Anno XVII. FascicoLo I.

BOLLEETTINO

DELLA REGIA DEPUTAZIONE

STORIA PATRIA

PER .L’UMBRIA



VoLume XVII.

‘Oppprxoì.... c TAV péya te

nai ùpyatov.

DION. D' ALICARN. ANt. Rom. I, 19.

PERUGIA
UNIONE TIPOGRAFICA COOPERATIVA
(PALAZZO PROVINCIALE)

L931.1



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R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA DELL’ UMBRIA



COMMEMORAZIONE

DEL SOCIO ORDINARIO

| Prof. Cav. LUIGI LANZI

defunto in Terni it XXXI Dicembre MOMX, tenuta per incarico della
R. Deputazione dal Socio ordinario Prof. GIUSEPPE BELLUCCI
il giorno XVI Settembre MCOMXI, nella sala maggiore del Convitto comu-

nale « Umberto I° » della stessa Città.







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“Eccellenza, chiarissimi Colleghi della B. Deputazione Umhra di Storia patria,

? Signore e Signori,

Non è senza profonda emozione, che prendo la parola,
per ritrarre dinanzi a Voi la figura simpatica di un uomo,
che la morte volle anzitempo rapito alla nostra amicizia e,
per rilevare le virtù di cui andava insignito, per le quali
e Voi, chiarissimi Colleghi della R. Deputazione e Società
umbra di Storia patria, e tutti Voi, Signori e Signore che
mi ascoltate, lo ritenevate meritevole non solo di affetto,
ma di sincera stima e di grandissima considerazione.

E l'emozione si accresce in me, quando rifletto, ciò che
Voi avrete già riflettuto, che dal posto medesimo da cui oggi
ascoltate la mia parola disadorna, altre volte vibrava la
voce sonora, accetta, persuasiva dell’ Educatore; udivasi l’e-
spressione calma e serena dello storico e del critico d’arte;
ascoltavasi la parola di chi, con animazione patriottica, ri-

,

Presenziarono la mesta e solenne cerimonia, oltre a numerosi in-
vitati, molti soci della R. Deputazione di Storia patria; gli alunni, il
Direttore e gl' insegnanti del Convitto Umberto I; S. E., Cesare Fani; il
Conte Paolano Manassei Senatore del Regno; le rappresentanze della
Provincia dell'Umbria e dei Comuni di ‘Terni, Stroncone e Perugia.
Erano pure rappresentati gli On. Gallenga e Faustini, Deputati al Par-
lamento; il Comm. Corrado Ricci, Direttore generale delle Antichità e
Belle Arti, presso il Ministero della Pubblica Istruzione.





IV

traeva uno fra i tanti episodi del Risorgimento nazionale; di
chi con giusto sdegno colpiva con strali infuocati coloro, che
ntenti a volgere a scopo industriale l’ energie naturali, si
rendono insensibili, dinanzi alle grandiose e pittoresche scene
da Natura composte, anelando di modificarle, distruggerle,
pei loro fini utilitari. i

Per l'emozione che provo e per il sentimento della mia
pochezza, faccio quindi appello alla vostra indulgenza, non
senza nascondervi, che avrei desiderato di ascoltare oggi la
voce di altro Collega della R. Deputazione, il quale, se non
con più amore del mio, certo con maggiore dottrina e di-
scernimento, avrebbe saputo presentarvi a dovere la bella
figura del Collega, che piangiamo estinto.

Luigi Lanzi nacque nel vicino paese di Stroncone il 27
marzo 1858; suo padre Leopoldo e suo nonno Luigi eserci-
tarono entrambi la professione di chimico-farmacista, pur
non trascurando lo studio dei classici latini, per il quale
riscossero dai contemporanei stima e reputazione. La madre,
Adele Contessa, fu donna di casa espertissima, sempre ope-
rosa e tutta intenta alle vigili cure, che dovevano provve-
dere al migliore avvenire dei suoi due figliuoli. :

Luigi Lanzi iniziò a Terni gli studî; compiè il Ginnasio
a Todi, portandosi poi a Roma per seguire il corso liceale,
che non percorse per intiero. Per non essere di soverchio
aggravio alla famiglia si dié all’ arte drammatica e nel pe-
riodo delle vacanze scolastiche si scritturò con una Compa-
gnia di attori teatrali, che terminò per fargli cambiare in-
dirizzo ed abbandonare gli studi. Sarebbe stato un giovane
perduto, un drammatico di più, ma non avrebbe poi rifulso,
come rifulse e quale Educatore e quale studioso, se l’obbligo
del servizio militare non fosse sopraggiunto a venti anni per
sorreggerlo in quel periodo critico della sua vita.





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Durante il servizio militare, a cui attese cou esemplare
disciplina, cominció ad interessarsi dell' avvenire; riprese gli
studi ed ottenne con splendidi risultati la patente di Maestro
normale e quella di Segretario comunale; cosiché, quando
usci dalle file dell'esercito nazionale, col semplice grado di
sergente, Luigi Lanzi aveva dinanzi a sé due possibili vie
da percorrere, o quella del Segretario comunale in qualche
paesello remoto delle campagne, o quella del Maestro in una
scuola primaria.

Ho voluto esporvi tutti questi particolari, relativi al primo
periodo della vita del nostro Luigi, perché Voi stessi giudi-
caste, come modesti fossero i natali, modestissimi gli studi,
più che modeste le aspirazioni possibili per l’ avvenire. Oc-
casionalmente però, in quel momento della vita di Luigi
Lanzi, si presentò un nuovo indirizzo di applicazione delle
sue giovani energie, che decise della sua carriera avvenire
e di tutta la sua vita.

Mancava un Istitutore nel Convitto comunale di Terni
e quest' officio fu assegnato a Luigi Lanzi il primo di ottobre
del 1881; e fu tale l'interessamento che fin dalle prime di-
mostró di prendere nell'adempimento del proprio dovere, che
un mese e mezzo piü tardi fu nominato Censore di disciplina;
e prima che un anno si compiesse, ai 28 settembre 1882, ed
a soli 25 anni di età, fu eletto Rettore.

La vita militare, con l'ordine, con la disciplina, con l'e-
satto adempimento dei doveri, che ad essa si riferiscono,
aveva impresso in Luigi Lanzi orme indelebili, di cui si
giovó grandemente ed efficacemente, quando dovè rispondere
del corretto contegno, morale e civile, della disciplina e dello
studio dei molti giovinetti alle sue cure affidati.

Per divergenze insorte con il Consiglio di Amministra-
zione, Luigi Lanzi si ritirò dall’ Officio di Rettore il 1° Ot-
tobre 1891, ritornando nella calma del suo paese nativo,
ove ricuoprì il posto di Segretario comunale. Col suo allon-
tanamento, il Convitto si rese immediatamente deserto e




VI

quando due anni dopo, il 1° Ottobre 1893, il Consiglio comu-
nale di Terni riconoscendo, che la ragione delle divergenze
insorte si trovava dalla parte del Lanzi, lo richiamò all’ Of-
ficio di Rettore, il Convitto tornò subito a popolarsi e da
allora fino all’epoca della sua morte, unico divieto per re-
spingere annualmente numerose richieste di ammissioni, si
trovò nella limitazione dei locali, che non potevano conte-
nere più di 100-110 giovinetti in educazione.

Chiamato di nuovo alla Direzione del Convitto, il nostro
Lanzi deve aver provato un nuovo validissimo impulso alla
sua operosità. Il sentimento della responsabilità accresciuta,
la retta educazione dei giovanetti affidati alle sue cure, il
pensiero di far sorgere un Convitto, che rispecchiasse le sane
norme educative e fosse ad altri di esempio per gli splendidi
risultati nello studio e nella coltura civile e morale dei gio-
vinetti, condusse ben presto il nostro Lanzi a circondarsi di
un credito, che se da un lato soddisfaceva il suo amor pro-
prio, dall’altro richiamava l' attenzione di tutti coloro, che
anelavano peri loro figli un asilo di educazione, virile e sa-
piente.

Sono tanti i rami, che bisogna correttamente guidare
nelle giovani piante, quando il loro sviluppo si fa sempre
più rigoglioso, che difficilmente si raggiunge quel giusto
equilibrio, che si manifesta dipoi con un’educazione perfetta,
esemplare. Ed il nostro Lanzi, che intravedeva tuttociò, con
criterio equilibratissimo ed accorto, curò sempre di porre
ogni studio, perchè il Convitto di cui era Rettore, fosse ad-
ditato ad esempio ed emergesse sui numerosi Convitti, che si
trovavano in Italia. E questo splendido risultato raggiunse:
con l’ordine interno, derivante da una disciplina non ferrea,
ma ferma e paterna; con l’amore allo studio, consigliato dall'e-
mulazione e dallo esempio de' benefici che ne risultavano;
con l'educazione fisica, amorosamente curata e sapientemente
insegnata; con la formazione del carattere, sollecitata con
parole, con consigli, con esempi, atti a sviluppare nell'animo





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s VII

dei giovani il sentimento di loro stessi, la fiducia nelle pro-
prie forze.

Il nostro Lanzi possedeva l'arte difficilissima dell'educa-
tore; la iunga pratica lo aveva edotto delle risorse infinite,
che possono applicarsi per un savio indirizzo del carattere,
per formare il cuore dei giovanetti; ed a queste risorse ri-
correva di sovente, ottenendo risultati splendidissimi. Aveva
trovato un ausilio potente per assicurare il migliore anda-
mento del Convitto, nella istituzione di un giornaletto mode-
Sto, dal titolo — él Convitto di Terni —, che mensilmente si
redigeva dai Convittori e di cui faceva curare una larghis-
sima diffusione e alle famiglie ed a coloro, che avevano
già ricevuto ammaestramenti salutari in Convitto e ne erano
usciti.

In questo giornaletto i giovani raccontavano la vita in-
terna di Collegio, i progressi che si verificavano nella loro
educazione intellettuale, ossia. nello studio; quelli che si ot-
tenevano nella educazione fisica, ossia nello sviluppo cor-
poreo; raccontavano i particolari dell’ escursioni, che si com-
pievano numerose, sotto la scorta sapiente ed amorosa del
loro Rettore; le visite agli Stabilimenti industriali della Val
Nerina; le gite a scopo artistico e storico, che frequente-
mente avvenivano ai paesi ed alle città dell’ Umbria, dov’ è
tanta dovizia di arte e di storia; ai castelli medioevali, ri-
dotti dal tempo e dagli uomini, cumuli di rovine, dalle quali
però il nostro Lanzi faceva risorgere quei ricordi, che rap-
presentavano la vita vissata in quegli antichi recinti.

Percorrendo le pagine di quel giornaletto si resta me-
ravigliati della somma di cognizioni storiche, che i giovi-
netti sanno insegnare; si resta meravigliati del gusto arti-
stico, che in essi andava di mano in mano svolgendosi ed
in certi casi si prova un'intima commozione, per l'impres-
sione profondamente gradita, che quei giovanetti dicono di
aver riportato o dinanzi ad una grandiosa scena naturale,





VIII

o di fronte ai prodotti sublimi raggiunti dalla mente umana,
sia nelle arti belle, sia nelle arti meccaniche.
E se questa impressione favorevole e lieta si prova da
.chi non conobbe nemmeno il giovane scrittore, puó bene
immaginarsi qual gaudio, qual somma di letizia, quale com-
piacenza intimissima dovesse provarsi dalle mamme dilette,
per le quali appunto il giornaletto era dai figliuoli composto,
con sentimento delicatissimo di riguardo e di affetto filiale.
Mi piace di citare un esempio, fra i tanti che potrei
scegliere, per dimostrarvi come Luigi Lanzi intendesse prov-
vedere all'edueazione del euore. Lo traggo dal racconto di
un giovinetto, inserito nel giornalino — // Convitto di
Terni — (1).

Era il quattordici marzo, la festa del Re, ma non si sentiva nel-
l’aria quel fremito, che è la caratteristica delle feste nazionali. L'atmo-
sfera del collegio pesava invece in quel mattino come una cappa di
piombo, né si sapea veramente il perché. Dopo la colezione, il Sig. Ret-
tore ci raccolse tutti nella sala di scherma, e ci disse: « fra poco, nei
giardini pubblici, le truppe del presidio saranno passate in rivista per
festeggiare il compleanno del Re; voi pure anderete ad assistere a
questa festa militare, ma io non vengo con voi; vado invece al cimi-
tero a portare un fiore sulla tomba di un vostro compagno... chi vo-
lesse accompagnarmi alla mesta visita, faccia un passo avanti ».

Tutti allora come guidati da una sola mente, Spinti dal medesimo
palpito, scattammo innanzi... e partimmo silenziosamente con lui. Giunti
al cemetero, a capo scoperto attraversammo. i deserti viali, e sulla
tomba dell'infelice nostro compagno, deponemmo tra le molte corone
già appassite, un nuovo tributo del nostro memore affetto.

Usciti dal sacro recinto, mentre i compagni si aggruppavano som-
messamente bisbigliando, e il Rettore ci seguiva solo e in silenzio, io
ripensava all'amico perduto, al dolore sofferto da noi tutti, allo strazio
della famiglia desolata.... ripensava agli scettici, che sì poca fede dimo-
strano per la generazione che cresce.... e quale attestato più bello,
diceva fra me, della gentilezza con la quale si va plasmando il cuore
di questo gruppo di giovani, che si allontanano dalla città in un mo-
mento di festa, per recarsi tra i mesti cipressi del cimitero? Molti di

(1) Anno I e II; num. 3, pag. 3.





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IX

essi neppur conobbero l’ infelice compaguo che rimpiangiamo, qd an-
ch'essi rinunciano spontaneamente, ad un'ora di divertimento non
ordinario, per seguire chi l' amó con | affetto di fratello, chi lo pianse

con dolore di padre.
A te sia pace, o diletto nostro compagno! Alla famiglia che la-

sciasti nell' ambaseia, sia di conforto il nostro sincero rimpianto !

Non aggiungo sillaba a questo mesto e pietoso racconto,
persuaso che tutti Voi ne rileverete facilmente l'efficacia
educativa, raggiunta senza la menoma coercizione sull'animo
dei giovanetti, ma col solo appello ai più delicati e riposti
palpiti del cuore.

Ed un altro esempio mi piace pure di riportare a dimo-
strazione ulteriore del modo mirabile ed efficace, con cui
nel cuore dei giovinetti, affidati alle cure educative di Luigi
Lanzi, si sviluppavanò i sentimenti più nobili ed affettuosi.
È un giovinetto, che scrive al Rettore nel suo giorno ono-

mastico (1).

« .. questa mattina ho scritto a mio padre, che porta lo stesso
nome di Lei, inviandogli insieme a mille baci affettuosi, l'augurio spon-
taneo e sincero del cuore. — Iddio ti conceda una vita lunghissima, co-
sparsa di tutte le prosperità più desiderabili. — Con altrettanti baci,
con pari amore filiale, offro a Lei, Sig. Rettore, lo stesso augurio ».

Poteva questo augurio essere espresso con maggiore sin-
cerità e forza di sentimento, con più bella e concisa sem-
plicità di forma ?

E mentre tanta eura si prendeva per l'educazione del
cuore non si trascurava, anzi si teneva in grandissimo conto
l'educazione fisica, persuaso il nostro Lanzi, come siamo per-
suasi tutti noi, che dal sapiente governo di tutte le parti
del nostro corpo derivi la maggiore e più proficua attività
umana. :

? dei progressi che nell’ Educazione fisica i giovinetti

(1) Il Convitto di Terni; Anno III, pag. 35.





X

compievano, si dava accurato ragguaglio ai genitori, non
con una semplice cifra, che rappresentasse codesto lato del-
l'educazione con un 7, un 8 od un 5, ma con cifre eloquenti,
ch’esprimevano l’ altezza, il peso, la circonferenza toracica,
la capacità polmonare misurata allo spirometro, la forza mu-
scolare determinata col dinamometro.

A ciascuna famiglia si partecipavano così mensilmente
insieme ai risultati dello sviluppo intellettuale, dati dalla
Scuola, quelli dello sviluppo fisico, dati dal Collegio, ed i
genitori traevano elementi sufficienti per giudicare il cam-
mino, che i loro figli compievano e nello sviluppo corporeo
e nell’accresciuta capacità intellettuale.

Ecco perchè in un modesto mio studio sull’ Educazione
fisica (1), additai ad esempio da seguirsi, il Convitto di Terni,
retto da Luigi Lanzi; perchè bene esaminando mi parve, che
le più savie e confacenti norme di esercitazioni fisiche, non
andassero a scapito degli studi, ma fortificando i muscoli
provvedessero in giusta misura alla gagliardia dell’ innerva-
zione, rendendo più proclive e proficua la mens sana in corpore
sano.

Ecco perchè da un’altra parte, con voce più autorevole
e considerata, che non fosse quella delle mie povere parole,
uno dei figli della nostra Umbria, Luigi Morandi, che dai
banchi della Scuola normale di Perugia è riuscito a salire
fino a quelli del Senato del Regno; che nato dal nostro
popolo, ha avuto la grande ventura e l’onore di concorrere
all'educazione di S. M. il nostro Re, parlando del Convitto
di Terni, ch'egli conosceva in tutti ‘i suoi particolari, in una
memoranda seduta della Camera dei Deputati (2), si augurava,
che tutti i Convitti nazionali, alla dipendenza del Governo,
dovessero uniformarsi alle sapienti ed efficaci norme diret-

(1) BELLUCCI GIUsEPPE — L'Educazione flsica — Perugia, Bartelli, 1906 pag. 33.
(2) Atti parlamentari; XXI Legislatura, 2* sessione, pag. 2681.













































XI

tive ed amministrative del Convitto comunale di Terni; retto
con tanto amore e con tanta premura da Luigi Lanzi.

A questo punto, Voi mi direte, Uditori ornatissimi, che
io mi sono di soverchio intrattenuto a parlarvi del Lanzi,
come Educatore; Vi prego però di correggere questo pen-
siero, se si fosse presentato alla vostra mente, perchè a bello
studio ho voluto esporvi questo lato luminoso della vita del
nostro Lanzi, anzitutto per talune conclusioni, che più oltre
emergeranno, poi perchè riflettiate un momento su questa
considerazione. Molti di Voi, Uditori ed Uditrici cortesi, siete
padri e madri di figli adorati; sapete per prova quante
cure, quanto studio, quanti pensieri, quante preoccupazioni
importi l'educazione dei figli, il buono indirizzo di quelle te-
nere pianticelle; quanto premuroso interessamento abbisogni,
quando le pianticelle stesse crescono vigorose e si vanno
facendo adulte. Ora questa prova, provata da tutti Voi, sup-
ponete di estenderla per un momento a cento, centodieci
giovinetti ad un tempo e tutti Voi, padri e madri, mi direste
in coro: « ma anche con la maggiore volontà, con la maggior
pazienza, col maggior interessamento, il tempo occorrente
per sopperire alle tante necessità ad ogni momento emer-
genti, dove si trova? » £d è appunto a questa interrogazione
che voleva condurvi, per convertire il quesito in quest'altra
forma.

Ed il tempo occorrente perchè nel Convitto comunale
di Terni il nostro Lanzi potesse far procedere il tutto cor-
rettamente e con soddisfazione propria ed altrui, il tempo
occorrente, dove lo trovava? Certamente Voi dovrete conve-
nire, che le cure dell’ Educatore devono aver richiesto al
nostro Lanzi un'applicazione diuturna costante, indefessa.
Trascurando una piccola cosa oggi, un nonnulla dimani,
egli avrebbe perduto un po' alla volta il frutto delle cure XH

impartite; ma invece, pur non trascurando nulla dei suoi i
doveri di Educatore savio ed accorto, trovava ancor tempo :
per percorrere di propria volontà ed iniziativa la via dello |
studio, via che si svolgeva parallela a quella dell’ Educatore
e che come questa, era lunga, spinosa, e richiedeva tempo

i

ed applieazione grandissima.

Luigi Lanzi appassionato come Educatore, si appassionò
perdutamente per gli studi storici, per gli studi prediletti
dell’ Arte; ed è tanto più notevole codesta passione da cui
fu preso, in quanto che, come Voi rammentate, non ebbe
all'inizio della sua cultura intellettuale, un .indirizzo parti- |
colare per tal sorta di studî, non mostrò alcuna inclinazione |
speciale per le ricerche e le osservazioni, in cui più tardi
si rese esimio cultore, conoscitore profondo. Mentre Egli era
Rettore del Convitto ed attendeva con tanta cura all’educa-
zione dei giovani, dovè farsi la propria educazione lettera-
ria, storica, artistica con notevole fermezza di proposito, con.
forza straordinaria di volontà, con applicazione indefessa. E
siccome la passione, che lo guidava in tutte le sue imprese,
non gli permetteva di far nulla a metà, così Luigi Lanzi si
gettò dentro gli studi storici ed artistici, come un innamo- .
rato ardente, che non vede agli occhi suoi se non l'oggetto
adorato, e tutto appare all’ infuori di esso, meschino, secon





dario, trascurabile. di
Questo amore per gli studi storici, per le concezioni..
geniali dell’Arte nelléè loro varie forme, lo condusse allo ac.
quisto di un criterio così equilibrato nel rilievo delle vicende 3
storiche, lo condusse ad un sentimento cosi fine e corretto »
per le bellezze dell’ arte, che i suoi lavori numerosi, non.
solo emergono per dottrina, ma per acutezza e giustezza di.
osservazioni, per severo apprezzamento di fatti e di cose,
per rimarchevole genialità di riflessioni. Peró mentre il no- di
stro Lanzi percorreva con infinita passione e con crescente
soddisfazione del suo amor proprio le vie dello studio, non

poteva e non doveva trascurare di mantenersi sempre ac- È









XIII



corto e sagace come Educatore di oltre cento giovanetti,
perchè da un abbandono anche momentaneo, da una ‘lieve

trascuranza, ne sarebbe provenuta la perdita dei risultati
splendidi, che si verificavano nell'andamento esemplare del
Convitto. Quindi amantissimo dell'arte, apprese l arte diffi-
cilissima di trarre partito del Convitto a beneficio e pro-
gresso degli studi suoi; di trarre partito degli studi predi-
letti, a beneficio ed incremento dello stesso Convitto. Potrei
citarvi numerosi esempi a conferma di ciò; guardate ad
esempio il piano terreno del Convitto, il vicino giardino, e
li trovate occupati da monumenti storici e perfino preisto-
rici, da epigrafi e da frammenti architettonici; l’arte e la sto-
ria addivengono parte integrante del Convitto ; le escursioni,
le ascensioni montane, le visite numerose alle città ed ai
paesi dell’ Umbria, ch’ Egli faceva seguito dai Convittori non
costituivano semplici esercizi podistici o gite di puro svago,
ma la loro méta precipua era sempre la storia e l'arte, che
dai monumenti, dai luoghi visitati emergevano e di cui quei
baldi giovinetti dovevano tenere stretto conto, per riferirle
poi con accurate relazioni nel giornaletto, per illustrarle con
le vedute fotografiche da essi stessi ritratte, coi disegni dal
vero, che in molti casi essi stessi apprestavano.

Luigi Lanzi studiava; consultava gli antichi Codici; at-
| tendeva agli scavi nella necropoli giacente sotto l'Acciaie-
2 ria; raccoglieva oggetti e monumenti antichi; ma il frutto
delle sue sapienti investigazioni, delle sue proficue raccolte,
le primizie de'suoi studi in una parola, erano sempre peri
giovinetti del Convitto, che chiamava a raccolta familiare
ogni qual volta poteva dividere con essi il frutto sudato del
suo studio e lavoro. E di questa molla nascosta dell' educa-
tore, sapiente ed intelligente, seppe il nostro Lanzi altamente
giovarsi, fino a trasfondere nell'animo dei giovanetti, sempre
‘inclinato ad accoglierlo, quell’ amore grandissimo, ch’ Egli
nutriva per la Storia e per l'Arte, quell’entusiasmo vivissimo,
ch’ Egli provava dinanzi a tutto ciò che di bello e di grande







XIV

avveniva o si presentava nelle scene naturali o nel corso
della vita, civile.

Questi miei rilievi trovano eloquente conferma nel re-
soconto di due premiazioni annuali, inserito nel giornaletto
e composto da due diversi giovinetti, i quali, come udirete, si
esprimoro all'unisono riguardo al metodo educativo seguito
dal loro Rettore, riguardo ai proficui risultamenti, che riu-
sciva ad ottenerne.

Siamo alla premiazione dell' anno 1903 (1);

« Il tema del suo discorso esce quest'anno dall' ambiente rigoro-
samente didattico, e tratta invece di una pagina della Storia dell’ arte.

« Egli mira essenzialmente a dimostrare quanto sia doveroso di
non trascurare più lungamente fra noi questo ramo di civile coltura,
per la natura del nostro carattere, per la gloria delle nostre tradizioni,
per quel sentimento di gentilezza, che solo l’arte può infondere nelle
anime giovinette.

« Enumera i pericoli corsi dal nostro patrimonio storico ed arti-
stico e quelli che ancora possono minaeciarlo, per l'assenza delle co-
scienza artistica nella grande maggioranza di noi. Conclude con nobi-
lissimi incitamenti fra lo scrosciare di fragorosi e caldi applausi ».

Ed ora passiamo alla premiazione del 1906 (2);

« Compiuta la premiazione sorse a parlare il Sig. Rettore.

« Sulla scena artisticamente incorniciata da un bosco di palme si
stendeva il grande diaframma bianco nel quale si succedettero le proie-
zioni luminose, che illustrarono la conferenza di lui sulla Necropoli
preistorica delle Acciaierie.

« La parola facile, chiara ed elegante, con la quale egli rese conto
della interessante scoperta, incatenò l’attenzione dell’ uditorio nel modo
più intenso: vedemmo sfilare avanti ai nostri occhi tumuli, vasi, armi,
scheletri, amuleti, costruzioni remotissime, paesaggi incantevoli, tutto
a colori e tutto tratto da fotografie, eseguite dello stesso nostro Sig. Ret-
tore, che, al terminare della conferenza, fu salutato da applausi pro-
lungati e vivissimi ».

(1) Anno IX, pag. 14.
(2) Anno XI, pag. 3.














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XV

Cosi il nostro Lanzi procedeva educando ed applicando
all'educazione della gioventü il risultato de' suoi studi ge-
niali, delle sue investigazioni, delle sue ricerche concernenti
la Storia e l’ Arte; facendo rivivere pagine luminose del
passato di Terni, di Narni, di Stroncone, di S. Gemini, di
Calvi; illustrando dal punto di vista storico ed artistico, mo-
numenti insigni, come la cappella Paradisi in San Francesco
di Terni, la cripta del Duomo nella stessa città.

E notevole contributo della sua dottrina e del suo amore
per il passato portò all'incremento degli Studi francescani,
che oggi appassionano insigni cultori italiani e stranieri,
prendendo ad illustrare parecchi monumenti e molte me-
morie obliate, intrattenendosi sulle opere e sulle virtù di
alcuni minoriti, che seguirono le orme del poverello di As-
sisi. Esso ci deliziò ancora con un lavoro pregevolissimo,
dal titolo semplice e modesto di — Escursioni francescane —,
in cui descrisse particolareggiatamente alcuni cenobi e r0mi-
tòrî, prediletti da S. Francesco o dai primi seguaci delle sue
dottrine, e che tuttora permangono nei territori di Terni e di
Rieti; ed illustrò quella via pittoresca e bellissima, che da
Stroncone, per Li prati e Ruschio, ridiscende al classico
eremo di Greccio. Oh, se tutti Voi aveste provato il godi-
mento intellettuale, la soddisfazione intimissima, che a me
ed a pochi amici volle procurare il povero Lanzi in una
bella giornata dell’Agosto 1907, facendoci percorrere quella
strada montana, sotto la sua guida sapiente, condividereste
ancora pienamente con me l’entusiasmo ed il gaudio provato,
trascorrendo una regione alpestre incantevole, e tanto poco
conosciuta, della nostra Umbria bellissima.

La strada sale a più di mille metri sul mare, tutta ta-
gliata in una rupe rocciosa e sempre prominente sul ciglio
di burroni profondissimi; nella sua parte più elevata attra-
Versa estese praterie, chiazzate quà e là da gruppi di ca-
stagni secolari, che allietano con la loro verde chioma e con
l'ombra amica che producono, quella regione. Lungo la via,

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3









XVI

l'immaginazione popolare ha creato leggende singolari, là
dove san Francesco di Assisi, e san Bernardino da Siena
s'indugiarono talvolta a percorrerla, quando nelle loro pe-
regrinazioni attraverso le terre dell’ Umbria, risalivano dalla
conca di Terni a quella di Rieti, o da quest’ultima ridiscen-
devano a quella.

Io aveva letto il lavoro dal titolo « Escursioni france
scane » ma l'impressione .che provai, percorrendo quella
regione bellissima, superò enormemente l’aspettativa e fu
profondissima. Quella gita lasciò nella mia mente il ricordo
incancellabile di una bellezza naturale goduta, collegata al-
lora, alle cortesi dimostrazioni di affetto di un amico, oggi,
alla cara memoria dell'amico perduto.

Se poi indipendentemente dalle impressioni piacevoli da
me provate, desideraste su questo lavoro del Lanzi il giu-
dizio di persona concordemente reputata come competentis-
sima nello studio della storia francescana, sentite cosa scrisse
Paul Sabatier, altrettanto entusiasta della vita e delle virtù
del poverello di Assisi, quanto innamorato delle bellezze,
che la nostra Umbria conserva, là dove l’ epopea francescana
principalmente si svolse :

« Comme franciscanissant je Vous suis donc reconnaissant pour
cette publieation et je vous en sais gré aussi comme hóte de cette de-
lieieuse Ombrie, à la quelle m'unit un amour chaque jour plus iutense.

« Bien nombreux seront ceux qui, suivant vos traces, prendront le
biiton de pelerin, s’ en iront dans les tranquilles solitudes franciscai-
nes et comprendront la sérénité, la poèsie, le mysticisme tempéré de
clarté, de gaieté et de bonté, qui sont comme la caractéristique de la

vie de cette region bénie ».

E parlando dell iconografia del poverello, soggiunge:

« Laissez-moi vous dire en passant que, pour la question de l'ico-
nographie, je suis tout à fait d'accord avee Vous; et je Vous suis

d'autant plus reconnaissant d'avoir mis ehaque chose à sa place, que
la question avait été comme embrouillée à plaisir par les critiques de



Derrida

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XVII

. . *fLA . , *
l'étranger. Vos pages fourmillent ainsi de verités, qui s'échappent tout
naturellement de votre trésor pour enrichir vos leeteurs » (1).



Restando sempre sulla chioma del grande albero della
Storia, che come querce annosa, ha mille rami e mille ra-
dici, il nostro Lanzi percorse pure il ramo dell’ Araldica e si
spinse anche ad illustrare una delle punte novelle delle dira-
mazioni infinite, quella che si designa col nome di Storia
del Risorgimento italiano. Di modo che, oltre al raccogliere
con premura € discernimento cimelî e documenti preziosi,
relativi a quel periodo di tempo, fortunoso e fortunato del
nostro riscatto, il nostro Lanzi illustrò con pagine stupende
alcuni episodî, risguardanti specialmente, Terni, Stroncone,
Collescipoli, Gubbio, località tutte dell'Umbria, ove 1’ epiche
lotte si combatterono in prò della libertà, o dove funestis-
simi eventi si svolsero per tentare di reprimerla o di at-
tutirla.

E quasi non bastassero questi studi e ricerche nelle di-
verse diramazioni della storia medievale e nelle ultime, at-
tinenti alla storia contemporanea, Luigi Lanzi ridiscese dalla
chioma al tronco dell'annoso albero della Storia, illustrando
aleuni monumenti dell'epoca romana, di Terni e delle sue
vicinanze, come quelli esistenti tuttora sul terreno della di-
strutta Carsoli; si occupò eziandio di antichità più remote di
quelle dei tempi di Roma, quali si appalesano sulle mura di
Cesi e di Amelia, sulle balze rocciose, che fiancheggiano l'an-
tica via Salaria presso Narni. Ed i suoi studî, le sue osserva-
zioni non si fermarono nemmeno al tronco dell’albero della
Storia, ma profittando delle condizioni propizie, che il suolo
di Terni ebbe a presentargli, si approfondò sotterra, prose-
guendo con cura paziente, le radici vigorose dell’ albero

(1) Il Convitto di Terni, Anno XII, pag. 14.









e

XVIII

della Storia, illuminando di per sè, o concorrendo con altri
ad illuminare di viva luce, quelle antichità preistoriche, che
da parecchi millenni dormivano, nella pace e nell oblio di
un'estesa Necropoli, nel sottosuolo dell’antica Interamna.

La febbrile attività industriale di questi ultimi anni,
sconvolse, rimescolò, disperse le antichissime tombe e gli
avanzi umani, che vi stavano sepolti, ricuoprendo il suolo
dell'odierna Terni, specialmente là, dove oggi ferve il lavoro
di tante officine, di polvere preistorica, per adoperare una
frase, conforme a quella di cui si valse Aleardi, quando rife-
rendosi alla campagna di Roma, di quella famosa terra la-
tina, la disse ricoperta dalla polvere della sua storia antica.

Ma il prodotto degli scavi fortuiti o di quelli scientifi-
camente eseguiti in una necropoli, che noverava original-
mente, più di tremila tombe, non andò totalmente perduto ;
non tutto riuscì a ridursi in polvere, e cimeli preziosi sal-
rati dalla dispersione, anzitutto dai solerti Ingegneri delle
Acciaierie, poi dalle cure pazienti e dallo amore del nostro
Lanzi per le antichità, si ammirano quest’ oggi ordinati in
alcune raccolte pubbliche e private ed in quella interessan-
tissima, che si conserva nel Museo civico di Terni, a cui il
povero Lanzi dedicò cure affettuose, ripromettendosi di co-
stituirne un tutto ordinato a dovere, degno della città, che
ha la fortuna di custodirlo.

L'amore grandissimo che nutriva per la Storia e per
l'Arte; la venerazione che aveva per le reliquie del pas:
sato; i lavori già compiuti nel campo archeologico, storico,
artistico; l’attività sorprendente che possedeva, lo additarono
giustamente a ricoprire il posto di R. Ispettore agli scavi e
monumenti, quando nel 1896 tale officio venne a mancare
del titolare, per la morte di un cittadino ternano, insigne
nell’arte, dell’ Architetto Benedetto Faustini. Ed il nostro
Lanzi accolse di buon grado il nuovo officio, quasi non ba-

stasse la somma di lavoro, che normalmente doveva e vo-
leva disimpegnare; e la compiacenza ch’ Egli provò nel ri-









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XIX

cevere tale nomina si dovè precipuamente a ciò, cli? Egli
pensava di trarre partito del nuovo officio, per favorire i
i studi prediletti, per dar prova sempre più palese dello
che lo infiammava, per tutto ciò che può rispecchiare

suo
amore
un passato più o meno remoto.

Abbiamo prove evidenti di ciò in questa stessa Terni,
nei restauri arrecati al vetusto tempio di San Francesco;
alla cripta del Duomo, ripristinata nelle sue forme primitive;
all'antico tempio pagano detto del Sole, oggi dedicato a S. Sal-
vatore. Ed un'altra dimostrazione l'abbiamo pure nelle pra-
tiche iniziate e favorevolmente condotte a termine, perchè
il tempio di S. Francesco fosse riconosciuto come Monumento
nazionale, a cagione non solo dei caratteri pregevoli, che gli
sono impartiti dalla sua vetusta costruzione, ma riguardo
eziandio a ciò che in esso maggiormente risplende, la deco-
‘azione della cappella Paradisi, dal nostro Lanzi accurata-
mente illustrata, e che tanto interessa la storia dell’arte, la
storia civile medievale, la storia della nostra letteratura.



Innamorato del bello in tutte le. sue splendide forme,
Luigi Lanzi non poteva restare con le mani alla cintola, di-
nanzi al minacciato ed al minacciante pericolo, che per ve-
dute industriali stava per arrecarsi alla grandiosa scena na-
turale, che presenta la Cascata delle Marmore,

bella
di orrenda bellezza
come Diocleziano Mancini ebbe a dire, traducendo il pensiero
originalmente espresso da Byron. j

Quel minacciato pericolo preoccupò talmente l' animo
entusiasta di Luigi Lanzi, che non fidando nelle sole sue
forze, invocó ripetute volte l'aiuto della nostra Deputazione
di Storia patria; reclamó, protestó, gridó per quanto poté; e
tanto ebbe a dire ed operare, che il Governo sollecitato

XX

dai suoi nobilissimi sdegni, riconobbe la giustezza dell’ in-
vocato intervento e si accordó nel pensiero di massima, che
| nei modi migliori possibili fosse tutelata all' Umbria la con-
| servazione della Cascata delle Marmore. Luigi Lanzi fu in
| tale pericolo la sentinella vigile, che dette l'allarme, ma a
| lode del vero bisogna dire, che tutti coloro, i quali nelle alte
il sfere governative sopraintendono alla conservazione del pa-
trimonio storico ed artistico, naturale o prodotto dalla mano
dell'uomo, secondarono del loro meglio l'iniziativa suscitata
dal Lanzi e provvidero alla conservazione della piü fulgida
gemma paesistica dell'Umbria nostra. E fu questo un altro
titolo di benemerenza, che dobbiamo riconoscere dovuto al-
l’efficace ed intelligente operosità di Luigi Lanzi, come Ispet-
tore agli Scavi e Monumenti.



Iw Non m'intratterró ora ad esporvi le molte virtü civili
di cui Luigi Lanzi volle abbellire la vita, perché tutti Voi le
conoscevate appieno e ne facevate, Lui vivente, argomento
sincero di segnalazione e di compiacenza. La Scuola profes-
sionale, il Patronato scolastico, la Sezione locale della Croce
rossa, additano del resto riconoscenti, tutte le benemerenze
|| . che Luigi Lanzi seppe acquistarsi, favorendo codeste Istitu-
zioni cittadine con la sua operosità solerte e sapiente, con
j l’espressione sincera dei sentimenti umanitari, che l’ anima-
Hi vano. Ne credo opportuno parlarvi delle virtù morali e della
i : fede cristiana dal nostro Lanzi sinceramente nutrita, perchè
Ill su tali argomenti ebbe già ad intrattenersi in questa stessa
Terni, con una eletta orazione, l’esimio nostro Collega Mon-
signore Faloci-Pulignani.

Accennerò soltanto brevemente all’ amore vivissimo, che
Luigi Lanzi, umbro di nascita e di sentimenti, costantemente
addimostrò per la nostra regione dell’ Umbria. « Desidero
M vivamente, mi scriveva un giorno, di vedere in ogni occa-
















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XXI
.

sione ed ovunque, sempre ammirato ed invidiato il nome
della nostra Umbria ». E fu appunto per questo nobile sen-
timento che lo animava, che Luigi Lanzi non attese l'opera
altrui per mettere in luce le bellezze, descrivere i monu
menti, illustrare le memorie dell' Umbria, ma come già si é
veduto per lo addietro, s'interessó grandemente e molto si
adoperò .con studî e con ricerche, perchè città, paesi, ca-
stelli, luoghi reconditi e talora oscuri della nostra Umbria
diletta, fossero illustrati e meritamente conosciuti.

E fra tutti i luoghi dell' Umbria predilesse dello amore
più vivo il paesello di Stroncone, e lo amò non di quell'amore
platonico, che talora ci porta a preferire con sentimento no-
stalgico il luogo in cui nascemmo a qualunque altro in cui
possiamo trovarci, ma di quell'amore intenso, che il figlio
nutre per la sua madre; e si fu per questo, che noi vedemmo
Luigi Lanzi prestare aiuto al paesello nativo nelle diverse
occorrenze, illustrarne i cimèli e i documenti, che gelosamente
conserva, farlo rivivere nelle pagine talora gloriose, talora
dolorose della sua storia, porre in evidenza tuttociò, che può
costituire una corona invidiata di gemme per un paese.

Quando, in compagnia del povero amico, visitai nel 1907
il paese di Stroncone, additandomi il non lontano cemetero,
Egli si espresse con una frase, che io non raccolsi in quel
giorno di gaudio sereno, ma che alla mia mente tornò a pre-
sentarsi, quando si conobbero le ultime volontà dello Estinto.
< Vedi laggiù il piccolo cemetero del paese? quando sarò
morto mi dovranno condurre in quel modesto e tranquillo
asilo di morti ». E la tua volontà fu rispettata; ed ora
dormi il sonno eterno in quel luogo solitario e romito, poe-
ticamente più bello delle grandi città dei morti, dove il lusso
dei marmi e lo sfarzo dei monumenti contrastano con la seve-
rità della morte, livellatrice sovrana di tutti; dove le epigrafi
ampollose e menzognere danno la parvenza, che tutte le virtù
sieno esulate dal mondo dei vivi per andarsi a raccogliere
fastose sui marmi, che rammentano coloro che furono.





Ogni vita terrena
Non è, se ben si guardi,
Che un andar lento o rapido alla morte.

E pur troppo dinanzi al bivio inesorabile, che tutti dob-
biamo percorrere, e che la gentile poetessa Umbra, Alinda Bo-
nacci Brunamonti, seppe additarci con tanta serenità di mente
e concisa precisione, nei versi testè ricordati, al nostro Lanzi
toccò in sorte l’ andare più rapido per giungere alla méta del
cammin di nostra vita. Eppure tutti noi, Amici, Colleghi, Am-
miratori avevamo in cuor nostro formulato il desiderio, nutrito
la dolce speranza, che la vita preziosa di Luigi Lanzi fosse
a lungo conservata; i nostri desideri però, le nostre speranze
non furono che illusioni della fantasia, concetti vani, che
s'infransero contro la realtà, come s'infrangono le onde sulla
spiaggia del mare; si perdettero evanendo, come si perdono
e svaniscono, allargandosi sempre più, le onde sonore nel-
l immensità dello spazio!

Ed ora dinanzi alla maestà della Morte, a noi non resta
che chinare il capo in segno di reverenza e di profonda
mestizia; e quando il dolore cagionato dalla perdita irrepa-
rabile dell'amico carissimo, del Collega stimato, permetterà di

restituirci alla tranquillità dei consueti lavori, noi tutti senti-

remo il dovere di proseguire gli studi, ch’Egli lasciò incom-
piuti; di continuare i lavori ispirati dalle sue nobili e geniali
iniziative, di emulare infine gli esempi di virtü e di operosità
instancabile, che formarono tanta parte della sua nobile vita.

Migliore omaggio di questo non potremmo tributare
alla cara memoria di Luigi Lanzi, che noi della R. Deputa-
zione di Storia patria dell'Umbria ascrivevamo ad onore di
avere a Collega, ed oggi ci addoloriamo per averlo irrepa-
rabilmente perduto!





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ELENCO
DELLE PUBBLICAZIONI DEL SOCIO ORDINARIO :

Pror. Cav. LUIGI LANZI

s©-o
A à 1885.
1. — Sull" Abbazia di S. Benedetto in Fundis presso Stroncone — Terni,
Tip. Pacelli Tommassini.
2. — San Gemini e il suo Palazzo Vecchio — Terni, Tip. dell’ « U-
nione Liberale ».
3. — Il Gonfalone della città di Terni, con una tavola — Terni,
Tip. dell’ Umbro Sabino.
x 1886.
à 1. — Prime pagine della Storia di Terni; Conferenza — Tip. del-
} | « Unione Liberale ». : ;
5. — Terni — I primi abitatori della Valle, l’età del Bronzo e la Ne-
cropoli deî Naarti, con 4 tavole — Piediluco con una tavola —
Il ponte di Augusto — Carsulae, con una tavola — Nell’ Album

« Ricord» di Terni » pubblicato in occasione del Congresso della
Società geologica italiana — Terni, Tip. Possenti, e Tip. del-
l’ « Unione Liberale ».
1887.
6. — Il Convento di S. Francesco presso Stroncone — « Miscellanea Fran-
cescana » Vol. II, pag. 15.
1889.
1. — Dell'antico sigillo, di alcune medaglie, e di nove libri corali mem-
branacei, appartenenti al Comune di Stroncone ; note illustrative
— Terni, Tip. Possenti.
1890.
8. — Il. Convento di S. Martino presso Terni — « Miscellanea France-
scana » Vol. V, pag. 54.
9. — Il padre Agostino da Stroncone M. O.— « Miscellanea Francescana »
Vol. V, pag. 84.
1893.
10. — Terni, Stroncone, Sangemini, Calvi — « Umbria descritta ed il-
lustrata » Renzo Floriani Editore; Perugia, Tip. Boncompagni.







XXIV
1894.

11. — San Gemini — « Ricordi d’ Arte e di Storia » Spoleto, Tip.
dell’ Umbria.

1895.

12. — Di un Lodo d’ Innocenzo III ai Narnesi, specialmente per le terre
di Stroncone — « Bollettino della R. Deputazione Umbra di Storia
Patria » Vol. I, pag. 126.

1897.

18. — La Cascata delle Marmore — Terni, Tip. Alterocca.

14. — Sopra un altorilievo esistente nella Basilica di S. Valentino (Terni)
— Per le nozze, Manassei-Tracagni — Tip. Alterocca.

1898.

15. — Spigolature Francescane del Convento di Stroncone — « Miscella-
nea Francescana » Vol. VII, pag. 111.

16. — Sull’antico nome di Terni — « Bollettino della R. Deputazione
Umbra di Storia Patria » Vol. IV, pag. 207.

1899.

17. — Guida di Terni e dintorni, con Indicatore industriale e commer-
ciale Umbro. Con trenta incisioni — Terni, Stab. Tip. Alterocca.
— In collaborazione con Virgilio Alterocca.

18. — Peril Centenario dell’ Assedio di Stroncone — « L’ Umbria », Rivista
d’Arte e Letteratura, Anno II ; Perugia, Tip. Umbra, pag. 25.

1901.

19. — Scoperte varie nell’ Acciaieria, nell'interno della città e nel subur-

bio (di Terni), — « Notizie degli Scavi », pag. 176.
1902.

20. — Antichità scoperte sulla via provinciale da Terni a Rieti — « No-
tizie degli Scavi », pag. 281.

21. — Tombe romane nell’ Area dell’ antica Carsulae — <« Notizie degli

Scavi », pag. 593.
22. — L’Antica Cripta della Cattedrale di Terni — < Bollettino della R.
Deputazione Umbra di Storia Patria » Vol. VIII, pag. 501.

23. — Araldica di Terni — « Bollettino della R. Deputazione Umbra
di Storia Patria » Vol. VIII, pag. 569.
24. — Note e ricordi sulla Chiesa di S. Francesco in Terni — « Mi-

scellanea Francescana » Vol. IX, pag. 3-10.

25. — Pel XXII Centenario della Cascata delle Marmore — Nuove tracce
dell’ uomo preistorico nei dintorni delle Marmore — Di un antico
ponte Umbro nelle vicinanze della Cascata — Una lettera inedita
di Antonio Sangallo — Primo contributo alla Bibliografia ed alla

Iconografia — Terni, Stab. Alterocca.



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á 96. — Rinaldo da Calvi — Milano, Tip. Martinelli. 2

i 97. — « Monita Salutis » — Per le nozze Bellucci - Ragnotti — Peru-
È gia, Unione Tip. Coop.

3 1903.

È 98. — Sulla cappella Paradisi in S. Francesco di Terni — Nota nelle
Î Analecta « Bollettino della R. Deputazione Umbra di Storia Pa-

tria » Vol. IX, pag. 526.

99. — Per un Centenario glorioso —— (Terzo centenario dalla fonda-
zione dell’ Accademia de’ Lincei, per opera del Duca Federico
Cesi, 12 agosto 1603) — Perugia, Tip. Umbra.



30. — Un Centenario glorioso — Commemorazione di Anastasio De Fil-
i lis, Lineeo — Terni « L'Unione liberale » 15-16 Agosto.
1905.
31. — Ancora sull’ antica Cripta della Cattedrale di Terni — « L'Italia
Moderna » Anno III, fasc. 8; Roma, Tip. Centenari.
32. — Di una Pergamena apocrifa sulla Lega del 1215 fra Terni e Fo-
ligno — « Bollettino della R. Deputazione Umbra di Storia Pa-

tria » Vol. X, pag. 373.

33 — SéMloge epigrafica —Terni e suo mandamento (Acquasparta, Ar-
rone, Cesi, Collescipoli, Ferentillo, Sangemini, Stroncone) —
« Archivio storico del Risorgimento Umbro » Anno I, pag. 121.

1906.

34. — Conservazione della Cascata delle Marmore — « Bollettino della

1 R. Deputazione Umbra di Storia Patria » Vol. XII, pag. XII.

35. — Di due antichi ricordi esistenti sotto il Portico della Cattedrale di
Terni — « Bollettino della R. Deputazione Umbra di Storia Pa-
tria » Vol. XII, pag. 127.

36. — Quale posto convenga al dipinto di Stroncone nella serie delle Fonti



1 per l4 iconografia Francescana — « Bollettino della R. Deputa-
zione Umbra di Storia Patria » Vol. XII, pag. 467.

37. — Mostra del Risorgimento nazionale in Milano — Memorie e do:
cumenti esposti dal Cav. L. Lanzi — Boll. Uff. del 1° Congresso
storico italiano n. VII.

38. — Pro defunctis — Terni « L'Unione liberale » 8 e 9 Dicembre.

i Lungo articolo pieno di buon senso e di fine ironia contro il vezzo

» di mutar nomi consacrati dalla Storia, alle vie, alle piazze, agl’ Isti_
tuti delle città. Luigi Lanzi prese in quest'articolo il pseudonimo
di Lodovico Aminale, cittadino ternano, che si coprì di gloria sui
campi di Barletta.

1907.
39. — Scoperte nell’antica Necropoli a Terni presso V’ Acciaieria — « No-



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tizie degli Scavi », pag. 595-645 — In collaborazione col profes-

sore Angelo Pasqui.

40. — Scoperta nel Suburbio (di Terni, relativa ai sepoleri dei Taciti)
— « Notizie degli Scavi », pag. 646-650.

4l. — Escursioni Francescane nei dintorni di Terni — Perugia, Unione

Tip. Cooperativa.



1908.

p 42. — A proposito dei sepolcri e della patria dei Taciti. Cenno biblio-

| grafico — « L'Unione liberale di Terni » 19 Luglio.

43. — Per la conservazione della Cascata delle Marmore — « Bollettino
della R. Députazione Umbra di Storia Patria » Vol. XV,

ur pag. XLVI. :

Till 1909.

| 44. — La spada d’ onore donata dalle donne dell’ Umbria al Principe

ul ereditario il 19 Ottobre 1864 — « Archivio storico del Risorgi-
mento Umbro » Anno V, pag. 3-9.

45. — La Cappella « Paradisi » nella Chiesa di S. Francesco di Terni.
— « Bollettino della R. Deputazione Umbra di Storia Patria »
Vol. XIV, pag. 261.

1910.

46. — Un episodio della reazione sotto il breve Regno di G. Murat, în
i Gubbio — Gio: Battista Locattelli e Luigi Panichi trucidati il 8
| Aprile 1815, con un Appendice di LXXV Documenti, in massima
parte raccolti da Teofilo Pieri — « Archivio storico del Risor-
1 gimeuto Uinbro » Anno VI, pag. 5-92.
i 4T. — L'uomo preistorico nella Conca di Terni — Roma, Tip. Cug-
i giani. — In collaborazione con l'Ing., generale A. Verri.
Iu 48. — Terni « — Monografia con 173 illustrazioni e quattro tavole;
Bergamo, Ist. ital. di arti grafiche. — Fa parte della Collezione di
HM monografie illustrate dell'» Italia Artistica » diretta da Cor rado 1
Ji Ricci. È distinta col n:-D5; |
I 1896 - 1910.
ad 49. — Il Convitto di Terni — Periodico, rappresentato da quindici
FH annate. Dell’annata 152, 1919, si pubblicarono solo tre numeri, re-
lativi ai primi sei mesi. — Questa pubblicazione dovuta all’ ini-
È ziativa ed alla premurosa sollecitudine di Luigi Lanzi, contiene
Hi di sovente scritti suoi, concernenti sia l'andamento del Convitto.
LR sia argomenti d' indole varia.





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MEMORIE E DOCUMENTI













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RICERCHE DI TOPOGRAFIA MEDIOEVALE ED ANTICA

- ' (Continuaz. e fine v. Vol. XVI, fasc. III)

Passiamo ora alla ricerca dell’ antico perimetro nella
zona meridionale che, dal punto in cui il Velino si accosta
allantica porta occidentale, presso l'attuale- Palazzo di Giu:
stizia, segue i limiti dell'abitato verso sud, per raggiungere
il suo confine orientale poco sopra il Monastero di Santa
Chiara, cioé presso l'antica Porta Interocrina. Il limite set-
tentrionale é fornito dai limiti meridionali delle due zone
già studiate: ossia dalla linea Via Cintia (a partire dal Pa-
lazzo di Giustizia) - Piazza Vittorio Emanuele - Via Garibaldi
(fino all'incrocio con Via S. Francesco) Questa zona ha la
forma quasi di un rozzo trapezio, da tre parti limitato dal
fiume e dà un corso derivato da esso, ela cui maggior base
raggiunge i 100 metri, mentre l'altezza puó calcolarsi a circa
450 metri.

L'aspetto del terreno richiama, ad un dipresso, quello
della parte settentrionale: una zona piana, cioé, estesa a pié
dell'altura. Solo che quest'ultima scende a mezzogiorno con
fianchi rocciosi e quasi a picco sulla parte bassa, la quale
a sua volta è conformata a mo' di vallata, nel cui fondo
scorrono le acque del Velino. Tale conformazione topogra-
fica trova la sua evidente espressione nei dati altimetrici: di
fronte alle quote, che già conosciamo, della sommità dell'al
tura centrale, e che ad un dipresso persistono fino al ciglio
roccioso, abbiamo quella di m. 389.34 presso la chiesetta di























4 G. COLASANTI



S. Pietro Martire (poco a S. E. dell’ antica Porta Cintia);
quella di m. 390.78 sull’ incrocio di Via della Pellicceria con
Via di S. Francesco (presso S. Fabiano, quasi alla estremità
orientale della zona); quella di m. 388.39 presso la chiesa
di Santa Lucia (a sud-est di S. Pietro Martire), cui fa riscontro
quella di m. 388.82 a Piazza S. Francesco ; e finalmente quella
di m. 389.80 all'odierno ponte sul Velino. Quest'ultima quota
offre un leggero aumento di fronte alle ultime, che pure si
trovano più a nord di essa: ma se si tien conto che tale
aumento è dovuto unicamente alla costruzione che ha rial-
zato il livello del suolo, non avremo difficoltà a ricostruire
un piano inclinato che dai piedi dell’altura scende verso il
fiume. Quote altimetriche pressochè identiche ed egualmente
distribuite incontriamo sulla sinistra sponda del fiume, il quale
— come altrove già vedemmo — viene così a trovarsi nella
linea di quella angusta valle che si allarga, ad occidente,
nella conca reatina.

I fianchi della valle, costituiti a sud dagli ultimi speroni
delle alture su cui sorgono i conventi di S. Antonio e di
Fonte Colombo, sono formati a nord, come già si disse, da un
ciglio roccioso che sporge e si rivela chiaramente sotto il fab-
bricato; esso segue una linea arcuata la quale, nel punto di
maggiore avanzamento, raggiunge la linea delle due strade
(Via S. Pietro Martire e Via della Pellicceria) che si trovano
ai suoi piedi. Così, nell’ estremità occidentale della nostra
zona, la roccia tocca quasi la Via Cintia, ma già sotto il
Duomo si è allontanata dalla linea di questa strada finchè
— poco dopo — raggiunge la Via di S. Pietro Martire prima
dell’ incrocio con Via Roma. Da questo punto continua, verso
est, sulla stessa linea lungo la Via della Pellicceria, finchè,
fiancheggiando Via di S. Francesco, raggiunge la Porta Inte-
rocrina.

Nel fondo di questa valle noi già conosciamo le varie
diramazioni del Velino. L' odierna distribuzione delle acque
nei principali due bracci, la ritroviamo negli scrittori locali,









REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC.

ali notano la diramazione a valle del ponte (1), mettendo

i qu
in rilievo la povertà del ramo destro di fronte a quello si-
nistro, e la facilità che il primo corso aveva di interrarsi,

cooperando così alla continua diminuzione delle acque che
richiedevano frequenti lavori di spurgo. Anche gli Statuti ci
fanno vedere la Cavatella impoverirsi di acqua, tanto da mi-
nacciare la sicurezza della città cui faceva da fosso: si pre-
scriveva perciò ai magistrati cittadini di provvedere a rein-
tegrare l'antico corso delle acque (2).

Un certo divario — per contro — ci appare tra l'aspetto
odierno e quello anteriore del fosso che circonda il Borgo.
Allorché la necessità della difesa si faceva maggiormente
sentire, questo fosso — scavato, come sembra, à protezione
dell'abitato suburbano — doveva certamente esser tenuto in
condizione da rispondere il meglio possibile al suo scopo.
Più ricco di acque, all'Angelotti ben potè sembrare quasi un
« ramo del Velino » (3); con l'andar del tempo, però, fu sem-
pre più trascurato e poi lasciato in abbandono. Verso la metà
del secolo XVIII il suo alveo — secondo qualche fonte lo-

(1) « Circa cinquanta canne ... sotto al ponte che congiunge il Borgo alla Città,
si divide anche oggi il Velino e forma una bella isoletta ... Il braccio destro del
fiume ... che è più prossimo alla città è assai più anzusto del sinistro; porta un
volume di acqua assai minore ed é facile ad interrarsi per lo che necessita bene

è spesso di espurgarlo ». Così il LariNI (Memorie ecc., fasc. II, cap. XII). Il Picciol-
passo fa notare esplicitamente la inferiorità di questo corso destro (68v).

(2) Ciò si ha nella prescrizione De aqua fluminis mittenda circum civitatem.
La riportiamo per intero: « Quia per aquam fluminis Rheatini quae a Monasterio.
Sanete Luciae versus civitatem fluebat est adeo diminuta quod Rheatina civitas
longe debilior est effecta, et verisimiliter creditur quod ad tempus modicus tota
aqua derivabit ab alio latere, quod est ultra monasterium predictum, propter fer-
ventem cursum quem aqua dicti fluminis cepit a pluribus annis citra, nisi adhi-
beatur in brevi remedium oportunum, volentes fortificationi dicte civitatis inten-
dere ordinamus atque statuimus quod priores, qui erunt de mense Aprilis ..., provi-
deant operentur et efficaciter intendant quod illa pars fluminis, quae a dicto mo-
nasterio citra, versus civitatem fluere hactenus consueverat, et cursum solitum et
antiquum per oportuna magisteria et remedia revertatur ete. » Stat. I, 155. II Mona-
stero di S. Lucia, di cui si fa parola, é quello antico, esistente nell'isola di Voto
di Santo.

(3) < ... passato il ponte del fosso, ch’il Borgo con un ramo del Velino cir-
conda ecc. » Descrittione ecc., pag. 24.










6 G. COLASANTI

cale (1) — si sarebbe interrato; finchè — perduto ormai
l'antico aspetto — sul principio del secolo XIX una parte
del vecchio corso fu ridotto a cultura (2). Lo scopo origi-
nario di questo fosso venne così a perdersi, ed oggi -- come
al tempo del Latini — « il Borgo .. rimane aperto ed indi-
feso » (3), di nessun vero presidio essendogli il fossatello che
gli gira intorno.

Su una parte di questo terreno noi troviamo distribuito
labitato moderno, di cui abbiamo altrove dato un brevissimo

accenno che occorre qui completare con una descrizione
più particolareggiata. Descritto tutto il terreno di questa
terza zona, dovremmo far seguire la rassegna dell’ intero
caseggiato: ma poichè mentre da una parte quest’ ultimo è
naturalmente diviso in più nuclei nettamente distinti fra di
loro, dall'altra la sua estensione é tale che le vicende di un
nucleo sono diverse, quanto alle origini e quanto allo svi-
luppo storico, dalle vicende dell'altro, per maggior chiarezza
noi divideremo l’ abitato della terza zona in due nuclei:
a) nucleo a sinistra del fiume; 5) nucleo ad est e ad ovest
di Via Roma. Seguiremo per ciascuno il solito metodo di ri-
cerca.

Dell’abitato che sorge sulla sinistra sponda del Velino,
abbiamo già veduti i limiti generali nella linea del fiume

ed in quella del fosso che da esso deriva e che in esso ri-
torna. Questo nucleo transfluviale è distribuito — nella sua
parte maggiore — a S-W. ed a S.-E. della Piazza Cavour,

(1) A proposito di questa prima diramazione del Velino, il Latini nota: « Ora
il fiume in questo luogo più non dividesi, ma con tutte le sue acque lambisce il
fabbricato della Città: l'alveo che circonda il Borgo si è interrato dopo la metà del
trascorso secolo (sec. XVIII) » Memorie ecc., fasc. II, cap. XII.

(2) « ... Anzi nell’ ultimo anno 1828 si é incominciato a .coltivare in qualche
parte e precisamente sopra la Porta detta Romana » LATINI, op. cit.. l. c.

(3) LATINI, op. cit., l. c.











REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 7

tra le due vie principali che mettono capo alla Porta 8. An-
‘tonio ed alla Porta Romana. Ai fianchi di queste ultime vie
l'abitato raggiunge la sua maggiore densità, che scema in-
torno alla piazza ;verso i corsi di acqua cominciano gli spazi
messi a coltivazione e che formano la parte maggiore del-
l’intera superficie racchiusa nei noti limiti.

La distribuzione generale dell’abitato richiama, quanto
alla forma, la lettera U, con le due braccia volte a mezzo-
giorno. H ramo orientale, distribuito tra la Piazza Cavour e
la Porta S. Antonio, è noto particolarmente colla denomina-
zione di Borgo S. Antonio. È costituito da un modesto fab-
bricato di nessuna importanza, più povero certamente di
quello distribuito ad occidente tra Piazza Cavour e la Porta
Romana, storicamente anteriore. I fabbricati di questo ramo
occidentale, conosciuto in particolare sotto il nome di Borgo
propriamente detto, senza raggiungere soverchia importanza
appaiono però relativamente notevoli. Negli altri lati della
piazza sorgono oggi poche case di nessuna importanza, tra
le quali però son degne di nota la chiesa di S. Cecilia, nel
lato meridionale, e quella, importantissima, di S. Angelo nel
lato occidentale. Sul limite di questa zona suburbana tro-
viamo oggi tre “porte. La prima che s'incontra verso W., e
che storicamente è la più importante, è la Porta Romana.
Così come oggi ancora si mostra, essa consiste in una costru-
zione rettangolare di un 9,00 metri di altezza, e di circa 6,00
di larghezza: nella fronte esterna, volta a sud, è rivestita di
una costruzione terminante a tetto ed ornata lateralmente
da due mensole. Sull’arco gira una fascia, ove una breve
iscrizione ricorda Sisto V che costrui la porta. Menzionata
'dagli serittori locali a noi piü vicini (1), non fu dimenticata

(1) « Nel Borgo ... esistono tre porte, cioé Porta Romana, Porta S. Antonio e
Porta Aringa » (LATINI, Memorie ecc., fasc. IV, cap. XVIII). LORETO MATTEI, dopo
la e. 94 del suo Erario Reatino ecc., allega, in uno schizzo, la planimetria di ‘Rieti
e tra le porte del Borgo si ha — nel punto ove la conosciamo oggi — la P. Romana.
Di questa lo stesso A. fa altrove esplicita menzione : « Principiando dalla Porta Ro-
mana del Borgo ecc. » (c. 80-82).





ume







8 G. COLASANTI



da Pompeo Angelotti (1) ed è ricordata dagli Statuti della
città, che di una Porta Romana fanno esplicito accenno (2).
La ragione del suo nome fu poi da tutti giustamente veduta
nel fatto che « per essa si va alla Metropoli del Mondo Cat-
tolico » (3), seguendo la via nota col nome di Via Romana (4).

Circa quattrocento metri ad oriente di questa Porta Ro-
mana, seguendo il fosso, si incontra la Porta S. Antonio, nel
limite sudest. Il suo aspetto è assai povero di fronte a quello
della porta dianzi descritta. Mediante un ponte, fatto con mat-
toni messi a coltello ed avente un arco molto incurvato, si
attraversa il fossato e si giunge ad una modesta costruzione
rettangolare, nella cui facciata apresi un arco sotto il quale
passa la strada. Accanto a questa costruzione centrale ne
sorgono due altre, modestissime.

Di questa Porta S. Antonio fanno menzione gli scrittori
locali (5): i documenti peró ci mancano per il tempo ante-
riore al 500, all’epoca cioè a cui — come vedremo — risale
il fabbricato attuale del Borgo. Esisteva essa, al di là delle
nostre documentazioni? Poiché — come concordemente rico-
noscono anche gli autori locali (6) — il suo nome appar le-
gato al convento di S. Antonio del Monte, che sorge ad essa
di fronte e che risale alla seconda metà del” secolo XV (1),
è chiaro che non possiamo andare oltre questo termine cro-
nologico per quanto concerne l’ odierno nome della porta. Che
questa esistesse, sotto altro nome, non pare probabile, come

(1) Descrittione ecc., pag. 22.

(2) I, 67: III, 44 ecc. I passi sono riportati e discussi più avanti.

(3) La prima (porta) chiamasi Romana perché per essa si và ecc. LATINI, Me-
morte ecc. fasc. IV, cap. XVII. È

(4) Gori, apud MICHAELI, I, pag. 123, uot. 2.

(5) Gli stessi che nominano la P. Romana e nei luoghi citati.

(6) Già l'Angelotti aveva rilevato uno stretto nesso tra questa Porta ed il Con-
vento di S. Antonio, allorché scrisse: « l’altra porta conduce a S. Antonio del Monte »
(Descrittione ecc., pag. 22). Più esplicitamente il Latini disse che «la seconda (porta)
ha preso la denominazione del vicino Convento de’ PP. Riformati, a cui conduce »
(Memorie ecc., fasc. IV, cap. XVIII).

(7) Fu « principiato nel 1479 » (DESANCTIS, Notizie ecc., pag. 118).













REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 9

.
a suo luogo vedremo seguendo la storia di questo abitato
orien tale.

Oltre 200 metri a N. della Porta S. Antonio, sempre se.
guendo il fosso, troviamo localizzata — nel punto in cui la
strada attraversa quest'ultimo — il nome di una Porta Ar-
ringo; in questo sito stesso — ove oggi peraltro non esiste
neppure un lontano accenno allo schema di una porta — la
conoscono gli scrittori locali sotto il nome di P. Aringa (1)
o P. Cerringo (2). Par difficile non riconoscere in questo nome
ivi localizzato un’ autorevole tradizione topografica, la quale
— dato l’abitato così come in questo punto ci appare dal
500 in poi, lontano cioè e discosto dalla linea del fosso — po.
trebbe essere giustificata con la esistenza di un’antica porta

vera e propria, posta all'ingresso dell’ abitato che — ante-
riormente all'attuale rifacimento del Borgo — si estendeva

forse sino al fosso. E una ipotesi che, veramente, ha biso-
gno ancora di documentazione. Quanto alla origine del nome,
gli scrittori locali non sanno che dire; « l’ etimologia della
terza (porta) è ignota » scrisse il Latini (3), e neppur noi
— di fronte a questa denominazione che ritorna qua e là in

molte città (4) — sapremmo dircene informati.
La persistenza, che — nel nome e nella ubicazione
delle porte .— troviamo fino dal 1500, ritorna anche per

quanto concerne la distribuzione e l’aspetto dell’abitato. Un
secolo fa — come oggi — il caseggiato formava come due

(1) Così il LATINI nel l. c. (fasc, IV, cap. XVIII).

(2) Loreto MaTTEI nello schizzo accluso dopo il fol. 94 del suo Erario Rea-
tino. Qualche scrittore tace il nome della porta, di cui peraltro ha chiara notizia.
Cosi l'Angelotti dice che verso S. Angelo « sono due Porte. Una di esse guida alla
Badia di S. Salvatore et a’ suoi Castelli ... L'altra conduce a S. Antonio del Monte »
(Descrittione ece., pag. 22). Poiché la seconda è la Porta S. Antonio, la prima —
vicino a S. Angelo — va identificata con la P. Arringo.

(3) Memorie ecc., fasc. VI, cap. XVIII.

(4) Anche a Penne una strada esterna, intorno all'abitato, porta il nome di
< Aringa » « Arringo » ecc. (Cfr. Pinna ecc., ove ho riprodotto questo nome anche
nella pianta). Nomi simili ho incontrati nelle città umbre, nel Lazîo ecc.





10 G. COLASANTI

bracci, nel cui « mezzo giace una ben vasta piazza » (1);
e mentre il braccio orientale non conteneva che « casolari
di contadini », quello occidentale era « formato tutto di of-
ficine di Ferrari, Chiavari, Ramieri e di altri artieri somi-
glianti; e sopra le officine sono le loro povere abitazioni ».
Ai lati della piazza si notavano — tra l’altro fabbricato —
la chiesa di S. Cecilia e quella « prevostale di S. Angelo ».
In complesso, adunque, una cosa ben meschina, tanto che
la popolazione poteva allora calcolarsi a « circa 1100 indi-
vidui » cioè — ad un dipresso — un 200 famiglie.

Uno schema non dissimile da questo tramandatoci dal
Latini, ci è fornito dalla nota. pianta del 1725, ove, sia
nelle arterie principali, sia nelle comunicazioni seconda-
rie, la corrispondenza con l’ odierno schema è tale da far
concludere che innovazioni vere e proprie non siano state
introdotte dai primi decenni del secolo XVIII. Nè alcun di-
vario sostanziale troviamo circa un secolo prima di que-
st ultimo termine cronologico, allorchè Pompeo Angelotti
di questo abitato così scrisse: « Si veggon diverse officine
« d'artisti da una parte, dall'altra per lo più habitationi
« d’agricoltori. Racchiude in se il Borgo la chiesa di S. Ce-
« cilia collegiata, una nuova chiesa del 1634 da’ fondamenti
« jinalzata e dedicata alla Regina de' Cieli sott' il titolo della
« Madonna del Soccorso, e la Prepositura di S. Angelo » (2).

Questo schema dell'abitato transfluviale, che abbiamo
seguito fino al principio del 1600, non rimontava ad età
lontana, ma datava appena dalla metà del precedente se-
colo XVI. Sappiamo, infatti, che durante la lotta scoppiata
tra Paolo IV. e Filippo II dopo il trattato di Vaucelles, il
Duca d'Alba — nel muovere contro lo Stato Pontificio —
minacciò Rieti. Per provvedere alla difesa, fu demolita una

(1) Per tutto cfr. LATINI, Memorie ecc., fasc. II, cap. XIII.
(2) Descrittione ecc., pag. 22.











REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 11

parte del Borgo (1), probabilmente il braccio orientale che
era il più esposto al nemico ed ove infatti troviamo distrutta
la chiesa di S. Angelo (2). Nella ricostruzione, che di que-
sta parte più tardi si fece, non sappiamo se fosse fedelmente
riprodotto l'antico schema: probabilmente furono introdotte
delle modificazioni, come potrebbe indicarlo la località del-
l’antica Porta Arringo che venne a trovarsi discosta dal
nuovo limite del fabbricato.

. Per. quanto riguarda l'aspetto dell'abitato nel tempo an-
teriore, noi possiamo dire che, già nei primi decenni del
trecento, il nucleo tra l’attuale ponte e l'attuale Porta Ro-

mana — cioè il braccio occidentale — appare formato. In
una prescrizione dello Statuto — a proposito di alcuni la-
vori per l'allargamento della piazza del Mercato — ci si

offre modo di risalire ad un abitato extra pontem, cioè fuori
dell’ odierno ponte sul fiume. Detti lavori, infatti, dovevano
essere ultimati expensis hominum portae Romanae ... et super
praedictis eligi debeant tres homines ... unus de ponte et unus
extra pontem (3). Questo abitato viene di nuovo chiaramente
mentovato allorchè si stabilisce che i pubblici banditori de-
beant bandire per loca consueta ; et maxime ... im tribio extra
Pontem et in Porta Pontis et in Porta Romana (4): ove —
qualunque sia per ora la identificazione esatta di questo
trivio (verso S. Angelo ? o proprio di fronte al ponte?) —
sta chiara ed evidente la esistenza del nucleo abitato. Que-
sto nucleo ci appare distribuito lungo una strada in prose-
cuzione del ponte, e chiuso da una specie di porta nella sua
estremità meridionale : la porta era detta — come nei tempi
posteriori — P. Romana, e la strada Via di P. Romana. Se
questo nome della Porta Romana non appare troppo evi-

(1) Cfr. MicHAELI, IV, 107-108. La stessa notizia si ha nel Desanctis (Notizie ecc.
pag. 111) ma con grave errore cronologico, ponendosi le ostilità nel 1574!!

(2) DesANCTIS, Notizie ecc., pag. 111.

(3) Stat. I, 75.

(4) Stat. I, 67.









12 G. COLASANTI

dente nel riferito passo ‘dello Statuto I, 67 (1), e porta e
strada vengono però chiaramente designate — a nostro cre-
dere — in una prescrizione annonaria degli Statuti stessi
(III, 44): Jtem eligantur per. Dominos Priores de dicto tempore
in via portae Romanae et in porta de Arce quatuor custodes ...

vicini procimà dictarum portarum qui etiam. custodiant et curam
habeant ne bladum, legumina vel annonam aut vinum extraha-
tur de aliqua dictarum | portarum extra. civitatem. Una Porta
Romana — come abbiamo già notato — era in tempi ante-
riori esistita sull’alto dell’ odierna Via Roma, lungo. cioè
l’antica linea murale. Ma di essa è dato credere che nes-
sun ricordo — tranne che il nome dei due sestieri cittadini
modellatisi sul vecchio perimetro — restasse vivo omai al
tempo dello Statuto, il quale infatti costantemente chiama
la via, che dall’antica porta scendeva nel basso, Strata Pon-
tis (I, 122; 180 ecc.) e non mai Via Portae Romanae. Se si
considera che il carattere stesso della prescrizione annona-
ria ci riporta necessariamente ai limiti materiali dell'abitato,
ove tale sorveglianza poteva esercitarsi senza danno di co-
loro che abitavano nei sobborghi, fuori cioè di qualche porta,
il non avere lo Statuto scelto come punto di sorveglianza
la porta sul Ponte nella estremità meridionale (come ha scelto
la P. d’Arce nella estremità orientale) ci dimostra che, oltre
il Velino, esisteva un nucleo abitato e che la vecchia linea
cittadina era stata sorpassata. Vien fuori di nuovo — come
si vede — l'abitato extra pontem mentovato dalla prescri-
zione I, 15.

Il nome stesso che questo abitato mostra avere nel
passo III, 44 (in via portae Iomanae), indica che il caseggiato
doveva trovarsi all’ ingrosso lungo la strada (antica Salaria,
detta poi, come oggi, Via Romana) che da sud imboceava il

(1) Poiché un’ antica Porta Romana era anteriormente esistita entro i limiti
della città medioevale, potrebbe il nome dello Statuto esser preso come un ricordo
di essa: e quindi da localizzarsi sulla destra e non sulla sinistra del Velino.

















REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 13

ponte, cioè ad un dipresso secondo l’odierna arteria maggiore
del Borgo. Lungo di questa, infatti, conosciamo un vecchio
abitato, che già agli occhi stessi degli scrittori locali apparve
il più notevole ed il più importante di tutto il Borgo, come
quello che dimostrava avere una più remota tradizione. E
poichè, sempre in questo braccio occidentale, fin da tempi
non recenti troviamo localizzato il nome di P. Romana,
vien fatto di identificare in questo nucleo occidentale l'abi-
tato dagli Statuti indicatoci lungo la Via Portae Romanae,
favvicinando la omonima porta a quella che oggi limita
labitato da questa parte. Raggiungiamo cosi lo schema di
un nucleo abitato di là dal ponte, che fin daltrecento mostra
avere la odierna conformazione.

Esisteva o si formava allora l'altro nucleo ad est, tra la
vetusta chiesa di S. Angelo e la Porta S. Antonio? Se si fa
astrazione dalla chiesa di S. Angelo e di qualche abitato
ehe li presso doveva sorgere, del braccio orientale del-
l'odierno Borgo non'ábbiamo veruna menzione. D'altra parte,
come già dicemmo, il nome stesso di questa porta non si
mostra anteriore al principio del sec. XVI o tutt'al piu alla
fine del XV: e non conoscendo noi una denominazione
anteriore alla odierna, non possiamo perció stesso ritenere
la esistenza della porta in età precedente al termine stabi-
lito, né — di conseguenza — aftermare la presenza di un
veechio nucleo abitato, ai cui limiti la porta si sarebbe do-
vuta trovare. Certo si è che questo abitato orientale, che
nelle fonti ci appare misero e senza notorietà, non mostra
per ciò stesso di avere troppo remota tradizione.

L'abitato suburbano, che abbiamo fino al trecento ac-

certato, risaliva — tra numerose peripezie e catastrofi —
al secolo XII, allorchè — in una rovina ben maggiore di
quella del secolo XVI — il caseggiato fu completamente

distrutto. Ricordano gli storici locali, che nelle guerre, da
Ruggero I di Sicilia sostenute contro la Chiesa, Rieti fu
stretta di durissimo assedio. La città fu presa e — ad esem-







14 G. COLASANTI

plare punizione — il re la volle « distrutta ... facendovi
appiccar fuoco da ogni parte » (1). Nella generale rovina (2)
il Borgo — aperto e relativamente indifeso — fu certamente
il primo ad essere manomesso: neppure la vetusta chiesa
di S. Angelo sarebbe stata risparmiata (3).

Risalendo ora al di là di quest’ultimo termine cronolo-

gico, ed inoltrandoci nel cuore dell’alto medioevo, la docu-
mentazione storica intorno a questo abitato sempre più ci
sfugge: e le poche notizie si raggruppano intorno alla chiesa
di S. Angelo, che ci appare il punto storicamente più im-
portante e forse più antico di tutto questo sobborgo. Piccolo
e senzà importanza, questo edificio religioso è oggi in quasi

completo abbandono, e non richiama in modo alcuno l'at-
tenzione del visitatore. Il Galletti che lo visitó verso il
1165 cosi parla del suo stato e di qualche suo tesoro: « Mi
portai a vedere questa chiesa di S. Angelo, e la ritrovai
tutta rimodernata per opera del presente sig. D. Dome-
nico Ransi che ne è prevosto ... Nelle mura niuna antica
memoria vi è rimasa. Nella sagrestia vi si conserva tut-
tavia una bella croce greca di argento lavorato a basso
rilievo forse ne’ primi anni del secolo XV ... Vi si con-
serva altresì una piside di argento lavorato con somma
finezza, la quale è del secolo stesso » (4). La nessuna im-
portanza architettonica di questo edificio religioso è, senza
dubbio, dovuta alle distruzioni in mezzo a cui l'antica ve-
ste stilistica o quanto di essa ancor restava completamente

(1) MICHAELI, I, 172.

(2) < E la città arse quasi tutta e cadde in tale rovina che la popolazione, scam:
pata all’eccidio colla fuga, dovette per molto tempo andar miseramente raminga
per le vicine contrade » MICHAELI, II, 172. La stessa notizia il Galletti la desume da
‘un’ antica « cronichetta di Rieti: « A. D. MCXLVIII. Reatina civitas destructa a Ro-
gerio Rege Siciliae » (Memorie ecc., pag. 126 132) cfr. M. G. H. SS. XIX, pag. 267-268
ove il documento è edito dal Bethmann.

(8) « Nell’ eccidio di Rieti, avvenuto per opera del più volte nominato Ruggero
di Puglia, restò distrutto anche S. Angelo » (DESANTIS, Notizie ecc., pag. 111).

(4) Memorie ecc. pag. 73-75.

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA. ECC. 15

scomparve. Seguendo la sorte del caseggiato in mezzo al
quale sorgeva, la vecchia costruzione — dicemmo — fu abbat-
tuta nella catastrofe dell’abitato suburbano sotto Ruggero I:
e la nuova chiesa fu a sua volta « atterrata ... nella guerra
tra Paolo IV e Filippo II » (1) nella metà del sec. XVI.
La odierna costruzione -— tranne parziali restauri (2) — ri-
monta, nel suo schema generale, a quest’ ultima epoca.
Per il tempo anteriore al mille, i particolari documenti
intorno a questa chiesa ci sono in copia forniti dalle carte
farfensi, dalle quali ci è dato raggiungere la conclusione,

per noi importante, che — nelle successive riedificazioni di

S. Angelo — la tradizione topografica del sito dell'antica
chiesa fu sempre rispettata. Già, solo ispirandoci ad un cri-
terio generale, riesciva estremamente difficile ritenere —
senza ragioni esplicite e forti — un cambiamento di sito in
una chiesa antica e cosi notoria: i documenti suffragano
questa intuizione. Poichè in un documento dell’anno 780 si
ha « .. monasterium ‘Sancti Angeli quod est positum inter
duo flumina etc. » (3), il Galletti — dalla indicazione nter
duo flumina — desunse la corrispondenza topografica della
antica chiesa con la moderna « posta tra i due fiumi Velino
e Turano » (4). Però il Turano scorre alquanto lontano, ed
una chiesa potrebbe aver avuta la stessa posizione tra i
due fiumi, pur trovandosi in località diversa: occorre quindi,
per raggiungere il nostro scopo, valerci di altri termini più
ristretti, noti del resto allo stesso Galletti che peraltro non
‘seppe utilizzarli. Il sito dell’attuale chiesa è in piano, sulla
sponda del Velino che sovente la allaga. Allorchè, quindi,
nei documenti anteriori al mille, noi leggiamo che la chiesa
«di S. Angelo è sita in ipso campo ... super fluvium Melli-

(1) DESANCTIS, Notizie ecc., pag. 111-112.

(2) Così quello a cui accenna il GALLETTI nel riferito passo (Memorie ecc.,
pag. 73 75).

(3) Reg. di Farfa, II, 109.

(4) Memorie ecc. pag. 4-5.





16 G. COLASANTI

num (1), il nostro pensiero corre senz’altro al sito moderno,
che richiama perfettamente l’antico. Non basta. Vedremo a
suo tempo che l’attuale ponte reatino continua l’antico e
quello medievale: mentre un pons fractus, sovente menzio-
nato nei documenti medievali (2), va localizzato sotto la
chiesa ed il convento di S. Francesco, nel punto in cui l’ab-
biamo tracciato sulla carta. Ora, se — riguardo al primo —
i documenti medievali ci indicano S. Angelo posto foris
ponte civitatis Reatinae (3), e se — riguardo al secondo — ce
lo dicono posto foris pontem fractum ; super pontem fractum (4);
ad pontem fractum (5); sub pontem fractum (6) ecc. ecc., chi
non vede come il nesso topografico, posto tra questi ponti e
la chiesa nei citati documenti, sia in piena corrispondenza
con quello che intercede tra il sito odierno di S. Angelo ed
i ponti nominati? Finalmente: vedemmo come il limite
della città propriamente detta nel medio evo non abbia ol-
trepassato la destra sponda del Velino: quindi se nei docu-
menti medievali — insieme a tutti gli altri dati topografici
fin qui elencati — la posizione della chiesa di S. Angelo ci
6 detta ante civitatem reatinam o prope civitatem reatinam o
iuxta civitatem reatinam (T) ecc. ecc., non è questa un'altra
valevole prova della nostra identificazione? Pienamente giu-
stificato quindi il parere di coloro che — occupandosi della
storia di questa chiesa — conclusero — quantunque bat-
tendo una via discutibile — che « la chiesa di S. Angelo è

(1) Questa indicazione é data da altri documenti oltre a questo, riportato dal
GALLETTI (Memorie ecc., pag. 62) nell’anno 929. Così in una carta dell’Agosto del 787
si ha: « ecclesiam $8. Archangeli Dei Michahelis cum omni integritate sua que est
constructa super fluvium Mellinüm etc. (GALLETTI, Memorie ecc., pag 50-5").

(2) Reg. di Farfa, II, 116 ecc. Di ciò vedremo più avanti.

(3) Reg. di Farfa II, 9495; GALLETTI, Memorie ecc., pag. 23 58. Il documento é
dell’anno 778.

(4) Reg. di Farfa, II, 116, anno 785.

(5) Reg. di Farfa, II, 109, anno 780; GALLETTI, Memorie ecc., pag. 28.

(6) GALLETTI, Memorie ecc., pag. 48. Tutti questi documenti saranno più avanti
riportati.

(7) GALLETTI, Memorie ecc., pag. 40. Vedi più avanti i documenti.

















REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 17

tuttavia situata in quello stesso luogo che sappiamo essere
stato fino da’ tempi antichissimi ecc. » (1).

Circa le origini di questa chiesa di S. Angelo non regna
molta luce, quantunque i documenti contengano menzione
di essa fin oltre la metà dell'ottavo secolo. Ponendo da parte
le informazioni che qualche scrittore locale registra sulle
condizioni di S. Angelo durante i primi decenni del settimo
secolo (2), la prima notizia che di questa chiesa noi abbiamo
è in una donazione dell’anno 759, anno in cui questa chiesa
già esisteva (3). Menzioni di S. Angelo le abbiamo in carte

farfensi; che richiamano il tempo di Liutprando (4); con-

tinuano numerose negli anni che seguono (5). La chiesa ap-
parteneva, forse dall’ origine, « al diritto e podestà del Pa-
lazzo » (6), cioè era di pertinenza del re, per cui conto l'am-
ministrava il castaldo. Verso l'anno 778 il monastero di
Farfa acquistò l’acqua del Velino in un punto presso la

(1) GALLETTI, Memorie eco., pag. 4-5. Segue la stessa idea il DEsaNcTIS (JNO-
tizie ecc., pag. 110): « La Basilica di S. Angelo esisteva al tempo di Liutprando ...
ed era piantata nel luogo medesimo, ove ora si trova ». La « via discutibile » é
largomentazione del Galletti circa l'indicazione « inter duo flumina » in principio
discussa.

(2 Di S. Angelo e della chiesa di S. Pietro, ad essa congiunta, il DESANCTIS
dice che « prima del 739 erano ambedue chiese secolari amministrate da chierici
con a capo un Rettore ecc. » (Notizie ecc., pag. 110) : però la sua fonte è sufficien-
temente malsicura.

(3) La prima precisa notizia che noi abbiamo ... é dell’anno 739 (GALLETTI, Me-
morie ecc., pag. 5). Il documento, dal Galletti riportato a pag. 7-8, conosce già la
« basilica sancti archangeli michahelis et ... basilica sancti petri etc. » (Reg. di Farfa,
V, pag. 219; II, lit. t), una cui porziuncola faceva parte di una eredità ai donatari
pervenuta da un loro fratello. La cronologia di questo documento, già dal Galletti
fissata in base al numero della Indizione (pag. 9), corrisponde a quella comunemente
adottata, cioé all'anno 739 (Cfr. Reg. di Farfa, V, 210).

(4) E un giudicato di Carlo Magno (anno 781). Tal « paulus filius pandonis de
reate » ricorreva contro la donazione che il duca Ildebrando aveva fatta, della
Chiesa di S. Angelo, al vescovo Guiperto e mostrava una carta con cui il re Liut-
prando confermava questa chiesa ad alcuni suoi antenati (Reg. di Farfa; 11; 113;
GALLETTI, Memorie ecc., pag. 39-43).

(5) Reg. di Farfa, II, 93, ad anno 777; GALLETTI, Memorie ecc., pag. 12. Reg. di
Farfa, II, 109 ecc. ecc. Vedi più avanti.

(6) GALLETTI, Memorie ecc., pag. 12. La decisione fu pronunciata da Ildebrando,
duca di Spoleto (Reg. dî Farfa, II, pag. 93, ad anno 777) contro le pretese di Si-
nualdo vescovo reatino. 18 G. COLASANTI

| I chiesa, ove potesse costruire un. molino: nellaprile dello
TII stesso anno il duca di Spoleto Ildebrando donava la chiesa
di S. Angelo al vescovo reatino Guiperto, con l'obbligo di
traslazione a Farfa dopo morte. Guiperto, prima ancora di
morire, l'anno 180 cedé tutto al Monastero farfense (1).

I registri di questo Monastero continuano a nominare
S. Angelo dopo il mille (2): allorché Farfa decadde, questa




WE antica chiesa continuò ad essere inclusa nella giurisdizione
i hi
I T degli Abati Commendatarii farfensi, e solo nei primi decenni

| : del secolo XIX fu incorporata alla diocesi reatina (3).

(| Annessa alla chiesa di S. Angelo ci è dai nostri docu-
I | menti indicata la « basilica sancti Petri », forse una cap-
(i pella che anch’essa già esisteva l'anno 139 (4) e le cui





menzioni vanno parallele a quelle di S. Angelo: neppur di

py

essa siamo in grado di conoscere esattamente l'origine.

La relazione tra,questo abitato transfluviale — di cui
noi abbiamo seguite le remote tracce fino ai primi decenni
del secolo VIII — ed i limiti della città medievale propria-
mente detta, ci è per molteplici vie dichiarata. Già — per
rifarci da un tempo posteriore — dall’ esame degli scrittori
locali e delle fonti fino al secolo XIV, avemmo modo di







concludere che l’abitato sulla sinistra del fiume, al di là del-



l’attuale ponte, fu sempre considerato fuori dei limiti della città,



la cui estensione era portata fino alla linea naturale del Velino.




(1) Per tutto cfr. GALLETTI, Memorie ecc. pag. 23-26. I documenti sono riportati
| anche nel Reg. di Farfa, II, pag. 94-95.
| | i (2) Secondo il GALLETTI « l’ ultima memoria ... di questa chiesa di S. Angelo
é il seguente placito ... dell'anno 1028 » (Memorie ecc., pag. 68-70) : notizia raecolta

u dal DesANCTIS, (Notizie ecc., pag. 111) con errore cronologico (anno 1088 per 1028).
Però nel Regesto farfense abbiamo delle menzioni posteriori: in un atto di con-
ferma dei beni a Farfa, fatto da Enrico III nel 1050 (Reg. di Farfa. IV, 274-276) ; in
una conferma degli stessi beni allo stesso monastero, fatta da Enrico IV il 1084 (Reg.
di Farfa, V, pag. 97) ecc. ecc.

(3) Per tutto cfr. il DEsANCTIS, Notizie ecc., pag. 112.

(4) Reg. di Farfa, V, 210, e con questo cfr. gli altri documenti già citati per
S. Angelo. Qualche particolare intorno alla sua storia vedilo nel GALLETTI, Memorie
ecc., pag. 46-49. La ricorda, brevemente, anche il DesANCTIS (Notizie ecc., pag. 110).




































REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 19

. H . va: Sa
A questo stesso concetto si riportano altrove — all'infuori
dei passi già riferiti — gli autori locali, in maniera evi-

dentissima e chiara (1). Anteriormenté al trecento, e su su
oltre il mille, i nostri documenti — i quali dapprima ci fan
seguire il vecchio perimetro cittadino non ancora esteso fino
al Velino, ove arrivò solo più tardi — sono concordi nel
dichiarare la riva sinistra del fiume extra. civitatem. Richia-
mando i documenti già dianzi citati, in un giudicato di Il-
debrando duca di Spoleto, sul possesso della chiesa di S. An-
gelo, ci è indicata la sua posizione iuxta muros civitatis rea-
tinae (2); altri documenti pongono la nostra chiesa secus ci-

vitatem nostram reatinam (3); ante civitatem reatinam (4) ; prope
civitatem reatinam (5) ecc. ecc. Poichè S. Angelo era ed è
ancora proprio lungo il fiume, le cui acque quasi la ba-
gnano, le riferite indicazioni topografiche vanno logicamente
estese a tutto l’abitato transfluviale, che nella maggior parte
si trovava in una linea «più discosta dal fiume. Questa rela-
zione che tra la zona sulla sinistra del Velino e l’abitato
cittadino vero e proprio abbiamo assodata dall’ età moderna

(1) La Porta che vedremo sul Ponte era cosi detta « perché posta nel Ponte
del Velino per cui si passa dalla Città nel Borgo » (LATINI, Memorie ecc.. fasc. IV,
cap. XVIII). A proposito del Velino lo stesso autore ci dice che « un ramo del fiume
scorresa per quell'alveo stesso ove scorre oggidì e serviva di muro alla città » (Me-
morie ecc., fasc. II, cap. XII) ecc. ecc. Pompeo ANGELOTTI dice la città « circon-
data da un lato da fortissimi bastioni dill’altro dal fiume Velino, che sicura la ren-
dono ecc. >» (Descrittione ecc., pag. 50). Accenni simili si hanno negli altri scrit-
tori, che tralasciamo per brevità. ca

(2) < ... altercationes habentes ... de aecclesia beati Archangeli michahelis

E quae posita est iuxta muros civitatis reatinae » Reg. di Farfa, II, 93; 236. Cfr. an-
che GALLETTI, Memorie ecc., pag. 11 e segg.

(3) In una donazione dell’anno 778 si ha: « In monasterio beati Archangeli
Michaelis, quod situm est foris ponte, secus civitatem nostram reatinam » Reg. dé
Farfa, II, 94-95. GALLETTI, Memorie ecc., pag. 23.

(4) In una concessione del 780: « Monasterium sancti Angeli quod est positum
inter duo flumina ... ante civitatem reatinam » Reg. di Farfa, II, 109. GALLETTI,
Memorie ecc., pag. 28.

(5) « ... de monasterio sancti Angeli, quod situm est prope civitatem reatinam »
Reg. di Farfa, Il, 113-114. GALLETTI, Memorie ecc., pag. 40: in un giudicato del 781.
Similmente in un documento del 787 (GALLETTI, Memorie ecc., pag. 51) si ha : « prope

ipsam civitatem R atinam » riferito a S. Angelo ecc. ecc,





20 G. COLASANTI

fino all'alto medioevo, la ritroviamo anche nell’ epoca antica
propriamente detta. Già la giusta valutazione che dobbiamo
fare di un centro come Reate; il criterio topografico che
— avvalorato dall'analogia di quanto abbiamo visto nelle
altre due zone — ci indica la continuazione del perimetro
antico lungo i declivi del colle (1); tutto un insieme di con-
siderazioni, in una parola, ci porta verso la nostra tesi. A
conferma della quale interviene il fatto assai sintomatico
che, in questo punto sulla sinistra del fiume, non ci appa-
iono tracce vere e proprie nè di un antico abitato cittadino
nè di un antico nucleo suburbano. Gli scrittori locali parlano
di un tempio di Nettuno, posto presso la chiesa di S. An-
gelo (2) o li presso (3), senza esser di accordo sulla parti-
colare determinazione topografica di esso. La esistenza di
questo tempio — documentata da un esplicito titolo epi-
grafico (4) — evidentemente non puó arrecare alcun pre-
giudizio alla nostra tesi.

Similmente non ci nuoce l’accenno che le carte far-

fensi fanno di una area marmorea, esistente foris pontem, cioè

(1) Occorrerebbe ammettere la necessità che Reate avrebbe sentita di abban-
donare i vecchi limiti sul colle per espandersi oltre il fiume. Un fenomeno, per il
quale occorrono città di una vita e di una importanza economica e commerciale
ben diver-e da quella della nostra Reate, che rimase sempre un centro agricolo.

(2) L' epigrafe Neptundo sacrum etc. (C. I. L., IX, 4676) sarebbe stata rinvenuta
« nel Fiume Velino, vicino alla Chiesa di S. Angelo nel Borgo », ed indicava « ivi
essere stato il Tempio di Nettuno » (AxGELOTTI, Descrittione, pag. 74). Questa idea
fu raccolta dal LATINI, secondo cui « si può quasi con certezza asserire che questo
(tempio) fosse eretto in quel luogo ove oggidì trovasi la Chiesa Prevostale di S. Mi-
chele Arcangelo in Borgo » (Memorie ecc., fasc. III, cap. XVI). Della quale id :ntifi-
cazione topografica il LaTINI trova la ragione nel fatto che « questo sito fra il fiume
Velino ed il fiume Turano .. non poteva essere se non convenientissimo per l'ado-
razione di ui; Nume, che i Gentili dicevano Dio del mare e Regnator delle Onde »
Y 0p. 0551703.

(3) Così il MicHaELI il quale, senza scendere ad una particolare determinazione
topografica, nota: « presso la città, sulla sinistra sponda del Velino, era pure un
tempio consacrato a Nettuno da C. Annio Nettuniale. (Memorie Storiche ecc., I, 54).

(4) C. I. L., IX, 4016. 5









REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 21

fuori del ponte attuale (1): giacchè — oltre alle questioni
sul sito in cui quest'area si sarebbe trovata (nel Borgo
odierno ? o fuori di esso?) e sul suo riferimento all'antico
abitato cittadino — rimane la pregiudiziale se in questo ac-
cenno noi dobbiam vedere realmente qualcosa di antico.

Il Vittori volle considerare il Borgo, qual’ era ai suoi
tempi, come il continuatore di un antico abitato suburbano
allorchè scrisse « quod suburbium, Velini flumine adiacens,
sicut hodie est incolebatur, Romana via aut aquarum propin-
quitate incolis forte oblectatis » (2); ma non ne forni alcuna
documentazione. Forse abbiamo intuita quale poté essere l'o-
rigine di questa idea. Poiché il Vittori riteneva che l'antica
città era circoscritta nell'alto del colle, vien fatto di doman-
dare come mai il nostro autore non ponesse piuttosto un
sobborgo antico ai piedi del colle, immediatamente fuori la
città, in un sito ove pure si trovava la Via Romana e presso
cui era il fiume, ritenuti come coefficienti per l'origine del
sobborgo stesso. È facile capire come la ragione di ciò vada
ricercata in niente altro che nella ignoranza circa la forma-
zione del sobborgo al di la del Velino. Egli lo sapeva esi-
stito da tempi indeterminati; non si domandò neppure se
esso fosse potuto risalire ai primi secoli del medioevo (di
cui non conosceva affatto i documenti) e lo ricollegó senz'altro
all’età classica.

L'abitato, posto a sinistra del Velino, fin dall'alto medio-
evo.ci appare messo in comunicazione con la città mediante
l'attuale ponte, poco a monte del quale i documenti ricordano un
« pons fractus » di cui abbiamo già fatto un fuggevole cenno. Il
ponte, che oggi sorge sul Velino, è una massiccia costruzione
allo sbocco ed ai piedi quasi dell’attuale Via Roma. Esami-
nato di fianco, esso risulta formato di due zone diverse, so-

(1) In un atto dell'anno 811, riferentesi a Rieti, abbiamo: « et vineam nostram
quam habemus foris fontem ad aream marmoream in integrum » (Reg. di Far[fa,
II, 161).

9

(2) Ms. cit, c. 124-125.









22 G. COLASANTI



vrapposte. Quella inferiore, nascosta in gran parte dalle acque
del Velino il cui livello sale continuamente, è a grandi blocchi
parallelepipedi in pietra viva, bene squadrati e ben lavorati.
Essi sono disposti in zone orizzontali, tra cui si apre un
arco centrale appena visibile nella sua sommità, mentre delle
due altre aperture laterali (che ci si dice esistenti) nulla si
vede sulla superficie delle acque. A questa zona, che mostra
evidenti i caratteri di una robusta costruzione antica, si so-
vrappone la costruzione posteriore, in pietre di varie dimen-
sioni, tra le quali peró qua e là appare qualche blocco, le
cui proporzioni e la cui forma si riportano ad un materiale
antico. In capo al ponte, sulla sinistra riva del fiume, si apre
come un piccolo largo, cinto di muro, a forma di un qua-
drato irregolare e che si rivela come il residuo di una co-
struzione scomparsa. L'aspetto odierno di questo ponte, così
come lo abbiamo descritto, rimonta all’ anno 1883, allorché
fu demolito il così detto Cassero, cioè una robusta torre qua-
drata, che ivi in capo al ponte sorgeva a guardarne l’ in-
gresso (1). L'aspetto e la forma di questo Cassero ci appaiono
nelle fonti c negli scrittori locali, che ce lo descrivono come
una « smisurata torre »,0 Come « opra molto antica e mas
siccia di quattro archi » (2). Il Cassero — come si man-

(1) Cfr. Bollettino di Storia” Patria per l’ Umbria, anno II, vol. VII; fasc. III,
1901. Memoria di. A. Bellucci « Sulla Storia dell'Antico Comune di Rieti »; Tavola an-
nessa tra pag. 420 e 421. >

(2) MICHAELI, Memorie Storiche ecc,, III, pag. 104; lo accenna. Il LATINI (Me-
«morie ecc., fasc. IT, cap. X) parlando del « ponte di pietra » aggiunge che su di
esso « sorge un'antica torre quadrata ». Di questa « Torre quadrata » riparla al-
trove (op. cit., fasc. IV, cap. XVII!). Un rozzo schema della Porta col C«ssero lo
abbiamo nella citata Pianta del 1725. LORETO MATTEI nota che il Ponte era munito
« d'altra Torre sopra il corso del fiume, opra molto antica e massiccia di quattro
archi » (Erario Reatino ecc., c. 80-82). POMPEO ANGELOTTI, con più precisione, ci
indica il Cassero posto a difesa della Porta; « ... sopra questa Porta e controporta
s’inalza una smisurata torre per sua difesa » (Descrittione ecc., pag. 23). Il PICCIOL-
PASSO a c. 70, cioé nella pianta prospettica della città di Rieti, ha disegnato il ponte
ed in capo ad esso — sulla sinistra sponda del fiume — la torre di guardia. La sua
forma rettangolare, sormontata da una sporgenza, vi appare chiara. Nella « Croni-
chetta reatina », dal GaLLETTI riportata a proposito della distruzione che del Cas-














i
È
i
1





REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 23

tenne fino ai nostri giorni — risaliva alla prima metà del
secolo XV, quando sulle rovine del « torrione merlato ... an-
tichissimo » (1) che era stato « demolito a furia di popolo
in un tumulto del secolo precedente » (2), esso venne rifab-
bricato (23). Nell'altro capo di questo ponte gli Statuti ci mo-
strano la Porta Pontis (4) che — con la sua torre simile
forse a quella visibile ancora a Porta d'Arce ed a Porta
Conca = costituiva una delle più importanti della città me-
dievale. -Per l’età anteriore a quella in cui gli Statuti furono
redatti, si hanno frequenti menzioni di questo Pons civitatis

reatinae. Così in un documento ricordante i tributi che Rieti

prometteva a papa Innocenzo III nel 1198, si parla tra l’altro
di una « medietatem ... de Ponte Reatinae Civitatis » (5); e
nelle carte farfensi anteriori al mille, fino al secolo VIII,
torna di nuovo l'accenno al ponte della città (6). Oltre questi
termini cronologici, menzioni dirette cessano : il che però non
ci impedisce di riconoscere e di determinare la esistenza di
un remoto passaggio sul Velino, proprio nel punto in cui noi lo
conosciamo. L'attuale ponte si trova ai piedi di Via Roma,
cioè allo sbocco di un terrapieno, costruito per mettere in
comunicazione il basso con l'alto del colle, ov’ era la città,

saro si fece nel 1377, se ne dà una breve descrizione : « In isto tempore fuit defrac-
tata turris de pede pontis in Reate que erat magis alta quam alia pasa plus quam
tres ». Cfr. M. G. H. SS., XIX, pag. 267-268.

(1) Boll. di Storia Patria per U Umbria, fasc. cit. pag. 419.

(2) Boll. di Storia Patria per l’ Umbria, fasc. cit., l. c. La notizia si ha anche
nel MicHaELI (Memorie Storiche ecc., III, pag. 104) ed é riportata all'anno 1377, al-
lorehé su tale distruzione si protestò nel Consiglio di Credenza III, 104, not. 1).

(3) GALLETTI, Memorie ecc., pag. 126-132; notizia passata poi nel MICHAELI
(e. not 2).

(4) Stat. di Rieti, I, 135 ; III, 31; 97 ecc. ecc. I passi li abbiamo già riportati. '

: (5) « ... Promisit de cetero reddere Domino Papae et Ecclesiae Romanae me-
dietatem de Placitis, et Bannis, et Forisfactis, et de Sanguine, et de Plaza, et Scorto,
et Passaggio, et Ponte Reatinae Civitatis » ap. MICHAELI, II, pag. 228.

(6) In una donazione del duca Ildebrando a Farfa, si ha indicata la chiesa di
S. Angelo « foris ponte, secus, civitatem etc. (Reg. di Farfa, II, 94, anno 778). La
Stessa indicazione é ripetuta nel documento di consegna che segue al primo; cfr.
GALLETTI, Memorie ecc., pag. 23. Altra menzione si ha in un documento farfense
dell’anno 873, riportato dal GALLETTI (Memorie ecc., pag. 58) ecc. ecc.













24 G. COLASANTI

allorchè — incanalata l’acqua limacciosa della palude nel
corso dei Velino — si prosciugò il terreno basso ai piedi del
colle. Questo terrapieno, da noi esplorato, risulta formato di
una costruzione a blocchi calcarei, di carattere antico: su
di esso corre oggi la Via Roma.

Se si considera che — una volta fatto questo rialzo di
terreno — non si poteva avere interesse alcuno di costruire
il ponte lontano da esso; ma che anzi — dato il terreno basso
e facilmente inondabile — tutto doveva consigliare a ravvi-
cinare lo sbocco del terrapieno al capo del passaggio. sul
Velino, sarà facile convincersi dello strettissimo nesso che
necessariamente dobbiamo porre tra il sito o la linea del ter-
rapieno ed il sito del ponte. Se, quindi, riusciremo a provare
che il dosso si trova oggi ancora nel suo sito originario, una
conseguenza simile potremo dedurre per il ponte.

Si osservi la estensione che l’antica città aveva da occi-
dente ad oriente: questo terrapieno approdava sul ciglio me-
ridionale, in un punto egualmente distante dalle due estre-
mità, ciascuna delle quali si trovava a circa 340 metri da
esso. Per una città che nei suoi due punii estremi si acco-
stava al fiume fin quasi a toccarlo, mentre se ne allontanava
nei punti mediani del lato volto a sud, l’unico e ragionevole
punto, in cui stabilire un passaggio nel basso e tale che fosse
potuto equamente servire alle due zone laterali, fin dai tempi
primitivi dovè sembrare proprio questo. Non si dimentichi
che — a voler ritenere un terrapieno anteriore in sito di-
verso — oltre a contrastare con tutti quei criteri generali
dianzi esposti, non sapremmo in verità dove cercarlo e so-
prattutto non sapremmo spiegarci come mai — anche abban-
donato per una qualsiasi inesplorata ed inesplicabile ragione
— le sue tracce fossero poi completamente scomparse. Si
ricordi che qui siamo in una zona sempre esposta alle inon-
dazioni, contro le quali in vario tempo si è tentato di rial-
zare qua e là il suolo di qualche fabbricato. Ora, non pare
strano che si sia sentita la necessità di guastare e distrug-

Tav. III. Via della Pescheria.

Torrione della vecchia cinta.



|

Fannie tette tet















REATF, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 25

gere questo ipotetico terrapieno, rinunciando così all’ ine-
stimabile beneficio di sottrarre una parte della zona al
costante pericolo delle inondazioni? Questo dosso avrebbe
resa immune gran parte di questa zona: quindi l'assurdità di
supporlo demolito, se realmente fosse esistito altrove. Queste
considerazioni, insieme a quelle fondate sull’ esame diretto
della costruzione e del materiale, ci spingono a considerare
l'odierno terrapieno come originario. Con la originarietà del
sito del terrapieno va quella del sito del ponte. E ad esso cer-
tamente occorre riferire quella menzione che di un passag-
gio sul Velino potrebbe vedersi nelle parole degli scrittori
classici (1).

Di un altro vetusto ponte, già esistito poco a monte del-
l’attuale ed assai per tempo rovinato, ci informano larga.
mente le nostre fonti. Contrariamente al Michaeli, che ha
un’ idea confusa ed indeterminata di un ponte esistito « su-
periormente all'attuale + (2), il Latini sa che presso S. An-
gelo « esisteva un altro ponte rotto » i cui ruderi ancora si
vedevano al principio del secolo XIX e nel tempo anche
posteriore (3); mentre il Galletti — cui furono noti i docu-
menti farfensi — ha sottomano parecchie notizie, riferentisi
& questo antico passaggio che era nelle « vicinanze » di
S. Angelo (4. La menzione del « ponte rotío » non faceva
allora .per la prima volta la sua apparizione: poichè le carte
farfensi, posteriori ed anteriori al mille, parlano di questo
ponte sito presso S. Angelo (5).

(1) Vedi più avanti.

(2) Memorie Storiche ecc., I. 52; nella nota 1 si ha una eco lontana dei docu-
menti pubblicati dal GALLETTI, ove si menziona il « pons fractus ».

(3) Memorie ecc., fasc. II, cap. X: « i ruderi del ponte rotto ancora si vedono »,
così aggiunge il nostro autore.

(4) « In queste vicinanze (cioè di S. Argeto) fuori di Rieti, passato lo stesso
ponte rotto ecc. » GALLETTI (Memorie ecc., pag. 97). Altri documenti con altre men-
zioni sì hanno altrove (op. cit., pag. 28, 48, 111, 118 ecc. ecc.).

(5) I documenti abbondano. In una donazione del 780, il vescovo Guiberto con-
cede a Farfa « Monasterium Sancti Angeli ... ad pon'em fractum » (Reg. di Farfa,
II, 109. Cfr. GALLETTI, Memorie ecc., pag. 28). In altra carta del 947 si nomina una







G. COLASANTI

Resta a vedere come dobbiamo intendere questa vici-
nanza — da tutti gli scrittori locali ritenuta senza alcuna
discussione — e dove precisamente dobbiamo’ porre questo
ponte rovinato Le fonti, in genere, non ci dicono a questo
riguardo alcunchè di preciso, nè valevoli sono le indicazioni
forniteci da qualche scrittore di cose reatine. Da tempi re-
motissimi Farfa possedeva sotto il ponte rotto un mulino,
che fu il primo possesso del monastero in questa zona (1).
I nostri documenti non ci permettono di esso alcuna esatta
determinazione men che lata e generica, mentre invece il
Latini credè di vederci chiaro fino al punto di dire che
questo antico mulino « esisteva fino agli ultimi anni del de-
corso secolo decim’ottavo. Venne finalmente distrutto dall'im-
peto del fiume, ed il Sig. Marchese Basilio Pontenziani
nel 1824 ne fece scavare persino i fondamenti, le cui pietre
ecc. ecc. » (2). Il suo sito corrisponderebbe quasi al punto
intermedio tra S. Angelo e l’ odierno ponte: e poiché — se
condo i documenti — esso si sarebbe trovato. sotto cioè a
valle del ponte rotto, potremmo avere una prima indica.
zione topografica di quest’ ultimo, da ricercarsi quindi un
po’ più a monte di questo mulino. Ma si noti che — men-
tre la identificazione del mulino, esistente ai tempi del La-

cappella « foris pontem fractum » (GALLETTI, Memorie ecc., pag. 111). « In territorio
reatino foris pontem fractum » abbiamo in un documento del 981 (GALLETTI, Me-
morie ecc., pag. 118). In una carta del 1062 si donano a Farfa « res ... ad civitatem
reatinam foris pontem fractum » (Reg. di Farfa, IV, 322). In un altra, l'abbate far-
fense Guidone e tal Raniero si disputano « unum molinum ... suptus pontem frac-
tum » (Reg. di Farfa, IV, pag. 101; GALLETTI, Memorie ecc. pag. 72). Le menzioni
di questo ponte sono spessissimo legate a quella di S. Angelo. Oltre ai passi già
citati, altri ne abbiamo. Della chiesa di S. Pietro « quae est sita in atrio sancti ar-
changeli michahelis super pontem fractum », parla un documento farfense (Reg. dé
Farfa, II, 116; GALLETTI, Memorie ecc., pag. 46. È una carta del 785). In un atto di
controversia, la stessa chiesa di S. Pietro ha la stessa indicazione (GALLETTI, Op. c.
pag. 48) ecc. ecc.

(1) GALLETTI, Memorie ecc., pag. 23. Il documento é riportato dal Reg. di Farfa,
II, 94 ad anno 778 « Mulinum quod habemus suptus pontem fractum etc. (Reg. di
Farfa, IV, 101) ecc. ecc.

(2) Memorie ecc., fasc. II, cap. X.

















REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 27
è *

tini, con il mulino farfense, resta sempre una cosa pro-
blematica e quanto mai non dimostrata — d’altra parte, alla
espressione suptus in questo caso speciale — come ben presto
vedremo — non è possibile attribuire un determinato valore
di sotto, a valle ecc., ma solo una idea generica di vicinanza.
A rigore, quindi, essa potrebbe indicare un ponte esistente
tanto a valle quanto a monte del mulino citato.

Occorre battere una via diversa. Richiamando alla mente
alcuni passi già citati, vediamo che la chiesa di S. Angelo
è detta ora supra pontem fractum, ora suptus pontem fractum,
ora ad pontem fractum, ora foris pontem fractum (1), con in-
dicazioni, cioè, così svariate e spesso di significato così op-
posto (come supra e suptus) che non è possibile vedere in
esse un grande rigore topografico, ma soltanto l’idea di uno
stretto nesso di vicinanza fra S. Angelo ed il ponte rotto.

Sul finire del secolo XIII la città si ampliava: ed i ma-
gistrati stabilirono di costruire un ponte presso il convento
di S. Francesco, sulla destra del Velino. La nostra fonte ha,
in proposito, queste parole: « statuistis super fluvium Velini
iuxta locum ipsorum (fratrum mm.) de novo construere quen
dam Pontem eíc. » (2); ove la espressione de novo o può in-
dicare una costruzione che allora per la prima volta si in-
traprendeva, oppure puó esser presa nel significato di una
costruzione che si rinnovava; e tutto il passo suonerebbe
così: avete stabilito di ricostruire un vecchio ponte sul Velino
etc. Il testo, a nostro credere, raccomanda quest’ultima inter-
petrazione: ad ogni modo, nasce da sé il sospetto che lo

(1) I passi sono stati già riportati.

(2) Il documento, proveniente dall’antico Archivio di S. Francesco di Rieti,
contiene la lettera che Urbano IV ai 10 di Giugno del 1263 scriveva « dilectis filiis
Nobili Viro ... Potestati et Consilio Reatino » sulla questione del ponte: « Ex parte ...
dilectorum filiorum Guardiani et Fratrum Minorum Reatinorum fuit propositum
coram Nobis quod vos iuramento praestito statuistis super fluvium Velini iuxta lo-
€um ipsorum de novo construere quendam Pontem, ex cujus constructione etc. »
(Bullarium Franciscanum, II, pag. 471, ad anno 1263).











28 G. COLASANTI

schema o, non fosse altro, il sito del nuovo - ponte fosse of-
ferto dai ruderi o dai ricordi dell’antico ponte rotto, che si-
curamente in queste vicinanze si trovava.

Dove si voleva costruire questo passaggio? I frati di
S. Francesco ricorsero al papa contro il progetto di questo
ponte, adducendo — tra gli altri danni che loro ne sareb-
bero derivati — « discrimina quae ... per inundationes aqua-
rum in loco ipso propter hoc hyemali praesertim tempore
excrescentium imminerent » (1), Se, quindi, il progettato
ponte avrebbe esposto il convento di S. Francesco alle inon-
dazioni, è evidente che poco sotto di esso o per lo meno alla
sua stessa altezza si trovava il sito prescelto: giacchè un

ponte prima del Convento, arginando le acque, sarebbe stato

piuttosto di giovamento ai frati; i quali neppure avrebbero
avuto seri motivi di reclamare qualora il ponte fosse dovuto
sorgere dopo il convento ma alquanto lontano da esso. In questi
pressi di S. Francesco noi saremmo vicinissimi alla chiesa
di S. Angelo: ed —- oltre alla perfetta corrispondenza con le
indicazioni topografiche, che del ponte rotto i nostri docu-
menti ci forniscono — avremmo anche un importante dato
di fatto. Nel punto in cui, sulla carta, abbiamo tracciato il
ponte rotto, fino a tempi non molto lontani si vedevano re-
sidui di antiche costruzioni sulle sponde e nell’alveo stesso
del fiume, ove anzi, in tempo di magra, appariva come un
resto di pilone: tutto mostrava di riferirsi alle rovine di un
ponte. Ed a questi resti intese alludere senza dubbio il La-
tini allorchè a proposito del pons fractus rilevò che i suoi
ruderi ancora esistevano al suo tempo (2).

A quale età rimonta questo passaggio poi rovinato? La
domanda è delle più imbarazzanti. Poichè abbiamo già esposte

(1) Bull. Francisc., l. c.

(2) < I ruderi del ponte rotto ancora si vedono » (Memorie ecc., fasc. II, cap. X).
Questi ruderi sono posti presso la chiesa di S. Angelo (Memorie ecc., l. c.), non
possono quindi riferirsi ad altre rovine.







REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 29



le ragioni per ritenere originario il ponte odierno e con esso
il relativo terrapieno, per questi motivi non è il caso di
pensare che questo ponte rotto si riporti ad un antichis-
simo e primitivo passaggio in seguito caduto, abbandonato e
sostituito dal ponte che ancor oggi rimane. Non resta che
considerarlo contemporaneo o posteriore all’altro. Dell'antica
Reate ci si nominano incidentalmente più ponti (1): ma è
proprio il caso di valersi di fonti così generiche e che, in
fin dei conti, potrebbero avere altri riferimenti, per provare
la esistenza del nostro ponte nell’età antica? Le difficoltà ci
premono da tutte le parti. Lo sviluppo dell'antica città non
era certamente tale, da giustificare ai nostri occhi la neces-
sità di creare un nuovo passaggio sul fiume e per giunta
accanto all’ altro esistente. Tanto più che (se si astrae da
piccoli .ponti levatoi di nessuna importanza per il transito)
un unico passaggio è stato sufficiente per tutto l'evo medio,
in cui pure l'abitato ebbe una maggiore estensione ai piedi
della collina, ed in cui un nucleo di abitazioni si era for-



mato e sviluppato di là dal fiume. Non si dimentichi che
anche dopo il tentativo (presto abbandonato perché di cosa
non indispensabile) di fare un nuovo ponte nel secolo XIII
— l’unico transito sul Velino è ancora sufficiente per un
abitato, che certamente oggi è raddoppiato di fronte a quello
antico. Dobbiamo perciò non considerare questo ponte
rotto come antico nel vero senso della parola, ma ritenerlo
legato a. qualche fabbricato importante, sorto ivi presso
nei bassi tempi o nei secoli oscuri del primo medioevo (per
es. alla fabbrica di S. Angelo)? Allo stato attuale delle no-
stre cognizioni, la questione attende ancora una risoluzione :
solo possiamo dire che, al primo apparire dei nostri più re-
Moti documenti medievali, esso era già rovinato.

Prima di passare, con la nostra ricerca, sulla sponda
destra del Velino, occorre assodare quanto di vero ci sia

(1) Obseq. 59.













30 G. COLASANTI

nella opinione di coloro che sembrano porre un antico nucleo
nella zona, racchiusa tra le due diramazioni del Velino, a
valle del ponte odierno. Tra le epigrafi reatine, si ha la se-
guente: i

Sancte — de . decuma . victor . tibei . Lucius . Mumius .
donum —- moribus . antiqueis . pro . usura . hoc . dare . sese
— visum . animo . suo . perfecit . tua . pace . rogans . te —-
cogendei . dissolvendei . tu . ut . facilia . faxeis — perficias .
decumam . ut faciat . verae . rationis — proque . hoc . atque
alieis . donis . des . digna merenti (1).

Riportata comunemente a Contigliano, piccolo centro

presso Rieti, la sua vera provenienza è tuttora incerta (2):

per cui, allo stato presente delle cose, deve riguardarsi ipo-
tetico ogni altro suo riferimento topografico. Cosicchè quando
il Gori « opina che non fosse scavata a Contigliano, ma piut-
tosto alle porte di Rieti, in quella ubertosa isoletta formata
dal Velino » (3), cioè nella località detta Voto di Santo, egli
non fa che risolvere a suo modo la questione, dandoci, nel
tempo stesso, un'idea adeguata delle ragioni che gli son
servite di base. Egli si fonda primo nel fatto che la detta
epigrafe ha un Sancte, e proprio in quest' isola vive ancore
la denominazione di Votu de Santu: e poi nel fatto che questa
epigrafe, essendo stata « veduta giacere lungamente ante
fores summi templi, cioè nel portico della Cattedrale » (4),
dovè essere trovata in qualche terreno, alla stessa chiesa ap-
partenente: e l'isola di Votu de Santu apparteneva da tempo
remoto alla Cattedrale (5)!! Dobbiamo insistere nel ribattere

(1) C. I. L., IX; 4672; MICHAELI, I, 85.

(2 Per tutto cfr. C I. L., IX, pag. 441. Il VITTORI, che la riportò a Contigliano,
giunse perfino a vedere ivi un tempio di Sanco (ms. cit., c. 14)!

(3) Ap. MICHAELI, I, pag. 90.

(4) C. I. L., IX, 4672. GORI, ap. MICHAELI, I, pag. 85 e segg.

(5) Tutto ciò si ricava chiaramente dal testo in parte già riportato: « ... io
opino che non fosse scavata a Contigliano, ma piuttosto alle porte di Rieti, i': quella
ubertosa isoletta formata dal Velino, che apparteneva al Capitolo Cattedrale ... ed

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC.

queste conclusioni? La prima argomentazione non è valida

| poichè — quantunque il documento toponomastico esista in

detta località — non sappiamo però quale nesso lo congiunga
(se lo congiunge) al Sancte della epigrafe citata: tanto più
che, anche altrove troviamo simili denominazioni: a Conti-
gliano, per esempio, ove appunto altri perciò riferiscono questo
titolo epigrafico (1). La seconda argomentazione è (come
dirla?) troppo curiosa, perchè occorra qui discuterne il va-
"lore. Non si dimentichi che in questa località non esistono
né residui né tradizione alcuna di resti archeologici, che pos-
sano far pensare. ad un qualsiasi tempio: a meno che non si
voglia vedere nel monastero di Santa Lucia, quivi sorto nel
medio evo ed in seguito abbandonato (2), il succedaneo di un
tempio pagano. Il che non é il caso né di supporre né di
discutere. Anche qui poi — a confermare sempre più la esclu-
sione di questa zona dall'antico abitato cittadino o soltanto
suburbano — giova richiamare alla memoria, oltre a tutte
le diverse ragioni addotte a proposito dell’abitato del Borgo,
la costante tradizione medievale, che ha considerato il limite
S.-W. della città nel corso del Velino, e l'assoluta mancanza
di un qualsiasi nucleo abitato medievale (3), che possa far
pensare alla continuazione di un nucleo antico.

Come per la zona del Borgo, così anche per questa isola
di « Voto dei Santi » la formazione del monastero di Santa
Lucia,e le esigenze della vita quotidiana richiesero e deter-

è appellata Votw de Santo. Ciò spiegherebbe la ragione, onde fu veduto giacere
lungamente ante fores summi templi, cioè nel portico della Cattedrale » (ap. MI-
CHAELI, I, pag. 90).

(1) Così il VrrrorI (ms. cit., c. 14) che si basava sul nome di Colle di Santo vi-
vente nella regione: « locum Collem Saneti regionis incolae ad huc vocant etc. ».
Denominazioni simili (« in contrata voti ») ei appaiono nel territorio reatino (Rege-
sto delle pergamene di Rieti di A. BELLUCCI, pag. 48).

(2) Le religiose, che nel 1556 entrarono in città, abitavano prima l’antico loro
convento di là dal Velino, di fronte alla odierna chiesétta di S. Nicola, che sarebbe
Stato fondato nei 1253 (DESANOTIS, Notizie ece., pag. 120-121).

(3) "Tranne, s' intende, il monastero di S. Lucia.

















gin











32



G. COLASANTI


























minarono delle comunicazioni secondarie tra l'isola e la riva
destra del Velino, ove l'abitato cittadino man mano si esten-
deva. Già in un atto di cessione, che Farfa faceva di alcuni
suoi beni esistenti presso l'antica chiesa di S. Nicola in Acu-
penco, sulla destra del Velino e presso la sua biforcazione,
si nomina un ponte a confine di un pezzo di terra (1): questo
documento é dell'anno 920. Ma poiché la ubicazione di questa
terra non può essere stabilita con precisione, e solo possiamo



dire che essa doveva trovarsi approssimativamente in quella
contrada che mantenne — legato al nome dell'antica chiesa — la
denominazione « Acupenco », non può a rigore escludersi che
il ponte nel documento riferito sia il ponte odierno, di fronte
al Borgo e che allora era notissimo. Il fatto stesso, anzi, che
si nomina il ponte senz’ altra aggiunta, potrebbe indicare
che si tratti del ponte maggiore e non di altro minore, pel
quale difficilmente sarebbe mancata qualche determinazione
come più tardi troviamo.

Negli Statuti, però, si fa esplicita menzione di due ponti,
esistenti nel ramo destro del fiume, a valle del punto di bi-
forcazione. In una prescrizione « De electione debendi reti-
nere claves Portae Sanctae Luciae », si ha: « Item quod Do-
mini Priores teneantur, possint et debeant eligere retinen-
tes claves porte fiendae in Ponte Buti Sancti et pontis le-
vatorii dicti pontis, et clavim sportelli Porti plani, sancti
« Mattei, clavim portae pontis sanctae Luciae, qui sint con-
vicini » (2). Lasciando da parte questo Porto Piano e questo
Porto di S. Matteo — che debbono essere state due di quelle

^

^

A^

^

(1) « Et insuper praestitisti michi ... in ipso suprascripto loco terram per
mensuram, a capite tenente in ponte etc. ». Detta terra si trovava « in loco qui
nominatur Acupencus »: e poiché il titolo dell’antica chiesa di S. Nicola (più in
dentro dell'attuale, verso Santa Lucia) era proprio în Acupentu — come vedremo —
viene da sé il ravvicinare a quest’ ultimo la terra del citato documento farfense.
Quivi del resto conoscono questa denominazione gli scrittori locali. Il documento,
riportato nel Reg. di Farfa, III, 44-45, fu noto anche al GALLETTI (Memorie ecc.,
pag. 92, not. 1 e segg).

(2) Stat., I, 129



REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 33

senature prodotte dalla corrente, ed a molte delle quali oggi
ra si da il nome di porto (1) — i nominati ponti deb-

in
anco
bono anzitutto essere rintracciati lungo i limiti dell’ abitato
quale si estendeva lungo il Velino al tempo dello Statuto :
infatti su detti ponti si trovavano o si dovevano costruire
delle porte. I loro nomi poi (P. di S. Lucia, dal noto mona-
stero, e P. Buti Sancti dall'isola Voto di Santo) ci fanno re-
stare nel ramo destro del Velino, lungo il quale non possiamo
andare — verso W. — al di là di 8. Domenico, noto limite
della cinta cittadina al tempo dello Statuto. E poiché dei due
ponti, quello di S. Lucia si mostra evidentemente legato al-
l'omonimo monastero, sito poco sotto la biforcazione, è chiaro

che dovremo cercare il ponte Buti Sancti tra il punto iniziale
del ramo destro e la cinta ad W. di S. Domenico. Il ponte
di Santa Lucia, sul principio del secolo XIX, ci è descritto
come « un ponte di pietra a due archi » dei quali uno « fu
diroccato nel 1799 dai cittadini, allorchè Rieti era assediata
dalle orde Napoletane. Venne però ricostrutto con mattoni

nel 1811 » (2). Oggi esso conserva il nuovo aspetto, con i
suoi due archi che si alzano poco sopra le acque e con le
sue modeste proporzioni. Si trova quasi all’ imboccatura di
quella specie di porta, a fianco della moderna chiesa di S. Ni-
cola. Trasportate — nel secolo XVI — entro la città le suore
del monastero di Santa Lucia, tenne man mano a mancare la
base per la conservazione della vecchia denominazione del
ponte e della porta. Quando poi, posteriormente all’anno
1725 (3), il titolo dell’antica chiesa di S. Nicola fu assunto
dalla chiesa che oggi ancora lo conserva e che fino allora

(1) Cosi presso l'odierno ponte, ad W., c'è il Porto per antonomasia e la
Via che in esso sbocca — parallela a Via Roma — dicesi Via del Porto. Altrove, ri-
Salendo il fiume, incontriamo ancora il Porto Sacchetti (dal nome della famiglia
che possiede il terreno), Porto S. Chiara (dal nome del Monastero) ecc. ecc.
(2) LaTINI, Memorie ecc., fasc. IV, cap. XVIII.
: (3) In eui la pianta, già nota, di Rieti conosce S. Nicola al suo posto ori-
ginario.



34 G. COLASANTI

s'era detta La Madonna del Pianto, la vicinanza di questa
chiesa accelerò la scomparsa della vecchia denominazione di
« Ponte di Santa Lucia » a beneficio della nuova (« Ponte
di S. Nicola »), che più tardi prevalse. Così il Latini dichiara
che la porta « presso la chiesa parrocchiale di S. Niccolò ...
chiamavasi pel passato anche Porta di S. Lucia » (1); segno
evidente che il nome tradizionale più non viveva. Si ebbero
nel frattempo delle grandi incertezze e delle confusioni, per
cui la Porta di S. Lucia fu creduta tutt’ una cosa con la
Porta detta di Voto di Santi (2), mentre ancora nessuna traccia
appariva della odierna denominazione che — se pure erasi
formata — non doveva però essersi generalizzata.

La Porta ed il Ponte di Voto di Santo? Abbiamo già
determinato — tra la incertezza e la confusione a tal riguardo
introdotta da qualche scrittore locale — il tratto del Velino
in cui questo ponte va ricercato. Occorre scendere a mag-
giore precisione. Poiché questo ponte e questa porta dove-
vano trovarsi sul perimetro dell’ abitato lungo il fiume (3),
vien fatto di pensare ad uno di quei punti in cui l’ abitato
cittadino si avvicinava al Velino: e, considerando il tratto di
corso in questione — in molti punti del quale neppur oggi
l'abitato ha raggiunto la linea delle acque — siamo spinti a
fermarci in quel punto, sotto l’antica Porta Cinzola, ove il
fiume oggi tocca il limite dell’abitato, ed ove la presenza
della vecchia cinta medievale e la formazione di un vetusto

(1) . Memorie eec., fasc. IV, cap. XVIII.

(2) LaTINI, Memorie ecc., fasc. IV, cap. XVIII. È da notarsi la indecisione del
LATINI a tale riguardo. Dopo aver asserito che le due denominazioni dello Statuto
(Porta S. Lucia e Porta Voto di Santo) si riferiscono all’ unica porta presso S. Ni-
cola, aggiunge — infirmando, quantunque in forma dubitativa, l'asserzione prece-
dente: « sembra però che le Porte di S. Lucia e di Voto de' Santi fossero due ben-
ché fra loro vicinissime! » (Memorie ecc., fasc. c. cap. c.). Questa conclusione gli
fu certamente consigliata dal fatto che non sapeva come e dove identificare il
Ponte di Voto de' Santi a lui noto dallo Statuto (I, 129).

(3 Riesce sempre difficile isolare una porta dall'abitato cui é logicamente
connessa.

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 35

*
i ad essa di fronte ci fan ricostruire, per l'età passata
nucleo ac , I ,

Ja stessa vicinanza tra l'abitato e la linea del Velino. Quivi,
infatti, sotto l'odierno Palazzo di Giustizia e nel punto op-
: posto del fiume si notano, e meglio si notavano fino a tempi
non lontani, i resti di un vecchio passaggio abbattuto.

Esaminando il citato Palazzo, proprio sotto il muro se-
"micircolare che costituisce la sua estremità meridionale sul
fiume, si vedono alcuni residui che potrebbero riportarsi al-
l'antica costruzione di un ponte, quantunque quasi comple-
tamente sopraffatti dall'odierno fabbricato. Piü chiaramente
le vestigia del vecchio ponte si mostrano nel lato opposto,
cioè sulla riva sinistra ove, ricoperta da terriccio e da ve-
getazione, si nota ancora la testata che si avanza alquanto
nelle acque. Quivi, fino a tempo non lontano, i residui della
costruzione erano maggiori e più evidenti; e furono rovinati
dall’ impeto della corrente, come testimoni oculari concorde
mente ci hanno asserito.

Il ponte Buti Sancti — secondo lo Statuto — era un
ponte levatoio (1), quindi poggiato su due piloni, presso uno
dei quali, quello cioè interno, sulla destra riva del fiume, sor-
geva la porta omonima. Dai benchè scarsi residui dianzi de-
scritti, è facile desumere il carattere tutto secondario di
questo passaggio, sotto la vecchia Porta occidentale. Con la
identificazione da noi fatta del ponte Buti Sancti, il passo
dello Statuto si lascia chiaramente spiegare, sotto il lato to-
| pografico: a questo primo ponte sarebbero seguiti — verso
oriente — i due porti, dopo i quali si trovava il ponte di

(1) Il Latini, invece, crede levatoio il ponte di S. Lucia: « questo ponte, ad
eccezion de’ suoi piloni, doveva una volta esser formato di tavole e travi giacché
^ era levatoio » (Memorie ecc., fasc. IV, cap. XVIII). Poiché il passo dello Statuto,
relativo a questi ponti, é assai chiaro, nasce spontaneo il sospetto che il LATINI non
abbia avuta diretta conoscenza della fonte che cita: anche a proposito dei porti
esistenti tra i due ponti, mentre lo Statuto ne registra due, il LATINI dice che fra
i due ponti « esisteva un Porto detto di S. Matteo con uno sportello » (op. cit.,
fasc. cit.. cap. c.).









36 G. COLASANTI
S. Lucia. Nell'intervallo tra i punti estremi, ove abbiamo
identificati i due ponti, c'era spazio per i porti citati.

*
PRES

Di là da questi ponti comincia l'abitato, esteso sulla de-
stra del fiume e diviso — dal terrapieno su cui si trova la
Via Roma — in due parti pressochè eguali, ed aventi la
forma di due rozzi rettangoli limitati in due lati dal Velino.
Quello ad oriente di Via Roma è un caseggiato più denso,
mentre quello ad occidente si presenta assai più rado; man
mano che ci avviciniamo al corso del fiume, verso W., ve-
diamo prevalere gli orti. Nel primo, inoltre, noi siamo di
fronte ad un nucleo storicamente assai più importante del-
l’altro; cosicchè anche in questo lato meridionale si rinnova
la poca vetustà dell'abitato nella zona estesa verso occi-
dente. In tutta questa zona sulla destra del Velino, fino

ai limiti già segnati verso settentrione, una continuità

vera e propria nell’ abitato cittadino la riscontriamo ai
lati della Via Roma fino alla linea del fiume e fino ai piedi
del colle: nel resto, il dislivello altimetrico tra il ciglio della
roccia ed il terreno basso, sotto di essa, crea anche un
distacco evidentissimo tra l’abitato posto nell’ alto e quello
posto nel basso: il quale ultimo, in tutti i punti — tranne
che nella Via Roma, che sale gradatamente — raggiunge
con la sua sommità il ciglio dell’altura su cui sorgono altre
fabbriche.

Ad oriente della Via Roma, la zona abitata può dividersi
nelle due parti chiaramente separate: il nucleo che sorge
sull’altura e quello che si estende ai suoi piedi. Il primo —-
distribuito tutto a nord di Via della Pellicceria — è varia-
mente esteso intorno alla piccola Piazza Centro d'Italia,
presso lantica chiesa di S. Rufo, e dalla quale si partono
due strade principali — Via S. Rufo e Via S. Carlo — che
mettono e si ricongiungono alle principali arterie cittadine.






REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 37

Tranne che nell’ estremo lembo a mezzogiorno — lungo,e
sotto la Via S. Carlo, ove il terreno leggermente declina —
labitato sorge — puó dirsi — su di uno stesso livello. Scen-
dendo al basso, s' incontra un abitato piü povero, limitato in
genere dalla Via di S. Francesco che a sud quasi lo chiude.
Suo centro puó dirsi la Piazza di S. Francesco, a cui fan
capo da ogni lato le diverse vie. Osservando la pianta, è
facile scoprire come il principale schema stradale sia quivi
rappresentato dalla Via della Pellicceria e dalla Via S. Fran-
cescò, le quali — partendo dalla Via Roma — convergono
verso oriente e si confondono in un’unica strada, che man-
tiene l’ ultima denominazione fino a raggiungere la Via Ga-
ribaldi in cui muore. Partendo da Via Roma, lungo Via
S. Francesco incontriamo a destra — dopo un notevole fab-
bricato — la chiesa ed il convento di S. Francesco; poco
oltre sorge l'antico convento di S. Fabiano — oggi sop-
presso — ed il monastero di S. Chiara sulla sinistra della
stessa via; poco dopo la chiesa di S. Francesco, si trova
quella antichissima di S. Giorgio, il cui stato odierno dà
appena una idea dell’ alta sua importanza storica. Lungo
Via della Pellicceria e tra le secondarie comunicazioni che
da essa mettono alla: Via S. Francesco, il fabbricato non
offre nulla di importante, quantunque qua e là perda il ca-
rattere predominante di mediocrità per raggiungere una
certa notorietà nell’aspetto e nella forma.

Seguendone la continuazione ad occidente, la Via Roma
Si presenta come una delle più importanti arterie cittadine,
fiancheggiata da notevolissime’ fabbriche; nella sinistra di
chi discende al fiume, si osserva la vetusta chiesetta di
S. Pietro Apostolo, storicamente importante ed oggi priva
di qualsiasi valore stilistico ed architettonico. Da Via Roma
Si domina il fabbricato che va ad occidente fino al Velino,
e che può anch'esso dirsi contenuto tra due principali ar-
terie le quali, partendo da Via Roma, convergono verso la
estremità occidentale ove formano un’ unica via: esse sono









38 G. COLASANTI

Via della Verdura, che può considerarsi come il prolunga-
mento di Via di S. Francesco, e Via di S. Pietro Martire
che può riguardarsi come il prolungamento di Via della
Pellicceria. Le comunicazioni secondarie, che uniscono que-
ste due principali, sono piccole ed anguste. Seguendo Via
Verdura, a partire da Via Roma, si incontra un fabbricato
in genere buono ma storicamente di poco valore; nel punto
ove la strada forma un gomito, volgendo a N.- W., si trova
la chiesetta di S. Nicola, dopo la quale l'abitato diviene
sempre piü scarso. Finalmente, nel punto estremo della
stessa via, all'incrocio con Via di S. Pietro Martire, si ha
la omonima chiesetta di non remota antichità e — per il
nostro scopo — di veruna importanza. Nessun notevole fab-
bricato si nota lungo la Via di S. Pietro Martire, ai cui
fianchi peraltro sorge un caseggiato importante. Quasi nel
centro di questa zona occidentale, sperso tra vicoli e povere
case, si trova il monastero — ora soppresso — con la chiesa
di S. Lucia.

L’aspetto odierno di questo abitato meridionale, che ab-
biamo sommariamente descritto, non è gran che diverso da
quello dei tempi andati. Nella pianta più volte nominata
del 1725 noi troviamo lo stesso schema stradale, sovente
con gli stessi notevoli fabbricati. Nella zona orientale, lungo
Via S. Francesco e presso l’attuale omonima piazza, tro-
viamo notata una chiesa di S. Antonio, oggi chiusa ma che
si osserva ancora nel punto indicato. Accanto alla chiesa di
S. Francesco, troviamo — lungo la strada — una chiesetta o
cappella di S. Bernardino, le cui traccie sono ancora visi-
bilissime. S. Giorgio, S. Fabiano e Santa Chiara sono notati
ai punti in cui li conosciamo. Quel divario che dalla carta
predetta non ci è offerto per la Via Roma — ove tutto cor-
risponde all'aspetto odierno — lo troviamo peró — quan-
tunque in piccole proporzioni — per quanto concerne la
Zona occidentale, ove al posto dell'attuale chiesa di S. Ni-
cola troviamo la chiesetta della Madonna del Pianto,

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 39

mentre la prima la troviamo sita nell'interno dell’ abi-
tato, a S.- W. di Santa Lucia; a N.- W. della quale, nel
largo di Via di S. Pietro Martire, e sotto il Duomo, tro-
viamo una chiesa di S. Anna. Finalmente, sempre lungo la
Via Verdura, proprio di fronte alla Madonna del Pianto, ve-

diamo notato un fabbricato detto le Monichelle, residenza di
religiose. La chiesa di S. Pietro Martire è riprodotta nel
sito in cui oggi la conosciamo. :

Piü completa, specialmente nei particolari, è la descri-

zione che di tutta questa zona meridionale sulla destra del
Velino ci ha lasciata Pompeo Angelotti, un secolo prima
della redazione della pianta testè esaminata. La riprodu-
ciamo. Dal ponte, « avanti di salire se ... volgerai alla de-
stra, la via ti condurrà, dopo molte case di particolari,
alla Chiesa di S. Francesco, de’ Minori Conventuali, di
non piccola grandezza e con la croce alla Gotica fabri-
cata (1) .. Poco più avanti si vede la moderna chiesa di
S. Chiara .. Ha questa unito il Monasterio dell’ Ordine
suo riformato ... Confina seco la Chiesa de’ SS. Fabiano
e Sebastiano, Monastero dell’ Ordine medesimo: siegue la
Chiesa di S. Giorgio, Confraternità molto ricca e desti-
nata con particolar privilegio a confortar’ i condannati a
: morte ... » (2). Negli altri punti di questa parte orientale
del fabbricato, l'Angelotti non nota alcun che di importante.
Come oggi, anche al tempo del nostro scrittore Via Roma
appariva fra le più importanti arterie cittadine « d’antiche
e moderne fabriche fornita ... in gran numero » (3). Tra cui
spiccava per vetustà e per importanza <« l’antica Chiesa
Parochiale di S. Pietro Apostolo ». Simile a quanto dalla
pianta del 1725 ci fu offerto, ci appare la distribuzione del-
"l'abitato nell' estremo punto occidentale.

(1) Descrittione ecc., pag. 9:

(2) Descrittione ecc., pag. 50.
(8) Descrittione ecc., pag

40 G. COLASANTI



Dal ponte, l’Angelotti piega a sinistra, ove « oltre gli
edifici de’ particolari Gentil’ huomini e Cittadini, ritroveremo !
la Chiesa di S. Nicoló, Parochia; di S. Lucia, Monastero 3
dell'ordine di S. Chiara, di rara osservanza : poco più in
dentro la Chiesa della Madonna del Pianto, Confraternità
assai nobile: e nello stesso tratto in ispatiosa piazza la
4 | Chiesa della Venerabil Confraternità di S. Pietro Martire,

Mr i ricca e numerosa di Confrati » (1).
I! Avendo ora sott'occhio le parole di Pompeo Angelotti,



UU

iniziamo — secondo il metodo fin qui seguito — la no-
stra ricerca perimetrale, scrutando anzitutto le origini di 1





queste case religiose e di queste chiese. Cominciamo dal-
l'abitato orientale, ove come prima cosa ci appare la chiesa
con il convento di S. Francesco. La chiesa offre lo schema
| orginario a croce latina, orientata da oriente ad occidente,
| con l'ingresso rivolto ad W. A questo primitivo tracciato
È sono state poi fatte delle aggiunte, consistenti in costruzioni



4] addossate alla nave traversale verso oriente e verso nord.
| Internamente, l'aspetto primitivo ha subito qua e là delle
trasformazioni, in mezzo alle quali l’abside centrale è scom-
parso insieme all'abside di sinistra, solo conservandosi quello È «
di destra, con volta a crociera ornata, negli spigoli, da ner-
vature. Similmente un completo rifacimento posteriore ha



cancellato le originarie linee della nave centrale, la quale





oggi posa su un piano diverso dall’antico, che fu rialzato

———_—_—_—_
4

per sottrarre la chiesa tutta alle periodiche inondazioni del i
fiume: cosicchè le antiche cappelle laterali sono oggi sotto
il livello del pavimento quasi per metà della loro altezza.

Sull’ incrocio dell’ala destra con la nave principale sorge il
'ampanile, a pianta quadrangolare, ornato di finestrine di-
sposte in diversi piani. Esternamente, tutta la chiesa offre

I

le pareti ornate superiormente di dentelli e di finestrine
bifore dagli archi leggermente accuminati : le loro aperture



(1) Descrittione ecc., pag. 24.

precari
PADRONE 8 RR re













La Grotta dei Massacci.







bi i i ee alata tenti

"Cn III

PR rr





REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 41

sono trilobe con una rosetta quatrilobata nella parte supe-
riore, e son divise da una colonnina semplice, senza capi-
tello. La facciata presenta le traccie di ampi rifacimenti.
Sotto il tetto corre il solito motivo a dentelli ed ai suoi due
lati scendono due lesene, che limitano ai due fianchi l’ in-
tera facciata. Opera antica e ben conservata è il portale,
racchiuso entro una specie di costruzione a tetto, sostenuta
da due colonnine laterali. Complessivamente, negli smussi
del portale si notano due colonnine ed un pilastro, con va-
ria base, con capitelli a palma o a gemme, e con abaco al-
quanto sviluppato. Sul portale sono oggi incastrati nel muro
alcuni residui dell’antica costruzione (un pezzo ornamentale
a rosa, e l'agnello con il vessillo), poco al di sopra dei
quali si apre una finestra rettangolare dovuta ad età po-
steriore.

Addossato al lato meridionale della chiesa si trova il
fabbricato del convento, già appartenente all’ importante co-
munità religiosa oggi soppressa. È una grande costruzione
rettangolare che si estende verso sud, raggiungendo quasi la
linea del fiume. Ai tempi di Loreto Mattei S. Francesco —
che era stato « rimodernato » — occupava uno dei primi posti
fra gli stabilimenti religiosi della città (1); e non meno impor-
tante appariva agli occhi di Pompeo Angelotti che, di fronte
alla sua venustà, tralascia « di ridire le sacre Reliquie ch'in
questa Chiesa si serbano ... e descrivere l’ampiezza del vasto
secondo questi autori



Convento » (2). La cui prima origine

(1) L’A. pone S. Francesco tra le fabbriche di « Architettura Gotica », secondo
il passo già riferito a proposito di S. Agostino e di S. Domenico (Erario Reatino
ecc., c. 90). Ai lavori di restauro di cui il MaTTEI parla van riferiti anche quelli
per il rialzo del pavimento, dall’AnGELOTrTI menzionati (Descrittione ecc , pag. 23), e
quelli di restauro e di ingrandimento che verso il 1626 sarebbero stati effettuati,
secondo il DesancTIS (Notizie ecc., pag. 118). Menzione di S. Francesco hanno, na-
turalmente, tutte le altre fonti locali (LATINI, Memorie ecc., fasc. II, cap. XV; DE
SANCTIS, Notizie ecc., pag. 118, il quale ultimo determina la grande importanza del
nostro convento).

(3) Descrittione ece., pag. 24.



—— x

ETWTT=-=TZ=z















42 G. COLASANTI



locali — va.ricercata in « un antico Spedale detto di Santa
« Croce, vicino al quale fece S. Francesco nel 1210 fabbri-
care un piccolo Oratorio a bene spirituale dei convale-

^

scenti. Morto il Santo, i Reatini di lui devotissimi eressero

^

^

quivi nel 1246 ... un Tempio ed un Convento » (1). Certo
i è che l’anno 1245 la comunità religiosa francescana, che

n

si era già stabilita in Rieti, aveva cominciato a fabbricare
a Chiesa ed altri edifici annessi (2). Tre anni dopo, lo stesso

seal

papa Innocenzo IV esortava i fedeli a sovvenire i frati mi-
nori per ultimare la fabbrica della chiesa e del convento

9

che andava innanzi penosamente (3) In questi documenti,
in eui van ricercate le origini della odierna fabbrica, nulla
però vi ha che, in qualche maniera, possa servirci di riferi-
mento a quella che allora era la cerchia cittadina (4).

Allo stesso resultato negativo ci conducono le notizie
che possediamo intorno alla formazione degli altri due con-
venti di S. Fabiano e di Santa Chiara. Il primo, nel sito in

(1) DESANCTIS, Notizie ecc., pag. 118. La notizia é nota a tutti gli scrittori lo-
cali: al LATINI (« Esisteva in esso (Convento) una volta un famoso Ospedale sotto il
titolo di S. Croce ; ma poi fu convertito in Convento » Memorie ecc., fasc. II, cap. XV);
al MATTEI (« la chiesa di S. France-co fu dal principio eretta con titolo di Santa
Croce » Erario Reatino ecc., c. 90); al'ANGELOTTI (« questa (chiesa) per avanti si
chiamò S. Croce, Hospitale in que’ tempi molto famoso ; poi fu dedicata al Patriarca
S. Francesco » Descrittione ecc., pag. 23). Nessuno peraltro ne cita la fonte.

(5) In data 19 settembre 1245 Innocenzo IV inviava da Lione, in favore dei
frati minori di Rieti, una bolla: « Cum igitur, sicut accepimus, dilecti Filii Frtres
Minores Reatini Ecclesiam, domos, et aedificia alia ad opus Fratrum inibi existen-
tium incaeperint aedificare, et ad consummationem ecc. ecc, Datum Lugduni XIII
kal. Octobris, Pontificatus Nostri Anno Tertio » Cfr. Bullar. Francisc. I, pag. 381
ad anno 1245. La Bolla proviene dall’archivio del convento di S. Francesco in Rieti.

(3) « Innocentius episcopus, servus servorum Dei etc. Quoniam ut ait Apostolus
ecc. Sane dilecti Filii Minister et Fratres Ordinis Fratrum Minorum de Reate ibidem,
sicut accepimus, Ecclesiam cum aliis aedificiis suis usibus opportunis caeperunt
construere, in qua Divinis possint laudibus deservire. Cum itaque pro hujusmodi
aedificiis consummandis, ac etiam pro sustentatione arctae vi'ae ipsorum, indi-
geant etc. Datum Lugduni XIII kal. Iunii, Pontificatus Nostri anno quinto » Bull.
Francisc., I, pag. 516, ad anno 1248.

(4) Nulla del pari ci offrono i dati intorno alla cappella di S. Bernardino, eretta
« nel 1463 dal Padre Maestro Francesco della Rovere ... poi Pontefice Sommo col
nome di Sisto IV ecc. » DESANCTIS, Notizie ecc., pag. 119.





vcr





REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 48

cui oggi lo conosciamo, rimonta solo agli ultimi decenni del
secolo XVI (1); prima del qual tempo, si trovava fuori della
città (2). La età stessa é relativamente a noi vicina, ed il
ricordo dell'antica cerchia murale doveva già essere tramon-
tato: in ogni caso, non si fa parola alcuna della relazione
tra il sito del nuovo convento ed il vecchio perimetro citta-
dino. Il convento di Santa Chiara sarebbe sorto nel 1289,
accanto ad una antichissima chiesa di S. Stefano Protomar-
tire (8): qualcosa di simile a quanto vedemmo per S. Dome-
nico, formatosi presso la vecchia chiesetta di S. Apostoli.
Solo verso la seconda metà del secolo XVI, fu ampliato l’an-
tico fabbricato e fu costruita la chiesa attuale (4).
Quantunque verun esplicito accenno al perimetro antico
della città noi abbiamo fin qui incontrato, è facile tuttavia,
anche per la nostra zona, impadronirsi di quella prima va-
levole conclusione, derivante dal fatto che, in uno spazio re-
lativamente ristretto (dai piedi dell’altura al corso del Velino;
dalla Piazza S. Francesco al sito dell’ antica Porta Intero-
crina), noi troviamo ben quattro conventi (oltre ai tre già
nominati, S. Giorgio fu ridotto a monastero già prima assai
del mille, come vedremo), sorti in epoche varie ma tutti

(tranne S. Fabiano) relativamente antichi. Il che — dopo
quanto vedemmo per le altre zone studiate — ci porta a

sospettare che quivi non si continuasse la tradizione di un

(1) Propriamente al 1585 (DEsAaNOTIS, Notizie ecc., pag. 122).

(2) Cirea « duo milia ab urbe distantem » (MicHAELI, Memorie ecc., pag. 16), a
« Campo Moro fuori Porta l'Arringo » (DEsANCTIS, Notizie ecc., pag. 122).

(3) Quantunque di una chiesa di S. Chiara si parli già in un atto del 1256 (BEL-
Lucor, Regesto delle pergamene, pag. 4), tuttavia il monastero fu costruito nel 1289,
risiedendo in Rieti Papa Niccoló IV: « Si apri con quattro gentildonne che poi
crebbero sino a 70; era perciò grande il bisogno di ampliarlo ...; si cominciò nel
1570 la nuova chiesa eretta sopra quella di S. Stefano Protomartire ecc. » (DEsANCTIS,
Notizie ecc., pag. 122). La notizia si ha presso gli altri scrittori locali. L'ANGELOTTI
(< A mano sinistra si vede la moderna Chiesa di S. Chiara, ristorata sopra l’anti-
chissima di S. Stefano Martire » Descrittione ecc., pag. 50) ed il MaTTEI, che nomina
S. Chiara tra « i monasteri ... con chiése quasi tutte nobilmente rimodernate con
magnificenza e sontuosità grande » (Erario Reatino ecc., e. 90).

(4) DEsaNCTIS, Notizie ecc., pag. 122.





re E







cerniera MN Ó





44 G. COLASANTI

antico abitato cittadino vero e proprio, ma si stesse fuori
dei limiti della città quale si conservava nell’ alto medioevo.
Alcune preziosissime informazioni, che possediamo intorno a
S. Giorgio, convalidano pienamente queste nostre deduzioni.

La chiesa di S. Giorgio, oggi abbandonata, ha un aspetto
povero: la rozza e semplice costruzione della facciata, le
rovine di costruzioni più antiche che nell’ interno della
strada si osservano, occupano uno spazio quadrangolare che,
dalla Via S. Francesco, si avanza verso i piedi dell’ altura.
Nominata dagli scrittori locali, i quali fan cenno delle sue
ricchezze e degli storici suoi privilegi (1), è altresì nota come
un « monastero ... ampliato e dotato nel 751 ... e fondato per
le donzelle » (2). Ed infatti in una concessione farfense del-
l’anno 751 apprendiamo che tali Lupo ed Ermelinda dona-
vano a Farfa il monastero « Sancti Georgii martyris christi ...
quem, Christo protegente, monasterium puellarum esse con-
stituimus » (3). Questo monastero doveva accogliere pie
donne di ogni nazione, e franche e langobarde (4). Di esso,
come « monasterium puellarum », troviamo menzione in un
documento farfense dell’anno 840 (5); in uno dell’anno 947 (6);
in una donazione del 1036 (7); e finalmente, nell’atto di con-

(1) « ... la Chiesa di S. G'orgio, Confraternità molto ricca e destinata con par-
ticolar privilegio a confortar’i condannati a morte, e per indulto de’ sommi Pon-
tefici ha facoltà di liberar’ ogn’anno un Bandito della vita » (ANGELOTTI, Descrit-
tione ecc., pag. 50).

(2) DESANCTIS, Notizie ecc., pag. 113-114.

(3) Reg. di Farfa, II, 32.

(4) « In eo ordine, ut ibidem congregatio sanctimonialium feminarum esse de-
beat, quas ibi dominus dignatus fuerit aggregare tam in corales, quam de diversis
provinciis undique dominus adauserit. Hoc est langobardas vel francas, ut secun-
dum deum et sanctam regulam, in ipso saneto coenobio vitam suam degere de-
beant, et cottidianis diebus etc. » Reg. di Farfa, II, pag. 32-33.

(5 « Et monasterium puellarum quod nuncupatur sancti Georgii » Reg. dé
Farfa, II, 236. La stessa menzione con le identiche parole si ha in un atto di con-
ferma di Enrico IV, l’anno 1084 (Reg. di Farfa, V, pag. 97).

(6) « ... et pertinet ad sanctum Georgium » secondo il Regesto stesso.

(7) « Res ipsas quas habemus ... in loco qui vocatur ad sanctum georgium »
(Reg. di Farfa, INI, 273)








REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 45



ferma che Enrico III fece a Farfa dei suoi beni, l’anno 1050 (Ì)
abbiamo la semplice menzione del titolo della chiesa. Circa
la ubicazione di questa chiesa e di questo monastero, gli
stessi documenti ci offrono dei dati assai importanti: li di-
cono posti prope muros civitatis nostrae reatinae (2); 0 sub mu-
| ros civitatis reatinae (3); o suptus muros ipsius (civitatis) (4).

Poichè non è il caso di dubitare circa la identità topo-
grafica fra l'antica chiesa e monastero di S. Giorgio e la
chiesetta odierna, occorre cercare l'abitato cittadino, cioe la
cinta murale quale ancora nell'alto medio evo si conservava,
a nord del sito odierno di S. Giorgio; la conformazione del
terreno, nelle altre direzioni piano e solcato dal fiume, non
ci permette di rivolgerci ad altri punti. Il dato topografico
completa ed integra il dato storico: poichè, poco a nord di
S. Giorgio, s'incontra la roccia che, con una linea legger-
mente arcuata da est ad ovest, sporge a picco sul terreno
basso; ed anche verso est (presso S. Chiara), ove la strada
sale gradatamente fino ad incontrare la Via Garibaldi, l'an-
tico aspetto del terreno — modificato da un posteriore la-
voro di rialzamento — è ricordato dal piano della chiesa
di Santa Chiara, più di un metro più basso del livello
odierno della strada. Siamo — come si vede — in un ter-
reno troppo caratteristico perchè proprio in esso non ci
dobbiamo fermare per la ricerca di ciò che le indicazioni
storiche ci fan quivi intuire.

Lungo la Via della Pellicceria, proprio dietro la chie-
setta di S. Giorgio, la roccia si avanza, formando una specie

(l1) « Et ecclesiam ... sancti georgi » (Reg. di Farfa, IV, 274-270) ; cfr. pure la
identica menzione nel già citato atto di conferma di Enrico IV, del 1084 (Reg. di
Farfa, V, 91).

(2) « Monasterio sancti georgii martyris christi, sito prope muros civitatis no-
Strae reatinae etc. » (Reg. di Farfa, II, 32).

(3 « Et monasterium puellarum quod nuncupatur sancti georgii, quod est
construetum sub muros civitatis reatine » (Reg. di Farfa, II, 236).

(4) « Res ipsas quas habemus ... suptus muros ipsius (civitatis) in loco qui vo-
€atur ad sanctum georgium » (Reg. di Farfa, III, 273).











46 G. COLASANTI

di zoccolo di circa m. 7.00 x m. 3.50, recentemente spia-
nato per la comodità del transito nella strada. Su di esso,
per un'altezza di circa m. 3.50, si vede ancora — qua e là
alterato da rifacimento posteriore — un tratto di muro,
costituito di grossi blocchi aventi le dimensioni osser-
vate negli altri punti. Ad oriente di questo tratto, la roccia
appare di nuovo sotto i granai del principe Potenziani, ove
è visibile per un tratto di circa m. 7.00 X m. 5.00: su di
essa si eleva un tratto di muro, composto di grossi blocchi,
per un'altezza di circa m. 2.50. Mentre nel primo tratto die-
tro S. Giorgio la roccia con il tratto perimetrale è lungo la
strada, qui per contrario si interna per circa m. 7.00. Sem-
pre ad est di questo secondo tratto, lungo la Via S. Fran-
cesco, la roccia continua, ma senza conservare i resti mu-
rali, evidentemente travolti e scomparsi nelle costruzioni
posteriori; finchè riappare di nuovo di fronte a S. Fabiano,
come una poderosa parete che sostiene il fabbricato mo-
derno. Dopo questo punto, la roccia continua sotto le case,
sempre allontanandosi dalla linea della strada, fino a rag-
giungere il sito di Porta Accarana. La direzione del tratto
murale, che o in base ai resti tuttora esistenti o in base
alla linea della roccia si lascia chiaramente ricostruire dal
punto dietro S. Giorgio fino a Porta Accarana, si fa seguire
anche dai pressi di S. Giorgio, verso ovest, fino al terra-
pieno in cui si trova la Via Roma. Quivi infatti il terreno
serba lo stesso aspetto e quivi notiamo lo stesso dislivello
tra l’alto ed il basso, già rilevato per il tratto orientale di
Via della Pellicceria; solo che la roccia non si spinge fino
alla linea della strada, ma si interna alquanto ed appare solo
nelle pareti interne dell’abitato posto lungo Via della Pel-
licceria. I suoi dossi ci sono chiaramente indicati dalle nu-
merose scoscese stradicciole, che dall’alto di Via S. Carlo
scendono a Via della Pellicceria. Quantunque verun resi-
duo perimetrale ivi si trovi (tranne pochi blocchi sporadici
spersi nei fabbricati, ma non nel sito originario della cinta),

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 47
*

tuttavia il tratto delle mura e la sua direzione vengon
fuori logicamente da sé, e dato il terreno, e data la posi-
zione del primo tratto, e dati i nessi con il restante della
cerchia su Via Roma e verso oriente, che ben presto esa-
mineremo e determineremo.

Poichè la determinazione del perimetro sulla Via Roma
scaturisce, in parte, dalla delimitazione dei due tratti ad ovest e
ad est di essa via, dopo aver tracciata la cinta in questa se-
conda direzione dobbiamo rintracciare la sua linea nella prima,
cioè verso occidente. Anzitutto, i conventi e gli edifici reli-
giosi in questa zona occidentale ci offrono qualche dato ri-
feribile al vecchio perimetro ? Si richiamino a mente le
chiese ed il monastero ivi posti. Del monastero di S. Lucia,
che si trova quasi al centro di questo abitato, abbiamo rife-
riti i brevi accenni di Pompeo Angelotti: gli altri scrittori

locali non abbondano neppur essi in particolari (1), tranne
il Desanetis dal quale desumiamo quelle notizie — già in
parte riferite — sulle vicende del monastero. Sappiamo cosi

che, nel punto in cui la conosciamo, la nostra comunità re-
ligiosa rimonta solo alla metà del cinquecento, allorché ab-
bandonó l'antico sito di là dal Velino, nell'isola di Voto di
Santo (2). Ma né da questo nostro informatore né dalla sua
oseura fonte (3) apprendiamo cosa alcuna intorno alla rela-
Zione tra il sito del nuovo monastero e la vecchia linea
murale, indubbiamente anche per il fatto che, all'epoca in
cui esso sorse, il ricordo dell'antico perimetro era definiti-
vamente tramontato dalla coscenza popolare. Similmente,
nulla che accenni alla vecchia cinta cittadina desumiamo
dalle scarse notizie intorno alla chiesa di S. Sebastiano, che

(1) Il MaTTEI pone Santa Lucia tra i sette stabilimenti religiosi « di sacre
Vergini » entro la città, che registra come « ricchi e numerosi di Religiose riguar-
devoli per noblità, esemplarità et osservanza » (Erario Reatino ecc., fol. 96).

(2) Notizie ecc., pag. 120-121.

(3) Cioè « un antico Manoscritto del Monastero » di cui il DESANCTIS dice di es-
Sersi servito, ma che noi non conosciamo affatto (Notizie ecc., pag. 121).





48 G. COLASANTI



avrebbe ivi preceduto la chiesa ed il monastero di S. Lu-
cia. I nostri scrittori si limitano a magri accenni, per noi
di nessuna importanza (1).

Occorre -seguire la nostra solita via per venire a capo di
qualche cosa. Anzitutto : considerando la scarsa densità del-
l’abitato che in questa zona ancor oggi colpisce, si potrebbe
forse pensare che — se nel centro di questa zona, verso la
fine del XVI secolo, fu possibile trovare dello spazio dispo-
nibile per una numerosa comunità religiosa, molto proba-
bilmente ivi non si continuava una troppo antica tradizione
dell’abitato cittadino ? La deduzione forse non sarà, a rigore,
troppo persuasiva. Poichè, se un ragionamento simile regge
trattandosi di conventi sorti intorno all’epoca in cui vedem-
mo la città cercare, fuori della vecchia cinta, nuovo spazio
per i suoi fabbricati e per la sua vita, non altrettanto po-
trebbe dirsi di un convento sorto in età posteriore a questa

crisi edilizia. La quale — con l'aver prodotto un amplia-
mento dell’antico abitato in altre direzioni — avrebbe con

ciò potuto creare uno sfollamento e quindi dello spazio di-
sponibile entro il vecchio perimetro cittadino, ove avrebbe
pur potuto trovar posto una comunità religiosa. Ciò nondi-
meno, ad escludere questa zona nel basso dalla vecchia



cinta, molte ragioni validamente concorrono. Anzitutto il cri-
terio topografico. Se, infatti, la cinta murale verso est è
stata rintracciata sulla roccia sporgente, dovendo noi seguire
anche ad oriente lo stesso terreno non possiamo, per ciò
solo, pensare ad un tracciato perimetrale posto o lungo il
fiume o distribuito in una linea qualsiasi nel basso, ma dob-
biamo cercarlo lungo un terreno il più possibile simile al
primo, cioè lungo la roccia che anche qui sporge sul piano.
Si aggiunga che oggi ancora questa zona abitata, sita ad W.







(1) Questa chiesa, di cui ignoriamo le origini, sarebbe appartenuta ad una 3
« Confraternita della Misericordia », licenziata per dar posto alle suore (DESANCTIS,
Notizie ecc., pag. 121).












REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 49



di Via Roma, è chiamata Le Valli; nome certamente non '
recente e che fu noto — tra gli altri scrittori locali (1) —
anche al Vittori, il quale scriveva come questa contrada
« vallis quaedam erat, hortorum agrorumque cultura amoe-
nissima ; Civitate postea aucta, nomen regioni servatum
est » (2), rilevando — con queste ultime parole — la sua
posizione extra moenia in una età antica (3). Eccederemo,
forse, col ritenere in questo documento toponomastico il ri-
cordo di uno stato di cose, durate fino all’alto medioevo?

La documentazione storica ed archeologica dimostra
che in realtà questa deduzione non è azzardata. In una
carta farfense dell'anno 920, tal Gottifredo riceve in uso-
frutto da Farfa alcuni beni posti « in loco qui nominatur
acupencus » (4), e la cui posizione ci è così determinata :
« posita est ipsa suprascripta terra a capite usque pontem; à
pede terram cuiusdam ursi et zabennonis et suorum haere-
dum; ab uno latere ipsius civitatis "usque viam et terram
suprascripti monasterii vestri et aepiscopii sanctae Marie
de reate; ab alio latere a fluvio terra suprascripti mona-
sterii vestri » (5D). Questo passo va minutamente esaminato.
Anzitutto, poichè — come altrove è detto — per la ubica-
zione dell'antica denominazione Acupenco noi dobbiamo fer-
‘marci presso la chiesa di S. Nicola in Acupenco, ivi accanto
va rintracciata anche la ubicazione di questo pezzo di terra,
ceduto dal monastero. Tenendo conto delle dimensioni che
— seguendo il passo citato — più avanti riferiamo, questo
terreno ci appare in forma di rettangolo irregolare, situato
nel senso della sua lunghezza presso il fiume, in modo da

(1) L’ANGELOTTI, scrisse: « Chiamansi tutte queste contrade con un vecabolo
le Valli » (Descrittione ecc , pag. 24).

IMS. cit., I. c. 124-125.

(3) Il VITTORI infatti si riferisce allo schema antico di Reate (ms. cit., c. 124-125)
che non suppose neppure continuato nel medioevo, per la quale età non conobbe
documentazione alcuna. Vedi più indietro.

(3) Reg. di Farfa, III, 44-45; cfr. GALLETTI, Memorie ecc., pag. 9?, not. l e segg.

(5) Reg. di Farfa, MI, pag. 44-45.









50 i G. COLASANTI

rivolgere a questo uno dei suoi lati maggiori, mentre l'altro
opposto guardava la città (ab alio latere a fluvio etc. ; ab uno
latere ipsius civitatis etc.); il ponte e l’altro appezzamento di
terra, appartenente ad Orso ed a Zabennone, costituivano i
limiti verso i lati minori, che perció appunto nel testo sono
indicati con le frasi capo e piede. Le dimensioni del terreno
erano queste: « A capite tenente in ponte per latitudinem
pedum centum quindecim: a pede pedum quadraginta: ab
uno latere in longitudine pedum ducentorum septuaginta : ab
alio latere pedum ducentorum quinquaginta: et in medio
per latitudinem pedum centum quinquaginta etc » (1). Cioè,
tenendo conto del medio computo del passo medioevale e
guardando l'ordine dei lati secondo il testo, circa m. 34,50
di lato verso il ponte; m. 12.00 di lato nella parte opposta;
m. 81.00 di lunghezza nel lato verso la città, e m. 25.00
nel lato verso il fiume. Se si considera che a fianco dei
suoi lati maggiori, c'erano — prima di arrivare al fiume ed
alla città — altre terre (2), non sarà difficile stabilire che
intorno alla chiesa di S. Nicola si aveva una zona disabitata
per un buon tratto sulla destra del fiume. Ora, se questo
pezzo di terra ceduto da Farfa trovavasi ad ovest di S. Ni-
cola, noi avremmo all'ingrosso uno stato di cose simile a
quello di oggi, cioé spazi liberi e coltivati. Ma se invece
detto terreno trovavasi in altra direzione, noi avremmo
delle terre coltivate là dove, posteriormente, sorse un abitato
che tuttora rimane.

In ogni modo, il riferito documento ci serve a stabilire
qualcosa di sicuro. Una volta escluso che il limite cittadino

fosse rappresentato dalla linea del Velino (e perció basta:

senz'altro il documento riportato) ci pare impossibile pen-
sare ad una linea che non sia quella in cui il terreno —

(1) Reg. di Farfa, III, 44-45.

(2) Beni del monastero e beni della cattedrale erano verso la città, cioè verso
nord, ove pure correva una via; beni del Monast ro erano verso sud, cioé lungo
il fiume. Cf. il passo riferito.



"ev. ty. Via Roma.



Veduta del terrapieno con la chiesa di S. Pietro Apostolo.





lella n








RBATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 51

nel resto basso e pianeggiante — ad un tratto cambia aspetto
ed offre una naturale difesa nella roccia sporgente. Verso
la quale, adunque, in pieno accordo con il terreno esami-
nato e con la linea perimetrale ricostruita nella estremità
orientale di questa zona a mezzogiorno, noi siamo di nuovo
condotti.

Il documento archeologico suggella e conferma tutte
queste deduzioni. A - partire dal punto ove — lungo la
odierna Via Cintia — abbiamo posta la Porta Cinzola, la
roccia si mostra evidentissima sotto le cantine dei signori
conti Vincentini; in essa sono stati in seguito scavati dei

' grandi vani, che con una lunghezza di oltre m. 23.00 rag-

giungono il livello della soprastante Via Cintia con un'altezza
di m. 5.00. Su questo masso calcareo non abbiamo incontrato
resto alcuno dell’antico perimetro, scomparso; solo dei bloc-
chi sporadici si vedono qua e là spersi ig mezzo al fabbri-
cato, ma evidentemente non nel sito orginario. Seguendo la
linea della roccia verso oriente, in fondo all’orto vescovile
sotto il Duomo, entro una cantina addossata al limite del-
l’abitato, abbiamo rinvenuto un bel tratto di mura di cinta
assai ben conservato. Si estende in direzione da W. ad E.
per circa m. 4.00, raggiungendo un’altezza di m. 2.00. I
blocchi, ben conservati, offrono le solite dimensioni: ne ab-
biamo misurato uno di m. 2.00 Xx 0.50. Il tratto murale mo-
stra poche tracce di rifacimento posteriore. Esso poi è per
noi di notevole importanza, poichè ci dà modo di ricostruire
tutto il tracciato murale in questo primo tratto dalla Porta
Cinzola fim sotto il Duomo: dati, infatti, i sicuri resti peri-
metrali accertati alle due estremità (P. Cinzola ed all'orto
del Vescovo), é facile dedurre il tracciato intermedio, se-
guendo la linea della roccia, base naturale di tutta la cer-
chia in questa parte meridionale. La linea della roccia qui
— come in parte nelle altre direzioni — coincide, oggi an-
cora, con la linea dell’ abitato che non si spinge fuori di
essa: il che si spiega con il bisogno, che i costruttori poste-
































e
T

4 G. COLASANTI



riori hanno avuto, di poggiare sul sodo, cioè sullo strato
calcareo, il quale ha impedito così alle fabbriche di spin-
gersi oltre l’ antica linea murale. Seguendo la direzione dei
resti esistenti nel giardino vescovile — che è la direzione
stessa dell’ abitato e della roccia — abbiamo portato il pe-
rimetro fin sotto la casa dei signori marchesi Vincentini : ed
il tracciato resta pienamente giustificato, quantunque re-
sidui murali veri e propri in questo punto non esistano.
Dopo il Palazzo Vincentini, la roccia si spinge innanzi
fino a raggiungere la linea di Via S. Pietro Martire nel
suo estremo tratto verso Via Roma: e con la roccia, an-
che la linea del fabbricato si sposta e si avanza. La con-
tinuazione del perimetro va indubbiamente ricercata nella
nuova linea del masso calcareo: ma dove precisamente
tracciarla ? Studiando bene il terreno, è facile avvedersi
come, lungo Via S. Pietro Martire, la roccia non formi
una parete continua, ma proceda con linea sinuosa, qua e
là avanzando degli speroni intercalati da rientranze. Così,
mentre in alcuni punti la roccia appare lungo la strada, in
altri si trova solo in fondo alle cantine ed alle case. Ora,
che in mezzo a questi speroni si edificassero in parte i fab-
bricati moderni, é spiegabilissimo: ma che su di essi do-
vesse correre la linea perimetrale (la quale, oltre a trovarsi
proprio ai piedi dell'altura, avrebbe dovuto o seguire la
sinuosità della roccia o riposare alternativamente su livelli
diversi) non é facilmente ammissibile. Ecco perché già un
primo sguardo alla struttura del terreno ci persuadeva a
cercare gli eventuali resti dell’antica cerchia più in dentro
dell’attuale Via S. Pietro Martire. Il nostro sospetto divenne
realtà. In una casa di proprietà dei signori marchesi Vin-
centini, circa venti metri prima dell'incrocio di Via S. Pie-
tro Martire con Via Roma, abbiamo osservata una parete
di grossi blocchi, aventi le dimensioni note dei massi peri-
metrali. Alta m. 3.00 e lunga m. 2.00, essa va da W. ad E.,
proprio sulla linea del tratto murale ricostruito fin sotto













REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 58

casa Vincentini, dopo il Duomo. Detta parete, con forti ri-
facimenti posteriori, si trova a circa m. 7.00 entro la linea
della via; e sorregge il terreno su cui trovasi la Via del
Duomo, che da Via Roma porta a Piazza del Duomo: que-
sta linea corrisponde al ciglio della roccia da cui partono
vari speroni. Seguendo ora il corso del masso calcareo ed
unendo con una linea questo ultimo tratto murale a quello
già ricostruito, il tracciato intermedio risulta evidente, in
pieno accordo con il terreno e completamente giustificato.

Giunti così al punto in cui Via S. Pietro Martire finisce
in Via Roma, siamo a breve distanza dal punto fino a cui ab-
biamo ricostruito il tracciato perimetrale dell’abitato ad est
di Via Roma, lungo Via della Pellicceria: in questi pochi
metri, che corrono tra le estremità dei tratti ricostruiti, in
una parola tra I estremità orientate di Via S. Pietro Mar-
tire e l’ estremità occidentale di Via della Pellicceria, pog-
gia —- sul ciglio della roccia — quel terrapieno che mette
in comunicazione l'alto della città con il basso, e che oggi
ancora è chiaramente visibile lungo la Via Roma che su
di esso si trova. Di questo terrapieno abbiamo altrove dato
un cenno, che occorre qui completare con particolari mag-
giori. Le due estremità di esso sono da una parte — nel-
l'alto — presso l'incrocio con Via della Pellicceria; e
dall’ altra — nel basso — presso l incrocio con Via San
Francesco: in tutto, una lunghezza di un 1410.00 metri.
Nel primo punto abbiamo una quota di m. 308.85; nel se-
condo si scende poco al di sotto di m. 389.80 che è la quota
del ponte, il cui livello peraltro é leggermente elevato dalla
costruzione Anche a voler operare su quest’ultimo dato,
noi avremmo una pendenza del 5.3 ?/,. Le sostruzioni. sor-
reggenti la Via Roma furono in genere note agli scrittori
locali, qualcuno dei quali incorse, però, in errori intorno
alla loro esatta ubicazione. Così — quantunque per semplice
congettura — il Michaeli sa che « dalla parte del fiume si
entrava, secondo che si è congetturato, per una strada, sor-





54 G. COLASANTI

retta in parte da archi o muri di sostruzione, poco diver-
gente da quella che attualmente mette al ponte, che pure
si crede di epoca romana » (1). Ove, accanto a dati esatti
(le sostruzioni di Via Roma), abbiamo erronee informazioni
circa la non coincidenza dell’antica strada con l’attuale Via
Roma; il che equivale all'assegnazione delle sostruzioni stesse
su di una linea che non è quella di quest’ultima strada.
Segno manifesto che l’A. non ha assunte dirette notizie in
proposito. Questa inesattezza fu evitata da Loreto Mattei,
il quale cosi parla delle costruzioni in discorso: « Ma il
piü mirabile di questa strada é il sotterraneo, che non si
vede, cioè un lungo e continuato ponte di molti e grandi
archi l’un più sollevato dell'altro, sopra dei quali è portata
in collo e spianata la salita all'alto di detta Piazza (cioè
P. Vittorio Emanuele), per altro ardua e scoscesa per le ta-
gliate rupi delle quali ancora diremo sarebbe rimasta. Strut-
tura magnifica è questa, ma sotto le fabbriche di la e di
qua alzatevi coperta e sepolta, servendo hoggi alle laterali
fabriche sol per cantine » (2). Informazioni, alle quali fan
riscontro le altre — brevissime — di Pompeo Angelotti che,
parlando della strada per cui « insensibilmente s' ascende
alla piazza », la dice « sostenuta da sodissimi Archi » (3).

Prendendo a guida la particolare descrizione lascia-

taci dal Mattei, ed investigando nei sotterranei laterali

alla Via Roma, avemmo modo di farci un concetto esatto
delle sostruzioni e della loro conformazione speciale. Scesi
nelle cantine del palazzo dei signori Colarieti - Tosti, pro-
prio sotto il fianco orientale della soprastante Via Roma,
esaminammo un tratto di muraglione, sostenente il lato
della strada. Si estende per circa m. 8.00 e raggiunge

(1) Memorie Storiche ecc., I, 51 52

(2) Erario Reatino ecc., c. 82.

(3) Descrittione ecc., pag. 23. La piazza è — beninteso — la P. Vittorio Ema»
nuele.

-









REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECO. 55



un'altezza di m. 3.00: è costituito dei soliti blocchi, dalle
comuni dimensioni di m. 1.60 X 0.60, di forma e di qualità 5
in tutto corrispondenti agli altri fin qui osservati in altre
direzioni. Questo tratto murale mostra di continuare verso
nord, per la stessa linea, sotto il palazzo dei marchesi
Vecchiarelli, le cui mura però han distrutta l’ antica co-

struzione, della quale restano — non del. tutto muti ri-
cordi — blocchi sporadici spersi nei sotterranei. Tra i sot-

terranei di casa Vecchiarelli e quelli di casa Colarieti-Tosti
— ove trovasi il tratto di muraglione già descritto — si
apre un passaggio trasversale, a volta, che va da un lato
all’altro della soprastante strada: esso è aperto ancora nel
lato orientale, ma è chiuso da costruzioni posteriori nel lato
opposto. Misurato al livello attuale del suolo, questa specie
di ponticello offre m. 7.00 in lunghezza e m. 5.00 in al
tezza, con una luce di m. 3.00. È costituito di grossi bloc-
chi incastrati a secco, cuneiformi (specialmente quelli for-
manti la volta), ed aventi varie dimensioni (m. 1.40 X 0.45;
m. 2.00 x 0.45 ecc). Pochi metri più su di questa galleria,
un’altra volticella di passaggio si apre sotto casa Parasassi,
nell’ opposto lato di Via Roma, cioè a destra di chi scende
verso il ponte. Anche qui si ha una parete di muraglione
nella direzione della strada, della quale è sostegno; ed è
conservata per circa m. 2.50 Xx 4.00. In questa parete si
apre il ponticello a volta che taglia la strada, attraversan-
dola da un lato all’altro, ed avente le dimensioni di m. 7.00
X 6.00 x 3.00. Sì nel muraglione che nel passaggio a volta,
si hanno blocchi calcarei, parallelepipedi o cuneiformi (nella
volta), di dimensioni comuni agli altri osservati più indietro.
Questa seconda galleria, che viene quasi a trovarsi a metà
della maggiore salita di Via Roma, è seguita immediata-
mente da un’altra, che si osserva nei sotterranei del Palazzo
Napoleoni. Con questi passaggi noi otteniamo di formarci una
idea particolareggiata della sostruzione: nella quale, due pode-
rosi muraglioni laterali erano interrotti da ponticelli a volta,













56 G. COLASANTI

in senso trasversale. I muraglioni, correndo da nord a sud,
cioè dal fiume alla roccia verso l’alto, interrompevano il
terreno basso sulla destra del Velino, dividendolo in due
parti: ed allora — sia per le necessità tecniche della co-
struzione, sia per regolare il passaggio e la circolazione
delle acque durante le alluvioni (le quali oggi ancora co-
prono buon tratto di questa zona bassa, ed anticamente —
prima dei singoli lavori di rialzo — dovevano ricoprirla fin
quasi ai piedi della roccia) — si senti la necessità di pra-
ticare questi passaggi laterali.

Connesso, nel basso, con il ponte sul Velino sito ai suoi
piedi, questo terrapieno ci additava la esistenza di una porta,
da cercarsi nel punto in cui la strada, da esso sorretta,
toccava il ciglio della roccia sostenente le mura. Molti do-
cumenti sono venuti ad indicarcela, suffragando la prima
intuizione desunta da criteri puramente topografici.

Parlammo altrove dei limiti della città medievale, rap-
presentati, a sud, dalla linea del Velino: e dicemmo altresi
che l’ abitato verso questo punto meridionale, nei pressi
della Via Roma odierna, era diviso nei due sestieri di Porta
Romana de super e Porta Romana de suctus (1). Come già si

disse per le denominazioni simili degli altri sestieri citta-

(1) Cfr. i passi, già riportati, nel Boll. di Storia Patria per U' Umbria, anno V,
vol. V ecc., pag. 354, 382, 393, 406. Gli Statuti — tra i boni viri per la riforma delle
consuetudini cittadine (1456) — pongono « Dominicus Colae Schacchi, et Luciolus
Zapparell Por. Ro. desuper: Colantonius Angeli Donati, et Petrus Paulus Francisci
Iannis Zauarellae Por. Ro. de suptus » (Add. I). Essi erano i quattro rappresentanti
dei nostri due sestieri, in ragione di due per ciascun sestiero cittadino. Nel noto
processo contro Paolo Zoppo troviamo il nome di tale « Pauli Piscis de Reate, de
porta Romana de super » (op. cit., pag. 364), e di tale Paolo « Angelicti Venuti de
Reate de porta romana de subtus > (op. cit., pag. 354). Tra i sei priori delle arti
contro cui I Inquisitore scagliò la scomunica — dopo avere spiccato contro loro il
mandato di comparizione — troviamo « Nardus not. Petri de Porta Romana de-
super ... Laurenzictus Berardi Laurentii de porta Romana desuctus ecc. (op. cit.
pag. 393). Abbiamo voluto riprodurre qui il passo per maggiore chiarezza nella di-
scussione. La menzione di questi due sestieri cittadini s' incontra qua e là in
numerosi documenti locali (A. BELLUCCI, Regesto delle pergamene, pag. 30 ad ann.
1363; pag. 26 ad ann. 1338; pag. 31 ad ann. 1379; pag. 42 ad ann. 1457 ecc. ecc.).







o
-1

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC.

dini, anche per i nostri le due determinazioni de super e de
suctus, riferite all'abitato posto entro i limiti della città estesa
sino al Velino, debbono naturalmente riportarsi ad una linea

di divisione, anticamente esistita entro questi limiti stessi e

poi scomparsa e dimenticata. Cioè — come per le altre
parti dell’ antico abitato già studiato — esse ci riportano

all'antica cinta; già da noi in questo tratto esaminata, e che
sicuramente era in piedi allorchè le denominazioni di questi
sestieri cittadini si andavano formando. Con la cinta, viene
anche l'accertamento di quel che cercavamo : cioè l'esi-
stenza di un’ antica porta, da cui i due sestieri presero e
conservarono il ‘nome, al quale quindi i due sestieri omo-
nimi stanno, come alla Porta Cinzola ed alla Porta Carca-
rana stanno i relativi omonimi sestieri. Nè si dica che i due
sestieri di Porta Romana possano essere riferiti a quella
Porta Romana, che abbiamo vista esistere nel nucleo subur-
bano al di là del ponte fin dal tempo degli Statut! poichè
essa era fuori dei limiti della città propriamente detta, e lontana
dalla zona ove troviamo localizzati i due nostri sestieri.
Altri documenti suffragano la nostra tesi. In una carta far-
- fense, contenente un placito adunato entro la città reatina
l'anno 1000, si ha: « In dei nomine. Scriptum notitiae iudicati
pro futuris temporibus memorandum et in antea recordan-
dum qualiter in comitatu reatino, infra ipsam civitatem. reati-
nam ad portam romanam infra ipsam casam, in placito residen-
tes etc.» (1) Poiché i limiti della città propriamente detta,
fino a tempi a noi vicini, non sorpassavano la linea del Velino,

resta escluso che questa Porta Romana — esistente nel cir-
euito delle mura cittadine — possa riferirsi alla nota porta
omonima del sobborgo, la cui esistenza — del resto — noi

apprendiamo solo qualche secolo dopo l'età a cui il citato
passo si riporta. E poichè la porta esistente sul Velino, cioè
alla periferia della città medievale (dal tempo dello Statuto

(1) Reg. di Farfa, III, pag. 156.
































58 G. COLASANTI

in poi) ha costantemente il nome di Porta Pontis e non mai
quello di Porta Romana (1); poichè, inoltre, all’ epoca del
citato documento farfense altre notizie ci mostrano questa
zona nel basso e lungo il terrapieno, cioè tra il fiume € la
linea della roccia, come posta fuori della cinta cittadina
quale allora era (2), ne viene che la identificazione topografica
del passo « intra civitatem reatinam ad portam romanan »
va cercata lungo l'antico perimetro, da noi già ricostruito.
Accertata così, per vie diverse, la esistenza di un’an-
tica Porta Romana lungo la vecchia cinta a mezzogiorno,
la sua esatta ubicazione (che noi peraltro già abbiamo in-
dicata) scaturisce da una serie. di considerazioni, all'in-
fuori di ogni documentazione storica. Se, infatti, questa porta
si trovava lungo la vecchia cinta a mezzogiorno, per le ra-
gioni dianzi esposte il punto, in cui l’unica comunicazione
con il basso toccava l'alto della città, deve indicarci il
sito della porta stessa. I documenti storici suffragano questa
conclusione. In una bolla dell'anno 1153, con cui Anasta-
sio IV conferma i possessi della chiesa reatina, troviamo
menzionate le seguenti chiese: « Item intra Urbem vel in .
suburbio Reatinae Civitatis Ecclesiam Saneti Iohannis et
Sancti Eleutherii, sancti Ruphi, sancti Iuvenalis, sanctae
Marinae, sancti Petri in Porta Romana, sancti Salvatoris et
sancti Nicolai in Acupentu, sancti Leopardi etc. » (3). La
stessa chiesa, sotto il titolo di S. Pietro in Porta Romana,
va veduta sicuramente in un’altra bolla del 1182, con cui
Lucio III, nel determinare i confini della diocesi reatina, no- .
minava « infra Civitatem in suburbiis eiusdem Civitatis
Ecclesiam S. Ioannis Evangelistae, S. Rufi, S. Iuvenalis,
S. Mariae, S. Petri in. Portu (n Porta), S. Nicolai et S. Sal-














(1) Cfr. i documenti altrove riportati.
(2) 1 documenti riportati altrove per S. Giorgio, e per la località « Acupenco »
lo provano.
(3) Ap. MICHAELI, Memorie Storiche ecc., II, 266.


REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 59

vatoris in Acopinto etc. » (1). Ove, la simiglianza delle frasi
con quelle dell’altro passo riferito, e lo stesso ordine nella :
menzione delle chiese ci rendono agevolissimo l’ emenda-
mento in Porta, ottenendo così il titolo a noi già noto della
chiesa di S. Pietro in Porta (Romana) (2), ed identificando
la chiesa, nominata nel secondo documento, con quella men-
zionata nel primo. Delle chiese, aventi il titolo di S. Pietro
e situate nei pressi della zona in cui ci aggiriamo con que-
sta nostra ricerca, ne conosciamo tre: quella di S. Pietro
Martire, posta sotto il Duomo, nella estremità di Via Ver-
dura, di fronte quasi all’ incrocio di Via S. Pietro Martire ;
la basilica di S. Pietro, nominata ora come chiesa ora come
semplice cappella dalle carte farfensi, e posta entro S. An-
gelo al di là del VÉlino ; e finalmente la vetusta chiesa, già
parrocchiale, di S. Pietro Apostolo, sita nell’alto di Via Roma,
a destra di chi sale. La chiesa di S. Pietro Martire pos-
siamo escluderla con sicurezza dalle riferite menzioni, poi-
chè oltre alle ragioni principalissime, provenienti dalla
sua fondazione, posteriore all’età dei documenti citati — essa
è in un sito troppo lontano dalla linea in cui ad un
dipresso occorre porre la vecchia porta (cioè dalla linea
dell’ odierna Via Roma, sull’antico terrapieno) perchè possa
essere in qualche modo giustificato l'attributo ad Portam fo-
manam, che implica uno stretto nesso di vicinanza. Che poi
possa trattarsi della basilica o cappella di S. Pietro a S. Angelo,
è parimenti da escludersi. Anzitutto, anche a voler ritenere
là esistenza, in quest’ epoca, della Porta Romana di Borgo, a
cui la nostra chiesa sarebbe stata vicina (ad portam Roma-
nam), non possiamo egualmente ritenere che il titolo ad Portam
Romanam fosse portato dalla chiesa di S. Pietro in parola;

per là quale nessuna delle numerose menzioni che posse-

1) Ap. MiCHAELI, Op. cit., II, 271.
2) Il MicnaELI errò sicuramente nel leggere in Portu per i» Porta: a meno
che non si tratti di una variante, nello stesso documento originario accolta.



60 G. COLASANTI

diamo riproduce questo titolo. Si noti, poi, che la nostra
chiesa, insieme a quella di S. Angelo, si trovava sotto la
giurisdizione di Farfa (1): e quindi non può riferirsi ad essa
un atto di conferma di beni e di giurisdizione, fatto in favore
del Vescovo reatino : questo argomento, come si vede, è di
capitale importanza. Che si tratti della terza chiesa, cioè di
San Pietro Apostolo? A noi sembra indiscutibile, sia perchè
non conosciamo altre chiese intitolate a S. Pietro in questa



zona meridionale; sia per l’ antichità e la importanza di
essa, a gli scrittori e alle ‘fonti locali universalmente note.
Questa « antica chiesa Parochiale di S. Pietro Apostolo »,
come l’Angelotti scrisse (2), ha oggi perduta la sua origi-
naria veste architettonica, della quale resta -— eloquente
avanzo — il portale, incastrato nella povera facciata.
Presso il sito di questa antichissima chiesa — secondo
la eloquente indicazione del suo titolo — occorre ricercare
la Porta Romana. Poco più su di essa, il terrapieno si in-
crocia con la linea murale, già da noi ricostruita : nel punto
d’ incontro doveva logicamente aprirsi la vecchia porta. No-
nostante le numerose alterazioni edilizie, le tracce di questa
porta meridionale oggi ancora non sono completamente scom-

wr

parse. Sull’ incrocio di Via Roma con Via S. Rufo, si osser-
vano dei grossi blocchi di costruzione perimetrale, i quali
ci richiamano alla mente quelliv — identici — osservati
a Porta Carana. Su di essi, inoltre, la costruzione moderna



po—— MES

| (una casa di proprietà del sig. Ottavio Festuccia) continua
TAI mirabilmente la tradizione ed il ricordo della vecchia torre,




che ivi doveva sorgere, e le cui sostruzioni han servito di
base alla fabbrica posteriore: qualcosa di simile a quanto
é accaduto negli altri punti dell'antico perimetro, a Porta
IU Carana e nel lato settentrionale.

p
€———





(1 DEsaANCTI!S, Memorie eec., pag. 111 112. Cfr. i documenti farfensi (Reg. di
Farfa, V, 210 e gli altri già citati; cioé R. di F., II, 116 ecc. eco.).
(2) Descrittione ecc. pag. 25.













REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 61



Con la identificazione della Porta Romana, noi abbiamo
completati i particolari della vecchia cinta reatina dell’alto
medioevo. La quale, adunque, si estendeva lungo i dossi di
quell’ altura calcarea, che sporge sulla vallata del Velino :

la cerchia — orientata perfettamente da oriente ad oc-
cidente — aveva una forma ovale allungata; più ampia

nella estremità orientale, essa andava sempre più restrin-
gendosi verso occidente, raggiungendo in tutto una esten-.
sione di circa 1380 metri. La sua larghezza massima, verso
oriente, può computarsi ad un 200 metri, ridotti a m. 160 a
Piazza Vittorio Emanuele, ed a m. 40 poco prima della
estremità occidentale. Le mura, che nella estremità orientale
poggiano sugli speroni rocciosi alquanto elevati, scendono
ad un livello più basso a sud della Piazza del Leone, dopo

la quale risalgono di nuovo e — sempre seguendo i fianchi
dell’altura — raggiungono la estremità occidentale. Quivi il

masso calcareo si alza alquanto sul terreno sottostante e,
girando verso la fronte meridionale, il ciglio roccioso e con
esso le mura soprastano alla via S. Pietro Martire, finchè —
giunta all incrocio di Via Roma — roccia e cinta toccano il
livello superiore del terrapieno. Ad ovest del quale, il muro —
seguendo la roccia — si alza sulla sottostante Via della Pel-
licceria, fino a raggiungerne la estremità orientale. La vec-
chia cerchia era coronata e resa più forte da numerosi tor-
rioni, che nel lato settentrionale ci appaiono distribuiti al-
l intervallo di un 40 metri. Costruzioni simili dovevano es-
sere lungo il lato meridionale, ove ne restano visibilissime
tracce dietro la chiesetta di S. Giorgio. Questa cinta ci si
presenta con tre comunicazioni: ad oriente aprivasi la Porta
Interocrina, da cui partiva la strada per Antrodoco e per
l'Abruzzo ; ad occidente, dalla porta chiamata Cinzola, usciva
la principale via di comunicazione con il nord e con il
nord-ovest; a sud — sull’alto del terrapieno — si apriva
la Porta Romana, che accoglieva l'antica Via Salaria o Ro-
mana. A fianco delle porte, torri di guardia ne rafforza-







62 G. COLASANTI

vano la difesa. Entro questa cinta cominciò il primo sviluppo
della vita comunale, e sul numero delle porte antiche si
fondó il numero dei sestieri (due per porta, uno fuori e l'al-
tro dentro); della vecchia linea murale si mantenne, nel
nome dei sestieri stessi, chiaro ricordo.

Giunti a questo punto, una domanda ci si affaccia alla
mente: questa cinta cittadina in quale relazione si trova

con la cinta classica ? Corrispondono le due, oppure qualche

divario vi ha tra esse? Le ragioni, che già invano tentarono
impedirci di risalire -— dai residui ancor oggi rimasti —
alle mura cittadine quali erano intorno al mille (guasti su-
biti, crolli, incendi ecc.), neppur ora riescono ad impedirci
di raggiungere la identità tra lo schema, da noi ricostruito,
e quello classico. Come per il tempo posteriore al mille,
anche per il tempo anteriore molte e diverse catastrofi, in
una regione tanto esposta a commozioni telluriche, han
potuto certamente rovinare in tutto o in parte la preesi-
stente costruzione murale, in seguito rinnovata. Ma tutto
ció non poté influjre sulla tradizione dello schema peri-
metrale, che, e per la natura del terreno su cui poggiava
(la linea della roccia era la sua naturale base) e per diverse
ragioni, provenienti dalla comodità di riedificare sulle fon-
damenta preesistenti, non subì alterazioni sostanziali. E pro-
prio dello schema perimetrale noi qui facciamo sopratutto
questione.

Alla identità, cui dianzi accennavamo, ci conduce tutta
una serie di altre ragioni. Anzitutto, la estensione del cir-
cuito murale da noi ricostruito (circa m. 1380) concorda per-
fettamente con il concetto che possiamo farci dell’ antica
Reate. In una regione che, avanti la conquista di Roma, fu
molto povera di città ed in genere ebbe pochi centri che
si elevassero al di sopra della mediocrità (NISSEN, Jt. Land.,

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA. ECC. 63

IL, pag. 26-38), una cinta urbana di poco più di km. 1,3 sta
completamente a posto. Tanto più che Reate non assurse
‘mai a grande notorietà cittadina, ed agli occhi degli antichi
geografi apparve come un modesto centro di assai limitata
importanza. Se si toglie la notorietà di Reate come centro
aborigeno (1), la nostra città trova quasi sempre menzione
presso gli scrittori classici solo in quanto essi parlano del

suo ubertosissimo agro (2); i pochi altri speciali accenni
alla città, non significano nulla per la sua importanza (3).
Chè anzi — tra il silenzio di qualche geografo (4) — Stra-
bone parla di Reate come di un oscuro centro, impoverito
dalle lunghe guerre (5). Siamo dunque di fronte ad una città
di ultimo ordine, incomparabilmente più piccola delle città
italiote e delle etrfische, e perfino delle stesse colonie come

Signia, Cosa, Saepinum, che pure erano di una modesta pe-
riferia murale (6). Inoltre, la documentazione ci fa seguire
questa cerchia fino ai primi secoli del medio evo, alle porte
del mondo classico quando — per un gran numero di città
italiane — il tradizionale schema murale era ancora ben
lungi dall'essere alterato da quel fenomeno di risorgimento
cittadino, che ebbe luogo soltanto parecchi secoli dopo. Del
mondo classico noi troviamo diverse eloquenti tracce lungo

(1) DioNvs. I, 14-16 ; II, 49. — Vann., d. 1. 0, V, 583, ecc.

(2) PLIN., N. H., II, 62; 94, 103; VIII, 42, 43; IX, 50; XXXI, 2 ecc. — Vann., d.
V. C, V, 71; d. v. r., I, 7, 14; II, 1, 6, 8; III, 2 ecc. — SERV., Ad Aen., VII, 517, 657,
712. .— CoLuM. d. r. r., VIII, 16 — FEST. S. V. R0sea. — OBSEQ., 1, 5, 15, 120.

(3) Crc., Ad Attic., IV, 15, 5. — PLIN., N. H., III, 12. -— VARR., d. r. v., III, 1, 2.
— SIL. Ir., VIII, 414 417. — SvkT., Vesp., 2, |. — OBsEQ., 59; Steph. Bys., S. v. "PeXxtov.

(4) Tolomeo, che nei dintorni conosce Spoleto, Mevania, Narni ecc. (III, 1
46-47) e tra i Sabini conosce Novpoia (III. 1, 43), non fa cenno di Reate.

,

(5) Eafivot ... móAsu, 9 Exyoootw diifag xail Tetarewvmpevas dà Toùs cu-
Vexstc moAépouc, ’Apnitepvov xai "Pe&te (V, 3, pag. 228).

(6) Fra le città italiche Posidonia, che era tra le minori, aveva un circuito
di km. 4,9; più a nord, Surrentum raggiungeva i km. 2; tra gli etruschi, Popolunia
misurava km. 2, 5 di perimetro ed era tra le minori città. La stessa Fundi raggiun-
geva km. 1,7, ed i perimetri di Cosa (km. 1,47) di Tarracina (km. 1,5) e di Saepinum
(km. 1,5) che pure son» i più vicini al perimetro reatino, si mostrano tuttavia ad
esso un po’ superiori. (Cfr. NISSEN, Ital. Landesk., II, 1, 36 e segg.)

















64 G. COLASANTI



la cerchia. stessa, nelle denominazioni delle vecchie porte
cittadine; e la possibilità di ritenere la nostra cinta spostata
di fronte alla linea della cinta classica (di cui quella
avrebbe conservate le denominazioni delle porte e le altre
particolarità), ci è contrastata dalla difficoltà di cercare al-
trove la presunta linea di questa antica cerchia. Si abbia
ben presente la configurazione dell’altura, su cui era la città
medievale, con i suoi fianchi più o meno scoscesi e con la
sua limitata larghezza (in media un 150 m.): il ciglio ed i
speroni del masso roccioso dovettero rappresentare l'unica
supponibile linea delle mura in ogni tempo, e fino da
quando la città fu' limitata sulla roccia stessa. Porre una
cinta più in su di quella medioevale, cioé entro l'ambito di
quest’ultima, appare estremamente difficoltoso, poichè restrin-
geremmo di soverchio la superficie dell'urbe e ravvicine-
le due linee laterali



remmo — fin quasi a farle toccare
della cinta. Cercarla più giù, cioè fuori della cerchia ri-
costruita, verso il basso, è pressochè impossibile, data la
conformazione del terreno: sia nel lato meridionale che
in tutti gli altri, scenderemmo completamente a livello del
terreno piano all'intorno. Difficoltà resa ancora piü forte
dal fatto che, nel lato meridionale — ove ai piedi della
roccia giungeva l’allagamento del fiume e, prima del pro-
sciugamento, arrivavano gli impaludamenti — le mura sa-
rebbero dovute sorgere in un terreno occupato dalle acque.
Bene inteso, che di queste ipotetiche linee perimetrali noi
non abbiamo documento alcuno, né traccia di sorta: il che
non é poco. Non resta che scartare ogni idea di sostanziale
divario fra i due schemi perimetrali, e vedere nelle cadenti
mura reatine, allo spirare del primo millennio dell' Era vol-
gare, la continuazione del perimetro classico, rimasto —
fino a tempo inoltrato — come ultimo segnacolo di un
mondo scomparso.

A questi argomenti fa eco la completa mancanza di ac-
certati residui archeologici, che in qualche modo potessero

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 65

riferirsi ad un antico abitato cittadino nelle zone basse, fuori

della cinta medievale.

Nella prima nostra zona di ricerca, incontriamo — nel
punto estremo, ad est — la Porta d’Arce, che — come ac-
cennammo — continua col suo nome un'antica tradizione
toponomastica. Questo nome lo incontriamo per tutto il me-
dioevo, ed i documenti ad esso relativi — che già abbiamo
riportati — ce lo danno sotto la forma ad Arci (1); ad Arces (2);
Arci (3). La sua dichiarazione? Poichè nel Regesto farfense
simili denominazioni si riferiscono sempre e chiaramente a
rocche o castelli (4), egual riferimento a prima vista noi do-
vremmo dare a questo nome, e cercare, in quei dintorni,
una rócca od un vecchio castello da cui esso possa essere
derivato. »,

La conformazione del terreno, nella zona in eui siamo,
non puó farci pensare che al sito dirimpetto all'attuale Porta,
nella Collina del Principe Potenziani, o al sito entro di essa
sull’alto della città (di rocche, tra la’ Porta d'Arce e la col-
lina, in cui Rieti sorgeva, non è neppure il caso di parlare,
mancando noi di qualsiasi accenno). Nel primo posto e sugli
adiacenti speroni, nessun documento ci indica ròcca alcuna,
e la stessa locale tradizione é al riguardo completamente ne
gativa. E poichè — dato il continuo riferimento delle nostre
varie fonti a questa località — un cenno a questo castello

"

(1) Reg. di Farfa, II, 120 ad ann. 786; Reg. di Farfa, II, 214 ad ann. 824; Cfr.
GALLETTI, Memorie ecc., pag. 85.

(2) Reg. di Farfa, II, 200 ad ann. 820; GALLETTI, Memorie ecc., pag. 80-81.

(3) < Unde in cambio recepi ... terram vestram quam habuistis foris civitatem
reatinam foris portam quae dicitur interocrinam in loco qui dicitur arci » (Reg. di
Farfa, III, 28 ad ann. 878).

(4) « Casales de iohanne de nazano, ubi est castellum quod dicitur arci » cosi in
una carta di donazione del 1059 (Reg. dé Farfa, IV, 296). — « ... praedictus abbas ac-
quisivit locum in quo olim aedificatum fuerat castrum, et nomen loci dicitur arce »
in un atto di investitura di Niccolò IV, del 1060 (Reg. di Farfa, IV, 300). — « Idest
totum castellum quod vocatur arci » in un atto di refutazione a Farfa, dell’anno 1062
(Reg. di Farfa, IV, 209; riportato anche altrove, IV, 295). Tralasciamo per brevità
altri numerosi accenni dello stesso genere, sparsi nel Regesto medesimo.























































66 G. COLASANTI

sarebbe pur giusto attenderselo, non resta che pensare al
secondo sito, cioè all’altura su cui sorgeva il vecchio abitato,
escludendo tutta la zona bassa fino ai piedi della vecchia cinta
reatina. Di ciò meglio parleremo a suo luogo, allorchè espor-
remo la nostra idea sulla origine di questa denominazione.
Gli scrittori locali non si curarono di far tante determina.
Zioni, anche perché non conobbero i relativi documenti: essi
riferirono la denominazione ad wn'antica vrócca, cioó ad una

fortezza situata a Porta d' Arce, ove trovavano — a loro giu-
dizio — il ricordo onomastico della presunta costruzione, ed

ove avevano già estesa l'antica città. Le prove? Ma ció per
i nostri autori era il compito minore: poiché arce viene da
ari, nome classico, questo vocabolo stesso doveva giustifi-
care sufficientemente la ipotesi: tanto più che le costruzioni
medievali della torre sulla porta — erroneamente credute
antiche — avvaloravano sempre piü tali concetti. Ed infatti,
così sembra pensare Pompeo Angelotti, il quale — dopo la
menzione di Porta d'Arce — nota solo che essa é « chia.
mata da una ben munita fortezza ivi anticamente fondata » (1).
Loreto Mattei ha voluto andare piü innanzi. Egli conosce il
seguente titolo epigrafico: T. Fundilio. Gemino | VI. vir. aug.
mag. IIII | augustales | patrono. et. quinq. perpetuo | optime. me-
rito | hic. arcae. augustalium. se. vivo | h.s. XX. dedit. ut. ex.
reditu. eius. summae | die. natali. suo IIII. k. febr | praesentes.
vescerentur | et. ob. dedicationem. statuae | decurionib. et. seviris.
et. iuvenib. sportulas | et. populo. epulum. et oleum | eadem. dic.
dedit. (2), che interpetra in una maniera veramente curiosa.
In esso, arcae gli parla senz'altro dell'antica rocca, cioé della
« corte di residenza dei decurioni e sei viri Augustali » (3);
e poichè la iscrizione parla di sportule, di banchetto e di oglio,
il Mattei trova la documentazione di tutto ciò. Infatti « non

(1) Descrittione ecc., p. 46-49. L'A. non adduce però alcuna prova.
(2) MICHAELI, I, 119; C. I. L., IX, 4691.
(2) Erario Reatino ecc., c. 80-82.

REATE, RICERCHE DI TO OGRAFIA, ECC. 67

« lungi, per un diverticolo a sinistra alquanto declive verso il
« fiume, era un luogo di delizie detto anche hoggi Porto Venere,
« dove anticamente facevasi il detto Convito Popolare chia-
". mato Magnum Epulum come nell’ ultime parole della sud-

« detta iscrittione .... donde resta ancora il nome nel basso

« della contrada, detta il Pozzo di Magno epulo » (1)!!! Tutto
questo gli serve per attestare e confermare che, presso la

« prima Porta verso il Regno (cioè Porta d’ Arce) .... all’ uso
antico era la Rocca e corte di residenza dei Decurioni e sei
viri Augustali » (2). Documentata cosi la sua « rocca », egli
— ne fornisce altre prove ed altri particolari. Questa « rocca »
‘0 « torre » era — presso la località di Magno epulo o Porto

Venere — nel sito che doveva dirsi Porta Arcis: antica de-
mnominazione di efi « resta fino al dì d’ hoggi nella nostra
« locution vernacola intiero e quasi puro il nome Porta

‘« Arce » (3). Di più: la chiesa del Suffragio, addossata alla
Porta d'Arce, appare essere stata fabbricata sopra alcune
rovine, le quali — poichè in detta chiesa si trova « una
cappella dedicata a S. Leonardo, avvocato delle prigioni » (4)
— debbono essere rovine di un antico carcere. La presenza
di questo carcere, viene a confermarci che qui abbiamo a che
fare con un’antica rocca, il cui fondo — come accade — è
riserbato alle prigioni! Ecco le testuali parole del Mattei:
« Il resto maggiormente si conferma dall'esserci state (come

« si usa nel fondo delle Rocche) le pubbliche carcere, le cui

« vestigie si vedono benissimo nella sacrestia della Chiesa

« del Suffragio, novamente in bella forma sopra rifabbrica-

« taci, con cappella dedicata a S. Leonardo avvocato delle

« prigioni » (5)!!
Tutto questo strano miscuglio di falsi apprezzamenti e

(1) Erario Reatino ecc., c. 8l.
(2) Erario Reatino ecc., c. 80-82.
(38) Erario Reatino ecc., c. 80 82.
(4) Erario Reatino acc., c. 81.
(5) Ms. cit., c. cit.















68 G. COLASANTI

di conclusioni sbagliate ha forse -bisogno di essere coufutato?
È evidente che nessun nesso topografico può mai legare la
Porta d’Arce alla riportata epigrafe, la quale sarebbe stata
veduta e copiata « apud Reatem vetustissimam civitatem in
foro, in lapide » (1); che nessun nesso può esistere tra arce,
che viene da arc, come lo stesso Mattei riconosce, e arcae
che viene da arca; che nessun legame intercede tra epulum,
della falsa epigrafe, e Magno epulo, denominazione che sarà
esistita al tempo del Mattei, ma che — allo stato della que-
stione — non ha diritto ad alcuna derivazione storica nel
senso classico della parola, e molto meno alla derivazione
pretesa dal Mattei. Lo stesso dicasi per la denominazione
di Porto Venere. Senonchè, il Mattei parla di resti antichi, da
lui osservati; e di fronte a questo, che potrebbe sembrare
un dato di fatto assai importante, qualcuno potrebbe aprir
l'animo ad un sentimento di credulità. Premettiamo che noi
non possiamo esercitare in proposito alcun controllo di fatto,
poichè nè dentro la sacrestia della chiesa del Suffragio, nè
nelle adiacenze esistono oggi resti o tracce di vecchie co-
struzioni. La sacrestia in parola è una stanza di forma ret
tangolare, dalle pareti ricoperte di intonaco, sotto il quale
coloro, che da tempo praticano per ragioni di servizio tutto
il fabbricato, non ricordano la presenza di vecchie co-
struzioni. D' altra parte, l aspetto delle mura odierne è
tale, che non permette risalire a vecchi residui murali,

addosso a cui potessero essere state costruite le nuove mura.

Non resta, quindi, che fondarsi unicamente sulle parole del
Mattei, tanto più che gli altri scrittori locali, e il Latini
tra essi (2), non conoscono nè parlano affatto di queste anti-
che costruzioni. Ridotta la questione a tal punto, tutta una
serie di considerazioni ci si para innanzi. Anzitutto, la nessuna
conoscenza che noi abbiamo, per fonti sicure, della esistenza

(1) Ap. MICHAELI, I, pag. 120.
(2) Memorie ecc., IV, ec. XVIII, passim.

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 69

di una torre o di vecchie costruzioni in questo sito; la spiega-
zione diversa che noi adduciamo del nome Arce; ed infine il
poco valore che per noi ha, in genere, Loreto Mattei come
storico e come archeologo. Non possiamo, infatti, dimenticare
che — tra gli scrittori locali — il nostro è quello, che più si
abbandona ai voli di una fantasia sbrigliatissima; egli vede e
sogna ruderi ovunque, anche dove non ce’ è neppur l ombra
della realtà. Tanto che le sue parole, al riguardo, non otten-
gono fede neppure tra gli altri scrittori municipali, qualcuno
dei quali si domanda spesso dove mai il Mattei sia andato a

scavare simili notizie (1). Vogliamo, dopo ciò, continuare a
giurare nel verbo del Mattei? Per lo meno, è imprudente.

Si noti, del resto, che, anche a ritenere la esistenza in questo
sito di ruderi freramente antichi; ed anche quando si fosse
riusciti ad identificarli come residui di una antica torre, tutto
ció non pregiudicherebbe affatto lo scopo cui noi miriamo:
giacché resterebbe sempre a provare che tali ruderi e questa
torre possano essere riportati all'antico abitato cittadino vero
e proprio. Prova non consentita dai numerosi ed espliciti do-
cumenti,che al riguardo noi abbiamo già addotti e discussi.
In tutta la questione sulle riferite parole del Mattei, la no-
stra personale convinzione é che — nei ruderi di cui il pre-
detto scrittore fa parola — vadano vedute vecchie costru-
zioni di età a noi vicina, di cui qualche traccia lì presso
si osserva, e che in migliore stato dovevano trovarsi forse al
tempo del Mattei. Il quale, quindi, vide in sostanza qual-
cosa di vecchio e — caldo di iperbolico amore per l'anti-
chità — non si peritò di elevare qualche pezzo di muro an-
nerito all’onore di un antico rudero perimetrale.

Non sappiamo se queste idee, dal Mattei esposte nel suo
ms., fossero note al Latini; il quale, però, attinse sicuramente
dall'Angelotti la notizia intorno a questa ipotetica antic:
torre. « Porta d'Arci — egli scrive — vien chiamata d'Arci

(1) Il LATINI, ad esempio ; ms. cit., fasc. III, c. XVI.

















70 G. COLASANTI

perchè ivi anticamente era fondata una ben munita Rocca,
detta in latino Arx, arcis » (1); ove la espressione « una ben
munita Rocca », confrontata con l’altra dell’Angelotti « una
ben munita fortezza » (2), fa chiara fede del nesso di dipen-
denza che tra i due autori in questo punto intercede. E poichè
— come altrove abbiamo già accennato — egli aveva, di-
rettamente o indirettamente, una qualche conoscenza di
documenti medievali, e tra questi degli Statuti di Rieti, volle
ritrovare un ricordo di questa antica rocca là dove gli Sta-
tuti parlano della torre cittadina, posta a guardia di Porta
d’Arce. « Dell’antica rocca — dice il Latini — non rimase
che una Torre quadrata. Di essa si fa menzione nello Sta-
tuto Reatino ecc. » (3). Il passo, cui il Latini si riferisce, è
una prescrizione circa la guardia da esercitarsi alle torri di
Ponte e di Porta d'Arce (4) Come si vede, il nostro A.
non conosce neppure lontanamente i resti antichi ed i ru-
deri di cui parla il Mattei; e l'unica conferma della sua
idea la trova in notizie non di carattere archeologico, che
però non sono meno infondate di quelle addotte dal Mat-
tei. Anche a questo riguardo ritorna in vista il solito ab- .
baglio del Latini, il quale — non conoscendo il problema
topografico medievale nè i documenti relativi — non travide
tutto lo spazio che intercedeva tra la città del tempo dello
Statuto e l' antica Reate. Quindi è che ricollegò questi do-
cumenti medievali al mondo antico, ammettendo così una
corrispondenza tra la città del secolo XIV e la città clas-
sica, che in realtà non può ritenersi. Errore, da cui non riuscì
a sottrarsi neppure con l'esame della costruzione: poiché la
sua imperizia archeologica gli fece qui — come altrove per

(1) Memorie ecc , fasc. IV, c. XVIII.
(2) Descrittione ecc., pag. 46-49.

(3) Memorie ecc., fasc. IV, cap. XVIII.
(4) Stat., III, 97. ;
































REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 71

la cerchia cittadina (1) — ritenere antiche delle costruzioni , >
a piccoli blocchi squadrati, così caratteristici delle fabbriche
medievali. Naturalmente — dato anche che il Latini avesse
fondata la sua ipotesi su ragioni più valide, e che inesplica-
bilmente avesse taciute — resterebbe sempre a vedere se la
torre della città medievale, continuante la ipotetica antica
rocca, provi come l’ antico abitato cittadino si fosse esteso
fino a questo punto.

Qualcosa di simile alla congerie di ipotesi create sul nome
di Porta d’Arce, sono le stranezze messe fuori intorno al
nome di Porta Carana. Si ricordi la ubicazione di quest’ ul-
"tima denominazione, presso l'incrocio di Via di Porta Conca
con Via Garibaldi.. Gli scrittori locali, non avendo cogni-
zione esatta dell’ antico schema perimetrale nè della origine
e del susseguirsi delle denominazioni di questa porta, ten-
tarono unà spiegazione con un nome « Hercolana », dato alla
porta e che si fece poi risalire ad un, tempio di Ercole, esi-
stente in questa località. Già Mariano Vittori — ignaro della



. dichiarazione onomastica di Porta Accarana, e conoscendo
da qualche iscrizione un culto di Ercole praticato in Rieti —
affacció l'ipotesi che la Porta orientale fosse stata dedicata
ad Ercole, da eui sarebbe derivata la denominazione popo-
lare: « Extat adhuc Reati vetustissima quaedam Urbis porta,
quam Cives nescio quas interea miscentes fabulas Accaranam
vocant. Nos Hereulanam .. putamus. Hanc nostram senten-
tiam veram esse Herculis cultus, quo illi Reatini impende-
bant, haud parum monstrant. Colebatur enim in Urbe veluti
auctor quidam et conditor ... Cuius rei memoria ad huc extat,
marmore quodam in templo D. Mariae etc. » (2). Ma questa
ipotesi si mostra in se stessa poco salda. In realtà, noi ab-
biamo una iscrizione reatina, in cui si allude ad un culto

(1) Le mura perimetrali di costruzione medievale furono dal LaTINI credute
< preziosi avanzi di muro, costrutto secondo il gusto dei Tempi Romani » Memorie
ecc., fasc. IV, cap. X.

(2) Ms. cit., c. 115.













19 G. COLASANTI

di Ercole (1); ma di essa — nota fin dal secolo XV (2) ed
indicataci in una località, in cui in seguito altri la videro (3)
-- non conosciamo affatto il luogo di origine. Al tempo del
Vittori era in templo D. Mariae; ma era stata raccolta entro
la città o fuori? Ad ogni modo, anche riportando questa epi-
grafe dentro il circuito dell’ antica città, a chi basterebbe
l'animo di stabilire solo in base ad essa — un nesso tra
Ercole ed il nome della porta orientale, pur tacendo i docu-
menti che a suo tempo noi esponemmo e che ci fecero vedere
del nome Accarana una origine tutta medievale e tutta locale,
senza relazione alcuna con il mondo antico? Il Vittori aveva
parlato solo di un ravvicinamento onomastico, in base al culto
del dio: ben presto, però, la sua idea venne modificata. Circa
un secolo dopo, Pompeo Angelotti accettava anch'egli la spie-
gazione onomastica proposta dal Vittori; ma trovava modo di
aggiungere molto del suo. La contrada Acarana sarebbe stata,
così, chiamata anticamente Ercolana « per lo tempio d’Her-
cole ch’ ivi superbamente sorgeva » (4)! Quali fossero queste

rovine, su cui l'ipotesi era basata, l'Angelotti non dice espli-
citamente. Caso mai egli avesse inteso riferirsi ai resti del-

l'antica torre, che sorgeva presso la Porta Interocrina, il suo
apprezzamento sarebbe completamente errato, dopo quanto
abbiamo veduto su questa costruzione, che non ha nulla a
che vedere con un tempio. Quasi sicuramente, però, il riferi-
mento delle parole dell’Angelotti viene fuori da uno scrittore
posteriore, il quale raccolse la determinazione che la eru-
dizione locale faceva di questo tempio di Ercole: « Circa il
tempio di Ercole presso porta Accarana — scrive il Guat-

(1) « Loc | cultorum | herculis. res | sub. quadriga | in. f. p. XXX|in. agr. p.
XXV | huic. loco|q. octavius. Commun |t. fundilius. quartio | in. fr. p. XIIII. in.
agro. p. XXV | donaverunt » C. I. L., IX, 4673; ap. MICHAELI, I, 94.

(2) C. I. L., IX, pag. 442.

(3) Pomponio Leto, a cui rimonta questa epigrafe, insieme ad un'altra della
silloge Vallicelliana (C. I. L, IX, pag. 439), la vide « a;ud aedem primariam virgi- |
nis ». Indicazioni simili si hanno presso gli altri scrittori (C. I. L., p. 442).

(5) Descrittione ecc., pag. 46-49.

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC.

tani — alla Chiesa di S. Giovanni di Dio rimangono delle
grandi pietre insieme unite, in una delle quali, in caratteri
romani, è scritto C. CATULUS » (1). S. Giovanni di Dio è il
moderno titolo dell'antica chiesa di S. Antonio Abbate; resta
quindi facile identificare i resti — cui allude il Guattani E
nella costruzione a blocchi parallelepipedi, di fronte quasi
alla predetta chiesa. Tale identificazione fu comunicata al
nostro autore da un erudito locale, Luigi Schenardi, il quale
nel suo scritto sulle Antiche Lapidi Reatine, pubblicato a di-
stanza di un anno (1829) dall'opera del Guattani, esponeva
con ogni particolare lo stesso concetto. Dopo aver detto che
‘ la iscrizione IX, 4673 indica il « sepolcreto delle persone
addette al tempio di Ercole in Rieti », egli aggiunge : « Questo
tempio d’Ercole era in Rieti situato nella parte inferiore
della città, che riguarda il Settentrione, nel pendio della
Collina, presso la porta Erculanea, oggi corrottamente chia-
mata Accarana, dove appunto era fama ch’ Ercole entrasse
in Rieti trionfalmente sulla quadriga .. Di questo tempio
anche al presente si osservano i ruderi incontro alla Chiesa
di S. Giovanni di Dio, e dalle pietre d’antica opera Romana;
parte delle quali hanno sofferto l'azione del fuoco, ben si
puó rilevare la magnificenza di quella fabbrica. In una di
queste pietre si legge C. Catulus, il quale per avventura
avrà fatto fabbricare, o almeno ristaurare il tempio » (2).
Senonchè detta costruzione — che, come vedemmo, costi-
tuisce la parte inferiore di un torrione di cinta addossato ai
resti di un tratto delle vecchie mura — non può neppure
lontanamente far pensare a questo ipotetico tempio; del
quale — adunque — non abbiamo documento alcuno. Di
questa idea, del resto, fu anche qualche scrittore locale il

quale, pur concludendo — in base al documento epigrafico
— che Ercole aveva in Rieti « non un solo ma forse più

(1) Monumenti Sabini ecc., II, pag. 285.
(2) Antiche Lapidi ecc., pag. 85.

E

7 rta















44 G. COLASANTI

tempj » (1), dichiarò tuttavia di non poter determinare « in
qual luogo poi esistesse il tempio di Ercole », ritenendo
senz'altro « debole » la congettura di tutti gli scrittori pre-
cedenti (2).

Ma le deduzioni, tirate dalla nostra epigrafe, non finirono
qui. Nella iscrizione si parla di una « quadriga » che —
secondo lo Schenardi — trovavasi sul tempio (3), rispetto
al quale « il campo posto sotto .... », là dove è oggidi
Porta Conca, è ben naturale che si chiamasse sub quadriga.
Quindi il luogo assegnato al sepolcreto delle persone ad-
dette al culto del dio, va ricercato « nel campo inferiore
al colle, ov’ era situato il tempio, sul quale esisteva la qua-
driga, cioè presso Porta Conca » (4). Poichè di tutto ciò lo
Schenardi non adduce prova alcuna; e poichè unica sua
base resta la interpretazione della epigrafe, fondata sulla
falsa identificazione del tempio d’Ercole, ogni suo concetto è
privo di veridicità.

Di altri antichi resti parlano confusamente gli scrittori
locali, nei pressi del supposto tempio d’Ercole. Già lo stesso
Schenardi aveva fatta menzione di qualche rudero murale,
esistente presso la chiesa di S. Agostino — e creduto niente-
meno che residuo dei fienili e delle scuderie di Vespasiano :
«... precisamente dov'è oggidi S. Agostino, v’erano anticamente
i fenili e le scuderie di Vespasiano, come si raccoglie da qual-
che antica scritttura esistente nell'Archivio di quegli ottimi
Religiosi » (5). A parte il riferimento che si fa di simili co-

struzioni, fondandosi unicamente su documenti oscuri, la esi-
stenza di ruderi in questa località ci é attestata anche da

(1) LATINI, Memorte eco., fasc. III, cap. XVI.

(2) Ms. cit., l. c.: « Ognuno vede però quanto sia debole questa congettura ».
Altri, come il Mattei ed il Gori, posero in luoghi diversi questo tempio! Di ciò ve-
dremo a suo tempo.

(3) Antiche lapidi ecc., pag. 85.

(4) Antiche lapidi ecc., pag. 86.

(5) Antiche lapidi ecc., pag. 86, not. 1.







REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 15



testimonianze posteriori, le quali parlano di « mura antiche »
su cui poggerebbe la fabbrica del Convitto Comunale (1).
Altre informi tracce di vecchie costruzioni si osservano an-
cora sotto il Monastero di S. Paolo, ove noi stessi abbiamo
esaminata qualche residuo di reticolato. Similmente, sotto le
case adiacenti a S. Paolo, verso il 1900 vennero scoperte
« varie arcate laterizie con mattoni, messi a coltello, alti
m. 0,60 X 0,60 », ed in esse furono raccolti « molti lumi di
terracotta, monete di bronzo, frammenti di sculture » (2).

Identiche costruzioni ad arco esisterebbero — a quanto si
asserisce — sotto le fabbriche ad oriente di S. Paolo, fin

. presso l'Ospedale e presso la chiesa di S. Giovanni di Dio:
di fronte alla robusta costruzione a blocchi perimetrali sotto
l'Ospedale, fra stata rinvenuta una « piccola statua di marmo
lunense », mentre altre erme si credevano rinvenute tra le
arcate di laterizi, di cui abbiamo parlato (3). Le grandi co-
struzioni sotto l'Ospedale, di cui non si conobbe la vera
essenza di mura perimetrali; le costruzioni a mattoni, le
erme, fa conformazione del terreno, la tradizione locale con-
corsero a far vedere in tutto ciò i residui di un « teatro,
collocato in luogo dove gli spettatori potevano godere un
incantevole panorama di pianure, di colline e di eccelsi
monti » (4). Ma il teatro non segnò l’ultima tappa in questa
via di creazione! C'erano i resti presso la chiesa di S. Ago-
stino: con i quali e con i ruderi nei fianchi della collina di
fronte, si fece un anfiteatro romano che dall'ospedale andava
fino a S. Paolo, e si estendeva di qui fino a S. Agostino. Le
costruzioni sotto S. Paolo non sarebbero che i residui di
« gradinate » ; mentre il vicino nome della Piazza del Leone,
detta così « probabilmente per qualche simulacro di detta

(1) Cfr. La Buona Parola, Giornale di Rieti, anno I, n. 13; 26 sett. 1909.
(2) Gonr, in Vita Sabina ecc., anno II, n. 5, Rieti, giugno 1900.

(3) Vita Sabina ecc., l. c., p. c.
(4) Vita Sabina ecc., l. c., p. c.



















































































76 G. COLASANTI



belva che di preferenza era scolpita negli anfiteatri », sarebbe
il documento toponomastico di questo anfiteatro (1).

Tutto quanto abbiamo riferito si deve al solito ad una
non metodica conclusione, desunta da cose spesso inesistenti o
da falsi apprezzamenti di resti di costruzioni: documenti veri
e propri fan difetto ai formulatori di queste opinioni. I re-
sidui sotto l'Ospedale sono residui perimetrali (materiale an-
tico posteriormente rifatto) e non han nulla a che vedere
con un teatro; quest’ ultimo, quindi, si dovrebbe restringere e
limitare ai residui sotto il monastero di S. Paolo e sotto
le case adiacenti. Sotto S. Paolo, la presenza del tratto di
parete reticolata potrebbe anche far risalire ad una costruzione
antica nel senso vero e proprio della parola; ma nè essa, nè
qualche altro informe tratto di costruzione adiacente parlano
affatto di un teatro, per il quale in verità occorrerebbero
documenti ed indicazioni ben più chiari ed evidenti. Lo stesso
dicasi delle « arcate a mattoni », scavate di fronte a S. Paolo:
per le quali abbiamo anche la maggiore difficoltà di trovarci
in un punto, posto entro la vecchia cerchia da noi già rico-
struita.. Può ben trattarsi di altro edificio, contro il quale in
fin dei conti non stanno neppure le nominate erme, di cui
peraltro il luogo di provenienza non è affatto accertato (2).

Con il teatro, cade anche la ipotesi dell’ anfiteatro, che
— del resto — non verrebbe a contrastare con la linea da noi
assegnata alle mura da questa parte, fuori delle quali l'anfi-
teatro si sarebbe dovuto trovare. Anche qui ricorre — ci.
sembra — il solito affrettato apprezzamento dei ruderi presso
S. Agostino: i quali — anche se riferiti a costruzioni antiche —
non parlano certo di questo anfiteatro, che la stessa storio-
| grafia locale ba situato in altra direzione. Di questi ruderi,
le fonti locali danno — come abbiamo accennato — un di-




(1) Tutto ne La Buona Parola, anno I, n. 13, Rieti 26 sett. 1909.
(2) Il GORI stesso dice « sé credono trovate nei fondamenti ecc. », Vita Sabina,
TIL D.





REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. TI

verso riferimento (i fienili di Vespasiano), ed a suffragio della
ipotesi dell'anfiteatro non è il caso di invocare il nome della
limitrofa piazza. Su questa speciale questione onomastica,
nulla di veramente sicuro noi conosciamo. Da una « mar-
morea figura » di leone, che si trovava nella fontana di detta
piazza ancora al tempo dell'Angelotti (1), noi potremmo pur
ritenere originato il nome alla piazza stessa, che peró é as-
sai antico (2); ma. nulla finora ci autorizza a riportare ad
un anfiteatro il simulacro stesso, che noi non conosciamo e
che potrebbe avere un diverso riferimento.

Ridottici cosi all' accertamento della esistenza di semplici
residui di costruzioni, lungo e fuori la linea perimetrale da
noi ricostruita, anche a considerarli come ruderi antichi
nel senso Aero e proprio della parola, non desumiamo da
essi la prova di un antico abitato cittadino fuori dei limiti
da noi tracciati alla cinta. Riprova, questa, del valore di

quelle indicazioni e di quei documenti di cui, nella ricerca

perimetrale in questo punto, ci siamo serviti.

Di altri antichi resti — meno significanti dei precedenti
nei riguardi dell’ abitato antico — abbiamo notizia presso le
fonti locali.

Dall’ Angelotti sappiamo che « nella Contrada Acca-
rana » (3) « .. in humil base vedesi una statova di marmo,
stimata, peró anticamente eretta al Padre della Romana Elo-
quenza per gratitudine del Patrocinio prestato a’ Reatini
contro Terni, nella causa... delle Marmore avant'il console et
i dieci Legati » (4). Notizia che, con minor fantasia e con
maggiori indicazioni topografiche, abbiamo nel Latini; ai suoi

(1) Descrittione ecc., pag. 46.

(2) Si ricordino i numerosi accenni che se ne hanno negli Statuti della città.

(3) Descrittione ecc., pag. 46-49.

(4) Alla stessa località si riferisce il GUATTANI (Mon. Sabini ecc., II, 285):
« Nella via urbica che conduce a porta Accarana sta ancora in piedi una statua
togata ... Si chiama la statua Marmo Cibocco, perché posta lungo la casa di un’an-
tica famiglia estinta chiamata Cibocchi ».
































































78 G. COLASANTI

tempi questa statua vedevasi « poggiata sulla via detta di
Porta Accarana, addosso ad un accasamento che una volta
fu dei Signori Cibocchi, famiglia estinta, ed ora spetta alla
Chiesa parrocchiale di S. Leopardo. Dal cognome della fa-
miglia Cibocchi, questa statua fu popolarmente ed è chiamata
Marmo Cibocco » (1). Era « una statua togata, mozza nelle
mani ed acefala...; e quel che più importa si è che, mancando
le mani e non le braccia, a bene osservarla sembra in at-
teggio di perorare. Si sa che di notte gli fu rapita la propria
testa... ed ora su quel gran masso di pietra vi è male inne-
stato un piccolo capo di pigmea figura » (2). Questa statua
si trova oggi nell'atrio del Convitto Comunale Maschile (3):




(1) Memorie ecc., fasc. III, cap. XVII.

(2) GUATTANI, op. cit., l. c. ; SCHENARDI, Antiche lapidi ecc., p. 54, not. 1.

(3) La statua é di marmo : alt. m. 0,70 x 0,50 (larghezza misurata alle spalle).
Riposa su di un piedistallo formato di un plinto basso e di una grande scotia. Rap
presenta una figura maschile. Poggia sulla gamba sinistra, con la destra in atto di
riposo, piegata leggermente indietro. Il braccio destro é scostato alquanto dal-
l'ascella, come in atto di gestire: il braccio sinistro, ripiegato, sostiene la toga.
Indossa una tunica con sopra un mantello che passa sotto il braccio destro e riposa
sulla spalla sinistra, ricadendo poi «dietro le spalle. I piedi mancano, come mancano
le mani. È curioso quanto la storiografia locale ha saputo trovare intorno a questo
muto simulacro. Poiché esisteva in Rieti « un piedistallo marmoreo, che fu casual-
mente trovato nel decorso secolo in uno scavo fatto nella via di Ponte » (LATINI,
ms. cit., fasc. III, c. XVII), nel cui « prospetto leggesi la seguente iscrizione intie-
ramente conservata: L. Oranio. L. Fil. » (LATINI, ms. cit , 1. c.) il LATINI credé dap-
prima che « la Statua di L. Oranio che venne sopra di esso collocata possa esser
quella la quale dicesi Marmo Cibocco (ms. cit., 1. c.). Ma in seguito — risaputosi che
con il piedistallo erano stati rinvenuti frammenti di una statua, abbandonò la sua
opinione (ms. cit., l. c.). Nella opinione già espressa dell'ANcELoTTI, che vide in
questo marmo la statua « eretta al Padre della Romana Eloquenza » (Descrittione ecc..
p. 46 49) amó restare il GUATTANI, ofmeglio il suo informatore, secondo il quale que-
Sta statua « per un'antica tradizione, sostenuta dalla piü forte veris. miglianza, viene
tenuta per una statua onoraria all'Orator Romano che patrotinò i Reatini ecc. »
(Monumenii Sabini ecc.. pag. 285). Il motivo di questa identificazione, però, va ri-
conosciuto in niente altro che nei noti passi ciceroniani, ove si fa menzione della
lite tra Terni e Rieti intorno al Velino, patrocinata da Cicerone (Cic., Pro Scauro,
12; ad Att., IV, 15, 5; VaRR., der. r., 2, 3). Ma in qual modo queste notizie possono
bastare per concludere che all’ oratore fu decretata u:Éa statua e soprattutto per
identificare questa ipotetica statua con il marmo Cibocco? Come si vede, il metodo
seguito dai nostri scrittori locali non si smentisce mai! I riferiti passi ciceroniani
sono serviti ad identificare la statua dell' oratore; e la statua — cosi identificata —
é servita a provare che i Reatini furono vincitori! Cosi il GUATTANI: « Ogni appa-

^





REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 79)

ma poichè di essa non conosciamo neppure il luogo ove sa-
rebbe venuta alla luce — essendo solo informati sul posto

in cui posteriormente si trovava — nessuna conseguenza può
derivarne per il nostro argomento: al quale, del resto, poco
o nulla potrebbe importare il fatto del rinvenimento di una
statua.

Le notizie intorno a vecchie costruzioni o a ruderi non
cessano qui. I documenti medievali, anteriori al mille, ci la-
sciano ricordo di antichi resti, esistenti in questa zona nel
piano, ad est ed ai piedi dell’ altura su cui trovasi oggi l’ a-
bitato centrale. In un atto dell’anno 952, Ildeprando e Be-
nedetto, reatini, ricevono con gli altri beni da Farfa una
terra posta in questa zona, in località ubi dicitur Banio ve.
tere, ed avelite a confini « ab uno 1. flumen Mellinum. Ab alio
terra hujus M. A capite terra filiorum Tacheprandi. A pede
haeredes teudemarii et consortum eorum » (1). Questa lo-
calità lungo il Velino ci è, dallo stesso documento, indicata
foris portam Interocrinam ; cioè — ricordando la identificazione
di quest’ultima nel punto di incrocio di Via di Porta Conca
con Via Garibaldi — ad est di questo punto: dal quale, per
tutto il piano, comincia il terreno in cui questo Banio Vetere
va ricercato. Ma all'infuori di queste determinazioni generali
(lungo il Velino, e fuori Porta Interocrina), non abbiamo altri
dati, che ci permettano una speciale identificazione della lo-
calità cercata: così che, questo Banio Vetere sarebbe potuto
trovarsi tanto presso l’altura ove era la porta, quanto lontano
da entrambe e fuori dei limiti dell’abitato odierno, oltre
Porta d’Arce. È chiaro, che in quest’ ultimo caso, ogni dubbio

renza giustifica il marmo per il simulacro di Cicerone ...; una statua onoraria a
quel gran patrocinatore de’ Reatini mi sembra capace o di sciogliere il dubbio sulla
vittoria, o di fare un'ottima scusa a chi crede che Rieti restasse vittoriosa nella
questione » (Monumenti Sabini ecc., vol. II, pag. 285, not. 1). Per il Marmo Cibocco
il GuaTTANI fu informato dallo Schenardi che'— l’anno seguente (1829) — pubbli-
cava gli stessi concetti (Antiche lapidi ecc., pag. 54, not. 1).

È (1) Reg. di Farfa, secondo la citazione del GALLETTI, Memorie ecc., p. 65; MI-

CHAELI, I, pag. 53, not. 2.







80 G. COLASANTI

che questo Banio Vetere potesse, in qualche modo, essere una
traccia dell'antico abitato cittadino esteso fino ad esso, cade
da se stesso; non potendo noi ritenere un abitato antico piü
esteso dell' abitato moderno. Nel primo caso, oceorrerebbe
sempre dimostrare che la esistenza di questo « bagno antico »
sotto la Porta Interocrina, cioè dentro la Porta d’Arce, si ri-
porti ad un antico abitato cittadino vero e proprio: conclusione
non consentitaci dai numerosi documenti che, a questo ri-
guardo, noi possediamo. Non possiamo, adunque, in modo al-
cuno valerci di questo documento, per stabilire una eccezione
alla tesi, che andiamo dimostrando, circa la mancanza di prove
intorno ad un antico abitato cittadino in questa zona bassa,
ad oriente.

Del pari indeterminato — e per il nostro scopo di nes-
sun valore — è l’accenno ad un muro antico, in una carta
farfense del 1073. Nella zona ad est della città medievale: e
sotto la sua cinta, si donava al monastero « terram cum ipso
molino... quod est positum ipsum molinum et ipsa res habens
fines lateribus suis: de uno latere via publica... de iij? latere

ipsum murum antiquum, a iiij? latere ipsum rivum antiquum,
eius vocabulum est Ossianum » (1). La generica indicazione
di questo Ossiano é — nel nostro documento — quella di foris

portam. interocrinam ; e poiché viene menzionata una vía pu-
blica ed un corso di acqua, sul quale detto mulino si trovava,
non potendo pensare al Velino — che il documento avrebbe
certamente menzionato, chiamandolo fiume e non rivo — la
prima e verosimile impressione è che qui si tratti di un
molino lungo il Cantaro e presso.la città: il muro antico era
li vicino. Senonchè, anche dando alla espressione foris por-
tam interocrinam un significato di vicinanza fra I antica porta
e questo mulino, due capitali quesiti resterebbero tuttora
insoluti:

(1) Reg. di Farfa, V, pag. 14.



REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 81

a) Questo muro antico va proprio ritenuto per un ru-
dero nel senso classico della parola?

b) In quest’ultimo caso, si tratta di un residuo del-
l'abitato cittadino vero e proprio, o di una qualsiasi costru-

zione extra-murale?

Le identiche conclusioni negative ci è dato raggiungere
per quanto riguarda la esistenza di resti antichi veri e propri
nella nostra seconda zona occidentale. Qualche scrittore lo-
cale, nello spiegare a suo modo il nome di Porta Cintia,
aveva, tra l’altro, richiamata una leggenda locale più o meno
diffusa intorno ad un tempio di Cibele, che in queste vici-
nanze della Porta sarebbe esistito. Oltre al nome della Porta
— riferito nel modo che sappiamo a questa divinità — ser-
vivano di bfise a tale opinione quei resti murali lungo la
Via Cintia, già da noi descritti, erroneamente creduti avanzi
di un antico tempio. Alludendo al sito di questi ruderi, il
Vittori dice: « Cybelis fanum nostrales inibi ex maiorum
traditione fuisse asserunt ubi nunc Nobilium familia degit;
opinionem sane multa Antiquitatis signa quae inde eruta sunt
confirmare videntur » (1). Ma è chiaro che l' unica ragione
di una simile identificazione vada riconosciuta nel nome
della porta riferito a Cibele. Lo stesso Vittori mostra, in se-
guito, di dare nessun credito a questa opinione, fermandosi
su di un'altra che fece più fortuna: la identificazione, cioè,
dei nominati resti con un antico anfiteatro: « Verum non

| Cybelis fanum — continua il nostro A., dopo le riferite pa-






role — sed Amphiteatrum quoddam ipsa in rupe sedilibus
excavatis ibi fuisse aetate nostra eruderato loco inventum
est » (2). Le peripezie di questa informazione sono degne di
nota. Il Vittori non aveva parlato che vagamente, e senza
| ulteriori determinazioni, di un anfiteatro: ma ecco che Pom-
| peo Angelotti (il quale — poichè di altro non parla — tutto

(1) Ms. cit., c. 116.
(2) Ms. cit., c. 116.







82 G. COLASANTI

al più poteva avere a sua disposizione lo, stesso materiale,
dal Vittori esaminato là dove in seguito rimase) scende a
particolari maggiori, e parla senz'altro di un Anfiteatro e
Palazzo di Vespasiano: « poco piü avanti (del Vescovato) fu
l'Anfiteatro e Palazzo di Vespasiano Flavio Imperatore » (1);
notizia fornita in parte anche all' Ughelli, il quale scrisse che

Pietro, vescovo reatino, « ex ruinis antiqui Vespasiani Imp.
Amphiteatri, anno 1283, Episcopium pene collapsum resti-
tuit » (2); ove, di controllabile non c'é che la notizia sulla
ricostruzione dell' Episcopio (3). Loreto Mattei ritorna al con-
cetto puro e semplice del Vittori, allorché parla del « Teatro,
di cui altro che pochi indizi sotto le fabriche de’ signori
Nobili in alcuni sedili non si scorgono » (4); mentre l'opi-
nione dell'Angelotti fu raccolta da Luigi Schenardi, che si
intrattenne anche lui sull'Anfiteatro e sul palazzo dell' Impe-
ratore Flavio Vespasiano (5) Il Michaeli accoglie — con mo-
dificazioni, con aggiunte, e con qualche riserva — tutte le idee
prima di lui espresse: egli asserisce che « esisteva in Rieti
un anfiteatro o teatro, come nelle altre vicine città Trebula
Mutusca, Amiterno, Interamna ecc., e ritiensi che fosse dei
tempi di Vespasiano. Ne restavano le rovine sul finire del
secolo decimo terzo, presso la contrada ove furono edificati
l’episcopio e la casa dei sigg. Conti Vincentini. Nel secolo
decimo sesto ne furono rinvenute le tracce, come attesta il
Vittori, presso il palazzo dei Nobili Vitelleschi (6). Finalmente
il Desanctis non conosce nulla di tutto ciò, per quanto con-

(1) Descrittione ecc., pag. 45.

(2) Italia Sacra, I, 116.

(3) Notizie Storiche ecc., pag. 43-44.

(4) Erario Reatino ecc., c. 90-91.

(5) La Cattedrale sarebbe stata in parte fabbricata cogli avanzi delle antiche
fabbriche situate ne’ luoghi vicini, fra le quali ... « l'Anfiteatro ed il Palazzo ece. »
(Antiche Lapidi ecc., pag. 68). Lo stesso concetto lo ScHENARDI riprodusse altrove a
pag. 57, ove parla « dell’ imperiale palazzo e dell'Anfiteatro ».

(6) Memorie Storiche ecc., I, 52-53.







REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 83

cerne la riedificazione dell’ Episcopio con le rovine dell’ anfi-
teatro (1).

È facile rilevare il valore di tutta questa tradizione.
Giacché — secondo l'Ughelli e secondo il Michaeli — la
notizia di questo anfiteatro si aveva già « sul finire del se-
colo XIII », mentre — secondo il Vittori — la tradizione
anteriore al secolo XVI (età in cui il nostro A. scriveva)
identificava in questi ruderi il fanum Cybelis — la contrad-
dittoria assegnazione dei resti in parola è già un indice poco
favorevole alle ipotesi stesse. Per quanto, poi, concerne la
parte sostanziale di queste informazioni, noi dobbiamo distin-
güere due cose diverse:

a) Y egistenza di antichi ruderi in questa località;
6) la loro identificazione.

In realtà, nel sito, dalle nostri fonti indicatoci, si os-
servano ancor oggi dei blocchi parallelepipedi, disposti in
ordine sulla roccia che affiora lungo la strada. Ma dei sedili
ricordati dal Vittori non abbiamo traccia alcuna: cosicchè
di fronte a questo materiale che, per forma, per dimen-
sione e per ubicazione, ci fa pensare all'antica linea mu-
rale, in questa parte impostata — come vedemmo — sulla
roccia sporgente, è assolutamente impossibile fermarsi oggi
sull'idea di un anfiteatro, a meno che non ci si voglia ab-
bandonare ai voli di una fantasia senza briglie e senza
fondamento. Né a diverse conclusioni sarebbe dovuto giun-
gere un esatto osservatore ai tempi del Vittori. Anzitutto,
poiché i documenti medioevali quasi costantemente si riferi-
scono ad antichi ruderi nella designazione di qualche loca-
lità, riescirebbe strano questo assoluto silenzio delle fonti
locali intorno ad un particolare cosi importante, in un luogo
che pure nel secolo XIII cominciava ad avere una certa
notorietà. Di più: altri documenti archeologici, intorno a
questo anfiteatro, non sembrano essere stati a disposizione

(1) Notizie Storiche ecc., pag. 43.



































rr.



84 G. COLASANTI

del Vittori, che ha certamente desunta la maggior prova in
« quei sedili scavati nella rupe ». Proprio sedili? O non si
tratta per avventura di incisione ed incavi, praticati nella
roccia, per meglio adattarvi i blocchi delle mura? Lungo
questo lato meridionale si vede qua e là qualcosa di simile,
nella parete calcarea sporgente e dove i residui perimetrali
si conservano. In una parola, da questi residui non è possi.
bile far scaturire l’idea del Vittori. Qualche recente scrit-
tore di cose locali ha preteso addurre altre determinazioni
ed altre prove archeologiche di questo presunto anfiteatro.
Cosi Fabio Gori, dopo aver affermato che « l'Anfiteatro era
posto fuori della triplice porta, difesa da torri, appellata nel
medio evo Porta Zinzula o Cincula, e sostituita dal quadri-
porto od arco del Vescovo » (1) aggiunge che « si possono
rintracciare le rovine di questo monumento negli orti dei
signori Carloni, Vincentini e Marcucci, e nei sotterranei del
palazzo già Vitelleschi oggi Ciaramelletti » (2); località che
corrispondono, ad un di presso, al tratto della Via Cintia, presso
il punto ove questa è tagliata dalla linea dell'antica cinta
(V. tavola). Queste prove non hanno, però, valore alcuno.
Anzitutto, poichè la porta medievale, cioè quella esistente
nell’ antica cinta, non si trovava al punto indicato dal Gori
(all'arco del Vescovo), sibbene alquanto più giù, presso la
casa dei signori Ciaramelletti (ove si trovano i resti ultimi,
topograficamente parlando), occorrerebbe includere questo
anfiteatro dentro l'antica cinta conservata fino al medioevo.
Enorme difficoltà, cui il Gori sfuggi in grazia della erronea
ubicazione dell' antica porta e dell'antica cerchia. I resti poi,
dal nostro autore addotti a maggior conferma della vecchia
ipotesi, sono insufficienti allo scopo. Se, infatti, egli intende
riferirsi ai resti antichi, che oggi ancora si vedono nei sot-
terranei dell'abitato a nord di Via Cintia, nel tratto di cui

(1) Vita Sabina, anno II, n. V, giugno 1900; pag. 58.
(2) Op. eit., 1. c.

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 85

qui ci occupiamo (di altri resti non abbiamo conoscenza in
questi dintorni, nè dovevano quindi esistere qualche anno fa,
quando il Gori scriveva), questi sono evidenti residui della
vecchia cerchia, e nulla hanno a che vedere con un anfi-
teatro (1)! Tutti questi erronei apprezzamenti archeologici
apparvero, del rimanente, poco credibili perfino a qualche
scrittore locale: così il Latini, pur facendo omaggio alla pos-
sibilità che un anfiteatro fosse esistito in Rieti (2), di esso
però non ne vedeva le tracce, altrimenti che nell’ autorevole
parola del Vittori (3), domandandosi infine come mai si po-
tesse affermare « esser questo l’Anfiteatro Flavio o l'Anfi-
teatro di Vespasiano » (4). Quanto al « Palazzo di Vespa-
siano Flavig Imperatore », dall’Angelotti posto « poco più
avanti » del Vescovato (5), è superfluo aggiungere che nè
la notizia ha alcun serio fondamento, nè tracce o cenni lon-
tani esistono di questa ipotetica fabbrica, a segno che — quasi
scandalizzato da queste continue asserzioni gratuite e senza
criterio — lo stesso Latini si. domanda « con qual fonda-
mento ha egli (cioè l'Angelotti) ció asserito? Io non lo so. So
bene che in que' contorni non si vede alcun vestigio di an-
tichità » (6). Presso I' Episcopio (1), l'anno 1827 « si rinvenne
casualmente un muro, che mostrava col suo colorito di aver
contenute delle pitture, ed -un lastricato di un mosaico di
niun pregio e guasto dalle ingiurie del tempo » (8); ma di

(1) Di questi residui, della loro ubicazione e descrizione vedi oltre.

(2) < Rapporto ... all’Anfiteatro io ben volentieri ammetto che Rieti ne avesse
qualcuno, giacché ogni Città anche meno ragguardevole lo aveva » Memorie ecc.,
fasc. III, cap. XVII.

(3) « Mosso dall’autorità di Monsignor Mariano Vittorio, ammetto ancora che
un anfiteatro esistesse nel sito ove ai suoi tempi abitava la famiglia Nobili ... poichè
egli riferisce di aver co’ propri occhi osservati i sedili scavati nella rupe » Memo-
Bie ecc., fasc. IlI, cap. XVII.

(4) Memorie ecc., fasc. III, cap. XVII.

5) Descrittione ecc., pag. 45.
6) Memorie ecc., fasc. III, cap. XVII.
Î)<... facendosi uno scavo ne’ sotterranei della vicina casa del sig. Conte Aluffi » /
Memorie ecc., fasc. III, cap. XVII.
(8) Memorie ecc., fasc. III, cap. XVII.

(
(
(









86 G. COLASANTI

questi residui — che nella ipotesi migliore saranno state le
ultime tracce di qualche antico edificio dentro la città — il
Latini, con assai giusto criterio, non pensò neppur lontana-
mente di farne i resti dell'ipotetico palazzo dell'imperatore,
in quei dintorni localizzato.

Sempre in questi dipressi, lungo la Via Cintia, Loreto
Mattei pone « il Circo Reatino, cioè dove si facevano gli
spettacoli del corso delle Quadrighe ad honore di Hercole, il
che era nella più piana e dritta via hoggi detta Porta Cinthia,
dove era questa lapide sepolcrale » (1). La lapide in parola (2)
è dal Mattei stesso posta nella chiesa cattedrale (3), presso
cui adunque andrebbe localizzato questo circo « o vero corso
delle carrette, che dagli antichi si facevano in honore di Her-
cole » (4): saremmo quindi nel rione di Porta Cintia, quasi
al cominciare della via omonima. Dell'edificio in parola il
Mattei dà perfino particolari, e sa che una figura leonina, che
al suo tempo era nella Piazza del Leone, costituiva « una
forse delle Mete del Circo » (5). Inutile dire che, poichè la
vera provenienza della epigrafe ci è ignota; poichè la sua
interpetrazione non corrisponde affatto a quella, strana in-
vero, dal Mattei fornita; poichè nessun documento archeolo-
gico noi possediamo che in questo punto ci parli di un circo,
la ipotesi del Mattei cade irrimediabilmente, senza che possa
essere in modo alcuno sostenuta dal riferimento della figura

leonina all'antico circo: riferimento del tutto ipotetico e privo
di valore.

Infine, all'antica città il Mattei riporta « una gran Cloaca
fatta per dar il ritorno alle acque »; essa passava « sotto la
piazza del Leone fino in Porta Cinthia, sboccando nel fiu-

(1) Erario Reatino ecc., c. 67.

(2) C. I. L., 4073: « loc | cultorum | herculis. resp | sub. quadriga | in. f.
p. XXX. | in. agr. p. XXV | huic loco | q. octavius. commun | p. fundilius. quartio | in.
fr. p. XIIIL in agro. p. XXV | donaverunt ».

(3) C. I. L., IX, 4673.

(4) Erario Reatino ecc., c. 82.

(5) Erario Reatino eco., c. 82.

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 87

me >» (1). Ad essa si riferisce il Latini, il quale ci fa sapere
che nell’anno « 1829 sotto il Monastero di S. Agnese si è
rinvenuta una sotterranea chiavica, larga circa. tre palmi ed
alta sette, che procedendo dalla parte della Piazza del Leone
va a terminare al di là della Casa Sanisi, nella Cavatella.
Questa chiavica è stata, per lo passato, interrotta con delle
fabbriche, che furono sopra di essa inavvedutamente edifi-
ficate > (2). Anche il Michaeli, fondandosi sul fatto che « do-
cumenti del secolo XIII ricordano la Carbonaria Civitatis ed
il cadum SS. Apostolorum » (3), dice: « sembra che poco su
periormente al sito, ove un Annibaldi nel secolo XIII fece
costruire la Chiesa dei SS. Apostoli.., corresse un canale di

acqua o sboccasse una cloaca antica » (4). Secondo informa-
zioni da néi assunte direttamente al locale Ufficio Tecnico,

una chiavica esiste in realtà in questa zona; di essa, però, è
accertato solo il tratto che, dal monastero di S. Scolastica
per quello di S. Agnese e per la estremità occidentale di
Via di S. Agnese, sbocca nel Velino présso il Palazzo di Giu-
stizia. L'altro tratto, da S. Scolastica a Piazza del Leone, non
è stato esplorato, quantunque però la sua esistenza debba,
per diverse ragioni, essere ritenuta. Ma è dessa una costru-
zione antica? Si noti che — mentre il Mattei non adduce al-
cuna prova di ció, ed il Michaeli si vale di constatazioni
completamente insufficienti (quella Carbonaria ed il cadum
SS. Apostolorum han proprio a che fare con questa cloaca?)
— il Latini, che ebbe campo di vedere qualcosa, confessa di
noli aver « potuto osservare se è veramente chiavica ovvero
un acquedotto o se il lavoro è antico oppure moderno » (5).
Nè più conosciamo dalle informazioni di qualche altro scrit-

(1) Erario Reatino ecc., 90-91.

(2) Memorie ecc., fasc. III, cap. XVII. Cavatella è il nome del ramo destro del
Velino.

(3) Memorie Storiche ecc., I, 51, nota 2.

(4) Memorie Storiche ecc., 1, 51.

(5) Memorie ecc., fasc. 1II, cap. XVII.















88 G. COLASANTI

tore, il quale — essendosi scoperta una antica cloaca nell’in-
terno dell'abitato cittadino antico — credè di vederne la
continuazione per S. Agnese, senza peraltro offrire la prova
di tutto ciò (1). In ogni caso — anche a volersi risolvere per
un riferimento classico di questi residui — la determinazione
che abbiamo già fatta dell'antica linea murale ci vieta di
riportare detto materiale ad un antico abitato cittadino, posto
cioè entro la cerchia. Ad una costruzione antica, ma posta
fuori della cerchia tradizionale, vanno infine riferiti quei re-
sidui di muri, rinvenuti sul principio del 1910 lungo la Via
S. Agnese, a circa 60 metri dall'incrocio di Via: Cintia, ed a
circa m. 1.40 di profondità dal suolo della strada. Sotto gli
stessi residui murali, circa m. 0.20 più in basso, vennero
fuori dei frammenti di piancito a mosaico, assai guasto. Ru-
deri murali e resti di mosaico si estendevano per una lun-
ghezza di circa m. 10.00.
Completamente fantastici sono i resti, di cui parla qual-
che scrittore, nella zona meridionale, ad occidente di Via
Roma. Loreto Mattei pone, « tra le pubbliche antichità » di
Rieti, « la Naumachia cioè giochi di combattimento, che si

faceva su l’acqua con navicelli adorni e dipinti, e chiamati,
giochi agonali, che nel più basso della città ne resta solo il
nome nella Chiesa di S. Nicola in Agopinco, quasi in Agone

picto » (2). Dalle riferite parole è facile avvedersi che resti
archeologici il Mattei non ne abbia in realtà visti: e l’unica
base di questo circo rimane il documento toponomastico
(Agopinco) e la sua localizzazione presso il fiume, che sarebbe
servito per la naumachia. Questo nome — che noi già cono-

(1) « Negli stessi scavi de’ fondamenti del palazzo della Cassa di Risparmio, si
è penetrato in una cloaca che passa sotto il demolito palazzo Canali. Ha la volta
in pieno, formata con massi di travertino, le pareti di opera a sacco ed il pavimento
di calcestruzzo. Misura l’altezza di m. 1.50 e la larghezza di m. 0.70. Traversa gli
ex monasteri di S. Paolo e di S. Agnese ecc. » GORI, Vita Sabina, anno II, n. 5,
Rieti, 1 giugno 1900: pag. 57.

(2) Erario Reatino ecc., c. 99-91.



REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECO. 89




sciamo esistito ed esistente ancora nel punto dal Mattei in-
dicato — ci appare sotto forme varie, alcune delle quali ri- 3
producono assai da vicino la forma che il Mattei si è foggiata
per giustificare la sua spiegazione (Agone picto). Così, in un
atto farfense del 920 si ha Acupencus (1); in una carta di
conferma, fatta a Farfa da Enrico IV, si ha Acupicta (2). Le
forme Acupentu ed Acopinto le abbiamo rispettivamente nelle
bolle già riferite di Anastasio IV a favore della Chiesa rea-
tina (3), e diLucio III circa i confini della diocesi reatina (4).
È superfluo aggiungere che a queste forme altre molte ne








andranno aggiunte, sparse in documenti che, per più ragioni,




a noi non sono noti: ed allora, la varietà che abbiamo no-
tata nella fisionomia della voce, valendoci dei passi addotti,
diviene Senza dubbio maggiore. Di queste varie lezioni, quale
conserverà la vera forma del nome? La prima forma (Acu-





pencus), oltre al vantaggio di apparire in documenti assai
remoti, trova perfetto riscontro nell’ uso odierno, che man-




tiene Acupenco: spetta ad essa la preferenza? È evidente che,



per risolvere una questione simile, occorrerebbe avere sotto





mano un materiale assai meno povero di quello di cui siamo
costretti a valerci: nè noi, quindi, nè il Mattei (che in fin dei





conti conosceva assai meno di noi) siamo finora autorizzati
a fermarci su di una lezione piuttosto che su di un'altra,
per distillare da essa una qualsiasi ipotesi. Tutto ciò — è
evidente — all'infuori di tutto quanto potrebbe dirsi intorno
all'asserito e non provato riferimento di questo qualsiasi



nome originario alla Naumachia, ad un antico monumento,



ed intorno aé navicelli adorni e dipinti!
Il Michaeli ha sentore anch'egli di questo circo; già peró
non ne vede più la prova nella denominazione Acupenco:







(1) Reg. di Farfa, III, pag. 44-45. Vedi più indietro.
(2) « Aecclesiam sancti Salvatoris in acu picta » Reg. di Farfa, V, 9 ad

ann. 1084.

(3) Ap. MICHAELI, II, pag. 266.

(4) Ap. MICHAELI, II, pag. 271.










90 G. COLASANTI:

« fu pure asserito che nella città fosse un’ arena o circo,
probabilmente in vicinanza del fiume, nel luogo detto Acu-
penco o Acupentu, presso la contrada ora detta della Ver-
dura » (1). È un continuo vento di probabilità! Su di una
semplice asserzione poggia l’esistenza di questo circo, come
su di una semplice probabilità riposa la sua ubicazione presso
il fiume! Prove vere e proprie mancano. La denominazione
Acupenco è dal Michaeli sfruttata per altro fine. Si ricordi la
iscrizione C. I. L. IX, 4673, dallo Schenardi utilizzata per lo-
calizzare il sepolcreto dei sacerdoti di Ercole sotto il tempio
di questa divinità, presso cioè l’ odierna Porta Conca, e dal
Mattei usata come documento del Circo Reatino lungo la Via
Cintia. Poiché il Michaeli. conosceva « la parola sabina cu-
pencus, che significava sacerdote e più spesso sacerdote di
Ercole » (I, pag. 55), pensò ad un ravvicinamento tra questa
epigrafe e la località detta Acupenco, presso la quale, cioè
presso l'antico circo, trovavasi « una statua in un monu-
mento, sormontato da una quadriga »: non lungi i cultori di

Ercole avevano « un luogo o sepolcro ad essi destinato »
(I, pag. 55). Ponendo da parte ogni allusione alla vicinanza

cou l'antieo circo — del quale abbiamo dianzi dimostrata la
nessuna documentazione — la ubicazione che IA. fa della
epigrafe in parola è fondata unicamente sulla asserita e non
provata origine classica della voce Acupenco. Cosicchè —
per quanto concerne questo sepolcreto dei cultori di Ercole —
la sua opinione non ha più valore dell'altra dello Schenardi,
che pensò ad un diverso punto della città, rigettando quanto
il Mattei aveva prima di lui asserito (Antiche lapidi ecc., pa-
gina 88), o di quella del Gori il quale riferì il documento
epigrafico fuori della città « sotto il monte Lesta, incontro
alla confluenza del Salto nel Velino », dove « si stende una
valle silenziosa e ripiena di ruderi, chiamata Valle Oracula » (2).

(1) Op. cit., I, 53.
(2) Ap. MICHAELI, I, pag. 97-98.

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC 91

Con la ricostruzione dello schema perimetrale dei tempi
classici, era nostro compito gettare un raggio di luce sulla
distribuzione interna dell’urbe: e quantunque le fonti ed i
documenti, di cui abbiamo potuto valerci in proposito, non
siano così validi e così importanti come per la precedente
ricerca, tuttavia siamo pervenuti ad un qualche risultato.

Anzitutto, primo nostro compito è quello di sgombrare
il terreno da tutte quelle ipotesi, avanzate e messe in circo-
lazione dagli scrittori locali intorno a supposti templi. Di
quegli edificî, che si riferivano in qualche modo alla cinta
murale, abbiamo già in parte tenuta parola: occorre fare qui
un breve cenno degli altri.

Il lato, preso di mira dagli scrittori locali, fu prevalen-
temente fquello ‘occidentale dell'urbe, presso la chiesa cat-
tedrale : forse perchè la presenza del vetusto tempio cri-
stiano fece loro naturalmente pensare ad un precedente
tempio pagano. Di una epigrafe dedicatoria Patri reatino ecc.,
di origine veramente incerta e solo per congettura ri-
portata entro Rieti (1), fu fatto — dai seguaci di quest’ ul-
tima opinione — il riferimento ad un ‘antico tempio di Sanco
entro la città (2). Il Michaeli —- che conosceva un’altra epi-
grafe dedicatoria Sanete (C. I. L., IX, 4672), di provenienza
però quasi sicuramente non cittadina (3) — non curandosi di
ciò, ravvicinò le due iscrizioni e riprodusse l'ipotesi del
tempio, senza aggiungere prove maggiori: « dei templi an-
tichi di Rieti — scrive egli — credesi che fosse il princi-
pale quello del Padre Reatino o di Santo o Sanco, che vuolsi
esistesse presso l'attuale chiesa Cattedrale » (4). Il valore
di queste asserzioni viene fuori da sè, anche se si consideri
che non è possibile invocare l’ausilio di alcun dato di fatto.

C. I. L., 4676; cfr. anche pag. 439.
(GETZ; TX;4676. ;
(3) C. I. .L., IX, pag. 441; pag. 684 passim.
(4) I, pag. 53.







G. COLASANTI

Non tutti gli scrittori sono di accordo intorno a questo
maggior tempio reatino. Accanto al tempio di Priapo, che
l'Angelotti — seguito o criticato da altri autori locali —
pone nel punto ove poi sorse la Cattedrale (1), il nome della
città e l’accenno di Silio Italico (2) fecero pensare ad un
tempio dedicato a Rea. L' Angelotti — il quale aveva rife-
rito il nome della Porta Cintia a Rea, attraverso l'attributo
Berecinthia, e che nel declivo occidentale del colle vedeva,
| indicati dalla tradizione, numerosi edifici antichi (l'Anfitea-
tro ecc.) — pose ivi presso, là dove poi sorse il Vescovato,
« il Tempio della dea Rea, già madre’ dell’ antica gentilità
habitante in questa Città » (3).

La sua ipotesi ottenne un certo credito (4), quando al-
tri fatti intervennero a spostare il sito di questo tempio.
Diamo qui tutti gli elementi che cooperarono alla forma-
zione della nuova ipotesi.

In una leggenda, largamente diffusa tra gli scrittori rea-
tini e che fa capo a fonti agiografiche locali, si fa parola
di una statua di Rea, esistita, nei primi tempi del cristia-
nesimo, nella Piazza V. E.: « Della statua di Rea — dice
il Michaeli — accennata da un'antica leggenda, si sa che

esisteva ancora al principio del secolo decimosettimo nella

piazza comunale, presso la chiesa di S. Giovanni ». (5) E
poiché, nella stessa piazza, la vetusta chiesa di S. Giovanni
reca il titolo în Statuam, si convenne dai più di vedere, nel

il) « Qui (presso la Cattedrale) mentre regnava l'Idolatria fu il Tempio di
Priapo » (Descrittione ecc., pag. 44). Lo SCHENARDI ne dubitò (Antiche Lapidi ecc.,
pag. 68) e con lui il GuarTANI (Monum. Sabini ecc., II, pag. 285) ed il LaTINI (ms.
cit., fasc. III, cap. XVI), i quali dichiararono di non conoscere su quali prove l’AN-
GELOTTI erasi basato.

(2) « magnaeque Reate dicatum - Caelicolum Matri ecc. » VIII 414417.

(3) Descrittione ecc., pag. 45.

(2) Presso lo SCHENARDI (Antiche lapidi ecc., pag. 68) e presso il GUATTANI
(Monumenti Sabini ecc., II, pag. 284) che però ben presto mutò opinione, o per lo
meno dubitó delle parole dell'Angelotti.

(5) I, pag. 55 e not. 1. Cfr. anche GUATTANI, Mon. Sabini, I, pag. 284; LATINI,
ms. cit., fasc. III, cap. XVI. i

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 93

simulacro che dovette dar luogo al titolo della chiesa, la
statua della surriferita divinità. In tal senso fu informato il
Guattani, che senz'altro registra tale identificazione (1), da al-
tri avanzata solo in forma ipotetica (2).

Questa statua sarebbe antichissima : secondo il Guattani,
essa sarebbe stata posta presso la chiesa di S. Giovanni, e
di poi-« fatta in pezzi dai primitivi Cristiani, negli ultimi
tempi della idolatria » (3). Un suo frammento sarebbe stato
— sempre secondo il Guattani — rinvenuto allorchè si co-
struiva l’ odierno palazzo Blasetti, nel lato sud-ovest della
Piazza: era un « braccio femineo colossale, di greca ma-
.niera, per cui la figura venne supposta il colosso di Rea » (4).
Secondo altri, invece, la statua antica non sarebbe stata in-
franta; mÁ sarebbe restata — chi sa come — sepolta presso
la chiesa di S. Giovanni, ove « sul principio del decimo
settimo secolo, facendosi casualmente uno scavo, fu rinve-
nuta » (5), e poi trasportata — da chi la ebbe in regalo —
fuori di Rieti (6). :

Cosicchè, sulla esistenza di questo simulacro di Rea si
adducono le seguenti prove:

a) la leggenda agiografica ;

b) il titolo della chiesa di S. Giovanni n Statua ;

c) i documenti archeologici, rinvenuti presso quest’ ul-
tima. Delle due prime argomentazioni si valgono indistin-
tamente tutti gli scrittori locali, i quali divergono — come

(1) Monum. Sabini, I, pag. 284.

(2) È il MIcHAELI, il quale dopo aver nominata la chiesa di S. Giovanni in
Statua aggiunge : « detta /orse per ciò in Statua » (I, pag. 55).

(8) Monum. Sabini, I, pag. 284.

(2) Op. cit., 1. c.

(5) DE LINDA. op. cit., da cui attinse il LATINI, ms. cit., fasc. III, cap. XV. Que-
sta versione é seguita anche dal MicuaELI, come appare dal brano dianzi riportato,
in eui peraltro non viene fuori chiaramente l’idea del rinvenimento (I, 55).

(6) Sarebbe stata donata al cardinale Farnese secondo dice il DE LiNDA (op.
cit., pag. 419). Cfr. anche il LatinI (ms. cit., fasc. III, cap. XVI) ed il MICHAELI
(I, pag. 55).








94 G. COLASANTI

si é visto — intorno ai documenti archeologici, fermandosi
| gli uni nel frammento di braccio, gli altri nella statua sca-
Di vata nel sec. XVII.
iii - La leggenda agiografica in parola è riferita dai Bollan-
| disti. A di 18 aprile questi riportano gli atti del martirio di
| S. Eleuterio, desunti a duobus veter. mss. Reatinis, il cui va-
lore storico è, a nostro credere, esaurientemente infirmato
dalle numerosissime leggende di cui la narrazione stessa è
piena. A questi atti fa seguito la Translatio Reliquiarum Reate
in Sabinis, anche essa desunta ex monumentis Ecclesiae Reati-
| nae. In queste ultime carte sarebbe stato conservato il se-
| guente frammento, circa la traslazione del corpo di S. Eleu-
terio e di quello di sua madre Anzia dalla località Urba-
i» niano, presso Rieti (1), nella città :
| « Imbecilles horribilibus aspectibus invadebat (daemon
videlicet),a quo mulieres gravide, prae timoris angustia ple-
rumque patiebantur abortus; viri quoque transitum formi-
dabant: sicque civitas ipsa, nefandi hospitis domicilio fati-
gata, tamquam obsessa periculis, nequibat ab huius hospitis
incursibus respirare. Igitur Episcopus et civis Reatini, confi-
dentes in Domino, qui sperantes in se minime derelinquit,
praedictorum Sanctorum corpora in Ecclesia B. Ioannis Evan-
gelistae, quae cirea praedictam statuam constructa fuerat,
in crypta Sanctae huius eeclesiae subterranea, cum reve-
rentia collocarunt. Volens autem Deus eorumdem Sanctorum
| meritis, civitatem et homines praerogativa prosequi speciali,
| ac Sanctorum cultum dignis ampliare miraculis, daemonem
| effugavit: qui ab eiusmodi collocationis die cum suis versu-

tiis statim evanuit, nullo unquam tempore reversurus » (2).
Quale credito merita tutta questa narrazione? Si noti: il



(1) Act. Sanct. 18 april. Quivi erano stati deposti dal vescovo Prinio in un suo
prediolo, sito « in campo Reatino, in loco qui nominatur urbanianus, qui est ab urbe
Roma milliariis XLI iuxta civitatem Reatinam ».

(2) Act. Sanct., 1. c.
















REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 05

frammento é stato tolto — come gli editori ci informano —
da un veechio codice del sec. XIII, mutilo e senza alcuna
precisa indicazione, esistente nell'archivio della Cattedrale (1).
La narrazione stessa, che in sé e per sé ci si presenta con
una evidentissima veste leggendaria (miracoli ecc.), si rife-

risce ad avvenimenti svoltisi più di mezzo millennio prima,
poichè la traslazione in parola sarebbe avvenuta sul finire
del sec. VI o sul principio del sec. VII (2). Dato ciò, e trat-
tandosi di racconti intorno a santi, in cui non è strano nè
raro che la fantasia popolare crei di sana pianta, noi po-
tremmo anche avanzare dei dubbi radicali sul valore della
intera narrazione.

Ma pojchè questa statua si sarebbe trovata presso la
chiesa di S. Giovanni, ed il titolo di questa ultima e la de-
nominazione medioevale della Piazza V. E. (Platea Statuae,
ad Statuam ecc.) si riferiscono anch’ essi ad un simulacro,
realmente li presso esistito e popolarmente noto, noi siamo
di avviso che il nucleo topografico della leggenda meriti
credito, e che la statua in parola sia quella stessa che diede
il nome alla piazza ed il titolo alla chiesa. Similmente: dato
che da quest’idolo presero nome e piazza e chiesa, noi
possiamo pure localizzarlo nella estremità occidentale del-
l odierna piazza, presso il sito della vecchia chiesa di San
Giovanni, che era un pò più avanti della chiesa odierna.

Ma da tutto ciò vien fuori forse che questo simulacro
era quello di Rea ? Nell’ esposto frammento (il quale, se fa-
cesse una simile identificazione, sarebbe del resto sempre
discutibile) non si fa parola di questa divinità, il cui nome
fu sostituito dai primi editori della narrazione. Essi, infatti,

non trovando, per i fogli mancanti nel codice, alcun parti-



(1) « Habet illa (cioé la Cattedrale) etiam nunc in archivio veterem codicem,
ante annos CCCC et amplius exaratum in quo etc. » (Act. Sanct., l. c.) Le ultime
parole indicano che il codice non aveva alcuna precisa indicazione cronologica.

(2) DESANCTIS, Op. cit., pag. 107.















96 G. .COLASANTI

colare intorno all'idolo, lo battezzarono per la statua di
Rea, sfruttando evidentemente e le comuni credenze su Rea
protettrice di Reate (1) e il contrasto tra la divinità pagana
patrona di Reate ed il nuovo patrono cristiano (2). Dopo ac-
cennato alla mutilazione del codice mss., essi aggiungono:
« proinde quae de occasione et causa translationis diximus
mera nituntur coniectura » (3); e congetturato fu pur» il
nome dell’ idolo, di cui nessuna traccia'si ha nel frammento.

Dopo ció, ricevono un colpo mortale le identificazioni





dei ruderi statuari, rinvenuti presso la chiesa di S. Giovanni

Evangelista; nessuno dei quali può essere riferito ad una 1
statua di Rea, se non nel caso che abbia recati indizi
evidenti e giustificativi. Ma questi indizi mancavano nel
frammento di braccio posto innanzi al Guattani, e che solo
per una supposizione venne riferito ad un'antica statua di
Rea (4); e non ci sono fatti né rilevare nè supporre nella
statua, di cui parlano il Latini ed altri scrittori locali; i
quali mostrano di essere stati spinti verso l'idea di un si-
mulacro di Rea non da altro che dalla comune opinione già
accennata. Ma se un riferimento questi scrittori han voluto
fare indipendentemente dall'opinione corrente, non sapremmo
fino a quanto si potrebbe stare alle loro conclusioni, dal
momento che, mentre non conosciamo in realtà questo ru-



dero statuario, sappiamo per contrario le cervellotiche e
strane interpetrazioni, che la storiografia locale suol dare
in occasioni simili. Tutto, in conclusione, ci persuade a dif-
fidare, dando ai ruderi in parola quella provenienza che ci



pare più logica.





(1) Opinione diffusa in tutti gli scrittori locali, che l’ attinsero dai noti versi
di Silio.

(2) Act. Sanct., l. c.; S. Eleuterio fu, insieme a S. Giovenale, antichissimo pa-
trono di Rieti (GREG. Mac., Dial., IV, 12).

(3) Act. Sanct., l. c.
(4) Monum. Sabini, I, pag. 284.





REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. St

Potrebbe pensarsi che uno dei due possa risalire all’ in-
determinato idolo della leggenda agiografica, da cui si de-
nominarono piazza e chiesa. E, tenuto conto che il sito di
rinvenimento per entrambi è nella periferia dell’ antico foro
reatino, l’altro potrebbe essere riportato ad una delle tante
statue che l'adornavano e di cui più di una, in vario tempo,
é venuta alla luce. Oppure si potrebbe ritenere che quest’ ul-
tima provenienza sia da assegnarsi ad entrambi i ruderi,
senza pensare ad un nesso con l'idolo leggendario, probabil-
mente perduto. Il campo è aperto alle ipotesi le quali —
una volta esclusa la identificazione con una statua di Rea —
hanno per noi una importanza assai relativa.

La tradizione bollandista parlava soltanto di una statua
di Rea, come si è visto, e non faceva parola alcuna di un
tempio; al quale risalirono ben presto gli scrittori locali.
Scrisse il Latini: « sembra quasi certo che tal Tempio (di

Rea) sorgesse vicino alla pubblica piazza, ov’ è presentemente
la Casa religiosa dei PP. Calasanziani, non solo perchè questo

è stato mai sempre il sito più cospicuo e centrale della città,
ma perchè... fu qui rinvenuta l’ antica statua della Diva » (1).
Saremmo, adunque, nel lato occidentale della Piazza V. E.,
quasi all'angolo con il principio di Via Cintia. Ma poichè la
identificazione del. simulacro è completamente ipotetica; e
poichè nessun dato archeologico è mai ivi intervenuto a de-
signarci un tempio, l'ipotesi del Latini sfuma da sè, non sal-
vata neppure dalla conformazione del suolo, che — trà
l’altro — non costituisce il punto altimetricamente maggiore
nè il più cospicuo nè il più centrale dell’ abitato, come più
avanti vedremo.

Più fondata appare l'idea del Guattani. Mentre si co
struiva l’attuale palazzo Blasetti, che nel suo schema odierno
risale al secolo XVIII, « furono tratte di sotterra molte grosse
pietre ed alcuni: pezzi di superbe cornici, specialmente di

(1) Ms. cit., fasc. III, cap. XVI.















98 : G. COLASANTI

marmo rosso, e.. e un braccio femineo, colossale, di greca
maniera ecc. » (1). Questo materiale suggestionó gli scrittori
locali. Si sapeva che Rea era stata la patrona della città; si
sapeva — per la leggenda agiografica — di un'antico simu-
lacro della dea; si sapeva, da Vitruvio, che le divinità pro-
tettrici avevano di solito il loro tempio « nei luoghi emi-
nenti della città » (2); si osservava che, con il palazzo Bla-
setti e con l'adiacente Piazza del Duomo, siamo in uno dei
punti pià elevati dell'abitato, e si vide senz altro nei de-
scritti residui la traccia dell’antico tempio di Rea (3). La
nostra opinione? Al materiale archeologico, dal Guattani de-
scritto, altro se ne puó aggiungere da noi direttamente esa-
minato, come — tra altri pezzi minori — un finissimo ca-
pitello corintio in marmo bianco, proveniente dalla stessa
località e deposto nel cortile del palazzo Blasetti. Testimoni
oculari, poi, ci han parlato di vari blocchi e pezzi di cor-
nici, ivi rinvenuti e poscia dispersi. Questo materiale non parla,
invero, esplicitamente di un tempio piuttosto che di un altro
antico edificio privato: peró, tenendo conto che questa
località è uno dei punti topograficamente notevoli della città
antica, accanto all’ antico foro, nel cui lato opposto un altro
importante tempio noi vedremo; e considerando che ivi presso
noi troviamo stabilito l’ antichissimo centro cultuale cristiano,
di solito sorto accanto ad un centro cultuale pagano, noi po-
tremmo anche fermarci sulla ipotesi di un tempio. Ma a
questo punto cessa ogni possibilità di ulteriori deduzioni. Nè,
fra tanta mancanza di dati storici ed epigrafici (4) — può
bastare, per risalire ad un tempio di Rea, l'accenno di Silio:

(1) Monum. Sabini, I, 284.

(2) MICHAELI, I, pag. 54, not. l.

(3) Il tempio di Rea « credesi aver potuto esistere nella piazza ch’ è dinanzi
al palazzo del sig. Alessandro Vincentini » così il GuATTANI, il quale adduce le prove
già esaminate. La piazza sarebbe l'odierna P. del Duomo.

(4) Non un titolo epigrafico noi possediamo, che direttamente o indirettamente
si riporti a questo tempio di Rea.















REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 99

magnaeque Reate dicatum — Caelicolum matri (VIII, 415-416),
che potrebbe avere un valore semplicemente poetico, fon-
dato più che altro sul nome della città creduto derivato da
quello di Rea. E certo, da questa completa assenza di indi-
‘cazioni, gli editori del Michaeli furono spinti ad esprimersi,
intorno a tale questione, con parole che — oltre la giusta
diffidenza circa la identificazione specifica del tempio —
sembrano, -ingiustificatamente a nostro credere, colpire la
esistenza stessa del tempio (1).

Quanto alla ipotesi, che vede l'antico tempio di Rea
o di altre divinità al posto dell'attuale vescovato, occorre
‘notare come delle notizie intorno a vecchie costruzioni
ivi pressp, ci sono state tramandate dagli scrittori locali. Lo-
reto Mattei, riferendosi all’ odierno palazzo Aluffi, aveva
parlato di antiche costruzioni esistenti sotto di esso, e da
lui identificate per pubbliche Terme. Ecco le sue parole:
« Si veggon sì bene sotterranee le Terme o vogliamo dir
bagni pubblici sotto la casa.., fatte scavare dal terrazzo
di cui eran tutte ripiene, a fin di servirsene per grotta da
conservar li vini. Questa gran fabrica passa anche molto a
dentro sotto altre case, che per tema di danneggiare i fon-
damenti non è scavata; et è tutta di volte ed archi, fatti
di mattoni alti cinque palmi, non di sesto circolare ma di
mezo ottangolo, con di là e di qua molte come cappelle
ben corrispondenti, che dalla strada molto più alta pren-
dono i lumi: e la struttura è tutta di pietre, nella forma che
Vitruvio chiama di ordine Reticulato (2) ».

Si tratterebbe, adunque, di una costruzione, la quale si sa-
rebbe estesa ai lati dell'odierno palazzo Aluffi. Il Mattei non

(1) «È pertanto da supporre che in luogo eminente fosse pure il t-mpio di Rea,
se, come vuolsi, esisteva in Rieti, presso l’attuale chiesa di S. Giovanni » (MICHAELI,
I, 54, not. 1).

(2) Erario Reatino, c. 90-901; efr. anche La patria difesa eec., pag. 26: « Lascio
parimenti le pubbliche Terme, che quantunque sotterra sepolte, non hanno veduta
mai morte per essere fabbricate all’ eternità ».









100 G. COLASANTI

ci specifica la esatta direzione di questa costruzione ottago-

nale, di cui non sappiamo se fosse convessa verso la strada
o rivolgesse ad essa la sua parte concava. Poichè questa
costruzione ci appare addossata quasi alla Via Cintia, da
cui proveniva la luce, essa — tenendo conto della linea
perimetrale da noi ricostruita — doveva trovarsi entro le
mura, oltre le quali probabilmente non si estendeva. Le
esatte e minuziose parole del Mattei non valsero a cal-
mare i dubbi degli scrittori posteriori, fra cui lo Schenardi,
che non riuscì a trovar vestigia di questi ruderi (1), ed il
Latini che senz’ altro negò quanto il Mattei aveva affermato (2).
Ma se si considera: a) che il Latini aveva fondate le sue ne-
gazioni principalmente sulla genericità delle parole del Mattei,
di cui conosceva la « Patria difesa » ecc., ma non l'opera
manoscritta con tutti i particolari che abbiamo riportati sulle
rovine predette (3); 5) che le ricerche negative dello Sche-
nardi e del Latini possono dipendere dalle successive costru-
zioni, che hanno cancellate le tracce di questi ruderi; c) che
in ogni modo, le parole del Mattei sono troppo precise e
specifiche per essere completamente infondate; occorrerà
pur convenire che qualcosa il Mattei abbia in realtà dovuto
Vedere.

Si noti che qualche rudero antico sarebbe stato scoperto
sotto questo stesso palazzo, in età posteriore. Sappiamo, così,
dal Latini che « nel 1827, facendosi uno scavo ne’ sotterra-
nei della... casa del sig. Conte Aluffi, si rinvenne casual
mente un muro, che mostrava col.suo colorito di aver con-
tenute deile pitture, ed un lastricato di un mosaico di niun pre-
gio e guasto dalle ingiurie del tempo » (4). E recentemente,
nel decembre del 1909, in uno sterro sotto il palazzo stesso

(1) Secondo il FERRARI, presso L. MaTTEI La patria difesa ecc., pag. 26 not. 1.

(2) « Né i: Rieti trovasi alcun vestigio di Terme, quantunque L. MATTEI in un
suo discorso ecc. » ms. cit., fasc. III, cap. XVII.

(3) Ms. cit., fasc. III, cap. XVII.

(4) Ms. cit., fasc. III, cap. XVII.

























REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 101

si rinvenne — alla profondità di circa 4 metri, ed a circa 7
metri più addentro della facciata principale del palazzo
— un frammento di colonna (base con un pezzo di fusto).
Con tutti questi indizi, noi crediamo che in realtà del ma-
teriale archeologico vero e proprio qui se ne abbia, senza
peraltro che siamo autorizzati a pensare ad un tempio, e per
giunta ad un tempio o di Rea o di Priapo o di Cibele, se-
condo vuole la tradizione locale. Potrebbe anzi bene darsi
che la presenza di un residuo di una qualsiasi costruzione
antica abbia fatto germogliare la tradizione dei templi in
parola.

Con il tempio di Priapo e di Rea cade anche l'ipotesi
di un tengpio, secondo il Latini dedicato a « Marte >»;
intorno al quale, del resto, l’ A. stesso non mostra di aver
un concetto ben determinato (1).

Astraendo, adunque, da tutto ciò che la storiografia lo-
cale ha senza fondamento alcuno asserito, occorre seguire
una nostra via di ricerca, per vedere se qualcosa è possibile
determinare circa la interna distribuzione dell’ urbe reatina.
A nostro avviso, ogni investigazione in proposito deve muo-
vere dalla ricostruzione del terreno classico entro l’ antica
cinta murale. Ma, poiché non occorre perder di vista il suolo
odierno, si ricordi che — dentro i vecchi limiti perimetrali —
il terreno oggi si eleva alquanto ai due lati, orientale ed oc-
cidentale, della Piazza Vittorio Emanuele: si hanno ivi due
prominenze, i cui culmini si trovano nella Piazza del Duomo
e di fronte al Teatro Comunale (m. 408.50). Tra di esse, il





(1) Dopo aver detto che « in Rieti esisteva il Tempio di Marte » (ms. cit.,



Sia lo stesso che il Tempio di Sango » (ms. cit., fasc. III, cap. XVI) posto presso
Contigliano! (ms. cit , 1. c.). Saremmo, dunque, fuori deila città.

fasc. III, cap. XVI), sospetta poi che « il Tempio di Ercole ed il Tempio di Marte -









102 G. COLASANTI

livello della Piazza V. E. trovasi a m. 406.85. Queste due pro-
minenze scendono poi, con i loro fianchi, verso sud fino ai
limiti delle antiche mura e — con maggiore pendenza —
verso occidente e verso oriente, fino a raggiungere le antiche
porte (Interocrina e Cinzola, rispettivamente a m. 398.74 e
m. 397.06).

Questi diversi livelli e queste quote altimetriche non
corrispondono allo stato di cose dei tempi classici. Nel
lodierno terreno elevato, ad est della Piazza V. E.,la roc-
cia — nel tratto a sud di Via Garibaldi — appare qua e
là, sotto il suolo odierno, presso la Cassa di Risparmio, alla
profondità di circa m. 4 ad est. e di circa m. 6 ad ovest:
lungo Via S. Carlo, a circa m. 0.80 di profondità. Cioè —
calcolando sulle odierne quote altimetriche — il masso roc-
cioso si eleva rispettivamente a meno di m. 404; a m. 402 ;
ed a circa m. 406, in un punto isolato nella Via S. Carlo. A
questi livelli si sono trovati antichi residui di costruzioni, che
attestano del suolo antico. Consistono in tracce di pavimenti
a piccoli mattoni di terracotta, posti a coltello; tubi, pure in
terracotta, di m. 1 X 0.10: tegoloni piani; blocchi di pie-
tra bianca e blocchi di travertino delle cave di Rieti, di
m. 1.20 x 0.60 x 0.40, posati come in un piano a circa
m. 3 di profondità dal suolo attuale. Con questi resti di pa
vimentazione, scendiamo adunque fino alla roccia dianzi se-

guita, e sulla quale essi erano poggiati. Questo suolo si la

scia seguire, sempre allo stesso livello, verso l'angolo nord-
ovest della Cassa di Risparmio, sotto l'attuale Via Garibaldi.
Quivi, infatti, sotto un primo piano stradale a ciottoli, posto
allà profondità di m. 1.50 dall'attuale piano stradale, ne fu
rinvenuto un altro, à lastroni di travertino, a circa m. 1.50
sotto il primo, cioè a m. 3 di profondità dall’ odierno livello.
Intorno a questo suolo — che appare essere il piano antico e
per la qualità del materiale e per il riscontro altimetrico
con il suolo indubbiamente classico, che più ad ovest in-
contreremo — il terreno antico non si lascia bene seguire;






REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECO. 108

solo può dirsi che — verso nord — alcuni speroni di roccia,
più bassi del piano di m. 405, si avanzino intermezzati da
terriccio e da riempiture diverse (soprattutto sotto l’odierno

Teatro Comunale). Nelle altre direzioni -— ad est, verso il
limite murale ove era la Porta Interocrina; e a sud verso
la linea delle mura, lungo la Via S. Carlo — il suolo clas-

sico non doveva avere probabilmente un aspetto troppo dis
simile dall’ odierno; cioè, doveva scendere verso il primo
punto, e mantenersi allo stesso piano dei 405 metri verso
la seconda linea. E ciò per il fatto che, mentre la odierna
grande pendenza nella Via Garibaldi non può non cor-
rispondere in sostanza ad una pendenza antica, il livello
della rogcia lungo la Via S. Carlo ci offre una buona in-
dicazione dell’ antico piano. Concludendo: in questa parte,
ad est dell’ odierna Piazza Vittorio Emanuele, noi ricostrui-
remmo — un tre metri sotto l’attuale livello — un dosso
spianato che dalla Via Garibaldi andava alla Via S. Carlo,
giungendo ad est fino al palazzo della Cassa di Risparmio:
fuori di questi limiti, verso nord-ovest il terreno declinava
più o meno ripidamente, fino a raggiungere la linea murale.
Questo dosso ci appare appoggiato quasi alla linea murale
verso sud.

Procedendo ora verso ovest, incontriamo la Piazza Vit-
torio Emanuele, il cui livello attuale è il resultato di uno
sbassamento, in media di m. 0.50, operato negli anni 1862-
1865; del piano primitivo si hanno evidenti tracce nelle co-
struzioni adiacenti alla piazza stessa, e le cui fondamenta
sono rimaste qua e là scoperte. Durante diversi lavori, ese.
guiti sotto la attuale piazza, non si è incontrata traccia
alcuna di masso roccioso: ma la scoperta della pavimenta-
zione dell’antico foro, a circa m. 3 sotto il piano attuale, ci
indica indubbiamente l’ antico suolo ad una quota di poco
superiore a m. 405; siamo, cioè, sullo stesso piano del ter-
reno ricostruito ad est, intorno alla Cassa di Risparmio. Dati
i limiti, fino ai quali abbiamo seguito, verso ovest, l’ antico






















































































104 G. COLASANTI

piano ad oriente della Piazza Vittorio Emanuele, non si può
tardare a riunire l'antico livello sotto la Cassa di Risparmio e
quello dell’antico foro, mediante un unico piano altimetrico.

Questo piano antico, sotto la Piazza V. Emanuele toc-
cava, al nord, il limite murale (dietro il Palazzo Municipale);
a sud probabilmente declinava (non tanto però quanto il
terreno odierno) prima di raggiungere la Porta Romana;
ciò viene ad esserci sicuramente indicato dai due diversi
livelli, in cui conosciamo il foro ed il sito della Porta
Romana. Ad ovest, continuava sotto l’attuale Piazza del
Duomo, su per giù con la stessa quota di un 405 metri.
Con la Piazza del Duomo e con il tratto di Via Cintia che
la limita nel lato settentrionale, noi abbiamo un altro dosso
spianato, che ci richiama l’altro ad est della Piazza V. E-
manuele e che — come quest’ ultimo — declina verso il
limite occidentale delle antiche mura, ove era la Porta
Cinzola. Le fabbriche medioevali, che lungo questo de-
clivo occidentale si trovano e che — come l’ Episcopio —
risalgono al sec. XIII, ci indicano con la linea delle loro
fondamenta la pendenza della Via Cintia, lungo la quale si
trovavano : pendenza che solo di poco si differenzia dalla
attuale. In che relazione va posto il suolo classico con que-
sto suolo medioevale ? Cominciamo con il dire che, nel punto
ove sorgeva l'antica porta — cioè nella estremità occiden-
tale della vecchia cerchia — la roccia arriva poco sotto i
m. 397.00: e poichè su di essa sono oggi ancora poggiati
dei blocchi perimetrali, noi possiamo senz'altro stabilire, per
questo punto, il livello classico ad una quota non inferiore
a quella attuale. Di fronte all'attuale palazzo Ciaramelletti
e Vincenti, sulla destra di chi scende per la odierna Via
Cintia, il suolo ha un livello più alto di circa un metro in
confronto di quello. della strada: in esso vediamo sorgere
vecchi fabbricati. Similmente, chi osserva le fondamenta dei
palazzi Ciaramelletti e Vincenti non tarderà ad avvedersi
che, lungo la strada, esse sono in alcuni punti scoperte














REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 105
(estremità verso la Porta Cinzola) ed in altri — nel tratto
verso l' Episcopio — sono naseoste affatto dalla linea stra-

dale, che ha occupate perfino delle finestrine che si tro-
vavano a fior di terra. Evidentemente, noi deduciamo un
anteriore livello lungo questo declivo occidentale : questo
livello, verso l’ Episcopio era più basso di quello attuale ;
mentre, verso l’antica porta era più alto: e quivi la sua
elevazione ci è fornita dal rialzo di terreno di fronte ai pa-
lazzi Ciaramelletti e Vincenti. L'attuale strada sotto casa
Ciaramelletti raggiunge una quota di m. 397.06 : il suolo ante-
riore doveva di poco superare i m. 398.00.

Sotto il Palazzo Aluffi, di fronte all’ Episcopio, alla pro-
fondità dî circa m. 4.00 dal suolo attuale, sono stati rinve-
nuti, in passato e di recente, residui di costruzioni (rocchi di
colonne ecc.) che possono fornirci qualche indicazione di un
antico piano, il quale arrivava ad una quota superiore ai
398.00. Se teniamo conto del livello approssimativo, in cui
doveva trovarsi la porta detta poi Cinzola (m. 398.00), si può
benissimo ritenere che il piano antico sotto Palazzo Aluffi
si riporti al piano stradale antico e non sia un pavimento
posto al di sotto del suolo stesso. In tal modo ci faremmo
di questo declivo occidentale la seguente idea: da quella
specie di dosso spianato che, dalla attuale Piazza del Duomo
ed in un livello leggermente più basso dell’odierno, si esten-
deva fino a comprendere il primo tratto della Via Cintia, il
suolo declinava verso ovest, lungo la continuazione di que-
st'ultima strada. All’altezza dell’ Episcopio era già sceso ad
una quota di 398.00 metri, ed a questa altezza. si mante-
neva su per giü fino all'estremo limite murale, ad occidente,
ove — dopo la porta — ad un tratto scendeva con mag-
giore inclinazione, fino a raggiungere il sottostante pido,
posto a m. 394.20 (incrocio di Via di S. Agnese co Via
Cintia) Queste conclusioni van prese, naturalmente, on quel
grado di approssimazione che gli scarsi dati di fatto e là asso-











106 G. COLASANTI

luta mancanza di una sistematica esplorazione archeologica
ci possono fornire. :

Che cosa porre in un terreno così conformato ? Proce-
diamo da ciò che ci sembra maggiormente probabile. ‘Che
Reate avesse avuto un forum, scaturiva già da un criterio









analogico; senonché, una notizia di Giulio Ossequente, in-
torno ad un terremoto che colpi la regione reatina l'anno
618 di Roma, sotto il consolato di Gn. Ottavio e C. Scribo-
nio (1), ce ne dà diretta informazione: « Gn. Octavio C. Scri-
bonio coss. Reate terrae motu aedes sacrae in oppido agri-
sque commotae, saca. quibus forum. stratum erat discussa, pon-
tes interrupti etc. » (2); dal quale passo é possibile avere
altresì qualche particolare sul foro stesso, pavimentato a
lastre o a pietre. La ubicazione di questo foro? Si abbia








| : presente la conformazione perimetrale dell'urbe: dalla sua
| forma allungata noi trarremo l'impressione che lo spazio
{i oggi occupato dalla Piazza Vittorio Emanuele — egualmente
distante dalle estremità occidentale ed orientale delle mura
(circa m. 280, computando dallo schema vecchio della piazza)
e dalla loro linea a nord ed a sud (circa m. 50.00 da ambo
le parti) — sia stato riserbato, fin da antico, al centro della







vita cittadina.

Dell’odierna piazza V. E. noi abbiamo spesso parlato
nel corso di queste nostre ricerche, ed abbiamo veduta la
sua esistenza nell’alto medioevo, allorchè ci appare con il
nome di Platea Statue, ad Statuam ecc. Se si ricorda che, nei
principali schemi stradali cittadini (v. per es. l'arteria che
attraversa da oriente ad occidente l'antico abitato nell'alto),
noi abbiamo riconosciuta la continuazione di. un'antica tra-
| dizione topografica; se tale continuità tra l'antichità e l'alto
Îl medioevo noi l'abbiamo riscontrata e nella linea perimetrale,
| e nel sito e nel nome delle sue porte ecc. ecc., come negare



















(1) C. I. L., I, pag. 538-539.
(2) Obseq. 59.

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA. ECC. 107

un fenomeno simile per ciò che riguarda la medioevale
Platea Statue, che ci appare come la piazza più notoria della
città intorno al mille? Durante alcuni lavori nella Piazza
Vittorio Emanuele, verso l’anno 1862-1865, a circa 3 metri
di profondità, si trovò un lastricato composto di « grandi
quadrati e rettangoli di travertino regolarissimi » (1). Que-
ste notizie, che noi stessi abbiamo controllate valendoci
di autorevoli testimoni oculari, hanno la loro palpabile
documentazione nei lastroni di pietra, che furono tolti
dal sottosuolo della piazza e collocati nel marciapiede del
lato occidentale della piazza stessa, ed in quello che limita
il giardino in Piazza del Leone. Questi lastroni, ben lavo-
rati e gquadrati, misurano in genere m. 0.90 Xx 0.70; fu-
rono rinvenuti disposti in un piano orizzontale, proprio
sotto la odierna piazza, ove raggiungevano una area tale
da eliminare assolutamente l’idea che si trattasse di una
strada anzichè di una piazza. Esclusa la ipotesi che questa
pavimentazione si riferisca alla piazza odierna o a quella
di tempi a noi prossimi (il cui livello era superiore al mo-
derno, sotto il quale i lastroni erano disposti) noi — risa-
lendo più in su nel corso dei tempi — possiamo pure esclu-
dere che il livello dei lastroni sia quello della Platea Statuae
del sec. XIII. La quale aveva un livello anche più alto
dell’attuale, che è dovuto a vari sbassamenti, operati in va-
rie epoche per le esigenze della viabilità. Dobbiamo evi-
dentemente risalire ancora più in là nel tempo, per la iden-
tificazione cronologica della piazza pavimentata a lastroni.
Si osservi la pianta topografica, e si ricordi la ricostruzione
che della cinta antica abbiamo fatta a sud di Piazza Vitto-

rio Emanuele. Con i quattro metri al disotto del piano di

(1) F. AGAMENNONE, Brevi cenni ecc., pag. 33. L'A. parla di una profondità di
7 metri: ma notizie, da noi attinte da testimoni oculari della massima competenza,
ci parlano della profondità di m. 3.00 rispetto al livello odierno della piazza, o di
m. 3.50 rispetto al livello anteriore al 1862-65 che superava quello attuale in media
di m. 0.50.













108 G. COLASANTI



quest’ultima, cioè con il piano dei lastroni di pietra, noi ci
avviciniamo al livello dell’ antica Porta Romana, con la
quale, cioè con l’antica cinta, noi vediamo così stabilirsi
un nesso topografico, che potrebbe adombrare anche un nesso
di carattere cronologico. Che se si considera la qualità del
materiale usato, il quale — oltre ad avere una impronta
schiettamente antica — al mondo classico si lascia riportare
anche mediante un criterio analogico (il foro di Terracina
richiama perfettamente questo materiale reatino); e se si
tien conto delle parole di Ossequente saxa quibus forum stra-
tum erat, la identificazione cronologica di questa platea in-
feriore non può forse mancare: essa deve rappresentare il

piano dell’ antico forum, su cui — con posteriori rialza-
menti — si trovò la piazza medioevale e si trova quella
odierna.

A questo foro va, con ogni probabilità, riferito anche
qualche caratteristico materiale archeologico.

Sul finire del secolo XVIII, nell’agosto del 1796, « nella
rifazione della cloaca pel più libero scolo delle acque, sul
principio del clivo che dal pubblico Palazzo conduce al
Ponte » (1), cioè sull’ alto della « Via di Ponte » (2) oggi
Via Roma, venne rinvenuto, sepolto nel terreno, un basa-

mento con una epigrafe dedicatoria a tal L. Oranio, benefico
patrono della città che gli aveva dedicata ed eretta la statua.
Di questa, anzi, si trovarono informi frammenti presso il
piedestallo medesimo, come ci è chiaramente indicato dalle
fonti locali. Le quali ci dicono che la pietra rinvenuta era
< molto maltrattata dalle ingiurie del tempo, e logora, al di
dietro, dalle acque che per avventura vi scorsero sopra.
Presso di essa giacevano ancora alcuni avanzi della statua,
a cui serviva da piedistallo; ma così malconci, che non fu

(1) SCHENARDI, Antiche Lapidi ecc., pag. 25. GORI ap. MICHAELI, I, 117.
(2) LATINI, ms. cit, fasc. III, cap. XVII. GORI, l. c.





REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 199

possibile raccozzarli » (1). Notizie che collimano con quelle
tramandateci dal Latini, che le raccolse da « un rispettabil
Personaggio, che fu presente al reperimento della iscrizione
di L. Oranio » (2). Sappiamo inoltre dallo stesso Latini che
questo marmo, dopo essere stato abbandonato « sotto le
arcate del Palazzo municipale », nell' anno 1828 venne de-






centemente collocato in faccia alla gran porta della Sala



Comunale » (3). Oggi esso si trova nell'atrio della residenza
municipale. E un blocco rettangolare alto m. 1.27, dei quali
m. 0.98 sono occupati dalla parte scoperta e m. 0.31 dalla




parte da interrarsi: la larghezza raggiunge i m. 0.78. Lo



‘spessore di tutto il masso è di m. 0.37. Nella fronte anteriore,



incorniggata da una modanatura a gola semplicissima, è in-



cisa una epigrafe dedicatoria, in cui dichiarasi che la plebe
reatina poneva al suo benefattore una statua (4).




Poichè di fronte ad indicazioni di contemporanei — fra



cui il Latini, coscenzioso nella descrizione del materiale che



vedeva — non è il caso di avanzare dubbi sulla veridicità



delle indicazioni stesse, passiamo ad accertare altri dati che



potrebbero interessarci. Tutto questo materiale — e basa-



mento e frammenti — era al suo posto originario oppure fu



trasportato da diversa località nel sito ove poi venne alla




luce? Per molte epigrafi è accaduto — come a suo tempo
vedemmo — precisamente così.



Si noti che, fino allo spostamento di una base rettan-



golare, la quale per la stessa sua forma poteva essere in



molte maniere utilizzata, la ipotesi non apparirebbe del tutto



inverosimile: ma e i frammenti statuarî? Supporre che con



il basamento fosse trasportata anche la statua o i suoi fram-



menti nel posto ove poi sarebbero restati ricoperti dal suolo;



(1) SCHENARDI, Antiche Lapidi, ecc, pag. 31.

(2) Ms. cit., fasc. III, cap. XVII.

3) Ms. cit., 1. c.

(4) Gon1 ap. MicaaELrt, T, pag. 117-118. C. I. L., IX, 4086; dalle in iicazioni sc «l-
pite.al suo fianco si deduce l'anno della dedica della statua, 184 d. C.



















































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110 G. COLASANTI

oppure ritenere che i frammenti statuari non abbiano nulla
a che vedere con il basamento, presso cui fortuitamente si
sarebbero trovati, è cosa difficile ad essere ritenuta e dimo-
strata. Tanto più che questo materiale nè trovavasi a sopra-
suolo, nè era mescolato a costruzioni o mura di tempo po-
steriore; ma fu rinvenuto nel sottosuolo, in un terreno a cui
non eraggiunta la cloaca che allora si ampliava; in condi.
zioni tali, cioè, da fare verosimilmente pensare ad una ori-
ginaria giacitura. Le fonti locali non ci precisano rigoro-
samente il punto esatto dello scavo, nè la profondità a cui
il materiale fu rinvenuto; ma è chiaro tuttavia che, essendo
questo venuto alla luce ‘« sull’ alto » della Via Roma, cioè
poco prima che quest’ ultima giunga nella Piazza V. E.; e
scendendo la cloaca fino a qualche metro di profondità, noi
— anche a voler supporre che i resti in parola siano stati
raccolti a poca profondità dal suolo — ci avviciniamo sen-
sibilmente al livello del foro lastricato, nella cui periferia
questo materiale si trova. Anche qui, allora, il nesso
topografico apre la via a considerazioni di altro genere:
che cioè la statua dedicata ad Oranio —- la quale doveva
trovarsi in uno dei luoghi più frequentati della città — do-
vesse sorgere nel foro reatino, ad un dipresso nel sito ove
ne rimasero i residui anche quando il livello antico venne
poi abbandonato. Abbiamo, adunque, un’altra indicazione di
quanto ricerchiamo. Questa idea del nesso tra i frammenti
della statua di Oranio ed il sito dell’antico foro reatino, fin
dal momento della scoperta del materiale balenò alla mente
di qualche scrittore locale (1), e trovò poi una conferma nella
scoperta dei lastroni di cui abbiamo già parlato. A questo

‘(1) « Questa pietra colla sua statua par che fosse un tempo situato sotto qual-
che portico, esistente nell'antico Foro, che si estendeva forse fino al luogo indicato,
dove fu rinvenuta la predetta pietra; giacché cotali statue soleansi per lo più eri-
gere nel foro, come in un luogo più frequentato » (SCHENARDI, Antiche Lapidi ecc.,
pag. 32 not. 1) Cfr. anche MICHAELI, I, 54, e GorI (ap. MIcHAELI, 117) che esplicita-
mente e questo foro si riferisce. ;




























REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 111



foro potrebbe forse riferirsi un altro torzo di statua, a cui
le fonti locali attribuiscono una provenienza pressochè iden-
tica. Nel « Forno Potenziani », dietro il Palazzo Municipale,
si conserva oggi ancora una statua mutilata: alta m. 1.70
essa raggiunge, nelle spalle, una larghezza di m. 0.60. Man-
cano l'estremità inferiore da mezza tibia in giù, gli avam-
bracci e le mani: la testa appartiene ad altra statua, come
è indicato chiaramente dalle proporzioni. Questa statua fram-
mentaria rappresenta una figura maschile, che riposa sulla
gamba destra ed ha la sinistra leggermente piegata indietro:
l'atteggiamento è tale che l'anca destra è relativamente
assai sporgente in avanti. Indossa ùn imation con sopra
la toga, che gira nel fianco destro e, per il petto, va sulla
spalla sinistra; ricade indietro ed è ripresa dal braccio si-
nistro. Questa statua fu rinvenuta l’anno 1868 « nelle adia-
cenze del palazzo municipale, in una . proprietà del conte
Grabinski-Potenziani » (1); e, quantunque tali indicazioni non
siano molto precise, esse tuttavia ci riportano chiaramente
alla zona in cui il forum si estendeva. Ma le condizioni, in
cui la statua fu rinvenuta, erano tali da far pensare ad un
giacimento originario? Nulla in proposito ci indicano le fonti
locali; ed è perciò che fin da principio noi abbiamo usate
— circa il valore topografico di questa statua — espressioni
condizionate. Con pari riserva ripetiamo il parere che a
questo foro possa riportarsi anche quella statua che, sul
principio del secolo XVII, fu scavata presso la chiesa di
S. Giovanni, e da alcuni fu identificata con il simulacro di Rea.

I limiti areali di questo foro rispetto alla piazza odierna?
Ognun vede la difficoltà di risolvere esattamente una que-
stione, per la quale occorrerebbero dati archeologici precisi,
e quali soltanto una investigazione nel terreno potrebbe for-
nire. Non ci resta, adunque, che darne una soluzione appros-
simativa. Una prima indicazione può esserci offerta dal sito

(1) MICHAELI, I, 54.















112 G. COLASANTI

di rinvenimento di quel materiale, che direttamente e indi-
rettamente ci ha parlato del foro di Reate: i frammenti di
statue, cioè, ed i lastroni di pietra. Dei primi — anche
ritenendo un nesso topografico fra essi ed il foro -— non
conoscendo che approssimativamente il sito di scavo, po-
tremmo valerci unicamente per conclusioni di carattere re-
lativo. Potremmo dire, ad esempio, che l’antico foro doveva
estendersi, verso sud, fino all’alto di Via Roma (luogo di rin-
venimento della statua di Oranio) e, verso nord, fino al Pa-
lazzo Municipale (luogo di rinvenimento della statua che oggi
trovasi nel « Forno Potenziani »).

Similmente, poichè « ov’ è... la casa religiosa dei PP. Ca-
lasanziani » (1) fu, sul principio del seicento, rinvenuta la
statua erroneamente creduta il simulacro di Rea, potremmo
dire che fin presso la linea dell’ odierna chiesa di S. Giovanni,
accanto a cui trovasi la casa dei Calasanziani, doveva ad un
dipresso giungere il foro verso ovest.

Meglio parlano i lastroni di pietra. Quelli, che oggi an-
cora si conservano, sono piuttosto numerosi. Senza tener
conto del materiale sperduto o che ha avuta una destina-
zione a noi ignota, i soli lastroni conservati occupavano —
nel sottosuolo — un’area corrispondente all ingrosso alla
parte centrale dell’ area della piazza odierna. Dal sito di
fronte all’ odierno Palazzo Municipale (ove lo scavo fu ese-
guito) la pavimentazione si estendeva verso sud e. verso
est, fin presso i limiti della piazza attuale; verso ovest, il
materiale fu meno seguito; ma la sua esistenza fu accer-
tata fin quasi alla linea di sbocco della Via Pennina. Rag-
giungiamo, in una parola, i limiti stessi che mostrava a-
vere la piazza, prima degli ultimi decenni del secolo XVIII,
allorchè, demolita la vecchia chiesa di S. Giovanni che si

(1) LATINI, ms. cit., fasc. III, cap. XVI.











REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 113

avanzava fino alla linea di sbocco di Via Pennina,si guada-
gnò tutto lo spazio occupato dall'antica chiesa (1).

Fuori di questi limiti, esistono o esistevano altri lastroni
in continuazione della pavimentazione accertata? Noi l'igno:
riamo e non sappiamo, quindi, se possa o no affermarsi la
possibilità di estendere il foro antico oltre i limiti della
piazza, quale era sul finire del secolo XVIII. Bene è vero
che — dato il nesso di continuità .che in Reate abbiamo
rilevato tra gli schemi delle strade; le porte ecc. anteriori
al mille e gli schemi classici nel significato vero e pro-
prio della parola — potrebbe pensarsi alla possibilità di
desumere lo schema e la estensione dell’ antico foro dal-
l’area e dalla forma della platea cittadina, qual’ era prima
del mille. Ma, a parte la impossibilità di valersi rigorosa-
mente di questo criterio (lo schema di un'antica strada è
in genere mantenuto, ma alcuni suoi particolari, la larghezza
ad esempio, han potuto variare con il tempo: così, la tra-
dizione topografica dell’antico foro è mantenuta dalla piazza,
la quale però può aver alterato i particolari del contorno,
forma, limiti ecc., come ha alterato il livello), noi non cono-
sciamo affatto il primitivo schema medioevale della platea
reatina. In ogni caso, è evidente che i limiti massimi del

(1) La vecchia piazza era circa 1/3 più corta dell’attuale, ed il suo centro era
di fronte allo sbocco di Via Roma, nel punto ove trovavasi una fontana, in seguito al-
l'ampliamento spostata ad ovest nel sito attuale. In uno strumento del 1772 conser-
vato nell'Archivio della Biblioteca Com. di Rieti (Instrumenta 1771-1781 c. 10-13) si
riporta il decreto con cui Clemente XIV fin dal 1770 aveva ordinata la demolizione
della chiesa di S. Giovanni « per ridurre 4l sito (della Piazza) ampliativo e più
commodo ». Segue, nello stesso fascicolo, il contratto concluso da P. Giorgio Si-
billa, Priore della comunità calasanziana di Rieti, in « cui si promette di demolire
e far demolire tutta la vecchia Chiesa, Botteghe, ed altri siti di sagrestie ... con
cederne, conforme cede il sito, o siti a questa med.a Com.tà per ridurli ad uso di
Piazza ecc. ». Il sito doveva essere consegnato libero da ogni ingombro entro il
termine d'anni dodici. Ma già in un atto di perizia, che i capomastri Nicola Berna-

sconi e Giuseppe Carloni presentarono a di 7 maggio 1781, la chiesa appare demo-
lita e la Piazza già portata ai limiti odierni. Dalla pianta, che in questa relazione
peritale é acclusa, appare delineato l’antico limite del fabbricato ed il limite nuovo:
questa tavola planimetrica é a colori nero, giallo, rosa e turchino (Instrumenta,
1781-1797, c. 140-141).











114 G. COLASANTI

foro, a nord ed a sud, siano necessariamente imposti dalla li-
nea murale e dalla Porta Romana sull’ alto di Via Roma. Anzi,
poiché il livello del foro antico era a m. 405 e quello del
l’antica Porta Romana è qualche metro più basso, potremmo
anche non estendere il foro proprio fino alle mura meridio-
nali, ma farlo finire un po’ prima di esse. Nelle due estremità,
orientale ed occidentale, non abbiamo una così chiara indi-
cazione dei limiti massimi, che potrebbero essere assunti.

Accanto a questo foro, sui due dossi spianati e soste-
nuti qua e là dal nucleo roccioso, ci appaiono le tracce del-
l'arz con il maggior tempio cittadino e le tracce di un tem-
pio minore. Di quest’ultimo abbiamo veduta altrove la do-
cumentazione archeologica, nel limite orientale dell’ odierna
Piazza del Duomo, presso l’ angolo sud-ovest della Piazza
Vittorio Emanuele, vicino al Palazzo Blasetti. In questo
punto, all’ incirca, incontriamo il culmine altimetrico del
dosso. Presso questo tempio, la primitiva comunità cristiana
fondò il suo centro religioso lungo la linea murale, nel sito
continuato poi dal Duomo. Ivi le più antiche tradizioni ce
lo mostrano, ed ivi i documenti ce lo indicano poi rinnovato
dopo varie demolizioni (1).

Meno importante e sopraffatto dalla crescente notorietà

della vicina chiesa cristiana, questo tempio pagano non passò

(1) La Chiesa reatina, riportata ad epoche più o meno lontane (DEsANCTIS, No-
tizie ecc., pag. 8) ci appare già costituita sul finire del V secolo con il vescovo
Ursus (GAMS, Series Episcoporum, pag. 270) i cui successori Probo ed Albino (GAMS,
op. c., l. c.) trovano menzione presso Gregorio Magno (De antma Probi Reatinae
urbis episc. Dial. 1V, 12; « bene hanc reverentissimus vir Albinus Reatinae antistes
Ecclesiae cognovit » Dial. I, 4. La chiesa cattedrale ci appare sotto il titolo di
« Basilica beatae Mariae semper Virginis » (DEsANCTIS, pag. 8. Fin dai tempí di Gre-
gorio Magno, la residenza del vescovo era addossata alla chiesa (GREGORIO MaGNO,
Dial. IV, 12) come restò poi nell’ età posteriore. La primitiva chiesa — che sorgeva
all'in .rosso nel sito della odierna (DasancTIS, 0b. cit., p. 9) — fu dalle invasioni
rovinata. La nuova costruzione — alla quale risale la odierna — fu iniziata nei
primi anni del sec. XII (DEsANCTIS, Op. C., pag. 9; ManINI, Memorie di S. Bar-
bara ecc., pag. 212-113). Il fatto che il centro cultuale cristiano si stabilì in un sito
secondario, accanto alle mura, può indicare che molto per tempo la nuova fede
fece proseliti in Reate.









REATB, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 115



nella tradizione posteriore, la quale ne perdette ogni ricor-
danza. Oblio che non colpi il dosso orientale, tra il foro e
l'antica Porta Interocrina, del cui aspetto classico restò
un debole ricordo fino ai primi secoli del medio evo. Si
rammenti la estensione e la forma del dosso orientale e
del masso roccioso, che in gran parte lo costituisce con il
suo nucleo e con le sue diramazioni. Lo spazio, da esso
occupato, è tale che, da Piazza Vittorio Emanuele alla
Porta Interocrina, corrono circa 320 metri; mentre circa
200 metri costituiscono la distanza tra le due linee mu-
rali a sud ed a nord, entro cui la roccia è racchiusa. In
questo masso, dalla forma complessivamente circolare, la
roccia raggiungeva qua e là la sua altezza maggiore (circa
m. 405.00) : sarà facile, considerando tutto ciò, sorprendere
l'importante posto che, nella distribuzione interna dell’ urbe,
doveva avere questa prominenza orientale. Siamo nell'arc?
L'idea che debba trattarsi di qualcosa di simile si affaccia
eon insistenza alla nostra mente, ma per il momento non anti-
cipiamo conclusioni. Questo primo dato di carattere topogra-
fico trova suffragio in documenti di natura diversa. Se qual-
che nome di fisonomia classica — nel medioevo localizzato
in questa estremità orientale della vecchia cinta cittadina (1)
— possa indicarci che qui siamo in uno dei punti più im-
portanti dell’antica urbe, non sapremmo. Sopratutto perchè
il valore di questa parola praetorius — contenuta nel brano in
nota citato — non è ben chiaro nè si presta, senza difficoltà,
alle conclusioni che vorremmo (2). Certo si è che, nella
zona immediatamente sottostante al culmine di cui stiamo

(1) « In una carta farfense dell'anno 962 si ha: « de rebus iuris monasterii ve-
stri quas habetis intus civitatem reatinam, in loco ubi dicitur praetorius, prope
portam interocrinam et iuxta muros ipsius civitatis » (Reg. di Farfa, III, 76).

(2) Du CaNGE, Gloss. V, col. 743 non conosce una simile parola medioevale.
Poiché spesso la voce praetura é « Potestatis dignitas (Gloss., V, ecol. 748. s. v.) si
potrebbe pensare che nel riferito passo il Praetorius sia il luogo ove risiedeva il
potestà: senonché tale magistratura é di non poco posteriore all'anno del riferito
documento.






































116 G. COLASANTI

occupando, nel terreno piano che si estende avanti la Porta
Interocrina, noi troviamo un remotissimo documento topo-
nomastico nella voce ad arcîm, ad arcem, ad arci ecc. che,



fin da’ tempi molto anteriori al mille, ci designa un tratto
di questa zona. Quando ivi sorse la vetusta basilica di »
S. Agata, essa fu detta ad arce; nome che rimase in seguito
alla porta orientale della nuova cinta. Vedemmo altrove la
impossibilità di riferire questa denominazione ad altro punto,
che non sia il lato orientale della vecchia città; vedemmo
la impossibilità di riferire quell' ad arcem alla torre, che guar-
dava la Porta Interocrina ; possiamo escludere assolutamente
che la forma ad arcem possa essere presa per ad urbem, sia
perchè l’uso classico non ci permette un tale scambio, sia
perchè, nella pratica medioevale, quando si vuole dare una
simile indicazione riguardante la città, troviamo ante civita-



tem, ad civitatem ; unte, ad urbem ecc. Non resta che vedere,
nel nome ad arcem, il ricordo dell’antica arx che proprio li di
fronte sorgeva, ed alla quale la zona nel basso, attraversata
dalla Salaria, ebbe il suo naturale riferimento. Su questa
arce, in luogo aperto e donde tutta l'urbe si dominava con
lo sguardo, doveva sorgere il maggior tempio della città,
dedicato alle divinità protettrici di Reate.

Conquistato in tal maniera il concetto di questa arce
nella prominenza orientale dell' urbe, tante questioni, che
prima apparivano assai dubbie, potrebbero avviarsi verso
una soluzione. Cosi la voce praetorius, che le carte medioe-
vali localizzano ivi, potrebbe — dopo ciò — cominciare
ad assumere un valore; e la provenienza della epigrafe de-
dicatoria di un tempio a Giove, Minerva, Fortuna ed Ercole,







potrebbe senza incertezze essere veduta in questo culmine,
ove l’idea di un tempio troverebbe inoltre suffragio negli
importanti resti di costruzioni, già descritti, sotto la Cassa di
Risparmio. La iscrizione in parola (1) sarebbe stata rinve-








(1) C. I. L., IX, 4674: iovi. o. m | minervae | fortunae | herculi | saerum | c. f. f. r.









3

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 117



nuta — sulla fede dello Schenardi — « inter macerias a centes
in atrio domus Marerianae » (1); palazzo che corrispondeva
al fabbricato che sorge di fronte al Teatro Comunale;
non ci é peró specificato se queste macerie provenivano
dal luogo stesso, presso cui giacevano, oppure se il loro
materiale era stato raccolto altrove. Di modo che, la esatta
provenienza della epigrafe — ir base a queste informazioni
— non ci sarebbe indicata. Senonchè, un contemporaneo
che assisté allo scavo e del quale forni alcuni particolari,
ci dice che questa iscrizione « fu rinvenuta li 17 settembre
1777 nello scavare il fondamento del Palazzo del Conte Ales-
sandro Vincenti di Rieti » (2), rassicurandoci così sulla sua ori-
ginaria provenienza e permettendoci di usufruire del grande
valore topografico, che la iscrizione ha per il nostro scopo.
Poichè le divinità, in essa menzionate, sono quelle alla cui
protezione eran poste di solito le città, e tra esse troviamo
Ercole, il cui culto in tanto onore era nella antica Reate,
viene da sè pensare al massimo tempio cittadino, che doveva
sorgere sulla arx. Accanto a questo tempio, dedicato princi-
palmente a Giove ottimo massimo, noi troviamo, nel lato
settentrionale del masso calcareo e non distante dalla linea
murale, la primitiva chiesa cristiana dedicata a S. Giove-
nale, scelto come protettore della antica comunità cristiana
di Reate (3). Il suo nome richiama tanto da vicino quello
della maggiore divinità pagana li presso venerata, da de-
stare in noi il sospetto che un qualche nesso corra — come
tra il sito dei due culti — anche tra il nome del santo e

(1) C. I. L., 1X, pag. 442; cf. SCHENARDI, Antiche Lapidi ecc., pag. 12: « ritro-
vata fra le macerie esistenti nell'atrio del Palazzo del Nobile sig. Conte D. Giacinto
Vincenti Mareri ».

(2) SCHENARDI, op. c. l. c.

(3) Al tempo di S. Gregorio Magno S. Giovenale, insieme a S. Eleuterio, é alla
protezione di Reate: « Noli timere : quia ad me sanctus Iuvenalis et sanctus Eleu-
therius martyres venerunt etc. » (Dial. IV, 12). Su S. Giovenale brevissime notizie
ha il martirologio romano a di 7 di maggio (pag. 64). Cfr. anche i Bollandisti, Acta
SS., VII maggio.

















118 G. COLASANTI

quello della divinità: a Giove, intorno a cui i pagani si
raccoglievano, i cristiani pensarono di’opporre un loro santo,
che potesse facilmente sostituire, anche nel nome, l’altro.

Con la identificazione dell’ arx, noi ci siamo formata
una idea della distribuzione interna dell’ urbe, così come
doveva essere nel suo ultimo periodo classico, e di cui sen-
tore si ha qua e là nei documenti dei bassi tempi, e nel
materiale epigrafico ed archeologico. Senonchè, lo schema di
questa città, limitata sul colle e posta in comunicazione con
il basso mediante il terrapieno, risale ad uno schema ante-
riore, che ci è dato intravedere da una serie di valevoli
indizi.

Prima della bonifica curiana, l' impaludamento, formato
dalle aeque che da ogni parte confluivano nella conca rea-
tina, arrivava sicuramente ai piedi dell'altura, su cui sor-
geva l’antica città, e si insinuava per la estremità delle
valli per cui sboccano il Turano, il Salto ed il Velino. Si
aveva, cioè, uno stato di cose che si riproduce nel periodo
delle alluvioni, quando le acque, superati gli argini, dila-
gano (e maggiormente dilagavano prima che fossero effet-
tuate le opere di difesa, di rialzamento ecc.) sul terreno
all’ intorno. A testimone di queste antiche condizioni idro-
grafiche, sta l'aspetto della vallata proprio a sud di Rieti e
nella quale le acque, come in un lago, si adagiavano. Ivi,
ai due lati del fiume, tra l'altura di Rieti, l'altura ove sorge
il Convento di S. Antonio ed il Colle dei Cappuccini, il
terreno degrada a mó di doccia, indicandoci l'antico letto
delle aeque. Sia che la bonifica di questa zona, a mezzodi
della vecchia urbe reatina, risalga all'opera cui Dentato
legó il suo nome; sia che gli abitanti di Reate, già prima
di Curio, avessero regolate le acque nella zona sottostante
alla loro città, costruendo il terrapieno di comunicazione
con il basso, a noi pare chiaro che, in ogni caso, la costru-
zione di quest’ultimo sia cronologicamente posteriore alla
formazione dell’abitato e della cinta sull’alto del colle. Di











v

REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. + 119

ciò si potrebbe avere una prova di altro genere. Se si os-
serva- la carta, si vedrà che l’antica città, con le sue due
porte ad oriente e ad occidente, poste tra loro in comuni-
cazione dal decumano, che attraversava l'urbe da est ad
ovest, non mostra tracce dell’arteria trasversale (cardo ma-
ximus), per la quale mancherebbe la porta settentrionale di
cui nessunissima traccia noi abbiamo. Il che potrebbe indi-
care che la porta meridionale dell’antica cinta (P. Romana)
non sia dovuta ad un originario schema della città, sibbene
ad una necessità affacciatasi in tempi posteriori. La costru-
zione stessa del terrapieno, che mostra caratteri relativa-
mente recenti, sarebbe un’altra prova della seriorità di que-
st'opera. La mancanza di aperture nel lato meridionale è
giustificata dalla presenza degli impaludamenti; e nel lato
settentrionale dalla necessità di non rompere, da questa parte,
la linea di difesa con un'altra porta sita in mezzo alle due
altre laterali.

In tal modo, noi intravediamo il primitivo schema del-
l’urbe reatina. Sull’ altura rocciosa essa sorgeva, difesa a
nord da potenti manufatti, ed a sud dagli impaludamenti
delle acque, sboccanti da occidente e da mezzodì. Perfetta-
mente orientata, da ovest ad est, era percorsa in questa di-
rezione dalla maggiore arteria interna, i cui capi mettevano

a due porte. Da queste porte — quasi in prosecuzione della
‘ arteria — partivano le vie di comunicazione con l’este con
il nord. La prima — su un terreno, che raggiunge e su-

pera i 400 m., — seguiva per Interocrio, secondo lo schema
che fu poi quello della Salaria; la seconda, seguiva per il
settentrione.

Il terreno, per largo tratto, era ivi occupato dagli im-
paludamenti: ma ai piedi dei monti che limitano ad est la
conca di Rieti, il terreno, oggi relativamente alto (m. 390),
molto per tempo dové essere liberato dalle acque, merce i
materiali che i corsi, discendendo dai monti, depositavano

ai piedi di questi. Questa zona dovè accogliere la primitiva











120 G. COLASANTI

via di comunicazione con il nord. Si ricordi quanto altrove
abbiamo detto della Via Quintia, che dalla porta occidentale
di Reate andava — nei tempi classici — verso settentrione :
è arrischiato pensare ad un nesso più o meno rigoroso di
continuità tra la direzione delle due strade?

Un ultimo punto ci rimane ad assodare prima di chiu-
dere questa nostra ricerca. Noi abbiamo seguita la linea
della antica cerchia scomparsa, e già conosciamo il nuovo
perimetro più ampio: è possibile stabilire l'epoca, in cui la
vecchia cinta fu abbandonata e fu eretta la nuova? Uno
scrittore di cose locali, il più volte citato van Heteren, ci
fa sapere che « nell'anno 1311, volendosi alzare le mura
della città sopra la porta d’Arci, si fa dal magistrato delle
sette arti con gli operai la convenzione seguente: Die 7.°
sep. 1311 in domo et ... murare supra portam S. Leonardi de
Arce quinque passus altum, et faciendum nurum (murum) gros-
sum de tribus pedibus » (1). Che qui si tratti del grande
muro di cinta presso Porta d'Arce, ove trovavasi la chiesa
di S. Leonardo, non puó essere messo in dubbio per le espres-
sioni stesse del testo; e che questo accenno alla costruzione
di un solo tratto della cerchia possa agevolmente essere rife-
rito alla costruzione della cerchia intera, è logico.

Ma, prima di ogni deduzione, occorrerebbe sincerarsi sul
credito che possa meritare la notizia dal van Heteren ad-
dotta: al qual riguardo, in verità, non sapremmo che dire.
Il trovare — nel testo surriferito — degli errori di lettura
(nurum per murum) accanto a parole interamente tralasciate
con grande discapito del periodo, sta a indicare che il
van Heteren ha avuto innanzi a sè delle carte che non ha
saputo bene interpretare; carte, però, che potrebbero essere
tanto dei documenti originarî, quanto indecifrabili manoscritti
posteriori, del cui valore nulla sappiamo. Certo che — qua-
lunque sia la fonte dal van Heteren messa a profitto — in-

(1) Op. c., p. 80.

















*



REATE, RICERCHE DI TOPOGRAFIA, ECC. 121



torno al tempo dalla sua notizia indicatoci, cioè tra il finire
del secolo XIII ed il principio del XIV, siamo indotti a porre
la formazione dell’ odierna linea perimetrale da tutta una
serie di considerazioni. Le notizie, altrove riportate e conte-
nute sia negli Statuti municipali sia nei noti processi della
Inquisizione, mostrandoci la cerchia attuale già formata ci
offrono un ferminus ante quem nei primi decenni del se-
colo XIV. Più esplicita è la documentazione per fissare il
terminus post. Qualche scrittore locale, nel narrare le vicende
cittadine, ha segnalata la seconda metà del duecento come
l'epoca in cui « della pace e della prosperità profittando, i
Reatini diedero opera a migliorare le condizioni materiali
della città e ad ampliarla » (1). Informazione questa, che
trova pieno riscontro nella costruzione dei sontuosi mona-
steri cittadini, sorti e rifatti in quest'epoca fuori della linea
della vecchia cerchia; e nella necessità che, nel tempo me-
desimo, si fece sentire di gettare un altro ponte sul Velino,
poco a monte dell’odierno (2). Che tutte queste imprese edi-
lizie siano da porsi in relazione con l'abbandono della vec-
chia cinta, entro cui la popolazione non poteva ormai più
contenersi, ci è chiaramente indicato da un documento. Una
carta proveniente dall’Archivio della Cattedrale di Rieti, e

' paecolta nel Bollario Francescano, ci fa conoscere che

l’anno 1252 il Potestà ed il Comune reatino « ad honorem
Sanctae Romanae Ecclesiae Civitatem eandem coeperunt
laudabiliter ampliare »; e poiché « infra hujusmodi amplia-
tionis ambitum, quaedam praedia (Ecclesiae) haberi dicuntur,
sine quibus ampliatio ipsa votiva non potest suscipere incre-
menta », il papa Innocenzo dava liceuza al vescovo reatino
di espropriare detti beni ecclesiastici (3). Abbiamo già visto

* . (I) MICHAEL, I, 36.
(2 Il relativo documento ci è già noto (Bullar. Francisc., II, pag. 471 ad
ann. 1263).
(8) Bull. Franc., I, pag. 627 ad ann. 1252: il documento é in data 28 settem-
bre 1252.













122 G. COLASANTI

come la cattedrale di S. Maria possedesse beni fuori la an-

tica Porta Zinzula, lungo la vecchia carbonaria, a piè della
vetusta cinta murale; e come il monastero di S. Paolo pos-
sedesse anch'esso, nei pressi di Piazza del Leone: altri beni
ecclesiastici stavan fuori del vecchio perimetro e di essi si
aveva assolutamente bisogno per i progettati ampliamenti.
Se questo programma edilizio fu compilato verso il 1252, e
nel 1268 — quando si voleva costruire il nuovo ponte presso
il convento di S. Francesco — era in piena attuazione, vuol
dire che intorno a questo tempo, durante i decenni con cui
il secolo finiva, si pose mano a circoscrivere, con una cinta,
la nuova città. Entro il nuovo perimetro furono, in tal ma-
niera, compresi e monasteri e chiese e case, già poste fuori
del perimetro vecchio; e tra questi nuclei di fabbricato si
formó e crebbe lentamente l'abitato moderno.

G. COLASANTI. :













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123



L IPOGEO

DELLA FAMIGLIA ETRUSCA ‘© RUFIA

»3

EURESSOI PERUGIA

CAPO. I.

Storia della scoperta e descrizione dell'Ipogeo — Pianta e veduta assonometrica —
Materiale rinvenuto — Vicissitudini subìte — Genealogia della famiglia Rufia.

Durante l’ estate del 1887 si effettuarono notevoli lavori
nell'attuale Cimitero di Perugia, allo scopo di estenderne la
cinta, che lo chiudeva, e di abbassare e livellare, almeno
in parte, la superficie nuovamente acquistata.

Nel luogo, ove oggi sorge il monumento ai caduti del
XX Giugno 1859, si trovava originalmente il culmine di una
collina, allineato col crinale del prossimo Monterone, dal
quale il terreno degradava allo intorno, con maggiori pen-
denze verso sud-est. Per la sistemazione generale della
nuova area, che si doveva destinare ad aumento della su-
perficie cimiteriale, quel culmine dové troncarsi per l'al-
tezza di parecchi metri, pur restando, come anche attual-
mente si vede, una superficie eminente sulle altre, da cui
il terreno declina anche oggi all’ intorno, con leggere pen-
denze verso nord - west, maggiormente inclinate invece a
sud-est. Abbassando la cima di quel colle, il 9 agosto 1887,
a metri 3.70 (1) dal livello primitivo del terreno, il piccone
demolitore sfondò la volta di un’ampia cavità sotterranea,

(1) Non a m. 3.40, come trovasi indicato nelle Notizie degli Scavi, 1887, pag. 391.











1



24 G. BELLUCCI

che si riconobbe subito dalla forma e dal contenuto, esser
quella di un Ipogeo antichissimo.

Oltre ventitre secoli addietro, la cima di quel colle era
stata difatti utilizzata con l’intendimento di formarvi una
casa sotterranea per i morti. Fu prescelto quel luogo, si-
tuato in posizione elevata ed isolata, come del resto consi-
mili si preferivano generalmente per la formazione degli
Ipogei, sia per evitare che l’acqua ristagnasse nel piano,
sia per maggior facilità di accesso e di escavazione.

Il terreno era propizio, costituito da un’ arenaria tufa-
cea abbastanza compatta. Formando una grande cavità sot
terranea, si ebbe quindi fiducia,: che la volta si sarebbe
retta di per sè, senza opera alcuna di sostegno. Il lavoro
dev’ essere stato compiuto, come in generale si compie-
vano lavori del genere, da scavini pratici della costitu-
zione dei terreni, della loro solidità e resistenza; ed essi
colsero nel segno, inquantochè ventitre secoli dopo la sua
formazione, quella casa sotterranea fu ritrovata integra,
conservata in tutte le sue parti, come fu lasciata l'ultima
volta che dovè riaprirsi, per introdurvi le ceneri dell'ultimo
defonto della famiglia. ;

La pianta e la disposizione generale interna dell' Ipogeo
é data dalla Tav. 1*; questa dispensa d'intrattenersi in
minuti particolari descrittivi. L' ipogeo era costituito da due
grandi ambienti, presso a poco rettangolari, il primo dei
quali con l'asse maggiore parallelo alla direzione della porta
d’ingresso, il secondo con l’asse maggiore perpendicolare
alla medesima direzione. La superficie del primo ambiente
misurava mq. sessantatre; quella del secondo mq. quaran-
tanove; la superficie totale raggiungeva quindi mq. cento-
dodici. L'altezza, abbastanza regolare, presentava leggere
variazioni, oscillando fra tre metri, e metri tre e venti cen-
timetri.

La porta d'ingresso non era perfettamente centrata con
l'asse longitudinale dell' Ipogeo; essa rimaneva spostata di















L’ IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA » 125
*

cinquanta centimetri verso N-E. Fuori dello ingresso era
una strada inclinata, lunga m. 2.80, larga m. 0.64, ricoperta
nel tratto piü elevato da pietre, con tre cordonate in ri-
lievo; su questa parte più alta poteva accedersi non solo
di fronte, ma anche lateralmente, mercè cinque gradini di
pietre ben disposte e connesse. Le relazioni del tempo non
dicono, se l'apertura di accesso si trovasse o no chiusa da
un solido lastrone di travertino; essendo gli esploratori pe-
netrati per la volta, ed avendo poi sfiancato lateralmente
| Ipogeo, per illuminarlo e per vuotarlo del contenuto, qual-
che particolare andò involontariamente perduto. Credo però,
e non potrebbe esserne a meno, che l'apertura di accesso
fosse chiusa, come del resto si verificava in tutti gl’ Ipogei
consimili, e penso che il lastrone di travertino, che fu tro-
vato poco lungi tra la terra (1), fosse appunto destinato a
chiuder la porta dell’ Ipogeo.

La forma generale dell’ Ipogeo, i numerosi cinerari che
vi si rinvennero, la loro particolare disposizione, la mancanza
quasi totale delle panchine perimetriche, sopraelevate sul
piano per collocarvi i cinerarî; l'esistenza di un piccolo
tratto di panchina in demolizione, lungo la parete sinistra
del primo ambiente e dell'intiera panchina, lungo la parete
destra, residui evidenti delle panchine, che dovevano primiti-
vamente esistere lungo tutte le pareti, fanno ritenere, che
la forma dellIpogeo come si rinvenne e si descrisse nel
momento della sua scoperta, e come trovasi rappresentato
dalla Tav. 1°, non fosse proprio la iniziale, ma risultasse da
escavazioni ed ingrandimenti successivi, richiesti dalla ne-
cessità di collocare là entro, nel percorso del tempo, nuovi
e sempre nuovi cinerarî.

Sembrerebbe difatti inconcepibile, che nel primo mo-
mento della fondazione dell’ Ipogeo si fosse stabilita unà su-

(1) N. 287 del Cat..logo del Museo.









126 G. BELLUCCI

perficie per il collocamento dei cinerarî, quale propriamente
risultò occorrente, oltre due secoli dopo. Accrescimenti con-
simili si verificarono del resto anche in altr’ Ipogei rinvenuti
nel territorio di Perugia, ma in nessuno di essi si trovò una
superficie disponibile così ampia, come quella dell’Ipogeo che
si descrive. Anche indipendentemente da ciò, una conside-
razione, la quale conduce a ritenere, che in tale Ipogeo siensi
verificati accrescimenti, emerge dal fatto, che tutti i cine-
rarî in pietra si trovarono collocati sul suolo e non sulle pan-
chine. Non si costumava difatti di deporli sul piano degl’Ipo-
gei, perchè tale superficie era di necessità calpestata dai
viventi, che all’ occorrenza penetravano negl’Ipogei stessi,
o per collocarvi nuove urne, o per compiervi funzioni ri-
tuali. Si ebbero talora esempi di collocamento sul terreno,
ma i cinerarî si trovarono sempre addossati alle panchine
esistenti, e quindi disposti in modo da non occupare quella
parte di suolo, che poteva esser di accesso o di possibile
frequentazione ai viventi. Tale ipogeo offri quindi un esem-
pio singolare di totale occupazione del suolo praticabile, im-
posta dalla necessità di collocarvi numerosi cinerarî, in os-
sequio al sentimento costantemente nudrito di tener riuniti
gli avanzi cinerei dei componenti di una famiglia, vissuta
durante il percorso di oltre due secoli.

Esaminando i particolari risultanti dalla pianta dell’ Ipo-
geo, qual'é rappresentata dalla Tav. 1", può ritenersi che
l'Ipogeo fosse primitivamente costituito da un solo ambiente,
che addivenne poi l’ambiente anteriore e che in allora, la
parete di fondo e quelle laterali, fossero tutte munite di pan-
chine per collocarvi sopra i cinerari. Quando la necessità
impose di aumentare lo spazio disponibile, si demolirono
quasi completamente, la panchina della parete sinistra, e
tuttà la panchina di fondo, collocando al suolo in linee piü
o meno serrate tutti i cinerari di travertino, che per lo in-
nanzi vi erano stati deposti e cominciando allora a scavare
il secondo ambiente. Piü tardi, quando il bisogno di mag-















127



L’ IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA »

giore spazio disponibile dev’essersi fatto nuovamente sentire,
dovè procedersi ad uno scavo più profondo del secondo am-
biente, tenendone però sempre l’asse longitudinale nel pro-
lungamento di quello dell'ambiente primitivo, ed accrescendo
alla fine, la superficie utilizzabile, di altri quarantanove me-

tri quadrati.

La disposizione e l’ ubicazione dei singoli cinerari in
travertino od in terra cotta, nonchè la disposizione di al-
cuni fittili e di alcuni oggetti in metallo, rinvenuti nello
Ipogeo, risultano dalla Tav. 1°, in cui ciascun cinerario è
controdistinto dallo stesso numero di catalogo, che ha nel
Museo. Dallo esame dell'insieme della figura suddetta ri-
sulta, che l'intiera superficie dell'Ipogeo si trovò occupata
dai cinerari, disposti con sufficiente ordine e simmetria in
file, talora addossati e serrati gli uni: agli altri, senza che
peraltro sia addimostrato, almeno in generale, di aver seguito
un ordine di discendenza nel sepolcro, o una relazione di
appartenenza familiare, tra coloro a cui appartenevano le
ceneri, che si vollero conservate. Quattro soli rilievi po-
trebbero annotarsi, come indicanti collocamenti di cinerari,
aventi carattere intenzionale nella loro contiguità, ma di
questi sarà detto, illustrando ciascun cinerario.

I cinerari in travertino, sotto forma di urne, si trovarono
nel numero di ventinove; uno soltanto (240), si trovò for-
mato di arenaria giallastra, tratta da una delle colline mio-
ceniche presso Perugia. Sulla panchina esistente lungo la
parete laterale destra del primo ambiente dell’ Ipogeo, si
rinvennero quattro cinerari in terra cotta, sotto forma di
olle; due erano stati collocati sul tratto residuo di panchina,
lungo la parete laterale sinistra; uno si trovò disposto en-
tro una nicchia, scavata sulla parete sinistra di fondo del
primo ambiente; e finalmente altri tre si trovarono collocati
in mezzo alle urne di travertino nel secondo ambiente, in










128 : G. BELLUCCI

corrispondenza della linea centrale. Il numero totale dei ci-
nerari ammontó cosi a quaranta; trenta in pietra e dieci
fittili; questi ultimi di due grandezze differenti, cinque per
ciascuna grandezza.

I cinerari in pietra si trovarono tutti muniti di coper-
chio e ad eccezione di uno, tutti codesti coperchi presenta-
rono la forma di tetto con pioventi laterali, costituenti per-
ciò una forma di timpano nella fronte anteriore e posteriore
delle urne. Questo timpano ha nelle diverse urne una mag-
giore o minore altezza, ed in alcune la fronte anteriore è
più elevata della linea d’incontro delle superfici laterali dei
pioventi. Le olle si trovarono ricoperte da apposite ciotole
ed in qualche caso anche da piatti rovesciati; taluna delle
olle fu trovata in frammenti ed alcuni coperchi si rinven-
nero rotti.

Il cinerario in travertino, che faceva eccezione su tutti
gli altri, per avere il coperchio diversamente conformato
con figura umana scolpita a rilievo, fu trovato nel primo
ambiente dello Ipogeo, sulla linea centrale di fronte allo
ingresso, nella stessa posizione in cui doveva trovarsi per
lo innanzi sulla panchina di fondo, prima che questa fosse
demolita. Per questo fatto, che dava naturalmente ad esso
un risalto manifesto su tutti gli altri cinerarî, per la posi-
zione speciale, che il cinerario stesso occupava, nonchè per
altri particolari, che saranno più oltre indicati, si ritenne
giustamente fin dalle prime, che in esso fossero raccolte le
ceneri del fondatore dello Ipogeo.

Entro ciascun cinerario di pietra o di terra cotta, si
trovarono soltanto ceneri o frammenti ossei carbonizzati,
residui d’ incompleta combustione. Nessuno oggetto metallico
o di altra natura.

Sul terreno, fra i cinerari e precisamente nei punti de-
signati dalle lettere S, si trovarono, senza alcun ordine ma-
nifesto, quattro specchi di bronzo, e nel punto designato
nella pianta con la lettera 0, si rinvenne un gruppo di re-



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G.

BELLUCCI

L'IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA ?

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| Pianta dell’ I-
j pogeo della fa-
miglia RUPIA,
come fu scoperto
nel 1887 presso Perugia,
nell’area dell’attuale Ci-
mitero. — La pianta ed i
cinerarî in pietra sono
alla scala esatta di !/,,.

] numeri, entro ret-
tangoli, indicano cinerari
in pietra; entro circoletti,
olle cinerarie fittili. S, si-
gnifica Specchi: 0, luo-
go ov era un cumulo di
fittili rituali.

Tav. I.













’ Y a ^ Y Tp ra
BELLUCCI L IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA »

G.

Veduta assonometrica libera dell’ Ipogeo della famiglia Ruria, immaginandolo scoperchiato ed

osservato dalla sommità della gradinata di accesso. :











L’ IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA » 129

cipienti in terra: cotta di uso ordinario, ed alcuni altri og-
getti, di cui più oltre sarà data la descrizione.
Sarebbe stato desiderabile, che l'Ipogeo si fosse conser-

vato integro all'ammirazione degli studiosi e di tutti coloro,
che circondano di assidua cura e di sincero affetto gli asili
dei morti, ma dal momento che i lavori di livellazione
rendevano indispensabile la distruzione di quell’ antico
monumento funerario, destinandone la superficie a nuovi
Ipogei, per coloro che oggi vivono e dimani morranno, fu
cosa vantaggiosa di raccogliere e conservare tutto il mate-
riale là entro rinvenuto e di prendere nota di alcune osser-
vazioni e mjsure, relative a quel vetusto Ipogeo, destinato
à scomparire per sempre.

Fin dal primo momento della scoperta, l'Ipogeo ricor-
dato, importantissimo, come vedremo, per la storia di una
delle ultime famiglie patrizie di Perugia etrusca, fu assi-
duamente vigilato e tutelato dall'Ispettore ai Monumenti,
prof. Luigi Carattoli e dal suo aiuto prof. Angelo Lupattelli.
Dobbiamo ad essi, non solo le prime notizie sommarie, che
si comunicarono sullo scoprimento avvenuto, ma anche le
misure relative alle diverse parti dell’ Ipogeo, l' esatta ubi-
cazione dei singoli cinerari e degli oggetti, che vi si rin-
vennero. Sulla base di questi dati, mi fu reso possibile di
far costrurre le due tavole d’insieme 1° e 2°, la prima delle
quali rappresenta in scala determinata, la pianta dello Ipo-
geo, con la relativa strada di accesso, nonchè l’ ubicazione
ed i rapporti, che avevano tra loro i cinerari e gli oggetti
rinvenuti nell'interno dell’Ipogeo medesimo. La seconda ta-
vola rappresenta invece, con veduta assonometrica (1) l'aspetto
complessivo dello Ipogeo, come sarebbe apparso all'osserva-
tore, se lo avesse riguardato dalla strada di accesso, imma-
ginando allontanata la volta, che lo ricopriva.

(1) I rapporti col vero non sono in scàla precisa, come lo sono invece nella

Tav. 1“; il disegnatore ideò una rappresentazione un po’ libera, specialmente ri-
guardo alle misure dei cinerari.





%








































G. BELLUCCI



Dobbiamo pure ai professori Carattoli e Lupattelli le
maggiori premure a tempo esercitate verso il patrio Muni-
cipio, perchè l’intiero materiale rinvenuto fosse subito ac-
colto tra le collezioni del Museo civico, come avvenne difatti.
Ed è perciò che i cinerari, passando direttamente dall’ Ipogeo
alle Gallerie del Museo, conservarono i colori delle iscrizioni,
come quelli delle decorazioni; mantennero parte delle dora-
ture di cui furono originalmente abbelliti; presentarono e
tuttora presentano quell' aspetto esteriore di nuovo, che
l'azione edace del tempo, sussidiata dall'aria umida, dalle
piogge, dal sole, dai licheni, non giunse mai a cambiare. Tutti
i cinerari difatti presentano anche oggi un aspetto tale di
freschezza nei loro particolari, da sembrare che soltanto da
ieri sieno usciti dalle officine del lapicida.

I cinerari in pietra rinvenuti nell’Ipogeo sono nella
maggior parte a superfici grezze, non provvedute cioè di ri-
lievi scolpiti. Dall’ esame anzi delle urne, che presentano
rilievi scolpiti, e di quelle che ne sono mancanti, si deduce,
che sono le urne in cui vennero collocate le ceneri dei de-
fonti di età più remota, che hanno rilievi scolpiti, accennanti
a credenze e leggende della Mitologia greca, le quali forma-
vano, come si conosce, tanta parte del patrimonio intellet-
tuale degli Etruschi. Succedono ad esse, sempre in relazione
col tempo e-con l'influenza crescente della dominazione ro-
mana, urne a superfici grezze o tutt'al più decorate da sem-
plici motivi ornamentali (rosoni, borchie, pelte amazzoniche,
forme di vasi o di piante) e finalmente si presentano i cine-
rari in terra cotta, in forma di semplici olle (1).

Dei quaranta cinerari rinvenuti nello Ipogeo, due soltanto
si trovarono anepigrafi ed uno, sebbene iscritto, si trovò fin dal
primo momento illeggibile. Dalla lettura della generalità delle
iscrizioni epigrafiche si comprese subito, che l'Ipogeo aveva

(1) In tutti gl’ Ipogei del territorio perugino, in cui si trovarono cinerari re-
lativi ad un lungo decorso di tempo, si verificarono fatti consimili a quelli descritti.











L’ IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA >» 131

appartenuto alla famiglia etrusca Rafia (1), che col volger del
tempo addivenne Raufia e quindi Rufia. Si potè pure stabilire,
che il fondatore dello Ipogeo fu Velio Rafi, il quale deve aver
voluto, che fossero raccolte là entro, con pietà ed affetto di
figlio, anche le ceneri de’ suoi antenati. Seguendone poi l' e-
sempio, avvenne, che per la pietà e lo affetto dei discendenti
e dei congiunti, si disponessero col volger del tempo, attorno
al cinerario del fondatore dello Ipogeo, quelli dei fratelli, dei
figli, dei nepoti, dei pronepoti, delle rispettive consorti, ed
alcuni altri difnon sicura determinazione familiare.

Le iscrizioni dei singoli cinerarî furono notificate, ap-
pena avvenuto il rinvenimento, al prof. Gamurrini, allora
R. Commissario agli Scavi e Monumenti per l Umbria, ed
alla Direzione Generale delle Antichità, presso il Ministero
della Pubblica Istruzione. L’ illustre archeologo, prof. Edoardo
Brizio, Direttore del Museo di Bologna, trovandosi in quel
tempo in Perugia ed interessandosi grandemente della sco-
perta, comunicò a sua volta apografi ed osservazioni al Di-
rettore Generale delle Antichità, Senatore Fiorelli, dal quale
furono fatte inserire nelle Notizie degli Scavi (2), unitamente
ad una brevissima notizia sul rinvenimento, redatta dallo
Ispettore locale, prof. Carattoli.

Tutte le iscrizioni epigrafiche esistenti nei cinerarî di
questo Ipogeo furono poi riportate dal Pauli, nel Corpus inscrip-
tionum. etruscarum, ove figurano, talora con qualche osserva-
zione, designate dai numeri 3469 al 3506 compresi (3). Tra

(1) Nel 1822 si scoprì presso Perugia, in luogo non bene determinato, ma sem-
bra a nord della città, un Ipogeo di altra famiglia etrusca Rafia, certamente più
antica, ma legata forse da parentela con quella sepolta nell’Ipogeo, illustrato con la
presente memoria, discoperto sessantacinque anni dopo.
I cinerari in travertino di codesta più antica famiglia Rafia, sono nella maggior
| parte conservati nel Museo civico, Galleria Ovest, designati dai numeri di catalogo
43-50. Furono illustrati da Vermiglioli, da Fabretti e da Conestabile.
(2) 1887, pagg. 391-395.
(8) Corpus inscriptionum etruscarum. — Lipsiae, apud J. A. Barth, MDCCCXCIII,
pagg. 439 a 443. :

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i
|
| |
|
d
|
|

li
IM I





132 . G. BELLUCCI

codeste osservazioni è necessario porne in rilievo due; la
prima concernente le relazioni di parentela tra i discendenti
della famiglia Rufia; la seconda, relativa a certi segni nume-
rici, che il Pauli rilevò sopra alcuni coperchi di cinerarî in
pietra, reputandoli meritevoli di note speciali.

Veniamo alla prima. In molti casi il Pauli, dopo aver
riferito le epigrafi, iscritte nei cinerarî, indicò la relazione
familiare dell'individuo, a cui l'iscrizione si riferiva, con
altro od altri discendenti della famiglia Rufia, le ceneri dei
quali furono egualmente deposte nello Ipogeo. Così si trovano
citate in alcuni casi le madri; in altri i figli; in altri i fra-
telli; ma il nome di nessun padre meritò, a modo di vedere
del Pauli, di essere segnalato, sebbene l’ indicazione di tali
nomi fosse evidentissima. Invero, se da trentasette iscrizioni
rinvenute nello Ipogeo, togliamo quelle di donne, specificate
soltanto col nome della famiglia di origine, ne residuano ven-
tidue, dodici delle quali hanno iscritto il nome del padre e
della madre; sei, quello soltanto della madre; quattro, quello
soltanto del padre.

Ho creduto opportuno rilevar ciò, per attenuare l’impor-
tanza esclusiva, accordata al concetto del matronimico, mentre
lo stato delle cose addimostra, che codesta importanza fu
soverchiamente concessa.

La seconda osservazione, che mi sono tenuto in dovere

di sollevare ad altre indicazioni del Pauli, mira a toglier di

mezzo un errore, in cui involontariamente Egli cadde, quando
esaminò i monumenti rinvenuti nello Ipogeo della famiglia
Rufia.

Per la maggior parte dei cinerarî in pietra, non per
tutti, il Pauli aggiunse, secondo i casi, le seguenti dizioni:
« in lecto est numerus » oppure « in tecto sunt numeri »; ci-
tando poscia il numero od i numeri, che nel coperchio, in
forma di tetto a doppio piovente, trovò segnati. Riferendo
tali numeri, Pauli ebbe quindi il pensiero, che fossero con
temporanei alle iscrizioni epigrafiche, esistenti nei singoli ci-

L’ IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA » 133

nerarî, e concedette quindi ad essi un'importanza, che real
" mente non avevano, e non hanno. Estendendo difatti le os-
servazioni a tutti i cinerari di pietra, Pauli avrebbe trovato,
come io ho potuto verificare, che la serie dei numeri incisi
nel tetto, procede regolarmente dal num. 1 al num. 80,
"quanti furono appunto i cinerarî rinvenuti; avrebbe inoltre
veduto, che codesti numeri, incisi col dorso di una lima sul
tetto, corrispondevano e corrispondono a quelli segnati in
matita azzurra o nera sulla fronte di molte urne; non in
tutte, perch& gli attriti ed il tempo, li hanno cancellati.

A maggior conferma delle precedenti asserzioni posso
‘aggiungere: anzitutto, che possedendo l’abbozzo della pianta
dell’Ipogeo, segnata nel tempo della scoperta, con l’ ubica-
zione dei singoli cinerarî, il numero che distingue ciascuno
di essi nella pianta, corrisponde esattamente a quello inciso
sul coperchio (in tecto) e segnato sull’ urna. In secondo luogo
posso ricordare, che il prof. Lupattelli, il quale penetrò
nello Ipogeo al tempo della scoperta, e rilevandone i parti-
colari, ebbe a registrarli, mi ha assicurato, che i singoli ci-
nerarî furono controdistinti con numeri progressivi e per
fissarne l'ubicazione nello Ipogeo, e per evitare facili con-
fusioni nei trasporti successivi, delle urne e dei loro coperchi.

Conseguentemente a ciò i numeri rilevati dal Pauli sono
da riguardarsi, come semplici segni distintivi, impressi mo-
dernamente e non meritavano certo di esser ricordati e rap-
presentati nel Corpus iscriptionum etruscarum.

*
* *

Fino al 1907, ossia per venti anni, i cinerarî provenienti
dall’ Ipogeo della famiglia Rufia, rimasero mescolati e dispersi
tra i numerosi cinerarî di provenienza diversa, esistenti nel
Museo civico; soltanto uno di essi, il più appariscente, aveva
avuto lonore, se cosi può dirsi, di esser tenuto in maggior
conto, essendo stato collocato tra quei cinerarî, che offrivano

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|



134 G. BELLUCCI

rilievi scolpiti, pregevoli per esecuzione artistica o per il si-
gnificato mitologico o simbolico, che rappresentavano. Ma
ogni relazione dl famiglia era stata troncata; ogni cinerario
rappresentava come una pagina staccata di un libro, senza
nesso con le pagine vicine, ossia con gli altri cinerarî, non
più intelligibile ad alcuno, mentre raccolti insieme, i cine-
rarî avrebbero offerto un interesse grandissimo.

Perfino le ceneri, pur rimaste, nei rispettivi cinerarî, e
nella pace dello indisturbato Ipogeo per oltre venti secoli,
furono da questi asportate e collocate separatamente entro
carte, nei cassetti di una vetrina del Museo! A qual criterio,
a qual sentimento si obbedisse nel far ciò, da chi preceden-
temente a me ordinò il Museo, è impossibile comprendere
e stabilire, tanto più se si considera, che alcuni cinerarî sol-
tanto e non tutti, furono vuotati delle ceneri, che contene-
vano. Noto questo fatto singolare, a dimostrazione ulteriore,
se pur ne fosse duopo, della realtà del pensiero, che l’uomo
non può e non potrà mai confidare di aver pace, nemmeno
quando il suo corpo sarà ridotto ad un pugno di ceneri!

Incaricato nell’anno suddetto del riordinamento del Mu-
seo civico, ritenni mio dovere di raccogliere le sparse ceneri
dei componenti dell’antica famiglia Rufia, ordinando poi
le urne che le contenevano, in apposita parte della Galle-
ria nord del Museo. Durante questo ordinamento ebbi agio
di considerare maggiormente il notevole interesse, che lo
insieme di quei monumenti presentava, e mi parve cosa op-
portuna di redigere un’illustrazione completa dell’ Ipogeo, e
di tutto ciò che da esso provenne, mettendo in luce così i
molti particolari, che scaturivano dai monumenti, singolar-
mente e comparativamente considerati, e che emergevano
da talune relazioni preziose del tempo, rimaste ignorate o
non considerate a dovere.

E mi confermai nel proponimento, riflettendo special-
mente al fatto, che sull’ Ipogeo della famiglia Rufia, erano
state pubblicate soltanto tre note, due delle quali di carattere

L’ IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA » "CO
*

essenzialmente 'epigrafico (Brizio 1887, Pauli 1893), ela terza ^
brevissima (Carattoli 1887), accennante allo scoprimento,
mentre per altri Ipogei, discoperti presso Perugia, ed anche
meno importanti di quello della famiglia Rufia, eransi pubbli-
cate per lo addietro complete illustrazioni.

Seguendo pertanto il concetto prefissomi e riferendomi
ai lavori epigrafici precedentemente indicati, aggiungendoli
o correggendoli all’ occorrenza, in seguito a migliore e più
accurata lettura, volli anzitutto dare forma concreta ad una
idea geniale, che il prof. Gamurrini per primo ebbe ad ini-
ziare in una lettera del tempo (26 agosto 1887), quella cioè
di stabilire la genealogia della famiglia Rufia, per quanto
poteva emergere dai numerosi cinerarî iscritti, raccolti nel
proprio Ipogeo (1). Ne derivò il seguente albero genealogico,
| reso completo per quanto mi fu possibile, col sussidiare la base
epigrafica, di tutti quegli elementi diretti e comparativi, che
parvero opportuni al migliore raggiungimento dello scopo. Il
numero posto a destra dei singoli nomi dei discendenti della
famiglia Rufia, corrisponde a quello di catalogo del Museo,
segnato in rosso su ciascun cinerario, ed a quello iscritto
nel perimetro della base, che li rappresenta nella Tav. 1°.

(1) Deve notarsi che al prof. Gamurrini non furono comunicate tutte le iscri-
zioni epigrafiche, e talune di quelle riferitegli ebbero omissioni ed errori, per cui
la Genealogia, che il prof. Gamurrini ebbe ad iniziare, restò naturalmente incom-
pleta.



GENEALOGIA DELLA FAMIGLIA RUFIA
(Originalmente RAFIA, poi RAUFIA, quindi RUFIA).

I I
Arunte (248) Aulo (254)
sposa
Tana Caia Lezia (262)



| | | I

Arunte (238) VELIO (266) Larte (239) Setrio (255)
sposa sposa sposa sposa

Fastia Tizia (254) Tana Marcia (244) Larzia Larzia Cincunia (246)

| Î I i l i

| | I -

| | Larte (257) Fastia (255) Setrio? Larte (353)
|



I | I I
Arunte (264) Aulo (268.9) Aulo (251) Velio (243) Larte (263) Larte (268.3)

sposa sposa
una Vibia Sutrinia (260)
o Fastia (261) I
o Tana (250) l

I | |
Arunte (268.2) Aulo (265) Larte (241)
sposa sposa

Tana Atinia (268.7) Cotonia

I l
Arunte (Aros) (268.6) Ì |

Sposa Aulo (268.1) Larte (268.5)
Terzia Avilia (249)

I
Arunte (Aros) (247)

Donna della famiglia Rufia, andata a marito in altra famiglia; le sue ceneri
però furono ritrovate nell’ lpogeo paterno; genitori incerti.
Tana Rafi, consorte di Sentinate, 259.

Donna di altra famiglia, entrata a marito nella famiglia Rufia, morta senza
figli e quindi impossibile la identificazione del suo consorte.
Tana Usetinia, consorte di Rafi, 252.

Figlie appartenenti alla famiglia Rufia, morte nubili; genitori incerti.
Velia Raufi, 240 — Tizia Rufi, 242.

Donne, di cui non può determinarsi la relazione con la famiglia Rufia.
Larzia Cecinia, 246. — Fastia Ancaria, 258. — Larzia Ottavia, 268.8.

Cinerari non intelligibili od anepigrafi.
Ignoti — 267 — 268.4 — 268.10.

L' IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA » 137





















La genealogia della famiglia Rufia, comprende un pe-
riodo di tempo di oltre due secoli; dalla prima metà del
terzo secolo alla metà del primo secolo, anteriori all'éra at-
tuale. L'ultima volta che l'Ipogeo si chiuse, dopo aver rac-
colto il cinerario dell'ultimo defonto della famiglia Rufia,
corrispose pertanto a quel periodo di tempo, in cui succe-
dette la guerra sfortunata di Perugia (— 41 e. a.), per la
quale si determinó la caduta definitiva degli Etruschi, come
nazione.

Dallo éSame dell'albero genealogico potrebbero fin d'ora
dedursi aleune conclüsioni, relative sia all’ onomastica, sia
ad alcune costumanze speciali, osservate scrupolosamente
dagli Etruschi, anche sul declinare della loro Egemonia. Mi
sembra opportuno però di esporle più innanzi, per profittare
del valevole aiuto, che all'uopo potrà offrire l’ illustrazione
dei singoli cinerari, la quale procederà ora in correlazione
con l’albero genealogico, e dove questo non potrà esser se-
. guìto, esporrà anzitutto i cinerari, mancanti di riferimenti si-
curi, e da ultimo, s'intratterrà su quelli anepigrafi.



|
|







G. BELLUCCI

CAPO II.

Descrizione dei singoli monumenti, con particolare riguardo alle rappresentazioni
figurate ed ai motivi ornamentali, nonché all’ epigrafi, che vi sono iscritte.

I AJIMRGA . AO. GA (5

‘248 ARunte RAFI figlio di ARZNI

Le due prime parole sono chiarissime e nessuna differenza si é
mai avuta nei diversi lettori. La terza parola invece fu diversamente
decifrata e conseguentemente ebbe differenti interpretazioni.

Carattoli lesse

HIA A dA

errando cosi nelle lettere punteggiate.
Gamurrini, sulla base della lettura precedente, interpetró

Ar. Rafi Arndalisa

soggiungendo, che in altro modo non poteva intendersi; consiglió
peraltro di rileggere meglio la terza parola, perché certamente doveva
essere corretta (26 agosto 1881).

(1) Pauli nel Corpus inscriptionum etruscarum citò normalmente le iscrizioni
come ebbe a rilevarle Danielsson nel 1890, e quando ebbe bisogno di notare qualche
differenza, la segnalò in nome proprio.

Pauli riferì pure per ogn’ iscrizione, la misura delle lettere che la costi-
tuivano, dando le cifre dell’ altezza, nel loro massimo e minimo, com’ ebbe a ri-
levarle Danielsson. A me non ha sembrato utile seguire in questo riferimento i
due eminenti etruscologi, anzitutto perché la sola citazione delle due misure e-

‘streme non rileva gli altri particolari delle lettere ; secondariamente, perché molte

lettere riuscirono malamente, per difetto del travertino, e non per volontà dello
incisore ; in terzo luogo perché molte lettere furono troncate dopo lo scoprimento
dello Ipogeo, e chi sa dirci, se quelle troncate fossero maggiori o minori delle
misure estreme riportate?

Ho preferito quindi attenermi ad un eltro criterio; citando ogn' iscrizione,
quando le sue particolarità interessavano o per la misura, o per la forma delle let-
tere incise, graffite o colorite, o per altre modalità concernenti la tecnica epigrafica.






L’ IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA » 139
Brizio, p. 394, n. 23 (1), lesse:

ASIMIGA



errando nella terza lettera.



Pauli, p. 489, n. 3472 (2), rilevò l’ errore commesso da Brizio,
commettendone altro in sua vece; suddivise poi la parola in due, con




interpunzione e distacco, leggendo :

AY. INNOA



^
Riflettè inoltre, che Brizio aveva omesso il punto interverbale, notando



però che Danielsson lo aveva già dichiarato incerto. Riguardò questo



Arunte, come fratello di Aulo, notato al numero seguente.

Lattes, nel suo recente lavoro « Le formule onomastiche dell’ epi-
grafia etrusca » (3), seguì il Pauli e riportò l'iscrizione suddetta tra
le formule quadrimembri, trascrivendola ed interpetrandola in tal





modo :



Ar. Rafi. Arzni. La (r8al)



Richiamando poi questa formula col numero assegnatole nel CIE
del Pauli, pose 3478, invece di 3479. '

Sulla parola Arznila ho voluto interpellare il prof. G. F. Gamur-
rini, anzitutto perché la lettura, come da me fu rilevata, corrispondeva




esattamente all' originale; poi perché la prima interpretazione da esso
data, era stata differentissima da quella degli altri Etruscologi, che
ne avevano fatto soggetto di studio. Il prof. Gamurrini, cosi mi ri-
spose.







« Mi sorprende, che il Pauli ed il Lattes abbiano commesso l'errore
nella lettura e nella interpretazione. Nella lettura, perché il la finale




dev'essere unita ad Arzni, come voi avete bene scorto ; nell’ interpre-



— —RÓ

tazione, perché Arzni, non é punto un cognome da aggiungersi al
nome familiare di Rafi, e la per Larthia, non ha che far nulla. Arzni
od Arzna, ed anche Arnza (così variamente scritto, e forse anche pro-
nunciato) é un prenome maschile, il quale deriva da Arnth (Aruns),










(1) Le indicazioni, che seguono al nome di Brizio, per questo, come per tutti
gli altfi cinerari che saranno descritti, si riferiscono alle Notizie degli Scavi, 1887. |
(2) Egualmente, le indicazioni che seguono e seguiranno al nome di Pauli, si i
riferiscono al Corpus inscriptionum etruscarum. 7 | |
(3, Mem. R. Ist. Lombardo. Milano, Hoepli, 1910, pagg. 93, 94. |













140 . Gà. BELLUCCI

come ho dimostrato nella mia Appendice al Fabretti. ai num. 205 e
224 (1). Ora Arznila, che correttamente doveva scriversi Arznisla, tiene
quel suffisso di la, cbe indica la derivazione. Pertanto Arzni è un pre-
nome terminato in 2, come Tefri, usato in Perugia (Ipogeo dei Volumni),
derivato da Tefre (Tevere); quindi :

Ar. Rafi. Arznila
deve tradursi
Aruns Rafius Arznae o Arzni filius ».

Attenendomi pertanto alla interpretazione del prof. Gamurrini, e
riflettendo che la parola Arzni, derivando da Arnth, corrisponde alla
voce latina Aruns ed all' italiana Arunte, l' intiera iserizione, che tanti
studi e discussioni ha determinato, deve nella sua forma piü concisa:

interpretarsi :
Arunte Rafio di Arunte.

Cinerario in travertino (0,38 - 0,26 - 0,932) (2). L'iscrizione
è incisa e non dipinta sulla fronte a timpano del coperchio,
fronte che si presenta abbastanza bene conciata; la qualità
peraltro non buona del travertino, offri al lavoro d'’ inci-
sione, cavità e fori molteplici e questi capitarono appunto
colà, ove l'iscrizione doveva svolgersi, rendendo una parte
della terza parola di difficile interpretazione. La difficoltà

si accrebbe a cagione della forma non comune, con cui si
rappresentò la lettera | che fu trascritta con la forma
ordinaria N, da tutti coloro che interpretarono tal lettera,
come una Z. Nella terza parola non esiste interpunzione, nè
distacco alcuno dell'ultima sillaba 1 J, sebbene nella pietra

(1) GAMURRINI G. F. Appendice al Corpus inscriptionum italicarum ed a’ suoi
Supplementi, di Ariodante Fabretti. Firenze, Ricci, 1880.

(2) Le misure da me riferite sono prese allo esterno dei cinerari; la prima
rappresenta la lunghezza della fronte; la seconda, la larghezza laterale, considerate
entrambe codeste misure sulla linea di base ; la terza rappresenta l’ altezza del ci-
nerario, presa sulla fronte anteriore.

Non ho creduto opportuno mettere in rilievo i molti errori e le ripetute tra-
sposizioni, che si verificano nelle cifre corrispondenti date da Brizio, nella sua prima
memoria, e dal Pauli nel Corpus inscriptionum etruscarum. Garantisco soltanto la
esattezza delle cifre da me riportate.

L’ IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA » 141

rimanesse posto per separarla, ove il lapicida avesse dovuto
disgiungerla.

Sulla fronte dell’ urna è un volto di Medusa, semplice-
mente abbozzato; i contorni di esso, distintamente segnati,
limitano la superficie in cui dovevano rappresentarsi i ca-
pelli, le ali, le serpi annodate sotto il mento; nessuna di
queste parti però fu scolpita. S'introdusse quindi nello Ipogeo
un cinerario, in cui fu indicato, ma non espresso, con le ri-
. sorse dell’arte, il concetto della decorazione. Le fasce late-
rali della f»onte dell'urna, più ristretta delle altre quella su-
periore, appariscono trattate a colpi di martellina dentata,
' ma non furono rifinite.

Questo Arunte figlio di Arzni od Arzna (1) deve consi-
derarsi come il capo-stipite della famiglia Rufia, come il
ceppo fondamentale da cui si distaccarono poi le ramificazioni
dei numerosi discendenti. Ebbe quattro figli e dalle iscri-
zioni esistenti nei rispettivi cinerari.deducesi, che la loro
madre, e quindi la consorte di Arunte I, si chiamò Caja, di
cui si parlerà nel seguente numero III.

II IMNGA . 18 Vq . PIVA
256 AULO RUFI figlio di ARZNI

Brizio p. 394, n. 22. Disse, che l’iscerizione, dopo essere stata in-
cisa, venne dipinta in nero.

Pauli, p. 439, n. 3491. Segui Brizio riguardo al color nero delle
lettere; pose un solo punto interverbale e ne collocó poi due nella tra-
scrizione. Lo riguardò fratello di Arunte, notato al numero precedente.
Forse per errore tipografico, la lettera J fu espressa con SE

Cinerario in travertino (0,47 - 0,31 - 0,38). L'iscrizione
è incisa sulla parte superiore dell’urna; allo esame più ac-

(1) Il cinerario di Arzni non si rinvenne nell’ Ipogeo della famiglia Rufia; la
morte di Arzni dev’ essersi verificata, prima che l’Ipogeo fosse scavato, e quindi il
suo cinerario sarà stato deposto altrove.

[|
III
T
|
MH.
|
|
T
MN
HIM |
[| ii
|
|
i
|











142 : G. BELLUCCI

curato non appajono tracce di color nero nelle lettere incise.
In questa iscrizione la lettera Y ha la forma comune e la
parola Arzni manca del suffisso, notato nell’ iscrizione pre-
cedente. Elisioni di tal genere si verificavano del resto di
sovente, specialmente nei prenomi. Sulla fronte dell’ urna è
un rosone, e sulla fronte del timpano del coperchio, tro-
vasi un rosone più piccolo.

Non risulta se Aulo Rufi si ammogliasse ed avesse fi-
gliuoli.

up AIOHIAIAAO
262 TAna CAJA LEZIA

Brizio p. 394, n. 21. Ammise una duplice interpunzione interver-
bale, che non esiste.

Pauli, p. 440, n. 3477. Seguì Brizio nell’ interpunzione ; riguardò
questa donna come madre dei quattro figli, designati ai numeri IV,
XXI, XXVI, XXIX. :

Cinerario in travertino (0,45 - 0,21 - 0,35). L'iscrizione
è incisa senza interpunzioni e senza distacchi interverbali
sull’alto della fronte di un’urna grezza; era colorita in rosso,
ma il colore non è più visibile, che nei tratti più profondi
delle lettere. Sul lato destro del coperchio sono dipinti di-
stintamente in rosso i tre segni + + +.

I cinerari distinti dai numeri progressivi I, II, III, si
trovarono collocati nello Ipogeo, prossimi l'uno all'altro, sul
limitare del secondo ambiente. Quello di Arunte I (248), di-
nanzi a quello di Caja (262), sua consorte; quello di Aulo
(256), disposto accanto a quello del fratello Arunte I, e si-
tuato longitudinalmente nella linea centrale del secondo am-
biente. Queste tre persone, trovandosi alla base della fami-
glia Rufia, devono essere discese nel sepolero prima di tutte
le altre; la disposizione dei loro cinerari, sebbene riveli il
primo caso di collocamento, avente carattere intenzionale,
addimostra contemporaneamente una posizione secondaria di



















L’IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA >» 143

fronte a quella occupata dal cinerario del fondatore dell’ Ipo- :

geo, Velio Rafi (266), e da quello dalla sua consorte Marcia

(244), di cui sj parlerà piü oltre.

Da Arunte I e da Caja Lezia si ebbero quattro figli:

Arunte II, Velio, Larte, Setrio. Quattro rami primari si ori-
; ginarono cosi sul tronco primitivo, e riferendomi ora all’ al-

bero genealogico, diró di ciascuna di queste quattro dira-

mazioni.

t . . .
Ramo primo, primogenito.

IV JAIA) . AA. 8V9 . GA |
238 ARunte RVFI figlio di ARunte e di CAIA à

Brizio, p. 394, n. 29.
Pauli, p. 439, n. 3418. Lo riguardó fratello di Velio (XXI), di Larte |
(XXVI), e di Setrio (XXIX), figlio di Caja (III). |

Cinerario in travertino (0.60 - 0.38 - 0.40). L' iscrizione
é incisa e poi dipinta in rosso sulla fascia di base del co-
perchio, con larga interpunzione. La fronte del coperchio,
E a forma di timpano, ha sopra la fascia predetta uno spec-
X chio incassato, contenuto cioè entro fasce perimetrali spor-
E genti; nel centro di esso un piccolo rosone.




L’urna ha una base grezza alta cm. 12, sporgente sul
piano verticale della fronte cm. 6; questa fronte è decorata
con un rosone centrale avente ai lati due ornati consimili








simmetrici, ciascuno dei quali ha la forma, come di due
ventagli contrapposti per i manici, congiunti da legamenti
intrecciati.

Arunte II ebbe in moglie :

V MI8A9 : Altit : 1t2A8
254 FASTIa TIZIA consorte di RAFI












144 G. BELLUCCI

Brizio, p. 394, n. 24. Errò nella forma dell’ interpunzione e nel
collocamento dell’ iscrizione, ponendola sul coperchio, mentre è sulla
fronte dell’ urna.

Pauli, p. 441, n. 3489. Rilevò l’ errore di Brizio sull’interpunzione
ed errò a sua volta in questa, collocando un solo punto interverbale.
Accennò all’ errore di collocamento dell’iserizione, e lo corresse (1).

Cinerario in travertino (0.50 - 0.32 - 0.45). Coperchio
con la fronte a forma di timpano, con rosone nel mezzo.
L'iscrizione fu semplicemente dipinta sull’alto della fronte
dell’ urna; sotto di essa è scolpita una forma decorativa
stilizzata, costituita da due pelte contrapposte per il dorso,
collegate nel mezzo.

Da Arunte II e da Fastia Tizia provennero tre figli;
Arunte_ III primogenito; Aulo senior, secondogenito; Aulo
junior terzogenito; quindi il ramo primario di Arunte II subi
una suddivisione, dando tre rami secondari.

Ramo secondo, primogenito.

VI OSA . 1849 . df
JAATlT
264 ARunte RAFI figlio di ARunTe e di TIZIA

Brizio, p. 394, n. 20.
Pauli, p. 441, n. 3488. Rilevò, che Brizio aveva omesso il punto
dopo OdAA, e lo collocò ; effettivamente peraltro non esiste.

Cinerario in travertino (0.44 - 0.26 - 0.34). L’ iscrizione
è formata da due linee; la superiore incisa e poi dipinta in
rosso sulla fronte a timpano del coperchio; la seconda for-

(1) Essendosi rinvenuto nello Ipogeo un altro cinerario con il nome di Tizia
(XXXII), Pauli ammise la possibilità, che la consorte di Arunte II potesse essere
stata l'una o l'altra delle due donne, col nome di Tizia. A suo luogo dimostrerò le
ragioni, che fanno ritenere corrispondente al vero, che la consorte di Arunte II fosse
proprio Fastia Tizia.



L'IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA » 145



mata da una sola parola a grandi lettere (7 ad 8 cm.) ), sola-
mente dipinte, trovasi nel centro della fronte dell’urna, che è
priva di ogni decorazione. Non essendo incise, il colore delle
lettere nella seconda linea è in gran parte svanito.

VII JRHItlt . dá .1843 . VH
2689. AUlo RAFI figlio di ARunte e di TIZIA (senior)








Brizio, p. 395, n. 30. Disse, che l’ iscrizione era graffita.
Pauli, p44443, n 3504. Lo riguardò fratello degl’ individui ricor-
dati ai numeri VI ed VIII e relativamente alla madre




; pose la qui-
stione, già citata in nota, nell illustrazione del numero V.










Cinerario in terra cotta, alto cm. 32, con iscrizione sem- 8
plicemente dipinta, resa poco intelligibile. Fu rinvenuto :
con altri cinerari consimili, nella parte centrale del secondo
ambiente, come risulta d




alla relazione contemporanea di Ca-
rattoli e Lupattelli, i quali





però non lessero |’ iscrizione, non
avendone fatto ricordo nelle loro note. Oggi però questo ci-
nerario non esiste altrimenti nel Museo e deve essersi rotto.

Aulo Rafi di Arunte e di Tizia, le di cui ceneri furono
collocate nell’ olla descritta, dev'essere
ché nell'Ipogeo fü trovato un altro cine









morto bambino, per-




rario, col nome stesso
di Aulo, e con indicazioni di genitori assolut





amente corri-
spondenti. E siccome' questo secondo Aulo ebbe moglie e
figli, è




da ritenersi nato dopo la morte del primo e quindi
a pochi anni di distanza. Per la coesistenza di codesti due
individui di nome Aulo, fu designato il primo, c
il secondo, come Junior.

VIII AITIT . QAA . I8A9. VA
251 AUlo RAFI figlio di ARunTe e di TIZIA (junior)




ome senior ;






Brizio, p. 393, n. 14.
Pauli,




p. 441, n. 3487. Lo riguardò fratello dei due individui ci- TM
tati ai numeri precedenti (VI e VII) e relativamente alla madre, rin- Da
nuovò la questione, citata in nota al numero VN.











G. BELLUCCI

Cinerario in travertino (0.44 - 0.27 - 0.36). L’ iscrizione
è incisa e poi dipinta nella parte superiore della fronte del-
l' urna ; nell ultima parola manca la 4 finale. Sotto l' iscri-
zione é scolpito ad altorilievo un rosone fra due pelte amaz-
zoniche, il tutto egregiamente lavorato. Il coperchio dell'urna
ha scolpito nella fronte, a forma di timpano, due pelte ada-
giate sul dorso ed inclinate.

Ramo terzo, primogenito.

Arunte III ebbe a consorte una Vibia; però essendosi

trovati nello Ipogeo due cinerari col gentilizio Vibia, l' uno
col prenome Fastia, l'altro con quello di Tana, non puó as-
sicurarsi quale di codeste due donne della famiglia Vibia,
probabilmente due sorelle, fosse la consorte di Arunte III,
ed a quale altro discendente della famiglia Rufia, l’altra Vi-
bia appartenesse (1). Una maggiore probabilità, per non dire
sicurezza, che Fastia Vibia fosse moglie di Arunte III, sta
nel fatto del collocamento dell’ urna, in cui furono raccolte
le sue ceneri, situata dinanzi a quella in cui si deposero
le ceneri di Arunte III (2). Non potendo però risolversi la
questione con tutta sicurezza, ho collocato nell’ albero ge-
nealogico i nomi delle due donne col gentilizio Vibia, ri-
guardandoli dubitativamente ; da ciò deriva ora la necessità
della descrizione di entrambi i cinerari.

(1) La famiglia Vibia doveva avere nell’ epoca etrusca parecchie diramazioni
nel territorio di Perugia, ed essere anzi una delle più ragguardevoli.

Un Ipogeo contenente cinerari di un ramo di tale famiglia, si rinvenne a Pon-
ticello di Campo (CONESTABILE, Dei Mon. di Perugia etr. e rom., vol. IV, pag. 82. Pe-
rugia, Stab. tip.-lit. Boncompagni e C., 1870), ed un altro a Monte Vile (Notizie Scavi,
1885, pag. 96). Esiste poi tuttora una località nel prossimo comune di Marsciano,
indicata ‘col nome di monte Vibiano, che doveva essere un possesso originario
della famiglia Vibia, dal quale provennero, e sempre provengono, monumenti
etruschi importantissimi.

(2) Nella pianta dell!' Ipogeo, il cinerario di Arunte III é designato col num. 264;
quello di Fastia Vibia, col num. 261. Entrambi sono situati sulla linea sinistra, al
principio del secondo ambiente. Questi due cinerari rappresentano pertanto un altro
dei casi intenzionali di collocamento, che si rivelano, considerando la sistemazione
genérale dei cinerari, come risultò nell’atto dello scoprimento dell’ Ipogeo.

L’IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA »

MI844 . ANA . Ag
FAstia VIBIA consorte di RAFI

Eoo MI8AI riportò, forse per
rrore tipografico, [118 AQ.

Pauli, p. 442, n. 3497. Corresse, senza farne rilievo, l'errore in
ui cadde Brizio.

Cinerario in travertino (0.42 - 0.30 - 0.32). L'iscrizione è
ncisa e poi dipinta in rosso ‘sul coperchio. L’urna è grezza.
Va

x MI1vVAd.n.anao
950 TANA VlIbia consorte di RAVFI

Brizio, p. 394, n. 17.
: Pauli, p. 442, n. 5496. Noto, che - [1 ex A [113 abbreviatum esse,
manifestum est -.

Cinerario in travertino (0.44 - 0.33 - 0.40). L’ iscrizione
è incisa e poi dipinta in rosso sul coperchio. Sulla fronte
dell urna. é rappresentato un largo volto di Medusa, dalle
gote paffute e sporgenti, con ali sulla fronte, dipinte in rosso,
e con serpi annodate sotto il mento.

Da Arunte III e da una Vibia (o Fastia, o Tana) nacque
Arunte IV.

XI 4ARI1I3 - d4 .18443 . d4
268 ?. ARunte RAFI figlio di ARunte e di VIBIA

Brizio, p. 395, n. 33. Il primo Qff fu segnato per errore 5.
Pauli, p. 443, n. 3503. Rilevò anzitutto che Brizio omise il punto
dopo il primo dA. ma non indicò l’ errore. Notò poi che l’ iscrizione
| aveva parecchie lettere incerte; però con attenta osservazione e ba-
gnando la superficie, che ha una leggera incrostazione calcarea, l’ iseri-
one risulta, come fu da me data, evidentissima.
Pauli soggiunse, che questo Arunte fu filius unius duarum mu-
lerum, indicate ai numeri IX e X.

Cinerario rappresentato da una piccola olla in terra

Cotta, di colore grigio, alta cm. 25, munita di due manichi

148 ‘ G6. BELLUCCI

orizzontali a forma di cordone; collocati sulla pancia. Il ci-
nerario manca oggi di coperchio. L'iscrizione dipinta in
rosso sulla superficie esterna dell’ olla, al di sotto della gola
del labbro, non é in buono stato di conservazione. La let-
tera 1 ài .1H[ 1IÀ manifesta una. correzione ed il colore
aggiunto per eseguirla, si diffuse irregolarmente ; dapprima
dovè essere segnata M o 7].
Arunte IV sposó:



XII I884 RI lita Afidt
e
268 7. TANA ATINIA consorte di RAFI

Brizio, p. 395, n. 31. Ammise un'interpunzione interverbale, che
non esiste.

Pauli, p. 442, n. 3499. La rguardó madre dell'individuo, desi-
gnato al numero seguente XIII.

Cinerario in forma di grande olla in terra cotta, alto cm. 33,
munito di coperchio; ha due manichi verticali a forma di na-
stro, cordonato nel mezzo. L/'iscrizione é in due linee ; la supe-
riore a grandi lettere (cm. 5), graffite e poi dipinte in rosso;
la inferiore, costituita dalla sola lettera è, semplicemente 3
dipinta.

Da Arunte IV e da Tana: Atinia nacque Arunte V.

x AROS RVIS ATINTA
NATVS

2686. ARVNTE RUFI NATO da ATINIA

E
3

Brizio, p. 595, n. 31. Riportó le prime due lettere S alla maniera
etrusca, mentre sono incise, come la terza lettera S, da destra a sini-
stra, alla latina.







L’ IPOGRO DELLA FAMIGLIA « RUFIA » 149

Lattes (1) p. 14, n. 38. Riportando questa iscrizione com'esempio
matronimico in xi seguito da natus, lesse

ATINIA, mentre é ATINIIA (Atinea).

Indicò pure che le A avevano un punto centrale invece dell’asticina, e
che due S correvano alla maniera etrusca. Come di sopra fu trascritta,
’ iserizione corrisponde esattamente all’ originale.

Pauli, p. 442, n. 3498. Rilevó che Brizio aveva omesso l’ inter-
punzione, che realmente non esiste. Riguardó questo Arunte, come
figlio della Toong, designata al numero precedente XII.

.Cinerario in terra cotta rossa, a forma di olla, alto
En. 32, con due manici verticali a nastro, coperto da un
piatto rovesciato, che si rinvenne slabbrato in una sua parte.
L'iscrizione, in due linee, fu incisa sotto il collo fra le
anse, e poi dipinta in rosso; il colore però non si è conser-
vato che nelle prime lettere di sinistra. 5

Le parole che formano l'iscrizione sono separate da
spazi ma ogni interpunzione è mancante. L'iscrizione, alla
maniera etrusca, ha lettere latino-arcaiche; le A hanno l'asti-
cina mediana parallela alla sinistra; l'inflessione in EA
della parola ATINIA è retta da NATVS ed accenna all’abla-
tivo. Osservando bene la lettera O di AROS, si vede, che
incisore graffi anzitutto l’ intiera asta sinistra della lettera
V, come se avesse dovuto scrivere in lettere latine, la pa-
rola etrusca ARVN/Z; poi si corresse, e sull'asta incisa adattò
una forma di O ovoidale, con la sezione più ristretta in
basso, rimanendo però visibile un trattino della parte su-
periore dell’asta della V, incisa precedentemente. Rimediò
anche all'errore commesso, non colorando il trattino residuo
dell'asta della V, mentre colori fortemente l'incisione della
ettera O, come tuttora risulta evidente. Pauli aveva già no-
ato, che il trattino residuo della V non era stato colorito.

(1) LATTES Etra, Le iscrizioni latine col matronimico di provenienza etrusca.

Atti della Reale Accad. di Arch. Lett. e Belle Arti di Napoli, Vol. XVIII, 1896-97;
rie D* N.-9.

|
|

G. BELLUCCI

Arunte V sposò:

xv TIIRTIAAVILIA:CERVETVXR
: 3
249 TERZIA AVILIA Figlia di Cajo CONSORTE WR
di RUFI È
Brizio, p. 394, n. 23.
Pauli, p. 442, n. 3494.
Cinerario in travertino (0.44 - 0.32 - 0.35). L'iscrizione,
con lettere prevalentemente latine, ma con dizione etrusca,
é incisa sulla fronte del coperchio a timpano. La sola let-
tera E conserva ancora la forma latino-arcaica || (1).
Sulla fronte dell’ urna è scolpito ad altorilievo un rosone
centrale, fiancheggiato da due pelte amazzoniche, il tutto



con aspetto straordinario di freschezza.
Da Arunte V e da Terzia Avilia nacque Arunte VI.

XV ARRVFIVsARAviliANATVSCEPA
247 ARunte RUFIO CEPA, NATO da ARunte
e.da AviliA

Brizio p. 394, p. 29. Lesse:
ARRVIIVIAN OC NATVS «PA
Lattes, p. 94, n. 96. Fondandosi sulla dizione letta da Brizio, in-
terpretó in tal modo l'iscrizione:
AR RV.) NATUS -O PA
soggiungendo, che in fine poteva leggersi (Agrip)PA, oppure (Pa)PA. 3
Pauli, p. 439, n. 3469. Secondo la doppia autopsia del Danielsson -
e propria, Pauli riportò l'iscrizione precedente nel Corpus inseriptio
num etruscarum in tal guisa:
AR: RVEI: V NATVS . CEPA
annotando, che a Danielsson parve potersi leggere,
NSRC AN... NAFUS:;

(1) È noto che la lettera || (E) si trova nella grafia etrusca, falisca, latino- È
arcaica.







































L’ IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA » 151

così che Pauli propose senz’ altro AN (caria) NATUS e gli sembrò

che questo Arunte avesse il gentilizio Rufi e potesse esser figlio di An-

caria, il cinerario della quale sarà più oltre descritto (XXXVI).

Cinerario in travertino (0.53 - 0.32 - 0.42). L'iscrizione
è incisa sulla fronte del coperchio ed è costituita per in-
tiero da lettere latine. Sulla fronte dell’ urna è scolpito un
rosone fra due pelte amazzoniche, la medesima ornamenta-
zione esistente sull’urna, che contiene le ceneri della madre,
| 'Terzia Avilia. Tali ornamenti sono però policromati, mentre
quelli del 4inerario della madre furono lasciati con l'aspetto
naturale del travertino. Il rosone ha il bottone centrale co-
lorito in giallo ed il margine dei petali in verde; mentre
gli scudi furono coloriti in verde e le costole marginali in
giallo. Fu pur data una tinta di fondo allo specchio in cui
- sono scolpiti a rilievo gli ornati suddetti; attorno al rosone,
| il fondo è giallo filettato in nero; attorno agli scudi, il fondo
è nero filettato in giallo. .

Il coperchio dell’ urna appare formato da una lastra
del cappellaccio del travertino di Ellera presso Perugia (1).
Dai caratteri - esterni, che presenta, risulta anzi evidente,

che il lapicida utilizzò un vecchio coperchio, adibito già
per altro cinerario, e siccome le sue dimensioni in lun-
ghezza risultavano corte, per l’ urna che doveva ricuoprire,
il lapicida ridusse .superiormente i margini esterni laterali
dell'urna con scalpellatura, di guisa che il cinerario, guar-

(1) Col nome di cappellaccio si qualifica comunemente lo strato superficiale di
una cava di pietra. Il giacimento travertinoso di Ellera fu notevolmente usufruito
dagli Etruschi, non solo per formare i cinerari, che per qualche migliaio sono stati
rinvenuti nel territorio, ma anche, e segnatamente, per la costruzione delle mura,
che cingevano, come cingono, a grande altezza, con massi enormi sovrapposti e
senza aiuto di cemento, Perugia etrusca.

L'esistenza dello esteso giacimento di travertino di Ellera dev’ essere stata
anzi una delle ragioni determinanti, e certo non l’ultima, perché le genti etrusche,
nella loro continua espansione nell' interno del continente, prescegliessero la loca-
lità dell'odierna Perugia per fondarvi una nuova residenza, che addivenne poi una
delle dodici città confederate dell’Italia centrale, reputata fin dalle origini, forte e
sicura, e per la sua elevata ubicazione e per le sue altissime mura.

































G. BELLUCCI

dato di fronte, non apparisse ricoperto da un coperchio più
corto. La misura presa sulla verticale delle pareti laterali
dell’ urna è di cm. 55, mentre la lunghezza del coperchio
è di soli cm. 48; quindi il lapicida scalpellò superiormente
le facce laterali dell’urna, riducendole di cm. 3,5 per lato.

‘Il lato anteriore del coperchio su cui trovasi incisa
l'iscrizione, fu ridotto a superficie un pò regolare mediante
martellatura. Le lettere, che costituiscono, l'iscrizione, furono
ottenute mercè una punta seguita da taglio, come potrebbe
essere, un coltello acuminato, incidendo ed abradendo la pie-
tra. L’istrumento incidente sfuggi peraltro più volte dalle
mani del lapicida, tracciando solchi traversi molto evidenti,
singolarmente nelle lettere R ed S. Tutte le lettere rimaste
sono poco profonde, anche perchè la qualità del travertino

non permetteva molta resistenza e facilmente dava, e dà
luogo al sollevamento di piccole schegge. La lunghezza to-
tale della superficie iscritta è di cm. 48; ma proprio nella
parte centrale, per una lunghezza di cm. 14, le lettere in-
cise sono oggi quasi completamente scomparse, e soltanto
con lente d’ingrandimento, se ne ravvisano qua e là pochi
tratti residuali. Le lettere minuscole e punteggiate nell'iscri-
zione surriferita, sono quelle incerte, ovvero mancanti in
tutto od in parte.

L'iscrizione fu originalmente dipinta con una tinta ver-
miglia, ancor essa in gran parte allontanata; quindi per
tal ragione e pel fatto della poca profondità delle incisioni,
la lettura di questa epigrafe si rese, e si rende tuttora, dif-
ficilissima, almeno in alcuni punti; queste diverse cause
spiegano le differenti letture ed interpretazioni.

Contro la maniera di vedere di Danielsson, e contro la
proposta definitiva del Pauli, rilevo anzitutto il significato
derivante da una più accurata lettura; poi il fatto, che la
iscrizione ricordante Fastia Ancaria è, come si vedrà, pret-
tamente etrusca, mentre tutti gli esempi di cinerari di que-
sto Ipogeo, stanno a dimostrare, che dalle iscrizioni etrusche

L’ IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA » 153

si passò alle iscrizioni latino-arcaiche, e da queste alle la-
tine; non vi è esempio in contrario. Da computi facili a

farsi, Fastia Ancaria dev'esser morta almeno un cento anni
prima di Arunte Rufi, figlio di Arunte V e di Avilia.

Con Arunte VI termina la stirpe fondamentale, primo-
; genita degli Arunti, le ceneri dei quali furono collocate nel-

l'Ipogeo della famiglia Rufia.

Ramo terzo, secondogenito.
P d
Come si vide, Aulo senior (VID, figlio di Arunte III e di
‘fizia, morì bambino e da questo ramo secondogenito non si
ebbe perciò prosecuzione ulteriore.

Ramo terzo, terzogenito.

Aulo junior (VII), figlio di Arunte III e di Tizia, sposò:

XVI Mi8VAQ . IdNIOTVeè . ANAO
260 TANA SUTRINIA consorte di RAVFI

Brizio, p. 398, n. 9.
Pauli, p. 441, n. 3486. Pose due punti dopo Tana. La riguardó
madre degl'individui designati ai numeri seguenti XVII e XVIII.

Cinerario in travertino (0.28 - 0.35 - 0.30). L’ iscrizione
è incisa e poi dipinta in rosso sulla parte superiore di
un’urna grezza. La lettera 4 di {IAMIOTV@ ha le aste
orizzontali così poco accentuate, che potrebbe leggersi
IMIOTVe.

Da Aulo junior e da Sutrinia nacquero due figli, Aulo II
e Larte; quindi la diramazione terziaria subi una nuova
suddivisione.













G. BELLUCCI

Ramo quarto, primogenito.

XVII OVE-184T. VA
JAININ
265 AULO RaFI figlio di SUTRINIA

Brizio, p. 392, n. 3. Ammise, che per negligenza dello scrittore,
fosse dimenticata la lettera (1 di [8 1.

Pauli, p. 441, n. 3484. Collocó due punti dopo 189. mentre ve ne
ha uno solo. Lo riguardò figlio della donna notata al numero prece-
dente e fratello di quello, designato al numero seguente XVIII.

Cinerario in travertino (0.38 - 0.31 - 0.31). L/ iscrizione,
in due linee, è profondamente incisa e poi grossolanamente
dipinta sulla fronte di un’ urna grezza. Il gentilizio manca
della lettera fl, o per negligenza del lapicida, o per omis-
sione vocalica, solita a verificarsi nelle parole etrusche. Le
lettere sono irregolari, non uniformi e d’insolita grandezza;
misurano da cm. 5 a cm. 8 di altezza; sono poi più grandi
nella seconda linea, di quello che nella prima, e cosa sin-
golare, vanno gradatamente accrescendosi nelle dimensioni,
dalla prima lettera a destra, all’ ultima a -sinistra di ogni
linea. La tinta rossa data alle lettere incise superò di molto
i margini di ciascuna di esse, risultandone così aste di no-
tevole.larghezza, da 10 a 15 mm. Di tutte le iscrizioni epi-
grafiche, esistenti nei cinerari della famiglia Rufia, questa
di Aulo II, è quella che si distingue per maggiore altezza
di lettere e contemporaneamente per maggiore espressione
lineare delle lettere medesime. Da tuttociò risulta, che il la-
picida era un principiante, seguendo l'abitudine di aumen-
tare le dimensioni delle lettere, di mano in mano che le
incideva, come fanno i bambini, quando scrivono lettere in
una superficie libera e non entro linee parallele, che ne
limitino l'altezza.

L’ IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA »

EVHI .- Aniqove - 1884 - 44.1
241 LARTE RAFI figlio di SUTRINIA
Brizio, p. 393, n. 7.
Pauli, p. 441, n. 3485. Lo riguardó figlio della donna, designata
al numero XVI e fratello dell' individuo indicato al numero XVII. In-
vece dell’ interpunzione lineare fra le parole, collocó un punto. Omise

l’ultima I.

Cinerario in travertino (0,46 - 0,36 - 0,38). L'iscrizione
è incésa e poi dipinta sul coperchio di un’urna semplice; nel-
l'ultima parola manca Ja finale J. L'interpunzione è lineare;
la forma delle lettere è irregolare; la traccia dell’ incisione
fu oltrepassata in modo notevole e non regolare dalla tinta
rossa, data dipoi alle lettere.

Non risulta, se codesto Larte prendesse moglie ed avesse

figli, per cui il ramo secondogenito di Aulo II e di Sutrinia

ha termine con esso.

Il ramo quarto, primogenito prosegui a svilupparsi,
poichè Aulo II sposò Cotonia e da questa ebbe due figli,
«Aulo III e Larte. Il cinerario di Cotonia non fu però rin-

venuto nell Ipogeo della famiglia Rufia; il nome di Cotonia
- risulta chiaramente indicato nei cinerari dei suoi due figli.

XIX AAA V TVDI8AI . dIVA

2681. AULO RAFI figlio di COTONIA

Brizio, p. 395, n. 32.
Pauli, p. 443, n. 3500. Lo riguardò fratello dell’ individuo desi-
gnato al numero XX.

Il cinerario è rappresentato da una piccola olla in terra
cotta grigia, alta cm. 23, avente due manichi orizzontali ed
un coperchio formato da una coppa etrusco-campana.

L'iscrizione è graffita in un lato del cinerario, sotto la
gola dell’olla, in caratteri etruschi e con una sola interpun-









156 G. BELLUCCI

zione. Nella parte opposta trovansi graffite le seguenti let-
tere latine

A:: RV
principio di un’ iscrizione bilingue, o meglio digrafe, come
suggerisce Lattes, che però .non fu proseguita.

Questo cinerario in terra cotta si rinvenne collocato
in una nicchia, scavata nella parete di fondo, alla sinistra
del primo ambiente dell’ Ipogeo, designata nella pianta col
num. J. Nell'atto dello scoprimento si ritenne, che entro il
cinerario si conservassero resti di lenzuola di amianto com-
buste (1). A parte il concetto della combustione di tal sorta
di lenzuola, che se venivano adoperate, s'impiegavano ap-
punto per la loro incombustibilità, ho riconosciuto chimica-

mente, che la sostanza agglomerata, esistente entro il cine-

rario, era semplicemente carbonato di calcio spugnoso, deri-
vante dal lento stillicidio di acque calcaree, cadenti dal ter-
reno soprastante.

xx LRVIUS-COTONIA
NATVS

2685. LARTE RUFI nato da COTONIA

Brizio, p. 395, n. 35. Rappreseutó la prima S, come scritta da si-

nistra a destra alla maniera etrusca, mentre è normale da destra a si-
nistra; collocò poi tre punti dopo il gentilizio, mentre ve n’ ha uno
solo: erró anche nella posizione della punteggiatura.
Lattes, p. 14, n. 39. Riferisce questa iscrizione, com’ esempio di
matronimico in ablativo, seguito da natus. Nella citazione di Lattes si
nota, che le due lettere S corrono da destra all’ etrusca, mentre sono
normali alla latina. Vi è pure indicato, che la lettera L è acutangola,
mentre è rettangola (2).

(1) Questa particolarità trovasi indicata anche nel Catalogo 1886 del Museo, al
num. 1974.
(2) Op. cit., a pag. 149.

L’IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA » 157
;

Pauli, p. 443, n. 2501. Lo riguardó fratello dell'individuo notato»
al numero XIX.

Cinerario rappresentato da un'olla in terra cotta rossa,
alta cm. 30, con due manici a nastro verticali, ricoperto da
un piatto nero rovesciato, rinvenuto rotto in due parti. L'iscri-
zione é graffita a grandi lettere, dipinte poi in rosso; la
punteggiatura trascritta corrisponde all' originale.

^
Ramo primario, secondogenito.

XXI A18» * IA A 18A9 4 49
266 VELIO RAFI figlio di ARunte e di CAJA

Brizio, pag. 392, n. 1.
Pauli, pag. 439, n. 3414. Lo riguardó figlio della donna designata al
numero III e fratello di quelli. indicati ai numeri IV, XXVI, XXIX.

Cinerario in travertino, notevole per le dimensioni (Q5
0,45 - 0,40), e per il fatto, singolare nell' Ipogeo della famiglia
Rufia, di esser l’unico ad avere un coperchio scolpito a ri-
lievo, con la rappresentazione, del resto comune, della figura
di un uomo recumbente, che si fa assistere al convito de-
gl Inferi (Tav. III, fig. A). Codesta forma di uomo poggia
il gomito sinistro sugli origlieri; ha il tronco eretto e con

la mano destra accenna a togliersi dal capo la corona, che
originalmente era dorata. o

Brizio ammise che l'atteggiamento di tale uomo recum-
bente fosse invece quello di collocarsi sul capo la corona;
a me sembra però, che in tal caso l'artista avrebbe rap.
presentato il personaggio con la corona non completamente
e regolarmente cinta sul capo, come invece si verifica. Il
lavoro del lapicida nelle diverse parti del coperchio è però
grossolanamente condotto, quasi semplicemente abbozzato.



















G. BELLUCCI

L’ iscrizione è incisa, con caratteri molto regolari ed
egualmente spaziati, in una fascia rettangolare, che forma
la base del coperchio. Le lettere misurano cinque centimetri
di altezza; dopo l' incisione furono dipinte in rosso, curando
evidentemente, che la tinta non si spandesse all' infuori dei
margini delle incisioni. L' interpunzione è sotto forma di pic-
coli triangoli.

La coltre che ricuopre la parte inferiore del corpo di
Velio Rafi, doveva essere originalmente colorata in rosso.
Questa tinta è oggi quasi completamente scomparsa sulle
parti rilevate; ne restano però segni manifesti sulla super-
ficie orizzontale del letto, ai piedi dell' individuo semigiacente,
ove apparisce eziandio, che la coltre rossa si ripiegava ver-
ticalmente per tutta la larghezza del letto e per un’altezza
di due centimetri.

Il singolare poi si è, che sul principio delle facce late-
rali del letto, in corrispondenza degli angoli ch'esse formano
con la fascia anteriore, in cui é l'iscrizione, il color rosso é
più intenso ed occupa tutta l'altezza della fascia (cm. 7,5),
per un'estensione di centimetri undici a destra, nove a sini-
stra. Dallo insieme risulta quindi, che la coltre, la quale ri-
cuopriva il letto di Velio Rafi, era di color rosso, e che la

fascia anteriore, su cui fu incisa l'iscrizione, doveva figu-

rare come una targa bianca, collocata sopra la coperta rossa,
della quale apparivano i risvolti laterali. E che ció fosse nel-
l'intenzione dell'artefice di rappresentare, lo si deduce anche
dal fatto, che sulla fronte, ove trovasi l'iscrizione, e preci-
samente nellangolo inferiore a destra, essendosi verificata
una rottura del travertino, la sola superficie della scheggia-
tura fu colorita in rosso, come se da codesta irregolarità
della targa, dovesse apparire il color rosso della coltre sot-
tostante

La fronte dell' urna riposa su due piedi laterali; in essa
è rappresentata l’ effigie del defonto dinanzi alla porta del-
l’ Hades. L' arco della porta ha i piedritti sporgenti interna-

L'IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA » 159

nella maniera con cui gli Etruschi solevano costrurre

mente,
i grandi archi, segnatamente delle porte urbiche (1). Consi-

derando la distanza che separa la base dei piedritti e 1)’ al-

tezza dell arco, si deve dire però, che questo risulta nello
insieme sproporzionato; troppo largo alla base in relazione
con l'altezza.
Linee rosse orizzontali e verticali accennavano ai massi
riquadrati dei piedritti e linee oblique segnavano le super-
"fici di combaciamento delle pietre dell'arco; oggi questi par-
" ticolari rilew&ti nel momento della scoperta dell'Ipogeo, sono
in gran parte scomparsi, o non restano di essi che lievi
"tracce. La porta dell Hades é chiusa; sembrava figurata in
legno, dipinto in giallo; i rinforzi e le traverse erano di co-
lore violetto, con fogliette in oro collocate fra loro a distanza,
| per accennare alle borchie ed ai chiodi, che connettevano
le diverse parti della porta, rinforzandole. Anche di questi
| particolari non restano oggi visibili che poche tracce.
; Nei fianchi dell’ arco, nei rincassi, sporgono due protomi
femminili, vestite di tunica, pieghettata sul petto. Il loro
sguardo benevolo è verso la porta ed il profilo del loro volto,
segnatamente della protome sinistra, è propriamente am-
mirevole (Tav. III, fig. B); la protome destra è in parte rovi.
nata da un difetto naturale del travertino, emerso durante il
lavoro ; anche queste due protomi femminili serbano tracce di
| doratura. Esse rappresentano il volto di due Eumenidi, sorta di
geni tutelari, che si collocavano dagli Etruschi a fianco del-
l'arco, anche delle grandi porte urbiche, come distintamente
si osservano tuttora in Perugia, negli avanzi dell'Arco di
porta Marzia (Tav. III, fig. C) (2) e meno distintamente,
per ragione del tempo e della qualità della pietra adoperata

(1) Questo particolare di costruzione é manifestis-imo in Perugia nella Porta
‘urbica etrusca di Piazza Fortebraccio, ed avanzi corrispondenti si osservano puré
nella Porta Eburnea e nell’arco, detto, dei Gigli.

(2) L'architetto Sangallo volle conservarli all'ammirazione dei posteri, collocan-
doli sulla fronte del bastione del forte Paolino, che ricuopre i piedritti dell' antica
porta urbica etrusca (1540). Certamente l’arco manca di un giro interno di pietra.













160 G. BELLUCCI

a rappreSentarle, nell’arco della porta urbica in Piazza For-
tebraccio.

Dinanzi alla porta dell’ Hades vedesi in piedi una figura
virile, rivolta a sinistra, egregiamente modellata e scolpita
ad altorilievo, ricoperta da lunga veste ed avvolta nella toga
bianca con orli di colore azzurro. I piedi sono calzati, e le
scarpe erano originalmente dorate. Il braccio sinistro è am-
mantato dalla toga; il destro è libero e la sua mano stringe
alcune assicelle, che dovevano essere probabilmente di legno,
in cui sono intacche trasverse, a simulare forse le linee

della scrittura in esse incisa; rappresentano forse le tavole
della legge, simbolo dell’officio, che tale personaggio aveva ri-
vestito. La testa di tale uomo è un ritratto personale di sor-
prendente vivezza e di profonda individualità (Tav. III, fig. D).

Per i particolari che presenta, non v’ ha dubbio, che l'artista
intese ritrarre i lineamenti principali, che caratterizzavano in
vita la fisonomia dell’uomo, di cui un sol pugno di ceneri si
trovò raccolto nell’ urna. La testa è calva; la fronte e lo
sguardo rivelano persona molto intelligente; pochi capelli
dipinti in rosso scuro adornano ancora all’occipite e presso
le orecchie quella testa virile; il volto é imberbe. L'indi-
viduo cosi ritratto, addimostra un’età di 60-65 anni (1).
Tale personaggio è Velio Rafi, secondogenito di Arunte I
e di Tana Caja Lezia, il quale, come già si è indicato, dev'es-
sere stato il fondatore dello Ipogeo. Ai particolari già notati,
che condussero a questa conclusione, deve aggiungersi quello
che Velio Rafi ricuopri nella città di Perugia etrusca, un of-
ficio elevato, una carica pubblica, quella di Magistrato elet-
tivo della città, officio che, non essendo stato ricoperto da
altri della famiglia Rufia, costituiva per sè stesso una supe-
riorità sui congiunti, e quindi meritava da questi riguardo e

(1) Da tale figura non rilevasi quella degenerazione fisica, che si manife-
stava con la pinguedine e con l'o'esità (pingues et obesi Etrusci), caratteri che
avrebbero cominciato a palesarsi comunemente nella gente etrusca, fin dal III
secolo (— e. a.).

L’ IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA »

segnalazione (1). Nello insieme pertanto questo cinerario rap-
presenta sulla fronte, la figura del Magistrato vivente, con
il simbolo dell’officio che ricuopriva, nelle sue mani; sul co-
perchio invece raffigurasi lo stesso individuo dopo morte,
facendolo assistere al convito degl’ Inferi, nell’ atto in cui si
toglie quella corona, che in vita, fu simbolo forse dell’ alto
officio di cui era insignito.

Comparando ora l'esecuzione artistica, egregiamente ac-
curata e condotta, della fronte di tale urna, con quella affret-
tatamente Wtascurata della scoltura del coperchio, si può
ritenere, che due furono i tempi in cui l'artista ebbe a
condurre il proprio lavoro; un primo tempo di calma,
quando ancora Velio Rafi era vivente e Je sue fattezze per-
sonali potevano esser ritratte dal vero; un secondo tempo,
affrettato e ristretto, quale quello che dové verificarsi tra
la morte, la cremazione e l'introduzione del cinerario nel-
l Ipogeo. E questo esempio conferma quanto altrove ebbi oc-
casione di asserire, che i coperchi dei cinerari dovevano s0-
litamente apprestarsi, quando l’ urgenza del loro impiego li
rendeva necessari (2). Per tale ragione risultavano meno arti-
sticamente compiuti ed il più delle volte, come nel coperchio

di Yelio Rafi, rimanevano semplicemente abbozzati.

Velio Rafi condusse in moglie :

WXII 218441. DIAM . ANAO
244 TANA MARCIa consorte di RAFI

Brizio; p, 392, n. 4.
Pauli, p. 444, n. 3483. La ritenne madre degl' individui designati
Mai numeri XXIII, XXIV, XXV.

(1) Sebbene si posseggano notizie scarse ed incerte sui singoli Stati della na:
zione etrusca, pure sembra, che ciascheduno di essi fosse originalmente governato
‘da Re. Fino dal V secolo però (— e. a.) erano subentrate alle autorità regali, quelle
dei magistrati elettivi.

(2) BELLUCCI GIUSEPPE, Guida alle collezioni del Museo etrusco-romano in Pe-
| rugia. — Perugia, Un. tip. coop., 1910, pag. 31. >

14















G. BELLUCCI

Cinerario in travertino (0,45 - 0,42 - 0,39). (Tav. III, fig. E).
L’ iscrizione è incisa a lettere piccole, ma molto regolari
sulla fascia di base del coperchio; misurano da mm. 20 a 25
di altezza e dopo l’ incisione furono dipinte in rosso, man-
tenendo la tinta nei limiti dei margini delle lettere. La
fronte del coperchio, in forma di alto timpano, è divisa,
sopra la fascia della base in cui trovasi l'iscrizione, in
due campi eguali; in quello di sinistra è scolpita in alto-
rilievo una figura di donna, che sembra adagiata sulla
kline. Ha il gomito sinistro poggiato su due origlieri, mentre
la mano protende l'indice nella direzione dell'orecchio sini-
stro, in quell’attitudine mimica, che dicesi riflessiva o pen-
sosa. Il braccio destro disteso, sostiene con la mano la pa-
tera propiziatrice, poggiata sul ginocchio, sensibilmente rial-
zato, forzando a pieghe le coltri. Codesta figura di donna.
ha una capigliatura regolarmente acconciata, con discrimina-
tura centrale; i capelli erano stati coloriti in rosso cupo, oggi
però la tinta è molto sbiadita. La donna è vestita di tunica,
allacciata alla vita; le coltri sono abbassate fin quasi a metà
del corpo; la testa di tal figura di donna si erge proprio sul
centro del timpano del coperchio. Nel campo destro di questo,
si osserva presso il dorso ed il capo della figura di donna,
una lunga anfora di tipo romano, posata a terra con la sua
parte inferiore terminata a punta, munita di due manici. A

fianco di quest’ anfora è poi collocata una mensa (tavola),
sorretta da tre piedi, inflessi internamente a metà della loro

lunghezza, sulla quale sono deposti due pani piramidali ed
una focaccia tonda. Nello insieme una scena del convito
degl’ Inferi, a cui si fa assistere anche Tana Marcia.

La fronte dell’ urna ha una base sporgente tre centi-
metri; in essa è rappresentata ad altorilievo l’ uccisione di
Troilo per mano di Achille. Gli artisti usarono sempre gran-
dissima libertà nello svolgere codesto tragico avvenimento,
segnatamente nel campo della vascularia. I bassorilievi etru-
schi, scolpiti nei monumenti venuti in luce dal territorio pe-

L’ IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA » 163

rugino, addimostrano però due concetti principali seguiti dagli"
artisti; o nella scena campeggia Troilo a cavallo, ed Achille
lo raggiunge a piedi; ovvero Achille a cavallo è nel centro
della scena ed insegue Troilo, che gli fugge dinanzi, cor-
rendo (1). L'artista che scolpi l’altorilievo del monumento ci -
nerario di Tana Marcia, informò il suo lavoro al primo con-
‘cetto, che del resto è meno dissonante dalle risultanze delle
notizie classiche, che ci sono pervenute (2).

La scena ha tre soli personaggi; nel centro Troilo, ca-
valcanteeil destriero; Achille a sinistra, Patroclo a destra (3).
Il cavallo di Troilo, abbattuto per opera del guerriero, com-
pagno di Achille, e stramazzato a terra con la parte ante-
riore, poggia la testa al suolo sul lato sinistro, riguardando
con occhio mesto, come di compassione, il proprio cavaliere.
Troilo reggendo ancora le redini, sta per scendere a terra,
quando si sente vigorosamente acciuffare pel crine da A-
chille, che sta per inferirgli il colpo fatale di spada. Invano

(1) Senza notare i molti cinerari, che rappresentano sulla loro fronte il mito
di Troilo e che si trovano dispersi in molte località del territorio di Perugia, ricor-
derò qui per comparazione, quelli conservati nel Museo civico di Perugia. I numeri
di catalogo 54 e 193 rappresentano Troilo a piedi, raggiunto da Achille a cavallo;
i numeri 46, 74, 100, 122, 128 rappresentano invece Troilo a cavallo ed Achille lo
raggiunge a piedi. Il numero 74 presenta poi una scena molto conforme per i suoi
particolari a quella scolpita sul cinerario di Tana Marcia, consorte di Velio Rafi.

(2) Sebbene Troilo fosse stato messo in guardia contro il valore e le insidie di
Achille, pure fu sorpreso da questi, mentre esercitava i suoi destrieri, tenendosi al
sicuro presso il tempio di Apollo, che riguardava come suo Nume tutelare, dinanzi
alla porta Scea della distrutta Troja. La sua morte era del resto considerata come
fatale per la perdita di Troja, se fosse avvenuta, come avvenne difatti, prima del
20° anno di età. Ciò è in sostanza tutto quello che si raccoglie dagli scoliasti e da-
gli scarsi frammenti, che pervennero fino a noi, della perduta tragedia di Sofocle.

(3) Brizio cadde in errore quando ammise (Notizie Scavi, 1887, pag. 393, n. 4)
che il terzo personaggio di questa scena fosse un guerriero in soccorso di Troilo.
Anzitutto questo guerriero é in attitudine di colpire Troilo con un colpo di fen-
dente; in secondo luogo la comparazione della scena scolpita su questo monumento,
con quella esistente su monumenti consimili, rinvenuti nel territorio, assicura er-
rata la maniera di vedere di Brizio. In quei monumenti, in cui una terza persona,
il pedagogo, cerca di soccorrere Troilo, la scena è rappresentata tutta diversamente
da quella esistente nel cinerario di Tana Marcia. Troilo è a piedi e corre verso il
pedagogo, vestito di toga e senza armi; il pedagogo alza le braccia e si attenta di
fermare il cavallo, che Achille spinge a tutta corsa per atterrare Troilo.











164 G. BELLUCCI

Troilo cerca di liberarsi per mezzo dei movimenti della de-
stra, dalla ferrea mano di Achille. Patroclo dall’altra parte,
dopo aver fermato ed abbattuto il cavallo, tenendo sempre
impugnato lo scudo circolare con la sinistra, sta per menare
ancor esso un fendente sul capo del giovinetto Trojano.

La scena resta cosi espressa con molto vigore e movi-
mento e maggiormente risalta per virtü di contrasti. I due
guerrieri a piedi, Troilo a cavallo; i due guerrieri, armati
di spada e di scudo circolare, vestiti di lorica e coperto il
capo di elmo rotondo; Troilo invece col capo scoperto, ha sol-
tanto un leggero mantello gittato sugli omeri, che ricuopre
la nudità della sua persona. Sul fondo del quadro, colorito
in azzurro, e simulante perciò il colore dell’ aria libera, le
figure dei due guerrieri risaltavano per la tinta verde, data
alle loro armature, mentre il cavallo ed il corpo di Troilo
spiccavano sul centro, per la tinta bianca della pietra, la-
sciata con studio nel suo colore naturale, ad eccezione dei
capelli di Troilo, tinti in rosso scuro.

L'artista, se così può dirsi, dimostrò quindi non solo di
saper bene adoperare lo scalpello in un campo così ristretto,
come quello della fronte dell’ urna (0,45 X 0,36), ma di sa-
persi giovare opportunamente degli effetti contrapposti, per
rendere più impressionante ed efficace il soggetto trattato.
Delle tre figure, quella che risultò migliore delle altre, anche
per la posizione più corretta e più rispondente al vero, è la
figura di Patroclo. Certo qualche menda apparisce qua e là
all’osservatore; ad esempio il cavallo di Troilo, stramazzato
in quel modo a terra con la sua parte anteriore, è invero.
simile, che potesse ancora reggersi in piedi sul treno poste-
riore; lo scudo di Achille, collocato sopra la testa di Troilo,
non pare più infilato nel braccio, e non si capisce come
possa reggersi, così campato in aria; la posizione singo-
lare del piede destro di Troilo, che scendendo a terra in.
contra proprio la pianta del piede del cavallo, rivolta in alto,
e sembra posarsi su quella; ma certi effetti, diremo esage-

L' IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA » 165

rati, non dovevano dispiacere in quel tempo; certe difficoltà 2
dell’arte, non si superavano allora così facilmente, ed anche
il sentimento estetico degli osservatori, meno educato del
nostro, non rilevava certe dissonanze e certi particolari,
troppo studiati od apparentemente inverosimili. Comparando
però questo bassorilievo con quelli scolpiti nei cinerarî etru-
schi in generale e specialmente con quelli, che rappresen-
tano lo stesso soggetto, può ben dirsi che quello figurato nel
monumento di Tana Marcia fu espresso con molta cura e
bastante erità e condotto da uno dei migliori, che in quel
tempo esercitavano l’arte di scolpire, in Perugia etrusca.

Tenuto conto poi di certi particolari, come la posizione
sollevata del ginocchio destro di Tana Marcia; la vivezza e-
la forza con cui furono espresse le pieghe delle coltri ed
anche del manto di Troilo; il modo con cui furono rappre-
sentati gli occhi nelle diverse figure, nonchè l’ accentuata
loro obliquità, carattere dominante negli etruschi; e compa-
rando questi particolari con le parti corrispondenti del cine-
rario di Velio I (266), fondatore dello Ipogeo e consorte di
Tana Marcia, può ritenersi che la stessa mano scolpì i mo-
numenti dei due coniugi Rafi, del fondatore dell’ Ipogeo e
della sua consorte.

Si è già detto antecedentemente, che i cinerarî nello
Ipogeo della famiglia Rufia, si trovarono in generale disposti
senza un concetto prestabilito e senza osservare nemmeno
quell’ordine di discendenza, che i singoli individui presenta-
rono, quando colpiti da morte, le loro ceneri furono collo-
cate nello Ipogeo.

Due eccezioni però furono già rilevate per lo innanzi;
una terza deve rilevarsi attualmente; il cinerario di Tana
Marcia (244) si trovò collocato alla destra di quello, che con-
teneva le ceneri di Velio Rafi (266). Cosi il fondatore del-
l'Ipogeo ebbe il posto centrale nel primo ambiente, ed alla
sua destra, nella posizione cioé, che solitamente la donna do-



















166 G. BELLUCCI



veva tenere a fianco del marito, si trovò il cinerario della
consorte.



Da Velio I e da Tana Marcia nacquero tre figli, Velio II,
Larte senior, Larte junior. In tal guisa la diramazione fonda-

mentale del secondogenito, venne a suddividersi in tre nuovi
rami secondari.

XXIII JADWqAITI . 43-1884 . 44
248 VElio RAFI figlio di VElio e di MARCIA
Brizio, p. 292, n. 2.








Pauli, p. 444, n. 3481. Lo riguardò figlio della donna indicata al
numero XXII e fratello degl’ individui, notati ai numeri XXIV e XXV.



Cinerario in travertino (0,51 - 0,51 - 0,43). (Tav. III, fig. F).
L’iscrizione è profondamente incisa sul coperchio, sebbene con
poca regolarità; fu poi dipinta in rosso. È notevole la forma
della lettera 1, perchè l’asta centrale è posta quasi a piedi
dell’asta verticale. La fronte dell'urna ha un largo volto di 3
Medusa fra due pelte, provvisto di quattro ali, due piü grandi 1
alle tempia, due piü piccole sulla fronte. I capelli, dipinti in
rosso scuro, sono scarmigliati ai lati del volto e formano un
ciuffo copioso di forma conica, come una fiamma, sul mezzo
della fronte. Le serpi, che incorniciano il volto di Medusa,
Sono annodate sotto il mento ed hanno code lunghissime, 4
flessuose. Le ali, le serpi e le pelte sono dipinte in verde. 3
Tracce di questa medesima tinta sono palesi sulla fronte del
coperchio a timpano, ma non è più possibile stabilire, cosa
vi fosse rappresentato.

XXIV JADAIAM . 49. I8VAI 1
263 LArte RAUFI figlio di VElio e di MARCIA 3
Brizio, p. 393, n. 6. E
Pauli, p. 444, n. 3482. Lo disse figlio della donna, notata al nu-
mero XXII e fratello degl'individui, ricordati ai numeri XXIII e XXV.


















Cinerario in travertino (0,49 - 0,33 - 0,25). L'iscrizione é
incisa e poi dipinta in rosso sul coperchio di un'urna semplice.



L’ IPOGRO DELLA FAMIGLIA « RUFIA »

XV ‘JADYAM . 18A9. 24
- 968 3. LarS RAFI figlio di MARCIA

Brizio, p. 395, n. 34.

Pauli, p. 443, n. 3502. Lo riguardó fratello di coloro, che sono
indicati ai numeri XXIII e XXIV e figlio della donna notata al nu-
mero XXII. Soggiunse poi, che [8 (q] integrum. exhibit. Brizio, mentre
Egli punteggió, in segno di non evidenza, la metà superiore della let-
tera 8.

s

Cinerario formato da una piccola olla in terra cotta grigia,
alta cm. 25, con manichi a cordone disposti orizzontalmente,
ricoperta da un piatto rovesciato in terra cotta rossa. La
iscrizione era semplicemente dipinta in rosso, sotto la gola
dell’olla; ora è quasi completamente scolorita e di difficile
lettura, anche perché rivestita da un leggero strato calcareo.
Avendo peró lavvertenza di bagnare il velamento esteriore,
le lettere sottostanti appariscono evidentissime e la lettera 8,
che fu scritta in modo molto inclinato, si mostra intiera
come la riportò Brizio.

Quando si penetrò la prima volta nello Ipogeo si trovò
quest’ olla rovesciata, ed il contenuto di essa, residuo della
cremazione, disperso sul suolo.

È da rilevarsi, che due figli di Velio I e di Tana Mar-
cia, il secondogenito ed il terzogenito, ebbero il prenome
Larte. Per interpretare questo fatto, non sembrano possibili
che due ipotesi: o che il prenome esistente nel cinerario
XXIV (263 nell'Ipogeo), si riferisca ad una figlia Larzia (1),
mentre il prenome @J esistente nell’ olla XXV si riferisce
indubbiamente ad un figlio Larte; oppure, ritenendo entrambi
maschi, il primo Larte morisse bambino e lo stesso nome
si assegnasse poi al terzogenito. Si sarebbe verificato cioè,
quanto per lo innanzi ebbe a notarsi, riguardo ai due figli

(1) Larthal e Larthial si adoperarono per il maschile e per il femminile.

























168 G. BELLUCCI

di Arunte III e di Tizia (num. VII e VIII), designati dallo
stesso nome di Aulo. In ogni modo è cosa certa che il pre-
nome 2 ld (XXV) dimostra un’ influenza latihizzarte (Lars
in confronto di Larg o Largi) e deve quindi ritenersi poste.
riore al prenome OIA4 (XXIV), di carattere etrusco. -
Tutti tre i cinerari relativi ai figli di Velio I e di Tana
Marcia si trovarono disposti nel primo ambiente con i cine-
rari dei genitori; quelli peró in cui furono collocate le ce-
neri di Velio II primogenito, e del secondogenito, Larte o
Larzia, si trovarono disposti contiguamente (263, 243). Sarebbe
questo il quarto caso di collocamento intenzionale di cine-
rari nell'Ipogeo, rappresentante una relazione familiare.
Dai tre figli di Velio I e di Tana Marcia non si ebbe
ulteriore discendenza; almeno non risulta. Può credersi, che
si ammogliassero, ma non avendo avuto figli, o se li ebbero,
non risultando dalle iscrizioni dei cinerari, non si può pre-
cisare qual nome avessero le rispettive consorti, pur sce-
gliendole tra i nomi di quelle donne, che sono indicati in
alcuni cinerari, di cui più oltre sarà parlato. Il ramo fonda-
mentale del secondogenito Velio I ha quindi termine.

Ramo primo, terzogenito.

XXVI d29A18 V QAI
239 LArte RUFI figlio di ARunte e di CAja

Brizio, p. 394, n. 26. Lesse soltanto .. (17 ... [8 VQ ... 1.
Ammise poi che la iscrizione fosse semplicemente incisa e non di-
pinta ; ciò che non si verifica.

Pauli, p. 439, n. 3475. Lésse .] . [152 . d . I18VQd . Hd.
Indicò poi che Danielsson congetturò nell’ ultima parola ancarial, ma
a Pauli sembrò più verosimile ar . cajal. Riguardó poi questo Larte,
come figlio della donna citata al numero III e fratello di quelli citati
ai numeri IV, XXI, XXIX.

L’ IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA » 169

Cinerario in travertino (0,41 - 0,88 - 0,43). L' iscrizione fu
‘incisa poco profondamente sul margine superiore dell’ urna
e poi dipinta in rosso. Potè malamente leggersi, quando
| Ipogeo fu scoperto, ed oggi si rileva con estrema difficoltà,
a cagione della debole profondità delle incisioni; della poca
vernice rossa rimasta qua e là aderente; della qualità non
adatta del travertino. Soltanto con lente d’ingrandimento,
i ‘seguendo le poche tracce rimaste, possono ricomporsi le let-
tere; dopo la sillaba {1 ) finale, oggi non esiste alcuna traccia
di lettere, @nche perchè in quella parte della superficie è
manifesta una scheggiatura di carattere recente, che ha tra-
sportato, se vi era, ogni traccia residua dell'iscrizione. In
ogni modo Pauli era nel vero, quando ritenne, che le ultime
due sillabe dicessero «r.ca (jal) e non, come reputò Da-
nielsson, an ca, e quindi ebbe a congetturare an carial. L’iscri-
zione è senza interpunzioni.

La fronte dell'urna ha nel centro un grande rosone a
doppio giro di petali e negli angoli trovansi scolpite quattro
forme di borchie. Il coperchio ha la fronte conformata a
timpano, mediante due pelte inclinate; nel mezzo un piccolo
rosone. Queste diverse decorazioni erano originalmente di-
pinte in rosso; la superficie delle pelte in verde; e la loro
costolatura perimetrica, in rosso.

Larte, terzogenito di Arunte I, deve essersi ammogliato

con una Larzia, di cui però non si rinvenne il cinerario

nell'Ipogeo (1). Da questi coniugi nacquero due figli, un ma-
schio ed una femmina. Al primo si assegnò il nome stesso
del padre, e per distinguerlo, lo dirò Larte II; alla seconda,
fu dato il nome di Fastia.

(1) Nell’ipogeo si rinvenne, come più oltre. sarà indicato, un cinerario in terra
cotta con iscrizione prettamente latina, accennante ad una Lartia Octavia. Ma que-
sta Lartia non può essere stata la madre di Larte II, anzitutto perché il matronimico
sì formava comunemente dal gentilizio e non dal prenome ; in secondo luogo, perché
di molto posteriore.

Ue re ra crei













170 "^ . &. BBLLUCCI
XXVII AMOR : I8H89 : dd.
257 LARte RAFI figlio di LArZIA

Brizio, p. 394, n. 19. Notò che si trovava incisa, ma non dipinta
la lettera | finale, che poi trascrisse con la forma di È

Pauli, p. 440, n. 3418. Indicó, che Danielsson aveva rilevato essere
fortuita la || finale.

Cinerario in travertino (0,49 - 0,32 - 0,34). L'iscrizione e
incisa non molto regolarmente, e poi dipinta, sul coperchio.
Nell'ultimo nome scorgonsi due omissioni del lapicida, do- i
vendosi leggere JAIOGAJ; entrambe però si verificano
spesso in tale nome nelle iscrizioni epigrafiche, la lettera J
finale non esiste effettivamente. L'urna é semplice.

XXVII . eed : L42 © 24 :18A9 : Alt2A4Q0
255 FASTIA RAFI figlia di Larte, consorte di
CASNI

Brizio, p. 393, n. 15. Dopo le due prime parole, conformi alle

precedenti, lesse :

2IVDAD LI A:

Errò nell’ interpunzione ed omise il punto finale.
Pauli, p. 442, n. 3493. Dopo le due prime parole conformi, come

Sopra, lesse :
IWA) : 4I1è - 21:
ed interpetrò :
: ls © sex | cacnis

Errò nell’interpunzione ed omise il punto finale.

L'errore nel gentilizio @[1/A) A) in luogo di 22 f ), iniziato
con Brizio, proseguito dal Pauli, si trova naturalmente ripetuto an-
che dal Lattes, quando nel suo paziente e diligente lavoro « Le for-
mole onomastiche dell’ epigrafia etrusca » (Milano, Hoepli 1910), rife-
risce questa iscrizione tra le formule onomastiche quinarie (n. 148,
pag. 89).

Cinerario in travertino (0,43 - 0,33 - 0,40). L'iscrizione è
incisa e poi dipinta in rosso sulla parte inferiore del co-

L’ IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA »

Brchio. È singolare ‘in questa epigrafe la forma della let-
ra è; la curva superiore, non molto accentuata, occupa
uasi tre quarti della lunghezza, ciò che indusse in errore
rizio, che ebbe a riguardarla come una ). La punteggia-
"tura é, come sopra indicata. Forse alla fine potevan trovarsi
‘originalmente tre punti, ma sia per scheggiatura, sia per
abrasione, oggi non ne rimane che uno evidentissimo. La
lettera J di Lars è pure manifestissima e non può scam-
biarsi con una I, come, forse per errore tipografico, trascrisse
Pauli; tanto pfù verosimile questo errore, se si considera
che nella versione italiana interpetrò L. Nella fronte del-
l'urna è scolpita a basso rilievo una forma di vaso con
doppio manico, decorato longitudinalmente nella parte cen-
rale da una sorta di cordone rilevato, che nel vaso metal-
lieo, che la scultura sembra simulare, sarebbe stato otte-
nuto a sbalzo; ai lati del vaso due pelte. Il coperchio a
forma di tetto, con alto timpano sulla fronte, ha scolpito
nel centro una forma di cipresso.

Ho creduto di attribuire a Larte di Arunte I questa
glia Fastia, perchè tra i discendenti della famiglia Rufia
ol prenome di Larte, è quello a cui meglio che ad altri
oteva esser riferito; anzitutto a cagione della interpunzione,

che nella forma triplice, rappresenta un carattere di mag-
‘giore antichità, in secondo luogo per l'esistenza della voce
Le (figlia), che in tal forma risale ad un’epoca più remota.
Larte I era del resto il discendente della famiglia Rufia,
anteriore a tutti gli altri di tal nome.

Come si é detto, l'urna che raccolse le ceneri di Larzia,

madre di codesti due figli, accennata evidentemente nel ci-

nerario di Larte II, non si rinvenne nello Ipogeo. E questo

n secondo esempio di un fatto consimile, citato per lo in-
nanzi, riguardo al cinerario di Cotonia (XVIII), che sta forse
a dimostrare una costumanza particolare, osservata nel tempo

trusco, di cui piü oltre sarà parlato.

G. BELLUCCI

Ramo primo, quartogenito.

XXIX JALA)

qa .18Vq.de
245 SEtrio RUFI figlio di ARunte e di CAJA

Brizio, p. 394, n. 18. *
Pauli, p. 440, n. 3476. Lo riguardó figlio della donna citata al 3

numero III e fratello di coloro, citati ai numeri IV, XXI, XXVI. E









Cinerario in travertino (0,48-0,42-0,39) (Tav. III, fig. G). '
L'iscrizione è sulla fronte del coperchio, a forma di timpano. |
È in due linee; la superiore costituita da lettere semplicemente
dipinte in rosso; l’inferiore formata da grandi lettere incise
profondamente, non dipinte; queste misurano mm. 57 di al-
tezza; sono molto uniformi e regolarmente eseguite. 1

Sulla fronte dell'urna é a bassorilievo una figura di |
Scilla, che con ambo le mani stringe un Aplustre (1) secondo
Kòrte, non una pelta, come credette Brizio (2), ed è in atto .
di scagliarla.

Molti furono i cinerari rinvenuti negl’Ipogei del territorio
di Perugia, e molti di essi sono conservati nel Museo civico,
nei quali Scilla, la sventurata ninfa di Glauco, è rappresen-
tata in atto di combattere i compagni di Ulisse; in tutte
queste rappresentazioni però, e vi si comprende anche quella
di un cinerario rinvenuto nello stesso Ipogeo della famiglia
Rufia (267), di cui più oltre sarà data l’illustrazione, Scilla
impugna un remo. È perciò di singolare importanza questo ^
cinerario di Setrio, perchè la rappresentazione di Scilla con
l’Aplustre, esistente sulla sua fronte, è finora unica tra i mo-
numenti del territorio di Perugia.

(1) L'aplustre era un ornamento delle navi, costituito da assi di legno contesti .
in guisa da rassomigliare nello insieme ad un'ala di uccello. Tale ornamento eradi
solito collocato in cima alla poppa delle navi. j

. (9) Notizie, 1887, 394, n. 18.







L'IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA » 178

Setrio sposò Larzia Cincunia, le ceneri della quale fu-
no collocate in un'urna, su cui trovasi un coperchio, già
critto in precedenza col nome di altra persona. Per tale
gione questo cinerario ha due iscrizioni; la prima a), sulla

base del coperchio; la seconda 5), sul lato destro dell’ urna.

INDIA . 1IO4A4
NV?UI? . O.
: . 18A9 Ali
2940 a) LARZIa CEICINEI
b) LarZia CINCUNIA consorte di RAFI

Brizio, p. 393, n. 11. Notó che l'iscrizione segnata con la let-
era a, è in rosso sull'orlo di base del coperchio, e quella con la let-
era b, è dipinta sul fianco dell’urna. Non rilevò peraltro, che la prima
linea dell'iscrizione non avesse che fare con le altre due. Errò nel gen-
tiliio [8 4d. :

C deste E * Noto anzitutto che « Larthi Ceicinei cir-

Pauli, p. 443, n. 3505. "
umsceribit et sine puncto medio Brizio » ; pose dipoi in rilievo il con-
eetto, che il coperchio non appartenesse all'urna, dicendo: « Aoc oper-
ulum in Museo munc positum est in ossuario n. 3480, b (246); sed
d id non pertinet ». In seguito di ciò assegnò al coperchio un numero
diverso e lo descrisse al n. 3505, dividendo i due monumenti epigra-
ci. Relativamente all’ iscrizione designata di sopra con la lettera a,
itenne poi che il secondo ) fosse una è. mentre non è. Ammise dopo
a /] una | nella seconda linea, e nella terza lesse :] |. Rilevò però
iustamente che Brizio aveva omesso il punto fra le due parole; e

\soggiunse da ultimo, che l'iscrizione laterale nell’ossuario gli sem-
brava riferirsi alla madre della persona, le ceneri della quale furono
collocate nell’ossuario seguente, numero XXXI.

Cinerario in travertino (0,52 - 0,40 - 0,37). Il coperchio è
tato assottigliato nel suo orlo anteriore, con scheggiature
tregolari, inclinate dallo esterno allo interno e col pensiero
vidente di alterare, se non di cancellare l'iscrizione, che

i era incisa e poi dipinta in rosso; riuscendo così a to-
liere nella iscrizione la parte inferiore delle lettere. Ciò fu











174 G. BELLUCCI

espresso nell’iscrizione trascritta da Brizio, la quale ha let- 1
tere inferiormente troncate, seguendo però nella troncatura |
di esse una curva, che si diparte dalle lettere estreme (cir- —
cumscribit). Questa regolarità di troncatura circolare però, _
realmente non si verifica; le lettere furono più o meno |
troncate nella loro parte inferiore, con lo scopo manifesto, |
che a prima giunta non si rilevasse il significato delle parole,

Sulla fronte del coperchio in forma di timpano è scol- |
pito a bassorilievo un vaso, fiancheggiato da due Eroti.
L’ iscrizione in due linee segnata sul lato destro dell’ urna, 1
fu semplicemente dipinta; le lettere sono molto scolorite -
ed interpretabili soltanto con molta attenzione. Il gen- -
tilizio Rafis è certo; non si discerne bene però, se termi-
nasse con M o con @; il punto finale è rimasto visibilis- 1
simo. Sulla fronte dell'urna é rappresentata a bassorilievo '
una figura di giovane recumbente, poggiata col gomito sini- 3
stro sugli origlieri, con patera nella destra, appoggiata al.
ginocchio, sollevato sotto le coltri. Un lungo manto le ricuo-
pre il capo e discende verticalmente sino agli omeri ; la capi-
gliatura é aeconciata a.riccioli sulla fronte. Il tronco, semi-
eretto, è vestito di una tuuica finissima, aderente alla per-
sona; le coltri sono abbassate fin quasi all'ombelico. A piedi
della kline sta un servo, rozzamente scolpito, anche per la qua- 3
lità disadatta del travertino, che presenta alla giovane semigia-
cente sul letto, la parte di vitto ad essa spettante nel convito
degl’ Inferi; dinanzi a codesto servo è una mensa a tre piedi,
inflessi a metà internamente. La Kline, su cui trovasi la gio- |
vane recumbente, è sorretta da due piedi robusti con modi-
nature, ornata sul davanti da un ampio drappo; a terra, e

sotto la curva di questo è il suppedaneo. La camera è ornata |

in alto da cinque patere allineate, circondate da corone.

Ho reputato opportuno descrivere il cinerario col co- |
perchio, per formulare una conclusione diversa da quella 1
espressa dal Pauli. Anzitutto devo dichiarare, che il coperchio
portante l'iscrizione a, e descritto dal Pauli al n. 3505, fu

L’ IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA »

nell' Ipogeo della famiglia Rufia propriamente rinvenuto sul ci-
nerario, designato dal Pauli col n. 3480, nel quale furono col-
-locate le ceneri di Larzia Cincunia; quindi non é da ora (nunc),
che nel Museo si trova collocato il coperchio sopra un cine-
rario, a cui non apparteneva. Dimostrazioni evidenti di ciò
si hanno nelle relazioni originali del tempo; nei numeri posti
a controdistinguere i cinerariî ed i rispettivi coperchi (1); e final-
mente nell’illustrazione datane da Brizio, contemporanea alla
scoperta, gli elementi della quale si rilevarono quando ancora
il materiale gdell’Ipogeo non era stato trasportato nel Museo.

È a ritenersi pertanto, che l’urna in questione, col co-
perchio che vi fu trovato sovrapposto, fosse preparata in
antecedenza per altra persona e non più utilizzata. Avvenuta
la morte di Larzia Cincunia, il lapicida deve aver sommi-
nistrato alla famiglia Rufia, o questa ebbe a presceglierla,
lurna già preparata per raccogliere le ceneri di Larzia Cei-
cinei, procurando soltanto di alterare o sfigurare l'iscrizione
primitiva, dal momento che per intiero non poteva essere
cancellata. Fu allora notato a fianco, semplicemente con let-
tere dipinte, il nome della donna, le ceneri della quale fu-
rono poi collocate nello interno. Tale particolarità rivela
quindi un semplice adattamento di un cinerario, non utiliz-

zato da chi prima lo aveva commesso, particolarità che do-

Veva esser segnalata, anche perchè può servire di riferimento
nelle circostanze di fatti consimili.

XXXI SAWWMAD- è 18097 83
258 LarS RAFI figlio di SEtrio e di CINCUniA

Brizio, p. 293, n. 5. Disse, che l' iscrizione era dipinta sull' urna,
mentre è nel coperchio. Y

Pauli, p. 440, n. 3419. Notó : sembra (videtur) che questo Lars sia
figlio della donna designata al numero XXX.

(1) Il coperchio ha graffito sulla destra il segno A il e sulla fronte dell’ urna
Notasi in lapis azzurro, il numero VII. Pauli non avvertì tali segni.

i n rca geni















176 . @. BELLUCCI

Cinerario in travertino (0,47 - 0,44 - 0,50). L’ iscrizione
trovasi sul coperchio, incisa malamente a punta per le prime
quattro lettere, semplicemente dipinta per le altre. Nell’ ul-
tima parola verificasi l'elisione della terza sillaba |l]. La so.

| stanza colorante adoperata per le lettere, solamente dipinte,

si è irregolarmente diffusa sulla superficie della pietra.

Sulla fronte dell’ urna, comparativamente molto alta, è
scolpito a bassorilievo una forma di bucranio fra due pelte
amazzoniche. Le narici e gli occhi della testa di bue sono
dipinti in rosso; sulla fronte e dattorno alla base delle corna
passa una vitta di color rosso. L' orlo delle due pelte è egual-
mente dipinto in rosso ed una striscia di tale colore con-
giunge le estremità opposte della parte centrale delle pelte.
La forma del bucranio é abbastanza bene trattata; non cosi
le due pelte, rozzamente rilevate e contornate.

Il travertino da cui risulta formato questo cinerario non
è di provenienza locale e non deriva dal giacimento di El
lera presso Perugia. Il colore dei travertino del cinerario in
discorso è più bianco, la sua struttura è granoso cristallina,
compatta, e mancante di quei fori e di quelle cavità, che
sono comuni in quello di origine locale. Il coperchio del ci-
nerario fu formato invece con un lastrone, irregolarmente
tagliato, del travertino di Ellera.

*
*

La genealogia della famiglia Rufia, quale potè dedursi
con fondamento di positività dai monumenti funerari iscritti,
rinvenuti nello Ipogeo, termina a questo punto. Comprende
trentadue nomi di discendenti della famiglia Rufia e si ri-
ferisce a trentuno cinerari. Ma il numero complessivo di
questi, rinvenuti nello Ipogeo, fu di quaranta; quindi riman-
gono ancora a descriversi nove cinerari, che possono sud-
dividersi in due gruppi, il primo costituito da sette cinerari
iscritti, il secondo da due cinerari anepigrafi.

L’IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA »

.

Cinerari iscritti.

Esaminando l'albero genealogico e leggendo le singole
illustrazioni dei monumenti, il lettore si meraviglierà certa-
| mente, come non s'incontri che una sol volta il nome di una
figlia, nelle diverse diramazioni della famiglia Rufia. Vi sono
ragioni peró per interpretare questa mancanza; anzitutto è
da osservare, che le figlie, andando a marito, s'imparenta-
vano con altre famiglie, ne assumevano il gentilizio e dopo
la loro mofte, le ceneri dovevano ordinariamente deporsi
nell’Ipogeo della famiglia maritale, o talora in Ipogei sepa-
rati (1). Le ceneri delle figlie non potevano quindi esser col-
- locate nello Ipogeo della famiglia paterna, se non quando la
morte le avesse colpite, allorchè permanevano nubili. Ma, si
dirà, qualche caso di tal genere dovrà pure essersi verificato
nel lungo periodo di oltre due secoli, durante il quale la
famiglia Rufia andò di mano in mano popolando il proprio
Ipogeo con le ceneri dei suoi discendenti. Ed infatti qualche
caso ebbe a verificarsi, come ora sarà indicato; ma le iscri-
zioni epigrafiche dei cinerari non prestano elementi sufficienti
per attribuire con certezza, alle figlie ricordate nelle singole
urne, la corrispondente relazione con i nomi dei genitori.
Ecco gli esempi:

XXXII 21849 AITIT
2492 TIZIA RAFI

Brizio, p. 398, n. 129.
Pauli, p. 441, n. 3490. Ammise che questa Tizia potesse essere
stata madre, come Fastia Tizia, (V) dei tre figli, citati ai numeri Ne

(1) Un esempio si trae dal piccolissimo Ipogeo, scoperto nel 1857, presso quello
classico e tuttora esistente a SE di Perugia, della famiglia Volumnia. In esso si rin-
venne una sola urna iscritta

MAVITIHIA34 18 V Aq

la quale rilevò il nome di una donna della famiglia Raufia o Rufia, imparentata con
quella Volumnia. (CONESTABILE G., Monumenti etruschi e romani, Perugia, Stab. tip.
lit. Boncompagni e C., vol. IV, pag. 186).

12













178 G. BELLUCCI

VII, VIII. Congiungendo anzi con un’ osservazione comune la descri-
zione dei due cinerari di Fastia Tizia (V) e di Tizia (XXXII), Pauli
disse: « una harum duarum mulierum n. 3481, n. 3488, n. 3504, mater
erit ». Questi numeri corrispondono rispettivamente a VI, VII ed
VIII della presente memoria.

Cinerario in travertino (0,50 - 0,41 - 0,33). L’ iscrizione
semplicissima è incisa e poi dipinta sul coperchio di un’ urna,
sulla fronte della quale vedesi a bassorilievo un rosone fra
due pelte.

Questa Tizia è sicuramente una discendente della famiglia
Rufia, morta nubile, e mi confermo in questa opinione, non
ostante il valore, che giustamente merita una maniera di
vedere del Pauli, anzitutto per la considerazione, che il ma-
tronimico si traeva normalmente dal gentilizio e non dal
prenome. È logico quindi, dal momento che un’ epigrafe di
altro cinerario rinvenuto nello Ipogeo, si accorda con tale
principic, di non allontanarsi minimamente da esso. In se-
condo luogo è da riflettere alla relazione di affinità della
iscrizione bimembre in discussione, con quella del numero
seguente. Impossibile stabilire i nomi dei genitori di Tizia.

XXXIII MIuUVAGI4A
240 VELia RAUFI

Brizio, p. 994, n. 21. Lésse :

n ...... IOV R.Q.134

errando nella forma della q e nel distacco della ]M finale, che segue

inveceja distanza uniforme la lettera |. Interpetró la parte inferiore
della terzultima lettera come (), mentre doveva essere 8, Danielsson
seguì Brizio in tale lettura.

Pauli, p. 441, n. 3491. Lesse:

testa diPMyVa4t.> 434

Cinerario con coperchio, in arenaria miocenica giallastra,
unico formato in tal sorta di pietra (0,47 Xx 0,36 X 0,38).

L’' IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA »

Ml coperchio è conformato a tetto, con alto timpano sulla
fronte. L'iscrizione fu leggermente graffita con una punta,

ul margine superiore esterno dell’ urna, con lettere, che
vanno declinando dal principio alla fine (da mm. 30 a mm. 20).
Manca di ogni interpunzione e di ogni distacco tra le due

jrole; ba incompleta la lettera 8. che originalmente doveva
"esistere intiera e di cui oggi non resta che la curva infe-
"riore. Dopo la finale [^, non ho potuto scorgere interpunzioni,
né vedere alcuna lettera. È da notarsi, che sulla superficie
dell’ urna, come su quella del coperchio, sono molte impronte,
più o meno profonde, della penna della martellina, adoperata.
per acconciare la pietra; molte di queste impronte simulano
aste di lettere.

J41 fu adoperato tanto per il femminile, quanto per il
maschile, sebbene per questo s’ incontri più comunemente
‘abbreviato in. 4d o . 44 Nel caso del cinerario n. XXXIII,
ritengo che J47 accenni al prenome femminile invece di
V .IdJ-. latinizzato in Velia (1). Tale opinione é confortata
anzitutto dal fatto della mancanza di ogni interpunzione in-

terverbale tra il prenome ed il gentilizio, come netl’ altra
‘epigrafe bimembre precedente; poi, come in questa, dalla

mancanza di ogni derivazione matronimica o patronimica,
quasi non occorresse dare indicazioni di ciò per le figlie,
morte bambine o in giovane età.

L’aspetto, la conformazione ed il lavoro grossolano del
cinerario in arenaria, la forma arcaica di alcune lettere del-
l'iscrizione, fanno semplicemente ritenere, che Velia Raufi
fosse figlia di una delle prime coppie di coniugi della fami-
glia Rufia.

(1) Lattes indica, molti derivati femminili della radicale 4 E tra i quali Vel-
i-cu, Vel-u-sa, Vel-i-zza, Vel-i-za, Vel-i-sa (p. 7, n. 23). E come Vil e-nu si latinizzò in
Helena, da cui l'italiano Elena, così credo possa ritenersi, che Vel-i-za e Vel-i-sa si
latinizzassero in Helisa e quindi si voltassero nell'italiano Elisa.

trito Men ret isti i cine























180 G. BELLUCCI

XXXIV :citAAitnae? ‘18491 : ANAO
259 TANA RAFI consorte di SENTINATE

Brizio, p. 393, n. 8. Colloca erroneamente un solo punto tra le
parole ed alla fine.

Pauli, p. 442, n. 3492. Collocò un solo punto dopo il prenome e
dopo il secondo gentilizio.

Cinerario in travertino (0,36 - 0,31 - 0,35). L’ iscrizione è
incisa e poi dipinta sul coperchio di un’ urna semplice.

Le ceneri di questa donna appartennero certamente ad
una figlia, discendente dalla famiglia Rufia, andata a marito
nella famiglia Sentinate (1). Il gentilizio della famiglia di ori-
gine precede quello della famiglia maritale, come già si ve-
rificò nel cinerario num. XXVIII, precedentemente descritto,
nel quale si accenna, che Fastia di Larte Rafi andò a marito
nella famiglia Casni. Mentre però per questa donna fu pos-
sibile stabilire la paternità, per quella entrata nella famiglia
Sentinate, è assolutamente impossibile di precisarlo. Alcune
particolarità epigrafiche, permettono soltanto di asserire,
che "ana Rafi Sentinate è più tarda di Fastia Rafi Casni.

XXXV 21I8A0IMtR2VO : 10
252 HAstia (Fastia) HUSETNEI consorte di RAFI

Brizio, p. 393, n. 16. Indicò la prima parola, come . ff

Pauli, p. 442, n. 3495. Osservó : « initio (1(7) (ha) et in fine for-
lasse punctum ».

Cinerario in travertino (0,46 - 0,44 - 0,36). L'iscrizione é
incisa sul coperchio e poi dipinta. La correzione di Pauli
alla prima parola è esatta; però il punto, di cui dubita la
esistenza alla fine, non esiste realmente, come non esiste, a
cagione dell’irregolarità della pietra, tra i due gentilizi. Un
rosone fra due pelte è scolpito sulla fronte dell’ urna.

(1) La famiglia Senti.ate in cui sarebbe entrata come consorte Tana Rafi, ebbe
presso Perugia un Ipogeo particolare ; i cinerari, che vi si trovarono, furono raccolti
anzitutto nell'antico Museo Oddi in S. Erminio (BELLUCCI G., Guida cit., pag. 7) di

L’ IPOGBO DELLA FAMIGLIA « RUFIA » 181

Questa donna proveniente dalla famiglia Husetnei (Use-
tinia) fu consorte ad uno dei discendenti della famiglia Rnfia;
nerò non essendosi trovati nello Ipogeo cinerari dei figli e
: non possedendosi alcuna indicazione sicura, sarebbe mal fon-
L lata qualunque attribuzione familiare. E opportuno ricordare

questo punto, che nelle medesime incerte deduzioni, tro-.

asi il nome di una Vibia (o Fastia o Tana, più probabil-
Bionte Fastia), di cui si parlò antecedentemente (IX). Sono
quindi due dgnne, che furono consorti a discendenti della
famiglia Rufia, dei quali però non possono precisarsi i nomi.

IQMMA © Ag
FAstia ANCARIA

Brizio, p. 393, n. 10.
Pauli, p. 439, n. 8470. Collocò un punto entro un triangoletto fra
due parole. Poi soggiunse: « fortasse mater » di Arunte VI (XV).

Cinerario in travertino (0,43 - 0,29 - 0,36). L/ iscrizione é
incisa e poi dipinta sull’ alto della fronte di un'urna sem-
plice. Tra il prenome ed il gentilizio, Pauli ammise come un
punto in mezzo ad un triangoletto. Invece, avendo il lapicida
incontrato una cavità quasi circolare del travertino, avente il
diametro di mm. 18, proprio dove cadeva il punto, esso la
‘contornò con una incisione circolare, separando con tal forma
d'interpunzione le due parole. L/ altezza delle lettere è varia
(da 40 a 60 mm.).

i Riguardo alla duplice supposizione del Danielsson, se-
gulta in parte dal Pauli, che cioé Fastia Anearia potesse
| riguardarsi come madre di Arunte VI, si parlò abbastanza
per lo innanzi (XV), addimostrandone la nessuna attendibilità.

Perugia, poi quando questo Museo andò disperso, furono suddivisi. Parte vennero
trasferiti nella villa dell'odierno Colle Umberto I; parte nella villa Eugeni di Com-
presso; parte andarono perduti. Conestabile, seguendo il parere del Lanzi e di Fa-
bretti, ritenne (Op. cit., pag. 190-192) che il nome della famiglia Seniinate traesse
origine da quello di Sentinum, antico castello dell’ Umbria, oggi Sassoferrato, gli
abitanti del quale dicevansi appunto Sentinatt.













182 G. BELLUCCI

XXXVII LARTIA : OCTAVIA
268 s. LARZIA OTTAVIA

Brizio, p. 395, n. 36.
Pauli, p. 443, n. 3506. Rilevó che Brizio aveva omesso il puuto
interverbale.

Cinerario rappresentato da una grande olla in terra cotta
rossa, alta cm. 30, munita di due manici corti, verticali a
nastro. Il cinerario è ricoperto da un piatto rovesciato. La
iscrizione è graffita a grandi lettere, e poi dipinta in una
delle parti dell' olla, tra i due manici. La grafia dell’ iscri-
zione è prettamente latina, e dimostra che questo cinerario,
fu se non l’ultimo, il penultimo forse ad esser deposto nello
Ipogeo.

Chi fossero queste ultime due donne, designate da sem-
plici iscrizioni bimembri e senza alcuna relazione palese con
la famiglia Rufia, è impossibile precisarlo. Il prof. Elia Lattes,
a cui come a venerato Maestro mi rivolsi, per addimandar-
gli, se queste due donne potevano riguardarsi come Liberte,
ebbe cortesemente a rispondermi: « il confronto d’ infinite

altre epigrafi etrusche, specie di donne, permette sottin- 3
tendere e per Fastia Ancaria e per Larzia Ottavia il gen-
tilizio Rufi; non intendo però con questo escludere, specie
circa quest’ultima, che possa trattarsi di una Liberta;
ipotesi, cui ricorsi anch'io talvolta col pensiero nei nume-
rosi casi simili ».

XXXVIII (268, 10). — Cinerario in terra cotta, alto cm. 22,

| con iscrizione in tinta nera, addivenuta però col tempo e con |. i
l'azione dell’ umidità, assolutamente illeggibile. Fu rinvenuto |
rotto in diversi frammenti, deposto sulla panchina a sini-
stra del primo ambiente, in gran parte demolita. Questo ci-

nerario non esiste attualmente nel Museo e forse non vi fu
portato mai, perchè infranto.




































siti

L’ IPOGEO DELLA FAMIGLIA < RUFIA > 183

. Qinerari anepigrafi.

XXXIX (261) — Cinerario in travertino, il più volu-
minoso di tutti quelli rinvenuti nell’ Ipogeo della famiglia
Rufia (0,60 - 0,59 - 0,43). È in forma di prisma, leggermente
È piramidato, misurando alla base cm. 60 e sulla linea supe-
riore cm. 57. Il coperchio è formato da un masso di tra-
vertino a doppio piovente, con timpano straordinariamente
elevato (cm. 57 di base, cm. 26,9 di altezza). Il cinerario
posa, soltanto anteriormente, su due piedi laterali (Tav. III,
fig. H).

‘ Nella fronte è incavato uno specchio rettangolare (cen-
timetri 48 x 43) decorato nel lato superiore da un fregio
a bassorilievo, formato di ovuli. In tale specchio è scolpita
ad altorilievo, più prominente nella linea centrale verticale,
una figura di Scilla. Il torso della ninfa, vigorosamente
espresso, termina inferiormente con cinque foglie di cardo,
artisticamente disposte, tre delle quali, rivolte in basso, com-
pletamente aperte; due laterali, collocate superiormente,
con l'apice accartocciato. Questo gruppo di foglie nasconde
l'attacco al corpo della ninfa, di due code di delfino, enor-
memente muscolose, che si originano ai lati inferiori del
corpo, formano due giri di spira inversi e simmetrici e rial-
zandosi fino all'altezza delle spalle della ninfa, terminano
con pinne appiattite, a guisa di pala di remo, rivolte en-
trambe a sinistra. Tali pinne sono bifidi, costolate nei mar-
gini esterni e dentate negli orli interni dell’ incisione.

Due grandi ali aperte, simmetricamente collocate ai lati
del dorso della figura, sembrano sostenere nell’aria il corpo
pesante della ninfa, leggermente inclinato a sinistra à ca
gione del modo con cui Scilla impugna e maneggia con

mani rovesce il remo.

Il corpo della ninfa é nudo, soltanto una forque, con
bottone centrale, ne orna il collo. Il seno é diviso da una
leggera soleatura, che percorre la linea centrale del petto




































184 ; G. BELLUCCI »

e del corpo fino all’ ombelico. La testa è ricoperta da una
folta capigliatura, disposta a riccioli. L’attitudine della ninfa
è quello di menare un colpo di remo sui compagni di Ulisse,
con i quali, secondo il mito, Scilla ebbe a combattere; e
siccome in quest’attitudine offensiva, si sostiene a volo nel-
l’aria, così Scilla sta osservando i nemici, dall’alto al basso,
con fiero cipiglio, prima di colpirli giusto.

Nei due fianchi del cinerario, entro rincassi rettango-
lari (cm. 34 X 40), sono racchiusi due grandi mascheroni,
scolpiti con vigore e molto espressivi (Tav. III, fig. I), cir-
condati da riccioli larghi e voluminosi di capelli. Il lato su-
periore dello specchio rettangolare è ornato, come nella
fronte, da un fregio di ovuli; sugli angoli del rincasso sono
quattro borchie.

Questo cinerario così pregevole per le ricche scolture
che lo decorano, così singolare per la grandezza, è anepi-
grafe; e per quanto si pensi, non si giunge a comprenderne
la ragione. Comparando però quest’ urna anepigrafe con
quella di Setrio I (XXIX ; Tav. III, fig. G) si osserva identico
il soggetto della scultura; consimile la conformazione e 1a di-
sposizione delle parti; identico l'aspetto di assoluta freschezza
nelle scolture, come se entrambi i cinerari fossero usciti ieri
dalle mani dell’artefice; identici pure certi particolari di te-
cnica scultoria, che rivelano la stessa mano nella loro ese-
cuzione; di modo che, di fronte à tutte queste identità e
corrispondenze, si desume come un’aria di famiglia fra i
cinerari, da permettere la supposizione, che il cinerario
anepigrafe contenesse le ceneri di Setrio II, figlio di Setrio I
e di Caja, che come si vide, si trovò mancante nell’ Ipogeo
della famiglia Rufia. È una semplice supposizione, certo
però non destituita di ogni fondamento.

XL (268, 4). — Cinerario anepigrafe, rappresentato da
una piccola olla in terra cotta alta cm. 25, verniciata a
fuoco in rosso, nella maniera dei fittili di fabbrica aretina.

L’ IPOGEO DELLA FAMIGJIA « RUFIA » 185

"olla è piriforme, senza manichi; la superficie della parte
‘superiore del vaso è ornata da tre cordoni orizzontali, ot-
tenuti mercè il tornio. Il vaso ha una base, formata da una
fascia bassa scampanata ; il coperchio è costituito da un
piatto capovolto, di carattere etrusco-campano. Può ritenersi
che questo cinerario sia stato, con quello di Larzia Ottavia

: (XXXVII), uno degli ultimi ad essere introdotto nell’ Ipogeo.

*
* *

Oltre ai diuaranta cinerari in pietra e fittili, di cui si è

terminato di parlare, si trovarono nell Ipogeo della fami-

— glia Rufia, pochi oggetti di natura differente, deposti ritual-

mente dalla pietà dei congiunti, oggetti su cui é necessario in-

trattenerci brevemente per completare la descrizione di tutto
] materiale, che si trovó raccolto nello Ipogeo medesimo.

Oggetti metallici.

1.° — Quattro specchi in bronzo, tutti di carattere ro-
p ,

mano, trovati dispersi sul terreno, e precisamente nei punti
| indicati nella pianta dello Ipogeo, dalle lettere $ (1).
È a) Specchio circolare con manico, del diametro di
entimetri dodici, intiero.
b) Specchio circolare con manico, del diametro di
entimetri quattordici; rotto intenzionalmente in varie parti;
dove l’ossido non era giunto ad alterarne la superficie,
si riflettono ancora nettamente le immagini.
E c) Specchio di forma rettangolare (mm. 90 »< 72),
diviso intenzionalmente in due parti.
d) Piccolo specchio di forma rettangolare (mm. 57 x
49), intiero (2).

(1) Brizio riferì (Notizie Scavi, 1887, 395), che nell’Ipogeo erano stati rinvenuti
sei Specchi, tra i quali uno graffito, con figura di una Lasa. I due specchi da esso
cordati in più, provennero dal terreno del Cimitero, ma non si trovarono nell’Ipo-
o della famiglia Rufia.
(2) I due specchi, distinti dalle lettere c e d sono indicati dal n. 1115 di Cata-
£0 del Museo.



















G. BELLUCCI

2. — Anse e cerniere, appartenenti a piccole cisti di
legno e manico di specchio in bronzo, irruginito per con-
tatto col ferro.

3.° — Cinque frammenti di ferro, profondamente ossi-
dati ed idratati, indeterminabili.

Gli oggetti metallici indieati dai numeri 2 e 3 furono
trovati sulla panchina di destra, nel primo ambiente.

Oggetto in osso.

4.° — Ago crinale, lungo quindici centimetri, terminato
superiormente da una figura femminile diademata ed am-
mantata, rotto in tre parti, di cui manca quella corrispon-
dente alla punta. L’ago crinale è quà e là macchiato in
verde per azione. degli oggetti di rame, con cui si trovò a
contatto (1) (Tav. III, fig. L). Si rinvenne unitamente ai fit-
tili seguenti.

Oggetti fittili.

Nel punto designato in pianta dalla lettera O si rinven-
nero, riuniti in gruppo, apparentemente senza ordine, i se-
guenti fittili, intieri o frammentati.

5.° — Cinque recipienti in forma di olle, di diversa
grandezza, non contenenti avanzi di cremazione e privi di
iscrizioni epigrafiche. i

6.° — Dodici recipienti a forma di truffetti con manico

e senza, il maggiore dei quali misurava cm. 20 di altezza,
il minore em. 13.

7.° — Tre bicchieri ed una piccola tazza.

8.° — Orcio con manico rotto; vasetto; frammenti di
balsamari.

(1) È collocato nella vetrina A della Camera 5*, sul piano 4o, ed ha il numero .
di Catalogo 1163.

L’ IPOGHO DELLA FAMIGLIA « RUFIA »

CAPO III.

Osservazioni comparative e conclusioni generali.

Ultimata la parte descrittiva dei cinerari rinvenuti nello
Ipogeo della famiglia Rufia, nonchè dei pochi oggetti, di
natura diversa, ritualmente depostivi, sembra opportuno rac-
cogliere attgalmente sotto forma di conclusioni generali al-
cuni dati, che principalmente emergono dallo esame com-
plessivo delle iscrizioni epigrafiche, sia considerate in rela-
zione tra loro, sia in rapporto con l’ Ipogeo, in cui i cinerari,
che le avevano iscritte, si trovarono collocati. Siffatte dedu-
zioni interessano del resto non solo l’ onomastica e l' epi-
grafia in generale, ma pongono in luce eziandio talune co-
stumanze peculiari, che normalmente dovevano seguirsi da-
gli Etruschi nella loro vita sociale e familiare.

1.° — La prima conclusione riassume alcuni elementi,
esclusivamente statistici. Dei quaranta cinerari rinvenuti
nello Ipogeo, due erano anepigrafi; gli altri iscritti, con tren-
tanove iscrizioni; essendosene trovata una illeggibile, riman-
gono trentotto iscrizioni epigrafiche, delle quali trentatre
con grafia etrusca; due con grafia latino-arcaica; tre con
grafia latina. Nel numero totale di trentotto iscrizioni, una
soltanto fu trovata bilingue o digrafe.

Tenendo conto dipoi del numero dei membri espressi
nelle singole iscrizioni, in relazione con lo studio del pro-
fessor E. Lattes « Le formole onomastiche dell’ epigrafia
etrusca » (1) si rileva, che su trentotto iscrizioni, se ne hanno
due di formula senaria (latine), una di formula quinaria (etru-
sca), tredici quadrimembri (due delle quali in grafia latino-
arcaica), diciassette trimembri ; cinque bimembri (di cui una
latina). Il maggior numero pertanto delle iscrizioni corri-

(1) Mem. d. R. Istit. Lomb. di Sc. e Lett., Milano, Hoepli, 1910.

L2













188 "^ ..&. BELLUCCI

sponde a quello delle tri- e quadrimembri, come si verifica
del resto nel complesso generale delle iscrizioni etrusche
conosciute (1).

Riguardo al sesso degli individui, le ceneri dei quali
furono raccolte nelle urne, si notano ventuna iscrizioni
riferentisi a maschi; diecisette corrispondenti a femmine.

2.° — Dallo esame complessivo delle iscrizioni, e meglio
ancora dall'albero genealogico, risulta poi, che sebbene in
sulle prime si collocassero nello Ipogeo della famiglia Rufia
le ceneri dei genitori e dei discendenti diretti e collaterali
del fondatore Velio Rafi, col volger del tempo l'Ipogeo me-
desimo accolse soltanto le ceneri dei discendenti del ramo
primogenito degli Arunti, il quale è rappresentato da sei
generazioni.

3.° — Emerge pure dal quadro genealogico, che ai pri-
mogeniti si assegnava lo stesso prenome paterno. Una sola
eccezione sarebbesi verificata in proposito, relativa al figlio
di Setrio I (245) e di Cincunia (246), a cui sarebbe stato
posto il nome di Larte (253). Si vide peraltro, che parecchie
riflessioni concordano per ritenere, che le ceneri di Setrio II,
ossia di colui, che sarebbe stato figlio. primogenito dei ge-
nitori suddetti, potessero essere collocate nell’ unico cinera-
rio anepigrafe in travertino, rinvenuto nello Ipogeo (267).

Nessuna deduzione può formularsi sul prenome, che so-
leva attribuirsi alle figlie; dallo insieme delle cose esposte
sembra anzi, che fosse abituale di non significarle, nè col
patronimico, nè col matronimico, specialmente se morte
bambine o nubili, aggiungendosi al loro prenome il solo gen-
tilizio della famiglia. Se poi le figlie andavano altrove a
marito, al gentilizio della famiglia di origine, si aggiungeva
quello della nuova famiglia, collocandolo sempre da ultimo,
dopo quello paterno. E ciò viene addimostrato, sia dall’ epi-
grafi delle figlie, discendenti della famiglia Rufia, entrate a

(1) Mem. d. R. Istit. Lomb. di Sc. e Lett., Milano, Hoepli, 1910, pag. 4.

*

L’ IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA » 189

marito in altre famiglie (255 259), sia dalle donne prove-
nienti da famiglie diverse, entrate a marito nella famiglia
Rufia.

42 — Non può assicurarsi, ma sembra probabile, che
i prenomi per i discendenti successivi al primogenito nelle
diverse diramazioni di una famiglia patrizia etrusca, mante-
nessero un medesimo ordine; e che questo fosse osservato,
si deduce non solo dal considerare la serie dei nomi nei
discendenti delle famiglie successive, ma anche dal fatto,
per cui mprendo un figlio in età bambina, si tornava ad
applicare lo stesso nome, già dato al figlio perduto, a quello
nuovo nato (263=268,3 — 268,9=251).
5.° — Vigendo il costume di applicare ai figli una seria-

zione di nomi prestabiliti, ed assegnando al primogenito di
ogni famiglia il nome stesso del padre, conseguiva la ne:
| cessità dello impiego del matronimico, di sua natura varia:
bile, per distinguere la filiazione di una o più famiglie.
Quindi, anzichè cercare la ragione efficiente del matroni-
mico in altri principî, giungendo fino al punto di esautorare
| diogni autorità morale il padre, e d’ ingenerare sospetti asso-
lutamente infondati, come quello di riguardare nascite spu
rie, quelle indicate dal solo matronimico, potrebbe vedersi
nell’applicazione del nome della madre una semplice neces-
sità, di sua natura logica, conseguente da una costumanza
gentilizia onomastica.

Lo stesso Lattes, nel suo dotto lavoro altre volte ricor-
dato (1) dopo avere rilevato che « la peculiare consuetu-
dine del matronimico dagli Etruschi fu osservata, anche
quando stavano per scomparire confusi nella grande unità
romana », riporta parecchie epigrafi, in cui il prenome del
figlio corrisponde a quello del padre; ed in alcuni casi am-
mette, come ponendo nell’epitaffio il prenome del padre, po-
teva omettersi quello del figlio, che era comune (N. 10, p. 5).

(1) Le iscrizioni latine col matronimico di provenienza etrusca, ecc.

























‘G. BELLUCCI’

In altri casi, riflette « dopo il prenome del padre, eguale
a quello del figlio, si aggiunse la voce pater, o semplicemente
la lettera P, per non ingenerare confusioni ».

Dunque anche Lattes fu impressionato dell’ omonimia
tra padre e figlio, ma non potè risalire ad una deduzione
generica, perchè ebbe dinanzi a sè iscrizioni epigrafiche ri-
ferentisi a famiglie separate, e non quelle appartenenti ad
una serie successiva di generazioni, come si verificò nell’Ipo-
geo della famiglia Rufia.

Nè si dica, che le osservazioni del Lattes si riferiscono
essenzialmente ad un periodo di tempo in cui potrebbe no-
tarsi, che le costumanze etrusche stavano per scomparire ;
perchè, anzitutto alcune iscrizioni epigrafiche rinvenute nello
Ipogeo della famiglia Rufia sono contemporanee a quelle, che
formarono argomento di studio per Lattes, poi perchè il
lavoro di questi mirò precisamente a dimostrare, come nelle
iscrizioni di provenienza etrusca, ma scritte con grafia la-
tino-arcaica, si mantenevano inalterate le formule onomasti-
che del periodo precedente, prettamente etrusco.

Scorrendo del resto le numerose iscrizioni funerarie
etrusche, riportate dal Pauli nel Corpus inscriptionum etru-
scarum, si rimane convinti del fatto, che molte di esse pre-
sentano un’ evidente omonimia tra padre e figlio: natural-
mente bisogna tener conto soltanto dei primogeniti, ciò che
dalla lettura di quegli elenchi, sebbene numerosissimi, non
può facilmente apparire, perchè le iscrizioni non sono or-
dinate secondo ii concetto della filiazione. Il fatto non può
quindi emergere, che limitando le osservazioni a particolari
Ipogei, ove le ceneri dei diversi discendenti di una deter-
minata famiglia furono successivamente deposte.

6. — Una costumanza singolare, emersa dall’ Ipogeo
della famiglia Rufia è quella di veder deposte nello Ipogeo
della famiglia paterna le ceneri delle figlie andate a marito
altrove ed imparentate quindi con altre famiglie. Come già
ebbe a notarsi, tale costumanza fu indicata da due cinerari

L’ IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA »

a discendenti di altre famiglie; ma la costumanza stessa
viene comprovata anche dal considerare questo altro fatto.

ello Ipogeo della famiglia Rufia si trovarono mancanti,
come si vide, i cinerari di Larzia, consorte di Larte I (239)
‘e di Cotonia, moglie di Aulo III (265). Nei cinerari dei figli,
| sono distintamente ricordati i nomi delle rispettive madri,
ma il cinerario di queste non fu trovato nello Ipogeo. Con
tutta probabilità pertanto le ceneri di Larzia e di Cotonia,
richieste fors@ dalle rispettive famiglie, furono collocate ne-
gl Ipogei paterni, come nell’Ipogeo paterno della famiglia
Rufia ritornarono le ceneri di Fastia Rafi, consorte di Casni e
di Tana Rafi, consorte di Sentinate.

7.° — I cinerari degli ultimi discendenti della famiglia
Rnfia addimostrano poi gli enormi progressi, che veniva fa-
cendo sulla lingua e sulla scrittura etrusca, la lingua e la
scrittura latina. .

Quando mori Aulo II, l'iscrizione epigrafica abituale
in lettere etrusche, vedesi accompagnata da un principio
.d' iscrizione latina (268, 1); poi, o fosse quello un tentativo,
‘ovvero si obbedisse ad un pentimento o ad un ordine con-
rario, è certo, che colui, il quale graffiva le lettere latine,
si arrestò e lasciò sospesa l'iscrizione. Alla morte del fra-
tello minore Larte II (268, 5) e quindi dopo pochi anni scom-
pare ogni traccia di carattere etrusco, e la scrittura, e quindi
la lingua, risulta esclusivamente quella dei dominatori ro-
mani.

Eguali considerazioni emergono dalle iscrizioni dei due
cinerarî di Arunte IV (268, 2) e del figlio Arunte V (268, 6).
Le ceneri di ‘entrambi furono collocate in olle di terra

cotta; la iscrizione del primo conserva ancora caratteri
etruschi; quella del secondo è tutta in caratteri latino -
arcaici, benchè la dizione sia alla maniera etrusca. Queste
| considerazioni danno ragione del perchè, pochissime iscri-
zioni bilingui o digrafe furono rinvenute, essendo stato




























192 G. BELLUCCI

brevissimo il tempo del passaggio dall’una all’altra forma di
scrittura. Forse si verificò allora, ciò che si verifica pur
troppo anche oggi nella lotta fra alcuni popoli; potendosi ri-
tenere che l’uso della lingua e della scrittura etrusca fosse
dai dominatori romani, in sulle prime tollerata, poi rigoro-
samente vietata, anzitutto nelle occorrenze di carattere pub-
blico, poi anche in quelle di carattere familiare, che non do-
vevano rimanere nell'ambito esclusivo della casa. Se non
si facesse intervenire questo pensiero, non potrebbe spiegarsi
come in cinquanta o sessant'anni si perdesse l'uso di una
lingua, che durava da secoli, alla quale, coloro che la par-
lavano, dovevano essere tenacemente affezionati e legati.

8. — Come si accennó in precedenza, la disposizione
dei cinerari nello Ipogeo, non riveló in generale un cri-
terio prestabilito di collocamento. Emersero soltanto quattro
gruppi, accennanti ad una disposizione intenzionale, che, e-
spressi dai numeri segnati nei cinerarî, e nel Museo, e nella
pianta (Tav. I), corrispondono ai seguenti: I. 248, 256, 262
— IL 264, 261 — III. 256, 244 — IV. 243, 263.

La disposizione degli oggetti fittili e metallici nel suolo
dell’ Ipogeo non presentò ancor essa alcun criterio di collo-
camento, all'infuori del gruppo di recipienti in terra cotta,
riuniti nel punto designato dalla lettera 0. In questo gruppo
si presentarono meritevoli di nota i dodici truffetti, i tre
bicchieri e la piccola tazza, collocati forse nello Ipogeo,
in corrispondenza del pensiero tradizionale, da me altrove
illustrato, che lo spirito dei morti avesse ed abbia bisogno
di dissetarsi, durante la notte eterna delle tombe (1).

9° — Emerse pure da alcuni oggetti rinvenuti nello
Ipogeo, il concetto della rottura intenzionale, in obbedienza
al pensiero animistico, che lo spirito dell’ oggetto ritualmente
offerto o deposto nello Ipogeo, si liberasse da esso in con-

(1) BELLUCCI G., Sul bisogno di dissetarsi attribuito ai morti ed alloro spirito.
Arch. per l’Antrop. e la Ftnol. Firenze, vol. XXXIX, 1909, pag. 213. L'IPOGEO DELLA FAMIGLIA « RUFIA »

"seguenza della rottura determinata. La rottura intenzionale
ebbe a rilevarsi in tre specchi, nell'ago crinale in osso, nel
‘manico dì alcuni recipienti in terra cotta.

10.° — Merita menzione speciale il fatto verificatosi non
solo nello Ipogeo della famiglia Rufia, ma anche in molti
altri Ipogei discoperti nel territorio di Perugia, che gli spec-
chi, collocati nel loro interno, non si trovarono mai entro i
cinerari, ma sempre allo esterno di essi, collocati al di so-
pra, appoggiati alle loro pareti, o sostenuti da appositi piedi.
E ciò si verificò anche quando, come nei casi di tumula-
zione entro cassoni di pietra, si trovarono deposti con i ca-
daveri, utensili, ornamenti ed oggetti di uso personale. Si
riesce difficilmente ad interpretare il perché dj questa sin-
golare costumanza; ove si consideri però, che il corpo ridotto
ad un pugno di ceneri, non poteva altrimenti dare imma-
gine di sè nello specchio, questo doveva disporsi allo esterno
| dei cinerarî, sempre però nell’Ipogeo, dove continuava ad
aleggiare lo spirito dei morti e dove questo poteva ancora
-rimirarsi nella superficie riflettente.. Un rilievo etnografico
può convalidare questa maniera di vedere; i selvaggi, non
vedono nello specchio l'immagine del corpo, ma quella del
- suo secondo, ossia dello spirito, che se prosegue a presentare
la configurazione, le fattezze del corpo stesso, è ridotto però
ad una forma impalpabile ed ha perduto ogni essenza ma-
- teriale.

La costumanza di tale deposizione degli specchi negli
- Ipogei, fuori dei cinerarî, introdotta nel periodo di tempo in
cui si osservava generalmente il rito della cremazione, a-

| vrebbe poi proseguito tradizionalmente, anche quando fu

introdotto ed osservato il rito dell’ inumazione.
*
LEE

À questo punto le considerazioni, che potevano emer-
gere dalle iscrizioni epigrafiche dei cinerari e dagli oggetti
13

















ne







194 'G. BELLUCCI

rinvenuti nello Ipogeo della famiglia Rufia, giungono al loro
termine. Fu gran ventura, per la storia di codesta famiglia,
se dinanzi alla necessità di far posto ai nuovi morituri,
l’amore purissimo del sapere raccogliesse gli sparsi elementi
di una famiglia di estinti e nella mancanza delle cure pie-
tose ed affettuose dei congiunti, subentrasse a quei sentimenti,
che le credenze religiose di un tempo lontano avevano sa-
puto ispirare.

Oggi la famiglia Rufia trovasi di nuovo riunita e ricom-
posta; dalla casa sotterranea e buia, in cui per quasi ven-
titre secoli rimase, nella tranquilla pace del sepolcro, la
famiglia Rufia è passata in un tempio del sapere, alla viva
luce del giorno, alla libera vista degli studiosi e dei curiosi,
i quali tutti trovano e troveranno per l'avvenire in quella
numerosa raccolta di pietre, che sta a rappresentarla, la.
più eloquente conferma del detto tedesco :

« Wenn Menschen schweigen, werden Steine reden » (1).

E le pietre hanno parlato; hanno riferito la storia di
una famiglia patrizia di Perugia etrusca, che si svolse fio-
rente e potente nei primi tempi della dominazione romana,
e che pur troppo, alla fine della sua individualità, come fa-
miglia etrusca, dopo aver perduto lingua, costumi, abitudini
proprie, restò travolta e confusa nell’onda crescente dei
nuovi dominatori.

GiusEPPE BELLUCCI.

(1) Quando gli uomini taceranno, parleranno le pietre.











E L'OTTAVA EDIZIONE DEL « QUADRIREGIO »

(Continuaz. e fine v. Vol. XVII, fasc. I-II)


Seguito dell” Appendice I.
44.

È un grande onore della nostra Accademia il gra-
dimento che fa V. P. Rev ma della consaputa Raccolta ;
ma quanto più ha avuto fortuna d’ incontrare le di lei
compiacenze il sig. Boccolini con la sua Orazione, tanto
meno l’ incontrerò io in un simile impegno che mi corre

on la stessa sig.ra Principessa Panfili, che certamente mi
tiene in una grande e giusta apprensione. Ha letto
V. P. Rev.ma il sonetto di S. Ecc.za sopra la speranza
riportato nell’ accennata Orazione ; deve dunque sapere
che discorrendo intorno ad esso con molta modestia la
sig.ra Principessa obbligò il sig. Boccolini e me a dirne
il nostro sentimento, nè bastò di celebrarlo con la do-
vuta lode in termini generali, bisognò discendere al-
l’espressione di molte particolari bellezze, che in quello

venivano da noi considerate, e rispondere a diverse ob-
biezioni fatte dall’Ece.za Sua. Insomma la faccenda andò
a terminare, che comandò a me di stendere in carta
quel tanto avea io detto a voce di detto sonetto, con
esprimersi di più che le sarebbe piaciuto che l’ avessi
mandato a Roma al sig. Martetli, che è il suo poeta fa-
vorito della maggiore confidenza. Consideri V. P. Rev.ma
in che bell’ imbroglio io mi trovo. Dover far 1° esposi-
zione di un sonetto di una gran Dama e di una letterata,
senza ingegno, senza giudizio, senza libri e senza tempo.
La sig.ra Principessa è già in Roma da molti giorni
in qua, e se potessi con buona faccia, stante questa as-

— —— - —r——_—_—_—_————_—_—_—_—_T—T____—_——_—_@____—@—_——@—#———@__—@— @— È
- DI ENTRATI IAA EI
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——-@©



E. FILIPPINI

senza, lasciar morir da sè di etisia questo impegno, lo
farei ben volentieri; ma intanto per non trovarmi total-
mente sprovveduto per ogni accidente, sono andato sca-
rabottando alcune bagattelle, che nella quantità della

materia possono andarsi disponendo ad un discorso ac- . |

cademico ; et ho presa questa direzzione (sic) per mo-
strare di ciarlare fra i cancelli domestici della nostra
Accademia per esercizio letterario e fuggir la taccia di
fare il saputo nell'avvanzarmi ad esporre gli altrui com-
ponimenti e di personaggi di tanta alta sfera; non pa-
rendomi nè meno proprio il dire essermi comandato
dalla sig.ra Principessa per non mostrare che io pazza-
mente creda di essere capace di simile comandamento.
Io ho già risoluto con piena confidenza di man-
darne i fogli a V. P. Rev.ma; e lo farò con la prima
occasione fuori di posta quando però preventivamente
s’impegni non solo di parlarmi con tutta tutta la libertà
più sincera, ma di cassare, tagliare e far tutt’ altro di
peggio che meritano le mie freddure. Aspetto dunque
questa promessa, chè poscia io adempirò la mia... (1).
Foligno, 13 Gennaio 1716.

45.

Con piena mia consolazione sento confermarmi nella
stimatissima di V. P. Rev.ma la promessa di voler pra-
ticare tutta la più stretta censura in correzione della mia
cicalata sopra il sonetto della sig.ra Principessa Panfilia
ed io le confermo con ingenuità le più vive proteste,
che con quanta più libertà e rigor maggiore ella mi
dispenserà i suoi stimatissimi ammaestramenti, con tante
maggiori obbligazioni se si incontrerà da me il favore
e per questo solo motivo averò sempre tutto il piacere
d’aver impiegata questa poca applicazione, benchè mi

costi un rossor maggiore di comparire a V. P. Rev.ma

(1) Il resto, che non riguarda l' argomento del presente lavoro, si ommette per
amore di brevità.

sempre più debole e più ignorante. Sono restato in
dubbio d’aggiungere infine in poche righe qualche con-
siderazione sopra le bellezze esterne, toccando le meta-
fore, i traslati, la sceltezza delle voci, il concorso delle
- vocali, il numero, la condottura e cose simili ben cor-
rispondenti alla grandezza dei concetti, che vedo esa-
minarsi dagli spositans di simili componimenti; ché da
una parte io lo giudicava necessario per mostrare nel
sonetto questo pregio di più e per verificare che sia
dettato su l’Idea sublime che da me si asserisce pre-
'suppositivamente senza alcuna prova; ma dall’ altra
parte me ne sono astenuto per non allungarmi di più,
conoscendo bene in me stesso fra gli altri mancamenti
“anche questo di non saper trovare nè modo, nè tempo
per esser più breve e per mostrare ancora di non andar
‘ricalcando le vestigia degli altri; sopra di che imploro
distintamente i sentimenti di V. P. Rev.ma avendo a
| questo effetto lasciato quasi in aria il discorso senza
qualche final terminazione. Attenderò dunque con an-

jetà, ma con suo commodo le grazie di V. P. Rev.ma,

| a cui rinnovano i loro ossequiosi rispetti il sig. Bocco-
ini, il Prior mio fratello e con umilissima riverenza mi
dico ecc.
i Foligno, 24 Gennaro 1716.

46.

Hanno in me combattuto molti giorni il riverente
rispetto di non incommodare V. P. Rev.ma e l’ innato
desiderio ch’ à ogni uomo di sempre imparare, che mi
ha tenuto in sollecita impazienza aspettando le corre-
zioni e i documenti promessimi sopra le baie da me
scritte intorno al consaputo sonetto della sig.ra Princi-
pessa Panfilia. Ma finalmente han rotta la bilancia
gl’ impulsi di questo sig. Nuccarini che essendosi tro-
vato presente a i comandi di S. E. m' importuna tutto

il dì ad obbedirli, né io trovo ormai più scuse da capa-

citarlo della dilazione, tenendolo in concetto di non





198

E. FILIPPINI

aver ancora steso nulla. La prego dunque a favorirmi
quanto più presto può anche per la posta di quelle
grazie, che vorrà dispensarmi, e quando anche, come
ragionevolmente mi persuado, sia la lezione incapace
d’ una competente emenda e che abbia bisogno come
pur troppo l’ ha, d’una pezza da nuovo, stimerò più
grande il favore di questa semplice e libera confessione,
che se non mi darà motivo d' imparare, ch'é quanto io
desidero, mi confermerà almeno in quello che io già

"sapeva, d'esser debolissimo ed ignorante.

Condoni V. P. Rev.ma l'incommodo, mi conservi
la parzialità del suo amore, mi comandi con libertà, ed
augurandole un buon carnevale resto con umilissima
riverenza ecc.

Foligno, 17 Febbraio 1716.

Ricevei sabato della settimana passata e non prima
l’involtino portato dal Merli libraio con i tre Giornali
di Venezia XXI, XXII, XXIII; ma non potei Lunedì
accusarne la ricevuta a V. P. Rev ma perchè alcune
occupazioni mi fecero trapassare l’ ora della posta
inavvedutamente: ne ringrazio ora infinitamente V. P.
Rev.ma del favore e la supplico ad ordinarmi come
debba servirla del denaro per questi tre e per gli altri
due antecedenti, cioè se devo rimetterlo costà in Pe-
rugia, o pure altrimente erogarlo a sua disposizione.

Ho tutta la più efficace volontà di terminare e ri-
durre a suo fine il lavoro per la ristampa del Quadri-
regio, ma non mi dà l’animo di fissarmi in applicazioni,
benchè amene e geniali, nello stato di salute in cui mi
trovo, che da alcuni mesi in qua è incommodata distin-
tamente da afflati ipocondriaci, che mi empiono la
mente di fumi tetri e melanconici direttamente contrarii
all'amenità delle lettere umane. Se con allontanarmi
dagli affari pubblici e con una villeggiatura che penso
fare in tutto il futuro Agosto, si degnerà S. D. M. ri-

L’ ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

donarmi la serenità della mente, ripiglierò con più vi-
gore l’interrotte applicazioni sopra i testi del Quadri-
regio. Ma e la critica della mia cicalata sopra il con-
saputo sonetto della sig.ra Principessa? Io interpreto
jl silenzio di V. P. Rev.ma per una finezza della sua
gentilissima modestia per timore di non disgustarmi con
le tante e taMfe cose che dovrebbe dire in correzione
“della medesima, se pur di tanto è capace; ma io le
faccio animo e l’accerto che tutto riceverò non solo per
favore distintissimo, ma con vera compiacenza pel van-
taggio degli ammaestramenti, che spero di ricevere dal
suo gran sapere, e contestandole sempre più le mie
obbligazioni le faccio devotissima riverenza.
Foligno, 15 Maggio 1716.

48.

Mille, e mille grazie rendo a V. P. Rev.ma de’ giu-
diciosissimi avvertimenti e caritative correzioni, de’
quali mi ha favorito intorno alla mia talqualsiasi lezione
sopra il sonetto della sig.ra Principessa Panfili, e le

| protesto ingenuamente, che le ne devo infinite obbliga-
zioni, come le ne rendo umilissime grazie. Io la desi-
derava, e l’aspettava, in questa parte più liberale; ma
Ella ha voluto troppo cortesemente e senza mio merito
diffondersi in lodi ed in attributi, che sono a me di
rossore e mi aggiungono un nuovo e maggior debito
verso la sua gentilezza.

Ho subito corretto nell’ abbozzo che mi resta in
mano di detta lezione, tutti i luoghi avvertiti, e se
V. P. Rev.ma ha altro da suggerirmi, la supplico con-
tinuarmene il favore (che s’ incontrerà sempre da me
con stima e venerazione), perche è inevitabile la recita da
farsene a S. Ecc.za in congresso accademico forse con
l intervento di Mons. del Giudice maggiordomo di
Nostro Signore.

La supplico della continuazione del suo stimatissimo

amore e de suoi comandi e confermandole l'impegno



E. FILIPPINI

di applicare con attenzione e sollecitudine alla sbriga-
zione del Quadriregio mi confermo sempre più con umi-
lissima riverenza ecc. i

Foligno, 21 Settembre 1716.

49.

Ho ricevuto dal sig. Diamanti l’ involtino trasmes-
.somi da V. P. Rev.ma col Giornale 24, Rime scelte degli
Areadi, lezione sopra il sonetto della sig.ra Principessa,
^e due copie della sua preziosa Orazione a S. Francesco
di Paola, già consegnate al sig. Boccolini; e per la
posta godo l'onore d'un suo stimatissimo comanda-
mento per due risme di carta grande alla francese, et
una coll' impronta della Colomba, e per renderla ben-
servita mi resta solo a sapere se la carta grande deve
essere ordinaria francese o pure fina alla genovese da
ridursi in rismette per l’uso di scriver lettere: con
questa notizia ne darò subito la commissione ed averó
l’attenzione più distinta per averla di qualità buona e
per ispedirla sollecitamente anche in una risma per
volta, secondo l’opportunità delle occasioni.

Le gentilissime espressioni delle quali V. P. Rev.ma
favorisce replicatamente con tanta bontà l’ accennata
lezione sopra il sonetto della sig.ra Principessa (per le
quali protesto sempre maggiori le mie obbligazioni e le
rendo sempre più umilissime grazie), mi fan credere per
la grandissima stima che he del suo giudizio che oltre al
mio credere abbia seco qualche parte non affatto di-
sprezzabile, onde con tanto maggior animo ne farò la
recita a S. E. in una adunanza accademica che le è
destinata dal Principe e da altri ufficiali nel ritorno
della medesima, e prenderò impulso per esercizio di
studio d’andar tessendo qualche altra esposizione sul
Quadriregio, ed in primo luogo ho in mente di farlo
con una o due lezioni sopra l’antichità e la denomina-
zione di Foligno accennata dal Frezzi nel cap. 18 del

primo libro e mi caderà in acconcio di esporre la la-

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

pide eretta a Tutilia, altre volte comunicata a V. P.

Rev.ma: D. M. — Tutiliae — Laudicae — Cultrices —
Collegi — Fulginiae.
: Credendo io molto probabilmente che quella voce
— Fniginiae non sia il nome della città, ma di una Dea qui
venerata da un Collegio di donne sacerdotesse, e che
dal concorso singolare di popolo (come in altri luoghi è
succeduto tanto in tempo della gentilità, quanto della
Chiesa nascente) fosse edificata la città col nome della
Dea che si adorava, e perchè non è da supporsi che
fosse una Deità particolare, ma più tosto una delle Dee
maggiori con detto nome di Fulginia, m'ingegneró di
stendere alcune riflessioni che ho in mente, in dimo-
strazione che fosse la Dea Vesta, che darebbe antichità
maggiore a questa patria.

Col beneficio della villeggiatura ho ricuperata per-
fettamente la salute per grazia di Dio che prego con-
servarmela, e rendo infinite grazie a V. P. Rev.ma del
cortese pensiero che ha della medesima e mi confermo
con umile riverenza ecc.

Foligno, 5 Ottobre 1716.

50.

Ho data la commissione per la carta comandatami
da V. P. Rev.ma ed averò l’attenzione per averla buona
e per ispedirla con sollecitudine.

Volesse Iddio che io potessi esser fatto segno del-
l'onore d'aver presente alla recita della consaputa le-
zione V. P. Rev.ma! Le ne umilio le suppliche quando
glielo permettino le sue occupazioni, ed in ogni tempo
tanto per questa occasione quanto per le altre del Qua-
driregio mi faró gloria di servirla con la libertà che de-
Sidera in questa sua casa.

Dai Sig.ri Accademici ho ricevuto molti impulsi per
la stampa dell’accennata Orazione, che mi vengono in
questo ordinario rinovati con gentilissima maniera da
V. P. Rev.ma e dal nostro sig. Conte Montemellini, nè

vorrei che vi fosse sotto qualche cortese intelligenza.



E. FILIPPINI

Le mie ripugnanze non si restringono alla essenza del-
l’Orazione, che tale quale sia non temo di farla vedere
a tutto il mondo dopo ch'è stata al cimento del purga-
tissimo giudizio di V. P. Rev.ma, apprendo solo che
possa esser considerata temerità la mia di comparire
alle stampe con un componimento critico, soggetto da
maneggiarsi solo dagl’ ingegni più elevati e che si ab-
bino già fatto il suo nicchio con la dottrina e col cre-
dito: nondimeno se si considera che possa o debba
stamparsi, fo cedere i propri sentimenti e mi rassegnerò
anche a costo di qualunque rossore all’altrui ubbidienza.
Mi scordai nell'altra mia di ringraziare V. P. Rev.ma
della notizia della ristampa dell'opera dell'Ughelli e dei
due sonetti in lode del sig. Principe Eugenio; adempirò
adesso a questa parte protestandomi molto obbligato del
favore. La notificazione la rimanderò nel venturo ordi
nario. Il sonetto del sig Avv. Zappi l’aveva già goduto
et ammirato per primo : l’altro del P. Amigoni l’ho letto
con molto compiacimento ed ho ammirato 1’ estro del
poeta, i di lui voli ditirambici: ne darò copia al sig. Nuc-
carini, che può farlo passare come da solo sotto gli
occhi della sig.ra Principessa a cui scrive di continuo,
ed intanto con umilissima riverenza mi confermo eee.
Foligno, 9 Ottobre 1716.

51.

Lunedi poi segui la recita della consaputa lezione

accademica alla presenza degli Ecc.mi sig.ri Princi-
pessa e Principe Panfili, di Mons. Ill mo Giudice: Mag-
giordomo di nostro Signore e di numerosa scelta udienza,
e fu gran fortuna che incontrassero le mie debolezze
un benignissimo compatimento .degli accennati Perso-
naggi. Io desiderai doppiamente in tale occasione V. P.
Rev.ma per averla presente al congresso accademico e
all’ erudita conversazione, della quale volle onorare gli
Accademici dopo la recita la sig.ra Principessa insino
alle tre ore di notte nobilitata da copiosi rinfreschi.



La partenza per Roma sollecitata da Mons. Mag-
giordomo fece sollecitare più d’ogni credere la recita
dell’Accademia e perciò non fu potuto stampar prima
la lezione; se si giudicherà che venga bene di farne
ormai l'impressione, io non mancherò di mandarne qual-
che copia a V. P@Rev.ma, dalle cui correzioni riconosco
l’onore che ha incontrato per grazia di Dio questo mio
tal qualsiasi componimento.

Il sig. Boccolini ha fatto gloriosamente distinguere
la sua virtù con una parafrasi poetica del consaputo
sonetto della sig.ra Principessa in quattordici sonetti
legati in corona o catena, servendo ad ognuno di verso
finale uno de’ versi del sonetto di S. Ecc.za, e con una
bellissima selva latina a Mons. Maggiordomo. Questi
che già è nostro coaccademico acclamato, onorò la fun-
zione con una traduzione in versi latini del sonetto
della sig.ra Principessa (che fa invidia alla famosa del-
l’Ab.te Regnier del sonetto del Filicaia all'Italia)legata
in una bellissima elegia, ed in fine della recita per una
soprafinezza di grazia diede a recitare al sig. Boccolini
Segretario un mirabile epigramma in lode della nostra
Accademia.... (1)

Ormai tutta l'applicazione resterà al lavoro del Qua-
driregio, che spero sarà compito per le feste di Natale,
per dar poi mano alla nuova ristampa. Mi continui V.
P. Rev.ma l’onore della sua stimatissima grazia e padro-
nanza, e con umilissimi ringraziamenti mi confermo ece.
Foligno, 30 Ottobre 1716.




Sin dall'ordinario passato era io in debito di noti-
ficare a V. P. Rev.ma la perdita degna veramente di
eterne lagrime che ha fatta questa città ‘colla morte di
Mons. Ill.mo Malvicini degnissimo Vescovo della mede-

(1) Si ommettono alcune righe, che non riguardano il presente argomento.

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 203








































E. FILIPPINI

sima, che per le tante sue religiose ed esemplarissime

doti lascia una gloriosa memoria ed un perpetuo desiderio
di sé stesso. Dopo l'incommodo d'una febbre periodica in
sistema di terzana doppia, dalla quale si era rimessa, fu
sorpresa Sua Signoria Ill.ma domenica della pass ata 14
del corrente da un accidente apopletico, che nel giro di tre
giorni con replicati insulti lo condusse mercordì passato
verso le 9 ore al possesso, come piamente si spera, del-
l’eterna gloria meritatagli dalla sua somma pietà, in-
corrotta giustizia, integerrima castità e carità ardentis-
sima verso i poveri, oltre tante altre virtù possedute in
grado eroico, che l’ hanno dato e (sic) conoscere per l’e-
semplare d’un vero e tanto prelato apostolico. È inespli-
cabile il dolore universale di questo popolo per la per-
dita di sì degno prelato, ed oltre ogni credere è stato
il concorso dei cittadini, diocesani e forastieri nella
esposizione del di lui sacro cadavere, ch'è bisognato
difendere con guardia d’alabardieri, senza pure che
siasi potuto impedire che da un zelo veemente di divo-
zione non gli sia stata portata via una buona parte
dei vestimenti e de’ capelli, con altre più vive dimo-
strazioni d’infinita stima ed amore.

Molti componimenti italiani e latini furono letti fra
gli ornamenti lugubri del funerale; i più deboli furono
due miei sonetti abbozzati in quelle strettezze, che io
averò tempo ricopiare in questa per impetrarne un
degnissimo compatimento da V. P. Rev.ma.

Oggi si reciterà un’ accademia funebre e si vanno
meditando altre più vive dimostrazioni del commune
dolore.

Averei molte altre cose da soggiungere, ma serivo
mezzo intirizzito dal freddo, onde mi ristringo a con-
fermarmi con umilissima riverenza ecc.

Foligno, 22 Febbraio 1717.

à

Turbe mendiche, se a cibarvi in terra
Stese prodiga man sagro Pastore,
Ora cinto d'eterno almo splendore
I tesori del Cielo a voi disserra.

L'ACCADEMIA DEI <« RINVIGORITI » DI FOLIGNO,

Mentre Parca inclemente il Corpo atterra
Va la sua Carità nel divo amore
A prender tempra d’immortale ardore,
Ove fuor del suo fral l'Alma non erra.
Ei già trionfa a i Serafini accanto;
Cessi dunque quel duol, che grato e pio
Vi stilfa il cuor per le pupille in pianto.
Ché piü vivo di mai nudre il desio
Di sollevar vostre miserie; e oh quanto
Omai farà, che il tutto puote in Dio!

Qual nembo, ohimé !, qual fulmine fatale
D'inclemente destin, di Parca audace
Toglie a Dondatio il respirar vitale,

Sue glorie al Tinna ed al mio cuor la pace!

— Senno, zelo, pietà dunque non vale
Di Cloto a rintuzzar l' ira vorace —

To volea dir, ma di un sospir su l' ale
Incatenò gli accenti il duol tenace.

Pur se mi scuote un pensier saggio e pio,
Alzo i lumi alle sfere e più col cnore
La grand’ alma contemplo in braccio a Dio,

Ma quanto cresce allor stima ed amore
Di sue virtù, tanto più vivo, oh Dio,

Mi cruccia il desider:o et il dolore.

Scrivo con tutta fretta e con sommo freddo senza
tempo di rileggere lo scritto. Condoni ed emendi.

53.

Sono debitore di risposta a due stimatissime di
V. P. Rev.ma, una ricevuta per la posta sino dalla set-
timana passata, l’ altra resami dal gentilissimo P.re
Prior Mastri. La ringrazio in primo luogo infinitamente
del favore dei due tomi 24 e 25 del Giornale di Venezia
ed ho goduto distintamente d’ aver l’ Indice bello e co-
pioso che dà qualche compimento all’ opera insino a
questo termine: ma nello stesso tempo mi pone in ten-
tazione di sospenderne la provisione per l’ avvenire, me-
ditando di convenire fra il sig. Boccolini e me di pren-
dere uno i giornali, l'altro l' opere degli Arcadi; onde

I
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E. FILIPPINI

senza nuove mie suppliche si compiacerà V. P. Rev.ma
di non darne per me altra commissione in Venezia. Ho
però seco il debito di sodisfare il prezzo de’ già prov-
veduti, che pare a me restino a pagarsi in numero di
sette o otto, e forse più, onde la prego ad illuminarmi
ed aiutare la debolezza della mia poca memoria.

Le rendo parimente copiosissime grazie delle cor-
tesi e soprabbondanti lodi delle quali favorisce que'spa-
ruti sonetti da me quasi improvisamente abbozzati per
la morte sempre memorabile per questa città di Mon-
signor Malvicini. Io mi sono protestato altre volte con
V. P. Rev.ma e mi protesto adesso per sempre con ve-
rità e schiettezza di cuore, che quando io comunico a
V. P. Rev.ma qualche mia debolezza, lo faccio per im-
parare e perciò intendo d’ esigerne correzioni e non lodi;
la prego però più fermamente che mai ad usarmi questa
caritativa attenzione in emenda dell’ annesso sonetto per
le nozze del sig. Ambasciatore dell’ Imperatore, che do-
vrebbe andare in una raccolta che deve stamparsi qui
dopo Pasqua di molti cospicui soggetti delle prime città
d’Italia; onde la prego di rigore per farlo comparire
con la maggior riputazione che si può e dirmi anche
francamente di lasciarlo fuori, chè le ne resterò sempre
sommamente obbligato.

Mons. Ferniani Governatore di Narni persiste, per
quanto si sente, nella costanza di recusar questo Vesco-
vato, onde ci resta il desiderio d’impetrare dalla Divina
Beneficenza e dall’attento zelo della Santità di Nostro
Signore un altro Prelato, che sia degno successore del
santo Vescovo defunto.

Mi lasciò il garbatissimo P. Mastri, che riverisco di
tutto cuore, un testo di Dante in cartapecora per man-
darlo a Roma al P.re Abbate Grandi e sto in attenzione
d’ occasione opportuna.

Molti giorni sono mi capitò franco di porto una bal-
letta di libri con soprascritto a me diretto, spedita da

uno spedizioniere di Pesaro in nome di un mercante di

Bologna; e poichè non mi diceva a chi dovessi indiriz-

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

zarla, ho rescritto a dietro per averne qualche notizia,
ma non ne ho ancora risposta. Ho sospettato che po-
tesse venire a V. P. Rev.ma, ma il P.re Mastri mi ha

risposto di no; nondimeno le ne avvanzo questo cenno

per sua e mia regola.
Sin ora E è capitata in mie mani altro che l' Ipe-

rerisi ms.; mi dice però il P. Roncalli che egli ha la
lettera al Valsechi ed ha promesso darmela fra pochi
giorni; subito che l' averó, la farò copiare di mano cor-
retta e farò tutto levare alla genovese; mi disse il P.re
Roncalli che l’Ipererisi era desiderata da un Prelato di
Roma, ma io gli ho detto che non posso rimetterla in
altre mani che in quelle di V. P. Rev.ma, alla quale
faccio umilissima riverenza.
Foligno, 19 Marzo 1717.

Ecco il Lazio, ecco il Tebro, Ernesta, al fine
Meta a tuoi passi, ecco il Tarpeo vetusto,
Ove di Roma il prisco genio augusto
Spira ancor maestà fra le ruine.

Qui sculti in bronzi e in dure pietre e fine
Mira Scipio, Pompeo, Fabio ed Augusto:
In un sen che d’ eroi dee farsi onusto,
Sveglian che belle idee l' ombre latine!

Ma tu non vuoi esterni esempli, e vuoi
Sol contemplando il regio tuo consorte
Unire i di lui merti a i pregi tuoi.

Siegui pur lieta: ed o quai figli in sorte
Daravvi il Ciel!; ché degli antichi eroi
Tu se' piü saggia, e Vincislao piü forte.

La nostra Accademia dovrà mettersi in gala per la
promozione alla sacra porpora di Mons. Giudice nostro
acclamato.

La ringrazio infinitamente dell’ opera insigne di
Mons. Fontanini, che aveva ricevuta dal P.re Mastri ;
l'ho trattenuta troppo per goderla anch’ io dopo l’amico
per cui l’ha (sic) richiesi ed aspettava occasione oppor-

tuna per rimandarla con diligenza.











E. FILIPPINI

54.

Per accertarmi del contenuto nella consaputa bal-
letta de’ libri venuta da Pesaro, l’ ho aperta e vi ho
trovato appunto le copie dell'Arte Oratoria del P.re Pla-
tina e saranno da dieci o dodici che non le ho contate.
Il mandarla costà sollecitamente con nessuna o poca
spesa non sarà così facile, poichè molti ingombri d’ in-
cerate e canavacci fanno crescere la balletta intorno il
peso di una cinquantina di libre, e perciò vi vorrebbe
l'occasione di qualche galesse con poco carico, alla
quale invigilo con precisa attenzione. Se V. P. Rev.ma
gindica che venga bene divider la balletta in diversi
involtini di due o tre copie di detta opera, le potrebbe
forse riuscire d’ averla alle mani più speditamente, sopra
di che la prego d’un cenno de’ suoi sentimenti; chè
per altro la balletta intiera si può mandare mercordì o
giovedì pel solito vetturale della Bastia, col quale trat-
terò per il primo se vuol portarla fuori di dogana con
qualche moderata recognizione; insomma oggi che so
ch’ è roba sua e che desidera d’averla presto, può ac-
certarsi V. P. Rev.ma che non lascierò diligenza per
ben servirla.

La ringrazio vivamente del cortese avvertimento
datomi intorno al consaputo sonetto per le nozze del
sig. Ambasciatore Cesareo, e per prevalermi delle sue
stimatissime grazie ho pensato per togliere ogni diffi-
coltà che possa portare la trasposizione dell’ ottavo verso

che dice:
Sveglian che belle idee l' ombre latine,

mutando (sic):

Svegliano eccelse idee l' ombre latine.

E capitata a questi giorni copia della Raccolta fatta

in Comacchio per la traslazione dell’ossa di S. Cassiano,
che mi dice il sig. Boccolini esser giunta anche a V. P.

Rev.ma. Non ho potuto leggervi senza ribrezzo e senza




























L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 209

‘collera due miei sonettacci strappatimi di mano a posta
corrente dal sig. Boccolini, che ne fu richiesto dal si-
gnor Zappati (sic) in vederli oltre alle mie imperfezioni
caricati di tanti altri difetti e spropositi nella stampa,
che rendono impossibile sino il capirne il sentimento,
particolarmente nel secondo sonetto, e nei due ultimi
terzetti, pag. $9 della seconda edizione, mentre consi-

: ^ cr

————_—________——_—_____ TT Ttt]P}P1HP{t{ttt gq@ouwu e:

derando io che il Santo in vedersi con esecrabile im-
prontitudine trafitto a morte da quegli stessi discepoli,
che, tutto amore, ritoglieva dalle doppie tenebre della
ignoranza e del ‘peccato, spandendo loro aurei celesti
detti d'alto sapere e d’ eterna vita, m’ideai che il
martirio più crudele lo risentisse la pietà nel cuore, non
il senso nel corpo e che il carnefice più spietato fosse
non la crudeltà o la tirannia, ma la stessa ingratitu-

dine, onde esclamai :

Ria tiranna empietà ch' ebbra di sangue
Nutri solo di stragi il tuo furore,
Non trionfar sul sacro corpo esangue :

Più di tua crudeltà, cieco livore

D’' ingrato genio al pio Pastor che langue

Martirizzato ha la Pietà nel cuore.

L'assistente alla stampa non si ha fatto scrupolo



d’intralciar tutto il sentimento, con le mutazioni che si
leggono nella Raccolta, e specialmente con quelle « Il
Trionfar » « 0 ingrato Genio » anzi nel primo sonetto,
pag. 68, fra le altre mi ha mutato intieramente un verso,

mentre avendo io scritto:









Là dove în grembo de l’Adriaca Dori
Piega il padre de’ Vati i crini algosi

alludendo al frontespizio delle Rime de’ Poeti Ferraresi,

ovvero

Piega il Rege dei Fiumi i crini algosi

(Fluviorum rex Eridanus) scaricandosi nelle vicinanze



rr rP—r_—_rrcre e, a: : z

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E. FILIPPINI

di Comacchio alcuni rami del Po, come Po di Volano,
gli è piaciuto di mutare il secondo verso :

Ha d’alto onor Comacchio i crin pomposi,

che non finisce di piacermi nè nel numero, nè nelle voci.
Si degni dunque V. P. Rev.ma esercitar doppiamente la
pazienza in compatimento de’ miei non meno che degli
altrui difetti ed emendare con la penna 1’ esemplare
che ne ha, anche in alcune scorreziani d’ ortografia.

E per finire di romperle la testa con le mie ciancie
trascrivo a tergo di questa un sonetto comandatomi ul-
timamente dal sig. conte Montemellini per una acca-
demia costà celebrata, chè per essere stato abozzato in
fretta non potei digerire alcune difficoltà che mi resta-
vano particolarmente nel primo verso:

Quante alme forti ebbre di gloria, 0 Dio,
Lete varcar senza l’ onor de’ pianti!

ove in quell’ edbre di gloria il mio sentimento è: inva-
ghite della gloria, ebbre del desiderio di conseguir la
gloria; la difficoltà dunque mi nasce che ebbre di gloria
possa intendersi ripiene di gloria, che non è il mio pen-
siero, chè anzi voglio dire che muoiono senza gloria; la
prego dunque a dirmi se tal modo di dire possa soste-
nersi.

In proposito del problema Accademico « Utrum ad
comparandam sapienti gloriam magis fortuna conferat
an virtus ».

Vixere fortes ante Agamennona
Multi ; sed omnes illacrymabiles
Urgentur, ignotique longa
Nocte: carent quia Vate sacro.

(Horat., od. 9, lib. 4).

Quante alme forti ebbre di gloria, o Dio,
Lete varcar senza l' onor de’ pianti,
E restan già nude ombre, ignote, erranti
In lunga notte di profondo oblio!

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI > DI FOLIGNO, ECC.

Che val d' eterno nome alto desio
Senza il favor d' amica sorte? o quanti
Son di virtude sconosciuti amanti,
Perché fortuna i merti lor coprio !

Bella figlia di Giove, Alma reina
D'ogni piü saggio cuor, dunque n' andrai
Di sorlja e cieca Dea serva meschina.

Ah no — diss' Ella — e mi sveló i suoi rai?
Con la fortuna la virtù cammina

In (*) lega si, ma in servitù non mai.

(*) Virtuti Fortuna Comes.

Condoni il tedio. Il sig. Antonelli ne’ primi giorni
dopo le feste legherà il Dante ms. in pelle cremesi con
ogni diligenza : basta ch'Ella m'accenna (sic) se ne'
fianchi della battice vuole filetti d' oro e se bisognando
e potendosi dar qualche rifilatura alle carte del libro
debba il taglio lasciarsi bianco o con qualche colore.

Il sig. Boccolini ed il Prior mio fratello ossequio-
samente la riveriscono come faccio in: a cotesto garba-
tissimo P. Priore e a V. P. Rev.ma faccio umilissima
riverenza.

Foligno, 29 Marzo 1717.

55.

Mercordì passato consegnai ad Antonio vetturale
dalla Bastia un involtino sigillato da ricapitarsi franco
di porto a V. P. Rev.ma con le varie lezioni osservate
col confronto de’ testi nel primo libro del Quadriregio.
Si sono tralasciate quelle osservazioni, che riguardano
la variazione della pura ortografia, perchè siccome si
renderebbe o non plausibile o di poco uso la ristampa
del Quadriregio, quando si osservasse rigorosamente
l'ortografia che correa nel secolo che fu composto, senza
accorciamenti, senza virgole, senza punti e con tanti
impedimenti della poetica armonia, che credo dovesse

darglisi da’ leggitori, così si è creduto doversi attenere

a quella saviamente stabilita nella copia fatta in Ra-







E. FILIPPINI

venna, tanto più che è impossibile a risapersi l’ orto-
grafia propria dell’Autore non avendosi un testo auto-
grafo e riconoscendosi tanto varia ne’ mss. superstiti,
‘nei quali si vede essersi caminato a genio de’ copisti.

Doveano essere inclusi nel pacchetto altri fogli, ove
restano segnati i passi dei capitoli di detto primo libro,
che meritano qualche osservazione o per istorie o per
favole o per altro, ma mi restarono accidentalmente sul
tavolino, onde li manderó in appresso per lo stesso vet-
turale.

Le supplicai nella lettera di porto di consegnare al
renditore di essa i libri del Papebrochio, aspettandoli
con desiderio l'erudita curiosità di questo Prelato: onde
quando non li abbia consegnati, la supplico a farlo
col ritorno dello stesso vetturale che viene costà due o
tre volte la settimana e vi sarà facilmente domani, ed
io mi faccio mallevadore della di lui fedeltà e diligenza
e con umilissima riverenza mi confermo ecc.

Foligno, 11 Febbraio 1718.

56.

Sono in debito di ringraziare, come faccio con questa,
V. P. Rev.ma della soavissima censura della consaputa
Orazione, che ha dato a me gran lume e resta sepolta
con tutta la confidenza.

De’ libri datimi in nota da V. P. Rev.ma per la
consaputa permuta con questo P.re Gaetano, ei prenderà
il Corriere — Digestum Fidei — Volumi due in foglio
della stampa di Lione e il Porter -- Systema Decretorum
Dogmaticorum — in foglio, de’ quali perciò desidera sa-
pere l’ultimo prezzo, per cui vuol rilasciarli V. P. Rev.ma.

Aveva promesso di dar nota d’ altri libri duplicati,
de’ quali si sarebbe disfatto, ma se non arriviamo il

sig. Boccolini et io a farla da noi, come abbiamo già

destinato, Dio sa quando si averà; intanto se V. P.
Rev.ma favorisce di dare in nota-altri libri da invogliar

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO,

questo Padre, come m'intenzionó in altra sua, potrà
contribuir molto a far qualche buon partito.

Averà sentito V. P. Rev.ma dal sig. Boccolini la
bella scoperta che si è fatto sul ms. del Quadriregio

| posseduto daj sig. Baruffaldi delle note dei due famosi

Ariosti e ne averà concepito quel giubilo, ch'io mi
persuado, pel buon genio ch'Ella ha per l'avanzamento
delle buone lettere e distintamente per quest'opera, che
finalmente oggi o domani comincierà a stamparsi.

Oltre alle note accennate ha il ms. alcune varie le-
zioni marginali correttive del testo per quanto si scorge
assai difettoso, che averà dato fondamento al noto Si-
gnore di qualificarlo per uno scartafaccio. Di queste
varie lezioni, sì perchè sono pochissime sì per altri ri-
guardi, si è creduto dal sig. Boccolini e da me di non
ne fare altro conto nella ristampa del testo; ma portar
solo le note degli Ariosti; ci piacerà nondimeno sentire
il parere di V. P. Rev.ma. Uno dei motivi anche è che,
parlando con discredito di questo Codice il noto Sig.re,
non vorrei che vedendosi apprezzato da noi con la scelta
delle varie lezioni mettesse in discredito gli altri codici
mss. che sono veramente molto migliori, per quanto
può ricavarsi da: qualche verso ricopiato dal sig. Baruf-
faldi. Credo dire che quello superi tutti gli altri nella
antichità, sentendosi che non ha distinzione di libri e
quella dei capitoli (che é fatta posteriormente) è seguita
sino al numero sopra 70, e con una distintissima rive-
renza mi confermo ete.

(Senza data) (1).

51.

Ecco finalmente fuori del torchio il foglio del Qua-
driregio, di cui ne accludo a V. P. Rev.ma un esem-

(1) Questa lettera nel volume della Classense si trova inserita fra altre due del
4 Ottobre 1720 e 27 Gennaio 1721. Ma poiché il Pagliarini vi si riferisce a una del
Boccolini in data 24 Maggio 1720, io credo che sia di poco posteriore a questa e
perció la pongo qui.











E. FILIPPINI

plare fresco fresco non battuto, non sopresciato, nè aiu-
tato con altra diligenza, come esce dalla stampa; si
compiaccia di considerare la forma, l'ortografia, la cor-
rezione, la vernice e tutto altro che può contribuire alla
buona condotta dell’opera, e dare al sig Boccolini que-
gli avvertimenti che stimerà necessari, ma sollecitamente,
poichè non si tireranno gli altri fogli insino a tanto che
non sarà tornata la risposta di V. P. Rev.ma: ho detto
al sig. Boccolini, poichè io non sarò in Foligno, stando -
in punto di partire con la famiglia per la villeggiatura
di Annifo, ove mi tratterrò tutto il mese di agosto e per
qualche giorno di settembre.

Da una lettera del nostro P.re D. Paolo Antonio
Mastri serittami da Perugia un mese fa in circa mi era
io speranzato di poter riverire e servire qua V. P. Rev.ma
nel passaggio per Perugia; mi dispiace che siasi tanto
prolungata la mossa, per quanto il medesimo mi disse

, ultimamente a voce che non potrà trovarmi in Foligno;
se io potessi sapere il giorno del suo passaggio mi sten- -
derei insino a Colfiorito a baciarle la mano: in tutti i
tempi e in tutti i luoghi mi conservi la sua stimatis-
sima grazia e mi onori di spessi comandamenti per far
conoscere sempre più nell’ ubbidirli che sono e sarò
sempre ecc.

Foligno, 2 Agosto 1720.

Il Padre Gaetano Zoccolante desidera sapere il prezzo
de’ libri accennatili per venire alla conclusione del con-
saputo baratto; si degni anche sopra di ciò scriverne al
sig. Boccolini.

58.

Mi consola sommamente la stimatissima di V. P.-
Rev.ma e per la desiderata notizia della sua buona sa-
lute e col riscontro tanto aspettato della continuazione
del suo amore verso di me, di che potea mettermi in

sospetto un sì lungo silenzio, onde andava io già esa-

minando la coscienza per indagare se avessi mai com-

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC. 215

| messa colpa alcuna, che potesse tirarmi addosso sì te- 3
muto castigo.
Lusingava anche me la speranza di potermi inchi-
nare a V. P. Rev.ma in occasione della festa di Nocera,
ma me ne tolge il pensiero (a segno che ne’ meno andai
| più alla festa) il sig. Can. Fontana che mi raccontò la
controversia con i Silvestrini, mi disse ch'erasi portato
“in Fabriano a trattarne con V. P. Rev.ma e mi assi-



- —t6
————————— MERERI —

curò ch’ Ella non si sarebbe mossa. Ora questa bella
‘occasione è svanita e Dio sa quando se ne puó ripe-
scare altra simile; e intanto non paò differirsi più lun-
gamente la Prefazione, essendo al fine la stampa delle
“annotazioni. Ho tutta la pena di rendermi in questa
parte importuno con la P. V. Rev.ma, ma che posso
fare? Lo stampatore non vuol tenere in ozio i lavoranti
e i caratteri e ne fa continue proteste. Gli Accademici
si voltano a me con le loro doglianze, Mons. Vescovo,

V— preti

che è partito, ha lasciato per svegliarino il suo vicario

=

generale, che non lascia in pace nè il sig. Boccolini, nè
me.

Ho motivato un’ altra volta ehe, se io potessi dar
mano ad alleggerirle la fatica, lo farei ben volentieri.
Apra dunque la strada come vuol essere servita, anche
in fare una Prefazione più ristretta e compendiata, purchè
non si lasci adietro motivo alcuno che conferisca alla

|
|
|

prova che l’autore dell’ opera è folignate, ben compren-
dendo io che non si farà che questa prima stampa, qua-
lunque cosa rispondino o adduchino i Bolognesi, ed io
medesimo ne fuggirò ogni altro impegno ben sapendo
quante brighe, quanti incommodi e quanti dispendii mi
costa questa sola, facendosi qua dagli Accademici il
giuoco del tiraindietro ... (1).

Foligno, 13 Luglio 1722.
99

... Io considero per una fatalità la combinazione di
tanti accidenti, che hanno ritardata e impedita sin ora



(1) Si ommette una parte della lettera, estranea al presente argomento.











216 E. FILIPPINI

l'estensione della Prefazione; e comprendo l'impossi-
bilità che possa V. P. Rev.ma applicarvi nello stato
della purga e dell’uso dell’ acqua di Nocera, che vo-
gliono una mente disgombrata d’ogni pensiero e un
riposo libero da ogni applicazione anche per molti giorni
dopo che si è finito di bever l' aequa ; che dovrà dunque
farsi per uscire una volta dal gran taccolo di questa
ristampa e per quietare gli Accademici e lo stampatore
che piü di tutti strepita e non senza ragione? Se V. P.
Rev.ma considera veramente di non poter addossarsi
questa fatica da terminarsi in due o tre settimane o al
più dentro il corrente agosto, si degni con tutta libertà
darmene un cenno in risposta ; poichè altrimenti o biso-
gnerà pubblicar l’opera senza prefazione, o bisognerà
abbozzarla qua al meno male che si può. Si degni aprirsi
con tutta sollecitudine e sincerità per mia regola, chè
non ho più maniera di lusingare quelli, che s' interes-
sano in questa pubblicazione ... (1).
Foligno, 3 Agosto 1722.

60.

Eeco il Catalogo degli Autori, de' quali ho potuto
aver io notizia che parlino del Frezzi e del Quadriregio :
li ho copiati alla rinfusa senza ordine alcuno nè alfabe-
tico, nè cronologico: V. P. Rev.ma le assegnerà quell’or-
dine che stimerà migliore (2).

Il parlar del Codice Bolognese come d’un’impostura
è certo che darà un gran vantaggio alla causa del
Frezzi: io ho communicato il pensiero solamente al
sig. Boccolini e a questo Mons. Vescovo impegnatissimi
per Foligno: l’uno e l’altro l’ approvano, ma sono di
sentimento, nè io son lontano da loro, che debba por-
tarsi con qualche dolce maniera da non inasprire i Bolo-
gnesi, che sin ora nella più sana parte si sa che disap-



(1) In principio e in fine di questa lettera mancano alcune parti non necessarie
al presente lavoro.
(2) Questo catalogo si trova inserito hella Misc. XXVI della Classense.

L'ACCADEMIA DEI < RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

provano il Bottazzoni, perchè riducendosi la contesa in
picca si prolungarebbe l'occasione di rispondere, e qui
si rende impossibile dopo la prima stampa impegnarsi
ad altra ed ío per me non vi daró mai la mano sapendo
per esperienda quanti disgusti, quante applicazioni e
quanti dispendii questa m'importa, essendo toccato a
me soccumbere in buona parte anche della spesa. Onde
y. P. Rev.ma dica pure tutto ciò che stima necessario
alla difesa, ma sempre con la scelta del suo buon gusto
e secondo il suo metodo.

Ció che io ho cianciato intorno alla prima edizione
del Quadriregio in Foligno certo é che é troppo remoto(?),
ma io me lo lasciai cader dalla penna per fare un ponte
alle erudizioni dell' introduzione della stampa in Foligno
e queste sole, particolarmente l’ edizione di Dante, se vi
avessino luogo proprio, mi piacerebbe che vi restassiuo.

E pronta la copia della stampa del testo e delle
Annotazioni del P. Artegiani: mi sono raccomandato a
questi albergatori d’avvisarmi se capitano mulattieri
per Fabriano. V. P. Rev.ma, se ne partisse alcuno di
costà, gli può dar l’ ordine di farsi vedere.

Non ho avuto ancora la risposta di Roma intorno
alla sottomissione del Frezzi nel Concilio di Costanza.

I ricorsi etimologici di V. P. Rev.ma li inserirà col
di lei nome il sig. Boccolini ove parla delle voci.

Aspetto il ritorno del sig. Maiotti per servire subito
V. P. Rev.ma e con umilissima riverenza mi confermo

ecc.

Foligno, 12 Ottobre 1722.

6f:

All umanissimo ufficio che si degna passar meco
V. P. Rev.ma per la morte del mio amatissimo fratello,
che sia in Cielo, e alla pia commemorazione, che si
compiace di fare per la salute di quell' anima benedetta
ne’ suoi tanti sacrifici io le professo distintissime obbli-.

gazioni col rendimento d’umilissime grazie; nè più mi





E. FILIPPINI

diffondo in questo particolare per non toccare una piaga

per me troppo sensitiva. Sit nomen Domini benedictum.

Ho ricevuto dal gentilissimo P.re Mastri la Diser-
tazione Apologetica di V. P. Rev.ma con sommo mio
piacere e del nostro sig. Boccolini ed egualmente di
questo Mons. Ill.mo Battistelli, a cui ne ho communicata
subito la notizia. Ieri a tutta stesa ma con tutta l’ ap-
plicazione ancora fu letta dal sig. Boccolini e da me la
Dissertazione, non so esprimere con quanto piacere che
giovò molto a dirompere le caligini delle mie melan-
conie.

Per verità che sommamente è migliorato il lavoro
con le ampliazioni e ritocchi di V. P. Rev.ma da quel
che comparve nella lettura de’ primi fogli trasmessi. Un
migliore ordine, una forza più risentita, un’ energia di

. ragioni chiarissime e di argomenti più che convincenti,
un tutto felicemente condotto eon eloquenza maestra e
con qualche lepido tratto di satira sugosa, maneggiata
con giudicioso e sano criterio renderanno sempre desi-
derabile quest'opera e impreziosiscono la nostra edi-
zione del Quadriregio, che per questo solo capo se non
per altro già mi persuado che farà una plausibile com-
parsa nella repubblica letteraria.

Me ne rallegro pertanto col più vivo del cuore con
V. P. Rev.ma, a cui di tante fatiche anche in nome del-
l'Accademia tanto onorata ne’ suoi fogli e della città
tutta rendo umilissime e copiosissime grazie, ma le più
distinte sono per l’ onore fatto a me nelle replicate e
cortesi commemorazioni del mio vil nome.

Rebilissima e maneggiata con proprietà e con grazia
è la dilucidazione degli amori idealmente trattati dal
nostro autore, e sopra tutto ci rapisce il risalto dato
allo scioglimento del poema con affetti sì vivi, teneri ed
infocati dell’ amore di Dio e del desiderio della celeste
patria; e perchè non sarebbe bene di contestar questa
verità con ricopiare quivi i quattro ultimi versi del Qua-
driregio ?

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO,

Cogli occhi lacrimosi e sospirando
Io mi ricordo di que’ lochi adorni ;
E il volto alzando al Cielo, i’? dico : 0 quando
Sarà, Dio mio, il dì, che a te ritorni?

Ora veniamo ad alcune minute considerazioni da
noi fatte gn questa lettura.

Nel frontespizio della Disertazione, se fosse con pia-
cere di V. P. Rev.ma, ove si dice Federico Frezzi dell’ or-
dine de’ Predicatori Vescovo di Foligno, aggiungeremmo

volentieri Cittadino e Vescovo. E vero che in più luoghi

della Dissertazione si. parla dell’ origine del Frezzi; ma
quanti sono che non leggono più del frontespizio ? È
bene che tutti sappiano che l’autore è folignate.

Alla pag. XI ove si nomina Emiliano Orfini, è ne-
cessario di aggiungere la qualità di Nobile come infatti
era ed è la famiglia, sempre una delle principali in Fo-
ligno, tauto' più che poche linee sotto si dice nobile quella
de’ Gigli congiunta all'altra in strettissima parentela :
e il passo del Patrizi intorno ad Emiliano, se le paresse,
bastarebbe darlo ristretto -— Vir ingenii acutissimi — senza
l' industrius per non fare con questa voce qualche im-
pressione storta nella mente di taluno di corto intendi-
mento o di troppa, altura.

Alla pag. 23 si è fatta riflessione che nel principio
del 8 X ove si dice che non sarebbe fuor di proposito
tessere una serie di Codici mss. del Quadriregio, quel-
l'espressione che froppo indi verrebbe a crescere la dis-
sertazione pare che faccia concepire un gran numero di
codici, quando non sono più delli quattro espressi, onde
consideri se fosse bene qualche modificazione per la-
vorar sempre nel vero: vado riportando queste minuzie
acciò comprenda che si è letto con attenzione non per
dar motivo d’alcuna mutazione.

Alla pag. 74 $ 27 ove si porta la memoria in per-
gamena in fine del Codice Classense: Anno millesimo
quadringentesimo setuagesimo nono indictione septima, mi
fa stupire che in detto anno fosse il libro in possesso

di un Bolognese, quando appena era stato terminato









E. FILIPPINI

dall’ autore ancor vivente, e tanto più mi persuado es-
sere erronea detta nota, quanto che l’ indizione del 1409
(sie) è seconda e non settima.

Alla pag. 87 $ 31. Nelle lodi deila Patria e de’ fiumi
Topino e Tinna che la bagnano. Il fiume Tinna non ba-
gna la città di Foligno, basterà forse che bagni il ter-
ritorio.

Alla pag. CXI $ 43 ove si riporta l’argumento dei libri
del testo di Bologna, non so se sia scorrezione del testo :
Nel quarto tratta delle sette virtù, Cardinali ecc. non so
se debba dire delle sette virtù, quattro Cardinali ecc.
ovvero delle quattro virtù Cardinali, cioè Temperanza ece.
Se può riconoscere il testo, me ne dia qualche cenno.
Se ho da dire oltre a queste minuzie un debolissimo
mio sentimento, nel quale concorre anche il sig. Bocco-
lini, sembra un poco diffuso ciò che si dice in sette pa-
gine intorno al passo del Tignosio, per difenderlo dalla
taccia di adulazione e per provare che nè Trincia nè
Ugolino furono tiranni, tanto più che il più delle cose
si dicono anche nelle osservazioni storiche, dove par
che debbano avere la propria sede; nondimeno mi ri-
metto ed umilio sempre al purgatissimo giudizio di V. P.
Rev.ma.

L’ altra digressione intorno al cambiamento degli
autori nelle opere è ricca di tante erudizioni, che non
potrà non piacere sommamente a chichesia e mostrerà
la fatica e lo studio di V. P. Rev.ma.

La disertazione si legge ora dal Vescovo; se ne

*farà subito la copia con ogni diligenza per non esporre
la trasmessa agli accidenti avvertiti nella sua compitis-
sima, tanto più che per la revisione del S. Off. deve man-
darsi all’ Inquisitore a Spoleti.

Correggerò l’indice dei capitoli secondo la sua sti
matissima, nè si lascierà dal sig. Boccolini e da me d'as-
sistere con tutta la vigilanza alla correzione.

Delle mie ciancie ho finita la prima copia, farò la
seconda per mandare per la correzione a V. P. Rev.ma,

che il sig. Boccolini con riverirla prega favorirne solle-

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

citamente delle sue annotazioni e con umilissima rive-
renza mi confermo ecc.
Foligno, 29 Ottobre 1722.

62.
4

Eccomi fuori de’ taccoli e degli impieci grandiosi,
che a riguardo di Mons. Barni Preside di questa Pro-
vincia mi è convenuto andar soffrendo ne’ giorni e set-
timane passate. Le Maestà Britanniche che coll’ avan-
zarsi ad Assisi hanno onorato per due giorni questa
città, il Card. Imperiali con la permanenza di dodici
giorni, .il Card. Scotti di tre per un accesso d’ acque, la
Principessa Panfili, Mons. Maggiordomo, i Marchesi Pal-
lavicini e Niccolini, sette o otto Prelati in giro e altri

Sig.ri di riguardo avevano costituito Foligno una mezza

metropoli. Ormai potró applicare con piü libertà al car-

teggio geniale con V. P. Rev.ma.

Ho ricevuti tutti i fogli inviatimi concernenti le no-
tizie istoriche di Baldo ed altri legisti, delli quali le
ne rendo copiosissime grazie, che serviranno a farmi
fare onore con le fatiche di V. P. Rev.ma; se altro ha
da comunicarmi, mi accrescerà il favore e le obbliga-
zioni. Io in appresso le communicherò in un foglio i
passi dove incontro le difficoltà maggiori per ricever
lume dalla sua erudizione.

Mi confermo ancor io col sentimento di V. P. Rev.ma
e l'abbraccio con tutto genio con la distinzione de’ i due
Accorsi, che Arnoldo et Angelo da Rieti fossero com-
pagni delle prime scuole basse, con la riflessione saviis-
sima che, andando l’ autore cercando col guardo fisso
di trovar persone da lui conosciute, nei luoghi vicino
al Limbo, avendo veduto Battista Sensi morto giovanetto,
non è verisimile che avesse ricercato da questi di
quegli antichi Baglioni (?) non conosciuti nè dall’ autore
nè dal giovanetto perugino.

Lunedì in mia assenza lasciò il suo religioso in
mia casa l’involto con gli accennati manoscritti, che ho







E. FILIPPINI

consegnati al sig. Boccolini. Dopo ch’ egli se ne sarà
servito, li farò legare dal Merli conforme mi comanda
V. P. Rev.ma, ma non può credere che pena mi è di
trattare con quest'uomo capace a mettere in cimento la
pazienza di un Giobbe.

Con la posta di Domenica ventura scriverà a Ve-
nezia questo S. Maiotti intorno al consaputo affare e ac-
cuserà la ricevuta del denaro, con addebitarne partita a
V. P. Rev.ma con la dilazione richiesta. La lettera del
Coletti la manderò nel venturo.

Il prezzo delle carte cresce a proporzione del dazio
Pp È 1

che per i rigori dei nuovi appaltatori oggi.si rende
quasi inevitabile et è di tre giulii per risma e di baj. 24
per le carte che voltano le spalle a Roma.
Il Mattaire (sic) per la seconda parte col frontespizio
della prima è già in viaggio per la Germania.
E col solito obbligatissimo ossequio mi confermo ece.
Foligno, 30 Ottobre 1722.

63.

Fra tante altre felici contingenze combinate fatal-
mente per avvanzar pregio a questa nuova edizione del
Quadriregio mancava appunto d’ avere in mano il testo
di Bologna, e in mano di un Accademico Rinvigorito
pieno di spirito e colmo d’amore pel nostro Frezzi, quale
è il degnissimo P. Lettor Collina, e quel che più am-
miro è il poter fare il confronto e l'esame non per furto,
ma pglesemente con la permissione del gentilissimo pos-
sessore del Codice, grazie alla Divina Provvidenza.

Seil sig. Mazza partirà dentro questa settimana,
come credo, manderó per lui l'esemplare della nuova
stampa al P. Collina con mia lettera; altrimenti colia
posta di Venerdi lo manderó a Ravenna a Mons. Spi-
nola vicelegato di Romagna, come accenna V. P. Rev.ma.

Ho portate le sue grazie al sig. Boccolini, che di-
votamente la riverisce e prega a compatirlo se non
scrive nè pure in questo ordinario, impedito da una ef-

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO,



fimera, che l’ ha tenuto in letto due o tre giorni, di cui
per grazia di Dio si trova libero. Egli citerà ove può

Dante, e lo farò ancor io, anzi annesso prendo confi-

denza d’accluderle uno squarcio d’annotazione, ove ho
motivo appunto di nominar Dante. La legga, la cor-

regga e là rimandi, poichè non ne ho copia ed ho sten-
tato molto a leggere gli antichi sonetti ivi copiati.

Mi si accresce la pena intendere che il P. Prior
Mastri soffrisse l’incommodo della podagra in venire in
mia casa, sicchè per lui fu una tragedia di dolore il
mio sciocco divertimento dell’ insipida commedia. Lo
riverisca cordialissimamente in mio nome, come anche
il P. D. Paolo Antonio.

Nel venturo la renderò servita intorno ai Beneficii
di questa Badia di Sassovivo, mancandomi questa ma-
tina il tempo, onde in fretta le faccio umilissima rive-
renza ecc.

Foligno, 23 Novembre 1722.
64.

Voglia Dio e lo desidero ben di cuore che V. P.
Rev.ma risolva d’essere ad onorare il piccolo tugurio di
questa Sua casa, che starà sempre aperta benchè angusta
a servirla, e portarebbe un sommo piacere, egualmente
che a me, al nostro sig. Boccolini; la supplico bensì,
quando si disponga a venire di darmene preventiva-
mente un cenno assicurato.

Finalmente si è stabilito il partito della nuova pit-

tura col sig. Mancini per scudi 550, non senza mio sommo

stento per le spinosissime contingenze insorte d’impegni
di dame, puntigli di riputazione, inflessibilità de’ con-
traenti ed altre zanchere (?), che lungo e tedioso sarebbe
l’esporle. Non ho veduto mai tanto agitato il P. Man-
cini; né l'averei mai creduto tanto forte nell'impegno
delle sue deliberazioni: Grazie a Dio (1).

(1) Si tratta della pittura dell'abside del Duomo di Foligno, di cui si parla an-
- che in altre lettere seguenti.







E. FILIPPINI

Procurerò le due risme di carta, che mi comanda
V. P. Rev.ma e starò in attenzione di consegnarle al

Rev.mo P. Ab. Pagnini.
Ho già in mano il 2° tomo del Mattaire per V. P.

Rev.ma e per me; abbraccia gli Annali Tipografici dal
1500 al 1536 in due parti priori et posteriori, voluminoso
di 860 pagini in tutto senza la dedica e prefazione,
sicchè l’ opera crescerà in una vasta mole. Vi sono i
Ritratti de i cinque principali inventori e opere della
stampa, che servono di antiporta al primo volume e
in corpo vi è anche il ritratto di Roberto Stefano. Fra
oggi e domani ne farò legare uno alla rustica per V.
P. Rev.ma e lo consegnerò al P. Ab. Pagnini per antici-
parlene quanto più si può il godimento della lettura.

Molto m’ha consolato la sua cortese approvazione
dell’ annotazione intorno alla famiglia Vincioli e le ne
rendo vivissime grazie. Il foglio l'ho già mandato a
Genova a P. Giacinto.

In questo ordinario il nostro sig. Boccolini, che rive-
risce ossequiosissimamente V. P. Rev.ma, riceve una let-
tera da Fiorenza da un tal P.re mon. Ravali France-
scano, che ha predicato l’Avvento in questa Cattedrale,
suo grande amico, e uomo molto dotto ; in cui dice che,
in occasione ch’è passato per quella città, ha parlato
lungamente col P. Abb. Antonio Maria Salvini sopra
al Quadriregio e soggiunge: Lo stesso padre Salvini as-
serisce costantemente che U Autore del Quadriregio non è
altrimenti il preteso da V. P., ma bensì un Malpighi da
Bologna. Questa non è preoccupazione fattagli dal P. Bot-
tazzoni di Bologna; ma un impegno di verità per quanto
mi ha detto. Se non è prevenzione del sig. Bottazzoni,
sarà un mistero del P. Salvini per reputazione della
patria; chè dovendo comparire un tal qual sia compe-
titore del divino Dante gradirà forse più che sia un
Bolognese, che un Folignate: ma se vorrà impegnarsi
per la verità, bisognerà che lui e tutti i suoi Fiorentini

facciano giustizia al Frezzi e a Foligno. Ho stimato ne-

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

cessario communicare questa notizia V. P. Rev.ma, a

cui col solito ossequio faccio umilissima riverenza.
Foligno, 25 Gennaio 1723.

» 65.

Io tratteneva di rispondere alla stimatissima di V. P.
Rev.ma con speranza che fosse intanto capitato il vet-
turale coll’accennato involtino de’ libri; ma poiché questo
non comparisce ancora, suppongo per l'altezza delle
nevi, e stravaganza del tempo, non voglio esser più con-
tumace con le grazie di V. P. Rev.ma.

Mi sorprende veramente il gentilissimo regalo, di
cui si degna onorarmi, del libro De claris legum inter-
pretibus, per la rarità sua e per l’ erudizione del celebre
autore sommamente stimabile e da me sempre deside-
rato. Le ne rendo pertanto anticipatamente le grazie mag-
giori che so e posso, protestandole infinitamente acere-
sciute le mie per tanti altri capi innumerabili obbliga-
zioni.

Godo con vera compiacenza che siasi finalmente
risoluta V. P. Rev.ma di consolare la repubblica lette-
raria coll’ edizione sua delle famose Epistole d' Ambrogio
Camaldolese; ma mi fa molto temere che questa sua ne-
cessaria occupazione possa pregiudicare alla prefazione
del Quadriregio, per la quale ho continue premure da
Mons. Vescovo, da tutti gli Accademici e da altri anche
fuori della città. Si degni V. P. Rev.ma, e la supplico
ben di cuore, scrivere con premura al P. Collina che
spedisca il confronto sollecitamente. Il sig. Boccolini ed
io colle mie fanfaluche siamo a tiro. La bolzetta sta per
partire, onde sono obbligato a stringermi col dirmi sem-
pre più ecc. :

Foligno, 15 Febbraio 1723.

66.

Godo sommamente d' aver quietato l'animo genti-
lissimo di V. P. Rev.ma col pagamento, come le scrissi,





E. FILIPPINI

seguito del consaputo denaro in mano di questi signori
Maiotti, i quali, senza che il suo bel cuore si fosse
messo in angustie, avrebbero aspettato cortesemente
con qualunque più lunga dilazione.

Meritava per verità la spedizione d’un espresso il
famoso Codice del Malpiglio, e merita altresì tutta l’in-
dustria di V. P. Rev.ma per farlo suo, poichè sempre
sarà giudicato per una gioia per la singolarità d’aver
cagionato una controversia già resa famosa nell’istoria
poetica intorno al vero autore di questo poema e per
aver tirato ad impegnarsi colle stampe dalla parte del
torto con una troppo facile credenza al Montalbani due
dei più famosi letterati d’Italia Fontanini e Muratori.
Io me ne rallegro quanto so e posso con V. P. Rev.ma,
con me stesso, con l'Accademia e con la città; mentre
col testo alla mano si può sempre convincere l’impo-
stura, e credo terminata la briga. Animo a sollecitar
l'edizione. Se mi capiterà l’involto de’ libri da Roma,
lo riceverò e starò in attenzione di spedirlo sollecita-
mente a V. P. Rev.ma e goderò altresì il cortese arbi-
trio che mi dà dl sodisfare il curioso genio di vedere
detti libri.

Avanti ieri capitò da me e poi dopo fu anche dal
sig. Boccolini un forestiere molto erudito: coll’uno e
coll’ altro fece un discorso di un’ ora e mezza almeno.

Ha qma gran cognizione de’ libri e degli uomini let-

terati viventi d’Italia e di fuori d’Italia, colla mag-
gior parte de’ quali mostra d’aver corrispondenza let-
teraria e fa una distintissima stima di P. V. Rev.ma.
Non riusci nè al sig. Boccolini nè a me, anche con
preghiere importune, d’averne il nome. Si potè solo
imparare che sia piemontese e forse d’ Asti. Egli è d'età
di 55 anni in circa, di statura più tosto alta che me-
diocre, più tosto magro che grasso, di carnagione ten-
. dente al fosco, ben allinguato, officiosissimo, ma altret-
tanto modesto nel parlar di se stesso. Quando si strin-
geva per saper la qualità sua, si scansava con dire

che per se non faceva figura alcuna, ma che è subor-

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dinato a gran personaggio, da cui è mandato in giro
in ricerca de’ libri e codici più rari con istruzioni di-
stinte delle qualità, prezzi e altre circostanze dei me-
desimi; ma in verità che per se stesso, per quanto potè

riconoscprsi in quel breve tempo, ha una gran cogni-

zione particolarmente in materie istoriche e genealogi-
che, e mi recò maraviglia con che franchezza distingueva
il vero carattere del Jacobilli e del Dorio scrittori di
Foligno. Ha detto che facilmente ripasserà per Foligno
fra tre o quattro mesi e gli uscì a mezza bocca che nel
passaggio dei Tedeschi nel 1707 sotto il general Daun
venisse anch’ esso come uno degli ufficiali con quelle
truppe. À prima sospettai che fosse qualcuno che volesse
estorcere qualche recognizione di denari; ma lo trovai
lontanissimo da questa birbanteria e appena gli potei
far prendere due chiechere di cioccolata. Ne ho fatto
questa minuta delazione a V. P. Rev.ma per sapere
s' Ella ne possa aver cognizione, essendomi venuta
una gran curiosità di sapere chi egli sia. Mi parló del
libro del sig. Meniconi e mi disse (lo scrivo con tutta
confidenza) che i rami dei ritratti sono rami vecchi,
che vanno in stampa con sotto altri nomi in altra opera
‘ genealogica e in questa parte diceva ch’ era stata una
facilità troppo grande di quel Cavaliere.

Si degni dare una occhiata a questa annotazione
intorno al Sesto Prete grande, se può caminare, cono-
scendo esser materia troppo gelosa lo scoprire il nome
di un papa: Lib. 3, cap. 3, pag. 190 lin. 27 (sic):

Qui anche sta il Novello Nipote
E il Sesto Prete (grande) (1) a cui del regno
Gonfia anche il vento la testa, e le gote.
In lui apparve ben quanto egli è greve
La Signoria e dispettosa e dura
D’alcun villan che da basso si lieve.

Sotto nome di Prete grande in posto di Regno e
di Signoria non altri verisimilmente può intendersi che

(1) Una nota a margine dice che « questa parola manca ».









E. FILIPPINI

il sommo Pontefice : s’ egli è così, averà voluto proba-
bilmente accennare il nostro autore, con la distinzione
di sesto, Urbano sesto, che regnò in tempo del suo
fiorire. Chi vorrà combinare questo passo con ciò che
di quel Pontefice hanno lasciato scritto gli storici, giu-
dicherà non improbabile questa conghiettura. Nato egli
da buoni natali, sollevato al Pontificato con signoria
dispettosa e dura, reso a tutti grave e insoffribile, fu
cagione dell’orrido Scisma che per quasi cinquant’ anni
agitò con tempestosa procella la nave di S. Chiesa.
Homo (dice il Ciacconio nella di lui vita) sub specie iu-
sti et urbani minus urbanus et nulli gratus, che lo copiò
dal Platina, da cui si aggiunse della di lui morte : pau-
cis admodum eius mortem utpote hominis rustici et ine-
arabilis flentibus ; onde lasció scritto il Card. Egidio
di Viterbo, riferito dal Vittorelli nell'addizioni al Ciac-
conio: ne illaudata interiret rustica inurbanitas epitaphio
commendatus est ineptissimo : e il più moderno amplia-
tore di detta opera Oldoini: Urbanus, cum in honore con-
stitutus, prudentiam qua prius enituerat, visus est omnem
eauisse. Severe illico cepit animadvertere in suae dignitatis
auctores et incenso studio sed intempestivo, eorum mores
increpare. Procura il Vittorelli in dette addizioni al Ciacco-.
nio di provare con lunga apologia la nobiltà di Urbano ;
ma il Ciacconio chiaramente lo dice: Natus Neapoli pa-
tre et maioribus Pisanis matre neapolitana gente igno-
bili; e tanto basta per fondamento di ciò che ne dice
il nostro autore e per far concepire che in quel tempo
questa era voce comune dell’origine di Urbano. In prova
del di lui grave e duro governo basterebbe la morte fatta
dare in Genova a sette (altri dicono cinque) Cardinali
fattigittare barbaramente in mare chiusi ne’sacchi 0, come
altri vogliono, fatti morire in carcere con ogni strazio e
rigore. Il Novello Nipote, cioè il Nipote giuniore, forse
Butillo uno dei nipoti d' Urbano, a cui egli procurò, ma
senza frutto, da Carlo III Re. di Napoli il Principato
di Capua e il Ducato di Durazzo, donde naequero le

strepitose note discordie fra il Re e il Pontefice: Uomo,

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(dice di Butillo il Collenuccio nel compendio dell’ Isto-
rie di Napoli, lib. 5, pag. 202) vilissimo e senza alcuna
virtà, che conferisce a far credere vile l’ origine anche
del Pontefice zio, secondo che dicono il Ciacconio ed il
nostro autore.

Mi &ica liberamente il suo sentimento, cassi, muti
e con umilissimama riverenza mi confermo ecc.

Foligno, 16 Aprile 1723.

67.

Sono debitore di risposta a due stimatissime di V. P.
Rev.ma. Cominciando dunque dall’ ultima, accuso il ri-
torno delle lettere del Sig. Abate Fontanini, che ho
caro abbino incontrato il suo compiacimento. Attenderò
l' esemplare della nuova ristampa del Quadriregio con
le varie lezioni in margine del testo bolognese, che si
caveranno a parte o dal Sig. Boccolini o da me per
aggiungerle in fine del testo; mi piacerebbe però che
il buon gusto di V. P. Rev.ma con. qualche segno con-
tradistinguesse quelle lezioni, che stima buone e neces-
sarie da pubblicarsi per accrescer pregio a questa ri-
stampa. Le due communicatemi coll’antecedente suo fo-
glio suo veramente notabilissime. L’orche d’argento tra le
braccia e il petto della statua di Nabucco mostrano ad
evidenza che questa voce altro non significa che Je
spalle e verifica quanto ne dice nelle sue Osservazioni
il nostro Sig. Boccolini. Ho riveduto per l’altra lezione
il codice Buccoliniano e chiaramente vi si legge Marta
scritto con un a ben distinto, colla r aggiunta di sopra
Ma'ta; non dovrebbe veramente aver luogo questa
Santa tra le vergini martirizzate; ma l'aggiunto freddo
e niente operoso di morta alla sola Agnese mi fa cre-
dere che nemmeno questa sia la vera lezione dell’ au-
tore; nondimeno è necessario di darla e lasciarvi sofi-
sticar sopra a i genii ippocondriaci.

Passiamo ora a gli argomenti; non posso che co-

mendare il premetterli al testo nella ristampa, che in











E. FILIPPINI

questa parte conserverà un’aria delle antiche edizioni ;

e perché sono vari questi argomenti si ne' Codici mss.

che nelle stampe, sarà bene d'attenersi al Codice Bo-
lognese, che V. P. Rev.ma qualifica per il migliore in-
torno alla sostanza di detti Argomenti, e se pare alla
sua prudenza, nella Prefazione al $ 28 ove parlasi della
ristampa, potrebbe darsi un cenno di questa prescelta
e delle varie lezioni date fuori del Testo a cagione della
tardanza, in cui si è avuto sotto l’occhio il Codice di Bo-
logna. Gli argomenti nel Codice Boccoliniano sono latini
in minio, ma non oltrepassano il 3° Libro. In margine
vi sono aggiunti di carattere posteriore gli argomenti
in volgare, ma sono gli stessi della stampa di Perugia.
Sicchè i più antichi, i più continuati e i più copiosi e
sugosi essendo gli argomenti del Codice Bolognese, me-
ritamente devono questi prescegliersi e in questa parte
ci uniformeremo a i sentimenti di Mons. Ercolani.
Quanto agli altri due punti d'aggiunger un indice
copioso e di divider l'opera in due tomi, benché io
veneri con infinita stima l’ ingegno e il giudicio di co-
testo degnissimo Prelato, nondimeno con la libera con-
fidenza che mi permette la gentilezza di V. P. Rev.ma
mi faccio ardito di svelarle sinceramente i miei deboli
sentimenti, a i quali si uniformano quei del Sig. Boc-
colini e sono, quanto all’ Indice, benchè fosse molto
commendabile, non lo stimo tanto necessario, che col-
lI esempio di altre opere consimili non possa uscire
anche questa senza taccia, benchè mancante d'Indice.
Io ne vedo privi i famosi e copiosi commenti del Lan-
dino e del Vellutello sopra Dante, del Beni sopra il
Tasso, le Annotazioni al Furioso, e fin quelle, benché
ampie e sugose, del Tassoni e del Muratori nell’ultima
edizione fatta da questo delle Rime del Petrarca; ma
più di questi esempli, che io non allego per commen-
darli, mi muovono due grandi riflessioni, una politica,
che non so a chi mi dare il carico di fare quest’ indice;
è impossibile che il sig. Boccolini ed io possiamo ap-
plicarvi, ne è di dovere caricarne altri fuori di Foligno,

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO,

dove per verità non saprei trovare alcuno in cui pos-
sano concorrere genio, abilità e giudicio per un simile
lavoro : l’altra economica e questa più di tutti preme a
| me, ehe sto in disborso di ottanta e più scudi ; e l’opera
per ogni parte è cresciuta tanto, che mi dà da sospi-
rare ; nè io devo chiuder tanto gli occhi, che non dia
un'occhiata allo stato mio e della mia famiglia. Qua
tutti a voce accaloriscono la pubblicazione di questa
ristampa; ma quando si tratta o di fatica o di spesa
ogn’un ritirasi indietro e lo stesso Mons. Battistelli, che
mostrasi tanto infervorato, non si è lasciato persuadere
a contribuire nella spesa una benché minima somma:
sicchè sinora nella fatica siamo soli il Sig. Boccolini
ed io: ed io unico nello spendere: tutto come ho detto
con amichevole confidenza. La divisione in due tomi
liberamente non finisce di piacermi, poichè la materia
non sarà tanto copiosa, che possa dirsi spropositato un

solo volume. I fogli sin ora stampati sono precisa-

mente sessanta; quelli da aggiungersi saranno da ven-

ticinque in circa al più; un libro di 680 pagine non
da ineommodo né discomparisce. Ho appunto sul ta-
volino Giovenale e Persio volgarizzati e commentati
dal Silvestri in un solo tomo di pag. 910: vi ho il Pe-
trarca del Muratori di p. 860 e il primo volume del
Mazzoni della Difesa di Dante di pag. 1063 e niuno di
questi mi spaventa. L’ opera unita, a mio corto inten-
dere, sarà sempre più commoda per confrontare le an-
notazioni e osservazioni col testo e per ciò più gradita
e più sicura a non mutilarsi; con che faccio a V. P,
Rev.ma umil.ma riverenza.
Foligno, 24 Maggio 1723.

Ho comunicato al sig. Boccolini (che divotamente
la riverisce) il di lei desiderio di favorire il Sig. Mu-
ratori.

68.

In due righe, trovandomi molto occupato non ostante
la poco buona salute venendo travagliato da alcuni
giorni in qua da un doloretto di testa.

















- . E. FILIPPINI

Accuso a V. P. Rev.ma la pronta ricevuta della
stampa del Quadriregio colle ‘varie lezioni del Codice
Bolognese, delle opere del Poggio e delli dodici testoni
per saldo delle spese dei bollettini della Com.ne per
l’anno passato e per quest’anno e della stampa del-
l’egloga e sonetto del P. Bellati; potea veramente far
di meno d’incomodarsi, come l’ avea supplicata, di
questa rimessa per i motivi accennati.

Si è cominciata dal sig. Boccolini e da me l’ estra-
zione delle varie lezioni del suddetto Codice, molte delle
quali sono veramente buonissime, ma per la maggior
parte io per me le credo correzioni o saputarie del-
l’amanuense che in molti luoghi ha levato via le mi-
gliori voci antiche, con sostituirne delle più moderne,
nel che non credo che meriti lode.

Quanto agli argomenti dei $ $ della sua Disserta-
zione stimo meglio metterli tutti in principio, come fanno
il Fabricio nelle sue Biblioteche e altri per non ristrin-
gere la colonna della stampa volendoli mettere in mar-
gine.

Al restante delle due ultime sue suppliró nel ven-
turo confermandomi intanto con umilissima riverenza
ecc.

Foligno, 14 Giugno 1723.

69.

Con molto piacere ho veduta la miniatura trasmes-
sami da V. P. Rev.ma del frontispizio del Codice Bo-
lognese ed ho attentamente considerato l'oracolo del
dottissimo sig. Ab.te Fontanini in ispiegazione dei ca-
ratteri della cartella che circonda il tronco della palma.

Io veramente venero come oracolo ogni detto, ogni
pensiero di quell’eruditissimo Signore, ma un genio stitico
che mi predomina e che non sa accomodarsi a quel-
I ipse dicit se non vi ci si quieta l’ intelletto con pace,
mi rende ardito di svelare con libertà amichevole non

critica qualche difficoltà che incontro in quella spiega-

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zione e supplemento : e primo, quando la cartella non
contenga altro che il puro nome del pittore, non mi par
verisimile che in un lavoro così ordinario, per non dirlo
ridicolo, siasi voluto far pompa dell'autore : secondo, per-
ché quella espressione nunc habitans Bononiae mi sembra
molto impropria, mentre o egli era bolognese e non do-
veva dirsi habitans Bononiae, o era forastiere e per iden-
tificare il soggetto dovea piü tosto esprimersi la patria,
che l'abitazione: cosi fra i più famosi pittori Raffaello
d' Urbino, Paolo Veronese, il Guercino da Cento, Pie-
tro Perugino, Pietro da Cortona ecc. ; terzo, perché il fin-

gersi innestata la L alla seconda A per farlo dir Palma

| ho per una sforzatura e dove il pittore ha voluto in-
nestare l’ ha fatto ben chiaramente nell’ AN per A. N,
oltre di che in quella supposta voce Palma la distanza
dalla P all’A par che escluda ogni congettura che ivi
si formi una sola parola; e finalmente il volere che una
K chiarissima diventi un H gotica mi persuado che
non possa farsi senza arbitrio. $

.Io per me credo (e questo è troppo ardire) che vi
sia qualche cosa di più del nome del pittore e stando
nel soggetto della scoperta impostura mi persuado che



il pittore seguendo le vestigie del copista Lioni abbia
anch’ egli voluto entrare a parte dell’ adulazione a Nic-
colò Malpigli, che verisimilmente allora era vivo e così
siccome il Lioni aveva fatto questo messer Niccolò
autore del poema, anche il pittore volle dedicargli co-
lorito il Trionfo d'Amore. Leggerei dunque e supplirei
in questa forma i caratteri della cartella :

MAN aPirA qu NS GUN D.

Marco Antonio Pittore al magnifico Niccolò Cavalier Bolognese



senza entrare a specificare con troppa incertezza il co-
gnome. So che V. P. Rev.ma vi riderà sopra e vi rido an-
cor io in sollievo di qualche afflato ipocondriaco, che
mi travaglia, ma non tanto quanto ne’ giorni passati

essendomisi alleggerito il dolore della testa.








E. FILIPPINI

Ora passando al supplemento di risposta all’ altre
sue stimatissime dico che sebbene io sin ora sono stato



solo nello spendere, non sarò solo nella distribuzione



delle copie della nostra ristampa del Quadriregio, per-



chè infatti vi è il foglio della società fra otto Accade-



mici, ma quando si tratta di spendere ogn’ uno si tira



indietro e gli stampatori e cartari vengono attoriio a



me, che ho con loro contrattato, quando vogliono il



denaro ed io che sono di una stampa antica, con quanta



maggior facilità mi lascio indurre a pagare, con tanta



maggior disattenzione o repugnanza trovo il modo del





rimborso. Faccia Dio, ogni cosa averà il suo termine.



Mi dispiace che V. P. Rev.ma non possa far suo il



Codice, che fu del Montalbani; prima di rimandarlo a



Bologna se non l’ha rimandato si compiaccia di con-



siderar di nuovo la lezione degli infrascritti versi, che



nella stampa stanno a C. 310, lin. 16 e nel Cod. ms.
lib. 4, Cap. XII, terz. 40:









Devoto orando e genuflesso il chiami
Che lui servi, come Padre, onori



Le Chiese e le sue cose, e li dì santi



Vacando a lui per l’anima lavori.



In tutti i Codici confrontati mss. e stampati si
legge, anche nella copia fatta in Ravenna: E che i suoi

servi, lezione che non può dare alcun senso alle parole



antecedenti e susseguenti, che (sic) perciò nella stampa



fu restituita la creduta vera lezione £ che lui servi, cioè



Tu servi a lui; mi ha fatto pertanto stupire che in



questo passo non vi sia diversità di lezione nel Codice



Bolognese e mi muove la curiosità di risapere con più



attento riscontro come stia veramente scritto quel passo



in detto Codice.



Sentii con sommo dispiacere la morte del P. Abate



Pagnini, che sia in Cielo. Dio conservi lungamente e



felicemente V. P. Rev.ma.



A tanti incommodi sofferti da V. P. Rev.ma io vo-



glio aggiungerne un altro. Fra tanti suoi bellissimi pregi













L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

che la distinguono con tanta gloria nella repubblica
letteraria, quello di seriver lettere toscane e latine per-
fettissimamente non é fra gli ultimi; per far godere
anche questo vantaggio ala nostra ristampa, la sup-
plico cqp suo commodo a distender la lettera dedicatoria



al Serenissimo di Modena. I motivi essenziali sono che
| Autore stesso dedicò l’opera ad Ugolino Trinci figlio
d’una Estense, cioè Donna Giacoma figlia d' Obizzone
d'Este; secondo perché i primi lumi per la difesa del
Frezzi si sono avuti dal Codice della Biblioteca Estense,
che porta in fronte la dedica a detto Ugolino; 3° per
altri motivi che si consideraranno meglio che da me dalla
prudenza di V. P. Rev.ma Condoni il mio ardire e ac-
cludendo la miniatura trasmessami, resto facendole umi-
lissima riverenza ecc.
Foligno, 18 Giugno 1723.

70.

Non ho potuto veramente leggere senza inquietu-
dine di pensieri e con l'indifferenza e tranquillità d'animo
che mi persuade V. P. Rev.ma, l'ultima sua stimatis-
sima, eonsiderando il duro scoglio che s'incontra e la
borasca che si teme nel prender porto la nuova edizione
del Quadriregio. O fatalità delle cose mondane! Chi mai
avrebbe potuto o pensare o prevedere che dopo una
condotta cosi felice secondata a gonfie vele in tante
belle contingenze dall'aura piü favorevole d'un' amica
fortuna avesse a incontrarsi nel fin del corso un con-

travento d'impegni, una secca d' apprensioni da confon-



dere ogni buona direzione?

L'impegno col soggetto Emin.mo è già corso per
parte di V. P. Rev.ma ; l'altro col personaggio d' Altezza
è corso per parte mia d'ordine dell' Accademia con let-
tera al di lui Bibliotecario, che rispose sin da Dicembre
passato che il Padrone favoriva con gradimento la de-
diea, richiedendo solo che si comunicasse prima della
stampa la lettera. Da Roma non si loda l'unione di











E. FILIPPINI




queste due dediche, sì rispetto al personaggio apostolico,




a cui non deve precedere un secolare, benchè d’alta sfera
p ; ,




Si rispetto a questi, cui si fa poco onore divertendo ad




altri la più bella parte dell'opera, che è il Prologo




Galeato, ed espressamente si disapprova l’elezione di




quest’ultimo per alcuni motivi (direi forse meglio fini)




politici, che non stimo bene di ripetere in carta.




In questo stato di cose suggerisce V. P. Rev.ma




x

che se non è andata altra lettera al personaggio seco-




lare, potrebbe restare în libertà di non farne altro, an-




corchè il pensiero della dedicatoria fosse stato partecipato




per qualche canale : e che ciò andarebbe tanto meglio se non




si facesse altra dedica e quella al Cardinale rimanesse nella




figura in cui trovasi di dedicatoria del Prologo Galeato :




ma senza questo (io intendo senza il Prologo e ciò mi




‘ spaventa) bisognerà ch’ esca il poema, quando la dedi-
g q




catoria non possa tralasciarsi a quel personaggio.




Se io unisco questa particola all'altra venuta di




Roma, ed accennatami da V. P. Rev.ma che Zi poema




senza questo lavoro (del Prologo Galeato) non sarebbe




mai pienamente considerato, ne deduco una legitima




conseguenza che senza il Prologo non sarebbe mai per




piacere l'edizione e quel che è peggio non si avebbe




(sic) mai l'intento per cui si sono fatte tante fatiche, di




vendicar la patria e l'autore dall' ingiustizia d'usurpar




loro questo poema. Piü si ritirarebbe, e con ragione,




ognuno che ha promesso di concorrere von l'associazione




alla spesa, e resterei solo nell'impegno, nel disborso e




in tutti gli aeciaechi che possono giustamente preve-




dersi dallo sconcerto del buon ordine disposti sin ora




per questo affare. Siecbé questa parte della proposi-




zione di V. P. Rev.ma non può aver luogo in conto




alcuno ; e più tosto darei alle fiamme tutti i fogli sin ora




stampati che permettere la pubblicazione del poema




senza la Dissertazione Apologetica.




Consideriamo dunque l’altra parte di ritirar la de-




dica al personaggio. Ciò potrebbe farsi, ma con mio




disonore, chè ne ho corso l’impegno col Bibliotecario

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

e mediante questo col personaggio medesimo: io non
ho l animo tanto ottuso o incallito, che non sia per
risentirsi a questa puntura. Ma pure quando per il ben
pubblico dovessi sacrificarmi a questa sensibilissima
passion®, mi mortificherò col soffrirla, purchè però non
comparisca in modo alcuno il mio nome nella stampa,
che non riceverà alcun pregiudicio dalla mancanza di
questo vile in se stesso, nè dalla deficienza delle mie
fanfaluche delle annotazioni istoriche, le meno neces-
sarie in quest’ opera. Dico ciò in sentimento di verità e
per legitimarmi almeno appresso il sig. Bibliotecario
una debolissima scusa di fingermi disgustato coll’Acca-
demia, mostrando che questa per l'impegno d'altri Ac-
cademiei per qualche altro personaggio ha risoluto di
far uscir l’opera senza dedicatoria.

Così su due piedi e con qualche agitazione e con-
fusione d’animo non posso suggerire altro mezzo ter-
mine meno improprio. Vi farò migliore riflessione di-
simpegnato che mi sarò dalla purga intrapresa per ac-
ciacchi di stomaco e di testa e dopo che averò conferito
l'affare unicamente col sig. Boccolini, a cui per adesso
non voglio parlarne, per essere egli in istato di rimet-
tersi da un pericolo grandissimo di lasciar la vita tra
acerbissimi dolori. per una soppressione d’ urina che lo
sorprese con incredibile violenza Venerdì scorso, della
quale per grazia di Dio si trova libero con migliora-
mento notabile di salute.

Ma intanto confesso ingenuamente a V. P. Rev.ma

che non ben capisco l’implicanza delle due dediche.

Se fosse comune a queste il termine a quo, ne sarei



capace, benchè se ne possino allegare altri esempi. Ma
facendosi distintamente una dall’ Accademia, l’altra da



V. P. Rev.ma, che quella preceda non pregiudica il Por-
porato, perchè non si premette per ragione di prece-
denza, ma per natura d’ordine, dovendo il tutto consi-
derarsi essenzialmente, e prima d’alcuna delle sue parti,
e che l’altra dedica tolga al personaggio, cui viene di-
retto il poema la parte più bella, che è il Prologo Ga-





E. FILIPPINI

leato, non ha dissonanza, perché l’ Accademia dedica

quel ch'è suo o che sta in suo potere e lascia che

l’autore del prologo ne faccia l’uso che più gli ag-
grada.

Resterebbe l’unica riflessione della poca prudenza
(dice l’amico di Roma) di quelli che vogliono fare la
dedicatoria senza pensare ad essere qua notati. Io non
ardirei dire che non abbia questo un gran peso, con-
siderata massimamente l' origine donde nasce; ma
se non m'inganno, in paragone degli altri mali sarà
forse il minore quello di lasciare al corpo dell' Ac-
cademia in astratto nel concetto di pochi una disatten-
zione di prudenza che addossare in concreto ad aleun
particolare il carico disonorevole di mancare all’impe-
gno contratto e di lasciar comparire il corpo solo del-
l’opera senza l’anima, che può informarlo e renderlo
plausibile ed apprezzabile al buon gusto de’ letterati.

Io, come ho detto, farò migliore riflessione al suo fo-
glio, V. P. Rev.ma la faccia anche al mio, e ci ande-
remo communicando ciò che potranno suggerirci il tempo
e i pensieri più maturi. E intanto, se lo giudica ben
fatto, potrebbe addolcire il genio austero dell'amico, che
a mio corto intendere, non è fuori di presunzioni, con
alcune delle considerazioni da me proposte, nelle parti
però e nel modo che giudicherà più proprio la supe-
riore prudenza di V. P. Rev.ma, alla quale faecio umi-
lissima riverenza.

Conforme al solito sto scrivendo nel partire della
bolzetta senza aver tempo di rileggere ciò che ho scritto ;
onde condoni se vi trova delli spropositi e scorrezioni.

Foligno, 5 Luglio 1723.

Ce

Aspettavamo la risposta del sig. Muratori che prego
V. P. Rev.ma a degnarsi di comunicarmi subito.

Il sig. Boccolini avea proposto di stampare sepa-
ratamente a parte con distinto frontispizio la disserta-

zione di V. P. Rev.ma da potersi aggiungere al libro

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

quando si lega in fisso, con che si toglierebbe la sup-

posta implicanza delle due dediche. Io però temo che la
passione impegnata dell’ amico non solo per l’ astio al
personaggio, quanto per contragenio al poema e alla
stampa® del testo, delle annotazioni e della disserta-
zione che scopre qualche sua debolezza, anche dopo
sciolto il nodo delle dediche troverà qualche altro un-
cino per tentare se gli fosse possibile d’ impedire la
stampa e la pubblicazione. Ma bisogna assolutamente
farsi animo e sodisfare all’impegno pubblico e il ge-
nio torbido dell’ amico tenti quel che può, che la ve-
rità sempre starà a galla.

Riconoscerò nella libraria di questi P. P. Domenicani
il Codice d’Ivone che fu del Frezzi per osservare quanto
accenna V. P. Rev ma.

I mss. da rilegarsi stanno già sotto alle mani del
Merli obbligato a lavorare in casa di questo sig. Pier-
marino Barnabò, e in questo punto che scrivo viene lo
stesso Merli a mostrarmi alcuni quinternetti del volume
maggiore imbracati in ogni foglio con carte incollate
con colla tedesca, che, quando si lascino stare, faranno
certamente una escrescenza nel dorso troppo sensibile ;



io gli ho dato licenza di andar leccando diligentemente
le carte dell’imbracature e far la legatura con la pos-
sibile perfezione. Non accade dunque di rimandare i
libri sciolti, perchè ora che il Merli si è ridotto a la-
vorare in casa del sig. Barnabò, di cui prende sogge-
zione, non ho timore che non compisca l’opera in
qualche settimana e gli farò legare anche per me il
secondo tomo del Mettaire sotto nome di V. P. Rev.ma.

Il signor Boccolini ha sofferto nuovo insulto del
suo male, benchè non tanto pericoloso, ma molto grave
anche questo ; sta con qualche notabile miglioramento,
ma sotto una esatta cura per liberarsi e preservarsi da
altri recidivi. Egli riverisce con pienezza d’ossequio V.
P. Rev.ma come fa anche il priore mio fratello, e con
umilissima riverenza mi confermo ecc.

Foligno, 12 Luglio 1723.









E. FILIPPINI

Nel sigillar la lettera sopragiunge il sig. Mancini,

che la riverisce col solito infinito ossequio. Egli ha
messo già in colore il nuovo lavoro bellissimo e lo sta

ora ritoccando e perfezionando.
12.

Ciò che accenna l’amico di Roma d’ Ugolino Trinci
che era benemerito della S. Sede ed amato dal Papa,
che lo decorò della Rosa d’oro per avergli recuperata
Perugia e altre città usurpate da Biordo Michelotti, è
stato da me riferito nelle annotazioni istoriche, dove
non motivo cosa alcuna della attinenza con casa Orsini
nè di alcun soggetto di questa famiglia, per la quale
resta il campo a V. P. Rev.ma d’aggiunger quanto
vuole nella sua prefazione e se a me capiterà alcuna
notizia che la creda opportuna nel Dorio o in altri
autori, non lascerò di communicargliela.

Subito passata la funzione del S. Perdono, che mi
tiene ora in diverse occupazioni per servizio di
mons. Barni, mi porterò con la famiglia alla villeg-
giatura d’ Annifo, dove in otto o dieci giorni darò fuori
copiate le mie cicalate senza altra proroga e non lascerò
di farle avere a V. P. Rev.ma acciò gli usi la carità
di correggerle e riformarle vivendone io con infinita
apprensione, perchè so quanto poco capitale possa io
far di me stesso per la debolezza dei miei talenti, per
la mancanza dei libri e per le somme occupazioni che
mi rubano il tempo e mi snervano gli spiriti. Intanto
o capitando il solito vetturale da Cancelli o per altra
occasione invierò a V. P. Rev.ma i suoi libri già legati
col Montefalco e con le annotazioni del sig. Boccolini,
che se la va passando in una mediocrità di salute: ma
mi creda che è troppo necessario che si veda qua ri-
dotta in polito anche la prefazione di V. P. Rev.ma.
Teri tornò mons. Vescovo e nella visita che gli fece il
Prior mio fratello, le prime parole del Vescovo furono
se era mai venuta la prefazione di V. P. Rev.ma; ed

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO,

jo vado pensando cosa possa impicciargli in una si-
mile convenienza che dovró oggi praticargli.

L'esito della strepitosa causa sinodale resta ancora
in molta incertezza decantando ogn'una delle parti per

se laWittoria senza che niuna mostri sinora i positivi

decreti della Congregazione deputata e molti vogliono
che o non compariranno o compariranno ben tardi.
Godo sommamente dell’arrivo del primo tomo del
Tasso. Accanto al libro dell’Orlandi, se V. P. Rev.ma
lo ha ordinato per me, non resta più luogo all’ alterna-
tiva di ritenerlo o rimandarlo. Attendo con impazienza
la risposta di Modena e intanto col solito ossequio
faccio a V. P. Rev.ma, a cui si ricordano servitori il sig.
Boccolini e il Prior mio fratello, umilissima riverenza.
Foligno, 30 Luglio 1723.

(Continua). ; E. FILIPPINI.

ARAS SS







ANASTASIA BAGLIONI SFORZA
»

SECONDO NUOVI DOCUMENTI DEL R. ARCHIVIO DI STATO

DEM :EEAPNO

Il ch.mo prof. Ettore Verga, direttore dell'archivio storico
civico di Milano, ha già pubblicato in questo periodico (1)
parecchi documenti di storia perugina estratti dagli archivi
milanesi: alcuni di questi riguardano il matrimonio di Brac- :
cio Baglioni con Anastasia Sforza e ricevono utile comple-
mento da altri, che ebbimo recentemente la ventura di rin-
venire nell’archivio di Stato di Milano (2) e che ci sembra
possano riuscire di qualche interesse per la storia di Perugia
e per quella della famiglia sforzesca.

sn

È notorio come uno dei segreti della potenza degli Sforza,
assorti in breve tempo al principato dalla modesta e rude
Cotignola, sia stata la grande loro fecondità, che rendeva
possibili frequenti e cospicui parentadi sapientemente predi-
sposti a consolidare la nascente dinastia. Sforza, capo di una
famiglia d’ una ventina di persone tra fratelli e sorelle, non
permise mai che alcuno de’ suoi congiunti contraesse unioni
da lui non approvate (3); Francesco, figlio suo, seguì l’esem-
pio paterno, intento come era a trarre profitto d’ogni cosa,
che servisse a creargli od a consolidargli lo stato. Così nel

AVoL=VI; fai, n l5

(2) Potenze sovrane e Rogiti, Perego G., 1457-65, 2a, n. 528.

(3) BURCKHARDT, La civiltà del secolo del rinascimento in Italia, Firenze, San-
soni, 1876, t. I, p. 32-33.









244 A. GIULINI

febbraio del 1456 egli combinava un parentado fra la nipote
sua Anastasia, figlia del fratellastro Buoso (1), e Braccio Ba-
glioni, capo della potente casata perugina, che, se non aveva
raggiunto il principato, esercitava tuttavia nella città sua una
supremazione basata sulle cospicue ricchezze e sull’ influenza,
che ad essa derivava dall’ esercizio degli uffici più elevati.
Il Baglioni, rimasto vedovo di Teodorina Fieschi (2), aveva

(1) Il LirTA, Famiglie Celebri, Attendolo Sforza, t. 1, il RATTI, Della famiglia
Sforza, Roma, 1794, t. I, p. 198 ed il Giovio, Vita di Sforza Attendolo, Milano, Co-
lombo, 1853, p. 79, lo dicono figlio di Antonia Salimbeni, anzi il secondo lo afferma
il solo figlio di Sforza nato da questa moglie: il Litta vi aggiunge Carlo, che fu ar-
civescovo di Milano dal 1454 al 1457; inesattamente però, giacché la Salimbeni morì
in Milano nel 1411, anno in cui nacque a Montegiove nel Senese il nostro Bosio,
mentre Carlo vide la luce nel 1423. Nell’ ASM, Potenze Sovrane, Bosio Sforza, ab-
biamo trovato una lettera di una Gatozia da Roma diretta il 14 gennaio 1453 a Bosio,
. conte di Cotignola e di S. Fiora, del quale si afferma madre: che Bosio pure si
debba ascrivere alla prole illegittima di Sforza? Nel 1439 menò in moglie Cecilia
Aldobrandeschi (e non Criseide, come dice il Giovio) la quale portò in casa Sforza
la contea di S. Fiora nel Senese: da questa unione, scioltasi nel 1451 per la morte
di Cecilia, nacquero Guido, marito di Francesca Farnese, nipote di papa Paolo III,
ed Anastasia, della quale ci stiamo occupando. Nel 1462 Bosio fece pratiche per un
nuovo matrimonio e la duchessa Bianca Maria propose al cognato (ASM, loc. cit.)
quale noveila sposa una figlia del magnifico Giovanni Corte, chc per altro egli ri-
cusava non trovandola abbastanza avvenente. Sebbene avesse varcato la cinquantina,
Bosio si addimostrava in proposito di difficile acccntentatura, e, fallite le trattative
con una dama fiorentina e colla figlia del marchese di Cotrone, nel 1464 conduceva
in moglie Criseide di C.pua, figlia di Matteo, duca d’Atri, vicere dell'Abruzzo e ca-
pitano generale di re Ferdinando, giovinetta diciottenne ed al dire del RATTI, op.
cit., p. 178, molto bella. Da questo nuovo connubio nacquero tre figli: un maschio,
Francesco, e due femmine, Cassandra e Costanza, moglie quest’ ultima di Filippo
Maria Sforza, figlio del duca Francesco, ed indi del conte Claudio della Palude. Bosio
morì in Parma il 10 marzo 1476, come rilevasi da una lettera di Griseide al duca
Galeazzo Maria, che volle venisse trasportata a Milano la salma dello zio, cui ven-
nero rese solenni onvranze : documenti dell’ASM. descrivono minutamente le esequie
celebrate con molto sfarzo nel duomo, ove il cadavere di Buoso fu inumato con epi-
grafe ricordata dal PUCCINELLI, Memorie antiche di Milano, p. 49-50.

(2) Il FABRETTI, Biografie dei capitani venturieri dell’ Umbria, Montepulciano,
Fumi, 1851, t. III, ed il GRAZIANI, Diari in Archivio storico italiano, s.I, v. 16, p. 631,
‘ascrivono erroneamente Teodorina alla famiglia dei Fregoso e ricordano come ve-
nisse sposa a Braccio con gran seguito nel maggio 1437. Essa morì alla Bastia il 29
aprile 1454: fu madre di Grifone, che divenne consorte della cugina sua Atalanta.
La scomparsa di Teodorina pare non addolorasse soverchiamente il marito, che, al
dir del FABRETTI, Op. e loc. cit., la scordava « nel torneare o nelle giostre o in altri
solazzi cavallereschi », come pure la recentissima morte della madre non gli impe-
diva nel 1454 di convolare a nuove nozze.

ANASTASIA BAGLIONI SFORZA : 245

pensato presto a nuove nozze, e, memore delle cure amo-
revoli prodigategli specialmente dalla duchessa Bianca Maria
nella prigionia sofferta dopo la rotta di Monteloro (1), ve-
niva a cercare la nuova compagna nella casa dell’antico
avvetsario (2). Buoso da parte sua non era rimasto sover-
chiamente soddisfatto delle pratiche matrimoniali condotte
dal fratello duca di Milano, al quale scriveva dichiarando
le ragioni, che lo inducevano a considerare meno benevol-
mente la proposta unione: fra esse la forte differenza d'età,
che esisteva fra i due sposi. Anastasia infatti era « una
.putta de tredeci anni » (3), mentre Braccio ne contava già
trentasette (4); ma altro motivo aveva Bosio per mostrarsi
meno incline ai disegni del potente fratello: la mancanza
di mezzi pecuniarii per collocare degnamente la figliuola in
una casata così cospicua come i Baglioni. Scrivendo al
duca (5) non si peritava di dire: « queste povere terre chio
ò non fruttano tanto che basti alle spese’ di questa casa...
altre entrate non ò » (6). Ed il duca allora interveniva as-
segnando alla nipote una dote di seimila ducati d’oro, come
appare dall istrumento di promessa rogato nella corte ducale
di Milano il 25 aprile 1456 dal notaio Giacomo Perego (7)

alla presenza, fra gli altri, di Cicco Simonetta, segretario

ducale, e dei gentiluomini fiorentini Luigi e Pietro fratelli
Alemanni del fu magnifico Bocazino. Braccio Baglioni era
rappresentato da meser Filippo Bonaccorsi, suo mandatario
per procura del 10 marzo di quell’anno del notaio France-

(1) Questo fatto d’arme sfortunato pei bracceschi, capitanati da Nicolò Piccinino,
ebbe luogo 1’8 novembce 1443. In esso Braccio rimase ferito e prigioniero dello Sforza.
Cf. RUBIERI, Francesco Sforza, v. I, p. 377 e ANSIDEI, Ricordi nuziali di casa Ba-
glioni, in questo periodico, a. 1908.

(2) ANSIDEI, op. cit.

(3) ASM, loc. cit. Lettera di Bosio al duca Francesco del 25 febbr. 1456.

(4) FABRETTI A., loc. cit.

(5) ASM, lett. cit.

(6) Più tardi, scrivendo alla cognata Bianca Maria, Bosio così si esprimeva:
< non è tanto in Lombardia che mi basta pure per le scarpe de famigli ».

(7) ASM, Rogiti, loc. cit.







246 A. GIULINI

sco di Giacomo di Perugia (1); nell’ istrumento si ricorda-
vano gli amichevoli rapporti corsi tra Attendolo Sforza e
Malatesta Baglioni e tra questi ed il duca Francesco (2), rap-
porti che si volevano rendere più intimi col presente paren-
tado. La dote realmente avrebbe dovuto consistere in cinque-
mila ducati d’ oro, da pagarsi parte quando il Bonaccorsi, a
nome di Braccio, avesse dato l'anello alla sposa e parte
quando questa venisse « traducta ad maritum », ma messer
Filippo, per incarico del Baglioni, « instantissime requisive-
rat » che la dote medesima fosse elevata a seimila ducati,
al che il duca aveva annuito riservando la ratifica dell’atto
da parte di Braccio e di Bosio, il quale ultimo in una sua
lettera al fratello, datata da Santa Fiora (3), l’avvertiva di
aver provveduto alla ratifica stessa e gli comunicava come
il 16 maggio il Bonaccorsi avesse sposato, per procura di
Braccio Baglioni, la figlia sua Anastasia (4): « per quindici
giorni continuarono — dice il Fabretti (5) — le allegrezze
e le feste in Perugia a felice augurio del domestico avve
nimento ».

(1) Questo atto é riassunto dall'ANSIDEI, Op. cit.

(3) Braccio era figlio di Malatesta e di Jacoma Fortebracci di Montone: invero
tra lui, che aveva militato sotto le bandiere di Nicolò Piccinino, e Francesco Sforza
non era sempre corsa amicizia.

(3) ASM, loc. cit., lett. 19 maggio 1456.

(4) Il GRAZIANI, Diari in Archivio Storico Italiano, s. I, v. 16, p. 631, pone er-
roneamente gli sponsali ai 4 di giugno e determina la dote in otto mila fiorini, data
e somma accettata pure dal FABRETTI, op. e loc. cit., mentre il PELLINI nella sua
Historia di Perugia, p. II, 784, concordando coi precedenti in quanto all'importo
della dote, pone la celebrazione degli sponsali in maggio. Questa data é confermata
dalla lettera del 2 giugno, scritta dal Bonaccorsi al duca di Milano, nella quale dice
di aver sposato il 16 maggio in Santa Fiora la contessa Anastasia, che « non porria
esser al mondo più bella et più gratiosa ». Il duca, in data del 21, rispondeva com-
piacendosi dell'avvenuto parentado ed avvertendo il Bonaccorsi di aver disposto pel
pagamento a Braccio di 1500 ducati come acconto della dote. Cfr. VERGA, op. e loc.
cit., doc. II e III.

(5) Op. e loc. cit.








ANASTASIA BAGLIONI SFORZA 247



*
Bk




Bosio Sforza, ora che la questione della dote era stata
risol, si mostrava gratissimo verso il fratello e la cognata,
che avevano pensato all'avvenire della figliuola sua e l'an-
davano colmando di cortesie (1). Nel 1458 il Baglioni si re-
cava-alla corte milanese ricevuto con grandissimi onori (2):
in una lettera a Bosio (3) il duca Francesco lo avvertiva
che era stato presso di lui « Brazo da Perosa el quale ha-
vamo veduto molto volentieri et carezato et honorato quanto
più ne stato possibile ». Il Baglioni, durante il suo soggiorno
a Milano, esprimeva il desiderio che Anastasia venisse a
stare presso la duchessa «< perchè quando la vorrà menare
a casa intende levarla da qui et tar qui la festa », per cui
il duca, ben conoscendo come il fratello suo non si mostrasse
troppo largo nello spendere, a mo’ di consiglio chiudeva la
lettera dicendo: « sforzate menarla più honorevolmente che
te sarà possibile per tuo honore et nostro ». Bosio replicava
subito (4) osservando che al genero suo doveva bastare « ha-
vere dalla Ill. S. V. la dota et in questa faccenda non dare
più impazo nè tedio nè spexa alla Ill. S. V. (il duca) », che
egli non si trovava in condizione di condurre alla corte di
Milano la figliuola col dovuto decoro « specialmente de
donne et altre cose bisognevole in la dicta facenda » e che
d'altra, parte aveva già pregato Braccio di « togliere la
figliola in questi suoi loci dal canto di qua ». I documenti
da noi esaminati non ci dicono se il duca Francesco riusci
a persuadere Bosio, addossandosi muove spese pel decoro
del nome e per soddisfare le esigenze dei signore perugino:

(1) ASM, loc. cit., lett. 11 luglio 1456.
2) FABRETTI, Op. e loc. cit.
3

) ASM, loc. cit., lett. 12 dicembre 1458.
4) ASM, loc. cit., lett. 28 dicembre 1458.

(
(
(









248 A. GIULINI

nel 1561 però troviamo Anastasia a Milano, ove il 20 marzo
col consenso di Braccio e coll’ intervento del duca rinuncia,
in vista della dote di sei mila ducati d’oro costituitale dallo
zio, a favore del padre e del fratello Guido la porzione sua
della contea di Santa Fiora di compendio dell’ eredità ma-
terna (1). L’anno seguente il Baglioni si decideva finalmente
a condurre a Perugia la gîovane sposa, che ormai toccava
i dicianove anni.

*
E

Nel marzo del 1462 adunque il Baglioni esternava l'in-
tenzione di mandare a prendere la sposa « ad mezo el mese
de majo in modo che la sia conducta (a Perugia) il di della
solennità del Corpo de Christo » e da una lettera a lui diretta
il 29 marzo da Bianca Maria risulta. come egli stesso si as-
sumesse « el carico de spendere alcuno de li denari de la
dotte in zoie et altre cose » (2), il che vedremo come non
sia avvenuto, mentre il residuo della dote, accennato nella
lettera della duchessa in ducati 4500, si doveva ridurre poi
a ducati 4000, evidentemente per la ragione predetta. L'’ at-
tuazione del proposito del Baglioni subiva qualche ritardo e
ser Filippo Bonaccorsi solo nel giugno riprendeva la strada
di Milano quale procuratore di Braccio coll’incarico di pren-
dere la sposa e di ricevere il residuo della dote (3). L'8 di
quel mese nell’Arengo, presenti quali testimoni i magnifici
Baglioni da Perugia, e Francesco Arese, consigliere ducale,
i militi Francesco Landriani ed Ottone Mandelli, Princivalle
Lampugnani, Stefano Stampa e Giacomo Gallarati, aulici du-
cali, il nobile Francesco de’ Amorosi da Todi, cancelliere di

(1) RATTI, Op. cit., p. 193-04.

(2) VERGA, op. e loc. cit., doc. VII.

(3) ASM, loc. cit, istr. 3 aprile 1462 rog. Giuliano di Piermatteo, notaio di Pe-
rugia. Questo atto é riassunto dall'ANSIDEI, op. cit., p. 114.

ANASTASIA BAGLIONI SFORZA 249

Braccio Baglioni, Lorenzo ed Ambrogio de’ Busti e Cristo-
foro de Prizino, fisico ducale, il notaio Giacomo Perego, più
sopra nominato, stendeva l’ istrumento (1), mediante il quale
ser Kilippo, quale procuratore del Baglioni, dichiarava di
ricevere il corredo assegnato colla dote dal duca di Milano
alla nipote contessa Anastasia degli Attendoli, come all’istru-
mento di promessa in data 25 aprile 1456, e che riportiamo
in appendice. Con atto dello stesso giorno, rogato pure dal
notaio ducale Perego (2), Pigello Portinari, il noto governa-
tore del banco mediceo in Milano (3), si dichiarava pronto
a pagare sino alle calende di gennaio in Firenze sul banco
Medici, ad istanza del duca di Milano e senza alcuna ecce-
zione, al. Bonaccorsi, procuratore di Braccio Baglioni, quat-
tro mila ducati d’ oro, residuo della dote della contessa Ana-
stasia (4). La sposa lasciava subito la corte milanese, poichè
il cronista Pietro Angelo di Giovanni (5) ci avverte che il
20 giugno essa faceva il suo ingresso in Perugia « con gran
trionfo » (6).

(1) ASM, Rogiti, loc. cit.

(2) Ivi. — L'istrumento veniva pure celebrato nell'Arengo e vi assistevano come
testimoni i magnifici Baglione Baglioni di Perugia e Francesco Arezzo, consigliere
ducale, il cancelliere Francesco de'Amorosi, Princivalle Lampugnani e Giovanni di
Lazzaro Bonromeo, fiorentino.

(3) Francesco Sforza nel 1455 aveva donato all'amico suo Cosimo de' Medici un
palazzo, già dei Bossi, posto nella via omonima. Divenne sede di un baneo di cam-
bio ed il Medici lo fece ricostruire sontuosamentc da Michelozzo Michelozzi e di-
pingere all'interno dal Foppa. I danari per la ricostruzione furono versati da Pigello
di Fu!co Portinari, governatore del banco mediceo in Milano ed appartenente col
fratello Azzareto, che gli successe quando egli assunse l'ufficio di questore delle
entrate ordinarie del ducato di Milano, alla potente famiglia ben nota per le case
commerciali aperte in Europa ed in Oriente. Pigello Portinari nel 1462 fece erigere
la monumentale edicola omonima in S. Eustorgio, ove tuttora una tavola recente-
mente restaurata porta l'effigie sua. Cfr. Archivio storico lombardo, a. 1885, p. 584-
85, a. 1896, p. 378, a. 1911, p. 386.

(4) I Medici erano pure in rapporti cordiali coi Baglioni. Cfr. ANSIDEI, op. cit,.
p. 114 n.

(5) La stessa notizia ci vien data dal GRAZIANI, op. cit., p. 637, che dice la no
vella sposa « milanese di gran sangue ».

(6) ANSIDEI, op. e loc. cit.







A. GIULINI

sa

Entrata Anastasia nel vetusto palazzo dei Baglioni ne
usciva qualche anno di poi, dietro invito del duca di Mi-
lano, per accompagnare la cugina ed amica sua Ippolita
nel viaggio, che la còlta principessa doveva intraprendere
nell’ estate del 1465 per recarsi a Napoli sposa al duca di
Calabria (1).*# L'unione di Anastasia col possente gentiluomo
perugino, mecenate di poeti e di artisti, edificatore di una
fra le più splendide dimore signorili del tempo, non doveva,
a quanto ci consta, essere allietata da prole e forse veniva
rattristata dalle soverchie attenzioni, che Braccio prodigava
a quella dama sua concittadina, Margherita Montesperelli,
ad onore della quale egli dava le feste più sontuose (2).
L'8 dicembre 1479 il Baglioni cessava di vivere (3) lasciando
erede l’abbiatico Grifonetto, che il figlio suo Grifone, pre-
morto al padre nel 1477, aveva avuto dalla cugina Atalanta,
e l’anno seguente, ai 13 di novembre, la contessa Angela
d'Aequaviva, ava materna e tutrice del giovane erede, con
istrumento rogato dal notaio Francesco di Giacomo rendeva
alla vedova di Braccio la dote, facendole cessione di un cre-
dito di ducati 5975, che il defunto marito teneva verso Lo-
renzo de’ Medici (4).

Vedova ancora in giovane età, la contessa Anastasia ri-
mase nella patria di adozione, se ne tornò alla corte sfor-
zesca, ovvero trascorse il resto della esistenza sua nell’avito
maniero di Santa Fiora? I documenti milanesi da noi esa-
minati nulla ci dicono al riguardo: solo diligenti ricerche
negli archivi perugini potrebbero fornire elementi per ri-
spondere alle domande, che ci siamo mossi.

A. GiULINI.

(1)* VERGA, op. e loc. cit., doc. VIII.
(2) FABRETTI, Op. e loc. cit.

(3) PELLINI ed ANSIDEI, op. e loc. cit.
(4) ANSIDEI, op. e loc. cit.

ANASTASIA BAGLIONI SFORZA

APPENDICE

(ASM, dall’ istrum. 8 giugno 1462 rog. Giacomo Perego, notaio ducale).

NOTA DEL CORREDO DELLA CONTESSA ANASTASIA.

P.mo Mantellina una de pano doro cremesi in damaschino fodrato de

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sandale videlicet con la bramatura fate de argentaria con veleto
de seta intus.

mantelina una de veluto cremesi fodrata de bombacina con il
pelo rechamato con li fraponi de dredo fulti de cerate de seta e
oro con le bramature de argentaria.

mantelina una de sendale cremixino reforsato con la franza doro
et de seta cremixina.

mantelina una de pano videlicet rechamata ala divisa de larcho
del collo con fornimento de argentaria denanza et de dredo.
mantelina una de saia morella con le franze de seta morella.
vestito uno de veluto verde de zetonino con le maniche strete
con lo colare et bramatura fata a la franzesa.

vestito uno de scarlata con le maniche strete con lo busto et ma-

niche rechamate ala divisa del cane del Signore.
vestito uno de pano morello de grana con le maniche pizinine
ala franzexe con ritorto de seta morella.

vestito uno ... con le maniche strete ala franzexe con lo collare
et bramatura de pano doro damaschino.

corizino rosso de sita fornito de argento sopradorato.

tessuto uno de sita morella senza oro fata ala damaschina con
mazo fibla et sbrange ... sopra dorate de argento fino.

tessuto uno de pano doro morello in pillo con mazo, fibla et
sprange nove de argento fino.

tessuto uno de pano doro turchino ala damaschina con mazo
fibla et sprange nove de argento sopra dorato.

tessuto uno morello de sita solia senza oro con mazo fibla et
sprange nove de argento sopra dorato.

corizino uno de damaschino con la divisa de sempre viva fulto
de argento sopra dorato.

camora una de zetonino velutato videlicet fodrata de tilla.
camora una de sandale cremixi reforsato.

camora una de scarlata.

camore tre de bombaxina.









252

A. GIULINI

P.mo turcha una de scarlata.

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ltem

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Item

paro uno de maniche de damaschino verde et argento con le ma-
zete de argento. :

paro uno de maniche doro eremexi in damaschino con le mazete
de argento.

paro uno de maniche de veluto morelo soyro con le mazete de
argento.

paro uno de maniche de veluto verde soyro con le mazete de
argento.

paro uno de zetonino velutato cremixili con le mazete de ar-
gento.

paro uno de maniche de sandale cremexili reforsato.

foza (?) una da testa fata ala franzexe laborata doro fata a modo
de capuzo.

rete una doro per metere in testa fata a tramina d’oro et de tre-
molanti.

rete una doro fata a franzeta de cordelina doro et de iron AE
una rete fata a gruppi fata doro et de tremolanti.

rete una doro.

rete de sita morella et una de sita biancha.

vello uno frapato doro con tremolanti.

braza trenta de cordelina doro et de tremolanti.

peze sete de bindello de bombaxina subtile.

pecteni dui da orio et schianoni tri da orio.

spezi dui uno con lo pede alto con giande et pere et laltro ro-
tondo con una franza doro de sita cremixina.

capello uno de zetonino cremexili con una franza doro et de sita
eremexilli da solle.

brustie due fate ala guixa de fiorenza.

filza una de ... con botoni de sita et doro.

para quatro de guanti con fornimento de sita et de argento de
diversi collori et uno senza fornimento fodrati de pelle.

borsete quatro doro et de argento de sita non fornite.

capseta una grande de urio da zoglie con diverse borse doro et
dargento et de veluto da donare ... XIIIJ.

borsoli quatro doro.

para zinque de calze da dona et uno paro de scarlata con paro
uno de zibre de veluto morello et para tri de zibre.

sugacapita duodexi larghi subtili et quatro sugacapita groseli et
septe sugac. strecti.

capizii tre de tilla subtille.

ANASTASIA BAGLIONI SFORZA

P.mo peze tri de paneti subtili ... LIJ.

Item camise sedexe da dona nove.

Item fodrete oto de pano subtile laborate a pilastrelli con botonzini et
fiochi de torno.

Item E dui da coppa de tilla de eambra.

Item pani tri da capo de pano subtille nostrano.

Itam gozzarini dexe de pano de reno.

Item velli duo de bombase longo et velli quatro pizinini.
Item didale uno dargento et agugia da cüsire et da pamello.
Item capse sey o sia coffani pincti ala divisa del Signore.
Item fodro uno de pelle fina da dona.

Item majestate una de orio.







VARLE STA:

DI UNO SCONOSCIUTO PITTORE IN VETRO

DEL SECOLO XV

Durante il lavoro di decifrazione ed ordinamento di un blocco
di antiche carte d’archivio comunali e governative, affidatomi dal
nostro Municipio, lavoro di che feci speciale comunicazione alla
R. Deputazione di storia patria nell'adunanza del 29 ottobre 1907,
tenutasi in Perugia, mi è occorso di portare una speciale atten-
zione sovra un documento che mi parve meritevole di essere se-
gnalato agli studiosi della nostra regione.

Si riferisce precisamente a poco oltre la metà del secolo XV,
epoca in cui il nostro benemerito istoriografo comm. Magherini
ebbe spesso a deplorare la maggiore scarsità delle memorie e dei
documenti, massime per quanto si riferisce alle vicende archi-
tettoniche del Palazzo Comunale e alle opere d’arte che lo deco-
rarono.

È l'originale scrittura, in carta bambagina, di un contratto
seguìto tra i Magnifici Signori Priori e un dopno Pierantonio de
Nanni dal Borgo San Sepolcro per fare et componere una fenestra
invetriata de colori a la capella del Palazzo ... dove se dice messa.
Costui, che dovette forse essere un artista sacerdote, come si può
desumere dal titolo applicatogli di dopno e non di maestro, ebbe

prescritto il soggetto delle figure da rappresentarsi, e cioè le im-
magini di San Florido e Santa Maria con l'arme del Comune —
e più doveva la fenestra stessa essere fregiata d’intorno et di sotto

corniciata in buona forma.

Secondo noi, questo documento, che completa anche una la-
cuna cronologica del Magherini, circa il ricordo di opere artistiche
e lavori di costruzione nel Palazzo comunale occorsi fra il 1416







256 V. CORBUCCI

e il 1488, ha una certa importanza sotto due precipui aspetti :
luno, per la storia della pittura in vetri, indicandoci un nuovo
artefice sinora affatto sconosciuto, che potrebbe forse degnamente
aggiungersi ai non molti dedicatisi a questa ben ardua specialità
di arte pittorica, che nella nostra Umbria fin dalla prima metà del
secolo XIV avea fatto capo al famoso maestro Giovanni di Bo-
nino d’ Assisi ; l’altro, perchè può fornire qualche maggior lume
intorno alla primitiva costruzione del nostro Palazzo comunale, e
successivi ampliamenti nelle sue adiacenze sinerone, tuttora non
abbastanza studiati e resi più difficili dallo stato attuale cui fu
ridotto l’edificio, e che forniscono pur troppo larga materia alle
ipotesi più disparate e inconciliabili.

Riferisce sempre il comm. Magherini, che sin dal 22 settembre
1447 (come risulta dai pubblici Annali al volume segnato con let-
tera P., f. 22) il Consiglio dei Trentadue ebbe a decretare l’ ere-
zione di una cappella nel palazzo priorale per comodo dei magi-
strati, ma forse i lavori non furono subito iniziati, e noi abbiamo
anche ragion di credere che cominciassero non prima del 1451,
anno in cui furono eletti appositi deputati « pro edificio capelle
denuo construende in palatio Magnificorum Dominorum Priorum.
(Vedi CERTINI, Chiese e Conventi Tifernati, ms. esistente nell’ ar-
chivio della canonica di S. Florido).

Oggidì non si sa con certezza dove tale cappella costruita di
nuovo esistesse. Però è tradizione riferita anche dal cav. Giacomo
Mancini (Memorie di alcuni artefici del disegno sì antichi che mo-
derni che fiorirono in Città di Castello e Perugia, Baduel, 1832,
vol. II, pag. 121) che la stanza in cui tuttora si vede un mediocre
quadro ad olio del Rinaldi, rappresentante un angelo che sostiene
Gesù Cristo, stanza attualmente adibita all’ ufficio d’igiene, sia
stata appunto la cappella de’ Priori cui si riferisce il nostro
documento: e se ciò è vero e se anche non può dubitarsi che la
parete a destra di chi entra nella grande sala comunale segnava
una delle fiancate esterne del palazzo sulla viuzza ora chiamata
Delle legne, bisogna inferirne indubbiamente che detta cappella tu
costruita sopra il lungo e forte arco, come un piccolo appodiato
al palazzo municipale e vi si dovette accedere dall’interno dello
stesso salone per una non ampia apertura a pochi scalini nella
parete medesima di sopra indicata.

t

DI UNO SCONOSCIUTO PITTORE IN VETRO 257

Comunque, ecco il documento che ci siamo studiati di tra-
scrivere colla maggiore possibile esattezza.
V. CORBUOCI.

.
In nomine Domini, afio MCCCCLIIJ" adi xx de agosto. Sia noto et
mallifesto a chi udirà o viderà legere la presente scripta come dopno

Pierantonio de Nanni dal Borgo promette et convene a li Magnifici Si-
gnori Priori del populo de la Cità de Castello fare per tutto ottobre
proximo che vene una finestra invetriata de colori .... e la capella del
palazzo de’ Magnifici S. Priori dove se dice la messa, cioè in prima che
nella dicta finestra degga fare et componere dal muro da piey d’ essa
finestra uno braccio d’occhi et da quella in su doi figure lavorate cioè
de San Fiordo et de Sancto Amanzio con l’ arme del Comune de Ca-
stello et fregiata de intorno et disotto corniciata in bona forma. La
qual finestra dee lavorare et fare et aconciare ad uso di buono maie-.
stro con questi pacti et muodi ch’ el dicto dom pierantogno degga
avere di sua manifattura et fatiga floreni dieci et mezzo a bolognini xL
per floreno. Et più degga avere ferro et filo di ramo quanto basta a
la decta finestra a spese del Comune però con ferro et filo solamente
et lavoratura d’esso ferro con questo che il detto dom Pierantonio
degga ponere la finestra, ferro et filo di ferro a tutte sue spese et vetro
lavorato excepta gabella si ce occurrisse, che sia tenuto el comune. Et
questo agionto che si el dicto dom pierantogno facesse la dicta finestra più
che con uno braccio d’occhio non si degga sbattere detrarre, dal prezzo
conveuuto diffalcare pro rata parte. Et se lui ce ne facesse meno che de
uno braccio d’occhi non possa domandare piü per sua fatiga et prezzo
che de detti dieci floreni et mezzo. Et la predicta conventione fecero et
dinsieme dicti M. S. Priori dopno Pierantonio con facendo deposito del
decto prezzo a presso de' nieolo di francesco fucci quale presential-
mente si chiama contento et confesso avere ad petitione del dicto dom
pierantognio dieti dieci floreni e mezzo, havendo prima adempiti i paeti
et conditione soprascripte per parte del dicto dom pierantognio. Et le
predicte cose promesero dicti M. S. Prioriet el dieto dom Pierantognio
attendere, adempire, tenere et observare l'uno a l'altro sotto la pena
de xxv floreni, per le quali cose observare dicti M. S. Priori obligano
al dieto dom pierantognio tutti i beni del Comune e el dicto dom
pierantonio. obliga a dicti M. S. Priori receventi per lo comune tutti
i suoi beni presenti et futuri. Et a prieghi et comandamenti de dicte
parti feci et scripsi la dicta scriptura, io Bartolomeo d'antonino notaro
de' M. S. Priori anno domini et mense de' sopra scripti et presenti i
testimoni di sotto scritti ad fede de dicte cose.













258 V. CORBUCCI

Io Berto de Sebastiano de la cità de Castello fuoi presente a la
sopra scripta scrittura et a ciò che in essa se contiene et a prieghi
et volontà de le sopraditte parti me so soscripto de ui.
mano, anno, mense et die soprascripti. :

Io fra Martino da Citerna fra minore fui presente a la sopra dieta
Scripta et in quello che in essa se contene et in fede de cio me so sot-
toscritto de mia propria mano.

Io Mariotto de Piero de Damiano de la detta cità et porta San
Fiordo fui presente a la sopra detta scripta,

Il 20 di settembre 1454.

Io dom pierantonio de’ Nanni dal Borgo sopra decto o receuto
quanto decto di sopra da Nicolo di francesco Fucci depositario del Co-
mune si come apare di sopra fiorini dieci e mezo a bol. xL per fiorino
della quale quantità me confesso essere satesfacto intieramente.









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ANALECTA UMBRA

Il nostro socio M. Antonelli pubblicò, or è qualch’anno, una in-
teressante memoria, nella quale erano narrate le vicende della domina-
zione pontificia nel Patrimonio di S. Pietro in Tuscia dalla traslazione
della Sede alla restaurazione dell’Albornoz. Continuando le sue dotte

‘ ricerche nell’ archivio Vaticano, l'A. ci offre un nuovo lavoro, dal titolo
La dominazione pontificia nel Patrimonio, negli ultimi venti anni del
periodo avignonese (Estratto di pag. 157 dall'Archivio della R. Società
Romana di Storia Patria, vol. XXX e XXXI). È diviso in nove para-
grafi, che hanno rispettivamente i seguenti titoli: Le milizie romane nel
Patrimonio, Le invasioni delle compagnie di ventura, Lo stato e i baroni,
Lo stato e î comuni, Controversie giurisdizionali, Gli abusi degli officiali
papali, Una relazione del vicario Pietro, arcivescovo di Bourges, La ri-
bellione del 1875, Il ritorno della Sede e la restaurazione della pace. Ad
essi segue un’ Appendice, in cui sono pubblicati ventiquattro documenti
Vaticani. E un lavoro, questo dell'Antonelli, che non si riassume: mi
limito a dire che' presenta grande interesse anche per la storia della
nostra regione; vi s'incontrano infatti bene spesso i nomi delle prin-
cipali eittà umbre, i cui eventi ebbero sì grande relazione con quelli
del Patrimonio; come Perugia, Orvieto, Todi, Terni, Narni, Amelia,
Rieti. Inoltre mi piace rilevare che l'A., oltre esporre lucidamente i
fatti, vi ragiona sopra, in modo da darci, con acutezza d’indagatore e
di pensatore, le conseguenze di essi.

Le quali, per il periodo da lui studiato, sono le seguenti: « Co-
stituiscono queste baronali famiglie la nobiltà devota alla Chiesa, la
cui fortuna andó sempre aumentando fino a raggiungere, come i Far-
nese, il massimo della potenza e della gloria; mentre la nobiltà avversa,
che faceva capo ai Di Vico, andò sempre più declinando per non più
risorgere. Pur attraverso infiniti ostacoli, e malgrado l’assenza del







262 5 ANALECTA UMBRA

sovrano e il mal governo de' suoi officiali, che pareano dover creare
per l’autorità della Chiesa una condizione di cose irrimediabile, l’ au-
torità stessa sia invece riuscita a rafforzare potentemente il suo impero.
Egli è che i tempi andavano ormai maturando ovunque per il nuovo
assetto politico degli stati, ed una tale evoluzione, che doveva far capo
nel secolo successivo all’ unità monarchica, non poteva essere arrestata
da circostanze, per quanto avverse ».

+. La Via Salaria nei circondariù di Roma e Rieti è il titolo di
un lavoro che il march. Niccolò Persichetti ha pubblicato nel « Bollet-
tino dell’Imp. Istituto Archeologico Germanico », e che ora ha veduto
la luce anche in volume (Roma, Tip. dell’Acc. dei Lincei, 1910). Ispet-
tore dei monumenti nel circondario di Cittaducale, alcuni anni fa il-
lustrò il tratto della Salaria, che da Rieti si svolge fino ai circondari
di Ascoli e di Teramo, e fino al mare Adriatico.

Il presente volume è complemento di quelli che lo hanno preceduto
e ricerca e illustra quel tratto che da Roma va fino a Rieti. Prendendo
le mosse dalla vetusta Porta Collina, per la quale entrarono i Galli in
Roma, e sostituita poi dalla più ampia Salaria per opera di Aureliano,
LA. segue la via in tutto il suo percorso, illustrandone dottamente i
fasti archeologici e storiei e la messe epigrafica, ricordando poi quelli
agiografici e cimiteriali. ll Persichetti inoltre arricchisce il volume con
la pubblicazione degli Itinerari inediti sulla Salaria, dell’ Holstenius e
del Vettori; e molte e nitide incisioni ci presentano i luoghi e le co-
struzioni più degni di ricordo. Quando si pensi che, per le esigenze
della moderna viabilità, i primi son destinati ad esser trasformati, e le
seconde a sparire in massima parte, dobbiamo esser grati al marchese
Persichetti per la sua dotta opera di illustrazione.

4*4, La Società italiana per la ricerca dei papiri greci in Egitto,
nello scorso aprile offriva, come « omaggio al IV Convegno dei Clas-
sicisti tenuto in Firenze dal XVIII al XX aprile del MCMXI », un fa-
scicolo come saggio del primo volume che la Società stessa pubblicherà

fra poco. Il fascicolo è presentato dal p. E. Pistelli, e il primo papiro
che vi è edito è quello di Oxyrhynchos, Atti del Martirio di S. Cristina,
per opera di Lorenzo Cammelli. Sono incerti il tempo e il luogo in cui
la Santa subi il martirio: in quanto al secondo, si « formò la favola ...
che fosse in una Tiro d' Occidente, in Italia, presso il lago di Bolsena ».
Anche il De Rossi la ritenne una martire occidentale; e per « sostener
la sua tesi notava la mancanza di ogni testo greco del martirio della:

Santa, ignota prima del sec. IX ai Siri, ai Greci, all'Oriente. Questa

ANALECTA UMBRA M 263

affermazione viene ora a cadere dopo la scoperta di questo testo greco
antichissimo, dal quale gli Atti latini appariscono direttamente deri-
vati ». Fra gli Atti latini il Pennazzi, citato dal Cammelli, ricorda gli
Urbevetana, compilati circa il 1200, i Liberiana e i Vallicelliana. Le re-
dazioni latine, secondo il dotto illustratore del papiro, derivano da una
rMazione greca; ed egli, sulla scorta di esso, corregge diversi errori
che si riscontrano negli Urdevetana.

4*4 Il prof. Cesare Annibaldi, alla edizione dell’Agricola di Cor-
nelio Tacito, data di su il ms. latino n. 8 della Biblioteca del conte
G. Balleani in Iesi, fa ora seguire (Leipzig, Harrassowitz, 1910) quella
della Germania, dallo stesso codice. Non ne terrei qui parola, se l’Au-
tore nella dotta /refazione non ci desse notizie pregevoli e interessanti
per la storia delle nostre lettere nel periodo del Rinascimento. Vi tro-
viamo citati i nomi di parecchi umanisti, come quello del Pontano, che
traserisse il ms. della Germania nel 1460, insieme col Dialogo e Sve-
tonio, e Ranieri de’ Maschi, trascrittore del ms. di Rimini. Ranieri fu
al servizio di Sigismondo Malatesta; caduto in disgrazia di questo,
dovette esulare; « ma, perito nelle leggi, destro ed abile nei maneggi
politici e nei governi, non gli mancò la fortuna; Pio II lo creò suo
scudiero e lo mandò capitano a Perugia ove esercitò la podesteria dal
24 novembre 1465 al 20 maggio 1466 », mentre Stefano Guarnieri, pos-
sessore del ms. Esino, « col XIII febr. 1466 veniva imposto ai Priori
come cancelliere di quel Comune ». Non è qui il luogo, e del resto a
noi ne mancherebbe la competenza, di segnalare i meriti insigni delle
due edizioni dell’ Agricola e della Germania, che tanto favore hanno
trovato, e tante discussioni hanno promosse presso i cultori degli studi
classici; e perciò ci limitiamo a darne questo breve annuncio.

x, I lettori di questo Bollettino hanno avuto occasione di apprezzare
la memoria del p. Schuster su l’ Abbate Ugo e la Riforma di Farfa. Il
dotto A., continuando i suoi studi sulla vetusta abbazia, ha pubblicato
il Martyrologium Pharphense ex apographo card. F. Tamburini 0. S. B.
codicis saeculi XI, Maredsous, 1910. (Extrait de la Revue Bénédictine,
1909-1910). Il codice edito dal p. Schuster è un cartaceo del sec. XVII
apparteneute alla Biblioteca di San Paolo di Roma e contiene « textus
liturgieos veteres, commentaria historica, iuridica, sententias Saeris
Rom. Eecl. Congreg. proponendas »; ed era stato già segnalato da
G. B. De Rossi. I1 Martyrologium pharphense vi occupa i fogli 477-562,
e il card. Tamburini nota nel primo foglio : « Codex scriptus circa finem
decimi et initium undecimi saeculi ». Precede il testo una dotta intro-





264 È ANALECTA UMBRA

duzione del p. Schuster, ed esso è molto notevole per gli studi agio-
grafici.

4", Mons. Michele Faloci Pulignani ha pubblicato, per i tipi del
Salvati (Foligno, 1911), una dissertazione su San Feliciano vescovo di
Foligno e il pallio arcivescovile. Scopo di essa, come dichiara il dotto
A., è « il documentare la tradizione, secondo la quale S. Feliciano Ve-
scovo di Foligno, sul principio del terzo secolo o sulla fine del secondo,
avrebbe avuto dal Papa il privilegio del Pallio Arcivescovile, e lo
avrebbe avuto, non come un favore, ma come un segno della missione
datagli di propagare l’ Evangelo nell’ Umbria e nelle vicine regioni ».
In forza di quel privilegio, San Feliciano ebbe ed esercitò la missione
di predicare l’ Evangelo nell’ Umbria, nel Piceno, negli Abruzzi, nella
Sabina; di questo apostolato esistono ricordi e tracce monumentali in
molte parti dell'Italia centrale; molti artisti, dal XV secolo in poi, o
forse prima, rappresentarono San Feliciano con questo distintivo del
- S. Pallio. Secondo e’ informa l’A., il primo ricordo del vescovo foli-
'gnate rimonta al quinto secolo; e in molti luoghi da lui percorsi per
la evangelizzazione rimangono memorie di lui. Il Faloci Pulignani ci
è guida attraverso di essi, come Assisi, Bettona, Cascia, Gubbio, Narni,
Nocera, Perugia, Spello, Spoleto, Terni, Camerino, Fabriano, Osimo,
Pesaro, Tolentino, Urbino, Benevento, Sulmona, Teramo. In tutti i
luoghi o quasi l’A. ha interrogato le tradizioni o frugato gli archivi e
le biblioteche, mettendo insieme una grande quantità di notizie, illu-
strate con numerose incisioni. Cosi abbiamo una memoria che si puó
dire definitiva su San Feliciano, e ad essa dovranno ricorrere quanti
fanno oggetto de' loro studi la propagazione della fede cristiana nelle
regioni dell'Italia centrale e meridionale.

4*, Rendemmo conto nei fase. I-II della scorsa annata di questo
Bollettino (p. 479 e segg.) della memoria del prof. G. Bellueci sulle
Recenti scoperte paletnologiche nell’ antichissima necropoli di Terni. Si
può ripetere, che mentre 2’ una matura l’ altra spunta: infatti il dotto
A. ci viene ora innanzi con una nuova nota, Ornamenti personali in
argento rinvenuti nella necropoli di Norcia (2° periodo dell’ età del ferro),
Roma, Reale Acc. dei Lincei, 1911. In questa ultima sono passati in
rassegna gli oggetti principali rinvenuti in quella necropoli (ne sono
anche date belle illustrazioni), appartenenti quasi tutti all’ ornamento
personale. A proposito dei quali così conclude V’A.: « La forma singo-
lare ... di fibule con pendaglio di utensili del corredo da toeletta ebbe
ad iniziarsi quando i costumi cominciavano ad ingentilirsi negli albòri

ANALECTA UMBRA 265

della civiltà del ferro, e quando dovè parere un innovamento notevole
l’occuparsi della nettezza personale; cosicchè la donna, diciamo evo-.
luta, di quei tempi, prediligendo ad ornamenti quelle stesse forme di
arnesi, che alla propria nettezza convenivano, amò farne sfoggio pa-
lese per distinguersi dalla generalità delle sue compagne, che perma-
nevano in quelle condizioni di poca nettezza personale, caratteristiche
delle genti primitive e di quelle arretrate, che vivono ancora in mezzo
alla società civile ». j

Riferiamo soltanto il titolo di un'altra nota del prof. G. Bellucci,
La placenta nelle tradizioni italiane e nell’ etnografia, Firenze, Ricci, 1910.
In essa è presa in esame una delle più strane ma anche delle più dif-
fuse credenze popolari. In prova di ciò l'A. ricorda molti luoghi, sparsi
nelle varie regioni d’Italia, e cita varie opere da lui consultate. Anche
questa memoria ha un interesse notevole per la conoscenza dei vari
costumi e superstizioni.

4*4, In uno dei nostri annuali convegni l' arch. D. Viviani richiamò

l’attenzione degli studiosi sullo stato di non curanza, se non di abban-
dono, in cui giace la vetusta abbazia di Montelabate, ricca di preziosi
ricordi architettonici e pittorici. Costruita, prima del mille, col nome
di S. M. di Valdiponte in Corbiniano, si eleva a poca distanza, non
lungi dal castello di Ramazzano, dalle due vie provinciali che da Pe-
rugia conducono rispettivamente a Gubbio e a Umbertide. Poco tempo
fa (Tip. Porziuncola, 1908) il prof. Raffaele Zampa ne pubblicò una
Illustrazione storico-artistica. Il titolo bene corrisponde al contenuto, chè
in essa l’A. ricorda i dati più notevoli che si riferiscono alla storia di
Montelabate e ne illustra, anche con numerose e nitide incisioni, le
ricchezze artistiche. Basti ricordare che contiene affreschi di Fiorenzo
di Lorenzo e un bellissimo chiostro; ma ricordiamo anche, ahime! che
l'antica chiesa claustrale è ora adibita a cantina della fattoria. Un
maggiore interesse da parte di coloro che sono preposti alla conserva-
zione dei nostri monumenti, al certo non guasterebbe.

4*4 La Fede e la Scienza di Gentile da Foligno è il titolo di un opuscolo
col quale mons. M. Faloci Pulignani (Spoleto, Tip. dell’ Umbria, 1911)
ricorda Gentile da Foligno, che fu lettore di medicina nello Studio
Perugino, nella prima metà del secolo XIV. Su di lui il p. Lugano
pubblicò una dotta memoria in questo Bollettino (vol. XIV, p. 195-260);
e Perugia, in uno degli scorsi mesi ne ha solennizzato il centenario.
« Stanco, colpito dalla peste, si ritirò nel territorio della sua patria, a
S. Giovanni Profiamma »; di qui si fece portare in Foligno, nella sua













266 : ANALECTA UMRRA

casa, dove spirò il 18 di giugno. Il Faloci-Pulignani pubblica il codi-
.cillo che Gentile fece al suo testamento, pervenuto fino a noi in una
copia del Iacobilli; identifica la casa di Gentile con quella ora appar-
tenente ai sigg. Clarici; si augura che essa sia restituita al suo stato
primiero, e che il Municipio di Foligno vi faccia collocare un marmo,
che ricordi Maestro Gentile, « medico insigne..., martire glorioso della
scienza e del dovere ».

x#x Nel volume miscellaneo, Saggi di Storia antica e di Archeologia
offerti a Giulio Beloch dagli scolari nel suo giubileo professionale, si
legge uno Studio del prof. G. Colasanti, La ricerca del perimetro antico
di Reate (Roma, Loescher, 1910), nel quale il ch. A. espone il metodo
da lui tenuto nello stendere la memoria dallo stesso titolo, che vede
la luce nel nostro Bollettino. Mi astengo pertanto dal dichiararne il
contenuto, che si presenta come sunto del maggior lavoro.



## Il Museo etrusco-romano in Perugia mancava di un catalogo
scientifico. Questo ha ora compiuto il prof. G. Bellucci (Guida alle Col-
lezioni del Museo E.-R. in Perugia, Ivi, Un. Tip. Coop., 1910). Il primo
nucleo fu costituito nel 1790 mercè il dono da parte del patrizio peru-
gino cav. Friggeri, consistente in una pregiata raccolta di « suppel-
lettili archeologiche, di titoli epigrafici e di monete romane, consolari
e imperiali ». Collocata primieramente in una sala del Palazzo dei Priori,
fu nel 1813 trasferita nei locali dell’ Università, « con quei cimelî ar-
cheologici, che nell'intervallo di tempo si erano ad essa riuniti per
doni e per acquisti ». Fu somma ventura che la direzione del Museo
fosse tenuta per quarant'anni dal conte Giov. B. Vermiglioli, « uomo
insigne, che alla profonda coltura della mente univa somma perspi-
cacia, amore intenso per i monumenti dell’ antichità, dottrina ed intel-
ligenza non comuni, per interpretarli a dovere ». Pagato così, e con
altre parole ben meritate, il giusto tributo alla memoria del Vermi-
glioli, il prof. Bellucci ricorda Ariodante Fabretti e il conte G. C. Co-
nestabile, che furono degni allievi di quello, e che gli succedettero nella
direzione del Museo. Morto il secondo, già andato in esilio il primo,
questa passò al conte Rossi Scotti, poi al prof. Carattoli, che la tenne
fino al 1894. Da allora il Museo era rimasto senza direzione, ed ebbe
sorti non liete, finchè fu costituita una Commissione, composta dei pro-
fessori Sogliano, Guardabassi e Bellucci, per un riordinamento razio-
nale di esso. Eseguito quasi esclusivamente dal prof. G. Bellucci, questi
ora ne ha compilata la presente Guida, nella quale sono illustrati con
sicura dottrina gli esemplari più preziosi.







ANALECTA UMBRA 267

4 Il sig. Angelo Marinelli ha pubblicato con una garbata In-
troduzione e 13 facsimili Un libretto di Alchimia inciso su lamine di
piombo nel sec. XIV e conservato nella Biblioteca del fu prof. S. Lapi.
Precede una Prefazione del prof.. Cesare Annibaldi, nella quale egli
dà Mteressanti notizie su quella impostura, così largamente diffusa nei
secoli di mezzo, che ebbe nome di alchimia.

xk È nota agli studiosi la Storia che sulla Perugina Università
vide la luce nei primi anni dello scorso secolo per opera del p. Vincenzo
Bini; come sono noti i copiosi documenti che su di essa pubblicò A. Rossi
nel Giornale di erudizione Artistica. Ora il prof. Oscar Scalvanti aggiunge
alcuni Cenni storici (Perugia, Santucci, 1901), nei quali tratta « con
« maggior diffusione delle vicende dell’ Ateneo », a partire dal sec. XVI,
perchè ad esse non giunse l’opera del Bini, colpito dalla morte. Ma
anche peri primi secoli il dotto A. aggiunge o rettifica notizie e parti-
colari, sulla scorta di documenti da lui « rintracciati nell’ Archivio uni-
versitario e in altri pubblici e privati, di Perugia e di altre città d’ Ita-
lia. In principio della nutrita memoria è data una copiosa e credo com-
pleta Bibliografia sull'argomento; e in sei capitoli 6 tessuta la storia
del vetusto Ateneo, dalle origini (sec. XIII) al regolamento napoleonico
del 1808 e alla riforma del 1886. Nella Università Perugina insegna-
rono nei vari secoli uomini insigni, come il notaro Ranieri, Jacopo Bel-
viso, Cino da Pistoia, Bartolo da Sassoferrato, Gentile da Foligno e
molti altri: su tutti lo Scalvanti ci dà notizie interessanti. Ricorda an-
che come Galileo si recò a Perugia, dove volle conoscere il lettore e
astronomo Giuseppe Neri, al quale comunicò alcuni suoi scritti. A pro-
posito di ciò lo Scalvanti sfata la leggenda che Galileo trovasse critici
acerbi in aleuni dei signori principali in lettere di Perugia, « circa i
quattro pianeti medicei ».

4*4, In un'altra memoria, Lauree in medicina di studenti istraeliti
a Perugia nel secolo XVI (Perugia, Guerra, 1911), lo stesso prof. Oscar

Scalvanti, prendendo occasione da un documento Vaticano riferentesi
all’ Università di Pisa, e pubblicato dal prof. Carlo Fedeli, ricerca « quali
fossero le consuetudini invalse » nell'Ateneo Perugino in quel tempo in
cui Giulio III aveva coucesso all' israelita Simone di Vitale, studente in
quello Pisano, di potersi laureare in artibus et medicina, « e gli si con-
feriseono — postquam ad dictum doctoratus gradum promotus fuerit —
tutti i privilegi, preminenze, prerogative, onori, grazie, concessioni ed
indulti soliti a concedersi » agli altri laureati. Il prof. Scalvanti osserva
giustamente che se per uno israelita studente in Pisa, città non soggetta








268 ANALECTA UMRRA




al dominio della Chiesa, diveniva necessario un breve papale, ciò non
era nei riguardi di Perugia, dove risiedeva un Legato o Governatore pon-
tificio, al quale « spettava di non concedere agli scolari la richiesta gra-
zia quante volte si dovesse andar contro gli statuti del Collegio o le leggi
o consuetudiui della Chiesa ». Lo Scalvauti pubblica in appendice tre
Lauree in medicina concesse ad israeliti : queste confermano che « nelle
Università gli ebrei potevano liberamente dedicarsi agli studi delle arti
e della medicina ».










«5 Il prof. Bartolo Gilardi ha pubblicato un volume di Studi e ri-
cerche intorno al Quadriregio di Federico Prezzi (Torino, Lattes, 1911).
Il Gilardi afferma che il Frezzi fu « quegli che seppe farsi un giusto
concetto del poema [dantesco], e che non solo nella sostanza, ma anche
nella forma, meglio di tutti gli altri l'imitó ». Noi lasciamo all' A. la
responsabilità di questa affermazione, come la lasceremmo intera a chi
si compiacesse di confrontare la luce di un lume a petrolio con quella
del sole. Vedine un cenno bibliografico, dovuto a E. Filippini, nel Giorn.
st. d. Lett. it., LVII, 229 e segg. (vi è giudicato povero di contenenza
e sciatto nella forma). Anche nella Rassegna bibi. d. Lett. it. (XIX, 143-
44) veugono fatti al Gilardi parecchi appunti. Cfr. inoltre Fanfulla d.
domenica, 2 aprile 1911 (favorevole).











&"& La Casa editrice di Nicola Zanichelli, con lodevole pensiero ha
iniziato una Biblioteca di cultura popolare diretta da Guido Biagi. Il
titolo dice abbastanza quale intento essa si proponga. Ne sono stati già





pubblicati diversi volumi, tutti interessanti: tra questi si novera il primo
volume, Perugia, che il prof. Rizzatti dedica a L’ Umbria Verde (1911).
Nel primo capitolo l' A. condensa la storia e la geografia della regione,
per passare poi alle origini e alla storia di Perugia. Nel corso del volume
l'A. passa in rassegna quauto di notevole si conserva nella città, dal
lato storico e artistico; di maniera che esso è, più che una guida, una
piccola monografia. Vi sono ripetute cose e fatti per lo più noti; ma
«sono hene disposti e bene esposti. Il libriccino è arricchito da una co-
piosa bibliografia e da belle, numerose incisioni. Un indice alfabetico dei
nomi e delle cose principali ne rende più facile e più utile l’uso. Que-
sta Biblioteca, pubblicata a modico prezzo e con severa eleganza, tro-

verà certamente favore presso le persone cólte e quelle che desiderano
di divenir tali.















a*« Il cav. prof. Alessandro Alfieri ha pubblicato (Roma, Desclée,
1910), La Cronaca della diocesi Nocerina nell’ Umbria, scritta dal suo Ve-
scovo Alessandro Borgia, tradotta dal codice latino della Biblioteca Vati-

ANALECTA UMBRA 269

cana con prefazione e note. Di essa, che comprende otto anni, dal 1716
al 1725, così rende couto l’ editore nella Prefazione: Mons. Borgia « ci
fa conoscere pontefici, monarchi, cardinali, uomini illustri, ora da lui vi-
sitati, ora ospiti suoi, ora solamente di passaggio per Nocera, quando,
trayersata dalla via Flaminia, era spesso luogo di transito o di fermata
per chi a Roma o da Roma facesse viaggio ; ricorda feste, avvenimenti,
cittadini benemeriti, e talvolta fatti storici di peculiare interesse ».

4*4 Gli Ex-libris si connettono strettamente con le imprese, sulle
quali, com’ è noto, il Giovio scrisse il piacevole « Dialogo dell’ Imprese
militari et amorose ». Su di quelli, messi a riscontro con le seconde,
R. E. Sangermano ha pubblicato una monografia (Torino, 1910), che è
una vera preziosità tipografica. Buono il testo, che ci dà diligente infor-
mazione di questa costumanza, ottime le incisioni di antichi e moderni,
stranieri e nostrani ex libris. In una bella tavola sono riprodotte cinque
imprese tolte dall’ edizione lionese del 1574, del Dialogo di M. Paolo
Giovio, vescovo di Nocera.

4*4, A cura del Comitato per l’ Esposizione internazionale. di Roma
è stata edita la Guida gen rale delle Mostre ttetrospettive in Castel S. An-
gelo (Bergamo, Ist. it. d'Arti Grafiche, 1911). In esse sí ammirano diverse
raccolte preziose appartenenti a collezionisti umbri, e delle quali la Guida
dà una sommaria descrizione « alcune riproduzioni. Cito i Sigilli del
prof. Mariano Rocchi: « notevole quello in cera assai ben conservato,
ancora appeso al diploma originale emanato dall’imp. Federico III a fa-
vore degli eredi di Ludovico de Pellinis conti Palatini di Perugia (7 giu-
gno 1460) ». Notevoli inoltre alcuni piatti di Gubbio, Deruta, Orvieto; una
collezione di fusarole amatorie, del prof. G. Bellucci; e infine i copiosi
esemplari di tessuti perugini, appartenenti al prof. Rocchi, « che servi-
vano ugualmente per usi sacri e profani, per adornar mense d'altare e
tavole domestiche, per servizi divini e per allegri conviti ».

4*4 Il sig. Angelo Marinelli ha pubblicato ne L'arte della stampa,
e poi in estratto (Firenze, Landi, .911) un molto accurato articolo su La
stampa della Divina Commedia nel XV secolo. Le edizioni prese in esame,
e su cui vengono fornite copiose e diligenti notizie, sono quelle di
Foligno (1472), di Iesi e Mantova (1472), e di Napoli (1474 o 75). La
quinta edizione si deve ugualmente, a Napoli, ed è del 1477, la sesta,
coi tipi di Vendelino da Spira, del 1477, a Venezia. Sono poi passate in
rassegna le altre del sec. XV, sino a quella aldina del 1501: di tutte è

ricordato quante copie se ne conservano, e il luogo. Due belle tavole or-










270 ° i ANALECTA. UMBRA




nano l'opuscolo: riproducono la prima pagina della Divina Commedia
nell'edizione di Foligno e nell’ esemplare magliabechiano donato alla $i-
gnoria di Firenze da e Landino.





Lalla scorso settembre l'Unione Arti Grafiche in Città di Ca-
deal, si mezzo di circolare, ha manifestato il disegno di condurre una
nuova edizione delle Memorie Civili ed Ecelesiastiche di Città di Castello,
che mons. Muzi pubblicò nella prima metà del secolo. Non sappiamo tut-
tavia se il disegno stesso sia per essere veramente attuato.







+“ In occasione della Mostra Agricola ed Industriale tenuta a Spo
leto nel decorso anno, la Società Tipografica editrice di Città di Castello
presentò in elegante opuscolo una sua Relazione, nella quale sono date
copiose notizie storiche sull'arte della stampa a Città di Castello.






* Sulla Geschichte der Weltliteratur, vol. VI; Die italienische Li
teratur (Freiburg, 1911) si puó leggere una dotta recensione di F. Fla-
mini nella Rassegna bibl. d. Lett. it. (XIX, 50 e segg.). Vi son detti no-
tevoli due capitoli, « l'uno sulla letteratura religiosa, in ispecie sulla
poesia francescana; l’altro su Iacopone e sulle laudi: vi si riferiscono,
nel testo e in traduzione, il Cantico del Sole e varie poesie dell’asceta
da Todi, vi si utilizzauo libri recenti (p. es. quello del Robison, TAe
writings of St. Fr. d'Assisi), si sente che in questo campo l'autore si
muove più a suo agio ». Vedine anche una sfavorevole recensione di
I. Sanesi, in La Cultura. 11 giugno 1911.












4*4 H. Matrod parla nelle Ztudes franciscaines (ott. 1910) delle Si-
houetts franciscaim s de la Divine Comédie, ossia. Pietro Pettignano e Mar-
zucco degli Scornigiani. (Dalla cit. Rassegna, XIX, p. 69).








+*x Nel fascicolo dello scorso novembre dell’ Archiv fiir das Stu-
dium der Neuren Sprachen und Literaturen Morton H. Benrath ha edito
Eine lauda des 14 Jahrhunderts aus der Bibliothek in Assisi, che comin-
cia: « Assai me sforco ad guadagnare ». (Dalla cit. Rassegna, XIX,
p. 28).











45 Il nome di #. Bertaux è ben noto ai cultori della storia del-
l’arte: di lui, non ostante alcune esagerazioni, è meritamente pregiato
un volume sulle manifestazioni artistiche nella Italia meridionale. Ora ha
pubblicato un volume di Etudes d’ histoire e d? art | Paris, Hachette, 1911),
del quale G. Natali rende conto nell’ ultimo fascicolo de La Cultura (19-

15 agosto), donde traggo queste parole: « . . . egli ritrova nell’ arte ita-



ANALECTA UMBRA DIL

liana, da Giotto e S. Martini al Beato Angelico, al Pinturicchio, al So
doma, a Sebastiano del Piombo, sotto la corona reale e il manto ornato
di fiordalisi, sotto la mitra episcopale e il piviale ricamato, i due san
Luigi, il re di Francia e il vescovo di Tolosa. E ne conclude ... . che,
nel ritrarre san Luigi di Tolosa, i pittori e gli scultori che lavoravano per
le Chiese francescane d’Italia, pagarono, senza saperlo, alla dinastia fran-
cese, che avea saputo per qualche anno accoppiare la disciplina di san
Francesco e le prime aspirazioni della Rinascita, il debito che avevano
contratto con essa i francescani ce gli artisti ».

x*z Chi non ricorda la novella quinta della. seconda giornata del
| Decamerone? quella di Andreuccio da Perugia, che quivi « tornossi,
avendo il suo investito iu uno anello, dove per comperar cavalli era
andato »? C'é in essa la materia per un romanzo, tanto numerose e
varie sono le avventure a cui Andreuccio, « come rozzo e poco cauto »,
andó incontro durante la sua breve dimora in Napoli. Benedetto Croce
fece oggetto di questa novella per una sua lettura alla Società Napole-
tana di Storia Patria, ed ora l'ha pubblicata in opuscolo (Bari, La-
terza). L'A., dopo un vivace riassunto della novella, passa in rassegna
i caratteri dei principali personaggi, Andreuccio, madonna Fiordaliso,
Buttafuoco searabone, i due malandrini, il prete che si reca a manomet-

tere la tomba dell' areiveseovo Minutolo. Ma l’importanza maggiore della
monografia del Croce é data dalla ricostruzione storica dei luoghi e dalla
identificazione delle persone; fornendo cosi un esempio insigne di quello
che dovrebbe esser l'illustrazione di antichi testi: la valutazione dell'e-
lemento artistico e la precisione dei dati storici, convergenti a intendere
l’opera d’ arte.

x*& Nel Correspondant del 95 marzo u. s. si legge un articolo no.
tevole di P. de Quirielle sui Pellegrinaggi francescani del Joergensen.

«x Nel n.° del 15 marzo u. s. della Cultura, Luigi Salvatorelli
rende conto di un volume di Josef Merkt, nel quale « esamina alcuni
casi di stigmatizzazione anteriori o contemporanei a quello dl Francesco
d'Assisi, concludendo che questi non può riguardarsi più come il primo
degli stigmatizzati ». L'A. studia le fonti sull’ argomento, e conclude
che l’unica testimonianza di persona vivente sulle stimmate di san Fran-
cesco è la lettera di frate Elia, che esse dovettero apparire non nel 1224"
alla Verna, ma poco prima della morte, e che si devono attribuire a un
fenomeno di suggest'one. Il vol. del Merkt porta il titolo seguente:
« Die Wundmale des heiligen Franziskus von Assisi, Leipzig, Teubner,








272 ANALECTA UMBRA






1910 ». Sulle stimmate è da ricordare il capitolo che dedicò loro il Della
Torre nella sua edizione dei Fioretti (vedi questo Bolltetino, XVI, p. 471)
e l'articolo bibliografico in Miscellanea Francescana, vol. XII, fase. IV.




«#2 Mi limito al solo annuncio della pubblicazione del settimo vo- 2
lume, parte I, della Storia dell’arte italiana di A. Venturi. Comprende 3
La pittura nel Quattrocento.




x*x Salvatore Satta ha ripreso in esame (Fanfulla d. Domenica, 12
febbraio 1911) Un Carteggio di scrittori italiani con G. B. Vermiglioli.
Si riferisce appunto a quello che il Bartelli pubblicò a Perugia nel 1842,
Il Vermiglioli, come bene ricorda il Sa'ta, fu tenuto in gran conto dai
principali dotti e letterati anche stranieri; ed egli è « degno di occupare,
nella storia della erudizione italiana — quando si sarà messa maggior-
mente iu luce la sua opera, ispirata anche da un profondo sentimento







di patria — uno dei posti migliori ». Convengo pienamente in questo
giudizio, e il nome di lui sarebbe onorato di più se, come quello di
altri, di lui minori, fosse atto a favorire l'ambizione e l'interesse dei
vivi.







x*x Nello stesso periodico (23 ott. 1910), Valentino Leonardi, pren-
dendo occasione dalla mostra dell’ ornamento femminile, scrisse un note- :
vole articolo, Arte e monumenti a Spoleto. Vi illustra con degne paro'e 3d
d'eneomio il Museo Civico, inaugurato nel Palazzo della Signoria, « il
curioso palazzo che ha, si puó dire, scoperto» il nostro socio G. Sordini.
Così egli giudica il Museo, e ci piace riferire le precise parole, che tor-
nano a meritata lode del sapiente creatore e ordinatore di esso: « Il
museo — quel nucleo che dai vasi di buechero e dalla legge fore-
stale spoletina va al prezioso sacrofago cristiano del XII secolo e ai
marmi di Ambrogio da Milano — vi è distribuito con un criterio sapiente,
che ha tenuto conto di ogni contributo della critica moderna, e di quanto
di meglio in tema di ordinamento di musei gli studi e l’esperienza pos-












sono suggerire». L'articolo finisce con queste parole sacrosante, a propo-
sito dell'abside del Duomo e dei freschi di Filippo Lippi: « l' opera
dell'uomo puó, volendo, impedire il crollo, sanare ogni ferita. E ciò
l'Italia deve fare: è un suo obbligo d'onore dinanzi a tutto il mondo
civile ».











&*& La Società Filologica Romana ha iniziato una Nuova Serie del
suo Bollettino, diretta da Francesco Egidi. Contiene una estesa Biblio-
grafia, che non possono fare a meno di consultare quanti professano gli


°

ANALECTA UMBRA 218

studi storici e letterari. Contiene un minuto spoglio delle riviste italiane
e straniere, e rende conto delle più notevoli pubblicazioni che vedono
la luce in Italia e oltralpe.

«5 Per la pietà di una sorella dell’illustre estinto, hanno veduto
la luce in questi giorni due grossi volumi, Discorsi e conferenze di Guido
Pompilj (S. Lapi, 1911). Ci dànno raccolto ciò che di meglio l’uomo po-
litico e veramente còlto scrisse dal 1884 al 1902: molte pagine, le più,
rievocano la sua attività parlamentare. Ma non ne mancano altre, desti-
nate a degnamente tramandare la fama del Pompilj versato negli studi
storici. Devono appunto essere ricordati la Commemorazione di Marco
Minghetti in Padova (1889), Leone Tolstoi (1894), La Repubblica Parte-
nopea (1895), Il lusso (1896). Ma i due volumi, più che testimoniare la.
coltura di una mente, valgono mirabilmente a rivelare un’ anima buona,
retta, nemica di ogni finzione, flagellatrice di tutte le ipocrisie, di ogni
sorta di corruzione. Da vivo, lo dissero un carattere difficile; ed avevano
ragione: sono tanti, i più, nel tempo presente, quelli che non amano di

meglio che esser facili nel transigere con gli altri e con se stessi, con
la propria coscienza, fatta ludibrio di non confessabili appetiti.

&*, A cura di Pier Ludovico Occhini e di Ettore Cozzani, che ne

sono i direttori, la Casa Bemporad ha iniziato una nuova edizione delle
Vite dei più celebri Pittori, Scultori ed Architetti di Giorgio Vasari. Ogni
volumetto, venduto a prezzo mitissimo, conterrà una Vita: alcuni sono
stati già editi. I chiari direttori, il cui nome è arra sicura della. bontà

dell’ edizione, così ne informano sui loro intendimenti: « Precederà la
Vita una rapida ma completa e sicura introduzione, in cui sarà resa in
tratti liberi ed efficaci la figura dell’uomo e dell’artista, quale ci con-
sentono oggi di definirla i risultati degli studi diligenti e sottili di chi
nell'opera del Vasari si è addestrato a sceverare il certo dall’ incerto, il
giusto»dall’ ingiusto. ... Seguiranno ogni Vita due brevi appendici: di
discussio .i, correzioni, schiarimenti del testo, espressi con la massima
semplicità e concisione, l’una; di indicazioni bibliografiche, contributo
quanto «più sarà possibile ampio alla compiuta bibliografia dell’ argo-
mento, l’altra ». Sappiamo che vi collaborano i più noti e valenti cul-
tori della storia dell’arte; oltre i due direttori, il Ricci, il Supino, il
Calzini, il Mason Perkins, il Chiappelli, il Tarchiani, il Poggi, il Lippa-
rini. Il nostro Presidente comm. Magherini Graziani commenta la Vita
di Cristofano Gherardi detto Doceno. Degnissimo modo, cotesto, di cele-
brare il centenario vasariano ; e quanti non possono acquistare le costose
edizioni del Milanesi e del Venturi, ma giustamente nou si contentano

48





274 ANALECTA UMBRA

più delle antiche, saranno grati al Bemporad e ai due Direttori, che per-
mettono loro di avere una edizione critica delle Vite, che sono la fonte
per ogni studio ulteriore sulla storia dell’arte. Sul Vasari, di cui degna-
mente Arezzo solennizò nello scorso mese il centenario, Corrado Ricci ha
pubblicato il Discorso (Nuova Antologia, 1 agosto) che colà pronunziò;
e il Comitato Aretino ha ricordato la gloria dell’antico conterraneo per
mezzo di un buon Numero Unico.

«x, Nella Biblioteca storica della Letteratura italiana diretta da
F. Novati (Bergamo, Ist. it. d’arti graf., 1910; n. X), Giuseppe Galli
ha pubblicato un volume di Laudi inedite dei disciplinati Umbri, scelte
di sui codici più antichi. Questi, com’ è naturale, sono il Vallicelliano A.
26, il Perugino F. Giustizia 6, il Fon. V. Em. n. 478 (già Frondiniano),
l'Assisiano del sig. Illuminati, I' Eugubino del Mazzatinti e un codicetto
Fabrianese. Il testo, di XXXIX laudi, è preceduto da una Introduzione,
da Appunti sul dialetto, da una Tavola delle laudi contenute nei codici, e
seguito da Varianti e da un Glossario. Inoltre tre fac-simili riproducono
una pagina rispettivamente dei codici Vallicelliano, Perugino e Assisiano.
Il Galli si era preparato a questa edizione con la memoria inserita nel
Supplemento n. 9 del Giornale st. d. Lett. it. (19(6), e che porta il titolo,
I disciplinati dell’ Umbria del 1260 e le loro laudi. Non avendo sott' oc-
chio i codici, non ci è possibile di verificare la bontà e la precisione del
testo. Mi limito pertanto a rilevare e a discutere molto brevemente un
concetto dal Galli espresso nella Introduzione. Egli, dopo aver notato che
uno degli argomenti più interessanti ehe si offrano alla ricerca dello stu-
dioso è Za poesia popolare dei primi secoli della mostra letteratura, af-
ferma che « sbocciata tra il popolo e per il popolo, essa differisce quasi
naturalmente da regione a regione, adattandosi all’ indole degli abitanti,
per cui qui si svolge in una fioritura di poesia amorosa o erotica [Italia
meridionale, Toscana e Bologna ?], altrove in una forma narrativa che
più o meno si accosta al tipo dei canti eroici e cavallereschi |Veneto e
Lombardia ?]. Nella verde Umbria, ridente ecc. ecc., l'animo è quasi
spontaneamente portato alla contemplazione mistica. Qui già era sorto
S. Francesco, l’ apostolo della carità e dell’ amore divino; che tanta orma
avea lasciato colla sua parola e coll’ esempio. Era quindi naturale che
la poesia popolare umbra fosse, nella massima sua parte, di carattere
religioso ». A parte che la poesia amorosa non è l’ erotica, si puó con-
tinuare ad affermare con sicurezza che la poesia popolare sbocciò tra il
popolo e per il popolo; o non piuttosto fu il prodotto di rimatori che,
infranti i legami di scuola, diedero libero sfogo al loro sentimento? Si
avrà proprio da credere che tutti i rimatori dei primi due secoli rima-

ANALECTA UMBRA

sero sempre ligi al convenzionalismo, alla tradizione, alla imitazione, e
non sentirono mai, nessuno di essi, il desiderio di accostarsi alla vita e
di essere sinceri nelle proprie manifestazioni artistiche? Non sarà forse fit-
tizia questa grande linea, che lascerebbe al di là i poeti di senno dotati,
wpentre al di qua si rifugerebbe il popolo, divenuto cantore? Allora il
Galli come spiega il fatto che alcuni, tra quelli più noti per le loro biz-
zarrie ma anche per la sincerità grossolana e bruta, si conservano in
alcuni componimenti schiavi del convenzionalismo poetico? E si potrà
affermare che le laudi umbre sbocciarono tra il popolo e per il popolo,
quando osserviamo che il linguaggio in esse adoperato è in massima
parte uguale a quello dei poeti che cantavano l’amore cortese ? Il Galli
mostra di aver dimenticato le osservazioni fatte dal Novati a proposito
appunto di Jacopone da Todi, e le altre del Ferri nella ristampa della
‘edizione bonaecorsiana. Inoltre bisogna ricordare che anche nell’Umbria
fiorì la poesia profana e civile, contemporanea o quasi a quella religiosa.
Del resto il Galli stesso osserva, a proposito della lingua in cui le laudi
sono scritte : « Che siano in dialetto umbro nessun dubbio, sebbene no-
tevoli già si presentino gli influssi della vicina Toscana ». Ora diciamo :
questo fatto era possibile in uomini del popolo, e che in mezzo a questo
vivessero ? 3

Sia comunque, finora mancava una raccolta a stampa di laudi; e
noi facciamo bunn viso al presente volume.

#*x Mons. M. Faloci Pulignani ha pubblicato nella Miscellanea
Francescana (a. XII, fase. IV) il processo del B.: Simone da Collazzone
nel 1252. Indipendentemente dal testo del processo, riprodotto su di una
copia dell'originale perduto, sono notevoli le seguenti considerazioni del

benemerito editore di esso: «considerando che il B. Simone visse in epoca
di lotte, allorchè spirituali e rilassati si disputavano il primato nell’or-

dine, allorchè era di importanza somma l’appartenere ai nemici o agli
amici di Fra Elia, dovrebbe supporsi che egli, essendo stato Ministro
Provinciale, non abbia potuto non prender parte a quelle lotte, che oggi
interessano tanto e tanti. .. Esaminando questo processo, si vede che
tutta. questa lotta era un’esagerazione..... Allorchè si compilava il pro-
cesso del B. Simone, cioè nel 1252, Fra Elia era odiato, ed era facile,
tra le virtù del Beato, far rifulgere la pazienza con la quale egli avrebbe
sofferte le prepotenze e le persecuzioni del Generale scomunicato, delle
quali si fa cenno esplicito dal Clareno nella storia delle tribolazioni del-
l’Ordine. Invece, neppure una parola su questa circostanza così saliente,
e questo silenzio dimostra la facilità con la quale il Clareno accoglieva
voci senza fondamento, seminando il suo passionato discorso con racconti























I
Al
ti
il



276. : ANALECTA UMBRA

non veri ». Gli studiosi del movimento francescano accoglieranno l'opi-
nione del dotto francescanista? Io ne dubito: mi preme tuttavia di notare
che la pubblicazione di lui é ricca di notizie e di dati storiei molto inte-
ressanti.

&*& Dopo averci dato la Leggenda di S. Chiara (cfr. questo Bollet-
tino; XVI, p. 465), il prof. Fraucesco Pennacchi continua a rendersi
vieppiù benemerito degli studi francescani, pubblicando gli Actus s.
Francisci in valle reatina (Foligno, Salvati, 1911). Questa leggenda, che
viene ora edita per la prima volta dal codice 679 della Comunale di
Assisi, fu una delle fonti del Waddingo e fu attribuita al b. Angelo
Tancredi da Rieti. Il Pennacchi non si arrischia ad accogliere questa
attribuzione; tuttavia, sebbene la leggenda sia intessuta in gran parte
di brani tolti da altri scrittori, egli riconosce nell’anonimo Frate il grande
affetto che egli portava alla sua religione e al paese nativo, «che con
sentimento non comune, anzi strano in un frate, e zelante per giunta,
si studiò di illustrare, richiamando i suoi concittadini alla venerazione
del gran santo e all'amore di Dio che per mezzo del suo servo li aveva
tanto privilegiati».

«fx Nel fasc. I-II, a. XVI di questo Bollettino feci cenno dei
dubbi e della nessuna fede che alcuni dànno all’ autorità di Tommaso
da Celano. Ora il Faloci - Pulignani ne pubblica la Vita prima secondo
il testo del codice di Fallerone (Foligno, Salvati, 1910). In una dotta
Prefazione l’ A. intende di rivendicare la fama del frate abruzzese, al-

| quanto scossa dai colpi infertigli dal Sabatier, dal Tamassia, dal p.

Teofilo e dal Fierens. Egli giudica che «le difficoltà che si muovono
oggi alla veracità della sua parola, emanano dalla conoscenza imper-
fetta che noi abbiamo dell'ambiente nel quale visse il C., conoscenza che
allora era completa [nel sec. XIII], e però non dava adito ai dubbi ed
alle riserve che possiamo far noi». Questa forse è una della tante contro-
versie che sono destinate a rimanere insolute, per quanto si deva ammi-
rare l'acume e la dottrina del Faloci, e insieme essergli grati per averci
dato questa nuova edizione del testo del Da Celano. — Cfr. Giornale st.
d. Lett. ît., LVI, p. 403 e seg.

4*4. Meriterebbe che si facesse particolare menzione della materia
contenuta nell’ultimo Bollettino della Società Internazionale di studi Fran-
cescani in Assisi (giugno 1910). Mi limiterò a darne il sommario, molto
più che alcuni di questi scritti sono già molto favorevolmente noti: 1.
Relazione del conte Fiumi Roncalli intorno al movimento degli studi



ANALECTA UMBRA 277

rancescani nel 1909; 2. Conferenza di U. Cosmo, La contradizione Fran-

cescana, 0 Contrasti poetici dell'anima Francescana ; 3. Discorso del Dott.
Walter Goetz, IZ Movimento Francescano e la Civiltà Italiana nel Due-
cento. In fine del volume si legge la nota dei Libri acquistati o donati
alla Società dal Giugno 1908 al Marzo 1910.

xfx T. Nediani, autore di Mistico Oriente - Assisi, (Firenze, Mazzo-
lini, 1910), così esprime lo scopo che egli ha avuto nel comporre il suo
volume: «Non ha il libro nessuna pretesa artistica o critica....., niuna
minuziosa polvere archeologica. È un itinerario mistico per le anime
amanti di Francesco, della solitudine e dell’arte, dove ho notato, via
via che amore spirava, quello che ho sentito dentro all’anima, e che ho
voluto esprimere non solo per la mia gioia interiore, ma perchè spero
che qualche anima sorella ne avrà pace e bene ». L'A. ha scritto in verità
pagine di fede e di arte, che si leggono con int'ma soddisfazione; e
l’ing. Razzolini ha sentito e rappresentato la bellezza incantevole dei
luoghi per mezzo di incisioni finissime.

#52 Ha lo stesso carattere un’altra pubblicazione, Frate Francesco
(Firenze, Razzolini, 1911), di D. Gregorio Frangipani. Splendide xilo-

grafie, dovute al Razzolini stesso, rendono questo opuscolo, che è di
piacevole lettura, un gioiello tipografico.

4*4 Nel fase. I-II della scorsa annata di questo Bollettino diedi
già l'annunzio che presto avrebbe veduto la luce nel Giornale storico della
Letteratura italiana una nuova Rassegna Francescana di Umberto Cosmo.
Si legge infatti a p. 401 - 37 del vol. LVI. È inutile ch'io ne rilevi l'im-
portanza, giacchè non posson? fare a meno di consultarla quanti s’inte-
ressano, e non questi soltanto, di studi francescani. Mi piace soltanto
di notare che il Cosmo, indipendentemente da quanto io ebbi a scriverne
su questo Bollettino, dà della pubblicazione fatta dal Pennacchi della
Legenda s. Clarae un giudizio conforme al mio: « Se non provata credo
però la tesi probabile [che i2 Celano sia l'a. della leggenda ]j e rileg-
geudo la mirabile leggenda nella nitida, correttissima edizione del valente
editore, sentivo in essa come rifluita tutta l’onda e tutta la virtù del
retorico sì ma pur nervoso e muscoloso scrittore francescano».

x*x Santorre Debenedetti, rendendo conto nel Giorn. st. d. Lett. it.
(LVI, p. 185) dell’opera di Robert Davidsohn, Forschungen zur Geschichte
von Florenz, I- IV, dice che in essa abbiamo «perla prima volta nume-
rose notizie» sulle molte società di Laudesi che. possedeva Firenze; e



278 ANALECTA UMBRA

ricorda quella di S. Maria Novella, fondata, pare, nel 1244 da Pietro
Martire, la Società Laudum di SS. Annunziata (1273) e molte altre.

x Corrado Ricci, sempre infaticabile, ha dato inizio a una nuova
collezione, dal titolo, L’opera dei grandi artisti italiani (Roma, Ander-
son). Il primo atlante è dedicato a Piero della Francesca.

x Nel fascicolo I dell'a. XIV del periodico L/ Arte, Adolfo Venturi,
prendendo motivo da alcuni affreschi che si trovano nella chiesa france:
scaua di S. Marco fuori di Iesi, torna a scrivere De/ pittore delle Vele
di Assisi. A questo apparterrebbero appunto i freschi iesini, e già il
Cavalcaselle attribuì coteste insigni pitture alla scuola di Giotto, alla
«quale, aggiunge il Venturi, «appartengono senza dubbio». Esse sono in
gran parte guaste da insani restauri praticati nel 1854; ma, continua il
Venturi, « in tutte le composizioni, la forma e lo spirito delle figure
richiamano il pittore delle Vele d’ Assisi, cioè quel discepolo di Giotto
che amplificò le scene, moltiplicò figure, rendendo complessa di partico-
lari l'invenzione patentemente sintetica di Giotto. Le immagini del disce
polo senza la rapidità concettuale, senza l’eloquenza dell’espressione del
maestro, si moltiplicano per dire qualche cosa e per esercitare una fun-
zione decorativa ». E a proposito degli affreschi di S. Marco, così con-
clude l’eminente storico dell’arte nostra: « Ancora oggi in cui qualche
critico d'arte ritardatario non sa comprendere la usurpazione, il ritrova
mento degli affreschi iesini potrà essere utile, sempre che cerchi con
insistenza la verità ».

La controversia sulle vele è lungi dal posare: in uno degli ultimi
numeri della Rassegna Contemporanea, Giulio Salvadori ne ha preso argo-
mento per un suo scritto.

xfx Di maggiore estensione è l’altra memoria del Venturi stesso,
l’arte giovanile del Perugino, inserita nello stesso fascicolo. Vi è com:
battuta l’opinione che Pietro di Castel della Pieve sentisse l’influenza e
del Bonfi&li e di Nicolò da Foligno e di Fiorenzo di Lorenzo. Il Venturi,
prendendo motivo dalla tavola esistente in San Sepolero, L’ Assunzione,
allogata a Piero della Francesca, ma avente tutta l’ impronta della scuola
peruginesca, dai quadretti della Pinacoteca di Perugia; rappresentanti
la Storia di S. Bernardino, ‘dimostra che il Perugino si addestrò nell’arte
sua su quella di Piero della Francesca. È impossibile riassumere in poche
parole lo scritto dotto e geniale, che contiene fatti e giudizi nuovi in
gran numero. Basti dire che alla gioventù del Perugino ne viene una
luce del tutto nuova. E su di lui così il Venturi conclude il suo magi-

ANALECTA UMBRA 279

Mete studio: « Pittore principe nella sua regione, terrà a Roma il campo
nella pittura, siederà a Firenze tra i maggiori maestri, darà al figlio
della gloria, a Raffaello, le idealità spiranti dai suoi angioli, dalle sue
Madonne, da suoi Santi dipinti nel torpore mattinale, nel silenzio verde
dei piani umbri».

x*. Mentre il Bombe andava ricercando le opere di Federico Ba-
rocci nell’ Umbria, cosi scrive Antonio Munoz in un articolo del Fan-
fulla della Domenica (20 nov. 1910); su quel primo pittore seicentista,
di cui si conserva a Perugia la Deposizione della Croce, è uscito un
ottimo volume di A. Schmarsow, Federigo Barocci, Ein begriinder des
Barockstils in der Malerei. Leipzig, Teubner, 1909.

4", Enrieo Pastore ha pubblicato nel n. 15 agosto 1911 di Ars et
Labor uno scritto intitolato Un cantore delle glorie orvietane. Questo ha
nome Giuseppe Cardarelli, e scrive in poesia dialettale orvietana. Il Pa-
store ne dice un gran bene; e nell’articolo sono belle incisioni, che ri-
producono le maggiori glorie aritistiche della città. Non oso di affer-
mare che tutte le cose ivi esposte rispondano a verità, nè che tutte sian
nuove, ma è scritto con garbo ; e l’accennare alla esistenza di questo
poeta dialettale umbro credo non inutile per chi si occupa di studi lin-
guistici. :

4*4. Nel fase. IV dell'annata 1909 il p. Benvenuto Bughetti rende
conto dell’ opuscolo del can.co D. Fiorenzo Canuti, Antiche Memorie
Francescane in Città della Pieve, Firenze, Tip. Salesiana. Vi è giudi-
cato favorevolmente.

+ Il prof. Gaini Giacomo (Orvieto, Tip. Marsili) ha scritto un
opuscolo sul rimatore trecentista Bartolomeo di Castel della Pieve, rias-
sumendo le notizie date su di lui dal Novati e dal Casini, e ne passa
in rassegna lo scarso patrimonio poetico. Egli crede che patria del ri- '
matore sia non Castel della Pieve, ma il Piegaro; però non ne dà prove

a t
convincenti.

«4*4 Nel vol. XXXII del Repertorium für Kumtiwssenschaft il dot-
tor Bombe ha pubblicato un articolo sulle tavole, i gonfaloni e gli af-
freschi di Benedetto Bonfigli, e nel vol. XXXIII dello stesso Reperto-
rium una raccolta di documenti e regesti per la storia della miniatura
perugina, tratti dagli Archivi delle Confraternite e dagli Archivi Comu-
nale e Notarile di Perugia. Chiudono la raccolta alcuni documenti sulle





280 ANALECTA UMBRA

miniature dei libri corali di S. Pietro in Perugia, che il p. Manari
aveva pubblicati nel periodico 1’ Apologetico.

Il sig. L. Auvray della Nazionale di Parigi nel tomo III dei Rege-
sti di Gregorio IX ha pubblicato, sotto il titolo, Le Registre de Pérouse,
tutte le lettere di questo Pontefice, che sono contenute nel cod. E. 50
della Comunale Perugina. Dalla raccolta di queste lettere, che vanno
dal 1227 al 1234, molte delle quali si riferiscono alla legazione in Ger-
mania del card. Ottone di S. Nicola in carcere tulliano e alle trattative
corse fra Gregorio IX e Federico II per la pace di S. Germano, l'Au-
vray aveva già dato notizia nel tomo LXX della Bibliothèque de 1: RE
cole des chartes.

La sig.na Maria Herzteld di Vienna ha iniziato colla traduzione
della cronaca del Maturanzio una raccolta di traduzioni delle principali
opere storiche, politiche e letterarie di scrittori italiani dei sec. XIII e
XIV ; raccolta che ha per iscopo di dare agli stranieri un concetto pre-
ciso della vita italiana nel Rinascimento. —

[Da comunicazione del sig. conte dott. V. Ansidei].

4", La natura di questo Bollettino non mi consente di intratte-
nermi su quei volumi cui ha dato occasione la celebrazione del cinquan-
tenario della nostra rinascita politica, e che narrano gli ardimenti, i
dolori, le glorie della nostra regione, in quel fortunoso periodo. Ma sa-
rebbe, credo, grave mancauza, e mi sarebbe giustamente imputato a
difetto di sentimento patrio se ne tacessi del tutto, almeno dei princi-
pali. Li cito nell'ordine, se non erro, in eui vennero pubblicati: 1. P.
Tommasini-MaTTIUCCI, Una pagina di patriottismo umbro. G. Balde-
schi e L. Tommasini-Mattiucci nella Campagna Veneta del 1848. Città
di Castello, S. Lapi, 1910; 2. P. CAMPELLO DELLA SPINA, Ricordi di
più che cinquant’anni, dal 1840 al 1890. Roma, E. Loescher, 1910;
3. G. DeGLI Azzi, Per la liberazione di Perugia e dell’ Umbria. Peru-
gia, Bartelli, 1910; 4. La Liberazione d’ Orvieto, XI Settembre 1860.
Orvieto, Marsili, 1910 (opuscolo); 5. S. FRATELLINI, Spoleto nel Risorgi-
mento Nazionale 17 settembre 1860. Spoleto, Tip. dell’ Umbria, 1910;
6. V. CorBucci, Città di Castello nel Risorgimento italiano (1831 10). -
Catalogo della Mostra del Risorgimento tenuta in Città di Castello nel
sett. 1910, compilato da P. Tommasini - MarTIUCOI, Città di Castello,
S. Lapi, 1910; 7. A. SaccHETTI - SASSETTI, Rieti nel Risorgimento ita-
liano. Rieti, Trinchi, 1911.

Potrei render conto di quasi tutti questi volumi, facendo eccezione
cioè per le pagine da me pubblicate ; ma temerei, così facendo, di cadere in
modestia eccessiva, e del resto essi, cioè i volumi, non dico le mie pa-

ANALECTA UMBRA 281



ine, ebbero già il giudizio favorevole dei più versati nella storia del
E oue; né la mia lode aggiungerebbe a quelli ombra di lustro.

Daró soltanto un cenno, non cosi come meriterebbe, del volume
del Sacchetti-Sassetti, che è il più organico e completo di tutti. Per due |
ragioni: perché avendo veduto la luce in questi giorni, è, crediamo,
vergin di encomio, e perché una buona metà del volume é dedicata a un
periodo (1797-1848) su cui meno possono le varie passioni. Ho detto
che il volume del Sacchetti-Sassetti è il più organico e completo di
quelli testè citati ; questo che vuol essere constatazione di fatto, non un
giudizio, non può sonar biasimo verso gli altri. Lo storico reatino non
si è limitato a rievocare singoli anni od episodi, ma in uno sguardo
d’insieme ha abbracciato tutta la storia del risorgimento, sia pure nei
limiti della sua città natale; dall’epopea napoleonica cioè al 1870; dai
prodromi, alla coronazione dell’ edificio.

Rieti, per la sua posizione topografica, come città di confine, si
trovò sempre esposta ai pericoli derivanti dal cozzo tra la rivoluzione e
la reazione, e nel periodo napoleonico e negli anni successivi, fino al
18 settembre 1860, data della sua liberazione. Di maniera che la storia |
particolare, comunale di essa viene ad intrecciarsi quasi sempre con |
quella generale di Italia: da ciò deriva il massimo interesse per il nuovo |
volume del Saechetti-Sassetti. Ed egli, con documenti d'archivio e con
memorie sincrore, pubbliche e private, ha saputo darci un’opera, che
non è cronistoria minuta e arida, ma una monografia notevole, intes-
suta di fatti interessanti e animata da un vivo e schietto senso d’arte.





x Altre pubblicazioni recenti :

1. Luigi ZANONI, Gli Umiliati nei loro rapporti con l'eresia, l° in
dustria della lana ed i Comuni mei secoli XII e XIII. Milano, Hoe-
pli, 1911. |

2. Nino TAMassIA, La famiglia italiana nei secoli decimoquinto e |
decimosesto. Milano-Palermo, Sandron, 1911.

8. G. CRISTOFANI, Appunti critici sulla scuola folignate, in Bollet-
tino d*Arte del Minist. della P. Istruz., a. V, fasc. IILIV.

4. U. GNoni, IZ Gonfalone della Peste di Nicolò Alunno e la più
antica veduta di Assisi, in op. cit, febbr. 1911.

5. C. GuzgRRIERI-CnocETTI, La quistione della povertà nel secolo |
XIV, in Rivista Abruzzese, XXVI. |

6. ANGELI DIieGo, L’ornamento femminile: conferenza tenuta nel-
l'aula magna della pinacoteca di Spoleto il 30 agosto 1910. Spoleto,
Panetto, 1910.

282 ANALECTA UMBRA

1. In., Catalogo della mostra dell'ornamento femminile, 1500-1850,
in Spoleto. Ivi, Panetto, 1910.

8. F. RurriNnI, Perchè Cesare Baronio non fu papa. Perugia, Bar-
telli, 1910.

9. Pirro ALVI, Todi, città illustre nell’ Umbria: cenni storici. Todi,
Tip. Tuderte, 1910.

10. D. DecIA, Francescanismo e giottismo. Firenze, Tip. Galile-
iana, 1910.

Settembre 1911.
P. TOMMASINI MATTIUCCI.



LuiGi Fumi. — L'’Inquisizione Romana e lo Stato di Milano. - Saggio di
ricerche nell’ Archivio di Stato. - Milano, Cogliati, 1910. Vol. in 8°
gr., di pag. 384, estratto dall'Archivio Storico Lombardo.
Chiunque sa di quanta e preziosa dottrina sia ricca la mente del

comm. Luigi Fumi, e conosce la sua instancabile operosità, non si ma-

raviglia che egli nel corso di pochi mesi ci abbia largite ripetute prove

dell' una e dell' altra. Da Una nuova leggenda sulia rosa d' oro pontificia ;
da Francesco Sforza contro Iacopo Piccinino ; da Nuove rivelazioni sulla
congiura di Stefuno Porcari; da Eretici in Boemia e fraticelli in Roma
nel 1466, all’ Annuario del R. Archivio di Stato in Milano, e a questo
volume, che ci accingiamo a prendere in brev'ssimo esame, in noi au-
menta l'ammirazione e prende più salda radice il dovere di: esprimere
a lui la nostra gratitudine di studiosi, perchè ci vengono dischiusi così
ricchi tesori

« Raccogliere quanti più fatti è possibile e presentarli obiettiva-
mente e onestamente intorno ad un soggetto così delicato e spinoso sul
quale è tanto facile che la declamazione prenda il luogo della fredda
indagine delle fonti e della osservazione comparata sullo spirito dei tempi,
è opera tutt'altro che vana ». In queste parole viene tracciato come chi
dicesse, il metodo di storico coscienzioso e sereno, tanto più necessario,
come dice l’ A., in un soggetto così delicato e spinoso; ma l’ opera del
Fumi non è una raccolta di notizie interessanti soltanto per chi ami
conoscere o scrivere la storia del pensiero e delle aberrazioni umane.
Egli dimostra che « preservare la conservazione della fede e rivendicarne
i diritti fu in altri tempi considerato il più alto dovere dello stato non
meno che della chiesa », giacchè « il principio di autorità consacrato
dalla religione era fondamento alla podestà civile e l’unità della fede
costituiva il perno fisso della pace sociale ». Stato e Chiesa si trova-









984 RECENSIONE BIBLINGRAFICA

rono per un certo tempo « insieme associati e quasi affratellati fra loro
a combattere schiere di nemici agguerriti che insidiavano all’ esistenza
dei due massimi istituti medievali ». Pertanto la storia delle eresie e
delle persecuzioni che ne seguirouo non è soltanto rievocazione di fatti
dello spirito, di lotte religiose, ma anche di contingenze politiche e civili,

Il Fumi c'informa che « quasi tutto ... il materiale andò perduto al
tempo della soppressione del Sant'Uffizio ». Ma chi legge questa me-
moria, nutrita di fatti, arricchita da copicsi documenti, è quasi tentato
di gridare al miracolo: per poco non pensa che tutto quel materiale di-
strutto sia riapparso alla luce del mondo come per incanto, e spontanea-
mente siasi offerto all’ esame del ch. A.

L’ Inquisizione in Milano cominciò a fungere fin dai primi del du-
gento; ma il più antico processo risaliva al 13814, l’ultimo portava la
data del 1764. Sulla natura dei processi così ne informa l'A.: « da
tempo più antico fino alla pubblicazione del Concilio di Trento, versa
vano solamente sugli errori che diedero causa alla convocazione del Con-
cilio. Dalla pubblicazione di esso fino ad una parte del secolo successivo,
il maggior numero delle cause consisteva in casi di sortilegio, cioè di
incantesimi, magie, fattuchierie e superstiz'oni. Quindi, il maggior nu-
mero dei giudicati del tempo di poi fu di bestemmiatori, d'imprecatori
e dicenti parole di senso ereticale, ma non di vere e proprie eresie. Per
ultimo, si avevano i processi per delitto di misto foro, ... i processi
contro i poligami, contro gli ebrei ‘e contro religiosi di diversi ordini,
non spettanti al Sant’ Uffizio ». ^

Ministri della Inquisizione furono, fin dalle origini, i domenicani e
i crocesegnati, congregazione di laici, fregiati di una croce di panno
sulle vesti, godenti molti privilegi, uguali a quelli dei crociati di Terra
Santa.

Il volume contiene inoltre copiose notizie sulle diverse colpe, che
ricevevano diversi gradi di pena, non ultima la tortura. Questa fu abo-
lita da Giuseppe II nel 1784: « il braccio di ferro per la corda che era
in piazza Mercanti fu tolto nel 1797: venne cancellata la iscrizione che
vi era sottoposta e dal tribunale criminale fu approvata l’ apposizione di
una nuova iscrizione trascelta dall’ opera del Filangeri ». Ricordate in-
fatti che a quel povero Renzo Tramaglino, sbucato sulla piazza S. Marco,
« la prima cosa che gli diede nell’ occhio, furon due travi ritte, con una
corda e con certe carrucole », e che egli « non tardò a riconoscere (che
era cosa famigliare in quel tempo) l’ abbominevole macchina della tor-
tura »? E tutti ricordiamo del pari che il grande nipote .del Beccaria
osservò : « Era uno di que’ rimedi eccessivi e inefficaci de’ quali, a quel
tempo, e in que’ momenti specialmente, si faceva tanto scialacquio ». Il

RECENSIONE BIBLIOGRAFICA 285

E- a proposito della tortura ci offre particolari che dànno tuttora fre-

iti di sdegno e di ribellione:. « quando si confessava il fatto o l'uso e
i complici, allora la si dava « super intentione ». Confessando solo in
parte, l'amministravano « pro ulteriore veritate habenda ». Tutto ne-
gando, o se gli indizi fossero sufficienti, veniva data « repetita »; e,
cioè, si divideva lo spazio di tempo, ordinariamente in due volte, un
giorno dopo l’altro immediatamente. Con gli inabili alla corda, ... si
usava la stanghetta o il fuoco ben nutrito sotto le piante dei piedi ».

Ma lasciamo di indugiarci su questi particolari, che il Manzoni ha
eternati nella Storia della Colonna Infame, e rileviamo con lui come
questi e mille altri tormenti dovettero essere veramente inefficaci, se il
Fumi può passare in rassegna migliaia di inquisiti e di condannati alla”
tortura, al fuoco per eresia, per profezie, per magia, per negromanzia,
stregoneria, per ricerca di tesori nascosti, vendita di confessionali e per
mille altre diavolerie.

Il Fumi, dopo aver dato copiose notizie sulla Inquisizione in gene-
rale e sul modo come essa svolse la sua triste attività, passa in rassegna
alcune forme di eresia e alcuni gruppi di eretici, come i Patarini, i se-
guaci del novarese Fra Dolcino e gli ultimi Catari.

Il capitolo più notevole per abbondanza di notizie caratteristiche e
che reputeremmo leggendarie se non le sapessimo vere, è il terzo, inti-
tolato Divinazioni e sortilegi. Uno dei particolari su cui l'A. accumula
notizie peregrine è quello dei processi contro le streghe, che abbonda-
vano più specialmente nei coutadi di Como, di Brescia e nei paesi in-
torno al Lago Maggiore. Quanti fatti che sembrerebbero fantastici, se
l’A. non ce li documentasse con le memorie del tempo! Nei secoli XVI
e XVII le streghe vennero imprigionate e arse vive a centinaia; e nei
processi contro di esse e nella escogitazione di rimedi contro tante pazzie
delittuose e brutture lubriche ci incontriamo nei nomi di San Carlo e di
Federigo Borromeo. Pur troppo detti processi dettero luogo col tempo ad
abusi, giacchè « molti giudici erano troppo proclivi e facili a qualificare
per streghe persone che appena ne davano qualche lieve indizio, e cer-
cavano di estorcere confessioni anche con modi illeciti » : intervenne la
Chiesa, che con una instructio condannò la consuetudine usata nel dare
la tortura, quando, « non riuscendo i tormenti ordinari a strappare le
lacrime alle pazienti, si ricorreva al sistema di strappar loro i capelli:
si limitasse, in vece, la tortura alla maniera più semplice, adottandola
solo in casi gravi e, ad ogni modo, per una durata non mai maggiore
di un’ ora ».

Il quarto capitolo ci informa sulle condizioni degli «Ebrei nello
Stato milanese, attraverso i secoli, e sulle pene comminate ai bestem-








286 RECENSIONE BIBLIOGRAFICA

miatori. Nel quinto sono contenute copiose notizie sulla persecuzione
diuturna e a volte feroce contro i Luterani. Nel sesto ed ultimo, Aboli.
zione del Sant’ Uffizio, assistiamo alla lotta tra coloro che lo volevano
abolito e quelli che ancora continuavano a reputarlo salutare e necessario.

L'ultima volta che il governo ebbe ad occuparsi di materia, di-
remo inquisitoriale, fu nel 1828, per un caso di esorcismo; a proposito
cioè di una giovane di porta Ticinese, invasata dal diavolo. Dopo vari
contrasti gli uffiziali di polizia poterono entrare nella casa di lei. Indo-
vinate un po’ che cosa trovarono! Lasciamo narrare al Fumi stesso:
« Trovarono la giovane distesa sopra un lettuccio, circordata da tre
donne e da cinque sacerdoti, fra i quali il parroco in cotta e stola che
stava esorcizzando con parole e con atti. La paziente rispondeva dando
in smanie e maledizioni e tentando divincolarsi dalle donne che la trat-
tenevano. La dicevano ossessionata da non meno di sette diavoli; tre
erano stati scacciati con la prima esorcizzazione, gli altri se ne sareb-
bero andati ripetendosi la cerimonia. Il popolino andava spacciando i
nomi dei diavoli; un Lupetto, contro la Fede, che miagolava come il
gatto; la Faina, contro la carità, che abbaiava come il cane; Zavaul,
contro la speranza, che ragliava come l' asino ; Rindo, contro l’ umiltà,
che muggiva come il bue; Reuve, la superbia, che faceva il verso del-
l’oca; Clust, contro i preti, che faceva il belato dell’agnello. Dell’ultimo,
per quanto facessero, non si potè avere il nome. Vedete ostinazione d’un
diavolo! » Bei nomi, aggiungo, da esserci tramandati con tanta cura,
e che fanno ripensare a quelli dei bravi di don Rodrigo e dell’ Innomi-
nato, che il Manzoni trovò con tanta industria, quando pure non gli
vennero in aiuto i suoi amici.

Leggendo di uu fatto simile, accaduto in Lombardia, nel 1828, po-
tremo maravigliarci se in documento del sec. XV il diavolo era raffi-
gurato, da chi lo aveva visto, come il dominus ludi, « tutto vestito di
nero, con un berretto rosso, ora a passeggiare sopra un prato, campo di
lubrici piaceri, di sfregi alle cose sante e di mostruosi scempi di bam-
biui », e altra volta come « un giovane, vestito di nero, con parrucca
in capo e bacchetta in mano » ?

Piuttosto dovremo concludere con il Fumi, che « ad un secolo di
distanza, uoi non possiamo ridere troppo intorno a fenomeni e fatti qui
raccontati », giacchè « ancora non si sa se spiegarli più con la fisiologia
o con la patologia ».

Ho tentato di render conto di questo volume, senza riuscirci se
non molto imperfettamente. Ma. questa è la sorte riserbata a tutte le
miniere; appena scoperte, hanno bisogno di quelli che ne traggano fuori
il materiale prezioso, per farne godere ai molti che possono e che sanno.










RECENSIONE BIBLIOGRAFICA x 287

Ma non voglio tralasciar di notare un ultimo pregio precipuo del
Mouse. Ho già detto che l’A. nel corso della narrazione ha, ora inter-
calandoli nel testo, ora riferendoli in nota, pubblicato molti documenti,
i più sconosciuti e inediti. Molti altri ne sono dati in Appendice; da
uno del 1233 alia Indicazione di sentenze e processi dal 1564 al 1726.
Uno di questi è per eresia abiurata contro un Clemente Rocchetto, can-
tore perugino (1568); e in uno del 1581 si leggono le seguenti parole:
« Magnifico Nicolò Roscetti. Condannato ad essere perpetualmente mu-
rato nel luogo da noi assignatoli, ove habbi da finire il restante della
sua vita. Chi non ricorda che Lucia Mondella seppe dalla vedova come
Gertrude conduceva la sua vita attuale con « supplizio volontario tale
che, nessuno, a meno di non togliergliela, ne avrebbe potuto trovare
nn più severo »? E chi non sa che appunto anche Maria de Leyva era
stata condannata ad esser murata viva, e che vi rimase parecchi anni?

Ho voluto citare quest’ultimo particolare per aver l'occasione di
dire che il prezioso volume del comm. Fumi porge contributi notevolis-
simi anche per la conoscenza del periodo storico illustrato dal Manzoni
nel suo immortale Romanzo. Mi limito a citare le notizie date a pag. 78
sulla teoria degli astrologi e sull’ influsso dei sette soli; e quello di pag. 90
su Girolamo Cardano, che « meritava d'essere ascoltato, anche quando
spropositava ». Questo è il giudizio che su di lui diede don Ferrante; e
anche la dottrina di questo del matto riceve nuovi lumi dalle preziose
notizie contenute nel volume che abbiamo esaminato.

P. TOMMASINI MATTIUCCI.

MEMORIE E DOCUMENTI



LA FAMIGLIA VITELLI

DI CITTÀ DI CASTELLO







E LA REPUBBLICA FIORENTINA FINO AL 1504

(Vedi contin. vol. XVI, fasc. I-II, pag. 151).




CAPITOLO IX.




Paolo Vitelli capitano generale dell' esercito fiorentino contro Pisa.



Di fronte al continuo aumentarsi delle genti veneziane
nel territorio di Pisa, il conte Rinuccio da Marciano, che




comandava l’esercito fiorentino, si era limitato a ben guar-
nire i castelli delle colline recentemente tolti ai pisani; ma,









il 21 maggio 1498, avendo saputo che circa 100 soldati ve-




neziani avevano fatto una scorreria nelle vicine maremme,




e ritornavano carichi di preda e con molti prigionieri, corse




da San Regolo con le sue genti ad affrontarli e li ruppe;




ma, sopraggiunti ai Veneziani rinforzi di gente d’armi e di
fanti da Pisa, fu in tal modo sconfitto, che le sue genti fu-
rono disperse, ed egli potè a stento con pochi dei suoi ripa-
rarsi in San Regolo (V. Doc. 338). I Dieci di Firenze, appena
ebbero notizia di tale sconfitta, spedirono nel pisano Bene-








detto dei Nerli, che raccozzasse le genti disperse; ordinarono
subito ai Vitelli che con la loro compagnia, e con 1000 dei





loro provvigionati, partissero immediatamente alla volta di




Pisa (V. Doc. 342); e riconoscendo che il conte Rinuccio si




era dimostrato troppo inferiore al posto che occupava, e





292 G. NICASI »

ritenendolo oramai esautorato per la patita sconfitta, nomi-
narono Capitano generale dell’esercito fiorentino Paolo Vitelli,
al quale mandarono Giuliano Gondi, Angiolo Pandolfini e
Tarlatini Corrado, apportatori dei loro ordini e della nuova
nomina (V. Doc. 340).

Paolo Vitelli, quantunque i denari mandatigli per la
circostanza fossero, al solito, insufficienti, avviò subito, fino
dal 23 maggio (V. Doc. 339), le sue genti verso il pisano,
dirizzandole, sotto il comando di Vitellozzo, per il Chianti e
la Valle d’ Elsa, onde evitare di farle passare per Firenze,
infetta allora da peste (V. Doc. 341).

Quindi Paolo Vitelli, consultato l'astrologo sull'epoca
più propizia per portarsi in Firenze a prendere il bastone
del comando (V. Doc. 343), e fissato il 1° Giugno per quella
cerimonia (V. Doc. 344), si recò a Firenze, dove fu ospitato
in casa di Giuliano Gondi, sfarzosamente addobbata per la
circostanza (1).

Contemporaneamente i Dieci, per evitare che il conte
Rinuccio, in conseguenza della subita destituzione, potesse
passare al servizio dei Veneziani, e rendersi pericoloso ai
Fiorentini per le molte amicizie ed estese aderenze che aveva
anche in Firenze, gl'inviarono Pier Soderini a proporgli, od
un aumento di condotta, con obbligo peró di ubbidire al Ca-
pitano generale Paolo Vitelli, o la riconferma della condotta
e del titolo di Governatore avuta fino allora, con la condi-
zione che, — ad evitare che egli si potesse trovare insieme
con Paolo Vitelli — dovesse recarsi con le proprie genti o
in val di Chiana, o in qualunque altro luogo gli venisse
comandato (2). Il conte Rinuccio scelse quest'ultimo modo
e, quindi, fu confermato nella condotta con 200 uomini d'arme

(1) CAPPELLI, Nuovi documenti, ecc.
(2) Arch. di Stato fior.: Signori. Responsive, vol. 10. pag. 99. Instructione a Piero
Soderini mandato al conte Rinuccio. 31 maggio 1498

2

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 293

e titolo di Governatore dell'esercito fiorentino, e fu mandato
a Pescia « a guardia della valle di Nievole » (1).
Credettero i fiorentini di avere in tal modo provveduto
ai propri interessi; ma con questa nomina crearono un pe-
ricoloso dualismo nel comando del loro esercito che, prima
o poi doveva dare, come dette, pessimi risultati. Oltre i
Vitelli e Rinuccio da Marciano, i Fiorentini, il 9 giugno 1498,
presero in condotta, con 125 uomini d’ arme, Ottaviano Riario,
Signore d'Imola, figlio di Caterina Sforza, sorella del Duca
di Milano (2); scrissero al Bentivoglio che mandasse le sue

centi: ed ordinarono nel Pistoiese, in Val d'Arno, ed in altri
B , ? ’

territorii del loro stato, numerosi fanti (3).

A Paolo Vitelli, il 1° giugno 1498, in Firenze, nella rin-
ghiera del palazzo dei Signori, alla presenza di enorme folla
raccolta nella sottostante piazza, mentre Marcello Virgilio,
| primo Cancelliere della Repubblica, recitava in suo onore un
discorso, furono solennemente, tra suoni di trombe ed accla-
mazioni di popolo, consegnate, da Vieri dei Medici gonfalo-
niere di giustizia, le insegne del comando, ad un cenno del-
l'astrologo che, con l'istrumenti della propria arte in mano,
spiava, dal cortile del palazzo, nel cielo il « felice punto »
per la cerimonia (4).

Ricevute le insegne del comando, Paolo Vitelli si trat-
tenne alcuni giorni in. Firenze, per intendersi con i Dieci sul
piano di guerra da svolgersi nel pisano e, quindi, il 6 giugno,
parti, con il resto delle sue genti, alla volta del territorio
di Pisa, al quale, nel frattempo, Vitellozzo con gran parte
delle genti d'arme, dei balestrieri e dei provvigionati, si era
oramai avvicinato (V. Doc. 345).

I Pisani erano andati a campo a Ponte di Sacco; e
Paolo Vitelli, riunitosi con Vitellozzo, marciò con tutte le

(1) MaccurAvELLI, Opere complete, vol. I, pag. 283. Milano, Ernesto Oliva, 1850.
(2) Arch. di Stato fior.: X di Balìa — Stanziamenti e Condotte, vol. 50.

(3) NARDI, Storie fioreritine, vol. I, pag. 143.

(4) Idem.





294 G. .NICASI



| genti contro il nemico; ma, giunto alle Capanne, seppe che
I. i Pisani si erano levati da Ponte di Sacco e ritirati in Ca-
scina, sicchè prosegui per Pontedera (V. Doc. 346), ed occupò
Calcinara, da dove poteva ugualmente volgersi, o verso




Vico, o verso Cascina suddetta.
I Fiorentini avevano sollecitato anche i Baglioni a ve-




nire in loro aiuto; ma, perdurando sempre lo stato di guerra
tra questi ed il duca di Urbino, mandarono il 9 giugno —
anche per contentare Paolo Vitelli che premurosamente rac-
comandava i Baglioni (V. Doc. 339, 344) — Piero Martelli al
duca Guidubaldo, per eccitarlo a venire ad un accordo con i
Perugini, minacciandolo, in caso contrario, di prendere aper-
tamente le difese di questi ultimi (V. Doc. 341). Contempo-
raneamente gli stessi Fiorentini fecero premure presso il
duca di Milano, affinchè unitamente al Pontefice, istigasse
il duca Guidubaldo a venire ad accordi: (V. Doc. 348) ed
infatti, il 6 luglio 1498, per intromissione del cardinale Gio-
|] vanni Borgia, legato pontificio, dopo varie trattative, la pace
| I fu finalmente conclusa (V. Doc. 349, 355) (1).

| Anche la guerra tra i Colonna e gli Orsini proseguiv:
accanita, con la peggio di questi ultimi. I Fiorentini, pressati.
da Paolo Vitelli (V. Doc. 339, 344) avevano, per mezzo di
Francesco Gualterotti, loro nuovo ambasciatore a Roma, in-
sistito presso il Papa perchè astringesse le due parti belli-
geranti a venire alla pace (2); ed il Papa, mostrando di
i aderire a quell’invito, trattava apparentemente la pace, ma,
A appoggiando or questa or quella delle due nemiche famiglie,
e promettendo in isposa la propria figlia Lucrezia, o la
propria nepote, ora ad uno degli Orsini, ora ad uno dei Co-





















(1) Vedi V. ANSIDEI, La pace del 6 Luglio 1498 fra Guidubaldo I Duca di Ur-
bino e il Comune di Perugia nel « Bollettino di Storia patria per l'Umbria », anno V
fasc. III, pag. 741. t :

(2) Arch. di Stato fior.: Signori. Responsive, vol. 10, pag. 103. Commissione a
messer Francesco Gualtirotti eletto oratore alla Santità del Papa, deliberata il 15
maggio 1498.



LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 295

lonna (1), ne acuiva con grand’arte le ire e ne intensificava
le discordie; mentre egli radunava, presso il lago di Vico,
400 uomini d’arme, sotto Ercole Bentivogli ed il Signore di
Piombino (2), per averle pronte a lanciarle, al momento op-
portuno, contro quello dei due contendenti che a lui fosse
apparso più facile preda. Gli Orsini avevano perduto gran
parte dei loro stati e Paolo Orsini, nella seconda quindicina
di maggio, si era recato a Città di Castello, per sollecitare i
Vitelli a partire in loro soccorso: ma, udita la sconfitta dei
Fiorentini a San Regolo, e la conseguente nomina a loro Ca-
pitano generale di Paolo Vitelli (V. Doc. 359), si era conten-
tato di avere da questo un rinforzo di 25 uomini d’arme e
500 fanti (V. Doc. 340), che, sotto la guida di Giulio Vitelli,
avrebbero dovuto recarsi contro i Colonna (3).

Seguitando, per altro, i rovesci militari degli Orsini,
Paolo Vitelli — oramai certo della loro rovina, se con tutte
le proprie forze non fosse accorso a difenderli — mandò un
suo rappresentante a Firenze a chiedere di nuovo ai Dieci
l'autorizzazione di partire con la propria compagnia, in fa-
vore degli Orsini, a queste condizioni:

La spedizione non doveva durare oltre un mese;

Paolo e Giangiordano Orsini avrebbero mandati i pro-
pri figli in ostaggio a Firenze per garantire la Repubblica
che essi non avrebbero mai dato aiuto a Piero dei Medici;

i Fiorentini, ad impresa finita, sarebbero stati gli ar-
bitri delle condizioni di pace da stabilirsi tra i Colonna e gli
Orsini;

i Vitelli acconsentirebbero che, in conto dello stipendio,

(1) Arch. di Stato fior.: X di Balìa — Legazioni e Commissarie, vol. 26. Lettere
del Bonzi del 22, 23, 27 maggio 1498.

(2) Arch. di Stato fior.: X di Balìa — Legazioni e Commissarie, vol. 26, pag. 75.
Lettera Bonzi del 23 giugno 1498.

(3) Arch. di Stato fior.: X di Balìa — Legazioni e Commissarie. Missive e Re-
sponsive, vol. 26, pag. 63. Lettera del Bonzi del 27 maggio, nella quale é scritto:
« ... Intendo che il Protonotaro (Giulio) dei Vitelli viene al subsidio degli Orsini ».



296 G. NICASI

che essi dovevano avere dai Fiorentini, questi potessero as-
soldare fino a due mila fanti da mandarsi contro i Pisani;
i Vitelli avrebbero dato in ostaggio i respettivi figli e
nepoti, per assicurare i Fiorentini del loro ritorno dentro il
tempo stabilito;
finita l'impresa contro i Colonna, gli Orsini avrebbero,
a proprie spese, servito i Fiorentini con 100 e anche 150
uomini d’arme, dovunque fossero stati da quelli richiesti.
In caso poi che queste condizioni non fossero piaciute
ai Fiorentini, i Vitelli avrebbero anche acconsentito a lasciare
definitivamente il servizio della Repubblica, obbligandosi a non
accettare condotta da altro potentato, durante un anno di
tempo, e lasciando nelle mani dei Fiorentini lo stipendio, che
essi, Vitelli, restavano ancora ad avere; dichiarandosi di tutto
regolarmente pagati (V. Doc. 351).
Ma queste trattative non ebbero seguito, perché i Colonna
e gli Orsini, già in procinto di venire tra loro a definitivo
combattimento, accortisi che il Papa nutriva le loro discordie

per eombatterli entrambi, quando per la durata guerra si

fossero trovati esausti di forze, vennero ad un abboccamento
in Tivoli, e conclusero un accordo per il quale, liberato Carlo
Orsini dalla prigionia, ciascuna delle parti contendenti resti-
tuiva all'altra gran parte delle terre tolte, eleggendosi, per.
le restanti, arbitro il re Federico di Napoli (1).

Dopo la rotta di San Regolo, i Fiorentini si erano rivolti
per aiuti a Luigi XII, nuovo re di Francia; al quale chie-
sero l'invio in Toscana di 300 lancie, e la ratifica della con-
dotta dei Vitelli, fatta d'accordo con il suo antecessore (2);
facendogli anche conoscere il pericolo, che soprastava a tutta
Italia, di cadere in servitù dei Veneziani, quando fosse loro
riuscito l’ acquisto di Pisa (3). Ma il Re negò ogni aiuto, per
non inimicarsi i Veneziani, con i quali contava allearsi, per

(1) (2) GUICCIARDINI, Storia d’Italia, lib. IV.
(3) BONACCORSI, Diario.

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 297

essere da essi aiutato alla conquista del ducato di Milano,
che si era prefisso di volere tra poco tentare. Quindi i Fio-
rentini si rivolsero al duca di Milano, il quale, sperando —
per la morte di Savonarola e di Francesco Valori, che gli
erano stati avversi — potere avere nella repubblica fioren-
tina un’alleata potente contro i Veneziani, cui voleva asso-
lutamente impedire d’impadronirsi di Pisa, non solo si di-
chiarò pronto ad aiutarli indirettamente — come fin qui
aveva fatto col negare il passo per il suo stato alle genti
veneziane che andavano a Pisa — ma volle prenderne aper-
tamente le difese con le armi. Per ciò lo Sforza assoldò il
‘marchese di Mantova, al quale, non potendo dare il titolo
di Capitano generale dell’ esercito duchesco, come egli aveva
chiesto — perchè tale titolo lo aveva già dato a Gianga-
leazzo da Sanseverino, detto il Conte di Caiazzo — promise
che gli avrebbe conferito il titolo di Capitano generale delle
genti duchesche e fiorentine; e richiese Firenze di volere
dare il suo assenso a tale titolo. I Fiorentini, per non ur-
tare con tal titolo il re di Francia, e per non destare ge-
losie in Paolo Vitelli — che era favorevole alla condotta
del Marchese, ma voleva salvo il proprio decoro (V. Docu-
mento 354) — se ne schermirono: (V. Doc. 352) ed il Mar-
chese, deluso nella sua ambizione, tornò a servire i Vene-
ziani.

Anche al Papa si rivolsero i Fiorentini e lo esortarono
a mettere in atto le belle promesse, che tante volte aveva
fatto, di aiutarli; ma egli, che oramai era riuscito a sbaraz-
zarsi del Savonarola, e non aveva, quindi, più bisogno di
mantenersi amicii Fiorentini, si ridusse ad accordare ad essi,
per un anno soltanto, la facoltà d’imporre la decima sui
beni ecclesiastici del loro stato (1); e, non solo negò loro ogni

(1) Giulio Vitelli, che aveva vari beneficii ecclesiastici in Toscana, volle sfug-
gire alla decima che avrebbero imposto i Fiorentini e, con |’ appoggio di suo fra-
tello Paolo, chiese i'esonero dalla decima, non solo sui suoi benefici, ma anche in
qnelli di alcuni suol famigliari (V. doc. 368, 377)

































298



G. NICASI



altra forma di aiuto (V. Doc. 348), ma — deliberato oramai
a procurare uno stato temporale al proprio figlio Cesare, che
aveva testè rinunciato al cardinalato — si fece ligio ai Ve-

neziani, per amicarsi il nuovo re di Francia, cui voleva,
dietro compenso di uno stato per il figlio, vendere l'auto-
rizzazione al divorzio con la moglie, che il Re, per interessi
dinastici, voleva ripudiare, onde poter passare à seconde
nozze (1).

Intanto Paolo Vitelli aspettava a Calcinara l'invio di
altri fanti che aveva richiesto a Firenze (V. Doc. 354); ordi-
nava preghiere ed offerte religiose in Città di Castello per
il buon esito della guerra (V. Doc. 350); sollecitava instan-
temente le autorità fiorentine a mandargli i denari che gli
erano continuamente lesinati (V. Doc. 340, 350, 353); ed
avendo notato che, le genti veneziane di presidio a Cascina,
andavano qua e là foraggiando, senza preoccuparsi della vi-
cinanza del nemico, assali improvvisamente, il 27 luglio, un
manipolo di quelli genti, che erano uscite a scortare sacco-
manni. Il presidio di Cascina accorse in difesa della scorta
assalita; ma Paolo Vitelli — che in previsione di questa
mossa dei nemici aveva posto in agguato parte delle sue
genti presso Cascina — prese in mezzo le genti veneziane
e le sconfisse, alcuni uccidendone — tra i quali il loro capo
Giovanni Gradenigo fratello del Provveditore veneziano che
era in Pisa — molti facendone prigionieri, e togliendo loro
circa 100 cavalli e varii carriaggi (V. Doc. 356).

Avute poi le richieste fanterie, Paolo Vitelli, fingendo di
volere assalire Cascina (V. Doc. 350), passò invece l'Arno,
e fatti preventivamente occupare i poggi vicini, dove con
somma abilità ed enormi fatiche aveva saputo condurre, per
vie difficilissime, l'artiglieria, assediò il castello di Buti, ed
il 21 agosto, lo ebbe a discrezione (V. Doc. 361), con soddi-
sfazione grandissima dei Fiorentini, che già cominciavano a



(1) GUICCIARDINI, Storia d’Italia, lib. IV.







LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 299

lamentarsi della lentezza del loro Capitano (V. Doc. 369).
preso Buti, Paolo Vitelli eresse un bastione sui monti sopra
San Giovanni della Vena, ed un altro a Pietradolorosa, sopra
Vico (V. Doc. 364); fortificò San Michele, per potere impa-
dronirsi della vicina fortezza della Veruca (V. Doc. 365, 366);
il 28 agosto, occupò la Valle di Calci (V. Doc. 362); il 29,
piantò le artiglierie contro il bastione di Vico, che prese il
giorno seguente (V. Doc. 370); il 2 settembre assediò Vico,
piazzando le artiglierie vicino alle mura di quella terra,
dalla parte di San Giovanni della Vena; ma, visto che da
quel lato erano troppo esposte ai tiri di una potente passa-
volante e di due falconetti dei nemici (V. Doc. 374), le con-
dusse dal lato opposto, da dove potè abbattere una parte
delle mura di Vico in modo, che il presidio venne a patti,
ed il 5 settembre si arrese (V. Doc. 375). Mentre attendeva
a queste operazioni di guerra, Paolo Vitelli non ristava dal
chiedere. continuamente all’ autorità fiorentine denari, nuove
genti, marraioli e munizioni; cose tutte che gli erano fornite
con soverchia lentezza ed in quantità inadeguata ai bisogni
BV. Doc; 360, 368,;312, 310).

Venezia, oramai decisa a contrastare con ogni sua possa
ai Fiorentini l'impresa di Pisa, aveva preso in condotta il
duca di Urbino (V. Doc. 359), Carlo Orsini, Bartolomeo di
Alviano (V. Doc. 368), Astorre Baglioni (V. Doc. 360), ed
aveva chiesto ai Senesi ed ai Perugini il passo per le sue
genti che si dovevano recare a soccorrere Pisa (V. Docu-
mento 373). I Fiorentini, dall’ altra parte, per consiglio del
duca di Milano (V. Doc. 359) ed a metà con lui, avevano

° . . . . .
condotto, il 24 agosto, Giovampaolo Baglioni, la cui condotta

era stata sempre patrocinata da Paolo Vitelli (V. Doc. 339,
357, 358, 363); ed il 31 agosto, il Signor di Piombino, al quale,
d’accordo con lo stesso Vitelli (V. Doc. 365, 366), dettero il
titolo di Luogotenente generale delle genti fiorentine in To-
scana; avevano mandato, consigliativi dallo Sforza, un loro
rappresentante segretamente a Pandolfo Petrucci — che aspi-




300 G. NICASI






rava a farsi Signore di Siena — per persuaderlo ad indurre
i Senesi a venire ad un accordo con i Fiorentini, ed a vie-
| 'tare il passo al duca di Urbino ed a chiunque altro avessero
mandato i Veneziani in soccorso di Pisa (V. Doc. 359). Inoltre
| i Fiorentini, non avendo potuto assoldare Astorre Baglioni,
d come aveva consigliato Paolo Vitelli (1), perché era stato
preso in condotta dai Veneziani (V. Doc. 386), assoldarono
Simonetto, fratello di Giovampaolo Baglioni (V. Doc. 596), ed
ottennero che i Perugini, malgrado le lusinghe dei Veneziani,
restassero fedeli a Firenze e negassero il passo al duca di












Urbino, che già con le sue genti -— alle quali si erano riu-
| niti Carlo Orsini e Piero dei Medici — era giunto verso la



Fratta (oggi Umbertide) con il proposito di procedere, per
la valle di Pierle, verso la Toscana (V. Doc. 389). La proi-
| bizione del passo per parte dei Perugini dispiaeque forte-
| mente al duca di Urbino, che scrisse a Giovampaolo Baglioni
an una lettera, non priva di minaccie, per tentare di far rece-
d dere i Perugini dalle prese deliberazioni (V. Doc. 367).
Paolo Vitelli seguitava nel frattempo la sua impresa
contro Pisa e sollecitava la levata delle genti dei Baglioni,
del Signor di Piombino e di Giovanni della Vecchia (V. Do-
cumenti 372, 374, 376), mentre i Fiorentini, per consiglio del
duca di Milano, mandavano a Venezia Guidantonio Vespucci
e Bernardo Rucellai a trattare la pace, verso la quale anche
i Veneziani si erano mostrati disposti (2). Le trattative però
non impedirono che la guerra proseguisse ininterrotta; ed i





















(1) Paolo Vitelli aveva consigliato la condotta di Astorre Baglioni (V. do :. 363)
ed aveva dato ordine a Corrado Tarlatini di appoggiarla vivamente presso | Dieci
(V. doc. 374), a condizione però che il detto Astorre ubbidisse ad esso Paolo, perché,
condurre (V. doc. 377). Però è certo che tutte le simpatie di Paolo Vitelli erano per
Giovampaolo Baglioni, tanto che Corrado Tarlatini sapendo di « fare cosa grata al
Capitano » cercava con ogni arte di fare in modo che, qualora messer Astorre fosse
stato condotto dai Fiorentini, non dovesse avere una condotta maggiore di Giovam-
paolo sopradetto (V. doc. 382).

(2) GUICCIARDINI, Storia d’Italia, lib. IV.









LA FAMIGLIA VITELLI, ECO. 301

Veneziani, — che vedevano chiudersi alle proprie genti tutte
le vie per potere entrare in Toscana — tentarono attaccare
lo stato fiorentino dalla parte» della Romagna, servendosi a
tale scopo dei Medici, che in quelle parti avevano molti
‘partigiani. Fu fatta per ciò tra Piero dei Medici ed i Vene-
ziani una convenzione, per la quale Venezia dette le'sue
genti al Medici, perché si procurasse con esse il proprio ri-
torno in patria, prestando al medesimo ventimila ducati, dei
quali, diecimila avrebbe dovuto adoperare per assoldare fan-
teria e diecimila per condurre cavalli; il tutto, peró, a con-
dizione che Piero dei Medici, rientrato in Firenze, dovesse
lasciare ai Veneziani libera Pisa ed il suo contado insieme
con Livorno, dando, intanto, a garanzia dell'osservanza di
tal promessa, il proprio figlio in ostaggio a Venezia (1). Presi
questi accordi, si recò in Romagna Giuliano, fratello di Piero
dei Medici, e per mezzo di Ramazzotto — nemico di Dionigi
di Naldo da Brisighella, venturiero al soldo dei Fiorentini —
e con l’aiuto di altri capi di parte in quella località e nella
‘montagna bolognese, vi raccolse circa quattromila fanti. Co-
nosciuta questa ragunata di genti nemiche, Paolo Vitelli,
d'accordo con i Dieci di Firenze, levò, il 9 settembre, dal
campo intorno a Pisa, Ottaviano Riario e Dionisio da Brisi-
ghella, con le loro genti, e li inviò a guardare i confini dello
Stato fiorentino verso le Romagne (V. Doc. 378), dando in-
tanto all’ autorità fiorentine consigli sul modo di potere esse
far fronte alle genti del duca di Urbino, in caso che — fal-
lito l’accordo tra i Senesi e Fiorentini — si fosse egli spinto
in Toscana per la valle di Pierle verso Cortona, o avesse
fatto irruzione sul territorio di Castello, mirando ad Arezzo,
o avesse risalito la valle del Tevere verso il Casentino, 0,
a traverso lo stato di Urbino, si fosse recato in Romagna
(V. Doc. 378, 387). Inoltre Paolo Vitelli, sempre a corto di

denari, chiedeva con grande insistenza all'autorità fioren-

(1) MACCHIAVELLI, Opere complete. Estratto di lettere ai Dieci di Balia.























302 G. NICASI

tine l'invio dei contanti indispensabili alla prosecuzione del-
l'impresa, notificando che, per gli scarsi pagamenti, i soldati
disertavano; e lamentandosi di dovere continuamente men-
dicare il bisognevole per la guerra (V. Doc. 380). Non tra-
lasciava tuttavia le operazioni militari contro il nemico; ed
il 10 settembre, essendo venuti i Pisani, con oltre mille fanti
e 200 balestrieri a cavallo, a sorprendere il nuovo bastione
di Pietradolorosa, li sconfisse completamente in modo, che
Vitellozzo potè con pochi cavalli correre fin presso le mura
di Pisa (V. Doc. 381).

Dopo questo prospero successo, il Vitelli con più insistenza
del solito, tempestava di lettere i Dieci, sollecitandoli a mandar-
gli nuovi fanti — cui egli avrebbe voluto dare connestabili di
sua fiducia — ed a inviargli Giovampaolo Baglioni ; minac-
ciando che, senza questi rinforzi, non avrebbe piü oltre pro-
seguito l'impresa. Voleva, inoltre, che si chiedessero nuove
genti al duca di Milano; che fossero mandati denari à Ca-
stello a Giulio Vitelli, perchè potesse inviare altre fanterie;
e che fosse pagato il soldo alle proprie genti ed a quelle
degli altri comandanti dell’ esercito fiorentino; ed insisteva
per avere marraioli, scalpellini, maestri d’ascia, per potere
rassettare le mura di Vico e di Buti, e per rafforzare il
bastione della Dolorosa, e la Chiesa della Veruca, senza le
quali opere non poteva assicurare la stabilità delle fatte oc-
cupazioni. In queste ripetute richieste non nascondeva la sua
poca fiducia di essere ascoltato, lamentandosi di essere la-
sciato quasi in abbandono dalle autorità fiorentine e special-
mente dai Commissari, dei quali, molti si erano trovati al
campo, ma pochi alle fatiche (V. Doc. 383, 384, 385).

I Fiorentini, quantunque oramai esausti per tante e si
ingenti spese, avevano con ammirevole slancio patriottico,
stanziato nuovi fondi per la guerra, ed i cittadini incaricati
della riscossione del denaro, eccitavano Paolo Vitelli a pro-
cedere oltre e tentare qualche nuovo acquisto contro Pisa,
per incoraggiare i contribuenti a sobbarcarsi più volentieri

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 303

alle nuove pubbliche gravezze; ma Paolo protestava essergli
prima indispensabili i denari, perchè altrimenti l’esercito si
sarebbe dissoluto, ed invece di fare nuovi acquisti, si sarebbe
perduto l’acquistato (V. Doc. 387). Finalmente i denari, quan-
tunque in scarsissima misura, furono trovati; ma una nuova
difficoltà sorse ad attraversare i progressi del Vitelli.
Allorchè il conte Rinuccio da Marciano si unì a Paolo
Vitelli per marciare con le sue genti contro i Pisani, che
avevano assediato, come dicemmo, Ponte di Sacco, essendosi
« visti insieme molto amorevolmente et honorati l’ un l'altro »,
si sperò dai Fiorentini che il dualismo, creato nel comando
'dell' esercito con il lasciare al conte Rinuccio il titolo di Go-

vernatore — dualismo che aveva dato insino allora « grande
impedimento » al bene svolgersi della campagna di guerra —
si sarebbe attenuato (V. Doc. 348); tanto più che Paolo Vi-
telli, consigliato da Corrado Tarlatini, si era proposto di
« far carezze et honore » al proprio nemico, messer Ciriaco
Palamidesi dal Borgo Sansepolcro, uno dei condottieri in-

fluenti dell’ esercito fiorentino e grande fautore del conte
Rinuccio (V. Doc. 344). Ma, invece, il dissidio tra il conte
Rinuccio e Paolo Vitelli si era andato sempre più accen-
tuando di modo, che degenerò presto in aperta rottura. Paolo
Vitelli, ritenendo, nelle presenti circostanze, Pisa inespugna-
bile, voleva occupare, durante la guerra, tutte quelle località,
dalle quali potesse. venire soccorso ai Pisani in modo, che
non potessero contare per la difesa che nelle proprie forze: per
ciò, in tutta la campagna militare fin qui fatta, aveva mirato
a tale scopo; coerentemente al quale, aveva proposto e con-
cordàto con i Dieci di fare, dopo l'impresa di Vico, quella
di Librafatta. Rinuccio da Marciano, invece, ed i suoi fautori
‘assicuravano essere più utile per Firenze il prendere Ca-
scina, e quindi suggerivano quell’impresa, nella speranza che,
essendo Cascina fortissima, potesse Paolo Vitelli avere contro
quella un insuccesso e vi perdesse la sua fama. A questa
idea aderirono i commissari fiorentini Iacopo Pitti e Fran-













SSA RIE E l———

304 G. NICASI

cesco Pandolfini, i quali — per vendicarsi forse delle critiche
del Vitelli — eccitarono, insieme a messer Ciriaco dal Borgo,
i Dieci ad ordinare a Paolo Vitelli che si rivolgesse ad as-

sediare Cascina piuttostoché Librafatta. Paolo Vitelli si dolse

violentemente di questo cambiamento, protestando che si vo-
leva il suo disonore; e mandò Paolo Fucci e Corrado Tar-
latini a persuadere i Dieci della necessità di fare l'impresa
di Librafatta (V. Doc. 388, 390).

La disputa si fece viva, e tutta Firenze si divise in due
parti, una favorevole alla proposta del Vitelli e l’altra con-
traria. Intanto si perdeva tempo, ed il popolo, temendo che
i Dieci volessero ostacolare la guerra, tumultuó: alla fine si
lasció in libertà il Vitelli di volgersi-dove voleva; ed egli
stabili di recarsi ad assediare Librafatta (1).

Intanto i Senesi, il 14 settembre, dopo lunghe trattative,
fecero tregua con i Fiorentini e negarono il passo alle genti
veneziane (V. Doc. 389 e 391); sicchè il duca di Urbino, vista
l'impossibilità di penetrare in Toscana -— tanto più che il
conte Ranuccio era con le sue genti venuto ad Arezzo, dove
tra poco doveva arrivare il Signor di Piombino; e Giovam-
paolo Baglioni guarniva Cortona; e tutte le terre dell’ Alto
Tevere erano ben guardate (V. Doc. 391) — tornò con le
sue genti verso Gubbio, ed insieme con le genti degli Orsini,
prese la via della Romagna. Paolo Vitelli, conosciuta la par-
tenza del duca di Urbino, subito richiese che gli fossero
mandati i Baglioni e Giovanni della Vecchia, perchè, per an-
dare ad assediar Librafatta, doveva prima espugnare un
bastione che era in luogo forte sul monte, un miglio lontano
da quella terra, e prevedeva che in difesa di quello i Pisani
avrebbero spiegato tutte le loro forze (V. Doc. 393). Il 23
settembre Paolo Vitelli partì con le sue genti da Vico ed
alloggiò a Sampiero, presso Lucca, da dove, ottenute dai Luc-
chesi vettovaglie, voleva proseguire verso Librafatta; ma

(1) MACCHIAVELLI, Opere complete, vol. I, pag. 285. Milano, Ernesto O iva, 1850.

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 305

Bon essendo giunti i buoi, che erano stati ordinati per il tra-
sporto dell'artiglieria;, e mancando muli e carriaggi per le
munizioni, fu costretto ivi trattenersi per qualche giorno, con
| guo erave rammarico (V. Doc. 394). Finalmente parti, ed
aperta con gran numero di guastatori una nuova via all'ar-
tiglieria per i monti, assali il bastione di Montemaggiore,
soprastante a Librafatta, e presolo il 28 (V. Doc. 494), scese,
con relativa sicurezza, verso quella Terra.

Il 30 espugnò le due torri di Petito e di Castelvec-
chio (V. Doc. 395), mentre uua parte delle sue genti avevano
| preso Filettolo, ed il 2 ottobre piantò le artiglierie contro
Librafatta, obbligando il presidio a venire a patti e ad ar-
rendersi il giorno 4 ottobre 1498 (V. Doc. 398). à

| Durante questi avvenimenti, le genti veneziane con Giu-
liano dei Medici presero il Borgo di Marradi, costringendo
il Commissario fiorentino Simone Ridolfi, che con poca gente
lo presidiava, a ripararsi nel soprastante Castiglione di Mar-
'adi, dove poco dopo giunse anche una parte della compagnia
di Dionisio di Naldo da Brisighella che, come vedemmo, era
stato colà mandato da Paolo Vitelli. Preso il Borgo di Mar-
radi, le genti veneziane, alle quali si era unito Bartolomeo
d'Alviano, assediarono il sopradetto Castiglione, con grande
speranza di espugnarlo perché difettava di aequa. Ma essendo
poi piovuto, ed essendo venuti grandi rinforzi in soccorso
degli assediati — perchè i Fiorentini vi avevano mandato il
conte Rinuccio, il Signor di Piombino, Ottaviano Riario, Gio-
vanni della Vecchia, e per conto del duca di Milano, vi
erano accorsi il conte di Caiazzo ed il signor Fracassa —
credèttero bene di ritirarsi e di riunirsi alle genti del duca
di Urbino che — giunte di fresco a Faenza — si erano fatte
avanti fino a Brisighella.

Poco dopo, tutti insieme si ritirarono a Villafranca, tre
miglia presso Forli; sempre seguiti da presso dalle genti
Sforzesche e fiorentine.

Contemporaneamente le trattative di pace intavolate,

20

306 . ' G. NICASI

come dicemmo, a Venezia da Lodovico il Moro, duca di Mi-
| lano e dai Fiorentini erano abortite (V. Doc. 399); tuttavia
ii Ercole d'Este, duca di Ferrara, si era offerto come media-
tore di nuove trattative, dalle quali non si erano mostrati
| alieni né i Veneziani, né il duca di Milano. Intanto Luigi XII,
| T nuovo re di Francia — che persisteva nel suo proposito di
voler conquistare il ducato di Milano — proponeva ai Fio-



rentini di unirsi in confederazione con Venezia, Roma e
| Francia. I Fiorentini — pur dichiarandosi prontissimi ad
BE unirsi in lega con la Francia e con il Papa — affermavano
i che con i Veneziani sarebbero tornati amici se avessero loro
du restituito Pisa, ma confederati con essi non sarebbero stati
ir mai, perchè, viste le mire di Venezia ad impossessarsi di tutta
| Italia, era interesse dei potentati italiani essere con Venezia,
piuttosto in antagonismo, che in confederazione (V. Doc. 408).
[5 Durante questi avvenimenti i Veneziani volevano man-
| dare in soccorso di Pisa il marchese di Mantova, sperando
di ottenere dal Bentivoglio il passo per il territorio di Bo-
logna, e Paolo Vitelli, in previsione di un irruzione del Mar-
chese, chiedeva a Firenze altri fanti e l’invio nel pisano dei
Baglioni — che durante l'assedio del Castiglion di Marradi,



erano stati mandati in val di Bagno —; faceva spiare in
B BI Mantova gli andamenti e le forze del Marchese; sbarrava i
FT passi; fortificava febbrilmente le terre occupate; e sollecitava
ii con grande istanza dai Dieci tutti i provvedimenti necessari
I ; (V. Doc. 400, 401, 405, 406). Ma i denari mancavano ed il
(A E Vitelli, che ancora restava ad ‘avere una parte del soldo
dell’anno passato, si trovava in tali strettezze economiche,







che i suoi creditori disperavano ormai di essere pagati; i
I soldati mancavano di vettovaglie e, non essendo pagati, di-
sertavano. I Dieci avevano promesso, il 16 ottobre, di man-
dare, fra tre di, al campo 12 mila ducati, ma il Vitelli, abi-



tuato a non vedere mai realizzate tali promesse, non ci
m credeva: persuaso .oramai che i Fiorentini non avrebbero
B. potuto sostenere le spese di una doppia campagna di guerra



LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

nel pisano e nel Casentino, proponeva — fin da quando si
trovava all'assedio di Librafatta — di sospendere l'impresa
contro Pisa e convergere contro i nemici in Romagna una
| parte delle genti che erano attualmente nel pisano (V. Do-
"eumenti 397, 399, 400, 403).

I Veneziani, non essendo. potuti entrare in Toscana, nè
per la valle del Lamone, nè per la via di Galeata e di val
di Bagno, tennero segretamente — per mezzo di ser Pietro
Dovizi da Bibbiena, che era segretario dei Medici — una
pratica, con alcune famiglie di quella Terra, per darla in mano
a Bartolomeo d’Alviano, che, con circa 500 cavalli leggeri
ed 800 fanti, superando il giogo dell’ Appennino e facendo
vie inusitate, si era nascostamente appressato a Bibbiena. La
mattina del 24 ottobre 1498, si presentò al potestà di Bib-
biena un cavallaro, con le insegne del comune di Firenze,
che lo richiese di preparare da colazione a circa 30 cavalli
leggeri ed alcuni fanti di Giulio Vitelli, che sarebbero tra
poco giunti, diretti in Romagna, in favore dei Fiorentini: e,
poco dopo, comparvero infatti circa 50 cavalli e pochi fanti,
che erano, invece, dell'Alviano; i quali, ricevuti senza so-
spetto nella Terra, s'impadronirono della porta e del piccolo
palazzo che la sovrastava, dando agio al resto dalle genti
alvianesche — che subito accorsero da ogni parte alla porta —
d’insignorirsi di Bibbiena, senza alcuna resistenza (1). Giunta

tale notizia, la sera stessa, a Firenze, i Dieci mandarono im-
mediatamente Corrado Tarlatini ad avvertirne Paolo Vitelli;
a richiederlo dei suoi consigli in proposito; a pregarlo di
volere « concedere Vitellozzo per capo e governo di quella
gente », che i fiorentini avrebbero mandato in Casentino

contro l'Alviano; ed a sollecitarlo acciocche, insieme a Vitel-
lozzo, mandasse piü gente gli fosse possibile, di quelle che
erano al campo contro Pisa; e inviasse anche aleuni dei

(1) Arch. di Stato fior.: X di Balìa — Legazioni e Commissarie, vol. 21, pag. 897.
Lettera a Francesco Papi del 27 ottobre.









308 G. NICASI

suoi commnestabili atti a guidare quei fanti, che si andavano
intanto raccogliendo nel Casentino ed altrove. Ingiunsero
inoltre allo stesso Tarlatini che cercasse di persuadere il
Vitelli di scrivere a Città di Castello a Giovanni del Roscetto,
che conducesse nel Casentino 500 provvigionati (V. Docu-
menti 402, 407). Paolo Vitelli rifiutò di concedere Vitellozzo,
non solo perchè in quei giorni era ammalato, ma anche
perchè, qualora Vitellozzo avesse tolto dal campo di Pisa
una grossa compagnia, il resto delle genti, che già erano
mal disposte per non avere ancora ricevuto la loro paga,
sarebbero state facilmente battute dai Pisani; e se Vitellozzo
non avesse condotto seco molti dei@ropri soldati, non avrebbe
potuto riuscire con onore nell’ impresa contro l’ Alviano,
perchè « alle genti che l’uomo non conosce, et non sì pò
comandare, et, quando le si comanda, non se ne pò l’omo
confidare ». Per ciò consigliava: che le genti raccolte dal
duca Sforza nel parmigiano fossero fatte venire verso Lucca
e Pietrasanta, per tenere a freno i Lucchesi che non dessero
aiuto ai Pisani, e per impedire il passo al marchese di Man-
tova; che si raccogliesse gran numero di marraioli per po-
tere, in 7 od 8 giorni, terminare di fortificare le terre occu-
pate e munire le posizioni più importanti; che intanto si
mandasse il Signor di Piombino, Giovampaolo e Simonetto
Baglioni a munire e ben guardare i luoghi circostanti a Bib-
biena, cercando di guastare i molini, bruciare gli strami,
guastare le vie sull'Appennino e sbarrarne i passi, per im-
pedire che potessero venire soccorsi ai nemici chiusi in
Bibbiena; che si inviasse — qualora nel frattempo il mar-
chese di Mantova avesse desistito dal venire verso Pisa —
il Signor di Piombino a guardare i luoghi occupati nel ter-
ritorio pisano, dal quale si richiamassero i Vitelli per man-
darli con tutte le loro genti nel Casentino. Ma, per far questo
ammoniva il Vitelli che bisognavano molti denari; ed egli
si doleva amaramente che, mentre i Fiorentini avevano speso
in larga misura denari sia in Romagna, sia nel Casentino, a



















"^ LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 309

lui si erano sempre fatte promesse, che poi non si erano
"realizzate. Per ciò, benchè egli sapeva bene, « che, di tutte
Je licentie che si danno, la più disonesta » fosse quella « del
‘non pagare >», pure, non essendo abituato a « partirsi da
nessuno senza licenza », incaricava il Tarlatini di avvertire
^i Dieci che, se non lo avessero pagato, sarebbe ritornato
con le sue genti a Città di Castello, perchè gli era impos-
sibile di poter durare così, senza denari e senza credito,
« havendo quattromila bocche alle spalle », che pure richie-
devano grande spesa per mantenerle (V. Doc. 409).

1 Fiorentini accolsero i consigli del Vitelli, per ciò che
si riferiva al piano di guerra — e mandarono subito commis-
sarii verso Poppi a levare fanterie; ordinarono a Simonetto
Baglioni che si recasse in Casentino; e inviarono verso Arezzo
80 uomini d’arme del Signor di Piombino, che erano in
procinto di andare a raggiungere il loro Comandante in Ro-
magna —: ma, in quanto ai denari, oppressi da tante spese,
non poterono contentare il Vitelli, il quale con reiterate let-
tere insisteva nel descrivere « la estrema necessità e mi-
seria », nella quale si trovavano egli ed i suoi soldati. La
Compagnia era scalza e nuda; si pativa la fame; i cavalli
erano estenuati per la mancanza dei foraggi; i Vitelli ave-
vano speso del proprio per mantenerli; avevano impegnato
gli argenti per procurarsi denari; avevano vuotato le proprie
borse e quelle degli amici, alcuni dei quali erano per loro
causa falliti; per ciò i Vitelli, non avendo oramai più cre-
dito, nè altre risorse, erano costretti, sia pure « con le la-
grime agli occhi », tornare a Castello, se non si fossero prov-
visti‘di denaro e non fosse loro data l'autorizzazione di
condurre le genti d’arme in val di Nievole, a rinfrescare i
cavalli, e allogare i soldati nei luoghi più adatti per il ri-
fornimento dei viveri (V. Doc. 410, 412). Il 2 novembre i
Pisani minacciarono di assalire Calci, ma poi desistettero da
quel proposito, ed il Vitelli — che aveva già precedente-
mente avvertito i Dieci che il Connestabile di guardia a









310 G. NICASI

Calci era mal pagato; e tuttavia non era stato provveduto —
prevedeva qualche grosso guaio, se non fosse soddisfatto; e
ne declinava ogni responsabilità (V. Doc. 413).

Fu facile profeta, perchè l'11 novembre i Pisani sorpre-
sero Calci e se ne impadronirono (V. Doc. 418). Il 6 novembre
Paolo Vitelli, con altra lettera, si risentiva fieramente di
essere cullato dai Commissari. fiorentini con buone parole
relativamente al denaro e costatava con amarezza che non
solo, malgrado le promesse, non gli erano stati sborsati i
20 mila ducati, che ancora restava ad avere del suo servizio,
ma non si erano neppure rimborsati ad un suo creditore 150
ducati, che egli Paolo aveva rigevuto in prestito da quello;
e per ciò minacciava che, se per il 15 novembre non gli
fossero stati pagati gli arretrati del suo soldo, se ne sarebbe
tornato a casa il giorno seguente (V. Doc. 415). Di questa
sua deliberazione ne rendeva edotto il duca di Milano, ai
cui richiami in proposito, i Fiorentini rispondevano negando
che il Vitelli dovesse ancora avere tutta quella somma
(V. Doc. 416).

L’Alviano aveva intanto occupato alcuni villaggi intorno
a Bibbiena, ed aveva invano tentato di sorprendere Poppi:
ma, intendendo i preparativi che i Fiorentini facevano per
scacciarlo dal Casentino, mandò messi in Romagna a Carlo
Orsini ed al duca di Urbino, perchè si affrettassero a venire
in suo aiuto: e già Carlo Orsini con 800 cavalli era riuscito
a valicare l'Appennino ed a scendere verso Bibbiena. Anche
il duca di Urbino lasciò il 1 ottobre Villafranca e con tutte
le sue genti si avviò alla medesima via. I Fiorentini, preve-
dendo che forse sarebbe anche egli riuscito a penetrare in
Toscana, ordinarono che tutte le genti d’arme che il duca
di Milano aveva in Romagna, con 1000 provvigionati, venis-
sero verso il Casentino; ed a Città di Castello, Arezzo, Borgo
Sansepolcro, Anghiari, comandarono buon numero di fanti,
che si recassero alla volta di Poppi, dove già era giunto il
Signor di Piombino e Giovampaolo Baglioni con le loro com-




LA FAMIGLIA VITELLI, BCC. 311 ; d




pagnie; e verso Arezzo era imminente l'arrivo di Simonetto
Baglioni. Contemporaneamente il conte Rinuccio aveva la-
sciato la Romagna e si era portato con le sue genti alle
Balze, presso le sorgenti del Tevere, con 150 uomini d' arme,
100 eavalli leggeri e 1500 provvigionati, ad occupare tutti
i passi tra val di Bagno e Pieve Santo Stefano, per impe- p |
dire la venuta del duca di Urbino; ed il Fracassa con le |
genti sforzesche, prese, al medesimo scopo, la via dei monti, |
mentre il conte di Caiazzo, malato, restava in Romagna.

Peró il duea di Urbino, eludendo abilmente i nemici,
potè giungere alle Balze, ed occupare i passi senza resistenza,
da dove si distese con le sue genti in aleuni luoghi presso
alla Verna, e vicini ai confini del suo stato, sia per mante-













nersi aperta la via ad unà ritirata in caso d'insuccesso, sia
per potere scendere, a sua scelta, o verso Bibbiena ed il
Casentino, o verso Pieve Santo Stefano e l'alta valle del
Tevere. Il conte Rinuccio intanto, per ‘il monte Verde, si ri-
piegava verso la Pieve Santo Stefano, dove era giunto, man-
dato dei Fiorentini, il conte di Carpegna; da Arezzo Simonetto
Baglioni marciava a cuoprire Anghiari; Montedoglio veniva
| presidiato con numerosi fanti; il Fracassa, per l'Alpe di
San Benedetto e Dicomano, scendeva a Pontassieve, da dove
accorreva ad Arezzo minacciante rivolta; ed il Signor di
Piombino, Giovampaolo Baglioni, messer Ciriaco dal Borgo,
il conte Checco da Montedoglio ed il signor Ottaviano da
Forlì guarnivano Poppi e dintorni.

L'Alviano, volendo rompere il cerchio di ferro che gli
si stringeva intorno, assali il 5 novembre, furiosamente Ras-
sina; luogo forte tra Arezzo e Dibbiena, ma fu respinto (1):
il 15 novembre poi, essendosi riunito alle genti del duca di
Urbino, si recò, con quasi tutto l’esercito, ad espugnare




















(1) Arch. di Stato fior.: X di Balìa — Legazioni e Commissarie, vol.21, pag 114.
Lettera ad Antonio Strozzi del 18 novembre 1498. È









312 G. NICASI

Poppi, ma non riusci nell' impresa (1). I Fiorentini, risoluti
oramai — dopo qualche indecisione (V. Doc. 415) — a ri-
chiamare Paolo Vitelli con tutte le sue genti dal territorio
pisano, per affidargli l'impresa di cacciare i nemici da Dib-
biena, gli ordinarono che facesse mettere al piü presto pos-
sibile in ordine le sue genti per inviarle in Casentino, e che
intanto egli, con pochi dei suoi, si recasse a Firenze per
intendersi con i Dieci sul da fare (V. Doc. 411). Paolo Vi-
telli parti, il 18 novembre, alla volta di Prato per recarsi a
Firenze (V. Doc. 419), dove i Dieci, quello stesso giorno, su
relazione del Commissario Piero Vespucci, sottoposero alla
sua approvazione il piano di guerra che avevano proposto
il signor Fracassa ed il conte Rinuccio, in una loro adunanza,
tenuta il giorno prima in Arezzo, con i Commissari di campo
Piero Vespucci e Lucantonio degli Albizzi insieme al capi-
tano ed al podestà di Arezzo (V. Doc. 420).

Il piano proposto dal signor Fracassa e compagni con-
sisteva nel recarsi a sloggiare i nemici dalla parte della
Pieve Santo Stefano e della Verna (V. Doc. 420); ma Paolo
Vitelli ritenne quella impresa troppo pericolosa, ed elaborò
un contro progetto di accerchiamento ed isolamento. del ne-
mico, con l'esecuzione del quale assicurava potersi ottenere
certa e sicura vittoria, senza esporre il proprio esercito ad
alcun pericolo (2). Non essendosi in quel giorno ultimata la
discussione, fu rimessa al giorno seguente: nel quale, rite-
nendosi dai Dieci necessario che, per meglio concertarsi sul
da fare, Paolo Vitelli dovesse recarsi ad Arezzo a consultarsi
insieme con il Fracassa, con il conte Rinuccio e con i Commis-
sari, e che si facesse ivi seguire da una parte delle proprie genti,
lasciando l’altra parte sotto. il comando di Vitellozzo alla
guardia delle terre occupate nel pisano, Paolo Vitelli risolu-

(1) Arch. di Stato fior.: X di Balìà — Legazioni e Commissarie, vol. 21, pag. 121.
Lettera a Francesco Gualterotti del 17 novembre 1498. ;

(2) Arch. di Stato fior.: X di Balia — Legazioni e Commissarie, vol. 21, pag. 118.
Lettera a Francesco Papi 13 novembre 1498.

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 313

tamente si rifiutò di separarsi dal fratello, dichiarando di
volere con se Vitellozzo e tutta la propria compagnia, perchè
senza di essi non avrebbe potuto fare imprese d’importanza;
proponendo invece che a guardia dei bastioni fatti e delle
fortezza acquistate in quel di Pisa, vi si mandasse, o il Si-
gnor di Piombino, o il conte Rinuccio, con i cento uomini
d'arme della condotta di Giovanni Bentivoglio: e si dovette
contentarlo. Fu quindi stabilito che Paolo Vitelli si sarebbe
recato, con la piccola scorta che aveva seco, verso il Ca-
sentino per consultarsi con il signor Fracassa, con il conte
Rinuccio e con i Commissari; che intanto Vitellozzo sarebbe
venuto con il resto della compagnia a raggiungerlo; e che
il conte Rinuccio con le sue genti d’arme ed i cavalli leg-
geri si sarebbe recato a presidiare il Pisano (V. Doc. 421):
ma, poi, invece del conte Rinuccio, si mandò il Signor di
Piombino. Paolo Vitelli il 18 novembre partì da Firenze alla
volta del Casentino, mentre alla stessa via marciava in fa-
vore dei Fiorentini, con 100 balestrieri a cavallo e 500 prov-
vigionati, messer Filippino dal Fiesco, primo cameriere e
capitano delle fanterie del duca di Milano.

CAPITOLO X.

Campagna di guerra dei Vitelli nel Casentino.

Mentre Paolo Vitelli si recava con la sua piccola scorta
ad Arezzo, Vitellozzo, per ordine dei Dieci (V. Doc. 422) rac-
coglièva tutte le genti vitellesche che si trovavano nel Pi-
sano e, per Cerreto Guidi e Poggio a Caiano, le conduceva
nel Casentino. Intanto le genti dell'Alviano e del duca di
Urbino avevano espugnato Rassina ed avevano inutilmente
assaliti i Camandoli, strenuamente difesi da Basilio Nardi,
abbate camaldolense, che si era posto alla testa di quei ter-
razzani. Paolo Vitelli, dopo abboccatosi in Arezzo con il

I
I









314 G. NICASI

Fracassa, il conte Rinuccio ed i commissarii fiorentini per
intendersi sul da fare, temendo che i nemici potessero sor-
prendere Pratovecchio, che era privo di valide difese, lasciò
il Fracassa ed il conte Rinuccio in Arezzo, si riunì a Vitel-
lozzo, e con tutte le sue genti si recó a Pratovecchio, dove
giunse quando appunto sui monti vicini si scoprivano le genti
dell Alviano, che si recavano ad assalire quella Terra (1).
L'Alviano, vistosi prevenuto, si ripiegó verso Bibbiena e,
cominciandosi a patire nel suo campo penuria « di ogni
cosa necessaria », rimandò in Romagna buona parte dei ca-
riaggi e le artiglierie minute per avere meno bocche da
provvedere (V. Doc. 426).

Pietro dei Medici, che si trovava al campo dell'Alviano,
ed era alloggiato alla Mausolea, mando, il due dicembre, un
suo trombetto a chiedere un abboccamento con Paolo Vitelli
ed i commissari fiorentini Angiolo del Caccia e Jacopo Nerli,
in quel qualunque luogo, che essi avessero creduto piü oppor-
tuno. Paolo Vitelli non riteneva conveniente l'abboceamento,
ma, essendo quello stato accordato dai commissari suddetti,
non vi si oppose (V. Doc. 423); ed, il giorno seguente,
l’abboccamento ebbe luogo in Prato Vecchio, con grande
disappunto dei Dieci, i quali, non solo vivamente disappro-
varono che i loro Commissari avessero trattato con i ribelli, e li
richiamarono (2), ma incaricarono anche Luca degli Albizi, che
era stato a quelli sostituito, di « investigare le origini » del-
l’abboccamento e di accertarsi « qual commissione ebbero,
e perchè soprastettero al tornare », i quattro uomini man-
dati in quella circostanza a Bibbiena da Paolo Vitelli (V.
Doc. 424) Luca degli Albizi si informò minutamente, e riferì
« tutti li andamenti » di quell’abboccamento, non che « le
pratiche » e « le parole usate venendo ad consulta di simile

(1) MACCHIAVELLI, Opere, pag. 297.
(2) Arch. di Stato fior.: X di Balìa — Missive, vol. 63, pag. 8, Lettera a Iacopo
Nerli 6 dicembre 1498.











LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 315

cosa ». I Dieci, avendo avuto la notizia di quest’ abbocca-
mento « a odio, quanto alcuna altra cosa che fusse potuto
succedere », e desiderando « uscissi dalla memoria degli
uomini essersi tenute tali pratiche », pregarono il sopradetto
Luca ad adoperarsi 4 « sopire » la cosa in modo, che « nes-
suno ne dovesse più ragionare » (V. Doc. 425); e siccome era
giunto alle loro orecchie che, « a favorire l’abboccamento, si
era adoperato anche Paolo Semenza, rappresentante a Firenze
di Lodovico il Moro, così scrissero al loro ambasciatore a
Milano, perchè si querelasse di questo fatto con il Duca e
procurasse di ottenere da lui il richiamo da Firenze del Se-
menza suddetto (V. Doc. 426).

Oramai tutto il Casentino, ed eccezione di Poppi, Ro-
mena, Prato Vecchio, ed i Camaldoli, era venuto in mano
dell’ Alviano e del duca di Urbino, i quali, ben forniti di
fanti, e padroni delle più vantaggiose posizioni di quella
regione montuosa, dove i cavalli non potevano essere ado-
perati con efficacia, attendevano a fortificarsi, in previsione
di un prossimo attacco dei Fiorentini. Ma Paolo Vitelli, esperi-
mentato e prudente capitano, ritenendo troppo pericoloso
assalire direttamente i nemici nelle loro formidabili posizioni,
pensò invece di sloggiarli da Monte Cornaro, Montalone e
la Verna, per girarli alle spalle, togliere loro le comunica-
‘zioni con la Romagna ed il ducato di Urbino, basi del loro
rifornimento, è racchiuderli in Bibbiena, dove l'impossibilità
di trovar vettovaglie li avrebbe costretti alla resa. Per rag-
giungere quest’ intento però occorrevano molte artiglierie e
gran quantità di fanti; e per* ciò Paolo Vitelli, fino dall'inizio
dell' impresa, aveva chiesto ai Dieci l'invio di artiglierie e
dei connestabili capitan Guerriero, Mario Salviati e Gnagni
di Picone, con le loro compagnie di fanti (1). Ma il piano di
guerra del Vitelli trovava un ostacolo quasi insormontabile

(1) Arch. di Stato fior.: X di Balia: Missive, vol.8. Lettera al capiiano Vitelli
del 5 dicembre.





316 : ; G. NICASI

nella terribile erisi economica, da cui era travagliata la Re-
pubblica fiorentina. I Dieci, ultimamente eletti, avevano, fino
dalla loro entrata in ufficio, trovato « ogni cosa oxausta e
vuota di denaro »; i cittadini, dissanguati dalle tasse, si ri-
fiutavano di sottoporsi a nuove imposizioni; l’esercito che
Firenze aveva nel Pisano non si era potuto pagare; Vico,
Librafatta ed il bastione della Ventura erano privi di difensori,
perchè mancavano denari ad assoldarli; Livorno correva pe-
ricolo di essere consegnato ai nemici dal presidio, che aveva
. per lungo tempo atteso indarno il pagamento del proprio
soldo, e se si erano mandate le artiglierie ed i quattro con-
nestabili, richiesti dal Vitelli, in Casentino, ció era avvenuto
‘perchè i Dieci, con nobile slancio di patriottismo, si erano
personalmente quotati, onde raccogliere i sei mila ducati ne-
cessari per quell’ invio. Da ciò nasceva che i Dieci avreb-
bero voluto spingere Paolo Vitelli a prendere risolutamente
i nemici di fronte, per cacciarli dal Casentino, prima che
sopravvenissero le nuove paghe dei fanti, perchè in caso
contrario, essendo impossibile racimolare i denari necessari
per la nuova paga dei fanti, « ogni cosa ruinerebbe » (V.
Doc. 424). Così, due opposte tendenze si delineavano nella di-
rezione di quella campagna di guerra, e mentre i Dieci vo-
levano tutto arrischiare per tentare di porre fine in pochi
giorni all’ occupazione del Casentino da parte dei nemici,
Paolo Vitelli, invece, attendendo-dal temporeggiare una certa
e sicura vittoria, rifuggiva di compromettere con una im.
prudenza la riuscita dell'impresa.

Il Vitelli, fino dal primo suo giungere in Casentino, avea
mandato Jacopo del Roscetto con buon numero di fanti a
fare una correria sui monti, per dare animo a quelle popo-
lazioni; le quali, vistesi così aiutate, si organizzarono, sotto
la guida dell’abbate Basilio, e cominciarono a tener testa al
nemico. Per trarre buon partito dalla buona disposizione di
quei montanari, Paolo Vitelli mandò Vitellozzo con 1500 uo-
mini contro Montefatucchio, « loco forte e dei più importanti >»;

LA FAMIGLIA VITETLI, ECC. 317

che era occupato dal nemico, e lo prese, catturando, con l'a-
juto dei paesani, il connestabile Baldassare Scipioni, senese,
che con 80 fanti era venuto in soccorso dei difensori di quel
castello. Si ebbero poi dai Vitelleschi, parte per forza, e
parte per spontanea dedizione degli abitanti, Franzola, Ban-
zena (1), Corezzo, Gresse, Serravalle, la Mausolea (V. Doc.
427); Castelfocognano, nelle cui vicinanze furono svaligiati
150 fanti nemici; Lierna (V. Doc. 428) e Marciano, dove fu
fatto prigioniero un nipote di Bartolomeo di Alviano ed altri
capi squadra con 80 uomini d'arme (V. Doc. 429). Paolo Vi-
telli passó quindi nella valle del Tevere, verso Pieve Santo
Stefano, ed il 20 dicembre giunse a Caprese con 1500 fanti,
50 uomini d'arme e 350 cavalli leggeri, dopo avere, il giorno
prima, fatti prigionieri venti balestrieri di Carlo Baglioni (V.
Doc. 430). Il giorno seguente lo stesso Paolo minacció Mon-
talone, luogo forte, dove era alloggiato Carlo Orsini con 50 uo-
mini d'arme, qualche cavallo leggero e'150 fanti; ma, avendo
veduto venire dalla parte della Verna, in soccorso di Mon-
talone gran numero di fanti e cavalli, Paolo Vitelli giudicó
opportuno rimetterne ad altra volta l'espugnazione, scrivendo
intanto al Fracassa che gl'inviasse altre genti, ordinando a
Città di Castello altre artiglierie, e facendo pratiche verso i
Dieci perché pagassero il Fantagiero (V. Doc. 451); non la-
sciassero partire il marchese del Monte, che, per non avere
ricevuto il soldo che gli spettava voleva andarsene con la
compagnia; e mandassero al campo il Fregoso (V. Doc. 432).
Quindi Paolo Vitelli si volse con le sue genti verso Ruoti,
e lo prese; s’ impossessò, poi, di Valsavignone, Bulzano, Ca-
solare, luoghi tutti della valle del Tevere, di qua e di là dal
fiume; giunse indisturbato fino a Monte Coronaro (V. Doc. 433),
che ispezionó, e guarni di valide difese contro i nemici
(V. Doc. 437).

(1) Arch. di Stato fior.: Signori. Responsive, vol. 10, pag. 310. Lettera da Poj pi
dell'Abbate Basilio.







G. NICASI

In tal modo Paolo Vitelli cominciava a colorire il suo

disegno di volere tagliare ai nemici le retrovie. L’ Alviano,
intanto, ed il duca di Urbino, che si vedevano seriamente
minacciati da questo movimento avvolgente del Vitelli —
per il quale già soffrivano grave carestia di vettovaglie,
quantunque ogni giorno cercassero di mandar via soldati
per alleggerire le privazioni di quelli, che erano strettamente
indispensabili alla difesa dei luoghi da essi occupati (1) —
chiedevano insistentemente nuovi aiuti a Venezia: e già si
raccoglievano per essi nuovi fanti nell’ Urbinate, dove si era
comandato un uomo per casa, ed a Perugia, ed in altri
luoghi; facendo anche gran provvista di vettovaglie, per po-
terle mandare a rifornire Bibbiena, la Verna e Montalone,
che oramai pativano estrema penuria del necessario.
Contro questi provvedimenti dei nemici, Paolo Vitelli chie-
deva ai Dieci che mandasseno in campo, al più presto possi-
bile, 10 o 12 mila ducati, per potere fare altri fanti, con i quali
avrebbe chiuso completamente il passo ai nemici, ed avrebbe
espugnato Montalone, e la Verna, levando così a Bibbiena
ogni speranza di soccorso (V. Doc. 433); voleva, inoltre, che
gli fossero mandati immediatamente tanti denari da poter
dare almeno una paga alle sue fanterie, che gli erano venute
da Castello, e agli altri fanti del campo fiorentino; tanto più
che si sapeva che i nemici avevano già raccolti a Castel-
delci 2000 fanti, per inviarli in Casentino (V. Doc. 435); e
lamentandosi che fino a qui egli non aveva ricevuto « altro
che lettere et parole », invece dei denari richiesti, affer-
mava che, se non fosse data ai fanti, almeno una, delle due
paghe che restavano ancora ad avere, non si poteva, in caso
di bisogno, fare assegnamento su essi, e dichiarava quindi
di declinare ogni responsabilità, per ciò che sarebbe potuto

(1) Arch. di Stato fior.: X di Balìa. — Responsive, vol. 58, pag. 276. Lettera da
Caprese dei Commissari di campo Luigi della Stufa e Antonio Giacomini, 20 dicem-
bre 1498.







LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 319





succedere. Nè a ciò solo si limitavano le sue richieste, perchè
occorrevano anche altri denari per i 500 fanti, che già aveva
ordinato a Perugia Giampaolo Baglioni, sulla promessa dei
Commissari, che sarebbero stati subito pagati; e altri denari
occorrevano anche per nuovi fanti, che, di fronte all’ ingros-
sare dei nemici, era necessario assoldare (V. Doc. 435).
Voleva inoltre che il conte Rinuccio fosse mandato verso il
Casentino, fermandosi con il grosso delle sue genti a Sub-
biano, spingendo le altre a Rassina, ed i cavalli leggeri a
Sarnia, per impedir le comunicazioni tra Bibbiena e la Verna,
e anche per cuoprire Poppi ed altre località minacciate, in.
caso che i nemici, da Casteldelci, avessero fatto improvvisa
irruzione in Casentino (V. Doc. 436). Il 3 gennaio Paolo Vi-














telli ebbe a patti Mignano, dove erano 19 uomini d’arme e
150 fanti, e ne fu distrutto il castello (V. Doc. 436); e, do-
vunque passavano le genti fiorentine, distruggevano molini,





tagliavano strade, sbarravano passi, scoperchiavano case,
bruciavano strami, ed asportavano vettovaglie, e mettevano
a fuoco tuttociò, che avrebbe potuto dare o ricovero 0 so-
stentamento ai nemici (V. Doc. 439).

Intanto i Dieci, con un miracolo di abnegazione e di
attività, poterono racimolare 6000 ducati, che, mandati al








campo, fermarono la diserzione delle fanterie fiorentine,
già cominciata (V. Doc. 437): ma oramai la Repubblica
era assolutamente impotente a sostenere altre spese; ed i
Dieci scongiuravano il Vitelli a limitarsi nello spendere e
ad affrettare l'impresa, espugnando Montalone. Però Paolo







protestava che il denaro inviato non bastava, perchè le



fanterie erano ridotte ad un numero troppo esiguo da po-
ter fare fazioni, tanto che, avendo egli voluto occupare




Prateghi, che. gli era stato riferito esser luogo debole,



dovette poi abbandonare quell'impresa, perché il luogo era
forte, ed i nemici avevano nelle vicinanze un numero di
genti troppo rilevante; molto meno, quindi, si poteva, con
le poche fanterie che egli aveva, tentare l'impresa di Mon-









320 : G. NICASI

talone, luogo forte, ben fornito di difensori, e situato in lo-
calità, dove i nemici potevano, ad un bisogno, mettere in-
sieme duemila uomini, ed altri duemila avrebbero potuto
farli venire, senza gravi ostacoli, da Casteldelci: chiedeva
perciò, almeno, che egli potesse avere a sua disposizione
3000 fanti, coi quali sperava di riuscire ad espugnare anche
Montalone (V. Doc. 428).

Intanto l'Alviano, volendo aver libere le comunicazioni
tra Bibbiena e la Verna, sorprese, tra l' 8 ed il 9 gennaio
1499, Sarnia, che era stata, come vedemmo, ripresa dai
Fiorentini, e ne cavò « non piccola quantità di grano e di
vino », che i Fiorentini stessi vi avevano depositato. Paolo
Vitelli, che già in precedenza, come dicemmo, aveva indi-
cato ai Dieci quel luogo come importante, ed aveva consi-
gliato di mandare il conte Rinuccio a presidiarlo — senza peró
che questo suo avviso fosse stato dai Dieci seguito, perché
Rinuceio non voleva sottomettersi all'autorità del Vitelli —
si dolse amaramente che non si tenesse conto delle sue pro-
poste, avvalorate anche dal parere favorevole del Fracassa,
e che si lasciasse tanta facilità ai nemici di rifornirsi di
vettovaglie, mentre egli, da parte sua, tanto si adoperava per
ridurli in strettezze (V. Doc. 439). E, non solo insisteva per-
ché il conte Ranuccio fosse mandato a proteggere Poppi (V.
Doc. 440) e fossero inviati al campo i 3000 fanti richiesti,
ma esprimeva il proposito di volere costruire un bastione
al Calle del Villano, per potere impedire completamente il
passo anche ai molti nemici, che, sebbene alla spicciolata,
pure riuscivano, di tanto in tanto, a portare provvigioni alle
genti dell'Alviano.

Queste richieste mettevano in grave imbarazzo i Dieci,
che non volevano contrariare il conte Rinuccio, e si trova-
vano impossibilitati a sostenere sì ingenti spese, tanto più
che i Pisani avevano ripreso Montopoli, e minacciavano le
altre recenti conquiste fatte dai Fiorentini nel territorio di





LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 321

Pisa (1). Il popolo fiorentino era ormai stanco per la durata
della guerra, e cominciava a tumultuare per le soverchie
gravezze che gli erano imposte. I fautori del conte Rinuc-
cio, approfittando della mala disposizione del popolo, si da-
vano moto per criticare le operazioni guerresche del Vitelli,
ed a lui cercavano di far risalire la, responsabilità di non
essere ancora riuscito a cacciare dal Casentino i nemici, mal-
grado lo sperpero, dicevano essi, di tanti denari, ai quali
ora si voleva aggiungere anche la grave spesa di un inutile
nuovo bastione: e queste dicerie fecero breccia anche nel-
l'animo dei Dieci che, impressionati dal malumore del po-
polo, e consigliati anche dai Commissari di campo, negarono
al Vitelli la facoltà di erigere il richiesto bastione. Paolo
Vitelli, pur dolendosi amaramente delle ingiuste critiche dei
suoi avversari, sprezzava le accuse, perchè era sicuro che













l'immancabile buon esito della campagna guerresca avrebbe
dimostrato quanto fossero infondate: e sapendo che a Fer-




rara erano state riprese le trattative di pace tra Firenze e



Venezia, consigliava i Dieci, per mezzo del suo rappresen-
tante Tarlatini, di mantener viva la pratica con i Veneziani,
| per rattenerli, colla speranza della pace, dal mandare nuovi
soccorsi a Bibbiena; ma che non si venisse alla conclusione
dell'accordo, perché la vittoria definitiva nella guerra l'avreb-
bero immancabilmente avuta i Fiorentini, purché i Dieci
avessero fatto i richiesti necessari provvedimenti; avessero
approvato la spesa per il nuovo bastione; edi Commissarii
di campo fiorentini si fossero finalmente astenuti dal voler
fare l'ufficio di capitano, e dal pretendere « d' intendersi di
quelle non é sua professione né suo mestiero » (V. Doc. 441).
Ed avendo potuto sapere, che l' erezione del nuovo bastione
non era stata approvata dai Dieci, più specialmente per con-
siglio del commissario di campo Antonio Giacomini — che
aveva fatto intendere essere quel bastione giudicato poco


















(1) Arch. dt Stato fior.: X di Balìa. — Missive, vol. 64, pag. 55. Lettera a Luigi
della Stufa ed Antonio Giacomini, 30 dicembre 1498.



2














322 G. NICASI

‘utile anche dal Fracassa — Paolo Vitelli scriveva al Tarla-
tini, che il Giacomini faceva tutto l'opposto di ciò che ri-
chiedeva l’ ufficio suo, perchè, invece di fare il possibile per
mantenere buon aecordo tra esso Vitelli ed il Fracassa, —
accordo assolutamente indispensabile al buon andamento
della guerra — cercava di metterli in sospetto l’ uno del
l’altro, frustrando così gli sforzi del Vitelli, che si adoperava
con ogni sua possa a dimostrare al Fracassa « quella de-
bita reverentia merita sua excelsa Signoria », ad a tenerlo
« in luogo de optimo patre ».

Per ció il Vitelli chiedeva, che il Giacomini fosse richia-
mato, lasciando al campo il solo Luigi della Stufa, altro
commissario, o sostituendo il Giacomini con Luca degli Al
bizi, nel quale aveva sempre riscontrato « iudicio et aucto-
rità » (V. Doc. 442).

Quando poi il Vitelli seppe, che il Tarlatini aveva co-
minciato a trattare con i Dieci per ottenere l’allontanamento
dal campo del Giacomini, avverti il Tarlatini medesimo che,
« essendo oramai la cosa mossa », era bene lasciarla cor-
rere da se; ed insisteva perchè egli sollecitasse dai Dieci
l invio dei denari per i mille fanti recentemente condotti, e
per quelli vecchi, onde potere avere pronti i tremila fanti
necessari per ultimare l'impresa; ed inoltre ottenesse dai
Dieci il più volte invano, richiesto invio del conte Rinuccio
di Marciano a Poppi; invio che egli diceva non chiedere per
seconde mire, ma solamente perchè riteneva la persona di
lui con la sua compagnia necessaria per ben guardare la
importantissima posizione di Poppi (V. Doc. 443). La verità
però era che, tra il Vitelli e Rinuccio di Marciano, esisteva
sempre il vecchio insanabile dualismo, ed il Vitelli non vo:
leva vicino un avversario, che si mostrava ricalcitrante à

sottomettersi alla sua autorità, ed invidioso dei suoi suc-

cessi (1) tanto, da suscitargli diffidenze ed avversioni nella

(1) GHICCIARDINI, Stor2a d’ Italia.






































LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 323

| stessa Firenze, i cui abitanti erano, ormai apertamente, di-
visi in due partiti, l'uno favorevole ai Vitelli, l’altro fautore
dei Marcianeschi (1).

E Intanto il campo dei Veneziani aveva cercato di sfug-
-gire all'accerchiamento tesogli dal Vitelli; e, sia da Monta-
lone, dove si trovava Paolo Orsini, sia dalla Verna, dove
era alloggiato l'Alviano, si faceva il possibile per tenere
aperte, malgrado le gravi difficoltà, le comunicazioni con la
Romagna e con lo stato d’ Urbino, da dove era stato spedito
in loro soccorso il segretario del provveditore veneziano
Marcello, con molti denari, duemila duecento stradiotti (2),
e 400 fanti, portanti ciascuno sulle spalle un sacchetto con-
tenente 50 libre di farina (3), ed altre provvisioni, che do-
vevano servire al rifornimento del campo. Ma Paolo Vitelli
stava all’ erta e, mentre le genti spedite dai Veneziani, ap-
profittandosi della nebbia, avevano già guadagnato la cima
dei monti, ed avevano fatto prigioniero Olivierotto da Fermo,
connestabile del Vitelli, che con alcuni suoi soldati si era
troppo imprudentemente avanzato in mezzo ai nemici, ac-
corse in rinforzo dei suoi, e fatta occupare una vicina
prominenza, scese da cavallo, ordinando ai suoi di fare al-
trettanto, e si gittó sul nemico, sbaragliandolo e facendo
prigionieri il segretario veneziano, con la sua cassa di due-
mila duecento ducati, 400 fanti, 200 stradiotti (4) e una gran
carovana di farine (5) (V. anche Doc. 444, 445).

Paolo Vitelli consegnò la preda fatta ai Fiorentini; ma
non volle però ad essi consegnare il segretario veneziano,
il quale fu, invece, da lui mandato prigione a Città di Ca-
i

(1) MACCHIAVELLI, Opere complete. Estratto di lettere ai X di Balìa.

(2 PogRcaccur, nel suo Commento alla « Storia d'Italia » del Guicciardini.

(3 Arch. di Stato fior.: X di Balia — Responsive. Registro 57. Lettera di An-
tonio Guidotti 8 Gennaio 1498 (n. s. 1499): « Nelle bande di Urbino erano state co-
mandate gran numero di cerne, alle quali, in saechetti lezati dietro alle spalle, si
dava 50 libre di farina per ciascuno, che la conducessino alla Verna et a Bibbiena ».

(4) PoRCACCHI, loc. cit.

(5) MACCUIAVELLI, loc. cit.



















324 En G. NICASI

stello, dietro istigazione del Fracassa, per potere avere la
taglia, che i Veneziani avrebbero sborsato, per la sua libe-
razione (V. Doc. 448). Anzi, essendo state mandate a Firenze
tutte le carte, che furono trovate in dosso al segretario sud-
detto, tra le quali anche la nota dei pagamenti da lui fatti
ai propri soldati, Paolo Vitelli chiese che fosse restituita allo
stesso segretario, per il quale quella nota era di somma im
portanza, mentre non aveva alcun valore per le autorità
fiorentine (V. Doc. 445). Inoltre lo stesso Vitelli domandò ai
Dieci che gli fosse inviato Scipioni Baldassare, connestabile
Veneziano, che, come narrammo, era stato fatto prigioniero
dai Vitelleschi alla presa di Montefatucchio, per poterlo cam-
biare con il proprio connestabile Olivierotto da Fermo, fatto
prigioniero dai Veneziani (V. Doc. 441). Ed infine lo stesso
Vitelli consiglió anche i Dieci a voler rilasciare il nipote di
Bartolomeo di Alviano, la cui liberazione, ad istanza dello
stesso Alviano, era stata richiesta dal Fracassa; ammonendo
che il Fracassa, per essere ormai vicino alla scadenza della
sua condotta con il duca di Milano, era prudenza non con-
trariarlo, perchè poteva diventare nemico pericoloso ; e per
ciò egli stesso aveva sempre cercato di mantenerlo ben di.
sposto verso la Repubblica fiorentina, e vi era riuscito (V.
Doc. 448).

Il tentativo di soccorrere Bibbiena fatto dai nemici per-
suase, ancora di più, il Vitelli ad affrettare la costruzione
del bastione al Calle del Villano, e lo spinse anche a fare
una grande tagliata di alberi, intorno a quel passo, per ren
derlo assolutamente impraticabile ai nemici. Ma per fare
ciò mancavano sempre denari, che, malgrado le insistenti
richieste, i Fiorentini non provvedevano che in quantità as-
solutamente inadeguata ai bisogni. Anche le genti disponi-
bili nel campo fiorentino erano in numero troppo insufficiente
all importanza delle fazioni da farsi, e Paolo Vitelli non ri-
stava un momento dal richiedere nuove fanterie: anzi av-
vertiva i Dieci che non stessero con la speranza dí avere



LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 325

dal duca di Milano i duemila fanti che gli avevano richiesti,
perchè sarebbe stato già molto se avesse potuto mandarne
cinquecento; e perciò li consigliava ad. assoldarli essi, senza
® attenderli inutilmente da altri (V. Doc. 446, 447, 450). E

| siccome in Firenze si cercava, dai nemici del Vitelli, di me-

-nomare l'importanza dell'ultimo successo da lui ottenuto
«sui nemici al Calle del Villano, attribuendone il merito in
gran parte al Fracassa e aggravando la perdita di Olivie-
rotto ed altri pochi soldati vitelleschi avuta in quello scon-
tro, il Vitelli scrisse il 23 gennaio 1499 al Tarlatini ristabi-
lendo la verità dei fatti, sia in quanto si riferiva all'impor-
tanza della preda, che aveva impedito il rifornimento del
nemico, sia per ciò che concerneva la prigionia di Oliverotto,
avvenuta, non per virtù dei Veneziani, ma per causa della
nebbia, che aveva impedito il vederli, sia in fine, per quanto
spettava di merito in quell'impresa al Fracassa, che si era
mantenuto a rispettosa distanza dalla ‘mischia. Però racco-
mandava al Tarlatini che del contegno del Fracassa in
quello scontro non tenesse parola con alcuno, e che lasciasse
a piacere cianciare i nemici, in quantochè a lui « bastava
dl fare, chè il dire lo lasciava al costume loro »: anzi vo-
leva che il Tarlatini sfuggisse di parlare con Bernardino
Tondinelli, segretario del conte Rinuccio — sempre pronto
a magnificare i meriti del proprio padrone ed a deprimere
quelli del Vitelli —; e lo consigliava ad astenersi di par-
lare. « di queste cose cum lui » e « cum gli altri » (V.
Doc. 448).

I provvedimenti del Vitelli contro i nemici mettevano
il cainpo veneziano del Casentino in sempre maggiori stret-
tezze, tanto che Paolo Orsini, di notte tempo, con circa 660
cavalli, abbandonó Montalone e, sfuggendo all'aecerchiamento
nemico, giunse, a traverso enormi difficoltà, in vicinanza di
Verghereto; ma, raggiunto ed attorniato da quelle popola-
zioni, ebbe molti dei suoi soldati uccisi e fatti prigionieri,
prima di potere riunirsi alle genti del Ramazzotto, manda-





































326 G. NICASI

togli incontro dai Veneziani per fare spianate, onde facili.
tare loro il cammino (V. Doc. 449). Questo fatto riaccese
più vive le critiche dei nemici del Vitelli, i quali, non ai
provvedimenti di lui, ma al patriottismo di quella popola:
lazione facevano risalire il merito dello scacco dato ai ne
mici: ed il Vitelli ne era irritatissimo.

Abbiamo visto, nel capitolo antecedente, che Luigi XII,

nuovo re dei Francesi -—— ormai deciso a tentare la conqui-
sta del ducato di Milano — cercava di avere suoi alleati in

Italia il Pontefice, i Veneziani ed i Fiorentini. Il Papa, per
dare uno stato temporale al proprio figlio Cesare, aveva
aderito a quell’ alleanza; anche i Veneziani si mostravano
disposti ad entrarvi; ma i Fiorentini, pur dichiarandosi
pronti ad unirsi in lega con la Francia ed il Pontefice, si
erano rifiutati, non solo di confederarsi, ma di far pace con
i Veneziani, se prima questi non avessero loro restituito
Pisa. In verità i Fiorentini avevano sempre veduto nella
repubblica di Venezia la più temibile competitrice della loro
repubblica, e per ciò non volevano confederarsi con i Ve-
neziani; ma anche verso la Francia ed il Pontefice erano
molto diffidenti, sia perchè quella, sotto Carlo VIII, li aveva
ingannati nelle loro speranze di riavere Pisa, sia perchè
l’altro, il Pontefice, aveva negato a Firenze quei soccorsi
tante volte e così largamente promessi. Perciò i Fiorentini
si sentivano mal disposti a prendere partito per il nuovo re
di Francia contro quel duca di Milano, che, solo tra i poten-
tati d’Italia, aveva preso apertamente ed efficacemente le
loro difese nella presente gnerra contro Venezia: anzi una
buona parte dei cittadini di Firenze avrebbero desiderato
di schierarsi risolutamente con Milano contro la Francia. Non
si arrese però Luigi XII alle prime difficoltà incontrate; ma,
volendo ad ogni costo riuscire a riunire seco Firenze e Venezia,
da una parte insistette vivamente presso i Veneziani perchè
sospendessero le armi contro i Fiorentini e deponessero Pisa
‘nelle sue mani, dall’ altra parte assicurava i Fiorentini che, LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 327

‘ge avessero essi pure acconsentito alla sospensione delle
ostilità, avrebbe loro riconsegnato Pisa poco dopo (1). Anche
il Papa si sforzava persuadere i Veneziani a voler desistere
dalla guerra contro Firenze; però voleva che consegnassero
Pisa, non nelle mani del re, ma nelle sue (2). Si aprirono
trattative in proposito, mai Fiorentini, diffidenti del Re e del
Papa, imposero ai loro ambasciatori che, quando i Veneziani
avessero accettato di depositare Pisa, usassero diligenza per-
chè fosse depositata in mano di Paolo Vitelli — che, per
essere soldato della Repubblica e ligio alla Francia, aveva
la fiducia dell una e dell'altra — ovvero fosse consegnata
Pisa al collegio dei Cardinali, che la dovesse restituire den-
tro il tempo stabilito a Firenze, senza esservi bisogno dell'as-
senso del Papa (3).

Il duca di Milano — che, per sturbare gli accordi di
Venezia con il Re, aveva suggerito ai Fiorentini di chie-
dere che i Veneziani dovessero restituire Pisa — ora che ve-
deva la pratica avviata, faceva il possibile perché non si
conducesse a buon termine; in quanto che — sebbene desi-
derasse, che, per togliere Pisa ai Veneziani, fosse quella ri-
consegnata ai Fiorentini — pure non voleva che questi la
riavessero per quella via, che conduceva Firenze ad allearsi
con Venezia e con il re di Francia, contro di lui. Per ciò,
allo scopo di rompere ed intralciare le dette trattative, si
dette a favorire la nuova pratica di pace fra Firenze e Ve-
nezia, promossa, come dicemmo, dal duca Ercole di Ferrara.
I Fiorentini, sempre più legati al duca di Milano, aderirono
‘a queste nuove trattative, ed essendo essi oramai « in fer-
missimo proposito » di avere con lo stesso duca di Milano
« ogni fortuna comune » (4), mandarono, fino dal 24 dicem-

(1) GUICCIARDINI, Storia d’ Italia.

(2) MAccHIAVELLI, Estratto di lettere ai X di Balìa.

(3) BilonaccoRsI, Citato dal Porcacchi nel Commento al Guicciardini.

(4) Arch. di Stato ficr.: X di Balìa — Legazioni e Commissarie, vol. 24 pag. 50.
Lettera a Francesco Pepi oratore fiorentino a Milano dell’ 8 gennaio 1499.

328 . G. NICASI

bre 1498, il vescovo di Volterra — uno dei fautori dell’ al-
leanza con lo Sforza (1) — a Milano, con l’incarico di prender
parte alle trattative di pace, che si conducevano a Ferrara.
E queste trattative procedettero così attivamente, che i Ve-
neziani, sperando di potere lasciare l' impresa di Pisa a molto
migliori condizioni di quelle a loro offerte da Luigi XII, e
senza obbligo di sobbarcarsi alla futura guerra da quello
meditata contro Milano, si rifiutarono di consegnare Pisa
nelle mani del re di Francia (2), e dichiararono che sarebbero
stati pronti a stringere alleanza con lui, purchè non si fosse
parlato di Pisa. Spiacque questo proposito dei Veneziani al
Re, tanto più che li sapeva disposti a ritirarsi per accordo
da Pisa, e conoscendo le trattative di Ferrara, temette di
‘ perdere l’ alleanza di Venezia e di Firenze ad un tempo;

sicchè pensò di collegarsi con l’imperatore Massimiliano,

nemico dei Veneziani, e ruppe con questi le trattative.
Questa decisione di Luigi XII spiacque al Pontefice, ed

a tutti i vecchi partigiani dei Francesi in Italia, i quali te-

‘mevano una possibile riconciliazione tra il duca di Milano
ed i Veneziani, che avrebbe compromesso quella sperata fu-
tura preponderanza dei Francesi in Italia, dalla quale atten-
devano tanti vantaggi ai loro privati interessi. Ed il figlio
del Pontefice, ed il cardinale della Rovere, ed il Triulzio, e
quanti altri italiani si trovavano alla corte di Francia, cerca-
vano di far recedere il Re dai suoi propositi, consigliandolo
a voler trattare con i Veneziani, senza far parola di Pisa (3).
Ma la rottura tra Luigi XII e Venezia spiacque in modo spe-
ciale ai Vitelli, dei quali, fino da quando si credeva immi-
nente una nuova discesa di Carlo VIII in Italia, abbiamo cono-

(1) MACCHIAVELLI, Opere complete. Estratto di lettere dei Dieci « In questi
tempi si mandò a Milano il Vescovo di Volterra (Soderini) procurato da questi (fio-
rentini) che pensavano alla conservazione di Milano ».

(2) Arch. di Stato fior.: X di Balia — Responsive, vol. 57, pag. 14. Lettera di
Francesco Gualterotti, oratore a Roma, 8 Gennaio 1499. :

(3) GUICCIARDINI, Storia d’Italia. :

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

sciuti gli ambiziosi propositi e le grandi speranze; propositi e
| speranze rinnovatesi, non appena si seppero i progetti del
‘nuovo re di Francia contro il ducato di Milano.

Paolo Vitelli temeva egli pure una possibile alleanza tra
Venezia e Milano, che avrebbe potuto tenere in iscacco le forze
francesi, tanto più che non gli era ignoto come una buona parte

"dei Fiorentini fosse disposta ad unirsi con Milano contro la
— Francia. Egli non solo volle che Cornelio Galanti, suo rappre-
sentante alla corte di Francia, unisse la sua voce a quella de-
gli altri italiani per sconsigliare il Re dal rompersi con Venezia,
«ma — capitano di ventura, e per ciò uomo di pochi scrupoli —
pensò d’intervenire direttamente nel dibattito. Sapeva il Vitelli
- ehe, con il prossimo mese di maggio 1499, scadeva la sua con-
dotta con la Repubblica Fiorentina, e temeva che le influenze
dei potenti partigiani del suo competitore Rinuccio da Marciano,
il risentimento di molti commissari di campo da lui contra-
| riati, il malcontento dei contribuenti fiorentini per le enormi
spese della guerra, che a lui venivano imputate, e la diffi-
denza che il suo passato di soldato francese generava nei fau-
tori dell’alleanza con Milano — i quali erano oramai in gran
prevalenza nella città — avrebbero potuto causare la sua non
riconferma nel grado di Capitano generale dei Fiorentini
per il nuovo anno; e anche se fosse stato rieletto, avrebbe
corso pericolo di dovere sostenere il duca di Milano contro
l’esercito francese. Erano note al Vitelli le tristi condizioni fi-
nanziarie della Repubblica fiorentina, l'impossibilità nella quale
si trovava di sostenere più a lungo la guerra, l’ineluttabilità
per lei di una prossima pace, e forse di un alleanza con Vene-
zia: sapeva anche il Vitelli che alcuni, e non degli ultimi,
cittadini di Firenze non sarebbero stati alieni di trattare
anche con i Medici (1); e volle approfittare di queste a lui
favorevoli circostanze per impedire ad ogni costo la temuta
alleanza di Firenze, Milano e Venezia contro la Francia. Per

(1) CiPoLLA, Preponderanze straniere, pag.













330 G. NICASI

ció Paolo Vitelli, segretissimamente, fece sapere al Provve-
ditore veneziano, che si trovava a Castel d' Elci, essere egli
pronto a rimettere i Medici in Firenze, purché Venezia
avesse contribuito, a metà con Piero dei Medici, a pagare
la sua nuova condotta, alle medesime condizioni di quella
che aveva attualmente con i Fiorentini. Aderirono i Vene-
Ziani, a patto che i Medici, ritornati in patria, venissero ad
un componimento con i Pisani (V. Doc. 454); e siccome pre-
meva a Venezia di stringere la nuova condotta del Vitelli
prima di prendere una definitiva deliberazione intorno alle
trattative di pace in corso, così mandava istruzioni detta-
gliate in Castel d’ Elci al proprio Provveditore ser Jacopo
Venerio, acciocchè, con quanta prontezza gli fosse possibile,
fissasse tutte le modalità della nuova condotta (V. Doc. 455).
Ma intanto Luigi XII, mosso dai consigli del Pontefice e de-
gli altri italiani, residenti alla Corte, propose ai Veneziani
di stringere insieme alleanza, senza tener parola di Pisa; ed
essi accettarono: di modo che il 9 Febbraio 1499, fu in An-
gers concluso l'aecordo tra Venezia e la Francia (1).
Quest'aecordo non interruppe le segrete trattative tra i
Veneziani ed il Vitelli, le quali si protrassero anche durante
il marzo (2), tra Messer Cherubino di Benedetto, abitante al
Borgo Sansepolcro e connestabile del Vitelli, che per co-
mando di questi si recò a Castel d’Elci, ed il Provveditore
veneziano ivi dimorante. Però, in conseguenza dell’accordo
tra Venezia e la Francia, il Vitelli aveva oramai raggiunto
eran parte dello scopo prefissosi nell'offrire la sua spada a
Venezia; e questa, con le trattative di pace tra lei, Milano,
e Firenze — che dopo il sopradetto accordo si erano fatte
molto più attive, per essere andato, il 17 marzo, a Venezia

(1) MACCHIAVELLI, Opere complete. Estratto di lettere ai X di Balìa, vol. I,
pag. 299.

(2) Arch. dl Stato fior.: Deliberazioni. Signori e Collegi. Registro 101, pag. 94.
Sentenza contro messer Cherubino, in data 19 ottobre 1499.





LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 331

] duca Ercole di Ferrara per affrettarne la conclusione (1) —
era ormai certa di potere levarsi di dosso l' impresa di Pisa
^a buoni patti: sicchè la pratica tra il Vitelli e Venezia co-
minciò ad intiepidirsi, e quantunque tra essi si fosse già in
massima d’accordo, fu sospesa e non ebbe altro seguito (2).
Intanto le operazioni di guerra erano proseguite ed i
Fiorentini, che ben conoscevano quanto il Vitelli fosse indi-
gnato per le critiche, che si facevano pubblicamente in Fi-
renze, contro il suo modo di condurre la guerra nel Casen-
tino, gl indirizzarono, il 28. gennaio 1499, una lettera apo-
-.]ogetica, nella quale enfaticamente si numeravano e si ma-
gnificavano eli splendidi successi da lui ottenuti contro il
nemico, e lo eccitavano a condurre presto a termine la glo-
riosa impresa (V. Doc. 451). E Paolo Vitelli, ringraziando,
si dichiarava pronto a far da sua parte il possibile per dar
l’ultimo colpo al nemico, purchè gli si mandassero i denari
necessari per il soldo suo e degli altri connestabili, e gli si
inviassero i nuovi soldati richiesti, tanto più urgenti in quanto,
per i preparativi che facevano i nemici a Castel d’ Elci, era
ormai da ritenersi certo un ultimo loro tentativo per soccor-
rere Bibbiena (V. Doc. 453). Nel frattempo si era arreso ai
Vitelleschi Chiusi, e l' Alviano era stato costretto ad eva-
cuare l'Émportante posizione della Verna; di modo che ai
Veneziani non restava che Bibbiena, ed alcune forti località
vicine, dove si erano agglomerate le genti del duca di Ur-
bino, di Astorre Baglioni, dell’Alviano; e dove si trovavano,
con essi, assediati Giuliano dei Medici e Pietro Marcello prov-
veditore veneziano.

(1) CipoLLA, Preponderanze straniere, pag. 767.

(2) Arch. di Stato fior.: Lettere ad ambasciatori della Repubblica 1499. Clas. X,
Dist. I, n. 103. Lettera diretta agli Ambasciatori fiorentini a Parigi. in data 10 otto-
bre 1499. « Messer Cherubino, ,... al tempo che lui era l' anno passato alla Pieve a
Santo Stefano, havea ad Caste’delci .... praticato et ferma condocta nova (per il Vi-
telli) con soldo di 50 mila ducati et titolo di Governatore, durante ancora la con-
dotta nostra: la quals (nuova condotta) non ebbe effetto per la introduzione dell’ac-
cordo fatto di poi a Venezia ».

G. NICASI

Paolo Vitelli avrebbe voluto sloggiare il nemico anche
da Bibbiena, ma, sapendo che il conte di Pitigliano avea
raccolto a Castel d’ Elci un forte esercito e minacciava di
passare l'Appennino, fece rassettare le mura di Montefatuc-
chio (V. Doc. 459), e fortificare le più adatte posizioni intorno
a Bibbiena, e lasciati in quelle convenienti presidii, per
impedire un possibile tentativo all’ Alviano di sfuggire al-
l’assedio, si portò con il grosso delle sue genti a Pieve Santo
Stefano, da dove avrebbe potuto facilmente accorrere a sbar-
rare il passo al conte di Pitigliano. Però, per le tarde prov-
visioni dei Dieci, l’esercito fiorentino si trovava in cattive
condizioni: difettavano le vettovaglie; mancavano gli strami
per i cavalli; non si dava il soldo alle truppe; ed i Com-
missari erano assillati dai connestabili, che chiedevano i
denari per le loro compagnie. Paolo Vitelli, il Fracassa, Vi-
tellozzo, Giampaolo e Simonetto Baglioni, il conte Checco da
Montedoglio, e tutti i principali comandanti dell’esercito fio-
rentino, tennero una riunione, nella quale esposero ai Com-
missari l’ impossibilità di continuare l'impresa in tali condi-
zioni, assicurando che, se dai Dieci non si facessero subito
i richiesti provvedimenti, non solo non si sarebbe ripresa
‘Bibbiena, ma si sarebbe perduto il territorio ricuperato (V.
Doc. 456). Paolo Vitelli, inoltre, con ripetute lettere al Tar-

latini, protestava energicamente contro questo stato di cose,

e declinava ogni responsabilità per il futuro, tanto più che
egli, chiedendo i denari, non chiedeva che il suo, perchè
era in credito di grossa somma dalla Repubblica, per ser-
vizi suoi e delle sue genti non ancora pagatigli; e minac-
ciava che, se non gli si spedivano subito i denari e non si
fossero fatti dai Dieci i richiesti provvedimenti, sarebbe con
tutte le sue genti tornato a Città di Castello, e avrebbe là
cercato di provvedersi come meglio avrebbe potuto (V.
Doc. 451, 458).

Questo risoluto linguaggio scosse i Dieci, i quali promi-
sero di fare il possibile per contentarlo; ed il Vitelli, rabbo-

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 335

ito, prometteva che, « quando dal canto loro » i. signori
jorentini facessero « le provvisioni ragionatamente richie-
steli », e lo avessero posto in grado di potere « sfamare »
i suoi « poveri soldati », avrebbero costatato essere egli
pronto à fare il possibile per condurre a termine l'impresa;
ma non dovevano peró pensare che l'espugnazione di Bib-
biena si potesse fare con pochi fanti, sostenuti dalle bande
organizzate dall' abate Basilio, come i Dieci suggerivano, per-
ché, invece, sarebbero occorse molte genti per stringere
l'assedio di Bibbiena ed impedire, al tempo stesso, l' invio

dei soccorsi agli assediati (V. Doc. 460).

Se poco favorevoli erano le condizioni dell'esercito fio-
rentino, addirittura disastrose erano quelle delle genti del-
lAlviano, e degli altri capitani assediati in Bibbiena. Il duca
di Urbino ammalato, vedendo impossibile poter più oltre
provvedere al sostentamento di tanta gente, quanta ne era
convenuta in quella Terra, chiese al Vitelli ed ai Commis-
sari fiorentini un salvocondotto per potere uscire da Bib-
biena con le sue genti. Il Vitelli ed i Commissari, di comune
accordo con gli altri principali comandanti, ritenendo che la
partenza delle genti del duca di Urbino, se pure poteva
rendere meno grave la mancanza di vettovaglie agli altri
assediati è Bibbiena, avrebbe però tolto a questi un largo
numero di coadiutori nella difesa di quella Terra, lo conces-
sero. I Dieci si dolsero con i Commissari che quella delibe-
razione fosse stata presa, senza prima averli consultati, ed
ordinarono ai medesimi, che, se le modalità del salvocon-
dotto non fossero ancora state formulate, vi si dovesse in-
cludere queste condizioni: « Che il duca debba trarre da
Bibbiena tutte le sue genti comandate, et altre se ne avesse
al soldo: et che prometta in questa guerra » non offendere
più la Repubblica « a nessun modo con lo stato suo ». Impo-
sero inoltre ai Commissari che dovessero sorvegliare accio-
chè, « nel numero delle sue genti, non fusse nè Giuliano
dei Medici, nè il Provveditore veneziano », perchè non vo-

384. G. NICASI

levano fosse dato ad essi alcun salvocondotto, per essere,
luno « rebelle » alla Repubblica, e l’altro « non potersi
comprendere sotto il nome di gente del duca di Urbino »
(V. Doc. 461). Però, avendo poi saputo che il Duca, in con-
seguenza del ricevuto salvocondotto senza le desiderate con-
dizioni, era partito con gran parte delle sue genti, mentre
Giuliano dei Medici ed il Provveditore veneziano erano re-
stati in Bibbiena, scrissero ai Commissari che non parteci-
passero ad alcuno quali sarebbero state le condizioni, che
avrebbero essi desiderato incluse nel salvocondotto suddetto,



sia per non fare vedere che essi avevano disapprovato quanto
i Commissari, per consiglio del Vitelli e degli altri capitani,
avevano deliberato; sia anche perchè desideravano che. il
Duca di Urbino, ritenendosi beneficato dalla Repubblica,
fosse « contento portarsi, nelle imminenti occorrentie, con
quella modestia che sarebbe conveniente ad la qualità sua
et dello stato suo » (V. Doc. 462). 1

Intanto i Fiorentini avevano riconfermato, con l’ in-
tervento del duca di Milano, la condotta al conte Rinuc-
cio di Marciano, che era scaduta, assicurando il Vitelli,



per mezzo di Tommaso Tosinghi, che il conte sarebbe stato
obbediente agli ordini di lui (V. Doc. 463); ed avevano
richiesto al duca suddetto tre mila fanti, o almeno i denari



per poterne essi condurre duemila (V. Doc. 460). Il Duca,
che cominciava oramai a sentirsi stanco di questa guerra,
mandò al campo fiorentino Messer Galeazzo Visconti, accio-
chè de visu si rendesse certo della necessità, o no, di que-
sta spesa. Nel frattempo il conte di Pitigliano mosse a Ca-
steldelci le sue genti, facendo dimostrazione di volere final
mente tentare davvero il passaggio dell'Appennino per soc-
correre Bibbiena; ed il Vitelli, che da Pieve Santo Stefano
stava pronto a contrastargli il passo, ritenendo imminente
una grossa battaglia, volle attorniarsi, in quel decisivo ci-
mento, dei suoi migliori soldati; ed avendo ricevuto da
Firenze un qualche rinfrancamento di denari, scrisse a Jacopo










































LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

el Rossetto a Castello, che approntasse i 500 fanti che
veva prima richiesti; e che, insieme a quelli, conducesse
con se il fratello Giovanni, Cesarino Tarlatini, Pietro Paolo
Fucci e Michelangiolo Cordoni, uomini tutti nei quali egli
veva la più completa fiducia (V. Doc. 464). Ma il conte di
‘Pitigliano, saputi i preparativi del Vitelli, e avendo innanzi
a se l'Appennino, che era carico di neve, non si senti da

nto di poter giungere al soccorso di Bibbiena, e quantun-
tal 5 ’
que fosse stato provvisto da Veneziani di un forte esercito,

non ebbe il coraggio di tentare l'impresa.
Era giunto in quei giorni al campo fiorentino messer
Galeazzo Visconti; ed i Dieci, nel presentarlo con lettera a
Paolo Vitelli, eccitarono nuovamente questo ad espugnare
Bibbiena, ora che, se non in tutto, almeno in parte, avevano
fatto i provvedimenti richiesti. Ma il Vitelli, con un ela-
borato piano di guerra, che sottopose all'esame di Messer Ga-
eazzo, dimostró che, per impadronirsi di Bibbiena, e guar-
darsi, al tempo stesso, da un possibile tentativo di soccor-
rerla da parte del conte di Pitigliano, occorrevano 5000
fanti (V. Doc. 465 e 466); e che, se in Bibbiena fossero re-
stati viveri solamente per dieci o quindici giorni, non si
doveva tentare di espugnarla, perchè, a suo credere, sa-
rebbe stajp soltanto necessario il fare ciò, quando gli asse-
| diati avessero avuto viveri sufficienti ancora per qualche
mese. E consigliava di accordare salvocondotto, per l' uscita
da Bibbiena, a qualche donna, od uomo, di quella Terra, per
potere essere bene informati da quelli sulla quantità dei
viveri ivi rimasti (V. Doc. 467); e che, intanto, si doves-
sero provvedere le necessarie munizioni, e specialmente i
denari per i fanti, acciocchè « non disertassino e passassino

al nemico » (V. Doc. 468).

Messer Galeazzo condivise completamente il parere del:
Vitelli, e giudicò che, per ora, non fosse assolutamente da
tentarsi l'espugnazione di Bibbiena, tanto più che si era
















G. NICASI



336

saputo essere restati pochi viveri in quella Terra (V.
Doc. 469).

Più forti che mai risorsero allora in Firenze i clamori
del popolo contro il Vitelli, dalla cui bravura si attendeva
più che da qualunque altro capitano. Le critiche al proprio
operato urtavano terribilmente il Vitelli; ed Antonio Cani-
sani, commissario al campo fiorentino, avvertiva i Dieci,
essere necessario « obviare al dir male del capitano »: ed
essi, in data 16 marzo 1499, rispondevano, che erano dispia-
centi « di tale licentia in modi disonesti di lingua » del
popolo fiorentino, ma che non sapevano come ripararvi,
quantunque fossero disposti a contentare in tutto il Vitelli ;
e che speravano che lo stesso Vitelli si dovesse convincere,
< che queste calunnie nascono da huomini otiosi, ignari et
plebei, a quali, poichè la natura ha tolto el potere et saper
fare, volliono dire almancho, et dire male »; mentre i mi-
gliori tra i fiorentini lo amavano e tenevano in gran consi-
derazione (V. Doc. 470).

I denari intanto scarseggiavano sempre più nel campo
fiorentino, ed i Dieci erano impotenti a provvederne degli
altri. Le fanterie, sprovviste del soldo, chiedevano che, al-
meno, si fornissero ad esse i viveri necessari. I Commis-
sari, per non vedere abbandonare il nuovo bastione dai sol-
dati, che lo avevano in custodia, si erano ridotti a mandarvi
ogni giorno il pane necessario ed il vino, che si facevano
dare a credenza da quelle popolazioni ; il medesimo si dovè
fare per i soldati che erano a guardia di Scintigliano, per
i 200 fanti recentemente venuti da Perugia, e per le genti
ducali, che si trovavano a guarnire Gello, Frassineto, Cor-
rezzo e Montefatucchio; e scarseggiavano i muli e le altre
bestie necessarie per queste vetture; e le popolazioni erano
stanche e recalcitranti alla somministrazione delle vettova-
glie, senza essere pagate. Il Vitelli, e Messer Galeazzo Vi-
sconti protestavano vivamente (V. Doc. 471): anzi il Vitelli
dichiarò risolutamente che, se fra tre o quattro giorni non LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 391

li fosse mandata qualche provvigione di denaro, non vo-
endo perdere la compagnia, che oramai era in dissoluzione,
"avrebbe abbandonato l'impresa (V. Doc. 472).

Per altro anche i nemici si trovavano agli estremi: ed
jl 27 marzo, durante la notte, circa 400 fanti abbandonarono
Bibbiena, e approfittandosi che le genti duchesche di Filip-
pino del Fiesco, poste alla guardia di Gello, stavano rinchiuse
nelle case e trascuravano le scolte, riuscirono a passare inos-
servati vicino ad esse, ed a trarsi in salvo per il giogo del-
l'Appennino, con gran disappunto del Vitelli, che sperava
averli in breve fra mano (V. Doc. 473). I Dieci vollero ap-
profittare di questo nuovo assottigliamento dei difensori di
Bibbiena, per istigare ancora una volta il Vitelli a tentare
d'impadronirsi di quella Terra; ed egli, in una lettera del
:3 aprile 1499, si dichiarò pronto a tentarne l’ espugnazione,
o per scalata, o per qualunque altro modo, che fosse rite-
nuto opportuno da messer Galeazzo Visconti, e dal Com-
missario di campo fiorentino, che, a tale scopo, si erano
recati ad ispezionare quelle località; ma chiedeva che gli
‘fossero date le forze necessarie per fare tale impresa, e
specialmente i denari, la cui mancanza era tale che, se,
dentro la settimana, non gli fossero stati spediti, il campo si
| sarebbe ibvitabilmente disciolto, inquantoché erano tutti
mancanti del più stretto necessario per vivere, ed egli
stesso aveva dovuto impegnare tutte le sue personali ar-
genterie per sopperire ai più urgenti bisogni (V. Doc. 475,
476, 477).

Il Duca di Milano, intanto, allarmato dell’ accordo in-
tervenuto, come dicemmo, tra Francia e Venezia, volle —
per potersi più liberamente preparare alla guerra che
Luigi XII gli minacciava — togliersi di dosso l'impresa
| del Casentino e, per ciò, si mise ad affrettare con ogni suo
potere le trattative di pace, che si discutevano a Ferrara,
obbligando, con lusinghe e minaccie, i Fiorentini a fare al-
Fettanto. Ma i Veneziani, vista la fretta del duca nel vo:

22













338 G. NICASI

lere la pace, si facevano ogni di più esigenti sulle condi-
zioni di quella, sicchè le trattative suddette procedevano in
mezzo a tante difficoltà, che il Vitelli, temendo che non si
potesse per allora venire alla conclusione della pace, fa-
ceva più vive istanze che mai per avere denari, perchè nel
campo fiorentino era, per mancanza di quelli, cominciata
una sì larga diserzione, che, a guardia dei recuperati ca-.
stelli, non restavano ormai « che le muraglie » (V. Doc. 478).

L’andata però a Venezia del duca Ercole di Ferrara
affrettò talmente la conclusione delle trattative di pace, che
Piero dei Medici, disperando omai di potere con l’aiuto dei
Veneziani rientrare in Firenze, cercò, per mezzo del suo
fautore Pandolfo Petrucci, Signore di Siena, riallacciare con
il Vitelli la sopita pratica, per essere da lui rimesso in npa-
tria con le armi. Ma Paolo Vitelli, avendo appreso che il
Petrucci aveva a tal scopo invitato il Tarlatini ad un se-
greto abboccamento fuori di Firenze, gli proibì di recarvisi,
dandogli solo facoltà di ascoltare un qualunque messo che
Pandolfo gli avesse potuto inviare a Firenze a questo scopo;
e prescrivendogli queste precise istruzioni: « Attenderete a
retrarre il più che possete, et dire come da voi; ma non

toccate, nè mettete inante per modo viruno parentela alcuna,
et non venite a particolare nissuno; anzi atendete, come è
detto, a retrarre:'et de tucto ne darete pieno adviso » (V.
Doc. 413). Evidentemente il Vitelli non era piü disposto a
correre l'alea di una restaurazione forzata dei Medici, ora

che egli vedeva assicurata la tanto da lui desiderata unione
di Venezia con la Francia, e notava un certo raffredda-
mento nei Fiorentini verso il duca di Milano, da cui essi
si ritenevano poco tutelati nelle trattative in corso con Ve-
nezia (1). Il Vitelli aveva saputo subito approfittare con
molta abilità di questo cambiamento dell’ opinione pubblica

(1) GUICCIARDINI, pag. 115: « Presse i fiorentini cominciava già ad essere so-
specta la interposizione del Duca ».

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

a

iorentina, che aveva fatto riprendere il sopravvento in Fi-

: nze ai fautori della Francia, i quali, per il suo passato di
Jdato francese, vedevano di buon occhio il Vitelli (1); ed

iveva cominciato, per mezzo del Tarlatini, a fare riservate

rattative con i cittadini più influenti, per ottenere la ricon-
erma della sua condotta con la Repubblica, non solo col
rado «attuale, ma con quell'aumento di soldo, che i pre-
stati servigi gli davano, secondo la consuetudine allora vi-
rente, diritto di chiedere. Ed in ciò era coadiuvato da
Messer Galeazzo Visconti che, soddisfatto della deferenza

‘usata sempre dal Vitelli, durante tutta la campagna di guerra,
«verso i comandanti delle genti duchesche, che si trovavano
nell’ esercito fiorentino, credeva di avere in Paolo un fu-
turo appoggio per il duca di Milano. Ma il Vitelli accettava
la efficace cooperazione del Visconti presso le Autorità fio-

entine, non voleva, però, legarsi affatto col duca di Mi-
«lano, per non compromettere la « buona conditione », che
perava « dare ai casi » suoi, presso i Francesi, qualora la
guerra progettata da Luigi XII contro quel duca, avesse
avuto effetto (V. Doc. 482). Per ciò nelle istruzioni, che
«dava al Tarlatini per trattare la riconferma della condotta

on la Signoria di Firenze, gli raccomandava di non fidarsi
Ee di moltf persone, ma solum cum uno o doi », del cui at-
"taccamento ai Vitelli non si potesse dubitare; e facesse in
modo che la ricondotta fosse conclusa dai soli Fiorentini, senza
il concorso del duca di Milano, perché esso, Paolo, voleva
‘essere « obbligato » solo a quelli, e non « a doi »; però
usasse la massima prudenza, acciocché « a nissuno modo
‘venisse a li orecchi del Duca » che i Vitelli fuggissero e

ifiutassero « stare a li serviti soi »; se poi il Duca avesse

(1) Si noti nel documento 482 la fiase: « Si el numero de li amici moltiplicare,
ome Scrivete, ci doverà giovare ecc. » da cui si vede che, appunto le mutate con-
izioni dell'apinione pubblica fiorentina, portavano di conseguenza l' aumento degli

amici del Vitelli.















340 + NICASI

voluto contribuire, lui pure, all'aumento del soldo dei Vi-
telli, questi lo avrebbero accettato, purchè, possibilmente,
non fosse fatto ad essi obbligo di servigi’ verso il Duca me-
desimo. Tutto ciò però doveva essere trattato « cum dex-
trezza et modo secreto, et con demostratione sempre con
Messer Galeazzo che » i Vitelli erano <« dispostissimi verso
la excellentia del Duca etc. » (V. Doc. 479).

Il Vitelli richiedeva per nuova condotta, 150 uomini
d'arme di aumento dallattuale, intendendosi compreso in
essa anche Vitellozzo, il quale, diceva Paolo, per i suoi me-
riti, avrebbe dovuto avere per se solo una condotta di 150
uomini d'arme, perché la Republica ne aveva assegnati 250
al conte Rinuccio, del quale Vitellozzo non era punto infe-
riore per doti militari; e qualunque altro potentato eli
avrebbe dati anche 200 uomini d'arme; come avrebbe po-
tuto, col fatto, far vedere, se i Fiorentini gli avessero dato
facoltà di assumere condotta presso altri; cosa peró che
egli, Paolo, per il bene della Repubblica, non si augurava
(V. Doc. 480).

Ma intanto, essendosi venuti, tra i rappresentanti dei P
Fiorentini, del duca di Milano e dei Veneziani, ad un com-
promesso in Venezia, in forza del quale si rimetteva al-
larbitrato del duca Ercole di Ferrara lo stabilire le condi-

zioni di pace, questo, il 6 di aprile 1499, emise il lodo, nel

quale si stabiliva :

che, dentro otto giorni, si dovessero sospendere le
ostilità ;

che, dentro il 25 dello stesso mese di Aprile, le genti
di ciascuna delle parti belligeranti dovessero lasciare Bib-
biena e gli altri luoghi occupati, e ritirarsi nei propri stati;

che i Veneziani dovessero in quel medesimo giorno
uscire con le loro genti da Pisa e dal suo territorio, rice-
vendo in compenso dai Fiorentini 180 mila ducati, pagabili
in 12 anni;

e che Pisa dovesse ritornare all'obbedienza di Fi-

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

‘enze, con prestabilite modalità, tendenti a mitigare nei Pi-
ini gli oneri della sudditanza ai Fiorentini.

Il lodo fu respinto dai Pisani; ma, sebbene a malin-

ore, fu accettato dai Veneziani, dal duca di Milano e dai
riorentini. Anzi, questi ultimi, per affrettare il giorno del-
imposta sospensione delle armi, scrissero, l’11 aprile, ai
ropri Commissari di campo che facessero intendere ai Prov-
editori veneziani di Casteldelci e di Bibbiena, essere essi
disposti a « cessare dalle armi », anche immediatamente,
purché loro pure avessero fatto altrettanto; ed ingiunsero,
inoltre, agli stessi Commissari, qualora la proposta fosse
Hi ccolta, di offrire al Provveditore veneziano, assediato in
Bibbiena, « tutti quelli commodi che fussero possibili per
"mostrare la « buona dispositione » dei Signori Fiorentini
verso la Signoria di Venezia. La proposta fu accolta; le
ostilità furono sospese; e Giuliano dei Medici se ne appro-
ttó per uscire indisturbato da Bibbiena.

I nemici del Vitelli addebitarono a lui la liberazione di
Giuliano; ma egli, con sua lettera del 14 aprile diretta al
Tarlatini, ristabili la verità dei fatti, narrando come, il Prov-
veditore veneziano ed il conte di Pitigliano, avessero fatto
sapere, ai Commissari di campo fiorentino ed a Messer Ga-
leazzo, g che, non ostante ne la triegua se contenisse che

oro potessino andare et retornare securi », pure, « prega-

ano loro Signori che lassassino passare Giuliano » dei Me-
"dici. Il Visconti ed i Commissari tennero consiglio intorno
al concedere, o no, il permesso a Giuliano di uscire da Bib-
biena e risolsero di accordarlo, « per non dare alteratione
ai capitoli » della tregua: anzi, nel timore che il detto Giu-
liano potesse essere nel cammino offeso dagli uomini del
5 - paese, gl’ inviarono per scorta l'abbate Basilio Nardi, al
quale, dietro loro richiesta, il Vitelli aggiunse sei dei suoi
cavalli: nessuna responsabilità quindi spettava a lui di que-
sto fatto (V. Doc. 485).
1 Ormai la guerra era ultimata ed il Vitelli chiedeva in-

















342 . G. NICASI

sistentemente alle Autorità fiorentine le stanze per i suoi
soldati, dicendo di non potere più oltre trattenerli in quelle
località, disertate dalla guerra, dove « era stato tutto con-
ssumato » (V. Doc. 483), e dove non si trovavano più nè
strami, nè « sarmenti », né cosa alcuna per i cavalli (V.
Doc. 484); e siccome i Fiorentini volevano liquidargli il suo
soldo, non in tanto oro, come era stato pattuito, ma in
grossi, con grave suo scapito, scriveva al Tarlatini che as-
solutamente rifiutasse qualunque pagamento che non fosse
in oro (V. Doc. 474). Non poteva, difatti, il Vitelli accettare
anche la più piccola riduzione del suo stipendio, perchè, in
quei giorni, si trovava in tali strettezze finanziarie, che, non
solo aveva dovuto farsi prestare i denari necessari per ot-
tenere in Roma la elezione di suo fratello Giulio a vescovo
di Città di Castello, ma dovette fino prendere a credito le
stoffe occorrenti per il nuovo abito vescovile di messer
Giulio (1).

(1) Paolo Vitelli aveva, da vario tempo, mandato il tifernate Francesco Fe-
riani suo rappresentante a Roma, per mettere in moto tutte le possibili influenze
onde ottenere al proprio fratello Giulio, protonotaro apostolico, il vascovato dl Città
di Cast Illo, in sostituzione di monsignor Ventura Bufalini, vescovo allora di quella
Città. I maneggi del Vitelli non furono infruttuosi, perché, nel marzo 1499, ebbe la
promessa che, nel futuro Concistoro, che doveva tenersi verso la fine del prossimo
aprile, messer Giulio Vitelli sarebbe stato promosso vescovo, purché . per quell’ e-
poea si trovassero a disposizione del Feriani suddetto ducati 3000, per le spese oc-
correnti a quella promozione. Paolo Vitelli, che si trovava a corto di denari, scrisse
subito al Tarlatini, perché gli trovasse in Firenze, chi mandasse per lui a Roma
« unà promessa di banco di 3000 ducati » (V. Doc. 474). Sembra che Giuliano Gondi
gli procurasse, anche questa volta, i denari richiesti (V. Doc. 482): ma non essendo
Stati questi sufficienti a cuoprire tutte le spese necessarie per quella circostanza,
ebbe altri 400 ducati in prestito, per pochi giorni, dal Cardinale Orsini. Sicché Vitel-
lozzo, per incarico del fratello Paolo, ordinò al Tarletini di fare provvisione in Fi-
renze di altri 600 ducati, dei quali. 400 dovevano restituirsi a » Monsignore Ursino »,
ed il resto doveva servire « per lo spacciamento delle bolle et anche per il panno,
cappelli e rocchetto per Messer Giulio » (V. Doc. 4860). Ma poi si pensó che, per
facilitare la ricerca del denaro, fosse meglio comprare a credito dai negozianti di
Firenze le stoffe necessarie per il nuovo abito da vescovo di messer Giulio, e cer-
care in prestito solamente la somma strettamente necessaria per tutte le altre
spese: e così si fece per non ritardare la spedizione delle bolle per il nuovo ve-
scovo (V. Doc. 487). In tal modo si poté finalmente ottenere che nel Concistoro dei
17 aprile 1499 Giulio Vitelli fosse eletto vescovo di Città di Castello e monsignor
Ventura Bufalini venisse traslocato al vescovato di Terni.

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 343

Giunse finalmente a Paolo Vitelli l’ ordine di condurre
le sue genti alle stanze; ed egli, lasciata Pieve Santo Ste-
fano, distribuì le sue genti, parte sul territorio di Foiano,
parte in quello di Arezzo, e parte nelle vicinanze di An-
ghiari: dopo di che se ne ritornò a Città di Castello.

















G. NICASI

APPENDICE II

338."* (D. le. XXII. 116). Firenze, 1498, Maggio 91.

D.no Guidantonio [Vespuccio] et d.no Francisco Pepio oratoribus apud
Ducem Mediolani.

Per le presenti ci accade significare come questa mactina hab-
biamo adviso dal Commissario nostro di Ponte di Saccho che, intendendo
li nostri inimici, in numero di circa 100 tra stradiotti et cavalli leggeri,
essere cavaleati verso la maremma et tornarsene indrieto con una
grossa preda, parse a decti nostri d'afrontarsi con loro, et lo feciono
eon tale animo et ordine che ruppero la maggior parte di loro et ha-
»vevano recuperato buona parte della preda. Ma I' inimici, havendo soc-
corso da Pisa di cirea 150 huomini d'arme, vi si trovavano, li quali
per fianco assaltarono e nostri, et trovandoli stanchi et non molto ad
ordine per il conflicto dato a’ nemici, furono buona parte di decti
nostri constrecti, non potendo resistere, mectersi in fuga, et persequi-
tati dall' inimici, ne furono presi alchuni, et di huomini di capo, per
quanto intendiamo sino ad hora, solamente Giovanni della Vecchia, el
Capitano Guerrieri franzese et alchuni feriti et morti dall'una parte et
dall'altra. Il Commissario nostro generale et il conte Renuccio si erano
riducti in Sancto Regolo etc.

339. (Ep. II. 150). Città di Castello, 1498, Maggio 22.

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatinia.

Meser Corado, noy questa matina per questo cavalaro havessimo la
vostra de’ xxj a hore xv, per la quale vi raportavate ad un’ altra vostra
mandata per fante proprio. Et poco distante ne recevessimo una de’ xx
et de’ hore 3 de nocte. Et licet non ce paresse che la fusse conrespon-
dente a quella de hore xv, tamen, per qualche retracto se era facto dal
primo cavallaro a bocca, benchè non li prestassimo molta fede, pur

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

resolvessimo a fare comandare le genti d'arme et fanti et dare princi-
pio a mecterle in ordine, per aviarle, presuponendo el bisogno. Venne
di poi el secondo cavallaro cum la lettera de la resolutione ; et poco
poy arivò il fante cum l’altra de lo aviso de la rotta, a la quale voy
ve reportevate. Et infine, essendo noy già resoluti non mancare a uno
simili bisogno, dovete credere che dopo lo aviso del beneficio ricevuto
"nessimo molto piü aeesi in la dispositione nr.a. Et in effecto; ficti li
debiti regratiamenti cum tucti cotesti Ex.i Magistrati de l'honoranza

ad noy concessa, li farite intendere che, per quanto le forze et inge-
gno nostro se destenderanno, ne sforzarimo rendere gratitudine cum
una sincera fede et perfecto animo, le quali suppliranno dove per im-
| possibilità mancassino l'opere. Et domatina, cum el nome de dio, co-

minciarimo ad aviare le fantarie, cavalli legierj et le genti d’arme. Vor-
rasse che voy solecitate la expedietione del denaro a ciò le possiamo
in camino per avanzare tempo spacciare. Et che, a ciò noy habbiamo
da stare contenti a tucto, racomandate a cotesti Ex.si S.ri lo interesse
de li S.ri Balioni, quali noy desideramo che sienno, non tanto preser-
vati in le conditioni loro, ma augmentati, perchè è a comuni proposito.
Similmente le pregarite tenghino de mano a li S.ri Ursini che non
habbino a precipitare, che ce doleria a core, et non ce prodegiaria la
grandezza n.ra, quando le vedessimo ruinare et non le potessimo aiu-
tare. Non mancarà a cotesti ex.i S.ri trovare di mezi de conservarle
in stato et in dignità, et quando per altro respecto non si movessino,
faccino per la servitù li portamo, che merita omni cosa dale S.rie loro
Ex.e, a le quali istantissime ne racomandarite. Et li farite intendere
che questo luoco non ce faria come è dieto prode, et non starissimo
contenti, sigli S.ri Baglioni non fussero preservati in le condictioni loro,
ymo havarissimo gran piacere che, dato tempore, le fussino augmentate.
_ El S. Pavolo Ursino, a la giunta del secondo cavallaro, quale
arivó eum lo aviso del titulo, et cusi a l'arivata del fante che portò la
lra de lo aviso de la rotta del Conte Ranuccio, se trovava qua, et in-
teso el bisogno de cotesti S.ri, se resolvè molto amorevolmente, contor-
tandone a li loro favori, et dolendose apresso non se trovare a ter-
mine, «et havere le genti d’arme sue in luoco che anche lui se potesse
operare in benefitio de cotesta Ex.a Repu ca. A la quale come è dicto
lo raccomandarite cum tucta la casa et la pregarite che non voglino
mancare d’aiutare le cose loro, per tucti li versi cognosceranno expe-
dienti, a ciò non habbino a ruinare, che non ce comportaria l’animo de
patirlo et de non far omni demostratione per preservarle in dignità et
Stato. Et anche quando le S.rie Loro descuriranno, poteranno de facili
iudicare che siria alieno dal proposito loro. Bene valete.











346 G. NICASI

340. (Ep. II. 136). Città di Castello, 1498, Maggio 24.

Paolo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone, e sonno arivati qui fine a heri sera Giuliano Gondi,
Agnilo Pandolfini et M.er Corado et portati duc. 5.mila de’ grossi, che
sonno una fraga in bocca a l’orso. Et per Dio, si non fusse che noy
vedemo testi Ex.si S.ri in extremo abisogno, non ce sirissimo mossi
cum sì poco denaro; ma non havemo voluto guardare a nissuno n.ro
interesse, et fare più presto l’offitio de’ servitori che de’ soldati; et cusi,
non senza sinistro de la conpania et n.ro, havemo a questa hora in-
viata parte de la gente d’arme et fantarie, et conducerimone le nostre
persone cum mille o mille doicento fauti, 200 cavalli legieri et 140
homini d'arme. Trenta.ne havimo promissi al S.r Pavolo Ursino; in
luoco quelli, infra 20 di o un mese, ne conducerimo altratanti; et lo
havemo apresso servito de 500 fanti, non ce parendo posserli mancare.
La partita n.ra dequa cum el resto de le genti d'arme sirà, d.no con-
cedente, dopo dimane, et verrimo a la via de Monte varchi per voltare
a la via de Pisa. Voi hora atendarite a sollecitare el denaro, et fate
omni extremo conato de cavare el servito et l'inprestanza, che sapete
ne trovamo a termine et in modo indebitati et agoluppati che non pos-
semo fare senza; pensate che per levare le gente d’ arme, quali se
erano indebitati a le stanze, siemo stati necessitati in molti luoghi dare
cautione a creditori de la conpagnia, che altramente non se possa-
vano levare senza alteratione. Iterum vi prego solecitate il danaro et
portatecelo incontro cum omni possibile celerità. Et recercate testi
Ex.mi S.ri che ci voglino acomodare, che cedarà a beneficio loro, de
cento archibugi, et havendoli li manderite a la volta n.ra in su muli.
Solecitate, solecitate de provedere al denaro. Bene valete.

341. (D. Imi. LVIII. 129). 1498, Maggio 96.

Iuliano de Gondis.

Per le tue de 24 restiamo bene satisfacti di quanto ne scrivi delle
gente d'arme et fanterie di cotesti M.ci Vitelli, et noi dal canto nostro
sollecitiamo la provisione del danaro et faremo in modo che circa questa
parte haranno lo intento loro. Per hora ci accade dirti che solleciti la
venuta loro et perchè, essendo come sai la Città nostra infecta di pe-
ste, non ci pare approposito che la venuta di coteste gente sia a dirittura
inverso la Città, dove venendo et alquanto soggiornando, non si sap-

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 941

iendo simili gente contenere ne stare a riguardo, potrebbono causare
qualche contagione, il che non sarebbe punto approposito delle cose

ostre : et però le addirigerai pel Chianti et per la Valdelsa, per quelle
‘vie che dieno mancho sinistro si può a nostri cittadini et subditi, et
così procurerai che li Capi, che le condurranno, che nel passare si por-
tino costumatamente in modo, che in questa parte anchora ne restiamo
da loro benissimo satisfacti. I xxv muli per levare le artiglierie si
mandano da qui et sono inviati.

B49. (D. le. XXII. 190). 1498, Maggio 96.

D.nis Guidantonio Vespuccio et Francisco Pepio oratoribus Mediolani.

.... Noi, oltre al havere con celerità provisto le terre et luoghi
delle colline et di quelle circumstantie, et allo havere mandato in campo
Benedecto de Nerli nostro collegha con somma di danari, per il mezzo
dei quali intendiamo già essersi messi ad ordine buona parte de nostri
che furono fugati et presi, vi mandammo di Pistoia et delle montagne
buon numero di fanti. Et oltre ad ciò commectemmo a Vitelli che man-
dassino subito li 200 balestrieri a cavallo, et conducessino 1000 provi-
gionati de’ loro, che sono experti et bene armati, et con celerità l’ in-
viassero in quel di Pisa, et appresso le loro Magnificentie con li loro
huomini d’arme ne venissino quanto più presto potessino. Et acciocchè
lo facessino più pronptamente, et che le genti d’arme ci troviamo si
potessino adoperare con più ordine et obedientia che non s’è facto fino
ad hora, Wèr le cagione che vi sono note, habbiamo concesso al Mag.co

. Paulo Vitelli titolo di Capitano generale sopra le nostre genti d’arme.
La qual cosa intendiamo esserli stata gratissima et per questo essere
| promptamente disposto ad far, con tucta la gente ci è obligato et con
ogni suo sforzo, amplamente el debito suo; et di già ha cominciato
ad inviare de' sua cavalli leggeri in quel di Pisa, et continuamente
sequita di mandare li provvigionati insino al numero di 1000, come di
sopra [è decto]. Et la persona sua fra 4 di si debbe trovare qui con
quelli huomini d’ arme fussino restati della condocta sua, et facto la
cerimonia di darli il segno del capitanato, ne andrà subito verso il
Ponte ad hera, dove anchora si doverà trovare qualche numero di bale-
| Strieri a cavallo, che speriamo trarre di Romagna, in modo che in bre-
| vissimo le cose nostre in quel di Pisa saranno totalmente riordinate,
che non dubitiamo di essere in alchun modo soprafacti.









348 G. NICASI

343: (Ep. IL. 178); Urbino, 1498, Maggio 28.
Giacobbe Spirensi. [astrologo| a Paolo Vitelli.

Mag.ce Domine sui post recognitionem debitam etc. Recepute lit-
tere de v.a Magnifica S. réspondo ehe non posso trovare per brevità
de tempo più comodi del partire di vo. S. de casa da Castello che
mercordì proximo che viene, a hore dodice de horilogio, et così par-
tirvi et recevere el bastone de li S. Fiorentini in Kalende de Giugno,

a hore dodice ; et questo cum diligenza omnino è da observare. De
l’altre cose ne scrivo a pieno a ser Paulo, che, se si porà seguire
quello lì serivo, vederà Vo. S. che ne sequirà asa' optimo proficto.
Recomandomi sempre a Vo M.a S. parato sempre a li suoi comandi.

344. (Ep. II. 131). Quarata (Arezzo), 1498, Maggio 30.
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Mag.ce vir Eques deaurate ete., bavemo ricevuta v.na vra de dì
28 del presente, a la quale imprima rispondemo circa la parte princi-
pale del di per lo pigliare del bastone, per venerdi mattina, che, secondo
m.o Antonio nostro, in tal di se ricercaria essere in facto ad hore xv
in eirea et per questo, veduto el brieve termine, pensamo per tal di
questo essere impossibili, per dieta hora in spetie; et fora del termine
non è bene. E quando li S.ri X si contentino de la n.ra venuta, ad ef-
fecto per conferire per le facende di loro S.ri, poterimo pigliare partito
al venire et conferire, perchè dal venerdì impoi m.o Antonio ne fa in-
tendere non ce essere cosa a proposito fine a domenica ad otto se-
quenti. Quando loro S. si contentino, inteso che haverimo le voluntà
loro et facto apunctamento, ce ne possemo andare a la via n.ra a le
genti d’arme et fanterie, quali indirizamo a la via verso Pontedera,
dove per uno di determinato et hora congrua, per Commissari adció
deputati con debita commissione et mand.to, poteranno loro S.ri man-
dare in nello exercito el bastone; che non seria però manco de autorità
darlo in campo che altramente: pure quando questo non si contentino,
o non li paia di potere per quello dì, che sia oportuno venire in Fio-
renza et satisfare a loro S.ri, che l’ uno e l’ altro di questi modi qual
più li sia grato satisfarà a noi benissimo, et de tucto darite aviso.

Ala parte de li Ursini renderite gratie a loro S.ri de la licentia
gratissima de l'andare, et de poi farite intendere a quelle che 'l sia
necessario, non solum oportuno, che loro S.ri se risentino per quelle

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

vie più ydonee et possibile, come per più volte havemo facto intendere
quelle, de dare via che la Casa Ursina non vada in questa disfac-
tione, come la va, perchè per nesuno modo noi poterissimo mai restare
quieti nè di bona voglia, quando tal caso occorresse et nè mai poteris-
"simo servire loro S.ri di buona voglia nè contenti, se non si desse
omni opera che la Casa Ursina non vada in questo basso, come. per
effecto si vede dato principio: et a questa dechiaratione vi mandamo la
| pre.te lectera che noi havemo dal S.r Paulo Ursino, a ciò possiate an-
che voi comprendere; el che ne fa stare asai di mala voglia, atenta la
parentela et amicitia n.ra con Casa Ursina et patire di vederla ruinare.
Crediate, et similmente loro S.ri credino, che ripensando molto bene, nè
a loro S.ri nè a noi ne porria seguire se non dampno et interesse
grandissimo ; però darite omni diligente cura a fare che tale effecto si
‘faccia con le ragioni in mano, come saperite fare.

Item farite intendere a Cerbone che li m.e ducati hauti le mandi

prestamente per modi fidati et al resto solécitate di haverli ; et de tanto
quanto farite darite aviso. Et cosi, facte le mostre et havute le vere
quantità de le genti a cavallo et piedi, de tucto darite aviso et presto.

A la parte de miser Chriaco non mancharimo per modo alcuno
de farli careze et honore, per quanto specti ad noi, et dal canto nostro
simo disposti a questo effecto, et piacene l'ordine vostro a fare careze
et servitio a tucti li homini da bene.

Insuper mandarite tucte l’ arme et quelli archibusi che sono da
mandare, et cavalli, se ce ne sono da vendere, quelli che si possa de
omni sorte, nè altro per questa.

Iterum solicitarite quanto più presto si possa di maudare li ar-
ehibusi, egnon falli.

345. (D. le. XXIII. 3). 1498, Giugno 6.

D.no Guidantonio Vespu^cio et F. Pepin (oratoribus Mediolani).

... Il Magnifico capitano è soprastato quì qualche di et hoggi si
è paxtito col resto delle sue genti si truovava qui; et interim non si è
perso tempo, perchè, oltre allo essersi adviato in quel di Pisa buona
parte delle sue genti d' arme, balestrieri et provigionati, si sono facti
con lui molti discorsi et ragionamenti circa il modo di procedere in
quel di Pisa, o del dare il guasto, o di fare impresa di Cascina, o di
Vico e di molte altre cose che occorrerebbono di farsi, et in effecto,
havendo ben discusso et esaminato tucto, si è judicato potersi male ri-
Solvere se prima epso Capitano personalmente non si truovi in quel di





350 G. NICASI

Pisa, dove, oculata fide, trovandosi in sul facto, col parere et consiglio
de nostri Commissarii et de Condoctieri, Connestabili, et altri capi et
persone experte et pratiche vi si truovano delle nostre, faccino quella
resolutione, la qnale sarà indicata proficua, riuscibile, et con più nostra
sicurtà sarà possibile ....

346. (D. r. LVII. 291). Capanne, 1498, Giugno 8.
Il Commisario generale Benedetto Nerli ai Dieci.

Magnifici Domini observandissimi ete. Siamo ad hore dodici et
troviamoci alle Capanne con tutto il campo, el Signor Capitano, el Si-
gnor Governatore, el Signor Ottaviano, el Signor Carlo dal Monte, le
gente Bentivogli et con tutte le forze nostre; andando in battaglia verso
l’inimici, habbiamo per doppi messi da Monte Castelli et da Lerone, et
per segni visti dal Pontedera d’ allegrezza, che li inimici sono levati
da Ponte di Sacho et vannosene alla via di Cascina. Seguitaremo no-
stro camino et alogiereno al Pontedera.

341. (D. le. XXIII. 11). 1498, Giugno 9.

Instructione a Piero Martelli mandato allo Ill.mo Duca di Urbino. De-
liberata die VIIII ut supra.

Andrai a trovare la Excellentia del Duca di Urbino ad Urbino o
a Gubbio o dove intenderai quella essere, et tranferitoti al cospecto
suo et presentatoli le lettere nostre credititie in te, dopo le salutationi
et cerimonie convenienti, exporrai alla Sua Ex.tia essere mandato da
noi per la medesima causa che a di passati mandammo Pietro Corsini,
della quale non intendendo esser seguito alehuna buona compositione
: 0 assecto, anzi, secondo intendiamo, ogni di farsi nuove provisioni et
apparati per venire ad qualche disordine, ne habbiamo dispiacere et

molestia non piccola; parendoci che le cose d'Italia siano al presente

in tanta alteratione et travaglio da dovere piü tosto porgere acqua per
spegnere il fuoco acceso, che legne per nutrirlo et ampliarlo. Nella
qual eosa non possiamo credere, essendo la Sua Ex.tia prudentissima,
che epsa non debbi assai ben considerare che, quanto piü li travagli
et perturbationi di Italia diventano maggiori, tanto più epsa etiam ha
da pensare per lo interesse suo et ragguardare che il fine di simili
actioni bene spesso è contrario o non corrispondente a quel disegno
che in principio li huomini per qualche loro spetiltà fanno. Subgiu-

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

enendole che il desiderio habbiamo di supprimere et sopire tali scandali
: et. alterationi, et l'affeetione habbiamo alla S. Ex.tia, fa le facciamo lar-
vamente intendere quel che conosciamo appartenersi et esser necessario
alla conservatione di Italia. Et se quella allegassi esser rimasto per li
Signori Perugini che la compositione non habbi sortito effecto, per non
-havere epsi acceptato il partito del concedere et depositare le tre for-
tezze per sicurtà de fuori usciti Perugini, come erano stati richiesti,
potrai rispondere che tali conditioni non si richiederebbono altrimenti
quando decti Signori Perugini fussino del tueto desperati dello stato
loro: ma, se per la S. Ex.tia s'introdurrà qualche modo o conditione
honesta, epsi Perugini non saranno per discostarsene. Et quando la
cosa così di presente non si potessi interamente effectuare o comporre,
conforterai la S. Ex.tia a operare che per qualche mese si facci su-
‘spensione delle offese, o triegua in fra loro; in che userai ogni dex-
*reza et diligentia possibile. Et quando a questo etiam non si consen-
tisse, finalmente, et pure con accomodate parole, le farai intendere che,
essendo noi in confederatione et buona amicitia con decti Signori Pe-.
rugini, quando non si cessi dal molestarli et offenderli, non siamo per
manchare dal debito offitio di buoni amici et collegati, per le obbliga-
tioni nostre et fede data loro, della quale secondo il nostro nationale
instituto et costume sempre siamo stati observantissimi, et cosi siamo
in fermo proposito di perseverare. Et questo 6 in sententia quel che
| hai a operare, nomine pubblico, colla Sua Ex.tia in una volta o in più
| come ti accadrà; cet di quello ritrarrai ci darai particulare notitia, et
È noi ti riscriveremo indreto quello ci accadrà debbi più oltre seguire.
Nel ritorno tuo ti transferirai insino a Perugia et referirai, in quel modo
ti parrà a proposito, a quelli Signori et Magnifici Baglioni quello harai
ritracto dal Duca: di Urbino.

948. (D. le. XXIII. 12). 1498, Giugno 11.
Oratoribus Mediolani

. Il Capitano [Paolo Vitelli] ne andò in campo et accelerò il

^
_ chavalchar suo et delle sue genti d’arme, intendendo per cammino come

le genti d'arme inimiche, à cavallo et appié quante se ne truovavano,
erano ite a campo a Ponte di Saccho, non stimando che il Capitano
andassi con tal seguito di gente che potessi offendere et impedire il

- disegno loro, et per questo stringevano assai la terra. Onde il Capitano,
con consultatione de Commissarii et condoctieri, trovandosi cirea 300
huomini d’arme et altrettanti balestrieri a cavallo et circa 1500 fanti













352 G. NICASI

assai bene ad ordine, anchora che la maggior parte, per havere solle-
citato il camminare, si trovassino alquanto stracchi, pure deliberarono
andare a trovarli per essere alle mani con loro, con speranza di torre
loro le artiglierie o di romperli aspectandoli: et così animosamente et
con grande ordine si adviorono verso Ponte di Saecho. Di ehe havendo:
notitia l'inimiei si levorono subito da campo, rimandando le artiglierie
havevano condocte verso Cascina; et con poco loro honore et quasi in
fuga furono costrecti levarsi dalla obsidione di decto luogho et ritor-
narsi verso Cascina et Pisa: et il Capitano si ridusse al Ponte ad Hera
con le nostre genti et quivi et ne’ luoghi circustanti si sono commo-
damente alloggiati. Non voliamo obmettere significarvi che in questo
acto si è trovato il Conte Rinuccio insieme al Capitano et molto amo-
revolmente si sono visti insieme et honorati l'un l'altro: della qual cosa
habbiamo havuto singularissimo piacere, parendoci essersi rimediato ad
un grande disordine, che ha dato impedimento grande insino ad hora

alle cose nostre.

.... Per quanto di nuovo intendiamo, il Duca di Urbino con le sue
genti et del Prefecto et di altri loro collegati si preparano a favorire
li fuoriusciti Perugini et stringere questi Baglioni, a quali intendiamo
hanno di già tolto alehun castello. Noi habbiamo rimandato al Duca di

Urbino uno nostro oratore a confortare et preghare sua Ex.tia che, per
obviare allo scandalo che potrebbe riuscire di questa impresa, sia con-
tento pensarla bene et farci qualche provisione et, quando altrimenti
non si possa, suspendere le offese per qualche mese. Dubitiamo non
facci molto fructo, perchè procedono a questa impresa molto gagliarda-
mente : et benchè la Santità del Papa habbi mandato per questa ca-
gione il Cardinale Borges suo legato con qualche compagnia di gente
d’arme, et che intendiamo metta in ordine il resto delle sue genti, di-
mostrando farlo [in favore] di questi Baglioni, non di meno, non sap-
piendo noi il vero fondamento di questa cosa, non possiamo farne al-
chuno vero judicio. Sforzerenci bene aiutare decti Baglioni secondo
potremo, anchor ci troviamo nei termini siamo, per la amicitia et con-
federatione habbiamo con loro. Et voi ricorderete et pregherete la Ex.tia
del Duca che scriva et conforti el Papa et il Duca di Urbino a fare
qualche buona compositione intra deeti Perugini, acciochè questo in-
cendio non trascorra più oltre.

Scrivendo habbiamo lettere di Roma al iuditio nostro alquanto
fredde; perchè il Papa, dopo tanta instantia facta delle Decime, si ri-
solve al concederle per un anno solamente; che non satisfa puncto al
bisogno nostro trovandoci in questi termini. Del mandare le galee del
Villamarina ad Livorno, come la sua Santità ne offerse sponte, et dello

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 353

comodarci il Signore di Piombino con le sue genti, dice volersene

rima intendere con cotesto Ill.mo Principe, per non essere il primo a

oprirsi contro a Viniziani. Et così la speranza havamo in Sua San-
‘tità comincia in buona parte a cominciar (sic) vana: restaci solamente

er nostro principal fondamento et refugio che cotesto ill.mo Principe

e subvengha et aiuti con li effecti et presto, secondo che voi scrivete
per questa vostra ultima de X havervi liberamente promesso ....

1349. (D. le. XXIII. 35). 1498, Giugno 25.

Oratoribus ad. Ill.um Ducem Mediolani

... Dall'oratore nostro mandato al Duca d'Urbino siamo advisati
che, el principal motivo del deeto Duca di havere ordinate le genti che
‘ha, è suto per volere mettere ad ordine le sue genti d’arme per trovare
miglior partito intendendosi essere colle decte genti presto et ad ordine

* (le quali intendiamo essere 200 huomini d'arme); et per dare loro la
prestanza ha isborsati circa ducati viii mila: et si risolve non potere
ridursi a compositione alehuna, senon in uno di questi tre modi : o di
rimettere li fuori usciti di Perugia, da’ quali l'a promesse grandissime;

0 di fare tal danno nel contado di Perugia, e pigliare tali castelli de

- loro che della recuperatione di epsi ne tragha la spesa ha faeta; o del
‘venire ad tale accordo nel quale si rienda satisfactione de’ denari sbor-
sati. Li quali modi haveva facto intendere al Cardinale di Boorges,
legato a Perugia, per uno vescovo che il decto legato li mandò: et
questo ultimo modo pare si tracti ‘per il decto legato, et presto se ne
doverrà intdàdere la conclusione.

1350. (Ep. II. 166). Calcinara, 1498, Giugno 29.
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Cerbone Cerboni.

i Cerbone, per più nostre vi s’è facto intendere in nel grande di-
Sordine nui ci retrovamo del dinaro, et si altre volte simo stati quieti,
simo stati in luogho dove havemo possuto gravare l’amico nostro, et
in questo modo temporegiare; hora simo qua et non avemo chi rechie-
dere d'uno soldo, si noi non richiedemo questi Casalini, et si pure aleuno
ce, è in bisogno più che noi : et etiam si altre volte senza dinari havemo

— haute queste gente d'arme a le spalle, hora havemo cum esse la com-
pania de li fanti; pertanto non mancarite de sollicitare et fare omni
opera noi haviamo qualche dinaro, quanto piü presto si po’.



3594 G. NICASI

Apresso vedarite d’havere cento ducati d’oro et distribuiretele in
questo modo, cioè : duc. 60 ne darite là a le murate, et a tueti queli
altri luoghi pii pararà ad voi, per elemosina, che preghino dio ci con-
servi le persone et honore n.ro, et ducati 40 mandarite a madonna (1)
a Castello et scrivetele le distribuisca al monasterio de S.ta Cicilia et
del Paradiso et dove altro parerà ad S. M. per ditto effetto ; et de quello
fate non manchi niente.

Apresso, non havendo dati voi li 100 ducati per le muragle de
S.ta Maria magiore (2), operarite se dieno non manchi.

Sollicitarite et metterite in ordine li conti nostri, se possino vedere
cum diligentia. Et vedarite si voi ci possete mandare 15 o 20 para de
barde, et mandatene qualche paio uno pocho giuste. Et posendosi ha-
vere 20 o 25 para de fiancali, etiam le manderite. Et mandaritece qual-
che giubone, et qualche paro de Calze, et non ne posendo havere in
grosso, mandatele a pocho a pocho, mentre si fanno; et similiter man-
darite de mano in mano qualche giornea, secondo le si fanno, per li
homini d’arme nostri ; et iterum vi pregamo sollicitate el dinaro, perchè

















simo assai magri d’un soldo. Altro non ocorre.



351. (Ep. II. 172). 1498 (3).



Instructione per Fiorenza.

Imprimis far intendere a li S. X. la venuta del S. Paulo Ursino :
et qualmente S. S. ce fa chiaramente intendare la Casa Ursina et tueta
parte Ghelfa se trovano a termine che, si se manea di subeurrerla di |




presente, nulla est redentio.

Item oferirli lo asicurarli per conto di P. dei Medici d’andare stagii
li proprii figloli et del S. Paulo et del S. Io. Iordano,

Item obferirli che re se adimanda licentia solum per un mese e
di poi tornarimo ad omni lor chiamata et richesta.

Item offerir ad lor S. che lor saranno quelli che haranno ad far











(1) Madonna Pantasilca Vitelli, madre di Paolo e di Vitelozzo.

(2) In quel tempo si costruiva in Città di Castelio la chiesa di Santa Maria
Maggiore, e Paolo Vitelli mandava 100 ducati per concorrere all’erezione delle mura
di quella chiesa.

(8) Mancano il mese ed il giorno, ma certamente questo documento fu scritto
verso la fine di giugno, o i primi di luglio del 1498. Non risulta neppure dal testo
a chi fossero inviate e da chi fossero scritte queste istruzioni: però il carattere col
quale è disteso il documento è quello del solito amanuense del Vitelli e le istruzioni
furono certo mandate o a Cerbone, o a Corrado Tarlatini.




































LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

nni asetto et acordo, cum tucte qualità et conditione che a lor S. parrà,

Do preservato lo honor et Stato di Casa Ursa.
Item che li Vitelli, ad ciò per la absentia loro le cose di Pisa non
ssaro danno, son contenti che le S. loro a quello obstaculo mectino
mille, millecinquecento e fino in duimil.a fanti, a spese et su li propri
| conti de dicti S. Vitelli, et son contenti per dicto mese non re curga
soldo alcuno ; et ad ciò che le S. loro siano chiari del ritorno ad omni
lor chiamata, li obferiscono darli in le mani lor figloli e nipoti, et, si di
paltro di de la andata loro si trovasse acordo onorevili, oferiscano

tornare.

Item che, al tornare, obferiscono, quando piacesse ad lor S., menare
uno o dui di la Casa Ursina cum cento o centocinquanta homini d'arme,
b spese et soldo di dicti S. Ursini, per uno o dui mesi, dirizandosi in-
sieme dove a lor Ex.e piacerà.

Item quando lor Ex.e non volessaro, non obstante che non habino
justa causa di dubitare, ateso che, a cautela di la observantia di le cose
sopradicte, re se obferisce li figloli di dieti S. Ursini et n.ri, preporrite
ad lor S. un altro partito: che si lor Ex. ci vogliano dar licentia a tucto,

- repromeetarimo star un anno sorte che non ci mectarimo cum altro
potentato, et a lor sia licito far nove conducte a lor piacere; obferendoli
al che laxarli, eioé farli pari di tueto, el servito che havemo ad haver
da lor Ex : ad le quale strectamente ce recomandarite, obferendoli per
sopradicte cose observare tucte cautele saparanno adimandare, che a

— mui siano possibili.

B52. (D. 1e. XXIII. 47). 1498, Luglio 5.
Oratoribus Mediolani [Guidantonio Vespuccio e F. Pepio].

Havendo, per questa vostra de 28 del passato, inteso quel che la
Ex.tia del Duca prudentemente havesse discorso con voi, di qualche
difficultà che restava nella condocta dello Ill.mo Marchese di Mantova,

‘| et presertim circa il titolo che quel Signore ricerchava per non dimi-
nuire della dignità et honor suo essendo stato capitano de’ Vinitiani ete.
et etiam quello che la prefata Ex.tia havesse disegnato per satisfarli,
che noi insieme con quella contribuissimo solamente al titolo: et an-
chorche noi habbiamo per costantissimo che la Sua Ex.tia habbi ma-
turamente a tucto considerato, come fa universalmente in tuete le sue
actioni, et che noi siamo disposti in qualunque occorrentia adherire a
Sua sapientissimi ricordi, et presertim dove non s'incorra in alchuno
manifesto pericolo |a che siamo certi epsa harà sempre ogni conve-









356 È G. NICASI

niente respecto] non di meno a noi sono occorse le medesime conside-
rationi che scrivete havere ricordate voi, videlicet d non dare per questo
acto occasione alchuna al Re di Francia di aombrare con noi, et di non
mectere il Capitano nostro in alchuna gelosia. Et se bene voi havete
assai bene justificata la prima parte, secondo la notula mandatane, et
etiam alla seconda per via della protestatione, come significate, pure,
havendo noi examinato bene l'una e l'altra parte, ci è occorso questo
in consideratione: che noi habbiamo per molte experientie conosciuto
che le cose in Francia non si misurano nè governano nel modo et forma
che facciamo di qua moi italiani : et di quì è nato che delle cose di là
rare volte ci siamo apposti. Et già la declaratione, che nella notula man-
dataci si contiene, di non intervenire in alcun modo contro a Franzesi,
doverebbe bastare, se la intendessino et judichassino a nostro modo:
ma noi dubitiamo che, come tal cosa s’intenda di là, della quale subito
li Viniziani daranno notitia alla S. Maestà per il mezo del Secretario
loro appresso di quella, et poi per li loro oratori mandati, et la expor-
ranno et aggraveranno altrimenti per darci carico che non è la verità,
per questo che la S_ Maestà non restringhi più la intelligentia con decti
Vinitiani, et maxime non manchando loro alla Corte amici et fautori
di auctorità; chè intendiamo nuovamente lo Arcivescovo di Roana, che
è de’ primi et di grandissima auctorità appresso di S. Maestà, è inchi-
nato assai alla volta loro. Et perchè noi conosciamo importare maxi-
mamente colla conservatione di Italia, et spetialmente di cotesto Ill.mo
Principe et nostra, et quando quella Maestà si restringessi troppo con
Vinitiani, per questo judichiamo, non solo essere necessario di obviare
ad ogni oecasione che producessi tal coniunetione di amicitia, ma di
usare ogni arte et industria per cansare contrario effecto. Et a tal pro-
posito non mancheranno efficacie et potente ragione, per le quale si
facci intendere alla S. Maestà Za natura et ambitione de Viniziani, lo
inordinato appetito di dominare, cercando non solum di subjugare Italia,
ma di ampliare per ogni via lo Stato loro, aspirando alla monarchia per
lo exemplo dei Romani, et etiam qual sieno state le opere et portamenti
loro verso la natione franzese, et quel che temptorrono pubblicamente
contro al Re defunto nel suo ritorno di Italia in Franza, che sono molte
ragioni et termini di natura da impedire ogni intelligentia et praticha
intrinseca che loro cerchassino tenere con Sua: Maestà. Noi non hab-
biamo a cominciare hora ad lastrichare la via a tal proposito, et non
siamo fuor d’opinione che, quando le cose fussino maneggiate per per-
sone prudenti et dextre, non si potessi introdurre qualche modo di as-
sicurare cotesto Ill.mo Principe delle cose di Francia; in-che veramente

consiste la conservatione et salute comune di Sua Ex.tia et nostra e -



LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

i tucto il resto di Italia. Et essendo noi intentissimi a questa opera,
ssiderremo conservarci il più ci fusse possibile quel tanto di pratica
eredito habbiamo con S. Maestà, non perchè ci confidiamo essere di
anta auctorità da potere noi medesimi condurre tale opera, ma perchè
conosciamo le ragioni essere si valide et efficaci a persuadere la cosa a
quella Maestà, che, desiderando epsa il bene universale, non si debbi

‘potere sperare doverne consequire se non qualche buon fructo : il quale

n vorremo impedire con fare una demostratione, la quale non

moi no
E. in tucto necessaria, o di grandissimo momento: et maxime po-
'tendosi provedere per altra via, come saprà la Sua Ex.tia facilmente
rovedere. Et non di meno, havuto lo adviso vostro sopra tal materia,
andamo Piero Guicciardini in campo al Capitano nostro principalmente
er intendere quelle particularità che voi desiderate, circa il pensiero
t disegno suo delle imprese che si possino fare di là, et se le genti
‘arme a cavallo et a piè si truovano lì, bastano per sequire il disegno
suo; et quando havesse commodità di fare qualche tracto rilevato che
'advisi quello li manchasse di gente o di altro. Et inteso distintamente
uesta particolarità li habbiamo commisso, dia dextramente notitia al
lieto Capitano del caso del titolo, nel modo et forma che da te a noi;
t s' ingegni d’intendere bene l’ animo suo intorno a ciò et che, iu-
| structo bene appieno d’ogni cosa, se ne ritorni.

‘353. (Ep. II. 183). Calcinara, 1498, Luglio 7.
Puolo e Vitellozzo Vitelli ad Antonio Albizzini e Cerbone Cerboni.

Amici &.r.mi com. Vene là Benedetto de Tanai de’ Nerli, nostro
‘comissario ; la causa et el perchè non haviemo possuto retrare : sti-
mamo sia per cosa importantissima. Hacci promesso fare favore noi

abbiamo dinari; pertanto sarite cum lui et sollicetaritelo cum omni
diligentia noi habbiamo qualche dinaro, quanto più presto è possibile,
perchè simo al verde; advisando voi miser Ant.o che de li mille dui-
ento ducati noi havemo hauti dal Comissario per conto de li fanti,
oi havemo dato uno ducato d’oro per fante, doi per caporale et tre
er Conestavile; et questi più hahemo dato a Conestavili et a caporali
ci manca per fenire de spacciare tucto el numero di fanti ; et in effetto,
dati tucti li 1200, restano a spacciare anchora più de cento fanti; sichè
i provedarite habbiamo qualche dinaro che, oltra che noi habbiamo
| havere de la paga de prima, havemo servito de questa, cum questi di-
mari, 15 dì. Pertanto farite omni opera da havere, a l’ hauta de questa,
almancho 200 ducati et mandarceli volando, per uno aposta, che ci sieno











358 G. NICASI

domenica sera, perchè qui sino adesso non havemo uno quatrino; et in-
fra tre o 4 giorni sollecitarite retrare qualche somma de dinari, et voi
messer Ant.o ve ne verrite eum essi; et de questo farite non manchi
per niente, perchè simo in grandissimo bisogno et necessità. Sollecitate
l’artiglaria minuta de bronzo et la caretta et li cavalli da tirarla. Et
sollicitarite tucta quelle cose vi s'é seripto; et mandarite presto li stu-
pini per li schiopetti. Apresso mandateci 100 para de calze de lino per
‘questi nostri fanti et fate sieno chiuse et non sieno calzoni; et manda-
tecela quante più presto possete.

Vi si manda uno pollitio qui intereluso, trovarite quello tale dice
detto bullettino, et pagatele quella quantità, et rescotete dette armi ci
si contengano, et de queste non mancarite, perchè questo fante è homo
da bene. Altro non ocorre.

354. (D. le. XXIII. 55). 1498, Luglio 10.
Oratoribus apud Mediolani Ducem.

... Pietro Guieciardini, il quale noi mandamo in campo al Capi-
tano, come vi significamo, tornó et ne ha referito una modesta et pru-
dente risposta factali il Capitano, circa alla parte del titolo, in questa
sententia: che, essendo una volta lui et li sua disposto "ad servire con
ogni amore et integrità di fede questa Repubblica, è costrecto, non so-
lum consentire, ma desiderare tutte quelle provisioni che porghino re-
putatione et aiuto alle cose nostre, come conoscie essere veramente in
facto quelle, che si fanno promptamente et si pensano di fare savia-
mente per la Ex.tia del Duca di Milano, iudicando che, quanto maggior
favore et migliore condictione haremo, tanto parrà a lui haver meglio
collocato il servitio suo. Et non di meno ricordava che ad 1’ honore
suo si havessi quella consideratione qual merita la fede et sua buona
dispositione verso di noi: la qual risposta habbiamo judicato essere
conveniente et degna alle singulari virtù di epso Capitano. Et perchè
più ci oblighi havere quache respecto a casi sua, hacci oltreacciò refe-
rito come, avendo epso Capitano bene examinati et considerati li pro-
gressi delle genti inimiche che sono in Pisa, ancorchè sieno di buon
numero a cavallo et a pie’, secondo la nota vi mandamo ultimamente,
non di meno non si diffida, anzi spera certamente poter fare qualche ri-
levato tracto; et ad potere mecterlo ad executione li pare havere huo-
mini d'arme et balestrieri a cavallo ad bastantia; vorrebbe solamente
poter valersi per due mesi di 4 mila buoni fanti vivi: et benché noi ne
habbiamo più che 8 mila a condocta, non di meno non stima potersi

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 359

: ere di pià che di 2 mila; che li mancherebbono 2 mila buoni provi-
nati, che metterebbe la spesa loro in due mesi 12 mila ducati; et spese
di artiglierie et di carri, et altre cose necessarie per condurle, circa a 12
ila ducati; et molte altre spese. Alla qual somma conosciamo difficil-
inte poter provvedere a tempo che basti per tale effecto, per essere
borse de’ nostri cittadini affaticate assai, et per havere a supplire a
pagamenti ordinari de’ nostri huomini d’ arme et balestrieri a cavallo
et fanti che montano il mese a ducati XXII mila, pure faremo ogni
diligentia ci sarà possibile. Ma, quando di decta somma fussimo ser-
iti per qualche mese, sian certi ne sequirebbe qualche buono effecto,
| rispecto allo animo et dispositione buona del Capitano, et al muoversi
con gran fondamento et consideratione a fare li disegni che lui pro-
pone. Parendovi da riferire alchuna cosa alla Ex.tia del Duca ce ne
rimettiamo liberamente a voi.

-355. (D. le. XXIII. 60). 1498, Luglio 12.’
Oratoribus Mediolani.

Hiersera vi scrivemo a lungho quello ci occorreva; per le pre-
senti solo ci accade advisarvi come lo accordo del Duca di Urbino
colli Perugini per mezo di Mon.s lo Legato ha havuto conclusione et
pare che Bernardino di Ruggieri possa ghodere tucti li beni et sub-
stantie sua, et habitare dove li pare, excepto che havere rieepto alehuno
con Signori Orsini; et Girolamo della Penna è restituito in posses-
sione di tutti li suo beni et può habitare in Perugia et dove li pare:
et al Ducaggli Urbino, in satisfactione delle spese ha facte, si paghano
ducati cinque mila, la metà al presente et l'altra metà in termine de
uno anno. Et il dicto accordo fu concluso il di medesimo et quasi nella
medesima hora, che fu quello in tra Colonnesi et Orsini, di che iersera
vi demo notizia. Per sicurtà della parte dei Perugini siamo offerti noi
et li Mag.ci Baglioni. Et altro al presente non ci accade significarvi.

356. (D. le. XXIII. 78). 1498, Luglio 28.

D.no Francisco de Gualterottis [Romae].

... Per vostro conforto ci aceade significarvi come, essendosi ac-
corto il Capitano nostro che le genti nimiche che sono in Cascina et
in Vico andavano qualche volta svolazando, hieri mattina, havendo
messe parte delle genti sue ad ordine, fece che una parte di loro as-









360 G. NICASI

saltò la scorta, quando li loro andavano al saccomanno, et furono alle
mani insieme in modo, che uscendo di quelli di Cascina per soccorso
delli loro, furono assaltati da altra banda dalli nostri, et finalmente rotti
et fracassati, et fuvi morto alchuni delli loro di conditione, in fra quali
fu uno messer Giovanni Gradanigo, gentiluomo viniziano et condoctiere
et fratello del Provveditore veneto che ultimamente partì da Pisa; et
presi alchuni huomini d’arme et balestrieri et molti fanti et più che
cento cavalli et assai muli da carriaggi. Et in conclusione è questo
stato il ricompenso del disordine che riceverono li nostri più di uno
mese fa, di chè si fe’ tanto rumore: et da questo principio speriamo
che le cose nostre sieno per procedere di bene in meglio.

357. (Ep. II. 259). Marsciano, 1498, Ago. 14.
Giovampaolo Baglioni a Paolo e Vitellozzo Vitelli.

Il.mi Domini Affines honorandi. Per havere reportato ad questi
di Ser Valerio, da li homini de le S. V. che io tenesse la mia condocta
cum testi Signori se farria intra pochi di, et anche per la ferma spe-
ranza che continuo le S. V. mi hanno data del medesimo, me ne sono
stato eum l'animo posato, ne’ ho cercato ne’ cerco altro; pure, ve-
dendo aproximare l'inverno et havendo la compagnia a le spalle, che
tueta volta mi consuma, et non vedendo altra mentione, qualehe volta
sto di malavoglia.

Le S. V. vederanno l'alligata lettera, la quale hebbi hiersera da un
che fo mio capo di squadra, al tempo che foi cum Venitiani; et io
eredo che sia la verità, perché el trovo per piü riscontri, et maxime
che tuetavolta piglia homini d'arme, et insino in hora se ne trova 117,
et tuttavia ne ferma assai, et anco ad questi di fo ad Perugia secreto
un figliolo de l’inbasciator venitiano che sta a Roma, et parlorono
insieme; et perchè so che Venitiani volevano di noi o tutti, o nisuno,
havendo hora preso lui solo, dubito che non habbi promesse molte
cose, che forse quando non siamo tutti ad quella volta, non le poterà
observare ; et questo il credo, perchè mi fa cum una grande instantia
pregare che voglie ancora io pigliar quella via ; et solo credo si facci
ad ciò, che, essendo insieme, porriamo fare de questo stato tucto quel
che ci piacasse, et altrimenti no ; io continuamente mi so excusato che
le cose mieie sono tanto inante cum Signor Fiorentini, che non le
posso ritrare, si che m’è parso per questo apposta sollecitare le Si-
gnorie Vostre che sieno contente e in questo senso l'ultimo re-
tracto; et caso mi conducessero, desidereria che la mia condocta di-

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 361

se incominciata in kalende d’agosto, per bon respetto per che ad
serria grande scarico per quel che ho detto. Et quando io sia ad
ti stipendij (ad parlare libbero et confidente cum le S. V.) vede-
anno che non poderò manco io disponere di questo stato in benefitio.
pg" Signori Fiorentini, che possa fare quell' altro in benefitio de' Si-
mori Venetiani (1) pur le prego che si sforzino farne resolution presto,
erchè quando testi Signori ci pasciessero di parole, et per questo
| passasse questa commodità del tempo, come le Signorie Vostre son
"state causa retenerme ad testo camino (havendo una volta li Signori
Dieci excluso l' homo mio), cusi harria iuxta causa dolerme di loro ; et
| serria una cosa che me doleria tanto, quanto potesse exprimere.
Io ho desiderato et desidero ultramodo servire testa Excelsa Re-
jubliea per molti respecti: l' uno per la naturale affectione et servitü
j havemo, havendola pur servita qualche anno; l' altra per trovarme
resso alle Signorie Vostre, cum le quale essendo io congionto de af-
finità et di tanta benevolentia crederia portarme in modo che ogni di
crescieria più l'amore; et anco me seria caro prendere quella strada
che han presa le S. V. Pure quando ció a testi Signori lo paresse che
Ja spesa di noy fosse inutile, desidereria el dechiarassero ad tenpo,
he non me fosse preiudicio, perché altramente serria un darme causa
—mi havesse a desperare. Non di meno son certo le S. V. faranno el
besogno secondo la mia speranza, et presto. Et ad quelle continuo mi
raccomando.

8. (Ep. II. 250). Calcinara, 1498, Agosto 14.
E a Si
Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico Currado: Noi havemo più et diverse volte facto inten-
ere a li Signori Dieci essere a gram proposito di quella Republica lo
avere Giovanpavolo a li servitj loro et mantenirse quello stato di Pe-

rusia amorevoli, et se mai fu tempo è oggi, per cose potteriano di novo
emergere, quale dio cessi; noviter le pregherite faccino tale opera et a
tempo non sia tarda, perchè chi ha a fare non dorme et quia semper
nocuit differre paratis; solecitate etiam cotesti fanti avenirsene presto ;

(1) Allude a suo cugino Astorre Baglioni che era in procinto di prendere con-
otta con i Veneziani e voleva persuadere Giovampaolo a fare altrettanto, per poter
Sieme, spinger Perugia ad unirsi con i Veneziani contro i Fiorentini.



























































362 G. NICASI

E

359. (D. loc. XXI. 168). 1498, agos. 16, XVI.
D.no F. Pepio.

Magnifice ete. Havendoci questa mattina in uno medesimo tempo — -
comunieato il M.co Ducale Oratore alchune lettere le serive la Ex.tia 3
del Duca et rendute le vostre lettere del xir del presente, contenenti li 3
medesimi effetti, della condocta conclusa a Vinezia del Duca d’Urbino ete.
et quello ne richorda et conforta la sua excellentia cirea al condurre il
Signor di Piombino et qualchuno di questi Ballioni a comune con quelle:
il che giudicando poi non solum a proposito, ma necessario, oltre
allo huomo mandato a dì passati a Piombino, vi habiamo mandato un
altro nostro cittadino experto, con commissione di conchiudere tale con-
doeta nel miglior modo et forma et con più vantaggio comune si potrà ;
.... così si è commesso la condocta di Giampagholo Ballioni nel mede-





simo modo.

A Siena, n dì fa, per li richordi della prefata Ex.tia, mandammo
uno nostro secretamente a Pandolfo Petrucci. .... Hoggi habiamo scripto
di nuovo al decto mandatario, che stringha con Pandolfo di fare a ogni
modo qualche conclusione et che aoperi che omnino sia vietato il passo
alle genti del Duca di Urbino et qualunque altra gente dei Veniziani
lo recercassino per passare in favore dei Pisani contro a noi. ....



360. (D. le. XXI. 182). 1498, Agosto 21.
Braccio de Martellis oratori Jenue.

« .... Da Roma s'intende che, oltre lo havere Viniziani condocto
il Duca di Urbino, come ti significamo, havevono anchor per condocto
Messer Astorre Baglioni con 150 huomini d’arme. .... Il campo nostro
uscì domenica alla campagna et benchè, per le spianate faete il dì da-
vanti, monstrassi volere andare alla volta di Cascina, nè ito alla volta
di Vico, con tucto lo exercito ordinariamente, colle artiglierie et altri 5
ministri bellici et s'é posto in mezo tra Vico, il Bastione, et Buti, per
battere in uno medesimo tempo in più di uno luogho: havendo man- i
dati, la sera davanti, circa 3 mila fanti per ‘insignorirsi di quelli poggi 3
et così feciono, rebuttando alchune genti de nimici che cercarono impe-
dire il disegno loro. .... Truovansi in campo nostro circa 750 huomini
d'arme et circa 950 tra cavalli leggeri et Balestrieri a cavallo et circa
5500 fanti vivi, et circa 3 mila persone o più vi sono trapelate da luoghi








circostanti ». .... LA FAMIGLIA VITELLI, BCC. 363

|. (D. le. XXII. 123). 1498, Agosto 21.
Guido de Manuellis | Commissario Plumbini].

.. Il Campo nostro si adpresentó avanti hieri a Buti, et non si
olendo adrendere, subito cominciorono ad trarre; et questa mattina si
sono dati ad hore 15 a diseretione de' Commissarii et del Capitano.
rocedono alla expugnatione del Bastione et di Vico et per farlo con
jù sicurtà, fanno uno bastione sopra Vico et uno a Sancto Giovanni
"della Vena, ben fossato: et per questo sperono in brevi di obtenere il
‘bastione et Vico; poi procederanno in un medesimo tempo all’ impresa
della Verrucola et di Libra facta per tagliare il passo, chè genti ini-
amiche non accedino a Pisa per via di Luccha o di Lunigiana.

369. (D. lc. XXI. 202). 1498, Agosto 28.
D.no Francisco de Pepis.

. Di campo abbiamo questa sera adviso, come questa mattina

il Capitano mandò circa 300 fanti in Val di Calci, i quali si sono insi-

gnoriti di tucta quella valle et preso et fornito il castello di Calci; et

expugnavono il bastione di Vico et speravano haverli in poche hore,
et Vico apresso in buon tempo speravono obtenere ». .

CL) (Bi Vo Buti, 1498, Agosto 26.
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

.Misser Curado, havemo una vostra de’ 22 del presente et visto
quanto ne scrivete: circa el caso de misser Astorre, ad noi pare voi
faciate intendere a testi signori che cum effetto faccino a quelli s. Ba-
gloni vechi, et etiam a missere Astorre, che per niente non voglino
obligare lo Stato a nisuno altro: che sanno la obligatione hanno cum

P

(1) Con la lettera B indicheremo tutti quei documenti che nell'archivio di Stato
orentino sono compresi tra le carte deil'aequisto Alberti-Bagni, fatto recentemente
al Governo. Tra queste carte si trovano varie lettere che i Vitelli ed altri scrive-

Vano a Corrado Tarlatini nel 1498 e 1499, e che lo stesso Tarlatini portó seco nella
a fuga da Firenze, dopo l’arresto di Paolo Vitelli. Così queste carte, dopo più di
Uattro secoli, sono state riunite all’altre che i Vitelli, nei due anni soprodetti,
rivevano allo stesso Tarlatini ed a Cerbone Cerboni, e che furono, come dicemmo,
uestrate a quest'ultimo nell'arresto da lui subito, dopo la morte di Paolo Vitelli.








































964 . G. NICASI

quella excelsa Repubblica : et etíam quando misser Astorre non fusse
in tueto fermo, lo faceino recercare ali servitii loro: che non saria se
non a grandissimo proposito de la impresa, et etiam per avere quello
Stato tucto libero et senza alcuna contrarietà: et in questo ce parria
loro signorie ci usassero omni bona diligentia :
n Circa Giohan Pavolo ci piace de quanto havete facto : sollicitarite
la sua expeditione quanto ve sarà possibile.

A la parte de li 365 milia ducati si sono venti, questo a noi non







basta: perchè c'é necessario venghino qui: et maxime che ci sono pa-
rechi conestabili quali non sono per ancho spaciati et li s'ó facta
eerta retentione impertinente et anchora sono ‘assai male contenti de
la provisione: el che ci pare sia alieno et fora di proposito a la im-
presa detenire lo exercito malcontento et disposto: et de havere, non
solum a cambattere et de atendere col nimico, ma etiam de havere a
veghiare, et guardare li suoi medesmi: siche operarite, iusta possa ve-
stram, che noi habbiamo dinari, a cagione possiamo evitare li sopra-





detti inconvenienti.

De la risposta voi dimandate ad certe vostre: noi ci maraviglamo
non habbiate haute le nostre responsive: quando non le habbiate haute 3
replicarite et noi di nuovo vi responderimo. A presso, perché noiscri- -
vemo a messer Iulio nostro che, a di per di, ci advisi de quanto si fa 3
dal eanto di la et che derizi le lectare ad voi, pertanto, venendo, le
apririte et, secundo li advisi el darà, le farite intendare a testi signori:
a cagione anche loro possino fare provisione al incontro, et di puoi per
una stafetta le mandarite a la volta nostra subito.

Apresso sollicitarite la expeditione de Joan-Pavolo et farite intendare





a testi signori che simo de parere, secondo si mova el duca d’ Urbino, :
faeeino movere Giohan Pavolo et che sollicitino la ferma del Signore
de Piombino, quale é a gran proposito, et non dubitamo, fermandosi, le
cose non vadino secondo el desiderio nostro : et de le cose che ocorgano
li importante ne farite partecipe l’imbasciatore de Milano, chè lui possa
advisare la excellentia del duca: che veramente cognoscemo sua excel-
lentia anderà di bone gambe et desiderare veramente che testi Signori
tirino ad effetto questa impresa: et a la ocurentia de essa non pota-









ORO

ressimo havere migliore mezo: nec alia.



364. (Ep. II. 247). : Città di Castello, 1498, Agosto 27.



Giulio Vitelli a. Cerbone Cerboni.



Maguifice vir comen. &c.: Per questa non me achade altro si non
che, come vedarite, ve mando la lista de' miei benefitij che ò nel do-



SSOSjSj],; 1: EEG LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

nio florentino, come ve scriveste che ve mandasse; operate mo come
re a voi pur che siamo serviti. In decta lista, come vedarite, siranno

benefieioli di doi miei familiari; operate che similmente se inclu-
E in la patente cum i miei, perché quello è de’ miei familiari me
puto sia mio. Non aliud. A voi me ricomando.

65. (Ep. II. 256). Buti, 1498, Agosto 28.
Paolo e Vitellozzo Vitelli a .... (1).

... Nui simo qui in Buti, et atendemo a fortificare la Petra dolo-

| rosa et questi altri monti, et disegnamo fortificare uno certo loco è a

l’oposito de la Veruca, et quando la impresa di detta Veruca ci parà

sia da vincerla infra 3 o 4 dì et da riescirne cum honore, la piglaremo,

quando no, noi ce ne andarimo al bastione et ad Vico, di quali spe-
ramo imbrevi haverne honore.

Apresso sollicitarite el servito nostro quanto poterite, et sollicita-
rite Cerbone al venirsene, et spacciarite uno a posta a sollicitare li

| nostri fanti et nostri falconetti.

Circa el Signor di Pionbino, per niente asentirete ch’ el habbia ad
ocupare el loco nostro, che intendemo el loco et titulo dato ad noj
nisuno ce lo habbia ad impedire. Postposto questo caso, farite omni
cosa per Sua Signoria, che non dubitamo, conduciendosi, le cose nostre
andaranno bene.

A la parte de Iohan Pavolo [Baglioni], ci piace de ogni suo augu-

— mento, et in questo, et a la speditione del dinaro, farite omni opera et
sollicitarite quito poterite, et farite intendere a Misser Alberto suo
cancelieri, che voi havete tal comissione da noi.

Cirea le masaritie et letto per voi, ad noi ci piace de quanto ha-
vete facto. Et iterum sollecitarite la expeditione del dinaro de Iohan

i Pavolo, et che, quanto piü presto sia possibile, el se ne vengha et che,
per stare sopra la praticha del erescere, non si metta tempo et indu-
gisi la venuta sua, che non saria a proposito; et anche farite omni

| opera cum testi Signori ch’el venga, et quando dicessaro haverlo a
doperar altrove, et non poser fare de mancho, refarite intendere che ce
mandino Iohan Pavolo ad noi, et nui remandarimo de quelli che sono

Qua, che si poteria mandare il Marchese dal Monte et el Signor de

- Faentia. Non vi maraviglate si in principio scrivemo togliate le masa-

(1) Manca l’ indirizzo, ma senza dubbio era diretta a Corrado Tarlatini.



























366 : G. NICASI

ritie a piscione, perché la vostra ultima gionse quando la presente era
quasi scripta tucta.

366. (B. VI. 6). Vico pisano, 1498, Agosto 29,
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Meser Corado, nui havemo riceute le vostre de’ 24, 26, 27 et in-
teso quanto ne scriviete circa al Signore de Piumbino. Ad nui ci piace
Sua S. sia ferma et restata satisfatta; che invero è a grandissimo pro-
posito de l'impresa et potaria essere quella cosa che divertaria la cosa
de Siena. Circa el titulo non farimo altra risposta se non che voi vi
site governato prudentemente et secendo la opinione nostra. Le arti-
glarie, polve et palotte, et palotte et polve, le sollicitarite, chè noi ne
habbiamo grande quantità che non manchi, et sollicitarite de mandarci
de le lance et de le scale per posere dare batagle manuale. Et opera-
rite cum testi S.ri che ci mandino de li guastatori, et buono numero;
de quelli erano qua sine sono quasi tucti andati con Dio; sichè di
nuovo ne faccino comandare de li altri, perchè senza non possemo fare
niente; sollicitàrite anche venghino li scarpelini et arlogio, quali si sono
scripti.

Sollicitarite al ritrare dinari quanto possete, perché noi habbiamo
già eominciato a serivere la quarta pagha, et non havemo uno qua-
trino, et anche sollicitarite i serviti nostri.

Advisamovi comme nui simo qui apresso Vico a dui balestrate; et
tuctavolta atendemo a lavorare; et si paresse a testi Sig.ri che si per-
desse tempo, refarite intendere che non si ne perde oncia, che tucta
volta se atende a fenire el bastione de la Petra Dolorosa et fortifi-
care Sancto Michele, quali sono a gran proposito et bisogna lassarli
muniti et fortificati. Et anche qua nui havemo hauti circa tre dì de
uno maletempo, quale ci ha impedito assai et al fenire del bastione et
anche al fare la strada et tirare le artiglerie, a le quale havemo durata
una fatigha inmensa; tuctavolta speramo la cosa de Vico riescirà, fa-
cendo el desiderio nostro et omni volta noi habbiamo condotta l’ arti-
gleria lij per essere quello loco solato, quando fussi di meza inver-
nata noi non desisteremmo. Apresso, sperando li nimici noi andassimo
a la volta di Calci. lo hanno sfenito et abandonato, quale inteso, subito
lo havemo mandato a piglare, per essere quello loco de grande impor-
tantia a la impresa, et cusì el farimo gnardare. Nui vi mandamo la
interelusa de meser Alberto Paltone, cancilieri de Io. Pavolo, per la
quale intenderite el desiderio suo: farite cum testi Sig.ri omni opera









LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 367

resti satisfacto, et ch'el habbia per la persona sua tale piatto el
i satisfacto et ch’ el ci possi stare; et in ciò usarite omni diligentia.

alia.

367. (Misc. 6). Gubbio, 1498, Agosto 29. XXIV.
Guidubaldo duca di Urbino a Giovampaolo Baglioni.

Magnifice Vir, affinis et amice carissime: Havendo io conferito col
— Magn.co Messer Pietro Mareello, proveditore de la Ill.ma Signoria di
Venetia, quanto me scrivete, sua Magn.tia et io ne havemo preso admi-
ratione et dispiacere, perchè, quando mai non li fusse stato lo interesse
mio, havendo la Serenissima Signoria di Vinetia la vostra magnifica
ciptà et in spetie la casa vostra per boni amici, sempre ne seriano per-
suasi, non solo ci fusse denegato uno simplice passo, ma dato ogni
opportuno favore ad questo effecto: et come voi cum mecho havete par-
ato confidentemente, anchora io debbo ricordarvi che voi pigliate una
dura et difficile impresa et ad omni tempo mi pare cerchiate aquistare
| pocha gratia cum la Serenissima Signoria di Venetia, il che di quanto
momento sia lo lasso imaginare ad voi, maxime che, come voi medesmo
dite, atenta la potentia de la prefata Signoria et quello poterò fare io
in questo caso, el nostro passo non lo reputo inpossibile etiam contra
- vostra voluntà. Son constrecto adunque, per la affinità ho cum voi e cum
‘tucta casa vostra, a ricordarve vogliate molto bene pensare la impor-
tantia di questo caso, et risolvervi in modo che non ve ne habbia a
suceder danno et manchamento. De la conducta vostra cum Signori
fiorentini, et C altro vostro commodo et honore, ne ho riceuto et
-riceveró continuo consolatione grandissima. Bene valete.

-368. (Ep. II. 246). Vico pisano, 1498, Agosto 30.

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice Vir et amice carissime com. &e.: havemo ricevute le
vostre de’ 28 del presente, per le quale ne advisate el Signor Carlo et
el Signor Bartolomeo d’Alviano essersi condotti con venetiani ; io 1’ ho
facto intendere a questi comissarij che sono qui; et similmente voi
farite intendere a testi Signori, che noi simo di parere che cum pre-

teza spaccino uno al Signor Duca de Milano et faccino intendere et
-preghino Sua Exceellentia che, per salveza de la terra loro et de’ con-
fini, mandasse sino in 150 o 200 homini d’arme et altratanti balestrieri









368 G. NICASI

o vero cavalli legieri : et quando loro Signorie a questo disegnassero
mandare el Signor de Pionbino, faritece intendere per parte nostra che
Sua Signoria non po’ essere a tempo ne’ a bisogno a questo, per non
havere lui fenita la compania, ne’ anche è in loco dove el possa tro.
vare homini d'arme et fenirla, che vengha a proposito, et maxime per
havere questa cosa bisogno di gente prontissima et in ordine: et non
solum valeranno questi del Signor Duca a fare questo effetto, quanto
che la fama et la reputatione de la Sua Excellentia; si che per tucti
capi simo de parere loro Signorie faccino questo effetto, a cagione, si
ni la terra fosse alcuno che havesse qualche mala fantasia, questa cosa
saria causa de removarglila. Nec alia.

369. (Ep. II. 282). Firenze, 1498, Agosto 30.
Alberto Paltone, Cancelliere di Giovan Paolo Baglioni, a Paolo Vitelli.

Illustre et Excellentissimo Capitano: in questa hora ho hauto ha-
viso dal Siguor Iohan Paulo, come per le copie se mandano a Vostra
S.ria quella vederà, che lo Ill.mo Signor Duca de Orbino vole passo
per el nostro territorio, el quale credo non li si darà per modo alcuno,
si non se lo piglia per forza. Questi Signori me danno milli ducati per
a Giovampaulo a ció che renfresca uno poco la compagnia; demani
me andarò cum epsi et haveremo hauti 2000 de grossi; pensa come è
possibile se possa cavalcare cum così pochi dinari; me sforzarò de fare
omne dimostratione per dimostrare la servitù sua, et verrà cum quello
porrà a Castiglione del Laco et lì se farà forte et provederà a Castello
dela Pieve et a la torre et Valliana, et per quanto ce porranno sten-

dere le forze suoi, mostrerà la sincerità del suo servire, et non man-

cherà di cosa alcuna.

Suplico la Signoria Vostra li piaccia exortare questi Illustri Si-
gnori li mandino el resto de la presta, come pare honesto, et habiano
avertentia che, conducendose Messer Astore, come questi Illustri Signori
cercano, se salvi lo honore del Signor Iohanpaulo, el quale sempre è
stato a questa volta sensa cercare altro partito, che so ne à trovati.

Cirea a lo interesse de la provisioni, dicono questi Illustri Signori
Dieci provederanno in modo Sua Signoria remanrà satisfacta &e.

Non possemo havere tante ragioni ne’ tanta lengua che possiamo
respondere a molti che se dolgono de la tardità de Vostra Signoria in
havere messo campo et l’artigliarie al bastione; et perbenché aheri 23
fosse qui nova che V. S. haveono messo el campo et l'artigliarie a
hore 17 et che fra doi hore comenzará a lavorare, pure, per el disiderio

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

à, pareria a molti se solicitasse et havessesi in breve tempo. Ricor-
à V. S. fare quello, che sempre è stato de suo costume, de invigilare
fare omne opera per acontentare questo populazo, et sopratucto de
‘a in ora se die haviso de quello se fa, che qua se mormora assai
e la tardità de lo scrivere. Valeat Ill. V. S. cui me semper comendo.

"910. (Ep. II. 255). Vico pisano, 1498, Agosto 31.
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico Messer Corado nostro: Heri col nome di Dio ci condu-
ssimo cum l’artiglierie al bastione de Vico al quale si tirette pochi
olpi per attendere ad alogiare. La notte passata si tirò l’ artiglierie
ppresso el bastione, et quello gagliardamente bonbardato, questa hora
5 quelli di dentro per lavoro dell’ artiglierie hanno habandonato el
ecto bastione et riductosi in Vico. Speramo cum l’adiutorio de Messer
omenedio di corto haremo vietoria d'epso Vico; perhó non mancarite
olicitare cotesti Signori a le provisione dimandate, maxime denari et
olvere, et iterum denari, che’ havendo denari non dubitamo tucto
questo exercito voluntieri morirà per quella Excelsa Signoria, a la quale
me ricomandarite.

1. (Ep. II. 288). Vico pisano, 1498, Settembre 1. -
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnificd®Miser. Curado : Voi intenderite per una de miser Iulio
direttiva a Cerbone ; farite omni opera si potete fare li benefitij de la
sta se manda se potessaro levar da le imposte, et in eió farite omni

perà. Nec alia.

1912. (Ep. II. 251). Dal campo, 1498, Settembre 1.
á Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrodo Tarlatini.

Messer Corado : noi havemo doi vostre, a le quale per hora non
rimo altra risposta si non che noi desideraremmo per al presente
gni concordia fra testi Excelsi Signori et e’ senesi, per chè, quando e’
ssino d'una medesima voluntà, si potrebbe sperare molto migliore
ne de l'impresa di qua, che quando le loro Signorie non s' intendes-
ero insieme ; pure in omnem eventum noi operarimo in modo che

94







370 x G. NICASI

sempre ce sirà 1’ honore nostro. Preterea ce pare che con ogni diligentia
voi v’ingegniate de resettare con testi Signori e facti de' Signori Ba-
glioni, tanto de’ gioveni come de’ vechi, perchè tutto giudicamo a
profitto et utilità de testa Excelsa Republica et maxime a’ tempi che
semo oggi, si che non mancate de farne ogni opera, et di quanto se-
guirà, di questo et d’ogni altra occorrentia, di per di ce ne tenete
bene avisati.

Parce ancora che voi sollecitiate la venuta qua del Signor di
Piombino et degli altri stipendiati de testi Signori con ogni instantia
ragionevole, a fine che le loro Signorie se ne possino servire a’ bisogni
loro, et noi potiamo operare le forze loro in facto, secondo le occor-
rentie che accadranno. Altro per hora non vi ricorderemo che ci priemi
et che c’importi assai, si non che voi operiate ogni rimedio oportuno
et importuno per farci condurre qui polvere, pallotte et marraiuoli in
buono numero. Et questo non mancate per cosa nissuna, perché senza
queste provisione non si puó tirare ad ultimo nissuno buono disegno.

De nuovo ve recordamo marraiuoli in buono numero et polvere
et pallotte assai.



318. (D. lc. XXI. 220). 1498, Settembre 1.



D.vo Fran.co Pepio Milani.



... Per la presente [lettera] achade significarvi, come da Roma
intendiamo che Carlo Orsino et B.o d'Alviano fra pochi giorni sareb-
bono ad ordine per cavalchare con cc huomini d’arme et qualche fan-
taria, et ne verrebbono verso Siena, per congiungnersi col Duca di Ur- |
bino, il quale a di 30 del passato si trovava a Gobio con cc huomini
d’arme, c Balestrieri a cavallo et mille fanti: et il Proveditore Vini-
ziano, che è appresso di lui, ha ora mandato ad chiedere alli Perugini il
passo, li quali haveano preso tempo ad rispondere; ma stimiamo liene
concederanno, mostrando essere forzati etc. Noi, per provvedere verso
Cortona et Valdichiana et altri luoghi circostanti, vi mandiamo Gu-
glielmo de Pazi Commissario, et a Giovampaolo Baglioni babbiamo 1nan-
dato la parte nostra della prestanza, et commessoli si transferisca appiè
di Cortona il più presto li sia possibile con il più può delle genti sua,
promettendoli che in brevissimi dì si li manderebbe il resto della pre-
stanza che toecherebbe a cotesto Ill.mo Principe. .... Ci siamo risoluti
mandarvi [a Siena] Ser Antonio de Colle, con commissione che usi ogni
termine per contenerli nella fede, et quando loro sieno disposti con
effecto venire a qualche conclusione, .... siamo per consentirvi. .... Co-
testo Ill.mo Principe .... è necessario scriva a Messer Antonio Maria,

















LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. ‘371

quando Senesi piglino la volta de Viniziani, mostri di esser soldato
Ja sua Ex.tia e non dei Senesi. ....

4. (Ep. II. 292). Vico pisano, 1498, Settembre 2.

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Messer Corado, Noi vorremo che, per lo primo, ci avisassivo quello
che è seguito delle cose de Siena, et circa l’acordo loro et questi Si-
onori fesseno ogni opera possibile, perchè è a proposito. :

Solicitate ancora il resto della prestanza del Signor Giovanpavolo
t fate ogni favore possibile per la condocta del Signor Messer Astorre,

et solicitate la venuta del Signore de Piombino, et così di tucti questi
altri decti, quanto più si pò. ;

L'aportatore di questa sirà uno mandato del Signore di Piombino,
uale 6 corso, et diee de havere ben 1300 corsi insiemi, che sono ve-
uti di terra di Roma, et vorria condurse con questi Signori, et noi ve

recomandamo a ciò che non vada con li inimici. Et anche intendo
che di terra di Roma viene gente ai danni di questi Signori; credo che
bisognarà che conduchino altri fanti et però ve lo recomandamo.

Noi havevamo piantate l' artiglarie nostre d' una banda della terra,
dove fanno poca fazzione, perchè loro hanno una passa volante molto

agliarda, a la quale reparo che noi havevamo facto, ancora che fusse
rosso, non reggeva ; hacci morti due homini et tre carri d’ artiglarie a
no a uno tutti gli guastava. Et per questi capi noi havemo deliberato
iutare l'artiglarie et metterle da l’ altra parte della terra, dove è anche
il muro più me Siranno coperte dalle artiglarie loro che non po-
iaranno essere offese, per modo stimamo fare qualche buono fructo.
- Noi stimavamo, per essere l'artiglarie dove erono piu e molto sotto la
‘terra, che l’ artiglarie loro non ci potessono battere, ma per essere quella
Ip assa volante loro molto gaglarda, et così dui falconetti che hanno oltre
altre artiglarie, come è decto, ci facevono molto danno, per modo

e jeri ie artiglarie nostre ferono poca fatione per questa casgione,
gionta a uno tempo stranissimo che havemmo hieri, che tucto di et
juesta nocte piobbe. Dianvene particulare aviso a ció che potiate refe-

5. (Ep. II. 286). Vico pisano, 1498, Settembre 6.

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice Vir, questo. dì 5 del presente, havemo hauto Vico Pisano
questo modo: cioè, havendole noi redotti a male porto con l’ arti-



312 G. NICASI

glarie, speravamo la sera circa 21 0 22 hore dar la batagla, et essendosi
loro scomentati, non volsaro aspettare, in modo da loro venne farci
dimandare a parlamento ; et in effecto fu concluso che ci dessaro la
terra et l'artigleria c'era dentro, salvo le robbe et le persone, che c' e-
rano dentro 700 fanti furistieri et quattro boche de artiglarie grosse, et
assai altre minute, et in effetto tucti sono andati salvi, chi a Pisa et
chi a Cascina, et la terra et la rocha è rimasa ad noi. Ci è parso
darne adviso a cagione ne sappiate anche voi ragionare.

L'artiglaria ipso jure come sapete è nostra; cusì speramo portarla

















quando tornarimo in patria.







376. (Ep. II. 811). Vico pisano, 1498, Settem. 7. V noctis.



Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.









Magnifice Domine Comm. : Questa per darvi adviso recordiate a
testi Signori che sollicitino Giohanpavolo al venersene qua, quanto più
presto sia possibile, per essere la venuta sua a proposito et necessaria;
et che sollicitino etiam li fanti de terra di Roma che venghino cum
più presteza si po': et sollicitarite loro Signorie a spacciare Giohanni
de la Vechia et resolvarlo piü presto sia possibile. Apresso, farite adver-
tite lor Signorie, che intendemo li nimici fare qualche disegno in Pizd
stoia, che simo de parere ci advertischino et faccino tale provixione,
che habbia a divertere omni pensiero ci facessero. Ulterius farite in-
tendere ai testi Signori che noi stamo in nel fuoco, perché cognoscemo
che omni di ce rileva uno mese, et perdemo tempo, et tucto questo è
per mala provixione loro. Et primo, circa el dinaro, questi de Messer
Alexandro Bentivoglo dicano che è assai tempo che non hebbaro di-
nari, che non le havendo non se possano levare; et anche questi ba-
lestrieri del duca de Milano dicano essere passato el tempo che dove-
vano havere dinari, che medesimamente non se poterieno levare si non
li toceassaro ; bene è vero che ’1 Signor de la Mirandola dice havere
lettare de Milano che ’1 dinaro se dicieva partirà a li 16 del presente,
che ci debbano essere o domani o l’altro, et cum questo si sono
stati. Confortaritile, mandando el resto de’ dinari per le fanterie, man-
dino anchora dinari per le gente d’arme et cavalli ligieri, che è neces-
sario per esserne manchati assai, chi per essere morto et chi per essere
amalato, come intervene ne li exerciti grossi ; si che li sollicitarite a
mandare dinari quanto più presto sia possibile, perchè questi non sono
tempi da perdere, ne’ da stare più socto.

Apresso sollicitarite el caso de’ maraiuoli quanto sia possibile, et


















































LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. . 918

mandino a li lochi, dove più volte se 6 scripto, et che se condu-
no qui et faccinosi pagare, che sopra ció havemo diputato Pavolo
ccij et Lorenzo Larioni et in tucto usarite diligentia.

371. (B. VI. 19). Vico pisano, 1498, Sett. 7.

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

E Magnifico messer Corado nostro Com: etc. Habiamo havuto tutte
le vostre et l’ ultime questa matina. Comendiamo quanto havete (facto).
Vi notificamo che li mille ducati ne scrivete mandati, a nostra instantia,
a Benedecto Nerli, ce fa intendere che li ha spesi et mostralo molto bene,
jn modo non ce ne possemo valere de niente; perhó é necessario ope-
rate siamo provisti, perchè tutti li fanti ci sono adosso per la paga
loro, et si dicessaro fussimo pagati, diteli, et mostrateli questa lettera,
che non è nulla. Et operarite che in effecto nui siamo pagati a oro,
perchè ci pare siano chiari ch’ el deveno fare, perchè quando li nostri
havessaro qualche cosa più che gli altri, ci pare sia ben dato, perchè
li nostri fanno e opera per soldati et per maraiuoli, come possono in-
tendere; operate habiamo denari, ché per tutto hoggi ne habiamo et
non più.

Solicitate la venuta di Jo. Paulo Baglioni, che non voressimo man-

cassi el fusse qua avanti intrassimo in nova impresa, perchè, essendoci
—mui contentati che ci togliano el conte Rinuecio, non vorressimo man-
eare de Jo. Paylo per niente.
La condottà de messer Astorre ci piace, quando el non vada su per
le cime degli alberi; et quando gl’ intrassi in frenetichi de non voler
obedire, fate omni opera ch’el non si conduca; quando el voglia stare
al quia, fate omni cosa per la sua condotta.

Solicitate quelli S.ri a la expeditione perchè et è tempo bello et,
quando le S. loro indutiassero, si potria rompere li tempi de natura,
che non si potria fare niente et nui, quando vedessimo li tempi nol
concedessi, non vorressimo farli fare spesa inutile; et in questo parlate
gagliardamente, sì per solicitarli, sì anco per nostra excusatione, dovun-
que vi trovate.

Questo punto finchè si scriveva la presente, harivò la vostra con-
nente de le parole de Alfonso (1), de che ci maravigliamo ch'egli usi
tale parole, perchè non deve dire quello non è, pregate cotesti S.ri a

(1) Alfonzo Strozzi Commissario fiorentino.

374 ; G. NICASI

mandare quà uno homo che ci rivegha ; ma lui che è stato a Bientina
sempre non ne po' rendare buon conto, né credevamo essere contra
omni honestà banchettati a questa foggia, perché l'opere et l'amore
portamo a quella repubblica nol merita, et in fine ve ne rensentite ho-
nestamente et insistite mandino a vedere, che simo ben contenti. Altro
non habiamo a dirvi. Solicitate la expeditione del denaro et de l'im-
presa. ;

> ; 218: (B. VI: 8). Vico pisano, 1498, Sett. 9, IV noctis.

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.



Magnifice Domine, Questa sera al tardi, tornando dal bastione da
la Dolorosa, havemo riceute dui vostre, et visto quanto ne scrivete de
la inovatione facta per Giuliano di Medici in Romagna; et cognosciuto
la importantia et necessità, simo stati contenti che domatina avanti
giorno partino el S. da Faentia (1) co’ suoi cavalli legieri et Dionisio
da Brisighella con;la sua Compagnia, per metterla subito a le confine
di testi S.ri, ad ciò li nimici trovino resistentia et non possino passare.
Saremmo anche de parere se scrivesse al S. Fracassa (2) che spegnesse
verso costoro una parte de li suoi cavalli ligieri cum qualche homo
d’arme, ad ciò che a priucipio per qualche giorno si possa resistere et
dare tempo al S. Duca (3) possa fare remedio oportuno.

Circa la parte di Toscana, saremmo de parere che se scrivessi ad
Joan Pavolo (4) se ne venisse a Cortona et darli 400 provisionati, et
il conte Ranuccio se ne andassi ad Arezzo, et menasse seco Jo. de la
Vechia et Mangiares cum 400 altri provixionati, et cum essi se ne an-
dasse di puoi ad Anghiari et lì facesse provedere el Borgo et la Pieve
di Sa’ Stefano, et le forteze munire, li homini paesani, sentendo altro,
se reducessaro a le terre et a le forteze, maxime sentendo venire el
Duca (5) per Valle di Tevere; il che inteso, el S. Conte pigli la via
del Monte sopra Anghiari et vada sempre per la scrima del monte, et
Joan Pavolo, inteso el Duca haverà presa tale via, se parta subito da
Cortona a la via del Casentino, verso Bibiena et Poppi, per asecurare

(1) Ottaviano Riario che si trovava al soldo dei Fiorentini.

(2) Gaspare da San Severino, detto il Fracassa, comandava insieme al fratello
Conte di Coiazzo, le genti del Duca di Milano in Romagna.

(3) Il duca di Milano, alleato dei Fiorentini.

(4) Grovampaolo Gaglioni -

(5) Guidobaldo Duca di Urbino, soldato dei Veneziani



_—————————T—t222———

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

uelii lochi cum favore de li homini del paese et comandati, sino
anto che comodamente si possa coniungere col Conte per resistere
neglio al S. Duca.

Et si el S. Duca piglasse la via de Valle de Chiana, Jo. Pavolo
ia adviso al S. Conte che se ne venga ad Arezo, a ció che de l'uno
Joco et l’altro testi S.ri sieno sicuri. Di puoi veghino de coniungersi
insieme et vadino costegiando li nimici in modo non possino fare nè
‘danno nè nido in alcuno loco ; et se ’1 duca piglasse la via di Roma-
gna, andando per lo Stato suo, Jo. Pavolo si ne po’ venire da la
‘banda di qua. Et per al presente, in loco del S. Octaviano de Faentia,
vedete si seriva a Simonetto (1) che ne venga in campo con li suoi, et
jn logo de Dionisio, si faranno le condotte secondo lo adiuto datoci da
loro Sig.rie, perché li 700 di Roma non verranno a tempo. Nec alia.

^
DA

379. (Ep. II. 308). Vico pisano, 1498, Settem. 9.

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico Messer Corado comend. &c.: Habiamo nui per altra no-
stra fatto intendere che siate cum quelli Excelsi Signori et dirli che
li piaccia acelerare la expeditione fino hanno li tempi prosperi, perchè,
come se incominciano a rompere, non siria possibile a fare niente, et
nui non vorrimo mettere quelli Signori in spese senza fructo, et nui
in vergogna. Per la presente vi dicemo che di nuovo ne siate cum la
Signoria, cum li Signori Dieci, et cum quelli citadini del governo, et
«cum chi altri pi pare, et dovunque vi trovate, et chiariteli che nui

siamo prompti et di bono animo a proseguire l'impresa, dummodo le
-Signorie loro ci expedischino a tempo che li tempi ci servino, perchè

sapemo, e anche le Signorie loro sanno la conditione del paese di qua,
che, come piove, non ci si po’ più stare; et che nui ci cacciassimo in
campagna a fare spendere le loro Signorie inutilmente et cum carico
et vergogna nostra, chiariteli che nol vogliamo fare, perchè non si fa-
ria né per loro Signorie né per noi. Quando habbino capo che l'im-
presa si segua, expedischinse de le provisione che se l'é facto inten-
dere, et maxime el denaro, perchè è necessario le Signorie loro, per
essere vicino a la paga de’ fanti, li rifreschino de la nova paga, aciò
che non sfilino, perchè el si sente pure che li nimici danno grosso de-
naro, et e non guardano per subtile, in modo che assai se ne vanno

(1) Simonetto Baglioni.







376 G. NICASI

di Iha : et si non pigliano questo partito, qualche volta nui erederimo,
a un aponto preso, havere 5000 fanti et non haverimo 2000. Simil-
mente é necessario anche rifrescare le gente d'arme, a ció anche loro
possino meglio servire, maxime stando in su la spesa grossa, chó di
niente si vagliono si non per ponte del denaro. Sichè chiaritele che
havendo intentione si vada avanti solicitino la expeditione.

Similmente farite intendere tutto questo a l'oratore de Milano che
é li; et nui ancora qua l'habiamo facto intendere qui a l’ homo suo,’
che ce ne scusamo ; che lo scriva al Signor Duca che per noi non re-
sta; che se questi Signori ci daranno el modo, nui speramo fare cosa
che satisfarà a la Excellentia Sua. -

Farite intendere al prefato oratore che siria bene scrivessi a la
Exeellentia del Signore Duca che siria bene inpedisse la passata de
Messer Haniballe Bentivoglio, perché, quando el passasse, siria rinfre-
scamento assai a li nimici, et siria molto a proposito se operassi non
passasse.

Havendosi a fare connestabili li, vedete che possiamo dare o tre
o quattro homini da bene che habiamo, che promettemo nui le Signo-
rie loro ne siranno ben servite, et in questo fate omni opera.

Solicitate tutte le provisioni per l'impresa; maxime advertite ha-
biamo polvere, et palotte, et maravioli a pagamento.

Altro non occurre; havisateci particularmente de la conclusione
cum Siena, et se altro sentite de verso Roma.

Et a’ piaceri vostri.

Come vi si disse, di li mille ducati mandati a Benedecto Nerli,
non habiamo havuto uno soldo. Bisogna che vui operate che subito,
per uno cavallaro a posta, ce mandate ad minus mille ducati, et ope-
rate Alfonso in uno grosso le «drizi a nui, et non a’ commissarij, no-
tificandovi che in nostra casa non è uno ducato, et questo è perchè
habiamo cominciato a pagare la paga de’ fanti, et bisognaci seguire
et non staccare fino havemo denari ; et li forestieri (1) sfilano per darsi
grosso denaro a Pisa. Perhò solicitate.

380. (Ep. II. 296). Vico pisano, 1498, Settembre 10.

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico Messer Corado comendevolissimo : Nui stamo molto
admirati, che tutte le cose ne bisognano, sempre l'habiamo a mendicare

(1) Cioé: i fanti che non erano né toscani, né tifernaii.

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 377

^

anuo inanti et anco non li possiamo havere, et non è questa la
havere honore, et se gli anno a servare questi modi, nui non
mo già per torre a suscitare morti: habiamo dimandati questi be-
etti maraiuoli et per anco non ne siamo a nulla; qua compariscano
tre assai et numero poco; perhó non mancate operare venghino pre-
» a eió possiamo fortificare el bastione de la Dolorosa, et anco que-
o de Vico, che siamo chiari non ci possa essere tolto per uno subito;
tificandovi che questa matina andamo a soccurrere la Pietra dolorosa
ve questa notte sono venuti l’inimici, che quando sirà fortificato
some si pò non ne potremo essere de facili sforzati. Similmente ope-
Bue che, subito a l'havuta di questa, habiamo 25 o 30 scarpellini, che
o havemo necessità per dicta causa, per fortificare et l’uno et l’altro
li dicti bastioni.
‘ El ve s’è dicto che li nimici pagano grosso et fanno fantarie as-
i, et già di qua se ne vanno assai. Et se non si provede presto al
paro se n’andaranno molti più, perchè l’inimici non guardano in
cia a nisuno, che li danno cinque et sej ducati el mese. Se quelli
agnifiei Signori vogliono che nui andiamo inanti, bisogna faccino
rovisione che dinari siano in campo per rifrescare le fantarie et gente '

.

d’arme, et cusì tucte l’altre cose adimandate.
- Nui non havemo uno sol ducato, et omni giorno se aspectano.
Siate contento pregare cotesti Signori non ci voglino sempre tenere
sparvieri (1), che crederessimo pure una volta ci cavassero del ge-
ale. In effecto nui ci trovamo senza un soldo; ordinate che li de-
ri nostri Alfonso ce li mandi per uno cavallaro a posta, perchè non
binmo andare (utto di de Herode a Pilato, et fate non manchi li
biamo subito; et resolvete la paga de l'oro a grossi, che voliamo oro,
eusi le venti paghe per tempo, et li serviti nostri ; che fino havemo
l nostro ce ne volemo aiutare senza dare inpaccio a le Signorie
loro ; et non tenghino più in mano; per vostre s° è solicitato. À vui
recomandamo. :

? (Ep. II. 301). Vico pisano, 1498, Settembre 10.

V

Cerbone Cerboni a Corrado Tarlatini.

Magnifice Domine: Questa matina a l'alba del dì l’ inimici cum
rca mille fanti o più, cum scale et qualche pezo d’artigleria minuta

(1) Gti Sparvieri che si adibivono per la caccia, si tenevano a corto di cibo,
hé fossero pià avidi di ghernire la preda.




378 G. NICASI

asaltaro el bastion de la Pietra dolorosa, et li nostri facendo gaglarda
resistentia feciano cenno, et imediate el Signor Capitano cum molte
fanterie, calvaligieri et gente d'arme andó al socorso suo et arivarono
che già l'inimici havevano stacchata la battagla et retiratisi in verso
Calci, et là vieini se afrontarono et rupparli in modo che, de 1000 fanti
et 200 balestrieri a cavallo erano, intendemo non ne sono campati 200
fanti et 25 cavalli. Capo. era Jacopo de Tursia et Gurlino, el quale
Gurlino intendemo essere ferito di doi bone ferite, et eraci Ranieri de
Sasetta, quale hanco lui hebbe strette assai, in modo li fu tolto el ga-
bano. Lassarno ne la partita del bastione le scale, balestre et saettime
assai, morti circa sei de loro et feriti assaissimi; dentro nel bastione
feriti circa trenta, che ci ne sono dui o tre di pericolo; et tucto questo
per causa si se fusse hauto li maraiuoli da posser fortificare el ba-
stione, li nostri non sarieno stati feriti. Sono stati presi infra questi
sei conestabili di loro; el nostro Magnifico Vitellozo cum 12 o 15 ca-
i valli ha corso sino in su le porte di Pisa. Iudicamo, se cotesti Excelsi
Signori fanno el debito loro de le provixione, farassi tale opera a pro-
fitto loro che se ne maraviglaranno, ma si saranno lenti et tardi como



















hanno incominciato, el tempo se passarà senza fructo: et toccate cum
mano che per lo Signor Capitano non mancha, et non solum a testi
Excelsi Signori, ma dove vi trovate farite queste parolle per excusa-
tione del Signor Capitanio; et non mancate de mandarci dinari subito








a l’ hauta de questa, che, si le meritamo o no, lassamo giudicare a




l’opere che a dì per dì sentite.

Solicitate li scarpelini che se ne venghino subito et li maraiuoli

in nome di dio ; polvere et palotte et pure denari; ad voi ne recoman-
damo questo punto. Sino che questa si scrive, è nova che li nimici |

sono in campagna per la via de Cascina de qua d’Arno. El Signor

Capitanio fa colatione et montarà a cavallo a la via loro, che già s'é

adviata la banda sua a la via loro; speramo faranno un altro cozo a
la foggia del primo. Ad voi iterum ne recomandamo. -













382. (B. VIII. 6). Firenze, 1498, Sett. 10.



Corrado Tarlatini a Giovampaolo Baglioni.








Magnifico Signore Johanpaulo, per honore de la Signoria vostra,
adcioche Messer Astorre [Baglioni] non habia piu conducta che la Si-
gnoria vostra, so’ stato cum questi Signori [Dieci] et pregatoli vo- -
glino dare trenta balestrieri a cavallo a Simonetto [Baglioni], quali di-
chino in la conducta vostra che faranno fare in 100 homini darme,



LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 379

| come costoro offerischano a Messer Astorre de conducta : de 100
ini darme et non piü. Et quando vogliate questo, bisogna tacere
‘non dimostrarse niente et guardarsi che Messer Astorre non intenda
Jla, fintanto non ratificasse a la sua conducta. Io fo tueto per ho-
sore de la Signoria vostra et so fare cosa grata al Signor Capitano,
ale è tucto vostro et omnino vole la Signoria vostra apresso depso
"senza mancho nissuno. A questa ora credo per fermo Senesi siano
acordo cum questa Signoria. A la Signoria vostra me racomando

Vico pisano, 1498, Settem. 10. VI noctis.

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico Messer Corado nostro: Perché noi sapemo che heri vi
fu scripto de quanto era occurso de li nimiei, et benché lui vi dicesse
'essere 1000 fanti, sapiate che de fuori de Pisa erano fuori 1500 fanti

t 300 cavalli; egli è vero che chi pigliò una via et chi un'altra. Sonsi
yresi assai et curso fino appresso Pisa, et veramente li nimici hanno.
Phavuto una grande sbaffata, in modo a li nimici parrà strano. Et sa-
iate che in Pisa si truovava, in anti fussaro svalisati questi, più che
1000 fanti et non cessavano ne’ cessano tutto dì dare denari et grosso
enaro. Hora lasso iudicare a vui se spenderanno molto piü largo che
on hanno faeto fino in hora, in modo, se testi Magnifici Signori non
olieitano el denaro, omni giorno ne perdarimo piü. Et perhó non
nancate solicitar@che subito mandino denari, che altrimenti perdarimo
la magior parte de questi fanti, che si partiranno.
Quando cotesti Signori deliberano l'impresa sequiti, diteli per
arte nostra che solicitino tutte le provisioni dimandatele et maxime
de denari per rifrescare le gente d'arme et le fantarie, che, senza, non
ensino: che si possino levare.

Fariteli intendere che, attento che li nimici ingrossano de fanta-
rie, bisognano anco le Signorie loro ingrossino, et se più ingrossa-
‘ranno, più bisognarà anco che le Signorie loro ingrossino. Et per
questo volimo a omni modo che le Signorie loro ci faccino mille fanti
più, et a questi fanti gli volimo dare nui 40 5 comestabili, homini da
bene et valenthomini, che ci pare honesto posserli adimandare, perché
i homini da bene et capi li darimo nui, siranno homini che per virtü
lo meritaranno, et non per amicitia o particularità ; chè come possono
vedere nui non facemo la guerra come loro soldati, ma come proprii
orentini; et l’intento nostro non è ad altro segno che restituirli le








































380 G. NICASI

cose loro, et acquistarli de l'altre cose; et non perdonamo a cosa ni-
suna, ne’ a fatica, ne' periculo alcuno &. El servitio che gli anno da
nui, l'hanno eum tutto il core, ne' de li loro denari possono dire ne
faciamo mercantia; perhò siano anco contenti che possiamo darli de li
homini a’ soldi loro, perchè trovaranno non li darimo homini a pas-
sione, ma homini che varranno nella guerra per omni conto ; et cre-
dinci, chè nui ne sappiamo rendere miglior conto de la guerra che le
Signorie loro. Et si parlamo gagliardo, ormai ci pare possere parlare,
et credemo le Signorie loro hormai ci debbino credere. Et infine li
concludete per expresso volemo ancora mille fanti, et darli 4 o © capi
a nostro modo, che li havemo qui appresso de nui, che li havemo in-
tertenuti a questo aspecto.

Fariteli ancho intendere che subito, per cavallaro a posta, col
resto del suo denaro mandino per Johan Paulo (1), che cavalchi subito,
perchè el volemo appresso de nui per posserci valere, et de la persona
sua, et de la compagnia; et sturateli l’orechio che, non venendo Jo-
hanpaulo, et fino non vene, ymmo ch’ el sia gionto qua, nui non par-
tirimo di qua, ne' pigliarimo altra impresa; ne' se ce facci piü re-
plica, perchè questa è l'ultima voluntà nostra; et questo è perché .
havemo carestia de homini da commettere, et havendoci lui, sirà uno |
de nui medesimi, si che operate questo essere subito che se ne venga
volando, ne’ da nui aspettate altra determinatione in questo.

Solieitate li maraiuoli che venghino a pagamento, et operate si -
dia omni 50 maraiuoli uno capo, et sforzinsi haverne de Casentino, o
Lombardi o de Lunisana, perchè sono molto meglio che li paesani,
che in vero non vagliano niente; et sopra tucto presto.

Circa li nostri particulari vui sapite el nostro bisogno : li fanti e
oro ; li serviti nostri, et il resto del quartarone; et subito denari; et
solieitate 95 o 30 scapelliui, polve et palotte et altri necessarij.

Nui habiamo heri, infra gli altri, presi undici fra Pisani et Ca-
scinesi, li quali mandamo Iha, in siemi col Bianchino, che li conduce.
Ordinarite che quelli Signori, prima faccino careze al Bianchino et
veghinlo voluntieri. Deinde li notificarite a quelli Signori che, non
obstante che, sicondo la ragione del mestieri, questi tali non siano ben
presi, pure, atento la importantia de lo stato, el c* è parso dirizarli à -
quella via, perché potria essere un giorno serviriano a gran proposito
per le Signorie loro. Diriteli ehe non li tenghino in Stinche, o ]uogo
de prigionia, ma in una easa, comodamente, cum bone guardie, non



(1) Giovanpalo Baglioni. LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

assando mancare niente, ne' per vivere, ne’ dormire, ne’ comoda-
nte stare, e£ non guardino a una minima spesa quale questa, per-
potria occurrere che omni soldo spenderanno in questi li potria
gliorare il ducato. Et quando facessino altrimenti chiariteli ce ne
ariano dispiacere, et in modo tale che ci farieno pensare vive a un'al-
foggia. Sì che fate omni opera che segue questo effecto, et vui
teci advertito, perchè cusì li havemo promesso, et siria contra l’ho-
ore nostro; et non mancate per niente; et a vui me ricomando.

i384. (B. VI. 10). Vico pisano, 1498, Sett. 12.
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico meser Corado. Havessimo heri tre vostre, doi de’ 9 et

una de' X. Comendamo quanto havete facto et dicto, sì cum l’oratore

e Milano, sì cum la S.ria, et S.ri X, et gli altri, et cusì cum el pro-
thonotario Stanza: et a li particulari ve rispondemo come appresso

parola.

Cirea la rottura de verso Pistoia. A questo iudicamo, andando a

buon camino meser Jo. Bentivogli, come ve dice el prothonotario

tanza, non bisogna dirvi altro, nè farci altro pensieri, perché pen-
samo la ex.tia del S. Duca se ne sia ben chiarito ; et perhò non di-
rimo altro. j

De le cose de Siena non ne possemo dirne altro, si non confron-
arci col parere vostro ; tuttavolta é ben stringere la pratica et venire
al resoluto, ch@potria essere ancora se ne pentiriano, quando non
convenghino cum cotesti S.ri; sebbene credemo siano parole per tem-
"poreggiare, come dite vui.

| Solicitarite cotesti S.ri a solicitare la Ex.tia del Duca a mandare
li 200 homini d'arme, 300 cavalli legeri et 1000 fanti; et non li faecia
fare la via de Pontremoli per niente, perché, venendo da quella banda,
li nimici gli possono andare incontro et nui non li possemo soecur-
rere; ma faccili fare o la via de Pistoia, o verso Luca, perché quella
de Pistoia è sicura, quella de Lucca li potressimo andarli incontro in
modo che li rendaressimo sicuri. Et confortate per parte nostra cotesti
ex.si S.ri a non dubitare per niente, et che stiano di bona voglia che
a omni modo li renderimo sicuri de le cose loro, dummodo è faccino
quelle provisione che possono fare, e£ maxime operare che la Ex.tia

el duca soliciti queste gente d'arme sopradicte, et le S.rie loro atten-
dino a fare il denaro, et faccino in modo che ogni volta che gli è de
‘bisogno non habbino a dire: el si fa la pratica, o gli Ottanta, o si





































882. ' G. NICASI

farà, o si dirà, perché el denaro è el verbo principale; et a questo
per l'amor di Dio teniteli solicitati : et omni volta che fanno questo,

5 et la Ex.tia del Duca venghi gagliardo come credemo, stiano di bona
voglia che li mostraremo quello che di core siamo per fare in ser.
vitio loro.

Solicitate anco le S.rie loro che ’1 S. de Piombino habbi omni
suo resto del denaro, se havere deve, et che soliciti el mettersi in or-
dine cum più celerità sia possibile; et cusi anco a l’ homo suo che e
li, sequirite come havete incominciato, et lo pregarite per parte no-
stra che scriva al suo S.re che ’l soliciti el rassettarsi, a ciò ce pos-
siamo ritrovare insiemi a fare qualche bona opera per questi Ex.si
S.ri, et per honore nostro. Come per altra ve s'é dicto, nui volemo
Jo. Paulo a omni modo ; solicitate el suo restante de la inprestantia,
et che gli sia mandata, et vengasine subito ; et vui, per parte nostra,
gli ne scrivete ch’ el se ne venga subito, et operate che el sia di lì
expedito del suo resto, et che li S.ri X mandino uno loro homo col
resto a ciò che lo soliciti, et venghisene via.

Del titulo per il marchese de Mantua, domandato da Milano, ha-
biamo dicto el parere nostro a li commissarii: di lhà intendrite : da
nui son ben chiari de nostra voglia; non occurre dire altro.

Parci omninamente le S.rie loro diano ordine che si faccino mille
fanti; et che nui habiamo loco per 4 o 5 conestabili, et siano contenti
a crederci ; et de le cose de la guerra, et de li homini che s’anno da
pigliare, lassino la cura a nui, perchè invero che el’ hè più nostra
arte; et toccaranno cum mano che nui facemo non cum altra fede che
si ci facesse le S.rie Loro : attendino a le provisioni, et del resto las-
sino la cura a nui.

Nui ve habiamo dimandati 25 o 30 scarpellini, che a quest’ hora cre-
devamo fussaro qua. Ci maravigliamo non siano venuti. Credemo non
resti per vostro ricordare; ma gli è pure mancamento che loro siano
sì lenti; et si sapessino de che importantia sono, et quanto siano ne-
cessarii, per Dio, li fariano volare. Solicitateli, et pregatele per l’amor
di Dio sian contenti non ci fare dimandare la cosa tante volte. Et fate
che venghino subito, subito, subito, et non manchi per niente.

Nui ve le habiamo anco seripto de’ maraiuoli. Egli è una gran
cosa che degli ordinarii de la guerra le S. loro ci tenghino sì magri.
Nui vi pregamo li solicitate in modo, che ne vediamo altro che parole,

a ciò possiamo fortificare la chiesa de la Verucula, Preta dolorosa, et
questo bastione de Vico, che loro medesimi possono comprendere de
che importantia siano li monti; et è bene per omni cosa che occur- LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

se che li siano ben fortificati ; si che fate a omni modo venghino,.et
‘quello ordine, cum li capi, che vi si seripse.

Parci a omni modo che subito operate per cavallaro a posta si

i 500 ducati d’oro a messer Julio (1), che possa cominciare a met-
; a ordine 500 fanti che siranno a gran proposito, et scrivete a messer
io che li tenga in ordine da possere subito farli movere, et in ciò
te omni diligentia possibile.
| Heri, per Bernardo Rondinelli de lì, vi si mandò uno carcatoio
archibusi, del quale, come vedrite, ne volemo 400, che tenghino al-
ante quanto quello, et siano a quel modo apunto; ma volemo ne
liate carico vui, facendo spendere a loro, come é honesto; ma fate
habiamo prestissimo, per tutti li casi bisognano, et non mancate,

vostra fè, solicitarli, perchè ce importano assai.

*. Denari non habiamo anco havuti, et siamo senza uno quatrino ;
pregateli non ci tenghino tanto in lunga.

Altro non habiamo che dirvi, solicitate quanto è dicto, maxima
gente de Lombardia, Jo. Paulo e el S. de Piombino, scarpellini,
araiuoli et carcatoi, et denari; non manchi. A piaceri vostri.

Post seripta. Circa la parte ne scrivete havete parlato cum S.ri X,
son le parole facte per la mostra a’ S.ri X, non nominando alcuno,
e dicemo : Volemo che trovate Alfonso (2) et li dicite che ci maravi-
liamo fortemente de le parole ch’ egli à usate, che nui non havemo
ù che 150 homini d’arme; che nui siamo per usarli una gentileza,

e omni volta che lui vene quà, gli mostrarimo tutti li homini d'arme
he havemo, et mostraremoli in campagna, et in alogiamenti, et come
vol lui. Et s' ec avesse a stare qualche di in lungo a venire quà,
mandi uno suo particulare, che siamo anco per chiarire la mente sua,
t ch'egli é usanza, avanti che l' homo parli, pensare como parla, et
maxime de’ pari nostri, che siamo per rendere bono conto de nui ad

tri homini che lui.

985. (Ep. II. 302). Vico pisano, 1498, Settem. 13.

Paolo Vitellà a Corrado Tarlatini.
Magnifico Messer Corado nostro: Per piü nostre ve s'6 scripto
e li abisogni nostri per li necessarij de questi luoghi, et benché nui

(1) Messer Giulio Vitelli che, in assenza dei fratelli, li rappresentava in Città
Castelto.
(2) Alfonso Strozzi.






384 G. NICASI



crediamo che non manchi per vostro solicitare, tuttavolta, non ne ve.
dendo altro che parole, al tutto restamo mal satisfacti, et vedendo an.
dare queste cose a le lente, non sapemo d’onde proceda, judicamo sia.
per una grande negligentia et transcuratagine. Et restamo molto di
malavoglia che, per tutte le parole che scrivete, et anche da loro
s’ intende essere disposti a l’ impresa, nui vedemo tutto l'opposito cum 3
li facti, nó vedemo principio nisuno che nui possiamo, non tanto an.
dare avanti, ma mantenire quanto havemo acquistato. Et perché vui
intendiate molto meglio: quando nui intrassimo in Vico, non ce ri.
mase uno solo de maraiuoli. Di poi, per inportunità che nui usassimo,
ne vennero cento, de li quali cento simo rimasti in 13, et questi cre-
demo per tutto hoggi se siranno andati cum dio: questo procede per-
chè qua non è homo che pigli pensieri di loro, chè li poveri homini
non possono havere nè denari, nè pane, in modo che, non havendo
né l'uno né l'altro, per non se morire di fame, e' sono necessitati a. —
vende et impegnare loro zappe, et altre artigliarie da maraiuoli, et
andarsene. Vedete quello possemo: fino a hora ci sono stati commis-
sarij assai, ma credetemi che, a le fatiche et a l'usare diligentie a le
cose necessarie, non se ne sono trovati troppi; et credete che, quello
S' 6 fatto, è seguito per opera et solicitudine de li nostri, ché, havendo
aspectato havessero facto loro, nui sirissimo a niente. E non ci dole
el faticare et nui et gli homini nostri, ma ci dole fino al core che de
quelle provisioni che nui ricercamo cotesti Excelsi Signori, le tenghino
in longo, et poi non se ne facci niente. Nui ve havemo dieto che
Siamo necessitati per utile, honore, et reputatione de l'impresa, et de
lo stato, et mantenimento de Vico, a fortificare le Dolorose, la chiesa |
de la Verucula et el bastiene de Vico, et la ruina de le mura de Vico
rassettarla et de Buti.

Et per quanto adimandatovi li maraiuoli, et 25 o 30 scarpellini,
et di l'uno et di l'altro quella terra ha muodo haverne quanto ne vole,
maxime de scarpellini, che sapemo ne ha piü copia che terra de Ita-
lia, et ancora non habiamo possuto havere nisuno ; in modo restamo
al tutto confusi né sapemo quello ci possiamo dissegnare; né ci pare
la via questa andare avanti, perché dato casu che le Signorie loro
volessino, nui, mentre non vedemo fortificato li lochi dicti et rasset-
tati li mura de Vico e Buti, non partiressimo per niente; perché sa-
pemo che, partiti nui, questi lochi porteriano pericolo. Nui sapemo che
gli hanno muratori assai, et hanno modo per Arno a mandare calcina,
che a un tratto li mura se assettarieno. Nui ve dicemo veramente che,
se del nostro havessimo el modo, gli demostraressimo non aspectares-















































LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 385

o importonarli tanto, benchè egli è pure loro utile et Hone. ci
overiano pensare et provederci altro che cum parole.
Ve havemo anco dicto che gli è necessario rifrescare queste fan-
rie, perché l'inimiei dànno denaro, et grosso denaro, et di qua se
fugano assai, et quando credemo habbino mandato tanto denaro
he si possa rifrescare tutte le fantarie, non ce ne sono venuti tanti
He basti per uno ottavo.
i Cusì anco si non fusse la grande inportunità et extrema solici-
dine che per nui et per li nostri se usa a rassettare l’artigliarie, se
pui aspectassimo le provisione de loro, non se ne acconciaria mai pezo.
Messer Corado, nui ve havemo più volte dicto che l’animo nostro
.è d’andare avanti et sequitare U impresa, et cognioscemo el nimico
essere tanto invilito che faressimo factione grandissima, ma vedemo,
per li effecti che ne mostrano cotesti Signori, che non si curano o non
vogliano; omni giorno che si perde adesso è un anno; fatene nostre
excuse, primum cum la Signoria, secondo cum li Signori Dieci, in
nudientia et a parte, et deinde cum l’ oratore de Milano, et cum qua-
nque altro citadini vi trovate, dechiarandoli che per noi non resta,
ymmo siamo desiderosi sequire gagliardamente l’ impresa, ma, non ci
dando altrimenti le previsione adimandate, nui non siamo per moverci
er vituperare et loro et nui.
Et chiariteli molto bene che, fino non vedemo che el bastione de
Dolorosa, la chiesa et el bastione de Vico, et le mura della Terra
non sono rassettate, nui non ce moveremo, perchè sapemo de che im-
portantia sono lf»monti, et le Signorie loro hanno possuto intendere a
"ehe periculo è stato a li dì passati el bastione de la Dolorosa, che se
mon fusse stato la virtù de quelli homini che ce erano dentro, che non
eurarono a la scoperta combattere cum li nimici, era preso ; et se si
fusse perduto, le Signorie loro hariano visto de che importantia egli è.
Si che non mancate de farne nostre excuse, ne alentate ‘el solicitarli
ce mandino questi benedecti maraiuoli, et li scarpellini ; et provedino
‘che venghino 40 o 50 muratori, et cum scaffe et navigiuoli mandino
nta calcina che a un tratto rassettamo questi mure ; et cusi che man-
dino denari che se possa intertenire questa fantaria che, per dio, se
perdono, ché la perderanno se non danno loro denari, vedranno
i come faranno ; notificandovi che gli anno cusì bona fantaria quanto
tessi essere, et dolci fino al core vedercela perdere, perchè, persa
sirà, non bisogna fare pensieri fare impresa. Et sopratutto che quello
eno fare faceino presto, et che se ne vegga altro che parole, et di

tto mi date haviso particulare.
Vorressimo anco intendere che polvere sia lì in Firenze facta, et

25



































386 G. NICASI

che salnitro, et che provisione hanno, et quante pallotte di ferro sono
li, et se se fa provisione haverne più, et di tutto distintamente ce date
notitia.

Solicitate li carcatoi de li archibusi, et non obstante che ve ne
habiamo dimandati 400, ne volemo fino in 600; et solicitateli, per vo-
stra fè, che li habiamo prestissimo.

De nuovo chiarite cotesti Signori che, se per tutto xx del pre-
sente, e' non sono a hordine cum le provisioni per fare l’ impresa et
andare avanti, che da li in là non bisogna pensare, perchó li tempi
nol concedano, et a le loro Signorie siria spesa cum poco proficto loro
et cum vergogna ; si che sturate loro l’ orechie.

386. (B. VIII. 8). Perugia, 1498, Sett. 13.

Astor de Ballionibus de Perusia Armorum etc. Magnifico viro tanquam.
fratri d.no Corrado [Tarlatino] de Civitate Castelli ill.mi d.mi
Pauli de Vitellis, Reipubblice florentine Capitanei, secretario di-
gnissimo.

Magnifiee vir tanquam fr., havemo receputa lettera de vostra Ma-
gnificentia, dela quale ne havemo conceputo sempre piacere; rengra-
tiando quella delopere et dimostratione fraternale havete operato in
ver di noi. Alla parte de la conducta di la persona nostra con testa
excelsa Republica, ce dole assai al presente non posserla servire, per
la fè et sincera servitù havemo con quella, per la tardità successa in-
sino ad hora. Peroche noi retrovandone in quelli termini, et havere so- -
speso el prendere de denari per alcuni giorni per essere desideroso
condurne con quella Signoria Excelsa, in la ritornata de Serpierni-
cola, (1), mandato da la Comunità senza alcuna resolutione, fommo per
Ihonore nostro constretto aprendere denari dal Commissario dello ill.mo
Dominio vinitiano, quale era restato qua in Peroscia. Prego Vostra
magnificentia li faccia fare mia excusatione con quella Signoria, che
da me non è restato a servirla come hera desideroso, et che per que-
sto tracto son constrecto satisfare como è promesso, ma ad unaltra
volta sonno per satisfare quella excelsa Republica per quanto se exten-
deranno le facultà mei. Me dole bene assai quelle havere data fè ad
alcune lengue et anco letere ad quelle dirette incontrario nostro : spe-
rando che loro excelee Signorie cognosceranno in breve quelle essere

(1) Pier Nicola Castaldi (castaldus). LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 387

busciarde; et come quelle sono in buscia in questo, cosi ancho

Javenire loro excelse Signorie de quelle ne resteranno malamente

tisfatti : et così per parte nostra farite nostre excusatione. Nec alia.
omanderitane alla Signoria del Capitano.

7. (B. VI. 13). Vico pisano, 1498, Sett. 14.

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice Domine; havemo riceuta la vostra de 13 del presente,
inteso quale saria el desiderio et conforto de quelli citadini deputati

a trovare el dinaro, che noi andassimo avanti a la impresa, vi respon-
demo : : al nostro cavallo non bisogna sperone perchè non desideramo
tro che de fare impresa; et ch'el sia el vero, per lo sollicitare voi et
ro Signorie, ve ne dovereste render certi; per le provvisione vi s'é
seripto più volte che bisognano per andare avanti, che senza quelle
mon se pò fare se non cum danno et cum vergogna ; et per amore et
ection che portamo a testa Magnifica Signoria, et per honore nostro
non voremmo principiare de quelle cose che a loro dessaro danno et
noi vergogna, che sono tanto evidente che'si toccano con mano.

Et non basta el dire el si vorria andare avanti, che è poca fatiga, se
prima non si provede a queste cose necessarie: fornire de fortificare
e] bastione de la Petra Dolorosa, la Chiesa de Sancto Michele, el ba-
ione de Vico, repezare, et resettare li mura de Vico, et anche quelli
e Buti per pospre fare impresa; che, facendosi prima che queste cose
resettino, ne conseguiria che, per andare ad aquistare, perdaremmo
del guadagnato ; et per non fare questo vi s’ è mandato a dire, et
s ripte più lettere, de marraiuoli, de scarpelini et muratori, et mastri
'aseia per resectare l'artigleria; che de nisuna de queste cose cum
effetto non se si è mandata nisuna, se non mandarimo et farimo, de
ggi in -domane; cum questo non si pó fare lavorare né andare in-
manzi, ché non se n' é hauto se non li mastri d'ascia. E a cio che te-
ta Magnifica Signoria, et li Signori Dieci, et tucto testo populo sieno
iari et«certi che noi non desideramo stare forti, ma fare impresa sino
h'el tempo ci serve, farite intendere a tucti universalmente che non
mo de altro animo ; et per questo pregarite et confortarite per parte
nostra voglino essere contenti fare questa provixione: che li Signori
eci faecino chiamare tutti li mastri da murare dinanzi da loro, et a
elli fare comandamento infra dice di si trovino qui dinanzi a li
tomissarii, et similiter a tucti li scarpelini, et provedere a li maraiuoli,
i ciò se possino fare quello è necessario a fare aduno subbito. Et a

388 ; G. NICASI

la parte de dinari, che si dice noi diamo principio a la impresa, che si
mandaranno di mano in mano, ve dicemo havemo fatica de tenire que.
sta fanteria, che non se ne fughino senza fatione, o pensate come se
poterieno tenere in exerciti cum factione, che omni di si ne vanno a
Pisa per la fama che se é levata che li se danno dinari assai. Et per
questo di nuovo ve si signiffica et chiariscivise ch'el dinaro è neces.
sario che venghi per expedire tucte le fanterie et gente d'arme, prima
se pigli altra impresa, una cum la provixone sopra detta; che facto
questo farimo vedere et toccare cum mano non siamo per perdare
tempo, che volesse Dio noi potessimo provedere'a teste cose noi del
nostro, che, a questa hora, non saremmo senza impresa ; che magiure
dispiacere et dolore ne portamo. noi, che non ne porta testa Magnifica
Signoria, et testo populo, a li quali non mancate di replicare et tri-
plicare et fare intendere el tucto. A la parte de lo acordo de’ Senesi,
noi havemo piacere le cose se trovino a buono termine, che è assai
grande nostro proposito ; et non si manchi che segua effecto. A l’altre
parte de la vostra, ve rengratiamo de la diligentia usata, et de le no-
titie ne havete date del tucto: havemo pensato, quando le cose de
Siena sortissimo buono effecto, quello potesse fare el Duca d’Urbino
cum Piero di Medici et Ursini, che saremmo de parere li Signori Dieci
facessaro provixione de fanti in fare bene guardare Cortona, Valiano
et quelli lochi lì cireumstanti, che dal dire al fare non potessaro asal-
tare in nisuno loco. Et ancho havemo pensato talvolta non volessaro
passare per forza sopra el teritorio de Castello, et andarsene sopra al
Borgo, et per la via de la Pieve de Sancto Stefano, in intrare in Ca-
sentino; et li porrieno coglere la brigata sproveduta, et fare danno
assai, et piglare qualche loco, et advicinarsi a li confini de la Roma-
gna, donde per li Venetiani, li se poteria dare rinfrescamento de più
gente, et de altre cose a loro propositi: il che sarà bene le loro Si-
gnorie ci advertissino et faccino qualche provixione ; et sollicitare el
Signore de Piombino et Giohan Pavolo non si vole mancare si faccia

che sieno ad ordine per ciò che potesse ocorrere : nec alia.

388. (Ep. II. 294). Vico pisano, 1498, Sett. 17.
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.
Magnifice Domine commend. &e.: Questa sera et per la vostra et

per la lettera de li Signori Dieci a li commissarij havemo visto el vo-
lere de loro Signorie, imo in comandare che noi andiamo a campo. @
o $

LÁ FAMIGLIA VITELLI, ECC. 389

na, et imediate, del che non ne havemo possuto piglare altro se
, grande dispiacere. Considerato tanta celere mutatione, che Sabbato
ieme con la pratica loro Signorie la remettessaro in noi, et hoggi
bbino faeta tanta mutatione; et certo sappiamo non è già per no-
i demeriti, che simo per rendere buono conto de hora per hora di
suoi venemmo in questo paese. Come altre volte per noi vi se è scripto,
nuovo ve replicamo, che la impresa de Cascina sarà difficilissima,
| tale volta impossibile ad aquistarla; donde a questi Signori se ne
serà danno grandissimo et senza forse la perdita de la speranza
breve tempo de rehavere Pisa o per acordo o per forza, et a noi
arà vergogna; che sapete stimamo piü l'honore che altra cosa hab-
| biamo in questo mondo. Et perchè le ragione a dir questo sono molte,
t acadarà a fare diversa replicha, per informarvi bene, domatina man-
aremo Pavolo Fucci bene instructo, et tucti doj insieme farete cum
ymni conato se faccia impresa ragionevili.
— .Fannomi assai maraviglare loro Signorie che scrivano si vada
continente, mancando per loro tucte le promesse per noi già diman-
date da principio, chè altra cosa nova non dimandamo, prima de le
fanterie non è pagata la metà, le artiglarie cum omni forza non sa-
«ranno fenite cum tre di sequenti. >
E In campo sono 250 maraiuoli o meno, et bene che ne habbiano
‘comandati assai numero, di questi ne facemo poco conto per la expe-
jentia già veduta; et si di quà per li commissarij se n'éó mandati. a
fare 200, et stamattina cento per nostro ordine et a nostra persuasione,
non siamo pepò certi habbino a venire, et venendo ci sarà tempo di 3
4 dì. Oggi sono arivati li mastri de murare, et questa sera al tardo
hanno incominciato a murare a Vico, et oggi se è cominciato acon-
are el bastione de questo logo; el bastione de la Dolorosa, Calci,
Buti non sono anche resectati. Oggi hanno incominciato a lavorare li
scarpelini a la Dolorosa; questa sera sono venuti parte de li muli et
mon tucti. Pensano adunque questi Signori che per havere mandato
parte de’ dinari, et oggi havere mandate le promixione, et in parte,
che li havemo chiesti doddici dì fa, si possa mandare in campo incon-
tenente? Pure simo parati a fare el debito, imo sforzarci; ma bene
vorremmo le cose si consultassero di costà uno poco meglo ; et la im-
putatione del tardare nostro, quale è per le triste et tarde provisione
oro, non si attribuisse ad noi. Recordarite et sollicitarete quanto po-
terete el resto del denario. Le ragione che rendano la impresa de Ca-
seina difficile, imo impossibile per le lettere nostre vi sono seripte, et
anche per Pavolo Fucci ad plenum vi sarranno renotate. Nec alia.







390 G. NICASI
389. (D.r. LVIII. 606). Siena, 1498, Settem. 18,
Antonio Guidotti.
... Essendo [io con Pandolfo Petrucci] in questi ragionamenti,

tornò un cavallaro dal campo del Duca di Urbino, il quale Pandolpho
li mandò eum la conclusione dello accordo (1): di che il Ducha sj

mostrò mal contento, simile il provveditore veneto; che non hanno.

voluto rispondere nulla a Pandolpho. Questo cavallaro che partì do-
menica dal Ducha prefato, che si trova sopra la Fracta, riferisce chome
in campo [del Duca di Urbino] erano venuti Piero dei Medici et li
Orsini, excepto Bartholomeo d'Alviano, et che erano in tutte homini
d'arme einquecento, dumila fanti et dugento stradiotti, che erano ve-
nuti quel di medesimo. Parlavano in campo diversamente; chi diceva
verrebbero sotto Cortona per Val di Pierla, et chi a la volta di Siena
et chi per Romagna ; et partirebbono immediate, arrivato Bartholomeo
d'Alviano ....

390. (Ep. II. 156). Vico pisano, 1498, Settem. 18.
Paolo Vitelli a .... (2).

Magnifice vir etc. Questa solo per notificarvi e dirvi che voi, in-

sieme cum Pavolo Fucci, siate da la Signoria et exprimiatele tucto

quello che per la nostra questa nocte ve scrivessimo ; e riferiate tucte
le ragioni et deficultà obstano a la impresa de Cascina, et quello che

più ci move andare a Librafacta; et de tucto farete loro Signorie

capaci.

Apresso heri sera havessimo circa 150 maraiuoli, cioè: da Prato
90 et da Sancto Miniato 60; de li quali questa mattina non se ne
trova nisuno: vedete si sono per fare alcuna expedictione; chè mai
se farà cosa bona si non fanno conestavili et piglinli a pagamento, et
faccino pagare le spese a loro subditi: fatelo intendere a la Signoria.

(1) Il 13 settembre era stato fatto l'accordo tra i Senesi ed i Fiorentini, in con-
seguanza del quale, i Senesi negarono il passo per il loro stato alle genti del duca
di Urbino, che aspettava tra Gubbio ed Umbertide il permesso di passare. Pandolfo
Petrucci, Signore di Siena, eveva mandato un cavallaro a notificare quest’ accordo
al duca suddetto, ed il cavallaro ritornò in Siena il 18 quahdo Antonio Guidotti,
oratore fiorentino, si trovava in abboccamento con Pandolfo Petrucci.

(2) Questa lettera non ha indirizzo; ma fu certamente diretta a Corrado Tarla-
tini.

E



LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.



Preterea per la impresa de Librafacta havemo mandati più ho-

mini nostri sufficientissimi a perscrutare quelli luoghi, et havemo man-
dato (
solutione; et de quello retrarrà sarete subito advisato, ad ció possiate

inagni de Picone, quale questa sera deve tornare cum plena re-

fermamente parlare et non in dubio. Et, ultra le altre ragione che me
inducono a Librafada, una ce nè potissima che, nel andare nui in quelli
confini de Lucha, cum qualche pratica che gia havemo cominciata,
speramo redure li Luchesi in concordia cum testi Signori, comme sè
facto de le cose de Siena. La qual cosa deltucto to’ via omni speranza
a li Signori venetiani de potere mantenere la impresa de Pisa, sino li
condurre a fare omni acerdo: fate tucto intendere. Ulterius havemo
grande dubio, per qualche cosa cè notificata questa matina, che que-
sta mutatione de andare a Cascina è suta causata da Jacopo Pitti et
Francesco Pandolfini, che tanto più ce dorria. Vedete si ne possete ha-
vere informatione alcuna.

(Segue a tergo). È tucto causato da Messer Ciriaco (1) con li dui
Commissari sopradetti; et Francesco Pandolfini cè concorso volontieri,
acioché questa cosa sia causa del vituperio nostro, quando non la pren-
desimo ; chè cusì è da credere ragionevolmente.

In campo non havemo più di cento maraiuoli: é vero che il Si-
gnor Pietro (2) et el Conte Checho (3), a nostra persuasione ne hanno
mandati a fare 300, quali non pensamo habbiamo a venire tutti: et
quando venissero, sarieno per una parte, chè, per fare imprese, man-
cho de mille pagati non ne volemo, a ciò stieno fermi et noi possiamo
fare le factiopi bisognano, o almancho ottocento: facciamo conto che
vivi tornino 800 ; et cum mancho non se potaria far niente: che fa-

cemo conto tornino al numero come paghe da guerra.

BOI. (D. 1c. XXI. 289). 1498, Sett. 18.
D.no Franco Pepio.

Facilmente potrebbe essere che il Duca di Urbino con le genti
sua et quelle di Carlo Orsino, Bartholomeo d'Alviano et Messer Astor

(1) M sser Ciriaco Palamidesi del Borgo Sansepolcro che, come abbiamo altre
volta detto, era uno dei Condottieri dell’ esercito fiorentino e, mentre era amico e
fautore del conte Rinuccio da Marciano, era nemico acerrimo di Paolo Vitelli.

(2) Il signor Pietro Marchese del Monte Santa Maria, altro dei dondottieri as-
soldati dai Fiorentini.

(3) II Conte Francesco Barbelani da Montedoglio, che si trnvava egli pure al
soldo dei Fiorentini.
























































392 G. NICASI

[Ballioni] di Perugia (de quali insino ad hora insieme col Duca d' Ur.
bino intendiamo si truovono circa 300 huomini d’ arme et 30 bale-
strieri a cavallo) si troverebbe verso Romagna, Li quali sono stati
qualche dì alla Fracta in quello di Perugia aspectando, per quello sti-
miamo, in che si risolvessino li Senesi, et maxime havendo hora inteso
la triegua conclusa et stipulata intro Sanesi et voi et etiam cognoscendo
verso Cortona et il Borgo potere poco nuocere per essere i luoghi forti
et passi strecti et diligentemente guardati, et per havere noi ordinato
di levare il conte Ranuccio dal Poggio et condurlo con le sue genti in
quello di Arezzo, dove etiam abbiamo disegnato si riduca il Signor di
Piombino con la sua compagnia, la quale di già abbiamo mandato a



levare, et in pochi dì si troverà in quel d'Arezzo, in modo che tra le
genti sue et quelle del Conte Rinuccio et di Giampaolo Baglioni, che si
truova con le sua appiè di Cortona, farà la somma di presso che ccc
huomini d'arme et saranno in luogho comodo da poter sempre perve-
nire ad qualunque volta si raddirizzassi il Duca di Urbino con decte
genti, et non solum da poter resistere et rompere ogni loro disegno,
ma d’afrontarli animosamente quando ne havessino bona occasione. Et
così, tornandosene loro verso Romagna, li nostri, per havere più breve
et expedito cammino, sempre si troveranno al riscontro loro, in modo
che, da queste bande di qua, ci pare essere sicuri non potere ricevere
offensione, nè danno alcuno, nè per questo essere costrecti ad fare di-
versione alcuna delle genti del campo in quello di Pisa. Et in Romagna,



quando per la excellentia del Duca si faccino le provisioni disegnate,
non crediamo potere essere molto offesi, et maxime che questi disegni
vani, che sono fondati in sul credito et favore che si attribuiscono
Piero et Giuliano de Medici, facilmente et presto si risolveranno in
niente. ....



892. (Ep. II. 204). Dal campo, 1498, Settemb. 18. I noctis.
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice Vir: questa hora 24 havemo hauto el bastione de Libra-
facta in questo modo: condotta che viddaro l’ inimici l’artiglaria, inco-
minciaro a gridare: « patti, patti », et chiesaro termine tre hore, el
quale non li volemmo dare, et in questa altercatione si apicchò uno
pocho de scaramuccia, et benchè disordinata tamen se è preso; de li
quali ne sono morti 10 o 12, li altri fugiti et buttatosi giù per quella
balza de Librafacta; de li nostri feriti da 6 o 8 presso. Sollicitate
Cerbone se ne venga cum dinari et che noi simo intrati in la quinta LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 393

et non ci trovamo uno quatrino, et questi fanti mughiano et me-
ano che se ne andaranno con dio ; et direte solliciti anche li ser-
ostri, che in effecto non havemo uno trino. Nec alia.

BB. VI. 21). Vico pisano, 1498, Sett. 20.

Magnifice Domine; Intesa per vostra lettara la partita del Duca
Birbino verso Romagna, volemo cum instantia rechiediate li S. Dieci
ibbito faccino venire de qua Joh. Pavolo et Simonetto, a li quali

riverite in nome nostro che venghino insieme, essendo ad ordine, et
uando no, venga uno di loro, chi prima si trova in ordine; et cum
Jla parte possano, che al presente non è tempo de pensai barde,
Jance depinte, ma basta solo sieno ad ordine a la factione per la
nerra ; et in effetto sollicitateli et confortateli a venire cum quanta
celerità possano.

Apresso nui volemo andare a l' impresa de Libra facta, et bisogna
ima expugnare uno bastione che è in sul monte, quasi uno miglo
-]ongo da la terra, el quale é in logo forte comme è el monte de la

orosa, et perché bisogna expugnarlo per forza, l' inimici, veduto che
importautia et resto de lo stato loro, stimamo yerranno a la difesa,
talvolta a fare facto d'arme cum noi; perchè nel borgo de Pisa si
rovano 2000 fanti, et, fra Cascina et altri luoghi, ne hanno mille vivi,
he per fare una giornata ne cavaranno la magiur parte; et per fare
juesta ultima prova stimamo operaranno una bona parte del populo
(Pisa; et li loqi dove si havesse a combattere sono piü da fanterie
le da gente d' arme. .Et peró mi dole la partita de Dionisio da Bri-
ghella, per essere lui valente homo, et per havere bona compania, al
ale consentemmo el venire, inteso el pericolo de lo stato di testi
nori: al presente, veduto che non bisogna per la defesa de le cose
ro, ma solo per innoare in Romagna, ce pararia el facessaro sopra-
dere de qua 3, o 4 giorni, fino che havessimo preso el bastione, et
noi se ne venisse'a suo piacere. Et advertite bene testi signori che,
guadagnare el bastione de Librafacta, è del tucto asediare Pisa, et
erli omni speranza de socorso ; et però stimamo ci habbino a ve-
ire a trovare; et per questo vi sforzarite operare che ditto Dionisio
i Brisighella resti per 3, o 4 di: et quando pure paresse a loro S.ri
amente, fate spaccino incontenente Giohanni de la Vechia, et che

) faccino venire subbito ; et cusi sollicitate mandino el resto del di-
iro per le fanterie, et polve et pallotte di ferro, se ne sono venute
nuovo da Brescia, che già de qua le artiglerie questa sera, saranno
ordine; et de fortificare questi lochi già simo a buono porto, et li

G. NICASI

tempi sono buoni, et di natura che perdemo tempo al soprastare; et
si le fanterie et marraiuoli fossero spacciati domatina, omnino ci sa.
remmo levati: sollicitateli in modo che non habbiamo a soprastare pi
Di nuovo vi dicemo sollicitate lo spacciamento di Ioan de la Vech
et cusì fare venire li fanti da Roma: nec alia.
Io messer Antonio Albizini me racomando ad V. S.

394. (B. VI. 23). Dal campo presso Lucca, 1498, Settem. 24. XII

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice Domine: a di 28 del presente partemmo da Vico per.
andare a la impresa de Librafatta, et aloggiammo apresso a Lucha ad 1
uno miglo et mezo, et questa matina ne volevano levare per seguire
l'ordine nostro, et per defetto de buoi che non sono posuti arivare,
l’artiglerie ci interumpano grandemente, de natura ci fanno stare di
molta mala vogla per non se essere seguito quanto per li commissar
da là é stato scripto, che si volesse mandare 30, o 40 para di buoi
grossi per condure detta artiglaria, chè questi del paese non fanti
factione per essere picholi. Il che per parte nostra di nuovo farite i
tendere a testi Magnifici Signori Dieci che voglino provedere ad minus
de 25, o 30 para ne sieno mandati con celerità et non si manchi pe
niente che ad uno partito preso le possiamo avere. Apresso sollicitate
voglino fare provixione de vituaria, che se habbia a mandare per la.
via de Pistoia, de valdarno, de valdenievole per la via de monte Carlo,
cioè pane et biada, che de vino di qua stimamo non ce possa mancare;
et anche che piacirà a loro S. mandare 70, o 80, o sino in cento muli
da Fiorenza, che habbino a stare fermi qua per condure vituarie, perchè
per altra via stimamo non facendo questo ne porria seguire disordine
non saria picholo. Di marraiuoli non ve diciamo quanto ne havemo
necessità et carestia et quanto importano, che senza loro sta suspeso
tucto lo exercito, et non si pó fare factione aleuna, et pegiorasi cmni
di miglara di ducati per detta cagione, si che una volta ci voglino fare
tale provixione et dimostratione de punitione, che quelli che vengano.
non se habbino a fugire et che venghino con li ferri da possere lavo-
rare et non con le mani in bocha, comme quelli pochi che sono venuti.
Et sappiate anche per difetto di buoi la munitione de l’artigleria non
se è posuta condure per el bisogno, per lo defetto di buoi che non si
sono posuti avere, et trovamoci qui et non ci possemo levare, si per
l'artigleria che non è posuta condure, et si per le munitione che non
sono posute levare, et scale, et imbraciatore che cisono ad noi opor-

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 395

e, che senza dicte cose non possiamo fare niente. Trovamoci qui tanto
contenti et di malavogla quanto dire vi se potesse, et questo si è
volere obedire, che ci trovamo in mare senza biscotto, che veda-
mo molto bene prima che le provixione non erano in ordine; ma
rehé non si extimasse che procedesse da noi el perdare tempo, ne
ovamo comme avete inteso; quello che importa lo lassamo giudicare
omni homo si a l’ utile si etiam a l' honore el quale non poco sti-
amo. Tucta volta, facendosi le provixione dette, bene et presto comme
‘riterà el bisogno, non simo per mancare di fede et diligentia in sino
la vita ne durarà adosso; quando el si faccia le provixione altro che
parolle et non mancate de dire che si faccino cum effetti ch’ el dire
non basta; dove bisognano fatti non bisogna parolle, et cusì farite in-
| tendere a pieno omni cosa a testi Magnifici Signori Dieci et a la Si-
- gnoria, et in tucti quelli lochi dove vi pararà expediente si habbi a
provedere: nec alia.

395. (Ep. 1I.:298). Dal campo, 1498, Sett. 30. II noctis.

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice Vir: questo dì havemo hauta le torre de Librafacta, et
«ala prima statim che veddano apoggiata la travata si resaro a discre-
tione, et a la seconda non aspectaro noi la pogiassimo, demum tucti
dui si sono rese a nostra discretione. Ci dispiace assai Piero Corsini
sia remosso d®l’ andata di Luccha, perchè era a grandissimo proposito
et di gran fructo, tuctavolta eredemo testi Signori l'habbino facto per
]o meglo. Confortamoli a fare nove provixione de uno altro, che in-
vero questi Signori Luchesi in dies si portano di bene in meglo. Nec
alia.

396. (Ep. II. 289). Perugia, 1498, Settem. 30.
Simonelto Baglioni a Corrado Tarlatini.

Messer Corrado, Inteso per Ser Valerio ne la sua tornata cum
quanto studio la Magn.tia Vostra ha procurata la mia condocta cum
testi Signori fiorentini, nè è restata nè resta tucta volta usare ogni di-
igentia per augumentarne oltra li 60 balestrieri, la regratio summa-
mente et li ne resto ultramodo obligato. Et oltre che io mi persuadei
-fueto procedere per sapere Lei lo sviscerato amore portano ad tucti
noi testi Signori vostri patroni et nostri honorati parenti, pure a ogni





396 ; G. NICASI

modo cognosco la inclinatione vostra, et come è dicto, li ho obligatione,
Io quantunche cognosca la condocta de li 60 balestrieri, attenta la
qualità de li tenpi, il modo del pagamento, et per qualche respecto, -
essare poco honorevole per me, pure confortandome voy per parte de -
la Signoria del capitanio ad restare patiente, come cului che una volta |
ho facto concepto in qualunche caso governarne secondo il judicio de |
Sua Signoria, son contento de quanto li pare, et precipue per stare -
presso di lei et de Iohanpaulo mio fratello, et sperando ancora por- È
tarme in modo che testi Excelsi Signori inclineranno poi ad farme |
meglio. In effecto cum l’ usata securtà, vi prego et strengo quanto più 3
efficacemente posso, che facciate ogni cosa de vedere si mi potesse far
dare tre paghe o doi e meza, et anco per la persona mia otto o dieci
ducati più, che invero havendo io in casa parechij cavalli et grossa
famiglia, cognosco che li 30 ducati sono pochi, et io prometto, dal di -
che ho hauto el dinaro, conparire et cavalcare intra sei o sétte di cum |
una bona et utile compagnia. Pure insistete assai si mi potessivo far
dare al manco doi paghe et meza, che lor Signorie el doverien fare,

attenta la difficultà del vivare et del luoco, ove non vi può essare gua-

dagno per li soldati, ma bisogna vivar ne la borsa, et so contento che
la Magnificentia Vostra adcepti la mia condotta o mi facci condurre di
nuovo per li sei mesi.

Et perchè la potissima causa che mi induce ad consentire è solo
per stare presso ad testi mei signori Parenti et Iohanpaulo, che oltre
li mei 60 governaria anco li soi 50 balestrieri, et cum epsi crederia fare
ogni gran cosa, desidereria che vi facessivo promectere che io havesse -
ad stare presso a li dicti. 1

Et anco perchè ho oggi tueta la compagnia fornita, et cusi giuro -
a la fede mia essare la verità, tenendola cum difficultà a le spalle,
besogneria che questi dinari io li havesse subito o intra pochi di, che
altrimenti mi consumeria et maxime havendo dati certi dinari a una
parte de la compagnia, cum certo poco termine mi habbino adspectare:
che quando vedessivo che questi dinari fossaro molto longhi, io non
voria star cusì legato et in sull’avere, perchè, come ho decto, la com-
pagnia non può aspectare.

Chiarite anco testi Signori che conducendome io sensa inprestanza
et ad questo tenpo d'inverno che non vi può essere guadagno alcun
da vivare, che a li tenpi debiti besognaria che lor Signorie mi pagas-
siro secondo il tenpo servito et cum manco lungheza che si può, che
altramente serria una disfatione de la conpagnia.

In effecto servo volonthiere testi Excelsi Signori, prima per la |
naturale inclinatione ha casa nostra verso testa Excelsa Republica, per

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 397

presso testi mei honorandi Signori parenti, et cum animo por-

e in modo che allor Signorie verrà voglia a li tenpi disposti augu-

arme secondo li portamenti mei, et per mia fe’, Messer Corado,
‘e io vi farò vedere cusì bona et utile conpagnia quanto nisun' altra

habbiate vista un pezo fa.

Et infine vi prego che procurate havere il dinaro cum quanta piü
srità è possibile et pigliatelo voi, et cusì vi constituisco procuratore
petli mandarite per qualche cavallaro apposta.

To vi mando l'alligata lettera del Signor Bartolomeo [d'Alviano]
uale ho hauta nuovamente, confortandome ad prender dinari de' ve-
tiani, ef potreti conprendere che io trovava molto maggior condocta
più dinari che questi de testi Signori.

Giovampaulo scrive ad Ser Baccio che facci intendere ad testi
gnori che mandino un cavallaro, o chi pare allor Signorie, che lo hab-
no ad condurre al suo camino. Et alla Magn.tia Vostra mi racomando.

Messer Astorre dice cavalcare domane o presso.

Questi Signori Venitiani da principio non volevano cavalli lizieri,
balestrieri. Di poi ho veduto che Carlo et Griffone habbin facti quasi
eti balestrieri.

Librafatta, 1498, Ottobre 2. IV noctis.
Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice Domine: Li Signori Commissari] ci fanno intendere per
ilettare de li Signori Dieci, che di qua si debbia levare Borgo Renaldi
(et mandarlo di là, del che grandemente ci maraviglamo di tale innoa-
tione, ateso trovarci noi a lo asedio di questa terra con l’artiglarie, et
Ji nimiei essere propinqui, et de facile poterci venire a trovare, per
trovarci noi in le forze loro et non essere mancho forti di noi et per

ssere essi in selle cum 350 homini d'arme veri et 300 fanti et 1000
avalli ligieri et el populo di Pisa con lo contado, che anco non è
da farne poco conto, che ad noi ad uno partito preso non potessaro
are di quelle cose, le quale non sarieno a nisuno proposito, né di
tile né di honore di loro Signori, né anche nostro, sminuendo et
xtenuando lo exercito. Et se le loro Signorie se refidassero tanto in
ioi che potessimo essere suficienti a resistere a le ragione dette, per la
fede havessaro in noi, respondemo che, per quanto la forza et le facultà »
t la vita ci bastasse, non saremmo mai per mancare, non di mancho,
onsiderato le genti che havemo et dove ci trovamo impegnati con l'ar-

iglaria, lassamo andare che di questo si dovesse sminuire, immo agio-



398 G. NICASI

gnerla, per volere bene giocare nel sicuro, et che questo se possa
toccare eum mano; ne lo exercito nostro sono da 430 homini d'arme
et da 3000 fanti veri et da 500 cavalli ligieri, ma veduto el suplemento
che bisogna fare dal canto di là, ci sforzavamo havere patientia a
questi, et fare de li altri provixione oportuna et remedij che, li nimici
venendo non ci havessaro a fare di quelle cose che più presto a loro
havessaro a tornare in danno che ad noi; hora volendo le loro Signorie
sminuire et levare di qua fanti, non ci pare per niente sia el bisogno
di quelli, nè per utile nè honore loro, nè nostro. Et si quello stessaro
pure improposito de volerlo fare, per parte nostra le pregarete et di-
suaderete, per non essere el bisogno per la vitoria de la impresa de
qua, et meglo saria, quando vedessaro non possere mantenere questa,
che noi ci havessimo a retrare di qua et andare dove piacesse a loro

Signorie : et si non paresse a quelle che andassimo noi, andrassi quella

parte piacesse a quelle, et noi retrarci in qualche altro loco, che non
ci havessimo a trovare ne le forze de li nimici come ci trovamo, et
havere a le spalle li luchesi, de li quali si po’ fare giuditio quando
vedessaro uno destro quello farieno, che pure cusì ci fanno veghiare
et stare suspesi con grandissima guardia, si che smenuendoci lo exer-
cito, quello veria a dire a loro dare animo, et a li nostri minuire con-
dietioni, che saria fora di proposito de’ loro Signorie et nostro. Il che
vi confortamo che pregate quelle, per parte nostra, per tucte le ragioni
dette voglino molto bene pensare et ponderare omni cosa, quello ve-
nisse a dire et quello ne potesse sequire, che noi non voremmo ad
uno tracto disfare loro et vituperare noi, quando sieno per stare in
questo proposito; più presto piglare el partito che vi s'é detto per lo
mancho male, benchè non ci piaceria sie l'uno né l'altro, et come
affectionati de loro Signorie simo necessitati a parlare largo. Che si
cognoscemo possere fare di mancho gente, faremo al presente quello
facemmo a li di passati de Dionigi et del Signor Octaviano, incontro
de li quall ci fu promesso fare mille fanti et non se n'é fatto niente ;
et eramo remasi pur contenti per satisfare a loro' Signorie, a le quale
de continuo ce recomandate.

A la vostra non s’ è possuto fare resposta per brevità di tenpo ;
ferassi per lo primo ; dite a Cerbone se ne venghi.

398. (B. VI. 28). Dal campo, 1498, Ott. 3. III noctis.
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice Domine; havendo noi bombardata la terra assai bene,
et già apogiata la travata et abrusciato uno revelino a la porta et in-

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

neiato a fare la cava, quelli di dentro ci chiamaro, questo di in-
24 hore, a parlamento et post multa concludemmo che, si domane
ore di sole non hanno socorso et di natura che siamo necessitati
ilogiare, ci daranno la terra in le mani, salvo le robbe et le per-
e di quelli sono dentro; caso che si sieno in li loro piedi, aspeetamo
nimici domatina de buono animo et speramo, venendo, non partiranno

la noi senza mercato : nè altro per questa.

. (Ep. II. 386). Firenze, 1498, Ott. 13.
Corrado Tarlatini a Paolo e Vitellozzo Vitelli.

Ill.mi Signori mei commendatissimi : Io so’ stato cum Benedecto
lerli], el quale me dice trovare non picchola difficultà in sul denaro, et
si presento dagli altri, tamquam me dice lui et degli altri suoi com-
agni questa sera manderanno tre o vero quattromila ducati, li quali ho
eto non sono nulla rispecto al bisogno; respondano se manderanno
gli altri.

El Marchese de Mantoa, per boccha de Messer Iohanni, ha de soldo
2 mila ducati, cum obligatione de quanta gente Francesco Nerli, che
rive da Bologna, non lo dice. Da Venetia se ha quanto ve ho scripto,
ioè infra el Marchese et el Signore Iohanni 400 homini d’ arme, ma
on parlano del denaro ; scrive Francesco che gl’ a mandato el Mar-
ese a Messer fohanni per homini d'arme, che é segno non ha la
mpagnia.

Io ho eonfortati questi Signori Dieci mandino uno secretamente a
antua per intendere gli andamenti del Marchese, quanta gente fa,
ando se moverà et ad che camino terrà; quando le Signorie Vostre
r mezo Messer Marcho Antonio potesse intendere el vero non siria

fora del propoxito vostro.

De Romagna non è altro che li innimici se stanno tre migla de
ngho dal borgho de Marradi, in uno loco che v'è una chiesa chia-

mata Sancto Martino in quello de Faventia : la intentione, per quanto
nto dal homo del conte Rinuccio, de li nostri, è, tanto quanto tornas
ro adrieto, tanto sequitarli.

Li oratori dè questa Signoria che sono a Venetia, hanno licentia

costoro de tornarsene. Pare che la natura de lo acordo che vole-
no fare sia questa: volevano che Pisa restasse come Pistoia, ma le
forteze restassero in mani de’ Pisani, et volevano 400 mila ducati, 300
per loro et 100 per pisani. Dice che a Venetia non se grida se non: a


















400 G. NICASI

Pisa, a Pisa. La non è pocha reputatione che le Signorie Vostre has
bino facto levare Venetia a rumore, che gridi: Pisa, Pisa.

Io lauderia che li cancellieri de cotesti conductieri et comestabili
fussero qua a solecitare denari perchè ve cognoscho difficultà. Bene.
decto credo per mo non tornerà in campo : siria bene le Signorie Vostre
el tenissero solecitato cum lectere sopra el denaro.

Signori miei, io non voglo per alcuno riguardo tenere quelle cose —
che vi danno noia non piechola. Li creditori nostri che hanno date
robbe a Cerbone, intesa la sua partita, se sonno desperati de havere
più denari, in modo se ne parla assai, et Giuglano Gondi, el quale ama
el nostro honore, me ne ha già parlato, confortandomi io non lassi an-
dare questa voce per lo publicho, et che io ve vogla remediare. Quando
le Signorie Vostre mandassero Cerbone qua, o vero, non potendo ve-
nire, me mandasse una lista del quanto hanno havere et ordinassemi
qua che io havesse el denaro, io me sforzeria, dandone parte, farle re-
stare quieti. Ho voluto le Signorie Vostre lo intendino: per quella via




ve parrà, ve farite provixione: racomandome a quelle.

400. (Mise. 16). Dal campo, 1498, Ott. 18,




















Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.



Messer Corado, noj havemo duj vostre, una de’ 15 et l' altra de
16. Et quanto al capo delli danari, ve avisamo come, de quelli sono
venute, noi non havemo hauti se non 1800 ducati di grossi: aspectamo
li 12 mila ducati che scrivete ci siranno fra 3 di, se non siranno di quelli
3 di che sono stati fino a hora. Non restate voi con ogni diligentia
possibile solecitarli, perchè in questo modo non è possibile più durare,
avisandovi che havemo acattati più che 500 ducati et havemo voite le
borse a questi bettolini et in questo campo.

Le provisioni contra il Marchese bisogna che si faccino et costì
et a Milano, et come per duj altre nostre ve havemo seripto, bisogna
che c’ingrossino de natura che potiamo starli a petto et quando fac-
cino questo non dubitamo di niente; et però operate con ogni diligentia
si facci questo effecto che è necessario, et vedete haviamo Giovampa-
volo et Simonetto et con prestezza, che siranno a grande proposito di
qua. Et perchè scrivete che costì concurgono al condurre più fanti che
si po’, ve avisamo come noi semo di contrario parere, nè è cosa da
fare per niente, perchè, essendo noi in su questa venuta del Marchese,
bisogna siamo gagliardi et di fantarie et di genti d'armj, per poterlo
in su questo principio contrastare gagliardamente, et per questo, come LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 401

r altre nostre ve havemo scripto, vorremmo si mandasse qua alli
sommissarij qualche miglaro di ducati, a ciò che potessimo torre alli
‘nimici 600 e 800 fanti di quelli sono in Pisa, che credaremmo riuscisse;

per questo confortate testi Cictadini che per uno mese almanco non
aggionino levare fanti, ma crescerli, come è dicto, si voglono conseguire
‘utile et honore.

I Solecitate quanto potete et operate ogni industria, che la condocta
el Conte di Pitiglano se facci, perchè sirà a grande proposito et grande
ontrapeso delle cose del Marchese di Mantova.

Siate con Giuliano Gondi et gl’ altri, secondo l’ ordine dato a Cer-
‘bone, et operate che si trovi il danaro per lo vescovado et con prestezza.
Ft quando gl’ altri non tenesseno fermo siate con Giuliano et pregatelo
per parte nostra sia contento luì servirci in questo capo. che lo repu-

aremo da lui solo, et non haremo obligo con altri; et hauto si mandi
danaro secondo il modo che ve havemo seripto per duj nostre.

Se costoro non hanno mandato per intendere gl’ andamenti del
Marchese, operate se mandi, che sirà a proposito.

; Regratianvi delle nove et preghiamvi ci teniate avisati precipue
di quelle di Francia. :

E01. (Ep. III. 208). Dal campo, 1498, Ottobre 21.

Puglo e Vitellozzo a Corrado Tarlatinì.

Messer Corrado: Tomaso Caponi è a Lucha et per malattia della
figliola pare che raggioni tornarsene a Firenze: il che è fora dogni
nostro proposito, perchè, stando li lui, havemo grande penuria de vic-
tuarie, cum fare lui omni sua diligentia; donde partendosi stamo
omnino destituiti de speranza de haverne niente. Et peró operate che
per niente se parta. ‘Et perchè noi haviamo qua Jacopo Pitti amalato

in campo, et pare etiam ragioni anche lui, seguitando il male suo,
tornarsene ver Firenze; et tornandosene, noi vorremmo qua uno com-
missario amorevoli (?), altrimenti siremo poco dacordo con testi Si-
gnori. Et peró trovandosi Tomaso Caponi a Lucha siria bene se tran-
| sferisse qua in campo, in luogo de Jacopo, et un altro se mandasse a
Lucca in luogo suo. Voi intendete il bisogno, fateci omni opera.
Voi seriveste che ce se mandava per conte nostro 500 ducati, per
li quali havemo mandato 25 balestrieri sino a Pescia, et infine non ci
hanno trovato uno quatrino: è stato uno bello dileggiamento appresso
agli altri. Siate cum testi Signori et fateli intendere che noi, non tanto
Stamo de mala voglia, ma desperati, trovandosi cum la compagnia et



402 G. NICASI

la fanteria alle spalle, et deleggiare dei denari. Et notificateli che per
quest’ anno, non mutando modo, se potranno bene servire delle per.
sone nostre, ma non delle genti, chè tutte se ne andarano, chè non
possono più restare senza denari. Et appresso a questo noi stamo in
campo senza pane, et assai havemo potuto scrivere che proveghino a
le vietuarie, che mai ce sé fatto una provisione. Et non sapemo a che -
fine fare le fortezze et haverse a perdere poi per fame. Et il campo se 1
desolve, che già se ne sono andati molti fanti: et quando loro cre.
deranno havere qua uno exercito, non ci avaranno nessuno ; et loro 1
areceveranno danno grande et noi ce remarremo, per colpa loro, vi. |
tuperati. 1
Post scripta. Quelli nostri che noi mandammo a prevedere le 4
strade che pò fare el Marchese, sono tornati et referiscono il paese 3
essere forte, donde stimamo poterci mectere in luogo che a uno tempo 3
combatteremo quelli che sono a Pisa, et obstaremo a la passata dal
Marchese, facendo loro provisioni da ingrossarci per modo, che po- 3
tiamo stare a petto loro. Noi manderemo uno di loro là [in Firenze] 1
a ció che intendino quello dicono. 1

Quando Jacomo Pitti anche restasse qua, non ci acontentaremmo i
che ci venisse un altro commissario insieme con lui. 3

402. (D. Imi. LXII. 61). 1498, Ott. 24, -
D.no Paulo Vitello.

Questa sera habiamo havuto nuova come e nostri inimici sono
entrati in Bibbiena; il particulare come per anchora non habiamo ; et
perchè da noi, rispecto alla conditione del luogho et del sito, è iudicata
cosa di grandissimo momento, desideriamo che la S. V. ci consigli in
che modo habiamo anchora da quella banda ad fare la nostra difesa, 1
et apresso ci aiuti in quello si puó, come piü largamente V. S. inten- 3
derà dallo egregio Messer Corrado Tarlatini. Bene valeat d. v. 4

403. (B. VI. 35). Dal campo, 1498, Ott. 24. |

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Meser Corado, Noi havemo dui vostre, una di 21 et una di 22. Et
alla parte del danaro fate intendere a testi S. che a noi pare che fac-
cino cattivo disegno di lasciare nimicare, anzi risolvere il canpo nostro,
maxime delle fantarie, per vedere poi ingrossarci, perchè noi sapiamo

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 403.

fra 4 o 6 di siranno partite di qua la metà delle fantarie, le quali
| vanno qui apresso a 10 o 12 miglia, ma in Lombardia et Roma-
, dove intendono si dà danari et aconciaranse con li inimici et ha-
emoli contra, et dove havevamo assai fanti et di bona sorte, etiam
havaremo danari, non se potaranno refare subito et, se pure se re-
anno, siranno comme potaranno. Et però ci pare che protestiate a
Eu S. che noi ci trovamo in grande periculo de presenti, perché el
impo è forte nimicato maxime da fantarie et è senza pané et denari
de facili potaria succedere qualche inconveniente. Et così nelle for-
zze per simili casgioni potaria sortire qualche male efecto, perchè
sai fanti se ne partono et restono le fortezze male fornite. Donde
otaria succedere qualche seandolo; quali quando seguitino non ne
volemo essere imputati noi, ma che l’imputatione sia di chi n’è colpa.
Et chiariteli che di noi si serviranno poco tempo, perchè non è possi-
le a questo modo potere più durare, et quando noi con le persone
oliamo durare, non possono durare et le fantarie et le genti d’armi.
t cognoscemo che, quando seguitammo (sic), resultaria un dì qualche
osa che senza nostra colpa siremmo qualche volta vituperati. Noi
mo contenti mectere per loro et la vita et lo stato, ma denari non
otemo mectere chè non gl’avemo, quando gl’avemmo gli mectaremmo
volentieri. Sanno bene loro S. che ci ànno anche a dare parte de i
| serviti nostri de l’anno passato, et de le fantarie; sanno bene la somma
ci restono a dgre delle genti d'armi; adesso è il tempo del quartarone
ine che non ce vedamo ordine alcuno, et questo è caso che non tollera
- dilatione di tempo. Sieno contente loro S. pagarci, che noi semo de
Lintentione di servirli, comme havemo facto per lo passato, pure che po-
- tiamo.
Circa i gravi effecti a Lucca, fate intendere che bisogna non ofe-
riri, ma farli venire, perchè loro voglono, prima che il pane esca di
Lucca, che entri tanto grano drento a la terra.
Recordiamo le provisioni delle vituarie per Libra facta et per lo
Bisuore, comme per altra havemo seripto.
Dei marraioli che sono venuti qua non ce n'é restati oltre 50;
non se provede degl'altri, non si potarà fare cosa che sia dise-
enata ....

BMG. VI. 42). Dal campo, 1498, Ott. 94.

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice Domine; havemo una vostra de 25 del presente; a la
Sposta de Vitelozo per l'altra li havemo resposto, et in effecto non








































G. NICASI



404

ce ne acordamo, et hora di nuovo li è soprogiunto uno altro acidente
de febre pegiore del primo: a la parte de Bastiano da Cremona de
li 1000 ducati el porta per nui, ci parano una favola perchè, infra li
acattati da bettoli da homini duo, ma che havevano qualche pocho de
polso, infra li acatti in li argenti nostri a Lucca e de altri nostri
amici particulari, ascendano ad magiure somma di questi 1000, che ci
vergognamo grandemente non possere satisfare a li creditori nostri et
a quelli del paese nostro, et a quelli cireumstanti de là, che per ser-
viree hanno chiuse le boteghe, et sono falliti, che non mancho exesti-
mamo questo che pagare li soldati nostri. Et è da considerare che
dovemo havere el quartarone nostro per lo conto de gente d’arme, et
simo creditori del servito nostro, et anche devemo havere per lo conto
de fanterie, et si ad alcuno paresse servissimo di parolle et di ciance,
mandise qua uno homo che li farimo mostra de 199 homini de le terre
loro comme sono amalati, et farimone mostra di 160 cavalli ligieri o
più et de mille cento buoni provixonati, et vederanno dal canto nostro
facimo benissimo el debito, et in effetto dandoci bona somma di de-
nari, et facendo bona provixione el Duca de Milano per di là, non du-

bitamo per niente de reparare a qualche mancamento subcesso; nè al-



tro per questa.

405. (B. VI. 36). Dal campo, 1498, Ott. 25.
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice Domine: havemo una vostra del 24 del presente, et in-
teso quanto ne scrivete; nui ve mandamo in questa inclusa una let-
tara de uno nostro, quale ci advisa ad unguem de li andamenti de Man-
toa et de le forze suoi; per la quale vederite l'andata sua essere dal
canto di qua, et cum magiure numero de gente non si crederie et pre-
stissimo. Et per volere nui stare a l'incontro Suo, saria necessario ha-
vessimo quattrocento homini d'arme, oltre questi havemo qua, et altra-
tanti cavalli ligieri, che cognoscemo li 200 manda Milano non sono à
suficientia ; et oltre li mille provixonati del S. Duca, sarà necessario
testi Signori proveghino da mille altri fanti oltre questi che sono qua;
che hanno da considerare nui abbiamo a combattere col Marchese da
uno lato, da l’altro col populo pisano, et gente sono lì. Et non si fa-
cendo le provixione presto et a li tempi oportuni, et mentre li homini
si trovano, a tal tempo le vorranno fare che non poteranno ; che,
come per l’altra nostra vi havemo scripto, tucto questo campo se di-
solve, et vannose a l’ingrosso per la gran penuria del dinaro, et non







LA FAMIGLIA VITETLI, ECC. 405

reparando presto, a tale tempo vo:ranno medicare tale cosa che non
eranno ; et cognoscemo per certo non ci se provedendo presto, ci
ucemo a si poco numero, che sarimo malsicuri da li nimici nostri
po qui, et veramente, si nui fussimo tanto ingrogsati quanto simo
adminuiti, poteressimo benissimo stare a l’ incontro de Mantoa. Si che
arite omni opera habbiamo dinari et si provegha in tal modo non
abbia a seguire tal disordine per la male lor provixione cum gran-
issimo danno loro, et cum poco honore nostro; de quanto s'é scripto
per li oratori feraresi ci piace assai che, non volendo denegare el passo
a Mantua, saltem non consentimo che de lì si portino vituarie de rie-
ro. Circa et recercare li Luchesi non dieno nè passo nè vituaria al
| Marchese, ci piace; confortarite testi Signori astrenghino Milano a -
id; che simo certissimi faranno quanto saranno recerchi da Sua Ex-
:ellentia, et in questo li astrenghino li panni quanto possano.

Piaceci anche, quando segue, che l’imperatore rompe guerra a’
‘venetiani da la parte de Frigoli, che saria a grandissimo proposito ;
‘bene è vero che noi eredemo lo adviso ci havete dato, che Venetiani
non possino havere fanti todeschi, sia falso; che essendo cusì saria
‘una bonissima provixione et de grande proposito nostro. De le galee
ordinate a Genoa, et per la foce d’Arno, ci piace assai, et saranno a
- grandissimo profitto et proposito ; quale sollicitarite sieno cum effetto

t presto. A la parte di Simonetto sollicitarite el vengha dal canto di
qua, et quando bene el duca d' Urbino si voltasse a la volta del Borgo,
-non 6 necessaria l'andata sua là, perché, la metà de le genti nostre
«sono in Romagna, sono per deviarlo, ateso li temporali sono, et anche

e terre per se sono forti et non da perderse per niente. Apresso nui
«non possemo credere non ci vogliate provedcre de maraiuoli, de li
‘quali patimo tanta necessità; ci fuoro promessi de farne venire de
quello de Pistoia 200, quali non sono venuti: in questo capo non è
bisogno si fidino de mandati nè comandamenti, ma bisognano man-
dino loro homini di fora, quali li habbino a fare et condure in campo et
.guardare, altramente non ne haveranno mai honore, et nui senza non
possemo fare cosa habbiamo a fare; si che farite tali provixione ne
siamo provisti al bisogno ; sollicitarite Giohan Pavolo per di qua
quanto più presto possibile; nó altro per questa.

1406. (B. VI. 37». /. 1498.

Summario de una relatione facta al S. Capitano per uno suo man-
dato per intendere li andameuti del Marchese de Mantoa :
Riferisce come a li 15 ritornó da Venetia a Mantoa :

.






































G. NICASI

Ch'el non ha titulo :

Che lo ha promesso de cavalcare in termine de 11 di, et havere
ad ordine de la compania sua homini d'arme 150, cosa che non se 3
crede perchè è stato proibito a tucti che erano a li servitii suoi, sub- 3
diti de lo Ill.mo S. Duca de Milano, non lo seguino sotto gravissima 3




pena :
Ha ditto, si tutti li suoi non saranno ad ordine, se inviarà cum 3
parte insieme con li conductieri li dà la Signoria cum seco, quali sono —
el conte Berardino da Montone, Conte Alvisi Aogatore, Signore Pier-
francesco da Gambari, Signore Felippo Rosso et altri, quali ascendono
a la somma di millecento in 1200 homini d'arme, et fanti 5000, in li
quali hanno ad essere 3000 alemanni, quali se aspettano de di in di,
perché si mandó per essi innanzi l'andata sua a Venetia: :

Che lo haveva 500 cavalli ligieri, che se è detto, et 1000 stradiotti
di levante, de li quali non se ha altra certeza :

El desegno de la Signoria et suo ó de venire dal cantó di qua, et.
ha mandato a vedere li passi per lo Apennino per fare electione del
più facile :

Ch’ el ha hauti ducati 15000 et el proveditore era gionto a Man-
toa, et ha portato altri dinari, ma non molta quantità :

Che la ciptà de Brescia per tre mesi paga 300 provixionati, e el
contado de guastatori : |

Verona é ditto che da 500 cavalli ligieri et che tucte le altre
ciptà subdite danno genti pagate, le quali si uniscano in mantoana :

Come da Venetia li sono stati mandati a Mantoa 25 pezi d'arti-
glerie tra passi volanti, falconetti, et colobrine, quali condurrà con



secho :
Ha de provixione ducati 60000 in tempo di guerra, et 40000 in -
tempo de pace, eum obligo de 300 homini d'arme et aleuni altri ea- — —





pituli ligieri : 3
Che el Signor Iohanni, suo fratello, ha hauto di condotta 100 ho- d
mini d’arme et 50 cavalli ligieri et ha toccato 3000 ducati. 3

407. (D. Imi. LXII. 68). 1498, Ott. 25.

Illustri D.no Paulo de Vitellis Reipublicae Florentinae Capitaneo Ge- 4
nerali. 1




Hiersera serivemo alla S. V. dandoli brevemente notitia del caso
seguito di Bibbiena : et richiedemo quella ci consigliasse per Messer
Currado, al quale inponemo dovesse spetialmente richiedere la S.ria

LA FAMIGLIA VITELLI, ECO. i 07:

rostra ci concedessi Vitellozzo per Capo et boverno di quella gente,
no' mandiamo verso il Casentino contro a nimici nostri; et cosi
ideriamo assai che la S.ria V. sanza dilatione ci conceda Vitellozo,
quella compagnia li pare conveniente, la quale vorremmo fusse di
ù numero si potesse ; et così con qualche conestabile di cotesti suf-
ciente per Capo et governo delle fanterie mandiamo a decta impresa.
t in ciò confortiamo la S.ria V. ad non ci fare renitentia alcuna;
erche siamo certi che, faccendo presto le provisioni disegnamo, spe-
riamo in breve fare risolvere dicte gente inimiche. Così ci parrebbe
he la S. V. scrivessi ad Castello ad Giovanni del Rossetto, che con
500 provigionati, come li ha seripto et commesso Messer Currado, se-
guisse quanto più presto fussi possibile l'ordine di decto Messer
"Qurrado.

408. (D. le. XXI. 390). 1498, Ott. 26.

Oratoribus apud X.mam M.tem.

« ... Alla seconda. parte principale che in decte [vostre] lettere
de 4 [corrente] si contiene, del disegno facto [da] la X.ma M.ta che si
faeci intelligentia intra la S.tà del Papa, sua Maestà, Viniziani et noi,
anchora che ci rendiamo certissimi la S. Maestà muoversi per il bene
universale dele religione cristiana et per lo interesse suo particulare
per le cose di Italia (come fu declarato ete.): non di meno a noi pare
maximamente necessario che la sua Maestà, et quelli Signori che la
eonsigliono, debbino molto ben considerare se, quel che ricercha la sua
Maestà, è per fare lo effecto che essa desidera. Noi, come per altre vi
si è commesso, siamo contenti et dispostissimi volere essere collegati
et uniti con la sua X.ma Maestà, et di havere amici per amici, et ni-
mici per inimici et concorrere et intervenire insieme con quella contro
a qualunque stato et potentia in Italia, epsa havesse ragione et iuridi-
camente volessi muovergli guerra. Et così di essere con la Santità del
Papa in buona et vera intelligentia, come devotissimi et obsequentis-
simi figli di quella, nel modo et forma che molte volte si è facto in-

tendere alla sua Beatitudine. Et così etiam siamo in proposito volere

essere buoni amici de Viniziani, ogni volta che prima ci sia restituita
Pisa. Ma il collegarsi con loro non crediamo serva ad alchuno propo-
sito di Sua Maestà, perchè, ad qualunque pensiero quella habbi alle
cose di Italia, havendo il Papa et noi (come è decto), et potendo ha-
vere Viniziani separatamente da noi (quando loro lie ne consentissino,
diche dubitiamo), in facto non li serve puncto la collegatione nostra





408 G. NICASI

co’ Viniziani, et a noi preiudicherebbe assai; et cosi ad tucto il resto
di Italia, perchè, oltre al farsi epsi più reputatione et maggior credito |
havendoci collegati con loro, più facilmente riuscirebbe loro il disegno
di occupare tucta Italia, come intentamente desiderono et cercano. Et
per questo è necessario che per li potentati di epsa Italia si habbi
grandissimo rispecto di non dare compagni a Viniziani, ma piu tosto
emuli, per impedire ogni loro disegno et conato ....

409. (B. VI. 40). Dal campo, 1498, Ott. 26..

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Messer Corado, Noi havemo la vostra, nella quale recercate, per
parte di testi S., che io Vitellozzo vada alla volta del Casentino a
quella impresa di là. Alla quale rechiesta respondarete che a noi non
pare per niente da piglare questo partito, perchè io Vitellozzo mi sento
non bene de la persona et ho hauta una poca di febre per modo non
so disposto cavalcare. Et quando anche fusse disposto, noi non ci acor-
diamo sia bene, perchè, andando senza genti nostre et grosse, non siria
il bisogno et non potaria fare cosa a proposito, perchè alle genti che
l’omo non conosce, et non se pò comandare, et quando li se comanda,
non se ne pò l’omo confidare che faccino ; et quando menasse compa-
gnia grossa, questo exercito che è forte nimicato, restaria tanto debole,
che ogni hora potaria esere battuto. Parci ripari piglare questo partito:
quanto alle cose de Bibiena, che se scrivesse al S. Duca de Milano che
mandasse fino in 150 o 900 homini d'armi et 50 cavalli leggieri, di
quelli ha in Parmesgiana, alla volta di qua in quello di Lucca verso
Preta sancta. Et con quelli li 1000 provisionati che li è a ordine, et per
de là spegnesse altretante genti d’armi in luogo di quelle; et fosse al-
tretanti provisionati quali mettesse in Parmesgiana in luogo delli primi.
Et in questo se fanno più acquisti per li S. Fiorentini: prima che se
mette in ballo i lucchesi che non se ne possono aiutare; secondo che,
quando il marchese venga di quà, comme dicono, tante più genti si
‘ trovarà il duca di Milano, chè non s’ avarà a servire de là, et man-
daralle de qua, che tanto se sirà più grossi per di qua. Preterea re-
freschino questo exercito de danari che '] se possa comandarli et ope-
rarlo. Et mandino fora homini loro che da le parti di qua da Pistoia,
Prato, Valle di Nievoli, Val d’arno, et per tutto conduchino qua mar-
raioli in quantità, con ferri loro et loro anche provegghino di nuovi
ferri, perchè, per esserse partito Andrea di Simone et amalato Paolo
Fucci di che dubitamo che ’1 mora, che erono sopra i marraioli, et ma-

v

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 409

nche Jacomo Cordoni, ehe havevamo messo in luogo di Pavolo,
le cose de’ marraioli andate in desordine: pure adesso ci avemo
fo uno che vedemo servire bene. Quali marraioli noi volemo per

ire queste fortezze di qua et farne qualcuna altra, quando ci paresse
"proposito.

Tutte queste provisioni si fanno in 8 di, et in questo mezzo loro
ssono fare quelle provisioni che per l’altra nostro vi scrivemmo,
E. dirizzare de là il S. de Piombino, Giovampavolo et Simonetto,

munire i luochi circumstanti a Bibiena et farli bene guardare; gua-
de le molina, brusciare li strami et guastare le vie in sulle Alpi, o
r via di taglate, o prima di taglate di legnami traversarle, o per via
li sbarre che se fessino per lo paese, o guardarle per via di genti, o
yer tutte queste vie; fare provisioni che gente di Romagna non venisse
-socorso di quelle genti che sono a Bibiena. Infra questi otto di, noi
edaremo quello farà il Marchese et, quando el tardi il venire, comme
fanno intendere, potaranno mandare di qua in Valle d'Arno il S. di
ombino, et noi con tutto lo exercito andarcene alla volta de Casen-
ino. Ma bisogna che in questo mezzo faccino arecare le artiglarie
sono a Bientina, et parte di quelle che sono a Vico, verso Firenze,

iò ce ne potiamo servir de là. Con queste provisioni le cose de qua
tono secure, perchè, fra il S. de Piombino et le genti del Duca so-

decte, sono tante che, ogni volta che se uniscono, possono stare a

petto alli inimici, donde loro nou potaranno fare impresa. Et nui (sic)
là andandoce, crediamo, facendose le provisioni decte, che sirà qual-
volta a proposito di testi S., che quelle genti sieno venute li a Bi-
na, perché eredemo farcele remanere, et perdendo loro tanti homini,
irà di gran momento et risolvarasse questo easo con honore grande
|, reputatione di testi S. et della impresa. Noi arisolveremo a tutto
nello che è dicto, ma cognoscemo una cosa sola havere dubio con
ro S., et questo é il denaro per noi di qua et per lo exercito, quale
demo che non voglino mandarce, perché in Romagna hanno provi-
fo de denari, a Bibiena anche adesso spendono largamente, et noi
lon semo provisti se none di parole. Et benchè noi conosciamo che,
tutte le licentie che si dano, la più disonesta sia questa, cioè non
are, pure perchè, noi non semo usi partirci da nessuno senza ex-
ssa licentia, però alla hauta di questa demandate licentia per noi a
ti S., et fateli intendere che, non ce provedendo altramente, noi ripi-
remo la via verso casa nostra, perchè non è possibile durare più

. Et se loro S. non stimono lo stato et cose loro, noi stimamo que-
poca di reputatione che havemo acquistato. quale ci costa troppo di















410 G. NICASI



grosso a perderla et però resolvansi, et senza più dilatione di tempo, a
provederci, overo ci dieno licentia.

Venimo mal volentieri a tale acto, pure la forza ce lo fa fare
et perchè, comme ve s'é scripto piü volti, havemo impegnato quanto |












havemo ct rescosso quanti amici et nostri et di nostri amici ci sono
hora non sapemo donde cavare più uno soldo et havemo 4000 boche
alle spalle, che sapete voglono qualche cosa per sostentarle. Chiarite
anche le S. loro de un’altra cosa, aciò che non se possono lamentare
che non ce mandando danari che potiamo subvenire et li nostri et lo.
exercito per tutto domani che viene, che lunedì, che siremo a di 29 d
questo, ci piglaremo la via verso casa et senza manco.
Recomandianve Pietro Schiavo del quale havete notitia, perché se -
ne fa piacere a M. Alexandro, et il conte della Mirandola me nà par
lato molto caldamente, et però, potendoli fare havere conditione, non |
mancate. 1
Cirea le artiglarie da farse, fate intendere a testi S. comme elle 3
voglono essere di portata di 80 libre di ferro. Et che ne volemo 6 pezzi, 1
ma bisogna che provegghino alle palle et faccino fare quantità grande |
et di quelli et di questi cannoni che ci sono. Possono mandarle a fare |
alla ferriera del duca di Ferrara che siranno serviti ete.






























410. (B. VI. 43). Dal campo, 1498, Ottobre 30




Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.



Magnifice Domine, al hauta di questa sarite cum testi signori -
Dieci, et cum la Signoria, et per parte nostra refarite intendere la nostra -
extrema necessità et miseria in quale ci trovamo; et essendo nui et.
la compania nostra scalza et nuda, et insieme morendoci di fame, et li.
cavalli in modo extenuati da non potersene valere per niente, non pos:
semo nè volemo stare a questi termini, imo prima murire, vedendoc
la compania per la fame sfilare et non le possere adiutare ; et che simo
necessitati ad andarcene a la volta de Castello, et cercare dove no
possiamo havere del pane. Et per tenirce sino al ultimo punto, et sino
ci è stato possibile, havemo logro el nostro proprio, impegnati tutti l
argenti nostri, et rescossi quanti amici havemo, che ci sono de quell
per amore nostro sono falliti et chiuse le boteghe loro. Hora comme.
quelli ehe hanno perso il credito, e£ non hanno alcuno refugio, simo
necessitati ad andarsene a la volta de casa nostra. Cognoscemo tale stacat
nostra essere a grandissimo detrimento et danno de testa Ex.sa Repw
blica, et nui eo le lagrime a l'ochio venimo a tale acto; tucta volta.





















$,

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

me quelli sono constrecti, simo necessitati a fare tale stacata, et

per questo restarà che, dove sarimo et andarimo, non siamo buoni

oli, et servitori sempre di testa Ex.sa Republica, come privati, ma

come soldati. Et quando al ultimo ci satisfaccino de quello devemo

re, et adiutinci in modo ci possiamo stare, simo per mettere per

la, oltre la facultà nostra, le proprie persone. Et ad noi è interve-
Eo comme a quelli che per una grande infermità sono adeo desca-
Bu che, per poserla relevare et arempelusire, li bisogna uno grande
testoro; né altro per questa.

1. (Ep. II. 325). Dal campo, 1498, Ottobre 31. IV noctis.
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice Domine: Franeesco Pandolfini, Commissario qua, ci fa
ntendere havere una lettera de li Signori Dieci, per la quale li nimici
iostri de Bibiena stare assai de malavogla, et dimandano in auxilio loro

duea d' Urbino, quale intendemo deverà andare a socorrerle. Et per-
ché a l'incontro suo testi Signori dimandano andiamo nui a quella

lta, ci pare expediente non andare si non andamo grossi, et in modo

havere honore et de resolvere presto honorevilmente quella impresa,
& anche si nomglassamo bene feniti et assicurati questi. lochi de qua:
he a noi ce pareria menare una parte de questa gente d'arme di qua,
i sino a la somma de doi milia sino in doi milia cinquecento fanti,
t de qua si mandassi el signor de Piumbino o vero el Conte Ranuccio,
uale ci pare più a proposito, et ramanesseci el Marchese dal Monte,

Signor Octaviano de Faentia et anche, contentandosene, el Signore de
urlì; che el Signor Lodovico de la Mirandola, per volere essere cum,
oi, si è resoluto a non volere restare per niente. Et parci che per que-
to mese non manchino per niente del dinaro a queste fanterie, che,
aciendolo et remanendoci li prefati, questo loco restaria assai sicuro,

noi tucti dui, senza suspecto alcuno, poteressimo andare a quella
olta. Et sopra tucto, per fare questo sia cum effecto, bisognano dinari
t in grande somma, et saltem ci satisfaccino del credito havemo cum
oro Signori; et oltra questo é necessario mandino dinari per lo resto
e queste fanterie, che non vorria essere mancho che una paga, per
ssere tucti morti de fame, et per la grande miseria loro iuviliti, et per
imettarle rebisogna uno grande rinfrescamento ; et faciendo questo non
übitamo le cose del Casentino non sortischino altramente che è la vo-
untà de testi Excelsi Signori et desiderio nostro. Et resolvendosi testi
ignori de lo andare nostro, sarà expediente advisare subito ad ciò





412 5 G. NICASI




possiamo immediate adviare a quella volta di quelle artiglerie sono a
Bientina, che ci pareranno acte a la expugnatione de Bibiena. Nui ve.
nardi a mattina de bona hora, secondo per l'altra nostra site advisato, eà —
ne adviarimo a la volta de Valle Nievole con la gratia de dio.... 3



5
E.


































419. (B. VI. 45) Dal Campo, 1498, Ott. 31

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.



/ Magnifice Domine: hieri per una lettera nostra vi serivessimo a] -
bisogno nostro, in forma de la quale ne devessivo fare dui, una a la 3
Signoria, l’altra a li Signori Dieci, o vero parlare a bocca tucto el bi
sogno s per questa ve replicamo che siate eum testi Signori et di nuovo 3
amorevilmente le pregarite sieno contenti a darci quello devemo havere,
m et cum tucti quelli modi amorevoli saperite usare, le persuaderite che
non è possibile per niente stiamo in questa miseria, et come necessi-
tati et astricti venimo a tali particulari cum le lagrime a l'ochio per



non possere fare altro, cioè de andarcene a casa nostra; el bastione
de qua é redotto a bonissimo termine et da^poserlo lassare, et perchè
la forteza non sia con tucta la sua perfectione, lassarimo ordine a
quelli ci remaranno de quanto habbino a fare, et lassarimolo fenito
meglo poterimo. Et perché cognoscemo fare el bastione nel monte de
saneto Giuliano essere a grandissimo proposito. et uno taglare al tucto

3 la via de Luccha a li Pisani, giudicamo sia più expediente fare una
forteza murata, che bastione de terra, et cum mancho spesa, et cum
più comodità, per non essere lo loco acto a situarci bastione, et per
esserci carestia de legname, ma per esserci tucti saxi de farlo murato, 1
che de la calcina facilmente ne poteressimo essere serviti per la via de
Luccha; et per via de nostri soldati o altra si expedirìa assai più pre-
sto. Et perchè qua non è più niente de strame, et li cavalli per le gran -
factione et pochi denari non sono abiadati, sono assai extenuati et di-
magriti, facemo disegno, cum licentia di testi signori, venardi a matina -
andarcene a la volta de Val de Nievole per possere.rinfrescare li ca-
valli et gente nostre, che in vero ne hanno grandissimo bisogno. Et li
distribuirimo lo exereito secondo el bisogno sarà, dove poterimo servire
a proposito a l’incontro del Marchese, venendo, et piacendo a testi si-
gnori, in Casentino et anche a le bande di qua. Et di questo ci darete
adviso senza' mancho per tucto giovidì, a ciò venardì a matina pos-
siamo essere in camino; et farite si mandi a provedere per le stantie
là in valle de nievole et valdarno. ——

Nui per defecto de maraiuoli havemo facto fare questo bastione



I

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

to da li nostri soldati; Libra facta non è resettata, che anche a que-

i isogna se pigli cura se reconci; eramo in fantesia de fortificare
nello bastione è in lo teritorio de luchesi, quale havevano preso li ni-
ici, et abandonare Filetto, per essere quello loco assai debile, si che
]licitarite questi benedetti maraiuoli quanto potete. Qua non remane
fante, che tucti, non se dando dinari, se vanno con Dio. È neces.
ario si faccia provixione; saria buono testi Signori scrivessano a Tho-
aso Caponi ne pigliasse eura et carico de tucto questo, che credemo
farà. De li 500 fanti de Castello noi simo contenti, dumodo messer
lulio se ne contenti lui, et Giohanni del Rosetto vogla andare, a li
quali tucti doi scrivemo et persuademoli si faccia, et mettise esecu-

tione: né altro per questa.

413. (Ep. II. 349). Pescia, 1498, Nov. 2 in ortu solis.
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Messer Corrado : hieri noi havemmo aviso come i nimici erano a
mpo a Calci et immediate, hauto l’aviso, spacciammo dui conestaboli
lli nostri che andasseno et fessoro ogni forza de entrarce dentro, et
essero intendere a quelli che ci sono dentro se tenessero, che hoggi
senza manco gli daremmo socorso ; et ordinammo che, essendoci inimici,
per segni di fuoco ce lo significassero; et così ordinammo che tutte le
nostre genti d'armi et fanterie, a uno cenno dato, fussero a ordine et

tti fessero alto ad Alto pascio. Questo fini avamo, non perché sti-
niamo il luogo, che havendo ad andare dal canto di sopra havemo de-
iberato spianarlo, ma solo perchè speravamo fare qualche grande ver-

gna et danno alli inimici, quando Calci si tenga fino alla andata
nostra et loro ce aspectino. Da poi quelli che andarono non ci anno
aceto il segno ordinato, et non sapemo quello sia seguito, nè per ancora
havemo alcuno aviso et per questo semo soprastati a cavalcare: aspec-
iamo d’ore in ore aviso et secondo quelli ci governaremo. Tutto questo
arete intendere alli Signori Dieci et a chi altri vi parrà.

Il conestabile che è in Calci è male pagato et male provisto. Noi
alli dì passati pregammo li Signori commissari che el provedessero,
"come è informato Bernardo Nasi, et infine per disasgio di denari non
"fu provisto; et cosi ci 6 qualehuno altro, come quello che èfa Buti, che

non ha anche hauti denari, et quello che al Ponte a dera ha hauti
pochi denari. Questo dicemo perchè per questo caso poteria seguire
qualche grande inconveniente et a noi non giova frecordarlo. Et però
quando altro ne intervenga ne volemo essere excusati, perchè, come è







414 G. NICASI




dicto, per defecto de’ denari et de victuarie possono seguire disordin
assai.








44 (Ep:-k1:90B): è Dal campo, 1498, Nov, 4,





Paolo e Vitelloz 0 Vitelli a [Corrado Tarlatini].



Magnifice Domine: havemo una vostra per la quale intendemo |
testi Signori essersi mutati circa l’ andata nostra in Casentino. Ad noi
ci pareva andare senza mancho alcuno a quella impresa et de bat.





tere el ferro sino è caldo, et hora che sono in desordine fari omni |



asforzo de levalle de li, a ciò non ci se possino anidare, et in questo
fare omni opera. Pariace etiam questo servisse a gran proposito per -
la impresa de qua, perché, dando una sbaffatura a quelli de Casentino
et levandole de là, tornaressimo a questa impresa cum vitoria, che saria
uno scomettare et torre gran parte de la speranza a li Pisani. Noi
dicemo el parere nostro et quello ci pare torni in utile et honore de
testi Excelsi Signori: tuctavolta simo per fare quanto per quelli ci sarà |
imposto.








Et quando si resolvino non andiamo et che noi debbiamo stare



qui et fare impresa nova, simo de parere per niente si manchi de



questo numero de fanti sono qua: perchè l’ è da considerare che noi
havemo da fare el bastione del monte de Sancto Giuliano, la impresa
de la Veruca et fare uno bastione di là d' Arno, dove ci parà a propo-
sito per mettere Cascina in isola, per torre la Foce et per asecurare le 3
colline; che a tucti questi ce bisognano fanti, et quando si mancasse,
non poteressimo .far niente, et maxime per havere noi grande manca-
mento de cavalli ligieri, et infra a giorni se ne sono partiti de questi
ducheschi circa 30; quando sieno de parere de non fare altra impresa,
nui ci starimo cum questi genti havemo, et faremo quanto ci impone-
ranno.










Questi signori Commissarij ci fanno intendere che voi havete
hauti per noi 2000 ducati, il che intendemo per le vostre essere depu-



tati per noi, ma non retracti, ne’ haverli hauti; quando le possiate



havere le piglarite et mandaritecele subito; quando non le possiate
havere, voi operate saltem venghino in campo, et quando non habbiate
chiariti testi Signori, che credemo de sì, refarete intendere che per 3
niente possemo stare senza dinari.





Di nuovo vi diciamo exortiate testi Signori a l' andata nostra in
Casentino, che cognoscemo, quando li nimici se anidino lì, talvolte le
vorrieno levare non poterieno, et maxime per venire contra li tempo-




LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

; noi non volemo mancare di dire tucto quello ci pare torni in
di testa Signoria, et per havere al fine facto el debito nostro in
rlo facto intendere. Al ultimo, o in Casentino o qua, ad noi non fa

Ba dove noi siamo, dumodo satisfacciamo a testa Excelsa Signoria.

. [terum ve ricordiamo, dove noi habbiamo a stare, noi habbiamo

ari, dinari, dinari.

16. (Ep. II. 348). Dal campo, 1498, Nov. 6.

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.’

Magnifico Corado: Noi siamo stati qua con li Signori Commissarij
‘per lo capo del denaro nostro, et infine non havemo se non longhe, et
mando dicono che havete voi in mano 2 mila ducati, quando una cofa,

quando l'altra. Et noi infine per lectere vostre rescontramo che, non
nto che ci voglino dare circa 20 mila ducati che ci restono a dare,
on voglono solo pagare i 150 ducati a Pierantonio de Pallante, quali
prestò già circa sei mesi sono, et fuorono spesi per servitij loro. Noi
o deliberiamo escire di questo modo di vivere, et una volta volemo
sfare a chi havemo a dare, a ciò che se la softe ci toccasse di mo-
re, chè non sTpemo l’ ore nostre, i figli nostri, se remarranno poveri,
almanco non sieno per li debiti, lasciatili per noi, constrecti vendare
uello havemo a casa et restare mendichi. Et per questo farete inten-
ere alla Signoria, a li Dieci et a chi altri vi parrà a proposito, che,
se per tutto 15 di questo mese che siamo, loro non redanno tutto intere
mente quello che dovemo havere, alli 16 di deeto noi omnine mente,
«senza manco niuno; montaremo a cavallo et andaremocene alla volta.
case nostre. Et non credino, quando stiamo là, rivocarci con questi,
perchè non bastaranno dui volte altretanti denari. Noi havemo tutto
questo fatto intendere qui alli signori Commissarî, et voi largamente
fatelo intendere là, a ciò che sieno chiari dello animo nostro, ne’ ci
| possino imputare de haverglele tenuto celato. Et perchè siate informato
tutto quello havemo havere, vi replicamo quello che anche ha Cer-
bone in &na polliza.

Et questo è che, per conto delle genti d’ armi per tutto il mese
passato, havemo havere tre quartaroni, che sono, a nove mila ducati il
qQuartarone, 27 mila ducati. Et se replicasseno haverci dati li 10 mila
ducati per prestanza, respondete questo non essere vero, ma ci fu dato
solo 1000 ducati più nel primo quartarone, quali ci debbono essere

tenuti in sulla ultima paga. Et li quartaroni s’ anno a fare del quarto
dello tutto, cioè di 36 mila ducati et non di 26 mila, di che hanno a

G. NICASI

essere li quartaroni de’ nove mila ducati, excepto l’ultimo che debb

essere de 8 mila, per li mille ducati da retinerse di sui : hannoci adonqu

in sulle genti d' armi a dare per tutto ottobre ducati 28 mila, compu-
tati li mille ei derono sopra più nella prima paga. Circa il conto de]

fanterie havemo havere, per tucto 26 del passato, 6 paghe, cominciate a
di 26 di Maggio, che volemo se paghino in oro et non a grossi, come
fu i primi rasgionamenti; ne’ ce volemo mectere li case, che monta
4500 ducati la paga, che multiplicati per 6 montano ducati 27 mila
d’oro in oro. Et tanti ce ne hanno a fare buoni per conto delle fan.
tarie. 1

Item restamo havere per lo conto de l' anno passato ducati 4000 1
o piü, defaleati li 3000 facti buoni a Giuliano Gondi per noi, quale
anche ci è stato acennato hanno messo in su li serviti nuovi; ma a
noi non dà noia, perché intendemo che interamente ci paghino et dei |
nuovi et dei vecchi. Et se loro replicassino voler ritenere li 4000 du-
cati de l’anno passato per li 4000 che prestarono vivente la bona me-
moria di Messer Camillo, diteli che noi non volemo dire niente delle
giornate del Borgo de Pisa et dei cavagli et homini presili, et la ferita
nella persona di me, Pavolo, che fu cagione della morte della felice
memoria di Messer Camillo, nè dicemo niente che gli levammo il signor
Virginio da dosso, nè negamo il debito ma il confessamo.

Ma dico bene io, Vitellozzo, che se domandi il vescovo di Volterra
et Giovachino Guasconi che se recordaranno che, quando io, hebbi de-
nari in Francia, non gli volevo piglare, et dicevo che quelli non erono
a sufficientia per remectere le genti d’ armi et restituire i denari acat-
tati da li Signori fiorentini ; mi risposono decti oratori che io piglasse
questi et atendesse con le genti d’armi, che li Signori fiorentini dei
loro hariano paricati, fino a nuovo retracto de danari dal re; hora per :
noi nou s'é mai facto altro retracto dal re. Ma quando il retracto noi
se fesse, semo ben contenti pagarli; ma adesso non è possibile, per _
essere noi in termini di necessità, non per altre casgione che per havere

servito loro Signori et senza pagamenti; se pure li voglono retenire,

faecino loro, non reterranno anche magiore somme fino che li verà voglia
darceli.

Fareteli adonque intendere tucto questo senza manco, et paren-
dovi fare un' altra lectera come pare a voi, mostrando che venimo mal
volentieri a questo acto, et piü dolcemente. che se po' dirli questo
facto, fatelo, ma non manchate di chiarirli che, dandoce interamente
tutto il prefato dinaro per tutto 15 di questo, li serviremo come havemo |
facto fino adesso et come è nostra intentione di fare: sin autem il 16,
come è decto, senza manco piglaremo la via de casa; sì che chiariteli

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

eci per la prima cavalcata almanco 2000 ducati, perchè così non
ssemo più stare.

He. (D. le. XXI. 106). 1498, Nov. 1.
D.mo Franc. Pepio.

Voi ne significasti ad questi di passati come la Ex.tia del Duca

di Milano] intendeva del Campo nostro contra Pisani che inter coetera
nostro M.co Capitano si querelava restare havere da noi la somma
di circa xxiii mila ducati per il servito suo. Ad che noi vi rispondemo
ome, havendo così in di grosso riveduti i conti, troviamo che, ad ogni
suo modo, a quel tempo, restava havere da noi manco di nu mila du-
cati. Il che conferendo con questi sua agenti risposono che stimavono,
hi havessi seripto di tale somma, havessi errato colla penna xx mila
ducati; et rispondendosi noi haverne dato notitia alla sua ex.tia, non
| appiamo quel che epsa sopra di ciò si riscrivessi in Campo. Intendiamo
bene che il Capitano ha commesso a questi suoi qui ci riferischino che,
se fra xv di non li sono pagati per noi ducati xxir mila, che lui pre-
nde havere, che ad ogni modo si partirà ete. Della qual cosa hab-

biamo havutggdispiacere et admiratione non pichola et maxime perchè,

avendo di nuovo facti rivedere i conti per questi agenti qui per lui,
finalmente troviamo che ad ogui suo modo, pagato tucte le genti d'arme
et fanterie ha seco et la provisione sua, a di 26 del presente mese re-
sterà havere da noi poco più di ducati x mila, acconcia ogni differentia
«a suo modo. Et per questo non sappiamo donde si nascha questo suo
motivo così ex abructo et maxime essendo da noi honorato, stimato et
-havuto in quella opinione che se fussi l' oraeolo di Apollo, dimostran-
‘dogli sempre che ogni nostra fede et principal fondamento et speranza
di questa impresa di Pisa, et delle cose nostre, consista nella Magnifi-
centia sua. Et perchè noi stimiamo assai questo caso, ci pare dobbiate

- darne notitia alla Ex.tia del Duca et pregarla scriva et faccia intendere
al Capitano, per quelli sua che sono in Campo, in quel modo che li
pare più a proposito et amorevolmente, che vogli procedere con epso
«noi, come ha facto in fino ad hora con grandissima satisfactione, pro-
mectendoli che circa li pagamenti suoi non si li mancherà d'uno p.
et se bene qualche mese si differisse, come da la consuetudine del
| pagare î soldati et come sopportano le condictioni di questi presenti
mpi, la sua M.tia non se ne debba maravigliare, presupponendo, come
decto, che noi interamente li observeremo quanto li habbiamo pro-
esso, sperando che epsa etiam debbi servare a noi quanto nè obligata.

27





418 G. NICASI

417. (D. lm. LXII. 120). 1498, Nov. 9,

Illustri D.mo Capitano Generale [Paolo Vitelli].

Illustris et excellens d.ne Capitane generalis etc. Essendo nostro -

precipuo proposito et instituto di volere in ogni nostra actione, et pre. _
sertim nelle cose dependenti dalla guerra, procedere con il prudentis-

simo consiglio et iudicio della V. S.ria, desideriamo che quella si tran. .—

sferischi insino qui, quanto più presto le fusse possibile, et con quella
compagnia che epsa iudicherà a proposito: perchè noi desideriamo
assai conferire et consultare con epsa, non tanto delle occorrentie ap-
partenenti alla impresa di Pisa, quanto etiam a questa del Casentino,
la quale noi stimiamo assai. Et havendo noi ogni nostra fede et spe- |
ranza nella Signoria V. per le experientie manifeste conosciute delle -
sue egregie virtü et exacta sufficentia, judichiamo non potere se non
optimamente resolverei, quando ia tucto ce ne ghoverniamo secondo
intenderemo essere di suo parere et consiglio. Et peró sia contenta la
S.ria V. venire al più presto che, oltre al piacere singolare piglieremo
di vedere la sua presentia, stimiamo ancora dovere conseguirne optimo
fructo alle deliberationi nostre. Il ricordare alla S. V. di lasciare le
cose di costà bene ordinate et disposte ci pare superfluo, considerata |
la prudentia et deligentia grande de quella.

418. (Misc. 24). Pescia, 1498, Nov. 1l.
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Messer Corado, questa sera a hore 24 havemo hauta nova che
Calci è preso, et le rasgione della perdita stata che, quello conestabile
che v'era, per non essere pagato, non ha potuto intertenere l’intera com-
pagnia. Et a questi dì passati, ci volemmo mandare Angelo Corbinelli,
et per non gli essere dati danari, come fe’ Bernardo Nasi, non ce andò,
et il medesimo ha da poi voluto fare Giuliano Gondi, et infine per non
potere menare la compagnia senza denari, non e’ è andato. Confortate
testi Signori a fare provisione agli altri luoghi che non seguiano simili
inconvenienti, benchè questo non è molto male, perché fin tre di lo vo-
lavamo spianare come havemo facto al bastione de Librafacta, Filecto
et Saneta Maria in Castello; ma veghino provedere le altre fortezze di
natura che non habbi ad intervenire simili inconvenienti. A noi pare
che questo non debba impedire l’ andata nostra di là ; pure avisateci,
et quanto più presto se po’, quello havemo a fare. A noi non pare che

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 419

esto, che é di nulla importantia, habbi ad impedire aleuno bono di-

o che se fusse facto et per di là et per di qua; pure avisateci di
ello che si resolveno, che tanto semo per seguire. Rencrescece bene
:he le loro laute provisioni ci dieno carico.

Questa hora, hora due di nocte, sono arivati Iacopo Nerli et AI-
onso Strozzi, ai quali non havemo anche parlato; bene intendemo
erchè per noi non hanno pronti più che 2000 ducati; pensate quello
he siranno infra le genti d’armi et le fantarie.

19. (B. VI. 47). Pisa, 1498, Nov. 12.

Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifiee Eques ete. Per essere stanotte stato il tempo molto
isto per le piove grande, ci ha differito il nostro partire. Tamen, Deo
ante, questo giorno doppo il desinare, partiremo et questa sera ande-
emo albergho a Pistoya et domattina di li partiremo et verremo costi

‘con circa 25 cavalli. Poset» domattina, a quella hora vi parrà expe-
"diente, montare a cavallo et venirci incontro, che verremo a desinare a
Prato. Bene valete. i n
è
bi (D. lc. XXI. 115). . 1498, Nov. 13.

Domino Fran.co Pepio.

. Il Conte Rinuccio che si trovava alla Pieve, per ordine del

ignor Fracassa si è trasferito ad Arezzo, per conferire et consultare
insieme le provisioni sono da farsi contro alli inimici; dove si è etiam
trovato, oltre al Capitano et Potestà d'Arezzo, Luca Antonio degli Al-
| bizzi et Piero Vespucci, nostri commissarii; li quali, dopo lungo exa-
minare, si sono resoluti di andare ad trovare li inimici di verso la
ieve et la Vernia con certo ordine, il quale hanno mandato ad refe-
rirci a bocca per Piero Vespucci, che arrivò questa mattina. Et noi,
intesa la loro deliberatione, anchora ci sia parsa con fondamento ben
considerato, venendo questa sera il Capitano, ne consultaremo con sua
Magnificentia per intendere il parere suo, et approvandolo, come sti-
miamo, ci sforzeremo di metterlo ad esecutione, anchora che ad noi
a oltre ad modo difficile per la difficultà grande ci troviamo in fare
somma de’ danari che sarebbe necessaria. Perchè, essendo consu-
mato li assegnamenti delle provisioni fatte di questo presente anno,
r essere stata la spesa maggiore assai non. stimavamo per lo acci-



420 G. NICASI o

dente primo di Romagna et poi per questo del Casentino, ci è stato
necessario valerci avanti de danari, che portava lo assegnamento del
presente anno, et li nostri cittadini sono affaticati assai, difficilmente
vogliono sborsare danari tanto tempo avanti, che sarebbe circa un anno
prima si potessi fare nuovo provvedimento secondo l'ordine della
Città. ....

421. (D. mi. L XII. 131). 1498, Nov. 15.
Lucae de Albizis.
Piero Vespucci venne, et ne referi quello che de costà [Arezzo]

haviate consultato, et era parere del S.re Fracassa, del Conte Renuccio
e di voi altri. Et essendo di poi venuto il M.co Capitano, questa mat-




tina siamo stati in lungho consulto con S. M.tia, referitoli prima quello —
havessi portato da voi Piero Vespucci. Et perché noi desideravamo che | 1
la S. M.tia subito si transferissi di costà, con quella compagnia ehe |
di presente ha seco, per consultare et provedere, insieme con il S.re Fra-
cassa et Conte Renuccio et con voi altri, circa il modo del procedere 1
di costà; et che appresso li venissi qualche parte della sua compagnia, |
ma che Vitellozzo con il rosto della compagnia, et con le altre si truo-
vano in quel di Pisa, rimanessi per chapo et governo di quello eser-
cito, la S. M.tia resolutamente ci negó questa ultima parte, affermando
ad ogni modo volere appresso di se Vitellozzo, et con la maggior parte 1
della loro compagnia, immo con il resto interamente; allegando che,
sanza epso Vitellozo et sua compagnia non erederebbe poter fare al-
chuna opera buona. Et acciochè quello campo di sotto [di Pisa] non
si diminuisse troppo, et che le terre acquistate, et bastioni facti et li
altri nostri luoghi importanti restino ben forniti et sicuri, et per torre
ogni occasione alli inimici di farne danno et vergogna, li pareva che,
li cento huomini d'arme della condotta di Messer Giovanni Bentivogli
col duea di Milano (per li quali pià di fa ebbe danari) si debbino con a
ogni celerità possibile inviare alla volta di Pisa: et oltre a ciò, per au-
gumentare quello exercito di più homini d’ arme et. con qualche capo
et governo di reputatione, partendosi Vitellozo, iudicava essere neces-
sario vi si mandassi il Signor di Piombino con la sua compagnia, 0
veramente il Conte "Renucecio con la.sua; et piü tosto inclinava al
Conte Renuccio per la pratica et experientia havea del paese. Et che
questo si facesse quanto più presto fussi possibile, acciocchè giugnes-

sino prima in quel di Pisa, che Vitellozzo con la loro Compagnia si
partissi di là. Et intendendo noi questa sua ferma deliberatione è fon- LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

ta con qualche buona ragione, ne conferimmo con li spettabili nuovi
FA tuoi colleghi, et con altri prudenti cittàdini, et finalmente iudi-
Elo che la cosa importassi assai, et non patisce dilatione, ne fu facta
sta resolutione: che la M.tia del Capitano di presente eon quella
pagnia si truova ne venissi alla volta di costà, et che parte della
sua compagnia li venissi appresso: et giunto fussi di costà, et consul-
tato et conferito col S.r Fracassa et con il Conte Renuccio Governa-
re et con voi altri, et facta quella resolutione, circa il modo di. pro-
edere di costà, quale iudicassi fusse più ad proposito del bisogno
elle cose nostre, che il Conte Renuccio quanto più presto potessi con
‘suoi cavalli leggeri ne venissi, et che le sue gente d’arme li venis-
ino appresso per trasferirsi in quel di Pisa ..., et Vitellozo ne potrà
'enire col resto della compagni& et ire a ritrovare il Capitano ....

B5. (D. Imi. LXI. 134). 1498, Nov. 25.
D.no Vitellozio de Vitellis.

Anchora che, per quello habiamo scripto a Guido Mannelli nostro
enerale Commissario, pensiamo che V. S. si sarà colle gente adiricto
al cammino di Cerreto Guidi et del Poggio a Caiano per conferirsi in
asentino con prestezza, come richieghono le presenti occurrentie, ta-
en, per abundare in cautela che V. S. non pigli altro cammino, ci é
parso per il presente nostro Cavallaro seriver la presente, per la quale,
rimum le diciamo che venghi colle gente per il cammino decto, a-
presso lo confortiamo ad venirne a maggior giornate le sarà possibile,
| perchè, come nel venire presto è la victoria certa in mano nostra con
"laude universale della S.ria del Capitano et vostra, cosi col differire
a in se assai pericoli et danni notevolissimi alla Rep.ca nostra.

1423. (Ep. II. 366). Prato vecchio, 1498, Nov. 2.
Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice vir mihi carissime : Eli è stato questa mattina da me

un trombetta di li innimici et fattone intendare esser mandato da Pier

di Medici, et dicece per parte de dicto, primo dixiderare di aboccarsi
um Messer Agnolo (1) da Fiorenza, Jacopo Nerli et cum mi; et che

(1) Angiolo del Caccia.






























n2

427 G. NICASI

virà o volemo in campagna o qui in questa terra, per dove nui vorimo, -
per o sotto la fede et promessa nostra. La qual cosa consultata, Messer
Angnolo et Jacopo Nerli comissarii se sonno resoluti ascoltarlo et avi.
sar subito di quanto exporrà testi Signori; et cusi li s' è fatto risposta
ch'el venga di matina qui in Prato Vechio. Io per me non haria may
preso tal partito ; tucta volta, acordandosi costoro, non ho anche voluto
contradirre ; promessoli ch’ el venga sicuramente. Altro non occorre,
Valete -....

Lo aviso di stanocte di la partita di li innimici non è stato vero
niente.




494. (D. Imi. LXIII. 4). 1498, Dic. 5.



Lucae de Albizis.




Per essere tu huomo prudentissimo et nostro collegha ci pare da



scoprirti interamente l’animo nostro, dove noi ci troviamo et in quale
necessità, acciò che tu prudentemente possa examinare tucto et exami-
nato governarlo ad più comodo et utilità della Republica nostra è pos-
sibile. Prima noi. ti facciamo intendere che del parlamento con cotesti





Signori et Piero de Medici non se ne è intesa alcuna cosa per lectere,
maxime diritte ad lo Officio nostro, che quello per la tua de iu del
presente intendessimo: il che non é seguito sanza nostro dispiacere et




admiratione. Pertanto noi verremo che ne tocchassi fondo quanto pos-
sibile ti fussi e investighassi la origine di questo caso e cosi, perché
noi intendiamo essere suti di già mandati 4 homini dal nostro capitano




in Bibbiena, t'ingegnassi, con quei modi et mezi che ti parranno mi-



gliori, di investigare che commissione hebbono et perché soprastectono



ad tornare; et di tucto ne dessi largho ed buono adviso.



Secondo: ci occorre farti intendere come noi entrammo dua di fa



in magistrato et habbiamo trovato ogni cosa exhausta et munta di da-
nari et e nostri soldati, cosi quelli di sotto [del campo verso Pisa] come



cotesti [verso Bibbiena] haverne necessità grande, immo grandissima:
perchè le cose in quello di Pisa non potrebbono essere in peggiore
conditione, comminciandosi da Livorno, el quale è el quore della Ciptà
nostra, e non vi è rimaso fanti o pochi et quelli pochi hanno in modo
sopradservito che, se non si proveghono, saranno quelli, non che lo di-
fendino, ma che lo daranno ìn preda a nimici, et oltra di questo, Vico,
Librafacta, el Bastione della Ventura, che sono ad questa Repub.ca
consti un tesoro, stanno con pericolo grandissimo per non havere da
pagare chi li guardi: et qui non è danari et in consiglio non si vince







LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

‘ovisione da poterne fare. Circha alle occorrentie di costi, per essere
oco, non ci distenderemo nelle particularità, se non che ti fareno
to questo che, veggendo quanto coteste cose premono et richiedendoci
apitano instantemente di subventione di piü fanti, per volere sati-
arli, ci siano sborsato di nostro proprio per 2000 ducati et prima ci
avamo obligati in particulare ad 4000 ducati per mandare in campo
in soldare Gnagni di Pichone, Marco Salviati et el capitano Guer-
jeri; a quali si è dato spaccio et fra tre dì saranno costi : et cosi l'ar-
iglierie doveranno alla giunta di questa essere comparse. Onde con-
viene che tu pensi, alla giunta de' prefati Connestabili, che per noi non
ci si possa adgiungere altre forze et di havere ad fare fructo con co-
‘teste et presto et in modo che non passino otto di da hoggi; perchè,
sopradvenendo la nuova pagha ad cotesti Connestabili, et noi non pos-
sendo satisfare loro, ogni cosa ruinerebbe .... ».

l5. (D. Imi. LXIII. 6). 1498, Dic. 5.

Lucae de Albitis Commissario.

... Intendemo .... li andamenti seguiti circha ad lo abbocharsi

i Jacopo Nerli «g) et il Capitano nostro con Piero (dei Medici) et le pra-
| tiche et parole andorno adtorno in simile caso et le parole usasti ve-
nendo ad consulta di simile cosa: di che come prudente et savio te ne

| commendiamo et ad questo non faremo altra repricha che quello per

la alligata ti si scripse, per esserci questo caso tanto ad odio quanto

aleuno altro che fussi potuto subcedere in questi tempi et vorreno, anzi
- desiderremo assai, che li uscissi della memoria delli huomini essersi
| tenute costì tali pratiche, siche prudentemente attenderai ad sopirla che
di simile cosa nè resti, nè quì se ne habbia ad ragionare ....

$426. (D. le. XXIV. 9). 1498, Dic. 9.

D.no Fran.co Pepio.

... Li inimiei nostri in Casentino, dopo la venuta del capitano in
- quelle cireumstantie et del Signor Fracassa con le genti duchesche, si
| Sono ritirati indrieto verso Bibbiena et la Vernia, dove si truovano in

(1) Il VI dicembre Jacopo Nerli fu dai Dieci richiamato a Firenze (Vedi Arch.
St. Fior., Dieci di Balìa, Missive interne, vol. 63, pag. 8, lettere a Jacobo de Nerlis).



424 G. NICASI

grande extremità d’ogni cosa necessaria, et non dimostrano stare sanza

sospecto, et ne hanno rimandato buona parte de cariaggi loro et arti.

glierie minute. Il Signor Fracassa et Capitano nostro sono d’animo
farsi loro incontro et vederli in volto prima partino, et, quando con

vantaggio possino, di essere alle mani con loro. Et noi habbiamo man. -
date le artiglierie chiesteci et tre Connestabili et circa fanti 800 faeti
di nuovo et così habbiamo subministrata ogni altra provisione chiestaci,
acciochè non resti per noi di fare ogni forza per expingere li inimici
del dominio nostro ete.

Píero de' Medici ad questi di passati per mezzo di Carlo Orsino
cercò volere abboccharsi col Capitano nostro et con Messer Agnolo del
Caccia et con Jacopo de Nerli, Commissario appresso il Capitano, et dicto
Carlo parlò con loro. Della qual cosa subito che havemo notitia, com-
mettemo alli nostri che interamente tagliassino tale praticha, nè pre-
stassino in alchun modo orecchi a ragionamenti dove intervenissi o si
tentassi cosa alchuna di Piero de’ Medici et de’ fratelli; ma in qualun-
que actione et demonstratione li tractassino come pubblici rebelli et
proditori della loro propria patria. Et benchè noi habbiamo diversamente
inteso l’origine et motivo di questa praticha, pure ne è referito che
Paulo Semenza, stato qui più tempo cancelliere di cotesto Ill. mo Prin-
cipe [il Duca di Milano] se n’ è travagliato assai spacciandosi per segno
ducale; et così continuamente s’ intromette in cose che causano admi-
ratione et dispiacere grande nell’animo de’ nostri cittadini : et insomma
considerate le opere sue passate et la inquieta natura sua, desideriamo
assai che aoperiate che lui sia levato di qua, perché ne sequirebbe
qualche scandolo; et di così pregherete la Ex.tia del Duca, et quanto
più presto meglio.

427. (B. VI. 60). Poppi 1498, Dic. 14.

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Mag.ce vir. mihi carissime. Da poi la curriria fè Jac.° dil Rossetto,
li homini dil paese, visto li inimici cominciare ad essere urtati, hanno
cominciato anche loro a pensare a li facti loro, in modo che, tentati di
pratica, li hanno trovati disposti. Nunc, visa eorum dispositione, gli man-
dai l’altra sera Vitellozo a la via di Montefatucchio, loco forte et de
più importantia, cum 1500 fancti et, intrato, have aviso che li inimiei
li mandavano fanti, cioè un Baldassar Scipioni de Sena cum circa 80
fancti. Vitelozo li mandò subito incontro homini dil paese asai, cum
altri faneti in modo che gl’è restato pregione dicto Baldasare cum alcuni

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 425

di poi s' è hauto Corezo, Gresse, Serravalle et la Mausolea; però
consenso di li homini : et havemo nova che li inimici stanno di
sima vogla. Speramo, come de le altre volte ve s’è dieto, redu-
a termine stranio per loro. Vero è che per soliciptare la roina
bisognaria haver quelli dinari qui per torli quelli faneti, chè non
o a questi tempi homini che più li aiuti, et le artiglarie ; si che

te intendere el tueto a testi S. et solieitate l'una et l'altra di queste

Di qua non si atende ad altro, non perdonando a qualità di tempi

a nissuno disagio, solum per aleviare et rimover testi S. da tante
ustie et spese, et si se solicita spesso qualehe oportuna provixione,

| ve paia stranio che se fa per tanto più presto trarli di noia. Altro
acurre : racommandaritece a lor Ex.e.

MD. lc. XXIV. 22). 1498, Dic. 17.

D.no Fran.co Pepio.

: In Casentino é seguito poi la recuperatione di Castello Foco-
no, dove di sua volunta li huomini di quello luogho chiamarrono
"nostri; ma prima haviemo morti et svaligiati 150 huomini, de' quali
10 ne annegarrono in Arno, chacciati da quelli contadini. Similmente
ornò hieri all Shevotione nostra Lierna; et cosi li inimici ogni di ri-
mangono con meno luoghi et pare Linda fortificare Bibbiena, se-.
ndo che referiseono Lorenzio Benvenuti et Lactantio Tedaldi, stati
gioni là tutto questo tempo. Non di meno quelli Capitani disegnano
genti che stieno alla Pieve et a Bagno et per la via d'Arezo etc.

P9: (D. le. XXIV. 23). 1498, Dic. 18.

D.no Fran.co Pepio.

Hiersera fummo advisati da Commissari nostri di Casentino come

vevano preso Marciano per forza, per opera maxime di Messer Fhi-

lippino dal Fiesco et dentro vi era preso uno nipote di Messer Bartho-

meo d’Alviano et altri capi di squadra, insieme con 80 huomini d’arme

gt loro et ogni loro arnese. La qual vietoria ha partorito hoggi quello
vedrete per lo incluso adviso....

D: (Ep. II. 378). Caprese, 1498, Dic. 20. III noctis.

Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico nostro Corado etc. Haverite inteso quanto s'é facto in
entino, et heri pigliassimo et svaligiassimo venti uno balestrieri de











6 G. NICASI




Carlo Baglioni; oggi siamo venuti qui a Caprese et. havemo cum nuj
1300 fanti o circa, 50 homini d’arme et circa 350 cavalli legeri. Domane
sirimo fuori et cominciarimo a far qualche cosa, et di quanto si farà 1
vi darimo notitia. 6

Solicitate habiamo denari da cotesti Signori che, come ve s' è dicto
habiamo servito uno mese et mezo che non habiamo da loro havut
denari, sì che solicitate et pregate cotesti Signori ci cavino de parole,
si come facemo nui cum le Signorie loro. Pregate Iacopo Nerli ci serva -
de quelli 300 ducati li servissimo, che, se non havessimo necessità, non -
gli le domanderessimo, et preganvi non manchi, chè questa è una.
guerra che li soldati non si vagliano de’ meriti, perchè sapete che l’or-
dine nostro è che volemo li nostri vivino col denaro in mano senza















disonestà aleuna. Altro non occorre. A' piaceri vostri.



481. (Ep. II. 319). Pieve Santo Stefano, 1498, Dic. 92, 1





Paolo Vifelli a Corrado Tarlatini.



Magnifico messer Corrado. Vene lha Fantagiero corso per ritrare 3
el suo servito da cotesti Signori, et perché el vole venire a’ servitij -
nostri et dice trovarsi li pegnio et la vita et la robba, che senza spe- -






gnarsi male po' fare et mal ci porria serviré. Et perchè egli è homo
da bene et vale assai, nol vorressimo perdere, ve pregamo, si mai de-
siderassivo satisfarei, che al presente cum omni industria vedate che,
si non in tutto, el sia satisfacto et che el paia che lo serivere nostro li
sia appresso de quelli signori stato proficuo, perchè in fine tucto questo
operamo in havere homini da bene appresso di nui a li serviti) loro,
siamo per spenderli per loro et quanto el sia approposito havere tali
homini gli efecti subcessi ne possono essere bon testimonio. Si che
iterum pregate loro Signorie per amore nostro li piaccia remandarcelo
si non in tutto in magior parte satisfaeto, che se a nui li donasse non














ne potressimo havere magior piacere.



Appresso el ve s’ è scripto più volte che questi fanti omni giorno
ci sono a le spalle et già siamo appresso che a dui mesi serviti, de li. 3
quali non habiamo havuto un soldo; se le Signorie loro non ci prove-





gono seranno causa de ruinare questa impresa, perchè li fanti senza



denari non si possono tenere et quanto e’ vaglino in questi paesi el
dovete havere inteso: perhò vi pregamo siate cum loro Signorie che
ce li mandino et cavinci di benfaremo, perchè a li fanti non basta.
Mandateci a omni modo li 300 de Jacomo Nerli quam primum li
havete, perchè ne havemo necessità et pregatelo non manchi, perchè,







si nui non fossimo cusì a stretto, non li domanderessimo. LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. : 421

- pe le eose faete in Casentino havete inteso: l’altra sera arrivas-
» al Caprese et heri venemmo... a Montalone, dove si truova el
or Carlo cum 50 homini d'arme et 150 fanti et qualche cavallo le-
, et anco in se il loco non è molto debile; pure si non fusse stato
gran copia di cavalli et fanti si mostrorono al monte de la Verna,
J'aressimo combattuto, ma non havevamo gente da posser a un
esimo tempo combattere la terra et riguardare l' inimiei. Habiamo
ripto al signor Fracasso che o el venga, o el mandi parte de le gente
arme, che non si n'é senza gran profitto. Nui havemo mandato a Ca-
]lo per 4 faleoni et Arezo per 2 passavolanti: in questo mezo ve-
remo el paese et provaremo non perdere tempo. Altro non occorre.
piaceri vostri.
(Ep. II. 37). ‘Pieve Santo Stefano, 1498, Dic. 22. VI noctis.
Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

| Magnifico Messer Corado: Havemo havuto una vostra et visto
|j anto scrivete et piaceci quanto habiate facto per lo Signor Piero (1)
cusì ve dicemo sequitate et fate omni opera cum testi Signori Dieci
e per niente non lo lassino partire et non le diano licentia, ma lo aiu-
ino in modo ch’el possa mantenire, perchè nisuna cosa dà più mole-
stia che veder Berdersi la compagnia ; et stiano ‘de bona voglia ch’ el
Signor Piero non è per mancare de fidelità, ne’ per tucto l’ oro del
nondo non faria tacagniaria alcuna. Et confortate le Signorie loro
ber niente a non li mancare, immo a fare omni cosa per tenirlo ben
contento, sì in la conditione, sì anco col denaro, che in vero egli è
ehe merita da le Signorie loro, si per fede, si etiam per sufficientia, et
(4n questo usate omni extrema diligentia.

Ex alio latere: sirite col Signor Carlo (2) et pregatelo per parte
nostra ch’eli voglia serivere al Signor Piero et confortarlo havere pa-
tientia et non si voglia rompere, ne’ lassare quello loco per niente et
h'el vedrà che cum la patientia el tirerà omni suo disegno, et anco

nui li seriviemo a questo medesimo effecto.
È Circa el Fregoso, tanto se li è facto, non si manchi nè anco -di
Buesto de contentarlo de li vinti dui ducati, pure ch’ el venga, et soli-
citatelo al venire più si po.
Quanto a la paga de’ fanti non sapemo che conto si faccino; nui
n havemo havuto né li mille, nè li otto cento d’ Arezo, come da li

ommissarij loro Signorie possono intendere; perliò siate per dio pre-

(1) (2) Il Signor Pietro ed il Signor Carlo, Marchesi del Monte Santa Maria,
fano al soldo della Repubblica fiorentina.





428 G. NICASI





































gato pregare le Signorie loro non ce me fare tanti pezi, che possiamo
dare una paga intera, benche la bisogna nostra per satisfare questi
fanti siria de tutto il servito, pure vi dicemo non mancate solicitare —
subito, se l’intera paga non è venuta, aoperare si mandi subito, perchè ^
non possiamo più tenere in longo questi fanti.

Circa le robbe si sono partite per Poppi bene est; sin autem dri. —
zatele a Castello. Le tende, asciutte che siranno, le rassectate et lassate ^
lì sino a nostro haviso. E

Nui serivemo a Messer Francesco Feriani (1) in risposta de le suoi 3
che concluda, quando parà a quelli Signori nostri protectori. Si che
mandatela subito per una staffecta, perchè el dice doppo le feste par- 3
tirà, et perhò non mancate mandarle subito. 5

Sarite cum Giuliano Gondi, che nui habiamo de nuovo pratica per 1
el vescovado pagando 3000 ducati d'oro de camera et le bolle, et pre-
gatelo per parte nostra, al tempo che sirimo risoluti a lo sborsare, eh’ el?
pensi a lo adaptarlo; et che non dubiti che noi habiamo per questo —
ancora deliberato a soddisfarli, et a Sua Magn.tia ne ricomandate et
a tuctti li figlioli

433. (B. VI. 63). Pieve Santo Stefano, 1498, Dic. 25, d
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado. Tarlatini.

Magnifico Messer Corado. Habiamo una vostra de’ XXI del pre- 1
sente, per la quale ce dite ci si mandano tre mila ducati. Del che ce 3
maravigliamo grandemente et non ci pare questa la via a volere vin- 1
cere ; considerato li tempi in che ci trovamo et le factioni grandi che
tutto di si fanno, tenimo gli omini cum tanta arte quanto dire si possa,
Et non é perhó che cum questa arte el non ci bisogni anco havere
denari, che, in vero li poveri fanti se li consumano in scarpe omni 3
mese, che, come da loro Commissarii possono intendere, quà non s'é
perso tempo un' hora, et che de dui paghe che li fanti habbino servito
e voglino mandare tre mila ducati non sapemo quello vogliano che -
faciamo, che li havemo dato speranza darli una paga intera et hora
non gli ne potremo dare altro che meza ; dubitamo questi fanti non la
vorranno pigliare et senza fanti non si po' fare. Pregate le S. Loro
siano contente immediate a mandarci tanto che possiamo dare la paga
intera: benchè ne scrivete -havere mandati 3 mila ducati a li commis-

(1) Francesco Feriano era il rappresentante dei Vitelli presso il Pontefice e si
adoperava, insieme ai cardinali amici del Vitelli, per la eiezione di Giulio Vitelli 4
vescovo di Città di Castello. LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 429

nui non habbiamo visto per anco un soldo. Vorressino che li

ri nostri le mandassivo in mano nostra per cavallaro a posta, per-
come vanno in mano de’ Commissarii, sempre callano per le spese
‘omni g ceiorno curre, che come ve s' é dicto nui non habiamo per
ico nè inteso né veduto uno soldo et trovamoci senza uno quatrino;
serate che subito habiamo tanti denari che possiamo dare una paga,
ie altrimenti non vedemo modo a tenere questi fanti et in questo usate
omni diligentia, perehé quando perdessimo de questi fanti faressimo
an perdita, per essere homini che vagliono, come li effecti tutto di
mostrano.

Circa la parte del figliolo de messer Agostino è bene anco de le
'barde il contentate et mandatelo subito. :

Circa le robbe nostre, le chiavi non si trovano. Sconfieatele tutte

‘poi le fate rassettare et dirizatele a la via di Castello, come siranno
ima asciutte et aconce, et quanto più presto possete.

Li mulatieri contentate sicondo el justo. Cerbone peranco non po’
-Binire, fino questi Conti de’ soldati non sono iusti. Le scafe se hanno
1 pagare de la portatura de le robbe ehe hanno levate da Vico.

Appresso harite inteso, di po' la presa di Ruoti et di Valsavignone,
| lliabiamo havutagBulgano et Casolare, li quali lochi tutti sono in su la
Val di Tevere, et di quà et di lhà dal fiume, in modo che andamo sicuri
"ino a Montecornaro. Et heri ei fussimo per vederlo, ma ce era tanta
a nebbia serrata che nol potessimo vedere. Questi lochi sono de na-
tura che a chi volessi passare verso Bibiena, o a chi volessi passare
verso Romagna, sono per darli tanta molestia che non ci passaranno
sente grossa de facili, maxime retrovandoci nui da le bande di qua.
Et benché e' gli abbino aucora Montecornaro, vi notificamo essere el
paese si terribile et strano, che è APA quasi, maxime in questi
tempi, a poterci passare.

: Egli 6 vero che nui intendemo che per il territorio del duca d'Ur-
bino se comanda uno homo per casa et a Perusa et in altri lochi li
S.ri Venitiani danno denari, et per quanto intendemo dicono voler fare
Uno sforzo grosso: credemo sia a effecto per voler provare de fare uno
nfreseamento in Bibiena e de vittuarie et altri necessarii et cusi nel
monte de la Verna et in Montalone, che di quà da l’Alpe non hanno
altro da possere dissegnare. Se cotesti S.ri fanno quella provisione
ehe nui li diremo, non dubitamo che tutti questi dissegni li tornaranno
fumo. Et questo è ehe mandino di qua X o XII.m ducati, che pos-
iamo fare anco nui de’ fanti, perchè invero questo paese è molto più
da fanti che da cavalli, per el paese asprissimo che è, che non potria
essere più incomodo per cavalli che gli è.





480 : - G. NICASI







Notificandovi che questa spesa sirà causa totalmente de la ruin
de’ nimici et venghino come vogliano, perché nui havendo questi fantj
speramo impedirli de facili il passo. Et anco dissegniamo expugnar




Montalone et la Verna, de li quali credemo quelli capi che ci sono più
tosto se riduranno in Bibiena che in altro luogo, o forse se n’anderanno +
,




ma più tosto credemo si ridurranno in Bibiena per la speranza che gli
anno del soccurso, il che si faria per noi, perchè l’exercito, che è di lhà
de l’ Alpe, si trovarà voto de tutti li capi boni. Et anco de quanta più
gente si trova in Bibiena più lograranno. Et tolto la Verna et Monta.
lone, li inimici siranno totalmente privati de alogiamenti et reducti di







qua da l' Alpe et per consequens a quelli de Bibiena sirà tolto tota]. —





mente la speranza del soccurso. Ma per fare tutto questo è necessario 3
le fantarie; che come s' é dieto nui volessimo vedere Montecornaro, el 1
quale, benché la nebbia fusse strettissima, non potessimo vedere et era. 3
vamo appreso a mura, pure habiamo considerato non essere luogo de




quella importantia che ne era dissegnato, perchè egli è luogo de poco |
recet'o et li havemo facto abrusare tutte le ville circunstanti in modo



che dissegnamo che, quando li nimici volessaro passare, non hariano



alogiamenti, nè strami, nè vittuarie, senza che, se le S. V. fanno previ.



sione che possiamo fare queste fantarie, nui li farimo una sbarra de li
nostri in Montefatucchio, in Bulciano, in Valsavignone ed in Ruoti che




non ei passaranno mai et cusì facto ciò che dal Tevere et da l’Alpe



in dentro sirà spacciato, et senza dubbio la victoria sirà per le loro S.;



et honorevolmente; ma dal canto de loro S. non manchi et non guar-
dino adesso a lo spendere, perchè gli è la salvatione perpetua de lo
Stato et cità loro et maxime honorevolmente come sirà questa victoria.





Nui dal canto nostro non siamo per mancare d’uno jota ne perdo-



nare a fatica alcuna per servitio de le S. Loro; faccino anco loro in
modo li possiamo acquistare et utile et honore, che, come possano to-
chare cum mano, nui non veghiamo altro si non quello sia a exalta-
tione et honore de quella Ex.sa Republica; non l’ineresca la spesa





al presente che mai spesero denaro che più utile li fusse che questi.
Et tutto sia immediate, a ciò possiamo fare tutte queste provisioni,
perchè li nimici tuttavolta fanno fantarie; non ci riduciamo poi in
ultimo : però solicitate che se mandino li denari immediate et solicitate




che habiamo la paga nostra et non ci sia dato più longa, che non ha-



vemo uno quatrino et, come per l’altra vi si disse, nui non havemo ha- 3
vuto né ottocento nè mille, solum s’ è havuto che s’ è dato d’aiuto in
nostra absentia a le gente d' arme nostre in Casentino 400 ducati. Si
chè vedete come stamo. Solicitate, solicitate et iterem solicitate. 1
Nui havemo hoggi qui li nostri falconetti et questi S.ri Commis-






LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 431

anno scripto Arezo per dui passavolanti. Siria beni cotesti S.ri
citassero per cavallaro a posta. Et è necessario che le S. loro or-
che venghano 25 some di lance da piè che ce ne è necessità. Pre-
e siano diligenti a le provisioni et vedranno che anco nui non
pirimo nè perderemo tempo.
Solicitate che venga quà M.o Jo Demitri a omni modo et M.o Gian-.
no M.o Francesco da Luca che non manchi per niente. Et solicitate
to et maxime denari.

(Ep. II. 365). Pieve Santo Stefano, 1498, Dic. 27.
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico Curado: in questa hora havemo aviso come a Castello
Elci sono già radunati circa 2000 fanti comandati delle terre del
mea d’ Urbino, et sonoci molti alamanni et tutta via ne giogne più:

dicamo che questi Signori fiorentini vorrano tanto tardare che, quando

rano fare non sirano a tempo, et costoro faranno qualche volta
ualche cosa di momento et de interesse grande nostro et delle im-
resa : nuntiate @he subito si mandassero que’ denari, et per il conte
hecho et per gl'altri fanti, et che il conte Renuccio se ne andasse in

entino, solieita[te] che i luoghi de là sieno bene guardati, perchè

llo che i nimiei hanno a fare faranno presto; et non si faccino
ffe li di questo aviso, perché questo é verissimo.

(Ep. II. 370). ^ Pieve Santo Stefano, 1498, Dic. 29. IV noctis.

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico nostro Corado : Elvi s’ è seripto horamai tante volte
per questo medesimo capo, che horamai non sapemo che più ci dire:
credemo la via de facti sia smarrita perchè de vui non havemo altro

e lettere et parole, ma denari per anco non vedemo alcuno. Et sta-
one tanto admirati quanto dire si possa, atteso che vui ci dite haverci
mandati in mano de comissari 3000 ducati, et nui non li habiamo
lavuti, che invero non sapemo donde proceda questa cosa, o da quelli
signori Dieci o da Piero Corsino, che de l’uno et di l’ altro ce sirà caro
Diendere, perchè ci pare in questa cosa esserci beffati, ne’ ci persua-
demo Piero Corsini spendessi o retenisse li denari nostri senza ordine
li lha, che, essendo, non doveriano dirvi che fussino venuti a nostra
tantia. Nui non mancarimo di parlare liberi et larghi come siamo



432 : G. NICASI







soliti: li nimici si sono fortificati con bon numero de fantarie, com
per altre nostre ve s'6 dieto, et tutta volta se uniscono in modo ch
sono in fieri de qualche cosa a loro proposito, et si di Iha non si pro
vede che nui habiamo denari, non bisogna fare disegno che posser
‘valere d’uno fante, che tutti sono disperati et hanno ragione, perch
le factioni sono assai, in modo che in scarpe se ne va meza la provi.
sione. Li nostri hanno havere appresso che dui paghe, et nui li havem i
dato ad intendere che li ne daremo una intera et peranco, non tanto
una paga, ma non li possemo dare un soldo. Nui ce ne excusamo, che













quando l' inimici faccino qualche cosa contra al proposito nostro à
non per causa nostra, ma per cotesti Signori Dieci; et cusì li chiariti 1
che, se subito a l' havuta di questa non fanno provisione, nui vedem
che li nimici faranno cosa che quelli Signori se pentiranno non ce ha.
vere creso, et trovaranno che li parlamo per affectione et non per altro,

Ve habiamo anco dicto, et per più nostre replicato, che confortas










sivo cotesti Signori a mandare a questi comissarij dieci o dodici mila.




ducati, a ciò se potessino refrescare quest’ altre fantarie et anco farn
degli altri. Et per anco non e’ è niente. Nui ve dicemo di nuovo che.



questa non è la via a vincere, che potriano essere causa queste summe
levarli questa febbre da dosso, che senza dubbio havendo queste sum





me romperemo tutti li disegni a l'inimici, che non potranno venir
inanti, ne' dare refrescamento alcuno a quelli de Bibiena, ne’ anco agli |



altri; et come se li rompe questo dissegnio non bisogna faccino pi
‘conto di possere far nulla et chi sirà dal Tevere in dentro verso Ca






sentino, tutti siranno spacciati, perchè a omni hora havemo notitia che.




patono detrimento de vittuaria assai; nui ve dicemo che quelli Signori
hanno la vittoria in mano se la vogliano, et che è in mandare questi.



denari. Se non li mandano non vogliono vincere; et non facino pen-



sieri del dare che faranno, per che, si passa al presente, de qui a qual- -
che dì, facto che I' inimici haranno quello dissegnio li pare, per dio per 4




ogni diece bisognerà che sia migliaro. -



Notifieandovi che, a ciò che cotesti Signori siano chiari che nui



faciamo omni cosa per loro Signorie, el s’ è ordinato che il Signor -
Paolo Baglioni facci 500 fanti, che già à expedito a Perusa per farli;




ma, insiemi cum la promessa de’ signori Commissari], li havemo pro-
messo anco nui che come sono qua subito li darimo denari. Et judi-




camo che questa servirà prima che li levarimo a li nimici, perché già



loro fra Perusa et Spoleti et quella valle havevano dissegnio fare 2000



fanti, che questo li sirà disturbo assai, et anco ci varremo di questi
fanti in questo a bisognio et sono homini da farne buon conto. Come





ve s'è dicto, nui non havemo uno quattrino: conclusive operate che LA FAMIGLIA YITELLI, bcc.

to habiamo la paga Gia). et che questi Blenori Codlitssuii] hab-
6 questi altri denari da posser fare li effecti dicti, et non mancare
ente, perché perienlum est in mora, et non la mettino in pratica .

-Elvi s’ è anco dicto che siria bene cotesti Signori drizassero le
{ ste de’ cavallari a questa via, perchè omni dì ce occorre havisare le
norie loro de cose importanti et per non havere homini che ci ser- -
| no presto non possemo scrivere, perché da qui a Firenze ce va tre
quattro dì per la via sicura. Pregate loro Signorie le mettino per
]darno a questa via adrittura.
Li 300 ducati de Jacopo Nerli pregateto per parie nostra ce li dia,
È he’ più ci vale un ducato hoggi che un altro tempo, et se la neces-
ità non ce stringesse non li solicitaressimo cusì.
Iterum vi pregamo che subito habiamo questi benedecti denari,
i li nostri come questi de comissarij, et che non serrino l’uscio poi
che la cosa è rubata ; per dio parlate vivamente in questa cosa per chè
quella importa lo stato loro, et nui che ’1 cognoscemo, non volemo
ossino dire che per nui non li sia stato mostrato tutto quanto pò
ubcedere apunto.
Havemo hoggi le vostre et visto la diligentia usata vi comendamo
ummamente et se uscite de l'ordinario ci piace, perché la necessità et
“lo bisognio ci caccia.
Altro non habiamo da dirvi. A’ piaceri vostri.

36. (B. II. 64). . Pieve Santo Stefano, 1498, Gennaio 1.

Paulus Vitellus excelse Rei Publice Florentine Capitaneus Generalis Ma-
gnifico equiti D no Corrado de Tarlatinis de Castello nobis carissimo.

Magnifico Messer Corrado: Havemo la vostra heri sera per la
quale me scrivete voressivo intendere el parere nostro circa lo alog-
giare del Conte Rinuccio per la causa ne scrivete. Vi si risponde che

ui iudicaressimo che fussi ’n optimo proposito fare spingere inanti
ua Signoria, et la persona sua se potria fermare a Subiano cum parte
e le gente sue et l’altra parte spingerla a Rassina; et una parte de.
uoi cavalli legeri, cum 300 fanti, farli mettere in Sarnia, li quali, per
ssere il loco vicino a la strada che va da Bibiena a la Verna a due -
zi di miglio, impediria[no] quella strada in modo che non ci passa-
uno ucello. Et anco siria a proposito et in la via (sic) che, quando o
xpedito che nui havessimo le cose di qua, se ne potria venire per ri-
ardo di questo paese che non torceria via niente, Et perché li nimiei

28








G. NICASI

a Casteldelci ingrossano continuamente, che questa sera havemo haviso |
che ci sono gionti 600 fanti provisionati et in ordine et pagati, non enno |
comandati o .cerne, et tuttavolta ne aspectano più, per quanto dicono;
et anco sapemo che è vero perchè, come ve s'è decto, a Perusa et in
el ducato [di Urbino] si da denari et fassi fanti assai; et de li nostri.
di qua, per li mali pagamenti hanno, se ne vanno assai. Sentiamo
hanno facto [i nimici] provisione de sachetti assai: judichiamo che siano
per portare farina o pane, perché nui judicamo l'habbino a portare i
fanti, perché, per haverli nui facti guastare tucti li passi de Monte Cor.








naro, non judicamo ci possino passare cavalli et male i fanti; et non
passando altro che fanti judicamo portariano tanta vectuaria che a l’ul-



cie



timo per sei o otto di se la mangiariano per loro. Ma è ben d’avertire



che quando a un tracto passassero, anco in uno istante facessaro qual. |
che assalto a qualche loco de Casentino, per il quale nui ne recevessimo 1
et dapno et vergogna: et per questo staria bene la persona del Conte
Rinuccio a Subiano et le genti a Subiano et a Rassina, chè a un tracto
se potria spegnerle a Poppi 0 dove li paressi fussi el bisogno; perchè E
in vero, per quanto intendemo, Poppi non é molto bene provisto, che
è necessario le Signorie loro ce aprano gli occhi e bene. Serviria anco
li 800 fanti et qualche cavalli legeri che a chi passassi se li daria tanta 3
molestia che siria assai: se li nimici vorranno passare da Ruoti et Val -










Savignone, per essere luoghi più vicini, non passaranno senza conto, 3
Ma credemo el passare loro più tosto sarà verso Monte Coronaro, ben- |
chè male per li passi rotti; pure vedremo che vorranno fare et nui non |
dormiremo. Per havere nui di qua havuti li tempi molto sinistri, et anco 53
per non havere havute l'artigliarie d'Arezo, non habiamo facto altro.
Questa sera siranno qui [le artiglierie] et domatina, non essendo tempo
molto contrario, cominciarimo a fare qualche cosa contra li nimici et -
dil successo a hora per hora sarite raguagliato.
Sentimo che Piero Corsini fa salvicondocti a gli omini et brigate A
che vogliano uscire de Bibiena: questo ci pare l’opposito che lo bisogno
de limpresa, perchè quelli soldati che sono dentro non vogliono altro
che alegirirsi; et per nui si fa che non esca nisuno per doi ragioni: E
la prima perchè [gli occupatori di Bibiena] una volta gli hanno segnati
gli omini de la terra per nimici, perchè gli anno tolto tucte l'arme et, 3












eiu






essendo cusì come è, ce potriano dentro un giorno servire a qualche ^
nostro opportuno proposito ; l’altra si è che, stando dentro, mangiano 1
anco loro et tucto di li manca le vietuarie. Et benché per qualcuno, à
li di passati, sia stato dicto che in Bibiena è abundantia, la causa com-
prendemo sia stata che, vistosi li terazani essere a sospecto, hanno di»
segnato partirse et, avanti siano partiti, hanno voluto fare denari di







LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

Jle cose che non potevano portare et dedersi a vendere il grano che
avevono: et questo fu l'abundantia che li pareva havere: hora mai

| queste vendite siranno finite sentese maggior carestia ; et credate
omni giorno sirà magiore, maxime perchè non hanno strame et
no vite, et hormai non hanno più, sono necessitate a dare dilgiuno

ai a cavalli. Vedrite non passarà molti giorni che se sentirà che gli

o carestia grandissima, in modo non dubitiamo le cose per cotesti
ignori passaranno benissimo, dummodo anche le S. Loro non ci man-
ano del provisione et maxime del denaro, che in vero se portano male
cum le fanterie loro et cum li nostri, che per dio non hanno ra-
ione ché hanno bonissime fantar:e: siano contenti a non le perdere,
chè sè non ci mandano denari ce ne restaranno poche. Sichè solicitate
denari et cum epsi venga el magnifico Luca de gli Albizi, ché ne
iranno piacere grandissimo al Signor Fracassa. A le S. Loro ne ri-

omandate.'

EE (Ep. III. 19). Pieve Santo Stefano, 1499, Genn. 3, III noetis.

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.
È Magnifico M. Corado, questa nocte passata havemo ricevuto una
‘ ostra deli 3 del presente, che erano hore 8. El contiene le notitie e
pareri vostri de le cose dil conte et di Francia, non dicemo altro ci
piace havere inteso e cusi de le cose de Pisa: sequitate la rubrica di
quanto intendete e sopratutto ci date notitia di vostro parere et le ra
gioni.
Come questa nocte snecintamente vi fu scripto, pigliassimo Mi-
Áo dove era 19 homini darme e 150 fanti e al castello gia se
ra facto due buche e intrato dentro, quando linimici se ridussero a
una torre c gridarono patti. Et fuoro ricevuti a discretione e hoggi s'é
ruinato e saccheggiato el castello per maiori parte. De linimici se in-
tende sono pure a Castaldelci e tucte dì se uniscono de fantarie coman-
date e anche de pagate. Et questa notte passata passarono 120 fanti.
Et benche nui habbiamo facto rompere e guastare li passi, pure li ca-
ralli non-possano passare, ma li fanti passano per tutto e sono passati
al passo del Vilano e sirà difficile possino passare altro che le persone
o, pure lingrossano tuttavolta. Et da nui non si mancarà de fare
mni previsione sia possibile e aomnimodo speriamo in dio ci dara
ttoria, quando da cotesti S.ri non ci sia interrotti li dissegni nostri
assinci governare le cose de limpresa come si conviene a la ragione.
Intendemo sono venuti 6000 ducati doro per quanto ci riferiscono

7. G. NICASI

i Sig.ri Comissari. Deli quali si farà distributione secondo lo bisogno
Egli è vero ohe sono pochi per satisfare a quello sia proposito delim
presa, perche, dala compania nostra in su, ci sieno, in tutti li com
stabili ci sono, 300 fanti Et tutto è processo per li scarsi pagamenti |
de queili Sig.ri; perche pregate le S. loro a non mancare de le provvi. ^
sioni, et precipue li denari, che sono necessarii perché in vero tutt
questi fanti sono disperati. Et dando denari linimici, mi meraviglio ce
sia nisuno: pure, se verranno denari, provederemo in modo le cose.
passeranno Bene...

Se le nostre lettere sone tarde sappiate perché non havemo poste
e bisogna derizarle per la via di Montefatucchio: e benché vui ci seri
viate che le poste ci si dirizino per Valdarno, pure per anco non ci
ono: perho solicitate che le poste se mettino. 1

‘E perche nul volemo de prossimo mandare Cerbone a Fiorenzo
per saldare li conti nostri, vorressimo che alhavuta di questa facessivo
cavare uno conto de tutti li denari havemo havuti da Alfonso Strozi e
da altri per lui al tempo suo, e cusì quelli denari si sono havuti al.
tempo de questi S.ri; et operate siano larghi e distesi a ciò possiamo |
scontrare con questi NT qua; e poi Cerbone se ne viene lha per.
saldare. Altro non occorre. A piaceri vostri.

,

- 488. m II. 60). Pieve Santo Stefano, 1499, Genn. 7. VII noctis, |

Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico Messer Corrado, habiamo hoggi havuta una vostra de
5 del presente in siemi cum una de Luca de gli Abizi, a le qual È
non occurre dire altro si non che ci ricomandate a la Magnificentia.
- de Luca et diteli che, omni volta che lì sirà, sempre ci sarà caro ; et
speramo in dio cie rivederimo presto. 1
Circa del denaro che ne scrivete essere tanta stretteza, a nui rin- .
cresce che le S. loro habbino tante spese et, quando credessimo potes-
sero fare di manco, nui ne saressimo più contenti di loro : tuttavolta
judicamo, al parere nostro et de omni homo che intende, che tutta la
| opera che sé facta, tanto in quel di Pisa quanto in queste cose de Ca- .
. sentino, el só speso una pochissima cosa, rispecto al impresa et ali
meriti de epsa: et vorressimo, in servitio de quelli Signori, havere
tanta summa de denaro che li potessimo fare la guerra a le nostre
spese per un anno et anche due; ma non siamo da tal possibilità. Pur
egli è necessario le S. loro ci mandino denari; chè se havessino man
dati già parecchi giorni fa, come ne habiamo scripto più volte, che

LA PAMIGLIA VITELLI, DOC. ^. y Gre

essimo possuto fare fino a la somma di 3000 fanti, nui haressimo
o de quelle cose non sono facte; chè in vero, come vè stato dicto,
è un miracolo come habiamo un fante, per le continue factioni et
chi denari che li sono cursi. Se li mandaranno el ci sirà gran pia-
e et nui non mancarimo de fare cosa piacerà a cotesto popolo et a
ni modo speramo levarli questa peste da dosso : ma confortateli pure
li a fare più tosto a un tracto che in tanti pezi, et sopratucto operate
ehe nui habiamo il resto della paga nostra et cusì li 300 [ducati] de
copo Nerli, chè ne havemo necessità. ta
Havendo nui mandati a prevedere Prateghi et css referito-

he gli era debile, deliberassimo, tutti questi Signori et nui, andarloa —

vedere questa matina, cum le fanterie ed dui squadre d'homini darme
sp scale et travate, cum animo, essendo cusi, de bactagliarla. Quando
üssimo gionti trovassimo il loco molto più forte assai non ce fu dicto
in modo che, vedendolo cusì forte et essendo le forze de nimici vicino
a dui miglia et ben grosse, deliberassimo ritornarcene. Ve ne damo
iso aciò possiate parlare. Non per questo che nui non habiamo a
pigliare altuià modo, chè a omni modo ridurremo li nimici che siranno
cessitati a subcumbere. ^
Circa limpresa di Montalone, che saria molto desiderosa a cotesto
popolo, ve dicemo la ragione, per le forze havemo, nol vole, perché
"Montalone é ben fornito d'homini da bene et è posto in loco che, non
- havendo nui piü fanterie che ne habiamo, non siamo, non solum per
| combatterli, ma per starli appresso; perchè li inimici a un tracto pos- -
sono mettere dumila homini insiemi, et più de 2000 ne possono fare.
venire da Casteldelci, chè non li pò esser vietato : in modo che nui non

potressimo stare all’incontro loro, perchè li paesi sono più disposti a.

‘fanti che a cavalli, et loro hanno la mectà più fanti che nui. Perrò bi-

| sogna fare come se può: et non sè perhò facto poco fino in hora. Et :
pregateli ce proveghino in modo habiamo in tutto qua 3000 fanti; et.

— poi lassino fare a nui et vedranno che li servimo a dovere. Altro non
havemo da dirvi si non danari et drizate a Castello le cose nostre più ^

El ve sé dieto operate che li denari per nostro conto siano. dati a
[ nui et sigillati che sempre callano. e i
Pregate Jacopo Nerli operi che, quello medesimo me unse me, dagi

“uno pignatello d’unguento per Vitellozo : che non manchi et per lo gre ez

ce lo mandate. ;
Pregate cotesti Signori a drizare la posta yer Valdarno. Et siamo )
ac piaceri vostri.





438 G. NICASI




































439. (Ep. III. 24). Pieve Santo Stefano, 1499, Genn. 10,
Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Mag.ce d.ne. Questa sera, retrovandoci noi con el Signor Fracassa
et con li Comissarii, ci fu menato inanti uno contadino da Bibiena et
refericci come li nimici, a octo et nove, cavorono di Sarna non pichola
quantità di grano et di vino: per modo che hanno havuto questo rin-
frescamento contro alla voglia nostra. Et tucto per difecto delli Com.rii
di Casentino, alli quali per più nostre habbiamo seripto vivamente che |
decto luogho faccino guardare; et non volendo guardare che, al pa-
rere del S. Fraeasso et nostro, molto [vale] per impedire la strada da
Bibiena alla Verna, almancho la facessino sgombrare, con molti altri
luoghi ivi vicini, accio che non seguisse linconvenienti sonno seguiti, 3
et seguiranno tucto el giorno, se li S.ri Dieci non fanno altra provi.
sione: colli quali ve dorrete di tanta tardità. Sappiamo che di qua li
nimici non si varranno de nissuna cosa, per havergli facto guastar mo-
lini, ardere strami, schiperte le case et necte di grano et di vino. Sol.
lecitarete le loro S. ha fare ogni cosa afinche li nimiei in nissuna via si
possino valere delle cose loro, perche ogni renfreschamento pigliano,
annoi da molestia assai.

Messer Giovanni da Casale parte per a Milano, con comissione di
persuadere allo Ill.mo Signor ducha di levare di qui le genti darme,
con lasciandoci sectanta o octanta homeni darme, et di condurre un 1
mille provigionati: farete con. dextro modo intendere a S. Dieci che.
questo annoi non pare per piu capi: prima, che eonducendosi in Lom-
bardia le gente darme noi non ce ne poteremmo qua a primavera a
benefitio delle loro Sig.rie servire; et li mille provvigionati ponno man-
chare ogni capo di mese, come si costuma, et mancharanno de reputa-
tione, la quale stimiamo molto in beneficio di cotesta excelsa repu-
blica; che ogni volta che le gente darme resteranno di qua faranno
tanto favore, per intendere linimici noi essere sempre a ordine, che
fructarà molto. Però di questa cosa bisogna ve ne ghoverniate cauta-
mente, accioche persona non si possa ramarichare, et per più secreto
conferite tal pratica a qualche uno di S. Dieci privatamente, con li quaii
cognioscete posser parlare con fiducia. 1

Sollecitarate el resto del terzo delle genti darme et el quarto, che
finisce el tempo; lo medeximo bisognia fare per la fantaria nostra, la
quale ha servito una paga et mezo senza danari. Ieri cavalcassimo-alla.
Calla al Villano a vedere le tagliate habiamo facto fare; oggi ciè messo

et mecte molta neve. LA FAMIGLIA VITELLI, ECO. : 439
40. (Ep. IMI. 18). Pieve Santo Stefano, 1499, Genn. 12.

Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico M. Corado, questa hora, 7 di nocte, havemo la vostra e,
sto quanto scrivete, per alpresente non dicimo altro si non che, ala-
rte de la aloggiare il conte a Poppi, ve diremo che, o cotesti Sg.ri
sredono che el Sig. Facasso e nui cognosciamo qualche cosa, o no; e
Ho in hora non ci pare haverli dicto cosa non sia stata dadire e da-
: re e da substentare con tutte le ragioni del mondo: e nui non man-

imo mai de dire tutto quello cognoscemo sia a proposito de quelli
x.si Signori. Se loro nol vorranno, o non potranno fare, a nui ne rin-
rescerà ; pure, non possendo farne altro, acquiesceremo ala voglia loro :
ben li chiarite che nui ne volemo essere excusati apresso a omni homo,
et li dirite che, si perdono Poppi, vedranno come si trovano, chè sanno
n che periculo si trovano hora: faccino come li pare.

Circa linsresa, ne havemo dicto nostro parere e di nuovo vel re-
fermamo : faccino cotesti S.ri li 3 mila fanti e poi vedranno quello si
farà. Circa lhaver mandato el secretario venetiano, sè mandato perchè
qui stava incomodo e maldisposto e lha starci con miglior guardia, e
piu cauto. A laltre cose: ne occurre denari e maxime quelli de Fran.co
" Nerli. Et siamo a piaceri vostri. El bastione si farà aomnimodo, come
ye sé dicto.

441. (B. II. 73). Pieve Santo Stefano, 1499, Genn. 14.

Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice domine. Noi vi facciamo questo preambulo : che, quando
alcuno di costà, o delli Ministri se ritrovano fora per loro, vorranno
presumere de notarci in alcuna cosa, che niente li curamo: perchè ci
siamo governati et governaremoci in modo che persona potrà iusta-
mente macularci, et al fine dello oficio nostro farà capace lo imperio
fiorentino el li convicini di quella fede et sincerità sarà stato el nostro
"iudicio et governo.
Lo recercare quale che sia de honorare el Signor Fracasso, molto
Cl piace et commendaremo cotesta ex.sa Signoria di quanto bene re-
dunderà in satisfactione del Signor Fracasso, confidandoci sempre vor-
ranno mantenere in reputatione l’oficio teniamo, perchè così ci pare
echiegga la fede portiamo a cotesta inclita città: sichè, accadendo el
Vorire lo appetito del Signor Fracasso, faretelo, salvo sempre l’ honore
nostro, chè altrimento non crediamo pensi sua Signoria.

440 DERE G. NIGASI

Quanto ne avisaste della pratica si continua. a Ferrara per l'an. |
data del secretario, a noi satisfa molto; et confortarete cotesti Signori 3
| a nutrire decta cosa, a fine che li Signori venetiani vadino retenuti a]
mandar favore alle cose de qua: ma non concludino ; perché speriamo,
se le loro Signorie ce proveggono presto di quanto adomandiamo, che,
omni accordo harà a seguire, passarà con summa reputatione di cote.
sta Repubblica. Circa fare indutio a nissuno modo si consenta. 3

La impresa di qua da noi è stata bene examinata et optimamente ;
la intendiamo; et, quando si fussi recta o ancora si reggessi secondo
el parere et iudicio nostro, a quest'hora cotesti ex.si Signori si retro.
verebbero molto più satisfacti delli loro desiderij. Ma, perehé habbiamo -
sempre havuto a piatire ogni minima provisione, siamo cosi: et tutto 1
viene per volere li Commissari fare lo uficio del Capitano, et mostrano 1
volere intendere quello non è sua professione, nè suo mesterio: et -
quando li Signori Ill.mi fiorentini deliberassino che così se havessi a .
continuare, sarà bene non spendino in noi li danari, ma che commet-
tino alli pruden'i ministri se ritrovano fora voglino assumere la cura
.ad se, et noi pigliaremo quelle vie ci serviranno al proposito nostro. -

Possono havere visto et cognosciuto con quanto amore, fede et .

diligentia habbiamo proceduto in beneficio di cotesta Repubblica; ché |
non sappiamo quale altro havessi possuto pigliare tanto a core l'im-
presa; ‘et quello 6 suecesso honorevolmente, contro alla opinione de |
tutto el mondo, in gloria di cotesta Città per mezzo nostro 6 capace.
alli savi del mondo; et che recordiamo una cosa facilissima, apta a
darli la victoria finita con presteza in mano, non sia stata acceptata |
da cotesti excelsi Signori. De chi è qui per loro non ci maravigliamo,
perché non intendano più là; ma bene remaniamo prevasi che le loro.
.Signorie non prestino fede alle cose li retornano in beneficio in modo
tale. Se essi eccelsi Signori examinassino et di poi oculatamente ve-
. dessino di quanto moinento sarebbe el bastione alla Calla al Villano,
«ne gravarebbono et pregarebbono noi che omminamente operassimo si |
facessi. Certificamoli che questa è la potissima via a privare li nimici
di ogni speranza di Bibbiena, della Verna, di Chiusi et de Montalone.
Sono molti che non vogliono intendere; ma, quando Bibbiena et li al-

tri lochi soprascripti sieno privati, con facendo decto bastione, d’avisi

de tutti e modi da essere soccorsi, non sonno li inimici necessitati a
gittarsi nelle braccia nostre? Certo sì. Et, quando verranno recercando,

questo bastione è delli più octimi et presti remedij possino fare: et non
‘però con spesa di 400 ducati. Altrimenti non è possibile a possere ob- |
viare che li inimici non passino; perchè bisognarebbe sempre havere

‘uno migliaro de homini per quelle montagne; et e tempi senza reducto.

LA FAMIGLIA virga, i ECO.

panseono. Et gato questo [bastione]. si faccia, al tutto. se li
rra la via et vengono alle mercè nostre. Et se, per sciagura, li ini-
ici pensaranno à fare simile opera loro, noi giudichiamo essere dif-
le a trarli di questo paese. Dovrebbono credere [cotesti Signori] che,

utto quello mettemo avanti, molto bene lo pesiamo et non ci moviamo
ilmente a recordare le cose. Persuaderete li Signori Excelsi, per le
ioni ve habbiamo lungamente allegate, a commettere simile opera,
rché, facendolo, in manco di venticinque giorni ci rencoriamo a darli
bero el Casentino, col provedendoci del numero dei fanti, delli danari
domandati, et altre provisione. Se '| paressi alle loro Signorie che li
nimici fussino stati oltre alla opinione loro in Casentino, confortateli
o examinare bene quello per noi é stato facto, et parràli in verità che
abbiamo facto miracoli, a quello si trovavano et quello tengono hora, -
i t'si havessimo quello che iustamente havemo adomandato, non ci ter-
ebbono per adventura nulla. Et di nuovo: che serivino al Conte Ri
-muecio vadi a Poppi per stantia con le sue genti et che provegha di
‘sufficiente a Prato vecchio, Romena, el Borgo alla Collina, Gressa
‘et Camaldoli pe? qualche giorno; et che lo faccino ; et che, amore dei,
andino presto le provisioni, aceio ché noi facciamo qualche factione,
erchè così non ci reposiamo. Et se haveremo le forze adomandamo,
on acquistando altro li inimici in Casentino, credemo al tutto che, in
enti o venticinque dì, haremo radducto le cose a bono termine et adul--

3 Piaceci che Bernardo Nasi habbi acceptato quanto li havete par-
lato circa alli ducento ducati, et delle offerte ha facto; che di tucto li
estiamo obligati et, quando la occasione ci verrà, ci forzaremo a mo-
'"Strarli lo havere desiderio a satisfare ‘a piaceri ne ha facti. Circa la.
‘satisfactione de Conestabeli, è a noi caro haverlo inteso. Li panni et. 2
-le cose nostre indirizarete a Castello. Spectaremo risposta di quanto
-lungamente ve havemo scripto, acció che possiamo sapere in che forma
e havemo a governare.

7449. (Ep. III. 22). Pieve Santo Stefano, 1499, Genn. 16

Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Mag.ce domine. Non fa per cotesti ex.si S.ri monstrare anissuno. È
pacto essere in penuria: ma piu tosto ostendere potentia et ‘vivacità,
r essere vicini alla victoria, et per torre animo alli inimiei. Et voi .
er questo non restarete adomandare li nostri danari: perche ne ha-
emo STANGISSRO HISRHBO: Et a Iacomo Nerli farete intendere che, se ec

G. NICASI

noi non fussimo in necessità, non saria omni di sollicitato. Potendo ve.
nire maestro Giovanni de Mitro lo haremo caro. Del salnitro e altre
cose non diremo altro, aspectando quanto dite. 1

Raffermiamo quanto habbiamo promisso, se saremo provisti del Je -
forze habbiamo più volte adomandate: et quando le havessimo, e]
tempo ne servirebbe benissimo. Non prendino maraviglia cotesti S.rj
del disagio patiscono li inimici; perche per l’ honore si sopportano mag. 1
gior cose.

Seli pareri nostri saranno considerati, rendiamoci certi ne ra.
corranno li fructi desiderano: et non li paia lungo tutto Febraro, per.
ché speriamo, provedendoci presto, de adultimare in piu corto tempo, 1

La partita dellacordo altutto si nutrisca: ma, secondo el iudicio
nostro, non si concluda; perche ci persuadiamo farla nascere con loro
reputatione et gratia. i

Mandareteci 500 pecti, 500 celate, 500 braccialetti et altri et tant
gorzarini: et con presteza. Et sopratutto li danari siano solicitati: per
che, senza, non possiamo mantenere nostre genti. 1

Ecci parso con dextro modo fare intendere a questi S.ri comis

sarii, loro non havere facto bene a dannare lo desegno del bastione |

apresso alli mag.ci S. Dieci; et maxime che in nostra presentia lo con
sentirono. Et hannoci mostro havere seripto quanto voi accennate: per
modo che per tutte le ragioni anoi pare honesto resentirci. ;
Et habbiamo cognosciuto tutto nasce da Antonio Giacomini, lo:
quale ha preso un certo governo che, se non fussi li termini conti-
nuamo come ne porge la ragione, a questa hocta sarebbe sortito qual
che ma (sic), in fra el S. Fracasso et noi: al quale habbiamo portato
e portiamo quella debita reverentia merita sua excelsa Signoria. El 1
quale teniamo in luogo de optimo padre; et non restaremo de hono- ;
rarlo a beneficio di cotesta Repubblica et ad satisfactione nostra.
Costui [il Giacomini] fa tutto loposito ci pare rechiegga loficio suo :
ché doverebbe con omni arte mantenere in fra di noi unione; et tiene
vie da metterci in suspicione. Et perche cognoscete le nature nostre,
ve ne habbiamo voluto dare notitia, a fine possiate respondere quando
necessario indiearete. Et, se per laloro sciagura cosa alcuna per lo
trasordine di costui habbia ad intravenire, noi giudichiamo essere delle
piu male imprese possa acadere per cotesta excelsa Signoria. Dal canto.
nostro non virrà: ma, quando fussimo recerchi di partiti non honore-.
voli per cotesta Cità, seguitaremo la fede nostra inverso quella, li quali
veggiamo mettere avanti ogni giorno dal dicto; et giudichiamolo pée-.
ricoloso. Confidiamoci in cotesti excelsi S.ri che, per nostro tenimento
dalla reputatione loro, pensaranno a quanto vi scrivemo : non che a no

LA FAMIGLIA VITELLI, HCO. 443

impaccio chi qui stia, chè quando vedremo le cose non andare al
roposito della illustrissima Signoria, alla quale habbiamo servito e ser-
mo fedelmente, pigliaremo delli partiti giudicaremo sia honore delle

S.rie e nostro. Et conchiudiamo essere necessario, o che Aluigi re-

i qui solo, o veramente in scambio di costui ne venga un altro: et
ideraremmo, per bene et utile di cotesta Signoria, la magnificentia
fi Luca delli Albizi, perchè conoscemo in lui iudicio et autorità.
| Et non erediate ci mova solo la causa della pensata del bastione;
quale raffermiamo una delle più salutifere provisioni si possi fare
per cotesti ex.si. S.ri sarebbe questa, per essere la chiave de serrare
‘omni favore alli inimici.
Piaceracci assai che li S.ri Dieci mandino ad effecto quanto li ha-
"vete recordato, per parte nostra, della val de Bagno; et che el conte
Ranuccio vadi a Poppi.

Delli tremila fanti et delli fanti (séc) non dicemo altro: et, se dalle
loro .S. non restarà, noi faremo quanto havemo decto : ma vole essere
presto : et di ciò non restate sollicitare. Parci Iacopo Nerli non observi

"quanto largamente, quando lo servimmo, promisse; di che dorretevi
sua Magnificentia.

Pregarete li S.ri Dieci che in nostro beneficio faccino scrivere - al

o oratore in corte, voglia fare intendere a Messere Autonio dal Monte
a Sansovino al tutto abbandoni l'impresa della badia di Diciano ; per-
chè la havemo per lì omo, come sapete, [per il quale] siamo tenuti met-
ere la robba et le persone: et di ciò scrivete a misser Piero de Accol-
tis, et achi giudicarete sia al proposito in favore dell' impresa : la quale
"vi racomandiamo costi et a. Roma.
Se Francesco da Fermo sarà facto libero per vostra diligentia, ne
‘prenderemo piacere. Sollicitate li danari e li tremila fanti et le muni-

i

| tioni, perchè lo stare così .non ci contenta.
43. (B. II. 76). Pieve Santo Stefano, 1499, Genn. 19.
Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico Messer Corrado, havemo una vostra de 16 del presente
a la quale vi rispondemo: a la parte de li fanti, ve dicemo che ci pare

Solicitate li denari, per fare li mille fanti et per rifrescare questi che

È sono di qua; chè judicamo che, cum 3000 fanti, nui facciamo quello

habiamo a fare et, se gli altri se haveranno, tanto meglio: ma cum
uesta pagha credemo le cose di qua si ridurranno a termine, non ce
averemo a spendere piü.

444 IA. . G. NICASI

Et possete cum dextreza fare intendere a cotesti Signori le parole
usa el conte da Petigliano, non perhó che lo alegate, ma gli lé m
strate cum questa ragione: che gli 6 molto meglio spendere al. presente,
che indutiare, perchè, se anco acordo si faccia, essendo resolute le m
de Casentino, si farà cum più riputatione et cum più vantaggio. Circa
el bastione, siamo per farlo a omnimodo, perchè è quello che totalmente
è per disperare li inimici et torli omni addito che potessino havere; et

- toccaranno cum mano quelli Signori che non sarà cosa di tanto tempo
et tanta spesa, quanto credono; et poichè sarà facto, sentiranno che
cosa è; e basta.

El solicitare del Conte Rinuccio ci piace: el motivo nostro non è
per altro in questa cosa se non che, atteso la trista guardia che si fa
‘in Poppi da fanti, li inimici potriano un giorno pigliare Poppi; che
siria la ruina de lo stato loro [ossia, dei fiorentini], maxime essendoci
dentro tante artigliarie e quante sono, che siriano sufficienti a conqui-
‘stare tucto lo stato loro; et per questo ci movevamo et movemo a so-
lieitare l'andata del Conte; et cusì vi confortamo, per il pericolo ne pò
seguire.

Havemo questa sera una vostra de 18 del presente. Ve se dice;
a la parte de Antonio Giacomini, lassate currere; poi chè la cosa è
mossa, farà per se medesima: non ve ne travagliate molto.

Cum omni diligentia et solicitudine subito operate che Maestro -
"Giovanno de Mitri sia expedito et che el se ne venga qua; che el sia.
arivato lunedi a sera, o martedì; che non manchi et, se altra via non |
cè, pigliate quelli denari vi bisogna et datelili et inviatelo subito.

A la parte de Messer Ambrosio ci pare ce usate omni diligentia,
perchè ci levarite spesa da dosso et è ben» chiarirlo, perchè così non
sta bene et per nui non fa la cosa stia cusì.

| Li danari di Iacopo de Nerli solicitateli che li habiamo, che in vero
è tempo et habiamo bisogno.

Le robbe mandatele, che ne havemo bisogno, maxime de libri; et
vedete si mandino anche balle di pannilini, sono in casa di Giovanni
Bechi, al quale scrive anco Cerbone; Giuliano Gondi sirà servito per |
el suo genero. Altro non habiamo da dirvi. Vedremo fra pochi giorni.
.di mandare Cerbone fin là per li nostri conti. 1

- 444. (D. Im. LXIV. 83). 1498, (n. s. 1499), Genn. 19.

Commissartis Plebis.

: ‘Con piacere nostro grandissimo et satisfactione di tueto ques
| popolo habiamo inteso la preda si è facta per virtù di cotesti Signori

Ey

LA FAMIGLIA VITELLI, ECO.- -

itani, così delle bestie predate, come del segretario vinitiano preso
duemila ducati, et, con desiderio vai dintendere el successo
icularmente. ....

| (B. II. 81). Pieve Santo Stefano, 1499, Genn. 20.
Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico Messer Corrado: La urgente necessità ci stringe a so- .
citarvi cum lettere. Nui non havemo uno quatrino. Solicitate el man-
ci per una staffecta, che habiamo ad minus mille ducati; et non
‘mancate per niente, perchè a omni hora havemo li soldati a le spalle
et, non havendo modo alcuno, judicate come possono stare contenti.
"Solicitate et iterum solicitate questi mille et poi gli altri. A piaceri
i "vostri.
Post scripta. El fu mandato a Firenze le scripture de Secretario
eneto, fra le quali ei sono aleune importante aconti de soldati et. altre
gpetie, le quali là non sono d’ alcuna importantia et a lui saria danno —

ragidissimo. Operate che a omni modo le se reabbino et mandatele —

er buon modo.

046. (Ep. III. 5). Pieve Santo Stefano, 1499, Genn. 21.

Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Mag.co M. Corado: per Obroncino havemo una vostra e li 500
ducati, che sono venuti a tempo, perchè in nostra balia non era un qua- -

"trino. Et meravigliamo perhò grandemente perchè non si ci manda li -

denari per li fanti e, di hoggi in domani, ce ne andamo in fumo e li
fanti si perdono, perchè sapete la natura loro e maxime havendo lini-
ici appresso, perchè omni giorno danno denari. Siate pregato chiarire.
ro Signori che el tempo passa e loro spendono inutilmente, perchè.
spendendo aun tracto per posser fare uno numero de buonfanti, speramo
| fare in modo le cose haveranno buon successo et presto. Et non man-
"cando da loro, da nui non mancarà mai. Altro non occorre: solicitate
denari.

1. (Ep. III. 9). Pieve Santo Stefano, 1499, Genn. ....
Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico Messer Corrado. Per il cavallaro vi si seripse bastanza ;
uesta per farvi intendere come oggi el signor Gian Paulo [Baglioni]

G. NICASI

et Vitellozo, con per uno 400 homini, da la banda di qua, et 1’ abate
[Basilio Nardi] di lha, verso Montefatucchio, tutto el di d’hoggi sono
stati in su l’Alpe, al passo de la Calle del Vilano, a fare la tagliata
et guastare i passi, in modo hanno faeto una factione grandissima. Rt
dimane faranno el medesimo: et speramo sirà de tanta factione che, -
se non volano, per altra via non si passaranno. Questa tagliata sirà di -
sorta, che totalmente impedirà el passaggio; et oltra di questo, sirà
uno assicuramento da la banda de lha che, quando farimo el bastione, 3
da quella banda non potrimo, non tanto essere offesi, ma non si po- -
tranno avvicinare. Et, facta la tagliata, attenderimo al bastione; eg .
eredemo, senza dubio, sirà cosa tanto a proposito, quanto dire si possa,
Solo ce resta confortarvi a solicitare cotesti Signori, che siano contenti
volere mandare questi benedetti denari, chè si possino fare queste 1
fantarie; ché poi li mostreremo quanta faetione si farà: ma, senza, non. —
è possibile a fare niente, perché el paese non vole altro che fantarie;
et, per l’ amor de Dio, non se indutino a tempo, che li bisognerà speu-
dere al doppio; e Dio sa come sirà el verno. Perhó non perdino tempo, -

finchè la stagione ci serva: perché loro Signorie sanno che, aspettare

tempo novo, non è al bisogno. Solicitate et, iterum, solicitate.

Intendo el signor Fracassa domanda a quelli Signori el nepote -

del signor Bartolomeo [d'Alviano], et quelli altri signori pregioni : con-
fortate quelli Signori a satisfare al signor Fracassa, perché non saria .
bene sdegnarlo; et non è cosa che importi. Et vui operate che ci sia
mandato Baldassarre Scipione, acciò el possiamo cambiare con Messer |
Oliverotto, che fu preso in su li monti al dì delle farine (1), chè andò

tanto avanti che, per essere el tempo ofuscato da la nebbia, nel tor-

nare indietro si dede nell’inimici, e fu preso; perhò operate venga
presto, aciò possiamo cambiarli ; et in questo usate presto diligentia. -

El verrà lì el signor Marcantonio Torello, al quale farete dare li
panni, che, per la lista dentro, vedrete. Ai vostri piaceri.

448. (S. r. XI. 66). Pieve Santo Stefano, 1499, Genn. 23, I noctis. E

Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico Messer Corado. Questa nocte passata havessimo una
vostra de XXI et, visto quanto scrivete, vi rispondemo prima circa che
ci domandate che vorressivo intendere da nui, si credemo cum li tre-

(1) Ossia: nel dì che furono rotti i nemici al passo del Villano e furono loro 1
tolte le farine che tentavano portare a Bibbiena.

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

ila fanti expedire limpresa di qua. Et nui domandamo se iudicate che,
andandovi nui tremila fanti gia tanti giorni fa, cum li quali iudi-
Eno possere alora, atteso le gente che havevano linimici, posserli com-
ere; et per aventura linimici poi fussaro ingrossati et di fanterie
daltre gente, cioè, quando si trovassino quatro o cinquemila fanti,
nui credessimo che cum tremila nui li expugnassimo. Et se iudicate
he, omni volta, una petitione habbia havere luogo col medes'mo disegno,
iando si stia uno mese |o]| dui a farle. Nui vi dicemo che siamo
r fare piu che non possiamo ; et cusi, come sino in hora, per ladve-
mire sara il simile. Ma non possiamo perhò fare non ci doliamo che, se
limpresa prolunga, el sia per difecto et mancamento loro per le tardi
provisioni. Et poi siamo asindicati Iha! Et di nuovo vi dicemo, se fa-
i nno quelle provisioni che per el S. Fracasso et per nui le sirà ricor-
to, nui non dubitamo che limpresa se expedira cum loro et nostro
nore. Quando seguitino a l’usato et faccino le cose loro cum parole,
i faremo quello potrimo et iustificarimo le cose nostre ; poi sirà quello
potrà : et questo vi basti.
Circa li duemila ducati: è stato bene a mandarli et expenderansi
i presto sia possibile: solicitate il resto che non tenghino piu in
longo, che crederessimo hormai quelli S.ri che ce havessino cognosciuti
et fussaro chiari se fino in hora li havemo dicto bügia o no; pure at-
tenderemo a fare come siamo soliti; et vui solicitate il resto; et cusi li
500 fanti per Casentino et presto, perche siranno assai a proposito, immo

cessario. Circa la parte del Cancelliere del Conte [Rinuccio], iudica-
ressimo fussi bene el fugissivo piu che potessivo, che non venire a
‘questi rumpenti: perchè anui basta il fare che il dire lassarimo seguire

costume loro. Et se andaranno ciarlando, bene ariverà il Zoppo :

rhò vi confortamo a fugire queste cose, et cum lui et cum gli altri,
)iu possete.

Circa la parte del Secretario Venetiano, egli e vero chelsé mandato
Castello. Et commo sanno li S ri Commissari, a nui non importava
el fusse piu a Firenze che a Castello, perche omni volta che quelli

S.ti havessino promesso la taglia Nui li havessimo mandato molto vo-
untieri : pure egli è parso al signor Fracasso mandarlo a Castello et

per non mancare de loffitio, nostro non attendemo ad altro che a
tisfarlo. Confortate anche cotesti Signori a fare in modo che non se

habbia a sdegnare, perchè el se dirà che è infine de la ferma sua et
the è in sua libertà. Quanto el fusse al proposito ellasso iudicare a
loro et a vui. In queste cose dove ce occurre nominare el signor Fra-
casso advertite cum chi parlate, perche non vorressimo essere tamburati :
t non si faria per limpresa chel pigliasse, non solo sdegno, ma una

G. NICASI

minima ombra, al Yeraiiiente fino in hora sé portato molto bene; perhò
‘non li damo causa in contrario, che nui dal canto nostro non attendemo
adaltro. Sicche havete inteso come è passata la cosa del Commissari,
. Venetiano, come da loro Commissarii possono intendere tutto.

Circa al bastione : : Domattina col nome didio cominciarimo, et Spe.
ramo domaneasera sirà in tanta forteza che ci bisognerà tenere Ja
guardia. Dui di havemo atteso a tagliare et havemo facto una gran.
dissima tagliata Solicitate cotesti S.ri ale fanterie Et advertite a ch
possete parlare sicuramente che non confidino al mille fanti del Duca
che nui non vedemo ordine, credemo asentirà se ne facci 500, sichè
solicitate che facono (sic) loro et presto. Siria ben di parere che le S
loro una volta se volessino risolvere cum la excellentia del Duca, et
se lui dice volere fare, volere vedere altro che parole et solicitarelo
maxime per le cose de Pisa, perche quelle cose de lha portano pericolo
. per labsentia del Conte de la Mirandola et strignere sua ex.tia aman
dare qualcunaltro et solicitare le fanterie. Come ve sé dieto, avertite
cum chi parlate. Come ve sé dicto, el bastione si farà et non si per 1
derà de facile, come si fa lha. Et come sira facto intenderanno che fructo
. farà.

Circa le parole de quello Ser Simone per el caso de le farine
.Come vi si disse, Messer Oliverotto et qualcunaltro fu preso perché la
« nebbia era grande et non si vedeva niente; introrono tanto avanti che
rimasero spartiti et anco qualche poco de disordine ci fu per la preda
Nui intendendo questo ci spingessimo inanti che tucta volta se era gia
alemani: atteso lasprità del paese, subito facessimo pigliare uno monte .
cavalieri che cè, et nui ce buttassimo interra apiei et totalmente met
tessimo linimici in fuga. Notificandovi che el S. Fracasso non era ap:
presso aun gran pezo et questo é il vero ; pure di questo non tocchate
la parte di Fracasso. Et in queste cose non ce intrate molto, che e

^. basta il vero et il fare.

Dele provisione de Messer Ambroso ci piace ne havete tocho. Et
parci a omni modo la dobiate risolvere per levarci questo carico dadosso.
Et quando adesso non possessi havere denari, unavolta concludete la
condotta, et poi si paghi quando si po.

Questi benedecti 300 ducati di Jacopo Nerli horamai doveran
pure venire et per dio non ha ragione, che sapete omni giorno li pigliamo
acambio, pregatelo sia contento satisfarlonece. 4

Ala vostra per Messer Iacomino circa le cose de la rottura, quello
ve sé dicto quello è il vero. Et dicemovi che questa cosa de le fa
rine è lultima ruina delimpresa. Et pare loro sia stato poco: ne in
tendono benforse poco. El sè preso el Secretario et molti altri con 2200

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. : 449

ati doro et presi circa 60 o 70 muli et harecatoli tucto et le victualie
monitioni et poco ne camparo, in modo sono disperati et non si pas-
aranno piu non essendo altra gente. Egli e vero che omni giorno fanno
nti. A Benedecto Dariti havemo facto piu non havemo promesso Et

e piu non sè facto è restato per loro.
Circa li homini della Pieve venuti lha ci maravigliamo che dicono
e cose, atteso che qua non se facto dishonestà, nè abrusamenti di cose,
sforzamenti di fanciulle, nè guastamenti di possessioni .... immo
amo stati contenti mettino li pregi aloro modo ale vectuarie che ci
vendono 45 soldi questo stiyolo che è, 50 lire la soma dalvino, che
fine vendono come vogliono, ci maravigliamo. Et loro S.rie debbono
re essere havisate, del vino maxime: Nui gli ne scrivemo che vui gli
parlate. Solicitate li denari. Et mandatemi a omnimodo per el primo
avallaro de le poste braccia 4 de Roso alesandrino, come vi scrivessimo,

Et siamo a piaceri vostri.

49. (D. r. LVII. 37). Pieve Santo Stefano, 1498, (n. s. 1499), Genn. 25.
V noctis.

Antonio Giacomini e Luigi della Stufa Commissari ai Dieci.

Magnifiei D.ni n.ri obser.mi. Stamane circa ore 18 io arrivai qui
trovai el S. Fracassa et Cap. nostro havevono hauti adviso da Vi-
ellozzo, che si trovava a sollecitare il bastione che si fa, et advisò
come di Bibbiena serono partiti questa nocte circa 600 cavagli, equali
‘senandarono et, capitando un balestriere di loro al molino di Monte-
atucchio, certi villani che erano in quello, lo presono et menoronlo a
Montefatuchio allo Abate Basilio: et examinato decto balestriere decte
notitia della partita de predecti cavalli. Il perchè subito mandò fuora
circa di 60 fanti et trovorono enimici alla via di Verghereto, che di
già havevono cominciato bona parte a scendere latpe, dove era arri-
vato Ramazzotto con la sua compagnia, inimici, per fare spianata che
più facilmente potessino passare. Dove assaltati da detti fanti, si mes-
sono in fuga et per quello che s’ intende sino aora, presi più che 300 ca-
agli et stimasi di molti più, perchè da più luoghi furono assaltati et
circa 40 cavagli visé trovati morti da propri padroni, visto di non li
| potere campare. Et così vi si trovò morti circa 12 homini per quanto

È

S'intende. Et speriamo domani intendere più ogni particulare et di
tto più apieno daremo adviso alle S. V. .... ».

450 RE i G. NICASI

450. (Ep. HII. 10). 3 i Pieve Santo Stefano, 1499, Genn. 98. -

Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

E ES Magnifico messer Corrado.. Commendatione ete. Havemo questa
matina una vostra da Montedoglio, et, visto quanto scrivete, s'è dato

ordene se facci el bisogno. Questa matina, essendo dato ordene de an

dare a Chiusi, havemo se sono resi a pacti a l’abate [Basilio] mede

simo. Solicitate li denari; ‘et direte gagliardamente volemo essere pa

gati dei nostri serviti, ché ci pare honesto, e£ havemone bisogno: ef.
in questo, in fine, usate omni diligentia ; et che voliamo essere cavati
de parole, parole. A voi ne ricomandiamo. Se solicitaranno le. provi

sioni per Bibiena, nui pigliaremo V impresa et gagliardamente. Noi
habiamo questi fanti, si morti et stratiati, che, senza denari, non ve

demo possibile si movano; le genti d'arme tucte sprovviste: sichè
chiaritele bene. Vedete a omni modo che Giovanni Bechi sia satisfatto

. de li 170 ducati de loro parte, e dei 28 ducati, d' oro in oro, per una
promessa facta per Nieolao Bracciolini ad istantia nostra; e vedete
che enon manchi per niente, ché non é mia intentione habbia né danno

nè vergogna per noi. A piaceri vostri.

451. (D.Imi. LXIV. 101). 1498, (n. s. 1499) Genn. 28

Illustri Capitaneo Paulo de Vitellis.

Quando noi consideriamo quello che la Signoria Vostra ha ope
rato a beneficio et favore della nostra ciptà, et per tutti i tempi, non |
che in questi, dove ha havuto interamente el pondo delli exerciti no 1
stri, ci pare non necessario, anzi superfluo, con lettere exortare o per
suadere quella ad ultimare cotesta impresa Noi voliamo lasciare in
drieto quello che V. S. ha operato ne campi di sopra contro a Pisani
sì nello levare e nimici da Ponte di Sacho, sì etiam nella recupera
tione di Vico et Librafatta et negli altri ordinamenti a ristrignere '
Pisa: de quali si vedeva el fine perfectissimo, quando da potentissima
diversione non fussimo suti impediti. Alla quale pochi altri remedii s
conobbono fuora della presentia et consiglio di V. S. Dove transferi
tasi, primum nella giunta sua salvó Prato vecchio, luogo importantis
simo allo stato nostro, la expugnatione del quale faceva, non difficile

| _LA FAMIGLIA VITELLI, ECC,

impossibile cotesta expedictione. Non voliamo anchora obmectere di

in quanto poco di tempo recuperassi Marciano, Gressa, Rasina,

et gli altri. luoghi circumstanti, con assai utilità et honore suo,
anno et infamia dei nimici. Nè, oltre ad questo, come non perdo-
ndo ad alcuno disagio con maturo consiglio si transferissi verso
intalone et la Verna, et quelli luoghi trovati più difficili che per
rentura gli era stato porto, deliberò a quello che le forze nella ex-
gnatione non bastavano abbundassi lo ingegno et patientia nella -
idione, et cosi con tagliate et continui provedimenti operò che il.
mico, quale haveva le sue forze ragunate a Costeldelci, non le po-
se prestare a quelli erano rimasti di qua. Nè ci pare anchora da -
mmectere, comme cosa delle laudabili laudabilissima, quella che operò
al imamente per obviare al rinfrescamento che veniva al nemico ; dove. i
indifferentemente usò lo ufficio et di strenuo soldato et di Lido im-
atore, insino a non perdonare alla salute sua propria per salvar-

7 Le quali cose, insieme coll’ordine ultimamente dato del nuovo
stione, tolsono a nimiei ogni speranza di soccorso, onde constrecti
"n perire tutti di fame ad adventurarsi, deetono occasione della
a ultimamente facta et della recuperatione della Vernia et Mon- .

‘Et inter cetera questo ei pare nuovo et meraviglioso, che di tante
re recuperate per forza, di tanta preda facta a nimici, non habbia .
i per aleuno accidente perso, non che altro, V. S. uno cavallo delli
rciti nostri: di che comme di cosa grandissima ne merita V. S.
riportarne appresso tutta Italla gloria immortale. Dunque concludendo,
: on perché el bisogni, ma per satisfare al debito nostro, preghiamo et
rtiamo V. S. non desista dal presequire quello residuo delli inimici -
)no rimasti a Bibbiena; anzi con quella medesima virtù et animo
rechi durare questa ultima fatica, in la quale consiste el premio di
butta quella che si è durata insino a qui; dove è riposto l’ honore, il
ale si deve per ogni egregio capitano desiderare. Et se, per essere
oi indeboliti assai per la lunga malattia, non vi posseno sommini-
Strare quelle forze che sarebbono necessarie, et che V. S. desiderebbe,
sogna tanto più di ingegno et di industria vi si adoperi, ut ex con-
quenti tanto più di honore ne riporterà. Et essendo questa victoria
r portare a noi quiete et a V. S. honore, debbasi et da quella et da
i egualmente desiderare sendo el premio equale, et ex conseguenti
qualmente affaticarvisi, et cosi verrassi ad ultimare cotesta impresa et
Jotrà V. S. con sua. immortale gloria et nostro utile grandissimo ri-
ornare à quella expedietione, donde quella con tanta forza fu ri-
Alla quale di continuo ei offeriamo. Quae bene voleat etc. da

452 G. NICASI

452. (B. VI. 80). Pieve Santo Stefano, 1499, Genn.
Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico messer Corrado. Come vi si disse, quanto per li nimi
più si possa fare, al iuditio nostro, si è per diversione; et in nisun
luogo più potriano nocere che in Val di Bagno ; et lì, al luogo che
non e'é provisione alcuna, perché, benchè ci sia Messer Ciriaco, pe
li mali pagamenti ha havuto non li è rimaso un fante. E necessari
siate cum cotesti Signori et pregateli voglino provvedere a omnimod
che el possa fare la compagnia ; et faccino in questo modo : o li ma
dino li denari a lui a Bagno, o vero mandino là altro conestabili et
lui venga a Firenze, o vadi altrove a fare la compagnia, et maxim
havendo a farsi de le factioni importante, come sanno loro Signorie
sieché operate a omni modo sia expedito et presto, perchè importa a

sai. Cusi aneo Sambrandano ci fa intendere che è li per denari
quelli Signori il tengono in su la corda: sì per lui et sì per Carlo da.
Cremona ci pare che piglino a l’apunto verso da perdere il bastione
che se si perde quello bastione le Signorie loro cognosseranno megl
de quanta importantia il sia. Et [i sopradetti Sambrandano e Carlo]
fannoci intendere che le Signorie loro stanno a cavallo in su volerli
ridurli a 14 lire il mese; per l’amor di dio pregateli siano contenti
uscire di mercantie, chè il bisogno loro non è di guardare cum que
del bastione a questa cosa; perchè, ateso nel luogo dove sono, che
bisogna comperino ogni cosa et caro et stanno in continua factione,
non è bene pigliare questa via ; et oltra di questo, pagandoli a qu A
sta foggia, non potranno havere homini che ne fussaro ben serviti;
et per quello loco fa de tenere homini da bene. Confortateli et non
mancate per niente che el sia expedito et de suoi serviti et de la pag
nova, et che el se mandi bencontento, et spaccisi presto. Chè se lom
Signorie cognoscessero bene quanto importa quello bastione aimp
gnariano gli argenti de la Signoria per ben guardarlo, perchè impor
a lo stato loro più oltre che loro Signorie forse non judicano : e basti
Solicitate ch’ el sia expedito, et per lui et per Carlo, et vadisene,
non se fermi in nisuno luogo.

Solicitate li danari nostri et a omni modo li mandate, chè non
havemo più un soldo; et questo non è ciancia: et non possiamo su-
plire a le gente d'arme et a maraiuoli, che per fare le factioni fac e,
questi Signori Commissarij non havendo danari, li haveno facti nui
pagati et impegnati quanti amici habiamo. Sichè solicitate et non m

cate mandarci denari subito. A piaceri vostri.

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 453

EB. VI. 83). Pieve Santo Stefano, 1499, Genn. 30.
Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice domine. Havemmo risposta a una da Signori Excelsi
olto prolixa et piena di gratitudine in ver della persona nostra, con
ducendoci a memoria omni beneficio hanno recevuti in quel di Pisa
in Casentino dalla opera nostra. Lassaremo supplire a voi con le

: ignorie loro, con mostrando a quelle noi essere d’animo inverso quella
inclita Ciptà de non perdonare a nissuno disagio.

| Apresso farete intendere alle loro Signorie come questa sera per
‘nomini di fede habbiamo che oggi in Casteldelci li Alamanni tocco-

"crono la paga, et fecerono la mostra, et arrivovvi certa qualità de Spa-

oli, et che furono spacciati dieci conestaboli; et è cosa credibile,
respecto alli homini si trovano in Bibbiena, faranno omni sforzo per
salvarli. Per tanto noi saremmo di parere che li Signori Excelsi con
omni diligentia et solicitudine spacciassino li fanti adomandati, et me-
desimamente li danari, et noi faremo, havendo le sopradette cose,
| quanto havemo più volte. scripto. In somma in beneficio di cotesta
Ciptà usarete suprema diligentia, et di tutto con presteza avisate ....

1498, (n. s. 1499), Genn. 30.

Lettera approvata nel Consiglio dei Dieci sulle pratiche dei Venetiani,
per rimettere Piero de’ Medici in Firenze, coll’ aiuto di Paolo
Vitelli.

I. (2)

In Cons.o X cum additione.
Quod Magnifico Petro de Medicis, respondeatur in hune modum:
Nuij habbiamo ben intesa la relatione et propositione factane per
| Vostra Magnificentia, et hane molto piaciuto intender el bon animo et
ila oblatione del Magnifico Paulo Vitellio, sì verso la Magnificentia Vo-
stra, come verso lo assectamento de le presente dissensione. Et ricer-
cando la importantia de la materia celere resolutione, non habiamo
| voluto interponer puncto de dilatione a la resposta. Dicemovi adunque
ad questo modo : Nuij haver grandemente desiderà et desiderar el ri-
i torno vostro et de fratelli vostri ne la patria, sicome per experientia
-habiamo dimonstrato, et tutavia demonstramo. Et peró, quando el Ma-
(1) Questi due documenti, n. I e II, sono stati pubblicati da Pasquale Villari a

Pag. 564 e seguenti del vol. I della sua opera « Niccolò Macchiavelli e i suoi tempi ».
(2) Arch. di Stato di Venezia, Consiglio dei Dieci. Misti, reg. 27, c. 213 t.













nicasi

gnifico Paulo sia per questo” illo: nuij siamo per vederlo dido "
lentiera, quanto dir se possi, et maxime, essendo accompagnato eq
«la compositione de le cosse pisane, sicome ne havete proposto. Et pe
dirvi in particulari la nostra opinione, circa el desyderio et oblation
del Mag.co Paulo, siamo ben contenti attender al partito el ne pro-
pone. Et promettendovi luij el remettervi in casa, cum assetar le cosse
de Pisa per quelle vie et modi che siano convenienti, et che ne h
toccato la Mag.tia Vostra, ex nune nui volemo concorrer a la conducta
soa insieme cum Sig.r Fiorentini, perchè serà via et forma ben raso-
nevele ; et intrando Vostra Magnificentia in casa, come se presupon
potria esser certissima Sua Mag.tia de esser non solum secura de
quello li serà promesso, ma etiam questo’ altro particulare, per stri
gersi più a la conclusione, che ’1 stipendio del prefato Magnifico Paul
ne pararia conveniente dover esser quello ne ha dichiarito Vostra
Mag.tia Luij al presente haver cum Fiorentipi, zoè ducati XL[m., deli
quali nuij contribuissamo la portione nostra. Questo è quanto ne occorr
Ben havessamo grato che Vostra Magnificentia subito se tran-
sferisse personalmente ad stringer la pratica, et veder de condurla ad
votivo fine, come ben la saperà far per la prudentia sua, et delo fa
gagliardamente, intervenendo principaliter el suo interesse. Li mezzi
non toccheremo altramente, remettendosi a quella; a la qual etia
volemo affirmar questo per conclusione: che quantunque ne sia sta e
sia necessario, per honor nostro, non manchar a Pisanj de le promess
nostre, pur sempre habiamo havuto bon animo verso Sig. Fiorentin
si per la conformità de l' uno et l'altro Stato, come etiam per la anti
qua benivolentia et mutui beneficij che in diversi tempi sono stati.
fra nuij. È
; De parte
De non
Non sincera .

455. 1498 (n. s. 1499), Genn. 31. -
II (1)
In Cons.o X cum additione.

Ser Iacobo Venerio Provisori nostro. (2)

. Non ve replicheremo altramente la propositione factane dal Ma-
gnifico Petro de Medici circa Paulo Vitellio, si per esser sta prima d

(1) Arch. di Stato di Venezia Consiglio dei Dieci. Misti, reg. 21, c. 215.
(2) Provisori nostro in Tuscia, dice un doc. che precede nello stesso registr:
(nota del Villari).

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 455

^ vui particularmente significata, si etiam: perché la resposta .nostra ve
Ja farà manifesta: la copia de la qual ve mandamo qui introclusa,
non perchè la partecipiate cum alchuno, ma solum per instructione
yostra. Vederete per essa nostra resposta tutto el sentimento et reso-
‘lutione nostra, et anche el desiderio habiamo de vederne presto alcuno
effecto, et perhò habiamo deliberato cum el Conseglio nostro di Dieci,
cum la zonta, serivervi le presente. Et volemo che, zonto el Magnifico
| Pietro, de lì insieme cum lui vui intrate in questa pratica, cum quella
Pie ' I 1 q

iù secreta et cauta via vi apparerà esser cum decoro de la Sienoria
più

nostra, forzandovi vederne, senza interpositione de tempo, l’ exito de
la cosa, cum tal fundamento, che intendiamo subito, et vediamo la
ultimatione de tal pratica ; et se cum Nui se prociede cum quella recti-
tudine, che Nui procediamo cum altri. Et perchè potria occorrer che
sopra doi articoli Paulo Vitellio fusse renitente, et movesse difficultà,
come anche de qui ha cegnato al Mag.co Pietro, habiamo deliberato
in chadauno de loro resolverne et dechiarirve la mente nostra, per
trunchar ogni forma de dilatione che per questo potesse essere in-
troducta.

Primo el potria essere che Paulo Vitellio non se contentasse del
solo titulo de Capitanio de' Fiorentini, nel qual caso el M.co Pietro
ha proposto che per nui se li desse titulo de Vicario nostro. Ad que-
sto ve dicemo che, occorrendo tale difficultà, vui promettiate tal titulo,
et dagate speranza che per questo la cossa non resterà de recever bon
fine. Preterea, se dieto Paulo omnino volesse, ultra la conducta de
cavalli, per li quali l’ha el stipendio de ducati XL, (1) alcuno numero
de fanti, come se affirma lui haver da Fiorentini, etiam in questo af-
firmerete che nui seremo contenti contribuir insieme cum fiorentini la
portion nostra de la spesa de dicti fanti, in caso che i se habino ado-
perar. Queste sono le doe particularità ve habiamo voluto far intender
resolutamente, per remover ogni termino de dilatione. Vui peró non
procederete a la promissione de quelle, nisi vedendo, che altramente
far non potesti et che la conclusione se differisse, over se rompesse
per esse difficultà, over aleuna de quelle. Et peró, in tal caso, semo
contenti vui li possiate prometter cum le altre condicion contenute et
expresse ne la resposta nostra. Sollicitate adunque cum ogni vostro

“Studio et diligentia stringer questa pratica a la fine; et venendo Paulo
Vitellio ad alcuna resolutione, lo farete confortar ad mandarne subito
suo nuncio, cum pieno et sufficiente mandato, azò se possi far la si-

(1) Così dice il codice, ma é chiaro, anche dalla precedente lettera, che deve
dir XLm (nota del Villari).





















456 G. NICASÌ

gillatione. Et tutto questo ordine tenerete apresso vui secretissimo,
quanto recercha la importantia sua, dandone hora per hora diligentis.
simo adviso de ogni successo.

De parte ; ; : 29

De non , : s d.

Non sincere . i : 0

Facte et misse littere cum incluso exemplo.

456. (D. r. LVII. 47). Pieve Santo Stefano, 1498, (n. s. 1499), Genn. 31. VI.

Mag.ci D.ni mei obser.mi. Stasera, essendo raunati in casa el
signor Fracasso, el Cap no nostro, Vitellozzo suo fratello, Giovampagolo
Baglioni el Conte Checcho, el prefato S. Fracasso parlò in nome di
tutti, et così di poi el Cap.no, et Vitellozzg suo fratello, narrando e
grandi provvedimenti che enimici fanno per diverse vie; et che a Roma
el Cardinale et altri per lui soldono fanti; et che el medesimo si fa in
Romagna, in pià luoghi; et hanno protestato, se per le S. V. non si
fa e provvedimenti per loro dimandati, et presto, presto, si scusono a
quelle, che poi, volendo, non potriano, nè sarebbono a tempo a raqui-
stare Bibbiena; et dubitono, non che e si raquisti Bibbiena, non perdiate
delle altre cose di più importanza: et faccendosi e provedimenti do-
mandati, crederebbono in brevi giorni pigliare Bibbiena ; et preso quella,
non dubiterebbono poi che enimici potessino offendere Piaccia alle S. V.
di operare che si faccino, et subito; .... et che questi cap.ni non pos-
sino dire: se noi havessimo hauti e provedimenti domandati a tempo,
haremo ottenuto tale impresa in pochi giorni. Et a questo modo la cosa
non può durare, perchè quà manca li strami et le vettovaglie, et dubito -
che, per questo mancamento di strami, queste genti non sieno forzate
a levarsi di qua. Et se lo scrivere mio vi paresse importuno, seusomi
alle S. V , per che l’ affectione et amore porto alla patria, et el peri-
colo che io conosco in questa tardità, dubito non sia causa della ruina
nostra; adche piaccia alle S. V. provedere con ogni celerità. Bisogna
ordinare e guastatori per quando savesse aire a Bibbiena che sieno aor=
dine, et buona somma: qua, tra per elbastione et per fortificare queste
castella, habbiamo straccho chiunque cié: et perlordinario vengono mal-

volentieri. Et così bisogna provedere che quà sia almanco, oltre aquesti
che cisono, 10 0 12 muli per condurre le vectovaglie a Sentigliano,
a Bulciano, al Castellare, Montefatuchio, al Bastione facto di nuovo:
et quà non è vetturali, et chi reca le vectovaglie non vuole andare più
inanzi.

Bisogna, oltre a guastatori, almanco 600 comandati per mettere in

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

"guardia di queste eastella, che si lascerebbono indrieto andando a Bib-
"piena, et così di molti guastatori, come sapete bisogna quando si pone

‘campo.
Le S. V. mi mandarono 1000 ducati per suplire alle paghe del

P Conte Cheecho, di Gnagni, et di questi fanti facti di nuovo, et sig. Fran-
; cesco da Monte Auto, el quale è alloggiato stasera qui presso a uno
miglio colla compagnia facta nuovamente. E Vitelli dimandano danari
per resto della pagha di 500 fanti fanno venire, et oggi ne è arrivati
circa 200. Et e 200 provigionati di Gian Pagolo sono arrivati et dicono
hanno aessere pagati per 240, a 3 ducati luno.

Delle compagnie del Conte Checcho et di Gnagni non ci è ricordo
niuno et non sono mai scripte et dicono gia guadagnata la pagha: sa-
rebbe pur bene havere qua qualche lume del tempo che questi nostri
sorio scripti et le convenctioni et patti hanno colle S. V.

Questo Messer Dimitrio, capo di balestrieri, mé ognora adosso et
fa mille pazzie et dice che è adrieto bene 3 paghe et vuole ad ogni
modo essere pagato: et io non so quello sabbia ad havere : ogli voluto
dare 50 ducati, non glià voluti pigliare perche vuole una pagha intera.
A questi bastioni ciè mestieri di legnami et vecture et altre opere et
molte altre spese, che tutte bisognano pagare, dalcuni marraiuoli in-
fuora che sono del paese et pochi.

Messer Theseo, nipote di messer Achille, lò ogni dì alle spalle et
dice che non può tenere questi balestrieri et ogniora ho agliorecchi
chi mi chiede danari: et le migliori parole che gli usino è che e san-
deranno con dio se e non sono pagati: et io ho hauti da mia anteces-
sori 100 scudi et 200 ducati di camera et el legato mi mandasti con
ducati 1000.

Qua bisogna delli archibusi per la guardia di questa castella et
non cienè, et del ferro grosso, come scripsi per laltra mia : piaccia alle
S. V. di provvedere.

Sarebici bisogno grande di L. 200 di moneta (spicciola) per pagare
molte spese et spese minute, che si sono messe in questo fortificare
e luoghi, elbastione: piaciavi provederle. Nè altro occorre al presente.
Racomandomi alle S. V.

457. (B. VI. 84). Pieve Santo Stefano, 1499, Genn. 31. VI.

Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico messer Corrado. El vi si disse a la partita vostra, et el
simile sapemo el Signore Commissario à scripto a quelli Signori, quello
che bisogna per expedire l'impresa de Casentiuo, la quale, se si pi-





458 "e 0 Qs NICASL.

gliava gagliarda et presta, nui non dubitavamo conseguire quello
optato fine che per cotesti Signori et nui se desidera. Per anco non
sentimo ordine, né provisione alcuna. si vede, da. possere coniecturae?
che le cose habbino andare cum quella gagliardia et presteza che nui
pensavamo; et maravigliamoci grandemente et non possemo altro the.
X dolerci de la mala sorte nostra cum cotesti Signori. Considerate che,
per quanto siamo stati a li serviti loro, sempre habiamo havuto a spin-
gerli per li facti et interepsi loro; nè perhò siamo per mancare de dire
. sempre el parere nostro, come siamo soliti, et cum amore, et cum fede,
Nui havemo notitia che li nimici fanno fanti, et tuctavolta si condu.
. cono, et intendemo sono in dispositione et ordine de fare un grosso
capo de fanterie per fare sforzo in S vore de quelli sono in Bibbiena,
Et veramente, benchè il paese sia assai indisposto al proposito loro,
tuctavolta, attesa la preparatione grande che si sente et atteso la dibi-
lità nostra, potria qualche volta essere che loro se spingeriano avanti,
" et fariano prova de dare rinfrescamento a Bibbiena, et tornarli facto,
Ché quando consideramo al numero de fanti habiamo et anco al modo
che, non solum nui, ma il Commissario se trova al danaro, non pos-
semo mancare di non stare admirati et di malavoglia, perchè questa è
una posta che ne va lo stato. Crederessimo che per levarsi dal core
questa peste le Signorie loro se impegnassino, et loro fussino quelli
che ne riscaldassino in la impresa, et cum li facti, et non aspectare
che da nui havessimo a essere tanto infestati, che qualche volta judi-
camo li sia molesto. Tuctavolta, risguardando a l'oggetto dal quale.
siamo mossi, che non è altro che a benefitio loro, ci persuademo pi-.
gliaranno da nui le vostre parole sì come d’ affectionati et desideros
‘de la conservatione de quella Città et exaltatione sua: et maxime finchè —
a le Signorie loro el tempo e la ochasione è data da posser gagliarda- |
mente fare, senza remedio del nimico in contrario. Et pgrhó pregamo
et confortamo le Signorie loro, mentre hanno el tempo comodo, faccino,
et maxime avanti intramo in primavera, per piü rispecti: ché li tempi
possono dare et molte et varie mutationi; et, maxime havendo a fare.
cum inimico potente et gagliardo, che quella Excelsa Repubblica si
trovaria in tanta reputatione che non saria nisuno che prosumesse, non
solum fare, ma pensare cosa che li fussi a nocumento. Se le Signorie
«loro saranno negligenti in questa cosa, loro se acorgeranno di che im
portantia sia questa impresa et quanto la possa partorire. A nui ne
rinerescerà per più conti et maxime per vederci perdere tante fatiche
havuteci; tuetavolta a nui ne rincrescerà, et altro non ne potrimo fare.
Se le Signorie loro faranno quello che li è stato dieto, nui non mam-
cheremo de I' offitio nostro, non perdonando né a fatiche né a pericolo




EN TE







LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 459

quando altrimente segua, volemo che li facciate intendere tutto questo,
et che la presente ci sia seusa in omni aventura. Ci maravigliamo che
partissivo di qua, et sapete come. ci lassassivo, che in casa nostra se
viveva a denari acattati, non solum per noi, ma anco per superire a
maraiuoli et altri necessarii per l' impresa per servitio di quelli Signori,
et pensare come stanno; et pure di qua non se vive in dono. Siate
contento essere cum cotesti Signori et astringerli non ci lassino man-
care del nostro, ché del loro non li domandamo niente: et operate in-
fine che subito nui habiamo denari; et non ce imboccate sempre a
centinara, chè fino in hora ci trovamo debito più che 2000 ducati et
vivi, il sapete. Sicché non mancate ci mandate subito denari, aciò non
perdiamo questi nostri fanti, chè rimaressimo molto male quando li
perdessimo ; et in vero hanno havuto tanto l’ aspere factioni, che non
sapemo come siamo vivi, et che poi habbino havere la carestia da le
fatiche loro nui per niente non siamo per comportarlo: perhò usate
cum diligentia li habiamo per lo prossimo cavallaro.

Operate che Mastro Lutio se ne venga qua cum quella sua arti-
glieria, che non manchi per niente; et bisognandoli alcuna cosa, pro-
vedetelo.

Vedete a omni modo habiamo di quelle palle di foco artificiato
fino a 50, [o] più numero che si possa et fate venghino presto; che
non manchi.

Francesco Bracciolini hebbe ordiue da noi di fare fare 500 lance;
el me serive che sono facte et sono in ordine, li ferri et tutto: vedete
a omni modo che li Signori X le paghino e mandinle qua: quando
pure nol vogliano fare, pagateli vui et derezatecele: et, quando le pa-
ghino loro, a omni modo fate venghino qua, o dove saremo, e non
altrove.

Operate anco che ci sia mandato qualche soma de salnitro, perchè
qua è una polvere che non vale et, havendo salnitro, la faremo raffi-
nare in modo ci servirà benissimo. Et cusì anco ci fate mandare pa-
rechie some de saettime; et che tutto venga più presto sia possibile.

Vorressimo che a omui modo ci mandassivo 200 celate et da fanti
a piei, che coprino de rietro bene, et 150 petti et quanto più presto si
può le mandate.

Altro non mi occorre si non ricomandarvi denari, denari et pure
denari.

yit



















460 . NICASI

458. (B. VI. 90). Pieve Santo Stefano, 1499, Febbr. 1. VIII noctis,
Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico Messer Corado: Questa notte passata ve serivessimo a
longo et facessimovi intendere le preparatione grande che facevono ]i
nimici et de fanterie et de cavalli legeri: Et perchè omni hora sentiamo
che ingagliardiscono le provisioni; chè hoggi havemo haviso che de la
Marca vengono 700 fanti, et tuttavolta ne fanno in Romagna assai, et,
per quanto intendemo et sentimo per gli ordini et provedimenti che -
fanno, saranno fanti cinque o seimila et bona fantaria; et anco se in-
tende che per il territorio del D®ca di Urbino si è comandato uno homo
per casa, per fare uno sforzo grande per soccurrere Bibiena, nui di
tutto questo ve havemo più che una volta dato aviso. Et questa [ve la
seriviamo] perchè stamo tanto di malavoglia, quanto dire si possa,
atteso che per anco non si vede alcuna provisione, per la quale nui
possiamo per alcuno modo, quando e’ venghino cum questo numero de
gente, impedirli nisuno loro dissegno. A nui dole grandemente, chè
con tante fatiche et cum cusì poco loro spendio habiamo riducto questa
impresa al fine et possiamo dire vinta, et hora per una piccola spesa
el si manchi de non volere vincere; et maxime cum tanto utile et ho-
nore et reputatione de quella Ex.sa Repubblica, la quale, si pure non
stima o cura questa victoria, egli è manco da credere curino di nui o
di nostra vergogna: chè omni volta che li nimici fussino sì forti che
nui non li potessimo impedire, et contrastare qui, saressimo al tutto
vituperati. Nui per niente non siamo per comportarlo.

Et quello che ci da credenza che poco curino el danaro nostro et
vergogna si è che, de tanti migliara de ducati quanti noi siamo credi-
tori loro, non ci paghino altro che de parole: che, se quelli Signori
non potessino pagarci de l’intero, almanco ci dessero tanta parte, che
nui potessimo substentarli et mantenerli [queste genti] a li serviti loro;
chè, come sanno, et per le gente d' arme et per le fanterie siamo cre-
ditori in grosso. Senza denari non li possemo tenire; et a perdere la
compagnia non volimo per niente, perchè la ci costa troppo cara et
cum troppo sangue : et per non la perdere voliamo fare omni cosa. Non
ci dando per nostro conto altra provisione de denari, nè facendo di qua
altra provisione che nui habiamo, senza nostra colpa, a essere vitupe-
rati, chiarite quelli Signori che, a la risposta vostra, o prima quando
la fusse lunga, nui per non essere molto di lunge da casa, chè non ci
sono più che 25 miglia, cum tucte le genti d'arme et fanterie nostre
ce ne torneremo a Castello, dove haverimo qualche substento finchè

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

dio di meglio ci provederà. Et justificarimo a omni homo la causa per
phe siamo stati necessitati a questo. À noi ne dole fino al core havere
fare questa risolutione; tuttavolta omni homo sirà chiaro non é per
nostro difecto, ma per loro, et per le loro tarde et lenti provisioni, de
e quali eredemo s'aceorgeranno fra pochi dì che vorrà dire non ce
avere creso; chè veramente grande infortunio è stato il nostro che
empre habiamo havuto a mendicare le provisione adimandate per la
salute loro. Vui havete inteso : sarite cum loro Signorie et li farete in-
endere tutta questa nostra voluntà ; et di tutto ci date prossima risposta,
| perchè per niente deliberamo perdere questa compagnia.
i Come per altra nostra questa notte vi si scrisse, ordinassimo più
«dì fa a Francesco Bracciolini che facessi fare 500 lance a nostro modo,
cum ferri a la svizara; operate che, cotesti Signori X le paghino et
mandinle qua a nui, a ciò le possiamo operare, et, quando non le vo-
glino pagare, pagatele vui, et mandatele quanto più presto si può.
Dite a mastro Lutio che se ne venga cum la sua artiglieria, 3
mila, o 4 mila quadri d’acciaio per decte artiglierie: et bisogna che
- de le lance et di queste artigliarie vui ne pigliate diligentia grandissima.
È Sarà anco bene cotesti Signori proveghino messer Criaco possi
È fare la compagnia, chè cusì non sta bene, et di qua sirà a proposito,
È non bisognando di là. Sirà bene anco confortare cotesti Signori havere
bona cura a le terre de confine, come Cortona, Galeata, Bagno et molte
altre verso li nimici.
A le vostre di questa sera, dimane vè si risponderà. A vui me
ricomando. :

E59. (B. VI. 81). Monte Fatucchio, 1499, Febb. 2.
Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice domine. Antonio nostro da Certaldo, ci ha facto inten-
dere, per la poliza interclusa, quanto fa bisogno ; sarete con li Signori X

- et con omni diligentia curarete che diete cose venghino con prestezza ;

- aecioché possiamo securamente andare all'impresa. Et pregate le loro
Signorie sollecitino le provisioni, perché non perdiamo questo bel tempo,
‘el quale ci duole; et li luochi vicini alli inimici al tutto vogliamo las-
Sare bene provisti d'artiglierie et de homini, perché [in ció] consiste
omni impresa vorremo fare.

Hoggi semo stati con el signor Fracasso a Monte Fatuechio et
| habbiamo visto quanto ha facto rassettare el Reverendo Abbate nostro
| [Basilio], el quale veramente ha usato sollicitudine et diligentia per

462 RIT ME ET ST

modo, che li habbiamo commeso altre cure da fare; et tutto fa volen-
tieri per l'amore grande porta a cotesti Excelsi Signori. Alli quali cj
‘offerirete. i Fa GU

460. (Ep. III. 29). Pieve Santo Stefano, 1499, Febb, 3, —

Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

5i Magnifico Messer Corado, havemo quattro vostre; la prima de 29,
la seconda del medesimo, la terza de ultimo de Gennaro, la quarta del
3 del presente. Ci piace moltodgavere inteso le nove scrivete; et pia-
«ceci li ragionamenti havete facti; et molti più credemo harite facti a
l’ havuta de questa, per la lettera havuta da nui et facta la nocte pas-
sata. Et vi dicemo di novo: nui non siamo mai per mancare de P of. -
fitio nostro per alcuno modo. Et, quando dal canto loro e’ faccino le
provvisioni ragionatamente richiestali, et tractatoci in modo, che, una
volta, possiamo sfamare questi poveri soldati, vedranno che, oltre la 1
sincerità de la fede, nui sempre siamo per volentieri spendere per quelle
excelse Signorie tucto quello possiamo fare. Quando loro Signorie cre-
dessino tenirei de qua, et, per le male et lente loro provisioni, farei
vituperare (cum possere gagliardo passare el nemico, e nui non li pos-
sere impedire per la debilità nostra) più tosto pigliaremo el partito ve |
si
gnoscemo altra via, che più ne possa salvare. Vui havete inteso et si-

è scripto, et lì staremo, et faremo meglio si potrà: perchè non co-

retene ovunque vi pare, ché per nui non manca. Et sopra tucto expedite
presto; et dateci risposta, perchè in nostro potere non è uno soldo:
perhò avisate presto de quanto possete fare.

- Sua excellentia [il duca di Milano], se non volesse fare 3 mila
fanti, ad minus ne facesse 2 mila, et di questo non mancasse; et loro
Signorie ne usassino omni importunità. ....

A la parte de lo conte Rinuccio [da Marciano] (1), quando per il
Magistrato vi sarà dicto qualche cosa, vui potrete pigliar tempo havi-
sarci, et nui alora vi risponderemo; et forse prima ce consultaremo -
insieme.

Circa l'impresa di Bibbiena, da farsi cum pochi fanti et cum li
fanti de l'Abate [Basilio], ve dicemo che gli é tucto l' opposito, ché bi--

(1) Era imminente il termine della condotta che il conte Rinuccio di Mar-
ciano aveva con i Fiorentini, ed il Tarlatini aveva scritto al Vitelli chiedendo come.
si dovesse contenere, in caso che fosse interrogato, se la ricondotta del medesimo
Rinuccio fosse gradita, o no, al Vitelli, i

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 463




Sogneranno fanti assai, perchè a un medesimo tempo ci bisognerà
o
guardare li luoghi de qua, et, a un tempo, expugnare Bibbiena; perchè, iii

se PU inimici pigliassino questi luoghi e intrassino in questa val di Te-
Vere, non gli ne trarressimo cusì de facile. Sicchè bisognarà che fac- |
cino parte assai et per la guardia et per lo expugnare de Bibiena.
Senza che nui credemo omninamente, avanti andamo a Bibiena, fare
Se

eiornata, per ehe ogni giorno si sente l' inimici ingrossarne per dare
la gl 5 è È

succorso, e nui siamo per fare omni cosa per impedirli, quando per

È
:

cotesti Signori siamo provisti, come s’ è decto; ché a omni modo, avanti MI
giano a ordine cotesti Signori per l' impresa, ce intrarà qualche tempo.
Et quando e’ ci diano le provisioni chieste loro, speramo, cum l'aiuto

de messer domine dio, ne reportarimo quello che desideramo. .... pnt



Altro non occurre si non solicitate danari ché non havemo uno I
soldo. A piaceri vostri.

#el. (D. lmi. LXIV. 124). 1499, Febb. 11. (1). li
Petro Iohanni de Ricasolis.

Per la tua de 9 intendiamo come, di comune deliberatione vostra,
havete dato salvo condoeto al Duca di Urbino per uscire di Bibbiena,
senza advisarci altro particulare nessuno. Di che oltre al dispiacere
che ne habbiamo preso, ci meravigliamo tu habbi consentitio a tale
deliberatione senza comunicarcelo altrimenti, essendo la cosa d’impor-
tantia, come è, et potendo aspectare facilmente. Hora noi vogliamo et
così ti comandiamo che, se il salvo condocto non fosse dato, non si dia
se non con conditione che il Duca ne debbi trarre tuete le sue genti,
comandati et altre se ne havessi a soldo: et che prometta in questa
ghuerra non ci offendere più ad veruno modo con lo stato suo. Et: ha-
vendolo dato, farai d' avertire che nel numero delle sue genti non fussi

né Giuliano de Medici, né el Proveditore Vineziano, perché non inten-



diamo a chostoro sia dato alchuno salvacondotto per essere l'uno nostro
Rebelle, et l' altro non potersi conprehendere, socto il nome di gente
del Duca di Urbino. Et questo farai di exequire con diligentia: et se ;
forze cotesti Capitani impugnassino, che erediamo di no, farai loro in-
tendere che tal partito nostro non è contrario al loro; ma che lo hab-
biamo voluto limitare con queste conditioni, parendoci necessario et per

la impresa et per lo honore nostro, al quale loro debbono havere ri- ii

(1) Sul testo manca la data, ma, dagli altri documenti che nel registro prece-



dono e seguono questo, si desume che é dell’ 11 febbraio.







464 G. NICASI

specto parimente che al loro: et tucto tracterai con riguardo et co
parole che gli habbino ad indurre a questi effecti.

462. (D. Imi. LXIII. 122). 1498, n. s. 1499, Febb, 19,

Piergiovanni de Ricasolis.

La partita del Duca 4’ Urbino, per le tue ultime lettere ad n
significata, anchora che la via seguita fuora del desiderio nostro, p
non vi essere nel salvaeondotto le conditioni che per la vostra degli 1
ti significhamo, tamen voliamo che non partecipi ad alehuno tale nostro
desiderio, in modo mostri ad cotesti nostri noi havere approvato quell
che da te, per loro consiglio, s'è messo in opera: perchè desideriamo
che el Duca di Urbino si tengha più che sia possibile da noi benificato.
et per questo sia contento portarsi nelle imminenti occorrentie co
quella modestia, che sarebbe conveniente ad la qualità sua et dello
stato suo; et userai in questo omni prudentia.

468. (D. le. XXV. 89). 1498, n. s. 1499, Febb. 1

Istructione a Messer Giovanni da Casale di quanto habbi ad operare co
il Conte Ranuccio.

Messer Giovanni, trasferendosi la mag.tia vostra, per ordine dell
Ex.tia del Duca di Milano, dove si trova la Signoria del Conte Renucci
sotto le lettere di credenza della Prefata Excellentia, exhorterete et con:
forterete la sua Sig.ria ad acceptare la ricondotta nostra per uno anno |
advenire nel modo et forma che è al presente, et come epsa è
stata richiesta da noi per mezo di Bernardino Tondinelli suo cancel.
liere: et quest’ opera vedrete di fare con quella efficacia che si rice
chassi la dispositione di sua Signoria, perchè, consentendo quella al
richiesta nostra, non si converrebbe altro che approvare et commenda 3
la sua deliberatione in nome dell'Illmo Duca; ma facendone eps
qualche difficultà, alhora sara necessario che la vostra M.tia la exho
et conforti, con quelle ragioni che oecorreranno nella prudentia vostra
ad acceptare con buono animo la condotta, como è richiesta, mostrami
dole ehe, faccendolo, nefarà cosa gratissima all’ Ill.mo Duca di Milano

LA FAMIGLIA VITELLI, BCC. 465

Mi 464. (B. VI. 92). Pieve Santo Stefano, 1499, Febb. 22.
Paolo Vitelli a Iacomo del Rossetto in [Città di) Castello.

Tacomo, nui havemo che li nimici ingrossano forte et stimasi fa-
ranno omni sforzo per soccurrere Bibiena, et nui siamo per starli a
Popposito et fare omni cosa per obviarli in modo, che speriamo fare
una bellissima giornata: perhò è la cosa che concerne tucta la condie-
tione et stato nostro. Scrivemmo a Giovanni vostro et nostro ch'el sia
contento per amor mio, ché sa che io l’ amo da fratello, ch’ el sia con-
tento volersi ritrovare cum nui a questa giornata, perchè l'è quella
che importa tucto l’ essere nostro. Perhò prego anche vui il vogliate
confortarlo a volere pigliare cura de li 500 fanti che haranno a venire
et farli rassettare, et, quando mandaremo per loro, che se ne venga
eum epsi, et stia in ordine in modo che a l'insubito se ne possa ve-
nire. Siate contento a stringnierlo per parte nostra a volerci satisfare
a questa volta; chè, se la cosa non fusse de importantia che l'é, io
non li daria questa fatica, ma, essendo de la qualità che l’ è, spero non
mi dirà del no.

Li commissarij siranno hoggi qua: vui ve.ne virrite domatina et
menate cum vui Cesarino, Ser Pietro Paulo, et Michelagnelo, a cio si
possa dare denari; et ordinate che tutti li fanti de la conducta vechia
se ne venghino, che li darimo denari. A piaceri vostri.

465. (D. Imi. LXIII. 141). 1498, (N. s. 1499), Febb. 25.
Paulo Vitellio etc.

Non possiamo, venendo costà il Magnifico Messer Galeazzo Vi-
seonte, huomo al parere nostro di iuditio et molto affectionato alle cose
nostre, per essere in campo con la S. V., non aggiugnere quelli con-
forti che possiamo, benché sieno superflui, per fare quelli effecti che
hora si desiderano più che mai, ricercando così le cose seguite a giorni
passati et importando al commodo nostro et allo honore di V. S. tanto
quanto fa, il dar fine una volta a cotesta impresa. La quale ci pare ri-
docta a termine, che finalmente si potrà terminare con faticha di po-
chi giorni et non molto pericolo, maxime dandoci tempo la tardità delli

inimici et havendo noi provvisto, se non sufficientemente, al meno a

tanto che, aggiunta la virtù et prompteza delle S. V. facilmente spe-
riamo habbi a seguire questo effecto. Né dubiti la S. V. che habbiamo
à mancare di aleuna provisione necessaria, se bene siamo parsi hora

30











466 . eL DE va G. NICASI

et tardi et. sup scarsi: di che è stato causa essere noi alla fine dé].
l’anno, et per li accidenti multiplieati in più luoghi havere consumati 3
It assegnamenti facti in meno tempo che non si pensava; le quali atten-
diamo a rinuovare vivamente. Et, quando la S. V. con. qualche sue-
cesso aiuti qui tale proposito nostro, vedrà in questa Città resurgere dij
continuo maggior forze fuor della opinione di molti: et oltre all’ honore.
suo farà cosa che questa Città sempre la reconoscerà in perpetuo, come |
sempre è usata erso tutti quelli che l'hanno mai favorita et aiutata |
amorevolmente.

466. (D. r. LVII. 88). Pieve Santo Stefano, 1498, (n. s. 1499), Febb. 97
"Antonio Canisiani e Lorenzo dei Medici, Commissari, ai Dieci.

Mag.ci D.ni N.ri observandissimi. .... Semo stati colla S. di Messer.
Galeazo et col S. Cap.no: Et consultate insieme le cose della impresa -

circha alguardare li passi et per la obsidione di Bibiena: et strecto i] .-

‘ S. Capitano che ne debbi fare quello iudicio gliene occorre: et do-
: mandare li provvedimenti judiea siano bastanti per fare tale effecto, -
Di che per sua S. se ne 6 faeta una nota che sarà in questa
AieoPdo di quello bisogna per la impresa et prima:
Per la guardia di Sintiglano J fanti ^...100
Nella Pieve di S.to Stefano. j 300
In Bulgiano . i : : : 150
In Valle Savignone : e i 100
Na butlone 60.2 202. 100
Nella Vernia . ; : x : > 1500
In Chiusi : : : 3 : 1000
In Montefatucchio . ; ; j 1000
In Frassineto . i ; : : » 500

Tutti questi sopradecti fanti sono per guardia de’ confini et per
stare ad pecto al Conte di Pitigliano, venendo al soccorso di Bibbiena, |
perchè, a ogni via chel pigli, tutti questi hanno tempo unirsi et andaré _
ad combatterlo.

Et giudicandose da dovere pigliare lampresa di Bibbiena, saria da
condurre 2000 fanti più, per possere con quelli stringere la terra et,
quando ella fussi ad termine da potere dare la battaglia, servirci 4
tutto il resto delle genti, da 1000 fanti in fuora.

Item, che i cavalli leggieri alloggino in fra la Pieve ái vicini adi
Chiusi et nella villa di Montefatucchio ;

Item, che la gente darme alloggino nella valle di Capresi s




spa eni tini in d





LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 467

Item, che il conte Rinuccio con li suoi alloggi ad Sarni;

Item, nella Val di Bagno per la guardia di quelle terre, fanti 800;

Item, in Primalquore fanti 150 per guardia di quel passo, dubitando
li inimici non pigliassino la via di Galeata per andare in Mugello;

Item, nel Corniuolo fanti 100 ;

Item, fare guardare Belforte dagli uomini del paese.

Et perchè si potrebbe dire che con li 5 mila fanti, quali si dise-
gnano per obstare al conte di Pitigliano che non passi, così si può con
decti fanti andare ad campo ad Bibbiena et lasciare tanti fanti nelle
terre, quanti bastassi per guardia di decte terre et similmente non po-
trebbono essere forzati da li inimici. Rispondesi che tre inconvenienti
gequitaria di questo. Et prima che, quando noi fussimo impegnati
ad Bibbiena con lartiglierie, potrebbono li inimici andare ad campo
ad qualunque terra del nostro in Valditevere, che saria di momento
che importaria più perdere alcune di quelle, che guadagnare Bib-
biena, quando anche se guadagnasse. Et per essere Bibbiena meglio
munita che le nostre, per non essersi facta per li S.ri Fiorentini pro-
visioni debite per fortificarle, et per essere stati a Bibbiena li ne-
mici tanto tempo et continuo lavoro in fortificarla, et per esserci
homini da lavorare come ci sono, potrebbe il cante di Pitigliano pi-
gliare più presto qualche delle nostre terre che noi Bibbiena. Laltro
inconveniente è, che, quando noi fussimo impegnati con lartiglieria, po-
teria il conte di Pitigliano movere in altra parte, come saria rompere
in Galeata per andare in Mugello, o simil caso. Et poteria movere in
tal modo che fussimo necessitati levarci dalla obsidione, essendo neces-
sitati ad sobcurrere. Et a questo modo disloggeremo vituperosamente.
‘Tertio che andando noi al campo, essendo Bibbiena in luogo frigi-
dissimo et in temporali cattivi, poteria il conte di Pitigliano lassarci
stare lì 6 0 8 giorni, essendo chiaro che in quello tempo non si piglie-
rebbe et noi caleremo de homini et quelli che resteranno saranno sbat-
tuti et simili li cavalli. Et a quello tempo poteria il conte di Pitigliano
Venire alla volta nostra et trovandoci in disordine per le ragioni pre-
dicte et lui partendo con li sua freschi saria causa che, o noi vitu-
perosamente sarieno necessitati levare la obsidione, o aspettare con
grandissimo disvantaggio. Et in questo caso li fanti, che fussino a
guardia delle terre, guarderiano bene le terre, ma non sariano per ob-
Stare al passo delli inimici. Et per queste cagioni predicte è necessario
per la expugnatione di Bibbiena condurre li 2000 fanti più, chome è

decto,





468 G. NICASI

467. (D. r. LVII. 86). Pieve Santo Stefano, 1498, (n. 3. 1499)
Febb. 27, II. noetj

Antonio Canisiani e Lorenzo dei Medici ai Dieci.

Mag.ci nostri observand.mi .... Il Signor messer Galeazzo questo

giorno .... ha ricercho il S. Cap.no che sia contento resolutamente ri
spondergli, se è da fare l'impresa di Bibbiena, o stare in sulle dj
fese: perchè così havavamo consultato insieme prima: Et ne ritrae que
sto da sua S. che, quando sintendessi invero che in Bibbiena non fuss
victuaria per substentare le genti vi sono più che un X o XV giorni, il
parere suo sarebbe di non tentare [impresa] alcuna; ma, quando havessj
vera notitia che dentro vi fussi provedimento da vivere per un mese 9.
dua, ehe in taleaso sarebbe di parere (facte la provisioni) cum piü pre
steza si potessi far prova di expugnarla. Et a questo effecto siamo re-
stati fare salvo condotto a qualche donna di Bibbiena, che nescha eu
qualche homo pratico di deeto luogho, per haverne piü vera notitia à
possibile, per potersene risolvere

Attendiamo le S. V. habbino mandate lance, gavette, salnitro
palle di fuoco lavorato, et altre cose chieste. E di nuovo ne occorre, pe
fare ripari et fossi a questi luoghi, un 40 o 60 corbellini et qualch
lanterna: che non manchino per niente: che subito si mectino a cam-
mino che ce ne è necessità grandissima. Et per questa non ci acade al
tro: salvo raccomandarei alle S. V. Que bene valeant.

468. (Ep. III. 42). Pieve Santo Stefano, 1499, Marzo 3
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Cerbone Cerboni.

Cerbone, per più nostre havemo continuato a scrivere la necessità
del denaro; et, ultimamente hiersera, ve serivemmo che non mancasse
a tucta questa nocte che viene, che ci mandassero denari, che fussino
qua acciò che potessimo continuare dar danari alli fanti, perchè, altra:
mente, se vanno tutti cum dio; et noi haveremo continuamente cap:
pati homini, et adesso andaranno dalli inimici. Hora, venendo la ca-.
valcata, ve replicamo el medesimo; et dicemove che non manchiate per
oggi, se è possibile, o per via del presente, o per qualunque altra via
mandare danari: che, quando non gli haviate mandati, li mandate qui,
per tueto domani, che sirà lunedì, senza manco. E, si non potete man
dare somma grossa, mandate qualche parte, acciò che potiamo conti
nuare dare danari alli fanti. Ft si non havete altro modo mandarli

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 469

andate una cavalcata a posta, perchè, altrimenti, havendo cominciato
impresa, et non potendo seguire più oltre, restano queste cose imper-

te. Non mancate adonche fare ogni opera che haviamo, per tutto
domani, denari.

9. (D. Imi. LXIII. 162). 1499, Marzo, 13 (1).
ntonio de Canigianis Commissario generali ad. Plebem Sancti Stephani.

Il Mag.co Oratore ducale avanti hieri ne comunicò lettere, li scrive
Magnifico Messer Galeazzo Visconti di costi, nelle quali si contiene
.ome, havendo la sua Magnificentia insieme con il Sig. Capitano exa-
minato et considerato bene, che, lo andare di presente alla expugnatione
di Bibbiena, era uno dare occasione et commodità al conte di Pitigliano
di passare o di fare qualche potente diversione, per havere esso conte
sai.cavalli leggieri et buono numero di fanti; et loro non trovandosi
orti da non potere in uno medesimo tempo resistere al passare del
i onte, et fare la impresa di Bibbiena. Per questo ne confortava che per
hora non si facessi tale impresa et maxime intendendo che in Bibbiena

vi era da vivere per pochi giorni et che il caso,di Bibbiena per se me-

desimo si risolverebbe in brevi dì et con nostra satisfactione et con loro

. Imi. LXIII. 165). 1498, (n. 3, 1499), Marzo 16.
Antonio Canigiani Commissario generale Plebis.

Poiche noi ti serivemo l’utima nostra de 14, haviamo ricevuto 4

"tua lectere de 12, 13 et 14 del presente, per le quali ci fai intendere de-
siderare principalmente quattro cose; et prima che si dovessi obviare
al dire male di cotesti Capitani, monstrando quali effecti ne potrebbe
urgere; et per secondo: come sia necessario el provvedere ad nuovi
danari; tertio: che partito avessi ad pigliare quando, necessitato dal
tempo, ti bisognassi, sanza darne adviso altrimenti, concedere, o no, sal-
-Yocondoeto ad tueti quelli di Bibbiena; quarto: quanto desidereresti
essere, 0 compiaciuto di uno scambio per potertene venire, o almancho,
mon potendo insperare questo, di un compagnio che ti aiutassi portare
parte di cotesto carico. Alla prima: Tu sai, per essere huomo prudente,

(1) Nel testo non vi é il giorno della data; ma si desume che è del 13 marzo.









AU d. NICASI

' quanto tale licentia in modo disonesta di lingua ci dispiaccia; et ap-
presso, per essere suto in Firenze continuamente da quattro anni in
qua, conosci benissimo quali rimedi in tali conditioni di tempi ci sieng
e ei si possino addurre, il che, se verrai col tuo solito iuditio exami.
nando, cie ne conoscerai, come noi, pochi o nessuno. Tamen ti com.
,mendiamo dello havercene advisati; et noi ci ingegneremo, se alcuno
spiraglio ci si offrirà, entrarvi et così tenere qualche via; non perchè
. noi crediamo che ci si riescha, ma per satisfare in questo, e in omni |
altra cosa pertinente alla utilità pubblica, all' animo et conscientia no.
stra. Voliamo non di mancho persuada alla Signoria del Capitano no.
stro, il che dovrebbe essere facile essendo lui prudentissimo, come que-
ste calunnie nascono da huomini otiosi, ignari et plebei, a quali poi-
chè la ventura ha tolto el potere et sapere fare, volliono dire almancho
et dire male, come cosa più adcepta ad li orechi di ognuno. La quale
cosa da gli huomini savi si debbe tanto prezare, quanto ella può nuo-
cere, et tanto manco stimarla, quanto vale manco chi n’ è promotore;
et di questo sua Signoria sendo prudentissima ne debbe essere optima ;
conoscitricie, presertim havendo per experienza conosciuto, quanto le |
buone opere dei prudenti preponderino alla parola degli ignoti e debili;
et di quelli farà più stima da quali ha ricevuto più honore, e quali,
se già furono affectionati verso di lei, al presente sono affectionatis-
simi; a quali omni sua mala contenteza et dispiacere è uno peso gran-
dissimo, ma più ancora sarebbe quando non lo conoscessino prudente
come lo conoscono. Per tanto anchora che per noi si farà el possibile,
non cessarai di mostrarli la verità di tucto; alla quale come sapiente
doverà adquiescere ...

71. (D. r. LVII. 94). Pieve Santo Stefano, 1498, (n. s. 1499), Marzo 96.
Antonio Canigiani e Lorenzo dei Medici, Commissari, ai Dieci (048

È, di È Mag.ci D.ni m.i observand.mi. Scrivemo a di XXIIII ad V. S. D
‘poi decto dì, havemo una di quelle de XXII et inteso per epsa la diffi
cultà del provedimento. Et benchè V. S. sperino finalmente doversi fare,
stiamo di mala voglia che per la lunghezza non habbia a seguire qual-
che disordine. Perchè alcontinuo quì siamo stimolati da queste fanterie
che, non potendo dare loro danari, diamo loro le spese: et per non aban--
donare il bastione siamo ridueti amandarci ogni giorno elpane, elvino, :

(1) Questa lettera nel testo, non è firmata; ma non può esser che dei commis:
sarii di campo Antonio Canigiani e Lorenzo dei Medici. :

LÀ FAMIGLIA VITELLI, ECC. 41

- ilvieto et similmente a. Sintigliano. Et hieri arrivoro qui:200 fanti
per È q

perugini, venuti qui aservire gratis, tucti in coraza et collé imbraccia-

ture et coperta di testa: et non havendo soldo et essendo richiesti delle
spese, male cene possiamo discostare di non dare loro pane et vino: et
cognosciamo non satisfare tale quale siconverrebbe loro: Et a noi non
è piccola molestia ne pocha spesa: et tucto cum difficultà, ché si toglie
a credentia cum una nostra pocha reputatione. Nè sappiamo quanto ci
habbi a bastare ileredito: che, senon si mercolassi cum epso unpoco di
autorità, forse aquista hora sarebbe manchato. Et ne bisogna ancora
provedere alle genti ducali [milanesi] et loro cavalli, che vennono hier-
sera, a Gello, Frassineto, Corezo et Montefatucchio, di vietuarie, vino,
et biade, tucto cum grandissima difficultà et costo delle vieture et qual-
che perdita di prezo: che non ci è homo vi portasse una soma di pane.
Et hieri la S. di Messer Galeazo, perche non seguissi disordine, si tran-
sferi insino lassù per aloggiarli et vedere di tenerli contenti et sati-
sfatti il più si poteva. Tutte queste cose fanno disordine assai et pigliare
animo à queste fanterie et acapi loro inuncerto modo pigliarsi licentia
et essere excusati. Le S. V. possono pensare che effecto possino' par-
torire queste cose essendo qui alli confini denemici. Et benchè dilà et
di qua si stia insulla speranza dello accordo, che adio piaccia segua,
non resta però che, quando non venissi et in questo mezo soprastessi,
non possa nascere qualche sinistro: et similmente quando bene venissi
è dapensare come queste gente habbino arimanere satisfatte. Ecci parso,
non per presumptione, nè perche noi non existimiamo che V. S. habbino
| tucte queste considerationi, ma ascaricho et asatisfactione nostra dare
ad quelle tale notitia per non potere mai essere imputati di negli-
gentia et tardità .... Poiehe havemo seripto fino qui, è stato. da noi la
S.ria di Messer Galeazo et il S. Capitano et ricordatici e disordini, che
aleontinuo vegghono seguire, ne fanno fare judicio, o coniectura del
non farsi il provedimento, parendo loro che per noi medesimi ci vo-
gliamo àbandonare et essere causa della ruina nostra, mostrando non
poteranno simile caso riparare: ne li provedimenti fatti per la excel-
lentia del Duca dovere giovare: né le forze del Capitano potersi man-
tenere, né essere senza compagnia. Et ecci paruto il parlare loro sia
suto piutosto quodadmodo per via di protestatione et excusatione dogni
inconveniente che potessi seguire, et maxime del S. Capitano, mostrando
essere per stare tanto quanto stessino le compagnie che sono in levata ;
ma senza quelle non essere per comandare a monti et alli boschi; et,
poi che così volevono V. S., ritirarsi a Castello. Et ne richiedevono che
Tommaso [Tosinghi] di presente cavalcasssi fino costì ad V. S.: essi
differita la partita sua adomattina per vedere se in questo mezo venisse







413 G. NIOASI

provedimento aleuno: senon, domattina avanti giorno pigliarà (et adl

nostra et ad loro satisfactione) lavia per essere costi, che invero non cj
pare damandare la cosa più in lungha: et di boccha raguaglierà V, S.
inche termine si trovono le cose di quà: et quello sia: necesssario di
provvedere .... Et la tornata sua inqualunche modo senza alcuno re-
specto è necessaria cum presteza. Nec plura: ad V. S. ci raccomandiamo,
que bene valeant.

472. (B. VI. 130). Pieve Santo Stefano, 1499, Marzo 96.
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico Messer Corrado, voi sapete molto bene a la partita vostra
in quanto disasgio et disordine ce lassaste. circa li dinari, possete sti-
mare, dalora inqua, essere tanto magiormente acresciuta; perilche ce ren-

demo certissimi, sanza dubio alcuno, quando infra tre o quattro giorni

non sieno proveduti daltra provisione, questa compagnia tucta doverse
disolvsere, né noi soli semo sufficienti sostenere, non che vincere, lim-
presa, quale conoscemo omninamente essere vinta, se potemo mantenere
esse tucte fanterie, cosi li nostri come li altri, le quali dissolvendosi,
come sarà forza non li provedendo del debito loro, saremo etiam noi
nicissitati, con molta nostra displicentia, tornarcene a Castello. Et per-
tanto pregarete testi excelsi Signori, per lo utile et honore dessi et per -
il nostro insieme, sieno contenti fare tale provisione et matura che non
habbi a seguitare, con loro danno et nostra vergogna, simile inconve-
niente. Et se noi potessimo con questi faggi soli obtenere el desiderio
nostro in utile de quella excelsa Repubblica contro li adversarii, sa-
remmo disposti, sanza altra compagnia, portare omni extremo pericolo
et fatica in benefitio dessa; ma quando tanti homini valenti et fedeli
sieno astrecti pigliare altro ricapito, non so quando piü ce possiamo
servire de altanti. Qui si combatte lutile de quella Ciptà et con essa
lonore nostro ete. Ricordate a loro Signorie che noi faremo sempre el
debito nostro, ma, se per loro cagione se bisogni mancare, la colpa
sirà de loro Signorie et noi apresso de omni homo da bene saremo del
continuo scusati etc. i
Venirà per sollecitare la expeditione Thomaso Toxinghi, ve ne
damo adviso aciò siate con esso insieme per più celerità. Non altro.

FAMIGLIA VITELLI, ECC. 473
13. (Ep. III. 40). Pieve Santo Stefano, 1499, Marzo 29.

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice vir etc. Avemo una vostra, et circa l' andare vostro aboc-
Learvi con l'amico, non cie pare permectere, et non vi andate: ma,
quando ?andolfo (1) volesse mandare lì un suo, siremmo de parere che
voi atendeste a retrarre el più che possete, et dire comme da voi; ma
non tochate, nè mectete in nante per modo nisuno parentela alchuna;
et non venite a partichulari nisuno; anzi atendete, comme è decto, a
retrarre: et de tueto ne darete pieno adviso. Apresso: de l’ essere stato
voi cum li Signori Dieci, et de quanto avete facto, ne piacie assai:
atendete a solicitare cum omni dextrezza. Et, circa I' ubidientia (2), To-
masso Tosinghi ne à facto intendere vol ubidire. Vorria continuaste
et vedeste che ciarezza vogliono dare che egli ubidirà, senza venire a
domardare nisuna particularità de scrittura, quando non l’ abiate facto ;
et si l'avete facto, continuate; et farete intendere a Cerbone che To-
‘masso Tosinghi à portato la lista de li 1500 fanti nostri, che ci tro-
vamo qui et per queste fortezze, per rispecto de li 600 *ducati. Apresso
‘ve avisamo come, ieri nocte, se partirono 350, fino in 400, fanti da Bi-
biena, et non passaro questo numero, et de questo ne simo certi, per-
chè egli erano 600 et ne sonno rimasti circha duegento, et tucti sonno
de quelli del Duca [di Urbino]; et si li fanti, che stanno a Giello, aves-
sano facto el debito loro, chè a loro era ordinato le scolte apresso a
Bibiena et guardia a ciò non uscissano fora, ce siriano rimasti tucti.
Ma li tristi, chè non se può dire altrimenti, s'erano fichati in le case
et non sentirono quando costoro passaro; anzi se ne avedero, da poi a
uno pezo, a la pesta; ma li nemici erano tanto in nante che non li se
podde fare niente. Possete considerare quanto dispiacere ne avemo de
questa cosa; averci usato omni diligentia, et datoli tucti l’ ordini et
provisione bone, et in quelle li avemo sempre tenuti solecitati, et puoi
che quelli tristi a cui tocchano le scolte se siano portati si malissimo !
Le persone nostre non possono essere per tutto, chè questo non siria
Seguito! Messer Filippino del Fiescho se ne vol desperare, perchè lui

era stato messo lì a Giello, et a lui era stato dato el caricho de le

(1) Pandolfo Petrucci, signore di Siena, che per favorire Piero dei Medici, vo-

eva persuadere il Vitelli ad aiutarlo.
(2) I Fiorentini erano in trattative di rinnovare la condotta con il conte Ri-
Uccio da Marciano, ed il Vitelli, che aveva in passato esperimentata la riottosità di
Rinuccio ad obbedirgli, voleva ora assicurarsi in modo chiaro della sua obbedienza.





474 G. NICASI









scolte et guardie predette; et similmente tucte queste gente d' arme del
duca de Milano se ne danno afanno asai, che loro siano passati tra di
loro e non li sia stato facto motto de niente. Et [che] non l’ abino Sen-
tite li fanti nostri che erano a Monte Fatucchio et. Corezzo et Frage
neto, [6 avvenuto perché] tucti avevano commessione de tenire le scholte
dal canto verso Vergareto, a ciò a Bibiena non andasse renfrescha-
mento: niente di meno le scolte di questi nostri li scopersero, ma, per
essere loro montati in sul giogo de l' Alpe, non li poterono far niente,
Sicchè, per cagione de li fanti da Giello, non avemo possuto far niente.
et, se loro fevano el debito, noi li avamo in le mani tueti, et tuel
quelli segnati li remectevano in Bibiena: farite le seuse nostre. Sti.
mamo per questo [quelli di Bibbiena] averanno da vivere per el terzo
più, verbi gratia, se l’aveano per 20, et ora ne aranno per 15; pure ne

sforzarimo intendere el vero. Né altro per questa.
414. (Ep. III. 38). Pieve Santo Stefano, 1499, Marzo
Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.
*.

Magnifico messer Corrado. Commendatione ete. Vederete, per le in-
tro eluse da Messer Francesco Feriani (1) quello ce serive a noi et Mes-
ser Julio [Vitelli] cirea la expeditione del veseovado. Ce pareria fusse
da usare omni arte et diligentia, con quanta prestezza sia possibile, che
se trovasse in Roma, come scrive esso Messer Francesco, una promessa
di banco de ducati 3000, li quali venendo, pel primo concistorio se ex-
pedirebbe. Dubitiamo, se le cose vanno in lungo, non perdiamo tanta
occasione; et, per tanto, ve preghiamo operiate, con omni modo et via
ve pare commodo, se trovi dieta promessa, che sia là innanzi le feste:
ché, se passano, portaremo pericolo e grande. Voi sete prudente et lo
amate; usate la industria vostra fori de l'ordinario che noi siamo de
questa promessa avisati, comme s'é dicto, avanti le feste; come vede-
rite pi a pieno per la leetera de dicto messer Francesco; questa solo

per dimostrarvi la intenetione et voluntà nostra. Niente d'altro.

(1) Francesco Feriani, che fu già mandato nel 1496 dai Tifernati ambasciatore
a Firenze, per notificare a quella Signoria la morte di Camillo Vitelli, era ora inca
ricato da Paolo Vitelli di adoperarsi in Roma per ottenere l’ elezione a Vescovo di
Città di Castello per Giulio Vitelli, protonotaro apostolico.





[2

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 47



(Ep. III. 66). Castagneta (Casentinno), 1499, Aprile 2.
Giovanni Maria della Rovere a Paolo Vitelli.

Ill.mo Signore, post recomendationem ete. Questi soldati son
tueti de malla vollia; non ànno pane, vino, né biadua et ànno li ca-
valli sferrati per modo che, bisognanduo, non potrebbino cavalcare :
jeri si speduó quattro cavalli de la compania. Faccio scussa con V. S.
Ill.ma que la non mi habia d'apuntare se non cavalcheai, perché tutti
sono stati avanti de noi a fareme intendare lo bisogno suo: li raco-
mando a V. S. Ill.ma; li faecia fare lo boletino per uno poco de

grano.
B6. (B. VI. 93). Pieve Santo Stefano, 1499, Aprile 3.
Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico messer Corrado. Noi habbiamo inteso quanto ci ha espo-
sto labate (Basilio) circa a pigliare l'impresa de Bibbiena et ancore
habbiamo considerato quanto vivamente per la vostra a simile opera
ce astrignete; et di ciò ne habbiamo preso sommo piacere, perchè sem-
pre semo stati desiderosi a satisfare di questo residuo et di magior cose
a cotesti Excelsi Signori, a li quali confidentemente farete intendere
che, a loro posta, pigliaremo tal cura, et che meglio che noi ce rinco-
ramo a obtenerla, quando da le loro Signorie ce saranno date ragio-
nevolmente le forze.

Circa el tentare di aquistarla per scalamento et altri modi a le
loro Signorie suti porti, ce rimettemo al iuditio et parere di Messer Ga-
leazzo et del Signor Commissario, li quali heri videno et consultorono
el tutto. Tuttavolta le loro Signorie considereranno bene et noi non
semo per mancare a nissuna cosa che habbi ad venire in augumento
et gloria de cotesta Repubblica, li quali giudichiamo che a nissuno
modo possa seguire tale effecto (sic).

Desideremo intendere quanto ragionevolmente haranno operato li
Signori cittadini circa la pratica mostrate havere così stretta con loro,
la quale con omni diligentia sollecitarete, perchè la stimiamo assai; et
ritratto havarete el constructo datene adviso.

Parlerete largamente a cotesti Excelsi Signori che, se per tucto
Sabato o domenica non mandano provisione, che tucto questo campo se
resolverà; et che noi non siamo; soli, per potere resistere a tanto exer-

cito; et che le loro Signorie non voglino restare de pensare che an-

atl







476 G. NICASI

cora potrebbe non così presto conseguire acordo; et che noi non hab.
biamo voluto mancare el pagare el debito [col] fare intendere il tutto
a le loro Signorie, perchè, quando tale trasordine habbi a seguire, non
vogliamo che ragionevolmente se possa imputare a nui.

Potrebbono mandare la provisione et, se pure seguirà, che la de-
sideramo, non spendere più che se li paresse: ma, quando altrimenti
andasse, che sieno a tempo et apti a contentare lo exercito, per essere
a tempo et apti a responderli in omni luogho.

Sopratueto di ciò fateli aperto et chiaro intendere; et che costoro
[le milizie] non aspectarebbono più un ora, a benchè ne sieno man-
ea[n]ti; et che, habandonando questi lochi, non se fa dubbio che li
nimici in doi giorni sariano per occupare assai: le quali cose ce dor-
ranno, quando così malamente s’ avessono a lassare malcapitare.

Messer Galeazzo, et li Commissari qui, ancora loro di tutto danno
copiosi advisi et fanno fede come noi ce ritroviamo mille cinquecento
fanti, che ne havamo conducti da mille seicento a dinari ; sonsene par-
titi quanti haveto inteso, oltre quelli havavamo ordinati per la gior-
nata pensavamo potesse accadere, che stimavamo potessino essere da |
duemila ducento o più. Sichè tutto farete intendere a le loro Signorie

et che li 600 ducati non sono arrivati a mezzo ducato per uno: sichè

pensate come li poveri fanti a piè se ritrovano contenti. Di tucto portò
Tommaso Tosinghi notula a le loro Signorie.
o eo

477. (Ep. III. 50). Pieve Santo Stefano, 1499, Aprile 7.
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice vir etc. Questa solo che, per l'amor de dio, solecitate
li denari, perché ci trovamo senza uno quatrino, et havemo impegnato
l’argenteria nostra tucta ; sichè solicitate quanto porrete; nè altro per :
questa.

418. (Ep. III. 48). Pieve Santo Stefano, 1499, Aprile 8.

Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice eques tamquam frater, Commendatione etc. Ho inteso |
quanto novamente me ha referito Cornelio (1), per parte de la Magni- -

(1) Cornelio Galanti, che era il rappresentante del Vitelli alla corte di Francia, 1
era in quei giorni tornato in patria e, nel passare da Firenze, aveva ricevuto dal
Tarlatini le notizie qui riportate.






din tint:





LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 477

fieentia vostra, cirea l' acordo fra testi nostri Signori et li Signori vi-
nitiani. Et dice che il medesimo retracto se fa per .mezo de Messer
Crobulo (?) et questi signori Commissari fiorentini, i quali hanno che
omni giorno passato i Signori vinitiani se fanno avanti, et dimandano
omni hora cose nove, et de natura che si stima testi Signori non se
n’habino a contentare, et per questo anno sono in opinione ferma non
segua acordo alcuno, et sono in opinione de seguro la guerra vada
avanti. Pertanto farete intendere quello, che più volte ne ho scripto
a cotesti nostri potenti Signori et rechiesto ne le extreme et ultime
necessità cie trovamo del denaro: et come tucete le fanterie se vanno
cum dio; et nisuno se ne pó piü cum parolle; et li castelli tucti de
qua restano soli: el ehe quanto sia al bisogno lo lasseró iudicare a
testi nostri Signori. Siria facil cosa, non se provedendo, che li nimici
se buttassero drento in qualcuno de dicti castelli; che siria di poi
opra difieile a cavarli ; et, non se provedendo fra uno o due giorni,
ve dico resolutamente che tucti i luochi resteranno soli, chè i fanti
senza denari, bisognandoce comprare fino el sole, non possono stare,
et in tucti questi castelli non resta altro che le muraglie. Et al pre-
sente, provedendo ad queste fanterie, se farà con molto più vantagio
et mancho denari, non si farà di poi che saranno andati cum dio, chè,
omni volta se saranno risoluti, li bisognarà un tesoro per fare nova
conducta. Remostrarete tucto a li prefati Signori nostri, et redirete che,
se la guerra ha andare avanti, el bisogno loro è non lassare resolvere

dicte fanterie ; et volendo provedere, si



à de bisogno fare le provisioni,
al più lungo, fra due dì. El caso, come ho decto, cie pare importan-
tissimo sia. Et a potenti Signori nostri redirete stieno de bono animo
che, si vorranno resentirse et fare quella gagliarda et oportuna provi-
sione bisognano, non hanno da dubitare de le cose de qua, et Bibiena,
provedendo, o per assedio o per expugnatione, sbrigare. Et se potaria
finire l' impresa come le Signorie loro vorriano; et expedite le cose de
qua, che ne siria per pochissimi giorni, se potaria tornare a la volta
de Pisa, et, quello non s’ è possuto fare con amore et gratia, se faria
con la forza. Circa el caso nostro le direte che sieno contenti recogno-
scere la fede et nostra bona servitù, et tractarci in modo che cogno-
sciamo che la pura nostra fede et servitù re sia grata. Ne trovamo
anche noi in ultima necessità de denari; gli. argenti nostri tueti sono
andati via, et habiamo pegno la vita: fate omni opera habiamo el da-
naro et servito nostro, chè semo a termine che più non possiamo
durare.

Vedendo la Magnificentia vostra che la guerra sia pure per an-

dare avanti, farete provisione a le armi ve ho altre volte seripto, et









Jc cues AS - G. NICASI

farete habia de le lancie et chiavarine da lanciare, et, bisognando, ne
reciverete per la via di Pistoia. Non altro. Ad voi me racomando,

419. (Ep. III. 34). e (1) 1499, Aprile,

Paulus Vitellius. Magnifico equiti d.no Corrado Tarlatinis de Castello
| nobis carissimo.

: Magnifico Messer Corrado. Havemo inteso quanto copiosamente
con Cerbone havete parlato et a Piero Guicciardini et a l' Oficio: e’ è
piaciuto assai et però non damo de ciò altra risposta ete. Circa la
commessione che dite di Messer Galeazzo de lo augumento nostro, ve
confortamo et ricordamo vogliate governarlo secreto et con prudentia,
nè fidarvi de molte persone; solum con uno o doi li quali siate certi
essere nostri amici. Perchè, contentandosi noi più de esser solo obli-
gati a li Signori Firentini che a doi, non vorremmo a nissuno modo
venisse a li orecchi del Signor Duca [di Milano] fuggissimo et rifutas-

simo stare a li servitii soi. Semo bene contenti, quando sua Eccellentia
| volesse contribuire a qualche augumento, senza obbligo nostro o di
nissuno di noi particulare, più assai che con lo obligo: et però ope-
. rate de governare tale cosa in modo che non restamo in alcuna parte
manco disposte verso Sua Eccellenza che volemo essere tenuti. Segui-
terete adonque lo augumento nostro con li Signori Fiorentini, come è
dicto, se si pó, senza obligo aleuno altro; ma vedete che non ne se-
gua inconveniente, con destrezza et modo secreto et con demostratione
sempre con Messer Galeazzo che noi semo dispostissimi verso la Ec-
cellentia del Duca etc. Et pareria ancora che dovesse tractare mò la
expeditione de lo augumento. inseme con le altre cose; perchè non
manco stimamo la risolutione de ciò, che facciamo omni altro apresso:
più facilmente et presto se li darà conclusione, sendo lì presente Mes-
ser Galeazzo, che de po’ la partita sua. Et per tanto non aspettate tempo.
alcuno, ma con omni maturità et consiglio cercate la expeditione sì
de lo augmento, come é dieto, come ancora de omni altra commissione

| vostra, ché cosi & la intentione et volontà di noi, ete.
Li panni di Messer Iulio [Vitelli] se possono mandare da Firenze,

UE (1): Questa lettera non é firmata, né datata; ma evidentemente é di Paolo Vitelli,.
.il quale la deve avere scritta circa l' 8 o il 9 di aprile 1499, perché in data 11 aprile |
ne scrisse un altra allo stesso Tarlatini, precisando che voleva per aumento della
«condotta 150 uomini d'arme (vedi D. 480).





LÀ FAMIGLIA VITELLI, ECC. 479



pb scrivere a Messer Francesco [Feriani] a Roma provéda da là altre
cose, cioè : il rocchetto et el cappello.
La posta all’ Incisa è commessa, et lo staffieri. per il Signor Vi-
tellozzo

Ringratiarete Messer Galeazzo a nostro nome de omni opera sua.

480. (Ep. III. 56). Pieve Santo Stefano, 1499, Aprile 11.
Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Messer Corado. Le virtù de Mastro Dimitrio ce astringono a rico-
mandarlo de core a cotesti excelsi Signori, che lo voglino in omni
cosa averlo per ricomandato ; et sopra tucto farlo partire, quando non
volessino rifermarlo, del che li confortaremo. Come il solito, noi fa-
cemo fede lui essere valentissimo homo, et ha tenuto sempre la sua
conducta in effecto; operarete che el sia pagato de boni facti et de
optima remuneratione, et non altrimenti che per la persona nostra
propria : la condotta sua è stata cavalli 35.

Restandoci scrivere per l’altra nostra lo augumento, ce pare ragio-
]

Dieci, poterete confidentemente mostrare a le loro Signorie che, avendo

nevolmente se possi adomandar per la persona nostra a Signori
dato al conte Rinuccio [da Marciano] 250 homini d’arme, che, a noi
ché siamo capitano, pare honesto meritare più conditione che non ce
ritrovamo al presente, et maxime havendo in decta condocta Vitellozo.
Adomanderite de crescimento, a quello ce ritrovamo al presente, 100 ho-
mini d'arme per possere vinire a la summa de 400 almancho ;. cum
mostrandoli che le virtù et opere et bona experientia de Vitellozzo non
meritaribbono mancho conditione che se habbi el conte, ma più. E
molto ben noto a le loro Signorie et a tutti li potentati quanto vale
la persona di Vitellozo, oltre a perfettissimo governo ha de omni cosa ;
et, quando le loro Signorie non ne fossero capaci, da mó disbrighino
Vitellozo de quanto li 6 obligato et in breve divederanno dicto Vitel-
lozo da altro, cum 150 et ancho 200 homini d'arme. Tucta volta noi ce
contenteremo che, per bene de le loro Signorie, esse a nissun patto lo
lassassero expichare da le loro Signorie, perchè sapemo quante vale.

Intendarite da li Signori Dieci se questi castelli, da sabato in là,
Se hanno a lassare senza guardia per insino a San Marcho ; et volen-
doli guardare, domanderete in che modo et per chi; et che general-
mente in tueti li lochi non sonno se non li muri. Non ce’ è stato pic-
cola briga avere mantenuto guardato per insino tucto Sabato el paese;
tutta volta idio et messer Galeazzo sa quanto havemo operato; et del

tueto subito daritene aviso. Nec alia.



uti



480 : CR NICASI

481. (D. Imi. LXV. 56). 1499, Aprile 1
Commissartis, tam his qui sunt ad Plebem, quam his qui sunt ad p,
tem Here, eiuedem excempli.

Mag.ci ete. Per altra nostra vi habbiamo dato notitia dello a
cordo facto et delle conditioni di epso .... habbiamo deliberato ap
presso .... che, essendo nelle conditioni che dopo VIII dì si debba su
spendere le offese et cessare dalle arme, ci pare da prevenire questi.
pochi giorni. Et però voliamo che facciate intendere alli inimici et
maxime a Proveditori Veneziani che sono ad Castel d’Elci et in Bi-
biena, come l'animo nostro 6 de servare tali conditioni; et a questo
effecto habiamo deliberato di cessare dalle arme, quando anchor longi
dal canto suo voglino essere nel medesimo proposito: et secondo eh
ritrarrete essere di loro intentione, così procederete nel sospendere le.
arme, o non: et di più al Proveditore che è in Bibiena offerirete tueti

quelli commodi che fussino possibili per noi, ingegnandovi con grat
parole mostrare verso la S. Ill.ma S.ria buona dispositione in nome di

questa Città: ....
482. (Ep. III. 49) Pieve Santo Stefano, 1499, Aprile 13, III noet i

Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.
(Sotto l' indirizzo, tra parentesi, è scritto: « Il Duca di Milano so- |
lepcita l' impresa de Pisa »).

Magnifico Messer Corado. Desideramo la expeditione del Vesco
vado (1) per avere a pensare a quello di mancho ; et piaceci la como- |
dità avete trovata del denaro, che veramente semo obligatissimi a Giu--
liano (2) nostro; a lo quale, si dio ce presta vita, satisfaremo a con
solatione de sua Magnificentia, a la quale, omni volta lo vedarete, cel
offerirete. |

Noi ce contentamo de le stanze per le genti d'arme in quell
d'Arezzo et ne li altri luoghi, secondo per altra ne havemo scripto
ma bisogna che tutto sia cum prestezza, perchè, così, non è possibil

(1) Intendi: la elezione a vescovo di Città di Castello di Giulio Vitelli.

(2) Giuliano Gondi che, anche questa volta, come molte altre, avea prestati
al Vitelli i 3000 ducati occorrenti per la elezione a vescovo di Giulio Vitelli. I
Gondi era creditore verso i Vitelli di XVI mila ducati (vedi lettera Tarlatini
marzo 1499). î 1

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC.

pina stare; et sforzatevi venga uno giovine commissario, acto a prov-

vedere decte stanze et presto.

Messer Galeazzo [Visconti] desidera la venuta costi, et non po'
indutiare; et semo certi opererà omni cosa in benefitio nostro.

Le parolle amorevoli che havete fatto cum Bernardo [Nasi] molto
(ce piace; parci che teniate el medesimo modo cum Lucha [degli AI-
bizi], facendoli intendere noi essere sempre bene disposti in verso sua
Magnificentia: sono tempi da nun ce rompare, ma cum prudentia go-
vernarci, si comme fate; ristringendoci nelle cose nostre, però, cum
chi sapete posserle confidare. Si el numero [de] li amici moltiplicare,
si come scrivete, certamente ce doverà giovare: confortamvi a non de-
sistere, ma eum omni importunità atendervi (1).

De li pagamenti da oro a grossi, et de li 4000 ducati, raffermiamo
quanto per altra nostra avete inteso.

El mostrare star suspeso cum qualcheduno, circha a lo dubitare
che noi non saremo satisfatti, nè recognosciuti, per adventura aiutarà.

Alogiato sarà le genti d'arme, andaremo a Castello et ivi consul-
taremo li casi nostri.

Se cotesto excelso populo non vincerà le provisioni necessarie,
mostraranno non volere fare li fatti suoi, et a noi et ali altri daranno
pocha consolatione; et senza non si po' stare.

Si le eose de Francia anderanno avanti, daranno bona condizione
a li casi nostri ; et di ció tenitece [informati]; avisateci de quanto in-
tendete per omni cavalcata, et avertite che lo imbasciatore de Milano
spaccia a le volte la cavalcata senza a li Signori Dieci; teniteci, per
una et per l’altra via, omni giorno avisati, che non ci possete fare el
maiure apiacere.

Ringratierete Iacopo [Nerli] et Alfonso [Strozzi] de le offerte amo-
revoli Anno fatto; et offeritece a loro Magnificentie; et che siamo pa-
rati a farli omni apiacere.

Ritraendo da Ser Antonio Secretario cose de momento a li casi
nostri [avisatece]. Sirace a piacere intendere essere scripto a Messer
Giulio [Vitelli] al bisogno in benefitio de Alovigi [della Stufa ?].

Se li ill.mi Signori excelsi Dieci s'aeordano abiamo ragione, pre-

(1) I Fiorentini cominciavano ad alienarsi dal Duca di Milano, che li aveva
poco tutelati nelle trattative di pace che si facevano a Ferrara, e per cio in Firenze
cominciavano ad avere la prevalenza gli amici dei Francesi, i quali amavano il Vi-
telli perché, essendo egli stato lungamente al sollo della Francia, lo ritenevano
‘fautore di Luigi XII. Ecco perché in quei giorni erano cresciuti di numero gli amici
del Vitelli, :

31











ghariteli cum Gone maniera ce la voglino mostrare cum bono | effecto,
Et per ciò solicitate, per l'amor de dio, el denaro, perchè, come infi
nite volte ve havemo scripto, ce trovamo senza uno soldo. Confortarite
cotesti Signori a sequire de li casi de Pisa quanto ne scrive la excel
lentia del ducha de Milano.

Partirassi da noi qualche homo da bene, et per mandarli conso
lati, et per satisfare al debito nostro, ve indirizeremo qualche politia.
acciò li faciate dare tanto panno, quanto in esse se contiranno.

| Starete atento, se in Pisa se averà a tenire guardia, chè noi ne i
siamo li primi richiesti, a cagione che noi possiamo dare recapiti al
molti homini da bene, che al presente si trovano cum noi. Non altro,

483. (Ep. III. 52). Pieve Santo Stefano, 1499, Aprile 16. IV noctis
Paolo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Messer Corado, el ci sirà caro intendare a che termine [semo] cum
cotesti Signori de li conti nostri, li quali cum omni instantia solicita.
rete, avanti la venuta di Messer Galeazzo [Visconti], acciò che, insieme
cum lui, poasiate atendare a li casi magiori. Lo medesimo ve dicemo

- che solicitate le stanze per le genti d'arme, perchè così non se possono :
tenire; chè non se tenghono cum li sassi, li quali sono rimasti soli in
questo paese. 4

Et c'é stato singularissimo [piacere] la provisione avete mandata
in corte (1); terete Ser Francesco [Friani] cum le vostre avertito et so
licitato circha a ciò. Che, se de le cose publice, intra li Signori Vini.
tiani et cotesti nostri, avete [notizie] de momento, significatecelo. Non

altro.

Post scriptum: Noi vi facemo intendere come ce trovamo cum.
pocha contentezza de essarce mancato al tutto omni provisione del de-
naro; et dolce per più capi, eo maxime rispecto a l’onore de cotesta.
excelsa Signoria, che se abia a sapere, per omni minimo fante a piei,

che el loro Capitano in tal maniera sia tractato; sono cose de gran:
dissimo momento et fanno caschare li bracci a tucti li huomini da bene, 3
che, richiedendoce, non li possiamo servire de doi carlini per homo, |
che è contro a la consuetudine nostra; et più che, a li bisogni nostr
cotidiani, non possemo satisfare alla dignità ne hanno dato le loro S

(1) Si parla evidentemente dei 3000 ducati, prestati dal Gondi e mandati dal
Tarlatini alla corte papale, dove ser Francesco Feriani doveva sollecitare l'eleziolg
. & vescovo x: già Vitelli.



LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 483

morie. Arissimo creso che, per la bona amicitia avemo sempre tenuta
cum quelle, anche quando non fussimo mai stato suo capitano, che a
| bisogni nostri non ce avessino manchato. In somma, messer Corado
arissimo nostro, considerate bene al tucto, et alla ricisa mandatece |

tro che parolle, perché ve notifieamo, cosi, non essere piü possibile
possere stare. Voi sietefprudentissimo, nec alia.

184. (Ep. III. 68). Pieve Santo Stefano, 1499, Aprile 17.

Paolo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifico messer Currado, venendo el presente messo a Firenze,
«non havemo voluto vengha sanza le nostre, et maxime per la crudeltà
che ce pare ricevere a stare senza stanze, chè non trovamo più nè
‘strami, nè sarmenti, nè cosa alcuna per li cavalli, se non li damo- saxi
‘o terra. Et pertanto non cessate de solicitare queste stantie, chè, quando
cavalli siano scorticati, a loro Signorie non sirà utile alcuno, nè se
ne potranno valere. Parmi horamai cosa disonesta disfare questa com-
agnia senza alcuna utilità; et però fate omni opera, omni instantia
che le deliberino: non possemo più recordarvelo: siate importuno et
"peggio. Non altro. È

85. (Ep. III. 59). Pieve Santo Stefano, 1499, Aprile 19, III noctis.

Paulo e Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice vir ete. Avemo riceuta una vostra, per la quale si è fatto
tendare che lì [in Firenze] è nova che nui avemo mandato I Abate
Basilio [Nardi], cum una grossa scorta, a trarre Giugliano de Medici
da Bibiena. A questa parte dicemo che li proveditori Venetiani et el
Conte de Pitigliano mandarrono a li signori Comissari et a Messer Ga-
leazzo [Visconti] che, non ostante che ne la triegua [se] contenise che
oro potessaro andare et retornare seguri, pregavano lor Signorie che
lassassero passare detto Giugliano. Et consultando loro questa cosa, se
resolvirrono per non dare alteratione a li capitoli: et ació li huomini -
del paese non si levassero contro di lui, mandaro el prefato Abate per
0; et essendo noi da la Signoria de li Comissari et de Messer Ga-

è ditto, per ordine de li Signori Comissari et





484 G. NICASI

messer Galeazzo (1). A la parte de le vietuarie: medesimamente fug
rono rechiesti li prefati Comissari et messer Galeazzo, da li proveditori
et Conte antedetto, di volere comandare victuarie in Bibiena, se reso]
viero lassarli andare queste vinti some; et sonno andate, benchè m
ne volessaro mandare maior somma, a la quale noi non acconsentissimo
Siché voi avete inteso.

Avisatice, a di per di, tutte le occurrentie, et solicitate le stantie
et li denari ... El verà là Cola Marcho Bertolino de Sarzana, Bensan-
tio (?) et Benedetto Albanese con molte lectere; siate cum Cerbone et
fate sieno ben serviti et spacciati subito, et che li sia facto bon viso,
con bona gratia, ació che loro et li altri huomini da bene, et faciendo
altro, abino cagione venirce a ritrovare. Et questo ve pregamo, come
nui il faciamo volentieri, vui ancora siate contenti spacciarli subito. Nè |
altro per questa.

486. (B. VI. 100). Città di Castello, 1499, Aprile 25,

Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice vir et amice carissime. Commendationem etc. Per una
vostra directa a Misser Iulio [Vitelli], de 23 del presente, ho inteso voi
dubitare testi Signori non faccino qualche difficultà da oro et grossi
Vi dicemo che, quando la faccino, non cediate a niente per nisuna cosa _
del mondo, non havendo da noi altro [avviso]. Circa la contributione
de Milano a li soldi nostri, per misser Galeazo intenderite circa ciò.
quanto habbiamo ragionato; et havemo concluso per questo anno non
separarci d’asieme (2). 1

Ringratiamovi de li advisi datoci: confortamovi a tenerci bene advi
sati de quanto per di là se intende. 1

A presso ve dicemo: si non sollicitate el denaro nostro, semo a lo
spidale et disfacti; et la Compagnia per grandissima necessità è malis
simo disposta, et noi per non la perdere ci ataccaremmo a rasorj, 8
eredemmo ci giovassi, et daremmosi al diavolo, et faremmo omni cosa.
per mantenerla et non la perdere. Si che in questo usarite extrema
diligentia a recavare dinari et in bona summa, quanto piü presto pos-

(1) E interessante questa versione data dal Vitelli all’ episodio dell’ uscita d
Giuliano dei Medici da Bibbiena, perché è in opposizione manifesta con quanto
narra il Guicciardini, il quale scrive Giuliano suddetto essere uscito da Bibbien
sotto la fidanza del salvocondotto accordato da Paolo Vitelli al Duca di Urbino.

(2) Intendi che i due Vitelli, cioé Paolo e Vitellozzo, avevano stabilito di re 1
stare ambedue uniti in una medesima condotta.

LA FAMIGLIA VITELLI, ECC. 485

gete; et operarite cum presteza habbiamo le stantie, perchè non si
ova in nisuno logo più uno filo di strame, et li cavalli tutti patono,
stanno cum grandissimo disdagio.
Ulterius metterite una posta a l'Ancisa, come simo remasi cum
Messer Galeazo; et non vi maravigliate se le poste non sono corse
sino in qui, perché havemo dubitato la posta de l’ Ancisa non sia
‘anche messa; et quando la habbiate messa, non resta non habbiamo
"havuta questa suspectione: et per questo non si è remaso, et havemo
"ordinato a la posta de Levane vada in modo se possa condurre a Fi-
‘renze. Et quando voi scrivete per poste, fate in so la coperta de la let-
tera uno vitello, acciò che questi che stanno a le poste cognoschino
sieno nostre lettere, ad ciò qualche volta non fussaro mandati cum altre
lettere de altri. Nui havemo messe le poste in questi luoghi, cioè: a le
‘Tavernelle, Taviano de Ser Asino et Scanna de Castello; a Quarata,
Giulio da la guardia et lo alevo de Dionigi Capucci; al Pont'a Levane,
| Barboglia del Corso et Barone Schiavone.
E "Ulterius vederite, per la inclusa del Capitanio, quanto scrive circa
Da provisione da farsi per li 600 ducati, per la restitutione de li 400
ducati ha pagati Monsignore Ursino per nui, et il resto per lo spaccia-
" mento de le bolle et anche per li panni, capelli, rochetti per Messer
"Tulio. Confortamovi et pregamovi a la expeditione quanto piü presto
possete, acciò per questo poco non resti mandarsi a secutione el desi-
- derio nostro. Né altro per questa.
| Post scripta. Possendo noi essere serviti di credito di panno pa-
»vonazzo molato, et pavonazo per lo mantello, et di doi capelli, et doi
rochetti, se havaria a fare provisione a tanto mancho dinaro: quando
non si trovi, bisogna non manchi di trovare detta somma, et di fare
omni diligentia si trovino presto; si che di tutto ci darete adviso.

487. (B. VI. 105). Città di Castello, 1499, Aprile 28.
Vitellozzo Vitelli a Corrado Tarlatini.

Magnifice vir ete. Per un altra nostra vi havemo scripto vediate
si noi possemo essere serviti de uno mantello episcopale per Misser Iulio:
hora, per questa, ci semo risoluti furnirci lì de tucto el bisogno de Messer
È: ulio, per havere a fare tanto mancho provisione circa el denaro se ha

mandare a Roma, che sono ducati 600; che, quando noi possiamo essere
Serviti lì de le infrascripte robbe, se haverieno a sbattere, de li 600
ducati, la montanza di dette robbe: Et a questo ci risolvemo perchè
redemo più facilmente si trovarà credito di dette robbe che non si

G. NICASI

trovarà el denaro. Le robbe sono necessarie per Messer Iulio song.
queste, cioè: una coppa episcopale di panovazzo molato, con la coda
« grande, col capuccio foderato di tafetà cremusi, ad uso sono le cappe
episcopali; doi cap[p]elli episcopali, cum una borsa da reponerli dentro

doi rochetti di tela di ronsa; panno per due guarnacce, una di pavo.

nazo violato, l' altra di pavonazo rose secche; uno mantello di pavo

nazo molato, cum uno capuccio da portare in spalla, da prelati, eiusdem.
coloris, foderato el capuccio di tafetà cremisi; uno pontificale in forma.
a la moderna, quale è uno libro, apartenente ad vescovi, dimandato
pontificale; uno fenimento da mula, cioè per false redine et testiera,
bello et orato. Et tucte le predette cose vorremo ci le mandasti cum.
quanta più celerità possete. Et anche ve ricordamo la provisione de li
- 600 ducati per Roma, tractane la montanza de le sopra dette robbe, ad
ciò la expeditione de le bolle non resti pendente. Nec alia.

(Continua). | G. NICASI.

L'ACCADEMIA DEI «RINVIGORITI» DI FOLIGNO -

E L' OTTAVA EDIZIONE DEL « QUADRIREGIO »

(Continuaz. v. Vol. XVII, fasc. I)

Seguito dell’ Appendice I.
(3.

Serivo col piede alla staffa per portarmi ad Annifo.
a godere quattro giorni sereni fuori di tante noiose oc-
cupazioni, che in questi ultimi momenti mi chiudono il
fiato e quasi mi levano il respiro.

Non è stato possibile di trovar vetturale per Fa-
briano, onde lascio i libri al sig. Boccolini, che li spe-
dirà con le sue annotazioni.

Mi lusingo dalla sua ultima compitissima che V. P. à
Rev.ma si vada disponendo a stampar separata la sua

| dissertazione, che sarà sempre l’unico modo da scio-

. gliere il nodo delle consapute pendenze.

: Non ho avuto tempo da riconoscere il libro d'Ivone

È Carnotense; ne lascio l’incombenza al sig. Boccolini.

Scrissi con altra mia qualche cosa d'Ugolino Trinci,

i della Rosa d’oro e dell’ infeudazione di Nocera. Mi porto
il Dorio in Amnifo, di dove li scriverò qualche cosa più
particolare.

Io scrissi a V. P. Rev.ma che averei fatto venire
da Amsterdam il libro maneante del Vossio; ma perché

in quel tempo si erano date le commissioni per Sini-





E. FILIPPINI

gaglia, stimò bene il mercante d’aspettare le commis.
sioni per Recanati, che si danno di Settembre pros.
simo. Se i sig.ri Volpi assicurano V. P. Rev.ma di pro-
vederle il libro, io sospenderó di farne dare altra com.

missione in Olanda, altrimenti si scriverà ad ogni cenno:

ne attendo un preciso motivo. E il sig. Boccolini si pro-
testa che, per qualunque canale venga il libro, esso ne
impronterà subito la valuta del prezzo.

In queste angustie non mi da l’animo di rincon-
trare il passo in Macrobio o in Pietro Crinito.

Intanto con tutta fretta mi confermo con umilissima.
riverenza ecc.

Foligno, 6 Agosto 1723.

14.

Rompo finalmente il silenzio di quasi due mesi con
speranza d'incontrare a questa mia eontumacia un be-
nigno ecompatimento appresso V. P. Rev.ma, come viva-
mente la supplico a riflesso delle mie infelici distrazioni. -
Mi portai alla villeggiatura per godere quattro giorni
di pace nell'animo e nel corpo, e pure (o quanto sono
diversi i giudici di Dio da que’ degli uomini!) non ho
avuti forse i più travagliati in mia vita. Dopo diversi
acciacchi di salute per me e per qualcuno de’ miei fi-
gli, superati felicemente, sopraggiunse lo spaventoso
accidente della caduta del Priore mio fratello, che
dopo trentacinque giorni di spinosissima infermità con-
dotta sempre con batticuore tra speranza e timore si
trova oggi più che mai in pericolo di perder la vita
per una rilassazione o scioglimento di corpo soprag-
giuntogli con somma apprensione del medico e del
chirurgo e con infinita mia agitazione e per l'impegno
d'assistergli quasi continuamente e per le conseguenze
che apprendo di grande alterazione al sistema della
mia casa: Fiat, Domine, voluntas tua, fiat, fiat. Si degni
V. P. Rev.ma aiutarci colle orazioni sue e di cotesti —

suoi ottimi religiosi.

L'ACCADEMIA DPI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

Ricevei l'altra sera l'involto col primo tomo
lelle opere del Tasso e eol libro del P. Orlandi, che
a non ho né tempo, né genio da leggere, onde non
fosso che ringraziarla, rimettendo ad uno stato di mag-
r calma la risoluzione di prendere o non prendere

.M'insinuó, sono molti giorni, il sig. Boccolini il de-
siderio di V. P. Rev.ma di vedere la mia annotazione
intorno a Trincia Trinci nominato nel Quadriregio e
alle lettere di S. Catterina da Siena e annotazioni di
I neste da parte del P. Burlamacchi. Eccole quanto io
ho disteso malamente colle notizie che eavai anche dalle
pnotazioni del Burlamacchi in occasione che mi venne
ina volta quel libro alle mani. Se V. P. Rev.ma vuol
degnarsi fargli qualche correzione, mi farà un favore
grandissimo e mi darà anche lume di venir correggendo
le altre.

To ho pronte finite tutte le annotazioni e in buona
parte copiate; se non potrò io, le finirò di far copiare
la altri e ne farò capitare in sue mani una seconda
copia per l'emenda ; ma intanto bisognando si potranno
dare alla revisione colle annotazioni del sig. Boccolini
e colla disertazione di V. P. Rev.ma, coll’ intelligenza
del P. Vicario del S. Officio di poter levare poi ciò che
mi verrà corretto da V. P. Rev.ma.

d sig. Boccolini mi ha communicata l’ultima di

P. Rev.ma dalla quale vedo il turbamento che le ha
portato la lettera del sig. Boccolini e l’altra di mons. Bat-

elli e ne è in somma pena lo stesso sig. Boccolini.
Questo povero galantuomo merita veramente tutto il
fompatimento, perché tutto il giorno e con piü libertà
l'ogni altro è bersagliato dallo stampatore, dagli asso-
"ati, dagli Accademici e da tutti e molto più dopo il
itorno che ha fatto qua da Venezia il P. Artegiani per
ndare a Roma a prendere il magistero, che dice che
n Venezia non potea vivere per le importune richieste

e gli faeevano quei virtuosi della pubblicazione di
uest'opera. Quel che io posso dire in questi frangenti

E. FILIPPINI

in tempo che non ho nè capo nè forza nè genio
molto fissarmici, è che comunemente andiamo soffrendo
questi spinosi accidenti e che d'accordo colia possibi
sollecitudine procuriamo d’uscire da questo lavoro.

Accidentalmente ho avvertito nelle opere del Tag
trasmessomi che il libro è dedicato al Principe Eugenio
inferiore al Duca di Modena e la prefazione è dedica
al cardinale Bentivogli eguale al cardinale Orsini. Esem. i
pio che potea movere l’amico a non far tanto casg
delle nostre risoluzioni.

Non mi diffondo di vantaggio dovendo assistere ad
alcune operazioni che devono farsi a mio fratello, onde
col solito umilissimo ossequio mi confermo eec.

Foligno, 4 Ottobre 1723.

Per non moltipliear lettere mi riverisca il P.
Matteo Mastri e gli dica ehe ho consegnata la scatola
alli P. P. Rev.mi e lo prego ad accennarmi a chi ho
da consegnare li giulij dicisette lasciatimi dal P. Bra.

vini Olivetano.
75.

Brevemente in due righe, perchè ho mille occup
zioni. Bene, benissimo, arcibenissimo camina quanto
diee V. P. Rev.ma intorno al passo del Tignosio; 1
io aveva ben considerato anche prima a che bel lume
ella pone questo soggetto, prima poco cognito, e com
quanto vantaggio della città.

Ciò che da me fu scritto, non era per motivo di f:
mutar cosa alcuna dalla sua eruditissima dissertazion
ma per esprimerle il sentimento che aveva fatto nella
lettura al sig. Boccolini e a me e per farle concepi
che si era letta con attenzione.

Aggiungerò al frontespizio: Cittadino e uno di
P. P. del Concilio di Costanza, così anche il titolo
nobile ad Emiliano Orfini e all' anno della memoria n

Codice Classense l' octuagesimo, che cammina benissimo

con l’ Indizione settima che cade appunto nell’anno 1489.

L’ ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

comoderò ancora secondo l'istruzione della sua sti-

atissima i passi alle pag. 22 nell'espressione dei
odici mss. p. 87, nel Corso della Tinna p. 111, nell'in-
punzione tra le Virtà e Cardinale e nella nuova ag-
unta al passo d'Isaco Vossio: cosi aggiungeró a suo
go i quattro ultimi versi del Quadriregio, veramente
d'oro, come ella dice.
E. 'Sommamente mi é piaciuto ciò che si dice intorno
È le prime stampe di Perugia e di Foligno, e buon pro
: l'Orlandi se ne riporta ciò che egli merita.
Si farà sollecitamente la copia della Dissertazione
nella stampa con gelosa religiosità si starà al testo
riginale, ove non s'incontri qualche manifesto scorso
penna ehe non credo, e non si perderà tempo per la
rminazione del nostro impegno e a questo effetto con
sua dissertazione faró rivedere le mie ciancie e, se
nerà in tempo, anche la fatica del nostro sig. Bocco-
lini, per la quale sto in diligenza di qualche occasione.
ospiro qualche ora d’ozio per la seconda copia delle
"mié ciealate da mandare a V. P. Rev.ma, per le quali
sto con sommo batticuore, temendo in specie d'essermi
n poco diffuso nelle eose di Foligno e de' Trinci; ma
ho considerato che queste o non sono state toccate 0
ccate con disvantaggio nostro dagl’ autori e perciò
‘meritano qualche aiuto.
È Avendo V. P. Rev.ma citato nella dissertazione
ultimo tomo del Giornale d'Italia, mi fa credere che
‘ne averà riletta con compatimento la mia lettera intorno
al consaputo igneo fenomeno ivi riportato per cortese
tenzione del P. Reggente Artegiani, a cui l’aveva io
'tommunicato per correzione e col solito umilissimo os-
'Sequio mi confermo ecc.
Foligno, 5 Novembre 1723.

76.

Ricevei prontamente Venerdì a sera da Marcantonio
a Cancelli solito vetturale del nostro letterario commer-





E. FILIPPINI

cio l’edizione di Perugia del Quadriregio, che consegnai

subito al nostro garbatissimo sig. Boccolini, da cui rj.
tirai i fogli della stessa stampa desiderati da v. P
Rev.ma e iermatina li consegnai allo stesso vetturale -
con le due libre di caffé comandatemi e con i primi
fogli delle mie ciancie per l'annotazioni istoriche, e a].
l’arrivo di questa spero che il tutto averà avuto il q
vuto recapito.

Le annotazioni che si contengono in detti fogli mi
premono piü di tutte, ma men di tutte forse mi appa-
gano perchè temo d’essermi troppo diffuso. Io ben con-
sidero che la natura delle annotazioni ricerca un andare
più stretto e più franco; ma l’amore della patria mi
ha lusingato a slargar la mano, su la considerazione
che l’istoria di Foligno o non é stata toccata dagli au-
tori o è toccata con pregiudicio, e perciò ho creduto ne-
cessario coll’ apertura che me ne dava l'impegno di
queste annotazioni metterla a qualche lume, vendicarla
da qualche torto e illustrar la memoria della famiglia
Trinci che, per esser decaduta da quasi tre secoli in qua,
resta oggi incognita alla maggior parte anche delle
persone erudite. Con questo principio in mente V. P,
Rev.ma si vesta delle convenienze di un obbligato cit-
tadino verso la patria, c' entri a leggere ea correggere
i fogli con la piü stretta censura, e cassi, muti, ag-
giunga ció che vuole con pienissima libertà, lasciando
del mio, se pur merita che si lasci nulla, ció che giudi-
cherà piü sopportabile e meno improprio all' assunto
preso. Serivo con vera ingenuità senza cerimonie e senza
affettazioni. Fuori dei passi quivi notati non è occasione |
di discorrer più nè della città nè delle sue famiglie, se
non che nel passo di Trincia già riveduto da V. P.
Rev.ma e in quelli di Gentile medico e di S. Feliciano,
che credo aver toccato in forma più compatibile. Le
altre annotazioni sono più andanti e tutte di mano in
mano verranno a goder la grazia delle caritative cor-
rezioni di V. P. Rev.ma, che nuovamente supplico all
farmele godere abbondanti.

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO,

La sua dissertazione apologetica non è per anco
tornata da Spoleto, ove fu trasmessa a quell’ Inquisitore
per la revisione o approvazione del S. Officio.

Quanto al testo della stampa già si è concertato di
farlo in quarto in accompagnamento del testo del Qua-
driregio ; non si é discorso del carattere: mi persuado
dover essere lo stesso, col quale si sono stampate le
annotazioni del P. Artegiani; ma nondimeno mi spieghi
meglio il suo sentimento.

Non avendo gli Accademici avuto sentore alcuno
delle difficoltà incontrate o prevedute intorno alla dedi-
cazione e lasciando dall’ altra parte V. P. Rev.ma al
mio arbitrio o il farla al noto personaggio o lasciare
uscire il libro senza dedica, penso, per non mover più
torbidi, far la dedica al personaggio, ma asciutta e
breve quanto più si può. Aspetto che torni la disserta-
zione da Spoleto per dar l’ occhio a sfuggire la somi-
glianza dei termini praticati da V. P. Rev.ma col Por-
porato e ne manderò un abbozzo a V. P. Rev.ma.

Tutte le mutazioni ch’Ella va accennando da met-
tersi nella dissertazione, si faranno ai suoi luoghi.

La ringrazio della commissione delle opere del Fa-
bricio e con umilissima riverenza mi confermo ecc.

Foligno, 22 (o 23?) Novembre 1725.

Mi consola la stimatissima di V. P. Rev.ma (da me
aspettata con ansietà) in sentire ch’ ella non disapprova
la condotta delle mie cicalate e il fine che mi sono pre-
fisso in distenderle, e più resterò consolato col ritorno a

suo tempo de’ fogli corretti dal suo giudiciosissimo buon

gusto pregandola nuovamente con ingenuità sinceris-
sima a farlo a larga mano.

Mi piace, e ne la ringrazio vivamente, l’ avverti-
mento di non nominare semplicemente col nome di terra
Spello e Trevi che altre volte hanno avuto anche i loro

vescovi, e mi valerò dell’avviso.



























494

E. FILIPPINI

È certissimo che nel Topino si scarica. ai nostri
giorni (che non so se fosse così in tempo di Silio Italico)
l’acqua limpidissima del fonte salubre di Nocera; ma
non regge che dopo l' unione conservi il fiume la bian-
chezza dell' onde, da potersi almeno paragonare a quelle
della Nera, che attenuate e purificate dall’ altissima ca-
duta della Marmora, spumose e biancheggianti si con-
servano per un lungo tratto di molte miglia : se potessero
queste del Topino stare a fronte nella bianchezza a
quelle della Nera, dovrebbe piuttosto correggersi Silio
della parzialità usata in darne il pregio solo alla Nera
« Nar albescentibus undis ». Io ho preteso di correggere
la sinistra interpretazione dell’ inglorius dato dal poeta
al nostro fiume e perciò ho creduto giovarmi all'intento
che non abbiano alcun risalto le qualità dell’ acque del
nostro fiume, che, se non m'inganno, è il vero senti-
mento dell'autore.

Trasimeno, Iacomo Obizo o Opizo correggerò se-
condo i suoi cortesi avvertimenti, dei quali vivamente
la ringrazio. Osserverò i documenti citati intorno alla
voce Longobardi, per prenderne regola, essendo veris-
simo che anticamente, particolarmente in latino, scrive-
vasi Langobardi e non Longobardi.

I due Cardinali di Casa Trinci sono chiaramente ri-
portati nel Ciacconio dell’ ultima edizione coll’ aggiunte
dell’ Oldoini, e ho creduto mi potesse bastare per soste-
nerne l’ assertiva il credito tale quale sia di questo au-
tore: anzi illuminato dalla dubitazione di V. P. Rev.ma
crederei, quando Ella l’ approvi, indicarne i passi, che
sono: Tomo primo, pag. 626, lettera B., ove sotto S. Leone4
è riportato Lucino 0 Luciano figlio di Nallo Trinci creato
l’anno 845, di cui si dice, che in un antico Codice della
Biblioteca Vaticana si trova scritto : Lucianus, sive Lu-
cinus Fulginensis Diaconus Cardinalis Regionis nonae
creatus a Gregorio quarto; — Tomo 2 pag. 40. Let-
tera F., ove è riportato Gio. Domenico figlio di Oderi-
sio Trinci creato da Innocenzo terzo.

L’ ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

Giacchè siamo in queste anticaglie voglio communi-
arle una osservazione da me fatta in un’ antichissima
crittura, che mi venne alle mani li giorni passati di
questo Capitolo della Cattedrale. È il diploma originale
ella Consagrazione di questa Cattedrale fatta da Giulio
Dardinale di S. Marcello Legato a latere di Papa Eu-
"enio terzo li 10 Marzo 1146 in forma solennissima con
E convocazione di un Concilio Provinciale di 23 Vescovi
» di molti Abbati e d’altre dignità ecclesiastiche. L’ os-
rvaziane è che sotto li 10 Marzo 1146 si dice a carat-





ri ben distinti e ben formati, benchè la pergamena sia
nolto corrosa dal corso di quasi sei secoli: Eugenio papa

"io praesidente, eius pontificatus anno quinto. Secondo

Baronio negli annali, il Platina e il Ciaeconio nelle
ite dei Pontefici Eugenio Terzo fu eletto di Febraro
145. Di Marzo del 2746 era appena entrato l'anno se-
ondo; come dunque dicesi nel diploma anno quinto?
Puó rispondersi essere errato l'anno nella pergamena,
ina non è così facile, vedendosi il millesimo ben for-
‘mato con lettere antiche mezzo gottiche anche con
una correzione in questa forma M?C"xLvJ vedendosi ag-
iunto il C dopo I'M in correzione dello sbaglio dallo

scrittore avvertito ; e nello stesso modo coll'aggiunta di

r e JJJ si sarebbe potuto correggere l' altro errore, se vi
fosse stato, con mostrar l' anno 1149 che secondo gli
accennati autori era il quinto del Pontificato d'Eu-
enio 3°.
Ancor io comincio a sospettare che la sua disser-



tazione sia potuta andare a Roma; quando fra tre o
Juattro giorni non se ne abbia nuova voglio scriverne
al P. Inquisitore, con che a V. P. Rev.ma faccio umilis-
ima riverenza. :
Foligno, 29 Novembre 1723.

78.

Non può credere V. P. Rev.ma con quanta conten-

à e con quanta stima ho ricevuto con la sua stima-





E. FILIPPINI

tissima i fogli delle mie ciancie onorate dalle sue cari
tative correzioni, delle quali con sincera ingenuità |
professo a V. P. Rev.ma somme obbligazioni e ne rend
copiosissime grazie. Mi piacciono estremamente e le sua
riflessioni e le sue mutazioni, che danno al lavoro d
aria più franca e tolgono a me ogni batticuore, -
ché, quando sono arrivato ad incontrare un suo compg
timento, non mi curo di tutto il resto del mondo. Conoseg
sempre più, che fra tanti altri miei difetti vi è ul
fredda tepidità, che mi fa caminar timoroso : e per tj.
more appunto di non rendermi troppo diffuso ho trala-
sciato di riportare intiere le iscrizioni di C. Matrinio
di P. Aurelio, che ora le stenderò come stanno preci
samente nel marmo di Spello e in quello di Foligno
Che ne dice V. P. Rev.ma della correzione del Fabretti
(modificata e modesta) che attribuisce il marmo di C. Ma
trinio a Foro Flaminio e taccia d’ignoranti i Folignati
Averà osservato che ho cassato quel piccolo risalto che
davo alla famiglia Vitelleschi ove trattasi dell'estinziones
de'Trinci.Io veramento ho avuto ed ho desiderio dir qual
che cosa d'aleuna famiglia oggi esistente di questa patria,
né me ne puó cadere in acconcio altra che la Vitel ij
schi. Ho cassato quanto aveva io scritto in quella o
servazione, e ne dico strettamente qualche cosa for
con più decoro ove tratto del famoso legista Pietro Anca-
rano figlio d’ una Vitelleschi e che perciò nel. suo testa-.
mento chiama al Collegio Ancarano in caso d’estinzio
della paterna linea Farnese la materna Vitelleschi: non
apprenda che io dia gran pastura di questo Pietro Anca:
rano già escluso come concertammo dal Quadriregio.
coll'illustrazione di Pier Farnese il quarto condottiero
dell’ esercito dei Fiorentini.

Ottima è la mutazione del titolo in Osservazioni
Istoriche in vece di Annotazioni e ne la ringrazio, n
sopratutto la ringrazio di avermi spediti i fogli per la
posta, chè altrimenti sarei restato in un ginepraio @

E.

mille punture. 3

Addurrò i luoghi precisi del Ciacconio ampliato ine







L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

Biorno ai due Cardinali Trinci e ubbidiró in tutto i fa-

P vori di V. P. Rev.ma.
La sua dissertazione non è ancora tornata, e si
| aspetta con impazienza. Intanto V. P. Rev.ma esamini
‘mn pensiero immaturo venuto al sig. Boccolini ed a me.
| Se fosse bene far comparir prima da sè la stampa di
detta dissertazione e nella pubblicazione del Quadri-
regio colle sue annotazioni mostrare che se ne fa una
ristampa, potendosi aggiungere nel frontespizio del li-
E bro: con la ristampa in fine d’uua dissertazione apo-





logetica, ciò accrescerebbe onore alla dissertazione e
all'autore, toglierebbe ogni scrupolo dell’ amico di Roma,
disimpegnarebbe d’aggiungere al tomo qualche altra
diceria per verificare le varie lezioni dei manoscritti in-
dicati con le sole lettere e per dar qualche stretto conto
dell’ autore e dell’ opera non potendosi rimettere alla



"stampa della dissertazione, che si suppone non ancora
pubblicata. Ci ha illuminato a questa riflessione la let-
tera appunto di V. P. Rev.ma, che ha levato dalle mie





ciancie la relazione a detta dissertazione. Consideri tutto,
risolva e comandi, chè qua non si farà nè più nè meno
di ciò che vuole V. P. Rev.ma, che è riverita col solito
distintissimo ossequio dal nostro sig. Boccolini e da me
che mi confermo immutabilmente ecc.

Foligno, 6 Dicembre 1723.

Il nostro carissimo sig. Mancini, che ha già compito
con sommo applauso tutto il lavoro incaparrato per
questa Cattedrale non senza speranza di dover dare nella
medesima altri saggi del suo valore, fra due o tre giorni



i partirà verso Roma, come credo averà sentito V. P. Re-
verendissima, che disse volernele scrive (sic). Bella gloria
che risulta alla città da questa bell’ opera! Se ne deve
tutta la riconoscenza e tutto l'obbligo a V. P. Rev.ma,
che si degnó proporne questo degno soggetto.

Io piü d'ogni altro me le professo obbligatissimo

"eonfessandomi molto interessato riell’onore dell’ ottima

f$ riuscita.





E. FILIPPINI

(9%

Finalmente è tornata da Spoleto la disertazione di |
V. P. Rev.ma con ampla approvazione del S. Offizio: 3
non é andata in corpo e sostanza a Roma, ma nel solo |
frontespizio, ed é bisognato aspettar l'oracolo del su. |
premo tribunale prima di spedirne l'approvazione che -
ha portato lunghezza. Io non mancherò di far fare allo
stampatore ne’ primi giorni dell’ entrante settimana la
prova di una pagina, che trasmetterò a V. P. Rev.ma.

Intanto verrà la risposta dell' abbate intorno al mo-
tivo della ristampa, che prego comunicarmi subito:
questa gelosia che ha V. P. Rev.ma di questo tomo mi |
tiene in pensiero della dedicatoria al noto personaggio, |
che non vorrei dasse motivo alla passione di sfogarsi
contro il libro; onde si degni illuminarmi se veramente
vi è pericolo di qualche sinistro talento.

Io procurerò in queste fe.te di stender la lettera
quanto più semplice si può senza entrare in lodi del
bibliotecario, che credo sia principalmente preso di
mira, nè in altri motivi che possino dare attacco alcuno
di dissapore e la communicherò subito a V. P. Rev.ma,
ma prevedo un altro intoppo. Prima che si stampi la
lettera deve mandarsi al ministro del personaggio per
approvarla; approvata che sarà, se s’ incontra qualche |
difficoltà o in Spoleto o in Roma, quid agendum? lume
e consiglio.

Eccole le particole originali da lei desiderate ; le ri-
formi e le rimandi per inserirle nella stampa, tenendo.
io intanto copia di queste.

Il Caffè vale baiocchi 35 la libra.

Non trovo qua la cassettina che aecenna V. P. He- -
verendissima diretta in Roma al P. D. Onesto Maria |

Onestini ; ma se capiterà Mare’ Antonio vetturale, ne pi-

glierò da lui notizia sicura.
In questo punto mi arriva per gentil regalo della -
Ecc.ma signora Principessa D. Teresa Grillo Panfilia

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

- un'opera nuova di un titolo plausibilissimo Idea della
storia dell’ Italia Letterata di Giacinto Gimma, stampato
in Napoli presso Felice Mosca (?) nel corrente anno, anzi
in questi ultimi mesi portando la lettera dedicatoria la

- data delli 27 luglio, in due tomi in 4°, di pag. 913. Ho
avuto consolazione di vedervi nominata la nostra Ac-
cademia di Rinvigoriti e la Colonia Fulginia, ma non
senza rossore ho avvertito, in occasione di un elogio di
detta sig.ra Principessa, riferirsi con lode l’ esposizione
da me fatta del noto sonetto della medesima.

Io non mi diffondo in cerimonie vane, ma con pu-
rissimi sentimenti di cuor sincero auguro a V. P. Rev.ma
senza distinzione di tempo tutte le felicità temporali e
spirituali dovute al suo merito e che possono più di-
stintamente incontrare i suoi medesimi desiderii facen-

dole umilissima riverenza.
Foligno, 17 Dicembre 1723.

80.

Con sommo piacere ho sentita l'approvazione del-
l’amico di Roma dell'idea del sig. Boccolini e mia di
pubblicare l’apologia col poema e in fine del medesimo
col titolo di ristampa, e subito dopo le feste si darà
mano al lavoro, non avendo potuto il Campana appli-
carvi in questi ultimi giorni per dover spedire il suo
Almanacco del Moneta; e ne manderò subito la copia a
V. P. Rev.ma, e averemo l'avvertenza ch’ ella accenna
nel numero delle copie, bastando a mio credere che da

eee

due ‘dozzine di più se ne tirino della dissertazione ad
ogni buon fine.

Godo che siasi trovata la cassetta diretta al P. One-
stini; ed altrettanto godo della scoperta d’un nuovo
Codice manoscritto del Quadriregio col nome del no-

stro Frezzi, che se sarà più antico dei nominati da



E v. r. Rev.ma, toccherà quasi la vita dell’ autore.
Cerco opportuna occasione per inviarle il libro del-
l’onore del Possevini e l’altro. della scienza cavalle-







resca del marchese Maffei. Non potrò così presto servirla

E. FILIPPINI

dell’ altr’ opera venutami per regalo, dovendone servir
prima questo monsignor Vescovo, che già l'ha in mano
prima che io abbia potuto soddisfarmi e prima che
abbia potuto farla vedere al nostro sig. Boccolini, e
dopo il vescovo devo communicarla al sig. Fabiani me.
dico di Spello d'ordine della sig.ra Principessa: starò
nondimeno in attenzione di avanzargliela quanto più
presto sarà possibile; non so però come incontrerà i]
delicato gusto di V. P. Rev.ma: rudis, indigestaque moles,
L'argomento vasto tirato sin dalla creazione del mondo
e dai tempi prima del diluvio, esteso non solo alle
scienze, ma alle arti, alle origini, ampliazioni e riforme
degli ordini regolari e ad altre materie talora forse
anche disparate dall’ assunto, con molte controversie, al-
cune delle quali averebbero meritato trattati particolari,
ha tirato l’autore in un impegno di portar tante cose,

che è stato impossibile di dilucidarle tutte in maniera

da sodisfare la curiosità de’ lettori e de’ lettori ignoranti

come sono io. È vero che è un’idea e non un’ istoria,
ma l’idea istessa ricercava forse un contorno di linee
più franche e maestre. Le autorità cumulate nelle spesse
citazioni poteano scegliersi d’ autori più accreditati; le
più comuni sono del gran Dizionario del Coronelli, della
Galleria di Minerva, e simili.-La confidenza, alla quale
mi ammette la gentilezza di V. P. Rev.ma, mi ha fatto
trascorrere in queste espressioni che, sebbene sono sin-
cere dentro l’ augusta sfera del mio corto intendimento,
nondimeno ben comprendo che o riflettasi all’ autore a cui
ho l'obbligo d' un preciso debito o alla mano dalla quale
mi viene il libro, che venero col più obbligato rispetto, non
dovrei stendermi che in lodi come farò sempre con altri:
onde supplico V. P. Rev.ma a lacerar subito la presente,
confermandomi intanto con umilissima riverenza ece.
(Senza data) (1).

(1) Questa lettera si trova inserita, nel cit. volume della Classense, fra altre
due del 29 Dicembre 1724 e del 15 Gennaio 1725. Ma la notizia che segue nel poscritto
e che precede l’altra sullo stesso argomento contenuta nella lettera del 25 Febbraio
1724, dimostra che la presente appartiene a quest'epoca.

L'ACCADEMIA DPI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

Farò scrivere prontamente in Amsterdam per il tomo
Vossio.

81.

Annessa riceverà V. P. Rev.ma la prova di una

pagina della sua dissertazione apologetica, che non

può comparire con quella pulizia che usciranno i fogli
dal torchio. Mi persuado che V. P. Rev.ma desidera-
bbe un carattere alquanto maggiore, ma lo stampatore
non ne ha altro più prossimo a questo che il Silvio, col
uale si è stampato il testo del Quadriregio : l' aggiunta
he quello portarebbe di tre fogli in circa di più non
sarebbe alcun male, ma costantemente dice lo stampa-
tore che, dovendo servir l’ impressione anche per annet-
ere le copie in fine del Quadriregio secondo il concer-
tato, sarebbe una difformità di cominciare il testo col
carattere maggiore, proseguire le annotazioni, osserva-
zioni ecc. col minore e poi ritornare in fine a ingrandirlo.
In questo carattere antico portarà la materia della Dis-
ertazione intorno a otto fogli. Si compiaccia far rifles-
ione al motivo dello stampatore e accennarmi i suoi
timenti. Far due stampe, una di carattere maggiore
er mandar sola la dissertazione e l'altra di minore
iper annetterla al testo, non comple (sie) per la spesa
raddoppiata di una ventina di scudi, alla quale non si
iccomodarebbero cosi facilmente gli associati. Quanto
al numero delle copie, se ne faranno uscire a prima
quante giudicherà che bastino V. P. Rev.ma anche col
motivo da lei aecennato che chi averà avuto a parte
a dissertazione, non si curerà di averla dupplicata col
esto.
Pare fondatissima la riflessione di V. P. Rev.ma che
e parole Dominus et Feliciter che si danno al Vescovo
Prezzi nel Codice del Cavaliere Prussiano indichino es-
ere stato quello scritto in vita dell’ autore medesimo,
articolarmente la voce feliciter. Mons. Vescovo che di-

Mintamente la riverisce, l' approva e la ringrazia. Se la

E. FILIPPINI

memoria non m'inganna, mi pare che nel Codice Esteng
non solo si dia al Frezzi il titolo di Dominus, ma ane
di Reverendissimus. Puol essere che il Codice del Pr
siano sia stato esemplato da altro più antico, che po
tava gli stessi titoli, ma questo pure basterebbe al nostro
intento per mostrare che il Frezzi anche in vita era gi
dicato autore del Quadriregio.

Ho ricevuta la particola riformata del passo d
Vossio che aveva il suo luogo. Il sig. Boccolini la
verisce con sommo ossequio e io mi confermo con um
lissima riverenza.

Foligno, 7 Gennaio 1724.

Il carattere di questa prova è lo stesso delle Ann

tazioni del P. Artegiani.

82.

Gran fatalità! Neppure in questo ordinario può rie
vere V. P. Rev.ma contro ogni sua aspettazione il prim
foglio stampato della dissertazione con mia pena.
rabbia; la cagione si è che durante l'infermità di
sig. Boccolini ha impegnati lo stampatore i torchi i
un’ operetta che si finirà tra tutto oggi e domani e p
lunedì ha promésso assolutamente di dar mano al n
stro lavoro e di proseguirlo senza altra intermission
Io vi ho impegnata anche l’ autorità di mons. Ve-
scovo, a cui ne ho parlato premurosamente e so ch
insisterà con efficacia. Non posso dir altro, se non che
la Provvidenza che ha ricavati tanti vantaggi a qu
sta edizione dagli intoppi sinora incontrati, sta forse.
lavorando qualche altra scoperta. Intanto è vantaggio
l’essermi io avveduto nell’accomodare i numeri dei p
ragrafi d'un errore scorso nella copia nel. corpo della.
dissertazione, ma nò nell’ Indice dove i $$ caminano
dovere: sarà necessario pertanto d'unire il secondo vf
gesimo settimo o al 26 antecedente o al 28 susseguenté,

e credo che possa andar meglio al seguente. V. P. E

v.ma riconosca i suoi abbozzi, e a questo effetto le @

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

cludo un foglio con i principii, terminazioni e lunghezze
di ciascun $, e mi accenni subito come vuol essere ser-
vita.

Il sig. Boccolini continua a migliorare e riverisce
divotamente V. P. Rev.ma alla quale io faccio umilis-
sima riverenza.

Foligno, 11 Febbraio 1724.

83.

‘(È la lettera del 18 febbraio 1724 riprodotta in foto-
tipia e inserita nel primo volume del presente lavoro).

84.

Giunse (come le accennai in risposta) il messo di
V. P. Rev.ma in tempo che mi trovavo occupatissimo

in servire un forestiere di non poca considerazione, cioè

il nuovo sig. Presidente di Parma che passa a Roma,
raccomandatomi dal sig. cardinale Casali, segretario di
mons. Barni vescovo di Piacenza mio paesano e uno
de’ miei amici il più antico e confidente (?). A tante
altre occupazioni mi mancava l’ accrescimento di questo
imbarazzo, che mi è veramente di somma distrazione
et incommodo, stante massimamente l'angustia della
casa capace appena della famiglia numerosa sino a
quattordici persone che mi stanno attorno a rodermi gli
ossi.

Ho parlato al Campana e anche al sig. Boccolini
intorno alla ristampa del primo foglio della disserta-
zione, che si farà in tutto e per tutto conforme ‘Ella
prescrive, ma senza sua spesa, tenendo io la moneta
trasmessami a sua disposizione e nel filo dei nostri
conti.

E perchè l’importanza maggiore delle sue corre-
zioni (oltre all'indice per I' aggiunta del $ omesso) batte
nel titolo della dedicatoria alla pagina 7, ho fatto fare

. una prova riformata di detto titolo, che riceverà nella

E. FILIPPINI

pagina annessa, che resta certamente molto meglio della

prima, ma non so se finirà di appagare il soprafino
gusto di V. P. Rev.ma. Mi dice costantemente lo stam.

sa

patore che per regola d’arte sotto la miniatura della |

maiuscola iniziale della materia devono restarci almeno
tre o quattro righe, e così non è luogo al trasporto di
esse, tanto più che, quando anche si volessero traspor-
tare una o due righe al più, non darebbero spazio da
poter ingrandire il carattere delle cariche del sig. car-
dinale Orsini. Bisognerà dunque accomodarsi al meglio
che si può.

L’indice si farà in corsivo, ma mi avverte lo stam-
patore che difficilmente potranno arrivare gli x x corsivi,
che in margine indicano il numero dei $$, e perciò de-
sidera sapere se V. P. Rev.ma gli permette di valersi |
per detti numeri marginali delle stesse figure del foglio
impresso che sono veramente del carattere tondo, ma
poco dissimili da quelle del corsivo.

In tutto il resto si adempiranno minutamente gli
avvertimenti di V. P. Rev.ma, che godo resti appagata
della correzione.

Il secondo foglio è tutto composto e stava per tirarsi
all'arrivo del suo messo, ma l’ho fatto sospendere sino
alla risposta di V. P. Rev.ma, che prego darmela subito,
chè l’altra volta dalla tardanza fu occasionata in parte
la sollecitudine della stampa. à

Intorno al secondo foglio m’ accade di motivarle due
cose: una è che a me pare (e non ho potuto ritrovar la
lettera) che V. P. Rev.ma ordinasse che dove si da conto
dell’ edizione di Perugia, si aggiunga che una copia ve
ne è anche nella libreria dell’Istituto delle Scienze di
Bologna. Io l’ho eseguito, ma me ne assicuri con un
nuovo cenno prima che si tiri il foglio. L’altra è che
ho avvertito con riflessione ‘che in tutti i luoghi della |
dissertazione, ove si riportano i passi del Quadriregio,
s'indicano le pagini e linee della nuova edizione. Po-
trebbe forse parer ció una improprietà pubblicandosi la
dissertazione prima del poema; ma rifletto che oltre alla

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

ficoltà di corregger tanti passi per tutta la disserta-
ione, essa resterebbe una cosa mancante se s'indicas-
ero i soli capitoli e sarebbe d’ingombro a trovare i
assi citati senza specificare le pagini e le linee, che
mr sarebbero necessarie per la ristampa in fine del
testo. Per me giudico bene di lasciar correre le citazioni
tome stanno, potendosi supporre avvanzata la stampa
del testo, che forse si potrebbe anche accennare in
qualche luogo, ma in forma che non pregiudichi alla
apparente ristampa. Si è data la commissione in Olanda
‘per il tomo del Vossio, ma non se ne sente ancora la
provvista e la spedizione a un giro troppo lungo di
\Jettere.
‘Il sig. Boccolini divotamente la riverisce e io per
‘mancanza di carta senza più scrivere le mi confermo

‘ecc.

Foligno, 25 Febbraio 1724.

85.

Le risoluzioni del Capitolo Generale di Faenza hanno
defraudate le mie giuste speranze di poter baciar la
mano a V. P. Rev.ma e servirla nel passaggio suo verso
Roma in qualche carica proporzionata al suo merito ;
laddove adesso in tanta lontananza non so quando potrò
avere consimile onore, se non me lo facilita la divozione
del vicino anno santo, che spinga V. P. Rev.ma a un
pio pellegrinaggio, non potendo io concepire qual mo-
tivo possa darsi in me da portarmi in coteste parti.

Io non sono capace della qualità di cotesto Mona-
Stero di S. Salvatore, ma sono impressionato a disappro-
vare le reiterate improprie condotte di cotesti suoi Ca-
pi oli Generali, che non sanno far giustizia al vero
merito dei soggetti; e mi conferma in questo concetto

‘qualità, con cui Ella stessa considera questo governo,
un ritiro all’età sua ed agli studj geniali. La gran
tù di V. P. Rev.ma sa far buon uso e convertire in

ntaggio di merito ogui evento benchè in apparenza

E. FILIPPINI

non favorevole; per me in mancanza di maggior cons
solazione attenderò quella della continuazione del suo
amore, dei suoi comandi e del commercio stimatissimo
dei suoi riveriti caratteri. 1

Di Amsterdam si è avuto l’ avviso che con reiterati
tentativi con più d’uno di quei librai non è stato possibile
d’ aver riparato il 4° tomo del Vossio, non volendo rom-
pere i corpi intieri. Io ho fatto rescrivere per sapere
prezzo di tutto il corpo e alla risposta farò ogni tenta
tivo con questo mons. Vescovo per disponerlo a far pren
dere per la libreria del Seminario gli altri tomi in accom-
pagnamento del quarto già comprato e rilasciar questo
a V. P. Rev.ma, e per facilitar questa direzione offrirò di
prendere la metà denaro e la metà libri dalla stessa libre-
ria, o duplicati da esitarsi o le Vite dei SS. dell’ Umbria,
o altre opere del Iacobilli e del Dorio, che con qualche
diligenza si potranno rimutare; insomma non lascio
non lascierò diligenza per render consolata . V. P. Re
verendissima e per togliere ogni accrescimento di sp
nose passioni al povero sig. Boccolini, che se ne angu
stia con pregiudizio del contumace male che ancora lo.
tormenta. Egli riverisce con sommo ossequio V. P. R
verendissima e s’ impegnò lui pure a tutte le diligenze
per l'esito dei libri che dovrebbero prendersi dal Se
minario.

In occasione del Capitolo Provinciale degli Agost
niani celebrato in questa città ho avuto fortuna di con
traer servitù col P. Maestro Gio: Batta Cotta, celebre
poeta della stessa religione: gli ho fatto vedere la nuov
edizione del Quadriregio colle annotazioni del Padre
Artegiani e la dissertazione apologetica. Non può per
suadersi V. P. Rev.ma che gran concetto ha preso d
poema e di tutto ciò che lo correda; dice che sarà r
cevuta l’opera non solo con applauso, ma con strepì
nella repubblica letteraria ed ha promesso d'avanzarn
la notizia e le lodi a tutti i letterati suoi correspondent
ed amici. Quanto poi alla dissertazione, dice che no

solo porta la vittoria, ma il trionfo per la città di Fo

L'ACCADEMIA DEI < RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

Jigno e mi ha comandato di scrivere a V. P. Rev.ma,
egli la riverisce con ossequio, che si rallegra seco
finitamente di questa dotta fatica e che /e dacia li

Mpiedi, termine suo sincerissimo. Mi ha persuaso a no-

"minare in qualehe modo nella stampa fra gli altri let-

terati anche il sig. march. Gio: Giuseppe Orsi, suppo-

"mendo esser quel signore di una natura di non far conto,

'anzi di parlar con disprezzo di quell'opere moderne,

"nelle quali non venga esso nominato.

Mi persuado che in Faenza in occasione del Capitolo

si sarà messo in veduta il quadro del nostro sig. Mancini

qualche notizia di esso. E resto confermandomi con
milissima riverenza ecc.
Foligno, 19 Maggio 1724.

Il P. Cotta si esibì d’accrescer le annotazioni in
‘materie scritturali, ma non comple (sic) d’allungar più
Ja pubblicazione ; l’ ho impegnato per qualche lezione
espositiva. Ei stima il Frezzi in alcune parti superiore
“a Dante. i
| Ho ricevuto l'approvazione del suo passato Gene-
le per la stampa della dissertazione.

86.

I Avrà sentito oon piacere V. P. Rev.ma, come la
| sentono tutti i buoni, l’elezione del nuovo Pontefice in
| persona dell’Ecc.mo sig. Cardinale Orsini; nella quale

malignità e l’eresia istessa sarà obbligata a venerare
decreti infallibili dell’ eterna Provvidenza adombrati
n da 25 anni sono in un lampo di profetico vaticinio
ella pubblicazione dell’opera del P. Vina gesuita sopra
le proposizioni dannate forse da pochi sinora conside-
to, da me accidentamente veduto ieri non senza me-
viglia e piacere. Annesso a quell’ opera vi è un opu-
olo : De Iubileo L, dedicato all’ Ece.mo sig. Cardinale
rsini, del quale se ne era fatta la prima edizione sin
all'anno santo passato. Nella lettera dedicatoria si dice

che la pubblicazione dell’opuscolo si farà per opera e

E. FILIPPINI

impulsi di detto sig. Cardinale Orsini. Indi rapito il de-
dicante da un estro superiore, come può credersi ed ei |
medesimo se ne dichiara, fa questo notabilissimo vati.
cinio: Non sine aliquo fortasse numinis afflatu statuens.
dum censeo Te, qui nunc libros de Anni Sancti Iubileg
privatis auspiciis ad. publicam utilitatem foro committi
imperas post quinque lustra, Pontificia auctoritate Diplo.
mate Anno sancto indicendo promulgatum. Chi avesse
detto che la dedicatoria della sua dissertazione fosse
diretta ad un Papa? Io mi persuado che dovrà lasciarsi

correre come sta, perchè apparendo stampata del 1723,

va bene il titolo d' Eminentissimo.

Io ebbi, benchè ritardati per molti giorni e per al-
tra mano di vetturale, i fogli e denari da V. P. Rev.ma
consegnati a Marcantonio: da Cancelli, che forse mi
renderà conto di questa negligenza. La ringrazio viva-
mente del pagherò o per dir meglio cauzione del Buo-
narrigo.

Alla nota mandatami da Fabriano delle correzioni
della dissertazione (?) aggiungerò l’altra che mi porta
l’ultima sua stimatissima.

Sospiro di sentirla pienamente restituita in salute,
che le auguro perfettissima con lunga vita. I

Ho goduto in sentire che in Pisa si vede fino al di |
d'oggi il sepolero del nostro Tignosio con l’immagine
e inscrizione; di questa la supplico a procurarne copia, 3
mediante il P. Abbate Grandi, con l'indicazione del -
luogo ove trovasi.

Il sig. Boccolini ossequiente la riverisce e io le fac-
cio in fretta umilissima riverenza.

Foligno, 2 Giugno 1724.

87.

Or via: si ceda pure alla violenza del turbine, che
fiero più che mai sentesi fischiare dal Friuli: si volti
la poppa alla Lombardia, la prora a Roma, e se non
si può afferrare il porto destinato, si muti rombo: @

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

purchè si scansino que’ scogli, che inevitabile minac-
ciano il naufragio in faccia al porto medesimo, spingasi
in alto la nave anche senza piloto abbandonata alla di-
serezione o per meglio dire alla violenza de' venti. Si
amareggia V. P. Rev.ma dello sfogo dell'amico, ed io
mi spavento: e comprendo quanto maggior danno puó
fare dal posto, a cui si trova elevato, l'impegno d'un
genio torbido. Per me esca pure il libro senza dedica-
toria; finalmente nel passo avanzato col consaputo per-
sonaggio io solo vi sto di mezzo, che mi lasciai lusin-
gare ad esplorarne il consenso ed io sacrifico volentieri
ogni rossore delle mie convenienze al bene pubblico, nè
‘voglio che per causa mia incontrino gli Accademici e
distintamente gli interessati nella stampa amarezze d’a-

. nimo o disvantaggio nell'interesse; sit nomen domini
benedictum ; quest'anno per me è un complesso di tac-
coli e di passioni travagliosissime.

Andava io pensando se si poteva voltare la dedi-
catoria dell’opera al Papa istesso; ma considero, che
potrebbero incontrarsi nuovi inciampi: pretenderebbe
forse l' amico di farla passare per le sue mani, che sa-
rebbe uno sfregio all'antagonista: forse il papa mede-
simo non la gradirebbe nel posto, ch'oggi sta e, quel
che più importa, sarebbe una nuova variazione del mezzo
termine proposto da V. P. Rev.ma e forse intorbide-
rebbe la mente del personaggio e del ministro.

Si degni V. P. Rev.ma sinceramente accennarmi in

risposta ciò che giudica miglior fatto, o di abbandonare

ogni dedica, o di dirigerla al Papa e in ogni caso se
devo io scrivere lettera alcuna al sig. bibliotecario per mia
scusa, non avendogli scritto più da un anno e mezzo in
qua per rossore di questo imbarazzo.

Mi ha accresciuta l’ apprensione la noncuranza che
mostra V. P. Rev.ma nell’ ultima sua della pubblica-
zione della dissertazione apologetica; ma spero che
questa cesserà in sentire che si recede dall’ impegno
della dedicatoria: dico che si recede per quel che spetta

.& me: ho intimato il congresso degli interessati per

E. FILIPPINI

sentire il lor parere, nè erederei d'incontrar difficoltà,

Non posso dare se non che cattive nuove della sa.
lute del povero sig. Boccolini, che più di mai è tormen-
tato e inchiodato al letto dalla contumacia del suo male
sempre più inasprito a segno che nemmeno posso farmi
aiutare nelle correzioni della stampa che si proseguisce,
Conservi Dio lungamente e sempre sana V. P. Rev.ma,
alla quale faccio umilissima riverenza.

Foligno, 30 Giugno 1724.

Si aggiunge ad accrescermi somma pena il funesto
avviso dello stato aggravatissimo di salute della signora
Principessa D. Teresa Grillo Panfili, forse morta a que-

st'ora, che avea per la mia servitù una parzialità d’ a-

more obbligantissima.
88.

Sarò breve, perchè alcune gravi occupazioni non per-
mettono il diffondermi. Dalla mia dell’ ordinario scorso
avrà veduto V. P. Rev.ma la pronta risposta che con
tanta sollecitudine mi richiede nell'ultima sua, ed io ap-
punto trovo in questa la direzione che io ricercava, del
come contenermi col sig. Muratori: nó puó negarsi che
anche in questi minuti aecidenti vi si scorga un lampo
d'una superior Providenza.

Senza altra dubitazione dunque do mano a dedicar
tutta l'opera al Papa: o se mancherà il sig. marchese
Vitelleschi, che è su le mosse del ritorno, potrà farne
la presentazione il sig, Abate Gio. Vitellio suo figlio, che
si trattiene in Roma ton tutto decoro, e potrà compa-
rire come uno degli Accademici.

Ben comprendo che l’amico di Roma farà strepitosi
applausi a questa risoluzione e che sarebbe di vantag-
gio ch’egli stendesse la dedicatoria; ma a questa ultima
parte non mi accomodo a dar la mano e dirò il per-
chè. Ho timore che il genio focoso dello stesso amico
accalorito dall’aura della vittoria potrà, benchè coperta-
mente, uscire in qualche lampo del suo trionfo, o in

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

È

qualche termine che possa piccare l’ antagonista, che si
( ritirare.

Per giocare al sicuro si degni V. P. Rev.ma (e ne
Ja supplico con ben viva premura), giacchè costì gode
E. ozio letterario, stender la lettera e mandarla a me
direttamente ; ché mi obbligherà al piü alto segno. In-
tanto le accludo la lettera del sig. Muratori, a cui scri-
‘verò nel venturo ordinario; ma si compiaccia Ella pure
'eontestargli l' infinita stima che io faccio del suo merito
‘e della sua padronanza. La ringrazio vivamente e di

"detta lettera e dell'aggiunta intorno al Tignosio, che mi

è riuscita carissima e sarà di gloria a questa patria.

-Ho portato le sue grazie a Mons. Vescovo, che le
a gradite estremamente e la riverisce con pienezza di
ima, accertandola che l’ha ben grande per V. P. Rev.ma,
he è riverita anche dal nostro amabilissimo sig. Boc-
'eolini, che da due giorni in qua gode qualche allegge-
rimento dei suoi dolori, e le faccio umilissima riverenza.
Io non ho mai sperato nè gradimento nè altro dalla
orte di Modena. Il solo punto d’onore ha messo in me
la passione e l’ impegno.
Foligno, 3 Luglio 1724.

89.

È Sento con piacere l’ approvazione di Mons. Fonta-
" nini, dell' interpretazione data da V. P. Rev.ma all'ul-
time lettere dell’epitaffio del Tignosio: ma non so lo-
"dare il pensiero di far intagliare in rame l'epitaffio me-
'desimo e la figura del defonto, perché prima che venga
disegno da Pisa, prima che s'intagli il rame in Roma
‘correre un tempo molto più lungo di quel che appren-
amo : e quel che è peggio, qui non vi è nè ordegno,
nè artefice esperto da tirare i rami, che devono impri-
mersi separatamente e prima della materia : per cui sti-
erei bene d’ accennare a Monsignore che questo con-
3 glio non é arrivato in tempo per esser già tirato il
| glio : pure attenderò i sentimenti di V. P. Rev.ma.

E. FILIPPINI

Da più giorni in qua ho avuto ancor io qualche
acciacco di salute che mi ha obbligato ad una purga 1
Y

onde non ho potuto applicare alla lettera dedicatoria.
»

che procurerò d’ abbozzare in appresso e la mande
subito a V. P. Rev.ma, alla quale faccio umilissima
verenza.

Foligno, 21 Luglio 1724.

90.

Non senza qualche maraviglia mi vedo privo da più
ordinarii dei desideratissimi caratteri di V. P. Rev.ma
quando più li aspettava per sentire se deve terminarsi
senza altro prolungamento la stampa della sua Disser.
tazione, senza il rame del deposito del Tignosio : torno
a replicarlene le premure, per uscire una volta da questo
taccolo, tanto più che si avvicina al termine tutto ila
lavoro, essendo già stampate per la metà anche le fati- -
che del nostro sig. Boccolini.

Aceludo a V. P. Rev.ma un abbozzo della lettera
dedicatoria al Papa, che ho stesa in ubbidienza dei suoi
comandi. Si compiaccia non dico di accomodarla, ma di
riformarla ex integro in quei termini che saranno giu-
dicati più proprii dalla sua prudenza e si degni riman-
darla quanto piü presto puó per farli avere luogo nella
stampa.

Io mi persuado che essendo il Papa inteso della de-
dica della dissertazione coerente al poema, non sarà
necessario di fare altro passo preventivo in Roma per
questa nuova dedica; ma basterà di far presentare a.
suo tempo le copie della stampa, nel che la supplico
delle sue direzioni, anche intorno al modo di detta pre-
sentazione. Noi abbiamo in Roma uno de figli del
sig. Marchese Vitelleschi, uno de figli del sig. Conté
Giusti e il sig. Nuccarini medico pontificio, tutti tre Ae-
cademici Rinvigoriti. Da uno o due di questi crederet
dovessero farsi presentare le copie al Papa coll'appoggio
di Mons. Lercari Maestro di Camera, o forse di Mons. Giu

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

- dice Maggiordomo, o di Mons. Fontanini, l'uno e l'altro

- mostri Aecademici; e distintamente dica il suo senti-

- mento se sia meglio che ne faccia la presentazione il
sig. Nuecarini solo vecchio accreditato, o i due giovani
abati, che si mantengono con tutto decoro nella corte
di Roma.

Per quanto si scrive da Amsterdam, si è già prov.
veduto tutto il corpo delle Opere del Vossio e se ne farà
la spedizione colle prime mercanzie che partiranno da
quelle parti verso Foligno.

In quest’affare ha somma premura il sig. Boccolini
risoluto, quando anche il Vescovo non volesse applicare

-. a prender per il Seminario gli altri tomi in accompa-

È gnamento del già proveduto, di ritenerli per sè con la
vendita d'altri suoi libri, acciò resti reintegrato il corpo
della libreria Classense. Il medesimo signore che gode
qualche moderata tregua negli acciacchi della sua sa-
lute, riverisce ossequiosamente V. P. Rev.ma, di cui
anch'io mi confermo con umilissima riverenza ecc.

Foligno, 4 Agosto 1724.

91.

L'ultima stimatissima di V. P. Rev.ma in data li 3
corrente mi trovò in Annifo, ove mi ha portato non
tanto il genio di dar qualche riposo allo spirito agitato
da mille angustie ed occupazioni, o sollievo al corpo
oppresso dalle vampe affannose d’un caldo eccessivo,
che la necessità di provvedere col beneficio di quest’aria
salubre alla salute della mia famigliuola e distintamente
di Bartolomeo, che già veniva attaccato in città da qual-
che febretta preludio di maggior male, secondo che è

succeduto in altri anni, nè quali mi è convenuto trat-

- tenerlo in città. Trovo in essa le maraviglie e le doglianze

insieme di V. P. Rev.ma per il ritardato compimento della
stampa della dissertazione, e certo è che a prima faccia
sono più che ragionevoli considerandosi l'impegno di

far comparire la pubblicazione di questo opuscolo an-

E. FILIPPINI

tecedente al poema sotto la data dell’ anno scorso. Io
non voglio allegare in mia discolpa l'infermità peno-
sissima del sig. Boccolini per ctto mesi continui in
istato da non potermi dare un aiuto nè colla mente nè
col corpo, nè le mie sempre più moltiplicate spinosis-
sime brighe; ma solo mi fo scudo della fatale combi-
nazione di quegli accidenti che su l’opera stessa hanno
data occasione al ritardo e qualche equivoco che con-
fesso d’aver preso nell’ intelligenza delle sue lettere.
L’indice da lei desiderato e interrotto per gli ac-
ciacchi del sig. Boccolini fu il primo intoppo; la notizia
data dal P. Grandi nel Capitolo Generale dell’ epitaffio
del Tignosio invogliò d’accrescerne l’ erudizione o nel
corpo della dissertazione o nell'indice, e fu aspettata
la copia da Pisa. Questa mi fu trasmessa da V. P. Rev.ma
verso la metà di Giugno in forma d'aggiunta alla Dis-
sertazione, ma col comando di sospenderne la stampa
infino a tanto che sapea da Fabriano il tempo certo
dell’ andata colà di Martino Quinto e che sentiva da
Mons. Fontanini se approvava l’interpretazione dell’ul-
time lettere del deposito. Sotto li 9 Luglio mi mandò
la notizia avuta da Fabriano col ritocco del $ dell’ ag-
giunta. Sotto li 16 Luglio mi accennò poi l’ approva-
zione di Mons. Fontanini, ma nello stesso tempo motivò
l'intaglio in rame, mostrando anch’ Ella d’ apprendere
la lunghezza, che si sarebbe incontrata, se si abbrac-
ciava questo consiglio. Io risposi sotto li 21 Luglio mo-
tivando le mie riflessioni per non venire all’ intaglio;
proposi, è vero, il ripiego di quietar Mons. Fontanini col
supposto dell’impressione del foglio, ma non son voluto
venire all’ atto dell’ impressione (e questo è 1’ equivoco)
senza la preventiva approvazione di: V...P.-Rev.mag

ond’è ch’io aspettava colla stessa impazienza le sue let-

tere, come averà riconosciuto dalla mia antecedente,
che portò aceluso l’abbozzo della dedicatoria al Papa.
Potrei aggiungere e il carteggio di qualche ordinario
fra noi passato intorno alla voce Quadriregio o Quatri-
regio per risolvere ciò che doveva dirsene nell’ ultimo $

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO,

della dissertazione, che restò accomodata coll’ aggiunta
di poche parole secondo il suo cenno, e la mia poca sa-
lute, coll’ impegno d’una leggiera purga, dalla quale per
grazia di Dio ho ricevuto sufficiente giovamento. Ma
tutto tralascio affidato che ciò che è occorso intorno al-
l’epitaffio del Tignosio, ponga al coperto ogni mia sup-
posta colpa almeno volontaria. Ma tronchiam tutte le
ciarle e veniamo al punto: ho mandato subito al si-
gnor Boccolini la lettera, che resta già inteso di far
terminare la dissertazione all’arrivo della risposta di V.
P. Rev.ma e so che non mancherà, strascinandosi a-
desso fuor di letto anch’alla scuola. Mi conservi intanto
.V. P. Rev.ma il solito suo amore, e creda sempre più
che sono e sarò immutabilmente ecc.
Annifo, 9 Agosto 1724.

Eccomi finalmente in patria da pochi giorni in qua

ai comandi di V. Pi Rev.ma. Oggi si compone l’ultimo fo-
glio della dissertazione apologetica con l'aggiunta in-
torno al deposito del Tignosio che è bisognato mandare
a Spoleto per la revisione e facoltà dell’ impressione.
In questa settimana dunque sarà terminato tutto l’opu-
scolo. Credo che il sig. Boccolini abbia scritto a V. P.
Rev.ma per sapere la quantità delle copie da mandar-
sene in Roma, e a chi, se sciolte o legate, e in qual
forma; che tutto si farà al ritorno della sua risposta e
suppongo che dovranno mandarsi in nome di V. P.
Rev.ma. Io ho voluto aggiungere la presente per goder
l’ onore di riverirla dopo tanto tempo, come faccio con
distintissimo ossequio, e per assicurarla che io starò
in attenzione d’inviarlene ventiquattro copie, assieme
con la carta comandata, costà in Forlì se capiterà oc-
casione fuori di posta, che sarà difficile, o almeno in-
sino a Pesaro, che sarà molto più facile, di dove potrà
Ella ritirar l’involto ; e perciò, quando le piaccia que-

sta direzione, mi avvisi a chi dovrà dirigersi in Pe-





E. FILIPPINI

saro. È necessario ancora, che restiamo intesi intorno
all’altre copie da dispensarsi. Io penso di mandarle a]
sig. Muratori e al sig. Marchese Orsi in Modena, al

sig. Pietro Iacopo Martelli in Bologna, al sig. Anton

Maria Salvini in Fiorenza, al sig. Arciprete Crescim-
beni in Roma e anche a Mons. Fontanini quando a
questo non la mandi V. P. Rev.ma. Se ad alcuni dei
sopranominati volesse mandarne copia V. P. Rev.ma,
me l’accenni, perchè io sospenderò d'inviargliela dup-
plieata ; così mi piacerà di sapere se ai Giornalisti di
Venezia vuol mandarla Ella a dirittura, o vuole che si
mandi dall’ Accademia. Insomma tutto si farà secondo
le direzioni e i comandi di V. P. Rev.ma.

Scrissi al sig. Muratori le mie scuse ed egli gen-
tilmente mi confermò la libertà per la dedica e incalza
per la sollecita spedizione della stampa. Quanto alla
sua grand’opera delle Istorie d’Italia, mi dice che in
quella non possono aver luogo nè l’ Istoria di Sigi-
smondo de Comitibus, né l'opuscolo del Tignosio de
origine Fulginatum ; desidera solo le* copie di due altri
opuscoli da me accennatigli che ora si stanno facendo.

Mi continui V. P. Rev.ma il suo stimatissimo amore,
mentre ansioso del continuato onore de’ suoi comandi,
le faccio umilissima riverenza.

Foligno, 25 Settembre 1724.

Mi accenni quanto si paghi il tomo l’opera accen-
nata dell’ Istoria d’ Italia del Sig. Muratori.

Il Corpo del Vossio è già in viaggio, e potrà es-

sere in Foligno a mezzo Novembre.
BEE

Strettamente perchè sono in faccende per servire
Mons. Illmo Barni, che da sabato in qua ha ospite
l’Ec.mo Sig. Card. Scotti nel casino di questo signor
Giuseppe Iacobilli.

La dissertazione avanti notte, o al più lungo in
tutto domani sarà fuori, trovandosi sotto il torchio
























L'ACCADEMIA DEI < RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.




-yultimo foglio. Si spediranno le copie costà a Roma e
È altrove conforme Ella accenna, e manderò anche la





‘carta, che pare a me che sia dell impronta dell ancora,
‘non avendo presentemente alle mani la sua lettera ;
{ma quando fosse differente, V. P. Rev.ma me ne dia

subito un cenno in risposta, chè se non fosse capitata




Poecasione di spedir l'involto, muterò la carta e intanto
‘capitando occasione o troverò la lettera 0 spedirò quella

"dell'ancora.




Nel viglietto annesso troverà la notizia che posso

È

7 darle e in appresso, se averò più sicuro riscontro, non



; mancherò di renderla intesa con tutta la secretezza. Il

sig. Boccolini divotamente la riverisee e col medesimo
le faccio umilissima riverenza.
Foligno, 2 Ottobre 1724.

Non averei data la notizia richiestami ad altri che



V. P. Rev.ma, che son certo che ne farà buon uso
a , 1




essendo la .... da me venerata come mio parzialissimo
E padrone. .

P



E L'ordinario passato mi restó inavvedutamente sul

È tavolino la nota delle persone di seguito della signora
| Principessa, che troverà annessa benchè infruttuosa-
mente: condoni l’accidente.

i Non ho da aggiungere altro senonchè è pronto il

fagotto da mandarsi a Roma con le copie della dis-



| sertazione, ma aspetto il vetturale che non può tardar
più di due o tre giorni.
: Uno di questi mercanti mi ha promesso di fare




avere l’ involto direttamente a Forlì, cioè con mandarlo



ad un suo corrispondente in Pesaro, che averà l’atten-





zione di spedirlo costà. Vi saranno le due risme di



carta. Io fingerò che siano tutte copie della disserta-

zione apologetica e ne prenderò l’extratum dal S. Of-



fizio per assicurare la carta dal dazio. La sollecitudine

















E. FILIPPINI

dipende dall’ occasione de’ vetturali, con che mi con
fermo ecc.
Foligno, 13 Ottobre 1724.

95.

Ho già mandato a Roma al P. Lettore Onestini un

Involtino con otto copie della dissertazione apologe.
tica, ho pronto l' involto per V. P. Rev.ma elo spedir
alla prima occasione, per la quale invigilo io e il me
cante; quando io sentirò dal P. Lettore Onestini ch
sia presentata a Palazzo la dissertazione, farò distr
buire altre copie in Roma e fuori e renderò di tutt
intesa V. P. Rev.ma. Non ho mandate piü copie a].
P. Onestini, non avendomi specifieato il numero V. p.
Rev.ma e perché suppongo che la maggior parte le d
sideri appresso di sé: occorrendo mandarne più in Rom
l'aeeenni, ché la serviró.

Mi rallegro infinitamente col Rev.mo: P. abbat
D. Paolo Antonio Mastri, che riverisco con pieno os
quio senza moltiplicargli altre lettere e con umilissimi
riverenza ecc. i

Foligno, 20 Ottobre 1724.

96.

È veramente fatale, nè può negarsi, la lunga di
zione all’edizione del Quadriregio, e concorrono a darn
le riprove l'assenza da Roma del P. Lettore Onestini,
la mancanza delie occasioni per la spedizione del con
puto fagotto costà, che resta approntato da molti gior
con due risme di carta, una d' ancora l'altra della stell
secondo il comando di P. V. Rev.ma e eon una dozzen
e mezzo di copie della sua dissertazione, ch' aggiunti
alle otto spedite in suo nome al P. Onestini e alle due
già mandate al sig. Conte Diamante Montemellini in Pe-
rugia e al signor Cardinale Cristiani in Città di Castello
si fa la somma di ventotto copie per V. P. Rev.ma.

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO,

Le spedite dal sig. Boccolini e da me sono : In Roma

Mons. Fontanini due, una a Mons. Maggiordomo, una
] sig. Crescimbeni, una al P. Generale dei Domenicani,
una al Pagliarini libraio, col quale introduco carteggio
er far passare di là dai monti le copie di tutta l’ opera,
"altre ad altri amici, e una ne diedi in persona a
Mons. Monti bolognese, col quale ebbi lunghi discorsi
: li giorni passati anche intorno al Quadriregio, col far-
gli anche vedere il ms. c. del sig. Boccolini coll’ espres-
sioni in minio: Incipit Federicus-Explicit Federicus, del
che mostró di fare un gran conto a vantaggio di Foli-
no nella nota controversia. Gli mostrai anche il mio
codice ms. di Dante, e lo stimò sommamente, dicendo
di non aver veduto ms. di Dante nè meglio seritto nè
meglio conservato ; lo giudica copiato prima del 1400 e
mi confortò a non privarmene o a ricavarne gran van-
"taggio.

La copie mandate in Fiorenza sono al sig. Abb.
nton Maria Salvini, al sig. Cavalier Marmi e al sig.
omenico Bianchini in Prato. Le portò colà ultimamente

il sig. Abate Niccolini giovane virtuosissimo e Accade-
mico della Crusca, che ne ebbe parimente una copia.
- Feci leggere a detto signore alcuni squarci del Quadrire-
| gio e benchè ei sia prevenuto appassionatamente pel
divino loro Dante, confessò nondimeno che il Quadri-
"regio è una gran bella cosa. Feci seco qualche scusa da
municarsi agli altri sigg. Accademici della Crusca, che
ciò che da noi si dice in dichiarazione delle voci non si
"apprenda per una usurpata giurisdizione in materia di
; lingua, ma per una necessaria difesa del nostro autore,
ostrando che ció ch'egli ha detto è appoggiato all’ e-
empio d'altri poeti e prosatori contemporanei o al dia-
detto della patria. Mostró d'appagarsi di questa ra-
ione, ma gli scappò fra denti che, purchè non si pre-
enda di far passare il Frezzi per autore di lingua, non
a da temersi contradizione alcuna dall’ Accademia della
rusca. Noi certamente non abbiamo questa preten-

ione; ma chi sa che qualeuno di tanti che non sanno

E. FILIPPINI

umiliarsi alla superiorità fiorentina, non si butti a fo

mentar questo autore appunto per metter sul tappeto
uno, che non ha avuta la sorte di bere in Arno le grazie
più fine della toscana favella? ^

Ne ho mandata in Perugia una copia al P. Maestri
Cotta, altra è in moto per Fabriano al P. Amigoni, a].
tra al P. Zuti in Arezzo e altra in Siena al sig. Ben
voglienti, ma in tutte si pena per le occasioni di spe
dirle. In Modena al sig. Muratori e al sig. Marchese Ors
in Venezia al P. Artegiani o al sig. Benedetto Pisani, ai
nostri giornalisti e al sig. Apostolo Zeno : in Bologna all
P. Collina, al sig. Martelli: in Ferrara al sig. Baruffaldi,
Non tutte sono sinora spedite, ma tutte si spediran-
nò. Il mandarle per la posta sarebbe la maniera più
spedita, ma o dovrebbero affrancarsi qui e sarebbe una
buona spesa, o dovrebbe darsene il peso agli amici a?
quali sono dirette e gli si farebbe un poco servizio.

Quanto alle copie di tutta l’opera, io non posso de 1
terminare da me cosa alcuna di positivo trattandosi di
più interessati; dico bene che da qualche discorso pro
mossone in altri tempi ho avvertito che l'opinione era.
di assegnare cinquanta copie al più da distribuirsi quan
a dieci al S. Officio, Vescovo, Revisori e simili, e quant
alle altre quaranta dieci per ciascheduno alli quattr
che hanno fatigato, cioè a V. P. Rev.ma, al P. Arte-
giani, al sig. Boccolini e a me. Io procurerò che le su
non siano mai meno di dieci. Riverisco e ringrazio
vivamente il P. Ab. Mastri e il P. Prior suo fratello e
prego V. P. Rev.ma a specificarmi il tempo preciso del.
lor passaggio verso Roma per poterli servire d'un bi
chier di vino e del letto.

Il sig. Boccolini è molto travagliato dal suo mal
che ormai gli toglie ogni speranza di risorgimento senz
miracolo, riverisce ossequiosamente V. P. Rev.ma, di cu
mi confermo con umilissima riverenza ecc.

Foligno, 3 Novembre 1724.

L'ACCADEMIA DPI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO,

97.

Non sentendo ancora l’arrivo in Roma dell’ involto
‘con l’accennate copie della dissertazione da me conse-
nate ad un tale Antonio Pezzese da Viterbo vetturale
‘cognitissimo, che presto o tardi pagherà la pena di que-
sta mala azione che mi crucia infinitamente, sabato
corso mandai per una cambiatura quattro altre copie
] P. Onestini, che serviranno per il Papa, Duca di Gra-
‘vina, Mons. Lercari e Mons. Costini (?); le altre le man-
erò per altra occasione in questa settimana. Il P. One-
tini però dice di non avere avuto lettere di V. P. Rev.ma.
Annesso vedrà V. P. Rev.ma il frontespizio concer-
ato in un congresso accademico e una piccola notizia
] lettore, che si giudica necessaria di premettere al te-
Esto per intelligenza delle varie lezioni marginali. Consi-
eri tutto, l'emendi e la rimandi subito in risposta;
erché non v'é da stampare altro che il frontespizio,
lettera dedicatoria, le varie lezioni del Codice Bolognese,
il catalogo degli Accademici.
Scrivo in tutta fretta e perciò mi restringo a con-
fermarmi con umilissima riverenza ecc.
Foligno, 13 Novembre 1724.

Rimandi subito il foglio annesso emendato.

98.

Confermo a V. P. Rev.ma le premure accennatele
on l’ultima mia per riaver subito corretto il fronti-
| pizio del Quadriregio e la brevissima prefazione al let-
tore per potere una volta dar termine alla stampa ri-
dotta a due fogli, cioè al frontispizio e alle varie lezioni
del testo bolognese.
Farò tirare anche il secondo frontispizio per chi vo-
sse legar l’ opera in due tomi, che meriterà di farlo
per essere in tutto cento quattro fogli, e così si sarà ese-
uito in tutto il sentimento di Mons. Ercolani per que-
Sta ripartizione e per gl'indici. Nel primo tomo vi sarà

E



-B, FILIPPINI

tutto il testo con le varie lezioni del Codice Bolognese

6 catalogo degli Accademici Rinvigoriti, nel secondo
tutte le fatiche aggiunte d’annotazioni, osservazioni
| istoriche, dichiarazioni di voci e dissertazione apologe.
tica coi loro indici. ;
— Ho mandato di nuovo le copie della dissertazione e

Roma, non essendosi più trovato il primo vetturale,

Il fagotto con carta e dissertazione per V. P. Rev.ma
dovrebbe essere a quest'ora in Pesaro, di dove le deve
essere spedito dal sig. Pietro Cattani mercante in
quella città. V. P. Rev.ma stia in diligenza quando
passa la solita condotta o carico da Pesaro a Bologn;
Sto in ansietà di sentirne il recapito temendo i s
liti intoppi della fortuna, che tanto in alcune cose si è
attraversata a quest’ opera, benchè nelle più essenziali
le sia stata favorevole. A buon conto a questo mercante
sig. Agostino Nanni, che ha spedito il fagotto a Pesaro
al sig. Cattani, gli è restato su la Banca l’ Extrahatur
del S. Offieio. L'aecludo per ogni cautela quando le b;
sognasse e con umilissima riverenza mi confermo ece

Attendo qualche cenno del passaggio del P.re Ma-
stri, che riverisco distintamente col P. Priore suo fr
tello.

Foligno, 17 Novembre 1724.

99.

Ricevo con la stimatissima di V. P. Rev.ma il foglio
emendato con molto mio piacere, incontrando appunto
il mio genio le mutazioni fatte. La circostanza d’ uno d
P.P. del Concilio di Costanza per verità non mi è mai -
piaciuta e si era appiccata al frontespizio per non i
contrar disgusti coll'amico, che secondo le lettere pas:
sate con V. P. Rev.ma intorno alla prefazione se ne mo-
strava tanto impegnato. Mi appaga il motivo d' averla
lasciata correre in detta dissertazione e sono contentis
simo di levarla dal frontespizio, e ne capaciterò gli A

cademici.














L'ACCADEMIA DBI < RINVIGORITI > DI FOLIGNO, HOC.

Le righe ‘aggiunte in principio della piecola prefa-
| zione non mettono appresso di me in concetto di va-
"nità V. P. Rev.ma, della di cui virtuosa modestia. fra
- tante altre sue insigni doti ho pienissima stima: averà
È bene messo in discredito di disattenta o d’ ingrata l’ Ac-
cademia la formola, con la quale erasi stesa la prefa-
zione; ma tutto l’ errore è proceduto dalla vana preven-
zione d’una specie storta malamente concepita.

Si ricorderà V. P. Rev.ma che l’amico di Roma in-
calzava che si sfüggissero certi titoli di lode, che lui
tanto biasimava nel Magliabechi e in qualche autore
| stampato, aggiunta a ciò la correzione fatta dal mede-
simo amico della lettera dedicataria, dove cassò il giu-
sto titolo di dottissimo dato a V. P. Rev.ma e altre si-

[ mili espressioni; ecco l'errore, ecco la stortura precon-
7 eetta. Si 6 ereduto che, essendosi parlato molte volte con
lode del suo chiarissimo nome nelle ossservazioni istori-
E che e nelle dichiarazioni delle voci, fosse (diciamo un
È altro sproposito) più all’usanza il passarsela così liscia
liscia nella prefazione. Serve dunque la sua correzione
ad illuminarci e a non far comparir balordi gli Acca-
demici. Tutto resta aggiustato e in questa settimana si
| stamparebbe il foglio, se non si fosse trovato appunto
“mancante una risma di carta, che si lavorerà in pochi
giorni. Intanto io la ringrazio infinitamente, e, se ve-
nisse in tempo la sua risposta, mi accenni se nel margine
di sotto alla prefazione în una lettera scritta al nostro
Accademico Giustiniano Pagliarini etc. debba esprimersi
“il nome del sig. Ab. Salvini, cioè: Sig. Ab. Anton Maria
Salvini in una lettera ete. o pure lasciarvi correre la nota
senza detta espressione.
Uerto è che nulla importava attaccare al Quadrire-
gio il catalogo degli Accademici, ma che capacita tanti

umori; più d’uno ha la vanità che si veda almeno il




suo nome, giacchè non può lasciar vedere altro di buono
del suo.

Non si pubblicherà il Quadriregio senza, l’ avver-



tenza che accenna V. P. Rev.ma d’ aspettare un mese.








































senti —









p EE

e,"

E. FILIPPINI

Le copie della dissertazione stampate oltre a quell
da unirsi al poema non furono più di cento, creden- -
dosi che bastassero per darne un saggio agli amici let.
terati senza venderle: trenta ne sono andate a Rom
in due volte, altre venti ne ha avute V. P. Rev.m
compresevi le due per Perugia e Città di Castello, ot
o dieci fra il S. Officio, Vescovo, Vicario, Revisori, pub
blicetur (?), aggiunte quelle mandate ai letterati second
la nota Sua (?) e una per uno avuta dagli associati, non n
restano dodici o quindici copie: per questo non si son
mandate venali a Bologna: se si troverà mai il prim
fagotto mandato a Roma, io farò conservare quelle otto.
copie, che dovevano andare in mano del P. Onestini pe
VP. Rev.ma.

Dal P. Lettor Collina non ho lettere della ricevu
dell’involtino da me mandatogli franco, che pur gli
arrivato, avvisandomi il P. Martelli la ricevuta della su
copia. Egli se la. passa in termini generali mostrando
aver dato a legare la dissertazione senza leggerla ri
piego che si pratica da piü d'uno. Il Padre Cotta l'e
salta con molte lodi, che ricopieró in altra lettera, re

stringendomi in questa a confermarmi in fretta ecc.
Foligno, 20 Novembre 1724. 3

100.

Confesso ingenuamente che è ben grande il piace
che io provo in sentire i giustissimi applausi che da-.
pertutto esige la dissertazione apologetica di V. P
Rev.ma e tanto maggiore quanto ben grande è stato si-
nora il ribrezzo e il dispiacere d’averle io recato w
incomodo si tedioso e sì lungo; e l’assicuro che con
serverò di si segnalato favore la memoria obbligata fin-
che avrò vita. Mi amareggia questa consolazione il sen
tire che non le sia capitato ancora il fagotto con
consapute due risme di carta e le diciotto copie dell
dissertazione. Il mercante di Pesaro non solo ne al
cusò la ricevuta a questo di Foligno, che ne fece ll

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FCLIGNO,

spedizione, ma scrisse di più che l’avea consegnato al

sig. Grazia (se non erro nel nome) capo o direttore della
condotta di Bologna; io faccio sceriver di nuovo con
premura a Pesaro, ma prima della risposta spererei
che Ella possa rimanere consolata.

Conforme le aecennai, il garzone del vetturale che
portò a Roma il primo involto delle dissertazioni, s’ im-
pegnò di ritrovarlo e di portarlo in persona al P. Lett.
Onestini; non ne ho sinora altro rincontro; e quando
non l’abbia in questa settimana, caverò dalle mani de-
gli associati quattro copie e le manderò all’ Onestini, ac-
ciò ne possa servire in nome di V. P. Rev.ma il sig. Card.
Zendidoni, Mons. Santamaria e qualeh'’ altro di lei amico
in Roma.

Ora lascerò diligenza per far riferire ne’ giornali
oltramontani la dissertazione a parte, e a suo tempo il
poema stesso. Questo sarà in ordine per tentarsi in
Roma per le feste di Natale e lo farò passare per le
stesse mani di Mons. Lercari maestro di camera di No-
stro Signore, a cui scriverò io addirittura.

Colla posta d'oggi aspetto le risposte di Mons. Mag-
giordomo, di Mons. Fontanini, di Mons. Nuccarini e del
P. Generale dei Domenicani, che communicheró a V.
P. Rev.ma; intanto sento dall'amico che ne ha fatta loro
la presentazione degli esemplari, che sono stati ricevuti
con sommo gradimento e stima. Oh di quante copie
avrei bisogno ancor io! Non ho potuto mandarne una
in Piacenza, dove ho uno dei più cari amici che abbia
- al mondo.

Molto temo che Mons. Vescovo voglia applicare alla
compra per la libreria del Seminario dei quattro tomi
del Vossio; ma io sono risoluto in caso di renitenza di-
sporlo con tutta l'efficacia a rivendere almeno quel
tomo che sta in libraria per costituire in mano del po-
vero sig. Boccolini un corpo compito.

Aspetto con impazienza l’arrivo di quest’ opera per
liberarmi da qualche inquietudine sinora avuta per i
non pochi pericoli che ha incontrati in un viaggio sì

ECC.





N. FILIPPINI.

piccio per quei: che pe: Rev.mo Ab. te Caüneti - e. pali
Sg _Paounhiak, l'uno er so, amici e padroni. cui

E ordinazione, è pontile tenere ‘a dietro le proprie "m
ghe pel sito che occupano i libri nelle casse, e ha vo.
luto da me l’obbligo che, andando a male la condotta, j
avessi io soddisfatto lo sborso fatto in Amsterdam e per
la strada; ma tutto oggi svanisce, essendo già i libri in
Italia, come le scrissi, e in stato d'arrivare qua, pia-
cendo a Dio, da un giorno all’ altro. 3

La nota di quelli che hanno avuto le dissertazioni,
la manderò nel venturo ordinario.

Foligno, 4 Dicembre 1724.

101.

Te deum laudamus. Farò eco alla giusta acclama-
zione di V. P. Rev.ma per l’arrivo dell’aspettato in-
volto; mancava quest’intoppo, che la disgrazia l'avesse
trasportato avanti sino a Faenza per dar questo merito |
di più alla virtuosa moderazione di V. P. Rev.ma e un -
solletico d’impazienza alla mia debolezza.

Il sig. Baruffaldi dice bene che in tempo ch'ei
scrive non avea ricevuta ancora la dissertazione; ma
non potrà dir più così, mentre oggi otto gliela inviai
pel canale appunto del sig. Girolamo Azzolini, che seppi
ultimamente esser colà mastro di posta. Al medesimo |
sig. Azzolini trasmisi anche le copie per Venezia pre-
gandolo ad avanzarle colà al P. sig. Catarino Zeno,
come spero che certamente avrà fatto, essendo un
signore ricco e di tutta gentilezza. d

Queste spedizioni mi hanno dato veramente del di-
sturbo. La condotta dei vetturali mi è riuscita troppo |
lenta e troppo infedele. Per la ‘posta non ho voluto -
darne la spesa a quelli cui andavan dirette, ed affran-
carle tutte mi era di troppo discapito, tanto più che que-
sta spesa volontaria non era dovere di darla in conto

agli associati; da ciò è proceduta qualche lentezza. i










L'ACCADEMIA DEI <« RINVIGORITI ». DI FOLIGNO, ECC.

Nel foglio annesso riceverà V. P. Rev.ma il ristretto
d'altre risposte eapitatemi e la nota della distribuzione
di tutte le copie della dissertazione.

Dal sig. Muratori e dal sig. Marchese Orsi non ho
ancora risposta, né meno il sig. Boccolini dal sig. Cre-
scimbeni, a cagione che quello che portó la copia per lui,
da un mese e mezzo in qua non è capitato per anco in
Roma: ecco un altro influsso della maligna costellazione.

Scrivo oggi confidentemente al P. Cotta per sentire,
come lo prego se volesse accettare di far l’estratto della
dissertazione pel giornale di Venezia.

Il Pagliarini libraio in Roma mi ha dato già la com-
. missione di trenta copie del poema per farne passar
venti di là da i monti e per ritenerne dieci per la sua
bottega, con promessa di darne commissioni maggiori,
quando l'opera incontri l' approvazione degli eruditi, e
lo spaccio e di farne passar le copie in ogni parte d' Eu-
ropa, e per lo stesso canale farò riferir tutto nel gior-
nale di Trevoux. ,

AI sig. Card. Gozzadini non si è mandata la dis-
sertazione, ma un gentiluomo di qui gli manderà tutto
il corpo del poema....

Aspetto l’ avviso del Vossio, che forse è trattenuto
dalla stravaganza dei tempi, per dare un forte assalto a
Mons. Vescovo per concludere uno dei due contratti ac-
cennati per quiete del povero sig. Boccolini, che la rive-
risce ossequiosamente dispensandosi dallo scrivere per
i soliti tormentosi acciacchi.

Incontro a cuore aperto i cordialissimi annunzi di
felicità che si è degnata farmi godere il gentilissimo
amore di V. P. Rev.ma e ripregandole il colmo di ogni
prosperità spirituale e temporale senza distinzione di
tempo, mi confermo con umillissima riverenza ecc.
Foligno, 15 Dicembre 1724.

102.

Viva il Quadriregio, viva il degnissimo P. Abb. Can-

neti, viva la giustizia, viva la verità che sempre trionfa.













































E. FILIPPINI

Dall'annessa copia della lettera del sig. Bottazzoni vedrà
V. P. Rev.ma i giusti motivi di queste mie acclamazioni,
Io aspettava di mandarle le lettere del sig. Muratori, de]
sig. Marchese Orsi e del sig. Baruffaldi, che per anche

' non si vedono, benché senta dal P. Collina e dal sig. Az.

zolini che tutti hanno avute le copie che ho loro tra.
smesse; ma per verità questa del sig. Bottazzoni non 1
dovea trattenersi. Mi persuado che sarà di tutta sua com.
piacenza, come è stato a me e al povero sig. Bocco- i
lini, che sempre va più deteriorando nella salute, con
timore ben fondato, elo dico con infinita pena, che non
possa sopravvivere molti mesi.

Il Vossio sta ancora a Ferrara, trattenendo i corri- |
spondenti di questi mercanti le casse per la stravaganza
del tempo.

Mi risponde il P. Cotta che non ha corrispondenza
alcuna con i detti giornalisti di Venezia, ma che ave-
rebbe pregato il P. Artegiani per far fare a lui l’ e-
stratto della dissertazione. Io a questo cenno ho voluto
prevenire con mie lettere al P. Artegiani, acciò seri-
vendogli il P. Cotta non sembri che vogliamo metter.
con lui mezzani, e gli ho insinuato di far seguire in
preventivo articolo a parte la relazione dell’ Apologia,
e gli ho ricordato di far comparire al suo lume il forte
delle buone ragioni schierate in difesa del Frezzi da |
V. P. Rev.ma. E

Se avesse appresso di sé la nuova edizione della
Perfetta Poesia Italiana colle annotazioni del P. Ab. Sal-
vini, la prego osservare nel primo tomo, non so indi-
cargli le carte, dove il sig. Salvini fa una lunghissima
annotazione intorno al secold'oro della toscana poesia,
nomina il nostro Frezzi come prossimo a Dante, benché :
lo dica longo proximusi intervallo, ma ciò che mi preme
è che lo qualifica per un nuovo Dante dell’ Umbria; mi
preme di avere per un mio fine le parole precise di
questa espressione, non ricordandomi se dica dell’ Um-
bria o in altro modo; la supplico a rincontrarlo e fa-
vorirmene sollecitamente, che le ne professerò distintis-

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO,

sime obbligazioni, con che mi confermo sempre più con
umilissima riverenza ecc.
Foligno, 22 Dicembre 1724.

103.

Le riflessioni prudentissime e vere di V. P. Rev.ma
intorno al lavoro della Divina ‘Provvidenza nella con-
dotta dell’ edizione del Quadriregio mi accrescono som-
mamente le consolazioni (che le averà risentite ben
grandi anche V. P. Rev.ma in legger la copia della let-
tera del sig. Bottazzoni) e m'incitano a render grazie
all'Altissimo d'un esito si felice dopo tante fatiche e

travagli. Voglia Dio che la medesima aura propizia spinga

“a piene vele, non dico il testo, di cui non mi par di te-

mere, ma le aggiunte che l’ accompagnano, intorno alle
quali si restringono le mie titubazioni.

Certo è che il sig. Dott. Beccari ha dato l'ultima
mano a mettere in chiaro la verità e credo che i signori
Bolognesi si siano spaventati in dover difendere un impo-
store. Gli è dovuta pertanto ogni riconoscenza: l’Ac-
cademia ha destinato di scrivergli in ringraziamento nel-
l’atto di mandargli una copia di tutta l’opera, altra se
ne manderà al sig. Bottazzoni, e l'uno e l’altro reste-
ranno aggregati, dispiacendomi solo che sia stampato il
catalogo ove non vi é piü luogo.

Per la terminazione di tutta.la stampa mancava solo
il primo foglio col frontespizio, lettera dedicatoria e pic-
cola prefazione al lettore già concertata con V. P.
Rev.ma; si è ritardato per mancanza della carta (veda
ch» fatalità) trovata di una risma meno del bisogno:
questa già si è rifabbricata, ma con stento rispetto al
tempo, e già l’ha in mano lo stampatore, che tra oggi
e domani compone il foglio per tirarlo martedì. Sicchè
nell’ entrante settimana si spediranno le copie a Roma
per un mese appunto dopo la presentazione della dis-
sertazione e si accerti che non vi si perderà tempo.

Ancora aspetto con impazienza le risposte del sig. Mu-
ratori e del sig. Marchese Orsi: ho ricevuto quella del









E. FILIPPINI

sig. Baruffaldi ed eccone la copia. « Dal sig. Giro-

« lamo Azzolini mi furono consegnati nell’ ordinario

scorso d’ordine di V. S. due esemplari dell’ Apo-

logia del Rev.mo P. Canneti a favore del fu Ve.
scovo Frezzi, autore del Quadriregio, e siccome era
questa una delle cose che io aspettava con molta an-
sietà, così lascio giudicare a lei se mi fosse cara. Un
esemplare io feci passar subito alle mani del P. M,
Ravali che qui predica nella sua chiesa, l'altro me
lo sono divorato io con infinito piacere vedendo so-
pratutto onorato il mio ms. con tanta distinzione,
Perciò ne ringrazio con ben distinta maniera V. S.
che d’un tanto favore mi ha voluto arricchire. Resta
solo che si compia la grazia col farmi tenere anche il
Quadriregio intiero, che da me come un prezioso te-
soro sarà aggradito e conservato nel mio studiolo a
maniera di prediletto, avendo somma voglia di ve-
derlo ripolito da quella antica barbarie, che lo ren-
deva così grossolano nell’ esterno ».

Subito che mi verranno i libri da Perugia, li unirò
con le copie del Quadriregio, alle quali sarà in tutte
unita la dissertazione e con una copia del tanto con-
trastato e perciò famoso Sinodo di questo Mons. Batti-
stelli. Li giorni passati, nel riverire questo Prelato, mi
communicò la lettera scrittagli da V. P. Rev.ma, da lui
sommamente gradita, perchè infinitamente stima il di lei
merito; mostrò qualche inclinazione di donarle una co-
pia di detto suo Sinodo, ma ne stava in titubazione per
mero effetto di virtuosa modestia; io gli feci animo e
gli aggiunsi gl'impulsi, accertandolo che avrebbe in-
contrato tutto il gradimento, tutta la stima appresso V.
P. Rev.ma, che dopo di aver ricevuto il libro potrà dirne
il suo sentimento a Monsignore, che me l'ha dato per
regalarglielo con questo patto.

Si compiaccia V. P. Rev.ma per mia regola aecen-
narmi qual prezzo a suo giudizio possa. stabilirsi al
Quadriregio con suoi annessi. Sono in tutto centocin-
que fogli di carta mezzana fina del sesto della disser-

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO, ECC.

tazione, divisi in due tomi o volumi. Il testo in carat-
tere di Silvio, tutte le altre cose nel carattere della.
dissertazione.

Il sig. Boecolini che umilmente la riverisce, atten-
derà eol maggior comodo di V. P. Rev.ma i suoi mss.
restatigli in mano, e col solito pienissimo ossequio mi
confermo ecc.

Foligno, 29 Dicembre 1724.

104.

Te deum laudamus. Finalmente ho la consolazione
di accertare V. P. Rev.ma della terminazione delle no-
stre sì lunghe e tediose fatiche coll’ ultimazione della
stampa del Quadriregio. È bisognato di ristampare un
mezzo foglio per accomodarvi il secondo frontispizio per
divider l' opera in due tomi, ché in uno certamente re-
sta troppo voluminoso, ed eccoci impensatamente con-
dotti. a quanto propose una volta Mons. Ercolani di fare
appunto questa divisione e di aggiungervi gli indici,
che tutto si è fatto, benchè a prima se ne sentisse la
proposta nelle lettere di V. P. Rev.ma con tutta repu-
gnanza dal sig. Boccolini e da me; e questo pure è un
tiro della superior provvidenza, che invisibilmente è an-
data benedicendo l’ ardua condotta di questa impresa dal
principio sino alla fine.

In questa stessa settimana e subito che capiterà op-
portuna occasione di vetturale fidato si spediranno a
Roma le copie da presentarsi a Palazzo, e le legature le
farà il Pagliarini: colla prima congiuntura di vetturale
spedirò anche le copie per V. P. Rev.ma a Pesaro al
P. Ab. Mastri (che ho aspettato dal principio di Di-
cembre in qua) con la risma di carta, che mi comanda,
della stella, il prezzo della quale come quello dell’ altre
dell’ àncora è appunto quella che accenna V. P. Rev.ma.

Nell’ annesso foglio troverà le copie d'altre lettere
intorno alla sua applauditissima dissertazione e special-

mente la seconda di cambio delsig. Bottazzoni respon-

E. FILIPPINI

siva alla mia, in cui con qualche propria studiata espres-
sione avea cercato fargli comprendere la stima e le ob-
bligazioni, con le quali si era ricevuto il di lui primo
foglio da me, dall’ Accademia e dalla città tutta. In
fine vi troverà la formola di una notificazione, che io vor-
rei fare stampare per mandare in fine agli Accademici
Rinvigoriti forestieri e all’altre Accademie d’Italia. V,
P. Rev.ma consideri se sia ben fatto, corregga il foglio
e mi rimandi subito la copia corretta della notificazione.

Venerdi e sabato ebbi qua all'improvviso per ospite
il degnissimo sig. Ab. Amigoni, che a voce mi ha con-
fermata con vive espressioni la stima grande che egli
ha della dissertazione e del poema, intorno al quale si
è invogliato di fare anch’esso qualche fatica erudita.
Mancava appunto che questi due gran letterati Amigoni
e Cotta s'impegnassero a fare spiccare la loro virtù ed
erudizione ad illustrazione del nostro poeta. Io prevedo
che queste felici contingenze e la pace coi Bolognesi
voglino eccitar qualche... con ombra almeno di gelosie
co’ Fiorentini, a quali forse da qualcuno verrà contra-

stata la monarchia del loro Dante.

Tutto serve a far fare qualche risata al nostro po- .

vero sig. Boccolini che in queste materie trova l’unica
consolazione fra le cose temporali. Ma è tempo di mu-
tare scena e di voltarsi al rovescio della medaglia. La
nave che portava le opere del Vossio è naufragata a vi-
sta del porto di Ravenna. Si è ripescata buona parte.
del carico e distintamente due barili di garofoli e can-
nelle di questi signori Antonio Cimerelli e fratelli e Com-
pagni, in uno dei quali è incluso l’involto di detti libri.
Sono molti giorni che si è avuta questa cattiva nuova |
(dico cattiva, perchè mi pare impossibile che i libri non
abbino patito o non siano affatto rovinati sotto l’acqua);
ma non ho voluto con quella amareggiare a V. P. Rev.ma
le consolazioni che andava ricevendo per la sua disser-
tazione, come non ho voluto nemmen per ombra che ne
penetri la notizia al povero sig. Boccolini, nè gli arri-
verà mai, per non finir di ammazzarlo, e perciò ho detto

L'ACCADEMIA DEI « RINVIGORITI » DI FOLIGNO,

ai mercanti che i libri sono di V. P. Rev.ma, perché,

eredendoli o miei o interessatovi il sig. Boccolini, po-

trebbe arrivargliene facilmente per altra parte la notizia

a tormentarlo. La stessa gelosia io aveva di non af-
fliggerne V. P. Rev.ma ; ma sentendosi la repugnanza
che hanno in Ravenna per la restituzione dei colli no-
nostante l'idonea sigurtà che si propone per stare ai
danni che verranno giudicati di giustizia, si è creduto
necessario d’interporre i suoi officii mediante qualche
potente amico in Ravenna per detta restituzione, per la
quale daranno i mercanti il fideiussore, come dall’in-
cluso viglietto. Non si turbi V. P. Rev.ma, perchè i li-
‘bri non saranno deteriorati, chè lo suppongo impos-
sibile; non vi è mal veruno, e in caso contrario io sup-
plirò a tutto: e se non avrò avuta la sorte d’ aver
servita V. P. Rev.ma del tomo che desidera, che ba-
sterebbe che solo fosse restato intatto, avrei almeno la
consolazione d’aver servito il povero sig. Boccolini,
che non si quietava se non davano le commissioni per
questi, e mi si accresce oggi il motivo di carità in
tenergliene lontanissima ogni notizia.

Mi continui intanto V. P. Rev.ma il suo amore, mi
comandi sempre con tutta libertà, perchè sono e sarò sem-
pre a tutto impegno di debito e di genio, quale con
umilissima riverenza mi sottoscrivo ecc.

Foligno, 15 del 1725.

Nel rispondere intorno a i libri del Vossio si degni
parlare in modo che espressamente non apparisca che
vi siano interessati nè il sig. Boccolini nè io, e si lasci

servire e si fidi di me.
105.

Già sono andati in Roma gli esemplari di tutta l’ o-
pera del Quadriregio da presentarsi al Papa e a i Pre-
lati Palatini subito che saranno legati dal Pagliarini li-
braio, a cui ne raccomando il compimento con solleci-

‘tudine e polizia; e tengo in Roma un amico, che li por-























(Continua).

E. FILIPPINI

- . t * i
terà subito a Mons. Lercari, al quale scriverò ancor io

domani per tenerlo prevenuto con l’ avviso di detta spe-
dizione e per supplicarlo dell’ onore di farne le presen- |
tazioni a nostro Signore. :

Ho avuto anche fortuna d’inviarne due copie di-
rettamente a Venezia, una per il P. Artegiani, l’altra
per i signori giornalisti mediante un P. Zoccolante de]
convento della Porziuncola, che si porta colà alla que.
stuazione dell' elemosina. 4

Tengo pronte dieci copie per V. P. Rev.ma da spe- ——
dire a Pesaro col Sinodo di Mons. Battistelli e carta co- |
mandatami, e sto in attenzione di opportuna occasione
per spedirne l’involto a Pesaro al Rev.mo Mastri; ma
la stravaganza de’ tempi m’impedisce l’ effettuazione,
tanto più che li vetturali sono ora impiegati al tra-
sporto delle mercanzie dalla fiera già terminata di Reca-
nati. Se tra due a tre giorni partirà, come mi ha inten-
zionato un mio amico, verso Pesaro, gli consegnerò un
involto con due o tre copie del Quadriregio e col Si-
nodo Battistelli per poter soddisfare alla virtuosa curio-
sità di V. P. Rev.ma, per mandar poi per qualche vet- ..
turale il restante delle copie e la carta. à

Aspetto con impazienza la copia corretta della no-
tificazione per mandarla impressa agli Accademici fo-..
rastieri e .ad altre persone erudite con speranza che
possa facilitare l'esito delle copie del Quadriregio.

Mi piacerà di sentire se abbia fatto passare offizio
alcuno in Ravenna per la restituzione delle consapute
droghe, alle quali va annesso il corpo del Vossio. Con-
fermo a V. P. Rev.ma che non si prenda disturbo di
questo sinistro accidente e col solito riverentissimo os-
sequio le faccio umilissima riverenza. ;

Foligno, 26 Gennaio 1725.

E. FILIPPINI.

BEARS, Fo]

I. — La vita di Tommaso Morroni.

a) La vita del Morroni fino al 1431.

La vita, più che le opere di questo umanista, diploma-
tico, rimatore, soldato, potrebbe offrire oggetto a uno studio
importante, e presenterebbe lati veramente caratteristici,
per completare la conoscenza di quel tempestoso periodo
della nostra storia civile e politica, durante il quale egli
visse; periodo, di cui Tommaso Morroni è uno dei più vivi
rappresentanti e anche — sia pure modestamente — parte
non trascurabile.

Le vicende della sua vita avventurosa, come. quella di
molti suoi contemporanei, sfuggono, talvolta, alla nostra in-

- dagine, né ci é permesso di ricostruirla tutta, forse più che
per la mancanza di documenti, per l impossibilità in cui ci

troviamo di venire a conoscenza di molti di essi (1).
Altrettanto possiamo dire delle sue opere, molte delle
quali, probabilmente, giacciono dimenticate in qualche ar-
chivio. Ne presentiamo alcune che ci venne fatto di rintrac-
ciare, e crediamo opportuno di farle precedere da qualche
‘cenno biografico del nostro autore, giovandoci di quanto su

di lui si è pubblicato finora.

(1) Il sospetto sull’esistenza di altri documenti sul Reatino ci é confermato dal
GuiNzowI P., Ultime vicende di Tommaso Moroni da Rieti in Archivio Storico Lom-
bardo, serie II, anno XVII, fasc. I (31 marzo 1890), pag. 42 seg.

35





B. BORALEVI

I documenti a noi noti, che si riferiscono a questo umili
nista, sono quasi tutti venuti alla luce recentemente, tanto
che, solamente in questi ultimi anni, si è potuto ricostruirne
con certezza il nome e la famiglia (1); è probabile che essa.
non possa vantare origine nobile, perchè, pur non tenendo conto.
delle calunniose insinuazioni di Poggio Bracciolini (2), resta.
per noi il fatto che di lei non troviamo menzione nei docu
menti reatini più antichi. L'avo omonimo del nostro umani-
sta però, fu notaio, fu piü volte gonfaloniere e priore, e per-
sino ambasciatore al papa. Anche gli zii, Angelo e Giovanni,
e il padre ebbero cariche pubbliche e parteciparono alla
vita politica del loro tempo e specialmente in quella agitata
e tumultuosa del loro paese. Lo zio Angelo fu notaio della
camera apostolica fino al 1408, e poi segretario di Alessan-
dro V, di Giovanni XII, che lo adoperò in qualità di nunzio,
come il suo successore Martino V: il nostro Tommaso, come
vedremo, sarà tentato di seguire il suo esempio. L'altro zio,
Giovanni, e il padre — specialmente quest’ultimo — vissero
più a lungo nella loro città natale e là, nei tumulti di cui.
spesso furono i capi e le vittime, esplicarono quell’ astuzia,
allora cosi comunemente adottata nel reggimento dei piccoli
e grandi stati, che non sarà disapprovata dal Machiavelli. 1
Le insidie, le vendette, gli odi covati da lungo tempo,
i negoziati politici a cui assisté e partecipó, devono aver

formato, sino dai più teneri anni, l'indole battagliera e vio
lenta del nostro umanista, quale ci è nota e quale la ve-
dremo anche dai nuovi documenti, indole non diversa da
quella degli altri umanisti del suo tempo.

(1) Cfr. in proposito SACCHETTI-SASSETTI A., La famiglia di Tommaso Morronè
e le fazioni in Rieti nel secolo XV, in Bollettino della R. Deputazione di Storia pa-
tria per l'Umbria, vol. XII, fasc. 1, pag. 81 seg.

(2) È noto che il Bracciolini scrisse contro il nostro umanista un’ invettiva pub- |
blieata da GaBorTO F., Ua letterato wumbro del secolo XV, Tommaso Cagppeliart da
Rieti in Archivio storico per le Marche e per V Umbria, 1V, fasc. 13-14, pag. 082 seg-

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC. 591

Tommaso Morroni (1) nacque a Rieti nel 1408 da Fran-'
cesco Morroni e da Onorata Petroni di nobile famiglia rea-
tina (2) e, nei primi anni, dové essere spettatore e, tavolta,
attore nelle congiure e nei tumulti della città nativa: i suoi
anzi, furono esiliati durante la sua adolescenza, tornarono
in patria nel 1425; ma, dopo circa quattro anni, furono di
nuovo banditi e nel 1431 si unirono agli Alfani, già loro ne-
mici e compagni nell' esilio, per tentare il ritorno.

In questa occasione il nostro Tommaso inizió la sua
vita diplomatica: infatti egli prese parte a queste trattative,

- che peró andarono fallite, e cospiró col padre e collo zio per
‘ l’intento accennato (3).

b) Avventurosa vita del Morroni fino alla sua entrata alla corte
di Milano.

Se si dovesse credere all’ elogio-di Siccone Polenton nel
suo Exemplorum libri (4), il nostro umanista avrebbe dato,
sin dalla più tenera età, prove manifeste del suo sapere e
splendide promesse pel suo avvenire (5): ma a queste lodi,
così comuni in quell’ epoca di « fanciulli miracolosi » (6),

(1) Secondo il SAccHETTI (l. c.) il cognome originario di questa famiglia dové
essere da prima Scioni, e il nome di Morroni, che si deve considerare più come
patronimico, che come un vero e proprio cognome, fu affitato sempre dopo che
Tommaso divenhe celebre, forse perché preferito da lui. Il nome, come osserva il
BELTRAMI (Tommaso da Rieti in Spagna in Giornale storico della Letteratura Ita-
liana, XX1X, pag 349 seg.) é probabilmente Tommaso: ché la grafia dei documenti
reatini « Tomaxius », forma mal latinizzata di Tomasso, è derivata forse dalla pro-
nuncia dell’ Italia media.

(2) SACCHETTI, l. c.

(3) SACCHETTI, I. c.

(4) La parte che riguarda Tommaso da Rieti è pubblicata da SEGARIZZI A. Per
Tommaso Morroni in Rassegna bibliografica della Letteratura italiana, VI, 325 seg.

(5) ... quod excelleret cunctos multumque prosa, multum etiam metro posset
nec modo epistolas, sed orationes vel exornatissimas ederet philosophiam, cum de-
cimum ageret annum publice legit; etatis vero anno duodecimo poeta egregium (?)
et tragediam et comediam scripsit etc. (SEGARIZZI, l. c.).

(6) Cfr: Rossi V., Il Quattrocento, Vallardi, pag. 4l.

538 I | * B. BORALRVI

non si può dare certamente valore storico, tanto più che.
Rieti, dove il nostro umanista visse parte dei suoi. primi
anni, era allora centro poco favorevole agli studi, e di que-
ste presunte opere non si ha nessuna notizia se non quella
di quest’ elogio, genere di scrittura di per se stesso poco ate
- tendibile. È
Da quanto scrive il nemico stesso del Morroni, il Bráe:
ciolini, sembra però che egli studiasse e si addottorasse al-
- Y Università di Perugia e che, lasciati gli studi e arruolatosi
sotto Giacomo da Roma, partecipasse al moto scoppiato con-
tro il papa Eugenio IV in quella città (29 maggio 1434).

È noto come egli, per sottrarsi alle persecuzioni del
cardinal Vitelleschi, si rifugiasse nel campo di Nicolò Forte- |
braccio, nemico accerrimo della Chiesa, e di li a Firenze,
dove visse insegnando privatamente, finchè, per l’anno 1436-37
fu nominato professore di retorica all’ Università di Bologna
‘ insieme coll’Aurispa : li recitò un’ orazione inaugurale che
| dovette essere celebre — il Bracciolini la ricorda nella sua
invettiva — e forse presenterebbe per noi una certa im- .
‘portanza, giacchè doveva essere una specie di autobiografia; -
ma essa è andata perduta. i

Dopo circa un anno dalla sua nomina a professore di
| retorica all’ Università di Bologna, cominciano le ostilità di
"Tommaso col noto umanista Poggio Bracciolini. Entrambi
aspiravano allo stesso ufficio, quello di segretario aposto-
lico (1): anzi, forse per questo intento il Morroni aveva
. cercato di ottenere il favore di alcuni prelati, dedicando loro
due dialoghi che ancor ci restano (2): al cardinal Giovanni
di Rohan, vice cancellario pontificio, quello intitolato Im con-
solationem ecc. e a Biagio Molina, patriarca di Gerusalemme.
un altro: De Fortuna. Il posto cui aspirava Tommaso da

(1) Il papa Eugenio IV era allora (fino al gennaio 1438) a Bologna (CIPOLLA,
Storia delle Signorie italiane dal 1313 al 1530. Milano, Vallardi, 1888, Dag: ei
(23): Vedi cap. TE 4 c

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECCO. 539

Rieti, era stato già occupato dallo zio Angelo ed era molto:
ambito dagli umanisti (1) ed è naturale che egli e il Brac-
ciolini se lo disputassero con tanto accanimento. Pare che
il Poggio, per ottenere il suo intento, andasse insinuando
voci malevole contro il Reatino e che fosse riuscito per-
sino a fare imprigionare (2) il nostro umanista, che, pro-
babilmente in questa occasione, recitò l’ Apologia (3): vio-
lenta invettiva contro il suo accusatore. La risposta del Brac-
ciolini (4) deve essere di qualche anno più tardi, perchè in
essa si allude alle varie vicende della vita del nostro uma-
nista, dopo avere inutilmente tentato di ottenere quell’ uf-
ficio.

Da Bologna, il Morroni passó a Ferrara, nella splendida
e liberale corte di uno dei piü raffinati cavalieri e mecenati
del tempo, di Leonello d' Este;e fece parte, sembra per poco,
del famoso circolo letterario di questo principe, che fu un
degno rappresentante dello spirito umanistico e il protettore
dei più insigni studiosi del tempo.

Il nostro Reatino seppe ottenere la stima di ital prin-
cipe colto e illuminato e pare, anzi, che questi gli affidasse
qualche missione diplomatica (5). Certamente lo fece cava-
liere ; infatti questo titolo gli è attribuito sempre; e lo afferma
lo dior Bracciolini, che però fa apparige questo, non come
un onore tributato dal duca d’ Este al nostro Tommaso, ma
come un favoritismo da lui carpito con ignobili arti. Si capisce
che l'acerrimo nemico suo doveva provare un gran dispetto

a

(1) Cfr. BURCKARDT, La civiltà del Rinascimento in Italia, trad. it. Valbusa,
Firenze, 1899, I, pag. 267.

(2) La cosa non è improbabile, perché, come osserva il GABOTTO ‘(1. ‘c.), Poggio
era molto influente allora presso il papa ed è confermata da una lettera del Decem-
brio. al Bracciolini pubblicata dal GABOTTO F., Altri documenti su Tommaso Morroni
da Rieti, in Biblioteca delle scuole classiche italiane, N (1892) n. 2.3. :

(3) Vedi cap. Il:

.(4) In Thomam Reatinum spurcissimum ganionem.

(5) Il Bracciolini (l. c.) dice che il Morroni si vantava a Bologna oratorem a
Lionello principe ad ponteficem venisse.









540 B. BORALEVI

nel saperlo colmato di onori e di benefici in una corte così
ospitale e munifica per i cultori del rinnovato classicismo
quale fu la ferrarese, e sembra, anzi, che egli cercasse di
metterlo in cattiva luce presso Leonello (1); inutilmente
però: chè il Reatino, durante la sua dimora a Ferrara, fu
in ottimi rapporti con quei letterati e segnatamente col
maestro tanto caro al principe: Guarino Veronese. Non
si capisce il motivo che determinò il distacco di Tom-
maso da quella corte: forse esso si deve ricercare, più che
in una speciale ragione, nell’ indole irrequieta di lui; fatto
sta che da Ferrara passò a Mantova (2) probabilmente rac-
comandato dal duca, e li si fermó pochissimo, ma per. mo-
tivo forse ben diverso da quello dato dal Bracciolini. Vi
recitò un’ orazione, ed ebbe occasione di stringere amicizia
con un altro umanista insigne: Vittorino da Feltre (3).

c) Tommaso da Rieti alla corte di Milano, durante il ducato di
Filippo Maria Visconti.

Da Mantova, dove aveva avuto una carica nell'esercito,
il nostro umanista passò al campo di Nicolò Piccinino, che
era al servizio del duca di Milano, presso il quale andò poi
anche Tommaso, dopo avere recitata un’ orazione in sua lode
il 2 febbraio 1438 (4).

Questo principe, che pur fu crudele ed astuto, difetti
comuni alla maggior parte dei signori d'allora, fu liberale
mecenate degli umanisti, che accolse benignamente alla sua
corte. Giustamente osserva il Rossi (D) che « quella parti-
colar tirannia che coceva tanto agli umanisti, costretti spesso
da lui à scriver volgare, ridonda anzi a suo onore, sia come
(
(2) Il duca di Mantova era suocero di Leonello.
(3) BRACCIOLINI, l. c.

(4) Vedi cap. II e appendice.
(5) O. c.

1) GaBOTTO, Un letterato umbro ece., l. c.
)

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC. 541



reazione all’andazzo del tempo, sia perchè non la praticava
per ignoranza di latino » e presso di lui vissero il Filelfo
e il Decembrio e altri umanisti con cui il nostro fu in re-
lazione.

Filippo Maria, conosciute le doti del Morroni, gli affidò
importanti missioni diplomatiche. Non senza lotta egli riuscì
a entrare in questa corte, per quanto egli avesse cercato di
propiziarsi il Decembrio, allora potentissimo, come prova un
epigramma a lui dedicato (1). Ma ben presto i due diven-
nero fieri nemici, più di tutto per rivalità di professione, ma
anche per l’ odio che Tommaso nutriva contro il Bracciolini,
amico al Decembrio. Però a separarli per sempre, dovè con-
wibuire anche il Filelfo, venuto nel 1440 circa a Milano, e
rivale temuto di Pier Candido: qualunque ne fosse il mo-
tivo è certo che da un’ epistola già menzionata del Decem-
brio al Bracciolini, traspare un rancore profondo contro il
Reatino, epistola, che, come osserva acutamente il Gabotto,
attesta che il Bracciolini dovette attingere per la sua invet-
tiva molte notizie dall’ umanista lombardo, che lo conosceva
meglio di lui e che doveva essere geloso di veder affidate
a un nuovo venuto missioni importanti da parte del duca.

Contro il Morroni si leva anche l’autore anonimo di un
epigramma del cod. Ambrosiano H@18 c. 90 recto, diretto da
un tal Magister Antonius Randensis, teologo: vi si esprime la
meraviglia che uno straniero possa aver ottenuto in Milano
tanto favore e sia portato tanto alle stelle: eppure, egli é
un mortale come tutti gli uomini e non ha maggiori meriti
degli altri, né li supera sia fisicamente che moralmente (2).

(1) Vedi cap. II.
(2) Cod. Ambrosiano H. 48, c. 90 recto
Ad magistrum Antonium Randensem Theologum summe integritatis virum
Rande quis externis venit peregrinus ab oris
Quem tantum demens volgus in astra ferat
Audens ille aliquis celo delapsus ab alto
Insubres petiit qualibet arte rudes
















































































. B. BORALEVI

Dello stesso autore — se non è il Decembrio, è certa.
mente un umanista della corte di Milano, amico suo — è
la poesia (1) in cui si scherniscono le qualità del nostro Rea-

Sed si despicimus ; sane mortalis et ipse est
Imperio necis subdita vita sua est
Nos quoque iam Ligures totum penetravimus orbem
Ora nec est variis clarior ingeniis.
Hic equidem expressos levi de marmore vultus
Artifficum (szc) manibus vivereque era (?) putes
Rite coloratas hie conspirare figuras
Cerno: et motus quosque refferre (sic) suos
Pretereo insignes calathis tenuique minerva
Nimphas et pictis addere signa thoris.
Invietasque artes admotaque culmine celo
Non repetam atque auro templa opulenta deum
(1) Cod. Ambrosiano H. 48, c. 90 recto e verso
Contra prefatum d. Thomam oratorem et militem
Innumerasque artes que tecta per ardua fervent
Exercet quales sordida turba frequens
Scilicet anne etiam nobis ignotus apollo
Nescia Caliope credidit ille foret
Ille quidem media populi spectante corona
Arcano mentis qui reseravit opes
Heu que tum demens que te sententia vetat
Virtutem si qua est explicuisse tuam ?
An melior fieri, si publicus tempore putasti ?
An novus indocta iam decus urbe coli?
Anne tuum obscurum terris cognoscere nomen
Ni te iactares: proh timor ullus erat.
At neque te virtus neque te precordia tangunt
Conscia sed stolidum nomen inane capit
Debueras certe potius tacuisse meque ipsum
Tollere et insanis exposuisse viris
Qui precor obstusam plebem censere putaris
De te aliquid que se nesciverit peritus
«Inter se dictis quid concertare necesse est
Quos et vera quidem continuisse decet
Sed quid inauditum aut dictu mirabile fingis
' Sollicitus? vana spe miserosque foves?
Credtideras ne Italis nemo prognatus ab oris
Sciret protectos dissoluisse dolos?
Ah ne plura precor vecors: et comprime vocem
Iactator titulis et moderare tuis
Heu pud ......ntis demum spumexere sponsis
Nam murem peperit terra tumore tumens
Hie vesanus, abi nostris concede camenis
Ite procul tusce trans maria alta dee

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI. ECC. 543

tino, di soldato e di oratore, qualità che appunto gli conci-
liarono la fiducia dei duchi di Milano.

Con molta probabilità possiamo affermare che l’ epistola
diretta da B. C. (1) a Giovanni Visconti è dello stesso autore



Sunt quoque parnasi duplicata cacumina nobis
Hic quoque pegasea defluit amnis aqua
Stant circum pariter nove cantantque sorores
Has etiam lauro protegit umbra cadens

Hic et Caliopeque parens et pulcher Apollo
Hic etiam vates fovit uterque suos
Desine te medios inter iactare marones
Hec cantu insubres vincere posse puta
Desine te tantum celo equariere alto
Non equidem latio solus in orbe canis
Tu vero tu rande pater non surgere contra
Pergis, et hoc ligurum dedecus ipse feras
Tu potis Argivos contra: contraque latinos
Solus? et haud similem Phebus uterque videt

(1) Cod. Ambrosiano H. 48, c. 90 verso
Epistulam in antedictum d. Thomam, aretinwm (sio) Ornatissimo ac generoso Io-

hanni Vicecomiti B. C. sal. dicit. publ.

Sonnulentam excitavit manum meam indissolubilis benevolentia erga me tua :
ut ad te scriberem ne prorsus rostra intereat amicitia, atque imprimis cum ampla
se offerat dicendi materia. Quisnam iam dudum peregrinus hospes an externus
orator et miles hac in nostra hasgd scio attigerit civitate, qui quidem tanta de se
ipso et profitetur et arrogat; quem volgus ad astra extolit, quem populus praedi-
cat; quem omnis ordo senatorius doctum quondam in utraque dicendi facultate
tenet et appellat. Maxime vero cum se iactarit in contione non volgari ex tempore
posse de omni materia sibi proposita et discere et eleganter absolvere: hoc est. ar-
gumenta singulorum recensendo et illis ipsis cum orationibus tum ritmis et ver-
sibus absolutiones prestando. Qnocirca si te observo super hoc serie et in (?) sen-
tentiam non presumo. Verum huiusce viri audentiam obstupesco atque confidentiam.
Et si litteris excelens studiis careat virtute preclarus: tamen arrogantiam semper
censui abolendam ef radicitus excovandam (?) Num ne optimi or.toris est? Qui in
nostra dicendi palestra litteras didicisti artificium cellare (sc) se inscientem et si
doctus ineptum reddere. An in oratore nostro ad Q fratrem sic sancitum? Nam ita
M. Antonius vir clarissimus cum de tota eloquentia Crasso Cotte et Sulpicio disere-
ret sentiebat? Sed ineptum et minus artificiosum. Deambulat igitur noster hicce
peregrinus concitato gressu, ellato (sc) capite, lubricis oculis manibusque mobilibus
civitatem nostram, omnes Ligures petens, omni in loco qualibet facultate tanquam
rerum ygnaros; modo oratoris officium renuit, modo rem militarem amplectitur ;
quod quidem magnum est infirmitatis exemplum. Vidi quosdam versus ex suis ad
Candidum quorum unus est: At me bella vocant et te tua forsitan urgct solicitudo
etc. Tantum animi, urbanissime Iohannes, suscepi, ut ipsum intueri nequeam : quin
ymo ipsum dementem illum simplici iudicio existimavi atque insanum: have no-
stram civitatem parvipendendam. Que quidem a subre illo pro conditore a quo pri-











544 B. BORALEVI

della poesia e dell' epigramma: ci sono alcune espressioni
quasi identiche; per esempio: peregrinus hospes e peregrinus ..
ab oris externis ; ad astra. extollit etc. e vi sono anche le stesse
allusioni ai Liguri e agli Insubri (i Milanesi); certamente in
queste tre composizioni, si manifesta la stessa acrimonia
contro quest'intruso, che si é introdotto nella corte milanese,
al quale vengono posposti gli stessi cittadini: l' invidia &
manifesta e ci conferma che, sin da quel tempo, il nostro
Reatino dové godere il favore dei duchi di Milano.

A questi detrattori e nemici, « turba volgare di Cjrra
o nisa » egli allude senza dubbio in tutta una canzone (1)
inedita, e specialmente nei versi

Al vulgo indocto di virtù inimico ecc.

Alla corte del Visconti però, il Morroni trovò un amico

nel Filelfo, che gli si mantenne tale, anche sotto il governo
dello Sforza, come attestano tre epigrammi diretti dal Fi-

mum subria est denominata ad hune usque diem omnium ubertate (?) populi mul-

titudine singularissima virtute: omnium m ... artium que ad usum humani generis

sunt origine: in otio omnimodis- artibus, legibus et disciplinis: in bello bellice

laudis gloria efflagrant. Sed quas Athenas in Grecia, aut quam Romam in Italia quem

Parisium in utraque Galia aut quam Numantiam in Ispania que quidem totius orbis

terrarum populos, urbes atque nationes terra marique belli gloria omnimodis ar-

tibus legibus et disciplinis superméruit (?) huic triumph»tissime urbi nostre pretu-

lerim? hasce omnes urbis laudes triumphos gloriamque suam ; huic civitati vidimus

oportuisse. Hic in utroque iure mirabile collegium, egregii doctores affluerunt, hie -
domestici philosophi (?) hie pacto festini (?), hie clarissimi eloquentissimique orato-

res reperientur; hic in singulis artibus liberalibus viri adsunt studiosissimi ef in

unoque sacro ordine quam plurimi in sacra pagina doctores gravissimi atque prae-

stantes. Etiam contendere et in aciem cum istis venire putat et palmam referre:

ne (?) illam peniteat, os (sc) comprimat et ultra non audeat. Ceterum si sub Aga-

menone nostro, ut ait, militet par eum ubique ducalibus in castris reperire certe

scio. Illic enim sepe numero de virtute non corporis non de modestia de strenuitate

non de religione de audacia non de verecundia, armis non codicibus ense non ۈ- .
lamo erit certandum. Quocirca si tute agat arma ipsa deponat, togam induat, me-
minerit humanitatis et lingue arma ipsa cedere solere iam modum orationi faciam.
Vale, et ut assoles me deames precipuum decus. Scripta die XV marzii 1438.

(1) Cod. Riecardiano 1154 e 100 b, 102 a. Vedi II.

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC. 545

i Jelfo ad Thomam reatinum (1) e altri, inediti, che fanno
| parte, come questi, del De iocis et seriis (2): senza dubbio

. l'amicizia di questi due umanisti era alimentata dal comune
odio contro il Bracciolini e il Decembrio (3).

Ma non solo al Filelfo, la stima del quale non sarebbe
una gran gloria per Tommaso da Rieti, ma ad altri umani
sti egli fu caro: a Ludovico Zerbo a cui manderà una sua
operetta, a Giovanni Aurispa, a Lapo da Castiglionchio, a Fla-
vio Biondo, che gli dedicò lusinghiere parole nell’ Italia èl-
lustrata, a Lorenzo Valla, a Guarino Veronese, a Vittorino da
i Feltre c ad altri.

Negli anni in cui visse presso il Visconti, dovè scrivere
le canzoni e il sonetto in volgare che ci sono rimasti (4):
una diretta contro i suoi nemici, a cui abbiamo accennato :
in un'altra assai nota, diretta al Visconti, egli dimostra no-

biltà di sentire e profondo amor patrio : le altre sono dirette

i a una donna, che è ben difficile identificare. Fu essa la
| madre di Brigida, fA figlia naturale legittimata, che Tom-
| maso protesse ed amò? Nulla lo prova: si può congetturare
che essa sia una dama da lui avvicinata alla corte di Mi-
lano : altre supposizioni sarebbero fantastiche. Del resto, la
vita errabonda condotta dal Reatino dovè lasciargli ben poco
agio alle avventure e a’ passatempi amorosi: sappiamo da
Bracciolini che si ammogliò giovanissimo,. ma — per quanto
ci è noto — né la moglie, nè alcun’ altra donna ebbe gran
parte nella sua vita errabonda e agitata.

Il Morroni, dunque, nonostante le invide persecuzioni

(1) Sono pubblicati da FLAMINI F., Da codici Landiani di Francesco e Giovan
Mario Filelfo in Giornale storico della Lett. it., XVIII, pag. 320 seg.

(2) Ad Thomam Reatinum equitem auratum, I, 159, 62; 199, 206; 659, 62 cfr.
i BoRGHINI, Ur codice del Filelfo nella Malatestiana, in Giornale storico della Lett.
- 4t., XII, pag. 400 seg.
(3) Questi odi il Filelfo manifestò nei Convivia Mediolanensia (1443) e nelle
| invettive contro entrambi (Rossi o. c., pag. 100 seg.) nel De iocis et seriis scagliò
contro il Decembrio vari epigrammi (Rossi, o. c., pag. 186 seg.).

(4) Vedi cap. II.

















546 TAREA B. BORALEVI

de’ suoi nemici, trionfò e seppe, forse, acquistarsi la fiducia:
di un uomo sospettoso come il Visconti.
Osserva giustamente il Gabotto (1) che, anche a leggere. |
I' invettiva poggiana, in cui si accenna ai viaggi del Morroni
a Napoli, a Firenze, in. Francia, in Spagna, nel Monferrato,
a Cesena, nasce il sospetto che, in tutto questo viaggiare
del Reatino, entrasse veramente qualche missione diploma-
tica, né fosse questa un puro vanto di lui — come afferma
il suo avversario: gli scritti contro di lui che abbiamo ri-
portato e altri documenti fanno cambiare il sospetto in
certezza.
Una lettera di Francesco Filelfo datata dal marzo 1438

ei mostra che il nostro umanista, già stretto in amicizia
con lui, erà andato a Siena, dal re Renato, a Firenze (2). 3
Ma v'è di più: da due documenti dell'archivio di stato
di Genova (3) risulta che il Doge e il consiglio degli anziani | 1
il 22 gennaio 1439 raccomandavano per lettera ai consoli e_
mercanti genovesi dimoranti in Siviglia, di fare degna ac-
coglierza al Reatino « spectatus atque ornatissimus miles ete.
et etiam clarus poeta in ticinensi studio laurea donatus ».
Un decreto del 23 gennaio stabilisce che, per onorare

il celebre poeta e soldato Tommaso da Rieti, gli sieno do-
nate cento lire di genovini d’oro (più di mille lire italiane).
A ragione, il Neri congettura che il Morrori dovè giun-
gere a Genova a corto di danari, e che il Campofregoso lo:
soccorsè, ammiratore com’ era degli umanisti. Se anche il
Morroni si recò in Ispagna per sua iniziativa, non per in:
carico di qualche principe, è pur certo però che egli era

(1) L.c.

(2) Cfr. la lettera nell’articolo di SABBADINI R., Briciole umanistiche’ in Gior-.
nale storico della Lett. it., XLVII, pag. 25 seg. Il Filelfo dice: se non vidisse pro-
ximis temporibus Thomam Reathinum quem et viderim Senae et à tuo 4o Renato
redeuntem familiari convivio exceperim. Huic inquam Thomae qui apud Florentinos
nwnc agit binas litteras dedi etc. :

(3) Cfr. NER1, Noterelle d’archivio (estratto dal Giornale storico € letterario
della Liguria, V, 1994, pag. 22-26), Spezia, Zappa, 1994. ,

DI. ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC. 47

già noto a quel tempo e che aveva conseguita la. laurea
allo studio di Pavia.

In una lettera del Reatino stesso, diretta al Cardinal
dl Prospero Colonna, datata il 13 giugno 1439 (1) si narrano,
con molti particolari, le. vicende del viaggio. Accolto ospi-
| talmente ad Avignone dal cardinal Pietro di Foix, a Barcel-
-]ona dalla regina, e finalmente dai re di Navarra e Casti-
I glia, prende parte alla battaglia di Cambil, che descrive
minutamente, comandando la divisione della cavalleria :
È dopo la pugna il duce supremo dell’esercito spagnuolo, Inigo
Lope de Mendoza, fece cavaliere lui e due persone del suo
seguito, di cui uno milanese. La cosa non è inverosimile,
data la natura bizzarra del nostro umanista e la sua antica
| passione per le armi. È difficile che il suo viaggio in Ispa- -
gna avesse per lui il solo scopo di spillar danaro a principi
e signori, come afferma il Bracciolini. Il viaggio dovè avere
una missiome diplomatica per fine: lo desumiamo dal fatto
che le guardie di Lerida gli sequestrarono le lettere del re
Renato e dei Genovesi — come egli afferma e come pro-
vano la lettera del Filelfo e i documenti genovesi citati. Ma
- non come segretario di Eugenio IV, il Reatino si recava in
Ispagna (2) — chè egli non ottenne mai l’ambita carica — ma,
I molto probabilmente, per conto di Filippo Maria Visconti,
i alla cui corte già egli doveva vivere, o forse di Francesco
Sforza che lo doveva aver conosciuto alla corte del duca di
Milano e che aveva rapporti con Renato d’Angiò, con la corte
spagnuola e con Genova, allora ribellatasi al Visconti, e si
doveva certamente fare buona accoglienza a un messo del
duca o del potente condottiero : tutto ciò ci è anche confer-
mato dal fatto che il Morroni viaggiava con due compagni

- di cui almeno uno, Giovanni, era milanese.

(1) È pubblicata dal BELTRAMI A., Tommaso da Rieti in Spagna (estratto dal
Giornale storico della Lett. ital, XLIX, 349 seg.), Torino, Loescher, 1907.
(2) BELTRAMI, l. c.





















B. BORALEVI

Al viaggio del Reatino in Ispagna e alla sua lettera si-
'connette un epigramma in distici (1) dedicato a Inigo Lope.
de Mendoza, quel generale che lo aveva creato cavaliere
dopo la battaglia di Cambil: forse il duce spagnuolo morì
dopo che la lettera era stata scritta e mandata; a lui il Mor-
roni riconoscente volle dedicare i suoi versi.

Nulla sappiamo sullo. scopo della missione affidata da]
Visconti o dallo Sforza al nostro umanista. Più esatte notizie
abbiamo invece di altre ambascerie per le quali fu incaricato !
da Francesco Sforza. Il 13 novembre 1442 (2) quest’ ultimo
redigeva ur memoriale per Tommaso da Rieti, che doveva
stabilire gli accordi per un'alleanza tra il condottiero e Fe.
lice V : questa missione probabilmente doveva essere la ri-
sposta al desiderio espresso vivamente e manifestamente nelle
concilianti offerte che il papa aveva già fatto allo Sforza per
mezzo di Francesco Visconti (3). I desideri dello Sforza sono
espressi con molta evidenza ed energia: voleva dal papa la
restituzione, per sé e per i suoi successori, dei beni toltigli
da Eugenio IV, una somma in denaro, un certo numero di
soldati: in cambio prometteva l'appoggio delle sue armi.

Il Morroni ottenne senza dubbio dalla sua ambasceria.
l effetto desiderato, perchè le relazioni dello Sforza con Fe-
lice V divennero sempre più cordiali, mentre più tese di-
vennero quelle con Eugenio IV (4).

Abbiamo infatti un altro documento del 1 aprile 1443 (9).
che è di grande importanza per la storia d'allora: France-
sco Sforza, per mezzo del nostro Reatino, ripete al pontefice
Felice V i suoi « desiderata » già manifestati nel novembre
dell’anno precedente, anzi chiede che i privilegi a lui con-

(1) Vedi cap. II.

(2) Cfr. Osio L., Documenti diplomatici tratti dagli archivi milanesi. Milano,
Bernardoni, 1872, vol. III, pag. 279 seg. :

(3) OsIo, o. c., pag. 275.

(4) CIPOLLA, O. C., pag. 410.

(5) OsIo, o. c., pag. 283 seg.

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI. ECC. 549

cessi sieno estesi a Sigismondo Malatesti, marito di Polissena, _
sua figlia naturale, e lo invita a entrare nella lega conclusa
tra lui, l’ imperatore Federigo III, il re di Sicilia (Renato
d'Angió) il duca di Borgogna, il duca di Savoia, promet-
tendogli di fare entrare nella lega anche il re di Francia.
Alla fine dell’ Instructio ete., che è un documento della fi-
ducia e della stima che Tommaso aveva saputo guadagnarsi
dallo Sforza stesso, è la firma autografa del nostro Reatino,
come prova l' identità di scrittura colla firma :

Ego Thomas reatinus miles supradictus promitto tenorem
capitulorum suprascriptorum non preterire, prout. mihi ab illu-
stri domino meo Comite supradicto oretemus institutum est, et
ad fidem me hic propria manu subscripsi Thomas reatinus manu
propria subscripsi.

Mancano documenti intorno alla vità del Morroni dal-
l'aprile 144% al 1447, ma non è improbabile che rimanesse
al servizio dello Sforza per questi quattro anni: infatti nel
27 marzo 1447 lo troviamo a Roma tra le persone del se-
guito di Alessandro Sforza che, per conto del fratello, faceva
le pratiche per ottenere dal Papa quarantamilia ducati ; anzi
dalla lettera in cui Alessandro dava a Francesco notizie sul
risultato della sua ambasceria presso il papa (1), appare che
il Reatino godeva molta fiducia presso i due Sforza: egli è
infatti incaricato di recarsi col segretario del Papa in via
Fernoleda, a prendere il danaro richiesto e cttenuto final-

mente.

d) Tommaso da Rieti, durante il reggimento della repubblica
ambrosiana (1447-1450).

Il 13 agosto 1447 moriva Filippo Maria Visconti, che —
se le lettere non sono false — pare avesse eletto per suo
erede Alfonso d'Aragona e avesse ceduto Asti ai Francesi (2):

(1) Osro, 0. c., pag. 501 seg.
(2) CIPOLLA, 0. c., pag. 426.

550 B. BORALEVI

in Milano si proclamó la repubblica e Francesco Sforza lotto
per ben due anni, prima di poter ottenere il ducato.

Della parte che il nostro Reatino ebbe nella lotta soste-
nuta dai Milanesi contro il condottiero, nulla sappiamo : pro-
babilmente, egli non ne ebbe nessuna, e, in ogni caso, non
dovè essere avverso a quest’ ultimo. Il 24 febbraio 1450 lo
Sforza era entrato in Milano e iniziava la sua signoria illumi- -
nata e potente: nello stesso anno troviamo il Morroni ai ser-
vigi del nuovo duca. Dove e come era vissuto dal 1447 al
1450? Di lui tacciono i documenti milanesi di quell'epoca:
che alla proclamazione della repubblica ambrosiana, mentre
il suo rivale e nemico, il Decembrio, era fatto segretario
del nuovo governo, se ne fosse fuggito da Milano, coll’ in-
tenzione di non ritornarvi, almeno per il momento ?

La cosa non è. ife probabile; perché sappiamo (1) che, in .
quello stesso anno 1450 fu ordita in Rieti una congiura per
la quale. Giovanni Morroni, zio del nostro, avrebbe tentato
di riprendere l'antica signoria in Rieti, e il capo della con-
giura aveva designato Tommaso a rappresentare lo zio in
patria, ove questi fosse riuscito a ottenere il primato. Sem-
bra quindi che il nostro umanista avesse avuto, per un istante,
l intenzione di fissarsi nella sua terra natale: ma la con-
giura andò fallita (2) ed egli ritornò alla sua vita errante e |
a Milano presso lo Sforza.

È naturale che egli non avesse potuto vivere sotto la
repubblica ambrosiana, di cui era segretario il suo nemico:
ma, forse non è questo il solo motivo che giustificherebbe
l ipotesi del suo allontanamento dalla capitale lombarda e,
forse, l'avversità di lui alla forma di governo ivi procla-
mata e quindi il favore per lo Sforza.

| Egli vagheggiava l’ unità d’ Italia sotto un monarca forte
e potente, che, colla sua energia, avesse potuto far fronte
a tutti i nemici: lo Sforza, che aveva avuto la capacità di

(1) SACCHETTI, l. e.
(2) È descritta minutamente presso SACCHETTI, l. c.

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC. 551

creare uno stato per sè e per la sua famiglia, aveva, forse
più e meglio di Filippo Maria Visconti, le attitudini che
Tommaso poteva desiderare in quel principe il quale doveva
distruggere il
miserabil giogo aspro e traverso
Che porta Italia tanto tempo al collo

renovar un’alta signoria.

Infatti è noto come, sotto Francesco Sforza, il ducato
di Milano divenisse poi forse la più potente signoria d’Italia
quale neppure era stata, al tempo di Gian Galeazzo Vi-
sconti. Oltre a ciò, era naturale che il Morroni considerasse
lo Sforza come suo signore e desiderasse la sua vittoria :
egli, sino allora, era stato, si può dire, più al servizio di
questi ché del Visconti.

Il condottiero vissuto nelle battaglie, che seppe avere
il soppravvento su tanti nobili e potenti signori, non disde-
gnava le lettere, tutt'altro ; anzi volle alla sua corte umani-

sti e letterati che vi trovassero larga e munifica ospitalità,

e scelse a suo segretario il dotto Francesco Simonetta (1).
Il Reatino, fallita la congiura per la quale avrebbe dovuto
tornare nella patria, a lui sempre cara, saputo che il suo
antico signore si era insediato a Milano più potente che
mai, accorse alla sua corte, sicuro di esservi ben accolto:
infatti, il novello Duca che aveva già esperimentato le doti
del nostro umanista, uomo d’arme e d’azione nello stesso
tempo, letterato dalla prodigiosa memoria e dalla parola
colta, facile ed ornata, già noto alle principali corti d’Italia
e d’ Europa, capì che il. Reatino poteva giovare al signore
di Milano, ancor più che al condottiero, intuì tutti i van-
taggi che la cooperazione di lui avrebbe portato a mante-
nere ed accrescere il dominio, ottenuto a prezzo di tante fa-

'

(1) Rossi, o. c., pag. 33.













552 B. BORALEVI

tiche, e gli affidó cariche difficili e delicate, lo fece partecipe
dei suoi segreti, lo colmò di benefici e, allontanato il De.
cembrio, che era stato uno dei più accaniti avversari dello
Sforza, il Morroni divenne un personaggio importante tra
quelli che circondavano il nuovo duca.

e) Tommaso da Rieti durante il ducato di Francesco Sforza
(1450-1466).

A conferma di ciò che abbbiamo detto, vediamo che,
nel 1450, è affidata al Reatino una missione in Francia (1):
il 15 novembre 1451 egli è nominato uditore ducale: dalla
moglie del duca, Bianca Maria, ha donazioni nei territori
di Cremona e di Casalmaggiore, è assunto come membro dei
giudici di Pavia, è creato cittadino di Pavia e Cremona e
gode altri onori cospicui (2).

In quest’ epoca, avrebbe combattuto sul lago di Como
i più accaniti nemici dello Sforza, i Veneziani (3). Quindi si
recò in Francia, dove per incarico del duca recitò al re una
orazione (4); a questa ambasceria si collegano i documenti
pubblicati dal Gabotto (5). Lo Sforza voleva riconciliarsi colla
Francia (6), e rendere stabile l’ alleanza: si raccomandava
quindi, al messo ducale, di condurre le trattative in presenza
del Delfino e del re stesso e di esigere dal re una « pro-
messa et scriptura » delle convenzioni, che si dovevano fare
tra le due parti contendenti: il duca e il marchese di Mon-
ferrato: si raccomanda al Morroni la massima segretezza.
Nella seconda lettera, il Simonetta ordina al Reatino di re-
stare ancora in Francia, per sollecitare dal re quella « sen-

1) Cfr. GBINZONI P., l. c.
2) GABOTTO, l, c.
3) Cfr. GHRINZONI, l. c.
(4) L'esordio è pubblicato dal GaApDI F., De Scriptoribus ecc., Lugduni MDOXLIX,
vol. JI. Cfr. BANDINI, Cat. Cod. mss. Bibl. Med., Laur. III, 790.
(5) Vedi GABOTTO, l. c.
(6 CIPOLLA, 0. c., pag. 444.

(
(
(

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC. 553

tentia » che egli sembra avere effettivamente ottenuta; il
| viaggio del nostro Tommaso ha sortito 1’ effetto desiderato.
[ Queste trattative non dovevano essere di lieve importanza,
| perché preludono alla pace di Lodi, che avverrà di li a
poco: il 9 aprile dello stesso anno 1454 (1).

1 Il Morroni dové aver contribuito, non solo col suo braccio
1 e con la sua parola, ma anche colle sue finanze, a comporre
{ le guerre del duca, come ci dimostra un documento (2), I in-
' vestitura del feudo de /oco Orefrancolii diocesis Astensis (20
i agosfo 1454) in cui il duca Francesco Sforza, memore della

fedeltà e dell’affezione del suo consigliere carissimo, Tom-
maso da Rieti ... pro eximtis virtutibus ac pro gravissimis et
È intollerabilibus expensis quas in servitis Cel.mis jamdudum sup-



- portavit et in futurum subire promptior est, statuit eum
È magnificefftia, liberalitate que sua complecti, quod etiam eo
"libentius fecit pro parte retributionis quas idem dominus Tho-
" mas exbursavit pro prefato Ill.mo Domino Guglielmo de Mon-
teferrato.

Nellanno seguente (1455) é mandato ambasciatore a Ca-
- listo III (18 giugno) e nominato revisore delle entrate ducali (3).
In un altro documento (4), lo Sforza invita l'umanista a
i provveder meglio a’ di lui interessi: forse il rimprovero non
7? era del tutto meritato, chè il 28 settembre 1457 egli difen-
| deva energicamente gli interessi ducali contro il conte Al-
i berto Scotto (5). :

Nell ottobre dello stesso anno, egli doveva essere di



î nuovo in Francia: ce ne informa una lettera a lui diretta
i da Cicco Simonetta, che gli dà istruzioni relative ad affari
"di non grande importanza (6). Tornando da questa amba-
(
(

(
(
(

5) GABOTTO, ibidem.
È (6) Cfr. BERTOLDI A., Un poeta umbro nel secolo XIV, in Archivio storico per le
E Marche e ger U Umbria, vol. IV, fasc. XIII-XIV, pag. 49 seg.







B. BORALEVI

sceria ; Cadide pana mani. di Arcimbaldo di Abzat, bandito Ri
Piemonte, che operava d’accordo col duca di Savoia, € ot
tenne la libertà, lasciando ‘al ladrone tutto ciò che | aveva
«con sè. Ma lo Sforza chiese ‘soddisfazione di ciò in una let
‘tera del 27 maggio 1458 al duca di Savoia: Arcimbaldo finì |
sulla. forca e il Reatino il 28 settembre di quell’anno rice.
.veva la missione di comporre definitivamente le questioni |
pendenti col duca di Savoia: e il trattato fu conchiuso (1
Nel luglio 1458 moriva Alfonso d'Aragona a cui succe
deva. il figlio Ferdinando e di li a poco mancava anche
Calisto III, in vece del quale veniva eletto Enea Silvio Pie-
colomini, uno dei rappresentanti migliori delle virtù e, sino |
a un certo punto della sua vita, dei vizi dell'epoca. L'ac
. corto duca di Milano cercò l| amicizia dei due nüovi si- -
‘ignori d' Italia: al papa promise aiuti per la crociata contro
i Turchi e cercò, per mezzo di matrimoni, di assicurarsi.
| l'alleanza di Ferdinando. Intanto, fidando nell'abilità diploma!
tica e oratoria del suo Reatino, lo mandó a congratularsi.
col nuovo pontefice e col re di Napoli. Tale ufficio dovè es
sere assai gradito al Morroni: gli si offriva l'occasione d
presentarsi, sotto gli auspici del duca, a un dotto umanista;
già a lui noto, come Pio II, alla corte dei quale viveva il
fratello Battista, già segretario apostolico fino dal 16 giugno.
1457 (2) e à una corte così ben nota per le lettere come
quella di Napoli: l'accorto umanista, sbrigata al più pre--
sto la sua missione, voleva poi trovare il modo di salutare. 4
la vecchia madre. Il 4 ottobre recitava. l’ orazione augurale.
a Pio II (3), il 15 ottobre a Ferdinando d'Aragona (4) e alla.
fine del mese lo troviamo a Rieti (5). P
I suoi concittadini accolsero con grandi onori lui, dive-

(1) GABOTTO, Altri documenti su Tommaso ecc., l. c.
2) Cfr. SACCHETTI, l. c. e GHINZONI, I0; Dos
(3) Vedi cap. II.

(
(4
(5

Vedi cap. II.
SACCHETTI, l. c. € GHINZONI, L6.

)
)

DI ALCUNI SCRITTI INDDITI, ECC. CAI "555

i nuto oramai noto, cui davano ‘ma ggior prestigio. gli. impor-
P tant uffici affidatigli dal duca, e gli fecero, com'era gentil
costumanza per i più illustri. ospiti,” «un presente di cera,
| confetture, biada e cibarie (1) in quell'occasione egli rivide,
per l’ultima volta, la madre, che morì alla fine del 1470,
lasciando eredi del suo, i figli Tommaso e Battista.

| Nel 1460, il Morroni riceveva dal duca nuovi feudi nel
| Piacentino (2): l'anno seguente, andó colle milizie del duca
“a Genova, in aiuto del doge Prospero Andorno ei Genovesi,
‘soddisfatti del suo zelo, gli decretarono dona ascendentia à
libris quinquaginta (3). i

. . Lo Sforza continua a esprimergli la. sua soddisfazione,
oltre che per i servigi prestati, anche per i miglioramenti
introdotgi da lui nei suoi feudi, a uno dei quali aveva im-
posto il nome di Rieti, e fa il nostro Tommaso conte di
i Rieti (4) in quello stesso anno 1461: questo particolare ci
mostra che, in lui non era mai venuto meno l’ affetto per

. ]a città natale, per quanto le vicende della sua vita lo aves-

sero tenuto sempre da essa lontano.

È Alla fine dello stesso anno 1461 il Morroni è lnaiidato
F da Ludovico XI in Francia. Era morto nel Giugno il padre
del re, Carlo VII, col quale il figlio, il nuovo re, era stato
; sempre in lotta; le relazioni dello Sforza con Ludovico erano
sempre state cordialissime, anche durante il regno di
Carlo VII; é naturale quindi che queste relazioni divenis-
sero ora anche più cordiali: il Reatino presentava al re di
Francia colla sua orazione (vedi Appendice), le condoglianze .
per la morte del padre, e specialmente le congratulazioni .
del Duca per la di lui assunzione al trono; si cercava di
incitare il nuovo re a prender parte alla crociata contro i
Turchi, come lo Sforza aveva promesso a Pio II. Probabil-

(1) SACCHETTI, l. c.

(2) GaBoTTO, Un letterato umbro ecc., 1, c.
(3) NERI, 1. c. i E
(4) GABOTTO, l. c.













556 B. BORALEVI

mente peró il Reatino avrà chiesto segretamente a Ludo-
vico XI aiuti contro i Genovesi, e in favore del duca di Mi.
lano rinunziava infatti il re di Francia a’ suoi diritti sul”

Genovesato. 3

Lo stesso codice Laurenziano Plut. 89 inf. 47 che rife-
risce l'orazione del Moroni porta una nota riprodotta dal
BANDINI (Catalogo dei codd. laur. ecc. III, 419, 420), in cui
si dà il nome degli oratori presenti alla corte di Francia il
6 Gennaio 1462; tra i più insigni oratori e ambasciatori è
annoverato il nostro Reatino, la cui orazione dovette essere
recitata in quel torno di tempo.

Nel 1464 ritornò a Genova col duca. In presenza del
quale o a Genova o a Milano recitò uno dei suoi più elo-
quenti discorsi, in cui esaltava le bellezze della Superba, e
invitava i Genovesi a darsi in potere del duca, che avrebbe
reso loro la grandezza passata (1): il discorso non fu senza ef-
«etto, come ci informa il cod. Barberiniano lat. 43, e i Genovesi
infatti stanchi delle guerre intestine, si dettero allo Sforza.

Forse, per gratitudine verso il duca — non sappiamo
precisamente in quale epoca — compose un trattatello: il
Cosmographus « a rogatione et preghere del primogenito de
lo Ill.mo nostro signore di questo italico regno ... » (2). Que-
sto primogenito è il « colendissimo conte Galleazo » (3). Ad
altra missione del Morroni in Francia nel Luglio 1465, si:
trova accenno in una lettera di Cicco Simonetta domino
Thome de Reate (4); forse lo Sforza, grato al re cui doveva
il possesso della Liguria, gli prometteva, per mezzo del Rea-
tino, gli aiuti che poi non tardò a mandare per mezzo del
figlio Galeazzo Maria.

(1) Vedi cap. II.

(2) Sono parole del Reatino stesso in una lettera a Lodovico Zerbo cui l’autore
mandava in dono il trattato (vedila in MroLA A., Le scritture in volgare dei primi
secoli della lingua ecc., vol. I. Bologna, Fava e Garagnani, 1878).

(3) Cfr. FUMI, Cose Reatine nell’Archivio segreto e nella biblioteca del Vaticano
in Bollettino della R. Deput. di St, Patria per V Umbria, VII, fasc. 3», pag. 941 seg.

(4) Vedila in BERTOLDI, l. c.

DI ALCCNI SCRITTI INEDITI, ECC.

Pure, nello stesso anno, alla testa degli scoppetteri mi-
lanesi, Tommaso riconquistava al duca le terre di Borgo
Valditaro col.suo distretto (1).

f) Ultimi anni di Tommaso da Rieti (1466-1476).

L'8 marzo 1466 moriva Francesco Sforza e gli succe-
deva il figlio Galeazzo Maria (2).

Il nostro umanista aveva già dedicato a quello, che di-
veniva ora suo signore, un'operetta (il Cosmographus), questi
eli doveva essere dunque benigno: del resto, era naturale
'che il duca ventiduenne seguitasse, nei primi anni del suo
regno, a tenere presso di sè i consiglieri e i diplomatici del
padre, ff cui però, non possedeva nè la valentia militare,
né l'acume politico: il ducato di Milano, sotto Gian Galeazzo,
avrà grande splendore, ma perderà la potenza raggiunta
sotto lo Sforza. Nei primi anni dunque, che successero alla
morte del padre, Galeazzo Maria continuò a servirsi del
Morroni, che inviò, nel marzo 1466, a Firenze, a Roma e a
Napoli (3), forse per annunziare ai vari signori la morte del
duca, suo padre. Nel 1467 Tommaso provocava i lamenti del
cardinale Ammannati che scriveva a Paolo II (4): ... edicta
Thomae Reatini Juliano apostata severioris ... male imperata,
deterius implet ». Pare che il Morroni, in seguito a ordine
del duca, avesse invaso la chiesa di Pavia a lui soggetta e
i monasteri, e ne avesse confiscate le «rendite : il principale
autore di tanto danno era però il duca — come fa capire
lAmmannati stesso — il duca, che era avidissimo di danaro
e non tralasciava alcun mezzo per procurarselo; il Reatino
eseguiva gli ordini di chi era più potente di iui.

(1) ANGELUCCI A., Gli scoppetteri milanesi nel XV secolo, in Politecnico, XXIV,
(1865), 145 seg.

(2) CIPOLLA, 0. C., pig. 455.

(3) GHINZONI, l. e.

(4) SABBADINI, l. c., nota.

e

















. B. BORALEVI

Né solo il cardinale Ammannati ma anche i Genovesi,
coi quali egli era stato in ottimi rapporti nel 1439, nel 1461
e nel 1464, ebbero a lagnarsi fortemente di lui nell’ ottobre
1467. Gli anziani di Genova avevano indotto i Lericini a pre-
stare obbedienza al magnifico Tomaso reatino, il quale avrebbe
dovuto difenderli dalle offese di Lodovico di Campofregoso,
a cui si erano dati (1): se ciò farete, garentivano, i vostri
beni saranno salvi. Nello stesso tempo, i Geuovesi facevano
intendere al Morroni che essi erano ben disposti verso i Le.
ricini, che, non spontaneamente, ma costretti, si erano dati
al loro nemico. Ma il Reatino, invece, entrò in Lerici da ne-
mico, incendiò le case, devastò il magnifico oliveto di Le-
rici, proprio nell’ epoca in cui i poveri abitanti stavano per
raccogliere il frutto delle. fatiche, non di un anno, ma di
più generazioni (2). Perché tanta inutile strage? Obbediva
il Morroni a innata ferocia, o agli ordini del signore, che,.
forse, riteneva essere necessario domare colla forza quelle

popolazioni ribelli? Non sappiamo dare una risposta. Però

può essere che a ciò abbia contribuito l’ una e l’altra cosa.
Tommaso da Rieti — non bisogna dimenticarlo — era an-
che un rude soldato, ma era troppo prudente per agire con
tanta violenza senza l'approvazione, anzi senza l'ordine del
suo signore. Comunque, la notizia di tale sterminio, notizia
inaspettata e in stridente contrasto cogli ordini da loro dati,

destó l'indignazione degli anziani e degli ufficiali di balia, che .

esposero le loro lagnanze al duca e al Morroni stesso (3), che
aveva ottenuto così dai Lericini un’ obbedienza puramente
‘formale (4). Al principio dell’anno seguente il Morroni fu
a Lucca e a Carrara. La sua dimora a Lucca gli dette oc-

(1) Ludovico era fratello dell’arcivescovo Paolo di Campofregoso, padrone di .
Genova, in quel turbolento periodo. È

(2) Cfr. PoGGI F., Lerici e il suo castello, vol. II, Genova, 1909.

(8) Arch. di Stato di Genova, Lettere 1799, c. 439 v. (9 nov. 1467), 1801, c. 440 (19
nov.), 1807 (19 nov.).

(4) PoGGI F., 0. c.



DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC. 559

casione di scrivere un epigramma (1). Da Carrara scriveva , .
poi nel 1468 agli anziani di Lucca che gli avevano dato.

degli uffici per mezzo del lucchese Nicolao Lilii (2). Il 14
febbraio, il duca gli rinnovava la concessione dei feudi di
Casaldonato, di Cerreto Valmura e di Centenario nel terri.
torio di Piacenza (1468) (3). i

Nel 1469 andò in missione presso Federico III (4) che
come sappiamo, privò Galeazzo Maria del ducato di Milano
ed elesse in sua vece un proprio nipote (5). In questo stesso
anno il Morroni si ammalò gravemente e dai confessori gli

fu negata l'assoluzione (6): questo non ci meraviglia, se pen-.

siamo alla vita poco esemplare del Reatino, ai suoi dissapori
colla Chiesa e, soprattutto, all’ indifferenza religiosa del tempo.

I fervori ascetici di S. Francesco e di Fra Jacopone, del
Passavanti e del Cavalca erano ormai tramontati: l'autorità
pontificia era stata scossa dai concilii di Basilea e di Co-
stanza, e i papi stessi non erano davvero un modello di virtù,
volti com’ erano più alle cure mondane, a combattere i ne-

mici dello stato della Chiesa, che ai loro doveri spirituali.

Anche il rinato classicismo aveva contribuito a indebolire il
sentimento religioso, e i papi, prima riluttanti e apertamente

contrari alle nuove idee, non avevano potuto opporsi alle
tendenze del tempo, e lo stesso Eugenio IV aveva accolto

alla sua corte gli umanisti: e, se pure tra questi vi erano
uomini di fede profonda e sincera, di vita illibata e incor-
rotta, come Vittorino da Feltre, Guarino Veronese, Ambrogio
Traversari e altri, non si può negare che la maggior parte

di essi conducessero una vita ben diversa da quella pre-
scritta dalla fede; tra questi il Morroni, che era politicamente

(1) Vedi cap. II.

(2) Fumi L., Carteggio degli Anziani di Lucca, IV, pag. 316. CUN 1907.
(3) GABOTTO, l. c*

(4) GHINZONI, l. c.

(5) CIPOLLA, O. C.

(6) GHINZONI, I. c.






















































560 B. BORALEVI

avversario alla curia, e aveva avuto dai suoi signori esempio
di scetticismo religioso e di irriverenza verso la S. Sede (1),

Questo, per dimostrare una volta di più, come il nostro
Reatino sia, in tutte le manifestazioni, uomo del suo tempo.

Fu egli per tre anni ammalato e costretto all’ inazione ?
Nulla, per ora, sappiamo di lui, per il periodo che corre tra
gli anni 1469-1472: probabilmente, anche se le forze ve.
nivano a mancargli, dovè continuare ad esercitare i suoi uffici
alla corte sforzesca: nell'ottobre 1472 era in gran favore

presso il duca ed era scelto tra quelli che allestivano per
il natalizio di Galeazzo Maria, una di quelle splendide feste,

tanto gradite ai signori del Rinascimento e segnatamente al
giovane duca, cui piaceva dare alla corte il prestigio del
lusso e delle pompe.

Sembra che allora egli fosse tanto caro allo Sforza che
tutti gli umanisti e i cortigiani che desideravano favori dal
principe, si rivolgevano a lui (2). Ma ben presto egli perde
il favore del principe, come narra minutamente e diligente-
mente il Ghinzoni (3). Il Morroni, malato, oppresso dai debiti
e dalle cure, cedéè i suoi beni al reatino Lorenzo da Monte-
gambaro il 27 settembre 1474, sebbene ne avesse avuta for-
male proibizione dal duca, come desume giustamente il Ghin-
zoni da una lettera del duca (2 novembre 1474): forse, quando
questa gli giunse, era già innanzi colle trattative e non poté,
perciò, obbedire: per sfuggire allora, gli effetti della collera
del principe fuggi a Bergamo, sperando, forse, nella prote-
zione della repubblica di Venezia, che era stata sempre av-
versa ai duchi di Milano, ma che, appunto in quei giorni, si
alleava collo Sforza.

Galeazzo Maria nell’ intento di riavere i propri beni, per
quanto le trattative con Lorenzo da Montegambaro avessero

(1) È noto che Francesco Sforza fu più volte scomunicato.

(2) MicaccHI R, Tommaso Moroni da Rieti letterato umbro del seeolo XV, Rieti,
Trinchi, 1904.

(3) L. c.

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC. 561

avuto il suo corso, e la figlia del Morroni, Brigida, stesse per
sposare — come era stabilito nei patti reciproci — un pa-
rente del Montegambaro, Cristoforo, scriveva il 27 novem-
bre (1) al nostro Tommaso, invitandolo a tornare e spinse la
sua indulgenza sino a fare contessa di Rieti, Casaldonato,
Cerreto Valmura e Centenario, Brigida la figlia del Morroni
(20 novembre 1474) (2). Ben presto però, sorsero contese fra
il nostro umanista e il Montegambaro, l’uno incolpando l’ altro
di mancato adempimento dei patti fra loro stabiliti: il duca
prese le parti di Tommaso, però lo invitò ad andarsene dal

palazzo del vescovato di Piacenza, che aveva occupato du-
rante la vacanza del legittimo proprietario: il Reatino obbedi
e, pragabilmente per ordine dello Sforza, si. recò nella cit
‘tadella di Alessandria; là il duca seppe indurlo a sceglierlo

per erede (10 novembre 1475).

Appena ottenuto ciò, si affrettò a sottrarre il Reatino
all’ascendente di chicchessia e specialmente di Falcone di
Sinibaldi amico e concittadino di lui e del Montegambaro,
e ingiunse al capitano della cittadella di sorvegliarlo rigoro-
samente e di impedirgli di avvicinare alcuno; nello stesso
tempo ordinava al referendario di Pavia di prender possesso
dei beni donati, facendone l'inventario e delegandovi anche
un custode (3) (27 novembre 1475).

Gli ordini dati sulla vigilanza da tenersi intorno al Mor-
roni sono sempre più severi: l 8 gennaio 1416 una lettera
del Simonetta, che era ancora segretario ducale, diretta al
capitano della cittadella di Alessandria, ci informa che il
Morroni era in fin di vita e che aveva espresso il desiderio
di vedere il fratello Battista, perché voleva provvedere ai
fatti suoi: il principe gli concedeva di parlare al fratello, ma
soltanto in presenza del capitano, e a patto che gli si impe-
disse di fare cosa alcuna contro la donazione (4).

Mm
(2)
(3) Di tutto ciò il Ghinzoni porta conferma con documenti.
(4) GHINZONI, l. c.

GHINZONI, le:

























‘; B. BORALEVI

Neppure la notizia della prossima morte del servitore fedele
^. suo e della sua famiglia, impietosi Galeazzo Maria, il quale,
ormai, aveva stabilito di lasciarlo languire in Alessandria
sino alla morte, che aspettava con impazienza: nè. i nuovi
disegni eraro ignoti a quelli che lo circondavano. Infatti
il provato amico del Reatino, Nicodemo Trincadini da Pontre-
moli, sebbene dolorosamente impressionato dalla misera con-
dizione del Morroni, che implorava, per suo mezzo, la pietà
del duca, non osó parlare a quest'ultimo in favore dell'amico
e senti quasi. il bisogno di scusarsi presso il principe, per non
aver potuto rifiutarsi di obbedire al desiderio di un mori-
bondo (1). Il Reatino, come egli dice, versava in pessime condi-
zioni di salute: probabilmente doveva essere malato di cuore,
non poteva star sdraiato, nè respirare, aveva il petto e le
gambe enfiate: i medici avevano detto che avrebbe potuto vi
vere fino a marzo e che « solus Deo et mors el poriano guari-
re ». Nonostante queste predizioni, la malattia andava in lungo
‘e. le notizie che il governatore della cittadella dava. sulle

‘. abitubini intemperanti del Morroni il 23 febbraio 1416, ci - :

sembrerebbero incredibili, se non fossero confermate dalle
i antiche accuse a lui mosse dal Bracciolini: tanta era la quan-
d tità di cibo e di vino che Tommaso si ingeriva, quando era.
. già moribondo! (2). Tra il 19 luglio e il 4 settembre 1416 egli

terminava. miseramente la sua vita, abbandonato da tutti (3). —.

. Né deve meravigliarci il. contegno di Galeazzo Maria

verso il suo fedele umanista. Egli tendeva all’ avarizia e, 3

. nello stesso tempo, alla prodigalità e al lusso, quindi spesso
cavava danaro ai sudditi, non solo con le tasse, ma anche
con le condanne, il più delle volte, ingiuste: anzi, per dar sfogo
cai suoi capricci, non si faceva scrupolo di commettere agni
sorta di infamie anche contro quelli, che, come il nostro
Tommaso, avevano contribuito al ganecnuda uu all ac-

. (I) Vedi la lettera del Trifcadini datata 20 gennaio in quon 1. e.
(2) GHINZONI, l. ec.
:(3) Ibidem.







DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC. 563.

quisto del dominio sforzesco (1), con ogni fedeltà e disinte-
resse. . 255A

IL — Le opere di Tommaso Morroni.
a) Le opere latine.

Abbiamo accennato, toccando la vita del Reatino, alle
circostanze nelle quali egli compose le sue opere, di cui
conosciamo solo una parte. La maggior sua produzione let-
teraria, come quella di molti umanisti, è in latino: e la ra-
gione ce la dice egli stesso, nella lettera con cui mandava
il suo trattatello volgare, il Cosmographus, a un altro uma-
nista Ludovico Zerbo (2): egli non nutriva disprezzo per la
lingua di Dante e del Petrarca, che egli ammirava profon-
damente, ma sentiva di non averne quelia conoscenza che,
secondo lui, era necessaria per usarla nel trattare un argo-
mento qualunque, e se ne scusa con l’amico. Oltre a ciò,
sappiamo che molte delle sue opere erano destinate ad es
sere dette o dedicate a signori umanisti, ai quali erano às-
sai gradite le lodi a loro espresse nella lingua di Cicerone e
di Livio: e, del resto, a spiegare il motivo della maggior
produzione latina, in confronto alla volgare, di Tommaso da
Rieti, basterebbe il fatto che egli era un umanista, e; -seb-
bene egli differentemente da altri. suoi contemporanei, non
ritenesse il volgare disadatto a manifestazioni letterarie, pure
dové seguire l'andazzo dei tempi; per quanto egli avesse
trascorso parte della sua vita al servizio di Filippo. Maria
Visconti, che, come sappiamo, costringeva talvolta gli uma-
nisti della sua corte a scrivere in voigare.
(1) GHINZONI, l. c. :
(2)-« E dato che male si advenga lo *alfogüio volgare, per non havere in quello
il studio che si aconviene e se tu studioso non senti quello sapore che forse alchun

altri seriano a tal mestiero meglio disposti, ricordati ecc.» PIERI, Cose reatine ecc. 25
lc):














































D64 B. BORALEVI
Gli epigrammi e l’ epitafio.

Come il Filelfo, il Panormita e molti altri, il nostro
Tommaso dovè scrivere molti epigrammi: genere che, come
osserva il Rossi (1), piaceva ai contemporanei, perchè « sem-
brava attestare la persistente latinità della vita moderna ».
Del nostro autore ne conosciamo solo due, fin qui inediti,
uno in lode di Pier Candido Decembrio (2), l’altro in lode della
città di Lucca (3): sono quindi entrambi di soggetto enco-
miastico. Ecco il primo:

Thomas reatinus eques in laudem P. Candidi in consilio ducali.

Claruses in latiis (4) populis ornate camenis

Aoniisque (5) simul et pompa insignis utraque

Regales grandesque: volat sublimis in auras (6)

Fama tui et laurus nullis agitanda periclis (7)

Voce Deum redemire iubet tua tempora fronde (8),

Quiequid enim venerandus agit sub pectinis usu

Phebus habes citharamque (9) tenes sine sorte lacertis.

Ergo itala regione fremunt, que bella, quis ardor

Excitet (10) audaces ruere in certamina turmas (115;

Ipse eanas, marteque avidum prepone tabellis

Meque, reatinum, rudis haec (12) fistula quemquam

Inter apollineos requiescere colles (18)

At me bella vocant (14) et te tua forsitan urget

Sollecitudo, vale, teneasque in pectore thomam

(1) O. c., pag. 185.
2) Cod. Ambr. D. 112 inf. 151 recto e verso: Cod. Ambr. H. 48 f. 90 recto.
3) Cod. Ambr. H. 48 f. 90 recto.
(4) Nei mss. c'é latis: qui probabilmente latis = latiis — latinis.
5) camenis rappresentano la latinità; aontis la grecità; però pompa vtraque.
(6) Ricorda il Virgiliano volat sublimis ad avras.
(7) Che non può correre nessun pericolo: fermo : anche questo è costrutto co-
mune in Virgilio,
(8) la corona poetica.
(9) Il ms. H. 48, 90 reca ... se.
10) I mss. recano extitet.
11) Anche questo é virgiliano.
12) I mss. recano Aac.
13) E colloca me nel Parnaso, sebbene io sia rozzo poeta.
14) Allude alle guerre cui partecipò, come col sollecitudo si intende l'ufficio e
le cure del Decembrio alla corte ducale di Milano.

(
(
(
(
(

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC.



Ecco il secondo:
Ad laudem civitatis obsesse Lucensis.

Gloria lucensis sublimior advolat aures

Fama (1) tui tractusque diu iam martius ardor (2)
Tollitur ad superos constantia maxima, sed quid
Ulterius peragam? si percurratur ad arcthon

Sie ubi phebus adest, ubi gades orbis habena
Fixit Alexander medio quod ponitur orbi

Gadibus Alcide, si percurratur ad Indos

Si queras quicquid geminus complectitur ortus
Nulla fides spretaque iacet, nos gloria poscit
Pergite nune virtus cumuletque per tempora famam (3)
Crescat et in ramos et nos pia numina (4) servent

-—
Non sono molto originali, come ognun vede: nel secondo
specialmente, l' erudizione mitologica é a carico della spon-
taneità — come osserveremo a proposito di altre opere del
D Morroni. In entrambi é palese l'imitazione virgiliana, sia
| nei concetti, sia nelle espressioni.
n Più originale, anche perchè contiene accenni alla vita
dell'autore é l’ epigramma diretto al Decembrio. Lo stesso
possiamo osservare per l'epitafio ad Inigo Lope de Men-
doza (5), in distici :



Epitaphium enici lupi per Thomam reatini.

Enicus hoc lupus est sub marmore nobile germen
Mendaeie (6) martis pieridumque decus
Hie dux hispano plures sub rege triumphos

Retulit hostiles depopulatus opes





(1) Advolat con soggetto fama si trova in Virgilio (En. X, 511). Nec jam fama
mali tanti, sed certior auctor. Advolat Aeneae. Advolat coll'aceus. senza prep. si
T ; trova in Valerio Flacco 4. 300: et trucis ultro advolat ora viri.

, (2) Martius ih senso di bellicoso ricorre spesso in Virgilio (En. IX, 566) — lupus
(I1 661) currus (Ecl. 12) tela. (7. 182) vulnera in Orazio, in Ovidio e in altri.

(3) Accresca la fama nel tempo.

(4) Pia numina è di Virgilio (En. IV, 382).

(5) Cod. Ambrosiano D. 112 f. 162 verso.

(6) nobile germen Mendacie, nobile rampollo di Mendoza.



















































B. BORALEVI

Precipue obruti (1), dum sacra fidemque tuetur (2)
Indomita fregit barbara castra manu (3)

Primus, conspicue facta inter florida vite
Extulit antiquos Marchio factus avos (4).

Quid mors saeva igitur, quid fata atrocia possint
Ex tam lugendo funere nosse potes (5)

Abbiamo accennato alla circostanza in cui il nostro Rea. -
tino scrisse quest'epitafio : l entusiasmo per il valore di que-
sto duce e il rimpianto per la sua morte sono certamente
spontanei: del resto la sua ammirazione per Inigo Lope de
Mendoza egli aveva già espressa, nella lettera al card.
. Colonna.

I dialoghi — Le epistole — Le orazioni.

In prosa latina Tommaso da Rieti scrisse le sue opere

migliori e coltivò i generi prediletti dagli umanisti, i dia-
loghi, le epistole, le orazioni.

Dialoghi.

. Due dialoghi — per quanto ci consta — scrisse il Mor-
roni, di cui uno solo é pubblicato: Zn» consolationem (6) di-
retto al card. di Rohan.

Nel sec. XV, derivó da Cicerone — piü che da Platone —
l'uso di esporre una teoria scientifica per mezzo di un dia-

'(1) Probabilmente é un genitivo locativo e indica un luogo della Spagna o forse
sottintende populi o regis; prese le parti del re o popolo abbattuto.

(2) Combatté contro gli Arabi.

(3) barbara casta sono le stesse parole usate dal Morroni, in una lettera al
card. Colonna, per alludere agli Arabi.

(4) In premio del suo valore fu creato marchese.

(5) Nel cod. pote. ]

(6) Ad Iohannem Cardinalem Rothomagensem 8. R. E. Vice- Cancellarium n.
consolationem de obitw filii quod dolor et mortis metus non cadat in sapientem. È
pubblicato dal GaDppI F.. in De Scriptoribus, Lugduni, MDCXLIX, vol. II, pag, 219-241.
— BANDINI, Cat. Codd. Mss. Lat., Bibl. Laur., II, suppl. 201.

n



logo, ed esempi di questo genere erano offerti al Morroni
anche da un suo più illustre contemporaneo ed amico: il
Valla. =

Il trattato In consolationem è elegante — se si vuole, ma
molto vuoto : tutto retorica ed imitazione di luoghi comuni
tratti dall'antichità: è fatto sullo schema generale degli uma-
nisti, i quali si limitavano, per opere di questo genere, a
mettere in bell’ ordine sulla trama lievissima di un ragio-

esempi (1). La teoria che il nostro esprime per mezzo di Angelus
de Rohan, per consolare Laelius della morte di un unico

.5, 4) — é questa: « L' uomo é destinato a soffrire e a morire,
- quindi ci si deve dolere di essere nati uomini, di questo
SM solo. Tutto passa quaggiü, egli afferma, e cita detti di
| antichi: Seneca, Simonide, Filippo re dei Macedoni, Tera-
mene, uno dei trenta tiranni, passando saltuariamente da
uno allaltro: flnalmente, ricordandosi che scrive per un
teologo, passa dalla storia greco-romana ad esempi del vec-
chio e del nuovo testamento (Salomone Abramo, Mose, Isaia,
Giacobbe, Giovanni, Paolo) e conclude: Mori Gesù, figlio di Dio;
noi pure dobbiamo morire ; il figlio tuo — egli dice al car
dinale di Rohan, per bocca di Angelus — era più degli altri
accetto a Dio, cui piacque di prenderlo a sè: cessa dunque
di piangerlo ». Dopo ciò, l’umanista viene a mostrare le tri-
stezze della vita, a ripetere che la morte è un bene — e
ritorna ai suoi antichi, citando Socrate, il poeta Antimaco,
Cicerone, che segue Platone, secondo il quale mortem vide:
licet somnus: e riferisce il discorso tenuto da Socrate ai di-
scepoli, prima di morire e aneddoti comuni nei classici :
Cleobi e Bitone, premiati da Era per la pietà filiale col
maggiore dei beni: la morte; Agamede, ricompensato nello




(1) Rossi, 0. c., pag. 84

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC. 5601.

namento facile e piano, una ricca messe di precetti e di
suo zio, notissimo alla corte pontificia e forse al cardinale:

figlio — il motivo è tutto Ciceroniano (Epist. ad fam, IV,.
















































568 B. BORALEVI

stesso modo per la sua pietà verso Apollo, e narra anche

una leggenda cristiana, per dimostrare che la morte è un
bene, è la liberazione di ogni affanno. Seguono nuovi esempi
antichi: sono i grandi, che dalla felicità, passarono a som-
ma miseria :. Priamo, che vide Troia distrutta, il re dei
Persiani, condotto in trionfo da Emilio, Pompeo, Cleopatra.
Parla infine del bene, che si può fare al defunto, onorando
la sua memoria, non colle lagrime però: Angelus prende oc-
casione da questo per raccomandare a Laelius di non abban-
donarsi eccessivamente al suo dolore: ricorda le due iseri-
zioni del tempio di Delfi e specialmente insiste sul detto: ae
quid nimis. L' uomo non deve ritenere di poter evitare ciò che
. Dio vuole, cioè la morte, e poichè la vita è breve, e presto
questo triste stato si cambierà in uno migliore, l’uomo deve
adattarvisi. Nè mancano, neppur qui, gli esempi classici di
uomini che seppero sopportare virilmente il dolore per la
morte di un figlio: Anassagora, Pericle, Senofonte, Dione,
Demostene, il re Antigono. Conclude Angelo, che Lelio deve
sollevarsi dal suo dolore: quelli che sono amati da Dio muo-
iono prima di aver peccato: appunto perchè il figlio suo
morì anzi tempo, si deve ritenere fortunato, e intesse le lodi
del morto. A dire il vero, questo dialogo non ha gran valore
ed è assai meno pregevole di quelli del Valla: pure vi
si nota non poca familiarità colla lingua latina, ed una certa
conoscenza — sia pure superficiale — dei clissici, che gli
permette di sfoggiare la sua grande memoria.

Non conosciamo, se non l'esistenza, di un altro trattato
del Morroni, e dobbiamo contentarci di ció che ce ne dicono
il Novati e Lafaye che hanno potuto leggerlo (1). S' intitola:
De Fortuna (2) ed è dedicato a Biagio Molina, patriarca di

Gerusalemme. Secondo il Novati e il Lafaye, il nostro autore

(1) Novam! F. et LAFAYE G., Le manuscrit de Lyon n. C. in Melanges d'Ar-
chéologie et d'Histoire, XI, fasc. IV e V, pag. 375 seg.

(2) Ad. reverendissimum patrem dominum Blasiwum patriarcam Hierosoly mi-
anum Thomas Reatinum de Fortuna. Cod. C. della Biblioteca di Lione (f. 153 v. 161).

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC. 569

si é limitato a raccogliere tutti i luoghi comuni che si cita-,
vano da secoli sulla fortuna, ed ha fatto opera banale e di
poca importanza: il trattato De Fortuna non deve essere
molto dissimile da quello intitolato: Im consolationem.

Epistole.

Del Morroni sinora se ne conoscono solo due: una di-
retta agli anziani di Lucca da Carrara 1’ 8 gennaio 1468,
e quella, già citata, diretta dalla Spagna al cardinal Co-
lonna (1). Quest’ ultima è un vero e proprio documento au-
tobiografico : l umanista descrive, non senza un mal celato
‘ soddisfacimento, e, forse, non senza qualche esagerazione,
le acCoglienze avute e gli onori tributati alla sua fama e
al suo ingegno.

Egli sentì il bisogno di fermarsi a Barcellona, studiorum
omnium palestram: è preso per l’anticristo, tutti accorrono

a vederlo, tanto che se ne fugge a Ilerda, dove gli seque-

strano le lettere al re Renato ed egli é fatto prigioniero
insieme al seguito: finalmente, é liberato, per l'intervento
della Regina di Barcellona, e se ne va in Aragona: a Soria
gli giunge le notizia di una ribellione di 5000 magnati e pri-
mati, contro il Conestabile (Albaro de Luna) di cui non vo-
levano tollerare più le prepotenze. Gli antichi entusiasmi
militari si ridestano in lui ed egli continua il suo viaggio
fino a Cuellar, dove incontra Giovanni II re di Navarra e il
figlio Enrico, che, avuta notizia della dottrina e della fama
del Reatino, gli tributano grandi onori, tanto che egli, par-
landone, così si esprime: « me non humane modo ac fami-
liariter verum etiam magnifice et comiter observarunt ». Gli si
offrono persino doni, se vuole prolungare la sua dimora
in Ispagna: ma egli si affretta alla corte del re di Castiglia,
dove é accolto con gran festa ed é ricevuto in mezzo ai

(1) È pubblicata dal BELTRAMI, l. C.



















510 4 : B. BORALEVI

dotti, ed è anche lodatò per la sua coltura ed invitato, con
promesse e doni, a. prolungare il suo soggiorno colà: ma
‘egli si congeda dal re e risponde che è costretto a recarsi
in Inghilterra: il re gli dà una collana è una fascia d'oro
(probabilmente sono decorazioni cavalleresche). Finalmente,
ai confini del regno di Granata, egli si imbatte nell’ esercito
cristiano, che combatteva contro i Saraceni. Qui, abilmente,
intuendo che tale. argomento poteva stare a cuore al car- -
dinale, gli descrive la barbarie di quei popoli e la battaglia
a cui egli ha preso parte, sotto la guida di quell'Inigo Lope
de Mendoza, per cui scriverà l' epitafio piü sopra riportato :
la battaglia e il duce supremo dell’esercito spagnuolo sono
descritte con molta efficacia e anche il modo di combat.
tere degli Arabi, che è conforme a quello di altre descri-
zioni, è rappresentato con vivacità e abbondanza di parti-
colari. Dopo là battaglia, il duce lo fece militem, cioè cava-
liere, i» nomine Individue trinitatis ed' egli fa creare cava.
lieri anche i suoi due compagni: Ottino Berretta (milanese
.certamente, come indica il cognome) e Giovanni da Milano.
‘E questo documento, piü storico che letterario, ci dimo-
stra ehe il nostro Reatino — non diversamente dal suo
‘nemico, il Poggio — trattò questo genere indipendentemente
dai suoi. contemporanei, di cui le epistole sono pure eserci-
tazioni retoriche, mentre queste potranno contenere qualche
‘esagerazione o qualche aggiunta, ma sono pagine di vita
vissuta.

L'epistola agli anziani di Lucca é pubblicata dal Fumi (1).
L'8 gennaio 1468 il. Morroni scrive da Carrara agli an-
Ziani di Lucca, che gli avevano mandato Nicola Lilii, rin-

«graziando degli uffici resigli, graditi tanto più in quanto gli ©

‘provano che i Lucchesi conservavano ancor viva la me-
moria di Francesco Sforza, e avevano anche riguardi verso
‘la duchessa Bianca Maria e il figliuol suo, che erano gli .

(1) FUMI L., Carteggio degti Anziani di Lucca, vol. IV, Lucca, 1907, pag. 316.

DI ALCUNI SORITTI INEDITI, BCC. RT

eccellentissimi suoi priucipi. È una elegante lettera cerimo-
niosa e nulla più: lo stile però non è privo di grazia. Pro-
babilmente, egli dové scrivere molte lettere politiche assai
piü importanti di questa, che potrebbero chiarire molti punti
della vita pubblica, di cui fu spesso partecipe, per le mis- -
sioni affidategli dagli Sforza : ma per ora, non ce ne sono
pervenute altre.

Le orazioni.

Senza dubbio le orazioni del nostro umanista sono, di
quanto ci è rimasto di lui, la parte migliore: sono, è vero,

' talvol&, mere esercitazioni retoriche, ma egli doveva essere

abilissimo in questo genere, come affermano i contempora-
nei e le didascalie delle sue opere, e doveva recitarle con
una certa foga che commuoveva grandemente l’ uditorio.

. Sicuramente, la maggior parte di esse sono andate per-
dute ed è a rimpiangere, perché, forse, non tutte erano mo:
dellate su quelle del tempo e alcune contenevano notizie
biografiche, come, per esempio, quella tenuta all’ Università
di Bologna, a cui accenna il Bracciolini, e molte altre. che
egli dovè scrivere, per sbrigare le sue faccende politiche MES
e a questa specie di eloquenza appartengono, per lo più,
quelle che ci sono rimaste. Ve ne sono però due di altro ge-
nere ; r l'epitalamio e l'apologia, a cui forse si puó aggiungere
. una encomiastica, di cui ci é rimasto solo il proemio; diretta
al principe di Milano (1).

"rn epitalamio per Drusiana Visconti (2),

Sappiamo che l’ orazione per nozze era molto comune,
quell’ epoca : l'oratore leggeva le lodi degli sposi, delle

(1) Vedila in A lipendies. ; rn

. (2) Oratio habita per d. Thomam de Reate in Boeponsmupis ul. d. Drusiane

Vicecomátis etc., pubblicate presso SABBADINI R., Briciole umanistiche in Giornale
Storico deila Lett. ital., XLVII, pag. 26.



















572 B. BORALEVI

loro famiglie e dell’ origine del matrimonio: il Morroni,
nel principio del discorso, di cui ci restano solo poche ri-
ghe, si ribella a questo schema umanistico, dando così, come
osserva il Sabbadini, saggio della sua singolarità: però, os-
serviamo che anche il proposito di dire o compiere cose

diverse dagli altri è artificio che ricorre spesso nel nostro
Reatino.

Apologia (1).

Questo genere di eloquenza — che si deve intendere
invece come invettiva — così comune allora, derivò secon-
do che si crede comune, dalle Verrine : Cicero ne, accusando
Verre, ne aveva indagata la vita sino da’ primordi: gli
umanisti seguirono questo metodo per annientare i loro ri.
vali — e rimane un’ orazione, attribuita a Sallustio che ha
tutta la forma dell’ invettiva umanistica. In ogni caso, se
l’epitalamio Tommaso trattò o almeno si propose di trattare,
diversamente dagli altri dotti del suo tempo, l'invettiva con-
cepi e scrisse, se non proprio sul modello dei suoi contem-
poranei, certamente con criteri molto affini ai loro: peró
non un mero esercizio retorico é la sua orazione, ma un
vero e proprio sfogo di bile troppo repressa e di rancore,
forse, non ingiustificato: ché il Bracciolini, non contento di
avergli tolto ogni speranza di ottenere il posto tanto am-

bito, lo fece persino imprigionare. Il titolo, infatti, ci fa
aspettare una difesa, mentre, in realtà, tutta l’ orazione è
costituita quasi sempre da una violenta offesa. Nell' esordio,
il Reatino esprime le ragioni che lo hanno mosso a par-

lare: cioé le continue calunnie che il Bracciolini va in-
sinuando da un pezzo contro di lui, e dà un breve cenno

(1) Thome Reatini Apologia apud sacrum cardinalium collegium in Pogium
maledicum. Vedila in GaBoTTO F., Altri documenti su Tommaso Morroni da Rieti,
in Biblioteca delle scuole italiane, V, 1892, n. 2-3.

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC. 573

della sua vita e delle accuse mossegli ... ma da chi? Forse
da un uomo onesto? E prende occasione da ciò per in-
tessere, a suo modo, la biografia del suo rivale; nè sono
lievi le accuse di ubriacone, di ghiottone, di ospite infedele,
di ladro, di calunniatore, di impudico, o peggio: tutti vizi che
non solo il Morroni attribuì al Bracciolini, ma anche agli al-

tri umanisti, coi quali attaccò lite l’ irascibile fiorentino. E
per dimostrare quanto fossero ingiustificate le voci maligne
del Poggio contro di lui, il nostro Reatino ricorda tutti i fieri
odii che il suo avversario si è attirato, e specialmente le
aspre polemiche col Filelfo e coll’ Aretino (1). Anzi esprime
l’intenzione, che probabilmente non mise in effetto — «vitam

huius monstri accuratius scribere. Narra poi un piccante epi-
sodio sulla vita dell'emulo a Roma e continua nelle sue più
forti accuse: il suo assalitore a suo vantaggio si valse di
donne, spinse la sua iniquità sino ad avvelenare il marito
della sua amante, e non dubitò di far mettere in carcere
il priore di S. Michele in Firenze, che lo aveva ospitalmente
accolto nella sua casa. Prosegue col compiangere la giovinetta
moglie di lui (2), cui toccò simile marito: vecchio, irasci-
bile, libertino, e si finisce con un appello ai cardinali, e in-
sieme con una più violenta conferma delle accuse già fatte
a Poggio: si nega cheegli abbia virtù oratorie e gli si rin-
faccia la. sua balbuzie: non appartiene a nessuna scuola
filosofica (3): non è nè stoico, nè accademico nè peripate-
tico; cioè peripatetico sì, veramente, chè è sempre corso
dovunque sperasse ottener danaro.

(1) La polemica col Valla, che fu la più famosa di tutte e che non sfuggì cer
tamente al Morroni, cominciò nel 1451; e questo potrebbe essere un termine ante
quem per fissare la cronologia di quest'opera che per noi, come abbiamo veduto, data
verso il 1438.

(2) Il Bracciolini la sposò nel 1435: questo potrebbe essere un termine post
quem per la cronologla di quest’ invettiva.

(3) È noto che, allora gli studi filosofici erano in gran fiore, specialmente col-
tivati sulla traccia degli antichi: basterebbe ricordare i dialoghi del Valla e il neo-
platonismo del Gemisto e del Ficino.









B. BORALEVI

Queste accuse — osserva il Gabotto — dovevano disto-
gliere i cardinali dall’ eleggere segretario un uomo. sì cor-
rotto: ma, forse, il Reatino aveva perduto ormai ogni Spe-
‘ranza di ottenere l’ambito ufficio; egli mirava solo a di.
fendersi e a vendicarsi del suo emulo maledico — e maledico
lo era davvero: né la violenza contro di lui é del tutto
ingiustificata. È evidente che l’ invettiva del Bracciolini è po-
steriore all’orazione del nostro Tommaso, orazione che deve
datare appunto dal 1437 al 1438, ed è altrettanto evidente cho
la risposta del velenoso umanista fu scritta sulle traccie del
l’Apologia, e non si può dubitare che sia avvenuto il contra-
rio, cioè. che il Reatino risponda al Bracciolini, perché que-
st’ ultimo si compiace di attribuire intensificati e, se fosse
possibile, esagerati, gli stessi vizi'che gli sono stati da lui rinfac-
ciati. È ben difficile poter intuire la verità da scritti così par-
ziali, e se il nostro umanista non era esente di tutte le tur-
pitudini che gli attribuiva il Poggio, dobbiamo riconoscere
però che egli non era nè il solo nè il primo a fare quelle
accuse al maledico fiorentino.

Orazione al principe di Milano (1).

Quasi più che l’ orazione stessa, sono importanti le di-

dascalie, che, forse, sono opera di un maestro, di un altro
umanista, o dell’amanuense; sebbene all'autore stesso delle
didascalie si potrebbe rimproverare di cadere in quelle stesse
mende, che egli vuol correggere nel Morroni. L’orazione non

è finita, e la parte che ci è rimasta costituisce soltanto il
proemio: per quanto l’autore si proponga di esporre le lodi del
Principe con intendimenti diversi da quelli usati comunemente,
egli si limita a esprimere con vuoti artifici la sua impotenza e
incapacità a descrivere degnamente tutta la sua ammirazione

(1) Oratio d. Thome Reatini de Laudibus principis Mediolani anno domini 1438
mense februarij. Vedila in Appendice.

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC. DIE

per le alte ‘virtù del principe: ed enumera le doti di questo
e, in genere, di tutti quelli che amministrano bene la cosa pub-
blica. Più che opera di umanista sembra esercitazione scola-
stica, o il primo abbozzo di un lavoro non terminato : pare
impossibile che l’autore di questa prosa arida e scolorita sia
quello stesso della violenta, ma robusta invettiva di cui ab
biamo parlato, e delle altre orazioni che esamineremo. Pro-
babilmente, il principe, a cui è diretta l’ orazione è Filippo
Maria Visconti, al servizio del quale il Morroni dové entrare
appunto verso il 1438.
-
Orazioni politiche.

Se si eccettuano i discorsi di Pio II, questo genere di

eloquenza fu trattato per lo più solo nella corte di Roma,
dove convenivano personaggi di varie nazioni non tutti pe-
riti nell’ italiano (1); pure, come ci-mostrano le orazioni del
nostro umanista, questo genere dovè fiorire anche in qualche ,
altra corte, talvolta.

Orazione a Pio II (2).

Assai più curata è questa orazione, dell’abbozzo più so-
pra citato: ed é naturale: ché il nostro Reatino sapeva di
presentarsi a leggerla davanti uno dei più raffinati e dotti
conoscitori dell’antichità e, sopra tutto, ad un così esperto
oratore nella lingua di Cicerone e di Livio, qual’ era Pio II.
Forse quell’ improvvisa e insolita timidezza che — a suo
dire — lo prende, nell’atto di esporre il suo discorso dinanzi
a questi, che non è più solo quell’ insigne e dotto umanista

(1) ROSSI, 0. c., pag. 98. x o

(2) Oratio exornatissima, praeclarissimi poetae laureati domini Thomae de
Reate Consiliarii illustrissimi D. Ducis Mediolani prolata per eum coram S.mo no-
stro D. Papa secundo in urbe Roma die quarta, octobris 1458 tunc oratorem pre
fati domini ubi clare lucescit in ca. FUMI, Cose reatine ecc., l. c.











576 B. BORALEVI

già a lui noto e caro, ma gli appare quasi un nume, tanto
è grande il prestigio che emana dalla sua persona, non è
questa volta un artificio oratorio, ma l’espressione di una

riverenza ed esitanza veramente sentita, e non ingiustifi-
cata. Molto opportunamente egli, dopo essersi congratulato
col pontefice per la sua elezione, allude alle infelici condi-
zioni dei tempi, alle precedenti discordie della Chiesa e alla
necessità di quella crociata contro i Turchi, che Pio II pro-

muoveva con tanta alacrità, e alla quale, come sappiamo, lo
Sforza era disposto a prendere parte. Accortamente il nostro
Reatino si rivolge al pontefice umanista, e gli dice : « Le isole
tanto care agli antichi, Rodi, Mitilene, ecc. dovranno cadere in
mano agli infedeli ? Come gli antichi grandi sollevarono le sorti
dei loro popoli, così tutta la cristianità civile aspetta l’aiuto
di lui, illuminato, colto, saggio, degno più di quanti mai
abbiano occupato il soglio pontificio, di rappresentare Cristo
in terra ». E termina, porgendo gli omaggi del duca e offrendo
al pontefice a nome di questo, l’aiuto per la crociata, purchè
egli, a sua volta, contribuisca a far ritornare la calma negli
stati del suo signore, vantando la fedeltà e la disciplina delle
. milizie ducali.

L'Orazione a. Ferdinando d'Aragona (1).

L’orazione è simile a quella diretta a Pio II ed ha lo
stesso andamento. Il nostro Reatino porge dapprima con bel
garbo le condoglianze sue e del Duca per la morte del padre
di Ferdinando, ne tesse ampie lodi e ne ricorda le geste con
una certa solennità e ampiezza. Descrive il dolore univer-
sale per la sua morte e passa ad enumerare le qualità del
principe, ora divenuto re: parla dell’ universale stima che

(1) Oratio laudatissima eiusdem praeclarissimi laureati Poetae domini Thomae
de Reate Consiliarii illustrissimi d. Ducis Mediolani pro cuius parte prolata per
eundem d. Thomam die XV octobris 1458 coram Maltestate serenissimi principis d.
Ferdinandi Siciliae, Iherusalem et Hungarie regis. FUMI, l. c.

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC.

egli gode in Italia e della felicità del suo regno, e chiude,
infine, porgendogli, insieme con auguri e preghiere, parole di
consolazione per la morte del padre.

Orazione al re di Francia (1).

Il nostro Reatino comincia col luogo comune della timi-
dezza che lo prende nell'atto di parlare a un così gran per-
sonaggio, la cui vista spira tanta riverenza (come nell’ ora-
zione a Pio II). Passa poi allo scopo dell'orazione: esprime
al re condoglianze per la morte del padre ; condoglianze di
. intonazione convenzionale e su cui l’oratore non insiste troppo;
sappiamo infatti della storia che il Delfino Ludovico era
stato sempre in discordia col padre; scaltramente dunque il
Reatino sorvola sulle condoglianze che le convenienze l'ob-
bligavano a porgere al nuovo Re, e si ferma invece a de-
scrivere il compiacimento del duca per la sua assunzione al
trono: passa quindi a ricordare la gratitudine del suo signore
per lui e le sue geste: non sembri strano, trattandosi di con-
venzionalismo, che, per lodare le sue virtù, egli si esprima
colle stesse identiche parole dell’ orazione al principe di
Milano del cod. Ambrosiano H. 48, tanto che se le date delle
sue orazioni non fossero così diverse, si direbbe che quella
del codice milanese è l’abbozzo di queste: infatti c'é un
. periodo identico in entrambe e in quella al re di Francia
si trovano allargati e spiegati gli stessi concetti che sono
accennati nell’ altra: basterebbe questo per dimostrare la
spontaneità delle lodi tributate dal nostro Reatino! Ma non
è la prima volta che ritroviamo e ritroveremo in lui ripe-
tizioni dello stesso concetto e persino delle stesse parole!
L'oratore fa poi le lodi del Principe: e specialmente delle

(1) Cod. Laur. Gaddiano Plutea 89, inf. 47 già 708, Gaddiano vede:e in Ap-
pendice: Magnifici miltis domini Thomae de Reate IUustrissimi Ducis Melodiani
oratoris ad Christianissimum di Franeorum regem.





$18 B. BORALEVI

virtù pacifiche ‘di lui, chè, si capisce, delle doti militari
di Francesco Sforza, nessuno poteva dubitare: e con espres-
sioni analoghe — come vedremo — a quelle dell’ orazione
ai Genovesi, descrive le floride condizioni del suo ducato 190

Viene poi a quello che « sembra » essere l'intento dell’ora; MM

zione, intento che noi perdiamo di vista per le tante ed inutili
«parentesi e divagazioni del nostro umanista : incitare cioè il
re a partecipare alla crociata contro i Turchi; a Pio II che

‘ne era ardente fautore, aveva promesso — come abbiamo ve-. | |

duto — l'appoggio delle milizie ducali, e forse per la formale
promessa che il suo signore ne aveva fatta al pontefice, par-
lava il Reatino. Tutti i principi cristiani, egli diceva, ave-

vano il dovere di scagliarsi contro questi nemici della fede; ..

ima più di tutti-il Re, detto meritamente « Christianissimus »j
discendente di quel Carlo che li aveva debellati. e che ap-
punto per questo aveva ricevuto il sopranome di « Magno ».
. Finisce il suo discorso, esprimendo le speranze che il principe.
. ha riposto in lui: l’ultima è la parte migliore di questa ora-
zione, un po’ vuota.e verbosa talvolta, però. non del tutto
.. priva di eleganza.

Orazione ai Genovesi. (1).

. Degna di essere posta accanto a queste due ultime orazioni
è quella diretta ai Genovesi il 1 giugno 1464. In essa, l’autore,
che ha mantenuto qui lo schema solito agli umanisti, comincia
col solito artificio: egli si sente preso da esitanza. Questa |
volta le splendide parole dei legati genovesi gli chiudono le
labbra: egli, dice, deve improvvisare l’ orazione, il che gli è

(1) Oratio facta et. prolata per magnificum doctorem et Militem ac clarissimum

| poetam laureatum dominum Tomasium de Reate ac ducalem Mediolani Consilia-
rium respondendo orationibus factis per Magnificos d. Ambasciatores Ianuae coram.
Ill.mo principe Francischo. Sfortia Mediolani domino a doctissimis perlaudatis. IL;
+ titolo e le poche righe che si trovano nel eod. Vat. 5994 e 65 t furono pubblicate *
dal Fumi: vedi tutta l'orazione in Appendice. È :

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC.» 579

accaduto più volte, ma ora egli dubita della sua abilità e.

che la sua orazione appaia meschina dopo gli eleganti di-

scorsi uditi. Tuttavia egli obbedisce — continua — a chi gli

ha ‘ordinato di parlare, e descrive con una certa enfasi e ma-

gniloquenza le antiche glorie dei Genovesi, le. bellezze della..
Superba e, non senza una certa adulazione, le doti dei. cit-

tadini: eppure essi, da tanto splendore, sono caduti in così

miserevoli condizioni! Si affidino dunque al duca che ren-

derà loro, colla concordia, la potenza di una volta. E qui.
seguitano a farsi le lodi del principe che, come si sa dal titolo

e si *Mesume dal testo, assisteva. all’ orazione e descrive

sinteticamente, ma con molta efficacia, le felici condizioni

politiche del ducato di Milano e la potenza che .ha saputo

conquistarsi lo Sforza, che ha per alleati i più illustri si-

‘gnori e re d’Italia e d’ Europa, e nella perorazione, fa un

caldo appello ‘ai Genovesi a darsi unanimemente al principe

forte e generoso. Quale effetto dovessero fare le parole di

Tommaso da Rieti, ci dicono le poche righe che si trovano

nel cod. Barberiniano lat. 43, f. 156 (1).

Stile della prosa latina del. Morroni.

Abbiamo veduto che la poesia latina del nostro autore
— quella a noi nota — è imitata da Virgilio: la prosa si
. potrebbe avvicinare a Cicerone: diciamo ‘« avvicinare >;
perchè, bisogna confessarlo, gli umanisti d’allora erano ben
lontani dalla raffinata e luminosa eleganza degli antichi.
Gli storici del. 400 avevano preso a modello Cesare, Sal-
lustio, Livio, Tacito o qualcuno dei minori; ma poichè tra i
Romani, solo Cicerone aveva trattato con perfezione i generi
letterari coltivati dal Reatino (il dialogo, l' epistola, l' invettiva,
l’orazione politica) era naturale che questi scegliesse come
«suo modello, quello che fu meritamente detto il padre della

(1) Vedile in Appendice.



580 B. BORALEVI

prosa latina: tanto più che pochi anni prima Gasparino Bar.
sizza (T 1431) era stato gran banditore dell'imitazione cice.
roniana (1) e Lorenzo Valla, nel 1425, aveva confermata la
superiorità di Cicerone rispetto a Quintiliano. Che il nostro
umanista fosse studioso e, per lo meno, aspirasse ad imitare
il grande oratore romano, ci é confermato da una postilla
forse ironica, che troviamo al discorso diretto al Principe di
Milano, di cui abbiamo già parlato. L'autore della postilla.
osserva a Serenissimam: « Serenissimam apud Ciceronem non
invenies » (2). Segno evidente questo che, per lo meno il
Morroni si studiava di avvicinarsi a Cicerone, per quanto ne
fosse tanto lontano! A tale conseguenza però, veniamo prin-
cipalmente, esaminando lo stile e la lingua di queste ora-
zioni: ciceroniani, infatti, sono tutti gli esornativi e super-
lativi, l’uso di parecchi sinonimi in serie e, in generale, tutto
il periodare.

Il latino di Tommaso da Rieti non è molto diverso da
quello del suo acerrimo emulo: mentre dunque si avvicina
a quello di Cicerone, è trattato in maniera tutta sua, non
manca di vivacità e di robustezza, ma non è neppure esente
da neologismi e da sgrammaticature: in due o tre passi per es.
dell’orazione ai Genovesi e dell’ orazione al re di Francia è
sbagliata la consecutio temporum, si usa num per nonne e nel-
l’orazione ai re di Francia si trova cum dinanzi a fieri: e
frequente l'uso del suus per eius, e persino di suus per eius ;
uso che, presso i buoni umanisti, non si trova mai (3), e che
il Valla aveva insegnato nel trattatello accodato alle Elegan-
tiarum latinae linguae pubblicato nel 1444 (4). Nell' orazione

(1) Rossi, o. c., pag. 52.

(2) Vedi in Appendice l’orazione e la postilla.

(3) Sembra che l'uso di suus per eíus sia venuto da sibi per ei, frequentissimo
nei padri della Chiesa.

(4) ROSSI, 0. c., pag. 60.

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC. 581

ai Genovesi si trova anche celorum per celi (1), derivato forse
dalla volgata della Bibbia. :

b) Le opere in volgare.

La produzione volgare del nostro Reatino, quella che ci
è pervenuta, è scarsa davvero: egli scrisse quasi sempre in

latino, perchè della sua inesperienza nel volgare aveva, come
sappiamo, coscienza: quindi possiamo affermare che egli
scrisse in italiano, quando non poteva servirsi di altra lingua;

quando, cioè, essa era o sgradita o ignorata alla persona cui
voleva dedicare (2) le sue scritture, come per es. il Cosmo-
graphus, la canzone diretta a Filippo Maria Visconti, che
costringeva gli umanisti a scrivere in volgare, o nelle poesie
dirette a una donna che non sapeva probabilmente il latino
o in lettere famigliari o private come quelle dirette allo
Zerbo e al Duca.

Liriche politiche e amorose.

Senza dubbio, la poesia volgare è superiore alla prosa
del Morroni: anzi secondo il Gabotto (3), la sua fama riposa
non sulle opere filosofiche, geografiche, oratorie, ma sulle
canzoni volgari. Di questa produzione però ci sono rimaste
solo quattro canzoni e un sonetto. Le canzoni (4) devono es-

(1) Nel lat. classico non esiste il plur. di coeiwm in prosa: in poesia (Lucrezio
e alri) usano il plur. di coetus, i padri della Chiesa traducevano oi o5pavot della
Bibbia con celi.

(2) Nella lettera con cui accompagna il Cosmographus, trattatello in volgare,
che mandava all'amico Zerbo, egli scrive: « Anzi accusamo il nostro, se a noi pur
pare che errore si chiami, il non avere iscripte le precedenti cose in lingua litte-
rata latina, come merito dovevamo fave, ma non seria satisfatto alli preghi di al-
chuno che cossì volse ». FUMI, l. c.

(3) Un letterato umbro ecc , l. c.

(4) Cod. Riccardiano 1154. Cfr. MoRPURGO S., I manoscritti della R. Biblioteca
Riccardiana, I, 182 e il Cod. Montuario lucchese, VIII, fol. 67 seg. che é una copia
con qualche errore in più del Cod. Riccardiano.



82 B. BORALEVI

sere state scritte nei primi anni della dimora del nostro au.
- tore a Milano, e sono dedicate tutte al duca, probabilmento
Filippo Maria Visconti, come mostra il titolo (1): ma ve n'é
una diretta proprio al principe che é la migliore e la piü
‘nota agli studiosi; quella che incomincia (2):

Più volte lacrimose rime ho sparse..

Questa canzone ha importanza civile. e letteraria: nel
Rinascimento, gli eventi politici assunsero spesso nella lette:
ratura atteggiamenti classici, e vissero di una vita del tutto
fittizia e le imprese mosse da interessi o da ambizioni personali
si gabellarono per figlie di un alto ideale antico (3): i nostri
umanisti erano, pur troppo, non molto lontani dagli antichi
- che tanto amavano, in questo, nell’ adulare: Virgilio, Orazio
^ e Livio avevano incensato Augusto: essi, di gran lunga

lontani da questi sommi, vedevano o volevano vedere le
glorie del primo imperatore Romano nei tirannelli d' Ita-
lia. Ma la canzone patriottica di Tommaso da Rieti si se-
gnala tra le altre ed è forse l'espressione di un convinci-
mento e di un’ aspirazione veramente sentita: certo egli intuì,
che solo nell'unità politica sotto un re forte ed energico,
l’Italia avrebbe potuto rialzarsi dalle misere condizioni in
cui giaceva: inoltre egli divinò che il potere temporale dei
papi era uno degli ostacoli più insormontabili a quell’ ideale
di unità che egli vagheggiava: e in ciò si avvicinava alle
idee arditamente espresse dall’ erudito suo amico, il Valla.
Come ghibellino e come umanista sente il bisogno di parlare
delle glorie di Roma imperiale per profetare le future glorie

(1) Ad Illustrissim. principem d. ducem Mediolant poeta. eximius. laur eatus 8
miles clarissimus d. thomas reatinus. (Cod. Ricc., 1154).

(2) È pubblicata dal BeRTOLDI, Un poeta umbro del sec. XIV in Archivio Storico
per le Marche e per l'Umbria, (IV, 49 seg.) : per l'interpretazione di essa vedi BER-
TOLDI, l. c., ma specialmente GABOTTO, l. c.

(8) ROSSI, 0. c., pag. 157.

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI. ECC. 583

d’Italia. Espone poi le presenti condizioni d’Italia e la ne-'
cessità della guerra da parte del signore, per ottenere la
potenza a cui ha accennato:

Chè sempre è iusta et a natura piace
La guerra che se fa per far poi pace.

È manifesto per chi legge questa canzone e anche le
altre, lo studio che il Morroni doveva aver fatto su Dante
e sul Rgtrarca, autori ambedue cari al Visconti (1): infatti ri-
corre spesso nella canzone un’eco delle idee e delle espres-
sioni ardenti dei due poeti nostri a proposito della patria.
Le roventi parole contro la S. Sede assomigliano alle fiere
parole di Dante contro i pontefici, e certamente tutto 1 an-
damento della lirica è imitato dalla Canzone ai Signori di
Italia del Petrarca: gli accenni alle glorie dell'impero ro-
mano, piuttosto che a quelle della repubblica, per cui il Pe-
trarca aveva espresso la sua ammirazione, sono naturali in
lui umanista e ghibellino e sono forse di ispirazione dantesca.
La chiusa, molto meno bella però del suo originale, ricorda
quella della canzone citata :

I'vo' gridando: Pace, pace, pace.

Lo stile é prolisso e i concetti sone disordinati, spe-
cialmente nella prima parte: la seconda è migliore, per quanto
mescolata di imagini mitologiche colle cristiane, ciò che
Dante aveva fatto, ma che era divenuto più che comune al-
l'epoca del Morroni. Ciò che di questa poesia più ci importa
è il concetto, che dell’unità nazionale aveva il nostro poeta,
il quale in questo riguardo si può considerare un continua-

tore del Petrarca, e un precursore dei poeti della patria,

vissuti in tempi in cui i sentimenti di dignità e di coscienza
civile divennero patrimonio comune.

(1) Rossi, o. c., pag. 72.



B. BORALEVI

E da rimpiangere la perdita delle altre liriche patriot-
tiche, che furono certamente inspirate al nostro autore dalla
conoscenza diretta della politica del tempo: la loro esistenza
non può essere messa in dubbio, vi allude il poeta stesso:
colle parole : i

Più volte lacrimose rime ho sparse.

Alla stessa epoca appartiene un’ altra canzone (1) contro
i suoi detrattori e nemici, che, come sappiamo, gli fecero
aspra guerra. L’ autore invoca l’ aiuto di Apollo per versare -
un fiume di poesia, diverso, da quello della turba volgare
degli altri che indegnamente si dicono seguaci delle Muse.
Tutti i grandi dell’antichità, egli dice, furono come lui per-
seguitati e invidiati: Cammillo, Scipione, Lentulo, Teseo An-
nibale, Solone, Milziade ecc. Come si vede qui, i fatti della
storia greca e romana sono messi insieme e non sempre feli-
cemente; come e fuori di luogo è il paragone tra questi e
il nostro Tommaso, che non pecca davvero d’ eccessiva mo-
destia (2): si nota nella canzone un certo impeto lirico e uno
sdegno veramente sentito: egli dice di voler fuggire nella
solitudine, chè nessuno lo comprende: si nota in tutti questi
versi l’ ispirazione dantesca e .nel concetto generale e nei
particolari. Essendo questa poesia inedita ne pubblichiamo
il testo :

Canzone di Tomaso da Rieti.

Cod. Ricc. 1154 e 1000 b.
‘ Se mai continga che lardente lume (3)
Del vago e dolce figlio di lathona
‘Mi schalde il pecto (4) in grembio a sua sorella

(1) Cod. Ricc. 1154 c. 100 us 102 a. Cfr. S. MoRPURGO, I manoscritti della R. Bi-
‘ blioteca Riccardiana, 1, 182.

(2) Vedi Capitolo I.

(3) Il Bertoldi giudicò il principio di questa canzone « bello di rimembranza
dantesca »: infatti esso ricorda molto da vicino il sospiro con cui Dante apre il XXV
canto del Paradiso: Se mai continga che "l poema sacro ecc.

(4) Così Dante invocava Apollo : Entra nel petto mio, ecc. (Parad. I, 9 seg.).

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC.

Non molto longe dal fronte elicona
Io farò forsi di parlare un fiume (1)
Che non fia secco da solle o da stella
Ma pur invicta e bella

,

Lacqua sua currira tra greco et ostro
Et sempre fia divisa (2)
Da la turba vulgare di cirra o nisa.

Ben so che questo mio dire pare un mostro (8)
Se non a pochi da cui non e scisa (4)
Minerva Apollo alaltri ingegni loschi (5)
Pfhecia oro gemme e ostro (6)

Chio vo cerchando le montagne e i boschi
Al vulgo indocto di virtu inimico (17)

Pien dogni scognoscentia, scelerato
Invido, tristo, avaro e pien di dolo
Crudel, superbo, suspectoso ingrato

Non si conven tra sorbi stare il ficho (8)
Nè hom virtuoso in vostro lordo stuolo





Che cum piu alto volo
Prende suo curso (9) al magnanimo ingegno,

(1) Ricorda ... quella fonte Che sparge di parlar sì largo flume (DANTE, Inf. 1,71).
(2) Pare che voglia alludere alla turha dei poeti; é il secernut popwlo e il
profanum volgus d' Orazio.
(3) mostro é latinismo: qui significa cioé cosa prodigiosa, fuor di natura
(monstrum).
|. (4) scîsa scissa, cioè da cui Minerva non è separata.
(5) Cfr. Petrarca son. 221:
Per fuggir questi #29egni sordi e loschi.
(6) È curioso l’accozzo presso a poco uguale di molti cinquecentisti : Casa
LAS
Come splende valor perch’ uom nol fasci
Di gemme e d’ostro.
Tasso (Ger. Lib. 20-17):
Quel Capitan, che cinto d’oro e d’ostro
Dispone le squadre
È imitazione di classici antichi.
(7) Vedi nota al v. 9.
(8) Questo è del tut'o dantesco (Inf. 15, 65) :
Ed è ragion, chè tra li lazzi sorbi
Si disconvien fruttare il dolce fico.
(9) Anche questa è reminiscenza dantesca (Purg. I, 1):
Per correr miglior acqua alza le vele
Omai la navicella del mio ingegno.









B. BORALEVI

Lasso chio nebbi scorno
Per far cum questa vil turba sogiorno
Che per far uno gientille spirito degno
Di honor di fama et di virtute adorno,
Altramente fo inteso il bel lavoro (1)
Onde nebbi aspro sdegno
Tal che non vivero mai piu tral foro (2)
O insensata turba o vulgo ingrato
Pon mente un pocho a lopre antiche et nove
Et vederai Camillo il bon Romano (3)
Che per la patria fe le altere prove
Per tua sententia di Roma cacciato
Poscia vederai luno et l’ altro affricano
Griday vendetta invano
Poi apresso vederai di questa gente
Nasica vechio e forte
A Bergamo (4) languir la mala sorte
Et Lentulo (5) in scicilia star dolente
Et Licurgo dar leggie et far sua morte (6)
Cieecho, et privato del suo proprio nido
Theseo (i) ancor vilmente

45 Vederai cacciato per vulgare strido

(1) Pare che alluda alla sua opera poetica inspirata da Apollo: è nel senso
dell’ ultimo lavoro di DANTE (Par. I, 13-30).

(2) Tra la gente.

(3) Cfr. PETRARCA (Trionfo della Fama, 59 sgg):

e ’l gran Cammillo
Di viver prima, che di ben far, lasso;
Perch’ a sì alto grado il ciel sortillo,
Che sua chiara virtude il ricondusse
Ond' altrui cieca rabbia il dipartillo
osserva il Gesualdo: cieca rabbia è la cieca rabbia della plebe.

(4) Il nostro autore o l'amanuense, ha scambiato Bergamo con Pergamo : er-
rore dovuto forse alla pronuncia dialettale reatina: si tratta qui di P Cornelio
Nasica sopranominato Serapione, che, per odio contro il partito democratico,
fu avversario di Tiberio Gracco: il senato, per sottrarlo alla vendetta popolare,
dovette affidargli una missione in Asia, dove morì.

(5) Cfr. T. Livio XXV, 6: Eodem tempore ex Sicilia litterae Marci Marcelli de
postulatis militum, qui cum Lentulo militabant ece.

(6) Secondo una leggenda, Licurgo si sarebbe lasciato morir di fame a Cirra.

(7) Dope il suo ritorno dall’Ades, Teseo trovò il suo trono occupato da Mne-
steo. figlio di Peteo e l'affetto del popolo alienato da lui, perciò se ne andò a Sciro,
dove fu precipitato in mare da Licomede.

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC.

Tene Hanibal più di trenta anni in guerra
Roma sempre vincendo, per la ingrata
Plebe, che poi crudelmente sufferse

Di quel vietorioso esser privata.

O Athena, superba invida terra

Quanto foron le toe voglie perverse

Contra solon che aperse

Le leggie a tuctol mondo, et salamina
Sottol tuo iugo mise! {
Poi vechio in cipri (1) da te se divise.

Rigngie milciade le prigion mischine,
Che tu gli desti di poi che conquise
Trecentomilia persi a marathone

Poi li vetasti infine

Sepulero fin chel figlio fu presone.

O ingrato vulgo, che erudo exempio
Fa temistocle che con poca gente
Vinse diverse (2) innumerabil stuolo
Poi constreto a fugir miseramente
Supplice averse (3) che non li fu empio
Io potria forsi prender piu del volo (4)
A dir de questo duolo

Chel stillo, el modo, el tempo non sostiene
Et pero le moderne

Lascio pero che facil se discerne

Non esser nei vulgar fructo di bene

O maledetti dale esentie eterne (5)
Piova vendetta nele vostre teste,

Iusta qual si convene,

Gente odiose al mondo, a dio moleste.
Io vo cercando mia canzone un loco
Libero et sciolto, dal vulgo mendace
Tu simelmente il fugge chio ti giuro
Se non mi venga ogni pensier falace
Che ti consumeria in ardente foco

(1) Secondo una tradizione Solone sarebbe morto a Cipri.
(2) che diverse sia — di Serse?

(3) Che averse sia — a Serse? cfr. v. 63, nota.

(4) Potrei, cioé, dilungarmi di piü.

(5) Gli Dei: qui Dio e gli angeli.







B. RORALEVI

Ma prendi el tuo camino baldo et sicuro
Ove non ti fia duro

Impetrare accoglienze honeste e belle (1)
Dove sia alcuno magnanimo piatoso
Qui son lopre ribelle

Del vulgo tristo ignaro et furioso

Inferiore alla lirica politica è la lirica amorosa del Rea-
tino, perchè, come abbiamo accennato, la sua vita fu più
dedita alle aspre battaglie politiche, che alle avventure o
sventure amorose: quindi le sue poesie erotiche mancano
di profonda e vera ispirazione e, nel trattare questo genere,
egli non si allontana molto dai contemporanei se pure tal.
volta non è loro inferiore. Una canzone del cod. Riccardiano
1154, che è stata pubblicata dal Micacchi (2) una disperata (3)
e un sonetto (4) è tutto quello che ci rimane della lirica
amorosa del Reatino. Questa, come la maggior parte della
poesia erotica del 400, è derivata dal dolce sti! nuovo, ma
specialmente da Dante e dal Petrarca, tanto caro agli uma-
nisti, anche come scrittore volgare: però in questa del Mor-
roni, il sentimento inspiratore e la fantasia sono sostituiti
da una serie di antitesi e di imprecazioni con allusioni ar-
tificiose e disordinate a fatti mitologici, tanto che, spesso, ci
si domanda se la pretesa passione che fa... delirare in que-
sto modo il poeta, esista davvero, tanto questa mal dige-
rita erudizione dal pensare a una vera passione ci allon-
tana. Nella canzone pubblicata dal Micacchi, il nostro Tom-
maso, dopo aver detto che sotto il sole non v'è cosa più
bella della donna sua, dice che il pensiero di lei lo perse-

guita dovunque egli vada, e il suo amore è più grande di

(1) È reminiscenza dantesca (Purg. VII,.1):
... le accoglienze oneste e liete.
(2) Tommaso Moroni da Rieti letterato umbro del sec. XV, Rieti. Trinchi 1904.
(3) Cod. Ricc. 1154 c. 98 a 100b, cfr. Morgpunrgo l. c., I, 182.
(4) Cod. Lawrens. già Gaddiano Plut. 90, sup. 89, c. 148 v.; e c. 165 v. cfr.
Bandini Cat. cod. ms. lat. Bib. Med. Laur. V, 374 e 375.

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC. 589

quanti mai cantarono i poeti. Però, nella descrizione della
dolcezza che dal volto della sua donna emana e della. timi-
dezza, che dinanzi a lei lo prende, di quello che per lei
soffre, il nostro Reatino non è inefficace, e, sebbene sieno
questi motivi già abusati dai poeti del dolce stil nuovo, ab-
biamo talvolta l'illusione che egli provi quello che scrive. Il
commiato é dantesco e petrarchesco insieme:

Non va canzon come le tue sorelle
Per veder cosa humana

nzi sciesa tra noi dal terzo cielo (1)
Però quando vedrai le luce belle
Movi la voce reverente e piana (2)
Di che gli do d’obbidienza il velo
Con saldo e fermo zelo
La servirò fin a la morte ognora
Et anchor poi se l’alma remimora (3)

A questa canzone si riallaccia la disperata.

Era questo un genere molto popolare a quel tempo, in
cui si faceva gran sfoggio di erudizione classica: era co-
mune l’artificio di citare gli esempi degli amori più noti
nell’ antichità (4), per dire che nessuno di questi fu cosi cru-
dele contro l’ amante come la donna del poeta: pure, in
mezzo alla soffocante erudizione mitologica, sono in questa
del nostro Tommaso, espressioni di sincero affetto: è uno
dei miglior componimenti del genere, che aveva dato ori-
gine nel 400 alle imprecazioni piü strampalate e grotte-
"Sche. Il poeta, inasprito dalla freddezza invincibile della sua
donna, impreca contro di lei e contro tutto ciò che è bello

(1) Cfr. DANTE (V. n. XXVI). E par che sia una cosa venuta
Di cielo in terra a miracol mostrare
e il PETRARCA (Son. 246): j
Ma ben ti prego che "n la terza spera ecc.
(2) Cfr. DANTE (Inf. II, 56):
E cominciommi 4 dir soave e piana.
(3) Cfr. il detto comune di Catullo usque dum vivam et ultra.
(4) Rossi, l. c. pag. 158. — 3







590 B. BORALEVI

e che egli ha, sino ailora, amato: Apollo e le Muse, il cielo
collo cocchio di Febo, lo Zodiaco e tutte le stelle: le Furie
infernali anguicrinite, e tutto ciò che è orribile e mostruoso
ispireranno i suoi versi: ma, sopra tutto, egli impreca ogni
maledizione contro Amore, che lo costringerà a togliersi la
vita, come tanti altri sventurati amanti (Didone ecc.), nes-
suno dei quali, però, ebbe a soffrire dall' amata tanto quanto
lui. Pure, prima di uccidersi, vuole esperimentare per l’ ul-
tima volta la pietà di lei: se anche ora rimarrà insensibile
di fronte alla sua disperazione, egli si darà la morte.

Pubblichiamo il testo della disperata di cui sino ad ora
furono edite delle parti (1) soltanto:

1 Non so se fato o natura o destino (2)
O quale infusione (3) antii perversa
O potesta de consegl'o devino

O pur quella erudel fortuna adversa
O tucti inseme al traditore amore (4)
M'han sottoposto onde mia vita espersa (5)
Che con so artigli ma gremito el core
Et a me posto a si ardente lumera,
Chio cercho morte pria che tal calore,
Cusì veggia io cascar la terga spera (9)
Il traditor cupido al mortal mondo
Di cui la madre al tereo celo impera
Cusi Athalante lenti el suo gran pondo
Il qual si dice sostien con le spalle
Et vega ruinarlo infine al fondo

(1) MIcACCHI e BERTOLDI (1. c.).
(2) Cfr. Petrarca (Canz. XI, 140 seg.)
S'egli é pur mio destino eec.
(3) infusione sarà influsso.
(4) Anche DANTE:

Io maladico il di ch'io vidi in pria

La luce de' vostr' occhi traditori
(5) Mi hanno ridotto al punto tale che la mia vita é spersa.
(6) I1 cielo di Venere, degli amanti (v. 12).




16





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31







] 34







37







40




































(1) Cfr. DANTE (Purg. XXI, 90) :

e Paradiso I (113-33) e il sonetto del Morroni, v. 7.

(2) Pegaso era il cavallo delle Muse che, per consiglio di Poseidone avrebbe con
un colpo di zampa, arrestato l’ Elicona, che per meraviglia del canto delle Muse si
andava innalzando verso il cielo: così ne sarebbe sgorgata la fonte animatrice di
quelle Dee, l' Ippocrene Ov. Met. V, 256); donde l’ Eliconio fonte del v. 24.

(3) Cfr. DANTE, Inf. IX, 38,

(4) vostro seguito.

(5) Voi sarete le mie Muse, il vostro re (Plutone): l’Acheronte ecc. saranno i
luoghi d’ ispirazione in ogni mia legge (volontà ? o poesie ?).

(6) Atropo, la parca.

(7) Che il mio amore sia raffreddato dalla morte.

(8) Gli stessi aggettivi per Marte nella canzone pubbicata dal Micacchi:

(9) Cfr. DANTE, Inf. XVII, 72 e Par. 124.

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC.

Riempir vegga ogni terrena valle
Il carro de Junon sempre sonoro
Ruini giù per lo ritroso calle
Apollo cum le muse et col suo choro
Qual segui gia per hornar la mia fronte
Di corona di mirtho o verde aloro (1)
Arder veggha io et ruinare el monte
Ove Pegaso fece el suo gran volo (2)
Et vegha secho lo Eliconio fonte
O furie infernale (3) al vostro stolo
Macompagnate et per farme di grege (4)
Cingame al eapo ogni una un capel solo
Voi me sirete muse, el vostro rege
Misera Apollo, Acheronte et chocito (5)
Me fia elicona in caschuna mia lege
O antropos, prendi presto el partito
Or troncha el filo (6) chio ne veda in parte
Do laltrui ghiacchio el mio caldo afredito (7)
O dubio, fero impetuoso marte (8)
Spento et deradicato sial tuo lume
Di cui seguiei gia tanti tempi larte,
Che non volgesti ad ira el tuo volume
Per la mia morte el gran signor del mare
Vegga brusar (9) tra le profunde spiume
El carro che fe gia parere amare
Le sue voglie a pheton, quando la terra

Dove mertai le tempie ornar di mirto

x

S'io seguo Marte impetuoso e fiero.

6:999

B. BORALEVI

Arrida fesse per lo mal guidare
Ruinando refreschi laspra guerra
Et sia tal questa, che non mova giove
A la vendetta de la dura jerra (1)
Et con esso i cavalli et chi le move
El Zodiaco caschi et tucti i segni
Che fanno al mondo ogni di cose nove

Cascar vegga io tucti i celesti regni
Et ogni stella perda sua bellega
La humanità intellecto arte et ingegni
In natura se spenga ogni vaghezza,
Non produca la terra piu el so fructo,
Ordine perda legge ét gentileca
Poi che son privo di speranca al tucto
Vorrei cusi, ma per che esser non pote
Et pur amor a mal fin mha conducto.
Io cercaro tra tucte inferne rote (2)
Et trovaro thesiphone et alecto
Megera et laltre, che me son ben note
Di serpe me ornarano el capo el pecto
Et di lor facci mi daranno in manni,
De le qual prendero lieto dilecto.
Queste lanecendero tra i sensi humani
Secur da tucti li amorosi inganni
Che, mhan conducto nelli scogli strani,
Amor mha beffigato gia molti anni,
Et or di nova pianta colsi un fiore
Che mi conduce a così duri affanni.
‘Questo e quel ciecho (3) che me brusa el core
Onde constrecto son cerchare Antheo (4)
Col qual parlero io di nuovo ardore
Quivi sero con phialte et thipheo
Con altri grandi, che fuor di sua setta
Contra di giove et fiave Brineo

(1) La guerra che ne deve derivare sia di tal natura che Giove non sia mosso
a vendicare questo aspro tumulto; nel qual senso si trova anche presso gli antichi.

(2) Cfr. DANTE, If. IX, 46-48. |

(3) Cupido: o è riferito ad affanno.

(4) Anteo era invincibile perchè toccava la madre terra, Ercole per vincerlo,
lo dovette alzare da terra e soffocarlo: Anteo é ricordato con Fialte e con Briareo
‘in DANTE, Inf. XXXI. 100-112 e 124 come al v. 75.



DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC.




Cerbero ancora et Capaneo maspecta
Et amphiraho et heriton et manto
È Nesso che fe col sangue sua vendecta (1)
i 79 Minos vedero Eaco et Radamanto |
Udiro el giudicio et poi andaro tra quelli
È Che per amor san tolto el vile amanto
i 82 Quivi starò cum gli altri tampinelli







Spiriti che di gratia son privi

i Et che del summo Jove (2) sum ribelli
E 85 Et se fia lice el passar de li rivi (3)

- Tornero a rivedere el bel paese




Dove io lasso la spoglia qui tra vivi
88 Et cum tucta mia forca faro offessa

A quelle fredda imagine di pietra (4)

Che con ogni arte nel mondo mi lesse




91 Lanima contra lei vendetta impetra




Et contra me quel che in me scelse la rea
Saetta doro dela sua pharetra
94. Non fo contra didon si crudo Enea






Ne Achille in deidamia tanto fiero
Ne jason contra ysiphile o medea
97. Nè Theseo quando nello stran senthiero




Lasso Adriana ala notturna possa
i Nel figlio conta phedra tanto inthiero (5) >
È 100 Quanto contra di me la venenosa
Fiera (6) salvagia, che con ogni ingegno





Dato mha bando alalma dolorosa



103 Questa la fe fugire al ciecho regno,



Per trovar pace tra li lochi ardenti




Dove alcun mai non fo di posa degno (7)







(1) Cfr. DANTE, Inf. XII, 67:




... quegli é Nesso
Che morì per la bella Deienira

È E fe’ di sé la vendetta egli stesso.
| (2) È il sommo Giove di Dante (Purg. VI, 118 e Inf. XXXI, 92.

(3) infernali.

(4) è luogo comune nel Petrarca (Son. 119, Canz. 38). :

(5) Tutti questi personaggi si trovano riuniti in PETRACA (Trionfi, cap. I, |
v. 115 seg.). : AME

(6) Infinitamente più bella l' espressione petrarchesca (Canz. 27,3) La fera bella |
e mansueta.
(7) Infatti i lussuriosi di Dante non hanno pace.






B. BORALEVI

O mal guidate mie rime dolenti,
Ite a narrar linfortunato caso
Et per vendetta far fatte lamenti
Et trovate colei per cui Pernaso (1)
Cerchato ho tucto ; et gustato Elicona
Per quel che Citharea mha persuaso.
Quando sirete avanti a sua persona
Non chiedete merce come site use (2)

^

Ma monstrateli quanto el mio dir sona (3)
Et se di cio ve volesse far scuse

Tornate arieto, chio spectaro tanto

Che me diciate, cusi ce rispuse
Poi faro privo me del tristo amanto

Come si vede, ricorre, di frequente, in questa disperata,
il ricordo di concetti petrarcheschi e danteschi peggiorati ed
esagerati: c’ è anche un po’ della sovrabbondanza ovidiana,
e tutto ciò raffredda l impeto lirico del poeta: pure ci sono
dei tratti veramente efficaci, specialmente negli ultimi versi,
che non mancano di originalità e di leggiadria.
Forse diretto alla stessa donna e più delle canzoni vi-
cino ai trecentisti, è il sonetto (4):
Cod. Laurenz. Pluteo 90 c. 148v (già 149).
Sonetto di maso darieti.
1 Vagho, legiadro specchio (5) in cui se annida (6)
quel pregiato inefabile tesoro (7)
chestilla inte dallo angielicho choro (8)
spirto gientil (9) dongni mio senso ghuida (10)

(1) Per Parnaso.

(2) Non era la prima volta che il poeta le chiedeva amore.
(3) Cfr. DANTE, Inf. III, 124

(4) Cod. Laurenz. Pluteo 90 SUP. 89 Cc. 148 v e c. 165 v.

(5) Specchio per esemplare è usato dal Petrarca (Son. 151).
(6) Il f. 165 reca: Vago leggiadro specchio in chui sannida.
(9) Il f. 165 reca: quel pellegrino inefabil tesoro.

(8) Il f. 165 reca: che stilla în te dall’angielico coro.

(9) È petrarchesco.
(10) Il f. 165 v. reca: Spirto gientil dogni mie senso guida.

DI ALCUNI SCRETTI INEDITI, ECC.

5 Lalma smarrita che damor sifida
vien spesso adenti per lo stral delloro
o singnior dengnio di mirtho e dalloro (1)
pero mi movo alle pietose strida

9 Nel primo fior della tua prima etate (2)
quando ogniun sente li amorosi artigli (3)
ver me ti mostri altiero e disdegnioso

12 Non far singnior (4) lusata umanitate
cruda ver me, ma socorri aperigli
chenne sarai grantempo glorioso

* ]

Il trattato e le lettere in volgare.

In prosa italiana il Morroni compose un trattatello che
avemmo occasione di ricordare più volte: Il Cosmographus (5).
L'autore stesso, nella lettera diretta all'amico Ludovico
Zerbo, a cui mandava in dono il irattato dà un sommario
dell’ opera: essa è divisa in quattro parti. Nella prima parla
delle quattro parti del mondo, nella seconda computa le

età del mondo e parla delle colonie romane e delle quattor-
dici regioni di Roma: nella terza della genealogia degli dei e
della cronologia: nella quarta dà — a suo modo — al
cune nozioni di fisica, di astronomia, di meteorologia.

Come si vede dalla distribuzione stessa della materia e
da quanto ne ha pubblicato il Fumi, questo trattato é un
compendio affrettato e farraginoso delle nozioni comuni del
tempo, nozioni elementari ed errate; il Morroni, servendosi
della sua grande memoria, stese così come gli venivano
in mente, quelle spropositate e disordinate dottrine: egli

(1) Cfr. la disperata trascritta più sopra v. 21 e la nota.

(2) Chi sa se questa è una finzione poetica? Se ciò non fosse, questo sonetto
sarebbe molto più antico delle altre liriche, e forse è diretto a una persona diversa
«da quella per cui scrisse la canzone e la disperata del cod. Riccardiano 1154.

(3) Cfr. Boccaccio, canz. 6: Amor, s' io posso uscir da’ tuoi artigli.

(4) Il f. 165 v, reca: signor.

(5) Una parte ne trascrisse il FUMI (Cose reatine ecc.) l. c. e ne dette anche
nun garbato ed equo giudizio.





596 B. BORALEVI

stesso dovette avere coscienza della meschinità del suo
trattato, poichè se ne scusa più volte alla fine dell’opera (1).
Quegli studi allora così rudimentali, erano « di moda » a
quel tempo: il giovane figlio del duca se ne era invaghito
e l'umanista versatile ed enciclopedico aveva voluto soddi-
sfare questo suo desiderio. Non molto diverso da quello del
Reatino, è il trattato di E. Silvio Piccolomini, sullo stesso ar-
gomento (2): si era ancora lontani dalla verità scientifica : ed
erano questi più sfoggio di erudizione storica e mitologica
che vera e propria dottrina geografica.

Ci restano ancora del Reatino due lettere in volgare:

Una di queste, datata da Bergamo il 19 nov. 1474 (3), è
in risposta al duca Galeazzo Maria, che lo aveva rassicurato
neile sue buone intenzioni verso di lui: lusingato dalle parole
del principe, gli dice che si affretterà a tornare non appena
avrà la forza di « meter el piedi in stafa » e descrive le
tristi condizioni della sua salute, condizioni che, egli dice, potrà
confermare lo stesso messo ducale, che lo ha veduto. Il Morroni
conosceva bene l'ombrosità del suo signore e, grato per l'in-
dulgenza da lui mostratagli, voleva dileguare ogni sospetto
dal suo animo, e gli scriveva pieno di deferenza e di osse-
quio. :

Più notevole è la lettera già citata — diretta «llo
Zerbo — a cui, dopo aver esposto il sommario del « Cosmo-
graphus», il Reatino descrive le sue tristi condizioni di sa-
lute e accenna vagamente alle sue sventure. La lettera é
datata del 20 novembre 1475 (4), quando egli era rinchiuso.
nella cittadella d'Alessandria, e ingannava gli ozi della pri-

gionia, torturato dal male e dall’ incertezza della sua sorte:

egli si dice infatti « da varii impedimenti conquassato »
e raccomanda allo Zerbo di non dimenticarlo e di andarlo a

(1) Fumi l. c.
(2) FUMI I. c.
(3) Vedila in GHINZONI l. c.
(4) Fumi I. c.

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC. 597

trovare spesso: lo strano è che in questa lettera il Reatino
accenna a un suo prossimo viaggio in Francia per conto del
principe, mentre sappiamo che era li prigioniero: forse
sarà stato questo un inganno di Gian Galeazzo, il che non
appare però dagli altri documenti.

" III. — Conclusione.

Giudizio sulla vita e sull' opera di Tommaso da Rieti.

Il nostro umanista fu — come abbiamo detto e dimo-
strato — in tutto e per tutto un uomo del suo tempo, nella
vita e nelle manifestazioni letterarie, nei pregi e nei difetti;
e per giudicarlo, non dobbiamo credere ai suoi contempo-
ranei che lo portarono alle stelle o. ne esagerarono e peg-
giorarono i difetti. Il Pogzio e il Detembrio gli attribuiscono
i vizi più infami, a noi ormai noti: egli fu — a loro dire,
ghiotto, fedifrago, ladro, scroccone, impudico, ignorante —:
probabilmente non tutte queste accuse sono false (1): intem-
perante nel cibo egli dovè essere, perchè lo conferma anche
la lettera citata del capitano della cittadella di Alessandria ;
fu scialacquatore, o per lo meno inabile amministratore dei
suoi beni, perchè, sebbene avesse avuto una piccola eredità
dalla madre e Francesco Sforza lo avesse colmato di bene-
fizi, egli era, negli ultimi suoi anni, oppresso da debiti, i
quali però non devono essere tutti attribuiti a colpevole scia-
lacquo, ma alla difficile amministrazione dei suoi beni, resa
tale per le speciali condizioni della sua vita quasi sempre
errante.

Non fu sempre delicato nelle sue relazioni con altri in
fatto di danaro; invero, come abbiamo veduto, si fece dare
danaro dal Campofregoso e da molti signori della Francia e

(1) GBINZONI l. c.





598 B. BORALEVI

della Spagna e, forse, anche d’Italia, per converso fu anche
generoso e liberale, e sborsó persino 1600 ducati per il suo
signore (1): come il Catilina di Sallustio fu alieni cupidus, sui
profusus. Ebbe, sì molti nemici, ma ciò non deve meravi.
gliare: egli aveva ottenuto un posto elevato alla corte Mila-
nese, e ciò non poteva non suscitargli molte invidie e poi
questo era un difetto non suo, ma del suo tempo (2): e, del
resto, ebbe anche il plauso di alcuni umanisti; il Filelfo gli
dedicò molti epigrammi e Flavio Biondo, parlando di Rieti,
dice: « In Samnio, iure optimo Reatina civitas est ponenda,
quae Thomam nunc habet Morronum eloquentia et singulari
memorie praeditum ».

Che egli sia stato ció che si dice immorale, tenuto an-
che conto dei tempi, non abbiamo prova; della poca pro-
fondità della sua fede religiosa sì, e lo abbiamo osservato,
spiegandone le cause: talvolta fu anche crudele, nè risparmiò

i popoli vinti, ma, a sua scusa, dobbiamo dire che egli do-
veva obbedire a chi gli dava quegli ordini severi, e quindi

tutta la colpa non può ricadere su di lui.

Se non fu marito esemplare, difetto anche questo più
che suo, dell’epoca in cui viveva, fu padre provvido e amoroso
per la figlia Brigida: nè si può poi negare che egli nutrisse
nobili e schietti sentimenti di amor patrio, come abbiamo
veduto, parlando della canzone al Visconti, in cui egli tra-
duceva nella pratica della vita le idealità sue (3).

Come letterato, egli ha certamente qualche pregio: i
suoi nemici lo accusarono di ignoranza, il che non è vero:
fu piuttosto superficiale e affrettato nelle sue manifestazioni
letterarie.

Ebbe certamente molta memoria; doveva essere questa,
qualità peculiare del nostro Reatino, perchè non solo ciò af-

(1) Vedi I,

(2) Cfr. Rossi, l. c. pag. 99 e VoraT, Die Wiederbelebung des classischen Alter-
tums ed. italiana, Firenze, 1888-90 II, pag. 435.

(3) GABOTTO l. c.

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC. 599

ferma il Biondo, e non è negato neppure dal Bracciolini,
ma egli è citato dal Polenton negli Exemplorum libri, come
un esempio di meravigliosa memoria (1) e lo Zerbo scrive
di lui: lampada radiante, specchio di qualunque mirabile me-
moria (2). Antonio da Landriano scriveva poi il 3 dicembre
a Francesco Sforza: « Ieri messer Cicho [Simonetta] me fece

veder® un grande volume de scripture le quali ad haverle a

mente non basteria la memoria de miser Thomas da Riete » (3).
Dai contemporanei gli fu piü volte attribuita la lode di
copioso e facondo dicitore: e di qui si spiega come continua-
mente i duchi di Milano lo incaricassero di tante legazioni.
Filosofo, geografo, oratore, poeta, soldato non sempre ei
scrisse opere degne di fama; anzi, in tutti i suoi scritti si
nota poca profondità e molta fretta di compilazione: a ciò
contribuì la sua vita errabonda e agitata, che gli dava certo
ben poco agio a meditare e a studiare, e anche la versatilità
della sua mente e della sua coltura, difetto comune a molti
umanisti e che è anche messa in ridicolo a suo carico, non
senza arguzia, dall’anonimo suo nemico della corte viscontea:
« Deambulat igitur hicce peregrinus (Tommaso da Rieti)
concitatu gressu, ellato capite, lubricis oculis manibusque
mobilibus, civitatem nostram omnes Ligures petens, omni in
loco qualibet facultate tamquam rerum ygnaros, modo ora-
toris officio renuit, modo rem militarem amplectitur etc. ».
Peró dalle sue opere, che tanto assomigliano a quelle
del tempo, emerge una personalità un po' bizzarra e sde-
gnosa, non spregevole, sebbene non scevra da difetti: non
trascurabile sopra tutto é il fatto di aver scritto qualche
cosa in volgare, differentemente dagli altri umanisti.

(1) Tommaso da Rieti ... libros autem quod nullis egeat nullo habet ; nunquam
enim studet, quod in promptu habeat omnia atque pro libris ingenio modo utatur
atque memoria (Segarizzi l. c.).

(2) MroLa, Le scritture in volgare dei primi tre secoli della lingua ricercate etc.,
vol. I, pag. 386 seg., Bologna, Fava e Garagnani 1878.

(3) GABOTTO l. c.





B. BORALEVI

La sua vita e la sua opera, bisogna riconoscerlo, furono
in gran parte dedicate agli Sforza a cui diede non solo il
suo danaro, ma la sua intelligenza, il vigore dei suoi anni
giovanili, il suo braccio, ia sua parola calda e ornata: per
questa famiglia egli espose anche la vita e ne difese energi-
camente gli interessi senza preoccuparsi delle inimicizie che
si creava.

Pure, tanta fedeltà e attaccamento, rari in quei tempi,
furono molto mal compensati e la misera fine del povero
Reatino deve essere ancora una volta rimproverata a Ga-.
leazzo Maria. i

Giunta alla fine di questo saggio, sento il dovere. di
porgere sentiti ringraziamenti al prof. Rostagno, vice-biblio-
tecario della Laurenziana, al prof. Morpurgo, airettore della
Biblioteca nazionale centrale di Firenze, al prof. Roberto
Valentini e al prof. Remigio Sabbadini, che in vario modo

mi furono larghi di aiuti e di consigli nella difficile ricerca
di documenti e di notizie riflettenti il saggio stesso. |

Rieti, luglio 1912.

Bice BORALEVI.

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC.

APPENDICE

Orazione al duca di Milano (1).

Oratio d. Thomae Reatini de laudibus Principis Mediolani —

Anno domini 1438 mense februarii.

consuetudine
Ego vero cum

Solent plerique pro veteri oratorum
laudes principum orationibus sepenumero.
copiam maximam cesarei huius principis admirabilium
virtutum tota mente atque animo repeto. Animadverto
vires ingenii mei ne minima quidem ex parte posse rei
magnitudini satisfacere : verum etsi adeo grandia sint
alicuius viri preclarisimi gesta ut ample pro eius meriti
nequeant dici: non tamen illa quantum consequi possu-
mus, tacere debemus. Sic enim vix nullus excellentissimus
laudaretur, quorum multi et Agesilaus, ut dicit Xenophon
passi fuissent omnesque (?) alios superare viderentur ni-
terentur laudibus carerent. Dicam igitur, pater (sc) con-
Scripti, de hoc nostro illustrissimo principe etsi mihi in-
genium auctoritas et eloquentia desint, fides, officium
et diligentia profecto non deerunt.

Atque ut hinc incipiam: quis posset justitiam animi
sui oratione complecti omnes videmus, omnes testari pos-
sumus eam serenitati sue justitiae curam esse ut illam
rebus omnibus anteponat et singulare fiat exemplum
eorum qui regunt. Nam ubi Iustitia non est, non modo
res magne, sed nec exiguus hominum cetus, nec domus
quidem parva constabit: non dicam Illustrissimam Se-
renissimanque familiam suam que tot viros excellentis-
simos dedit, quorum preclara facinora si velim serio,

(1) Cod. Ambrosiano H 48.

ornatius prove-
tere

interserere
languet ibi
cluusola.

ornatius dixis-
ses rei magni-
tudini facere
satis posse .....
quare suppri-
mis omnem vo-
lere (sic) fluen-
tem

Serenissimam
apud Cicero-
nem non inve-
uies



602

Serio accepisti
grammaticulo -
rum more. Nam
comici sepe di-
cunt nescio io-
co an serio hoc
dicas
ornatius dixis-
ses defectura.
Superius dixi-
sti interserere,
nune dicis in-
serere vocabu-
lum nimis tri-
tum
Quemquam pro
quodam anti-

qui possue-
runt:
gnora9
rem.

quos y-
lede-

B. BORALEVI

ac singulatim enumerare, vox profecto mea ipsaque dies
esset in mediis laudibus defutura. Omittam hoe loco in-
credibilem clementiam suam, qua Cesarem, qua Alexan-
drum qua denique clementissimos omnes non equavit
modo, sed etiam superavit. Nolo testes huiusce rei ora-
tioni inserere, ne quempiam. Constantiam vero et
magnitudinem animi sui nemo posset oratione com-
plecti quippe cuius summa ill animi tranquilitas
adversitate fortuna nunquam depressa fuit neque
prosperitate ellata quin (?) semper una et eadem
manet, quod est summe sapientie argumentum. Nam id
est proprium sapientie impedentia mala cavere ante (1)
ubi evenerint sanare atque emendare aut animum
ad tollerandum parare, virilem quidem aec generosum
Nichil enim viro, viro inquam qui summa imperia admi-
nistrat, minus convenit, quam eum fortuna mutari.
Sanetos immortales quanta animi magnitudine adversan-
tem fortuna non equavit modo, sed etiam superavit. Iam
vero quanta temperantia, quanta in contemnendis vo-
luptatibus modestia moderationeque extiterit. Cui non
perspicuum esse debet qui totius vite sue cursum. dili-
genter contemplari velit: unde enim sibi tantum. consi-
lium, unde tam incredibilem sapientiam ac pene divinam,
unde illa que paulo ante commemoravi Iustitiam, forti-
tudinem ceterasque virtutes, quibus non modo eos Prin-
cipes qui hodie sunt sed etiam superiorum omnium
gloriam longissime superavit, sibi et comparasset, nisi
modestia et moderatione preclarissimus extitisset. Non
enim potest in eo vilius esse consilium, qui immoderatis
animi motibus obsequatur, neque sapientia in eo esse in
quo temeritas vigeat, neque Iustitiam aliis ministrare,
qui in se ipsum iniustissimus sit neque dolorem fortiter
ferre, qui a voluptatibus superatur, neque denique
aliis imperare qui vitiis famuletur. Distrahunt enim ni-
mium voluptates atque ex sua sede dimovent neque
potest iis qui eis se et addixerit atque diearit altum
quiequam aut preclarum suspicere. Hic igitur in quo ee
omnes virtutes cumulatissime extiterunt qui fieri potest,
patres conseripti, ut hae una, quam dixi, temperantia
caruerit? Verum ne maximarum rerum ubertas et copia
orationis modum excedat, hoc summatim dicam non una

(1) Dal cfr. coll'Oras. al Re di Franeia, c. 131 in principio è da correggere:
mala, cavere, aut ubi evenerint ecc.



DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC. 603

ut eloquentissimus et famosissimus di..... prudentissime
disserebat, cum ceteris esse principibus preferendum sed
emmulo potius et officina virtutum eum redimitum or-
natissimumque putemus.





Orazione ai Genovesi (1).

È *
È Tho. Rea (2)





Luculentas ae splendidissimas orationes vestras Ge- Esitanza del-

: Has l’oratore.
nuenses Legati, non Princeps modo noster, consorque

ae filii, quorum maxime interest, verum omnium quoque
| Rei publiee nostre ordinum omnes libenti quidem ac
È periucundo (3) animo audivinus. Tot quoque (4) gravis-
simorum (5), ornatissimorum, prestantissimorum virtute
civium unius urbis presentiam quasi ingens quoddam
spectaculum non minori admiratione quam voluptate
conspicimus. Ego vero, ut arbitror, solus in tam com-
muni omnium letitia delectationeque in stupiditatem
quandam, verecundiam horroremque delapsus sum. Quis
enim ullius etatis nationis, gentis dignitatis tantus orator
qui non dicam respondere, quod maius atque difficilius
esse nemo ambigit, sed ne orando quidem ex tempore
non meditatus pro arbitrio dicere ausus sit? Quid igi-
tur mihi faciendum esse censetis? qui et si sepius
eiuscemodi dicendi generis incubuerim, ingenii tamen
ipse vel vix mediocris me esse intelligam. Presertim cum
tubas illas sua quadam gravitate modestia, copia altera
alteram elegantia venustate compendio tam accurate,
paulo ante sententias suas resonantes audiveritis Iussus
tamen si non pro huius loci ornatissimi rerumque am-
plissimarum dignitate, saltem pro modo ingenii mei
munus mihi institutum aggredior et quod existimem







(1) Cod. Barberiniano lat. 43, f. 154-156.
(2) Il Cod. Vatic. 5994 c. 65 t. ci dà il titolo, pubblicato dal FUMI:
Jesus 1464 junii die primo
Oratio facta et prolata per Magnificum doctorem et militem laureatum domi-
num Tomasium de Reate ac ducalem Mediolani Consiliarium respondendo oratio-
nibus factis per Magnificos d. Ambasciatores Januae coram Ill.mo principe Fran-
È cischo Sfortiae Mediolani domino a doctissimis perlaudate.
E. (3) I1 Cod. Vaticano 5994 reca iucundo.
E (4) Il Cod. Vaticano 5994 reca quot.
(5) Il Cod. Vaticano 5994 reca clarissimorum.







Gloria e bel-
lezze diGenova
e lodi dei suoi
abitanti.

B. BORALEVI

veniam mihi concedendam fore si quid minus ornate,
accurate, disserteve dixerim. Et quod campum mihi ad
dicendum latissimum propositum videam. Ubi enim latius,
ubi iocundius, ubi sublimius mea poterit versari oratio?
Dicendum est enim de singulari gentis vestre dignitate
ac gloria. Dehine vestris propositionibus respondendum.
Tandem qua vos princeps noster mente atque animo
amplexurus sit, brevibus diserendum.

Nulle enim sunt apud nos tam antique hystorie, qua-
rum hac tempestate scripta legantur, que gentis vestre
nomen non celebre rei militaris gloria demonstrent. Te-
stes sunt qui de Romanis olim rerum dominis. Qui de
Persis cum Romanis de imperio concertantibus Scripta
dederunt, qui hos atque illos sepius a Liguribus fusos,
fugatos, cesos, nonnunquam etiam iusto prelio victos te-
stantur. Genuam vero caput gentis illius, oppidum atque
emporium nobilissimum fuisse affirmant Sed ne vetustis-
sima illa recensere contendam, non ne patrum nostrorum
memoria potentissimis classibus vobis pene incognita
vendicastis? Reges vobis tributarios reddidistis? Nationes
barbaras domuistis? Euxinum pontum Meotim usque
victores suleastis? Adiacentesque illi Getharum gentes
ac Sarmatas subegistis? Omitto Greciam que vobis notior
est Italieque potentissimas terra marique urbes ad exi-
tium pene redactas. Quosdam etiam potentissimos mul-
tarum gentium victores a vobis superatos et captos, ne
quempiam lederem, consulto pretereo. Sed quid ab aliis
accepimus vel que superiori tempore gesta sunt, stu-
deam explicare? Nonne satis laude digna admirandaque
vidimus; queve ipse testari facille possum ? Scis enim
me, dive Princeps, maiorem etatis mee partem peregre
peregisse sulcasse maria, peragrasse terras, ad gentes
non finitimas modo verum, etiam remotissimas ac pene
incognitas penetrasse. Nullam urbem, nullam gentem,
pace omnium dixerim, vel nobilitate situs, vel aéris
temperie, vel benignitate celorum, vel edificiorum su-
perbia, vel navigandi commoditate huie comparandam
censeo. Adde quod tanta est civibus ipsis ingeniorum
sublimitas, robur atque pulcritudo corporum, animi ma-
gnitudo, incessus, gestus eloquentie gravitas, venustas
ac dignitas, ut maiestatem quandam pre se ferre videan-
tur; quapropter quod de urbe Roma dictum accepimus
regum civitatem appellandam esse: illam necessario.
Verum ne si vestrarum laudes hodierna die pergerem
recensere, orationis modo excederem. Ad ea me confe-

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC.

ram .que vestre sibi oratores videntur exposcere. Non
enim diserte minus quam copiose etiam Principum no-
strorum laudes ingentissimas qui adversos urbi vestre
fortune. easus et Senatus vestri consultum populique
jussum amplexi estis quibus quo Reipublice vestri saluti
consuleretis, ad Principem nostrum mentem atque ani-

mum ‘affplicuisse testamini uti sceptris publicorumque .

signa exhibitio dicionisque vestre in eum translatio
manifestissimum reddunt. Quum autem tantis eos lau-
dibus fueritis prosequti magnitudini animi sui qui co-
ram laudari ferre minus equo animo consueverunt gra-
tissimnm quidem ae iucondissimum extitit et quod a
viris probatissimis se laudari cognoverint et quod eadem
illa de se vos sentire intelligant que tam graviter, co-
piose ornate narrastis. Vestros autem indignos fortune
casus suis temporibus antehac ut par erat socio atque
amicissimo civitatis non secus ac vos: et Princeps: et
rare hie inter muliéres Principis uxor, consors et filii
et cives universi atque ipsique muri et parietes nostra-
rum urbium ingemuerunt. Nam ita natura. loca et po-
pulos hos atque illos eoniunxit, ut difficile sit quicquam
boni malive aliis contingere, quod et alii quoque non
sentiant. Ita utriusque fortune participes situs atque

vicinitas reddit. Novimus enim quantis calamitatibus :

urbs illa fuerit agitata; quantis intestinis civilibusque
iactata discordiis, quantis maritimis terrestribusque bellis
coneussa, que vobis et diminuerunt imperium et opes
privatas publieasque hauserunt et mercaturam subtraxe-
runt et navigandi facultatem ae copiam prohibuerunt, et
ut brevibus omnia complectar, omnium malorum causam
prebuerunt. Nune vero eum vos, Legati clarissimi, re-
giam illam urbem dedentes sub imperiumque suum mit-
tentes Princeps noster conspiciat, quo eum animo esse
censetis quandoque illam, ad. optimam, probatissimam,
legitimam, sanctam Rei publice formam redigatis? Cum

Principem unum et eum quidem quamquam et hoc de

se dici egre làturum sat sciam virum optimum, virtute,
prestantissimum, rei militaris gloria et. scientia singu-
larem, rerum gestarum gloria excellentem, felicitate per-
beatum, auctoritate plurima preditum vestre Rei publice
perfecistis (prefecistis?) Quod urbi.vestre quietem tran-
quilitatemque allaturum existimat. Itaque quod sibi uxo-
rique ac filiis e& civibus. suis urbique ac gentis vestre
horumque omnium posteritati felix faustumque sit, à

605

Partocipazione
del duca alle
sventure. dei
Genovesi.

Vantaggi che
otterrannoige-
novesi nell' af-
fidarsi al Duca.

Potenza del
Duca. !



Lodi dei Duca
e ottime con-
dizioni del suo
stato.

Conclusione
e perorazione.

B. BORALEVI

pollicentibus vobis ultroque dedentibus urbis vestre sue-
que dicionis principatum atque dominium suscipit.
Qualem vero se in susceptos prestiturum affirmet,
quidne ex ea susceptione urbs vestra consequtura sit et
dignitatis et commodi brevibus hie ultima orationis parte
ediseram (sic). Si amen premissum hoc fecerim tale erga
vos se habiturum qualem decet optimum Principem et
suscepti muneris non immemorem. Nam mox ubi perni-
eiosissimum quorundam civium qui et arcem vestram
occupant et more parva rostratorum classe latronum
more pro consuetudine eorum infestant, furorem com-
presserit arcemque et naves in potestatem redegerit atque
ipsi perpetrati sceleris penas dederint; quod brevi futu-
rum pollicetur, affirmat. Nonne eam quam sibi mortales
exoptare fas est beatitudinem urbem vestram consequu-
turam esse facile arbitramini, presertim cum nulla bella,
nulle inimicitie, nulle de finibus aut imperio contentio-
nes, nulla odia, nulle etiam simultates cum Christianis
aut populis aut principibus sibi sint quin federa, ami-
citias, necessitudines sibi plurimas partim officiis partim
aliorum gratia comparavit. Et ut omittam Italie prin-
cipatus federe sibi omnes quosdam etiam affinitate de-
vinetos: habet Christianissimum Francorum Regem tanta
quanta nemo etate nostra alter virtute, auctoritate po-
tentia preditum, qui eum tanta benignitate gratiaque
complectitur, quantam beneficia in eum sua passim de-
monstrant. Habet Hyspanie Reges Castelle, Aragonum,
Portugallie amicitia sibi affinitateque coniunctos: habet
Anglie Regem Burgondie ducem excellentissimum, qui-
buscum amicitiam iniit singularem. Hec ut intelligatis
occidentalia vobis omnia maria ad navigandum, terras
ad negotiandum patere. Quid de orientalibus loquar?
Num Florentinorum eum eo veterem amicitiam nostis?
Num cum Romana Ecclesia ultro citroque beneficia
inlata et quo neccessitudinis (sic) loco Ferdinandum
invietissimum Sicilie Regem habemus? Cum Barbaris
vero sive Asiaticis sive Affricis eandem conditionem estis
quam et Christiani ceteri habituri. Quam ob rem bonos
vos aec forti animo esse iubet modo naturam vestram. se-
quamini que ad ardua vos medius fidius atque immor-
talia genuit. Colligitur igitur vos, cives optimi, et quo-
rumdam nefariorum hominum consilia spernite perni-
ciosa reicite. Conspirate cum eo quem preesse vobis
Principem voluistis; consentite cum ratione; communem
patriam communi studio atque amore deffendite (sic);

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC.

intestinaque ac domestica mala mederi, curare sanare
velle debetis. Quod si feceritis non Reges non Gentes
non Nationes ulle vobis pertimescende sunt. Quin non
ea modo redigetis in potestatem que superiori tempore
amisistis, verum ad opes vobis ingentissimas comparan-
das, ^ propagandum imperium, ad gloriam dignita-
temque vestram amplificandam occasionem sunt vobis
vel facile prestitura. Ad que omnia incunda peragenda,
consequenda conficienda divus hie communis princeps,
quantum studio, industria, auctoritate potentia consequi
poterit, pollicetur.

Sceptrum ergo et claves simul ac victricia signa ac-
cipit ac dignos illis componet habitatores. :

[Dux Ligurum (?) Genuamque urbem gentemque Li-
gusticam suscipit et propriis mediisque amplectitur ulnis
Thome Reatini ad Legatos Genuenses oratio (?) quo die
[quod] Ill. D. N. se se dediderunt eamque tanta vehe-
mentia protulit ut ne sciretur magisne esset admiran-
dum Genuensium donum an eiusce viri eloquentia et
virtus magis extollenda].

Magnifici Militis domini Thomae de Reate, illustrissimi domini
Ducis Mediolani oratoris ad christianissimum L. Francorum

regem (1).

Antequam ad tuam Maiestatem iter ab Italia cape-
remus iussus legationis nostrae causas explicare cogita-
bam, dive Rex, mecumque ipse non sine magna animi
voluptate proficiscens etiam saepenumero repetebam faci-
litatem illam, benignitatem, mansuetudinem, quam et de
Te gentes praedicant et ego superiori tempore ad Te
legatus — meministi, credo — expertus sum. Quibus
fretus apud Te oraturus intrepidus accedebam. Verum
ubi primum ante hoc solium constiti, ubi Majestatem
Tuam intueor, qui securus apud omnes fere qui Christianis
nationibus imperant oratorium munus exercui, nescio
quo pacto tanta vecordia, ignavia, stupiditate suffundor
ut non modo non graviter, non ornate, non facunde me
oraturum confidam, sed neque seriem etiam rerum nobis

c. 120 v.
Esitanza del-
loratore in-
nanzi al nuovo
re.

(1) Dal Codice laurenziano, già Gaddiano 708, Plut. 89 inf., n. 47: cfr. BANDINI,
Cat. codd. lat. etc., III, 411-420. — Il proemio fu pubblicato dal GaDDI (De Scriptoribus
etc. Lugduni MDCXLIX, vol. II, pag. 218 seg).. — Nel ms. laurenziano leggesi, nel

titolo propriamente Trommae, non Thomae.



c. 130.

Scopo e ra-
gione dell’ am-
basceria.

Condoglianze
per la morte
del padre, e
compiaci m e n-
to di vedere il
figlio Re.

B. BORALEWI

commissarum sat teneam. Et quamquam illa eadem
vultus orisque liniamenta, eundem corporis habitum,
summa modestia, venustate, moderatione plenum facile
recongnoscam [sc] regium tamen eulmen amplissimumque
imperium quod nuper adisti adeo Te divinitatis faciunt
esse participem, ut etsi corda regum Deum tenere dicant,
tam tamen in Te prae caeteris divinitatis illius fulgur
enitet, ut veluti solares radii intuentium se oculorum
acies opprimunt, ita splendor ille Maiestatem quandam
admirandam, venerandam, timendamque prae se fert [sic],
quae vel eultissimum ingenium celeberrimamque memo-
riam terrere possit atque hebetem reddere. Itaque non
ingenii mei viribus fretus, sed humanitate et clementia
quas cum dignitate Tua auctas existimare velim; et
quod legationem a Principe Tibi deditissimo non ingra-
tam fore existimamus, etsi non diserte, accurate tamen
institutum munus aggrediar, si tamen prius tarditatem
legationis nostrae exeusatam susceperis, quod Dux noster
in maximo vitae discrimine positus, aegerrima valitudine
affectus nihil aliud quam vel de salute corporis vel sal-

: tem de salute animae cogitabat. Ubi vero ad bonam va-
litudinem restitui coepit, cogitavit illustrem. Galeaz pri-
mogenitum suum ad Tuam mittere Celsitudinem. Quod,
cum quartanis febribus teneatur, fieri nequiret, iussit nos
ad Te quanto celeriori possemus itinere tendere. Rursus
vero supervenientes legati Burgundiae, iter nostrum dies
plurimos retardaverunt, quod fama erat eos e Tua regia
Maiestate discessisse. Et his tandem expeditis ad Tuam
praesentiam venimus, dicturi primum quanta letitia, quod
paternum regnum tam fauste feliciterque adeptus fueris,
Dux noster affectus extiterit; deinde quantum de Te
spem sibi ipsi conceperit; tandem qua fide et devotione
Tuam Celsitudinem prosequutus sit, brevi quidem ora-
tione plectemur [sc].

Nuntiata igitur Christianissimi Genitoris Tui morte,
eaque ut par est crebris nunctiis confirmata, indoluit
quidem Dux noster tantique Principis et de se optimi
meriti obitum vehementer ingemuit. Postea. vero secum
ipse examinans quod iam longaevus et in summo felici-
tatis humanae gradu maximoque imperii sui culmine
positus, partem dumtaxat sui corruptibilem apud nos
misit (1), ipse vero aevo perpetuo in sui Creatoris gremio

— demisit ?).

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC.

fruitur Te praesertim superstite solatus est, solum exi-
tum Tuarum rerum expectans. Ubi vero paccata [sic] Tibi
omnia esse parique omnium consensu Te in Tuam Re-
giam amplissimam ad paterna sceptra receptum accepit,
tato gaudio ac laetitia cum uxore, liberis, optimatibus-
que ac populis suis affectus est, ut quibus verbis aut
qua oratione uti queam ad exprimendum illorum dierum
voluptatem non habeam. Crede mihi, dive Rex, Deumque
ad hoc omnium creatorem testamur, multa: sibi per ae-
tatem suam feliciter contigisse, nullum tamen diem fe-
lieiorem sibi illuxixe nullumque cuiusvis felieitatis aut
rei bene gestae numptium sibi iocundius advenisse, se
existimare mox dixit et iuramento firmavit. Itaque non
ipse vero et universa curia [sc], sed parietes quoque et
muri urbium tantae felicitatis nuntio gestire quodam-
modo videbantur.

Nec ab re; sciebamus enim quanta et ipse re devotione
ac studio multos iam annos fuerit prosequutus et quantis
Tu eum, non amore et benivolentia solum, sed beneficiis
et quidem immortalibus amplexus fueris. Accedit ad hoe
et virtus 'Tua et rerum gestarum gloria, quae faciunt ut
etiam qui Te non viderint ament, nomenque Tuum colant,
venerentur, observent. Nam, per immortalem Deum, cui
nunquam cuiusvis aetatis gentium, nationum, ante adep-
tum imperium contigit tam praeclara tamque admiranda
atque omni laude dignissima gexisse [sic] facinora (1).
Nam ut omictam rei bellieae gloriam, quam a pueritia
usque adipisci coepisti et cuius maximum ferunt testi-
monium Anglici, qui ea tempestate regnum tuum inva-
serant, totiens fusi fugatique passimque caesi, debellata
paene Germania, nonnullorum etiam Gallorum saepenu-
mero tumultuantium compressa superbia. Nos quoque, ad
quos vi et armis invitis et renitentibus quibusdam, quos
consulto praetereo, exercitum gallieum in subsidium tran-
smisisti (2).

Tuam illam invictam animi magnitudine quis non
laudet, praedicet, ad coelum tollat? Quippe cuius neque
adversitate fortunae summa illa mentis tranquillitas un-
quam depressa fuit neque prosperitate elata: quod est
summae sapientiae argumentum. Nam id est proprium
sapientiae impendentia mala cavere, aut ubi evenerint,
sanare atque emendare aut animum ad tollerandum pa-

(1) Sarà: cui unquam — gessisse facinora ?
(2) Sic, sarà : Ad nos quoque vi et armis etc.

Gratitudine del
Duca perilnuo-
vo Re: glorie
di quest' ulti-
mo.



B. BORALEVI

rare virilem quidem ac generosum. Tanta autem iustitia
semper fuisti, ut rebus omnibus illam anteposueris, coeli
mundique reginam moderatricemque iudicaveris, nihil
firmum existimans aut stabile, non magnarum modo sed
minimarum quoque rerum, ubi non sit iustitia. Libera-
litatem quoque atque beneficentiam taceo, quibus Tu
omnium aetatum princeps non aequasti modo, sed etiam
superasti. Tuam vero clementiam quanta fuerit operae
pretium est videre. Sane Demosthenes in primis ad Ale-
xandrum laudat, hane Cicero ad Caesarem verba sibi
Demosthenis usurpans ad coelum tollit: hanc in Te longe
maioris exempli reticendam esse non arbitror.

Nam Caesar profecto senatui populoque Romano et
multis etiam singulatim civibus, et Alexander Athenien-
sibus caeterisque Graecis, in quos nullum sibi iure debe-
batur imperium, priores iniuriam intulerunt quam ab
illis fuerit in eos illata. Sed quid illatam dixi? eum re-
pulsam ab illis iniuriam potius dicendum esset. Tu vero
eum a Tuis plura fueris inique perpessus, neminem no-
mino, ne quempiam laederem, in quem aut animadver-
tisti aut ullo vindictae generis (sic) saevisti. Magni quidem
et invicti animi exemplum est parcere subiectis et de-
bellare superbos Hanc (1) Demosthenes ac Cicero his
verbis laudant: Animum vincere, sibi imperare, tempe-
rare victis, indulgere suplicibus; quisquis hoc facit, non
hic summis viris comparandus est, sed Deo simillimus
iudicandus. Modestiam vero et moderationem animi Tui
quis non recte existimet, si diligenter cursum vitae
Tuae conspicere velit? Quomodo enim tanto consilio
tamque incredibili sapientia ac. paene. divina praeditus
extitisses si in Te vigeret temeritas; aut quomodo adver-
sam fortunam tam invicto animo pertulisses, si volupta-
tibus indulxisses; aut quo pacto iustitiam ministrare aut
aliis imperare tam recte scires, nisi motus animi mode-
rari tibique ipsi imperare perpetuo elegisses ?

Sed quid ego in laudes Tuas incautus incidi? Quas
nullius est tantum acumen ingenii, tanta eloquentiae vis
orationisque maiestas, quae non dicam ornare verbis,
atque oratione complecti, sed ne enunciare quidem possit.
Itaque ut finem huius partis componam, gratulatur feli-
citati virtutique et gloriae tuae Dux noster, gratula-
turque sibi ac natis suis, qui talem sint patronum, pa-
trem, principem habituri.

(1) cioé « clementiam »

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC.

Nunc vero ad eam partem orationis venio in qua sum
de spe Principis nostri verba facturus. Est enim spes
affectus timori, veluti gaudium dolori, contrarius. Spe-
ramus enim bona animi, fortunae et corporis, quae hu-
mam complent felicitatem, consequi posse, eaque con-
sequuta perpetuo possidere. Timemus in adversitatem
fortunae, in animi et corporis aegritudinem, quae huma-
nam vitam inquietam infelicemque reddunt, quibusve
plurimum dolemus, incidere. Quod si quando contigerit
sanare, emendare atque ad bonam valitudinem bonam-
que fortunam rursus etiam curamus speramusque resti-
tui [sic]. Hoe itaque loco, Christianissime Princeps, pauca
de Principe nostro dicenda institui. Fuit olim sibi ge-
nitor vir magnus et in re bellica praestantissimus, cuius
rerum bene straenueque gestarum testes essent felicis me-
moriae Ludovicus pater et Ludovicus filius suis tempo-
ribus Siciliae reges, si apud nos vitam agerent, pro qui-
bus multa egregia rei militaris facinora feliciter gexit
[sic], pro quibusve mortem etiam obiit. In quibus rei bel-
licae expeditionibus Dux noster sub genitoris sui disci-
plina et sub eorum regum imperio ab infantia usque
educatus, vixdum primam attigerat adolescentiam, cum
in Calabriam, quae ultima Italiae pars est, in Egeum
Ioniumque mare vergens, quo Ludovico filio praesidio
esset, a Sfortia genitore suo ductor exercituum missus
est. Omittam quae ipse supra aetatem suam, patre adhuc
in humanis agente, quaeve post genitoris mortem usque
ad hane aetatem fortiter ac magmifice gexerit [sic]. Non
enim est mihi propositum verba de suis laudibus facere.
Sed hoe breve dicam: nulla pars Italiae, quantum Al-
pibus, Ligusto, Etrusco, Tirreno, Siculo, Yonio, Aegaeo
Adriaticoque clauditur mari, virtutum suarum ac rei bel-
licae gloriae expers est. Nihil temere, sed summa eius
prudentia atque animi magnitudine gexit [sic]: ita ut
semper ex omni proelio, ex omni rei bellicae expedi-
tione, ubi res propriis et non alterius auspitiis gesta
sit, victoriam reportavit; quae sibi gloriam, auctorita-
tem post multos labores multaque rerum discrimina fa-
cile praebuerunt. Imperio deinde sibi non ignobili com-
parato, rebus Italiae ad pacem quietemque compositis,
qui semper et per omnem aetatem rei bellicae praefuit,
tandem ad pacem quietemque et tranquillitatem animi
vertit mentem. Quae sunt pacis amat, colit, observat:

611

Speranze del
Duca e lodi del
suo principato.





Invito ad una
nuova crociata
controi Turchi.

B. BORALEVI

quae sunt belli execratur, detestatur, timet; non quia
adhue robur sibi corporis invictaque animi magnitudo
ad omnem rem ceonficiendam non sit; non quia fortes
sibi atque fortunati rei bellicae duces non sint; non
quia validi exercitus, cum quibus victor omnem Italiam
peragravit, non sint; sed quia multa experientia doctus
cognovit pacem bello longe praestare, cum et ipsum
quoque bellum iustum esse non possit nisi pro pace adi-
piscenda geratur, pro ea tamen pace quae habitura sit
nihil insidiarum. Sperat igitur pro Tua summa sapientia,
benignitate, clementia, sibi natisque suis Te pacis huius
auctorem conservatoremque fore. Tanta est enim Tua
potentia, dive Rex, tanta virtus, tanta auctoritas, ut solo
nutu tuo speret hane sibi animi tranquillitatem consequi
posse, cum omnia sibi tuta ab Italia pacataque sint.
Habet enim Venetos potentissimum principatum, non
modo foedere devinctos, sed summa benivolentia amici-

" tiaque coniunctos. Habet Florentinos veteres amicos,

quorum amborum ditiones sunt tibi finittimae: nam et
caeteri Italiae principatus a se magis distant. Sed et ne
videamur rem propriam ita respicere, ut publicam ne-
gligamus, longe atque utilius de Te sperat.

Videmus enim Turchos, immane atque ferocissi-
mum (1) genus hominum, quam crudeliter sub iugum
suum orientalem ecclesiam miserint, quam superbe ac
temere in occidentalem emineant [sic]. Quo princeps
noster dolet vehementerque angitur, quod hi populi, quo-
rum Themistocles parva triginta milia manu duodecies
centena milia qui cum Persae, ponte in mari facto, in
Europam transitum fecerant, fudit, profligavit, conflixit
[sic]; qui nunquam postea in Europam traiecerint, et qui
semper nune a Macedonibus nunc a Romanis nunc a
plerisque summis imperatoribus victi subiugatique fue-
rint, tandem aetate nostra caput, pro hoc dolor [sic], in
Europam extulerint, et ita extulerint, ut parte maxima
ac nobilissima suae ditionis facta Christi nomen delere
et huius nostri occidentis imperium sibi vendicare [sc]
confidant.

O infelicem horum temporum ignominiam! o aetatis.
nostrae notam infamiamque perpetuam! o execrabilem
apud posteros eorum qui vivunt memoriam! Diripiuntur
nobilissima ac potentissima regna, ruunt vetustissimae
atque opulentissimae urbes, flagrant incendio agri. pro-

(1) Il ms. ha però feracissimum!

DI ALCUNI SCRITTI INEDITI, ECC.

fanantur templa, trucidantur. christiani, eorumque ca-
pita sub (h)asta venduntur; et christiani principes, tan-
quam nihil ad eos pertineat, vel otiosam vitam, .vel
bellum inter se ipsos gerunt. :

faque miseris ex sentina illa aerumpnarum, quanta
maiori queunt, lacrimosa voce opem. petentibus, nemo
succurrit. Te igitur, velut sidus. quoddam coelo dimis-
sum Christi vicarius, vin qui non doctrina modo et re-
ligione, sed sapientia et animi magnitudine ac rerum
gerendarum experientia praeditus es(t), Te sedes Cae-
saris vocat, ad Te Christiani omnes supplices manus
tendunt, Tuam opem, Tuum auxilium implorantes.

Est enim familiae Tuae peculiare hoe munus, peri-

clitantem aut labantem Dei ecclesiam sublevare, afflictis |

Christianorum rebus subcurrere, insolentes barbarorum
animós vincere, domare, terrere. Indeque vobis christia-
nissimum illud. nomen amplissimum vendieatis [sic]:
inde Carolus ille Pipini filius, quod ecclesiam a barba-
rorum manibus atque tirannide liberasset, Magnus co-
gnominatus est; inde infini(ti) paene predecessores Tui
prineipes columen firmamentumque catholicae fidei
habiti sunt. Quid igitur Te facturum exjstimamus, qui
virtute belliea, potentia, auctoritate eorum nemini cedis?
Adde quod ab occidente, a meridie, a septentrione Tibi
partim metu partim benivolentia, quod vix unquam ante
Te-praedecessorum Tuorum contingit [sc] (1), pacata
sunt omnia. Itaque optime consultum Dux noster, Chri-
stianissime Rex, censet si pie pariter ac magnifice in-
vietam illam animi tui magnitudinem ad orientem con-
verteris. Sperat enim Te imperatore, Te duce, Te au-

etore, hane aetatis nostrae notam ignominiamque deleri.

Sed iam quid de Principe valeas Tibi ipsi promietere
brevibus accipe. En, dive Rex, principem nostrum ante
.Maiestatis tuae tronum, personam eius gerentes cum sua
fecundissima prole circunfusa, quanto maiori possumus
humilitate et reverentia praesentamus, facturum, imo
facturos semper pro Tua dignitate tuenda, augenda, am-
plificanda, quantum studio, industria, vigilantia conse-
qui possunt. Sunt sibi (2) opulentae urbes, populi non
ignobiles, validi exercitus, eorumque duces egregii, ami-

citiae plurimae; quae omnia ac se ipsum Tibi pollice-.

tur et tradit. Habes ex familia Tua principes potentia

(1) Sic, per contigit
(2) Sic : evidentemente per illi, scil, Duci nostro.

c. 133 v.

Quale possa»
essere la coo-
perazione del
Duca. i







B. BORALEVI

magnos, virtute (1) singulares, animi magnitudine ex-
cellentes, rerum gestarum gloria immortales. Habes
apud Te purpuratos et optimates plurimos, prudentia,
consilio, integritate ac rerum gerendarum experientia
claros. Habes rei bellicae duces virtute, rei militaris
scientia, felicitate, auctoritate, insuperabiles. Habes exer-
citus artis bellicae doctos, vietoriis plurimis insigmitos,
fortes, atque ad omne quamvis grande facinus audaces.
Habes reges et principes partim foederatos, partim san-
guine, amicitiave coniunctos. Horum nemini se fide, de-
votione, studio, opera cessurum esse promictit, sive pace
sive bello. Seit enim Te omnia iuste, mature, sapien-
terque acturum; quantum vires, facultates fortunaeque
suae suppetere poterunt, defuturum nunquam constanter
atque firmiter teneto.

(1) Ma 4l ms. ha : virtutes.

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EA
E
=
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-

LE LIBRERIE DI DUE DOTTORI IN LEGGI

ODELSECOLO XV

n Mariotti nei suoi Perugini Auditori della. Sacra Rota
Romana (Prefazione. p. X) e il Vermiglioli nelle Biografie
degli Scrittori Perugini (Vol. I p. 204 ‘in nota) ci danno pa-
recchie notizie di Angelo Baglioni, che per quanto non risulti .
che mai leggesse nel nostro Studio, pure fu ai suoi tempi
eximius utriusque Juris et legum professor, come lo ricordano:
le patrie riformanze (Vedi Ann. "Xeir. 1498. c. 42.t.) e lo
stesso documento che appresso si pubblica. Le alte cariche
. ecclesiastiche. cui fu chiamato, richiedenti larga conoscenza
del giure, in specie canonico, attestano d’altra parte in modo
non dubbio la sua dottrina nella scienza delle leggi. :

Il Baglioni è particolarmente noto nella storia perugina .
per il lascito da lui fatto della sua cospicua libreria al Col-
legio della. Sapienza Vecchia. Delle vicende e dei provvedi-
menti presi dal Comuue per questa biblioteca hanno parlato
il Vermiglioli (Cenni storici sulle antiche Bibi. di Per.) l'Ansidei
(Nuovi appunti. sulle Famiglie Baglioni e Degli Oddi), il ‘Rossi
(Giorn. d? Erud. Art. V. ol. IV). Non riuscirà privo d' interesse
riprodurre ora per intiero il catalogo di questi libri quale .
si legge uell' /nventario che si conserva tra le pergamene
del nostro Archivio Comunale (Contratti CC n. 30); poiché i
volumi vi sono descritti: col numero delle loro carte, colle

—. legature, e vi é pure attribuito il prezzo di stima. Si sa pe-

raltro dai documenti che questo fu deliberatamente attribuito

618 R. BELFORTI

anche superiore a quello che potesse essere in commercio;
ad ogni modo riuscirà sempre una notizia utile sul valore
dei libri nella prima metà del sec. XV.

Come la Sapienza Vecchia (uno dei collegi fondati in Pe-

rugia per i giovani privi di mezzi che frequentavano il no-

stro Studio) fu arricchita dal Baglioni di questa biblioteca
per vantaggio degli studenti ivi accolti, così l’altro Collegio
detto della Sapienza Nuova, istituito con eguale scopo nel 1427
da Monsignor Benedetto Guidalotti, fu arricchito della libre-
ria del suo fondatore.

Benedetto Guidalotti insegnò il diritto in patria, ricoprì
insigni dignità ecclesiastiche, e sui suoi meriti e la sua dot-
trina sono concordi tutti gli storici nostri che ne fanno ri-
cordo: l’Alessi, lo Iacobilli, il Pellini, il Crispolti, l'Oldoino,
il Mariotti (Per. Aud. di Rota pag. 90). L' inventario della
libreria da lui posseduta si trova tra le carte del Monastero
di Monte Morcino ora raccolte nell'Archivio Comunale (J-
verse XXV) dove è indicato così: Scripta de libri che foro re-
stituiti ala sapientia nova che aveano in deposito questo Mo-
nastero.

Come fosse dunque formata la biblioteca d'un egregio:
dottore di legge sul principio del quattrocento, ci puó ap-
prendere, al pari del primo, questo secondo inventario, la
cui pubblicazione potrà parimenti non riuscire del tutto priva
d' interesse.

In nomine Saere trinitatis Amen. Hoc est unum ex tribus Inven-
tariis ad lieteram concordantibus factis et confectis de libris et volumi-
nibus librorum olim celeberrime et laudabilis memorie Eximij utriusque
Turis professoris dni Angeli de Baleonibus de Perusio. et eorum exti-
matione. positis et conlocatis in studio novo nuper pro ipsis facto in
domo Sapientie de perusio tenus voluntatem ultimam ipsius dni Angelj
destinatisque pridie ad dictam Civitatem per R. in xristo patrem et
dnum dnum Iacobum de Campello episcopum spoletanum nomine suo

LE LIBRERIE DI DUE DOTTORI IN LEGGI, ECC. 619
x
et R. dominoruiffdnui Iacobi de Calnis de urbe canonici sancti petrj et
dni Benedieti de Guidalottis de perusio fideycommissariorum et execu-
torum testamenti et ultime volumptatis predicte. ut supra conlocatis vi-
gore quorundam capitulorum in predietis et cireha: ea iam editorum
manu Ser Iohannis dominicy notarii de Perusio 1422 die 12 Septembris.
transmissis in dietam domum Sapientie. Sub Annis dni MCOCCXXIIJ
die xxiij mensis aprilis per notabiles viros Paulum Bartolomey mer-
catorem. Mariottum Ninj. Bongiagnem Petri Ser tomaxj Paulutium Cec-
cholj. Nicolaum mareutij. Lucam Symonis. Pascutium Bacchi. Nannem
Gorj et Angelum Vagnis Magnificos Priores Artium Civitatis predicte
nomine eorum et nomine nobilis viri karoli Iacobi eorum college cuius
vices gerunt. Receptis quippe per venerabilem virum dnum Bartolum
lotti de Bertaecys de Civitate Castellj. Rectorem dicte domus. Et per
egregios viros dnum Iohannem echardi. dnum Iohannem quentini dnum
herieum de alamanea. et dnum Guilielmum Ser Franciscj de Interapne.
eius consiliares. Et per alios scolares nune in dicta domo studentes.
prout de huiusmodi librorum Receptione et eorum nominibus et Iura-
mento eis prestito circha conservantiam dictorum librorum seeundum
formam dietorum capitulorum constat manu mey notarii infrascripti. Li-
brj autem et eorum extimationes sunt hij. videlicet.

Adictiones Speeulj in pulero volumine in pergameno cum tabulis
copertis corio rubeo cum scudettis ottonis. cartarum numero 258. ext.
flor. septuagintaquinque f. LXXV

Speculum in pulero volumine in pergameno cum tabulis copertis
corio viridi eartarum numero 202 ext. LL

Seeunda pars Novelle in pergameno cum tabulis copertis corio vi-
ridi in pulero volumine cartarum 304 ext. T nx

Rosarium Areydiaconi in pergameno cum tabulis copertis corio

"quasi viridi renovatum cum rubeo cartarum 342 ext. flor. quinqua-
ginta fL
Rosarium in pergameno cum tabulis copertis corio albo cartarum
numero 316 ext. flor. triginta i XXX
Repertorium pulerum in papiro magnum cum tabulis copertis corio
rubro cartarum 336 ext. flor. Xx I xXx
Summa hostiensis, repertorium caldarinj. questiones paulj de La-
zaris in papiro coperti corio viridi cartarum 328 I xx
Sextus pulcer in pergameno cum tabulis copertis corio rubeo et vi-

ridi bene ornatis cartarum 113 ext. f. 16 f. xvi
Clementine glosate pulere et bone in pergameno cum tabulis eorio

albo copertis cartarum 78. ext. f. 15 xy







620 B. BELFORT:

Summa hostyensis in pergameno cum tabulis copertis corio albo

.in pulero volumine cartarum 426. ext. f. 20 f. XX
Innocentius in pulero volumine in pergameno cum tabulis corio
albo copertis cartarum 256 ‘ext: f. xv ; f.xv
Novella Io. Andreae super .v3° in parvo volumine in pergameno
cum tabulis copertis corio albo cartarum 276. f. 15. . f SUN
Mercuriales et Lapus super vJ° et clem. in papiro eum tabulis
nudis cartarum 166 ext f. 15 f.Xv
Decretales in pulero volumine in pergameno cum tabulis copertis
corio giallo cartarum 294 ext. f. 15 1 HA
Lectura Cyni in i perguinedg cum tabulis nudis carfarum 286 ext.
II ! E : fi XIT
Distintiones Bohie super secundo in- pulero volumine iu papiro
cum tabulis copertis corio rubeo cartarum 216 ext... ASI
ff. novum in pergameno cum tabulis copertis corio albo ca:tarum
numero 202 ext. f. 10 : i POLI
-Sextus satis puleer in pergameno cum tabulis Sdperils: «corio albo
cartarum 100 ext. f. 9 i f. VINI
Addictiones Lapi tiberiadis et Bart. et Laur. de usuris in. papiro
cum tabulis copertis corio rubeo. sunt incisi seu subtracti aliqui quin-
ternj sunt cartarum 108 ext. f. 8 f. VIIS
Tabula moralium Agustini de civitate dey et Innocentii in papiro
pro maiorj parte et pro parte in pergameno cum tabulis nudis carta-
rum 180 ext. f. otto f. vH
Apparatus Gellinj et Guilielmi de monte Laudino in pergameno
cum tabulis nudis cartarum 104 ext f. otto Log INCOME
.Glose sive lectura hostiensis in volumine magno in pergameno
cum tabulis nudis cartarum 381 ext. f. otto f. vi
Decretum vetus in pergameno cum tabulis corio albo copertis car- |
tarum numero 330 ext. f. otto f. vii
Decisiones rote in papiro cum tabulis nudis in magno volumine
cartarum 234 ext f. septem f. viJ
Paulus de Lazaris super clem. in pergameno cum tabulis carta- |
rum 125 ext. f. septem f.- VI
Decretum ad modum veterem in.pergameno cum tabulis copertis
corio albo cartarum 293 ext. f. sex. TT
Clementine cum glosis separatis in Derga E cum tabulis nudis
cartarum 118 ext. flor. sex. j - f. vd
Clementine comunes in pergameno cum tabulis nudis cartarum 62
ext flor. sex Pr - : f. v3



À® i. LIBRERIE DI DUE DOTTORI IN LEGGI, EEC. 021

x
Clementine glosate in pergameno cum tabulis copertis corio viridi
cartarum 60 ext. flor. sex IR
Repertorium dni Baldi super Innoc. cum alio repertorio in papiro
cum tabulis corio rubeo copertis in pulero volumine cartarum 258 ext
Pei Lo
Infortiatum in pergameno cum tabulis eopertis corio albo carta-
rum 264 extimatum flor. quinque fov
Volumen Institutionum in pergameno cum tabulis nudis carta-
rum 248 ext. flor. quinque fv
Glose sive apparatus Ioannis.monaci in pergameno cum tabulis
copertis eorio nigro cartarum 68 ext. flor. quinque fox
Iohannes monacus in -parvo volumine in pergameno cum tabulis
nudis ecartarum 70 ext. flor. quatuor £. HIT
Roffredus beneventanus in pergameno cum tabulis nudis cartarum
170 ext. flor. quatuor ? f. mJ
-Apparatus Arcydiaconi in pergameno cum tabulis corio rubeo
eopertis cartarum 138 ext. flor. quatuor : 400 T. IT
Decretales parve portatiles in pergameno.cum tabulis corio albo
copertis cartarum 364 ext. flor. quatuor. f. mJ
Guiglielmus de monte laudino in pergameno cum tabulis nudis car-
tarum numero 77 ext. flor. tribus : f. nuJ
Bartolomeus Brysyensis in casibus decretorum in parvo volumine
in pergameno cum tabulis eorio albo copertis cartarum 48 ext. flor.

tribus E 119:

Summa Goffredi et Roffredi et abreviature libellorum in perga-
meno cum. tabulis nudis eartarum 150 ext. flor. tribus f. 119
"Summa azzonis in pergameno cum tabulis nudis cartarum nu-
mero 284 ext. flor. duobus : £1

Glose clementinarum Ioannis sine textu in pergameno eum tabu-
lis nudis cartarum 88 ext. flor. duobus fd

Compostellanus bernardus in pergameno cum íabulis nudis car-
^tarum 56 ext. flor. uno fg
Guiglielmus de mandagotto in parvulo libro de pergameno cum
tabulis nudis cartarum 58 ext. flor. uno EJ
Novella Io. Andree in pulero volumine in pergameno cum tabu-
lis eorio rubeo copertis cartarum 376 babita per dictos priores die xxi1J
dieti mensis ex parte dieti dni Epyscopi destinata catenata atque re-
cepta. in dieta Sapientia ut supra die xxviJ dieti mensis Extimat. flor.
sexaginta f. Lx
Codex in pergameno corio viridi cartarum COCIJ f. vuJ



R. RELFORTI

Lectura dni Iohannis super sexto codicis in papiro cartarum
COCXIIJ

Ego Ambroxius Ser Cole de Mugnano Civis perusinus de porta
heburnea notarius et Iudex ordinarius et nunc notarius dietorum domi-
norum Priorum predictis interfui et rogzatus mandato dictorum domi-
norum priorum et dicti rectoris et scolarium predictorum ss. et publi-
cavi.

[a tergo della carta]

In libro additionum lapi sunt certi quinterni ligati cartarum in
quibus est descripta tiberiadis in bombicinis de quibus fit mentio in
instrumento

In libro voluminis Institutionum sunt quatuor quinterni pecudina-
rum cartarum XXXVJ cartarum CCCCOLXXIIJ

Una biblia in pecudinis eartarum cccorxxvJ extimat. f. xxxv

Liber ethimologiarum Isidori in pergamenis de littera antiqua
cartarum 168 f. x.

II.

In nomine Dnj amen. Anno dnj millesimo ini? xxvii. Indictione
septima tempore sanctissimi in xristo patris et dnj dnj martini divina
providentia pp. quintj die xxv mensis augusti In festo saneti Bartolomei

Hoe est Inventarium infrascriptorum librorum et scripturarum olim
ut asseritur Hdi. patris et dnj dnj benedieti de guidalottis de perusio
apostolici vicecamerarij et episcopi racatenensis In civitate perusii nu-

perrime defunetj, habitum receptum et anotatum de mandato Re.mj in

xristo patris et dnj dnj P. (1) episcopi paduanj perusii gubernatoris etc.
per prudentes et cireumspectos viros Bartolomeum Ranaldutij mercato-
rem unum ex consulibus mercantie de porta sancti angelj et Iohannem
dni crispoltj mercatorem et de arte mercantie porte eburnee et Toma-
sium de corte mediolanj familiarem et commissarium prelibatj Re.mi
dnj gubernatoris repertorum et repertarum in domibus habitationis dnj
perusinj sitis in porta sancti petrj et parecia sancti silvestrj asignatorum
et asignatarum per eundem dominum perusinum. Scriptum per me Iu-
lianum notarium infrascriptum de mandato predictorum et in presentia
Ser nico'ay nutolj de perusio porte sancti Angelj. videlicet.

(1) Dal catalogo del Mariotti risulterebbe esser stato in quell’anno governatore
di Perugia « Pier Donato Vescovo di Venezia ».

LE LIBRERIE DI DUE DOTTORI IN LEGGI, ECC. 623
»

In primis asignat unum ff. novuin in cartis pecudi-
nis glosatum per totum sub assidibus ligatum cum co-
perta corey albj pro maiorj parte laceratj

Item unum Infortiatum in cartis pecudinis glosatum
per totum sub assidibus ligatum cum coperta corey nigri
cum certo fornimento ottonis

Item Lecturam dnj Baldi super Codice in cartis bom-
bjeinis sub assidibus ligatam cuin coperta corey albj.
videlieet super vJ? et VIJ?

Item Lecturam dnj Bartoli super ff. vetus in cartis
bombicinis sub assidibus ligatam

Item Lecturam dnj Baldi super C. in cartis bombicins
sub assidibus ligatam cum modico corio super primo se-
cundo et 3°

Item Leeturam dnj Bartoli super C. in cartis bombi-
cinis sub assidibus ligatam

Item consilia federigi et allegationes Lapi in cartis
bombicinis sub carta membran. ligata. Item canonica
dnj Petrj. :

Item Lecturam dni Angelj super ff. vetus in cartis
bombieinis sine copertis

Item leeturam dnj bartoli super Infortiato in cartis pe-
cudinis sub assidibus ligatam cum coreo nigro. et etiam
in aliam partem cartis bombicinis

Item Lecturam dnj bartoli super ff. novo in cartis
bombicinis sub assidibus cum coperto rubeo ligatam cum
quibusdam bollis de ottone et in partem bombicin. cum
diversitate literarum

Item lecturam dnj Allerigi in cartis bombicinis sub
assidibus ligatam. Super questionibus statutariis. Item
bartol. de Salliceto super viriJ? C. simul in uno volumine

Item Lecturam dnj petrj de Ancarano super Cremtinis
in cartis bombicinis copertam carta incollata sub coreo
albo

Item Lecturam dnj petri de ancarano super sesto in
cartis bombicinis ligatam copertam carta incollata fodrata
coreo ruheo

Item Lecturam dnj Zambarellj super clementinis li-
gatam copertam carta incollata sub coreo albo

Item Lecturam dnj Guilielmj super C. in cartis pecu-
dinis sub assidibus ligatam





fior. 23
4 flor.
4 flor.
flor. medio
videlicet s. 48
I«flor.
flor. t
2 flor.

flor. 8

Xx for

flot. 7

xxv flor.

flor. 1 cum
dimidio
flor. unum
cum dimidio
unum flor.
eum dimidio
1 flor.
1 flor.

R. BELFORTI

Item quandam Lecturam carentem principio et nomine
compositoris xVIIJ quaternorum carte pecudine insimul
ligatorum :

Item Recollettas dnj Rafaelis super ff. novo in cartis
bombieinis ligatas sub quadam coperta pecudina

Item Recollettas dnj Rafaelis super C. in cartis bom-
bicinis ligatas sub quadam carta pecudina

Item quandam Lecturam carentem principio et nomine
conditoris in cartis bombicinis sub pecudinam copertam

Item quasdam Recollettas dnj Bartolomei de saliceto
in cartis bombicinis sine coperta

Item quasdam Recollettas in cartis bombicinis ligatas
sub tabulettis olim nune frattis

Item quosdam quinternos et folea cartarum bombici-
narum dislicatos videlicet cxiJ quinternos de carta

Item Leeturam dnj Rafaelis super secundo ff. in cartis
bombicinis sub assidibus ligatam

Item summa hostiensis super titulis. decretalium in
cartis pecudinis sub assidibus ligatam cum coreo albo

Item catolicon in cartis pecudinis sub assidibus li-
gatum eum coperta corey viridis et rubey et eum quibus- |
dam parvis bullis octonis

Item clementinas in cartis pecudinis sub assidibus
ligatas cum coreo albo veterj et pro parte laceratj. et
consuetudines feudorum

Item decretales in cartis pecudinis sub assidibus li-
gatas cum coreo viridj et cum certo fornimento ottonis

Item Repetitiones sive Leeturam super primo decre-
talium in cartis bombicinis sub àssidibus ligatam )

Item Repetitiones super seeundo decretalium dnj fran-
ciscj in cartis bombicinis sub assidibus ligatas

Item Librum de honestate et vita clericorum in cartis
bombicinis sub assidibus ligatum

Item recollettas super secundam sententiarum (?)

Item alias recollettas ligatas cum carta pecudina

RAFFA£LE BELFORTI. .

——»— e —*—



‘ejeiSo;ne BuIIX UOO eISIOE 3JESI9 IP CIIPHIT

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625

LE CASE DEL PINTORICCHIO IN PERUGIA

Presso la Biblioteca Comunale di Perugia si conserva
la lettera di Cesare Borgia con firma autografa, indirizzata
ad Alfano degli Alfani, tesoriere della Camera Apostolica,
perché presti i dovuti aiuti a Bernardino di Betto detto il Pin-
toricchio, il quale edificava in Perugia una casa. La lettera è
concepita in tali termini: « Magnifice vir amice noster caris-
« sime, salutem. Derardino Pintoricchio da Perosa qual sem-
« pre avemo amato per le virtà sue l’havemo novamente riducto
« & li servitij nostri. Per la qual cosa desideramo sia in ogni
« sua. facenda reconosciuto per nostro familiare. Et in pero. per. la
« casa che lui edifica in Perosa ve ricercamo et astringemo che
« omninamente li concediate el subsidio consueto de wna Cisterna.
« Impero che per le sopradicte cause ce parà molto accepto.

« Datum in pontificiis castris ad. Derutam | XITII. octobris

« MD.
« Cesar Borgia de Francia Dua Valentie.

La lettera nella parte inferiore è contrassegnata col nome
del Segretario Agapytus ed a tergo vi è l'indirizzo: « Ma-
gnifico viro Alfano de Alfanis Perusie Vice Tesaurario amico
nostro carissimo » (1).

(1) Questo documento venne fin dal 1908 a nostra cura fatto riprodurre nella
collezione delle fotografie di Girolamo Tilli di Perugia. Lo avevano pure ricordato
il Conestabile nelle Memorie di Alfano Alfani, Perugia, Bartelli 1848 e l' Alvisi nella
Pita di Cesare Borgia, Imola, 1878.



F. BRIGANTI

Dopo la magistrale opera di Corrado Ricci sul Pinto-
ricchig è certamente superfluo portare nuovi contributi per
la illustrazione della vita e delle opere del grande pittore
umbro (1) anche il prof. Walter Dombe nella sua annunciata
pubblicazione sui pittori perugini illustrerà il nostro auto-
grafo (2). Tuttavia non del tutto inutile reputiamo la ripro-
duzione del documento che rivela gli amichevoli rapporti tra
l'artista gentile e l'uomo d'armi,le cui gesta rimangono of-
fuscate sotto la tela di tetre vicende, che trionfavano in
mezzo a veleni e tradimenti.

Il Duca Valentino dichiara di aver sempre amato il Pin-
toricchio, e l’havemo novamente riducto a li servitij nostri.

Quali nuove opere potevano essere state commesse in
quest'anno (1500) al Pintoricchio da parte della famiglia Bor-
gia? Fin dal 1494 aveva egli condotto a termine nei Palazzi
Vaticani quei suoi mirabili capolavori che si ammirano nelle
Sale Borgia. Così pure nella Mole Adriana per incarico di
Alessandro VI il Pintoricchio aveva decorato col suo divin
pennello gli appartamenti papali e tali dipinti erano stati
condotti a termine fin dal 1498. I biografi del nostro pittore

non ci danno notizie per determinare quali altri lavori gli

fossero commessi da Cesare Borgia.

Il pontefice era stato munificentissimo col Pintoricchio,
avendogli concesso in ricompenso e premio dei suoi lavori
un vasto tenimento nel Chiugi col canone annuo di 530 corbe
di grano da pagarsi alla Camera Apostolica in Perugia. Il quale
canone veniva in seguito trasformato in due libbre di cera
bianca, ma con la condizione che qualora non venisse sod-
disfatto questo tenuissimo onere, tanto Bernardino, che i suoi

^

(1) C. Riccr, Pintoricchio, Perugia, V. Bartelli, 1912.

(2) Troviamo annunziata da C. Ricci l'interessante pubblicazione del profes-
sor Bombe, Geschichte der Peruginer Malerei bis zu Perugino una Pintoricchio, auf
Grund des Nachlasses Adamo Rossis und eigener archivalischer Forschungen (Ber-
lino, 1912).

LE CASE DEL DEL PINTORICCHIO IN PERUGIA 621

eredi e successori si intenderebbero decaduti dai diritti sulle

terre del Chiugi di Perugia.

Il Pintoricchio adunque fiducioso dell'amicizia dei Borgia
ricorreva al Valentino quando da parte della Camera Apo-
stolica gli erano state rifiutate le facilitazioni richieste per
i restauri che egli era in procinto di fare nella sua casa in

Perugia. Fin dal 1499 era tornato in patria, come lo atte-
stano alcuni atti di vendita di grano dei suoi possedimenti
del Chiugi, fatti a mezzo del notaio Tancio di Niccolò (1).
Cercando adunque una raccomandazione per essere meglio
esaudito dalla Camera apostolica si recava il 14 ottobre 1500
in Deruta, ove il Duca Valentino si era accampato col suo eser-
cito che conduceva per ricuperare alla Curia Romana i paesi
della Romagna. Insieme col Pintoricchio eransi recati all’ac-
campamento del Valentino in Deruta i Baglioni e i Magi-
strati di Perugia per aggraziarsi il Duca e rendere meno
dannoso al nostro contado quell'esercito di soldati mercenari

(1) 1499 die 14 Septembris. Actum Perusie in Platea magna ante domum etc.

Magister Berardinus Benedicti de Perusio Pictor alias Pentoricchio fecit finem
et quietantiam Bonifacio de Coppis de Montefalco locumtenenti presentis dicti dni
Thesaurario ... de florenis Ottuaginta ad rationem xL bolon. pro quolib t floreno
perusinorum qui sunt pro pretio et valore triginta corbarum grani, que sunt mine
centum viginti ad mensuram Civitatis Perusie, quas triginta corbas grani dictus
Magister Bernardinus cum deberet dare et solvere conductoribus Clusii pro coptimo
certi tenimenti terre quod habuit a Camera in dicto Clusio et SS. d. n. Alexander
P.P. vi donaverit sive concesserit dicto Magistro Bernardino dictas XXx Corbas
grani et mandaverit quod Thesaurarius ex introitibus Camere satisfaceret et sol-
veret conductoribus predicti aut dictum granuin aut pretium quod valeret in foro
perusino in primo sabbato Augusti prout patet per Breve S. Sanctitatis. Ideo
cum voluerit bole. os xxviiJ vel circha quolibet mina prout constare vidi et legi
manu ser Tholomei ser Nicolay de Perusio pubbl. Notarij et dicti conductores ha-
buerint dictas xxx eorbas grani, dictus Bonifatius solvit dictum pretium d. Bernar-
dino pittori loco dictarum triginta corbarum grani vigore di Brevis pro hoc anno
1499 et hane quietantiam dictus Bernardinus fecit pro eo quia fuit confessus et
contentus dictos rxxx florenos habuisse et recepisse in pecunia numerata per
manum dicti Bonifatii.

(Arch. Notarile di Perugia, rog. Tancii di Niccolò de Perusio not. Grot. pic .
sub die 14 settembre 1499). — In detto protocollo a c. 369 in data 1 Dicembre 1498 ri-
sulta una quietanza rilasciata da certo Hieronimus nipote e procuratore del Pinto-
ricchio, il quale, come si afferma in detto atto dimorava in quel tempo a Roma.

628 È F. BRIGANTI

in specie spagnoli in numero di 10,000 senza disciplina, che
devastava le nostre contrade; come raccontano i cronisti che
« non remase alcuna cosa da mangiare, e anco non remase
« vino, che cum quello lavavano li piedi a li cavalli; e
« quello che non poddero bevere e operare gettorono via
«per: terra (3. i

Il Tesoriore Apostolico Alfano Alfani non si mosse per

la raccomandazione di Cesare Borgia e mantenne il ‘rifiuto
fatto. Non si scoraggió per questo il Pintoricchio e tornò
nuovamente dal Duca che dopo 6 giorni (20 ottobre) rag-.
giunse a Sassoferrato, e da lui ottenne. un’altra lettera. per.
il Vice-Tesoriere di Perugia insistendo per la richiesta con-
cessione: « Havemo non senza molestia inteso la repulsa
per voy data al nostro dilectissimo familiare et domestico
servitore Maestro Berardino Pintoricchio sopre la Cisterna
che per luj ve havemo rechesta parendoce che per nostro re-
specto el doveriate contentare. Pur non volendolo vov per
quelle dedurre (?) in questo presente anno satisfarlo. Exhorto
ccome non postpongate mandarcelo con la concessione de la
' prima da darse per lanno proximo da-venire » (2).

Poté l'autorità del figlio di papa Borgia piegare l’infles- -
sibile Tesoriere della Camera Apostolica? Le nostre ricerche
d’archivio non ci danno in proposito alcun risultato: Continuò
il Pintoricchio ad abitare in Perugia anche nell’anno succes-
sivo (1501), in cui venne eletto dai suoi concittadini all'alto
ufficio Decemvirale, forse in segno di stima per farlo rima-

- nere nella città natale, che abbandonava poi nuovamente per
eseguire i mirabili lavori che noi possiamo invidiare. alla
città di Siena. (s

La casa che egli si accinse a restaurare nel 1500 era

la casa paterna alla quale egli ne aveva aggiunta una at-

(1) Cfr. MATURANZIO, Cronaca della Città di Perugia, pag. 155.
(2)-Cfr. CORRADO RICCI, 0p. cit., da cui abbiamo desunto tutte le altre notizie
che si riferiscono al Pintoricchio,

LE CASE DEL PINTORICCHIO IN PERUGIA

tigua acquistata nel 1481. Nel 1484 poi Gabriele del fu Ga-
spare di Andrea vendeva a Pintoricchio unam domum cum
orto a latere posterioris dicte domus esistente nella parrocchia
di S. Fortunato confinante con la via mozza etc.

Queste casupole, situate in località in quei tempi tut-
taltro che amena, riunite insieme da Bernardino nel 1500
formarono un’unico stabile (1), il quale non riuscì forse di sua
soddisfazione, perché il 30 marzo 1511 denunciava ai pubblici
catasti una casa con vigna situata fuori della porta di S. An-
gelo, confinante con i beni della chiesa di S. Matteo :

« Mandato presentium officialium armari et ad petitionem
ser Hieronymi ser Roberti de Perusia procuratoris supradicti
magistri Berardini presentis et petentis posita est in presenti
catÉsto unam petiam terre vineatam cum domo et puteo in
ea existenti sita in suburgis Porte Sancti Angeli in vocabulo
&. Matheo fines cuius ab uno via, ab alio strata, ab altero
bona ecclesie S. Mathey, ab alio bona Mathey quondam Io-
annis de penzolis reperta in catastro Thesey Iacobi de Teis

ser Francisci alibratorum in porta Solis ad parochiam S. An-

tonii fol 50 ad mensuram unius mine et unius Tertij esti-
mata in dicto Catastro libras D., et nunc jure pretii quia
pretium excedit estimationem, librarum M.

Quam dixit dictum magistrum Bernardinum teneri pos-
sideri iure emptionis per ipsum factam a dicto Theseo pretio

(1) E questa la casa nella via che prende nome dal grande pittore e che addita
al forestiero la seguente iscrizione :
QUI EBBE STANZA
BERNARDINO pi BETTO
SOPRANNOMINATO IL PINTURICCHIO
CHE INSIEME CON PIETRO E RAFFAELLO
DIPINSE NELLE PRIME CITTÀ D'ITALIA
NACQUE A PERUGIA NELL'ANNQ 1454
MORÌ A SIENA NEL 1513
A RICORDO DEL CITTADINO ILLUSTRE
POSE QUESTA LAPIDE
ILDEBRANDO BONUCCI
IL 16 SETTEMBRE DELL'ANNO 1890

630 F. BRIGANTI

ducentorum florenorum ad xL manu publici notari perusini
et ideo facta fuit sibi libra in libris catastrorum ad gros-
sam » — « Hieroninus not. scrip. » (1).

La compra di questi stabili in Perugia potrebbe essere
argomento per dedurre che il Pintoricchio avesse avuto in
animo di tornare in patria per passarvi tranquillamente la
sua vecchiaia, ma invece l'11 Dicembre 1513 si spegneva
miseramente in Siena, straziato per i cattivi trattamenti
della sua perfida moglie che amoreggiando con altri « chiuse
il marito ammalato in casa lasciando che languisse e mo-
risse di stenti, e s'oppose a che nessuno r.spondesse ai suoi
lamenti, tranne alcune femminucce del vicinato » (2). — Ri-
sulta dal pubblico catasto che la proprietà del Pintoricchio
presso la chiesa di S. Matteo venne venduta dai suoi eredi
nel 1543, mentre non risultano delle indicazioni particolari
per la casa esistente nella parrocchia di S. Fortunato.

FRANCESCO BRIGANTI.

(1) Catasto Antico di Perugia, vol. 30 (nero) c. 205.
(2) RICCI C., op. cit.

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Autografo del Roscietto.





631



DI UNO SCONOSCIUTO LAVORO

DI OREFICERIA UMBRA

Francesco di Valeriano, detto Roscetto, orefice di Foli-
gno, fu il capo di una famiglia di illustri artisti, di cui l'ul-
timo, Federico di Francesco Rossetti, morì il 16 gennaio
1631.

Francesco di Valeriano fiorì nella seconda metà del se-

< colo XV. Ne scrisse in Giornale d’ Erudizione Artistica II, 89
e segg.) ADAMO ROSSI, pubblicando alcuni inediti documenti.

L'11 dicembre 1413 Francesco, sulle mosse di partire
per Perugia, appigiona la casa che possiede in Foligno.

Nel 1419 il monastero di S. Pietro di Perugia gli paga
fiorini 19 e soldi 2 per la fattura d'un calice.

Dal 1414 in poi tiene l'officio di zecchiere in Perugia,
ed esercita l'arte di orafo.

Il 13 ottobre 1486 i Priori di Perugia gli concedono una
casa per abitarvi senz'obbligo di pigione.

Il 13 ottobre 1487 è creato cittadino di Perugia, e fa
alcuni lavori per i Priori.

Il 29 novembre 1487 stima le collane d’oro lavorate pei
Priori di Perugia da Bernardino di Niccolò.

Il 1° marzo 1491 è ammesso tra i giurati dell’ Arte degli
orefici.

Nel 1491 è creditore verso il monastero di S. Pietro di
Perugia di 6 fiorini per fattura di due ampolle d’argento.

H

G. DEGLI AZZI



Nel 1492 lavora per l'Arte del Cambio di Perugia una
corona da porsi sulla statua della Giustizia; per fior. 2 e
soldi 27.

Nel 1495 fa e firma una forma da cialdoni.

Ii 18 luglio 1495 prende a fare una nave d'argento con
figure di Santi, pel Comune di Perugia.

Il 17 febbraio 1503 conduce di nuovo la Zecca.

Muore il 15 dicembre 1509.

L'atto di allogagione, che per gentile concessione del
possessore del prezioso autografo qui pubblichiamo, per la
fattura d'un artistico calice, è, per quanto ci consta, il solo
autografo che sinora si conosca del famoso orafo folignate,
divenuto poi cittadino di Perugia. Nessuna notizia ci è stato
possibile ritrovare sull'opera d’arte cui il documento si ri-
ferisce: i

1496, 7 Giugno.
Al nome de Dio. Amen.
A dì 7 de giugno 1496.

Sia noto et manifesto a ciascuna persona che legerà overo udirà
legere questa presente scripta como dompno Barnabeo de Renzo d'An-
tria dà a fare uno calice de fiorini septe a bolognini .xL. per fiorino
de prezzo, nello infrascritto modo, cioè, a Francesco de Valariano dicto
Roscietto zechiere citadino de Peroscia: :

Im primo debbia fare dicto calice dicto Roscietto cum pié o patena

boctoni (?) de ramo oratiWum coppa et smalti nelli boctoni (?) deo

cum figure. f
ltem che dicto calice et pates debbia essere facto a tucti spese
de ramo d’ariento e oro del dicto Roscietto.

Item che dicto Roscietto debbia avere finito dicto calice et patena.

per tucto el mese de giugno insino a mezzo luglio proximo da venire.
De li quali septe fiorini el dieto Roscietto à auto a.di dieto con-
tanti per parte uno ducato de Camera; e el resto promecte darli finito

dicto calice.
Et io Girolamo de Bartolomeo notario da Peroscia ho facto questa.



nece


et

NEA,





vata





DI UNO SCONOSCIUTO LAVORO, ECC. 633

x
scripta de presentia et voluntà de le dicte parte, le quale qui socto fir-
meranno de loro propria mano.

Ed io Francesco detto Rossie (sic) de sopre son chontento de quanto
de sopre € scritto, et a fede de ciò me sò soscritto de mia propia mano
detto dì ed anno.

Et ego Minutius Bertuldi de Perusio supradicte conventioni et
contentis in supradicta scripta una cum dictis partibus et ser Hieronimo
Bartholomey ac Constantio Mariani de Monte Petriolo interfui et pre-
sens fui et audivi et ad preces ipsarum partium me subscripsi manu
propria.

Et io Constanzo predicto so suto presente a quanto in la presente
scripta se contiene et ad priece et comandamente de le sopradicte parte
me sò subscripto.

G. DEGLI AZZI.

——— 9 ----







RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

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637

RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

MAGHERINI GRAZIANI GIOVANNI. — Storia di Città di Castello. — Città
di Castello, Tipografia delia Casa Editrice Lapi. Vol. I, 1890, in 8
grande di p. 214, con 13 tavole. Vol. II, 1910, in 8 grande di
p. 328, con 18 tavole. i

Sono corsi. vent’ anni tra la pubblicazione dei due volumi, ma non
si può parlare del secondo se non si’ parla insieme del primo, col quale
ha comune tutto. Nel primo volume, in otto capitoli si parla di Città
di Castello dalle origini alla caduta dell’ Impero: nel secondo, in al-
tri dodici, si arriva alla fine del XIII secolo, ed in questi venti ca-
pitoli l'illustre Autore distribuisce la storia antica e medioevale della
città, discutendola, e rischiarandola con un metodo di critica storica ri-
gido, sicuro, fornito di una documentazione ampla, anzi così ampla, da
far desiderare molte volte inserite nel testo osservazioni e notizie che
egli confina nelle note. Le quali sono tante, così erudite, così abbon-
danti, che se egli le avesse anche in parte adoperate come materia del
racconto, i due volumi sarebbero quasi doppi di mole.

Egli procede così. Prendendo a svolgere qualche periodo storico,
comincia col metter innanzi, compendiosamente, dei cenni generali sul
periodo stesso, mostrando padronanza piena della materia che tocca,
sia che trattisi di storia romana, o ecclesiastica, o barbarica, ecc. Al-
cune considerazioni proemiali con le quali egli inizia il racconto di
qualche capitolo, sembrano vere lezioni di studi superiori, e sono accon-
cissime a preparare il terreno, nel quale gli scarsi ricordi storici, i po-
chi frammenti epigrafici, i brani superstiti di scrittori classici, sacri,
longobardi, che hanno avuta la fortuna di giungere a noi, dopo mille,
dopo due mila anni, possano avere quel valore e quella importanza,
che, presi isolatamente, non avrebbero. I quali frammenti vengono esa-



EM

638 RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

minati ed illustrati, uno per uno, con tanto interesse, e con tanta do-
vizia di erudizione, che talvolta danno all’ autore l’ occasione di scri-
vere delle vere monografie. Ed in questi casi il lettore non può desi-
derare nè di più, nè di meglio. Indichiamo alcune parti di questo po-
deroso lavoro, che, secondo noi, meritano di essere segnalate con at-
tenzione speciale. Tali sono lo studio e i documenti sul vernacolo ca-
stellano (I, 67-77), il cui piccolo lessico (I, 183-212) può indicarsi come
modello del genere; le notizie relative a Plinio, alla sua villa, alle sue
relazioni con Città di Castello (I, 107-122); le indagini faticose sulle
condizioni della città a tempo dei Longobardi (II, 25-42); la forma-
zione e la compilazione dei diversi statuti Municipali, opera di impor-
tanza capitale per conoscere le condizioni del Comune (II, 179-210); lo
studio topografico sulla città stessa (II, 213-218); le pregevoli memorie
adunate sulla cultura cittadina nel XIII secolo (II, 254-251), ecc. Chi
legga solo uno di questi capitoli, o parte di essi, rimane persuaso della
ricerca coscenziosa e paziente con la quale l'autore ha saputo trarre
profitto e dar valore a nomi, a date, a ricordi, che talvolta sembrano
quasi insignificanti, mentre, disposti da lui e coordinati con mano
sapiente, acquistano un vero valore, e recano luce abbondante dove
sarebbe buio completo. Ma quanto tempo, quante ricerche, quanto stu-
dio di biblioteche e di archivi, quanti viaggi, quante costose premure
ha richiesto un lavoro, dal quale tutti possono trarre profitto, ma del
quale sono pochi quelli che possono valutare le fatiche che ha richie-
sto! Massime che il Magherini Graziani nulla ha detto se non ha
prima studiato, confrontato, il documento, il marmo, il libro, il diploma,
e se, dopo averlo visto, non l’ha fatto ‘o disegnare, o fotografare, 0
altrimenti riprodurre, dando _modo al lettore di giudicare da sè, e, quel
che più conta, di essere us da collazionare il giudizio dell’ au-
tore, se questo è o no conforme col suo. E ciò in grazia specialmente
dell' amplissimo corredo di tavole, sulle quali egli ha portato uno stu-
dio speciale perchè fossero riproduzioni fedelissime degli originali. E
quando si tratta di qualche iscrizione romana, di qualche raro oggetto
di arte, dei diplomi piü interessanti, il lettore ne trova dei fac-simili
cosi perfetti, da non far desiderare lo studio sugli originali. E perché
a sì bella opera nulla mancasse, l’autore vi ha aggiunto tavole topo-
grafiche, grafiche, geologiche, presentando un lavoro sotto ogni ri-
guardo completo, degno di essere invidiato da qualunque maggiore
città.

Piace poi veder contemperata la sua critica col rispetto a tante
tradizioni, che da lui non sono accettate che per quello che valgono,

ma che nondimeno servono a lui di indizio, di accenno, di ricordo, mercè













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RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE 639

*
dei quali può giungere a conclusioni sicure, che, senza il rispetto a
quelle tradizioni, non si sarebbero ottenute. Tra una soverchia eredu-
lità, e tra una sfiducia ingiustificata, egli si mantiene fedele al sommo
criterio degli storici veri, i quali radunano i documenti, e su quelli
ragionano, considerandoli come elementi di indagine e di studio, e non
come elementi algebrici che dicono solo quello che indicano.

Alla bontà intrinseca dell’opera è da aggiungere la splendida ve-
ste tipografica, la carta, i caratteri, le proporzioni, i fregi, i piccoli di-
segni, le due splendide cromolitografie del primo volume, la corret-
tezza del testo: tutto indica con quale amorevole intelligenza è stata
curata la stampa di questi due splendidi volumi.

Ai quali auguriamo il seguito di due altri, che non riusciranno
certamente inferiori ai primi, e con i quali l'illustre Autore avrà in-
nalzato alla patria adottiva un monumento che non le fu mai innal-
zato da altri.

M. FALOCI-PULIGNANI.

Giulio Pensi, ArmanDo Comez. — Todi, Guida per i forestieri. (Todi,
tipografia tuderte, 1912).

Opera utilissima hanno compiuto i signori dott. Giulio Pensi e
Armando Comez dando alle stampe questo volumetto: poichè, se del-
l’antica città umbra avevano già discorso in dotti libri molti scrittori
italiani e stranieri, se alla sua storia e ai suoi monumenti avevano con-
sacrato indagini accurate e pubblicazioni interessantissime alcuni stu-
diosi tudertini, quali il Leonj, il Ceci e lo stesso Pensi, mancava tuttavia
un lavoro che brevemente, ma esattamente segnalasse al forestiero le
bellezze naturali ed artistiche, di cui Todi può menar vanto.

Non è questa guida un arido elenco di edifici, di dipinti, di statue,
di preziosi oggetti custoditi in un museo, ma gli autori nell’ additare
all'ammirazione del visitatore la severa eleganza dei tre palazzi del
Comune, attestatrice della fiorente potenza di Todi nel medio evo, nel
porre in luce tutte le finezze artistiche della bellissima Cattedrale e del
maestoso tempio di S. Fortunato, nel descrivere S. Maria della Conso-
lazione, il gioiello bramantesco, « che da solo basterebbe a formare la
fama artistica d’una città », si son dati cura di metter sempre in evi-
denza i rapporti, che ovunque e in ogni tempo corrono fra la vita po-
litica e civile di un popolo e le manifestazioni dell’arte.

La qual cura torna a molta lode dei signori Pensi e Comez, che
in un libricino di sole ottanta pagine hanno saputo, discorrendo dei



SIIT eee _°‘°____l

640 i RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

tesori di che va a buon diritto orgogliosa la loro città natale, rievocare,
sia. pur fugacemente, innanzi al lettore le agitate vicende di Todi dal-
l’epoca etrusca sino ai giorni nostri.

Ed un altro encomio meritano gli egregi autori per aver dato no-
tizia dei documenti d’archivio, che si riferiscono al tempio della Con-
solazione, a quello di S. Fortunato, alla chiesa di S. Maria delle Grazie,
ora di S. Filippo, ed a quella del Crocifisso, e per aver pubblicato qual-
che cenno storieo sulle molte opere pie cittadine, prima fra le quali
l'Ospedale della carità, fondato, secondo la tradizione popolare, da
S. Francesco d'Assisi.

. I documenti menzionati, che la diligente erudizione del dott. Pensi
ha portato ora a conoscenza degli studiosi, ci dicono che a Todi, oltre
gli artisti ricordati dal Merzario nell'opera I maestri Comacini, lavo-
rarono anche -molti altri maestri di altre regioni. Così vediamo che al
tempio della «Consolazione negli anni che corsero dal 15 novembre 1508
(nel qual giorno fu' iniziata la escavazione dei fondamenti) al 1617
(quando l’ architetto pistoiese Obizzo Martinelli trasportava all’ altar

maggiore il muro ove è dipinta l’imagine della Madonna rinvenuta in

una edicola presso le mura della città) diedero, fra molti altri, l’opera
loro Baldassarre Peruzzi, Antonio da Sangallo, Jacopo Barozzi da Vi-
gnola, i perugini Galeazzo Alessi e Valentino. Martelli e I' orvietano
Ippolito Scalza.

Nè minore interesse hanno i documenti, dei quali è parola a pro-

posito della chiesa di S. Maria delle Grazie, ora di S. Filippo, e che
fanno rieordo non solo.dell'opera prestata in detta chiesa da maestri
muratori, intagliatori in legno, scalpellini e scultori in pietra, ma ezian-
dio dei dipinti, ora malauguratamente perduti, che vi condussero negli
anni 1492 e 1493 Niccolò Alunno e nel 1504 Lattanzio di lui figlio.
Oltre che di quanto esiste di ammirevole entro Todi, è nella guida
fatto pur cenno. delle cose più degne di nota che trovansi nei dintorni,
ed alcune pagine son dedicate alla chiesa del Crocifisso, la cui costru-
zione fu iniziata nel 1592 su disegno del perugino Martelli, e alla chiesa
e convento di Montesanto, presso i quali fu nel 1835 rinvenuta la su-
perba statua in bronzo conservata nel Museo Vaticano. Nella chiesa
francescana di Montesanto, ove si veggono anche adesso due. preziosi
affreschi di seuola umbra, ammiravasi sull'altar maggiore la grande
tavola di Giovanni Spagna « L'incoronazione della Vergine », che ora
è il più fulgido ornamento del museo comunale tudertino.
Sotto ‘Napoleone I il meraviglioso dipinto fu trasportato in Fran-
cia, ma poi per buona sorte, nonchè di Todi, d’Italia, fu restituito,
privo però della cornice e dei tre quadretti della base; pur tuttavia,

*





TALI INI St AIN DI

















RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE 641
x

nonostante questa perdita parziale, bisogna rallegrarsi che il prezioso

dipinto non abbia seguito la sorte di molti altri tesori della nostra Um-



bria e sia tornato fra noi, anzichè esser destinato a far più belle le
gallerie di Francia o del Vaticano.

Dalla compiacenza nostra argomentiamo quanto maggiore debba
esser quella dei todini, lieti e superbi di custodire fra le loro mura tante
e così mirabili opere d’arte; di tale soddisfazione più che naturale e
legittima è prova anche il volumetto, sul quale ci siamo intrattenuti e
che, frutto di coscienziosi studi sulle memorie patrie, dettato in elegante
forma che ne rende piacevolissima la lettura, ricco di ben cinquanta-
cinque illustrazioni opportunamente scelte, sta appunto a dimostrare
di quanto amore, operoso e fecondo di bene, proseguano i signori Pensi
e Comez il loro paese nativo.

V. ANSIDEI.






— en == DE

angie gione erre





TAVOLA DEI NOME DI PRRSONE E DI LUOGHI

ALFIERI ALESSANDRO, 268.
ANNIBALDI C., 263.

ANSIDEI V., Recensione, 639.
ANTONELLI M., 261.

Assisi, 276, 277, 278.

BAGLIONI ANGELO, v. Belforti R.,
Le librerie di due dottori ecc.

BAGLIONI SFORZA ANASTASIA, V.
Giulini A.

BeLrorTI R., Le librerie di due
dottori in leggi del secolo XV,
ob

BeLLucci G., L’ipogeo della fami-
glia etrusca « Rufia » presso
Perugia, 123; 264, 266.

— Commemorazione di Luigi Lan-
DL AE.

BomBe W., 279.

BoraLevi B., Di alcuni scritti ine-
diti di Tommaso Morroni da
Rieti, 535.

BRIGANTI F., Le case del Pinto-

riechio in Perugia, 629.

CARDARELLI GIUSEPPE, 279.
CrrrÀ DI CASTELLO, 637.
CoLasanti G., Reate, ricerche di





























topografia medioevale ed antica,
8, 266.

CoMEZ ARMANDO, 636.

ConBucci V., Di uno sconosciuto
pittore in vetro del secolo XV,

255.

.DegLI Azzi G., Di uno sconosciuto

lavoro di oreficeria umbra, 631.

FaLOCI PULIGNANI M., 637; 264,
265, 275, 276.

— Recensione, 637.

Fruppini E., L'Accademia dei Rin-
vigoriti e l’ ottava edizione del
Quadriregio, 195, 487.

FRANcESCO (S.), 211.

Fumi L., L’inquisizione romana e
lo Stato di Milano, 283.

GaLLIi GIUSEPPE, 274.

GENTILE DA FOLIGNO, 265.

GiLaRrDI BARTOLO, 268.

GiuLini A., Anastasia Baglioni
Sforza secondo nuovi documenti
del R. Archivio di Stato di Mi-

lano, 243.
GuipaLotTti BenepETTO, v. Bel-

644 TAVOLA DEI NOMI DI PERSONE E DI LUOGHI

forti R., Le librerie di due dot-
tori ecc.

Lanzi Luigi, Commemorazione, v.
Bellucci G.
LEONARDI VALENTINO, 272.

MAGHERINI GRAZIANI G., 637.
MARINELLI A., 267.
MONTELABBATE, 265.

MorRronI Tommaso, v. Boralevi B.

Nicasi G., La Famiglia Vitelli e
la Repubblica Fiorentina fino
al 1504, 291. 3

PASTORE E., 279.

PENNACOHI F., 276.

Pensi GIULIO; 636.

PERUGIA, Museo etrusco-romano,
266 ; Università, 267.

PeRrUGINO PIETRO, 278.

PERSICHETTI N., 262.

PrERANTONIO DE NANNI pittore in

vetro, v. Corbucci V.

PINTORICCHIO, v. Briganti F.

PompiLs GuIpo, 273.

Rieti, v. Colasanti G., Reate, ri-
cerche di topografia ecc.; e Per-
sichetti N.

RizzaTTI F., 268.

RoscieTTO, orafo, v. Degli Azzi G.

Ruria, famiglia etrusca. Suo ipo-
geo, v. Bellucci G.:

' Searvaxm O., 967.

SCHUSTER, 263.
SPOLETO, 272.

Topi, 636.
Tommasini-MaTTIUCCI P., Analecta
Umbra, 261.

— Recensione, 283.

VENTURI A., 278.
VireLLI Famiglia, v. Nicasi.

INDICE DEL DICIASSETTESIMO VOLUME

Memorie e Documenti.

Reate. Ricerche di topografia medioevale ed antica (G. Co-

LASANTI) ;
L’Ipogeo della famiglia ditrusca « | Rufia » presso Perugia

(G. BELLUCCI) : s;
L'Accademia dei « Rinvigoriti » di Felino e icaro edi-

zione del « Quadriregio » (E. FILIPPINI). s . Pag. .. 195, 481
Anastasia Baglioni Sforza secondo nuovi documenti del R.

Archivio di Milano (A. GIULINI) : . : + Pag:
La Famiglia Vitelli di Città di Castello e.la Repubblica fio-
rentina fino al 1504 (G. Nicasr) ; i $
Di alcuni scritti inediti di Tommaso Morroni da Rieti (B. Bo-'

RALEVI)
Varietà.
Di uno sconosciuto pittore in vetro del secolo XV (V. Con-
BUCCI) . È i 2
Le librerie di due Dottori in Lini del 055 xv (R. BEr-
FORTI). : 3 ; :
Le case del tisi] in bona (F. BRIGANTI)
Di uno sconosciuto lavoro di oreficeria umbra (G. DEGLI
AZZI)
Commemorazione.
Luigi Lanzi G. BELLUCCI)

Analecta e Recensioni.

Analeeta Umbra (P. ToxMasiNi-MaTTIUCCI)

646 INDICE DEL DICIASSETTESIMO VOLUME

Recensioni bibliografiche :
Luigi Fumi, L’ Inquisizione Romana e lo Stato di Milano

(P. 'TOMMASINI-MATTIUCCI). : i
Magherini-Graziani G., Storia di Città ài Castello (M. Fa-
LOCI-PULIGNANI) . a ù : :
Giulio Pensi e Armando Comez, Todi, Guida peri ibiredtiori
(V. ANSIDEI) i s x

Tavola dei nomi di persone e di luoghi.









ILI pL ccv peg enc d NND E SEN EE IS RES,

SITTER E dr ag S SAPUTO T nga

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