, III, 1; 5. P. GUERRINI, GU statuti
di un’antica congregazione francescana di Brescia, Ib. I, 4.

E mi piace infine notare, che nell’ ultimo fascicolo del Giornale
Storico d. Lett. it., è annunciata di prossima pubblicazione una rasse-
gna francescana, riassuntiva e critica, dovuta a U. Cosmo.

«5 Nel fasc. VI del Bollettino d'arte, G. Cantalamessa dà notizia
di un quadro rappresentante S. Francesco che riceve le stimmate, di
Girolamo Muziano. Il detto quadro esiste tuttora nella chiesa dei Cap-
puccini in Roma.

«5 Per nozze Marzolini-Angeli il Prof. D. Ettore Ricci d. O., ha
pubblicato sotto il titolo: La Chiesa di.S. Prospero fuori delle mura di
Perugia (Perugia, Tipografia Perugina già Santucci, 1910) alcune inte-
ressanti memorie sulla detta chiesa, che sorge dove un tempo era con
ogni probabilità una necropoli etrusco-romana, e che rimonta al se-
colo VIII.

Nell'opuscolo sono dottamente illustrati gli antichi affreschi della
piccola chiesa, taluni dei quali vi furono condotti da un pittore Bona-

mico, che con buona ragione può ritenersi perugino, nell’ottobre 1225,
come rilevasi da una iscrizione esistente sotto gli affreschi medesimi.
Dei dipinti, dei quali fu lo scopritore e diede per primo notizia il chiaro
A. dell’opuscolo, sono in questo presentate a chi legge riproduzioni
fedeli, è data una esatta descrizione, sono posti in evidenza il carat-
tere strettamente romano e il significato simbolico.

In S. Prospero si conservò fino al maggio 1867 il bellissimo ciborio
che il De Fleury attribuisce al secolo IX, mentre il Rivoira lo dice del
secolo VIII, cioè degli ultimi tempi del periodo Longobardo.

Adesso il prezioso cimelio è depositato dietro il cortinaggio in
fondo all’aula magna dell’Università, e noi uniamo i nostri ai voti del
Prof. Ricci perchè esso sia nuovamente esposto all'ammirazione degli

studiosi ed amatori dell’arte.
*
ANALECTA UMBRA 418

Poichè, grazie alle cure del Ricci e alla munificenza di mons. Na-
zareno Marzolini (al quale, come zio della sposa, é dedicata la bella
pubblicazione) ora sono tornate in luce le antiche pitture della Chiesa
di S. Prospero, è da augurarsi che questa non sia più oltre destinata

all'uso indecoroso di fienile e che, dopo un completo restauro del ve-

tusto edificio, sia in esso, cioé nella sua sede naturale, riportato il ma-
gnifico ciborio.

Non dubitiamo che i signori amministratori delle Opere pie Do-
nini, cui appartiene il monumento, ne cureranno con ogni amorevole
diligenza il ripristino e la conservazione e che nella nobile impresa sa-
ranno aiutati dalle competenti autorità e segnatamente dalla soprain-
tendenza dei monumenti dell'Umbria. [da V. A.]

&'4 Il nostro illustre Presidente G. Magherini - Graziani ha pub-
blieato il secondo volume della sua Storia di Città di Castello. (Casa
Lapi, 1910; vol. in 4 gr. di pag. 328, con numerose incisioni). Non pos-
siamo che limitarci a un semplice cenno, mentre l’ opera meriterebbe
che ne parlassimo lungamente. Il volume è costituito da venti capitoli,
e il periodo storico in essi racchiuso va dalla caduta dell'Impero Ro-
mano alla fine del secolo XIII. Hanno grande importanza molti docu-
menti, pubblicati in appendice, che appartengono ai secoli XII e XIII;
come un Mandato di Ottone III, Bolle di Alessandro II, Gregorio VII,
Onorio II, Innocenzo II, Lucio II, Urbano III, € Diplomi di Federico I
e II. Di alcuni di essi sono date, molto opportunamente, nitide ripro-
duzioni eliotipiche.

La storia di Città di Castello è, com'è naturale, collegata con
quella delle città vicine, specialmente di Firenze, Perugia e Gubbio: di
maniera che le vicende della prima, narrate in questo volume con ric-
chezza di particolari, dànno nuovo lume ai fatti storici delle altre. Un
capitolo più specialmente mi piace di segnalare, cioè il XVII, nel quale
è narrato il sorgere del Comune castellano, e studiata la « progressiva
formazione del diritto statutario ».

L'A. prende in esame i frammenti degli Statuti Castellani del
1261 e del 1273, rilevando come il primo abbia spiccato carattere di
« statum populi », e il secondo sia un vero « statum comunis ».

Di maniera che nel primo predomina lo spirito democratico, mentre
nel secondo si nota la prevalenza del Potestà. Pur tuttavia, osserva il
Magherini - Graziani, « bisogna riconoscere che la vita del Comune e
le ragioni della sua prosperità o del suo lustro vanno cercate nelle arti
e nel governo loro prettamente democratico. Lo spirito popolare si ri-
vela subito nell’organizzazione del Comune ‘del popolo, che apparisce

34
AU ANALECTA UMBRA

fortezza impenetrabile a tutti coloro che non appartenessero alla socie-
tas o consortium populi. Il chiaro A. continua poi ad illustrare i detti
frammenti di antichi statuti, e giustamente ne pone in rilievo l’impor-
tanza, « non soltanto per ciò che riguarda il diritto pubblico, ma anche
le leggi di diritto privato ». Nel cap. seg. l' A. passa a parlare dei
castelli che esistevano nel contado, mentre nel cap. XIV è fatto cenno
di Francesco d’ Assisi e à Francescani nella nostra valle; e infine al vo-
lume é data breve notizia dei « Castellani illustri nelle armi, nelle ma-
gistrature, nelle scienze, nelle lettere e nelle arti, durante il secolo
XIII ». Per concludere, diremo, che questa Storia del Magherini - Gra-
ziani è condotta con tale amore al soggetto, che molte città possono

desiderare di averne una consimile.

47, Nell’ Archivio Storico italiano (s, V, t. XLV) e nel Bullettino senese
di Storia patria (a. XVI, fasc. III) vediamo con piacere giudicata con
molto favore la pubblicazione fatta nel nostro Bollettino dal G. Maghe-
rini Graziani, dei due frammenti degli antichi Statuti di Città di Ca-
stello (1261 e 1237). Nel primo ne rende conto A. Solmi, il quale nota
che « molto probabilmente lo Statuto di Città di Castello segue I e-
sempio degli ordinamenti perugini, e puó esser rilevato che il capi-
tano del popolo, eletto, 6 di Perugia ».

Inoltre pone in rilievo parecchie analogie eon ordinamenti che si
trovavano digià sanciti negli Statuti della Toscana, e accenna all'a-

‘more, consacrato nei detti Statuti, che il popolo di Città di Ca-

stello aveva per l’arte, ispirata dal sentimento religioso.

Il cenno datone nel secondo è dovuto a « Leicht », il quale, no-
tando che le due ultime rubriche « stabiliscono tassativamente il prezzo
mercè il quale l' omo può ottenere dal dominus la charta liberationis »,
osserva che « ciò dimostra che anche Città di Castello seguiva nel
sec. XIII il movimento comune a molte altre città italiane, diretto alla
liberazione dei servi della gleba ».

24 L'Istituto Italiano d'Arti grafiche di Bergamo ha pubblicato
recentemente la seconda edizione del volume del Colasanti, dedicato a
Gubbio.

Nella stessa collezione di Monografie illustrate (Itala Artistica)
hanno testé veduto la luce due nuovi volumi, Valle Tiberina (n. 53) e
Terni (55). Il primo è dovuto a Pier Ludovico Occhini di Arezzo, uno
dei redattori della bella rivista senese Vita d'Arte; il secondo, al no-
steo socio Luigi Lanzi, al quale e la preistoria e la storia, politica e
artistica, di Terni hanno dischiuso tutti i propri tesori.

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meme cR

ANALECTA UMBRA 415

Il primo, adorno di ben 152 illustrazioni, ha il sottotitolo Da Mon-
tauto alle Balze, Le Sorgenti del Tevere, e comprende sette capitoli, Da
Montauto ad Anghiari, Anghiari, Strada dei Monti, Caprese, Dintorni
di Caprese, Pieve S. Stefano, Da Pieve S. Stefano alle sorgenti del Te-
vere. Il titolo di essi ci dice chiaramente che il volume avrebbe me-
glio meritato l’appellativo di Alta Valle del Tevere, quantunque, a dir
vero, Anghiari non appartenga alla “detta valle, nè alla alta nè alla
bassa, e nel volume non sia compresa Sansepolcro, che della parte
alta é la miglior gemma e la più importante città, per memorie sto-
rico-artistiche e per moderna attività. Tuttavia, sorvolando su inclu-
sioni, che non paiono del tutto giustificate, e su esclusioni, che crediamo
saranno compensate con un secondo volume, che ci auguriamo pros-
simo, questo dell’ Occhini merita plauso per l’amore al soggetto, che
da tutte le pagine traspira, e per le ricche e davvero belle illustra-
zioni, le quali sono il più bel commento al testo, in cui è tanto calore
di vita, tanta passione per il paesaggio e per i cimeli artistici presi a
descrivere.

L'alta Valle Tiberina Toscana, così scrive il chiaro A., è stata
« finora dimenticata o quasi dai viaggiatori. Ed è nota a pochissimi.
E ancora attende chi le procuri la fama e l'ammirazione che merita ;
mentre, certo, poche contrade possono gareggiare con essa per auste-
rità e dolcezza, e offrire ad un tempo paesaggi più grandiosi e severi
e più quiete e incantevoli scene di vita placida o di serenità virgiliana.
In essa abbondano le belle foreste, gli avanzi di ròcche disseminati
sui monti, le limpide acque correnti, le cime brulle e selvagge ... L'oc-
chio, in essa, é attirato dalle rovine; e le rovine narrano le imprese
guerresche; e intorno alle rovine ancora aleggia lo spirito di antiche
leggende. E, da qualunque parte si avanzi, le più gradite sorprese at-
tendono il passeggero che la percorra, perchè si può dire în essa non
vi sia borgo, abbazia o pievania montanina dove non si trovi e sorrida
un quadro, una terracotta 0 un affresco degno di nota e finora non av-
vertito dagli studiosi ». L'A. desidera, e ci riesce per mezzo di pagine
d'arte, di scuotere l’ indifferenza degli italiani e degli stranieri per que-
Sta regione e di « preparare qualche viaggiatore a sentire un po’ della
poesia profonda ch'esala il bellissimo paese dove sgorga il Tevere,
nacque Michelangelo e fu combattuta la battaglia di Anghiari. Spigo-
leremo le notizie più importanti, per quanto ci sia permesso da questo
rapido cenno,

L'A. c'intrattiene sul castello dei conti Barbolani da Montauto,
e dice che di esso restano in piedi solo due o tre vani, in uno de’
quali è un oratorio. « Ed è necessario, osserva l'Occhini, che siano
TOU fro

416 . ANALECTA UMBRA

- conservati con la stessa cura con cui si conserva il così detto quartiere
dei Lanzi, che sorge presso il castello, perchè è tradizione che in essi
abbia dimorato « San Francesco », che fu a Montauto nel settembre
del 1224. « Tornava dalla Verna, « il crudo sasso infra Tevere ed Arno »,
ove « da Cristo prese l'ultimo sigillo ». Era stanco, estenuato. Il conte
Alberto di Ranieri Barbolani l'aecolse, gli offrì cibo e ricovero, poi,
avendo appreso che il santo era'stato avvertito da Dio di prepararsi a
morire, e che appunto per questo si dirigeva a Santa Maria degli An-
geli, dove intendeva di terminare i suoi giorni, lo pregò che, prima di
allontanarsi, gli lasciasse un ricordo. San Francesco, grato dell’ ospi-
talità ricevuta, non avendo altro, si tolse l’abito, quello stesso col
quale aveva ricevuto le stimate, e glie lo diede ». Questo abito, per
circa tre secoli conservato religiosamente, « avvolto in drappi ricchis-
simi di seta e d’oro, restò oggetto di culto nella cappella di Montauto » ;
finchè, trafugato dai Fiorentini, si trasportò nella Chiesa di Ognissanti,
dove è tuttora conservato. Viva, in quei luoghi, permane la tradizione
del fatto: « i poveri montanari narrano ancora che, per intercessione
di san F., per lunghi secoli, tre giorni avanti che qualcuno della fa-
miglia dei Montauto morisse, si videro nella notte vacillare delle fiam-
melle su l’alto delle vetuste mura del castello; e aggiungono che, la
quarta volta, i loro padri, tremando sul duro origliere, udivano sem-
pre un galoppare lontano tra gli urli del vento sul dorso dei monti,
ed era quello il galoppo del cavallo pallido della morte ». Più oltre
lA. ricorda un'altra leggenda francescana, a proposito del Convento
dei Cappuccini di Montauto : nell’ orto vigoreggia un albero di stra-
ordinaria grossezza, che sarebbe « nato da una ghianda che, nel
1570, dai conte Federigo Barbolani da Montauto, fondatore del con-
vento, fu staccata a Siena da quel leccio che, secondo una tradizione
antichissima, germogliò prodigiosamente dal bastone di san Francesco
piantato nel suolo ». Nel refettario si conservano due affreschi, l' uno
dei quali rappresenta il Santo che consegna l’abito, l’altro, il Santo
stesso che indica dove vuole sia fondato il Convento. Quantunque me-
diocri, nota l'A., « queste due pitture meritano uno sguardo, perchè

l’ignoto e rozzo artefice « ben intese la dignità virile di colui « cui
non gravò viltà di cuor le ciglia », e « regalmente sua dura intenzione
ad Innocenzo aperse ». E umile, ma non servile, ritrasse il santo che,
stando in piedi, offre il suo povero abito al potente feudatario, mentre
questi, armato e ingemmato, gli s'inginoechia dinanzi e gli bacia le
mani nell’ accogliere il dono ». (Nello stesso Convento si trova una
copia di scuola robbiana della Madonna dei Gigli, conservata nel Mu-
seo nazionale di Firenze).
*

ANALECTA UMBRA 4TT

Anghiari, Caprese e Pieve Santo Stefano conservano memorie ve-
tuste e tesori d'arte, i quali l'A. fa scorrere sotto i nostri occhi, illustran-
doi in pagine ferventi di entusiasmo ; finchè si appressa alle minu-
scole chiare sorgenti del Tevere : ... ego sum — Caeruleus Tibris, coelo
gratissimus amnis. (Per chi volesse integrata la conoscenza storica di
questa regione, ricordo : EUGENIO RiBuSTINI, Guida illustrata dell’ Alta
Valle del Tevere o Valle Tiberina Toscana e Tifernate, Rieti, Trinchi,
1901; GEREWIA CHINALI, Caprese e M. Buonarroti, Arezzo, Bellotti, 1904).

Singolarmente fortunata è stata la città di Terni nell'aver tro-
vato in Luigi Lanzi un illustratore degno della sua storia, delle sue
memorie, dei suoi tesori artistici, delle sue bellezze naturali. Come già
Foligno con il Faloci Pulignani (Bergamo, Ist. It. d' Arti Grafiche, 1907),
così Terni non poteva avere, e per essa il direttore della Collezione,
comm. C. Ricci, altro scrittore più competente del Lanzi. Questi ne
aveva già via via illustrate le memorie o il paesaggio, con la Guida
(1899), con le Escursioni Francescane (1907), con le Scoperte nell antica
necropoli (1908) e con altre pubblicazioni e comunicazioni che hanno
veduto la luce in questo Bollettino: di maniera che il recentissimo vo-
lume di lui su Terni può essere appellato la somma della dottrina e
dell'affetto che egli ha prodigati e prodiga alla sua regione nativa.

Il volume, ricco di 173 illustrazioni e 4 tavole, non è limitato alla
sola città di Terni, ma si estende anche ai contorni di essa, e cioè
Acquasparta, Arrone, Carsulae, la Cascata delle Marmore, Cesi, Col-
lescipoli, Ferentillo, Papigno, Piediluco, Rocche di Colleluna, di S. An-
gelo e di S. Zenone, Sangemini e Stroncone.

Fin dalla prima pagina del volume, anche chi non conoscesse il
valore dell’ A. si accorgerebbe che esso è dovuto a un valente cultore
della paleotnologia e a un dotto archeologo ; come quelle che si rife-
riscono alla età di mezzo e alla rinascenza mostrano in lui un cultore
valente dell'arte; e tutte rivelano nell’ A. stesso un artista squisito,
chè tutte le pagine del volume sono distese con non esagerato calore
e con una bella forma, che tiene sempre avvinta l'attenzione di chi
legge.

* La notte dei tempi avvolge tuttora nel mistero la comparsa del-
l’uomo sui colli che cinsero la conca fernana; qua e là difficilmente
incontriamo i resti della primitiva industria umana : qualche freccia
di silice, un martello, un’ascia, alcuni frammenti di ossa lavorate e di
rozzissimi fittili, reliquie rare e disperse, sopra le quali il caso soltanto
ha richiamata la nostra attenzione. Più tardi, quando le moderne in-
dustrie squarciarono il seno dei ‘ampi fecondi per erigere le grandiose
officine delle Acciaierie, rinvenimmo notevoli tracce della tribù che,
*

4785 ANALECTA UMBRA

nelle primavere sacre, era discesa lungo il corso del fiume, e si era
sovrapposta agli auctoni, compiendo la bonifica del piano paludoso ed
affidando al silenzio delle sue tombe la narrazione della sua storia ».
Dopo queste parole, con le quali il volume prelude, il Lanzi parla bre-
vemente della antica necropoli ternana, dandone inoltre belle incisioni,
come quelle della tomba preistorica e della raccolta appartenente all'A.
stesso, di armi e di vasi fittili. (Sono anche riprodotte tre piante della
città, a cominciare da quella del Piecolpasso). L'A. poi passa a parlare
della città nel periodo romano, in quello dei vicini duchi di Spoleto e
nel medio evo, illustrando sempre i ricordi che rimangono di costru-
zioni e di lapidi e di frammenti architettonici. Alcune pagine sono giu-
stamente consacrate alla Cappella Paradisi, così piena di ricordi fran-
cescani e danteschi, « uno dei monumenti pubblici più singolari e ca-
ratteristici ». Nel periodo della rinascita dell’arte, il Gozzoli dipinge
lo Sposalizio di S. Caterina, « un gruppetto meraviglioso, pieno di vita
e di colore, che formerebbe la gemma più preziosa di qualsiasi nostra
galleria »; un valoroso alunno del Pintoricchio, la Vergine col divino
infante; e Nicolò Fulginate, uno stendardo recante la Crocifissione, più
tardi, uno scolaro dello Spagna dipinse ur Calvario. Sorvolando sul
fastoso seicento e sul pallido settecento, l'A. ricorda come gli inizi
dell'ottocento dessero a Terni « l’ara massima della cattedrale, sor-
montata da un ricco tabernacolo, dovuta al valore del Minelli; opera
veramente classica per la grandiosità e la bellezza delle sue linee, fa-
stosa per la riechezza e la copia dei marmi e dei bronzi che la deco-
rano ^. Così ha termine la ricca e dotta illustrazione della città; dopo
la quale, l' A. s'intrattiene lungamente sulla Cascata delle Marmore,
della quale rievoca tutti i precedenti storici e ne pone in rilievo la
grandiosa, unica bellezza.

Infine Arrone, Carsule, Collescipoli, Ferentillo, Stroncone, Cesi, che
tutte contengono opere di architettura e di pittura meravigliose, igno-
rate dai più, valgono a destare in noi una intensa ammirazione e ci
mostrano ancora una volta come anche il più piccolo paese della no-
stra Umbria contenga tesori mirabili di arte; degnissimi di esser co-
nosciuti.

L'ultimo paese dei dintorni di Terni, illustrato dal Lanzi, è Acqua-
sparta. « Ecco la vetusta chiesuola francescana che ci ricorda quel
Matteo che fu poi cardinal portuense e che Dante e Giotto variamente
e degnamente eternarono ; ecco la bella magione vignolesca del cardi-
nale Angelo Cesi, dove Federico ospitò Galileo e dove riunì a glorioso
cenacolo Francesco Stelluti, Giovanni Eckio e il nostro Anastasio Fillis,
fondatori dell’ Accademia dei Lincei. Nel 1630 il principe Federico, so-

m MÀ

— TE

ANALECTA .UMBRA 479

praffatto, più che dagli anni, dalle affannose persecuzioni, qui esalava
lo spirito, e un’ umile pietra segna appena sul piancito della deserta
chiesa parrocchiale il luogo ove fu composto il suo frale ».

Avevo pertanto ben ragione di dire, negli inizi di questo cenno,
che nel volume del Lanzi è rievocata tanta parte della nostra storia,
politica e artistica, cui fa degna corona la bellezza del paesaggio, op-
portunamente messa in rilievo dal chiaro A.

x", Giuseppe Bellucci ha pubblicato due memorie, di cui una ha
il titolo Zecenti scoperte paletnologiche nell’ antichissima necropoli di Terni
(Parma, Zerbini, 1910); e l'altra, Sul bisogno di dissetarsi attribuito ai
morti ed al loro spirito (Firenze, Landi, 1910).

È nota la invidiabile competenza del prof. Bellucci in argomenti di
etnografia e nella storia delle più antiche costumanze dei popoli italici.
Chi ebbe la ventura di assisterci, ricorda la interessante conferenza che
egli tenne a Terni, in occasione d’uno dei nostri Convegni annuali,
e nella quale pose dinanzi agli occhi degli ascoltatori numerosi esem-
plari della sua ricca privata raccolta. S'intende quindi facilmente
quanta dottrina sia contenuta nelle due interessanti memorie.

La prima (Estratto dal Bullettino di paletnologia italiana, a. XXXV,
num. 1-9, 1909) riprende l'argomento così ampiamente e dottamente
illustrato dal prof. Luigi Lanzi nelle Notizie degli Scavi (cfr. questo
Bollettino, a. XIII, fasc. II-III).

Il Bellucci rende conto appunto dello scavo praticato in quel di
Terni per mettere alla luce alcune antichissime tombe. . Erano queste
circondate e ricoperte da un acciottolato, disposto « con molta cura ai
lati e superiormente ad un cadavere umano, il quale rimaneva protetto
lateralmente dai grossi ciottoli fluitati, e superiormente, a guisa *di
volta a secco, dalle lastre di forma irregolare, tratte dalle conerezioni
calcaree ». In una fu rinvenuto il cadavere di una giovine donna, e
intorno ad essa erano collocati numerosi oggetti, che la « pietà dei con-
giunti aveva deposto sul cadavere..., come abbigliamento e come cor-
redo funebre ». Consistevano essi in pendenti, fibule, anelli, in un ago
da cucire, in una fuseruola: di terra cotta, in una piccola olla di terra
cotta, ecc.

Dopo della prima, furono scavate altre tombe, nelle quali vennero
rinvenuti oggetti quasi consimili.

Non una o due armille soltanto furono trovate in ciascuna tomba,

e, oltre che ai polsi, anche presso l'oreechio, senza però « filamenti
metallici, che servissero ad appendere questa forma

singolare di or-
ITA

480 ANALECTA UMBRA

namento ad un- foro praticato nel lobulo nell’ oreechio »; il che ha
fatto concludere all’ A., che « allorquando tali forme di ornamento
si trovano ai polsi, si debbano ritenere come armille proprie della
defunta; quando invece si verificano disposte sulla regione auricolare,
possono essere riguardate come offerte personali, seguendo un rito
funebre ».

Lo stesso l’A., dedusse dalla grande quantità di anelli che furono
trovati nelle dita della defunta: « Può ritenersi che l' anello dell’ anu-
lare fosse realmente portato in vita; gli altri rappresentassero orna-
menti dovuti a rito funebre. Ove del resto siffatti anelli si dovessero
ritenere portati in vita, ne sarebbe derivata l'impossibilità di flettere
le dita ».

La illustrazione dei numerosi oggetti è arricchita da numerose in-
cisioni; e in fine della memoria Y A. rende conto di un gruppo della
ricca suppellettile funeraria acquistato dall’ A. stesso nel 1886, e una
tavola finale pone sotto gli occhi del lettore i principali e caratteristici
di questi oggetti appartenenti alla prima età del ferro. Come appendice,
l’A. illustra due amuleti, costituiti da denti di castoro; e perchè essi
furono trovati nelle tombe ternane, egli ne conclude che il castoro do-
veva vivere ancora nell' Italia centrale, durante l'età del ferro.

La seconda memoria (Estratto dall’ Archivio per 0' Antropologia e la

Etnologia, vol. XXXIX, fasc. 3-4; 1909), consacrata « alla cara memoria

dell’ estinta compagna della sua vita », fu originata dal rinvenimento
nella prima tomba della necropoli ternana di una « piccola olla in terra
cotta, mancante dell’ansa, rotta intenzionalmente, non lavorata al
tornio, lucidata esternamente allo stecco, collocata presso i piedi eretti
del cadavere, come se fosse stata ad essi contraposta ». Questa costu-
manza di porre un vaso ai piedi o ai lati del defunto è stata riscon-
trata comune in molte altre necropoli, anche nelle preromulee, disco-
perte dal Boni nel Foro. Di terra cotta, rozze nei tempi più antichi,
in tombe più recenti sono state rinvenute di bronzo (come a Perugia,
presso il Frontone), « con la catenella di sospensione rotta in due
parti ».

L'avere, le prime, rotto a bella posta l’unico o uno dei due ma-
nici che avevano, le seconde, la catenella, ha fatto concludere all’A. che
tale costumanza si praticava affinchè i detti vasi non servissero mai più
agli usi della vita.

Perchè erano collocati questi vasi presso il defunto, e quale liquido
contenevano? L'A. risponde a questi quesiti, allargando il suo esame
ai costumi di più popoli e di più età, e la ragione del fatto trova nella
credenza, diffusa tuttora in alcuni di essi (Umbri, Marchegiani, Abruz-
ANALECTA UMBRA 481

zesi), che i trapassati partano « talora in lunghe processioni dai loro
sepoleri per condursi a visitare le case, che in vita abitarono e per
dissetarvisi ». Questa credenza « rappresenta un semplice capitolo dello
insieme leggendario e fantastico, che l' umanità credula si è formulato.
e conserva, riguardo all'altre tombe » ; ed è passata, con lieve trasfor-
mazione, anche nel rito cristiano.

Questa seconda memoria, notevole per lo studio dei piü antichi
riti funerari, meriterebbe se ne ponesse in rilievo anche l'interesse che
presenta per lo studio delle tradizioni popolari, le quali da essa rice-
vono nuovi dati di fatto e nuovo lume.

Infine ricerderò che il prof. Bellucci si era occupato di questo ge-
nere di studj fin dal 1871, cen la memoria, Avanzi dell’epoca preistorica
nel Umbria (Milano, Bernardoni).

47, Ha relazione, per il contenuto, col primo piü specialmente dei
due seritti del Bellucci, l'opuscolo del generale A. Verri e del prof.
L. Lanzi, L'uomo preistorico nella conca di Terni, Roma, Cuggiani, 1910.
È diviso in Frammenti di Geografia fisica e in Frammenti di Archeo-
logia, gli uni dovuti, crediamo al Lanzi, gli altri al Verri; ad essi segue
un Abbozzo di quadro sintetico.

Conclusione di questo è ché « incontriamo l’uomo dell’ età della
pietra nell'orlo del lago Velino; il piano glareato della galleria del
Toro ce lo presenta abitante la Valnerina, almeno nell’ età del bronzo;
subito che il delta lacustre della Nera, del Tescino e del Serra co-
mineia ad essere meno soggetto alle esondazioni, vi troviamo le genti
della prima età del ferro, costituite con ordinamenti sociali ».

Inoltre gli AA. aggiungono che avanzi di costruzioni ciclopiche,
nella Sabina e nell’ Abruzzo, segnano il posto di alcune delle città at-
tribuite da Varrone agli Aborigeni, che presso Narni si riscontrano tracce
dell’uomo preistorico, che Amelia e Cesi hanno mura ciclopiche, e che
«a Terni la civiltà Romana si soprappone immediatamente a quella
della prima età del ferro, ma, in alcuna delle tombe di quel sepolereto,
sta qualche oggetto di età posteriore con carattere etrusco ».

&'4 Segnaliamo tre nuove pubblicazioni del nostro socio G. Sor-
dini: 1. Di Archita Ricci pittore urbinate (in L' Arte, a. XII, fase. V):
2. Michelangelo Carducci, pittore nocerino del XVI secolo (in Rassegna
d'Arte, diretta da G. Cagnola e F. Malaguzzi-Valeri, a. IX, n. 19);
9. Gli Sparapane da Norcia, Nuovi dipinti e nuovi documenti (in Bol-
lettino d' Arte d. Minist. d. P. I., a. IV, n. 1).

La prima combatte l'attribuzione erronea a Palma il vecchio o a
1 ew "FESTE "E go

482 ANALECTA UMBRA

un pittore di scuola veneta del quadro. rappresentante S. Ansano, e con-

servato tuttora nella omonima chiesa di Spoleto. Sottoposta a una ripuli-

tura, il Sordini vi scopri la segnatura di Architas Ric. Urbina..., del quale

‘sono conservate presso Terni, cioè a S. Martino e a Montecastrilli, nel-

l|' Umbria, due altre tele; fiorito tra la fine del XVI e il principio del
XVII secolo. Lionello Venturi, sulla fede del Montelatici, disse luc-
chese l' Archita; e ciò a proposito di una tela che Archita condusse
per i Borghese: Ma il Sordini nega ogni attendibilità al Montelatici,
scrittore del 700, e pone in rilievo che, di fronte alla segnatura di wr-
binate, lasciata dal pittore stesso nei tre dipinti umbri, nessun dubbio
può rimanere sulla patria di lui. Fioriva digià nel 1599, viveva ancora
nel 1622; ecco tutto quello che può dirsi su questo invero mediocre
pittore.

Nella seconda memorza, ricca di dottrina e completata da quattro
belle illustrazioni, il Sordini conferma l’ opinione, già da lui altra volta
espressa, « che a Norcia e, in genere, nel vasto territorio conosciuto
col nome di Montagna di Spoleto, nei secoli XV XVI siano fiorite varie
scuole pittoriche di notevole importanza ». Nella chiesa di San Bene-
detto in Norcia è conservata una grande tavola rappresentante la ri-
su:rezione di Lazzaro, posta su l’altare di una cappella della quale

aveva il giuspatronato la famiglia Tebaldeschi-Argentieri, che di quello

dovette esser committente. Il quadro porta la segnatura «a. d. 1540,
M..A. C. N. faciebat : nell’ Archivio capitolare del Duomo di Spoleto,
il Sordini trovó dei pagamenti fatti a un Michelangelo pittore per al-

cuni affreschi condotti nell’ antica cappella della Icone del Duomo. A

Spello esiste una grande tavola, rappresentante la Crocifissione, dipinta
da Michelangelo Carducci, come dice la segnatura di essa, seguita dalla
dicitura Nwrsîn, sfuggita all’ Urbini, dotto illustratore dei tesori di
Spello.

Dunque nessun dubbio che il Carducci fosse di Norcia; famiglia

‘che, in virtù di ricerche compiute dal Sordini stesso, sappiamo esistente

in quella città. L' A. così conclude la sua interessante memoria: « Cer-
tamente, l'attività artistica di Michelangelo Carducci deve essere co-
minciata nella prima metà del Cinquecento, e deve egli aver raggiunto
un certo grado di perfezione o, almeno, una incontrastata fama, se,
nel 1555, poté essere chiamato a decorare la cappella piü insigne di
quel Duomo di Spoleto, dove, un secolo prima, aveva eseguiti i suoi
mirabili freschi, ancora esistenti, Fra Filippo Lippi ».

L'ultima memoria del Sordini pone in rilievo l'attività pittorica di
una famiglia di artisti, gli Sparapane di Norcia, che, secondo ricerche
«del càn. Santoni, di A. Rossi e di altri, furono sei: fioriti alcuni nel

TT m cá

ANALECTA UMBRA 483

XV secolo, altri nel seguente. Ma, si domandò giustamente l’A., « dove
si trovavano i dipinti di questi Sparapane, oltre i due conosciuti ? (di
Toscanella). Possibile che fossero tutti periti? » Il Sordini recatosi nella
celebrata Valle Castoriana, in quel di Norcia, come fu entrato nella
antica chiesa di S. Salvatore in Campi, s' avvide che le pareti di que-
sta era tutte affrescate, quantunque ricoperte, da pochi anni, con tinte
di calce. Nel sommo dell’ arco centrale, al di sotto di un dipinto mu-
rale, si leggono i nomi di Giovanni e Antonio Sparapane da Norcia,
che lo condussero nel 1464. Oltre di questo, in capo alla nave di si-
nistra si leva un grande polittico dovuto esclusivamente al pennello
di Antonio. Le fortunate ricerche del Sordini, che hanno ancora bi-
sogno di essere integrate sul luogo, ci mostrano, come bene osserva l'A.
stesso, che non avremo una vera e compiuta storia dell'arte umbra,

se non quando « ci risolveremo a fiecare bene addentro lo sguardo

nella vergine e sconosciuta foresta degli Artisti minori ».

4^4 Il dott. Evelino Leonardi di Terni tenne nella riunione della
Società critica di scienze mediche e naturali, la quale ebbe luogo in
Venezia nel settembre 1909, un discorso intitolato « Una terra. di me-
diei e di santi. L'Umbria meridionale nell'alto medioevo ». Venne dipoi
da lui pubblicato in Venezia (Tip. Orfanotrofio di A. Pellizzato, 1910);
ma in vero con troppi errori di stampa, specie nei nomi propri.

Bello e interessante l’argomento; ma, dieo il vero, non riesco a
cogliere il legame che possa congiungere i sant, come Benedetto da
Norcia e Francesco d'Assisi, con i medici. L' A. cerca di dar le ragioni
psicologiche e storiche di questo ravvicinamento, osservando: « era
sparso nel mondo come un profondo dolore sociale collettivamente in-
teso, un bisogno infinito di pace e d’amore e di conforti; in tali stati
fiorisce rigoglioso il sentimento religioso, potente anestetico [?] alle
amarezze della vita, non altrimenti che il malato chiede alla medicina
il conforto pei dolori fisici del corpo. Onde un rapporto strettissimo fra
medicina e religione, un trapasso psicologico appena avvertibile, una
necessità talora assoluta, che il medico dell'auima fosse anche il me-
dico del corpo. Ecco perchè la medicina fin dai tempi più remoti era
in mano dei sacerdoti : ecco perchè l' Umbria mistica, patria di santi
e di beati, doveva essere un terreno adatto per lo svolgimento. dei
primi germi della medicina rinnovata dall’ influsso della civiltà orien-
tale ».

Ho voluto citare queste parole, perchè esse costituiscono come chi
dicesse il nòcciolo, da cui germogliano fatti e opinioni presi a notare

e a svolgere dall’ A. Ma, francamente, se non scritte da un medico,
D

484 ANALECTA UMBRA

sembrerebbero messe là per dare un motivo di più alla satira popolare,
che spesso accomuna sacerdoti e medici, come chi dicesse la cura del
corpo e quella dell' anima: il medico e il prete.

Comunque sia di ciò, il dott. Leonardi ricorda i monaci orientali
che negli antichissimi tempi vennero ad abitare nell’ Umbria, special-
mente nella Sabina, e poggia la dimostrazione del suo asserto in al-
cune antichissime iscrizioni italiche contenute nel Corpus del Mommsen.

Benedetto da Norcia fondò il celebre monastero di Montecassino,
da cui « ebbe luce di pensiero la famosa scuola Salernitana » ; e ne’
più antichi secoli l' A. trova nella Sabina « una organizzazione mera-
vigliosa di un grande istituto medico chirurgico ». Per assicurare le
sorti finanziarie di questo Istituto e di altri consimili, furono concesse
balie o ripartizioni « per questuare a vantaggio di ospedali ».

Tali balie furono, più spesso che ad altri, concesse a quelli di Cer-
reto (Spoleto); e perchè parecchi di essi si comportarono tutt'altro che
lodevolmente, da cerretani furono appellati ciarlatani : questa, conforme
l’A., sarebbe l'etimologia della seconda parola. Absit iniuria verbo,
sembra strano che un dottore valente in medicina, quale é il Leonardi,
voglia avvicinare la parola medico a quella di ciarlatano; nè questa
in vero è l’unica etimologia che ne sia data.

L’A. passa dipoi in rassegna il nome dei medici umbri più in voga
nel medio evo, e ricorda come quel bel matto di Benvenuto Cellini si
fece curare da un’ medico di Norcia, che godeva gran fama in Roma.

Riepilogando, l’argomento trattato dal dott. Leonardi è interes-
sante, e meriterebbe venisse approfondito più di quanto egli abbia po-
tuto fare in un Discorso, tenuto in occasione d’un Congresso. Ma non
andrebbero dimenticati i noti studi del Corradi sulla storia della medi-
cina, che non vedo citati dal Leonardi. Comunque, il Discorso del
Leonardi deve esser considerato come il frutto della buona intenzione
di illustrare i fasti della nostra Umbria; e, si sa, delle buone inten-
zioni va tenuto sempre conto.

4*4 Il prof. Cesare Aünibaldi ha pubblicato nel periodico Le Marche
(a. IX, vol. IV, fase. 1 e 2) « Una pagina curiosa di storia eugubina ».
In essa, traendola da un libro di Memorie esistente presso una famiglia
privata di Gubbio, che hanno il titolo « Memorie diverse ab a. 1485
ad a. 1618 », riporta la narrazione delle feste che nel 1485 furono fatte
in Gubbio al duca Guidobaldo, nato appunto in questa città nel 1472,
e successo al padre nel 1482. Le Memorie descrivono anzitutto la città,
e dicono quali fossero i costumi degli abitanti, « accostumati, nume-
rosi, utili, ricchi e piacevoli e in maggior parte artigiani ». Passa poi

TTT ia

bsc ANALECTA UMBRA 485

‘a descriver le dette feste, e riporta i versi che vennero cantati in più
giorni, alla presenza del duca, da Mercurio, da Iris, da Apollo e da
altri.

Notevoli sono queste pagine ceronistiche, perchè ci mostrano, an-

- eh' esse, quali fossero i costumi del popolo e delle corti nel secolo XV,

ma, a dir vero, il titolo della breve memoria non mi sembra del tutto

opportuno, giacché le feste qui riferite sono in massima parte uguali

a quelle la cui descrizione si legge in altre Storie e cronache.

Ricordo, ad es., le Historie del Guazzo, nelle quali sono riferite le
feste fatte in Firenze per le nozze di Cosimo de’ Medici con Leonora

di Toledo nel 1539. Anche in queste intervengono Apollo, Flora, le
Muse, le Ninfe ed altri personaggi mitologici a cantare le lodi degl
sposi. i

4^4, In una comunicazione al Bullettino della Società Dantesca Ita-
lana (N. S., XV, 2°), intitolata La prima delle Canzoni pietrose ( « Così
nel mio parlar voglio esser aspro » ), Attilio Momigliano passa in esame
questo noto gruppetto di poesie dantesche. A proposito di quella da lui
più particolarmente studiata, conclude: « Chi conosce gli odii del poeta
della Commedia, ne risente più d'un'eco nell’ appassionato contrappasso
di questa canzone che, solo per le ultime strofe, è — a mio parere — la
migliore delle pietrose ed una fra le più originali della lirica contem-
poranea ». Ben dato il giudizio; ma forse non sarebbe stato male no-
tare che quel gruppo di poesie amorose godette grande favore anche
presso i rimatori contemporanei del Poeta, come il Moscoli. Su di ciò
si può vedere: O. GuERRI, Le Rime antiche della Giuntina, in Il Gior-
nale dantesco diretto da G. L. Passerini, vol. XV. pag. 160.

4^4. Nel Giornale storico d. Letteratura italiana (vol. LIII, pag. 405
e segg.) è reso conto ampiamente, e con la dottrina abituale in quel
periodico, di due nuove pubblicazioni sul Pontano; e cioè: « ERNST
WALSER,. Die Theorie des Witzes und der Novelle nach dem De Sermone,
des Iovianus Pontanus. Strassburg, Trübner, 1908; VIncENZO LAURENZA,
Il Panormita e il Pontano. Malta, tip. Nazionale, 1907 ». L'opera del
Pontano più specialmente presa in esame, è il De Sermone, col quale
egli volle « determinare le leggi psicologiche e rettoricha del ben par-
lare, del ben discorrere e soprattutto del piacevole ed arguto novel-
lare ». |

Il canonico Alessandro Alfieri ha riunito in volume alcuni suoi

*o*
Scritti miscellanei, col titolo di Frammenti Storici ( « Uno stemma vesco-
rea ei aereo

ta — Testa VOTA (ro

486 ANALECTA UMBRA

vile dipinto da Niccolò Alunno nel polittico di Nocera Umbra. — Morte,
sepoltura e monumento di Varino Favorino Camerte, vescovo di Nocera
Umbra. — Un passaggio di truppe tedesche per lo Stato Ponteficio » ).

Parecchi di questi scritti sono noti ai lettori del nostro Bollettino,
e però non reputo necessario l’intrattenermi su di essi. E un secondo
volume, edito. con signorile eleganza (Fabriano, tip. Economica, 1909),
è dovuto allo stesso can. Alfieri. Porta il titolo: I4 Lago Trasimeno e le
sue rive. Appunti storici - letterarj. Precede una breve encomiastica pre-
fazione di L. Tiberi. Chi voglia conoscere i particolari storici che si
collegano col Trasimeno e i contorni di questo, e insieme quali poeti,
classici e moderni, siano stati ispirati dalla bellezza del paesaggio, po-
trà ricorrere con profitto al bel libro dell’ Alfieri.

«5, Il primo dei due volumi ora citati ha porto occassione al profes-

sor Medardo Morici per scrivere una memoria, intitolata appunto Di due.

Frammenti Storici nocerini. I. Stemma vesc. dipinto da N. Alunno nel
Polittico di Nocera Umbra. II. Morte, Sepoltura e monumento di Varino
Favorino Camerte. (Bibliofilla, vol. XI, disp. 10 - 11). Nell’ opuscolo del
Morici devono essere ammirati la dottrina ben nota negli scritti di lui
e un grande calore di esposizione. Ma, perchè i due scritti sono di ca-
rattere prevalentemente polemico, nè la materia in essi trattata è del
tutto ignota ai lettori di questo Bollettino, che, nell'annuale convegno
di Gubbio, ammirarono la faconda dottrina dell’ A., a proposito del se-
condo argomento, mi astengo dal renderne conto con quell’ ampiezza
che pur meriterebbero. (Cfr. questo Bollettino, vol. XIV, fase. II - III,
pag. 654).

«5 Pietro Egidi ha pubblicato nell’ Arch. Stor. per le Prov. Napol.
(a. XXXI, fase, II) una breve memoria su La scrittura segreta di Gio-
vanna I di Napoli in una sua lettera dell' a. 1880. Questa, tratta dal-
l'archivio familiare che il duca Lante della Rovere custodisce nella vi-
gnolesca villa di Bagnaia, dove sono conservate alcune carte già appar-
tenute agli Orsini di Bracciano, è un esemplare di criptografia, che
l'A. svela agevolmente. Fu scritta, « quando ormai era svanita ogni
speranza di conciliazione tra Giovanna ed Urbano VI », che « aveva
già pronunziato il solenne anatema pel quale la impudica donna era
privata del trono » (pag. 12 dell’ Estratto).

Si leggono in essa queste parole: « Insuper a quando hinc disces-
sit Symon de Spoleto, misimus in Aprutium ecc. ». Chi era questo Si-
mone da Spoleto? L'Egidi non è in grado di dare alcuna notizia su
di lui. Era uomo d'arme, o di cancelleria? Forse gli archivi spoletini —— M ——M—H—

ANALECTA UMBRA 481

saranno in grado di svelare il piccolo mistero. Ma lo scritto dell’ Egidi
merita che qui sia ricordato, non tanto per l’iguoto Simone da Spo-

leto, quanto perchè la lettera stessa è indirizzata a quel Rinaldo Orsini,

che fu « tra i più validi cooperatori » di Giovanra, e signore di Or-
vieto. Su di lui il nostro Bollettino (a. III, pag, 162 e segg.) pubblicò
una memoria di F. Savio, nella quale, come scrive lo stesso Egidi, fu
« studiata con gran cura » la genealogia di questo ramo degli Or-
sini ; cioè di quello che fu signore di Orvieto e di Tagliacozzo.

44 Fin dal 1744, il Barotti, nella prefazione alla Secchia Rapita del
Tassoni, mosse per primo la questione se le Dichiarazioni, premesse nel
1630 al poema, col nome di Gaspare Salviani, non potessero essere at-

tribuite al Tassoni stesso. Gaspare Salviani fu, come è noto, figliuolo
di Ippolito, celebre umanista, di Città di Castello, autore di una Com-
media e della Storia dei Pesci; e a Gaspare furono attribuite le dette
Dichiarazioni. Ma i moderni studiosi del satirico poema tassoniano,
come il Santi e il Rossi, hanno definitivamente restituito detto Com-
mento al Tassoni stesso, che tante ragioni di opportunità e di prudenza
aveva avute nel coprire di un provvido velo tanti particolari del suo
Poema, ne’ cui personaggi erano adombrati uomini e fatti contempo-
ranei. (Cfr. G. Rossi, « La Storia nella Secchia Rapita, di V. Santi »
in Rassegna Bibl. d. Lett. it., a. XVIII, 1910, pag. 97 e segg.).

1

Per la questione delle Dichiarazioni, cfr. anche questo Bollettino,
a. VI, pag. 532; e per i SALVIANI, stampatori in Roma nel sec. XVI,
vedi questo stesso Bollettino (a. VII, pag. 255 e segg.).

.«*., Nel Catalogo dell' Asta Libraria O. Gozzini (Firenze, aprile 1910)
è segnato come molto raro il seg. volume, appartenente a scrittore um-
bro: « Gregorio da Foligno. — Sacri Ilicetani horrori, ovvero meravi-
glie inaudite, e stupori reconditi, che per longa serie di felicissimi Se-
coli furuo da benigno Cielo istituiti nelle avventurose Propagini Ana-
eorétiche del Sacro Colle di Lecceto. Dati in luce dal Padre Frat. Otta-
viano Mannucci da Volterra e dedicate a Persio Faleoneini Volterrano.
Siena, Bonetti, 1637, in - 4 ».

4", Paul Sabatier ha pubblicato, presso la Libreria Fischbacher
(Parigi, 1910) un nuovo studio di critica francescana, intitolato Examen
critique des recits concernant la visite de Iacqueline de Settesoli a Saint -
Francois.
— — s nia 2 dl
TIRES Ta DE LESPPFZZZS

488 ANALECTA UMBRA

4*4 Pompeo Molmenti, lo storico insigne di Venezia nella vita privata,

“prendendo argomento dalla pubblicazione che Vernon Lee (Nuova An-

itologia, 1° genn.) ha fatto un diario di suor Benvenuta, figlia del pa-
‘trizio veneto Almorò IV Giustinian, torna a parlare (Fanfulla della
domenica, 30 genn. 1910) di suor Veronica, Orsola Giuliani, che si vestì
religiosa in Città di Castello nel 1677, morì nel 1727 e fu beatificata
nel 1804. Il Molmenti pubblicò, alcuni anni sono, diverse lettere della

Giuliani, ed ora c’informa che « fra una molto curiosa raccolta di auto-

grafi di Santi, che si custodisce nel Santuario della chiesa di San

‘Tomà in Venezia », ha veduto « parecchie lettere della Giuliani », che
gli pare « rappresentino con rara efficacia il misticismo che si esalta

fino alla pazzia ».

Anche Veronica, continua il Molmenti, « come la santa di Siena,
s'inebria del sangue di Cristo, anch'essa sente la sua fronte stretta
da una corona di spine e prova un'acre voluttà nel torturarsi l'anima

«e il corpo ». Chi scrive, conserva religiosamente nella propria casa,

fin dagli inizi del secolo, gli strumenti di tortura, dei quali si valse
Veronica Giuliani, insieme ad alcuni scritti di essa; e riguardando
quelli ancora una volta, dopo lette le belle pagine del Molmenti, non
sente affatto meraviglia per il fenomeno psichico delle stigmate, di cui
fu così lieto Francesco d' Assisi. Invero anche Veronica Giuliani rice-
vette le stigmate, che il Molmenti spiega come una « perturbazione che
consiste in un rilasciamento dello stimolo vasomotore con congestione
locale dei vasi, che porta la dilatazione, la friabilità di questi ed in
seguito le emorraggie ».

xfx Ci piace dì segnalare due nuovi periodici, che hanno il lode-
vole intento di illustrare la nostra regione: intendo dire la assegna
d'Arte umbra, diretta da U. Gnoli e la Rivista Umbra, diretta da A. Fani.
Di ambedue hanno veduto la luce due fascicoli.

La prima intende colmare la lacuna che l'Umbria non abbia « una

sola rivista d'arte che divulghi le sue glorie più pure », e si propone

« di illustrare la regione ne' suoi monumenti, di studiarne l'Arte nelle

sue varie manifestazioni, di far conoscere le opere inedite o mal note,

di pubblicare nuovi documenti, di render conto di quanto si fa dagli
Enti e dai privati per la protezione del patrimonio artistico, é riassu-
mere quanto e in Italia e all' estero si scrive sull' Arte umbra ».
Veramente, anche questo Bollettino non ha mancato, a quando a
quando, di interessarsi dei fatti e delle questioni che si riferiscono alla
storia della nostra arte, seguendo in ció le nobili tradizioni già segnate
così nobilmente dal Conestabile, dal Rossi e dal Rossi-Scotti. Per con-

— M

———
——MÀ

ANALECTA UMBRA 489

vincersene, basta scorrerne le diverse annate. In ogni modo sia la ben
venuta anche la nuova Rassegna, e ad essa il nostro saluto cortese.

La seconda, ché nella mente del direttore dovrebbe essere come
una Nuova Antologia per l' Umbria, ha intenti diversi, più larghi; di
far conoscere cioè la nostra regione in tutte le sue manifestazioni. E,
a giudicare dai primi due fascicoli, ci sembra che lo scopo prefisso sia
bene raggiunto.

Noto uno scritto del Faloci-Pulignani su I7 ritratto di Nicolò Alunno
e uno del Briganti, sul Castello di Montone; ambedue con incisioni.

.#° Nel Bollettino d' Arte, del Ministero della P. L, sono date le
seguenti notizie, che si riferiscono alla storia dell’arte nella nostra
regione. La Commissione per la verifica dei beni comunali e demaniali
di Gubbio ebbe agio dí portare il suo esame su di un reliquario in
forma di cassetta cuspidata, nella chiesa di S. Francesco. Questo reli-
quario è ornato nell'interno ed esternamente di preziose miniature tre-
centesche, di cui il Bollettino dà minuta descrizione. Il reliquario, di
proprietà comunale, come la Chiesa, viene ‘ora conservato, in apposita
vetrina, nella Pinacoteca comunale. i

Nella chiesa di S. Bevignate in Perugia sono stati scoperti pre-
gevoli affreschi dei secoli XIII e XIV.

Amche nella chiesa di S. Francesco in Anguillara Sabazia conti-
nuano i lavori di scoprimento d'importanti affreschi della fine del
quattrocento, i quali, secondo quanto è riferito nella cronaca de L'Arte
di A. Venturi (a. XIII, fasc. 1), appartengono alla scuola umbra.

xx La Casa editrice W. Modes (Roma) continua la bella collezion-
cina dei volumetti destinati a illustrare i Musei e le Gallerie d' Italia.
Demmo già un cenno di quello su La Galleria Borghese del Munoz e
di quello del Paribeni sul Museo delle Terme.

Ora ha veduto la luce il n. 6, su La Galleria nazionale d'arte an-
tied, dovuto alle cure del suo direttore prof. F. Hermanin. Come
è noto, questa Galleria è particolarmente celebre per la insigne rac-
colta di antiche incisioni dei più reputati maestri. Fra esse l'A. an-
novera « disegni preziosissimi » di Pietro Perugino. Il volumetto è
Tiéco di pregevoli riproduzioni di tavole, tra le quali « La Madonna
col Bambino e Santi » di Niccolò Alunno, e il « S. Girolamo » di
Bernardino Pinturicchio.

#“« Nella deplorevole dispersione di carte antiche e di preziosi
documenti, che pur troppo si verifica-con frequenza, e in modo speciale
se quelle carte e quei documenti sono di proprietà privata, è causa di

32

Fic TERRARUM +—--W;
490 ANALECTA UMBRA

vera compiacenza il constatare che non mancano famiglie, alle quali
stia a cuore la conservazione delle loro memorie. Siffatto compiaci-
mento noi provammo sincerissimo, visitando l'archivio del Conte Lodo-
vico Baldeschi di Perugia, testé riordinato per la provvide cure del
gentiluomo egregio.

. Della sistemazione si è occupato, colla molta competenza da tutti
riconosciuta, il nostro socio Prof. Cav. Oscar Sealvanti, il quale ha
posto in evidenza quanto si conserva nella pregevole raccolta d'inte-
.ressante non solo per la Casa, cui essa appartiene, ma per altre fa-
miglie illustri, come i Colonna, i Cennini, i Piecolomini- Tolomei, i
Della Cornia e, oltre che per la storia perugina, anche per quella
generale d'Italia e d' Europa.

Né la nostra sembri affermazione esagerata, dappoichè è parte
notevolissima dell’ archivio Baldeschi il carteggio, ricco di autografi
di Principi e di Sovrani, del Cardinale Federico Baldeschi- Colonna,
‘che tanta influenza esercitò durante il secolo XVII, negli affarì diplo-
matici della S. Sede.

Lo Scalvanti ha fornito l' archivio di tre indici, uno alfabetico,
un altro topografico ed un terzo sistematico, e non occorre dire quanto
così siano rese facili e sollecite le indagini: dei risultati delle quali
come possano avvantaggiarsi gli studi storici, abbiamo potuto rilevare
da alcune pubblicazioni dello stesso Prof. Scalvanti, principalissima
quella intitolata: Il disegno Raffaellesco dei conti Baldeschi di Perugia
. per la libreria Piccolomini del Duomo Senese.

Al nobile proprietario e al chiaro illustratore e riordinatore del
prezioso archivio vadano le nostre congratulazioni.

xfx Altre pubblicazioni recenti :

1. B. BERENSON, A. Sienese painter of the Franciscan legends.
1 vol. in 8° illustrato.

2..G. Dm CrsARIS, Francesco d’ Assisi, in vol. misc. Voci e sogni
di bontà. Loreto Aprutino, Tip. del Lauro, 1910.

3. A. CAPPELLETTI, Visioni umbre. Città di Castello, Tip. Ed.
Coop., 1910.

4. G. CRISTOFANI, Pagine d’arte umbra. Perugia, V. Bartelli, 1910.

5. BoNcoMPAGNO DA Signa, Amicitia, a cura di SARINA NATHAN
(Società filologica romana). Perugia, Un. Tip. Coop., 1909.

6. BEN. (p.) INnNocENTI, Frate Sole (S. Francesco d'Assisi). Fi-
renze, Tip. Domenicana, 1910, 8° pag. 33.

7. PAUL FouRNIER, Études sur Ioachim de Flore el ses doctrines.
Paris, Picard, 1909. |
ANALECTA UMBRA. 490 -

8. D'Ovipio Francesco, Versificazione italiana e arte poetica me-
dioevale. Milano, Hoepli, 1910.

9. BowoLis G., La condizione degli oblati secondo un consiglio
inedito di Baldo degli Ubaldi, im Studi storici e giuridici, dedicati ed of-
ferti a P. Ciccaglione. Catania, Giannotta, 1909.

10. A. LuPATTELLI, La pinacoteca Vannucci in Per ugia, descritta
e illustrata. Perugia, Guerra, 1909.

11. RN JOHANNES, Vita di S. Francesco d'Assisi. Tradu-
zione. Palermo, Reeber, 1910.

19. MowTIGNOSO (p. da) F., L’ordine dei minori cappuccini în
Lucca (1571-1788) : saggio storico, in occasione del VII cent. della fon-
dazione dell’ ordine francescano. Lucca, Baroni, 1910.

13. C. ANNIBALDI, La Germania di C. Tacito nel ms. latino n. 8
d. bibl. Balleani in Iesi. Leipzig. O Harrassowitz, 1910.

14. E. GEBHART, L’ Italia mistica. Trad. di A. PEROTTI. Bari, La-
terza, 1910.

15. LAnZONI F., I primordi dell’ Ordine francescano in Faenza. Ivi,
Novelli e Castellani, 1910.

16. T. CASINI, Letteratura italiana. Storia ed esempi. Roma, S. ed.
D. Alighieri, 1909-1910.

P. TOMMASINI-MATTIUCCI.
RECENSIONE BIBLIOGRAFICA

A History of Perugia by WILLIAM HEvwoop edited by R. Langton Dou-
glas (Methuen and C°, London, 1910).

Perugia e l'Umbria sono da qualche anno ad oggi argomento ad
accurate indagini e a notevoli pubblicazioni degli studiosi stranieri, e
non pochi volumi sulla nostra città e sulla nostra provincia hanno ve-
duto la luce fuori d' Italia, meritando lodi non adulatrici dai cultori
delle nostre memorie storiche e dagli ammiratori dei nostri monumenti.

Fra i libri, cui aecenniamo, viene ultimo per ordine di tempo;
ma è certo dei primi:per importanza la storia di Perugia del signor
William Heywood, il quale col suo lavoro ha voluto dare al lettore
inglese un'idea esatta della storia perugina nei suoi rapporti con quella
generale d'Italia, del Papato e dell'Impero, e ció col maggior rispar-
mio possibile di fatica e di tempo.

E noi crediamo che l’A. sia riuscito nel suo intento, poichè egli
ha con vera coscienza di studioso raccolto nel suo volume il resultato
delle ricerche perugine da lui compiute con diligenza scrupolosa e con
critico acume per più di quattro anni.

Giustamente osserva il signor Heywood che la narrazione degli
eventi di. Perugia, come quella di qualsiasi altra città, può dividersi
in due periodi ; l'uno, durante il quale gli eventi stessi hanno una in-
fluenza sui paesi circostanti e sui fatti svolgentisi in una larga cerchia
al di là delle mura cittadine, l’altro d’interesse molto minore a questa
cerchia ristretto : nel primo periodo abbiamo la vera storia, mentre nel
secondo non troviamo che la cronaca, e questa può, secondo la espres-
sione del Sig. Heywood, dirsi quasi la biografia di una città. Ma, se
pur troviamo esatto questo concetto generale, ci sembra che il chiaro
A. abbia troppo limitato per la nostra Perugia il periodo storico, chiu-
dendolo al 1358, colla guerra cioè sostenuta dai Perugini contro i Se-
nesi.

E innegabile che questa guerra, ancorchè Perugia ne uscisse vit-
toriosa, fiaccò, specialmente per l'intervento di Firenze a favore.di
494 . RECENSIONE BIBLIOGRAFICA

Siena, la potenza perugina, ma a nostro giudizio è pure innegabile che
Perugia ha avuto una vera e propria storia per tutto il secolo XIV ed
anche per i primi anni del secolo XV e che le sue vicende non pos-
sono non interessare tutti gli studiosi della storia italiana, allorchè esse
si riconnettono ai tentativi di espansione del reame di Napoli con La-
dislao, e a quelli di costituzione d'un grande principato Visconteo, e
quando al sorgere del '400 rifulge di gloria il nome del perugino Brac-
cio Fortebraccio, del capitano restauratore delle milizie italiane, del
principe che, se fortuna gli fosse stata amica, avrebbe senza dubbio
fatto di Perugia il centro di una delle più forti signorie italiane.

Qualsiasi giudizio però voglia portarsi in ordine a questo criterio
seguito dal Sig. Heywood, per il. quale egli consacra al primo periodo
piu di duecento pagine del suo volume, laddove narra in meno di cento
i fatti dell’ altro periodo, che con lui diremo biografico e che, a suo
avyiso, va dal 1359 ai giorni nostri, ci è cosa gradita l'affermare che
la storia di Perugia dalle origini del Comune alla pace con Siena del
15 Luglio 1359, pace che fu imposta dai Fiorentini e chiuse per sempre
a Perugia la via delle conquiste verso la Toscana, è narrata dal signor
Heywood con molta diligenza e in guisa da porre in piena luce tutta
la potenza che ebbe e tutta la influenza che esercitò il Comune di Pe-
rugia durante i secoli XIII e XIV e da indurre il lettore ad avvici-
narsi molto alla opinione del chiaro A, se non a convenire del tutto
con lui nell'avviso che, se non fosse stata la fedeltà di Perugia alla
‘causa guelfa, il potere temporale del Papato non avrebbe sopravissuto
al trasferimento della Sede pontificia in Avignone.

Lodando questa parte del volume, non intendiamo dire che una
medesima accuratezza d'indagine ed una eguale eleganza di esposizione
non si riscontrino pur nell'altra parte; solo avremmo desiderato, ripe-
tiamo, che con una maggiore ampiezza di racconto si fossero illustrati
anche molti anni oltre la prima metà del '300.

A render poi anche piü interessante la lettura del libro contri-
buiscono in modo speciale il primo capitolo e gli ultimi due: nel-
l'uno sono esposte in forma brillante, non senza qualche punta d' iro-
nia, le molte favole che corrono sulla fondazione di Perugia, sulla
derivazione di questo ncme, sul grifo, insegna della città, ed è narrata
la leggenda di Prossimana, di Orgoglioso, di Oliviero e di Orlando,
secondo la quale l'introdursi della fede cristiana fra le nostre mura ed
il sorgere delle nostre libertà comunali si ricollegano alciclo dei pala-
dini di Carlo Magno; negli altri, sulla base dei monumenti che restano
e. sulla fede degli antichi documenti, si descrive la città nel suo aspetto
materiale e morale quale doveva essere nel Medio Evo. Cosi nel penul-
RECENSIONE BIBLIOGRAFICA 495

timo capitolo è fedelmente riprodotta innanzi a noi la vecchia Perugia
colla sua cinta di mura etrusche compresa in quella medievale più vasta,
colle sue molte torri e le numerose porte colle chiese e coi palazzi del
Comune, della Canonica e del Vescovado e colla fonte maggiore, che
è non solo opera mirabile d'arte, ma rappresenta anche, come bene
ha detto il Cruickshank « una completa filosofia della vita e della so-
cietà » di quei tempi.

E a questa rappresentazione, che diremo esteriore e che è resa
anche più efficace dalle belle illustrazioni del volume, tien dietro.nel-
l’ultimo capitolo una completa rievocazione della vita, che i nostri
avi conducevano nelle loro case prive tutte di ogni comodità, se pur
ve n'erano poche distinte per una certa eleganza e per lusso, su per
le vie ripide, anguste e tortuose, per le quali passarono pure corteggi
d'imperatori e di pontefici, nel palazzo del Popolo, del Podestà, del Ca-
pitano e sulla piazza grande, ove si discuteva nei varî consigli e nel-
l'arengo delle sorti del Comune e si riceveva l' omaggio dei paesi sotto-
messi, nelle chiese, in fine, dove non solo si attendeva al culto divino,
ma svolgevasi eziandio tanta parte della esistenza cittadina.

La resurrezione ideale della Perugia del Medio Evo induce il nostro
A. a qualche rimpianto ; dopo aver detto che la civiltà, se ci ha por-
tato molti beneficî, pur qualche cosa ci ha fatto perdere e che, mentre
nei vecchi giorni violenti andavano insieme congiunti il bello ed il
brutto, il bene ed il male, la commedia e la tragedia, a noi invece oggi
non è restata se non «la scena di una languida festa », il Sig. Heywood
lamenta che i Perugini siansi dimostrati fra i più incuranti delle me-
morie medievali.

Vero è che il rimpianto del valoroso scrittore non è improntato ad
amarezza e che egli, riconoscendo che i vantaggi del progresso non
debbano. esser sacrificati al culto dell’ antico, si riconforta al pensiero
che l’ Italia cammina.

Noi però non riteniamo Perugia meritevole del rimprovero, per
quanto benevolo, che le rivolge il sig. Heywood; se è pur vero che
nei secoli passati il disprezzo di tutto, che avesse relazione all’ età
di mezzo, disprezzo deplorevole del resto in ogni altra regione d' Italia,
ha prodotto anche fra noi la rovina totale o parziale di molti venerandi
monumenti, è altresì innegabile che dalla seconda metà del secolo
scorso ai giorni nostri sono state consacrate e si consacràno amore-
voli cure (basti ad esempio il restauro del magnifico palazzo del Popolo)
al ripristino e alla conservazione di ciò che rimane a far testimonianza
del nostro passato.
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RECENSIONE BIBLIOGRAFICA
L'Italia, della quale Perugia intende ad esser figlia non indegna,

pur volendo camminare, concilierà ognora le esigenze dell
con quelle dell’arte e le comodità della locomozione e del transito col

rispetto ai suoi edifici monumentali.

496
putato al Parlamento nazionale, era poco piü che trentenne,

NECROLOGIO

GUIDO POMPILJ E VITTORIA AGANOOR-POMPILI

Il 12 settembre 1894 in una sala della Biblioteca-Comu-

nale di Perugia si tenne una riunione allo scopo di fondare

la Società Umbra di Storia patria, dalla quale ebbe poi ori-
gine la nostra Deputazione, e a quell’ adunanza fu presente
l'on. Guido Pompilj.

L'illustre uomo volle col suo intervento far palese quanto
gli stava à cuore che anche nella nostra provincia sorgesse
un Istituto col fine di coordinare e render vieppiù intenso il
lavoro degli studiosi della nostra storia regionale, e di rac-
cogliere ed illustrare le gloriose memorie dell’ Umbria.

E come alla nascente Società il Pompilj aveva-dato l'ap-
poggio del suo nome autorevole e del suo consiglio illumi-
nato, del pari ne favori con ogni suo potere i progressi, ne

sollecitò con premurosa opera il riconoscimento in regia

Deputazione e sempre ne difese presso il Governo le sorti.

È dunque il fiore della più doverosa gratitudine che noi
deponiamo sulla tomba di Guido Pompilj anzi tempo e in
modo così tragico dischiusa, quando su queste pagine scri-
viamo la data della morte di lui, 8 maggio 1910, come di
giorno amaramente luttuoso anche per la nostra Deputazione,
e a sfogare il nostro dolore, a pagare il debito nostro ram-
mentiamo, sia pur brevemente, le alte virtù del socio bene-
merito ed insigne.

Allorchè nel maggio 1886 Guido Pompilj fu eletto de-

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CVS ES NECROLOGIO

ma già si avevano molte e belle prove della vasta e pro-
fonda sua cultura, del suo alto intelletto, della sua forte
volontà.

Appena compiuti gli studi, che aveva coltivato con ar-
dore fin dall’adolescenza nel nostro Collegio della Sapienza,
egli si ritrasse nella sua casa di campagna presso il Lago
‘Trasimeno, ed ivi si diede ad una vita di raccoglimento e
di lavoro, della quale fu primo frutto la traduzione dal te-
desco, da lui pubblicata nel 1876, della « Storia della legi-
slazione inglese sulle fabbriche » di Ernesto von Plener. Alla
versione va innanzi un preambolo del Pompilj, ove dotta-
mente son poste a raffronto le teorie dei seguaci di Adamo
Smith con quelle dei socialisti della cattedra, e d’onde rile-
vasi come il traduttore, pur sostenendo le idee venute di
Germania, ma ricollegantisi alle concezioni geniali di Vico

e di Romagnosi, sapesse, colla sobria misura e l'agilità dia-.

lettica dell'ingegno italiano, conciliare le tendenze delle due
‘scuole e opporsi alle intémperanze dell’una e dellaltra, e
come soprattutto avesse a scopo nobilissimo la pietosa e prov-
vida difesa degli umili lavoratori e specialmente delle donne
‘e dei fanciulli.

Guido Pompilj riuniva in sè nella più bella armonia le
doti dello scienziato, dell’artista e dell’uomo d’azione e, men-
tre con altre pubblicazioni d’indole letteraria dimostrava che
in lui, come scrisse egli medesimo, « la sacra favilla del
‘sentimento non era spenta dal gelo della filosofia e della
critica », già consacrava al pubblico bene le sue migliori
energie e con febbrile entusiasmo si dava a promuovere la
bonifica del Trasimeno, quella bonifica che è e rimarrà il
suo maggior titolo di gloria; di modo che noi crediamo possa
a ragione ripetersi di lui ciò che egli ebbe a dire di Marco
Minghetti: « Era uno spirito tanto operoso da non potersi
contentare solo della scienza e dello studio, e tanto specu-
lativo ed elevato da non poter bastargli l’azione quotidiana
senza il riposo e il conforto della natura e dei libri ».

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bria, ne studiava la complessa anima con acuta indagine

NECROLOGIO 499

Non deve quindi essere argomento di meraviglia per

alcuno il fatto che il Pompilj acquistasse subito alla Camera

un posto eminente, e che i suoi brillanti e dotti discorsi, i
quali ebbero quasi sempre per oggetto le questioni econo-
miche e quelle di politica estera, e la sua assidua ed effi-
cace partecipazione ai lavori parlamentari lo designassero
fra i più meritevoli di esser prescelto ad alti e delicati in-
carichi e di salire al Governo.

Ed egli vi sali due volte come Sotto-Segretario di Stato,
la prima al Ministero delle Finanze e la seconda in quello
degli Esteri, e sempre di lui potè dirsi ch’ egli onorasse il
posto che occupava nella stessa guisa che il posto faceva
onore a lui.

Alla conferenza dell' Aja per la pace rappresentò de-
gnamente l’Italia e, confermando col fatto proprio quanto
aveva scritto molti anni prima, che cioè « i diplomatici
d'oggi giorno hanno trovato da far meglio che donzellarsi
per le anticamere de' principi », pose a servigio d'un'alta
idealità umana la scienza e la pratica di uomo di Stato. Ché
appunto questo di caratteristico ebbe il Pompilj; le severe
cure politiche non lo distolsero mai dal culto dell'ideale e
dall'amore del bello, ed egli (riportiamo parole sue) « non
si disumanó mai, sequestrando la politica da ogni lampo di
immaginazione, da ogni alito di poesia »; fu per questo che
nei suoi scritti nei suoi discorsi erano sempre mirabili del
pari la profondità del concetto e la eleganza della forma, e
che egli s'intratteneva con egual competenza di politica, di
Storia, di letteratura e d'arte; come rievocava innanzi ad un
uditorio plaudente e commosso in tutta la loro bellezza e
grandezza le figure di Marco Minghetti, di Amedeo di Sa-
voja, di Re Umberto, di Garibaldi, cosi sapeva apprezzare
e fare apprezzare ai suoi ascoltatori l'opera di Leone Tolstoi,
di Massimo Gorki, di Ernesto Renan, cosi rappresentava con
parola smagliante tutta la soave e mesta dolcezza dell'Um-
500 NECROLOGIO

filosofica e ne rammentava con affetto reverente di figlio le
glorie.

E come e quanto ardesse in lui la sacra favilla del sen-
timento Guido Pompilj lo ha dimostrato col puro, fervido
amore che lo legó a Vittoria Aganoor. s

Non è sulle pagine di questo bollettino date alle ricerche
storiche, che si convenga discorrere dell'opera poetica della
Donna elettissima; solo non ci sembra fuor di luogo il no-
tare che dal giorno avventurato, in cui il destino di lei si
uni indissolubilmente a quello di Guido Pompilj, anch’ essa
amò di profondo amore la nostra Umbria, che le fu ispira-
trice di alta poesia, anch’essa, già duramente provata nelle
strette del dubbio e del dolore, sentì nell'intimo dell’ anima
sua tutto il fascino della pace, che ci viene offerta dai nostri
« bei colli innocenti », dai nostri boschi, dall’ azzurro del
nostro cielo; e mentre al trionfo della pace il suo Guido si
consacrava nei consigli della diplomazia, essa, la Donna buona
e gentile, dalle sponde del Trasimeno,

onde florida sale
l'opima dei colli ghirlanda,

o dall'aereo poggio del Frontone, che protende la curva in-
contro alla libera vallata umbra

come un titanico rostro
di nave che stia sugli ormeggi
immersa in un mare di luce,

invoeava che desse molti fiori la sementa eletta del soave
Francesco ed imprecava

al malo
spirito di vertigine, che a morte
affretta questi effimeri dementi
in selvagge battaglie.

E la pace, invocata invano finché vissero, hanno trovato
nella tomba Guido Pompilj e Vittoria Aganoor!
NECROLOGIO 501

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Scrivendo luno accanto all’altro questi nomi, accomu-
nando nel rimpianto e nell'omaggio i due poveri morti, noi
sentiamo che il tributo del nostro memore affetto giungerà
a loro più gradito e più caro.

? Vittoria Aganoor, confortando Guido Pompilj nelle aspre
lotte dell'esistenza, cantava:

invoca il nome mio : si

e, col mio cor per fiaccola, a salvarti ]
* . 1
volerò io. i

Quando quel cuore nobilissimo ha cessato di battere,
quando quella fiaccola luminosa si è spenta, Guido Pompilj
| ha voluto morire!

V. ANSIDEI.
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FRANCESCO SFORZA

CONTRO

ESCOPO PIGCININO
(DALLA PAGE DI LODI ALLA MORTE DI CALISTO III)

1. — Non vi fu avvenimento politico che rallegrasse
tanto tutta Italia, prima della metà del secolo XV, quanto
quello della « lega italica » conclusa in Napoli il 25 febbraio
1455. Era la prima volta che quasi tutti gli stati della peni-
sola s'intendevano insieme e si stringevano ad un patto di
alleanza e di pace. Lungi ancora il pensiero ad una unità
italiana; ma per il bisogno di difendersi dalle invasioni mu-
sulmane, sempre più temibili dopo la caduta di Costantino-
poli, il duca di Milano e i Veneziani si persuasero a deporre
le armi e combinarono la pace di Lodi (9 aprile 1454), che
preparò l'aecordo generale sotto gli auspicî e l' alta direttiva
di Niccolò V. Echeggiava ancora da una città all'altra il
suono delle feste che celebravano la lega, e già sull’ orizzonte
sorgeva qualche nube che doveva intorbidarne il sereno.
Capitano generale dei Veneziani nell' ultima guerra con Mi-
lano era stato il conte Iacopo Piccinino. Prosciolto dalla
condotta militare, messo fuori degli stipendi della Serenissima,
dopo cinque anni che erano stati non senza gloria per lui (1),
egli non aveva una signoria sua propria che lo accogliesse

(1) Diceva il Piccinino, Venezia « aver tratto maggior partito da questa guerra
che mai avesse avuto capitano in Italia ».

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508 Li FUMI

in tempo di pace, non una terra dove potesse riparare:
quindi dava ombra a tutti. In Lombardia, nel dominio veneto
nulla gli rimaneva più a fare. Inevitabilmente doveva calare
o sulle terre della Chiesa o nel Regno. Egli conduceva circa
a tremila fanti e a mille uomini a cavallo, tanto che faceve
forma (come dice Luciano Banchi) di un giusto esercito:
la moltitudine di queste genti e la fama che le precedev:
di violatrici di ogni proprietà e d’ogni diritto, incutevano
nei paesi minacciati da siffatti ospiti un generale spavento (1).

Quale via avrebbe presa il giovane e valoroso capitano
umbro per discendere nella media Italia? Chi avrebbe pa-
gate le spese alle sue soldatesche avide di bottino? Quale
luogo avrebbe maggiormente eccitato l’ appetito del condot-
tiero ?

Fra lui e Francesco Sforza duca di Milano correvano
vecchi rancori, inaspriti dopo il tradimento di Monza e le
guerre della repubblica ambrosiana e di Venezia. Campione
braccesco l’uno, duce l’altro della scuola militare opposta,
valentissimi ambedue, fuor di misura ambiziosi, impari nella
fortuna, chi della fortuna aveva saputo trarre profitto voleva
disfatto l'odiato rivale, ora che riducevasi al verde. Dove
mai poteva il Piccinino indirizzarsi e provare le sue armi
se non nelle terre della Chiesa? Le popolazioni erano mal-
contente del governo papale; deboli e divisi i signori, mal-
fidi i vicarî delle Romagne; inesperti e trascurati i governa-
tori ecclesiastici. Lo Sforza presentiva le mire del capitano
perugino, che manteneva un esercito in piede di guerra. Non
tanto gli importava l'equilibrio degli stati italiani; non tanto
poteva la venerazione verso il pontefice infervorarlo alla
difesa delle terre della Chiesa, quanto il timore che potes-
sero diventare conquista e signoria dell’ardito venturiere.
Troppo geloso che il Piccinino, erede delle virtù guerresche

(1) BANCHI L. Il Piccinino nello Stato di Siena e la lega italica, in Arch. St.
Ital., S. IV, vol. 4°, an. 1879, pag. 44.
FRANCESCO SFORZA, ECC. 509

del padre e del fratello, favorito di aderenze, protetto dal
re di Aragona, accetto ai Perugini, in buona intelligenza coi
signori di Romagna, potesse guadagnarsi credito e territori
nel centro d'Italia, tanto volle contrastargli una signoria, per
quanto già, in altri tempi, fidanzandolo alla Drusiana sua
figliuola, avevalo rampognato di non aver saputo farsi nem-
meno « unà casa » dove menarla sposa. Altri tempi, prima
che lo Sforza salisse alla sua novella fortuna, erano quelli. Al-
lora lo avrebbe voluto magari signore di Perugia. Lo avrebbe
volentieri sostituito a qualche signore delle Romagne. Adesso
tutt' altro.

Il Piccinino non si scopriva a quali mire tendesse. Forse
egli stesso ondeggiava incerto, finchè non avesse tastato il ter-
reno coi Bolognesi. Quando Niccolò V, insospettito delle sue
ambizioni su Bologna, mise in moto le papali milizie e richiese
in aiuto quelle del duca di Milano (1), allora egli era andato
spacciando di non aver animo di offendere la Chiesa. Trovò
modo di far sapere, per via indiretta, al duca che lo lasciasse
fare: « gli facesse prendere (diceva) quelle terre della Chiesa,

(1) Niccolò V con bolla « Scimus excellentiam tuam » del 27 febbraio 1455, aveva
richiesto lo Sforza di aiuti per impedire il passo al Piccinino. Cosi egli disse: .

« Audivimus, et ita publice per omnes fertur, d. f. n. v, Jacobum Piccininum
'« armorum Capitaneum ad damna nostra et Ecclesie profecturum, et licet vix cre-
« dere possimus, cum illi unquam per nos iniuria illata fuerit, immo ipsum semper
« habuerimus, prout adhuc de presenti habemus, pro bono nostro et Ecclesie filio ;
« tamen, quia hec fama ubique iam vulgata est, et de voluntate sua erga nos et Ec-
« clesiam sumus incerti, intendimus oportune providere ac virili animo resistere et
« omnia facere si forte contra nostrum et Ecclesie statum malignari vellet et in hac
« re nichil omittemus. Rogamus itaque Excellentiam tuam eamque exhortamur et
« requirimus, ut velit pro consueta sua erga nos et Ecclesiam devotione pariter et
« affectione, et etiam pro vinculo quo nobis, tanquam uni ex collegatis, ratione capi-
« tulorum, obligatur, gentes suas armorum et peditum parare et illas confestim ver-
«sus agrum Ferrariensem aut Bononiensem, ubi etiam aderunt alia presidia, trasmit-
« tere, ad effectum et finem quod prefatus Capitaneus ad turbandum statum nostrum
« et Ecclesie transire non possit, adimplendo in omnibus ea que in capitulo lige de
« tali re mentionem faciente continentur, quemadmodum in devotione tua erga nos
« et Ecclesiam et etiam in sapientia Excellentie tue confidimus et speramus » (ASM.
Roma, lettera di Niccolò V del 27 febbraio 1455. La lettera é segnata « prid. Kal.
« martii 1454 anno octavo » per lo stile curiale « ab incarnatione »).
PETRI IAA

510 L. FUMI

perchè ne farebbe sempre quel che egli ne avesse voluto (1) ».
Importante rivelazione che chiarisce le intenzioni del Picci-
nino, giustifica i provvedimenti del papa e attenua quel forte
Spirito di rappresaglia che assunse lo Sforza nel dare la
caccia al perugino.

2. — L’odio dello Sforza non proveniva solo da emu-
lazione nell’ arte militare. Veniva, più che altro, dalla memoria
di quello che era passato fra loro due. Lo dice egli medesimo :
Avere tolto ai suoi stipendi tanto Francesco, quanto il fra-
tello Iacopo; avere affidata loro una grande condotta di
gente con ampio soldo e ottimi trattamenti. Volle anche vin-
cerli di cortesia: per levar via l'odio che comunemente si
diceva fra bracceschi e sforzeschi, fu contento di dare in
seconde nozze Drusiana sua figliuola a Iacopo. Ne fu fatta
la promessa fra l'una parte e l'altra, ma poi non ne seguì
altro; perchè essendo essi a campo a Monza con le altre
compagnie storzesche, si accordarono con la repubblica
ambrosiana: fuggitisi dalle sue bandiere, ne segui quella
rotta di Monza che fu un disastro alle altre genti dello
Sforza. Con tutto che, alcuni di avanti, egli sapesse del trat-
tato che facevano ed avesse potuto averli nelle mani, pure
dissimulò, volendo stare piuttosto al pericolo, che mai si
potesse dire che per odio li avesse fatti malcapitare. Morto
Francesco, il conte Iacopo sempre perseverò di male in
peggio: trattò lo Sforza non come soldato nemico, ma come
privata persona nemicissima: andare traverso, rubbare i suoi
sudditi, trattare contro lo stato e la persona sua, studiandosi

(1) Da Roma messer Sceva de Curte, oratore ducale, scrisse allo Sforza il 21
marzo 1452: « Benedicto Bechuti qual’è qua e monstra essere troppo nostro parte-
« xano, m'à dicto in gran secreto qua essere uno chiamato Bucintoro, cogino carnale
« del conte Jacomo, e dice essere stato da lui ; e s’el conte Jacomo credesse la V. S.
« li perdonasse de bon sigillo e li attendesse quello li promettesse, e di ciò li facesse
« promexa et cautione, sive per promessa del cardinale Columpna sive aliter, che
« Iui se redurria dal canto de la R. V. S. Diceme se io voglio tenere mano a ta! pra-
« tica, non dubita venirà facta. Invero a me pareria questo uno bon facto ... » (ASM,
Carteggio Sforzesco, Roma ad an.).

TM
v — uae

glio 1457.

FRANCESCO SFORZA, ECC. 511

anco con veleni e altre insidie di disfarlo. Fin da quello
istante che il Piccinino prese la fuga, si dovette rompere e pa-
rentado e amicizia; e il Piccinino che sapeva di questo malo
animo, cercó di pigliare vantaggio, mandando due volte a
papa Nicolò per impetrare il divorzio. Il papa non volle
però dispensarlo : credeva che lo Sforza non ne fosse
contento, mentre gliene sarebbe stata somma grazia; tanto « che
diceva, « avrebbe piuttosto gettata la figliuola in un pozzo col
capo all’ingiù e annegatala, che metterla in quelle mani » (1).

Tale era l'animo dello Sforza contro il Piccinino. Non
valse a questi farsi vedere mutato, mosso da vero o finto
sentimento. Cercó di umiliarsi, chiedergli perdono, mostran-

dosi del passato dolente e pentito. Invano provò di unire le

sue alle bandiere ducali. Non gli valse nemmeno il giuoco
tenuto a partita doppia con insinuare al papa gravi sospetti
sulla politica ducale.

Alle prime voci della mossa del Piccinino dall Alta
Italia con le sue diciotto squadre, aggiunte altre tre di Matteo
da Capua, Bologna domandò soccorsi allo Sforza. Questi non
tardò un istante a mandare il suo stesso nepote, il conte Ro-
berto da Sanseverino, con duemila e cinquecento fanti e con
cinquecento cavalli. Spedi anche ambasciatori in Roma Pietro
Tebaldeschi da Norcia e Nicodemo da Pontremoli suo can-

celliere, con incarico di eccitare il papa a mandare a Ve-

nezia e a Cosimo de’ Medici in Firenze per averli vigili ai
passi, per provvedere alla difesa delle terre, sì della Marca,
come del ducato di Spoleto, e per ordinare, in Romagna, ai
signori, sotto pena di ribellione e di decadenza dal vicariato,
il divieto delle vie, del ricetto e delle vettovaglie. Consigliava
poi di sollecitare i Fiorentini a mandare ai confini della To-
scana, dove fosse più di bisogno, le loro forze, mentre egli
ordinerebbe alle proprie di seguire il Piccinino dappertutto,

(1) Lett. ducale in cifra e segreta all'oratore Del Carretto in Roma del 19 lu-
=“

TIT see

519 ; L. FUMI

ovunque si indirizzasse. Inteso che alcuni della Marca erano
andati a trovarlo, commise a Giorgio Annoni di recarsi da
quel governatore: chiamati a sè due o tre uomini da tutte le
terre principali, li avvisasse di quelle provvisioni prese,
animandoli a rimanere costanti e in fede (1).

Gli oratori, come furono in Roma, trovarono il papa am-
malato, la Corte tutta in sgomento e disordine, ognuno diffi-
dente. Pure, riuscirono con le loro sollecitazioni a mandar far
brevi ai Veneziani, a far partire il romano Battista de’ Brendi,
scrittore apostolico, alla volta di Milano, e Ludovico de’ Lu-
dovisi bolognese, curiale, per Firenze. Alberico Maletta, se-
gretario ducale, e Bartolomeo Visconti, vescovo di Novara,
che si trovavano tuttora in Roma per gli ulteriori negoziati
della lega, si unirono a riscaldare la pratica con gli ambascia-
tori fiorentini e veneziani. Questi ultimi dicevano: Il conte
Iacopo « passaria molto grosso »: la Signoria scriveva
loro volessero fare istanza col papa, che « per occurrere ad
« ogni scandolo che potesse fare el conte Iacomo, la Santità
« sua fusse contenta de condurre el conte Iacopo, et che li
< ambasatori de la Maestà del re, li quali, secondo che di-
« cono questi nostri ambasatori venetiani, sarano qui infra
« 5 0 6 di, farano etiandio instancia de questo cum lo pre-
« fato signore nostro. Et in effeto nuy comprendiamo questo,
« che la Maestà del re e venetiani voriano che ’1 conte Ia-
« como fusse soldato del papa et se reducesse in le terre
« de la Ghiesia, etiam forsa pagandone anchora loro qualche
« parte del suo soldo ». Gli oratori veneziani cercavano di
persuadere anche i Fiorentini e il. duca di Milano a corri-
spondere il soldo per il Piccinino; ma non li trovarono di-
sposti favorevolmente a tale proposta, aggiungendo i Fioren-
tini che il papa non avrebbe potuto sostenere il dispendio

(1) Giorgio Annoni con Francesco Cusani ebbero poi incarico di trattare con
Sigismondo Malatesta per evitare il passo al Piccinino (Lett. da Sant’ Arcangelo 6
giugno 1455).

n
FRANCESCO SFORZA, ECC. 513

di tanta gente. Di fatti, il cardinale di Fermo, maggiorente
in Curia, e il segretario pontificio, Pietro da Noceto, come.
udirono questi ragionamenti, dissero: « Il papa per modo
« aleuno non consenteria de ritirarse in casa el conte Iacopo,
«il quale saria più forte che luy e poteria desponere del
« stato de la Ghiesia a petitione d'altri quanto li parese, e
« à questa via non consentano per modo alcuno. Ma piü tosto
« consentiriano questi de la Ghesia a contribuire a qualche
« Spexa e lo conte Iacomo remagnisse unde luy è » (1). Par-
vero i Fiorentini assentire a tale idea, perché cosi né la
Chiesa, né loro avrebbero avuto a temere. Mandavasi in-
tanto da Roma al duca di Modena perchè questi si mettesse .
avanti al Piecinino a chiudergli la via, promettendogli aiuto :
di gente per resistere. Si andavano formando tre opinioni
diverse sul da farsi. Alcuni, come la Corte, volevano che il
Piccinino restasse là dov'era, contribuendo a qualche spesa
per trattenervelo. Altri avrebbero voluto farlo passare, con-
tribuendo a qualche spesa per sostentarlo; e cosi la pensava
il re di Napoli. Altri; che non avevano interesse di sorta,
proponevano di mandarlo, a spese di tutte le potenze, a
combattere il turco in Albania, con speranza che là si acqui-
sterebbe onore e stato e non sarebbe più di ritorno in Italia.

Il papa, che aveva duemila cavalli vivi e duemila fanti,
si disponeva a mandare mille cinquento cavalli e mille cin-
quecento fanti verso Città di Castello, nella Marca e in Ro-
magna, come fosse più necessario. A Bologna si peritava a
mandar gente, perché i Bolognesi si mostravano sospettosi
di lui; e preferiva che ve ne mandassero da Firenze e da
Milano. Rilasciò loro certi dazi, a patto che mettessero mille
cavalli e cinquecento fanti a difesa. Sigismondo Malatesta e
Guido Rangoni mandarono a profferirsi per una condotta. Il
papa che non se ne curava, li tenne a bada, acciocchè non

(1) Lett. di Bartolomeo Visconti ed Alberico Maletta al duca da Roma, 4 marzo
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GI CRA L. FUMI

si accostassero al Piccinino. Mandò il vescovo di Brescia ai
Veneziani, altri oratori spedì a Firenze e a Milano (1), otte-
nendo dai Fiorentini l'aiuto del capitano Simonetto da Castel-
piero e dal duca altri duemila cavalli e mille fanti sotto il
comando di Corrado da Fogliano. Adunò tutti i condottieri
della Chiesa; dispose per le paghe e per l’invio nella Marca,
secondo il consiglio dello Sforza. Se vi fosse stato bisogno,
avrebbe anche condotto il marchese di Mantova che aveva
mandato a profferirglisi (2). Dal canto suo lo Sforza sugge-
riva provvedimenti per organizzare la spedizione dei ponti-
fici, ma gli oratori scrivevano da Roma non esser possibile
far nulla per l'aggravamento della malattia del papa. Con
lui già non si poteva più parlare di cosa alcuna. Tutto trat-
tavano i cardinali, e di condurre nuova gente d’ arme, come
voleva il duca, non era da dire, per doversi pensare a tenere
in rispetto i signorotti circostanti a Roma che cercavano di
profittare della nuova condizione di cose per occupare delle
terre della Chiesa (3). Mentre gli oratori avvisavano di tutto
questo, il papa era agli estremi e l'indomani moriva.

3. — Gli ambasciatori ducali si dettero moto per la
scelta di un papa amico e propenso a seguire le ostilità contro
il Piccinino. I partiti si erano andati delineando durante la
malattia di Nicolò V. Gli oratori nostri avvisavano che il
maggior favore da principio era per il Colonna. L' Orsini riu-
sci a deviarlo, facendo pratiche per il cardinale di San Marco
o per il camerlengo, con l'appoggio del re di Napoli. Depu-
tati alla guardia del conclave furono ambedue i ducali, Nico-
demo da Pontremoli e il vescovo di Novara col suo cancel-
liere, insieme col maresciallo di Santa Chiesa Pandolfo Sa-
velli. Scriveva il Novara di proprio pugno al duca che egli
sarebbe stato dei primi ad essere avvisato, « perchè siamo

(1) Lett. degli stessi, 4 marzo 1455.
(2) Lett. dei suddetti, 9 marzo 1455.
(3) Lett. del Novara e di Nicodemo, 23 marzo 1455.

—— m a —
— M n7à

FRANCESCO SFORZA, ECC. 515

« deputati in loco (diceva) de poterlo fare, et chi vorà de ciò
« aviso, bixognerà l'habia da noy » (1). Prima di entrare si
adoprarono a disporre le cose contro il conte Jacopo. Vole-
vano la nomina proposta dal duca di un cardinal legato nella
Marca, ma poi per la difficoltà del momento, non essendo ció
possibile, procurarono l'elezione del vescovo di Ventimiglia
a soprastante delle milizie. Si annunziava la sua imminente
partenza per Città di Castello, ove la gente d’arme avrebbe
fatto capo, fino al numero di duemila fanti e altrettanti ca-
valli. Il vescovo era persona assai deferente verso il duca e
molto accetta. Innanzi di chiudersi in conclave i cardinali in-
teressarono i Veneziani per due messi propri spediti a fretta
e mandarono copie delle lettere al re perchè egli intendesse.
Importerà sentire l’intero dispaccio:

B. Epus Novariensis et Nicodemus de Pontremulo.

. . - Havemo inteso quanto V. S. ne scrive circa el procurar de
havere uno papa grato, evenendo el caso ch'é venuto de la morte del
papa passato etc. Al che respondemo como già haveamo cum ogni ho-
nestate possibile facto tal opera che asay speravemo fusse V. Signoria
per havere sua intentione. Perché la piü parte era remasta contenta
del card. Colonnese (2), et venevali facto, se '1 papa fusse morto
in quelli primi di che foe iudicato. Ma per l'essere tanto tardata essa
morte éne succeduto che ’1 card. Ursino ha havuto tempo in fare
le soe pratiche cum il re di Ragona et venetiani, et halle
faete tanto calde et strecte, che ’1 s'è reducta la cossa in lo cardi-
nale de san Marco et nel Camerlen go, in modo che un de
loro sie per obtinere, se dio non ci provede. Cosi forte éne la parte

Ursina, quale cum il favore del re de Ragona ha seco voce

cinque, de le quale seriane una necessaria ad minus a far che ’1 C o -
lonese obtinesse. De questi doi autem, non sapendo ben nuy stessi
iudicare quale sia per essere più grato o men pericoloso a la S. V.,
non è parso impazarse, ad ciò non venessemo (a) fare cossa fusse in-

(1) Lett. del Novara del 3 aprile 1455.
(2) Le parole spaziate sono scritte nel testo in cifra diplomatica.
516 .L. FUMI

grata ad essa et dannosa, como saria se '] venesse obtinere quello de
loro contra chi havessemo pratichato. Si che ormai lassaremo il pensero
a dio, pregandolo però continuamente ne presti gratia che possiamo
adiutare la pratica prima, per la quale faremo ogni cossa, vedendo po-
terla adiutare, come poteria ancora intervenire per il nostro stare a la
guardia del conclave, a la quale siamo deputati, perché de hora in hora
in quel loco potria acadere mille cosse, per le quale se poteria fare
mutare li penseri a la brigata, che a dio piacia cosi sia, per contenta-
mento de V. S. et nostro (1).

Ultimate, cerea quanto n'ha scripto V. S. per le dicte tre lettere,
et quanto etiam ha scripto don Baptista da Roma circa li fatti del
conte Iacomo e le provisione facte per essa V. S. et altre li pare siano
da fare per la Chiesia, tute havemo monstrato et significato a questi
Signori cardinali sigillatim et collegialiter. Cum li quali, etiam ante
receptionem dictarum literarum, eramo, post mortem pape, stati piü fiate
per confortarli a quel medesimo c'ha nuper V. S. ricordato, maxime
cirea la mandata d'un Legato, cum le gente de la Chiesia, verso la
Marca o altrove, dove potesse offendere le terre de la Chiesia el dicto
conte Iacomo. Et tandem, non potendose obtinere che '1 se mandase uno
cardinale legato, perché caduno se vole trovare a le noze de questa
creatione papale nova, havemo obtenuto che '| s'é electo et deputato
per capo de dicte gente, già tri di passati, uno vescovo de Vintemiglia,
prelato scorto et dabene et animoso quanto basti et affecto a V. S. et
uno de li più reputati che se retrovano al presente in questa corte, la
. quale non fu mai cosi privata de prelati de auctoritate come al pre-
sente. El quale se partirà da qui domane o l'altro ad tardius, et an-
darà a firmarse a la Citate de Castello, ove expectarà queste gente de
la Chiesia; per le quale s' è retrovato el dinaro opportuno fin al nu-
mero de cavali mille et più a conducta et fanti 700, el quale se li darà
per tuta questa septimana et de l'altro dicono che indubie se aviarano
verso la dieta cità, el resto fin al numero de cavali 2000 et fanti 2000,
computatis predietis. Dicono se spacerà del dinaro, immediate creato
che sia el papa, et manderasse poi subito dreto a le altre predicte.
Così ne hano promesso hogy tuti li cardinali simul congregati, et cre-
diamo se farà, perché comprehendono ben chiaramente sa fa per loro,
et molto regratiano V. S. de quanto ha facto et offerse fare in servicio
de la sancta Chiesia. A la quale recordamo como si è parso acceptare
più tosto la deliberazione facta del dicto vescovo, che tenire la cossa

(1) Questo brano è pubblicato dal Pasror, Storia dei Papi, 1, pag. 658.

— CÈ e e

FRANCESCO SFORZA, ECC. 511

più in longo, praticando d'havere uno cardinale, per il pericolo che
si è in mora, et la difficultate de obtinere cardinale.

Et perché V. S. possa meglio comprendere la bona dispositione et
animositate de questi cardinali contra el conte Iacomo et a chi li pre-
starà favore, li mandiamo a questa inclusa la copia d' una lettera hano
scripto novissime al duce de Venetia, la quale hano mandata per doi
messi proprii, ad ciò se l'un fallasse l'altro suplisca, quali li hano
promesso giongere a Venetia sabato proximo cum dicta lettara. Li quali
cardinali havriano voluntera scripto un'altra simile al re d'Aragona,
ad ció ello dal canto suo havesse inteso el scandalo li fusse per inter-
venire sel prestasse nedum adiuto al dieto conte Iacomo, ma etiam non
obviasse in quanto ello potesse ad ogni impazo fusse esso conte Iacomo
per dare al stato de la Chiesia. Ma dubitando sdignarlo, se cosi aperte
se fusseno cum luy descoperti, como sono cum venetiani, hano preso
una meza via. Nam, hano scripto una littera a soa Maestà, in la quale
mandando la copia d'essa loro lettera scripta a venetiani, la pregano
voglia confortare essi venetiani a fare quanto se li 6 per dieta lettera
rechesto.

La risposta che s' havrà da Venetia et cosi dal re sollecitaremo
de havere quando serà zonta, et ne daremo d'essa aviso a la Signoria
Vostra...

Rome, die primo aprilis 1455.

Nel eonclave gli oratori andavano eccitando i padri a
non indugiare la scelta del novello pontefice. Agitavano s0-'
vente il fantasma del Piccinino come un pericolo per. la
Chiesa in quell’interregno. Quando lo Sforza seppe che l'e-
lezione era caduta sopra un catalano, creatura del re di
Napoli, il cardinale di Valenza Alfonso Borgia, temette che
tutti i suoi piani per abbattere il Piccinino andassero a
monte. Egli dissimulò, ma non potè a meno di preoccuparsi
che il novello pontefice Calisto III subisse l'influenza dell’ a-
ragonese non meno che l'avesse subita Nicolò V, anzi molto
di più, per essere stato il Borgia lungamente alla corte di
Napoli e per avere ampiamente goduto i favori e la prote-
zione del re. Fu atto di prudenza politica far trapelare al
nuovo papa la sua intenzione di ritirare le milizie ducali.
Nicodemo consigliò ad attendere, intanto che disponeva l'a-
per attendere a la destructione soa totale. Et già sono aparigiati li di-

518 ” L. FUMI

nimo di Calisto, non ignaro del malcontento che correv:
nelle terre della Chiesa, ad ovviar al pericolo che il Picci-
nino coll’ aiuto dei signori di Romagna riuscisse nei suoi
intenti. Delle intenzioni del papa, delle sue prime disposi-
zioni contro il conte, del proposito fatto di resistere al turco,
caratteristiche del suo pontificato, discorre Nicodemo nella
seguente lettera del dì 11 aprile:

Illustrissimo Signore, Mandamo a la S. V. el presente cavalaro
sollo per avisarla che, se per alcuna ombreza presa per cason de questa
nova ellectione del papa, ella havesse facto pensero de retrarse da
l'impresa comenzata in favore de la Chiesia, contra el conte Iacomo,
li piacia soprasedere nel dicto pensero fin che havrà inteso mi Nico-
demo. El quale inmediate attenderó ad licentiarmi da questi signori
cardinali et infra doy di me aviaró poso el dicto cavalaro. Et veneró
informato de la. mente de questo papa in modo, che speramo V. S. re-
manerà satisfacta de ogni desiderio havesse circa la dieta impresa. Per-
ché, noy per doe fiate siamo stati cum la Santità d'esso papa, et ha-
vendoli aperto tuto quello era de mistero circa questa materia, maxime
quanto havea io Nicodemo in comissione de significare a l'altro papa
passato, l'havemo trovato tanto ben disposto, che de nullo altro carde-
nale, che fusse preposto in quel loco, s'havria poduto sperare meglio.
Et perchè il maior dubio che ce sia ène che ’1 non sia facto variare,
havemo, et a luy et a li altri cardinali, de li quali s'habiamo poduto
confidare, sed maxime a quelli a chi ha la Santità soa remesso questa
pratica del conte Iacomo, quali sono el Camerlengo, quel de Fermo,
Colonna, Orsino et il Corero da Bologna, così apertamente demonstrato

| li pericoli li poterano intervenire, quando non se andasse per la bona

via, precipue per quella che più desidera V. S., che speramo starà
ferma in la opinione presente, A la cui executione ha già dato prin-
cipio cum mandare uno prelato da bene, videlicet lo arcivescovo de
Aragosa, per conducere tute le gente mandate et che manderà V. S.
et li altri a servicio de la Chiesia, ove serà de bisogno, et secondo
piacerà a la prefata V. S. et a li soi sopra esse deputati. Et domane
se partirà el dicto arcivescovo per andare a fare quanto è dicto. Poi
se 'l conte Iacomo (al quale s’è ordinato per la Sanctità soa mandare
un altro da bene per sapere l'ultima intentione soa) perseverarà in
l'opinione vulgata, se ellezarà uno legato cardinale et grato a la S. V.

—mÀ
FRANCESCO SFORZA, ECC. 519

nari per la conducta de quelle gente, che, ultra le vostre et quelle ha
de presenti la Chiesia, serano necessarie a la dicta impresa.

Ceterum, perché a la V. S. possa constare più chiaramente la
mente et dispositione ha questo signore papa circa le cosse principale

spectante a l'officio suo pontificale, li mandiamo a queste inclusa la co-

pia d'uno voto per la Santità soa emanato inmediate post eius ellectio-
nem ante altare capelle in qua fuit ellectus, et coram cardinalibus
omnibus et notariis super hoc rogatis (1).

Quomodo autem, et qualiter sors ceciderit potius super hune do-
minum cardinalem Valentinum noviter ellectum in papam, nuncupatum
Calistum tertium, quam super aliquem ex aliis cardinalibus, maxime
his de quibus maior spes et opinio erat, non seribemus per presentes,
sicuti aliis precedentibus litteris nostris polliciti eramus. Nam visum
est tutius fore ea ipsa differre in adventum mei Nicodemi, qui veniam
de omnibus in dicta ellectione agitatis et de pluribus aliis propter eam
occurrentibus sie informatus, ut nullis litteris amplior informatio dari
posset V. Dominationi. Cui nos devotissime comendamus, et signifi-
camus diem coronationis prefati Sanctissimi domini nostri designatam
esse ad XX.am presentis. Datum Rome die XI aprilis 1455. Eiusdem
dominationis

Servitores devotissimi B. episcopus novarien.
etc. et Nicodemus de Pontremulo.

Item ad ciò che V. S. sapia que sperare del facto de zenoesi et
de li sig.ri Sigismundo et Hestor, l'avisamo como ne havemo favellato
in modo cum questo signore papa, che n’ ha promesso prendere l’ im-
presa de l’acordo loro cum la Maestà del re, da la quale intende doman-
darli de gratia sia contenta ch’ ello habia l’ honore de questa concordia,
et non dubita la obtinerà, come più largamente la V. S. intenderà in
la venuta de mi Nicodemo. Datum ut in litteris.

Idem B. episcopus novarien.
et Nicodemus.

Illustrissimo principi et Exc.mo domino domino suo colendissimo
domino duci Mediolani et Papie Anglerieque comiti ac Cremone do-
mino etc.

(1) In un foglio a parte disperso dal carteggio ho potuto ritrovare questo
« voto », che non ha indicazione di data, ma sicuramente appartiene all'8 aprile
1455. Si iratta della nota obbligazione fatta dal papa di combattere la potenza otto-
mana. É stato riposto come allegato alla lettera presente del Novara.
520 > L. FUMI

Come si vede, uno dei primi atti di Calisto fu di man-
dare governatore delle genti d'arme l'arcivescovo di Ra-
gusa (1). Era questi in voce di uomo sperto nelle armi. Nic-
colò V lo aveva mandato il 1453 legato dell’armata ponti-
ficia contro i turchi a difesa di Costantinopoli. Caduta la
città mentre egli stava a Venezia, fu inviato in Grecia a
congiungersi con l’armata dei Veneziani. Si diresse con cin-
que galee a Negroponte, donde ritornò senza aver brillato di
gloria. Il Piccinino, sempre scaltro, mentre andava tastando
il terreno con Sigismondo Malatesta, coi Bolognesi, col mar-
chese di Ferrara e con varii signori di Romagna, non senza
tentare una qualche prova per mitigare l' animo dello Sforza
e riconciliarselo, cercò un colloquio col Ragusa a Cesena per
purgarsi della taccia che gli si dava. Come lo seppe lo Sforza,
lo impedì, temendo che si potesse entrare in trattative di
accordo, per le quali non mancavano fautori in Corte. Si par-
lava da alcuni di chiamarlo al confalonierato della Chiesa.
Lo Sforza scattò subito, affacciandone il diritto lui che era
stato fregiato di quel titolo fin dai tempi di Eugenio IV. Si
vantava di essere l’amico del pontificato romano. Chi più di
lui avere coadiuvato l’opera di Niccolò V per rimettere in
pace e riposo « questa afflitta Italia » e per potere « atten-
dere a resistere e comprimere l'impeto del Turco » ? A tale
effetto solamente essersi indotto alla pace coi Veneziani, per

(1) A Roma si riteneva di poter fare una valida resistenza al Piccinino in Ro-

magna, come si vede dalla seguente lettera ai Bolognesi del Bessarione :
« B. Cardinalis Tusculanus Legatus

A tergo: « Magn. compratri et amico nostro car.mo d. Virgilio de Malvitiis ve-
« xilifero Justitie civitatis Bononie.

« Magnifice etc. Per vostra litera semo avisati del transito de Jacomo Picci-
« nino; de la qual cosa commendamo la diligentia vostra. Havemone avisato la S.
« de N. S, e quisti S.ri Cardinali, li quali tutti sono de bono animo a resisterglie. La
« S. de N. S. ha accetate le giente de lo Ill. S. ducha et per quello ha deliberato
« mandare lo arcevescovo de Ragusa, el qual doman partirà de qui. Porete dare aviso
« a Parma como il ditto arcevescovo domane serà in camino per venire per le dite
« gente. Senza quele, ce ritrovam havere qui cavalli 4000 e: fanti doamilia. Sì che

speramo el stato de la Ghesia serà ben seguro cum la S. del novo nostro S. etc
« Dat. Rome, x aprilis 1455 ».
FRANCESCO SFORZA, ECC. 521

venire, cioó, ben presto alla conclusione di quella lega che

doveva essere la forza della penisola. Il papa troncò di netto
il filo delle speranze al Piccinino e levò le apprensioni allo

Sforza, nominando capitano generale e gonfaloniere della
Chiesa il suo nipote Pier Ludovico Borgia. Era dubbioso per
l'aecordo, consigliato dai Veneziani, dal re di Napoli e per-

fino da Cosimo de’ Medici: o dargli uno stipendio che si sa--

rebbe fissato a settantamila ducati o anche cedergli la si-
enoria di Forli. Ma il duca di Milano aveva saputo insinuarsi

nell'animo del papa abilmente: adulava lui e i suoi nepoti,

mostravasi disinteressato e sostenitore del diritto pontificio.
Calisto ne restó preso; senti avversione per il re di Napoli,
di cui ogni giorno divenne più diffidente, e si gettò nelle
braccia dello Sforza, prediligendo i suoi oratori, tenendoseli
di continuo ai fianchi, confidandosi loro in tutto. Un giorno, in
presenza di essi, mettendosi le mani sul capo, diceva: « Se
« il re di Ragona, re de Franza e l' altri signori del mondo me
« fossero cum le spade a la testa, non haveriano forza di
« farmi fare cosa incresese o tornasse in mancamento al Signor
« vostro » (1). L'arcivescovo di Ragusa fu il primo a sentirlo,
dopo che gli pervenne rimprovero dal papa per avere la-
sciato credere ad un accordo, senza intesa del duca di Mi-
lano, col quale doveva procedere unito, perché esercitatis-
simo in guerra e perché sul fatto il più da presso: si atte-
nesse unicamente ai consigli di lui, che a null'altro più in-
tendeva, che a battere il nemico e a mettergli in mano la
vittoria (2): non deviasse dalla sua commissione, badasse ad

(1) Lett. del Novara e di Nicodemo del 22 maggio 1455.

(2) Breve di Calisto III all'arcivescovo di Ragusa del 14 maggio 1455.

Lo Sforza temette che il papa avesse incaricato il Ragusa di trattare l'accordo.
ll papa indirizzògli il seguente breve per levargli di testa quel sospetto :-« Calistus
« pp. III. Dilecte etc. Intelleximus nuper te non immerito maximam admirationem
« cepisse ob certa verba quae ut dicitur, Ven. frater archiepiscopus Ragusinus in par-
« tibus Romandiole commissarius noster protulit de concordia inter nos et dilectum
« filium Jacobum Picininum ineunda. Quod si ita est, nobis summopere displicet. Nos
« enim nihil aliud prefato archiepiscopo in mandatis dedimus, nisi ut istae se con-
« ferret; et si, quod vix credere poteramus, intelligeret predictum Jacobum contra

33
599 L. FUMI

impedire il transito senza muovere alcun tentativo o di con-
durre il Piecinino o di trattare di concordia; cercasse di bat-
terlo: aveva le strenue milizie ducali, aveva le soldatesche
fiorentine, con le quali lo si poteva non pure fugare ovunque
si presentasse, ma vincerlo e farlo prigione. E nominó il conte
Giovanni di Ventimiglia capitano generale. Era questi un si-
ciliano, conte di Gerace, venuto in Roma come ambasciatore
del re di Napoli. Pare impossibile che il papa avesse scelto
proprio un suddito del re amico del Piccinino, mandato per
trattarne l'accordo. Per lettere da Roma del 1" e 2 mag-
gio al conte Guido Rangoni è chiaro che il conte di Ven-
timiglia e Antonio da Pesaro, questo ultimo avversario, come
vedremo, dello Sforza, erano andati là « per aconzare il
« facto del conte Iacomo, quale se tene qua sarà d' acordo cum
« la santità del papa » (1 maggio): e poi: « Li ambasciatori
« de la maestà del re d' Aragona strengono molto lo accor-
« dio del conte Iacomo et tenessi lo haverà effecto » (2. mag-
gio) (1). Vedremo nel corso della narrazione quanto poco
accorto fosse Calisto III ad affidare il comando dell’ esercito
a questo catalano.

Le milizie stanziate in Romagna davano non poco inco-
modo alle terre e ai luoghi, ove avevano poste le loro tende.
Il Malatesta, i signori di Forlì e Astorgio Manfredi di Faenza,
tirando tutti ad un segno, si fecero a dichiarare al Ragusa di

« voluntatem nostram in terras nostras cum exercitu transiturum cum favore gen-
« tium tuarum, quas liberalissime in subsidium nostrum misisti, ei obstaret, et a fi-
« nibus terrarum nostrarum arceret, ac omni conatu transitum eius in terras Ecclesie
« impediret omniaque faceret, mediante consilio tuo, in quo, veluti in optimo ac de-
« votissimo Ecclesie filio summam spem ac fiduciam habemus. Si quid, preter hec a
« prefato archiepiscopo dictum seu factum fuit, preter scientiam ae commissionem
« nostram processit. Quare id significare voluimus nobilitati tue, ut intelligat nos in
« eadem qua prius voluntate persistere, nihilque cum dicto Jacobo Picinino innova-
« turos nisi tuo interveniente consensu, cuius singularem erga nos et R. E. reveren-
« tiam ae devotionem cognitam perspectamque habemus. Dat. Rome apud Sanctum
« Petrum sub anulo piscatoris MCCCCLV die XI mensis Maii. — N. Perottus ». (ASM.
Breve di p. Calisto III dell'11 maggio 1455).

(1) Lettera di Greco e Girolamo al conte Guido Rangone, da Roma, 1] e 2 mag-
gio 1455.

Mor
FRANCESCO SFORZA, ECC. 523

non volerceli per niente: chi rimanesse vincitore alla cam-

pagna, a suo arbitrio (dicevano), avrebbe dato legge a tutta

la regione. Non solo si rifiutavano a dar vettovaglia ai pon-

tificij ma intendevano trattare non altrimenti che capitali
nemici quelli che danneggiassero il territorio. Particolarmente

i signori di Forli, avanti di rimanere oppressi per questa via,
preferivano darsi anima e corpo ai Veneziani. Astorgio aveva

.già comandato in Val Lamona un uomo per casa: e diceva con

la sua brigata « voler fare mari e monti ». Pure, ben presto
temé di avere ecceduto: moroso al pagamento del censo
annuale alla Santa Sede, pensó ai casi suoi, e si rimise,

profferendo per primo le vettovaglie. Pietro Mauroceno,

provvisore veneto, che aveva avuto incarico di accompa-
gnare il Piccinino fuor dei confini, anche egli voleva rispet-
tato il territorio della Serenissima nei movimenti si degli
ecclesiastici, come dei ducali. Il re, ad eccitazione del conte
di Fondi, cercava mettere sospetti sul duca di Milano: di-
ceva di lui che poteva già considerare sua Bologna, sapen-
dosi anche delle pratiche fatte dal Novara in curia per esser
eletto governatore di quella città. Come il duca lo riseppe,

volle dal Novara che da quelle pratiche desistesse.

4. — Due erano le vie che il Piccinino poteva pren-
dere: o andare verso Cesena e di là per la montagna diri-
gersi a Perticara, terra dei Malatesta e poi nel Montefeltr
e nelle terre del conte di Urbino, ovvero per il piano tra-
versare le terre di Sigismondo e farsi sotto San Marino.
Bisognava impedire i passi da una parte e dell’ altra contem-
poraneamente: se si trovava impedito da una parte, si sarebbe
rivolto dall'altra. Il Malatesta che si era esibito a difendere
il suo confine, domandava aiuto di genti. Le avevano pro-
messo i Fiorentini, ma non avendole pur mandate, le si
chiesero al conte di Ventimiglia. Questi conduceva le squadre
dalla Marca di Iesi, ma conducevale a stento: non si volevano
muovere se prima non avessero le paghe. Il Ragusa che ve-
deva di malocchio il sopravvenire del Ventimiglia, non lo
594 i L. FUMI

avrebbe voluto nelle terre del Malatesta, uomo malfido, che
non poteva ricevere a gala nel suo paese un catalano con
le genti in quel partito. Si meravigliava.che chi era in corte
di Roma per il duca non pensasse a questa cosa; ma più
che altro, egli che aveva sognato i trionfi militari e tutta la
gloria per sé, aveva a male e sembravagli « dura cosa che
« altri habia haute le fatiche et li affanni, et poi in uno su-
« bito venga altri ad pigliare la gratia » (1).

A Roma si andava in cerca di denari per spacciare il conte
di Ventimiglia: « e si troveranno prestissimo (scriveva il No-
« vara), perché il papa non ha ancora facto verun depositario,
.« cioè thesaurero de Sua Santità, et molti cercano d'essere
« et prestare dinari. Comprendiamo il papa non vorrà mu-
« tare el magnifico Cosimo del detto depositariato, et Cosimo
« non si cura de essere, et li Mirabili da Napoli lo cer
« cano » (2).

Non aveva torto il Ragusa di non sapersi dar pace
della nomina del conte di Ventimiglia. Fin dalle prime, il
capitano generale si fece vedere tutt'altro che alacre e ri-
soluto. Mentre il papa aveva poco prima insistito col Ra-
gusa per dar battaglia, il Ventimiglia comandó al Ragusa
stesso di badare bene a non attaccarsi col Piccinino a fatti
d’arme, in verun modo: troppo maggior vantaggio avere un
campo governato per mano d'un solo, che non un altro go-
vernato per man di più: esser dubbioso l'evento delle bat-
taglie, quando, in specie, non passa gran differenza nel nu-
mero dei due eserciti: non doversi comprometter la vittoria
che non mancherà di arridere quando tutte le genti siensi
riunite insieme.

Mentre tutti questi si perdevano in parole, il Picci-
nino destramente si aprì la via e per Cesena passò oltre.
La sua diversione giunse a tutti inaspettata. Lo credevano

(1) Lett. del Ragusa al duca da Castelbolognese, de' 10 giugno 1455.
(2) Lett. del Novara da Roma, de’ 12 giugno 1425.
me

} FRANCESCO SFORZA, ECC. 525

assalitore della Romagna, e invece lo videro prendere la
direzione verso Toscana. Lo Sforza che aveva tanto rac-
comandato la guardia ai passi, constatò il grande errore
commesso dai pontificî, i quali oltre non aver saputo pre-

cludere le vie, non furono nemmeno buoni ad inseguire. Ci

rimase male il Ragusa, che invece delle sognate palme del
trionfo, si trovò con le mosche in mano. Tardarono i Fio-
rentini con gli aiuti promessi; tardarono i soldati del Venti-
miglia che si attendevano dalla Marca: pochi parvero i suoi
al Ragusa per potere dar battaglia.

Nessuno aveva potuto trapelare i disegni del Piccinino,
finchè, entrato in Toscana, non stanziò nell’ Umbria, fra Borgo
ban Sepolcro e Città di Castello (14 giugno). Pochi giorni
avanti la morte di Niccolò V, si parlava in Corte che egli
potesse passare in quel di Lucca, « per pigliarsi quella città »

e « venderla al duca di Modena » : se non gli fosse riuscito,

sì sarebbe voltato contro i Genovesi per conto del re di Na-
poli. Nicodemo da Pontremoli giudicava questo partito essere
il peggiore per lui, se già non determinasse passare in quel
di Siena, perchè per quella via sapeva i Fiorentini non aver
gente, e perchè così avrebbe sfuggito le provvisioni del
duca in Romagna (1). Se qualcuno avesse potuto pensare che
egli tendesse a Perugia, una lettera da lui indirizzata a Gi-
berto da Correggio fa invece conoscere che meditava un
tiro col castellano della rocca di Orvieto, mentre già aveva
divisato di drizzarsi nel senese (2). Il vescovo di Ventimiglia

(1) Lett. di Nicodemo da Roma, 20 marzo 1455.

(2) Tutto ciò si raccoglie dalla seguente lettera del Piccinino a Giberto da Cor-
reggio del 18 marzo:

« Magnifice et potens domine tamquam frater honorande.

« Io sono advisato da uno amico secreto da Roma che uno Giorgio, el quale alias
« fuggì da Francesco mio fratello, et nunc é castellano della rocca d'Orvieto, novamente
« ha conducto fanti et balestrieri. Et de bocca sua é escito ch'el vole tenire quella

‘« rocca ad mio nome, et che alias, a tempo di papa Niccola, havia pratica con lui di

« questa materia. Me pare, et così vi conforto, che vogliate trovare modo per fare
« fuggiare uno vostro familio et scriverli, per brevisello, in mia persona, se bene
« [non ave]ste el mio suggello, su quello tenore che vi parerà, facendoli ogni pro-
526 L. FUMI

fu il primo ad avvisare il duca il 19 giugno che il Conte
quella mattina era andato ad alloggiare al Borghetto presso
il lago, « unde se tene vada in quello de Siena ». Infatti
era dai Senesi che voleva farsi pagare lo ecotto.

Aveva dei vecchi conti da saldare con loro che non avean
mantenuta la promessa fatta a suo padre di pagargli venti-
mila fiorini quando andò al soccorso di Lucca. Ora egli vi-
stosi negare un imprestito loro domandato in quel suo biso-
gno, per cui si diceva abbandonato da tutta Italia, veniva
a prenderseli da sé. La decisione doveva già esser fatta da
qualehe tempo: certo, alla metà di maggio, era già risoluto
al suo passo, come dalle sue lettere a Giberto da Correggio

« missa ... cum quale altra miglior via vi parerà di cavare pratica, dico, sopra. que-
« sta materia predecta, adherendo lui alla opinione nostra, et volendo lui adiuto et
« soccorso, o altramente fate ... a tutto quello che sapia adomandare che vi pare
« poterlo fare et advisatemi subito de la voluntà sua, etiam se vi pare ch'io possa
« più una cosa che un'altra, in executione de questo facto nostro. Apresso, consi-
« derati li rispecti già scripti per altre mie, et considerato, quando ben vi volesti
« levare de lì, attento 1° ingratitudine che quella comunità de Sena ha mostrato ad
molte persone, como sapite, che non sono possuti campare netti dal paese suo,
non so se la M. V. se ne potesse cavare co la coda intera. Sperome et così me
confido in opinione, che servando li modi advisati, debbiate stare lì et tenere
quello loco de Sovana a vostra possanza, fin tanto che io sarò lì. Sì etiam faces-
sevi pensiere de partirve, per l'amore che me ha portato sempre quella comunità
de Sena, la quale a vui et per li beneficii ricevuti et per mio rispecto ve saria
gratissima et farane ogni bono tractamento, essendo gli, mi vi porrete cavare con
maggiore honore, reputatione et commodo et più secùramente che non fareste al
presente, non essendo gli, ma più tosto staresti ad pericolo. Sì che fate bono pen-
sero et subito advisatemi de la deliberatione vostra.

« Jacobus Pic. de Aragonia Vicecomes

« et armorum capitaneus.

« P. S. — Io vi mando Giovanni Hungaro et due conestabili che li teniate ap-
presso per vostro magiore brazo, li quali vi prego accarezate et humiliate con
« vostre bone parole, et con dirli ch'io le farò, et dico presentim Zuanne Hungaro,
« el quale ve ricomando; et ultra a questo, me pare provediate di tirarvi appresso
« tutto quello più numero di cavalli et fanti che possete per magiore secureza del
« facto nostro, et bisognando più una cosa che una altra circa le materie predecte,
« advisatemene.

« Mensole, die xviij maij 1455.
A tergo: « M.co et potenti tanquam fratri honoran.o domino Giberto de Cor-
« rigia militi et armorum capitaneo ».

XX

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FRANCESCO SFORZA, ECC. 27

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fin da quando si trovava a Mensole, nel ravennate. Alla fine

«di quel mese lo avvisava che farebbe il suo cammino per
quel d’ Urbino e verrebbe a Città di Castello; da Castel della

Pieve si farebbe oltre coi capitani Matteo da Capua e si-
gnor di Forlì. Sperava di poter aver dalla sua Guido Ran-
goni, Sigismondo Malatesta e il conte d’ Urbino, tutta gente
che cercava di tenere il piede in due staffe e teneva a
bada lui e lo Sforza insieme (1). Stimolava il Correggio a
mettersi d'intesa col conte Everso d’ Anguillara per appic-
care maggior fuoco che fosse possibile nel senese, dove quel
signor Giberto già teneva in sue mani le terre di Vitozzo e
di Sovana: esortavalo a fare più acquisto e maggior danno
che potesse, chè prestissimo si congiungerebbe insieme con
lui e raccomandavagli di lasciare « tal governo e custodia
« in quella terra », che non potesse fuggirgli dalle mani. Seri-
veva ad Antonello da Forli di unirsi al Correggio; al conte
Aldobrandino di Pitigliano di sollevarsi e « saltare animosa-
mente su l'impresa » con lui, ché quello era il tempo. Il da
Correggio tentennava. Avrebbe voluto una condotta dal papa
e vi metteva intermediario lo Sforza: questi, che doveva
conoscerlo malfido, lo raccomandò, per così dire, a mezza
bocca. Tentato dal Piccinino e dai Senesi insieme, dopo
molto esitare, si lasció andare al partito di Siena, proprio
quando il Piecinino, penetrato nel dominio di quella repub-
blica, assalita Cetona, la faceva sua. Era il secondo scacco
che subivario i suoi avversari, e lo Sforza ne indispetti. Mal-
contento che il Ragusa avesse aspettato ben. dieci giorni a se-
guire il Piccinino, dandogli cosi tutto l'agio di fare il fatto

(1) Vedi lett. del Piccinino da Mensole 29 e 31 maggio 1455 al Correggio. Ma
un breve pontificio de' 15 giugno al signor Sigismondo dimostra che a quell' ora il
papa non aveva più sospetta la sua fede: gli riconfermò il vicariato nel modo stesso
che lo aveva accordato Niccolò V per interposizione dello Sforza, a cui il Novara,

| suo ambasciatore, scriveva che la conferma era avvenuta « al dispetto del mondo,

solo per contemplazione de V. S. col mezzo mio ... et non é stata poca gratia ». (Lett,
da Roma 28 giugno 1455). :
528 L. FUMI

suo, cercò rimediare a quella grave tardanza, ordinando ai

suoi di seguitarlo fino in quel di Perugia. Ma anche qui non
ebbe il suo intento. Mentre i ducali avrebbero dovuto filare
« recto tramite » dietro le orme dell'avversario, fecero, in-
vece, un lungo circuito e tale una volta, per una sbagliata
vista del conte di Ventimiglia, che perdettero il tempo utile
a raggiungere il nemico e a impedirgli la conquista di Cetona.
Era questa una delle più belle e ricche terre del senese.
Non molto lungi, Sarteano, altra grossa terra, stava per ca-
dere nelle mani del Piccinino, se egli non avesse toccato,
nellassedio di essa, una ferita. Da lui stesso è narrato il
fatto in una lettera a Malatesta Novello de’ Malatesta di Ri-
mini, del 18 giugno (1).

(1) La lettera é del seguente tenore :

« Magnifice et potens domine frater maior honorande.

«In questa hora ho inteso una lettera de la S. V. per la quale resto ad-
« vixato de li progressi intendono fare quela gente etc. De che summamente
« La rengratio, pregandola che la faccia cosi per lo advenire de quanto le ac-
« caderà sentire. Et io per lo simile farò verso epsa: la advixo che heri ne partii
« da la Ciptà de Castello e veni ad alogiare al Borgetto che fo una gran gior-
« nata e mala via, per venire presto in su la impresa et a cogliere questi Senesi

« sproviduti. Et per la via venendo in qua, son stato molto più amorevol-

« mente visitato et accolto da Perusini che non haria potuto pensare, né cre-
« dere: quali, non obstante che monsignore Legato non glie volesse assentire
« che me dessero vituaglie, finché non venisse certa risposta da N. S., da la cui
« Santità non é per anchora venuto altra chiarezza del fatto mio, per Consiglio
« generale ordinarono volonteri tutti che, senza aspetare altra risposta dal papa,
« me fosse dato vituaglia et ogni altra cosa che me bisognasse. Et similiter,
« contra volontà del prefato monsignore, havendo io richiesto quatromiglia ducati
«in presto per certi mei presenti bixogni, hanno ordinato farmeli prestare de bona
« voglia, senza aspetare alchuna risposta dal papa, come voleva el prefato monsi-
« affieionatamente offerto ognie altra cosa a loro possibile, che comoda, grata e
« honorevole me sia. Et breviter dicendo, l'una e l'altra parte me hanno fatto, in-
« sieme et seperate, grandissime offerte, et io a tutti ho date bone parole ; per modo
« che me pare che poria disponere de quel stato come me piacesse. Ma, per le cose
« raxonate cum la V. S., non me ne voglio impaciare. Hoggi son venuto dal Bor-
« ghetto qui a Cettona et ho passato habilissimamente la Chiana per alchuni ponti
« fatti da li homini del Castello de la Pieve; et smontato che fui, fatta colazione,
« rimontai a chavallo per andare a vedere como era forte la terra; et subito me
« seguitarono una bona parte de le mie genti. Quali giunte a la terra, senza dire
altro, né aspetare aleuna provixione de spingharde, né schioppetti, né balestrieri,

Dé nio Dorm rn n^ zen

RTAS

FRANCESCO SFORZA, ECC. 929

Il papa, udita la mossa del Piccinino, adunò il Conci-
storo per sentire il parere del Collegio. Tutti i cardinali ri-
sposero doversi seguitare il Piccinino e disfarlo: i capitoli
della lega ciò imponevano: era necessario per poter poi
attendere alla guerra contro i turchi: il duca di Milano lo
consigliava, perchè il venturiero fermando il piede in quel
di Siena, avrebbe pur buon giuoco per offendere la Chiesa.
Così fu concluso. Il cardinal camerlengo fece alcuni ricordi
delle cose che erano da fare: e li diè in scritto al papa, pre-
gandolo di tenerli segreti, in specie a riguardo del capitolo

quarto della lega che toccava direttamente il re di Napoli so-

spettato fautore del Piccinino. E il pontefice accettando quei

« saltarono no le fosse et subito intrarono nel borgo et deinde in la terra, locho
« fortissimo più che niuno altro che sia in questa rivera, secondo me dicono quisti
« homini, et la misero a saccomanno in spacio de una hora inseme cum li foristeri
« che ce erano dentro, a magior furore che se vedesse mai sacchegiare terra ve-
« runa. La roccha se tene anchora: spero che non passarà domane che la se ren-
« derà. Et io faccio pensero, non guardando a la dicta roccha, de andare domane a
« Chiuxe, dove é Piero Brunoro, o a Sartiano, et se me aspetaranno che prima non
« se accordino, farò de quelle, come ho fatto de questa. E non dubito niente che
« ogni pensero me reusirà, perché vedo queste mee genti tanto bramose de guerra
« e animose e gagliarde a seguirla, quanto già bon pezzo fa vedesse alchune altre
gente.

A

« Messere Ghiberto et el conte Averso hanno mandato qui per intenderse e
metterse inseme cum mi. Et io li ho remandati a loro cumli pareri mei. Et spero
« piaceranno a la V. S., la quale serà de hora in hora advixata de quanto seguirà.

« Me racomando a la V. S.

A^

A tergo: « Magnifico et potenti domino fratri honorando domino Malateste No-

« vello de Malatestis, Arimini.

« Jacobus Picininus de Aragonia ». -

« P. S. — Essendo andato questa matina per provedere Sartiano,li homini me
« mandarono a dire che io non volesse lassare acostare li mei a la terra et che li
« facesse retornare in dredo, perché etiam loro domandariano li loro homini che
« erano posti a le diffese et si se consultariano inseme e questa sera me. fariano
« dire cosa cbe me piacerla. Et cosl, facendo io retrare li mei, fui ferito de uno
« schioppeto in la gamba dritta, cioé ne la polpa, e la palotta passò da uno canto a

. « l'altro, ma non tocchò, per la Dio gratia, niente de l'osso, sì che ho sì poco male,

« che posso dire de non haverè male alchuno, perché per questa ferita non starò
« de chavalchare et fare quanto me occorerà.

« Ex castris die xx junii.
«Idem Jacobus etc. ».

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etc

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530 i L. FUMI È

ricordi, disse che per tutti sarebbero stati segreti, fuori che
per il duca di Milano, a cui indirizzò un breve per dirgli
che il Piccinino, disceso nel senese, sarebbe stato non meno
molesto alla Santa Sede che se fosse venuto nelle terre della
Chiesa. Bisognava respingerlo come perturbatore della pace
d’Italia; per questo mandava il dottor Battista de’ Brendi,
affin di levare le milizie ducali dalla Romagna e spingerle
addosso all'aggressore, come già aveva ordinato il duca
stesso (1).

Il re per tutto questo sempre più spiegò il suo mal umore
verso il papa, che vedeva attratto dietro l’ orbita del duca
e alienato da sé. Aveva guasto il sangue coi Senesi e ve-
deva non mal volentieri quella mossa contro di loro. Quelli
che lo sollecitavano a favore del Piccinino avevano posto
speranza nelle persone incaricate .dal re di vedere se poteva
darsi quel favore senza venir meno ai patti della lega. Erano
il Baccicaluppi, il conte di Fondi, il conte d'Agliano, Frate Puc-
cio e ser Antonio da Pesaro; tutti amici del Piccinino o ne
mici del duca. Ormai non si poteva più dubitare delle ten-
denze aragonesi: quindi il camerlengo credeva doversi far
presto quello che doveva farsi, avanti che il re entrasse nel
ballo. Il papa scriveva a Milano per una interposizione co-
mune del duca, dei Veneziani e dei Fiorentini col re, per-
chè questi nelle cose del Piccinino si contenesse conforme
alla sua dignità e al suo onore (2). -

5. — L’arcivescovo di Ragusa, passati i monti senza al-
cun impedimento, a fin di giugno era arrivato nel territorio
di Assisi. Quantunque la sua prima idea fosse di andare per
quel di Arezzo e di Cortona, e di là entrare nel Chiusi di
Perugia, a congiungersi con le altre genti della Chiesa con-
dotre dal Ventimiglia, pure, come fu a Città di Castello,
mutò avviso. Temeva che il capitano generale non rice-

(1) Breve di papa Calisto III al duca, del 21 giugno 1455.
(2) Nell'Archivio di Stato è copia di un breve senza data di tal tenore.

RRIIAM rime M — ese.



FRANCESCO SFORZA, ECC. 581

vesse qualche intoppo dal Piccinino nella sua venuta e, per
la migliore, prese il partito di eleggere quest'altra via che
era più sicura e più comoda per poter congiungersi con le
altre milizie.

L'oratore ducale Nicodemo da Pontremoli era stato dal
papa spedito nell’ Umbria per sollecitare il cammino dei ponti-
fici. Giunto anche lui presso Assisi, credette alla voce fatta cor-
rere dal Piccinino della sua venuta in quel piano: dubitando
dei Perugini, mandò scolte per ogni luogo, tenne gli uomini
d'arme in perfetto piede di guerra, tutti vestiti e con ogni
loro arnese, non trascurando alcuno di quei provvedimenti,
tutti propri della dottrina e scuola sforzesca, sopratutto nella
scelta della posizione strategica, da poter battere il nemico
più al largo che allo stretto. Ivi pensava potere stare fino
alla venuta delle genti della Chiesa. Ma, « per non disfare »
Assisi che aveva già patito « morte e passione » per il duca,
Si decise a portare gli alloggiamenti fra Bettona e Bastia,
massime perchè danni sì gravi sarebbero stati comuni sì per
Assisi, sì per Perugia, Cannara, Spello, Bettona e Bastia: poi
perchè quell’alloggiamento sarebbe stato più forte. Egli cono-
sceva perfettamente tutti quei luoghi: vi era stato col Pa-
liano a campo anni prima. Lì si darebbe maggior favore alle

genti della Chiesa che allora si trovavano sulla Teverina,

Sotto Baschi, in quel di Todi e di Orvieto (1). Infatti, le mi-
lizie sforzesche condotte da Corrado da Fogliano e da Ro-

(1) Nel passaggio degli Sforzeschi per l'orvietano, le ubertose campagne non
rimasero immuni da danni. Il comune di Orvieto mandò due ambasciatori al papa
per dolersene. Nella foga oratoria rappresentarono le soldatesche con tinte vivaci
e conchiusero che quella gente d'arme e il duca di Milano non potevano che essere
nemici del papa e della Chiesa. Il papa sapeva che l'oratore Calcaterra si trovava
in anticamera; lo fece chiamare e lì in sua presenza volle dare agli orvietani una
buona lezione. Parlò, in risposta, tanto altamente degli obblighi che lui e la Chiesa
avevano verso il duca di Milano e con tanta riprensione per i loro giudizi temerari,
che il Calcaterra ne restò stupito e confusi i poveri orvietani che si ritrassero mor-
tificati. Rimasto il papa col Calcaterra, gli fece: « Non te pare gli habia risposto

« come meritano? » E il duca, appena informato, se ne compiacque. (Lett. del Calca-

terra al duca, del 7 agosto 1455).
539 L. FUMI

berto da Sanseverino, erano accampate il 2 luglio a Bettona.
Il Piccinino, che aveva l'arte di eludere gli avversari, si
era levato da Sarteano, era andato a porre il campo a Fi-
chino, poi a San Casciano, e vi aveva dato battaglia, ma
dovette ritrarsene con la peggio; poi fu a Sovana e a Montoro,
luogo della Chiesa ai confini del Senese (1).

Perugia non mancava di dare favore al Piccinino. Pro-
misegli denaro e vettovaglie. Col pretesto dei danni che le
milizie sforzesche inferivano al suo territorio, minacciava
ribellarsi alla Chiesa. Nicodemo da Pontremoli sali fino al-
l' « Augusta », e, presentatosi dapprima al governatore che era
sforzesco, l'areivescovo di Benevento, con lui duró poca fa-
tica a farsi intendere: ma quando fu alla presenza dei Priori,
penó assai a persuaderli. Dai grani infuori non si potevano
lamentare danni: d'altronde, non si poteva dare ai cavalli
se non grano. Tanto disse, che riusci a calmare la loro
esasperazione. Forse le voci corse erano esagerate, poiché
nel contado non solo non si senti un lamento, ma la gente
si faceva avanti al passaggio delle soldatesche. Diceva Ni-
codemo: « Queste terre tutte corrono per meraviglia a ve-
« derci come una sagrestia o reliquia, e con bona ,maniera
« ne sforzamo ad omne modo et per omne via servarceli
« benivóli et amici ».

Il Piccinino, abilissimo nello stratagemma di tener tutti
a bada, da un luogo dove pareva indirizzato in attesa di ve-
nire a qualche fatto, passava improvvisamente ad un altro.
Verso il primo di luglio si avviava alla volta di Pitigliano.
Nicodemo deplorava il danno della tardità che ponevano gli
ecclesiastici a sopraggiungere per tagliare il sentiero alle
squadre braccesche. Lamentava che il papa si lasciasse in-
gannare e trattare « come putto o decrepito ». Scriveva al
duca il 2 luglio: « Ho veduto le lettere, a Perosa, de gran

(1) Lett. di Giovanni Bichi oratore senese in Firenze, da Firenze al duca, de’ 4
luglio 1455, ASM, Siena ad an.
——
un

FRANCESCO SFORZA, ECC. 533

\

« maestri cortesani, quali hanno saputo tanto fare, che oltra

« mettere Perosa ad pericolo di fare rebellione contro Nostro
« Signore, hanno ancora obtenuto che Perosini mandano, do-
« mane o l'altro, ambaxiatori in Corte a favore del conte Ia-
« como et sonno de li principali del stato de Perosa ». L'indo-

mani, per il piano d'Orvieto, sarebbero mossi ad Acqua-

pendente i pontifiei per trovarsi a fronte col Piccinino. Egli
non si dovette nascondere il pericolo che lo attendeva. Scrisse
ai Perugini: s'interponessero col papa e non soffrissero
che si volesse la sua rovina. Intanto chiedeva loro quei
seimila ducati che gli avevano promesso senza guardare alla
proibizione avuta dal papa (1); e usando della sua solita tat-
tica, si rivolse al capitano generale pontificio per dichiararsi
buon suddito e scagionarsi dalle accuse che gli venivano
fatte. La lettera del 4 luglio scritta presso Manciano è una
curiosa dimostrazione di quegli infingimenti che si usavano
non solo nei gabinetti diplomatici, ma anche fra bellige-
ranti (2). Al tempo stesso cercava sobillare il suddito ponti-

(1) Lett. di Nicodemo al duca, da Bettona, 2 luglio 1455.

(2) La lettera del Piccinino si ha in copia, e la copia non dà l'indirizzo: al
Ventimiglia e non ad altri poteva esser diretta: vi é manifesta la allusione alla am-
bizione dello Sforza

« Magnifice et excellens domine tamquam pater honorande.

« Perché già molti dì é vociferato che io veniva a le offese e danni de Nostro
« Signore et de lo stato di S. Chiesa, ho deliberato notificare a la S. V. che tucte
« queste voci sonno state falze et inique, sparte da quilli emoli mei che non per
« amore portino a la S. de N. S., ma per odio divisato a me et per volere socto
« quisti falsi coluri tirare la prelibata S. et successive tucta Italia a li soi appetiti
« et designi. Io fui filiolo de b. m. de nostro padre, el quale prese summa cura et
« mise ogni suo ingenio et forza ad recuperare el stato de S. Chiesia, straziato da
« li tirandi et sublevallo, et il papa allora che peregrinava fuora del stato suo remise
« nel suo stato et in la sua apostolica sedia de Roma. Li quali stili é mio debito et
« honore et totale intentione de seguitare, et intendo essere quello che non solum
« non offenda, né faccia alchuna cosa che dispiaccia a la prelibata Santità né ad
« altra cosa de Santa Chiesia, ma che io defendo epso stato contro qualunque po-
« tentia li volesse offendere et portarli tucta quella reverentia che deve fare qua-
« lunche devotissimo servitore et buon fiolo de S. Chiesia, et questo per li respecti
« che ne son debitore, come vero et buon christiano, et pergseguir el camino et la
« devotione predecta che seguì el prefate mio padre, et per amore e riverentia della
« Maestà del mio ser.mo Re, quale é una cosa medesma con la prefata Santità de
531 L. FUMI

ficio Ugolino conte di Corbara, nell'Orvietano, e gli profferiva
Cetona che molto doveva piacergli, per essergli stata altra

« Nostro Signore. Unde, como io liberamente notifico a la V. S. el pensero et dispo-
« sitione mia verso la prefata Santità et el stato suo, cossì havirò carissimo et prego
« la S. V. me voglia avisare del pensero et dispositione de la S. Santità verso di me,
« in la quale sommamente spero, et credo non voglia per la sua sanctità et iustizia
« mal disponere verso lei ch'é ben disposto, ma piü tosto confirmare in sua bona
« devotione, da la quale non intendo deviare fino che viva, et in specialità essere a
la V. S., per reverentia de la prelibata Santità et del prelibato nostro ser.mo Re,
de.cui son totale creatura, et per l'amore che vi portò la b. m. del prelibato mio
« padre et che io per lo simile hereditariamente vi porto, mi ofro in tucto ad ogni
« vostro onore et piacere, quanto mio proprio.
« Ex castris meis apud Mantianum die ni Julii 1455.

^ ^

« Iacobus Piccininus de Aragonia.
« Vicecomes Armorum Capitaneus ».

Alla domanda del Piccinino non mancò la risposta che le si conveniva, astuta,

del pari: così il Ventimiglia:
« Magnifice et potens domine honorande salutem.

« Habiamo receputa Vostra lettera per la quale dite voi essere buon figliolo et
« servitore de S. Chiesa et de la S: de N. S., seguendo le vestigie de la b. m. del ma-
« gnifico capitano vostro padre e come fidele et vero christiano, che molto ce é stato
« grato, etlaudamo el vostro buon proposito. Respondimove che habiandone la pre-
« libata S. de N. S. per quello che voi dite, la S. V. sarà sempre da noi come optimo
« fratello tenuto etreputato et maiormente essendo creatura del serenissimo signore
« Re a cui sono vassallo et servitore ».

Mandate le copie e della lettera del Piccinino e della risposta del conte Janni
allo Sforza, questi il 16 luglio rispose a Nicodemo:

« Sono delle sue arti usate: et mò ch’ esso c.te Iacomo non ha potuto man-
« dare ad executione li disegni soi, quali erano contro la S.tà de N. S. et S. Chiesia,
« cercha de riconciliarsi et captare benivolentia con essa con monstrarse suo ser-
« vitore; ma credemo chel pensiero non li reuscirà, perché questa arte ó più di
« intesa ». o \

Con la medesima finzione si comportava verso i Senesi. Si può vedere dalla
copia di una lettera che non possiamo precisare a chi in Siena diretta; forse a Ia-
copo Guidini o a Bindo de' Bindi, oratore al pontefice:

«Spectabilis et eximie doctor frater car.me.

« Io ebbi uno di questi di una vostra amorevole lettera, alla quale convenien-
« temente risposi et la mandai per uno delli vostri di là la quale non sento hab-
« biate auto, come porria accadere. Unde, per rispundervi, dico-di novo, che non
« per alcuna mia volontà, ma: per mia necessità et forza sono venuto in queste parti,
« et ho facto come quello figliolo che richiedendo el padre nelli suoi bisogni et es-
« sendoli usata durezza, pure se caccia in casa ad torsi del pane per riparare ai suoi
« bisogni al meglio chel può. Io non mi specchiai mai tanto in l'amore et carità della
« bona memoria de mio padre, che me abbia sempre facto in lo magnifico et excelso
« stato di Siena, né mai piü desiderai sublimare Peroscia che Siena. Et per questa

EEUU ED —————————————Ó—Á———————(—V A A-—Á aA

i II
nM

FRANCESCO SFORZA, ECC. 939

volta data dallo Sforza, padre del duca, come dote della .mo-

glie che era di quella parentela (1).
Gli ecclesiastici stavano ormai per concentrarsi tutti in-
sieme e dovevano dare la stretta al condottiero. Braccio Ba-

- glioni, Napoleone Orsini, il principe di Salerno, il conte Everso

e il signor di Camerino comandavano la cavalleria. Veni-
vano poi i drappelli di Iacopo da Sangemini, di Giampicci-
nino da Correggio, di Matteo da Rieti, di Antonio di Checco
Rosso, di Pietrangelo e Iacopo Orsini. Fra squadriglieri e
lancie spezzate facevano un buon migliaio. La fanteria com-

« mia optima fede et volontà et per li meriti della bona memoria de mio padre,
« quale non fo mai mancho proteptore ad Siena che ad Peroscia, non me haveria
« mai creso, che se tucto lo resto de Italia me havesse habbandonato, che Siena me
« havesse mai lassato in alchuno pericolo, né termine di perire: ymo havaria creso
« che se tucte le potentie de Ytalia me havessero voluto disfare, che esso stato di
« Siena, per salvarmi, come suo principale membro, me havesse dovuto pro totis
« viribus aiutare. Contra la quale mia totale speranza, ebbi repulsa ad un pocho di
‘« mia richiesta, che come fiolo pieno d'amore et confidentia ad questo stato, alli di
« passati feci, pur non di meno so contento et rimecto chel padre possa dare le re-
« pulse al figliolo, como li piace. Et concludo cosi, che quantunque mi sia stato forza
« venire a tuor del pane, como é ditto, tamen mi resta, et non so però privato dello
« antiquo et saldo amore et benivolentia che, herede di mio padre, ho portato sempre
«ad quella excelsa comunità. Et mi contento essere più mai amorevole, fedele et
« partesano fiolo di quello stato, quando da esso non manchi racogliarmi et sobste-
« nermi per suo fiolo: che se bene si considera, non può però esso stato elegersi in
« Italia uno .fiolo più fedele, né più partesano suo de me a la conservatione, salute
« et reputatione sua, per la quale non refutarò mai mettere la vita et le genti mille
« volte el di et l'ora, quando esso accadesse per lo bisognio et gloria d'esso stato.
« Ve dico el quore e la mia sincera intentione: alla V. respettabilità sta mettere
« quella cura et pensiero in quella parte che li pare, offerendomi per lei come per
«- ottimo fratello che per l'antiqua amicizia vi reputo.
« Ex castris apud Mantianum die vii julii 1455.
« Iacobus Piccininus de Aragonia
« Vicecomes ».

(1) Il duca di Milano in proposito di ciò scrisse ai Senesi. Quando il conte Ugo-
lino si volle scusare per l’andata fatta nel campo del Piccinino, gli mandò un so-
lenne rabuffo. Gliela passò, dicendo che lo teneva per un uomo « possessor bone
fidei », a cui furono date ad intendere bubbole assai: anzi lo raccomandò a Roma
perché non gli toccasse peggio (Lett. ducale del 19 luglio 1455 agli oratori in Roma).
Vedasi la copia di un breve di Calisto III del 14 agosto 1455 che è senza indirizzo, e
forse potrebbesi giudicare diretto al Corbara. Vi si dice così: « Vos cupitis atque
« poscitis persistere (Antonium Petruccii) in arcis Scetonii recuperatione, ut loco-
« rum peritum et rei aptum perficiende, licet a dilecto filio N. V. et R. E. capitaneo

« generali non fuerit per litteras evocatum ».
536 L. FUMI

posta di duemila e trecento paghe e novantatre lancie, aveva
le compagnie di Andrea Corso, dello Scalogna, di Iacopo del
Bello e del Sangemini, dello Sbardellato di Narni, del Vec-
chia da Lodi, di Bartolomeo dell’ Aquila, del Saccoccia, di
Giovanni Passaglia, di Gianfrancesco dal Bagno, di Pietro da
Somma, di Nieoloso Corso, di Benedetto dal Borgo, di Ma-
rianetto da Pisa, del Valentino e di Giuliano da Castelnuovo.
Entravano nel numero anche balestrieri e scoppiettieri del
conte Everso e fanti a piè di Antonio di Checco Rosso. Ma-
rescialli dell’ esercito erano Napoleone Orsini, Deifebo e Asca-
nio figliuolo del conte Everso, Bartolomeo dei Quartieri e
Angelo de’ Caposelvi, tutti nomi più o meno noti nella storia
militare del tempo. Il Ragusa aveva ricevuto ordine da
Roma di non portar più le bandiere della Chiesa perchè ba-
stavano quelle del Ventimiglia. Gentile della Molara scriveva
da Bolsena: « Queste gente d’arme della Chiesa son poche
« e male in ordine. Gli è il signor Napoleone Orsini con circa
« ottantacinque homeni d'arme, de' quali fa cinque squadre,
« Diofebo e Ascanio figliuoli del conte Everso con cinque
« Squadre piccolissime, e Antonio da Cagli, Iacomo da San-
« gemini e alcune lance spezzate che sono in tutte tredici
« squadre » (1). Con la gente del Ventimiglia si congiunse
tuttavia il Ragusa al lago di Bolsena presso San Lorenzo (2).
Ivi fu tenuto consiglio davanti al capitano generale Venti-
miglia, se muovere subito il campo o fermare gli alloggia-
menti. I più dei condottieri stavano per il partito di levare
tosto le tende. Nicodemo sostenne il contrario. Messo in di-
scussione quale via fosse da prendere per raggiungere il Pic-
cinino, il quale aveva preso altri castelli ai Senesi, Monte-
marano, Manciano e Montacutolo, si voleva prendere quella

(1) Lett. di Gentile della Molara da Bolsena, 7 luglio 1455.

(2) A Luciano Banchi parve bene seguire Agostino Dati che contro l'afferma-
zione del Malavolti scambiò il lago di Bolsena col lago Trasimeno (Loc. cit., pag. 49
e nota 2). Vedasi la lettera del Ragusa dal lago di Bolsena del 6 luglio 1455.

Lose nteger Ly prid
erm

FRANCESCO SFORZA, ECC. 537

di Valentano. Nicodemo dimostrò che allora sarebbe rima-

sto libero al nemico il varco di Perugia. Fu deliberato portarsi
a Montorio. Ivi giunti, appresero che egli era a men di se-
dici miglia da quel luogo. Fatta la rassegna delle forze mili-
tari, si contarono ottomila uomini, fra i quali duemila e tre-
cento buoni fanti.

Nicodemo avrebbe voluto slanciare la cavalleria a fare
qualche avvisaglia. Ma il Ventimiglia non era l’uomo della
fretta. A lui il papa, già tanto indignato per | occupa-
zione degli altri due castelli da parte del Piccinino, indi-
rizzò un breve per dirgli quanta meraviglia provasse per
i suoi indugi ad assalire il nemico che si faceva sempre più
animoso prendendo e saccheggiando le terre dei Senesi. Que-
sti potevano pensare che il capitano della Chiesa si compor-
tasse di proposito in tal guisa e con piena intesa del papa,
incurante che sotto gli occhi suoi medesimi si facesse scem-
pio di quel loro dominio: non esser questo nella intenzione
di lui che avevalo decorato di tale missione per ricavare gli
sperati frutti dal valore, dalla fama e dalla gloria sua. Come
esso papa lo aveva onorato, affidandogli il supremo comando,
così egli doveva cercare di renderlo soddisfatto coll’ opera di
lui che era di sgominare il ladroncello. Smesso ogni indugio
e ritardo, non pur di giorni, ma di ore, subito, senza porre
tempo in mezzo, dovesse spingere l’esercito innanzi e col-
l’aiuto di Dio venire alla pugna, perchè così ‘e i Senesi si
sarebbero persuasi che facevasi di tutto per liberarli da
quella « pestilenza », e il Piccinino, perturbatore della pace
d'Italia conquistata con tanta fatica, « percosso dalla spada di
« San Pietro, posta sguainata nelle mani di tal capitano, pa-
« gherebbe il fio della sua temerità (1) ». Cosi parlava il papa
e così faceva scrivere anche dal vescovo di Novara.

6. — Il manipolo degli Sforzeschi che aveva ingrossato
l’esercito pontificio, e cioè le squadre di Roberto da Sanse-

(1) Breve di Calisto III del 9 luglio 1455.
538 L. FUMI

verino e di Corrado da Fogliano che contavano fra gli altri
valorosi Gaspare da Vimercate, Sforza Secondo Attendolo, Cri-
stoforo e altri, impazienti di menare le mani, andavano fa-
cendo piccole scaramuccie. Il 10 luglio Nicodemo avvisava
dal campo posto presso la Fiora, di aver avuto fatto d’armi
e aver guadagnato più di cento cavalli, e dei migliori, del
Piccinino. I nemici si erano avanzati fin su gli alloggiamenti :
« Montando (scriveva al duca) li signori Corrado, messer
« Roberto et io a cavallo, se sachegiavano li logiamenti no-
« Stri proprii e faciasseci a lanzate e vertonate: tamen non
« fugimo, chè potevamo; ma rendemo animo a li nostri e
« montammo a cavalo e salvammo la robba e l'honore vo-
« stro e nostro. Et havia disposto di morire prima che tor-
narvi inanti cum vergogna » (1).

A

Il caso è narrato in un'altra lettera dello stesso giorno
e dello stesso Nicodemo e in una del Ragusa del di 11.
L'alloggiamento era posto, allora, sulla Fiora, fra Pitigliano
e Manciano. Quest'ultima terra conquistata, come si disse,
dal Piccinino, era distante sette miglia da Pitigliano. Lo
scopo era di prendere quella importante posizione. I Piti-
glianesi erano sempre pronti a gridare: « Viva chi vince! »
ma per dispetto ai Senesi, avrebbero più volentieri favo-
rito il Piccinino che non gli altri. Il Sanseverino e il Fo-
gliano consigliavano di prendere le offese: ma il Ventimi-
glia, al solito, rispondeva di non volere rompere per pic-
ciol cosa; esser meglio attendere « a cogliere il nemico in
« grosso ». Le milizie erano impazienti e mal sofffrivano la
carestia delle vettovaglie. I Senesi avevano tutte le ragioni
di sospettare e di pensare piuttosto ad un accordo col Pic-
cinino.

Mentre i capi dell’ esercito pontificio erano intenti a
fare spianate e altre provvisioni cavalcando per il campo,
ecco presentarsi un uomo d’arme del Piccinino davanti al

(1) Lett. di Nicodemo, dalla Fiora, 10 luglio 1455.
PILAR PALI 2133 A REID t

mezzo, si buttano fra i nemici e ne trattengono l'impeto,

FRANCESCO SFORZA, ECC. 539
Ventimiglia. Il parlamentario espose al capitano che il suo
signore intendeva sottomettersi: meravigliavasi di tanto ap-
parato di guerra contro di lui: diceva esser già d'accordo
coi Senesi per alcune migliaia di ducati: non eredesse il duca - :
di Milano mirare a disfarlo per altro « se non per poter me-

« glio manegiare Italia ». Il conte di Ventimiglia rimandato
lambasciatore con parole generali, conferì con i suoi, man-
tenendosi sempre perplesso e temporeggiando, laddove gli S
altri volevano procedere virilmente, secondo le sollecitazioni ive | Jl :
del duea e del papa. Mentre si trattenevano in questi ragio- |
namenti e leggevano i brevi pontifici, si ode il grido acuto
delle scolte: « Alle armi, alle armi! Alla riva dell' aequa! ».
Era al fiume lo stesso Piccinino con i suoi: nascosti fra le
boscaglie foltissime che rivestivano il monte fino alla sponda
del fiume, erano calati non sentiti, non visti. Le prime scolte
caddero sotto le spade braccesche. Il Piccinino scorreva come
un turbine seguito da quattro squadre di fanti con gli el-

metti in testa. Una scolta gli sfuggì di mano e traversò il bo-
sco, dando il grido d’allarme, quando già gli alloggiamenti
stavano per essere invasi. I provvisionati ducali, armati a

finché Roberto da Sanseverino e pochi altri fanno in tempo

ad armarsi, e si lanciano, « come draghi, al maggior peri-
« colo del mondo ». E riescono a ricaeciare indietro gli assa-
litori fino al fiume. Corrado da Fogliano attendeva ad adu-
nare gli uomini d'arme per cacciarli nella mischia. Intanto

il conte di Ventimiglia venuto ad un passo stretto fra gli ec-
clesiastici e i ducali, si trovò assalito. Poco mancò non ri-
manesse preso, se pronti non fossero accorsi a lui quattro
uomini d' arme. Una catenella d'oro che gli pendeva dal collo,

gli fu strappata, nè altro potè fare che ammazzare il cavallo
all’audace rapitore, mentre i ducali, finito d’armarsi, ribut-
tavano i bracceschi dal campo. Le genti d'arme del Picci-
nino, in questo mezzo, giungevano tutte e attaccavansi con

gli sforzeschi nella ghiara del fiume. I fanti avevano il van-
540 i L. FUMI

taggio delle grosse pietre che mena la Fiora, e come usci-
vano dalla ghiara, avevano il vantaggio del bosco vicino e
del terreno che montava. Nel bosco era un fosso naturale
che ai ducali tornava impossibile traghettare. La fanteria
numerosa e gagliarda, lo guardava dal suolo che era a monte.
Pur menavano le mani così forte, che tutta la ghiara rosseggiò
di sangue. Il combattimento durò tre ore intiere. Nessuno ri-
cordava d'aver visto il più accanito fatto d’ arme. Rimasero
morti trentotto cavalli, degli uomini si disse più o meno
di cinquanta. I prigionieri furono trentacinque; fra essi Ot-
taviano da Montefiore, Antonino di Giasco, Scaramuzzino,
Boldrino, Ruggero dei Galli e Battista del Pianello. Ro-
berto voleva impiccarli: l'arcivescovo di Ragusa lo trat-
tenne (1). Ferito a morte fu Matteo da Piacenza. Se Otta-
viano da Montefiore non si lasciava pigliare, fu detto che il
Piccinino non sarebbe scampato. Si era presentato all at-
tacco senza niente in testa. Chi più braveggiò in questo fatto
fu il Sanseverino. « Fece come leone », fu detto di lui; Bar-
. tolomeo de’ Quartieri e Angelo de’ Caposelvi furono sempre
i primi nella mischia; e le soldatesche (dice Nicodemo) non
parevano gente d’arme, ma demoni o draghi. « Era neces-
« sario (concludeva) seguisse questo inconveniente ad voler
« svegliare costoro che andavano a la bonissima et facianoci
« renegare la pacientia » (2).

(1) « ... Ai quali havia deliberato fare malo servitio, ma essendo gli presente
« el Rev. mons. de Ragusa et el conte Zanni capitano, me pregarono non gli vo-
« lesse fare male, e stagando io pur ostinato in fargli male, me comandareno che
« non gli facesse male veruno. Il che m'é stato bisogno stare ad obedientia, e con-
« ira mia voluntà l'ho faeto, e per mio honore non podeva dire el contrario: etc. E
« questa volta hanno havuto ventura ». Cosi Roberto l' 11 luglio 1455. Vedi anche i
dispacci di Gentile della Molara.

(2) Lettera di Nicodemo dal campo presso la Fiora, 10 luglio, e dal Ragusa, 11
luglio 1455. Forse fu in questo combattimento che i due capitani Sforseschi ebbero
a perdere i loro cavalli. Il papa usò loro la finezza di farglieli riavere, e per non
trovarsi pronti due buoni cavalli nelle sue scuderie, ne commise l’ acquisto, spen-
dendo cinquecento ducati per ogni cavallo, e li fece. regalare aggiungendo mille
ducati d'oro in moneta per ciascuno. Roberto e Corrado non accettarono il dono e

c^ petente tes
FRANCESCO SFORZA, ECC. 541

Quando lo Sforza fu informato del fatto, non potè na-
scondere le sue meraviglie col Ragusa per aver fermato gli
alioggiamenti in una posizione tanto favorevole al ne-
mico (1) Piuttosto che congratularsi della bravura de’ suoi,
riconobbe che « l'essere venuto il conte Iacomo ad assal-
« tare quelle zente, gli era piuttosto honore e augumento di
« reputatione, se ben l'havesse perduto qualche cosa, che al-
« tramente »: deploró che il campo fosse situato in modo,
che al conte « sia bastato l'animo di venire ad assaltarlo » (2).
Piü liberamente ancora scrisse ai suoi (3).

Fu un buon colpo di testa giuocato dal Piccinino, ma
insieme un esperimento della gagliardia del campo sforzesco.
Poteva il Piccinino aspettarsi di rimando un assalto. Portò SI
gli alloggiamenti che si trovavano ad un quarto di miglio da |
Maneiano intorno a quelle mura e tenne i suoi, tutto il di ap-
presso, coi fiancali e cogli arnesi indosso. Il giorno 12 gli sfor- |
zeschi, levato il campo, gli si fecero più da vicino, prendendo |
una posizione migliore, pur sempre rimpetto al monte e al bo- |
) E sco, ma in salita più agevole. Il Piccinino non vistosi sicuro,
all'improvviso, la sera stessa, a due ore di notte fece ar-
mare tutto il campo e caricare i carriaggi. Senza suono di
trombe, e fra la oscurità densissima, avviossi, due ore avanti
|. — giorno, verso Castiglion della Pescara e, strada facendo, diè
battaglia ad una terra senese, Ischia, benchè poco vi gua- il

dagnasse, e a di 18, in sull'ora di nona, camminò verso
Piombino, ma con la mira a Castiglione. Era questo castello |

B P
lo rimandarono. Il che dispiacque al papa che ne scrisse un lunghissimo breve al
duca (ASM. Carteggio Sforzesco, Roma, breve di Calisto III al duca in data 17 ago-
sto 1455). iti
(1) Lett. ducale di 17 luglio 1455 al Fogliano e al Sanseverino.
(2) Lett. ducale al Ragusa 21 luglio 1455. 2
(3) Lettera ducale a Corrado e a Robe:to 21 luglio 1455. Questi si giustificarono
con dispaccio 23 luglio.
549 L. FUMI

dopo che lo ebbe cinto di assedio. Situato sulla cima di un
«colle scosceso dal lato del littorale, nel cui fianco setten-
trionale poggia il fabbricato del vecchio paese, mentre alla
sua base orientale giace il borgo lungo l'emissario del pa-
dule di-Castiglione che termina in un piccolo molo protratto
nel mare (1); difeso dal fosso verso terra e dallo scoscendi-
mento del colle verso il mare; sostenuto da un buon pre
sidio aragonese, ritenevasi luogo fortissimo - e difficile a
combattere.

Il Piccinino ebbe un doppio scopo dirizzandosi là: met-
tersi sotto la protezione del re Alfonso e dar lo scacco
ai suoi assalitori. Agli sforzeschi mancarono le vettovaglie
per seguirlo subito e tagliargli la via di Castiglione (2).
Si contentarono di riprendere Montemarano e Manciano,
dove trovarono gli uomini « lasciati netti come bacile da
« barbiere », contro le promesse fatte loro dal Piccinino.
Il 15 si accamparono sotto i bagni del Cotone, (3) in attesa
della risposta del papa al governatore del Patrimonio: e il
papa più che mai insisteva si assalisse il nemico ovunque si
ritirasse, quantunque gli oratori veneti facessero di tutto per
dissuaderlo dall'impresa (4).

Il Piccinino non si fermò mai per la via di Scansano
fino a Batignano. Il suo cammino ci viene tracciato da un
avviso di Nicodemo del 17 luglio: « A li 15 del presente
« avisai V. S. de quanto acadia et como el conte Iacomo
« era andato ad alogiare a Batignano: de poy seguitò
« che, como afamato, andó verso Scherlino, del signor
« de Piombino, et ci prese refrescamento, et heri se re-
« dusse nel pian d'Alma presso a Castiglion della Pescara
« a cinque o sei miglia. Il perché se comprende che esso

(1) REPETTI, Dis. geogr. della Toscana, I, 601.
(2) Lett. Nicodemo 13 luglio, altra Ragusa 14 luglio 1455.
(3) Lett. Ragusa, 14-15 luglio 1455.
(4) Lett. Caleaterra, da Roma, 15 luglio 1455.

passato dalla repubblica fiorentina fin dal 1447 al re di Napoli.

Mo
FRANCESCO SFORZA, ECC. 543

conte Iacomo voglia pur restare a Castiglione, quantunque

« habia facto voce fra li soy de volere tornare in quel de:

« Perosa per val d'Orza o in Romagna per la marema de
« Pisa, per Luca, Garfagnana et Bolognese. Noi l' habiamo
« seguitato continuamente, ma non cum le giornate ha facte
« lui da desperato. Pur anderemo domane a Montepescaro
« col nome de Dio et seremo presso a lui a dodece miglie
« ecc. ». Un altro dispaccio del Fogliano e del Sanseverino
avvisava che il Piccinino camminò venticinque miglia in un
giorno per dirigersi a Castiglione, con l'animo di avere a
fare per via con la gente dei Senesi. Giberto da Correggio
presentendo quella venuta, cercò ridursi ad una fortezza,
ma non potè farlo così presto, che il Piccinino, venendo alla
difilata, non lo raggiungesse : affrontati insieme, incomincia-
rono a fare fatto d'arme. Nondimeno, tutto il danno fu la
perdita di dodici o tredici cavalli: la brigata senese si ri-
dusse in salvo, scaramucciando, a Montepescali (1).
Nicodemo avvisò Cosimo de’ Medici, Lucchesi e Senesi
della mossa del nemico, fece scrivere dal capitano al go-
vernatore regio in Castiglione per conoscere che ne pen-
sasse il re, e si dispose a partire per Roma, non parendo-
eli bene che « Nostro Signore restasse solo a la scara-
« muza » (2). I ducali proseguivano il loro cammino: il 18
arrivarono a Giuncarico, luogo assai sterile e insufficiente
a sostentare l’esercito; nondimeno, essendo comodo per
potere dare addosso al nemico, quando uscisse da Casti-
glione, dove ormai erasi ridotto, vi si fermarono. Dar den-
tro a Castiglione sarebbe stato duro, ma si poteva sempre
impedire la vettovaglia (3). Giberto da Correggio e le genti

(1) Lett. di Corrado a Roberto del 14 luglio 1455.

(2) Lett. di Nicodemo dall'Acquaviva di Grosseto del 17 luglio 1455.

(3) Il capitano generale adunati i condottieri a consiglio, propose d' impedire
la via alle vettovaglie, vietando al signor di Piombino di trasmetterle, ma ordinan-

dogli invece di procurarle per l’esercito e di distrarre gli stipendiari dal campo del.

Picci ino (Lett. del Novara al Calcaterra del 20 luglio 1455)

— "s a

fire e ri

resine 7.

e TI
544. L. FUMI

dei Senesi, in sei o sette squadre, vennero in campo,
aspettando Carlo Gonzaga e Simonetto da Castelpiero con
le genti dei Fiorentini. Per poter meglio stringere il Pic-
cinino, avevano fatto disegno di partire il campo in due:
da un lato mettere Simonetto con Fiorentini e Senesi; e
dall'altro, più pericoloso, le genti del papa, del duca e
le proprie (1) A Castiglione non si potevano accostare
senza disvantaggio, non solo per la natura fortissima del
luogo, ma anche per la gran penuria d' acqua che era
al di fuori. Venendo alla pugna, il Piccinino si sarebbe
rinchiuso nel castello e sarebbe stato d' uopo combattere
la terra, non senza pericolo di urtare l'animo del re (2).
Ma il papa non intendeva ragioni; voleva battaglia ad ogni

costo, e si adirava col Ventimiglia. Eppure, lo stesso duca

di Milano che aveva sempre tanto insistito per l' attacco, di-

cendo che il nemico si poteva spacciarlo in due giorni, ora

poi sconsigliava l'assalto, perché avendo riguardo al sito e

al vantaggio del nemico, sarebbe stata leggerezza provocarlo,

potendo esso senza verun suo detrimento fare con le bom-

barde una grande strage dell'esercito e starsene a ridere,

come diceva bene il Ragusa. Il papa, come seppe quel che

ne pensava il duca, cominciò per il momento a calmarsi.

1. — II Piecinino rinchiuso nella rocca di Castiglione,
vedeva mancarsi le vettovaglie. Non aveva forze sufficienti
per affrontare in una battaglia decisiva un esercito di circa
novemila uomini. Spingeva gli occhi sull'ampia distesa del -
mare, dalla cui parte soltanto poteva sperare gli sopraggiun-
gesse qualche sussidio. Intanto non v'era miglior consiglio
che quello della resa. O sincero o finto il suo atto, si ri-
volse al duca di Milano e gli mandò per un proprio fidato
la carta bianca sottoscritta di propria mano in data 23 luglio
e si rimise alla discrezione del gran rivale. L’affidò ad An-

(1) Lett. del Ragusa da Fiumicino 19 luglio 1455.
(2) Lett. del Ragusa al duca 22 luglio 1455, e di Corrado e Roberto dì detto.
FRANCESCO SFORZA, ECC. 545

gelo de’ Caposelvi famiglio ducale, per mezzo di Ettore Doyon,
dichiarando avere per rato e valido quanto essi facessero
in suo nome col duca. Lo dicevano ridotto allo stremo: « Si
« morano de fame (scrivevano il 31 luglio i capitani ducali)
« e ogni homo è desperato: molti sono fugiti e molti quali
« sono venuti in questo campo e quali sono andati altrove:
« se ne fugieriano anchora molti delli principali e fedeli suoy,
« se havesseno la comodità; ma non possono uscire della
« terra, se infra III o VI di non gli verrà victuaglia per
« mare: é bisogno ch'el venga cum la coreza a la gola » (1).

Il duca, pratico delle gherminelle militari, se ne spacciò
rimettendo la carta al papa (2). « Ve avisamo (scriveva al
« Calcaterra) che havemo remandato indreto ditto misso et
« scripto ad Angelo (de' Caposelvi) che per modo alcuno non
« se ne volimo impaciare, et chel pona fine et silentio ad tale
« pratica, perché questa cosa apartene a la Santità de Nostro
« Signore et non a nuy. Et etiam ne scrivemo a lo magnifico
« conte Ianni de Vintimillia opportunamente » (3).

I capitani ducali congregati insieme decisero mandare
mille cavalli e mille fanti ad Ischia e a Grosseto ad impe-
dire il passo per Perugia: una parte del campo doveva
trasferirsi a Castiglione e l’altra rimanere agli alloggia-
menti (4).

Ad un tratto le speranze del Piccinino venivano rifio-

rendo. Transitavano sei galere dell’ aragonese, che da Genova -

facevano ritorno a Napoli. Egli profittò della buona occasione
per farvi salire su il suo cancelliere Broccardo e spedirlo al re,
a fargli presente la sua dura condizione, non solo trovandosi

(1) Lett. di Corrado e Roberto 31 luglio 1455.

(2) Lett. ducale al Calcaterra del 10 agosto 1455: altra al Ventimiglia, dove dice
esser ora il tempo di stringere il Piccinino. Al Caposelvi scriveva di non rispondere
al Piccinino, né per lettera, né per messi, perché egli lo conosceva come era fatto:
faceva « tutto ad arte per dare credito al fatto suo e metterne in qualche scan-

- « dalo » (Lett. ducale 2 agosto 1455).

(3) Lett. ducale al Calcaterra 5 agosto 1455.
(4) Lett. dei capitani sforzeschi e altra di Francesco della Capra 31 luglio 1455.
546 L. FUMI

chiusa la via di uscire a guerreggiare, ma senza il necessario
per vivere. Bastò questo per risolvere il re a prendere il Pic-
cinino al suo soldo e così farla finita. Scriveva al papa che
questo faceva « per estinguer la fiama che poria suscitarse
« in Italia » e ché per questo la Santità Sua mandasse a levar
il campo. Avvisò il Piccinino a non tentare alcuna mossa. Mag-
giori anche sarebbero state le promesse perl avvenire, chè
in termine di quindici giorni sarebbero venute tante vettovaglie
da bastare ad un numero tre volte superiore di persone, con
molti cavalli per gli uomini d’arme e con cinquecento ba-
lestrieri; sarebbero preceduti da un brigantino alla foce del
Tevere per sorprendere le galee pontificie e affondarle (1).
Scrisse al Ventimiglia di sospendere ogni offesa e così
pure ai Senesi. Subito che fu spacciato, Broccardo parti con
tre galee, tirando in freccia, ai soccorsi. Portò seco mille
ecantàri di biscotto, mille di farina e grano, lance, schiop-
petti e altre armi in quantità con ventimila alfonsini. Di più,
le galee regie approdarono a Piombino e fattavi provvista
di vino venuto dalla riviera di Genova, lo sbarcarono a
Castiglione. Per la via di Gaeta caricaronsi cinque saettie
con vino, carne salata, legumi e altre vettovaglie. Alcune
private persone si aggiunsero a fornir viveri, chi per ven-
dere, chi per regalare (2).

Rinata la fiducia nel Piccinino per questi sussidî, scri-
veva al suo castellano di Cetona: « Broccardo tornato da
« Napoli ha portato denari e tali favori, che in breve sen-

(1) Lett. del Fogliano e del Sanseverino dal campo di Buriano de’ 2 sett. 1455.

Fra le voci che correvano intorno al favore che era andato acquistando sem-

pre più il Piccinino, erano anche queste: che, cioè, al papa era stato riferito che

il marchese di Ferrara avevagli mandato millecinquecento ducati d'oro e otto pezze

di velluto: se era vero, il papa diceva che avrebbe dato al marchese tale una le-

zione che si ricorderebbe di papa Calisto per tutta la vita e non gli confermerebbe
piü i feudi (Lett. del Calcaterra al duca del 25 agosto 1455).

(2) Lett. da Napoli, Cart. di Napoli, 28 luglio 1455 e de' capitani sforzeschi del

9 agosto 1455.

TA RETE IT

DUMP
FRANCESCO SFORZA, ECC. 541

« tirete noi essere de la impresa superiori e vincitori, e
« altre cose che summamente ve piaceranno » (1).

Come rimanessero gli sforzeschi a quel subito cambia-
mento di scena che portava la sospensione delle offese proprio
al momento che si doveva venire alle mani, ce lo fanno
eapire le parole scritte da Nicodemo al vescovo di Novara
che allora si trovava in Siena: « Questa nocte dovevamo
« andare a ritrovare el conte Iacomo de consentimento del
« capitano nostro, et cossi erano reducte trentaquattro
« squadre in diciassette, aparechiato tuto, fin al vino, e tute
« le lance. A le tre hore el capitano ce mandó Napolione
« (Orsini) a revocare la licenza. Dove sia proceduto non in-
« tendo bene, e, se lo intendo, non voglio mal dire... Stone
« disperato, e vedo veniamo a la novella del medico che
« contay in Consiglio, e cioé a lassare operare a la natura;
« et per consequens, vedo disfare voy e li cavalli vostri.
« Vorrei essere per tuto, salvo qui » (2).

Maggiori e più interessanti particolari sono nella lettera
al duca dello stesso: il racconto è assai gustoso :

Heri sera tornó da N. S. un messer Angelo d'Amelia, quale Mon-
signor nostro di Novara mandò di questi di a sua Santità, et disseci
che omnino N. S. intendia perseguitassimo el conte Iacomo fin a l'in
ferno, et che se dolia fossimo stati tanto ad andarlo a trovare a Casti-
glione: che vedessimo trarre le mane da questa impresa, perché non se
fidava se non de noi sforzeschi. Respondemoli, como era vero, che
questa nocte passata, tre hore inanti di, andavamo a trovare esso conte
Iacomo cum 34 squadre fra le nostre et de la Chiesa, qual reducevamo
al numero de 17, et cum tuti li fanti et homini d' arme e sacomani a
pede del campo, e tuto facevamo d'acordo col capitano. Et cum questa

(1) Copia di lett. del Piccinino dal campo di Castiglion della Pescara 4 agosto
1455 al Piccinino castellano di Cetona. *
(2) Lett. di Nicodemo dal campo al Novara in Siena, 4 agosto 1455.
mem TETPPIT

A: See 2 "CUE * 7.

548 L. FUMI

intentione et ordine andamo a dormire, date le lance, quale ce hanno
donate Senesi, et apparecchiate parechie some de vino, come è de usanza.
Et sa Dio quanto alegramente ognuno venìa ad questa impresa, da al-
cuni pochi in fora. È acaduto che, a le 3 hore di nocte, Napolione
Orsino, che è uno de quelli che non vorìa questo gioco fornisse mai,
vene al lecto al signor messer Roberto nostro et dissegli per parte del
capitano che non gli parìa andassimo questa nocte nè prima che fus-
simo adsieme, per certa ambaxata gli havia facta dicto messer Angelo,
quale ancora non gli havìa fornito de dire tuto. El signor messer Ro-
berto prese ne l’animo suo displicentia, et tamen, cum bona maniera
disse che gli parìa portare de questa materia le corne, sì per havere
scripto in molti lochi che se ce anderìa, et si per essere stata ventil-
lata et obtenuta d'acordo d’ ognuno. Et levossi e andò al capitano, al
quale disse honestamente che volia obedire, ma che intenderia volen-
tiere la casone perchè questa andata se revocava,-essendo honesta e
piacendo a Sua Santità. El capitano non sapia allegare altro se non
che volia intendere meglio messer Angelo, dicendo detto signor messer
Roberto che ce lassasse andar questa fiata, ché quando volesse andare
un'altra fiata cum lo exercito tuto, como gli paria intentione de N. S.,
haveramo pur questo avantagio che haveramo veduti e intesi li pen-
sieri e modi del conte Iacomo. In effecto el capitano, ridendo, disse
che ce comandava non ce andassimo questa nocte. De la qual cosa el
signor messer. Roberto tornó desperato, e inanti tucto ne ha havuta una
mala nocte, como quello che ce andava molto volentieri et pariagli
non potere havere altro che honore, presertim che era avisato da An-
tonino de Fiasco e altre spie che ha de là, chel conte Iacomo havia apena
recolti fra li soy tuti tanti cavali, che facia sey squadre et cum quelle
deliberava apizarsi con noy a speranza de parechie bone zarabutane,
cum le quale sperava amazarci tuti.

Signore, io non intendo bene queste tante traverse, et oltra che
io dubiti de l' altre, ma dubito ancora de alcuni de li nostri, quali hanno
havuto a dire che non voliano andare al bressaglio de le zarabutane,
et hano presa scusa in una lettera ha scripta Novara vostro, che vostra
intentione è che a niun modo se facia insulto contro Castiglione. Dio
sa la passione chel signor messer Roberto et io habiam de questa mu-
tatione, perchè era nostra cacia principalmente, et havevamo saputo
indurli molti et de li nostri et de l'altri, contra loro voglia, et pariaci
a man salva potere facilmente obtenere qualche bel tracto, in modo
che se satisfaceva a N. S. et a V. S., a la quale iterum et sempre me
reeomando. Et per propria passione non delibero dire più per questa,
FRANCESCO SFORZA, ECC. 549

parendomi, oltra el non satisfare, vederci piantati in questo atrazo (1)
per più che non voremo (2).

Più rimesso l’arcivescovo di Ragusa: « Heri sera ha-
« veamo presa conclusione de esta matina li vostri e ’1 ma-
« gnifico signore da Corezo con alcuna squadra de N. S.
« andasseno fino ad Castiglione ad visitare el conte Iacomo.
« Di poi, per bona ragione, havemo retenuta l'andata, per
« possere procedere con bona ragione e consultamente, ma-
« xime affirmandose per la maior parte che omnino l'andata
« seria con nostro desavantagio e più presto se poderia ri-
« cevere mancamento, che farlo al nemico » (3).

Il papa che non sapeva capacitarsi come il capitano,
per avere un grandissimo esercito, come era per quei tempi
quello del Ventimiglia, non dovesse «in una furia assorbire
« il conte Iacomo, se fusse in celo », a chi gli diceva il
contrario, guai a lui (4)! Scrisse al capitano una filip-
pica che sapeva di forte agrume e poteva bastare anche
per un licenziamento. Gli diceva della sua meraviglia che,
mentre aveva da lui sentito che l'indomani avrebbe portato
l’esercito alla espugnazione del nemico, all'improvviso avesse
mutato proposito, quando pur sapeva niente più stargli a cuore
che di farla finita con quel ladroncello: tutti erano pronti,
solo lui temporeggiava e rimandava dall’ oggi al domani: tutto
ciò lo faceva stare di mal animo. Lo minacciava delle cen-
sure ecclesiastiche e delle punizioni temporali, se osasse
divider l' esercito, anziché riunirlo tutto a debellare il nemico.
Gli ricordava quanto avesse. fatto per la sua casa, per circa
quaranta anni avendola assistita in mezzo a tanti pericoli;

(1) « Attrazzo » ha in questo caso il significato di « imbarazzo », come dalla
confusione di gran quantità di cose messe insieme alla rinfusa per servirsene a
varii usi.

(2) Lett. di Nicodemo del 5 agosto. In una seconda lettera lo stesso giorno
continuò lo sfogo e chiese di poter venirsene via dal campo di Buriano.

(3) Lett. del Ragusa 5 agosto 1455. .
(4) Lett. del Ragusa dal campo di Buriano al duca, 13 agosto 1455.
550 '"L. FUMI

« et tu de tanto honore nos facis vivere in dolore et tri-
« stitia maxima, in ignominiam Sedis Apostolice et desola-
« tionem totius Italie! » Tollerare il Piecinino valeva quanto
far gli interessi del turco. Se egli, il Ventimiglia, credesse
di salvarsi le spalle per questa via, si ingannerebbe a par-
tito: « Tutta Italia ormai sparlava di lui e ne dicevano peste a
« eausa di tanta negligenza: con tanto esercito che si trovava
« sotto mano non esser buono ad altro che a guardare delle
« paludi. Lo vedevano anche i balordi. Non mancavano alla
« Santa Sede capitani a scelta, di grande autorità, che a que-
« st ora avrebbero cosi conciato il ladroncello, che non sa-
« rebbe campato vivo: esser queste le grazie che egli gli
« rendeva? star li a baloccarsi, senza far nulla? Da ogni
« parte correvano lettere fino a Napoli che egli tenesse bor-
« done al Piecinino e non volesse perderlo: intanto l'esercito,
« messo insieme con tanta fatica e con tanto dispendio, an-
« dava incontro al verno e alla penuria e si disfaceva. Di-
« cono bene quel che dicono il duca di Milano, Veneziani,
« Fiorentini e Senesi. Or vada e vinca: ogni viltà sia morta,
« ogni timore sia rimosso: egli ben intende quel che vuol
« dire...! Ma sappia che il papa non è solito temere altri
« Che Dio » (1).

Questa sfuriata del papa basterebbe a caratterizzarne la
natura. Si capisce che con quelle reticenze alludeva al re
di Napoli che faceva paura al Ventimiglia: feriva il capi-
tano nel vivo della sua fede. La lettera lo metteva al punto,
dandogli all’attacco termini perentorî.

La sua libera parola si fece sentire, ma d'un altro tono,
anche al vescovo di Novara, divenuto in quel momento il
suo unico personaggio di fiducia. Diffidente sempre, ora dava
a conoscersi poco fiducioso nell’ amicizia dello stesso duca
di Milano. Poichè da parte del capitano e dell’ arcivescovo

(1) Copia di breve pontificio senza data ma indubbiamente dei primi di agosto
1455, allegata al Carteggio Sforzesco, Roma, ... agosto 1455.
Direzione

di Ragusa eragli stato mandato Eustachio Gritti, ad insaputa

FRANCESCO SFORZA, ECC. 551

del Novara, con lettere segrete, che pur tuttavia al Novara
stesso comunicó in grande confidenza, passando sopra « allo

«

stile romano ». Riferl pertanto il Gritti che il capitano e il

hagusa, sentito l'arrivo nel campo di alcuni uomini del Pic-
cinino, fra cui anche Matteo da Capua, ne presero ombra,
come di persone che trattassero di concordia. Il papa, tut-
toché sospettosissimo, mostrò . di non volersi curare di tale
ambasciata e rimandó il Gritti al campo senza nemmeno cu-
rarsi d'interrogarlo, anzi riprendendolo forte. Ma al Novara
scrisse intimamente dicendogli: « Già vedesti dalla copia di

«

«

«

«

«

«

«

quel breve diretto da noi al Ragusa quanto è agitato l' a-
nimo nostro, vedendo la vittoria in pugno e che non si
voglia vincere. Magari che il capitano fosse bene avveduto,
ché non mancano i mezzi a vincere! Perció mandammo
te a rompere gli indugi e ad animare l'oste, e, confidati
nel tuo consiglio, mandammo per il tuo Angelo d'Amelia
il denaro che ci richiedesti per metter fine a tutto. Né
possiamo darci a credere che il duca di Milano voglia
Soppiantare la Chiesa e noi, pronti a dare per lo stato
suo il nostro sangue per tanto benefizio fattoci fin qui,
sebbene dalle lettere del suo oratore a Napoli sapessimo
molto instare il re perchè il Piccinino non sia ruinato e
pel mezzo del conte di Fondi stiano per mandargli denari e
vettovaglie... Veramente il capitano è atterrito o da Napoli
o da altra parte. Così la vittoria si protrae. O Dio, sorgi
e assumi la tua causa!.E tu, o fratello carissimo, vi prov-
vedi, ché a te un grande stato s'apparecchia. Non ti stan-
'are a trattenerti costà e persevera... E avvisa spessissimo
di ciò che sai del duca e dei ducali. Noi riposiamo tran-
quilli su te. Lasciamo alla tua prudenza l'aprirti con Ni-
codemo. Dissimula. Guarda che malignità è stata quella
di mandar qua a contristarci, a tua insaputa, l’ Eustachio;
questo è seminar zizzania, divisione e diffidenza nel campo
nostro. Fa di tutto che si venga a battaglia. Il nostro eser-

n iena
5502 L. FUMI

« cito è messo alla berlina, dicendo che si balocca. Come
« arriverà Eustachio, potrai sapere il tutto. Gli abbiamo
« detto che si fidi di te. Vediamo bene che al capitano e al
« Ragusa non garba la tua presenza, e sempre piü cresce
« il sospetto che il capitano è maculato... » (1).
Questa lettera scritta dal papa, senza segretario, è forse
il documento unico che ci sia rimasto dell' intimo pensiero suo
personale. Curiosa situazione di un pontefice, che ha il re ostile
ai suoi atti, il capitano generale e il governatore arcivescovo
in grande sospetto, nutre qualche dubbio del duca di Milano,
pensa male dei ducali, come se lo tradissero e mette un dua-
lismo fra il vescovo di Novara e i comandanti, dopo che questi
avevano mostrato col papa di non averlo in buona vista. Al No-
vara fa intravedere il cappello, tanto da lui sospirato, e con il
proposito, non ostante la premura insistente del duca, di non
darglielo, come non volle darglielo mai. Quando seppe, due
giorni di poi, che veramente le galee del re avevano scaricato
viveri al Piccinino, ne fu dolentissimo, ma non volle scorag-
giarsi, né volle che si scoraggiasse il campo. Scrisse al Novara
ea Nicodemo che era stato avvisato a puntino di tutto quello
che era stato mandato a Castiglion della Pescara, e diceva
che era una elemosina fatta ad un mendicante che andrebbe
consumando le sue ultime briciole: « Ora, pieni di fiducia,
« respinte e troncate virilmente tutte le pratiche e le pro-
« postevi condizioni, date l'assalto a cotesto accattone e
« trepido ladroncello. Non per questo voi dovete venir meno
« d'animo o sentirvi mancare, anziché crescere la speranza
« di conseguire sollecita vittoria. Noi siamo disposti e pronti
« di animo e di forza, perché quel poco che resta a fare
« per togliere di mezzo il Piccinino, subito venga fatto a
« vostra gran lode, in specie dacché, per opera vostra, egli
« è tratto in luogo, dove appena gli basterebbe tutto il
« mondo dalla sua. Avete Dio, avete il beato Pietro e la

(1) Lett. di Calisto III al Novara del 1° agosto 1455, come Sopra.

ie
FELT ERE cotti

ii RED

'* renze ad an.

FRANCESCO SFORZA, ECC. 553

« nostra benedizione che vi aiutano, se vi bisogni, perchè
« questi mendicati sussidi di pochi giorni non valgano à
« camparlo delle vostre mani, ché, sfumato quel poco, non gli
« rimane che la disperazione. Voi perseverate animosi e

.« forti; non dubitate della vittoria: non vi lasciate intimo-

« rire dalle galee regie per denari e cibarie che poterono
« addurre, ancorchè fossero in quantità. Il re se ne è dovuto

« pentire di già, e noi faremo che ancor' egli insorga contro .

« questo eretico e scismatico che stende le mani sul vessillo
« di S. Pietro e si fa fautore del cane turco... ». Accomu-
nava Calisto il Piccinino col maomettano e mandava a pub-
blicare indulgenza plenaria a tutti i militanti in quella cam-
pagna papale (1).

. Il duca di Milano, sentendo questa novità, pensò fosse
necessaria una più pronta azione da parte dei Fiorentini
avverso al Piccinino, da tenere luogo della fiacca e sospetta
condotta del conte di Ventimiglia. Non solo, quindi, mandò
ordini imperiosi ai suoi del campo, « che con ogni diligen-
« tia attendano ad finire et cavare li pedi da questo facto »,
ma, in previsione del ritiro del capitano generale Ventimi-
elia, scrisse al magnifico Cosimo de' Medici in Firenze di
dar la spinta al capitano Simonetto e alle genti de’ Senesi
per stringere il nemico e spacciare l'impresa: voleva che
Simonetto si intendesse con i suoi sforzeschi, perchè questi
con Fiorentini e Senesi erano d’avanzo a disfare un nemico,
condotto ormai allo stremo, che se aveva avuto bisogno di
poco pane per pochi giorni, molto più in necessità sarebbe
venuto a trovarsi fra breve per mantener i cavalli che mo-
rivano di fame e per salvarsi dalla malignità dell’aere triste
di maremma in quella stagione (2). |

(1) Copia del breve di Calisto III al Novara e a Nicodemo 3 agosto 1455, come
sopra. d
(2) Lett. ducale a Cosimo de’ Medici, 8 agosto 1455. Carteggio Sforzesco, F-

numm
554. L. FUMI

Intanto non mancava una piccola soddisfazione agli sfor-
zeschi: fu la mattina del 16 agosto, quando condotti dal ca-

| pitano stesso e dal signor di Correggio, tre squadre in tutto,

andarono a far la scorta ai saccomanni diretti verso Casti-
glione a. cercare strami. Giunti ai luoghi deputati verso
Grosseto, incominciarono i saccomanni « a far le borse » (1).
Allora Matteo da Capua, capo della cavalcata braccesca posta
la notte in agguato insieme col conte Marco da Persico, Du-
rante, Masso da Pisa e altri squadrieri, nascosti nel padule
del Tombolo, fatto un ponte sullo stagno e attraversatolo con
centotrenta cavalli, assaltarono i saccomanni. Levato allora
il rumore, gli sforzeschi furono loro addosso e li accerchia-
rono, togliendo loro ottanta cavalli e facendo prigioni tutti
i condottieri, gli squadriglieri e molti altri uomini d' arme, più
di venti (2). Non si sapeva nulla del Piccinino: chi diceva
non esser uscito di Castiglione, chi diceva esser sotto Grosseto
ad aspettare i suoi predatori. A questa voce tutto il campo
sforzesco, in squadre, andò un gran pezzo dietro alla traccia,
ma inutilmente (3).

Le ultime frasi della su ricordata lettera scritta dal papa
per dare animo al campo ecclesiastico tradivano la sua con-
citazione d'animo. Lo Sforza cercó di quietarlo, assicurandolo
che il Piccinino sarebbe presto disfatto (4). Scrisse ai suoi
oratori a Napoli perchè inducessero il re a non far cosa
spiacevole al pontefice, capo della lega, e a tutta la lega
stessa (5).

Il re che vedeva qual osso duro avesse preso a rodere col
dare spalla al venturiero, dovette realmente pentirsi, come

(1) Il dizionario dà alla frase « far la borsa » il solo significato di « far colletta,
mettere una somma di danaro in comune »; ma qui vuol dire « imborsare ».

(2) Lett. di Niccolò de’ Paludi cancelliere di Alessandro Sforza ai Senesi, e di
Corrado da Fogliano e Roberto da Sanseverino al duca de’ 18 agosto 1455.

(3) Lett. del Ragusa de’ 16 agosto.

(4) Lett. ducale a Nicodemo 16 agosto 1455.
(5) Lett. ducale al Maletta a Napoli senza data, in cart. di Napoli.
FRANCESCO SFORZA, ECC. 505

diceva il papa, di avere corso tanto avanti. Il Maletta scri-
veva al duca agli 8 agosto 1455 da Napoli: « Lo re per di-
« specto del papa ha dato questi favori al conte Iacomo, per-
« ché lo re se tene molto ingannato dal papa, lo quale al
« principio lo mandó ad pregare che volesse accordarse con
« lo conte Iacomo, et diedeli intentione al papa de pagare una
« certa provisione per anno cum questo, chel conte Iacomo
« doveva tenere le sue gente in le terre del duca de Modena,
« de quello de Cesena et de Forli et non in quello della Chie-
« sa... Il re ... ha dato ricepto al conte Iacomo per volere

« removere questa guerra: ... mostrare de humore suspecto.

« delle gente della Vostra Signoria che fussono venute tanto
« oltre > ... (1). Se dunque nell'animo annidava il sospetto
per le milizie sforzesche sui confini del Regno, dovette gra-
dire la pratica dello Sforza, il quale era veramente 1 au-
tore della ostilità col Piccinino e l'istigatore degli sdegni
pontificî.

Ne prese occasione Alfonso per scrivere allo Sforza di
interporsi col papa (2), e contemporaneamente scrisse anche
al doge di Genova (3), ai Veneziani e ai Fiorentini, lamen-
tando che non sapeva spiegarsi, in tutta questa faccenda
contro il Piccinino, « per quale disgrazia de’ cristiani, il

|< papa non avesse voluto accettare il suo consiglio » di as-

sumerlo al soldo. Tutti risposero sullo stesso tenore, di non
Saper cioè come interporsi onestamente dopo che si er:
giunti con la guerra di Siena a questi ferri (4). Vi era chi
la pretendeva a dare dei punti alla scaltrezza del duca di
Milano per spacciare il Piccinino. Era Gentile Monaldeschi
di Orvieto; egli aveva il segreto per disfarlo. Lo Sforza or-
dinò al suo oratore Calcaterra di andare dal Monaldeschi

(1) Lett. Maletta, da Napoli, 8 agosto 1455, Carteggio Nupoti, ad. an.
(2) Lett. di re Alfonso al duca del 5 agosto 1455.

(3) Lett. di re Alfonso al doge di Genova del 5 agosto 1455.

(4) Lett. del 5, 19, 22, 27 agosto 1355 in Carteggio Napoli.
556 Li: FUMI

per sentirlo e, se era cosa facile, la eseguisse (1). Ma sarà

stato un modo poco pratico, se nulla si risà di questo. Il

re, adunque, cercò d'interessare il duca a persuadere il

papa all’ abbandono dell’ impresa, e questo interponimento

dell'aragonese con lo Sforza diè luogo ad un ravvicina-
o o

mento fra loro. Il re mirava a distaccare il duca dall'in-

timità da lui sempre mal sopportata con Calisto. Ed eccoci
ad un nuovo e subito orientamento nella politica ducale.

8. — I rapidissimo cambiamento portò la combina-
zione di un doppio parentado per opera dell’oratore du-
cale Maletta: l’ accasamento di Ippolita, figlia del duca,
nella corte d'Aragona e dell'unica figliuola del duca di Ca-
labria in casa Sforza. Il Maletta ne scrisse subito in Roma
al Calcaterra. Questi ne parlò senz'altro al papa. Lo pregò a
farsi lui stesso mediatore « di questi santi et felici connubii
« et matrimonii, li quali erano per parturirne eterna pace
« a tutta Italia et tranquillo riposo et stabile firmamento in
« perpetuo al dominio e signoria de l'una parte et de l'altra ».
Lo pregava ancorá di mandare uno a Napoli, per far vedere
che la cosa era accetta al pontefice, con incarico di confor-
tarne la conclusione e di comporre tutto quello in che re e

. Maletta non potessero, per avventura, sentirsi d'accordo.

Il papa seppe dissimulare il suo grave malcontento. Co-
minció a far le viste, con Milano, di essere già di tutto pie-
namente a parte per lettera del re e per informazione del
suo oratore. Si limitó a dire che non gli pareva tempo di
parlare di.ció, finché durava l'impresa del Piccinino, ad
evitare l'ultima rovina del quale, il re si accostava a questa
pratica del parentado. Badasse il duca di non rimanere in-
gannato, avvertendo bene di non stringere la trattativa che
a guerra finita. In conclusione, si espresse cosi: «Io lo voglio
« adiutare et me delibero farlo uno delli magiori signori de tuti
« li altri; ma, per Dio, in questo lassa fare a me, il qual

(1) Lett. ducale al Calcaterra 14 agosto 1455.

ne 1

FRANCESCO SFORZA, ECC. i 501

« adagio intenderò il tuto et adagio cercherò integramente
« de saper che intentione sia realmente quella della Maestà
« del Re » (1).

Se così parlava col Calcaterra, invece col da Pon-.
tremoli, che era il dirigente della diplomazia ducale, fece
vedere tutto il suo malumore, persuaso che questo fatto fosse
un contraccolpo della politica aragonese per rompere di netto
lamicizia di Milano con Roma (2). Anzi, se la prese diret-
tamente con lui e coi propri cortigiani, che giudicava aves-
sero mano in questo intrigo: sbalestrava giudizi su Nico-
demo, dicendolo pur lui « della setta aragonese », come della
setta stessa diceva essere il cardinale camerlengo alla pari
del primo segretario pontificio Matteo Giovanni, il quale da
quel tempo cadde in tanta disgrazia, che non tardó ad essere
licenziato dalla Corte (3).

A Nicodemo scottò molto la taccia e se la prese col
Novara: « Maledictus homo qui confidit in homine »! Cosi
esclamava al proposito in una lettera del 15 settembre (4). Tut-

(1) Lett. del Calcaterra al duca 9 settembre 1455.

(2) Anche piü tardi il papa parlando con Ottone Del Carretto di questo paren-
tado, diceva che molti erano malcontenti della benevolenza che egli aveva per il
duca e con diverse vie cercavano guastarla: sopratutto tale amicizia era molesta al
re: « Et qui me ricordò quello parentado, qual fece la maestà del Re con vostra
« excellentia, solum esser fatto a q .esto fine de discreparvi da Sua Santità et ponervi
« sospetto ad essa » (Lett. Del Carretto, 28 maggio 1457).

(8) Matteo Giovanni se ne parti malcontento del papa per andare a stare presso
la corte di Napoli. Scri\eva il Caimi al duca: « Credo non li gioverà troppo, sel po-
« trà. Per Dio costuy era quello pocho de bono che era in questa Corte » (Lett. di
Giovanni Caimi da Roma 8 febbraio 1456).

(4) Nicodemo incolpò il vescovo di Novara della taccia. Una lettera assai ri-
sentita scrittagli in data 25 o 27 settembre dice: « Como ingrato mi volesti far ca-
« rico a Napoli et non mancò da vui de disfarmi ad suggestione d’un re di ribaldi...
« tuto avete fatto per invidia ... ». Un breve del papa del 4 ottobre al duca, in ri-
sposta al richiamo di Nicodemo (che allora per ordine del papa stesso si trovava a
Siena), lo raccomandava, pregandolo di usare prudenza con lui e dicendo che, se
non fosse stato ben trattato al suo ritorno in Milano, se ne sarebbe data la colpa
dai curiali al. papa, quando era bene che anche verso il duca costoro fo-sero ben
disposti (Breve di Calisto III 4 ottobre 1455). Il duca, dolente che Nicodemo avesse.
diretto ins lenz: al vescovo di Novara, scriveva a questi, che l'es; ressione usata da
Nicodemo « a posta del Re de’ ribaldi » cre.leva alludere a Iacomo de’ Grandi che
558 epe L. FUMI

tavia, il papa, passato il primo momento, moderava la stizza,
e con Nicodemo ritornava in confidenza come prima (1). Era
certo che se l'impresa contro il Piccinino fosse rimasta
in mano al duca, la sarebbe stata cosa finita e il Picci-
nino non piü vivo; tuttavia, sperava sempre, a dispetto
di tutti gli aiuti reali. Ad ogni modo, non voleva accordo
con lui a niun conto: se avesse voluto farlo, lo avrebbe
potuto fare prima che il Piccinino valicasse i confini di Ro-
magna, e gli sarebbero bastati da venticinquemila a trenta-

mila ducati. Ora si rimetteva al duca (2) Non lo voleva

punto nelle terre della Chiesa: ma se ne andasse pure
a Napoli o il re lo spedisse contro il turco (3).

Ció fa capire come l'animo del papa si andava, a poco
a poco, rimettendo in tutto; ma di far la parte di media-
tore per i matrimoni, come volevano, non volle saperne

s'impacciò di quelle trame, non al re di Napoli. Il papa esortava Nicodemo a Siena
di andare'pure a Milano, dove era stato richiamato, contento se ricevesse per let-
tera discarico di ciò che gli aveva affidato in Siena e in Firenze (Breve di Calisto III
a Nicodem in Siena, del 4 ottobre 1455).

(1) Riferì il Caleaterra il colloquio ulteriore col papa così: :

« ... Certificata la Beatitudine del papa etc. et apresso confortata quanto é
« stato possiblle, cum ogni studio, diligencia et ingegno, a dover mandare il pre-
« fato mediatore o messo, responde con animo, al.mio judicio, pur uno pocho tur-
« bato, che non é de costume che le persone honorate, quando si vole fare uno
« instrumento o contracto, si chiamano per testimonio, ma si solenno chiamare li
« viandanti, et le honorate persone reservarsi a magiori facti; et che a luy pare
« che pur sia non solamente honorata, ma qnalche cosa più che honorata persona;
« unde, digando Sua Beatitudine chel crede la cosa già èsser. conclusa, o essere in-
« dubitanter per concluderse, chel non vole intervenirli como testimonio. A presso
« dice, che vero fo, che, habiando più volte a parlare cum Mons. de Novara, sum-
« mamente lodo et commendo ogni stabile et firma amicitia potesse essere tra la
« Maestà del Re et Vostra Signoria, ma che de affinità non fece may parola. La qual
« da bene la extima essere cosa sanctissima, laudatissima et bona per ambedue le
« parte, non di mancho, dice ch'el tempo de contratare quella non era al presente,
« ma era finita la impresa contra il conte Jacomo, et dato sia principio da ogni
« canto de Italia alla felice impresa contra il Turcho. Il perché, dice harebe voluto
« che messer Albrico non se afretasse cossì, anzi seguisse lo apparere et li consilii
« de S. S., li quali dice ci propone al modo li prepone per l'admirabile et singulare
« affectione porta a Vostra Excellentia » (Lett. del Calcaterra al duca, da Roma, 18
settembre 1455).

(2) Lett. del Calcaterra e di Nicodemo 17 scttembre 1455.
(3) Lett. Calcaterra 23 settembre 1455.
TURN NBI lc. uso

509

FRANCESCO SFORZA, ECC.

affatto. Diceva che non si poteva chiedere tanto ad un
papa e bastare la benedizione. Cosi concluse: « Questo
« solo nel facto de' matrimonii era lo officio del papa et
« del sommo pontefice ». Al Calcaterra, andato a sollecitarlo
per conto di Napoli, parve dicesse queste parole con la
mente « molto piü pacifica e quieta, che non é stata que-
« ste altre fiate, quando gli agio ragionato de questa fac-
« cenda, et cum la facia molto più iocunda et alegra, che
« de lo usato » (1). I Veneziani, nemici che erano stati fino
a pochi mesi addietro del duca, non appresero con soddi-
sfazione una notizia che accresceva il prestigio del vicino e
lo alleava alla grande monarchia d'Italia. Il Maletta diceva
che il re vedeva necessaria l'unione fra lui e lo Sforza per
frenare lambizione dei Veneziani (2).

Gli oratori veneti che erano in Roma si lasciarono uscire
espressioni di questo genere: avere molte e grandi finestre
per entrare nello Stato di Milano e saprebbero anche loro
vincere « fame con fame »; non passerebbero otto mesi
senza riprendere daccapo la guerra, e si dolevano di non
aver più il Piccinino nelle loro terre. Cercavano pratica
Gol re di Francia, a cui il duca di Savoia non vieterebbe il
passo per la Lombardia. Quando il Calcaterra si recò dal
papa per richiedere la benedizione apostolica ai matrimonî,
lo trovò prevenuto degli umori che cominciavano a scoppiare
in Francia. Era bastata la notizia di quelle affinità per far
dire che tutti i signori di Francia si pacificherebbero fra
loro. Il papa diceva che a quei dì non si era mai udita fra
i principi cristiani più mala novella: quanto a lui bastargli
di dare la benedizione dalla lontana senza commetterla ad

(1) Lett. Calcaterr: 24 settembre 1455. Per ben quattro volte il re fece richie-
dere l'intervento del papa. Questi se ne mostrò molto seccato (vedi lett. Calcaterra
29 settembre 1455). Il re molto si meravigliò « della durezza del papa » e pareva
determinato a coneluder subito (Lett. Calcaterra 1° ottobre 1455).

(2) Lett. Maletta da Napoli 16 agosto 1445, Carteggio Mapoti ad an.

—-—— DS —
560 L. FUMI

altri (1). La cosa tornava molesta sopratutto al figliuolc del
re Renato, dopo che aveva posto singolarissima speranza e
fiducia negli aiuti che poteva dargli lo Sforza in morte di
Alfonso d'Aragona, al cui reame aspirava (2). Il protonotaro
Giovan Stefano Buttigella avvisava di aver saputo da un ab-
bate francese che il re di Francia aveva tenuto consiglio coi
suoi baroni e aveva concluso di venire in Italia a prendersi
Genova e dare la Lombardia al duca di Orléans: « Varii et
« diversi rasonamenti se fano qua, et quasi tuta la Corte
« ne parla, de li movimenti et preparatione fano francesi
« per venire in Lombardia et specialmente se dice (scriveva :
« al duca il Calcaterra) per fare guerra a Vostra Si
« gnoria » (3).

: A tagliar corto alle dicerie (tutte ciancie e frasche,
diceva lo Sforza) (4), fu affrettata la conclusione. Il papa
ricevendo l’ oratore ducale, fini col dire che dacchè la cosa
era fatta, « fosse al nome di Dio e di tutta la corte del
« cielo » (5). Di certo, tutto merito della abilità del Calca-
terra, accettissimo al papa che lo aveva di continuo al fianco.
Scriveva Gentile della Molara al Simonetta che l'ambascia-
tore ducale era in Corte « lo patrone del tucto, et non se fa

^« più innanze, nè più a retro, se non quello che vole

« lui » (6).

Ma ritorniamo al campo.

.9. — Gran disordine dappertutto nell'esercito, obbligato
a starsene con le armi al piede. Gli stessi ducheschi anda-
vano in rotta. Si disciolse la compagnia di Pier Maria: se

la svignò anche quella del conte Cristoforo Perelli. Una let-

(1) Lett. Calcaterra 10 ottobre 1455.
(2) Lett. del detto 12 ottobre 1455.
(3) Lett. del Caleaterra al duca de’ 13 dicembre 1455.
(4) Dett. ducale agli oratori in Roma, 12 dicembre 1455. Gli oratori del re di
Francia mandati a prestare l'obbedienza al papa, passando per Milano, furono ac-
colti a festa (Lett. Calcaterra 29 dicembre 1455).
(5) Lett. Calcaterra 12 ottobre 1455.
(6) Lett. di Gentile della Molara al Simonetta del 7 luglio 1455.
eique

SIE

FRANCESCO SFORZA, ECC. 561

tera al duca comincia cosi: « Non potrebbe Vostra Signoria
« extimare quanto ogni zorno, non tanto appresso la San-
« ctità de Nostro Signore et de' reverendissimi signori Car-

« dinali, quanto anchora per tucta la Corte se dica et si

« spanda voce et parlare che '1 campo de lo Ill.mo Signor
« nostro ogni hora piü se disfaza et se diminuischa, et de
« quello molte et varie persone, cossi da pede, come da ca-

^« vallo, fugiendo se levanno. Et de questo bem che anchora

« il simile se dica de quelli de la Chiesa, niente de mancho
« vi promitto più vituperosamente se ragiona de li nostri » (1).
Lo stesso vescovo di Novara era costretto a vedere « ogni
« di, non senza gran cordoglio, fare el mercato innanzi alle
« bandere, ove continue se vendono armature, barde, selle
et mille altre cose che fano vendere le gente d'arme et

A

A

pur quelli de la Signoria Vostra « (2).

Il conte di Ventimiglia, piccato per i brevi direttigli,
prima fra agro e dolce, dal papa, e poi impetuosissimi, con
la scusa che era tenuto all’ asciutto di denaro, ma forse
più perchè ubbidiva ad ordini segreti del re, si era deciso
a ritirarsi subito con tutti i suoi, invano pregato dal No-
vara a differire con offrirgli quel denaro di cui si diceva
mancante. Qualche giorno prima di lui avevano presa la
via dugento e più cavalieri delle lancie spezzate e di quelli
di Napoleone Orsini e del conte Everso (3). Lo stesso No-
vara non dubitava di credere che il conte di Ventimiglia
fosse d'intesa col re. Se ne confermava pensando come
non fossero ragioni sufficienti quelle che il capitano addu-
ceva, dopo che il papa aveva insistito a trattenerlo con
tanto amorevoli parole, che non solo lui, « ma uno re se
« havrìa debuto inclinare ». Veramente gli ultimi brevi
da me riferiti non erano tali da farlo andare in sollu-

(1) Lett. del Caleaterra al duca del 19 settembre 1455.
(2) Lett. del Novara del lo settembre 1455, t
(3) Lett. del Novara del 2 settembre 1455.

Depeche
562 L. FUMI

chero! Ma qui il Novara alludeva ad un'altra lettera pon-
tificia che era in data 25 agosto, dove il papa aveva
scritto al Ventimiglia per scagionare il Novara della impu-
tazione di avergli mal riferito di lui: si doleva solo della sua
grande perplessità ad assalire il Piccinino e lo esortava con
buone parole a rompere gli indugi. Più che altro, il Novara,
riandando il passato, aveva presente il ricordo della cir-
costanza di tempo in cui avvenne la sua condotta, « essendo
« venuto ad questa impresa de consentimento del re per
« conducerla al fine qual haria voluto sua Maestà, chel conte
« Iacomo fosse conducto dal papa, et ad questo havendoli
« usato ogni arte, comenzando fin al principio chel vene in
« campo ad confortare accordo col conte Iacomo et poy non
« voler may lassarlo offendere, et deinde exasperando la cosa
« al papa, dandoli ad intendere ch'el era per andare in lon-
« gho etc. et finaliter, cercando de far sospecto Vostra Si-
« gnoria alla Beatitudine sua, come vi scrissi. Et non essen-
« doli reusito il pensero in nessuna cosa, perché sempre ha
« trovato la Santità sua constante et forte, gli è parso il
« meglio levarse per questa via, sentendo massime il re
« volerse discoperire » (1).

Collimava col pensiero del vescovo quanto scriveva
il Caposelvi dal campo di Montepescali: « Haviso la Vo-
« Stra Signoria como qui é un messo venuto da la Mae-
« stà del re, travestito, el qual messo è venuto a fare co-
« mandamento al conte Ianni per parte de la Maestà del
« re, che detto conte Ianni se debia ritrovare a Napoli,
« certificandogli, che quantuncha mancha, sirano li beni
« suoi confischati tuti a la Camera de la prefacta Maestà
« del Re ». Il messo era il Troiano, uomo d'arme dello stesso
Ventimiglia, amico intimo del Caposelvi (2). Due giorni dopo
egli stesso non solo confermava il fatto, ma aggiungeva

(1) Lett. del Novara del 2 settembre 1455.
(2) Lett. di Sceva de' Caposelvi, da Montepescali del 3 settembre 1455.
563

FRANCESCO SFORZA, ECO.

ancora: « Novamente haviso la V. S., como dicto conte Ianni
« hogi s'è partito, et così, dapoi la sua partenza ho hauto,
« da persona ben digna de fede, de altro haviso, qual’ è que-
« sto: cioè, che meser Giberto da Coregio, il signor Napo-
« lione e così il signor Diofebo etc. tuti liberamente hano
« promeso ad il prefato conte Ianni de dovere stare qui a
« posta sua, fin a tanto sirà da la prefata Maestà del re, et
« che per quello li sirà rischrito indreto; havisando la Vostr:
« Signoria como, secondo ho inteso, pare che li decti ha-
« biano decto conte Ianni confortato ad volere confortare la
« Maestà del re, che voglia animosamente pigliare questa
« impresa dal canto di qua, perché conosceno evidentemente
« che là Maestà sua mai meglio ebe il modo al dovere do-
« minare questo paiese quanto adesso » (1). Nè mal si ap-
poneva, perché il campo si poteva dire, non che in disor-
dine, quasi disfatto, e lo Sforza non aveva certamente la
voglia di mettere allo sbaraglio altrettanta gente sua e an-
dare incontro ad una spesa insopportabile per restituire l’ or-
dine e rinvigorire l’ esercito.

Il ritiro del conte di Ventimiglia dal campo avveniva
quasi ad un tempo con la soppressione del signore di Cor-
regeio. A Siena presi da forte sospetto di lui che con « una
« bella e fiorita compagnia » stava in campo dubbioso e con
lanimo sospeso e, interrogato della cagione, aveva risposto,
che non avendo i Senesi attenuto le promesse gli avevano
fatto, e' non poteva compiere il dover suo, né supplire al
bisogno delle sue genti, gli fabbricarono un processo e eli
trovarono fra le altre colpe « di aver persuaso al Piccinino,
« come momento opportuno, l'impresa di Siena e fatto ac-
« Gordo con lui per insignorirsi dallo Stato; il sacco dato a
« Sovana (2), sotto pretesto di rifarsi di stipendi non riscossi ;

(1) Lett. del predetto del 5 settembre 1455.
(2) Riproduco la esposizione stessa del Banchi e correggo l'errore di stampa
di Savona. per Sovana (op. cit., pag. 226).
564 L. FUMI

« la corrispondenza e i colloqui tenuti col conte Aldobran-
« dino e l'aver cercato, mentre militava co' Senesi, di pas-
« sare al soldo del Re di Aragona in favore del Piccinino ».
Dalla lettera della Balia pubblicata nel mio quarto volume
dei Regesti Lucchesi (1) e dal processo conservato in Lucca
appare, fra l'altro, che egli lasció fuggire Matteo da Capua
prigione del suo campo e mandó captivi della gente di
Siena in mano al nemico in Castiglione. Vere o false alcune
delle imputazioni fattegli, lo colsero nel momento che erasi
presentato alla Signoria per richiedere il pagamento dei suoi
stipendi. « Messer Giberto, ricevuto onoratamente dagli Of-
« ficiali di Balia e sedutosi con loro vicino al priore, alle
« domande che gli furono fatte pei disordini che si verifi-
« eavano nel campo, diede risposte scortesi e superbe. Ma
« quando rimproverato acremente delle sue tresche col Pic-
« cinino e della mancata fede, gli furono mostrate le let-
« tere che si erano scambiate, intercette dagli agenti del

« Comune, alzatosi risoluto, — Credete forse, esclamò, di
« avermi prigioniero nelle vostre mani? — E stando per

« allontanarsi, Ludovico Petroni, uno de’ quindici di Balia,
« afferratolo per le linguette dei bracciali e trattenutolo, gli
« rispose che ben altra intenzione avevano, e ben diversa
« cosa s'eran prefissi. E subito, a un segno dato, uscirono
« dalla retrostanza, armati e con le spade in mano pochi
« ma robusti giovani che insieme con altri erano stati na-
« scosti in palazzo, i quali aggredito improvvisamente mes
« ser Giberto e di più colpi trafitto, lo uccisero... e il san-
guinolente cadavere da una finestra di quella sala preci-
« pitarono giù nella piazza... » (1).

Narra il Tizio, storico senese, che al duca di Milano
mandarono i Senesi in dono una parte del mantello di mes-

A

ser Giberto intrisa di sangue, giudicando che gli riuscirebbe

(1) Carteggio degli Anziani di Lucca, vol. IV, pag. 308.
(2) BANCHI, Op. cit., pag. 227.
PRANCESCO SFOEZA, ECC.. 065

dono gradito, avendo i signori di Correggio favorito contro
di lui le parti del re Alfonso e dei Veneziani (1). Altri pen-

sarono che il tradimento dei Senesi non fosse compiuto senza .

*

intelligenza dello Sforza, il che non é presumibile. Il duca
scrisse a Francesco della Capra, a Corrado da Fogliano e a
Roberto da Sanseverino per compiangere la morte di Gi-
berto (2). Tommaso de' Tibaldi di Bologna scrisse da Siena
che Antonio Micheli, senese, stava in paura per le minaccie
dei signori di Correggio. Erano i fratelli dell'ucciso che ave-
vano detto ne morrebbero cento dei senesi per la morte di Gi-
berto: « fra i denti si diceva che ne era stato causa il duca di
« Milano, forse perchè Antonio Petroni è reputato duchesco
« da questo fatto, e in questo fatto s'é fatto là baliere » a
vendicare la morte di Giberto (2). Dei Petroni, Salimbene
era famigliare dello Sforza. Malatesta Novello esortó il duca
ad aiutare i fratelli (4). Il papa tardò a scrivere loro una
lettera confortatoria fino al cinque di ottobre (5).

Le due notizie, del recesso del Ventimiglia e dalla strage
del signor di Correggio, furono scritte con sobria eleganza
di eloquio latino dal Calcaterra al Maletta (6) e comunicate

(1) BANCHI, Op. cit., pag. 229.

(2) Lett. ducale ai detti del 13 settembre 1455.

(3) Lett. di Tommaso detto, da Siena, de' 22 settembre 1455.

(4) Lett. di Malatesta Novello al duca, da Cesena, de’ 26 settembre 1455.

(5) Breve di Calisto III del 5 ottobre 1455.

' (6) Pubblico integralmente l'avviso del Calcaterra al Maletta del 9 settembre

1455:

« Ex castris alia nova non habemus preter hec duo: alterum quod comes Io-
« hannes Capitaneus et Dux apostolici exercitus, sua sponte et quidem renitente ac
« invito pontifice, Capitaneatu et milicia sua se absolvit. Romamque proficiscitur,
« ubi, ut arbitror futurus est pontifici accessus suus minime iocundus et gratus.
« Summa gubernandorum castrorum a Ragusino archiepiscopo et Novariense nostro
« demandata est, iussis tamen qui in utroque exercitu primi ductores sunt consiliis
« perfruantur et qua debent prudentia universa pertractent. Alterum vero, quod de
« se flebile lacrimabileque est, et hominis miseranda calamitas, hoc est ipsum, quod
« dominus Gibertus de Corigia Senas profectus, ut quod asserebat debita sibi sti-
.« pendia exposceret, a Senensibus facetus est reus proditionis, quum esset, ut ferunt,
« fracta fide, ad Comitem Iacobum defecturus. Quamobrem capite obtruncatus, et
dehinc ex eorum Senensi palatio, magno cum dedecore, eiectus in plateam fune-
« stum ac triste toti populo spectaculum factus » (Lett. Caleaterra al Maletta 9 set-
tembre 1455).

A^

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cUm t Rte
Persi Iena

EE ME C LEES

A

566 L. FUMI

al papa. Al quale la miseranda fine di quel signore a soli
quarantacinque anni, di bell'aspetto e giocondo, prode in
armi, aitante della persona, nobile negli atti e nel porta-
mento, non toccò punto il cuore. Portato per natura a so-
Spettare sempre di tutti, a prestar facile orecchio ad ogni
diceria, stimó che l'infelice si fosse meritata la mala ven-
tura, come colui che se la intendesse perfettamente col conte
di Ventimiglia: « Fra quelli (diceva il papa) era dato ordine
« et menato tractato che l'uno si levasse de campo, cioè il
« conte Iane, come ha facto, et l'altro se ne andasse dal
« conte Iacomo: et che questo dovevano fare ambedue mossi
« persuasione et exhortatione della Maestà del Re ». Quindi
l'oratore ducale riferiva che al papa « li piace che già l'uno
« habia patito la debita pena et l'altro l'aspecta; il quale,
« giunto che sia qua a Roma, dove si aspecta domane per
« tuto il giorno, dice sua Santità essersi deliberata licentiarlo
« presto da sé, da bene sapia che, a trattarlo come il me-
« rita et come la ragione volle, sarebe a fargli tagliare il
« capo. Et che solamente expectando altro tempo a narrarli
« tuti li só defecti et manchamenti, solum questa volta si
« volle dire, che se nelli servicii de Sancta Chiesa s'é de-
« portato iustamente, ha facto suo debito, si l'á facto per-
« fidamente, che Dio et Sancto Petro se ne seranno ultor et
« vindicatori » (1).

Quanto si rincuorasse il Piccinino per gli ultimi avve-
nimenti lo dimostra la lettera che scrisse ai Perugini e che
torna utile riprodurre, perché rispecchia la momentanea
sua soddisfazione, e perché anche ad essa fa riscontro un
poscritto del governatore di Perugia che ripete quanto
scriveva il segretario del Piccinino intorno alla presente sua

(1) Lett. del Calcaterra al duca, 9 settembre 1455. Il Ventimiglia scrisse il 20
settembre da Roma al duca, che non potendo più comportare il suo stato, se ne era
venuto via dal campo e si dirigeva al re. Si doleva che le galere pontificie, che pur
si trovavano nel Tevere, non avessero, come sperava, portato impedimento alle vet-
tovaglie che giungevano per mare al Piccinino.
561

FRANCESCO SPORZA, ECC.

situazione in campo a scopo di tenersi favorevoli i Peru-:

gini e a diffondere la buona voce di sè. Ecco l’una e l’altra:

Magnifici domini patres honorandi. Perchè so che le S. V. viveno
in continuo desiderio di sentire dell’ essere e conditioni mie, come debbe
fare l'amoroso padre verso l'obbediente e amato figliuolo, quelle ad-
viso como mi ritrovo qui a Castiglione con tante genti, quante habbia
ancora havuto da poi che sia condocto a questa impresa. Et ho levato
all'inimiei, di poi che da Napoli mi furono portati danari, delle per-
sone più de 200 et de li homini d'arme circa 80, et omne di gle ne
levo et leveró tanti, che con le loro armi medesime mi confido vincere
questa impresa; perchè ho victuaglia in habbondanza et danari da dare
alle genti che io levo, et li inimici non hanno né l' uno, né l' altro. Per
li quali mancamenti le genti loro omne di minuiscono. Perché gli Sfor-
zeschi pigliano la via de Lombardia et gli ecclesiastiei la via del Pa-
trimonio. Et s'é partito el conte Ianni capitano di Santa Chiesa, et
Giberto da Corezza è stato ammazzato in Sena, come le S. V. sanno.
Per le quali cose, in brevissimi di spero essere superiore di questa im-
presa, la quale con la gratia di Dio metterò a bona executione e fine,
con stato et amplitudine delle S. V., le quali potranno di me, come
d'obbediente figliuolo e ciptadino, sempre ad omne suo apparere di-
sponere.

Qui se ritrova al presente don Bernardo Villamarino cum 4 galee
armate e staranno ferme qui a tenere sicura questa marina, acciò che
da ogni banda possa venire victulia qua a Castiglione. Et in pochis-
simi dì le S. V. vederanno el facto mio sublimarsi per forma, che ne
remarranno consolate e contente. Alle quali sempre me raccomando.

Ex castris meis apud Castilionum Piscarie viii? septembris MCCCOLY.

A tergo: Magnificis dominis tamquam patribus honorandis D. Prioribus
Artium inclite Civitatis Perusii.

Copia unius capituli im littera. Gubernatoris Perusii :

Post scriptam. Ho veduto una lettera che ser Broccardo cancelliere
del conte Iacopo scrive a Petropaulo Mansueti ciptadino de Perugia,
dove, inter cetera, si contiene queste parole : Datevi bona voglia, che si
come ci siamo difesi da 10 migliaia di persone che havemo havute con-
tra, così in pochi di urteremo quelli che sono rimasti, ne li quali ha-
vemo più amici e più nostri soldati accordati con noi, che non hanno

ann
568 L. FUMI.

quelli che ve li ha mandati contra, et vederetene vinciare senza cac-
ciare mano alla spada (1).

Per quel poco di baldanza che aveva ora presa il Picci-
nino si rendeva più difficile la pratica dell'accordo, anche
quando vi inclinasse il re non solo, ma meno alieni se ne
dimostrassero il papa e lo Sforza. Quanto allo Sforza, ormai
che col re si era tanto accostato, pareva piü remissivo. Ma
il papa perseverava sempre nella sua indignazione e voleva
continuate le ostilità. Alfonso spediva in Toscana Matteo Mal-
ferito per indurre il Piccinino a rendere ai Senesi le terre
occupate. Le condizioni imposte a questi di ritirare prima
le milizie e di venire ad una piena intesa col papa e col re
sembravano messe innanzi per tenere a bada. Intanto, An-
tonello da Forlì favorito, per quanto si diceva, dal conte Al
dobrandino, per conto del Piccinino prendeva d' assalto il ca-
stello di Vitozzo. Fu grave perdita per i Senesi, non com-
pensata abbastanza dal recupero che fecero, per opera di Gio-
vanni Ungaro e di Antonio di Checco Rosso, della rocca di
Cetona. Il peggio venne quando il Piccinino levatosi improv:
visamente da Castiglione, corse sopra Orbetello, posto sicuro
e luogo importante anche per combattere lo Stato della
Chiesa, e con l'aiuto di un Luca Schiavo, conestabile de’ Ve-
neziani, e con soccorsi delle galere aragonesi, se ne impa-
droni e lo mise a sacco, predando perfino gli altari delle
chiese. Colonna e Prata guerreggiate, dal lucchese Giorgio
da Massa, caddero anch'esse. Dall'altra parte Senesi e Fio-
rentini sonnecchiavano: perdevano il tempo in lesinerie,
i primi col negare i denari alla compagnia lasciata dal signor
di Correggio, che minacciava .di passare con armi e bagaglio
nel campo nemico, i secondi col trattenere le paghe a Simo-
netto loro capitano (2). Gli Sforzeschi poi erano così « ridotti

(1) Copia di lett. del Piccinino da Castiglione della Pescara 9 settembre 1455,
in Carteggio Sforzesco di Roma, ad an.
(2) Lett. dal Calcaterra de’ 20 ottobre 1455.
FRANCESCO SFORZA, ECC. 569

« al basso », da rimanere disutili; gli ecclesiastici non meno.
Battista Brendi, andato dal papa a farlo consapevole del man-
camento e della diminuzione del campo, il quale « a la fila »
(come lui diceva) se ne andava, consultatosi con gli amba-
sciatori fiorentini, senesi e ducali, tornava di nuovo a Siena
per persuadere i senesi al pagamento dei Correggeschi fin-
chè durasse la ferma, dicendo loro. « del bruscho et dell’ a-
« maro ». Per farli stare sicuri « di non allevarsi il serpente
« in seno », fece spartire la compagnia dei Correggeschi in tre
o quattro squadre sotto i condottieri del papa pagati da que-
sto direttamente col denaro senese (1). A Roma tutto: questo
affare della guerra fu commesso a tre cardinali: Fermo,
Orsini e Camerlengo. La scelta cadde su loro come per-
sone che potevano neutralizzarsi lun l’altro, essendo il
cardinal di Fermo tutto di confidenza del papa, I Orsini,
fratello di Napoleone, presunto partitante della guerra, e il
Camerlengo, invece, del partito aragonese (2). Ordinarono di
portare l’esercito sopra Orbetello. Anche il duca voleva che
senza indugio tutte le milizie corressero all’ assalto. Consi-
gliava il papa di adunare la lega per obbligare il re a desi-
stere dal dare aiuti (3). Si poteva poco contare sulle milizie
ecclesiastiche, rimaste senza capo, all'infuori dei due gover-
natori ecclesiastici, Novara e Ragusa. Il Novara si era van-
tato di voler dare al papa in quindici giorni, vivo o morto,
il Piccinino, ma erano state tutte millanterie vane: si sen-
tiva il bisogno di un vero e proprio capitano; e lo si riser-
bava per la primavera, quando si doveva dare la stretta al
nemico. Si pensava a Pier Ludovico Borgia; pensiero non
approvato in Corte, dove si riconosceva il Borgia troppo gio-
vane e inesperto. Intanto sotto il debole governo di due
| vescovi, la disciplina militare andava sempre più declinando.

(1) Lett. del Tibaldi del 20 ottobre 1455..Il Novara fin dalla morte del Correggio
aveva subito provveduto a questo (Lett. del Novara del 8 settembre 1455).

(2) Lett. del Caleaterra 23 ottobre 1455. :
(3) Lett. ducale al Calcaterra del 23 ottobre 1455.
1 7h Cat TOT VI

570 L. FUMI

Non mancarono di quelli che andati, sotto colore di prov-
vedere l’ esercito, a Orbetello, favorivano di provvisioni l’ av-
versario. Altri uscivano dal campo senza licenza, e niuno se
ne risentiva (1). Le vie di mare non guardate, nuove galere
e navi e saettie recavano liberamente munizioni e viveri a Ca-
stiglione. Inutile sperare ormai su i Senesi, ai quali toccava
più da vicino la cosa: divisi in varie fazioni, temporeggia-
tori per il timore che avevano del popolo male sofferente
dei pesi militari, non sapevano corrispondere all’ aspettativa
di Roma. Vi si aggiunse un nuovo caso che irritò contro di
essi l'animo del re.. Intercettarono le vettovaglie che da
Gaeta erano state spedite al nemico. Il barcaiolo che le aveva
navigate era suddito regio: il sovrano, alteratosene, ne chiese
ragione fino al punto da mettere diffida, che se in termine
di pochi giorni non fosse corrisposto il reclamato indennizzo,
la guerra sarebbe stata dichiarata a Siena; anzi ne prese
tanto dispetto, che scrisse al papa intorno a ciò in termini
di grande risolutezza.
La lettera è la seguente:

Con quanto desiderio e studio io habii desiderato la pace e con-
cordia de Italia, io non addurrò più testimoni li homini del mondo, de’
quali non è veruno che nol sapia; ma, invocato Dio, per cui cason prin-
cipalmente ho procurato ad tuta mia possanza che la pace de Italia
fosse tractata et conclusa, postponendo ogni privata passione, perchè
havendomi al cuore de intraprendere la guerra contra el Turcho, me
parve cosa summamente necessaria che Italia remanesse in concordia
et libera et expedita da ogni guerra. La qual cosa credendo io che do-
vesse havere effecto, in tale modo che se potessero dirizare tutti li no-
stri pensiere et forze contra li perfidi Turchi inimici del nostro Signore

(1) Lett. del Novara al Caleaterra 11 dicembre 1455, degli oratori ducali del
28 e di Sceva de Curte del 29. Questa, fra altro, dice della « disobidientia et inexti-
« mabile dexordine de esso campo che non temono, né non reveriscano più quelli
« Monsignori; sono come fusseno frati, e ognuno porta victuaglia a lo inimico e o-
« gnuno va fora de campo a sua posta, e fino pigliati li malfactori e non puniti ».
Di guisa che concludeva: « M'é parso comprendere li sia una gran ventura che
« sieno longe xiiij milia da lo inimico, come sono, e che lo inimico sia debile e con-
« sumpto pur asay ».
€————

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FRANCESCO SFORZA, ECC. 571

Christo, è accaduto che partendose Iacomo Picinino dal soldo de’ Vene-
tiani, è intrato hostilmente in quello de’ Senesi e toltoli per forza al-
quante castella; la quale cosa intesa, io confortai la Vostra Sanctità et
con littere et con ambaxiatori che la volesse tore via questa guerra che
era in vostro arbitrio de tuore, senza venire a l'arme, et così la S. V.
volesse conservare la pace Italica, quale per l'auctorità de papa Ni-
colao era acquistata. Il che havendo. nui tentato indarno, venero ad me
ambaxiatori senesi pregandomi et supplicandomi che volessi mandare
qualcehuno ad Iacomo Picinino ad pregarlo chel volesse desistere da la
cominzata guerra. Io li mandai messer Matheo Malferito iurisconsulto
molto benivolo et amico, et persuase ad lo dicto Iacomo non solamente
che desistesse da la guerra, ma che restituisse le terre tolte. Senesi
prima monstrarono allegrarsene, ma poi, non so perchè spirito, non so-
lamente hano refutato ogni accordo et le terre offerte, ma hano facto
guerra ad li mei proprii, li quali de ciò non se guardavano; perchè, na-
vigando certi mei citadini Gaietani a presso l’insula del Giglio, li hano
presi, robati et, che pegio è, crudelmente tormentati. Et in questo modo,
donde io sperava meritare con Senesi, de amico, non so perchè modo,
gli so facto inimico et, come se dice, io rimagno lapidato de bona opera.
La qual cosa ho voluto notificare ad la Sanctità Vostra, perchè, se da
hora inante accadrà nascere qualche cosa de novo fra me et Senesi, la
B. V. non se meraviglia, perchè tutti naturalmente siamo astretti ad
propulsare le iniurie, et una tanta, nera, ingrata et crudele scelerateza
tanto me afflige, che non me confido portare patientemente. Nientede-
meno, io li moniró anchora per lettere, che restituiscano le cose tolte et
satisfacino alle ingiurie; altramente se diino bona voglia che io vendi-
carò ad tutta mia possanza le iniurie che hano facto ad li citadini et
subditi mei. Et per questo non domandaró zà ad la S. V. soccorso per
vigore de li capituli de la liga, perché, se non me ingano, io per me
haveró possanza et consilio assay contro Senesi.
Neapoli, XX Octobris 1455 (1).

L'opinione che il papa ebbe di questa lettera fu non
tanto che la fosse una diffidatoria per i Senesi, quanto come
una giustificazione per il fatto di Orbetello, « et anche per
« Smarrire e conturbare Senesi, a ciò che in ogni pratica de
« acordio se havesse o se dovesse fare cum tuto il conte Ia-
« Cobo, la condicione de esso conte Iacobo se rendesse mi-

(1) Copia allegata al carteggio di Roma, 20 ottobre 1455.
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I Tr

5792 L. FUMI

« gliore » (1). Egli mostrava di conoscere il re fino alla pianta
de’ piedi. Voleva resistergli ad ogni costo, perchè non avesse
buona mano ad occupare il dominio di Siena. Parlò di questo
con tanto calore, che il Tibaldi scriveva: « Dubito che la
« guerra che ha la Sua Sanctità col Re non sia casone de
« fare de li mali assay » (2).

Per soddisfare al desiderio del papa si proponeva dal- ‘
l'oratore Tibaldi al duca di tenere in campo Corrado da Fo-
gliano, Cristoforo Torelli, messer Bartolomeo dei Quartieri,
Agnolello da Lavello e Angelo (da Forlì?) con non meno di otto
uomini d'arme per ciascuno, in tutto millecinquecento fanti.

Non valeva la pena di muovere tanto scalpore per sì pic-
cola causa. Avevano ragione i Senesi di dire di lui al loro
oratore in Firenze: « Per una lieve cagione ha sputato fuori
« il concetto veneno: s'appicca a’ rovi, non havendo unde
« altrimenti attaccarsi » (3). Vista la mala parata, manda-
rono a Napoli il vescovo Piccolomini per tentare un compo-
nimento, tuttoché non fosse questo atto molto gradito al
papa, che nelle lettere sdegnose del re altro non vedeva se
non un gesto per incutere paura ai deboli. Il re sapeva bene
che era solamente il papa quello che metteva inciampi ai
suoi disegni. Di fatti al Malferito, quando era in Siena a pra-
ticare l'aecordo, aveva il papa contrapposto Nicodemo da
Pontremoli. Aveva rimandato indietro con lui l' oratore Bindo
Bindi per far che a Siena durassero sempre fermi nel pro-
posito di resistenza, non dando retta affatto all'oratore re-
gio (4). Il giuoco fra re e papa era ormai così lungo, che o
l'uno o l'altro doveva provarne stanchezza. Alfonso si decise
a scrivere allo Sforza che volesse interporsi col papa per
ricevere a grazia il Piccinino: non pretendesse che egli

(1) Lett. del Caleaterra, del 25 ottobre 1455. La copia della lettera regia fu man-
data al duca dal Tibaldi (v. lett. di questi del 25 ott. 1455).

(2) Lett. predetta del Tibaldi del 25 ottobre.

(3) BANCHI, Op. Cit., pag. 238.

(4) Lett. di Tommaso Tibaldi e del Calcaterra de’ 28 settembre 1455.
FRANCESCO SFORZA, ECC. 973

avesse a tirarselo nel Regno, perchè conquistato da lui di re-
cente, e senza aver potuto ancora allietarlo dei beneficî della
pace, aveva bisogno di ristoro e non di nuovi gravami che
sarebbero stati mal tollerati dai sudditi (1). Proponeva di
lasciarlo stare dentro Castiglione tutto l'inverno, finchè, so-
pravvenuta la nuova stagione, potesse salpare per l' Albania.
Intanto, la lega lo provvedesse di viveri. Ma la proposta di

dimora in Toscana sarebbe stata uno stecco negli occhi dei
vicini; e nessuno se la sentiva di trarre denari per sfamare
un ribelle. Allora il re venne al partito di preuderselo lui: lo
avrebbe tenuto per quattro mesi e gli avrebbe dato venti-
mila ducati (non già i cinquantamila che aveva richiesti); di
meno non potendosi fare per sostenere tanta gente. Il] papa
chiamó a consiglio il cardinale di San Marco e gli oratori;
Gioè i ducali, quello di Firenze e l'altro di Siena. La dif-
ficoltà volgeva sul modo di pagamento dei ventimila ducati,
mentre tutti si erano già protestati di non voler cavare un
soldo. Allora il senese si levó su per dire che Siena sarebbe
contenta di pagare quella parte fosse a lei possibile sborsare,
quando il Piecinino avesse restituito il tolto e levate le of-
fese. Cosi, con queste trattative, il papa si andó calmando
col re, e l'uno e l'altro,'di giorno in giorno, addolcivano gli
animi. Il re offri al papa, per la guerra contro il turco, quin-
dici galere ben fornite e in punto, e glie ne promise altre
ancora, se gli mandasse un cardinale a latere (2). Al 23 di-
cembre il Piccinino delegó il conte Broccardo di Persico a
suo procuratore per capitolare (3).

13. — Con tutte queste buone disposizioni non rallen-
tavano le ostilità. Gli sforzeschi destinati ad invernare, dap-
prima, ad Amelia e a San Gemini, nell Umbria, si erano man-

(I) Lett. del re al duca, 25 novembre 1455.

(2) Lett. di Sceva e di Calcaterra al duca de’ 15 e 16 dicembre 1455.

(3) Atto di Andrea de Lanzaroni di Crema fatto in Orbetello il 23 dicembre 1455
ASM. Carteggio di Roma ad an.

tenerlo a Castiglione non poteva piacere a nessuno: la sua
pres GC. TYXIcr0eUTe pes

514 L. FUMI

dati poi al piano di Spoleto perchè avessero miglior como-
dità di strami. Con l’esercito pontificio rimasero gli uomini
d'arme, le fanterie di Sagromoro da Parma, di Bartolomeo
de’ Quartieri, di Angerello della Villa, di Giovannino Giorgio
da Lampugnano e di Angelo de’ Caposelvi (1). Tutti costoro
erano a Magliano di Maremma sotto il comando del vescovo
di Novara, capitano non più fortunato che fosse stato il
conte Ventimiglia in questa singolarissima impresa militare.
Fra lüi e l'arcivescovo, il Ragusa, entrò presto una certa
ruggine. Di tutti i suoi piani al Novara neppure uno era an-
dato a verso. Il papa voleva a Magliano ducentoventicinque
corazze e duemila fanti, eletti tutti per squadre: ma appena
potè averne la metà. I pochi uomini d' arme di Napoleone Or-
sini e le lance spezzate che erano con lui furono revocate.
Sulla fine del gennaio 1456 egli, il vescovo, avvisava che il
Piecinino pareva volesse dare addosso ai pontifici; che aveva
ricevuto sei galee e altre otto gli sarebbero sopraggiunte con
aiuto di balestrieri e fanti che le conducevano. Pensava che
quando non gli venisse bene, sempre potrebbe riparare ad
Orbetello. Spedi al governatore di Viterbo per avere denari
alla mano e richiese gente in soccorso (2). Egli spiegava un gran
zelo; ma là fortüna non gli arrideva punto. Se prima di met-
tersi all'impresa aveva qualche speranza di riuscita, da che
era entrato in quel ballo di Magliano, senti venirgli meno la
fiducia del papa. L'oratore ducale cosi scriveva: « Se ] ha-
« vesse tanto guadagnato quanto senza sua colpa ’là per-
« duto et cum suo grande danno, pericolo et spesa, non

(1) Lett. degli oratori ducali del 22 gennaio 1456.

(2) Avvertito di cio il papa da un biglietto degli oratori ducali, appose al bi-
glietto stesso il seguente curioso rescritto: « Mirandum est de levitate hominis
« istius. Heliam vocat iste nunc quod habuit vexilla nostra et ea que a nobis requi-
« sivit! Infra paucos menses oportune providebimus: interim porsuadeatis ei quod
« bono stet animo et non timeat, quia nuge sunt ea que scribit, ne si forsan ista
« ad aures emulorum suorum devenirent, nos possemus redargui de mala ipsius
« ad hanc rem, quam fecimus electione ». (Lett. degli oratori al duci 3 febbraio 1456
con allegata copia del Novara ai medesimi del 25 gennaio e il rescritto pontificio
del 30).
FRANCESCO SFORZA, ECC. 515

« dico ch'el seria facto cardinale, ma seria facto papa » (1).
Il 5 febbraio venne a Roma la nuova che Iacopo da San Ge-
mini e Vittorio nepote del Patriarca avevano preso Matteo
da Capua con trenta cavalli. Il papa ordinò che il prigio-
niero fosse condotto a Roma e fatto ritenere « sì per disfa-
« vore del conte Tacomo et si per sapere qualche segreto » (2).
Messo in Castel Sant’ Angelo (3), ecco uno da parte del re a
domandarlo e come suo uomo e per ragione di fatto d' arme.
Il papa che dopo avere a lungo interrogato il capitano, non
avevane ricavato cosa di rilievo, si persuase a rilasciarlo li-
beramente al re (4), non senza provare, poco di poi, penti-
mento di questo atto di generosità, quando seppe che il Pic-
cinino riprendeva più gagliarda l’ offensiva. Di più, questi tentò
« con certi edifizi di peza, con salnitri e polvere: da bom-
« barde mettere l'incendio negli allogiamenti pontifici ». A
questa notizia il papa si adiró tanto, che ordinó non solo di
rafforzare il campo, mandandovi la gente del signor di Came-
rino e allestendo le paghe (5), ma, adunato il Collegio dei Cardi-
nali, propose di scomunicare il Piccinino e tutti i suoi ade-
renti e fautori. I cardinali, in verità, se ne risero (6). Ma il
re si piccò assai e volle spiegazioni. Le spiegazioni furono
presto date: non doveva turbarsi il re per questo: i romani
pontefici non si erano peritati di scomunicare ben maggiori
soggetti che non il Piccinino: tutte le altre parti contenute
nella scomunica erano fatte e scritte secondo l'antico stile
e la inveterata consuetudine della curia (7). Arrivò così la
doccia fredda sulla scomunica. Lo Sforza consigliava sempre
a far muover la lega: Orfeo da Ricavo fu appositamente spe-

(1) Lett. del Calcaterra del 3 febbraio 1456.
(2) Lettere del Caimi del 5 febbraio e degli altri orator. del 7 febbraio 1456.
(3) Lett. di Sceva del 9 febbraio 1456.
(4) Lett. degli oratori del 18 febbraio 1456.
(5) Lett. degli oratori del 5 marzo 1456.
' (6) « Li cardinali pae se ne ridono, dicendo. Queste sonno cosse d’ usanza e
« non tradimento » (Lett. di Sceva del.13 marzo 1456).
(7) V. istruzione ducale al detto sotto la data 10 marzo 1456.
28 PES — ;
SEN : 3 174

576 L. FUMI

dito da Milano a Roma (1). Si tornò a mandare al duca perchè
richiamasse le milizie dalle stanze dell’ Umbria. Ma in mezzo a
pontifici e ducheschi era sorta sì grave rissa e contenzione (2),
da far temere la completa rottura fra di loro. Il fatto si
ricollega a quel tentativo del Piccinino di metter fuoco nel
campo. Si scoprì che a tale tentativo aveva tenuto mano un
fantappié che, partitosi poi dal Piccinino, si era acconciato con
Pietro da Somma capitano della Chiesa. Il Novara da Ma-
gliano ordinò al maresciallo del campo, Angelo de’ Caposelvi,
di farlo prendere per poterlo esaminare. Il fantappié su-
bodoró la cosa e fuggì, calandosi giù dalle mura di Magliano,
Preso che fu dal maresciallo, Pietro da Somma si fece avanti
per liberarlo e lo salvò, e poi, con la spada sguainata, si
gettò contro Angelo de’ Caposelvi che era disarmato. Di qui
la mischia di chiesastici con sforzeschi; chi gridava Chiesa
Chiesa, chi Duca Duca! Poco mancò che il maresciallo non
fosse tagliato a pezzi; e se non fossero accorsi alcuni prov-
visionati sforzeschi con Francesco d'Alviano, condottiero di
Napoleone Orsini, e Andrea Corso, conestabile della Chiesa,
non sarebbe campato. Pietro da Somma, per le grandi ferite
riportate, di li a qualche giorno se ne morì. Molti da una
parte e dall’ altra rimasero assai malconci (3).

A tutte queste cose si aggiungeva che, a rendere sem-
pre più intricata la posizione del campo, si era fatto più vivo
il contrasto di opinioni intorno a ció in corte di Roma. Vi
eran di quelli che cercavano di guastare e disfare tutto
quanto il papa voleva: « De questi rev.mi Cardinali alcuni
« sono, li quali compitamente iocano a la riversa, Alcuni,
che sono la più parte, non se ne impagiano: alcuni altri
« Stano a vedere, se ne rideno, se ne befano et hanno pia-
« cere de intendere che le cose piü tosto vadano male che

^

(1) Lett. del Calcaterra 7 aprile 1456.
(2) Lett. degli oratori 13 e 16 marzo 1456.
(3) Lett. di Sceva del 16 marzo 1456.

LI
FRANCESCO SFORZA, ECC. 511

« bene. Cosi passa al presente la triste et miseranda condi-
« tione de la Romana Chiesia » (1). |

Il duca di Modena fece una proposta per risolvere la grave
questione: di assumersi esso il Piccinino. Propose di pren-
derlo al soldo della Chiesa, allo stipendio di trentamila ducati
all'anno: egli resterebbe mallevadore per lui che niuna of-
fesa sarebbe data alla Chiesa, assegnatagli la stanza in Ro-

magna. Lo Sforza si oppose: era quanto tornare a metter

fuoco in quella regione che al duca di Milano premeva man-
tenere tranquilla: ne sarebbero sorte dissenzioni nella lega
e turbamento in tutta Italia. Tirare il Piccinino in Romagna
significava mettere un’ esca vicino al fuoco e sconvolgere tutto
lo Stato della Chiesa. Ricordava opportunamente il tentativo
fatto già dal duca di Modena su Bologna. Non sempre si
potrebbero trovare quei quattromila cavalli e quei mille e
cinquecento fanti che si trovarono pronti allora ad impe-
dirlo (2). Consigliava di non stringere la ferma col Piccinino
più che per un anno, al più per due, a beneplacito ponti-
ficio, perchè il papa non venisse ad obbligarsi in perpetuo:
l'accordo dovesse apparire tutta cosa di motoproprio del
pontefice, altrimenti, c' era pericolo di guastarlo, anziché com-
binarlo. Ad ogni modo, bisognava sempre tener pronta la
forza militare da tener in campo, richiedendola dalla lega,
perché in quella che si praticava l'aecordo, al bisogno non
venisse fatta cosa da dargli animo tale, da proseguire la
euerra piuttosto che abbracciare il partito della pace, e fosse
poi piü difficile e duro il vincerlo. Si sapeva che andava sem-

pre crescendo di gente a cavallo e a piè, per modo che in.

pochi giorni, non avendo altro contrasto, poteva andar cam-
peggiando a suo piacere (3). Avrebbe voluto lo Sforza che
il Piccinino si facesse a chieder perdonanza al papa, « in

(1) Lett. degli oratori del 13 marzo 1456.
(2) Lett. ducale agli oratori 7 aprile 1456.
(3) Lett. ducale al Calcaterra 16 aprile 1456.
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578 L. FUMI

< modo che ognuno conoscesse lui essere venuto con la cor-
« regia a la gola... come homo disfatto ». Voleva ridotta la
spesa al meno possibile, mediante l’opera del re; e poi il
papa avrebbe dovuto cassare le sue milizie per volgere l’ eco-
nomia delle paghe al nuovo carico per il Piccinino, ritenendo
appena un terzo delle milizie per mantenere il buon ordine
nello Stato. Premevagli molto levarsi d' Italia questo suo emulo
e lo voleva sospinto in Albania. Tutti gli Stati della lega do-
vevano obbligarsi, ma il re doveva rilasciare un atto spe-
ciale e separato, e così i Veneziani, i Fiorentini e lo stesso
duca di Milano, di favorire ad ogni richiesta la Chiesa,
quando un vicario o barone facesse cosa contraria allo Stato
della medesima o le fosse disubbidiente. Un accordo su queste
basi doveva, secondo lo Sforza, giovare a far rifiorire l’ ami-
cizia e la benevolenza fra papa e re, e dar luogo a provve-
dere tranquillamente ed efficacemente alla guerra colla te-

. muta potenza ottomana (1). La voce corsa che il Malatesta

andava segretamente fornendosi di vettovaglie insospettiva
il duca sempre diffidente di tutti. Bastava aver saputo esser-
gli uscito di bocca con alcuni suoi uomini d' arme che presto
sì troverebbero a qualche bel fatto col Piccinino, per far pen-
sare ad un colpo di mano su Bologna. Il ritrovarsi Guido
Rangoni in quelle parti senza aleun avviamento, la presenza
dei signori di Carpi e della gente del duca di Modena, un
cinquecento cavalli, con altri trecento dei gentiluomini di
Correggio, tutto dava a pensare e faceva temere che, capitando
il Piccinino in Romagna, non facesse causa comune con Ma-

.]atesta, con Sigismondo, con quel da Faenza e l'altro di

Forli, per metter la Chiesa nell'imbarazzo (2). Nello stesso
giorno che il duca andava confortando a queste cose,si dif-

fondeva per Roma la fiaba dai suoi nemici che-egli aveva

(1 Lett. duca'e 16 aprile 1456.
(2) Lett. ducale 17 aprile 1456. Nuove insistenze del duca per mandare il Pic-
cinino in Albania si leggono nel p. s. alla lettera agli oratori del 25 aprile.
FRANCESCO SFORZA, ECC. 519

fornito il castello d'Imola e che Alessandro Sforza suo fra-
tello era entrato in Bologna con l' intesa di Sante Bentivoglio.
Era tutta mena del duca di Modena, « di quella amara « et
« indisposita voluntà del duca di Modena » (1).

14. — Più si parlava di pace, più si vedeva apparire
come miraggio di bell'aurora. Impaziente d'indugi, il papa
temeva si risolvesse in una bolla di sapone la trattativa del-
laecordo: vedeva alla spedizione di Albania il re non
più propenso come prima pareva, per la gelosia che il
Piccinino, mandato là, avrebbe dato ai Veneziani: era di-

| sposto riprendere più vigorosamente la guerra. E poi egli

sognava i trofei militari di questa campagna per il suo di-
letto Pier Ludovico Borgia. Dopo Pentecoste,.tutto doveva esser
pronto per dare l ultimo colpo al nemico (2). Fece coman-
dare ai ducheschi che si trovavano alle stanze di uscire in
campo, termine tre giorni. Ma tutti si scusarono, o furono
renitenti: i più avevano armi e cavalli in pegno, senza pos-
sedere, per riscuoterli, il becco d'un quattrino (3). Si doveva
levar tosto le tende e portarle a Marsigliano per muovere
all'assedio di Orbetello e di Colonna. Il Novara convocò i
condottieri per conferire sull'attacco. Fu presente, fra gli
altri, Iacopo Guidini commissario generale dei Senesi. A mu-
nire Marsigliano furono destinati Pietro Brunoro, Leone
Schiavo, Leonetto e Tassone, conestabili senesi. Fra tutti non
facevano cinquecento fanti e trecentosettanta cavalli. Il resto
rimaneva a Magliano fino alla venuta di Simonetto e - di
don Carlo Gonzaga o del Borgia. Di quelli della Chiesa non
erano rimasti che gli armigeri di Bartolomeo Felles, non più
di ventisette uomini, per essere gli altri a Roma riscuotere
le loro prestanze. Quelii del principe Colonna, richiamati per
mancanza di provvisioni, se ne erano andati. Sicchè il No-

(1) Lett. ducale 1 maggio 1456 in risposta a quella Calcaterra del 17 aprile 1456.
(2) Lett. del Calcaterra 11 maggio 1456. :
(3) Lett. del Calcaterra 5 maggio 1456.
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genus

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580 L. FUMI

vara ridotto a questo stremo di gente, non avrebbe potuto
cimentarsi a nulla: più che atteggiarsi a difender le vetto-
vaglie da razzie e scorrerie non avrebbe potuto. Intercettare
al nemico vesti spedite da mercanti pisani a Talamone per
i bracceschi rimasti quasi nudi era massimo osare. Il Novara,
messo in queste angustie, andava chiedendo al papa la com-
pagnia di Iacopo da San Gemini che era distaccata a Mon-
talto (1): ma senza l'opera dei ducheschi non avrebbe po-
tuto che continuare nella inazione; e ripicchiare al duca di
Milano, quelli stessi che non avevano saputo profittare dei

suoi aiuti, del suo denaro, dei suoi consigli, come avrebbero

potuto farlo?

Si lasciò che la pratica dell'accordo, una volta comin-
Ciata, seguisse una buona volta il suo corso; corso lento,
quanto si volesse, quanto lenta la natura del vecchio re di
Napoli. Ne profittava il marchese di Ferrara, avverso allo
Sforza, amico del Piccinino, per intorbidare le acque. Questi
scriveva ad Alfonso in favore del Piccinino, acciochè non
conseguisse il suo intento « quell'uno haveva animo di usur-
« pare tutto ». Intendeva, come si vede, alludere allo Sforza
a cui si attribuiva questa latitudine di ambizioni in un mo-
mento appunto che egli si studiava di seguire una politica
di pace e una attitudine di grande raccoglimento. Ma l'E-
stense, altero con lo Sforza, astioso della sua fortuna, insi-
nuava che i francesi si muovevano per venire ad acquistare
il dominio di Genova e che il duca di Milano, sotto colore di
comporre le discordie dei Genovesi, mirava lui a . quella
signoria, mentre poi armeggiava coi Senesi: aveva loro
dato affidamento che quando tutti li avessero abbandonati,
egli li avrebbe aiutati; e ciò, s'intende, secondo l’ Estense,
per deminarli (2). Il suo piano era di attirare il Piccinino
verso Urbino e la gente sua in quello di Malatesta di Ce-

(1) Lett. da Magliano al vescovo di Novara, 8 maggio 1456.
(2) Lett. del Calcaterra degli 8 luglio 1456.
FRANCESCO SFORZA, ECC. 581

sena: il re, che sapeva l Estense in buona intesa coi Ve-

neziani, attribui loro questo disegno. Lo Sforza, di ricambio,
svelava confidenze francesi a carico del duca di Modena: era

.lui che si era messo in rapporti colla corte di Francia, alla

quale aveva offerto aiuti da tutta Romagna per l' impresa di
Genova, dicendo di potere avere a disposizione da tremila
fino a diecimila cavalli. Lo Sforza pretese anche di pene-
trare il segreto dell’ Estense con Genova: avrebbe esortato il
doge ad accordarsi con Francia: e quando senti che i Fie-
schi praticavano con Francia, lo stesso giuoco ripeté con
loro. Mancata una trama, ne preparava subito un'altra: man-
dava innanzi e indietro Antonello Scaglione al figliuolo del re
Renato (1). Queste mene subodorate determinarono l'aragonese
a sciogliere quel nodo gordiano del Piccinino, risolvendo la que-
stione piü grossa, quella della stanza, poiché nessuno voleva
un tal vicino. Si: decise a toglierlo seco. Rimaneva a definire
l'alera questione del denaro. Su questo tasto il duca di Milano
non voleva essere chiamato, perché al papa egli profferi una
somma per aprirgli una via di uscita col Piccinino, e il papa la
rifiutò, scandalizzatosi perchè avrebbe il duca abboccato ai
gruzzoli della decima. Come i ducali videro il papa annuvolato
per questa profanazione del denaro sacro alla crociata, trova-
rono subito la via di correggersi; ma di mettere a contributo il
duca non si parlò più (2). Finalmente anche la questione del

(1) Lett. ducale al Calcaterra 31 maggio 1456.

(2) Lett. del Calcaterra 7 maggio 1456. Lo Sforza ricevette poi dal papa il breve
seguente per la quota di ducati cinquemila impostagli nella contribuzione delle
paghe al Piccinino: ma egli fece orecchie da mercante.

« Calistus pp. III. Dilecte fili salutem et apostolicam benedictionem.

« Deum testamur quo animo et qua mente publicam defensionem pacis Italice
suscepimus et quam nihil cupieramus, nisi ut, pacata primum Italia, excitatis christa-
norum auxiliis ad vindicanda fidei catholice obprobria a barbaris illata, vires no-
stras converteremus. Hic fuit semperque erit animus noster, et quicquid ceteri
opinentur, nulla nos privata affectio movit contra comitem Iacobum arma capere,
quod enim nobis cum Iacobo Picinino? Nisi quod pacem Italie tam necessariam
tantisque laboribus partam, indigne et graviter ab illo violari, in nostre assumptio-
nis primordio, ferebamus, et quicumque alius tanti boni turbator fuisset ad illius
conatus impios reprimendos pia et iusta cepissemus arma. Sed preterita dimitta-

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582 USE Li; FUMI

denaro fu risolta in cinquantamila ducati, dei quali venti-
mila davano i Senesi, diecimila il re, e gli altri ventimila fra
papa, Fiorentini e nuovamente i Senesi. In termine di un
anno il Piccinino sarebbe entrato a soldo della Chiesa.

La pace fu conclusa a Napoli l'ultimo di maggio 1456.
Giovanni Soleri, ambasciatore regio presso il papa, e il ve-
scovo Piccolomini tennero ornate orazioni. Il re stesso nella
solenne messa celebrata per pubblicare l'avvenimento, pro-
nunziò parole enfatiche. Prima levò a cielo il nome di Cali-
sto: disse che aveva fatto benissimo a domare e abbassare la
superbia del conte Iacopo Piccinino, questo provando con
esempi tratti dalla Santa Scrittura e confortandolo per detti
morali: aggiunse poi aver fatto benissimo ad usargli uma-
nità, dolcezza e cortesia: tanto più laudabile il santo Padre,
quanto più era rimasto umiliato il Piccinino: a nulla sarebbe
valsa la lega da tutte le potenze d'Italia stretta l’anno
avanti, se questa pace non fosse seguita com'egli aveva

« mus. Nunc tandem, volente Domino et ad instantissimas intercessiones carissimi in
Chsisto filii nostri Alfonsi Aragonum et utriusque Sicilie Regis illustris, prelibatum
Iacobum Picininum sese reducentem, ad nos et gratiam nostram recepimus, que-
madmodum ex fama ipsa et oratoris hic litteris jam intellexisse te arbitramur.
Et quia, ut ex copia Capitulorum et condictionum huiusmodi reductionis et con-
cordiae intelliges, conclusum est, secundum prefati Regis decisionem, ut eidem
Iacobo Picinino ipse Rex decem milia ducatorum, nos vero et dilecti filii Senenses
vigintimilia pro quolibet persolvamus, hortamur nobilitatem tuam et instanter
rogamus ac requirimus, ut ad levandum onus, quod prope totum in nostros re-
cumbit humeros, vobis partem aliquam subire et nobis saltem quinquemilia du-
catorum solvere. Novisti enim quibus impensis in hoc bello fatigato simus, cuius
partem cum tu quoque subieris, rogamus ezcellentiam tuam, ut iure federis et
lige, quemadmodum in bello, ita et in pace nobis auxilium et opem prestare velis.
Exposuimus enim ultra ducenta milia duc.torum, ut omittamus interesse, mole-
stias, labores et pericula, que ob hoc ipsum bellum suscepimus. Nec unquam ma-
ioribus impensis implicati fuimus, enm tempus instet quo totaliter vires nostras
contra pessimum Turcum experiri decernamus. Speramus autem quod Excellentia
tua, considerata petitionis nostre honestate, pro sua sapientia opportune provvi-
debit, et nihilominus contra eundem Turchum excitabis potentiam tuam, ut sepe
« et sepius nobilitatem tuam exhortati fuimus. Est enim iam Legatus noster de la-
« tere Cardinalis Camerarius;ad mare, ut credimus per oratorem tuum de his plenius
« te iam informatum esse. Rome apud Sanctum Petrum sub anulo piscatoris die vij
« junii MCCCCLVI pontificatus nostri anno secundo ». (Breve di Calisto III, 7 giugno

AA A A A UA A OR OA OA SORA OA A OA ALA OA

1456).

— € PUE
À E.
FRANCESCO SFORZA, ECC. 583

sempre asserito davanti agli oratori d'Italia che non manche-
rebbe di seguire. Il re concluse il discorso, affidando al suo
cancelliere, il celebre Antonio Panormita, il mandato di
scrivere in stile elegantissimo tutto l'ordine di quella ceri-
monia (1).

Indirizzó poi al papa una lettera in cui, chiamandosi
in colpa e scusandosi se nei fatti del Piccinino l'opera sua
eli fosse riuscita molesta, diceva aver voluto farsi definitore
della pace sopratutto a riguardo di Sua Santità che in questi
primordi del suo pontificato aveva patito grandi tribolazioni:
volere egli accrescere la gloria di Calisto, a somiglianza del
Salvatore che volle prima discendere in terra che ascendere
in Cielo: questa vittoria sarebbe foriera di quella che segui-
terebbe del recupero di Costantinopoli e della conquista di
Terra Santa (2).

Quanto si rallegrasse Calisto per vedersi uscito da quel
labirinto, in cui era rimasto intrigato per ben più di un
anno, lo fece vedere dai discorsi che tenne in Corte. Si com-
piaceva che la pace brillasse nell’ orizzonte proprio in quel
giorno e in quell'ora stessa, che egli in Concistoro trattava
eoi cardinali per consegnare gli stendardi della Chiesa al suo
diletto nepote il capitano Borgia e al camerlengo cardinal
Legato, e proprio in quel giorno che la Chiesa celebrava la
festa di Santa Petronilla, la figliuola legittima di San Pietro.

Così il papa potè celebrare la festa del principe degli A-
postoli col cuore sollevato: la guerra era rimossa dai confini e
riconciliato l'animo del re. In quel giorno solenne, nell’ atto di
discendere dalla basiliea al palazzo Vaticano, ricevette con
lieta cera e assai di buona voglia la nobile chinea dell ara-
gonese con i fornimenti d'oro, coperta di velluto cremisi (3).

15. — Delle vicende del Piccinino un racconto somma-
rio, preciso, sopra i documenti sforzeschi, dà materia suf-

(1) Lett. del Calcaterra e di Orfeo da Ricavo del 14 giugno 1456.
(2) Lett. del Calcaterra e di Orfeo da Ricavo 15 giugno 1456.
(3) Lett. del Calcaterra del 30 giugno 1456.
584 i p. FUMI

ficiente a giudicare di lui come condottiero militare. Egli
seppe tener piede e fare resistenza con meno di tremila
‘uomini ad un esercito di circa diecimila, con opportuni
‘accorgimenti sfuggendo alla rete tesagli in Romagna e pian-
tandosi in Toscana in posizione inespugnabile, dove riuscì a
a tenere a bada coloro che, non potendolo. assalire, vole-
vano vincerlo a forza di stancarlo. In questa guerra il Pic-
cinino vinse con l’astuzia unicamente: dalla parte contraria
in luogo di campeggiare il valore, si affacciarono le esi-
tanze di fronte ad ogni pericolo, i sospetti di mala fede
e di tradimento. Soltanto il papa, eccitato dallo Sforza, si mo-
strò di spiriti ardenti, ma, perchè lontano dal luogo delle
ostilità, non potè capacitarsi dei rischi della impresa. A
dominare una situazione militare mal potè la lega italiana
affidarsi ad un capo come Calisto III, natura impulsiva,
che si lasciò attrarre nell'orbita dello Sforza, odiatore del
suo rivale. Al papa pesò quell'apparato belligero col suo
dispendio gravissimo senza avere nemmeno ottenuto quella
tranquillità sul conto del Piccinino che era stata lo scopo
unieo dei movimenti militari contro di lui. Poiché, se fra
i capitoli della pace era la condizione che il Piccinino non
potesse offendere le terre della Chiesa, de' Veneziani, del
duca di Milano, di Firenze e di Siena, né danneggiare gli
stati confederati, e che restituisse il castello di Monteagutolo
.da lui tolto ai Senesi e consegnato al conte di Pitigliano
e sgomberasse tosto da Orbetello (1) egli si valse di ogni
occasione per aver pretesto a differire e dar così mo-
tivo al papa di diffidare sempre di lui. Il re lo aveva de-
stinato ad Aquila, e lo voleva là, « a ciò che tengha strecti
« et gubernati a suo modo queli Aquilani et li meta le mor-
« raye (2) che non habiano caxone in cosa alcuna de recalci-

(1) Lett. del Calcaterra e di Orfeo da Ricavo del 15 giugno 1456,
(2) Forse « mordacchie » della qual voce il Fanfani porta un esempio del Pal-
lavicino per il significato di « freno ».
FRANCESCO SFORZA, ECC. 585

« trare » (1). Emanuele d' Appiano, signore di Piombino, a
cui era sembrato respirare per l'aecordo di Napoli, perche
si sarebbe levato un vicino tanto incomodo, non vedendolo
mai spacciarsi, entrava in forte timore di qualche minaccia

al proprio territorio (2). Per passare nel Regno, il Piccinino

doveva, secondo i capitoli, prendere la via di mare: ma cercò
di fare quella di terra insieme con la sua gehte. Il papa,
che non si fidava e voleva che il condottiero non paresse
vittorioso, col procedere a capo delle sue squadre, che do-
vevano invece apparire disfatte e vinte, non lo permise (3).
Il Piccinino non si decideva mai al viaggio per Napoli, perchè
non era nel Regno che egli potesse sperare per il suo avve-
nire. La debole monarchia pontificia era la sola che si pre-
stasse alle sue ambizioni. Andava dunque prendendo tempo
e differiva a rilasciare Orbetello, fatta rinunzia di Colonna,
come terra di minor conto.. Procurava sempre di entrare
a soldo del papa, valendosi della mediazione di fra Filippo,
stato già suo cancelliere. Lo mandò a Roma a tentare la
cosa (4), facendo agitare il sospetto che avrebbe potuto. fer-
marsi col conte di Urbino a prendere impresa contro Sigis-
mondo Malatesta (5), signore tenuto fuori dalla lega per vo-
lontà del re di Napoli che aveva delle partite aperte con lui.
Ma il duca che spiava tutti gli atti di questo suo emulo,
istruì il suo nuovo oratore, il dottore Ottone Del Carretto,
a mettere in guardia il papa, « perchè quando Sua Sanctità
« Se credesse d’havere uno suo soldato et che facesse ad
« suo modo, lei faria la spesa et altri el faria fare ad suo
« modo » (6). Il papa non lo avrebbe accettato per due ra-
gioni; e perchè diffidava di lui e perchè non voleva spendere,

(1) Lett. del Calcaterra del 17 giugno 1456.

(2) Il papa e il duca di Milano ai quali si rivolse l’ Appiano lo rassicurarono
(Lett. cit. del Calcaterra 17 giugno 1456).

(3) Lett. del Calcaterra 23 giugno 1456.

(4) Lett. Del Carretto 12 gennaio 1457.
(5) Lett. Del Carretto 18 gennaio 1457.
(6) Lett. ducale 2 febbraio 1457.
586 L. FUMI

sebbene il capitano Borgia avesse la smania delle imprese
e dal valore del Piccinino si attendesse la buona riuscita.
Bologna, finché rimaneva in mano al Bentivoglio, era una
spina al cuore del papa: perciò era possibile che il capitano
Borgia andasse pensando e dicendo: « Questa estate lui
« insieme col conte Iacomo havevano andare ad castigar Bolo-
« gnesi » (1). Ma interrogato il papa, a proposito della pra-
tica di fra Filippo, rispose che quel frate Filippo era frate
mendicante « e che natura loro è dire molte bosie et che con
« Sua Sanctità non ha pratica alcuna il conte Iacomo de
« nessun modo » (2). Eppure, l'oratore dava la cosa quasi per
certa. Ma la voce che si sparse di un nuovo atto ostile
del Piccinino dimostrò quanto poco fosse. vero il sospetto.
Una notizia dei primi di febbraio 1457 giungeva da Ascoli
Piceno che il tre di quel mese, a otto ore di notte, della gente
del conte Iacopo Piccinino, per scalamento, era entrata in
quella città. Le squadre della gente d’arme furono fin sulle
porte, ma, sentite da quei di dentro, furono cacciate fuori,. e
quali presi, quali impiccati, alcuni morti, feriti parecchi. Il
papa se ne dolse assai con quelli che erano in Roma per il
Piccinino, « dicendo che sotto bone parole ha cercato inga-
« narlo » (3).

Davano nuovo imbarazzo i Senesi sempre in ritardo con
i pagamenti. « Li Senesi (si scriveva al duca) molto son ne-
« gligenti in far loro pagamenti, et già passa tre mesi hano
« datto parole senza fatti. Il papa maravigliosamente è sdi-
« gnato contra loro et ha fatto una bolla per la qual li dà
« termine xI giorni a pagare, aliter sono scomunicati et in-
« terditta la cità et fatto ogni grave censura ecclesiastica.

A

Et con gran fatica Monsignore de Sena et de San Marco
« hano fatto retardare per otto giorni questa bolla. Dubito

(1) Lettere Del Carretto 3. e 9 febbraio 1457.
(2) Lett. Del Carretto 10 febbraio 1457.
(3) Lett. Del Carretto 8 febbraio 1457.

_——__
FRANCESCO SFORZA, ECC. 5081

« queste stranieze de' Senesi farano loro danno assay; per-
-« chè Iacobo Piccinino stimula el papa per soy pagamenti
« et richiedeli licentia de far guerra. Se dubita non la con-
« ceda » (1). Sotto tali minacce il pagamento fu compiuto,

e il papa rimise lo sdegno, pur di mal'animo per le divi-.

‘sioni che laceravano sempre la vaga città. Per sospetti poli-
tici erano là stati presi e processati quattordici dei princi-
pali cittadini; cosa tanto grave, che si andava dubitando
che la città, cosi fiera del suo libero vivere, non cadesse a
mano di altri (2). Enea Silvio Piecolomini, divenuto cardi-
nale di grande credito, instava presso lo Sforza perché iu-
‘ ducesse i suoi concittadini a non esacerbarsi così fra loro:
sì gratificherebbero allora il papa che si persuaderebbe a
licenziare dalle terre della Chiesa i molesti fuorusciti senesi.
Né lo Sforza volle venirmeno all'aspettativa del vescovo: ei
molto si adoperò per levar via gli odî partigiani. I Senesi
profittarono di questa prova di benevolenza che dava loro
il signore di Milano per richiederlo di aiuti militari. E per-
chè lo Sforza era apparecchiato a contentarli, ecco levarsi
un mondo di sospetti sulle sue intenzioni. Ne mormorò per-
fino il papa, che come capo della lega voieva essere prima
inteso di un fatto che poteva interpretarsi sinistramente dai
confederati. Bisognò sospendere la spedizione già pronta del
conte di Sanseverino da Milano, per non dare motivo a riac-
cendere il fuoco e ad armare il Piccinino a cui non doveva
parere vero di riattizzare le ire del re Alfonso contro i Se-
nesi (3); tanto più che, venuto via quasi a forza da Orbe-
tello, perchè il re lo minacciò di lasciarlo li a basire di
fame, non si trovava a suo bell' agio nel Regno; onde il papa,
risaputolo, ebbe a dire che il re era un « domatore di tali
‘« polledri ».

(1) Lett. Del Carretto 10 febbraio 1457.
(2) Lett. Del Carretto 15 febbraio 1457.
(3) Lett. Del Carretto 17 e 22 marzo 1457.
588 L. FUMI

Uno dei più fidi del Piccinino andò a Roma per dire che
ogni speranza del condottiero era riposta in Sua Santità, che
non lo dovesse fare per nulla inferiore al suo nepote Borgia.
Si trovava ad avere allora il Piccinino duemila persone, fra
‘le quali erano quindici capitani: la sua ferma durava fino à
tutto. maggio. Il Del Carretto, sentendo ritornare in fiore que-
sta pratica del Piccinino, ricordava al papa quanto poco fosse
da fidarsi di lui, in cerca sempre di guerra, in mezzo a
trame diverse, e nella Marca con fuorusciti, e in Romagna
col duca di Modena e nell’ Umbria coi suoi perugini. Met-
terlo ai servigi della Chiesa, era annidarsi la serpe in seno.
E il papa assentiva: dava di lui giudizio come di uomo poco
prudente, più reputato quando era a consiglio de’ suoi, che
quando cominciò a governarsi da sè. Ma, in fondo, il papa
non aveva tutta quella contrarietà di una volta per lui. Il
‘ nepote sognava l'impresa di Bologna e avrebbe desiderato
il braccio del Piccinino: ostavano, più che altro, le pretese
di lui. Domandava il grado stesso del capitano Borgia (1):
e del fatto di Ascoli si scagionava, rimuovendone da sè la
colpa e riversandola sopra la persona di Antonello da Forlì:
questi, chiamato, con Ottaviano da Montefiore, da gente solle-
vata per mezzo dei fuorusciti di Ascoli, essere andato, a sua
insaputa, a quella impresa, di che era stato tanto malcon-
tento, che all’uno e all’altro aveva di subito levato armi e
cavalli. La scusa non entrò molto al papa: anzi, mostrò di
credere che quel fatto fosse tutto di volontà del Piccinino e,
per le solite mire del re sulla Marca, con saputa dell’ Ara-
gonese (2), mentre, rivolto all’oratore ducale, domandava :
« Quid dicitis, domine orator, de illo proditore comite Ia-
« cobo, qui comedit panem nostrum et voluit invadere ter-
« ras nostras? ». E il Del Carretto, a buon suggello, senten-

(1) Lett. Del Carretto 8 marzo 1457. Per maggiori dettagli vedasi la copia della
lettera del Piccinino.
(2) Lett. Del Carretto 14 marzo 1457.
ret
" Target

FRANCESCO SPORZA, ECC. 589

ziava col noto detto: « Nulla fides pietasque viris qui ca-

« stra sequuntur ». Furono mandati a rinforzare il presidio
della Marca Gian Piccinino de’ Canali con quattordici lance

e alquanti fanti, e Ruggiero del Gallo con cento fanti o poco '

più e con alcuni cavalli. Quando vennero a Roma per fare
le scuse Matteo da Capua e Fiuzzo, il papa non li volle ri-
cevere (1) Lo Sforza diceva di avere tanto in mano da pro-
vare la complicità del Piccinino nel fatto di Ascoli; ché que-
sti si era vantato dicendo, che presto si sarebbe sentito qual-
che suo bel gesto (2). Quindi il papa, per castigarlo, gli vo-
leva ritenere il pagamento della rata dovutagli secondo i
capitoli dell'accordo (3); ma, per la mediazione del re, non

si parló piü di ritenute: sulla regia parola che non offen-

derebbe affatto i Senesi, cessarono tutti i sospetti.

La revoca del conte di Sanseverino dalla spedizione di
siena fece dileguare ogni ombra sulle mire sforzesche (4).
Momento opportuno fu codesto per il re di Napoli di servirsi
del Piccinino per ricattarsi con Sigismondo Malatesta. Si ac-
cennò già agli umori guasti fra loro due. Ora si veniva ai fatti.
« Questa sera (avvisava il Del Carretto il 25 maggio), a XXIII
« hore, uno homo de grande auctorità, qual non volle es-
« sere nominato, me ha ditto in grandissimo secreto, che de
« certo la Maestà del Re ha datto ducati XLv milia al conte
« Iacobo, il quale vene a l'impresa contro il signore Sigi-
« smondo, et che ha mandato un cavallaro al conte d'Ur-
« bino che. mandi un suo cancellero da Sua Maestà, che li
« darà li denari quali bisognano, perché volle prender tal
« impresa. Item che ha mandato cavallari o sia correri XXIIJ,
« quali hogi sono gionti qua, li quali vano a stare a le po-
« ste in diversi lochi per havere ogni duy di novelle de-

(1) Lett. Del Carretto 27 marzo 1457.
(2) Lett. ducale 28 marzo 1457. :
(3) Lett. del card. di Pavia 30 aprile 1457: « fin se purga in tutto da quello

« caso de Asculi ».

(4) Lett. Del Carretto 17 maggio 1457.
Tate "CUN

590 i L. FUMI

« verso Genoa. Item de altrove; et fra li altri lochi dice che
« manda correri a Larese et a Portofino. Dice questa no-
« vella essere venuta questa sera tardo al Nostro Signore
« papa, qual non sapea ancora qual deliberatione pigliare,
« ma tuttavia mostrava de comportare malvolentiere che
« niuno se impazasse de li sudditi de la Chiesa » (1).

16. — Queste notizie tenevano il papa in grande pensiero.
Non sapeva se alle intenzioni del re verso sudditi pontifici
potevansi opporre i capitoli della lega: vi ostava la riserva
fatta in essi dall’ Aragonese verso i suoi debitori, e tale ri-
serva era fatta naturalmente per rispetto al Malatesta, che
se il papa era giudice e arbitro di ogni differenza degli al-
leati, delle ragioni del re doveva ben constare dinanzi a lui (2).
In questo momento egli tornava a sentire il bisogno di fare a
fidanza col duca: domandava li 28 maggio all'oratore con molta
premura se fosse sincera l'amicizia fra Napoli e Milano, e
se, accadendogli di avere d'uopo del duca, questi, senza ri-
guardi per il re o per altri, si sentisse di favorir la Santa
Sede (2). Più largamente si apri nella udienza datagli il di
successivo. La sostanza del discorso del papa fu comunicata
in cifra al duca il giorno stesso: tutto questo armeggio del
re col Piccinino a danno del Malatesta parergli una nuov:
manovra per separarlo dal duca di Milano: una volta otte-
nuto l'intento, tutto sfumerebbe: quanto a sè, sentirsi affe-
zionato al re, cui vorrebbe favorire ed esaltare, purchè s' at-
tenesse all’onesto. « Ricordò che voleva che desse vescoati
« et arcivescoati grandissimi a putti. Et qui comenciò a me-
« naciare che non havea anchora voluto usare la potentia
« de gladio suo: ma tanto faria che li seria forza usarla, et
« che sapea ben et come et in che usarla; et similia de
« grande indignatione: che Sua Maestà voria che Soa San-
« tità lassasse offendere el signor Sigismondo, et che non

(1) Lett. Del Carretto 25 maggio 1457.
(2) Lett. Del Carretto 28 maggio 1457.
FRANCESCO SFORZA, ECC. E DUE

« vole, non perché esso sia bono et meriti d'essere aiutato,
-« ma che non vole per questa via accendere il fuoco d'Ita- 3
« lia. Tandem concluse, che la Maestà del re ha scritto a Si
« don Iacomo Polpignano (Perpignano) quale era andato E |
« novamente governatore de Campagna, che debbia andare |
| « da essa, perché vole che vegna poi dal papa per cose ld
importantissime et crede sia per questo. Sì che Soa San- ali |
« tità ha scritto ad esso don Iacomo che vada, et halli man- il |
« data instructione che intenda bene et la voluntà de la
« maestà del re de questa armata, perchè molti fano di-
« Versi pensieri di quella, item intenda bene de questo se
« dice del conte Iacomo; et li daga ad intendere che Soa e | |
« Santità may non comporterà che per esso se faci cosa pu
« quale turbi la lega et pace de Italia. Et cosi li fa ad sa- (ILE
« pere. che harà ad mantenire la lega seco tutte le altre "| j|
« potentie de Italia, et con esse si diverà ad fare quello ci
» che lo debito vole. Et così mi concludè de voler fare,
« quando intenda la voluntà de la Maestà Soa essere de
« turbare questa pace. Et molto se mostra gagliardo et con-
« Stante, et dice che non pò credere che il re ardisca may
‘ « dishonestarsi » (1).

In quel mezzo i fuorusciti di Ascoli presero un fortis-
simo castello, appresso alla città tre miglia, verso la mon- |
tagna. Erano quattrocento fanti della brigata del Piccinino, "hl
con a capo Iosia d'Ascoli, Luca Schiavo e Ottaviano da
Montefiore. Contro di essi si spinse il cardinale Rodrigo fl
Borgia, come legato che era della Marca, e, preso il ca- i
stello, ebbe nelle mani Iosia e don Ottaviano e li mandò ni
a Roma, a scontar la pena in Castel S. Angelo (2). i | |

Una grande stizza davano allo Sforza tutte queste no- |
tizie del suo avversario, prevedendone, o presto o tardi, i
l'esaltazione, mentre egli ne molinava la totale rovina. Il id.

Tem
^

(1) Lett. Del Carretto 20 maggio 1457.
(2) Lettere del card. di Pavia 12 giugno, Del Carretto 13, 15 giugno, e 5 luglio
1457. :
Yom T" 37^T5 "OE qo.

Ra im eA B t sm DA

599 L. FUMI

re, che non lo voleva piü nel Regno, gli aveva data licenza
e danari: pretendeva che il papa gli desse il passo: mo-
mento questo per lo Sforza di grande sdegno. Fu allora che
richiese il divorzio, ossia la rottura del fidanzamento di lui
con la diciannovenne Drusiana (1). Né a re, né a principi del
mondo il papa lo aveva mai voluto fare; ché de iure non
poteva, come aveva anche osservato papa Nicola sulla dot-
trina di San Tommaso e di altri teologi: ma perchè molti
canonisti tenevano che il papa potesse, per causa urgente
e massime consenzienti le parti, li dispensó, non senza diffi-
coltà, dal vincolo, ad istanza del cardinale di Pavia (2).

17. — L/ impresa del Piccinino contro il Malatesta era un
pruno nell’occhio dello Sforza. Egli faceva conoscere al papa
di quanto pericolo sarebbe stata cagione in Italia: la signoria
del Malatesta avere il vantaggio della marina e si trovava
in vicinanza di quelli che non lo avevano molto a cuore.
Sarebbe stata assai dura e difficile impresa; chè Sigismondo
avrebbe dalla sua il Gonzaga e altri: e la Romagna sarebbe
tutta in confusione, chi pro e chi contra. Andando verso la
stagione invernale, se il Piccinino avrà dato dentro e non

sarà riuscito, si troverebbe costretto, in mezzo al disagio, a :

voltarsi per forza da qualche altra parte dove vedesse più
facile e più comodo. Contro Veneziani no, contro Fiorentini,
contro Milano, contro il re e senesi no certamente, chè non
gli sarebbe bastato l'animo e la lega non lo avrebbe com-
portato: ma si volterebbe dove gli mettesse meglio, e cioè
contro la Romagna e contro la Marca, dove tanto maggiore
sarebbe il pericolo, quanto più recenti i ricordi delle terre pos-

(1) All’oratore Giovanni Caimi mandato a Roma per questo, il papa nell'udienza
accordata a lui e al Del Carretto il 3 agosto diceva: « Est publice honestatis impe-
« dimentum. Res hec non est tam facilis, ut dicitis, domini oratores. Istud habeatur
« pro scientia, quod omnia, que sub celo sunt, Deus iuditio hominum dedit, solum
« matrimonium sibi servavit. Rogo vos ponatis rem in scriptis: ego videbo, et quod
« sine peccato facere potero, libenter faciam » (Lett. di Giovanni Caimi del 4 agosto
1451).

(2) Lett. Del Carretto e del Card. di Pavia del 21 agosto 1457.
FRANCESCO SFORZA, ECC. 593

sedute da suo padre Niccolò Piccinino e più provati erano gli
amici: « Ecci Bologna (diceva lo Sforza), capo de Romagna,
« che è uno notabile et principale membro de Sancta Chiesa,

« che non poria essere se non in mali termini, quando co-

« stuy se facesse inanti; chè quanto costuy potesse più, tanto

« lo adoperaria contra la Sanctità Soa et Sancta Chiesa, chel.

« farla ogni cosa per farsi grande. Et quando Dio facesse
« altro della Sanctità de Nostro Signore, pensate chel ma-
« giore et piü capitale inimico che havessero li nepoti et
« quelli de Soa Sanctità quali havesse havuto piü cari, sa-
« rla el conte Iacomo, et se ingegnaria ad tutta soa pos-
« sanza de disfarli, donde Soa Beatitudine se crederia las-
« sarli grandi et con reputatione et stato in Italia, como è
« debito et ragionevole che debia cercare de lassargli » (1).

Anche questa volta lo Sforza vedeva chiaro attraverso
lorizzonte politico: era certo della caduta dei Borgia alla
morte del papa e prevedeva la fortuna del Piccinino in quel-
l'occasione.

Il papa, messo alle strette dal re che chiedeva il passo
e dal duca che lo contrastava, mentre il Piccinino aveva già
passato il Tronto, senza aver certezza della sua destinazione
(poiché chi diceva che, istigato dai fuorusciti senesi, tendesse

‘verso Siena, chi contro il Malatesta, chi in favore degli Or-

sini nelle terre di Roma con avere ricevuto cinquemila du-
cati dal cardinale, tuttochè San Marco stesse in pratica, d'or-
dine del sacro Collegio, di accordo (2)), per uscire dal bivio,
impose al Malatesta, sotto comminatoria della decadenza dal
vicariato della Santa Sede, di pagare la somma di mille fio-
rini d’oro al procuratore regio in Roma, tempo sei giorni.
Era la somma dovuta al re per i capitoli della sua con-

(1) Lett. ducale a Del Carretto degli 11 agosto 1457. Si facevano correre voci
che il Piccinino avesse offerto a Sigismondo la pace cul re se quegli volesse esser
con lui all' impresa contro la Santa Sede nella Marca, con offrirgli anche parte di
quelle terre che si acquistassero (Lett. Del Carretio del 6 settembre 1457).

(2) Lett. De Brendis 13 settembre 1457.

(e)
SD SE VT

594 L. FUMI

dotta (1). Tutto indarno, perché il Malatesta, nulla. curando
le monitorie, durava ostinato a non dar soddisfazione del suo
debito, e il Piccinino « sciolto dal reame », come aveva
già detto il cardinal di Pavia, non aveva certo «intenzione
« di tornare a quelle diete medicinali », e si metteva « ad
ogni pericolo per vivere altramente » (2). Aveva già distri-
buito ai suoi le paghe (sedici ducati per lancia) (3), e il
passo non gli si poteva negare (4).

Fu messo per condizione che, o per lettere autentiche
del re, o fatte dinanzi a notaro, si facesse obbligazione reale
che in questo transito in nulla si offenderebbe il dominio
pontificio.

Indarno ancora il cardinal di Pavia si opponeva in Con-
cistoro, mostrando il pericolo di un tale atto fatto all’ insa-
puta della lega: il re poteva allogarlo altrove, se non lo vo-
leva seco. Ad ogni modo, fu provveduto alla guardia dei
luoghi dove il transito si doveva fare e fu nominato un
commissario per accompagnarlo e procurare le vettovaglie (5).

Stefano da Forli, tesoriere della Marca, parti il sedici
ottobre per dare il passo, e Iacopo da Perpignano, mandato
dal re, doveva curare l’ astensione dai danni alle terre, in-
dirizzandolo per via diretta alle offese del Malatesta, e, nel
caso che questi venisse a migliori consigli, lasciandolo an-
dare contro Astorre Manfredi. Il conte d’ Urbino forniva Sas-
soferrato, altri signori fornivano le loro terre, e ciò faceva
dire a molti che al cadere del novembre, quando scadeva
il tempo della promessa del re, come mallevadore del Pic-
cinino che non sarebbero inferti danni, questi non avrebbe
più ritegno ad invadere la Marca e l Umbria. E cosi tutta
la Marca era in paura, e ogni dì venivano a Roma amba-

(1) Breve di Calisto IIl 26 settembre 1457.
(2) Lett. del card. di Pavia 18 luglio 1457.
(3) Lett. Caimi 4 agosto 1457.
(4) Lett. Del Carretto 3 ottobre 1457.
(0)

5) Lett. del card. di Pavia 3 e Del Carretto 5 ottobre 1457.
FRANCESCO SFORZA, ECC. 595

sciatori da quelle città e terre, alle quali pareva essere la-
sciate senza presidio alcuno. Pure il papa non se ne pre-
occupava molto, fidando nella parola regia che lo rassicu-
rava anche con lettere tutte di mano del re (1).

‘18. — Il 21 ottobre il Piccinino con tremila cavalli e cin-
quecento fanti si trovava vicino a Fermo (2). Lo Sforza ne
provó molta stizza, perché sempre temeva che nella sua
marcia il venturiero si avanzasse in Romagna e si ponesse
davanti a Bologna. Volle mettere in sull'avviso il papa af-
finché non si lasciasse sorprendere (3). In Corte molto si di-
scorreva, come il solito: chi ne diceva una, chi un'altra.
« Ciance se ne dicano assai (gli si riferiva) di cose hanno
« a seguire questo tempo nuovo. Imperò alcuni dicano che
« "| conte Iacomo se acorda col signor Gismondo, et ambi loro
« debano venire contro li Senesi overo Fiorentini, et che
« l'armata del re sarà continue loro in presidio. Alcuni altri
« dicano che ’1 conte Iacomo non si partirà di Romagna etiam
« se "| se acorda cum ditto Sigismondo. Ma la brigata si mette
« ad indovinare » (4). E daccapo ritornano le voci del soldo
datogli dal re di quarantacinquemila ducati all'anno, mà non
stabilmente, e quindi che sempre cercasse di tornare a chie-
dere la condotta alla Chiesa (5). È una continua altalena di
timori e di. voci tendenziose che dànno a vedere quanto
fosse temuto un capitano di ventura del genere del Picci-
nino. Il Malatesta vedevasi perduto e mandava la carta al
re per l'aeeordo. « Per lo quale accordio se presume, da
« molti, altri romori contra de la Chiesia o de' Senesi. Multi
« multa locuntur. Il papa non mostra havere più certeza

(1) Lett. Del Carretto 19 e del card. di Pavia 20 ottobre 1457.

(2) Lett. Del Carretto 27 ottobre 1457.

(3) Lett. ducale »1 Del Carretto 30 ottobre 1457. Un breve di Calisto III (copia
senza data, ma sicuramente del dicembre) é diretto ai Bolognesi per tranquillizzarli
sulle intenzioni del Piccinino.

(4) Lett. di Antonio da Pistoia 30 gennaio 1458.

(5) Lett. Del Carretto 4 febbraio 1458.
596 L. FUMI

« di questi fatti, come habiano li altri; e qui poca provi-
« sione se fa a queste cose ».

Ma le faccende della Marca si andavano davvero in-
torbidando. Si scopri un trattato a Fabriano ; un altro a San
Gemini. Al papa nemmeno lo si faceva sapere : « seria vano,
« nè per Sua Santità se provede ad alcuna de queste cose ».
Il eardinal di Fermo « ne era mezzo disperato ». Ormai col
papa, vecchissimo e tribolato dagli acciacchi, instabile per
natura, in timore e di mal animo continuo col re, dalle cui
reti non sapeva uscire, non c'era da pigliar partito alcuno,
deliberato, per lesinare colle spese e tenersi stretto il denaro,
ridurre le milizie, che andava cassando di giorno in giorno.
Sentiamo ripercuotere l opinione corrente nelle lettere di
Ottone Del Carretto (1) e in quelle dell'Abate di Sant'Am-
brogio di Milano (che si trovava a Roma per trattare sulla
decima impostagli). Egli scriveva: « La Marca lo conte Ia-
« Gobo la tene come sua e crede per niente li possa cam-

'« pare da le mane. E così credo sarà per la grande avaricia

« de lo papa, lo quale casa le sue zente d’arme : credo che
« questo scia uno modo de farne servicio a lo re più hone-
« sto, benchè lo re, a lo fine, inganerà lo papa. ‘Non dubi-
« tate, Signore (concludeva col duca), che lo re, da poi la
« morte de lo papa, volerà havere tuti li denari de lo papa
« e veragli fato. Si Viniciani non mutano proposito e vogliano
« pure stare a vedere, lo re farà pagure a tuta Toschana » (2).

- Era naturale che ognuno almanaccasse a modo proprio.
Se il re non stringeva l'aecordo col Malatesta e teneva poi
sospese le ostilità, come spiegare tale enimma altrimenti
che con attribuirgli qualche. altra intenzione? Ma i piü po-
tevano pensare che un accordo non tarderebbe. Il Piccinino,
attentamente spiato dai ducali in ogni sua mossa, pareva
non voler perdere il suo tempo, ma veramente era la paura

(1) Lett. Del Carretto 18 febbraio 1458.
(2) Lett. dell'Abate di Sant'Ambrogio 18 aprile 1458.
FRANCESCO SFORZA, ECC. 591

del suo nome che faceva tanto tremare. Ora si temeva a
Fano, ora si temeva a Sinigaglia, secondo che quà o là si
avvicinasse. Il terremoto avvenuto a Città di Castello, con

grave danno anche delle mura della sua cinta rimaste quasi .

smantellate, non fece tanto spavento per sé, quanto lo fece
per il Piccinino che così poteva capitare, entrando, senza
ostacolo, nella graziosa città (1). Sebbene il papa oscillasse
sempre nell'incertezza o di assumerlo al soldo o di non cu-
rarsene, mandò a Città di Castello un manipolo di quattro-
cento fanti alla guardia, tanto per contentare i cittadini che
ne avevano fatta istanza (2), ma infingevasi tranquillo. Nel-

ludienza accordata il 17 maggio al Del Carretto, diceva

che il Piccinino temeva tanto.. « questo vecchio, che non
« havria ardire de ussire de li termini soi ... » (3). Mostrava

(1) « Lo conte Jacobo, se dice, questi di passati fece grande insulto a Fanno.
« Adesso é a Sinigaglia. Quelli de la Marcha molto dubiteno de luy, et heri manda-
« reno qua a Nostro Signore quelli de Civita de Castello, perché de presenti lì é
« stato uno grandissimo tremotto, il qual ha ruinato grande parte de le mura et
« stano in grande sospetto. La Santità Sua comunamente con chi parla monstra de
« non dubitare de luy, pur con alcuni soy s'è allargata che molto dubita, et così ho
« compreso per parole de Sua Santità, et ancora per parole del reverendissimo can-
« celero. Ancora m'ha ditto lo ambasiatore de Sena che Sua Santità li disse questi
« dì, che seria meglio dare qualche cosa al conte, et dice che comprende, facendosi
« l'accordio del signore Sigismondo, non pigliando il papa altro conforto da quelli
« de liga, si riducerà ad havere qnalche intelligentia con il conte Iacobo, et cosi
« mi pare vedere. Pur credo serà l'ultimo partito che prenda Sua Santità, et ma-
« xime essendo in speranza de questa convocatione de li ambasiatori de la liga,
« quali sempre ha desiderati » (Lett. Del Carretto 3 maggio 1458).

Del grande terremoto a Città di Castello, a Borgo San Sepolero e a Perugia
parlasi anche in una lettera di un tal Costantino da Perugia del 4 maggio. Caddero
a Città di Castello più di dugento case: a Borgo più di ottocento. Tutti gli abitanti
si ridussero nella piazza del Borgo sotto le tende. Stavano armati per paura dei

fuorusciti e dicevano prima voler morire « del giudizlo di Dio », che venire alle -

mani dei loro nemici. A Perugia pure erano tutti per i campi e per gli orti, e fa-
cevansi grandi processioni. Più di tremila donne bianco vestite, ogni porta da sé,
a due a due, con i religiosi della propria porta, cantando e gridando « misericordia »,
andavano con le corregge al collo, scalze e frustandosi.

(2) Braccio Baglioni, stipendiario del papa, aveva avvisato il duca di Mi où
che sarebbe andato a trovarlo ; ma in vista di pericoli nell’ Umbria, non ebbe li-
cenza (Lett. di Antonio da Pistoia, 10 maggio 1458).

(3) Quando così parlava il papa, il Piccinino metteva a saccomanno la Fratta
e si accampava vicino alla Pergola (Lett. Del Carretto 19 maggio 1458). Questo ac-

IE IIDA ZZZ

OSTIA
III ZI I

598 L. FUMI

ancora di pigliare non poca sicurtà di lui, perchè il re aveva
data ripulsa al figliuolo del Malatesta e toltagli ogni spe-
ranza d’accordo, onde il Piccinino « haveria pastura et non
« poterìa divertere altrove ». Concludeva: « Quod comes
« Jacobus vellet aliquid comedere » (1). Si trattò di dargli,
per farla finita, tutti i censi dei vicari della Chiesa, che bi-
sognava sempre strappare con le tanaglie, caricandolo di
riscuoterseli lui, coll'obbligo di servire ad ogni impresa vicina
alle terre della Chiesa, a tutte sue spese e a spese delle terre
che piglierebbe. Per sicurtà doveva dare il marchese di
Ferrara e il conte d'Urbino. Era una maniera di menare il
can per l aia. Intanto egli andava infestando la Marca (2).

Ad ogni modo, gli ambasciatori della lega si aspettavano

sempre in Roma per trattare anche questa questione del Pic
cinino, oltre agli affari del turco e ad una differenza sorta
fra il duca di Savoia e quello di Milano, affinchè non ve-

creditava la voce sinistra sul conto suo, ma altri lo dicevano presso alla Pergola,
non però a campo (Lett. Del Carretto 3 giugno 1458). Pure insistenti erano le notizie
delle sue ostilità. « Il conte Iacobo se dice é a campo a, la Pergola et con luy é
« concio il cavalero Ursino, il qual, cum primum habbi denari, dicessi se conducerà
« in campo LX.ta homini d'arme, et dicessi é condutto a provisione de ducati cin-
« quecento il mese. Napoleone dicessi é conduíto con la Maestà del re d' Aragona,
« 0 sia con lo Illustrissimo duca de Calabria, et dicessi che a luy fu mandato questi
« di ducati tremilia, et che lo prefato duca alora li scrisse dovesse con li suoy ca-
« valcare in lo reame: poi ll scrisse che diferisse fin che li mandasse altro. Item
« dicesi che Antonello da Forli é concio con il conte Iacobo con .CC. cavali, ma
« ancora non tochano denari » (Lett. Del Carretto 8 giugno 1458).

(1) I1 protonotaro Stefano Nardini luogotenente della Marca riferiva i detti del
Piccinino, che se, cioé, « il papa li dà qualche sostegno de denari, che esso non
« farà novità alcuna contra la Sede apostolica, né alcuni de la liga; ma non essen-
« doli proveduto, non sa come possa tenere li figlioli de tante madre, quanti sono
« con luy, che non faceno forse qualche male; sì che questo mi pare una meza
« diffidanza ; et non dice che sia a posta del re o non. Item dicessi che per alcuni
« inconvenienti, quali feceno le gente del conte lacobo ir le terre de Sancta Chiesa,
« vicine a quelle, havea il locotenente della Marcha fatto divieto che de le terre de
« la Chiesa non se portasse piü victualia al campo. Esso conte Jacobo é a la extre-
« mità del denaro, in modo che se dice non po' stare a campo a la Pergola, ma ha
« datto li guasti et bisogna che daghi qualche bottino a li soldati, che non li pos-
« sono stare » (Lett. Del Carretto 10 giugno 1458).

(2) « Il conte Iacobo se dice, per tradimento del castellano, ha havuto Saxo-
« corbaro et hallo asacomanato et mezo brusato, et lì si sta male in ordine d'ogni
*« cosa » (Lett. Del Carretto, 24 giugno 1458).
FRANCESCO SFORZA, ECC. .

nisse in alcuna maniera turbata la pace d'Italia (1). La
malattia del re di Napoli lasciò a mezzo l' impresa del Pic-
cinino contro il Malatesta e ne troncó la fortuna.
La seguente informazione dell’ oratore ducale ci mette
a parte di quello che il re Alfonso pensava rapporto al Pic-
cinino in quel momento critico: « El Re.mo Cardinale de
« Fermo hogi me mandó a domandare et disseme se io sa-
« peva la casone perché non fosse seguito l'acordio dal Re
« col signor Sigismondo. Rispose de non, ma dixe sé havere
« da persona degna de fede, che essendo in questi di el. Re
« in lo Mazolo de le Rose havea già quasi concluso dicto
« accordio, el che sentendo ser Antonio da Pesaro et Bro-
« cardo, andarono da la Soa Maiestà, et dicendo sé havere
« inteso de questo accordio, dissero che essa facesse quello
« li pareva per lo meglio, ma che solamente desideravano
« de intendere quello che haveva ad fare el conte Iacomo,
.« et pregavano Soa Maiestà non lo abbandonasse. Et soa
« Maiestà rispose, che al conte Iacomo non mancaria im-
« presa contra el papa, o contra Senesi o vero contra Fio-
« rentini, dicendo che Fiorentini s'erano dishonestati et con-
« trafacto alli capitoli della lega recevendo certi suoy
« inimici a Ligorna, et cossi erano. caduti in la pena in li
« capitoli contenta, della quale non li lassaria uno pixolo.
« Et multa dixit de eis, monstrando più malanimo verso de
« loro, etiam verso el papa, che verso Senesi. Tandem disse
« che voleva deliberare quale impresa volesse pigliare
« avanti che facesse l’acordio; et per fare tale deliberatione
« Soprasedè : poy sopravene questa infirmità, quale ha tar-
« dato la cosa » (2).
La morte che del re segui fece nascere la speranza che il
papa si sarebbe servito del conte, riconciliandolo con lo Sforza,

per tentare l'acquisto del reame. Già qualche tempo dappri- |

(1) Lett. Del Carretto 17 maggio 1458.
(2) Lett. Del Carretto 3 giugno 1458,
600 . : L. FUMI

ma, vivo Alfonso, il papa andava preparando il suo piano:

«
«

«

^ A

A

^

A

Per le altre, quale ha voluto el R.mo Mons. Mutinense
ch'io scriva comune per parte sua et mia, intenderà V.
Ex. quello che ce occore qua, del che me pare agendum
sobrie, perché non intendo ancora bene la dispositione de
questo vechio verso el conte Iacomo et dubito non ce vo-
gli actardare, forse con animo, quando el ne trovasse modi,
de tractare l'aecordio del conte Iacomo con V. S., como
me è parso comprendere. Io credo bene che habia l'animo
a l'impresa del Regno, quando accadesse la morte. Ma li
sono chi li persuadono de tore el conte Iacomo con luy
per duy respecti, maxime l'uno perché é proximo et con
molta gente, come bisognaria; l’altro che lo leva allo ini-
mico et lassallo sprovveduto, et questuy con bona voluntà
della S. V. li pareva de navigare in porto, et quando la
S. V. non fosse a questo disposta, forse non lassaria peio
de torlo per l’altre rasone predicte, ma ben monstraria
sempre el contrario quanto potesse fare la S. V., fingendo
volere ad ogni modo la inteligenza de la S. V., de la quale
a l'impresa del Regno non se fidaria molto, perchè sa
quanto essa V. Ex. è in quello Regno amata et reverita:
pur pigliavano grande argumento de la soa voluntà, se-
condo la provisione che farà, in stringere el conte Iacomo
in lo modo che li ha proposto el vescovo, facendo che ad
ogni canto se aduni gente de Soa Santità, de la S. V., de
Venetiani et de Senesi » (1).

L’ambasciatore ducale fece tutti i suoi sforzi per impe-

dire i. disegni del papa e vi riuscì (2). Al capitano peru-
gino non rimase altro a sperare che alla morte, ormai immi-
nente, del vecchio Calisto, gli si potesse dare occasione,
come gli si diede, di cogliere il momento per farsi uno stato
nell’ Umbria.

(1) Lett Del Carretto 4 giugno 1458.
(2) Lett. Del Carretto 18 giugno 1458.
FRANCESCO SFORZA, ECC. 601

La narrazione da me ricostruita sopra i documenti mi-
lanesi, di questi fatti, nei loro minuti particolari, ci fa cono-
scere quale e quanta agitazione potesse mettere in tutta
Italia un solo uomo che sapesse tenere insieme una compa-
enia di qualche migliaio di armati; ma un uomo dell'astuzia
e del valore del Piccinino. A lui chi potè tener testa non
fu tanto il papa, e non fu tanto la lega italiana, rivelatasi
incerta e fiacca, quanto Francesco Sforza duca di Milano,
nemico giurato del suo rivale, a cui cercava tagliare tutte le
vie di procacciarsi un dominio.

Chi guadagnò in tutto questo lavorio di rivalità non fu
certamente la lega, non fu specialmente il papa, al quale
non bastarono dugentomila ducati per darla vinta al duca
di Milano, in cambio di seguire i consigli del re di Napoli
e dei Veneziani, cioè di trarsi d’impaccio con poca mo-
neta fin dalla prima mossa che faceva il Piccinino calando
dalla Lombardia, quando. non si fosse fidato di assoldarlo
agli stipendi della Chiesa. Sarebbe stato questo l'espediente
migliore con un capitano di quella condizione, suddito di
uno Stato in cui mancava la coesione della compagine e
l'autorità che viene dalla forza, nel governo temporale.

Milano, dicembre 1910.
L. FUMI

SS RTAS TRI ARIA TAI NGC Eni Pda TIZIANA i Ape
L'ABBATE UGO I° E LA RIFORMA DI

NEL SECOLO XI (998-1030)

CAPO I.
UGO I DI FARFA.

Primo apparire di Farfa nella leggenda e nella storia. — In-
dole imperialistica del Monastero e suo progredire sociale
e politico. — Descrizione topografica di Farfa nel IX
secolo. — I Saraceni e l'esilio. — Riedificazione materiale
e decadimento morale. — Primi albori della rinascita.
(V sec. ? - anno 99/7).

Il monastero di Farfa (1), così chiamato dal vicino fiu-
micello omonimo, venne fondato da san Lorenzo « Siro », un

(1) Per la storia del Monastero cf. MURATORI, Rer. Ital. SS. II, 2, 289, sgg.; A.
M. QUIRINI, RR. monasticarum Ital. I. coen Farr. (ms. ef. ARMELLINI, Biblioth. Cas-
Sin., I, 45); GREGORIO URBANO, Annual. Farf. 1643. (ms. Bibliot. Nazionale di Roma, segn.
provv. Farfa, 34); CoLucct, Antichità Picene, XXXI, Fermo, 1727; A. M. QUIRINI, De
monastica Italiae historia conscribenda, Romae, De Rubeis, 1717; Sopra la raccolta
dei monumenti farfensi, Roma, Giannini e Mainardi, 1730; GALLETTI, Registro di
Farfa, vol. XVI; Id., Monumenti scelti dal Codice farf. delle Emfiteusi, vol. II ; Id.,
Gabio, antica città di Sabina, Roma, pel Puccinelli, 1757, in 49; Id., Memorie di tre
antiche chiese di Rieti, Roma, pel Salomoni, 1765, in 8°; Id., Del Vestarario della S.
KR. Chiesa, Roma, pel Salomoni, 1758, in 40; HERRGOTT, Vetus disciplina, monastica.
Ordo farfensis et S. Pauli Romae, Parisiis, Osmont, 1726, in 4°; Act. SS. Febr. T. IL
die III ; Iulii T. I, Tract. praelim.; Sept. Tom. III, die 10, 589-611; MABILLON, A7n4-
les ord. s. Benedicti, passim; SPERANDIO, Sabina sacra e profana, antica e moderna,
Roma, 1790; Manocco, Monumenti dello stato pontificio. Sabina e sue memorie,
Tom. III, Roma, 1833; MARINI, Serie cronologica degli abati del monastero di Farfa,
Roma, 1836; BINI, Sulla s. Immagine di Maria Verg. che si venera nella Chiesa Ab-
baziale di Farfa, Roma, Salviucci, 1840; AMATORI, Le abbazie e i monasteri piceni,
Camerino, 1870; A. SANSI, I duchi di Spoleto, Foligno, 1870, pag. 40 sgg.; A. DANTIER,

I-I-54]
Les monastères bénédictins d'Italie, Tom. II, XXIII, pag. 477 sgg.; AUTPERTUS, Vita
Paldonis, Tasonis et Tatonis. Script. RR. longobard. et ital. saec. VI-IX, Hannove-
rae, 1878, in 4°; BETHMANN, Historiae far[enses, M. G. ss. XI, 523 sgg.; G. PALMIERI,
Serie degli Abbati di Farfa in continuas. al Muratori, in « Il Muratori » vol. [5
fasc. I4; Id, Contributo alla storia del monastero di Farfa, in «Il Muratori », vol. I,
fase. 7, 10; vol. II, fasc. 2; vol. III, fasc. 13, 16-18; Id., Introiti e esiti di papa Nic-
colo III, pag. 98, not. s I. GIORGI, Il Regesto di Farfa e le altre opere di Gregorio di

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604 I. SCHUSTER

ignoto vescovo sabinese del IV secolo (1). Una leggenda che
ritroviamo assai svolta e in pieno possesso nel secolo XI,

Catino, in Archivio stor. Soc. Romana St. patr., 1879, pagg. 409-73; Id. Appunti,
su alcuni ms. del Lib. Pontificalis, in Arch. Soc. Rom. St. patr., XX (1897) pa-
gine 285-312; Reg. di Farfa (Edit. Giorgi e Balzani) vol. II-V. (II primo è ancora
in preparazione); U. BALZANI, Le cronache italiane del medioevo, II ediz., Milano,
1900, pag. 101 sgg.; Id., IZ Chronicon farfense dl Gregorio dI Catino. Precedono
la Constructio farfensis e gli altri scritti d' Ugo di Farfa. Istit. Stor. ital, XLVII,
Roma, Lincei, 1903, pagg. 367-567, in 40; I. GUIRAUD, La badia di Farfa alla fine del
sec. XIII, in Arch. Soc. Rom. Stor. patr., XV (1892) pagg. 275-88; AEINEMANN,
Praefat, a Orthodoxa defensio imperialis, M. G. ss. II (Libelli de lite) pagg. 594-5;
- Irascrizione d? un rotolo membranaceo contenente un esame testimoniale circa
t diritti della abbazia di Farfa su Monte Falcone, in Arch. Soc. Rom. St. patr.,
XI (1888) pagg. 305-44; P. FOURNIER, Za collezione canonica del Regesto di Farfa, in
Arch. Soc. Rom. St. patr. XVII (1894) pagg. 285-301; B. ALBERS, Consuet. monasticae,
Consuet. farfenses, Stuttgardiae et Vindobonae, Roth., MDCCCC ; Id., Untersuchungen
su den ùltesten Mónchgexohnheiten. Ein Beitrag zur Benedihtinerorden3eschichte
des X-XI Jahrhunderts, in Veróffentlichungen aus dem Kirchenhistorischen Seminar
Munchen, II, Reibe, n. 8 (1905) ; I. SCHUSTER, Collezione d’eulogie dei luoghi santi di
Palestina, in Nuovo bullett. d'Archeol, erist., VII (1902), n. 4; Id., Della basilica di
san Martino e di alcuni ricordi farfensi, in Nuovo bullett. Arch. crist. VIII (1903)
n. 1-2, pagg. 47 sgg.; Schmidlin. Ein Kampf um das Deutschtum im Klosterleben
Italiens, in Histor. Jahrbuch. XXIV (1908), pagg. 15-40; 253-282; 558-575; D. ANGELI,
Passeggiate sabine. Farfa, in Rivista moderna polit. e letter., 1 nov. 1902; K. HEIN-
ZELMANN, Die Farfenser Strettschriften, Ein Beitrag zur Geschichte des Investitur-
streites, Strassburg, 1904, in 4°; P. KEHR, Papsturkunden in Rom. Erster Band, Gòt-
tingen, 1903, pagg. 174-176 ; Id., Urkunden zur Geschichte von Farfa in XII Jahrhun-
dert, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven u. s. w. herausgegeben
von Kóniglichen Preussischen Historischen Institute in Rora, Band. IX, Heft I, S.
40-184; G. BRIGANTE COLONNA, La Badia di Farfa, in La Stampa internazionale, IV
(1905) n. 20 (13 nov.); I. ScHUSTER, L'Abbaye de Farfa et sa restauration aw XI siècle
sous Hugues I, in Rev. Bénédictine, XXIV (1907) n. I, pagg. 17-35; III, pagg. 374-402 ;
V. E. ALEANDRI, Sv alcuni possedimenti della Badia di Farfa nel territorio di S. Se-
verino Marche: la Corte di S. Abbondio, in Arte e Storia, serie III, 10; R. DE VIN-
CENTI, L’abbazia di Farfa, in Il Secolo XX, IV (1905). n. 11, pagg. 950.54; BERNA-
SCONI, Storia dei Santuari della B. V. in Sabina, Siena, 1905, pagg. 47-69; A. TuccI-
MEI, Sulla struttura e 4 terreni che compongono la catena di Fara in Sabina, in
Bollett. Soc. Geolog. ital., II, fasc. I; G. Buccui, Possedimenti farfensi, in Bullett.
Stor. Monterubbiano, XXII-16. — (Per la storia delle controversie giurisdizionali tra
gli abbati di Farfa e i vescovi sabinesi ef. S. Congreg. dei Vescovi e Regolari Sabi-
nensis, Pretensae Iurisdictionis, Memoriale pro dilatione, Roma, 1899 ; Id., Ristretto
di fatto e di diritto, Roma, 1890; Id., Ristretto, etc. Roma, decembre 1899; S. Con-
greg, Episcopor. et Regularium. Montis alti. Iuris nominandi, Romae, 1882 ; I. ScHU-
STER, Spigolature farfensi, I Monumenti epigrafici, Estratto dalla Rivista Storica
Benedettina, 1907, pag. 22; id., I Monumenti storici, Riv. Stor. Bened., 1910-11; id.,
Martyrologium Pharphense, Rev. Bénédict., Extr. 1909-10.
(1) « Amoenae Farfarus umbrae ». Metamorph. XIV, 351; « Qui Tiberim Faba-
rimque bibunt, quos frigida misit — Nurtia ... » Aeneid, VII, 715-17.
SCORTATI l7 75

dii 777 —

ÓSERInrmecedilneni

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 605

ma che senza dubbio comprende elementi anteriori all’ VIII (1),
lo volle oriundo di Siria, — nome generico col quale si
designavano gli orientali emigrati — donde sarebbe venuto
a Roma ai tempi di Giuliano l'Apostata, insieme colla so-
rella Susanna e parecchi altri congiunti. Papa Urbano (Li-
berio?) fece buona accoglienza agli Stranieri, e di li à non
molto ne consacrò alcuni, tra cui Lorenzo, preti e diaconi
di Roma (2). Infuriata quindi la persecuzione, vennero messi
in catene e sottoposti ai flagelli, ma, evasi di prigione, si
sbandarono, altri a Bolsena, a Spoleto, Perugia;. Lorenzo
riparó in Sabina, ove, divenuto « terzo vescovo » di quella
sede (3), coll'aiuto della sorella riusci a svellere gli ultimi
resti dell'idolatria, che, sbandita dalle città, si annidava ora
tenacemente nei suoi primitivi santuari alpestri (4).

(1) Cf. Reg. farf. II, pagg. 23-4, doc. 2, ann. 705. « Hinc est quod venerabile
monasterium sanctae Dei Genitricis semperque Virginis Mariae, quod Laurentius
quondam episcopus venerandae memoriae, de peregrinis veniens, in fundo qui di-
citur Acutianus territorii sabinensis constituit ... ». Gli editori del Regesto non os-
servarono nulla in nota sull'autenticità di questo diploma di Giovanni VII a « Tho-
mae abbati religioso presbytero », già riconosciuta dal Muratori, Troia, Bethmann,
e ultimo dal Kehr. Criteri intrinseci, quali il silenzio sulla Regola di san Benedetto,
nella di eui vece si ricorda ancora la « Regulam a patribus traditam », e, più di
tutti, il canone evolutivo, dirò cosi, di tutte le storie popolari, per cui l' elemento
analitico é preceduto dal sintetico (cf. il « Laurentius quondam episcopus » colle
amplifieazioni della Constructio farfensis), non ci consentono di dubitare della ge-
nuità del diploma, né d' allontanarci dall’ autorità di questi autori. Cf. Chronic. farf.,
ediz. Balzani, pag. 136, not. I.

(2) Ai piedi dell'Acuziano, lungo la riva del Riana, sono i ruderi d'una chiesa
e d'un castello, cui le antiche piante topografiche designano col nome di grotta di
san Lorenzo. Trattasi, probabilmente, delle ultime reliquie d'una tradizione orale
conservata nel popolo.

(3) Nelle liste episcopali di Foronovo, Curi, Nomento e Spoleto, la serie dei ve-
Scovi é incerta e lacunosa per tutto il V e VI secolo. Cf. GaMs, Series Episc. Eccl.
cath., Ratisbonae, 1873; L. DUCHESNE, Les évéches d? Italie et U invasion lombarde,
Estrait de Melanges d'Archeol. et d'histoire, Rome, XXIII, 1903; Id., Le sedi episco-
pali nell'antico ducato di Roma, in Arch. Soc. Rom. St. patr., XV (1892), 475-503.

(4) La storia di Farfa, per quanto si riferisce alle sue origini, dopo le indagini
del Muratori, Mabillon, Balzani, Giorgi, può dirsi tuttavia assai poco progredita ;
tanto che il secolo V, VI, e la prima metà del VII costituiscono ancora il suo pe-
riodo, diciamo così, preistorico, non già nel senso che gli attribuirono il Bethmann
e gli altri che lo seguirono, ma in quanto che i monumenti che vi si riferiscono
sfuggono finora a qualunque serio controllo. Verisimilmente, la leggenda ha in-
1 - _— Li n } uff x Y POSTA

606 I. SCHUSTER

In seguito, la leggenda adornò l’ opera del Santo, e, al
pari di san Giorgio, gli attribui vittoria su d'un mostruoso
drago, che coll'alito pestifero desolava il monte Acuziano.
Più tardi, convertita la regione all’intorno, egli si ritrasse
a vita monastica, e, raccolti pochi discepoli, gettò le fonda-
menta del monastero di Farfa (1).

grandito, ingigantito, se vogliamo, i primi personaggi che eressero la Badia, e che
vennero perciò considerati sempre come i gloriosi capostipiti del « Conventus far-
fensis, divino munere haud ignari coenobi »! (Ortodoxa defensio, MG. SS. libelli de
lite, II, 596), ma in tanta confusione d'adornamenti e di dati storici, é difficile, direi
anzi impossibile, sceverare la parte storica dall'elemento ascetico in cui é involta.
Negar tutto di sana pianta, come fecero alcuni, é, certo, il partito meno imbaraz-
zante e scabroso, solo non é scientifico. Senza dunque azzardare giudizi prematuri,
poiché in tanta povertà di documenti una vera storia é quasi impossibile, é meglio
preparare un materiale che in altri tempi potrà divenire prezioso.

(1) Oltre il diploma di Giovanni VII, il documento piü antico per la storia di
Farfa è il « Libellus constructionis » citato nell'XI secolo da Ugo 1, e utilizzato in
massima parte da Gregorio di Catino nel Chronicon. É opera d'un anonimo del se-
colo IX (857-890). Qualche moderno; a incominciar da Gregorio Urbano negli « An-
nales farfenses >», lo chiamò Gregorio, ma il testo originale è perduto, avanzandone
solo un rimaneggiamento posteriore (sec. XI), quando fu inserito nei lezionarii delle
« vigilie » notturne. Un'altra recensione indipendente delia leggenda dové essere
utilizzata dal Catinense nelle prime pagine del « Floriger ». Lorenzo, dopo le prime
sortite contro l’idolatria, prende l'abito monastico e si ritira a « Turianum », donde
scaccia il drago e edifica un oratorio in onore della Vergine, presso il quale dimora
alcuni ani. Nel 370 va a Farfa e fonda il Monastero presso tre cipressi, quei mede-
simi che, tre secoli dopo, la santa Vergine mostrerà in visione a san Tommaso di
Morienna, mentre questi sarà intento a pregare presso il santo Sepolero a Gerusa-
lemme. Genserico e i Vandali nel giugno 455 uccidono i monaci e saccheggiano il
cenobio, che rimane deserto sino a] 680 (?), quando viene restaurato la prima volta.

Si noti pertanto che Gregorio di Catino, il quale a settant’ anni conserva an-
cora tanta ampiezza ed acume di mente da proporsi di torreggere nel Floriger le .j
inesattezze occorsegli nelle altre opere, a una esperienza d'una vita intera consu-
mata nello studio delle fonti storiche di Farfa, univa sagacia e criteri tanto razio-

» nali, da preludere allo spirito moderno. Probabilmente, oltre l'immenso cartario
che riunì nel Regesto, nel Largitorio, e nel Florigero, per tutta la storia del primo
secolo di Farfa egli dové attingere ad altre fonti non locali, di cui ci resta qualche
vestigio. Si raffrontino, per esempio, i passi seguenti.

« Legimus tamen in authenticae co7- « temporibus iuliani imperatoris

structionis illius proemio, quia; tempo:
ribus romanorum, priusquam hitalia
gentili gladio ferienda traderetur, de si-
ria tres viri advenerunt, scilicet ysaac,
et iohannes atque laurentius, cum sua
germana sorore susanna ». Prolog. ad

Regest. Farf., pag. 4.

erant in partibus syriae vir vitae vene-
rabilis Anastasius cum duobus filiis suis,
bricio scilicet atque euticio ... Cum his
etiam se addiderunt plurimi, maxime
nepotes eorum et consanguinei circiter
undecim, videlicet isaac, iohannes, lau-
rentius, proculus, paractalis, vincentius,
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 607

Quando usci di vita — verso il 480, secondo il Floriger
di Gregorio di Catino, ma verisimilmente verso la prima
metà del VI secolo — venne sepolto dai monaci presso la

« Ab omnipotenti domino inspiratus,
patriam parentesque, sive consangui-
neos dimisit et cum sua sanctissima so-
rore susanna romam venit ». Sermo de
$. Lawrentio. Ediz. Balzani, pag. 106.
(Per le citazioni della Cronaca e dei
scritti d' Ugo mi riferisco sempre all’ e-
dizione citata).

« et peregrinationis iter assumens,
in hane sabinensem provinciam post
beatorum apostolorum venit adorata li-
mina. CAron. farf., 121.

« Cum enim in quodam puteo loci
qui dicitur aturianus, sabinensis provin-
ciae, immanissimus tunc draco habita-
ret, cuius pestiferum flatum nullum mor-
talium poterat ferre, vir domini lauren-
tius à dominis ipsius loci, tam vendi-
tione, quam concessione eundem locum
accepit et ... saevam pepulit ....... pe-
stem ». Chron. farf., 125.

erispolitus nec non herculanus. Cum
quibus et susanna, germana soror pre-
dicti venerabilis laurentii profecta est ».
Praefat. ad Florig. farf., Balzani, op.
cit., pag. 122, nota.

« Romam causa orationis advene-
runt et beatorum apostolorum petri et
pauli limina adoraverunt et in dei lau-
dibus ibidem apud episcopum urbanum
aliquanto tempore permanserunt. Sanc-
tus autem episcopus urbanus ..., sine
aliqua tituli capedine, bricium et carpo-
forum (?) ordinat presbyteros, lauren-
tium et abundium (?) constituit diaconos.
Qui occulte per plurima tempora ethni-
cos predicantes ad Christum converte-
bant ». Loc. cit.

« a quodam loco pestiferum expulit
draconem. In quo videlicet loco, cui vo-
cabulum est turianum, ecclesiam con-
struens, non parvo tempore in Dei lau-
dibus permansit. Post haec autem, lo-
cum reperiens remotiorem, ubi deo pro-
pitio monasterium elegerit, cuius voca-
bulum est casalis acutianus ». Loc. cit.

Nel seguito del lungo prologo al Chronicon appare evidente. che Gregorio di
Catino,.e l'autore di quella raccolta d'omilie inserite nel codice, hanno sott’ occhio
un testo che commentano e amplificano innanzi al « conventus » che li ascolta. E
infatti l'Oratore, dopo aver narrato del drago dell’ » Aturianus » e fattevi sopra le
sue riflessioni morali, prosegue: » En audistis iam fructum arboris bonae in loco
utillimo transplantatae. Audi etiam fructum alium, multo amplius decentissimum,
sive praestantissimum: Deinde in uno ex his quae ei tradita vel vendita fuerant
locis, idest in sito (al. idem in isto) cuius vocabulum est acutianus ... monasterium
hoc ... ». A quale recensione appartiene questa citazione? Mi sembrerebbe poterla
ricollegare a quella del Floriger e non alla Constructio, ove la fondazione di Farfa
segue immediatamente il pellegrinaggio a Roma, mentre nell’ altra precedono altri

episodi, tra cui appunto il drago e la cappella a Turano.

TT, e EGNA " -
608 I. SCHUSTER

sorella, e le sue ossa, sotto l'altare principale della Basilica,
sono venerate da una posterità già quindici volte secolare.
Trascorsero lunghi anni dalla morte di Lorenzo al giorno

Accertata pertanto l'esistenza d'una doppia redazione della leggenda, qual é
il loro valore istorico?
Occorre anzitutto indagarne le fonti. Un confronto tra il racconto del Floriger
‘è le molteplici leggende umbre sui « duodecim socii » (Cf. Act. ss. Iwlii, Tract.
proelimin.) venuti di Siria tra il primo e il sesto secolo a predicare il Vangelo in
quella regione, non può a meno di non farci scorgere la più minuta dipendenza di
Gregorio da queste. Solo in due punti differiscono: nella circostanza cioé della fon-
dazione del monastero di Farfa e nella menzione della sorella di Lorenzo, Susanna,
Ma il tardo redattore della narrazione florigeriana non si scompose, e in quella
confusione di documenti, di cui constava la leggenda « duodecim sociorum », am-
massando ancora gli altri dati fornitigli dalla Cozstructio, di due o tre Lorenzi ne
imbasti un solo, che identificò col fratello di Susanna. Non si dié neppur pensiero
di togliere di mezzo la fondazione dell'altro cenobio « Peniolatim », ove uno dei
Lorenzi era morto e sepolto, ma profittandone animosamente come di prima stazione
pel suo eroe, dopo avervelo fatto soggiornare alcuni anni, col ripiego del deside-
rio d'una vita piü solitaria, lo trasferisce « deinde » a Farfa. E evidente che é la
Constructio e gli « Acta duodecim sociorum » quelli che hanno fornito i docu-
menti alla redazione flor., e non viceversa.
Ciò premesso, sembrami poter dedurre che:
a) La redazione della Constructio è anteriore assai alla narrazione florig.
b) Le fonti della redazione florig. sono in massima parte gli « Acta duode-
cim », combinati con qualche scarso elemento della Constructio.
€) Il valore istorico della redazione florig. é nullo. (Cf. Act. SS. Iulii, loc. cit.).
— Circa la data della venuta di Lorenzo in Italia « Sub Iuliano », e sul vescovo di
Roma Urbano, cf. KELLNER, Nochmals das wahre Zeitalter der hl. Caecilia, in Theo-
log. Quartalschrift, LXXXV (1903), 321-333; LXXXVII (1995), 258 260; Id., Das wahre

. Zeitalter der hl. Caecilia, in Theolog. Quartalschrift, LXXX" (1903), 47.69, in cui

l'autore crede poter assegnare l'anno 362 come la data abituale di santa Cecilia,
spiegando l'Urbano degli Atti siccome un soprannome di Papa Liberio, a distin-
guerlo dall'emulo Felice II, rilegato in campagna « in sub-urbano ».

La questione adunque del valore istorico rimane intatta per la Constructio,
la quale in questa parte concernente Lorenzo dové fondarsi integralmente sulla
tradizione orale, sul diploma di Giovanni VII, e più di tutto su d'una iscrizione che
girava intorno all'abside della chiesa di Farfa, in cui Lorenzo stesso dichiarava,
aver egli costruito colla sorella quel luogo « non de publico ». — Circa l’uso d' ap-
porre epigrafi dedicatorie nella « camera » delle absidi nelle antiche chiese, cf. Av-
GUST, Sermo. 319, 7, 8. P. L. XXXVIII, pag. 1442; DE RoSssI, Znscríipt. Christ, II, XXXIX,
pag. 440 sgg.; Bullett. d'Arch. Crist., 1887, pag. 150 2. Uno dei criteri più favore-
voli ad aggiustar fede alle scarse notizie della Constructio è la loro concisione
somma, indizio questo che la Leggenda non aveva ancora subìto elaborazioni nella
fantasia popolare. In seguito, nei secoli X e XI, l'autore dei Sermones de sancto
Laurentio e Gregorio di Catino confessavano far duopo di complicati calcoli per
interpretarne gli scarsi dati cronologici!

Aggiungo altre osservazioni, delle quali sembrami si debba tener conto nel
proporsi la soluzione della questione:
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 609

in cui il prete Tommaso di Morienna, abbandonata la patria,
con pochi compagni andó a menare vita monastica a Geru-
salemme. Quivi le insidie degli Arabi, nuovi padroni della

a) nel museo epigrafico della Basilica ostiense é un frammento d'iscrizione
marmorea proveniente dal gran cemetero « sub divo » formato attorno l’area se-
polcrale dell’Apostolo.

La defunta é una tal « Sosanna de provincia Syriae ex vico Ravv..
oltre il nome e la patria, anche il tempo coincide coi dati cr
rella di san Lorenzo.

io », di cui,
onologici circa la so-

MOR..,
IAMAC..
VITSETD PI
FUISTI . IDONEa ....... ANIMA . ET
QUAM . CORPORE . HIC . REQUIESCIT
SOSANNA . DE . PROVINCIA . SYRIAE
EX . VICO . RAVV... IO. QUEM . LOCUM
COMPARATUM . EST . A . PREPOSITO - DEPO
ZOVII, SEADSIS.

Sono note le emigrazioni dei Siri in 1talia e nelle Gallie verso questi medesimi
tempi. Così a Roma che a Ravenna una serie abbastanza considerevole di Vescovi
« ex Syria » occupò quasi due secoli quelle sedi, mentre altrove, e nelle Gallie so-
vratutto, le popolose colonie di questi emigrati avevano contribuito a designare col
nome di Siro qualunque straniero originario d'Oriente, Cf. L. BRÉHIER, L’ Eglise et
orient au moyen áge, pagg. 20 sgg.; Id., Les colonies d’Orientaua en Occident au
commencement du moyen àge, Bizantin Zeit., XII, 1-2.

b) È assai probabile che nei dintorni di Farfa e precisamente nello speco
arcaico sotto la basilica di san Martino sulla vetta dell'Acuziano, debbasi riconoscere
uno dei primitivi oracoli alpestri dei Sabini, forse della dea Vacuna; in tale ipotesi
il drago scacciato dal pozzo rafligurerebbe l'idolatria dissipata dalla predicazione
di Lorenzo. Ela congettura aumenta di probabilità dalle seguenti osservazioni:

Venne conservato nel cenobio, sinché le leggi di soppressione non lo facessero
trasferire nel museo di Perugia, un magnifico orifizio di pozzo colle imprese di Te-
seo o d'Achille contro le Amazzoni, come illustrò il Guattani, o col convoglio fune-
bre d’Ettore, come volle il Di Costanzo. L'opera é di scalpello greco della decadenza
e venne descritta nei Monumenti sabini dal Guattani, al quale rimarfdo i lettori,
Tom. III, pagg. 99-100, Roma, 1832, pel Puccinelli, in 8°; DI COSTANZO, Ode poricon,
in Archiv. Storico perle Marche e per l'Umbria, II, (1885), fase, VII-VIII, pagg. 479-82.

Vi si aggiunge che; in un tasto praticato nel 1888 sotto un muro del giardino
di Farfa, si scoprirono resti d'antiche fabbriche, in cui il Gamurrini riconobbe l'an-
golo di fondamento di un edificio arcaico, costruito a blocchi quadrati di travertino,
senza calce. Tra le macerie tornò alla luce un frammento di lastra marmorea, alta
m. 0,40 e di buona paleografia, in cui si ricordano i restauri dell’ edificio, compiuti
da Commodo, tra gli anni 177-180, vivente il padre. (Cf. Atti Accad. Lincei, Notizie
degli scavi, 1888, pagg. 292-293).
imp. caes. l. aur. commodus antoniNUS. AUG.
germanicus. sarmaticus. imP. ANTONIni p. pif
pont. max. trib. p ...imp. .. pATER. PATriae
aedem. incendio. consUMTAm. restituit


{esi ar posta VOTI" (s

610 I. SCHUSTER

Città santa (1), e molto più un’apparizione della santa Ver-
gine, l'indussero a mutar sede, prima ad Efeso presso la
tomba di san Giovanni l’ Evangelista, indi, attraverso mille
stenti e pericoli, in Italia, a Farfa.

L’epigrafe è tanto più preziosa percbé ritrovata sul luogo, e per il riscontro
che offre colla leggenda del drago, notissimo simbolo dell’ idolatria, bandita dal suo
estremo asilo, lo speco cioé d'un antico « oraculum » e gli avanzi d'un antichissimo
santuario alpestre sulla vetta dell'Acuziano, tramutato di buon'ora in basilica cri-
stiana intitolata a San Martino di Tours. Per la descrizione di quest’ultimo monu-
mento, mi riferisco alla notizia che ne diedi, son già aleuni anni, nel Nuovo bullett.
d'Archeol. crist., ann. VIII (1903), n. 1-2, pagg. 47-54. Solo fo rilevare il culto verso
la memoria del celebre Evagrio Siro, sì aspramente combattuto da san Girolamo a
cagione del suo preteso origenismo, e la cui imagine clipeata, imberbe, rivestita
romanamente di pallio, occupa nella grotta il luogo d'onore colla scritta SCSE. VAC.
RIU. DIA. Credo che la bellezza dell'affresco (VI sec.?), e sopratutto il culto singo-
larissimo alla memoria del gran diacono Siro confermino sempre più l’origine orien-
tale dei primi apostoli della contrada acuziana. Cf. 0. ZOKLER, Evagrius Ponticus,
Munchen, Beck, 1893, in Biblische und kirchen historische Studien, IV, Heft. (Dà
notizia di un ms. siriaco, in cui la vita d'Evagrio è compresa tra quelle dei santi,
pag. 93); TILLEMONT, Mémoires pour servir a Vhist. eccl., Tom. X, 381, rileva che Eva-
grio in qnalche ms. grecc ha titolo di santo; I. DRASEKE, Zw Evagrios Ponticos,
Zeitschrift für Wissenschaftliche Theologie, T. XXXVII, 1894, pagg. 125-137.

A quanto sappia, la scoperta dell' imagine d'Evagrio nella cripta acuziana é
passata sinora inosservata, ma immeritamente, sembrami, ché, oltre all'offrirci un
buon argomento in favore de:la credibilità del nucleo primitivo della leggenda di
san Lorenzo, l’affresco è d'una rarità eccezionale per la storia del calunniato Dia-
cono « Origenista ».

Conchiudo riassumendo : il culto di san Lorenzo Siro, universale in Sabina ai
tempi di Pier Damiano, (« Episcopus etiam ille sabinensis, qui solium pontificale
deseruit et farfense monasterium, contempta sacerdotali dignitate, construxit, quam
nobilis in Christo vir fuerit testis est antiqua traditio ... testis est moderna devotio ».
Epist. L.I, n. IX, P. L. CXLV, pag. 425) é di molto anteriore alla narrazione della
Constructio ; Cf. I. SCHUSTER, Spigolature farfensi, Il, pagg. 7 sgg. Ritengo certa la
personalità del Santo e quella della sorella sua di nome Susanna, « de peregrinis
venientes » attestate dall’antica epigrafe dedicatoria nell’abside della Basilica, ma
toltane la fondazione di Farfa, e l'erezione della Basilica sulle rovine d’ edifici im-
periali, tutto il resto che se ne racconta, l'origine siriaca, l'episcopato sabinese eco.,
da quanto ho sopra esposto non mi sembra finora dimostrato documentariamente.
Né credo però col Marini, che la lontananza della Siria possa opporre difficoltà seria
contro l'ufficio pastorale esercitato da Lorenzo tra i Sabini, quando a Roma e a Ra-
venna nel VI-VII secolo contiamo un numero considerevole di Papi e di Vescovi siri
e perfino nn monastero, il « Boethianum », presso santa Maria Maggiore (fondatore
Severino Boezio ?), i di cui monaci, però nel 678 Dono dové disperdere tra i vari ce-
nobi di Roma, perché infetti dall'eresia nestoriana.

(1) Nel 607 sotto l’abbate Anastasio i monaci della Laura di san Saba, in seguito
alla capitolazione di Gerusalemme e alle oppressioni degli Arabi si erano già di-
spersi nell'Occidente, dando origine a parecchi monasteri, tra cui celebre quello
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 611

Narra dunque la « Constructio », che una notte, mentre
era in preghiera presso il santo Sepolcro del Redentore, gli
apparve la Madre di Dio, e che, mostratogli un bianco pane, pe-
gno della sua protezione, gli ordinó di partire tosto per il paese
dei Sabini, ove presso tre cipressi ritroverebbe una splen-
dida basilica, nella quale in buona vecchiezza avrebbe chiuso
in pace i suoi giorni, circondato da una schiera di discepoli,
cui non sarebbe venuto mai meno il necessario sostenta-
mento. Ubbidi Tommaso; ma giunto ai piedi dell'Acuziano,
alla riva opposta del ruscello « Arianum » e, ricercato in-
darno qua e là, mentre i compagni già caduti d'animo bi-
sbigliavano d'andare a Roma a visitare le tombe degli
Apostoli e poi far ritorno nelle Gallie, egli, celebrata la messa,
S'acconció a dormire. Nel prender sonno, gli apparve nuo-
vamente la Vergine, e rianimatolo gli additó poco lungi di
là, dalla parte d'oriente, i tre cipressi colla basilica deserta,
che tosto tornó ad echeggiare delle devote salmodie dei
monaci pellegrini (5 maggio 685-686?) (1) In breve, sulle

intitolato a san Saba, sul « piccolo Aventino » a Roma. (649 ?). Cf. WILPERT, Le pit-
turezdeloratorio di santa Silvia, in Melang. etc. école francaise de Rome, XVI,
1906, fasc. I-IT, pagg. 15-26. Ad ogni modo, essendo stato posto tra le condizioni della
resa della città santa, il libero accesso si agli arabi che ai cristiani, i pellegrinaggi,
sebbene piü rari, seguitarono.

(1) Qual è il valore istorico della leggenda di Tommaso? Il fondo — la restau-
razione di Farfa per mezzo di monaci franchi — se è senza dubbio genuino e pa-
rallelo a quel movimento religioso che si manifestò tra i longobardi al principio
del secolo VII, per cui vennero rilevati dalle rovine antiche e furono eretti moltis-
simi monasteri nuovi, specialmente nella regione beneventana, non si può dire al-
trettanto di tutti i dettagli del racconto. Cf. HANS GRASSHOFF, Langobardisch-Fran-
hisches Klosterwesen in Italien, Diss. Góttingen, Huth. 1907. Già la stessa distruzione
del Monastero compiuta da Genserico nel giugno 455, storicamente é impossibile,
perché i Vandali, venuti dall'Africa, non oltrepassarono Roma, lasciando tranquilla
la Sabina. Sotto questo aspetto sarebbe più verisimile la data del 410, allorché Ala-
rico ei Goti misero a ferro e fuoco le terre lungo le vie Salaria e Flaminia, donde
piombarono su Roma, o l'epoca ancora delle rispettive calate di Vitige, Totila, Bu-
celino ecc., i cui nomi occupano più d'una pagina vergata col sangue, nella storia
del monachismo italiano. Cf. L. DUCHESNE, Le sedi episcopali nell’ antico ducato di
Roma,sin Arch. Soc. Rom. Stor. Patr., XV, fase. III-IV, 1892, pagg. 404-06; Id., Les
Évéchés d'Italie et U invasion Lombarde, in Melanges, XXIII, 1903, fasc. I-III, pagg. 83-
116. Del resto, la distruzione e la devastazione, o non dové essere totale, o, facen-
done con maggior probabilità autori i Longobardi, che posero a soqquadro i mona-

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612 I. SCHUSTER

-

rovine dell’antico sorse un nuovo monastero che l’ accorta
politica dei duchi di Spoleto arricchì generosamente di pri-
vilegi e di terre; e quando verso il 730 Tommaso, « in se-
nectute bona », discese nella tomba, dopo un governo di circa

steri e i vescovadi d’Italia, deve ravvicinarsi quanto è più possibile al 690, se in
quest'anno san Tommaso ritrovò ancora in piedi la chiesa « miro fabricata decore »,
coll'epigrafe di Lorenzo tuttavia intatta nell'abside, e potè puranco rintracciarne e
rivendicare il. suo patrimonio. E niuna meraviglia invero, giacché prima dell'arrivo
dei monaci franchi, l'Acuziano non era già tutto quel fittume di rovi e di boscaglie,
covo più d’assassini che da cenobiti, come ce lo descrive la Constructio, ma un
< casalis », — dunque, per lo meno un piccolo gruppo di abitazioni e case — che
continuò a essere popolato, almeno fino al 775, in cui un tal prete Liusberto « ha-
bitator in Acutiano », dopo aver offerto al Monastero i beni venutigli in eredità dai
fratelli, donò all'abbate Probato tutto quello che vi aveva aggiunto di proprio, oltre
la chiesa in onore di san Gregorio fatta erigere dai fondamenti: « Sci Gregori in
Acutiano », Reg. farf., II, doc. 775, pag. 110.

È pure memoria d'un altra chiesa di sant'Antimo eretta « in casale qui dici-
tur acutiano dum in publica remansisset potestate » dall’ avo d'un tale Alfrid eser-
citale, che nel 761 innanzi al duca Gisulfo la contese ai monaci, cui era passata dopo
la morte del fondatore, op. cit., II, doc. 46, pag. 52-53. I! monaco Giovanni che so-
steneva le parti di Farfa, dimostro la legittimità del possesso allegando un diploma
del duca Lupo, e fu deciso che il contendente, pago della parte del casale donata-
gli da Faroaldo II, non avanzasse altre pretese sulla chiesa.

Il medesimo duca Lupo nel 749 aveva già stabilito con un editto i confini in-
torno a Farfa, cui alle donne non era lecito oltrepassare, e questo « tam qui iuata
monasterium habent possessiones, tan qui a longe sunt », op. cit., II, doc. 15,
pag. 31. x

Quello poi che risulta dal diploma di Faroaldo II, induce dubbi ancor maggiori.
Vi si parla, si, di restaurazione e di pellegrini, ma tutto il maraviglioso, le appa-
rizioni, i prodigi sono taciuti cosi, che papa Giovanni VII, nel suo diploma all’ ab-
bate Tommaso, sembra non avere neppur compreso appieno tutta l'importanza
dell'opera del Santo. « Hinc est quod venerabile monasterium sanctae dei genitricis
semperque virginis Mariae, quod laurentius quondam episcopus venerandae memo-
riae, de peregrinis veniens, in fundo qui dicitur acutianus, territorii sabinensis
constituit ... post cuius ad deum excessum, dum tantam religionem sedule deo de-
servientium agnosceret gloriosus filius noster faroaldus, etiam ipso dei amore et
sustentatione ibidem tecum deservientium deo ... » op. cit., II, doc. III, pag. 23.
Questo stesso ricollegare immediatamente l'opera di Lorenzo a quella di Tommaso,
senza lasciar neppure intravedere i tre seeoli che divisero l'uno dall'altro, si ri-
scontra eziandio nel diploma di Luitprando del 739, in cui, a preghiera dell' abbate
Lucerio, conferma a Farfa « quaecumque in eodem sancto loco singuli duces no-
stri spoletani, seu et reliqui iudices, vel populus de ipso ducato nostro spoletano
contulerunt », op. cit,, II, doc. 6, pag. 27, ove quei « singuli duces » si ridurrebbero
a ben poca cosa, se l'albo dei benefattori del Monastero avesse dovuto inaugurarsi
solo da Faroaldo II cirea vent'anni prima. Mere ipotesi, é vero, ma tali da renderci
cauti, nel brancolare che facciamo fra le tenebre della preistorla.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 613

trent'anni, il popolo ne onoró la memoria come di santo e
linvocó « padre nostro beatissimo, il prete Tommaso » (1).

Per oltre un secolo e mezzo segul un periodo di straor-
dinario splendore ed efflorescenza, sotto il savio regime dei
suoi primi successori; tutti, ad eccezione del sabinese Pro-
bato (2) franchi d'origine ed onorati in seguito dalla poste-
rità farfense d'annuo culto liturgico. E fu per essi che, oltre
la fama d' osservanza monacale, venne anche a delinearsi
l'indole politica del Monastero in seno alla società nuova,
fusione stranissima degli elementi latini, italici, germani e
franchi, sorta su dallo sfacelo del vecchio mondo romano (3).
Al tramontar della potenza dei longobardi, mentre il lontano
Alcuino dirigeva all’ abbate Mauroald (4) lettere ispirate a
sentimenti di profonda venerazione, pregandolo si degnasse

Per conchiudere adunque circa la leggenda di san Tommaso, ritengo che i
documenti I-IV del Regesto e il racconto del contemporaneo Autberto nella
dei primi fondatori del monastero vulturnese, le concilino assai -m
di quella che comunemente le si attribuisce. Rinvio il lettore

vita
aggior autorità
a un mio scritto spe-
ciale su tale questione. Cf. I. SCHUSTER, Spigolature Farfensi II. Monumenti storici
e liturgici, in Rivista storica Benedettina, 1909, fasc. IlI, 1910, fasc. 1. Evidentemente,
il compilatore della Constructio qua e là ha cercato d’ ingrandire al possibile la
figura del proprio fondatore, ma poiché si trovava di fronte a un tal personaggio
eminente per santità e fama, così non sentì il bisogno di dover ricorrere troppo
spesso alle risorse della leggenda popolare.

(1) La chiesa farfense ne onora il ricordo insieme a quello dei suoi primi tre-
dici successori, il 10 Decembre.

(2) Il GAMURRINI nel 1880, in Atti Accad. Lincei, Notizie degli scavi, pag. 292,
diede notizia d'una tabella enea, ritrovata in Farfa e che egli suppose destinata a
qualche capsella di reliquie, colla scritta

PROBA
TUS ABB

Cf. il mio scritto. Spigolature Farfensi. I Monumenti Epigrafici I, in Rivista
Storica Benedettina, XVII, 1910, pag. 69. Il raro cimelio venuto in mano del" intel-
ligente e gentilissimo proprietario dell'ex-Badia avv. G. Vitali, con sensi di squisita
delicatezza è stato nuovamente consegnato ai monaci, del qual atto mi si
professargliene qui pubblicamente gratitudine.

(3) Cf. C. TROIA, Stor. d’Italia del Medio Evo, IV, n. DCCCCLVI, nota.

(4) JAFFÈ, Monum. Alcuiniana, pag. 730; Cf. G. I. B. GASKOIN, Alcuin; his Life
and his Work, London C. I. Clay and Sons, 1904, in 89.; H. DITSCHEID, Alkuins Leben
und Bedeutung fiw den religiosen Unterricht, Coblenz, Górres-Druckerei, 1902-1903,
in 4^ in Wissentschaftliche Beilage zum-Jagresbericht des Kaiserin Augusta — Gym-
nasium zu Coblenz, Osterns, 1902-1903.

à concesso
"OU fr.

614 I. SCHUSTER

ammetterlo a partecipare dei meriti spirituali dei suoi mo-
naci, il di lui imperiale discepolo, Carlo Magno, nel 775, coi
più ampi diplomi d'immunità, « sicut caetera monasteria
lirinensium, agaunensium et luxoviensium » (1), i tre piu il-
lustri cenobi franchi, costituiva Farfa in una posizione favo-
revolissima, affatto indipendente dal rivaleggiare politico che
lacerava allora il ducato di Roma e l’Italia longobarda. Un
cofanetto di Carlo Magno, tutto d’oro e adorno di gemme (2),
venne conservato dai monaci per oltre due secoli, sinchè
non fu alienato dall’ intruso abbate Ildebrando verso il 940.

Ludovico il Pio, grato per i servigi resigli dall’ abbate
Ingoald (3), nel dar sesto alle cose del ducato di Benevento,
rilasciò ai Farfensi oltre venti diplomi, alcuni muniti di si-
gillo d’oro, e il suo esempio venne successivamente imitato
da Lotario, Berengario, Guido, gli Ottoni e finalmente da
Enrico II, IIT, IV e V.

È rimasta celebre una contesa tra Ingoaldo e la Camera
Apostolica, pel possesso d'aleune corti del Monastero, che
« domni Adrianus et Leo pontifices per fortia invasissent »,
senza che i loro successori, sino a Gregorio IV, si fossero
mai lasciati indurre a rendere giustizia. Finalmente la lite,
nell' 829, venne deferita ai « missi imperiales » residenti al-
lora in Laterano, che sentenziarono in favore d'Ingoaldo,
nonostante le papali proteste e l'appello al giudizio perso-
nale dell' Imperatore (4).

(1) Reg. farf., II, doc. 127-128, pagg. 107-109.

(2) Durante l'esodo dei Farfensi sotto Pietro I verso l’ 898 fu messo in salvo nel
castello di santa Vittoria, donde venne rapito e alienato dallo sciagurato abbate
Ildebrando verso il 939. Cf. Reg. farf., III, doc. 379, pag. 84.

(3) « Retulit nobis ipse ingoald abbas ...: anno praeterito (820), quando fui in
servitio domni imperatoris franciae, suggessi eius excellentiae quod quidam ... ».
Reg. farf., II, doc. 251, pag. 207: « Ingoaldus abbas ... tunc fortuitu aberat ..., ex

praecepto Imperatoris iter ad Beneventanos arripuerat, episcopium albo Curiae de-
scripturus ». Of. Anon. Translatio S. Sebastiani, Act. SS. Ian. II, c. IV sgg., p. 645
sgg.; Frotarii episc. Tull. epist. ad Sichardum abbatem, Patrol. lat. (Migne) CVI,
pag. 867.

(4) Reg. farf., II, doc. 270, pagg. 221-223.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA ‘615

Fu verso i tempi di Pietro I (890?-920?) che Farfa rag-
giunse il più alto grado di gloria. Ricca e potente al di
fuori, dai possedimenti sterminati, che dalle montagne del-
l’Abbruzzo si estendevano sino sopra a Milano, colla nave
privilegiata concessa da Lotario, che solcava l'Adriatico e il
Mediterraneo, trafficando i prodotti delle sue colonie (1), Farfa,
al di dentro a quella cerchia turrita che la ricingeva, era
tutto un luecicare di marmi e di metalli preziosi, e meglio
che monastero l'avresti creduto un immenso tempio, sacro
allarte e alle lettere, un'oasi in seno alla desolazione della
barbarie.

Ce ne avanza una descrizione posteriore d'un secolo,
quando quel luccichio d'oro era già entrato nel dominio
della leggenda; ma indagini recenti e piü accurate confer-
mano in complesso quelle notizie.

« E chi varrà a descrivere tutto lo splendore della nostra
Chiesa? Il tetto della basilica principale era ricoperto di
piombo, e sull'altare in mezzo sorgeva un baldacchino (cibo-
rium) d'onice. V'erano inoltre cinque basiliche minori, di
cui l'unica che avanzi ora è quella di san Pietro (2), già ri-
servata ai chierici canonici componenti la corte dell'abbate.

Due chiese erano destinate agl'infermi, sia quelli che
erano in via di convalescenza, sia i morenti che occorreva
munire dei conforti religiosi. Attiguo v'era comodo di sale
e di vasche da bagno.

(1) Reg. farf., II, doc. 266, pag. 217.

(2) Dopo la distruzione di Farfa nel IX secolo, l'oratorio di san Pietro — « fo-
ris pharpham », « prope domum », « iuxta monasterium » — fu l’unico che ne an-
dasse illeso, tanto da servire in appresso quale aula destinata ai placiti, refute ecc.
Nel 1067 era ancora in piedi col suo portico innanzi, ma un documento del 1098 fu
redatto « intro ipsa curte ubi iam fuit ecclesia beati Petri ». Cf. Reg. farf., V,
doc. 1044, pag. 146; III (an. 1006), doc. 467, pag. 177; IV (an. 1010) doc. 607, pag. 6;
(an. 1012), doc. 623, pag. 21; doc. 625, pag. 22 ; (an. 1067), doc. 982, pag. 362; III (an. 988),
doc. 42, pag. 102-105, ov' é descritto il solenne giuramento di Giovanni IIT, nel giorno
della festa di san Pietro, a scagionarsi delle calunnie appostegli: « Superveniente
aut festa apostolorum petri et pauli, quae in eodem monasterio est aedificata, ad
eamdem solemnitatem venerunt multi qui in ipsis partibus habitabant ».
616 I. SCHUSTER

Allorché venivano a visitarci gl' Imperatori, alloggiavano
in uno splendido palazzo, nel cui interno era un'altra chiesa,
mentre una quinta, piccola sì, ma vero gioiello artistico,
stava un po' fuori delle mura del Monastero, ad uso delle
donne che venivano a farci visita. Infatti, secondo raccon-
tano i vecchi, anticamente nessuna donna poteva mettere
piede dentro il recinto della muraglia monastica, e ogni
volta che arrivavano regine o altre signore, attendevano in
quell' oratorio l'abbate o il monaco da loro desiderato. Le
officine, come in parte si vede ancor oggi, erano tutte al
coperto con tettoja di tegole, e lastricate a pietre ben squa-
drate e connesse. Intorno al Monastero girava una doppia fila
di portici ad arcate; quello di fuori, per comodo dei laici, quello
interno, per uso dei monaci. Mura e torri cingevano Farfa
come una città fortificata, ma dentro non si udiva strepito
di liti e contese, le quali si risolvevano in un palazzo a ció
destinato, al di là del ruscello Riana (1). Che più? In tutto
il regno d'Italia non v'era monastero che gli somigliasse,
se ne togli Nonantola, e neppur questo interamente (2) ».

Tante ricchezze e la speranza d'un facile bottino tenta-

(1) In altri documenti posteriori é menzione di questo castello di cui mi sem-
bra tuttora riconoscibile una grande aula colla piccola chiesa di san Lorenzo « in
Arriano » sulla collina incontro al monastero, sulla riva del Riana. Reg. III, do-
cum. 508-9, p. 219-20, e Largitor, vol. CCL vers. In quest’ultimo documento è chiamato
« Castellum Cavallarie ... alio latere flumen Rianae ».

(2) Hucowis, Destructio farf., ediz. Balzani, pagg. 30-31. La clausura della ba-
silica farfense alle donne, che, giusta l’uso monastico universale, era stata osser-
vata per tutto il medioevo, venne in parte mitigata la prima volta il 17 novembre
1391, quando Bonifazio IX concesse speciali indulgenze per la festa della Natività
della santa Vergine, a istanza dell'abbate Nicolò II, e permise « ea die dumtaxat,
videlicet a primis vesperis usque ad secundas praedicti festi, etiam mulieres eamdem
ecclesiam sanctae Mariae pro huiusmodi indulgentia assequenda libere et licite in-
gredi ». Ma rimesso una buona volta l’antico rigore, la consuetudine a poco a poco
decadde, e Io stesso Bonifacio IX nel 1401, in considerazione del numero enorme di
pellegrini che affluivano a Farfa nelle principali solennità dell’anno, concesse ehe
in quei giorni un monaco deputato dall'abbate ascoltasse le confessioni sacramentali
« utens virga et omnimoda potestate, quibus minores poenitentiarii basilicae vati-
canae constituti gaudent ». Cf. Rationale Farf., ms. saec. XVI, in Archiv. del Mon.
di san Paolo, Roma, fol. 139.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 617

rono l'ingordigia dei Saraceni, che S'appressarono a stringere
Farfa d'assedio; ma l'abbate Pietro I, messo sul piede di
guerra l’esercito dei vassalli, per parecchi anni, scorazzando
qua e là per le terre badiali, li tenne a bada, finchè, resa
impossibile la difesa e stretto all’ intorno, riuscì destra-
mente ad evadere coll'archivio e i tesori del Monastero, ri-
tirandosi a Fermo colla propria corte e la più gran parte
dei monaci. E perchè i Saraceni spingevano fin là le loro
scorrerie, si rafforzò sul monte Matenano in un castello, di-
venuto poi celebre sotto il nome di santa Vittoria (1), ove
mori verso il 919. Gli successero, non sappiamo con qual
ordine, Giovanni e Rimone; il secondo, nel breve tempo del
suo governo dovè forse ricondurre a Farfa qualche piccola
colonia (2) dei suoi cenobiti e incominciare a rilevare il
monastero dalle rovine.

Ma il merito principale di questa restaurazione (circa
l’anno 933) si deve al suo successore Ratfredo, che nella
storia di Farfa avrebbe lasciato buon nome di sè, ove i Sa-
raceni, le armi e il Castello a lungo andare non avessero
convertito i Farfensi in monaci soldati, e, per giunta, soldati
del secolo X. Già lo stesso Ratfredo, « vir nobilis », e abi-
lissimo nell'amministrare, di cose di Dio e d'osservanza
monacale s'intendeva poco; meno forse ne sapevano i mo-
naci, sì che, come si vide dappoi, sotto quelle cocolle si
celavano a Farfa le virtù e i vizi d'un secolo, che non senza
ragione si è voluto chiamare di ferro.

Due scellerati, il diacono Campone (3) e Ildebrando, or-

(1) L'antico castello oggi é cenobio tranquillo di Benedettine, sulle quali, in
qualità d'abbate commendatario farfense, esercita giurisdizione spirituale il vescovo
sabinese. Cf. CoLuccI, Antichità picene, XXIX, pagg. 18-22.

(2) Reg. Farf.,III, doc. 342 43, pag. 45. L'ultimo è una « cartula » di professione
monastica, « actum in monasterio sanctae Mariae sabinis in manibus domni Rimonis ».

(3) Esistè a Roma, nell'Arenula, una chiesa medioevale sotto il nome di s. Sal-
vatore « in dompne Campo », ove erano gli antichissimi possedimenti farfensi, ri-
cordata pure nell'Ordo Romanus XII, che le assegna XVIII danari di presbiterio.
Non poté Campone lasciare il suo nome a quella chiesa ? Il nome di Campo col titolo
di « Levita » si ritrova in un doc. del Largitorium all'anno 936, f. XXXI a.
618 I. SCHUSTER

dirono una congiura per torre di vita il vecchio Abbate.
Campone, monaco insin da fanciullo, e prediletto di Ratfredo,
che a compiere là sua educazione gli aveva fatto apprendere
medicina, era stato da lui eletto a preposito di Farfa e be-
neficato con ogni sorta di favori (1). Ildebrando poi, già mo-
naco d'altro monastero, accolto a Farfa dapprima come ospite,
indi come famigliare del vecchio Abbate, era da quello fa-
vorito ed amato d'intenso affetto.

Congiunti gli animi coi vincoli d' una scellerata amicizia,
i due ribaldi, prima ancora che mescessero a Ratfredo la
coppa avvelenata, avevano patteggiato insieme sulla divi-
sione delle castella e delle corti di Farfa, argomento invero
punto facile; ma perché si all'uno che all'altro premeva che
l'affare si disbrigasse, innanzi che al di fuori s'accumulas-
sero contro loro i sospetti, pel momento fu giocoforza ac-
cordarsi. i

Campone, il medico, fu quello che manipolò il veleno
e l'offri all’Abbate, che, non appena cominciò a risentirne i
funesti effetti, voltosi al traditore, che lo spiava con impa-
zienza felina, « Campigenans Campo — esclamò — male
quam me campigenasti »! Mori verso il 936.

Senza porre tempo in mezzo, Ildebrando fu tosto a
Pavia da re Ugo, presso il quale brigò tanto, che ottenne a
prezzo d'oro linvestitura di Farfa in favore di Campone.

(1) L'anno 932, 8 febbraio, intervenne a un atto di donazione redatto in Ami-
terno, in cui si sottoscrive « Campo monachus et prepositus monasterii ». Cf. Reg. III,
doc. 345, pagg. 37-38. Intorno alla scuola di medicina nella sede farfense di Roma
cf. TIRABOSCHI, Stor. Letterat. Ital., t. III, cap. V; Chron. farf., ediz. Balzani, I, 36;
P. FEDELE, Una chiesa del Palatino, in Archiv. della R. Soc. Rom. di Stor. Patria,
XXVI, 1903, pagg. 361-362; le cui ragioni però non sono definitivamente convincenti.
Trattasi di due monaci farfensi, Campone e Leone, medici nel X secolo ! Potrei anzi
aggiungere che l'abbate Rimone mori a Roma in seguito al veleno somministratogli
dal flebotomo e fu sepolto « in oratorio sancti Stephani in cella ipsius monasterii ».
Mg. XI, pag. 534, ma da questi semplici dati sino a intuire una scuola medicinale
farfense tanto perita in manipolare veleni, é voler dedurre troppo. Cf. Reg. Farf.,
V. doc. 1286, pag. 281; II, doc. 162, pag. 135, ov é memoria d'altri monaci farfensi
dediti allo studio della medicina.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA

619
Questi lo attendeva nella Marca d'Ancona, ove col possesso
di quattro chiese, lo ricompensó del diploma e degli aiuti
apprestati per soggiogare armata mano le castella del mo-
nastero.

Compiute queste prime piraterie, i due traditori se ne
tornarono a Farfa, ove, signori assoluti delle immense ric-
chezze ricuperate da Ratfredo, giunsero a convivere pubbli-
camente con quelle, che già da buon tempo si traevano
dietro in qualità d’ occulte concubine. Disgraziatamente,
anche tra i monaci vi fu chi ne imitò l' esempio, e in breve,
narra Ugo I, si giunse a tale, che ciascuno poneva in di-
sparte per la sua donna ciò che avrebbe dovuto destinarsi
al mantenimento dei « servi di Dio » e dei poveri!

Trascorso un anno dall’ assassinio di Ratfredo, Ildebrando
s'inimicò con Campone, e compri per danaro i vassalli
della Marca, con un forte esercito s' impadronì di quelle terre.
L'altro gli fu sopra, ma, sentendosi da meno dell'avversario,
volle prima stringere lega coi signorotti del paese, dando in
moglie a Trasberto una delle sue bastarde. I beni di Farfa,
com'era naturale, fecero le spese di quelle nozze, e fu cosi
che Campone donò al suocero l’intera corte di san Maroto,
vasta sedici mila moggi.

Raccolto coll’ aiuto degli amici e dei congiunti un forte
esercito, l'Abbate strinse d'assedio santa Vittoria, e scaccia-
tone Ildebrando, se ne tornò a Farfa a godere i frutti di
quello scellerato trionfo. Da un’amicizia infame con una tale
Inga, Campone ebbe dieci creaturine, sette femmine e tre
maschi, e per dotarli tutti in maniera principesca, il padre
fu costretto a torre al monastero il castello di Bocchiniano,
il pago Salisano e le altre corti di Rieti, d’Amiterno e della
Marsica.

Intanto Alberico, il figlio della famigerata Marozia, salito
al governo di Roma, inaugurava la riforma per risanare l'im-
mensa piaga che affliggeva la società e la Chiesa; e perchè
anche i monaci, figli del secolo loro, abbisognavano di chi |
li destasse dal lungo letargo in cui si erano assopiti, invitó
a Roma sant'Oddone, a introdurvi nei monasteri le buone
costumanze che l’intera Europa correva ad ammirare a
Cluny (1).

Sul principio l'impresa riuscì favorevole a san Paolo,
san Lorenzo e sant'Agnese, ma a Farfa essa incontrò tali osti-
lità da parte di Campone, che la eolonia cluniacense dovette
fuggirne di notte tempo, se volle aver salva la vita. Alberico
allora, raccolto un buon nerbo d’ esercito, mosse contro Farfa
e depose lo scandaloso Abbate, dandogli a successore il pio
Dagiberto da Cuma, frattanto che Sarilo, mutato a un tratto
da « Marchio » in una specie di archimandrita di tutti i
monasteri regî della Tuscia, riacquistava ripetutamente santa
Vittoria contro lo sciagurato Ildebrando. Però dopo cinque
anni, mentre, quest’ultimo nella Marca d’Ancona, e Campone
a Rieti, continuavano nelle usate ruberie, il veleno tolse di
mezzo anche Dagiberto, cui nel 953 successe un cotal Adamo,
primo di tal nome, che, colla cessione di quattro corti in favore
del Papa e del marchese Teobaldo, dovè coprire l'onta di
relazioni infami, delle quali era stato giuridicamente con-
vinto. Alla di lui morte, verso il 963, Teobaldo diè Farfa in
commenda al proprio fratello Uberto, che, mutata la casa di
Dio in un postribolo, con un buon numero di cani se ne
veniva sollazzando nella maniera più scandalosa.

I monaci, usciti appena sotto Dagiberto dalla vergogna
in cui li aveva prostrati e avviliti Campone, intristirono
nuovamente nel vizio, e, abbandonato questa volta anche il
cenobio, cominciarono a convivere colle loro donne nei vil-
laggi li presso. Tornavano a Farfa solo la domenica per
celebrarvi gli uffici, ma il tedio per la disciplina monacale

(1) GREGOROVIUS, Geschichte der Stadt Rom, 42 ediz., III, 301 segg.; DUCHESNE,
Les premiers temps de V’Etat Pontifical, Paris, 1898, pag. 175 ; W. SICHEL, Alberich II
und der Kirchenstaat, in Mitteilungen der Hist. f. Oesterr. Geschichte, XXIII, 124
sgg.; Du BourG, Saint Odon, (849-942), Paris, Lecoffre, 1905, in 12^; SACKUR, Die Clu-
niacenser I, 104.
: 9
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 621

li consiglió poi a distruggere a poco a poco tutte le fabbriche
antiche del monastero, desiderosi di ridurlo a tale, da non
potere essere mai più abitato.

A tanto male apportó qualche rimedio papa Giovanni XIII,
prima colla commenda di Leone, abbate di sant'Andrea sul
Soratte, poi nel 966 coll'elezione di Giovanni III, abbate
attivo e destro nel maneggio degli affari, dice Ugo, quan-
tunque avaro e leggero piü che non comporti austerità mo-
nacale (1). Infatti, non molto lungi dall'antica Curi e presso
il fiumicello Correse, a cavaliere d'una deliziosa collina,
oggi santuario celebre della Madre di Dio, era il castello
d'Arci, residenza abituale del nipote del Papa, a nome Be-
nedetto, e della moglie Teoderanda, figlia del patrizio Cre-
scenzo (2). Giovanni III dimorava allora a Tribuco, nella
rocca sul fiume Farfa, presso il magnifico ponte improvvi-
sato dall'impeto delle acque, che, abbandonato l' antico letto,
sì sono aperte un varco traforando la roccia poco lungi dal-
l'antica Gabi sabina (3); ma perché i negozi della Badia lo
mettevano spesso in viaggio, cosi se ne veniva di tratto in
tratto ad Arci, a intrattenersi colla potente castellana. Si sa
che talvolta discorsero delle ruberie d'un cotal Martino di
Lupo, soprannominato Ricone, terrore dei dintorni, tanto che
le vie erano impraticabili, tra la desolazione degli abitanti.

Martino era affittuario dei Farfensi a Tribuco, e l'Ab-
bate gli affidava la custodia del castello ogni volta, e non
era raro che dovesse recarsi altrove (4). Teoderanda fece

(1) L'elezione venne contrastata per circa un anno da un competitore di nome
Hodelrico, il quale finalmonte si ritirò nel 967. Cf. Reg. Farr., II, pag. 16. )

(2) Giovanni XIIl, di accentuate tendenze nepotistiche, a innalzare il proprio
nipote, lo creò conte di Sabina ottenendogli la mano della figlia di Crescenzo. Cf.
M. ARMELLINI, Il reggimento civile di Roma nel medioevo, Roma, 1881, in 8°, II, 110;
Intorno ad Arci cf. G. TOMASSETTI, La campagna romana nel medio evo, in Arch.
Soc. Rom. Stor. Patria, XV (1892), pag. 192.

(3) GALLETTI, Gabio antica città di Sabina, Roma, MDCCLVII, in 80, pag. 21;.
ef. Exceptio relationis domni Hugonis, ediz. Balzani, op. cit., pagg. 61-70.
(4) Largitor, fol. LXXXVII, Indiz. XI di Benedetto VI (a. 983).
699

I. SCHUSTER

adunque intendere a Giovanni, che il marito, anche per to-
gliere di là quello sconcio, avrebbe accettato volentieri quel-
l'enfiteusi, offrendo anche a soprappiü del prezzo una ricca
veste sacerdotale, avuta in dono dal Papa. L'Abbate non
seppe rifiutarsi e, all'insaputa dei Farfensi stava già stipu-
lando il contratto, quando il diniego di Benedetto circa l'am-
manto papale mandó a monte i negoziati.

Si ricorse allora alle facili armi della perfidia, e il conte,
avuti a sé, con mentiti pretesti, gli affittuari di Tribuco, li
fece gittare in prigione, per estorre colla forza le loro rice-
vute censuali rilasciate da Giovanni III; mosse quindi contro
il castello, e per un anno lo cinse d'assedio, finché la difesa
disperata dagli abbaziali non fu compromessa dall'oro pas-
‘sato di nascosto dagli scrigni di Benedetto (1) nelle tasche
d'un cotal traditore a nome Senioretto.

Con Tribuco in mano, sull' alto della collina che domina
la pianura irrigata dal Farfa, che s'affretta ad affluire nel

. Tevere, il conte raddoppiò d'audacia e fece man bassa sulle
terre del monastero. Occupò a viva forza le corti di san Ge-
tulio, Serrano, Canali, Verrucola, e, aggiungendo lo scherno
alla perfidia, un anno, la vigilia dell'Assunta, invió un messo
a Farfa perché, secondo l'uso dei « Libellarii » badiali, de-
ponesse sull’ altare della Vergine dodici soldi d'argento a

‘ nome del proprio figliuolo, il conte Giovanni. Il sacrista,
abituato a simili censi, nella calca di quel giorno non vi
badò gran fatto, e aveva già riposto quel danaro cogli altri,
quando il di appresso il giovane conte fece richiedere al-
l'Abbate i due soldi, che eccedevano, diceva, il fitto delle
dieci monete !

Quest’ enfiteusi violenta durò sino al 998, allorchè ascese
al soglio abbaziale di Farfa il venerabile Ugo, « columpna

(1) Dal doc. 396 del Regesto rileviamo un cambio deil'abbate Giovanni III a:
« ... Deodate, qui supra nomine seniorectus vocaris, filius cujusdam iohannis de Ami-
terno » (anno 976?). Reg. Farf., III, doc. 396, pag. 98,
623
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA

maxima », come lo defini sant'Amico d'Avellana, nel mo-
mento stesso della sua morte.

CAPO II.

Ugo I viene eletto Abbate di Farfa (997-998).

Le condizioni morali ed economiche di Farfa in sul
terminare del secolo decimo erano tanto tristi, che ogni
possibilità di risorgimento sembrava affatto remota; solo la
Provvidenza di Dio potè disporne e accelerarne i mezzi. E
lo fece infatti, ma per vie si nuove. che sembrarono un
istante le più atte a preparare al monastero l’ ultima e irre-
parabile rovina.

Quando nel novembre 997, alla morte d'Alberico (1),

(1) La data obituale di Giovanni III é notata a caratteri rossi nel Breviario
Farfense Chigiano c. VI: III non. (majas) obiit Domnus Iohannes abbas, ma branco-
liamo però fra le tenebre circa l'anno in cui uscì di vita. Un documento del Lar-
gitorio « indictione XI » del regno d'Ottone (fol. 165) lo farebbe ancor vivere nel-
l'agosto 998, ma dubito debba riferirsi al 982, in cui correva appunto l'indizione
undecima sotto Ottone I; un'altra carta « mense Maii, indict. XI, tempore Gregorii V
pp. » si riferisce già all'abbate Ugo, e un terzo documento del settembre 998 men-
ziona come abbate Alberico. Cf. Largit. Farf., fol. 165, 382, 241, 127. In tanta confu-
sione, propendo verso quella data cronologica che meglio sembra appoggiata a do-
cumenti forniti di datazione abbastanza sicura. Ne citerò soli tre. Il primo, nel
Regesto e nel Chronicon, é del marzo 997, quando il preposito Giovanni rivendica
alcuni beni della badia contro Leone di Dominica. Reg. Farf., III, doc. 416, pagg. 127-
128; l’ultimo è nel Largitorium, fol. 127, novembre 997, e il secondo nel Regesto,
settembre 998. Quest'ultima data deve assolutamente correggersi (Mg. ss. XI, 539),
perché nel febbraio 998 Ugo I risaliva già la sede per la seconda volta. Ma nep-
pure i due documenti d'Alberico, del marzo e del novembre dell' undecima indi-
zione, corrispondono al computo d' Ugo I, che nella « Destructio » assegna a questo
abbate solo sei mesi di governo; perciò propenderei a credere che il Chronicon
solo per errore di calcolo riferisca a Alberico, nel marzo un atto, che venne invece
compiuto dal preposito Giovanni, iu assenza forse di Giovanni MII, malato probabil-
mente in santa Vittoria, ove morl. In conclusione: giacché Giovanni III mori il 2
maggio 997 e nel Largitorio il primo documento attendibile d' Ugo è del decembre
997 (fol. 127), e l’ultimo d'Alberico del novembre dello stesso anno (fol. 127 cit.), oc-
corre fissare il governo di quest'ultimo dal giugno al novembre 997. (Le conces-
sioni d'Ugo I nel Largitorius sono registrate dalla c. CVI B — CLVXXVIII A. e in
un'aggiunta del monaco Todino dalla c. CCCLVIII A. — CCCLXXII B.).
624 I. SCHUSTER

succeduto da pochi mesi a. Giovanni III, la sede di Farfa
venne a vacare di bel nuovo, nel monastero di san Quirico
ad Antrodoco (1) era un giovane monaco di nome Ugo.
Nobile di nascita, ma non romano, penetrato da fede re-
ligiosa sin nell’ intimo dell’ animo e tutto zelo per l’ osser-
vanza monacale, era di carattere ardito, indomabile, infles-
sibile, come i signorotti d’ allora.

(1) Il Bethmann invece lo localizzò sul monte Amiata (Mg. ss. XI, pag. 530) senza
addurne le ragioni. Ma sembrami tutt'altro che certo, perché di cenobi dedicati a
san Quirico, oltre alla « cella sancti Quirici in Pessinule » del monastero amiatino,
(UGHELLI, Italia Sacra, II ed., III, 625) quello assai celebre presso Pisa — sancti Qui-
' rici sito.loco Moxi — (cf. MITTARELLI, Ann. Camald., II, 143; MURATORI, Antiquit. m.

aevi, III, col. 1079) e l’altro — coenobium sancti Quirici — ricordato in una bolla
spuria del cenobio di san Michele — in fundo Paterno —, ne conosciamo un buon
numero. (Cf. MITTARELLI, Op. cit., II, 368). Dopo molto esitare mi sono determinato
pel monastero di san Quirico ad Antrodoco, perché nei documenti farfensl é chia-
mato semplicemente « monasterium, abbas sancti Quirici », siccome l’unico cenobio
di tal nome, con cui la-nostra badia era in relazione, a cagione dell’ esteso patri-
monio territoriale dei farfensi nella massa interocrina ». Cf. Reg. V, doc. 1298,
pag. 287. Visi aggiunge che un'abbadessa a nome Oria, nipote d'Ugo, ricevé da lui
. in enfiteusi la Chiesa di santa Maria de Graiano nella diocesi di Sulmona, e che
questo stesso nome di Oria fu indi portato dala moglie del conte Teudino, figlio
dcl conte Berardo, i di cui beni s'intersecavano appunto tra i possedimenti di
san Quirico e di Farfa.

Certo che Ugo I si mostrò assai deferente verso il conte Teudino, (Reg. Farf.
V. doc. 1298, pag. 287; III, doc. 477, pag. 186; Largitor, fol. XLVI, LXXXVIII) e am-
mettendo una relazione di parentela tra la famiglia dell' Abbate e quella dei « Co-
mites »'aprutini, si spiegherebbero meglio le anteriori relazioni d'Ugo I col Farfensi
al tempo di Giovanni III, la sua entrata in san Quirico e il suo passaggio a Farfa.
Vi si aggiunge che i comuni interessi dovevano indurre il parentado e i monaci a
favorire al possibile una tale vocazione.

Del resto, la questione della famiglia d'Ugo I è affatto distinta dall'altra della
nobiltà dei suoi natali, attestataci da quanto scrive Gregorio di Catino sul conto del-
l'abbate Guido II, che, a differenza dell'altro, primo di tal nome e nipote d'Ugo, aveva
sortito origine così oscura, da reputarsi indegno della sede farfense. Cf. Reg. farf.,
IV, not. 1. Vi si aggiungono le attinenze cospicue d'U;o I, l'appoggio dell’ alta no-
biltà insino dai suoi anni giovanili, relazioni con papi, imperatori ecc. Cf. Reg. III,
doc. 601, pag, 304; Chron. Casauriense IV, in Rr. Ital. SS. It, 2, col. 842 sgg.

D'una abbatissa Oria, nipote d'Ugo, é menzione nel Largitorio (c. CCCLXVII).
« Ad laudem summi Dei ego Hugo abbas monasterii beate Marie siti Sabinis quod et
farfe nuneupatur, consilio et consensu fratrum nostre congregationis, cuidam ab-
batisse Orie nomine, que secundum carnem nostra nepta esse videtur, in deo vero
spiritualis filia, concedo ecclesiam sancte Marie de graiano cum omnibus suis per-
tinentiis ». Intorno alla patria d'Ugo cf. Reg. Farf., V, 252; MC. SS. XI, 540, dai quali
documenti può almeno rilevarsi che non era romano. Ulteriori accenni alla nobiltà
del casato di Ugo cf. Reg. III, doc. 601, pag. 304.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 695

Tempra adamantina, sentiva cosi intenso il senso del
dovere, da sprezzare per questo ogni interesse privato, ogni
comodo personale; e lo mostró una volta sino in Laterano,
quando « restitit in faciem Coephae » e imperterrito si difese
dalle violenze manesche di chi gli era infinitamente al di
sopra. Più tardi, legato in amicizia coi più eminenti perso-
naggi del suo secolo, seppe valersi del loro appoggio per
attuare i disegni della riforma religiosa, cui si era dedicato
con tutto l'animo. La Provvidenza, è vero, non gli fece mai
sentir bisogno del loro ‘braccio materiale, ma, come tutti gli
« Spiriti magni » che riuscirono a elevarsi al di sopra del-
l'ambiente che li formó, Ugo cercó in essi chi lo sostenesse
moralmente nell'isolamento in cui pone sempre il genio, e

. nella solitudine incompresa del suo pensiero! Infatti, sin che

visse, fu sempre agitato nell'animo da strazianti rimorsi a
cagione d'una colpa giovanile, cui l' ambiente e le circostanze

singolari valgono ad attenuare; ma anche di queste intime

pene seppe valersi per non inorgoglire, adolescente appena
quadrilustre, nell’alta dignità in cui Dio lo volle. Che se
talvolta la sofferenza giunse ad offuscare alquanto la luci-
dità del suo pensiero, a renderlo indeciso nell'operare, ciò era
poi compensato da uno zelo ardente, che gli faceva conside-
rare e ricercare nella fatica e nel travaglio l'espiazione della
sua colpa (1). E così quella religione e quella fede, che
sembravano doverlo ritrarre ad ogni istante dal combatti-
mento per indurlo a piangere nel silenzio e nella solitudine,
erano appunto quelle che l'animavano, lo sospingevano, l'in-
calzavano alla lotta « pro remedio animae suae » !

Colpa, non so se degli uomini o dei tempi, in sul ter-
minare del decimo secolo l'osservanza regolare, altra volta
sì austera nei monasteri italiani, si era assai rilassata. Prin-
cipale cagione furono la Commenda laica e l’antagonismo col
potere civile ed episcopale, ma non ultimo fattore di decadi-

(1) Cf. Reg. Farf., IV, 1. not.

o
626 I. SCHUSTER

mento fu il pingue censo, costituito principalmente dalla
agricoltura, e perció elemento sociale pericolosissimo, quando
oltrepassa misura.

Allora gli abbati, oltre i loro obblighi feudali che li ri-
cingevano di spada e d'usbergo, dovevano vagare buona parte
dell'anno fuori del loro chiostro, errando per le corti e pei
tribunali, affin d'estorcere dai principi un misero diploma
di conferma del proprio patrimonio, o per difendere le loro
terre contro l'ingordigia dei laici.

Ne abbiamo un classico esempio non molto lontano, anzi
in vista di Farfa, sul monte Amiata, in Toscana, a’ tempi
dell'Abbate Winizo. La disciplina di quel cenobio nel se-
colo XI era ben diversa da quella introdottavi nell’ VIII dal
fondatore Erfone (1), e il povero Abbate era in lotte continue
col turbolento vescovo di Chiusi Esualdo, che pretendeva le
decime sopra alcuni possedimenti monastici, rifiutandosi osti-
natamente a consacrare la nuova chiesa della badia (2). A
dir vero neppur l'Abbate poteva pretendere a fama di santo,
almeno presso Enrico II, che lo depose e cedè la badia a
san Romualdo, il quale, sull’ autorità di Pier Damiani, la
ritenne fino al 1016 in mezzo a mille angustie e persecuzioni,
finchè non l'ebbe rinunziata all'antico titolare (3).

In una parola, ove più, ove meno, tutto il monachismo
italiano, ancor dopo il risveglio salutare procurato da Cluny,
da san Romualdo e da san Giovanni Gualberto, scendeva
da lunghi anni la china fatale del decadimento, « destructus
erat nimis omnis ordo et compositio monachorum » (4); tanto,

(1) Cf. C. CALISSE, Documenti del monast. di s. Salvatore sul monte Amiata, in
Arch. Soc. Rom. Stor. Patr., XVI, pagg. 289-345; XVII, 95 195; C. TROIA, Storia d’Ita-
lia, IV, part. V, Contin. n. 906-907. |

(2) UGHELLI, Italia sacra (ediz. II), t. III, pag. 022 sgg.; MABILLON, Annal. Bened.,
IV, 188-189 ; C. TROIA, Storia d’Italia, IV, parte V, doc. num. 996-907 ; C. CALISSE, Do-
cumenti del mon. di s. Salvatore sul Monte Amiata, rignardanti il territorio romano,
in Arch. R. Soc. Rom. Stor. Patr., XVI (1893), pagg. 289-345, XVII (1894), pagg. 95-195.
(3) Vit. s. Romualdi, P. L. CXLIV, 972. |
(4) Consuet. Farf., Prol. pag. I.

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L'ABBATE UGO 1 E LA RIFORMA DI FARFA 691

che non è punto meraviglia se, in mezzo alla corruzione.e

al rilassamento quasi generale, un ambizioso monaco ven.
ticinquenne del monastero di san Quirico si provó anch'egli
a raggranellare una borsa d'oro da offrire a Gregorio V negli
ultimi mesi del 997, in cambio delle vacanti infule farfensi.

In tanta povertà di notizie circa la giovinezza del nostro
Ugo — ché di lui appunto si discorre — possiamo appena
azzardare delle ipotesi circa il modo col quale poté avve-
nire questa sua elevazione. Non mancano ragioni che ci
rattengono dal condannare troppo facilmente il contratto
quale simoniaco, data specialmente l'integrità di Gregorio V,
grande per i natali sortiti in seno alla famiglia imperiale,
ma piü ancora per le doti personali e lo zelo in ristorare
l'ordine e la giustizia (1).

Inoltre é da tener conto della possibile connivenza dei
Farfensi, cui Ugo e la sua famiglia erano già noti, almeno
sin dai tempi di Giovanni III. Certo, l'elezione pontificia dove
loro tornar gradita, se pochi mesi dopo interposero presso
Ottone III calde istanze in favore d' Ugo (2) ; e come non sono
esclusi i secondi fini che spingevano i monaci a spalleggiare
Ugo, nella speranza d' essere alla loro volta protetti dai conti
dei Marsi, suoi parenti, cosi non sono neppure da escludere
le occulte mene di quest'ultimi, per porre uno dei loro
membri sul seggio badiale. Anzi, data l' inesperienza dell’ età
giovanile d'Ugo, é anche possibile che nel suo cenobio di
san Quirico egli fosse al buio di tutti questi maneggi.

Ad ogni modo, anche dovendo ammettere la piena col-
pabilità del Pontefice e d'Ugo in questo negozio, non é ne-
cessario, come fa il Muratori (3), infamarne perció l'antipapa

(1) Cf. C. HOFLER, Die Deutschen Pàpste nach Bandschriften und gedruckten
Quellen verfasst, Regensburg, 1839, 2 vol.

(2) Reg. Farf., IV, doc. 700, pag. 102. Ugo stesso attesta indirettamente queste
sue relazioni d'antica data coi monaci di Farfa, là ove nella « Destructio » discor-
rendo dell'abbate Giovanni III (907-997) nota: « quem omnes recolimus ». Cf. Mg.
Ss. XI, 588.

(3) MURATORI, RR. Ital., SS. II, 2, col. 547, not. 23.
I. SCHUSTER
628

Giovanni Filagato XVI per salvare Gregorio V ; sono troppo
chiari i testi d' Ottone III e d'Ugo stesso in proposito: « mo-
nasterii... farfensis absque nostro assensu regimen usurpaverat
et quod deterius est, praetio a romano pontefice aemerat » (1);
« denique cum in hane abbatiam cupiditate honoris captus
venire auderem, pecuniam obtuli domino papae » (2).

Sembra anzi, che da parte del Pontefice seguisse l'in-
vestitura canonica e la consacrazione abbaziale dell'eletto,
giusto l’uso d’allora; certo, che il tutto avvenne « per apo-
stolieam praeceptionem » (8), come nota Gregorio di Catino;
e fu, soggiungo io, per inscrutabile disegno della Provvidenza
divina, che sa trarre il suo vantaggio anche dal male, per-
messo all’ arbitrio libero delle creature.

Lasciato pertanto san Quirico d’Antrodoco, ov’ era en-
trato il 986 a quattordici anni (4), Ugo se ne andò a Farfa
senza forse un’esatta intuizione dello stato estremo di deca-
dimento in cui si ritrovava. Scrisse dappoi egli stesso che
n’era scomparsa fin l'ombra della disciplina monacale; ceno-
biti in abiti secolareschi, pranzi nel refettorio serviti con
vivande vietate dalla regola, un vagare continuo e disso-
luto pei vicini castelli. Vi si aggiungevano le prepotenti
usurpazioni dei Crescenzi, dei conti Berardo, Graziano, Gen-
tile, i litigi interminabili coi preti del titolo urbano di san-
t' Eustachio e coi monaci di Mica Aurea nel Trastevere; ul-
timo e più terribile, lo sdegno d’ Ottone III, indignato, diceva,
dell'attentato simoniaco d’ Ugo e del Pontefice, ma in realtà
per la violazione dei diritti imperiali sulla sede di Farfa. In
seguito, quando Ugo nei suoi scritti ha occasione di ricor-
dare Gregorio V, non si mostra eccessivamente tenero per
la sua memoria e conferma a suo carico l’accusa di vena-

(1) Reg. Farf., IV, doc. 700, pag. 102.

(2) MABILLON, Annal. Bened., IV. pagg. 118-120.
(3) Mon. Germ., ss. XI, pag. 559.

(4) Reg. Farf., II, pagg. 16-17.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 699

lità, narrando che in un altro processo del 999 non esitò a
vendere a danari contanti la sua sentenza, contro l' evidente
giustizia.

Checchè ne sia, certo che al tempo in cui siamo; Gre-
gorio V, sbandito da Roma e indotto a quella nomina in
mezzo a chi sa quali circostanze di una fuga, bisognoso egli
stesso del braccio d'Ottone III contro il Filagato, non era,
né davvero poteva essere, l'uomo da sostenere il suo eletto
contro le.pretese imperiali. Niuna maraviglia adunque che
al primo presentarsi d'Ugo innanzi all'Umperatore, questi
irritatissimo negó di riceverlo, e annullata la prima ele-
Zione, nominó a Commendatario di Farfa un cotal vescovo,
a nome Ugo. Fu in questa circostanza che anche uno dei
favoriti d'Ottone III, Erfone (1), pose stanza nel monastero,
donde di li a non molto uscì di vita (2).

Nuovi guai,nuove dissipazioni del patrimonio già tanto
dissanguato, resero tristamente celebre il governo del ve-
scovo (3), che non fu altro che pianto; sichè alcuni mesi
dopo, reintegrato Ugo nei suoi diritti, ritrovò Farfa tanto
oberata, che l'Imperatore s'indusse ad annullare tutti gli atti
del Commendatario! I monaci frattanto, con quel malanno
di vescovo sulle spalle, e cattivati già dalle belle maniere
d'Ugo, non cessavano d'intercedere presso Ottone: i natali
e le rare doti dell’eletto lo rendevano degnissimo, e i diritti

(1) Un tal « Erpho » col figlio « Gripho » sono menzionati in un placito d'Ot-
tone III in favore dell'abbate di santa Flora d'Arezzo nel 972. Cf. UGHELLI, 1, 1430.

(2) Reg. Farf., IV, doc. 700. pag. 102.

(3) Da una frase del doc. 431, pag. 145 del Regesto (II) sembra debba rilevarsi
la presenza d'Ugo I a Farfa anche dopo la sua deposizione. Infatti, avendo Ottone III
annullato « omnia scripta quae idem abbas hugo propter tussionem aepiscopi hu-
gonis fecit », s'insinua il sospetto che, come già verso l’842 ai tempi dell'abbate Il-
derico e sotto la commenda del vescovo di Spoleto Pietro, anche adesso la badia si
sia trovata soggetta a un doppio capo. La commenda del Vescovo Ugo importava
soltanto lo sfruttamento delle rendite della badia, siccome beneficio ecciesiastico,
mentre l'abbate nominato e consacrato dal Papa, spalleggiato dai monaci, governava
il « conventus », e sembra ne amministrasse anche le rendite sotto la dipendenza
del Commendatario.
630 - 1. SCHUSTER

cesarei potevano ormai dirsi soddisfatti; nulla ostava che
Ugo ricevesse l'investitura imperiale da Ottone III. |

j Vinto dalle preghiere, l'Imperatore, anche per riguardo
al Papa, accondiscese, e il 22 febbraio 998 riammise in
grazia Ugo e lo restitui alla sede.

Il relativo diploma, in data da Roma, indizione undecima,
anno decimo quinto del regno d'Ottone e secondo del suo
impero, è conservato nel Regesto. Ottone III biasima la si-
monia di cui il Papa e l'Abbate s'erano fatti rei.e rigetta
su di loro la responsabilità di.tutte le sciagure del mona-
stero, le dilapidazioni del vescovo, l oppressione d’ Ugo, e
il soggiorno a Farfa di Erfone. Accondiscende pertanto alle
preghiere reiterate dei monaci, e concede l'investitura al-
l'Abbate; ma perché non si ripeta più lo sconcio di quella
elezione, dispone che da indi in poi l'eletto alla sede far-
fense venga prima presentato all' Imperatore, e poi consacrato
gratuitamente dal Pontefice Romano (1).

CAPO III.

Ottone III ristabilisce l'ordine pubblico a Roma. — Processi
d’ Ugo contro i preti del titolo Urbano di sant’Eustacchio
e i conti di Sabina. Una sessione giudiziaria a san Pietro
in Vaticano nell'undecimo secolo. — Assedio di Cere (998).

Se, al pari di quei misteriosi monasteri di Tessaglia,
anche Farfa fosse stata edificata sul picco d’altissime rocce,
ove unico mezzo d’ascendervi ancor oggi è un sacco di rete
raccomandato a una fune sospesa sull’ abisso, ci potremmo
facilmente passare dal far parola sulle sue relazioni al di
fuori della muraglia che la ricingeva. In Grecia la storia di

(1) Un cotal vescovo Ugo, adultero e scialacquatore dei beni di parecchi mo-
nasteri, é ricordato in un placito d'Ottone III il 10 nov. 1000. Cf. MABILLON, ANNAL.,
IV, 141.
631

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA

quei monasteri, quando se ne è abbozzata un'arida cro-
naca, è bella e fatta, chè il mondo col suo agitarsi vertiginoso
non arriva mai su quei giganteschi stallattiti ove dimorano
i monaci, « Gens aeterna in qua nemo nascitur!» Anche
oggi sant'Antonio e san Basilio vi ritroverebbero una men-
talità punto dissimile da quella della società loro contempo-
ranea, asceti formati esclusivamente dalla ripetuta lettura
degli antichi sinassari. Ma a Farfa le cose corrono ben di-
versamente! e la vita del mondo col succedersi delle età
si riflette troppo fedelmente sul Monastero, cui le ricchezze,
il feudalismo e l’ascendente religioso restituiscono inavver-
titamente a quella società, che Lorenzo e Tommaso avevano
voluto appunto fuggire !

A Roma Crescenzo, figlio della famigerata Teodora, e
lordo del sangue di Benedetto VI e Giovanni XIV, conti-
nuava da forsennato a dilaniare la Chiesa cogli scismi. Nel
997 a Gregorio V oppose un antipapa nella persona di Gio-
vanni XVI, e se non era Ottone III che, almeno per allora,
fece perdere ai Romani la voglia degli antipapi, chi sa
quale termine avrebbero avuto le cose. Si videro allora
esempi di giustizia tremenda: Crescenzo con dodici dei ca-
porioni appesi alle forche, e Giovanni, non ostante i buoni
uffici interposti da san Nilo presso l’ Imperatore, mutilato
mani e piedi, gittato a cavalcione su d'un giumento, tra
gli schiamazzi della plebaglia! (1).

I primi a profittare delle lezioni cesaree furono i nobili,
che compresero subito la somma del potere essere ormai
giunta in mani più energiche, con un Papa e un Cesare
nel vigore dell’ età e ai quali scorreva nelle vene il sangue
d'Ottone Magno. Deposero l’antica baldanza, e anche il conte
Benedetto, intimorito, giunse sino a supplicare i monaci non
l’accusassero ad Ottone III in quel rimescolamento d’ ire

(1) MAnsI, Concil. coll. XIX, 109; Vit. s. Adalberti, Mg. ss. IV, 981; Vit. S. Nilî
tun., Act. Ss. Sept. VII, 287 sgg.
632 i
I. SCHUSTER

politiche, chè ben tosto avrebbe riparato alle prepotenze

degli anni addietro (1).

E davvero che non si poteva attendere occasione più
propizia per rivendicare il patrimonio Badiale. Ottone III
era divenuto amicissimo d'Ugo, « dilecti abbatis », e quando
dopo una ventina di giorni dalla sua investitura questi tornó
a Roma a dispiegargli i suoi rotoli dei diplomi imperiali di
Carlo Magno, di Ludovico il Pio e di Lotario, ne ottenne
un altro larghissimo, in cui, confermati gli antichi privilegi,
veniva esonerato da ogni gabella (2).

Forte cosi del favore imperiale, il 5 aprile di quest' anno
istesso il Farfense assisteva a una di quelle solenni sessioni
giudiziarie che si solevano tenere nel portico di san Pietro,
dai « missi » cesarei, quando, con meraviglia, udi chiamarsi

. à rispondere delle accuse che gli muovevano contro i preti
del titolo urbano di sant' Eustachio. L'assemblea s'adunava
appunto nell'interno del magnifico « Paradisus » della ba-
silica vaticana, dentro l'oratorio di santa Maria « in Turri »,
ove, giusta la consuetudine, gl'imperatori prestavano giura-
mento di fedeltà a san Pietro, prima di ricevere dal Papa

.il diadema sacro. Singolare coincidenza ! È appunto da un
ms. farfense del tempo d'Ugo I, che rileviamo il disegno
piü antico della fronte della basilica Vaticana nel Medio
Evo! Il ms. da qualche secolo é in Inghilterra, nella biblio-
teca del collegio di Eton, presso Windsor. (3).

Il verbale di questo primo processo sostenuto da Ugo
ci è conservato per intero nel Regesto di Farfa. E un po’
prolisso, ma perché descrive minutamente il cerimoniale

(1) Mg. ss. XI, 543.

(2) È in data dell’11 marzo 998. Reg. Farf. III, doc. 424, 25, pag. 134 sgg. Due
diplomi di mu:diburdio imperiale per i beni badiali di nuovo acquisto, uno in data
23 aprile 998 (doc. 427, pag. 141) e l'altro « per interventum dilecti abbatis hugonis »
(doc. 424, pagg. 134-135) sono senza note cronologiche, sebbene gli editori del regesto
"lassegnino al 998[?] i

(3) GRISAR, Die alte Petershirche su Rom und ihre fruhesten Ansichten, Rómi-
sche Quartalschrift IX (1895), 240; Id. Analect. roman. (1899), pag. 465.
air ps We ne

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 683
giudiziario - in Roma verso la fine del secolo decimo (1),
vale la pena di riassumerlo : :

L’arcidiacono Leone, che identifica stranamente in sé i
due poteri pontificio e cesareo, e sostiene le parti di giudice
imperiale, accetta la citazione dei Preti intimando a Ugo di
giustificarsi; ma questi, colto all'improvviso e impacciato,
domanda una breve dilazione, perchè possa andare a Farfa
a premunirsi dei necessari documenti e ritornare col pro-

prio avvocato. — L'avvocato te lo do io — interruppe
Leone. — Romano o Longobardo? — Romano! — Era un

nuovo orientamento della questione, dal lato giuridico al po-
litico, e che tradisce subito la disposizione degli animi dei Ro-
mani verso il nuovo ordine di cose stabilito dall’ utopistico
Ottone III; e soprattutto era un cominciare una sessione
giudiziaria coll’ offendere i Farfensi in quel che costituiva
appunto il loro carattere speciale in mezzo al romano Lazio.

‘La nazionalità longobarda! Essi, che, a differenza di
tutto il resto del clero, non solo vivevano a norma di quella
legge (2), ma, fatto rilevantissimo, l'avevano estesa a tutte
le loro terre, sino alle più remote provincie d'Italia, e, come
sapeva tutta Roma, avevano agglomerato un rione longobardo
proprio nel bel mezzo dell' Urbe e sulla via papale. Piü volte
infatti i Papi avevano dovuto ricorrere alla loro mediazione
per ammansire i Re a Pavia, e ad esprimere poi la loro sim-
patia per la causa d'Astolfo, i Farfensi avevano perfin mi-
tigato a suo riguardo l’ espressioni troppo dure del « Liber

(1) Notevoli osservazioni su questo argomento vedi in L. BRUZZA, Regesto della
Chiesa di Tivoli, nella Bibliot. dell'Accad. Stor.-giurid,, vol. VI, Roma, Cuggiani,
1880-86, in 4», pag. 110 sgg.

(2) È celebre l'ambasceria dell'abbate Probato a re Desiderio (733) a istanza di
Adriano I. A differenza dei suoi antecessori, Probato era sabino, e doveva probabil-
mente la sua perizia nel canto sacro della chiesa romana alle scuole vaticane o la-
ieranensi, in cui forse fu educato (Mg. ss. XI, 520). Si spiega perciò come il Papa si
rivolgesse a lui meglio che ad ogni altro per negoziare la pace trà Romani e Lon-
gobardi. :
=—————_—————————————"

|

634 I. SCHUSTER

Pontificalis! » (1). Ugo adunque protestó alla presenza del
Papa e dell'Imperatore, che non si sarebbe mai indotto a
piegarsi dinnanzi a un giudice romano, e che esigeva ad
ogni modo un avvocato longobardo.

Il principio politico che si celava in fondo alla que-
stione, e che era stato studiatamente rievocato dall'Arcidia-
cono, non era nuovo nella storia delle contestazioni patri-
moniali farfensi, e già nel 772 Adriano I aveva avuto oc-
casione d’occuparsene in proposito (2). Ma gli accordi valsero
a poco, e Pontefici e monaci durarono in questa lotta sorda
e ostinata per oltre tre secoli, finchè il tramontare della
potenza imperiale in Italia nel secolo XII non decise la vit-
toria in favore dell'elemento romano. Ugo era troppo ac-
corto per non penetrar subito nello spirito dei suoi avversari,
e preparò appunto la sua difesa in questo senso, allegando
un diploma di Lotario, in cui si stabiliva che « Papa... nul-
lum dominium in iure ipsius monasterii haberet, excepta
consecratione » (3). — Voglia o no —, disse allora Leone —
siedi e sottomettiti come gli altri alla legge — e afferratolo
con dispetto per la cocolla, lo trascinò a forza a sedergli
d’appresso. — Non uscirai di qui, finchè non avrai reso
giustizia !

Intervenne in buon punto Ottone III, e perchè l'Ab-
bate non intendeva già di evitare il giudizio, ma chiedeva
solo che, a norma del proprio codice, si accettasse la sua
cauzione per una breve dilazione, così decise in suo favore
e gli diè di tempo tre giorni.

Al termine fissato per la: seconda sessione (venerdi, 8
aprile 998), ecco Ugo di ritorno da Farfa col suo giudice e

(1) Cf. GroRGI, Appunti su alcuni mss. del Liber Pontifiealis, Arch. Soc. Rom.
Stor. Patr., XX, 1897, 265, 66.

(2) Reg. Farf., II, doc. 272, pagg. 224-25 ; doc. 282, pag. 232 sgg.; Cf. C. CALISSE,
Le condizioni della proprietà territoriale studiate sui documenti della provincia
romana dei secoli VIII-X, Arch. Soc. Rom. Stor. Patr., VII, 1884, pag. 322 sgg.

(3) Reg. II, doc. 90, pagg. 83 sgg.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 635

avvocato Uberto. Doveva essere ben stanco, se tra l'andare
e il tornare aveva dovuto cavaleare due buoni giorni, in

continua pena e angustia. A tormentarlo vieppiù, non ap-

pena aperta la seduta, Leone tentò daccapo di divertire la
questione col suo diritto romano, ma questa volta Uberto
gli rispose bruscamente, i Farfensi da oltre un secolo
essere sempre vissuti a norma del codice longobardo, pri-
vilegio loro riconosciuto dai diplomi dei Papi e degli Impe-
ratori tuttavia conservati nel Monastero. Del resto, Ottone III
rappresentava la fonte d’ ogni diritto, perché non s'inter-
pellava in proposito ?

Non so se i Romani si attendevano questa risposta, ma
perchè col suscitare quell’ inopportuna questione di partito,
potevano andar incontro al pericolo d’incorrere nello sde-
gno e nella gelosia imperialistica d' Ottone, così Leone con
un fare tutto officioso andato a consultarlo, ne tornò poco
dopo colla risposta che, ove i Farfensi potessero dimostrare
d’ essersi sempre retti a norma del codice longobardo, i Ro-
mani non dovessero più molestarli su tal riguardo. Ugo e
l'avvocato allegarono un diploma di Lotario (1) che sot-
traeva il Cenobio da ogni ingerenza papale sottoponendolo
immediatamente all’ Imperatore; e perchè l'argomento era
perentorio, così i preti ad evaderlo ne impugnarono l’auten-
ticità; Uberto allora, da vero giurista longobardo, si esibi
pronto a dimostrarla per mezzo del giuramento e del duello,
maintimoriti gli avversari si trassero indietro, quando in mezzo
a quella gazzarra di popolo tumultuante intervenne Leone.
— Tocca a me — disse — pronunciare sentenze e deci-
sioni; e in nome dell’ Imperatore, di cui in questo momento
fo le veci, giudico e decido, che le ragioni dei Farfensi
circa il diritto longobardo e la protezione cesarea sono le-
gittime. Si muova pertanto querela all'Abbate, ed egli si di-

.scolpi a norma del proprio codice.

(1) Reg. 1I, doc. 272, pag. 224.
I. SCHUSTER

I preti presentarono il proprio avvocato, un cotal Be-
nedetto, che rinnovó la citazione del martedi: La parte
querelante molti anni innanzi aveva concessa a Farfa l' en-
fiteusi a terza generazione sopra alcune case e oratori in
vicinanza delle terme alessandrine, presso sant’ Eustachio ;
ma il contratto era spirato da qualche tempo, senza che
quei beni fossero puranco ritornati all'antico padrone. Ri-
spose Uberto adducendo la prescrizione quarantenaria, e
perchè Benedetto dimandava, se durante quel tempo il pos-

sesso era stato libero o gravato da censo, — la mia legge
— replicò reciso il Longobardo — non m'obliga a dirti di

più — e aperto il codice, lesse là ov’ è stabilito che l'avvo-
cato, in tal genere di cause, debba solo rispondere del pos-
sesso e non degli oneri inerenti.

Perchè l’ora era tarda e gli animi inaspriti, Leone, la
cui incoerenza ha la spiegazione nella stranissima combi-
nazione di due opposte tendenze in quell’ uomo, giudice im-
periale a un tempo e primo ministro della Curia Latera-
nense, tolse prudentemente la seduta differendo la sentenza
al dimani.:

La prima parte di questa sessione del sabato fu impie-
gata nelle formalità dei giorni precedenti; ne venne fuori
un garburglio da non finirne! Ugo e Uberto decisi a non
cedere d’un sol punto; i preti vieppiù a strepitare che
non volevano saperne dell'avvocato longobardo, venduto
anima e corpo all'Abbate; (1) i giudici romani a imbizzar-
rirsi dispettosamente sul codice longobardo, d'altronde assai
poco noto. Che fare? Mezzo più sollecito, riflettè l’Arcidia-
cono, era di creare sul punto Uberto arbitro della contesa,
e così fece. Sopraggiunsero nuove difficoltà da parte d'Ugo,
che in tal modo veniva a perdere l'avvocato: gliene fu adun-
que sostituito un altro, un cotal Pietro di Rainerio del con-
tado reatino, ma perchè sembrava affatto digiuno della que-

1) Ne aveva bene il tornaconto, siccome si rileva dal Largitorio, fol. CXI.
) ,

pp
stione, cosi l'Abbate rifiutó d'accettarlo. Ci volle insomma

L'ABBATE UGO I E-LA RIFORMA DI FARFA

tutta la bonarietà d’Uberto a dare li per li l' imbeccata a
Pietro, tanto da fargli riuscire a condurre la cosa a buon
termine. — Che ve ne sembra? — dimandò allora Leone
ai giudici. Risposero, che le ragioni dei Farfensi erano le-
gittime, e secondo quelle Uberto dovesse promulgare la
sentenza.

Il Longobardo. aprì di bel nuovo il codice e lesse, che
le chiese potevano dimostrare il possesso quarantenario per
via del giuramento. Pietro adunque già s'appressava col Van-
gelo in mano, quando i preti osservarono che il censo era
stato pagato appunto durante quei quarant'anni invocati per
la prescrizione. In tal modo la questione veniva riportata
a quei medesimi termini in cui era al primo giorno, allor-
chè Uberto aveva risposto, gli avvocati longobardi non es-
ser tenuti in giudizio a rispondere dei censi, canoni o pen-
sioni! Senza dunque scomporsi ripeté reciso la risposta del
martedì, e solo in grazia dei Romani che non se ne mostra-
vano soddisfatti, aecondiscese che le parti sostenessero le
proprie ragioni col duello e per via dei testimoni. Ne fu-
rono proposti tre da ambo le parti e si cominció dall'esa-
minare quelli della parte querelante. Ma le contradizioni in
eui s'impigliarono compromisero la loro causa, e respinti
come falsari, venne promulgata sentenza che le case e gli
oratori in questione appartenevano oggimai a Farfa.

Pretesero i Preti un ultimo giuramento dell'Abbate, e
anche l’Arcidiacono vi accondiscendeva a condizione d'un
atto simile da parte loro, ma, al loro diniego, Leone conse-
gnò ad Ugo il diploma spurio addotto in giudizio contro
di lui, ordinando all’ Arcario, anch’egli Leone, che, giusta il
consueto, lo lacerasse in forma di croce (1).

(1) I testimoni che sottoscrissero il verbale furono: « Fr Robertus oblationa-
rius, rg leo archidiaconus, r8 iohannes praefectus, comes palatii, }# gregorius pri-
micerius defensorum, rg leo arcarius, #8 benedictus scriniarius ». Reg. Farf., III,
doc. 426, pagg. 137-111; Cf. GALLETTI, Del Primicerio, pag. 219; MURATORI, RR. Ital.,
638 1. SCHUSTER

Sembra che il buon esito di questo primo processo desse
animo ad Ugo d'intentarne un altro contro il conte Bene-
detto; ma l'impresa era tanto più difficile, ché, mentre ave-
vasi a lottare con un avversario scaltro dal « lungo pro-
metter coll’attender corto », era poi così potente per le sue
aderenze, che Ottone stesso desiderava di non averlo per
nemico. Ogni preghiera del Farfense per ottenerne giustizia
riusciva perciò senza effetto, e sa Iddio quant’altro tempo
le castella sarebbero rimaste all’ usurpatore, se potenti amici
d'Ugo non si fossero frapposti presso Ottone.

Benedetto venne adunque citato a un placito pel 4 giugno
di quell'anno, da tenersi nell'oratorio dei Farfensi, presso le
terme alessandrine. Comparve, e, non potendo di meglio per
allora, finse di voler restituire la chiesa e la metà della corte
di san Getulio, per l'enfiteusi di Tribuco e di altre terre
del Monastero (1).

Ma là sua prepotenza brutale lo poneva al disopra di
tutti i trattati ed alleanze, e non andó molto che l'Abbate
dové stringerlo d'assedio nel castello di Cere.

Benedetto aveva sottratto quel pago al Papa (2), e per
quante preghiere e minaccie gli avesse fatto Gregorio V,
non s'era mai potuto indurre a restituirlo. Un giorno il
giovane Crescenzo, figlio dell'usurpatore, cadde nelle mani
dei Pontificî e condotto al Papa, questi coll’ ostaggio in mano
fece sapere al padre che la vita del figlio avrebbe pagato
l' usurpazione del villaggio. Benedetto, intimorito, giurò allora
nelle mani d' Ottone III che avrebbe reso giustizia; mancato
però ai patti, se ne fuggì celatamente da Roma alla prima

SS. II, 505. Cf. M. L. HALPHEN, La cour d’Otton III a Rome, Mélanges d'Archéologie
et d'histoire, XXV, 1905, V. pagg. 349-303.

(1) Reg. farf., III, doc. 428, pagg. 141-142; HucoNIS, Exceptio relationmn, pa-
gine 68 sgg.; MABILLON, Az?n4l. 0. S. B, IV, Append. XXVII. Per la « cella maior »
a Roma cf. LANCIANI, Forma Urbis, fasc. II, tav. 15.

(2) G. TOMASSETTI, La campagna romana nel medio-evo, Arch. Soc. Rom. Stor.
Patr., IV, 1880, 243; F. GREGOROVIUS, Geschichte der Stadt Rom. VI, 6, 1.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA

639

occasione, e nell'ira per l'onta patita corse a rafforzarsi a
Cere, ove attese sul piè di guerra l' Imperatore col Papa, i
quali, ricongiunte alle proprie le soldatesche badiali, invita-
rono anche Ugo a far parte di quella spedizione.

Giunti innanzi alla cerchia che ricingeva Cere, prima
di darne l'assalto vollero tentare un’ ultima prova e, ben-
dato il giovanetto Crescenzo, colle mani legate al dorso, lo
fecero salire sul palco ov'era eretta la forca. Quale lotta
lacerasse l’animo del Conte in quel brutto partito è facile
comprendere; ma finalmente all'avarizia prevalse il cuore
di padre, e dischiuse le porte del maniero agli avversari,
Benedetto volò ratto a stringersi al seno l'amato figliuolo!

Ottone a cui premeva ritornare in Roma al piü presto,
presi col Papa i primi provvedimenti per la difesa della piazza,
volle subito metter termine all'antica ruggine di Tribuco, e
convennero ambedue con Ugo, che questi ne avrebbe data
lenfiteusi se Benedetto si fosse obbligato a pagarne l'annua
pensione. Sembrava ormai tutto appianato, quando Ottone III,
Gregorio V e l'Abbate abbandonarono Cere per rientrare
in Roma.

Il viaggio fu lunghissimo, e la carriera sfrenata dei ca-
vali che in breve tempo divorarono la lunghissima via
lo rese faticoso oltre ogni dire. Ognuno s'attenderebbe che
Ugo, gittatosi appena sul suo povero giaciglio monastico
nella « Cella maior » dei Farfensi, alle terme alessandrine,
immerso in profondo sonno avesse almeno atteso il sole
alto della dimane ; ma no, che, fatto giorno, i documenti ce
lo descrivono nuovamente in arcione alla volta di Farfa,
donde, secondo il convenuto, spedi quel di stesso il suo
contratto enfiteutico al conte Benedetto (1).

(1) Exceptio Relationum, pag. 66 sgg.
I. SCHUSTER

640
CAPO IV.
Sviluppo sociale del monachismo. — Risultati economici del
parteggiare politico dei Farfensi. — Condizioni della loro

proprietà territoriale.

Nel sesto secolo, quando san Benedetto nella sua torre
silenziosa di Monte Cassino attendeva a scrivere la sua Regola
immortale man mano che lo Spirito gli suggeriva, nessuno
al mondo avrebbe potuto prevedere il compito del mona-
chismo verso quei barbari, che, indomiti, proprio allora de-
vastavano col ferro e col fuoco la « Campania felix ». Nes-
suno dico, neppur Cassiodoro e dopo di lui Gregorio Magno
che, romani nell'intimo del pensiero, al di là del tramonto
della potenza dei « Patres conscripti » e dell'Urbe non ve- '
devano altro che lo sfacelo del mondo! E giustamente ; nessun
uomo infatti, ma Dio solo poteva suscitare da quel cumulo
di stragi e di rovine « l'angelica farfalla » e la società
nuova, essenzialmente cristiana e civile. In gran parte fu
merito dei monaci che cullarono fanciulla l'Italia, di quei
monaci che, soli superstiti del vecchio mondo romano, in
mezzo alle nazioni bambine dell'alto medio evo ne divennero
di necessità i primi educatori e reggitori. Di qui il fattore
storico dell'evoluzione del monachismo in Occidente, e di
qui ancora quell’allontanarsi talora dalla lettera del sacro
codice di Benedetto, doloroso sempre, ma spesso imposto
dalle mutate condizioni di ambiente e delle mentalità a cui
la Regola si rivolge.

Una quarantina di persone in una specie di cittadella,
l'antiea arce romana, che nel recinto comprende tutto ció
che è più necessario alla vita, il pozzo, l'orto, il molino, la
cantina, la biblioteca e la chiesa; ecco il cenobio cassinese
dei tempi di san Benedetto. Mentre egli fu in vita, il celle-
rario non dovè certo essere oppresso dai fastidi d'una ammi-
VATERS

nistrazione troppo vasta e complicata, se apprendiamo da
san Gregorio che l'estrema penuria più d'una volta gli fece
metter mano fin all'ultima riserva, la fede prodigiosa del-
l'Abbate (1).

Ma i tempi insensibilmente mutarono, e all’ orticello
piantato sulla falda scogliosa del monte successero praterie

distese, laghi, peschiere, vigneti e intere contrade. Anzi,

quei popoli bambini, in un'atmosfera satura di fede e di de-
vozione, talora giunsero sino a confondere piamente lo spi-
rito colla materia, e a seambiare i terreni donati al mona-
stero come altrettante felici dilatazioni del regno del Cristo
sulla terra! Né sempre indovinarono; ché il possesso delle
ricchezze è strada alla conquista delle masse, e la potenza,
appunto perchè è elemento sociale, lega alla vita politica
anche colui che per professione se ne è allontanato.

Sotto questo aspetto, i Farfensi, stranieri d’origine e di
tradizioni, assunsero subito un carattere politico determinato,
e perchè erano in massima parte della stirpe degli invasori,
così si trovarono, quasi naturalmente, in antagonismo colla
civiltà tradizionale romana. Vedemmo Ugo che in san Pietro,
alla presenza del Papa, rifiutò assoggettarsi al diritto clas-
sico, invocando quello longobardo, e non andrà molto che
tra i suoi successori, mentre più ferveranno le ire per l'in-
dipendenza della Chiesa dall'Impero, della libertà comunale
dal Cesarismo, ritroveremo Beraldo III che suggerirà a Gre-
gorio di Catino l’ obbedienza a Cesare andare innanzi a
quella di Dio medesimo, giacchè nei Vangeli è detto: « date
a Cesare ciò che è di Cesare », e poi « date a Dio ciò che
è di Dio » (2).

Certo, coloro che pensavano in tal maniera non pote-
vano prevedere nè volere tutti quei disastri dolorosi che
ne seguirono dappoi; forse le intenzioni loro erano rette,

(1) Dialog. d. II, c. 21, 28.
(2) Cf. Orthodoxa defensio imperialis, Ediz. Giorgi in Arch. Soc. Rom. Stor.
Patr., II, fasc. 4, pag. 463.

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI PARFA 641

p

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649 I. SCHUSTER

siccome pure quelle d'altri personaggi e vescovi integerrimi
che condividevano allora quel modo di pensare; comunque
sia, 6 opportuno constatare che la mentalità politica dei Far-
fensi in ogni secolo sembró la piü atta a conciliare al Mo-
nastero i favori imperiali.

E già di buon'ora il patrimonio della Badia impinguo,
tanto che poch'altri al mondo (1). Nel Milanese erano i vasti
possedimenti anteriori al governo di Fulcoald; piü giü i
mansi di Camerino, Fermo, santa Vittoria, la Sabina, san Ge-
tulio, i Gualdi dei Marsi e degli Abbruzzi, Rieti, Perugia,
Assisi e di là in Toscana, fin sopra a Pisa (2).

Giova notare anzitutto il carattere speciale del patrimonio
farfense. A prima vista lo si direbbe feudo ecclesiastico, con-
cesso in investitura, non alla persona del prelato, che è solo
« Vicarius sanctae Mariae » (3), ma alla basilica della Vergine.
« Res sanctae Mariae », chiamavano allora tutta quella roba,
e giuridicamente avrebbero avuto ragione, se a questo mondo
diritto e fatto fossero sempre simonimi. Gregorio di Catino,
dopo compiuto nel Regesto e nel Florigero il catasto del-
l'intero patrimonio monastico, coi confini, coloni e vassalli,
descrive anche l'estrema miseria in cui vissero i monaci in
sul principio del secolo XII, sino a dover limosinare un tozzo
di pane dai propri coloni. Fu colpa d’uomini, d’amministra-
zione, o intimo difetto inerente al-carattere feudale? Sembra
più conforme al vero l'aecagionarne.l'una e l’altra cosa in-
sieme (4).

(1) C. CALISSE, Le condizioni della proprietà territoriale studiate sui documenti
della provincia romana nei secoli VIII, IX e X, Arch. Soc. Rom. Stor. Patr., VII,
1884, pag, 309 sgg.; F. SCHUPFER, Precarie e livelli nei documenti e leggi dell’ alto
medioevo, Torino, 1905.

(2) Per la storia dei possedimenti farfensi « in Aprutio » cf. F. SAVINI, La con-
tea di Apruzio, Roma, 1905, VIII, 271.

(3) Reg. Farf. III, pag. 104.

(4) Questo difetto delle cose più necessarie non é un fatto isolato nella storia
delle badie del medio evo, ma un male generale, derivato dalla separazione del
patrimonio dell'abate da quello dei monaci. L'ho ritrovato a Subiaco, ove nel se-
colo XIII perfino gli infermi soffrivano miseria, a Monte Cassino e altrove. È rile-
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 643

Fu già chi, discorrendo delle relazioni tra Chiesa e Stato
ai tempi di Costantino, fece osservare che, mentre i tiranni
avevano tentato di distruggere il Cristianesimo col ferro, i
Cesari di Bisanzio mirarono a soffocarlo nei loro interessati
amplessi (1). Ridotta alle debite proporzioni, la massima si
verifica pure in Farfa; e infatti, quando leggiamo sul Re-
gesto gl'interminabili diplomi di Lotario, degli Ottoni, d'En-
rico II, IV, V, e via dicendo, non si può a meno di non
riandare col pensiero a quell’altre pagine tristi del Chronicon,
della Destructio, della « Imminutio Monasterii », ove i feudi
e le castella sono ripagati al caro prezzo della libertà. Quanto
pianto su quei fogli-di pergamena vergati dal Catinense ap-
punto durante il fatale scompiglio che segnò la rovina di
Farfa nel secolo XII. |

Tuttavia il discorrere di feudalismo farfense alla maniera
che abbiamo fatto, puó far credere che questa posizione del

vante il passo del Regesto di Tommaso decano cassinese, n. 10: «In anno 1267, cum
fratres videantur in calceamentis aestivo tempore pati defectum, in supplementum
huiusmodi ecclesias s. Nicolai de Turre Pagana in Benevento et s. Angeli de Pesclo
masculino in Comino abbas Stephanus concedit ». A Farfa circa un secolo dalla
morte d'Ugo, i monaci porsero querela a Federico I contro l'abbate Rustico (1159),
avendo tolto le 35 chiese assegnate pel loro sostentamento dall'abbate Atenulfo, che,
l’amico di san Bernardo e d'Eugenio III, poi cardinale, li lasciava morir di fame. Il
conte Ottone, legato dell'Imperatore costrinse l'abbate a giurare innanzi al prefetto
di Roma e a un convegno di Conti delle vicinanze, che somministrerebbe ai suoi
monaci quanto era in uso nei monasteri di Cava e di Polirone (MURATORI, RR. Ital.,
SS. II, 2, col. 678). Ma non fu rimedio durevole, né valse a impedire tutti gli orrori
e le desolazioni posteriori, in ispecie sotto il flagello della commenda.

Anche l'abbate Oderisio il 5 ottobre 1236 emanò una bolla in favore dei monaci
di santa Vittoria « pro eorum vestimentis et calceamentis » (DE ALEXANDRIS, C/tron,
Farf. cit.), e ripeté il medesimo per quelli di Farfa Giacomo II il 10 settembre 1287.

Le decantate ricchezze delle badie medievali e la rilassatezza della disciplina,
della quale se ne accagiona il soverchio benessere dei monaci, non reggono sempre
allo studio oggettivo dei documenti. Al contrario, ho constatato, almeno per tutti
quei monasteri italiani dei quali mi é occorso dovermi occupare, che la regola-
rità e la disciplinatezza hanno dato giù quando é venuto meno il necessario sosten-
tamento, e che l'estrema povertà e non le immaginarie dovizie fu quella che eclissò
il monachismo d'Italia dopo il sec. XII.

(1) G. HERGENRÓTHER, Storia univers. della chiesa, ediz. Kirsch, prima tradu-
zione ital. (1904), vol. II, pagg. 1-3.-

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ILLA II

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644 I. SCHUSTER

Cenobio di fronte all’autorità dello Stato sia stata voluta sin
da principio, e specialmente da quella lunga serie d’abbati

franchi dei primi secoli. Nulla di più inesatto, specialmente

per il tempo in cui il feudalismo non era ancora sorto. Nel se-
colo undecimo le relazioni del « senior » col suo vassallo, il
« domnus farfensis », erano tuttavia assai vaghe e indeter-
minate, tanto più che il vasto patrimonio, meglio che per
investitura imperiale, s'era venuto formando per via di le-
gati e di acquisti territoriali; e se ai tempi d’ Ugo, d'Alme-
rico e di Berardo Ii Cesari tedeschi rilevarono il fodro,
annullarono vendite o permute fatte dai monaci senza il loro
consenso, lo si deve attribuire principalmente all’effimero af-
fermarsi allora della potenza imperiale in Italia: l’ antico
privilegio di protezione, che.si svolge giusta le forme feudali
del tempo. Infatti l'Imperatore è il protettore nato del Ce-
nobio — ancor oggi le sue aquile fanno parte dello stemma
farfense — e spetta a lui, almeno ai tempi in cui siamo
colla nostra storia, l'alta vigilanza sull'amministrazione ma-
teriale e religiosa; egli investe l'abbate eletto dai monaci e
riceve l’ annuo fodro rilevato su tutte le terre della Badia (1).
Ugo riconobbe a Ottone III anche altri diritti : quello d'eleg-
gere direttamente o di deporre l' abbate, e i « servitia »
nelle spedizioni militari.

L'intendimento dell’ Abbate Probato allorchè nel 775
impetró da Carlo Magno il diploma d’esenzione che fu come
la gran carta costituzionale di Farfa, era di costituire il Mo-
nastero al disopra delle infinite rivalità politiche che stra-
ziavano allora l’Italia, in una posizione indipendente e paci-
fica, una vera oasi di serenità in mezzo al campo di battaglia.
Ma, come spesso tra gli uomini, il beneficio degenerò in Ce-
sarismo, di cui tra le vittime più celebri furono Ugo I
quando, deposto e rieletto più volte, venne ridotto a soscri-

(1) Cf. A. CORRADI, Nonantola abbazia imperiale, in Riv. Stor. Benedettina, fa-
scic, XIV, 1909, pagg. 181-89.

pese: L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 645

versi « abbas per imperialem praeceptionem », — condizione
umiliante che avrebbe fatto fremere il monaco Ildebrando, —
.e il pio Almerico, che nel 1046 (1) venne destituito dalla
L sede, solo perché l'invidia degli emuli aveva assottigliato :
, 3 oltre il consueto il contributo annuo inviato a Enrico III.
| Oltre queste gabelle in favore dell’ imperatore, le nu-
merose famiglie disseminate sulle terre e nelle corti di Farfa
erano soggette ad altri tributi ordinarî e straordinarî, a se-
conda dei bisogni dell’abbate. Così Berardo II (1097), allor-
chè ebbe l’audace velleità di voler trasferire l’intero Mona-
stero dalla falda dell'Acuziano alla vetta, impose tributi di
calce e pietre a tutti gli uomini delle sue campagne e bor-
gate (2). Ma nei tempi ordinari le gabelle erano assai lievi,
e siccome il valore della terra, lasciata incolta durante
l'invasione longobarda, era minimo, cosi, anche dopo i
grandi lavori di bonifica intrapresi dai monaci e dai loro
coloni, il fitto di vaste estensioni coltivabili veniva pa-
gato ai padroni con qualche giornata d’aiuto nei lavori
della mietitura o della vendemmia. In molte campagne è
rimasta proverbiale fino ai dì nostri la vita felice e tran-
quilla che conducevano i nonni sotto il pastorale dell’ ab-
bate! « Seniores tollunt omnia et vos modicum tenetis »,
scriveva un tale a Berardo I, invitandolo a rivendicare al-
| cuni terreni concessi da Faroaldo II, i cui usufruttuari de-
| Sideravano tenerli a fitto dall'Abbate! (3). I pescatori, per
| esempio, con tre pesci alla settimana pagavano il diritto di
pesca nei fiumi e laghi del Monastero; altri per una vigna
davano all’anno dieci danari d’argento nella festa di san Mar-
tino; alcuni erano tenuti a una determinata quantità di der-
rate, a beneficio generalmente delle prepositure maggiori, un
pezzo di lardo, una torta, qualche gallina; nè mancava chi

(1) MG. ss. XI, 560.
(2) Reg. farf., V, doc. 1153-54, pagg. 156-59.
(3) Reg. farf., V, doc. 1303, pag. 290.
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646 I. SCHUSTER

era obbligato a pascere le greggie di Farfa sui pubblici pa-
scoli (1), a montar la guardia alla marina durante il peri-
colo dell' invasione dei Saraceni (2) o a trasmettere le let-
tere del Monastero alla stazione più vicina (3): la casa cioè
di un altro colono, incaricato a sua volta d'un simile rudi-
mentale servizio postale.

Tolgo dal Floriger un breve squarcio, tanto per darne

un'idea: « In inginiano terrae et vineae petias III; haec

omnia concessit probatus abbas gualderano, filio alderadi,
in annos XII, ut una cum heredibus suis faciant omnem vo-
luntatem et servitium nostrum in furcone, in cella santi
emigdii, ubi scario vel praepositus ipsius curtis impera verit,
per omnem hebdomadam dies III ». « Praedicti viri nu-
mero XVI promiserunt domno ingoaldo abbati residere et
permanere annos X, salva libertate sua, in casis nostris et
substantia nostra quantum ad ipsam curtem nostram perti-
net; et promiserunt in ipsa curte laborare in tempore se-
mentis hebdomadam I et aliam sibi, et in magise similiter
et in messe similiter, et post ipsum laborem factum faciant
nobis hebdomadam I et sibi hebdomadas II, et ipsi de ca-
praricae dent annualiter in curtem nostram de interocro vini
decimatas XV ». « domnus hildericus ordinavit libertos X....
ut in vita sua ibidem residerent libellario nomine et ipsas
substantias laborarent et cultarent ... et annualiter persol-
verent per unumquemque pullos III et pro utilitate mona-
sterii epistolas vel mandatum deportarent » (4).

Non mancava neppure, necessarissimo allora, un piccolo
esercito (5) che alle tradizioni gloriose dei tempi di Pietro I,
quando per circa sette anni tenne indietro i Saraceni, sotto

(1) Reg. farf., II, doc. 76, pag. 73.

(2) Largit., fol. XVIII.

(3) Largitor., fol. VI, vers.; VII.

(4) Flor. farf., n. CLVII.

(5) Chron. farf., pag. 115. Cf. Largitorio, fol. XVIII, ove un enfiteuta tra l’altro
promette « si necesse fuerit guartas ad mare faciam ».
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA

Ugo poté aggiungere il vanto d'essere stato due volte al co-
mando personale dellimperatore: nel 999 nella spedizione
d'Ottone III contro. Cere, e nel 1022 quando Enrico II
tolse Troia ai Greci.

In seguito, quando le rivalità secolaresche degli Abbati
e dei Conti fecero si che ai primi facesse più duopo d'un
esercito che d'una schiera di monaci salmeggianti, la condi-
zione degli « Equites » e dei « milites » assoldati dagli Ab-
bati fu quanto mai vantaggiosa, mentre i monaci languivano
nella più squallida penuria (1).

In genere però, le condizioni finanziarie di questo mi-
nuscolo regno, se non erano sempre le più floride — nè i
tempi lo permettevano — erano però tali che gli economisti
dei giorni nostri non vi troverebbero molto a ridire. Ogni
contado era diviso in più famiglie, cui il Monastero dava
casa e terre a patto di coltivarle per un numero determi-
nato d'anni. Pel resto, libertà assoluta, e il colono, soddi-
sfatto che aveva alle sue giornate di lavoro a beneficio di
Farfa, poteva attendere con tutta tranquillità alla cura dei
propri campi, tanto da ricavarne sovente di che vivere
sotto allo stesso tetto perfino tre generazioni patriarcali,
che il nonno s'era veduto crescere intorno al focolare do-
mestico.

Quando nel contratto non si stabiliva il contrario, era
diritto del colono longobardo tórre seco i mobili e gli arredi
suoi allo spirare del servigio colonico; il fatto sta che nel
Floriger ritorna spesso menzione di qualche piccolo capitale,
mercanti di vitelli o buoi, fornai, fabbri e carrozzieri.

In una classe inferiore ai coloni, tra i « mancipia », ri-
troviamo non pochi preti e vergini consacrate, figli di servi
del Monastero; anzi, vuoi perché tal classe di schiavi
« sanctae Mariae » non aveva allora un profondo senso d'a-
biezione, vuoi perché le condizioni economiche degli uomini

(1) Chron. farf., I, Proem.

641
er x VOX o4

648 I. SCHUSTER

liberi in alcuni periodi dell’alto. medio evo furono lacrime-
voli, non é raro il caso, che persone « sui iuris » si costi-
tuiscano servi di Farfa « eo quod non possunt vivere » ! (1).

Sopra le famiglie coloniche, o meglio, la famiglia-capo
di ciascuna corte era quella dell’ « Actionarius » e dello
« scario », che invigilavano perchè venissero osservati gli
ordini del « prepositus » o del « rector », luogotenente del-
l'abbate, ma non necessariamente monaco, siccome nel caso
di quel Geraldo di Rainerio, cui Ugo I affidò il patrimonio
dell’antica Tuscia, da Corneto e Civitavecchia in su, fino a
Pisa (2).

Oltre i servi e i coloni, v'era una turba non men grande
di piccoli feudatari — generalmente tra gli « equites » —
coll'uso a terza generazione di qualche corte o castello. Ta-
lora, come nel caso del conte Benedetto per Tribuco, la « tra-
ditio » e l'investitura era carpita colla violenza, tal'altra l'an-
nuo censo non veniva mai soddisfatto, seppure qualche falsa
« cartula » prodotta in giudizio, non faceva mutare natura al
feudo, per: cui, come nel caso del secolare litigio tra Farfa
e i monaci di Mica Aurea nel Trastevere, in sul momento
diveniva « allodio ».

S'aggiunge che nel diritto longobardo la conferma della
proprietà da parte dello stato, se esprimeva da principio
l'alto dominio del principe su tutti i beni occupati nell'in-
vasione e divisi tra i soldati, coll’ andar dei secoli questo
significato storico-politico venne rilegato in secondo luogo,
e a tale atto fu spesso annesso l'altro d'una vera e reale
trasmissione di proprietà. Alterchi quindi senza numero,
vieppiü intralciati dai diritti speciali del clero e delle chiese,

(1) Largitor., fol. 1II, VI, XI verso.

(2) Circa i contratti enfiteutici sino alla terza generazione cf. MOMMSEN, Die
Gewirtschaftung der Kirchengüter unter Papst Gregor I, in Zeitschrift für social
und Wirtscgaftsgesch, 1893, I, 440; L. M. HARTMANN, Ein Consulat etc., in Eranos
Vindobonensis, 1893, I, 96; P. FEDELE, Un giudicato di Cola da Rienzo, Arch. Soc.
Rom. Stor. Patr., XXV, 1903, pag. 439 e sgg.; C. CALISSE, op. cit.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA - 649

e dagli amplissimi diplomi pontificî e cesarei d'immunità,
esenzione, e via dicendo; talora — e questo avviene solo e
sempre in tempi nei quali la forma è stimata assai più che
la sostanza — i principi ostentavano divozione e potenza
confermando antichi privilegi dei loro antenati, di Faroaldo II,
Carlomanno, Pipino e Teofania, senza curare affatto se tali
donazioni fossero state mai giuridicamente alienate o infeu-
date ad altri. Nel 1018 Enrico V sotto l'influenza di Gre-
gorio di Catino confermò a Farfa il monastero di san Vin-
cenzo al Volturno « in integrum », allegando perfino un
preteso diploma di Gisulfo che nessuno ha mai visto, e che
non ha lasciato nella storia traccia alcuna (1); nè più né
meno di quanto fece Giovanni XVIII, confermando ai mo-
naci di Mica Aurea santa Maria sul Minione, nello stesso
tempo che i Farfensi la rivendicavano al loro patrimonio (2);
e più strano ancora, Gregorio VII, che assegnando i confini
delle possessioni di san Paolo di Roma, designò quei mede-
simi convicini che erano menzionati in un « praeceptum »
di Gregorio Magno del 604! (3).

In somma, dato lo stato delle cose, è ben giustificato
quello che Ugo I lasciò scritto di sè : essere state per lui le
infule farfensi una dura espiazione della « colpa antica » !

E forma appunto il suo più bel vanto, che, chiamato
« ut possideret hereditates dissipatas » tra i disturbi e le
contese dei tribunali d'Italia e di Germania, in tempi di pe-
ricolosa crisi politica, riuscì a convertire tutto quest' improbo
lavoro in mezzo validissimo di perfezionamento personale,
ed istrumento potente di riforma religiosa e materiale del
monastero di Farfa.

(1) Reg. farf., V, doc. 1318, pag. 302 308.

(2) Cf. PFLUGH-HARTTUNG, Act. Pontif. Rom., Ined., II, 57 ; JAFFÈ, n. 3944; Chron.
Tan 159. not. 2.

(3) MARGARINI, Bull. Cassin.,-1l, 106; GIORGI; Reg. di s. Anastasio, Arch. Soc.
Rom. Stor. Patr., I, 55; altri esempi di simili trascuraggini cf in I monasteri di
Subiaco, I, P. EGIDI, Notizie storiche, pag. .79, not. 2.
.650 I. SCHUSTER

CAPO V.

Vani tentativi di riforma religiosa a Farfa. — San Romualdo
e frenesia dei suoi discepoli (999).

Se le condizioni economiche di Farfa al primo entrare
d'Ugo erano tristi, le morali non erano punto migliori, e una
riforma seria e durevole s' imponeva anche a una coscienza
mediocremente retta, come quella dei monaci, che però ne
avevano avuto vaghezza insin dal 997. La difficoltà stava
solo nel ritrovarne il modo, chè per essi era già molto se
si poteva contare sulla loro sommissione: d’aiuti, bisognava
quindi o rassegnarsi a farne senza, o attenderli da fuori.

I primi ai quali si rivolse Ugo furono i monaci di Su-
biaco, donde chiamò a Farfa una piccola colonia, quasi innesto
di buona disciplina; ma disgraziatamente la prova non potè
riuscire, che Pietro II, abbate sublacense, l'anno appresso
dovè pensare egli stesso a riformare il cenobio suo, intro-
ducendovi gli usi cluniacensi, alla vigilia del suo assassinio
per mano dei conti di Monticelli (992-1003) (1).

Ugo sperò qualche cosa di meglio dai cassinesi; ma
anche li l'abbate Mansone, abbacinato anch’ egli come
Pietro II Sublacense, e morto da poco, aveva fatto rim-
piangere per ben dieci anni i bei giorni trascorsi sotto il
venerabile Aligerno. Altro che rigor monacale; mentre san
Nilo se ne partiva tutto scandalizzato, Mansone a mensa sol-
lazzava i suoi cenobiti al canto d'un menestrello (2)!

Quando Ugo andó a Monte Cassino, era già succeduto
su quella sede un povero vecchio, che in un corpo dómo
dagli anni e dagli acciacchi chiudeva un'anima di fuoco e

(1) HuGoNIS, Relatio Constitutionis, pagg. 55-50; SACKUR, Die Cluniacenser, 1,
125; P. FEDELE, I monasteri di Subiaco, I, Notizie storiche, 81, 82.
(2) TOSTI, Storia della Badia di Monte Cassino, I, 162 sgg.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 651

degna di tempi migliori. Ma non vi duró che poco piu
d'un anno, giacchè alla gloria effimera del comando eserci-
tato in mezzo allo sfacelo religioso preferi la pace della
vita solitaria, e si ritiró su d'una vicina pendice in compa-
enia di pochi discepoli (1). San Comeo, il romitorio dell’ ab-
bate Giovanni II, dedicato a san Cosma e Damiano, esiste
ancor oggi coi suoi ruderi venerandi, tutto cinto all'intorno
dalla selva che gli nasconde la vista del vicino cenobio cas-
sinese.

Dell’aiuto invocato da Ugo, naturalmente, non ne fu
nulla; — « non cernebatur commodum » — scrive egli, e il
viaggio al Monte Sacro del monachismo benedettino sarebbe
riuscito del tutto infruttuoso, ove la conoscenza di Giovanni
Gradonigo, allora monaco cassinese, non avesse pórto al Far-
fense occasione opportuna di stringere amicizia anche con
san Romualdo, il celebre riformatore e apostolo della vita
anacoretica nel secolo undecimo.

Tra gli storici camaldolesi v'é chi attribuisce il fatto
della rinunzia dell'abbate Giovanni appunto ai consigli di
questo santo Eremita, ospite verso questo tempo a Monte
Cassino, ove s'era recato da Tivoli a venerare il sepolcro
di san Benedetto e riabbracciarvi l'antico discepolo, il Gra-
donigo (2). L' ipotesi è probabile, tanto più che la rinunzia
e il soggiorno colà di Romualdo coincidono appunto colla
venuta d'Ugo, che in appresso, non solo si dimostró sempre
amicissimo dei Camaldolesi, ma anzi, non appena si avvide
che neppure l' « Abbas abbatum » aveva di che appagarlo
nelle sue brame di riforma, corse subito « ceu sitiens », si-
tibondo cioé di santa conversazione, ai monaci ravennati di
sant'Apollinare in Classe, ove quattro anni prima Romualdo
era stato eletto abbate.

(1) MG. ss. VII, 641, 15-17. i
(2) MITTARELLI, A7/?. Camaldul., I, 228; cf. P. DAMIANI, Vit. s. Romualdi, P.
L. CXLIV, 976.
-

652 I. SCHUSTER

Racconta Pier Damiani che un giorno, mentre il potente
Eremita era nelleremo di Catria, gli apparve un personag-
gio visto già altra volta in visione e che riconobbe subito
pel martire Apollinare. Il suo sacro corpo riposava infatti
nella basilica classense, ma il cenobio era sì ripieno di di-
sordine e rilassatezza, che sessant’ anni prima, in sul prin-
cipio della sua vita monastica, Romualdo l'aveva dovuto ab-
bandonare per rifugiarsi in una solitudine presso Venezia.
Neppure l'abbate s'era mostrato restio a una tale partenza,
e i monaci respirarono più liberamente, allorchè fu fuori di
quelle soglie l' inviso censore. Se non altro, non erano esposti
più alla brutta tentazione di tórlo di vita! (1).

Da quel giorno al tempo in cui siamo colla storia, erano
trascorsi lunghi anni, ma perché i costumi erano tuttavia i
medesimi, cosi sant'Apollinare manifestó a Romualdo la ri.
soluzione di por mano egli stesso a riordinare Classe, pre-
gandolo solo venisse ad aiutarlo. Ubbidi, e da principio la
cosa prese sì buona piega, che nel 996 i monaci lo elessero
ad abbate, auspice lo stesso Ottone III, che andò in persona
a dargliene l’annunzio a Pereo, poco discosto da Ravenna.
Fu allora che 1’ Imperatore, a soddisfare alla sua devozione,
trascorse la notte sul duro giaciglio di Romualdo! Questi, in
sulle prime tenne duro nel rifiuto delle infule, ma dappoi,
intimorito dall’ anatema che gli minacciava Ottone III,
ove col suo resistere l’ avesse obbligato a far decidere la
questione in un sinodo, finalmente accondiscese.

Ma da quel giorno, volere o no, la « Regula sancta »
tornò ad essere l’unica norma della vita monacale a Classe,
e Romualdo, anima adamantina che non intendeva di transi-
gere allorchè si trattava d’esigere dai monaci quello che
avevano spontaneamente giurato il di della loro consacra-
zione a Dio, ritenne quel governo « sub districta Regulae

(1) Op. cit., 922.
-———

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA - 653

disciplina » quasi due anni, come apprendiamo da Pier Da-
miani (1).

: Non vorrei affermare che lo zelo impetuoso e ardente
del Riformatore si tramutasse in frenesia o religiosa ferocia
nel cuore dei discepoli, ma certo che il nostro Ugo ebbe
non poco a soffrirne, quando verso il 999 ne introdusse al-
cuni nel proprio monastero. In sul principio, inesperto,
coll’animo pieno di sconforto e amareggiato per l'esito infe-
lice dei suoi tentativi di riforma, s’ era dato facilmente a

credere che austerità di maniere sia sempre sinonimo d'in-

tegrità di costumi, tanto che, tornato appena da Monte Cas-
sino, se ne andò a Ravenna, lieto nella speranza di ritro-

varvi ciò che da gran tempo aveva indarno desiderato. Ec-

colo pertanto di ritorno a Farfa a ritentare la prova con un
piccolo drappello di quei monaci.

Esempio ammirabile di grandezza d'animo, il « domnus
farfensis », il potente signore dalle cento chiese, terre e ca-
stella, si fa quasi l’ultimo dei novizi innanzi ai nuovi venuti,

e nella sua corte badiale composta dei « clerici canonici »

spesso menzionati nei documenti del Chronicon, eseguisce
per primo quanto gli comandano. Le rendite del Monastero,
dissipate dagli antecessori, non sono più sufficienti ai cre-
sciuti bisogni dei monaci, che a malincuore veggono assot-
tigliarsi a mensa quei « duo pulmentaria cocta » che con-
cede la Regola (2). Ugo non ne ha colpa, anzi se v'è chi
più ne soffra è proprio egli, che tutto giorno sostiene pro-
cessi e citazioni contro gl’ invasori del patrimonio farfense;
ma tuttavia le maledizioni degli scontenti si riversano tutte
su di lui, e gli affamati monaci di Classe giungono sino ad
assoggettarlo alla pena della sferza, trattandolo con ogni ri-

gore e ferocia. « Io non mi smarriva d’animo — ‘scrisse
egli pochi anni appresso — e offriva a Dio quelle torture

(1) Op. cit., 976.
(23) 61:9:9:6:3 b:
654 I. SCHUSTER

nelle membra e nello spirito, perché perdonasse al mio pec-
cato di simonia e disponesse tutto al maggior bene dei miei
fratelli!» (D...

Tanto è vero che, dopo la prima riforma inaugurata
dall'Uomo-Dio sulla cima del Golgota, ogni altra non se ne
può compiere che col cuore lacerato dalle spine!

CAPO VI.

Processo contro gli usurpatori di Montoro. — Vicende del
monastero di santa Maria presso il ruscello Minione. —
Una sessione giudiziaria di Gregorio V in Laterano. —
Vittoria d’ Ugo contro le pretese dei monaci di « Mica
Aurea ». — Visita di Silvestro II e Ottone III a Farfa. —
Litigi e rifiorire del patrimonio del Cenobio (998).

Montoro sta a cavaliere d’una collina abruzzese, ai piedi
della quale si distendevano considerevoli possedimenti far-
fensi, costituenti uno dei centri più importanti della bonifica
agraria procurata dal Monastero (2).

La dominava un castello, in seguito distrutto e usur-
pato dai figli del conte Teduino, (8) e che ai tempi d’ Ugo
era stato sottratto violentemente dal famigerato Graziano,
col quale ogni tentativo d’accordo era riuscito inutile. Per
mezzo d’ Uberto, l'avvocato longobardo, Ugo lo fece adunque
citare in giudizio a Gabi innanzi a Roberto, « missus » d'Ot-
tone III, presenti parecchi monaci e ufficiali imperiali ;
e perchè l'altro non se ne diede per inteso, Roberto, dopo
lungo deliberare, lo condannó in contumacia concedendo
l'investitura delle terre controverse all'Abbate, con obbligo
ai vassalli, pena una libra d'oro, d'aiutarlo in questa riven-

(1) MABILLON, Ann. Bened., IV, 119-120.
(2) Reg. famrf., III, doc. 423, pagg. 133-34.
(3) Cf. Reg. farf., V, doc. 1280, pag. 277.
N n

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 655

dicazione (1). Pochi mesi appresso Ottone III ne confermò
il possesso (2).

Più. strepitoso fu il processo iniziato da Ugo e durato
poco meno che un secolo per la controversia circa il pos-
sesso della chiesa di santa Maria sul Minione, in quel di
Civitavecchia (3). Carlo Magno laveva donata ai Farfensi
che vi avevano stabilito un piccolo monastero, allorchè nel-
l' invasione saracena, dispersi i monaci, venne gittata a terra
(anno 882), rimanendo così quarantotto anni, sinchè Ratfredo
non la fece restaurare, e dopo di lui Campone vi restituì
l'antico priorato (anno 940?). Il nuovo preposito, Venerando,
già monaco di san Giusto in Toscanella, ottenuto il luogo
ad enfiteusi insino al suo terzo successore, fece consacrare
la chiesa da Valentino, vescovo di Centocelle, e sinchè fu
là, pagò a Farfa un annuo censo stando sotto l’ ubbidienza
di Campone: se non che, quando a Roma Benedetto Cam-
panino, fattosi monaco tra il 936-948, edificò nel Trastevere
il monastero di san Cosma e Damiano « in mica aurea »,
Venerando, col consenso dei Farfensi, ascese per primo a
quella nuova sede, ritenendo tuttavia la prepositura di santa
Maria al Minione (4).

Morto lui, gli succedette per abbate di « Mica Aurea »
Silvestro, che però rifiutatosi a pagare l annuo canone a
Farfa, venne citato in giudizio a san Pietro innanzi a Ot-
tone I. Riconobbe questi le ragioni dei Farfensi, e concesse
l'investitura della chiesa all'abate Giovanni III, ma le mene
degli avversari furono tali, che non potè mai entrarne in
possesso effettivo.

1) Reg. farf., V, dec. 1280, pag. 277.

2) Op. cit., doc. 427, pag. 141.

3) C. CALISSE, Storia di Civitavecchia, Firenze, 1898, pagg. 3, 78, 97.

4) P. FEDELE, Carte del monastero dei ss. Cosma e Damiano in Mica aurea,
Roma, 1899, pag. 20 sgg.; Chronicon Farf., II, 12, not. 1, 13 sgg. Nel Largitorio è
conservata la notizia d'una enfiteusi concessa dall'abbate Rimone nel 920 « in gualdo

(
(
(
(

.Santae mariae de minione », fol. 298 verso, quindi anteriormente al restauro di Cam-

pone.
656 I. SCHUSTER

Caduto in disgrazia e deposto in seguito da Ottone III,
Giovanni si ridusse a Roma sull'Aventino, ov'era abbate suo
fratello Azzone; ma, dimenticanza o altro, fece entrare nei
suoi bagagli parecchi diplomi dell'archivio farfense, che ten-
tarono assai l'avarizia di un tal prete Orso, suo cappellano,
il quale, spiato il momento opportuno, rapi alcuni di quei
« munimina » relativi al monastero sul Minione, e per
trenta libbre d'argento li vendé alla parte interessata. Su
quei poveri documenti venne compilato nello « scrinium »
di san Cosma e Damiano un diploma apocrifo che, imitando
abilmente la calligrafia dellabbate Giovanni, lui morto
veniva spacciato per l’ originale della sua cessione del mo-
nastero sul Minione a quello di Mica aurea.

Da parecchi anni le cose duravano in tali termini,
quando Ugo ne mosse querela a Ottone III, che rimise la
faccenda al Papa.

Al giorno fissato ecco adunque il Farfense in Laterano
coi suoi « munimina », che, esaminati dai giudici, furono
ritrovati autentici e favorevoli; ma perchè Gregorio, abbate
di san Cosma e Damiano, insisteva colle sue imposture di-
plomatiche, Ugo s’ esibì pronto a sostenerne la falsità col
duello, secondo ordinava un capitolare d’ Ottone.

Assai probabilmente il giudizio dové raccogliersi nel-
l'aula magnifica detta dei concili, ove dall'alto delle undici
absidi dorate il Salvatore e gli Apostoli sembravano rimi-
rare benigni le lotte e le fatiche della « Ecclesia militans »,
che attraverso ai secoli si agitava ai loro piedi! In fondo
alla sala era il trono di Gregorio V, che, colla verga (fe-
rula) in mano presiedeva all’adunanza; ma il suo aspetto
giovanile, lo sguardo sdegnoso e preoccupato, i gesti e un
parlare concitato facevano in quel giorno uno strano con-
trasto coll’ eterna pace che traspirava l'imagine gigante-
sca del Cristo campeggiante sulla volta a mosaico. Ne era
cagione una miserabile borsa d’argento, colla quale i monaci
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 651

di « mica aurea » avevano antecedentemente comprata la
sentenza - papale. i

Intorno al trono pontificio s'assidevano i vescovi delle

vicine sedi suburbicarie, indi i preti dei titoli urbani e eli
| abbati dei vari monasteri di Roma; solo i diaconi restavano
[ in piedi innanzi a quel consesso sacerdotale. Sopra una
mensa del centro dell'aula era il codice dei Vangeli pei
giuramenti, e, più oltre, le scranne dei giudici, degli avvo-
cati e del clero inferiore; un'artistica confusione di pallî, di :
| - dalmatiche, di stole e penule d'ogni colore, sotto il cielo aureo
della volta, sulla quale si rinfrangevano i raggi del sole.
: Peró, come spesso, anche allora la realtà non armoniz-
zava punto colla poesia dell'umbiente, ché Gregorio V, tutta
cosa dei monaci di san Cosma e Damiano, il di cui abbate
peraltro era uomo di rare doti, allorchè vide i giudici piü pro-
pensi a Ugo, rifiutó ostinatamente il proposto duello, e in-
dispettito per la resistenza del Farfense, con strepiti e mi-
nacce volle costringerlo a rinunziare ai propri diritti. Oc-
| : corse allora scena degna dei tempi: Ugo freme e sta saldo,
i duo finchè, reso audace dal pericolo, in piena assemblea lancia
i accusa di venalità contro il Pontefice, che adirato balza di
Seggio e, afferratolo per il braccio, vuole che rinunzi. —
< O domne papa, quare mihi hane violentiam facis ? — grida
Ugo, e si dibatte, finchè, sopraffatto dall’ avversario, è co-
stretto a cedere, salvo a querelarsene coll’ Imperatore. Coin-
cidenza fatale!in quella stessa sala, molti anni innanzi, un al-
1 tro papa, Gregorio IV, aveva appellato a Cesare contro
l'abbate farfense Ingoaldo (1):

Tutti quei poveri « munimina » addotti in giudizio da
Ugo vennero adunque consegnati all'Abbate di « mica au-
rea » che, giusta l'uso, li dispiegó, mentre l'arcario papale
li rescindeva in quattro parti, a forma di croce (2).

(1) Reg. farf., II, doc. 270, pagg. 221-23.
(2) Reg. farf., III, doc. 437, pàgg. 149-153.
658 I. SCHUSTER

Gregorio V tenne la cattedra papale poc'altro, chè passò
di vita il 18 febbraio 999 e fu sepolto nell’atrio di san. Pie-
tro (paradisus), presso san Gregorio Magno (1). Fibra ener-
gica e adatta ai tempi, se il senno e la prudenza avessero
celato sempre il contrasto d’una clamide papale gittata
sulle spalle d'un giovane di ventitre anni!

Gli successe col nome di Silvestro II il dottissimo Ger-
berto che, monaco anch'egli e abbate di Bobbio, (2) sin
dagli esordi del pontificato prese a cuore gl'interessi di
Farfa. Un bel giorno di settembre di quellanno istesso (3),
una di quelle giornate quasi primaverili, come si godono d'au-
tunno in Italia, profittando di una breve spedizione militare
nei dintorni di Roma, eccolo pertanto alle porte del Cenobio in
conipagnia del suo imperiale discepolo Ottone III, il mar-
chese Ugo, i capitani e magnati delle due corti. Se é a cre-
dere alle tradizioni di Farfa, non era la prima volta che
le.sue porte si schiudevano innanzi al successore « del mag-
gior Piero », e prima di Silvestro II, Giovanni VII ne
avrebbe consacrato la basilica maggiore, e Gregorio IV sa-
rebbe venuto a offrirvi in dono il corpo del martire Ales-
sandro, uno dei sette figli di santa Felicita.

Comunque sia, giacchè i documenti relativi meritano
poca fede, questa volta almeno la visita dovè avere un
significato speciale. Fu una tarda riparazione della triste

(1) GRISAR, Analect. Rom., I, pag. 188 sgg.

(2) N. BUBNOW, Gerberti, postea Silvestri II Papae, opera Mathematica, (972-
1008), Berolini, Friedlaender, 1899; Gu. Lux, Papst Silvesters II. Einfluss auf die po-
litik Kaisers Otto's III, Breslau, Müller, 1898, pagg. 40-70.

(3) Ottone e Silvestro erano già a Farfa il 22 settembre, siccome consente anche
lo STUMPF, Act. Imperial., N. 253; cf. GALLETTI, Del Primicerio, pag. 200; MURATORI,
RR. Ital., SS. II, 2, 499, not. 7; MABILLON, Annal. Benedict. IV, 129. Nel mese in-
nanzi Ottone aveva trascorso almeno una dozzina di giorni nel monastero subla-
cense (31 luglio - 11 agosto 999). Cf. STUMPF, op. cit., n. 1194. Delle sue visite ai mo-
nasteri e dell'amicizia con sant'Odilone, cf. DUCHESNE, Le premier temps cit., 198
Sgg.; GREGOROVIUS, Geschichte, III, 461 sgg.; SACKUR, Die Cluniacenser, I, 334-54;
MITTARELLI, A7:/1al. Camaldul., I, app. doc. LXVI, pag. 161, ove il 4 aprile 1001 ri-
troviamo insieme a Classe, Ottone III, Odilone e san Romualdo.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA i 659

scena del Laterano? È probabile; certo se ne dové parlare
a lungo, se apprendiamo dal Regesto che il Papa e l'Im-
peratore invitarono Ugo a tornare di nuovo a Roma, perchè
gli fosse resa giustizia.

Che impressione avranno fatto sull'animo degli augusti

visitatori quel luogo selvaggio, quel recinto tetro di mura-
glie e di torri, dentro le quali, per più secoli, abbati, duchi
e imperatori avevano insieme maturato i consigli più rile-
vanti per le sorti d’Italia? quell’ Acuziano che si eleva ri-
pido sul Cenobio, quasi schermo contro Roma e le tendenze
curiali, e che sembrava voler financo contrastare ai monaci
la vista del puro cielo di Sabina? La basilica maggiore,
nel centro dell’ edificio, fatiscente per venerabile antichità,
ma tutta adorna d’oro, di marmi e drappi di squisito la-
voro; sull'altare, una corona immensa a guisa di lampadario,
dalle centinaia di lampade di cristallo, d’argento, dorate, in
forma di stelle, che rischiaravano le notturne salmodie dei
monaci (1); qua e là, da una parte e l’altra della Chiesa, i
chiostri magnifici, i dormitorî, la biblioteca, lo « scrinium »,
quindi gli oratori esterni di san Benedetto, santa Croce,
san Pietro, col suo nartece, e piü discosto, sul monte, quelli
di san Martino, san Gregorio e sant'Antimo, le cui origini,
risalendo più in là dell'ottavo secolo (2) si confondevano
colla preistoria di Farfa.

Ottone poi, sulla tomba recente del suo favorito Erfone,
dové forse sentire rimorso dei danni arrecati a « santa Ma-
ria »; e quel sepolcro innanzi all'altare, in quel luogo sa-
cro di pace e di preghiera, richiamava alla mente i tumulti
scatidalosi dell’antica commenda, la deposizione d'Ugo e il
triste latrocinio del patrimonio farfense. E di tutto questo
chi n'era in colpa? Egli solo che, profanando la casa di

(1) Cf. gli elenchi dei tesori della chiesa farfense nei tre inventari in MG. SS.
XI, pag. 536 nota, 578, 582. VEA
) Reg. Farf., II, doc. 46, pagg. 52-53: IV, doc. 775, pag. 110.

II ORTA I A
EN sed TIA si Ta Y rus VOTA fr

660 I. SOHUSTER

Dio, ne aveva fatto quel conto che altri farebbe d'una
masseria di pertinenza della Corona! Nel copioso tabulario
crebbe la maraviglia al vedere i sigilli d'oro e i diplomi
degli antichi duchi di Spoleto, di Carlo Magno, Ludovico II,
Carlo il Calvo e successori suoi, sino all'avo, a. Teofania e
al padre suo: tutta la storia religiosa di quattro secoli, cu-
stodita gelosamente in quelli scrigni! Per riparare al pas-
sato e non sembrare da meno dei predecessori, Ottone III,
testimone il Papa, il conte Ugo, l' Abbate e tutti i monaci,
concesse un amplissimo privilegio, in cui, condonando l’ in-
tero fodro dei feudi, annulló le cessioni d'Alberico, d'Adamo
e del vescovo Ugo, e riconobbe al Farfense il diritto d'im-
porre tributi, tener giudizi o placiti nelle sue terre. Fece
di più, e curò il male dalle radici. V'era un sacro diritto
manomesso che doveva essere riconosciuto solennemente;
l’affrancamento del Monastero, fino allora aggiogato all'in-
teresse politico della corte imperiale. E infatti, troppo spesso
per il passato la potestà dell abbate era degenerata in ti-
rannide nelle mani d'un mercenario, vero comissario cesareo,
cui l’imperatore conferiva a scherno il titolo di protettore
o commendatario, senza che i monaci l’avessero mai eletto,
senza che ne condividessero gl’ ideali, senza scambio d'af-
fetti come tra padre e figliuoli.

Ottone III e Silvestro II sancirono pertanto che, secondo
la « Regula sancta », l'abbate venisse eletto dai fratelli, nè
si tollerasse più oltre un beneficiato o commendatario da
impinguare col patrimonio dei poveri. Come vedremo in
seguito, fu questo il primo passo verso il restauro materiale
e la rinascita morale di Farfa (1).

(1) A questa visita di Silvestro II ed Ottone III si riferiscono due documenti
del Regesto. Il primo (III, doc. 431, pag. 145) é senza data: « Actum in Monasterio
sanctae Mariae ». Il secondo non é che (III, doc. 429, pagg. 143-144) una conferma del-
l'antecedenfe. Per la storia e l'indole della commenda dei monasteri, cf. Liber de
"abbate commendatario, edito in due parti e a due riprese, Colonia, Schonsten, 1073,
1674, coi pseudonimi Boifranc e Fromond, attribuito al Delfau o al Gerberon. Cf. Zi&-
GELBAUFR, Hist. rei litter. benedict., III, 396-401.
TTE

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 661

Non appena partiti il Papa e l'Imperatore, anche Ugo
dové mettersi nuovamente in viaggio per le terre dei Marsi,
ove un cotal conte Rainaldo aveva tolto al Monastero la
chiesa di san Leuco. Fu però cosa da poco, e l'abbate,
senza porre tempo in mezzo, gl'intentó contro un processo,
che terminó e vinse in pochi giorni (1).

La controversia coi monaci di « mica aurea », ripresa

da Ugo al suo ritorno in Roma, non procedé cosi spedita-

mente. Secondo la promessa fatta, Ottone III ben quattro

volte aveva fatto citare l'abbate Gregorio, prima per mezzo

d'un diacono di Ravenna, quindi per il prefetto stesso di
Roma, a nome Giovanni, ma sempre indarno, chè l'altro,
intimorito, s' era dato alla fuga, riparando appunto a Corneto,
sul Minione, donde, protetto dagli aderenti e vassalli, a to-
eliergli di mano il Monastero, sarebbe stato necessario di
espugnarlo a viva forza Che fare? Il dubbio giuridico, la
condizione ecclesiastica e la contumacia dell'avversario non
consentivano si potesse procedere oltre a una sentenza pe-
rentoria, e fu convenuto che Ottone investisse solo preca-
riamente Ugo delle terre controverse, affidandolo poi alla
protezione « tuitio » del pio e animoso conte Ugo, che
vedemmo già a Farfa nel seguito dell' Imperatore (2). Posto
alle strette dalle soldatesche del Conte, Gregorio di li a poco
promise tutto quello si esigé da lui, salvo poi ad attenere
la parola data.

Attediati a Roma, e rinnovata indarno la citazione altre
dodici volte, l’ Imperatore condannò Gregorio in contuma-

(1) Reg. farf., III, doc. 430, pag. 144.
(2) Intorno a quest'Ugo, figlio. della fondatrice della badia fiorentina, cf. MABIL-
LON, Amnal. benedict., IV, pag. 160.
FESTE TOU ro.

662 I. SCHUSTER

cia (1) e con un diploma concesso al Farfense lo investi
del possesso dei beni controversi (2).

Per la storia dei primi anni del governo abbaziale d'Ugo,
a voler seguire passo passo il Regesto, tolti i pochi do-

(1) Reg. farf., III, doc. 437-39, pag. 149 53. Intorno a questo Gregorio, divenuto

poi cardinale e morto legato pontificio in Ispagna, cf. Vita S. Gregori ep., in Act.
- SS. Mai, IX. Ebbe gran culto anche in Italia, e la vita che ne scrisse Costantino

Gaetani fu molto diffusa nel sec. XVII. .

(2) La controversia venne terminata definitivamente dall’arcidiacono Ildebrando,
quindi Gregorio VII, nel 1072, con un solenne giudizio pronunciato in Laterano alla
presenza dei cardinali, del prefetto di Roma, dei giudici e dei maggiorenti del Tra-
stevere (Reg. farf., V doc., 1006, pagg. 9-11); ma le animosità tra le due emuli Badie
si protrassero ancora per un anno, finché intervenne nuova sentenza del Papa con-
tro l'abbate Odemondo (Reg. farf., doc. 1013, pagg. 16-17). Fa meraviglia come Ode-

. mondo, che pure innanzi di ascendere il soglio abbaziale di Mica Aurea era stato
monaco di Farfa, potesse dar prova di tanta ostinazione nel sostenere una causa
che assai facilmente doveva apparirgli ingiusta. Fu a sua preghiera che Alessan-
dro II (1061-73) nel novembre del 1069 consacrò. la chiesa di Mica Aurea (Cf. P. FE-
DELE, Op. cit., pag. 29); mori nel gennaio 1075 e nel chiostro è superstite ancora la
sua epigrafe sepolcrale :

Spes quibus est mundi studeant meminisse Odimundi
Coenobii patris l'auli Cosmae et Damiani.
A patre donatus Christo, cum patre sacratus
Sic quoque devoto nituit generatio tota.
Religione pia farfensis Virgo Maria
Iustructum Romae digno decusavit honore.
Inter magnates palatinos necnon primates
Extitit insignis nimium dilectus ab illis.
Parvus erat parvis, parebat maximus altis,
Diseretus rector, dulcis fortisque protector,
Cuius ob exempla micat haec domus intus et extra.
Terra tegit membra, sit spiritus in ethra.
Obiit in pace III id. Ianuarias
Anno Diiice Incirn. MILL. LXXV. Indict. XIII.
(Cf. MARUCCHI, Elements d’Archèologie chretienne, III, pag. 458). Per la storia della
vocazione d'Odimondo e del padre alla vita monastica « A patre donatus, Christo
cum patre sacratus », il Reg. farf. fornisce preziose notizie in proposito (V. doc. 1289,
pag. 189). « Quidam eorum (alcu i felloni al Monastero) cognoscentes se male agisse,
poenitentia ducti et in Aoc monasterio conversati reddiderunt partes suas, sicut fe-
cit transmundus, qui seipsum cum filio suo Odemundo obtulit in hoc monastero.
Infatti, l'uno e l'altro non solo sottoscrivono all'atto di elezione dell'abbate Berardo I
(1048) (Reg. farr., IV, doc. 809, pagg. 210.11); ma in seguito assistono in qualità di
testimoni a parecchi atti giudiziari dei primi anni di governo di quell'abbate (Reg.
farf., YV, doc. 829-832, pagg. 229-232). Sembra anzi che dopo Berardo I e i suoi pre-
positi, fossero considerati tra le personalità più cospicue del Cenobio, tanto che una
refuta del decembre 1052 venne presieduta a Farfa « ante praesentiam domni tran-
Toe WERE
et

L'ABBATE UGO I1 E LA RIFORMA DI FARFA 663

cumenti intorno alla sua elezione e alla riforma di Farfa,
gli altri si riferiscono tutti alla rivendicazione del patrimonio

temporale del Monastero; e a tenergli dietro pei tribunali
di Rieti, d'Ascoli e fin degli Abruzzi, c'é da scambiarlo per

un vero ebreo errante, che trascorre ben poco tempo nelle
solinghe selve della sua Farfa turrita, attediato da con-
tese e querimonie giudiziarie pressochè quotidiane, oltre gli
ostacoli che il malvolere degli uomini suscitava contro la
sua ardua impresa della rinnovazione intellettuale e morale
della Badia.

Quando sopra dissi dei vasti possedimenti nella Marca
e nell’ Umbria, ricordai Rieti, ove il Monastero possedeva
le chiese di sant'Agata, sant’ Elia e san Giacomo (1). L’ en-
fiteusi di quest’ ultime due, già concessa nel 953 al conte Be-
rardo da Campone, era finita col divenire allodio in mano
del figlio Teduino durante i trambusti che seguirono il go-
verno di Giovanni III e l’ultima commenda. Perciò Ugo,
disbrigati appena i negozi più urgenti nella Marsica e in
Roma, rivolse subito il pensiero a rivendicare quei beni di
cattivo acquisto. Ce ne resta una doppia notizia nel Regesto
e nel Floriger, di cui riferisco il testo: « Sancti Helie in
Reate, item hugo abbas revicit », e poco appresso: « Sancti
Jacobi in Reate, item hugo abbas revicit ». Nel Regesto
poi, con un atto in data di Rieti nel settembre 1000, l'Ab-
bate dà in feudo al conte Teduino alcuni beni, già per lin-
nanzi da lui usurpati (2). Quando non si poteva di meglio,

smundi et odemundi », come altra volta innanzi agli abbati e al prepositi maggiori.
Insomma, tutte le indicazioni documentarie intorno a questi due monaci convengono
per farci riconoscere nel primo, il famoso conte Trasmondo, a preghiera del quale
Ugo e Berardo I s' indussero più d'una volta a portare agli ultimi estremi la loro
condiscendenza. — Reg. Farf., IV, doc. 1298, pagg. 286 87 — e nell'altro, l'abbate Odi-
mondo di Mica Aurea. Ambedue erano ancore a Farfa il 6 luglio 1060, quando papa
Niccolò II ne consacrò la Basilica (Reg. Farf., V, doc. 1307, pag. 295).

(1) Cf. GALLETTI, Memorie di tre antiche chiese di Rieti (Roma, MDCCLXV), ove
discorre diffusamente della relativa documentazione.

(2) Reg. farf., III, doc. 477, pag. 186. Cf. nel Largitorio fol. XLVI l'enflteusi di
questi stessi beni concessa nel 913 da Campone al Conte Berardo di Mainerio « de
664 I. SCHUSTER

questa del feudo era una. maniera abbastanza comune per
legalizzare gli attentati contro il diritto di proprietà, di cui
la genuina nozione romana s'era certo dovuta oscurare per
opera della legislazione longobarda nel periodo dell' invasione.

Questo stesso Teduino in seguito ebbe in enfiteusi da
Ugo i vasti possedimenti di sant'Angelo e di Civitella presso
il « rivum licinianum quando pergit in Turanum » (1), anzi
gli entró tanto nelle grazie, che, verso il fine di sua vita, a
preghiera di lui e del conte Trasmondo, s'indusse a to-
gliere, non sappiamo sotto qual pretesto, un campicello
del Monastero a una povera famiglia che abitava lungo il
sele, in quel di Penne. In seguito, riconosciuto l'errore,
volle riparare il torto, ma la morte lo prevenne (2).

Tra il 1000 e il 1007 l’operosità d' Ugo ci è rappresen-
tata — con intuizione unilaterale, si comprende — da una
lunga serie di refute, acquisti e donazioni, di cui è conser-
vata memoria nel Regesto. I primi documenti sono del 999,
quando intraprende il riscatto parziale dei beni alienati dai
predecessori, evidente indizio di condizioni economiche, se

non floride, almeno assai migliorate. Nell'agosto del 1000
| Ugo é a Farfa, (3) ove, tolto il breve viaggio a Rieti (4),
lo ritroviamo ancora nel marzo 1001 (5), il 6 giugno 1002 (6)
nell'agosto e ottobre 1004 (7) e nel febbraio (1005) (8). Il
lettore ritrarrebbe ben poco diletto da questi aridi documenti
che si succedono sempre coll identico formulario, ma che

natione francorum », padre di Tedulno. A costui Giovanni III nel 970 diede pure
l’altra di Montoro (Largitorio, fol. LXXXVIII), donde si scorge il nesso delle azioni
giudiziarie promosse da Ugo.
(1) Op. cit., III, doc. 443, pag. 156.
(2) Op. cit., V, doc. 1298, pag. 287.
(3) Op. cit., III, doc. 442, pagg. 155-56.
(4) Op. cit., III, doc. 443, pagg. 150-57.
) Op. cit., III, doc. 444, pagg. 157-158.
6) Op cit., III, doc. 446, pagg. 159-60.
) Op. cit., III, doc. 452, pag. 165; doc. 464, pag. 175.
) Op. cit., III, doc. 465, pag. 170.
- d CASTRO TT

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 665

allo storico sono preziosissimi, e dimostrano sempre meglio

. che la pietà dei popoli va di pari passo colla religiosità

dei ministri del santuario, crescendo o scemando coll'aumen-
tare o diminuire di questa.

A questo riordinamento dell’ immensa amministrazione
Farfense, si riferiscono quei documenti del Regesto in cui i
poveri campagnuoli vogliono legalizzare col censo enfiteutico
quanto avevano sottratto ingiustamente al Monastero du-
rante gli ultimi trambusti che l'avevano sconvolto. Tal altra

‘è un « Comes » che, di prepotente e ladro, s’acconcia a

divenir feudatario, e neppur manca qualche abbate, che, ad
assicurare la sua proprietà e il suo gruzzolo in quei tempi
di tirannelli, quando, difetto di centralizzazione sociale, leggi
e stato si dichiaravano impotenti a sostenere i diritti dei

deboli contro i potenti, offre a « santa Maria e al venerabile

- Ugo » la propria persona, i propri monaci e l'intero patri-

monio del Cenobio, riparando sotto la difesa feudale dell'on-
nipotente abbate di Farfa.

E l'influenza della nostra Badia ingigantiva, la parola
di Dio con tanta generosità d’oblatori dilatava, così che
lAcuziano non valeva più a restringere e contenere il soffio
vitale che usciva dal cuore e dall’anima d' Ugo. Simile. al-
l'antico Ezechiel (1), questi si trovò d’ innanzi, forse senza
comprenderne egli stesso il come, à uno stuolo di cadaveri,
vittime d'uno sfacelo religioso che faceva d'uopo « vatici-
nare ad spiritum » e richiamare a nuova e intensa vita.

(1) Ezechiel, XXXVII, 9.

——

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v x Sa OST fr

666 . I. SCHUSTER

CAPO VII.

Vitalità del Monachismo. — Sant’ Odilone e san Guglielmo a
Farfa. — Influenze di san Romualdo sull’animo di Ugo. —
Storia del « Constitutum Hugonis » attraverso i secoli
(998-999).

E lo spirito evocato soffib impetuoso su quel cumulo di
rovine suscitandone una mano di forti che, esuberante di vigor
giovanile, colla Fede e colle opere rappresentarono ancora
una volta agli occhi del mondo la vitalità del monachismo
cristiano. Elemento precipuo della Chiesa Santa, la perfe-
zione etica, così come fu sintetizzata dal Cristo nei suoi ca-
noni di vita religiosa, non potrà mai venir meno in seno al
cattolicismo; e nella stessa guisa, che dal primo di della
creazione insino a quello del giudizio, il giorno si avvicenda
costantemente alla notte, e le tenebre tramandano ai fulgori
del sole il messaggio divino; così anche la vita religiosa,
alternando nella sua storia bagliori ed oscurità, si avanza di
pari passo colla Chiesa incontro al Cristo. Sotto questo
aspetto, le molteplici riforme e restaurazioni di discipline
ascetiche, lungi dall’accusare difetto organico e vizio di si
stema, non appariscono che come aurore antelucarie che
dividono i di dalle notti, e servono a distinguere meglio i
mesi, gli anni e le grandi epoche della storia del mondo
cristiano.

Aurora foriera del giorno apparve già in Egitto la vita
sorprendente d'Antonio, in Italia quella di san Benedetto,
di san Gregorio I, di san Colombano, di san Romualdo, spi-
riti magni e tempre adamantine, che riuscirono ad infor-
mare tutto l’ambiente che li circondava, e vissero della vita
di tutto un secolo.

Sorto in un periodo che siamo soliti chiamar di ferro,
mentre la prepotenza, il vizio e la barbarie, rotto ogni freno,
PERI T M.

L'ABBATE UGO I.E LA RIFORMA DI FARFA ; ©
6

sembravano già menar vanto della rivincita ottenuta sulla
Chiesa e sul mondo civile, quello di Cluny fu uno di quei
sogni possenti e fatidici, che per un momento fu vicino a es-
sere realizzato in tutto il suo splendore (1). Mentre la Com-
menda, le guerre e il malvolere degli empi desolavano i
Monasteri e trascinavano fuor di via il Monachismo, Cluny,
nel rigoglio della sua giovinezza rappresentò agli occhi dei
contemporanei l'ideale più elevato e più puro della vita
benedettina. Non era sorto peranco san Bernardo a metterne
a nudo i difetti (2), e d’altra parte quelle figure gigantesche
che produceva ed educava sembravano la miglior garanzia
della bontà del sistema.

Edificato dapprima dal fondatore Bernone in luogo squal-
lido e solitario, fu tutto merito dei suoi primi abbati, se
Cluny pervenne in poco tempo a quella floridezza e po-
tenza morale che la fece dominare sul mondo intero. Si sa,
la società si sente attratta appunto verso chi la fugge, e gli
uomini divengono piccoli e si sentono da meno innanzi à
chi è sufficiente a se stesso e non abbisogna dell’ aiuto dei
suoi simili.

Al tempo in cui siamo colla nostra storia, Cluny era
all’apogeo del suo splendore. Potente, dalle possessioni scon-
finate, e dalle centinaia di dipendenze feudali-religiose dis-
seminate in Francia, nella Lombardia, e sin nella lontana

Inghilterra, soffiava in tutte quello « spiraculum vitae », '

che, svolto, condussé in seguito all'idea congregazionista,
elaborata principalmente sotto sant'Ugo. Ma per allora, sugli
inizi del secolo XI, chi poteva prevedere tutta la catastrofe
cagionata dall'abbate Ponzio e lo sfacelo generale che ne
segui? È vero, qua e là si levava di tratto in tratto qualche
voce isolata e discorde che ammoniva i contemporanei del

(1) GASQUET, Saggio storico della costituzione monastica, Tip. Vaticana, 1896,

(2) Cf. Apologia ad Guillelmum abb., P. L. CLXXXII; D. BERLIÉRE, Les origines
de Citeaua et Vordre benedictin ai XII siecle, Estr. Rev. d'Histoire eccles., I, 3, II,
2, Louvain, 1901.

—— ———————————— —ee€
I. SCHUSTER
668

danno che li minaeciava a soffocare le proprie aspirazioni,
vivendo, come parassita, della vita d'un altro. Talora Y al-
larme partiva da Monte Cassino (1), tal altra di Germania,
ma in genere sino a san Bernardo e ai Cisterciensi nessuno
potè contrapporre a Cluny qualche cosa, se non di più bello,
almeno di più legittimo.

Vedemmo già ai tempi d’Alberico, « senatore dei Romani »,
l’esito infelice della riforma di Farfa commessa a sant'Oddone;
il tempo però è un possente trasformatore, e quello che fu
cattivo consiglio tentare allora, riuscì adesso a maraviglia, per
opera principalmente del nostro Ugo.

Lo lasciammo, se ce ne ricordiamo, sotto la sferza dei mo-
naci ravennati, mentre il pover' uomo non sapeva più se va-
lesse meglio rinunziare a quelle sfortunate infule o durare più
a lungo in quello strazio. Colta pertanto l'occasione propizia,
se ne aprì con due ospiti insigni, giunti pur allora alla Ba-
dia: sant'Odilone di Cluny e san Guglielmo di Digione, noto
ai contemporanei pel soprannome « d'Oltre-hegola », così
austera disciplina applicava a se stesso e agli altri.

Odilone, discepolo e poi successore del celebre Maiolo,
era nato in Alvernia, di nobile famiglia; e, divenuto monaco,
scorsi appena quattro anni di vita claustrale, fu proposto al
governo di Cluny. Oracolo dei Papi e dei Re, circondato dalla
venerazione mondiale, era mitissimo d’indole, uso a ripetere
che preferiva essere trovato reo di soverchia indulgenza,
anzichè d'ombra di durezza! Proprio l’ opposto del suo com-
pagno di viaggio, Santo egli ed amico dei maggiori Santi
dell’ epoca, ma anima di fuoco, cui appena valse a com-
primere l'esperienza senile. Già maestro ed amico d’ Odi-
lone, era divenuto il suo più valido appoggio nell’ opera
della riforma claustrale che questi propugnava.

I due ospiti adunque ascoltarono commossi il racconto
d'Ugo, e non ci volle molto perché si convincessero che,

v

(1) L. TostI, Storia di Monte Cassino, I, 167 sg.
SEDIT?

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 669

essendo le belle doti del giovane pari alla difficoltà che
presentava l'impresa, egli e nessun altro era l| uomo de-
stinato dalla provvidenza a raccogliere nelle sue mani la
dispersa eredità farfense, risollevando la Badia agli antichi
ideali e alle antiche glorie.

Ugo, dopo molto riluttare, si assoggettó a questa deci-
sione e ritenne le infule « in pena del suo peccato ». Forse
in tutti questi maneggi non fu totalmente estranea l opera
di san Romualdo (1) comune amico d'Ugo, d'Odilone e di
Guglielmo, tanto più che a lui appunto sembra attribuire
tutto il merito dell'iniziativa il monaco Giovanni, compila-
tore della recensione farfense delle « Consuetudines » del
monastero di Cluny (2).

L'autorità dei consiglieri avendo dunque superata la
titubanza del povero Ugo, — non lo convinsero mai intera-
mente, e lo vedremo tosto, — egli si arrese, e verso il 999,
nell'aula capitolare, presente il Papa, Odilone, Guglielmo e
forse anche Arnolfo di Reims (3), promulgò il suo famoso

« Constitutum — possiamo chiamarlo la « magna charta »
| Costituzionale di Farfa — che, approvato da Silvestro II,

gli abbati suoi successori si trasmettevano ancora due se-
coli dopo, e innanzi di prender possesso del trono farfense,
giuravano di mantenere inviolato durante il.loro governo (4).

Vi si riconosce lo stile d' Ugo, che non desiste dal de-
plorare il fallo, « pro peccato quod omnes scitis », com'era
la sua frase famigliare, e dimanda al Pontefice d'essere am-
messo alla publica penitenza prescritta dai canoni contro i
simoniaci. Descrive quindi lo stato lacrimevole del Mona-

(1) Cf. Consuetudines Farfenses, ediz. Albers, pagg. 2-3; MITTARELLI, ANA.
Camaldul., Lib. V, pag. 207. Non voglio peranco pronunciarmi, ma ho qualche so-
spetto che Ugo sia congiunto in parentela a Romualdo, i di cui parenti del ramo
sabinese possedevano beni a Roma presso sant'Eustachio e al « captum seccutae ».
Of. SPERANDIO, op. cit., Append. doc. 3, pagg. 327-28; 19, pagg. 348-49.

(2) Cf. il testo in BALZANI, Jl Chronicon di Farfa, I, pagg. 55-58.
(3) MABILLON, Annal. Bened., IV, n. LI; Cf. BALZANI, Op. cit., pag. 57, nota-1.
(4) Mg. ss. XI, 206-207.

SITI
670 : I. SCHUSTER

stero al suo ingresso a Farfa, gli abiti secolareschi, i cibi
vietati dalla Regola e serviti nel refettorio, i monaci chia-
mati da Subiaco e da Ravenna, e, finalmente, a suggerimento
d'Odilone e di Guglielmo, Ugo promette l'osservanza fe-
dele dei riti cluniacensi negli abiti, nei cibi e nell'ordina-
mento di Farfa, « ut ab illorum usu in nullo discreparet ».
Ogni futura alterazione rimane severamente interdetta a
lui e suoi successori, salvo il caso in cui l’esperienza di-
mostri che il nuovo fardello riesca soverchiamente grave,
trasportato di Francia alle ombrose falde dell’Acuziano. E
perchè la storia degli ultimi trambusti aveva insegnato che
il nesso tra la psiche e la materia è più intimo di quanto
comunemente si pensa, così Ugo dispose chè in avvenire i
monaci avessero il loro patrimonio distinto da quello dell’Ab-
bate: (1) il campo di Granica coi molini mossi dalle acque
del Farfa e dal ruscello Correse, i gualdi di Salisano e di
Catino, le decime e le tasse di vassallaggio, le elemosine
offerte nella chiesa in occasione di funerali, un discreto nu-
mero di servi e di buoi. Con questo smembramento del pa-
trimonio, mercè il quale, man mano che la persona dell’Ab-
bate, accentuandosi ognor più il carattere feudale, diveniva
estranea alla vita intima del Monastero, predisponendo gli
animi all'istituzione dei Commendatarî, Ugo intendeva forse
prevenire qualche futuro Campone o Ildebrando ? Possiamo
ben crederlo, sebbene la storia del secolo XII dimostri come
non avesse precluso ogni adito alla malvagità. Che impor-
tava ai tristi un puro vincolo morale o il freno d’un giu-
ramento o d'un antico anatéma ?

Infatti, dando alla sfuggita uno sguardo rapidissimo alla
storia del « Constitutum » attraverso i secoli che immedia-

(1) Questo smembramento patrimoniale aumentò infatti la tendenza degli ab-
bati a costituirsi Signori feudatari dei beni monastici, e non più padri dei monaci
nelle vie dello spirito. Accenni a una corte badiale, nella quale erano persone estra-
nee ai monaci, si riscontrano a Farfa fin dal secolo IX. Cf. Mg. ss. XI, pag. 537; Reg.
Farf., III, pag. 104, 153, Largitorium, fol. 749-751.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 611

mente lo seguirono, che desolazione !... Dopo Ugo, oltre la
menzione che il Mabillon attribuisce a Guido I nel 1009, ed
invece é posteriore di circa un secolo, (1) sotto Guido III, e
l’altra sotto Berardo I (1048-1089), che, riferendosi all' « ordo
noster cluniacensis », vietó ai monaci di ricevere dagli estra-
nei il sacramento di penitenza (2) è assai più importante
quella del 1090, anno in cui, deposto Rinaldo, gli fu. surro-
gato l'abbate Berardo, secondo di questo nome (1090-1099).
I Farfensi gli mossero incontro sino a Terni, e perché te-
mevano si diportasse ancor peggio del suo predecessore, esi-
gettero li stesso e in iscritto il giuramento « de bonae con-
suetudinis observantia et hujus monasterii bonorum salvi
tate » (8); e la « cartula », che nella sua redazione accusa
evidentemente la sua dipendenza verbale dalla formola d'Ugo,
venne deposta solennemente sul codice dei Vangeli. Giunto
però a Farfa — è Gregorio di Catino che l’attesta — Be-
rardo, di tutte le belle promesse non ne attenne una, e da
vero despota mutò « parecchie consuetudini antiche », tanto
che, mentre i monaci andavano laceri e colle tuniche a bran-
delli, egli, spergiuro, indossava stoffe preziose (4).

L'abbate Oddone, che gli succedè nel 1099, quando venne
eletto, dovè anch’egli promettere il « Constitutum » (D)p €
fece il medesimo l’abbate Beraldo III, allorchè il 23 maggio di
quello stesso anno, a richiesta dei monaci e innanzi di ce-
lebrare la liturgia vespertina, giurò sui Vangeli che avrebbe
mantenuto sempre intatta la disciplina soave della Regola e
l'osservanza della buona consuetudine, giusta l usanza confer-
mata con giuramento dai suoi predecessori (6).

Di Guido III, competitore di Rainaldo nella sede abba-
ziale, è noto che nel 1119 promise ai sudditi l’ osservanza

(1) MABILLON, Annales, IV, 207.

(2) Chronic. Farf., II, 200.

(3) Mg. ss. XI, 563; Reg. Farf., V, pag. 123.
(4) Reg. Farf., V, pag 155.

(5) Mg. ss. XI, 565; Reg. Farf., V, doc. 1098, pag. 160.
(6) Reg. Farf., V, doc. 1310, pagg. 297-98.

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612 I. SCHUSTER

d'un decreto assai utile al Monastero, giusta l'uso degli abbati
Farfensi (1), e finalmente si legge che, sotto il suo governo,
i monaci, nei giorni di gran festa, in cui prima usavano ri-
vestirsi in chiesa di preziosi paludamenti sacerdotali, giusta
l'uso cluniacense, allora invece la piü squallida miseria co-
stringeva ascendere all’altare e sull'ambone, avvolti nelle
lide cocolle sdrucite. I giovani poi, disprezzate le tradizio-
nali melodie ecclesiastiche, forse ancora quelle introdotte
nel secolo IX dall'abbate Probato, già allievo della celebre
« Schola » lateranense, venivano introducendo arie teatrali
e profane, importazioni estranee e apprese qua e là, ov'erano
andati bighellonando (2).

Ma non turbiamo la serenità che traspira dall' opera
santa d'Ugo, né vogliamo accagionarlo di mali che non
poté impedire; riprendiamo piuttosto il filo della storia.

A garantire il « Constitutum » da ogni futuro malvo-
lere, papa Silvestro, di comune accordo coll'Abbate e coi
monaci, sanci invalida ogni futura modificazione senza il
consenso dell'intero « conventus ». Quali sentimenti di gioia
provó Ugo in quell’istante? È vero, il più era ancora a
fare, e il più difficile; ma nondimeno, se le angoscie di tre
anni erano riuscite solo a questo, di far spuntare cioè l’alba
fra le tenebre, poteva andarne ben lieto, ché era l'alba del
giorno della resurrezione !

(1) Mg. ss. XI, 580; Reg. Farf., V, doc. 1220, pagg. 313-15. È, siccome anche
quello d'Oddone, l'atto autentico del giuramento, con dipendenza pressoché verbale
da quello d'Ugo I. « Ego frater guido vester electus ad huius movasterii regimen...
coram deo et sanctis eius spondeo et promitto observare ac retinere constitutionem
domni hugonis abbatis huic monasterio et omni conventui concessam, scilicet au-
thenticam religionem cluniacensis monasterii ».

(2) Mg. ss. XI, pag. 583. Cf. anche il seguito della narrazione di Gregorio « Su-
per haec vero omnia mala (Guido), decretum quod omni conventui fecerat ponaque
aeterni anathematis alligaverat dissipavit et omnino delere fecit, nosque in nihilum
deduxit. Manualia quoque nostra et terrarum vicendas et molendinos et portuum
redditus mercatique teioneum et angariales homines, vel quae praedecessores illius
abbates conventui nostro sacrame.to firmaverant vel libentissime concesserant mi-
nuavit et abstulit ...; obsequia cellarum omnium et locorum nobis pertinentium et
decimas abbatiae et exenia constituta ex toto perdidimus ».
618

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA

Con tali sentimenti nell'animo, a fianco d' Odilone e di
Guglielmo, Ugo (1) dové certo comprendere, e in quel mo-
mento piü che mai, tutta l'importanza dell opera che gli
veniva commessa dalla Provvidenza. La comprese senza
dubbio, ma, buono, non ne inorgogli, e per sottrarsi all'ammi-
razione si celó nella custodia rigida dell'umiltà cristiana, im-
plorando innanzi al Papa, boccone al suolo, penitenza e
pace pel suo peecato (2).

CAPO VIII.

Genesi delle Consuetudini di Cluny. -- Redazione farfense
del Codice vaticauo 6808 e raftronti tra gli usi clunia-
censi e quelli di Farfa. — Liturgia, topografia, mentalità
politica diverse. — Storia della redazione farfense.

La raecolta dei riti, degli statuti e delle consuetudini
di Cluny venne chiamata già dagli antichi « ordo Cluniaci »,
e in origine non differiva molto dalla « Concordia Regula-
rum » di san Benedetto d'Aniani (3). Forse à questo primo

(1) Cf. GLABER RopuLPHUS. Histor., IV, C. 4, P. L. CXLII ; MABILLON, Act. SS. O.
S. B. Saec. VI, pars I, pagg. 340-41; 0. RINGHOLU, Der heilige Abt. Odilo von Cluny,
Brünn, 1885; SAcKUR in Neves Arch. XV, pagg. 11821.

(2) La notizia inserita da Ugo nell'ultima parte del « Constitutum », « Silve-
ster II Apostolicus ... poenitentiam pro eodem peccato adhuc canonice indixit, que-
madmodum in eius habetur decretis ». mi ha destato il sospetto sia appunto indi-
rizzata a lui quell'epistola di Silvestro II a un anonimo abbate, che l'aveva consul-
tato circa la penitenza da compiere per il peccato di simonia, incorso nella sua
elezione. Risponde il Papa, non avere allora alla mano i suoi libri rimasti in Fran-
cia, ma credere sufficiente la sospensione per due anni dall'ufficio; e ove questo
torni impossibile, astenersi almeno durante questo tempo dall'uso del vino e delle
vivande cotte due dì per settimana, cibandosi dopo terminata la recita dell intero
salterio. La penitenza avrebbe dovuto incominciarsi dopo l’ottava di Pentecoste.
P. L. CXXXIX, 284.

(3) Cf. ALBERS, Consuetud. Monast., I, 1900; II, 1905; BERNARDUS, Ordo Clunia-
cens., ediz. Hergott; SackuR, Die Cluniacenser, Halle, 1804. 2 vol; GIScKE, Weber
den Gegensats der Cluniacenser und Cistercienser, Jarhrbuch des Pàdagogiums zum
Kloster U. L. F. in Magdeburg, 1880; Cf. il giudizio di Lukavie su s. Bernardo, in
Rev. histor., 1899, pagg. 325-42.

—————
CAREZZE"

um

TUNIAWCRESOWAEI.
674

I. SCHUSTER
elemento ne dobbiamo aggiungere altri di provenienza cas-
sinese, l'esposizione della Regola Benedettina d' Ildemaro (1)
e non pochi statuti di Bernone, primo abbate di Cluny (2).
Certo, ai tempi di sant'Oddone esisteva una vera e propria
costituzione cluniacense, della quale si potrebbero forse
riconoscere alcuni squarci anche nella biografia del Santo,
composta dal monaco Giovanni (3).

Se dunque all’opera dell'Aniani (4) aggiungiamo gli ele-
menti introdotti nella vita di Cluny dall’ « Expositio » Ilde-
mariana, dagli statuti di Bernone, d'Oddone, di Maiolo ‘e
d’Odilone, avremo l’intero « ordo » cluniacense, di poco
posteriore alla visita a Farfa di san Guglielmo e di sant'Odi-
lone (5).

Non potendo qui descrivere per intero la storia dell'e-
voluzione e redazione di quest’ « ordo », rimando i lettori
a uno studio speciale del mio dotto confratello il P. Bruno
Albers; mi limiteró a dire solo di Farfa (6).

Il testo delle Consuetudines farfenses ci è noto per due

(1) Cf. JOHANNES monach., Vita s. Oddonis, I, 23, in Act. SS. O. S. B. saec. V;
ALBERS, Consuet. Farf., I, LVII, 53; Id. Consuet. Cluniac. Antiquior (Montis Cassini,
1905) pagg. IX-XIV.

(2) Consuet. Farf. (d'ora innanzi le citerò CF) I, LVII, 59. È notevole il titolo di
beatus attribuito a Ildemaro nel cod. paolino.

(3) Testamentum Bernonis Abbatis. « Deposco ... quatenus modum conversationis
huc usque retentum, tam in psalmodia, quam in observatione silentii, sed et in qua-
litate vietus et vestitus ... sic deinceps custodiatur ». Act. SS. O. S. B., saec. V, pa-
gina 87; anche nella vita cit. di sant'Oddone: Nostis consuetudinem Bernonis ab-
batis? ehu! ehu! quam dure scit ille monachum tractare! Correptionem vero suam
sequuntur verbera, et rursus quos verberat compendibus ligat, domat carcere, ie-
iuniis atterit. », Lib. I, 29.

(4) Op. cit., Lib. T, c. XXX-XXI.

(5) Cf. ALBERS, Consuet. Cluniac. Antiq., X-XI.

(0) B. ALBERS, Die consuetudines farfenses und cod. Lat. Vatic. 6808, in Stu-
dien und Mittheilungen aus dem Benedict. un dem Cisterc. orden., ann. 1898, fasc. 1;
Untersuchungen zu den áltesten Mónchsgewohnheitein. Eim Beitrag zur Benedicti-
nerordengeschichte des X-XI Iahrhunderts. in Veróffentlichungen aus dem Kirchen-
historischen Seminar Munchen, II Reihe, n. 8 (1905).
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 675
mss., l'uno vaticano, paolino l'altro (1). Ne trovo un terzo nel-
lantico catalogo della biblioteca del monastero di sant'Euti-
chio a Norcia, ma s'ignora se esiste ancora, e dove (2). Il
primo ms. appartenne certamente a Farfa, ed é il testo ac-
cettato dall'Albers nella sua recente edizione delle Consue-
tudines, mentre l' Herrgott si servi più spesso del secondo,
cui dette il titolo: « Guidonis, disciplina farfensis et sancti
Pauli Romae » (3). Il dotto monaco samblasiano credette fuori
di dubbio all'origine romana del codice, che però, siccome
pareechi altri stampati della biblioteca paolina, in tre pagine
diverse reca lo stemma del monastero di Monserrato in
Ispagna (4).

Il ms. vaticano è stato già descritto dal suo recente
editore; ci rimane a dire del secondo.

È di 76 fogli 24 Xx 16, ma mutilo in principio, nel corpo
e in fine. È tutto della stessa mano (XII secolo), salvo le
annotazioni marginali colla descrizione degli ornamenti della
Chiesa nei giorni di festa; le iniziali sono dipinte col minio,
col quale è pure disegnato al foglio 26 un bastone pasto-
rale (5).

Disgraziatamente, non comincia che al foglio 20, e que-
sta stessa numerazione presuppone una mutilazione assai più
antica, giacchè per tutto il proemio, la prefazione e 53 ca-
pitoli del primo libro, rappresentati dalle 20 pagine man-
canti, dobbiamo servirci unicamente del ms. vaticano. Al
tempo del Mabillon, il codice era già a san Paolo di Roma,
e i fogli mancanti andarono quindi dispersi anteriormente
al controllo della marca di Monserrato (6).

(1) U. BERLIÈRE, Bullett. d'Histoire Bénédic. in Rev. Bénédict., 1900, n. 2,
pag. 164-66.

(2) Cf. BECKER, Catalogi, pag. 218, n.99 (23) — « Liber ordinis Cluniensis et
Farfensis ».

(3) Vetus disciplina monastica, Parisiis, C. Osmont, 1776, in 40, pagg. 37-132.

(4) Cioé al fol. 21, ove incomincia la parte superstite, fol. 22, e. 172, ove ter-
mina monco.

(b) Vi si descrive la cerimonia per la consegna della ferula abbaziale.
(0) Anal. Bened., IV, 209.

È a TR
= KT ERES

ASTE
om I. SCHUSTER

L’opera è divisa in due parti. Nel primo libro è de-
scritta l’ufficiatura liturgica durante l’anno, e nel secondo si
tratta degli obblighi dell'Abbate, del preposito, del cellerario
e degli altri ufficiali del monastero; precedono due prologhi
in prosa e uno in versi, in cui il compilatore tesse la storia
dello scritto ».

« Nel secolo decimo, caduta in generale disprezzo la vita
monastica, Dio volle restituirla all'antico splendore per opera
degli abbati Romualdo e Ugo, che, entrato di buon' ora nelle
intenzioni del celebre eremita, ne fu imitatore fedele e va-
lido sostegno nella lotta durata per l'ideale comune. Ro-
mualdo divenne padre di molti cenobi d'uomini e di vergini,
e Ugo, più modesto nelle sue imprese, risollevò dalle rovine
morali quello di Farfa, in cui per consiglio d’Odilone intro-
dusse i riti e le usanze di Cluny. E perchè uno dei disce-
poli di Romualdo per nome Giovanni, verso quello stesso
tempo era stato nelle Gallie a trascrivervi gli statuti clu-
niacensi a uso del proprio cenobio di san Salvatore nelle
Puglie, cosi i monaci di Farfa, senza rifar da capo il lavoro,
adottarono tal quale l'opera di Giovanni (1) ».

Qui sorge spontanea la domanda: chi è cotesto Giovanni,
autore dell' « ordo » in questione? In mancanza di docu-
menti non possiamo proporre che ipotesi. In sul principio,
si pensa subito a quel Giovanni Gradonigo, discepolo di san
Romualdo, che, dopo trascorsi quattro anni nel monastero di
san Michele di Cuza in Ispagna, se ne tornó in Italia e mori
nei dintorni di Monte Cassino; traversando le Gallie eeli
avrebbe potuto facilmente fermarsi a Cluny a trascrivervi
le Consuetudines. Ma l'ipotesi incontra serie difficoltà in due
testi di Pier Damiani (2) e di Pietro Diacono (3), che ci descri-

vono il Gradonigo siccome un eremita nei dintorni del cenobio

(1) Cr., 1-2.

(2) Vit. S. Romualdi, CLV. Act. SS. Febr. II, VII.

(3) De ortu. et obitu iustorum cassinensium, c.56,in Patrol. Latina, ediz. Migne;
(d'ora innanzi la citerò PL), CLXXIII, pagg. 1111-1112.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA DR
cassinese, mentre il Giovanni del prologo è un monaco di
san Salvatore nelle Puglie sotto il governo dell’abbate Ioseph.

Anzi, neppure il tempo coincide, giacchè, come tosto
vedremo, i termini estremi tra i quali conviene assegnare
l’ultima redazione dell’ « ordo », sono il 1030 e il 1046,
mentre già verso il 987, ossia dopo il ritorno dalla Spagna,
Giovanni, Olibano e Marino, discepoli di Romualdo, comin-
ciarono ad abitare nell’ Italia meridionale (1). Marino, per
testimonianza del Damiani, si ritirò nelle Puglie, ove fu uc-
ciso da alcuni ladri (2).

Le relazioni dei farfensi, e specialmente d’Ugo, coi mo-
naci di san Pietro d’Avellana potrebbero far pensare ancora
a quell’altro Giovanni, ora discepolo, ora preposito di san
Domenico da Foligno, il quale dovette aver contratto ami-
cizia coi Monaci di Farfa fin da quando abitò nel vicino
monastero di san Salvatore di Scandrilia (3). Nè questa carità
venne mai meno tra gli Avellaniti, neppure quando san Do-
menico andò ad abitare altrove, e fu anzi a uno di loro, a
Sant’ Amico, che Dio rivelò la morte d' Ugo nel medesimo
istante che l’illustre abbate cessava di vivere (4).

Ma innanzi di procedere oltre, a distinguere quello ch'è
documentariamente accertato da quanto propongo come mera
congettura, ecco i capisaldi che ci forniscono i documenti,
e che perciò sono fuori di discussione.

a) La redazione del monaco Giovanni venne fatta in
vista del monastero di san Salvatore in Apulia.

b) I farfensi ebbero relazioni con san Romualdo e coi
suoi primi compagni.

c) Quest'ultimi cominciarono ad abitare l’Italia meri
dionale verso il 987, dopo la morte di san Pietro Orseolo.

(1) MITTARELLI, Azwal. Camald., I, pag. 150 sgg.; Cf. H. ToLRa, Saint Pierre

Orscolo, doge de Venise (928-987), Paris, Fontemoing, 1897, in 8°.
(2) S. PETRI DAMIANI, Vita s. Romualdi, loc. cit.

(3) Act. SS. O. S. B., saec. V, p. I, 358. Fu prima monaco sotto l'abbate Donnone :

nel monastero di Pietra-Demone in Sabina, appartenente a Farfa, op. cit., 357.
(4) Vita secunda s. Amici, in Act. SS. Nov. II, pars prior, die III, pagg. 89-102.
618 I. SCHUSTER

Stabilita cosi quest'ultima data, come quella oltre la quale
non conviene rimandare l'opera di Giovanni, si domanda:
che lavoro fu il suo? semplice trascrizione, compilazione
degli antichi statuti cluniacensi, o composizione originale,
sia pure d’adattamento e in vista del monastero di san Sal.
vatore? Infine, che parte ebbe Farfa nella redazione attuale
del testo dei mss. che conosciamo ?

In mancanza d’argomenti estrinseci, non ci rimangono
che gl’ interni, che però sono numerosi. Collazionando fra
loro V-P, non si può fare a meno di non notare un gran
numero di varianti, tanto che si direbbero quasi due opere
diverse, se la più stretta dipendenza verbale di P. da V.
non facesse escludere l'ipotesi d'una doppia e distinta reda-
zione. La moltiplicità di queste varianti era stata già avvertita
dall'Herrgott e recentemente dall'Albers, il quale credette di
poterla spiegare riconoscendo in P. prima il testo della di-
sciplina Farfense modificata in Roma per uso del monastero
di san Paolo, poi una derivazione cluniacense, propria del
cenobio di Gorzia. Il solo codice vaticano rappresenterebbe
il testo genuino delle « consuetudini » di Farfa.

Ma da un esame minuto risulta che le varianti di P. non
rappresentano solo cambiamenti accidentali suggeriti da circo-
stanze particolari alquanto diverse, ma sono uno spoglio si-
stematico delle localizzazioni di V. Non posso dilungarmi
soverchio e mi limito ai raffronti puramente necessarî.

Tanto V. che P. nel primo libro descrivono l'ordine
degli uffici liturgici nelle varie solennità dell'anno, pompose
e magnifiche nel primo, molto più modeste nel secondo. Ec-
cone aleuni esempi.

VS

In nativitate sanctae mariae,
prius quam sonentur vesperae, or-
netur presbyterium atque chorus

palliis et ideireo cooptent bancalia.

p

In nativitate sce Mariae priu-
squam sonentur vespere ornentur
altaria et omnia ecclesia. Super for-

mas sternant tapetia... Ad cantica
Ante arcum extendant pallium.
Textes evangeliorum in altare ma-
jori omnes ponant et quinque cerei
accendantur ante ipsum. In alia
altaria, quae juxta sunt, unus tan-
tummodo et sint sericis decorata,
tam.ista quam illa, quae in cripta
sunt sita. Super formulas tapetia...
Ad cantica augescant quindecim
cerei in pertica et duo ante aram
majorem et duo posterius in ma-
teria lignorum... Ante primam ac-
cipiant procuratores refectorii squil-
las argenteas necnon et bancalia
atque mantiles ad decorandam ip-
sam edem. Similiter secretarii sua
bancalia in capitulo ordinent. In
horis tria luminaria accendant ante
faciem arae. Missam matutinalem

de sancto Adriano... (1).

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 679

augescant quindecim candele in
pertica... Missam matutinalem de
sco Adriano... (2).

L'intento di P. di semplificare V. apparisce più mani.
festo nel passo. seguente, ove, soppresso un tratto abbastanza
lungo del cerimoniale, il redattore unisce le parti superstiti

in una maniera assai poco felice.

M

Vigilia Pentecostes ante primam
adornant monasterium et basilicam
sanete marie, capitulum, refecto-
rium per omnia sicuti sabbato san-

eto, videlicet cum cornui lineis et

(1) CF., I, 108-109.

Pp:

Vigilia Pentecostes ante Pri-
mam adornent monasterium et per
omnia sieut sabbato sancto. Vide-

licet ad primam agant letania.

(2) L'edizione dell'Herrgott non può affatto servire per il confronto, giacché,

come nel caso presente, combina i due testi. Avverto che una mano posteriore ha

notato in margine a P. le varianti di V.
I. SCHUSTER
680

palleis per parietes undique. For-
mulas tapetia, chorum eireumdent
sagmae. Arcum principalem ma-
gnis ornamentis, instrumentis aptis
pro ea re expositi, ponant egliphy-
natum ex pieturis variis. Impri-
mis altaria debent adornare et
evangeliorum textibus auro gemmi-
sque operti satque aliis argento in-
dusis, in majus scilicet altare, nec-
non et erucifixos vel cruces, quas
in lignorum materiae post ipsam
aram ordinent et quaecumque ibi
sunt recondite filacteriae; tune de-
bent vestire se secretarii albis cum
accipiant ipsas inde et ante majo-
rem altare in pertica suspendant
et altariola atque auream coronam ;
eadem de capsis faciant. Tabulas
quidem eum imaginibus sanctorum
auro textas ante arcum principa-
lem eollocent. Cortinas lineas su-
tores famuli appendant, lineas au-
tem custodes nemorum, pallia tan-.
tum procurentur ordinare secreta-
ri. Curatores refectorii accipiant
bancalia ex secretario ad ornanda
sedilia et squilae argenteae acci-
piautur a camerario, quae sedeant
octavis tantum et mantilia dentur,
quae maneant diebus quatuor. Ad

primam agant laetaniam etc. (1).

Quest'altro brano, oltre il dimostrarci meglio il criterio
del redattore P, si oppone evidentemente all' identificazione
dell'opera coll’ « Ordo » della badia ostiense.

(1) CF., I, 72-73.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA

1 Ma P,
In commemoratione santi Pauli. In sci Pauli ad invitatorium
Ad Vitatorium duo sint cireumdati duo sint in cappis.... In laude i
cappis.... Primo et secundo no- ymnus Doctor egregie. Antiphona
cturno tria candelabra sint ante . et oratio ipsius et postmodum de
altare, retro unum.... Ad cantica sco petro cum gloria; deinde bapti- i i ]
augeantur duo cerei ante aram. ste. Ad missam matutinalem de |

ietro similiter in pertica quinde- sco Petro ete.
cim. In laude ymnus, Doctor egre-

gie. Quem dicunt sicuti ipsi ver- i
sus afixi sunt in ymnorum libro
usque in finem. Sacerdos sit in
cappa altaria cireumdando incenso.
Postmodum repetant antiphonam
ex apostolo petro, dein saneti jo-
hannis baptistae. In horis tria lu-
minaria adsint. Ad missam matu-

tinalem de santo Petro etc (1). |
I
i

Simili raffronti potrebbero moltiplicarsi assai; ho notato
più d'una cinquantina di passi, nei quali P. sopprime quanto
V. ha di più pomposo e splendido nell’ ufficio liturgico.

Anche il confronto dei due feriali; quali risultano dal I
libro delle Consuetudini, non è senza importanza. Disgrazia-

tamente P. e mutilo è incomincia solo colla domenica delle
Palme, ma sì l’uno che l’altro non hanno nulla di comune

cogli autentici feriali farfensi d'imminente pubblicazione, nei
quali il numero degli elementi abbastanza notevoli tratti
dalla liturgia gallicana riflettono a maraviglia l'indole poli-
tica del monastero, durante i suoi primi centocinquant' anni,
in cui fu governato da abbati Franchi. Tra questi, Alano —
almeno sappiamo solo di lui — ebbe lode di restauratore
della liturgia, e ci avanza ancora il suo doppio prologo
all Omiliario, che compose verisimilmente nel romitorio

(1) CF., I, 87-88.
O I. SCHUSTER
682 S

presso la basilica di san Martino sull'Acuziano, tra il 1407-
159? L’opera è indirizzata a Fulcoaldo, che appunto dentro
quel termine di anni moderò le sorti della Badia (1). Alano
aecenna « solemnitatibus Christi domini nostri, apostolo-
rumque eius ae martyrum et confessorum », ma questo gran
numero di festività che si riscontra sui passionarî del
Cenobio, deve intendersi nel senso di semplici commemo-
razioni aggiunte nell ufficio feriale, confermandolo esplicita-
mente un Breviario Farfense dell’ XI secolo (Bibliot. Nazion.
Roma. cod. sign. Farfa XL, 32) (2) « Pars aestiva. Incipiunt
festa sanctorum ... quae forte si in dominicis evenerint diebus,
tantum in tertio nocturno legantur cum prescriptis omiliis.
Aliter autem apud nos minime leguntur » ; e la ragione è
chiara, perchè d'estate, come ordina la « Regula sancta »,
« omnis psalmodiae quantitas teneatur; excepto quod lec-
tiones in codice propter brevitatem noctium minime legan-
tur » (Cap. X). Solo nella domenica le « Vigiliae » avevano
pressochè l'istesso cerimoniale si d'estate che d'inverno
(Cap. XI) (3).

È poi da avvertire che generalmente le feste annotate
da V. e soppresse in P. sono d'origine o almeno di devozione
cluniacense, ad eccezione di poche, omesse forse per inav-
vertenza, come quella di S. Marco e di san Pietro e Mar-
cellino; la messa mattutina di san Cesario, il giorno di tutti

(1) Cf. A. RATTI, L'omiliario detto di Carlo Magno e Vomiliario di Alano di
Farfa, in Rendiconti dell’Istit. lombardo di scienze e lett., II, 33, (1900).

(2) Chron. farf., I, 22, nota 1.

(3) Quasi tutte queste solennità nei lezionari non hanno che tre lezioni, giac-
ché l'ordine dei notturni e dei salmi era il feriale, distinto in ciascun giorno della
settimana. È degno d'osservazione il cod. sig. 278, 27, fondo Farfa nella bibliot. Na-
zionale a Roma, ove con le omilie di sant'Ambrogio, divise per ciascuna solennità
dell'anno, é una « descriptio palatii imp-rialis », certamente non quello che si poe-
teggiò a Farfa, a Spoleto o sul Palatino (DE Rossi, Roma Sotterr., III, 458 50; Ma-
BILTON, Ann4a1., II, 383; MURATORI, Annali d'Italia, anno 814; FATTESCUI, Memorie
storiche-diplomatiche dal ducato di Spoleto, pagg. 105-07, 349), una dimora ideale
qualsiasi, concepita, per esempio, nella corte d'Ottone III : cf. G. SORDINI, La pretesa
descrizione del palazzo ducale di Spoleto scoperta e pubblicata dal Mabillon, in que-
Bullettino XIII, 1908, pagg. 455-07.
L'ABBATE UGO.I E LA RIFORMA DI FARFA 683

i Santi, notata in P. è omessa in V; però Udalrico e Ber-
nardo nei loro « Ordo cluniacensis » la ricordano ambedue,
assegnandola al di seguente (1).

Non poche feste di V. sono di carattere assolutamente
locale, come le due memorie di san Marcello nel mese di
gennaio (2) e di settembre, la traslazione di san Gregorio
in luglio, santa Consorzia e diverse altre. Spesso ancora vi
si ricorda l'addobbo dell'altare dedicato ad un santo, san Gio-
vanni per esempio, san Martino, sant'Agata nel giorno della
festa; nel di di san Maiolo si fa una processione alla chiesa
a lui intitolata.

Evidentemente, gli elementi puramente locali traspari-
scono tanto dalla redazione V., da farci conchiudere, che la
prima intenzione dell'autore fu di scrivere per utilità di un
monastero particolare — pur non escludendo l' adattamento
possibile del suo ordine in altri cenobi. — Cito un sol testo
a dimostrarlo:

« Exceptio sancti Gregorii papae apud cluniacum tertio
decimo Kalendae augusti celebrabitur ita ... Hoc vero dignum
duximus scribere, ut in illis caenobiis, quibus imitari cu-
piunt hunc consuetudinem, ita e suis reliquiis susceptionis
efficiant secundum suam dignitatem » (3).

Rimane pertanto la questione: per qual monastero furono
scritte le « consuetudines »?

Innanzi di rispondere, é da distinguere di nuovo la dop-
pia redazione V. e P. Quest'ultima, sopprimendo tutti, o quasi
tutti gli elementi locali di V, è di facile adattamento in ogni
monastero, senza peró rappresentare mai il proprio e pecu-
liare codice monasteriale.

La questione resta adunque intatta per il solo V, che
noi allora potremmo identificare siccome l’ ordine d' un mo-

(1) BERNaARDI,Consuel. Cluniac., L. II, c. 32, ediz. Herrgott cit., pag. 353; UDAL-
RICI, Consuet. Cluniac., I, 42, PL. CXLIX, pag. 688.

(2) Cf. ALBERS, Consuet. Cluniac. antiq. C., pag. 60.
(8 CF., 93-04.
I. SCHUSTER
684 BS

nastero determinato, quando avremo dimostrato che tutti
i suoi elementi locali si riferiscono appunto alle condizioni
particolari di quel cenobio.

Lo diciamo subito: sembraci che V. rappresenti il testo
dell’ordo clwniacensis redatto, se non semplicemente trascritto,
dal monaco Giovanni ai tempi di sant'Odilone, e cercheremo
di dimostrarlo brevemente.

Trasportiamoci per un poco col pensiero alla splendida
basiliea degli Apostoli nel cenobio cluniacense. Sebbene
vasta, pure ai tempi di sant'Odilone non ha ancora quelle
proporzioni gigantesche che ebbe più tardi sotto sant’ Ugo,
(1088-1131), e l’edificio, adorno d’oro e di drappi preziosi, può
dirsi tuttavia nuovo, essendo stato consacrato il 14 feb-
braio 982. Presso l’altare era riposta un’urna, arrecata da
alcuni discepoli di Sant? Oddone riparati a Cluny dal mo-
nastero di san Paolo di Roma, siccome quella che racchiu-
deva: le ceneri dei Principi degli Apostoli (1).

Lungo le navate laterali sono gli altari dedicati a san
Martino, a san Benedetto, alla santa Vergine, (2) al Bat-
tista (3) e alla santa Croce (4); poco lungi è l’antico oratorio
di santa Maria, vicino all’ infermeria, ove ufficiano i monaci
infermieci o convalescenti (5), mentre la numerosa comu-
nità compie le funzioni liturgiche nella Basilica degli Apo-
stoli, che comincia a divenire troppo angusta a sì gran nu-
mero di persone (6).

L'edificio, oltre le preziose memorie che vi si riferiscono,
è più ancor venerabile * per le sante reliquie che vi sono

(1) HucoNiIs, Epist. ad Pontium abb., in Bibliotheca Cluniacensis, Lutetiae Pa-
risiorum, MDCXIV, pag. 560.

(2) UDALRICI, Consuet. Cluniac., I, 32, PL. CXLIX, pag. 679.

(3) Op. cit,, III, c. 8, 746; c. 22, 764.

(4) Op. cit., I, c. 12, 658.

(9) Op. cit.; III, c. 27, 770 , c. 29, 7185 I, c. 10, 654.

(6) Miracula s. Hugonis, XII, in Bibl. Clun., pagg. 457-58.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI PARFA 685

conservate. V'é l' urna colle ossa di san Marcello (1), un’al-
tra con una parte del corpo di san Gregorio (2) un brac-
cio di san Mauro (3), una particella del legno della santa
Croce (4) e un ricco quadro ove intorno ad una immagine
di san Pietro sono disposti molti ricordi di santi (5).

Nei di solenni si espone con pompa e si porta in pro-
cessione un globo d'oro, tempestato di gemme e sormontato
da una croce, donato nel 1014 da Benedetto VIII a Enrico II,
il di della sua coronazione, e che il pio Imperatore aveva
offerto ai monaci di Cluny (6) perché pregassero per lui.
I cluniacensi infatti trascorrevano in coro la più gran
parte del di; e, oltre alle due messe solenni (7) quotidiane,
cui assisteva tutta la comunità, le aggiunte al divino Uffi-
cio (8) e le frequenti processioni erano tali, che scusavano
il loro nutrimento alquanto abbondante, del quale si scanda-
lizzava per altro l'austero Pier Damiani (9).

Processioni solenni erano quelle che si facevano per
Pasqua (10), Pentecoste (11), la festa di san Maiolo (12), san Pie-
tro e san Paolo (15), le Rogazioni (14) e l'Assunzione della

(1) S. Ugo, prossimo a morire, volle venerarla un'ultima volta, e san Pietro il
Venerabile compose un panegirico in onore del Santo. Cf. HILDEBERTUS, Vit. S. Ugo-
^is, in Biblioth. Clun., 436; Chron..Cluniac., in Biblioth. cit. 591.

(2) UDALRICUS, Op. cit., I, c. 11, 655.

(3) Una parte del braccio di sant'Odilone l'invio in dono ai Cassinesi. Cf. Biblioth
cit., pag. 337.

(4) UDALRICUS, Op. cit., I, c. 13, 662; c. 38,.084-85.

(5) UDALRICUS, op. cit., III, c. 15, 759; il Mabillon ricorda la refuta d'alcune de-
cime in favore di Cluny fatta da « Helmeradus episc. regensis », « coram reliquiis
in imagine sancti Petri contentis ». Act. SS. O. S. B. saec. V. Elogium. histor. s. Ber-
nonis, C. IV; Cf. ALBERS, Consuet. Cluniac. Antig., B, Bl, pag. 15.

(6) Glabri Rodulphi Histor., I, 5. PL. CXLII, 626.

(7) UDALRICUS, Op. cit., T, c. 6, 651.

(8) UDALRICUS, op. cit., I, c. 30, 676.
(9) Miracul. s. Hugonis, c. 18, in Biblioth. Cluniac., p. 461.
(10) UDALRICUS, op. cit., I, 15, 664.
(11) Id.; op. cit., I, c. 24, 671.
(12) La processione alla chiesa del Santo si compiva anche nella « dominica
palmarum ». Cf. UDALRICUS, op. cit.. I, c. 54, 698.
(13) UDALRICUS, Op. cit., I, c. 33, 681.
(14) Id., op. cii., I, 21, 670.

C C XL
686 I. SCHUSTER

santa Vergine (1); si portavano allora in trionfo le reliquie
dei Santi, l'imagine di san Pietro, il codice dei vangeli, l'urna
di san Marcello e l'aequa benedetta (2).

Alquanto piü semplici per la festa di san Benedetto,
san Giovanni Battista, san Martino (3), per le due solennità
della santa Croce (4) e in parecchie altre circostanze del-
l’anno (5). -.

Adesso lasciamo per poco Cluny colle sue solennità e
torniamo ad esaminare i nostri due mss. V. P. V. premette
al secondo libro una prefazione metrica seguita dalla descri-
zione topografica dell’edificio monastico (6); P. è più breve,
e pur conservando la rubrica di V., « Incipit liber secun-
dus in cottidiani diebus procurandum secundum regula sancti
Benedicti, imprimis metrice dictus », omette però la prefa-
zione e il primo capitolo, cominciando subito col secondo:
« quo modo agendum sit de novitiis ».

Esaminiamo adunque la descrizione topografica del ce-
nobio.

La ehiesa ha proporzioni abbastanza vaste, 140 piedi di
lunghezza, 40 di larghezza ed è illuminata da 160 finestre.
L'aula capitolare ha 12 balconi verso ovest e misura 45
piedi per lungo, 34 per largo; innanzi alla porta della chiese
‘è un portico con due torri e ivi presso un cimitero; l'ora-
torio dedicato alla santa Vergine sta vicino all'infermeria.

Un immenso palazzo è destinato ad accogliere i nume-
rosi ospiti che frequentano il Cenobio, mentre in una scu-
deria lunga 280 piedi è preparato tutto il necessario per le
loro cavalcature. Il monastero, colle sue cappelle, palazzi,
laboratori, è circondato di mura all'intorno, e da una porta
all'altra corrono 280 piedi di distanza.

(1) Id., op. cit., I, c. 36, 683.

(2)-1d,, ope cit , I, c. 21,6705 III, c. 16; 651.
(3) 1d., op. cit., I, 32, 079.

(4) Id., op. cit., I, c. 38, pagg. 684 85.

(5) Id., op. cit., c. 11, 654.

(0) CF., 136 sgg.
Y

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 681

Orbene, tutta questa descrizione corrisponde esattamente
colla topografia di Cluny, e poco o nulla con quella di Farfa;
eccone alcuni punti per il confronto.

Cod. V. (1).

Ecclesia longitudinis ete.

Galilea... et duo turres in fronte
constitutae et supter ipsas atrium
est ubi laici stant ut non impe-
diant processionem... Iuxta Gali-
leam constructum debet esse pala-
tium...adrecipiendum omnes super-
venientes homines... In fronte ip-
sius sit alia domus... Inter istam
mansionem et sacristiam atque aec-
clesiam necnon galileam sit coe-
meterium ubi laici sepeliantur. Sa-
cristiae pedes longitudinis ... cum
turre quae in capite eius consti-
tuta est. Oratorium sanetae ma-
riae... prima cellula infirmorum...
(Dall’ altro lato) Acclesia... capi-
tulum... dormitorium... calefacto-
rium... A ianua eeclesiae usque
ad ostium calefactorii pedes LXXV

Refectorium ... coquina: regu-
laris, ... cellarii longitudo ... cella

aelemosynarum ... galilea.

(1) CF., loc. cit.

(2) UDALRICUS, Op. Cit., I, c. 10, 654.

Consuet. Cluniac. Uldarici. (2).

(sacerdos) perlustrat claustri of-
fieinas ... Primum, domum infir-
morum ; 2 dormitorium ; 3 refecto-
rium ; 4 coquinam regularem ; 5 cel-
larium. Conventus eum expectando
facit primam stationem in ecclesia
Sanctae Mariae ...; secunda ante
dormitorium; tertia ante refecto-
rium; quarta simul cum ipso in
vestibulo eeclesiae; quinta ... ad
sanctam Crucem (3).

In ecclesiam redeamus ... pro-
ceditur per coemeterium ad eccle-
siam sanctae Mariae (4).

(prior) Videt si omnia claustri
ostia sunt clausa; perlustrat dor-
mitorium a fine usque ad finem,
nec minus ad ipsas necessarias.
Pergit in domum infirmorum ut
videat per omnia quo modo se ha-
beant infirmi. Redit per ecclesiam
sanetae Mariae in majorem eccle-
siam. (5).

Si vedere gestiunt officinas clau-
stri ... inducit eos ... primum in

domum aelemosynariam, in cella-

(3 Aveva un altare nella basilica degli Apostoli. UDALRICUS, Op. cit., I. c. 12, 658.

(4) UDALRICUS, Op. Cit., I, c. 29, 675.
(5) Id., op. cit., I, c, 41, 687.
688 I. SCHUSTER

rium, in coquinam, in refectorium,
in cellam novitioruum, in dormi-

torium, in domum infirmorum (1).

Tanto splendore e magnificenza di edifici era talmente
lungi da Farfa, che pochi anni dopo la morte d' Ugo i mo-
naci vagheggiavano già l'ardito disegno di abbandonare de-
finitivamente il cadente monastero ai piedi dell'Acuziano,
per edificarne di sana pianta un nuovo sulla cima del
monte (2). E infatti, verso il 1097 incominciarono i lavori co-
lossali, ma il pessimo governo di Berardo II, quinto succes-
sore d'Ugo, impedi che fossero proseguiti.

Al tempo poi della riforma cluniacense Farfa appena
aveva avuto tempo di riaversi dalle passate rovine, né la
sua posizione sul ripido dorso d'una montagna potè mai per-
mettere un dilatarsi soverchio dell'edificio. Via, una scuderia
di 280 piedi si puó lasciar correre, ma i dodici balconi del
capitolo ricordati in V. sarebbero stati proprio assurdi, men-
tre appunto ad ovest l'Aeuziano s'innalza sì ripido, da non
permettere all’occhio neppure la libera vista del bel cielo
di Sabina!

È somma sventura che non ci rimanga alcuna descri-
Zione topografica di Farfa.

È vero che Ugo al principio della « Destructio farfensis »
ce ne dà brevi notizie, ma, non essendo testimonio di veduta
e riferendosi ad un periodo anteriore a lui d'un buon secolo,
anch'egli è necessariamente un po’ vago. Del resto si sa che

(1) Id., op. cit., III. c. 22, 765.

(2) MG. SS., XI, 564. Sulla vetta dell'Acuziano sono ancora in piedi le mura
della basilica incominc:ata da Berardo II. È maestosa, ma é tuttavia lungi dalle di-
mensioni colossali assegnate da V. In seguito l’ardito diseyno vagheggiato nuova-
mente dal pio abbate Adinolfo venne abbandonato, e il monte colle sue tre chiese
di sant'Antimo, san Gregorio e san Martino continuò a essere, come ai tempi di A-
lano, l'eremitaggio dei Farfensi e la dimora che li riparò talvolta dai calori soffo-
canti della canicola. Cf. il mio art. cit. Della basilica di san Martino sui monte Acu-
ziano e d’alcuni ricordi farfensi, in Nuovo Bullett. d'Archeol. Cristiana, VIII, pa-
gine 47 54.
.L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 689

gli edifiei che descrive, a eccezione della basilica di san
Pietro e del Castello presso l'oratorio di san Lorenzo al di
là del rivo Riana, non esistevano più ai suoi tempi (1).
Solo tra i numerosi documenti del Regesto troviamo al-
cune menzioni topografiche del monastero. Spesso vi si ri-
cordano le chiese della santa Croce (2) del Salvatore (3),
di san Benedetto (4), la « caminata domni abbatis » (5) e
una volta anche una casa presso la porta di Farfa (6).
È poco, ma aggiungendo questi dati a quelli enunciati
di sopra, crediamo di averne già abbastanza per dedurne :

a) La topografia descritta da V. conviene interamente
al monastero di Cluny.

5b) Lo splendore e la grandezza delle fabbriche di cui
parla V. si adattano male alla posizione ristretta e allo stato
fatiscente del monastero di Farfa nel secolo XI.

c) Alcuni dati topografici del cenobio farfense non si
accordano affatto con quelli che si ritrovano in V. (Per
esempio: Farfa: chiesa della santa Croce; V.: altare di santa
Croce nella chiesa maggiore. — Farfa: Basilica e portico di
san Pietro; V. non ne fa memoria, neppure nella descrizione
generale del cenobio. — Farfa: Basilica di santa Maria, chiesa
principale del monastero; V.: chiesa di santa Maria, oratorio
dell’infermeria. — Farfa: « ecclesia sci Benedicti infra ipsum
coenobium »; V.: altare in chiesa.

Notammo già sopra che l’ufficiatura liturgica descritta
nel primo libro delle consuetudini, mentre in P. tende a
spogliarsi d’ogni impronta locale, in V. ne conserva tante, da

(1) Non potendo svolgere colla necessaria ampiezza questo punto assai impor-
tante dell'antica topografia farfense, rimando i lettori a uno speciale lavoro che mi
propongo di fare su tale soggetto.

(2) Reg. farf., IV, doc. 851, pag. 247; doc. 868, pag. 263.

(3) Construct. farf., 22.

(4) Reg. farf., III, doc. 433, pag. 146.

(5) Op. cit., IV, doc. 855, pag--251; doc. 863, pag. 259.

(6) Op. cit., III, doc. 464, pag. 175.
690 i. SCHUSTER

farci dedurre che la redazione o composizione venne fatta.
in vista d'un monastero determinato.

Gli elementi topografici già osservati ci hanno fatto fin
qui conchiudere per Cluny; esaminiamo se anche altri criteri
ec inducono alla medesima conclusione.

E per cominciare dalla Chiesa, non è inutile osservare
che gli altari ricordati da V. e omessi in P. si ritrovano
tutti, come già vedemmo, a Cluny, ancora prima dell’ ere-
zione della grande basilica ai tempi di sant’ Ugo.

v. Cluny
Altare di san Marcello (1) Altare di san Pietro (principale)

» san Martino (2) » san Martino

» santa Maria (3) » santa Maria

» san Benedetto (4) » san Benedetto

» san Giovanni (5) » san Giovanni

» santa Croce ecc. (6) » santa Croce ecc.

» santo Stefano (1) Basiliea di san Maiolo

Dasilica di san Maiolo (8) A

Ma più che gli altari, è mirabile l'idealità che si os-
serva tra le reliquie conservate a Cluny e quelle che ram-
menta .V. e in parte anche P. Facciamone il confronto:

v. i Cluny

In imagine saneti Petri conti- « De reliquiis sanetorum : Ima-

nentur hae reliquiae: portio de go autem beati Petri(9). quando

(1) CF., I, pagg. 21-22.
(2) CF., 127.

(3) CF., 41.

(4) CF., II, 104.

(0:0 E1582;

(6) CF., I, 57.
564-1, 712.

(8 CF., I, 66.

(9) CF., I, 44.
mure HH
Lr

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 691 BH
cruce domini, et de veste sanctae ^ suscipitur, antiphona primum, id "ARIA -
iM:
Maris etc. (1). est tu es pastor » etc. « Coram È

Portent duo vel quatuor imagi-
nem sancti Petri cum reliquiis (2)
Reliquiae saneti Marcelli martiris

cabilonensis et ossa sanctorum con-

id ì
fessorum Silvestri et agricolae, epi- gorii papae, Marcelli martyris | | | i
Vn i
scoporum cabilonensis civitatis cabilonensis, exceptio saneti | i in
In capsa argentea continetur cor- Marcelli papae (7). EHE
. . . . , | I ur
pus saneti Marcelli papae, et reli- Exiturus de hae Aegypto Dei IRE |
: : : : : t |
quiae de proprio corpore saneti famulus (Hugo) beati Marcelli cap- "a i
(if qp
Gregorii papae (3). sam sibi iubet praesentari (8). B *
Exceptio sancti Gregorii papae i ü
, i i
apud Cluniacum etc. (9). | i:
Unus ex sacerdotibus (accipiat) Imago autem Dei Genitricis so- HI |
J [o] 1 H
brachium sancti Mauri (4) Tabulam — lummodo in die natali domini, in | B
quoque debent accipere ... ubi purifieatione quoque et assump- 1 |
imago domini est depicta et geni- tione eiusdem gloriosae virginis Bil
tricis ejus (5). deportantur (10). 4 1^
Abbas (Casinensis)... suppliciter i
là i
i . oravit (odilonem) ut, si posset, BH |
particulam aliquam de beati Mauri BiU HE
reliquis ad monasterium istud ali- | i i
: 1
quando transmitteret. Quam postu- j i
; i i da |
lationem vir Dei laetus accipiens, et B
posse se confitenter asseruit... Post- 4 "i i
4 1 i
modum ... os integrum brachii bea- T | iid
B E
tissimi Mauri... per sex sui monaste- BM |
HE AHt
rii fratres hue delegare curavit (11). H | AM
A t BH |
(1) CF., II, 184. B o soe EE
(2) UDALRICUS, Op. cit., III, c. 15, 579. I ug Ji
(3) CF., II, 184. m it
(4) CF., I, 44. tl | | |
up |
(5) CF., I, 24. i |
(6) Act. SS. O. S. B., saec. V, pag. 82.
(7) Consuet. Clun. Bernardi, c. 49, pag. 242.
(8. HILDEBERTUS, Vit. s. Hugonis, in Biblioth. Clun. cit,, 436.

(9) CF., I, 93-04.

reliquiis in imagine sancti Petri
contentis » (6).
Harum festivitatum iste est nu-

merus ... exceptio reliquiarum Gre-

(10) Cons. Clun. Bernardi, I, ec. 50, pag. 245.

(11) Chron. Cassin. cit., c. 54."

DES Ene

== Z e TOI =
aree cn i cn -
E zog meg - 692 I. SCHUSTER

L'identità delle reliquie ricordate nelle « Consuetudini »
e quelle venerate a Cluny apparisce ancor piü manifesta
dal eonfronto dell'ordine tenuto jn quest'ultimo monastero in
occasione delle processioni solenni, quali per Pasqua e le
Rogazioni, colle varie disposizioni processionali descritte in
V. ed in P. Eccone alcuni esempi:
a) Consuetudin. Farfens. « Debent ita incedere ....

fanones, reliquias sanctorum Pa- Gregorii pp. — s. Marcelli pp. —
trum Imaginem sacti Petri

fanones turibulum

fanones Cassulam — Candelabrum

Crucem — Crucem turibulum — Textum

Aquam sanctam — Crucifixus Pomum — Candelabrum

Candelabrum — Crucem Brachium — Sacerdos

Textum — Sceptrum _- — (Tabulam gloriosae

Candelabrum — Sceptrum omitt.) (1).

b) (Consuet. Cluniac. Udalrici) « in principalibus fes-
tivitatibus processio per claustrum tam solennis agitur, ut
non solum cruces, sed etiam textus Evangelii, candelabra
et coetera quoque mobilia ornamenta portentur » (2) « San-
ctorum reliquiae crucicolis, capsulis et nuxis inclusae per
fratres a secretario dividuntur ... Crux et aqua benedicta et
textus Evangelii praefertur processioni » (3).

(Consuet. Cluniac. Bernardi) « Post tertiam agitiu pro-
cessio festiva per claustrum .. quae nimirum processio
hoc disponitur ordine. Primo loco ponitur aqua benedicta,
tres aureae Cruces, deinde Textus Evangeliorum duo, ha-
bentes utroque latere bis bina candelabra, ante se vero duo
turibula aurea .... Imagines Apostolorum Petri et Pauli in
illorum tantum modo solennitate portantur; imago autem Dei
Genitricis solummodo in die Natali Domini ... » (4).

(1) CF., I, 43-44.

(2) UDALRICUS, Op. Cit., I, c. 11, 656.

(3) Op. cit., 679.

(4) Consuet. Clun. Bernardi, I, 50, pag. 245.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 693

(Glabrii Rodulphi Histor. « Anno igitur Dominicae in
carnationis septingentesimo decimo, licet insigne illud impe-
riale diversis speciebus prius figuratum fuisset, a venerabili
tamen papa Benedicto sedis apostolicae fieri iussum est
admodum intellectuali specie idem insigne. Praecepit fabri-
cari quasi aureum pomum, atque circumdari per quadrum
pretiosissimis quibusque gemmis, ac desuper auream crucem
inseri .. Qui (Enrico II) protinus misit illud ad Cluniacense
monasterium Galliarum .. cui et alia dona plurima contu-
lerat ornamentorum » (1). i

(Ademaro nel Chronicon tra i doni di Enrico II al
monastero di Cluny enumera) « Sceptrum aureum, sphaera
aurea, vestimentum imperiale aureum, corona aurea, cruci-
fixus aureus, pensantia simul libras centum, et alia multa » (2).

L'identità tra le reliquie e gli altri ornamenti ricordati
dalle « Consuetudines Farfenses » e quelli conservati a
Cluny non può essere più manifesta.

Ad ogni modo, è da notare pel caso nostro 1 assoluta
assenza di qualsiasi elemento liturgico farfense, sia nella
doppia redazione del feriale sopra mezionato, sia nell’ enu-
merazione delle reliquie ricordate da V. e da P.

Eppure fin dai tempi di Gregorio IV il corpo del mar-
tire Alessandro, uno dei figli di santa Felicita, si diceva tra-
sferito da Roma a Farfa, ove era venerato insieme con san
Valentino e sant’Ilario nella cripta sotto 1’ oratorio del Sal-
vatore (3); e una bolla spuria attribuita a. Nicolò II, quando
. nel 1060 consacrò gli altari della basilica farfense, attesta la
ricognizione delle ossa del Martire, insieme a quelle di molti
altri Santi donate a Farfa da Gregorio IV (4).

- (1) Histor., I, c. 5 in P. L. CXLII, pagg. 625-20.
(2) Chron., III, P. L. CXLI, 54.
(3) Construct. Farf., I, 22.
(4) I. SCHUSTER, Spigolature farfensi. I Monumenti epigrafici, Estratto. Rivista
Storica Benedettina, fasc. VII-VIII, 1907, pagg. 12-13.
694 I. SCHUSTER

Rileviamo inoltre da altre fonti che san Lorenzo Siro (1),
san Tommaso abbate (2) una parte delle ossa di santa Vit-
toria, santo Stefano e i suoi figli martiri riposavano a Farfa

"4

‘già nell’ undecimo secolo, e vi riscuotevano celebre culto.

E perchè dunque le « Consuetudines », supposto siano
veramente le farfensi, di tanti e sì importanti elementi lo-
cali non fanno il menomo accenno, anche là ove, come nel
Feriale e nell'elenco delle Reliquie, avrebbero dovuto ne-
cessariamente parlarne ? (3) La spiegazione più ovvia di
questo silenzio, altrimenti inesplicabile, è che la raccolta in
questione non ha nulla di comune con Farfa.

Né basta ancora; anzi, molti degli elementi contenuti
nelle « Consuetudines » si oppongono alle istituzioni più te-
nacemente sostenute dai Farfensi, al loro modo di pensare
e di agire, che a nessuno possano venir tanto meno attribuite
quanto a loro.

Il carattere imperiale del cenobio di Farfa, determinato
definitivamente sotto Carlo Magno alla caduta del regno lon-
gobardo, e accentuatosi maggiormente per opera dell’abbate
Ingoald al tempo di Ludovico e di Lotario, fin dal 829 aveva
distaccato i Farfensi dalla soggezione politica della curia pa-
pale e del ducato di Roma per porli immediatamente sotto
quella dell’imperatore (4). Le lotte sorte di poi tra la Chiese

(1) Epist. L. I, n. 9. De abdicatione episcopatus. PL. CXLV, 425. Per la dona-
zione del corpo del santo martire Giacinto, fatta, dicesi, nel 970 da Giovanni III ab-
bate a Teodorico vescovo di Metz, affin d'ingraziarsi per di lui mezzo l'animo di '
Ottone II (?) ef. Act. SS., Septembr. III, die XI, pag. 753.

(2) Cf. cod. sign. 29 cit.

(3) In un mio scritto Di una Collezione d? Eulogie dei Luoghi Santi di Palestina,
in Nuovo Bullett. Archeologia Cristiana, VII, pagg. 259-268 ricordai altra volta alcune
reliquie custodite tuttora a Farfa e che corrispondevano alle altre menzionate nelle
CF. Ne dedussi allora l' identificazione e il tempo in cui vennero recate in Italia,
ma non avendo fatto special tema di studio la redazione CF, seguii anch'io 1 opi-
nione comune. Ora però ognun vede che la data da me proposta, fondata com’ era
su d'un falso supposto, non può più sostenersi, siccome pure l’altro fatto della coin-
cidenza delle Reliquie farfensi con CF. non può invocarsi a sostegno della pseudo-
patria di quest'ultime, quando simili ricordi di pietà erano abbastanza comuni in
tutta Europa, non esclusa la Sabina, dove ne ritrovai dei consimili.

(4) Reg. Farf., III, doc. 272, 224.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 695

ed i Cesari alemanni avevano resa sempre maggiore que-
st’ indipendenza, per modo che, quando da parte dei Papi si
venne ad una aperta rottura cogli imperatori, i Farfensi si
ritrovarono naturalmente dalla parte di quest’ ultimi, coin-
volgendo nel furore della lotta contro la persona di papa
Ildebrando, principii politici e religiosi (1).

Nè forse l’ impero ebbe mai sudditi più devoti alla sua
causa che a Farfa, ove l’ elezione dell’ abbate, le cause di
maggior momento, perfino l'alienazione dei beni badiali, al
meno per un certo tempo durante il secolo XI erano devolute
all’ imperatore, il quale gravava spesso i suoi diritti sulla
Badia annullando atti capitolari, rescindendo donazioni fatte
senza il suo consenso, e imponendo ad abbati persone di
propria scelta.

Tutto questo a Farfa, non solo non suscitò mai la mi-
nima opposizione (2), ma sembrò anzi la condizione più legit-
tima, notando i monaci con astuta compiacenza che la dimi-
nuzione della potestà pontificia in Italia segnava per il loro
monastero un’ epoca di rifiorimento, mentre aumentava il
credito del partito imperialistico (3)!

Di fronte a un tal linguaggio e a tali idee, che dura-
III (4), si pongano ora le pre-

-

rono a Farfa sino al secolo )

(1) Non erano estranee a queste animosità colla Corte romana gli interessi
economici lesi assai spesso dagli Actores del patrimonio pontificio in Sabina. I far-
fensi avevano compilato un lungo catalogo delle sofferte usurpazioni, cui così con-
chiude Gregorio di Catino: « Haec omnia idcirco hic adnotare curavimus ut... cu' c-
tis intimaremus nos a Sancta Romana Ecclesia multoties sustinuisse incommodita-

| tes; et non benevolentiam sed potius invidiam ; non benignitatem sed contradictio-
nem; non augmentum sed minorationem; non iustitias sed praeiudicia; non dili-
gentiam sed calumniam ; non augmentum, sed amplius detrimentum in nostris bonis
frequenter ab eis ». CAron. farf., I, 300.

(2) Reg. Farf., V, doc. 1I47, pag. 148.

(3) Mg. SS., XI, 584. Il libello che sintetizza meglio la politica teologico-civile
dei farfensi à l'Ortodoxa defensio imperialis. Ediz. Giorgi in Arch. Soc. Rom. Stor.

Patr., II, n. 4.

(4) C£..P. Kgun, Urkunden sur Geschichte von Farfa in XII Jahrhundert in
Quellen und Forschungen aus italienischen archiven u. s. w. herausgegeben von
Kónigliehen Preussischen Histor. Instit. in Rom., IX, !, pagg. 140-184.
696 I. SCHUSTER

scrizioni tutte devote ed umili delle « Consuetudines » ri-
euardo alla scelta ed alla ordinazione dell'Abbate, e si giu-
dichi se può essere un farfense quegli che prescrisse tali
riti.

« Primum eligitur ab omni congregatione in praesentia
episcopi eiusdem diocesis et senioris ad quem abbatia perti-
net (1). Altro che vescovo di Sabina e libertà d’ elezione !
Proprio allora fervevano aspre liti contro l'episcopio Sabinese,
e l'Imperatore cassava la nomina, prima d' Ugo, poi quella di
Guido, di Suppone e d'Almerico, imponendo ad abbate di Farfa
chi meglio gli andava a grado. L'esame degli altri capitoli
del secondo libro ci conduce parimenti alla stessa conclu-
sione. E cluniacensi infatti sono gli elementi che appariscono
per esempio, nel capitolo 30 e 31, ove si descrive l'ordine
da tenersi quando si trasferisce processionalmente qualche
reliquia di santi, san Marcello, per esempio (2); ordine che in
sostanza corrisponde esattamente a quello descritto da Ber-
nardo e da Uldarico (3).

Cluniacense è l'elenco degli altari, delle reliquie, delle
solennità liturgiche; forse l'iscrizione stessa incisa su di una
croce e riferita nelle « Consuetudines » (4) è composizione
di sant'Odilone, il quale, devotissimo com’ era, in un ser-
mone « de sancta Cruce » terminó appunto invocando il
santo Legno con tutti quei titoli che sono enumerati nell’ iscri-
zione (5) descritta da V. e P.

Il solo capitolo XXXVII del secondo libro presenta a
primo aspetto qualche difficoltà. Si parla infatti d'una « aec-
clesia ... quam priscis temporibus fundasti et sublimasti in
honorem beatae et gloriosae semper virginis mariae » (6);

(1) CF., II, c. 3, pag. 141.

(2) CF., II, 168 sgg.

(3) Cons. Clun. Bernardi, I, c. 56, pagg. 251-52; UDALRICUS, Op. Cit., III, c. 15,
pagg. 758-59.

(4) CF., II, c. 49, pag. 184.

(5) sermo XV. PL., CXLII, 1034.

(6) CF., II, c. 37, pag. 172.
L'ABBATE UGO 1 E LA RIFORMA DI FARFA 697

però nessun documento ci autorizza a vedervi necessaria-
mente un'allusione alla basilica farfense, mentre il contesto
esige che tali parole si riferiscano appunto alla Chiesa eretta
a Cluny in onore della Vergine ancor prima che venisse
fondato il cenobio (1).

« De propria trado dominatione Clugniacum scilicet vil-
lam ... et cappella quae est in honore sanctae Dei Genitri-
cis Mariae, et sancti Petri Apostolorum principis ». Così Gu- .
glielmo nel suo celebre testamento.

simili confronti tra gli usi di Cluny, le prescrizioni delle
« Consuetudines farfenses » e gli statuti peculiari del cele-
bre cenobio imperiale potrebbero moltiplicarsi, ma .sarebbe
assai lungo, e forse, dopo il detto fin qui, anche poco neces-
sario.

A. puro titolo d'erudizione aggiungo in nota alcuni nomi
di monaci farfensi, quelli cioè che potei rintracciare tra i
mumerosi documenti del Regesto dall'anno 998 al 1044, cinque
anni dopo la morte dell'abbate Ugo. È notevole che non cor-
rispondano affatto alla lista conservataci nelle « Consuetu-
dines » (2), là ove descrivono il rito della distribuzione dei
libri da leggersi nel tempo della Quaresima.

(1) Act. SS. O. S. B., saec. V. Elog. histor. s. Bernonis, c. IV, pag. 77 sgg.

(2) L'Albers nella sua edizione li ritiene tutti per Farfensi genuini. Cf. CF., IT,
€. 5l, pag. 185; cf. pag. 105.

998. Iohannes qui appellatur Toderici Prepositus. — Ugo lo ritrovò già in
uffieio nel 997.

Il 7 lugiio del 1012 era ancora in carica, ma il 22 agosto successivo n° era già
uscito.

1005. Ada presbyter. — 1005. Leo presb. et monachus.

1005. Maio decanus. — Divenne « prepositus » nel 1012, ma l'anno seguent* non
era più in ufficio.
.. Franco Presb. monachus atque decanus.
1008. Benedictus presb. et mon.
1012. Sico presb. et Prior. — Divenne preposito nel 1018.
1012. Stephanus presb. et custos ecclesiae sancti Martini.
1013. Paulus prepositus.
1013. Alfredus. — 1013. Grimaldus.
1018. Petrus. i
Iohannes presb. et mon.
I. SCHUSTER

Riepilogando, conchiudo :
I. — Le « consuetudines » in questione non contengono
elementi speciali ai Farfensi. E lo provano:
a) la topografia di Farfa, diversa da quella che de-
scrive V. |

1021. Laurentius monachus. — 1022. Gaido.
1022. Adam diacon et decanus.
Divenne preposito nei 1028, e in un documento del 1025 si qualifica « pre-

sbyter ». :
Rainerius. — Transaricus. — Adelbertus presb. et monac.
1025. Guido levita et mon. — 1025. Fulco presb. et mon.
1027. Siso presb. et mon.
1028. Petrus levita et prepos. — Ignoriamo se questo Petrus differisca da

quello che pur si sottoscrive « Petrus » in un documento già citato dell'anno 1018.

.. Ledericus mon.

Reg. Farf., vol. IV, pag. 131, doc. 726. — III, doc. 416, pag. 126.

Id.. vol. IV, doc. 656, pag. 53; doc. 628, pag. 25.

Id., III, 465, 176; Reg., III, doc. 470, pag. 179.

Id., vol. III, pag. 194, doc. 487.

Largit. Farf., 151 retr.

Reg. Farf., III, doc. 476, pag. 185.

Id., pag. 222, doc. 511; pag. 194, doc. 487.

Id., IV,:pag. 38, doc. 640.

Id., vol. IV, pag. 72, doc. 670.

Id., vol. IV, pag. 72, doc. 670.

Id., vol. III, pag. 222, doc. 511.

Id., vol. IV, pag. 72, doc. 670.

Largit. Farf., 178. ;

Reg. Farf., vol. MI, pag. 244, doc. 535.

Id., IV, pag. 117, doc. 714.

Id., vol. HI, pag. 231, ddc. 522.

Id., vol. IV, pag. 117. doc. 714.

Largit., 161 retr.

Reg. Farf., vol. HI, pag. 268, doc. 560.

Largit., 180.

1031. Azzo prepos.

1835. Rainfredus.

1035. Atto. — 1035. Iohannes de Bucciniano. Ora « Bocchignano », castello
poco lungi dalla Badia. — 1035. Azzo Cellerarius. In un documento del 1039 compa-
risce come « prepositus ».

1035. Atto decanus. Diverso da quello sopra nominato.

1038 (?) Rainerius prior. La data dell'atto in cui il priore Rainerio appare
come testimonio é incerta. Il Giorgi e il Balzani nella loro edizione del Regesto as-
segnano il documento al 1038, ritenendo tuttavia questa data per incerta.

1039. Bonifacius electus abbas.
1039. Hieronimus presb. et mon.
L'ABBATE. UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 699

b) La diversità negli elementi peculiari liturgici, sia
nella composizione del feriale, sia nell'elenco delle reliquie,
degli altari e delle cappelle del monastero.

c) L'opposizione che si osserva in più luoghi tra V, P
e gli usi di Farfa. Cf. L'elezione dell'abbate.

II. — Le consuetudini in questione debbono essere ri-
vendicate a Cluny. E lo provano:

a) l'identità tra la topografia del monastero descritta
in V. e la Cluniacense.

b) l'identità del feriale, dell'elenco delle reliquie, della
enumerazione degli altari ecc. notati in V. e P.

c) l'accordo perfetto che esiste tra le « Consuetudines
Cluniacenses antiquiores », l’ « Ordo Cluniacensis » di Ber-
nardo, e le « Consuetudines » d'Uldarico con V. e P., pur
nei più minuti elementi locali.

.Certo, che Berardo I nel suo celebre decreto circa le
confessioni sacramentali dei suoi monaci farfensi, riferendosi
appunto alla nostra compilazione degli « usus », la chiama
semplicemente « ordo cluniacensis » e non « farfensis ».

1041. Petrus prepos.
1042. Benedictus archipresb. et monac. L'ufficio di Archipresbyter non de-
signa una dignità conventuale, ma un ufficio che si esercitava in una delle tante

chiese soggette all'Abbazia ... — 1042. Bernardus Attonis sacrista. — 1042. Atto de
Mediana. — 1042. Florentius. — 1042, Petrus Perusinus.
1042. Remigius. — 1042. Iohannes nepos Benedicti archipresbyteri. — 1044,

Franco presbyt. monachus, vicedominus ac rector castelli Bucciniaui.
Reg. Farf., vol. IV, pag. 140, doc. 733.
Id., id., pag. 99, doc. 697.
Id. id., pag. 155, doc. 746; Largit., f. 200.
Id., id., pag. 99, doc. 697.
Id., id., pag. 156, doc. 747.
Chron. Farf., II, 106.
Reg. Farf., vol. IV, pag. 159, doc. 750.
Id., id., pag. 168, doc. 760.
Id., id., pag. 171, doc. 763.

Id., id. pag. 171, doc. 763.

Id., id., pag. 182, doc. 774.
100 I. SCHUSTER

Chron. Farf. Consuet. Farf.

Item quoque domnus Berardus Item: de illis monachis qui (non)
abbas omnino interdixit, ut sicut — habent factam professionem in ipso
ordo noster cluniacensis praecipit, loco ubi degunt. Nullus e fratribus
ut nullus ex fratribus praesumat debet ire ad confitendum ei sua
confiteri sua facinora illis mona- facinora... Similiter de monachis,
chis qui non habet factam profes- qui de foris veniunt ex alio mona-
sionem in ipso loco ubi degunt, sterio pro aliqua legatione vel sua
neque illis qui ex alio monasterio necessitudine, quamvis nostram so-
huc veniunt pro aliqua delegatione cietatem habuerint, nullus debet

vel sua necessitudine, quamvis no prodere sua delicta eis, quia saepe

S "am »j € » i: . . 2 »
m societatem habeant, quia evenit ut plurima destructio fiat

saepe evenit maxima destrueti 3 NS
aep ut na destructio in ipso loco (9).
in ipso loco fiat. Et qui hoe prae-
sumpserit, nisi regulariter poeni-
tuerit gravissimae subiaceat excom-

municationi (1).

Mi sembra adunque di poter conchiudere che a torto viene
mantenuto il titolo di Farfense a una raccolta d'usi mona-
stici, solo perchè sono passati da Cluny in un monastero del
Salvatore nelle Puglie, e di li a Farfa.

Rivendicata pertanto la paternità delle « Consuetudines »,
rimane ancora la soluzione d’alcuni dubbi di minore impor-
tanza; ma per non dilungarmi di soverchio, tralascerò quanto
non è strettamente necessario.

A quale data risale la redazione di V. e P?

Il dottojP. Albers proponeva come semplice congettura il
periodo del governo di Guido I (1009-1014) (3), e lo segui il
Federici, che per ragioni paleografiche riferisce « la scrit-
tura delle Consuetudini... con grande sicurezza ai primi anni
del sec. XI, proprio nel tempo in cui l' abbate Guido, successo

(1) Chron. Farf., II, 200.
(2) CF., II, 199.
(3) CF., p. XII.
01
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA d

nel governo abbaziale al suo predecessore Ugo, commetteva
ad uno dei monaci suoi dipendenti di trascrivere le regole
che Ugo aveva accolte al suo convento » (1).

Ma le ragioni d'ambedue non mi sembrano probabili, ché
insistendo soverchiamente sugli argomenti esterni del ms. e
dell'opera, non avvertirono forse agli interni, peraltro nu-
merosi e precisi.

Anzitutto è da scartare la data del 1014, giacchè ap-
punto in quell'anno Enrico II, venuto a Roma, fu incoronato
imperatore da Benedetto VIII, il quale, come già narrai, egli
donó quel famoso « pomum » d'oro, che il pio Principe offri
a Cluny. Vedemmo quanto spesso venga ricordata nelle
« Consuetudines » quest'insegna imperiale.

La morte di Enrico nel luglio del 1024 ci obbliga anzi
a risalire almeno oltre questa data, giacchè nel di anniver-
sario « cari nostri imperatoris heinrici » viene prescritta la
recita dell'Ufficio in suffragio suo, e stabilita l' elemosina da
distribuirsi a dodici poveri (2). La commemorazione del re
Corrado, il padre di Rodolfo III e quella d' Enrico, il fratello
d'Ugo Capeto, è assai più semplice: « depositio domni Corradi
regis et einrici ducis amicorum nostrorum. (+ 993, + 1001);

(1) Cf. V. FEDERICI, Recensione all’op. cit. dell'Albers in Arch. Soc. Rom. Stor.
Patr., XXIII (1900), 3-4, pagg. 590-94. Avrei desiderato maggior lucid:tà o accuratezza
in alcuni brani. « Dal prologo stesso delle Consuetudini si desume facilmente che
esse furono recate dal monaco Giovanni in Italia da Cluny e introdotte nel mona-
Stero di Santa Maria di Farfa — dopo cbe l'abbate Ugo si ritrasse nel famoso ceno-
bio (1009) — ».

« Hoc opus in Xpl monachus Guido fecit hon |
Hunc rogo Xps tuo fac dignum semper amo j

Questo distico, benché come risulta dal prologo delle Consuetudini si riferisca
certamente alla traduzione (?) di esse, lo credo aggiunto qui da mano posteriore,
quando cioé le varie parti del codice erano già riunite insieme come sono ora. Chi
lo appose a questa carta volle ricordare il nome di Guido, l' autore (?) di queste re-
gole, al quale ci riportano anche ragioni paleografiche. Sarebbe pur questo uno dei
tanti casi di attribuzione posteriore, che per il nostro codice appare sicura anche
perché risale ad un tempo non troppo lontano (?) da quello in cui le regole furono
trascritte (?) non potendo quella nóta essere posteriore alla seconda metà del se-
colo XIII » (pag. 590).

(2) CF., II, c. 63, pag. 204.

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T0? I. SCHUSTER
ma notevole sopra tutto è la menzione obituaria di Teutberga
« comitissa », della quale sappiamo che nel 1020 donó un
manso a sant'Odilone (1).

Dopo quanto scrisse il P. Albers intorno a « Le plus
ancien coutumier de Cluny » (2), crediamo, anche noi poterci
servire in favore delle consuetudini V. P. di quel medesimo

. criterio cronologico da lui adoperato per l'altre «antiquiores »,

la data cioè dell'istituzione della commemorazione dei defunti
verso il 1030 (3).

In tal caso, ritrovandosi il celebre decreto d' Odilone
anche nella redazione V. e P., ci accordiamo volentieri col
dotto confratello, riferendo la composizione loro tra il 103
e il 1048, quando appunto mori il sant'Abbate. Solo, che quel
non ritrovarvi né le mutazioni introdotte a Cluny da san-
t Ugo (4), né molto meno quelle istituite da sant’ Odilone
stesso, (5) ci obbliga a non insistere di soverchio su questo
ultimo termine.

Quando narrava da principio delle relazioni dei Farfensi
con san Romualdo e i suoi primi discepoli, a proposito ‘di
quel Giovanni,monaco di un ignoto monastero di san Salva-
tore nelle Puglie, che riportó da Cluny il libro delle Con-
suetudini, dimandava se egli debba ritenersi un compilatore

. zelante, o solamente un semplice trascrittore del Codice mo-

nasteriale cluniacense.

Ma quanto finora ho esaminato m'induce a credere che
fece l'uno e l'altro. Infatti, non è probabile che, stando a
Cluny, non si sia servito di quelle raccolte d'usi cluniacensi
che andavano per le mani di tutti (6); il linguaggio intera-

(1) PL,,. CXLII, 842.

(2) Revue Benedictine, XX (1903), pag. 74 sgg.

(3) SACKUR, op. cit., II, 328 sgg.

(4) Cons. Clun. Bernardi, II, c. 9, pag. 277; CF., I, c. 32, pag. 24; UDALRICUS,
op. cit., I, c. 14, pag. 663; CF., I, c. 56, pag. 54 sgg.

(5) UDALRICUS, Op. cit., I, c. 24, pag. 672; CF., I. c. 73, pag. 75: UDALRICUS, Op.
cit., I, c. 38, pag. 685; CF., I, c. 24, pagg. 110 sgg.

(6) UDALRICUS, Op. cit., I, c. 46, pag. 691.
mente cluniacense e soprattutto le frasi « apud nos», « ce-
lebrare non possumus », « frater nostrae congregationis »,
« qui subiacent nostris locis » ce ne forniscono le prove. Credo
anzi che Giovanni abbia avuto innanzi a sé, mentre scriveva,
almeno due redazioni differenti delle « Consuetudines », e
l'aecenna chiaramente nel secondo libro, ove, premesso al
capitolo XXVII il titolo « Pro adversa (sic) preces faciendam »,
prepone al capo seguente l'indicazione « Item. De eadem
in alia diffinitione » (1).

L'opéra sua adunque fu di mera compilazione, e lo av-
vertiva già, verso la fine dell'undecimo secolo lautore dei
« threni » premessi in V. al primo libro delle « Consuetu-
dines » :

Hos frater flores studuit iuxtare iohannes
Dultia cireumiens ut apis per germina pascens.
Haec quicunque legis ut sursum gaudia quaeris
Seriptori veniam studiis pro talibus ores (2).

Pertanto, stimo appena necessario avvertire che l'indi-
cazione preposta alle consuetudini dall Herrgott e ripetuta dal
Migne » Guidonis disciplina farfensis » è affatto arbitraria,
e l'uno e l'altro furono indotti in inganno da un cotal Guido,
forse l'amanuense di V., che nel margine della prima pagina
scrisse:

Hoe opus in Christi monachus Guido fecit honore
Hune rogo Christe tuo fac dignum semper amore (23).

Nell'interpetrazione del Federici a questo distico non
intendo bene come due secoli dopo la morte di Guido I si
potesse pensare a pregare Dio perché gli conceda di vivere
da perfetto cristiano !

(1) « Diffinitio » per Giovanni ha ii valore di libro, e nel prologo chiama i suoi
due libri « duplex diffinitio » Cf. pag. 2 3.

(2) CF., pag. 3. Non è priva d'interesse la notizia che « Iustitiatus erat cum
scripserat ista iohannes » preposta al cap. 61, Lib. II. Cf. PL., CL, pag. 1290.
(3) Op. cit., XI.

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 208
104 — |. SCHUSTER

Per quello poi che spetta alla redazione rappresentata
da P., mentre non vi scopro aleun elemento sicuro per at-
tribuirla al monastero di Gorzia, e constato che talvolta
essa non dipende neppure da V., non voglio invadere il
campo degli studi altrui, attendendo dal competentissimo
P. Albers l'ultima parola in proposito. Cito aleuni esempi di

confronto tra V. e P.
P.

(Feria IV Post palm.) ... Ad ve-
sperum responsorium circumdede-
runt me. Hymnum Vexilla regis ;
prece ego dixi deus miserere mei.

:

Ascensio Dom. ... Ad vesperum.
Antiphona : Alleluja, Sic veniet.
Psalm. Dixit Dominus. cum ceteri
ali. Et antiphona Magnificat O

rex gloriae triplicetur.

Festum Assumptionis ... offerto-
rium felix namque, et dimidii of-
ferant sicut usi sunt cotidianis
diebus. Communio. Beata viscera.

Ad vesperam Antiphonae
super psalmos. Gaude et letare.
Psalmi de ipsa die. Capitulum. In
omnibus requiem. Responsorium.
Ornatam monilibus. Ymnus. Quis
possit amplo. ... Antiphona. Sancta
Maria, exora semper, et triumpha-

liter canatur.

Vv.

Ad vesperam prece Ego dixi

domine miserere mei.

Ad vesperam antiphona: llli
verunt.
Confi-

tetor. Beatus vir. Laudate pueri

autem profecti

Dixit

predica
Psalmos, Dominus.
et antiphona de super evangelio

triplicetur.

. offertorium Ave maria gratia
plena, et dimidii offerant sicut usi
sunt cotidianis rebus. Communio,
Beatae virgo Maria ... ad vespe-
ram ... Antiphonae super psalmos,
O quam pulchra es. Capitulum,
In omnibus requem. Responsorium,
Beata es virgo maria, dei genitrix.
Ymnus, Ave maris stella ... Anti-
phona, Paradisi portae, et trium-

phaliter canatur (1).

Determinare ora quale delle due redazioni V. e P. sia
anteriore non potrei; forse se ne saprà qualche cosa di più

(1) Cf. ALBERS, Consuet. Clun. Antiquor, C, pag. 56.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 105

certo,quando verranno pubblicati i vari testi delle « Consue-
tudines » che tuttora giacciono, o nascosti nelle biblioteche,
o mescolati nelle numerose leggende agiografiche. Ma frat-
tanto é inutile notare che V. si avvicina molto piü alle com-
è pilazioni d'Udalrico e di Bernardo che non P.; sebbene la
dipendenza verbale mi faccia propendere per l'anteriorità di
- V. Conchiudo riassumendo: Nell'undecimo secolo, in seguito
all'introduzione degli Statuti di Cluny a Farfa, per opera
principalmente d'Ugo I, i Farfensi ebbero in uso le « Con-
suetudines cluniacenses » raccolte dal monaco Giovanni, di-
scepolo di san Romualdo. Questa compilazione, fatta tra il
1030 ed il 1048, ha per base almeno due redazioni differenti
degli Statuti di Cluny, e venne prima introdotta in un ignoto
monastero delle Puglie dedicato al Salvatore, ove viveva
Giovanni sotto un abate di nome Giuseppe. Comunemente,
non si conoscono che due soli mss. V. e P., ma sembra che
neppur essi ci offrano il testo primitivo, e partano da un
ceppo comune. P. vi si discosta eliminando tutti gli elementi
locali cluniancensi; V. si avvicina maggiormente alle raccolte
degli Statuti di Cluny composte sotto sant' Ugo da Bernardo
e da Udalrico. Essendoci peró tutt'ora ignoto, o per lo meno
assai dubbio, il ceppo donde partono V e P, non possiamo
decidere nulla quale delle due redazioni sia anteriore e più
fedele. Ad ogni modo, il titolo preposto loro dall' Herrgott,
dal Migne ed ultimamente dal dotto P. Albers: « Guidonis
Disciplina farfensis et santi Pauli Romae » ovvero « Iohannis
Consuetudines Farfenses » è inesatto, e dovrebbe saggiamente
mutarsi in quest'altro: Iohannis monachi sancti Salvatoris.
Consuetudines Cluniacenses P. V. (1).

(1) Avevamo già da qnalche anno scritte queste pagine, quando venne in luce
il libro dell'Albers : Untersuchungen zw den ùltesten Monchsgewohnheitein, in cui
lautore si associa al giudizio anteriormente espresso dal Berliére (Bull. d'Histoire
Bénédict. in Rev. Bénédict., 1900, n. 2, pagg. 104-06) circa le apocrife consuetudini
farfensi, che fa risalire alla prima metà dell'XI secolo. Nella redazione P. egli tenta
riconoscero una derivazione di Gorzia, e questa, prima di nuovi studi in proposito,
é la ragione per cui ci asteniamo da ogni giudizio intorno a tale filiazione. Cf. il
: BERLIÉRE, Les coutumiers Monastique, in Rev. Bénédict., 1906 (n. 2), pagg. 260-67.
706 I. SCHUSTER

CAPO IX.
Indole del monachismo. — Scopo che si propone e mezzi. —
Una giornata in un monastero. — Attività letteraria dei

Farfensi ridestata da Ugo.

A chi considera il monachismo col semplice criterio
derivato da' una cognizione, talvolta leggiera e unilaterale,
degli ordini religiosi moderni, Domenicani, Gesuiti e via di-
cendo, avviene spesso o di travisarne l'indole, o di trovarsi
di fronte allo scoglio etico, d'una istituzione, cioè, priva di
finalità (1).

Infatti, come ogni individuo agisce e opera — cosciente-
mente o incoscientemente, non é questione per ora —- per un
fine particolare determinato, cosi ogni ente morale, ogni so-
cietà deve avere pur essa uno scopo a cui tenda l'attività
dei membri che la compongono. Anzi, perché questa stessa
finalità oggettiva, se è adeguata all’ energia collettiva della
società, non lo è però a quella di ciascun membro, così è
necessario un principio direttivo delle differenti forze sparse,
d’un capo, in una parola. È sotto quest’ ultimo aspetto che
il lavoro e l’ordine sono il vincolo della società, ciò che la
costituisce una.

Rintracciando ora questi principii astratti nella realtà
delle cose, apprendiamo dalla storia che, per esempio, lo
scopo dei Domenicani e dei Gesuiti, in quanto Ordine reli-
gioso, è la guerra all'eresia, sia essa partito o setta, sia
aberrazione individuale; e tutti i membri vi cooperano, seb-
bene in diversi modi, sulla cattedra dottorale, dal pergamo,
o nel coro d’una magnifica basilica gotica. Senza alcun dubbio,
l'attività di ciascuno innanzi all’ ideale, allo scopo dell’ Or-

(1) Cf. DENIFLE, Lutero e il Luteranismo, Trad. Mercati, Roma, 1905, pagg. 227-
259.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 707

dine, è inadeguata, e approderebbe anzi. a un bel nulla, se
un coordinatore intelligente non congiungesse quelle energie
sparse, tanto da formarne un tutto che, se non sopra, sia
almeno alla pari del nemico che si vuole distruggere. Di
qui là necessità e l'ufficio dei rispettivi maestri o prepositi
generali.

Si ritrova l'opposto nella antica storia del monachismo.
Allinfuori del perfezionamento ascetico individuale, non una
finalità esteriore, oggettiva, non un capo, non un concentra-
mento e indirizzo di forze, nulla insomma di quanto costi-
tuisce e indica cooperativa d'azione, compagnia. Migliaia di
monasteri sparsi in tutte le solitudini del mondo, all'infuori
della carità che ne unisce i cuori, non hanno nulla di co-
mune fra di loro; ciascun cenobio non opera che per sé,
mentre in tutto il sistema appare manifesta l'assenza di

qualsiasi tendenza teleologica oggettiva (1).

E un problema già studiato da molti, ma poi in sè d’una

semplicità sorprendente per chi ne giunge a scoprire il se-
creto. E sta nelle prime pagine della « Regula sancta » ,in
cui, giusta l'uso degli altri legislatori ascetici orientali,
san Benedetto spiega brevemente l’ essenza del monachismo,
quale egli la concepisce. « Constituenda est ergo nobis
dominici schola servitii, in qua institutione nihil asperum,
nihil grave nos constituturos speramus », e poco innanzi:
« Succinctis ergo fide vel observantia bonorum actuum lumbis
nostris, per ducatum Evangelii pergamus itinera eius ut
mereamur eum qui nos vocavit in regnum suum videre » (2).

Nulla di più chiaro. Il monaco è come un bambino che
va a scuola di perfezione e di ascesi sotto la guida d’un
esperto maestro, cui la bonarietà e l’ affetto conciliano il

(1) S' intende bene che il precetto della carità verso il prossimo, conservato ii
debito ordine e modo, é condizione anch'esso, anzi principalissima, di perfezione
etica e sociale. :
(2) Regul. s. Benedicti. Prolog.
708 I. SCHUSTER

nome di padre (1). Là egli ritrova altri compagni di studio,
tosto la disciplina e l'ideale comune riuniscono col glutino
dell'amore quei cuori tornati alla bellezza dell'infanzia: è
presto formata una famiglia, la famiglia evangelica.

L’opera del maestro-padre ha corrispondenza nella buona
volontà dei discepoli, l'uno aiuta l'altro, i più deboli ven-
gono dolcemente sospinti innanzi dai più forti, è proprio
| «acies fraterna » di san Benedetto, in cui la santificazione
del monaco è meno il risultato del profitto dello scolaro alle
lezioni del precettore, che dell’ opera dell’ambiente e del-
l’aiuto dei fratelli verso un fratellino minore,

Poichè la virtù è un abito morale, così nel monastero
gli esercizi per contrarlo non vengono mai interrotti; alla
preghiera succede il lavoro, e la mente o le membra stanche
si riposano nella contemplazione delle verità eterne. La levata
dei monaci è poco al di là della mezza notte; l' assetto non
è troppo lungo e dopo brevi minuti tutti sono in chiesa alle
vigilie notturne.

Nei di festivi l’aula è sfarzosamente illuminata e le
pareti austere si ricoprono di drappi serici, veri tesori arti-
stici dei nostri musei. Sul presbiterio, elevato d’ alcuni gra-
dini, una corona immensa di più centinaia di lampade dif-
fonde una luce tranquilla e solenne, mentre rifulge l' altare
dalle lastre d'oro e tempestate di diamanti, E il trono fiam-
meggiante dell'Altissimo, su cui vengono deposti i codici
degli Evangeli nelle splendide rilegature d'avorio e d'ar-
cento. L'ufficio incomincia, e dall'alto dell' ambone un mo-
naco in candido ammanto eseguisce una melodia grave ma
Serena e placida; è un salmo, il novantesimo quarto, che

(1) ABBA era il titolo riservato in oriente ai monaci piü insigni per sapienza,
mentre che nell'evo apostolico veniva adoperato nella preghiera comune « al gran
Padre che é nei cieli ». Cf. epist s. Pauli ad Galat., IV, 6; ad Roman., VIII, 15.
L'uso liturgico ehe se ne faceva può benissimo rappresentare uno di quegli ele-
menti cultuali aramaici propri della « gloriosa chiesa di Sion, madre di tutte le
chiese », com'é chiamata nell’apocrifa liturgia di san Giacomo.

T
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 709
invita i fratelli « a piangere e pregare innanzi a quel Dio,
che pur avendo creato gli oceani e i deserti sconfinati, non
disdegna perciò di tener dietro all’ uomo che lo fugge ».
Tutti si prostrano, e in quel momento le differenze sociali
e di casta finiscono, e il longobardo vicino al romano, Carlo-
manno presso lo scudiere che ha voluto seguirlo nel chiostro,

ciascuno nella polvere sente il proprio nulla dinnanzi alla

maestà del Padre comune. Levatisi di terra, cantano tutti

insieme un inno di lode, cui tra l'intercalare degli A/le-
luia e delle antifone succedono dodici salmi e tr
scritturali. Solo nei di festivi, quando cioè il ]
era sospeso, la preghier,

e lezioni
avoro manuale
a diveniva più prolissa, e al salterio
seguivano tre cantici dei profeti e la lettura solenne del
Vangelo fatta dall'Abbate in persona.

Quasi à compenso della fatica durata, la fantasia e i
sensi trovavano anch’ essi il loro pascolo, e tratto tratto la
monotonia della lettura sull’ ambone era interrottà da quei
canti melodiosi di san Gregorio, restituiti non ha molto alla
loro primigenia bellezza, mentre i sacerdoti e i leviti avvolti
in aurei paludamenti agitavano per la chiesa e sugli altari
i turiboli fumiganti e profumati.

Frattanto le vigilie sono terminate; di fuori è ancor
notte, e i monaci in attesa dell’ alba, cui saluteranno nuova-
mente in coro, vanno nello scriptorium o rimangono in ora-
zione lungo le navi del tempio. i

Infatti, solo al sorger del sole essi escono all’ aperto dei
campi, ciascuno al lavoro assegnatogli; e perché in mezzo
a tanti ve ne ha sempre dei piu cagionevoli « qui parum
laborant », come notava Gregorio di Catino nel Florigero,
così, oltre ai lavori meno faticosi, in loro considerazione la
marra e l' aratro in via ordinaria non rimangono mai più di
tre o quattr'ore nelle mani dei monaci. Giunge cosi l'ora
di terza e di nuovo sono tutti raccolti nel coro, ove, dopo il
canto consueto dei salmi, fa il suo ingresso solenne il sacer-
dote circondato dai sacri ministri per celebrare la messa.
Lac d ALS

710 1. SCHUSTER.

Nei di di festa si dispone dapprima una lunga processione
preceduta dagli stendardi e dalle croci d'oro, su cui si ri-
flettono i raggi del sole; seguono i monaci in doppia fila
sostenendo, chi una reliquia d'un Santo, chi l urna d'un
altro e vengon dietro tutti i doni offerti al monastero, le co-
rone e gli scettri imperiali, i calici e le coperte preziose
dei libri sacri. Si sfila lentamente sotto le volte austere del
chiostro, si lascia da un lato il capitolo, l’ infermeria e il
cimitero, e per la porta maggiore si rientra in chiesa, ove
subito si dà principio alla messa.

Sono troppo noti i suoi riti perchè li ripeta qui: dirò
solo che la pompa e la pietà erano tali, che a Cluny, per
esempio, divenne oggetto di religioso sfarzo la stessa funicella
sulla quale si lasciavano asciugare al sole i sacri lini! (1).
‘ Belle soprattutto le cerimonie del venerdì santo, quando,
d’innanzi a quel migliaio e più di monaci prostrati nella
polvere, due diaconi, al canto di meste melodie, sollevavano
in alto il santo legno (2) della Croce; commoventi ancora
quelle del di innanzi, allorchè colla stola d'oro sull’ omero
sinistro uno dei leviti, prima nel capitolo, poi nel refettorio
durante il pasto comune, leggeva solennemente il discorso
pronunziato da Gesù nell’ ultima pasqua che celebrò coi di-
scepoli (3).

Anzi, appunto questa prolissità degli uffici in seguito
fu la cagione intima per cui eclissarono molte insigni badie.
A Cluny — è Pier Damiani che lo racconta (4) — le messe

(1) PL., CXLIX, Consuet. Cluniac., UDALRICI, Lib. III, c. 14, pag. 758.

(2) Op. cit., Lib. I, c. 13, pag. 061.

(3) U. BERLIÉRE, Le lavement de pieds et les « Discours du Seigneur » le jeudi
Saint, in Rev. Bénédictine, XII, 161-66.

(4) Epistol. VI, 2. Nei fogli di guardia del Largitorio é un frammento di liturgia
farfense nella quaresima e settimana santa. Il testo é accompagnato dalle relative
melodie, di mano, mi sembra, del sec. XI. E notevole per le varianti un responsorio
assai diffuso nel medio evo: « Ita finiuntur matutini et laudes in istis tribus diebus.
Debent esse IIII frates, duo a dextro latere altaris principalis et duo a sinistro. Qui
a dextro sunt, incipiant: Kyrie eleyson. Qui a sinistro: Christe eleyson. Item qui a
dextro: Qui passurus advenisti propter nos. Qui a sinistro: Domine miserere. Tuno
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA (11

‘e i salmi quotidiani erano tanti, che nel sommo della state

i fratelli non avevano neppure una breve mezz'ora da risol-
levare gli animi nel chiostro con un dolce colloquio.

E che poteva far più nel resto della giornata tutta quella
turba spossata, insonnolita e inabile a un lavoro serio e pa-
ziente? Vero è che nel refettorio, ai due « pulmentaria cocta »
della Regola, i benefattori, in ricompensa dei salterî che in-
vocavano dai monaci per le loro colpe, aggiungevan sempre,
quasi di soppiatto, un po’ di carità, come la chiamavano, un
bicchiere di vino o un pezzo di focaccia. Rimedi vani (1)
quando il vizio era nell'aver spezzato l'equilibrio tra la pre-
ghiera e il lavoro, che san Benedetto aveva armonizzato
così soavemente.

Certo, nell’ XI secolo, ai tempi d’ Ugo e Odilone s’ era
ancor lungi da tali disordini, come il giorno in cui si pro-
dusse la reazione di Citeaux (2); ma già si manifestavano i
primi sintomi di quel decadimento, dal quale il monachismo
non si è peranco sollevato.

L'ufficio liturgico che nel pomeriggio raccoglie nuova-
mente i monaci in chiesa, è prima la recita, assai breve
invero, dell’ ora canonica di nona, poi quella molto più so-
lenne del vespero, al volger del sole verso il tramonto. Ve-
niva compiuta tra lo sfarzo dei ceri e delle lampade, mentre,
come nelle vigilie della notte, gli incensieri fumiganti dif-
fondevano all’ intorno una grata fragranza. Al vespro, nei
giorni non consacrati al digiuno, teneva dietro una cena
frugale, dopo la quale, letti nuovamente alcuni squarci scrit-
turali, i fratelli li stesso nel chiostro salutavano per l’ultima

omnis Chorus eadem voce: R. Christus Dominus factus est obediens usque ad mor-
tem. Hac finita, iterum qui a sinistro incipiunt ut supra: Kyrie eleyson. Qui a dex
tro: Christe. Qui a sinistro: Qui expansis in cruce manibus traxisti omnia ... ». Cf.
MARTENE, De antiquis ecclesiae Ritibus, IV, 851. III, 281.

(1) Cf. BERLIÈRE, Les origines de Citeawa, Extrait de la Revue d'Histoire ec-
clésiastique. Louvain, 1901, pag. 38 sgg.; MABILLON, AnMA1.. IV, pagg. 638-39.

(2) Apologia ad Guillelmum. Oper. s. Bernardi, Pari iis, MDCLXXXX, pa-
gine 520-40.
'(19 I. SCHUSTER

volta (completorivm) il sole che tramontava, e ravvolti nelle
loro tuniche andavano a prendere sui giacigli il meritato
riposo.

É trascorsa una poetica giornata! (1) si, ma la dimane
sarà simile all'oggi, e il di appresso non differirà in nulla
dal giorno innanzi; così trascorrono gli anni, i lustri, s' im-
biancherà perfino il crino, senza che quella calma eterna
venga mai disturbata. Alle volte vi sarà nel Monastero un
po’ di movimento insolito, giungerà qualche papa o impera-
tore, e mentre il cronista registrerà questa visita immedia-
tamente dopo la notizia d'una eclissi lunare, i fratelli usci-
ranno ad incontrarli collo stesso cerimoniale, le identiche
processioni che parecchi secoli innanzi usarono i padri loro
col duca Faroaldo II e Gregorio IV.

Nulla di nuovo, d'improvviso, nulla d'insolito, in questo
ambiente misterioso, se non forse la longevità straordinaria
di qualche monaco, che potrà raccontare a Enrico V i par-
ticolari della visita fatta a Farfa da Enrico II settant' anni
prima.

Nulla di nuovo! eppure sotto quella calma che è la con-
dizione più favorevole allo sviluppo delle energie intellet-
tuali, sotto quell' apparente inerzia si cela un'attività incal-
colabile, e mentre nella « caminata abbatis » vescovi e
principi deliberano sulle questioni piü intricate della politica
imperialistica in Italia, Gregorio di Catino incanutisce sulle
pergamene dellarchivio farfense, e, precursore dell’ umane-
simo, confuta in nome della storia le pretese della « Donatio
Constantini » (2). E quando, dopo un lavoro d' oltre trent’ anni
sul « cartarium »,la sua vista, logora dallo sforzo diuturno,

(1) G. MoRIN, La journee du moine d’après la Régle et la tradition benedictine
in Rev Bénédict., IV, 72, 181, 211, 273, 309, 350, 398, 458 ; VII, 170, 324.

(2) GroRGI, IT Regesto di Farfa e le altre opere di Gregorio di Catino, in Ar-
chiv. Soc. Rom. Stor. Patr., II (1878) pag. 409 sgg. Cf. K. HEINZELMANN, Die Farfenser
Streitschriften. Ein Beitrag zur Geschichte des Investiturstreites, Strassburg, 1904,
in 4°.

Gum ri iS
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA : '(13

non regge più a decifrarne i caratteri, cede a malincuore la
sua penna al nipote, il monaco Todino, sovrastando peró alla
trascrizione dei documenti. Gli sedevano a lato buon nu-
mero di amanuensi, quelli che chiamano della scuola di
Farfa (1) e copiavano salteri e passionari, sparsi ora in tutte
le biblioteche d'Europa; mezzo secolo innanzi, su quelle
medesime scranne, Ugo I aveva faticato giornate intere a
rifare la storia del patrimonio di Farfa, prima di ricomporlo
materialmente colle rivendicazioni e colle armi.

Da quello « scriptorium », dove i monaci non erano
ammessi che dopo lunghi anni di preparazione letteraria,
— avvertenza che valse al Monastero lode di gusto letterario
tradizionale — erano già uscite altra volta le collezioni omi-
liarie dell'Abbate Alano (169) (2), e dopo Ugo ne continue-
ranno la tradizione l'Abbate Almerico coi suoi 42 volumi,
lanonimo autore della « Orthodoxa defensio imperialis »
una vera mitraglia lanciata nel furore della lotta tra Chiesa
e Impero, per non dire di quel monaco Giovanni, amico
dell' adamantino Ildebrando, che da Farfa sollevato al seggio
di Subiaco (1068-1120), innesterà lungo le rive dell'Aniene
quel germoglio vitale che dilatava i suoi rami all'ombra del-
l'abbaziale Acuziano (3). :

Conchiuderó facendo rilevare due cose: la prima, che
i migliori codici dello scriptorium farfense conservati nelle
biblioteche d'Europa datano appunto dalla prima metà del
secolo undecimo e coincidono col risveglio letterario pro-
mosso da Ugo I; (4) l'altra, che la quiete inerte é sempre
principio e indizio di corruzione, e che se i monasteri be-

(1) Chron. farf., 559; ALBERS, Consuet. farf. p. XV; MABILLON, Annal., IV,
899; GRISAR, Analecta Romana, I, 188.

(2) A. RATTI, L’omiliario detto di Carlo Magno e l'omiliario di Alano di Farfa,
in Rendiconti dell'istit. lomb. di scienze e lett., serie II, XXXIII (1900).

(3) Cf. 1 Monasteri di Subiaco. — I. Eatn1, Notizie storiche, pagg. 91-102; II. V. FE-
DERICI, La biblioteca e l'Archivio, pp. XXX-XXXI.

(4) Cf. I. GIORGI, Appunti su alcuni vss. del Liber Pontificalis, loc. cit.
' (14 i I. SCHUSTER

nedettini seppero tener fronte alle bufere di quattordici se-
coli, ciò è avvenuto perchè sotto quell'ordinamento d' appa-
rente immobilità si celava un principio vitale; quello che
è scolpito sulle porte di Monte Cassino: « Ora etlabora ».

CAPO X.
Scompigli politici e defezioni. — I Crescenzi di Sabina si riav-
vicinano a Farfa. — Rivendicazioni patrimoniali dei mo-

naci e tarda penitenza del commendatario Uberto. — Viag-
gio di Ugo in Germania alla corte d’ Enrico II. — Trat-
tative d’abdicazione. — Indugî e rinunzia (1003-1009).

Il 24 gennaio 1002 moriva a Tor Paterno nel fiore degli
anni Ottone III e il 12 maggio dell’anno appresso lo seguiva
nella tomba papa Silvestro II (1), compromettendo grave-
mente colla loro morte la pace d’Italia e di Roma. Poco
mancò non si rinnovassero per le vie dell'Urbe le scene san-
guinose dei tempi di Marozia e di Benedetto VI; i nobili, te-
nuti già in freno dal terrore imperiale, tornarono alle antiche
e patriotiche aspirazioni (2), mentre sulla cattedra apostolica
si succedettero in breve tempo tre papi, imposti alternativa-
mente dalle fazioni dei Tuscolani e dei Crescenzi. Gio-
vanni XVII non vi durò che cinque mesi, il successore Gio-
vanni XVIII, dopo cinque anni e mezzo abdicò e si rese
monaco a san Paolo (3); Sergio IV vi sedé dal 1009 al 1012.
Il figlio dello sciagurato Crescenzo ebbe così il suo ricatto, e

(1) R. ALLEN. GERBERT, Pope Silvester II, in The Englisch historical Rev., oc-
tob. 1892; A. HAUCH, Notiz. in Realencyclopüdie für protest. Theolog. und Kirche,
XVIII, 339-45.

(2) HUGONIS, Exceptto relationum, 66-58.

(3) WATTERICH, Pontificum Roman. Vitae, Lipsiae, MDCCCLXII, pag. 69. Nel
museo lapidario del monastero di sau Paolo é l’epigrafe sepolcrale primitiva: DOM-
NVS IOHANNES XVIII PAPA.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 715

divenuto Patrizio per opera della madre Stefania, prese a spal-
leggiare tra i suoi eongiunti anche i figli del conte Benedetto
che seguivano audacemente le orme paterne. Una notte, tra le
altre, piombarono a mano armata sul castello farfense di Boc-
chignano, ed espulsi i rettori e ministri abbaziali, lo ridussero
in loro potere. Un poco alla volta san Getulio, Tribuco, i ca-
sali della corte di san Benedetto tra lo sbocco del Farfa e
il Tevere incontrarono la stessa sorte, né paghi della posi-
zione politica acquistata di fronte ai « Comites Sabinenses »,
da quel nido d' aquila, che è Bocchignano, piombavano spesso
sulla ridente pianura del Farfa, che gli scorre ai piedi, com-
mettendo continue Soperchierie contro i mugnai del Mona-
stero. Durante questo tempo si aggiunse, per colmo di sven-
tura, quasi a porre il colmo allo scompiglio, l'abdicazione di
Ugo e il succedergli del nipote Guido I, mentre nella lontana
Marca le cose di Farfa andavano alla peggio, e a Civitavecchia
e in Toscana ardeva la guerra civile tra gli Abbaziali. A
santa Maria sul Minione l’abbate Graziano, già preposto da
Ugo al governo di quel monastero e delle chiese di san Mi-
chele, di san Pellegrino, dei feudi di Civitavecchia, di Cor-
neto e di Toscana, inalberava il vessillo della ribellione (1),
finchè non lo colpì l'anatema di Sergio IV (2) che lo ricon-
dusse sotto l'ubbidienza di Guido; tra i monaci di Farfa si
notavano dei malcontenti per l'imposta riforma (3), mentre
i vassalli erano in fermento per quel succedersi illegale (4)
di governo, senza nomina, né investitura imperiale (5). Il po-

(1) « Per iussionem domni hugonis abbatis hujus monasteri ordinatus est gra-
tianus abbas in ... monasterio de minione, et concessit ei hugo abbas prefatum mo-
nasterium de minione diebus vitae eius cum omnibus ipsius pertinentibus in comi-
tatu tuscano et centumcellis et castello corgnito et in civitate orcle ad tenendum
etc. ... ad ius proprietatis hujus monasterii sanctae mariae ... pensionemque dan-
dam solidis XX. Largitor, c. CCOLXIII, A. B; Cf. BALZANI, Chron. Farf., II, pag. 16,
nota I.

(2) Reg. Farf., IV, doc. 603, pag. 2.

(8) Destructio farf., pagg. 49-50.

(4) Cf. Reg. Farf., III, doc. 490, pagg. 197-98.

(9) Exceptio Relationum, pagg. 68 70.
'(16 I. SCHUSTER

vero Abbate doveva -avere pel capo ben altre brighe,. che
pensare a prendere l'offensiva contro i Crescenzi. Morirono
frattanto il Patrizio e il Papa, e preso il sopravvento la fazione
avversa dei conti di Tuscolo, i due figli del conte Bene-
detto decaddero dal.possesso di gran parte dei loro beni (1)
per opera di Benedetto VIII (2).

Il 29 giugno, 1012, mentre il conte Giovanni sosteneva
l'assedio dei pontifici nella rocca di Palestrina, Crescenzo, de-
posta l'antica tracotanza, andó a Farfa a sollecitare le pre-
ghiere dei monaci, siccome pegno di vittoria in favore del

‘ fratello, eiusta il detto d'un sant'uomo al quale s'era rivolto
) o

per consiglio. L'abbate indisse allora un digiuno di tre giorni,
incorrendo perciò nello sdegno del Papa (3), che, ingannato
da Giovanni con infinite promesse di resa, rimproveró dipoi
ai Farfensi la diserzione dal partito dei Tuscolani pel favore
prestato al nemico. Né s'ingannava interamente, ché oltre
Guido, anche Ugo I, destreggiando abilmente in quel fluttuare
continuo della cosa pubblica, favori per un istante i Cre-
scenzi, facendo valere l'ascendente acquistato sull'animo d'Ot-
tone III, affin di sottrarre il conte Benedetto dalle rappre-
saglie dei Pontifici.

Oltre poi la posizione singolarissima di Farfa, inclinevole
naturalmente a favorire qualunque iniziativa diretta all in-

-debolimento della potenza papale a Roma, vi si aggiunge che

nel caso nostro anche l'interesse potè influire sull' animo
dell'Abbate Guido, giacchè sappiamo che Crescenzo tornò a
Farfa la vigilia dell’ Assunta, e, assistito coi monaci all’ uf-
ficio liturgico della notte e della mattina, giurò sull’ altare
che nè egli, nè il fratello avrebbero mai più stesa la mano
sul feudo di san Getulio. Intendeva con tal rito di suffra-
gare le anime dei genitori defunti; degno modo, invero,

(1) THIETMARUS, Chron., VI. 61. Mg. III, 835.

(2) Exceptio Relationum, loc. cit. Intorno alle relazioni amichevoli dei due
conti coll’abbate Stefano sublacense, cf. Reg. sublac., n. 139, pag. 239.
(3) Exceptio Relationum, loc. cit. i
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 717

di dar sollievo ai morti non disturbando la pace ai vivi!
Ricorrendo quel giorno la festa principale del Cenobio, oltre
alle centinaia degli enfiteuti convenuti d’ogni parte a. soddi-
sfare al censo, assistevano all'atto un gran numero di nobili,
il giudice Uberto col figlio Francone che l'aveva seguito
nella carriera del foro, il prete Grimaldo, l'ex-preposito Gio-
vanni, oltre i monaci cogli abbati Guido e Ugo alla testa ;
quest'ultimo peró s'astenne dal sottoscrivere coi farfensi il
verbale, perché, dopo abdicate le infule, preferiva rimanere
in una posizione affatto indipendente, estraneo alle cose di
Farfa e semplice monaco di san Quirico. Il ché tuttavia non
valse a impedire che, a trarre d'impaccio il nipote, in com-
pagnia del suo antico preposito Giovanni si ponesse di bel

muovo in cammino alla volta di Palestrina a ricevere la re-

futa del conte Giovanni. Buon per lui che l’accompagnavano
Crescenzo, Grimaldo prete e Francone avvocato, perché il
Conte, già una volta spergiuro al Papa, al solo udire lo scopo
di quella venuta andò sulle furie, dichiarando che, come il
padre non aveva mai pagato canone sulle terre di chiesa
possedute da oltre 30 anni, così non avrebbe fatto neppur egli.
L'Abbate persisté a pregare e scongiurare; s' interposero il
fratello e il prete, tanto che alla fine Giovanni e la moglie
Itta, più per torsi di là quell'importuno che con buona fede,
— siccome tosto vedremo — consentirono alla rinunzia del
feudo, a condizione dell’enfiteusi d’una sua metà, oltre il ca-
stello di Tribuco colle sue dipendenze.

E probabile, siccome sembra doversi ancora rilevare
dalla stessa « cartula » di refuta (1), che Ugo per allora si
sia astenuto da qualsiasi compromesso e che tornato a Farfa

(1) Reg. Farf., III, doc. 628, pagg. 24-26. « Quam vero refutationem, licet divisi
essent suprascripti fratres et praedicta domna hitta quando fecerunt ... ». In fine
sono riunite insieme le firme di Giovanni, Crescenzo, Itta e gli altri, ma Ugo nella
Exceptio relationum (loc. cit. ben distingue: « Ipse (Giovanni) et uxor eius hitta
confirmaverunt eandem refutationem ; postea autem Crescentius firmavit ipsam
brevem refutationis ed dedit praedicto abbati, et ipse abbas firmavit tertium genus
de alia medietate cum castello et dedit illi ...
718 I. SCHUSTER

e riferita la cosa ai monaci, si sia quindi lavate le mani da
tutto quell’ intrigo. Il certo è, che non volle mai sottoscri-
vere la carta d’enfiteusi rilasciata da Guido I, e nell’agosto
1014, ripresa nel Concilio romano la verga pastorale, la fece
anzi annullare da Enrico II.

Ma per non precorrere cogli avvenimenti, dobbiamo
prima ricordare buon numero di rivendicazioni compiute da
Ugo tra il 1001 e 1009, innanzi deponesse l’ufficio abbaziale ;
nel Regesto sono molte, ma riferiremo le principali.

Sul lato destro del Farfa, e proprio sul cucuzzolo d'un
monte scosceso, a due ore di distanza dal Monastero, è Sa-
lisano, un paesuccolo dall’aria purissima e dal panorama me-
raviglioso, ma dall’accesso tanto difficile, che gli stessi abi-
tanti dànno ragione del nome, ricorrendo all'eufemismo. Ivi
presso erano vasti possedimenti del monastero, ma al tempo
in cui siamo colla storia, erano ricaduti in mano di privati,
eoi confini ristretti e mutati, anzi talora violati a viva
forza. Coll aiuto del suo abilissimo Uberto, l avvocato lon
gobaàrdo del processo contro i preti di sant’ Eustachio, Ugo
tra il 1001 e il 1005 intentò agli usurpatori una sequela di
azioni giudiziarie, il cui risultato fu, che in breve tempo
Farfa potè rientrare in possesso delle sue ragioni (1).

La rivendicazione della chiesa di santa Cecilia presso il
rivo di Correse, fu più fastidiosa e dovè essere risoluta a
Roma nella chiesa di san Marco, ove un cotal Benedetto, dal
soprannome Nitto-Sprocco, la cedè a Ugo il 28 Decembre 1005,
al prezzo di cento soldi d’argento (2). j

Si ha pure memoria d'un altro viaggio del Farfense a
Rieti, ove i conti Berardo e Gentile avevano sottratto al Ce-
nobio parecchie castella, la chiesa di san Pietro in Pensile,
il casale Eugubino, le corti di sant'Elia e san Giacomo (9),

(1 Reg. Farf., III, doc. 444, pag. 157 ; doc. 445, pag. 158; doc. 453-456, pagg. 165-
68; doc. 464, pag. 175; doc. 468, pag. 177.
(2; Op. cit., IIT, doc. 470, pagg. 179 80.
(3) Op. cit., III, doc. 477, pagg. 186-87.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 719

che però nel giugno 1008 vennero costretti dai giudici a
restituire, nel modo stesso come era avvenuto nel luglio del-
l’anno innanzi ai due fratelli Buccone e Gualafossa, usurpa-
tori della rocca di Campolungo (1).
Solo qualche rara volta le cose rapite ritornavano al pa-
drone senza tanto strepito e affanno, come nel caso d' U-
berto (2), lo seandaloso commendatario farfense e fratello del
marchese Tebaldo. Quando egli giunse in fin di vita nel suo
castello di Toffia (3), andó a visitarlo il preposito Giovanni, —
che era medico — e poiché lo vide in condizioni disperate,

l'indusse a pensare oggimai allanima sua acconciando le

partite con Dio; egli riteneva ancora una vigna e un campo
dei Farfensi, le restituisse adunque, innanzi di metter piede
sulla soglia dell’eternità. Erano presenti il priore del vicino
monastero del Salvatore, fondato da Uberto in grazia di
san Domenico di Sora, parecchi monaci, il giudice Uberto e
molti altri insigni personaggi, innanzi ai quali l’ infermo, rac-

‘colte quelle poche forze che gli rimanevano, consegnò a Gio-

vanni una verga in segno d’ investitura.

Un altro moribondo, un cotal Raino di Fulcone, fece il
medesimo nell’agosto 1008 ; solo che egli non restituiva il mal
tolto, ma donava del proprio una chiesa dedicata a santa
Cecilia con un terreno nel luogo detto Terenziano, a condi-
zione d’essere sepolto nella basilica maggiore di Farfa. È
probabile l'assenza di Ugo da Farfa, giacchè l' infermo di-
resse il messo al Preposito, il. quale gli inviò il monaco Be-
nedetto, perchè alla presenza dei testimoni stipulasse quel
contratto (4).

Più importante fu la donazione dei coniugi Ottaviano e

(1) Op. cit., III, doc. 474, pagg. 183-84.

(2) Op. cit. III, doc. 415, pag. 115; Cf. MABILLON, A7-41., IV, 365.

(3) A mezzora di cammino dalla Badia, celebre più tardi per l'assassinio del-
labbate Morico verso il 1282. Cf. G. PALMIERI, Contributo alla storia del monastero
di Farfa cit. in. Il Muratori, vol. III, fasc. 13, pag. 3.

(4) Reg. Farf., III, doc. 476, pag. 185.
720 I. SCHUSTER

Rogata, sorella del patrizio Giovanni e figlia del famigerato
Crescenzio e di Teodora, i quali nel decembre 1005 dona-
rono a Farfa cinque moggi e due canne di terreno a santa
Maria di Canneto (1), poco discosto dalla Badia, quindi,
l’anno appresso vi aggiunsero una vigna, un campo fornito
‘di casa colonica e buon tratto d’ oliveto, presso il castello
di Correse (2). In seguito, questa famiglia divenne l'appoggio
più valido dei monaci nelle lotte contro i Crescenzi, e dalla
loro stirpe usci appunto quel Giovanni VII, già monaco di
- Farfa, e quindi abbate di Subiaco (y 1003) (3), che fu tra i
più illustri e benemeriti di quella Badia. Destreggiando a-
dunque abilmente tra il fluttuare dei partiti politici, mentre
il patrimonio sabinese aumentava di giorno in giorno, quello
della Marca di Camerino non corrispondeva peranco all'ener-
gia dispiegata da Ugo. Nel Regesto non ne rimane traccia,
ma sappiamo da aitre fonti che verso questo tempo vi si
suscitò si forte burrasca, che ne giunsero i richiami sino
alla corte d' Enrico II, che ne rimase fortemente indignato
contro l Abbate.

A placarlo, tra il marzo e il settembre 1007, dalle Mar-
che, ove s' era intralciato in processi intricatissimi, Ugo si
pose in viaggio per la Germania, e il 2 aprile lo ritroviamo
già nel castello di Neuburg con Odilone di Cluny, Bono di
Ravenna e Winizo, abbate del cenobio amiatino, il quale ap-
punto in quel giorno ottenne da Enrico II sentenza favore-
vole contro Esualdo vescovo di Chiusi, perturbatore della
quiete dei suoi monaci (4). Ammesso a sua volta all'udienza
reale, Ugo seppe giustificarsi pienamente, esponendo la sto-
ria delle lotte sostenute da ben dieci anni nel rivendicare

(1) Op. cit., doc. 469, pagg. 178-79.

(2) Op. cit., doc. 471, pagg. 180-81. i

(3) Per la genealogia dei Comites Ottaviani di Sabina cf. [monasteri sublacensi,
I. EGIDI, Notizie storiche, pagg. 91-102; FEDERICI, La biblioteca e archivio, pp. XXX-
XXXI.

(4) UGHELLI, Italia sacra, III, 712 sgg.; MABILLON, Annal., IV, 188.

A.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 121

le ragioni di Farfa. Il Sovrano, pio e grande amico dei mo-
naci, non solo lo riammise in grazia, ma in frequenti col-
loqui sulle cose d'Italia, ebbe tutto l’agio d'apprezzarne
le rare doti di mente e di cuore che lo distinguevano. Forse
Odilone, assai influente sull'animo d' Enrico, aggiunse il re.
.Sto, cosicchè « rege omnino placato », come si esprime Ugo
stesso, Enrico si convinse appieno dell importanza e del-
lappoggio che poteva sperare dal forte abbate, non solo per
la rinascita di Farfa, ma piü ancora per consolidare nel du-
cato di Roma, il partito imperialistico (1). j

Se non che, tra i litigi e i continui rimorsi Ugo aveva
già durato abbastanza in quelle amarezze, per credersi or-
mai in diritto d'aspirare al riposo che gli negavano le se-
"riche infule; senza quindi consigliarsi con alcuno, meno an-
cora coll'amico Odilone, abdicò secretamente all'Abbazia nelle
mani d' Enrico.

È facile immaginar l'imbarazzo in cui venne questi a
ritrovarsi a tale inattesa deliberazione. Farfa, dai suoi pos-
sedimenti tanto vasti e dalle aderenze così estese, era uno
dei centri d'appoggio di tutta la costruzione imperialistica
nell’ Italia media; pregò dunque e scongiurò, ma Ugo tenne
fermo e non cedette. Che fare? In Italia l'arcivescovo mi-
lanese Arnolfo già da più anni sosteneva collo stuolo degli
aderenti il partito imperiale, minacciato ovunque, ma. spe-
cialmente a Pavia, devota a re Arduino; a Roma, la città
era lacerata dalle discordie dei Crescenzi e dei Tuscolani,
mentre i Greci dall’ Italia inferiore avanzavano un poco alla
volta verso il cuore della Penisola. Anche a risollevare il pre-
stigio dell Impero era necessaria una spedizione d'Enrico II,
che se ne apri adunque con Ugo, pregandolo a differire al-
meno la rinuncia sino al prossimo suo arrivo nell’ Urbe. Fu
quanto a grande stento potè ottenere dall’abate (2), che vi

(1) Destructio farf., 48, 50: Exceptio Relationum, 66.
(2) Reg. Farf., III, doc. 474, pagg. 183 84; IV, doc. 707, pagg. 108-109.
799 i. SCHUSTER

si acconció a malincuore, e presa quindi licenza di partire fece
ritorno à Farfa verso il settembre 1007 (1). Quivi lo atten-
devano i consueti processi e rivendicazioni, tra le quali tra-
scorse il resto di quell’anno e l'altro appresso, attendendo
indarno la venuta d' Enrico, finché nel 1009, non udendone
ancora novella, cedé ai rimorsi della coscienza, e in segno
di rinunzia depose sull'altare la verga pastorale.

Quando i monaci si raccolsero per deliberare sulla scelta
del successore, i suffragi convennero sulla persona del ni-
pote d' Ugo, a nome Guido.

XI.

Consacrazione di Guido I ad Abbate e malumori che ne se-
guirono. — La « cella major » e il quartiere longobardo
dei farfensi a Roma. — Generosità di Benedetto VIII
verso il Monastero (1009-1014).

Giusta l'antico uso, l' eletto venne presentato al Ponte-
fice per la consacrazione dal duca Ranieri II e dal Patrizio
Crescenzo, che, dopo le donazioni della sorella Rogata, s' era
nuovamente riavvicinato ai monaci (2). All'atto solenne del
l'investitura dové forse precedere il giuramento di Guido I
che avrebbe osservata nel suo governo la costituzione d' Ugo,
sebbene la formula attribuitagli dal Mabillon (8) si riferisca
al suo terzo omonimo sulla sede badiale, circa un secolo
dopo (4).

Non era decorso lungo tempo dalla sua consacrazione,
e gia il novello abbate cominciava a sentirsi a disagio sulla

(1) Exceptio Relationum, 68 sgg.
(2) Exceptio Relationum, pag. 68 egg.
(2) MABILLON, Annal., IV, 206-07.*
(4) Reg. Farf., V, doc. 1324, pag, 317.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA © 123

sede, a cagione dei vassalli incitati a rivolta da quell’ ab-
bate Graziano, di cui narrammo sopra.

Data la scarsezza dei documenti, é malagevole un’ in-

tuizione netta della situazione politica della Badia Tur

questo periodo. :
Rinunziate le infule abbaziali,
dal prender

Ugo tuttavia non desisté
parte al governo del Monastero, e Guido I ne
subi interamente l’ influenza, assicurata vieppiü e controllata
dal soggiorno che lo zio continuó a fare
gran rifiuto ».

D' altronde, il riavvicinamento di Farfa al partito dei
Crescenzi non è privo di significato, e la circostanza stessa
che Guido I venne eletto e consacrato senza attendere la
conferma d’ Enrico II (1), lascia intravedere un nuovo orien-
tamento politico della Badia.

a Farfa dopo « il

Qualche cosa certo dovè maturarsi, e se la penuria
delle fonti ci vieta di precisar maggiormente quest’ innova-
zione, i pochi documenti superstiti d’altra parte ci autoriz-
zano a ritenere che i motivi politici non furono interamente
estranei alla rinunzia d' Ugo e all’ elezione di Guido I.
Buon numero di donazioni vennero in buon punto a
compensare tra il 1009-1013
neto e a Civitavecchia.

le defezioni di Graziano a Cor-
Un cotal Giovanni Miccino offri case,
prati, selve e porzioni della chiesa di san Silvestro, poco di-
scosto dall’Acuziano (2). Nel 1011
Vita donò una terra presso il rivo Riana (3),
vigne (4),
nell'Ascolano (9),

un cotal Dodo in fin di
Ottone di Ot-
Siolfo restitui l'intera
mentre là Chiesa anti-
chissima di san Martino, sulla vetta del monte sovrastante
al Cenobio, aumentando in censo riacquistava anche la pri-

taviano concesse parecchie
corte di Summati

(1) Exceptio Relationum, loc. cit.

(2) Reg. Farf., IV, doc. 608, pagg. 6-8. :
(3) Reg. Farf., IV, doc. 612, pag. 10.

. (4) Op. cit., IV, doc. 617-18, pagg. 15-17.

(5) Op. cit., IV, doc. 621, pagg. 19-20.
(94 SCHUSTER

miera celebrità (1), sino a lusingare in, seguito i Farfensi a
trasferire lassù l'intero monastero (2).

‘Anche a Roma sulle rovine del « campo agonis » si ve-
niva ristabilendo una piccola comunità di monaci, che nel
breve corso d'un decennio, per via di refute e di acquisti
dilató tanto, da divenire in seguito un potente centro lon-
gobardo nel seno della città eterna. Il luogo su cui sorgeva
— tra la moderna Piazza navona e il Panteon — conservò
il nome di Platea longobarda fino agli ultimi secoli, e nel
1500, quando a Farfa erano i monaci, cosi detti, Teutonici,
le case e i negozi di questo quartiere vennero affittati di
preferenza ai propri connazionali, quali. quel « magister
Lupus » calzolaio, Giovanni Svirch barbiere, Cristoforo Fi-
schet, Ambrogio Guibemberg, Anna Tollen e altri che trovo
ricordati qua e là fra i documenti dell'archivio (3).

(1) Op. cit., IV, doc. 63031, pagg. 27-29; doc. 640, pag. 38.

(2) Op. cit., V, doc. 1153-54, pagg. 156 59.

(3) Cf. LANCIANI, Forma Urbis, fasc. II, tav. 15. Per la documentazione della
« Cella major » dei Farfensi a Roma, é da notare che ai tempi di Gregorio Urbano
l’archivio farfense aveva smarrito buon numero di documenti relativi a questi an-
tichi possedimenti. « Magna pars non extat »! scriveva sin d'allora l'Annalista (Ann.
Farf,, II, ad ann. 1553-59). Tuttavia colle sue indicazioni e con alcuni antichi cata-
loghi ho potuto ricostituire quanto al contenuto l’intera capsula (sign. Romae) che
nel secolo XVI conservava ancora i seguenti documenti :

« Bulla Leonis X super testando et edificando in Urbe: Sixti IV. De aedificiis
(era procuratore generale Fra Corrado di Magonza); Instrumentum pro ecclesia
nunc alienata S.ci Ludovici in Urbe; Monitorium pro dicta Ecclesia ; Articuli contra
Monasterium pro dicta ecclesia; Census et alienat' ones de duabus domibus ; Locatio
cum illis de Maxinis domus sitae in Urbe; (Ne ha conservato memoria anche il Ra-
tionale farfense pagg. 16-18).

Locatio domus ad tertium genus Georgio Grifonio; Littere et computa. Petri
Galeni (2); Conventiones cum lohanne Vydeno de domo et instrumentum nomina-
tionis super eamdem ; Locatio Iohanni Svireh barbetonsori de domo ; Transactio in-
ter Monasterium et Lucretiam filiam Zenobii florentini de domo; Locatio domus
Christofaro Fischetto ; locatio etc. Nicolao Scultebio; Excommunicatio contra Am-
brosium Gamperbergh; Instrumentum mutui Monasterio facti a Georgio Griffoni
pistore.; locatio domus Iohanni Vyndenii; Locatio domus Iohanni Bapt. de Maxi-
mis; Coneess:o Ecclesiae sci Ludovici societati Sudarii; Transactio pro dom. in
Urbe; Testes examinati supra mortem Annae Tollen: 1nstrumentum annui census
cum Octaviano Vestris; Iura in eausa domus locata Maximis; Scripture plures
circa domum locatam Ambrosio Gaccambergh ; Scripturae et locatio prodomo
E

L'ABBATE UGO 1 E LA RIFORMA DI FARFA 7125.

Il nucleo primitivo di questo quartiere farfense fu co-
stituito da quattro piccoli oratori dedicati a santo Stefano, di-
strutto assai per tempo, al Salvatore, alla Vergine e san Be-
nedetto con alcune case e orti annessi, di cui, oltre le men-
zioni che ricorrono in un contratto Enfiteutico del 991 e
in un diploma d' Ottone III in data 14 marzo 998: « Eecle-
siam sanctae Mariae et sancti benedicti intra civitatem ro-
manam, in loco qui dicitur scorticlaro cum scriptis et earum
pertinentiis » (1) rileviamo la prima notizia in un testo della
« Destructio » che si riferisce all'anno 927 (2) Ivi presso
era la via papale, per la quale i Pontefici si recavano trion-
falmente da san Pietro al Laterano in alcune solennità mag-
giori dell'anno; ma questo non impediva che all’ intorno
fosse una vera desolazione di luride casipole della « Scorti-
chiaria, vecchi muri crollanti e grotte ridotte a stalle o a
fienili. Il « campus agonis », come ancora lo chiamavano,

Lazzari Zina, Annae Tollen, postea locatae Octaviano Vestris; Decretum autent.
Card. Iacobi Savelli vicarii Gregori XIII (Nov. 1574); Bulla Gregorii XIV de alie-
natione domorum ; Lites contra Pompeum et fratres de Blanchis; Scrlpturae pro
domo alienata ab Honorato Spinula ». Alcune case in seguito doveronsi cedere per
900 seudi ai Teatini, allorché questi ediflcarono sant'Andrea.

Tolgo dal « Rationale » una nota relativa al Burcardo (Rationale Farfense,
saec. XVI, nella Biblioteca del mon:stero di san Paolo a Roma).

« 1491. Instrumentum locationis facte per monasterium farfense domino Iohanni
Brocardo cerimoniario sanctissimi domini nostro (sic) pape de domo sita in Vrbe in
regione sancti Eustachii. A parte interiori iuxta viam publicam, a retro iuxta ortum
gabrielis de cesarinis in quo olim tentoria fuerunt, et ortus domus monasterii su-
blacensis, ecclesie sancti Ludovici contigua, ac ab uno iuxta domum et ortum ho-
spitalis flandensium, ab aliis vero iateribus iuxta domum Laurentii et felicis de
Caffarelli.

. Quae domus minabatur ruina, et ob id fuit facta locatio per se et filiis ad hoc
ut repararetur et edificaretur. Ad solvendum omni anno videlicet XXII carlinorum »
fol. 130. Ricca di notizie su tale argomento è l'opera di I. Schmidlln, « Geschichte
der deutschen Nationalkirche in Rom S. Maria dell'Anima », Freiburg im Breisgau
und Wien, 1906.

Documenti relativi all'ospedale dei Longobardi e alla proprietà di S. Maria de
Cellis nel sec. XVI si contengono nelle schede di Costantino Corvisieri in Bibliot.
Vallicell., Busta XIX C. x

(1) Reg. Farf., III, doc. 425, pagg. 135-37. Cf. C. CORVISIERI, Le posterule tiberine,
in Arch. Soc. Rom. Stor. Patr., I, fasc. 1, pagg. 83-84, 111-15.

(2) MG., 56, XI, 534.
126 I. SCHUSTER

era tutto disseminato da piccoli orticelli, ognuno dei quali,
giusta la forma feudale del tempo, per una serie di più ti-
toli libellatici e di condominio metteva finalmente capo al
vero padrone, che, ordinariamente, concedeva l'enfiteusi sino
alla terza generazione. Ma tali affitti fossero almeno stati
fatti nelle pure e semplici forme della realtà, ma no; era
distinto il suolo dal sottosuolo e soprasuolo; si toglieva a
enfiteusi il dominio utile degli alberi d'un terzo o d'un
quinto di vigna, mezza porta e mezza scala, o l'uso legale
dei munimina d'un archivio privato !

Fu così che l'abbate Ugo, forse coll’ intento d' ingrandire
questa prepositura urbana, fin dal decembre 999, dopo il
litigio coi preti del titolo di sant' Eustachio, accettò in fa-
vore di Farfa la refuta d'un campo compreso tra la via
pubblica e le rovine degli scaglioni del circo, già affittato
dai suoi antecessori alla famiglia d'una cotal nobilissima
Teodora, vedova di Pietro (1).

Nel maggio del 1011, quando già la prepositura era bella
e ristabilita, il prete Stefano, libellario del Monastero, rinun-
ziò anch'egli alla sua locazione sui proventi della chiesa di
san Benedetto, santa Maria e san Biagio colle case, orti e
metà della porta annessa; e, a rendere piü liberi i monaci,
indusse a imitarlo un cotal Azzone, cui in antecedenza
aveva subaffittato parecchie terre e saline di Farfa. Nel
giugno successivo labbate Guido col cambio d'una vigna in
sabina estinse parimenti tutti i diritti e ragioni sull'Oratorio
del Salvatore e sulle case attigue che vi aveva Stefania, figlia
di Marozia, e fu allora che i preti del vicino Titolo, inti.
moriti del soverchio estendersi dei monaci, nel luglio stesso
dell'anno 1011 mossero lite per la seconda volta. La causa
venne deferita al prefetto Giovanni e difesa dall espertis-
simo Uberto, che alla presenza dei primiceri, del proto-scri-

(1) Reg. Farf , III, doc. 441, pag. 154.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 127

niario del Laterano e d’un gran numero di giudici romani e
longobardi, dimostrò contro Sicone avvocato dei preti, che
la questione era stata già discussa e risoluta dodici anni in-
. nanzi, al tempo d' Ottone III. Fu sentenziato che l'ammini-
strazione del Titolo di sant’ Eustachio rinnovasse la rinunzia
del possesso controverso all’abbate Guido, e che si rescin-
dessero gli apocrifi diplomi addotti in giudizio (1).

Ma la pace non fu peranco ristabilita e l' 11 decembre
dello stesso anno, in assenza di Guido, l'abbate Ugo dové
| procurare una nuova sentenza dei giudici romani contro
Gregorio di Bona, che contendeva ai monaci una casa con
una scala di marmo coll' ingresso in un cortile con un pozzo
d’acqua sorgiva, e dall'altro lato dell'abitazione, verso la porta
di sant'Andrea (2) altri vani a uso di dispensa.

Il patrizio Giovanni trasmise la citazione al prefetto di
Roma Crescenzo, quel medesimo di cui narrammo i buoni uf-
fici verso i Farfensi per il castello di Tribuco, e questi, dopo
citata per tre giorni la parte avversa, diede l' investitura
provvisoria allabbate Ugo, allex- preposito Giovanni e al
.Decano Maio, differendo ad altri quindici giorni il termine
perentorio del processo. Al di fissato, un sabato, ecco i mo:
naci coll'avvocato Umberto; Gregorio fu atteso inutilmente,
onde il Prefetto differi ancora la sentenza per il prossimo
lunedi a casa sua, ove venne condannato in contumacia e i
Farfensi tornarono in possesso di quei pochi palmi di terra
controversa.

Anche la sentenza d'un tribunale, sia pure competente
quanto si vuole, si riduce in fondo a una pura formalità
esteriore, ove lo stato patisca difetto di forza coattiva, come
appunto accadde in Roma durante il medio evo. In conse-
guenza, Gregorio seguitò più che mai a infastidire i Farfensi,
sì che tra lui e Guido la lotta s'inaspri tanto, da provocare

(1) Op. cit., IV, doc. 616, pagg. 13-15.
(2) Op. cit., IV, doc. 6057-58, pagg. 54 57.

A ZEE

T TATE

ca

—<@TTe=“5=5=c=@
Lamberto, si riserbarono il possesso dei relativi. « munimina »

(28 I. SCHUSTER

nuovamente l intervento del Prefetto. Umberto sostenne le
parti dei Monaci contro un tal avvocato Sicone, che allegava
due apocrife carte d'affitto rilasciate, diceva, dall' abbate
Giovanni ai coniugi Orso e Bona genitori di Gregorio, e da
questi al figlio. Ma, collazionate le firme con altri documenti
autentici di quell abbate, e riconosciute false, vennero re-
scisse le cartule, e le case controverse furono cedute a Farfa
per la quinta volta! (1).

Negli anni successivi 1013 e 1014 si ha memoria d’altre
compre di case e di terreni a ingrandire sempre più quella
residenza urbana del Monastero. Il 23 maggio 1013 venne
acquistata per 10 libre d’argento una casa rovinosa con al-
cuni orti tra le muraglie antiche dello stadio che li ricinge-
vano. Tra i confini si ricordano: le terme « post se quod
nunc fenile dicitur, sicut extenditur ab ipsa domo usque in
duas colunnas marmoreas », la prepositura farfense, alcuni
privati, l’ oratorio del Salvatore, la strada e il recinto della
casa venduta.

I venditori, alcuni « nobilissimi pueri » orfani d'un tal

perché comuni ad altre proprietà loro, promettendone però
l’uso ai monaci, ogni volta che occorresse (2).

L'otto agosto successivo un cotal Azzone vendé a Guido
per una libra d'argento un'altra casa rovinata colla metà
d'un terzo di corte ivi adiacente, e il 27 aprile dell'anno ap-
presso, essendo nuovamente abbate Ugo, cedé allo stesso
prezzo un orto con alberi fruttiferi, pozzo, scala e una se-
conda casa, già appartenuta a una nobilissima Pamfilia, dalla
quale l'aveva comprata (3).

Ma questo medesimo Azzone era anche affittuario del titolo
urbano di sant'Eustachio, e venuto a morte, gli eredi, non so

(1) Op. cit., IV, doc. 658, pag. 56.
(2) Op. cit., IV, doc. 667, pag. 68.
. cit., IV, doc. 6608-69, pagg. 70-71.
IT

elero, gli abbati di Roma, il prefetto e i giudici, dispiegó pur

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 729

se in buona o cattiva fede, venderono a Ugo una corte
presso le terme alessandrine che i Preti avevano locato a solo
titolo libellatico. Di qui nuovi litigi cogli amministratori del
Titolo che, non potendo sfogare l'antico astio contro l'Abbate
difeso dietro le torri di Farfa, se la presero coi monaci, rei
soltanto d’essere loro convicini, sicchè questi non godevano più
un'ora di pace. Ricorsero a Ugo, e — « domne sanctissime
pater noster abbas - riferisce il documento relativo - scias
quia presbyteri sancti eustathii de die in diem non cessant
lites imponere » — questa volta l'abbate si mostró piü restio
a intentare un nuovo processo; e fu solo per compiacere alla
volontà dei fratelli, che verso il principio del 1017 venne à
Roma, e in casa di Crescenzo, alla presenza dei testimoni e
dei giudici, si quereló contro gli avversari, che furono imme-
diatamente citati da un messo del prefetto. Il 23 gennaio le
parti comparvero in giudizio, e per i buoni uffici di Cre-
scenzo convennero insieme che, Ugo ritenuto a nome di
Farfa quanto attualmente possedeva, cedesse ai preti un
piccolo spazio di terra incolta colla metà dell’ oratorio di
san Simeone.

Tra i beni del monastero e quelli di sant’ Eustachio ven-
nero finalmente definiti i confini. A Farfa fu aggiudicato un
terreno con due triclini, una casa, una corte con un pozzo,
parecchi alberi di fico e un arco appoggiato ad antiche co-
struzioni, confinante da un lato coll’ oratorio del Salvatore,
dalla parte opposta colla via publica diretta alla strada pa-
pale, e verso il circo colla chiesa di san Benedetto. A Sant'Eu-
stachio fu attribuita la metà dell'oratorio di san Simeone con
un terreno dinnanzi, un prato quadrato, circoscritto dalle
rovine d' una casa antica fino alla detta chiesa, verso la porta
di sant'Andrea.

Era già stipulato il contratto, quando sorse a far valere
le sue ragioni l'abbate Pietro di sant’ Elia, che in Vaticano
nel palazzo intitolato da Carlo Magno ov’ erano adunati il
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730 I. SCHUSTER

egli i suoi « munimina », accusando Ugo d'aver venduto ai
preti terre di cui non era che affittuario. Stupì il Farfense
a tali nuove pretese, ma poiché dalle carte di Pietro risul-
tava evidente il diritto del monastero di sant'Elia, le ricevé
da questo. in enfiteusi a tre denari all'anno, riconfermandone
tuttavia l'affitto ai Preti. Questi alla loro volta la retrocedet-
tero a sant Elia, facendo lacerare il contratto tra Ugo e
l'Abbate, ed esonerando perció Farfa da ogni canone e peso.
L'atto relativo venne sottoscritto da Pietro, dai suoi monaci,
dai Preti e dal Prefetto, in data 20 agosto 1017 (1).

Iu seguito, il 2 ottobre 1042, coi documenti relativi ad
ulteriori aequisti dei Farfensi in questa regione longobarda,
sì conserva notizia di parecchi enfiteuti li d'appresso, e il 30
maggio 1044 si constata già costituito, come distinto dal pa-
trimonio comune del Monastero imperiale, quello « venerabilis
monasterii sanctae Dei genitricis semperque virginis Mariae
dominae nostrae, quod est positum romae in terme alexan-
drino non longe a cripta agonis, et hoc monasterium est
cella venerabilis monasterii ... (quod) appellatur in pharpha (2).

Non sappiamo se anche gli altri possedimenti farfensi
nell Urbe fossero incorporati verso questo tempo al patri-
monio della « cella maior », o se rimanessero invece membri
immediati di Farfa; il certo é che durante la prima metà
dell undecimo secolo gli abbati Ugo, Guido I e piü tardi
Berardo I si studiarono d'ampliare sempre piü i loro posse-
dimenti in Roma, e la parte avuta dai Farfensi nei maneggi
politici di quel secolo induce a credere, che le mire politiche
non furono del tutto estranee a tale tendenza d'espansione.

Il i7 aprile 1011 tre « illustrissimi » fratelli donarono
a Guido nove oncie d’acqua e il necessario terreno sulla

(1) Op. cit., III, doc. 504-506, pagg. 213-18. Intorno al monastero di sant'Elia a
Nepi cf. G. TOMASSETTI, Op. Cit., V, fasc. IV, pag. 609. Pei possedimenti suoi nella
scortichiaria ef. C. CORVISIERI, op. loc. cit.

(2) Reg. Farf.,IV, doc. 775, pagg. 182-83.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA ttt) È

riva del Tevere, « ad captum seccuta », in vicinanza del
Castello, per costruirvi un ‘mulino (1), che il 7 e il 20 aprile
1013 s'ingrandi, prima col legato d'un « aquimolum molente »
nello stesso luogo, offerto dal giudice Leone, poi colla por-
zione d'un cotal primicerio Giovanni (2).

A quindici miglia dal ponte salario era l' antica chiesa
di santa Colomba, presso la quale Farfa fin dall'aprile 1012
possedeva una casa e alcuni campi donati dai coniugi Adal-
berto e Ingebrada (3); tre mesi appresso, nel luglio, vennero
acquistate le ragioni sulla metà della chiesa e del casale an-
nesso » cum omni offerta vivorum et mortuorum ... necnon
omni functione et ornamento suo », al prezzo di due libre.
d'argento sborsate dal preposito Giovanni a Teodoranda, ve-
dova dell’arcario papale Albino (4), e quando nel maggio 1013
un cotal Boccio invase il possedimento a viva forza, l'abbate
Guido ricorse al Pontefice, e in una sessione giudiziaria rac-
colta in casa del console Alberico, presso la chiesa dei santi
Apostoli, fece valere le proprie ragioni (5).

Roma intanto continuava a essere dilaniata dai Cre-
sceuzi e i Tuscolani. Nel 1012 se ne moriva il Patrizio dopo
depredato il tesoro di san Pietro, e poco appresso quei di
Tuscolo sollevavano sulla sede apostolica un dei loro conti,
Teofilatto, che assai probabilmente s'impose il nome di Bene-
detto VIII (21 maggio 1012) mentre Sergio IV, infermo, lot-
tava tuttavia colla morte (6). Poscia che fu spirato, i Cre- .

(1) Op. cit., IV, doc. 051, pagg. 48-49. Cf. C. CORVISIERI, op. cit, I, fase. 2, pa-
gine 152-506.

(2) Reg. Farf., IV, doc. 665-66, pagg. 65-68.

(3) Reg. Farf.,IV, doc. 632, pag. 30. Circa le relazioni di questo fondo colla massa
del Vestarario papale, cf. GALLETTI, Del Vestarario della Santa Romana Chiesa,
Roma, Salomo i, MDCCLVIII, pag. 10 sgg,

(4) Op. cit., IV, doc. 656, pagg. 53-54.

(5) Op. cit., IV, doc. 637, paug, 34-35.

(6) THIETMARUS, CAron. Mg., lI, 858; Exceptio Relationum, 68: JAFFE-LOWEN-
FELD, Regest. Pontif. (Addend-Corrig) II, 708; P. FEDELE, Carte del monastero dei
ss. Cosma e Damiano, in Arch. Soc. Rom. Stor. Patr., XXII, 36.
32 I. SCHUSTER

fi

scenzi opposero a Benedetto l'antipapa Gregorio; ma già
il partito cominciava a decadere, quando il loro Prefetto
venne deposto, eil sedicente pontefice, cacciato da Roma (1),
verso la festa di Natale ricorse a Enrico « in Palithi » (2),
preceduto dalla croce papale e dai propri chierici. Il Re si
chiuse in un prudente riserbo, e sequestrati i vessilli e le
croci, differi la decisione a un prossimo concilio da adunarsi
« secundum morem romanum » (3).

Non era difficile prevedere che, imperiali per tradizione,
e nuovamente in lotta coi Crescenzi, i Farfensi avrebbero
preso tosto partito per Benedetto VIII, dal quale nell’ aprile
1015 ottennero la chiesa di santa Maria di Formello, appar-
tenuta per l'innanzi a due preti entrati allora monaci a
Farfa (4), e quindi, nel giugno successivo, una parte del suo
stesso patrimonio ereditario « pro domno gregorio et domnae
mariae genitorum meorum » (5).

(1) MG., III, 831.

(2) Poehlde, presso Herzberg.

(3) Loc. cit.

(4) Reg. Farf., IV, doc. 636, pagg. 33-34.

(5) Op. cit., IV, doc. 639, pagg. 37-38; È notevole che sottoscrisse la carta anche
un tardo nipote di Benedetto V, certo Crescenzo « iohannis » de lotticario. Cf. I mo-
nasteri di Subiaco, I, 77, not. 3. Cf. G. TOMASSETTI, La campagna romana nel me
dio evo, in Arch. Suc. Rom. Stor. Patr., VII (1884), pag. 360. Raccolgo qui per mag-
gior comodo tutta la documentazione dei possedimenti urbani dei Farfensi.

Dopo il 920. — Rimo abbas ... veniens Romae, completo anno mortuus est ... Se-
pultus est in oratorio sancti Stephani in cella ipsius monasterii Romae sita. (Da un
documento del Largitorio, fol. 102 verso, si rileva che la detta cella esistente in
Roma nella « Scorticlaria » era già rovinata nel 991.

Prima del 936. — ... cui (Hildebrando) cellam quae adhuc romae videtur prae-

"dieti monasterii (Rafredus abbas) concessit. (?) Op. cit., pag. 535.

Sci Stephani in Roma Campo Abbas concessit. Florig. Farf. (Le chiese scno
enumerate secondo l'ordine alfabetico).

981. — ... possessiones in civitate romana ... Reg. Farf., IIT, doc. 406, 407, pa-
gine 114-118.

1011. — ... novem principales in integrum uncias aque ... cum novem unciis
de attegia sua et de terra ad staffile erigendos ... in alveo tyberis ad gattum. se-
cuta. — Presso l'attuale via Giulia. — Reg. Farf., IV, doc. 651, pagg. 48, 49.

1013, 7 Aprile. — ... Constat nos dominicum aépiscopum sanctae sutrinensis
ecclesiae, seu rodulfum, virum venerabilem presbyterum et monachum atque abba-
tem venerabilis monasterii sanctae Dei genitricis semperque virginis Mariae dominae
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI.FARFA

CAPO XII.

Ugo muove incontro a Enrico II. — Coronazione imperiale. —
Sinodo Romano e premure d'Odilone e d’ Enrico II verso
Ugo. — È rieletto abbate (1014).

In sul termine dell'autunno 1013, Enrico II, dato assetto
alle cose di Germania, si dispose finalmente a scendere in
Italia a cingervi la corona e a rafforzare nella Lombardia
contro re Arduino il partito imperiale, di cui era campione
Arnolfo arcivescovo di Milano. Il 25 decembre celebró il Na-
tale a Pavia col Papa e coi signori d'Italia accorsi da ogni
parte a rendergli omaggio.

Una circostanza rende qui piü intralciata la questione

nostrae et sancti Laurentii qui appellatur in clausura, fidei commissarii ... leonis
dativi iudicis ... damus ... totam portionem in integrum de aquimolo molente uno ...
in fluvio tyberis in loco qui dicitur captum seccuta. Reg. Farf., IV, doc. 666, pa-
gine 67-68.

1013, 20 Aprile. — ... trado (Iohannes Prlmicerius) ... totam portionem meam de
aquimolo molente uno in fluvio tyberis, in loco qui vocatur captum seccuta. Op. cit.,

- IV, doc. 665, pagg. 65-66.

958-59. — Anno III di Giovanni XII, indiz. II, vendite di terreni presso le terme
Alessandrine. Cf. Largitorius, pag. 55. :
998, 4 Aprile. — Processo dei Preti del titolo di san Eustachio contro Ugo « qui
contendit nobis duas ecclesias sanctae Mariae et sancti benedicti quae sunt aedifi- |
catae in thermis alexandrinis, cum casis, criptis, hortis, terris, cultis et incultis,
arcis, columnis et oratorio salvatoris infra se, vel cum omnibus ad eas pertinentibus

sitas romae regione nona in predictis thermis alexandrinis. Op. cit., III, doc. 426, ^

pagg. 137-141.

998, 4 giugno. — ... (Hugo et Benedictus comes) ... coadunaverunt se infra hac
civitatem romanam, iuxta thermas alexandrinas, intra venerabilem ecclesiam sanctae
Mariae quae est sub iure praedicti (farfensis) monasterii. Op. cit., IIT, doc. 428, pa-
gine 141-143.

1011, Maggio. — Franco dativus ... refutavit ipsam ecclesiam sancti benedicti
et sanctae Mariae et sancti blasii quae est infra urbem romam et in thermis alexan-
drinis. Op. cit., IV, doc. 652, pag. 50.

1011, 1 Giugno. — Processo dei Preti di sant'Eustachio « pro ecclesia ... sancti
Benedicti et s. Mariae et sancti blasii ». Op. cit., IV, doc. 616, pag. 13-15.

1011, 2 Giugno, — ... Stephania ... refutasse ... totam vel integram portionem
quam habui .. de ecclesia una in integrum quae est in honorem sancti christi con-
fessoris benedicti, sive de domo et de cripta iuxta eandem ecclesiam atque de horto
(34 I. SCHUSTER

del nuovo orientamento politico dei Farfensi a cui accenna-
vamo sopra, e conferma i sospetti circa i veri ed intimi
motivi della rinunzia d'Ugo al seggio Badiale. Infatti, sic-
come narra egli stesso, mentre la figura di Guido I, in
questa occasione della venuta del Re, si eclissa completa-

et curte ante eandem domum. verum etiam de alio oratorio quod est in honore
salvatoris ...:op. cit., IV, doc. 650, pag. 48.

1011, 11 Decembre. — Processo dell' abbate Guido contro Gregorio di Bona che
contendeva il possesso « de una domo solorata scandolicia cum scala marmorea et
curte ante se, in qua est puteus aquae vivae, et alia curte quae est ex alia parte
ipsius domus quae est ante portam sancti andreae .... seu cripta una majori, sinino

opere cooperta, sita ad y'edes graduum ecclesiae sanctae .. Mariae ». Op. cit., IV,
doc. 657, 658, pagg. 54-58.
1013, 23 Maggio. — L'abbate Guido compra da tre orfani una casa rovinata e

parecchie corti con cripte ridotte a fienili « romae, regione nona, iuxta thermas
alexandrinas ». Op. cit., IV, doc. 667, pagg. 68 69.

1013, 8 Agosto. — Un cotal Azzone vende al Monastero « medietatem in integrum
de tertia parte ipsius curtis » presso il campo agonale. Op. cit., IV, doc. 668, pa-
gine 70-71.

1014, 27 Aprile. — L'abbate Ugo compra dal medesimo case e terre nello stesso
luogo. Op. cit., IV, doc. 669, pagg. 71-72.

1017, 20 agosto. — Terzo processo coi Preti di sant' Eustachio, pretese affacciate
dall'abbate di sant'Elia, e cessione della metà dell'oratorio di san Simeone e sue
immediate pertinenze. Op. cit., III, doc. 504, 506, pagg. 213 215 ; 216-218.

1019, 9 Giugno. — Giovanni d'Anastasio e sua moglie Stefania donano a Ugo
una terra presso « Arcus Pietatis » vicino alle Terme Alessandrine. Op. cit., III,
doc. 524, pag. 233.

1027, 25 febb. — ... infra urbem romam ecclesiam sanctae Mariae et sancti be-

nedicti cum criptis et muris et introitu et exitu illarum et campo agonis. — Dipl.
di Corrado II. Op. cit., IV, doc. 676, pagg. 77 79.
1029, 27 Gennaio. — Fresa onesta donna offre una casa attigua all» Terme. Op.

cit., III, doc. 585, pagg. 290-291.

1044, 20 Maggio. — Lederico e Benedetto presbiteri e monaci del monastero di
santa Maria « in terme Alexandrino » comprano aleune terre. Op. cit., IV, doc. 775,
pagg. 182 183.

1050, 16 Settembre. — ... infra urbem romam ecclesiam sanctae Mariae et saneti
salvatoris cum criptis et muris et cum.introitu et exitu illarum. Et campum de ago-
nis. — Dipl. di Enrico III. Op. cit., IV, doc. 870, pagg. 274-277.

1051. — Leone IX conferma tutte le possessioni farfensi presso le terme ales-
sandrine. Op. cit., IV, doc. 884, pagg. 280 281.

1073-1085. — Pietro di Nitto refuta al monastero di santa Maria presso le terme
Alessandrine alcuni beni sulla via salaria. Op. cit., V, doc. 1278, pag. 251.

1079, 5 Gennaio. — Berta di Giovanni Lupo dona al monastero di santa Maria
in Thermis una terra « foris ponte salario in massa de vestario dominico », riser-
bandosene l'usufrutto. Il resto dei beni lo lascia alla figlia Benedetta, colla clausola
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI PARFA ^ 185 RE

mente, lo zio fu tra i primi ad accorrergli incontro a
Pavia, e narrategli le fortunose vicende della sua abdica-
zione e dell'elezione del successore, fu cagione che Enrico
deponesse l’abbate, o meglio, avesse in niun conto quella no-
mina arbitaria. (1) Da parecchi documenti rileviamo che que-

che divengano proprietà del Monastero, nel caso che Benedetta muoia senza legittima
prole « vel sine legittima aetate ». Op. cit., V, doc. 1026, pag. 29.
d 1093 ?-1094? — Berardo di Benedetto di Bono dona alcune terre « extra urbem
' romanam ad sancitum Valentinum » sulla via flaminia, riservandone l'usufrutto. Nel
caso che lo ceda, sarà in favore del Monastero « de Agone ». Op. cit., V, doc. 1134, x A
pagg. 135-130. , ;
. — « Monasteria in honorem sancti Stephani martyris et monasterium sanctae
Agnetis quae sunt in Roma ...; imprimis infra romam terram agonis cum casis, hortis .
et criptis quas tenet stephanus presbyter et Stephania ... leonis curtabraca et sicco
cum fratribus suis et consortibus sine ullo scripto ». Op. cit., V, doc. 1280, pag. 276.
1281, 9 Aprile. — Gregorio IX approva la transazione del Capitolo di sant’ Eu-
stachio con quello di san Lorenzo in Damaso pel possesso delle chiese di san Bene-
detto, san Pantaleone, san Sebastiano e san Silvestro. Reg. Gregorii IX, n. 636.
1281, 19 Aprile. — Pietro Lombardo offre un legato agli oratori di san Salvatore
e s. Benedetto in Thermis. GUIRAUD, Op. cit, pag. 275-288.
| $ 1355, 28 Maggio. — Arnaldo abbate farfense concede « Dominae Franciscae ab-
batissae ecclesiam Sanctae Mariae de Cellis sitam in Urbe in regione Columnae. —
DE ARCHANGELIS, Chron. farf. cit.

| 939. — Item Romae intra civitatem novam ... leoniana iuxta muros ipsius, hor-
| tum unum cum arboribus pomorum et ficus: a I latere hortus sancti stephani ma-
joris, ab alio hortus sanctorum iohannis et pauli, a III hortus diaconiae sanctorum
| silvestri et martini, a IIII murus praedictae civitatis et terram sementariciam mo-

T. TE ZI cone

dium I foris muros in terrione et intro aquam et usque in murum antiquum Campo
abbas concessit arg. unciis IV Florig. Farf. Cf. Largitorium, f. 55, Chron. Farf.,
I, 35. 1

il Cito da ultimo il seguente documento di sommo interesse per la sto ia del
carattere politico del Monastero.

1097 ?-1099? — Un cotal Carbone promette. di sostenere i diritti di Farfa c :ntro

il « papam, regem, comitem » e contro « omnes homines ». Reg. Farf., V,pag. 148.

doc. 1147. x
1303, 19 Decembre. — L'abbate locerardo stipula un compromesso «Romae, in

contrada sancti Clementis, in hospitio abbatis. DE ARCHANGELIS, Op. Cit.

Tralascio a bella posta degli altri possedimenti urbani dei Farfensi, ricordati
nei loro diplomi o cataloghi, siccome assai discutibili, come l'« Ecclesia S. Mariae
in Aventino » e l'altra « sanctae Crucis super Romam » riferite nel Chron. Farf., I,
124,

(I) HuGONIS, Hxceptio Relationum, pag. 68. Per la vita d'Enrico II cf. A. Zim-
MERMANN, Heinrich II, der Heilige. Ein lebensbild. Freiburg in Br. 1899; H. BrEss-
LAU, Erlt&iterwngen zw den diplomen Heinrichs II; H. BLocH, Zweiter Abschnitt,
Mit zwei Excursen in Nevues Arehiv der gesellschaft fur Aeltere Deutsche Geschichte
XXII (1897) pagg. 139-221; H. GüwTER, Kaiser Heinrich II, der Heilige. Kempten und
136 I. SCHUSTER

sto era anche l’intimo pensiero d' Ugo, (1) il quale nondimeno,
non volle per allora condiscendere alle insistenze d'Enrico
perché risalisse la terza volta il soglio farfense, e da Pavia,
dopo le feste natalizie, si condusse col Papa, con Odilone e
colla corte reale a Ravenna (2). Quivi fu espulso il vescovo in-
trusó Etelberto, e in un sinodo venne intronizzato Arnolfo,
tratello di Enrico II. Si sottomise all esame dei Padri la causa
del vescovo Leone che, reso muto da paralisi, aveva ardito
in quello stato sacrar preti e diaconi; da ogni parte giun-
gevano al concilio querele contro gli usurpatori dei beni ec-
clesiastici, ma perchè premeva al Re affrettare la cerimonia
della sua coronazione, fu differita ogni risoluzione a un fu-
turo sinodo da convocarsi a Roma, e al quale ognuno dirige-
rebbe l'elenco delle patite spogliazioni (3). Prima di chiudere
la sessione venne tenuta parola del caso d'Ugo e i vescovi
tentarono indurlo a riprendere, il pastorale, ma indarno, chè
i rimorsi e una cognizione più intima dello stato lacrimevole
della Badia potevano più sul suo animo che tutte le insistenze
amorevoli d' Enrico e d'Odilone.

Da -Ravenna il Re per l Umbria e il Lazio avanzò can-
tamente verso Roma, non senza qualche secreto presenti
mento che, siccome a Pavia aveva cinto il diadema tra le
spade sguainate e i tizzoni degli incendiari, cosi a Roma eli
lordasse l'ammanto imperiale il sangue di cittadini sgozzati
lungo le vie.

Nell'animo degli alemanni tal sentimento di diffidenza
era tradizionale, « dum ego hodie ad sacra limina aposto-
lorum perorabo, tu gladium continue super caput meum te-
neto, nam fidem romanam antecessoribus nostris saepius su-

München, Kósel 1904; H. MürLER, Das A. Kaiserpaar Heinrich und Kunigunde,
Steyl, 1903; J. B. SaEGMüLLER, Die ehe Heinricks II, des heiligens, mit Kunigunde
in Theologische Quartalschrift. LXXXVIII (1905), pagg. 78-94.

(MG. SS., XV, B.; 815.

(2) TIETMARUS, Chronic., VI, 61. MG. SS., III, 835.
(3) HUGONIS, Exceptio Relationum, pag. 68.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA ' (91

spectam non ignoro » (1), aveva già detto buon tempo innanzi
Ottone I al suo scudiero Ansfrido; ma: questa volta, dopo le
voci contradittorie sulla morte d'Ottone III, il diffidare era

più giustificato. Enrico, pertanto, esigette ostaggi che in se- ^

guito disertarono (2), quindi, avanzando cautamente coll’ eser-

cito, come su un terreno minato, verso il principio di gen-
naio fu alle porte di Roma. Non ostante le méne dei Cre-
scenzi ritornati nuovamente popolari, i cittadini gli mossero
incontro, dissimulando le antiche vie; « dissono voto » nar-
rano gli Annali Quendlinburgesi, « tamen ut par erat, suo
domino dant laudum proeconia, extollentes ad. sidera (3) ».

I buoni troppo facilmente s’ illudevano, specialmente tra
il clero, e in quell'oro che recava Enrico già vedevano
la restaurazione dell'antico « imperium », il sogno dorato
dei Romani di tutti i tempi, divenuto allora più popolare per
opera d'Ottone III.

Si rievocarono gli antichi ricordi della « domus augu-
stana », come sotto il Predecessore (4). e in pochi giorni sorse
fuori Dio sa quale ciurmaglia di Padri Coscritti, presieduta
da Romano, fratello del Papa e « senator omnium romano-
rum » (5) e destinata a fare la sua prima comparsa il di
della coronazione d' Enrico!

La domenica 14 febbraio il corteo mosse dal palazzo detto
di Carlo Magno alla basilica vaticana, ove attendeva il Papa.
Intervennero le « scholae », i chierici, gli abbati coi monaci,
l'esercito papale e Alemanno, ultimi dodici senatori, imberbi
i sei Romani, barbati gli alemanni, che incedevano tutti
innanzi alla coppia imperiale, gravi, sostenendo onorifici
scettri, insegna della nuova dignità. All'ingresso del tempio

(1) TIETMARUS, Op..cit., IV, 22.

(2) Annal. Quendlinburg. MG. SS., III, 82.

(3) Loc. cit.
(4) Cf. M. L. HALPHEN, La cour d’Otton III a Rome. in. Mélanges d' Archéologie
et d'histoire, XXV (1905) V. pagg. 349-63.

(5) Cf. M. L. HALPHEN, Note sur les consuls et le ducs de Rome in Mélanges cit.,
XXVI, pagg. 67-77.
' (38 I. SCHUSTER |

Benedetto VIII salutó il Principe e, giusta l'uso, l'interrogó
(I se a somiglianza di Carlò Magno prometteva fedeltà al beato
| ii Pietro e successori suoi, e avutone sacramento, l' unse col cri- :
EU sma in sul capo. All'atto di ricingerlo della corona, Enrico
più sollecito si tolse dalla fronte il diadema che l' adornava,
facendolo appendere sull'altare di san Pietro (1), e spedi poi

MR : a Cluny il globo d'oro e gemmato, simbolo dell'impero
| universale, presentatogli dal Papa (2). La festa terminò con

un solenne banchetto imbandito nel triclinio di Laterano.

I di seguenti non trascorsero inoperosi: l'abbate cassi-
| nese Atenulfo ebbe là sua pancarta dall'aureo sigillo. (3),
WA : un'altra ne ottenne Andrea, abbate di san Salvatore a Pa-
LN via (4, e Bernone, abbate d’ Augia, fu testimone delle di-
spute d'Enrico coi preti romani, che alla messa, contraria-
mente all'uso delle chiese d'Oriente, di Gallia e di Germa-
nia (5) solevano omettere la recita del simbolo di fede. Si
scusavano, ché Roma, a differenza delle altre sedi, non era

mE ——MÀ ÓÓ msn

stata mai contaminata d'eresia, ma quest'argomento, privo
d’efficacia per allora, più tardi, nel 1192 venne ritorto dai
Cassinesi contro Onorio II, per non giurargli fedeltà in una
guerra, ove le armi religiose dovevano essere adoperate a
sostegno di tendenze politiche (6).

Nella settimana stessa della coronazione si celebró il
sinodo, e, riconfermate le antiche decisioni a riguardo del-
l'intruso Etelberto, trasferito allora da Ravenna alla meschina
sede d'Arezzo, e annullate le ordinazioni sacre conferite dal
muto Leone, Odilone ed Enrico II seppero cosi predisporre
iii gli animi dei Vescovi, che Ugo, nonostante la sua riluttanza,

VOR (1) TIETMARUS, op. cit. MG. SS., III, 386.
| (2) GLABER RODULPHUS, Histor., I, 5. Patrol. Lat., (Migne) CXLI:, pag. 625-26.
BIET (3) MG., Diplomat. III, pars. I, n. 287; cf. Leo MARSICAN, Chron., II, 81, MG. SS.,

(6) Chron. Cassin., IV, 95. MG. SS., VII.

EE VII, 647.

il il | (4) MARGARINI, Bullar: Cassin., II, 71 sgg.

| i I (5) Cf. SEMERIA, La messa nella sua storia e nei suot simboli, Lettura II, pa-
| iW gina 108.

d
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 739

dovè finalmente accondiscendere a risalire alla cattedra far-
fense, « abbas per imperialem praeceptionem », Come ap-
punto s'intitola in una carta dell’ Aprile di quell’anno (1).
E Guido I sparì nell' ombra senza lasciar traccia di sé.
Figura veramente enigmatica, il di cui governo ha tutta 1’ ap-
parenza d’un ripiego di formalità, ad acquietare i rimorsi
dello zio, e a salvarlo da una situazione politica compro-
mettente. Infatti, in tutte le occasioni un pò scabrose, nel li-
‘tigio contro i preti del titolo urbano di sant’ Eustachio, nel-
l'affare di Tribuco, nell' uscire incontro al « Senior » a Pavia
è sempre Ugo quello che agisce e parla; e se talora, quando
l'opera del nipote non è interamente di suo genio, si di-
chiara estraneo alle cose di Farfa (2), quest' affermazione,
ispirata forse al desiderio di trarsi: d'impaccio, è smentita
poi sempre da fatti.
Abbate rinunziatario, Ugo continuò come dinanzi ad abi-
tare nella Badia durante il governo del Nipote, e in due
carte del 6 gennaio e Ottobre 1013 appare anzi unico « vene-
‘abilis abbas », senza che Guido venga neppur nominato (3);
o almeno il suo nome sia preposto a quello dell’ antico ti-
tolare. « Certum est...

obtulisse vobis domne hugo, et tibi,

domne guido, domini gratia religiosis presbyteris et mona-
chis atque almificis abbatibus venerabilis monasterii sanctae
dei genitricis », continuando cosi in plurale in tutta la « car-
tula ». Nel regesto le ultime menzioni di Guido I ricorrono
1013 (4); indi egli ?scompare,
tuttavia il deposto Prelato non è
coll'altro san Guido,

tra l'agosto e il settembre
senza lasciar traccia, se
da identificarsi farfense an-
ch'egli, e che verso il febbraio 1022 venne promosso da En-
rico II alla sede abbaziale di san Clemente di Casauria (De

monaco

(1) IO Exceptio Relationum, loc. cit.;

(2) Id., id., loc. cit.

(3) Lo a III, doc. 490, pagg. 197-98.

(4) Op. cit., IV, doc. 622, pagg; 62-63.

(5) Sull' identificazione di Guido I coll'omonimo abbate di Casauria, cf. U. BAL-
ZANI, Ecceptio Relationum, 66, nota 1.

Reg. Farf., IV, doc. 669, pagg. 71-72.

48
I. SCHUSTER

CAPO XIII.

Diplomi imperiali in favore di Farfa. — Ostilità contro i Cre-
scenzi e assedio di Bocchignano. — UgoIel'Abbate Lan-
duino. — Nuovi pericoli per Ugo. — Lega coi conti Od-
done e Crescenzo. — Aumenti di censo (1014-1019).

Ripresa la ferula pastorale, fu primo pensiero di Ugo
dar sesto all'amministrazione economica, e a tal uopo ottenne
da Enrico II un diploma, colla conferma degli ultimi acquisti
e del nuovo ordinamento d'una parte del patrimonio fer-
mano, a cagione del quale già altra volta, siccome vedemmo,
s'era recato in Germania alla Corte del Re, e aveva. finito
per abdicare il comando. Il documento convalida le dona-
zioni d’Ottaviano e Rogata, del prete Giovanni in Sabina, del
conte Alcherio, oblatore del castello Anganello in quel di
Fermo, di Casanova, d'Attone e del figlio del conte Ilde-
brando, a nome Grimizo, che morendo aveva istituito Farfa
erede universale. Questi esercitava anche il « districtum mi-
nisterii » sul territorio di Spazzano, e regolarmente — pure
dopo la costituzione di Corrado il Salico, per la quale il
nepote venne finalmente ammesso a succedere nell'ufficio dei
« comites » — l'Imperatore avrebbe dovuto investirvi un
nuovo magistrato; ma Enrico II preferendo continuare nella
sua politica di indebolire l'autorità del conte a vantaggio del
clero, più debole e sempre ligio all’ Impero, e concesse a
Farfa quel « ministeriolum publicum », nel timore, diceva,
che un laico ne invadesse i beni all' intorno.

Rimaneva da ultimo il monastero di santa Maria sul
Minione, di cui l'abbate Graziano aveva sperperato il patri-
monio; ma venne rimediato col cassarne gli atti, a danno
esclusivo dei miseri enfiteuti. Il diploma termina colle con-
suete « minae », in data del primo anno dell' impero d' En-
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA - '(41

rico IL, dodicesimo del regno, duodecima indizione, « actum
Romae feliciter » (1). ! :

È notevole l'assenza d'ogni minimo accenno alle soper-
chierie dei Crescenzi. Se ben ci ricorda, quattro anni dopo la
morte del padre, Giovanni e Crescenzo avevano ghermito
colla frode tutto quel tratto di territorio sulla riva. destra del
Farfa, che dalle radici dell'Acuziano, attraverso il feudo di
-san Getulio e il campus « sancti Benedicti » si distende sino .
alla rocca di Tribuco, presso le foci del fiumicello, là dove
immette nel Tevere. Ne dettero pertanto l’ enfiteusi a due
soldati disertori di Farfa, e, resi anche più audaci dal suc-
cesso; i due « Comites » una notte piombarono armata mano
sul castello di Bocchignano a un miglio dalla Badia, e cac-
ciatine i rettori d'Ugo, lo ridussero in loro potere.

Predisposto pertanto in suo favore l'animo dell’ Impera-
tore, un giorno della prima settimana dopo l’ incoronazione,
mentre, giusta l’uso degli Ottoni, egli amministrava la giu-
stizia in san Pietro, forse nel piccolo oratorio di santa Maria
in Turri, Ugo alla presenza del Papa e di buon numero di
giudici romani e longobardi porse querela contro i due conti,
per l'invasione di Tribuco e Bocchignano (2). |

Citati al giudizio i Crescenzi, si presentó solo Giovanni,
inviso al Papa per la mancata fede circa il forte di Pale-
strina, e mentre l'altro riparava a Tribuco a rinfrancarsi
alla lotta, il fratello a Roma allegò in propria difesa la nota
cartula dell’Abbate Guido, che Ugo non aveva voluto mai
soscrivere. Questi pertanto negò la sua legalità, siccome nulla
l'elezione del Nipote, non confermato nè investito da Enrico,
e con lui sentenziarono anche i giudici, che « episcopus qui
pertinet. palatio imperiali vel pontificali, nullo modo valet fa-
cere scriptum, nisi prius ab ipsis donum acquirat » (3).

(1) Reg. Farf., MI, doc. 451, pag. 164.
(2) Per i casali Serrano e Po-ziano, tolti in quest'occasione ai Farfen i, cf. To-
MASSETTI, La campagna romana, in Arch. Soc. Rom. Stor. Patr., VII, (1884) pag. 379.
(3) HUGONIS, Exceptio Relationum, ediz. Balzani, pagg. 68-70.
(49 I. SCHUSTER

Circa la questione di Bocchignano, rispose Giovanni non
esser questa cosa sua, ma del fratello, che parecchi anni
innanzi aveva acquistato a caro prezzo quel paese, né ora
vorrebbe lasciarselo tórre di mano tanto facilmente e cosi
alla buona. Enrico adunque accettò la sfida; e, pregato il
Papa a congiungere le sue milizie al nerbo degli imperiali,
si disponeva già all'assedio del castello, quando la domenica
appresso, ottava dell' incoronazione sua, il malvolere dei Ro-
mani, tolta occasione dalle prepotenze soldatesche dei Ger-
mani, proruppe in aperta rivolta, che venne sedata solo il
giorno seguente, dopo che il Tevere e i dintorni del Castello
furono disseminati di cadaveri. Si combatté aspramente quel
di e l'intera notte, e se le faville estreme dell’ incendio co-
vato in Roma da ben mezzo secolo contro la dominazione
straniera vennero spente per allora, non lo furono che nel
sangue.

Schiaeciati definitivamente i Crescenzi, Giovanni, ridotto
a mal partito, supplicò l' Abbate perche l'aiutasse a uscir
vivo dalle mani del Papa, essendo disposto a venire seco lui
a un aecordo amichevole circa l'enfiteusi badiale. Invero
Ugo conosceva troppo bene la vecchia volpe per lasciarsi
trarre in inganno dalle lagrime, ma, mite d'indole e desi-
deroso di guadagnare il nemico colla. cortesia (1), pregò
Enrico II perchè lasciasse ricoverare quello sciagurato in
luogo sicuro dalle vendette dei Pontificî, a condizione che
egli o il fratello sarebbero di lì a tre dì tornati in Roma
a rispondere delle violenze commesse contro la. Badia.

Allo spirar della proroga i due Conti vennero attesi lun-
gamente, ma indarno; allora Enrico, incalzato dalla fretta di
partire da Roma, diede all'Abbate l'investitura di Tribuco e
di Bocchignano, pregando Benedetto VIII che per l'amore che
gli portava, compiesse egli la « traditio » e recuperasse a

(1) Id., loc. cit.
NE

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA - 743

Farfa quelle castella (1). Indi parti, e, trascorsa la Pasqua a
Pavia, di là per Bobbio e per le Alpi fece finalmente ritorno
in Germania, « nostras adiit serenitates » come sfrontatamente
si esprime Tietmaro nella cronaca! (2).

Rimasto a Roma col Papa, Ugo tentò dapprima di rial-
lacciare le trattative — « libentissime », narra egli —, e
propose ai Crescenzi il riscatto di Bocchignano per 170 lib-
bre d'argento colla cessione enfiteutica di Tribuco (3); ma
perché i due Conti, resi più audaci quanto più s'allon-
tanava Enrico, già andavano discorrendo di vendetta per
l'onta patita, Ugo, a un trarre d'arco da quei diavoli, che
tra le gole dei monti e circondati dagli sgherani, una notte o
l'altra potevano -piombare all’ improvviso sulla Badia e met-
terla a ferro e fuoco, atterrito, si rivolse al Papa per aiuto. Non
erano trascorsi trenta giorni dall'ultima condanna, che il bel-
licoso Benedetto VIII « ira motus, furore ductus » mosse
adunque su Bocchignano e, strettolo d' intorno d'assedio at-
tese che si arrendesse per fame. Il castello infatti sorge a
cavaliere sopra una rupe brulla, che da tre lati si eleva a
picco su d'un fiumiciattolo che le bagna il piede, e dal quarto
attraverso un sentiero tortuoso e ripido, offre un accesso ben

diffieile a chi dalla verde pianura del Farfa s'attenta a farne

l'ascensione. L'assalto, anche da quest'ultimo lato, è troppo
svantaggioso, e perciò il Papa, per non esporre inutilmente
l' esercito al furore degli assediati, rotte loro le comunica-
Zioni esterne, attese indarno due settimane, senza peraltro.
che gli assediati dessero alcun segno di penuria di vetto- -
vaglie. Solo l’acqua faceva difetto, — era nel cuor. della

(1) Id., loc. cit.

(2) MG. SS., III, 386. Terminata la descrizione del viaggi^, prosegue: « aeris
hujus et habitatorum qualitates nostris non concordant partibus. Multae sunt, pro
dolor! in Romania atque in Longobardia insidiae, cunctis huc advenientibus exigua
patet caritas; omne quod ibi hospites exigunt venale est, et hoc cum dolo, multique
toxico hic pereunt adhibito ». :
(3) Exceptio Relationum, pag. 68.
(44 I. SCHUSTER

state! — ma fu un istante che il cielo annuvolato sembrò

volerli favorire anche in questo, con uno scroscio di pioggia,
di che andó anche turgido il fossato. Crescenzo e i suoi —
Giovanni era a Tribuco — lo credettero di lieto auspicio, e,
ripreso animo, s'apprestavano a esporre a quella benedizione
quanti vasi avevano e sin le vesti e le biancherie, onde tor-
cerne il liquido per le future provvisioni; ma, narra Ugo,
mentre tutto all'intorno diluviava e straripavano i torrenti,
non caddero su Bocchignano tante goccie di pioggia da col-
marne un bicchiere. Atterriti, da una parte e dall'altra si gridó
al miracolo, e il di appresso Crescenzo tutto avvilito scese
dal maniero a capitolare col Papa (1).

Tra le condizioni apposte, la prima fu l’assicurazione che
dopo il termine di venti giorni egli col fratello sarebbero
comparsi in giudizio a Tribuco e che frattanto avrebbero
consegnato Bocchignano in mano dell'Abbate. Che fare? Fu
giuocoforza assoggettarsi, e perchè anche le cose di Roma
richiamavano la presenza del bellicoso Pontefice, questi, sod-
disfatto della felice riuscita di quell’ impresa, tolse finalmente
l'assedio, e fece ritorno all'episcopio di Laterano.

Allo spirar della proroga Benedetto VIII sali nuova-
mente' a cavallo, scortato questa volta da una rappresentanza
del « consistorium », gli ufficiali del Palazzo, il Prefetto di
Roma, Marino, gli abbati di san Paolo, di sant’ Andrea al
Celio, di san Silvestro, san Bonifazio sull'Aventino, di santa
Maria sull’Esquilino, innanzi al Titolo d'Eudossia, dai conti
Berardo, Todino, Oddone, Giovanni, Crescenzo, dagli Otta-
viani di Sabina, Teofilatto di Tivoli; un corteo insomma che,
mentre incuteva rispetto alla maestà pontificale, faceva pure
uno strano contrasto colla semplicità con cui era per svol-

(1) HuGoNIS, Exceptio cit., pag. 69. Intorno alla « Sala » ricordata qui da Ugo e
scoperta in Bocchignano nel 1876, cf. Acc. Lincei, Not. Scavi, 1876 genn. 1877.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 745

gersi l’azione giudiziaria, all'ombra d'un pero sulla collina,
a breve distanza da Tribuco! (1).

Ugo si fece innanzi coll'avvocato Alcherio e rinnovò la
citazione, che l'abbate di san Silvestro nel Campo Marzio si
incaricò di trasmettere a Crescenzo. Infatti, perchè era inten-
zione di Benedetto VIII che il Conte rinunziasse alla buona
a quelle sue pretese, gli fece intendere, che se non s'arri-
schiava a comparire sulla collina, si compiacesse d'indicare
altro luogo di convegno dentro la cinta del castello, ove si
sarebbero recati i giudici romani. Ma fu inutile, e dopo due
giorni d’aspettativa il Pontefice concesse nuova investitura
a Ugo, — per allora solo giuridica e sul diploma, ma in se-
guito, dopo quasi un anno, anche reale ed effettiva, poichè,
recatosi di bel nuovo a Tribuco col nerbo delle sue forze,
ebbe espugnato il castello per fame e lo restitui a Farfa (2).

Acquistato pertanto nuovo titolo alla gratitudine dei mo-
naci, Benedetto concesse loro anche l'amministrazione giudi-
Ziaria « districtum et placitum » — ed era atto politico accor-
tissimo — su tutta la massa di Bocchignano, sottraendoli cosi
alle rivalità dei rettori del patrimonio papale in quelle
parti (3); inoltre, quando l'anno appresso il fratello Marino,
« eonsole, duca e senatore di tutti i Romani », stese le mani
su i casali Ponzano e Serrano, appartenenti al territorio di
Tribuco, siccome sua parte di bottino nella disfatta dei ban-
diti Orescenzi, il Papa, ai richiami d'Ugo, glie ne fece aspro
rimprovero, e in solenne assemblea raccolta in Laterano ne
ordinò l' immediata. restituzione (4).

Né qui terminarono le vicende fortunose di Tribuco.
Contrastato ancora al Monastero per oltre cinquant'anni, nel

(1) Reg. Farf., III, doc. 492, pagg. 199-202; Exceptio Relationum, cit, pag. 69:
Chron. Farf., II, 84; WAPPLER, Papst. Benedict., VIII, Leipxig, 1897. pag. 34.

(2) Exceptio Relat., loc. cit.

(3) Il diploma é in data del XV kal aug., dunque tra la resa di Bocchignano e
il giudizio di Tribuco. Reg. Farf., III, doo. 491, pag. 198.
(4) Reg. Farf., III, doc. 502, pag. 210-12.

nere
7146 I. SCHUSTER

1111 era tornato nelle mani dell’ Abbate Beraldo, quando
vi fu tratto prigione d'Enrico V Papa Pasquale II, perchè,
rinunziato alle conquiste d'Ildebrando, preparasse la via al
concordato di Worms (1) tra le più vive proteste dei veterani
‘di Gregorio VII (2). Ma le concessioni estorte colla perfidia,
e revocate l’anno appresso dallavvilito Pontefice ai richiami
del partito intransigente, finirono per entrare nel diritto ec-
clesiastico, per opera sopratutto del concilio di Laterano.

Poco dopo Tribuco venne raso al suolo e il territorio fu
concesso ai Bocchignanesi con una bolla d'Adriano IV, nel
maggio 1157 (3); i Farfensi, che tuttavia esercitavano l’alta
giurisdizione su quel comune, non vi sono neppur nominati,
triste sintomo del mutamento di loro fortuna, incominciata
a declinare dopo la scena di Canossa, che aveva dato il
crollo alla potenza imperiale in Italia !

Due documenti del Regesto che si riferiscono all'ammini-
‘ strazione feudale della « massa Bucciniani » poco dopo la
resa forzata del castello, apportano contributo non trascurabile
anche alla storia dell’intero patrimonio territoriale farfense,
in ispecie nella marca di Camerino, ove il « praesidatus
pharphensis » consacrò la memoria delle. glorie e delle be-
nemerenze della Badia, si protrasse sotto tal nome anche
quando i rettori pontifici ne usurparono il comando (4). Son
due lettere tra gli anni 1018-1019 e indiritte a Landuino, ab-
bate di san Salvatore maggiore, da non confondersi col mo-

(1) WATTERICH.. Pontificum. Roman. Vitae, II, pag. 63; Cf. GREGOROVIUS, Ge-
schichte, IV, 330 sgg.; Lib. Pontificalis, (ediz. Duchesne) II, 371. MG. histor. Leges,
II, 182. È

(2) A. AMELLI, San Bruno di Segni, Gregorio VII ed Enrico IV in Roma (1081-
1083), Tip. Cassin. 1903, 22 pagg. in 8.» Intorno alla parte presa in questa circostanza
dal farfense Giovanni, abbate di Subiaco, cf. I Monasteri di Subiaco. I. P. EG1DI, No-
tizie storiche, 98.

(3) P. KEHR, Papsturkunden in Rom, Gottingen, 1903, I, pagg. 174-170.

(4) MARINI, Serie cronolog. degli Abbati di Farfa. Roma, MDCCCXXXVI, pag. 27,
not. I; I. GUIRAUD, La badia di Farfa alla fine del sec. XIII in Arch. Stor. Soc. Rom.
Stor. Patr., XV (1892), pagg. 275-288.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA i; T47

nastero omonimo di Scandriglia, sorto parecchi secoli dopo,
per opera del marchese Uberto e di san Domenico di Sora.

Nonostante la vicinanza delle due badie, insin dalla loro
prima origine correvano fra loro le relazioni più intime, così

| che ambedue prosperavano materialmente intrecciando in-

sieme, per cosi dire, la proprietà territoriale (1). I Farfens;
possedevano lor beni fin sulle soglie del cenobio reatino, e
questi, viceversa, sulla sponda sinistra del Farfa. Si venne
perciò a un accordo, e poichè Ugo aveva ottenuto da Be-
nedetto VIII il diritto sulla « massa bucciniani .. ut ho-
mines ad placitum duceret, sicuti comites de comitatu sabi-
nensi antea facere solebant », cosi Landuino sollecitó 1’ e-
senzione dei suoi coloni di Meiana, compresi territorialmente
nella Massa. Annui il Farfense, e col diploma tramandatoci
dal Regesto dichiarò che tutti i vassalli del monastero del
salvatore, compresi nel territorio dello stato farfense, fossero
esenti da ogni tributo e riconoscimento di dominio o di pro-
tezione, ad eccezione del fodro imperiale.

A sua volta Landuino promise che le proprie genti di Me-
iana verrebbero iscritte tutte tra i castellani bocchignanesi
— incastellatio — ove avrebbero, come gli altri, montata la
guardia al castello, prestato i consueti servigi feudali, e sareb-
bero stati soggetti ai tribunali di Farfa nei delitti d'omicidio,
furto, incendio, tradimento della piazza, adulterio o stupro
consumato contro vergine consacrata. A tale giudizio inter-
verrebbe bensì un messo dell'Abbate di san Salvatore, ma
i suoi vassalli serberebbero in ogni caso fede ed onore al
« domnus » di Farfa (2).

Riferito ai monaci quest'accordo, i Farfensi ne rimasero

(1) La più antica menzione del Monastero del Salv .tore è contenuta in una carta
farfense del 752, ove il monaco Teudone, col consenso deli’ abbate Adstialdo, vende
alcuni beni a Fulcoaldo farfense. Cf. GALLETTI, Gavio cit., pag. 101; Reg. Farr., Il
doc. 33, pag. 43-44, ove però l'abbate del Salvatore lia nome Adroaldo o Adualdo.
(2) Reg. Farf., III, doc. 513, pagg. 224-25.

,
148 I. SCHUSTER

tanto soddisfatti, chè Ugo ne comunicò tosto la notizia a Lan-
duino. |

« A Landuino, Abbate del monastero del nostro Signore
e Salvatore, Ugo, infimo ed umile abbate di Farfa, salvezza
eterna e amore reciproco in Cristo.

Dopo che i fratelli hanno esaminato l'aecordo testé con-
chiuso fra noi circa la corte vostra: di Meiana e la chiesa
di san Pietro la più gran parte n'é rimasta soddisfatta e l'ha
eonfermato. Siccome me ne'pregasti, anch'io ho terminato
le ricerche tra le pergamene, i volumi e i diplomi dell'archi-
vio, constatando che fin dai primissimi tempi é stata concordia
stabile e amicizia intima tra voi e noi; tanto che fu mai sem-
pre libero, né si negó ad alcuno di passare da noi a voi e vi-
ceversa, siccome pure lo stare e il tornare nei nostri cenobi.
Talora le due comunità, quasi unica famiglia, si sono adunate
insieme a di stabiliti, sia d'estate che d'inverno e quando
per la solennità di Pentecoste venne da noi l'imperatore Lo-
dovico e concesse al Monastero e all'abbate Giovanni un
ampio diploma d'immunità per gli acquisti fatti o da farsi
nel futuro, sappiamo che ne rilasciò uno simile all’ abbate
vostro Anastasio e al cenobio del Salvatore (1).

A vantaggio poi dei rispettivi monasteri, mentre ci siamo
sempre studiato l'estender le nostre possessioni nel cuore
delle proprietà territoriali gli uni degli altri, possediamo tut-
tavia dei documenti d'autenticità inconstrastabile circa alcune
terre a voi attigue, il castello Mallialardo colla chiesa di san
Benedetto e le sue dipendenze, parte del.cenobio Vetere, di
villa Cella-Nuova, Lesenia, villa san Benedetto e chiesa omo-
nima a voi presso, oltre le fabbriche nel luogo chiamato
Granica. Nella via ad aquilone, a destra, possediamo un ovile
estivo ricinto da muro, il castello di Longone con le dipendenze
e i molini annessi. Ora poi, dopo permutati con vantaggio

(1 Reg. Farf., III, doc. 317, pagg. 11-12; cf. MURATORI, RR. Ital. SS., II, 2, pa-
giua 355.

E rr II
AO PRETI SOUS

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 749

‘comune glimmobibili che possedevamo troppo vicino gli uni
agli altri, se, come ci significasti, tu intendi ancora, di rite-

nere in tuo possesso la corte di san Pietro in Meiana, sappi

— che anche noi ci riserveremo san Pietro in Pensile. Altri- :
menti, potrai riceverne giusto compenso, e colui che primo:

verrà meno ai patti pagherà la multa di dieci libre d'oro,
oltre la perdita del cambio. Se ciò. aggrada alla pietà tua,
fà d’ informarmi in modo dettagliato su quanto voi possedete
in questo territorio, perchè vi si possa stabilire il prezzo con-

veniente senza ansietà di scrupoli e con vantaggio comune.

Possa succederti tutto bene, siccome te lo auguro » (1).

Ambedue questi documenti, d’altronde notevolissimi per
la storia dell'evoluzione del feudalismo farfense, però accen-
nano appena alle difficoltà durate in quei primi anni di « Co-
mitatus ». Vi suppliscono invece diverse altre carte del Rege-
sto, e, per omettere la menzione di un monaco « Franco vice-
dominus ac rector » di Bocchiniano nel 1044 (2), fra le più an-
tiche carte sono quelle dell’agosto 1014, all’indomani della resa
e riguardano processi guadagnati da Ugo I e Uberto, « iudex
et advocatus », contro varii pretendenti a titolo di condo-
minio. Vi si ricordano le refute di Siofredo e Sinolfo, padre
e figlio, Giovanni e Guido di Bona, Benedetto di Gaipone e
il figlio Azzone, Burello di Mingerada, Adamo di Azzone e

la consorte Rodilanda (3). Quest ultimi sono due nomi fa-:

mosi nella storia di Farfa, ché Adamo era figlio di quel
cotale ebreo Azzone, cui Campone aveva dato colla mano
d'una sua bastarda anche il possesso di Salisano, Casaprote
e Bocchignano. In seguito egli divenne enfiteuta dei Far-
fensi, e fu appunto da lui che il conte Crescenzo acquistò

(1) MABILLON, A741. 0. S. B., IV, Append. XXXII, 706; MURATORI, op. cit,
pag. 524; GALLETTI, Lettera sui documenti d? Ascoli, in Giornale dei Letterati, del
Pagliarini di Roma, per l'anno 1757. (Inviata il 3 ott. 1757 a Mons. Stefano Borgia, poi
cardinale); Reg. Farf., V, doc. 1297, pag. 285-80.

(2) Reg. Farf., IV, doc. 774, pag. 182.

(3) Reg. Farf., III, doc. 494, pagg. 202-03.
' (50 I. SCHUSTER

la cartula relativa al possesso del « castrum », « videntibus
cunetis buccinianensibus », siccome narra Ugo (1).

Il processo contro un tal Lotario di Attone, livellario
d'Adamo e dei monaci « in loco qui nominatur buccinianus,

infra ipsum castellum quod ibidem stare videtur et de foris
ipso castello », fu lungo e fastidioso, e perché finalmente po-
tesse vederne la soluzione, Ugo dové estinguere i diritti del-
contendente mediante la compra d'aleuni suoi immobili, al
prezzo di cento soldi (settembre-ottobre 1018) (2).

Prossimo altresi a Tribuco e a Gabi era il gualdo di
san Giacinto, ove nel maggio 1017 Grimaldo prete, Nettone,
Ildebrando e Adelberga, figli di Tenza, rinunziavano all’ en-
fiteusi d'una vigna « infra civitatem gabis ubi nunc turris
vocatur », — una delle prime menzioni di Torri, che si so-
stituisce allantico vico sabino del periodo romano (3).

Frattanto, la politica fluttuante di papa Benedetto VIII
ritrovava esattamente riscontro nella debolezza dei partiti,
su cui poggiava allora la vita municipale romana. Espulsi
i Crescenzi, vennero poco dopo richiamati per opera del
duca Ranieri II e del partito popolare, cosi che strinsero
ibrida lega con Benedetto VIII, il loro antico avversario
sotto le mura di Bocchignano e di Tribuco.

La Badia di Farfa attraversava allora una crisi perico-
losissima. Schierato il Papa tra i suoi avversari, perchè
l'uso vietava agli Ecclesiastici il prestar personalmente giu-
ramento, cosi Benedetto VIII vi surrogó il fratello Romano
e il nipote Gregorio (4) dai quali fece promettere ai Cre-
scenzi ogni appoggio nella guerra contro la Badia.

La collera del guerresco Benedetto e la sete di vendetta
di cui ardevano i Crescenzi atterri pertanto nonché i mo-

(1) HucoNIs, Destructio farf., pag. 39 (Ediz. Balzani); MG. SS,, XI, 541.
(2) Reg. Farf., III, doc. 515-16, pag. 226-28.

(3) Op. cit., III, doc. 509, pagg. 22021.

(4) Querimonium Hugonis, pag. 76; Exceptio Relationum, pag. 69.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 55751

naci anche il fiero abbate, che, « inermes » invocarono
l’aiuto degli Ottaviani, Ottone e Crescenzo, nuovi conti di
Sabina, e antichi benefattori del Monastero, al quale trenta
anni dopo dovevano fornire un illustre monaco, l'abbate
sublacense Giovanni III (1) Quando Ugo strinse questa
nuova alleanza era egli tornato di recente di Germania (2),
ove aveva sollecitato la protezione d'Enrico II; ma non di-
meno, se la protezione degli Ottaviani venne comprata da
lui a troppo caro prezzo, colla cessione eufiteutica di Tribuco
da cui erano decaduti i Crescenzi, il pericolo tuttavia era si
grave che in seguito l' Abbate ebbe a render giustizia alla
loro fedeltà, confessando innanzi allo stesso Enrico II (1022),
e quindi anche a Corrado II (1026-27), che senza l'aiuto
del loro braccio egli avrebbe dovuto certo soccombere alle
insidie degli usurpatori (3). Pur troppo, la storia dei mona
steri italiani in quel tempo, e in particolare quella del vicino
Subiaco, ove l'abbate Pietro, abbacinato dai conti di Mon-
ticelli, periva miseramente nelle secrete di quel castello (4),
non fa che confermare le sinistre previsioni d' Ugo.

Quasi a compenso di tanti tradimenti, durante il lustro
1015-1020 il patrimonio di Farfa dilató considerevolmente; e
prima, col monastero di san Lorenzo in Macri, offerto da
Benedetto VIII la vigilia di Natale 1017 (5) — anteriormente
alia lega coi Crescenzi — poi coll'altro di sant'Antimo a
Narni, che l'abbate Valentino donò nel luglio 1019 « ad ha-
bendum... et regulam saneti benedicti conservandum » (6),

(1) Cf. SPERANDIO, Sabina Sacra, 131; GREGOROVIUS, Geschichte der stadt. Rom,
III, 422. Più accurata é la genealogia proposta dall'Heinzelmann, op. cit. Cf. I Mo-
nasteri di Subiaco, I, P. EGIDI, Notizie storiche, pagg. 91 sgg.; la discendenza dei
« Comites » di Sabina ricostituita dall'Egidi, loc. cit., é incompleta, omettendo del
tutto Crescenzo, fratello d'Oddone I.

(2) MG. SS., XI, pag. 544; HucoNis, Exceptio Relationum, pag. 70.

(3) Reg. Farf., Ill, doc. 525. pagg. 23435; Largitor, fol. CCCLVIII.

(4) P. EGIDI, op, cit., pagg. 83-84.

(5) Reg. Farf., MI, doc. 503, pagg. 212-13.
(6) Op. cit, III, doc. 529, pagg. 238-39.
(52 ì. SCHUSTER

giusta l’uso, l'oblatore ricevè nuovamente il suo fondo in en-
fiteusi secondo la forma assai comune di quel tempo, quando
i monasteri minori, mediante un leggiero censo annuo, si po-
nevano al sicuro, sotto la protezione dei cenobi maggiori.

Il possesso del monastero di san Silvestro presso Ascoli
valse invece a Ugo più lunghi fastidi.

Il fondatore Adam, antico commendatario farfense, pre-
posto poi alla Cattedra vescovile d' Ascoli, dotatolo già coi
beni dell'Abbazia, laveva tuttavia assoggettato all’ episcopio
ascolano (990 996) (1). Quando però Ottone III nel 996, a pre:
ghiera dell'abate Giovanni III, riuni nuovamente i beni della
marca di Camerino e del contado di Fermo al patrimonio
di Farfa (2), anche san Silvestro dovè probabilmente ricono-
scere il dominio del potente cenobio sabinate. Comunque sia,
Ugo ne riteneva il già possesso da lunghi anni, quando verso
il 1018 sorsero a contestarglielo il vescovo Emmo e un tal
Adalberto di Lotario, contro del quale fa promulgata sen-
tenza sfavorevole nel decembre di quell’anno (3). L'azione
giudiziaria contro il vescovo fu differita sino al ritorno di
Ugo dalla corte d' Enrico II, e fu solo verso il settembre
1019, e in seguito alle deposizioni dei testimoni, due laici e
un prete, estranei al luogo: « monasterium sabinense vidi-
mus tenere et exfructare et ad episcopium numquam per-
tinuit », che il possesso controverso venne aggiudicato al
Monastero (4).

Le condizioni speciali di quest'ultima vittoria (5), quando
pure non se ne voglia ricercare la spiegazione nella squisita

pieghevolezza d'animo dell'Abbate (6), debbono studiarsi alla

(1) Op. cit., V, doc. 1269, pag. 245.

(2) MG, SS., XI, pagg. 538-39; è a notare però che nelle pancarte anteriori al-
l'anno 1019 non é mai menzionato questo monastero di san Silvestro. Cf. Reg. FarrT.,
IH, doc. 525, pagg. 234-35. 3

(3) Reg. Farf., III, doc. 457, pagg. 168-69.

(4) Op. cit., III, doc. 458, pagg. 169-70,
(5) Op. cit., III, dec. 459, pagg. 170-71.
(6) Ohronic. Farf,, II, 133.
C PAAR

TILL I RIZZA

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 158

luce della concezione speciale longobarda circa il diritto di

proprietà e i titoli di dominio agrario. Ritroviamo infatti che
alcuni giorni dopo la sentenza favorevole, Ugo stipulò un
nuovo accordo col vescovo, mercè il quale dove redimersi
dalle future vessazioni della curia episcopale ascolana collo
sborso di trecento soldi (1).

Quando adunque, attraverso i diplomi e gli atti pubblici
dell'alto medio evo, rileviamo l' indecisione nella quale P in-
vasione longobarda 'involse il concetto romano, cosi esatto,
circa la proprietà privata, è lecito supporre che la mentalità
comune sapesse anche apprezzare, come constatiamo nel
caso d'Ugo, la vaghezza e la scarsa efficacia dei titoli di
dominio nel diritto longobardo.

CAPO XIV.

Spedizione d'Enrico II contro i Greci e suo soggiorno a Farfa

— San Guido, abbate di Casauria — Assedio di Troia —
Nuovi processi: contro i Crescenzi — Giovanni XIX e i
Farfensi — Rivendicazioni patrimoniali (1019-1026).

Il consiglio di mettere i Farfensi sotto la protezione dei
nuovi « Comites » di Sabina era stato suggerito dal noto
cancelliere d' Enrico II, l'arcivescovo Piligrino, -cui Ugo s'era

rivolto per aiuto (2). Infatti, i due potenti prelati aulici si

erano già conosciuti alcuni anni innanzi in Germania; anzi, da

allora l'Abbate dovè forse essere messo a parte dei secreti

intendimenti dell' Imperatore,
dall' Italia meridionale.

circa la cacciata dei Greci

Infatti, era già un ventennio, fin dai primi tempi degli

(1) Op. cit., III, doc. 459, pagg. 170-71.

(2) Cf. Exceptio Relationum, pag. 69; Querimonium, pag. 76, nota 2. Piligrino ‘

fu bibliotecario della Chiesa di Roma nel 1024. Cf. Regesta Roman. Pontif., JAFFÉ-
LOEVENFELD, n. 4076.
(54 I. SCHUSTER

Ottoni, che i Greci, invasa l'Apulia e le Calabrie, avevano occu-
pato Bari, rafforzando la loro dominazione tutta su quella parte
della penisola. A Roma il Papa spiava con timore quel loro
continuo avanzare, mentre Melo e Datto, sollevato già nelle
Puglie lo stendardo della riscossa, avevan dovuto cedere in-
nanzi all'impeto dei Bizantini, riparando. quello a Capua,

questo, prima presso il cassinese Atenulfo, quindi, nella torre
sul Garigliano, presso Benedetto VIII.

Ma nell'esilio di Capua presso il principe Pandolfo, fratello
dell'abbate Atenulfo, Melo non fu inoperoso, e riuscito anzi à
mettere sul piede di guerra grosse schiere di Normanni,

con queste piombó sopra Salerno, e Benevento, sbaragliando
tre volte l’esercito imperiale, finché per la perfidia dell’ a-
stuto Catapan Boiano, non venne egli stesso sconfitto.
Riparò allora in Germania alla corte d'Enrico II, ove poco
appresso fu raggiunto anche dal Papa (aprile 1020), che,
combattuti prosperamente per varii anni i Saraceni, invocava
ora nuovo aiuto per la cacciata dei Greci. Il caso infatti era
gravissimo. Ucciso Datto, il Cassinese col fratello, brigando
e tergiversando, tenevano secretamente per i Bizantini, ai
quali se una volta fosse riuscita ad avere in mano Capua e
Monte Cassino, senz'altro, di là avrebbero avuta libera e pro-

| tetta la strada sino a Roma. Fu quindi un istante in cui
M Enrico temé perduta all Impero l'Italia, e certamente, se
li non fosse piombato sollecito a vendicar Datto, opponendosi
alle mene dei due fratelli traditori, chi sa quale piega a-
vrebbe ora la civiltà europea. E difficile dire se i contem-
poranei d'Ugo e d'Enrico intuirono completamente tutta

l’importanza del momento storico che attraversavano, e se
dietro la perfidia ingorda dei Greci, intravidero l'eterno
antagonismo tra loriente e l'occidente, dalla guerra di Troia
alla vittoria di Lepanto, sempre vario nelle sue manifesta-

zioni, ma identico nel genio ispiratore. Enrico pertanto spedi
attraverso la Marsica e le Puglie l’ arcivescovo Poppone di
Aquileia con 11,000 uomini; ne affidò altri ventimila a Pi-
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA CENTO)

ligrino, da assalirne il Cassinese e Pandolfo; e finalmente
guidò egli stesso il resto dell’ esercito, traversando le Mar-
che e la Sabina.

Siccome rileviamo dai documenti che il campo impe-
riale venne disposto nelle vicinanze di Farfa, così è proba-
bile che la Badia sia stata appunto prescelta siccome luogo
di convegno col Papa e coi conti del ducato di Roma (1)..
| È notevole che i contemporanei d' Ugo, ed egli stesso,
là ove nelle sue opere discorre della cacciata dei Greci, tac-
ciano affatto della parte da lui sostenuta in quella cam-
pagua; e se tutto un complesso di circostanze speciali, i
colloqui con Piligrino, l'assicurare la pace del Monastero
sotto la protezione dei conti sabinesi, l'attendarsi dell'esercito
presso Farfa, e, soprattutto, il ritrovare l'Abbate nel seguito
d'Enrico, prima sotto le mura di Troia (2) e poi, nel luglio
successivo, a Roma, non ce ne assicurassero, ci sfuggirebbe
completamente questo particolare importantissimo della vita
d'Ugo. È a notarsi, infatti, che all’ epoca in cui siamo col
racconto, l’esercito farfense era già stato disciolto (3), e quindi
Enrico II dalla compagnia d'Ugo poteva ripromettersi solo
il senno del consiglio e la potenza morale, derivata dalle
doti personali del grande Abbate.

GlImperiali erano tuttavia accampati nei dintorni di
Farfa, allorché giunse inattesa a Enrico un'ambasceria dei mo
naci di Casauria, che, lamentando le calamità patite, chiede-
vano un abbate. Quel monastero, fondato da Ludovico II circa
l' 866, per quasi due secoli aveva prosperato sotto il governo
dei suoi primi rettori (4), finché verso il mille, coll’ affievo-
lirsi del rigore monacale, divenne preda dei vicini baroni,
che, usurpate le possessioni, tenevano i monaci quasi prigioni

(1) Cf. P. FEDELE, La battaglia del Garigliano, cit., pag. 200; LEONE OSTIENSE,
Chron. Cassin., II, 37, in MG. SS., VII.
(2) MG., XI, 501. i
(3) Chronic. Casauriense, in MURATORI, RR. Ital. SS., 2, col. 842 Sgg.
(4 Reg. Farf., V, doc. 1285, pagg. 280-81.
196 I. SCHUSTER

entro l'isolotto del Pescara (1). La dissoluzione era giunta
al colmo sotto gli ultimi abbati, creature dei nobili del vi-
cinato, — « quoniam erant de carne eorum », siccome scrive
un contemporaneo (2) — che ripagavano lambito onore col
subirne in pace tutti i capricci e le rapine. La rovina divenne
irreparabile per la nomina simoniaca dell'abbate Gisleberto,
« guercio e accecato d'animo », sotto del quale alcuni mo-
naci perirono a guado nel Pescara, altri furono malmenati
dal conte Trasmondo, che spadroneggiava in quelle parti sui
beni della Badia (3).

Alla nuova di tanta rovina Enrico convocó a consiglio
i suoi intimi, e giacchè era appunto il caso d'un uomo della
tempra d' Ugo, cosi il Re lo richiese se mai tra i suoi cenobiti
fosse un monaco di nobile lisnaggio, dotto nelle umane lettere,
pio, e, soprattutto, forte d'animo, da preporre alla dissoluta Ca-
saurid. Vi fu chi bisbiglió allora il nome di Guido, identico
forse all'Abbate di tal nome, ma la scelta dispiacque a Ugo,
che, lontano da Farfa buona parte dell’anno, aveva bisogno
egli stesso di tali tempre d'animo su cui appoggiare l' impresa
della Riforma. Non era il caso di illudersi, e anche a Farfa
le ostilità di Campone e d'Ildebrando contro gli antichi clu-
niacensi avevano ritrovato un'eco languente e tarda tra i
monaci contemporanei d'Ugo, che, allesempio dei Santi,
addotto di continuo dagli « zelanti », replicavano, essere
stati quelli uomini d'altri tempi e di più valide fibre. « Non
intelligentes quod usque in finem mundi non deerunt iusti »,
come mestamente conchiude il racconto di tali dispute Ugo,
pel quale tutta la ragion d’essere della chiesa sta nel raggiun-
gere quel numero di Santi prestabilito da Dio. « Qui si com-
pletus esset, mundi iam finis factus fuisset » (4).

(1) Chron. Casaur. cit., 769.

(2) Chron. Casaur., 812 sgg. La lettera, meglio che a Enrico II, menzionato
già come « sanctissimus », é diretta al IV di questo nome, siccome prova la men-
zione dell'imperatrice Agnese, madre di detto imperatore.

(3) Op. cit., 842 sgg.

(4) Id., id.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA (51

E aveva ragione, ché anche in mezzo ai trambusti del
governo sotto gli abbati piü tristi, a Farfa s'era sempre ritro-
vata qualche anima eletta; e non ultima tra queste era quel
monaco Giovanni (988) che ancor tutti ricordavano, « ‘bono
animo, humilis, mansuetus, sobrius, castus, virtute omnipo-
tentis roboratus et sanctae regulae patris nostri benedicti
praeceptis imbutus.., quasi vir proeliator fortiter constans
in bonis operibus et sancta oboedientia patris sui spiritua-
lis » (1), e che dodici anni innanzi alla venuta d' Ugo era
stato preposto dall'abbate Giovanni III alla riedificazione del

‘cenobio di san Pietro di Catino.

Ma quello a cui dispiacque sopratutto la scelta dei consi-
glieri d' Enrico, fu l' Eletto, che, prostrato ai piedi del suo
Abbate, coi singhiozzi meglio che colle parole lo scongiurava
a permettergli di finire in pace i suoi giorni all'ombra del-
l Aeuziano. Non valsero preghiere, né lagrime, e perché
i Casauriensi e Enrico insistevano, Ugo, mal frenando alla
commozione dell'animo, impose a Guido la dura prova, che
nelle intenzioni dell'Imperatore doveva essere un nuovo ar-
comento di affetto verso i Farfensi (2).

Dopo breve sosta, mentre il nuovo abbate e la scorta di
onore destinatagli da Enrico II compivano il viaggio attraverso
l'Appennino (3), anche l'Imperatore mosse da Farfa alla volta
delle Puglie, innanzi che i calori precoci dell'estate rendessero
troppo faticoso agli Alemanni lo scorrazzare per quelle aride

regioni. Il 10 marzo 1022 era già a Benevento (4) ove con-

(1) Destructio. Farf., pagg. 49-50.

(2) Reg. Farf., III, doc. 401, pagg. 10305; per il beato Gerardo di Farfa GI
Erordium magn. Cisterc. Dist., III, 15. P. L. CLXXXV, pagg. 1071-72.

(3) Chron. Casawr., loc. cit.

(4) Chron. Casaur., loc. cit.; MABILLON, Act. SS. 0. S. B., saec. VI, pars I, pa
gina 487 sgg.; Querimonium, pag. 75. San Guido morì il 23 novembre 1045, chiaro
per molti prodigi che si dissero da lui operati mentre era in vita e dopo morte, al
suo sepoicro. Secondo il Chronic. cit., avrebbe tenuta la sede 21 anni, 6 mesi e 23
giorni ; ma le note cronologiche del IV libro sono troppo in disaccordo tra loro, e
il testo é troppo difettoso, per poterne tentare senz'altro una correziòne.
158 I. SCHUSTER

sacrava il ricordo dei suoi primi trionfi coi diplomi d'im-
munità concessi al monastero della santa Sofia, e all’altro
del Salvatore, fatto erigere in quei dintorni (1). Nel seguente
maggio era a Melfi (2), ove lo raggiunse Piligrino col pri-
gione Pandolfo, cui fu risparmiata a stento la vita (3). L'altro
fratello, più astuto, visto il nembo che gli si addensava sul
capo, fuggi a tempo da Monte Cassino, finchè la mano di
Dio non lo raggiunse su quell'Adriatico, ove poco prima, e
per suo consiglio, era stato sommerso Datti!

Espugnata Troia e ridotta a soggezione Benevento, Sa-
lerno, Napoli e Capua, l' Imperatore e il Papa, col seguito
degli Arcivescovi e dei duchi ascesero tutti alla Badia Cas-
sinese a ringraziar Dio della vittoria e ad assicurarsi meglio
delle disposizioni d’ animo di quei monaci.

Forse anche Ugo fu in loro compagnia,-e riabbracciato
così il decrepito abbate Giovanni, che perseverava tuttavia
nei rigori austeri dell'eremo, il di seguente, festa degli Apo-
stoli Pietro e Paolo, egli potè assistere alla consacrazione
del nuovo abbate cassinese Teobaldo, compiuta per mano
di Benedetto VIII (4).

Durante una brevissima fermata d’ Enrico II in Roma,
Ugo tornò nuovamente a perorare la sua causa contro i
Crescenzi. Mentre adunque il Papa e il conte Oddone per in-
carico dell' Imperatore già si disponevano a render giustizia ai
richiami dei Farfensi, intimando in Vaticano nuovi placiti
contro i Crescenzi, questi rispondevano collo scherno, e
assegnavano la. metà dei proventi di Tribuco siccome parte
dello spillatico della moglie del conte Crescenzo (5).

Enrico II, incalzato da un timor panico, continuò la sua

(1) UGHELLI, Italia Sacra, III, 115.

(2) MABILLON, Annal., IV, 288.

(3) Id., id.; Reg. Farf., V, doc. 1285, pagg. 280-81.

(4) Cf. P. FEDELE, Di alcune relazioni fra 4 conti di Tuscolo e i principi di Sa-
lerno, in Arch. Soc. Rom. Stor. Patr. XXVIII (1906) pagg. 5-21; XXIX, pagg. 240-46.

(5) Chronic. Cassin., II, 42; MABILLON, A7w-al., IV, 288.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA "(199

ritirata frettolosa verso la Germania. Era reduce da una
vittoria, ma sembrava quella la ritirata da una rotta disa-
strosa, mentre la dissenteria decimava l'esercito non assue-
fatto ai calori del sole meridionale. |

Arrivato in Germania in sul cominciare dell inverno,
il Monarca intervenne ancora ai Sinodi d'Aquisgrana e di
Magonza; e mentre d'intesa con Roberto di Francia, già
s'andava disponendo per un abboccamento col Papa a Pa-
via, nell'intento d'un gran concilio generale, lo prevenne
la morte ai 14 luglio 1024. Nel settembre successivo ne rac-
colse l'eredità e la corona di Germania Corrado II, già duca
di Franconia, detto altrimenti il Salico.

Anche a Roma, a Benedetto VIII, morto fin dal 7 aprile
di quell’anno, successe nel giugno successivo (1) suo fratello,
Giovanni XIX, ancor laico, e forse neppure immune da brighe
di simonia (2). Narra Pier Damiani, che l'anima di Bene-
detto VIII, apparsa un giorno a Giovanni, vescovo di Porto,
descrisse al vivo le sue acri torture che lo straziavano nel
purgatorio, sollecitando perciò le preghiere dell'abbate Odi-
lone di Cluny. Riferita la visione al nuovo papa, questi ter-
rorizzato, inviò subito una lettera « bullata » al santo Ab-
bate (3), perché digiunando e pregando ottenesse da Dio la
liberazione del suo antico amico (4). E probabile che ap-
punto in questa occasione l'antico avversario d' Ugo, dive-
nuto ora pontefice, inviasse ai Farfensi le vesti pontificali e
il bastone pastorale del defunto fratello, ricordati infatti
in una lettera che nel 1049 scrissero a Leone IX i 500
monaci di cui constava allora il « conventus farfensis » (D).

(1) Annal. Sacdon. MG., VI; Querimonium, pag. 77; Exceptio Relationum, pa-
gine 69-70.

(2) Cf. P. FEDELE, Carte del monastero dei ss. Cosma e Damiano, in Arch. Soc.
Rom. Stor. Patr., XXII (1899), pag. 57.
(3) Rodulphus Glaber. histor., IV, 1, in MG. SS., XIV, 67.
(4) MG. SS., XV, B. 877. —
(9) Reg. Farf., IV, doc. 877, pagg. 272-73.
760 I. SCHUSTER

Gli anni trascorsi dalla morte d'Enrico II al principio
del 1027, allorchè Ugo per la terza volta depose le infule
abbaziali (1), non differiscono guari dai precedenti. Mentre
in Sabina ferve tuttavia Ja lotta per le castella contrastate,
l’Abbate, spalleggiato dai Conti (2), riesce a far raccorre un
placito a Farfa, ove Lotario d'Attone, Franco, Taxilo e Ar-
duino vengono costretti a rinunciare « de ipso castello quod
dicitur tribicum..., ab ipsa petra maiori quae est super ec-
clesiam sanctae luciae et usque carbonariam antiquam quae
est super ipsum castellum suprascriptum, et refutaverunt
ipsam roccam et ipsum castellum » (3).

Altra refuta importante fu quella del marzo 1024, in cui
più di trenta persone, innanzi ai conti Oddone e Pietro, al
vescovo Giovanni, ai « vicecomites », giudici e « buoni
uomini », rinunziarono ad Ugo e al suo indivisibile Uberto le
pretese loro sulle terre d'Adone, Cusiano, Fecline ed altrove (4).

Ampliarono parimenti i patrimonii farfensi nel Reatino
e nell Ascolano un cotal giudice Berardo, che donó undici
campi presso Rieti (5; Affredo, che cedé porzione del suo
allodio a Narni (6), un terzo oblatore che offrî una vigna a
Greccio (7), alcuni preti che donarono la chiesa di san Gio-
vanni a Torello (8), e così di seguito.

Dal Regesto apparisce anche probabile che nel luglio
1025 Ugo stesso ricevesse in Ascoli l'offerta di cinque moggi
di terra « in ipsa villa de carano », donati dai coniugi Adamo

(1) Guido II era abbate già nell'aprile 1027. Cf. Reg. Farf., IV, doc. 644, pag. 42
.doc. 678, pag. 81.

(2) Exceptio Relationum, pag. 70.

(3) Reg. Farf., III, doc. 584, pagg. 289-90

(4) Op. cit., III, doc. 545, pagg. 254-55. Per le rivendicazioni d'Ugo nella marca
di Camerino, Senigallia, Osimo, al suo ritorno dall'assedio di Troia cf. Reg. Farf.,
V, pag. 208.

(5) Op. cit., III, doc. 542, pag. 251.

(6) Op. cit., III, doc. 537, pag. 240.

(7) Op. cit., IIT, doc. 538, pagg. 247-48.

(8) Op. cit., III, doc. 539, pagg. 248-49.
D D E E e

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA (61

ed Isa (1), ai quali il solerte Abbate ne aggiunse altri 150,
comprati per trenta libbre d’argento, affin di stabilirvi una
masseria (2).

E, per non diffondermi di soverchio sullo sviluppo pa-
trimoniale del Monastero durante questo periodo di lotte,
accenno appena alla donazione d’ alcuni campi in Ascoli nel-
l ottobre 1024, ove, tra i confini, sono più volte ricordate
le terre farfensi (3); quella della terza parte della chiesa
di san Flaviano « foris pontem civitatis », a Rieti (4); due
porzioni dell'altra di san Rufo « in territorio novertino »,
fornita questa di tre campane, d'un parato sacerdotale e di
ben dodici codici liturgici. Attigua, anzi aderente a san
Rufo, era un'altra cappella farfense dedicata a san Benedetto,
coi suoi due altari e il diritto sulle ragioni di due porzioni
del terzo, dedicato parimenti a san Rufo, il tutto dotato
sufficientemente di stabili, case, vigne e campi, tra cui uno
esteso trenta moggi (5).

Ancora un'osservazione, innanzi di conchiudere questo
capitolo. Paragonando lo stato miserando di Farfa quando
Ugo ne prese il comando, e quando veniva « disciplinato »
dagli affamati monaci classensi, con quello nel quale la ri-
lasciò nel 1027, allorchè per la terza volta depose la ferula
abbaziale, non si può non constatare uno stato di floridezza
e di splendore, che ricordano quello dei primi anni del go-
verno di Pietro I, l'Abbate guerriero. É vero che di poi i
due Berardi I e II segnarono l’apogeo delle glorie farfensi;
ma, ascesi ambedue al soglio badiale pochi anni dalla morte
d'Ugo, non ebbero che a raccoglierne l’ eredità, conservan-

dola nelle condizioni favorevolissime in cui l'uno e l'altro si

ritrovarono.

(1) Op. cit., III, doc. 548, pagg. 257-58.
(2) Op. cit., doc. 549, pagg. 258-59.

(3) Op. cit., doc. 553, pagg. 261-62.

(4) Op. cit., doc. 552, pag. 261.

(5) . cit., doc. 561, pag. 269.

m marc pal wp:
162 I. SCHUSTER

Infine, giacchè l’uomo non si nutre solo di pane, e la
storia c’ insegna, che il progredire materiale dei Monasteri
avanza in proporzione dell’ ascendente da questi esercitato
sulla società, mercè la fama d’integrità di costumi e di vita
intellettuale intensa, è duopo conchiudere, che il secreto della
rinascita di Farfa nei primi trent'anni del governo d' Ugo I
è tutto compreso nelle fatidiche parole da lui preposte al-
l'opuscolo della Destructio: « memoria patrum... sit restau-
ratio ad spirituales virtutes nostris pectoribus inserendas (1) ».

CAPO XV.

Discesa di Corrado II in Italia. — Ugo gli muove incontro col
« Querimonium ». -- Nuova rinunzia all’ abbazia. —
Guido II continua l'opera d'Ugo. — Ritorno di quest’ ul-
timo all'antico onore. — Rinascita nei monasteri della
« Congregatio farfensis ». — Sintesi documentaria del ce-
nobio di sant'Angelo sul Tancia (1027-1039).

In sul cominciare dell'anno 1027 Corrado II, cinta l'anno in-
nanzi la corona d' Italia a Milano, e guadagnando passo passo
la strada, andó a Roma a ricevere il diadema imperiale da
papa Giovanni XIX. Vi giunse il mercoledi santo, e fu coronato
la mattina di Pasqua, 26 marzo 1021, alla presenza di Ro-
dolfo di Borgogna, di Cnut di Danimarca, « dei principi delle
nazioni, dal monte Gargano insino al mare » (2).

Si rinnovò in quell'occasione lo spettacolo orrendo del
1014, e avvampate nuovamente le ire tra Romani e Ale-
manni, i primi furono dómi colle consuete arti sanguinose (3).
Allora soltanto il Salico, rassicuratosi alle spalle, potè atten-

(1) Destructio Farfensis, pag. 28.

(2) Ep. Cnuti Regis in Willelmus Malmesbur. Gesta Regum Angl. II, 11, in Sa-
vile. SS. RR. Angl. (1601) pag. 74.

(3) WIPPONIS, Vita Chuonradi, 16, MG. SS., XI, 265.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 263

tare una spedizione a Capua, a Benevento e nelle Puglie,
ove stabili i Normanni a baluardo contro i Greci; creato
quindi vicerè di Lombardia Eriberto, arcivescovo di Milano,
fece ritorno in Germania.

Anche la tranquillità serena di Farfa venne turbata
in questo tempo da spiacevoli circostanze. Verso la fine del
1026, al primo sentore dell’avvicinarsi di Corrado a Roma,
Ugo gli mosse incontro, non sappiamo fin dove, e dipintogli
lo stato lacrimevole della Badia vessata dalle soperchierie
dei Crescenzi, insisté presso il monarca, chè, a simiglianza
di Enrico II, ricevuta dal Papa l’ imperiale consacrazione,
adunasse un placito a Roma, per definire perentoriamente
circa il possesso di Tribuco e Bocchignano.

Fu questo anche l'argomento d'un memoriale « Querimo-
nium » composto anteriormente all'udienza di Corrado, e in
cui, tessendo l'istoria della controversia fin dai tempi di Gio-
vanni III, dimostra fittizio il titolo enfiteutico usurpato dei
due Conti.

Gli storici convengono comunemente nel riferire lo
scritto a un'epoca anteriore al 26 marzo 1027, e fa mara-
viglia come appunto quel brano decisivo « ut accepta Deo
favente imperiali corona, quia ante quietem non habebitis
hoc perficiendi, iubete fieri lex » (1), abbia indotto in errore
il Galletti, sino a farlo determinare per l'anno 1022, correg-
gendo arbitrariamente « habebitis » in « habebatis », per
accordarlo colla data della spedizione d’ Enrico II nelle
Puglie (2).

Ad ogni modo è da notare che il 27 marzo 1027, all'in-
domani della cerimonia dell’incoronazione, e quando il Salico
da Roma confermò un privilegio Farfense, Ugo aveva già
deposto il comando, e reggeva le sorti della Badia il nuovo

(1) Reg. Farf., V, doc. 1279, pagg. 252-54.
(2) Il primo a pubblicare il « Querimonium » fu il Galletti nella sua Gabio, an-
tica città di Sabina, Roma, MDCCLVII, per Ottavio Puccinelli, in 8°, pagg. 139-34. (La
citazione nella nota 1 a pag. 252, vol. V del Regesto é inesatta).
'(64 I. SCHUSTER

abbate Guido II, che intervenne, siccome sembra, auche alla
solennità imperiale (1).

Che era avvenuto nel frattempo? Non possiamo fare che
congetture. Forse i rimorsi del peccato antico, forse la di-
sgrazia di Corrado per l'esiguità del fodro, o il desiderio di
pace da parte d'Ugo, spossato dalla lunga lotta sostenuta
contro i Crescenzi, — non sappiamo nulla di certo — costrin-
sero il Farfense a eclissarsi di bel nuovo, e questa volta
ancor piü misteriosamente.

Essendoci ignota la data precisa dell’ accessione di
Guido II, parve al Balzani e al Giorgi che Ugo abbia potuto
presentare il « Querimonium » a Corrado anche nel gen
naio 1027. Ad ogni modo, è da avvertire che lAutore, non
solo parla e agisce sempre in qualità d’abbate farfense, « an-
tecessor noster abbas », « nos defenderet et monasterium »,
« nostrum monasterium perderemus et forsitan vitam amit
teremus », « nos ... 2nvcestitos et tenemus adhuc Deo favente »,
ma non lascia neppure intravedere alcuna lontana idea di
abdicazione. Se dunque in un termine di tempo. cosi ri-
stretto, dalla fine del 1026 al marzo 1027, egli mutò improv-
visamente consiglio, ne conseguita, che debbono averlo in-
dotto a quella rinunzia, o la grazia di Corrado II, da cui
decadde, o altra cagione indipendente dalla volontà sua. Non
è privo di significato anche il diploma dell'Imperatore a
Guido II, in cui si confermano semplicemente i privilegi
concessi alla Badia dagli antecessori, senza verun accenno
"alle repressioni contro i Crescenzi, invocate da Ugo con
tanta insistenza. Senza dunque azzardare deduzioni ipotetiche,
quello che risulta certo dai relativi documenti è che, in un
periodo di tempo compreso tra il marzo 1027 e il febbraio
1036, moderò le sorti di Farfa l'abbate Guido II, uscito d'o-

(1) Reg. Farf., IV, doc. 675, pagg. 77-78. Circa la datazione « V Kal]. Mart. » cf.
BRESSLAU, JaArbücher Konrads II, 1, pag. 165 sgg.; STUMPF, Die Reichskhanzler des
X, XI wnd XII Jahrhunderts, II, n. 1994.
L'ABBATE UGO.I E LA RIFORMA DI FARFA 765

scura famiglia, il quale, dopo circa otto anni di governo con
replicate istanze supplicò i monaci a esonerarlo da quel ca-
rico immane, cui si riteneva inetto a più sostenere. Rifiuta-
rono quelli in sulle prime, ché il sant'uomo era tanto più
degno di comandare, quanto meno ambiva quell’onore; ma
alle reiterate istanze fu giuocoforza finalmente acconsentire,
e così per la quinta volta l'abbaziale dignità venne imposta
a Ugo I.

Qui il Chronicon è quanto mai confuso, e tra l'abdicazione
. di Guido II e l'elezione di Suppone, verso il principio del 1039,

non lascia ‘affatto intravedere questa quarta reintegrazione di
Ugo (1) attestataci tuttavia dal Regesto e dal medesimo ca-
talago degli Abbati redatto da Gregorio. Solo, la data di que:
sta quinta elevazione al soglio farfense, notata al 9 giu-
gno 1036 (2) nella cronotassi abbaziale, è in disaccordo coi
documenti del Regesto, e specialmente con una carta del 1030,

‘ ove si ricorda un « Hugo abbas sanctae Mariae » (3), un’altra

del marzo 1034 con « domnus Hugo abbas consecratus » (4),
per non dire delle altre del febbraio (5), aprile (6), maggio (7),
agosto (8) e decembre 1036 (9) tutte relative a questo quinto
governo abbaziale d'Ugo. E sebbene l’ immensa maggioranza
dei documenti del Regesto, dal marzo 1097 al novembre
1035 (10), attesti il governo di Guido II, cui ci descrivono re-
sidente a Farfa circondato dalla sua corte badiale, col prepo-
sito, cellerario, decani e buon numero di giudici, adunati per

(1) Reg. Farf., IV, doc. 675, pagg. 77-78; Di un « Guido levita et monachus »
farfense si ha memoria in una carta dell'anno 1025. Cf. Reg. Farf., IV, doc. 715, pa-
gina 117. i

(2) Chron. Farf., I.

(3) Reg. Farf., II, pagg. 16-17.

(4) Op.
(9) Op.
(6) Op.
(7) Op.
(8) Op.
(9) Op.
(10) Op.

Cit,

cit. IlI, doc.

cit., III, doc.
cit., IV, doc.

IV, doc.
cit., IV, doc.
cit., III, doc.
cit., IV, doc.

728, pag. 133.
711, pag. 113.
066, pag. 273.

716, pag. 118.

589, pag. 294.

567, pag. 274.
717, pagg. 119-20.
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(66 I. SCHUSTER

un placito, tuttavia, anche volendo ritenere in conto di spo-
radiche le menzioni del 1030 e 1034 in favore d'Ugo, è dif
ficile non conciliar fede a tutte le altre del 1036, già citate.
Fu dunque verso il principio di quest'anno che Guido II
— forse già avanzato negli anni (1) — abdicò alla sede, se
pure in un documento del maggio 1036 (2) e in due. carte
del 1050, 1034 (3), non è dato di riconoscere un breve accenno
ad una scissione che durante questo periodo avrebbe ap-
punto diviso gli abbaziali in due partiti, di Guido II e d'Ugo.
Siccome tutti i documenti tacciono sulle cagioni che
possono aver ridotto quest'ultimo all’ abdicazione, così sono
affatto muti circa le condizioni nelle quali si svolse durante
questo tempo la sua vita privata. In una carta del maggio
1028 ritroviamo bensi un Ugo monaco, nominato per primo
tra gli altri « domni monachi » convenuti a Rieti per una
sessione giudiziaria, ma non è sufficientemente sicura r iden-
tificazione (4) col nostro abbate dimissionario.
Verisimilmente, se le animosità tra lui e Guido II eli
vietarono in quest’ occasione di soggiornare, a Farfa, come
aveva fatto altra volta sotto Guido I, a titolo d’ onore fu
certamente preposto a qualcuno dei numerosi monasteri
farfensi, appunto come venne operato più tardi, nel 1047,
a riguardo d’Almerico (5), rimanendo perciò giustificato an-
che il titolo di « abbas ex monasterio sanctae Mariae »,
attribuitogli in due documenti del 1030 e 1034, redatti in
Amiterno e ad Assisi.
Ma l'impulso vitale impresso a Farfa da Ugo non illan-
guidi durante la sua assenza, e continuarona ad affluire le

(1) Op. cit., IV, doc. 697, pagg. 99-100.

(2) In una carta del 15 giugno 1041 é già chiamata « bonae memoriae ». Reg.
Farf., IV, doc. 778, pag. 186. Non é adunque escluso che la quinta accessione d'Ugo
al soglio farfense possa essere stata cagionata dalla morte di Guido II.

(3) Op. cit., IV, doc. 694, pag. 96.

(4) Op. cit., III, doc. 560, pag. 268.

(9) MG. SS., XI, pag. 560.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA

consuete donazioni, permute o compre vantaggiose, come
nel caso della chiesa del Salvatore sul poggio Sestiliano,
acquistata per 20 soldi d’argento (1).

Anche l’antica e caratteristica basilichetta reatina di

san Giacomo — la cui storia fu illustrata così accuratamente
dal Galletti — rivendicò in questo frattempo i propri pos-

sessi, colla rinunzia compiuta dai preti Giovanni e Pietro nelle
mani del preposito e diacono farfense Pietro, nell'agosto 1028 (2).
L’anno appresso aumentò anche il patrimonio della .« Cella
maior » a Roma, una delle preoccupazioni più costanti degli
abbati farfensi nel secolo XI, e una cotal confinante Fresa,
donò ai monaci « unam domum terrineam scanduliciam
non procüla thermis alexandrinis » (3), riservandosene l'uso
vita durante. Un altro, un tal prete Giovanni, nel marzo 1034
offri la chiesa di san Giovanni a Vallefredda, in quel d'As-
sisi (4, mentre fin dal maggio dell' anno innanzi, alle dona-
zioni accumulate nel Perugino e a Rieti si erano aggiunte
quelle del vescovo Dodone, li nella Sabina stessa (5).

In un secolo d'intenso rinnovamento sociale, come 1 un-
decimo, quando, trascorso l'anno fatale mille, il timore della
prossima fine del mondo era svanito anche in quei pochi che
vi avevano prestato fede, nella liberalità dei popoli verso i
luoghi consacrati al culto è da riconoscere esclusivamente
una forma di vivissima religiosità, ovvero dobbiamo intra
vedervi ancora una tendenza economico-sociale che rievoca
in qualehe modo quella dell'antica clientela romana? Per lo
meno é lecito avanzarne il dubbio, soprattutto se a riscontro
del Regesto di Farfa si pone il « Largitorius », ove un buon
numero d'offerte si veggono retrocedute ai donatori a titolo

(1) Reg. Farf., IV, doc. 694, pagg. 96-97.

(2) Op. cit., IIT, doc. 560, pag. 268.

(3) Op. cit., III, doc. 585, pagg. 290 91.

(4) op. cit., IV, doc. 711, pagg. 113-14.

(5) Op. cit., IV, doc. 686, pag. 89; doc. 684, 685, pagg. 87 88; doc. 688, pagg. 91-92,
A

768 I. SOHUSTER
enfiteutico, per essere oggimai protette, all'ombra sacra delle
« res sanctae Mariae! »

Gravi mali desolavano intanto la Chiesa. Verso l'ottobre
1032, morto Giovanni XIX, i Tuscolani elevarono alla Cat-
tedra di Pietro un bambino poco men che decenne, che il
padre Alberico volle chiamare Benedetto IX.

Eletto per intrighi simoniaci, l'adolescente pontefice, ebbro
già d'onori mentre piü ferve la giovinezza, non che reggere il
mondo, non seppe neppur frenare le proprie passioni, e, ab-
borrito dai malvagi, e pietra di scandalo ai buoni, il 1 mag-
gio 1045 (1) fini per cedere la sede al miglior offerente per
indossare la cocolla monacale nel monastero di Grottaferrata.

Frattantole, antiche controversie dei monaci del monte
Amiata col vescovo Arialdo di Chiusi non avevano ancor
trovato una soluzione. Anche dopo la sentenza favorevole
d'Enrico II nel marzo 1001, quando tra gli intervenuti a
quel giudizio notammo anche Odilone di Cluny e il nostro
Ugo, quel Vescovo si mostrava tuttavia irremovibile nelle sue
pretese, rifiutandosi a consacrare la chiesa del Monastero.
Ammonito perciò replicatamente dai due papi Benedetto VIII
e IX, finalmente quest’ultimo, posposti i diritti diocesani, la
fece dedicare in proprio nome nel 1036, alla presenza del
patriarca d’Aquileia e di altri 18 tra vescovi e cardinali con-
venuti a quella cerimonia (2).

È strano, ma appunto questa, lotta secolare tra i mona-
steri e il clero fu quella che preparò ed estese dappertutto
lesenzione dei cenobii dall’ autorità diocesana, finché non
venne un movimento di forte reazione, promosso da san Ber-

nardo e dai Cisterciensi. La storia diede ragione a queste

tendenze emancipative, che nella soggezione diretta dei mo-
naci aliApostolica Sede cercavano una garanzia alla pro-

(1) Cf. P. FEDELE, op. cit., in Arch. Soc. Rom. Stor. Patr. XXII (1899), pag. 122,
nota 1; Liber Pontific., (ediz. Duchesne), II, 331.
(2) MABILLON, A7^41., IV,-pagg. 188-89; UGHELLI, Italia Sacra, III, 717.
L'ABBATE UGO 1 E LA RIFORMA DI FARFA '(69

pria autonomia, minacciata di continuo dalla cupidigia del
clero, che aspirava a sfruttarne i pingui patrimonî.

Era proprio quant’accadeva all’ abbate Bonizo di Perugia
per parte del vescovo Andrea, che pretendeva dei diritti sul
suo monastero.

Fondato « in calvario monte » dall' abbate Pietro in sul
finire del secolo X, il Cenobió perugino aveva ottenuto nel 1027
un ampio diploma d'esenzione e di conferma da Corrado H (1);
senonché, in seguito alle diuturne vessazioni d'Andrea, Bo-
nizo stanco ne porse querela a Benedetto IX, che nel 1036 rac-
colse a Roma un sinodo, al quale intervennero con Domenico
di « Labicum », Roberto di Segni, Ugo d'Assisi, tutti i chie-
rici della chiesa di Roma, gli abbati Bartolomeo di Grotta-
ferrata, Giovanni di san Montano e il nostro Ugo, che, risalito
in quell'anno sulia sede abbaziale, tornó perció di bel nuovo a
far parte dei sinodi papali (2). Infatti, quando nell'aprile 1027
Giovanni XIX aveva raccolto un concilio per decidere della
controversia tra quei di Grado e d'Aquileia circa il diritto
della cattedra metropolitana, Ugo era decaduto da ogni titolo

canonico per poter assidersi cogli altri Padri nell' assemblea, .

alla quale intervenne invece « Guido de sca Maria, abbas » (3)
che ne sottoscrisse gli atti.

Ma sul cammino della vita le spine s'alternano alle rose,
e nei consigli della Provvidenza era stabilito che il grande
Restauratore dovesse apporre egli l'ultimo fastigio all’ edi-
ficio che aveva eretto in trentacinque anni d'operoso apo-
-Stolato. La cattedra farfense era il suo posto storico, in cui
doveva ritrovarlo anche la morte. Perciò, non appena per
vie e cagioni che sfuggono sinora all’occhio scrutatore dello
storico, Ugo ritornò all’ antico onore, le sorti economiche
della Badia prosperarono come per incanto, in modo che, in

(1) Bullar. Cassin., II, 77.
(2) UGRELLI, Italia sacra, IX, 920.
(8 MAnsI, Summa Concilior, XIX, pag. 239.

dem
770 I. SCHUSTER

cambio di dover riempire delle sue querele le aule giudi-
ziarie di Roma e di Rieti, come nei primi anni del suo go-
verno, quando i monaci avevano patito difetto del vitto quoti-
diano, ebbe anzi di che largheggiare verso gli stessi suoi
avversari. Il Regesto ci conserva memoria delle donazioni
del febbraio (1), aprile (2), maggio (3), giugno (4), agosto (5),
settembre (6), novembre (7), e dicembre 1036 (8), alcune
delle quali importanti, anche sotto l'aspetto del movimento
propagandistico del monachismo farfense.

Gli abbati Pietro e il nepote Adriano che fin dai tempi
d'Ottone III avevano fondato il monastero di sant'Angelo e
di san Benedetto presso Narni, nel giugno 1036 l’ offrirono
adunque al nostro Ugo. Il documento relativo, redatto in
Narni dal dativo notaio Silvestro, discostandosi in parecchi
punti dalle solite formole notarili dell'epoca, vale la pena
d'essere qui riassunto. « Al Signore nostro, santo e vene-
rabile pei meriti, il Monastero di Farfa, sacro alla Vergine
Maria, Madre di Dio, edificato in Sabina alla falda d'un
monte, nel luogo detto Acuziano; a te, signore Ugo, umile
Abbate, e ai successori tuoi, che coll aiuto di Dio onnipo-
tente ti seguiranno dietro; a tutti i monaci che saranno
perseveranti nelle divine lodi, preghiere, solennità di messe,
sacre luminarie, e che non cesseranno di pregare Dio pei
peccati nostri e pel mondo; a tutti voi, insomma, che entre-
rete nel monastero di Farfa e vi persevererete l'intera
vita nel servizio del Signore!

« Sia lode e gloria a Dio eterno e onnipotente, che nella
sua misericordia si degnó dare al mondo il suo figliuolo uni-

(1) Reg. Farf., III, doc. 566, pagg. 273-74 ; doc. 588, pagg. 293-94.
(2) Op. cit., IV, doc. 716, pagg. 118-19.

(3) Op. cit., III, doc. 589, pag. 294.

(4) Op. cit., IV, doc. 719, pagg. 121-:
(5) Qp. cit., III, doc. 567, pag. 274.

6) Op. cit., III, doc. 508, pag. 275.

(7) Op. cit., III, doc. 590, pagg. 294-05.
(8) Op. cit., IV, doc. 717, pag. 119.

t2
e
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA "TE

genito, Cristo Gesü, Signore nostro, concepito nel seno della
santa Vergine Maria.

« Egli è il Salvatore dell uman genere per la sua santa
Passione, la fonte universale di vita, cosi di quelli che sono
ancora in terra, che dei morti che dormono nelle. tenebre.

Perciò la terra ricolma di tanti benefici, per la gloria della,

sua resurrezione, per lo Spirito Divino che ha riempiuto l'in-
tero orbe, e per la grazia del sacro Battesimo, serba rico-
noscenza al suo Creatore, e, come sta scritto, tutti gli uo-
mini s'affrettano a gara a offrirgli il tributo della propria
gratitudine.

« Delle quali cose memore io, domno Pietro abbate,
consento all'abbate Atriano, mio nipote, perché, come egli
ha ricevuto da me una cartula di cessione, così ora ambe-
due prestiamo omaggio al soprascritto monastero della santa
Vergine Maria, a voi domno Ugo, umile abbate, e ai vostri
successori, a rimedio dell’anima nostra, dei genitori e di
quelli che attestarono la propria devozione offrendoci i loro
beni. In cambio di questo tenue dono, imploriamo adunque
dal. Signor Dio nostro e dalla beata Madre sua Maria
l'eterno gaudio coi Santi, giacchè siamo appieno convinti,
che Dio ha riversato su di noi le sue beneficenze ; e quantun-
que noi non sappiamo nè riamarlo con cuore puro, nè onorare
come conviensi i suoi famigliari, tuttavia, per placarne
l'animo vuolsi offrirgli dei doni con cuore generoso, essendo
Egli il supremo donatore, dal quale appunto ricevemmo tutto
quello che abbiamo. Ecco adunque che gli offriamo oggi il
nostro monastero di sant'Angelo e di san Benedetto, nel con-
tado di Narni, sulla collina che dicesi Taizano, con tutte le
sue pertinenze ecc. .... Una chiesa dedicata allo stesso san
Benedetto ivi presso, .... una terra sotto lo stesso DOME; tf
Metà di quello di san Gregorio; dentro Narni, nel rione di
san Severino la chiesa dedicata a san Martino, .... un altra
metà di quella di santa Maria « de fundo ortiscano », ....

santa Felicita nel Fabriciano, .... san Martino a Flaganello,

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egal Sabino, .. Santo Stefano nel contado d'Amelia ....
unam ecclesiam nostram quam habemus in urbe roma, in re-
gione nona, quae nominatur sancti benedicti » .... Le quali cose
(fondi, terre, chiese, mobilia) doniamo e concediamo alla
Chiesa della santa Vergine Maria, a te, domno Ugo, umile

.abbate, e ai successori tuoi, che verranno eletti secondo la

Regola del beato. Benedetto. Quanto si enumera in questo
diploma, io, soprascritto Pietro abbate lo acquistai fin dai
tempi d' Ottone III e di Gregorio V, non senza molto travaglio
e afflizione ecc. .... Redatto a Narni. }& Io Pietro abbate
colla presente do il consenso, e di mia mano mi sottoscrivo.
Y& Io Adriano abbate, di mia volontà ho pregato che si sten-
desse questo rogito, cui sottoscrivo. »4 Io Benedetto prete e
monaco, di mia mano ecc. » (1).

Corrisponde all'indole feudale e ai bisogni dei tempi
l'uso allora comune a tutti i grandi monasteri, a Monte Cas-
sino, Nonantola, santa Sofia di Benevento, più tardi anche
a Cava dei Tirreni ecc., per cui i piccoli cenobi, dei quali
d’altronde era disseminata l' Italia e specialmente l’ Umbria,
cercavano nei maggiori aiuto e difesa contro le prepotenze
laicali. Ordinariamente la cosa seguiva in tal modo. Prece-
deva l'offerta del monastero e dei monaci al Santo Patrono
del cenobio da cui si voleva la protezione ; se veniva accettata,
l'abbate di quest' ultimo, quando non gli piacesse lasciare al
governo il prelato offerente, inviava tosto un suo preposito
che ne tenesse le veci, e determinava l’annuo censo da rile-
varsi. Consisteva questo talora in qualche centinaia di cucchiai
di legno per il desinare dei monaci, in una cocolla, un po’ di
pesce da imbandirne la mensa del monastero-capo, alcune
ceste di frutta .... Così, sulla fede di Gregorio di Catino, ai
monaci di san Vincenzo al Volturno correva l'obbligo di
andare a Farfa una volta all’ anno per compiere il turno

(1) Op cit., IV, doc. 719, pagg. 121-25. Cf. Largitorium, fol. 390-91 per l'atto re-
lativo d'enfiteusi in favore dei donatori.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 773

del servizio ebdomadario nella cucina, come ordina la
« Regula sancta »; e questo, siecome segno di soggezione,
nell’ XI secolo era anzi l'argomento più stringente addotto
dal Cronista farfense per giustificare le sue pretese sui Vul-
turnensi. È poi da distinguere la semplice protezione dalla
dipendenza. Il monastero protetto, tranne l'alta vigilanza del-
l'Abbate del Cenobio in capo, viveva di una vita propria e
delle proprie risorse, conservando una larga autonomia nella
disciplina interna e nell'amministrazione del proprio patri-
monio (1) a differenza delle « oboedientiae » « prepositu-
rae » « cellae », che, non avendo per lo più abbate, ricono-
scevano per tale quello del cenobio maggiore, prosperando
tuttavia sotto il saggio governo dei prepositi, come quel Gio-
vanni di san Pietro di Catino, che verso il 980 restauró
quel monastero, e fece dipingere da cima a fondo la sua
chiesa (2). Col decadere poi della potenza dei Monasteri mag-
giori, si assottigliò altresì il vincolo che riuniva questi pic-
coli centri di religiosità e di cultura al « caput monasterii »,
tanto che nel secolo XIII-XIV non si saprebbe ben calco-
larne l'entità; constatiamo inoltre che, appena scongiurato il
pericolo d’ essere sopraffatti da qualche laico potente, spesso
Cotesti prepositi si adoperavano a tutto potere per riacqui-
stare la perduta autonomia. Vedemmo già quel Graziano,
abbate di santa Maria presso il Minione, che nel 1009, alla
prima nuova della rinunzia di Ugo alla sede di Farfa, tentò
subito di sottrarre all’obbedienza di Guido I tutte le preposi-
ture di Corneto, Civitavecchia, fino in Toscana, se non giun-
geva in tempo Sergio IV, che l’obbligò tosto con una bolla
« ut secundum praeceptum regulae sancti Benedicti humi-
lies te sub Guidone, abbate monasterii sanctae Mariae ». Di

(1) Chron. Farf., I, 3 sq. Le pretese accampate dai Farfensi non ricevono alcuna
conferma dagli antichi documenti in proposito, dai quali invece risulta la perfetta.
indipendenza d'un monastero dall'altro. Cf. Reg. Farf., 1I, doc. 43, pag. 50.

(2) Reg. Farf., III, doc. 401, pag. 102-105.

impe
TT4 I. SCHUSTER

qui quella riluttanza dei grandi monasteri ad inviare abbati
nelle « cellae » soggette, e quel continuo delegarvi a prepositi
i propri monaci (1), siccome ad ufficio temporaneo, e totalmente
dipendente dal beneplacito dell'Abbate. Era pure raro che si
concedesse alle case dipendenti il dirittó libero d'elezione del
proprio superiore; (2)e troviame anzi che Cluny su questo
punto agi tanto esclusivamente, da imporre per abbate unico
a quelle parecchie migliaia di « cellae » soggette e disse-
minate in tutta Europa l'unico « domnus cluniacensis »,
giungendo sino a usurpare per lui il titolo « abbas abba-
tum », che la tradizione monastica aveva riservato esclusi-
vamente successore di san Benedetto sulla sede del Monte
sacro di Cassino (9).

È assai probabile, almeno per quanto si rileva dai do-
cumenti, che Farfa, come congregazione o « caput mona-
sterii », non giunse mai a quell' estensione meravigliosa alla
quale pervennero Cluny e Cava; anche all'epoca in cui
siamo, che é pur quella del suo massimo splendore, i mo-
naci non oltrepassarono il mezzo migliaio (4).

Era tuttavia un campo immenso da coltivare, e un' opera
colossale, alla quale era solo idonea una di quelle figure gi-
gantesche della tempra d'Ugo I, di Berarde I e di Adinolfo
(1125-1144) (5). Ma quando questi atleti vennero meno, e la

(1) Op. cit., IV, doc. 603, pag. 2; cf. la lista dei prepositi farfensi intervenuti
alla consacrazione della basilica « scae Mariae » compiuta da Nicolò II nel 1060 e
che ne sottoscrissero il verbale. Reg. Farf., V, doc. 1306, pagg. 292-05.

(2) Cf. Reg. Bernardi I abb. Cassin., n. 288, 289, 451-53. Romae, Typograph. Vat.,
MDCCCLXXXX.

(3) Chron. Cassin., II, 53.

(4) Cf. G. ANDREUCCI, Notizie istoriche dei ss. Martiri Valentino e Ilario, Roma,
1740, in 4°; ORIOLI, Viterbo e suo territorio, in Giornale Arcad., CXVII, 385; CRISTO-
FORI, Miscellanea storica romana, Serie I, vol. 4, fasc. 2 (1888), pagg. 102-606; Le
tombe dei Papi in Viterbo, Si-na, 1887, in 89, pagg. 6-7: P. LA FONTAINE, Gli atti dei
S. Mm. Valentino e Ilario, Viterbo, 1906; G. ROMANELLI, Dei SS. Martiri Valentino €
Ilario. Accenni Storici. Viterbo, 1880.

(5) Sulle relazioni d'Adinolfo con s. Bernardo cf. GAaUFRIDUS, Vit. s. Bernardi
Abb., L. III, 24, pag, 317. P. L. CLXXXXV ; P. KEun, Urkunden su Geschicte von
Farfa cit. i
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI PARFA mri:

somma del potere ricadde in mano a persone dalla santità
e dall'abilità comune, impari perciò a tanto carico, l’intero
edifieio dové necessariamente crollare. Il sistema di centra-

lizzazione, come fu inteso a Cluny e a Citeaux, in ispecie -

allorchè trattasi d'elementi ancora prematuri a uno svolgi-
mento autonomo, ha certamente i suoi vantaggi incontrasta-
bili; ma la storia c'insegna che a lungo andare, il giorno in
cui la compagine del macchinismo viene a dissolversi, o
il perno intorno al quale gira tutto quel meccanismo artifi-
cioso si rallenta, la rovina sarà colossale, sarà irreparabile.

La storia posteriore del monachismo italiano è ben tri-
ste. Quando nel secolo XIII sorsero gli Ordini Mendicanti
e in un attimo e senza contrasto acquistarono il cuore del
popolo, nessuno degli antichi istituti monastici si levò a con-
trastare loro il terreno, sonnecchianti, irrigiditi, morti già
da più secoli o languenti sotto gli artigli delle arpie com-
mendatarie (1). Sorte questa che ai tempi di Ugo era ancora
ben difficile di prevedere o di scongiurare! La disciplina,
infatti, e i riti cluniacensi introdotti a Farfa non potevano
non esercitare un potente fascino su i monasteri che ave-
vano qualche attinenza colla potente badia imperiale. E
perché dopo il rifulgere di Cluny e il rinnovamento pro-
dotto da san Romualdo, anche-in Italia, e in un secolo d’ in-
tenso risveglio, come l’ undecimo, si era destata una forte

(1) È storicamente constatato che i monaci non si mostrarono mai ostili ai
Mendicanti, sorti a raccorne l'eredità. Oltre le generosità dell'abbate del Subasio e
del Sublacense, che donarono a san Francesco la chiesa della Porziuncola e di
san Pietro « in desertis », oltre quelle del cassinese Bernardo, che in considerazione
« fratris thomasii de Aquino ac religiosi viri fratris troiani ... Karissimorum ami-
corum nostrorum » (Reg. Bernardi I abb., ediz. Caplet, pagg. 59-60) lasciava erigere
un convento di domenicani proprio alle falde di Monte Cassino, troviamo che 1° ab-
bate Matteo lI di Farfa il 15 gennaio 1239 concesse alle clarisse della riforma di
san Damiano, O. S. B. la diruta chiesa e i beni di san Silvestro di Pereto col censo
di 12 soldi annui; (cf. G. PALMIERI, Serie degli abbati di Farfa cit. in «Il Muratori »,
II, fasc. 7-10, pagg. 65-69), e che il 9 febbr. 1252 Innocenzo IV confermò ai Minori di
Spoleto la donazione d’un terreno spettante a Farfa. Cf. F. PAGNOTTI, Nicolò da Calvi
ela vita d’Imnocenzo IV, in Arch. Soc. Rom. Stor. Patr., XXI (1898) fasc. 1-2, pag. 55.
116 I. SCHUSTER

corrente spiritualistica, così la prima rifiorita dei Farfensi
ebbe tosto lieta corrispondenza in parecchi cenobi che si
posero flduciosi sotto il governo d'Ugo. In tal modo, men-
tre in una società sembra tutto perduto, basta talora alla
salvezza una sola voce animosa che s'imponga e indichi
agli altri la via da seguire.

È tradizione monastica d'avanzare la propaganda benet-
tina per via d'irradiazione, né Farfa si allontanó, mai dal si-
stema. Solo ignoriamo se il primo cenobio, in cui venne intro-
dotta la disciplina regolare, fu quello di sant'Adriano presso
Tivoli, dotato verso il 1006, con rilevanti « cartae donationis »
selve, case e campi compresi in quel territorio. La chiesa de-
dieata ai santi Adriano e Natalia era stata donata a Farfa da
alcuni laici fin dal marzo 1008, ma il non trovarsi nel di-
ploma d' offerta alcun accenno a monaci e a monastero (1),
m'induce a ritenere che la Badia sia stata costituita da
Ugo nel frattempo, e ad ogni modo prima del novembre
successivo, giaeché in una donazione di quel tempo sono
menzionati « vobis, domne hugo ... abba ete. .... seu et
ad sanctum Adrianum qui ponitur in civitate antiqua ti-
burtina, in fundo quod vocatur marini, et ad abbates vel
monachos qui in suprascriptis monasteriis serviunt » (2).
E più rilevante un documento del 19 settembre 1007, col
quale un tal Pietro, al soprannome d'Erma, prete e mo-
naco, forse nell'atto stesso della sua consacrazione mona-
stica, concede « pro vestris sanctis orationibus, psalmo-
diis, ymnis et canticis atque sanctis sacrificiis, ut secundum
Deum oboedientes, in christo communiter et iuste sociemur,
et secundum beati benedicti congregati domino serviamus
.. in hoc venerabili monasterio sancti Adriani et. sanctae
natalie » e all'abbate Ugo, una casa in Tivoli, con parec-
chie vigne e prati nei dintorni (3).

(1) Reg. Forf., III, doc. 420, pagg. 129-30.
(2) Op. cit., IV, doc. 705, pagg. 106-07.
(3) Op. cit., IV, doc. 707, pagg. 108-10.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA DET,

se il censo delle prepositure farfensi fosse stato sempre
come a sant'Adriano a Tivoli, la vita non doveva poi troppo
languire in questi piccoli centri rurali di coltura e d' ideali

religiosi e politici, vere arterie per le quali lo spirito cri-

stiano si diffondeva ad animare l immensa famiglia cat-
tolica nel medio evo.

Del monastero di san Simeone, ai piedi di Monte Ro-
tondo a Stroncone, si ha memoria in un documento del set-
tembre 1012, in cui un cotal prete Giovanni, col consenso
della madre Nonvolia, oftri a Ugo « venerabilis abba » e
ai monaci « qui serviunt nocte ac die deo in suprascripto
monasterio, secundum regulam sancti benedicti patris nostri »
due oratori, del santo Angelo e di san Pietro, insieme a pa-
recchie terre: e vigne (1). La data della carta corrisponde
all'ultimo anno di Guido I, ma il ritrovare la menzione
d'Ugo siccome « abbas pharphensis » sì in questo, che in
qualche altro atto dello stesso tempo, dimostra o l'errore
del notaio, o conferma quanto già dicemmo circa l' elezione
del successore, che forse non venne mai riconosciuta uni-
versalmente, perché Guido « ab imperatore, cujus monaste-
rium est, donum et praeceptum minime consecutus est » (2).

Per l’istoria della prepositura farfense del santo Angelo
al ponte di Rieti rimando il lettore a una speciale monogra-
fia del Galletti (3), ricordando qui solo l'acquisto della terza
parte della chiesa e dei beni di san Flaviano, nell'ottobre
1027 (4). È notevole il placito raccolto a sant'Angelo durante
il governo d'uno dei due primi Guidi — quale di essi sia
è incerto, perché il documento relativo è senza data —- con-

(1) Op. cit., IV, doc. 709, pagg. 110-11.

(2) Mg. 55, XI, p. 542.

(3 GALLETTI, Memorie di tre antiche chiese di Rieti, Roma, MDCCLXV.
(4) Op. cit., III, doc. 552, pag. 261.
1718 I. SCHUSTER

tro un tal Ranieri, usurpatore d’ un molino del Cenobio (1).
« In illo tempore : venit domnus rainerius ad domnum ab-
batem Guidonem in ipsa cella sancti angeli, quae est de
‘ pharpha, monasterii sanctae Mariae, et salutaverunt se in-
vicem et benedixit eum domnus abbas guido. Et residenti-
bus cunctis clericis et laicis, iudicibus et bonis hominibus, in
ipsa hora dixit domnus abbas contra rainerium ete ». Non si
può negare che il diacono Leone, estensore del documento,
avesse piu famigliare la fraseologia evangelica, che quella dei
protocolli.

La chiesa di san Martino sull’Acuziano di cui avanzano
tuttavia i ruderi imponenti sulla vetta del monte, aveva
annesso un piccolo monastero, le cui origini si confondono
con quelle di Farfa stessa.

La prima notizia che ne possediamo è quella relativa al
soggiorno dell'Abbate Alano (759-769), innanzi d' essere tratto
al governo della Badia; ma un complesso d’ indizi rilevati
nella grotta sotto la chiesa, tutta decorata d’antiche pitture
e di graffiti, ne fanno risalire l’origine assai più in là di que-
sta data, ricollegandola financo alla storia d’uno speco pagano
di non so quale oracolo alpestre, convertito di buon ora al
culto cristiano. Comunque sia, verso il 1012 si nota un intenso
risveglio della devozione popolare a questo Santuario del cele-
bre vescovo di Tours, e il Regesto ci conserva il ricordo di
parecchie donazioni di questo tempo. Colla prima, nel feb-
braio 1012, parecchie persone, fra loro congiunte in paren-
tela offrono all’abbate Guido « et in basilica aedificata in
honore sancti Martini » un terreno e una vigna ai piedi
del monte stesso, « post montem », al versante opposto di

(1) Op. cit., IV, doc. 699, pag. 101.

(2) Querimonium, pag. 75. Circa il monastero di san Simeone, cf. B. MIRRA,
Cenni storici sulla vita e culto di s. Antimo prete o martire, Roma, 1894, pagg. 82-
88. L’identificazione suggerita dal Tomassetti in La campagna romana, in Arch.
Soc. Rom, Stor. Patr., XV (1892), pag. 183, a sinistra della via salaria moderna, presso
« Eretum », l’attuale Monterotondo, é erronea.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 779

Farfa (1). La carta è importante, perchè vi ricorre la prima
menzione esplicita della « congregatio servorum dei de sancto
Martino ». Tuttavia, la fede popolare non valse ad alterare
l'aspetto caratteristico del solingo santuario, e i pochi mo-
naci che abitavano lì presso menavano vita eremitica sotto
la dipendenza, non d'un « prepositus », ma del « presby-
ter et custos ecclesiae sancti Martini », di nome Stefano,
siccome sappiamo da un documento del marzo dello stesso
anno (2).

Continuarono le liberalità popolari verso il santuario
anche nell'agosto 1013, quando i due fratelli Crescenzio e
Gebbone di Farolfo offrirono altri beni « Post montem »
e in grazia appunto di quest' affluenza la famigliuola eremi-
tica continuó a sussistervi sino ai tempi di Beraldo I (2), che
v'assegnó due servi « homines angariales ». Scemato però
lantico fervore ed estinta finalmenle la « congregatio »,
l'abbate Guido II i1 30 aprile 1120, col consenso dei monaci
di Farfa, restitui un'esigua porzione dell’ antiche rendite
« pro regimine .... panis et vini confratris nostri gregorii
ibidem permanentis », probabilmente l’insigne cronista Cati-
nese, ritiratosi in quella solitudine nell’ estrema sua vec-
chiezza, a piangere più liberamente sulla rovina del deso-
lato Monastero (3).

La prepositura di santa Maria « in thermis alexandri-
nis », eretta o almeno riordinata da Ugo nel quartiere lon-
gobardo di Roma, durante i primi anni del suo governo,
continuò invece a prosperare, almeno per oltre un secolo.
È ricordata in parecchie refute e acquisti che fece a pro-
prio nome, tanto da estendere il patrimonio sino in Sabina.

(1) Reg. Farf., IV, doc. 630, pagg. 27-28.

(2) dp. cit., IV, doc. 640, pag. 383 per altre donazioni del 1039 cf. doc. 694, pa-
gina 101.

(3) Op. cit., V, doc. 1321, pagg. 315-16 ; per la storia dell'oratorio cf. il mio ar-
ticolo cit. Della basilica di san Martino e d’alcuni ricordi farfensi.
780 I. SCHUSTER

Il 19 aprile 1281 riceveva infatti un legato da certo Pietro Lom-
bardo, ma nel 1285 la sua dipendenza da Farfa doveva essere
assai tenue, se il censo annuo si limitava a una sola libra
di cera. « Ecclesia sanctae Mariae de cellis de Urbe unam
libram cerae », com’ è notato in capo alla lista delle chiese
eravate d'un censo annuo verso il Monastero (1).

Il monastero di san Lorenzo in Macri « comitatu cam-
panino », donato ad Ugo da Benedetto VIII il 24 dicembre
1017 (2, ebbe più corta durata, e in un elenco delle usur-
pazioni patite dai monaci e presentato a Pasquale II in un
sinodo, forse il Lateranense del 1116, notiamo: « in macri,
sancti Laurentii » (3). Poco dopo riconfermó quel possesso
un diploma d'Enrico V, in data da Roma il 50 maggio

,1118 (4), ma in seguito si dilegua qualsiasi traccia di do-

minio. Nel concederlo a Ugo, Papa Benedetto aveva apposta
la condizione « che da buon padre di famiglia, colle buone
maniere e col timore di Dio reggesse e governasse i mo-
naci che vi affiuivano « sub castitate et modestia atque re-
gulari et monachica disciplina ».

Il monte Tancia è l' estremo contrafforte d' una catena
di monti che separano la vallata del Tevere dalla reatina (5).
Ai suoi piedi, non lungi da Rocca antica, è una grotta, che,

(1) Cf. I. GuiRAUD, La Badia di Farfa alla fine del sec. XII, in Arch. Stor. Soc.
Rom. Stor. Patr., XV, 275-88; é notevole ii censo che gravava sulle prepositure di
Rieti: « ecelesia sancti Angeli de Reate cum ecclesiis sancti Blasii, saneti georgii
et aliis ecclesiis suis C. pisces de palmo sine capite et cauda, et C panes ponderis
trium librarum pro quolibet pane ‘n cena domini ». Reg. Farf., V, pag. 930.

(2) Reg. Farf., III, doc. 503, pagg. 212-13; il Jaffé per « VIIII kal. ianuar. » legge
« kal. iulias », ma i suoi argomenti mi sembrano troppo deboli. La differenza di
datazione tra l' « actum » e il « datum » del diploma ritrova le sue cagioni nelle
formalità stesse della donazione. Cf. JAFFE, Op. cit., pag. 510.

(3) Op. cit., V, doc. 1317, pagg. 301-02.

(4) Op. eit, V, doc. 1318, pagg. 302-03.

(5) Cf. « Atti del II Congresso internaz. di Archeol. Crist. », Roma, 1902, pa-
gine 423-24. Circa la diffusione del culto di sàn Michele nell'Umbria, cf. DE ROSSI,
« Bull. d'Archeol. Crist. », serie II, an. 2 (1871); pagg. 146 sgg.; A. PONCELET, S. Mi-
chele al monte Tancia, in Arch. Stor. Soc. Rom. Stor. Patr., XXIX (1906), n. 3-4, pa-
gine 541-48.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 1781.

abbassandosi gradatamente a sinistra, si perde in una frana
di roccia, ove su d'un blocco di stallattite è rozzamente
scolpita una divinità informe, che sembra essere stato og-
getto di vetustissimo culto.

Il caso è al tutto simile a quello del monte Gargano,
ove i Iapigi stabilirono l'oracolo di Podalirio con incuba-
Zione sanitaria; all'altro sul monte Sannace in Apulia, ove
un’antica tradizione localizza il culto di Pallade Atene in
una grotta stretta e irregolare, a forma d’un corridoio vol-
tato e interrotto più volte; allo speco di Putiniano, presso
Gioia, al quale si discende per trentotto gradini dentro le
viscere della collina, nel cui centro è un pozzo con un pic-
colo finestrino, che risponde in un corridoio più profondo
del livello della grotta; se si accosta l'orecchio al « puteal »,
si sente ogni minima voce nel corridoio, mentre diversa-
mente si disperde nella grotta. Vi è stabilito il culto di
san Michele con una statua del 1591, ma vuolsi che PAr-
cangelo occupi il luogo già sacro ad Apollo Pitio o Pitoc-
tono. Anche in una cripta della badia di san Vincenzo al
Volturno sono dipinti i tre Angeli, Michele, Gabriele e Raf-
faele, e il nimbo quadrato che circonda il capo dell'Abbate
Epifanio, rappresentato anch'esso a' piedi del Crocifisso, fa
assegnare a quei lavori la data del 826-843, durante il quale
tempo Epifanio ritenne il governo della Badia (1). Sembra
anzi che il culto di san Michele fosse in gran voga presso
i Vulturnensi, giacchè si legge pure che l’ abate Talarico

(1) Cf. O. PIscICELLI-TAEGGI, Pitture cristiane del IX sec. esistenti nella badia
di san Vincenzo al Volturno, 2 ediz., Monte-Cassino, 1896 ; P. TOEScA, Reliquie d’arte
della Badia di san Vincenzo al Volturno, Estr. dal Boll. Istit. Stor. Ital., 25, Roma,
1904; G. CLARETTA, Storia diplom. dell’antica abbazia di s. Michele della Chiusa,
Torino, 1870; G. TOMASSETTI, Evoluzione del cristianesimo nella campagna romana,
in Atti del II Congr. internaz. di Archeol. Crist. cit., pagg. 141-13; Idem, La campa»
gna romana, in Arch. Soc. Rom. cit., V (1882), 633.
MI
|
|

= - : E

"(89 I. SCHUSTER

eresse una chiesa sacra al Salvatore e in onore dell'Arcangelo
« in eodem monasterio » (1).

Per ritornare ora alla grotta del Monte Tancia, una tra-
dizione che ritroviamo in possesso assai prima dell'undecimo
secolo, attribuiva a san Silvestro la prima trasformazione
dell’antro in cappella cristiana, monumento che nell'inten-
zione del Pontefice doveva consacrare il ricordo della vit-
toria riportata da san Michele sul dragone dell Idolatria
ehe aveva un tempo desolato la regione sabina. Ma tuttavia,
anche non prestando fede a quella remota antichità che gli
attribuiscono documenti posteriori, mentre l'origine del san-
tuario cristiano del Tancia non fu probabilmente dissimile
da tanti altri santuari dello stesso genere, possiamo con-
statare coi documenti alla mano l'importanza sempre mag-
giore che acquistò col decorrere dei secoli, per opera prin-

. cipalmente dei gastaldi di Rieti e dei duchi di Spoleto. Il

monastero dell' Angelo, coi suoi torrioni che dominavano
la via di Rieti, e che nell'intenzione del governo Longo-
bardo doveva forse essere come la scolta che proteggeva
il ducato dalla parte di Roma, divenne presto la meta dei
pellegrinaggi popolari, e ai tempi d' Ugo tal devozione non
si era peranco affievolita, cosi che, specialmente durante il
mese di maggio, frequenti turbe di devoti accorrevano alla
santa grotta e deponevano pingui limosine sull’ altare. La
chiesa e il gualdo avevano appartenuto a Farfa fin dai
tempi d’ Ildebrando, duca di Spoleto, che nel 774, a pre-
ghiera del monaco Anastasio, ne aveva fatto dono all'Ab-
bate Probato (2). Conosciamo ancora i confini esatti di
tutto quel territorio. Da una parte, la chiesa « sancti angeli
seu cripta illius .... cancellum saneti Angeli in arcum saneti
angeli, deinde in aquam de meianula. Deinde in confinium
cisternulae. Deinde per terram calvisiae. Deinde in aquam

(1) Cf. E. BERTAUX, L'art dans U Italie méridionale, Paris, Fontemoing, 1904,
paz. 97.
(2) Reg. Farf., II, doc. 91, pag. 85.
venatoris. Deinde in caput scurusiae. Deinde in aquam plum-
biolae. Deinde in vadum maianili. Deinde in lacum maia-
nili. Deinde in ilicem confinialem. Deinde in pedem maia-
nili, per semitam quae dividit inter sindolfum et ipsum gual-
«dum. Deinde in coesam per fagitum. Deinde in fossatum
numisiani. Deinde inter fagitum epreium et redit in aquam
antinianam. Deinde in puteum. Deinde in computum cuculi.
Deinde in cancellos ordiales. Deinde in caput de computo.
Deinde in caput notarii sub maccla. Deinde sub aquam fri-
gidam in fossatum et inde in pendinum usque in caneriam,

et ex inde in genestritum et luparinum seu adeodatum..

Deinde sub saxo teuderacini et aionis. Deinde per fossatum
in viam publicam, recte in saxa inter rimonem et ipsum
eualdum. Deinde in caput fenestellae, et tunc in caput de
fungita per vallem geminam redit in cancellum Sancti
Angeli ».

Oltre questo primo diploma, conservato solo parzial-
mente nel Regesto e nel Florigero, il duca Ildebrando ne
concesse un secondo, coll’ indicazione particolareggiata dei
confini del gualdo, commettendo al Gastaldo Rimone la ce-
rimonia dell'investitura del gualdo all’ Abbate. In appresso
Carlo Magno nel 776 confermò l'offerta (1), e dopo di lui
nel 815 Lodovico Pio (2) nel 817 Papa Stefano IV (3), nel
840 Lotario (4) e cosi di seguito in tutti i diplomi cesarei e
papali.

Nell' 808, per l'aecessione del gualdo attiguo di santo
Stefano e d'una metà di quello di san Pancrazio, il possesso
del Tancia venne notevolmente ampliato (5), e presso la cripta

(1) Op. cit., II, doc. 134, pag. 112.

(2) Op. cit., II, doc. 217, pagg. 176.77.

(3) Op. cit., II, doc. 224, pagg. 183-86.

(4) Op. cit., II, doc. 282, pag. 233.

(5) Op. cit., II, doc. 18, pag. 33: doc. 180-88, pagg. 152-04; III, doc. 410, pagg. 119-
20; doc. 412, pag. 122.

L'ABBATE UGO I E LÀ RIFORMA DI FARFA 183
184 I. SCHUSTER

di san Michele ritroviamo stabilito un monastero, che pro-
sperò in pace fino ai tempi d’ Ugo. Ma appunto quell’affluirvi
continuo di gente durante la quaresima e nel mese di maggio,
suscitò verso questo tempo la cupidigia dei vescovi sabi-
nesi, che vedevano di mal’ occhio e consideravano come
sottratto alle chiese loro quel danaro che veniva donato a
san Michele e ai monaci. Per accampare adunque qualche
pretesa sul Santuario, reclamarono il riconoscimento dei loro
diritti. episcopali sul monte Tancia (1), compreso realmente
nel territorio della diocesi sabinese, ma la controversia venne
tosto sopita e ricomposta da Ugo,.che, mite d'animo; e di più,
male informato — dice Gregorio di Catino — sul vero
stato della questione (2), s'accordò col vescovo Giovanni,
componendo le cose, in modo che le due parti ricavassero
egual vantaggio dalle rendite del Santuario.

Durante la quaresima e nel mese di maggio i due mi-
nistri dell'Episcopio e dell'Abbate potevano perciò ricevere in-
sieme le offerte nella grotta, e poichè negli altri tempi vi risie-
devano esclusivamente i monaci, così l’abbate doveva offrire
un presente al Vescovo tre volte l'anno (83). Le cose dura-
rono in tale stato finché fu vivo Ugo, ma poco dopo, verso
il 1049, rescisso l'« ingiusto » contratto da Berardo I, — l'ap-
prezzamento é di Gregorio — Giovanni allargó le antiche
pretese, (4) esigendo questa volta, oltre le decime sulle terre

(1) Il Monte Tancia é compreso nella circoscrizione dell Episcopato sabinese
definita da Martino II nel 943. Cf. GALLETTI, Memorie di tre antiche chiese di Rieti,
pagg. 154-58. ;

(2) Chron. Farf., II, 133.

(3) Per l’identificazione di questo vescovo Giovanni coll'antipapa Silvestro III,
Cf. MARRONI; De eccl.sia et episcopis sabinensis, Romae, MDCCLVIII, pagg. 34-36; cf.
Reg. Farf., IV, doc. 883, pagg. 279-80; Chronic. farf., II, 133.

(4) Nelle controversie pel possesso del Santuario di Tancia rinnovate nel se-
colo XIII i vescovi sabinesi allegarono in giudizio il contratto enfiteutico di Ugo,
mercé il quale gli si concedeva l'enfiteusi della Cripta « ad tres generationes » per
l'annuo eanone di 4 soldi pavesi, da pagarsi al vescovo il di dell'Assunta. Nonostante
le proteste dei monaci che opponevano all'autenzia della « Cartula » le raswre e le
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FAAFA 7185

del Monastero, anche i diritti di stola in occasione dei fune-
rali. L'Abbate aveva restaurata da poco la cripta del Tan-
cia, e forse gli affreschi superstiti della Madonna, di san Mi-
chele, degli Evangelisti, l' altare col tabernacolo romanico
sono opera sua; ma, perchè era occorso dover costruire un
piccolo basamento sull’altare, il vescovo geloso sparse voce
essere stata dissacrata così l'opera di papa Silvestro; e
siccome i monaci, nonché darsela per .intesa, continuavano
come prima a cantar messe e celebrarvi ufficii, Giovanni li
assali armata mano, distrusse l'altare, asportandone le reli-
quie nel vescovado.

Narrava un cotal vescovo Pietro, da cui piü tardi a
homa Gregorio di Catino apprese questi particolari, che,
soppraggiunto per via un temporale, la masnada dovè so-
stare alquanto, e fu osservato che non cadde stilla d'acqua
né chicco di grandine sul luogo ove Giovanni aveva depo-
sta la capsella delle reliquie !

L'abbate volle il ricatto, e raccolto l'esercito badiale, ac-
compagnò egli stesso sul Tancia un vescovo d'oltr'Alpi,
allora ospite a Farfa, dal quale fece riconsacrare l'ara di-
strutta, tra le lancie dei soldati e le ire e gli odî fratricidi
che covavano nei cuori.

E probabile che si sia invocata in questa circostanza
anche l'autorità di Leone IX, del quale abbiamo un docu-
mento nel Regesto, in cui si concede a Berardo I la facoltà
d'invitare alla consacrazione d'una chiesa di sua pertinenza

qualsiasi vescovo gli aggradi (1). Ma il Sabinese non cedè ©

neppure all’ autorità papale, e tuttochè colpito d'apoplessia
che lo privava dell'uso di tutto un lato della persona, si fece
nondimeno ricondurre al Tancia, ove riaperta di bel nuovo
la tomba dell'altare munita dei sigilli badiali, ne estrasse

interpolazioni, papa Innocenzo III decise la controversia in favore dei vescovi di
Sabina il 5 agosto 1209. Cf. PALMIERI, Contributo alla storia del monastero di Farfa,
cit. fasc. 18, pagg. 246 sgg. z

(1] Reg. Farf., V, doc. 1293, pag. 284.
786 1. SCHUSTER

ed asportò le reliquie, riponendovi l’altre dianzi rapite. Be-
rardo allora non conobbe ritegno, e, sguinzagliati i suoi ca-
gnotti sulle terre dell’ Episcopio, lasciò dai soldati incendiare
e distruggere selve, spogliare dei beni i vassalli, trascor-
rendo sino a prestar fondamento all’accusa d’aver attentato
alla vita del Vescovo, durante una spedizione commessa a
questo dal Papa. Fu allora che Giovanni, meno possente
dell'Abbate, a sfogare tuttavia la bile, compose un libello
diffamatorio, che lesse ai Padri raccolti in sinodo a Roma
tra il 1049-1053; « super abbatem pharphensem a quo mul-
tas et passus sum et patior iniurias » (1). Venne adunque
citato Berardo al giudizio, e già l'avvocato del Monastero
aveva dimandato una dilazione alla sentenza, quando tra le
parti s' interposero in buon punto comuni amici, che, pacati
gli animi, li condussero ad un'equa transazione. La chiesa
del Tancia, antichissimo possedimento del Monastero, venne
adunque aggiudicata a Berardo, cui Leone IX concesse al-
tresi una panearta di conferma degli antichi privilegi.
Conchiusa la pace con soddisfazione dei monaci della
prepositura, per la china del Tancia si rividero di nuovo le
carovane pittoresche dei pellegrini che, al canto dei salmi,
discendevano nella grotta a invocare, non più quell'orrido
stallatite, scolpito rozzamente a mò d'idolo, nel fondo del-
l'antro, ma uno spirito benigno, che, dal soggiorno di luce
e di pace, compiacevasi profondere le sue beneficenze sui
miseri mortali! Appartengono al maggio 1065 due carte di
.donazione: la prima è di un tal Gregorio di Rodolfo (2),
laltra di tre fratelli, Pietro, Rodolfo e Stefano, i beni dei
quali confinavano con quelli del primo oblatore (3). E note-
vole la formola imprecatoria dell’ escatocollo, in cui sul vio-
latore s' invoca la maledizione dei tre Patriarchi, dei quattro
Evangelisti, dei 318 Padri del Concilio di Nicea, dei 24 Se-
(1) Op. cit., IV, doc. 884, 3-4, pagg. 279-82; Chron. Farf., II, 133 35.

(2) Reg. Farf., YV, doc. 934, pagg. 328-29.
(3) Op. cit., IV, doc. 935, pagg. 9329-30.
RITIENE A



L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 787

niori dell'Apocalisse, e dai 344,000 uomini uccisi per la fede
del Cristo. « Sia anatema con Giuda, Anna, Caifa, Pilato, e al
tribunale di Dio renda ragione del suo operato alla Madonna
ea san Michele ». Allargare, come nel caso presente, le pos-
sessioni già acquistate, anzichè ricercarne delle nuove sparse
qua e là, era, siccome vedemmo, una tendenza assai antica
presso i Farfensi, ispirata a criteri amministrativi fecondi
di veri risultati politici. Amanti delle grandi centralizzazioni
per la facilità di stabilirvi le « familiae colonicae », lo « sca-
rio » e il preposito soprastante, vennero così a dare origine a
molte delle odierne borgate, che, ricollegate col « Monaste-
rium Caput » per mezzo d’una specie di rete amministra-
tiva, formavano un minuscolo stato farfense. Il caso non è
isolato, e ritrova il corrispondente nelle antiche masse della
Chiesa Romana, ognuna distinta dall’altra pel « rector » e pei
catasti differenti, e nelle « domus cultae » stabilite nella
campagna Romana (1), e che arrecarono non lieve contributo
alla formazione politica degli stati papali.

A questo infatti miravano tutto quello studio d’ Ugo I
a rassodare i centri farfensi in Roma, nella « Scorticlaria »,
« ad captum seccutae » e sulla via Salaria, e la centraliz-
zazione del potere religioso in Tuscia nelle mani dell’abbate
Graziano di Corneto (2), e dell’autorità feudale in quelle del
Conte Geraldo di Rainerio (3).

Il gualdo del Tancia, già vasto per l’antica accessione
di quello di santo Stefano, di san Pancrazio, e per le nuove
donazioni del 1046 (4), 1060 (5), 1063, nel maggio 1067 venne
notabilmente ampliato anche da Berardo I colla compra di
non poche chiese e terre per la somma di 200 libre d’ar-

(1) Cf. G. TOMASSETTI, La campagna romana, in Arch. Soc. Rom. St. Patr.; II,
fasc. |, pagg. 1 sgg.

(2) Reg. Farf., 1V, doc. 603, pag. 2; Largit., CCCLXIII.

(3) Reg. Farf., IV, doc. 813, pag. 216.

(4) Op. cit., V, doc. 1234, pagg. 220-21. ;

(5) Op. cit., V, doc. 1231, pag. 218. Accettò l’offerta il preposito « domnus tran-
smundus humilis monachus », padre dell’abbate Odimondo di Mica Aurea.

21
188 ; I. SCHUSTER

cento (1) Quant'altro. tempo rimase in mano dei Farfensi ?
Negli sconvolgimenti della Badia che seguirono alla morte
di Berardo I, e durante i governi tiranniei di Berardo II,
d'Oddone e di Guido III, l episcopato sabinese dove pro-
babilmente profittare di quel momento di dissolvimento in-
terno per impadronirsi della troppo facile preda, giacchè
verso il 1116, nella lunga lista delle spogliazioni sofferte da
Farfa e presentata dai monaci a Pasquale II v'é anche ricor-
data la « roccam de Tancia et castellum » (2). Né i sospetti
sono infondati; troviamo infatti che l'episcopio sabinese
verso questo tempo s’ impossessò anche di un'altra. « eccle-
siam sancti angeli in Mozano quae fuit istius monasterii » (3),
e di cui non è troppo sicura l'ubicazione. Ad ogni modo, è
credibile che il Tancia dové ritornare quasi subito all'antico
signore, se nel giuramento prestato da Guido III al suo primo
ingresso nell’abbazia, nel 1119, si legge che, « prepositus
sancti angeli in tancia, annualiter in coena Domini solidos XV
papiensium denariorum in manus prioris ob mandatum pau-
perum, secundum antiquum morem, absque occasione tribuat, et
in sancti gethulii festivitate ceram et cereos, ex consuetudine,
communi camere hujus conventus annue conferat » (4).

CAPO XVI.

Ultime azioni giudiziarie d'Ugo. — Sant'Amico di Avellana.
— Morte d'Ugo ed elezione di Suppone (1036-1039).

Inveechiando, una delle più amare disillusioni che si
provano, é quel vuoto ché ci si fa dintorno nel veder scom-
parire l'una dopo l'altra quelle persone con le quali eravamo

(1) Op. cit., IV, doc. 975, pagg. 353-55.

(2) Op. cit., V, doc. 1280, pag. 278.

(3) Op. cit., V, doc. 1317, pagg. 301-02.

(4) Op. cit., V, doc. 1320, pagg. 313-15; Non ardisco, nel recar giudizio sul docu-
mento, attribuirgli assoluta certezza, giacché, a tutto rigore, é anche possibile che
i mnaci abbiano continuato a dimorare nella prepositura, quando il Castello e la
rocca erano già passate in potere del vescovo.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 789

cresciuti, e con cui avevamo diviso le gioie e i dolori di
molti lustri. L'usar con loro ci era divenuto quasi parte di
noi medesimi, certo una condizione integrante del nostro es-
sere felice, e a non sentirli più parlare, a non poter più
rievocare insieme quei ricordi tanto cari, quel trovarci soli
colle nostre idee, colle nostre aspirazioni, in un mondo d’una
mentalità nuova, che non riusciamo a comprendere e che a
sua volta non c'intende, e non ha perció alcun titolo alla
nostra fiducia e confidenza ....... è desolante al cuore d'un
vecchio! È la solitudine che prelude la tomba, è quell’ in-
volontaria inazione che solo le anime grandi sanno conver-
tire in condizioni d’operosità intellettuale più intensa, alle
soglie dell’eternità.

Venir meno a poco a poco senza smentir mai se stesso,
taleci è lecito intuirlo, dové essere il programma di questi gli
ultimi anni d'Ugo, circa i quali, trattine i consueti documenti di
donazioni al Monastero, non avanza la più piccola notizia. Nel
1056, allorché venne rieletto abbate, toccava ormai i 63 anni,
ma doveva esser logoro dalle fatiche d' una vita agitatissima
e trascorsa sotto l'incubo di pensieri mesti. Oltre 1 usato
degli anni innanzi egli, non si dilungó più da Farfa, ove infatti

.lo ritroviamo nel novembre 1036 (1), gennaio, marzo, aprile
e maggio seguenti (2). Verso la fine di quell’anno, n mese
di Novembre, assisté ancora a una refuta « intra claustra
monasterii » (3), ma fu l'ultima, che nell'ottobre 1038 (2?) è
il suo priore Rainerio che presiedé 1’ altra, in cui Siefredo,
figlio del giudice Uberto, insieme con tre altri oblatori
cedettero quattro moggi di terreno (4).

(1) Reg. Farf., IM, doc. 569, pagg 294-95.

(2) Op. cit., x doc. 591-95, pagg. 295 300.

(3) Op. cit., IV, doc. 724, pag. 129. Gli ultimi contratti enfiteutici d' Ugo nel « Lar-
gitorium » sono "n novembre 1038, e uno anzi siriferisce a un cotal Guido di Pietro
Suo livellario sul Tancia (CLXLIII verso); l'altro segna come data cr onologica il mese
di novembre della VII indizione (Settembrina), nel pontificato di Benedetto IX (pa-
gina 207).

(4) Reg. Farf., IV, doc. 747, pag. 156.
790 I. SCHUSTER

Non abbiamo documenti relativi ai momenti estremi del
grande Abbate; ma la vita monasteriale, specie nel periodo
cluniacense, era così tradizionalmente formalistica, che, dietro
la scorta delle « Consuetudines », non è difficile ricomporli,
almeno nelle linee generali. Il freddo e le condizioni clima-
tiche del Monastero nel fitto delle boscaglie e a ridosso d'un
monte, dovettero dare l'ultimo tracollo a quella fibra infie-
volita, che verso la vigilia del Natale 1038, prevedendo
prossima la fine, si fece amministrare gli estremi Sacra-
menti, ricevuti, giusta l'uso monastico, adagiato in terra
sulla cenere e sul cilizio, nell’ oratorio dell’ infermeria (1).
D'intorno,i monaci addolorati ripetevano il Simbolo e il Sal
terio, finchè sul far della mezza notte la solennità del Na-
tale ne richiamò al coro la più gran parte (2), rimanendo
solo pochi a conforto del morente. Si avvicinava a gran
tratti l’ultima ora, tanto maggiormente straziante per i su-
perstiti, quanto più intimamente hanno vissuto la vita stessa
del morente, ricevuto l'impronta sua personale. In quei mo-
menti di separazione violenta e di perdita irreparabile,
quando la gelida morte agghiaccia il bollore delle passioni,
le opere dell’uomo ingigantiscono meravigliosamente, e un'in-
tuizione più oggettiva prepara già il verdetto della storia. È
generalmente sulla bara che il merito e l’ imputabilità delle
azioni umane appariscono assai diverse dalla concezione
quotidiana. Quali diritti alla fama; alla gloria avanzava adun-
que Ugo? Quelli che risultano da un'intera vita trascorsa
nella lotta per il più puro e santo degli ideali: Dio, l’anima,
la vita dello spirito, l intelligenza libera dalle ritorte del
vizio e delle passioni basse.

(1) Consuetudines Farfens, II, 192. In mancanza di documenti diretti sulle par
ticolarità degli ultimi momenti del grande Abbate, suppliscono gli indiretti, tratti
dalle « Consuetudines » che Ugo stesso aveva introdotto a Farfa. Il criterio é sufli-
cientemente sicuro, giacché tali riti erano universalmente ricevuti nei monasteri
medievali.

(2) Vita S. Amici. Act. SS. O. S. B., saec. VI, p. I, 769-70.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 791

La via percorsa non era nuova, e già in Italia, in quel
medesimo tempo di rinascita intensa, San Giovanni Gual-
berto, Sant'Alferio, San Nilo, e sopratutto San Romualdo ave-
vano preceduto Ugo, ridestando gli animi dal lungo torpore
e dal sonno religioso, e ad una società corrotta, ma piena di
aspirazioni al maraviglioso, e sensibilissima al linguaggio
dello, spirito avevano additato l ideale sublime di Vallom-
brosa, Cava, Grottaferrata, Catria e Fonte Avellana; tutta
un’epopea cristiana e italiana. Ma è appunto questo il merito
più insigne d'Ugo, che, pur adoperando l opera sua attorno
ad una istituzione languente di vecchiezza « ubi destruc-
tus erat nimis omnis ordo et compositio monachorum » (1),
riuscì nondimeno a infonderle nuova vigoria, emulando le
gesta e le glorie dei più insigni Apostoli e Riformatori del
suo tempo. Santo, Ugo ebbe cara e coltivò l’ amicizia dei
Santi suoi contemporanei, dai quali fu corrisposto con pari
affetto, come Odilone, Guglielmo, Guido di Casauria, Amico
da Avellana; e se, dopo lo studio unilaterale dei documenti
del Regesto, al vederlo tuttodi dedito alla difficile impresa
della rivendicazione patrimoniale contro ogni classe di per-
sone, conti, abbati, preti, e semplici particolari, lo si scambie-
rebbe a primo aspetto per un uomo d'indole turbolenta e liti-
giosa, avido di possedere e miglior amministratore di beni ma-
teriali che maestro e norma d'ascesi monacale, una piü esatta
e profonda comprensione delle sue opere ci fa invece con-
dividere il giudizio che ne pronunció Gregorio di Catino,
quando, settant'anni appresso, alla pienezza della sua gloria
poté apporre l'unico difetto di soverchia condiscendenza
verso i propri avversari, a danno talora degli interessi tem-
porali della Badia (2). Il Cronista alludeva senza fallo all'ac-
cordo « iniquo » conchiuso col vescovo sabinate Giovanni,
circa l'antro di san Michele, e alla transazione coi figli e ne-

(1) Consuet. Farf., 1-2.
(2) Chron. Farf., II, 133.
Dicunt CE coat SEZ

—— Ó

7992 I. SCHUSTER

poti d'un tale Ilderico, ai quali, contro il volere dei mo-
naci, nel 1024 Ugo cedette due buoni terzi delle corti già riven-
dicate dal Preposito Adamo, in assenza sua e durante l'im-
presa di Troia; quindi l’anno appresso, dietro nuove pre-
ghiere, restitui ancora un'altra porzione dello scarsissimo
possesso che aveva ritenuto a vantaggio del Monastero (1).
Ma guai al mondo se procedessimo sempre a rigore di giusti-
zia, né mitigassimo mai l’ inflessibilità rigorosa del diritto colla
soavità della condiscendenza e della compassione! Certo, la
grandezza della figura d'Ugo apparisce tutta, quando nell’a-
prile 999 egli si dibatté in san Pietro coll'arcidiacono Leone,
per non cedere ai diritti della Badia, nè assoggettarla al co-
dice romano; ma quanto piü soavi i sentimenti del Prepo-
sito Giovanni verso un povero debitore che aveva danneg-
giato i Monaci, e che, perduta contro di loro una causa, il
10 febbraio 1004, erà stato costretto a dimandare misericordia,
mettendo tutto il suo avere a loro disposizione: « pro re-
demptione animae domni hugonis abbatis omnem ipsam com-
positionem tibi perdonamus (2) ».

Già accennammo a quella povera famigliuola che traeva
stentatamente di che vivere, coltivando un campicello di
ragione della Badia, presso Penne. Avvenne, non so come,
che questa cadesse in disgrazia del conte Trasmondo e di
Teduino, il gran feudatario di Rieti, i quali tanto insisterono
presso Ugo, che finalmente, male informato, e forse in osse-
quio a quel suo noto principio conciliativo: «. Qui sapiens
est, accomodat aurem » (3), s'indusse a privarneli, per affi.
darlo a un tal figlio d'un Giovanni, statogli raccomandato. In
seguito, appena riconosciuto il torto, volle ripararlo, ma lo
prevenne la morte (4).

(1) Reg. Farf., III, doc. 601, pag. 304.
(2) Reg. Farf., MI, doc. 453, pagg. 165-166.
(2) Reg. Farf., V, doc. 1298, pag. 286.
(4) Reg. Farf., V, doc. 1298, pag. 287.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA (93 Qut | E

Tra gli amici d'Ugo, quegli che sopra ogni altro ebbe
caro e più di tutti influi sull’animo suo fu certamente San
Romualdo. S'erano conosciuti al piü tardi verso il 998, ma

fin da quel tempo erano sempre vissuti in perfetto accordo
d'ideali, animati ambedue dal medesimo zelo « di rinnovare
eli antichi portenti dei Padri vissuti sotto la regola del beato
Benedetto (1) ». Romualdo, dalla parola infuocata, era so- 1e 1
pratutto uomo d'iniziativa, e in quei cinquanta e più anni E |
che trascorse sotto la cocolla monastica, esercitò un potente 6 hil
fascino sugli animi dei contemporanei, molti dei quali trasse m
al cenobio. ES

Mori circa il 1017, e cinque anni appresso, col consenso
della Sede Apostolica, il priore Ato chiuse il sacro corpo in
una povera cassa e lo depose sull'altare (2). Ma né la morte,
né la glorificazione dell'Amico valsero punto a scemare in Ugo
lamore per la sua numerosa discendenza, alla quale continuó
l'affetto che aveva già portato al Maestro. Infatti « ex disci-
pulis domni Romualdi », dal monaco Giovanni egli ricevé ap-
punto dopo il 1030 il testo della consuetudine Cluniacense da

i adottarsi a Farfa; ed è anzi notevole, che il primo dei due
prologi (3), premessi alla prefazione, composto probabilmente
a Farfa e da un Farfense prima del 1046, sia tutto un pane-
girico d'Ugo e di Romualdo, « siccome quelli che hanno ri-
[d piena la terra della fama loro ». I dettagli scarsissimi che |
ci rimangono circa la morte d'Ugo si debbono appunto alle : |

relazioni amichevoli che correvano tra il Monastero di Farfa
e quello di san Pietro d’Avellana, e, più specialmente, con
sant'Amico, al quale fu rivelata l'ora estrema del grande
Abbate nel momento stesso che questi rendeva la sua bel-

l’anima a Dio.

(1) Consuet. Farf., I.

(2) MABILLON, Annal. 0. S. B., IV, 388; PETR. DAMIANUS, Vit. S. Romualdi cit.,
PL. CXLIV, pag. 1008.

(3) È probabile che originariamente il primo prologo terminasse alle parole:
« et post intra perhennem laetabitur pascuam », e che il resto che segue appar-
tenga a un rimaneggiamento posteriore, forse del medesimo autore.
794 I. SCHUSTER

Era in sulla mezza notte tra il 24 e il 25 decembre, e
in un povero tugurio incontro alla chiesa monasteriale Avel-
lanese, sant'Amico se ne stava contemplando i misteri com-
piuti dal Redentore in quell'ora sacrosanta. D'intorno, come
di consueto, tutto era silenzio e solitudine, interrotta solo
dallo stormire impetuoso del vento nella selva, e dall' eco
estrema dei canti dei monaci, che nella chiesa celebravano
le vigilie del Natale; ma sant'Amico, giusta l'uso imposto da
Romualdo agli eremiti, usava ripetere quelle preci da solo,
e perchè egli non poneva mai piede fuori della cella, così
il monaco Raterio, che gli abitava li presso, lo provvedeva
del necessario a sostentar la vita.

All'improvviso il Solitario interrompe il suo salmeggio,
e rimane alcuni istanti come astratto dai sensi; indi, tornato
in sè trae dal suo povero scrittoio un briciolo di pergamena,
su cui verga alcune frasi. Fa quindi un po’ di strepito alla
angusta finestra, e a Raterio, accorso tutto turbato per l'in-
solita chiamata di tant'uomo a quell'ora in cui tra i monaci
si osserva silenzio inviolabile, — « prendi, o Frate, questa
carta, e domattina la consegna all’ abbate e ai monaci. rac:
colti a capitolo; di loro che preghino per Ugo, abbate di
Farfa, avendola vista pur ora quella colonna eccelsa del ri-
sorgimento della regola monacale nelle nostre regioni, uscir
di questa a miglior vita » —. Disse, e chiuso il finestrino, pro-
lungò la sua preghiera sino al mattino, mentre a Farfa i
monaci, tornati dopo il canto dell’ Ufficio notturno all’ ora-
torio dell'infermeria, ove avevano lasciato il morente Abbate,
ve lo ritrovarono freddo cadavere, disteso al suolo, sul cili-
cio cosparso di cenere.

Era il di di Natale; e mentre il funebre rintocco dei
sacri bronzi si diffondeva per tutta la vallata, confondendosi
stranamente col giulivo scampanio della solennità che s'an-
nunziavano l'un l'altro i paeselli all'intorno, i più vecchi tra
i sacerdoti del Monastero, a compiere l’usato rito, tolsero di
terra quel venerabile corpo, e lavatolo al canto di mesti
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 95

salmi, lo rivestirono della cocolla, componendolo quindi sul
feretro, attorno al quale vegliarono in preghiera insino alla
mattina avanzata, finché giunse l'ora delle esequie. Allora
tutta la comunità convenne nell'oratorio, e, celebrata la messa,
il cadavere, giusta l'uso, venne ravvolto tre volte in una
nuvola d'incenso dai sacerdoti rivestiti di funebre paluda-
mento; quindi s'ordinó la processione al sepolero. Precedeva
il Crocefisso tra i doppieri sostenuti dagli accoliti; quindi
due chierici biancovestiti sostenevano il turibolo fumigante
e il vassello dell’acqua benedetta; seguivano i monaci a
due a due, a passo lento e con un cero acceso in mano; ul
timi i sacerdoti che sostenevano il feretro.

Giunti innanzi al sepolcro, qualche antico sarcofago ro-
mano, come di consueto a Farfa, il prepositò intonò un ul
timo cantico, e calato il cadavere nell’avello che tosto venne
racchiuso, cessò anche il rintocco delle campane, mentre il
« conventus pharphensis », rimasto in quel giorno orfano del
proprio padre e pastore, ritornava nella chiesa, lugubre, sal-
meggiando: miserere di me, o Signore, nella grandezza della
tua misericordia! (1).

La notizia della morte d’Ugo tosto si'diffuse per le cen-
tinaia di chiese e di corti dipendenti dalla Badia; furono in-
viati dei messi a partecipare la triste nuova anche a
sant'Amico e ai cenobiti di san Pietro d'Avellana, ma ritro-
vandoli già bene informati, constatarono con meraviglia che
la morte della loro « columna maxima » era accaduta ap-
punto in quell’ora in cui l Eremita santo l' aveva annun-
ziata ai suoi colleghi (2).

' All’indomani della morte, poichè il rito liturgico esigeva
che si rendessero al defunto gli onori delle esequie, tralasciate
il dì innanzi per non turbare coi funebri canti la soave gioia
della festa di Natale, è lecito pensare che, oltre i prepositi

(1) Consuet. Farf., MI, 196 sgz.
(2) Vit. s. Amici, loc. cit.
196 Il. SCHUSTER

delle vicine « Cellae », v'intervenissero gran numero di
« equites » e di vassalli, già in fermento per l'elezione del
futuro abbate. i

Infatti, quando i monaci si raccolsero in capitolo per
quella scelta, gli occhi di tutti si fermarono sopra un san-
t'uomo di nome Bonifacio, che meglio d'ogni altro avrebbe
ricordato il governo pietoso d'Ugo; datogli perciò in mano
la « ferula », lo gridarono abbate. Ma poiché questi si scher-
miva, e li pregava a non volerlo distogliere dalla contem-
plazione delle cose di Dio per occuparlo nei maneggi seco-
lareschi, gli elettori toltoselo a viva forza in mezzo, colle
acclamazioni e colle lagrime, cercavano d'indurlo a non ri-
fiutare. le insegne del comando. Bonifacio capovolse allora
la curva del « pedum » pastorale (1) in segno di diniego,
e solo a quest’atto reciso i monaci finalmente cedettero, e
tornati ad una nuova elezione, proclamarono abbate il mo-
naco Suppone (2).

CAPO XVII.
Attività letteraria d’ Ugo. — Eredità d' affetti. — Conclusione.

Misero chi scende nella tomba senza lasciare eredità di
affetti! Non così Ugo, che morto seguitò a vivere nei cuori
dei suoi monaci, conducendo a termine cogli scritti quella
missione che non poteva più colla viva voce e colla attrat-
tiva dell' esempio. Dirò innanzi tutto della sua attività lette-
raria, quindi della venerazione in cui fu tenuto. :

Le opere d'Ugo, istoriche o polemiche, sono tutti scritti
di circostanza, ispirati al magnanimo proposito di risol-

(1) Chron. Farf., II, 106.

(2) L'elezione avvenne prima del 18 gennaio 1039, quando il prete e monaco
Girolamo donò a Suppone « venerabilis abba, magne presbyter » alcuni beni in Sa-
bina. Reg. farf., IV, doc. 750, pagg. 159-60.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 197

levare Farfa a un'intensa vita intellettuale e spiritualistica.
Lo si scorge ad ogni linea, e lo conferma anzi egli medesimo
nella prefazione alla « Destructio »: « Questa Distruzione
che ho descritta, ci aiuta a sradicare i vizi, siccome l’antica
Costruzione, colle gesta dei Padri dei quali conserva il ri-
cordo, è utile a innestare e rassodare nei nostri cuori le
virtù religiose ». Scrittore facile e pieno di colorito allorchè
descrive avvenimenti a cui ha preso viva parte, non è im-
mune da inesattezze storiche e da lacune gravi, allorchè si ri-
ferisce a più tempi remoti dei quali non ritrovava più suffi-
cienti documenti nell’archivio del Monastero.

Così, a cagion d’esempio, Pietro I a capo dell’ esercito
badiale avrebbe fatto fronte per sette anni alle orde dei
Saraceni, e-i monaci ne avrebbero indugiati altri quaranta,
innanzi di risolversi sotto l'abbate Ratfredo a riedificare
l’incendiato Monastero; quando invece da documenti sincroni
rileviamo, che i Farfensi già verso il settimo anno di Pietro,
verso l’ 898 (1), prima cioè che giungessero i nemici, si ordina-
rono a ritirata coi documenti d’Archivio e tutto il loro tesoro;
e inoltre, già sotto l'abbate Rimone la Badia si risollevó par-
zialmente dalle rovine, in un'epoca anteriore al 19 gennaio
920. Infatti, due documenti del Regesto, l'uno con questa
ultima data e col nome di Rimone, « abba de monasterio etc.
quod situm est in territorio sabinensi » (2), e la menzione
del censo da pagarsi « super eius altarium », l'altro « actum
in monasterio sanctae Mariae sito sabinis, in loco qui dicitur
acutianus .... in manibus domni Rimonis abbatis, cum obla-
tione et palla altaris » (3), decidono per la nota cronologica
approssimativa che ho indicato.

Ugo parimenti sembra ignorar completamente l'esistenza

(1) Reg. Farf., II, doc. 340. pag. 42.

(2) Op. cit., II, doc. 342, pag. 44. Cf. P. FEDELE, La battaglia del Garigliano
dell'anno 915 ed 4 monumenti che la ricordano, in Arch. Soc. Rom. Stor. Patr.,
XXII (1899), pagg. 181-211.

(3) Op. cit., II, doc. 343, pag. 45.
198 1. SCHUSTER

d'un secondo abbate di nome Giovanni (ID, succeduto a Pie-
tro I, e che, avendo trascorso tutto il tempo del suo brevis-
simo governo nel castello di santa Vittoria, non aveva forse
lasciato alcuna traccia di sè nell’archivio farfense. Ma que-
sto fondarsi unicamente sulle fonti scritte, se talvolta è un
criterio deficiente, perchè unilaterale, nondimeno, adoperato
costantemente a Farfa da Ugo, da Gregorio e dall’ Autore
della « Defensio imperialis », rileva una tradizione storica
che, sollevandosi dal concetto volgare della storia nel me-
dio evo, prelude già alle aspirazioni dei secoli più colti, i
quali dimandano a questa importantissima tra le discipline,
quasi al tesoro della verità e dell’ esperienza, il magistero
della vita.

be Ugo avesse scritto la storia di Roma dei suoi tempi,

in lui, uno dei capi del movimento politico del ducato di
Roma, avremmo certo avuto il maggior cronista di quel se-
colo, colorito come Luitprando, ma più sicuro e imparziale
del maledico pavese. Non intendendo pertanto incolparlo di
difetti che non potè evitare, i suoi lavori storici furono e
saranno sempre documenti di primo ordine per la cono-

scenza della storia -di Farfa e dell’Italia, in ispecie quando
descrivono avvenimenti che si svolsero sotto gli occhi del-
l'Autore e ai quali egli prese parte col consiglio e coll'opera.
Per ordine di tempo si dividono:

a) « Destructio farfensis » (890-998), composta tra il
1002 e.il 1009, in cui, continuando il racconto della storia
del Monastero là ove s'era arrestato l'anonimo autore della
« Constructio », lo conduce sino ai suoi tempi. Lo scritto,
nonostante alcune inesattezze, è di gran pregio per la co-
noscenza di quel periodo agitato dalle incursioni dei Sara-
ceni, e dai rivolgimenti politici di Roma e di Spoleto, ai
tempi d'Alberico, di Marozia e d'Ugo, re d'Italia (1). E det-

(1) U. BALZANI, Le cronache italiane nel medio evo, 2^ ediz. Hoepli, 1900, Na-
poli, pag. 105.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA . 199

tato nella buona latinità tradizionale a Farfa, in stile vivace
e scultorio (1).

Cosi, a titolo di saggio, ecco come descrive l'avvelena-
mento di Ratfredo: « Due scellerati cominciarono a trattare
insieme come tórlo di vita, e stabilirono i patti, nel caso fa-
vorevole che il Monastero fosse divenuto loro preda. Il
primo avea nome Campo, cresciuto qui fin da fanciullo, ed
era il beneficato dall' Abbate, che aveva procurato appren-
desse medicina. Originario di Rieti, nobile di casato, tra noi
non adoperó mai cortesia veruna, e dopo i Saraceni, fu egli
la prima cagione di tutte le nostre sciagure.

« L'altro, Ildebrando, non aveva di monaco che il nome
sotto ipocrito sembiante. Quando l'Abbate la prima volta
l'accolse ospite aFarfa, egli veniva da altro monastero lontano.
Ratfredo gli conferi una nostra prepositura tuttavia esistente
in Roma, e gli pose affetto, siccome padre al proprio figliuolo.

« Spinti adunque dall'ambizione, questi sciagurati non
usarono pietà alcuna e uccisero di veleno un vecchio che era
ormai per soccombere sotto il peso degli anni — dicono sia
stato abbate 38 anni.

« Mentre adunque nell’ estrema agonia egli lottava con-
tro la morte, scorti i due traditori, che spiavano ferocemente
l| ultimo anelito della loro vittima, richiese chi fossero;
udito che Campone, raccolte le poche forze che gli rimane-
vano, die un gran sospiro:

Campigenans Campo, male quam me campigenasti !

E spiró » (2).

(1) Fu pubblicata prima dal Muratori nel VI vol. Aztiqwitates, donde la ri-
produsse il Colucci in Antichità Picene, XXX. Il testo del Bethmann in MG. SS.,
XI, 582-39 é quello del cod. vatic. 6212. L'edizione oggimai a citare é quella del Bal-
zani: Il Chronicon farfense di Gregorio di Catino. Precedono la Constructio far-
fensis e gli scritti di Ugo di Farfa. Istit. Stor. Ital., Roma, Lincei, 1903, XLVII, in 80.
(2) Destructio farf., 36-38.
800 [. SCHUSTER

Ugo conchiude cosi l'opera:

‘<« Morto l'abbate Alberico, gli succedetti io, Ugo pecca-
tore, aborto, come dice l'Apostolo, meglio che figlio legittimo,
e che occupo la sede indegnamente, siccome vi è noto. Vi
prego adunque, o miei Seniori, che m’imponeste questo lavoro,
e supplico voi, tutti che leggerete queste cose, a pregare il
Signore, che per sua misericordia mi doni la grazia di con-
vertirmi in meglio, più che non hanno curato di fare gl;
empi dei quali fin qui vi ho parlato. Ai potenti poi che udi-
ranno tali imprese, ispiri Dio il desiderio di restaurare questo
nostro monastero, perchè voi e i vostri successori possano
servirlo in pace. Frattanto, di questo vi ammonisco, miei
diletti fratelli e colleghi, che quel po’ di bene che per la
bontà del Signore e coll'aiuto della Vergine Maria, nostr:
gloriosa patrona, si è tra noi rinnovato, non venga mai a
scemare per alcuna colpa o fastidio, ma più presto aumenti,

: colla grazia del Cristo. Quanto sono ora per dirvi, non è

per fiducia alcuna che riponga nei miei meriti, ché anzi la
mia miseria é tanta da ritenermi fragile e pigro in tutto;
ma nondimeno, con fede intensa e confidando della liberalità
di Dio e nel vostro zelo, vi do per certo che, se sarete perse-
veranti nella disciplina nuovamente abbracciata, ogni cosa
vi sarà propizia in questo mondo, e nell'altro possederete
l'eterna felicità. E scritto infatti: « Chi sarà costante sino
alla fine, quello avrà il premio »..E altrove: « Il premio
non è promesso a chi solo cominciò, ma vien dato a chi
persevera ». La nostra conversione allora riuscirà accetta a
Dio, quando colla costanza condurremo a termine il bene
che abbiamo intrapreso. Preghiamo adunque Cristo, che si
ricordi di noi e si degni donarci la perseveranza, perché
possiamo servirlo devotamente, mantenendo inviolati i nostri
voti. Né potremo mai custodirli piü diligentemente, che
osservando i suoi comandamenti. Dice infatti Egli stesso :
« Beati coloro che custodiscono la giustizia e la praticano
ad ogni momento », e Salomone: « In qualunque tempo le
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 801

tue vesti siano candide ». Confermati da queste ed altre
autorità, sforziamoci, dilettissimi, a correre per il sentiero
dei divini comandamenti, e sperimenteremo quello che spe-
rimentó pure l'Apostolo, quando, confidando nella potenza di
Dio, diceva di sé: « Io corro, ma in maniera che non mi
dirigga verso l'incerto ». Né c'incresca d'affrettarci pel sen
tiero delle giustizie divine, senza provar stanchezza dell in-
vocarlo in aiuto, mentre siamo certi della promessa: « Chie-
dete e avrete, cercate e troverete, picchiate e vi sarà
aperto». Qui è da notare quanto stoltamente fra noi ripetono
alcuni sciocchi, allorchè odono vantare da alcuno gli antichi
esempi dei santi Padri: « non possiamo imitarli — dicono —
giacchè quelli erano santi e noi siamo peccatori; quelli
erano perfetti e noi imperfetti». Senza neppur riflettere che
i giusti, le anime grate a Dio e che si chiamano sante, non
verranno mai meno sino alla fine del mondo. E infatti, nel-
l’Apocalisse, ai giusti che invocavano la divina vendetta
fu risposto: attendete poc’ altro, ché sia completo il numero
dei vostri fratelli ». Se questa somma fosse già raggiunta,
sarebbe senz'altro già venuta anche la fine del mondo, che
allora avverrà, non sì tosto sarà quella completa.

Niuno adunque si smarrisca d'animo, niuno rallenti nel
fervore, giacchè tutti quelli che saranno ritrovati degni di
entrare nel regno celeste saranno santi e felici per l'intera
eternità, siccome dice il Signore: « Siate santi perché io sono
santo », e altrove:« Siate membra mie, se volete salire in cielo ».

Studiamoci perciò, o dilettissimi, d'adempiere i coman-
damenti suoi e quelli del nostro beatissimo padre Benedetto,
siccome giuram mo il di della nostra consacrazione monastica;
giacchè lo stesso Padre santo nell ultimo capitolo della sua
Regola ha promesso da parte del munifico Dio, e da quel gran
contemplativo che egli era, che « A coloro che praticheranno
queste cose, si apriranno d'innanzi le porte del cielo » (1).

(1) Op. cit., 48-50.
802 I. SCHUSTER

Il brano era un po’ lungo, ma ho voluto riferirlo per
intero, anche per dare idea della spiritualità ascetica di Ugo,
e per l’accenno rilevante degl'inevitabili scontenti che su-
scitó fra i monaci la riforma cluniacense.

b) Fa seguito alla « Destructio » un altro opuscolo,
composto tra il 1024 e il 1026, e che dall'argomento s' inti-
tola: « Excepto Relationum de imminutione monasterii ». Vi
si narra delle violenze commesse contro il Monastero dai
figli del conte Benedetto, a cagione del possesso dei due ca-
stelli di Tribuco e di Bocchignano, descrivendo mirabilmente
le condizioni di Farfa verso il 1022, lansia e i timori dei
monaci, inermi e soggetti quasi a uno stato continuo d'asse-
dio da parte dei prepotenti Crescenzi che risiedevano solo ad
una mezz’ ora dalla Badia. Ugo, contro il quale era diretta
in particolare tutta quella persecuzione, nel proemio rianima
i suoi monaci, a preghiera dei quali scriveva, a non cedere
alle calamità, e continuando intrepidi nel cammino intrapreso.
« Sta scritto, dice, che la Chiesa di Dio aumenta e scema,
e che il Signore sa trarre il bene anche dal male che per-
mette, come si è appunto osservato durante la distruzione
della Badia per parte de’ Saraceni. Ogni luogo che è deva-
stato lo è il più sovente per la malizia degli abitanti, i quali
Cristo punisce nel corpo affin di salvarne le anime. — Farfa
non deve dolersi della perdita delle ricchezze, ma solo del
danno delle anime dei suoi nemici! — ».

c) Il « Querimonium » diretto a Corrado II nel 1026
allorchè andò a Roma a ricevervi la corona imperiale, la
vigilia della terza rinunzia d’ Ugo alla Badia. Lo scritto ag-
giunge ben pochi elementi storici non contenuti nell « Im-
minutio », e, più che una storia, può considerarsi come un
memoriale trasmesso al Re per sollecitarne l'udienza. Ma la
rinunzia improvvisa alla sede di Farfa, dopo presentato lo
scritto, lungi dal ricevere luce da questa relazione, diviene
sempre più oscura, e non è improbabile che Corrado II,
mutata politica, e mostratosi meno propenso ad Ugo, questi
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 803

colla volontaria abdicazione abbia forse voluto evitare un
nuovo conflitto col partito dei Crescenzi (1).

d) Il « Constitutum Hugonis » composto verso il 999 ;
lo procede, redatto però alquanti anni dopo, una succinta
descrizione delle condizioni tristissime del Monastero al tempo
del suo primo ingresso. È assai dubbio che l'ultima parte
« Has vero constitutiones etc.» appartenga alla primitiva
recensione del documento, parlandovisi sempre d'avveni-
menti alquanto remoti: « erat eium func iste locus in omni
religione pene destitutus; — unc relatum est mihi — inte-
rea supervenerunt quidam sancti viri et fratres Cluniacen-
sis Monasterii, — mentre il « Constitutum » propriamente
detto é certamente degli ultimi anni del secolo decimo (2);
là parte poi che lo precede, sembra una delle consuete anti-
cipazioni storiche, composta verso il 1003-1008. |

Restano poi alcuni scritti minori : :

1l. — « Breve de rebus perditis », presentato a Enrico II
il 1014 nel Sinodo romano. Vi allude una írase della « Im-
minutio »: Praedictus autem imperator ex quo Ravennam
venit, praecepit cunctis abbatibus et episcopis ut scriberent
res perditas suarum ecclesiarum, qualiter et quando perdi-
derint vel a quibus detinerentur. Quod et ego feci » (3).

lomunemente si identifica questo scritto con quello in- .
nel Rege-.

serito da Gregorio di Catino nel Chronicon (4) e
sto (5), sotto il titolo « Breve recordationis facio
humilis abba de terris »; peró, il non ritrovarvisi
i nomi dei grandi invasori del patrimonio farfense, né il rac-

ego hugo
affatto né

conto dei soprusi usati verso i monaci, m'induce a ritenere

(1) Dopo Mabillon, Az. 0. S. B., IV, Append. n. 27, venne edito in Reg.
Farf., V, 252.
(2i Relatio Constitutionis, 55-98.
(3) Exceptio Relationum, 67 sgg.
(4) Chron. farf., II, 10 sgg.
(5) Reg. Farf., V, doc. 1288, pag. 283.
804 I. SCHUSTER

che questo catalogo sia altra cosa dal memoriale presentato
all Imperatore (1).

2-3. — Due lettere « ad domnum Landuinum », abbate
di san Salvator Maggiore, scritte verso il 1019, a proposito
della corte di san Pietro in Meiana e dello scambio d' alcuni $
beni (2).

4. — Un « breve recordationis » dell' amministrazione
d'aleune terre del patrimonio farfense in Sabina, da ricolle-
gare forse alle lettere precedenti, ove è appunto parola d'una

simile nota (3).

| 5. — Oltre questi lavori istorici, l' attività d’ Ugo nel
| | campo amministrativo ed economico ci è attestata da più di
È 220 documenti del Regesto, e da un copiosissimo materiale
il tratto dai catasti e sparso ora qua e là in quasi tutte le
opere di Gregorio di Catino (4).

i

| :
| (1) Propendo a riconoscere la mano d'Ugo nell'elenco delle usurpazioni contro
| il monastero e che è sotto la rubrica: « De rebus perditis hujus monasterii sanctae
| Mariae. Reg. Farf., V, doc. 1280. :
i (2) Op. eit., III, doc. 513, pagg. 224-25; V, doc. 1297, pagg. 285-80. Intorno a una
t « Relatio » delle controversie tra Farfa e i monaci di Mica Aurea nel Trastevere,
T che si presume scritta da Ugo tra il 1030 e il 1035. Cf. C/won. Farf., II, 10, nota 3.
IB : (3) Reg. Farf., V, doc. 1288, pag. 282.

(4 Se Ugo non fu autore di quelle omilie in onore di san Lore zo Siro conser-
vate nel Chronicon, vi si scorge però una stretta affinità col suo pensiero. Cito al-
cuni brani per ii confronto.

E
pre

==
E ATZLET

E t M —

« Nullus etenim locus desolatur nisi
ob malitiam in eo habitantium ».
Except. Relationum.

Omnis namque locus aut habitantium
beatis meritis augetur, aut culpis delin-
quentium exterminatur.

| I Divina clementia cooperante, patrona-

que nostra gloriosissima virgine Maria
intercedente, bonum quod nostris tem-
poribus divina pietas in hoc renovare
dignata est loco, nostris, quod absit cul-
pis et negligentiis non minuatur, sed
potius augeatur, Christo donante.

Destruct. Pharph.

Nam ipso (Deo) cooperante et glorio-
sissima semper Maria virgine continuo
suffragante ... in isto loco amplius me-
ritis beatis accrevit ... Caveamus ne no-
stris temporibus ... negligentes in divinis
augmentandis rebus inveniamur.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA

805

Fu insomma una vita operosa e quarant' anni di continuo
sacrificio pel risorgimento spirituale e materiale di Farfa.
Forse altrove, man. mano si venivano dileguando i contorni.
reali di questa figura gigantesca d'Abbate, e l' opera d' Ugo
si rifletteva attraverso i lontani secoli, la riconoscenza dei
posteri l'avrebbe ricinto dell'aureola dei Santi. E sarebbe
stata certo ben meritata; se non ché l’ambiente farfense,
prossimo a Roma, alla città degli Apostoli e dei Martiri, era
troppo assueto alle grandi personalità, e la figura di Ugo,

non ingigantita mai

dalla leggenda, rimase sempre quel-

l « humilis abbas », come quando viveva. Pur tuttavia la
sua memoria fu in benedizione, e ogni volta che i suoi suc-

Ut meis meritis in nullo confldam ...
vestraque caritate confisus fidenter as-
sero ut si perseverantiam habueritis, ...
in hoe saeculo prospera vobis omnia pro-
venient et in futurum aeternam possi-
debitis beatitudinem.

Destruct.

Ecclesia Dei crescit et decrescit.
Except. Relat.
Antiqua illa Constructio, ob memoriam
Patrum inibi continentium sit restauratio
ad spiritales virtutes nostris pectoribus
inserendas.
Destruct.

Quam Consuetudinem si quis adim-
pleverit, in praesenti exaltabitur vita.
Consuet. Pharph.

Si vero perversus fregerit,..et si per
multos ereverit annos, tempore uno de-
struetur .. Cuncta quae priores nostri
bona tenere sancxerunt, si derelicta fue-
rint non prosperabuntur.

Consuet. Pharph.

Facientibus et perseverantibus regnum
pateat sempiternum.
Cónsuet.,

Audentius etiam et confidentius ... af-
firmamus quia quousque volvetur iste
mundus eius laudabile meritum semper
accipiet incrementum ... Credimus enim
et firmissime tenemus quoniam si pios
mores actusque sanctissimi hujus ete.

Ecclesia pulsatur nec deijcitur.

. Sanctorum terminos Patrum in nullo
transgrediamur ... Sanctorum tempora
Patrum sive gesta virorum cum pie re-
leguntur ... prudentes aedificantur ... Ob
hoc praesertim tempora descripta sunt
iustorum, ut nostra, dum vivimus ... ab-
sque offensione curramus.

Quaedam loca ... sanctorum inibi com-
morantium augentur meritis.

Qui vero aliorsus ... conatus fuerit
ambulare ... licet sibi videatur ad tempus
in aliquo prosperare, sed deterius erit
illii cum haec dies Domini declarabit ...
(Sanetorum Patrum)... terminos in nullo
transgrediamur ...: illorum enim trami-
tem si sequimur, in nullo oberare vide-
bimur.

Quia ipse sanctus Pater Benedictus ..
pollicens dicit: Facientibus haec regna
patebunt aeterna.

Construct.
E EN

806 I. SCHUSTER

cessori prendevano possesso della sede di Farfa, giuravano
l'osservanza del « Constitutum domni Hugonis », rinnovando
gli anatemi e le maledizioni lasciate in retaggio a colui che
primo sarebbe venuto meno allintrapresa riforma (1).

Anche le date memorande della nascita d' Ugo, del suo
ingresso a san Quirico e delle sue successive investiture della
Cattedra farfense vennero annotate distintamente e in carat-
teri maggiori nella serie cronologica degli abbati, diligenza
non praticata mai per alcun altro (2); anzi, come osserva il
Bethmann (3), la composizione di quei fasti abbaziali, essendo
anteriore allo stesso Gregorio di Catino, data appunto dai
tempi di Ugo.

« Domne sanctissime, pater noster abba » lo chiamavano
già nel 1017 i suoi monaci, quando in un documento redatto
a Roma e da uno scrinario papale, lo definivano « del pie-
tate repletus et omni sapientia imbutus » (4); « Domne hugo
sanctissime » é detto pure in un'altra cartula d'un tal prete
Benedetto a Orte nell'Agosto 1118 (5), per non ricordare gli
« eximius, coangelicus, vitae venerabilis » che rientrano nel
frasario notarile del tempo.

Allindomani della sua morte, l'autore della prefazione
alle « Consuetudines » già lo collocava allo stesso livello di
san Romualdo, del quale diceva d'aver raggiunto la gloria,
emulandone la potenza dello spirito ; e. in sul finire di quello
stesso secolo, Gregorio di Catino, ammiratore non troppo
entusiasta del sistema economico di Ugo (6), che scusa solo

(1) Cf. Reg. Farf., V, doc. 1155, pag. 160.

(2) Anno DCCCCLXXII, indict. XV ra Dominus hugo abbas nascitur mense aprili,
DCCCCLXXXVI, indict. XIII, iohannes papa, hugo abbas ingreditur monasterium
sancti quirici; DCCCCXCIII, indict. XI DOMINUS HVGO ABBAS ; MXXIII, indict. XII.
Heinricus I imperator, Hugo abbas reordinatur secundo ; MXXXVI, indict. IIII, Hugo
abbas reordinatur V idus iunii; MXXXVIIII, indicet. VIT, hugo abbas Q. Reg. FawT.,
II, pagg. 16-17.

(3) MG SS., XI, 587.

(4) Reg. Farf., III, doc. 504, pag. 213.

(5) Op. cit., III, doc. 514, pagg. 225-26.

(6) Chron. Farf., II, 133.
L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA 801

« utpote alienigena et alterius monachus monasterii », con-
fessava nondimeno che « istius monasterii in utroque. recu-
perator et restaurator fore studuit ipse gloriosus » (1).

Degli estranei, Bernardo Cassinese nella vita di sant' A-
mico, narrando della morte d'Ugo, lo chiama « venerabilis

utique memoriae vir»; anzi, è per suo mezzo che il ricordo

della nostra « Columna maxima » é entrato anche a Monte

Cassino negli attuali lezionari delie vigilie notturne (2).
Perfino il tardo codice vaticano (sec. XVI) segn. 6216,

donde il Bethmann pubblicò la « Destructio Farfensis », .

premette al prologo la rubrica « Incipit prologus Destruc-
tionis monasterii Farfensis, editae a venerando patre domno
Hugone, abbate prelibati monasterii, sanctissimo valde
viro » (3), e dopo di lui il Galletti (4) il Mabillon (5), il Ma-
rini (6), sino agli attuali benemeriti editori del Regesto, Bal-
zani e Giorgi, non ebbero per Ugo che parole di venera-
zione e di lode (1).

« Et ossa eorum pullulent de loco suo ». Era l'antico
voto d'uno dei Veggenti d'Israele, allorché leniva al popolo
i dolori del servaggio, col dispiegargli dinnanzi le sorti fu-
ture della restaurazione messianica. È quello che. formo
anch'io, oggi che la tomba di Ugo é ricoperta di rovi e di
spine, mentre le rovine della Badia desolata che si vanno
addensando ogni di più su quel sepolcro, innalzano un mo-
numento ben triste alla memoria del possente Abbate. AIlin-

(1) Reg. Farr., II, 16-17.

(2) Officia propria in usum Cathedralis basilicae et s. Archicoenobii Cassinensis.
Tipis eiusdem s. Archicoenobii. MDCCCLXXXV, pag. 209.

(3) MG. SS., XI, 532, dal cod. vat. 6216.

(4) Gabio cit., pag. 6, nota 1.

(5) Annal., IV, 119. i .

(6) Serie Cronolog. degli abbati di Farfa, pagg. 17-18.
(7) Chron. farf., XVI-XXI; Reg. Farf., III, pag. 304, nota 1.
808. . I. SCHUSTER

torno, nei quattro chiostri nei dormitori deserti, e nelle offi-
cine, tutto è silenzio, interrotto solo dal canto di qualche
raro pastore, che durante il. meriggio conduce le greggie
nel folto delle boscaglie dell’ Acuziano, ó dal piangere dei
bimbi dei coloni della fattoria, succeduti ai monaci nelle
loro cellette, dopo la fatale oppressione del « Monasterium
Imperiale ».
986
997
999

»

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA

ASDP-ENDIGI

I. — Itinerario di Ugo I.

Monastero di san Quirico.

Farfa.

22 Febbr. Roma.

Marzo Rescani e Gabi (Torri in Sa-
bina).

14 Marzo Roma.

4 Aprile »

5 » Farfa.

7 » Roma a san Pietro.
8 » »

21 » »

4 Giugno Roma alla residenza far-
fense presso il Circo Agonale.

. Roma.
] . +. Cere (Cervetri sulla via
Aurelia).
. Roma.
. Farfa.
i . +. Subiaco.
Aprile. Farfa (?)
Luglio Farfa.
22 Settembre Farfa.
Ottobre »
3 Ottobre »
Ottobre in territorio marsicano, in

villa Transaquas (presso l'antica Va-
leria; ora Trasacco, o S. Bendetto
dei Marsi).

. A santa Maria sul Mignone.
5 Novembre Roma.
2 Decembre »
3 » »

. Monte Cassino, Ravenna.

1000 Agosto Farfa.

» Settembre Rieti.
1002 Marzo Farfa (?) In Sabinis.
1002 Aprile.» »

» 6 Giugno Farfa.

Agosto » »

MG. ss. XI, 589.

Reg. Farf. IV, doc. 700

»

»

III, doc, 424, pag.

» » 425
» » 426
» » »
» » »
» » »
» » 427
» » 42

MG. ss. XI, 541.

Cf. Costitut. Hugonis I.
Reg. Farf., III, doc. 433

» 4 35
» 431
» 440
» 429
» 430
» 437
». 441
» 437
» 438

Cf. Constit. Hugonis I.

Reg. Farf.,

III, doc. 442

». 443
» 444
s .445
» 447
IV» 708

, pag. 102.

133.

, pag. 146.
147.
145.
154.
143.
144.

150.
154.
150.
151.

155.
156.
158.
158.
159.
104.
i

EI

v

a Eau

STENZA

Moment idt AG GER TETTE Y erar ATEI ART RITE TRI. — = — —

810 I. SCHUSTER 1

1003 Tivoli (?)

» Agosto Salisano (Sabina).

» Novembre Tivoli (?)

»-Aprile Farcone [presso Aquila].
1004 Agosto Farfa.

» Ottobre Farfa.

» » in Sabina.

1005 Febbraio Farfa, -

» 28 Decembre Roma presso san Marco.
1006 8 Aprile Tivoli (?)

» Lnylio Farfa?

» Ottobre in Sabina.

1007 2 Aprile Neuburg.

» Luglio Farfa.

» 19 Settembre Tivoli.

1008 Giugno Rieti («ad portam Intero-
crinam in ipsa turre »).

» Agosto (non era a Farfa).

1009 Gennaio in Sabina.

» Giugno é abbate di Farfa Guido I.
1010 (?) Giugno Ugo a Orte (Umbria).
1011 Decembre Roma.

1012 Febbraio Non é a Farfa (?)

» 29 Giugno Farfa.

» l5 Agosto »

» » Palestrina (Preneste, pro- ©

vincia di Roma).
» 22 Agosto Farfa.
» Ottobre »
1018 25 Decembre Pa: ia.
1014 Gennaio Ravenna.
» dopo il 14 Febbraio a Roma viene
rieletto Abbate.
» 27 Aprile Roma.
» 21 Giugno-11 Luglio (?) assedio di
Bocchignano (Sabina).
» 19 Luglio Roma.
1014 31 Luglio Tribuco (presso le foci del

Farfa).
» 2 Agosto Tribuco.
» » Bocchignano.

» Settembre in Sabina,
1015 Agosto in Sabina (?)
» Settembre Farfa (?)
» 4 Decembre In Laterano.
» 95 » Roma.
1016 8 Maggio in Sabina.
oe ROMA:
1017 23 Gennaio »
» Maggio Corneto.
» » Farfa « in horto monasterii
iuxta rigum Arianam ».
» Giugno Roma?
» 20 Agosto »
1018 Giugno in Sabina, in Castello « Britti »
(Monte Libretti in Sabina).

Reg. Farf., IIT, doc. 420, pag. 129.

» Did 19: 7» -— 198:
» IV »-:/05. pi 3106;
» » » 701. » 102-03.
» LIT ».— 452 -—»: 165:
» » 404 5: 17D;
» » » 400 » 176. 4
» » » 465. » 176.
» » »- 4102»: 5:179:
» IV $5 700-2» 107:
» TIIS »22407: 5» 174
» » » 47l » 180.
UGHELLI, Ital. sacr., III, 622 (2 ediz).
Reg. Farf., III, doc. 474, pag. 183.
» TV $9570 5» TOR
« IL. dr 477 » 180.
» » P5470 7» IR5.
» » » .482 » 190.
» LV V» RT 609 e, FEDI
» III-55»77:488: 07» — 19].
» TV. 4970 54.
» II. » 487 —» 194.

MG. ss. XI, 542.
Reg. Farf., IV, doc. 628, pag. 24.

» III: »:400 7». 197.
MG. ss. XI, 542.
» » »
» » >»; Reg. Farr., III, doc. 451,
pag. 164.
Reg. Farf., IV, doc. 669, pag. 71.
MG. ss. XI, 542-544; Reg. Farf., III, do-
cum. 492, pag. 199.
Reg, Farf., III, pag. 198.
Reg. Farf., HI, doc. 492, pag. 199.

» » » » »

» » 3 404 ^» .208,

» » 490-7 » 207.

» » 400 » 204 sgg.
» » 490 » 207.

» » 52002: $5210.

» di 000. » 55:908;

» ».: 001...» 209.

» ».:004 — ». 219:

» » 000 » 210.

» » 505 »- 215.

» » 508 » 219, docu-

mento 509, pag. 220.
Reg. Farf., III, doc. 508, pag. 212.

» » 004 ^» 218.
» » 012 » 224.
1018 Agosto in Sabina (Farfa ?).

» Settembre » (2)
» Ottobre Bocchignano.
» Novembre in Sabina (?)
» Decembre Ascoli (Piceno).
1019 9 Aprile Meresburch.
» 9 Giugno Roma (?)
» Settembre Farfa (?)
» «in loco ubi dicitur Valerianus ».
1020 Marzo Farfa.
1021 Marzo.»
1022 . : E Puzalia, presso la chiesa
di santa Agnese (Sabina).
» Febbraio Farfa.
» Marzo-Giugno ‘Assedio di Troia (Pu
glie).
» Luglio Roma.
1024 Marzo in Sabina « in loco qui dicitur
antiquus ».
1025 Maggio Farf..
1025? Agosto Moza, territorio d’ Antro-

doco.
1026 Gennaio Farfa. Tribuco.
1027 . à muove incontro a Cor-

rado II e depone l'ufficio abbaziale
1028 Maggio Rieti (?)
1036 Prima del Febbraio é rieletto Abbate.
: - Roma in Sinodo.
1037 Novembre Farfa.
1039 -|+ 25 Decembre Farfa.

II. — « Officiales » di

PREPOSITI.

998 Marzo Giovanni prete e monaco.
1011 Gennaio Giovauni.

:1012 Febbraio Maio prete e monaco (fino

al marzo 1013).
1013 Paolo.
1015 Giovanni prete e monaco.
1018 Sico e Pietro preti e monaci.

1015 1021 ? Adam.

L'ABBATE UGO I E LA RIFORMA DI FARFA

Reg. Farf., III, doc. 513, pag. 224.

» »-:::5109 9.92921:

» DIET 5190926: 012

» » 517 » 228.

» » -457 —» -]108-109,.-*

» DIL DRITTI

» ». 524 » 233.

» ».:5205 »:02923;

» » 458-50 » 1069-171.

» »-:091 5:7» 05:241

» » 8582 » 242

» »- 599 29
Chron.- Casaur. L. IV. n

Reg. Farf., III, doc. 601, pag. 304.

MG. ss. XI, pagg. 543 545.
Reg. Farf., III, doc. 545, pag. 254.

» IV- » 714: SEU

» HI >: »:- Dod 202)

» » » 081 » ‘289.

» V » 202.

» II] ^: »:555005-:»: 208;

» » » 506; IV, doc. 716.

UGHELLI, Ital. Sacr., Tomo IX, pag. 920.

Reg. Farf., IV, doc. 724, pag. 129.

Tit. S. Amici Avellan , Act. SS. O. S. B.,
saec. VI, p. I, pagg. 769-770 (1).

Farfa sotto Ugo I.

Reg, Farf., III, doc, 416, pag. 126.
» IV-:-»:-009: —:» 8.
» » » 487 » 194; docu-
mento 489, pag. 196.
Reg. Farf., IV, doc. 60670 » 72.
Largitor, 195.
Reg. Fürfj HIS »::5119 -» 72222:
» » ». 90895 .» 244; Larg.
Farf., fol. 196.

(1) È probabile che i documenti redatti « in Sabinis » siano stati stesi a Farfa
stessa, giacché alcuni hanno ambedue le indicazioni. :

Ho trascurato tutte le menzioni topografiche delle cartulae di donazione o
di cambio, dove l'unico criterio del nome d' Ugo, ricordato in quegli atti, é troppo
incerto, potendosi talora riferire al formulario notarile del tempo. Cf, Reg. Far[.,

III, doc. 578, pag. 284.
819 I. SCHUSTER
1028 Pietro levita. Reg. Farf., III, doc. 560, pag. 268.
1030-1031 Azo. » [ViS2» 00 9 1198;
1035 AzO. » » » 697 » 99; Larg.
1037 AZO. Farf., fol. 206.
Largit., 206.
1039 AZO. Reg. Farf., IV, doc. 746. » 155.
PRIORI.
1012 Sico. » II » 487 » 1904.
1022 Adam. » » » D30 » 285;001,pa-
gina 304.
1088? Raniero. Reg. Far[ IV -.»0 141.» 506.
DECANI.
1005 Maio. » III --»-- 487. -»::-104;
... Franco. Largit. Farf., fol. 151, retr.
1011 Maio (X Decembr.). Reg. Farf., IV, doc. 657, pag. 54.
1022 Adam diacono. » » 3-759951 5»1::944;
1035 Atto, » IVogpre 007 45» 99.
1012 Stefano prete e custode di san Mar- » »- ». 040 » 38.
tino sull'Acuziano.
1035 Azo Cellerario. » »v o »-.007. » 99.
1042 Bernardo d'Attone Sacrista. » »:»85. 709: »: 3715
1044 Franco prete, monaco, visdomino e » »uc wc T4» 3182;

rettore del castello di Bocchignano.

AVVOCATI

Tl 998 Uberto giudice. » II » 416 » .120.

i | 999 Tebaldo. » » » 490 » 144.

1 | 1004. Sabino. » » » 400 », 176.

N | 1007 Sichetredo. » » » 474. » 183.

1008 Malcherio. » *co» ATTO 180.

y | 1011 Berardo. Yi 61V 5*::000 8.

|| » Guimario. » II » 486 » 194.

il 1012 Arduino notaio. » IV» 821: cao

| 1017 Teuzo. » IIIS 5»:5*50505 5» 30215

1 1022? Alcherio (1). » »- 35-585. x. :244.
|

^

(1) Questi « advocati » ron si succedettero scambievolmente nel servigio del
monastero, e sono disposti secondo i dati cronologici dei documenti farfensi, quando
vengono menzionati per la prima volta.
e aeneae:

STATUTA ET ORDINAMENTA
ARTIS PISCIUM CIVITATIS PERUSII

(1996-1876)

DERESgBOAZIONE:

Lo statuto che vien qui pubblicato era inedito, come

ancora sono tutti gli statuti perugini della città e quasi tutti

quelli delle arti (1).

Anzi mentre altri statuti sono stati talvolta messi a pro-
fitto per questa o per quella ricerca storica, eli ordinamenta ar-
tis piscium, per quanto mi consta, non sono mai stati studiati
nel loro contenuto (2), benché questo debba considerarsi di sin-
golare importanza per varii rispetti. Nemmeno è stata data
sin quì una compiuta descrizione del codice che li contiene:
le brevi indicazioni che se ne trovano negli indici e negli
inventarii non sono sempre prive di errori.

L'arte dei pesci, o dei pesciaioli era una delle quaran-
tatrè arti di Perugia (tante ne novera lo statuto del comune
del 1542, lib. I, rub. 38) (3), ed era tra le arti minori: la dodi-

(1) Solamente gli statuti degli Spadari e quelli dei Vasari sono stati pubbli-
cati, i primi (solo nella parte più antica) dal FABRETTI, nei Documenti di storia pe-
rugina, I, pag. 32; i secondi da R. ERCULEI.

(2) Il dott. A. BRIGANTI li ha messi ora a contributo nel suo studio recentissimo
su: Le corporazioni delle arti nel comune di Perugia (sec. XIII-XIV), tesi di laurea,
estratto dagli Amnmali dell’ Università di Perugia, 1910; vedi a pagg. 35, 39, 41 e seg.,
47 e seg., 66, 69, 76, 119, 121, 125 e seg., 129, 135, 138, 140, 146 e segg., 154, 159, I71 e
segg, 175 e segg., 188 e segg., 196, 210, 216 e seg.

(3) Il MaRIOTTI nel suo .Spoglio delle matricole dei collegi delle arti di Perugia
(ms. del 1786, Bibl. com. di Perugia) enumera 44 arti ; il BRIGANTI (op. cit., pag. 31)
calcola a 47 le corporazioni organizzate esistenti nel 1326.
814 A. SCIALOIA

cesima nell'ordine prescritto per le processioni, secondo la
rub. 45 del citato statuto comunale, (la qual rubrica reca la
data del 1314).

Ma tra le arti, in più stretto senso mercantili, e mag-
eiormente interessanti quindi per la storia degli istituti
commerciali, quella dei pesciaioli era la più importante
dopo larte maggiore della mercanzia. Il commercio del
pesce costituiva infatti il principale ramo del traffico pe-
rugino (1) I documenti ci attestano che fin dai tempi piü
antichi il Comune curava con ogni mezzo l’ incremento
della pesca nel lago di Perugia (concessa in appalto) e la mag-
giore estensione del commercio dei prodotti della pesca (2),

(1) & prova dell' importanza di questo commercio basti ricordare che nel 1371
l'appalto dei redditi e proventi del lago e della gabella del pesce fu assunto dai
fiorentini Angelo Uberti de Albizis e Ardingo Corsi de Ricciis, pei quali il Comune
di Firenze si rese fideiussore di fronte a quello di Perugia; cf. Provvisioni (Archivio
di Firenze) LVIII, 162; DEGLI Azzi, Le relazioni tra la repubblica di Firenze e
tv Umbria nei sec. XIII e XIV, II, n. 570. à

(2) Tra i documenti più antichi in argomento, cf. ad es. Statuto del comune
del 1279, rubr. 232: Qualiter fructus aque lacus ed pedatarum vendantur cum ter.
reno ynsularum (f. 35); 234: Qualiter celebretur venditio fructus aque lacus (f. 35 t.) ;
235: Qualiter et quando lacosciani debeant reinfrascare lacum et qualiter ordina-
menta lacoscianorum sint cassa de piscibus portandis in quadragesima et parte
ipsorum comuni reddenda; 236: Quot saumas piscium debeant aportare emptores
fructuum aque lacus; 237: Quando aliquis in lacu piscari non debeat et de pena
contrafacientium (f. 35 t.); 238: Qualiter quilibet possit piscari in lacu et de pena
prohibentium piscari; 239: Quot et quando lucij et anguille trocte et gambari mic-
tantur in lacum et per quos (f. 36) ; 240: De apilastratione lacus facienda et quando;
246: Qualiter puniantur homines lacus incidentes inter se retia (f. 36 t.) ; 247: Qualiter
piscaioli non faciant doanam de piscibus et de pena contrafacentium ; 248: Qualiter
pisees emantur pro comuni et portentur Perusiam et vendantur ad pondus et de
officialibus eligendis (f. 37) [questa rubrica porta la data del 1276]; 219: Qualiter qui-
libet possit vendere pisces in civitate Perusii ubi voluerit excepto in platea et foro
comunis.

Per altre notizie, intorno alla stessa epoca: Annali decemvirali 1259, 28 dicembre
(f£. 11): « venditio fructuum lacus »; 1260, 10 marzo (f. 39): « quod differatur capitulum
statuti quod loquitur de piscibus ponendis in lacu de mense Marzii post Pascham
resurrectionis proximam »; 1275, 2 aprile (f. 110t.): « placuit quod ad presens su-
persedeatur seminatione luciorum anguillarum et gambarorum in lacu perusino
quousque melius poterunt inveniri quam modo inveniantur » ; 1277, 8 febbraio (f. 177):
super salario decernendi officialibus qui superesse d-bent piscibus revendendis [pla-
cuit] quod eis et cuilibet eorum pro comuni perusii satisfiat in tanta quantitate in
quanta satisfactum est illis qui ab hine retro ipsum officium habuerint »; cf. anche
STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC.

commercio tanto sviluppato che giungeva fino a Roma ed
a Siena (1). i

La singolare importanza degli ordinamenti di questa
arte deriva anche dall essere essi i più antichi statuti di COr-
porazione perugina a noi pervenuti, ed i più antichi per quel
che riguarda lepoca.della loro entrata in vigore (1296), se
non anche per quel che riguarda la redazione del codice

che ci é stato conservato mercé la gelosa cura dei magi-
strati dell' arte (2).

Altrove, studiando il diritto commerciale perugino nel tre-
cento (3), dirò del contenuto giuridico di questo statuto, qui

E 1277, f. 190 t. — Si vedano inoltre i registri degli introiti ed esiti del comune (ArcZ.
della computisteria) e specialmente il cod. 14 (1282) ai ff. 79 t., 241, 267 e 324 (custodes
super pisces), 294, 298, 335 t., 368. — Tra le pergamene volanti dell'Archivio Comunale, xS
ve n'é una del 1288 (n. 543 AA cass. 31), la quale reca alcune notevoli Riformagioni
del Consiglio generale e speciale del popolo e delle arti sugli obblighi degli appal-
tatori e sul mercato e la vendita del pesce.
(1) Vedi a questo proposito: Annali decemvirali 1216, 21 febbraio (f. 58t ) : invio
d di ambasciatori ad Arezzo « ad deprecandum dictum Comune quatenus amore Co-
i munis Perusij non deberent facere aliquam novitatem pisces portantibus quam im-
posuerunt burgensibus singulis diebus debent portare ad Arezium VIII salmas
piscium »; ed à Siena: « Quum dicti Senenses statuerunt quod salme quas debent
portare burgenses debeant hospitari per VIII miliaria extra civitatem Senensem ei
alio mane intrent in civitatem Senensem dicti portatores et debeant dicere gracie
comunis Perusij et nullum gravamen vel novitatem aliquam faciant ipsis portato-
ribus piscium et quod si vendere non possent illa die quod possint hospitari et quod «d
illi ambaxatores ibi et alibi ubi necesse fuerit dicto Petruccio possint et debeant 1
ire ». —Questi invii di ambasciatori (ed altri a Città di Castello, a Cortona, a Castel
della Pieve) furono deliberati ad istanza di Petruccius d. Andree emptor fructuum
aque lacus et pedatarum, al quale erano dovuti per patto. — Circa l appalto della
pesca, la cedola più antica che mi é stato dato di ritrovare è del 1379: cedola di
vendita dei frutti e proventi d' acqua del lago e della gabella dei pesci del lago:
« Cedula vetus ab Anno 1379 usque ad 1400 — Cedula venditionis fructuum et pro-
ventuum aque lacus perusij et gabelle piscium qui capiuntur in dieto Lacu ». (Codex
comunantiarum, f. 1-3 - Arch. com. di Perugia).
(2) Il codice statutario più antico sembra essere quello che contiene lo statuto
dell’arte degli Spadari (1298), e che trovasi alla Biblioteca del Senato.
i (3) Questo lavoro, che è in preparazione, recherà in appendice tutti gli statuti
4 delle arti della mercanzia e del cambio (che sono del XIV sec.) e le rubriche com-
merciali degli statuti municipali del 1279 e 1342, ed infine numerosi documenti con-
2 cernenti il commercio e gli istituti commerciali perugini, rintracciati principalmente
negli archivi di Perugia e di Siena. Il volume farà parte di una opera di più ambi-
zioso disegno, che altri compirà: una collezione cioé di monografie di storia del di-
816 A. SCIALOIA

conviene che ne parli brevemente sotto il rispetto diploma-
tico. Ne parleró certo male, poiché son nuovo a questo ge-
nere di studi, ma spero che il lettore vorrà compatirmi,
eonsiderando che non é mia colpa se i molti interessantis-
simi documenti degli archivi umbri non hanno ancora tro-
vato degni editori, sicché il cultore di studi giuridici che
non voglia lasciare inesplorato un campo assai Importante
per la storia del diritto, deve alla sua opera di giurista far
precedere quella dell'archivista (1).

Il codice, dal quale sono tratti gli statuti che qui ven-
sono pubblicati, si conserva nella Biblioteca comunale di
Perugia. Esso misura mm. 29254210, è ricoperto con tavo-
lette di legno rivestite di cuoio, con borchie e fermaglio di
bronzo. La coperta è in cattivo stato, il fermaglio è rotto e
monco.

Consta il codice di 90 fogli, dei quali 2 (il secondo e terzo)
cartacei, contenenti annotazioni del 1664, e gli altri membra-
nacei, ben conservati. Il codice, messo insieme forse nel nu-
mero stesso attuale di carte fino dall’epoca della trascrizione
del più antico statuto, conteneva molti fogli bianchi, destinati
all’incremento delle matricole deg i uomini dell’arte. Questi
fogli bianchi hanno servito, in successive epoche diverse, per
le più varie annotazioni e trascrizioni di documenti e di de-
liberazioni riguardanti l’arte dei pesci. Gli statuti sono redatti
in gotico calligrafico, le annotazioni e le altre scritture per
la massima parte in corsivo.

ritto commerciale delle città italiane; necessaria preparazione per una storia gene-
rale del diritto commerciale italiano, vale a dire del diritto commerciale universale.

(1) In quest’ opera fui efficacemente coadiuvato dallo studente Carlo Mercantini,
esperto lettore di carte medievali. Ed assai mi giovò il cortese e dotto consiglio del
conte V. Ansidei, direttore della Biblioteca comunale.
COTTUIUETmT-

ey eco

STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC. - 817

Ho tenuto conto nel testo dello statuto delle annotazioni
che ne riguardano il contenuto. Qui daró una minuta, e spero
esatta, descrizione dell' intero codice. x

oT Mf. 1-4 contengono varie annotazioni disordinate, senza
importanza, tra l' altro il principio del preambolo del primo
statuto, e appunti con date diverse: 1331, 1418, 1664, 1512,
1525.

Nei ff. 5-22 é il primo statuto, pubblicato, nella parte
piu antica, il 6 gennaio 1296 (1). Il f. 5 reca una miniatura
rappresentante S. Ercolano, e un breve fregio marginale; i
titoli delle rubriche sono in rosso; la prima lettera delle ru-
briche é alternatamente in rosso e in azzurro. Questo statuto
nella sua prima redazione constava di 98 rubriche, che sono poi
state ridotte a 81 con successive riforme e modificazioni tutte
posteriori alla scritturazione del codice (2). L'epoca di questa
scritturazione, e cioè della redazione della parte più antica del

(1) Questo non è però il primo statuto che l’arte abbia avuto. Ciò si arguisce
da varie espressioni degli stessi ordinamenti. Inoltre già lo statuto del comune del
1279 (anch' esso alla sua volta più antico per una parte delle proprie disposizioni) parla
degli ordinamenti dei pesciaiuoli; rubr. 249 (f. 37): « Ut in civitate Perusii maior
habundantia piscium habeatur statuinus ordinantes quod quicumque voluerit ven-
dere pisces in civitate Perusii vendere ipsos valeat in quacumque parte civitatis
voluerit cum voluntate potestatis et capitanei de loco, salvo quod aliquis talium in
platea et foro comunis ad vendendum pisces non debeat commorari, et aliquis talium
volentium vendere pisces ut dictum est ad vendendum pisces in domo pisciaiolorum
minime compellantur, nec teneantur iurare nec possint cogi ad iurandum contra
predicta vel aliquod predictorum, sed ad alia aliorum piscigiolorum ordinamenta
jurare debeant et esse sub eorum rectoribus, si artem in civitate Perusii continue
voluerint operari ». — Ho riprodotto integralmente questa rubrica, perché essa é in-
teressante per la storia della nostra arte: dimostra infatti come questa nel 1279 non
fosse ancora assurta a tanta potenza da impedire il libero commercio, sia pure da
parte di mercanti avventizi. — Non esattamente dunque il BRIGANTI (op. cit., pag. 29)
afferma che dallo statuto del Comune del 1279 conosciamo l'esistenza degli statuti
di quattro sole arti, e cioé quelle dei fornai, dei pizzicagnoli, dei salaiuoli, e dei
panfcocoli. z

i2) Ai fogli 11 t. e 20 t. si leggono in calce due curiose note in francese; la
prima no 1 interamente leggibile dice: « Mad. D. je vous prie avec tout mon coeur
ayez pitié de moi ayez pitié de moi pour l'amour que vous portez pour... et par la
tendresse que vous avez pour M. votre ... ayez pitié de moi ». — La seconda nota
dice: « Celui qui entend il est brav homme ». Le due tote se non della stessa mano
sembrano almeno essere della stessa epoca.
818 A. SCIALOIA

nostro codice, può essere stabilita con sufficiente precisione
in base alle date che si incontrano qua e là nel testo ed a
quelle fuori testo che accompagnano spesso le correzioni ap-
portate alla redazione più antica. È merito del dott. A. Bri-
canti (1) d'aver rilevato che erroneamente si è sin qui ri-
portata la redazione del nostro codice all’epoca stessa della
pubblicazione dello statuto, . e cioè al 1296: data indicata
nel preambolo. Infatti la scrittura è manifestamente del
trecento (e altrettanto deve dirsi della miniatura di S. Er-
colano), e tutte le rubriche sono della stessa mano senza
lacune; decisivo è l'argomento che si trae dallo studio delle
date: la data più tarda scritta nel corpo dello statuto è il
9 maggio 1322 (rubr. 96), la data più antica che si legge in
margine (rubr. 10, 79) è il 27 agosto 1324. Resterebbe cosi
stabilito che la trascrizione del primo statuto è da collocarsi
tra il '9 maggio 1322 e il 27 agosto 1324 (2).

E resta anche stabilito che le correzioni del testo tra-
scritto in quest'epoca appartengono agli anni 1324-1376, poi-
ché è dell'anno 1376 la redazione del nuovo testo, nel quale
fu tenuto conto delle varie riforme parziali precedenti. Una
aggiunta alla rubr. 75 porta la data 28 ottobre 1326, ed al
f. 22 t., in calce alla rubr. 98, una nota ci avverte della cor-
rezione eseguita l'8 settembre 1368 per opera di tre uomini
dell’arte (due dei quali sono anche tra gli emendatori del
1376) (3). Questa fu probabilmente l'ultima correzione ante-
riore alla nuova trascrizione del 1376.

(1). Op. cit., pag. 223 e seg.

(2) Altre date che si incontrano nel corpo del testo: giugno 1814 (rubr. 29); 18
giugno 1318 (rubr. 70) ; 28 decembre 1299 (rubr. 75) ; 7 giugno 1299 (rubr. 76) ; 23 giugno
1317 (rubr. 85). e. È

(3) Questa annotazione, che é della stessa mano di varie delle correzioni ed ag-
giunte che si incontrano nel testo dello statuto, dice precisamente così: « MCCCLXVIII
die VIII setembris correcta fuit per nicolaum Iohannis, Mateum andrutij, Angelinum
Augustinj de dicte arte in camera residentie dicti nicolay ». — Non si capisce dun-
que bene se questa nota si riferisce alla rubrica ad essa più vicina, ovvero a tutto
lo statuto (matricula). :
STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC.

Procediamo avanti nell'esame del codice. I ff. 23-24
sono bianchi; nei ff. 25-28 é una prima matricola degli uo-

mini dell'arte, distinta per le cinque porte della città. L'in-.

testazione (f. 25 r.) dice: « Infrascripti sunt homines artis
piscium qui sunt astricti et tenentur et tenerentur et debent
observare ordinamenta et corrigimenta dicte artis et statuta
et ordinamenta civitatis perusii ». — Le prime iscrizioni di
ciascuna porta sono della stessa mano che ha copiato lo sta-
tuto, ed è perciò presumibile che siano state trascritte
insieme con lo statuto da un più antico documento. Infatti
sono del 1320 (cioè di un’ epoca anteriore di qualche anno a
quella della trascrizione dello statuto) alcune delle ammis-
sioni nell’ arte (altre date che si incontrano nella matricola:
1331; 1333, 1365).

Nei ff. 29-31 è una seconda matricola divisa egualmente
per porta e con l'intestazione seguente (f. 29 r.): » Infra-
scripti sunt. homines artis piscium et alii homines qui non
operantur dictam artem habentes domum pisciarie comunem
et qui habent partem in dicta domo et quorum est ipsa do-
mus, fines dicte domus ab uno via publica ab alio domus ma-
cellatorum ». Questa matricola, della stessa mano della pre-
cedente, non contiene alcuna data; indica. presso il nome
degli iscritti, il numero dei Zoca (o loci) o delle partes di loca
possedute da ciascuno; la matricola di P. S. Angelo é in
bianco (f. 31).

Al f. 32 r. è l'autenticazione del notaio: « Et Ego Ninus
domini Jacobi Porte Solis et parochie sancte lucie Imperiali
autoritate Judex ordinarius Et Notarius Et Nunc Notarius ho-
minum dicte artis, predicta omnia In hoc libro scripta, de
mandato adunantie hominum dicte artis et Camerarii, et Re-
ctorum dicte artis, scripsi et publicavi ».

I ff. 33-34 r. contengono una nuova matricola senza divi-
sione per porte e con l'intestazione seguente: « In Nomine
Domini Amen Anni Eiusdem MCCCXXXVI Indictione quarta
tempore domini Benedicti pape XII die X mensis novembris.

53

819
890 A. SCIALOIA

Infrascripti sunt qui iuraverunt et intraverunt in arte piscium
tempore discreti viri Berardi Cole Camerarii artis predicte ».
Questa matricola reca varie date, delle quali la più antica è
il 10 novembre 1326 (altre date: 1337, 1559, 1341, 1344, 1345).

D f.34 t. è bianco; i ff. 35-96 contengono copia di una
deliberazione del Consiglio costituito dai priori, consoli della
mercanzia, uditori del cambio e camerarii delle arti. La
deliberazione é del 1525, scritta parte in latino, parte in
volgare, e.riguarda l’ ordinamento dell'arte e la vendita del
pesce. Al &. 56 t. è lapprovazione del precedente delibe-
rato da parte del vicelegato pontificio, in data del 1526;
segue al f. 37 r. l'approvazione degli « ordinamenta, statuta et
reformationes ac decreta » da parte del legato (Card. Sa-
bellus) in data del 1598, con sigillo.

I ff. 37 t., 38 r. sono bianchi; il f. 38 t. contiene una

€) r7

autenticazione di notaio, ed un'annotazione del 1373; anche al
f. 39r. sono annotazioni del 15753 riguardanti promesse di pa-
gamento per causa non manifesta (forse clausole penali per
mancata osservanza degli statuti dell'arte).

I ff. 39 &.-A1 r. contengono la copia di una delibera-
zione del Consiglio costituito come sopra, in data 18 mag-
gio 1554, concernente l'ordinamento dell'arte e la vendita
del pesce; segue (f. 41 t. copia dell’ approvazione del vice
legato e dell'autenticazione del notaio (30 giugno 1554).

I ff. 42-46 r. contengono una matricola divisa per porta,
eon iscrizioni del 1365, 13753 e del 1400; i ff. 46 t. e 47 r.
sono bianchi, al f. 47 t. è un’ autenticazione di notaio.

Al f. 48 si trova un rubricario relativo agli statuti pre-
cedenti e della stessa mano (ma le indicazioni del rubricario
non corrispondono interamente ai titoli delle singole rubriche).

Col f 49 cominciano gli ordinamenti e statuti riformati
nel 1376, il f. 49 r. contiene solo l'intestazione, il f. 49 t. un
rubricario incompiuto (solo le prime 7 rubriche vi sono in-
dicate); nei ff. 50-63 r. é lo statuto, che consta di 85 rubri-
che; solo i titoli delle prime, quattro sono in rosso, per le
STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC. 821

altre é lasciato lo spazio in bianco ed il titolo delle rubriche
é indicato in margine di mano antica (forse: indicazione
provvisoria ad uso del copista); al f. 63 r. in calce all'ulti-
ma rubrica é menzionata una deliberazione dell' adunanza
degli artefici e giurati dell'arte dei pesci in data 10 settem-
bre 1447, concernente il valore da darsi al giuramento de-
gli artefici contro il loro debitore; al f. 63 t. è la autenti-
cazione: del notaio. i

Nei ff. 64-69 r. si trova una nuova matricola divisa per
porte, con indicazione di molte date che vanno dal 1403 al
1805 (tra le altre: 1417, 1455, 1451, 1460, 1471, 1694, 1763),
e con l'annotazione del trasferimento di artefici da una porta
all'altra; al f. 65 r. è la seguente intestazione: « Infrascripti
sunt homines Artis piscium qui sunt astricti et tenentur et
debent observare ordinamenta et corrigimenta dicte artis
Civitatis perusij. In primis ».

I ff. 69t.-70r. contengono una deliberazione dell’ adu-
nanza dell'arte in data 20 gennaio 1456 concernente l'am-
missione di nuovi artefici; al f. 70 t. segue l’autenticazione
del notaio; ed in calce è un’annotazione del 1529.

Nei ff. 71-75 è ancora una matricola, divisa per porte,
con iscrizioni che vanno dal 1543 al 1801.

I ff. 76-77 r. contengono una deliberazione del Consiglio
generale delle arti del 1509 concernente la vendita del pe-
sce, segue l’autenticazione del notaio; il f. 77 t. è bianco; al
f. 78 r. è un'iscrizione di artefice del 1416 con la relativa
autenticazione, il 78 t. è bianco; al f. 79 r. è un’iscrizione
di giurati del 1392, ne seguono altre del 1465 e 1475; il
f. 79 t. contiene una deliberazione dell’ adunanza dell’arte,
in data del 1471, concernente le mansioni* del camerario.

Nei ff. 80-81 è una convenzione del 1530: « capitoli
della compositione, concordia, conventione et pacti fra l’arte
degli pisciaioli de la cità de Perogia et suoi jurati da una
parte et la arte de li pullaioli salaioli etc. de la dicta cità

et suoi jurati da laltra parte »; segue l'autenticazione. AI
822 A. SCIALOIA

f 82 si trova un arbitrato in questione di dogana dei pesci
tra pollaioli e pesciaioli (anno 1569); nei ff. 83-84 r. si trovano
nuovi patti del 1572 tra pollaioli e pesciaioli; segue fino al
f 85 r. un nuovo arbitrato dello stesso anno per la stessa
questione di cui sopra, con la relativa autenticazione notarile.

I ff. 85 t., 86 r. contengono una deliberazione dell’ adu-
nanza dell’arte in data 2 marzo 1589 riguardante l'obbligo
del camorlengo e dei giurati di partecipare alle luminarie
delle feste, segue l’autenticazione.

Alf. 86 t. è un contratto di censo (1511) tra un tal
Benedetto Francesco de Gaudentiis e i camerarii e giurati
dell’arte; al f. 87 r. segue un’annotazione posteriore al 1616
riguardante lo stesso affare.

Nel f. 87 t. è la menzione di un riconoscimento di de-
bito a favore dell'arte (1605), il f. 88 é bianco. :

Nel f. 89 si trovano annotati giuramenti di artefici del
1349, 1506, 1350, 1365 ecc. fino al 1598.

Alf. 90 r. è menzionata una deliberazione dell’ adu-
nanza dell’arte del 1362, concernente provvedimenti per le
case della pesceria; il f. 90 t. contiene annotazioni disordi-
nate di varie epoche: 1419, 1676, 1611; e finalmente sulla
faccia interna della .tavoletta posteriore della coperta v'é
l' indicazione della consegna della matricola (che si dice con-
stante di n. 89 carte) fatta dal decano dei giurati all’ at-
tuale camerlengo in data 29 aprile 1806; è questa la data più
tarda che si incontra nel codice: qualche anno dopo la cor-
porazione fu soppressa.

Nel pubblicare questi statuti ho voluto mostrarne tutti
i successivi mutamenti, anche quelli di minor conto, anche
quelli consistenti in semplice correzione di errori. Per evi-
tare inutili e lunghe ripetizioni e per presentare di un colpo
tutte le mutazioni riguardanti ogni singolo passo, ho pensato


rea
ee ipa

rr

STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC. 3 823

di ristabilire nella sua integrità, attraverso le cancellature e

le correzioni, il testo primitivo della redazione del 1322-1324;
a questo testo in un primo ordine di note (segnate con nu-
meri) ho fatto seguire l'indicazione delle modificazioni che
direttamente su di esso sono state apportate (negli anni 1324-
1576, come ho detto di sopra); e quindi ho reso conto in un
secondo ordine di note /segnate con lettere) di tutte le dif-
ferenze esistenti tra il primo testo con le relative corre-

zioni e modificazioni, ed il rifacimento del 1316.

Veramente, come si vedrà, quest'ultimo testo non diffe-
risce di molto dal primo, e più che un vero rifacimento, può
dirsi una nuova redazione di quello, nella quale si è tenuto
conto delle modificazioni intervenute, e qua e là si è ag-
giunta o soppressa qualche rubrica.

Resta dunque inteso, che, ove non sia espressa avver-
tenza, nella redazione del 1376 è passato. senza mutazione
alcuna il testo della prima redazione con tutte le correzioni
indicate nel relativo primo ordine di note.

Ho inoltre pubblicato il rubricario che si trova nel co-
dice; e da ultimo ho dato un più esatto elenco totale delle
rubriche, il quale potrà servire da indice.

ANTONIO SCIALOJA
Prof, di dir. comm. all’ Università di Siena.
894 A. SCIALOIA

[STATUTA|.

IN NOMINE DOMINI AMEN ANNO DOMINI MILLESIMO DUCEN-
TESIMO NONAGESIMO SEXTO INDICTIONE NONA TEMPORE DOMINI
BONIFATIJ PAPE VII, DIE SEXTO MENSIS JANUARIJ.

INFRASCRIPTA SUNT ORDINAMENTA HOMINUM ET UNIVERSI-
TATIS ARTIS PISCIUM FACTA CORRECTA ET FIRMATA IN GENERALI
ADUNANTIA HOMINUM ET UNIVERSITATIS DICTE ARTIS UBI MO-
RIS EST INFRASCRIPTOS HOMINES ET UNIVERSITATEM DICTE VILLE
CONGREGARI.

Hee sunt ordinamenta hominum artis piscium Civitatis et Burgo-
rum et comitatus perusij, facta et correcta iu generali adunantia dicte
artis in palatio dicte artis ubi moris est congregari.

Ad honorem et reverentiam domini nostri ihesu christi et gloriose
Beate marie virginis sue matris. Et ad honorem et reverentiam glorio-
sorum Martirum laurentij et herculani, adque Sanetorum confessorum
francisci et dominici, et omnium Sanctorum et Sanctarum dei.

Et ad honorem et reverentiam Sacrosante Romane Eclesie et summi
pontifieis et omnium Confratrum suorum et ad bonum et pacificum sta-
tum Comunis et populi perusini, e£ omnium et singulorum hominum
de artibus Civitatis perusij, Et ad utilitatem et conservationem homi-
num et universitatis diete artis piscium (a).

(a) Riforma del 1376 : (f. 49) « Hec sunt ordinamenta et statuta hominum artificum
et universitatis artis Pisscium Civitatis burgorum suburgorum et comitatus perusij,
facta correcta reformata et ordinata per providos et discretos viros Martinum fran-
cisci de perusio porte heburnee. et parochie sancte marie de mercato, camerarium
diete artis, et Nicolaum Iohannis, Andrucciolum Mateoli, e& Mateum Andrutij arti-
fices dicte artis, ad predicta et infrascripta spetialiter deputatos per publicam et
generalem adunantiam hominum et artificum dicte artis manu mei Laurentij no-
tarij infrascripti. Et subscripta et publicata per me Laurentium Cioccij panfoli de
perusio porte sancti angeli publicum notarium, et nune notarium dicte artis pi-
scium. Sub anno domini Millesimo CCCLXXVI. Indictione XIII tempore domini Gre-
gori) pape XI et die sextadecima mensis Ianuarij In domo pessciarie veteris de
supramurum in Civitate perusij.
FIATI RESINE ARE]

——
5

CENA

STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC.
[I.] ub. quantum salarium accipiat emtor placatici: (a)

Dicimus et ordinamus Quod quicumque emerit placaticum artis

piscium teneatur et possit auferre unicuique non habenti partem in"

domo pisciarie pro unaquaque Salma piscium que missa fuerit et depo-

sita in domo pisciarie duos denarios et habenti partem in dicta domo

possit auferre unum denarium, et plus predictus emptor petere nec
exigere possit Salma plena existente vel non.

[IL] Zub. de lanpade Retinenda in domo pisciarie : (D)

Dicimus et ordinamus quod quicumque emerit placaticum dicte
artis teneatur habere et tenere in domo pisciarie unam lampadem sta-
tim nocte facta et per totam noctem ante inmaginem Sancti christo-
fori acensam Et si enptor dicti placatici dictam lampadem acensam
non habuerit.omni nocte teneatur solvere pro qualibet vice comunitati
diete artis xi denarios et credatur dicto cuiuslibet aecusatoris de dicta
arte.

[HI.] Hub. de pena et Banno illorum qui ludunt in domo pi-
sciarie: (c)

Ad hoc ut non ludatur in domo pisciarie dicimus et ordinamus
quod quieumque emerit placaticum artis predicte non permittat in domo
predieta facere aliquos ludus tesillorum neque in cameris domus pre-
diete ad penam x solidorum denariorum et quilibet possit esse accu-
sator et stetur sacramento accusatoris. Medietas cuius pene sit comu-
nitatis diete artis, et alia accusatoris. Et rectores (1) dicte artis dictam
penam a contrafacientibus auferre feneantur (2) si viderint (d) ludentes
vel eis denuntiatum fuerit.

[IIIL.] Ewb. qualiter. dividantur. loca inter artifices dicte artis : (e)

Camerarius dicte artis una cum rectoribus (3) dicte artis teneatur
sortiri et dividere loca inter homines dicte artis in hune modum vide-

(1) Corretto: massarius
(2) Corretto: teneatur
(3) Corretto: camerario et massario poi cancellate le parole: camerario et

(a) Rif. 1376: rubr. I, al folio 50.
(0) Rif. 1376: rubr. II, a f. 50.
(c) Rif. 1376 : rubr. III, a f. 50.
(d) Rif. 1376; corretto: viderit
(e) Rif. 1376: rubr. IIII a f. 50.

Qu
826 A. SCIALOIA

licet, quod sicut sotietas hominum diete artis est ita loca accipiant
in simul coniuneti, et Camerarius dicte artis debeat precipere. homini-
bus diete artis tempore convenienti quod quilibet de dieta arte suam
faciat sotietatem et debeant esse loca inter sotietates virgulata sive
f.6. signata, hoe addito quod | quicumque de dicta arte vel non fuerit de
arte et habuerit partem in dieta domo teneatur habere pro pensione sue
partis sive loci a festo omnium sanctorum usque ad festum pascatis
maioris x solidos denariorum. Et quicumque de dicta arte accipiet ali-

quem locum pro aliquo qui non sit in sua :sotietate nec artem cum
sotietate in qua fuerit scriptus fecerit solvat accipiens dictum locum
nomine pene comunitati diete artis x solidos denariorum, et debeat re-
stituere locum comunitati dicte artis, hoe reservato quod sotietas possit
accipere loeum pro illis de civitate qui faciunt artem et pro comita-

tensibus facientibus Artem qui comitatenses teneantur solvere pro pen-

sione loci quinquaginta solidos denariorum. Et artifices civitatis et Bur-
i gorum teneantur solvere pro pensione loci xx solidos denariorum. Ifem
quicumque qui (a) habuerit partem in dicta domo et locaverit alicui de
| dicta arte locum seu partem suam non possit dietus locans aliquid ha-
bere nec accipere a conductore ultra illud quod datur et conceditur per

homines diete artis hominibus partem habentibus in domo predicta, et
| qui contrafecerit et ultra acceperit solvat nomine pene x solidos dena-
| riorum.

| [V.] £ub. quod non emantur pisces in dapnwm parochiano-
rum : (b)

Nullus de dicta arte emat nec emi faciat a lacoscianis aliquos pisces
palam vel asconse ex qua enptione parochiani lacus possint perdere
partem eorum Et si aliquis contrafecerit solvat et solvere teneatur
pro vice qualibet nomine pene et banni comunitati diete artis x libras
denariorum ef tertiam partem pretij, teneatur solvere parochianis pre-
dietis et stetur sacramento accusatoris qui habeat medietatem banni et

f.6t. alia medietas | sit comunitatis predicte artis.

(a) Rif. 1376; corretto: Et quicumque (f. 50 t.)
(D) Rif. 1376: rubr. V a f. 50 t.
MENFE rene

STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC. 821

[VL] Ab. qualiter puniatur Rector (1) qui licentiaverit adu-
nantiam : (a)

Si aliquis Hecfor artis predicte (2) licentiaverit adunantiam post
quam fuerit congregata, absque verbo et licentia camerarij hominum
dicte artis teneatur solvere nomine pene et Banni pro vice qualibet
quinque solidos denariorum (3).

Item si per camerarium dicte artis (4) fuerit dictum rectoribus (5)
quod venire deberent ad adunantiam et quod precipiant adunantiam
et non preceperint adunantiam, nec venerint ad adunantiam teneatur
solvere contrafaciens quinque solidos denariorum.

Item quod nullus rector nee alius de dicta arte exire debeat de
adunantia ad penam quinque solidorum (6) (D).

ltem si alieui de dieta arte fuerit preceptum per camerarium vel
rectorem (i) predicte artis (8) quod venire deberet ad adunantiam et
non venerit nisi habeat legitimam excusationem solvat nomine pene XII
denarios (9). Quam excusationem facere debeat infra quartam diem
post factam dietam adunantiam quam si non fecerit ab inde in antea
nulla exeusatio admittatur.

[VIL] Zub. qualiter puniantur. venientes et facientes contra ordi-
namenta : (10) (c)

Si aliquis de dicta arte fecerit aliquid contra statuta et ordinamenta
et reformationes factas et facta seu facienda et faciendas, vel contravenerit

(1) Corretto : dle

(2) Corretto : de arte predicta

(3) Aggiunta in margine: « sub pena c soldorum qui non steterit et qui non.
venerit x so!dorum » (d).

(4 Aggiunta: « vel ex sui parte ».

(5 Aggiunta: « vel massario ».

(60) Aggiunta: « postquam in ea fuerit adunatus sine licentia camerarii » (e).

(7) Corretto : massarium :

(8 Aggiunta: « vel ex eorum parte ».

(9) Corretto: V solidos

(10) La rubrica é interamente cancellata, e in margine é annotato: cassus-vacat

(a) Rif. 1376; titolo aggiunto: quod non possit licentiari adunantia sine licen-
tia camerarii et de pena non venientis ad adunantiam — rubr. V1 a f. 50 t.

(0) Rif. 1376; aggiunta: « denariorum »,

(c) Rif. 1376 : la rubrica é soppressa.

(d) Rif. 1376: si reintegra il testo primitivo.
(e) Rif. 1376 ; corretto: fuerit adunata

%
828 A. SCIALOIA

et ea oecasione a rectoribus seu camerario fuerit condenpnatus, et oc-
casione diete condenpnationis habuerit recursum seu recurrerit ad aliam
curiam, quam ad curiam eorumdem rectorum seu camerarij, solvat
pro qualibet vice nomine pene et banni € solidos denariorum cuius
' pene medietas sit comunis. perusij et alia medietas sit universitatis
eiusdem artis quam penam Rectores a contrafacientibus auferre | te-
neantur. Et si rectores dictam penam auferre neglexerint Camerarius
diete artis ab eis auferre teneatur.

[VIIL.] Zub. qualiter debeat dividi pars piscium inter artifices : (a)

Nemo de dieta arte audeat nec audere debeat (b) auferre nec auferre (c),
nec aufferri facere alicui de dicta arte partem aliquorum piscium dum si-
mul fuerint ad videndum (d) dietos pisces causa emendi et si aliquis con-
trafecerit pene. nomine solvere teneatur xx solidos denariorum de qua
pena tertia pars sit accusatoris, et alia tertia sit comunitatis, et alia
camerarij et AKectorum. (1). Et nichilominus partem piscium dare tenea-
tur, et de hoc stetur et credatur sacramento accusatoris et denuntia-
toris, et camerarius seu rectores (2) dictam penam a. contrafacientibus
auferre teneantur, et si Rectores (3) dietam non auferrent camerarius
ab eis dietam penam pro comunitate dicte artis tollere et auferre te-
neatur (4).

[VIIIL.] Aud. quod firme sint venditiones locorum : (e)

Venditiones olim facte per johannem paltonerij olim sindicum
hominum artis predicte de locis domus dicte artis sint rate et firme et
perpetuo inlese serventur.

(1) Corretto: massarti

(2) Corretto: massarius

(3) Corretto : massarius

(4) Cancellato dalle parole : « et si rectores » sino alla fine.

(a) Rif. 1376: rubr. VII a f. 51.

(b) Rif. 1376 ; corretto: audeat vel presumat
(c) Rif. 1376; soppresse le parole: «ec auferre.
(d) Rif. 1376; corretto :vendendum

(e) Rif. 1376: rubr. VIII a f. 51.
STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC.
[X.] Jub. quod non inbalcentur pisces: (a)

Nulli de dicta arte liceat inbalcare aliquas nummatas post (b) post-
quam aliquis de dicta arte firmaverit nummatas a lacosci
rochianis ad penam xr solidorum si nummata fuerit x librarum dena-
riorum Et si nummata non (1) fuerit minoris valori

anis sive a pa-

is contrafaciens solvere
teneatur xx solidos denariorum de qua pena et b

anno tertia pars sit
accusatoris et

alia tertia sit Zectorum et Cc amerarij (2) et alia tertia sit
universitatis diete artis (3).

[XI ] Zub. quomodo et qualiter petatur pars piscium: (c)

Liceat unieuique de dicta arte petere partem, quando aliquis fir-
mat nummatas quas emit a parochianis sive a lacoscianis et ille qui
firmat nummatas teneatur petenti dare partem,

sì partem sibi contin-
gentem quietare voluerit

quod si non fecerit teneatur contrafaciens
solvere pro qualibet vice xx solidos denariorum de quo b
sit comunitatis diete artis, et alia sit Zector "wm (4) e

anno medietas
t camerarij, (d) et alia
cusatoris (e) (5) et si rec-
tores (6) hoc non fecerint (f) camerarius a dictis rectoribus (7)
bannum auferat pro dicta arte.

tertia sit accusatoris ef credatur sacramento ac

dietum *

(1) Cancellata la parola: »07

(2) Corretto: camerarii et massarii

(3) Nel margine é la seguente nota: « MCCCXXIIH die XXVII mensis agusti
cassus fuit hoc ordinamentum in adunantia dicte artis prout apparet in memoriali

‘sub dictis millesimo et die ». — Questa nota é cancellata, ed infatti la rubrica fu ri-
pristinata, poiché essa é nella redazione del 1370.
(4) Corretto: massarti

(5) Aggiunta quivi interpolata: « quod capitulum (9)

teneatur dictus massarius
exequi »
(6) Corretto: massarius

(7) Corretto: « dicto massario

(a) Rif. 1376: rubr. VIIII a f. 5

(b) Rif. 1376; soppresse la E post.

(c) Rif. 1376: rub. X a f. 5i t.

(d) Rif. 1376; corretto: camerarii et massarti

(e) Rif. 1376 ; cancellate la parole : et credatur. sacramento accusatoris.
(7) Rif. 1376 ; corretto: feoerit

(9) Rif. 1376 ; corretto: bannum

-—
E
n
c
TOoTeT.-—iiiIb

(ill!
II

=_=




f. 8.

830 A. SCIALOIA
[XII.] Rub. qualiter. solvantur. condenpnationes : (a)

Si aliquis de dicta arte fuerit condenpnatus a camerario sive a rec-
toribus (1) diete artis, condenpnationem de eo factam solvere teneatur
infra mensem a tempore facte condenpnationis et si non solverit ut die-
tum est duplum dicte condenpnationis solvere teneatur et ab ipsa con-
denpnatione non possit appellare nee contradicere ullo modo (2).

[XIII.] ub. quomodo vendantur pisces in alieno loco: (0)

Si aliquis de dieta arte staret ad vendendum pisces in loco alieno
quod sit. licitum habenti partem in domo stare in predicto loco ad ven-
dendum pisces cum voluntate illius cuius fuerit locus (c). Si autem ste-

terit in locis plagatici possit stare cum voluntate enptoris placatiei

soluta pensione pro piscibus quos vendiderit et hoe intelligatur si lo-
eus fuerit vacuus, Set. si pisces reverterentur illi cuius fuerit locus
statim debeat se ellevare de dicto loco cum piscibus et sine piscibus
postquam eidem dietum vel denuntiatum fuerit. ab illo euius fuerit lo-
cus sive placaticum, quod si se non elevaverit teneatur solvere pro | (3)
qualibet vice quinque solidos denariorum, forensis autem possit stare
in quocumque loco vacuo et ubicumque steterit enptori plagatici pen-
sionem solvere teneatur (4).

[XIIIL.] ud. qualiter qui habuerit privitum locum non faciat

sotietatem : (d)

Quicumque de dicta arte non habet proprium locum in domo. pi-
sciarie non possit facere sotietatem artis predicte cum hominibus ha-
bentibus privitum seu proprium locum in dicta domo nisi solverit co-
munitati diete artis pro pensione domus xx solidos denariorum.

(1) Cancellate le parole: sive « rectoribus

(2) Cancellate le parole: et ab ipsa ecc., fino al termine della rubrica.

(3) Nota in calce: « seripsi ut ego tantum legerem ».

(4) Aggiunta marginale : « prout continetur in capitulis loquentibus quomodo
colligatur placaticum ».

(a) Rif. 1376: rubr. XI a f. 51 t.

(b Rif. 1376: rub. XII a f. 51 t.

(c) Rif. 1376 ; corretto: non teneatur ad penam aliquam, si partem- habuerit
tn domo predicta, dum tamen cum voluntate ilius cuius fuerit locus

(d) Rif. 1376: rubr. XIII a f. 52.

TW
fe .

STATUTA ET ORDINAMENTA,- ECC. 831
[XV.] Rub. qualiter solvatur pensio a coniunctis personis : (a)

Si aliquis de dieta arte haberet proprium locum sive partem in
domo pisciarie et haberet filium vel nepotem vel aliam coniunctam
personam et filius vel nepos vel coniuneta persona voluerit facere ar-
tem piscium teneatur talis filius vel nepos vel eoniuneta persona sol-
vere pensionem domus sicut illi qui non habent domos (b) partem in di-
cta domo.

[XVL] Rub. quo tempore non emantur pisces: (c)

Nullus de dieta arte emat nec emi faciat a lacoscianis vel ab ho-
minibus habitantibus cirea lacum pisces portatos perusium vel in via
nec ipsos pisces adiuvet aliquis ad vendendum et qui contrafecerit
solvat nomine pene et Banni xx solidos denariorum pro qualibet vice
et hoc intelligatur de hominibus qui habitant infra montes laeus et
qui solvunt collectas et datas cum hominibus lacus, et in piscatoribus
et eredatur sacramento accusatoris. Et camerarius et .ectores (1) seu
alter eorum possint facere inquisitionem Et si camerarius non fecerint (d)
inquisitionem, Rectores (2) teneantur (e) ei auferre nomine pene quinque

solidos denariorum.
[XVIL] Rub. qualiter. colligantur. introitus dicte artis : (f)

Camerarius seu sindicus (3) (f. 8t.) diete artis teneatur et. debeat
ixeutere omnes introitus diete artis (4) xv diebus elapsis post pasca
resurreetionis domini sub pena Centum solidorum denariorum Et ra-
tionem sui offitij, et (D) introitus et expensarum (6) teneatur reddere

(1) Corretto: massarius
(2) Corretto: massarius
(3) Corretto: massarius
(4) Aggiunta interpolata: « temporis sui offitii ».
(5) Cancellato : et
(6) Corretto : exitus

(a) Rif. 1376: rubr. XIII a f. 52.

(0) Rif. 1376 ; cancellata la parola: domos.

(c) Rif. 1376: rubr. XV a f. 52.

(d) Rif. 1376; corretto: fecerit.
. (e) Rif. 1376; corretto: teneatur.
(f) Rif. 1376: la rubrica é soppressa.
832 A. SCIALOIA

infra xv dies post exitum. sui offitij, sub pena predieta salvo quod de
dicta pena tollenda vel non in providentia Aectorum (1) debeat rema-
nere (2).

XVIII] Zub. qualiter pisces epmti (a) iterum non vendantur: (3) (0)
q 1 4:

Nullus de dieta arte emat pisces emptos a lacoscianis ad penam
et bannum Centum solidorum denariorum et hoc eredatur sacramento
accusatoris vel denuntiantis et Camerarius et (4) rectores (5) dicte artis
dietam penam a contrafaciente auferre teneantur, de qua pena tertia
pars sit comunitatis et alia tertia sit Camerarij et Rectorum (6), alia
tertia acusantis vel denuntiantis.

[XVIIII.] Zub. quomodo et qualiter sindicus eligatur Et quando: (c)

Sindieus diete artis eligatur sexto ante kalendas novembris, eli-
gatur per homines habentes partem sive loca in domo pisciarie, Et
eligatur hoe modo silicet quod fiant quinque brevia signata, et illi qui
habuerint Brevia possint eligere quem voluerint, et quatuor ad minus
sint in eoncordia.

Quando autem fiunt Rectores quilibet de dicta arte et qui est
adstrietus dicte arti ire possit ad brevia quando fiunt dieti Rectores (1).

[XX.] Rub. qualiter et in quibus locis Retes ricentur : (d)

Nemo de dieta arte de civitate vel de comitatu debeat facere ri-
sari aliquas retes alibi quam in portis ordinatis qui sunt infrascripti
Silicet a domo gratie Bonfigloli (e) usque ad portum tignosi Salvoli.

(1) Corretto: camerarii et novi massarii

(2) L'intera rubrica é cancellata.

(3) Corretto: emantur

(4) Corretto : sew

(5) Corretto: massarius

(6) Corretto: massarti

(7) L'intera rubrica é cancellata, in margine é annotato: cassus.

(a) Rif. 1376 ; corretto: empti

(b) Rif: 1376: rubr. XVI a f. 52.

(c) Rif. 1376: la rubrica é soppressa.
(d) Rif. 1376: rubr. XVII a f. 52.

(e) Rif. 1376 ; corretto: bonfilglioli
STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC. 833

Item in portu Saneti fileiani, Item a domo januarij usque ad portum
lacosciani. | Item in portu tisciani ubi ordinatum est a parochia- f. 9.
nis. Item in portu achjalle (a) ubi ordinatum est a parochianis, Item
in montefontegiano ubi ordinatum est a parochianis, Item in portu
cerbasciani ubi ordinatum est a parochianis, Item in portu montis
Ruffiani, Item in portu passignani et in monte gete ubi ordinatum est
à parochianis qui vero contrafecerit teneatur solvere comunitati dicte
" artis pro qualibet vice xL solidos denariorum et credatur sacramento
accusatoris, de quo banno tertia pars sit accusatoris et alia tertia sit
comunitatis dicte artis et hoc statutum habeat locum in lascis de li-
starella, Et camerarius et rectores (1) de hijs faciant inquisitionem, et
: condenpnare (b) delinquentes.

Et si camerarius sive Hectores (2) essent presentes in loco ubi con-
traventum fuerit in eo loco puniant delinquentes: si poterunt, Et si non
poterunt in civitatem perusij punitionem et condenpnationem facere
teneantur, et accusator de predietis non possit de simili delicto reacu-
sari nisi elapsis quindecim diebus.

Et si camerarius seu Rectores (3) in predietis fuerint negligentes
duplicem penam comunitati dicte artis de suo solvere teneantur.

[XXL] Aw«b. de precepto camerarij : (c)

Camerarius dicte artis teneatur precipere Rectoribus 4) quod con-
denpnationes factas de hominibus diete artis faciant solvi infra decem
dies (5) quod si non fecerint camerarius faciat eos (6) pignorari et pe-
nam eis (7) inponere et auferre (8) prout de sua processerit voluntate (9j.

(1) Corretto: massarius
(2) Corretto: massarius
(3) Corretto: massarius .
(4) Corretto: seu sindico massario in edomada sancta; poi cancellate le parole:
Sew sindico
2: (3) Aggiunta interpolata: « ut tenetur ex forma capituli loquentis qualiter col-
ligantur introytus dicte artis ».
(6) Corretto : eum
(7) Corretto : ez
(8) Aggiunta interpolata: « possit ».
(9) L'intera rubrica é cancellata.

(a) Rif. 1876; corretto: anchatelle
(b) Rif. 1376; aggiunto :^« debeant ».
(c) Rif. 13976: la rubrica é soppressa.

POSSA

rr»
12:9: 0:

834 A. SCIALOIA
[XXIT.] Zub. quomodo et qualiter excutiantur condenpnationes: (a)

Rectores (1) dicte artis omnes condenpnationes et condenpnationes
hominum dicte artis teneantur excutere et solvi facere infra decem dies
a tempore facte condenpnationis, quod si non fecerint tantum quantum
in condenpnatione continetur de suo solvere teneatur (2) (3).

[XXIII.] Aud. qualiter. diffiniantur questiones (b):

(4) Si aliqua questio vel causa esset seu erit cuiuscumque summe
inter homines artis piscium de aliqua re que ad dictam artem spectaret
seu pertineret quocumque modo vel causa vel quod aliquis alius qui
non esset de dieta arte vellet aliquid petere ab aliquo de dieta arte
occasione mercantie dicte artis, vel quod ad dietam artem pertineret
seu spectaret. Quod Rectores seu (5) camerarius dictam questionem seu
causam possint et debeant (6) dictam questionem. et causam (1) audire et
terminare, et in ea iudicare sine libelli oblatione et litis contestatione,
et omni solenpnitate iuris remota prout eis et cuilibet eorum (8) pla-
cuerit et vi-um fuerit (9).

(1) Aggiunta interpolata: « seu syndicus ».

(2) Aggiunta: « Salvo quod si super huiusmodi executionem fecerit quicquid
fieri potuit iuxta posse quod a dicta pena sit absolutus de quo remaneat arbitrio
camerarii cum deliberatione duorum artificum dicte artis ad hoc eligendorum per
dietum camerarium si hoc occurreret ».

(3) L'intera rubrica é cancellata.

(4) Nota in margine: « Si inter homines dicte artis et operantes dictam ar-
tem et si aliquis extra artem vellet cogere aliquem de arte vel operantem artem
occasione artis vel quacumque alia causa ».

(5 Cancellate le parole: rectores seu

(6) Corretto: possit et debeat

(71). Cancellate le. parole: dictam questionem et causam

(8) Corretto: sibi

(9 Aggiunta marginale: « iuxta consuetudinem laudabilem dicte artis et
merca'tie et consuetudinis faciendo primo (c) citari debitorem et si bis primo fuerit
contumax concedatur licentia gravandi et capiendi dictum debitorem pro quanti-
tate petita salvo quod quandocumque sibi liceat conparere et audiri debeat re-
fectis expensis et tune successive procedatur prout discretioni dicti camerarii vide-
bitur procedendum esse ».

(a) Rif. 1376: la rubrica é soppressa.
(D Rif. 1376: rubr. XVIII a f. 52 t.
(c) Rif. 1376; soppressa la parola: primo
Nec homines dicte artis possint nec debeant occasione dicte que-
stionis habere recursum nec accedere ad aliam curiam quam ad curiam
ipsorum camerarij et Rectorum (1).

Et predicti rectores et camerarius (2) tempore quo voluerint (3) que-

stionem diffinire et terminare super dicta questione habere debeant (4)
consilium et deliberationem cum quatuor bonis hominibus (5) dicte ar-
tis (a) s predictis Rectoribus seu camerario placuerit (6).

Et si aliquis de dicta arte nollet vel contradiceret quod camerarius
seu Rectores (1) dictam questionem non (8) audirent(9) vel recursum haberet
ad aliam curiam quam ad curiam ipsorum. Rectorum et camerarii (10)

"solvat nomine pene, et banni pro qualibet vice Centum solidos dena-

riorum de qua pena medietas sit comunis perusij, (11) et alia medietas
sit camerarij et Rectorum (12) dicte artis. Et dictam questionem et causam
possint et debeant audire et procedere, et eam determinare diebus feria-
tis et non feriatis (13).

Et si aliquis de dicta arte dixerit aliquam iniuriam camerario seu f£, 10.

alicui Rectorum (14) occasione artis vel questionis que esset coram eis
vel fuerit vel quacumque alia ocasione penam predictam (15) massario

(1) Corretto: £psius camerarti

(2) Corretto : predictus camerarius

(3) Corretto : voluerit

(4) Corretto: debeat

(5) Aggiunta interpolata: « et artificibus ».

(6) Corretto: quos ad sui libitum possit dictus camerarius eligere

(7) Corretto : massarius, poi cancellato.

(8) Cancellata la parola: 2107

(9) Corretto: avdiret

(10) Corretto: épsius Camerarii et artificum ; poi cancellate le parole: et ar-
tificum.

(11) Corretto: camerarti pro baila (b)

(12) Corretto: massarti :

(13) Aggiunta: « salvo si allegaretur legiptimam causam suspictionis, quod
ipsam probare debeat Infra duos dies a die talis allegationis coram massario dicte
artis qua probata tunc dietus massarius debeat de talj questione cognoscere ».

(14) Aggiunta interpolata: « vel massarii vel alii artificum », poi cancellate le
parole: vel alii artificum.

(15) Corretto: secundum arbitrium camerarii et massarii

(a) Rif. 1376; soppresse le. parole: dicte artis.
(6) Rif. 1376; reintegrato il testo primitivo: comunis perusij

STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC. 835
f. 10 t.

836 A. SCIALOIA

diete artis solvere teneatur s; (1) de voluntate dieti camerarij seu rec-
toris (2) processerit. voluntate (3).

Et si aliqua partium non conparuerit in iuditio et non observa-
verit precepta predictorum. Rectorum seu (4) camerarij (5), et non obten-
peraverit predictis (6) preceptis et sententie et diffinitioni dictorum Rec-
torum seu camerarij (0) solvat nomine banni comunitati dicte artis XXV
libras denariorum.

*
[XXIIIT.] Zub. qualiter scarce et vinci non dimittantur in domo: (a)

Nullus de dieta arte piscium debeat dimittere aliquas scarcas (8)
Scareas seu vincos in domo pisciarie et st aliquis contrafecerit solvat no-
mine pene et banni pro qualibet vice XII denarios (9) (b).

[XXV.] Rub. qualiter non dicatur alicui persone iniuriam : (c)

Nullus de dieta arte debeat dicere alicui mulieri vel alie persone
que nummatas piscium emeret vel emere vellet aliquas iniurias vel
proicere aliquas seutellas et qui contrafecerit solvat pro qualibet vice
nomine pene comunitati diete artis quinque solidos denariorum.

[XXVI.] Rub. de locatione et conservatione casalini et portus: (d)

Casalinum et portus lacus hominum artis predicte quod et qui est
in eastro montis fontegani (e) quolibet anno locentur et dentur ad
pensionem tempore quo venditur | placaticum (f).

)
)
)
)
(5) Aggiunta, poi cancellata: vel massarti
)
)
)
)

(a) Rif. 1376: rubr. XVIIII a f. 53.

(b) Rif. 1376; corretto: contrafaciens puniatur in a solidos denariorum. pro
vice qualibet

(c) Rif. 1376 : rubr. XX a f. 53 t.

(d) Rif. 1376: rubr. XXI a f. 53 t.

(e) Rif. 1376 ; corretto: fontegiani

(f) Rif. 1376; nota marginale: « Societas habet portum et casalenum ».
STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC.
[XXVIL] Rub. de emtione portus lacus: (a)

Quicumque emerit portum existentem in aqua lacus in teritorio
montis fontecani (b) teneatur dare ementi placatieum nomine pensionis

quinque solidos denariorum et ille qui emerit placaticum possit accipere

à qualibet sotietate que in eodem portu habuerit navigiolum continue
quinque solidos denariorum.

Si autem aliquis de dieta arte habuerit navigiolum in dicto portu
per xv dies aut per mensem nichil solvere teneatur.

[XXVIIL.] Kub. qualiter plagaticum et camere vendantur. Et
quomodo : (c)

Placatieum et camere more solito vendantur ita quod piticarelli et
piticarelle et porketarij (d) in domo pisciarie stare non possint et si ille
qui emerit plagaticum dederit eisdem aliquem locum sive cameram sol-
vere teneatur pro qualibet vice xx solidos denariorum et Rectores (1)
dictam penam auferre (e) teneantur (2) (f). Et si Rectores (3) non aufer-
rent (4) dictam penam camerarius ab eisdem Rectoribus (5) dietam penam
auferre teneatur et debeat (g).

[XXVIIIL] ub. qualiter artifices qui stant. (6) aliquam vicem
piscium dare debeant partem : (h)

Si aliqui de dicta arte fuerint simul ad videndum aliquam vicem
piscium et emerint vel promiserint emere dictam vicem piscium quod

(1) Corretto: massarius

(2) Corretto: teneatur

(3) Corretto: massarius

(4) Corretto: auferret

(5). Corretto: eodem massario

(6) Aggiunta interpolata: « ad videndum ».

(Q):Rif. 1970: rubr. X XII a. f..53 t.
(0) Rif. 1376 ; corretto: fontegiani
(c) Rif. 1376: rubr. XXIII a f. 53 t.; corretto il titolo: qualiter plagaticum ven-
datur et quomodo
(d) Rif. 1376; corretto: piccicarelli et picicarelle et poretarij
(e) Rif. 1376 ; corretto: deferre
(f) Rif. 1376 ; soppressa la parola: teneantur.
(9) Rif. 1376; corretto: debet.
(h) Rif. 1376: rubr. XXIIII a f. 53 t.
838 A. SCIALOIA

nullus dictorum ementium. vel promitentium emere dictam vicem pi-
scium possit ab aliquo dictos pisces emi facere per se et si emi fecerit
vel ad eum pervenerint dieti pisces quocumque modo et enptio piscium
fuerit minoris quantitatis x librarum teneatur solvere contrafaciens no-
mine pene xx solidos denariorum, et dare partem illorum piscium et
solvere pro qualibet libra quinque solidos denariorum illi et illis cui (a)
dari debuit dicta | pars piscium.

Et si enptio piscium fuerit maioris quantitatis x librarum feneantur (b)
solvere xr solidos denariorum et dare partem piscium et solvere pro
qualibet libra quinque solidos denariorum illi et illis cui vel quibus
dari debuit dicta pars piseium et credatur sacramento accusatoris cum
uno teste in qualibet quantitate medietas cuius banni sit comunitatis
diete artis et alia rectorum (1).

Hoc addito quod ille qui emerit pisces vel promiserit emere et
promiserit dare partem habeat terminum duorum dierum de dando partem
et altera de accipiendo ipse vel sotij eius. Et si pisces de quibus dari
debet dari debet pars morirentur et infra dictum terminum dapnum sit
comune, et debeat solvere ille qui tenebatur habere partem piscium par-
tem sibi contingentem dieti danpni. Et predictum capitulum in omnibus
et per omnia habeat locum et intelligatur tam in illo et illis qui dare
debent partem piscium et petitur pars piscium quam in illo et illis
hominibus et artificibus qui petunt partem piscium, et habeat locum. ab
hodie in-antea sub Millesimo CCCXIIII de mense Junij (2).

[XXX.] Rub. qualiter non emantur lasce nisi ad minutum : (c)

Nullus de dicta arte debeat emere lascas de listarella nisi ad nu-
merum nec debeat accipere scarbatas sive albos pro lassis ad penam
quinque solidorum denariorum, de qua pena tertia pars accusatoris et
alia fertia (d) sit rectorum (3) et alia sit comunitatis dicte artis et cre-

datur sacramento accusatoris.

(1) Corretto: massarti
(2) Cancellate le parole: et. abeat ecc. fino al termine della rubrica.
(3) Corretto: massarti

(a) Rif. 1376; aggiunto : « vel quibus ».
(D) Rif. 1376; corretto: teneatur.

(c) Raf. 1376: rubr. XXV a f. 54.

(d) Rif. 1376 ; soppressa la parola: tertia.
STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC. -
[XXXI.] Rub. quomodo emantur pisces de Girone: (a)

Si aliquis de dicta arte emit pisces de girone ad numerum sive ad
miliarium sive ad centenarium emat ad capam et non alio modo ad
penam Centum solidorum denariorum. Nec aliquis possit dictos pisces
alie persone facere connumerari nisi emptor fuerit presens sub pena xx
solidorum denariorum, de qua pena medietas sit accusatoris et alia sit
comunitatis et Rectorum (1).

[XXXII.] Ziub. qualiter non vendantur pisces in domo pisciarie: (b)

Quicumque voluerit vendere in civitate perusij pisces vendat et
vendere teneatur in domo pisciarie et non alibi et si alibi vendiderit
solvat nomine pene xx solidos denariorum Et nichilominus placaticum
solvere teneatur. Et si aliquis venderet alibi pisces quam in loco pre-
dieto post quam preceptum ei fuerit per camerarium vel Rectores (2)
diete artis solvat nomine pene xxv libras denariorum, dummodo non
intelligantur (c) in piscibus comunis perusij, nec in piscibus insalatis,
in forensibus vero contrafacientibus remaneat in providentia camerarij
et Rectorum (3).

[XXXIII.] Aud. de emtione cestarum: (d)

Nullus de dieta arte emat nec emi faciat cestas causa revendendi
et qui contrafecerit solvat nomine pene et Danni xx solidos denariorum,
quod Bannum sit comunitatis et Hectorum (4) et accusatoris et stetur
sacramento accusatoris et nichilominus teneatur dare partem illi qui
fuerit tempore emptionis dictarum cestarum.

(1) Corretto: massarii

(2) Corretto: massarium

(3) Corretto: massarii

(4) Corretto: camerarij et massarij

(a) Rif. 1376: rubr. XXVI a f. 54.

(0) Rif. 1376 : rubr. XXVII a f. 54 t.; titolo aggiunto in margine: « Vendentes
pisces extra piscariam ad quam solutionem teneantur »

(c) Rif. 1376 ; corretto: intelligatur.
(d) Rif. 1376: rubr. XXVIII a f. 54 t.

5:38 E91
+12.

840 A. SCIALOIA

[XXXIIII.] Rud. quomodo et qualiter. Camerarius. diffiniat que-
stiones : (a)

Camerarius artis possit et debeat audire et diffinire omnes que-
stiones et lites que sunt et que erunt inter homines dicte artis occa-
sione artis et que ad artem piscium spectarent de quibus esset facta
seu fieret querimonia coram camerario. Dummodo in questionibus in-
telligendis et diffiniendis adesse debeat unus Rector et Camerarius
possit facere precepta que voluerit hominibus dicte artis et penam in-
ponere quam voluerit et exigere ab hominibus dicte artis qui fecerint
contra ordinamenta diete artis (1).

[XXXV.] Rub. quantum solvere debeant vendentes pisces in
domo : (b)

Quicumque vendiderit pisces in domo pisciarie teneatur solvere
pro pensione domus et pro banca ubi pisces venduntur et pro reponi-
tura piscium pro qualibet sauma (c) piscium sive sit tota sauma (d)
sive non duos solidos (e) eives et alij tres, exceptis illis qui habent
privitum loeum sive propriam partem in dicta domo.

[XXXVI.] Rub. qualiter instrumenta artis revideantur per came-
rarium: (f)

Instrumenta et iura et contractus diete artis quolibet anno per
Camerarium dicte artis debeant revideri et deponi penes unum bonum
hominem dicte artis.

(1) Cancellata l'intera rubrica; nota marginale :« cassum quod supra »

(a) Rif. 1376: l’intera rubrica é stata soppressa.

(b) Rif. 1376: rubr. XXVIIII a f. 54 t.; corretto il titolo: în domo pisciarie ; ag-
giunta in margine: « Vendentes pisces in piscaria id quid teneantur ».

(c) Rif. 1376; corretto: salma

(d) Rif. 1376; corretto: salma

(e) Rif. 1376 ; aggiunta interpolata: « denariorum ».

(f) Rif. 1376 : rubr. XXX a f. 54t.
PEE

STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC. 841

[XXXVIL.] lub. quomodo et qualiter fiant luminaria in festo
Santi herculani: (a)

Fiant luminaria omni anno in festo beati herculani expensis co-

munitatis diete artis et de introitibus dicte artis et dentur hominibus
diete artis habentibus partem in domo pisciarie et illis qui solverint xx
solidos pro pensione loci et non alijs, dum modo alij qui non habent
partem in domo predicta et non solvunt xx solidos habere debeant
dieta luminaria eorum expensis et ire debeant cum dietis luminaribus
ad dietum festum et qui contrafecerit non veniendo ad dictum festum
solvat nomine pene quinque solidos denariorum, nisi haberet legitimam
excusationem (1).

[XXXVIIL] wb. qualiter artifices interesse debeant in festo
Sancte Marie de agusto: (b)

Onnes artifices dicte artis debeant esse in festo Sancte marie de
mense agusti (2) (c) cum luminaribus cum alijs hominibus artium ad eccle-
siam Sancte marie montis lucidi (3), et siquis contrafecerit solvat no-
mine pene qunque (4) solidos denariorum nisi legitimam habuerit excu-
sationem, quam infra tertiam diem facere teneatur.

[XXXVIIIL] ub. qualiter. scribantur homines artis in hoc

libro: (d)

Homines et artifices dicte artis ponantur et scribantur et scripti
esse debeant in hoc libro ordinamentorum dicte artis et qui non | fuerit

(1) L'intera rubrica è cancellata; nota marginale: « Vacat quod infra conti-
netur ».

(2) Aggiunta interpolata: « et in festo beati herculani et beati constantij quo-
libet anno ».

(3) Corretto: loca ordinata et consueta. [Questa correzione e l'aggiunta di cui
alla nota precedente sono in rapporto con la soppressione della rubrica XXXVII]:

(4) Corretto: XX

(a) Rif. 1376: soppressa l’intera rubrica. A

(b) Rif. 1376: rubr. XXXI a f. 55; nel titolo è aggiunto: cum. luminaria ; nota
marginale: « MCCCCVII die XXIIII mensis Iulij. In et per publicam et generalem
adunantiam artificum dicte artis extitit reformatum quod camerarii dicte artis non
possint nec debeant habere famulos nisi in festo Sancte Marie et in festo sancti Er-
culani — Mannus Soccij notarius suprascripsit ».
(c) Rif. 1376; corretto : de agusto.
(d) Rif. 1376: soppressa la rubrica.

f:-12- t;
842 A. SCIALOIA

seriptus et positus in hoe libro ordinamentorum pro artifice diete artis
nullatenus habeatur (1).

[XL.] Rub. quod nichil opponatur contra ordinamenta dicte
artis: (a)

Nullus de dieta arte possit nec debeat aliquid opponere vel con-
tradicere eontra ordinamenta et corrigimenta et reformationes facta et
factas et que in futurum fient per homines dicte artis, et si aliquis de
dicta arte in aliquo contrafecerit solvat nomine pene Centum solidos
denariorum; et quilibet possit esse accusator et habeat medietatem banni.
Et camerarius seu Rectores (2) teneantur tollere dictam penam et de
predietis possit facere (b) inquisitionem et stetur sacramento accusatoris.

[XLL] wb. de quibus portis camerarius eligatur : (€)

Camerarius dicte artis eligatur et eligi debeat de illis portis ubi
sunt artifices diete artis sicut hominibus dicte artis placuerit et de
eorum processerit voluntate (3).

[XLII.] &ub. qualiter eligatur. camerarius : (d)

Reetores potestatem habeant et autoritatem Eligendi camerarium
diete artis et si omnes non essent in concordia electio maioris partis
valere debeat et tenere (4).

(1) L' intera rubrica é cancellata; in calce alla pagina è la seguente aggiunta,
anch'essa di poi cancellata: « quod nullus possit recipi in Iuratum diete artis nisi
faceret ([aggiunta interpolata :] vel fieri faceret) artem publicam. Et nisi esset filius
vel frater carnalis alicuius Iurati cum deliberatione duarum partium hominum diete
artis pena camerario contrafacienti xxv librarum et nichilhominus non valeat et
solvat quilibet qui intrare voluerit unum florenum aurj ».

(2) Corretto: massartws :

(3) Cancellata l’intera rubrica, in margine è annotato: cassus, efficiatur unum
capitulum [col.seguente]

(4) Cancellata l’ intera rubrica.

(a) Rif. 1376: rubr. XXXII a f. 55.

(b) Rif. 1376 ; corretto: formare

(c) Rif. 1376: soppressa l’intera rubrica.
(d) Rif. 1376: la rubrica é soppressa.
STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC. 843
[XLIIL] Zwb. qualiter. efficiatur aliquis artifex dicte artis : (a)

Si aliquis vellet intrare in dicta arte et effici artifex diete artis.
quod camerarius diete artis non possit aliquem recipere in dicta arte
nisi prius volens intrare in dicta arte iuraverit dictam artem piscium
facere (1) bona fide sine fraude et observare omnia ordinamenta diete
artis et solverit XX (2) solidos denariorum sindico (3) diete artis (4) et

Super hoc fideiussorem dare débeat de predietis observandis et adin-

plendis (5) (b).

[XLIIIL.] Rud. qualiter. ordinamenta que essent contraria or-
dinamentis civitatis sint cassa : (c)

Omnia statuta et ordinamenta dicte artis que sunt in hoc volu-

mine statutorum precedentia vel subsequentia que essent | contraria vel f. 13.

contradicerent (6) statutis comunis et populi perusini et ordinamentis et
corrigimentis euntarum artium sint cassa et irrita et nullius valoris et
pro cassis et irritis habeantur.

(1) Aggiunta interpolata: « seu fieri facere ».
(2) Corretto : XL
(3) Corretto: massario

(4) Aggiunta marginale: « quos quousque non solverint et habeantur pro inf-
fecti » (d). È

(5) Aggiunta: « dum modo non sit famulus alicuius, et quod quis non possit
haberi pro artifice dicte artis nisi fuerit scriptus in matricula dicte artis prout
alii ». — Altra aggiunta marginale: « efficiatur idem capitulum cum capitulo su-
prascripto cum hoc signo » [cro ce]

(6) Aggiunta interpolata: « constitutionibus romane ecclesie vel » (e).

(a) Rif. 1376: rubr. XXXIII a f. 55.
(b) Rif. 1376; aggiunta in calce: « MCCCCII die secunda aprilis. In et per adu-

nantiam artificum dicte artis ordinatum et additum fuit super supradicto ordina-
mento XXXIII quod nullus in posterum recipi possit et scribi in matricula artifi-
cum dicte artis quin primo solverit pro dicta arte v libras denariorum ».

(c) Rif. 1376 : rubr. XXXIIII QT Dos
(d) Rif. 1376; corretto: habeatur pro infecto
‘ (e) Rif. 1376; corretto: reformationibus ordinamentis et
844 A. SCIALOIA

[XLV.] Ewub. qualiter procedatur ubi pene non sunt determi-
nate: (a)

Camerarius dicte artis una cum rectore (1) dicte artis ubi pene non
sunt determinate possit (b) inponere penam hominibus diete artis usque

in quantitatem decem (2) solidorum et ipsam penam ab inhobedientibus

exigere pro comunitate dicte artis,
[NLVI.] Zub. qualiter non retineantur ceste super Bancas : (c)

Nullus de dieta arte possit nec debeat retinere aliquam cestam
super aliqua banca nisi in dictis cestis essent lasce ad vendendum et
qui eontrafecerit solvat nomine pene et banni decem solidos denario-
rum. Set ipse ceste stare debeant post baneas.

[XLVII.] Jub. ut placaticum plus vendatur : (d)

Ad hoc ut placaticum plus vendatur exstitit ordinatum et refor-
matum non obstante capitulo loquenti (e) de venditione placatici quod
plagaticum vendatur more solito et camere diete artis secundum ordi-
namenta dicte artis, dummodo quatuor piticarelli (f) possint habere et
tenere discos et nummatas in domo dicte artis et alij piticarelli (9) in
dicta domo non possint reponere Bancas neque tendas neque nummatas
a festo Sancti angeli de mense setembris usque ad kalendas mensis
maij, et camerarius habere non possit ullo modo, et hoc capitulum in
aliquo non preiudicet porcetarijs et si enptor placatici in aliquo con-
trafecerit solvat comunitati diete artis decem libras denariorum (8).

(1) Corretto: massario

(2) Corretto: pene XXV librarum; poi nuovamente corretto: i? quantitatem
€ solidorum

(3) Nota marginale: « Ponatur cum capitulo precedenti cum hoc signo » [se-
gno convenzionale] [la rubrica richiamata é la XXVIII].

(a) Rif. 1376: rubr. XXXV a f. 55 t.

(b) Rif. 1376; corretto: possint.

(c) Rif. 1376: rubr. XXXVI a f. 55 t.

(d) Rif. 1376: rubr. XXXVII a f. 55 t.
(

(

(

O

) Rif. 1376; corretto: loquente.
f) Rif. 1376; corretto: picicarelli
9) Rif. 1376; corretto: pigicarelli
«votati =

rm MI CLOSE Eh Mk

STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC.
[XLVIIL] Ziub. qualiter non aperiatur hostium domus: (a)

Emtor plagatici non debeat aperire alicui domum de sero post

‘quam artifices exiverunt de domo nec alicui dare clavim | diete domus

ad penam viginti soldorum denarioruni.

[XLVIII.] Hub. quod nullus mingere debeat in domo piscia-
rie: (b) i

Nullus de dieta arte nec aliquis alius mingat nec mingere audeat
in domo pisciarie ad penam duodecim denariorum, et quilibet possit
esse accusator et habeat medietatem banni.

Et camerarius et rectores a contrafacientibus dictam penam au-
ferre teneantur (1).

[L.] Fub. quod: nullus debeat eligi in aliquo offitio nisi primo
salarium ordinetur : (c

NT

Nullus de dieta arte debeat eligi nec poni in aliquo offitio nec
super aliquo opere comunitatis nisi primo salarium ordinetur.

[LL] Zub. quod omnes artifices debeant iurare obedire capitaneo
et potestati : (2) (d)

Onnes artifices (3) dicte artis tam civitatis quam comitatus peru-
sij debeant et teneantur 7urare (4) obedire preceptis dominorum po-
testatis et capitanei comunis et populi perusini (5).

(1) Nota marginale: « ponatur una cum infrascripto capitulo signato » [segno
convenzionale] [rubr. XLIII]. Questa nota è cancellata; e un’ altra ve n° è che dice:
« capitulum positum infra » — Poi l'intera rubrica é stata cancellata.

(2) Corretto : ojfitialibus et camerario (e)

(3) Aggiunta interpolata: « Jurati ».

(4) Corretto: parere
(5)

Corretto: omnium offitialium sancte matris ecclesie (7)

(a) Rif. 1876: rubr. XXXVIII a f. 55 t.

(b) Rif. 1376 : la rubrica é soppressa.

(c) Rif. 1376: rubr. XXXVIIII a f 56.

(d) Rif. 1370: rubr. XL a f. 56.

(e) Rif. 1376; corretto: offitialibus comunis perusij et camerario artis
(f) Rif. 1376; corretto: omnium offitialivm Comunis Perusij

> 183:t.
. 14.

846 : A. SCIALOIA

Et preceptis camerarij et Zectorum (1) diete artis et observare et
observari facere omnia ordinamenta et reformationes diete artis et qui
contrafecerit et Zurare (2) noluerit solvat nomine pene xx solidos dena-
riorum (3).

[LIL.] Awb. qualiter non fiant credentie: (a)

Nullus de dicta arte possit nec debeat aliquem accusare (b) facere
alieui persone de civitate vel comitatu perusij aliquam credentiam de
piseibus venditis et exceptis monasteriis et familijs dominorum pote-
statis et capitanei (4) pisces de domo extray non debeant sine solutione
peecunie.

Et si aliquis de arte voluerit enptori acomodare peccuniam possit
illud facere, dummodo ille qui accomodaverit peccuniam non sit de
sotietate vendentis pisces et qui contrafecerit solvat nomine pene quin-
que solidos denariorum. Et quod Rectores (5) dictam penam auferre
teneantur.

Et camerarius teneatur quolibet die dominico facere inquisitionem
et punire delinquentes.

[LIIL] Zub. quod nullus vendat alicui qui primo emerit ab alio
et non solverit: (c)

Hoc eapitulo duximus ordinandum quod si aliquis de dicta arte
venderet alicui persone aliquam quantitatem piscium a x solidis supra
et ille qui emeret vel promitteret emere penituerit se de emendo dictam
vicem seu quantitatem piscium, quod nullus de dicta arte possit postea
illi vendere aliquos pisces nisi primo predictus enptor solverit dictos
pisees quos primo emit vel emere promisit et qui contrafecerit solvat
nomiue pene et banni x solidos denariorum.

(1) Corretto: massarti

(2) Corretto: obedire et parere

(3 Aggiunta: « quam penam de facto camerarius à contrafaciente aufferre
faciat per massarium pro comunitati dicte artis »; ulteriore aggiunta, poi cancel-
lata: « loquatur de vicario et aliis offitialibus ecclesie ».

(4) Corretto: o/fitialium

(5) Corretto: camerarius et massarius

(a) Rif. 1376: rubr. XLI a f. 56.

(b) Rif. 1376 ; soppresse le parole: aliquem accusare
(c) Rif. 1376: rubr. XLII a f. 56.
STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC. 847

Et si quantitas piscium fuit minoris quantitatis x solidorum solvat
contrafaciens duos solidos denariorum. Et hec locum habeant si prior
venditor secundo venditori predicta fuerint manifestata et non aliter.

[LIIII.] £ud. quod nullus mingat nec aliam turpitudinem faciat
in domo: (a)

Nullus de dieta (0) debeat mingere (c) nec aliquam turpitudinem fa-
cere ab hostio necessarij intus (1) ad penam quinque solidorum denario-
rum, et quilibet possit esse accusator et habeat medietatem banni (2).

[LV.] Hub. quod nullus vocet alium qui staret ante bancam
alterius ad emendum : (d)

Nullus de dieta arte debeat aliquam personam vocare que staret
ante Bancam alicuius (e) causa emendi pisces ad penam et Bannum duo-
rum solidorum denariorum pro qualibet vice.

[LVI.] ub. de pena accusatoris qui non fuerit prosecutus accu-

sationem : (f)

Quicumque de dicta arte accusaverit seu denuntiaverit aliquem de
dicta arte de aliquo quod factum esset contra ordinamenta artis et (3)
non fuerit accusationem prosecutus seu (g) denuntiationem solvat et sol-
vere debeat nomine pene et banni quinque solidos denariorum.

[LVII.] Rudb. quod nullus possit facere emi per se pisces ab
aliquo lacosciano : (h)

Nullus de dieta arte possit facere emi nec colligi pro se pisces ab

| aliquo lacosciano sive a piscatore nisi ille emptor sive collector f.

1) Aggiunta interpolata: « nec in aliqua parte domus nisi in loco deputato ».
(2) Aggiunta: « quam penam camerarius vel massarius de facto possint aufferre ».
(3 Aggiunta interpolata: « reperietur quod non esset verum vel quod ».

(a) Rif. 1376: rubr. XLIII a f. 56 t.; aggiunta al titolo: « pisciarie ».
(b) Rif. 1376 ; aggiunta la parola: « arte »

(c) Rif. 1376; corretto: mingnere

(d) Rif. 1376 : rubr. XLIIII a f. 56 t.

(e) Rif. 1376 ; corretto: «terius

(f) Rif. 1376: rubr. XLV a f. 56 t.

(g) Rif. 1376 ; corretto: vel

(h) Rif. 1376: rubr. XLVI a f. 56 t

à

14 t
848 ET A. SCIALOIA

esset sotius hominum diete artis et adstrictus et scriptus cum homi-

nibus diete artis et qui contrafecerit solvat nomine pene xx solidos
denariorum. Et eredatur saeramento accusatoris de quo banno tertia
pars sit AHectorum (1) et alia tertia pars sit comunitatis et alia accu-
satoris et quilibet sit acusator palam et secrete et camerarius a con-
trafacientibus dictam penam exigere teneatur.

[LVIIL] Aub. quod nullus debeat retinere super Bancas cestas
vacuas: (a) :

Ceste vacue super Bancas retineri nec haberi (2) possint set subtus
Baneas quilibet possit habere unum par cestarum vacuarum et qui con-
trafecerit solvat nomine pene quinque solidos denariorum et quilibet
possit esse accusator et habeat medietatem banni.

[LVIIIL] Aud. de pena quam lacoscianus vendens pisces alicui
et non vult (b) postea dare: (c)

Quando aliquis de dicta arte emeret pisces a lacoscianis vel a
parochianis et lacoscianus vel parochianus postea nollet dare dictos
pisces dieto emptori quod nullus de dicta arte possit emere nec emi
facere dietos pisces et qui contrafecerit solvat nomine pene centum
solidos denariorum. Et credatur sacramento accusatoris.

[LX.] Hub. quomodo quelibet (d) possit habere unum locum. in
domo: (e)

Quelibet sotietas dicte artis possit habere unum locum in domo
pisciarie ultra numerum sotiorum contentorum in sotietate dummodo
sotietas pro dieto loco solvere teneatur Sindico (3) dicte artis xx solidos

£15. denariorum et aliter locum habere non possit non obstan | te capitulo
de locis vendendis.

(1) Corretto: massarti
(2) Aggiunta interpolata: « non ».
(3) Corretto: massario

(a) Rif. 1376: rubr. XLVII a f. 57.
(b) Rif. 1876; corretto: rotit

(c) Rif. 1376: rubr. XLVIII a f. 57.
(

(

d) Rif. 1376 ; aggiunta la parola: societas
e) Rif. 1376: rubr. XLVIIII a f. 57; aggiunta al titolo la parola: písciarte
CRT RA

ART

STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC. 849

[LXI.] AKwb. quod nulla persona debeat ligare Bestiam in domo
pisciarie: (a).

Nulla persona possit nec debeat ligare aliquam bestiam in domo,
pisciarie et qui contrafecerit solvat nomine pene sex (1) denarios et dicta
bestia de domo predicta expellatur.

[LXIL] &ub. quomodo lacosciani qui non sunt piscatores debent
solvere pro pensione loci: (b)

Lacosciani habitantes infra montes lacus qui non sunt piscatores
et fecerunt artem cum hominibus dicte artis teneantur solvere pro pen-
sione loci in quo vendent (c) pisces in domo pisciarie quinquaginta so-
lidos denariorum alij vero de civitate (d) teneantur solvere pro dieto
loco xx solidos denariorum.

LXIII.] Rub. quod homines possint facere sotietatem | exceptis
i q 1 7i
piscatoribus : (e)

Homines artis piscium possint facere sotietatem cum hominibus
tam civibus quam lacoscianis exceptis piscatoribus dummodo dieti la-
cosciani teneantur iurare observare omnia ordinamenta dicte artis.

Et ille qui fecerit sotietatem cum dictis lacoscianis teneatur et sit
obligatus pro dieto lacosciano ad dicta (f) ordinamenta observanda et
observari facere.

\

[LXIIIL] Awb. quod nullus debeat facere Sotietatem cum aliquo
famulo nec facere emi pisces: (g)

Nemini liceat de dieta arte facere sotietatem cum aliquo famulo
parochianorum nec facere emi pisces a dictis famulis parochianorum

(1) Corretto: XLI

(a) Rif. 1876: rubr. L a f. 57.

(b) Rif. 1376: rubr. LI a f. 57.

(c) Rif. 1376; corretto: venderint

(d) Rif. 1376; aggiunta la parola: « perusij »
(e) Rif. 1376: rubr. LII a f. 57 t.

(f) Rif. 1376; corretto: omnia

(g) Rif. 1376 : rubr. LIII a f. 57 t.

: 1
Nar J RT A * d " , Ma Y E | 35-3
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850 A. SCIALOIA

ad penam xx solidorum denariorum et quilibet possit. esse accusator
et habeat et habere debeat medietatem Banni. ì

[LXV.] ARwb. de piscibus emendis a lacoscianis vel non: (a)

De piscibus emendis a lacoscianis vel non in civitate perusij et
de pena tollenda vel non in provisione camerarij et wnZus Rectoris (1)
debeat remanere.

[LXVI.] Rubr. de piscibus emendis a lacoscianis: (b)

Si emptor placatici (c) dubitaret quod in sawma (d) piscium que ven-
ditur in domo pisciarie quod (e) aliquis lacoscianus haberet in eadem
sauma (f)partem quod vendens ad petitionem emptoris placatici iurare
debeat si aliquis lacoscianus habet partem in dieta sauma (9) piscium vel
non et si iurare noluerit placaticum pro dicta sauma (Ah) solvere teneatur.
Et habeatur pro confesso in toto quod dietus emptor placatici petere
voluerit pro sawmis (7?) venditis in dicto placatico.

Et camerarius aut Aectores (2) teneantur conpellere illum qui iu-
rare noluerit prout dietus emptor dixerit pro dietis sawms (Ic) venditis et
conductis in placatico. Si autem iurare voluerit absolvatur.

[LXVII,] Rub. quod quilibet possit emere cestas: (1)

Liceat unieuique de dieta arte non obstante quod superius dictum
est emere cestas causa revendendi dummodo emens teneatur tempore
emptionis dare partem cestarum petentibus ab una cesta et cestolo

(1) Corretto: massarti
(2) Corretto: massarius

(a) Rif. 1376: rubr. LIIII a f. 57 t.
(b) Rif. 1376: rubr. LV a f. 57 t.
(e) Rif. 1376; corretto: piscium
(d) Rif. 1376 ; corretto: salma

(e) Rif. 1376; soppressa la parola: quod
(f) Rif. 1376; corretto: salma

(g) Rif. 1376; corretto: sulma

(h) Rif. 1376; corretto: salma

(i) Rif. 1376; corretto: salmis

(R) Rif. 1376; corretto: salmis

(1) Rif. 1376 : rubr. LVI e f. 58.
DUIS

851

STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC.

superius ad penam quinque solidorum denariorum. Et credatur sacra-
mento accusatoris. 3

[LXVIIL] ud. quod homines possint emere pisces a lacoscia-
nis (a) et ipsos (b) iuvare ad vendendum: (c)

Hoc eapitulo est ordinatum non obstante aliquo capitulo. Quod
homines diete artis possint emere pisces a lacoscia | nis post quam
venerint ad civitatem perusij, et in via et ipsos lacoscianos adiuvare
ad vendendum, dummodo dicti lacosciani mom sint piscatores et laco-
sciani (d) venientes cum piscibus sint adscripti et scripti cum homi-
nibus diete artis et iuraverint cum hominibus dicte artis.

[LXVIII] wb. quomodo homines dicte artis habere debeant
duo dopleria cere: (e)

Ad honorem huniversitatis (1) dicte artis homines et comunitas
dicte artis teneantur habere duo dupleria cere et si acciderit aliquem
de dicta arte mori quod homines dicte artis esse debeant cum dietis
duplerijs ad funus suum et (f£) ad honorem faciendum morienti et si ali-
quis requisitus non fuerit ad funus et non venerit (2) quando aliquis

de dieta arte mortuus fuerit solvat nomine pene quinque solidos de-

nariorum.

Et credatur et stetur cuilibet iuranti et dicto camerarij et Zecto-
rum (3)et camerarius dictam penam omnino a contrafacienti auferre
teneatur (4).

Aggiunta interpolata: « et artificum »

3) Corretto: massarij
4) Agziunta: « et possit de facto »

(
(
(
(

1)
2) Corretto: requisitus fuerit et non venerit ad sotiandum camerarium
)

)

(a) Rif. 1376; soppresse le parole: « lacoscianis

(b) Rif. 1376; corretto: eos

(c) Rif. 1376: rubr. LVII a f. 58.

(d) Rif. 1376; soppresse le parole: « non sint piscatores et lacoscianis ».
(e) Rif. 1376: rubr. LVIII a f. 58.

(f) Rif. 1376; soppressa la parola: et
f..16 t.

852 A. SCIALOIA

[LXX.] ARwb. de Electione sindici (1) et eius salario (2) et de
salario notarij: (a)

Teneantur homines dicte artis annuatim. octo diebus ante calendas
novembris eligere sorte brevium ut supra dictum est unum bonum ho-
minem. dicte artis (3) qui sit massarius et sindieus dicte artis ad omnes
lites et questiones quas universitas dicte artis haberet et habere possit
eum quaecumque persona.

Et dietus szndicus (4) habeat licentiam locandi domum et cameras
et vendendi placaticum et colligendi et recipiendi (5) omnes introitus et
condenpnationes diete artis.

Qui massarius et sindicus teneatur reddere rationem de omnibus
hiis que ad manus eius pervenerint,infra xv dies post exitum sui
offitij.

Et predictam rationem reddere teneatur Rectoribus qui pro tem-
pore fuerint (6) camerario et massario | et sindico sucessoribus (() cum
duobus artificibus eligendis per dictos camerarium et massarium re-
visores.

Et prefatus sindicus et (8) massarius predicta omnia iurare debeat
attendere et observare et suum offitium bona fide sine fraude operari et
facere.

Et quod dictus sindicus seu massarius teneatur exigere et debeat

'et etiam excutere omnes introitus dicte artis per totum mensem maij

anni mi sindicus quod si non fecerit teneatur solvere comunitati
dicte artis pro quibuslibet x diebus in quibus steterit a dicto mense
in antea quod non exigeret seu excuteret introitus diete artis xx soli-
dorum denariorum.

Et camerarius diete artis dietam penam a dieto sindieo seu: mas-

(1) Corretto: massarij

(2) Aggiunta interpolata: « et offitio ».

(3) Corretto: teneatur camerarius infra VIII dies a die incepti sui offitij con-
gregare adunantiam dicte artis, qua et per quam eligi faciat unum massarium
qui duret toto tempore ipsius camerariatus vel offitij

(4) Corretto: massarius

(5) Corretto: licentiam auctoritatem et arbitrium colligendi evigendi ed reci
piendi.

(6) Cancellate le parole: Rectoribus qui pro tempore fuerint

(7) Corretto: et massario successoribus

(8) Cancellate le parole: sindicus ei

(a) Rif. 1376 : soppressa |’ intera rubrica.
jew Stir

STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC. 853

sario exigere teneatur, quod si non fecerit dictam penam de suo sol-
vere teneatur et quilibet possit esse accusator et habeat medietatem
Banni et alia sit comunitatis et Rectorum.

Et insuper dietus sindicus habeat pro suo salario de introitibus

diete artis quatuor libras denariorum et notarius habeat alias quatuor
libras denariorum de introitibus dicte artis.

Et hoc capitulum fuit correttum et inmutatum sub anno do-
mini MCCCXxIII, indictione undecima, tempore domini clementis pape
quinti, die xvrir mensis iunij (1).

[LXXI.] Rub. de decimo solvendo a partibus litigantibus : (a)

Rectores dicte artis et camerarius (2) a qualibet parte litigante co-
ram ezs (b) pro qualibet libra unde esset questio sex denarios nomine
decimi accipere teneantur (3).

Et insuper ab illo a quo aliquid (4) fideiussorem accipere debeant
de parendo mandatis camerarij et Rectorum (5) de iudicato solvendo et
de iuditio sisti.

'

[LXXIL] Eub quomodo homines dicte artis teneantur. auzilium

prestare hominibus de arte: (c)

Camerarius ef (d) Rectores (6) et artifices dicte artis ad requisitio
nem cuiuscumque de dicta arte teneantur dare auxilium consilium |
et favorem in curia et extra omnibus de dicta arte cui vel quibus ne-
cesse fuerit ad voluntatem et preceptum camerarij, et Rectorum (1) ut
eidem artifici non fiat contra ius et iustitiam.

(1) Aggiunta: « Et quod quilibet, camerarius dicte artis qui pro tempore erit
habeat arbitrium vendendi in adunantia dicte artis. — Et quod nullus possit colli-
gere introitus dicte artis nisi massarius sub pena xxv librarum ».

L'intera rubrica e le modificazioni sono state poi cancellate.

(2) Corretto: Camerarius dicte artis

(3) Aggiunta interpolata: « et possit ».

(4) Aggiunta interpolata: « peteretur ».

(5) Corretto : massarij

(0) Corretto: massarius

(7) Corretto: massarij

(a) Rif. 1376: rubr. LVIIII a f. 58.

(b) Rif. 1376; corretto: eo

.(c) Rif. 1376 : rubr. LX a f. 58 t.

(d) Rif. 1376; soppressa la parola : et

e HT
854 A. SCIALOIA

[LXXIIL] Rub. de numero Rectorum et esse debet et de electione
camerarij : (a)

Homines diete artis teneantur et debeant habeant et habere debeant
novem Rectores (1) et camerarium qui dividantur inter portas hoc modo
videlicet in porta saneti petri sint duo Rectores in porta Solis sint tres
Rectores in porta heburnea sint tres Rectores in porta sancte susanne
sit unus Rector.

Et camerarius dividatur inter portas ut moris est ubi sunt arti-

fices (2).

[LXXIIIL.] Rubrica quomodo famuli et alij debent solvere placa-
ticum et dare partem : (b)

Hoc statutum et ordinatum est inter homines diete artis perpetuo
valiturum quod omnes famuli cuiuseumque persone qui colligunt et
emunt pisces vel quicunque alius teneatur et debeat solvere placati-
cum pro qualibet sawma (c) piscium que vendetur in dicta domo in qua
essent pisces collecti et empti per dictos famulos vel alios xvni dena-
rios et intelligatur sauma (d) piscium esse famuli vel alterius persone
ubi fuerint pisces collecti per dictos famulos vel per alios. E

Et famuli qui colligunt et emunt pisces teneantur dare partem
piscium eis petentibus ad penam in ordinamentis contentam et domini
famulorum teneantur solvere penam pro famulis eorumdem (3) (4).

(1) Corretto: rectores X, et camerarius vadat de porta in portam

(2) Cancellata l’ intera rubrica.

(3) Aggiunta in calce: « Hoc capitulum correttum fuit in MCCOXXVI Indictione
VIIII tempore domini Iobannis pape XXII die XXVIII mensis octubris In generali
adunantia dictorum hominum et universitatis. Quod quilibet locus et pars cuiuslibet
a dicta die In antea valeat xxx libras denariorum aliquo capitulo non obstante ». —
Quest'aggiunta é stata poi cancellata.

(4 Aggiunta marginale: « fiat unum capitulum cum primo ».

(a) Rif. 1376: soppressa l’intera rubrica.
(b) Rif. 1376: rubr. LXI a f. 58 t.

(c) Rif. 1376; corretto: salma
(d) Rif. 1376; corretto: salma
STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC. 855

[LXXV.] Awb. quantum debet valere locus et pars. Et quod nul-
lus possit vendere alicui persone: (a) i

Inter homines dicte artis habentes domum comunem et alios ho-.
mines qui habent partem in dieta domo qui artem predictam non fa-
ciunt hoe ordinamentum voluerunt perpetuo valere videlicet quod qui-
libet locus et | quelibet pars cuiuseunque habentis partem in dicta f.17 t.
domo valeat ab hodie in antea xxx libras denariorum et quod quili-
bet locus cuiuscunque sit equalis et tantum quantum alter locus et i
quod nullus locus possit esse maior quam alter locus.
Et quod nullus possit vendere nec donare nec alienare nec relin-
S quere nec quocumque modo in alium trasfterre dictum lecum nisi da-
retur vel relinqueretur filijs vel fratribus carnalibus vel nepotibus natis i
ex fratribus vel suis heredibus et si alijs personis donaretur vel vende- :
retur vel alienaretur non valeat nec teneat sif (b) ipse locus sit hominum B
dicte artis habentium domum comunem et aliorum qui habent partem |
in eadem esse debeat et ad eos redire debeat sine aliquo pretio. e
Hoe addito quod szndicus et (1) massarius dicte artis a quolibet GUN
volente vendere dietum loeum sive partem emere teneatur et debeat et
dare venditori pretium antedictum.
Dummodo illi qui emerunt loca a puciarello Bonaventure et a gi-
; rardello Bonicagni dieta loca que emerunt revendere non possint hine
ad quinque annos et si ipsa revendere voluerint (c) teneantur habere
pro quolibet loco decem libras denariorum.
Et sindicus et (2) massarius dicte artis dictas decem libras pro
quolibet dietorum dare teneatur venditori.

Hoc tamen statutum et ordinamentum fuit factum et correctum et
firmatum sub anno domini McoLíxxxxvini jndictione xu, tempore domini
Bonifatij pape octavi die xxvi mensis decembris ab inde in antea va-
liturum (3).

GNO LE te
POT TIEN



ICYDTTTTTUPTETUUTTENEN TERT

(1) Cancellate le parole: sindicus et

(2) Cancellate le parole: sindicus et

(3) Cancellata l'ultima parte della rubrica, dalle parole: Hoc tamen, fino al
termine.

(a) Rif. 1376: rubr. LXII a f. 58 t.
(b) Rif. 1376; corretto: sed
(c) Rif. 1376 ; corretto: noluerint
856 A. SCIALOIA

LXXVI. Aub. quomodo palmutius Bartoli habere debet unum
locum - (a)

Hoe statutum sit perpetuo valiturum quod palmutius Bartoli de pa-

rochia Sancti Savini qui est de dicta arte habeat et habere debeat u-

f.18. num locum et unam partem de domo pisciarie et in omnibus | comu-

nantiis ipsius et sit et esse debeat de numero illorum qui emerunt

loca et partes locorum a pueciarello Bonaventure et a guirardello (b)

bonisscagni de dieta domo pisciarie qui fuerunt sindici et procuratores

diete artis ad vendendum loca et partes de dicta domo pisciarie et ipsa

loca et partes vendiderunt quibusdam hominibus de dicta arte sicut

patet publicis documentis scriptis manu domini iacobi iohannis notarii
diete artis.

Cum evidenter appareat ipsum palmutium dedisse et solvisse dicto
Guirardello recipienti pro hominibus dicte artis pro dicto loco xx libras
denariorum.

Et hoc statutum et ordinamentum conditum fuit sub annis do-
mini MOCLXxxx vu Zndictione xit, tempore domini Bonifatij pape vui die
septimo mensis iunij (1).

[LXXVII.] Rub. quomodo Syndicus et Massarius debet iurare et
fideiussorem. dare: (c)

Sindieus et massarius dicte artis, iurare debeat in generali adu-
nantia sindicariam et massariam dicte artis facere Bonafide sine fraude

et super hoc fideiussorem dare debeat sindico et Massario subse-
quenti (2).

(1) Cancellato l'ultimo capoverso, dalle parole: Et Aoc statutum fino al termine
della rubrica.

(2) L' intera rubrica é cancellata; nota in margine, poi anch'essa cancellata:
« ponatur una cum capitulo ultimo signato » [segno convenzionale] [Rubr. XCVIII
de massario eligendo].

(a) Rif. 1376: rubr. LXIII a f. 59.
(c) Rif. 1376; corretto: girardello
(b) Rif. 1376: soppressa l’ intera rubrica.

= ——- —

x—TTtTIIIIIIIE
STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC. 851

[LXXVIIL] Zub. quelibet Sotietas debet conparere debet conpa-
rere coram camerario et instrumentum et confessionem fa-
cere: (a)

Quelibet sotietas dicte artis tempore quo fient sotietates causa exer-
cendi artem debeat conparere coram camerario diete artis (1) dictam
artem inter se facere bona fide sine fraude et legaliter inter se respon-
dere de nummatis et mercantia que ad manus eorum pervenerint omne
occasione (2).

Et si accideret quod in dicta Sotietate danpnum aliquod interve-
niret quod absit, quod de dicto danpno satisfaciendo stabünt dieto et
arbitrio et precepto dieti camerarij dicte artis et duorum Rectorum (3)
diete artis per dietum camerarium eligendorum et omnes de dieta So-
tietate iura | re debeant predicta atendere et observare.

Et camerarius ad maiorem firmitatem ab omnibus de dicta Sotie-
tate de predictis atendendis et observandis recipiat publicum instru-
mentum et confessionem (4) et de hoc statuto observando vel non in
providentia (b) camerarij debeat remanere et remaneat.

[LXXVIIII]. Rub. pro illis qui volunt intrare în dicta arte et
effici artifices dicte artis: (5) (c)
Hoc statutum fuit et ordinamentum refirmatum et stantiatum in

generali adunantia hominum et universitatis dicte artis.
Quod quicumque voluerit effici artifex artis piscium et intrare in

dicta arte et operari dietam artem debeat recipi et intra in dicta arte:

dummodo non sit piscator laeus perusij, dummodo etiam non sit famulus
alicuius.

Et ante quam recipiatur et scribatur debeat primo adprobari et
adprobetur per camerarium dicte artis et per maiorem partem Recto-

(1 Agziunta: « et promictere dicto camerario »

(2) Corretto : occasione sotietatis.

(3) Corretto: artificum

(4) Aggiunta interpolata: « manu notarij dicte artis ».

(5) Nota marginale: « ponatur in capitulo cum hoc signo rs superiori capi-
tulo ». (Rubr. XLIII].

(a) Rif. 1376: rubr. LXIIII a f. 59.
(b) Rif. 1376; corretto: prudentia
(c) Rif. 1376 : soppressa l'intera rubrica.

f..18 t.
858 A. SCIALOIA

rum. Etfuerit adprobatus ante quam seribatur in libro dicte artis et in-
ter artifices diete artis debeat iurare observare omnia ordinamenta dicte
artis et fideiussorem dare de observando ordinamenta omnia dicte artis
et insuper solvere debeat sindico et massario dicte artis ante quam
recipiatur et scribatur inter artifices diete artis pro expensis factis et
faciendis pro dieta arte xx solidorum denariorum. Et alio modo recipi
et scribi non debeat ultra dictam formam aliquo alio capitulo non ob-
stante de lato prius ipsis Rectoribus sacramento de veritate dicenda (1).

[LXXX.] Aud. quod ninus sit notarius: (a)

Hoe fuit ordinatum et reformatum quod ninus domini iacobi ab
hodie in antea sit notarius dicte artis et seri | bere et facere possit om-
nia pertinentia ad dietam artem tanquam notarius dicte artis (2).

[LXXXI.] Awub. quomodo camerarius possit mittere homines de
*
arte ad terrafines : (b)

Ordinatum stantiatum et reformatum fuit quod camerarius diete
artis de consilio Aectorum (3) dicte artis vel consilio maioris partis
ipsorum Zectorum (4) possit mittere ad terrafines et terrafinare homines
diete artis prout sibi et dietis Aectoribus (5) placuerit pro utilitate et
bono statu diete artis et pro conservandis ordinamentis dicte artis. (c) Et
spetialiter ilos artifiees qui non obediverint preceptis camerarij dicte
artis (d) vel Rectorum dicte artis (6) et qui non. iverit et steterit ad terra-

fines prout sibi preceptum fuerit per camerarium predictum solvat. co-

munitati sive massario diete artis pro dicta arte recipienti nomine pene
et Banni quinquaginta libras denariorum.

(1 Aggiunta, poi cancellata: « MCCCXXJIII Indictione septima die XXVII men-
sis agusti cassum est hoc ordinamentum quantum ad solenpnitatem adprobandi
ut patet in memoriali sub dicto millesimo et die et in adunantia dicte artis In aliis
remanet firmum ». L'intera rubrica é cancellata.

(2) Cancellata l’intera rubrica.

(3) Corretto: artificum

(4) Corretto: cum massario

(5) Corretto : massarijs et artificibus

(6) Cancellate le parole: « vel Rectorum dicte artis. ».

(a) Rif. 1376: soppressa l'intera rubrica

(b) Rif. 1376: rubr. LXV a f. 59 t.

(c) Rif. 1378; soppresse le parole: et pro conservandis ordinamentis dicte artis.
(d) Rif. 1376; aggiunte le parole « pro conservandis ordinamentis dicte artis-».
STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC 859

rt RC TEE INI

LXXXIL] Rub. quod nullus debeat accipere de banca alterius
| Ji ]
cestam nec rimari pro peccunia: (a)

j facere de loco et banca alterius aliquam cestam nec aliquam spansam
5 et qui contrafecerit solvat nomine pene pro qualibet cesta et spansa
E tres solidos denariorum et credatur et stetur dieto accusatoris.

i Et quod nullus debeat rimare nec (b) rimari facere pro peccunia

i 1 invenienda in loco alterius nec accipere aliquas scarcas ad penam su-

d perius dietam et credatur et stetur dicto accusatoris.

[LXXXIII.] Rud. quomodo ille qui accusaverit aliquem debeat ha-
bere partem. condenpnationis : (c)

Dicimus et ordinamus quod quilibet qui accusaverit aliquem quod
fecerit aliquid contra formam ordinamentorum | diete artis, quod pre-
I dietus accusans et denuntians teneatur habere de parte condenpna-
tionis et banni illius qui fuerit condenpnatus ocasione sue accusationis
tertiam partem condenpnationis et Banni, alia pars sit comunitatis

diete artis. Et alia camerarij et Rectorum (1).

[LXXXIIIL] Awb. quod sindicus non retineat cum emptoribus
placatici : (d)

Dicimus et ordinamus quod sindicus dicte artis qui nunc est et
qui pro tempore futuro erit sindicus dicte artis non possit retinere
nec facere pro se retineri cum emptoribus placatici diete artis ad pe-
nam decem librarum denariorum. Et quilibet possit esse accusator et
habeat medietatem Banni.

[LXXXV.] Rub. quod nullus debeat vendere pisces alicui qui
esset debitor alicuius de arte: (e)

Dicimus etiam et ordinamus quod nullus de dieta arte teneatur
vendere aliquos pisces alicui persone si dieta persona teneretur dare

(1) Corretto: massarij

(b) Rif. 1376; soppresse le parole: rimare nec ».

(c)

(a) Rif. 1376: rubr. LXVI a f. 59 t.
Rif. 1376 : rubr. LXVII a f. 60.
)

(d) Rif. 1376: rubr. LXVIII a f. 60.
(e) Rif. 1376: rubr. LXVIIII a f. 60.

Nullus de dicta arte audeat nee presummat accipere nec accipi:

f. 19 t.
|

f. 20.

860 A. SCIALOIA

alicui de dicta arte aliquam quantitatem peccunie occasione piscium
si ille qui deberet recipere dictam peccuniam diceret et contradiceret
vel dici faceret, quod sibi non venderet quia tenetur eidem satisfacere
aliquam quantitatem peccunie pro piscibus.

Et si talis cui dietum et contradictum fuerit, quod non venderet
quia est creditor postea venderet vel vendi faceret teneatur.de suo sa-
tisfacere totam illam quantitatem peccunie quam recipere debet dictus
suus ereditor, et de hoc stetur sacramento illius qui diceret seu con-
tradiceret venditori quod non venderet dictos pisces illi suo debitori.

Et statutum et ordinamentum factum. et conditum fuit sub anno
domini MCCCXVII, indictione XV, die XXIII junij (1).

[LXXXVI.] Rub. quod nullus debeat emere pisces infra certos

terminos : (a)

Dicimus et ordinamus quod nullus de dieta (b) audeat vel presumat
emere pisces videlicet Gambaros pisces de tiberi et pisces insalatos vel
alios pisces a ponte sancti iannis citra versus civitatem perusij nec
‘în civitate perusij nisi in civitate perusij nisi im domo pisciarie nec in
aliqua taberna (2). Nec a Sancto manno citra, nec a ponte filcino citra
nec a ponte petriolo citra versus civitatem perusij nec in via aliqua
nisi 2$ dicta domo pisciarie (3). Et non secrete dicendo ad aurem set
palam sub pena et ad penam xx solidorum denariorum. Et hoc eredi
debeat sacramento accusatoris et habeat medietatem Banni accusator.

[LXXXVII.] Ab. quomodo pisces emi possant jnfra certos con-

fines è (c)

Item ordinatum et reformatum fuit in generali adunantia dicte
artis. Quod cum in ordinamentis dicte artis contineatur quod nullus
de dieta arte possit nec debeat emere nec emi facere aliquos pisces

(1) Cancellato l'ultimo capoverso dalle parole: Et statutum, fino al termine
della rubrica.

(2) Cancellate le parole da: nec in civitate, fino a: in aliqua taberna.

(3) Corretto: infra Civitatem burgos vel suburgos perusij (d) non tamen in ali-
qua taberna

(a) Rif. 1376: rubr. LXX a f. 60 t.

(b) Rif. 1376; aggiunta la parola: « arte »
(c) Rif. 1376 : soppressa l’intera rubrica.
(d) Rif. 1376; corretto: dicte civitatis
STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC. p 861 tÉ

posquam venerint ad civitatem perusij extra domum pisciarie et dietum

ordinamentum videatur iniquum et inconveniens, stantiatum et reforma- He

tum fuit aliquo non obstante quod omne ordinamentum loquens quod ds.

nuls possit emere nec emi facere aliquos pisces posquam venerint

ad civitatem perusij, extra domum pisciarie quod dictum ordinamentum
sit cassum et nullius valoris (1).

[LXXXVIIL] ub. de pena ludentium in domo et qui removent
discos : (a) :

Dicimus et ordinamus quod nullus debeat nec audeat removere
discos malitiose de terrato superiori | et ponere sive portare desup- f. 20 t.
ter aut alias massaritias, aut proicere aliquem lapidem in aliqua
banca nec alam (b) iniuriam facere in cameris nec ipsas aperire sine
licentia illius cuius sunt camere.

Et quod nullus ludat in domo pisciarie ad invitarellam (2). Ef
etiam quod. camerarius possit. invenire et habere. nuntium pro arte ad
suam voluntatem (c) qui nuntius habeat quolibet anno pro suo salario quo
serviverit unam tunicam et unum caputium valoris trium librarum de-
nariorum (3) et debeat dare fideiussorem de faciendo et referendo
ambaxiatas bene et legaliter et si non faceret solvat pro qualibet vice
XII denarios.

[LXXXVIIIL] Awb. de pena illius qui noluerit dare tenutam
Daiulo : (d)

Nullus de dieta arte audeat vel presumat quando nuntius mittetur
per camerarium vel Zectores (4) pro aliquo pignorando vel tenutam ac-

(1) La rubrica é interamente cancellata.

(3) Aggiunta interpolata: « pena quinque solidorum denariorum ». Nola mar-
ginale: « fiat capitulum per se hic cum dicit Et etiam etc. ».

(3) Corretto: jndui debeat ad discretionem camerarij et massarij usque ad
quantitatem quatuor florenorum

(4) Corretto : massarium

(a) Rif. 1376: rubr. LXXI a f. 60 t.

(b) Rif. 1376; corretto: aliquam

(c) Rif. 1376; corretto: LXXII. De electione nunptii artis et eius salario [a f. 60 t.].
Ordinamus quod Cammerarius possit eligere et invenire et habere nwnptium pro arte
predicta ad suam volumtatem (qui nuntius pro quolibet anno pro suo salario quo
| serviverit jndui debeat eto.).- |
(d) Rif 1376: rubr. LXXIII a f. 61.
869 —- A. SCIALOIA

cipiendo dieto nuntio contradicere in pignorando aut tenutam acci-
piendo, ad penam quinque solidorum (1). Et de hoc credatur relatione
dieti nuntij sine alia probatione.

Et si camerarius sive Rectores (2) coram quo vel quibus esset (3)
dieta questio dictam penam non acciperent, solvere debeat sindico (4)

"diete artis nomine pene x solidos denariorum.

[LXXXX.] Jub. quod nullus accuset camerarium vel Recto-
rem : (a)

Nullus de dicta arte faciat aut fieri faciat aliquam litem seu que-
stionem vel aliquam accusationem de aliquo de dicta arte qui fuerit
electus eamerarius vel Hector (5) pro dicta arte ad penam quinquaginta
librarum denariorum.

Et quod camerari | us qui pro tempore fuerit possit et debeat
a contrafaciente dietam penam exigere pro dicta arte. Et possit dictus
camerarius contra contrafacientem procedere et veritatem invenire cum
promotore et sine promotore prout sibi videbitur et placuerit.

Et si cam2rarius dictam penam non exigeret, dictam. Rectores (6)
diete artis ab eo dictam penam exigere feneantur (1).

[LXXXXIL.] Rub. de piscibus de clanis non vendendis: (b)

Quod (c) nullus audeat vel presumat vendere nec vendi facere
pisces de clanis in domo pisciarie, a kalendis mensis Maij usque ad
kalendas mensis novembris exceptis anguillis vivis et piscibus insala-
tis Sub pena xx solidorum denariorum pro qualibet vice.

Et de predictis credatur et stetur sacramento accusatoris et ha-

(1) Corretto: X X solidorum denariorum
(2) Cancellate le parole: « sive Rectores ».
(3) Corretto: coram quo esset (d)
(4) Corretto : massario
(5) Corretto: massarius
(6) Corretto: massarius
(7) Corretto : teneatur

(a) Rif. 1376: rubr. LXXIIII a f. 61; ma nel titolo in luogo di: rectorem è: mas-
sarium

(b) Rif. 1376: rubr. LXXV a f. 61.

(c) Rif. 1376; soppressa la parola: « quod ».

(d) Rif. 1376; corretto: fuerit
STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC. 863

beat accusator tertiam partem Banni. Et due partes deveniant in uni-
versitatem dicte artis.

Et si aliquis dictos pisces venderet etiam extra domum et verita-
tem non diserit unde essent dicti pisces si interogabitur quod eandem.
penam solvere teneatur et credatur sacramento accusatoris et habeat
dietam partem ut supra dietum est.

[LXXXXII.] Aud. quod non fiat novitas in piscibus: (a) ©

Item ordinatum et reformatum fuit quod quicumque aliquam no-
vitatem fecerit seu faceret fieri in piscibus insalatis postquam aportati
fuerint ad civitatem (b) amplius insalando vel in bagnando, aut irri-
gando aut novitatem aliquam faciendo solvat pro vice qualibet x soli-
dos denariorum et debeat ipsos pisces perdere et | in universitatem dicte
artis deveniant cuius Banni tertia pars sit accusatoris et alie due sint
diete universitatis. Et credatur sacramento accusatoris sive denuntia-
toris et ad ipsam novitatem declarandam et afirmandam sint duo boni
homines diete artis quos camerarius dicte artis duxerit eligendos.

[LXXXXIIL] Rub. quod nullus aportet pisces de platea ad do-
mum. pisciarie : (c)

Dicimus et ordinamus quod nullus de.dieta arte aportet nec apor-
tari faeiat de piscibus comunis perusij de piscaria sive pisciaria et pla-
tea cómunis perusij (d) ad domum pisciarie aut extra domum ipsius pi-
sciarie (1) ad vendendum. Et qui contrafecerit solvat pro vice qualibet
vigiati solidos denariorum et perdat pisces et devenire debeant in
universitatem diete artis. Et credatur sacramento accusatoris et ha-

beat medietatem Banni.

(1) Aggiunta interpolata: « aut in civitate perusij ».

(a) Rif. 1376: rubr. LXXVI a f. 61 t.

(b) Rif. 1376; aggiunta: perusij.

(c) Rif. 1376 : rubr. LXXVII a f. 61 t.

(d) Rif. 1376; soppresse le parole: « de piscaria sive pisciaria et platea comunis
perusij ».

f. 21 t.
864 A. SCIALOIA

[LXXXXIIIL] ‘ud. de pena illorum qui non veniunt quando
aliquis moritur : (a)

Hoe capitulo duximus hordinandum quod quicumque non inter-
fuerit quando aliquis de dicta arte moriretur et adcesserit ad domum
defunti una cum camerario sive rectoribus diete artis solvat nomine
pene unum popolinum nisi iustam habuerit exeusationem (1).

[LXXXXV.] Awub. de pena illorum qui non veniunt ad custo-
diam civitatis : (b)

Dicimus et ordinamus quod quicumque non interfuerit ad custo-
diam civitatis de die aut de nocte quando sibi precipietur sive precep-
tum fuerit aut secesserit sine licentia illius qui preerit custodie solvat:
qualibet vice unum popolinum (2).

[LXXXXVI.] ub. quomodo illi qui non faciunt factiones non
sint artifices : (c)

Dicimus et ordinamus quod quieumque non fecerit factiones rea-
les et personales dicte artis et cum hominibus diete artis sicud alij
artifices dicte artis (7) a quinque annis citra quod pro artifice dicte
artis minime habeatur et de libro diete artis penitus cassetur et eleve-
tur. Nisi de ipsis factionibus satisfactionem suficientem fecerit per to-
tum tenpus offitij martini floroli camerarij dicte artis (3) (4).

Quod si predicta fecerit ad omne benefitium diete artis sit peni-
tus restitutus et admittatur. Si vero satisfacere noluerit sit exelusus ab
omni benefitio dicte artis et amplius pro artifice dicte artis minime
habeatur, Set ab omni honore diete artis et benefitio sit exclusus.

(1) La rubrica é interamente cancellata. In margine é la correzione: pena x
solidorum, poi anch'essa cancellata.

(2) L' intera rubrica sembra cancellata, ma si trova poi nella redazione 1376.

(3) Corretto: immediate quando debet cassari.

(4) Nota marginale, poi cancellata: « non valet plus ».

(a) Rif. 1376: la rubrica é stata soppressa.

(b) Rif. 1376: rubr. LXXVIII a f. 61 t.

(c) Rif. 1376: rubr. LXXVIIII a f. 62. — Nota marzinale: « quod non habeatur
pro artifice ».

(d) Aggiunta interpolata: « et cum hominibus dicte artis ».
EUNT STUCK MATERA UE er LU

STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC. 865

Lt hoc capitulum. et ordinamentum factum fuit sub anno domini
MCCCXXII, indictione quinta tempore domini iohannis Pare XXII, die
nono mensis mai], in domo pisciarie (1).

[LXXXXVIL] Aub. de pena illorum qui non veniunt ad adu-
nantiam : (a)

Item ordinatum et reformatum fuit quod quicunque non venerit
ad adunantiam quando sibi preceptum fuerit, aut venerit et secesserit
de adunantia sine licentia camerarij solvat pro vice qualibet nomine
pene et banni comunitati diete artis duos (2) solidos denariorum.

[LXXXXVIII.] Zub. Massario eligendo : (b)

Dicimus etiam et ordinamus Quod Massarius generalis dicte artis

Eligatur ad brevia hoe modo et ordine videlicet. Quod | fiant quinque

brevia de quibus electionarijs quatuor sint concordes cuius offitium
duret per unum annum. Et redat et reddere debeat rationem sui offitij
camerario dicte artis de sex mensibus in sex menses. Et dictum offi-
tium vadat per portas qui Massarius iuret ad Sancta dei evangelia di-
ctum offitium facere et operari bona fide sine fraude. Et habeat pro
suo salario quadraginta solidos denariorum (3).

(1) Cancellato l'ultimo capoverso, dalle paro:e: Et hoc capitulum, sino al ter-
mine della rubrica.

(2 Corretto: X

(3) Cancellata l'intera rubrica. Poi é stato aggiunta da diversa mano una
nuova rubrica (che ritroviamo nella redazione 1376): « (c) — Item quod quicumque
(d) fuerit inventus periurius coram camerario dicte artis solvat nomine pene mas-
sario dicte artis pro ipsa arte recipienti x libras denariorum » (e) Si legge poi in
margine : « Item quicumque invenitur periurius puniatur pena X librarum »; e
piü sotto sempre in margine la seguente annotazione, cancellata insieme con la pre-
cedente: « MCCCLXVIII die VIII setenbris correcta fuit per nicolaum Iohannis, Ma-
teum andrutij, Angelinum Augustinj de dicta arte in camera residentie dicti nico-
lay ». Ed é forse in occasione di quest'ultima correzione del 1308 che fu aggiunta
la rubrica ora riportata, poiché essa reca in margine il numero LXXXI, che è il
numero che le spetta, tenuto conto di tutte le modificazioni subite dallo statuto.

(a) Rif. 1376 : rubr. LXXX a f. 62; nota marginale: « vocatus et non veniens ».
(b) Rif. 1376: soppressa l’intera rubrica.

(c) Rif. 1376; aggiunto il titolo della rubrica: « LXXXI De periuro » (a f. 62).
Annotazione marginale: « Periurus ad quod teneatur ».

(d) Rif. 1376; corretto: dicimus et ordinamus quod quicumque de arte prefata

(e) Rif. 1376; seguono quattro rubriche aggiunte che qui per intero si ripro-
ducono.
866 A. SCIALOIA

LXXXII. — (f. 62). — De electione et officio Massarij et de eius salario,

Teneatur Camerarius infra xv dies a die introytus sui officij congregare adu-
nantiam dicte artis in qua et per quam eligatur unus massarius pro semestri tem-
pore videlicet unus probus vir de dicta arte qui massarius habeat licentiam et auc-
toritatem colligendi, exigendi (f. 62 t.) et recipiendi pro dicta arte Condenpnationes,
penas et impositas et alios introytus dicte artis, et qui debeat facere omnes sum-
ptus et expensas occurrentes comunitati dicte artis de licentia tamen Camerarij
-dicte artis Et quod nullus p.ssit colligere vel percipere introytus dicte Artis nisi
dictus massarius pena xxv librarum denariorum dicte arti applicandarum [annota-
zione marginale: « Camerarius publicatus ad quod faciendum sit obligatus »] Et
teneatur dictus massarius omnes dictas condenpnationes et introytus durante ten-
pore sui offitij exequi integraliter sub pena xxv librarum denariorum, dicte arti
applieandarum ad quam penam revisores rationis sue ipsum condenpnare si repe-
rient ipsum dictas executiones non fecisse. Salvo tamen quod si fecerit quicquic
potuerit vel alias habeat legitimam excusationem impedimenti a dicta pena absol-
vatur per dictos revisores, de quo impedimento et executione remaneat in discre-
tione dictorum revisorum et quilibet possit esse accusator de negligentia dicti
massarij coram dictis revisoribus. Et debeat dictus massarius in manibus dieti
Cammerarij statim facta electione de eo iurare ad sancta dei evangelia suum of-
fieium bene diligenter legaliter et bona fide exercere et operari et sine aliqua
fraude et super hoc debeat fideiussorem dare [annotazione marginale: « Poena
imposita Massario non fungenti officio suo »] Et teneatur dictus massarius rationem
et calculum rationis sui introytus et exitus reddere obstendere et assignare Came-
rario et massario successoribus et duobus probis viris de dicta Arte eligendis per
dictum Camerarium et massarium successores infra xv dies post exitum sui officij
pena xxv librarum denariorum et pena xx solidorum pro quolibet die qua erit con-
tumax post dictos xv dies in assignando rationem predictam. Et predicti Revisores
auctoritatem habeant eum absolvendi et condenpnandi iuxta eius merita et deme-
rita de gestis in officio massariatus predicti Et habeat dictus massarius pro suo
salario quatuor libras denariorum de Introytibus dicte Artis et partem condenpna-
tionum et penarum prout in quolibet capitulo est declaratum. Et quicumque fuerit
electus Massarius dicte Artis et esse recusaverit solvat nomine pene quinque libras
denariorum aufferendorum sibi de facto per Camerarium dicte Artis pro dicta Arte.

LXXXIII. — Quod camerarius assistat massario.

(f.63) Ad hoc ut massarius valeat diligentius suum officium exercere et In-
troytus dicte Artis exequi teneatur quilibet Camerarius qui pro tempore fuerit asi-
stere dicto massario ad omnem requisitionem dicti massarij in omnibus. que erunt
necessaria dicto massario pro eius officio exercendo pena quinque librarum dena-
riorum pro vice qualibet.

LXXXIIII. — De salario notarij dicte artis.
Notarius Artis predicte habeat et habere debeat pro suo salario octo libras
denariorum quolibet Anno videlicet quatuor libras tempore cuiuslibet massarij Et

habeat et habere debeat Cammerarius et notarius dicte Artis faculas ordinatas se-
cundum modum consuetum et temporibus consuetis.
STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC. 861

LXXXV. — De eopensis mortuis solvendis.

Quicumque non fuerit positus et scriptus in matricula Artis piscium inter
artifices dicte Artis, et artem piscium comuniter exercuerit in Civitate burgis vel
suburgis perusij vendendo vel emendo pisces ad minutum vel in grossum, vel.
aliter exercendo et operando artem piscium quomodocunque, pro maiori parte ten-
poris quo pisces venduntur solvat Massario dicte Artis pro ipsa Arte pro expensis
mortuis et pro satisfaciendo sunptus ditte Artis quolibet semestri tempore x solidos
denariorum. Si vero in comitatu perusij ubicunque et quomodocunque v solidos
denariorum quolibet semestri tempore.
868 A. SCIALOIA

[RUBRICARIO: ANTICO] (1)

I. — De lampade retinenda in domo i f. 48.
De pena ludentium in domo
Qualiter dividantur loca
Quod non emantur pisces in danpnum parochianorum
lI. — De pena Rectoris licentiantis adunantiam
De pena facientium contra ordinamenta
Qualiter detur pars piscium
Quod firme sint venditiones locorum
Quod non inbalcentur pisces
III, — Quomodo petatur pars piscium
Quomodo solvantur condenpnationes
Quomodo vendantur pisces in alieno loco
Qui habuerit privitum locum non faciat sotietatem
Qualiter solvatur pensio
Quo tempore non emantur pisces
Qualiter colligantur introitus
III. — Qualiter pisces enpti iterum non emantur
De electione syndici
Qualiter Retes ricentur
De precepto Camerarij
Quomodo executiantur condenpnationes
V. — Qualiter diffiniantur questiones
Quod searce non dimittantur in domo
Qualiter non dicatur alicui iniuriam
De locatione casalini portus
VI. — De enptione portus lacus
Qualiter placaticum et camere vendantur
Qualiter artifices dent partem piscium
Quod non emantur lasce nisi ad minutum
Quomodo emantur pisces de girone
VII. — Quod non vendantur pisces jn domo
De enptione cestarum
Quomodo Camerarius diffiniat questiones .
Quantum solvere debeant vendentes pisces
Quod instrumenta ar.is revideantur
Quomodo fiant luminaria in festo S. Herculani
Quod artifices sint in festo S. Marie de agusto
Qualiter scribantur homines artis
VIII. — Quod nil opponatur contra ordinamenta
De quibus portis Camerarius eligatur
Qualiter eligatur Camerarius
Qualiter efficiatur aliquis artifex
Quod ordinamenta contraria ordinamentis Civitatis non valeant
Quomodo procedatur ubi pene non sunt terminate
Quod non retineantur ceste super Bancis

(1) Le rubriehe sono raggruppate in XVII paragrafi, ma non apparisce chiara
né la ragione, né il criterio di questa distinzione.
STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC.

Quomodo placaticum plus vendatur
Quod non aperiatur hostium domus

VIIH. — Quod nullus mingat in domo

Quod nullus eligatur in offitio nisi ordinetur salarium
Quod artifices iurent mandata potestatis et capitanei
Quod non fiant credentie

Quod nullus vendat alicui qui primo emerit ab alio
Quod nullus aliquam turpitudinem faciat

Quod nullus vocet alium qui staret ante bancam alterius
De pena illius qui non fuerit prosecutus accusationem
Quod nullus emat pisces a lacosciano

X. — Quod nullus retineat cestas super bancas

De pena lacosciani vendentis pisces
Quomodo quilibet possit habere unum locum
Quod nullus ligare debeat bestiam

Quomodo lacosciani debent solvere

Quomodo homines possunt facere Sotietatem
Quod non fiat Sotietas cum famulo

XI. — De piscibus emendis a lacoscianis

De piscibus emendis a lacoscianis
Quod quilibet emat cestas

Quod possint emi pisces a lacoscianis
Quod debeant haberi duo depleria

De electione syndici

XII. — De decimo mittendo

XIII.

XIIII.

Quod homines prestent auxilium

De numero Rectorum et electione Camerarij
De placatico solvendo et parte danda
Quantum pars valeat et quod nullus vendat
— Quod palmutius habeat locum

Quod syndicus et massarius debent iurare
Quod.quelibet Sotietas debeat iurare

— Pro illis qui volunt intrare in arte
Quod Camerarius mittat ad terrafines

Quod nullus accipiat cestam

Quomodo aceusator habeat partem

XV. — Quod syndicus non teneat cum emptoritus placatici

XVI.

XVII.

Quod nullus vendat pisces alicui debitori alterius
Quod nullus emat pisces infra terminos

Quod pisces emantur infra terminos

De pena ludentium et removentium discos

— De pena renuntiantis baiulo tenutam

Quod nullus accuset Camerarium vel Rectorem
De piscibus de clanis non vendendis

Quod non fiat novitas in piscibus

— Quod nullus aportet pisces de platea

Quod homines vadant ad mortuum

Quod homines sint ad custodiam Civitatis
Quomodo liquis non sit artifex

De pena non venientis ad adunantiam

De Massario eligendo

f. 48 t.
senta aziona

870 A. SCIALOIA

ELENCO DELLE RUBRICHE

A. — Statuti antichi.

I. — Quantum salarium accipiat emtor plagatici . ; 1

II. — De lanpade retinenda in domo pisciarie .

III. — De pena et banno illorum qui ludunt in domo pi-
sciarie. È : : i 3 j : : 3 ;

IV. — Qualiter dividantur loca inter artifices dicte artis

V. — Quod non emantur pisces in danpnum parochianorum

VI. — Qualiter puniatur Rector qui licentiaverit adunantiam

VII. — Qualiter puniantur venientes et facientes contra or-
dinamenta . : : : : ; :

VIII. — Qualiter debeat dividi pars piscium inter artifices .

IX. — Quod firme sint venditiones locorum. : ;

X. — Quod non inbalcentur pisces 3 . i

XI. — Quomodo et qualiter petatur pars piscium j ;

XII. — Qualiter solvantur condenpnationes .

XIII. — Quomodo vendantur pisces in alieno loco

XIV. — Qualiter qui habuerit privitum locum non faciat
societatem .

XV. — Qualiter solvatur pensio a coniunctis personis.

XVI. — Quo tempore non emantur pisces

XVII. — Qualiter colligantur introitus dicte artis

XVIII. — Qualiter pisces empti iterum non vendantur

XIX. — Quomodo et qualiter Sindicus eligatur et quando .

XX. — Qualiter et in quibus locis retes ricentur

XXI. — De precepto Camerarii . : ; :

XXII. — Quomodo et qualiter excutiantur condenpnationes

XXIII. — Qualiter diffiniantur questiones :

XXIV. — Qualiter sarce et vinci non dimittantur in domo.

XXV. — Qualiter non dicatur alicui persone iniuriam

XXVI. — De locatione et conservatione casalini et portus.

XXVII. — De emtione portus lacus

XXVIII. — Qualiter placatieum et camere vendantur et quo-
modo . : ] È ) : : EN : à

XXIX. — Qualiter artifices qui stant ad videndum aliquam
vicem piscium dare debeant partem i ;
STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC.
XXX. — Qualiter non emantur lasee nisi ad minutum . Pag. 838 p
XXXI. — Quomodo emantur pisces de Girone . È 7 » 889
XXXII. — Qualiter non vendantur pisces in domo pisciarie » » Î
XXXIII. — De emtione cestarum . 3 i : È : » LET
XXXIV. — Quomodo et qualiter Camerarius diffiniat que-
stiones. > 7 7 ; E 7 : : ; » 840
XXXV. — Quantum solvere debeant vendentes pisces in
domo . : : > : 6 5 : à i » »
XXXVI. — Qualiter instrumenta artis revideantur per Canio:
rarium . 5 3 : : : È : . : : » » |
XXXVII. — Quomodo et qualiter fiant luminaria in festo !
Saneti Herculani : : È : È ; ; : » 84
XXXVIII. — Qualiter artifices interesse debeant in festo ]
| Banete»Marie-de:agusio. |. Sirio) M uso To oL aT |
XXXIX. — Qualiter scribantur homines artis in hoc libro » » d
XL. — Quod nichil opponatur contra ordinamenta diete artis » 842 È
XLI. — De quibus portis Camerarius eligatur . DREI » |
XLII. — Qualiter eligatur Camerarius . : : ; I » È
XLIII. — Qualiter efficiatur aliquis artifex dicte artis. E » 848
XLIV. — Qualiter ordinamenta que essent contraria ordi-
: namentis civitatis sint cassa . : i : : : » »
{ — XLV. — Qualiter procedatur ubi pene non sunt determinate » 844
XLVI. — Qualiter non retineantur ceste super bancas à a »
XLVII. — Ut plagaticum plus vendatur : ; : È » »
XLVIII. — Qualiter non aperiatur hostium domus È A » 845
XLIX. — Quod nullus mingere debeat in domo pisciarie . » »
L. — Quod nullus debeat eligi in aliquo offitio nisi primo è
salarium ordinetur . . : : : i i » »
LI. — Quod omnes artifices debeant iurare obedire Capita-
neo et Potestati . : : : i ; : a : » »
LII. — Qualiter non fiant credentie : È È i ; » 846
LIII. — Quod nullus vendat alicui qui primo emerit ab alio
et non solverit . : : : ; È : » »
LIV. — Quod nullus mingat nec alinm Ltda faciat
in domo. . . 5 : : 3 3 2 j » 841
LV. — Quod nullus vocet alium qui staret ante on al-
terius ad emendum . 5 3 : i : È i » »
gi LVI. — De pena accusatoris qui non fuerit prosecutus ac-
cusationem . j è 3 : è 3 ; : . » »
LVII. — Quod nullus possit facere emi per se pisces ab
aliquo lacosciano
872 A. SCIALOIA

LVIII. — Quod nullus debeat retinere super bancas cestas

$05 vacuas. . S : : E ; i : : è

LIX. — De pena quam lacoscianus vendens pisces alicui
et non vult postea dare : ; à ;
LX. — Quomodo qualibet [societas] possit habere unum lo-
cum in domo : : : E : :
LXI. — Quod nulla persona dobont ligare bestiam in domo
pisciarie :

LXII. — Quomodo lacosciani qui non sunt piscatores de-
bent solvere pro pensione loci. : ì 7 2

LXIII. — Quod homines possint facere sotietatem exceptis
piscatoribus. : : 3 - . : i:

LXIV. — Quod nullus denos faceré sotietatem cum aliquo
famulo nec facere emi pisces

LXV. — De piscibus emendis a lacosciani vel non

LXVI. — De piscibus emendis a lacoscianis. t i :

LXVII. — Quod quilibet possit emere cestas

LXVIII. — Quod homines possint emere pisces a lacoscia-
nis et ipsos iuvare ad vendendum ; : j

LXIX. — Quomodo homines dicte artis habere debeant
duo dopleria cere È : à : : : È

LXX. — De electione Sindici et eius salario et de salario
notarii. : : : ; ; ; : :

LXXI. — De decimo solvendo a partibus litigantibus.

LXXII. — Quomodo homines dicte artis teneantur auxilium
prestare hominibus de arte i à È i

LXXIII. — De numero Rectorum et esse debet et de elec-
tione Camerarii . à : i : i

LXXIV. — Quomodo famuli et alii DA solvere placati-
cum et dare partem : ; ; È ; :

LXXV. — Quantum debet valere locus et pars et quod nul-
lus possit vendere alicui persone . : È 2 ;

LXXVI. — Quomodo Palmutius Bartoli habere debet unum

locum . i : : : È 3 : i :
LXXVII. — Quomodo Sindicus et Massarius debet iurare

et fideiussorem dare . : :
LXXVIII. — Quelibet sotietas Jobs conparere coram Ca-
merario et instrumentum et confessionem facere
LXXIX. — Pro illis qui volunt intrare in dicta arte et ef-
fiei artifices diete artis ; ; ;
LXXX. — Quod Ninus sit notarius

Pag.

848

854
STATUTA ET ORDINAMENTA, ECC.

LXXXI. — Quomodo Camerarius possit mittere homines de
arte ad terrafines : : : :
LXXXII. — Quod nullus debeat accipere de banca alterius

cestam nec rimari pro pecunia ; :
LXXXIII. — Quomodo ille qui accusaverit aliquem debent
habere partem condenpnationis : à .
LXXXIV. — Quod Sindicus non retineat cum emptoribus
placatici ; : ; : i 1 : i
LXXXV. — Quod nullus debeat vendere pisces alicui qui
esset debitor alicuius de arte . 7 : : : :
LXXXVI. — Quod nullus debeat emere pisces infra certos
terminos : , : i 3 : 5 : ; :
LXXXVII. — Quomodo pisces emi possant infra certos con-
fines. -. : : È 3 3 ; i
LXXXVIII. — De pena fudontiun in domo et qui removent
discos . : . : : a :
LXXXIX. — De pena illius qui icnolüsrit dare tenutam Baiulo
LXXXX. — Quod nullus accuset Camerarium vel Rectorem
LXXXXI. — De piscibus de Clanis non vendendis .

LXXXXII. — Quod non fiat novitas in piscibus .

LXXXXIII. — Quod nullus aportet pisces de pine ad do:

mum pisciarie . : : ; ; : :
LXXXXIV. — De pena illorum qui non veniunt quando
aliquis moritur . : : : . È : ; :
LXXXXV. — De pena illorum qui non veniunt ad custo-
diam civitatis . : à : : ; È : :
LXXXXVI. — Quomodo illi qui non faciunt factiones non
sint artifices SNO : : : s
LXXXXVII. — De pena illorum qui non veniunt ad adu-
nantiam : i : :

LXXXXVIII. — [De] Massario eligendo

B. — Rubriche aggiunte.

LXXXI. — De periuro . . : : . .
LXXXII. — De electione et officio Massarii et de eius sa-
lario . 3 : 3 : : È 5 :
LXXXIII. — Quod Camerarius assistat Massario.
LXXXIV. — De salario notarii dicte artis . ; ;

LXXXV. — De expensis mortius solvendis . . : :

P
-

865
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TEMPIO DI S. ANGELO IN PERUGIA — .

|
| | |
* | STUDIO DI RIPRISTINO

Le origini della fondazione e consacrazione del Tempio
di S. Angelo in Perugia non sono precisate per mancanza
di documenti sincroni. Gli storici di tutti i tempi hanno rac-
colto la tradizione che in quella località vi fosse un tempio
pagano rotondo dedicato a Vesta o à Vulcano o ad altra di-

Prospetto del Tempio — Stato attuale.

P. vinità, Pane o Venere, e che sulle fondamenta di esso sor-
| cesse l'attuale dedicato a S. Michele Arcangelo.

Molti lo dissero tempio pagano trasformato al culto cri-
stiano. Questa fu sempre l'opinione prevalente, avvalorata


6 D. VIVIANI

dalla secolare tradizione, che dal tempio di S. Angelo fosse stato
tolto il giro esterno di colonne per impiegarle nella costru-
zione della chiesa di S. Pietro, e che al posto del colonnato si
fosse costruito il muro circolare che tuttora si vede. Imma-
ginavasi un tempio diptero a due ordini di colonnati, uno
interno, l’altro esterno e tutto aperto.

Per spiegare questa forma inusitata, si ritenne più re-
centemente trattarsi di un battistero ove tutti coloro che si
convertivano alla nuova fede del Cristo potessero’ affluire
come nel Foro o nella Basilica pagana.

Anche l’ Orsini, scienziato coltissimo, il quale fu uno degli
ultimi storici che si occupò con metodo critico e analitico
di quella costruzione, consultando le memorie lasciate dai
suoi predecessori, subi il fascino della perenne tradizione,
la quale, come vedremo, non é veritiera che, nella indica-
zione generica, inesatta nei particolari ed errata per quanto
si riferisce alla origine ed alla forma del nostro tem-
pio. L' Orsini dunque circa il 1792 si propose di ritrovare
le linee architettoniche della primitiva costruzione; e da
buon tecnico e studioso, quale egli era, esaminó ogni «parti-
colare, praticò assaggi nelle murature e nei fondamenti, sca-
vando attorno al fabbricato e ricercando, con metodo razio--
nale, gli elementi indispensabili a dare esatto conto della
struttura originaria del Tempio.

Quando gli parve di averne trovati a sufficienza, de-
lineó il progetto di ripristino documentandolo con i risul-
tati degli assaggi fatti; e con dotte argomentazioni di raf-
fronti storici e stilistici sostenne la sua tesi. Tesi che da quel:
l'epoca venne accettata come la più autorevole e servi a
rafforzare la tradizione dell’esistenza in quella località di un
tempio pagano, al posto del quale ne fu eretto nel sesto se-
colo uno cristiano a doppio ordine di colonne, cinto da un
muro con quattro ingressi o pronai, disposti simmetrica»
mente nelle assi normali della rotonda.

Ne immaginò la ricostruzione facendolo, come si vede

WU PeR Pm ATTI
TEMPIO DI 8. ANGELO IN PERUGIA 811

dai disegni qui riprodotti, tutto aperto, senza la cella semi-
circolare e diviso da una trifora centrale per sostegno del
tetto, detta testuggine, a somiglianza del Tempio di S. Stefano
Rotondo in Roma; nel centro egli poneva l'altare su cui
troneggiava l'Arcangelo.

Orienle

«scala di palmi roma nà

40 so 6o

Progetto di ripristino immaginato dall' Orsini — Pianta del Tempio.

Gli studiosi di cose d'arte a noi contemporanei notano
la grande importanza di questo tempio, ma non si fermano
à esaminarlo e ad approfondirne le particolarità costruttive.
818 D. VIVIANI

I più autorevoli lo fanno anch'essi risalire al sesto secolo,
confermando l'opinione dell’ Orsini.

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Prospetto

Sezione

scala di palmi romani

MIRATI,

Progetto di ripristino immaginato dall’ Orsini,

I Proff. G. Dehio e G. Bezold, in una recente pubblicazione
edita a Stuttgart, ne hanno tracciata la ricostruzione ideale,
(che qui appresso si riproduce). Essa varia in parte da quella
dell’ Orsini, poichè vi si diminuisce il numero delle colonne
e degli archi del secondo giro e si rispettano i muri delle zd
cappelle formandovi tre ingressi. |

Attratto da questa caratteristica costruzione cristiana,
forse unica del genere fra le più antiche dell’ Umbria, per

TEMPIO DI 8. ANGELO IN PERUGIA

0009

879

Scala per lo Sesr

3

Tempio di S. Stefano Rotondo in Roma — Sezione e pianta.

quanto trasformata e manomessa in ogni sua parte, volli an-
ch'io interrogarla, studiare e ricercare nella compagine del
suo mutilato organismo le recondite forme originarie da se-

Scala della mana
880 D. VIVIANI

coli nascoste o svisate a tal segno, da sfuggire alle indagini
del più esperto ricercatore.

PERUGIA S” ANGELO

PERUGIA 5’ ANGELO

PERUGIA
S ANGELO (RESTAURATION)

Studio dei Proff. G. Dehio e G. Bezold.

Lessi la dissertazione dell’Orsini, ma essa non riuscì a
convincermi, avendo da un primo esame dell’ edifizio rile-
vato alcuni particolari costruttivi, dei quali egli non tenne
conto; e poichè aveva documentate le sue conclusioni con
TEMPIO DI 8. ANGELO IN PERUGIA 881

assaggi, misure e disegni, volli intraprendere il mio studio
camminando sulle sue traccie e rifacendo gli stessi scavi e
gli stessi assaggi da lui praticati, particolarmente descritti
nella sua pubblicazione. E avendo consultato le notizie la-
sciateci dal Ciatti, dal Crispolti, dal Passeri e dal Mariotti,
contemporaneo dell’ Orsini, ad ogni osservazione e conclu-
sione di quest’ultimo posso contrapporre osservazioni nuove
e conclusioni sostanzialmente diverse, basandole sulle pre-
dette notizie, documentate con gli assaggi fatti e le conse-
guenti deduzioni.

L’ Orsini ritenne che il tempio fosse opera, per lo meno,
di tre epoche diverse: la prima, che fa risalire al VI se-
colo, quando venne edificato, di forma rotonda diptera; la
seconda nel X o XI secolo, quando fu demolito il portico
esterno e costruito il muro attuale, cambiando il sistema di
copertura quale è al presente; la terza nel XIII e nei primi
del XIV secolo, quando fu scolpita la porta a sesto acuto
dell’ ingresso principale.

Io fisserei l'epoca della sua costruzione al V secolo, cioè
non più tardi dell'apparizione dell'Arcangelo sul monte Gar-
sano, come opina il Maffei, che la giudicò molto anteriore
ai tempi di Carlo Magno, per avere osservato dipinta in un
arco una mano aperta in atto di benedire, simbolo usato
sino dai tempi di Costantino per rappresentare Dio padre,
e che si trova pure a tergo delle sue monete; mano notata
anche dall’ Orsini, quale tuttora si vede riprodotta nella volta
della cappella semicircolare. Infatti, ad eccezione dei pulvini
che sovrastano i capitelli delle colonne, la costruzione è di
materiale frammentario, proveniente da templi pagani di
diverse epoche e di differenti proporzioni, più probabilmente
da quello di Vulcano o di Vesta, preesistente forse in quella
località, o da quello di Flora nella vicina città di Arna, ci-
tato dal Caporali nei suoi commenti a Vitruvio.

Nella seconda epoca, X e XI secolo, il tempio, secondo
l’Orsini, avrebbe cambiato aspetto; da diptero tondo con
Pili NETTEEE

. 882 D. VIVIANI T

doppio giro di colonne, sarebbe divenuto tutto chiuso e tra-
sformato, a seguito della demolizione della testuggine, che
andava a reggere il tetto, sostituita da archi acuti sorretti
da peducci e da archi rampanti nel secondo giro per bilan- i
ciare la spinta dei primi. | E

Io ritengo invece che nel X o XI secolo il tempio non
subi alcuna trasformazione né totale né parziale.



Sezione del Tempio — Stato attuale.

Come dimostrerò, il giro di colonne all'esterno non è
mai esistito ; poichè quelle che si vorrebbero a tal giro sot-
tratte e trasportate nella chiesa di S. Pietro, avranno pure
appartenuto al tempio di Arna, ma non al nostro di S. An-
gelo, dove, avendone allogate una parte nell'interno, rima-
Sero quelle fuori d'opera; e cosi pure dimostrerò che gli
archi a sesto acuto, i quali vanno a reggere il tetto del
poligono centrale, sono della fine del XIIT o dei primi del è
XIV secolo. | 1

È lo stesso. sistema costruttivo usato per le volte padi-
glionate nelle absidi delle chiese di quel tempo, sistema in
TEMPIO DI 8, ANGELO IN PERUGIA ' 883

cui si impiegavano a sostegno del tetto della nave centrale
archi euritmici poggianti su peducci, alcune volte allungati .
a guisa di colonnetta, invece delle capriate in legno, come»

Interno del Tempio — Stato attuale.

ne abbiamo esempi a Todi nella chiesa di S. Nicolò in Crip-
tis; a Gubbio in quella di S. Giovanni e in molte altre del-
l'Umbria, le quali ometto di ricordare. 884 D. VIVIANI

Anche in Toscana e nel Lazio il motivo degli archi so-
spesi su peducci e colonnette si trova usato nella diruta
Abbazia di S. Galgano ed in quelle di Fossanova e Casa-
‘ mari, opere tutte del XIII secolo.

Gli archi rampanti trovano riscontro nelle costruzioni
di S. Francesco e di S. Chiara in Assisi.

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Cappella semicircolare — Archetto a destra.

Ciò evidentemente esclude trattarsi di una costruzione
del X o XI secolo.

Vediamo ora perchè il muro attuale che chiude il tempio

debba esser reputato originario.

Prima di tutto, se le colonne ritrovate a posto dall’ Or-
sini fossero appartenute a un porticato esterno, gli archi che
TEMPIO DI 8. ANGELO IN PERUGIA 885

le sovrastano sarebbero costruiti di dimensioni poco dissi-
mili da quelli che li fiancheggiano e di un materiale di di-
versa qualità e rimasti troncati per aver tolte le altre’
colonne; mentre con egli assaggi da me praticati si sono sco-
perti due piccoli archi a fianco di quello poggiante sui pul-

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Archetto laterale a destra dell’ ingresso al Tempio.

vini dei loro capitelli, collegati e solidamente cementati,
poggianti su piedritti con capitelli lineari frammentari di
costruzione romana. Si sono cosi delineate quattro trifore
che ricordano quelle di S. Sofia di Costantinopoli e delle
chiese di Ravenna.
886 D. VIVIANI

A prima impressione ritenni che si trattasse degli accessi
ai pronai. Esaminai bene i fondamenti del muro di cinta per
avere una conferma che non esisteva in origine il porticato
e riscontrai infatti che nessuna traccia di. basi di colonne vi
era e nemmeno le grandi lastre di travertino che si trovano
sottoposte a quelle delle trifore e della rotonda centrale.
Dunque nessun dubbio che il muro sia sorto col tempio.

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287 SP

Antica porta rintracciata nel lato Ovest del Tempio.

Ricercai i muri dei pronai; e dalla pianta che ho rilevata
con scrupolo di misure nei più piccoli particolari, vidi che fra
mezzo a tante aggiunte spiccavano delineati e di eguale di-
mensione, simmetricamente disposti, degli avancorpi di fronte
a ciascuna trifora, già notati dai Proff. Dehio e Belzold.
TEMPIO DI S. ANGELO IN PERUGIA 881

Credetti di aver trovato quegli accessi; invece quei muri
non presentavano ivi traccia alcuna di preesistenti colonne o
pilastri; poiché essi sono compatti e chiusi là dove avreb-
bero dovuto essere gl'ingressi, mentre nel loro fianco rin-
venni le tracce di archi costruiti con lo stesso materiale
laterizio del basso impero, come lo sono le finestre del
tamburo poligonale e gli archi di alcune trifore.

Cosi, ricereando anche nel muro circolare del tempio,
rinvenni archi costruiti nella stessa guisa e delle stesse pro-
porzioni, con le spallette sino a terra e riconobbi apparte-
nere essi pure a porte secondarie.

Indagai ancora e rinvenni una finestra presso l'arco del-
l'antico ingresso, prove tutte ineccepibili che il muro circo-
lare appartiene alla costruzione primitiva e che non é mai
esistito il porticato esterno, immaginato dall'Orsini.

Occorreva poi accertarsi se fosse esistito il quarto avan-
corpo, al posto della porta ogivale. Cercai la corrispondente
trifora e trovai gli archi minori tagliati per piu della metà,
poiché le due colonne furono tolte per allogarvi i pietrami
di quella porta; così non rimaneva che cercare i fondamenti.

Da uno scavo poco profondo essi vennero alla luce, corri-
spondendo esattamente nelle misure con gli altri avancorpi.

Quindi ogni dubbio fu dissipato; si trattava di quattro
cappelle, tre di forma rettangolare, con ingressi laterali, e
una semicircolare, essendosi anche di questa accertata la
forma per averne ritrovate le fondamenta. Le cappelle ret-
tangolari facevano verosimilmente l’ufficio di matronei, poi-
ché, avendo separati accessi dall’ esterno, davano modo di
tener divise le donne dagli uomini come era prescritto dal
rito.

In ultimo scavai, con risultato negativo, in più punti e
nel centro del pavimento, presso l’altare, per verificare se
‘vi fosse stata la vasca battesimale; ma a circa venti centi-
metri di profondità non trovai che roccia tufacea, senza :
avanzi di manufatti.
est

D. VIVIANI

Pianta dimostrativa dello stato attuale del Tempio,
con lo studio di ripristino
In tal modo la forma del tempio si delineò precisa e

chiara in ogni suo particolare, orientato da Est a Ov

888
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TEMPIO DI $. ANGELO IN PERUGIA

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890 D. VIVIANI

all’ intorno, motivo dominante nel Pantheon di Roma e nelle .
prime chiese cristiane.

Possiamo con certezza stabilire che la terza epoca del
XIII e del XIV secolo fissata dall’ Orsini, corrisponderebbe
invece alla prima trasformazione del tempio nella quale
vennero abbattuti l'antico altare e la cappella rettangolare,
della quale si sono ritrovati i fondamenti, essendosi al suo
posto allogata la porta a sesto acuto.

Uno stemma gentilizio di forma trecentesca, graffito in
un mattone infisso nel muro esterno della cappella, accanto al
campanile, sopraelevata per l’abitazione del parroco, sta an-
ch'esso ad indicare l'epoca della prima trasformazione del
tempio. Da riscontri fatti nell’antico catasto quello stemma
sì trova appartenere alla famiglia di Nicoluccio e di Bene-
detto di Nicola, che risultano viventi nel 1383.

Anche altri stemmi tombali del XIV secolo nell’ interno
del tempio, contribuiscono a convalidare la mia tesi.

Subì un secondo restauro o meglio deturpamento al
tempo del Cardinale Crispo (1547), primo legato di Perugia,
inviato da Paolo III, quando già il Perugino e il Pinturicchio
avevano decorato la cappella semicircolare, che egli volle
rimodernata, lasciando solo visibile un frammento di affresco
rappresentante la Madonna delle Grazie attribuita al Peru-
gino, e fece pure rinnovare i tetti cadenti e chiudere le dodici
finestre a sesto circolare (e non sedici come afferma l' Or-
sini) una per ogni lato del poligono superiore, ma sibbene
disposte a gruppi di tre, in corrispondenza delle sottostanti
trifore da me scoperte. Fece quindi aprire barbaramente i
due grandi finestroni rettangolari, quali ora si vedono.

Prese in attento esame le murature ed i materiali che
le compongono, marmi, pietrami, laterizi e malte, studiata
la forma singolarissima delle porte, con archi più grandi
della loro apertura, i quali dimostrano che nelle spallette
andavano a poggiare lunette in pietra formanti architravi a
chiusura degli archi stessi, passai ad analizzare gli elementi
E Re eg ETT

TEMPIO DI 8. ANGELO IN PERUGIA 891

decorativi. E dovetti singolarmente considerare le seguenti
parti: i pulvini quasi schematici, formati da semplice gola
e listello, i capitelli jonici, dalle forti volute alla maniera
etrusca, o corinti composti da foglie d’acanto, scolpite con
sentimento italico e fregiati dell'Aquila di Giove al posto
del fiore, con le sigle forse degli artefici; o trattati con l’e-
legante vaghezza di quelli del Pantheon di Agrippa; o com-
positi, ornati da geniali intrecci di sirene, tritoni e delfini;
le colonne dai fusti lievemente affusolati dove le leggi del-
l'armonia e dell’estetica ci riportano ai migliori esemplari
dell’arte greco-romana, con basi attiche di diversa forma e
dimensione, dalla più rozza alla più ornata di finissimi fregi.

Prospetto del Tempio — Studio di ripristino.

Per tali studi e ricerche, potei rendermi esatto conto
delle alterazioni subite’ nei secoli da questo ragguardevole
edificio, e, notandone ogni particolarità tecnica, lo ricomposi
con la chiara visione dei primitivi caratteri stilistici e delle
sue linee monumentali e solenni, le quali balzarono fuori

spontanee dalla conformazione dell’ istessa sua pianta.

x
892 : D. VIVIANI

Però s'ingannerebbe chi volesse trovare in quelle linee,
specie nell'esterno del tempio, un' insieme architettonico arti-
stisticamente bello. :

. L'Arte, nelle sue più pure manifestazioni estetiche, è
assente: solo nell'interno si vede genialmente ripetuta la
disposizione scenica dei colonnati, propria degli edifici pa-
gani. Nella stessa guisa anche le terme e le basiliche erano
all esterno assai sobrie di decorazioni, mentre nell’ interno
sfolgoravano i marmi, i musaici, i bronzi e le sculture.

Sezione del Tempio — Studio di ripristino.

Nel nostro S. Angelo manca la ricchezza anche nell’ in-
terno, poichè il Cristianesimo, privo allora di un'arte pro-
pria, costruendolo con frammenti provenienti da templi pa-
gani, si attenne alla più rigida semplicità evangelica, e lo
volle necessariamente spoglio di ogni fastoso ornamento.

Meglio di qualunque altra più estesa descrizione, che
riuscirebbe inadeguata, il disegno di ripristino che ho qui
tracciato, basterà a dare un’idea abbastanza esatta del suo

TELAI ARIE,
TEMPIO DI S. ANGELO IN PERUGIA 893

organismo esteticamente armonico e completo, rarissimo e E.
suggestivo per le sue linee semplici e primitive, per la sua
antichità; ed io spero di poterlo, in un giorno non lontanoy
riportare all’ antico splendore, per cui rifulse allorchè il fer-
vore e l'entusiasmo dei primi neofiti, usciti dal tetro rifugio
delle catacombe, lo edificarono al culto della nuova fede
cristiana, lassù, sul più alto colle di Perugia, nel bosco
già sacrato al nume pagano, in quella magnifica solitudine,
lontano dai tumulti della città, collocando sul Cippo ono-
rario, quale trofeo di vittoria, circondato di luce, di poe-
sia e di mistero, l'Arcangelo trionfante e la mensa del sa-
crificio, votata al culto del perdono e della pace.

Agosto 1910.

DANTE VIVIANI.
895

UN SINGOLARE ERRORE

SULLA CREAZIONE DEL CAPITANO DEL POPOLO
IN PERUGIA

Tutti gli storiei perugini serissero che la creazione del Capi-
tano del Popolo in Perugia doveva almeno porsi al maggio del
1250, cioè cinque mesi innanzi che in Firenze (1). Così dissero il
Pellini, il Bartoli, il Bonaini, il Bonazzi ete. (2). i

Questa loro opinione era ben basata ; trova essa difatti il suo
fondamento in una pergamena, esistente ancora nel nostro Archivio
Comunale (3), dove è narrato che « Gallus Horimbellus capitaneus
Populi Perusii simul cum antianis infrascriptis etc. » compiva in
quei giorni (7 maggio 1250) una permuta di alcuni terreni nel-
l'interesse del Comune perugino (4).

(1) Il Capitano del Popolo in Firenze fu creato per l1: prima volta il 20 ottobre
1250. Arch. St. It., XVI, I, p. XLV.

(2) Lo scrissi e lo affermai pur io nella mia pubblicazione sulle « Corporazioni
delle Arti nel Comune di Perugia (sec. XIII-XIV) » a p. 19 e 20. Fui tratto in errore,
perché presi così senza riflettervi quanto a tal proposito avevano scritto il Bonaini
in Arch. St. It., XVI, I, p. XLIII, il Pertile in Storia del Diritto Italiano, vol. II,
par. I, p. 199, e tutti gli storici perugini.

(3) Sez. Contratti in perg. segn. Cass. 25, AA, n. 23.

(4) Questo è poi il contenuto del contratto: « In nomine Domini Amen. Anni
eiusdem a nativitate Millesimo ducentesimo quinquagesimo. Indictione prima die
septimo mensis maij Introeuntis tempore Domini Alexandri pape Quarti. Dominus
Gallus Horimbellus Capitaneus Populi Perusini et Syndicus Comunis Perusii simul
cum Antianis infrascriptis silicet domino Guidalocto Iudice, Domino Ianne Nicole,
domino Rigone Talliabovis, Senso Boniohannis, Iacomino Bonaiuncte, Raynerio do-
mini Ariverii, Benvenuto Nicole, Concolo Girardini et Benneveniate Philippi. In pre-
sentia domini Orlandi de Guidis Bovibus de Parradi perusinorum potestas. et aucto-
ritate eis concessa a consilio civitatis Perusii Asignaverunt et concesserunt Nicolutio
domini Andree de Portolis sex Bebulcarias terre et silve posite in Colle similiter

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A. BRIGANTI

La data è così chiara da non far nascere dubbi, poichè
la pergamena trovasi in tanto buono stato di conservazione
che i caratteri sono assolutamente decifrabili e intelligibilissimi.
Ma oltrepassando il millesimo, il giorno e il mese e proseguendo
la lettura del documento si deve concludere senza esitazioni di
sorta che il notaio, redattore dell’ atto, nel segnare l’anno sia
caduto in un errore singolare. La pergamena iniziasi così: In no-
mine Domini Amen. Anni eiusdem a nativitate millesimo ducente-
simo quinquagesimo. Indictione prima die septimo mensis mati
introeuntis. Tempore Alexandri pape quarti. Dominus Gallus Ho-
rimbellus capitaneus populi Perusini et syndicus Comunis Perusii
simul cum antianis etc. Così come il documento si presenta sembra
che tutto vi scorra senza impaeci ; ma chi non sa che Alessandro IV
fu eletto in Napoli il 12 decembre 1254? Evidentemente adunque
il trovare nella nostra pergamena segnato l'anno 1250 è un errore
in modo assoluto.

Ora a qual epoca deve assegnarsi il documento in parola ?
Facendo un pò di conti, soffermandoci sulle Indizioni, si viene a
stabilire facilmente che la prima indizione non corrisponde affatto
al 1250 e nemmeno al 1254, ma all’ anno 1258. L' errore è quindi
palese il notaio tralasciò la parola octavo.

Ma al notaio puraneo non sfuggì il suo errore, e all’ atto pose

x

una postilla, proprio come oggi si suol fare, la quale è una cor-

continentes quamlibet sidelicet Bebulcariam de duodecim corbibus grani sementa-
turam ad corbem comunis Perusii in loco videlicet qui dicitur Rancobarascione (?)
vel alio vocabulo dictam. Quibus a capite strata que vadit ad castellariam collis, et
de pede via que vadit per silvam et exit ad castellariam collis, et ab uno latere
Cinallia et alii qui possident terras laboratiti:s iusta eum ab una via ad aliam et ab
alio Commune Perusii. Quas bebulcarias assignaverunt et concesserunt eidem sicut
mensurabitur per aliquem cui ipse dominus Capitaneus et Antiani commiserint
mensurandam pro terra de Portolis quam Nicolucius predictus dedit in canbium
dicto domino Capitaneo et Syndico comunis Perusii pro ipso comuni recipienti,
sieut patet in instromento scripto manu mei Notarii ad memoriam et firmitatem
quorum me Nicolaum notarium Rogaverunt ut inde conderem instrumentum.
octavo.

Actum In palatio Comunis Perusii coram Pero Bonaiuncte, Domino Ugutione
domini Boncontis, Domino Paulo Acerbi, domino Guidutio Peri Paganelli, domino
Ientile Hermanni, Domino Zeno domini Boncontis et Lucardo Not. testibus.

Ed ego Nicolaus Rustici Imperiali auctoritate notarius hiis omnibus interfui
ut supra legitur. Rogatus seripsi et auctenticavi — et ootavo singnavi et remisi.
i "3, x 3 : a
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UN SINGOLARE ERRORE, ECC. 897

rezione o aggiunta di quanto aveva omesso. In fondo all' atto dopo
l'ultima frase aggiungeva la parola octavo, e dopo 1’ autenticazione
rettificava l'omissione e approvava la correzione perpetrata con
la frase « et octavo singnavi et remisi » (1): remisi, è il ricono-
seimento del suo errore od omissione.

Ogni dubbio su quanto vado asserendo dovrebbe ormai asso-
lutamente cessare, ma per maggior chiarezza voglio qui ricordare
che ai eopisti o amanuensi, estensori degli atti riportati nei Libri
delle Sommissioni, apparve l'errore e la correzione. Nel Libro
segnato A a c. 110 fu trascritta la pergamena discussa, e quivi
leggesi: In nomine Domini Amen. Anni eiusdem a nativitate Mil-
lesimo ducentesimo quinquagesimo optavo. Indictione prima die VII
mensis maii introeuntis. Tempore domini Alexandri pape quarti.
Dominus Gallus Horimbellus Capitaneus Populi Perusini et sin-
dicus Comunis Perusii simul cum antianis infrascriptis ete. (2).
Abbiamo così un’altra prova che al documento spetta assoluta-
mente l'anno 1258.

Non si comprende davvero eome ai nostri storici ed eruditi
sia sfuggita e la correzione fatta di mano del notaio nello stesso
originale e la copia di questo contratto che ho rinvenuto nei Libri
delle Sommissioni. Ad essi poi non potevano sfuggire altri docu-
menti, che per lo meno avrebbero dovuto richiamare la loro at-

(1) Vedasi documento riportato nella nota antecedente. Di più dopo le parole
millesimo quinquagesimo si vede un segno di richiamo che appunto uguale corri
sponde in fondo all'atto in alto sopra la parola aggiunta octavo.

(2) In nomine domini Amen. Anni eiusdem a nativitate millesimo ducentesimo
quinquagesimo optavo. Indictione prima die VII mensis maij introeuntis. Tempore
domini Alexandri pape quarti. ({ Dominus Gallus Horimbellus Capitaneus Populi
perusini et sindicus Comunis Perusii simul cum antianis infrascriptis silicet Dominus
Guidalotto judice, domino Ianne Nicole, domino Rigone Talglabovis, Senso Bonjo-
hannis, Iacominus Bonaiunte, Rainerio domini Ariverii, Benvenuto Nicole, Conciolo
Girardini et Benvegnate Philippi. In presentia domini Orlandi de Guidabuibus de
Parma Perusinorum potestatis et auctoritate eis concessa a consilio civitatis Perusii,
Asignaverunt et concesserunt Nicolutio domini Andree de Portulis sex bebulkarias
positas in Colle etc de duodecim corbibus grani somentatura ad corbem Comunis
Perusii in loco videlicet qui dicitur Rancobarascione vel alio vocabulo dicta quibus
a capite etc.

Cosi il documento nel Libro delle Sommissioni segnato A a c. 110, che prosegue
identico a quello rimastoci in pergamena fino alla fine, salve poche varianti morfo-
logiche.
898 A. BRIGANTI

tenzione, per eoneludere, che quanto allora si asseriva sulla prima
notizia sicura del Capitano del Popolo in Perugia, era falso. Voglio
qui rieordare sette documenti, che non offrono dubbi, i quali
preeisamente rieordano Gallo Orimbello Capitano del Popolo in Pe-
rugia nell'anno 1258. Nello stesso Libro delle Sommissioni con il
segno A, già sopra ricordato, a e. 78 r. sotto la data 7 maggio 1258
trovo Gallo Orimbello che in qualità di Capitano del Popolo peru-
gino e di sindaeo del Comune di Perugia riceve la Sottomissione
dei Castelli « Coccorani et Biscine et Petrorij et Collis Alti et
S. Stefani de Arcellis » (1). E a c. 72r. sotto la data 2 luglio 1258
lo*stesso Gallo Orimbello, sempre nelle sue qualifiche sopra espresse,
riceve pure la Sottomissione « Castri S. Cristine » (2). Gli altri
documenti su Gallo Orimbello, capitano del Popolo ete., li vado
segnalando nell'altro Libro della stessa collezione segnato #8 alle
e. 89, 90, 94 e 95 sempre sotto l' anno 1258: li traserivo in nota (3).

(1) In nomine domini Amen. Anni eiusdem a nativitate Millesimo ducentesimo
quinquagesimo octavo. Indictione prima die VII mensis maii introeuntis. Tempore
domini Alexandri Pape quarti. Ugolinus domini Albertini de Coccorano comes pro
se ete'concesserunt et submisserunt eorum castra et terras et familias sub protec-
tione et ad defensionem Comunis Perusii videlicet domino Gallo Horimbello Capi-
taneo Populi Perusini et sindico Comunis Perusii etc. Lib. cit. segn. A, c. 78.

(2) In nomine etc. Anno eiusdem a nativitate Millesimo ducentesimo quinqua-
gesimo octavo. Indictione prima die secundo mensis Iulii introeuntis Tempore domini
Alexandri Pape quarti. Dominus Rainerius Monte Iungano confessus fuit coram
domino Gallo Horimbello Capitaneo Populi Perusini et sindico ipsius se possidere etc.
Lib. cit. segn. A, c. 72.

(3) a) In nomine etc. Anni eiusdem etc. Millesimo ducentesimo quinquagesimo
octavo. Indictione prima die secunda mensis maii introeuntis tempore dom. Ale-
xandri Pape quarti. Nicolaus domini Andree de Portolis dedit submisit et tradidit
Gallo Hirimbel o de Mediolano capitaneo Populi Perusini et sindico comunis Pe-
rusii etc. Lib. cit. segn. fa c. 89.

b) [Sotto lo stesso anno e giorno]. Nicolutius olim domini Andree de Portolis
per se etc dedit in cambium et permutavit proprium perpetuum et per allodium
domino Gallo Horimbello Capitaneo Populi Perusini et sindico Comunis predicti etc.
ld. c. 90.

c) [Sotto il cinque maggio dello stesso anno]. Ravaldus domini Gilii Gualterii
de Rocha apinini per se etc submisserunt domino Gallo Horimbello capitaneo Po-
puli perusini et sindico Comunis Perusii etc. Id. c. 93t.

d) [Dello stesso anno 3 settembre]. Bonifatius frater domini Rainaldi domini
Gilii predieto instrumento consensit et per se similem instrumentum promisionis
fecit dicto Gallo predicto capitaneo et sindico comunis Perusii etc. Ib. c. 94, e c. 94t.

Così lo stesso Gallo Orimbello riceve altre sottomissioni di Castella, come ad
68.:8;:C;. 05.
UN SINGOLARE ERRORE, ECC. . 899

Il documento, riguardante il nostro magistrato popolare dalla
data 1250, rimarrebbe cosi proprio solo, senza poterne incontrare

degli altri. "E

. Riconosciuto l'errore della pergamena, su cui tanto fino ad
oggi si era basata l'opinione degli storici perugini nello- stabilire
la prima notizia sicura sulla creazione del Capitano del Popolo al
* maggio 1250, bisogna concludere che a quell'epoca in Perugia
la tanto importante magistratura popolare non era stata ancora
creata. Credo che non si possa assolutamente porre in dubbio o.
contradire quanto affermo. Ma a quale epoca dovremo ora far
risalire la prima esistenza del Capitano del Popolo in Perugia,
partendo da notizie sieure ed irrefutabili ?

Scorrendo tutti i documenti, che ancora rimangono, apparte-
nenti a questo brano di tempo, bisogna che si giunga al 1255
prima di poter trovare queste sicure notizie. E precisamente in un
documento del 1255, il quale si oceupa delle « diffinitiones eomu-
nantiarum Comunis Perusii », che trovo seritto il nome di « Guido
domini Tucimanni capitaneus Popoli civitatis Perusii ete. » (1). Il
Mariotti già-lo aveva segnalato (2), si eredette che egli fosse in
errore, facendo ritardare la ereazione del Capitano del Popolo di
cinque anni; oggi invece dovremo seguire la sua opinione e porre
la prima notizia sieura sul magistrato popolare al 1255, proprio
come l'erudito nostro credette e pose. i

Tra il 1250 e il 1255 corrono vari documenti. I Libri delle
Sommissioni ce ne offrono la massima parte, quivi non mi e stato
possibile trovare mai ricordato il nostro magistrato democratico.
È assolutameute provato, che questi appena creato interviene in
tutti gli atti della vita pubblica sia politica che amministrativa,
riceve gli atti di Sottomissione delle castella, conchiude contratti
e stabilisce convenzioni; sarebbe, credo, una opinione addirittura
falsa il supporre che tali prerogative esso non avesse fin dalla sua
prima elezione o che prima del 1255 non godesse quegli attributi

(1) Im nomine dominl Amen. Anni eiusdem millesimo ducentesimo quinquage-
Simo quinto. Indictione tertiadecima. Residente domino Alexandro papa quarto. Hec
sunt diffinitiones comunantiarum comunis Perusii tempore domini Ugolini de Fo-
liano Potestatis et Gwidonis domini Tucimanni Capitanei Populi civitatis Perusii
etc. Libr. Somm. segn. A, carta 159.

(2) MARIOTTI, Memorie di Perugia, vol. 2, p. 210.

98

A.
900 E A. BRIGANTI

che poi largamente formarono la specialità della suprema magi-
stratura democratica (1). Una riforma non può essere stata fatta d’un
subito, almeno in parte certi privilegi dovevano immediatamente
godersi; ma nei documenti, che annoveransi prima del 1255, nulla
appare che si riferisca al. Capitano del Popolo. Che il Capitano del
Popolo infine, ricordato in un sol documento del 1250, sia indi
scomparso d'un tratto dalla vita pubblica per riapparire dopo cin-
que anni, rimanendo in seguito presente ad ogni atto di governo

x

non è neppur lecito credere, nè più supporlo, date le enormi eri-

tiche ed osservazioni a cui la pergamena discussa va. soggetta,

dato l'errore materiale riscontrato ‘e assolutamente riconosciuto,
date le ragioni storiche irrefutabiii. La prima epoca del ‘nostro
magistrato popolare dovremo porla adunque al 1255. E gli storici
perugini e gli studiosi delle memorie nostre non mi vorranno fare
un rimprovero, se ho voluto rettificare una credenza fin qui tanto

invalsa, un. errore giustificabilissimo in cui erano caduti anche

insigni cultori di Storia del Diritto Italiano (2). .
A. BRIGANTI.
(1) BRIGANTI A., Le corporazioni delle Arti nel Comune di Perugia, sec. XIII

€- XIV, p. 19 e sg.
(2) PERTILE, Storia del Diritto Italiano, vol. 2, P. I, p. 199.
RECENSIONI E ANNUNZI

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903
. RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE
ANTONIO BRIGANTI. — Le Corporazioni delle Arti nel Comune di Perugia

(Sec. XIII-XIV). — Perugia, Tip. Guerriero Guerra, 1910. :

Nell'anno 1786 Annibale Mariotti, il diligente e dotto illustratore
delle nostre memorie cittadine, faceva uno spoglio delle matricole dei
Collegi delle Arti di Perugia, notando le più importanti disposizioni
che si contenevano negli Statuti di quei Collegi e registrando i nomi
dei personaggi ascritti alle Arti, che più fossero degni di ricordo o per
valore individuale o per la influenza esercitata nelle vicende storiche
di Perugia dalle famiglie, cui essi appartennero. :

Al lavoro del Mariotti, che conservasi autografo nella Comunale
di Perugia, vanno innanzi alcuni brevi cenni sull’ origine dei Collegi
delle Arti, sulle loro costituzioni, sul governo della repubblica da loro
esercitato, mentre questa era più fiorente, ed in fine sulla decadenza
loro.

Lo spoglio, pregevole sin da quando l’ infaticabile erudito peru-
gino lo compilò, è ora addivenuto assolutamente prezioso, perchè molti
dei documenti originali che il Mariotti ebbe agio di esaminare e stu-
diare, o andarono, durante i moti rivoluzionari della fine del sec. XVIII
e della prima metà del XIX, del tutto perduti o furono per avidità di
lucro a Perugia sottratti.

Negli Statuti delle Arti è il germe della nostra vita comunale nel
Medio Evo, ed è quindi non pure opportuno ed utile, ma eziandio in-
dispensabile il portare su quei veechi documenti la indagine più accu-
rata e lo studio più profondo, se vuolsi penetrare nello spirito di quel
periodo storico, che non è gran tempo ci appariva a mala pena di fra
le tenebre, e che adesso, mercè le amorevoli ricerche delle quali è 0g-.
getto, ci si presenta nella sua vera luce e non del tutto indegno di ri-
sorgere in taluno dei suoi istituti. i

E noi siamo lieti di constatare che della necessità, cui sopra accen-
navamo, si dimostrino compresi alcuni soci della nostra Deputazione ;
ricordiamo fra essi il Prof. T. Cuturi che, dopo avere egregiamente

, © j ^ a n E
NOVO c eia, VEN JN e OMNE OP ALI p SOTA
904 RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

scritto sulle Corporazioni delle Arti di Viterbo, nel vol. XIII di que-
sto Bollettino fece argomento di dotta disamina alcuni statuti delle
Corporazioni nel Comune di Gubbio, ed il nostro Presidente Comm.
G. Magherini Graziani, che nel vol. XV del Bollettino stesso pubbli-
cava alcuni frammenti di Statuti Castellani del secolo XIII, segna-
lando le disposizioni relative alle maestranze formanti la società del
popolo di fronte al vecchio Comune del Podestà. È

Ora un altro nome va aggiunto a quelli di coloro, che colle
loro nobili: fatiche efficacemente ‘contribuiscono a darci una visione
chiara ed esatta del come sorsero le organizzazioni artigiane medievali
e delle forze, per le quali esse poterono in volger di tempo relativa-
mente breve esercitare sul Comune una influenza così preponderante
da confondersi quasi, potrebbe dirsi, col Comune stesso: è questo il
nome del giovane Dott. Antonio Briganti, che nel volume che pren-
diamo in esame si è accinto a studiare le Corporazioni delle Arti nel
Comune di Perugia durante i secoli XIII e XIV.

Accennato alla origine del nostro Comune, che già esisteva po-
tente sul principio del secolo XI, al primo governo comunale preva-

* lentemente aristocratico col Consolato, al secondo col Podestà, affer-
mata in base a documenti, che sfuggirono al Bonaini, la coesistenza
dei Consoli e del Podestà, fino a che sulla metà del secolo XIII l’ uf-
fieio del Consolato non scomparve, l'A. dimostra come a mano a mano
crescesse in potenza l’elemento popolare, come dapprima gli artieri si
costituissero in società federate talvolta fra loro a scopo di reciproco
aiuto, come queste poi ottenessero dal Comune il riconoscimento giuri-
dico mediante la concessione dell’officio del rettorato, come col « Con-
silium rectorum » esse partecipassero al governo della cosa pubblica,
come da ultimo, a mezzo il secolo XII, si trovassero l’uno accanto al-
l’altro e con funzioni parallele il Podestà e il Capitano del popolo, quasi
capi di due piccoli Comuni, il primo dell’antico a base feudale e nobi-
liare, e il secondo del nuovo resultante dalle giovanili energie demo-
cratiche.

Le quali dovevano già essersi affermate vigorosamente colla loro
organizzazione sin dalla fine «del XII e dal principio del XIII secolo,
se nel marzo 1218 troviamo Arlotto Console dei mercanti venire a nome
di tutto il Comune perugino ad accordi coi mercanti di Firenze in or-.
dine agli scambi e ai pedaggi, e se nel 1233 i rettori delle nostre Arti

‘e in particolar modo i mercanti son chiamati a decidere sul trattato di
commercio concluso in quell’anno tra Firenze e Perugia.

La circostanza che si abbiano i primi ricordi delle Corporazioni
delle Arti a Perugia in atti d' indole economica verrebbe a convalidare
RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE 905

la opinione dell'Arias che nel suo « Sistema della costituzione economica
| sociale italiana nella età dei Comuni » pone il fattore economico come
il fenomeno superiore, da cui in quella costituzione tutti gli altri come
secondari derivarono e furono dipendenti; pur riconoscendo che il con-
cetto dell'Arias è un po’ troppo assoluto, non può negarsi la impor-
tanza grandissima del fenomeno economico nella vita medievale e deve
ammettersi che fra le ‘cause, che condussero le Arti ad un così alto
grado di potenza, fu delle prime la loro forza finanziaria, specialmente
nella ricchezza mobiliare che grandeggió di fronte alla inceppata pro-
prietà immobile.

Di questa preponderanza dell'elemento economico si ha una con-
ferma nell’accurato ed acuto esame che il Briganti fa degli ordina-
menti delle Arti perugine: già vedemmo i mercanti prender parte fin
dai primi anni del secolo XIII ad atti importantissimi della vita comu-
nale, e nel 1259 troviamo i cambiatori incaricati di una speciale vigi-
lanza sulla moneta e sul pubblico tesoro, e ci si presenta, espressione
della grande influenza che gli artieri avevano saputo conquistare, un
magistrato nuovo, il Priore delle Arti, che si asside accanto al Podestà
e al Capitano. Tali fatti stanno a documentare che, sebbene degli Sta-
tuti delle Arti si abbia un primo accenno soltanto in una deliberazione
consiliare del 1260 ed ancorchè lo Statuto del 1279 accenni alle costi-
tuzioni di sole quattro Arti, le. Corporazioni artigiane dovevano essere
potenti e regolate da norme scritte fin da molti anni prima; del che
sono riprove l'essere i Consoli dei mercanti fra i supremi reggitori del
Comune poco dopo il 1260, il trovare nella magistratura del Consolato
in varie epoche del secolo XIII i ‘appresentanti di sedici Arti, il vedere
che nel 1326 erano giunte a quarantasette le Arti che, giuridicamente
organizzate, reggevano le sorti del Comune.

Prendendo a studiare con ogni diligenza i ventidue Statuti delle
Arti, che ci rimangono, il più antico dei quali è quello dei pesciaiuoli
colla data del 1296, il Briganti ci offre un'idea chiara ed esatta degli
ordinamenti di quei sodalizî, sia nella loro vita interna, sia nella loro
partecipazione al reggimento del Comune,

In ordine ‘alla prima giustamente egli dice che quelle riunioni for-
marono quasi tanti staterelli, ove il governo fu costituito prima dai
Rettori « capita artium » e poi passò mano a mano nel Camerario, che
potè dirsi per sei mesi il piccolo principe di un piccolo regno; della
seconda ci dimostra che, limitata alla parte economica e commerciale
nella prima metà del secolo XIII, andò gradatamente allargandosi col
« consilium rectorum », al eui parere dovevano essere sottoposte le più
importanti decisioni del Comune, col Priore delle Arti già sopra ricor-
906 RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

dato, e poi nel 1270 coi Consoli delle Arti eletti dai Rettori, per giun-
gere alla totale assunzione del potere da parte del popolo, quando il
16 luglio 1303 furono decretate la cessazione dei Consoli e la istituzione
del Priorato. Con questa riforma il Comune di Perugia prese quel ca-
rattere esclusivamente democratico, che si mantenne per quasi tutto il
secolo XIV ; diciamo « quasi » perchè, se è vero ciò che afferma 1l'A.,
che i nobili, i « milites », non ebbero più i loro speciali rappresentanti
al governo coi « consules militum », che nel 1275 si restrinse la ele-
zione di questi Consoli ai easi di guerra, iniziando per tal deliberato la
consuetudine che ai nobili esclusi da ogni officio civile fossero riservati
i comandi militari e le ambascerie, e se non puó negarsi che la oli-
garchia nobiliare non riprese il sopravvento se non dopo piü di un
secolo per le armi vittoriose di Braccio. Fortebraccio, è pur vero che i
nobili rientrarono nelle magistrature cittadine dopo la cacciata del-
l'Abate di Monmaggiore e che nel 1384 furono riammessi al Priorato e
nei Collegi delle Arti, nei quali erano avanti l’esilio del 1361 e del 1378.

Di singolare interesse sono le pagine del volume, che trattano dei
vari Consigli della città emananti dalle Corporazioni delle Arti e pon-
gono in piena luce tutta la importanza del Priorato « caput principale
regiminis civitatis »; magistratura questa che ebbe essenzialmente un
carattere amministrativo e politieo, dappoichè la giurisdizione così
nella parte civile come nella penale spettò al Podestà e al Capitano
del popolo, e per quanto si riferisce ai rapporti economici e commer-
ciali fu più specialmente riservata alle Corporazioni delle Arti.

Alla funzione giurisdizionale di queste e ai loro tribunali, vuoi
per le controversie che sorgessero nel seno di ogni Arte e su oggetti
relativi all'Arte medesima, vuoi nei rapporti fra le Arti e i loro membri
da un lato e gli estranei e il Comune dall’altro, consacra il Briganti
dotte ricerche, accompagnandole di opportune e sagge considerazioni.
L’egregio A. manifesta con parole piene dir'giovanile entusiasmo la sua
ammirazione per quei giudizi, « dove scaturiva il vero, per mezzo d'in-
terrogatorî e di testimonianze, dove, guidati da sentimenti di equità, i
giudici pronunciavano le loro sentenze »; e discorrendo della inappel-
labilità delle sentenze medesime, par disposto a credere che quei magi-
strati fossero sempre « impeccabilmente onesti, retti da coscienze illi-
bate, guidati dal senso più profondo del giusto e dell’onesto ». Noi
siamo invece più proclivi a credere che anche i nostri maggiori non
fossero tanto viciui ad un cosi perfetto ideale, e che quegli . ordina-
menti giudiziarî portassero pur essi l'impronta dell’ esclusivismo arti-
giano parallelo al cittadino, e costituissero uno dei tanti limiti, che
erano destinati a rendere più intense e poderose le energie allora ri-
4 NE AE. A 4 Y. 3 f È
RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE 907

sorgenti, e che all'opposto talora per costrizioni eccessive le inceppa-
vano.
Del resto a tale assoluta, incondizionata ammirazione per quei

Collegi d’artieri, che in sè accentrarono la vita del Comune. medie- '

vale nel suo periodo più bello e più rigoglioso, s’ ispira tutto il lavoro
del Briganti. Noi siamo lontani dal negare quello che afferma l’ egre-
gio A., che cioè la nostra Perugia raggiungesse nel secolo XIV il mas-
simo grado di splendore e di potenza, così da esser considerata insieme
a Siena e a Firenze uno dei tre più forti Comuni dell’ Italia centrale,
ma nel tempo stesso siffatta constatazione non ci permette di essere
perfettamente concordi col Briganti quando egli asserisce che le Cor-
porazioni delle Arti, padrone della pubblica cosa, sempre mantennero
e promossero la pace e la tranquillità : a convincersi che proprio così
non fosse, basta leggere, se non anche tutte le storie e le cronache
perugine, l'interessante articolo dal titolo « Lotte sociali a Perugia
nel secolo XIV », che il conte Romolo Broglio d’ Ajano nel decorso
anno pubblicò nel periodico « Vierteljahrschrift für Social-und Wirt-
schaftsgeschichte ». Furono, è vero, tenute lontane le compagnie di
ventura, ma a prezzo di gravissime taglie; il governo era in mano
d'una democrazia, ma d'una democrazia che tendeva ad avere un
carattere plutocratico più tosto che largamente popolare, come oggi
lintendiamo noi, ed esercitava rigidamente il suo potere sulle città
e-i castelli, sul contado, e sulla plebe e sui magnati, esclusi .l' una
e gli altri dalla sua organizzazione ; fiorivano i commerci e le indu-
strie, ma solo tanto quanto lo consentivano le barriere e le continue
lotte fra Comune e Comune, le rappresaglie, le non infrequenti con-
tese civili e le norme restrittive, che regolavano i reciproci rapporti
dei giurati di ogni Arte e delle varie Arti fra loro. Non è fuor di
luogo il ricordare i fieri e talvolta anche sleali contrasti fra Siena e
Firenze per la industria e il commercio delle sete e dei velluti, con-
trasti che non avrebbero avuto luogo o non si sarebbero spinti tau-
t'oltre, se sui reggitori delle due repubbliche non avessero esercitato
una eccessiva influenza le forze coalizzate di quegli industriali e com-
mercianti. E che le Corporazioni delle Arti, seguendo quella legge
naturale che spinge ogni individuo o ente collettivo ad eccedere nelle
manifestazioni della propria attività, tendessero talora ad influire esa-
geratamente sul Comune e a valersi della propria potenza a loro
esclusivo vantaggio, lo ammette lo stesso Annibale Mariotti, il quale,
nei brevi cenni premessi allo spoglio delle matricole, ricorda come

nel 1319 il Magistrato dei Dieci avesse facoltà di correggere e annul-

lare alcuni decreti dei Collegi delle Arti, riconosciuti dannosi al Co-

[s 1 ; I RE
eu "tao ei a VINE MESE, Dr ems T4 1X A BETA
908 RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

mune, e come nel 1432 venissero cancellati alcuni privilegi delle Arti,
che erano a pregiudizio della Repubblica e de' particolari cittadini.
E notisi che il Mariotti era ammiratore fervido e convinto del reggi-
mento democratico di Perugia nel secolo XIV, e molto si doleva che
nel 1591, colla istituzione del Consiglio dei Quaranta, fossero stati
soppressi anche gli ultimi avanzi dell' autorità di quello dei Camer-
lenghi. i

L’ esimio A. ci obietterà che nel 1319 furono gli stessi artefici a
porre riparo alle minacciate eccessive ingerehze, e che nel 1432 già
prepoteva in Perugia la oligarchia nobiliare sostenuta dalla Chiesa :
tali ragioni possono aver senza dubbio qualche valore, ma non ci in-
ducono però a cambiare il nostro avviso sulle gravi e dannose conse-
guenze di quelle organizzazioni troppo ristrette. Pietro Rossi nel suo
volume « Arte e Corporazioni a Siena nel Rinascimento » ha negato
(e la sua negazione ha con dotti argomenti sostenuto) quanto asserirono
il Rumohr, il Cavalcaselle e il Müntz, che cioè la decadenza dell’ arte
senese nel '400 sia dovuta alla tenacia, colla quale il ferreo regime
delle Corporazioni manteneva l’attaccamento cieco e servile alla tradi-
zione, ma comunque è d'uopo riconoscere che in genere la libera
iniziativa individuale e le manifestazioni del genio trovano spesso
ostacolo nelle norme e nei vincoli che son fatti piuttosto per dare il
sostegno della collettività alle deboli energie personali; la qual cosa e
notata anche dal Briganti quando segnala come cattivo effetto del di-
scepolato l'esser costretti i discepoli a seguire le regole e gl'indirizzi
dei maestri, riducendosi così l'arte a forme tradizionali, e quando am-
mette che le restrizioni e i divieti imposti all'attività dell'artista fore-
stiero rendevan difficile che le arti cittadine ricevessero indirizzi ed
impulsi nuovi.

Nel campo industriale e commerciale poi le accennate conse-
guenze sono anche più sensibili, e la' storia economica è piena dei
contrasti fra gl’ interessati a monopolizzare la produzione e la vendita
dei prodotti da un canto, ei fautori della libertà dei commerci e delle
industrie dall'altro ; celebre fra tali contrasti quello fra le Corporazioni
d’arti e mestieri di Bruxelles, che nel 1421 avevano conquistato il po-
tere politico e costringevano tutti i cittadini ad esercitare la loro atti-
vità economica soltanto nella cerchia delle Corporazioni stesse, e i di-
fensori della libera industria e del libero commercio, i quali per
sottrarsi al contratto corporativo eransi rifugiati nel Borgendael, rione
immune da quei privilegi vessatori

Pur tuttavia quelle antiche organizzazioni non sono da condan-
narsi in ogni loro parte, e noi ben volentieri ammiriamo gli ordina-
E

(Mee.

RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE 909

menti che, ispirandosi ad un senso profondo dell'onesto e del giusto, mi-

ravano a che le arti fossero esercitate sempre « bene et legaliter », e

riconosciamo. che taluni di quei vecchi istituti potranno risorgere a

novella vita e saranno destinati in un avvenire non lontano a com.
piere una funzione molto importante nella vita sociale. Non sapremmo
convenire nell'opinione del Cecchi (Osservazioni sulla vita interiore
degli Italiani dal sec. XIII al sec. XVI) che durante il Medio Evo,
nell'ordine morale, politico ed economico la civil società, invece di
una limitazione dei diritti individuali, diventasse il mezzo più efficace
per moltiplicarne le potenze e garantirle; riconosciamo però giuste le
lodi che lo stesso scrittore tributa agli Statuti medievali, pei quali
ognuno si trovava ad esser legislatore ed esecutore, giudicabile e giu-
dice, e che « concepirono il diritto come un dovere, e senza tante
mezze misure lo resero imperativo agli amministrati ed agli ammini-
stratori, ai rappresentati ed ai rappresentanti, agli eletti ed agli elet-
tori, mercè una giuridica responsabilità ».

i L’ egregio nostro A. scrive che « oggi vi è una tendenza inces:
sante al ritorno dell'associazione tipo medievale ».e accenna a com-
piacersi al pensiero che fra breve « le nostre regioni e le nostre città,
non più pensando a divisioni di partiti politici, si divideranno in classi
formate dai lavoratori di tutte le opere e di tutte le discipline e i mem-
bri delle pubbliche amministrazioni non saranno più i rappresentanti
di partiti politici, saranno invece i rappresentanti delle nuove classi,
che potentemente si saranno differenziate ». Risorga pure, replichiamo
noi alieni dal condividere in tutto questa compiacenza, risorga l’ asso-
ciazione tipo medievale, eserciti oggi ancora la sua influenza per
quanto aveva di benefico colle: garanzie della bontà dei prodotti e della
sincerità dei rapporti commerciali, colla cooperazione fraterna e col
vicendevole aiuto, ma risorga liberata dai vincoli, che opprimevano
ogni energia personale, risorga ossequente all’autorità dello Stato
armonizzatore e tutore di tutti i legittimi interessi individuali e col-
lettivi.

Le lotte aspre e spesso sanguinose, alle quali di frequente assi-
stiamo e nelle quali talora siamo anche tutti coinvolti, provano pur
troppo che le varie classi nel loro differenziarsi ed organizzarsi sono
dimentiehe dell'apologo di Menenio Agrippa e non hanno un'idea
esatta di quanto sia, nonché utile, necessaria al regolato vivere so-
ciale un'armonia coordinata e subordinata di mezzi e d’ intenti.
Ció riconosce il Briganti, che nella parte del suo libro, nella quale
tratta della funzione sociale delle Corporazioni delle Arti, constata che
le attuali società a base di classe sono pur troppo costituite « all'unico

4

=
910 RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

scopo economico, spesso solo a quello di aumento di salari e stipendi »
e deplora che dalla maggior parte di esse sia completamente esulato
ogni fine etico e non si cerchi di riallacciarvi quel « vinculum vere fra-
ternitatis », che induceva gli associati a soccorrersi a vicenda in ogni
necessità anche morale eon vivo spirito di carità. L'amore sociale, ri-
petiamo col Cuturi, era preparato e sostenuto dagli esempi d'amore e
d'abnegazione, che fanno mirabile la storia del Cristianesimo, e a
quello spirito di carità contribuiva moltissimo il sentimento religioso,
che era in quei vecchi popolani così profondo da informarne tutta la
vita, ma al tempo stesso non impediva loro di avere dei rapporti fra
la Chiesa e le loro repubbliche tale un alto eoncetto giuridico, da « esser
sempre, come dice il Nardi nella sua Istoria fiorentina, « reverenti
e ossequiosi a Santa Chiesa, ma non mai sudditi ».

Ed é a far voti che una potente fiamma di vita morale resusciti
e completi, senza offesa delle saere libertà personali, le promettenti e
latenti energie di queste organizzazioni, che aecennano a tornare ad
una seconda vita e possono arrecare contributi cosi preziosi al pro-
gresso umano.

Lavori adunque, come questo del Briganti, sono utilissimi non
solo dal punto di vista scientifico, ma eziandio da quello pratico e po-
litico-sociale, poichè le accurate indagini sugli antichi documenti con-
giungono ad acute considerazioni, e dallo studio del passato traggono
argomento ad assennati giudizi sul presente e a fondate previsioni
per l'avvenire.

Di documenti è ricchissimo il volume che abbiamo esaminato ;
così ricco, che se l' egregio A. non dicesse nella breve . prefazione che
in questa tesi di laurea presenta ai lettori la sua prima prova, molti
sarebbero indotti a ritenere il libro dovuto ad uno studioso, che dav-
vero non sia alle prime armi.

Di guisa che noi non possiamo chiuder meglio questa recen-
sione, se non coll’augurio che il Briganti dia presto alla luce (secondo
ci promette alla fine di questo volume) un altro lavoro sulle cause, per
le quali decaddero le nostre Corporazioni ; siamo certi che da esso verrà
nuova luce sulla vita medievale della nostra Perugia e che ne scatu-
riranno consigli fecondi di bene al più opportuno adattarsi dei risor-
genti vecchi istituti alle esigenze del tempo nostro: chè il Medio Evo
è pur sempre, ha detto il Gregorovius, la grande officina e il grande
deposito del tesoro di tutte le idee dell’attuale nostra civiltà.

VINCENZO ANSIDEI.
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RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE 911

P. NicoLA -CavaNNA O. F. M. — L’ Umbria Francescana illustrata
(Perugia, Unione Tip. Cooperativa, MCMX). Il P. Cavanna con
amorevolissima cura, attestatrice di un culto vivo, profondo e

veramente filiale verso il gran Santo umbro, discorre in questo

libro di ogni ricordo francescano che esista nella nostra regione,

sia pur esso il meno noto e il più modesto, e descrive con minu-

ziosa esattezza tutti i luoghi e tutti i monumenti con più stretta
intimità connessi alla vita di S. Francesco.

Per tal modo è circoscritta dal ch. A. la cerchia delle pazienti
sue indagini, poichè, se avesse ‘a darsi la illustrazione completa di
quante memorie francescane conservansi nell’ Umbria, bisognerebbe
scrivere parecchi volumi simili a questo, che in 415 pagine e adorno
di 127 foto-incisioni, ha mandato alla luce il P. Cavanna. Ma se da
un canto l'egregio A. si limita a ciò che più specialmente si attiene
alla vita del Santo, dall’altro egli si occupa di ogni luogo umbro che
abbia colla vita stessa una relazione diretta non solo secondo la sto-
ria, ma anche secondo la tradizione e la leggenda.

E le meravigliose tradizioni e le belle, commoventi leggende sono
narrate con piano e pure ornato stile nel libro, di cui è cenno, ma
alla narrazione non fa seguire il P. Cavanna una rigorosa critica, che
venga a confermarle o ad. infirmarle, e molte delle splendide opere

d’arte di soggetto francescano, che in numero così grande ammiransi

nell’ Umbria, sono fedelmente descritte, ma l'A. non s' indugia troppo
nella disamina delle epoche, alle quali rimontano e nello studio degli
artisti, cui le dobbiamo : scorrendo adunque le pagine dettate dal P. Ca-
vanna, noi ci accorgiamo di avere fra mani piuttosto un libro di pietà
che un libro di critica storico-artistica. Tuttavia il volume può inte-
ressare, e molto, anche lo studioso della storia e dell’arte, che vi tro-
verà raccolte memorie e riprodotti luoghi fors’anco da lui ignorati e
vi sentirà- tutto il fascino della dolcissima figura di S. Francesco rievo-
cata spesso colle parole medesime degli aurei scrittori, che primi ne
dettarono la vita ; poichè molto opportunamente, a narrare i fatti rela-
tivi a ciascuna località, il Cavanna riporta, ogni volta che gli sia pos-
sibile, quel che si legge nei più antichi biografi del Santo, dando quasi
sempre la preferenza allo Speculum. perfectionis e ai Fioretti.

Non l' ordine cronologico, ma il topografico segue l'A., e così è
che nelle prime pagine del volume, a proposito di S. Maria degli An-
geli d'onde s'irradió il movimento francescano, e più specialmente
della Cappella dal Transito, troviamo riferite le parole, colle quali
S. Bonaventura rammenta la morte di S. Francesco ivi avvenuta.

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P A FELINI

912 RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

Il titolo del libro avrebbe dovuto indurre l'A. ad arrestarsi ai
confini dell’ Umbria ch'egli ha percorso palmo a palmo per rintracciarvi
anche il più piccolo ricordo del Santo, ma la vicinanza a questi con-
fini di un luogo « dove tutto è francescano » lo ha spinto a varcarli ;
accenniano a La Verna, il sacro monte, dove S. Francesco

Da Cristo prese l’ultimo sigillo
Che le sue membra du' anni portarno.

Colla descrizione della Verna si chiude il volume, che il P. Ca-
vanna, a renderne l’ uso più proficuo, e più facile, ha voluto corredare
di un copioso indice dei luoghi e dei nomi, che wi son menzionati, e
di una.esatta carta itineraria dell’ Umbria francescana. Seguendo l'A.
in queste sue peregrinazioni molte cose ignorate s’' imparano, di non
poche mal note si ravviva e si fa più preciso il ricordo, e l’animo si
riposa in una pace serena dal turbinio dell’agitata vita moderna.

A.

je @— SAC
918

ANNUNZI DI PUBBLICAZIONI RECENTI

1. L. Fumi, L’Inquisizione romana e lo Stato di Milano. Saggio di
ricerche nell'Archivio.di Stato. Milano, Cogliati, 1910.

2. G. GALLI, Laudi inedite dei Disciplinati Umbri, scelte di Sui
.codici più antichi. In Bibl. storica d. Lett. it. diretta da F. Novati, n. 10.

Bergamo, Istituto It. d'Arti Grafiche, 1910.

3. D. M. Fatoci PuLIGNANI, Vita prima di S. Francesco d'Assisi,
composta da Fr. Tommaso da Celano, pubbl. nuovamente. Foligno,
Salvati, 1910.

4. Id., San Feliciano vescovo di Foligno e il Pallio arcivescovile. Fo-

ligno, Salvati, 1911.

: 9. Id., IY B. Simone da Collazzone e il suo processo nel 1252. Fo-
ligno, 1910.
6. MERHT I., Die Wundmale des heiligen Franziscus von Assis.

Leipzig, Teubner, 1910.

(. G. FRANGIPANI, Frate Francesco. Firenze, Razzolini, 1911.

8. G. BELLUOCI, Guida alle collezioni del Museo Etrusco- romano
in Perugia. Perugia, Unione Tip. Cooperativa, 1910.

9. Id., La Placenta nelle tradizioni italiane e mell'etnografia. Fi-
renze, Rieci, 1910. SE

10. VENTURI A., Affreschi del pittore delle Vele di Assisi. Roma,
Tip..de l' Arte, 1911.

11. Id., L'arte giovanile del Perugino. Roma, Tip. de L'Arte, 1911.

12. A, ALFIERI, La Cronaca della Diocesi Nocerina: nell’ Umbria
scritta dal suo vescovo A. Borgia. Roma, Desclée, 1910. i

13. F. RizzaTrI, L' Umbria Verde. I. Perugia. Bologna, Zanichelli,
1911. :

14. C. ANNIBALDI, La Germania di Cornelio Tacito:nel ms. Latino
n. 8 della Bibl. d. Conte A. Balleani in Iesi. Ediz. diplomatica-critica.
Leipzig, Otto Harrassowitz, 1910.

15. D. H. ScHustER, O. S. B., Martyrologium Pharphense ex apo-
grapho Card. E. Tamburini, O. S. B. Codicis saeculi XI. Maredsous,
1910.

s © , * x : $
DINE + a? GU CAN S Uu EU PORSI e SL XI UNUS m BET
914 ANNUNZI DI PUBBLICAZIONI RECENTI

16. A. CoLAsantTI, La Ricerca del perimetro antico di Reate. Estratto
dal vol. « Saggi di Storia Antica e di Archeologia offerti a G. Beloch ».
Roma, Loescher, 1910.

17. A. MARINELLI, Un libretto di Alchimia inciso su lamine di piombo
nel sec. XIV: con Prefazione del prof. C. ANNIBALDI. Città di Castello,
S. Lapi, 1910.

18. R. E. SaNGERMANO, GU Ex-libris. Torino, Stamperia d. Archi-
vio Tipografico, 1910. x

19. Società Italiana per la ricerca dei papiri greci in Egitto. Omag- .
gio al IV Convegno dei Classicisti tenuto in Firenze dal XVIII al XX
. aprile del MCMXI. Firenze, 1911.

20. A. BAUMGARTNER S. J., Geschichte der Weltliteratur, vol. VI,

«.Die italienische Literatur ». Freiburg, 1911.

21. E. Ricci, La chiesa di S. Prospero fuori delle mura di Perugia.
Tip. Perugina, 1910.

22. B.- GiLARDI, Studi e ricerche intorno al « Quadriregio » di Pe-.
derico Frezzi. Torino, Lattes, 1911.

23. S. SATTA, Un carteggio di scrittori italiani con G. B. Vermi-
glioli. In « Fanfulla della Domenica », 12 febbraio 1911.

24. C. Ricci, Pier della Francesca. Roma, Anderson, 1910.

25. F. CanuTI, Memorie francescane in Città della Pieve. Firenze,
Tip. Salesiana, 1908. ur

26. T. NEDIANI, Mistico Oriente. Firenze, Mazzolini, 1910.

27. U. Cosmo, Rassegna francescana, in Giornale storico d. Lett. it.,
a. XXVIII, fasc. 168.

Gli Analecta, data l'abbondanza della materia in questo fascicolo,
saranno compresi nel prossimo, che uscirà quanto prima.
-

VD T

LZ

915

TAVOLA DEI NOMI DI PERSONE. E DI LUGD

ABBATE Ugo I, 603.
ACCADEMIA DEI « RINVI-
GORITI» DI ForiGNo, 3.
ÀGANOOR-POMPILJ V., 497
ALFIERIA,, 485.
ANNIBALDI C., 484.
ANSIDEI V., A History of Pe-
5 rugia by William Heywood edi-
ted by R. Langton, 493, 497.

ARNALDO DELLA TORRE,

BELLUCCI G., 479.

BERTONI G., 464.

BRIGANTI A., Un singolare er-
rore sulla creazione del Capitano
del Popolo in Perugia, 489, 895.

CAPITANO del Popolo in Peru-
gia, 895.

CIAN, 464.

CITTÀ DI CASTELLO, 151.

COLASANTI G., Reate. Ricer-
che di topografia medievale ed
antica, 221.

CAVANNA N., L'Umbria france-
scana illustrata, 911.

EGrpi1 P., 486.

es

FALOCI-PULIGNANI, 489.

FAMIGLIA VITELLI di Città
di Castello e la Repubblica fio-
rentina fino al 1504, 151.

FARFA (Monastero di), 603.

FANIA., 488.

FERRrI G., 462.

FriniPPriNrI E., L'Accademia dei
« Rinvigoriti » di Foligno, 3.

FOLIGNO, 3.

Fumi L., Di una falsificazione
contenuta nell'antico « Rege-
stum » della Chiesa di Orvieto.
— Francesco Sforza contro Ja-
copo Piccinino, 391-507.

G Nor U., 488.

Hgvwoonp W., 498.

JACOPONE da Todi, 461.

LANZI L., 474, 481, 919.

LEONARDI E., 483.

LIBRI taxarum di Chiese e mo-
nasteri, 409.

59
916. TAVOLA DEI.NOMI DI PERSONE E DI LUOGHI

"MAGHERINI GRAZIANI o
413, 414.
MOLMENTI P., 488.

Morici M., 486.

NERIF, 464.

Nicasi G., La famiglia Vitelli
di Città di Castello e la Repub-
blica fiorentina fino al 1504, 151.

ORVIETO, 891.

PENNACCHI F., 465.
PERUGIA, 813, 875, 895.
PICCININO JACOPO, 507.
PomPIL3: G., 497.

REATSE, 221.

REGESTUM della Chiesa di Or-
vieto, 391.

Ricci D. Ettore, 412.

SABATIER P., 487.
SCALVANTI O., 490.
SCHUSTER L., L'Abbate Ugo I
e la Riforma di Farfa nel se-
colo XI (998-1038), 603.
SCIALOIA A., Statuta et Ordi-
namenta Artis Piscium Civita-
tis Perusii (1296-1376), 813.
SrFORZA Francesco, 507.
SORDINI G., 481.
STATUTA artis piscium, 813.

TEMPIO di S. Angelo, 875.

TENNERONI A., L'Umbria nei
« Libri Taxarum » di tutte le
Chiese e monasteri, 409.

TERNI, 474.

TRIFONE A., Documenti tuder-
tini, 419.

Tocco F., 465.

Topi, 419, 461.

VERRI AÀ., 481.

ViviANID,., Tempio di S. An-
gelo in Perugia, 875.
911

INDICE DEL SEDICESIMO VOLUME

Atti della R. Deputazione.

Adunanza del Consiglio del 19 Settembre 1909 in Gubbio . Pag. v-xm
Assemblea generale del 20 Settembre 1909 . x . Pag. XIV-XXVI

Memorie e Documenti.

L'Accademia dei « Rinvigoriti » di Foligno e l’ ottava edi-

zione del « Quadriregio » (E. FILIPPINI). : | Pag. 3:
La famiglia Vitelli di Città di Castello e la Repubblica fio-
rentina fino al 1504 (G. NIcasI) è È ; 3 »-15f
Reate. Ricerche di topografla medievale ed antica (G. Co-
LASANTI) . à : : È : ; ; » 221
Di una falsificazione contenuta nell’ antico « Regestum »
della Chiesa di Orvieto (L. FUMI) . : È : »2-99f
L'Umbria nei « Libri taxarum » di tutte le Chiese e mona-
Steri (A. 'TENNERONI). : Ra 409
Documenti tudertini (B. TRIFONE) . 3 : : È » 419
Francesco Sforza contro Jacopo Piccinino (Dalla pace di
Lodi alla morte di Calisto III) (L. Fuwr) í » 507
L’Abbate Ugo I e la Riforma di Farfa nel sec. XI (998- 1088)
(I. SCHUSTER) . . ; : 1 » . 608
Statuta et Ordinamenta Artis Piscium Civitatis Pari (1296-
1376) (A. SCIALOIA) . : È : : » 813
Tempio di S. Angelo in Perugia [Studio di pristino] ( (D. VI-
VIANI) . i; - : : ; 3 ; ; vie SUO

Un singolare errore sulla creazione del Capitano del Po-
polo in Perugia (A. BRIGANTI). : : 3 : ; » 895

Analecta, e Recensioni.
Analecta Umbra È : ; È 2 : : È : ». 461

A History of Perugia by William Heywood edited by R. Lang-
ton Douglas (Methuen and C.» Lond., 1910 (V. ANsIDEI) » 498

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LUIGI LANZI

Il 81 dicembre del decorso anno cessava di vivere in
Terni il Prof. Cav. Luigi Lanzi.

La sua fine immatura, il ricordo delle sue virtù e delle
benemerenze acquistate nel campo degli studi storici e ar-
cheologici e della educazione giovanile, gettarono nel cordo-
glio più vivo e profondo la famiglia, i parenti, gli amici.

Altro non aggiungiamo, perchè la Regia Deputazione,
di cui il Lanzi fu Socio assiduo ed operoso, commemorerà
in modo solenne l’ Estinto nella prima Assemblea Generale
di quest’ anno.

Parlerà degnamente, a nome del nostro Sodalizio, intorno
alla vita ed alle opere di Luigi Lanzi, il Socio Ordinario

Comm. Prof. Giuseppe Bellucci.
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